Gotta be you

di Love Bites
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Thanks God ***
Capitolo 2: *** The departure ***
Capitolo 3: *** You've always been wrong for me ***
Capitolo 4: *** Hidden feelings ***
Capitolo 5: *** Smoking a cigarette to put away the memories ***
Capitolo 6: *** I've done it for you ***
Capitolo 7: *** I never thought of you in that way ***
Capitolo 8: *** Awakening with surprise ***
Capitolo 9: *** Do you love me? ***
Capitolo 10: *** What do you say to make him a little more jealous? ***
Capitolo 11: *** I must do something before it's too late ***
Capitolo 12: *** I promise you, Boo ***
Capitolo 13: *** We shouldn't. Yes, we shouldn't. ***
Capitolo 14: *** Decisions ***
Capitolo 15: *** Avviso ***
Capitolo 16: *** "Yes, I've kissed her" ***



Capitolo 1
*** Thanks God ***





1. Thanks God




Maggio.
L’ho sempre considerato come il mese più brutto dell’anno, come i trentun giorni più massacranti di sempre.
In questo periodo, infatti, non hai neanche il tempo di renderti conto che la famosa tortura chiamata scuola sta per avere fine, che l’incubo delle interrogazioni a tappeto si fa strada nella tua mente come un letale cobra pronto a stritolarti tra le sue spire, fino a privarti completamente dell’ossigeno e a farti stramazzare al suolo ancor prima di poter pronunciare la parola “estate”.
Vorresti disperatamente premere il tasto avanti veloce e salvarti la pelle prima che sia troppo tardi, ma indovina un po’?
Esatto, non puoi.
Così ti limiti ad costringere il tuo povero corpo, o meglio l’ammasso di ossa, muscoli e sangue che dovrebbe essere un corpo, a tirare avanti a forza di caffè e vitamine, dicendoti che sì, ce la puoi fare.
Più o meno quello che stavo facendo io quando quel venerdì mattina varcai la soglia dell'istituto in cui frequentavo il terzo anno di College.
Come sempre attraversai il corridoio principale strascicando i piedi sul pavimento in linoleum beige, con le cuffie calcate nelle orecchie e la borsa a tracolla che mi costringeva a tenere la schiena leggermente piegata verso destra per evitare di perdere l’equilibrio.
Alzai lo sguardo solo quando l’eco della voce di Bekah mi giunse chiaro anche attraverso le note di In bloom dei Nirvana.
La mia amica mi venne in contro, muovendosi tanto in fretta da permettere all’aria di scompigliarle i lunghi capelli color grano.
Sul suo viso, quasi a ricordarmi con insolenza che io non avrei mai avuto dei denti così bianchi, faceva bella mostra di sé un sorrisone da copertina.
Non mi diede neanche il tempo di mormorare un ciao.
«Indovina un po’? Non ci crederai mai!», disse, quasi mettendosi a saltellare sul posto.
Alzai un sopracciglio, incuriosita da tanto entusiasmo.
«Cosa?», chiesi.
«Chiudono la scuola per una settimana. Una settimana! Mio Dio, non mi sembra vero! Non vedo l’ora che…».
«Hey, hey, hey – feci, alzando una mano come a mimarle uno stop – perché? E’ successo qualcosa?».
Rebekah annuì, senza però perdere l’aria sognante di chi sta già progettando chissàche.
«A quanto pare non sono stati fatti dei lavori per mettere a norma l’edificio e visto che il preside non ha intenzione di pagare una multa…».
Non la lasciai finir di parlare.
Entrai in classe e, dopo aver raggiunto il mio banco, lasciai cadere la borsa a terra. Alcuni dei miei compagni di classe mi salutarono fugacemente, per poi tornare a parlottare fra loro.
Con nonchalance mi stiracchiai la schiena e le braccia.
«Dov’è Zayn?», chiesi a Bex quando mi raggiunse.
Lei alzò le spalle e si sedette di fianco a me. Lo fece con meno grazia del solito, segno che anche il suo corpo stava iniziando a risentire delle infinite sveglie alle sei del mattino e delle lunghe ore di studio al pomeriggio.
E meno male, dissi tra me e me. Incominciavo a pensare che non fossi umana.
«Può darsi che arrivi da un momento all’altro come che non si presenti affatto…».
«Chi è che non si deve presentare?».
Al suono di quella voce entrambe ci girammo verso la porta verde scuro, ancora spalancata.
Zayn fece il suo ingresso nell’aula sotto gli occhi di tutte le ragazze presenti.  Era sempre così.
Neanche se ne andasse in giro spargendo banconote da cento sterline. 
«Buongiorno signore», ci salutò, ignorando completamente tutti gli altri.
«Heylà, straniero», lo apostrofai, mentre lui si chinava su Bekah per baciarla dolcemente sulle labbra.
«Pensavo davvero che non saresti venuto», mugolò lei, quando si staccarono.
«Ormai dovresti sapere che non faccio mai quello che ti aspetti», ribatté il ragazzo.
Mi intenerii appena, nel vederli sorridersi a vicenda. Ormai stavano insieme da quasi otto mesi e più il tempo passava, più mi meravigliavo di quanto le cose tra loro andassero di bene in meglio.
Erano proprio una bella coppia, considerato che erano l’una il contrario dell’altro.
La prima cosa si notava, infatti, era il netto contrasto tra i capelli biondi di Rebekah e la chioma corvina di Zayn.
«Prima che Miss Ommioddio-la-sai-l’ultima attacchi a parlare, mi prendo la libertà di chiederti se…».
Zayn mi bloccò a metà frase. «Harry aveva un compito di trigonometria stamattina. Ha detto che lui e Lou ci aspettano in mensa all’ora di pranzo».
«Ah, bene», commentai, ringraziandolo con lo sguardo.
Bex mi tirò una gomitata.
«Quando la smetterai di negare che sei completamente ossessionata da quei due?».
Alzai le spalle e sfoderai la mia miglior espressione strafottente.
«Mai. E sai perché? Perché…».
«Non sono ossessionata da nessuno», ribatterono in coro i miei due amici.
Alzai un braccio e puntai un indice verso la coppia, accompagnando il tutto con un occhiolino.
«Proprio così», assentii soddisfatta.



 
Dio benedica la pausa pranzo, mormorai tra me e me, quattro ore più tardi.
Mi alzai dal mio posto ancora leggermente rimbambita, un po’ per il non aver dormito a sufficienza la notte prima, un po’ a causa della sfilza di esercizi che il prof di francese ci aveva appioppato per tenerci occupati mentre lui finiva di correggere dei compiti.
Mi trascinai fino all’uscita dell’aula, portando con me solo il portafoglio e il cellulare.
«Su con la vita!», esclamò Zayn poco dopo, quando ormai mi ero spostata in corridoio.
Rebekah, al suo fianco, si stava legando i capelli in una coda di cavallo piuttosto alta.
«Non vedo l’ora di andarmene a casa», ribattei, in un lamento strascicato.
«Pensa positivo, Sam. Non metteremo più piede in questo posto per i prossimi sette giorni…».
«E c’è la possibilità che i lavori si dilunghino oltre il tempo stabilito», aggiunse Bekah, appoggiando con entusiasmo il tentativo del suo ragazzo di sollevarmi il morale.
Ispirai a fondo, mentre tutti e tre scendevamo l’ultima rampa di scale che ci avrebbe condotti al piano terra.
«Fatto sta che ci attendono ancora quattro ore di massacro, due delle quali occupate da interrogazioni a tappeto per cui non mi sono affatto preparata».
La mia amica alzò gli occhi al cielo. «Devo forse ricordarti che, al contrario della sottoscritta, puoi ancora giustificarti sia di latino che di matematica?». 
Quella rivelazione mi giunse inaspettata, talmente inaspettata e ben gradita che per poco non mi diedi una manata in fronte. Come potevo essere stata così sbadata?
«Oh, merda, hai ragione», dissi, varcando la soglia della grande sala da pranzo.
La risposta di Bekah mi arrivò un po’ confusa per via del pesante chiacchiericcio che ci circondava.
Attorno a noi, divisi in gruppi ben distinti, almeno una cinquantina di studenti stavano iniziando a divorare il cibo nei loro vassoi.
In mezzo a quel casino, chissà come, Zayn riuscì ad individuare Harry e Louis molto prima di me.
I due erano seduti ad un tavolo abbastanza isolato dagli altri, in un angolo in fondo alla stanza.
«Harry ha la faccia di uno a cui hanno appena diagnosticato un cancro», sentenziai io, mentre Zayn e Bekah mi seguivano attraverso la mensa.
«Lo bocceranno se gli è andata male anche questa verifica», rispose Bekah, scuotendo la testa.
Sospirai, assentendo silenziosamente. Tutti noi sapevamo che era fottutamente a rischio…e solo perché non voleva rassegnarsi a prendere ripetizioni di matematica.
Che poi, visto che la odiava così tanto, perché aveva scelto così tanti corsi che la prevedevano?
I miei pensieri vennero interrotti dalla voce squillante di Lou.
«Chi si vede! Io e Hazza, qui, incominciavamo a pensare che aveste organizzato un’orgia senza dircelo».
Harry incurvò leggermente un angolo delle labbra, mantenendo però lo sguardo fisso sul piatto di pizza che aveva davanti.
«Ti hanno lasciato prendere da mangiare anche per noi?», esclamò sorpresa Bex, ignorando la battutaccia di Lou.
Quello annuì soddisfatto, per poi sedersi e farci cenno di seguirlo.
Io mi accomodai vicino a lui e a Harry, che nel frattempo mi aveva lanciato un’occhiatina interessata. Che mi si fosse sbavato l’eyeliner?
«Per dolce c’era solo del budino di riso, ma…».
«Te lo sei mangiato tu – dissi, alzando gli occhi al cielo – come sempre».
Lou infilò una mano tra i miei capelli castani, scompigliandoli in modo osceno.
«Lo faccio anche per te, sai? I dolci fanno ingrassare. E noi non vogliamo che il tuo didietro diventi come quello di un ippopotamo…vero, Hazza?».
Quello raddrizzò la schiena e scosse la testa con un’aria esasperata.
«No, Louis. Non vogliamo», disse poi.
«Ma che premurosi», ribattei, fingendomi lusingata. In realtà non gradivo affatto quando si scherzava sul mio didietro. Lo odiavo già abbastanza di mio.
In silenzio avvicinai il mio vassoio e afferrai la pizza, dandole subito dei piccoli morsi.
Zayn seguì il mio esempio e così Bekah. Ma il silenzio tra noi non durò neanche dieci minuti.
«Avete sentito la novità?», domandò la mia amica, quando io ero a malapena arrivata a smangiucchiare metà del mio pasto.
Harry annuì e finalmente sorrise.
«Non vedo l’ora che sia domani. Questo posto mi ha davvero rotto», disse, bloccando allo stesso tempo un attacco di Louis alla sua pizza ormai congelata.
Ridacchiai di gusto quando quello si beccò un sonoro schiaffo sulla nuca.
«A proposito – intervenne per la prima volta Zayn – io e Bekah avevamo pensato che potremmo andare tutti insieme a Brighton…».
«Io ci sto!», esclamò Lou, ancor prima che io metabolizzassi la cosa.
«Se i miei non decidono di mettermi in punizione a vita…ci sto anch’io», gli fece eco il riccio.
Il suo ritrovato entusiasmo mi rallegrò a tal punto che, senza neanche pensare hai pro e ai contro, annuii anch’io, consenziente.
«Per me è okay».
Zayn mi fece l’occhiolino, beccandosi una gomitata dalla sua ragazza.
«Allora siamo d’accordo».
«Siamo d’accordo».
«Sarà una bella gita», sentenziò Louis, felice.



 
Dio grazie!
Quel pensiero si materializzò nella mia mente nel momento esatto in cui feci il primo passo fuori da scuola. Era finita.
Finalmente, indiscutibilmente, finita.
Sorrisi e chiusi gli occhi quando i pochi raggi di sole che erano riusciti a sfuggire alle nuvole mi sfiorarono il viso e l’aria fresca mi scompigliò i capelli.
Certo, me ne andavo da lì con una mole di compiti abnorme, ma ero libera.
Libera come il vento. Libera di…
Qualcosa mi investì in pieno, facendomi barcollare in avanti.
«Porca miseria, Sam – mi rimproverò una voce che avrei riconosciuto tra mille – che cazzo fai?».
Harry si passò una mano nei capelli castani, scostandoli dal viso e mettendo in mostra un paio di occhi verdi e stanchi. Rimasi a guardarlo solo per un secondo, affascinata dall’aria vagamente minacciosa che aveva assunto.
«Scusa – ribattei, facendo un passo indietro – ma tu dovresti imparare a guadare dove stai andando».
Il ragazzo mi lanciò un’altra occhiataccia, per poi scuotere la testa.
«Dove sono Rebekah e Zayn?», chiese poco dopo, cambiando del tutto argomento.
Alzai le spalle e, con un piccolo salto, superai l’unico gradino davanti l’ingresso dell’istituto.
«Sono scappati via non appena è suonata la campanella. Louis?».
Harry si lasciò sfuggire una piccola smorfia.
«E’ andato da Eleanor. A quanto pare avevano bisogno di parlare».
«Mmmh», mormorai.
Stavo già per voltarmi e andare via, quando lui pronunciò il mio nome con un tono roco che mi fece venire le farfalle nello stomaco.
«Vorrei che tornassimo amici…», mormorò, fissandomi negli occhi.
«Noi…noi siamo amici, Harry».
Scosse la testa, tornando serio.
«Intendo migliori amici. Come qualche anno fa, ricordi?».
Sì, ricordo, pensai, con una nota di malinconia.
Subito dopo, però, aggrottai le sopracciglia, assumendo un’espressione molto simile alla sua.
«Ho già un migliore amico, e quella persona è Lou».
Il ragazzo serrò la mascella, indispettito dalla mia risposta brusca.
«Bugiarda», disse, e un attimo dopo mi oltrepassò, lasciandomi sola davanti alla scuola ormai deserta.
 
La pioggia mi aveva inzuppato i vestiti e le scarpe.
Sentivo la stoffa della mia maglietta completamente appiccicata al corpo, come una specie di seconda pelle.
Avevo freddo. 
«Cosa ti ho fatto di male per meritarmi questo?!», urlai, incurante dei capelli che, grondanti d’acqua, mi sferzavano il viso per colpa del vento.
Harry continuò a fissarmi da sotto il portico di casa sua, apparentemente senza pietà nei confronti della ragazzina che un tempo aveva considerato come la sua migliore amica.
I suoi occhi erano scuri come il cielo plumbeo sulla mia testa.
«Vattene a casa, Sam. Io non ti voglio qui», rispose ad un tratto, con cattiveria inaudita.
«Perché? Perché mi tratti così?», insistetti, sentendo le lacrime pronte a sfuggire ai miei occhi.
«Sei solo una bambina».
Quelle parole mi rimasero impresse nella mente per tutti gli anni che seguirono.
 
 


*Spazio autrice*


Buonasera a tutte :) Come ho già detto nell'introduzione della storia è la prima volta che pubblico in questa sezione, anche perché ho iniziato ad ascoltare qualche canzone degli One Direction solo da una settimana (su consiglio di un'amica, oltretutto). Per ora non voglio anticipare niente della trama, anche perché, seppur avendo già tutto in testa, questo è solo un capitolo-esperimento. Se non piacerà a nessuno lo cancellerò e amen.
Quindi boh...se vi piace lasciatemi un commentino :)
Un abbraccio,
Alice.

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Capitolo 2
*** The departure ***





2. The departure

 
 
Aspettai a lungo, in silenzio.
Mia madre mi dava le spalle, lavando i piatti della cena. Non sembrava aver ascoltato ciò che le avevo appena chiesto.
«Se magari mi dai una risposta entro domani te ne sarei immensamente grata», borbottai.
«Non lo so, Sammy. Brighton è così lontana…».
«Ma ci sarà anche Louis! Sai che diventa paranoico quando si tratta di guidare…nonna Haster in confronto è molto più spericolata di lui».
Una risatina divertita risuonò tra le pareti della cucina.
«Hai ragione…- disse, chiudendo il rubinetto e voltandosi a guardarmi – ma…Harry? Sai che non mi piace come ti ha trattata…».
Dentro di me alzai gli occhi al cielo. Anch’ io non ero particolarmente entusiasta al pensiero di passare una settimana intera in sua compagnia, almeno non dopo ciò che era successo qualche ora prima davanti a scuola, ma per nulla al mondo avrei fatto di questo un problema.
Volevo partire per quella vacanza, ne avevo disperatamente bisogno.
«Con Harry è tutto a posto. Non l’ho perdonato, non del tutto, ma fidati se ti dico che è l’ultima persona che potrebbe darmi delle noie…».
«Mmmh. La signora Cooper è d’accordo? E Zayn? Verrà anche lui?».
«Vengono tutti, mamma. Perfino Harry, che non se lo meriterebbe affatto. Manca solo la mia conferma», dissi, esasperata.
Gli occhi castani di Allison si addolcirono nel notare la mia impazienza. Sapeva quanto ci tenessi.
«Va bene – assentì infine, con un sorrisetto complice – ma a patto di non fare qualche stupidaggine. E per stupidaggine intendo alcool, droga, sesso e…».
«Mamma!», esclamai, scendendo velocemente dal tavolo da pranzo su cui ero seduta.
Uscii dalla stanza sotto il suo sguardo divertito e vagamente invidioso, diretta in camera per preparare la valigia per l’indomani.
Salii le scale di fretta, ma non feci in tempo ad entrare nella mia stanza che il cellulare iniziò a vibrarmi fastidiosamente nelle tasche.
Lo presi e accettai la chiamata senza neanche controllare con chi avrei parlato.
«Pronto?».
«Allora? Ci sei?», mi chiese la voce squillante di Louis.
Sorrisi, incastrando il telefono tra una spalla e l’orecchio.
«Certo che sì. Ma solo perché mia madre sa che guiderai come una lumaca».
Dall’altro lato udii uno sbuffo contrariato.
«Ah-ah. Comunque…ho incontrato Harry, dieci minuti fa. Stava andando a comprare un CD e mi sembrava piuttosto risentito».
Come se ne avesse il diritto, pensai, mentre recuperavo il mio vecchio trolley dallo stanzino del sottotetto. L’odore di chiuso e umidità mi fece storcere il naso.
«Abbiamo avuto una piccola discussione», spiegai.
«Perché?», mi chiese, fingendo di non aver già intuito tutto.
«Bah, di punto in bianco ha voluto dimostrarsi nostalgico nei confronti del passato. L’ho gentilmente mandato a cagare».
Lou rise, ma sapevo che era solo un modo per evitare di mettermi di malumore.
Quando parlò, tuttavia, il suo tono fu tutt’altro che scherzoso.
«Gli manchi, Sam. Si nota lontano un miglio che non ce la fa più ad andare avanti così. E’ vero, siete tornati amici da poco, ma quello che c’è tra voi ora…non è abbastanza, capisci?».
Aggrottai le sopracciglia.
«Veramente no. Cosa si aspettava? Che ci avrei messo una pietra sopra e sarei corsa allegramente tra le sue braccia? Mi spiace, Lou, ma non posso. Mi ha fatto troppo male».
Ci fu una lunga pausa di silenzio. Ricordi dolorosi mi tornarono alla mente e per un momento desiderai non aver mai iniziato quel discorso.
Odiavo rivangare il passato, soprattutto se riguardava me e Harry.
«Secondo me dovresti dargli una seconda possibilità. Una vera seconda possibilità. Tu non vorresti che lui te la concedesse, se fossi al suo posto?».
Ci pensai un attimo. Partendo dal fatto che non sarei mai stata capace di ferirlo tanto…beh, forse…
«Sì - ammisi, in conflitto con me stessa - Se la metti così sì».
L’immagine di Lou che sorrideva dolcemente mi ammorbidì il cuore.
«Allora vedi di darti da fare, domani. A proposito…passo a prenderti direttamente io alle sette, va bene?».
Annuii. «Okay. Ah, Lou? Ti voglio tanto bene. La mia vita sarebbe una merda senza di te».
«Ti voglio bene anch’io, piccola. Più di quanto immagini».
Terminai la chiamata subito dopo, ma, chissà perché, quell’ultima frase continuò a riecheggiarmi nelle orecchie per molto più tempo.
Ti voglio bene anch’io, piccola. Più di quanto immagini.
Più di quanto immagini.



 
Non avevo dormito un cazzo, tanto per cambiare.
Guardai per un’ultima volta il mio riflesso allo specchio del bagno, maledicendo le occhiaie scure che mi si erano formate sotto gli occhi color cioccolato.
Almeno i capelli sono a posto, constatai sollevata, ravvivando le onde castane che mi incorniciavano il viso.
Erano l’unica cosa di me che non mi deludeva in nessuna occasione.
Presi un respiro profondo, raccattai il cellulare dal bordo del lavandino e, dopo averlo calcato in tasca, uscii dalla stanzetta.
Quando arrivai in cucina mia madre aveva già preparato la colazione, premurandosi però di non mettere in tavola niente di più pesante di un paio di biscotti. Fin da quando ero molto piccola, infatti, durante i lunghi viaggi in macchina mi capitava spesso di avere la nausea.
«Pronta a partire? Hai preso tutto?», mi chiese lei, accarezzandomi la testa mentre mi sedevo a tavola.
«Sì. Non vedo l’ora di essere al mare», risposi, afferrando la mia tazza di caffé.
Bevvi un paio di sorsi, poi notai almeno cinquecento sterline sul lato opposto del tavolo, vicino agli auricolari e a due bottigliette d’acqua.
Mi voltai verso mi madre, sbigottita.
«Meglio averne in più che in meno», commentò semplicemente lei, con un’alzatina di spalle.
Penso di non aver mai visto tanti soldi tutti assieme, fu il mio commento interiore.
Avevo appena addentato un biscotto al cioccolato, quando sia io che lei sentimmo il rumore di una macchina che si fermava nel vialetto.
Insospettita lanciai un’occhiata all’orologio sopra il frigorifero.
7:10.
«Merda!», esclamai, alzandomi da tavola di scatto e ingurgitando in fretta ciò che rimaneva sul fondo della mia tazza blu.
«Moderiamo il linguaggio, Sam», mi rimproverò mia madre.
Sbuffai e feci il giro del tavolo, ficcando della mia borsa a tracolla soldi, acqua e cuffie.
Qualcuno bussò alla porta prima che riuscissi a raccattare anche il trolley.
«E’ Lou. Fallo entrare, mamma», ordinai alla donna, mentre io mi affrettavo salire in camera per andare a prenderlo.
Oh cazzo, borbottai tra me e me, quando mi venne in mente che non avevo neanche il caricabatteria del telefono.
Mi misi a cercarlo convulsamente, prima nei cassetto della scrivania, poi in mezzo al casino che deturpava il mio comodino.
Stavo rovistando sotto il letto, quando una voce divertita mi fece sobbalzare.
«E’ qui. Dove lo lasci tutte le sere».
Mi volta di scatto, spaventata.
«Louis! Razza di scemo!», sibilai, portandomi una mano al cuore.
Lui sorrise e mi venne incontro. Quando fu abbastanza vicino da potermi sfiorare mi fece scivolare il cavetto attorno al collo a mo’ di sciarpa.
«Ecco qua. Pronta per partire», aggiunse poi, scoccandomi un bacio sulla fronte.
Sospirai e lo spinsi delicatamente di lato.
«Forza, andiamo. Bekah sarà già nel panico».
Mentre tornavamo di sotto non potei fare a meno di pensare alle labbra di Louis che premevano sulla mia pelle fredda.
Era un po’ di tempo che incominciavo dare importanza a quei piccoli particolari.
Forse troppa importanza, considerato che lui aveva due anni in più di me ed era fidanzato.
Ma poi che razza di pensieri mi andavo a cercare?
Scollai le spalle non appena vidi mia madre venirmi in contro. Reggeva su una spalla la mia borsa, mentre dall’altra mano penzolava un pacchetto enorme di pop-corn.
«Tieni – mi disse, porgendomi entrambi – e sta attenta».
Annuii, sorridendole. «Ci sentiamo presto, okay?».
«Certo, piccola».
Mi abbracciò, poi si rivolse a Lou, che mi attendeva davanti all’ingresso di fianco al mio trolley. 
«Mi raccomando, Tomlinson. Conto su di te», gli disse, con un’autorevolezza che mi fece ridacchiare.
Louis accostò una mano alla fronte e si cimentò in un perfetto saluto militare.
«Signorsì, Signora Seyfried».
«Dai deficiente – lo incitai, raggiungendolo e spingendolo fuori dalla porta – Brighton non aspetta!».



 
«Oh».
Fu quello il mio commento quando, una volta caricate le valigie e saliti in macchina, mi accorsi della presenza di Harry sui sedili posteriori.
«Ciao», mi disse lui, con tranquillità.
«Hey», mi limitai a rispondere.
Louis, accanto a me, alzò gli occhi al cielo, ma non fece commenti.
Subito dopo mise in moto la Volvo color argento e imboccò la strada che ci avrebbe condotto a casa di Zayn, dove lui e Rebekah ci aspettavano con i bagagli.
«Vi spiace se metto un po’ di musica?», chiesi ad un tratto.
«Basta che non sia country. O rap. O quella roba merdosa da discoteca», mi ammonì Harry.
Vidi Louis trattenere a stento una risata.
«Non vorrei mettere il dito nella piaga, Hazza, ma si vede proprio che non la conosci».
E meno male che eri tu quello che lo difendeva, pensai con una punta di amarezza.
Con la coda dell’occhio vidi Harry serrare i denti.
Non volevo che l’atmosfera si guastasse già di prima mattina, perciò mi affrettai a proporre una serie di titoli, sperando che bastasse a distrarlo.
«Wish you were here dei Pink Floyd? O magari Knocking on heavens door di Bob Dylan? Ah, ho anche tutto l’album Abbey Road dei Beatles».
«Beatles!», esclamò Lou nell’esatto istante in cui anche Harry diceva la stessa cosa.
Sorrisi e, dopo aver attivato la connessione con il lettore mp3 della macchina, feci partire la prima canzone.
Lentamente le note di Here Comes the Sun si diffusero nell’abitacolo.
Io fui la prima a iniziare a canticchiarne il testo.
 

Here comes the sun, here comes the sun,
And I say it’s all right
 
Little darling, it’s been a long cold lonley winter
Little darling, it feels like years since it’s been here
 

Harry e Louis mi fecero eco con il ritornello. Il suono delle loro voci era qualcosa di paradisiaco.
 

Here comes the sun, here comes the sun,
And I say it’s all right
 
Little daling, the smiles returning to the faces
Little darling, it seems like years since It’s been there
 
Here comes the sun, here comes the sun
And I say it’s all right
 

Sentirli cantare insieme era un evento più unico che raro, perciò mi beai di ogni singola nota, di ogni singola parola.
E quando, troppo presto, il pezzo finì, mi scoprii indiscutibilmente di buon umore.
Sorrisi e chiusi gli occhi, poi abbandonai il capo contro il sedile.
«Che bello – sussurrai, ascoltando l’inizio della canzone successiva – che bello poter scappare via per un po’».
«A chi lo dici», concordò Louis.
Ciò che mi spinse a tornare a guardarlo fu la leggerissima sfumatura malinconica in quelle quattro semplici parole.
«C’è qualcosa che non va, Lou?».
Harry smise di guardare fuori dal finestrino per mettersi in ascolto.
«Nah. Solo un po’ di stanchezza», mi rassicurò l’altro.
«Mmmh».
Avrei voluto insistere - ormai lo conoscevo abbastanza bene da capire che mi stava nascondendo qualcosa - ma non ne ebbi la possibilità.
La Volvo argentata svoltò verso sinistra, per poi fermarsi davanti a una casa color azzurro pastello.
Zayn e Bekah spuntarono dal cancello in ferro battuto, trascinandosi dietro due grosse valige e una borsa verde con il pranzo per tutti e cinque.
«Eccoci qua», mormorò Lou, poco prima che i due ci raggiungessero.
«Buongiorno gente!», esclamò Rebekah, mentre il suo ragazzo sistemava i bagagli nel retro dell’auto.
«Ciao Bex», la salutai, scoccandole un bacio sulla guancia non appena entrò nell’auto.
Harry si spostò leggermente verso destra per fare spazio sia a lei che a Zayn, che nel frattempo l’aveva raggiunta.
«Dormito bene?», domandò Lou, ammiccando ai due attraverso lo specchietto retrovisore.
Il moro alzò un sopracciglio.
«Tu che dici, Tomlinson?».
La risatina nervosa di Bekah confermò le nostre piccanti ipotesi.
 


 
Ore 10:27. Alle spalle già tre ore e mezza di viaggio, ma altrettante ancora da sopportare.
Appoggiata contro il finestrino semi-aperto guardavo l’asfalto scorrere inesorabilmente sotto di noi.
Faceva caldo, c’erano quasi venticinque gradi, e io incominciavo a sentire il bisogno di reidratare la mia povera gola riarsa.
«Bekah, potresti…».
Mi bloccai a metà frase, scioccata dall’immagine che mi si parò davanti quando mi volta verso i sedili posteriori.
Lei non stava baciando Zayn, no, lei se lo stava mangiando.
Potevo vedere le loro lingue socializzare piuttosto animatamente.
Con non poco imbarazzo borbottai un “lascia perdere” e tornai a sedermi al mio posto, evitando tra l’altro di guardare accidentalmente nello specchietto retrovisore.
«Di cos’hai bisogno?», mi chiese Harry, con un sorrisetto sulle labbra.
«Di una bottiglietta d’acqua», risposi, non riuscendo a non provare compassione per lui che, chissà da quanto tempo, era costretto a sorbirsi quel simpatico spettacolo.
«Tieni».
Davanti al mio naso prese ad oscillare ciò che avevo appena richiesto.
L’afferrai con un po’ di stizza.
«Grazie».
Al mio fianco Lou iniziò a ridacchiare considerevolmente e la cosa riuscì a far sorridere anche me.
Gli lanciai un’occhiata, mentre, sempre con il sorriso sulle labbra, stappavo la bottiglia e iniziavo a bere.
«Dimmi che ci fermiamo alla prima stazione di servizio – implorai – quei due hanno bisogno di sbollire…».
«Se scopassi di più capiresti», m’interruppe Zayn, che chissà come era riuscito a liberarsi dal micidiale attacco delle labbra di Rebekah.
All’istante sentii il sangue affluirmi alle guance.
«Vaffanculo», strillai, a completo disagio.
Credo che sia superfluo dire che risero tutti di me…tutti tranne Louis.
 
«Sai cosa bisogna fare in questi casi, Sam? Mandare tutto a quel paese uscire a divertirsi. E per divertirsi sai cosa intendo», mi ammiccò Lou, facendomi l’occhiolino.
Io, seduta a gambe incrociate sul suo letto, tirai su con il naso.
Per l’ennesima volta mio padre non si era fatto vedere neanche il giorno del mio compleanno.
Lo odiavo. Ma forse odiavo di più il fatto che mia madre tentasse ancora di giustificarlo dicendo che era impegnato con il lavoro.
Per quanto ne sapevo quel bastardo poteva anche non avercelo, un lavoro.
Arrossii appena, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi azzurri.
Era il mio migliore amico, certo, ma restava pur sempre un ragazzo…un ragazzo con cui m’imbarazzava parlare di certi argomenti.
«Non credo sia una buona idea».
«Oh, non sei obbligata a fare sempre la brava ragazza, Heaven Samantha Seyfried!», sentenziò Louis, con tono quasi imperioso.
Schiusi le labbra al suono del mio nome completo. Nessuno mi aveva mai chiamata così…o almeno non che io ricordassi.
«Tu non capisci», mi limitai a sussurrare alla fine, leggermente scossa.
«Di cosa hai paura? Nessuno ti giudicherà se per una volta fai qualcosa per te stessa».
Oh, merda, pensai, sempre più a disagio.
«Lou…io…».
Rimasi in silenzio a lungo, perfettamente consapevole del suo sguardo attento su di me.
«Non è che non voglio…», azzardai non appena ebbi racimolato un po’ più di coraggio.
E ad un tratto, finalmente o purtroppo, lo sentii inspirare. Poi un “Oh” sorpreso riecheggiò nella stanza.
Continuai a fissarmi i piedi, sperando di profondare sotto terra, ma Louis, come al solito, mi lasciò completamente interdetta.
Alzai la testa solo quando sentii le sue mani calde scostarmi i capelli dal viso.
«Non devi vergognarti, sai? – mi disse, sorridendomi con tutta la dolcezza di cui era capace – non è una cosa brutta. Questo ti rende ancora più preziosa».
A quelle parole qualcosa dentro di me si frantumò.
Era il ghiaccio, capii un po’ di tempo dopo, il ghiaccio che aveva avvolto il mio cuore da quando Harry era uscito dalla mia vita.
Louis aveva appena, inesorabilmente, fatto breccia nei miei sentimenti.



*Spazio autrice*


Buondì a tutte! Qui a Verbania (Nord del Piemonte, per chi non lo sapesse) finalmente splende il sole e io ho  appena finito di scrivere questo spero non troppo noioso capitolo 2.
Non ho granché da dire se non un enorme GRAZIE alle ragazze che si sono fermate a recensire il capitolo precendente spronandomi a continuare questa Fanfic :) Vi voglio bene, dico davvero.
Se la storia vi piace vi prego, ve lo chiedo in ginocchio sui ceci, fate come loro e datemi un segno di vita xD
E' davvero molto importante per me conoscere il parere delle persone per cui scrivo con tanta gioia :)
Un bacione e a presto,
Alice.

P.s Ho pensato di lasciarvi uno specchietto con le età dei personaggi, così, tanto per allungare ulteriormente questo terribile s.p.a.
Louis: 19 anni (va in quinta)
Harry/Zayn/Rebekah: 17
Sam: 16 (sì, ha iniziato la scuola prima).
 

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Capitolo 3
*** You've always been wrong for me ***





3. You've always been wrong for me


 

"And no woman in the world deserves this 
But here I am, asking you for one more chance"


 

«Okay, gente. Voi avete la 324 e io e Bekah la 325», comunicai ai ragazzi, porgendo a Zayn la chiave magnetica della loro stanza.
Eravamo in quella cavolo di reception da quasi un’ora ormai.
Tra controllo prenotazione e documenti, registrazione dei dati e pagamento delle caparre avevamo impiegato molto più tempo del previsto. Ora non vedevamo l’ora di entrare in camera, disfare le valige e prepararci per uscire.
«Sono le – guardai il cellulare - 13:15. Ci vediamo qui tra un’ora esatta, okay?».
Louis annuì, si stiracchiò e aiutò Harry ad alzarsi dal divanetto color panna su cui si erano beatamente stravaccati.
«Dai andiamo», disse poi, rivolto a tutti.
Ognuno prese la propria valigia, poi insieme ci dirigemmo verso i due ascensori che portavano ai piani superiori.
Pigiai il bottone e aspettai che le porte si aprissero.
«Sam?».
Mi voltai verso il suono di quella voce. Gli occhi verde smeraldo di Harry mi fissavano con un’espressione indecifrabile.
«Avrei bisogno di parlarti».
«Di cosa?», chiesi, mentre Bekah e Zayn iniziavano a salire sull’ascensore.
«Lo sai – mi comunicò, serio – appena sei pronta vieni a bussare in camera, okay?».
No, pensai. Non ho voglia di discutere ancora con te, Harry Styles.
Il mio cuore però non fu molto d’accordo.
«D’accordo», mormorai, stupita dalla mia stessa arrendevolezza.
Un sorriso riconoscente si allargò sul suo viso, creando quelle bellissime fossette che da sempre mi ispiravano simpatia e fiducia.
«Grazie».
«Figurati, Styles».
Lou mise la testa fuori dall’ascensore che nel frattempo aveva già tentato di chiudersi più di una volta.
«Guardate che stiamo aspettando solo voi», ci comunicò.
«Arriviamo, arriviamo», sbuffai.
E in silenzio io ed Harry li raggiungemmo.



 
Guardai con invidia i vestiti di Rebekah, perfettamente ripiegati e impilati nell’armadio.
I miei, ovviamente, erano ancora un ammasso di roba stropicciata e informe.
«Ti prego – implorai, facendole gli occhi dolci – aiutami».
La bionda si portò le mani sui fianchi, poi mi lanciò un’ occhiataccia.
«Dopo che mi hai costretta a rinunciare a Zayn per stare in camera con te? Mai».
Mi finsi terribilmente dispiaciuta.
«Ti prego Bex…faccio schifo come casalinga».
Non dovetti neanche mettermi in ginocchio e baciarle le Converse: come al solito lei si fece intenerire e, senza che dovessi aggiungere più niente, iniziò a sistemare la mia roba con assoluta precisione.
Feci il giro del letto, su cui giacevano entrambe le nostre valige, e le scoccai un bacio sulla guancia sinistra. Lei rise, anche se in realtà sapevo quanto avrebbe voluto che al mio posto, in quel momento, ci fosse il suo ragazzo.
«Ti devi cambiare?», mi chiese, piegando un paio di pantaloncini.
«Non lo so. I ragazzi avevano intenzione di andare a fare il bagno?».
Scosse la testa. «No, oggi no».
«Mmmh. Allora credo che mi sistemerò solo il trucco».
Così dicendo recuperai dalla mia borsa la pochette con tutto il necessario e mi avvicinai allo specchio vicino all’entrata della stanza.
Con una salviettina tolsi l’eyeliner che avevo messo quella mattina e lo sostituii con un ombretto dorato e una buona passata di mascara volumizzante.
Per ultimo opacizzai la pelle con un po’ di cipria.
«Cosa voleva Harry prima?», mi chiese Rebekah mentre mi sistemavo anche i capelli.
«Ha detto che deve parlarmi…sai, non so se Lou te lo ha già accennato, ma ieri pomeriggio mi ha fermata davanti a scuola e…».
«Sì sì, so già tutto».
«Ecco – feci, sistemandomi dietro un orecchio una ciocca meshata di rosso – allora puoi intuirlo anche da sola».
Quando tornai in camera lei aveva quasi finito. Più di tre quarti della mia roba era già perfettamente in ordine e il quarto restante si trovava sotto le sue grinfie.
Sorrisi e la ringraziai mentalmente ancora una volta.
«Secondo me la lontananza gli ha fatto capire un paio di cosette», azzardò Bekah dopo qualche minuto.
«Tipo?», domandai.
Gli occhi azzurri della mia amica mi lanciarono un messaggio inequivocabile.
«No – feci, scuotendo la testa con indecisione – Sai che non è così. Non sarà mai così».
«Eppure una volta ci speravi. Una volta ci sei quasi andata a letto», continuò lei, imperterrita, tanto per provocarmi.
Sentii un’ondata d’irritazione attraversarmi tutto il corpo.
«Smettila di fare l’idiota, Rebekah», sibilai.
Perché insinuava stronzate quando sapeva perfettamente com’erano andate le cose?
«Le persone cambiano, Sam. Crescono. E a me sembra che siate cresciuti entrambi. Perché non provi a…».
«Lui è solo uno stronzo. Mi ha presa in giro, illusa, umiliata. Mi ha scaricata e solo perché non ho voluto…».
Due colpi alla porta mi interruppero senza preavviso.
«Questo è Harry», mi comunicò Bekah, sistemando l’ultima canottiera.
Chiusi gli occhi, poi inspirai lentamente una lunga boccata d’ossigeno.
Fa che vada tutto bene, pregai dentro di me, mentre mi avvicinavo alla porta.
«Buona fortuna», mi comunicò Bex esattamente un secondo prima che spingessi la mano sulla maniglia e lo sguardo penetrante di Styles mi attraversasse da parte a parte.
«Hey», mormorai, improvvisamente in preda al panico.
Smettila, mi intimò la mia coscienza, che cavolo ti prende?
«Andiamo?», mi chiese lui, con quel tono roco che riusciva sempre a togliermi il fiato.
«Andiamo», confermai, chiudendo la porta dietro di me.



