The Heart of Everything

di MelKaine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Hell ***
Capitolo 2: *** 2 - Unfair ***
Capitolo 3: *** 3 - Hollow memories ***
Capitolo 4: *** 4 - Resentful distractions ***
Capitolo 5: *** 5 - Scared angel in restless hours ***
Capitolo 6: *** 6 - Disgraced days ***
Capitolo 7: *** 7 - The cage and the fool ***
Capitolo 8: *** 8 - Deceived right from the start ***
Capitolo 9: *** 9 - Deep within the truth ***
Capitolo 10: *** 10 - Can't do on my own ***
Capitolo 11: *** 11 - The little bird's nest ***
Capitolo 12: *** 12 - Where sinners fear to tread ***
Capitolo 13: *** 13 - Our farewell ***
Capitolo 14: *** 14 - The loveless child and the wounded beast ***
Capitolo 15: *** 15 - Overcome: towards the begin ***
Capitolo 16: *** 16 - The other half (of me) ***
Capitolo 17: *** 17 - The hands that save you ***
Capitolo 18: *** 18 - Precious and fragile things ***
Capitolo 19: *** 19 - The rose beneath the truth ***
Capitolo 20: *** 20 - Concern of mine ***
Capitolo 21: *** 21 - To keep you near ***
Capitolo 22: *** 22 - In the middle of the night ***
Capitolo 23: *** 23 - Things I thought I put behind me ***
Capitolo 24: *** 24 - Hands of darkness (reaching for my soul) ***
Capitolo 25: *** 25 - Neverending sorrow ***
Capitolo 26: *** 26 - A demon's fate ***
Capitolo 27: *** 27 - What about us? ***
Capitolo 28: *** 28 - The howling ***



Capitolo 1
*** 1 - Hell ***


The Heart of Everything
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

Questa fanfic è un po un mio vezzo ed un po voglia di mettersi alla prova. Esistono molte fanfiction in inglese su Harry Potter bambino e dato che alcune sono particolarmente belle, come “Eight” per esempio o “Sentinel in the shadows”, mi sono sentita spinta a provarci prendendone spunto.
In questa storia Harry ha circa sei anni e non avrà una vita facile. Parlerò di abusi, ma ci tengo a precisare che questa storia NON tratterà di abusi sessuali (sono talmente tanto contraria a queste cose sui bambini che anche il solo pensarci mi fa rabbrividire) e che per motivi ovvi, data letà del protagonista, questa storia NON sarà slash. Parlerò anche di Severus Snape e delle sue scelte, ci potrebbero essere dei piccoli spoiler dellultimo libro, ma tanto quando scriverò il capitolo in questione la data di uscita del settimo libro in italiano sarà già passata da un pezzo.

PS: Ormai il sito ha raggiunto e superato le 11.000 fanfiction su Harry Potter, dato che io ho anche una vita reale leggerle tutte è chiedere troppo, mi scuso in anticipo se qualcuno dovesse trovare delle similarità con altre storie già presenti che io, ovviamente,  non ho letto e vi assicuro che la cosa è del tutto non intenzionale. Ringraziando per la cortese attenzione, buona lettura.

 

Mel Kaine

 

Nota grammaticale importante: in fondo.

 

 

The Heart of Everything

 

 

Capitolo 1 - < Hell >
 


Il piccolo tremava come un foglia.
Le piccole ginocchia strette al petto, la testa appoggiata sulle braccia mentre il vento portava via il suo silenziosissimo pianto.
Se li avesse svegliati, Zio Vernon lo avrebbe picchiato ancora più forte e quindi non importava quanto male gli faceva la pancia o quanta fame avesse.
Era sotto la loro finestra.
Zia Petunia lo sentiva persino quando respirava, quindi si diceva ‘Zitto Harry, zitto’.
La notte era così buia, il giardino davanti a lui faceva così paura, ma il piccolo Harry non doveva emettere un suono.
Già tutte le ossa gli facevano male e l’umidità attraversava i suoi vestiti larghi e sdruciti.
S’infilò le mani intirizzite sotto la maglia, contro le ossa del torace quasi sotto le ascelle, lì dove c’era più caldo, gli occhi fissi sulle ombre sotto gli alberi, dietro i cespugli.
Tremava di freddo e di paura.
Le lacrime continuavano a scavare solchi ben conosciuti lungo le sue piccole guance ed ogni suono della notte faceva battere il suo cuore più forte. E non riusciva a dormire. La schiena gli faceva così male, e la pancia anche, dentro e fuori, ed il gomito ed il collo. Fame, sete, terrore, dolore. Domani avrebbe fatto meglio a lavorare più in fretta, a trovare un modo per pulire anche in cima ai mobili o Zio Vernon lo avrebbe chiuso fuori di nuovo. Le grida di suo zio presero a vorticargli ancora una volta nella testa, resa leggera dalla fame e al tempo stesso pesante dal dolore alla nuca e dietro gli occhi.
‘Niente tetto sulla testa per i piccoli lavativi come te… credevi che non mi sarei accorto della polvere sulla libreria, stupido marmocchio? Fuori, piccolo abominio e non un suono o sarà peggio per te!’
E lo aveva spinto oltre la porta sul retro della cucina, vicino ai sacchetti pieni di rifiuti.
‘E farai bene a rimanere lì, non c’è nessun altro posto per te in questa casa se non accanto alla spazzatura, ragazzo!’ e ridendo di lui, guardandolo dall’alto in basso come se fosse veramente qualcosa di sudicio di cui disfarsi con sollievo, aveva chiuso la porta, doppia mandata e la catena, lasciandolo lì accanto alla plastica nera e maleodorante.
E lì era rimasto e non intendeva muoversi.
Sapeva fin troppo bene che se avesse osato spostarsi in qualche modo Zio Vernon sarebbe venuto a saperlo e per niente al mondo gli avrebbe così apertamente disobbedito. Già ogni giorno, per qualche motivo diverso, riusciva a farlo infuriare e tutte le volte, dopo, faceva tutto così male e c’erano macchie nere-blu sulla sua pelle e le sue ossa si lamentavano ad ogni respiro. Se solo Zio Vernon o Zia Petunia gli avessero spiegato cosa non fare e cosa non dire avrebbe potuto comportarsi meglio, ma non osava chiederlo, non osava chiedere mai niente. Sapeva perfettamente cosa lo aspettava se solo avesse provato. Niente domande in casa Dursley e soprattutto mai, per nessuna ragione, nessuna richiesta. Non c’era niente che si potesse dare o concedere ad un piccolo mostro come lui gli ripetevano ogni giorno e questa era l’unica verità che il piccolo Harry Potter conosceva.
Non era altro che un piccolo, misero cucciolo bastardo che nessuno voleva e doveva semplicemente essere grato di essere stato raccolto dalla strada su cui era stato abbandonato e, grazie alla loro carità, non affogato da neonato come spesso Zia Marge aveva consigliato nel corso degli anni.
E mentre lentamente quella notte di inizio autunno diventava alba e la rugiada gelida si posava lenta sui suoi piedini nudi, con il dolore che combatteva la spossatezza ed i tremiti che lo tenevano sveglio Harry poté udire i primi cenni di vita ai piani superiori.
Le manine chiuse in pugni piccoli e congelati vennero forzatamente passate sul viso, a controllare che non ci fossero lacrime, a dare un po’ di colore sfregando dolorosamente contro la pelle secca e marmata. E mentre la porta della cucina finalmente si apriva Harry sperò di poter avere anche solo una crosticina di pane, le piccole labbra pronte attorno alle solite parole che quel giorno non avrebbe risparmiato pur di avere qualcosa da mangiare. Gli occhi verdi enormi e colmi di disperazione.
“Per favore…per favore…”




Harry cercò veramente di fare del suo meglio. Con tutte e due le piccole braccia sfregava rapidamente il legno, cercando di lucidarlo tanto da specchiarcisi dentro. E anche se le spalle dolevano non era niente in confronto a come facevano male dopo quella che Zia Petunia chiamava ‘una buona dose di disciplina’. E ne avrebbe avuta di disciplina se non finiva prima del rientro di Zio Vernon. Adesso tutti i ripiani più bassi erano stati spolverati, mancavano quelli in alto, ma non sapeva come raggiungerli. Lasciò lo straccio sul legno e si diresse in cucina, fermandosi a pochi passi da sua zia.

“Che vuoi adesso?” lo accolse acidamente la donna.

“Posso… una sedia… è per pulire la libreria in alto, signora”.

Non gli era permesso chiamarla zia.
Improvvisamente gli occhi vicini e cattivi della donna sembrarono ingrandirsi fino a sporgere quasi dalla faccia cavallina.
Harry sapeva che aveva fatto male a chiedere, ma non aveva davvero altra scelta.

“Non permetterò a quei tuoi sudici, lerci piedi di sporcare le sedie dove la mia famiglia si siede! – urlò la donna, fuori di sé dalla sdegno. – Vai a cercarti uno sgabello in cantina, non lasciare macchie per terra e non perdere tempo, piccolo ingrato. E non osare mai più chiedere una cosa del genere o sarò costretta a dirlo a Vernon”.

“Sì, signora” e senza alzare gli occhi da terra si diresse verso la cantina.

Trascinare per le scale lo sgabello richiese tutta la sua volontà, e quanto desiderava potersi sbrigare, per un sacco di validi motivi.
Non solo era davvero tardi e lo zio stava per tornare, ma il piccolo Harry detestava davvero la cantina. Era buia e umida e fredda, e piena di angoli oscuri in cui si nascondevano chissà quali mostri e quasi ogni volta che scendeva lì Dudley o suo zio si divertivano a spegnergli la luce, lasciandolo terrorizzato al buio. Alle volte chiudevano anche la porta e lo lasciavano lì fin dopo cena.
Ma neanche quel giorno aveva avuto niente da mangiare e anche usando tutto il corpo non riusciva che a far fare allo sgabello altro che pochi centimetri alla volta. Poco per volta, e facendo attenzione a non sporcare, riuscì a raggiungere il salotto. Il vecchio sgabello si aprì con un cigolio spaventoso, Harry raccolse lo straccio e cercò di issarsi sui gradini. Per quanto poco pesasse sentì comunque la vecchia scaletta traballare e rimase fermo un istante. Poco dopo continuò a salire e pulire. Alle volte, in giorni in cui era affamato come quelli, la testa gli sembrava così leggera, più leggera del misero panno che teneva fra le dita. Comunque mancava poco, un solo ripiano e per quel giorno forse avrebbe avuto qualche buccia da mangiare e un pavimento su cui dormire. Issandosi con attenzione prese a viaggiare con la fantasia, come sempre più spesso faceva ogni giorno. E adesso immaginava di essere uno scalatore, un bravo, famoso scalatore che eseguiva una difficile salita, partito alla ricerca di una nuova valle ed ogni gradino in più era una scoperta di grandi distese erbose. Con una mano le accarezzava portando via la rugiada, in ogni angolo, anche quelli più lontani sporgendosi per arrivare. Per un istante gli sembrò quasi di galleggiare, la mente vuota e libera e poi il dolore esplose tutto insieme, contraendogli lo stomaco vuoto convulsamente, gli occhi videro nero per un momento prima di riaprirsi umidamente su un salotto storto, in cui i mobili erano tutti orizzontali e non più dritti verso il soffitto. Il piccolo Harry realizzò di essere caduto. Lo sgabello aveva barcollato un po’ e Harry si era sentito così debole per un attimo che non era riuscito a tenersi in piedi. Chiuse gli occhi e li riaprì. La sua avventura di scalatore era finita miseramente. Aveva sentito benissimo il contatto con il pavimento duro ed il cuore ed i polmoni gli erano balzati dentro il petto riatterrando, poi, dolorosamente. La spalla era in fiamme ed era come se anche tutto il braccio sul quale era caduto stesse lentamente incendiandosi. Non riusciva ad alzarsi. Prese fiato e provò, ma il suo piccolo corpicino non gli rispondeva assolutamente. Un filo di sangue scivolava dalla sua bocca socchiusa, seccandosi sulla guancia. Zia Petunia passò in quei momenti dietro al divano, diretta verso le scale, lo guardò una volta e passò oltre. Harry la sentì chiamare Dudley per il suo spuntino pre-cena. Sentì i passi rumorosi di suo cugino per le scale e di nuovo vide passare Zia Petunia.
Come se non esistesse.
Anche Dudley lo guardò passando.
Ed Harry rimase lì, come una scatola caduta e abbandonata. Le voci in cucina sembravano appartenere ad un altro mondo, un mondo in cui lui era invisibile e non voluto, la vita andava avanti e lui sembrava fermo. Dudley passò lì davanti ancora una volta e non si fermò.
Steso a terra accanto allo sgabello in una posizione innaturale Harry si rifiutò di sporcare il pavimento con le lacrime che gli bruciavano dietro gli occhi. Sapeva che altrimenti Zia Petunia si sarebbe infuriata tantissimo e lo avrebbe fatto picchiare. Non che pensasse seriamente di evitare le botte quel giorno. Non aveva finito di pulire e già sentiva il suono del motore della macchina di Zio Vernon nel vialetto. I suoi occhi si riempirono di terrore ed il cuore batteva veloce come le ali delle mosche.
I passi di suo Zio risuonarono in tutto l’ingresso.
Una volta che quegli occhi porcini si furono posati su di lui Harry iniziò a tremare. Brividi continui e frenetici. E ancora non riusciva ad alzarsi. Lo vide avvicinarsi, a grandi, furiosi passi, il collo rosso di rabbia.
“Cosa diavolo stai facendo, ragazzo? Ti riposi? PICCOLO OZIOSO BASTARDELLO PIGRO!!! In piedi! IN PIEDI, HO DETTO!” ruggì suo zio.
Ma ancora Harry non riusciva ad alzarsi e sapeva che se non voleva essere preso a calci doveva farlo e farlo in fretta e, giuro, ci provò davvero.
Ma non ci riusciva.
Infuriato come un toro Zio Vernon lo afferrò per i capelli, trascinandolo come un sacco di patate fino alla soglia della cucina.

“Non hai mica dato da mangiare a questo cane ingrato, vero Petunia?”

La donna si girò un istante per lanciare uno sguardo disgustato al patetico esserino.

“Certamente no, caro. Ha finito di pulire il salotto?”

“L’ho trovato in terra, AD OZIARE!”

Harry, i grandi occhi verdi dilatati di terrore, continuava a tremare in silenzio. Zia Petunia sapeva benissimo che era caduto, che non si stava riposando, che si era fatto male. Ma Zia Petunia non disse niente. E si girò per continuare a cucinare.

“Oh, mi hai disubbidito per l’ultima volta ragazzo.”

E lo trascinò vicino alle scale, dove suoni soffocati di carne e ossa battute risuonò nel silenzio.




La spalla già gonfia all’inverosimile, le gambe e la schiena ed il petto ed il viso, persino i piedi, erano tutti pieni di segni rossi che presto sarebbero diventati blu e poi neri. E poi, forse, non sarebbero spariti mai più. Non ricordava l’ultima volta che era stato picchiato così forte e così a lungo. Anche rimanere accartocciato per terra, lì, in quel cantuccio della cucina era un tortura. Soprattutto adesso. Sentiva un gran male dovunque, tranne che al braccio su cui era caduto. Lì non sentiva più niente ormai. E non riusciva più a muoverlo. Il piccolo Harry nascose il viso fra le ginocchia portate al petto. Cercando di farsi ancora più piccolo, cercando ancor più disperatamente di non sentire il buon odore di cibo caldo che veniva dalla tavola davanti a lui. I suoi zii e Dudley stavano cenando. Proprio davanti ai suoi occhi. Anche la gola gli faceva male. Aveva implorato così tanto suo zio di fermarsi, di scusarlo, che non lo avrebbe fatto mai più, che avrebbe fatto qualsiasi cosa, che sarebbe stato buono… Ed in quel momento, come tante altre volte negli istanti più disperati della sua breve vita il piccolo Harry si disse con innocente certezza che qualcosa aveva sicuramente fatto per meritare tutto questo. Rannicchiato in terra, dentro vestiti tre volte più grandi, sporchi ed insanguinati, debole e dolorante, affamato tanto da sentirsi lo stomaco martellare in gola, le piccola labbra ermeticamente chiuse per impedire che la saliva scivolasse sul pavimento. Ce n’era così tanta ed ogni pochino era costretto ad inghiottirla e anche quello faceva male, ma se non voleva soffocare non aveva altra scelta che continuare, perché fintanto che quell’odore non se ne fosse andato Harry non sarebbe stato capace di tenere la bocca asciutta. Con gli occhi stanchi e socchiusi guardava il mento grasso di suo cugino alzarsi ed abbassarsi mentre masticava. Perché non poteva avere qualcosa da mangiare anche lui? Perché non poteva sedere accanto a loro? Perché era steso a terra e doveva stare così male e ogni giorno fare tutti quei lavori? Quanto desiderava piangere e singhiozzare, ad alta voce, scosso dai tremiti, ma così, a pochi passi dalla figura enorme di suo zio non osava nemmeno emettere un respiro un po’ più forte. Non voleva essere picchiato ancora. Con tutte le sue misere forze cercò di far volare via il proprio pensiero… almeno lui… Di fantasticare ancora, come sempre quando tutto era così triste e doloroso nella sua vita.
E adesso si trovava prigioniero sul legno del ponte di una nave di pirati. Era stato catturato in città e portato dal comandante. Ma non aveva voluto parlare sul nascondiglio dei suoi compagni e quindi era stato picchiato. E adesso doveva patire la fame e la sete, ma almeno i suoi amici erano salvi e quindi il resto non importava.
Non si era nemmeno accorto di aver chiuso gli occhi quando violentemente venne tirato in piedi. La sua piccola testa sbatté con forza contro il muro. Un altro sogno ad occhi aperti finito miseramente.

“Credi che ti abbia fatto stare qui per riposare? Sparecchia, ragazzo e pulisci la cucina” gli urlò in faccia Zio Vernon.
“E non pensare nemmeno di prendere il cibo avanzato nei piatti” ribadì Zia Petunia, come ogni volta.
“Non mi fido di questo piccolo vermiciattolo, Petunia cara, controllalo fino a che i piatti non saranno vuoti”.

Senza sollevare gli occhi Harry cercò di tenersi in piedi una volta che le pesanti mani di suo zio lo avevano lasciato. Il suo intero corpo protestava insistentemente, ma il piccolo si diresse verso la tavola e con la sola mano destra prese a togliere i piatti. Sua zia lo aspettava vicino al cestino della spazzatura, guardandolo svuotare i piatti con un’espressione disgustata ed impaziente.
“Muoviti! Non posso stare qui tutta la sera”.
Il piccolo Harry svuotò ogni piatto con tutta la fretta possibile, con lo stomaco vuoto che si contraeva ferocemente ogni volta che vedeva tutto quel buon cibo finire nell’immondizia. Il piccolo Harry davvero non capiva perché non poteva averlo… Perché neanche un pochino…? Non lo avrebbe mangiato più nessuno…
Anche quella tortura finì e subito Harry fu spinto verso il lavello. Arrivava a mala pena al bordo, ma sua zia non se ne curava mai e distratta dalla sigla del telegiornale si avviò verso il salotto, rimanendo sulla soglia fra le due stanze.
Fu allora, mentre puliva una pentola particolarmente incrostata che Harry la vide.
Lì in terra, accanto ad una delle gambe del tavolo, nascosta alla vista di tutti eppure così grossa, quasi quanto metà di un suo dito.
Un’enorme, deliziosa briciola di pane.
Cercando di non pensarci Harry tornò a lavare, non ce l’avrebbe mai fatta a prenderla senza farsi vedere. Eppure non riusciva a smettere di guardarla. Un’occhiata a terra, un’occhiata ai piatti, di nuovo lo sguardo a terra, di nuovo i piatti.
Nel frattempo, quando poteva, rubava un sorso d’acqua, anche se calda e leggermente saponata, era meglio di niente, non sapeva quando l’avrebbero lasciato di nuovo andare in bagno. Continuò a lavare lentamente, poteva usare solo il braccio destro, il sinistro nemmeno si sollevava dal fianco. Zia Petunia era ancora sulla soglia. Di nuovo uno sguardo a terra, la grossa briciola non era scomparsa, era sempre là.
Il piccolo Harry aveva quasi finito quando sentì l’inconfondibile musichetta di quel programma alla televisione che i suoi zii adoravano e con la coda dell’occhio vide sua zia scattare avanti e sparire nel salotto. Un istante. Era la sua unica possibilità. Lasciò il piatto che stava sciacquando senza fare rumore e sgattaiolò sotto il tavolo, afferrò la briciola e se la mise in bocca. In un attimo si rialzò tornando al lavello. Il dolore di quei movimenti venne ricompensato ampiamente dal tenere contro l’interno della guancia il suo piccolo premio. Si concesse per un minuscolo secondo il piacere di sentire la rasposità di quella mollica di pane contro la lingua e poi la inghiottì, Zia Petunia poteva tornare in qualsiasi momento. Un istante dopo averlo sentito il piacevole sapore si dissolse, ma il piccolo Harry si sentiva un po’ meno vuoto e finì di lavare il più presto possibile. Appena chiusa l’acqua sentì i passi rumorosi di Zio Vernon. L’uomo lanciò uno sguardo critico alla cucina ed uno di disprezzo al bambino e si avvicinò. Con una mano lo afferrò per il polso sinistro, tirandoselo dietro, con l’altra raccolse il cesto pieno e chiuso di spazzatura. Vernon Dursley gettò entrambi fuori dalla porta sul retro e chiuse con catena e chiave. Ma il piccolo Harry non sentì alcun suono, aveva perso i sensi già prima di toccare terra, la presa al suo braccio malandato gli aveva fatto esplodere il cervello di dolore. Fuori la luna splendeva alta, illuminando per due solitarie ore il corpicino abbandonato prima che il piccolo Harry Potter si risvegliasse gemendo.
 

 

 

 

Continua...

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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Capitolo 2
*** 2 - Unfair ***


The Heart of Everything 2
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

Eccomi qui, se mi riuscisse di non essere costantemente in ritardo con tutto ciò che riguarda la mia esistenza spererei di aggiornare ogni martedì, così, senza motivi particolari eccetto che trovo che il martedì sia un gran bel giorno. Ovviamente avrò bisogno di supporto, fatemi sapere se volete che qualcosa in particolare accada in questa storia o se pensate che qualcosa debba essere corretto. Adesso un ringraziamento a chi mi ha letto e a chi mi ha commentato. In particolare Tigre94, Kagomechan a cui confesso che la riflessione su una cosa orrenda come gli abusi sui minori E' stato il punto di partenza di questa storia, Seilen91, Lilica e Ilary. Grazie di cuore.

 

Mel Kaine

 

 

Nota grammaticale importante: in fondo.

 

 

The Heart of Everything

 

 

Capitolo 2 - / Unfair /




La signora Figg camminava piegata a terra, guardando sotto macchine e siepi, attirando la curiosità della vecchietta della villetta accanto. Quando la tendina si richiuse la signora Figg stava ancora perquisendo Privet Drive alla ricerca di Otis. Piccolo randagio ribelle, le era sfuggito fra le mani mentre finiva di curarlo ed era balzato via dalla finestra socchiusa. Non era che un quarto alle dieci e già il freddo era sceso nel Surrey. La signora Figg non si voleva arrendere. Prima di considerarsi sconfitta avrebbe perlustrato tutto il quartiere. Lentamente passò davanti ogni casa, infilando testa e cappello attraverso le siepi. Arrivò al numero quattro e nell’incerta luce dei lampioni lontani vide una piccola figura nascondersi vicino ai sacchetti della spazzatura. Si avvicinò per guardare meglio e riconobbe il piccolo Potter. Cosa ci faceva fuori di casa a quell’ora? Non era tardissimo, ma era comunque già passata l’ora di andare a letto. Il bambino sembrava guardingo e fissava la finestra, mentre si faceva sempre più piccolo contro i sacchetti. Davvero, quei Dursley! ‘Dovrebbero sorvegliarlo meglio ed educarlo un po’ di più! – si disse – Permettergli di giocare a nascondino fino a quest’ora…’
Dumbledore non sarebbe stato felice di sentire questa notizia, quei muggle non era adatti a proteggere Harry Potter, il bambino sopravissuto. Erano troppo permissivi e maldestri. Non si lasciava giocare un bimbo così piccolo fino a tardi e con questo freddo. La signora Figg riprese la sua ricerca, scuotendo la testa. Avrebbe osservato quello che accadeva al numero quattro per qualche altra settimana, poi avrebbe fatto il suo rapporto al capo dell’Ordine della Fenice.


Zio Vernon era davvero infuriato. Il piccolo Harry di nuovo non capiva cosa avesse fatto. Sapeva solo che il viso dell’uomo era rosso come il fuoco e che sicuramente dopo sarebbe stato picchiato con forza. Desiderava con tutto se stesso scappare e nascondersi, persino in cantina, tutto, ma non rimanere lì. Eppure rimase fermo. Anche la faccia di sua zia non prometteva niente di buono.

“Bastardi impiccioni! Sempre a fare i conti in tasca agli onesti lavoratori”.

“Non possiamo ignorare la loro richiesta, Vernon tesoro?”cercò di calmarlo la donna.
“No, sanno che il mostriciattolo vive con noi e per la maledettissima legge scritta qui dobbiamo mandarlo a scuola… questo significa altri soldi spesi per lui, soldi tolti a noi e al nostro Dud. Non riesco a tollerarlo, Petunia!!!”

Scuola?Il piccolo Harry cercò di tenere la sua sorpresa per sé. Non alzò gli occhi da terra nemmeno quando avvertì il fiato orrendo di suo zio vicino al collo. Non osava mai guardarlo, a meno che non fosse direttamente interpellato.

“Lo vedi cosa siamo costretti a fare per te, ingrato piccolo sgorbio? Ci costerai un sacco di soldi e di tempo! Altro che scuola, il canile è il posto adatto a te! Affogato come dice Zia Marge, quella sì che sarebbe stata un’ottima soluzione”.

E si mise a percorrere la stanza in grandi, furibondi passi prima di fermarsi di nuovo accanto ad Harry, incombendo su di lui come un avvoltoio malvagio. Ecco, adesso l’avrebbe portato vicino alle scale e picchiato e poi sbattuto dentro al sottoscala. Harry sentì il proprio corpo tendersi ed irrigidirsi, pronto al dolore, come ogni volta.

Ma niente.

“Vernon caro, non dovresti adesso che…”

L’uomo emise un ringhio frustrato.
“Lo so, la scuola del nostro Dudley è piena di maestre impiccione, non possiamo lasciare che sospettino… lo manderemo lì fra poco meno di un mese… il tempo di rendere il bastardello presentabile”.

Poi si volse verso Harry.
“Ma non pensare di cavartela così, ragazzo. Verrai punito severamente se non ubbidirai. Intanto risparmia sul cibo Petunia, una crosta di qualcosa ogni pochi giorni è più che sufficiente. E fallo lavorare mentre non ci sono. Anche la notte. Stasera ti occuperai del giardino, togli le erbacce e sistema le aiuole o domattina sarà peggio per te. Intesi, ragazzo?”

“Sì signore”.

“E adesso fuori, chiudi la porta Petunia, a chiave”.



E così ogni notte in quelle tre settimane Harry sistemava il giardino. Non veniva più picchiato troppo forte, ma questo non significava che stesse meglio. Un paio di volte vide di nuovo la signora che abitava in fondo alla strada, quella che girava sempre circondata di gatti. Ma non aveva tempo per guardarla, doveva finire in fretta ogni sera oppure non avrebbe avuto niente da mangiare, nemmeno il pezzo ammuffito di formaggio o l’osso di pollo che riceveva ogni tre giorni, e Zia Petunia lo avrebbe chiuso in cantina. Alle volte Dudley lo infastidiva mentre Harry puliva il salotto o le scale e gli raccontava tutte le storie dell’orrore che guardava in televisione, in particolare quelle sui fantasmi delle cantine e quella orribile della spugna per lavare i piatti che aveva gli occhi e mordeva ed era impossibile da uccidere. E così ogni volta che Harry doveva lavare i piatti adesso guardava la spugna con paura e cercava di sbrigarsi e di tenerla in mano il meno possibile. Non era più riuscito a piegare il braccio sinistro e non lo poteva nemmeno alzare, se non di un paio di decine di centimetri. Ma almeno non faceva quasi più male. In quei giorni lavorava in casa dall’alba al tramonto, poi serviva la cena e puliva ed infine si occupava del giardino, fin quasi al mattino. Certe volte era così stanco da addormentarsi contro il bordo del lavello, ma uno schiaffo di sua zia riusciva sempre a svegliarlo. Altre volte invece non faceva bene quello che gli veniva detto perché nessuno gli spiegava come funzionavano alcune cose. Due pomeriggi fa, per esempio, stava pulendo dietro al televisore e senza saperlo aveva tirato uno di quei cosi neri che spuntavano da dietro la tv e l’immagine era andata via. Dudley aveva strillato come un matto e quando Zio Vernon era tornato Harry era stato picchiato e messo in cantina tutta la notte. Rannicchiato sul gradino più vicino alla porta non aveva dormito neanche un minuto, spaventato fino alle lacrime da ogni suono che veniva da basso.

Ma un pensiero ogni tanto gli appariva nella testa ed il piccolo Harry non poteva fare a meno di accarezzarlo gentilmente, con un po’ di gioia. Presto sarebbe andato a scuola… wow, con tanti altri bambini, con le maestre e tutto il resto. Una scuola vera, con i disegni ed i libri. E di nuovo la sua fantasia galoppava. Avventure fantastiche con i suoi nuovi amici, nel parco giochi di cui spesso Dudley aveva parlato. Avrebbe imparato i nomi di tutte le cose e forse avrebbe capito un po’ di più il mondo e si sarebbe potuto comportare meglio ed i suoi zii non lo avrebbero più picchiato così tanto. Sì, forse sarebbe stato bello andare a scuola e diventare finalmente un bravo bambino.



La signora Figg scosse di nuovo la testa, costernata. Urgeva contattare Dumbledore. Ormai erano passati fin troppi giorni. Rientrata in casa si diresse al focolare per chiamare il mago a capo dell’Ordine e consegnare il suo rapporto mensile a voce. La testa del preside di Hogwarts spuntò fra le fiamme.

“Signora Figg, cara amica, mi dica pure”.

“Signor Preside, mi dispiace informarla che i muggle a cui è stato affidato il piccolo Potter non sono persone di cui fidarsi”.

“Spiegatemi perché, cara signora Figg…”

“Sono troppo indulgenti, Preside, non prestano attenzione. Lasciano il bambino a giocare fuori nel giardino tutto il tempo, anche la notte. Riuscirei a rapirlo persino io, pensi ad uno dei servi di Voi-sapete-chi… no, no, Harry non è al sicuro. Il piccolo Potter è troppo esuberante, l’ho visto correre assieme al cugino in mezzo alla strada, senza nessun adulto accanto, ci vuole qualcuno che sappia controllarlo e disciplinarlo un po’. Almeno questo è quello che penso, se le interessa il mio parere, signore”.

Dumbledore rimase in silenzio per un lungo momento.
“Grazie mille signora Figg per il suo lavoro, avrò modo di riflettere su quanto mi ha rivelato stasera assieme ad alcuni membri dell’Ordine e molto presto le farò sapere. Buonanotte”.

E detto questo sparì fra le fiamme.
Soddisfatta d’aver compiuto il proprio dovere la signora Figg si sedette sul divano con in braccio uno dei suoi gatti e rimase a pensare a tutto e a niente per un po’.



Il piccolo Harry davvero voleva che il primo giorno di scuola non arrivasse mai più. Dudley lo aveva visto un po’ più felice qualche pomeriggio prima ed era riuscito a capire che era per la scuola e subito gli aveva fatto intendere che niente sarebbe cambiato, neanche lì, non se lui poteva fare qualcosa al riguardo. Aveva chiamato i suoi amici, tutti futuri compagni nella sua classe, e lo aveva inseguito in bici per tutto il quartiere, cercando di investirlo. Subito dopo lo avevano quasi preso a calci e gli avevano tirato addosso i coni gelato mezzi finiti che avevano in mano. Se questo era quello che lo aspettava a scuola, tutte le mattine, il piccolo Harry non era più così sicuro di volerci andare.
Adesso era di nuovo in cantina, ed aveva così paura al buio che il suo cuore batteva continuamente, come un ronzio. L’umido passava attraverso i buchi della sua maglietta ed il vento saliva dal basso, assieme a suoni spaventosi e cupi. Un asse che cigolò improvvisamente lo fece sobbalzare, per la ventesima volta cercò di farsi il più piccolo possibile contro lo stipite inferiore della porta. Un’altra notte sveglio e tremante. E la pancia aveva ripreso a fargli veramente male in quella settimana. Forse era la fame. Oltre un piccolo osso di coniglio mezzo masticato non aveva avuto altro in quattro giorni. Chinò la piccola testa sulle ginocchia e si disse che forse era tutta una punizione per la morte dei suoi genitori. In fondo sapeva bene com’era successo e non si aspettava di passarla liscia. Senza un suono lasciò cadere qualche lacrima, i rumori dal basso sembravano fantasmi e quando la stanchezza vinceva per pochi minuti incubi orrendi lo avvolgevano e nessuna fantasia, né sogno ad occhi aperti, riusciva a salvarlo dal terrore di svegliarsi solo e al buio.






Dumbledore posò la tazza di tè che stava sorseggiando sul piattino accanto a quella di Minerva.
“Temo, mia cara, che non ci sarà possibile ignorare le sconcertanti notizie della signora Figg”.

“Detesto prendermi la ragione, Albus, ma ti ho ripetuto molte volte quanto trovassi insensata l’idea di lasciare il piccolo Harry in compagnia di quei muggle, come si poteva sperare che gente di quella levatura comprendesse l’importanza della salvaguardia del figlio dei Potter?”

“Il sangue, Minerva, a quel tempo contava più delle mie speranze o della loro levatura. Tuttavia mi aspettavo che prima o poi qualcosa giungesse a turbare la pace della mia precedente disposizione”.

L’uomo agitò la bacchetta versando un’altra tazza alla strega prima di servirsi a sua volta.

“Dunque intendi intervenire? Ma come pensi di risolvere il problema? Dove manderemo il piccolo Potter? Con chi?”

Il vecchio mago non rispose, si lisciò la lunga barba per qualche infinito momento, ripetendo le parole ‘un po’ di disciplina’ prima di sollevare due occhi luminosi sulla donna che gli stava di fronte.

Minerva sorrise, sollevando graziosamente un sopracciglio.

“Conosco quello sguardo Albus, tu hai già in mente una persona e sento che oggi qualcuno verrà gentilmente costretto a fare qualcosa che non vuole assolutamente”.

“Oh, non temere, mia cara, alla fine, non so come, riesco sempre a vincere io”.

“So anche questo, Albus, so anche questo…”


Pochi minuti dopo un discreto bussare interruppe i saluti che la coppia di anziani maghi si stava scambiando. Severus Snape entrò nell’ufficio dietro invito del Preside, mentre Minerva McGonagall usciva silenziosamente, sospirando per il povero nuovo arrivato.

“Ah Severus, ragazzo mio – lo accolse benevolo indicandogli una sedia – una parola se non ti dispiace…”




Harry si rigirava penosamente sullo straccio per pulire che stava usando come materasso. Quella sera era stato molto fortunato. I suoi zii gli avevano permesso di dormire nel sottoscala. Forse era perché l’indomani cominciava la scuola. Non aveva più il vento freddo o i rumori nel buio della cantina a tenerlo sveglio, ma pensare di riposarsi era impossibile. Non con quel dolore alla pancia. Durante il giorno era diventato sempre più forte e adesso era praticamente insopportabile, non poteva nemmeno sfiorarsi lo stomaco. Cercò di tenersi al caldo appoggiandoci le piccole manine vicino, ma non riusciva proprio a risolvere niente, lasciò cadere un paio di lacrime intrattenibili. Non gli piaceva piangere, quando poteva non lo faceva. Aveva sempre una gran sete dopo ed in momenti come quelli, chiuso a chiave fino al mattino, senza sapere quando avrebbe potuto bere di nuovo, non era una cosa buona. E poi quando si asciugava la faccia finiva ogni volta per impiastricciarsi completamente perché aveva sempre le mani sporche di terra o di polvere. E poi quelle poche volte che si lasciava sfuggire un singhiozzo sentiva un sacco di fitte terribili, tutte insieme. No, non gli piaceva per niente piangere, ma alle volte era così impossibile non farlo, non lasciarsi andare. Il pavimento era gelato e sudicio e lo straccetto lo proteggeva solo dal petto alle ginocchia. Era sempre tutto buio, ma almeno lo spazio era piccolo e non c’erano strani suoni. Harry socchiuse gli occhi. Adesso era nel profondo del mare, dove tutto era scuro e freddo, ma lui doveva nuotare verso il fondo e trovare la grotta nascosta fra le alghe. Dentro c’era il tesoro più bello che il piccolo Harry riusciva ad immaginare. Coperte e giocattoli e cibo, tanto, tantissimo cibo. E l’aria nella grotta era più calda e sapeva di … (Harry non sapeva che odore avesse una grotta marina, quindi decise che sarebbe stato odore di pesce e terra). Era quasi arrivato, ma un polipo enorme non voleva farlo passare, allora il piccolo Harry tirò fuori un bastone per metterlo in fuga. Però lo colpì piano, perché sapeva che il bastone faceva davvero male e non gli andava che il polipo soffrisse anche se era cattivo. Ce l’aveva fatta! Adesso poteva prendere tutto quello che voleva. C’erano così tante cose buone che non sapeva da dove cominciare…

E non cominciò affatto. Il rumore furioso della porta del sottoscala che si apriva e le mani grosse e violente di suo zio lo tirarono fuori dal suo dolce dormiveglia. Era già ora di tornare a lavorare? Il sole non era nemmeno sorto…







“No, Albus. Nella maniera più assoluta, no!” replicò con veemenza il maestro di Pozioni.

“Non intendi nemmeno considerare per un attimo la mia proposta, Severus?”

“Assolutamente no” ripeté con convinzione il giovane uomo dai capelli neri.

Dumbledore sospirò insoddisfatto.

“Capisci bene che non possiamo più lasciare il piccolo Harry nella sua attuale residenza…”

“Indubbiamente. Ma non vedo come il fatto che aver scoperto che quegli stupidi ed inetti muggle sono appunto tali debba concernermi. Il giovane Potter verrà certamente accolto come una divinità in qualsiasi famiglia di maghi lo manderai, Albus, con l’unica eccezione dei Malfoy, si intende”.

“Suvvia Severus, non reprimere il tuo ingegno per tentare di ingannare un povero vecchio, sai molto bene che l’unico luogo sicuro per Harry è qui, ad Hogwarts. Non posso mettere a rischio nessuna delle brave famiglie di maghi che conosco”.

“Ancora una volta non vedo come questo debba riguardarmi, non sono l’unico abitante di questo castello. Sicuramente Madam Pomfrey o Madam Trelawney o…”

“Sì, sì, due dame deliziose, invero, ragazzo mio, ma mi duole ammetterlo, non adatte. Madam Pomfrey ha sempre molti pazienti e non posso sottrarle altro tempo prezioso e Sibyll… Sibyll, beh, comprendi bene che non sarebbe una scelta, come dire… adeguata”.

Il vecchio mago offrì nuovamente del tè, che Snape rifiutò con un gesto cortese della mano.

“Posso suggerire…Minerva?”insisté il maestro di Pozioni.

Albus sospirò ancora, affogando il suo improvviso dispiacere in un lungo sorso di delizioso tè bollente.

“Non posso ammettere di non aver pensato a lei, caro ragazzo, ma al momento non posso consentirle di esacerbare ancora di più le precarie condizioni di salute in cui giace. Quel maleficio alla fine della prima guerra contro i seguaci di Voldemort le ha lasciato molti problemi e nonostante siano passati quasi sei anni ancora ne risente, benché si sforzi con caparbietà di non darlo a vedere… sono certo che se le chiedessi di occuparsi del giovane Harry accetterebbe con gioia. Devo davvero arrivare a questo punto, Severus? Dimmi, non ho davvero altra scelta?”

Snape sostenne lo sguardo del Preside senza battere ciglio.
Sapeva che Albus stava giocando l’ultima carta.
‘Non riuscirai a farmi sentire in colpa, bisogna avere un cuore per sentirsi in colpa, Albus, ed io non ne ho uno da molto, molto tempo…’ pensò con amarezza.

Severus sedette nuovamente, ben dritto davanti al ‘nemico’.
Anche lui, da parte sua, aveva ottimi, validi argomenti.


“Albus, non vorrai davvero farmi credere che preferiresti veder crescere il giovane Potter nel mio studio, in mezzo ai fumi delle pozioni, fra recipienti pieni di cose rivoltanti e…”

Gli occhi di Dumbledore si illuminarono in modo preoccupante mentre lo interrompeva.

“Oh, i bambini sono curiosi per natura, ragazzo mio, sono certo che il tuo studio sarà al tempo stesso una piacevole scoperta ed un piacevole intrattenimento per il nostro Harry”.

“E’ esattamente quello che temo in secondo luogo, no, assolutamente no. Ho bisogno di concentrazione per preparare le mie pozioni ed ho dei doveri come insegnante in questa…”

“Certamente potrai aspettarti il nostro aiuto, non richiederemo mai da te più di quanto tu non possa dare al momento. Ragazzo mio, insegni in questa scuola da diversi anni ormai, conosci i programmi di studio delle tue classi perfettamente ed hai sempre svolto un eccellente lavoro”.

“Esattamente in nome di questo eccellente lavoro che intendo continuare a svolgere, Albus, non posso occuparmi del figlio dei Potter”.

“Sono costretto a chiederti ancora una volta di rivedere la tua posizione sull’argomento Severus – una lunga, sofferente nota di silenzio – il bambino non ha un posto sicuro dove andare… esattamente come te quando sei arrivato qui da noi…”

Snape mascherò lo stupore socchiudendo minacciosamente lo sguardo.
‘Dalla colpa passiamo alla riscossione dei debiti, Albus…?’

Il giovane maestro di Pozioni cercò di protrarre il silenzio il più a lungo possibile. Ma avvertiva comunque la sconfitta avvicinarsi.
Si alzò per congedarsi prima del colpo di grazia.
Spietatamente Dumbledore lo richiamò un attimo prima di raggiungere l’agognata porta.

“Caro ragazzo, mi aspetto buone notizie da te questa sera a cena, in caso tu decida di accettare ovviamente avrai il mio appoggio e quello di tutti gli altri insegnanti, nonché la nostra gratitudine, la mia e quella di Lily”.

Perché stupirsi e rattristarsi? Aspettava quest’ultima, ingiusta, coltellata dall’inizio della loro conversazione. Senza provare niente Severus Snape uscì, accomiatandosi con un leggero cenno del capo.





Il primo giorno di scuola era finalmente finito. Il piccolo Harry stava lavando i piatti e pensava che almeno a mensa aveva mangiato un paio di bocconi prima che Dudley gli facesse cadere il piatto per terra. Quella mattina era stato svegliato prestissimo e costretto a pulire e lavare e preparare la colazione e lucidare tutte le scarpe prima di andare a scuola. Si era quasi addormentato durante la prima lezione di tutta la sua vita e la maestra non ne era rimasta contenta, ma almeno non lo aveva escluso dalla gita del giorno dopo. Harry quasi sorrise. I delfini!! Sarebbero andati a vedere dei delfini veri. Era così eccitato al pensiero che non gli importava nemmeno di dover lavare tutte le pentole della cucina. Avrebbe visto i delfini!! Wow!!

Non si sentì triste nemmeno quando Zia Petunia lo portò nell’ingresso a pulire alcuni dei giocattoli sporchi di cioccolata di Dudley. Alle volte sua zia lo costringeva a lucidare i giochi di suo cugino, e questo lo rendeva sempre molto infelice, perché sapeva che lui non ne avrebbe mai avuti e che non gli era, e non gli sarebbe mai stato, permesso di usarli. Sua zia rimaneva sempre con lui tutto il tempo per sorvegliarlo ed essere certa che li pulisse soltanto, senza giocarci.

Fu allora che accadde. La porta si spalancò ed entrarono due uomini. Sconosciuti, alti, sì, talmente alti che il piccolo Harry, seduto lì nell’ingresso fra i giocattoli di Dudley, dovette piegarsi quasi all’indietro ed alzare la testa fino a sentir male prima di riuscire a vederne le facce.
Uno di loro aveva un occhio stranissimo, che girava come una trottola.

Zia Petunia lanciò un piccolo urlo isterico e subito Zio Vernon apparve dal salotto. I due uomini indicarono proprio Harry e dissero qualcosa sull ‘andare via subito’ e sul ‘portare con sé’.