 
Fu quasi imbarazzante sopportare il pesante silenzio che ci accompagnò per tutto il tragitto dalla mia stanza alla terrazza panoramica sul tetto.
Più di una volta non riuscii a resistere alla tentazione di lanciare un'occhiata incuriosita verso il volto di Harry, serio esattamente come il pomeriggio prima.
Ancora faticavo ad abituarmi a questa sua nuova versione, molto corrucciata e decisamente poco giovanile: in passato avevo amato troppo i suoi sorrisi a trentadue denti.
Ricordo che quando lui rideva inevitabilmente ridevo anch’io. La sua faccia era così buffa e dolce che proprio non potevo farne a meno.
Un po’ come con Louis, insomma.
Stavo per iniziare l’ennesimo dibattito interiore con me stessa su quanto fosse cambiato negli ultimi due anni, quando, date le spalle alle ringhiere verniciate di nero che delimitavano la terrazza, Harry puntò i suoi maledettissimi occhi verdi nei miei, bloccandomi sul posto.
«Sam – disse, mentre il riflesso del sole costringeva entrambi a socchiudere le palpebre – so che forse avrei dovuto dirtelo prima, ma tu non me ne hai mai dato la possibilità. So che…».
S’interruppe, forse cercando le parole giuste.
Quando riprese la sua voce era molto meno salda.
«So che ti ho ferita. Che ti ho spezzata a metà. Mi sono comportato malissimo con te e…Dio, tu non puoi sapere quanto io mi faccia schifo per questo».
D’istinto aggrottai le sopracciglia, pensando che no, lui non aveva assolutamente idea della gravità di quello che mi aveva inflitto. Non avrebbe potuto comprenderlo nemmeno provandolo sulla sua pelle.
Quello che mi stava dicendo in quel momento era solo dell’inutile e sano senso di colpa.
Ed era un bene che lo provasse, ammesso che non stesse fingendo.
«Sai che non me ne faccio niente delle tue scuse. Puoi anche saltare questa parte e arrivare al dunque», gli comunicai, forse con troppo acidità.
Lui serrò la mascella. Gli aveva sempre dato fastidio quel mio tono di voce un po’ stridulo.
«Ti ho usata – confessò allora, senza mezzi termini – Ho sfruttato la tua ingenuità per cercare di ottenere l’unica cosa che allora non mi avresti mai concesso. Ti ho ignorata, negandoti il mio aiuto quando ne hai avuto bisogno. Ti ho guardata piangere per me, per ciò che avevo distrutto con le mie mani. Ho fatto tutto questo, Sam, e l’ho fatto perché in quel momento della mia vita tu non eri abbastanza. Troppo innocente, troppo illusa, troppo…bambina».
Avvertii un dolore straziante attraversarmi lo stomaco.
Quelle frasi avevano provocato dentro di me una tempesta di emozioni che sembravano volermi strappare a metà.
Strinsi i pugni contro il corpo, ma chissà come non abbassai lo sguardo.
Volevo che vedesse cosa mi stava succedendo per colpa sua.
Harry però non sembrò notarlo, perché continuò il suo discorso senza senso.
«E quando quel pomeriggio sei venuta da me, in lacrime, per un momento ho provato soddisfazione nel vederti così disperata».
D’istinto feci un passo in dietro. Ora cera quasi un metro di distanza tra i nostri corpi.
«Ma non mi hai toccata – sussurrai, con un disprezzo che andava ben oltre l’odio – non hai avuto neanche la decenza di prenderti ciò che volevi tanto».
Harry deglutì, poi scosse la testa, assumendo un’espressione del tutto differente.
Un’espressione di sincera compassione.
«Perché quando hai iniziato a spogliarti ho capito che eri davvero disposta a tutto purché tornassi ad essere tuo amico. E mi ha spaventato, Sam. Ho avuto paura che potessi fare qualcosa di veramente stupido», spiegò.
Lo guardai con più attenzione. Aveva le braccia leggermente protese verso di me, il tatuaggio del il veliero parzialmente visibile sotto la manica nera della maglietta.
Adoravo quel disegno. Era l’unico che, impresso indelebilmente sul suo corpo, mi comunicasse realmente qualcosa.
Libertà.
Sì, per me era un simbolo di libertà.
Harry era e sarebbe stato sempre uno spirito libero.
«Come se spingermi a tanto non fosse stato già abbastanza idiota», commentai, con più leggerezza.
Ma Harry non si fece distrarre.
«Quando te ne sei andata mi sono sentito morire. Come…come se all’improvviso mi fossi risvegliato da un brutto sogno. E’ stato un attimo. Mi sono reso conto di tutto. Di come avevo rovinato la nostra amicizia solo per un momento di follia».
Grazie al cazzo, urlai dentro di me.
«E poi tu hai smesso di cercarmi – continuò, staccandosi dalla ringhiera per iniziare ad avvicinarsi pericolosamente – non mi telefonavi più, non mi guardavi più, tentavi perfino di evitarmi a scuola. Più il tempo passava, più iniziavo a sentire la tua mancanza. A stare male, perché rimpiangevo il suono della tua voce, il tuo messaggio della buonanotte alla sera, il tuo buongiorno al mattino».
«Allora forse mi sono sbagliata. Un po’ puoi capire quanto sia orribile sentirsi messi da parte dalla persona con cui passi gran parte del tuo tempo», commentai.
Lui avanzò ancora, fino a lasciare solo la distanza di due o tre passi tra di noi.
«Sì – fece – posso eccome. Ed è per questo che ti sto parlando adesso. Per farti capire che anche se siamo tornati amici…io mi sento messo da parte. Mi manca come eravamo, Sam. Mi manchi tu».
A quel punto nella mia testa c’era un casino tale che ancora non capisco come feci ad elaborare una frase di senso compiuto senza sparare qualche enorme cazzata.
«Io sono andata avanti senza di te, Harry. Ho fatto amicizia con Lou, iniziato il liceo…».
«Lo so e sai una cosa? Mentirei se ti dicessi che sono contento per te», confessò, spiazzandomi completamente.
Dove voleva arrivare?
«Perché sono schifosamente egoista. Perché al contrario di te io non sono stato capace di ricominciare tutto da capo con un’altra persona. Io rivoglio la mia Heaven. Rivoglio la mia migliore amica».
«Quella stupida bambina non c’è più, Harry. Sono cresciuta», dissi, senza più alcuna cattiveria.
Fu un attimo. Le sue mani mi imprigionarono il volto, bloccandomelo a poca distanza dal suo.
«No mentirmi. So che anch’io ti manco», disse in un sussurro.
Ignorai volutamente quella provocazione.
«Anche se decidessi di perdonarti le cose non potrebbero mai tornare come prima e tu lo sai. Ormai c’è anche Lou nella mia vita».
Detto questo mi sottrassi alla sua presa e mi voltai.
Avevo già percorso un buon tratto di strada quando Harry disse qualcosa che mi obbligò a fermarmi. Qualcosa che mi lasciò completamente sconvolta.
«Come, scusa?», biascicai, mentre il mio sguardo incontrava nuovamente il suo.
Lui mi fissò compiaciuto, senza però azzardarsi a sorridere.
Avrei potuto giurare di non averlo mai visto così serio.
«Ho detto – ripeté con sicurezza - che non amerai mai Louis tanto quanto hai amato me».
 
 
Harry non ebbe il tempo di fermarmi. Lo scostai bruscamente dall’entrata e attraversai la soglia.
Non mi trovavo lì per chiedergli spiegazioni o cercare di farlo ragionare: ci avevo provato troppe volte e sempre senza alcun risultato.
No, quel giorno avrei direttamente messo in atto il piano B.
Sotto il suo sguardo sorpreso e stizzito camminai fino al suo letto e, facendo del mio meglio per ignorare il tremore che mi aveva colpito le gambe, tirai giù la zip della felpa e me la sfilai.
La lasciai cadere dietro di me, sul piumone ancora terribilmente stropicciato.
Era sabato mattina e quasi sicuramente la mia visita inaspettata l’aveva destato troppo presto dal sonno.
«Cosa cazzo stai facendo?», mi domandò lui, arrabbiato.
«Buongiorno anche a te, Harold. Sono entrata dalla porta di servizio della cucina…
Oh, a proposito – mi sedetti sul materasso e con un rapido movimento mi scalciai le Converse dai piedi – era aperta. Sai che tua madre si arrabbia molto quando non la chiudi a chiave».
In tutta risposta i suoi occhi verde smeraldo emisero un bagliore di pura incredulità.
Non si aspettava gli rispondessi con tanta calma e ironia dopo settimane di pianti e urla.
«Seriamente, Samantha. Cosa vuoi?», tentò di nuovo.
«Risolvere i nostri problemi».
Stava per chiedermi cosa intendessi, ma io lo battei sul tempo, mostrandoglielo direttamente.
Un secondo dopo la mia maglietta dei Rolling Stones era finita sul pavimento.
Harry sbarrò gli occhi mentre, trattenendo il respiro, iniziavo a sbottonarmi anche i Jeans.
«Sam?», fece, con un tono quasi strozzato.
«Che c’è – ribattei, con un filo di voce – non è quello che volevi?».
Lo vidi muoversi solo quando ormai ero rimasta coperta solo dall’intimo.
«Sam», ripeté.
Non gli risposi, sciogliendomi i capelli dalla coda alta che mi ero fatta prima di uscire.
«Samantha».
Feci sparire anche le calze, ma sitai un po’ quando compresi che era arrivato il momento del reggiseno.
Alla fine piegai le braccia all’indietro e feci per sganciane la chiusura.
«No!». Le mani di Harry bloccarono le mie in una presa ferrea, tanto ferrea da farmi male.
«Ma che…», sibilai, infastidita e sollevata allo stesso tempo.
Harry mi tenne bloccata per dei minuti che mi sembrarono ore. Il suo sguardo era qualcosa di semplicemente indecifrabile.
Non capii perché mi avesse fermata. Non era quello che desiderava? Non era per quel motivo che era diventato così cattivo con me?
Perché ora che volevo concedergli tutta me stessa…sembrava quasi disgustato?
«Che ti prende?», dissi, spezzando il silenzio.
«Che prende a te, Sam», fece lui, ancora scosso.
«Stai scherzando?».
Assurdo. Semplicemente assurdo.
Ma che razza di casino aveva in testa?
Lui serrò la mascella, forse infastidito, forse semplicemente a corto di parole.
Fatto sta che dopo un’altra infernale attesa mi lasciò libera, per poi chinarsi a raccogliere i miei vestiti da terra.
Me li porse senza dire niente e attese pazientemente che io li afferrassi.
Lo feci quasi con riluttanza.
«Va a casa», mi ordinò poi, in un soffio.
«Harry…».
«Vattene!», urlò, facendomi sussultare.
Quando lasciai casa Styles la rabbia e l’umiliazione erano così forti da non permettermi di ragionare su ciò che era appena accaduto.
Fu proprio questo, forse, a farmi desistere definitivamente dal cercare di sistemare le cose.
 
«Vaffanculo, Harry – esclamai, con i nervi a fior di pelle – tu non sai un cazzo!».
«Credevi che non l'avessi capito? Andiamo, non fare la finta tonta. Tu mi amavi. E’ per questo che sei stata tanto male quando ti ho scaricata».
L’aria abbandonò i miei polmoni nel momento esatto in cui gli urlai contro tutta la mia indignazione.
«Sei uno stronzo! E non nominare mai più Louis!».
«Perché? – chiese – ti dà fastidio che io abbia capito cosa provi per lui? Ti vergogni, forse?».
«Perché dovrei vergognarmi?», domandai a mia volta, senza riflettere.
Styles alzò un sopracciglio.
«Mi sorprendo di te. Davvero non ti crea nessun problema il fatto che abbia già una ragazza? Non ti senti in colpa?».
Ah.
Dentro di me scese un silenzio glaciale.
«Dovresti lasciarlo perdere. Dovresti smetterla di innamorarti delle persone sbagliate», continuò lui, imperterrito.
A quel punto ero completamente sopraffatta dall’incredulità.
Ma cosa cavolo stava succedendo?
Devo andarmene di qui, pensai.
«Sai una cosa?», dissi, poco prima di voltarmi e lasciarlo da solo su tetto.
Harry accolse la mia provocazione, commettendo un altro enorme errore.
«Cosa?».
«Hai ragione – sussurrai - Tu sei sbagliato. Sei sempre stato sbagliato per me».
Il suo sguardo ferito mi seguì finché non sparii nell'ascensore.



*Spazio autrice*


Hello ladies!
Here I am one more time :)
Che dire su questo capitolo? Non mi piace affatto D: Mi fa proprio cagare.
Anyway...Ringrazio le 2 ragazze che hanno recensito il capitolo precedente, le 5 che hanno messo la storia nelle preferite e le 11 che l'hanno inserita nelle seguite. Mi fa piacere che ci sia qualcuno a cui interessi nonostante le pochissime recensioni :3 Per me è davvero molto importante sapere cosa ne pensate e sì, so che è un lavoro noioso, ma qualche commentino in più non mi farebbe schifo, anzi xD  Quindi vi prego, se la ff vi piace o avete consigli/critiche, fatemelo sapere.
Ora scappo (devo assolutamente finire di studiare latino perché domani starò via tutto il giorno é__è).
Un bacione e grazie mille per il vostro supporto 

Aly.
 

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Capitolo 4
*** Hidden feelings ***






4. Hidden feelings

 

Quando scesi al piano terra, con l’intenzione di aspettare gli altri nella reception, scoprii con grande sorpresa che Zayn mi aveva preceduta.
Era seduto sul solito divanetto in pelle color panna, intento a sistemarsi il ciuffo biondo che si era fatto fare qualche giorno prima da Rebekah.
Non appena i suoi occhi color cioccolato incontrarono i miei, sul suo viso si formò  un’ espressione corrucciata.
«Avete litigato di nuovo, eh?», azzardò con cautela.
«Tu che dici?», biascicai.
La mia voce suonò stridula per via delle lacrime e delle urla di poco prima.
Il moro stirò le labbra in un sorriso malinconico e, senza alcun preavviso, mi afferrò per un polso, tirandomi verso di sé.
Atterrai con poca grazia al suo fianco, emettendo un gridolino di sorpresa.
«Ma sei scemo?», ridacchiai, mio malgrado.
«Harry ti vuole bene, piccola Sam. Te ne ha sempre voluto, solo che a volte noi ragazzi ci comportiamo da veri idioti. E’ una cosa naturale, un po’ come il sesso. Siamo deficienti per natura», mi spiegò, massaggiandomi la schiena affettuosamente.
«Certo che potevi scegliere un esempio migliore».
Lui rise e io rimasi incantata dalla bellezza dei suoi lineamenti.
Bekah era davvero fortunata ad avere un ragazzo così.
«E’ la verità. E comunque fidati – mi fece l’occhiolino – più avanti avrete modo di sistemare le cose».
Alzai un sopracciglio, sospettosa. Che cosa cavolo aveva in mente quel teppista?
«Questo era un tentativo di sistemare le cose, Zayn. Guarda cos’ha combinato».
«Avete combinato», mi corresse.
Mi spostai di lato, in modo da vederlo meglio.
«Cosa stai insinuando?», domandai.
«Forse dovresti iniziare a riflettere anche sui tuoi comportamenti, non trovi?».
Stavo per chiedergli cosa intendesse, ma l’arrivo di Rebekah e Louis mi bloccò prima che potessi aprire bocca. I due ci squadrarono per un attimo, forse insospettiti dalla mia espressione contrariata.
«Com’è andata?», disse Bekah, quasi nello stesso istante in cui Lou mi porgeva la stessa domanda attraverso un’eloquente occhiata.
Neanche questa volta riuscii a proferire parola. Harry, spuntato dal nulla, lo fece al posto mio.
«Qualcuno ha fatto un po’ la stronza», annunciò con acidità.
Gli sguardi degli altri si posarono immediatamente su di me, in attesa di una mia reazione.
Reazione che non tardò ad arrivare.
«E te lo meriti, razza di bastard…».
«Hey! Calmi, eh! Siamo qui per rilassarci, non per dare spettacolo», m’interruppe Bex, infastidita.
Harry la guardò in cagnesco. Sapevo che non gli stava molto simpatica e il fatto che si fosse intromessa non fece altro che alimentare ancora di più il suo odio.
Per fortuna Zayn e Lou capirono al volo la situazione, provvedendo a troncare il tutto sul nascere: il primo si alzò dal divano e prese per mano Bekah, portandola velocemente fuori dall’hotel, mentre il secondo mormorò un ammonimento a Harry e poi si rivolse a me con un’insolita serietà.
«Usciamo di qui, okay?».
Annuii, lasciando che il suo braccio mi circondasse la vita e mi guidasse verso la Hall.
Non appena il mio corpo e quello di Lou entrarono in contatto sentii il nervoso scivolare via da me come pioggia su un vetro.
«Sì, bravo, portala via. E già che ci sei insegnale a stare al mondo!», fece Harry, dietro di noi.
Geloso del cazzo, pensai, mentre Louis fingeva di non averlo sentito.
«Devi averlo ferito molto – mi mormorò quest’ultimo, una volta che fummo usciti all’aria aperta – aveva una faccia davvero…».
«Se lo merita, Louis. Si merita tutto quello che gli ho detto», sibilai, infastidita.
«Lo so, ma ricorda cosa ci siamo detti al telefono…».
«Al diavolo, Lou. Non voglio più parlarne per oggi».
E lo dissi tanto seriamente che lui non osò ribattere.




Il blu del mare, l’odore della salsedine e delle frittelle dolci mi inebriavano completamente i sensi.
In quel momento, sdraiata su un pontile con gli occhiali da sole ben calcati sulla faccia, pensavo a tutto tranne a quello che era successo neanche due ore prima.
Non ero più arrabbiata, o triste, o chissà che altro.
Ecco, forse solo un po’ elettrizzata per via della presenza di Louis vicino a me.
L’avevo sentito arrivare, ma non avevo avuto la forza di abbandonare quella comoda posizione per accoglierlo. Stavo troppo bene perfino per girarmi a guardarlo.
Rimasi in silenzio, ascoltando il rumore delle onde che si infrangevano contro i pilastri di legno scuro e coperti di alghe. 
«Non mi piace quando ti isoli così», disse ad un tratto, in un mormorio appena udibile.
Inspirai a fondo per bearmi dell’odore famigliare del suo profumo.
Lui, dal momento che non gli rispondevo, si sedette di fianco a me a gambe incrociate e allungò una mano per sfilarmi i Ray-ban dalla faccia.
Protestai debolmente, cercando di riacciuffarli senza successo.
«Ridammeli», borbottai, coprendomi gli occhi con un braccio.
«No. Non se prima non mi racconti cos’è successo con Harry».
«Questo si chiama ricatto».
«Possibile».
Aspettai qualche minuto, senza sapere esattamente cosa, e alla fine mi alzai anch’io.
Abbassai subito lo sguardo sulle mie All Star nere, ancora leggermente impolverate dalla sabbia su cui avevo camminato per arrivare fin lì.
«Ha detto che gli manco. Che si sente messo da parte. Vuole che le cose tornino come prima», mormorai.
Louis inspirò un po’ d’aria e si mise a giochicchiare con le astine degli occhiali.
«Ma…?», fece.
«Ma cosa?», chiesi, tentando di raggirarlo.
«Non mi prendere per il culo, Sammy. Voglio sapere cosa gli hai detto tu per farlo arrabbiare in quel modo».
Alzai gli occhi al cielo, esasperata.
«Ti stai coalizzando con Zayn?».
«Rispondimi».
«Gli ho spiegato quello che ho spiegato a te al telefono ieri, ovvero che mi ha trattata troppo di merda e che non può aspettarsi seriamente che io lo perdoni. Gli ho detto che sono andata avanti e che…».
M’interruppi, senza un motivo preciso. Louis mi tirò una lieve gomitata.
«E…?».
«E che ho già un migliore amico».
Con la coda dell’occhio lo vidi sorridere. Era troppo dolce quando faceva così.
«Sai che anch’io ti voglio bene, vero?», mi domandò poco dopo.
«Lo so», sospirai.
La piccola traccia di malinconia nella mia voce non gli sfuggì, come avevo sperato.
Louis mi posò una mano sulla spalla e strinse appena la presa.
«Che c’è?», chiese.
«Niente – mentii – è solo che…se tu mi abbandonassi come ha fatto Harry…bè, penso che morirei».
No, ma prego, sii un po’ più sdolcinata.
«Sai che non lo farei mai, Heaven. Mai. Tu sei la persona più meravigliosa che io abbia mai conosciuto», giurò.
Il mio cuore perse un battito.
Cos’aveva appena detto quel pazzoide?
«Non ti farei mai del male», aggiunse, ancora più serio.
«Magari non volontariamente…», risposi di getto.
Ma che sto dicendo?!
Louis mi costrinse a girarmi verso di lui e a guardarlo in quegli occhi così meravigliosamente azzurri. In quel momento ero talmente nervosa che se fossi stata in piedi le gambe non mi avrebbero retto.
«Neanche per sbaglio potrei farti soffrire», mi assicurò, increspando le sopracciglia.
Perché non sai quello che provo per te, Lou.
Se l’avesse saputo probabilmente non mi avrebbe mai detto quelle cose.
«Non puoi saperlo», dissi.
«Sam…».
Sussultammo entrambi al partire della suoneria di un cellulare.
Capii che non era il mio solo quando vidi Louis estrarre il suo iPhone dalla tasca sinistra dei Jeans e accettare la chiamata.
«Pronto?», borbottò.
Sentii il mormorio indistinto di una voce femminile.
«Ciao Eleanor. No, scusami, l’ho acceso poco fa. Sì, tu?».
Imbarazzata decisi che forse era meglio lasciargli la loro privacy e levarmi di torno.
Mi alzai in piedi raccattando velocemente la mia felpa blu e gli occhiali, che nel frattempo Lou aveva appoggiato accanto a sé.
Lui mi lanciò un’occhiata, poi scosse la testa.
«Vado in spiaggia dagli altri. Raggiungimi quando hai fatto», sussurrai per non farmi sentire da Eleanor.
Louis non era d’accordo, lo lessi nel suo sguardo.
Quando parlò, tuttavia, non si stava rivolgendo a me.
«Non sapevo che volessi…mi dispiace…Sì, sì, sempre loro. No, sta tranquilla…».
Me ne andai in fretta, cercando di raggiungere il prima possibile il chiosco in cui avevamo lasciato Zayn, Harry e Bekah.
Forse quella telefonata era arrivata proprio nel momento giusto.




Entrai nel locale sulle note di Country Roads 1 di John Denver.
Non che amassi particolarmente il genere, sia chiaro, ma per qualche motivo quella canzone mi aveva sempre sempre affascinata. Mi faceva venire in mente quei film americani in cui i protagonisti si perdono in lunghi viaggi on the road in mezzo agli aridi deserti dell’Arizona.
Canticchiai tra me e me il ritornello e allo stesso tempo feci vagare lo sguardo nella piccola sala in cerca dei ragazzi.
Ad un tratto a mano smaltata di Rebekah fece capolino da un angolo dietro il bancone.
Mi ci diressi a passo sicuro, schivando un paio di bambini che scorrazzavano con in mano i loro coni gelato mezzi squagliati.
Il primo sguardo che incrociai, quando finalmente raggiunsi il tavolo, fu proprio quello che volevo evitare.
Harry mi fissò a lungo, ma la sua espressione era così indecifrabile che non riuscii a capire a cosa diamine stesse pensando.
«Mi fate posto?», chiesi, decidendo di ignorarlo.
Zayn si spostò sulla panca in legno e gli altri due furono costretti a fare altrettanto.
Fu un sollievo sedermi vicino a lui e non a Styles, che nel frattempo aveva preso a sorseggiare il suo drink.
«Dov’è Louis? – domandò Rebekah, incuriosita - Era venuto a cercarti…».
Le sue labbra si chiusero sulla cannuccia gialla che spuntava dal bicchierone di coca cola che aveva davanti.
Deglutii sentendo la gola terribilmente secca.
«Lo so, mi ha trovata. E’ che ha ricevuto una telefonata da Eleanor…gli ho detto che venivo qui e di raggiungerci quando aveva finito».
«Quella ragazza è fuori di testa – intervenne Zayn, scuotendo il capo – quando possono vedersi è sempre impegnata, ma per una dannata volta che lui se ne va in vacanza…lo stalkera ogni due minuti».
«Da quel che ho capito si è offesa perché non l’ha invitata…», iniziai.
Harry bevve ancora un sorso della sua Piña Colada2 e s’intromise con la sua solita grazia nella conversazione.
«Forse perché non voleva averla fra i piedi…», disse, ammiccando palesemente verso di me.
Accolsi la sua frecciatina dando fondo alla mia già limitata scorta di pazienza.
«O forse perché sapeva che sarebbe stata troppo occupata a fare non so cosa, non so dove, con non so chi piuttosto che venire a passare un po' di tempo con  lui», ribatté Bekah, difendendomi a spada tratta.
Vidi Zayn sorridere divertito. Harry, invece, si limitò a fare una smorfia.
Ringraziai la mia amica con lo sguardo.
Ah, quanto le volevo bene.
«Ho una sete…», sbuffai, guardandomi intorno in cerca della cameriera.
«Tieni. Io ne ho già bevute due».
Un bicchiere pieno di liquido bianco-giallastro venne spinto nella mia direzione.
Quando capii di chi era cercai di rifiutarlo.
«Non importa, io mi prendo una bottiglia d’acqua…».
«Insisto. Ho speso ben sette sterline e non ho intenzione di avanzarne neanche una goccia», disse Harry.
Le sue iridi verdi brillarono di una luce che non riuscii a decifrare.
Mi stava sfottendo? Oppure aveva capito di essersi comportato male e voleva rimediare?
Fatto sta che ero davvero troppo disidratata per stare a discutere su un maledetto drink. Presi la cannuccia nera tra due dita e me la portai alla bocca, bevendo avidamente.
Era così maledettamente buono che all’inizio non pensai neanche al fatto che le labbra di Harry avessero preceduto le mie su quel piccolo tubicino di plastica.
Quando presi in considerazione la cosa ormai avevo svuotato il bicchiere: sul fondo non rimaneva altro che qualche cubetto di ghiaccio.
«Grazie», borbottai, rispingendo il calice verso di lui.
«Prego».
Le sue labbra si stesero in un sorriso che ancora non mi convinceva del tutto.
Anche gli altri due dovettero notare la mia titubanza, perché per ammortizzare la situazione iniziarono a giochicchiare come due gatti innamorati.
Presto sia io che Harry fummo distratti dalle risatine divertite di Rebekah: Zayn le stava mordicchiando il collo.
Come al solito mi intenerii, finendo a sorridere come un ebete.
«Vi ricordo che siamo in luogo pubblico e che sono presenti dei bambini», disse Harry, con tono ironico.
Zayn gli fece la linguaccia. «Geloso, Styles?».
«Neanche per sogno, Malik».
«Meglio così. Un coglione in meno di cui preoccuparmi», ribatté il moro.
Io e Rebekah sorridemmo e lei gli diede un rapido bacio.
«Sei così adorabile quando fai il maschio geloso», gli sussurrò poi sulla  bocca.
«Ti amo», mormorò Zayn, in un sospiro.
«Ti amo».
«Ti amo anch’io!».
Louis sbucò dal nulla, bloccando il pakistano e scoccandogli un sonoro bacio su una guancia. Quello lo spinse via, mentre io, Harry e Rebekah scoppiavamo a ridere a crepapelle.
«Louis Tomlinson e le sue epiche entrate in scena!», esclamai.
Gli tirai una piccola gomitata nelle costole e lui emise un “Ouch” di protesta.
«Mi fate posto o devo sedermi in braccio a Harry?», borbottò poi, portando le mani sui fianchi.
Styles scosse subito la testa. «Muovete il culo, non ho alcuna intenzione di farmi schiacciare da quella sottospecie di…».
«Bellissimo e divertentissimo…», iniziò Lou.
«Idiota», finii io, battendo la mano sul pezzettino di panca che avevamo messo a sua disposizione.
«Dovreste sentirvi, ragazzi», ridacchiò Bex.
Louis fece una smorfia buffa e, con mia sorpresa, mi portò un braccio intorno alle spalle, chinandosi poi a sussurrarmi qualcosa all’orecchio:
«Noi due abbiamo un discorso in sospeso, mia cara».
«Più tardi», dissi, e per fargli capire lanciai una rapida occhiata a Harry.
Il riccio infatti ci stava fissando, e dall’ espressione seria che gli incorniciava il volto si poteva chiaramente intuire quanto la nostra vicinanza lo infastidisse.
Specialmente dopo quello che ci eravamo detti sul tetto del Granville Hotel.
Stretta com’ero a Lou non potei fare a meno di pensare che, probabilmente, se le cose tra noi non fossero andate così male, in quel momento ci sarebbe stato proprio Harry al suo posto.
Mi chiesi se un giorno sarei davvero riuscita a mettere da parte il passato e a concedergli quella famosa secondo chance di cui lo stesso Louis mi aveva parlato.
Per il momento, in ogni caso, la situazione rimaneva invariata.



 
Un “oh” sorpreso sfuggì alle mie labbra socchiuse.
«Mi dispiace, Sam. Oggi io e i ragazzi andiamo a giocare a calcio. Magari domani, eh?», mi comunicò Harry al telefono.
Lo avevo appena invitato ad andare da Starbucks per il nostro rituale cappuccino al caramello prima della fine delle vacanze di Natale.
Era la prima volta che declinava un’uscita di quel tipo con così tanta leggerezza.
«Sì, certo, non preoccuparti», risposi, attorcigliando un dito attorno a una ciocca di capelli.
Con tutte le feste e i parenti che ci avevano tenuti bloccati nelle rispettive case non ci vedevamo da più di una settimana e la sua compagnia mi mancava terribilmente.
Mi mancava la sua risata, il suo profumo, la morbidezza assurda dei suoi capelli.
Mi mancava passare un intero pomeriggio sdraiati sul mio letto da una piazza e mezza a guardare Horror stupidi e a mangiare schifezze.
«Ci sentiamo, okay?», mi disse, forse dopo aver notato la palese delusione nella mia voce.
«Okay. Mi manchi».
Ci fu un attimo di silenzio, poi, finalmente, rispose.
«Mi manchi anche tu».
«Ciao, Harry».
«Ciao, Sam».
 
«Samantha? Sam?».
Sbattei le palpebre, mentre quel ricordo svaniva in fretta, spazzato via come foglie secche da una folata di vento.
Rebekah e gli altri erano in piedi, vicini al bancone del bar.
Mi stavano aspettando.
«Arrivo», mormorai, ancora mezza stordita.
Mi alzai i  piedi, assicurandomi di non aver lasciato niente sul tavolo.
La testa mi girava terribilmente.
«Stai bene?», mi domandò un Harry stranamente apprensivo.
«Sì», risposi.
Mentre gli andavo incontro, a passo lento e incerto, ripensai per un attimo a quel pomeriggio di ben due anni prima. Io avevo solo quattordici anni, lui quindici.
Allora non avevo idea di cosa gli passasse per la testa: la mia mente da ragazzina non avrebbe mai potuto immaginare ciò che sarebbe accaduto di lì a poco.
Ciò che avrebbe sconvolto totalmente il mio modo di vedere le cose.


Famosa canzone country uscita nel 1971. Ecco il link per ascoltarla ===> Qui

2 La piña colada è un drink a base di rum bianco, succo d’ananas e latte di cocco; la prima testimonianza scritta di un cocktail simile viene riportata nel 1950 dal New York Times, dove in un trafiletto si parla della piña colada come un drink tipicamente cubano.


*Spazio autrice*


Questo capitolo non mi convince per niente -___- uffa.
Comunque...Ciao a tutte! :) Anche questa settimana è andata, fiuu! Ne manca ancora una e poi la scuola sarà solo un brutto ricordo! Non vedo l'ora dell'estate :3
Ma venendo alla storia...il capitolo 3 ha ricevuto ben 5 recensioni *-* Cioè...grazie! Non sapete quanto mi fate felice! Per me è molto importante conoscere i vostri pareri e il fatto che alcune di voi siano state tanto gentili da fermarsi a dedicarmi un po' del loro tempo mi ha davvero fatto piacere ;) 
Spero che, con il proseguire della storia, si faccia vivo anche qualcun altro.
Bè, prima di tagliare la corda ne approfitto per pubblicizzare un paio di ff che ho letto e che mi sono davvero piaciute :)

1) Promeses di Just a beautiful mistake (è una Harry/Nuovo personaggio + Louis/Nuovo personaggio)
2) Una richiesta di amicizia di He is mine (Louis/Nuovo personaggio + Zayn)
3) Just do it di zaynkiss (Zayn/Nuovo personaggio)

Ne ho postate solo tre perché altrimenti non finisco più xD Ne segnalerò altre nei prossimi capitoli.
Un bacione e a presto!

P.s. Lo so, sono noiosa e antipatica ma...mi lasciate un commentino, per favore? 

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Capitolo 5
*** Smoking a cigarette to put away the memories ***





5. Smoking a cigarette to put away the memories

 

«Se ci stanno guardando il culo giuro che li ammazzo», borbottò Rebekah, facendomi sorridere.
La mia amica mi teneva a braccetto e i suoi lunghi capelli biondi ci sfioravano le mani.
Dietro di noi, ad alcuni metri di distanza, i ragazzi parlottavano di cose che faticavo a comprendere. Calcio, per lo più, ma anche videogiochi e, credo, gruppi rock a me sconosciuti.
«Meglio che guardino i nostri piuttosto che quelli delle oche che girano in bikini», commentai, alludendo ad una ragazza mora che ci aveva appena superate.
Bex sospirò e avvicinò il volto al mio orecchio.
«Di sicuro Harry e Louis si stanno contendendo la visione del tuo».
Alzai gli occhi al cielo per non dare a vedere quanto quell’insinuazione mi avesse infastidita.
«Piantala con questa storia, Rebekah. Mi stai sfracellando le ovaie».
«Guarda che è vero. Sono palesemente attratti da te. Soprattutto Mr. Boccoloso», insistette, accennando a Harry.
«Non penso di interessargli in quel senso. Non più».
«Oh sì, invece. Dovessi vedere che faccia fa quando Louis ti tocca».
«E’ solo geloso perché l’ho rimpiazzato».
«Quella è la motivazione numero due».
Le diedi una piccola spinta con il fianco destro, con il solo risultato di farmi male da sola. Quella ragazza era troppo spigolosa.
«Seriamente, io non la vedo così. E poi Louis sta con Eleanor».
Rebekah mi lanciò un’occhiata divertita.
«Ma per favore. Vanno d’accordo come il sesso e le mestruazioni…».
«Certo che tu e Zayn siete proprio fissati!», esclamai, sforzandomi di mantenere un tono di voce basso.
Alzò le spalle, fingendo noncuranza.
«Guarda che sei tu quella anormale. Quest’anno compi diciassette anni e ancora non l’hai data a nessuno».
Strinsi i denti. Sapeva come la pensavo riguardo a quell’argomento e il fatto che ancora si ostinasse a rinfacciarmi la mia verginità mi irritava a dir poco.
Fin da bambina avevo deciso che avrei fatto sesso solo quando fossi stata pronta e per il momento non mi sentivo ancora abbastanza matura per compiere un passo così importante.
«Ho le mie ragioni», mi limitai a sibilare.
Lei scosse la testa. «Hai ben due maschi belli e intelligenti che ti sbavano dietro e tu…ah, non ti capisco. Fossero due sconosciuti poi! Li conosci come le tue tasche».
«Stiamo davvero parlando di questo?», borbottai.
«Parlando di cosa?», intervenne una voce alle nostre spalle.
Entrambe ci voltammo, pur sapendo chi aveva parlato. Harry ci sorrise, aspettando che gli venisse data una risposta.
«Di niente. Roba da donne», tagliai corto, mentre anche Zayn e Louis ci raggiungevano.
Il primo prese per mano Rebekah e lei, ovviamente, mollò la presa sul mio braccio per avvinghiarsi a lui.
Così, prima che potessi anche solo immaginarlo, mi ritrovai scortata dai due ragazzi della mia vita: quello che mi aveva costretta a crescere prima del tempo e quello che mi proteggeva quasi fossi sua figlia.
Cercai di mantenermi a distanza di sicurezza da entrambi.
«Io ho un sonno pazzesco. Forse dovremmo tornare in albergo…», azzardai.
«Nah. Perché invece non andiamo a fare un po’ di shopping?», propose Lou, mettendomi i bastoni fra le ruote.
Feci per scaricargli addosso una lunga serie di insulti, ma Harry gli diede corda.
«Buona idea. E poi ti devo ancora un regalo di compleanno, ricordi?», disse rivolto a me.
«Veramente due, sai com’è. Comunque il mio compleanno è a settembre».
«Uno adesso e uno a settembre, allora», insistette.
Sbuffai, mentre Louis se la rideva sotto i baffi.
«Siete le due persone più irritanti del pianeta!».
«E tu una stronzetta acida», ribatté Lou.
La sua mano sinistra s’insinuò tra i miei capelli e li scompigliò in modo osceno.
In tutta risposta gli mollai un pugno nelle costole, senza però fargli davvero male.
«E anche violenta», commentò Harry ridendo come uno scemo.
Lo fulminai con lo sguardo mentre, al mio fianco, Louis si massaggiava la parte colpita.
«Ne vuoi anche tu?», chiesi, minacciosa.
Oh, l’avrei picchiato con grande piacere…solo che a lui avrei fatto sputare sangue.
Styles evidentemente capì che non era il caso di provocarmi ulteriormente, perché alzò le mani in segno di resa e assunse un’espressione innocente.
«Non ci tengo, grazie».
«Molto bene. Tappati la bocca e guarda dove metti i piedi».
«Agli ordini», mormorò.
 
«Agli ordini», fece Harry, in risposta alla mia richiesta di chiudere le finestre.
Era fine gennaio e la temperatura era ancora terribilmente rigida, tanto che quel giorno gli avevo chiesto di prestarmi la felpa dei Nirvana che suo padre gli aveva regalato a Natale. Me l’aveva concessa con una certa titubanza, terrorizzato dalla razza di cioccolata calda che mi ero preparata prima di salire in camera sua.
Mi era toccato rassicurarlo più volte sul fatto che non l’avrei sporcata.
«Ma hai acceso il riscaldamento?», borbottai, sfregandomi le braccia coperte dallo spesso tessuto nero.
«E’ a ventidue gradi. Se lo alzo ancora mia madre mi uccide».
«Mmmh».
Mi sistemai meglio sul letto e aspettai che Harry mi raggiungesse. Avevamo in programma di guardare “Trenta giorni di buio”prima che lui uscisse con il suo amico Louis e gli altri ragazzi nuovi che aveva conosciuto nella squadra di calcio.
Non avevo mai visto nessuno di loro e francamente stavo iniziando a diventare anche un po’ gelosa. Nell’ultimo periodo mi trascurava spesso, tanto spesso che quello era il primo pomeriggio che passavamo insieme da quando era ricominciata la scuola.
«Hai già messo il DVD nel lettore?», mi chiese, mentre si sdraiava accanto a me.
«Sì sì. Passami il telecomando».
Appena me lo diede sistemai i cuscini dietro le nostre spalle e feci partire il film.
Ci sorbimmo tutta la pubblicità inziale senza dire una parola.
Ogni tanto mi capitava di lanciare un’occhiata verso di lui, così, tanto per assicurarmi che non fosse un’allucinazione.
«Che c’è?», mi chiese a un tratto.
«Niente. Mi sei mancato».
Mi guardò con uno sguardo strano, impossibile da decifrare.
Alla fine iniziai a sentirmi a disagio e, spezzando il contatto visivo con i suoi occhi, tornai a fissare lo schermo della tv.
«Sam…?», mi chiamò dopo qualche minuto.
«Sì?».
«Mi sei mancata anche tu».
Sorrisi impercettibilmente, sollevata da quella confessione.
Senza pensarci mi strinsi di più nella felpa e appoggiai la testa alla sua spalla destra.
Harry però aveva qualcos’altro da dirmi.
«Sam…?», ripeté, prendendomi una mano fra le proprie.
«Dimmi».
«Vorrei provare a fare un a cosa».
A quelle parole fui costretta a tornare a guardarlo. Le sue iridi verdi mi trapassarono l’anima.
«Sta tranquilla, okay?», mi disse.
Non fu necessario chiedergli a cosa si stesse riferendo, perché lo capii non appena portò la mano libera sul mio viso, facendomelo alzare verso il suo.
Il cuore iniziò a battermi ad una velocità pazzesca.
Stava…per baciarmi. Harry Styles stava per baciarmi.
Nel mio stomaco qualcosa si rivoltò.
«Sssh», soffiò ormai a pochissima distanza dalla mia bocca.
Poi le sentii, le sue labbra che premevano sulle mie.
Fu strano. Non credevo che potessero essere così morbide e calde.
All’inizio ero talmente confusa che non capii neanche cosa stesse accadendo: so solo che in qualche modo il bacio proseguì, facendosi più audace e costringendomi a schiudere la bocca.
Una manciata di minuti dopo il corpo di Harry mi stava schiacciando contro il letto.
Incominciai ad avere caldo.
«Harry?», mormorai contro le sue labbra.
Cosa…cosa stavamo facendo?
Non mi rispose. Sentii una sua mano scivolare dalla mia guancia alla spalla e poi scendere ancora. Percorse un lungo tratto del mio corpo, fermandosi solo quando raggiunse il bordo inferiore della felpa.
Le sue dita si insinuarono sotto di essa e scostarono anche il mio maglioncino blu scuro. Ad un tratto le sentii accarezzare la pelle nuda.
Quel contatto mi scombussolò a dir poco. Il calore si fece più intenso e, quando le sue labbra tornarono a cercare le mie, sentii il disperato bisogno di baciarle.
Lo feci, cercando di imitare i suoi movimenti.
«Sei così bella, Sam», sussurrò Harry con la sua voce roca.
 
Infilai due dita nel collo della mia maglietta per allargarlo un po’.
«Stai bene? – mi domandò Lou – hai le guance rosse».
«Io…io credo di essermi presa un’insolazione», balbettai, attirando su di me anche lo sguardo incuriosito dello stesso Harry.
Guardai entrambi, imbarazzatissima.
Louis appoggiò una mano alla mia fronte e per un momento ebbi un po’ di sollievo dal caldo torrido che mi stava cuocendo il viso.
«Sei calda. Forse non saresti dovuta stare così tanto tempo sul quel pontile».
Inspirai a fondo e scossi la testa per scacciare i ricordi.
«Possiamo fermarci un attimo?», chiesi ai due.
Li guardai scambiarsi uno sguardo preoccupato.
«Certo – disse Harry – guarda, più avanti c’è una panchina. Vuoi sederti là?».
Annuii, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
Poco dopo Lou mi sfiorò una guancia per richiamare la mia attenzione.
«Vado a dire a Zayn e Bekah che ci troviamo in albergo più tardi, okay? Voi aspettatemi lì».
Avrei tanto voluto fermarlo, ma lui scappò via troppo velocemente.
Fu così che, con mia grande gioia, mi ritrovai da sola con Harry.
«Cosa ti senti?», mi chiese mentre lentamente ci dirigevamo verso la panchina.
«Mi gira solo un po’ la testa».
«Sei sicura?».
«Sì».
Non potei fare a meno sussultare quando il suo braccio mi circondò la vita, stringendomi contro il suo corpo.
Cercai di divincolarmi, ma lui strinse la presa e mi obbligò a sedermi più vicino a lui di quanto avessi voluto.
«Harry sto bene. Lasciami», mormorai.
Lui ovviamente mi ignorò e anzi, iniziò ad accarezzarmi piano, con delicatezza.
«Sta calma, per una volta».
«Sai che non mi piace quando mi tocchi».
L’intenzione era quella di ammonirlo, ma a quanto pare le mie parole portarono a un risultato diverso.
 Lo offesero.
«Non sto facendo niente di male», si giustificò, risentito.
Alzai lo sguardo sul suo viso e per un momento mi sentii quasi in colpa. Continuavo ad attaccarlo senza alcun motivo.
«Scusami», sospirai, sperando che questo bastasse a farmi perdonare.
Sulle prime non ottenni nessuna risposta. Harry continuò a fissare il mare diritto davanti a sé senza però mollare la presa sul mio fianco.
«Sono una stronzetta acida – dissi – mi dispiace».
«No, me lo merito», lo sentii sussurrare.
«Harry…».
Lui si girò verso di me. Le sue sopracciglia erano increspate, lo sguardo serio.
Distinto alzai una mano a sfiorargli una guancia, sorprendendo sia lui che me.
«Scusami, davvero. Ti prometto che ci proverò. Proverò a perdonarti».
«Mi manchi così tanto», disse.
Qualcosa dentro di me venne seriamente toccato da quella confessione.
Non come quella mattina. Stavolta, per qualche motivo, era diverso.
«Mi manchi anche tu, brutto idiota».
Sorridemmo entrambi, ma di un sorriso triste, malinconico.
«Smetteremo di ripetercelo, prima o poi», mormorò, mentre la figura di Louis appariva dalla tabaccheria in cui erano entrati Zayn e Rebekah.
Era solo, segno che molto probabilmente i due stavano procedendo all’acquisto di qualche cianfrusaglia.
Harry sciolse la presa sul mio fianco giusto qualche istante prima che il nostro amico arrivasse. Non capii il senso di quel gesto, ma mi promisi di chiedergli spiegazioni non appena ce ne fosse stata l’occasione.
Quando Louis ci arrivò davanti mi accorsi che teneva in una mano un piccolo sacchetto di plastica bianco.
«Ho preso dell’acqua – spiegò – e delle sigarette. Ma quelle sono per me e Harry».
Alzai un sopracciglio. Non avevo mai visto Louis fumare in vita mia.
«Da quando ti sfondi i polmoni con quella roba?», chiesi, accettando la bottiglietta d’acqua frizzante che mi stava porgendo.
Anche Harry sembrava sinceramente sorpreso.
«Da oggi. Eleanor mi ha fatto incazzare».
Mi bloccai. Eleanor. Louis. Incazzare.
Wow.
«Cos’ha fatto?», domandò Styles al posto mio.
«Sai com’è – Lou si sedette accanto a me e rimosse l'involucro di plastica dal pacchetto di Chesterfield – quando una diventa paranoica senza motivo e inizia a rinfacciarti cose che non hai fatto è normale che ti saltino i nervi, no?».
Sotto ai miei occhi Harry prese una sigaretta dal pacchetto e aspettò che l’altro avesse acceso la sua per farsi passare l’accendino.
Loro non lo sapevano, ma io e Bekah avevamo già provato a fumare.
A nessuna delle due era piaciuto, ma in quel momento sentii la strana voglia di farlo ancora. Più per rilassarmi che altro.
Bevvi un paio di sorsi d’acqua, poi mi rivolsi a Lou, che nel frattempo aveva preso ad aspirare il fumo bianco e denso dal filtro della sua sigaretta.
«Passamela».
Fu un attimo. I suoi occhi blu fulminarono i miei.
«Neanche per sogno».
«Ho detto passamela, Lou. O se preferisci accendimene una», insistetti, convinta.
«Fa male. Non voglio che fumi».
«Oh avanti – disse Harry, guardando l’altro con aria divertita – con quello che le stiamo facendo respirare è come se stesse già fumando. Lasciala fare».
Louis lanciò un’occhiataccia anche a lui.
«Ho promesso a sua madre che mi sarei preso cura di lei».
Alzai gli occhi al cielo. Oh, Santo Louis William Tomlinson.
Prendeva le cose troppo sul serio.
«Mi madre non c’è. E poi sono grande abbastanza per badare a me stessa».
Aspettai che si convincesse a passarmi quella dannata sigaretta, ma invano. Mi ignorò con tutta la decenza che riuscì a racimolare, fedele ai suoi principi.
Sbuffai, bevendo un altro sorso d’acqua. Fu allora che Harry decise di fare di testa sua e assecondarmi.
«Tieni», mi disse e allo stesso tempo mi porse ciò che Louis mi aveva negato.
Quest’ultimo mi avrebbe anche fermata se solo gliene avessi dato il tempo.
Tenendo la sigaretta tra indice e medio me la portai alle labbra e aspirai a fondo, cercando di non tossire e di trattenere il fumo.
Dopo qualche secondo buttai fuori tutto, guardando con soddisfazione la nuvoletta bianca che si disperdeva nell’aria.
Feci per prenderne una secondo boccata, ma lo stesso Harry me la strappò di mano sotto le mute minacce di Louis.
«La prossima volta che ti intrometti, Styles, ti strappo le palle», lo avvertì il più grande.
Risi, divertita dall’espressione di finto terrore che si formò sul viso del riccio.
«Ommioddio. Che paura».
«Mi stai sfidando?».
Harry mi lanciò uno sguardo d’intesa e poi tornò a fissare Lou.
«E anche se fosse?».
«Ti ricordo che ho un mozzicone ancora acceso in mano. Potrebbe accidentalmente finire tra i tuoi bellissimi capelli».
«Potrei dire lo stesso».
A quel punto capii che se non fossi intervenuta sarebbero andati avanti all’infinito e io non avevo voglia di rimanere su quella cavolo di panchina fino a notte.
Mi alzai in piedi tenendo la mia bottiglietta in una mano e li squadrai dall’alto.
«Io sto meglio. Possiamo andare in Hotel, adesso?».
I due si guardarono ancora una volta in cagnesco, ma alla fine si alzarono a loro volta, pulendosi i Jeans dalla cenere che vi era caduta sopra.
Harry aspirò per l’ultima volta dalla sua sigaretta e poi buttò il mozzicone morente a terra, dove già giaceva quello di Lou.
«Andiamo», disse, liberandomi sul viso uno sbuffo di fumo denso.




Arrivammo in albergo alle cinque passate, puzzolenti di tabacco e con i vestiti incollati addosso per il caldo.
Mentre salivamo al terzo piano pregai con tutta me stessa di non beccare Zayn e Rebekah in atteggiamenti compromettenti una volta entrata in camera.
«Incrociate le dita, ragazzi. Sono troppo giovane per assistere a certe cose», mormorai, quando le porte dell’ascensore si aprirono.
«Vuoi che controlli?», propose Louis, divertito.
«Mi faresti un enorme favore».
Così, sempre con le dita incrociate, arrivammo alla stanza numero 325, mentre Harry entrava direttamente nella 324.
Bussai, sperando che chiunque fosse venuto ad aprire avesse avuto ancora i vestiti addosso ed eventualmente l’arnese dentro i pantaloni.
Dopo qualche minuto di vana attesa iniziai ad ipotizzare che non fossero ancora rientrati. Teoria che Harry confermò quando fece capolino dalla sua camera.
«Qui non sono entrati, anche perché la chiave magnetica ce l’avevo io. Forse si sono fermati da qualche parte».
Alzai gli occhi al cielo.
«Fantastico. E adesso io come faccio? Ho bisogno di lavarmi e poi sono così stanca!».
«Chiama Rebekah e dille di tornare, no? Nel frattempo puoi stare da noi», mi suggerì Louis.
, pensai, farò così.
«D’accordo».
Mentre lo seguivo nella 324 composi il numero della mia amica e aspettai che rispondesse. Squillò a vuoto per cinque minuti buoni.
«Quella scema non risponde…», mi lamentai, chiudendomi la porta alle spalle.
«Vuoi che chiami Zayn?», chiese Harry.
Mi dava le spalle, piegato sulla sua valigia alla ricerca – penso – di una maglietta di ricambio. Il suo magnifico didietro mi stava proprio davanti agli occhi.
«No, tranquillo. Appena vedrà la chiamata mi telefonerà».
Detto questo raggiunsi il letto di fianco al suo e mi ci sdraiai sopra alla bell’è meglio.
Mi sentivo come se avessi camminato per giorni e giorni sotto il sole cocente e per di più la testa stava iniziando a farmi davvero male. Non avevo con me neanche le aspirine che mia madre mi aveva messo nello zaino.
Maledizione.
«Domani è meglio che stai all’ombra», disse Louis.
Sentii il peso del suo corpo abbassare il materasso.
«Mmmh», mugolai.
«Se hai sonno dormi pure. Ti chiamo io quando arrivano, okay?».
«Mmmh».
E senza accorgermene scivolai nel mondo dei sogni, inconsapevole degli intensi sguardi  dei due ragazzi su di me.
 
La felpa dei Nirvana finì a terra assieme al mio maglione.
Le mani di Harry sfioravano ormai tutto ciò che riuscivano a raggiungere, senza più alcuna esitazione. La cosa più strana è che, malgrado fossi eccitata, c’era qualcosa che non mi permetteva di lasciarmi andare.
Qualcosa inquietante, di perverso, di sbagliato.
Lasciai che lui mi baciasse ancora un paio di volte, per avere il tempo necessario a riordinare le idee, poi decisi di intervenire.
«Harry – dissi, spingendo leggermente contro i suo petto per allontanarlo da me – Harry forse dovremmo…».
«Sssh, rilassati e lasciami fare», sussurrò lui, zittendomi con un altro bacio.
La sua lingua s’insinuò nella mia bocca con prepotenza. Arrossii, spaventata da una cosa tanto intima.
Io lo amavo, ero innamorata di lui da ormai troppo tempo, ed ero felice che avesse fatto la prima mossa, ma non era così che avevo immaginato i nostri primi baci. Non era così che volevo accadesse.
Avevo ancora troppo domande in testa, quesiti che necessitavano una risposta.
Girai il viso di lato, sottraendomi all’attacco delle sue labbra.
«Harry aspetta un attimo...».
«No, Sam. Ti voglio. Ti voglio adesso», ribatté lui, serio.
Qualcosa di strano premette contro il mio inguine, coperto solamente dall’intimo e dai pantaloni della tuta Adidas che lui stesso mi aveva regalato per il mio quattordicesimo compleanno.
Quando capii di cosa si trattava andai seriamente nel panico.
No. Non volevo. Quello che stava succedendo non andava bene.
Eravamo troppo piccoli per quelle cose.
«Lasciami, Harold. Lasciami subito», implorai, con voce tremante.
I polsi mi vennero bloccati sopra la testa quando provai nuovamente a spingerlo via.
I suoi occhi verdi bruciavano di un desiderio che io non riuscivo a comprendere.
«Sarà bello, Sam. Fidati di me», mi disse, sorridendo appena.
Scossi la testa.
«No. Non voglio».
«Sì invece. So che ti piaccio e anche tu mi piaci, Samantha».
Ma cosa cavolo gli prendeva? Il mio Harry non era così. Lui non mi costringeva a fare cose che non volevo. Perché si stava comportando così male?
Mi faceva paura.
Mi fai paura, Harry.
«No!», urlai, e con tutte le forze che avevo lo spinsi via, lontano dal mio corpo.
Per un momento, solo per un dannato momento, ero stata felice. Avevo pensato a lui come al mio ragazzo e non più solo come amico.
Ma poi aveva rovinato tutto.
«Ma sei impazzita?!», esclamò, sconvolto dalla mia improvvisa reazione.
«No, tu sei impazzito! Cosa credevi di fare?», ribattei.
Mentre un groppo di lacrime mi chiudeva la gola iniziai a raccogliere dal pavimento gli indumenti che mi aveva tolto. Mi infilai il mio maglione, ma lasciai la felpa sul letto. Non la volevo più.
«A settembre iniziamo le superiori, maledizione! Vuoi forse rimanere nel modo dei sogni per sempre? Siamo grandi, Sam, è ora di farle certe esperienze!».
Lo fissai sbigottita. Non poteva averlo detto davvero.
«Ma ti senti quando parli? Sembra quasi che sia un obbligo. Io non voglio fare sesso!».
Ecco l’avevo detto. Sesso.
Allargò le braccia, per poi farle ricadere lungo i fianchi.
«Mio dio – disse, quasi sorridendo – non credevo fossi una santarellina. Vuoi rimanere una stupida e inutilebambina per tutta la vita?».
Una fitta alla bocca dello stomaco. La prima di una lunga serie di ferite.
«Non sono una bambina, Harry. Sono tua amica…».
«Sei una cazzo di verginella, ecco cosa sei! Una ridicola verginella con la testa ancora tra le nuvole. Non ti facevo così ingenua».
Sentii le lacrime pizzicarmi gli occhi. Perché stava dicendo quelle cose senza senso?
Perché si stava comportando così?
«Chi ti ha messo intesta queste cazzate? – gridai, ringraziando il fatto che i suoi fossero fuori per lavoro – Chi?!».
Harry non rispose, continuando a sorridere come un idiota.
«Sei una delusione, Samantha. Sei solo una grandissima delusione. Non so davvero come ho fatto a restarti amico per tutto questo tempo».
 
Spalancai gli occhi, sentendo la gola ancora graffiata dalle urla.
Urla che non avevo mai emesso.
Mi guardai intorno, senza trovare nessuno. Eppure…eppure c’erano delle voci.
Mi alzai a sedere e tesi le orecchie, scoprendo che provenivano dal bagno.
Harry e Louis stavano parlando di me.
 
 

*Spazio di un'autrice abbattuta*


Bona domenica a tutte :) eh sì, non è un miraggio, ho già aggiornato. 
Confesso che sto inziando un po' a deprimerimi. La fic è preferita da 12 persone, ricordata da 4 e seguita da 25...mi chiedo perché neanche un quarto di voi si  fermi a lasciarmi il suo parere. Alla fine io pubblico per sapere cosa pensa la gente di quello che scrivo, e se nessuno mi caga la mia autostima finisce sotto terra .___.
Coomunque...volevo precisare che i due flashback che avete letto in questo capitolo sono antecedenti a quello del capitolo 3, quindi parlano di fatti avvenuti prima. 
Come avrete potuto notare Sam si è un po' addolcita nei confronti Harry, mentre Lou ha avuto una piccola discussione con El. Rebekah continua a punzecchiare la nostra protagonista perché in fin dei conti è l'unica che vede esattamente le cose come stanno: quello che lega S, H e L non è solo amicizia.
Mi chiedo sempre di più di quale Team siate e di cosa pensate che stiano parlando Styles e Tomlinson quando Sam si sveglia xD 
Scappo a studiare Greco, ma voi fate le brave e datemi un segno di vita!
Un bacione,
Alice.

 

    
Cioè...che cosa pucciosa *-*

                            

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Capitolo 6
*** I've done it for you ***





6.
I've done it for you

 

«Sei il mio migliore amico, Harry. Ti conosco, so quello che provi…».
«No, non lo sai. Dentro di me…è come se si fosse formato un vuoto che solo lei è in grado di colmare. Prima era diverso…certo, faceva male, ma se mi sforzavo potevo ignorarlo…ora…ora sento che non sono più in grado di farlo. Tutte le volte che vi vedo assieme io…».
«E credi che per me sia più facile? Sono consapevole di essere un rimpiazzo, Harry. Per quanto io le voglia bene tu resterai sempre quello che mi ha preceduto, quello che la conosce fin da bambina, quello che era con lei quando ha perso il suo primo dente da latte. Non posso competere con te, non voglio farlo. Desidero solo che sistemiate le cose».
«Sam me lo ha detto in faccia, Lou. Niente tornerà come prima…».
«Allora ricomincerete da capo».
«Non è così semplice…».
«Niente è semplice. Dovrai meritartelo, aiutarla quando ne avrà bisogno, consolarla quando sarà triste. Dovrai dimostrarle che sei cambiato, che sei tornato e che l’hai fatto per restare».
«E come? Lei si rivolge a te per ogni cosa…».
«Che intendi?».
«Louis…tu sei il centro del suo universo. Possibile che non te ne renda conto? Sam conta su di te, lo fa dal momento in cui ti vi siete conosciuti. Non verrà mai da me a chiedere aiuto, quando sa di avere te al suo fianco».
Ci fu un lungo istante di silenzio. Da dietro la porta del bagno non proveniva alcun rumore.
M’immaginai Louis con la testa bassa e un’espressione pensierosa sul viso.
I capelli castani a coprirgli occhi blu come il mare.
Harry aveva capito più di quanto entrambi avessimo immaginato.
Le sue parole mi avevano attraversata da parte a parte, lasciandosi dietro un tangibile segno del loro passaggio.
Avrei voluto entrare la dentro e rassicurarlo, dirgli che mi sarei sforzata di riaccoglierlo nella mia vita.
Eppure rimasi immobile, in ascolto, mentre il battito del mio core diveniva tanto forte da sovrastare il silenzio.
«Allora cambieremo le cose».
«Cosa vuoi dire?».
«Da quel che ho capito hai bisogno di spazio, no? Bè, mi farò da parte e ti lascerò passare».
In quel momento le sopracciglia di Harry dovevano essersi aggrottate come le mie.
Non mi piaceva la piega che quel discorso stava prendendo.
«Non credo che Sam te lo permetterebbe».
«Harry – la voce di Louis era quasi divertita – sarò anche il suo migliore amico, ma tu…tu sei molto di più. Mi ringrazierà».
«Ne sei sicuro?».
«Oh sì, si sentirà in debito per tutta la vita».
«Non intendevo questo. Sei…sei sicuro di essere solo il suo migliore amico?».
Oh, no. No, no, no. 
Il cuore mi saltò in gola.
«Perché?», si limitò a domandare un Louis a dir poco serio.
«Sta zitto, Harry. Per l’amor del cielo. Sta zitto», sussurrai tra me e me.
Presa dal panico mi abbassai e cercai di sbirciarli dal buco della serratura.
Harry gli aveva messo le mani sulle spalle. Erano uno di fronte all’altro, occhi negli occhi.
Merda!
«Pensaci bene, Lou. E’ già successo, no? Non è una novità che con l’andare del tempo uno dei due inizi a provare qualcosa di più…».
Il più grande rimase immobile per qualche secondo, poi si mosse, afferrando con entrambe le mani gli avambracci del riccio.
«Chi ti ha messo in testa una cosa del genere? Quella pettegola di Rebekah oppure soltanto la gelosia?».
In un’altra occasione quella risposta sarebbe stata accompagnata da una risata, ma in quel caso Lou aveva parlato con una serietà fuori dagli schemi.
Incominciai ad andare seriamente nel panico.
Se Styles avesse detto la verità la situazione sarebbe precipitata. Louis non doveva sapere o avrei rischiato di perdere anche lui.
Un’altra persona troppo importante.
Eppure non potevo neanche irrompere nella stanza, o avrei confermato il tutto senza neanche dire una parola.
Perché diamine avevo lasciato che Harry capisse?
«Forse nessuna delle due, Tomlinson. Forse…la diretta interessata».
Se non fosse stato perché ero appoggiata allo stipite della porta penso che sarei caduta per terra. Ormai avevo lo stomaco completamente sottosopra, ridotto in poltiglia assieme a tutti gli altri miei organi interni.
«Vaffanculo! – sibilai con un filo di voce – sei un bastardo! Un fottutissimo bastardo!». E ancora: «Ti odio, Dio solo sa quanto ti odio, Harry Styles».
E avrei anche lasciato che il panico s’impadronisse di me, se solo la parte innamorata del mio cervello non avesse desiderato con tutta se stessa di ascoltare la risposta di Louis.
Mordendomi un labbro a sangue appoggiai la fronte alla porta, fredda in confronto alla mia pelle surriscaldata.
«Quando?», mormorò solamente.
«L’avevo già capito per conto mio. Stamattina, sul tetto…ha solo confermato le mie teorie».
«Cosa…cosa ti ha detto?».
«Niente. L’ho visto nel suo sguardo, Louis. Ti ama, proprio come amava me».
A quel punto capii che non potevo più restare lì.
Non avevo alcuna intenzione di farmi scoprire, né di affrontare il peso dello sguardo di Lou: sarei morta se avessi visto anche solo una punta di compassione in quegli occhi.
In silenzio tornai sui miei passi, fino al grande letto matrimoniale. Mentre mi ci rannicchiavo sopra, sforzandomi di calmare il respiro, mi promisi che mi sarei comportata come se quella conversazione non fosse mai avvenuta.
Con Harry avrei fatto i conti in un altro momento.



 
Aprii gli occhi alla lieve pressione di qualcosa sulla mia spalla.
Una luce tenue mi ferì gli occhi e per lenire il bruciore fui costretta a sbattere le palpebre più volte, fino a mettere a fuoco ciò che mi stava accanto.
Due iridi verdi attirarono il mio sguardo assonnato.
«Sam…? Rebekah e Zayn sono tornati un’ora fa. Se vuoi andare…».
«Toglimi le mani di dosso», sussurrai, non appena ricordai ciò che era successo.
Non avevo ancora appoggiato i piedi per terra, quando il pensiero di Lou mi attraversò il cervello come una scarica elettrica.
Dov’era? Come aveva reagito? Era arrabbiato?
Mi alzai dal letto nello stesso momento in cui Harry faceva scivolare via le dita calde dal mio braccio.
«Cos’hai?», mi chiese, guardandomi da sotto la massa di capelli castani.
«Niente. Sta zitto».
Sotto il suo sguardo confuso mi chinai per infilare le scarpe e feci il giro del letto, passandomi le dita sotto gli occhi per togliere eventuali sbavature di trucco.
«Dov’è Louis?», chiesi quando ormai avevo raggiunto la porta.
Harry si voltò, fissandomi sempre con quell’espressione da idiota. Nei suoi occhi vidi brillare un lampo di consapevolezza.
«E’…uscito. Ha detto che ci vediamo a cena», rispose.
«Bene».
Passando vicino alla porta del bagno sentii il rumore dell’acqua che s’infrangeva contro piastrelle della doccia. Doveva essere Zayn.
Ricordai che anch’io avevo disperatamente bisogno di lavarmi.
Senza più voltarmi indietro uscii dalla stanza, consapevole di aver lasciato Harry senza alcuna spiegazione.
Incontrai Rebekah a metà strada, pulita e profumata e già vestita di tutto punto per la serata imminente.
«Oh, buonasera. Finalmente sei tornata nel mondo dei vivi…».
«Più tardi mi dirai dove cazzo siete stati tutto il pomeriggio, ma adesso, se permetti, avrei bisogno della chiave magnetica», sibilai con più acidità di quanto volessi.
La mia amica sbarrò i suoi occhioni azzurri.
«Tutto bene, Sam?», domandò, con un filo di voce.
«Benissimo. Puoi darmi la chiave, per favore?».
Quello che avevo richiesto mi venne infilato in mano nel giro di due secondi.
«Ho capito, mi spiegherai in un altro momento. Io inizio a scendere in reception, ci vediamo…».
«Sì sì, a dopo».
La superai e aprii finalmente la porta della nostra camera, entrando e richiudendomela alle spalle con un colpo un po’ troppo forte.
Hey, questo non è comportarsi come se nulla fosse successo. Sbolliamo un po’ la rabbia, borbottò la mia coscienza.
«Sbolliamo la rabbia», ripetei più volte mentre entravo in bagno.
La mia mente era così piena di pensieri che non mi accorsi neanche dei miei gesti. In automatico mi spogliai, entrai nella doccia, regolai la temperatura dell’acqua e iniziai a lavarmi.
Il profumo famigliare del mio shampoo al cocco mi cullò dolcemente per tutto il tempo, riuscendo a rilassare quasi completamente ogni muscolo del mio corpo.
Uscii dal box con gli occhi lievemente arrossati, ma piena di una nuova energia.
Certo, la paura di dover affrontare Louis era sempre là, vivida e minacciosa in un angolo buio della mia testa, ma ripulita dal sudore e dalla stanchezza riuscivo a gestirla meglio, forse perfino ad ignorarla.
Con un asciugamano pulito mi strofinai a capelli che, notai, ormai mi arrivavano a metà schiena. L’ultima volta che gli avevo tagliati era stato prima di Natale, mentre la ciocca rossa che aveva sul lato destro della testa risaliva a quasi un mese prima, frutto di un esperimento fatto con Rebekah.
Mi piaceva, ma stava iniziando a perdere colore e forse avrei dovuto decidermi a comprare una tinta per ritoccarla.
Mi impartii di annunciare la cosa anche alla mia amica, in modo che l’indomani, prima di andare in spiaggia, saremmo andate a cercare un supermercato.
Quando uscii dal bagno una rapida occhiata all’armadio bastò per scegliere il mio abbigliamento per quella sera: un paio di jeans neri, un maglioncino bianco e i miei inseparabili stivaletti in pelle.
Indossai il tutto con estrema calma, poi recuperai i trucchi dal cassetto del comodino e mi posizionai davanti alla specchiera vicino all’entrata.
Optai per uno smoky eyes nero e una leggera passata di lucidalabbra.
«Ce la puoi fare - dissi alla mia immagine riflessa, quando ebbi sistemato anche i capelli - andrà tutto bene».
Cercai davvero di convincermene, ma qualcosa dentro di me mi urlava il contrario. Il mio cuore mi diceva che sarei rimasta ferita di nuovo.
Presi un respiro profondo.
No, pensai, mentre uscivo dalla stanza.
Sarebbe andato tutto per il meglio.



 
«Wow», fu il commento di Zayn, non appena misi piede nella reception.
Al suo fianco, Rebekah ed Harry mi squadrarono da capo a piedi.
«Sei rinata», mi disse la mia amica, sorridendo compiaciuta.
Alzai le spalle e mi sistemai una ciocca di capelli dietro un orecchio, imbarazzata da tutti quegli sguardi puntati su di me.
Non mi era mai piaciuto stare al centro dell’attenzione.
«A che ora è la cena?», chiesi poi, rivolta a Rebekah.
«Alle otto. Manca un quarto d’ora…aspettiamo Louis o andiamo a bere qualcosa?».
Si voltò verso i ragazzi e la sua lunghissima chioma bionda le scivolò sulle spalle con un’eleganza indescrivibile. Era bellissima e l’abbigliamento che aveva scelto, dei leggins neri e una blusa mimetica, esaltava molto bene le sue forme.
Ai piedi aveva degli stivali molto simili ai miei ma con un tacco più alto.
«Aspettiamolo», rispose Harry, senza degnarla di uno sguardo. I suoi occhi verdi, infatti, erano puntati nei miei.
«Ti ha detto dove andava?», domandai, cercando di sostenerne il peso.
«Aveva bisogno di prendere una boccata d’aria – rispose, intuendo la mia preoccupazione – comunque sei bellissima».
Il sangue mi affluì subito alle guance, imporporandole. Nonostante l’imbarazzo riuscii a rispondere con un “Grazie” stranamente cordiale.
Harry fece un paio di passi verso di me e, senza curarsi della presenza di Zayn e Rebekah, che pur dovevano aver intuito qualcosa, si chinò su di me fino ad avvicinare la bocca ad un mio orecchio.
«Non avresti dovuto ascoltare», mormorò, riferendosi alla conversazione avuta con Louis.
«E tu avresti dovuto tenere il becco chiuso», ribattei.
Feci un passo in dietro per mettere un po’ di distanza tra noi. Non volevo stargli così vicina: il suo profumo mi incasinava la testa.
«L’ho fatto per te. Ti ho aiutata a liberarti da un peso che ti portavi dietro da troppo tempo».
«Harry smettila. Non devi intrometterti in queste cose».
«Ah no? Eppure credo di esserci coinvolto anch’io».
Ispirai a fondo, tentando di mantenere la calma necessaria a non fare scenate.
Perché doveva essere così fottutamente arrogante?
Voleva il mio perdono, però continuava a provocarmi.
Sotto chissà quale impulso allungai una mano e lo afferrai per il colletto della maglietta blu scuro, costringendolo a piegarsi in avanti per raggiungere la mia altezza.
«E’ inutile girarci intorno, quindi sarò molto diretta. Io non ti amo più, né ho intenzione di ricascarci ancora. Se quello che vuoi da me è amicizia sei fortunato, perché potrei anche decidere di concedertela. In caso contrario io mi metterei l’anima in pace: andando avanti così non otterrai niente».
«Stai facendo tutto da sola, Sam – rispose, prendendo la mia mano e allontanandola da sé – Te ne rendi conto, vero?».
«Dimmi che bisogno c’era di dire a Louis quello che hai detto, allora. Dimmelo, perché io non lo capisco!».
Sapevo di aver alzato la voce, perciò non mi sorpresi quando lui mi trascinò via da quel luogo esposto. Passammo in fretta davanti al bancone, poi girammo a sinistra ed entrammo nel bagno.
Se fosse quello degli uomini o delle donne non avrei saputo dirlo.
Quando Harry prese a parlare io ero ormai bloccata in una angolo della piccola stanzetta, senza alcuna via di fuga.
«E’ giusto che lui sappia cosa provi, esattamente come avrei dovuto saperlo io», mormorò, rendendomi le idee molto più chiare.
«Se…se tu me lo avessi detto, Samantha…».
«Cosa? – ribattei – cosa sarebbe cambiato?».
«Non avrei mai giocato con te. Tutto il casino tra noi due non sarebbe mai successo», disse, azzardando un passo verso di me.
Alzai una mano, come a dirgli di fermarsi. Non volevo che si avvicinasse un centimetro di più.
«Tu non avresti dovuto trattarmi in quel modo e basta, Harry! Non centra ciò che provavo o meno per te, tu mi hai ferita come nessun’altro ha mai fatto. E ora…ora rischio di perdere anche Lou».
Lo vidi scuotere la testa.
«No, tu non capisci. Se avessi saputo che tenevi così tanto a me io non avrei mai cercato di portarti a letto, non ti avrei trascurata in quel modo…».
«E perché? Per paura di ferire i miei sentimenti? Lo avresti fatto comunque, anche se non ti avessi…».
«No cazzo, no! Perché anch’io avevo iniziato a provare qualcosa per te! Ma tu eri così…ingenua. Non pensavi ad avere un ragazzo, all’amore, a… - prese un lungo respiro, poi continuò – avevo paura di non essere ricambiato. Così mi sono fatto influenzare da quello che facevano i miei amici e…all’inizio ho cercato di starti lontano, poi di averti in un altro modo. E ho sbagliato, cazzo, ho sbagliato. Quando ho capito che eri innamorata di me ormai era troppo tardi per tornare indietro. Avevo rovinato tutto».
Il silenzio scese tra noi con la stessa rapidità con cui il mio cuore aveva battuto per tutta la durata di quella confessione.
Poi fu un attimo.
Sentii le sue braccia circondarmi e attirarmi contro il suo petto.
Non ebbi la forza di spingerlo via, anzi, premetti il viso contro l’incavo del suo collo e strinsi i pugni sulla stoffa della sua maglietta.
E fu assurdo, perché dai miei occhi non sfuggì neanche una lacrima.
«Ho detto a Louis quello che provi per lui perché volevo evitare…», iniziò, ma non c’era più bisogno di spiegazioni.
Ora avevo capito.
E se una parte di me gli era grata, un’altra lo odiava ancora con la stessa intensità di qualche minuto prima.
«Che  il passato si ripetesse – finii per lui, tenendo gli occhi chiusi – ma non sarebbe accaduto, Harry, perché lui è innamorato di Eleanor. Stanno insieme da quando avevano quindici anni».
Un’altra pausa, stavolta molto più lunga.
Fece male non sentirsi rassicurare, non sentirsi dire che magari mi stavo sbagliando. Fece male, eppure apprezzai il suo silenzio.
Harry non voleva più mentirmi.
«Mi passerà. Me la farò passare», sussurrai.
In risposta la stretta sul mio corpo si fece più salda e io mi sentii ancora più piccola tra le sue braccia.
«Se dovesse andare male voglio che tu non perda la speranza. Un giorno quello scemo potrebbe rendersi conto che Eleanor è solo una barbie vuota e che tutto quello che ha sempre desiderato in realtà sei tu».
Sorrisi, ma non ci credevo affatto.
Quando alla fine mi staccai da lui gli occhi di Harry mi guardavano in un modo completamente diverso. Sembrava quasi tornato il vecchio sé stesso.
«Ho paura di perderlo», confessai in un momento di debolezza.
«Lui non è me. Non ti abbandonerebbe mai».
Non risposi. Le promesse che Louis mi aveva fatto quella mattina mi risuonarono nelle orecchie come se fossero state appena pronunciate.
Le avrebbe mantenute?
Il pensiero di doverlo scoprire di lì a poco bastò a farmi mancare l’aria.
In fretta oltrepassai Harry e feci per uscire dalla stanzetta.
All’ultimo secondo, però, sentii una sua mano sfiorarmi un fianco.
«Sam?», disse.
Mi voltai, non sapendo cosa aspettarmi.
«Sì?».
«Davvero non provi più niente per me?».
Quella domanda mi colpì come una schiaffo in pieno viso.
Lo guardai, cercando le parole.
E alla fine, affidandomi più all’istinto istinto che al mio cuore, gli dissi ciò che in quel momento mi sembrava più giusto.
«Mi dispiace, Harry».
Poi mi feci coraggio e andai in contro a ciò che mi aspettava.



 
Lo sguardo color ghiaccio di Rebekah mi fulminò non appena tornammo nella reception.
Nei paraggi non c’erano né Zayn né tantomeno Louis.
«Cosa cavolo è appena successo tra voi due?!», esclamò.
«Abbiamo avuto una delle nostre solite discussioni. Niente di che. Dove sono gli altri?», le rispose Harry, con una freddezza disarmante.
Lei guardò prima lui e poi me.
Non sembrava convinta.
«Louis è tornato poco fa…sono usciti a fumare…», disse, ignara di ciò che era successo quel pomeriggio. Non aveva idea di come mi sentissi.
«Oh».
Lanciai un’ occhiata ad Harry e lui me la restituì con altrettanta serietà.
Rebekah si limitò ad alzare un sopracciglio.
«Siete tutti così strani stasera. Tu hai la luna storta, tu – e indicò Styles – sembri Dott. Jekyll & Mr. Hide e Tomlison…bè, aveva una faccia…».
Il cuore mi saltò in gola.
Cosa? Come?
Harry dovette accorgersi del mio piccolo cambiamento d’umore perché mi appoggiò una mano sulla schiena come a farmi coraggio.
«Che faccia, Rebekah?», chiesi.
La mia amica sospirò.
«Quella che ha quando litiga con la Calder. Hai presente, no? Sguardo pensieroso, sorriso assente…?».
Stavo per annuire, quando il diretto interessato comparve all’ingresso dell’Hotel, accompagnato da uno Zayn stranamente serio.
Nella testa mi passarono mille pensieri diversi, pensieri a cui non seppi e non potei dare voce.
E nel momento in cui lo sguardo  di Louis incontrò il mio, smisi anche di respirare.
 
«Hey», mi salutò il ragazzo dagli occhi blu, porgendomi la mano.
L’afferrai con un po’ di titubanza, sperando che quell’incontro non si sarebbe dilungato troppo.
«Hey. Tu devi essere…».
«Louis William Tomlinson, molto piacere», annunciò con un sorriso.
Per qualche motivo, nonostante quella fosse stata una lunga e brutta giornata, mi ritrovai a sorridere anch’io.
«Credo che tu mi conosca, sono Samantha…».
«Sayfried, lo so. L’amica di Harry».
A quel nome il sorriso svanì dalle mie labbra.
Anche Louis sembrò rattristarsi per via di quel mio repentino cambio di espressione.
«Scusa, sono un idiota. Dimenticavo».
Mi affrettai a scuotere la testa, sospirando appena. Ero stufa di essere triste.
Stufa di reagire così ogni volta che qualcuno nominava Harry.
«No, non preoccuparti – lo rassicurai, sforzandomi di assumere un’espressione amichevole – Allora…ho sentito che hai lasciato la squadra di calcio».
Lui annuì e fece scivolare lo zaino accanto al mio.
Eravamo solo al quarto giorno di scuola e già ci avevano caricati di compiti come muli.
Bene. Adoravo il liceo.
«Sì, tra la scuola e quelle pesti delle mie sorelle non riuscivo più ad andare agli allenamenti…».
«Capisco. Sei al terzo anno, giusto?».
Il ragazzo annuì, sorridendo. «E tu al primo. Mi toccherà farti da guida».
«Oh, non preoccuparti, ce la posso fare anche da sola…credo».
Louis ridacchiò, divertito dal mio tentativo, vano, di mostrami sicura mi me.
«Dai – disse, chinandosi a raccattare sia la mia cartella che la sua – ti accompagno a casa. Conosco una scorciatoia».
«Ma…il pullman…?».
«Oh avanti, camminare non ti farà poi così male».
Alzai le spalle, persuasa dalla sua gentilezza.
«E va bene. Ma solo se ci fermiamo a prendere qualcosa da bere. Sto morendo di sete».
Louis mi fece l’occhiolino.
«Offro io», annunciò.
Chissà perché qualcosa mi diceva che saremmo diventati grandi amici. 



*Spazio autrice*


Okay, sono un po' in ritardo :) Leggermentissimamente in ritardo :)
Coomunque...8 recensioni *-* mi avete lasciato 8 recensioni nello scorso capitolo. Non so davvero come ringraziarvi.
Quando ho visto tutti quei commeti mi sono venuti gli occhi a cuoricino xD
Venendo al capitolo...che ve ne pare? So che la fine lascia un po' perplessi, ma se fossi andata avanti sarebbe diventato troppo lungo :/ Calcolate che con il flashback avevo raggiunto le 9 pagine e mezzo. In compenso vi prometto che il prossimo capitolo arriverà entro giovedì ù_ù
Okay, io scappo perché domani, al contrario di molta gente, mi devo alzare per andare a scuola x___x
Un bacione e buon inizio estate a tutte :D

P.s Sono curiosa di sapere come pensate che reagirà Lou...anche perché per adesso non lo so nemmeno io xD
P.p.s Grazie in particolare a  _Vale99Vale_, xXfreedom, _Heart of Darkness_, beat_9898, angii99, DoraLora, Just a beautiful mistake, Little_love484 :) siete fantastiche.
 
                                                                    


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Capitolo 7
*** I never thought of you in that way ***


N.B. Sono molto indecisa su una cosa: sencondo voi sarebbe positivo per la storia inserire anche i punti di vista
di Louis ed Harry? Ovviamente non sempre, solo in alcune occasioni.
Fatemi sapere :)





7. I never thought of you in that way

 

Ricorda, non hai mai ascoltato quella conversazione.
 
Continuai a ripetermi quella stupida frase per tutto il tempo che Louis ci impiegò ad attraversare la Hall.
Inutile dire che neanche la presenza imponente di Harry al mio fianco riuscì a farmi mantenere la calma: quando Lou mi arrivò di fronte il cuore mi batteva tanto forte da farmi male. Per un momento temetti perfino che lui potesse sentirlo rimbombare contro il mio petto.
Mi sforzai con tutta me stessa di non far trasparire all’esterno neanche una traccia del caos che avevo dentro; operazione per niente facile, dato lo sguardo attento di Louis puntato sul mio viso.
«Sam», mi disse, mentre io cercavo di riprendere a respirare normalmente.
«Hey – risposi, stirando le labbra in un sorriso tesissimo – quando mi sono svegliata non c’eri».
Mentre parlavo vidi con la coda dell’occhio Zayn che raggiungeva Rebekah. Lei gli infilò una mano nei capelli neri, scompigliandoglieli appena.
«Sì, io…avevo voglia di fare un giro. Ho anche comprato queste», disse Louis, riportando la mia attenzione su di sé.
D’istinto allungai una mano ad afferrare il sacchetto da supermercato che mi stava porgendo: dentro di esso tintinnarono delle bottiglie che non potevano essere altro che alcolici.
Mentre lo aprivo per esaminarle meglio m’immaginai il sorriso stupito di Harry.
«E le promesse fatte a mia madre?», domandai, scoprendo che si trattava di pura e semplice Vodka.
«Bè, siamo in vacanza, no? Dovremmo divertirci», rispose Lou, quando tornai a guardarlo.
«Ti toccherà nasconderle molto bene quelle», gli consigliò Zayn, intervenendo nella conversazione.
Louis si voltò verso di lui. «Oh, non preoccuparti. Salgo a metterle via adesso, intanto che voi andate a cena».
Intuii il piano di Harry pochi secondi prima che una piccola gomitata mi facesse sussultare come un’idiota. Lanciai un’occhiataccia al riccio, che in tutta risposta mi appioppò una smorfia d’incoraggiamento.
No, pensai. Non ci vado di sopra con Louis.
«Sai dov’è la sala da pranzo?», chiesi, cercando di distrarre Harry.
«Primo piano?», ipotizzò Lou.
«Ehm…sì».
Styles mi punzecchiò di nuovo, sta volta a un fianco. Sbuffai impercettibilmente, mentre guardavo il mio migliore amico darci le spalle per raggiungere l’ascensore.
Harry e Zayn mi guardarono come per dirmi “Muovi il culo e raggiungilo”.
Mi affrettai a scuotere la testa con decisione, spaventata alla sola idea di trovarmi sola con lui.
«Va – mi sussurrò Hazza ad un orecchio – sai che dovete parlare».
«No, non mi sembra il caso…».
«Ah, smettila!».
Uno spintone mi fece barcollare in avanti e per poco non volai direttamente addosso al povero Louis. Per non rischiare un’enorme figura di merda fui costretta a stare al gioco.
«Ti accompagno!», esclamai, quando ormai gli occhi blu del ragazzo avevano trovato i miei con fare interrogativo.
Ero certa che gli altri si stessero godendo la scena con una certa dose di malsana soddisfazione.
«Ma no, ci metto un attimo – si affrettò a rispondere lui, che evidentemente stava iniziando a sospettare qualcosa – vai pure avanti con gli altri».
E questo che vuol dire? Mi stai evitando?
Sì, mi stava evitando.
«Io ho…dimenticato il cellulare in camera», mentii.
Quasi nello stesso istante le porte dell’ascensore si spalancarono davanti a me.
Mi ci infilai dentro di corsa, incoraggiata da una forza misteriosa.
Louis aggrottò le sopracciglia, ma suo malgrado fu costretto a seguirmi all’interno del vano.
Un momento prima che pigiassi il pulsante numero tre e la Hall sparisse dietro le due ante di ferro, vidi Harry sorridermi in un modo molto più che soddisfatto.
Subito dopo, però, le parole di Louis spezzarono il silenzio.
«So perché siamo qui dentro insieme. E giuro che prima o poi quel coglione le prende».