Paralizzato dalla paura il piccolo Harry dimenticò persino di respirare e solo questo gli impedì di urlare quando si sentì sollevare da terra.
‘No, no!’ pensò Harry, non voleva, non voleva assolutamente. L’uomo con gli occhi normali lo aveva afferrato per la vita, tenendolo stretto al proprio fianco, una delle grosse mani premuta a forza proprio sul suo stomaco, per farlo stare fermo. Faceva così male!

‘No, i delfini, non voglio andare via, voglio vedere i delfini domani, i delfini!’ ma non disse niente di tutto questo.

In atterrito silenzio Harry rimase immobile contro l’uomo, il braccio sinistro che penzolava verso terra di quei pochi, dolorosissimi, centimetri, come l’arto di una bambola rotta e vecchia, pronta ad essere portata fuori e gettata via. Gli occhi verdi e umidi, enormi sul viso pallido e scarno. Aperti all’inverosimile contro l’orrore di quel ‘rapimento’.

‘Per favore, per favore, per favore…’ supplicava nella sua testa.

Ma nessuno aveva tempo per ascoltare il canto silenzioso della sua paura.
Harry non avrebbe mai visto i delfini.
Ed era, ancora e soltanto, un’altra delle cose ingiuste nella sua vita.

 

 

 

 

Continua...

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

Albus Dumbledore: Albus Silente;
Severus Snape: Severus Piton;
Minerva McGonagall: Minerva McGranitt;
Madam Poppy Pomfrey: Madama Chips;
Sibyll Trelawney: Sibilla Cooman.
 

   

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Capitolo 3
*** 3 - Hollow memories ***


The Heart of Everything 3
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Eccomi al terzo aggiornamento (dovevo aggiornare ieri, lo so, ma di sera il sito non funzionava, quindi) e ancora non ci credo di essere stata in grado di seguire la mia scaletta fino a qui. Un grazie a tutti coloro che mi hanno sostenuta fin dal primo e secondo capitolo, in particolare Ilary, Seilen91, lilica, kagome chan, Tigre94 (no, non sono Albus e Severus i due uomini in questione), Lake (ciao Lake, grazie ancora per i tuoi commenti alle altre mie fic, in particolare Segrete) a cui dico che ovviamente la signora Figg NON sta bene di cervello, come anche i Dursley non stanno affatto bene e neanche Severus quando avrò finito con lui, comunque cercherò di fare del mio meglio per non farli soffrire troppo, promesso ^__= o almeno, per non farli soffrire troppo ‛fino alla fine’. Grazie mille a Miriel per avermi segnalato la svista verbale, subito corretta. Grazie ancora. E grazie anche a pikkola prongs (il tuo nome mi piace molto ^_^ è davvero grazioso) alla quale confesso che anch’io sarei stata male da morire nel parlare di una possibile violenza sessuale su Harry e questo è il motivo per cui non l’ho fatto. Sì, “Eight” è la fanfiction su Fanfiction.net ed è fantastica davvero, peccato sia WIP, chissà quando verrà finita... Effettivamente leggo parecchio, sopratutto in quest’ultimo periodo. Grazie ancora per i complimenti, ma di errori ce ne sono e tanti anche, te lo posso assicurare. Grazie a LadySnape per il suo commento e per i complimenti sul mio stile. Grazie a briciola88, sì, in effetti non è una storia allegra, o almeno non lo è adesso, ma posso anticipare che migliorerà ^__^ io sono, per principio, una paladina dell’happy end, quindi non c’è da preoccuparsi. Grazie a unknow_angel per le mail (a cui risponderò al più presto) e per i commenti, avremo modo di parlarne meglio su messenger poi... Grazie mille a kisa86 per la mail e per il post nel forum, grazie davvero, nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per una mia storia prima. Infine grazie a hermy88. Bravissima, hai riconosciuto il titolo, non pensavo qualcuno conoscesse i Within Temptation, io personalmente li adoro, la cantante ha una voce *meravigliosa*, beata lei... ç___ç Questa storia non sarà una song-fic, ma conto di inserire molti titoli correlati a canzoni dei loro album e qualche frase dei testi, ma comunque se lo farò saranno segnalati (per esempio il titolo di questo capitolo riprende una parte di quello di un loro pezzo del terzo album, il più bello secondo me. Spero di non aver dimenticato nessuno, in caso contrario fatemi sapere subito, ok? Ancora un bacio a tutte/i. Vi auguro buona lettura.

 

Mel Kaine

 

 

Nota grammaticale importante: in fondo.

 

 

The Heart of Everything

 

 




Capitolo 3 - / Hollow memories /








Nella solitudine di un fuoco perennemente acceso, in una stanza spoglia, era facile lasciarsi ai ricordi. In fila, pronti ad assalire un animo deliziato all’idea di vacillare e divenire ancora più misero. Giusto contrappasso per le sue colpe. Oh, il sangue scivolava via dalla mani sotto l’acqua, ma era la coscienza, induritasi ora dopo ora, crudeltà dopo crudeltà, a segnare il suo cambiamento, a decretare la fine di ogni sua speranza. Ed ancora brillava il rosso riverbero, senza bruciare realmente nulla, senza suono e senza odore. Allegoria di chi ha lasciato già che tutto si consumasse e niente più ha da offrire in dono al dolore e al rimpianto. Involucro vuoto e vano. Foreste di paradossi nella mente esasperata da correnti di pensiero contrastanti e negazioni dell’essere, dell’avere, del volere e del sentire.
Le sue lunghe dita, pallide e smunte (come un volto sepolto dal tempo, sepolto nella colpa più nera), leggere accarezzavano il legno scuro, le coste alte e spesse dei libri, la polvere delle memorie, gli antichi sapori di qualcosa che aveva negoziato con l’incedere degli anni e che adesso era marcio come le fronde cadute degli alberi dopo le prime piogge d’autunno. Il suo indice si trovò, d’improvviso, a tracciare i contorni definiti di una cornice. Un mezzo sorriso ironico e storto. Mentre pensava che nessuno poteva dirsi riserva e non partecipante nell’eterna gara per la supremazia sul tempo. Ingannarlo, rallentarlo, fermarlo, recluderlo, ingabbiarlo nei vaghi e sfumati contorni di una fotografia. Col pollice era quasi pronto ad accarezzare la dolce, dolcissima linea di quel volto, quando la sgradevole sensazione di falsità lo avvolse come il pungente vento del mattino. Sarebbe stato solo un altro freddo, violento, ruvido contatto. Rude nella sua dichiarazione di realtà. Non c’era più pelle su quel viso, né colore in quegli occhi, né fiato fra quelle labbra. Il giorno passato è perduto. Il dolore era l’unica cosa che si poteva nutrire di immagini scolpite in movimenti sempre uguali e vivere nelle ore, nei mesi, negli anni.
Dannate foto magiche, colpevoli di far apparire vive persone che non avevano più respiro nei loro corpi freddi, consumate dalla terra in cui erano state seppellite. Maledette le memorie e la loro parassitaria esistenza, aggrappate ai nostri punti deboli, lacerando, mordendo, tormentando. E tutto era solo urla.



Un colpo discreto alla porta ed un membro dell’Ordine apparve sulla soglia dello studio di Dumbledore.
“Il bambino è a Hogwarts”.

“Mille grazie, Kingsley”.

L’uomo si congedò con un cenno della testa e Albus si risolse a scendere nella Great Hall per la cena.




I meriggi in cui gli capitava di perdersi disperatamente nelle danze vorticose dei suoi pensieri lo lasciavano sempre con un insopprimibile desiderio di devastare dentro al piatto qualunque cosa gli elfi domestici avessero preparato, senza mangiarne. Albus sedeva poco distante, il suo immortale sorriso gentile ed il maledetto brillio nel suo sguardo lo portarono ad esigere vendetta contro il filetto di carne comodamente poggiato davanti a lui. Perpetrato il delitto si sentì accusare dallo sguardo del capo dell’Ordine e ancora una volta gli venne ricordato di dovergli una risposta.
Non aveva alcun ulteriore motivo da aggiungere in sua difesa e sapeva con ogni certezza che nessuno dei suoi validi appelli sarebbe stato nuovamente preso in considerazione. E più di ogni altra cosa non voleva sentire ancora quel nome. Non voleva altre lunghe ore davanti al fuoco con la sola, deleteria, compagnia di una bottiglia di scotch, non voleva la sensazione di vuoto e di nausea di quegli eterni strazi che erano le minuziose analisi dei suoi passati comportamenti, né desiderava eviscerare nuovamente un sentimento morto o una colpa relativamente giovane.

No.

Eppure sapeva perfettamente e con assoluta chiarezza che avrebbe, ad ogni modo, dissentito da quella decisione, che avrebbe ancora rifiutato, fatto tutto quello che poteva per negarsi tale, sgradita, responsabilità. Non si sarebbe mai, né volontariamente né forzatamente, occupato del giovane Potter.

La cena finì in relativa calma e, non appena Dumbledore fece per congedarsi dalla tavola degli insegnanti e dirigersi verso di lui, Severus si alzò immediatamente, pronto a praticare ogni forma di ostruzionismo conosciuta.

“Ah, Severus, proprio l’uomo giusto…”
Snape fece per prendere parola e difendere a spada tratta la sua imperitura volontà di rimanere solo, quando Albus fece cenno di seguirlo.
“Il piccolo Harry è già arrivato, ragazzo mio, da questa parte”.

Sconfitto ancor prima della dichiarazione di guerra, Severus seguì in silenzio Dumbledore.




Harry guardava con timore gli enormi, altissimi orologi che riempivano la stanza. Il loro quieto ticchettio era ormai diventato talmente rumoroso da riempire tutta la stanza ed i loro rintocchi, ad intervalli regolari, lo facevano sussultare con violenza. Era in piedi, rigido come una piccola statuetta. Non osava sedersi su nessuna delle bellissime sedie ricoperte di velluto dorato che occupavano gli angoli vuoti. Non sapeva assolutamente dov’era, né cosa s’aspettasse da lui chiunque l’avesse portato lì. Cercò d’ingoiare la paura come meglio poteva, ma non ottenne risultati migliori di quelli che avrebbe potuto sperare d’avere davanti a suo zio dopo una giornata in cui i suoi lavori non erano stati finiti in tempo. Il continuo ronzio parlava di minuti e minuti andati, volati via. Mentre la sua agitazione aumentava e lo lasciava a tratti tremante, a tratti assolutamente indifferente, ma con gli occhi verde scuro spalancati sull’ignoto.
Un altro, improvviso, rintocco. Un altro piccolo sussulto.
Così preso nel provare timore, non si rese conto del rumore della porta e dei passi per le scale fino a che un paio di ombre alte e scure non si mossero alla sua destra. Immediatamente il piccolo Harry si fece indietro, ritirandosi un passo alla volta nell’angolo più vicino.
Due uomini avanzavano verso di lui e non erano gli stessi che lo avevano portato via dai Dursley. Uno di loro era vecchio, così vecchio che il piccolo Harry si chiese se stesse per compiere cento anni o se li avesse già passati. Aveva uno stranissimo cappello ed un vestito dai colori ancora più strani. Mentre si avvicinava manteneva sul viso un sorriso gentile, ma Harry aveva imparato a non fidarsi di chi gli si avvicinava sorridendo, soprattutto se la persona in questione era suo zio o suo cugino Dudley. Quindi si ritirò, per quanto poteva, ancora nell’angolo, schiacciandosi contro il corpo longilineo di uno degli altissimi orologi.

“Ciao Harry”disse l’uomo anziano.

Harry non rispose, quel sorriso lo metteva a disagio, forse aveva fatto qualcosa di sbagliato ed erano venuti a dirglielo, forse avrebbe dovuto già cominciare a pulire quella stanza, forse non doveva guardare gli orologi.
Il piccolo abbassò lo sguardo.

“Harry, voglio presentarti una persona, una persona speciale che avrà il compito di badare a te e di educarti, assieme a me e agli altri insegnanti, ovviamente. Severus, ragazzo mio, vieni pure avanti”.

Ecco, non è che ci fossero poi molte altre parole.
L’altro uomo, quello che fino ad adesso era rimasto nell’ombra, si fece avanti.
Ed era assolutamente… spaventoso.

Era molto più giovane del signore con lo strano cappello, ma aveva occhi neri e profondi come pozzi (anche se Harry non aveva mai davvero visto un pozzo sapeva che doveva essere un luogo orribile), lunghi capelli scuri come tende sciupate ed una specie di vestito ampio e nero come la cenere. La sua faccia era senza espressione e le sue labbra sottili erano già strette in una smorfia a metà fra il disgusto ed il rimprovero. Sembrava avere tutte e due le facce di Zio Vernon e Zia Petunia quando lo guardavano. E poi c’era il suo naso. Guardato a lungo non era poi così brutto, ma era sicuramente un naso grosso. Grosso come il becco di un pinguino. Sì, un grosso pinguino cattivo…
Oh, ma Harry non l’avrebbe mai detto ad alta voce…

L’uomo non disse niente ed il silenzio spaventava il piccolo ancora di più.
Il bimbo non osava alzare lo sguardo per nessuna ragione al mondo, ma sentiva su di sé quegli occhi neri come il buio che c’era in cantina.

“Harry, quest’uomo è Severus Snape, Professore di Pozioni qui ad Hogwarts. Resterai in sua compagnia per un po’ di tempo, puoi star certo che avrà ottima cura di te e delle tue necessità. Severus?”

Harry sentì l’uomo più giovane sospirare con fastidio.

“Piacere di conoscerla, signor Potter”.

Il piccolo prese immediatamente a torcersi le manine l’una dentro l’altra.
Doveva rispondere?
Cosa doveva dire?
Cosa non doveva dire?

Si risolse ad usare, a voce bassa, l’unica frase che sapeva sicura.
“Sì, signore”.

Snape sollevò un sopracciglio. Avrebbe desiderato commentare in modo sprezzante sulla maleducazione del figlio dei Potter, ma la voce di Dumbledore lo fermò.

“Molto bene, adesso che anche le più banali formalità sono state esplicate sono certo che vorrai mostrare al piccolo Harry la sua stanza. Il nostro giovane ospite sarà senz’altro stanco dopo tutte le avventure di quest’oggi, dico bene Harry?”

“Sì, signore”.

“Ottimo, ottimo. Buonanotte dunque”.

“Albus, non ritengo affatto…”

Un gesto noncurante della mano.
“Oh, non temere ragazzo mio, andrà tutto bene. Ne sono certo”.

E, sorridendo beatamente, scomparve su per le scale.

Nel rinnovato silenzio della stanza un altro orologio suonò rumorosamente. Harry sussultò, lasciandosi sfuggire una sorta di misero e bassissimo singulto non appena l’uomo vestito di nero si mosse.
Snape portò lungo i fianchi le braccia che fino a quel momento aveva tenuto incrociate contro il petto. Lanciò uno sguardo duro e serio al piccolo Harry, squadrandolo dal basso verso l’alto con meticolosa precisione. Il suo naso moriva dalla voglia di arricciarsi per il disgusto dell’essere costretto alla vista di abiti di tale foggia. Terrificanti persino per dei Muggle, invero.

Nel frattempo il piccolo Harry attendeva quietamente il suo destino. Non si stupiva affatto di essere stato affidato a quell’uomo. In fondo solo una persona così spaventosa avrebbe potuto accettare di averlo intorno. La gente perbene, quella simpatica e buona, che sorride felice ed è sempre gentile, semplicemente non era per lui. Solo i bravi bambini potevano avere persone del genere, non certo il piccolo, sporco, inutile Harry. Disubbidiente ed ingrato. Che non sapeva fare niente e che lavorava sempre male e non finiva mai in tempo…
No, Harry certamente sapeva che non sarebbe mai stato considerato un bravo bambino, non lo meritava, e quindi era giusto che finisse assieme a quell’uomo vestito di nero dal viso terribilmente cattivo. L’unica cosa che sperava era, magari, di non venir picchiato troppo forte. Ed un pezzettino di pane… sì, anche le botte andavano bene, ma almeno un pezzettino di pane…

La voce chiara e autoritaria dell’uomo lo trascinò via dal pensiero del suo piccolo desiderio.

“Mi segua, signor Potter”.

“Sì, signore” sussurrò Harry pianissimo e subito lo seguì.

Passarono attraverso una porta laterale che Harry prima non aveva visto. Adesso si trovavano in un corridoio lungo e buio. L’uomo non si girò nemmeno una volta e proseguì senza indecisioni verso altre scale. Scesero di almeno due piani e di nuovo c’erano solo corridoi. Corridoi altissimi e stretti, pieni di strani quadri che parevano muoversi, ma nell’ombra non si vedeva bene, tutto sembrava così vecchio e nero. Harry sperava con tutto il cuore di non dover pulire tutto. Non sarebbe riuscito a finire mai più.
Passarono molti minuti, ma l’uomo non si era fermato e continuava a camminare e svoltare prima a destra, poi a sinistra e viceversa. Se mai Harry si fosse trovato ad avventurarsi per quei luoghi da solo, era certo che si sarebbe perso in un attimo. Già non ricordava più nemmeno da che parte avevano girato l’ultima volta…
La testa, ad ogni passo, si faceva sempre più leggera e girava un pochino ad ogni angolo svoltato. Il freddo si stava facendo più intenso e la luce sembrava apparire di fronte a loro al passaggio di quell’uomo alto per poi scomparire di nuovo una volta passato. Harry non voleva rimanere indietro al buio, così faceva di tutto per tenere l’andatura veloce e stancante di quell’uomo. Poco importava, se per ogni suo passo, ce ne volevano quasi quattro dei suoi…
Poco dopo si ritrovò pressoché a dover correre, quando l’uomo si fermò improvvisamente di fronte ad un muro.
Davanti a loro, sulla parete, pendeva un grosso quadro rettangolare, alto quasi quanto l’uomo stesso. Raffigurava il tronco scuro e vecchio di un albero secco. I suoi rami, quasi neri, salivano in modo contorto verso il cielo grigio come ferro.
Harry non ne avrebbe saputo dire il perché, ma guardarlo lo fece sentire molto, molto triste.
L’uomo allora posò la mano contro il quadro e mormorò qualche parola senza farsi udire.
Subito il quadro si spostò di lato e comparve una porta.
Il piccolo Harry aveva ancora gli occhi spalancati per lo stupore quando venne fatto entrare.

Severus sospirò senza farsi sentire.
Adesso, al sicuro nelle proprie stanze, poteva venire a capo del disastro che era divenuta la sua serata da quando Albus si era alzato da tavola. Non aveva bisogno di girarsi per sentire dietro di sé la presenza del figlio dei Potter, immobile al centro del tappeto del salotto dei suoi quartieri privati. Perlomeno la piccola piaga era silenziosa. Eppure neanche questo era stato d’aiuto pochi attimi fa, quando Severus aveva sentito l’emicrania bussare alle sue tempie. Adesso tutto quello che desiderava era mandare a letto quella piccola, inopportuna creatura ed indulgere nei pensieri e nell’alcol, fino a tardi. Ma prima aveva bisogno di creargli una stanza ed un letto. Si volse quindi, osservando attorno che non vi fossero possedimenti personali che avesse cura di prelevare per la loro salvaguardia, e si avvicinò al bambino.

“Devo allontanarmi da questa stanza per qualche momento signor Potter, confido nel fatto di ritrovarla integra al mio ritorno. Faccia in modo da non spostarsi dall’esatto punto in cui si trova e di attendere il mio ritorno, in silenzio”.

E sparì in un piccolo corridoio laterale accanto al camino.

Il giovane Harry non aveva capito molto di quello che gli era stato detto. L’uomo aveva parlato usando un sacco di parole che lui non conosceva e poi continuava a chiamarlo ‘signore’. Harry non era mai stato chiamato ‘signore’, anzi, in realtà non era mai stato chiamato in quasi nessun altro modo eccetto ‘ragazzo’. Le uniche cose che aveva capito era che non doveva muoversi e doveva aspettare il ritorno di quell’uomo in silenzio. Prese, quindi, a guardarsi attorno.

La stanza era illuminata da un fuoco allegro che bruciava nel camino. Le pareti erano tutte di pietra, altissime e scure. Tre enormi librerie occupavano tutta una parte. Una era contro il muro, le altre due gli erano di fronte, messe di lato. Sopra c’erano così tanti, grossi libri che Harry rimase a fissarli stupito per un bel po’, prima di passare a guardare altro. Accanto al fuoco c’erano due poltrone molto belle, verde scuro con un sacco di decorazioni argentate ed i cuscini sembravano essere stati rigirati dentro una scatola di polvere d’argento e quasi brillavano. Oh, come gli sarebbe piaciuto toccarli, solo per vedere se quella polverina così bella gli sarebbe rimasta sulle mani. Ma non osava assolutamente farlo, anzi, sicuramente non gli era permesso nemmeno pensarci. Accanto al camino si apriva un corridoio veramente buio, lo stesso in cui era sparito l’uomo in nero. Poco più in là c’era una piccola credenza di legno scuro, dipinta di strani disegni e piena di bottiglie e bicchieri. Poi un tavolinetto basso, uno strano pezzo di stoffa verde con un serpente a forma di ‘S’ appeso al muro e la porta da cui erano entrati. Dall’altra parte, infine, si poteva vedere un altro corridoio ed un’altra gigantesca libreria, piena di fogli gialli e libri e oggetti strani e luccicanti. Era così alta che il bimbo sperò di non doverla mai pulire sopra. Non ci sarebbe arrivato nemmeno usando una sedia.
Harry si sfregò un pugnetto contro l’occhio.
Adesso era davvero stanco. Erano ore che stava in piedi. Guardò verso il basso e scosse la testa.
No, il tappeto verde scuro era troppo bello perché ci si potesse sedere. Anzi, in realtà non ci sarebbe nemmeno dovuto rimanere sopra, ma l’uomo aveva detto di non spostarsi e lui non avrebbe mai apertamente disubbidito ad un ordine diretto. Quindi rimase lì, spostando il peso del suo piccolo corpo prima su una gamba e poi sull’altra, inconfortabilmente.


Il giovane Maestro di Pozioni si chiuse alle spalle la porta della stanza che da qualche anno a questa parte usava come ripostiglio. Non aveva certo intenzione di sistemare la camera del figlio dei Potter davanti al bambino. Non avrebbe sopportato neanche un secondo dei puerili ‘Ohh’ e ‘Wow’ che l’uso di ogni più piccola e irrisoria magia sempre suscitava in qualsiasi petulante marmocchio. Chiamò a voce alta uno degli elfi domestici a disposizione del corpo insegnante e gli ordinò di trasferire tutto quello che si trovava lì in uno dei sottoscala del suo ufficio accanto all’aula di Pozioni, eccezione fatta per due vecchie assi di legno, un tavolino sporco ed un cumulo di stracci. L’elfo svolse velocemente il proprio compito e sparì. Severus lasciò che una sorta di ghigno gli si dipingesse sul viso, mentre fissava con attenzione ciò che era rimasto nella stanza. Per quanto desiderasse realmente non mostrare alcuna gentilezza nei confronti del figlio di James Potter, era certo che Albus gli avrebbe dato il tormento eterno se fosse venuto a sapere che per un attimo Severus aveva pensato di lasciare tutto così e di presentare al piccolo moccioso la sua ‘nuova’ stanza. Non che un poco di sana attitudine spartana avrebbe peggiorato la già lacunosa educazione di quello spocchioso esserino, così palesemente viziato e fastidioso… ma sarebbe stato comunque sgradevole essere rimproverati dall’occhiata paternalistica del capo dell’Ordine.
Così trasfigurò una delle assi in un baule, l’altra in un piccolo armadio, il tavolo in un comodino ed il cumulo di stracci in un letto. Marrone scuro per il legno e blu chiaro per le lenzuola. Non avrebbe accettato nessun rosso Gryffindor nei suoi quartieri. Mai.
In fretta fece ritorno nella sala dove aveva affidato a se stesso il bambino, fortemente convinto di trovarlo, se non in mezzo ai resti di una sua irrimediabilmente distrutta credenza, almeno inginocchiato accanto al fuoco a bruciare i suoi preziosissimi libri.
Con immensa sorpresa lo vide esattamente nel posto dove lo aveva lasciato. La stanza sembrava perfettamente in ordine, così come era sempre stata. Sicuramente la piccola piaga lo aveva sentito tornare e si era messa di nuovo lì, convinta di ricevere una lode. Tsk, avrebbe fatto bene ad impegnarsi molto di più e ad imparare che Severus Snape raramente considerava qualcuno degno di lode.

Adesso era giunto il momento più difficile.

Cercare di far capire alla piaga in questione che esistevano delle regole nei suoi quartieri e che, per il suo bene, avrebbe fatto doverosamente meglio a ricordarle.

Lo guardò in silenzio per un lungo momento. Sembrava veramente piccolo per l’età che avrebbe dovuto avere. Erano già passati cinque anni da quella notte in cui… ed Harry Potter allora aveva solo dodici mesi o poco più. Sei anni, quindi. Fisicamente non ne dimostrava che tre o quattro. Il viso era terribilmente pallido. Forse la stanchezza…

Severus sedette quindi su una delle poltrone davanti al fuoco e si decise a fare cenno al piccolo Potter di avvicinarsi.

Pensò fosse bene rivolgerglisi direttamente e chiamarlo semplicemente usando il suo cognome, senza più altri, ironici, fronzoli; del tutto sprecati se ci si doveva affidare all’intelligenza di un moccioso di sei anni.

“Molto bene, Potter, ci sono poche semplici cose di cui devo assolutamente informarti prima di mandarti nella tua stanza. Sappi che questi sono i miei quartieri e che qui vigono delle regole per le quali mi aspetto assoluta ubbidienza e rispetto. Chiaro?”

“Sì, signore” rispose prontamente il bimbo.

“In primo luogo non ti sarà permesso di uscire dalla tua stanza quando io non sono qui. Né dovrai mai uscire da quella porta senza il mio esplicito consenso – con una mano indicò la porta dalla quale erano entrati. – Mi aspetto che tu riesca a tenere in ordine la tua camera e non devi toccare niente che non sia tuo senza prima chiedere il mio permesso, né tanto meno entrare nella mia stanza o danneggiare una mia proprietà. Altra regola, cerca di fare poco rumore quando sono qui e… ovviamente gradirei non sentirti affatto parlare a meno tu non debba rispondere ad una mia domanda, ma ritengo sia chiedere troppo… hai capito tutto?”

“Sì, signore”.

Snape sollevò un sopracciglio. Da quando lo aveva incontrato aveva sentito la voce del bambino-Potter solo cinque volte. E tutte e cinque aveva detto la stessa, identica cosa. In condizioni normali avrebbe cominciato a pensare ad un ritardo dello sviluppo mentale, ma qui si parlava del figlio di James. Sicuramente il marmocchio si credeva spiritoso e stava ancora giocando al bravo bambino, convinto di poterlo raggirare. Tsk, che credesse quello che voleva, si sarebbe accorto delle conseguenze alla prima trasgressione.

“Continuerai a rivolgerti a me chiamandomi ‘signore’ o ‘professore’ e in nessun altro modo. Chiariamo subito, Potter, questa situazione mi aggrada ancora meno di quanto si possa pensare, questo compito mi è stato imposto e certamente non ne sono felice. Ho poco tempo in questi mesi e non intendo sprecare nemmeno un istante a ripetere quanto detto stasera, quindi vedi di ricordarlo e di ubbidire. Mi è stata affidata la tua educazione ed ho ogni potere di conseguirla come meglio credo, puoi star sicuro che non avrò alcuno scrupolo ad impartirti una buona dose di disciplina all’occorrenza”.

Harry s’irrigidì senza lasciarsi sfuggire nemmeno un suono.
Ecco, sapeva che prima o dopo sarebbe arrivata quella parte. La parte delle botte. Non che davvero fosse convinto di poterla evitare, eppure un pochino lo aveva sperato….
Ma adesso era chiaro che quell’uomo era veramente cattivo come sembrava.
Il piccolo non riusciva a smettere di tremare leggermente, non voleva essere visto, eppure non poteva farci niente. E guardare quelle mani così grandi, ferme sui braccioli della poltrona non lo aiutava. Chissà come dovevano fare male… forse lo avrebbe picchiato subito, prima di mandarlo a dormire o forse lo avrebbe fatto domani mattina. In ogni caso lo avrebbe fatto e presto. Harry prese nuovamente a torcersi le manine una dentro l’altra.

Severus lo guardò ancora una volta.
Sì, si disse riconfermando la sua prima impressione, la copia sputata di James Potter, anche se senza occhiali. Ma bastavano lo stesso viso, gli stessi indomabili capelli e quell’aria di scherno già dipinta nell’espressione.
Lo vide tremare lievemente, forse il freddo dei quartieri nelle segrete del castello…
Beh, lo aveva tenuto in piedi fin troppo, era ora di mandarlo a dormire.
Severus si alzò con silenziosa eleganza.

“Bene, seguimi”.

Lo condusse quindi davanti ad una piccola porta, la sua stanza, osservando il suo viso mentre lo lasciava entrare. Gli occhi del piccolo Potter si sgranarono lentamente. Severus gli indicò una porta in fondo sulla parete opposta e disse semplicemente: “Il bagno”.

Adesso poteva finalmente lasciarlo lì e dedicarsi a far scivolare i propri pensieri giù assieme ad un buon bicchiere di scotch. Ma poco prima di varcare la soglia, si sentì in qualche modo in dovere di avvertire il bambino-Potter un’ultima volta.

“Non tentare di uscire da questa camera senza un valido motivo perché in qualche modo lo verrò a sapere. Chiaro?”

E adesso aspettava la banale, falsa risposta…

“Sì, signore”.

… come dubitarne?

Si chiuse la porta alle spalle e scivolò lentamente verso la sala.
Il pensiero di serrare magicamente quella stanza lo aveva sfiorato per un momento, ma per quanto poco si fidasse del figlio di James Potter non poteva rischiare la sua incolumità. Il bambino avrebbe potuto avere dei problemi durante la notte e Severus non era certo così insensibile da negargli del tutto la possibilità di raggiungerlo nel caso ve ne fosse l’urgenza.
Sospirò, stringendosi fra pollice ed indice la sommità del naso.
Sperò in questo modo di liberarsi di un po’ della tensione che lo aveva tenuto sul filo fino a quel momento.
Al primo sorso di alcol una parte del feroce mal di testa lo lasciò.

Ma il problema rimaneva.
Il bambino non poteva stare con lui.
Doveva fare in modo di convincere Albus di questo e trovare qualcun’altro più adatto e bendisposto.

Rimase a lungo davanti al fuoco.
Non sentiva alcun rumore dal piccolo corridoio e pensò che Potter fosse già a letto, nel migliore dei casi addormentato.
Si alzò per riporre la bottiglia nella credenza e si decise a riposare le membra.

Attraversò il corridoio, castò un incantesimo di avvertimento sulla porta della camera di Potter, in modo che nessuno potesse aprirla senza che lui ne fosse al corrente, e si ritirò nelle sue stanze.


Rimasto solo nella sua camera, il piccolo Harry restò immobile per qualche lungo momento. Certamente doveva esserci uno sbaglio. Bambini come lui non meritavano una vera stanza. Né meritavano un comodino, un armadio e, soprattutto, non un letto. Poi vide il baule. Era chiaro, quello era il suo posto. Per questo era vuoto. Tristemente vi si diresse, ma, mentre ci stava appoggiando sopra le manine, scorse di nuovo la porta del bagno. Oh, ne aveva davvero bisogno, eppure…
Lanciò uno sguardo veloce ad una delle porte e poi all’altra e raggiunse quella del bagno. Rimase lì a guardarla per qualche minuto, indeciso. Poi entrò velocemente e dopo poche decine di secondi era fuori di nuovo. Aveva gli occhi spalancati ed il fiato corto, ma almeno era riuscito a fare ciò che doveva. Aveva bevuto quanto più possibile, questo almeno teneva a bada la fame. Di nuovo ritornò al baule e questa volta ci s’infilò dentro senza più distrazioni, rannicchiandosi sul fondo. Almeno era pulito ed il legno chiaro sembrava nuovo.
Adesso aveva un momento per pensare a tutto quello che gli era stato detto. Non che le regole di quel posto fossero poi così diverse da quelle in casa Dursley. Anche lì non doveva toccare mai niente né uscire senza permesso né fare rumore. Poi, non aveva capito bene, quell’uomo aveva parlato di alcune altre regole che ‘vivevano’ nei suoi quartieri… Harry non sapeva che le regole vivessero, forse questa era una cosa che avrebbe imparato a scuola, ma ormai non ci poteva più andare e la mattina dopo sarebbe stato l’unico bambino a non poter vedere i delfini. Era così triste, ma anche se aveva bevuto non voleva piangere di nuovo. L’uomo poi aveva detto che non doveva parlare mai, a meno che non fosse per rispondere ad una domanda. Beh, questo lo poteva fare, anche qui niente di diverso da quello che Zio Vernon gli aveva sempre ripetuto. E poi gli aveva detto di chiamarlo ‘signore’ o ‘professore’. Quindi era come una delle maestre della scuola dove era stato. Chissà… forse se si fosse comportato bene e se avesse lavorato senza fiatare l’uomo in nero gli avrebbe potuto insegnare qualcosa, in fondo era un maestro… continuava ad assomigliare più ad un grosso, alto pinguino cattivo, ma era anche un maestro… un maestro pinguino… oh, era un pensiero quasi buffo, ma Harry sapeva di non poterlo mai dire ad alta voce. Sarebbe stato sicuramente punito. Era stato avvertito almeno. L’uomo aveva detto che lo avrebbe sicuramente picchiato. E poi aveva aggiunto che non era felice di averlo lì. A questo Harry poteva credere senza dubbio. Nessuno voleva il piccolo Harry, nessuno lo poteva vedere, nessuno lo poteva sopportare, perché Harry era cattivo e inutile e quindi nessuno sarebbe, mai e poi mai, stato felice di averlo intorno. Harry lo sapeva bene, eppure questo non lo faceva sentire meno triste quando gli veniva detto. Era stato molto tempo disteso lì, a pensare. E la fame si era fatta sentire, voleva bere un altro po’, forse poi avrebbe potuto dormire un pochino. Velocemente tornò in bagno per pochissimi secondi, ma quando uscì e si fu sistemato di nuovo dentro al baule prese a tremare come una foglia.
Passi.
Dei passi nel corridoio.
Oh, lo sapeva che non sarebbe dovuto tornare in bagno. Dai Dursley non gli era permesso più di una volta al giorno e adesso sicuramente sarebbe stato picchiato.
Oh, sì, i passi si stavano facendo più vicini e forti.
Harry si coprì la testa con le manine, cercando di farsi piccolo piccolo e sparire nel fondo del baule. Le ginocchia gli tremavano così tanto da sbattere l’una contro l’altra e quasi non respirava. I passi si erano fermati davanti alla sua porta ed Harry pensò che fra poco la maniglia si sarebbe abbassata e che l’uomo in nero sarebbe entrato, rosso come era sempre Zio Vernon quando era arrabbiato, e lo avrebbe picchiato con quelle mani pallide e grandi. Passarono i tre istanti più lunghi della sua vita poi i passi ripresero, allontanandosi, e scomparvero nel silenzio della notte.
Poco dopo Harry si lasciò sfuggire un mezzo sospiro-singhiozzo.
Ma adesso non poteva più dormire. Sicuramente non l’avrebbe passata liscia. Di certo la mattina dopo sarebbe stato punito, forse l’uomo era stanco, come capitava a volte a Zio Vernon. E quando Zio Vernon gli permetteva di non essere picchiato la sera si ricordava sempre di farlo la mattina dopo. E adesso aveva di nuovo paura. Si stese, ma gli occhi erano aperti e le orecchie si aspettavano in qualsiasi momento di udire di nuovo quei passi, di sentire l’uomo tornare indietro. E non riuscì a dormire nemmeno un po’. Stremato, chiuse gli occhi solo la mattina dopo, mentre Snape scivolava fuori dai suoi quartieri per recarsi nella Great Hall.





Continua…




 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

Great Hall: Sala Grande
 

   

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Capitolo 4
*** 4 - Resentful distractions ***


The Heart of Everything 4
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 


Buon Natale a tutti!!!
Quarto capitolo, quarto aggiornamento. Un profondo grazie a tutti coloro che mi stanno ancora seguendo in questa mia prima avventura nel mondo di Harry Potter.
Grazie a Summer84 per il commento. Un po’ mi dispiace dover rattristare la gente, ma la storia lo richiede e considerando che a far ridere sono un disastro meglio così... Complimenti a Tigre94 per l’azzeccata intuizione, Snape davvero non vorrà ascoltare i segnali. Grazie mille a LadySnape. In effetti l’argomento non è affatto felice, ripeto. E voglio, in qualche modo, senza pretendere troppo, che le persone che leggono la mia storia capiscano quanto tutto questo sia orrendo ed ingiusto, non perché lo scrivo io, ma perché purtroppo queste cose, nel mondo, accadono davvero. Ed è così incivile, così... crudele, che mi vergogno di stare nella stessa categoria filogenetica di tali mostri. Vorrei che la gente sapesse cosa prova un bambino che ha fame, che sta male, che non ha amore. Vorrei che coloro che sono responsabili di queste cose spendano un momento del loro tempo a riflettere su tutto ciò prima di alzare nuovamente le mani, prima di ferire degli innocenti. Il potere non serve a distruggere, serve ad aver cura di chi è più debole. Non si dimostra di essere forti picchiando chi non ha difese... così si è solo codardi.
Spero che la mia storia aiuti a vederla in questo modo, nient’altro. Grazie ad unknow_angel (a cui devo ancora rispondere, perdono!) per i suoi immeritati complimenti. Grazie a iaco per l'incoraggiamento. Grazie a lilica, ti prometto che ne vedranno delle belle i due!! Grazie mille a Chrystal_93 per le sue parole super-incoraggianti ^__^ . Lake, grazie mille, ma aspetta ad odiare Snape, questo ancora non è niente ^__=  . Grazie a kagome chan per il suo commento. Un bacione a quella malefica di una bombottosa, a cui chiedo pubblicamente scusa per essere arrivata 3 volte in costante ritardo agli appuntamenti, grazie per i commenti, cara. Ogni promessa va mantenuta, dopo vado a commentare le altre fic! Ulteriori ringraziamenti a Ilary e (non so il nick, quindi metto quello della mail...) spike_and_buffy_loveforever. Spero di non aver lasciato indietro nessuno, fatemelo notare, semmai. Un ringraziamento a ellinor, a cui chiedo scusa per averla rattristata. Ti confesso che non avrei dovuto, ma mi sono sentita lusingata dalle tue parole, se hai provato rabbia e dolore allora sono riuscita a trasmettere qualcosa attraverso la mia storia e questo, secondo me, è uno dei più grandi obiettivi che una fic deve avere. Mi dispiace molto per la crudeltà di alcuni passaggi o di alcune situazioni, non mi sentirò in alcun modo offesa da chiunque smetta di leggere perché non se la sente, mai. Voglio solo poter dire che almeno nelle mie storie c’è sempre un lieto fine. Le fanfiction sono strumenti della fantasia che narrano di un mondo che esiste solo nelle nostre teste e nel mio non c’è spazio per la morte, la tristezza e la desolazione alla fine di ogni fiaba. Quindi happy ending sicuro...
 

 

Mel Kaine

 

 

Nota grammaticale importante e nota del capitolo: in fondo.

 

 

The Heart of Everything

 

 






Capitolo 4 - / Resentful distractions /





Harry non era mai riuscito, in tutta la sua vita, a dormire più di un paio d’ore di seguito. Certe volte era per il dolore dopo ‘la disciplina’ di zio Vernon, certe altre era la fame a svegliarlo, altre ancora il freddo o i suoni spaventosi della notte. Oppure succedeva, come quella mattina, che il suo corpo si lamentasse della superficie sulla quale era stato costretto a dormire. Oh, ma Harry era veramente grato e si sentiva fortunato ad aver potuto riposare sul legno e non sulla pietra. Si svegliò gemendo piano. Si passò una manina sugli occhi e li stropicciò forte. La prima cosa che sentì fu la fame, la seconda fu il male alla spalla destra per averci dormito sopra e la terza fu un disperato senso di allarme. Non si sentiva quasi più stanco, questo significava che aveva dormito! E troppo anche! Presto, doveva pulire la cucina, lavare i piatti, spolverare il salotto e pulire in cima alla libreria e poi il giardino… e tutto prima del ritorno di Zio Vernon!
Si issò fuori dal baule sgraziatamente, ruzzolando a terra. Di corsa raggiunse la porta, ma quando la vide (così alta, così bella, così diversa da quella del sottoscala) ricordò di non essere più in casa Dursley. Non aveva nemmeno appoggiato le manine sulla maniglia che ricordò anche le parole di quell’uomo vestito di nero. Non gli era permesso uscire dalla stanza. Prese fiato e tornò lentamente verso il baule, alzò gli occhi, fissando con desiderio la porta del bagno. Avrebbe voluto bere un pochino e passarsi dell’acqua sul viso, ma non poteva sprecare così la sua unica volta. Doveva aspettare almeno il pomeriggio o la sera. Già la notte prima aveva disubbidito ed era tornato in bagno, sicuramente se lo avesse fatto di nuovo sarebbe stato punito ancor più duramente. Un tremito lo scosse ed Harry si rassegnò a rimettersi a sedere dentro al baule. Sperava che l’uomo-col-naso-da-pinguino venisse a portargli qualcosa da mangiare.


Quella mattina la lezione di Pozioni fu una della più terribili di tutto l’anno per i giovani Hufflepuff. Snape continuava ad accanirsi su di loro come una iena affamata di sarcasmo e disprezzo, ignorando totalmente i suoi Slytherin. La continua pressione a cui erano sottoposti, e la considerevole perdita di punti, aveva fatto aumentare esponenzialmente il numero di calderoni in esplosione. Quando la classe venne congedata gli Hufflepuff erano, ormai, irrimediabilmente ultimi nella nuova classifica delle Case.

Snape si diresse quindi ai suoi quartieri. Sapeva che il bambino-Potter non era uscito dalla sua stanza. L’incantesimo di avvertimento glielo avrebbe fatto eventualmente sapere.
Ma questo non lo rendeva affatto più felice. Sicuramente la piccola, sciocca creatura stava ancora dormendo, per questo non si era già avventurata alla ricerca della prima cosa da distruggere.
In gran fretta rientrò nei propri appartamenti per controllare che tutto fosse a posto e si diresse alla porta della camera del figlio dei Potter.
La aprì con violenza, pregustandosi la piccola, futile soddisfazione di svegliarlo di soprassalto. Ma tutto quello che vide fu un letto vuoto.
Dannazione, dov’era Potter?
Come era riuscito ad uscire senza far attivare l’incantesimo sulla porta?
Socchiudendo gli occhi con sospetto, Snape esplorò la stanza. Ed infine lo vide. Quasi nascosto dentro al baule. Cos’era? Uno stupido gioco che quei Muggle gli avevano insegnato?
Lasciando scivolare un po’ di minaccia nel suo tono di voce, ordinò: “Esci da lì”.
Subito lo vide scattare in piedi ed issarsi oltre il bordo. Un momento dopo se lo trovò davanti, immobile in piedi e con la testa bassa.
Era sveglio dunque ed ancora vestito in quei disgustosi, sudici vestiti da Muggle.
Sembrava non essere davvero uscito da quella stanza, invero.
Forse le intimidazioni della sera precedente avevano sortito qualche effetto… bene…
Severus si appuntò mentalmente di farne più spesso.
Il silenzio si stava trascinando per troppo tempo. Snape decise di arrivare giusto al punto, come era sua abitudine.
“Quando mi senti arrivare non ti è permesso nasconderti. Adesso dimmi, dove sono tutte le tue cose, i tuoi giocattoli, i tuoi vestiti? Ne avevi quando ti hanno portato qui?”

Harry non alzò la testa.

“No, signore”.

“Molto bene, parlerò con chi di dovere. Rimani ancora nella tua stanza e… intrattieniti come meglio credi, dormi, gioca, fai quello che vuoi, ma non uscire”.

E senza aspettare la solita, ripetitiva risposta se ne andò, dirigendosi alla Great Hall per attendere al pranzo assieme a tutti gli altri insegnanti. Non aveva bisogno di preoccuparsi del cibo per il bambino, gli elfi erano stati informati ed avrebbero portato qualcosa per lui. Adesso aveva bisogno di accanirsi su qualsiasi pietanza fosse all’ordine del giorno e parlare con Albus. Parlare molto, molto seriamente con Albus.

Il pranzo fu un affare piuttosto quieto, il tavolo degli Hufflepuff era così silenzioso da far impressione. Ma neanche la loro incipiente sindrome depressiva riusciva a risollevare l’umore del maestro di Pozioni. Severus attese che Albus si alzasse e lo raggiunse, scivolandogli accanto con grazia.

“Ho bisogno di parlarle, Preside”.

“Ma certo, mio caro ragazzo, seguimi”.