«Louis…», sussurrai, non appena la porta della stanza 324 venne chiusa alle nostre spalle. Era la prima volta che parlavo da quando avevamo lasciato il piano terra.
Lui abbandonò le bottiglie di Vodka vicino al mobile con la Tv e si voltò a guardarmi.
L’aria nella stanza era pesante, densa di pensieri e parole che ci vorticavano attorno in una tempesta invisibile. Avrei voluto aiutarlo a nascondere l’alcool e tornare di corsa da gli altri, ma sapevo che se non lo avessi affrontato subito mi sarebbe toccato farlo in un altro momento, quindi mi feci coraggio e alzai lo sguardo a trovare il suo.
Il suo volto era serio, la bocca ferma in una posa indecifrabile.
Non conoscevo affatto quell’espressione.
«Ti prego – sbottai ad un tratto, stufa di tutta quella stupida suspense – dì qualcosa».
Lo vidi esitare solo per un secondo, forse in cerca delle parole giuste.
«Sono…confuso, Sam. Non…non sospettavo minimamente che tu…».
S’interruppe, e in un gesto che hai miei occhi sembrò carico di esasperazione, si passò le mani nei capelli castani. Lentamente le fece scivolare sul viso, poi nuovamente lungo i fianchi.
Seguii ogni movimento con un’attenzione quasi maniacale.
«Neanch’io, Lou – dissi, respirando appena – me ne sono resa conto solo qualche settimana fa». Presi a torturarmi nervosamente le mani, senza però rendermene pienamente conto. «Mi dispiace che tu abbia dovuto saperlo da…Harry. Non avrebbe dovuto intromettersi».
Louis rimase perfettamente immobile, al pari di una statua. Vestito di nero e avvolto nella semi oscurità della stanza sembrava quasi un’altra persona.
Più adulta e…imponente.
Il mie occhi indugiarono per un secondo sul suo fisico asciutto e muscoloso, senza tralasciare niente, nemmeno i tatuaggi impressi sulla sua pelle. Non avevo idea di chi, tra lui ed Harry, ne avesse di più, né chi fosse stato il primo a farsene fare uno. Tutto ciò che riuscivo a pensare era che mi piacevano da morire.
Praticamente li conoscevo a memoria.
«Me lo avresti detto tu stessa, se lui non ti avesse preceduta?», domandò di punto in bianco, spazzando via il silenzio.
Non servì pensare alla risposta: era un quesito fin troppo facile.
«No», risposi.
«Perché?», chiese ancora, facendo un passo verso di me.
Perché no. Perché hai una ragazza e perché la ami. Perché non mi hai mai guardata come guardi lei. Perché non metterei mai a rischio la nostra amicizia. Perché non avrei mai il coraggio di guardarti negli occhi e dirti quello che provo per te.
«Sarebbe cambiato qualcosa?», mi limitai a rispondere, zittendo tutti quei pensieri.
Il ragazzo aggrottò lievemente le sopracciglia.
«Non mi hai risposto. E comunque sì, sarebbe stato diverso».
«Non è vero».
Ebbi giusto il tempo di calcarmi le mani nelle tasche dei Jeans che Louis mi fu davanti, a davvero pochissima distanza.
Dovetti alzare lievemente la testa per poter continuare a guardarlo negli occhi.
Era ovvio che stesse per dire qualcosa, ma io lo bloccai in partenza.
«Senti, non sono un’illusa, okay? So perfettamente che tra noi non funzionerebbe mai, neanche se tu ricambiassi i miei sentimenti. Ho sbagliato alla grande a lasciare che l’affetto che mi legava a te si trasformasse in…».
«Amore?», disse lui.
«Sì…amore. Mi dispiace di aver rovinato tutto e credimi, rimedierei se potessi. Solo…non allontanarmi per favore. Non potrei sopportarlo».
Ecco, l’avevo detto. Quel “non allontanarmi” riassumeva in breve tutte le mie più grandi paure.
Louis afferrò il concetto senza neanche doversi sforzare. Fu un bene, forse, ma probabilmente anche un male.
La sua espressione s’indurì appena.
«Non so cosa mi sorprenda di più. Se il fatto che tu ti stia autoaccusando di una cosa di cui non hai colpa o la scarsa fiducia che riponi nelle promesse che ti ho fatto».
Lo guardai con fare interrogativo. Volevo che si spiegasse meglio.
«Cioè?».
«Avanti, vuoi dirmi che ti sei già dimenticata di quello che ti ho detto stamattina?».
Quando capii dove voleva arrivare decisi che era arrivato il momento del giocarmi la mia carta migliore.
«Se tu fossi al mio posto, se avessi vissuto in prima persona tutto il casino con Harry…non avresti il terrore di rimanere di nuovo solo?».
Nelle sue iridi blu vidi saettare un lampo di comprensione. Presto però, venne sostituito da un’altra emozione che identificai come irritazione.
«Io NON sono come lui. Non ti pianterò in asso, ne ora ne mai. Specialmente per una sciocchezza simile».
«Cosa?».
Sciocchezza. L’aveva detto davvero? 
«No – disse, rendendosi conto dell’errore – non volevo dire…».
«Sì invece! Per te è solo una stupida cotta, non è così? Per te sono solo una ridicola ragazzina che ha il brutto vizio di affezionarsi troppo…».
Non riuscii a finire la frase. Louis mi aveva afferrata per le spalle, scuotendomi energicamente.
«Smettila, non voglio litigare con te! Mi sono espresso male».
Aprii la bocca, ma lui scosse la testa, convincendomi a tacere.
«Ti chiedo solo di fidarti di quello che ti dico, Samantha. Non tormentarti la mente con paure inutili, non continuare a pensare di aver fatto un casino. Non…non è colpa tua, non è colpa di nessuno. E’ successo, ti sei innamorata. Non potrei mai avercela con te per questo».
Sentii il mio stomaco contrarsi al suono di quelle parole.
Smisi di nuovo di respirare.
«No?», mormorai.
«No».
Le sue mani scivolarono via dal mio corpo.
«Ciò che mi preoccupa è quanto mi ami», aggiunse qualche secondo dopo.
Tanto, pensai. Davvero tanto.
«Perché?», chiesi, con una punta di inquietudine.
Louis si abbassò su di me quel tanto che bastava per far combaciare le nostre fronti.
Se si fosse avvicinato di un solo altro centimetro il cuore mi sarebbe schizzato fuori dal petto, lo sentivo.
«Ricordi la prima promessa? Non voglio che tu soffra a causa mia».
«Louis…io sto bene. Mi basta averti come amico. Il resto posso anche…».
«Non me lo perdonerei mai, Sam».
«Lo so. Sto bene», ripetei.
Tutta quell’intimità però non mi aiutava affatto. Feci un passo indietro e una distanza di quasi dieci centimetri si creò tra noi.
Avevo bisogno di liberare la mente e per farlo dovevo stare lontana da lui.
«Forse non dovrei farti questa domanda – azzardai dopo qualche secondo – ma ho bisogno di saperlo. Se…se tu non stessi con Eleanor…».
Non completai la frase, perché lui non me lo permise. Come sempre aveva capito senza il bisogno che io mi spiegassi.
Lo vidi inspirare a fondo.
«Vuoi proprio farti del male, eh?», mormorò con una punta di sarcasmo.
Aveva ragione. Ero una persona masochista, da sempre. Lui lo sapeva meglio di chiunque altro.
«Bè, la verità è che non ho mai pensato a te in quel modo».
«Ah».
La mia voce suonò delusa, ma in realtà me l’ero aspettato. Probabilmente una parte di me aveva voluto respingere quell’idea con tutte le sue forze.
«Ma non fraintendermi! – esclamò subito dopo – non è che tu non sia…attraente. Più che altro è…una questione di età».
«Età?», borbottai.
Louis annuì. «Abbiamo tre anni di differenza Sam. Non so tu, ma per me sono tanti».
«Ah», ripetei, sta volta veramente sorpresa.
Tre anni. Tre anni non significavano niente. Eppure lui era stato chiaro.
«Bè, direi…direi che ora possiamo anche andare».
Avevo la testa così incasinata che il pensiero delle bottiglie di vodka, ancora in attesa di essere nascoste, non mi sfiorò neppure.
L’unica cosa che in quel momento m’importava era portare le chiappe fuori da lì e lontano da Louis. Avevo bisogno di tranquillizzarmi e riflettere su quell’intricata conversazione.
Mi mossi così in fretta che lui quasi fallì nel tentativo di riacciuffarmi per un polso.
«Aspetta. Dobbiamo ancora fare una cosa», spiegò quando io mi girai a guardarlo con confusione. Con un cenno della testa indicò il sacchetto di plastica vicino alla Tv.
Mi sentii un’idiota.
«Secondo te dove dovremmo metterle?», chiese.
«Ehm…in cima all’armadio?».
Okay, magari non era il massimo dell’originalità, ma in quel momento era il massimo che potessi fare. Louis fortunatamente accennò un sorriso e annuì, lasciandomi andare e muovendosi per recuperare le bottiglie.
«Guai a te se dici a Zayn o a Harry dove sono», disse, una volta che le ebbe sistemate dove concordato.
«Sai che non lo farei mai».
Dalle sue labbra provenne un “mmmh” non troppo convinto.
«Non ti fidi di me?», chiesi.
Lou non accolse la mia provocazione, anzi, mi ignorò piuttosto sfacciatamente, dandomi le spalle e dirigendosi verso la porta.
Le mie labbra si schiusero per la sorpresa.
«Andiamo, o Rebekah potrebbe iniziare  a pensare male. Per non parlare di Harry…».
A quell’insinuazione una parte di me avrebbe voluto ribattere con altrettanta sottigliezza, ma la domanda che aveva lasciato in sospeso m’importava di più.
«Rispondimi Louis», ordinai, con una punta di stizza nella voce.
Il ragazzo sospirò, poi si voltò a guardarmi. Il suo sguardo mi trapassò da parte a parte e dalla strana luce che brillò nei suoi occhi capii che dentro di lui era in atto una tempesta del tutto simile a quella che aveva torturato me fino a qualche istante prima.
Per quanto la cosa mi preoccupasse, era ovvio che avevamo ancora tanto di cui parlare: molte cose sarebbero venute a galla solo con il tempo.
Entrambi dovevamo chiarirci le idee.
«Sai che mi fido di te – ammise, senza più sorridere – mi fido più di te che di me stesso».
Uscì dalla camera subito dopo, in stile molto teatrale.
Quanto a me, preso un respiro profondo, mi affrettai a seguirlo, cercando di comprendere il vero significato di quelle parole.




Per tutta la durata della cena, che per somma gioia dei ragazzi fu composta da ben quattro portate, non parlai gran che. Ancora diversi punti della conversazione avuta con Louis non mi erano chiari, tanto che a tratti mi parevano quasi assurdi, senza senso.
Le cose che ci eravamo detti erano frutto dell’agitazione e dell’imbarazzo del momento, senza contare che molto probabilmente lui aveva dosato le parole per non rischiare di ferirmi.
Detto sinceramente non so davvero cos’avrei preferito, tra la sua assoluta sincerità o il premuroso tentativo di proteggermi.
Immersa com’ero in quei pensieri mi era capitato più volte di dover essere riportata alla realtà dalle occhiate preoccupate di Harry, che, a proposito, mi confondeva ancor più di Louis.
Nell’arco di quella lunghissima giornata mi aveva derisa, irritata, messa in imbarazzo, ma anche abbracciata, rassicurata e incoraggiata.
Non lo capivo per niente e la cosa mi infastidiva moltissimo.
E’ per questo che evitai di parlarci finché non mi ci vidi costretta, cosa che accadde più o meno verso le nove e mezza, quando Louis, Zayn e Bekah salirono in camera per recuperare soldi e cellulari in vista della serata.
Io ed Harry eravamo usciti nel cortile posteriore dell’Hotel, dove si trovava un’ enorme piscina semiolimpionica. Non ne avevo mai vista una così bella, se non durante una gita a Londra con i miei, quando avevo otto anni.
All’epoca mio padre era ancora abbastanza presente.
Scacciai quel ricordo allungandomi verso l’acqua, mentre Harry si sedeva al mio fianco sul bordo della vasca.
Le mie dita tracciarono piccoli cerchi sulla superficie fredda.
«Parlami, per favore», fu il commento di Styles, dopo che ci fummo scambiati una serie di occhiate sfuggenti.
«In realtà non ho gran che da dirti. E’ andata meglio di quanto credessi, ma ho la testa piuttosto incasinata in questo momento», dissi.
Lui non si diede per vinto.
«Cosa ti ha detto?».
Cosa non mi ha detto, pensai, con una punta di sarcasmo.
«Che non ha mai pensato a me in quel senso. A quanto pare tre anni di differenza sono un abisso per lui».
Harry alzò un sopracciglio, sinceramente sorpreso. Quell’espressione incominciava a tornare famigliare al mio sguardo stanco.
«Veramente ha parlato di età?».
Annuii e lui fece una smorfia piuttosto buffa.
«E’ una scusa – mi avvertì – non ha mai dato importanza a queste cose».
«Che vuoi dire?».
«Eleanor ha due anni più di lui».
Sbam. Le mie labbra si schiusero appena sotto l’effetto  delle sue parole.
Sapevo che El fosse più grande, ma…non avevo mai indagato sul quanto.
«Ah – mormorai, leggermente scossa – quindi…quindi vuol dire che…».
«Te l’ho detto, è solo una scusa», m’interruppe Harry.
Il mio stomaco si contrasse in un piccolo spasmo.
Avevo avuto ragione fin dall’inizio: Louis aveva tentato di proteggermi per tutto il tempo. Non voleva che ci stessi troppo male.
Perfetto, mi ritrovai a pensare. Probabilmente non lo attiravo neppure fisicamente.
«Ma che mi aspettavo? – borbottai, ritraendo la mano dall’acqua e incrociando le braccia sul petto – sono solo un’ingenua».
Una stretta sulla mia spalla destra mi spinse a cercare lo sguardo di Harry. Lo trovai all’istante.
«Lo sei. Ma questo non vuol dire che tu non gli piaccia. Magari non ha avuto il coraggio di ammetterlo. Forse…si sente in colpa per Eleanor».
«Non ho bisogno di riempirmi la testa di false speranze…».
Il riccio allungò una mano verso il mio viso e premette il palmo contro la mia guancia fredda. Sentii un brivido percorrermi il lembo di pelle che lui stava toccando.
«Fidati di me. E’ impossibile che tu non gli faccia alcun effetto», disse.
Fidarmi? Come potevo fidarmi di lui?
Mi morsi la lingua per impedirmi di dirlo ad alta voce.
«Ne sembri davvero convinto», commentai guardinga.
«Infatti. Tu…tu sei così meravigliosa che…».
Non finì la frase e probabilmente fu meglio così. La figura slanciata di Rebekah comparve alle sue spalle, seguita da Zayn e, più indietro, da Louis.
Mi alzai subito in piedi, facendo forza su una spalla di Harry. Lui grugnì di fastidio e, mentre si alzava a sua volta, vidi con la coda dell’occhio Louis che infilava il cellulare nella tasca posteriore dei jeans neri.
Sì era cambiato, indossando una maglietta di colore diverso: non era più quella azzurra di quella mattina, ma una bianca, con il collo a V.
Potevo scorgere i suoi pettorali al disotto del tessuto di cotone.
Considerato che non ero mai riuscita ad abituarmi neanche a quelli di Harry, fu una gran bella visione.
«Allora ragazzi – esordì Zayn – pronti per la serata?».
Lo squadrai appena. Anche lui si era cambiato, ma senza grandi variazioni. Era vestito di scuro come sempre.
«Niente discoteche», dicemmo all’unisono io e Louis.
Rebekah sorrise, mentre Zayn assunse un’espressione contrita.
«Ma…».
«Niente “ma”, Pakistan. Sam non è stata bene e io sono a pezzi. Niente musica spazzatura», ribadì Tomlinson.
«Oh, avanti! Per una volta che siamo tutti insieme…».
Zayn tentò di farmi gli occhi dolci, senza ottenere alcun risultato. Il suo fascino da bel tenebroso non aveva mai avuto particolari effetti su di me.
«Bè – intervenne Harry – questa città è piena di bar…potremmo trovarne uno carino e andare a bere qualcosa, no?».
Rebekah lanciò un’occhiata al suo ragazzo in attesa del responso di quest’ultimo.
«Non mi guardare così. Mi pare che avevamo un programma, noi due», l’ammonì il moro.
Tossii forzatamente quando colsi l’allusione in quella frase.
Dove avevano intenzione di consumare stavolta? Direttamente in mezzo alla folla o in un bagno, nel modo più squallido possibile?
Il sesso creava davvero così tanta dipendenza?
Bah.
«Se è per quello potete anche restare qui mentre noi andiamo da qualche parte», proposi.
Purtroppo mi resi conto della cazzata che avevo detto solo quando vidi Harry e Louis fissarsi piuttosto intensamente.
Noi. Io, Lulù e Hazza. Il trio perfetto, escludendo gli intricati dettagli sentimentali.
Come mi aspettavo Zayn non perse tempo per vendicarsi.
«Stai forse cercando di liquidarci per poterteli sbat…?».
Rebekah gli schiaffò una mano sulla bocca prima che io stessa gliela facessi chiudere con un malrovescio.
L’irritazione sul mio viso doveva essere piuttosto palese perché nessuno di loro osò accennare un sorriso.
«Portalo via prima che gli strappi le palle», ordinai a Bekah, senza mezzi termini.
Lei annuì e, preso Zayn per mano, lo trascinò dietro di sé, lontano da me e dai miei nervi scoperti.
Mentre li guardavo scomparire all’interno dell’Hotel iniziai a percepire una strana sensazione alla bocca dello stomaco, che si fece sempre più forte con il passare del tempo.
Intuii che si trattava di panico solo quando il peso degli sguardi dei due ragazzi dietro di me iniziò a farsi insopportabile.
Mi voltai di scatto, trovandoli lì, esattamente dove gli avevo lasciati.
Mi chiesi perché cavolo il destino avesse voluto essere così crudele con me anche dopo tutto lo stress che quella giornata aveva portato con sé.
Forse Bex aveva ragione. Forse ero davvero una sfigata cronica.
«Mmmh – feci, dondolandomi sui talloni – cosa…che vi va di fare?».
«Hai appena minacciato di evirare Zayn. Farò qualsiasi cosa tu voglia», mi comunicò Harry, sorridendo.
Louis lo imitò, ma con meno entusiasmo. «Vale anche per me. Solo…niente luoghi affollati per stasera».
Quasi quasi me ne vado a dormire, pensai dentro di me. Sarebbe la scelta più saggia.
Ma ovviamente non potevo piantarli in asso così, da soli. Chissà cosa diamine ne sarebbe venuto fuori.
Sbuffai impercettibilmente, assumendo una finta aria pensierosa.
In realtà sapevo perfettamente dove avremmo trascorso la serata: l’obbiettivo era un posto carino, tranquillo, con buona musica e non troppo costoso.
Il chiosco sulla spiaggia dove eravamo stati quel pomeriggio faceva proprio al caso nostro.
Il piano era di piazzarmi su uno dei tanti divanetti in tela e cazzeggiare con il cellulare finché quei due non si fossero stancati di me e avrebbero deciso di tornare in albergo.
Semplice ed efficace.
«Il Tally’s – annunciai infatti, guardando prima Lou e poi Harry – andiamo là. Ho letto che è aperto fino a mezzanotte».
I due si scambiarono delle occhiate, probabilmente per consultarsi.
Alla fine fu Styles a puntare i suoi profondi occhi verdi nei miei:
«D’accordo», assentì.
«Ma niente alcool per te», aggiunse Louis, con un tono più che autoritario.
Provai a ribattere, ricordandogli della Vodka e di ciò che mi aveva detto nella Hall, ma lui fu inamovibile.
«Niente alcool», ripeté, spingendomi verso la fine del cortile.



*Spazio di un'autrice finalmente in vacanza*


Lo so, lo so. Sono in ritardo di due settimane con questo capitolo e non ho scusanti, se non il caldo, la voglia di cazzeggiare e il sonno da recuperare.  Comunque...Grazie al cielo sono stata promossa *balla la macarena* e ora ho tutto il tempo di dedicarmi a questa fanfic *-*
Se non fosse per il fatto che scrivere questo capitolo mi ha portato via ogni singola forza (il mio stronzissimo PC me lo ha cancellato completamente per ben 2 volte -.-) mi dilungherei nel commentarlo, ma purtroppo sono davvero KO.
Mi rendo conto che la storia è abbastanza noiosetta .____. spero di arrivare presto al dunque, anche perché sta cosa del temporeggiare sta diventando piuttosto faticosa (anch'io sono ansiosa di iniziare scrivere certe scene) ù_ù Mi auguro che nel frattempo non mi abbandoniate :3
Prima di scappare avrei una domandina per voi directioner ad hoc: per quando è prevista l'uscita di This is us nei cinema italiani?
La mia smania di vedere il culo di Tomlinson in 3D è immensa xD
Vabbò, vado! Un bacione enorme a tutte voi :)
Aly

P.s Se vi interessa questo è il mio account twitter @give_into_me. Con lo stesso nik mi trovate anche sull'app per android "Kik" :)
P.p.s
Se la fanfic vi piace e ci tenete alla mia salute mentale vi imploro di lasciarmi un commentino con il vostro parere :3 Mi rendereste immensamente felice!

Ecco la nostra Sam:



E loro due...
Le mie ovaie soffrono .___.


 

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Capitolo 8
*** Awakening with surprise ***





8. Awakenig with surprise

 
 
Quando la mattina successiva il sonno abbandonò il mio corpo, una strana pressione sul fianco destro allarmò i miei sensi ancora assopiti. 
Combattendo contro le palpebre pesanti, aprii gli occhi per capire di cosa si trattasse e quel che vidi fece schizzare il battito del mio cuore a mille: un braccio muscoloso mi circondava la vita, incollandomi a un corpo palesemente maschile.
Non ebbi il tempo di chiedermi a chi appartenesse, perché il mio sguardo allarmato incontrò quello attento e impassibile di Louis.
Il ragazzo era a quasi un metro e mezzo di distanza da me, avvolto nelle lenzuola del letto singolo vicino al balcone. Mi fissava come se  non avesse fatto altro da ore e probabilmente, mi ritrovai a constatare, era così.
«Cosa…?», sussurrai, rimanendo immobile nella stretta possessiva di Harry.
Non avevo neanche finito di parlare che una fitta atroce mi attraversò il cervello, costringendomi a serrare gli occhi. «Ahi», mugolai subito dopo.
«Non ti ricordi niente?», mormorò a sua volta Louis, con un filo di voce.
Mi ci volle un po’ prima di capire di cosa stesse parlando. Quando le immagini sfuocate della sera prima fecero capolino nella mia mente, le labbra mi si schiusero per liberare un “oddio” spaventosamente stridulo.
Lou sospirò, per poi abbassare lo sguardo sul braccio di Harry stretto attorno ai miei fianchi.
«Io te l’avevo detto, di non bere», disse, contrariato.
«Cazzo – blabettai – cazzo. Cos’ho fatto?».
«Niente – rispose – quando ti abbiamo riportata qui Zayn e Bekah non c’erano ancora e tu hai insistito per dormire nella nostra stanza. Con Harry».
Con Harry
Improvvisamente la presenza di Styles alle mie spalle iniziò a farsi sentire.
Mentre guardavo Louis, infatti, i suoi pettorali – e non solo quelli – aderivano perfettamente al mio corpo irrigidito. Al mio corpo mezzo nudo e irrigidito.
Ero in intimo e la cosa portava direttamente a una domanda: chi mi aveva spogliata?
Un’altra fitta alla testa mi costrinse ad abbandonarmi contro il cuscino.
«Perché me lo hai lasciato fare? – sibilai – avresti dovuto dormirci tu con Harry!».
Louis aggrottò le sopracciglia di colpo.
«Mi hai detto di farmi i cazzi miei, Sam».
Oh.
Le mie guance s’imporporarono immediatamente per l’imbarazzo. Cos’avevo combinato? O peggio, che altro avevo detto?
«Mi dispiace tantiss…», iniziai, ma venni interrotta da un gemito infastidito.
Harry borbottò qualcosa e mi tirò contro di sé con maggior energia, affondando il viso nei miei capelli. Sentii il suo profumo invadermi le narici.
A quel punto mi dissi che tanto valeva svegliarlo. Quella situazione stava diventando troppo soffocante.
«Harry – esordii, con più decisione che potei – svegliati subito!».
Passarono due secondi e i suoi occhi si schiusero, richiamati dal suono della mia voce. Dapprima non sembrò rendersi conto di dove si trovasse, ma poi la presa su di me iniziò ad allentarsi fino a svanire del tutto.
Il ragazzo si sdraiò a pancia in su, lasciandomi libera di scendere dal letto.
Non dovetti neanche preoccuparmi di come fare a sgusciare da sotto le coperte senza farmi vedere da entrambi in mutande, perché Louis si mosse prima di me e raccattò la sua maglietta da terra, per poi lanciarmela.
La strinsi per pochi secondi tra le mani, prima di infilarla.
«Buongiorno», sussurrò Styles, mentre portavo il tessuto bianco a coprirmi i fianchi.
«Fottiti», fu il mio commento.
Lou si passò una mano nei capelli scompigliati e scosse la testa. Dio, era bellissimo.
Continuai a pensarlo finché anche Harry non si alzò, appoggiando la schiena contro la testiera del letto. Sbadigliò, si passò le mani sul viso stanco e poi abbandonò le braccia lungo i fianchi.
Al contrario di Louis, che indossava il suo inseparabile pigiama bianco e rosso con il logo della Coca Cola, lui era a petto nudo. Non mi soffermai a pensare che cosa portasse sotto lo strato di lenzuola che gli copriva la vita; non volevo saperlo.
I suoi capelli, inutile dirlo, erano un casino informe dall’aria vagamente sexy.
Ci avevo davvero dormito insieme? 
«Mmmh. Siamo di buon umore…vedo», commentò con la sua voce roca e profonda.
Oh, tu lo sei eccome, approfittatore del cavolo.
«Sta zitto. Ci siamo appena svegliati e già mi stai irritando», ribattei.
Louis, che ne frattempo si era alzato e posizionato davanti a me, mi allungò una mano per tirarmi su dal letto. Evidentemente la mia espressione doveva riflettere il mio incasinato stato d'animo, a cui, per altro, si aggiungeva una terribile nausea post sbronza. 
Accettai il suo aiuto con un po’ di timidezza.
«Dovresti andare a sciacquarti il viso – mi suggerì con lo sguardo fisso nel mio – hai il trucco sbavato».
Arrossii di nuovo, potendo solo immaginare in che stato pietoso fosse la mia faccia. 
«Io...sì...vado!», esclamai. 
Con l’agilità degna di un ippopotamo in tutù mi fiondai verso il bagno.
Mi chiusi la porta alle spalle con un tonfo sordo e la consapevolezza di aver combinato un altro disastro.
 
Mi sentivo la mente era vuota, priva di tutte le ridicole preoccupazioni che l’avevano affollata per tutto il giorno.
Il mio corpo era altrettanto leggero; percepivo i miei movimenti come se fossero qualcosa di teatrale, effettuato a rallentatore. 
E sì, sapevo di aver bevuto troppo, nonostante avessi mandato giù non più di due mojito. 
Le mani di Louis sganciarono il mio braccio sinistro dalle sue spalle, mentre dall’altro lato sentivo Harry sorreggermi per i fianchi.
Si dissero qualcosa che il mio cervello ubriaco non riuscii a comprendere, poi un paio di occhi verdi trovarono i miei, mentre Tomlinson mi lasciava andare per aprire una porta.
«Siamo arrivati», sussurrò Harry.
Era bello. Troppo bello.
La sua bocca era così vicina alla mia che potevo sentire il suo respiro sfiorarmi le mie labbra.
«Ho sonno, Harreh», risposi, e la mia voce suonò impastata.
«Adesso andiamo a dormire, va bene?».
Ci pensai su. 
«Però stai con me».
Lui non rispose subito, anche perché si trovò impegnato a ricambiare la strana occhiata che gli stava rivolgendo Louis.
«Penso sia meglio che…», iniziò quest’ultimo, ma io sapevo già cosa stava per dire. No, non ero d’accordo.
«No – strascicai – voglio dormire con Harreh».
Louis sospirò rumorosamente e aiutò Styles a portarmi dentro la stanza 324. La porta si chiuse alle nostre spalle grazie a un calcio ben assestato.
«Mettila sul mio letto», ordinò Louis all’amico.
Harry riuscì a farmi fare qualche metro, ma poi io mi bloccai di colpo, aggrappandomi con forza alle sue spalle. Volevo che mi abbracciasse, volevo sentire il suo corpo premere contro il mio.
Avevo bisogno che mi stesse vicino perché non potevo permettermi di pensare a Louis. Dovevo scacciare il dolore. Dovevo distrarmi.
«No – ripetei, con più decisione – dormi con me».
«Sam…».
Tomlinson cercò di portarmi lui stesso fino al letto, senza riuscirci. Mi divincolai dalla sua presa con decisione, irritata. Perché non capiva che doveva starmi lontano?
«L-lasciami. Fatti i cazzi tuoi».
Captai uno strano lampo nei suoi occhi azzurri, ma ero troppo andata per capire di quale emozione si trattasse. Fatto sta che mollò immediatamente la presa su di me.
«Va bene. Fa come vuoi», disse.
Non sembrava arrabbiato, solo…teso. Quasi confuso.
«Domani se la prenderà con me, lo so», borbottò Harry.
«Sta zitto – ribattei – andiamo a letto».
Lui sospirò e mi guidò fino al letto matrimoniale. Mi ci fece sdraiare sopra e io crollai subito, stanchissima.
Due paia di mani presero a muoversi sul mio corpo, portandosi via scarpe, Jeans e maglietta. Provai un gran imbarazzo a farmi vedere mezza nuda da loro due, nel sentire il loro tocco sulla mia pelle.
Tutto svanì di colpo, quando avvertii le lenzuola fresche scivolare su di me e il corpo di Harry avvicinarsi al mio sotto di esse. Stavo quasi bene; mancava solo una cosa.
Allungai una mano a cercare il suo braccio e, afferratogli il polso, lo portai a circondarmi i fianchi. All’inizio lo sentii irrigidirsi, ma poi Harry si lasciò andare, attirandomi a sé.
Così vicina a lui mi sentii finalmente a posto, completa.
«Dormi - mi sussurrò ad un orecchio – dormi, Samantha».
Non me lo feci ripetere: chiusi gli occhi e lasciai che il sonno s'impossessasse di me.
Con Harry al mio fianco sentivo che avrei potuto dormire per secoli. 
 
Alzai lo sguardo verso lo specchio.
La superficie rifletteva l’immagine di una ragazza con gli occhi arrossati, i capelli spettinati e le labbra tese in un’espressione confusa che non mi apparteneva.
Solo in quel momento, solo dopo un intera notte di sonno profondo, mi resi conto pienamente dell’assurda situazione in cui mi ero cacciata. 
Harry, Louis, il viaggio.
Cosa mi era passato per la testa quando avevo accettato di partire con loro? 
Come avevo potuto non pensare alle conseguenze?
Liberai di colpo tutta l’aria che avevo trattenuto da quando ero entrata nel bagno. 
Mi sentivo quasi oppressa dalla miriade di sentimenti che avevo provato e stavo provando da quando eravamo arrivati a Brighton.
Era come se tutte le emozioni che avevo tenuto sotto controllo fino ad allora fossero esplose tutte nello stesso momento, violente, incontrollate. 
L’attrazione per Harry era ricomparsa nello stesso istante in cui mi ero trovata faccia a faccia con ciò che provavo per Louis. Ero certa di aver superato tutto, di aver relegato e spento ogni tipo di sentimento verso di lui, eppure quando mi aveva esortato ad ammettere il mio amore per quello che avrebbe dovuto essere il nostromigliore amico, qualcosa dentro di me aveva premuto con forza sul pulsante ON, senza preavviso.
Il fatto che avessi trovato piacevole trovarmi nello stesso letto con Styles, nonostante la presenza di Louis, ne era una prova lampante.
Sbagliato? Sì, era sbagliato. 
Perché ora? Perché nello stesso momento?
Non bastava il muto rifiuto di Louis? Avrei anche dovuto fare i conti con quel che restava del mio vecchio amore per Harry?
Non mi sentivo abbastanza in forze per tener testa ad entrambe le cose. 
Era già abbastanza complicato nascondere la mia tristezza allo sguardo preoccupato di Lou, non avevo bisogno di combattere anche contro la tentazione di ricascare negli stessi errori del passato.
Forse sarebbe stato meglio stare lontana da entrambi per un po’, il tempo necessario a ritrovare l’equilibrio e a mettermi al riparo dal ciglio del burrone.
Era l’unico modo, se volevo evitare di commettere un passo falso.
Ispirai a fondo, lanciando un ultima occhiata alla mia immagine riflessa. 
«Devo stare tranquilla», ordinai a me stessa.
La mia voce suonò come un avvertimento.
 
Pov Louis
 
Harry scivolò nuovamente tra i cuscini, serrando gli occhi verdi. Le sue sopracciglia erano aggrottate, esattamente come le mie.
Non avevo idea di che gioco stesse giocando con Sam, non potevo conoscere le sue intenzioni né prevedere le sue mosse.
All’inizio avevo davvero creduto che volesse semplicemente riprendersi il posto che era suo di diritto, ma il modo in cui l’aveva stretta a sé, con cui aveva involontariamente sottolineato il suo possesso su di lei, mi aveva insospettito e peggio, infastidito.
Non volevo pensare alla parola gelosia, eppure lo sentivo chiaramente dentro di me, che era proprio di quel sentimento che si trattava.
Mi aveva invaso quando lui l’aveva portata sul tetto, quando l’aveva abbracciata nel momento in cui si era sentita male, quando le aveva passato la sua sigaretta ignorando i miei ordini. Avevo provato fastidio nel vedere l’arrendevolezza con cui lei lo aveva assecondato.
La cosa peggiore era che probabilmente Sam non si rendeva neanche conto dell’effetto che Harry aveva su di lei. 
Era troppo impegnata a nascondermi i suoi sentimenti, a celarmi la delusione che aveva provato nel vedermi indifferente, o quasi, alla sua ingombrante confessione.
Sì, non avevo reagito in modo chiaro, me ne rendevo conto. La verità è che ero ancora tremendamente shockato; non sapevo nemmeno io quale tipo di emozione la cosa mi suscitasse. 
Avevo bisogno di riflettere, ma non come avevo fatto il giorno prima, quando ero scappato via da lei e da Harry. Dovevo fare le cose per bene sta volta e l’unico modo per farlo era stare lontano da lei.
Anche Hazza avrebbe fatto bene a lasciarla in pace.
«Vado a chiamare Zayn – annunciai infatti, attirando la sua attenzione – credo che Sam abbia bisogno di stare un po’ con Rebekah».
Styles si sollevò appena sui gomiti per potermi guardare. 
«Sì – rispose – lo penso anch’io».
 
Sam

 
Uscii dal bagno dopo quelle che mi sembrarono delle ore. Il mio viso ora era libero dagli aloni scuri dovuti al mascara colato, i capelli stretti in  una coda di cavallo. 
Entrai nella camera da letto ben consapevole del mio aspetto da ragazzina stanca e triste. Al contrario di quel che mi aspettavo, però, non trovai Louis ad aspettarmi. 
Fuori, seduto su una delle due sedie sul balcone, scorsi solo Harry. Mi dava le spalle, guardando diritto davanti a sé, verso il mare color blu intenso.
Mi chiesi a cosa stesse pensando, se si fosse offeso per l’acidità con cui lo avevo trattato poco prima. Doveva essere confuso anche lui, diamine.
Un momento prima andava tutto bene e il momento dopo lo prendevo a parole senza alcun ritegno.
Stavo iniziando a capire cosa avesse voluto farmi notare Zayn il giorno prima.
Quel ragazzo non era poi così superficiale.
Guardai un ultima volta Harry, poi azzardai un paio di passi verso di lui con l’intenzione di andare a chiedergli scusa, ma venni bloccata a metà strada dal rumore della porta che si apriva.
La voce infastidita di Zayn fece voltare sia me che Styles. Quest’ultimo, per quel poco che vidi, parve piuttosto sorpreso di trovarmi ferma alle sue spalle. 
Dovevo essere stata molto silenziosa.
Non ebbi il tempo di dargli spiegazioni, però, perché non appena Lou e Malik sbucarono dal breve corridoio, mi ritrovai addosso ben tre paia di occhi.
Ero a piedi nudi, struccata, con i capelli legati e coperta a malapena fino al sedere da una maglietta da uomo. Mi rifiutai di pensare a cosa stesse passando per la testa di Zayn in quel momento. 
Dal suo sguardo, tuttavia, appresi molto più di quello che volevo sapere.
Un sorrisetto malizioso si formò sul suo viso e allo stesso tempo le mie guance s’imporporarono per l’imbarazzo. 
Mi aveva squadrata da capo a piedi e aveva tratto le sue conclusioni. Sbagliate, ovviamente.
«So quello che sembra…», azzardai, con un filo di voce.
Mentre parlavo mi accorsi che Harry mi aveva raggiunto e il fatto che indossasse solo i boxer mi fece arrossire ancora di più. Sia lui che Lou avevano i capelli in condizioni improponibili, ma almeno il più grande era coperto dal pigiama, dettaglio non trascurabile, dal momento che anche Zayn era a petto nudo.
Era la seconda volta che lo vedevo così e ovviamente non riuscii a trattenermi dal dare una sbirciatina ai suoi addominali perfettamente scolpiti.
Aveva fatto altri due tatuaggi, notai, distogliendo subito lo sguardo dal suo corpo.
Malik sembrò particolarmente compiaciuto dal modo in cui lo avevo analizzato.
«Vuoi forse dirmi che non è quello che sembra?», domandò, fissandomi con i suoi occhi scuri.
«Mi dispiace deluderti – intervenne Harry, ancor prima che io potessi aprire la bocca – ma abbiamo solo dormito».
Io mi dondolai suoi talloni e solo per un istante incrociai l’occhiata che Lou gli rivolse. 
Zayn fece spallucce. «Prevedibile», disse.
Prevedibile. 
Sentii uno strano senso d’indignazione invadermi lo stomaco.
«Cosa stai insinuando?», ribattei io, di punto in bianco.
«Niente. Mi chiedo solo quando inizierai a divertirti anche tu come una normale adolescente. Sai, Bekah sta iniziando a preoccuparsi…».
Le mie labbra si schiusero per lo sgomento. 
Che razza di sfacciato.
«Non…non meriti neanche una risposta», feci, scattando velocemente verso di lui.
Mi aveva appena dato della suora?
Eh, sì, mi sussurrò la mia coscienza, l’ha fatto.
Irritata schivai la mano di Lou, pronta ad afferrarmi, e solo dopo aver centrato in pieno la spalla destra di Zayn, mi fiondai fuori dalla camera.
 

«Guarda, lasciamo perdere. Non capisco che razza di problemi abbia».
«Smettila. Sai che è fatto così. Voleva solo prenderti in giro, niente di cattivo».
Mi sollevai sui gomiti, togliendomi gli occhiali da sole dalla faccia. 
Rebekah era seduta davanti a me, a gambe incrociate.
Sul mio asciugamano.
«Io odio essere presa in giro. E lui lo sa», ribattei.
La mia amica alzò gli occhi verso il cielo, privo di nuvole. Ma lei era fatta così, sminuiva tutto ciò che non la riguardasse direttamente.
«Ci parlo io più tardi, va bene? Adesso però piantala di fare l’asociale e vieni a fare il bagno con me!», esclamò.
Le sue labbra si tesero in un sorriso sincero che riuscì ad addolcirmi.
Sospirai, spostando lo sguardo verso la riva, dove alcuni bambini si rincorrevano e costruivano improbabili castelli di sabbia.
Poco più in là, immersi fino alla vita, Harry, Louis e Zayn parlavano tra loro con aria concitata. Probabilmente della partita di calcio del Manchester che si sarebbe tenuta quella sera.
«E le borse chi le cura?», le feci notare, tornando a guardarla.
«Massì, non ci allontaniamo così tanto. Basta dare un’occhiata ogni tanto».
«Mmmh».
«Dai, pigrona! Sono due ore che ti arrostisci al sole come una cazzo di lucertola!», disse, a voce troppo alta.
Alcune anziane vicino a noi la guardarono storto.
Visibilmente imbarazzata, le mollai uno schiaffetto sulla coscia sinistra. 
«Va bene, va bene. Basta che la pianti di strillare».
«Oh, allelujah!».
Sorrisi, scuotendo la testa, poi mi tirai su a sedere e infilai il telefono nella mia borsa da spiaggia color corallo insieme alle cuffie e allo spray abbronzante.
Al contrario di quello che si potrebbe pensare stavo letteralmente morendo dalla voglia di andare a nuotare, perciò non mi dilungai oltre e con una rapida corsetta raggiunsi il bagnasciuga, seguita dalla mia amica. 
L’acqua non era caldissima, ma mi sarei accontentata.
Entrammo in mare lentamente, perché Bex aveva paura di beccarsi qualche sasso sotto i piedi.
Alla fine, stanca di soffrire per lo sbalzo di temperatura tra il mio corpo e l’acqua, mi buttai senza aspettarla. Riemersi subito dopo, con i capelli incollati al viso.
Lei mi fece la linguaccia e seguì il mio esempio.
Nuotammo per un po’, schizzandoci a vicenda e cercando di affogarci come quando eravamo bambine ed andavamo in piscina con le nostre mamme.
Solo dopo un bel po’ mi ricordai dei ragazzi, e, presa dalla curiosità, iniziai a guardarmi attorno per cercarli.
Li trovai quasi subito, vicino ad un gruppetto di scogli alla nostra destra. Ci davano tutti le spalle, tranne Louis che era girato nella nostra direzione.
Quando alzò la testa per guardarmi gli sorrisi, un sorriso timido, ancora condizionato da tutti gli eventi del giorno prima.
Ma fu un colpo al cuore notare che, per la prima volta da quando lo conoscevo, lui non mi stava ricambiando.


*Spazio autrice*

Buongiorno! (o buonanotte?) E' l'una e io sono qui a postare con delle occhiaie che farebbero invidia a Mortisia Adams. 
Su questo capitolo ho poco da dire se non che mi fa venir voglia di rigettare tutto quello che ho mangiato a cena :3
Coomunque...la nostra Sam ha fatto baldoria e ovviamente non si ricorda tutto, se non quel poco che avete letto nel flashback. Come avrà preso Harry la sua sclerata mattutina? Un po' se l'aspettava, è vero.
E Louis? Mmmh, Lou si è appena concesso una "pausa di riflessione". Si è reso conto di provare gelosia nei confronti di Harry, ma neanche lui sa spiegarsi bene il perché. Zayn invece fa la solita parte del simpaticone (ti lovvo troppo *-*) e fa arrabbiare Sam. Ecco, su di lui ci tengo a dirvi una cosa: non sarà sempre un personaggio secondario in questa ff, quindi tenetevi pronte.
Bè, non so più che altro dire. Mi sto addormentando sulla tastiera, quindi abbiate pazienza se questo spazio autore non ha senso e il cappy è pieno di errori.
Mando un bacione a tutte voi e prometto che risponderò al più presto a tutte le ragazze che hanno recensito il capitolo precedente ;)
Alice.

P.s. Vi lascio sempre il link del mio account twitter :) se vi va seguitemi (naturalmente ricambio) ===> @give_into_me
P.p.s. Fate le brave e cagatemi il capitolo, per favore xD Vi aspetto nei commenti.