Salirono le scale verso l’ufficio di Dumbledore e si accomodarono l’uno di fronte all’altro.

“Allora, cosa posso fare per te?” chiese gentilmente l’anziano mago.

“Albus, per essere concisi non è possibile che il giovane Potter rimanga…”

“Oh, giusto, il giovane Harry! Come sta il giovane Harry, mio caro ragazzo?” lo interruppe velocemente il Preside.

“Meglio di quanto dovrebbe…” fu lo sprezzante parere.

Il Preside di Hogwarts parve ignorare il tono caustico di quella risposta.
“Bene, bene… dicevamo?”

Severus si rassegnò ad abbandonare il discorso, per il momento.
Sapeva che qualunque cosa detta sarebbe rimasta inascoltata, avrebbe fatto meglio ad attendere un momento più propizio.

Si strinse fra pollice ed indice la sommità del naso, come faceva sempre quando le preoccupazioni lo portavano lentamente per mano verso l’emicrania.

“Ho bisogno di parlare con gli Auror che hanno prelevato il figlio dei Potter… il bambino non ha alcun possedimento. Avrò bisogno di mandare uno degli elfi della scuola a Diagon Alley, dubito che Hogwarts abbia divise di taglia così piccola…”

“Ma certo, ragazzo mio, tutto quello che ti serve. Ovviamente ogni spesa sostenuta per il giovane Harry sarà a carico della scuola, sentiti libero di…”

Questa volta fu Snape ad interrompere l’uomo.

“Non sono certo qui per una richiesta di soldi, Albus. Come ben sai ho ereditato un generoso ‘risarcimento’ dopo la morte dei miei genitori e ho il mio lavoro e le mie pozioni”.

“Ovviamente, caro ragazzo, ma permettimi di ripeterti, comunque, che sarebbe un vero privilegio per Hogwarts occuparsi di tali questioni d’importanza minore… diciamo che sarebbe un modo come un altro di ottenere un ulteriore ‘risarcimento’, da parte del Ministero della Magia, intendo…” un brillio intenso nei vivaci occhi azzurri.

Snape si lasciò ad un lieve sorriso ironico.

In fondo non era una cattiva idea spillare soldi a quell’inutile verme di un Fudge, sempre pronto a puntare, dalla seconda fila, il dito contro chi combatteva in prima linea a rischio della propria vita ogni giorno.

“Come vuoi, Albus, fai pure come ritieni giusto. Non ho obiezioni su questo. Adesso, se non ti dispiace, vorrei parlare con gli Auror e poi recarmi a fare lezione”.

“Ma certo, un momento solo”.

Dumbledore prese una manciata di polvere da una scatola sopra il suo camino e la gettò fra le fiamme, chiamando ad alta voce il numero dodici di Grimmauld Place.

In pochi minuti Kingsley Shacklebolt fece il suo ingresso nella stanza, scuotendosi un po’ di cenere dai vestiti.
“Benvenuto amico mio – lo salutò Albus. – Accomodati pure”.

Il giovane Auror si fece da parte mentre anche Mad-Eye Moody entrava nell’ufficio.

“Molto, molto bene! Adesso che siamo tutti qui Severus aveva qualche domanda, se non sbaglio?”

Snape si volse poco cordialmente verso i due uomini e chiese come mai il giovane Potter non avesse con sé nessuna delle sue proprietà.

Moody fece un verso quasi disgustato, appoggiando entrambe le mani sul suo bastone.
Kingsley si fece avanti, i riflessi del fuoco facevano brillare il suo orecchino d’oro come fosse illuminato dal sole.

“Abbiamo ritenuto che un raid veloce fosse la soluzione migliore, non c’era tempo per raccogliere tutte le cose del bambino. I Muggle sembravano estremamente nervosi quando siamo entrati”.

Snape lanciò uno sguardo a Mad-Eye Moody, osservando, appunto, il suo roteante occhio magico.

“Non ne dubito affatto” affermò ironicamente.

“E sinceramente non eravamo neanche pronti a fare dei bagagli, con tutta quella roba… Quando siamo arrivati il piccolo era proprio davanti a noi, seduto a terra, in mezzo ad una pila di… quanti saranno stati, Alastor, venti, trenta giocattoli?”

L’Auror più anziano volse la testa dall’altra parte, ancor più nauseato.
“Bah! Inutili, sciocchi Muggle. Dovrebbero insegnare ai loro figli disciplina e vigilanza, costante vigilanza, invece di rimbambirli con tutti quei… puah!”

Per quanto la mancanza di finezza nell’espressione fosse terrificante, Snape non si poteva considerare in disaccordo con quanto, così coloritamente, affermato. Dunque il bambino-Potter era un marmocchio viziato, esattamente come sospettava. Oh, ma avrebbe certamente imparato a fare a meno di tutte le sue cose, tranne quelle essenziali, fintantoché sarebbe rimasto con lui (situazione non ancora così certa quanto Albus credeva se Snape aveva qualcosa da dire in proposito… ).

“E la famiglia di Muggle?”

“La donna era lì col bambino – rispose ancora Shacklebolt. – Ha subito chiamato il marito quando ci ha visti, non hanno opposto molta resistenza comunque, non dopo aver visto lo sguardo truce di Alastor…” e rise, giovialmente.

“Bene. E’ tutto”.

Kingsley inclinò la testa in segno di saluto, i due Auror e Dumbledore si scambiarono qualche ultima parola e nel giro di un battito d’ali era spariti nuovamente attraverso il camino.

Snape rimase in silenzio ancora un istante.
Alzò lo sguardo ed incontrò gli occhi del Preside.

“Questo è tutto quello che volevi sapere, ragazzo mio?”

“No, un’ultima cosa… Quali sono le norme di sicurezza per il figlio dei Potter, intendo dire, dove posso lasciarlo andare e dove è meglio il contrario?”

Albus sospirò tragicamente.
“Mi duole moltissimo dirti questo, cara ragazzo, ma il piccolo Harry non può essere visto da nessuno”.

Il vecchio mago prese delle caramelle e ne offrì. Dopo un deciso rifiuto da parte di Snape ne prese una per sé, come a cacciare l’amarezza della sua precedente rivelazione.

“Hogwarts è un posto sicuro per quanto riguarda l’esterno, ma al suo interno… Le famiglie di alcuni studenti sono ancora devote a Voldemort, non desidero affatto che il nascondiglio di Harry venga scoperto così presto… ed il Ministero anche… no, caro ragazzo, non devi permettere che nessuno degli studenti o degli insegnanti all’infuori di me, Minerva, Hagrid e Madam Pomfrey, se ne avessi bisogno, sappia che il giovane Potter vive con te nei tuoi quartieri. E’così triste non poter lasciar uscire il bambino, ma ritengo sia per il suo bene, almeno per il momento. In seguito, sono certo, troveremo una soluzione migliore”.

Snape annuì lentamente e si congedò.



Harry si teneva le mani sulla pancia, incapace di far tacere il sordo rumore che ad intervalli regolari interrompeva il silenzio. L’uomo vestito di nero era tornato da lui, ma non gli aveva portato niente da mangiare ed Harry adesso aveva davvero fame. Non poteva nemmeno uscire dalla stanza e fare qualcuno dei lavoretti che era abituato a fare in casa Dursley. E questo lo stava rendendo disperato. Se non lavorava non poteva sperare di avere qualcosa da mangiare, sapeva di doversi guadagnare il cibo, ma se l’uomo non gli permetteva di farlo…
Tornò nel baule, si portò le ginocchia al petto e cercò di ignorare tutte le sensazioni spiacevoli.
Avrebbe tanto voluto tornare in bagno a bere, almeno un piccolo sorso, ma l’uomo aveva detto di ‘trattenersi’ e quindi non poteva.
Faceva sempre più freddo attorno a lui e chiuse gli occhi.
Immaginò di aprirli di nuovo e di vedere la porta socchiudersi. Un cagnolino con la codina in movimento lo guardava e gli abbaiava piano. Allora Harry lo faceva entrare e cominciavano a giocare insieme, rotolandosi su un tappeto che fino a quel momento non c’era. E ridevano. Harry lo abbracciava mentre il cagnolino gli leccava la faccia.
Ed Harry si addormentò un po’ più felice.



Snape si recò a cena con la cruenta intenzione di ridurre a striscioline qualsiasi cosa gli elfi osassero servirgli. Non alzò gli occhi da tavola nemmeno un momento. La giornata, dopo la breve visita nell’ufficio di Dumbledore, era andata peggiorando rapidamente. Quattro calderoni esplosi in meno di venti minuti e non era neanche una classe di Hufflepuff!

Come se non bastasse dopo cena non poteva esimersi dalla responsabilità di parlare con il dannato figlio dei Potter. Doveva farlo uscire da quella stanza almeno un paio d’ore e già lo sentiva nelle orecchie, a piagnucolare tutta la sera per i suoi giocattoli perduti. Aveva assolutamente bisogno di prepararsi una scorta di pozioni contro l’emicrania il prima possibile.

Scese verso i suoi quartieri molto più lentamente di quanto avrebbe dovuto. Venne fermato da due Slytherin del quarto anno e dopo aver risolto il loro problema riprese il cammino.

Questa volta quando Harry sentì i passi fuori dal corridoio si issò di scatto dal baule e corse nel centro della stanza, così come gli era stato detto. L’uomo non voleva che si nascondesse quando tornava ed Harry era pronto a fare qualunque cosa se questo poteva servire a fargli avere un pezzetto di pane.
Quando lo vide l’uomo gli parve ancora più alto e spaventoso. Aveva una faccia seria seria e le labbra erano strette l’una contro l’altra, come se stesse cercando di non urlare.
Sembrava avesse già perso la pazienza o non l’avesse mai avuta.

Harry non osò emettere un suono, abbassò la testa ancora di più e attese.

L’uomo si guardò attorno, poi chiese, senza spostarsi: “Hai mangiato quello che ti hanno portato, vero?”

Il piccolo alzò la testa stupito, ma subito la riabbassò di nuovo non appena incontrati gli occhi neri del signore a cui era stato affidato.
Oh, adesso si sarebbe avvicinato e gli avrebbe tirato uno schiaffo per la sua insolenza, forse anche due…

L’uomo effettivamente non aveva pazienza.
“Potter, ti ho fatto una domanda ed esigo una risposta, adesso! Hai mangiato quello che ti hanno portato, perché sono certo che ti avranno dato qualcosa come gli ho domandato”.

Harry prese subito a torcersi le manine. Cosa doveva dire? L’uomo sembrava così sicuro, ma lui non aveva avuto niente da mangiare…
E più il tempo passava e più stava facendo arrabbiare quel signore. Non voleva guadagnarsi subito un altro schiaffo e dai Dursley aveva imparato che non si doveva mai, per nessun motivo, contraddire uno dei grandi quando sembrava certo di una cosa. Tutto quello che poteva fare in fretta era dirgli quello che voleva sentirsi dire.

“Sì, signore”.

“Bene, puoi uscire dalla tua stanza se lo desideri, io sarò accanto al camino”.


Severus lanciò uno sguardo ai temi del secondo e terzo anno che doveva correggere e sospirò.
Perché era circondato da cose destinate a fargli venire un atroce mal di testa?

Aveva bisogno di una scrivania.

La sua personale era nel suo ufficio, accanto all’aula di Pozioni. Quello, infatti, era il posto dove per sei anni aveva corretto i compiti degli studenti e passato le sue sere. Ma adesso, con il bambino-Potter sistemato nei suoi quartieri, non poteva allontanarsi. Almeno non la sera, unico momento del giorno in cui era libero dai suoi impegni lavorativi.
Si guardò attorno alla ricerca del pezzo d’arredamento più adatto e scorse il tavolino accanto allo stemma degli Slytherin. Con rapidità lo fece levitare fino al centro della stanza e con un colpo di bacchetta lo trasformò in un’ampia scrivania di mogano scuro. Spostò con la magia una delle poltrone accanto al fuoco e la sostituì con la scrivania. Un altro colpo di bacchetta e pergamene, piume e calamai apparvero. Snape si accomodò dietro la scrivania e prese a lavorare sui compiti dei suoi studenti.

Harry era rimasto fermo dove era stato lasciato. La porta era socchiusa e si udivano strani rumori di oggetti ed una specie di suono ‘magico’, non sapeva definirlo bene, sembrava una sorta di piccolo risucchio e di apparizione insieme. Forse l’uomo stava facendo le pulizie e questo terrorizzava il piccolo Harry. Il bimbo non sapeva bene cosa fare, l’uomo non gli aveva elencato una lista di compiti da svolgere come quella che Zia Petunia gli leggeva ogni mattina. Voleva uscire dalla stanza e raggiungere l’uomo, mettersi davanti a lui, in vista, per rendersi disponibile per qualsiasi lavoro andasse fatto, ma al tempo stesso non voleva infastidirlo con la sua presenza, o peggio, farlo infuriare. Sapeva fin troppo bene che tutti preferivano non doverlo vedere e quindi, adesso, non sapeva cosa fare. Si accostò lentamente allo spiraglio di porta e cercò di vedere attraverso la penombra del corridoio. L’uomo era in salotto, come aveva detto. Si sentiva rumore di fogli, adesso. Harry sentì lo stomaco contrarsi dalla fame e decise di uscire. In fondo l’uomo-col-naso-da-pinguino aveva detto che poteva. Camminò verso la luce della sala, tenendosi accanto al muro e quando la raggiunse rimase lì, sulla soglia. Si guardò attorno. La stanza era esattamente come l’aveva vista la sera prima, ad eccezione dell’enorme scrivania che adesso stava accanto al fuoco di fronte ad una delle poltrone verde e argento. L’uomo era chino sopra alcuni fogli gialli e scriveva muovendo una strana penna a forma di piuma di… oca, pollo? Harry non aveva mai visto una cosa simile e neanche aveva mai visto così tanti libri aperti tutti sullo stesso tavolo, l’uomo ne pareva circondato. Il piccolo dagli occhi verdi spostò il peso da una gambetta all’altra, sperando che prima o poi l’uomo alzasse la testa e lo vedesse. Oh, Harry non avrebbe mai osato chiamarlo per attirare la sua attenzione. Non gli era permesso rivolgersi ad una persona grande per primo.
Passarono diversi minuti. Il signore vestito di nero sembrava veramente impegnato in quello che stava facendo. La grande piuma nera svolazzava avanti e indietro in gran fretta. Mh, piccione forse. Oh, sì, piccione. Certamente piccione, però… uno piuttosto grosso dato quanto era lunga la piuma…
Harry alzò la testa per guardarla meglio un’altra volta ed i suoi occhi incontrarono quelli dell’uomo. Il bimbo avrebbe voluto emettere un singhiozzo, ma dalla sua bocca socchiusa per la sorpresa non uscì altro che un sussurro senza senso.

Severus si sentiva stranamente osservato. Aveva tentato di cacciare la fastidiosa e sconsiderata sensazione, ma essa aveva continuato a pungolargli la coscienza senza dargli tregua. Infine, cedendo all’istinto, aveva alzato lo sguardo e si era trovato effettivamente osservato.
Due enormi occhi verdi, limpidi e lucidi, attenti e… spaventati?

Chi altro se non il bambino-Potter?

Con uno sbuffo seccato ed un tono contrariato Severus gli parlò: “Cosa fai lì fermo? Vieni qui”.

Subito il piccolo Harry ubbidì, anche se probabilmente avvicinarsi significava ricevere almeno quattro schiaffi. Due per averlo guardato negli occhi nella sua stanza e due per averlo guardato adesso.
Rigido come un piccolo soldatino pronto al dolore, il bimbo si portò di fronte alla scrivania.

Snape scrisse altre due righe di sprezzanti e caustici commenti su quella patetica sorta di tema e di nuovo guardò il bambino.
“Siedi” gli disse indicando la poltrona di fianco al fuoco.

Harry si girò sgranando gli occhi.
L’uomo lo lasciava sedere su una sedia così bella?
No, sicuramente era un trucco per punirlo, uno scherzo per prendersi gioco di lui e farlo picchiare come ogni tanto faceva Dudley.

Ma l’uomo sembrava davvero serio.

Oh, un'altra situazione difficilissima.
Cosa doveva fare?

L’uomo sembrava avere ancora meno pazienza di prima. Harry lo vide gettare di lato uno dei fogli gialli prima di risentire la sua voce.

“Devo ripetermi? Siediti, ho detto”.

Ed Harry si sedette, affondando nel tessuto morbido e caldo della poltrona, meravigliandosi della sensazione di pura gioia che stava provando. Non era mai stato fatto sedere su qualcosa di così soffice e bello. Ancora non ci credeva…

Rischiò uno sguardo velocissimo verso l’uomo. Il maestro pinguino non lo guardava, era già tornato a leggere i suoi fogli ed Harry era così felice di poter rimanere su quella sedia così splendida che neanche sentiva più la fame. Avvertire i cuscini dietro la schiena era qualcosa di meraviglioso. Pochi attimi dopo Harry stava già per addormentarsi. Oh, non sapeva che stare su qualcosa di così morbido facesse venire così tanto sonno…
Eppure non voleva chiudere gli occhi, non voleva che l’uomo lo vedesse così, inutile e tanto stupido da addormentarsi lì come un… come un bimbetto. Cercò di sedere meglio, diritto con la schiena e senza volerlo attirò l’attenzione dell’altro.

Snape sospirò quasi. Almeno il bambino, come aveva potuto notare già diverse volte ormai, era silenzioso. Niente fastidiosi piagnucolii, niente domande, niente rumore. Ringraziò il cielo che perlomeno un po’ di buon senso aveva spinto quei Muggle ad insegnargli le basi della civiltà reciproca, se non altro.
Lo guardò attentamente.
Merlino! Quei vestiti diventavano sempre più orripilanti e ridicoli ogni istante che passava. Scuotendo la testa dai lunghi capelli neri il giovane maestro di Pozioni prese un rotolo di pergamena pulito.
Vergò un breve messaggio per Madam Malkin del negozio Madam Malkin's Robes for All Occasions per ordinare dei vestiti più adatti, insomma tutto il necessario per un bambino di….
Lo guardò un’altra volta.
… tre anni, scrisse.
Avrebbe poi mandato un elfo a ritirarli. Non era un periodo buono per mostrarsi a Diagon Alley. Adesso che il Signore Oscuro era creduto morto, la furia della gente gridava vendetta contro qualunque persona ritenuta coinvolta nei circoli di Colui-che-non-doveva-essere-nominato. Come se non fosse abbastanza dall’altro lato i Death Eater ancora liberi passavano il tempo organizzando battute di caccia per i traditori della causa. Uscire dai confini di Hogwarts sarebbe stato estremamente pericoloso.
E Albus, Albus che sapeva ogni cosa, aveva osato complicare ulteriormente la sua precaria esistenza, affidandogli niente meno che il dannatissimo Bambino Sopravvissuto. Tanto valeva legarlo ai cancelli della scuola ed attendere il vincitore. Si accettavano scommesse… prima la brava gente del mondo magico, prima i suoi ex-colleghi della cerchia del Signore Oscuro o prima Fudge in persona con tutto il Ministero?
Un soffuso risentimento spadroneggiava nel suo animo. Severus lo accantonò, scuotendo la testa.
Ripiegò la pergamena. L’avrebbe spedita la mattina seguente via gufo. Tornò in fretta ai suoi libri ed ai suoi temi. In breve concluse il suo lavoro e si diresse alla libreria per scegliere dagli scaffali uno dei tomi con cui concludere la serata.
Lanciò uno sguardo veloce al bambino-Potter e scelse un secondo libro, molto più sottile e nuovo.
“Pozioni per principianti di tutte le età” recitava il titolo.
Lily era una strega intelligente e dotata, portata per Pozioni e Incantesimi. Severus sperò che il giovane Potter avesse ereditato tali propensioni, piuttosto che quelle paterne. Poteva capire che un bambino così piccolo potesse annoiarsi senza niente da fare o con cui giocare.
Ma sicuramente non gli avrebbe comprato dei giocattoli… a quelle cose poteva pensare Albus se lo desiderava, tutto quello che Severus aveva da offrire era un buon libro e certo non gli avrebbe fatto male...
Si avvicinò al piccolo e senza una parola gli offrì il libro.
Potter aveva ormai sei anni, quindi aveva già cominciato la scuola da almeno un anno ed un paio di mesi. Forse non avrebbe capito molto di quanto letto, ma Severus lo faceva esclusivamente per tenerlo impegnato. Lo vide prendere fra le manine il libro e velocemente tornò dietro la scrivania, girando la propria poltrona verso il fuoco ed immergendosi nella lettura di un affascinante trattato sui dodicimila usi dei rizomi delle piante autunnali a foglie trilobate.

Harry prese il libro trattenendo la meraviglia. Oh, che serata! Non solo gli era stato permesso di sedersi su una sedia bellissima, ma adesso poteva toccare una delle cose di quell’uomo. Uno dei suoi libri. E forse, forse poteva anche aprirlo. E guardarlo.
Harry non voleva fare brutta figura o sbagliare qualcosa, così prese ad osservare i movimenti del maestro dal naso di pinguino.
L’uomo aveva aperto il libro e lo teneva davanti a sé all’altezza del viso. Harry lo imitò. Da dietro la prima pagina il piccolo sbirciò ancora. Ogni tanto l’uomo girava pagina, i suoi occhi si muovevano velocemente e scorrevano giù e poi di nuovo girava pagina. Harry prese a fare lo stesso. Girava una pagina, la guardava da cima a fondo e poi, dopo un tempo sufficiente, ne girava un’altra.
Non c’erano molte figure a dire il vero. Era tutto scritto a lettere grandi, ma praticamente incomprensibili per lui. Harry aveva frequentato un solo ed unico giorno di scuola e non conosceva nemmeno l’alfabeto. Così non gli restava che guardare quegli strani dipinti tutti neri e bianchi. Mh, sembrava un libro di cucina, c’erano pentole disegnate ovunque e lunghi mestoli e barattoli strani. Ecco che la fame tornava a farsi sentire… forse l’uomo gli aveva dato il libro apposta, come quando d’estate Zia Petunia li portava ai giardini e lo mandava a comprare un gelato per suo cugino senza permettergli di averne uno per sé. Harry scosse la testa, fermandosi ad ammirare il disegno di un pentolone enorme e alto quasi quanto la libreria del salotto dei Dursley. Il bimbo lasciò correre la fantasia… adesso era diventato un cuoco famoso, così famoso che tutta la gente del mondo veniva a mangiare nel suo ristorante ed Harry cucinava per tutti senza fatica, divertendosi, e dopo aver sfamato tutti si sedeva nella sua cucina e si preparava qualcosa e mangiava assieme ai suoi amici, sì, perché lì nella cucina aveva un sacco di amici, persino i topolini nella dispensa, quelli a cui Harry dava ogni mattina un pezzetto di formaggio perché sapeva che la fame era una cosa molto, molto brutta e non voleva che nessuno, mai, dovesse provarla come spesso capitava a lui.

Una voce lo riscosse dal suo sogno ad occhi aperti.
Un piccolo pendolo, che prima Harry non aveva visto, suonava da qualche parte nella stanza.
L’uomo gli stava parlando.

“E’ tardi, vai a letto Potter, sarò nella mia stanza più tardi”.

Il bambino si alzò sussurrando: “Sì, signore”.
E sparì nel corridoio in pochi attimi.

Severus si sarebbe morso la lingua se non fosse stato certo che la mattina seguente, nelle due ore di lezione con Gryffindor e Hufflepuff, ne avrebbe avuto un bisogno disperato per sottrarre punti e sminuire pubblicamente piccoli, inferociti piromani.
Aveva nuovamente lasciata aperta una possibilità per il bambino. Esattamente come prima nella sua stanza quando gli aveva detto che lo avrebbe trovato accanto al fuoco.
Era chiaro.
Il bambino andava rimosso dalla sua cura. Avrebbe costretto Dumbledore a rivedere la sua decisione il pomeriggio seguente.
Assolutamente.







Continua…



 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

Hufflepuff: Tassorosso;
Slytherin: Serpeverde;
Cornelius Fudge: Cornelius Caramell;
Alastor "Mad-Eye" Moody: Alastor "Malocchio" Moody;
Madam Malkin: Madama McClan;
Madam Malkin's Robes for All Occasions: Madama McClan, abiti per tutte le occasioni.

Note capitolo: In effetti negli anni che vanno dal 1980 al 1990 Fudge non era a capo del Ministero della Magia, al suo posto vi era Millicent Bagnold. Ma dato che la storia è AU chiedo venia per questa ‛manipolazione’.
Ho controllato, dovrebbero effettivamente esistere piante autunnali con foglie trilobate.
Non ho potuto resistere parlando di cucina, ho DOVUTO menzionare i topolini. Mitico Ratatouille!!!

   

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Capitolo 5
*** 5 - Scared angel in restless hours ***


The Heart of Everything 5
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 


Buon Anno a tutti!!
Aggiornamento di fortuna. Quando torno più tardi sistemo tutto e aggiungo risposte alle recensioni e note al capitolo.

Eccomi ... con i dovuti ringraziamenti! Grazie a Psike per il suo commento, auguri anche a te. Grazie a Tigre94, fedelissima, che mi commenta ogni capitolo^__^ . Dunque adesso spiego un attimo visto che mi sembra un dubbio diffuso. Non è che Dumbledore non si accorge di niente, semplicemente non passa con il bambino abbastanza tempo per accorgersene e, se come giustamente avete notato, Snape parte prevenuto nei confronti di Harry, anche Dumbledore parte prevenuto... prevenuto nell’idea che nessuno ha mai abusato Harry! Quindi perché cercare segni di un qualcosa, che per lui, non dovrebbe esistere? Tornando a Snape, Snape non è stupido ovviamente (anche se adesso si sente un po’ odiato... uh uh uh ), non è che non nota che qualcosa non va, semplicemente NON vuole notarlo, perché ha deciso di non interessarsi del figlio dei Potter. Comunque in questo e nel prossimo capitolo spero di farlo capire ancora meglio. Mi fa un piacere enorme sapere che vengono fatte delle riflessioni sulla mia fic e posti degli interrogativi. ^__^ . Grazie a Kary91 per il suo commento. Grazie a LadySnape, solitamente adoro quando la gente chiama crudele il mio testo uh uh uh, in questo caso anche a me dispiace per Harry e non vedo l’ora di scrivere i capitoli in cui l’atteggiamento di Snape cambierà, perché vi assicuro che cambierà e non manca molto. Piccolo spoiler! Ancora 4 o 5 capitoli e le cose dovrebbero migliorare drasticamente. Forse anche prima... Grazie ad Arya, cara i commenti lunghi non mi annoiano affatto, anzi... spero di mantenere il mio ritmo di aggiornamento, adesso con gli esami di gennaio la vedo un po’ dura, ma cercherò di impegnarmi. Beh, che la Figg sia fumata ormai si sa... Snape invece avrà modo di redimersi. Grazie ancora. Grazie a sparta, sono contenta di essere riuscita almeno un po’ a far sentire le emozioni di Harry, anche se per adesso sono emozioni tristi. Bombottosa, visto che giovedì sono arrivata in orario? E anche lunedì!! Sto migliorando, è il mio buon proposito per l’anno nuovo. Ci si sente sul forum! Grazie di tutto. Grazie a lilica, in effetti mi piace molto giocare sugli equivoci e sui fraintendimenti e in questo capitolo e nel prossimo ce ne saranno ancora degli altri... sì, Ratatouille è un film bellissimo, merita guardarlo. Grazie a Chrystal_93, oddio, aspetta ad odiare Snape, ma non voglio dire altro... sono certa che dopo i capitoli finali della mia fic lo rispetterai ancora di più...  Grazie a Jerada per il suo commento, non ti preoccupare so che la storia è leggermente angosciante, almeno fino ad ora, bisognerà aspettare un pochino prima di vederla diventare allegra. Comunque grazie per avermi fatto sapere cosa ne pensavi. Ciao Lake, grazie mille, mi dispiace averti fatto infuriare, mi sento in dovere di avvertirti che anche questo capitolo non è leggero. Anzi... Per le altre fic mi sa che bisognerà aspettare ancora un po’, comunque grazie di tutto. Spero di non aver tralasciato nessuno, come sempre, fatemi sapere se dovessi aver scordato qualcuno...
Buona lettura e ancora buon anno!

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 



Capitolo 5 - /Scared angel in restless hours /






“Albus, sai bene quanto io detesti ripetermi, il bambino non…”

“Dicono che la neve arriverà prima quest’anno, mio caro ragazzo…”

Severus si passò una mano sul viso, facendo appello a qualsiasi parvenza di pazienza che ancora gli rimaneva. L’andito per giungere verso la Great Hall era pieno di vita. Gli studenti correvano accanto a loro per pranzare assieme agli altri alunni.

Snape, maestro di Pozioni ad Hogwarts, Scuola di Magia e Stregoneria, non intendeva accettare questa sconfitta. Non senza una lunga, estenuante, sanguinosa battaglia.

“Preside…”

Albus si volse verso di lui con un brillio vivace negli occhi.
“Non trovi sia un peccato non poter ammirare il verde dei prati fino alla prossima primavera?”

“Ovviamente, Albus, ovviamente…” concesse l’uomo

Il pranzo fu accompagnato dall’insistente sottofondo di voci allegre e spensierate. Oh, quanto li detestava. Si versò un’abbondante calice di vino e lo bevve lentamente, per calmare i nervi. Gli studenti erano eccitati per l’imminente weekend ad Hogsmeade e Snape si sentì estremamente grato di non dover insegnare quel pomeriggio. Certamente il numero di incidenti durante Pozioni avrebbe raggiunto un nuovo picco, altrimenti…

Si alzò.
Attraversò la Great Hall e si dispose ad attendere Dumbledore fuori dalle porte.

Sapeva che sarebbe stato come trovarsi in mare a combattere contro i flutti ed i venti in tempesta.
Ma non avrebbe accettato la resa, non ancora.
Non adesso che lo scorrere delle stagioni aveva mitigato il dolore e annebbiato il ricordo, come del buon vino.
Non adesso che la sua vita era divenuta quanto di più vicino alla stabilità e alla quiete avesse mai osato sperare.
Albus non poteva davvero chiedergli questo.
Non poteva.


Lo vide uscire molto tempo dopo, quando ormai la Hall era praticamente vuota.
Lo accompagnò in silenzio verso il suo ufficio, ripetendosi in mente un discorso che aveva già imparato e che non presentava alcuna falla.
Davanti al gargoyle di pietra Albus si girò verso di lui.
“Ragazzo mio, se la vecchiaia non mi sta giocando un brutto tiro, sono certo di ricordare che avevi una lettera da mandare. Ti consiglio caldamente di farlo adesso, spira un vento favorevole verso Diagon Alley, il tuo gufo arriverà in un istante”.

Impossibile.
Non poteva davvero rifiutargli udienza!
Non aveva il diritto di… rifiutargli ogni singola, misera possibilità di difesa, di … preservazione.

Gli occhi azzurri di Albus brillavano ancora, sì, ma non della loro luce gioviale, non della loro luce allegra.
E, senza bisogno di alcuna parola, avvenne quella conversazione che Severus temeva più di ogni altra cosa in quei giorni.

La richiesta incontrastabile di lealtà ed ubbidienza.

‘No, non su questo Albus, non così…’

Lasciando che il mantello attorno a lui si gonfiasse mentre si voltava Severus si allontanò a grandi passi.

La guferia era quieta e vuota.
Il giovane maestro di Pozioni legò alla zampa di uno degli animali il suo messaggio e lo guardò librarsi nell’aria di quel primo pomeriggio umido e piovoso.
Si appoggiò contro la balaustra di legno e ne strinse i bordi fino a sentire male, le nocche bianche come ossa.
La mente lontana, oltre le praterie pregne di fine pioggia, oltre le cime dei monti e degli alberi della Foresta Proibita, oltre le placide rive del lago.
Indietro, in tempi oscuri che non voleva rimembrare, eppure…
Come aveva potuto credere che un giorno ci sarebbe stata pace in terra anche per un’anima nera come la sua?
E l’uomo che lo aveva salvato adesso lo mandava nuovamente incontro alla rovina.

Le sue preoccupazioni era già molte così, senza bisogno di ulteriori pesi.
Come poteva Albus chiedergli questo?

No, quegli occhi, gli stessi, il pensiero fisso ogni istante, ad ogni sguardo.
Un solo giorno era parso come un’eternità di agonia.
Non voleva ricordare e non voleva che nessuno lo costringesse a farlo.

Dopo molti, infiniti minuti chiuse le palpebre e lasciò la torre per tornare ai suoi quartieri nelle fondamenta di Hogwarts.



Harry aveva cercato di dormire un altro po’, ma adesso veramente non ci riusciva. Nascosto sul fondo del baule, con le piccole ginocchia al petto, rimase a fissare il vuoto con gli occhi aperti per un sacco di tempo, senza avere la forza di fare altro. La testa era leggera, leggera. Come l’aria estiva quando si avvicinava il suo compleanno. Aveva fame. Fame. Fame. Fame. Fame.
Fame da morire.
Voleva disperatamente poter lavorare per quell’uomo e guadagnarsi qualcosa, ma non sapeva se ne avrebbe avuto la forza, adesso.
Non ne aveva neanche per lasciarsi alle sue fantasie…
Quando sentì l’uomo rientrare fu quasi certo che sarebbe stato picchiato subito.
Non riusciva nemmeno ad alzarsi per mettersi al centro della stanza, come gli era stato ordinato il giorno prima…
Ma il tempo passava e nessuno aveva aperto la sua porta.
Harry sapeva che doveva farsi vedere.
Sapeva che l’unico modo per poter finalmente mangiare qualcosa era chiedere all’uomo vestito di nero con cui adesso viveva.
E sapeva anche che prima sarebbe stato punito per tutto quello che aveva fatto in quei giorni (per essere andato in bagno una volta in più la prima sera, per averlo guardato ben due volte negli occhi senza permesso, per essersi seduto su una poltrona troppo bella per un moccioso come lui e per aver deciso di uscire dalla stanza adesso) e poi, forse, avrebbe potuto chiedere del cibo.
Si issò a fatica fuori dal suo baule, rabbrividendo.
La pancia ed il braccio sinistro avevano ripreso a fargli male. Non riusciva a camminare senza tremare e mordersi le labbra.
Con tutta la sua forza di volontà aprì la maniglia e scivolò verso la sala con il camino.


Snape era rientrato in gran fretta e con il viso coperto da un’espressione di pura rabbia.
Subito si era gettato sui suoi fogli, sulle sue ricerche e sui programmi per i suoi allievi.
Non aveva alcuna intenzione di accertarsi delle condizioni del bambino-Potter.
Se Albus insisteva con la sua linea d’azione Severus avrebbe risposto usando le stesse armi. Per niente al mondo si sarebbe curato del figlio di James Potter e prima o dopo Dumbledore sarebbe stato costretto a rimuoverlo dai suoi quartieri e ad affidarlo a qualcuno più ‘competente’.
Snape soleva definirsi un uomo impegnato. Voleva soltanto liberarsi di quell’inutile, piccolo esserino, di quel peso arrivato da un passato che, per la pace della sua anima torturata, doveva rimanere sepolto e lontano, non abitare le sue stanze e rendere insonni le sue notti.
Adesso aveva degli scopi nuovi, degli interessi e dei doveri. Non aveva davvero tempo per quel bambino. Per la prima volta i suoi esperimenti sul perfezionamento della Wolfsbane stavano dando i risultati sperati e la sua miglior classe di Slytherin si avviava verso i N.E.W.T.s, avrebbe voluto aggiungere per loro delle ore di doposcuola e prepararli ulteriormente. Non aveva davvero tempo per altre, insignificanti cose come, per esempio, quella che si stava muovendo alla sua sinistra.

Snape alzò di scatto la testa dalle pergamene ricoperte di fini appunti.
Dal corridoio si vedeva spuntare la testa del figlio dei Potter.
Una sorta di sottile lama d’irritazione colpì il maestro di Pozioni alle spalle, chiudendogli quasi la gola.
L’andamento lento e strascicato del bimbo, poi, lo stava facendo realmente infuriare.
E perché diavolo non alzava mai quella sua dannata testa?
Severus non disse niente e dopo qualche istante se lo trovò davanti.
Avrebbe voluto urlargli di andarsene, ma si mantenne calmo e composto, limitandosi a squadrarlo con sufficienza dall’alto della sua scrivania.


Il piccolo Harry si accostò cautamente, come se ad ogni passo dovesse arrivargli una botta sulla testa, ed era capitato alle volte, in effetti… L’uomo aveva un viso ancora più cattivo del solito, ma ad Harry, a questo punto, non importava più niente di farlo arrabbiare né di venir picchiato con quelle mani enormi. Aveva fame. Ed era più che disposto a fare qualsiasi cosa.
Prese a torcersi le manine l’una dentro l’altra, come sempre.
Adesso che era davanti a lui doveva solo trovare il fiato per parlare.
Anche se si sentiva la bocca asciutta si trovò ad ingoiare il groppo che gli si era formato in gola.

“Si-signore…” alzò un istante gli occhi per conferma e trovò quello sguardo nero puntato su di lui.
“Signore… p-p-per favore, posso… avere qualcosa? Da m-mangiare… – silenzio. – Per favore, per favore…” aggiunse per sicurezza, a Zio Vernon piaceva molto sentirlo pregare.

Snape sollevò un sopracciglio.
Era la prima volta che lo sentiva dire qualcosa di diverso dai soliti ‘Sì, signore’ , ‘No, signore’.
Ancora senza scomporsi l’uomo lanciò uno sguardo all’orologio. Non erano trascorse nemmeno due ore dalla fine del pranzo.

“No”.

Harry abbassò la testa ancora di più. Le lacrime stavano inesorabilmente diventando intrattenibili. Già le sentiva pungere dietro gli occhi, dolorosamente.

“Non voglio che tu prenda l’abitudine di mangiare fuori pasto”.

I grandi occhi verdi di Harry, ancora più grandi su quel visetto pallido e scarno, si spalancarono in sorpresa ed incomprensione.
Non capiva.

Forse l’uomo non voleva che prendesse l’abitudine di mangiare ogni tre giorni?
Forse doveva cercare di arrivare almeno a (non sapeva bene)… sei?

Oh, Harry davvero non aveva capito.
Sapeva solo che non avrebbe mangiato.

Spostò il suo misero peso da una gambina all’altra, pensando.

Forse poteva fare un ultimo tentativo.
Poteva chiedergli se aveva qualche lavoro da fargli fare, qualsiasi cosa… si sarebbe impegnato e forse l’uomo gli avrebbe dato qualcosa, dopo.

Di nuovo rimase in silenzio un pochino, non sapendo come chiedere, cosa dire.
Alzò un’altra volta la testa, l’uomo non lo guardava.

“Posso… ”

Snape sollevò la testa.
Cosa faceva ancora lì?
Attese.

“… fare … qualcosa…?”

Severus alzò gli occhi al cielo.

“Cosa facevi solitamente a casa, Potter? Dormivi? Giocavi? Continua a farlo, ma bada bene che non tollererò alcuna infrazione alle regole che ti ho elencato due sere fa…” lo guardò l’ultima volta prima di tornare alle sue carte.

Harry esitò un istante, prima di parlare: “Non mi era permesso giocare…”

“Mh…”
L’uomo non lo stava ascoltando già più. La piuma di piccione andava su e giù velocemente, senza quasi fermarsi.
Harry sospirò pianissimo e si spostò verso il fuoco. Si accucciò lì vicino, guardando fisso dentro le fiamme.
Un pezzetto di carbone stava lì, al margine del camino, solo e nero.
Harry pensò di somigliargli.
Piccolo e solo, lontano da tutti gli altri pezzi, lontano dal fuoco.
Anche se non poteva fare niente per se stesso, poteva fare qualcosa per quel piccolo carbone.
Lo prese, lanciando un minuscolo guaito di dolore e lo rigettò fra le fiamme.

Severus rialzò lo sguardo.
Sembrava proprio che il bambino-Potter si fosse bruciato vicino al fuoco.
Se si aspettava conforto da lui avrebbe fatto meglio a prepararsi ad una lunga attesa.
Non si sarebbe affatto lasciato intenerire dalle lacrime o dagli sguardi addolorati.
Niente poteva insegnargli a non avvicinarsi al camino meglio di una buona scottatura…

Si preparò, in attesa dei pianti e degli strilli, certo di perdere la pazienza fin dal primo momento.
Attese.

Attese.

Attese.
Niente. Inclinò la testa lievemente, guardando il bambino.
Potter si teneva la manina offesa contro il petto, ma non si era voltato a cercarlo, né stava piangendo… solo un leggero brillio negli occhi umidi.
Meglio così, si disse, non aveva tempo per gli isterismi.


In perfetto silenzio Harry si leccò il dito bruciato. Faceva male, ma non era nulla in confronto a quello che suo zio alle volte gli faceva. Non c’era motivo di disturbare quell’uomo per niente. Ancora Harry non si capacitava di come avesse potuto evitare ‘una buona dose di disciplina’. Erano due giorni ormai che dormiva fino a tardi e non puliva niente. E adesso aveva persino osato chiedere e rivolgergli lo sguardo e la parola e ancora niente botte.

L’uomo improvvisamente si alzò.

Il cuore di Harry partì come un cavallo al galoppo. Tentò di farsi piccolo piccolo contro il lato di pietra del camino, ma sapeva cosa sarebbe accaduto. Quando si faceva male da solo, in casa Dursley, suo zio o sua zia gli urlavano contro di essere un povero stupido e per educarlo lo colpivano dove si era ferito. Il piccolo tentò di nascondere la mano al petto, spingendola così forte contro le coste sporgenti da sentire dolore. Ma l’uomo lo oltrepassò senza degnarlo di alcuna attenzione.

Con i libri pieni dei suoi appunti sotto braccio Severus si chiuse la porta alle spalle, la fermò con un incantesimo e si diresse ai suoi laboratori.

Rimasto solo nella stanza Harry si alzò. A passo incerto tornò in camera sua e di nuovo si stese sul fondo del baule, esausto.

Snape lavorò alle sue pozioni tutto il pomeriggio. Le maniche tirate su fino al gomito (nella solitudine del suo laboratorio poteva permettersi tale privilegio senza il rischio di svelare il suo passato), la testa china sui fogli, sugli scritti, il calore del fuoco sotto il calderone.
L’esatta arte del misurare ingredienti e la sottile scienza del mescolarli insieme, trasformando materia in altra materia, era qualcosa di unico nella sua vita.
Sembravano riportarlo verso ere precedenti, ove l’asse della sua esistenza era stabile come una reazione ben conosciuta.
Per tanti anni era stato come gettare radici di piante sconosciute e polveri non etichettate nel calderone stracolmo e in ebollizione della sua vita, in attesa dell’esplosione. Poi Albus lo aveva tolto dal fuoco dopo che il Bambino Sopravvissuto ne aveva estinto la fiamma. E adesso intendevano ributtarlo nell’inferno d’incertezze dal quale era così faticosamente emerso.
Ed ancora Dumbledore si sorprendeva del suo rifiuto…
Ma Severus sapeva che alla fine ne sarebbe valsa la pena, di combattere ovviamente, di opporsi.
Alla fine sapeva che il dolore lentamente si sarebbe dissolto.
Con niente ad alimentarlo, niente a farlo crescere e sbriciolare i muri che penosamente tenevano in piedi la sua anima di peccatore.
Continuò a lavorare fino a sera, inconscio del tempo che passava, inconscio del mondo al di fuori, ignaro e sordo, mentre ombre si muovevano per incontrare altre ombre ai margini della Foresta Proibita ed il piccolo Potter piangeva nella sua stanza.

Oh, Harry si sentiva davvero male. La pancia di nuovo ed il braccio, il dito bruciato, la testa, il petto. Non gli piaceva per niente tossire se poi tutto il torace sembrava in fiamme. Aspettava che l’uomo tornasse. Così poteva andare in bagno e poi raggiungerlo, supplicarlo ancora, farsi dare qualcosa. Aveva pianto un pochino nel pomeriggio e poi si era addormentato. Adesso cominciava, per la prima volta, ad avere paura. Quell’uomo sembrava cattivo abbastanza da lasciarlo morire di fame. Forse non gli avrebbe dato proprio niente ed avrebbe atteso di… lasciarlo andare in cielo, come la sua mamma ed il suo papà, ma il pensiero non lo consolava. Non credeva affatto che i suoi genitori sarebbero stati felici di vederlo. E forse, Harry, il cielo non se lo meritava neppure. Era così inutile ed ingrato, sempre a chiedere, sempre ad innervosire i grandi. Nascose la testa sotto il braccio destro e lasciò che il tempo scorresse.

Snape si ritirò nei suoi quartieri un’ora dopo cena. Frustrato ed irritato si sbatté la porta alle spalle. I suoi esperimenti con la Wolfsbane non erano andati a buon fine e adesso avrebbe dovuto ricominciare da capo. Aveva un altro, fastidioso, principio di emicrania e non aveva ancora cenato. Si guardò attorno con occhi socchiusi. Ricordava perfettamente di aver lasciato il bambino-Potter accanto al camino. Beh, era già tanto che l’intero salotto non avesse prese fuoco…
Aveva magicamente chiuso a chiave la porta, quindi non lo avrebbe certo trovato fuori dai suoi appartamenti. A grandi passi si diresse verso la stanza del figlio dei Potter. La aprì senza riguardo ed alzò gli occhi al cielo.
Di nuovo in quel dannato baule a giocare a non-si-sapeva-cosa. Lo lasciò senza dire una parola e raggiunse la piccola cucina.

Chiamò un elfo, ordinò la cena e si sedette al tavolo.
Un istante dopo gli venne servito il pasto.


Harry aveva trattenuto il respiro fin da quando aveva sentito la porta sbattere con violenza. Alle volte anche Zio Vernon lo faceva e solitamente non era una cosa buona per Harry. Immancabilmente finiva con lui trascinato vicino alle scale e picchiato per qualche ragione. Tanto era tutta, come sempre, colpa sua.
Raccolte le poche energie che gli erano rimaste uscì dal baule e si affacciò sul corridoio dallo stipite della porta.

Da lontano poteva vedere una parte della sala illuminata dal camino ed in fondo in fondo, nell’angolino, poteva vedere anche la cucina.
L’uomo stava mangiando.

Harry ingoiò diverse volte la saliva che aveva preso a riempirgli la bocca. Con la testa appoggiata alla porta rimase fermo a guardare. Il suo stomaco ormai era abituato a non fare più molto rumore, ma quando si contraeva dalla fame faceva davvero un gran male. Oh, come avrebbe voluto avvicinarsi, anche solo per guardare cosa stava mangiando quel signore… Ma non ne aveva il coraggio e quindi rimase dov’era, gli occhi pieni di lacrime che si rifiutava di continuare a versare.

Snape si volse incuriosito verso l’elfo domestico che ancora non si era congedato dopo aver posato sul tavolo il vassoio.
“Io non sa bene come dire, signore…” cominciò la creatura.

“Allora non dire proprio niente, non ritengo ti sia richiesto”.

“Io mi scusa tanto, tantissimo, signore, ma volevo dire che ogni giorno il cibo…”

Venne miseramente interrotto, da un maestro di Pozioni stanco e nervoso.
“Non ho tempo per queste cose, puoi andare, sei congedato!”

“Sì, signore” e con un lieve ‘pop’ l’elfo scomparve.


Severus consumò la sua cena in silenzio, cercando di chiudere la mente a qualsiasi pensiero molesto. Uno dei suoi Slytherin era venuto nel suo ufficio, quel pomeriggio, per chiedere qualche chiarimento sulla lezione di Pozioni e questo lo rendeva oltremodo orgoglioso. Le sue piccole serpi, quell’anno, mostravano tutte una buona attitudine per lo studio di tale materia e Snape se ne era detto soddisfatto.
Se non fosse stato per la crudele tortura di dover insegnare loro assieme ad una classe di inutili, goffi Hufflepuff…

Si alzò velocemente e si sistemò alla sua scrivania. Non avrebbe avuto pace fintantoché la sua Wolfsbane non fosse stata perfetta. Prese a lavorare in modo preciso e veloce. Ma aveva bisogno di osservare nella pratica alcuni accorgimenti che riteneva indispensabili. Raccolse i fogli, lasciando in gran fretta i suoi appartamenti.

Il piccolo Harry scivolò lungo il muro del corridoio buio. Si guardò attorno. Anche se aveva sentito la porta sbattere e sapeva che l’uomo era uscito, sentiva il bisogno di controllare che fosse vero. Lentamente si fece strada fino al salotto. Nella penombra la cucina sembrava un premio ambito, meraviglioso.

Harry guardò di nuovo la porta chiusa e poi di nuovo verso la cucina.
Senza un suono si abbassò e sgattaiolò sotto il tavolo.

Forse l’uomo aveva lasciato cadere qualcosa… anche una mollica di pane andava bene, anche un piccolo ossicino di qualcosa. Qualunque cosa. Harry non riusciva a vedere molto bene al buio, ma con le manine tastava e cercava.
Ah, quasi si lasciò sfuggire un gridolino di gioia.
Una briciola!
Se la mise velocemente in bocca mentre ne cercava altre, sentendosi già meglio al sapore del pane contro la lingua.
Vicino alla sedia ne sentì un’altra. E lì vicino un’altra ancora.
L’uomo aveva mangiato in gran fretta…
Ma Harry era così contento che l’avesse fatto, e così felice dopo aver assaggiato anche il secondo pezzetto di pane, che non si accorse assolutamente del suono della porta, né vide l’ombra dell’uomo affacciarsi alla porta.

“Che diamine stai facendo lì sotto, Potter?!”

Harry alzò la testa di scatto, mancando il tavolo per un pelo.
I suoi occhi verdi come il bosco si dilatarono di terrore, il suo respiro divenne frenetico e irregolare.
Cercò di rifugiarsi d’istinto contro una delle sedie, ma una mano enorme si chiuse attorno al suo braccio, trascinandolo via dal suo riparo.

Snape era tornato indietro pochi istanti dopo aver cominciato i suoi esperimenti. Aveva scordato di sigillare magicamente la porta dei suoi quartieri e anche se le barriere che aveva eretto personalmente attorno alla porta non avrebbero permesso a nessuno di entrare senza permesso, altrettanto non si poteva dire per chiunque ne volesse uscire.
Così era tornato indietro in fretta, negandosi la sensazione di lieve preoccupazione al pensiero del bambino-Potter in giro per i corridoi di Hogwarts. Era rientrato gettando subito uno sguardo al corridoio, la porta della stanza sembrava aperta… c’era solo da aspettarselo…
Intenzionato a cercare meglio prima di correre fuori era stato fermato da un suono alla sua sinistra, una sorta di minuscolo grido di esaltazione, più un sospiro contento, in realtà.
Aveva guardato nella penombra della cucina e dopo un istante aveva visto i piedini di quello che tutto era fuorché un elfo domestico affaccendato sotto al suo tavolo.
Quasi sollevato e certamente irritato al tempo stesso, si era fermato un attimo a domandarsi cosa diavolo stesse facendo là sotto, prima di esigere spiegazioni a voce alta.
Lo trascinò fuori da lì senza dire altro.
Il bambino era rigido come una statuetta e gli occhi erano scuri ed enormi.
Subito la sua mente acuta registrò che uno dei piccoli pugnetti era chiuso ermeticamente attorno a qualcosa di molto piccolo.

“Cos’hai in mano?”

Il bambino cercava debolmente di sottrarsi alla sua presa, Snape lo scosse leggermente per dissuaderlo da quel proposito e gli afferrò la mano.

“Niente, niente, signore. Mi dispiace, mi dispiace… per favore, mi dispiace…”

Snape sapeva bene che i suoi appartamenti non erano il luogo adatto per un bambino. Molto spesso il giovane maestro portava con sé fiale e bottigliette di pozioni o le appoggiava sui mobili e sulle mensole. Aveva fatto attenzione a sistemare ogni cosa la mattina del secondo giorno, ma non poteva avere la certezza che quello che il figlio dei Potter stringeva fra le dita non fosse una pozione velenosa o addirittura mortale. Facendo attenzione a non usare troppa forza lo costrinse ad aprire la mano. In lieve sorpresa rimase a fissare un piccolo pezzettino di pane sul palmo del bambino.
Negandosi per la seconda volta quel fastidioso senso di sollievo glielo tolse per gettarlo via.
Gli occhi neri si indurirono in uno sguardo di palpabile disprezzo e scherno.

“Quei Muggle con cui vivevi non ti hanno insegnato che non si mangia quello che si trova per terra?”

Oh, Harry lo sapeva, era un bambino grande, ma quando non avevi niente da mangiare per giorni anche quello che stava per terra andava più che bene.
Comunque annuì, troppo spaventato per poter parlare.

“Vai a lavarti le mani e non raccogliere più niente da terra” ordinò l’uomo ed Harry ubbidì, il cuore che ancora non si era calmato.

Rimasto solo nella sala Severus si trovò a maledire generazioni e generazioni di streghe e maghi perbene. Nuovamente corse fuori dai suoi quartieri (castando l’incantesimo sulla porta questa volta). Era certo di ricordare, adesso, di non aver estinto il fuoco sotto al suo calderone. Arrivò al suo laboratorio in tempo per assistere alla completa distruzione del suo esperimento. Con un gesto furibondo della bacchetta fece svanire ogni traccia e, raccolti i suoi appunti, tornò per l’ultima volta indietro.

Harry pianse un pochino mentre si lavava le mani. La sua bella, buona briciola… andata. La sua ultima possibilità di avere qualcosa da mangiare…
Si sciacquò il viso e bevve tutta l’acqua che poteva bere senza sentirsi male.
Tornò in sala solo per trovarla nuovamente deserta. Mentre si chiedeva se non avesse sognato d’aver visto l’uomo sentì i suoi passi fuori dalla porta.

Severus rientrò ancora una volta, sbattendo la porta così forte da farne risuonare l’eco lungo i corridoi delle segrete.

“Dannazione!” gridò entrando.

Scavalcò quella piccola piaga, causa della sua innaturale distrazione, e lasciò cadere i pugni sopra il tavolo.

Il rumore sordo e potente fece scorrere un brivido lungo la schiena del bambino.
Immobile per la paura Harry pregò che l’uomo non si girasse a guardarlo.

Improvvisamente ci fu una seconda esclamazione di rabbia e tutti i fogli sulla scrivania vennero gettati a terra, assieme ai libri e l’inchiostro.
Terrorizzato Harry rimase dov’era. A tratti non osava neppure respirare.

Severus si girò.

I suoi occhi neri e furenti incrociarono lo sguardo colmo di paura del bambino.
Per un attimo non si udì alcun suono.

In quei momenti Harry si convinse che quella sera sarebbe stato davvero picchiato.

Severus chiuse gli occhi.
Aveva dato fin troppo spettacolo.

Si ricompose velocemente, afferrando la bacchetta la agitò brevemente sorvegliando i fogli che rapidamente tornavano al loro posto, l’inchiostro che rientrava nella boccetta ed i libri che si poggiavano nuovamente sulla sua scrivania.
Dopo aver guardato l’orrore dipingersi negli occhi del bambino-Potter aveva capito di aver operato quella magia davanti a lui nel misero tentativo di distrarlo dal suo scatto d’ira. Ed aveva fallito miseramente, come poteva ben vedere.

Harry sentì le ginocchia tremare tanto forte da farlo cadere a terra e, senza una parola, andò ad accucciarsi nell’angolo, accanto alla credenza. No, no, no. Lui non aveva visto niente. Fatto niente.
Scosse una volta la testa, sentendo gli occhi di quell’uomo su di sé.

Snape sollevò un sopracciglio, realmente perplesso questa volta. Ovviamente la reazione del figlio dei Potter non era da catalogarsi tra quelle che normalmente accompagnavano l’uso di qualsiasi magia davanti ad un bambino. Inconsciamente fece un passo avanti.
Harry aprì quelle sue labbra tremanti per parlare.

“No, n-n-non ho visto niente, signore… non ho fatto niente… mi dispiace… non ho fatto n-niente…” prese a ripetere.

Quegli occhi verdi erano grandi come quelli di un animale spaventato a morte e Severus si rese conto che un perfetto sconosciuto, che da poco aveva smesso di gridare e buttare a terra libri e fogli e che si avvicinava rapido, difficilmente sarebbe stato un fattore rassicurante a qualsiasi livello. Si lasciò quasi sfuggire un sospirò, fermandosi.

Era stato un giorno senza tregua per entrambi.
Con uno sguardo vicino alla sconfitta Severus Snape lo scrutò.


“Vai a letto, Potter”.

Ma mentre Harry ubbidiva, quella voce lo fermò di nuovo.

“Aspetta. Vieni qui”.

Ed Harry, tremando, seppe che questa volta niente lo avrebbe salvato.









Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.


Note capitolo: La Wolfsbane è la pozione che serve a Remus Lupin per non perdere la capacità di intendere e di volere durante la sua trasformazione in lupo mannaro. E’ una pozione molto difficile da preparare.
 

 

   

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Capitolo 6
*** 6 - Disgraced days ***


The Heart of Everything 6
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

Aggiornamento ancora più di fortuna del precedente. Ieri febbre a 39. Meno male sono riuscita lo stesso. Ancora buon anno. Questo capitolo è un po’ più lungo e finalmente le cose cominciano a muoversi. Non so come ringraziarvi. Mi sono arrivati tantissimi commenti e sono più che felice. Sapete incoraggiarmi come nessun altro. Quando ho letto le recensioni su come vi sentite preoccupate per il piccolo Harry, per un attimo mi sono sentita una brava scrittrice, capace di far provare qualcosa. Un grazie enorme a Summers84, Tigre94, Kary91, iaco e pikkola prongs. In questo cap finalmente Harry ha qualcosa da mangiare (anche perché se no muore e la storia finisce qui e non mi sembra il caso...). Grazie a hermy88, sì, apprezzo moltissimo i Nightwish (proprio adesso sto ascoltando Walking in the air e la adoro), però la voce di Sharon mi ha conquistata troppo. Grazie ancora per i complimenti. Grazie a Lexie89, ecco il prossimo capitolo. Grazie a aki-chan. Oh, non preoccuparti. I Dursley non la passeranno liscia. Parola mia. Suvvia, non mi schiantare Snape, se no chi si prenderà cura di Harry? Lasciamelo vivo, per favore... ^__^ . Grazie a ellinor, in questo cap le cose migliorano, grazie per aver continuato a leggere. Grazie a lilica, auguri anche a te e sì, hai indovinato circa l’elfo, ma per tutto il resto bisognerà aspettare ancora un po’. Grazie a Psike, anch’io amo Harry piccino, troppo tenerooooo. Grazie a Rotavirus, sì, anch’io odio molto i Dursley e il tuo paragone mi rende orgogliosa, grazie mille. Grazie a briciola88 e LadySnape. Come promesso le cose cominciano a muoversi... Grazie a Chrystal_93, sono curiosa di sapere se ho scritto quello che pensavi, fammi sapere se hai tempo. Grazie a TinkerBell88, ecco qui l'aggiornamento come ogni martedì. Grazie ancora per i tuoi complimenti. Grazie a Piccola Vero, sono contenta che la mia ff ti piaccia. Ciao bombottosa, con l’augurio che tu ti rimetta presto, ti ringrazio per il tuo -update or die-. Fantastico! Ci sentiamo presto. Grazie a sam89, ecco qui il prossimo cap e speriamo vada un po’ meglio. Ciao Lake, perdonami se ti faccio soffrire, ma dopo ci sarà più gusto a vedere Sev farsi perdonare... grazie per il commento. Ed infine grazie a dunky. Anch’io amo Sev alla follia e amo anche tutte le fic in cui si prende cura di Harry sia come mentore che come padre. Anche per me Sev è un uomo intelligente e mi dispiace farlo sembrare ottuso, ma prendetevela con me, lui poverino non c’entra niente, sono tutte mie macchinazioni... come sono perfida... Ancora un grazie gigantesco a tutti. Spero di non aver dimenticato nessuno. Buona lettura.

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 

 

Capitolo 6 - / Disgraced days /

 




Severus guidò il bambino-Potter in cucina.
E si sedette.

Il piccolo Harry attendeva in silenzio la sua punizione.
Senza alzare la testa rimase immobile davanti all’uomo, domandandosi come sarebbe stato picchiato.

Zia Vernon usava quasi sempre le mani, Zia Petunia invece preferiva colpirlo con qualcosa. Una verga, il manico della scopa, il matterello… solitamente perché, diceva, toccarlo la disgustava. Non sapeva bene cosa aspettarsi. Almeno Dudley non era lì a guardarlo ridendo. Oh, Harry ricordava con orrore una particolare volta. Aveva dovuto pulire i giocattoli di suo cugino, sua zia si era allontanata un momento e lui aveva quasi finito quando Dudley era arrivato come una furia e gli aveva strappato di mano l’aeroplanino ancora sporco di marmellata, certo che Harry ci stesse giocando senza permesso. Glielo aveva portato via con tanta forza da rompergli un ala e poi aveva iniziato a frignare e strillare. Zia Petunia era arrivata di corsa e Dudley le aveva fatto credere che fosse stata tutta colpa di Harry. Quella sera aveva ricevuto la peggiore sculacciata di tutta la sua vita. Piegato sulle grasse ginocchia di Zio Vernon era stato picchiato così forte e così a lungo da piangere fino a non avere più voce né lacrime. E Dudley lo aveva guardato soddisfatto tutto il tempo. Dopo Harry era stato costretto ad asciugare il pavimento che aveva bagnato di lacrime ed era stato chiuso nel sottoscala. Per almeno tre giorni non era riuscito a sedersi.

Sperava con tutto il cuore che l’uomo vestito di nero non fosse così cattivo, ma non aveva molta speranza al riguardo.
In silenzio si preparò al peggio.

Severus lanciò al bambino uno sguardo critico.
“Siedi”.

Lo osservò attentamente sussultare al suono della sua voce e vide il sospetto nel suo sfuggente sguardo verde. Socchiuse gli occhi e decise, per il momento, di soprassedere.
Chiamò ad alta voce un elfo domestico, il bambino-Potter sussultò ancora e quasi cadde dalla sedia quando l’elfo apparve.

Snape si volse verso la creatura.

“Del tè, del latte caldo e… – il maestro di Pozioni scrutò il bimbo. – Un piatto di… quegli intrugli imburrati che il Preside sembra apprezzare così… tanto ogni mattina”.

L’elfo annuì e scomparve.

Il giovane Potter sussultò per l’ennesima volta.

Il silenzio si allungò durante tutta la breve attesa e quando l’elfo ricomparve Severus decise di soprassedere anche sulla nuova, sconcertante, abitudine che il figlio dei Potter sembrava mostrare quella sera.

Severus congedò l’elfo e si servì una tazza di buon tè nero.
Il bambino-Potter non si era neanche avvicinato alla sua tazza.
Severus nascose un sospiro. Trasse la bacchetta dalla tasca nelle sue vesti e la agitò un istante prima di battere sul bordo della tazza una volta.
Si guardarono.
Un lieve sorriso ironico rischiava di comparire sulle labbra sottili del giovane maestro.
Il bambino-Potter avrebbe accettato quanto offerto?
Dopo la disastrosa reazione a quell’insignificante dimostrazione di magia qualche momento prima, Snape dubitava fortemente che fargli vedere che qualcosa era stato fatto alla sua tazza lo avrebbe in qualche modo invogliato a berne… e non avrebbe potuto dargli alcun torto se Snape fosse stato una persona corretta. Beh, purtroppo non lo era.
Il figlio dei Potter avrebbe contestato un suo ordine diretto?
Snape era anche un uomo che amava la pratica quasi quanto la teoria…
“Bevi” disse quindi e tornò al suo tè.

Lentamente una piccola, tremante mano raggiunse il manico e trascinò via il grosso recipiente.
Severus lo vide appoggiare le labbra sul bordo e sorrise soddisfatto dietro alla sua tazza.

Harry bevve, chiudendo gli occhi.
Sperava non fosse qualcosa di cattivo e che non lo facesse star male.
Aveva sentito chiaramente l’uomo ordinare del latte, e quello sembrava davvero latte, ma Harry sapeva che l’uomo aveva fatto qualche magia quando aveva toccato la tazza con quel suo bastoncino di legno. E la magia, gli avevano detto i suoi zii, era qualcosa di orribile e malvagio, qualcosa che non andava nominato né visto né tanto meno fatto. Oh, Harry sperava che non avesse trasformato il latte in qualcosa di disgustoso come l’acqua sporca dei piatti, quella che Zia Petunia alle volte gli dava da bere se Harry non puliva bene le pentole.
Non che avesse poi molta scelta, l’uomo-col-naso-da-pinguino aveva ordinato ed Harry non poteva che ubbidire.
Al terzo sorso il piccolo si sentì un po’ più calmo.
Il latte sembrava davvero buono.
E poi era caldo.
Harry non aveva mai bevuto del latte caldo prima.
Se riusciva ad averne un pochino qualche mattina quando Dudley lo lasciava era già una grossa fortuna e comunque non era mai caldo e mai in una tazza che era stata solo sua.
Harry non osava ancora alzare lo sguardo e quindi non riuscì a non guardare le piccole, deliziose focaccine imburrate appoggiate in basso, sul vassoio, davanti a lui. Oh, quanto gli sarebbe piaciuto mangiarne una… anche solo un pezzettino…
Ma sicuramente l’uomo le aveva ordinate per sé e non intendeva certo darle ad un piccolo, ingrato, sudicio sgorbio come lui. Eppure non riusciva a smetterle di guardarle. Ogni tanto alzava gli occhi e le vedeva sempre tutte lì. Sperava poi di non doverle buttare nella spazzatura mentre sparecchiava, come succedeva sempre dai Dursley, gli sarebbe sicuramente venuto da piangere e l’uomo lo avrebbe picchiato. Rubò ancora uno sguardo e bevve un altro sorso.

Snape osservò attentamente il bambino che aveva di fronte.
Il suo sottile spirito d’osservazione aveva colto qualcosa. E non solo adesso.
Eppure il suo maledetto, immenso orgoglio gli impediva tassativamente di interessarsene.
Albus andava convinto che Severus non era la persona adatta e curarsi del figlio dei Potter, tanto da ipotizzare e cercare risposte a domande apparentemente di grande importanza, non faceva parte del piano.
Eppure la vista di quei vestiti slargati ed evidentemente logori non riportava alla mente piacevoli ricordi.
Fortunatamente il pomeriggio seguente un elfo sarebbe andato a ritirare i vestiti nuovi.
Snape lentamente sorseggiò il tè e ben prima di aver modo di finirlo aveva già visto il bambino-Potter lanciare di sfuggita sei sguardi alle focaccine. Forse non erano di suo gradimento. Oh, ma avrebbe imparato a mangiarle se Snape aveva qualcosa da dire in proposito.
Rapidamente Severus ne prese due, le sistemò su un tovagliolo e le mise davanti a Potter.
Il bambino alzò la testa.
Severus era certo che la vista di un bimbo così piccolo, con quegli enormi occhi verdi, le piccola labbra socchiuse e due baffi di latte avrebbe mandato in estasi Albus, Hagrid, Madam Hooch e quasi sicuramente persino Madam Pomfrey e la McGonagall.
Ma non Severus Snape.
Perché Severus Snape aveva visto troppe cose orrende nella sua vita per poter ancora avere occhi per guardare quelle belle, saperle riconoscere e accettarle senza l’agonizzante terrore di vederle appassire davanti a sé in un mare di sporca, intossicante cenere.

Comunque Potter sembrava più che intenzionato a non accettare l’offerta.
Snape non si scompose affatto. Posò la tazza che aveva saldamente fra le dita e disse: “Mi sembrava d’aver capito che avessi fame Potter…”

Non una, ma ben due focaccine. Doveva essere un sogno o una delle sue fantasie. Harry era certo che quel signore si fosse sbagliato. O che, in alternativa, sapesse benissimo cosa stesse facendo e che fosse tutta una trappola per poterlo punire.

“Mangia”.

Ed Harry mangiò.
Il sapore del burro sulla lingua era qualcosa di così meraviglioso, dopo tutti quei giorni senza cibo, che Harry quasi pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento. Il piccolo si sentiva così felice che quasi pensava di scoppiare, ma al tempo stesso temeva che qualcosa, qualunque cosa, stesse per succedere da un momento all’altro. Harry sapeva molto bene che non aveva fatto niente per meritare le focaccine e quell’uomo non sembrava affatto generoso per natura. In qualche modo sapeva che questa piccola fortuna non sarebbe durata, ma fin tanto che poteva… aveva così fame…


Severus in silenzio sorvegliava il bambino-Potter.
Lo guardò posare la tazza, prendere la seconda focaccina, morderla, posarla, riprendere la tazza, posarla di nuovo, finire la focaccina.
Stranamente il bimbo sembrava privilegiare l’uso della mano destra per qualunque cosa che comportasse sollevare il braccio, ma questa era un’altra delle cose che non dovevano riguardarlo troppo da vicino, si disse il giovane professore.

Harry aveva appena finito la seconda focaccina e si sentiva pieno come mai prima. Bevve l’ultimo sorso. Il latte, ancora tiepido, invece di portare via il sapore del burro lo rafforzò piacevolmente ed Harry, se avesse osato, avrebbe sospirato di felicità. Oh, certo, questo non significava che avrebbe evitato la sua punizione, ma adesso il piccolo si sentiva la forza di affrontarla.
In silenzio attese che l’uomo parlasse.

Severus lanciò uno sguardo all’orologio attraverso la sala.
Era piuttosto tardi.
Si alzò in piedi.
Con un sopracciglio alzato osservò il bambino-Potter sussultare un’altra volta e fare un minuscolo tentativo di spostarsi più in là sulla sedia.
Snape scosse leggermente la testa.
“Potter, è ora di andare a dormire. Vai nella tua stanza”.


Incapace di credere alla sua fortuna Harry si alzò velocemente e sparì nel corridoio.


Severus lo guardò ubbidire e per un attimo rimase immobile nella piccola cucina, la fronte corrugata su una testa piena di pensieri.



Oh, Harry non poteva davvero credere alla sua fortuna. Aveva finalmente mangiato e tanto anche. Non ricordava di essersi mai sentito così pieno da quando un giorno era stato lasciato solo a sparecchiare ed aveva potuto prendere tutti gli avanzi. Harry sperava solo che non finisse come quella volta. Zia Petunia aveva guardato nella spazzatura e non aveva visto i rifiuti, Zio Vernon era venuto a saperlo e lo aveva chiuso in cantina e senza cibo per quasi cinque giorni. Da quel momento in poi lo avevano sempre sorvegliato quando puliva il tavolo dopo pranzo…
Il piccolo Harry si stese sul fondo del baule. Sospirò, strusciando la guancia contro il tessuto logoro e sporco dei suoi vestiti. Oh, se avesse potuto avere un lenzuolo, anche uno straccetto, con cui coprirsi sarebbe stato davvero davvero la persona più felice del mondo.
Si rannicchiò contro il legno e chiuse gli occhi. Forse non sarebbe stato poi così male rimanere con il maestro pinguino…


Severus sedette davanti al fuoco, fissando il vuoto per lunghi momenti. La sua mente combatté strenuamente contro l’egoismo, contro il dolore. Non voleva in alcun modo lasciar morire le sue convinzioni, non voleva guardare al di là, non voleva affrontare tutto quello.
Da perfetto gentiluomo inglese non sarebbe corso via, ma niente, neanche il volere di Albus, gli avrebbe impedito di allontanarsi a passo sostenuto. Si alzò astiosamente. Con un movimento della bacchetta estinse il fuoco nella sala e si ritirò nella sua stanza. Prelevò una fialetta dalla sua privata riserva di pozioni e la bevve. Il giorno dopo aveva bisogno di calma e concentrazione. Doveva assolutamente finire alcuni preparati per Madam Pomfrey e voleva continuare i suoi esperimenti. Aveva quindi bisogno di una buona notte di sonno e niente meglio di una delle sue perfette pozioni lo avrebbe aiutato in questo. In breve scivolò in un profondo, confortante oblio.


Harry si svegliò nel cuore della notte. Ansimando piano si portò le manine sullo stomaco. Oh, faceva piuttosto male. Non tanto come gli altri giorni, ma abbastanza da svegliarlo. Si tirò a sedere sul fondo del baule. Rabbrividì mentre guardava verso la porta del bagno. Faceva sempre molto freddo fra quelle pareti di pietra e da quando le candele si erano consumate non c’era più luce. La stanza non aveva nemmeno una finestra e non c’era il camino come nella sala. Oh, Harry desiderava poter andare di nuovo in bagno. Non si sentiva molto bene. Sospirò piano. Anche se sembrava buono alla fine quello che l’uomo gli aveva fatto bere gli aveva fatto male. Il piccolo Harry si rimproverò di essersi fidato, ma in fondo sapeva di aver avuto ben poca scelta. Era quasi tentato di alzarsi e andare a chiedere il permesso di poter andare di nuovo in bagno, ma non vedeva niente e aveva freddo e non osava svegliare l’uomo. Il buio lo spaventava, ma almeno non si udiva alcun suono. Di nuovo si stese e cercò di addormentarsi. Chiuse gli occhi e immaginò di avere un amico. Un simpatico, gentile amico, che lo teneva per mano e lo guidava lungo le strade della città. Insieme passeggiavano sui marciapiedi, guardando la gente che passava loro accanto e ridevano. Poi incontravano un signore che vendeva palloncini ed il suo amico gliene regalava uno. Mentre immaginava il suo palloncino contro il cielo azzurro Harry scivolò nel sonno, le manine ancora strette attorno allo stomaco.

Snape si terse il sudore dalla fronte, prima di tornare davanti ai due calderoni sui quali stava lavorando. Aveva appena completato un lotto di Pepperup ed uno di Sleeping Draught. Stava finendo le altre due quando un gentile bussare lo riscosse dalla sua concentrazione. In fretta Severus si coprì gli avambracci con le lunghe maniche nere e pronunciò con decisione un “Avanti” senza allontanarsi dai calderoni. Un giovane Slytherin si fece scorgere oltre la soglia. Lo stesso che qualche giorno prima aveva chiesto spiegazioni su una lezione. Snape parlò senza alzare gli occhi dalle sue pozioni.

“A cosa devo la sua visita, signor Sorier?”

Lo studente si strinse al petto i libri.
“Mi chiedevo, signore, se potesse aiutarmi con uno dei procedimenti descritti a pagina quattrocentoventi…”

“Mh… ha incontrato difficoltà con i metodi di estrazione della linfa dalle foglie di Aconito?” domandò Snape, ricordando perfettamente ogni pagina del libro di Pozioni del quinto anno.

“Sì, signore. Non volevo disturbarla, la vedo impegnato, posso tornare più tardi nei suoi uffici?” chiese lo studente, guardandosi attorno.

“Non sarà necessario, torni fra venti minuti esatti e vedrò di dedicarle del tempo”.

“Grazie Professor Snape”.

Una volta solo Severus si lasciò ad un leggero sorriso soddisfatto. Le sue piccole serpi assomigliavano sempre di più al loro professore… dedite allo studio delle pozioni anche di sabato. Con una lieve punta d’orgoglio Snape tornò al lavoro.


Severus rientrò nei propri quartieri alcune ore più tardi. In fondo era stata una giornata proficua. Aveva completato quanto Madam Pomfrey aveva richiesto ed aveva fatto qualche lento, ma sicuro progresso nei suoi studi sulla Wolfsbane. Si diresse verso la scrivania per posare i libri e gli appunti quando scorse un pezzo di pergamena ripiegata ed una moltitudine di sacchetti in terra accanto ad una delle poltrone. Evidentemente l’elfo mandato da Madam Malkin era tornato con i vestiti nuovi per il giovane Potter. Severus ne prese un paio in mano. Ad occhio e croce sembravano della misura giusta. Velocemente raggiunse la camera del figlio dei Potter ed entrò. Tutto era completamente buio. Probabilmente il bambino era andato a dormire. Beh, era ora di svegliarsi… Con un movimento veloce del polso e della bacchetta due nuove candele illuminarono la stanza. Potter era di nuovo nel baule. Cosa facesse sempre là dentro a tutte le ore del giorno era davvero un mistero per il giovane maestro di Pozioni… un mistero che comunque non era intenzionato a risolvere nell’immediato futuro.

“Vieni con me” ordinò Severus, voltandosi per ritornare verso la sala.


Harry si stirò il braccio destro ed uscì dal baule con uno sbadiglio. Aveva di nuovo fame e sperava che l’uomo lo stesse portando in cucina, anche se non aveva poi così tanta voglia di mangiare di nuovo qualcosa che lo avrebbe fatto star male, però meglio di niente…
Era stato tristissimo rimanere tutti il giorno nella stanza buia senza nulla da fare. Sperava che il maestro pinguino gli permettesse di rimanere un po’ nel salotto accanto al fuoco.

Snape lo aspettava accanto alla scrivania. Con un gesto impaziente indicò al bambino i sacchetti.

“Questi sono i tuoi nuovi vestiti. Vai a lavarti, cambiati e portami quegli stracci che hai addosso”.

Harry raccolse tutti i sacchetti, cercando di non farne cadere nessuno. Mentre stava per avviarsi lentamente verso la sua stanza improvvisamente ricordò una cosa importante. Si fermò, incerto su come dire quello che doveva.

“Che c’è?” chiese astiosamente l’uomo.

“Signore, oggi sono g-già stato in bagno… per me va bene aspettare d-domani, signore”.

Snape lo osservò con un cipiglio nervoso e spazientito.

“Cosa vuoi che m’importi di quante volte ci sei stato, Potter, non sono cose mi riguardano. Piuttosto chiaramente nessuna di queste occasioni ti ha ispirato un po’ di senso di pulizia. Non voglio sentire un’altra parola. Vai a lavarti. Adesso”.

Senza osare più alzare la testa, e teso per la paura di ricevere uno schiaffo, Harry si affrettò verso la sua stanza. Si lavò come meglio poté e scelse un pantalone nero ed una delle magliette. All’uomo sembrava piacere molto il verde, quindi Harry ne scelse una color erba. Un paio di tentativi dopo riuscì ad infilarsela. Il suo braccio sinistro non lo stava aiutando molto, ma Harry fece di tutto per sbrigarsi. Sicuramente l’uomo lo stava aspettando. Poco dopo si mise i calzini e le scarpe e raccolse da terra i vestiti vecchi. Tornò in salotto e li consegnò a quel signore sempre vestito di nero. Il piccolo Harry si sentì guardare. L’uomo lo osservò attentamente. Sembrava piuttosto compiaciuto. Harry quasi sospirò di sollievo.

“Molto meglio. E adesso anche questi faranno la fine che meritano”.

Severus afferrò gli straccetti che quei Muggle aveva avuto il coraggio di chiamare vestiti e li gettò nel fuoco, guardandoli lentamente bruciare fra le fiamme.
Snape si ritenne soddisfatto e si sedette alla scrivania per riprendere a lavorare sui programmi di studio delle sue classi per le prossime settimane.

Harry rimase silenziosamente in piedi per diverso tempo. L’uomo non lo guardava e lui non sapeva cosa fare. Non osava muoversi e non poteva tornare in camera, l’uomo non gli aveva detto di andare. Lentamente, assicurandosi che il signore che lo ospitava non lo stesse osservando, il piccolo si avvicinò al fuoco per scaldarsi. Una voce fredda e sottile lo fece sussultare. La voce dell’uomo.

“Potter, la tua precedente esperienza con il camino non ti ha insegnato niente? Anche i bambini sciocchi possono prendere fuoco bene quanto i vestiti vecchi…”

Subito Harry si scostò dalle fiamme, come se si fosse bruciato. Oh, non voleva essere buttato nel camino… Le poche volte che si era bruciato in casa Dursley non era stata affatto una cosa piacevole. Si ritirò al centro della stanza, di nuovo senza niente da fare.

Severus sorrise fra sé e sé. Spaventare il bambino-Potter presentava un certo grado di divertimento, ma Snape non aveva tempo per questo adesso. Si alzò, prese il solito libro dal suo scaffale e lo consegnò al bimbo.
“Siediti e leggi” ordinò tornando al lavoro.

Subito Harry si sedette a terra.

Snape lo guardò, quasi oltraggiato.

“Chi ti ha detto di sederti a terra? Stai sciupando i vestiti che ti sono stati comprati, piccolo ingrato!”

Oh, Harry si alzò subito, facendo un passo indietro. Quello che sua zia e suo zio gli dicevano era vero. Era un piccolo moccioso inutile ed ingrato. Non solo l’uomo non lo aveva fatto lavorare in quei giorni, ma gli aveva anche comprato dei vestiti nuovi, così morbidi contro la pelle, né troppo grandi né troppo piccoli, caldi e puliti e senza toppe o buchi. E lui lo ringraziava sporcandoli…

“Mi dispiace signore, non lo farò più, signore” si affrettò a scusarsi.

Severus sbuffò poco convinto, ma decise di ignorarlo, tornando alla sua scrivania.
Passarono due ore di completo silenzio.
Snape si ritenne soddisfatto del suo lavoro ed alzò lo sguardo per accertarsi della presenza del bambino-Potter. Il marmocchio era scompostamente seduto sulla poltrona, il libro che aveva letto per buona parte di quelle due ore in bilico sulle sue piccole ginocchia, il mento appoggiato sul petto. Dormiva.
Severus si considerava sorpreso alle volte. Un bambino così piccolo, abituato ad avere un sacco di giocattoli e viziato oltre ogni umana tolleranza a quest’ora si sarebbe già lamentato per la mancanza del suo principale intrattenimento. Finalmente indossava vestiti della sua misura, puliti. Sulla fronte, appena coperta da quel mucchio selvaggio di disordinatissimi capelli, spiccava la cicatrice per cui Harry Potter era così famoso. La sua più grande maledizione e al tempo stesso la sua salvezza. Severus non invidiava affatto il destino del figlio dei Potter. Sapeva molto bene di quali inenarrabili crudeltà era capace il Signore Oscuro e sapeva bene che il bambino non avrebbe mai avuto tempo sufficiente per prepararsi, non se Colui-che-non-doveva-essere-nominato aveva qualcosa da dire al riguardo. Sospirò e guardò l’orologio. Era quasi ora di cena. Non aveva alcun desiderio di recarsi nella Great Hall. Pensò che per quella sera avrebbe fatto bene a trattenersi nelle proprie stanze. Si alzò, spostando rumorosamente la sedia nella remota speranza di destare il figlio dei Potter. Ma ovviamente no… Si avvicinò quindi e lo chiamò con voce decisa. Lo vide muoversi, aprire quegli enormi occhi verdi e sussultare. Un singhiozzo spaventato incastrato in gola, lo sguardo improvvisamente terrorizzato. Vide il bambino-Potter tentare di ritrarsi e cadere miseramente dalla poltrona. Fece per dire qualcosa, mentre allungava una mano per tirarlo su, quando lo vide trasalire di nuovo e cercare una via di fuga.

“Mi dispiace signore, mi dispiace, per favore, non lo farò mai più”.

Severus aggrottò le sopracciglia, un’espressione disinteressata sul suo viso. Probabilmente aveva fatto un brutto sogno…

“In piedi, vieni con me, ragazzo”.

Oh, oh. Lo aveva chiamato ‘ragazzo’. Zio Vernon lo chiamava sempre ‘ragazzo’ quando Harry faceva qualcosa di male. Adesso sì che Harry si aspettava una gran bella punizione. Sapeva molto bene che non gli era permesso addormentarsi di giorno e soprattutto non davanti ai grandi, in più aveva fatto cadere il libro che l’uomo gli aveva dato. Seguì l’uomo in cucina e si preparò al peggio.

Snape sedette. Chiamò l’elfo, ordinò la cena per entrambi ed il suo sguardo si soffermò sul libro di Pozioni per principianti che aveva dato da leggere al bambino-Potter. Forse poteva occupare il tempo interrogandolo, solo per curiosità.
Dopo appena tre domande apparve chiaro che il bambino non aveva imparato proprio niente, anzi, non sembrava neanche sapere di cosa stessero parlando. Tsk, tempo sprecato cercare di insegnare qualcosa al figlio di James Potter, si disse.

“Piccolo ignorante…” si lasciò sfuggire mentre chiudeva astiosamente il libro.

Il bambino abbassò la testa.

In quel momento l’elfo domestico decise di ricomparire, portando con sé la cena. I due vassoi vennero posati sul tavolo prima che il silenzio tornasse ad allungarsi fra di loro.

Severus mangiò lentamente, osservando a tratti il bambino-Potter. Dopo l’iniziale incertezza il figlio di James aveva preso confidenza e velocemente stava finendo quello che aveva davanti, senza alzare la testa e senza quasi prendere fiato. Dopo un boccone delle verdure cotte che quella sera facevano da contorno Snape guardò nel piatto del giovane Potter. L’odio dei bambini per le verdure era da sempre leggenda, ma non nella cucina di Severus. Se il bambino-Potter non le avesse mangiate Snape giurò che gliele avrebbe fatte ingoiare con la stessa grazie che Madam Pomfrey usava nell’infilare pozioni dal sapore orrendo giù per la gola dei suoi piccoli, petulanti pazienti. Ma a quanto pareva non ce ne sarebbe stato bisogno…

Harry mangiò il più velocemente possibile. Dopo il primo boccone aveva preso sicurezza ed il cibo sembrava buono. Questo non dava nessuna certezza, ma almeno era qualcosa con cui riempirsi lo stomaco. Doveva smetterla di lamentarsi e ringraziare quell’uomo che lo lasciava mangiare senza farlo lavorare. In fretta prese ad ingoiare quello che aveva davanti, sperando che l’uomo non cambiasse idea e gli togliesse i piatti. Il pasticcio di carne era buonissimo. E le verdure erano succose e fresche. Oh, Harry si sentiva di nuovo pieno. E tutto in un giorno solo. Era stato davvero molto, molto fortunato.

Dopo cena Harry venne trascinato via dalla cucina senza avere la possibilità di poter pulire la tavola. L’uomo riprese a lavorare sui suoi fogli ed Harry venne di nuovo fatto sedere sulla poltrona.

Snape lo osservò nuovamente, sedendo.
Evidentemente il bambino non sapeva cosa fare, ma Severus non si sarebbe fatto commuovere.

“Non avrai più niente da leggere, Potter. E’ chiaro che ogni buon libro è sprecato con te e non mi duole assolutamente informarti che non posseggo nessuna rivista più… popolare nella mia libreria, né alcuno scritto su quel volgare, violento gioco chiamato Quidditch, vedi di adattarti”.

“Sì, signore”.

Oh, Harry sapeva di essere un piccolo idiota. Zio Vernon glielo ripeteva tutti i giorni. E adesso aveva fatto arrabbiare l’uomo che gli aveva dato da mangiare. Harry si sentì triste.
Rimase fermo ed in silenzio per tutto il tempo, sperando di farsi perdonare. Ogni tanto osava alzare gli occhi e osservava il signore con il quale adesso viveva.

L’uomo vestiva sempre di nero, ogni ora di ogni giorno, come se odiasse tutti gli altri colori. A malapena sembrava tollerare il verde scuro… Harry lo fissò ancora più intensamente.
Era spaventoso, sì, e cattivo, ma aveva al tempo stesso una faccia così triste e … sola, non che dovesse averne più di una, Harry non si sapeva spiegare bene… era come la faccia di una persona che non vedeva i suoi amici da tanto, tanto tempo, come dopo le vacanze estive… ed anche se Harry non aveva mai avuto degli amici per cui sentirsi triste durante le vacanze era grande abbastanza da immaginarlo e poi aveva visto tante volte il viso contento di Dudley quando poteva rivedere i suoi compagni…
In fondo non aveva visto nessuno venire a visitare l’uomo in quei giorni…
Ad Harry dispiacque molto per il maestro pinguino perché Harry sapeva bene quanto era brutto sentirsi soli e non lo augurava a nessuno.

“A cosa devo questo tuo attento esame Potter? Mi è per caso spuntata un’altra testa?”

Harry trasalì e si rimproverò la maleducazione di aver fissato l’uomo per così tanto tempo.

“No, signore. Mi dispiace molto, signore”.

“Sparisci nella tua stanza Potter, si è fatto tardi”.

Ed Harry ubbidì.


Snape passò altre due ore alzato, lavorando alacremente alla sua pozione. Decise di farlo nelle sue stanze perché nel suo laboratorio veniva continuamente interrotto e la Wolfsbane era una delle pozioni più delicate e difficili a cui il giovane maestro aveva mai lavorato.
Intrigante.
Infine stanco e con la mente annebbiata si ritirò nelle sue stanze.

La mattina dopo Harry si svegliò, sentendosi meglio di come si era sentito in molti, molti mesi.
Uscì dal baule e si diresse in bagno.
Oh, era così felice che l’uomo gli avesse dato il permesso di andarci quando voleva. Harry si lavò e si vestì. Non voleva far arrabbiare l’uomo quindi scelse di nuovo una maglietta verde. Piano piano uscì dalla stanza. Sentiva dei rumori in cucina e decise di farsi vedere.

L’uomo era già sveglio e stava lavorando sopra una di quelle grosse pentole che Harry aveva visto disegnate sopra il libro dell’uomo.

“Buongiorno Potter” disse l’uomo, spaventandolo un pochino.

“B-buongiorno, signore…”

“Siedi”.