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Capitolo 9
*** Do you love me? ***





9. Do you love me?



Se non mi fossi detta io stessa di stargli alla larga probabilmente mi sarei sentita molto peggio nel vederli ignorarmi in quel modo.
Erano ormai le cinque del pomeriggio e la gente stava iniziando a mettere via le proprie cose e a tornare in albergo. Io me ne stavo seduta sulla mia sdraio, con gli occhiali ben calcati sulla faccia e lo sguardo fisso sui due ragazzi che prendevano il sole a pochi metri da me, a debita distanza l’uno dall’altro.
Non avevo più incrociato lo sguardo di Louis e la cosa mi turbava abbastanza da non permettermi di pensare ad altro.
Ad eccezione di Harry, s’intende.
Era steso a pancia sotto sul suo asciugamano dei Rolling Stones, il viso appoggiato alle braccia che fungevano da cuscino.
Per colpa dell’acqua del mare il suoi ricci sembravano molto più selvaggi del solito, tanto che per tenerseli lontani dal viso si era messo in testa una fascetta nera. Forse non era il massimo della mascolinità, ma non si poteva dire che non gli stesse bene.
Un metro più lontano, vicino alla sdraio di Rebekah, c’era Lou.
Si era messo un braccio sugli occhi e potrei giurare che stesse dormendo, se non per il fatto che ogni tanto si moveva per raccattare il cellulare dalla sua tracolla e rispondere agli sporadici messaggi di Eleanor.
Sì beh, non ero certa che si trattasse proprio di lei, ma ce n’era un alta probabilità.
Che poi lei mi stava anche abbastanza simpatica, per quel poco che la conoscevo. L’unico difetto che le rimproveravo era il suo essere sempre un po’ troppo occupata con i suoi impegni dell’università in cui frequentava legge.
Più volte avevo visto Louis giù di morale per non poterla vedere e la cosa mi rendeva triste, oltre che tremendamente gelosa.
Dio no, forse gelosa era riduttivo. In realtà mi sentivo rimpicciolire, schiacciare e distruggere nel saperli insieme.
Ma quello che mi preoccupava maggiormente, in quell’istante, non era El con i suoi sms.
Quello che mi preoccupava era il perché dell’improvvisa freddezza e lontananza di Louis.
Non che non mi aspettassi una svolta del genere, anzi, ma da come aveva reagito il giorno prima pensavo che avesse deciso di comportarsi come se nulla fosse; cosa che invece non stava facendo per niente.
Il perché mi spaventava più di quanto sia possibile spiegare a parole. Qual era il motivo di quel suo improvviso cambio di umore?
Mi chiesi se Harry centrasse qualcosa, se magari, mentre io ero da Rebekah, avessero parlato di me.
Che poi, perché avrebbero dovuto? Louis doveva avere capito, ormai, che Harry stava cercando di riallacciare con me molto più di un semplice rapporto d’amicizia ed Harry stesso avrebbe dovuto sentirsi più tranquillo nel vedere il suo rivale fuori combattimento.
Non era nel loro interesse tenersi il muso a vicenda, come per altro mi sembrava stessero indirettamente facendo.
Una sensazione strana mi colpì la bocca della stomaco, un po’ come quando si va dal dentista per la prima volta e non si sa cosa aspettarsi.
Ecco, io non sapevo più cosa aspettarmi. Non ci capivo più niente.
Smisi di fissarli, dapprima chiudendo semplicemente gli occhi, poi spostando lo sguardo verso Zayn, che con l’abilità degna di una parrucchiera stava legando i capelli di Bekah in una lunga treccia bionda.
Doveva aver imparato accudendo le sue sorelle più piccole.
Il modo in cui la accarezzava, il sorriso sulle labbra di entrambi, la complicità che si notava nei loro sguardi, erano una delle cose più meravigliose che io avessi mai visto.
Erano la coppia perfetta, felice, serena, innamorata.
Una volta, la prima volta in cui avevano fatto l’amore, Rebekah mi aveva detto che lui era tutto ciò che aveva sempre cercato. Un confidente, un amico, un compagno. Il ragazzo che amava con tutta se stessa e l’uomo a cui aveva donato tutto, ma proprio tutto, compresa la sua innocenza. Si fidavano l’una dell’altro, ciecamente, anche se a volte entrambi facevano gli scemi con altre ragazze o ragazzi.
Loro erano quello che io non sarei mai stata con nessuno.
Che non ero mai stata con nessuno.
Nemmeno con Harry, nemmeno quando ancora lo amavo con tutto il mio cuore e non solo una parte.
Sì, gli avevo mentito. Ora me ne rendevo conto. Alla sua domanda nel bagno dell’hotel, quando mi aveva chiesto se davvero non provassi più niente per lui, io avevo mentito. Avevo riposto in modo vago, facendogli intendere che tra noi era tutto finito, ma non ero stata sincera.
Troppo offuscata dalla paura di perdere Louis, troppo concentrata sull’altra metà del mio cuore, che in quel momento stava avendo la meglio.
Sospirai e decisi che avevo bisogno di andarmene a fare due passi per conto mio, lontano da tutto quell’amore.
Alzai i Ray-ban e me li posizionai sulla testa, poi recuperai cellulare e cuffie e mi alzai dal lettino.
«Vado a fare un giro – comunicai a Rebekah, che nel frattempo si era girata per guardarmi – ci vediamo dopo».
«Va bene», rispose semplicemente, intuendo il mio bisogno di stare da sola.
Le sorrisi e raggiunsi la passerella in legno bianco che divideva in due la spiaggia, ormai davvero poco affollata, malgrado ci fosse ancora il sole.
Mentre mi allontanavo, diretta verso la riva del mare, sentii lo sguardo di qualcuno su di me, ma non mi voltai per vedere a chi appartenesse.




Mi strinsi le ginocchia al petto, cercando di ripararmi dall’aria fresca che soffiava sugli scogli su cui mi ero arrampicata.
Ero lì da quasi mezz’ora e c’ero arrivata dopo altrettanti minuti di camminata lungo la battigia di sabbia scura e ghiaiosa.
Forse mi ero allontanata un po’ troppo, ma non m’importava. Il silenzio che c’era attorno a me era fin troppo rilassante.
Ogni tanto qualche gabbiano si fermava sulle rocce e allora distoglievo lo sguardo dall’orizzonte per guardarlo mentre si puliva le penne bianche e lucide.
Erano animali che mi avevano sempre affascinata, fin da quando mio padre mi aveva regalato una copia de “Il gabbiano Jonathan Livingstone” per il mio dodicesimo compleanno, una delle ultime volte in cui era stato presente.
Per me erano un simbolo di libertà ed eleganza, se non addirittura di pace.
Se mai un giorno avessi deciso di farmi un tatuaggio sarebbe proprio stato il disegno di un gabbiano.
Quando alla fine gli animali volavano via, alla ricerca di cibo o per tornare dai propri piccoli, la mia attenzione veniva nuovamente rapita dallo scintillio delle onde in lontananza.
Rimasi così ancora a lungo, rabbrividendo appena per il freddo che attanagliava il mio corpo coperto solo da un semplice bikini blu.
Intanto la playlist del mio cellulare aveva selezionato Kiss Me di Ed Sheeran, e le prime note passarono dagli auricolari direttamente nella mia testa.
Amavo quella canzone, era una delle mie preferite in assoluto.
Abbassai un po’ il volume e iniziai a canticchiarla, chiudendo gli occhi per riflettere sulle parole.
 

Your heart’s against my chest
Lips pressed to my neck
I’ve fallen for your eyes
But they don’t know me yet
 
And the feeling I forget
I’m in love now

 
Il sentimento che mi ero dimenticata.
Il battito del mio cuore aumentò al suono delicato di quelle parole, mentre il volto di Harry riaffiorava nei miei pensieri. Ma poi quel I’ve fallen for your eyes e anche Louis fece la sua comparsa con prepotenza, senza preavviso.
Sì, in passato mi ero innamorata dei suoi occhi blu, blu come l’oceano di fronte a me, dimenticando ciò che provavo per Harry.
Ora però c’erano entrambi , tra le pareti del mio cuore. Li sentivo, ingombranti, mentre spingevano l’uno verso l’altro.
Come la scintilla che riaccende una lampadina, Harry aveva riacceso quella parte di me che, rimasta sopita da tempo, ora stava lottando contro quella occupata da Louis.
Faceva quasi male quel silenzioso combattimento interiore.
Rabbrividii ancora, non potendo fare a meno di pensare alla mano di Louis sul mio viso, all’abbraccio di Harry attorno al mio corpo.
Poi, dal nulla, una mano si posò sulla mia spalla.
Sussultai, strappandomi via le cuffie dalle orecchie.
«Scusa», borbottò la sua voce.
«Che…che cavolo ci fai qui?».
Harry scivolò velocemente accanto a me e io lo guardai stralunata, intontita dalla musica troppo alta e dai miei monologhi interiori.
I miei occhi risalirono il suo corpo fino a incontrare il suo viso.
«E’ da tanto che sei via. Rebekah mi ha mandato a cercarti», rispose.
«Le ho detto…».
«Era preoccupata».
«Perché?».
Voltò il viso verso il mare e io mi ritrovai a fissare il suo profilo. Harry tese le labbra in una strana smorfia.
«Lo sai perché. Ti stai isolando. Lo fai sempre quando hai troppi pensieri per la testa».
«Quando succede di solito è Louis che mi viene a riprendere», ribattei senza pensarci, come se fosse una cosa ovvia. Ma per lui fu una frecciatina dritta dritta al cuore.
«Credo che abbia bisogno di pensare», disse, ignorandola piuttosto elegantemente.
Non c’è niente da pensare. E’ innamorato di un’altra e io sono solo sua amica, pensai dentro di me.
«Mmmh», mi limitai a mormorare.
Harry rimase in silenzio per un po’ e io non mossi un muscolo. La sua presenza aveva appena mandato in frantumi la bolla calma e protettiva che la solitudine aveva creato intorno a me.
Come sempre del resto.
«Non mi piace doverlo dire – mormorò dopo quelle che mi sembrarono delle ore – ma sono quasi sicuro che anche lui provi qualcosa per te».
Schiusi le labbra, improvvisamente infastidita.
«Allora non dirlo».
«Perché?».
«Perché sono solo cazzate, Harry. Avanti, smettiamola di prenderci per il culo. Mi sono messa l’anima in pace, okay? Non ho bisogno del tuo conforto e tu non hai bisogno di far finta di preoccuparti per me», sbottai.
Lo vidi spalancare gli occhi, colpito dalla mia improvvisa sfuriata.
«Ma io…».
«No, non sono stupida, so anche che non ti dispiace affatto che Louis non ricambi neanche un briciolo dei miei sentimenti. So che questo ti semplifica le cose».
Le sue sopracciglia si aggrottarono.
«Cosa dovrebbe semplificare?», ribatté, fingendo di non aver capito.
Scossi la testa. «Hai detto che provavi qualcosa per me, due anni fa. E non è amicizia quella che vuoi da me adesso. Me lo hai fatto intendere in tutti i modi».
Ecco, l’ho detto.
Non appena richiusi la bocca mi chiesi perché, per quale cazzo di motivo avessi reagito così. E probabilmente se lo stava chiedendo anche lui, visto che, sconvolto, mi fissava come se avessi appena ammazzato qualcuno.
«Sam…».
«Scusa – sussurrai – non so che mi è preso».
Silenzio.
Mi strinsi di nuovo le ginocchia al petto, fissandomi i piedi.
Passato lo sclero, la vergogna iniziò ad assalirmi alla velocità della luce, facendomi affluire il sangue alle guance.
Ma ovviamente Harry si comportò da Harry, salvandomi da quell’enorme figura di merda.
«Hai ragione», disse, con un tono completamente differente da quello che aveva usato prima. Era più saldo, più sfacciato.
Mi costrinsi a voltare appena il viso per scrutarlo.
«Non voglio solo amicizia da te. Mi sono reso conto che non mi basta. E sì, un po’ mi conforta il fatto che Louis ti abbia…respinta, se così si può dire. Ma non mentivo quando dicevo che mi dispiace per te. Non mi piace vederti star male per lui, così come non mi piaceva vederti soffrire per me».
Lo disse tutto d’un fiato, senza pause. Si fermò solo per respirare, poi riprese.
«Vorrei poter…recuperare il tempo che abbiamo perso. Vorrei poterti restituire l’amore che tu mi hai regalato anni fa. Ma se è Louis quello che vuoi davvero, bè, fanculo, ti aiuterò ad ottenerlo».
Crack.
Qualcosa dentro di me s’inclinò a quelle parole, così confuse quanto sincere.
Passarono due secondi, forse, poi sentii un groppo chiudermi la gola e il respiro mi si bloccò di nuovo.
Cazzo, pensai. Cazzo.
«Harry – sussurrai, con un filo di voce – Harry…ti voglio bene».
Ti amo non sarebbe stato appropriato in quel momento, solo per questo non lo dissi ad alta voce.
Lui rimase interdetto per un istante, poi, all’improvviso, mi attirò a sé.
«Non posso dire lo stesso», sussurrò.
E subito dopo la sua bocca raggiunse
 la mia.
Come la prima volta che c’eravamo baciati, il cuore iniziò a battermi talmente forte che un gemito abbandonò le mie labbra socchiuse.
Ma poi serrai gli occhi e, guidata dall’istinto, le mossi contro le sue, in bacio goffo e allo stesso tempo dolce.
Lui ricambiò, prendendo il comando, impartendomi un ritmo che non era certa di saper seguire.
Quando ci staccammo sentii una sua mano premere contro il mio petto.
Era grande e calda, in contrasto con la mia pelle fredda.
Subito non capii, ma poi la natura di quel gesto divenne fin troppo chiara.
Stava ascoltando il mio cuore, il mio cuore che batteva così forsennatamente solo per lui.
Incrociai il suo sguardo con una punta di timidezza.
«Un tempo era mio», mormorò, «C’è...qualche possibilità che torni ad esserlo?».
Non servì pensarci, le parole abbandonarono la mia gola con naturalezza.
«E’ già tuo».
Avrebbe potuto essere tutto perfetto. Tutto, se solo lui non avesse avuto la grande idea di pormi un’altra domanda. LA domanda.
«Ma…Louis?».
Inspirai, chiudendo le palpebre solo per un secondo.
«Non chiedermelo».
«Lo ami davvero?», insistette.
«Lo sai che lo amo».
Una presa sul mio mento mi costrinse ad riaprire gli occhi. Il verde delle sue iridi era ovunque.
«Mi ami?», chiese ancora, con più durezza.
«Sai anche questo».
«Mi hai mentito, ieri».
«Sì».
Mi lasciò andare, e io mi premurai di mettere subito almeno dieci centimetri di distanza tra i nostri volti. Il suo profumo mi mandava a puttane il cervello.
«Cos’hai intenzione di fare?», mi chiese poco dopo.
«Non lo so, Harry. Mi sento tagliata in due».
Lui sospirò, e si mise nella mia stessa posizione. Seduto, con le ginocchia piegate e le braccia appoggiate sopra di esse. I muscoli della sua schiena si tesero sotto la pelle già un po’ abbronzata.
«Lui sa di noi?».
«No. Non sa che…tengo ancora a te».
«Allora devi scegliere lui», mi disse.
Non capii.
«Perché?».
«Perché io sarò sempre qui ad aspettarti, anche tra un anno, due, dieci. Louis devi prendertelo subito, prima che sia troppo tardi».
«Ma lui non mi vuole, Harry».
Scosse la testa, e un sorriso si formò sul suo volto. Poi allungò una mano verso il mio e mi accarezzò una guancia.
«Sì, invece. Deve solo capirlo».
«Io non…». Credo, avrei voluto dire, ma lui mi interruppe ancora e io mi arresi.
«Fidati di me, piccola», disse, e posò le labbra sulle mie per un ultima volta.
Fu un bacio breve, ma il più triste e meraviglioso che avessi mai sperimentato.
Quando mi allontanai da lui avvertii chiaramente un senso di vuoto dilagare nel mio petto.
Mi obbligai ad ignorarlo e, subito dopo, appoggiai la testa contro la sua spalla, mentre Harry mi stringeva a sé, possessivo.
 

Pov Harry

 
Raggiungemmo gli altri verso le sei e mezza, senza preoccuparci di inventare una scusa per tutto il tempo che eravamo stati via.
Sam aveva camminato al mio fianco senza più dire neanche una parola, tenendo la mia mano 
stretta nella sua, come se avesse paura che potessi scomparire da un momento all’altro.
L’aveva lasciata solo quando ormai avevamo raggiunto la spiaggia e le figure dei ragazzi erano comparse in lontananza.
«Due ore! – sbottò Rebekah, più sollevata che arrabbiata – pensavo vi avessero rapiti!».
Mi lasciai sfuggire una smorfia, mentre Sam si allontanava da me per andare a prendere la sua borsa.
«Dov’è Louis?», domandai a Zayn, quando mi accorsi che mancava all’appello.
Malik mi fissò in un modo strano prima di rispondere.
«Proprio dietro di te».
Seguii la direzione indicatami dal suo braccio tatuato e, una volta che mi fui voltato, notai Lou infondo alla passerella bianca, intento a parlare al telefono.
Passò un minuto e riattaccò, per poi incamminarsi nella nostra direzione.
«Chi si vede», esclamò, ma sul suo viso non comparve il sorriso scherzoso che mi sarei aspettato.
No, Tomlinson si limitò a fissarmi, per poi lanciare un’occhiata a Sam e tornare da me. Se non lo avessi conosciuto come le mie tasche probabilmente non avrei mai notato l’impercettibile nervosismo con cui aveva serrato la mascella, nel momento in cui i nostri sguardi erano entrati in contatto.
Sapevo perché stava reagendo così, lo vedevo chiaramente nei suoi occhi.
Si era reso conto di provare gelosia nei confronti di Sam e questo poteva significare solo una cosa: i sentimenti per lei c’erano e stavano in qualche modo venendo a galla. Ed era arrabbiato con me perché ero stato io ad innescare tutto, dicendogli che lei era innamorata di lui.
Lou si sentiva in colpa, non solo nei confronti di Eleanor, che malgrado tutto era la sua ragazza da cinque anni, ma anche in quelli di Sam. In più, seppur non intenzionalmente, stava iniziando a vedermi come una minaccia.
Volevo davvero aiutare Samantha, volevo in qualche modo rimediare a gli errori che aveva commesso in passato. Questa era l’occasione perfetta.
Scrollai le spalle, ignorando lo sguardo attento dei ragazzi fisso su noi due.
«Hey», lo salutai, come se nulla fosse.
Lou mi oltrepassò e andò a recuperare la sua tracolla. S’infilò una canottiera grigia sopra ai bermuda e attese che anche io e Zayn facessimo altrettanto.
Le ragazze, nel frattempo, si erano già spostate sulla passerella.
Notai lo sguardo interrogativo che Rebekah rivolse a Sam e mi venne quasi da ridere. Se solo avesse saputo cos’era successo tra noi due sugli scogli si sarebbe messa a battere le mani e a saltellare come un canguro.
Sperai che Samantha fosse abbastanza furba da non dirle niente.
«Guardate che è tardi! La cena è alle sette e mezza e noi dobbiamo ancora lavarci e cambiarci!», esclamò poco dopo la bionda, con fare agitato.
Sciabattai fino a loro e aspettai che Zayn e Lou ci raggiungessero.
«Ecco, possiamo andare», dissi, quando fummo tutti riuniti.
E senza aggiungere altro ci incamminammo insieme verso la strada.
 

Sam

 
«Dimmi cos’è successo tra te e Harry», mi sussurrò Bex, ad un orecchio.
«No», sibilai, cercando di non farmi sentire dai ragazzi che camminavano a pochi passi da noi.
«Vi siete dichiarati? O magari ti ha baciata?».
Aspettò vanamente che confermassi o smentissi ma io la ignorai.
Rimase in silenzio solo per pochi secondi.
«OMG – fece, sempre sottovoce – avete…».
A quell’insinuazione mi voltai di scatto verso di lei, stralunata.
«Ma che cazzo dici? Ti pare?!».
«Uh, come siamo suscettibili! Ma tanto lo so che è successo qualcosa e lo sa anche Louis. Harry ti guardava in un modo…».
Alzai gli occhi al cielo e affrettai il passo, nel tentativo di seminarla. Lei ovviamente non si diede per vinta.
«Smettila, Bex. Ti racconto tutto più tardi, va bene? Ma solo se prometti di non dire una parola a Zayn».
Era un’offerta interessante e lei non se la lasciò sfuggire.
«Promesso».
«Bene, ora tappati la bocca e cammina, ho una fame assurda».
Bekah ridacchiò e annuì, facendomi l’occhiolino.



 
Finii di parlare dopo quasi venti minuti e no, non mi sorpresi di sentire la gola secca e riarsa.
Avevo tentato di riassumere tutti gli avvenimenti degli ultimi due giorni nel minor numero di parole possibili, ma le sue domande non mi avevano reso le cose facili.
Rebekah si morse un labbro, pensierosa.
«Quindi fammi capire…Vi siete dichiarati, ti ha baciata…e poi ti detto che ti aiuterà a metterti con Louis? Ma sta bene?!».
Aprii la bocca per spiegarle che in realtà era ben più complicato di così, ma lei mi bloccò, facendomi segno di tacere.
L’accontentai, guardandola mentre lei si infilava le scarpe.
«Seriamente, Harry ha qualche problema. Ma venendo a Louis…Gesù, ha passato quasi un’ora a parlare con El…non ho ben capito cosa cavolo si siano detti, ma a quanto pare lei andrà a Londra per due settimane con i suoi genitori e non si sentiranno gran ché. Louis è stato fin troppo comprensivo con lei».
Cercai di non dare a vedere il fastidio che quelle ultime parole mi avevano provocato.
«Bene».
Bex alzò un sopracciglio.
«Bene? No. Non. Essere. Bene. Samantha. Tu amare Louis, essere gelosa dovresti».
Quel tono riuscì a farmi sorridere, ma niente di più. Dentro di me rimaneva il caos.
Lo sono, pensai, ma a che serve? Louis non si accorgerà mai di me.
Rebekah sembrò capire il mio disagio, perché senza più aggiungere niente mi si avvicinò e mi strinse in un abbraccio carico di affetto.
«Dai, non essere triste. Si sistemerà tutto».
«Lo spero – sussurrai, affondando il viso nei suoi capelli – lo spero Bex».


*Spazio Autrice*

Eccomi, bellezze ;) Sono stata veloce sta volta, sono fiera di me.
Bene, stranamente questo capitolo mi soddisfa abbastanza, ad eccezione della conversazione tra Harry e Sam.
L'ho scritto tutto oggi, tutto di fila, senza mai staccarmi dal PC = mi sono massacrata la schiena e la vista, ma fa niente.
Spero di non deludervi e che le Louam non mi uccidano.
Scappo su twitter, se volete mi trovate là (@give_into_me)
Baci a tutte,
Alice.

P.s. GRAZIE per le ben 8 recensioni al capitolo 7 *-* VI AMO INFINITAMENTE.


Avete visto le foto di Lou e El? Io non mi espongo perché non so se siete Larry Shipper o meno :3


 

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Capitolo 10
*** What do you say to make him a little more jealous? ***





10. "What do you say to make him 
a little more jealous?"


«Non vedi com’è combattuto, Sam? – mi urlò Harry in un orecchio, sovrastando di poco il rumore della musica – si capisce lontano un miglio che vorrebbe venire qui a strapparti via da me».
Per un momento, confusa com’ero dalle sue labbra contro il mio collo, non riuscii a rispondere.
Ma poi, spinta da chissà quale impulso, portai le mani sui suoi avambracci, guidandoli a circondare la mia schiena. Subito dopo mi alzai in punta di piedi per raggiungere la sua altezza.
«Allora devo essere cieca», gridai a mia volta.
Le dita di Harry si serrarono sulla pelle dei miei fianchi, arricciando e sollevando appena il tubino nero che avevo indossato per la serata in discoteca. Era di per sé piuttosto corto, ma fortunatamente non abbastanza da lasciarmi il sedere scoperto.
«Fai anche la spiritosa, adesso?», chiese.
La sua bocca sfiorò nuovamente la mia pelle surriscaldata, provocandomi un capogiro.
«Secondo me mi sta lontano perché non sa come comportarsi», ribattei con decisione.
«E hai ragione, mia cara. Che ne dici di farlo ingelosire un altro po’?».
A quel punto si piegò su di me e iniziò a mordicchiarmi leggermente il collo, provocandomi dei brividi lungo tutta la schiena. Era una sensazione bellissima e, forse, fin troppo eccitante.
Tutto ciò a cui riuscivo a pensare, oltre agli occhi azzurri di Louis puntati proprio su di noi, erano le grandi mani di Harry sul mio corpo.
Ne sentivo il calore attraverso il leggero tessuto in cotone che mi avvolgeva come una seconda pelle.
«Harry – sospirai, con il viso affondato nella sua spalla destra – sei osceno».
Rise. Una risata profonda, roca. Altri brividi si aggiunsero a quelli provocati dai suoi morsi.
«Osceno? Sei tu quella che sta mugolando», ribatté.
«Io non...». Mugolo, avrei voluto dire, ma all'ennesimo attacco dei suoi denti mi resi conto che sarebbe stata una bugia. Serrai le labbra con forza, evitando che un altro gemito le abbandonasse.
«E' colpa tua...», sibilai.
Stavolta la sua bocca premette sul mio collo solo per lasciarvi un bacio.
«Sì, ma ho scoperto il tuo punto debole. E qualcosa mi dice che Louis non apprezza».
A quel nome la mia testa scattò immediatamente nella direzione del privé dove Boo si era sistemato. Incrociai il suo sguardo solo per un momento attraverso alla folla di ragazzi sbronzi e sudigiri. Nei suoi occhi, che in quell'occasione apparivano quasi neri, scorsi un lampo di disapprovazione.
Oddio, pensai, mentre senza accorgermene allentavo un po' la presa sulle braccia di Harry.
«Non puoi negare l'evidenza, Sam», mi avvertì quest'ultimo.
«E'...è arrabbiato. Oddio è arrabbiato».
Un altro morso delicato mi stuzzicò la porzione di pelle proprio dietro l'orecchio sinistro.
«Sì. Crede che voglia portarti a letto», assentì Harry, soddisfatto.
Feci una risatina nervosa, sia dovuta all'espressione cupa di Louis che alla risposta di Styles. All'improvviso mi sentii andare nel panico.
Mi staccai da lui quel tanto che bastava per poter incastrare i nostri sguardi.
«Vuoi farlo?», mi ritrovai a chiedere.
Fu quasi divertente vederlo colto di sorpresa. Non si aspettava una domanda del genere, non da me, non con gli occhi di Louis fissi su di noi.
«Non ha importanza quello che voglio io», disse infine, serio come non mai.
A quel punto il mio cervello era andato in tilit. Il campanello d'allarme strillava nella mia testa con la stessa intensità di una sirena antibomba durante la Seconda Guerra Mondiale.
Come se non bastasse, proprio nel momento in cui stavo per distogliere lo sguardo da Harry per via del troppo imbarazzo, una mano femminile si chiuse sul braccio con cui poco prima gli avevo circondato il collo.
«Sam!», urlò Rebekah, sbucando da dietro la schiena di Styles.
Entrambi ci girammo di scatto, allarmati dal tono che aveva usato. Accanto a lei Zayn seguiva con lo sguardo qualcuno tra la folla.
«Louis se n'è appena andato!», spiegò la mia amica, precedendo la mia domanda.
Un'occhiata nella direzione del nostro privé mi confermò ciò che aveva appena detto.
«So in che direzione è andato. Vado a riprenderlo», disse Zayn.
Ebbi appena il tempo di balbettare un “grazie” che il moro ci sorpassò e nel giro di un secondo sparì tra la fitta massa di persone attorno a noi. Capii che si stava dirigendo verso il cortile esterno del locale, esattamente dalla parte opposta a dove si trovava l'entrata principale.
«Oh cazzo, oh cazzo», iniziai a ripetere, con un groppo in gola che rischiava di soffocarmi.
«Hey, hey, Sam! Sam, guardami!».
Una mano di Harry raggiunse il mio viso, afferrandomi il mento e costringendomi a guardarlo.
Rebekah ci fissò inerme, con le sopracciglia corrugate in un espressione preoccupata.
«Era quello che volevamo – mi disse il riccio, annuendo appena – è andato via perché gli dava fastidio vedermi con te. E geloso, Samantha, è geloso».
Lentamente iniziai a liberare l'aria che era rimasta bloccata nei miei polmoni. Le iridi verde scuro di Harold mi aiutarono nell'impresa, infondendomi, in qualche maniera, abbastanza calma da far rallentare anche il battito del mio cuore.
«Sì?», chiesi.
«Sì», confermò e le sue labbra si stesero in un sorriso appena accennato.
Senza volerlo mi ritrovai a sorridere anch'io, forse contagiata dalla bellezza delle fossette di Harry, forse rassicurata dalla stretta che, nel frattempo, aveva unito le nostre mani.
Le sue dita si erano intrecciate alle mie con una naturalezza tale da far sembrare quel gesto una cosa ordinaria, famigliare.
Ispirai a fondo, scoprendomi un po' infastidita dall'odore di tabacco e marijuana che impestava l'aria del locale*.
«Iniziamo ad andare a riprendere le borse? - domandò ad un tratto Bekah, mentre con fare distratto si sistemava le spalline del vestito verde scuro – sono quasi le tre e ho i piedi a pezzi...».
Vidi Harry annuire e un attimo dopo fui costretta ad afferrare una mano della mia amica per non perderla in mezzo alla massa, mentre lui mi trascinava verso l'uscita.
Si fece strada tra quei corpi ammassati a forza di spintoni e gomitate, provocando, tra l'altro, anche diverse imprecazioni di protesta. Un paio di ragazze lo guardarono incuriosite, probabilmente attirate dalla sua stazza e dalla camicia bianca che, lasciata per metà sbottonata, gli scopriva il petto tatuato.
D'istinto mi ritrovai a stringerlo a me con maggior energia, come a rimarcare il mio possesso su di lui.
«Hazza è un gran figo stasera!», mi urlò infatti Rebekah poco dopo, quando ormai eravamo arrivati a destinazione.
Mi girai verso di lei con uno eloquente sorrisino sulle labbra.
«Lo so. Giù le mani».
Lei non mi rispose, limitandosi a scuotere la testa e a seguirci verso ai guardaroba dove avevamo dovuto lasciare le nostre cose.
Mentre aspettavamo che la fila di persone davanti a noi si esaurisse iniziai a guardarmi intorno. Di Zayn e Louis non c'era ancora traccia, ma qualcosa mi diceva che i due erano già passati di lì.
Forse erano usciti in strada, forse stavano parlando proprio in quel momento.
Mi morsi un labbro al pensiero di ciò che avrebbero potuto dire.
Come avrei spiegato a Louis la tranquillità con cui avevo permesso ad Harry di toccarmi e baciarmi? Come gli avrei spiegato il fatto che, nonostante tutto, mi era piaciuto stargli così vicina e lasciare che le sue mani vagassero sul mio corpo?
Presi a torturarmi le mani, di nuovo nervosa.
«Smettila», sibilò Harry ad un tratto.
Lo guardai spaesata, ma lui non ricambiò, facendo un passo avanti e consegnando ad una ragazza bionda i ticket con i codici delle nostre cose. Lei gli sorrise e sparì dietro una specie di tenda.
Dopo qualche minuto di attesa riapparve con la mia borsa, quella di Rebekah e il gilet di Harry, che afferrò il tutto, ringraziò e ci trascinò via, all'aria aperta.
Fu un sollievo riprendere a respirare a pieni polmoni, senza il pericolo di intossicarsi con il fumo.
«Dio, mi scoppia la testa», borbottò Rebekah, barcollando sui tacchi fino al marciapiede.
«Ho delle aspirine in albergo. Dopo ne prendo una anch'io», la rassicurai.
Lei annuì, per poi fermarsi vicino a una BMW nera. Iniziò a frugare nella sua pochette argentata, estraendone il cellulare.
Mentre lei componeva il numero di Zayn sentii la mano di Harry premere contro la base dalla mia schiena.
«Mi è piaciuto...ballare con te», disse, troppo piano perché Bekah potesse sentirlo.
«Anche...anche a me», risposi, imbarazzata.
Lui sorrise amaramente e mi posò un bacio tra i capelli, che, ne ero certa, dovevano essere un disastro. D'istinto mi girai verso di lui e, attenta a non sfiorare neanche per sbaglio le sue labbra, lo ricambiai con un bacio su una guancia.
Harry sospirò e mi allontanò da sé.
«Se non fosse per Louis...», mormorò.
«Cosa?», chiesi senza pensare.
«Lo sai».
Sì, lo sapevo. Lo sapevo perché anch'io in quel momento morivo dalla voglia di avventarmi sulla sua bocca.
Il ricordo di ciò che era successo quel pomeriggio, poi, non aiutava affatto.
Gli regalai un'occhiata colpevole e in silenzio tornai a girarmi verso Rebekah.
«Sì, okay. Vi aspettiamo. Ciao», fece lei, terminando poi la chiamata.
«Allora?», chiese Harry.
«Sono poco lontani da qui...arrivano».
«Ma...Louis? Cosa ha detto Zayn?».
«Niente. Solo che lo ha trovato».
Di nuovo in preda all'agitazione iniziai a mordicchiarmi il labbro inferiore.
Quella notte non avrei dormito molto, già lo sapevo.

 


Pov Louis



«Questa cosa non va bene, Zayn. Non va affatto bene, cazzo», sibilai, calciando via dal marciapiede una lattina di birra vuota.
Il moro mi guardò in modo strano, dapprima serio, poi con uno strano sorriso sulle labbra.
«E' per Eleanor? Ti senti in colpa per lei?».
«No!», esclamai, per poi correggermi subito dopo. «».
«Senti, io non la conosco, ma da quello che ho sentito...beh, non ne vale la pena. E poi dai...Samantha è...insomma...».
Lo fulminai con lo sguardo.
«Non provare a fare qualche stupido apprezzamento su di lei».
Zayn rise, alzando le mani in segno di resa. Ma che cavolo c'era di divertente?
«Anche Harry la pensa come me. E dal modo in cui lo stavi trucidando, stasera, te ne sei reso conto anche tu. Sei fottutamente geloso, Tomlinson».
«Grazie tante», borbottai, alzando gli occhi al cielo.
«Sam è innamorata di te. Perché non...non darle una possibilità, prima che Harry te la porti via?», insistette.
Rimasi in silenzio per un lungo istante, ma quando mi voltai verso di lui stentavo a trattenere la rabbia.
«Allora spiegami perché cazzo erano così affiatati, stasera. Se è vero che mi ama, perché gli stava così addosso? Perché lasciava che lui...Ah! Non ci voglio pensare!».
Anche questa volta lo sguardo che Zayn mi rivolse fu più che eloquente.
«Non ti facevo così stupido, Tomlinson - disse, scuotendo la testa – è ovvio che tra loro due ci sia qualcosa, ma stasera...stasera era tutto programmato. Per te. Per farti ingelosire. Samantha non credeva di piacerti, è stato Harry a convincerla del contrario. E aveva ragione. Sei scappato perché non ce la facevi più a vederla tra le braccia di un altro».
Aprii la bocca, ma non sapevo cosa dire. Ero sorpreso e...confuso.
Mi passai una mano tra i capelli, spettinandoli in modo osceno.
«Ma perché Harry...cioè...Che interessi avrebbe nell'aiutarla a...?», mormorai.
«La ama, Louis. Non vuole più vederla soffrire, né a causa sua, né per qualcun altro. Forse non te ne sei accorto, ma Sam non è stata esattamente il ritratto della felicità in questi ultimi due giorni».
Oh. 
Zayn mi si avvicinò, fino a posarmi entrambe le mani sulle spalle. Quel gesto mi ricordò molto me ed Harry la mattina prima, nel bagno della nostra stanza.
«Che problema c'è Lou?», mi chiese, stavolta perfettamente serio.
Distolsi lo sguardo dal suo, incapace di sostenerlo.
«Io amo Eleanor. La amo davvero, nonostante tutto, e lei ama me. Non posso...buttare tutto all'aria per una ragazzina. Samantha è la mia migliore amica. Non potrei mai...».
Il moro mi scosse delicatamente.
«Non è più tua amica. Avete superato quel confine nel momento in cui lei ti ha detto di amarti, e ormai, fattelo dire, non c'è più modo di tornare indietro. Anche se tu decidessi di restare con El...le cose non potrebbero mai tornare come prima. Probabilmente Sam finirebbe nel mettersi con Harry e tu proveresti così tanta gelosia da non riuscire più a starle accanto. Pensaci, Lou».
Una stretta alla bocca dello stomaco mi mozzò il respiro. Era vero. Tutto quello che Zayn mi aveva detto fino a quel momento era pura e semplice verità.
Ma come potevo dargli retta? Come potevo scegliere?
Perché alla fine era quello, ciò che lui mi stava chiedendo di fare.
Scegliere tra Eleanor e Samantha.
La consapevolezza che in ogni caso avrei perso una delle due mi fece andare nel panico.
No, no, no.
Scossi la testa, spingendo via allo stesso tempo il mio amico.
Non volevo più sentire una sola parola.
«Basta, ci stanno aspettando. Torniamo dagli altri», sibilai, sorpassandolo e prendendo a camminare velocemente verso la direzione da cui eravamo arrivati.
«Louis! Non puoi scappare», ribatté Zayn, con tono severo.
«Lasciami in pace».
Mi sentii afferrare per una spalla.
Provai a scrollarmelo di dosso, ma nel giro di mezzo secondo la mi schiena sbatté con forza contro il muro di cemento di un palazzo.
Gemetti di dolore, mentre il moro mi teneva inchiodato alla parete.
«Rifletti su ciò che ci siamo detti, Tomlinson – mi ordinò Zayn – perché io non ho alcuna intenzione di perdere degli amici per colpa tua. Non voglio che il nostro gruppo di sgretoli per colpa di un codardo».
«Toglimi le mani di dosso, Malik», mi limitai a ringhiare, fissandolo direttamente negli occhi neri come la pece.
Il moro inspirò a fondo, poi mollò la presa.
Io lo spinsi via bruscamente e, dopo essermi sistemato la maglietta, ripresi a camminare, lasciandomelo alle spalle.

 


Sam



«Louis?», sussurrai, assottigliando lo sguardo.
Una figura famigliare apparve in fondo alla strada, illuminata solo parzialmente dalla luce giallastra dei lampioni. Quando riconobbi il suo abbigliamento, composto da una T-shirt verde scuro, un paio di bermuda di Jeans e delle Vans, non ebbi più dubbi.
Dietro di lui scorsi anche Zayn, che stranamente camminava con le mani calcate nelle tasche dei Jeans, guardando l'asfalto.
Entrambi avevano delle espressioni molto poco rassicuranti.
«Louis», ripetei, alzando la voce.
Harry, al mio fianco, allentò l'abbraccio sulla mia vita, fino a fare un passo indietro.
Subito non capii perché si fosse allontanato da me, ma nel momento in cui Lou alzò lo sguardo su di lui il mio istinto m'impose di frappormi tra i due.
Nell'aria aleggiava un'ostilità disarmante.
«Torniamo in albergo», intervenne Rebekah, cercando di alleviarla.
Lou si fermò a meno di mezzo metro da me, continuando a fissare Harry, mentre Zayn si avvicinava alla mia amica. Intrecciò una mano alla sua, tenendo però lo sguardo ben puntato su noi tre.
«Sì, torniamo in albergo», mormorai, quasi intimorita dall'espressione di Louis.
Mi mossi indietro, trascinando con me anche Harry, che, nonostante fosse rimasto immobile fino a quel momento, si lasciò spostare piuttosto facilmente.
Ci incamminammo verso la macchina nel più completo silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.