Harry ubbidì.
Oh, non poteva credere che l’uomo-dal-naso-da-pinguino lo avrebbe lasciato mangiare un’altra volta. Un pasto sì e uno no era già un sogno che si avverava, due di seguito erano pura, meravigliosa fantasia. Harry sedette in silenzio, l’uomo era ancora chino sulla sua pentola. Harry si chiese se fosse un cuoco, ma non sentiva odore di cibo…

Snape aveva già mangiato molto presto, mentre preparava il calderone. Chiamò a gran voce un elfo, ordinò la colazione per il bambino e continuò a mescolare la pozione, attentamente. Abbassò magicamente il fuoco e la lasciò bollire. Mentre l’elfo domestico riappariva con un vassoio qualcuno bussò alla porta.
Snape alzò la testa, oltremodo seccato per quell’interruzione. Fortunatamente la pozione non aveva bisogno di urgente attenzione.

“Mangia, Potter” ordinò l’uomo, alzandosi per dirigersi alla porta.


Severus si dipinse sul viso la sua migliore espressione intimidatoria prima di aprire la porta quel tanto che bastava a scorgere l’audace malcapitato.
Quando i suoi occhi si posarono sullo studente Snape trovò difficile trattenere un sospiro esasperato.

“Signor Sorier, per quanto apprezzi il suo zelante entusiasmo per la mia materia d’insegnamento questo non giustifica la sua presenza nei miei quartieri a questa infausta ora in uno dei miei giorni di riposo”.

Lo studente abbassò la testa, imbarazzato.

“Mi d-dispiace signore, non sono qui per Pozioni, signore”.

“Allora per che cosa, di grazia, è venuto a ‘rallegrare’ la mia mattina?”

“C’è stato un duello nella Great Hall, a colazione, due Slytherin e tre Ravenclaw, signore. Pensavo fosse meglio avvertirla”.

Snape imprecò mentalmente.
“Molto bene. Cinque punti a Slytherin per la sua prontezza, signor Sorier. Mi segua”.

E senza ulteriori pensieri si diresse verso la Great Hall. In fondo la pozione non aveva bisogno di cure immediate ed il bambino-Potter stava facendo colazione. Cosa poteva andare storto?


Harry guardò l’uomo uscire. Incerto prese a fissare alternativamente il vassoio e la pentola. L’uomo aveva detto di mangiare. Harry sospirò.
Sapeva che tutte quelle cose buone che c’erano sul vassoio non potevano essere per lui. Inutile illudersi. Si alzò e prese una tazza vuota. Portò una sedia fino al tavolo della cucina dove c’era la pentola e vi salì sopra per raggiungerla. Prese il lungo mestolo e si versò due cucchiai. La minestra aveva un colore grigio chiaro e sembrava assolutamente disgustosa. Almeno era calda…

Harry tornò a sedere, prese un cucchiaio pulito e cominciò a mangiare.
Oddio, era davvero cattiva come sembrava. Sapeva di detersivo per lavare i pavimenti e di cenere. Era piena di grumi di polvere ed aveva veramente un sapore orrendo. Harry trattenne i conati di vomito e si sforzò di mangiare. Pensò a tutti i giorni che non aveva avuto niente e continuò a ripetersi che anche quella andava bene se l’alternativa era restare a stomaco vuoto. Con tutta la volontà che aveva ingoiò l’ultimo boccone e pulì tutto. Mise la tazza nell’acquaio e fece attenzione a non scottarsi mentre toglieva la pentola dal fuoco. Zia Petunia gli aveva insegnato a non lasciare mia niente sui fornelli quando doveva allontanarsi dalla cucina. Harry posò la pentola sopra un ripiano pulito e la coprì con un piatto. Avrebbe voluto metterla in frigo, ma l’uomo sembrava non averne uno… Sistemò il vassoio davanti alla sedia di quel signore e si diresse in salotto per farsi trovare lì.

Dopo appena due minuti d’attesa il piccolo Harry si portò le mani alla pancia e si lasciò sfuggire un guaito di dolore. Faceva male, male da morire. Mai in tutta la sua vita aveva provato un dolore simile. I crampi era continui e fortissimi. Quasi senza fiato il piccolo si accasciò a terra. Passò del tempo, Harry non avrebbe saputo dire quanto, ma aveva gli occhi pieni di lacrime e desiderava morire. Improvvisamente sentì dei passi fuori dalla porta. L’uomo era tornato. Senza sapere nemmeno come, Harry raccolse tutte le sue forze per rimettersi in piedi. Indossava ancora gli abiti nuovi e non voleva farsi trovare sul pavimento. Si asciugò gli occhi con la manica e cercò di rimanere in piedi.
L’uomo rientrò senza degnarlo di uno sguardo e subito sedette alla sua scrivania e prese a scrivere qualcosa su un pezzo di foglio giallo. Altre tre atroci fitte convinsero Harry ad avvicinarsi.

“S-s-signore, per favore… s-signore…”

“Cosa vuoi Potter, non vedi che sono occupato?”

Snape maledisse più e più volte tutti quei saccenti, boriosi Ravenclaw, sempre pronti a difendere le loro ridicole convinzioni. E chi ci rimetteva erano sempre le sue serpi, troppo orgogliose di natura, per farsi scivolare addosso un affronto. Doveva scrivere un rapporto per il Preside e controllare la sua Wolfsbane e Potter continuava ad importunarlo.

“La pancia, signore… fa male, fa v-veramente male…”

Snape lo guardò un istante.
Sembrava un po’ più pallido del normale. Severus immaginò che avesse ingurgitato la colazione velocemente come la cena la sera prima. Beh, non gli stava altro che bene…

“Quante scene, Potter. Vai nella tua stanza e lasciami lavorare”.

Harry fece per dire qualcosa, ma uno sguardo severo dell’uomo ed una fitta fortissima lo lasciarono senza fiato.
Lentamente si avviò nel corridoio. Non fece che quattro miseri passi. Davanti alla sua porta cadde a terra e adesso non sarebbe riuscito a rialzarsi nemmeno se fosse improvvisamente apparso Zio Vernon con un bastone in mano. Si raggomitolò su se stesso e pianse tutte le lacrime che aveva, senza un suono. Il dolore lo stava lasciando senza forze e senza aria. Chiuse gli occhi e le figure dei suoi genitori, come se li era sempre immaginati, gli apparvero nella mente. Quella fu l’ultima cosa che vide.

Severus finì velocemente di scrivere il suo resoconto e si diresse in cucina. Sperava che il bambino-Potter non avesse toccato niente. Guardò dove aveva lasciato il tutto e lanciò un’imprecazione. Quel piccolo, malefico, marmocchio.
Una perfetta Wolfsbane completamente rovinata!
Oh, ma lo avrebbe punito così duramente che il moccioso ci avrebbe pensato sei volte prima di toccare di nuovo una delle sue pozioni. Stava per uscire a passo di marcia dalla cucina quando due particolari gli ghiacciarono il sangue nelle vene. Il vassoio portato dall’elfo era ancora pieno e faceva mostra di sé sul tavolo, davanti alla sedia che solitamente il maestro occupava. Una tazza con un leggero alone grigio era stata posata nell’acquaio.
Severus si affrettò disperatamente verso il corridoio.
Il bambino-Potter non poteva essere stato così folle, così terribilmente idiota da…

Non appena lo scorse lanciò un’altra maledizione.
S’inginocchiò accanto alla piccola figura ripiegata su se stessa nel mezzo del corridoio e lo sollevò delicatamente.

“Potter! Dannazione, Potter! Potter, rispondimi! POTTER!”

Il bambino aveva un’espressione di assoluto dolore sul viso rigato di lacrime e Severus pregò che non ne avesse bevuto più di una tazza. Si alzò, portando il bambino con sé nelle sue stanze. Lo posò attentamente sul letto, ascoltando il suo respiro laborioso e si mise a rovistare disperatamente fra le fialette della sua riserva personale. Afferrò una pozione azzurro chiaro ed una rosso scuro. Tirò a sedere il bambino e gli rovesciò le fiale in gola, sperando che non le rigettasse. Il bimbo ingoiò e dopo un interminabile, angosciante momento sussultò, destandosi.
Severus tirò un sospiro di sollievo.
Si sentiva il cuore in gola e l’attimo di puro terrore che aveva provato al pensiero di avere sulla coscienza il figlio di Lily lo avevano lasciato debole ed infuriato.
Il maledetto figlio di James non aveva badato ad esibizionismi. Pur di screditarlo e giocargli un tiro mancino era arrivato a rischiare la vita.
Oh, quanto l’avrebbe punito…

Lo vide tossire e rigirarsi un’altra volta e, senza potersi impedire un altro sospiro di sollievo, rivide il verde offuscato dei suoi occhi.

“Si-signore…?”

Snape provò a parlare, ma per un attimo dovette rinunciare. Indignato ingoiò il groppo che gli si era formato in gola e ritentò.

“Potter, questa volta hai fatto davvero una cosa troppo stupida persino per un imbecille come te! Ti rendi conto che potevi morire? Te ne rendi minimamente conto?”

“Cough… mi d-dispiace signore… non lo farò più…”

“Su questo puoi giurarci, Potter. Fosse anche l’ultima cosa che faccio non ti permetterò mai più di avvicinarti ad una delle mie pozioni”.

Severus lo guardò.
Il bambino era ancora pallido e c’era tempo per sgridarlo. Osservò i suoi occhi pieni di dolore e paura e lacrime e decise di lasciar stare per il momento.
Prese un’altra pozione e gliela fece bere. Gli tastò il ventre, scrutando attentamente le sue reazioni.
Stupido bambino!
La Wolfsbane era così piena di veleno da uccidere un adulto. Fortunatamente il giovane Potter sembrava non averne assunta abbastanza…
Severus lo avvolse nel copriletto e si diresse in cucina per sbarazzarsi di un altro esperimento fallito.

Non appena entrò uno degli elfi lo aspettava ansiosamente sulla soglia.
“Cosa c’è ancora?” chiese irritato il maestro.

Possibile che le pessime sorprese non dovessero mai finire?

“Io deve parlare con lei, signore. Io molto dispiaciuto, ma deve proprio”.

“Allora parla e non farmi perdere altro tempo” ordinò mentre raggiungeva il suo povero calderone.

“Io disperato, signore. Noi elfi tutti disperati. Il bambino del signore non apprezza il nostro cibo. Ogni giorno noi portiamo cibo, ma nessuno lo mangia e sempre noi riportiamo indietro vassoio pieno, signore. Noi non sappiamo come fare, il nostro cibo non è buono, signore? Noi possiamo fare meglio se il signore lo ordina e ci dice come fare…”

L’elfo abbassò la testa e prese a stropicciarsi la sudicia tovaglietta che aveva attorno al corpo.
Snape si volse, incredulo.

“Spiegati meglio, elfo”.


Nuovamente Severus si trovò ad affrettarsi lungo il corridoio. Aprì la porta della propria stanza e si sedette sul bordo del letto. Osservò in silenzio la piccola figurina tremante avvolta nella coperta. Il bambino sembrava troppo piccolo per la sua età anche dentro vestiti della sua taglia. E adesso Severus sapeva perché.

Gentilmente lo scosse, per attirare la sua attenzione.

“Potter, ho bisogno che tu risponda ad una mia domanda, ma devi dirmi la verità e guarda che mi accorgerò se mentirai…”

Attese che il bambino annuisse.

“Potter, quante volte hai avuto da mangiare da quando sei qui?”



 

 

 




Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

Madam Hooch: Madama Bumb;
Ravenclaw: Corvonero.


Note capitolo: La
Pepperup è la pozione che permette di curare il comune raffreddore. La Sleeping Draught è la pozione che causa, a chi la beve, di cadere in un lungo sonno.
 

 

   

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Capitolo 7
*** 7 - The cage and the fool ***


The Heart of Everything 7
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

Ma salve! Eccomi qui per un altro, lunghissimo ed incredibilmente puntuale aggiornamento. Wow! Siete state fantastiche anche con il mio ultimo capitolo. Vi prego, non uccidetemi quando arriverete alla fine di questo... please, altrimenti non posso continuarlo... Passiamo subito ai doverosi e sentiti ringraziamenti. Grazie a Jerada, in effetti Snape è sveglio, solitamente, sono io che lo dipingo così ottuso, chiedo venia! Grazie a Lexie89, aspetta a ringraziarmi per aver fatto aprire gli occhi a Sev... ecco per te il prox chap! Grazie a bufyna per aver letto la mia fic e lasciato un commento. Sono molto felice che ti sia piaciuta. Grazie ad Aki-chan per non avermi accoppato Sev, ma certo cara, quando Sev e Alby avranno finito con i Dursley puoi fare loro tutto quello che vuoi. Non mi hai fatto assolutamente perdere tempo, anzi... non posso rispondere ad alcune delle tue curiosità perché se no svelerei troppo, ma hai toccato un paio di tasti interessanti. Dumbledore in realtà E’ un bastardo manipolatore, ma mi piace così lo trovo piuttosto IC sempre dedito alle macchinazioni... uh uh uh. Grazie a pikkola prongs, oddio, anche tu aspetta a ringraziarmi... (Mel_fugge_lontano: pauraaaaaaaaaa). Grazie a briciola88 le cose miglioreranno lo prometto, non subito, ma miglioreranno... grazie, alla fine sono guarita velocemente, evviva! Grazie a ellinor, che nonostante tutto non mi abbandona, mi dispiace averti fatto star male... Grazie a Rotavirus, in effetti anch’io sono sorpresa della mia puntualità e mi chiedo quanto ancora durerà questa cosa, speriamo di riuscire a mantenere le vostre aspettative, grazie del bellissimo commento, cara... Grazie a Tigre94, anche tu, se puoi, non cantare vittoria troppo presto... (Mel_fugge_ancora_più_lontano). Grazie a Kary91, wow, il tuo commento mi rende felice, in effetti anch’io ho letto diverse storie in cui Sev diventa subito il padre perfetto e mi hanno fatto una brutta impressione, Sev è Sev, the ugly, greasy git, non può diventare subito il re del miele e della melassa... Grazie a iaco, ecco per te un altro chap! Grazie a sam89, mi sa che dovrai pazientare ancora un pochino, un pochino solo, lo prometto... Grazie a Psike per il commento, anche io adoro Harry-bimbo, oh, me lo mangerei. Grazie a LadySnape, wow, addirittura i brividi? Me piacevolmente colpita. Grazie mille lilica, ecco qui il continuo, non posso dirti molto sui Dursley se no ti rovinerei la sorpresa, ma ti assicuro che avranno quel che meritano... Grazie lake, eh, aspetta. Le fette di salame son difficili da tirar via... non mi uccidere, ricorda che ti servo viva e perfettamente funzionante... Grazie ad unknow_angel per il suo supporto e-mailiano ed infine un grazie a dunky, wow, addirittura un paragone con la Rowling, non lo merito assolutamente anche se pure io sono rimasta delusa dall’epilogo... Grazie mille comunque. Un grosso abbraccio ed un altro ringraziamento a tutti coloro che hanno semplicemente letto la mia storia e provato qualcosa. Ho dimenticato qualcuno? Adesso vi lascio al capitolo. Buona lettura.

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 

Capitolo 7 - / The cage and the fool /

 





Il piccolo Harry rabbrividì.
Non avrebbe saputo dire se di dolore o di paura.

L’uomo gli era così vicino, così… sopra e lo stava guardando severamente.
‘Rispondi, Harry, ti ha fatto una domanda, devi rispondere’ si disse.

Ma sapeva che l’uomo si sarebbe arrabbiato moltissimo dopo aver ascoltato la sua risposta.
Harry venne scosso da un altro brivido e si nascose la testa fra le manine.
Da sotto le coperte mormorò: “T-t-tre, signore”.

L’uomo sospirò pesantemente.
Oh, Harry lo sapeva, non sarebbe mai riuscito ad essere un bravo bambino.
Sapeva che non avrebbe dovuto mangiare così tanto, che non gli era permesso, che invece avrebbe dovuto lavorare e guadagnarsi un po’ di pane ogni due, tre giorni. E adesso sarebbe stato punito, ma sapeva di meritarlo e quindi sarebbe rimasto fermo. Non si sarebbe lamentato, perché il piccolo Harry era sciocco ed ingrato e fastidioso, ma era anche coraggioso.

Severus si passò una mano sul viso.
Dannazione!
Aveva affamato il figlio di Lily!

Tre pasti in quasi tre giorni e mezzo. No, non era adeguato chiamarli pasti. L’unico degno di questo nome era stato la sera prima e certamente una tazza di Wolfsbane non si poteva definire ‘pasto’.
Snape avrebbe decisamente voluto sapere perché diamine il figlio dei Potter non aveva mangiato o perché non aveva fatto presente il problema con l’andare avanti dei giorni, ma un semplice sguardo lo convinse ancora una volta che la scelta del momento non fosse delle più appropriate.
Il bambino tremava da capo a piedi e non era ancora del tutto fuori pericolo. Severus aveva bisogno di informarsi sulle possibili conseguenze di quel gesto avventato, doveva consultare i suoi libri e rimanere attento e presente. Interrogare il bimbo adesso non avrebbe portato a grandi risultati comunque…

“Riposati. Più tardi ne parleremo ancora”.

Si alzò, impedendosi fermamente di compiere quell’orrido gesto di ‘rimboccatura’ delle coperte che tutte le madri trovavano sovente così necessario. Severus Snape non era certamente una madre e ancor di meno un padre. A grandi passi tornò in sala e prese a raccogliere testi dagli scaffali delle sue librerie.

Harry si arricciò su se stesso, cercando conforto nel proprio abbraccio.
Non stava più male come prima, ma la testa girava tantissimo, così come la stanza attorno. Aveva freddo anche se sentiva che qualcosa lo copriva. Ma non avrebbe osato chiedere una coperta. Niente cose piacevoli e calde come le coperte per i piccoli mocciosi ingrati e seccanti.

Severus afferrò tre o quattro tomi e fece ritorno nelle proprie stanze, levitando dietro di sé la poltrona del salotto. Il bambino-Potter non poteva essere lasciato da solo, non adesso che la sua vita era stata miracolosamente risparmiata dal finire in modo prematuro. Snape si dispose ad attendere a lungo.

Dopo tre ore di ricerche ed approfondimenti il giovane maestro si ritenne mediamente soddisfatto. Tutti gli ingredienti della sua sperimentale Wolfsbane erano stati singolarmente analizzati e adesso nessuno di questi rappresentava una concreta minaccia. Il bambino sarebbe stato bene prima di sera e Severus aveva bisogno di informare Albus di quanto accaduto.
Strofinandosi il mento con le nocche della mano destra, Snape pensò a come volgere a suo favore quel maledetto incidente.



Quella sera la Great Hall era piena di vita e di gioia. Proprio l’atmosfera che il serio, astioso giovane uomo aborriva più di ogni altra. Per questo detestava i weekend di libera uscita e raramente si presentava per i pasti in tali serene, melense e spaventosamente liete occasioni. Oh, gli elfi avrebbero fatto meglio a servirgli qualcosa da infilzare a lungo e con soddisfazione quella sera o…
“Ah, Severus, caro ragazzo mio, che piacere averti con noi a cena questa domenica!” lo accolse cordialmente Albus.

Snape fece un lento cenno con la testa in saluto.
“Preside, Minerva…”

“Severus…” replicò cortesemente Madam McGonagall.

Mentre attendeva il momento opportuno per introdurre il suo discorso Snape non si poté dire affatto dispiaciuto della presenza della severa ed inflessibile insegnante di Trasfigurazione. Certamente una donna della fibra morale di Minerva non avrebbe acconsentito facilmente a lasciare il giovane Potter nelle sue mani una volta saputo dell’accaduto.

Perfetto.
Assolutamente perfetto.

Poco dopo Severus cercò il modo più casuale per alzare il sipario e dare inizio alla sua commedia d’autore. Si volse verso Albus e lo trovò intento a spremere allegramente salsa al cioccolato sopra le sue carote lesse. Snape arricciò il lungo naso, disgustato. Le abitudini alimentari di Dumbledore erano fra le più terrificanti che Severus avesse mai incontrato. Capaci di far venir meno la volontà di mangiare anche all’uomo meno debole di stomaco al mondo…
Dall’altra parte Minerva sorrise, condiscendente.

Severus si schiarì la voce, discretamente. Albus alzò i suoi occhi brillanti sul suo giovane impiegato.
Snape bevve un sorso di vino.

“Oggi è occorso un incidente nei miei quartieri, Preside e ritengo doveroso informarla…”

“Parla, caro ragazzo. E’ qualcosa di cui debbo preoccuparmi?”

“…diciamo pure che il giovane Potter stava per lasciare incompiuto il suo destino a tempo… indeterminato…”

Con la coda dell’occhio Severus vide Minerva irrigidirsi e, pur senza girarsi, seppe che la donna li stava avidamente ascoltando.

“Oh! Sul serio, Severus? Racconta… ” domandò Dumbledore, quasi casualmente.

“Come si dice Albus, la curiosità uccise il gatto… oh, non me ne volere Minerva, non era un riferimento intenzionale… il bambino è evidentemente incapace di seguire anche le più semplici e banali indicazioni. Ha bevuto una delle mie pozioni più velenose…”

Lasciò deliberatamente la frase sospesa ed in segreto godé delle sguardo scioccato della strega.

“… fortunatamente sono riuscito a somministrargli l’antidoto in tempo…”

Albus lo guardò con quel dannato brillio negli occhi che non accennava a diminuire e che gridava a chiare lettere ‘Ben fatto ragazzo mio, sapevo di potermi fidare di te’.

Ovviamente qualsiasi altro tentativo di rispondere all’immeritato complimento del Preside venne interrotto da una agitatissima McGonagall.
“E come sta il bambino adesso? E’ stato portato da Poppy?”

“Non ho ritenuto necessario scomodare Madam Pomfrey…” rispose lentamente Snape.

“Ma come…”
Un tono indignato che il giovane professore frenò prima di doversi irritare oltre misura.

Severus si volse con una luce fiera e vivida negli occhi. L’orgoglio incapace di farsi ridicolizzare da chiunque, persino dalla persona di cui in quegli attimi aveva bisogno per convincere il Preside.

“Non ritengo che nessuno meglio di me possa conoscere tutte le possibili conseguenze ed interazioni di ogni singolo ingrediente di una pozione, in special modo se parliamo di una delle mie, Minerva. Il bambino sta bene. Ma non è detto che ciò non si ripeta. Albus, come puoi vedere, i miei quartieri non sono un posto sicuro per giovani esuberanti, e aggiungerei stupidamente folli, Gryffindor. Io potrei non essere sempre presente ad evitare la calamità…”

“Suvvia, non essere così duro con te stesso, ragazzo mio, siamo esseri umani, ci è permesso più di un attimo di distrazione…”

Severus si impedì di guardare in supplica Minerva e, a stento, riuscì a trattenersi dall’irrefrenabile istinto di lanciarle una maledizione al solo scopo di farsi insultare davanti al Preside. Non capiva perché la strega ancora non fosse intervenuta per togliergli il giovane Potter…

“Non desidero che nessuno dei miei attimi di distrazione costi la vita del Bambino Sopravissuto. Come è possibile ignorare una cosa così palese! Questa volta è stata mera casualità, pura fortuna, la prossima volta potrebbe essere l’ultima per davvero…”

“Oh, le tue preoccupazioni ti fanno un grande onore, Severus, ma come dicono i saggi quello che non uccide fortifica!” concluse spensieratamente Dumbledore.

Snape venne assalito dall’improvvisa voglia di trasfigurare quel vecchio pipistrello in una cimice raggrinzita e schiacciarlo con il piede, ma difficilmente questo sarebbe stato un modo diplomatico di far valere le proprie giustissime ragioni.
Di scatto si alzò e lasciò la Hall.

Minerva sospirò con grazia, volgendo il suo sguardo al Preside.
“Quello che stai facendo a quel povero ragazzo non è giusto, Albus…”

“Oh, mi perdonerà, ne sono certo…”

“E se ti sbagliassi? Se non fosse come credi? Se non avessero bisogno di… questo? Se…”

“Vuoi una forchettata di queste deliziose carote al cioccolato, mia cara?”

La donna scosse la testa, pazientemente.


Snape si ritirò nei propri appartamenti, fremente d’ira. Trasse dalla credenza una vecchia bottiglia di scotch e se ne versò un abbondante bicchiere.
Dannazione! Dumbledore non intendeva in alcun modo cedere.
L’alcol calmò un poco i suoi nervi.
Lasciò il bicchiere ancora mezzo pieno sul tavolino e si diresse nelle proprie stanze.
Per quanto fastidioso fosse aveva ancora dei doveri verso il suo indesiderato ‘carico’, almeno fino a quando non avesse trovato il modo di vincere la guerra contro Albus.
In silenzio si avvicinò al letto. Il bambino dormiva ancora, appallottolato sotto il copriletto.
Severus aveva il compito di accertarsi delle sue condizioni per l’ultima volta prima di rimandarlo in camera sua.

“Potter, svegliati!”

Il bambino si mosse un poco, piano. Con sommo piacere per il maestro di Pozioni non sembrava necessario sprecare altro fiato in un secondo richiamo. Snape fece per allungare una mano e sentire se era comparsa un’alterazione della temperatura.
Due occhi verde scuro si aprirono lentamente allargandosi man mano in comprensione, sorpresa, circospezione, terrore.

Severus osservò immobile come la piccola figura si ritraeva da sotto le coperte verso il bordo del letto. Le piccole labbra tremanti lasciavano uscire incoerenti, inudibili brevi frasi, ognuna delle quali puntuata da un ‘Mi dispiace’ o un ‘Per favore’, interrotte a tratti da qualche promessa di non farlo mai più. Senza poter far niente lo vide avvicinarsi pericolosamente alla sponda, rotolare a terra, rialzarsi e continuare a scusarsi.

Dannazione! Il bambino sembrava ancora in stato confusionale per colpa della pozione…
Snape si stava velocemente irritando.

“Mi dispiace, signore, m-”

“Smetti di scusarti – lo interruppe l’uomo. – E torna qui sul letto” aggiunse bruscamente.

Il bambino abbassò la testa ed ubbidì prontamente.
Si distese nell’esatto punto dove aveva dormito pochi minuti prima e rimase immobile.

Velocemente Snape abbassò le mani su di lui e lo vide serrare forte gli occhi.
Gli toccò la fronte, senza potersi trattenere dal passare un pollice curioso sopra la celebre cicatrice.
Il bambino sussultò appena, ma non si scostò.
Le sue agili mani scesero in basso, premettero sull’addome per qualche momento, in diversi punti.
Severus gli fece poi qualche domanda. Chiese se aveva male alla testa, dietro gli occhi o da qualche altra parte, se vedeva la stanza girare, se riusciva a riconoscere i colori o se vedeva doppio.
Il bambino-Potter rispondeva sempre allo stesso modo. ‘Sì, signore’ o ‘No, signore’ era tutto quello che sembrava in grado di dire.
Il giovane maestro gli passò la bacchetta sul corpo un paio di volte e annuì.
Si ritenne soddisfatto poco dopo.
Poteva finalmente buttare il moccioso fuori dalla sua camera.
Ma non prima di aver chiarito un paio di concetti…

“Potter, ascoltami bene, perché detesto ripetermi. A meno che tu non abbia intenzione di replicare l’esperienza di oggi ti consiglio di rimanere lontano dai miei calderoni e da qualsiasi cosa ci sia dentro. Non ti è permesso toccarli, spostarli, rovinarli, bere o mangiare qualsiasi cosa ci sia dentro. Chiaro? Domani sera verrai punito per aver rovinato la mia pozione”.

Il bambino annuì e si affrettò a rispondere, abbassando gli occhi e la testa.
“Sì, signore”.

Snape pensò valesse la pena di affrontare anche tutti gli altri argomenti rimasti in sospeso.

“Come hai avuto modo di osservare in alcune occasioni, Potter, ci troviamo in un mondo in cui non solo la magia esiste, ma viene utilizzata da streghe e maghi. Più precisamente ci troviamo in una scuola in cui si insegnano le arti magiche ai giovani. Farai bene ad abituarti alle dimostrazioni di magia, perché non mi farò scrupolo ad usarne davanti a te, in fondo sei un mago anche tu, ragazzo”.

Snape attese che il bambino annuisse nuovamente. Con la coda dell’occhio vide quelle piccole manine torcersi l’un l’altra e tremare vistosamente, ma soprassedé.

“Infine mi piacerebbe sapere perché non hai mangiato per tre giorni, Potter, benché ci fosse del buon cibo disponibile in cucina”.

Silenzio.
Il bambino abbassò la testa ancora di più, fin sul petto, e spostò il peso da una gambina all’altra.

“Ti assicuro che se le tue intenzioni erano quelle di commuovermi avrai un’amara sorpresa. Se hai deciso di affamarti sei libero di perseguire i tuoi scopi fuori da questi quartieri. Non tollererò altre insulse, patetiche richieste di attenzione. Ogni giorno mangerai a colazione, pranzo e cena. Un elfo domestico verrà mandato nelle tue stanze se per te è così faticoso ed insopportabile arrivare fino alla cucina. L’elfo rimarrà con te fino a quando non avrai mangiato. Questo è quanto, Potter, adesso sei pregato di lasciare le mie stanze e andare a dormire”.

Il piccolo Harry quasi corse fuori, chiudendosi la porta alle spalle.
Il cuore gli batteva fortissimo nel petto e non smise nemmeno quando, una volta rientrato nella sua camera, si nascose sul fondo del baule.
Era stata una giornata orribile.
Orribilissima.
A colazione aveva mangiato quella minestra dal sapore disgustoso ed evidentemente ne aveva presa troppa ed era stato male e l’uomo si era arrabbiato. Oh, perché Harry era così cattivo?
Poi era stato male, così male da piangere e vedere tutto nero. L’uomo l’aveva aiutato, anche se Harry era certo che stesse per picchiarlo. Zio Vernon lo colpiva sempre quando Harry stava male perché diceva che se lo meritava. L’uomo gli aveva fatto bere della strana acqua colorata che ricordava il sapore della minestra della mattina e poi Harry aveva dormito ed anche se era rimasto sotto il copriletto aveva avuto tanto freddo. Quando si era svegliato di nuovo l’uomo aveva scoperto la sua disubbidienza. Gli aveva chiesto quante volte aveva mangiato e nel sentire la risposta Harry poteva dire di aver visto la rabbia sul suo viso ed il rimprovero. Poi aveva dormito ancora e la pancia gli aveva fatto male per un po’. Era stato di nuovo svegliato. Era sera, aveva dormito tutto il giorno sul letto dell’uomo. Oddio, aveva avuto paura da morire. L’uomo si sarebbe giustamente arrabbiato e lo avrebbe picchiato. Harry aveva provato a scusarsi, ma l’uomo non lo aveva ascoltato e gli aveva fatto delle cose strane con le mani e quel bastoncino di legno. Poi avevano parlato.
Hary sospirò piano. Questa volta davvero non l’avrebbe scampata. L’uomo aveva detto che sarebbe stato punito, per aver rovinato non-sapeva-bene-cosa, la sera dopo. Oh, Harry sperava che fosse una sculacciata o qualche schiaffo. Oh, per favore. Non la cintura o il bastone. Tremò.
Infine l’uomo aveva pronunciato quella parola orribile. La parola che i suoi zii non volevano mai sentire in casa. La parola che era male.

Magia.

L’uomo l’aveva pronunciata un sacco di volte ed Harry aveva capito solo due cose.
La prima era che l’uomo avrebbe usato di nuovo la magia su di lui e Harry pensò che non sarebbe stata una cosa piacevole.
La seconda, ancora più spaventosa, finalmente era la risposta a tutte le sue domande più grandi.
Adesso sapeva perché gli capitavano sempre tutte quelle cose brutte e perché la gente lo odiava e non lo voleva toccare e nessuno lo amava o voleva tenere con sé. Adesso finalmente sapeva perché i suoi genitori non lo avevano voluto ed erano morti e tutti lo chiamavano mostro e sgorbio e vermiciattolo e perché tutti avevano potuto vedere i delfini e lui no.
Adesso sapeva.
Harry era ingrato e sudicio e cattivo e pigro e inutile.

Perché era un mago.

Lo aveva detto quell’uomo e la magia era una cosa orribile e malvagia da morire, quindi anche Harry lo era e da grande sarebbe diventato come quell’uomo, sempre vestito di nero, senza amici, fra quelle fredde mura, con quel naso da pinguino a fare strane cose con quello strano bastoncino in mano.
Oh, Harry non voleva, non voleva affatto.
Si rannicchiò e cominciò a piangere.
E pianse tutta la notte, fino a che il sonno non lo portò via con sé.

La settimana prima delle vacanze natalizie era qualcosa di sconvolgente per la sanità mentale del maestro di Pozioni. L’imminente periodo di feste e giochi e regali rendeva gli studenti ancora più distratti e distraibili e distraenti.
Una tripla combinazione più che letale vicino ad un calderone.
Quattro esplosioni e mezzo lo convinsero a mettere i suoi preziosi Slytherin in coppia con alcuni dei peggiori Hufflepuff che avessero mai varcato la soglia di Hogwarts. Anche solo per arrivare intero a fine giornata…

Ovviamente per questo aveva premiato la Casa di Salazar con ben sessanta punti…

Il pomeriggio fu lievemente più calmo e dopo le lezioni Snape si ritagliò del tempo per proseguire i suoi studi sulla Wolfsbane nella solitudine del suo laboratorio. Futile tentativo con il signor Sorier perennemente in cerca di aiuto e risposte…

Rientrò tardi nei suoi quartieri e chiamò un elfo per farsi portare una buona tazza di tè nero.
La creatura attese quieta accanto al tavolo.

“Il bambino ha mangiato oggi?”
“Sì, signore. Io stesso servito colazione, pranzo e cena. Il bambino non voleva, signore, ma io bravo ad insistere”.

“Molto bene, puoi andare”.

Mentre l’elfo scompariva Snape bevve due lunghi sorsi, riposandosi dalle estenuanti attività di quel lunedì.
Mmh… se non ricordava male aveva un’ulteriore detenzione da supervisionare.
E se i suoi occhi non lo ingannavano il bambino-Potter era già lì all’ingresso del corridoio.

Per natura e per circostanze della sua vita Severus detestava profondamente tutto quello che si nascondeva nell’ombra e l’abitudine di scivolare in silenzio nell’oscurità che quel dannato moccioso stava prendendo lo irritava in modo preoccupante.

“Smetti di stare in agguato nell’ombra come un dannato pipistrello e vieni qui”.

Il bambino si fece avanti, avanzando con poca sicurezza.

Snape lo guardò.
Il mento basso, il collo incassato nelle piccole spalle, le manine l’una nell’altra.
Il figlio di James non aveva carattere, proprio come il padre, si disse Severus disgustato.
Oh, ma fintantoché fosse rimasto nelle sue ‘gentili e premurose mani’ Snape avrebbe fatto del compito d’insegnargli un po’ di disciplina la sua personale crociata…

“Alza la testa quando ti parlo, ragazzo e rispondimi. Chi ti ha dato il permesso di uscire dalla tua stanza?”

“N-n-nessuno, signore, ho sentito… del rumore… e …pensavo…”

“Oh, pensavi. Ma che piacevole novità! Avevo cominciato a dubitare della possibilità che tu fossi capace di simili funzioni superiori dopo averti visto tentare di porre fine alla tua esistenza in modo così… clamoroso. Veramente degno di quel Gryffindor di tuo padre, Potter. Non voglio più vederti fuori dalla tua camera. Verrò io a chiamarti se e quando potrai uscire. Intesi?”

“Sì, signore”.

“E adesso seguimi”.

A passo di marcia Severus lo condusse nella piccola cucina.
Niente di meglio del figlio di James Potter per riversare un po’ di frustrazione!


Harry sperò che non fosse stato portato lì per mangiare.
Aveva vomitato tutto il giorno e non avrebbe potuto sopportare neanche un cucchiaio di quella minestra dell’altra mattina.
Ma l’uomo non lo fece sedere ed Harry quasi tirò un sospiro di sollievo.
Poi alzò gli occhi.
Sul ripiano accanto al lavandino c’erano quattro pentole enormi e nere. Uguali a quelle dove il piccolo aveva preso la sua minestra. Erano tutte quasi vuote e sembravano davvero sporche e appiccicose…

“Pensavo di fartene pulire una per punizione, Potter, ma continui a mostrare indesiderati cenni di ribellione, quindi ne pulirai due” ordinò quel signore vestito di nero.

Oh, finalmente l’uomo lo faceva lavorare, Harry aveva cominciato a temere di dover andare via perché non riusciva a guadagnarsi il suo mantenimento. E non voleva andare via. Non era molto meglio che dai Dursley, ma almeno Harry aveva la sua camera (anche se fredda e sempre buia), poteva mangiare (anche se spesso non riusciva a tenere niente nello stomaco) e poteva dormire durante il giorno (anche se non gli era permesso avere una coperta). Ma se l’uomo lo faceva lavorare Harry poteva guadagnarsi tutto quello e rimanere…quindi sorrise un pochino, mentre si avvicinava al bordo.

Severus lo guardò con un’espressione tirata, le pallide, sottili labbra premute furiosamente l’una contro l’altra.
Piccolo presuntuoso, provocante marmocchio, aveva pure il coraggio di ridere e di farsi beffe della sua punizione con la stessa baldanza di quel dannato cane pulcioso di un Black.

“Non più due calderoni, Potter, ma tutti e quattro. Vediamo se questo riesce a cancellarti quel sorriso beffardo dal viso”.

Harry inclinò la testa?
Non poteva sorridere?
Oh, avrebbe cercato di ricordarselo.
Si tirò su le maniche e cominciò a lavare.

Cercò di finire in fretta, anche se non voleva, perché sapeva che dopo i suoi lavoretti l’uomo l’avrebbe punito così come aveva detto la sera prima. Oh, Harry tremava al solo pensiero…
Le pentole erano grosse e pesanti e solo con il braccio destro il bimbo faceva molta fatica a sollevarle, ma si fece coraggio, in fondo in questo modo si guadagnava un posto dove stare.

Snape corresse velocemente alcuni compiti del primo e terzo anno. La sua piuma vergava frasi ancora più sarcastiche e pungenti del solito. Non c’era tempo nella vita di Severus Snape per gli infantilismi e per quel piccolo, dannatissimo, Gryffindor.
C’erano le lezioni, le pozioni, le informazioni da passare ad Albus, la propria salvaguardia.
Erano tutte cose troppo importanti, troppo preminenti.
Il resto andava eliminato, possibilmente come tutto il terzo anno degli Hufflepuff…

S’immerse quindi nei suoi programmi e nelle sue attività. In sottofondo sentiva l’acqua scorrere e sorrise fra sé e sé, ironicamente.
Un po’ di sano lavoro era quello che serviva…
Si alzò per servirsi due dita di scotch e festeggiare.

Diverso tempo dopo si sentì osservare.
Aveva perso alcuni dei suoi riflessi, diluiti nell’ambra del suo buon, vecchio scotch e venne colto di sorpresa quando alzò lo sguardo per incontrarne un altro.

Limpido e verde.
Verde. Verde. Verde.

Per un istante un incessante fluire di memorie lo gelò sul posto, prima che la rabbia montasse ed esplodesse.

“Cosa fai lì, a strisciare in silenzio verso il salotto? Hai finito?”

“Sì, signore”


Harry attese, nervosamente.
Zio Vernon lo portava sempre vicino alle scale prima di picchiarlo e poi lo chiudeva nel sottoscala o in cantina.
Harry non vedeva scale e non ne aveva viste in quei giorni, ma sicuramente l’uomo poteva avere un altro posto preferito in cui picchiarlo…

“Sparisci nella tua stanza allora!” gli venne gridato ed Harry corse via.


Quella notte Severus rivisse in sogno l’assassinio dei Potter, la sua fuga verso Hogwarts, il viso spietato del Signore Oscuro e la sua perfida, disumana risata.
Verde. Rosso. Verde. Rosso. Verde. Verde. Verde. Verde. Verde. Verde. Verde.
Quegli occhi verdi, la passione, l’odio, la gelosia.
La sua prima vittima, se stesso, il suo primo, reale omicidio.
Il verde più malefico che si potesse immaginare, il verde più crudele, senza ritorno, senza perdono.
Il colore malvagio dell’Avada Kedavra.

Severus si svegliò coperto di sudore, la gola impastata, come qualcuno che ha passato la notte a gemere e gridare.

Nei due giorni successivi Snape non si avvicinò alla camera del bambino-Potter, nemmeno per sbaglio.
Non desiderava affatto vederlo.
I suoi occhi lo facevano ricordare e Severus preferiva non dover arrivare al punto di non saper controllare la propria ira.

Ogni sera si informava dall’elfo sui suoi pasti e questo, riteneva, era tutto quello che era tenuto a fare per dovere.

Due giorni dopo Dumbledore lo fermò nella Great Hall e senza mezzi termini si invitò personalmente (ed in modo del tutto arbitrario) nei suoi quartieri quella sera.
Era un dannatissimo mercoledì.


Harry uscì piano dalla porta del bagno e si diresse a memoria verso il suo baule.
Erano ore che non vedeva niente.

Ogni giorno sembrava ripetersi all’infinito e al piccolo sembrava di impazzire.
Ogni mattina, pomeriggio e sera una di quelle stranissime creature con gli occhi grandi come piattini gli portava da mangiare e rimaneva a guardarlo tutto il tempo. Il cibo era buono, ma Harry non era abituato a mangiare così tanto. E così riusciva a tenere poco nello stomaco, semplicemente passava lunghe mezz’ore in bagno dopo ogni pasto, a vomitare praticamente tutto. La pancia gli faceva male da qualche giorno e stare al buio non gli piaceva per niente. Quando arrivava, l’elfo accendeva qualche candela, ma dopo qualche ora era buio come prima, se non di più…
Oramai Harry non ricordava più molte cose. Non ricordava più il profumo dell’erba ed il colore delle cose illuminate dal sole. Non ricordava più nemmeno il suo nome proprio, nessuno lo chiamava mai per nome, solo ‘ragazzo’ o ‘Potter’ adesso. E non ricordava più come si faceva a correre e saltare, né come fosse sentire l’aria sul viso, il suono di… qualcosa.
Erano giorni che non usciva. Giorni che stava disteso sul fondo del baule e presto, temeva, avrebbe finito le fantasie e poi cosa avrebbe fatto?
Quelle mura sembravano una fredda prigione grigia e nera.
Oh, come desiderava poter uscire…
Le poche volte in cui riusciva a vederlo l’uomo era sempre chino sopra quelle pentole enormi.
Passava praticamente tutto il giorno a cucinare, anche se non era grasso come Zio Vernon…

Il rumore di alcuni passi lo destò dai suoi pensieri…

Una mano bussò violentemente alla porta.
“Potter, preparati, abbiamo un ospite. Vieni in soggiorno appena sei pronto”.

Harry alzò la testa.
“Sì, signore” rispose tutto eccitato.

Oh, finalmente, finalmente, poteva uscire!

Harry si vestì come poté al buio e sgattaiolò fuori dalla sua camera.
L’uomo vestito di nero lo aspettava accanto al camino e lo osservò, seccato.

Severus guardò la maglia alla rovescia che il bambino-Potter così orgogliosamente esibiva.
“Incapace…” mormorò prima di correggere il problema con un colpo di bacchetta.

Pochi attimi dopo qualcuno bussò cortesemente alla porta.

Harry guardò in sorpresa l’uomo vecchio che stava entrando.
Era lo stesso signore anziano che aveva visto in quella stanza piena di orologi quando era stato portato lì.
Solo che oggi il nonnino indossava un vestito ancora più strambo.
Era blu con tutte le stelline e le lune fosforescenti e sembrava un enorme, buffa camicia da notte. Sotto il signore portava due calzini completamente diversi l’uno dall’altro che… sembravano mandare una musichetta ed aveva su due ciabatte tipo quelle di Aladino con due enormi, verdi pon-pon che si muovevano da soli.
Oh, Harry lo trovava molto simpatico…

“Albus, per favore, fai tacere quei dannati calzini nei miei quartieri…” disse l’uomo vestito di nero.

Il signore anziano agitò una mano e la musichetta sparì.
Oh, anche lui era un mago allora.

Harry se ne rattristò, sembrava tanto una persona perbene…

“Oh, il giovane Harry!” esclamò d’un tratto il nonnino.

Harry fece del suo meglio per non tirarsi indietro quando lo vide avanzare.
Tuttavia l’uomo non lo toccò.

“Sbaglio o sei cresciuto un pochino?”

Snape incrociò le braccia sul petto.
“Sbagli” sussurrò con certezza.

Lo aveva affamato e fatto quasi avvelenare. Come diavolo poteva sembrargli cresciuto? Al limite poteva essere diventato più pallido, forse…

Comunque strano che il bambino-Potter non fosse già partito con i suoi ‘Sì, signore’, ‘No, signore’…

“Ci fai compagnia stasera, Harry?”

Il piccolo non rispose.

“Ti piace il latte? I biscotti? Oh, devi assolutamente dirmi di tutti quei deliziosi dolci Muggle che conosci, mio caro…”

Silenzio.
Harry guardava negli occhi l’anziano signore e ci vedeva un sacco di lucine ‘sbrilluccicose’, ma non sorrise né rispose.
Perché l’uomo vestito di nero era lì e gli aveva ordinato di rispondere solo alle sue domande e di non sorridere.

D’improvviso un sbuffo irritato lo fece voltare, prima che quella voce lo richiamasse bruscamente.

“Potter…”

Oh, Harry lo sapeva che non doveva parlare e ridere. Non c’era bisogno che glielo ricordasse, Harry era un bravo bambino se si impegnava…

Il silenzio si stese fra le tre figure immobili, come una scomoda, grossa presenza.

Severus, infuriato, si ritirò in cucina.
Ingrata, maleducata, piccola pulce!

Oh, Severus lo sapeva bene cosa stava facendo.
Lo stava mettendo in ridicolo davanti al Preside.
Certamente non parlava perché intendeva imbarazzarlo e giocare a fare la piccola, innocente, vittima.
Ma lo avrebbe punito.
Altri quattro sudici calderoni gli avrebbero insegnato le buone maniere…
In fretta ordinò un vassoio di tè, latte e focaccine prima di tornare in soggiorno.

Albus non si scompose.
Osservò il professore allontanarsi e strizzò un occhio al giovane Harry.

“Allora… come ti trovi qui con Severus, mio caro ragazzo?”

Il bambino lo guardò un attimo.
Oh, allora l’uomo aveva un nome tutto suo!
Si chiamava Sevreus!!!
Era un nome buffo e lungo, ma Harry non avrebbe mai osato riderne.

Albus si raddrizzò e sorrise beatamente.

“Chi tace acconsente” disse a voce alta, sorridendo verso la seccata ed incolore espressione sul viso del suo miglior pozionista.


La serata trascorse tranquilla. Harry era felice per il maestro pinguino. Anche lui, allora, aveva un amico.
Sedettero vicino al fuoco per un po’. Ed Harry ebbe altre due di quelle buonissime focaccine.
Sperava solo di riuscire a tenerle nello stomaco almeno un pochino…

I grandi parlarono a lungo e nessuno gli fece più domande.
Harry era felice di poter stare un po’ fuori dalla sua stanza e sperava che il nonnino restasse ancora e che poi tornasse presto a trovarli.

“Questo weekend Hogwarts rimarrà vuota, mio caro ragazzo, perché non porti il giovane Harry fuori? Hagrid è ansioso di fare la sua conoscenza…”

Snape lanciò uno sguardo in tralice al bambino-Potter.
Effettivamente un po’ di sole e di aria non erano un cattivo pensiero…

“Non è un rischio che dovremmo correre…”

“Oh, pochissimi studenti rimarranno e questo weekend è di libera uscita per Hogsmeade, sai, per comprare gli ultimi regali. Il piccolo avrà bisogno di giocare un po’ all’aria aperta, suvvia Severus non essere così intransigente…”

Snape seppe che in un modo o nell’altro il Preside avrebbe vinto, quindi concesse un pareggio.

“Va bene. Me soltanto un paio d’ore”.

Dumbledore sorrise, soddisfatto.


Il vecchio signore andò via e ben presto Harry seppe di essere nei guai.
L’uomo era arrabbiato per qualcosa.
Ma lui non sapeva cosa.
Aveva fatto tutto quello che gli era stato detto e non aveva parlato o sorriso.
Eppure l’uomo disse che l’avrebbe punito e gli fece pulire altre quattro pentole.
Ma neanche quella sera lo picchiò.

Harry andò a letto incerto se essere contento o terrorizzato.
Sperava che il giorno in cui l’uomo si ricordasse di tutte le punizioni che gli doveva fosse lontano, molto molto lontano.


Quel perfetto sabato pomeriggio Snape occhieggiò fuori dalla finestra in un corridoio.
Il sole a tratti veniva coperto dalle nuvole, ma il tempo non era sgradevole.
Il giovane maestro di Pozioni sospirò.

In fondo Albus non aveva torto.
Era molto tempo che Severus non usciva a passeggiare nel parco e senz’altro un po’ di aria avrebbe fatto bene anche al moccioso.
In realtà il pensiero più piacevole era quello di potersene liberare per un paio d’ore.
Hagrid sarebbe stato più che disposto ad occuparsene al suo posto.

Quasi tutti gli studenti era tornati a casa per trascorrere il Natale assieme alla proprie famiglie e tranne qualche rara eccezione, la scuola era vuota.

Severus ordinò al bambino-Potter di vestirsi e di mettersi il cappotto.
Lo guidò accanto al camino e senza una parola gli coprì la fronte con un unguento.
In pochi attimi la famosa, incriminante cicatrice scomparve, lasciando la pelle soffice e rosea.
Snape non era uomo abituato a rischiare.
Uno qualsiasi degli studenti poteva sempre decidere di avventurarsi nel parco o vicino al lago.
Oppure il signor Sorier, che in quei giorni aveva fatto del seguirlo e tempestarlo di domande il nuovo sport della stagione, poteva essere nei dintorni.
No, nessuno doveva conoscere la vera identità del bambino.
L’unguento aveva la proprietà di coprire tutti i segni magici per almeno ventiquattro ore. Sarebbe stato più che sufficiente.
In silenzio Snape lo guidò fuori, facendo attenzione a non farsi scorgere.

La capanna del guardiacaccia mandava fumo chiaro nel cielo di quel primo, rigido pomeriggio di fine dicembre.
Hagrid sedeva sul portico, intento a tagliare della carne per Fang, il suo grosso, codardo cane.
Il rubicondo omone alzò appena lo sguardo e da sotto l’immenso cespuglio di barba e baffi e sopracciglia riconobbe il bambino che avanzava accanto al professore.

“Per la barba di Merlino! Harry Potter! Il piccolo Harry Potter! Ehilà, Professore, dico bene, è il giovane Harry quel piccoletto?”

Severus annuì.

“Personalmente preferirei evitare tutti questi convenevoli, Hagrid. E per l’amor del cielo, non gridare il suo nome come se fosse una rivelazione. Hogwarts non è un posto completamente sicuro, nemmeno di questi tempi”.

“Oh, giusto, giusto”.

Snape vide il mezzogigante alzarsi in piedi e pregustò il piccolo spavento sul viso del bambino-Potter.

Harry lasciò che le sue piccola labbra si socchiudessero per la sorpresa.
Quell’uomo era ENORME!
Oh, Harry non aveva mai visto un uomo così grosso in vita sua.
Così alto e largo e grosso.
Aveva un po’ paura, ma non poteva scappare dentro.
Si sforzò con tutto il suo coraggio di rimanere fermo.

Severus alzò un sopracciglio, quasi impressionato.
Aveva distintamente notato che il figlio dei Potter non aveva alcuna intenzione di nascondersi dietro ad una delle sue gambe come sarebbe stato prevedibile in ogni caso in cui un bambino incontrava per la prima volta un mezzogigante.

Un sorriso sprezzante tirò le labbra del maestro di Pozioni.

Era più che evidente che il figlio di James non aveva nessuna fiducia nel suo tutore.
Severus sbuffò, irritato dal fatto di esserne irritato.
‘Ti assicuro che la cosa è del tutto reciproca, signor Potter…’ si ritrovò a pensare.
E li lasciò soli, allontanandosi in cerca di ingredienti per le sue pozioni al limitare della Foresta Proibita, ma sempre nelle vicinanze per tenere un occhio sulla situazione.


Le due ore trascorsero rapidamente.
Harry aiutò Hagrid a pulire il campo dalle erbacce ed anche se aveva paura di Fang lavorò in silenzio, senza lamentarsi.
Vicino agli alberi un po’ più in là vedeva l’uomo vestito di nero andare avanti e indietro, chinarsi a raccogliere qualcosa e poi andare un po’ più avanti.
Il signore grosso grosso si chiamava ‘Agrid’ e sembrava bravo, ma Harry sapeva che anche il nonnino sembrava buono eppure era un mago e quindi anche l’uomo enorme doveva esserlo, ma Harry non osava chiederlo, sapeva che era scortese offendere una persona senza nemmeno conoscerla.

Poco dopo l’uomo-Sevreus venne a prenderlo ed insieme tornarono dentro.
Oh, Harry era così stanco che si addormentò subito.
Sperava di poter tornare fuori uno di quei giorni… ma non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederlo…


Incredibilmente il suo desiderio sembrò realizzarsi senza sforzo.
L’uomo-Sevreus lo portò di nuovo fuori.
Dopo avergli spalmato sulla fronte quella strana crema e dopo avergli fatto mettere il cappotto Harry si vide portare fuori.
La mano dell’uomo-Sevreus era poco più in alto, mentre camminavano fianco a fianco, ma Harry non osava afferrarla.
Nessuno voleva mai toccare Harry.
E quindi il bambino si rassegnò.

Di nuovo salutarono ‘Agrid’, ed anche se Harry aveva ancora paura di quell’uomo grandissimo e del suo cane, lavorò con lui senza dire niente e si divertì anche un pochino.
Dopo un’oretta alzò la testa.
Non riusciva a fare a meno di guardare dove fosse l’uomo-Sevreus.
Lo osservò da lontano.
Non era che un’alta figura nera contro i tronchi degli alberi.

Hagrid seguì lo sguardo del bambino.
Con un largo sorriso sul faccione rubicondo gli diede una piccola spinta.

“Vai dal Professore, Harry, chiedigli se ha bisogno di una mano”.

Harry annuì.

In fretta raggiunse l’uomo ed in silenzio prese a seguirlo.

Snape si volse un paio di volte.
Oh, bene, il bambino-Potter aveva deciso di tormentarlo.
Meraviglioso!

Decise di non rivolgergli alcuna attenzione, sperando di scoraggiarlo.
Dopo una decina di minuti sospirò, rassegnato.

Si volse e mostrò al bimbo un piccolo fungo color rame.

“Sto cercando questi, Potter. Si trovano sotto i sassi e sotto al muschio”.

Non che sperasse in una sua remota possibilità di comprensione, ma almeno lo poteva tenere impegnato, anche se futilmente impegnato…
Quindi si allontanò per continuare la sua ricerca.

Qualche silenzioso minuto dopo pensò di essersi impigliato in un ramo basso.
Al secondo, piccolo strattone si volse ed abbassò gli occhi.

Potter!
Chi altri?

Un commento sprezzante stava giusto per affacciarsi alle sue labbra quando lo sguardo gli cadde sulle mani del bimbo.
Una decina di piccoli funghi ramati lo fissavano irriverenti da quei piccoli palmi aperti.

Severus alzò un sopracciglio, impressionato.
Prima che potesse ingoiarla una piccola frase lasciò la sua bocca.

“Ben fatto, Potter, bravo”.

E non c’era alcuna ironia nelle sue parole.

Harry quasi sorrise, mentre versava i funghetti nel cestino dell’uomo.
Aveva fatto contento l’uomo-Sevreus, almeno una volta.

Oh, era così orgoglioso di se stesso!

In fretta corse a cercare altri funghi al limitare degli alberi lì vicino.

Il vento si era levato nelle radure accanto alla Foresta.
Strani lamenti precedevano spesso i temporali.
Severus decise che si era fatto tardi.
Cominciava a fare freddo.
Si volse per richiamare Harry, lo poteva ancora sentire dietro di sé, intento a cercare piccoli funghi magici.
In un istante tutto gli apparve per come era realmente.
Terrificante.
Ed il sangue gli si gelò nelle vene.

Quegli occhi verdi erano enormi sul viso pallido e gridavano muti.
Una mano premuta sulla bocca, un braccio attorno al petto.
Harry penzolava sinistramente dallo strano, orrido abbraccio di quell’uomo incappucciato.

Severus trasse la bacchetta dalla sua manica, pronto a colpire, a salvare a costo della sua la vita del giovane Harry Potter.

Ma una voce alle sue spalle lo fece voltare di scatto. I suoi lunghi capelli frustarono l’aria e si avvolsero nel vento davanti al suo viso.
Gli occhi di ossidiana del maestro di Pozioni si allargarono impercettibilmente.

“Signor Sorier…?” domandò, incredulo.

Il ragazzo alzò la bacchetta e gridò:

“Stupefy”.






 




Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

Fang: Thor.

Note capitolo: Fang è il cane di Hagrid. Stupefy è un incanto che fa perdere i sensi a chi ne viene colpito.
 

 

   

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Capitolo 8
*** 8 - Deceived right from the start ***


The Heart of Everything 8
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

 

Wow, abbiamo passato le 100 recensioni, yayyyy!!! Grazie di cuore a tutti. Chiedo scusa se sarò velocissima nei ringraziamenti di oggi, benché ne meritiate più del solito, ma domani, che fra le altre cose è il mio compleanno, ho ben 2 esami e sono un attimo in crisi. Quindi partiamo senza indugio. Grazie mille a gokychan (la prima e velocissima), Jerada (uh uh no, la piattolona no!!), Lexie89 (parte ora la raccolta fondi assistenziale per mandare Harry a Lourdes), Aki-chan (a Sorier puoi fare quello che vuoi, te le regalo come anti-stress), Summer84 (Sev si sveglierà, promesso!), Tigre94 (in effetti continuo a dirmi stupita di me stessa, di solito sono sempre in ritardo, strano... Sorier viene nominato spesso nel capitolo 6 e nel 7, è uno studente Slytherin del quinto anno), pikkola prongs (grazie cara!), sparta (sono felice che la storia ti abbia coinvolta, mi sa che Sorier rischia davvero grosso con tutte voi uh uh), sam89 (no, causa no, poi in galera non mi fanno scrivere e Sev non aprirà mai gli occhi...nuuuuu), iaco (ecco il prox chap pieno di novità), ila ( grazie mille), Elysion (grazie di cuore, mi sento molto incoraggiata, in questo chap Sev avrà modo di riscattarsi, dai) ^______^ Oh, come mi piace scrivere di Sev quando fa il figo...  Ancora grazie a ellinor (uh uh Sev un po’ fesso lo è a questo punto), Lizard (grazie mille per il commento), bufyna (scusa l’attesa, oggi come di consueto è il prima possibile per me), Kary91 (in effetti anch’io sono curiosa di sapere come va avanti, eh eh eh, diciamo che scrivo volta volta e non so bene, ogni tanto mi chiedo come finirà questa storia...), LadySnape (no, la fine è ancora lontana te lo assicuro, anch’io adoro il nomignolo uomo-Sevreus ^_^), hocuspocus ( wow, grazie per l’accurato commento, spero davvero di mantenere le tue aspettative, forse qualcosina di inatteso accadrà, anche se non ho ancora deciso, il ‛serpentello postulatore’ mi piace molto come termine uh uh), dario (grazie di cuore anche a te per il tuo commento), rotavirus (in effetti sono un po’ cattivella con il piccolo Potty, ma saprò farmi perdonare, forse...) e lake (hai anticipato due cose importantissime di questo capitolo quindi non posso dirti molto, per quanto riguarda il carattere di James, credo che Snape intenda la frase più come ‛ci vuole ben altro oltre un’idiotissima propensione agli scherzi per fare un uomo’, anche se in effetti la tua indignazione è più che giustificata. Riguardo ad Harry, Snape non lo sa che cosa ha patito fin’ora... scusa per la conclusione ad effetto del capitolo precedente, ma adesso eccoci al ‛Sev alla riscossa’). Un ringraziamento particolare a bombottosa, che oltre ad aver fatto vincere la mia squadra al laser game mi ha aiutato con alcuni problemi tecnici di questa storia, riempiendo le mie molte lacune mentali. Grazie, tesora! Oh, ho corretto un paio di errori nel chap precedente, giusto per avvertire. Dunque, capitolo 8! Questi capitoli mi diventano sempre più lunghi, bah! Ed ho sviluppato un masochistico gusto nel finirli tutti così, poi... ATTENZIONE: piccolo spoiler del settimo libro sui sentimenti di Snape. Finalmente le scene che tutti aspettavamo (sì, me compresa, yayyyy!!!). Buona lettura!

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 

Capitolo 8 - / Deceived right from the start /


 



La vista gli si annebbiò per pochi, tremendi istanti, mentre il suo corpo atterrava dolorosamente accanto ad un tronco muschiato.
Poco dopo Severus Snape, maestro di Pozioni ad Hogwarts, spia agli ordini di Albus Dumbledore e potente mago, era di nuovo in piedi.

Ci voleva ben più di un semplice ‘Stupefy’ lanciato da un ragazzino del quinto anno per privarlo dei sensi…

Ma la bacchetta era persa fra le foglie che tappezzavano i margini della Foresta Proibita.
Poco lontano rumori di passi su quelle stesse foglie.

Severus si lasciò sfuggire un ringhio quasi disperato.

L’uomo incappucciato stava rapidamente sparendo fra le frasche.
Il piccolo Potter ancora nella sua morsa.

Senza sprecare istanti preziosi il giovane professore si lanciò contro il suo studente.
Il ragazzo, colto di sorpresa, non ebbe tempo per castare un altro maleficio e venne disarmato.

“Chi è quell’uomo? Dove sta portando il bambino? Signor Sorier, farà bene a parlare, ADESSO!” gli gridò.

Il ragazzo, schiacciato a terra, in tutta risposta gli sputò in viso.

“Il mio nome non è Sorier, io sono Rosier, Jerome Rosier, fratello dell’uomo che tu hai ucciso tradendo la causa del nostro Signore!”

Gli occhi di Snape si socchiusero, due lame di incomprensione e furia.
Non aveva tempo per il ragazzo e sapeva che non avrebbe ricavato altro da lui.

A gran voce prese a chiamare il nome del guardacaccia.

Hagrid corse fuori dalla sua capanna, le mani ancora impastate di farina.
“Professore, cosa diamine sta succedendo?”

“Hagrid, presto, prendi in custodia il ragazzo, portalo da Dumbledore, è un seguace del Signore Oscuro!”

Subito le enormi, bianche mani del mezzogigante afferrarono saldamente le spalle del giovane Slytherin.
“Io devo andare! Avverti il Preside che il bambino è stato rapito. Fa’ in fretta!”

Hagrid si lasciò scappare una robusta imprecazione e subito sollevò il ragazzo, affrettandosi verso l’entrata del castello.

La bacchetta del signor Sorier, o chiunque altro fosse, in mano, il cuore in gola, una scarica potente di adrenalina lungo la colonna vertebrale.
Severus scomparve nella Foresta Proibita sulle tracce del rapitore di Harry Potter.



Harry sentiva gli occhi sempre più umidi.
L’uomo tutto vestito lo stringeva troppo forte.
Faceva male!
Aveva ancora la bocca coperta da una delle sue mani e non riusciva a respirare bene.

Perché lo stavano portando via, lontano dall’uomo-Sevreus?
Lui non voleva andarsene.

Provò miseramente a divincolarsi.
L’uomo strinse la presa e sibilò: “Sta’ fermo, moccioso. O ti sgozzo come un maiale!”
Harry ubbidì in preda al panico.
Qualunque cosa significasse non credeva che essere ‘sgozzati’ fosse una cosa piacevole e felice…



Al diavolo gli aristocratici manierismi inglesi!
Severus corse come se avesse avuto la Morte stessa alle calcagna.
Nella fitta penombra e nell’umido gelo delle fronde.
Sapeva perfettamente qual era la meta del rapitore.

I confini nord della Foresta Proibita erano anche i confini che segnavano la fine della barriera magica anti-apparizione che Albus aveva eretto attorno alla scuola. Lasciare che li passasse con Potter voleva dire perderlo per sempre.
Affastellati nella sua mente migliaia di dubbi e di domande e di supposizioni riempirono il silenzio affaticato della sua lunga, estenuante corsa.

Chi era quell’uomo?
Cosa voleva?
Sapeva di Potter?
Come aveva fatto ad entrare ad Hogwarts?
Cosa aveva a che fare con questo il signor Sorier?
Era quello il motivo per il quale lo aveva seguito per giorni?
Rapire il bambino?
Ucciderli?

Domande su domande.
Nessuna risposta.

E nemmeno ce n’era il tempo.

Ad ogni costo lo avrebbe riportato indietro.
Parola sua.


Un guizzo nero e le forze che stava rapidamente perdendo, assieme al fiato, gli tornarono.
Erano vicini.
Ma il nero sul nero si confondeva nelle ombre.
Più di una volta credé di aver sbagliato direzione, di averli persi e la vista pareva ingannarlo.
Scavalcò un tronco abbattuto e si gettò nella radura di fronte.

Un attimo e sentì l’aria saturarsi di elettricità, come prima dei temporali.
Ma sapeva perfettamente che non era la pioggia imminente.
Magia.

Castò un ‘Protego’ puramente per istinto, un momento prima che un potente maleficio si ponesse irrimediabilmente fra lui ed il continuo della sua esistenza. Si nascose dietro un albero, il cuore batteva inferocito contro le coste del suo petto, la gola pulsava, così come le sue tempie.

In silenzio maledisse Albus Dumbledore più e più volte.


Un altro guizzo.
L’uomo stava fuggendo di nuovo.

Un altro scatto, un ramo basso, un altro ‘Protego’.
Non poteva contrattaccare e correre il rischio di colpire anche il bambino.
I confini della Foresta erano vicini, troppo e la distanza fra lui e Potter troppo grande.

Alla fine di quella distesa di impressionantemente identiche querce c’era l’ultima radura.
Era imperativo raggiungerli prima, assolutamente.

Il sudore gli scorse freddo sulla pelle umida ed un’idea folle si fece strada nei meandri in panico della sua mente.
Dannazione, a conti fatti non era nemmeno un piano inutile.
Un paio delle sue ossa valevano sicuramente la vita del Bambino Sopravissuto…
Non che lui fosse di quell’esatto parere, ma aveva scelta al momento?

Si volse, gli ultimi alberi davanti a sé, lasciò fluire le parole dalla sua bocca con una sicurezza che non avrebbe dovuto provare.
Il suo corpo si alzò come una foglia secca nel primo vento di ottobre, spostato dalla potente onda d’urto della magia ‘Ascendio’ che aveva castato su se stesso.
Pregando di non incontrare molesti ed ipoteticamente mortali ostacoli si lasciò gettare in aria verso la radura, ad una velocità impressionante.
L’uomo incappucciato non aveva messo che un piede sull’erba e già stava cercando nelle tasche quella che probabilmente era una Passaporta di pessima qualità.

Severus atterrò vicino all’uomo, rotolando nell’erba con un gemito soffocato, la mano stesa, le dita che si serrarono in un lampo attorno ad un lembo di quel mantello scuro.

Giusto il tempo di sentire il consueto strappo dietro l’ombelico…

…ed un pensiero.



‘Ah, le gioie di essere Severus Snape…’




Quando il nauseabondo effetto della Passaporta si fu esaurito Snape ebbe la spiacevole sensazione di non essere solo con il rapitore di Potter.
Un calcio ben assestato nello stomaco ed uno nella schiena, contemporaneamente, furono un’ottima prova scientifica per la sua teoria.
Tossendo e riparandosi il viso con le braccia Severus prese fiato, tentò in un secondo momento di spostarsi da quello che riteneva fosse il centro dell’azione, ma quattro mani robuste provvidero a tirarlo su, mentre un altro uomo incappucciato lo perquisiva e sequestrava la bacchetta che lui aveva, per l’appunto, sequestrato al signor Sorier. Con suo sommo disinteresse lo vide spezzarla e gettarla via.
Il silenzio era pesante come la pietra.
Immediatamente Severus si volse, cercando con gli occhi la piccola figura del figlio dei Potter.

Il bambino lo fissava intensamente da dietro la mano dell’uomo, un braccio saldamente premuto sul torace, i piedi ad almeno mezzo metro da terra. Severus ebbe il tempo di sorprendersi. Quegli occhi verdi non erano nemmeno bagnati di lacrime…

Rudemente uno degli uomini gli afferrò il mento, stringendo fastidiosamente e lo scrutò con attenzione.

“Sì, è Severus Snape”.

Il giovane professore sbuffò in pieno scherno.

“Cos’è successo, Wilkes?”

Oh, perfetto!
Possibile che ad avere a che fare con un Potter ci si doveva trovare, poi, indiscriminatamente circondati da un branco di asini imbecilli?
A che scopo il cappuccio se andavano tranquillamente in giro chiamandosi per nome?

“Si è attaccato al mio mantello mentre attivavo la Passaporta…”

“Perfetto! – Superfluo menzionare quanto Severus non fosse dello stesso parere, ovviamente… – Due al prezzo di uno, preparate la cella!”

“Ed il bambino?” chiese l’uomo con il piccolo Harry in braccio.

“Era solo un’esca che, a quanto pare, ha funzionato molto prima del previsto. Imprigionateli insieme, non ci serve”.

Le quattro mani che lo sostenevano presero a spingerlo verso un oscuro corridoio. La stanza in cui si trovavano sembrava il sotterraneo di un vecchio edificio, probabilmente una villa. Uno sguardo furtivo lo rassicurò del fatto che anche Potter stava venendo portato via con lui. Per il momento ritenne opportuno rimanere in silenzio. Aveva bisogno di riavere il bambino fra le mani prima di tentare qualsiasi tipo di fuga.

“Entra, bastardo!” gli venne gridato alle spalle ed in un attimo lui e Potter furono a terra, in una stanza semibuia e sporca come l’aula di Pozioni dopo due ore di irrimediabilmente maldestri Hufflepuff.


Severus si rialzò, imprecando.
Immediatamente si lasciò scivolare contro un muro.

La sua caviglia lanciò un’acuta fitta di protesta.
Snape analizzò freddamente la situazione.

Si trovavano nella prigione di una villa probabilmente sperduta all’altro capo del mondo, con Harry Potter da proteggere e la cui cicatrice sarebbe riapparsa in un tempo variabile fra le venti e le ventuno ore e la sua caviglia non era affatto contenta di appartenergli.
Il suo ‘volo’ nella radura gli era costato qualche legamento ed una sicura distorsione, se non peggio. Aveva perso la propria bacchetta e successivamente anche quella del suo studente ed anche se Dumbledore poteva trovarli non sarebbe comunque riuscito a raggiungerli in tempo prima che la cicatrice riapparisse sulla fronte di quello che, a detta di molti, era l’unica speranza del Mondo Magico. Inutile puntualizzare che per lui non fosse altro che un’enorme seccatura in formato ridotto…

Sospirò pesantemente.


Il piccolo Harry si rialzò con cautela, poggiando tutto il suo misero peso sul braccio destro e rimettendosi in piedi. Sentì l’uomo-Sevreus dire qualcuna delle cattive parole che Dudley imparava a scuola e gli cantilenava quando Zia Petunia non li sentiva e poi lo vide scivolare a terra, contro il muro e sospirare.
Non capiva perché era stato portato via dall’uomo tutto coperto attraverso una foresta e nemmeno sapeva cos’era stata quella bruttissima sensazione dentro la pancia quando tutti gli alberi erano spariti e si erano trovati in mezzo a tutti quei signori spaventosi. Aveva ancora male al viso, tanto l’uomo aveva pigiato forte sulla sua bocca. Ma almeno adesso era assieme all’uomo-Sevreus e forse le cose non sarebbero andate così male. In silenzio si avvicinò piano e sedette a terra, ad un braccio di distanza dal mago vestito di nero. Appoggiò il mento sulle ginocchia piegate al petto e sospirò anche lui.



Severus si sforzò di ricordare.
Il tradimento del suo studente lo aveva destabilizzato leggermente.
Il ragazzo aveva negli occhi un odio che non gli era sconosciuto.
L’odio del dolore e della perdita, la pena che ti consuma dentro nella ricerca della vendetta e della liberazione dal male, la pungente agonia dell’ineluttabilità di quello che è stato e che mai più potrà cambiare.
Oh sì, Severus Snape conosceva a fondo quei sentimenti.
Li aveva visti per anni nel fondo dei propri occhi, ogni terribile mattina davanti allo specchio nei suoi quartieri vuoti e silenziosi come tombe consumate dal tempo e dimenticate. La sua anima implosa e stracciata ne era stata il vessillo e da anni giaceva immobile, esangue, come morta nella ragnatela di ‘ma’ e ‘se’.

Ma tutto questo non rispondeva ai suoi interrogativi.
Il ragazzo aveva detto di chiamarsi Rosier.
Un’anagramma dunque.
Un tempo Severus conosceva un certo Rosier, Evan Rosier, uno dei seguaci più fedeli del Signore Oscuro, morto nella Prima Guerra.
Benché il collegamento effettivo gli sfuggisse Severus sapeva che il ragazzo lo riteneva responsabile della morte del fratello e probabilmente anche gli uomini che li avevano gettati lì dentro erano coinvolti in una sorta di personale crociata contro gli infedeli traditori. Anche Wilkes era un cognome familiare…
Severus non dimenticava mai un nome, un volto o una voce.
Non aveva sentito parlare tutti i loro nemici, ma per quanto riguardava l’uomo che aveva rapito Potter e l’altro, quello in comando, poteva affermare con certezza di non averli avuti come compagni nel circolo privato di Lord Voldemort. Non riusciva ad afferrare il senso pratico di tutta la vicenda e questo lo teneva in allarme. Dovevano fuggire prima che la cicatrice ricomparisse, prima che la vita del bambino corresse seri pericoli. Aveva come l’impressione che presto i veri DeathEater sarebbero arrivati e nessun fedele servo dell’Oscuro Signore avrebbe mostrato clemenza verso il diretto responsabile della scomparsa del loro venerato Lord.
Potter doveva essere portato fuori di lì entro venti ore al massimo.

Snape provò a muovere il piede. Ricompensato generosamente da un tremendo dolore che s’irradiò verso la gamba, decise saggiamente di evitare ulteriori sperimentazioni. In quelle condizioni non sarebbe andato lontano. Chiuse gli occhi e cercò di espandere la sua innata magia. Con i bordi della sua aura magica tastò il luogo alla ricerca di barriere anti-apparizione. Ovviamente ne trovò. Non potenti come quelle di Hogwarts, ma comunque d’impedimento.

Improvvisamente le sue accurate riflessioni vennero interrotte da un cigolio sinistro. La porta ruotò sui suoi robusti, poco oliati cardini ed un uomo incappucciato entrò, sorreggendo un vassoio. Senza una parola posò a terra ciò che aveva in mano e si richiuse la porta alle spalle.

Snape pensò fosse ora di cena.
Si volse verso il bambino-Potter.

“Vai a prenderlo, ma non mangiarne” ordinò.

Subito il bambino scattò in piedi e dopo un paio di inefficaci tentativi riuscì a sollevare il vassoio di ferro e portarlo all’uomo.

Il piccolo Harry non si era affatto stupito per quelle parole. Sapeva che i signori coperti che li tenevano lì probabilmente erano cattivi, forse anche più cattivi di Dudley, ma certamente non più cattivi di Zio Vernon, e che li avrebbero tenuti lì dentro per diverso tempo. Era ovvio che l’uomo non volesse dividere il cibo, Harry non lo meritava e non gli era permesso toglierlo ai grandi.

Snape annusò cautamente il cibo. Il suo naso di esperto pozionista poteva fare la differenza. Il pane non sembrava adulterato ed i due piatti di brodosa minestra non sembravano avvelenati. Ancor più cautamente Snape ne mangiò un cucchiaio. Lentamente ne assaporò la consistenza ed il retrogusto.
Finalmente soddisfatto la classificò semplicemente come una zuppa di pessima qualità.
Si volse alla sua sinistra.
Il bambino si era seduto di nuovo a terra, a debita distanza e non aveva nemmeno chiesto se poteva avere del cibo, eppure avrebbe dovuto avere fame dopo tutte le attività, più o meno consone, del pomeriggio.
Snape sollevò un sopracciglio. Con attenzione travasò metà del suo piatto di minestra in quello accanto e spostò di lato i due piccoli panini. Prese soltanto il piatto mezzo vuoto e spostò il vassoio verso il bambino.

“Adesso mangia”.

Due occhi verdi lo scrutarono un istante, prima che una mano tremante tirasse più vicino il piatto.

Il piccolo Harry pensò che quella zuppa fosse cattiva visto che l’uomo-Sevreus gliene aveva data metà in più. Nessuno dava mai niente di buono al piccolo Harry, perché il piccolo Harry non meritava niente e questa cosa non sarebbe mai cambiata. Lentamente ne assaggiò un cucchiaio. Non sapeva di cenere o di detersivo e nemmeno di polvere. Era tiepida, ma più buona delle ossa o delle briciole che Harry era abituato a mangiare. Il bimbo la inghiottì lentamente, chiedendosi perché gli fosse stata data, visto che era buona.


Nella stanza faceva freddo. L’umidità aveva coperto i muri di una sottile patina di condensa. Il respiro pareva, a tratti, doversi trasformare in candide nuvole ad ogni istante. Severus posò lontano da sé il piatto ormai vuoto. Il bambino-Potter stava ancora mangiando la sua minestra. Appariva così piccolo e minuto contro il grigio della pietra, nei suoi abiti nuovi già sporchi di terra e foglie e polvere.
Sentiva che qualcosa non era… al suo posto.
E la fastidiosa sensazione non era affatto recente. Non fece in tempo a ricordare altri, anormali particolari che vide il bambino alzarsi e correre sgraziatamente verso il lato opposto della loro prigione. Un attimo dopo la zuppa, che così lentamente Potter aveva ingoiato, giaceva sul pavimento in una piccola pozza informe. Snape sospirò un’altra volta.

“Posso capire che la cucina di questo posto non sia nemmeno lontanamente paragonabile a quella di Hogwarts, ma non mi sembrava necessaria questa dimostrazione melodrammatica…”

Il bambino si volse di scatto, sussultando.
“Mi dispiace, signore. Mi scusi, signore”.

Oh, era stato di nuovo cattivo. Nonostante l’uomo-Sevreus lo avesse lasciato persino mangiare, Harry non era riuscito a trattenersi. Aveva cercato di ingoiare ancora ed ancora, di non respirare, di portarsi una mano alla bocca, ma semplicemente qualsiasi cosa si rifiutava di restargli troppo a lungo nello stomaco. E adesso aveva di nuovo male alla pancia. Non sapeva proprio che altro fare, tranne scusarsi.
Sentì l’uomo sospirare una terza volta.

“Vieni qui. Mangia questo adesso” disse Snape, porgendogli uno dei due panini.

Con circospezione il bambino-Potter lo prese e lo sbocconcellò con la stessa lentezza della minestra.
Pochi minuti dopo anche i resti del povero panino si unirono a quelli della zuppa sul pavimento.
Snape corrugò la fronte.
Un’altra di quelle stranezze.
Ora come non mai non si sentì più in grado di ignorarle.
Aprì le labbra per domandare spiegazioni, molte spiegazioni, ma il rumore dei cardini lo interruppe nuovamente.

Pareva lo stesso uomo che aveva portato il vassoio. Seguito da un altro che portò via i resti della loro misera cena.
‘Dannazione! – pensò Severus. – Il bambino in fin dei conti non è riuscito a mangiare niente…’

I due uomini presero a parlare a bassa voce fra di loro, Snape cercò di ascoltare. Distinse soltanto le parole ‘guardia’, ‘legarli’ e ‘notte’.
Quando li vide avvicinarsi seppe con precisione cosa intendevano fare.
Con la coda dell’occhio poteva vedere il sinistro brillare della luce delle fiaccole sui ceppi di ferro che pendevano dalle pareti di fianco.

L’uomo più vicino si spostò alla loro sinistra e senza preavviso afferrò il bambino-Potter.
Con un paio di rudi spinte lo trascinò in piedi e poi contro il muro. I ceppi erano qualche spanna sopra i suoi occhi verdi e spaventati.
Bruscamente l’uomo incappucciato gli sollevò le braccia.
Non appena il sinistro raggiunse l’altezza del petto Harry non riuscì a soffocare un urlo di dolore.
L’uomo, che intanto lo teneva saldamente per il braccio destro, imprecò, tentando di forzare l’altro a sollevarsi verso i ceppi.
Il bimbo prese a divincolarsi con le sue misere forze ed il suo piccolo corpicino, gridando in pura agonia.
Il viso completamente rigato di lacrime e gli occhi pieni di selvaggio terrore si soffermarono sull’uomo-Sevreus.

Senza sapere come aveva fatto a trovare la forza di contrastare il proprio dolore alla caviglia, Snape era scattato in piedi e si era avventato sull’uomo per strappare il giovane Potter dalle sue mani.
La lotta fu breve. Il bambino scivolò a terra mentre l’uomo riceveva un pugno.
Un istante dopo anche l’altro uomo era intervenuto e Severus si ritrovò contro il muro, appena graziato da un calcio allo stomaco e due pugni alla mandibola. Si portò una mano alla caviglia, stringendo forte i denti.

Il rapido attimo di silenzio, pieno dei loro respiri affannati, si dissolse alle parole di un terzo uomo, entrato nella stanza allarmato dal rumore.

“Lasciate stare, l’uomo sembra ferito ed il bambino non può fare niente da solo, tornate ai vostri posti”.

Dopo un altro, violento colpo allo stomaco Snape venne abbandonato e la porta si chiuse con il consueto, stridente suono.

Scuotendo la testa, Severus parve recuperare lucidità. Subito cercò con gli occhi il bambino-Potter, mentre tentava di tirarsi a sedere senza impazzire di dolore.
Il bimbo era ancora a terra, là dove era stato lasciato, una manina sulla spalla in questione e gli occhi verdi dilatati, liquidi, rossi e gonfi.
Severus lo vide iniziare a tremare e rifugiarsi strisciando nell’angolo più vicino, le ginocchia raccolte contro il petto, il corpicino fragile spezzato da singulti talmente silenziosi da sembrare respiri lasciati a metà, la testa nascosta dietro il gomito destro.

Snape avvertì una fitta dentro di sé che non era la sua caviglia, né il suo stomaco né la sua mandibola.
Il pensiero di un Potter in trappola in un angolo non lo rendeva felice tanto quanto pensava di essere in diritto di sentirsi…
Lentamente si avvicinò.

“Ragazzo, guardami, stai bene?”
Non poteva rischiare e chiamarlo Potter.

Niente.

“Guardami, alza la testa”.

Niente.

“Dannazione, ragazzo, ubbidisci!”

Il bambino venne scosso da un altro, feroce brivido e finalmente alzò gli occhi.
Così verdi, così disperati.

Anche se non li aveva visti lo sapeva, lo sentiva.
Maledizione, così simili agli occhi di Lily Potter la notte che era stata uccisa…

“M-mi dispiace, signore. Mi d-d-dispi-iace…”

“Vieni qui, avvicinati”.

Il bambino scosse la testa, ma sembrò ripensarci e smise.
“Per f-favore, non mi picchiare, signore. Non lo farò più, per favore, per favore…”

Gli occhi neri del maestro di Pozioni si sgranarono un istante, prima di incupirsi.

“Non ho nessuna intenzione di picchiarti, bambino – preferì chiamarlo così, sembrava che la parola ‘ragazzo’ lo innervosisse. – Voglio solo esaminare la tua spalla, senti dolore?”

“Sì, signore. Cioè no, signore… oh, mi dispiace, signore”.

Una strana sorta di agitazione lo afferrò al cuore. Snape si avvicinò un altro po’.
Si fissarono negli occhi.

“Posso toccare la tua spalla?”

Tutto in quelle polle d’erba bagnata diceva di no, ma il bambino-Potter annuì, quasi stoicamente.

Con estrema delicatezza Severus passò una mano lungo il bordo laterale dell’osso, dal gomito alla sommità della spalla. La sua fronte si aggrottò. Aveva visto per giorni il bambino usare preferibilmente il braccio destro, anche mentre lavava i calderoni. Pensava fosse una delle tante fissazioni infantili che prima o poi tutti i bambini manifestavano, come il darsi un altro nome o immaginare di essere Merlino. Ma adesso, sotto le dita, sentiva la prova di tutta un’altra evidenza. L’osso pareva spostato, innaturalmente basso rispetto all’altro, come fuori asse, duro al tatto, ma non gonfio. Le punte delle sue dita si insinuarono in una specie di fosso che non ci sarebbe dovuto essere.
Snape provò delicatamente a sollevarlo, il bambino avrebbe voluto ritrarsi, ma con uno sguardo l’uomo lo dissuase.
Riprese a muoverlo e dopo due spanne e mezzo neanche lo sentì bloccarsi. Riprovò, senza usare forza. Il contatto era rigido, come due superfici saldate.
Snape aveva abbastanza conoscenze generali da sapere di trovarsi, ad occhio e croce, davanti ad una spalla totalmente lussata, calcificata in una posizione anomala.
Il lavoro di uno di quegli incompetenti medici Muggle?
Casi simili non erano rari negli studenti cresciuti lontano dal Mondo Magico…

“Il tuo braccio è sempre stato così?” chiese, benché sapesse la risposta.

“No, signore”.

“Cosa ti è successo?”

“Sono caduto, signore”.

Snape non lo metteva in dubbio, ma quello che gli premeva era sapere perché era ridotto in quelle condizioni adesso, evidentemente a distanza di tempo dal trauma d’origine.
Lo osservò attentamente.
Pareva stremato e sicuramente lo era.
Severus non poteva ignorare il fatto che non avesse nemmeno mangiato.
Un’ulteriore evidenza.
Magari la minestra, ma il pane da solo non sarebbe stato capace di provocare un rigetto. Era semplice pane. Il bambino era malato, dunque?

Troppe domande.

“Riposati” disse semplicemente.


Severus stabilì che fosse il momento opportuno per prepararsi a fuggire.
Sarebbe occorso del tempo e la notte, che stava inesorabilmente scendendo, era l’occasione adatta.
Uno di quegli uomini era stato così acuto da notare la sua ferita, ma i loro rapitori rimanevano comunque degli ignoranti asini tronfi e patetici, del tutto ignari che un vero mago non era inerme o anche solo meno pericoloso semplicemente perché senza bacchetta.
Esisteva una pratica magica, complessa e difficile, dispendiosa e complessa, ma assolutamente utile.
Magia senza bacchetta.
Un semplice gesto della mano.
Soltanto i maghi potenti come Dumbledore e Grindelwald prima di lui ne avevano appreso quasi tutti i segreti. Chi si era impegnato ed aveva provato e studiato, come Snape, poteva dominare soltanto gli incantesimi più semplici ed alcuni altri per cui era particolarmente portato.

In realtà avrebbe potuto aprire la porta della loro prigione ore fa, ma non sarebbe servito a niente. Aveva prima bisogno di curarsi come poteva. Era certo che fuori di lì si sarebbe nuovamente trovato a correre per la loro vita.
Quindi, inspirando a fondo, accomodò la schiena contro il muro freddo.
Si concentrò un breve, intenso istante e a mezza voce pronunciò qualche parola.
La sua magia senza bacchetta non era così potente come quella di Albus. Richiedeva tempo per funzionare, ma era efficace.
Adesso doveva solo aspettare.


I minuti scivolavano via come quando il piccolo Harry si era trovato in quella stanza piena di orologi in attesa di qualcosa di incerto. Aveva chiuso gli occhi, per riposare come l’uomo-Sevreus gli aveva detto, ma non riusciva a dormire. La spalla sinistra gli faceva male tanto quanto la pancia, aveva paura che l’uomo tutto coperto tornasse e che provasse di nuovo a tirargli il braccio. Oh, quanto aveva sentito male. Era stato come tornare indietro, al giorni in cui era caduto e Zio Vernon lo aveva trascinato fuori. Lo stesso dolore insopportabile. Ma l’uomo-Sevreus non sembrava essersi arrabbiato, l’uomo-Sevreus lo aveva toccato piano e non gli aveva fatto male. Perché il suo uomo-Sevreus in fondo sembrava proprio un pinguino buono.
Lo aveva fatto mangiare e quando l’uomo tutto coperto era arrivato e gli aveva fatto del male l’uomo-Sevreus si era alzato e lo aveva aiutato. Nessuno aveva mai aiutato Harry prima. Non Zio Vernon, non Zia Petunia, non Dudley, non i suoi compagni a scuola, non le maestre e nemmeno la signora dei gatti. Neanche il nonnino e l’omone enorme.

Solo e soltanto il suo uomo-Sevreus.

E chiuse gli occhi e provò ad immaginare. Ed improvvisamente diventava alto e grande, grande. Grande come ‘Agrid’, più alto di tutti e tutto, alto come le montagne e fino ad avere il sole appoggiato sulla testa. Ed era così alto che nessuno poteva fargli male…

Piano piano si addormentò, ma ancora tremava ed anche se era alto e grande nel suo sogno aveva sempre paure mentre suo zio, tutto incappucciato, lo inseguiva fino alla sua stanza e gli voleva strappare il braccio e faceva così freddo nella stanza buia in cui era… così freddo…


Severus interruppe la sua concentrazione al suono di un sussulto. Con la coda dell’occhio vide il bambino svegliarsi e rabbrividire, un movimento scoordinato ed un lieve, ma presente, accenno a rifugiarsi nell’angolo. Si volse.
Erano passate alcune mezz’ore, non sapeva dire quante.
L’incantesimo per guarire stava lentamente funzionando, inutile dire che se fossero riusciti a tornare ad Hogwarts una visita da Madam Pomfrey era d’obbligo a questo punto.
E non solo per sé.