 


Pov Harry



Feci scorrere la chiave magnetica nell'apposita fessura e la serratura scattò all'istante, consentendo a me e Louis di entrare nella nostra stanza.
Non badai molto alla lieve spallata che mi diede quando mi superò, ma la curiosità mi spinse a puntare lo sguardo sul suo viso. Odiavo il silenzio che si era andato a formare tra noi, così come odiavo la sua espressione contrita.
Mi girai solo un attimo per richiudere la porta, poi inspirai una profonda boccata d'aria e mi decisi a fronteggiarlo.
«Allora – esordii – abbiamo intenzione di parlarne o...?».
Louis si sedette sul suo letto, per poi sfilarsi le Vans nere che calciò con forza sotto la scrivania.
Io rimasi immobile al centro della stanza, fissandolo a braccia conserte, in attesa di una risposta.
«Zayn mi ha già detto tutto ciò che dovevo sapere – inziò a distanza di qualche minuto – A proposito...congratulazioni, Styles, il tuo piano diabolico ha funzionato perfettamente. Siete riusciti a infastidirmi».
Non riuscii a resistere all'impulso di alzare gli occhi al cielo. Il tono che aveva usato, in parte ironico e in parte freddo, si rivelò quasi divertente. Ero troppo abituato a vederlo ridere e scherzare per poter prendere sul serio quella parte di lui.
«Beh, grazie», dissi, accennando a un sorriso.
Ovviamente Louis non mi imitò, anzi, decise di alzarsi e, per qualche motivo, anche di accorciare le distanze tra noi. Fui costretto ad abbassare lo sguardo di qualche centimetro per compensare la nostra differenza d'altezza e, quindi, non interrompere il nostro contatto visivo.
«Mi stai complicando le cose Harry», annunciò, fissandomi dal basso.
Feci una smorfia di disappunto. «Io non credo Lou. Al massimo te le sto semplificando».
«Senti – inspirò – so che vuoi riscattarti e farti perdonare da lei, ma questo è il modo sbagliato. Per te, perché va contro i tuoi interessi e per Sam, perché io non posso darle ciò che vuole. E' tempo perso, dammi retta».
«Cosa vorrebbe dire “non posso darle ciò che vuole”? Le piaci, lei ti piace. Andate d'accordo, vi volete bene, sareste...una coppia perfetta! Non dovreste neanche sforzarvi, per la miseria!».
Ero consapevole di aver alzato il tono della voce pronunciando le ultime parole, perciò non mi sorpresi quando Louis fece un passo indietro, stringendo i pugni.
Serrò gli occhi solo per un istante: quando tornò a puntarli nei miei vi notai un barlume di frustrazione.
«So che è difficile per te non avendo termini di paragone, ma...cosa cazzo non riesci a comprendere della parola “fidanzato”? Sonofidanzato, Harry!».
«Liberarti di quella figa di legno non potrebbe farti altro che bene», dissi, come se fosse la cosa più scontata del mondo.
Ma purtroppo non avevo fatto bene i conti con l'umore già pesantemente alterato del mio amico.
Sentii la testa scattare di lato molto prima che arrivasse il dolore.
D'istinto portai una mano a tastarmi il labbro inferiore, allarmato dal retrogusto ferroso che mi si stava rapidamente diffondendo in bocca. Quando la scostai rovai le punte dei polpastrelli macchiate di sangue.
Serrai i denti, pulendomele sulla maglietta.
«Cristo – sentii sussurrare – Cazzo Harry, scusami».
Prima che potessi schivarlo Louis allungò una braccio e sfiorò il piccolo ma profondo taglio che mi aveva procurato. Feci un smorfia di fastidio e lo allontanai bruscamente.
«Lascia perdere», mi limitai a borbottare.
«Harry...».
«Vaffanculo, Louis. Quando ti sarai reso conto dell'enorme sbaglio che stai facendo sarà troppo tardi. Non rimarrò in disparte per sempre».
E con quelle parole, sibilate con un'acidità tale da sorprendere anche me, spazzai via ogni traccia di dispiacere dal volto di Lou.
I suoi occhi si assottigliarono di nuovo, segno che l'irritazione aveva di nuovo preso il sopravvento.
«Non c'è nessun problema. Puoi anche scopartela per quel che me ne frega».
Non so cosa lo spinse a sparare una cazzata del genere, ma in quel momento l'unica reazione che ebbi fu l'impulso di scoppiargli a ridere in faccia.
Ah, se solo avesse potuto sentirsi.
Aprii la bocca per dirglielo, ma un bussare insistente alla porta me lo impedì.
Zayn, pensai.
Finalmente Samantha era riuscita a staccarlo da quell'arrapata di Rebekah.
Liquidai Louis con una scrollata di spalle e mi diressi verso l'entrata della camera per andare ad aprirgli.
Feci scattare la maniglia con più forza del necessario.
«Hey Harr...ma che cazzo hai fatto alla faccia?».
Zayn si chiuse la porta alle spalle continuando a fissare il mio labbro gonfio e arrossato dal sangue che non ero riuscito a spazzare via.
Allargai le braccia, sospirando.
«Qualcuno ha lo sclero facile qui dentro».
Il moro lanciò un'occhiata interrogativa a Lou, che, ne ero certo, mi stava trucidando con lo sguardo.
«Avete litigato per Sam?».
«No, Malik, per scegliere il colore delle mutande da mettere domani!», esclamai e subito dopo entrai in bagno, chiudendomi dentro a chiave.
Mentre mi passavo le mani tra i capelli, esasperato da tutto ciò che era successo in quei tre giorni di “vacanza”, intercettai senza volerlo un unico ma eloquente commento:
«Sei proprio uno stronzo, Tomlinson», esclamò Zayn.

 

Sam


«Bekah?», sussurrai nel buio.
Un paio di movimenti alla mia destra, poi un mugolio infastidito.
«Mmmh?», borbottò lei.
«Domani mi accompagni a comprare la tinta per i capelli?».
Ci fu un altro lamento.
«Ma vai a cagare, va».
«Lo prendo come un sì».
«Va bene, basta che stai zitta e mi lasci dormire. Sono le quattro del mattino porcatroia». Malgrado non fossi dell'umore adatto a scherzare non riuscii a trattenere un sorriso. Rebekah sapeva essere molto...”colorita” quando veniva infastidita. E quella sera, beh, tra le continue avances del suo ragazzo e le mie paranoie, ne aveva già avute abbastanza.
Decisi di lasciarla stare, nonostante io fossi troppo agitata per dormire.
«Scusa. Buonanotte, Bex», mormorai, tirandomi le lenzuola fin sopra il mento.
«Buonanotte. E scusami tu. Zayn ha fatto il rompipalle stasera, me ne rendo conto. E' che con questa cosa delle camere separate non abbiamo molta intimità...».
Meno male che voleva dormire, esclamai tra me e me.
«Lo so, il...contatto fisico è molto importante per voi. Vedrò di non farmi trovare in camera domani sera».
Non potevo vederla ma ero certa che stesse facendo uno di quei sorrisi dolci che amavo tanto.
«Grazie – sussurrò – ti voglio bene, Sam».
«Non fare la ruffiana. Ti voglio bene anch'io».
Sospirai un'ultima volta e affondai per bene la testa nel cuscino.
Il mio sguardo, però, rimase puntato sul soffitto a lungo, troppo a lungo. La ragione, anzi, le ragioni, erano fin troppo ovvie.

 

*Spazio Autrice*

HELLO LADIES! Lo so, vi ho fatte penare ben 13 giorni per questo capitolo, ma credetemi se vi dico che è stato letteralmente un parto finire di scriverlo D:
Tra il caldo e un piccolo blocco dello scrittore me lo sono trascinato dietro per un'intera settimana. Chiedo umilmente perdono .__.
Ma veniamo a noi: Lou ha mollato un pugno in faccia a Harry *rimane impassibile per evitare di far capire se è contenta o meno*. Che ve ne pare? Vi aspettavate un Louis così instabile? E Zayn? Gli ho dato un bel po' di spazio in questo cappy, facendo emergere un lato di lui che fin'ora non avevamo visto. Sì, malgrado non si impicci molto negli affari dei nostri tre protagonisti, ci tiene parecchio all'unità del suo "gruppo" e da ragazzo intelligente quale è sa che Louis la sta mettendo a rischio.
Come andrà a finire gente? Beh, sono felice di annunciarvi che ho già deciso tutto *si asciuga una lacrima di commozione*.
Non mi dilungo oltre perché sto crepando dal sonno (stare sveglia fino alle quattro del mattino per cazzeggiare su twitter ha i suoi lati negativi lol), perciò vi saluto e ringrazio con tanto di abbraccione di gruppo.
A presto,
Alice.

PUBBLICITA':

Tu non sai di noi 
di skina (E' una delle top five nella mia classica delle fanfic preferite, quindi leggetela ù_ù)
He'll only break you  di Lucinda0097 (Idem!)
Tears like showers di Sara_blash (idem! Ma in più è una LARRY, quindi mi tocca sconsigliarla a chi è Team Elounor)

Post Sciptum

So che sono una scassaovaie dop ma come al solito vi prego in ginocchio sui ceci - no, sui carboni ardenti - di lasciarmi una piccola recensione se la storia vi piace. Voi siete il mio carburante OVVERO se non mi cagate il mio cervello si spegne e non partorisce più niente di niente D: Se invece lo fate vi amerò per sempre <3


Zayn & Harreh :)



Harreh :)

E tadà, Louis con El.
(come al solito non dico se shippo Larry o Elounor per evitare casini)



 

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Capitolo 11
*** I must do something before it's too late ***



 11. I must do something before it's too late


Odiavo la pioggia, l'avevo sempre odiata, ma non quel giorno.
Le gocce, fredde e veloci come missili, s'infrangevano contro la vetrina del negozio in cui io e gli altri eravamo entrati per fare un po' di shopping.
Incredibilmente il ticchettio che producevano mi rilassava, permettendomi di concentrare i miei pensieri sulla pila di vestiti che avevo tra le braccia.
Avevo scelto un abitino composto da un gilet senza maniche in Jeans e una gonna morbida color panna, degli shorts rossi, diverse magliette tra cui una nera con la stampa di un leopardo e un paio di leggins a fiori dall'aria vintage.
Tutta roba abbastanza sportiva, proprio come piaceva a me.
Mi sistemai di fianco al camerino in cui avevo visto entrare Harry e attesi che mi cedesse il posto.
I suoi ricci castani apparvero dalla tenda blu scuro solo diversi minuti dopo.
«Non...non sono molto sicuro di questi Jeans. Tu che dici?», mi chiese, uscendo allo scoperto per permettermi di vederlo.
Abbassai lo sguardo sui pantaloni da cui pendeva il cartellino con il codice a barre targato H&M.  
Gli feci segno di girarsi, e lui eseguì, compiendo una piroetta su se stesso.
«Sono neri – commentai alla fine, tornando a guardarlo negli occhi – e aderenti».
«E quindi...?».
«Ne avrai almeno altre quattordici paia uguali, Harry».
Le sue sopracciglia si aggrottarono appena.
«Non hai tutti i torti», disse, voltandosi verso il camerino per darsi un'ultima occhiata allo specchio.
«Dici che dovrei prenderli...di un altro colore?».
«Blu classico. Sì. Ti starebbero bene. Anche se...». M' interruppi, mordendomi l'interno guancia.
Lui se ne accorse, perché mi lanciò un'occhiata incuriosita.
«Cosa?».
«Questi ti fanno proprio un bel culo», sussurrai, quasi timorosa che qualcun altro potesse sentirmi.
Era vero. Quei fottuti pantaloni gli avvolgevano il sedere in un modo incredibilmente sexy,  rendendolo quasi – e dico quasi – figo come quello di Louis.
Ma nessuno aveva un culo come quello di Lou.
Ecco, sibilò una vocina nella mia testa, lo sto facendo ancora. Li sto comparando.
«Mi hai appena fatto un complimento? Wow, sono lusingato».
«Prego», dissi, interrompendo il contatto visivo.
Fissai il pavimento in parquet per qualche secondo, sentendo il suo sguardo divertito fisso su di me.
Il silenzio, tuttavia, non durò molto.
«Puoi entrare se vuoi. Io intanto vado a cambiare questi», disse Harry, indicandosi i Jeans.
«Ti avverto, devo provare un mucchio di roba...».
Lui alzò le spalle e mi sorrise, facendomi segno di entrare nello stanzino.
«Tanto ci metterò una vita a scegliere un modello, fai pure con calma».
«Ah okay. Grazie».
Lo vidi annuire, poi girare l'angolo e sparire in mezzo al negozio, con ancora addosso i pantaloni neri. Con un sospiro mi richiusi la tenda alle spalle e iniziai a spogliarmi per indossare il vestito.
Lo infilai da sotto, facendolo scorrere lungo le gambe. La taglia era perfetta, nonostante fosse un po' più piccola della M che prendevo di solito.
Mi guardai allo specchio chiedendomi se un abito del genere facesse per me, ma
alla fine optai per un sì e me ne liberai.
Come seconda cosa decisi di provare gli shorts, che però abbandonai subito dopo perché davvero troppo corti, ed in seguito le magliette.
Come ultimo indossai i leggins. Guardai il mio riflesso più volte, indecisa.
Erano molto belli, ma il motivo floreale evidenziava la rotondità dei miei fianchi e la cosa non mi esaltava particolarmente.
«Che palle», borbottai, girandomi appena per vedere come mi stavano sul sedere.
Proprio in quel momento sentii dei passi fuori dal camerino. Dato che era un martedì pomeriggio e  che il negozio era quasi deserto pensai si trattasse di Harry.
Infondo ero li dentro da quasi un quarto d'ora.
«Ho quasi fatto – dissi, affrettandomi a raccogliere la mia camicetta – non so se prendere questi leggins, ma...».
Fortunatamente il tessuto in lino bianco coprì il mio corpo prima che gli occhi indiscreti di Louis vi si posassero sopra.
Già, Louis.
Aveva scostato la tenda all'improvviso, senza darmi la possibilità di prepararmi psicologicamente. Schiusi le labbra, sorpresa di trovarlo lì, davanti a me.
Lui si appoggiò con un braccio all'ingresso del camerino e mi squadrò lentamente.
«Ti stanno molto bene, invece», disse, una volta che ebbe puntato i suoi occhi azzurri nei miei.
«Cosa vuoi, Lou?», ribattei, incrociando le braccia al petto.
Probabilmente la mia domanda suonò leggermente stizzita, perché lui raddrizzò di colpo la schiena, come se gli avessi dato un pizzicotto.
«Niente...è da un po' che non ci parliamo e...».
«Ti devo forse ricordare che hai tirato un pugno a Harry?».
«Oh – fece, risentito – te lo ha detto».
«La sua faccia parla per lui. Ha un labbro spaccato».
A quelle parole annuì, come se la cosa fosse ovvia. E lo era, almeno per me.
«Non mi piace questa situazione – annunciò a un tratto – non mi va che mi stai lontana. Mi dispiace per ieri sera, per tutto, a dir la verità. E' che sono così incasinato...».
«Lou ne abbiamo già parlato. Ieri sera sono stata una stupida a farmi coinvolgere da Harry in quello stupido piano. Non voglio crearti problemi, davvero».
«Ma io...».
«Quello che provo per te è un problema mio, okay? Tu non pensarci, per favore. Comportati come se non ne sapessi niente».
«Il problema è che non ne sono capace».
Le mie sopracciglia si aggrottarono in automatico, mentre un misto di fastidio e sorpresa si faceva largo nel mio sguardo.
«E questo che vuol dire?», dissi, risentita.
Lou fece un passo avanti, entrando per metà all’interno del camerino.
«Che tengo troppo a…alla nostra amicizia. Non posso far finta di niente…».
Le sue iridi azzurre fissarono le mie con un’intensità quasi ipnotica. Fui costretta a distogliere lo sguardo per poter pensare lucidamente.   
«Non mi sembra né il momento né il posto adatto, Lou…».
La verità è che non me la sentivo di discutere ancora con lui. Mi metteva in subbuglio le emozioni, mi faceva stare male.
Avevo solo bisogno di andare in cassa a pagare quegli stupidi vestiti, prendere Rebekah e uscire di lì.
Punto.
Volevo godermi la mia cavolo di vacanza, almeno per quel giorno.
«Hai ragione. Possiamo…possiamo parlarne stasera…», iniziò lui, ma proprio in quel momento alle sue spalle vidi comparire la figura di Harry.
In una mano stringeva un paio di Jeans blu slavato, dall’aria casual.
Ciò che maggiormente attirò la mia attenzione, però, fu il suo sguardo corrucciato.
«H-Harry», dissi, dopo aver accolto la sua occhiata interrogativa.
Louis si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con l’amico, che lo sovrastava in altezza di almeno sette centimetri.
«Hazza», mormorò Lou.
«Mi cercavi?», domandò Harry, senza staccare gli occhi dai suoi.
«No, voleva parlare con me», mi intromisi, timorosa che la situazione degenerasse. Poi mi rivolsi all’altro : «Continuiamo stasera, va bene Lou?».
Il ragazzo girò la testa quel tanto che bastava per lanciarmi una breve occhiata.
Stava per rispondere, quando Styles scansò il suo braccio e si appoggiò all’ingresso del camerino.
Le sue iridi verdi catturarono le mie con studiata prepotenza.
«Veramente sei impegnata, stasera – annuciò, come se volesse ricordarmi di qualcosa che avevo trascurato – con me. Dobbiamo cenare insieme».
Lo fissai, confusa.
«Ma cosa stai dicendo? – chiesi – non mi hai mai invitata ad uscire».
«Lo sto facendo ora».
Ma che cazzo..?
Il mio sguardo saettò dall’espressione sfacciata di Harry a quella indignata di Louis.
«Non c’è bisogno di mettere in atto altre stupide strategie per farmi ingelosire, ne abbiamo già discusso ieri», sibilò quest’ultimo, serrando i denti.
Mi affrettai ad appoggiarlo, avendo capito – o almeno così credevo – dove Styles voleva arrivare. Non ero disposta a ricreare un’altra situazione come quella della sera prima.
«Infatti. Ieri ci siamo comportati da stupidi. E apprezzo il tuo aiuto, Harry, ma è meglio lasciar perdere».
Quello che né Lou né io ci aspettavamo fu la sua reazione. Il ragazzo infatti rimase serio, anche sei nei suoi occhi brillò per un attimo un lampo di divertimento.
«Non c’è nessun piano – disse, schernendo il rivale con il semplice suono della voce – Voglio che Sam esca con me».
Lo disse guardandomi negli occhi.
Il mio cuore perse un battito.
«Io non saprei…», sussurrai, messa in difficoltà dalla presenza di Louis.
Cos’avrebbe pensato di me se avessi accettato? Di sicuro niente di bello.
«Seriamente?», domandò quest’ultimo.
Il suo tono era carico di ironia.
«Che c’è? – ribatté Harry, altrettanto stupito – ti devo forse ricordare cosa mi hai detto ieri notte?».
Fu un attimo. Di colpo vidi Louis sbiancare, come se avesse visto un fantasma.
«Di…di che si tratta?», chiesi io, alternando occhiate preoccupate da uno all’altro.
«Meglio che tu non sappia, credimi».
Quelle parole non mi calmarono, anzi. Non fecero altro che innervosirmi ancora di più.
D’istinto mi mossi in avanti, arrivando quasi a frappormi fra i due.
Quando mi voltai nella sua direzione, Louis scosse lievemente la testa, socchiudendo le labbra come se volesse dirmi qualcosa. Le sue sopracciglia erano aggrottate in un’espressione dispiaciuta.
I mio stomaco si contrasse in una morsa dolorosa.
«Lou?», sussurrai.
Ma la mano destra di Harry si posò sulla mia spalla, tirandomi indietro, verso il suo corpo. Con uno strattone mi liberai immediatamente dalla sua presa.
«Ero arrabbiato – fece Louis, guardando prima me e poi l’amico – non mi rendevo conto di quel che dicevo».
«Oh, io invece credo di sì», ribatté l’altro.
Inspirai una lunga boccata d’aria, poi chiusi gli occhi.
«Dimmi cos’ha detto, Harry», ordinai, preparandomi psicologicamente a qualcosa che sicuramente mi avrebbe ferita.
Ci fu un lungo instante di silenzio, fastidioso quanto la tensione che mi bloccava il corpo.
Poi mi limitai ad ascoltare ciò che Styles aveva da dirmi.
«Poi anche scopartela, per quel che me ne frega», citò infatti, senza alcuna censura.
Sapevo che l’aveva mormorato fissando Lou diritto negli occhi, e sapevo anche che tra i due sarebbe scoppiata una guerra autodistruttiva.
Ma il dolore che provai nel sentire quelle parole mi impedì di preoccuparmene.
Almeno non seriamente come avrei fatto in un'altra occasione.
Dopo aver preso un altro respiro mi occorse tutto il mio autocontrollo per rimanere calma.
«Non valgo proprio niente per te, eh Louis?» sospirai, con un filo di voce.
Non gli diedi il tempo di dire nulla:
«E grazie anche a te Harry…».
Mi girai verso di lui, che subito abbassò lo sguardo su di me.
«…per avermi riempito la testa di false speranze. Avevo iniziato davvero a credere che…che in qualche modo…potessi piacergli».
I suoi occhi verdi tentarono di dirmi qualcosa, ma io gli diedi nuovamente le spalle, tornando a fissare Lou, che dal canto suo non aveva mai smesso di guardarmi con quella patetica aria colpevole dipinta sul viso.
«Ma a quanto pare non gli importo minimamente».
«Sai che non è così – tentò di dire – hai frainteso le mie parole, io…».
«No, io non credo. Ti interesso così tanto che non te importerebbe niente se andassi a letto con Harry o…o con qualunque altro essere vivente su questo pianeta», lo interruppi.
Louis contrasse nuovamente la mascella.
«Allora spiegami perché ieri sera me ne sono andato. Dimmi perché mi dava così fastidio vedere quello stronzo – e indicò Harry con un gesto della mano – che ti metteva la mani sul culo».
Feci per rispondere, ma con mia grande sorpresa mi resi conto che non potevo.
Farlo avrebbe significato ammettere di essermi sbagliata: Louis aveva ragione.
Perché avrebbe dovuto essere geloso di Harry se non provava niente per me?
«Io…».
«Vedi?», mormorò.
Lou mi sorrise a malapena, allungando le braccia verso di me.
La tentazione di accogliere il suo invito era grande, troppo, per la mia povera mente confusa. Il bisogno di stringerlo, di sentire il suo profumo mischiarsi col mio mi portò quasi a fare un passo avanti e a cedere alle mie debolezze.
Ma fui trattenuta da una forza invisibile.
Dentro di me qualcosa mi urlava che era meglio mantenere le distanze per il momento.
Le diedi retta.
Mi ritrovai a scuotere la testa e tornare nel camerino per afferrare i vestiti che avevo deciso di acquistare. I leggins li avrei direttamente tenuti su, non mi andava di perdere altro tempo per toglierli e infilarmi i pantaloncini.
Non volevo rimanere con quei due un secondo di più.
Avevo bisogno di prendere una boccata d’aria.
«Cosa fai?», esclamarono contemporaneamente.
«Ci vediamo più tardi in albergo», mi limitai a rispondere.
Poi, un attimo prima di girare l’angolo e dirigermi verso le cassa, mi voltai verso Harry: «Accetto l’invito», comunicai d’istinto .
Sul suo viso comparve un sorriso dolce, mentre su quello di Louis non scorsi altro che muto tormento.




«Scusa se ti ho portata via così, ma mi sentivo soffocare», mormorai, mentre con movimenti meccanici giravo il cucchiaino nel mio Starbucks.
Fissai la schiuma bianca mescolarsi con il marrone scuro del caffè e creare una patina beige sulla superficie della bevanda.
Rebekah, seduta davanti a me, giocava con una bustina di zucchero.
«Che gran casino che hai combinato», disse, distrattamente.
«Lo so. Sono un disastro».
Lei sospirò ed alzò il suo sguardo color ghiaccio su di me.
«Zayn mi ha detto che ha parlato con Louis ieri sera, prima che ci raggiungessero».
Drizzai la schiena, chiudendo le mani a coppa sul bicchiere il cartone. Scottava, ma non me ne fregai molto.
«E…?», la incitai.
«Lou gli ha detto che si sente confuso. Che ama Eleanor, ma che ti vuole più bene del previsto. Ha paura di perderti, Sammy, di ferirti».
Deglutii perché la mia gola si era seccata parecchio.
«Non voglio allontanarlo, così come non voglio che lui allontani me. Solo…cosa dovrei fare? So per certo di amare anche Harry e sinceramente sto iniziando a pensare che sia meglio per tutti e tre che io scelga la strada più facile. Lou non avrebbe problemi con El e io starei meglio con me stessa. Fa male da dire, ma Louis non tiene a me neanche la metà di quanto fa Hazz».
Bevvi un sorso del mio cappuccino, mentre Rebekah mi guardava pensando a cosa dirmi. Qualche minuto dopo allungò una mano ad afferrare la mia.
«Se senti che Harry è quello giusto per te…bè, ti auguro tutto il bene del mondo. Infondo è un bravo ragazzo», disse, sorridendomi.
Qualcosa nella sua voce però non mi convinse.
«Ma?», chiesi, preoccupata.
«Non arrenderti con Louis. Non farlo, se lo ami davvero».
«Perché, Bex? Lui non…».
«Harry potrebbe essere il meglio o il peggio per te, Sam. Louis…Louis è la tua anima gemella».
Scossi appena la testa, stringendo un po’ la presa sulla sua mano.
«Come fai a saperlo?».
«Tu non vedi quello che vedo io – mi spiegò, dolcemente – ma un giorno lo capirai da sola».
Lo spero, pensai, mentre annuivo e bevevo altri due sorsi di cappuccino bollente.
Era raro che Rebekah rimanesse così enigmatica su una risposta, ma quando succedeva era solo perché era certa che potessi arrivarci per conto mio. E io mi fidavo di lei più di qualsiasi altra persona.
Voltai il viso verso la vetrina del locale, guardando le macchine scorrere velocemente sull’ asfalto umido. Fuori pioveva ancora piuttosto forte e la temperatura si era abbassata di qualche grado.
Quella sera avrei dovuto coprirmi bene, se non volevo beccarmi uno stupido raffreddore.
Rimanemmo in silenzio a lungo, ad ascoltare il chiacchiericcio degli altri clienti e la musica che veniva trasmessa alla radio.
Passarono diverse canzoni che conoscevo, tra cui How to save a life dei The Fray, il gruppo preferito di Lou, e Viva la vida dei Coldplay, molto amati da Harold.
Ad un tratto, però, partì un pezzo che subito non riuscii a riconoscere.
Fu Bex a illuminarmi con il titolo.
«E’ In Bloom dei Nirvana – disse - Zayn me l’ha fatta ascoltare almeno una ventina di volte».
«Ah cavoli è vero. E’ bellino come pezzo, mi dispiace di non essere nata in tempo per vedere un loro concerto».
Rebekah scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
«Lascia perdere va! Mr. Malik lo ripete tutte le volte che ascolta un loro album. E i Beatles? Gesù, credo che venderebbe l’anima al diavolo pur di poter viaggiare nel tempo e vederli di persona!».
Risi anch’io, comprendendolo a pieno. I Beatles erano i Beatles, cavoli.
«Zayn canta ancora?», chiesi dopo un po’.
Lei sospirò, un po’ dispiaciuta. «Non spesso. Ed è un peccato, perché ha una voce bellissima».
«Perché non gli chiedi di cantarti qualcosa? Con Harry funzionava», dissi.
Sì, Harry cantava per me quando…bè, prima che succedesse tutto il casino. Aveva davvero talento, anche se non gli piaceva ammetterlo.
«Non lo so, non voglio forzarlo – sussurrò Bekah – sai, da quando suo padre gli ha detto di smetterla…non canta più molto volentieri».
Alzai gli occhi al cielo. Il padre di Zayn mi era sempre stato sul culo anche se lo conoscevo a malapena. Da quello che sapevo era un uomo piuttosto burbero e anche mentalmente chiuso. All’antica, se così si può dire.
«Dovrebbe fregarsene…è triste sprecare così un talento come il suo».
Bex annuì, spingendo via il contenitore del suo mocaccino, vuoto da parecchio tempo.
«Lo so. Magari riuscirò a farglielo capire un giorno. Oh, a proposito…stasera…quindi…».
«Sì – sorrisi, intuendo la sua domanda – esco con Harry e ti lascio la stanza libera. Basta che non lo fate sul mio letto!».
Fu divertente vederla arrossire appena.
«Andiamo?», mi chiese, ignorando la mia provocazione.
«Va bene, cherì. Vado a pagare», dissi, facendole l’occhiolino.
Lei ricambiò con una linguaccia
 

Pov Louis
 

“Ti amo Lou – mi aveva detto Eleanor al telefono – e mi manchi. Quando torni potremmo andare a prenderci qualcosa da Starbucks, così passiamo un po’ di tempo insieme. Ah, e se hai voglia vorrei anche andare a prenotare quel viaggio a Berlino che avevamo programmato per luglio…».
Ti amo, mi manchi. Sempre le stesse parole.
Non mettevo in dubbio che fossero sincere, ma gli ultimi avvenimenti mi avevano fatto rendere conto di quanto mi ci fossi abituato, su quanto alle mie orecchie suonassero semplici frasi di routine.
Il che non poteva essere una cosa positiva, no?
Per questo motivo ci avevo messo un paio di secondi a risponderle. Perché volevo dire qualcosa di diverso, volevo spezzare quel circolo vizioso.
Fu complicato.
«Perché invece non andiamo a cena da qualche parte? Abbiamo bisogno di parlare un po’…».
«Parlare? C’è qualcosa che non va?», si era affrettata a chiedermi lei, preoccupata.
«No, tranquilla - avevo mentito- E’ solo che non ci vediamo da un pezzo e devo raccontarti tante cose, amore».
Mi ero sentito in colpa. Mi sentivo in colpa. Tra noi non avrebbero dovuto esserci segreti, eppure io le stavo nascondendo tutta la mia confusione riguardo a Samantha. Era la cosa più saggia, certo, ma faceva male.
La stavo prendendo in giro, ed El non lo meritava affatto.
Avevo chiuso la telefonata ricambiando il suo “Ti amo” con tutta la tranquillità che potevo, nonostante mi sentissi lo stomaco sottosopra e la mente da un’altra parte: mi era quasi impossibile non pensare al disagio con cui Sam si era rivolta a me mentre eravamo al negozio.
Sapevo che in parte era dovuto anche alla presenza di Hazza, ma era stato comunque strano e per niente piacevole. Tra noi non c’era mai stato imbarazzo, nemmeno il giorno in cui ci eravamo conosciuti.
Quel terribile senso di distacco mi preoccupava quasi più della sua imminente uscita con Harry.
Sentivo che dovevo fare qualcosa, prima che fosse stato troppo tardi, ma cosa?
Come potevo evitare di perderla se non potevo accontentarla?
E come potevo restare a guardare, mentre il mi veniva portata via?
Rimasi a pensarci a lungo, sdraiato sul mio letto, mentre fuori il sole tramontava e la paura della solitudine premeva su di me come un macigno invisibile.

*Spazio Autrice*

Buondì bellezze! :) Scusate se pubblico il capitolo a quest'ora, ma oggi sono uscita con il mio ragazzo.
Allora...non ho da dire molto, se non che nel capitolo 13 vi stupirò con qualcosa di sconvolgente ;)
Ringrazio tantissimo le 5 ragazze che hanno recensito l' episodio precedente e anche tutte le lettrici silenziose. Le visualizzazioni al primo capitolo sono arrivate a 1000 e io sono felicissima :D Grazie, grazie, grazie!
Ora scappo a cena, perdonatemi.
Un bacione!

P.s Alcune di voi mi hanno suggerito di adottare questa tattica, quindi...aggiorno ad almeno 8 recensioni :)
A presto!

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Capitolo 12
*** I promise you, Boo ***


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12I promise you, Boo



«Hai mal di testa? Vuoi che ti dia un’altra aspirina? Però non so quante ne puoi prendere…anzi, non so neanche dove ho messo il foglio illustrativo, porca miseria…».
Panico. Panico totale.
Rebekah se ne stava là, sdraiata mollemente sul suo letto, con gli occhi lucidi e una smorfia di dolore dipinta sulle labbra.
Aveva incominciato a stare male subito dopo essere rientrate in albergo, verso le cinque del pomeriggio. Erano passate due ore e la situazione non era migliorata per niente, anzi.
Non sapevo più cosa fare. Odiavo vederla in quello stato e non poter fare niente.
«Sei sicura che non ti debbano venire le tue cose?», le chiesi, disperata.
«Non sono crampi da mestruazioni, Sam. Forse…forse ho preso freddo stamattina o mangiato qualcosa che mi ha fatto male…».
Mi passai una mano tra i capelli e andai ad inginocchiarmi per terra, accanto al suo letto.
«Non so, cosa faccio? Chiamo Zayn?».
Lei scosse la testa, per poi rannicchiarsi su un fianco. Strinse le braccia attorno al corpo, appena sotto le costole.
«Sono le sette, saranno qui a momenti…- disse, ad occhi chiusi – e poi è meglio che non si avvicini, se è influenza rischio di attaccargliela».
Influenza.
Un campanello d’allarme prese a suonare nella mia testa.
«Oddio, e se è un residuo di quel virus intestinale che girava a scuola due settimane fa? Io l’ho preso, ricordi?».
«Oh, cazzo – piagnucolò lei – ci mancava questa!».
«Se ho ragione l’unica cosa che puoi fare è bere cose calde, prendere il paracetamolo e startene a letto. Io ci ho messo quattro giorni a riprendermi…ma stavo anche molto peggio. Tu non hai ancora vomitato, il che è positivo…», iniziai, ma Bekah mi bloccò con un gesto della mano.
«Ho lo stomaco sottosopra, non parlare di vomito!», esclamò, mentre affondava il viso nel cuscino.
«Scusa», sussurrai, dispiaciuta.
Proprio mentre stavo per alzarmi e rimboccarle le coperte il cellulare prese a vibrarmi in tasca, con prepotenza. Lo recuperai e accettai la chiamata senza guardare chi fosse il mittente.
«Pronto?», dissi, continuando a fissare la mia amica.
«Sono Harry – mi comunicò una voce roca dall’altra parte del telefono – dove siete?».
«In albergo, già da un paio d’ore. State arrivando?».
«Veramente abbiamo trovato una specie di ristorante Thailandese e avevamo pensato di fermarci qui. Ci raggiungete? E’ vicino a…».
Scossi la testa. «No Harry, Rebekah non sta bene. Penso abbia preso un virus o qualcosa del genere».
Ci fu un attimo di silenzio.
«Vuoi che torniamo? Casomai cerchiamo una farmacia e…».
Lanciai un’occhiata interrogativa a Rebekah, ma lei scosse la testa. «No – dissi, comunicando l’ordine – voi…voi mangiate pure con calma».
«Se vuoi andare con loro vai, Sam. Dovevi uscire con lui stasera», sussurrò Bex, per non farsi sentire da Styles.
Questa volta fu il mio turno di dire no. Non l’avrei lasciata sola.
«Forse è meglio che rimandiamo…sai…stasera», mormorai.
Sentii un sospiro.
«Va bene. Ci vediamo più tardi allora. Fammi sapere se avete bisogno di qualcosa, okay?».
«Certo – sorrisi – a dopo».
«A dopo», fece Harry, prima di riattaccare.
Bekah mi guardò con disappunto, i suoi occhi azzurri sembrano quasi intrisi di senso di colpa.
Le diedi un piccolo buffetto su un braccio.
«Non ti mollo così, scema. Che razza di amica sarei?».
Bex fece per ribattere, ma poi si bloccò, colta dall’ennesimo crampo. Le accarezzai una spalla, preoccupata.
«Grazie», la sentii sussurrare, un secondo prima di serrare gli occhi per il dolore.



 
Erano passate quasi tre ore quando il mio cellulare vibrò per la seconda volta nella serata. Il primo messaggio mi era stato mandato da Harry e diceva che, se non avevamo nulla in contrario, dopo cena si sarebbero fermati un altro po’ sul lungomare perché a quanto pare c’era un tributo ai Pink Floyd che nessuno di loro aveva intenzione di perdersi.
L’ultimo invece – lessi con mia grande sorpresa – era da parte di Louis.
Prima di aprirlo lanciai un’occhiata al corpo immobile di Rebekah, che ormai dormiva tranquillamente rannicchiata su un fianco.
Nonostante i dolori era riuscita ad addormentarsi, per fortuna.
Sospirai, tornando a puntare lo sguardo sullo schermo del cellulare.
 
Da: Lou :)
Hey. Come sta Rebekah? 
21:4027 maggio
 
Digitai la risposta in fretta, senza inserire neanche uno smile: ce l’avevo ancora con lui nonostante avessi sbollito gran parte della rabbia.
E poi un po’ di freddezza non gli avrebbe fatto male, anzi, forse lo avrebbe aiutato a comprendere i propri errori.
 
 A: Lou :)
Dorme, ma sono sicura che domani mattina andrà meglio. Come procede la serata?
21:41, 27 maggio
 
Il telefono squillò a distanza di pochi minuti.
 
Da: Lou :)
Suonano bene, ma fa davvero troppo caldo. Io e Zayn ci stiamo bevendo una birra. Hai cenato?
21:43, 27 maggio
 

A: Lou :)
Sì, sono andata a prendermi un kebab qui vicino. Harry?
21:44, 27 maggio
 
Inviai il messaggio mordendomi il labbro inferiore, certa che quella domanda lo avrebbe turbato.
La sua risposta, infatti, non fu pronta come le altre. Passò un po’ prima che Louis si decidesse a scrivermi.
 
Da: Lou :)
L’ho visto poco fa. Era con una ragazza bionda piuttosto carina. Lo stava trascinando in mezzo alla folla.
21:48, 27 maggio
 

Aggrottai le sopracciglia, presa in contropiede.
Harry, sibilò la mia mente.
Ragazza.
Folla.
Piuttosto carina.
 
A: Lou :)
Louis…
21:49, 27 maggio
 
Da: Lou :)
Non sto scherzando. Puoi chiederlo anche a Zayn.
21:50, 27 maggio
 
Stavo per farlo davvero, quando il cellulare mi vibrò tra le mani.
Aprii l’ennesimo sms quasi con impazienza.
 
Da: Zayn
Confermo. Questa tipa è arrivata, gli ha sorriso e se l’è portato via. Harry sembrava divertito.
21:52, 27 maggio
 
Non so cosa mi portò a reagire così, ma all’improvviso lanciai il telefono verso il fondo del letto, dove rimbalzò e ricadde a faccia in giù. Lo sentii vibrare ancora, ma non mi mossi per recuperarlo.
Sentivo una strana morsa chiudermi la gola.
A quanto pare il tuo principe azzurro ha trovato compagnia, mi schernì la mia coscienza.
Cercai di scacciare quella vocina stridula ed invadente, ma era difficile.
Lasciai che passasse un’altra manciata di minuti prima di costringere il mio braccio destro ad allungarsi e ad afferrare il cellulare.
 
Da: Zayn
Qualunque cosa Louis ti dica…non prenderla troppo sul serio. Ce l’ha a morte con Harry e credo che stia cercando di mettergli i bastoni tra le ruote. Sai…per ripicca. Anche se non lo ammetterà mai, gli ha dato davvero fastidio che Styles ti abbia invitata ad uscire.
22:08, 27 maggio
 
A: Zayn
D’accordo. Tieni d’occhio Harry per favore…mi fido di lui, ma non si sa mai.
22:10, 27 maggio
 
La risposta di Malik mi lasciò piuttosto interdetta.
 
Da: Zayn
Hai già scelto, non è così?
22:11, 27 maggio
 
A: Zayn
Sto solo valutando cosa sia più giusto per me. E alla luce di quello che sono venuta a sapere oggi…forse dovrei lasciar perdere Louis.
22:14, 27 maggio
 
Da: Zayn
Quel coglione si sta facendo scappare una ragazza stupenda, e la cosa che più triste è che non se ne rende conto. Tutto perché ha paura di lasciare quella frigida della Calder…
22:17, 27 maggio
 

A: Zayn
Ti ringrazio, ma forse è meglio così. Infondo si vogliono bene, non vale la pena di rovinare tutto a causa mia.
22:19, 27 maggio
 
Attesi qualche minuto, fissando il telefono con lo sguardo vuoto i chi non ha più voglia di discutere. Ed infondo era così. Ero stanca, stanca di ripetere sempre le stesse cose, a loro e a me stessa.
Lou era un ragazzo impegnato e innamorato della propria ragazza da molto più tempo di quanto noi due ci conoscessimo.
Era egoistico pretendere che per qualche assurdo motivo lui la lasciasse per me, l’amica sfigata e di tre anni più piccola.
Io l’avevo capito, ma loro? Zayn, Rebekah e Harry se ne erano resi conto?
A quanto pare no, visto che cercavano in continuazione di non farmi desistere.
 
Da: Zayn
TU ne vali la pena, babe. Credimi. E poi tra qualche mese si sarebbero lasciati comunque…da quanto ne so non scopano neanche più.
22:28, 27 maggio
 
Sospirai rumorosamente.
Dio, la sola idea di Lou a letto con lei  mi metteva il voltastomaco.
 