La notte avanzava, cavalcando il freddo pungente e le nubi. L’umidità era quasi insopportabile.
Il silenzio era confortante e al tempo stesso deleterio.
Nei suoi quartieri Severus sapeva sempre come NON trovare il tempo per riflettere.
Una buona bottiglia di scotch, un buon libro, orrendi compiti di Hufflepuff, una meravigliosa e complessa nuova pozione… tutto funzionava perfettamente.
Ma adesso, nel silenzio, nel vuoto, nella penombra, nel freddo la sua mente era attiva e la coscienza sembrava guadagnare terreno sull’orgoglio, riaffermarsi e riprendersi prepotentemente il suo posto alla guida della ragione e dell’obiettività.

D’un tratto si sentì in dovere di dirlo:

“Mi dispiace molto che tu sia stato coinvolto in tutto questo…”

Il bambino lo guardò, come lo avrebbe guardato qualcuno che non sapeva assolutamente che le persone si potessero dispiacere per le altre persone. Era un pensiero strano, ma fastidioso e persistente.

Severus distolse lo sguardo da quegli occhi verdi.

“Ah, questo maledetto gelo…” mormorò più a se stesso.

Si sorprese enormemente quando una piccola, tremolante voce gli rispose.

“Se… se ha freddo, signore, può mettersi le mani così, vicino al sotto delle braccia…” disse il piccolo Potter.

Ed era qualcosa che il più delle volte funzionava e che il bimbo aveva imparato nelle lunghe, fredde notti fuori dalla porta della cucina dei Dursley.
Velocemente fece vedere all’uomo-Sevreus cosa intendeva e si portò le piccole manine sotto le ascelle, le ginocchia ancora contro il petto.
Perfettamente raggomitolato su di sé.

Snape sospirò l’ennesima volta.
Non riuscì ad impedirsi di chiedere a se stesso dove un bambino così piccolo aveva imparato un simile trucco.

Decise.
E ringraziò che almeno non ci fossero testimoni, una volta accusato avrebbe sempre potuto negare…

“Non c’è ragione di sentire entrambi freddo…” e si volse, scrutando attentamente il bambino.

Harry quasi sussultò.
Oh, in realtà lo immaginava. Faceva davvero freddo e Harry doveva sacrificarsi, come faceva sempre con Dudley al parco quando era inverno. Sicuramente pure l’uomo adesso voleva i suoi vestiti, anche se il piccolo non riusciva ad immaginare come potesse infilarseli visto quanto era alto e grande rispetto a lui. Lentamente afferrò il bordo della propria maglietta, prima che un fruscio vicino lo distogliesse dal suo compito.

L’uomo-Sevreus si stava togliendo il mantello nero che aveva sempre avuto addosso da quando Harry lo aveva conosciuto.

Snape lo chiamò vicino a sé.
Lo guardò accostarsi piano e con cautela.
Gli chiese di rimanere esattamente fermo, lì, al suo fianco, in piedi.

Con un movimento veloce dei polsi e delle mani Severus avvolse due volte il suo mantello di lana attorno al piccolo corpicino del bimbo, con cura, anche sopra la testa, fino a lasciare esposto al gelo e all’umido soltanto il suo viso.
Quegli occhi così verdi lo fissavano.
Ed erano talmente belli, sapevano così tanto di passato, di qualcosa di così dolce che si era bruciato fino a lasciare soltanto un ricordo ed un sapore acre nella sua anima che, senza pensare, le sue braccia circondarono quel minuto fagottino ed un attimo dopo Severus aveva sulle ginocchia e fra le mani il piccolo figlio di Lily. Il piccolo Harry.

E fu solo un pensiero fugace, presto rimosso, indesiderato fino in fondo, ma vero e violento, aspro.

Poteva essere suo figlio.
Poteva stringere fra le braccia suo figlio se tutto quello che era accaduto non lo fosse e se tutto quello che non lo era lo fosse.

Ma il passato era come l’acqua dei fiumi. Una volta scorsa mai più poteva tornare indietro.


Il calore esplose attorno al piccolo. Oh, le lacrime volevano uscire, ma Harry non capiva perché. Non aveva male più del solito, non stava per essere picchiato (almeno sperava), non stava facendo niente, eppure il suo uomo-Sevreus era così vicino e c’era così tanto caldo attorno a lui ed era così bello, così meraviglioso e fantastico. Oh, sentiva un sacco di brividi là dove la mano dell’uomo premeva sulla sua schiena, piano, senza fare male ed era sempre più bello… Oh, quanto adorava il suo uomo-Sevreus…

Il bambino era così leggero sulle sue gambe, un braccio attorno a quel corpicino, lente, per sostenerlo, l’altro a terra, al freddo.
Severus in un gesto quasi incosciente si ritrovò a passare una mano su quella piccola schiena tutta avvolta nel suo mantello e sollevò un sopracciglio. Lo sentiva tremare. Perché, si chiese? E poi vide anche un bagliore, un lucore, dove la poca luce si tuffava e veniva riflessa. Una singola lacrima. Perché, si chiese di nuovo?

Lo guardò.
Non poteva tacere oltre.

“Perché piangi, perché tremi? Hai freddo?”

“No, signore”.

Quiete.
La lacrima morì solitaria vicino alla piccola bocca rosea.

“Signore… signore Sevreus… ”
I suoi occhi neri come il carbone quasi si stupirono. Signore Sevreus??

“Sì?”

“Io… oh… non so… è sempre così… bello, signore Sevreus?”
Doveva sapere, pensò Harry.

“Che cosa è bello?”

“Questo così… vicini, sulle gambe del signore Sevreus…”

“Non ritenevo fosse niente di speciale – stupido, lieve imbarazzo. – Sicuramente non è la prima volta, no? I tuoi zii…”

Il piccolo inclinò la sua testolina tutta coperta.
“Oh, non mi era permesso, signore, mai”.

Snape non gli credeva affatto.
“Perché non era permesso?”

Il visino del bimbo si illuminò un poco, come se stesse per dare la risposta giusta ad una domanda importantissima, quasi sorrideva mentre recitava perfettamente a memoria:

“Perché Harry è inutile e cattivo e no normale e toccarlo fa schifo e non merita nulla se non le botte quando Zio Vernon torna a casa”.

Il silenzio tetro della notte cadde su quelle parole, come un sipario sulla scena dell’efferato delitto.
Severus inspirò bruscamente.

Non trovò le parole, non ne trovò nessuna.

Il bambino inclinò la testa, di nuovo.




“Ma adesso, signore Sevreus, è permesso, vero?”




Le labbra pallide, esangui dell’uomo si aprirono. Nessun suono né la prima, né la seconda volta. Sperò che la terza fosse quella buona…

“Chi… ti ha detto quelle… cose di prima?”

“Zia Petunia”.

Le mani dell’uomo tremarono mentre si posavano leggere a stringere piano le spalle del bambino.
Un sussurro nella tremenda, soffocante quiete. Oltre il rumore dei pezzi che si incastravano perfettamente nella sua testa.

“Mi stai dicendo la verità?”

L’orrore crebbe mentre il bambino annuiva. I suoi occhi erano lo specchio della sincerità.
Oh, Dio. Possibile?
Ingannato proprio fin dall’inizio?
Caduto nella trappola di tutti i suoi radicati pregiudizi.
Preda del laccio delle sue inaccurate deduzioni.
Ingannato, pateticamente ostinato, frodato. Possibile?
Oh, Dio, possibile?
Le sue mani lo strinsero più forte.

“Harry… Harry ascoltami attentamente, adesso farò qualcosa che non ti farà male, ma che non è giusto e quando capirai, un giorno, ti spiegherò perché l’ho fatto. Va bene?”

Harry annuì, la bocca socchiusa.

“Guardami, guardami tutto il tempo”.

E lo guardò e venne guardato in cambio.
E si guardarono.

E poi Severus sussurrò nel silenzio:


“Legilimens”.

 

 

 

 




Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

 

Note capitolo: Protego è un incanto che permette di difendersi e deviare gli incantesimi che vengono lanciati contro chi lo usa. Ascendio è un incanto che permette di ascendere rapidamente, per l’appunto. Grindelwald era il potente mago oscuro sconfitto da Dumbledore nel 1945.

 

   

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Capitolo 9
*** 9 - Deep within the truth ***


The Heart of Everything 9
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

 

 

Grazie a tutti coloro che hanno recensito (tantissimiiiiiiiiiiiii!) il capitolo precedente. Questa volta, per reale, drammatica mancanza di tempo mi tocca fare una scelta o rispondo alle recensioni o aggiorno. Prometto che nel prossimo capitolo risponderò e ringrazierò, come d’abitudine, tutti, anche coloro che hanno recensito ‛Deceived right from the start’. Un bacio a bombottosa che mi aiuta sempre. ATTENZIONE: Piccoli spoiler non molto rilevanti del settimo libro. NdA: Vi assicuro che Snape non si è addolcito tutto in una volta, anche se potrebbe sembrare... Buona lettura.

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 


 




9 - / Deep within the truth /

 




Le immagini, i suoni, i colori, le sensazioni, le emozioni.
Ogni cosa fluì in lui come la risacca, ma senza tornare verso il mare aperto, dopo.



E vide come se fosse lì e sentì come se lo provasse sotto la propria pelle e fu come essere fuori di sé, pur essendo ancora sé.
Crude, viscide, feroci visioni.




La porta chiusa della cantina. Il legno contro cui era rannicchiato, come graffiava contro le gambe nude e fredde. Il buio. Il rumore dei fantasmi della mente. L’odore della paura. Il cielo stellato ed il vento gelido. ‘Niente tetto sulla testa per i piccoli lavativi come te…’ Il tanfo della spazzatura. La negata voglia di piangere. Un inverno freddo al parco, senza vestiti. Uno sguardo verde di desiderio riflesso in una vetrina di un panificio. ‘Oh, mi hai disubbidito per l’ultima volta, ragazzo’. Suono di carne battuto. Dolore di carne battuta. L’incrinarsi delle ossa. La bocca piena di saliva, a terra accanto al tavolo. Odore di cibo caldo. Una libreria troppo alta. Uno schiaffo così forte. Fame. Le pentole della cucina. Il cibo sprecato nei piatti. Un bastone sollevato sopra la testa, pronto a colpire. Le mani sul viso. Una briciola a terra, dietro la gamba della sedia. Fame. Il buio completo. Freddo. Erba nelle mani piagate e sciupate. ‘Schifoso, lurido piccolo verme. Questa è l’ultima volta che prendi qualcosa dalla credenza senza permesso, l’ultima! Petunia, passami il matterello!’. ‘Bucce di patate, sporche di terra. ‘Non c’è altro per te’. Premuto contro il muro, una mano enorme lo soffocava. Sapore di metallo sulle labbra. Neve. Nessun biglietto che dicesse ‘Per Harry’. Nessun Harry. ‘Nessuno ti vuole, sei qui per la nostra carità, disgustosa, sudicia pulce. Lavora o ti ammazzo con le mie mani’. Una spinta. Giù per le scale. ‘Ci sono i mostri in cantina, ci sono i mostri. E ti mangeranno e ti faranno a pezzi e poi i fantasmi ti porteranno via quando sarai morto e ti faranno del male e non potrai mai più scappare’. Tremore diffuso, le ginocchia in preda ai brividi. Sete. ‘Per favore, per favore, signore, posso avere qualcosa da mangiare oggi? Posso?’. Il cuoio di una cintura contro la schiena, contro il viso, sul petto. Fame. Bruciare. ‘No, assolutamente, piccola idiota. Non avrai nessun giocattolo, vai a spazzare il portico’. Sapore di acqua sporca e unta. ‘Hai ancora sete, adesso, ragazzo?’. Cadere. Cadere. Segni rossi. La spalla che esplodeva. Le stelle. Il pavimento. La polvere. Odore lontano di cibo. ‘Doveva essere affogato da piccolo, lo dirò sempre. Inutile. Inutile’. Occhi senza pietà lo guardarono in terra, passando in un’altra stanza. ‘Ozioso bastardello’. Gridare. Urlare. Pregare. Svenire. Un sacco di piccoli, vivi stracci gettati in un sottoscala. ‘E sappi che non uscirai per una settimana!’. ‘Stupido, stupido. Papà ti picchierà ed io riderò tutto il tempo, stupido, piscione, piscione’. Labbra screpolate. Cocci. Impronte di marmellata. ‘Non è stata colpa mia…’. ‘E’ sempre colpa tua, tutta colpa tua, mostro anormale, che orrore, non toccarmi, nessuno sano di mente e perbene potrebbe mai volerti’. Un calcio. Cantina. Sottoscala. Cantina. Giardino. Sottoscala. Un braccio tirato. ‘Non sporcare di sangue le piastrelle. In giardino! In giardino!’. Schiaffo. ‘Inseguitelo, prendetelo. Caccia a Potter. Caccia a Potter!’. In ginocchio. Una mano bruciata. Fame. ‘Piangi? Osi piangere? Non ti servirà a niente, sgorbio, A NIENTE! Risparmia le suppliche. Quando tornerà Vernon gli dirò che non hai finito i tuoi lavori e ci penserà lui a punirti come meriti’. Paura. Paura. Fame. Labbra tremanti e brividi nelle ossa. Freddo e sete e fame. ‘Il mostriciattolo ha la febbre’. ‘Fallo lavorare lo stesso, Petunia!’. ‘Ci ho provato, non si regge in piedi’. ‘Dannata, fastidiosa piattola, chiudilo in cantina, prima che contagi Dudley’. Scale e mani grosse, robuste, rosse e forti. Troppo forti. ‘Per favore, per favore, signore, non lo farò mai più, non lo farò mai più, lo giuro, per favore, fa male, fa m-male-e…’. ‘Non dire quella parola, non osare pronunciarla MAI PIU’ IN QUESTA CASA!’. Lacrime salate. Lacrime amare. Dolore. Fame. Sete. Paura. Tenebre. Notte. Vento. Legno. Male. Fame. Solo. Solo. Solo. ‘Papà mi porterà a vedere le auto da corsa e tu no! Tu rimarrai qui e pulirai la mia stanza, ah ah ah’. In terra. Fa male. Fa dolore. Sanguina. Prega. Solo. Solo. Pugno. Dolore. Dolore. Nascosto. Riparo. Piccole mani sulla testa chinata. Piccole mani, troppo piccole. ‘Buttagli un osso, Petunia, mangerà lì per terra, come il cane che è’. Vorace si getta sul cibo, sul piccolo osso. Niente da masticare, ma dopo giorni sentire un sapore sulla lingua è tutto quello che serve per farlo piangere. Scale. Dolore. Picchiare selvaggiamente. Il respiro battuto fuori dal corpo. Occhi liquidi e verdi che si chiudono e diventano vuoti. ‘Ho fatto tutti i lavori, signora, per favore, posso andare in bagno? Per favore’. No. No. Sempre e solo no. Niente. Nessuno. Solo. Fame. Ancora mani, ancora urla, ancora dolore e incubi e notti nere e cieli senza stelle e senza lune e sere senza sogni e giorni senza speranza e afflizione e grida e stanchezza. Stanco. Stanco e solo. ‘Prendi questo e questo. Ti piace il bastone, ragazzo? TI PIACE?’. Soffocato nel silenzio il grido di un innocente al martirio.


Con un respiro mozzato incastrato in gola Severus si tirò via dalla mente del bambino.

Una parola sola per quella infinita stringa di orrori.


Disumanizzante.



I suoi occhi neri come la pece erano divenuti abissi d’incolmabile, pietosa incredulità.

Il bambino tremava sulle sue ginocchia, tremava come una foglia, così come innumerevoli volte Snape lo aveva visto fare nei lunghi minuti in cui aveva, senza sforzo, sondato la sua mente. Nessuna barriera a proteggere quella fragile, piccola creatura dal suo assalto. Ma Severus Snape era un uomo che non si pentiva facilmente delle proprie azioni. Soprattutto quando queste ultime portavano rivelazioni di tale entità e spessore.

Fu come colto da un malore, improvviso. Il respiro corto e la nausea che saliva rotolando dal suo ventre verso l’alto, verso la luce. La gabbia toracica s’era fatta, d’un tratto, stretta come un pugno, violentemente serrata, come le sottili, emunte labbra.

L’ironia lo colpì.

Aveva dunque ancora un’anima che poteva soffrire per una tale, nuda, successione di aberrazioni?

Chinò la testa, sconfitto dal pesante fardello del cuore che finalmente sentiva nel petto, ancor prima che un acido, sarcastico, ma sicuro commento rispondesse al nonsenso di tale affermazione.

Il verde scuro colpì i suoi sensi.

Potter lo fissava, immobile come una bambola di fine, friabile porcellana.

Oh, Dio, non aveva mai visto un bambino così piccolo piangere tanto silenziosamente…

Il viso era un calvario di sofferenza e solchi di acqua e sale. Rivide l’abisso nel vuoto dei suoi occhi e fu morire come se fosse stato una candela, di colpo, senza odore, senza suono. Con ogni umana certezza sapeva di esserne la causa. Insieme avevano riguardato quella patetica trafila di patimenti che qualcuno poteva trovare lo stomaco di definire vita, lo aveva forzato al ricordo, facendogli quello che non voleva fosse fatto a lui e scoprì di non riuscire a perdonarsi. E quando questo succedeva Severus sapeva che non era mai un buon segno…

Con dita ferme sollevò un lembo del mantello che avvolgeva il bimbo e gli pulì il viso, fermando il pianto, fermando il ricordo per riportarlo al presente. E poi lo avvolse ancora più stretto nella stoffa e lo fece distendere sulle sue gambe, il piccolo faccino sulla metà centrale della sua coscia, raggomitolato come un gatto, con una mano a tenerlo buono sulla schiena scossa dai fremiti. Così leggero e così piccolo…

“Mi dispiace…”sussurrò nella penombra e probabilmente quella fu la cosa più vera che in vita sua ebbe l’occasione di dire.



Il sorgere del sole era ancora così lontano, eppure tutto pareva illuminato da una luce nuova, quasi spettrale.
Le convinzioni caddero come il castello di carte che erano e nessun vento di perdono spirò sulle macerie.

La sua negligenza era stata inescusabile.

I segni ed i sintomi gli erano passati davanti agli occhi tutti i giorni, ad ogni istante, ad ogni respiro ne ricordava di nuovi.

Quei continui, inizialmente petulanti ‘Sì, signore’ e ‘No, signore’ non erano infantili, patetici scherzi, non erano un gioco. Non erano una falsa pretesa d’ubbidienza. Erano una realtà che quei Muggle gli avevano conficcato nella testa con le ripetute violenze, i continui abusi e le minacce.
Adesso trovava chiaro il perché un bambino di sei anni fosse arrivato da lui pallido come un minuscolo cadavere, le ossa così piccole, così poco sviluppate per la sua età.

Severus chiuse gli occhi di fronte al pensiero di quei pochi, terrificanti giorni trascorsi nella completa ignoranza.
Scena dopo scena, come uno di quei libri incantati che, senza alcuna dignità, Madam Pince metteva sempre sugli scaffali accanto ai suoi preziosi, difficilissimi libri di Pozioni, sapeva di poter rivedere ogni cosa.
Avrebbe desiderato un’improvvisa, quanto benefica, cecità mentale.
Non vedere, non sentire, non sapere.
Eppure la verità raramente offriva il lusso di poterla ignorare.
Inarrestabile, oltre le dighe della volontà.

Il copione di un dramma.



[“Quando mi senti arrivare non ti è permesso nasconderti. Adesso dimmi, dove sono tutte le tue cose, i tuoi giocattoli, i tuoi vestiti? Ne avevi quando ti hanno portato qui?”]

Oh sì, ne aveva. Luridi, sdruciti, logori vestiti di seconda mano.

[“Signore… p-p-per favore, posso… avere qualcosa? Da m-mangiare… – silenzio. – Per favore, per favore…”]
[“No”. “Non voglio che tu prenda l’abitudine di mangiare fuori pasto”.]


Lo aveva affamato, come quei dannati, disgustosi Muggle.
Lo aveva ridotto ad implorare, a pregare.
Per avere qualcosa che gli era più che dovuto, in realtà.

[“Posso… ” “… fare … qualcosa…?”]

Era stata una richiesta per guadagnarsi il cibo, come aveva fatto in passato?
Tutti quei lavori per un osso?


[“Che diamine stai facendo lì sotto, Potter?!”]
[“Cos’hai in mano?”]
[“Niente, niente, signore. Mi dispiace, mi dispiace…”]


Una briciola, una minuscola, misera, piccola briciola.
Che il bambino aveva sperato di mangiare.
E che lui gli aveva fatto buttare via.

[“Quei Muggle con cui vivevi non ti hanno insegnato che non si mangia quello che si trova per terra?”]

Oh sì, i Muggle gli avevano insegnato.
Sì, insegnato a mangiare a terra, come i cani.

[“No, n-n-non ho visto niente, signore… non ho fatto niente… mi dispiace… non ho fatto n-niente…”]
[Per f-favore, non mi picchiare, signore. Non lo farò più, per favore, per favore…”]

Come avevano potuto ridurlo così?
Un esserino implorante, tremante, terrorizzato, abusato oltre ogni concepibile immaginazione.
Come avevano osato?

Nessun bambino meritava una vita simile.
Nemmeno il figlio di James Potter.
Nessuno.

Possibile non si fosse accorto di niente?
Possibile fosse stato così cieco?
Fra tutti proprio lui, la cui infanzia ancora era come un brutto sogno mai dimenticato?
Non avrebbe dovuto capire?
Collegare quanto osservato alla giusta conclusione?

Eppure niente era risolto.
Le domande, quelle più importanti, restavano.

E l’alba avanzava lenta, ma inesorabile.
L’incantesimo di guarigione sulla sua caviglia non aveva certo fatto miracoli, ma almeno sentiva di poter stare in piedi. Tornò a concentrarsi su di esso, sperando di accelerarne i benèfici effetti. Aveva intenzione di lasciare quella maledetta, umida prigione il prima possibile.


Il piccolo Harry si sentiva a tratti un poco più sveglio, a tratti sprofondato in un sonno lento e dolce. Ricordava di aver sentito tanto freddo prima, sul pavimento, in quella stanza in penombra, ma adesso c’era caldo e si stava bene ed anche la pietra su cui stava dormendo sembrava più morbida e qualcosa era piacevolmente avvolto intorno a lui e c’era come un piccolo peso sulla sua schiena. Però qualcosa gli impediva di lasciarsi andare, di farsi portare via dal sonno vero, quello profondo in cui non si sente più niente e non si vede e non si pensa più. Si mosse lievemente e sentì il pavimento muoversi. Improvvisamente sveglio cercò di tirarsi a sedere e subito si ritrovò davanti gli occhi neri e senza fondo dell’uomo-Sevreus. Di puro istinto si tirò indietro, ma una mano dietro la schiena lo tenne fermo al suo posto.

Ricordava!

Si era addormentato sopra l’uomo-Sevreus.

Oh, adesso sì che sarebbe stato picchiato.
Non era permesso, non era assolutamente, mai, permesso.

Prima che il panico potesse ridurlo in lacrime Snape ebbe la prontezza di parlargli, il tono deliberatamente basso e calmo:
“Non c’è niente di cui preoccuparsi, puoi restare dove sei”.

Harry lo guardò in silenzio e ubbidì.

Snape sospirò. Il bambino non aveva dormito che un misero paio d’ore e si era praticamente destato in preda allo spavento. Lo sentiva rabbrividire, rigido come un fascio di legnetti verdi. Pronto alla fuga, pronto al peggio, rassegnato alla violenza? In quel preciso istante Severus pensò che la battaglia per la completa fiducia del piccolo Potter probabilmente sarebbe stata la più lunga e difficile di tutti i suoi ventisei anni di vita.

Si riscosse da quel pensiero inappropriato al suono di un piccolo, malcelato colpetto di tosse. Maledisse quel dannato posto. L’umidità li stava uccidendo e, benché non rimpiangesse la sua scelta, rimanere appoggiato contro un muro gelido in maniche di camicia non era una cosa con cui si dilettava a passare il tempo. Guardò attentamente il bambino ancora seduto sulle sue ginocchia. Non sembrava tremare, ma certamente non era rilassato, poteva sentire attraverso la mano che ancora teneva appoggiata sulla sua piccola schiena l’atterrita immobilità di quel corpicino esile.
La notte, come sempre, scorreva.

“Harry – sussurrò piano Severus. – Puoi rispondere a qualche domanda?”

“Sì, signore”.

La piccola schiena s’irrigidì ancora di più.

“Perché non hai mangiato i primi giorni quando sei arrivato? Gli elfi avevano portato il cibo in cucina”.

Harry si rigirò le manine l’una nell’altra.
Snape lo osservò. Il bambino faceva sempre così quando era nervoso per qualcosa.

“Il s-signore aveva detto che Harry non poteva uscire dalla stanza e quindi Harry non è uscito”.

Severus respirò a fondo.
Ricordava perfettamente di avergli ordinato di non lasciare la stanza, ma quello che non avrebbe mai sospettato era la totale ubbidienza da parte del bambino. E gli elfi avevano, ovviamente, ricevuto l’ordine di portare il cibo in cucina, non nelle stanze.

“Perché quando ti ho detto ti mangiare hai preso la mia pozione?”

Harry inclinò la testa, senza capire la domanda.

Snape riformulò.

“Perché quando ti ho detto di mangiare, quella mattina, hai preso una tazza di … – Oh quanto era imperdonabile definirla così. – Quella ‘roba’ grigia nel mio calderone?”

Gli occhi del bimbo s’illuminarono di comprensione.

“La minestra, signore?”

Snape evitò di alzare gli occhi al cielo.
“Sì, la minestra. Perché hai mangiato quella e non il cibo sul vassoio?”

“Oh, perché il cibo sul vassoio, signore, era troppo buono per essere mangiato da Harry, signore”.

Severus lo sospettava.
Aveva visto nei suoi ricordi il piatto di bucce di patata, le ossa gettate a terra, le briciole di pane.

Lo aveva punito ingiustamente.
Lo aveva fatto lavorare con l’osso del braccio in quelle condizioni.
Lo aveva visto bruciarsi alla fiamma del camino, ma non emettere un suono. Non osava pensare a quanto dovesse essere abituato al dolore, alle deprivazioni, alla paura.
Lo aveva terrorizzato quella sera nei suoi quartieri, solo per una pozione evaporata…
Lo aveva fatto impaurire con la magia ed aveva riversato su di lui tutta la frustrazione e l’amarezza dei suoi ricordi e delle manipolazioni di Albus. Ricordava ogni commento acido, ogni inflessione sprezzante della voce, ogni sarcastica risposta.
E non gli aveva creduto il giorno in cui si era quasi avvelenato con la sua Wolfsbane.
Poi lo aveva chiuso nella sua stanza, lasciato da solo, senza nessuno tranne la sporadica e breve compagnia di un elfo.
Aveva riso della sua evidente paura per il mezzogigante.
E come se non bastasse lo aveva coinvolto nel rapimento.

E sapeva perfettamente che se soltanto una delle cose che aveva pianificato fosse andata storta il bambino avrebbe pagato con la vita pe un errore non suo. Un altro innocente nella lunga lista del suo debito di sangue.


Severus Snape non era un uomo sensibile, non era un uomo giusto, non era un uomo preda delle emozioni, non era un uomo con cui la vita era stata generosa ed a sua volta, lui, non si sentiva in dovere di esserlo con tutto il resto del mondo.
Era un uomo aspro e solo e felice in qualche modo di esserlo.

Aveva visto e compiuto orrori, aveva ingannato e tradito e mentito e ucciso.
Per dovere, per volere, per potere.

E certo non aveva alcuna intenzione di guadagnarsi un paradiso in cui, in fondo, non credeva.

Ma tremava di rabbia al pensiero…

“Signore Sevreus? Signore Sevreus… – silenzio. – Se il signore Sevreus ha freddo Harry può fare a meno di questo… vestito nero e renderlo al signore Sevreus…”

Una manina tesa ad offrire un lembo nero di stoffa.

Severus lo fissò, silente.
Da quanto non udiva sincere parole di preoccupazione per lui?
Da quanto?

E dopo tutto quello che gli aveva fatto, nell’ignoranza, certo, ma indiscutibilmente fatto.
Oh, Dio.

Con le mani prese la stoffa e di nuovo la avvolse attorno al bambino, stretta. Con cura.
Scosse la testa.

“No, Harry. Voglio che lo tenga tu”.

Ed il bimbo, per la prima, vera volta sorrise.
Un sorriso che raggiunse i suoi occhi verdi come la giada, come lo smeraldo.

“Grazie, signore” mormorò, soffice.

Ed ormai per lui era diventato Harry.
Era diventato altro oltre il figlio di James.
Era altro oltre il Bambino Sopravissuto.

Era solo il piccolo, povero figlio di lei.

E lo guardò ancora ed ancora ed ancora.
Mentre le sue mani salivano e toccavano il piccolo viso.

Sentì sotto le punte delle dita un fremito di paura, ma il dolce contatto che tentò di improvvisare rassicurò il piccolo.
E presto dal semplice toccare divenne morbida carezza, accennata e calda.
Su quella piccola guancia, sotto gli occhi di bosco, piano, con calma.


E finalmente capì.
Finalmente comprese.
Finalmente intravedeva il riscatto in tutto questo, riscatto dalla colpa del sangue di Lily Potter, quando non era riuscito a fare niente per proteggerla, niente per risparmiarle la vita, nemmeno pregare ed implorare davanti ai due maghi più potenti di quegli ultimi secoli l’aveva salvata…
Ma adesso trovava un senso dietro al suo impudente, dannato sopravviverle e pensò che forse era per quello. Per salvare suo figlio, il figlio della donna che disperatamente, impunemente, intensamente aveva amato ed amava. L’unica luce della sua vita che adesso non brillava più da cinque neri anni.

Ed era suo figlio che stava accarezzando, suo figlio che voleva salvare, che voleva proteggere.
Semplicemente Harry, figlio di Lily.


Il bimbo chiuse di un poco gli occhi, ma le labbra rimasero aperte.
Oh, non pensava.
Non sapeva.

Non sapeva che le mani si potessero usare per una cosa del genere, né sapeva che mani così grandi, così grosse potessero essere tanto gentili con lui.
Ma lo erano.

E spingendo di un poco il viso contro quel palmo pianse di qualcosa che, per la prima volta, non era dolore.


 

 

 

 




Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

 

   

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Capitolo 10
*** 10 - Can't do on my own ***


The Heart of Everything 10
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

 

Salve! Eccomi!! Scusate il ritardo, ho avuto un po’ di problemi personali, ma non mi sono dimenticata del piccolo Harry. Wow! Non so che dire, tantissime recensioni e, come al solito, non so come ringraziarvi. Vi prometto che cercherò di aggiornare anche martedì e di ristabilire l’ordine ed il ritmo precedente (mex per bombottosa: Il ritmo!!Attenta al ritmo!!). Passo subito a rispondere alle recensioni (metto insieme quelle del capitolo 8 e del capitolo 9, come promesso la volta scorsa).
iaco:Grazie mille, scusa se ho fatto attendere quest’ultimo aggiornamento, grazie per entrambe le recensioni (8 e 9).
Rotavirus: Grazie mille, spero davvero di riuscire a tenere Snape In Character. Se così non fosse ti autorizzo a farmelo notare subito. Grazie per lo spunto.
Jerada: Grazie! Oh, penso proprio che ce la faranno...
sparta: Grazie, ecco il nuovo aggionamento
Tigre94: Sono felicissima che il chap ti sia piaciuto, grazie. Il tuo grido quasi -inquisitoriale- mi ha divertito moltissimo! Sono d’accordo con te! Se vuoi puoi unirti ad Aki-chan nel ruolo di boia ufficiale... Sì, bravissima, hai indovinato in parte quello che accade dopo...
iaia: Sì, vedrai che Snape capirà molto di più fra poco...
Kary91: Sto cominciando ad adorare il fatto di commuovere i lettori, oh, non è una cosa che dovrebbe rendermi felice... grazie dei commenti e dei complimenti.
dunky: In effetti hai colto una sottigliezza nel capitolo 8, sì, ma ancora non posso confermare con chi rimarrà Harry, perché nei prossimi chap volevo inserire una sorpresa... Oddio, in effetti la descrizione a inizio chap 9 mi ha rattristata moltissimo mentre la scrivevo e posso capire che appaia un po’ pesante. Grazie per i commenti! Ecco qui il nuovo cap!!
sma89: Ripeto, adoro commuovere la gente, soprattutto se poi ci guadagno un megamonumento, grazie mille per il commento, per la reazione di Dumbledore bisognerà aspettare un altro po’ mi sa...
freejha: Grazie mille, di cuore.
Elysion: Ah, ah, ah. Oramai l’abbiamo definita in tutti i modi. Pancetta, prosciutto, salame... che ne pensi di fesa di tacchino? Poveeeero Sev...(beh un po’ se lo merita). Terrò Snape più In Character possibile. Grazie mille per i commenti.
pikkola prongs: Sì, era tutta un’esca... grazie mille per i complimenti e per le due recensioni ( 8 e 9).
Vale Lovegood: Ciao, colgo l’occasione per ringraziarti anche dei due commenti sull’altro sito. Non mi hai affatto annoiata con il tuo commento, anzi... è una riflessione importante che spero molti abbiano fatto sulla mia ff. Grazie mille.
jillien: Grazie di cuore.
Lady Snape: Eccomi, in effetti con il 9 non ho fatto attendere (cosa che non posso dire con questo, perdonoo). Sì, ognuno ha i suoi scheletri nell’armadio (o nel passato) e Sev non è da meno... Mi hai dato un ottimo suggerimento, proverò ad inserire qualche pensiero e ricordo del nostro Sev...
Aki-chan: Il tuo entusiasmo è davvero contagioso. Sono più che contenta di sentire che i tuoi zii non sono come i Dursley e giusto ieri sera pensavo alle possibili punizioni che metterò nel capitolo in questione, non penso ci andrò leggera... uhuhuh... oh, anch’io adoro brandire falci ogni tanto, quando sarà il momento ti farò senz’altro accomodare nel salotto di casa Dursley, cara... e poi ci penserai tu...
Chrystal_93: Non preoccuparti per le recensioni passate, ti assicuro che tutte le vostre recensioni fino a questo momento sono molto, molto, molto più di quello che avevo pensato di ottenere quando pubblicai il primo capitolo...Grazie mille per tutte e due i commenti.
lilica: Ciao, grazie mille per i tuoi commenti sul mio stile, sono contenta che ti piaccia... sì, la realtà sugli abusi è orribile, lo ripeto ancora una volta. Anche a me piace pensare che a Snape interessasse Lily, condivido questa teoria anche se preferirei vederlo con qualcun altro...
briciola88: In effetti, per il mio bene, dovrei smetterla di lasciare i capitoli in sospeso... Oh, ti assicuro che Sev ci metterà almeno una decina di capitoli prima di scoprire il vero Harry...
bufyna: Oh, ho fatto tirocinio in un reparto di cardiologia, ma la convenzione non me l’hanno voluta fare... peccato! Oh, sì. Sev gli farà vedere cos’è l’amore, ma non subito altrimenti mi va in OOC... Grazie mille per il commento.
hocuspocus: Grazie mille per gli auguri per il mio compleanno! In effetti non avevo ragionato sulle abitudini familiari dei pinguini, ma adesso che lo hai portato alla mia attenzione noto una lieve nota d’ironia del destino in tutto questo... Ti confesso che adoro il tuo modo di scrivere le recensioni, ho un debole per il linguaggio impegnato!!! Grazie anche per l’altra recensione.
bimba358: Grazie mille per aver letto la mia ff!!
bombottosa: Rosticcia a chi? Grazie mille per i regali Su, e per essere sempre disponibile, anche quando ti faccio ordinare calendari alle 2 di notte... Grazie anche per i commenti nel forum e per le recensioni... e per la giornata di -studio+shopping!!
Lexie89: Eh, lo so, me lo dicono spesso che sono cattiva e penso ormai che abbiano ragione, ma mi piace ricorrere spesso al vecchio trucchetto del lasciamo_tutto_in_sospeso_così_la_gente_mi_può_maledire... uhuhuh! Grazie per entrambi i tuoi commenti, cara.
clarissa parker: Grazie mille per aver letto la mia storia e per averla recensita, oh, ti assicuro che le parole che hai trovato vanno benissimo e mi fanno felice. Grazie ancora. E scusa il ritardo nell’aggiornamento.
Ron von Bokky: Grazie, oddio, sto cominciando ad imbarazzarmi... Grazie mille, la continuerò senz’altro.
irelaw: Grazie per il commento, sono felice di essere riuscita a strutturare un po’ i miei personaggi e sono molto interessata al tuo commento sui pensieri di Sev, ci ho pensato molto, so di essere ripetitiva spesso e volentieri quando parlo di alcune azioni di Sev, fammi sapere, se vuoi, se hai ritrovato questo problema anche nei capitoli successivi...
Psike: Sì, hanno gettato le basi, finalmente direi... grazie mille per il tuo commento.
LagoAiram: Sì, anche io adoro Sev ed Harry. E scrivere di loro mi entusiasma, quindi non penso smetterò tanto presto ^__^
Lake: Ciao! Oh, davvero stai scrivendo di Harry e Sev anche tu?? Interessante!! Eh eh eh lo so che mi conosci, dopo tutta la prima epica di Segrete non ne avevo dubbi, uhuhuh. Scusa il ritardoooooo!!
Kaled: Grazie mille, confesso che ho letto diverse ff inglesi sull’argomento e ho deciso di cimentarmi nell’impresa perché qui in Italia non ne sono state scritte, cmq sono felicissima che piaccia...
Summers84: Eh eh Sev un po’ se lo merita però... grazie mille per il commento...
nihal93: Grazie mille per aver letto la mia ff e per avermi lasciato un commento!
rosy823: Mi dispiace molto, invece, averti fatto attendere più del dovuto. Grazie per aver letto la mia ff  e per il commento che hai avuto il tempo di lasciarmi.
lady of t war: Grazie anche a te per il commento. Anch’io adoro il pg di Snape e anch’io non condivido la visione della Rowling, al tempo stesso però la ringrazio per aver inventato il nostro mitico Sev! No, Dumbledore è un finto rimbambito, te lo assicuro io! Sì, hai colto nel segno, adoro scrivere!!
Nezu: Per la resa dei conti con i Dursley bisognerà aspettare un pochino, ma Snape già comincia a vederci. Oddio, non dovrei in realtà, ma sono contenta di averti tenuta incollata allo schermo se questo significa che la mia storia ti ha trasmesso qualcosa... Grazie mille per il tuo commento!
ila: Grazie, cercherò di farlo!
lucy6: Grazie per aver seguito le mie ff su Slam Dunk e grazie per aver seguito questa! In effetti avevo un po’ di dubbi quando ho cominciato, ma mi sto appassionando molto. Grazie mille per le tue parole ed il tuo incoraggiamento!
hermy88: Grazie mille, spero di riuscire a tenere alto l’onore ed il Character di Snape anche nei prossimi capitoli, intanto grazie di cuore!
gokychan: Thanks per il commento. Oh, ti assicuro che Sev se ne renderà ampiamente conto!! Grazie ancora!

Sperando di non aver dimenticato nessuno, penso di aver concluso, due parole per ringraziare Amelia per le sue mail ed un bacione enorme alle tre gentilissime donzelle che hanno pubblicizzato la mia ff nel forum (kisa86, briciola88 e bombottosa).
Buona lettura!

P.S. Note e traduzioni come sempre alla fine!

 

 

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 

Capitolo 10 - / Can’t do on my own /





Il momento venne interrotto da un suono lontano.
Lugubre risuonare di passi nell’oscurità.

Rapidamente Snape pulì di nuovo il viso del bambino e lo coprì ancora meglio con il mantello, come a volerlo nascondere. Se quei passi erano per loro Severus giurò che avrebbe fatto di tutto per far fuggire almeno il piccolo Potter.

“Harry non dire una parola, se dovessero chiederti qualcosa, qualsiasi cosa, tu non rispondere. Promettimelo!” sussurrò Severus con urgenza.

Il bambino annuì, ma non sembrava abbastanza. L’uomo lo stava guardando come in attesa di qualcos’altro.
“Sì, signore. Lo prometto” si affrettò, quindi, ad aggiungere.

Severus annuì e rivolse lo sguardo alla porta, una delle sue braccia, inconsciamente, si avvolse attorno al bambino.

Ma così come quei passi erano stati uditi così se ne andarono ed il silenzio inondò quell’attimo di agitazione.

Era tempo di scappare.
Severus se ne convinse una volta di più adesso che l’imminente pericolo era stato sfiorato così da vicino e poi scongiurato.
L’alba stava per sorgere.

In fretta il maestro di Pozioni alzò il piccolo Potter e lo sistemò in piedi accanto a sé.
Non senza una smorfia di fastidio, l’uomo si alzò in piedi a sua volta.
Con attenzione provò a spostare una parte del suo peso sulla caviglia malandata.
Sembrava reggere…

Il bambino lo guardava, apprensivamente.

Snape si sentì in dovere di fornirgli una breve spiegazione:

“Dobbiamo fuggire, adesso. Seguimi senza fare rumore”.

Il piccolo Harry annuì. Afferrò gli straripanti bordi del mantello che ancora indossava e si preparò a seguire l’uomo-Sevreus. Anche se non capiva dove potessero andare. Quel portone cigolante era ancora chiuso…

Severus si accostò con estrema circospezione alla porta. Trattenne il fiato, ascoltando attentamente, in cerca di qualsiasi suono, anche un fruscio, che potesse tradire la presenza di qualcuno nel corridoio fuori dalla loro prigione.

Silenzio.

Fece cenno al bambino-Potter di avvicinarsi.
Poi chiuse gli occhi, concentrandosi un istante, prima di sussurrare:

“Alohomora”.

La porta di pesante legno si aprì con un gemito.

Severus si volse.
Il bambino-Potter lo guardava a metà fra l’ammirato e l’atterrito.
Una volta usciti da quel posto dimenticato da Dio, Snape si ripromise di indagare a fondo i motivi per i quali il figlio di Lily sembrava temere e detestare la magia.

“Vieni”.

In perfetto silenzio le due figure, una alta e sottile, l’altra piccola e infagottata, scivolarono accanto oltre la soglia. Rapidamente Severus prese una delle piccole manine di Harry nella sua, facendo attenzione che fosse la destra. Non aveva alcuna intenzione di abusare ulteriormente il braccio sinistro del bambino, certamente non prima di averlo portato da MadamPomfrey per un’accurata visita di controllo…

Snape guidò il bambino nella penombra, cercando di ricordare la strada che avevano fatto all’andata. In realtà poco importava ritornare al punto di partenza, la cosa fondamentale era uscire dal sottosuolo e trovare una finestra, una porta, qualsiasi cosa che conducesse all’esterno. Una volta attraversata la barriera anti-apparizione sarebbero potuti tornare a Hogwarts.

Il bambino-Potter lo seguiva docilmente, quieto come gli aveva ordinato.

Una scala.

Snape prese a salirla, rasente al muro, attento ad ogni più piccolo suono. Arrivati in cima Severus prese fiato. La caviglia aveva sopportato malvolentieri quell’ulteriore fatica e protestava più o meno ferocemente, a momenti.
Cautamente si affacciò, volgendo la testa in ambo le direzioni.
Il corridoio di quel piano sembrava libero.
Il respiro del bambino si era fatto un poco più pesante. Snape non poté fare a meno di ricordare che il piccolo Potter non era riuscito a mangiare niente o, più precisamente, non era riuscito a tenere niente nello stomaco così a lungo da poterlo digerire e assimilare.
Lentamente riprese ad avanzare. Dovevano tornare ad Hogwarts al più presto.
I loro piedi non fecero rumore sulla moquette rossa che adornava il pavimento e Severus fu lieto che i proprietari di quella casa non avessero deciso di investire i loro soldi in parquet e malefiche, scricchiolanti assi di legno. Non vedeva nessuna finestra e sospettava che tutte le porte che stavano oltrepassando non fossero altro che stanze.

Un suono. Voci lo fecero girare di scatto, come una lepre nel folto del sottobosco.
E non solo voci.
Voci che si avvicinavano.

Il sole stava sorgendo, era soltanto questione di tempo prima che si accorgessero della loro fuga e Snape sperava vivamente di essere già molto lontano prima di quel momento.