Pov Harry

 
«Non fraintendermi – urlai all’orecchio della bionda davanti a me – sei una bellissima ragazza e ti ringrazio per avermi regalato le tue attenzioni, ma è meglio che la tronchiamo qui, prima che la cosa si faccia imbarazzante».
Lei non capì. Lo vidi dal luccichio confuso e allo stesso tempo intristito del suo sguardo color mare.
Le sue piccole mani si aggrapparono al tessuto bianco della mia maglietta, proprio sopra i fianchi. Il suo viso si riavvicinò pericolosamente al mio.
«Ho fatto qualcosa che non va?», mi chiese, preoccupata.
Scossi la testa. «No, figurati. È che…sono impegnato, ecco».
«Oh! – esclamò lei, mollando la presa su di me come se si fosse scottata – oh merda, scusami. Credevo…».
Le sorrisi, cercando di farle capire che era tutto okay.
«Tranquilla. Anzi, ti ringrazio di avermi portato qui, la musica si sente da Dio».
Veronica annuì, tendendo leggermente le labbra in un sorrisino insicuro.
«Peccato – aggiunse subito dopo – sei molto carino, Harry. La tua ragazza deve essere proprio fortunata».
La mia ragazza. Sam non era la mia ragazza.
Non ancora.
Eppure, nella mia testa, lei mi apparteneva. Era diventata mia nel momento stesso in cui mi aveva confessato di amarmi ancora.
Sospirai, mentre attorno a me la folla si accalcava e saltava a ritmo di musica.
«Ti presenterei i miei amici, ma sono già tutti impegnati. Ti auguro di riuscire a trovare un ragazzo degno delle tue attenzioni, Veronica».
La congedai così, con una carezza sul viso e un ultimo sguardo rassicurante.
Lei accolse tutto con straordinaria serenità, nonostante la delusione che leggevo chiaramente sul suo viso.
Quando finalmente riuscii ad uscire dalla folla di ragazzi urlanti che mi circondava, aguzzai la vista per cercare Zayn e Lou.
Li individuai vicino a uno dei tanti chioschi sulla spiaggia, mentre sorseggiavano i loro bicchieri di birra pieni fino all’orlo.
Ci misi qualche minuto a raggiungerli, abbandonando l’asfalto per camminare sulla distesa di sabbia grigia che mi si parava davanti.
«Buonasera – ammiccò Zayn non appena mi vide – Dov’è la biondina?».
Louis, che se ne stava comodamente appoggiato al ripiano in legno del bancone, alzò un sopracciglio con aria interrogativa.
Dopo la piccola scenata di quel pomeriggio non avevo più parlato con lui, né avevo intenzione di farlo in quel momento, visto il suo atteggiamento chiaramente ostile.
Gli volevo ancora bene, naturalmente, ma lo conoscevo da abbastanza tempo da sapere quando era il caso di stargli alla larga.
«Abbiamo ballato un po’, ma poi ha cercato di baciarmi», risposi, fissando le iridi scure di Malik.
«E tu?», chiese di rimando, sinceramente interessato.
Sapevo di avere lo sguardo di Louis addosso per cui mi affrettai ad alzare le spalle con non curanza.
«L’ho scaricata, ovviamente».
Zayn aggrottò teatralmente le sopracciglia, in un’espressione sorpresa.
«Harry Styles che rifiuta una ragazza? Che novità è questa?».
«Già, come mai ti sei tirato indietro, Styles? Quella ci sarebbe stata alla grande», s’intromise Lou, con l’evidente intento di innervosirmi.
Ma non ottenne niente, se non un sorrisetto malizioso.
«I tempi da bad boy sono finiti, ragazzi. E poi ho già adocchiato la mia preda».
Trenta secondi. Passarono trenta secondi prima che le iridi color cobalto di Louis William Tomlinson incatenassero le mie in un’occhiata di gelido disprezzo.
Lo guardai mentre prendeva un paio di sorsi dal suo bicchiere di plastica, per poi posarlo con delicatezza sul bancone.
«Quindi Sam è questo per te? Un’altra vittima da aggiungere alla lista?», mi chiese, con tono freddo.
Con la coda dell’occhio vidi Zayn afferrare Lou per un braccio e stringere la presa in segno di ammonimento.
«Vedo che il tuo senso dell’umorismo è andato a farsi fottere», commentai con tranquillità.
«Avanti, potrai anche essere innamorato di lei, ma in realtà tutto quello che vuoi è portartela a letto. Credi di poterci riuscire perché Sam è in un momento fragile della sua vita, ma…».
Feci un passo avanti, sovrastando Louis grazie alla mia altezza. Non avevo intenzione di litigare nuovamente con lui, né di beccarmi un altro pugno, ma quello era troppo. Aveva davvero passato il segno.
«Ma ti stai ascoltando, Boo? Riesci a sentire le cazzate che dici?», sibilai infastidito.
«Ragazzi…», intervenne Zayn, severo.
Lou strattonò finalmente il braccio, liberandosi dalla sua presa.
«Tu non puoi portarmela via, hai capito? Non puoi allontanarla da me!», sbottò poi, come un pazzo.
«Ma se stai facendo tutto da solo! – esclamai - Non te ne rendi conto?! La stai spingendo direttamente tra le mie braccia, cazzo!».
Con lo sguardo cercai l’approvazione di Zayn, che annuì all’istante.
«E’ vero, Louis – gli disse, posandogli una mano sulla spalla – è così».
Tomlinson scosse la testa, voltando poi la testa in direzione del mare. Aveva serrato le mani a pugno, così forte che vidi le sue nocche sbiancare.
Per un momento provai pena per lui. Il caos che aveva dentro era quasi visibile ad occhio nudo.
«Fanculo! – sibilò subito dopo – non…non ne posso più, Cristo santo!».
Mi mossi anch’io, sfiorandogli un braccio per richiamare la sua attenzione.
«Non voglio farti ammattire, Lou – confessai, cancellando ogni traccia di durezza dalla mia voce - Non voglio litigare con te per una ragazza. La amo, porca puttana, la amo da morire, ma io ho già avuto la mia occasione e l’ho buttata via nel peggiore dei modi. So di non essere la persona giusta per lei, ed è per questo che sono disposto a farmi da parte e a lasciartela. Lei tiene così tanto a te che…mentirei se dicessi che non m’importa. Voglio solo che sia felice e desidero che anche tu lo sia, perché ne hai bisogno, Lou. Tu non sei felice con Eleanor e non sei felice senza Sam al tuo fianco. Perché non riesci a capirlo?».
Zayn si morse un labbro, colpito da ciò che avevo appena detto. Del resto anch’io ero rimasto piuttosto sorpreso: non ero mai stato bravo con le parole.
E quando Louis si voltò, tornando a guardarmi, capii di aver fatto centro.
«Neanch’io voglio litigare con te, Hazza…», sussurrò.
Annuii, sorridendo a malapena. Stava cercando di dirmi che gli dispiaceva e la cosa era reciproca. Noi due non eravamo fatti per portarci rancore a vicenda.
«Ma…Dio, come posso…come faccio…a darti retta? – aggiunse lui ad un tratto, passandosi con fare disperato una mano tra i capelli castani - E se dopo tutto questo casino scoprissimo che io e Sam non siamo fatti per stare insieme? Se andasse tutto a puttane nel giro di un mese? Allora a cosa sarebbe servito rinunciare alla mia relazione con El, alla mia amicizia con te e a quella con Samantha? Cose del genere non possono essere recuperate, una volta distrutte, Harry. E io non mi sento abbastanza forte per lasciarle andare così».
OhLou.
Fu tutto quello che riuscii a pensare dopo aver ascoltato quelle parole.
Era questo, quindi, ciò che lo spaventava? Era questo che lo faceva titubare in quel modo?
Le mie labbra si schiusero per lo sgomento.
Ma durò solo un secondo.
«E se invece andasse bene? – ribattei deciso – e se invece scoprissimo che siete fatti l’uno per l’altra? Ci hai mai pensato a questo?».
No. Non l’aveva fatto.
Lo capii dal suo sguardo spaesato, confuso. Lo capii dal modo in cui chinò la testa, sconfitto.
«Ho bisogno di rifletterci un altro po’», si limitò a rispondere, dopo qualche lunghissimo minuto.
«Ma Harry – aggiunse subito dopo, guardandomi direttamente negli occhi – promettimi che cercherai di restarmi amico. Qualunque cosa accada».
Non mi era mai capitato di sentire un groppo tanto fastidioso chiudermi la gola. Mai, prima di allora.
Fu strano, almeno quanto rendermi conto di essere sul punto di commuovermi.
Deglutii, ricacciando indietro quelle stupide e insensate lacrime.
 «Te lo prometto, Boo», dissi non appena mi fu possibile.
E sotto lo sguardo di Zayn mi chinai su di lui per stringerlo in un abbraccio fraterno; un abbraccio che sancì ufficialmente quell’ infantile promessa.


Sam

 
Mi ero appisolata solo da qualche istante quando sentii dei colpi decisi infrangersi contro la porta. Sbattei gli occhi, stiracchiandomi appena.
La sveglia sul comodino alla mia destra segnava l’una e mezza di notte; le lancette fluorescenti mandavano un bagliore giallastro nel buio.
Mi alzai del letto a malincuore, per andare ad aprire.
Non ebbi neanche il tempo di chiedermi chi avrei trovato dietro la porta, perché il viso amichevole di Zayn mi si parò davanti in tutto il suo splendore.
«Hey», sussurrai, ricambiando il suo sorriso.
«Hey. Sono passato a vedere come sta Bex. Dorme ancora?», mi chiese, appoggiandosi allo stipite in legno scuro.
Annuii. «Era molto stanca».
«Anche tu, a quanto vedo. Ti ho svegliata?».
Increspai appena le sopracciglia, non preparata a una domanda che mi riguardasse.
«Sì, ma mi ero addormentata da poco – risposi, dondolandomi sui talloni – I…i ragazzi sono già andati a letto?».
«Penso proprio di sì. Anzi, mi sorprenderei se fossero ancora svegli…».
«Dimmi che non hanno litigato di nuovo».
Zayn sospirò, contraendo solo per un momento la mascella.
«A dir la verità non sono sicuro di cosa sia successo stasera. All’inizio sembrava che dovessero pestarsi a sangue, ma poi…beh, credo proprio che abbiano fatto pace», spiegò, accennando un sorriso.
Il mio cuore si alleggerì di almeno mezza tonnellata nell’udire quelle parole.
Pace? Quei due avevano fatto pace?
Com’era possibile?
«Hai sonno, Malik?», domandai di punto in bianco, fissando i suoi ipnotici occhi castani.
Il ragazzo scosse la testa. «Nah, è ancora troppo presto per i miei standard – ripose, con il suo solito tono da bad boy – Perché?».
«Niente, volevo sapere se di andrebbe di parlare un po’…».
«Vuoi sapere cosa si sono detti?».
Mi affrettai ad annuire. Zayn piegò la testa di lato, come se stesse seriamente valutando la mia proposta.
«D’accordo. Ma forse è meglio che ci andiamo a sedere da qualche parte, non credi?», propose.
«Il tetto – annunciai, soddisfatta – ci sono delle sdraio e anche qualche tavolino…».
«E magari potremmo portarci anche qualcosa da bere…sai, c’è molto da dire».
Capii al volo cosa intendeva. La mia mente focalizzò subito le bottiglie di vodka che Lou aveva nascosto in cima all’armadio.
«Louis ci ucciderà…», sussurrai, più a me stessa che a lui.
Tutto ciò che ottenni in risposta fu un sorrisino strafottente da parte di 
Zayn.




*Spazio autrice*


Buongiorno bellezze! Lo so, sono in ritardo, ma in questi giorni internet non ne voleva sapere di funzionare e non ho potuto pubblicare prima. 
Questo capitolo è abbastanza schifoso anche perché, avendo avuto un altro piccolo blocco dello scrittore, ho fatto una fatica assurda a scriverlo. Spero che riuscirò a farmi perdonare con il prossimo :)
La parte degli sms è davvero penosa :')
Ma passando ad atro...9 recensioni? Mi avete davvero lasciato 9 recensioni allo scorso capitolo? *-* Ommaigad, sono la persona più felice sulla faccia della terra! Non avete idea di quanto sia gratificante e utile per me leggere i vostri pareri, soprattutto perché vorrei migliorare il più possibile in vista di un'altra fanfiction che ho in mente di pubblicare quest'inverno. Per ora posso solo accennarvi che i protagonisti saranno Harry, Zayn e (credo) Liam. 
Ho già scritto il prologo e mi reputo abbastanza soddisfatta :)
Beh, che altro dire? Stiamo per entrare nel vivo della storia, mie care. "E finalmente!" penserete voi. Avete ragione: fin'ora vi ho snocciolato solo capitoli noiosi e privi di azione. Mi dispiace D:
Sono proprio curiosa di sapere come reagirete ai prossimi "episodi" ahah.
Ora levo il disturbo :D Mando bacione a tutte voi. Vi amo.
Alice.

P.s. Come al solito vi chiedo di fermarvi un attimo a lasciarmi un commentino, in caso la fanfic vi piacesse. *Si mette in ginocchio e vi guarda con occhioni imploranti*. Grazie :3

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Capitolo 13
*** We shouldn't. Yes, we shouldn't. ***


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13
. We shouldn't.
Yes, we shouldn't.



«Sei stata grande, cazzo. Silenziosa come un gatto».
Zayn alzò una mano per invitarmi a battergli il cinque, cosa che feci, accompagnando il tutto con una sana risatina compiaciuta.
Subito dopo gli passai la bottiglia di Vodka alla fragola che ero riuscita a recuperare dall’armadio con estrema facilità, nonostante la paura di svegliare Harry e Lou.
Lui ne esaminò l’etichetta, sorrise e iniziò immediatamente a rimuovere l’involucro di plastica che ne avvolgeva il tappo.
«Dai, fammi strada. Non sono mai stato sul tetto», disse, facendomi segno con la mano libera di passare avanti.
Lo superai, percorrendo il lungo corridoio davanti a noi fino a raggiungere l’ascensore. Spinsi il pulsante verde e qualche secondo dopo le porte in metallo si aprirono, permettendoci di entrare.
Questa volta schiacciai il tasto numero sei sul quadrante alla mia destra e mi voltai verso Zayn, che nel frattempo si era appoggiato ad una delle pareti dell’abitacolo e aveva svitato il tappo della bottiglia. Mi fece l’occhiolino e mandò giù un sorso di liquore.
«Vuoi?», mi chiese, allungandomi impercettibilmente la bottiglia.
«Non reggo molto bene l’alcool. Per ora è meglio che non beva», risposi.
Lui fece spallucce. «Come vuoi. Basta che non mi lasci ubriacare da solo come un barbone».
«Ho detto “per ora”, Zayn. Tranquillo», ribattei, con un’occhiata d’intesa.
Qualche secondo dopo le porte dell’ascensore si aprirono sull’ampia terrazza dell’albergo. L’ambiente era illuminato solamente dalle luci degli altri edifici e dall’insegna luminosa del Brighton Pier, che troneggiava maestoso a poco più di cento metri da noi. Rimasi un attimo a guardarmi attorno, a godermi a pieno l’aria fresca che circolava lassù.
Zayn mi superò senza troppi complimenti, afferrandomi una mano per trascinarmi con sé.
«Vieni», disse.
Lasciai che mi guidasse fino ad una specie di gazebo bianco, probabilmente usato in caso di cerimonie all’aperto. Sotto di esso, in un angolo, c’erano impilati dei lettini bianchi, in plastica. Ne sistemammo due proprio davanti alla ringhiera che delimitava il perimetro del tetto.
«Come si sta bene qui – sospirai, prendendo una lunga boccata d’aria – è così silenzioso».
Malik annuì, sedendosi sulla sua sdraio, in modo da potermi guardare negli occhi. Lo guardai bere un altro sorso di vodka e poi appoggiare la bottiglia a terra, sulle mattonelle in pietra grigia.
«Non sai cosa darei per avere un posto del genere a casa nostra. Ogni tanto un po’ di tranquillità è d’obbligo», aggiunse, sorprendendomi.
«Cosa? – chiesi, sarcastica – da quando in qua ti piace la tranquillità?».
Lui mi guardò con un’espressione di finta indignazione. «Solo perché amo divertirmi non vuol dire che non senta mai il bisogno di rilassarmi».
«Se lo dici tu».
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo solo per un istante: quando tornò a guardarmi la sua espressione era piuttosto concentrata.
«Allora, babe…che vuoi sapere esattamente?», domandò.
Cosa volevo sapere? Non ne avevo idea. Tutto ciò che riguardava Harry e Louis era importante, soprattutto se in qualche modo c’ero di mezzo io.
«Tutto», risposi infatti, senza alcuna esitazione.
«Mmmh. Vediamo…la ragazza. Partiamo da lei – iniziò, appoggiando le braccia tatuate alle ginocchia – Devo ammettere che era davvero una strafiga. Tipo Bex, ma…come dire…un po’ più sfacciata. Aveva puntato Hazza già da un po’ a dir la verità, ma non si è avvicinata finché io e Lou non ce ne siamo andati per prendere da bere. Non ho visto gran che, ma sai com’è fatto Harry, non declina mai inviti del genere». Si interruppe per farmi un occhiolino, poi riprese.
«Fatto sta che sono spariti per quasi venti minuti. Quando è tornato da noi la tipa non c’era più. Ovviamente gli ho chiesto che fine aveva fatto e lui mi ha risposto che aveva provato a baciarlo e che quindi l’aveva scaricata. Non puoi capire quanto ci sono rimasto. Cioè…non ho mai visto Harry rinunciare ad una scopata sicura. Anzi, devo ancora capire perché all’inizio le ha dato corda, visto che non aveva intenzione di farci niente».
Pronunciando le ultime parole Zayn aggrottò lievemente le sopracciglia scure.
Parve rifletterci per un momento, ma poi gettò la spugna.
«Beh, è a questo punto che Louis ha deciso di fare lo stronzo. Fino a quel momento era rimasto piuttosto zitto, ma insomma…la tensione si sentiva chiaramente…».
«Cos’ha detto?», chiesi, temendo il peggio.
«Niente di che, ha tentato di provocarlo. All’inizio Harry gli ha tenuto testa, ma poi ha perso la pazienza. Giustamente, aggiungerei. Tomlinson sa proprio come farti girare i coglioni quando ci si mette!».
Alzai un sopracciglio, per niente soddisfatta da quella risposta. Non mi piacevano le cose vaghe, io volevo i dettagli. Volevo essere a conoscenza di ogni singolo dialogo, per quanto possibile.
Zayn mi guardò fisso per un po’, dapprima non capendo, poi rifiutandosi di parlare. Alla fine fu costretto ad arrendersi alle occhiate minacciose che gli stavo lanciando.
«Ha dato un po’ di matto, okay? Ha accusato Harry di volerti allontanare da lui, di volerti portare a letto. Insomma, si è arrampicato un po’ sugli specchi. Mi ha fatto un po’ pena, sinceramente. E’ davvero molto confuso e frustrato».
«Harry non vuole allontanarmi da lui! – replicai immediatamente - Harry vuole aiutarmi. Quello che è successo da H&M era solo una bufala…quando mi ha chiesto di uscire…l’ha fatto solo per vedere se Lou avrebbe reagito. E così è stato. Louis se l’è presa, ma evidentemente ha frainteso tutto…».
La mia voce si affievolì notevolmente sulle ultime parole, tanto che fui costretta a riprendere fiato.
«Harry voleva solo aiutarmi», ripetei in fine fissandomi i piedi.
Ad un tratto sentii una mano di Zayn afferrare la mia. La sua stretta mi costrinse a tornare a guardarlo.
«Ci sta provando, Sam – mi disse, annuendo impercettibilmente – vuole davvero che le cose tra te e Lou vadano nel migliore dei modi. Sia perché è innamorato di te, sia perché non si sente ancora in pace con se stesso per come ti ha tratta due anni fa. Ma io non credo che quell’invito fosse solo una messa in scena. Lui mi ha raccontato della promessa che ti ha fatto*, sai? E credimi se ti dico che sta facendo un’enorme fatica per non mandare tutto a fanculo. Sta andando contro ai suoi interessi per far stare bene te, sta reprimendo i suoi sentimenti per aiutarti in questa cosa. E non è un bene, Samantha».
Fissai i suoi occhi senza nascondere nessuna traccia di preoccupazione.
Nel profondo anch’io ero arrivata a pensare quelle cose, ma sentirmelo dire da un’altra persona, una persona esterna alla faccenda, era tutta un’altra storia.
Rendeva quei timori meno infondati, concretizzandoli in modo quasi inquietante.
«E cosa dovrei fare io? – sussurrai, nel panico – che potere ho io in tutto questo? Finché Louis non…».
«Louis ti vuole, Sam. Si sta trattenendo solo perché ha paura dell’ignoto, di ciò che non conosce. E’ mio amico da quasi tutta la vita e so quanto i cambiamenti lo spaventino. Deve solo trovare il coraggio di buttarsi e rischiare…».
«Ed Harry?».
«Se la caverà. E’ più forte di Louis sotto questo punto di vista».
Zayn non mi diede il tempo di fargli altre domande. Allungò le braccia, afferrò le mie e mi fece spostare, portandomi a sedere accanto a lui.
Il suo braccio sinistro mi circondò le spalle, mentre l’altro aveva già recuperato la bottiglia di vodka ancora piena.
Con essa mi indicò la scena magica che si estendeva davanti a noi, oltre la ringhiera in ferro della terrazza. Le luci colorate di Brighton brillavano nel buio come piccole stelle. Stelle che si trovavano anche sopra di noi, brillando in un cielo privo di nuvole.
«Dammi retta – disse, mentre insieme guardavamo l’orizzonte – tutto si risolverà. Ma adesso lascia perdere per un momento tutte queste stronzate e goditi la serata. C’è il mondo ai tuoi piedi, sei giovane, sei in vacanza. Manda a quel paese tutto il resto e libera la mente».
«Ma Zayn…come faccio a non pensare a loro?».
«Bevi», disse semplicemente, porgendomi la bottiglia.
«Non è un modo molto corretto di sfuggire alle situazioni difficili…», iniziai a dire, ma lui mi diede una piccola pacca sulla spalla.
«Piantala, scema – mi ammonì, ridendo - Abbandona per una volta i panni della brava ragazza e divertiti».
Divertirmi?
Potevo davvero divertirmi alle spalle di due persone che soffrivano a causa mia?
Guardai la Vodka e poi Zayn. Nel vedere la mia titubanza il ragazzo mi sorrise con fare incoraggiante, appoggiando la bottiglia alle mie ginocchia.
«Avanti, babe – sussurrò, con fare persuasivo - Non farà male a nessuno staccare la spina per un po’».
Forse ha ragione, pensai.
Fu una frase fugace, intrisa di vergogna.
Eppure, chissà come, mi aiutò a rompere il guscio di moralismo e sensi di colpa che mi ero costruita attorno.
Ci pensai ancora un attimo, ma alla fine decisi che fanculo, se la vita di Zayn era tanto perfetta un motivo ci sarà stato: lui sapeva come godersela.
L’aveva insegnato a Rebekah, l’aveva salvata da un’adolescenza di depressione e seghe mentali, e ora stava cercando di fare lo stesso con me.
Quindi perché non accettare i suoi consigli?
Inspirai a fondo e poi, con un gesto che di indeciso non aveva più nulla, chiusi la mano sul collo della bottiglia di vetro.
«D’accordo – aggiunsi poi, ricambiando il suo sorriso mozzafiato – divertiamoci, Signor Malik».




Fui risvegliata da una luce giallastra e calda che mi attraversava le palpebre, ferendomi gli occhi e provocandomi terribili fitte al cervello ancora intorpidito dal sonno e dall’alcool.
Con un movimento dettato dall’esasperazione mi girai su un fianco, tentando di ripararmi il viso da quella tortura.
Ma prima che potessi scivolare nuovamente tra le braccia di morfeo, nella mia testa scattò un campanello dall’arme: nel giro di un secondo mi ritrovai seduta, con gli occhi spalancati e una sensazione di nausea che mi pervadeva ogni singola parte del corpo.
Ci misi un attimo a ricordare, a capire dove mi trovassi e soprattutto perché.
Tutto divenne più chiaro nel momento in cui il mio sguardo si posò sul corpo abbronzato e mezzo nudo che giaceva accanto a me. Attorno a noi scarpe, magliette, pantaloncini…un reggiseno.
Dalle mie labbra insolitamente gonfie provenne un gemito strozzato.
No, sussurrai a stento dentro di me.
Non era vero.
Balzai in piedi, iniziando a raccattare quei vestiti come una pazza, ignorando il mal di testa, le vertigini, l’impellente bisogno di vomitare. Ignorando le brevi e ravvicinate scariche di dolore che mi attraversavano il bassoventre, coperto solamente dalle mie mutandine nere.
Indossai il reggiseno con movimenti meccanici e poco delicati, poi infilai anche i Jeans e la mia canottiera azzurra.
Solo quando ebbi finito mi resi conto pienamente di quello che i miei occhi stavano vedendo, di ciò che il mio corpo mi urlava da quasi dieci minuti.
No, ripetei ancora nella mia testa, mentre crollavo sul bordo del lettino bianco sul quale avevo dormito. Non è possibile, no, no, no!
Gli occhi iniziarono a pizzicare come se fossero stati riempiti di acido.
Li strofinai con forza, facendomi ancora più male.
«Merda», balbettai subito dopo, con una voce roca e sconvolta che non era la mia.
Il ragazzo al mio fianco mugolò qualcosa che non capii, poi girò il volto verso di me, continuando a dormire.
«Zayn», sussurrai, nel vano tentativo di svegliarlo. «Zayn».
Non rispose, rimanendo immobile. Il mio sguardo percorse la sua schiena nuda, marchiata a tratti da piccoli graffi dal profilo irregolare.
Strinsi involontariamente le mani a pugno quando capii che erano state le mie unghie a provocarli.
«Zayn – ripetei allora, con maggior energia – Zayn alzati!».
«Cosa…?», lo sentii mormorare, mentre lentamente si risvegliava da sonno.
Guardai il suo viso stravolto, i suoi capelli scompigliati in un disordine che non gli apparteneva.
«Abbiamo fatto un casino», fu tutto ciò che riuscii a dire.
 
«Merda, l’abbiamo già finita? Che cazzo, non sono neanche le tre del mattino», ridacchiai, guardando Zayn che con un calcio ben assestato faceva rotolare via la bottiglia di Vodka vuota.
Lui mi sorrise, per poi tornare sui suoi passi e afferrarmi per la vita. Subito non capii cosa volesse fare, ma quando le mie orecchie iniziarono a percepire la musica che proveniva da uno dei tanti party notturni sulla spiaggia, mi fu tutto più chiaro.
Iniziammo a ballare senza seguire alcun tipo di passi, semplicemente così, come ci suggeriva l’istinto.
Mi aggrappai alle sue spalle con forza quando rischiai di cadere, confusa dall’alcool e da quei movimenti troppo poco coordinati.
Zayn ricambiò la stretta con entrambe la braccia, spingendomi con energia contro il suo corpo. C’era qualcosa di maledettamente sbagliato nel modo in cui affondammo il viso l’uno nel collo dell’altra, sfiorandoci la pelle con le labbra.
Ogni parte di me mi urlava che stavamo per combinare qualcosa di cui poi ci saremmo pentiti, eppure non riuscii ad allentare la presa sul suo collo.
Non so con certezza chi dei due si sia avventato per primo sulle labbra dell’altro, forse io, ma non potrei giurarlo.
Zayn si staccò da me solo quando l’aria iniziò a mancare ad entrambi.
«Non dovremmo…», disse, sfiorandomi un orecchio con la bocca.
«Già, non dovremmo», confermai.
Ma nessuno dei due fece un passo indietro, anzi, bastò girare il viso per tornare a sfiorarci le labbra.
Tutto quello non aveva senso, me ne rendevo conto. Lui era il ragazzo di Rebekah, un mio amico, l’amico d’infanzia di Louis ed Harry.
Non c’era mai stata attrazione fisica tra di noi, mai, nemmeno per scherzo.
Eppure in quel momento desideravo le sue mani sul mio corpo più di qualsiasi altra cosa al mondo.
«Dobbiamo smetterla – sussurrai, parlando contro la mia stessa volontà – è sbagliato, Zayn».
«Lo so, cazzo, lo so», rispose.
Questa volta si fermò, costringendo anche me a fare lo stesso. Alzai lo sguardo per incontrare il suo, così magnetico, così bello, così…perso.
Ci fissammo per quella che mi parve un’eternità.
«Mi sento in colpa», confessammo a distanza di poco tempo l’uno dall’altra.
Ma chissà perché quelle parole non bastarono a impedirci di continuare ciò che stavamo facendo. Forse doveva andare così, forse avevamo sottovalutato la scarsa efficienza del nostro autocontrollo.
 
«Mi dispiace, Sam. Mi dispiace così tanto…», mormorò Zayn, con la voce incrinata dalle mie stesse lacrime.
Mi stinsi con più forza le ginocchia al petto in cerca di conforto.
«Tra tutte le cazzate che potevamo fare…- singhiozzai – abbiamo combinato quella peggiore».
Lui, che se ne stava in piedi davanti a me con solo i Jeans addosso, si portò le mani tra i capelli corvini in un gesto disperato. Fece un paio di passi, poi tirò un calcio al lettino dove era accaduto tutto.
Se chiudevo gli occhi potevo ancora sentire la sensazione delle doghe di plastica che premevano contro la mia schiena nuda, mentre lui si spingeva dentro di me…
Mi lasciai sfuggire un altro singhiozzo al ricordo del dolore e soprattutto del piacere che avevo provato.
Ma c’era un’altra cosa che mi turbava, forse ancora più del pensiero di Rebekah e degli altri ragazzi.
«Non abbiamo… - esitai, provando disgusto anche solo pensandoci – non abbiamo usato precauzioni. Io ero vergine, non prendo la pillola come Bex…».
Sbam.
Zayn non si aspettava una cosa del genere, probabilmente non l’aveva nemmeno presa in considerazione. I suoi occhi si spalancarono, poi si fecero lucidi.
Non si lasciò sfuggire nemmeno un suono, ma dal modo in cui si lasciò scivolare a terra capii quanto fosse distrutto.
«Dio no – disse, come se stesse davvero supplicando qualcuno – ti prego no».
Non venne pronunciata nessun’altra parola per lungo tempo.
Tutto ciò che potevo sentire erano i miei singhiozzi e il respiro irregolare di Zayn.
Cos’avremmo fatto adesso? Con quale coraggio avremmo spiegato la cosa agli altri, se mai gliel’avremmo detto? E se fossi rimasta incinta?
Miliardi di domande mi attraversavano il cervello, già martoriato dalla sbronza e da altre mille preoccupazioni.
Tutto era iniziato per lasciarmi per un po’ i problemi alle spalle e invece ne avevo creati di altri.
Come poteva una sola persona avere così tanta sfiga addosso?
«Ti ho fatto tanto male?», mi chiese Zayn ad un tratto, alzando la testa dalle ginocchia.
Mi morsi l’interno guancia, non sapendo se dirgli o meno la verità per non peggiorare le cose.
Ma lui dovette intuire comunque la risposta, perché strisciò lentamente vicino a me e mi strinse forte, permettendomi di nascondere il viso nel suo petto.
«Ti prego, ti prego, perdonami. Non avevo idea che tu…».
S’interruppe, poi appoggiò una guancia alla mia testa.
«Perché non mi hai fermato, Sam? Perché?».
«Potrei farti la stessa domanda – risposi, con un filo di voce – ma eravamo ubriachi e non c’è spiegazione migliore di questa».
«Cosa faremo adesso?», domandò dopo un po’.
«Non possiamo dirlo a Rebekah. Ne morirebbe. Non voglio perderla, così come non lo vuoi tu», risposi mio malgrado.
«Io non so se riesco a…», iniziò lui, allentando un po’ l’abbraccio su di me.
«Devi. Devi tenerglielo nascosto per ora».
Zayn non sembrò convinto, ma alla fine annuì, anche perché era l’unica soluzione logica per il momento.
«E Louis? Harry? Glielo dirai?».
«Non possiamo rischiare che rimanga incinta, Zayn. Devo andare da un dottore a farmi prescrivere la pillola del giorno dopo e siccome sono minorenne ho bisogno che qualcuno mi accompagni. Louis è l’unico ad aver compiuto i diciotto anni».
L’immagine di Lou che mi portava in uno studio ginecologico mi fece venire la pelle d’oca. Sapevo per certo che mi avrebbe aiutata, ma non avevo idea di come avrebbe reagito alla notizia. Forse non mi avrebbe più parlato, forse si sarebbe messo a urlarmi contro che ero un’irresponsabile.
Probabilmente anche Hazza lo avrebbe fatto, se solo avesse saputo.
«Non credo che lo dirò a Harry – aggiunsi infatti - Spero solo che Louis non lo faccia al posto mio».
Zayn inspirò a fondo, poi annuì.
«Dovremmo andare, adesso. È ancora presto, forse facciamo ancora in tempo a tornare in camera prima che si sveglino».
«D’accordo», risposi, accettando il suo aiuto ad alzarmi.
Lui mi guardò un’ ultima volta, chiedendomi perdono attraverso lo sguardo.
Cercai di sorridergli, nonostante il mio viso si rifiutasse di farlo.
Non era solo colpa sua, avevamo sbagliato entrambi.
Ed entrambi, prima o poi, ne avremmo pagato le conseguenze.
 

Pov Louis

 
Il rumore della porta che veniva richiusa mi fece svegliare del tutto.
Mi alzai a sedere nella penombra della stanza, aspettando che Zayn facesse il suo ingresso nella stanza.
Mi ero accorto della sua assenza quando, quasi un’ora prima, mi ero svegliato per andare in bagno.
«Dove sei stato?», sussurrai, per non svegliare Harry che dormiva ancora tranquillamente.
Zayn drizzò immediatamente la schiena, sorpreso di trovarmi già sveglio.
«Da nessuna parte», rispose, con fare elusivo.
Aggrottai le sopracciglia mentre con un movimento deciso scostavo le coperte e mi stiracchiavo.
«Sei rimasto a dormire con Rebekah?», insistetti.
Lui annuì, poi si sfilò le scarpe e la maglietta.
Ma quando mi diede le spalle per andare in bagno, malgrado la scarsa luce che filtrava dalle tende, non potei evitare di notare dei graffi rossastri sulla sua schiena.
«Oh merda, non dirmi che te la sei scopata con Sam a mezzo metro di distanza!», esclamai sconvolto.
Mi aspettavo che ribattesse con una delle sue solite risposte pungenti, cosa che però non accadde.
Fu in quel momento che capii che qualcosa non andava.
«Zayn?», lo chiamai allora, confuso.
Lui scosse la testa e si affrettò a chiudersi nel bagno, lasciandomi solo.
Cosa cavolo era successo stavolta?



*Spazio autrice*


Buondì :) So che molte di voi aspettavano con ansia questo capitolo, perciò ho fatto del mio meglio per pubblicarlo il prima possibile. Spero vi abbia sorprese e che vi sia piaciuto.
Io personalmente non lo schifo come il 12, quindi è già qualcosa.
Beh, non ho molto da dire :3 parti più "piccanti" riguardo alla notte di follia tra Sam e Zayn verranno inserite nei prossimi capitoli, un po' durante l'inevitabile discussione con Louis un po'...in un altra occasione ;) Non so voi ma non vedo l'ora di andare avanti con la storia.
Ora scappo perché devo andare a fare i compiti, povera me .___.
Un bacione a tutte,
Alice.

P.s. Allora mi sembra giusto dirlo, visto che la scorsa volta non l'ho fatto: odio ricattare la gente con quell'orribile frase che dice "Posto il prossimo capitolo a *tot* recensioni". Ci ho provato, ma dopo mi sento in colpa e anche abbastanza antipatica. Quindi per favore, se la storia vi piace recensite senza che sia necessario "obbligarvi" (per così dire). E' triste passare ore a scrivere, rileggere e correggere e poi non venire cagati minimamente. Il vostro parare mi è di fondamentale importanza per capire dove sbaglio e dove invece vado bene. Grazie.


Vi lascio una foto di Sam adatta a questo capitolo :)

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Capitolo 14
*** Decisions ***


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14
. Decisions
 

«Sam?».
Aprii gli occhi di scatto sentendo quella voce provenire dall’ingresso della stanza.
Avevo immaginato quel momento per tutta la mattina ed ora stavo per viverlo: Louis si trovava alle mie spalle in attesa di spiegazioni.
Il suo sguardo era fisso su di me, potevo percepirlo piuttosto chiaramente.
«Rebekah mi ha detto che avevi bisogno di parlarmi…», aggiunse, dal momento che non avevo ancora trovato la forza di rispondergli.
Rebekah.
Era stata un’impresa affrontarla quella mattina. Avevo finto di sentirmi male per poter rimanere a letto ed evitare di scendere a colazione.
La nottata trascorsa con Zayn aveva lasciato dei segni piuttosto marcati sul mio umore, ed anche il mio aspetto ne aveva risentito.
Le occhiaie scure sotto gli occhi mi avevano aiutata ad ingannarla, facendole credere di avermi attaccato quello stupido virus intestinale.
Bex si era scusata almeno un centinaio di volte, mortificata, ma alla fine ero riuscita a convincerla ad andare a fare colazione con gli altri.
«Hai bisogno di qualcosa?», mi aveva chiesto prima di lasciarmi sola.
«Dì a Louis di venire qui. Dobbiamo parlare».
«Sei sicura che sia una buona idea? Dovresti riposare e poi rischi di attaccargli…».
«Per favore – avevo insistito, con un filo di voce – è urgente».
Lei mi aveva guardata ancora per qualche secondo, poi si era limitata ad annuire e a uscire sul corridoio, chiudendosi la porta alle spalle.
E neanche dieci minuti dopo eccomi lì, pronta o quasi, ad affrontarlo.
Mi voltai lentamente sperando che la poca luce che arrivava dalle finestre non gli permettesse di scorgere i miei occhi gonfi e ancora arrossati dalle lacrime.
«Sì – sussurrai, sforzandomi di mantenere un tono di voce saldo – ho…ho bisogno di parlarti».
«Di cosa?», domandò lui, preoccupato.
Di come ho peggiorato una situazione già schifosamente incasinata.
«Non riguarda noi due, né me ed Harry», risposi.
All’improvviso tutti i discorsi mentali che mi ero preparata per affrontarlo sembravano essere stati cancellati dalla mia mente. Il panico mi aveva privato dell’unica cosa in grado di facilitarmi le cose.
Mi costrinsi a prendere un respiro profondo che mi provocò un lieve capogiro.
Maledetto dopo-sbronza.
«Non capisco», disse Louis e le sue sopracciglia si aggrottarono in un’espressione confusa.
«Ho fatto una cosa che probabilmente avrà delle pesanti conseguenze su tutti noi», sussurrai.
Mi accorsi di essere indietreggiata solo quando sentii la maniglia della portafinestra premermi contro la schiena. Lou non si lasciò sfuggire il movimento.
Irrigidì le spalle, per poi piegare leggermente la testa di lato.
«Samantha – pronunciò, con un tono che non voleva essere né severo ne supplichevole – dimmi cos’è successo».
«Ti arrabbierai con me».
«Solo se te lo meriti», ribatté.
E mi face così paura quando lo disse, che involontariamente serrai le mani a pugno. Qualcosa dentro di me continuava ad urlarmi che potevo dire tanti saluti alla nostra amicizia, o a qualsiasi cosa ci fosse tra noi.
Ma non avevo scelta. Ero letteralmente e mentalmente con le spalle al muro.
«Ieri sera Zayn è passato per vedere Rebekah – confessai di getto – Ma lei dormiva e così ci siamo fermati a parlare un po’».
Lou rimase impassibile, ma  i suoi occhi azzurri pronunciarono un chiaro “Vai avanti”.
Fu difficile trattenermi dall’istinto di lasciare quel discorso a metà. Con un movimento nervoso mi strofinai gli occhi prima che altre lacrime potessero riempirli.
Dovevo mantenere la calma. Dovevo essere forte.
«Ho voluto sapere di com’era andata al concerto tra te ed Harry e…e di quella ragazza».
Feci un piccola pausa, poi continuai:
«Sono contenta che vi siate chiariti».
Louis spostò il peso da un piede all’altro, poi aggrottò impercettibilmente le sopracciglia. Quella piccola digressione sembrava averlo infastidito.
Capii che non era il caso di perdersi in simili commenti.
Avanti, mi dissi, vuota il sacco Samantha.
«…Ma alla fine ci siamo ritrovati a discutere anche di altre cose ed io mi sono un po’ agitata. Zayn mi ha suggerito di rilassarmi un po’, di liberare la mente. All’inizio mi era sembrata un’idea stupida, ma poi mi sono fatta convincere  – espirai, riprendendo aria – Prima di salire ero entrata in camera vostra a prendere una delle bottiglie di Vodka e…».
«Cosa?», sibilò Lou.
Strinsi più forte i pugni contro i fianchi, preoccupata dal tono che aveva usato.
«Lo so, non avrei dovuto. Ti avevo promesso che non avrei detto niente a Zayn…».
«Quanta ne avete bevuta, Sam?», chiese lui, senza darmi il tempo di finire.
Deglutii. «Troppa».
All’improvviso Louis si mosse. Attraversò la stanza in pochi passi, ma proprio quando era sul punto di raggiungermi, parve ripensarci, deviando verso il mio letto. Quando vi si sedette sopra le molle cigolarono sotto il suo peso.
«Vi siete ubriacati», commentò poco dopo.
La sua non era una domanda.
«Sì – confermai – a un certo punto ricordo che stavamo ballando ed io…devo essere inciampata. Zayn mi ha presa al volo e mi teneva così stretta…non so come sia potuto succedere…».
La voce mi si spezzò, ma non mi diedi per vinta.
«Io…io l’ho baciato».
Louis si irrigidì all’istante, come attraversato da una forte scarica elettrica.
«L’hai…baciato», ripeté.
Non trovai la forza di rispondere. Mi limitai solo a guardarlo, disgustata dall’espressione colpevole che sapevo essersi formata sul mio viso.
Lou distolse lo sguardo dal mio solo dopo qualche istante.
Si chinò in avanti, appoggiando i gomiti alle ginocchia.
Poco dopo si passò una mano tra i capelli castani.
«Cristo santo», lo sentii sussurrare.
Trattenni il respiro a quelle parole. Non era da lui imprecare, non l’aveva mai fatto in mia presenza.
Fu questo forse, a darmi un’idea di quanto potesse essere sconvolto.
«Mi spieghi perché l’hai fatto?», domandò a distanza di pochi secondi.
«Non lo so», risposi.
Lou rialzò la testa, senza tuttavia tornare a guardarmi. Fissava un punto impreciso davanti a sé, tra il muro e il cornicione della finestra.
«Dimmi che non è successo quello che sto pensando, Sam. Dimmi che vi siete fermati in tempo…».
Avrei voluto. Avrei davvero voluto scuotere la testa e dirgli che no, non ci eravamo spinti così oltre.
Ma non potevo. Le mie labbra rimasero serrate.
Il silenzio durò a lungo e al tempo stesso non abbastanza per darmi il tempo di prepararmi alla sua reazione.
«Porca puttana, Samantha!», fece Louis balzando in piedi.
Se avessi potuto indietreggiare ancora l’avrei fatto più che volentieri.
Lou fece un paio di passi verso di me, per poi bloccarsi di nuovo.
Senza preavviso i suoi occhi color mare erano tornati a bruciare nei miei, provocando dentro di me un caos ancor peggiore di quello che c’era stato fino a quel momento.
Mi stava solo guardando, ma io mi sentivo morire.
Il solo pensiero di tutte le core orribili che mi avrebbe urlato contro di lì a poco mi faceva venir voglia di piangere.
«Mi dispiace», dissi debolmente, mentre un groppo fastidioso cercava di bloccarmi la gola.
«Ma cosa cazzo ti diceva il cervello? Eh? Ti rendi conto di cos’avete combinato? Rebekah ci starà di merda!».
«Lo so, lo so! – ripetei un paio di volte, singhiozzando – non avrei mai dovuto bere così tanto, mi dispiace, mi dispiace!».
Louis mi diede le spalle, non più in grado di sostenere il mio sguardo.
Quel gesto mi fece sentire un completo rifiuto.
«Zayn – aggiunse dopo un po’, con disprezzo – non qualcun altro, non Harry, Zayn. A momenti neanche ci parli con lui! Perché cazzo hai lasciato che ti portasse a letto?».
«Non ragionavo, Louis! Era tutto così confuso, irreale. E’ successo e…e non possiamo farci niente».
Il ragazzo si voltò all’improvviso e per la tensione mi ritrovai a sussultare involontariamente.
«Io lo ammazzo quello stronzo», sibilò.
«Lo sa perfettamente che non reggi l’alcool! Se n’è approfittato, cazzo. Rebekah non gli bastava più, ha dovuto scoparsi anche te!».
Immediatamente mi ritrovai a scuotere la testa.
«No, no. Non è andata così, Louis. E’…è solo successo. Lui ama Rebekah».
«Se la amasse non ti avrebbe portata a letto», ribatté.
Continuai a far segno di no. Ne ero convinta, l’avevo visto nel suo sguardo quella mattina: Zayn era distrutto per quello che era successo.
Forse addirittura più di me.
«Louis per favore…».
Ma lui stava già pensando ad altro.
«Perché me lo hai detto?», chiese, senza più alzare la voce. «Perché mi confessato questa cosa?».
«Perché…sei mio amico e mi fido di te».
Bugiarda, mi accusò la mia coscienza.
«Anche Harry è tuo “amico”. Perché non lo hai detto a lui?».
Bella domanda.
«E’…è complicato», sussurrai.
No, non era complicato. Avevo raccontato tutto a Louis solo perché non c’era altra scelta. Avevo bisogno del suo aiuto…avevo bisogno che mi stesse vicino.
Anche volendo, Harry non avrebbe potuto fare niente per me.
«Dimmelo, Samantha – ordinò Louis – subito».
L’unica cosa che mi tratteneva dal dirgli la verità era la paura delle conseguenze.
Non volevo fare in modo che si sentisse usato, perché non era affatto così. Anche se non ci fosse stato il problema della gravidanza prima o poi gli avrei comunque raccontato tutto.
Lou era Lou, ovvero il mio miglior confidente. Sapeva cose di me di cui neanche mia madre era a conoscenza.
Era la mia ancora di salvezza.
«Samantha!», esclamò, perdendo di nuovo la pazienza.
Avanti, mi dissi, diglielo.
«Non abbiamo usato il profilattico – risposi allora, con non poca vergogna – potrei rimanere incinta».
Le labbra di Lou si schiusero per colpa dello sgomento. No, non aveva pensato a questo. Nemmeno io e Zayn ci avevamo pensato mentre ci davamo da fare su quel fottuto lettino di plastica.
«So che per farsi prescrivere la pillola del giorno dopo occorre essere accompagnati da un maggiorenne, perciò …».
Non servì altro. Dal modo in cui la sua espressione cambiò, capii che Louis mi avrebbe aiutata.
«Vai a darti una sistemata – ordinò, in un sussurro appena udibile – io rintraccio l’ospedale più vicino».
 
Pov Louis
 
A Harry e Rebekah avevo rifilato la scusa più banale, ovvero che io e Sam avevamo bisogno di stare un po' da soli.
La bionda aveva cercato di trattenere Samantha in albergo sostenendo che sarebbe stato meglio per lei starsene a letto.
Per fortuna ero riuscito a convincerla che una passeggiata in riva al mare non le avrebbe fatto male e che saremmo rimasti fuori giusto un paio d’ore, il tempo di bere qualcosa e chiarirci.
In realtà Sam non era affetta da nessuna strana malattia, ma questo Rebekah non poteva saperlo.
Con Harry era stato più difficile mentire, soprattutto perché la conosceva da più tempo: era bravo quasi quanto me a riconoscere i segni di nervosismo sul suo volto.
Sam si era dovuta impegnare parecchio per rimanere calma e, grazie al cielo, ci era riuscita.
Zayn, dal canto suo, si era limitato a guardarci in silenzio.
Tutto ciò che riuscivo a provare guardandolo erano delusione e rabbia. Nella mia testa continuavano a rimbombare le parole che mi aveva detto un paio di sere prima, quando era venuto a cercarmi fuori dalla discoteca.
«Non ho alcuna intenzione di perdere degli amici per colpa tua. Non voglio che il nostro gruppo si sgretoli…».
Chi era adesso quello a mettere a rischio tutto quanto?
Avrei tanto voluto farglielo presente, ma Samantha mi aveva trascinato via prima che potessi anche solo avvicinarmi a lui.
«Ti prego, Lou. Non è il momento», mi aveva sussurrato.
Non mi ero opposto solo perché in fondo sapevo che aveva ragione. Avevamo cose più urgenti a cui pensare, come per esempio recuperare la macchina e raggiungere il Sussex County Ospital, una specie di clinica a poca distanza dal centro di Brighton.
Il viaggio era durato circa mezzora, esclusa una sosta veloce per fare benzina.
Sam mi era rimasta accanto per tutto il tempo mentre vagavamo tra i corridoi dell’enorme edificio color panna alla ricerca del reparto giusto. Non potevo biasimarla: neanch’ io amavo quel forte odore di disinfettanti e guanti in lattice.
«Ho paura», le sentii sussurrare quando finalmente incontrammo la scritta “Ginecologia” all’ingresso dell’ennesima sala d’aspetto.
Per farle coraggio le circondai le spalle con un braccio, per poi guidarla fino alla prima serie di poltroncine blu su cui erano sedute altre tre donne.
Rabbrividii nel notare il pacione di una di esse.
La sola idea di Sam in quelle condizioni mi provocava un senso di nausea terribile.
«Prima ce ne andiamo di qui meglio è», mi ritrovai a mormorare mentre mi sedevo accanto a lei.
Samantha incrociò le braccia al petto, guardandosi attorno con aria spaesata.
«Entri anche tu?», mi chiese ad un tratto.
«Solo per firmare le carte».
«D’accordo», rispose.
Dal suo tono di voce non riuscii a capire se fosse sollevata o delusa. Non che in quel momento mi importasse particolarmente, ma una parte di me continuava a ripetermi che ero stato troppo duro con lei e che avrei fatto bene a mostrarmi un po’ più gentile nei suoi confronti.
Forse fu proprio sotto l’influenza di quella parte che mi ritrovai ad allungare una mano e ad afferrare la sua.
Sam ricambiò la stretta con una punta di esitazione e la cosa confermò le mie ipotesi. Dovevo averla turbata parecchio in hotel, tanto da renderla insicura.
Non volevo farla sentire a disagio, non volevo ingigantire i suoi sensi di colpa.
Certo, ce l’avevo ancora a morte con lei per avermi disobbedito dicendo a Zayn della Vodka, ma infondo, da quel punto di vista, era stata anche un po’ colpa mia.
Non avrei mai dovuto comprare quell’alcool.
Perché l’avevo fatto poi? A parte Zayn ed Harry né io, né Rebekah o Sam eravamo dei gran bevitori. Anzi, per quel che mi riguarda le volte in cui mi ero dedicato a qualcosa più forte di una birra si potevano contare sulla punta delle dita.
Se non avessi comprato quella robaccia tutto quel casino non sarebbe mai successo. Sam e Zayn non si sarebbero mai neanche sfiorati.
E invece lei era lì, accanto a me, ad aspettare di farsi visitare da un dottore per scagionare il rischio di diventare mamma prima del tempo.
Che cazzo di situazione.
«Scusami», dissi, accarezzandole il dorso di una mano con il pollice.
«Per cosa?», domandò, sorpresa.
Sapevo a cosa stava pensando: “Perché si scusa, quando sono io ad aver sbagliato?”.
«E perché io non mi sono preso cura di te?», replicai nella mia testa.
«Per aver urlato. Per aver comprato quella dannatissima Vodka…per tutto quanto, a dir la verità. Sono stato un pessimo amico ultimamente».
Sam a quel punto strinse leggermente la mia mano.
«Anch’io ho fatto schifo. Sono l’amica peggiore del mondo».
Nella mia mente riecheggiò il suono di un sospiro. «Tu non sei mia amica – pensai -Non più».
«Non è vero, Sammy. Ricordi cosa ti ho detto sul molo, giorni fa? Sei la miglior cosa che mi sia mai capitata».
«Sono la peggiore, invece. Guarda in che situazione ti ho messo, cosa ti sto facendo fare».
Con un gesto della mano indicò la sala d’aspetto.
«Se sono qui è solo perché lo voglio davvero. Voglio aiutarti a risolvere questa cosa».
Gli occhioni castani di Samantha mi fissarono in modo incerto.
Ne dubitava, forse?
«Credi che ti stia solo facendo un favore?», chiesi.
Lei abbassò subito lo sguardo, tornando a fissarsi i piedi.
Sì, era così.
«Non mi avresti mai negato il tuo aiuto», mormorò, infatti.
Stavo per ribattere, per dirle che non ce l’avevo così tanto con lei. Che le volevo bene, che…che stavo seriamente prendendo in considerazione l’idea di tentare.
Di darci una possibilità.
Ma fui bloccato da una voce che, nel silenzio della stanza, chiamava il suo nome.
«Samantha? Samantha Seyfried?».
 
Sam
 
La dottoressa Reynolds mi aveva fatta sdraiare su un lettino.
Le sue dita fredde avevano scostato la mia maglietta nera e avevano iniziato a tastarmi la pancia proprio qualche centimetro sotto l’ombelico.
«Fa male? Senti delle fitte quando ti tocco?».
«No – avevo risposto – solo quando sto seduta o faccio pipì».
Lei aveva annuito.
«Sei un po’ gonfia. Quando dovrebbe arrivarti il ciclo?».
Dopo un rapido calcolo mentale le avevo comunicato che in teoria mancava solo una settimana. La dottoressa mi aveva detto che il gonfiore era dovuto a quello e che per scacciare il bruciore e i dolorini che sentivo al bassoventre sarebbe bastato prendere un paio di tachipirine.
Aveva definito quei sintomi “normali”, per via della mia verginità.
«L’imene si lacera e pur essendo molto sottile è comunque un tessuto a tutti gli effetti. Se poi il rapporto non è stato particolarmente delicato e possibile che le pareti vaginali si siano infiammate e anche lievemente danneggiate. La prossima volta assicurati di essere ben lubrificata prima di procedere».
Grazie a Dio Louis era rimasto fuori. Di certo non si sarebbe sentito a proprio agio nel sentire quelle cose.
«Mi raccomando – aveva continuato il medico - l’uso del profilattico è di estrema importanza, sia nella prevenzione delle malattie che delle gravidanze indesiderate. Ti sarai resa conto che basta davvero pochissimo per combinare un pasticcio».
«Sono stata una stupida, lo so. Il fatto è che capivo a malapena quello che stava succedendo e…beh, il resto lo sa», avevo risposto.
Sarah Reynolds mi aveva sorriso affettuosamente, cercando di consolarmi.
Subito dopo sulla sua scrivania erano comparsi un paio di fogli.
«Puoi andare a chiamare il tuo ragazzo ora – mi aveva avvisato – ho bisogno che firmi questi documenti prima che tu assuma la Norlevo».
Ero uscita dall’ambulatorio consapevole di avere le guance in fiamme per via dell’affermazione della dottoressa.
Lou aveva alzato lo sguardo dal giornale che stava leggendo e mi aveva fissata con fare ansioso.
«Com’è andata?».
«Bene, credo. C’è solo bisogno delle firme e poi mi danno la pillola».
Lui si era subito alzato avvicinandosi a me. Poco prima di entrare, però, mi ero vista costretta ad avvisarlo.
«La dottoressa crede che tu sia il mio ragazzo…», avevo azzardato, faticando a reggere il suo sguardo.
Lou aveva aggrottato le sopracciglia solo per un momento. Subito dopo aveva inspirato e scrollato le spalle.
«D’accordo».
Ed ora eravamo lì, l’uno affianco all’altra di fronte a Sarah.
«Lei è…?», chiese a Louis, porgendogli la mano.
Lui la strinse con vigore. «Louis Tomlinson, piacere».
«Bene, Signor Tomlinson. Samantha mi ha detto che è lei maggiorenne. Può dirmi quanti anni ha?».
«Diciannove – rispose – venti a dicembre».
«E sicuro di volersi prendere la responsabilità della somministrazione del farmaco? Se preferisce potete pensarci un attimo e decidere se è il caso di interpellare i genitori della ragazza».
Lou mi lanciò un’occhiata quasi ironica. Se mi madre fosse venuta a sapere di ciò che era successo ci avrebbe sgozzati entrambi come polli.
L’idea non mi pareva gran che allettante.
«No, grazie. Siamo entrambi troppo giovani per morire», rispose Lou.
Quella battuta riuscì a strappare un sorriso a Sarah. La donna sospirò e spinse i documenti verso Louis, assieme a una penna a sfera blu.
Lui le lesse velocemente e altrettanto in fretta li firmò.
«Ecco qua. Procediamo?», disse poi, restituendo il tutto.
Lei annuì, alzandosi in piedi. «Certamente».
Mentre noi due ce ne stavamo seduti sulle nostre sedie senza dire una parola, Sarah raggiunse uno scaffale a scompartimenti e dopo qualche secondo ne estrasse una scatolina bianca con una scritta grigia che citava il nome del farmaco. Recuperato il blister, che era piuttosto piccolo perché conteneva una sola pastiglia, gettò la scatola in un cestino lì vicino e tornò sui suoi passi.
Mi porse la pillola assieme a un bicchiere d’acqua che aveva riempito nel lavandino dietro alla scrivania.
«Dopo averla presa dovrai restare qui per circa venti minuti in caso dovessero verificarsi effetti collaterali. Fin’ ora non è mai successo niente, ma questa è la procedura e dobbiamo rispettarla».
Annuii e sotto il suo sguardo e quello di Lou mi misi la pastiglietta bianca in bocca e mi aiutai a mandarla giù con un sorso d’acqua.
Nell’esatto istante in cui la sentii scivolare in gola il peso opprimente che mi torturava la coscienza si dissolse come fumo nell’aria.
Ero salva. Niente gravidanza, niente bambino, niente di niente.
Ora potevo finalmente cancellare un altro punto dalla lista dei miei problemi.
«Sono noiosa, me ne rendo conto, ma devo ripeterlo: usate il profilattico. E lei, Signor Tomlinson…cerchi di essere più delicato la prossima volta».
Le guance mi s’imporporarono di un rosso acceso a quelle parole, tanto che desiderai poter correre fuori di lì il più presto possibile.
Al contrario, Louis si limitò ad annuire, serio come non mai. Era quasi inquietante il modo in cui riusciva ad essere convincente senza neanche doversi sforzare.
«Certo, lo terrò a mente. Grazie di tutto».
«Dovere», rispose la donna.
Subito dopo fui io a stringerle la mano. Lei mi sorrise e si alzò in piedi.
Ci accompagnò fiano alla porta.
«Siete davvero una bella coppia – commentò mentre io e Lou uscivamo nella sala d’aspetto - Buona giornata ragazzi».
«Arrivederci», sussurrai, ma lei era già sparita.
 


Finalmente l’odore della salsedine aveva sostituito quello dell’ospedale.
Io e Louis camminavamo sul marciapiede di cemento che costeggiava la spiaggia, entrambi con lo sguardo puntato verso il mare.
Faceva caldo e la consapevolezza di avere ancora un discorso in sospeso non mi permetteva di concentrarmi su Zayn e su ciò che gli avrei detto una volta tornati in albergo.
Sembrava proprio che io e Lou non fossimo in grado di chiarirci.
Inconsapevolmente rallentai un po’ il passo, ritrovandomi un po’ più indietro di lui. Lo guardai finché il suo sguardo incrociò il mio.
«Cosa c’è?», mi chiese lui.
Dal tono che usò capii subito che si trattava di una domanda retorica.
Anche Louis stava aspettando che succedesse qualcosa, che qualcuno dei due si decidesse a parlare.
«Grazie per avermi aiutata», risposi.
Lui sospirò. «Te l’ho già detto, l’ho fatto perché volevo, non perché dovevo. Non sono così arrabbiato».
Eppure in albergo non mi aveva risparmiato nulla, nemmeno un po’ di tutta la delusione e il disgusto che avevo visto nei suoi occhi.
Scossi la testa.
«Sì che lo sei, Lou. Ed è perfettamente legittimo», ribattei, decisa.
Fu a quel punto che lui si fermò, mettendosi davanti a me. Lo guardai negli occhi, appellandomi ad ogni più piccolo briciolo di dignità che mi restava.
«Tu e Zayn avete fatto una cosa molto grave – disse, severo - E no, non nego di essere rimasto piuttosto sorpreso. Non ti credevo capace di una cosa del genere…».
Neanch’io, mi dissi. Neanch’io mi credevo capace di finire a letto con il ragazzo della mia migliore amica.
«Ma ormai quel che fatto è fatto. Inutile impuntarsi e rimuginarci su. Tutto ciò che possiamo fare è cercare di limitare i danni. Perciò ti prego, non guardare tutto in negativo. Non intestardirti a vedere cose che non ci sono».
«Tu non capisci – ribattei, portandolo a contrarre la mascella per l’esasperazione – non hai idea di come mi hai guardata stamattina. Mi sono sentita morire, Lou. Malgrado sapessi che avevi ogni motivo per guardarmi così, io…mi sono sentita morire».
La mia voce si affievolì lentamente, riducendosi ad un sussurro nel pronunciare le ultime parole.
Lou trattenne il respiro.
«Mi dispiace di averti deluso. Mi dispiace davvero», aggiunsi, per spezzare il silenzio. E mi riferivo non sono all’episodio del tetto, ma a tutto quanto.
A tutto quello che era successo in quei giorni.
Nei secondi che precedettero la risposta di Louis potrei giurare di aver visto qualcosa di nuovo affiorare nel suo sguardo.
Ne ebbi la conferma non appena parlò.
«Dispiace anche a me – disse, con sincerità assoluta – mi dispiace di averci messo tutto questo tempo a prendere una decisione».
«Di cosa stai parlando?».
«Ho avuto paura. Ho preferito rimanere aggrappato a ciò che avevo piuttosto che buttarmi e rischiare. Ma quello che mi hai appena detto mi ha fatto capire quanto io sia importante per te…».
«Credevo lo sapessi già…».
Louis scosse la testa.
«No. Ci sono arrivato solo ora».
Inspirai lentamente, facendo qualche passo indietro. Come quella mattina mi ritrovai bloccata a pochissima distanza da lui: la ringhiera del marciapiede premeva contro la mia schiena, impedendomi di superare il muretto che ci divideva dalla spiaggia.
«E quindi?», sussurrai, improvvisamente confusa.
«E quindi non posso far finta di niente, Sam. Non posso ignorare questa cosa. Tu hai bisogno di me, e io ho bisogno di starti accanto – fece una pausa, liberando un sospiro - Ci siamo allontanati un po’ e guarda cos’è successo».
«Louis…non è stata colpa tua», risposi, intuendo cosa stava cercando di dirmi.
«Sì invece. Sono stato un’irresponsabile e non mi sono preso cura di te come avrei dovuto. Non voglio più sbagliare adesso».
Fu un attimo.
Troppo velocemente perché potessi prepararmi alla cosa, le sue mani mi afferrarono i fianchi, facendo scontrare i nostri corpi.
E subito dopo, proprio nel modo in cui avevo sempre sognato, la sua bocca raggiunse la mia.
Louis Tomlinson mi stava baciando.


*Spazio autrice*

Oddeo, scusate l'enorme ritardo. Mi sento una cacca ad avervi tenute sulle spine per tutto questo tempo .__. Scrivere questo capitolo è stato davvero difficile. Ho cancellato e ricominciato tutto da capo per ben due volte e tutt'ora il risultato finale mi schifa in modo disarmante.
Perdonatemi.
Ma passando oltre...so che molte di voi sono Team Sarry, percui non odiatemi. Negli avvertimenti della storia ho messo "Triangolo" e triangolo deve essere ù_ù 
Cosa succederà adesso? Lou pianterà El e si metterà finalmente con Sam o dovremo penare ancora? *Lo scopriremo nelle prossime puntate!*
Beh, che altro aggiungere se non un enorme, spropositato GRAZIE? Mi avete lasciato 22 recensioni al capitolo 13, vi rendete conto? Sono talmente tante che devo 
ancora rispondere a molte di voi (lo farò, promesso. Stasera mi ci metto d'impegno!).
Siete riuscite a cuommuovermi, tanto che non vedevo l'ora di postare questo capitolo per ringraziarvi.
Spero davverodi non deludere troppo le vostre aspettative.
Ora scappo a preparare la cena (i miei sono usciti e devo cucinare per me e mio fratello .__.)
Un bacione e ancora grazie,
Alice.

NOTA: 
L'ho già scritto nell'avviso ma lo riporto anche qui: settimana scorsa ho pubblicato una nuova fanfiction. E' a raiting rosso (tratta di argomenti abbastanza "pesanti" come droga e sesso). Siccome è la prima volta che mi cimento in una storia del genere mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensate. Se vi va di passare e magari di lasciare un commento questo è il link ---> Beauty of the dark. Grazie!



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Capitolo 15
*** Avviso ***


AVVISO - STATE CALME 

Bene, non so con che coraggio mi rifaccio viva dopo tutto questo tempo, ma stasera mi sono finalmente decisa a pubblicare questo avviso.
Innanzitutto NON disperatevi: non sto per dire che cancellerò la storia o chissà che altro :)
Ho solo ritenuto appurtuno spiegarvi perché non oggiorno da un bel po'.
La verità è che con l'inizio del nuovo anno scolastico, più altri problemi di natura varia che vanno dalla rottura del mio amato cellulare a una crisi nervosa post 4 sia in matematica che scienze, non ho più trovato - e non trovo - tempo per scrivere. Al tutto si aggiunge anche una fastidiosa forma di blocco dello scrittore che mi impedisce di elaborare qualsiasi idea.
Credo che sia dovuta alla stanchezza e allo stress, e a tal proposito ho deciso che finché la situazione a scuola non si sarà un po' tranquillizzata, non aggiornerò più. Per scrivere ho bisogno di avere la mente libera e soprattutto di tempo fisico per organizzare le idee, cose che ultiamente scarseggiano in modo pauroso. 
Perciò scusatemi, scusatemi tanto, ma piuttosto che pubblicare capitoli lunghi due pagine e poco interessanti preferisco aspettare che la tempesta sia passata.
Vi lascio sperando nella vostra comprensione.
Un bacione a tutte voi,
Alice.


P.s. Può darsi che nei prossimi giorni (sempre in questo spazio) inserisca una piccola anticipazione del capitolo 15 per farmi perdonare, quindi ogni tanto date una sbirciatina.
Scusate ancora. 

P.p.s. Se durante l'attesa voleste passare a leggere l'altra mia fic "Beauty of the dark" ve ne sarei enormemente grata. E' un po' spinta, ma propio per questo ho bisogno del vostro sostegno.
E' previsto un aggiornamento per venerdì, ma non è escluso che possa pubblicare anche prima (ho il capitolo già scritto a metà). Grazie.

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Capitolo 16
*** "Yes, I've kissed her" ***





15
. "Yes, I've kissed her"
 

Non ricordo esattamente cosa sia successo nel lungo istante in cui le labbra di Louis rimasero incollate alle mie, ma le sensazioni che ne derivarono rimasero impresse nel mio stomaco per lungo tempo.
Non appena lo sentii staccarsi da me, infatti, la mia mente annebbiata ripiombò nella realtà, immediatamente sopraffatta da una violenta ondata di emozioni di verse.
Incredulità, felicità, commozione e sgomento tormentavano il mio povero cuore, e tra esse, troppo intensa per non essere notata, la voglia di piangere iniziava a farsi soffocante.
Riaprii gli occhi dopo quella che mi sembrò un’eternità e da subito dovetti lottare contro me stessa per non cedere a quel ridicolo bisogno.
Le iridi azzurre di Lou fissavano il mio volto con un’intensità strana. Solo dopo qualche secondo mi resi conto che anche lui doveva essere nella mia stessa situazione.
Feci un paio di passi indietro, appoggiando di nuovo la schiena alla ringhiera grigia surriscaldata dal sole.
«Stai bene?», lo sentii chiedere poco dopo.
Scossi la testa d’istinto, ancora troppo frastornata per parlare.
Una parte di me stava iniziando a negare che quel bacio fosse mai esistito.
Forse mi stavo immaginando tutto. Forse era colpa di quella roba che mi aveva dato la dottoressa Reynolds.
«Dì qualcosa per favore», mi supplicò Lou, con un tono preoccupato.
Ma il silenzio mentale che mi ero autoimposta non mi permise di dargli retta.
Fu allora che, allarmato più del dovuto, Louis agì d’istinto. Con un passo accorciò la distanza tra noi e mi strinse forte contro il suo petto, facendo scorrere le mani sulla mia schiena.
Non riuscii a resistere all’impulso di nascondere il viso nell’incavo del suo collo.
«Perché lo hai fatto?», domandai di getto con le labbra premute contro la sua pelle.
Attraverso di essa sentivo il suo sangue pulsare ritmicamente nelle vene.
«Perché ne avevo bisogno», rispose.
Respirai piano, cercando di calmarmi.
«Non credo che…», iniziai, non appena ebbi recuperato un po’ di lucidità; ma subito la presa su di me si fece più forte.
«Non dirlo – mi ammonì – non dirmi che non può funzionare solo perché sai che ci saranno delle conseguenze».
«Troppe conseguenze, Louis. Ora come ora non sono in grado di affrontarle».
Cercai di spostarmi, ma lui non me lo permise.
«Harry capirà, infondo ha fatto di tutto per spingerti verso di me, no? E per la storia del tetto riusciremo a trovare una soluzione…».
«E con Eleanor? Hai detto che la ami, no? Non puoi…».
«Sì invece. Posso», ribatté lui, con un tono così secco che mi fece sussultare.
«Smettila – dissi, scacciando ogni traccia di fragilità dalla voce - Non devi comportarti così solo perché mi vedi in difficoltà. Me la caverò…».
Questa volta fu Louis a scostarmi da sé.
«Ci siamo allontanati un po’ e guarda cos’è successo. Non puoi farcela senza di me…non sei in grado di badare a te stessa».
Provai un moto di fastidio a quelle parole, tanto che tentai di scrollarmi le sue mani di dosso.
«Non sono una bambina indifesa, Louis. Sono una donna. Ora più che mai. Perché non riesci ad accettarlo?».
Lou rimase interdetto. Lo capii dal modo in cui contrasse la mascella.
Ma se speravo di zittirlo o per lo meno farlo ragionare, mi sbagliavo di grosso.
Passarono circa dieci secondi prima che tornasse all’attacco.
«Senti – esordì, con quel tono esasperato e allo stesso tempo autoritario che ogni tanto gli sentivo usare con le sue sorelle – non ti ho baciata perché mi fai pena o chissà che altro…».
«Ah no?», lo provocai.
Lui mi lanciò un’occhiataccia. «No. E sai una cosa? Lo rifarei ancora, perché mi è piaciuto cazzo. Mi è piaciuto più di quanto sia lecito».
Le mie labbra si schiusero appena. Stavolta ero io quella ad essere stata zittita.
Louis capì di aver fatto centro e, sfruttando la mia momentanea vulnerabilità, fece scivolare le mani sui miei fianchi, proprio come quando mi aveva baciata la prima volta.
Sentii il calore dei suoi palmi bruciare attraverso la stoffa della mia canottiera.
«So che fino a poco tempo fa non lo avrei mai ritenuto possibile, ma… - e mi sorrise dolcemente – mi sono reso conto di tenere a te in un  modo completamente diverso da prima. Voglio provarci, Samantha. Voglio stare con te. Voglio che tu sia felice solo grazie a me».
All’improvviso sentii le lacrime tornare ad offuscarmi la vista.
Era vero? Quello che Luois mi stava dicendo era reale?
«Non prendermi in giro…», biascicai.
«Non lo sto facendo».
«Provi davvero qualcosa per me?».
Louis mi guardò a lungo, sfiorandomi l’anima con il suo sguardo color del mare.
«Sì – disse, con un tono che non ammetteva repliche – provo qualcosa per te. Non so dirti se amore, questo no, ma…».
Lo interruppi prima che potesse completare la frase.
In quel momento, con il cuore che batteva a mille e lo stomaco pieno di farfalle, me ne fregai qualsiasi altra cosa al di fuori di noi due.
Nient’altro aveva importanza ora.
«Non importa – sussurrai, dal momento che avevo la voce troppo incrinata per parlare – Solo…sei sicuro di quello che stai facendo?».
Anche questa volta nessuna esitazione.
«Sicurissimo».
«Bene, perché ho davvero bisogno di baciarti di nuovo».
Louis mi sorrise ancora, se possibile con ancora più dolcezza. Poi si chinò leggermente su di me e per la seconda volta nel giro di pochi minuti mi ritrovai a baciare il mio principe azzurro.
Un principe che avevo aspettato per troppo tempo.
 
Tornammo in albergo a pomeriggio inoltrato, stanchi, ma soprattutto esasperati dalle decine di chiamate di Rebekah.
La cosa peggiore, mentre attraversavamo la hall fianco a fianco, fu affrontare il senso di panico che, all’improvviso, si stava risvegliando dentro di me: cos’avremmo risposto alle domande dei nostri amici? Sarei stata in grado di mantenere il controllo davanti a Zayn e Rebekah? Ma soprattutto, come avrei sostenuto lo sguardo inquisitore di Harry?
Louis parve capire il mio disagio e, come già faceva da buona parte della giornata, cercò di rassicurarmi.
Con molta delicatezza lasciò andare la mia mano, fino a pochi secondi prima stretta alla sua, e la posò alla base della mia schiena, accarezzandomi dolcemente.
«Davvero pensi che andrà tutto bene?», mormorai, dopo aver premuto il pulsante dell’ascensore.
«Lo spero Samantha», rispose, sospirando.
Lo guardai solo per un istante, poi il mio
iPhone strillò nella tasca posteriore dei miei pantaloncini, comunicando l’arrivo di un messaggio.
Mentre scorrevo i miei contatti di whatsapp sentii Louis spingermi dentro l’ascensore che, nel frattempo, era arrivato.
 
Da:
Harry
Hey, vi ho visti dal balcone.
15:26, 28 maggio.

Digitai velocemente una risposta.

A: Harry
Stiamo arrivando, apri.
15:27, 28 maggio.
 
Poi rimisi il telefono al suo posto e alzai la testa verso Louis, che mi stava guardando.
«Ti prego, non fare quella faccia», disse infatti, corrugando le sopracciglia.
«Quale faccia?».
«Come se stessi andando al patibolo».
Deglutii a malapena, giusto in tempo per avvertire l’arresto dell’ascensore e vedere le porte scorrevoli aprirsi. Uscii dall’abitacolo prima di Louis e iniziai a percorrere il tratto di corridoio che ci divideva da Harry.
In quel momento era difficile dire come mi sentissi, ogni passo che facevo mi rimbombava nelle orecchie come in un thriller di quarta categoria.
Una parte di me si chiedeva se non avessi sbagliato tutto. Se non fosse stato meglio mettere una pietra sopra alla mia cotta per Lou e ricominciare da capo con Harry.
Quando la presenza di Tommo a mio fianco tornò a farsi sentire, però, inspirai appena e mi dissi che no, era giusto così.
Louis era ciò che volevo e la gioia che avevo provato nel sentire le sue labbra premere contro le mie non poteva essere un errore.
Avevo solo paura, perché da quel momento in poi avrei avuto molto da perdere.
Scrollai le spalle.
Mancava meno di mezzo metro alla soglia della camera, quando, all’improvviso, la porta si aprì e da essa apparve Harry, che guardò immediatamente nella nostra direzione.
Ci fissammo solo per un istante e bastò.
Qualcosa, nel modo in cui esaminò la mano di Louis ancora appoggiata alla mia schiena, mi suggerì che aveva intuito tutto.
 


Le braccia di Harry mi cullavano dolcemente, come a voler calmare il battito disordinato del mio cuore.
Sapevamo entrambi che Louis si era di proposito chiuso in bagno per lasciarci soli, quindi non era stato necessario farne parola: c’eravamo semplicemente guardati e, subito dopo, lui mi aveva stretta a sé.
«Sono contento per te, Sam. Dico davvero», mormorò contro i miei capelli.
Non volli perdere tempo a decidere se credergli o no.
«Ti ringrazio…per aver parlato con lui, ieri sera», risposi.
«Te lo avevo detto che ti avrei aiutata, no? Non hai idea di quanta soddisfazione mi dia esserci riuscito».
Sorrisi a malapena, per poi allontanarmi leggermente da lui.
Harry abbassò lo sguardo su di me.
«So che in realtà avresti voluto altro per noi due…», iniziai, ma lui scosse la testa.
«Te l’ho già detto, non importa quello che voglio io…non più. Sei tu la priorità adesso. Quello che rende felice te, rende felice anche me».
«Harry…».
Lo vidi sorridermi, sfoderando quelle meravigliose fossette che aveva fin da bambino.
«Stasera festeggiamo con una bella coppa di gelato da mezzo kg!», esclamò.
Rimasi sorpresa dalla sincerità del suo tono, dei suoi gesti.
Sembrava davvero felice.
«Sì, non sarebbe male – acconsentii, ricambiando il sorriso – ma ci voglio tanto cioccolato».
«Tutto il cioccolato del mondo per te, tesoro. Ora però vai di là e prepara la borsa, che appena Lou esce dal bagno raggiungiamo Zayn e Rebekah in piscina».
Ah già, la piscina. Mi ero completamente dimenticata della sua esistenza.
Mi affrettai ad annuire e sciolto il nostro abbraccio mi diressi verso la porta, con in mano la chiave magnetica che Harry mi aveva consegnato precedentemente.
Aveva detto che Zayn gliel’aveva lasciata nel caso io e Lou fossimo tornati prima di loro.
Già, Zayn.
Ripensai alla sua espressione, al modo in  cui, quella mattina, mi aveva fissata senza riuscire a dire niente. Potevo solo immaginare il disagio nell’aver dovuto passare quasi un’intera giornata al fianco di Rebekah e per giunta con il terrore di avermi messa incinta.
Dovevo assolutamente trovare un modo per parlargli in privato e spiegargli che sarebbe andato tutto bene, che non c’era pericolo.
Che poi, alla fine dei conti, non era nemmeno questo il nostro problema principale. Il problema era capire quale fosse la decisione migliore da prendere: confessare tutto a Bekah e di conseguenza anche a Harry, o far finta di niente e continuare a nascondere la cosa?
Avevo una mezza idea su cosa avrebbe scelto Zayn, ma vista la gravità della situazione non potevo esserne certa. Io per prima sapevo assolutamente cosa fare.
Mentre rimuginavo sui pro e i contro, infilai la chiave magnetica nell’apposita fessura ed entrai nella mia stanza.
La prima cosa che feci fu prendere la borsa che avevo già utilizzato per andare al mare: ci infilai dentro un asciugamano e il portafoglio ed entrai in bagno per darmi un’occhiata allo specchio.
Le mie labbra non erano più tanto gonfie e gli occhi, grazie al collirio che quella mattina avevo più volte utilizzato, erano più o meno liberi dal rossore dovuto al pianto e alla stanchezza.
Non ero certamente in forma, ma neppure conciata male quanto pensassi.
Preso un respiro profondo, mi ravvivai i capelli con le mani e tornai in corridoio a prendere la borsa.
Poco dopo, stretta in ascensore tra Harry e Louis, stavo tornando al piano terra.
Chissà se si erano parlati mentre io ero nella mia stanza.
Cercai conferma nei loro sguardi, che, tuttavia, trovai entrambi concentrati su punti indistinti nel vuoto.
Sospirai impercettibilmente, per poi cercare di nascosto la mano di Lou.
Un secondo dopo le sue dita erano intrecciate alle mie.
 
«Ma buongiorno!», gridò Bex dalla piscina.
La vidi agitare una mano per farsi notare tra le altre persone e io d’istinto ricambiai il saluto, rendendomi conto solo dopo che, dietro di lei, seduto sul bordo della vasca, c’era Zayn.
Uno Zayn che mi stava fissando con uno sguardo indecifrabile.
Il mio stomaco fu colto da fastidioso crampo.
«Si può sapere dove siete stati?», domandò Rebekah, costringendomi a riportare l’attenzione su di lei.
Alzai le spalle, mentre lei usciva dall’acqua.
«Noi…».
«L’ho portata a fare un giro sul lungomare e ci siamo bevuti un frappè», intervenne Louis, comparendo alle mie spalle.
L’avevo lasciato poco più indietro, ad aiutare Harry a prendere una sdraio.
La bionda gli sorrise in modo malizioso, poi, strizzandosi i capelli, si rivolse nuovamente a me.
«Non hai niente da dirmi?», chiese, risoluta.
Mi sarei presa un colpo, se me ne avesse dato il tempo: «E’ inutile che mi guardi così, tanto lo so che vi siete baciati!». E in men che non si dica era tornata a guardare Louis.
Lui, dopo qualche secondo di esitazione, mi lanciò un’occhiata e decise di dargliela vinta.
«Sì, l’ho baciata. Ora puoi fanghirlare in santa pace, Bex», rispose, con il suo solito tono ironico.
Era assurdo come riuscisse a comportarsi in modo completamente normale con lei, nonostante fosse a conoscenza di tutto il casino successo con Zayn. Lou era un grande attore, su questo non c’erano dubbi.
Un attore molto più bravo di me, dato il velo di sudore che mi imperlava la fronte.
«Ah! Te lo avevo detto, te lo avevo detto! Alla fine questo coglione ha ceduto al tuo fascino!», esclamò la mia amica, sporgendosi verso di me per abbracciarmi.
Riuscii a respingerla giusto in tempo per evitare che i miei vestiti venissero inzuppati.
«Sta buona, per piacere», mormorai, facendo un passo indietro.
Lei mi fece la linguaccia, poi si girò e fece segno a Zayn di raggiungerci.
Con la coda dell’occhio vidi la testa di Lou scattare nella sua direzione e seppi, in qualche modo, che lo aveva appena fulminato con lo sguardo.
Zayn scrollò le spalle e stirò le labbra in un sorriso che solo io, comprendendo il suo stato d’animo, riconobbi come forzato.
«Preferisco stare qui», mimò con le labbra e i gesti.
Non ero sicura se avesse capito ciò che era successo tra me e Louis, ma di certo non era questo il motivo per cui non aveva voluto  avvicinarsi: si sarebbe sentito troppo disagio nel stare al mio fianco in presenza di Rebekah.
Non potevo biasimarlo.
«Che sfaticato, Dio mio! Stamattina è insopportabile», borbottò lei, sospirando.
«Sarà in crisi d’astinenza. Non gliela stai dando abbastanza ultimamente?».
Io e Louis ci voltammo contemporaneamente.
Harry se ne stava in piedi a pochi passi da noi, con un lettino sotto braccio e la maglietta nera appoggiata su una spalla.
Lo squadrai velocemente, notando che la pelle del torace era già lievemente abbronzata.
Probabilmente quella mattina aveva preso il sole.
«Ma sta zitto», mormorò Louis tra sé.
«Parla quello che non scopa da capodanno», ribatté subito dopo Rebekah, strappando un sorriso al riccio.
«Touché!», esclamò infatti Harry.
Poi fu un attimo: il tempo di mollare la sdraio per terra, e i due piombarono insieme nella piscina affollata.
 

Pov Louis
 

Avevo guardato Sam dormire sul suo lettino per diversi minuti.
Le avevo sistemato l’ombrellone in modo che il sole non potesse scottarla, poi mi ero seduto accanto a lei, ad ascoltare un po’ di musica con il telefono.
Ancora non riuscivo bene a metabolizzare quello che era accaduto quella mattina in riva al mare, ma non me ne pentivo affatto.
Baciarla era stato strano, ma allo stesso tempo terribilmente piacevole: nel momento in cui le sue labbra avevano toccato le mie, con quell’imbarazzo che era tipico di Samantha, qualcosa in me era finalmente andato al suo posto.
Mentre la baciavo non avevo pensato a Eleanor, a come la stessi tradendo senza alcun minimo di rimorso, ma anzi, mi ero completamente lasciato andare, dimenticando qualsiasi tipo di preoccupazione.
E il benessere che avevo provato dopo, quando mi aveva guardato con gli occhi lucidi per l’emozione, era stato indescrivibile.
Con quel gesto l’avevo resa felice, l’avevo fatta stare bene nonostante i mille problemi che le gravavano addosso.
Harry questo l’aveva capito semplicemente con un’occhiata.
Non aveva chiesto nulla, non mi aveva detto nulla. Solo un “Stai facendo la cosa giusta, Lou” accompagnato da un sorriso sincero con tanto di fossette.
Ero consapevole che in realtà una parte di lui non fosse per niente d’accordo con quell’affermazione, ma proprio per questo avevo apprezzato ancor di più il suo gesto.
Harry era cresciuto e maturato tanto dalla prima volta che lo avevo incontrato e lo aveva fatto nel modo migliore.
Non  avrei mai saputo come ringraziarlo per essere rimasto vicino a Sam quando io non ne ero stato in grado. Era anche merito suo e, in un certo senso, anche di tutta la questione con Zayn, se finalmente mi ero deciso a prendere una decisione.
Una decisione che se ne stava lì, a dormire tranquillamente a pochi centimetri da me.
Le lanciai l’ennesima occhiata, sorridendo dentro di me.
Non vedevo l’ora di baciarla di nuovo.
«Louis?».
Mi voltai, trovando Malik in piedi vicino a me.
«Hey…», risposi, cercando di mantenere un tono normale.
Lui esitò un attimo, poi, chinatosi leggermente verso di me, mormorò un: «Come sta?».
«Sta bene, Zayn. Se voi sapere altro poi parlarne direttamente con lei quando si sveglierà».
«Mi dispiace per quello che è successo, sono stato un coglione e…».
«Non voglio parlarne, adesso. Solo…vedete di risolvere le cose tra di voi, okay? E cercate di trovare un modo per…sai, la tua ragazza», dissi, indicando con un cenno Rebekah, che stava seduta sul bordo della piscina a schizzare Harry con i piedi.
«Mi ha detto che hai baciato Sam», rispose lui, senza dare conto alle mie parole.
«Sì, l’ho fatto. Ne aveva bisogno e io avevo bisogno di lei».
«Quindi adesso state insieme?».
Finsi di pensarci un attimo, per poi annuire. «Sì, ma adesso basta, Zayn».
«Lo stai facendo perché tieni davvero a lei o solo per alleviare le sue pene?».
La conversazione prese all’improvviso una piega diversa. Inclinai la testa di lato, indeciso se alzarmi o no.
«Che problemi hai?».
«Nessuno – si affrettò a rispondere lui – sono solo confuso. Credevo che tu stessi con Eleanor e che non volessi lasciarla…».
Ah, ora capivo. Zayn mi stava rinfacciando le occhiatacce di quella mattina. Sapeva che ce l’avevo con lui per quello che, con la sua stupidità, aveva fatto sia a Sam che ha Rebekah e voleva farmi notare che, se lui aveva tradito la sua ragazza, io non ero da meno.
«Lascerò El stasera – risposi con stizza – ora torna dagli altri, per favore».
«Me lo auguro», lo sentii rispondere, una volta che si fu voltato.
«Cosa stai insinuando?».
«Sei sempre stato un codardo, Louis. Non dimenticarlo».
Poi se ne andò, senza darmi il tempo di chiedergli cosa intendeva.



*Spazio autrice*

Okay, non so cosa dire, se non che mi dispiace.
Il capitolo fa pena, me ne rendo conto, e so che molte di voi non lo leggeranno neanche,
ma ci tenevo a ringraziare tutte coloro che mi sono rimaste vicine quando ho postato l'avviso e che, nonostante tutto, continueranno a farlo anche ora.
Non so dirvi quando pubblicherò il prossimo aggiornamento perché francamente devo ancora iniziare a scriverlo, ma spero presto.
Se ci siete, se vi ricordate ancora di questa storia, vi prego, fatevi sentire. Ho bisogno delle vostre recensioni, ho bisogno di consigli e critiche, perché francamente mi sembra di non essere più capace a scrivere.
Un abbraccio,
Alice.

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