Il piccolo Harry si guardava attorno, incerto.
Non sapeva perché, ma si sentiva come se stessero facendo qualcosa che non dovevano e si aspettava da un momento all’altro di veder spuntare uno di quegli uomini e di sentire ancora tutto il male che aveva sentito prima, nella stanza chiusa, quando uno dei signori incappucciati aveva voluto a tutti i costi sollevargli il braccio. Oh, Harry rabbrividì di paura al pensiero. In tutto quello soltanto la mano dell’uomo-Sevreus lo rassicurava. Fino a che l’uomo-Sevreus era con lui Harry sapeva che tutto andava bene, perché se anche l’uomo-Sevreus faceva quello che faceva Harry allora non aveva motivo per punirlo.
E poi la mano dell’uomo-Sevreus era grande e calda, però era diversa dalla mano di Zio Vernon, era una mano grossa, sì, ma non faceva male ed era stata gentile, soprattutto quando si era posata sul suo viso.
Le uniche cose che Harry avesse mai ricevuto sulla faccia erano sempre stati schiaffi. Alle volte anche pugni. Una volta sola un colpo di bastone. Ma il segno bluastro era rimasto così a lungo da bastare per tutte le altre volte.
Invece l’uomo-Sevreus aveva dato ad Harry il suo lungo vestito nero per stare al caldo e lo aveva fatto mangiare (anche se Harry non c’era riuscito) e poi lo aveva tenuto sulle gambe e lo aveva fatto dormire e lo aveva toccato gentilmente sul viso. Oh, Harry non poteva negarlo. L’uomo-Sevreus gli piaceva molto e anche se sapeva che non avrebbe dovuto permettersi di parlargli e di domandare (perché domandare non era mai, mai permesso) e quindi, anche se sapeva che doveva essere punito per quello, era abbastanza contento e non gli dispiaceva essere punito dall’uomo-Sevreus. Improvvisamente sentì che la mano che lo teneva si era stretta attorno alla sua e guardò in alto. Il viso dell’uomo-Sevreus aveva un’espressione strana. Sembrava, d’un tratto, un grosso pinguino preoccupato…

Severus soffocò con autorità ogni sensazione di panico che minacciava di serrarsi attorno a lui.
Sapeva perfettamente che la sua magia senza bacchetta avrebbe potuto fare poco contro quattro o cinque Death Eater armati ed assetati di sangue e vendetta. Immediatamente fissò lo sguardo verso una delle porte laterali.
Con ogni probabilità, data la sua scarsa dose di fortuna, sarebbero entrati in una sala da ballo stracolma di seguaci del Signore Oscuro, dediti a misteriosi riti di sacralità atti a riportarlo in vita. Già immaginava la scena…
Eppure era un rischio che dovevano assolutamente correre. Le voci si stavano facendo sempre più vicine…

Severus decise.
Afferrò il bambino e prendendo un respiro profondo si rifugiò dietro una di quelle porte.

Per puro orgoglio tenne la testa alta mentre scrutava la stanza.

Molto bene, niente Death Eater.
E niente sala da ballo.
Ancora meglio.

Il soffuso chiarore di un lucernaio illuminava pigramente quello che sembrava essere un vecchio studio.
Niente di diverso da quello che il maestro di Pozioni avrebbe tenuto in uno dei suoi.
Una scrivania di buon legno, una sedia di pelle, un vecchio camino, un vecchio armadietto, un paio di robuste poltrone ed un grande orologio.

Severus sospirò mentalmente.
Adesso potevano solo sperare che le persone alle quali appartenevano quelle voci non decidessero, fra tutte le stanze, di venire a discorrere esattamente in quella.

Una fitta acuta di dolore convinse Snape che attendere in piedi non avrebbe giovato alla loro situazione in alcun modo.
Si lasciò scivolare a terra, sperando che pochi minuti di riposo portassero via due dei loro principali problemi.

Voci e dolore.

L’attesa fu molto più lunga dei pochi attimi previsti e sperati.
La stanza non offriva vie di fuga immediate e tornare nel corridoio, senza sapere se i loro rapitori fossero ancora nelle vicinanze o meno, era ancora più rischioso che giocare a Quidditch fra le fronde del Whomping Willow. Eppure non potevano restare nascosti nella stanza ancora a lungo. Il sole minacciava di sorgere ad ogni momento e niente li avrebbe condannati più dell’alba rosea.

Il bambino-Potter si stava comportando più che bene.
Per tutto quel tempo era rimasto a sedere accanto a lui, senza una parola, senza piangere, senza lamentarsi, senza domandare cibo, acqua, luce, sonno o qualsiasi altra cosa.
Severus era certo che se avesse dovuto affrontare l’intera situazione in compagnia del piccolo Malfoy sicuramente a quest’ora, in tutta la casa, sarebbero risuonate le sue urla inferocite su quanto quella ridicola, polverosa situazione non fosse adatta all’erede di una delle più illustri famiglie di Pureblood di tutto il Regno Unito.
Poteva quasi sentirlo: ‘Un giovane Malfoy non sta seduto nella polvere, la fa mangiare agli altri!’.
O altre simili, isteriche amenità.
Per quanto trovasse impossibile, in tutta la sua rinnovata umanità, gioire del perché il piccolo figlio dei Potter fosse così diverso dal giovane Malfoy, non se ne poteva dire dispiaciuto al momento.
Se questo contribuiva a tenerli in vita…

Il silenzio li confortò ancora un po’ e Severus osservò più accuratamente la stanza.
La luce che penetrava dall’alto illuminava meglio la composizione di quella camera ed una cosa in particolare risaltò agli occhi attenti del giovane uomo. Tutte le ante di un piccolo armadio dietro la scrivania sembravano socchiuse, lasciate al caso, probabilmente vuote, tranne una. Anche da lontano pareva ermeticamente chiusa ed il contrasto colpiva fortemente.

L’uomo si alzò, facendo cenno al bambino di restare al suo posto. Con accortezza si avvicinò, scrutando la piccola serratura d’ottone. Sussurrò un ‘Alohomora’ per puro amore della curiosità e con sua lieve sorpresa l’anta scattò, aprendosi.

Gli occhi di Snape s’illuminarono.

Un Pensatoio.

Piccolo, di marmo chiaro. Poteva sembrare una coppa di gusto antico, ma la sua superficie scintillante e liquida non lasciava dubbi. Severus sorrise, divertito.
Non importa quante volte la assaggi, la vendetta era un sapore di cui pochi riuscivano a stancarsi.
Concentrò tutte le sue forze nell’eseguire un veloce incantesimo di ridimensionamento e preservazione e s’infilò il prezioso oggetto in tasca, lieto di avere un grazioso souvenir da offrire ad Albus, una volta terminato il suo ‘soggiorno’ in quella inospitale località.

Un raggio di sole squarciò poco a poco la penombra.
Severus seppe che non c’era più tempo, dovevano andare.

Senza una parola fece alzare il bambino e di nuovo lo prese per mano.
Trattenne il respiro mentre riapriva la porta.
Dallo spiraglio lasciato socchiuso non giungevano rumori di natura pericolosa.
Quindi Severus avanzò.

Il corridoio che avevano percorso fino a quel momento non lasciava molte possibilità. Era chiaro, adesso, che non conducesse ad una finestra o una porta e tentare in un’altra stanza era impensabile. Severus non aveva alcun desiderio di sfidare la Dea Bendata una seconda volta. Dovevano tornare indietro. Verso le voci che avevano udito.

Dannazione.

Con ogni cautela e circospezione l’uomo guidò il bambino nella direzione opposta e pregò di non incontrare il famoso ‘gathering’ precedentemente immaginato. Si immersero quindi in un nuovo corridoio e silenziosamente presero a percorrerlo.

Voci.
Nuovamente.
E anche questa volta non erano soltanto voci.
Erano voci infuriate.

Che avessero scoperto la loro fuga?

Severus accelerò il passo.
Erano ancora più vicine della volta precedente.
Scale.

Salirono.
Uno sguardo a destra, uno a sinistra.
Da basso si udirono suoni secchi di porte sbattute e stivali contro la pietra.
Finalmente il maledetto secondo piano aveva una dannatissima finestra.
Ovviamente in fondo, dopo una fila infinita di porte e stanze dal possibile contenuto mortale.

Ma non c’era tempo per la codardia e le domande retoriche. Finalmente avevano una via di fuga. Severus si spostò a grandi passi verso la luce dei vetri, il bambino faticava a seguirlo. Uno dei suoi passi erano quattro di quelli di Potter. Severus non aveva dimenticato le voci, sempre più vicine, sempre più pericolose. Si volse, prese il bambino in braccio e quasi corse alla finestra.

Oh, il piccolo Harry pensò che quella fosse già la terza volta. E tutto in pochissimo tempo. L’uomo-Sevreus lo aveva già preso in braccio tre volte. Oh, Harry era così felice che quasi non gli importava il pensiero della punizione una volta tornati a casa…

Snape raggiunse la finestra e la aprì. Ansiosamente osservò la distanza fino a terra.
L’altezza non era proibitiva, ma era comunque considerevole.
Dannazione!
Stra-dannazione!

Posò a terra il bambino e si inginocchiò davanti a lui.

“Harry – sussurrò piano, con ancora più urgenza dell’ultima volta che gli aveva parlato. – Harry, non abbiamo scelta. Adesso salterò da questa finestra e, quando te lo dirò, tu farai lo stesso. E’ importante. Ti prenderò io, devi soltanto saltare. Intesi?”

Il piccolo Potter lo scrutava.
Era impossibile non leggergli sul viso il terrore e l’apprensione.

Oh, Merlino.

Non c’era tempo per convincerlo, eppure non potevano saltare insieme. Un uomo adulto non avrebbe avuto problemi, ma un bambino rischiava seriamente di rompersi il collo.
Severus prese fra le mani il viso di Potter.

“Harry, te lo prometto. Ti prenderò io, non ti lascerò cadere. Ma tu devi fare come ti dico. Dobbiamo fuggire, non abbiamo tempo”.

Il bambino annuì, con troppa incertezza.

Severus sospirò. Ben presto i loro rapitori avrebbero finito di cercare ai piani inferiori. Dannazione!

“Harry, hai avuto paura degli uomini che ci hanno imprigionato?”

“Sì, signore” rispose il bambino, lieto di avere finalmente qualcosa di facile a cui rispondere.

“Non pensi che sarebbe ancora peggio se adesso ci trovassero? Non pensi che dovremmo fuggire prima che ritornino?”

“Sì, signore”.

“Dimmi, Harry, ho mai mentito? Ho mai detto qualcosa che non ho fatto?”

Il piccolo Harry prese a pensare. Ricordava molte cose dei loro giorni passati insieme. Ma non poté trovare una singola occasione in cui l’uomo-Sevreus gli avesse mentito.

“No, signore”.

“E quindi non ho motivo di farlo adesso, su una cosa così importante. Capisci?”

“Sì, signore”.

“Io ho promesso, Harry. Prometti anche tu. Prometti che salterai”.

Oh, era una cosa così difficile. Harry aveva così tanta paura da non saperlo nemmeno dire. Harry sapeva cosa succedeva ai bambini che cadevano dalle finestre. Sapeva che faceva tanto male, che si poteva finire anche in cielo, come mamma e papà. Se fosse stato Zio Vernon a chiedergli una cosa simile Harry non avrebbe nemmeno esitato. Neanche per tutte le punizioni del mondo avrebbe ubbidito. Ma non era Zio Vernon a chiederglielo, non erano di Zio Vernon quelle mani gentili.

Harry guardò negli occhi neri del suo uomo-Sevreus.



Quello era l’uomo-Sevreus.



“Lo prometto, signore”.



Snape gli strinse con delicatezza le spalle ed annuì.
In un attimo prese fiato e si gettò dalla finestra.

Un istante dopo Severus maledisse Albus Dumbledore ad ogni respiro.
La sua caviglia gridava vendetta contro il mondo intero e contro tutte le dannate, disgustose ville ottocentesche senza finestre ai piani inferiori. Lentamente il giovane uomo si rialzò, imprecando.
Sollevò la testa.
Adesso lo attendeva la vera sfida.

Il bambino si sarebbe fidato di lui?

Severus guardò in alto.

Il piccolo Potter era affacciato e, a sua volta, lo guardava.

“Salta” ordinò Severus.

Harry non si mosse.

Suoni, rumori, vicini, troppo vicini.

“Salta!”

Harry piano, piano si issò sulla finestra. Ma ancora rimaneva fermo.

Non c’era tempo, non c’era affatto tempo.

“Ho promesso! Salta, adesso!”

Voci troppo vicine, gridavano troppo forte: “Presto, nel giardino, nel giardino!”

“Fidati! Salta!”

Ed Harry saltò.
Il suo uomo-Sevreus lo chiamava ed Harry poteva solo, voleva solo, ubbidire.
E anche se aveva paura, l’uomo-Sevreus lo aveva difeso e non voleva fargli male e non gliene aveva fatto nemmeno quando poteva.
Quindi Harry saltò.

Snape stese la mano.
“Wingardium Leviosa”.

Ed Harry discese lentamente verso terra, scivolando verso le braccia aperte dell’uomo-Sevreus.

L’uomo lo prese al volo, così come aveva promesso e si guardarono.

“Bravo Harry” gli disse.

Il bambino sorrise.
Ma non c’era davvero tempo per celebrare ulteriormente la dimostrazione di fiducia con la quale Harry aveva graziato l’uomo.
I loro nemici si stavano avvicinando.

Senza posare a terra il bambino Snape prese a correre.
Stringendo i denti, mordendosi la lingua fino a sentire il sapore del sangue invadergli la bocca.
Il dolore al piede lo stava facendo impazzire ed oltre al proprio doveva sostenere anche il peso del bambino.
Il piccolo Potter non sarebbe mai riuscito a correre fra le fronde. L’erba era alta quasi quanto Harry stesso ed il mantello che Snape si rifiutava di portargli via era un impaccio notevole. E così mise da parte ogni incertezza, ogni dubbio e ogni egoistica volontà.
Voleva salvare il bimbo che teneva in braccio, voleva fuggire e finalmente fare qualcosa di giusto, di innegabilmente puro nella sua vita.
Qualcosa di buono.

Passi. Suoni. Grida. Ordini. Rami. Alberi. Verde. Verde. Ovunque.
Severus espanse una volta ancora la propria magia, sperando di sentire la fine della barriera anti-apparizione, ma si sentiva debole. Il dolore gli annebbiava la vista e le troppe magie senza bacchetta lo avevano lentamente esaurito. Avrebbe voluto fermarsi, riposare, prendere anche solo un respiro, ma non poteva. Li stavano inseguendo. Li sentiva dietro di sé e malediceva ogni legno che scricchiolava sotto ai suoi piedi, ogni fronda che produceva rumore e tradiva la loro presenza.

Il bosco era piano e poco folto, non offriva alcun riparo.
E Snape corse. Il caldo peso del bambino contro il petto gli ricordava qual era il suo compito. Qual era il suo dovere. E così Severus poteva convincersi. Poteva obbligarsi ad andare avanti. Anche senza fiato, anche senza lucidità.

Mentre il sole brillava glorioso ad est, vicino ai monti.

Il piccolo Harry provava paura solo a tratti. Prima sentiva le voci degli uomini tutti incappucciati dietro di loro (e sapeva che erano lì per fargli del male), un attimo dopo avvertiva il solido, forte braccio dell’uomo-Sevreus attorno al suo corpo e si calmava nel calore del contatto e nell’improvvisa sensazione di sicurezza.
L’uomo-Sevreus non lo aveva lasciato cadere anche se Harry si era gettato dalla finestra.
L’uomo-Sevreus lo aveva preso al volo, come aveva promesso.
Perché l’uomo-Sevreus (e adesso Harry lo sapeva con ogni certezza) non gli mentiva mai.


Un tronco cavo. Dietro fronde rigogliose.
Oh, Severus era così tanto senza fiato, così tanto senza forze.
La testa girava vorticosa in una violenta danza di verde e marrone, il terreno sotto ai suoi piedi pareva scomporsi infinite volte mentre le sue gambe cedevano e le braccia intorpidite scivolavano via dal suo prezioso fardello.
Ma non ebbe tempo per godere della sosta.

Un’ombra oscura comparve davanti a loro e Snape si trovò faccia a faccia con la punta di una bacchetta.

“Fine del gioco, Snape!” disse l’uomo.

Severus lo riconobbe dal timbro roco. Era lo stesso che aveva tentato di incatenare il piccolo Potter.
Non che Snape avesse bisogno di ulteriori motivi per odiarlo in quel momento…

“Ammetto che la tua fuga ci ha colti di sorpresa, ma ritengo fosse quanto di meglio potevamo aspettarci da un Death Eater… E’ un peccato che tu non sia rimasto buono nella tua cella, avevamo appena contattato i tuoi amichetti, Snape, non ti va di incontrarli? Non trovi sia una giornata splendida per un bel ritrovo di famiglia?”

Il tono, da suadente e mellifluo, cambiò improvvisamente.

“In piedi, cane e non fare scherzi. Ho giusto in serbo per te e per quel dannato moccioso un paio di vecchie maledizioni che non vedo l’ora di usare. Non costringermi”.

Gli occhi del maestro di Pozioni si ridussero a due sottili, furenti fessure.
Con ogni grammo della sua volontà si alzò, ergendosi fra l’uomo ed il piccolo Potter.

“Il bambino non si tocca! Se osi levare un dito contro di lui pregherai di scomparire all’inferno prima che io possa trovarti. Chi ha servito il Signore Oscuro non conosce pietà, ricordalo!”

L’uomo sembrò imporsi di non indietreggiare, nonostante il fatto che il significato di quella reale minaccia cominciasse a scivolargli sottopelle.

Il piccolo Harry, ancora coperto dal suo vestito nero, rimase immobile mentre i due signori grandi si parlavano. Oh, Harry aveva ancora paura, l’uomo cattivo era arrivato all’improvviso, come ogni tanto faceva Zio Vernon quando tornava la sera ed Harry era già stato chiuso nel sottoscala. Vide l’uomo-Sevreus alzarsi in piedi e mettersi fra lui e l’uomo cattivo. Senza pensarci Harry si aggrappò ad una delle lunghe gambe nere che lo stavano proteggendo dalla vista di quel signore malvagio e si nascose lì dietro. Si fidava dell’uomo-Sevreus, l’uomo-Sevreus lo aveva aiutato giù nella stanza chiusa e lo stava aiutando anche adesso. L’uomo-Sevreus lo aveva persino tenuto in braccio…

I due maghi si scrutarono a vicenda, un brillio pericoloso illuminava le profondità oscure degli occhi di Severus.
Se vi era una cosa di cui non si doleva di essere stato spogliato durante il suo servizio per il Lord Oscuro quella era la pietà.
Nessuna misericordia, nessun perdono, nessuna compassione né incertezza.
Parole di morte avevano oltrepassato per anni le sue labbra e mai ne erano uscite senza compimento.
Severus Snape non era uomo che soleva promettere la morte senza poi arrecarla.
Ed era grato che il bambino, dalla sua posizione, non potesse vedere il ghigno crudele che gli si era dipinto sul viso all’ovvia constatazione di avere di fronte un misero, tremante agnello vestito da lupo.
E vestito male, per giunta.

Dimentico del dolore, Severus fece un passo avanti, intimidatorio. Sentiva il peso del bambino avvinghiato alla gamba e si rese improvvisamente conto di essere riuscito, in qualche modo, ad impadronirsi di un altro pezzo dell’infranta e sfuggevole fiducia del piccolo Potter.

Il loro nemico stese con braccio malfermo la bacchetta, puntandola contro il viso di Snape.

“Non un passo o…”

“O cosa? Osi dunque sfidarmi? Con quegli occhi deboli, con quella mano insicura e vacillante pensi di ingannarmi?”

“Fa’ silenzio, lurido animale! Traditore della causa, verme infido e disgustoso”.

“Oh, certo, perché tu sai di quale causa parli? Hai ucciso per il Signore Oscuro? Hai mentito, hai tradito, hai torturato, hai privato della vita decine e decine di persone, hai udito le loro urla, hai il loro sangue sulle tue patetiche, malferme mani?”

“Ora basta, n…”

Un suono di fronde, di erba.
E l’uomo incappucciato perse il contatto visivo con Snape per accertarsi della natura del nuovo arrivato.

Fatale errore.

Severus Snape aveva ucciso grazie a molto meno.

In un attimo fu su di lui, sperando che il bambino-Potter non si fosse fatto troppo male per il suo gesto improvviso.
Lo disarmò e lo colpì con tutte le forze che poteva ancora trovare.
Caddero a terra e Snape sentì letteralmente la vittoria in pugno quando strinse fra le dita la bacchetta dell’uomo.

Un pandemonio di luce rossa fu quello che accadde e di nuovo il silenzio riempì quei convulsi momenti.
L’uomo incappucciato giaceva immobile a terra, ma era ben chiaro che stesse ancora respirando.
Merlino solo sapeva quanto Snape avesse desiderato castare un Avada Kedavra.
Ma non solo Potter era con lui, ma Albus ed il Ministero non sarebbero stati contenti del suo scatto d’ira.
Schiantarlo era abbastanza, per il momento.

Severus riprese il filo logico dei suoi pensieri.
Il suono di prima era ancora un pericolo.
In fretta raccolse il bambino da terra e riprese a correre.

E di nuovo ogni cosa da capo.

Verde. Alberi. Fronde. Verde. Marrone. Suoni. Dolore. Respiro.
Sentiva un fuoco marcio nei polmoni, l’aria pareva irrespirabile, troppo povera di ossigeno, troppo densa. Il bambino troppo pesante. La sua stessa magia lo stava abbandonando.
Corse per quella che sembrava una lunga, agonica eternità.

Era allo stremo, lo sapeva, lo sentiva e ancora non aveva avvertito il familiare passaggio attraverso le barriere.
E a cosa sarebbe servito poi?
Non aveva alcuna forza per potersi smaterializzare e, sempre illudendosi di potercela fare, aveva ogni certezza sul fatto che non sarebbe riuscito comunque ad andare lontano. I loro rapitori li avevano condotti in quel luogo con una dannatissima Passaporta. Era più che certo di trovarsi in un luogo molto, molto lontano dall’Inghilterra.

La mente di nuovo annebbiata, i sensi che scivolavano a tratti e parevano mescolarsi, il dolore, il dolore era qualcosa che Snape aveva quasi scordato dall’ultima volta che le venefiche, innaturali labbra del Signore Oscuro gli avevano rivolto un sorriso demoniaco ed un ‘Crucio’. Immagini di Lily, capelli rossi nel vento, occhi verdi come la foresta nella quale correva per salvare suo figlio, il figlio dell’unica donna della sua misera, inutile vita. La foresta nella quale correva per provarsi di essere migliore, per lasciare nella sua storia un segno, positivo, indelebile, una salvezza alla quale appellarsi nel giorno del giudizio del suo operato.

Ed un radice interruppe il suo cieco fuggire.
Sentì che le ginocchia cedevano e che la gravità lo conduceva inesorabilmente verso terra.
Ebbe soltanto la lucidità per girarsi ed atterrare violentemente di schiena.
Non avrebbe permesso che il suo prezioso carico si facesse del male.

Cadde come un corpo morto ed il brutale, feroce contatto con il suolo gli fece quasi esplodere la testa, mentre il respiro gli schizzava fuori dal petto assieme ai polmoni. Tossì, tentando di continuare a respirare e allentò la presa sulla coscienza.
E comunque, in ogni caso, la sentiva scivolare via, indipendentemente dalla sua volontà.

Sentiva il bambino muoversi sopra di lui e poi al suo fianco.
Poteva quasi avvertire il suo sguardo, magari preoccupato, più verosimilmente sollevato.

Nessuno avrebbe volontariamente deciso di restare con un uomo simile. Traditore, assassino, rude e aspro.
Lasciò uscire un sospiro che assomigliava troppo ad un rantolo esausto e socchiuse gli occhi.

“Fuggi, Harry. Fuggi a Hogwarts. Scap-pa”.

E l’ultima sillaba si perse nell’immobilità.
Un ultimo, triste pensiero.

‘Questo, Lily, è tutto quello che posso fare, tutto quello che sono riuscito a fare… inutile e patetico, non trovi? Hai scelto bene quando non hai scelto me…’

E scivolò nell’oblio.


Il piccolo Harry di nuovo si sentì al sicuro mentre le braccia dell’uomo-Sevreus lo tenevano con forza. Con una manina si aggrappò alla manica bianca della camicia dell’uomo e non la lasciò andare.
E poi sentì che cadevano. Ed Harry era davanti quindi sarebbe finito dritto a terra, sotto l’uomo. Oh, chiuse gli occhi, sperando di non farsi troppo male, anche se non ci credeva veramente…

Ed invece niente. Niente dolore, niente terreno, solo cielo e alberi, mentre si guardava attorno e non capiva come, ma adesso era sul petto dell’uomo-Sevreus e stava bene e anche se davvero non aveva capito, sapeva che era stato ancora grazie al suo uomo-Sevreus.

Ma adesso l’uomo-Sevreus non stava bene. Respirava molte volte ed in modo strano, gli occhi erano tutti nebbiosi come quando uno si sveglia e dapprima non vede quasi nulla, come se ci fosse un velo davanti.
No, il signore Sevreus non stava molto bene…

Harry si accostò al suo viso e lo guardò, l’uomo-Sevreus aveva adesso gli occhi socchiusi, ma sembrava perso in un mondo lontano, così come alle volte anche Harry si perdeva nelle sue fantasie e nelle sue avventure.
Eppure l’uomo-Sevreus non aveva un’espressione felice e quindi Harry pensò che non dovessero essere delle belle fantasie.

Il piccolo lo sentì sospirare, ma anche quello era un sospiro strano e sembrava doloroso.
Harry non voleva che l’uomo-Sevreus stesse male, non voleva che l’uomo-Sevreus provasse dolore, perché Harry conosceva il dolore e non voleva che anche l’uomo-Sevreus lo conoscesse, perché era stato buono con lui anche se all’inizio era sembrato cattivo.

Oh, l’uomo-Sevreus gli stava parlando.

Ma Harry non voleva ubbidire perché era grande abbastanza da capire che scappare significava lasciare lì l’uomo-Sevreus ed Harry non voleva, non voleva affatto.
Oh, di nuovo gli stava disubbidendo, ma era pronto ad essere punito per quello e non si sarebbe tirato indietro quando l’uomo-Sevreus l’avrebbe picchiato, perché presto l’uomo sarebbe stato meglio, Harry lo sperava, Harry lo voleva.
E poi nulla.

Immobile e fermo, come tutti i soprammobili che Harry aveva spolverato per mesi a casa dei Dursley.
Immobile.

Harry lo guardò ancora, intensamente, sperando di svegliarlo.
Ma l’uomo-Sevreus non sembrava accorgersene e continuava a non stare bene.
Il piccolo Harry sentì gli occhi farsi bagnati, ma non voleva piangere.
Si pulì il viso sul vestito nero e realizzò che forse il suo uomo-Sevreus sarebbe stato meglio se Harry gli avesse restituito il suo vestito nero. Perché Harry era stato meglio quando l’uomo glielo aveva dato nella stanza tutta chiusa…

Quindi Harry si tolse il vestito e con cura lo spiegò sopra l’uomo, cercando di coprirlo tutto, tranne il viso, esattamente come il signore Sevreus aveva fatto con lui. Soddisfatto Harry tornò a guardare il viso dell’uomo, certo che adesso si sarebbe svegliato…


Ma l’uomo-Sevreus non si svegliò.


Piccole, rotonde lacrime scivolarono nell’erba. Harry tese le manine, disperato e toccò il volto dell’uomo. Con le sue piccole, calde manine, che a stento coprivano metà di quelle guance ruvide, pallide.

“Non mi lasciare solo, signore Sevreus, non dormire, non te ne andare lontano…”

Rumori, voci, suoni.
Vicini.

Harry capì che erano gli uomini tutti coperti, quelli cattivi e che avrebbero fatto del male a lui e all’uomo-Sevreus, perché Harry non era grande abbastanza per difendere l’uomo-Sevreus, Harry non era grande abbastanza nemmeno per difendere se stesso e aveva così tanta paura che le lacrime presero a scendere come acqua, lungo le guance, giù sul collo, fino ai bordi della sua bella maglietta nuova.
Quella che l’uomo-Sevreus gli aveva regalato.

Oh, i rumori dei cattivi erano sempre più vicini, sempre più forti ed Harry sentiva le loro voci e li poteva riconoscere.
“Sono qui dietro, li posso vedere, Wilkes, presto da questa parte!”
Si sistemò velocemente accanto al viso dell’uomo e gli abbracciò la testa, anche se sapeva che non avrebbe dovuto toccarlo (nemmeno prima) voleva nasconderlo, non voleva che gli uomini cattivi lo trovassero, non voleva.
E lo strinse forte.
“Per favore, signore Sevreus, per favore, non dormire, non mi lasciare solo, non voglio, signore Sevreus, non voglio essere solo, non voglio andare via da solo, non posso da solo, non voglio…”
Un singhiozzo a metà, mentre sentiva che era tardi, che non ce l’avrebbe fatta, che tutto era perduto.
E pensava ‘Via, via, via di qua, via, via…’ come innumerevoli volte aveva pensato dai Dursley, ma adesso sapeva dove voleva andare, sapeva dove potersi sentire bene ed immaginò la stanza con il camino dell’uomo-Sevreus, le sue belle poltrone verde e argento, quelle dove si era potuto persino sedere… ‘Via, via, via…’


Ed improvvisamente, come per magia, scomparvero.
Insieme.




 


 




Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

 

Whomping Willow: Platano Picchiatore;
Pureblood: Purosangue

 

Note del capitolo: Alohomora è un incanto che permette di far aprire le porte o gli oggetti chiusi. Wingardium Leviosa è un incanto che permette di far levitare le cose.

 

   

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Capitolo 11
*** 11 - The little bird's nest ***


The Heart of Everything 11
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

 

 

Ma buonasera a tutti! Incredibile, ma vero, sto cercando di ristabilire il ritmo. Chiedo ancora scusa per il ritardo la volta scorsa e per la brevità di questo chap, ma è stato il massimo che poteva fare in base agli impegni universitari che ho adesso. Non prometto che il prossimo sarà lunghissimo, ma mi impegnerò. E adesso recensioni:

Tigre94: La tua risata malefica mi consola, adoro i deliri di potere e la volontà di uccidere, sopratutto se è rivolta ai Dursley!!
iaco: Ciao, grazie mille sono contenta che il chap ti sia piaciuto. Baci
gokychan: Ecco il seguito, in tempo per fortuna! Grazie mille per il commento ^_^
nihal93: Ovviamente sì, anche perché come accennato nei capitoli precedenti Harry non apprezza molto la magia, per ora almeno... ecco qui anche per te il nuovo aggiornamento!
Elysion: Spero in bene, cara. Almeno qui non muore nessuno... ancora...
jillien: Tempo al tempo, molto presto le cose cambieranno fra i due. Cercherò di non ritardare più con gli aggiornamenti. Grazie per il commento.
Akichan: Ciau! Non mi hai affatto rovinato la giornata, anzi! Beh, scusa il ritardo nell’aggiornamento, i miei problemi si sono più o meno risolti, ma più che altro è il modo in cui uno li affronta, ho bisogno di riposarmi mentalmente... Dunque mi spiace tu abbia problemi con il sito, magari senti Erika stessa o una delle amministratrici, grazie per il tuo appoggio incondizionato e per i commenti finora. Non temere, stai pure tranquilla, in più di 25 ff scritte nemmeno una delle mie è mai finita male... sono una paladina dell’ happy ending, io...
lake: Ciao cara! Grazie per aver passato la mia ff, dovrò pagarti per la pubblicità. Sarei curiosa di sapere cosa pensi che accadrà, magari mandami una mail in pvt... e grazie del commento.
Chrystal_93: Beh, lo sperano anche loro, uh uh uh. Ma il cammino sarà ancora lungo, credo... non so quanti capitoli farò...Grazie del commento.
Rotavirus: Beh, dai, martedì è arrivato... ^_^ ...Grazie mille per la tua recensione e scusa se ti lascio sempre in uno stato ansioso. Dai, questo chap finisce piuttosto tranquillamente.
Vale Lovegood: Eccomi qui, come promesso! Sono stata brava, yay!! Grazie mille per il commento e per avermi lasciato le tue impressioni personali, ho apprezzato molto.
Lexie89: Vero che sono due amorini??? Ma dopo sarà anche meglio, ho in mente un paio di scene...
bufyna: Ehm, in realtà Snape è già qui da me... ^.^'''''''' Eh eh eh scherzo... Grazie mille per il tuo commento, per la statua mi sento onorata, thanks!
bombottosa: Grazie per la recensione, carissima. Oddio, non farmi pensare ad un piccolo Malfoy. Uh, tenero e adorabile!! W l’uomo pelato di Lost!!! Ed il suo cinghiale!!
ellinor: Non mi uccidere, questo è ancora più corto, ma se li facessi lunghi come ero abituata a fare non potrei aggiornare così spesso e poi mi passerebbe la voglia. Chiedo venia e mentre attendo clemenza ti ringrazio per la recensione. In effetti Madam Pomfrey avrà il suo da farsi...
irelaw: Grazie, sono contenta di sapere che in qualcosina sono migliorata è sempre un piacere ricevere una annotazione, così posso perfezionarmi via via che scrivo. Grazie mille.
sam89: Ciao, oddio, addirittura una targa commemorativa... Wow, grazie! Ecco qui il nuovo chap. Enjoy it!
Ron von Bokky: Oh, ti assicuro che Sev ha ben altro da fare piuttosto che morire... uh uh uh. Grazie mille per il tuo entusiastico commento! Un bacio.
protezione: Ecco qui, il prima che potevo, davvero. Grazie mille per la recensione. Bax
Kary91: Grazie mille Karen, vero che non si può non amarli???
lucy6: Sì, in effetti Harry ha dimostrato grande fiducia, ma la battaglia per ottenerla del tutto non è ancora finita... nel frattempo grazie mille per i tuoi commenti e per aver letto le mie ff su Slam Dunk!
Nezu: Beh, che devo dire io che scrivo cose come ‛l’uomo gli era quasi sopra’... ^///^ Oddio, non farmici pensare... Grazie mille per il commento. Oddio non sono poi così veloce, questo chap è così corto, oggi... (vergogn, vergogn).
Chiara Potter: Ciao, grazie per avermi lasciato una recensione, sono contenta che la mia ff ti piaccia.
Psike: Grazie, fa sempre un gran piacere sentirselo dire...^___^
cesarina89: Grazie mille. Ecco qui il nuovo chap. Bacio
Mimica: Ciao, benché lievemente inquietata dalla tua (fantastica a detta di una mia amica) recensione, ti ringrazio. Scherzo, scherzo. Grazie mille. Sei la prima che mi rassicura sul fatto che si capisce la differenza fra quando pensa Harry e quando lo fa Snape, mi ha fatto un gran piacere!
hocuspocus: Molto interessante la tua recensione e la riflessione in essa contenuta... in effetti sì. Amarsi, diceva qualcuno, è avvertire il simile nel dissimile. A vederli magari i nostri due eroi potrebbero non apparire simili nel senso compiuto del termine, ma indubbiamente lo sono e mi fa piacere sapere che questa cosa si avverte leggendo. Sì, mi trovi d’accordo anche sul tuo discorso sulla lingua, quando ho il tempo controllo sempre su dizionari e pagine web dell’Accademia della Crusca. Mi piace esprimermi in modo adeguato, penso che così la storia possa essere gustata a pieno e seguita meglio. Merci.
LagoAiram: Uhm, Dumbledore è un po’ manipolatore, ma cattivo, per me no. (E nemmeno gay come dice la Rowling!!) Per quanto riguarda la fine della storia ancora non so bene, vedremo al momento, sai, scrivo un po’ come mi viene lì per lì. Grazie mille per il tuo commento e per i complimenti.
clarissa parker: Non ti preoccupare, anche un ciao è graditissimo. Grazie mille.
briciola88: Oh, sicuramente sì. Severus non è uomo da lasciare incompiute le sue minacce, te lo assicuro!! Anche in questo chap non ci scherza su!!
dunky: Ciao, diciamo che Albus userà il pensatoio di Snape per un’altra cosa, ma non dico niente perché deve essere una sorpresa... Grazie mille per il tuo entusiastico commento!!

Eccoci alla fine dei ringraziamenti e all’inizio del chap! Un grosso bacio anche a chi legge soltanto o che ha messo la mia fic fra le preferite...Buona lettura
 

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 


11 - / The little bird’s nest /

 



Il piccolo Harry riaprì gli occhi quando la strana sensazione di nausea lo lasciò, così com’era venuta.
Incredulo e sorpreso si guardò attorno.
Quella sembrava proprio la stanza dell’uomo-Sevreus.
C’erano il camino, la scrivania e le belle poltrone verde e argento.

Il bambino sospirò.
Non sapeva come, ma era contento di non essere più nella foresta, di essere lontano da quegli uomini tutti vestiti, minacciosi e cattivi.
E di essere ancora insieme al suo uomo-Sevreus.

Sbadigliò.

Tutt’ad un tratto si sentiva così tanto stanco da non riuscire a tenere gli occhi aperti.
Guardò l’uomo, e anche se era sempre fermo, sembrava stare meglio.
Forse perché erano nella sua stanza e adesso c’era il vestito nero a coprirlo…
Posò le manine sul petto dell’uomo-Sevreus e provò a scuoterlo.
Niente.
Sotto i palmi il piccolo sentiva qualcosa battere, sentiva quel tamburo nel petto del signore Sevreus e subito si mise una mano nello stesso punto, sul proprio, piccolo, petto. Oh, anche lui aveva un tamburo lì! Quindi se Harry aveva il tamburo nel petto e stava bene anche l’uomo-Sevreus stava bene, perché lo aveva anche lui!
Forse l’uomo-Sevreus stava solo dormendo e quindi, adesso, anche Harry doveva dormire con lui.
Oh, Harry era davvero, davvero stanco.
S’impegnò a spostare il braccio sinistro dell’uomo, quel tanto che bastava a sgattaiolare sotto il vestito nero e accanto al corpo dell’uomo-Sevreus. Più precisamente fra l’interno del braccio sinistro del signore Sevreus ed il suo fianco, sotto l’ascella. Lì, il piccolo Harry si raggomitolò e non fece in tempo a chiudere gli occhi che già il sonno lo aveva portato via.


 

 

 

 



Minerva si affrettò nuovamente verso Hogwarts. Aveva ardentemente desiderato di trovare Albus presso l’abitazione di suo fratello Aberforth, ad Hog’s Head, ma le sue speranze erano state disilluse. In gran fretta aveva quindi deciso di tornare indietro per servirsi del suo camino e raggiungere alcuni membri dell’Ordine.
Dopo la fine della Prima Guerra l’Ordine non si era affatto sciolto, ma era rimasto nell’ombra, pronto a proteggere ogni singola famiglia di maghi dai pericoli di molti dei più fedeli seguaci di Voldemort ancora in libertà.
Probabilmente qualcuno di loro sapeva dove si trovasse Albus.
La situazione era piuttosto grave.
Era vero che il potente Mago Oscuro era scomparso, ma nessuno ancora poteva sentirsi al sicuro.
Non quando le barriere anti-apparizione di Hogwarts erano state infrante!
Minerva gettò una manciata di Floo Powder nel suo focolaio e pronunciò chiaramente:

“La Tana”.


Albus era in piedi davanti al grande tavolo di casa Weasley. Una mappa spiegata sotto gli occhi dei fedeli membri dell’Ordine della Fenice.

“Minerva, mia cara, pensavo fossi ad Hogwarts in attesa di un possibile ritorno di Severus…”

“Oh, Albus, presto. Le barriere anti-apparizione dell’intera scuola si sono spezzate! Non so cosa sia accaduto… improvvisamente…”

Gli occhi di Dumbledore smisero di brillare.
“Arthur, Molly, informatemi se il piccolo gruppo inviato a Knocturne Alley è riuscito a trovare Severus. Remus, seguimi ad Hogwarts. Minerva, fammi pure strada”.


 

 

 

 




Severus Snape si destò con un sospiro spezzato fra le labbra.
Senza aprire gli occhi prese contatto con la realtà.
Non riteneva di essere morto.
Ma ovviamente ‘vivo’ non era sinonimo di ‘in buona salute’…
Si prese il suo tempo per ascoltare i suoni che lo circondavano… o la completa assenza di questi…
Probabilmente erano stati nuovamente catturati ed imprigionati.
Eppure il pavimento non sembrava così duro e freddo come ricordava e qualcosa gli pesava sul fianco.

Il bambino!
Dov’era il bambino?

Trovò la forza di tirarsi su un gomito e, quando ebbe piena visione della quattro mura che lo circondavano, sentì il bisogno urgente di lasciarsi ricadere a terra e giacere immobile fintantoché le allucinazioni, di cui evidentemente soffriva, sparissero.

Non era assolutamente possibile.

L’ultima, certa, cosa che ricordava era il soffitto di fronde e rami della foresta in cui stavano fuggendo.
Non c’era modo, al mondo, in cui potessero essere riusciti ad apparire ad Hogwarts.
Nemmeno inciampando su di una Passaporta.
La scuola era protetta da potenti barriere anti-apparizione e nemmeno Dumbledore, il loro creatore, aveva il potere di raggirarle.

Eppure, senza ombra di dubbio, quelle sembravano proprio le mura dei suoi quartieri.
Lo stemma della casa di Salazar Slytherin, la piccola credenza, la scrivania, le poltrone, il tappeto.

Impossibile.

Di nuovo il pensiero del bambino-Potter attraversò la sua mente.
In risposta ai suoi lenti e faticosi movimenti per sollevare il busto Snape avvertì qualcosa.
Qualcosa che si muoveva, evidentemente disturbata dal suo spostarsi.
E fu allora che lo vide.

Un fagottino tutto avvolto sotto il suo mantello, al suo fianco, fra il braccio sinistro ed il costato.

“Harry…”mormorò Severus scivolando di nuovo a terra e chiudendo gli occhi, incredulo.
La sua mente girò attorno a spiegazioni impensabili per un momento, prima che la debolezza delle sue precarie condizioni lo trascinassero di peso in un dormiveglia assolutamente agitato e poco piacevole.

Nei pochi minuti che seguirono la porta dei suoi quartieri si spalancò ed Albus, Minerva e Lupin entrarono in gran fretta.

“Severus” gridò la donna.
“Ragazzo mio” lo chiamò Albus.

Snape cercò nuovamente di tirarsi a sedere, improvvisamente destatosi.
Il bambino dormiva ancora placidamente al suo fianco e adesso che l’uomo si era faticosamente sollevato di un poco il mantello era scivolato via, rivelando il figlio dei Potter allo sguardo della piccola, preoccupata congrega.

“Oh, grazie al cielo! – esclamò Minerva. – Oh, grazie! State entrambi bene! Sia tu che Harry!”

Severus si guardò attorno, lievemente frastornato ed i suoi occhi neri incontrarono il silenzioso sguardo di Lupin.
La quiete si allungò un attimo di troppo su di loro e Albus prese parola.

“Tutto bene, ragazzo mio? Puoi dirci cos’è accaduto?”

Di nuovo gli occhi neri come la morte di Severus tentarono di mettere a fuoco ogni cosa e la sua mente tentò di ricordare con metodica precisione il susseguirsi di tutti gli eventi. In bocca aveva ancora il sapore amaro di chi ha dormito male e poco.
Nel loro infinito peregrinare le sue iridi incontrarono ciò che Lupin ancora stava fissando con riservata preoccupazione.

Harry Potter.

Il bimbo si mosse impercettibilmente contro il fianco dell’uomo e, come una cascata, i ricordi perfetti e precisi di tutto quello che era accaduto si riversarono in lui, cadendo dall’alto, con impeto.
Chiuse gli occhi, mentre le ultime immagini che la Legilimens da lui castata meno di dieci ore fa premevano dietro le sue palpebre chiuse.
La sua priorità adesso era portare il bambino da Madam Pomfrey.

Strani miracoli, un Preside sollevato, una docente di Trasfigurazione prossima alle lacrime ed un lupo mannaro diffidente non erano cose rilevanti al momento.

Severus si fece coraggio e provò ad alzarsi. Strinse i denti mentre accettava malvolentieri il braccio di Albus.
Quando fu approssimativamente certo di poter restare in piedi da solo si scostò e chinandosi prese in braccio il bambino, sorreggendolo sotto le spalle e sotto le ginocchia, come fosse stato una povera vittima.

“Severus, puoi parlarci di cosa è accaduto dopo che il signor So…”

“Dopo, Albus. Ho bisogno di portare il giovane Potter in infermeria”.

Madam McGonagall trasalì vistosamente.
“Il bambino è stato ferito?”

“Di certo non mentre era sotto la mia tutela, Minerva” fu la risposta del maestro di Pozioni mentre zoppicava dignitosamente verso la porta.

“Dove credi di…”

Snape si volse, gelando con uno sguardo penetrante lo scatto di rabbia dell’astioso lupo mannaro.
Albus alzò un sopracciglio, comprendendo.

Severus si volse verso il Preside.

“Nel tuo studio Dumbledore, quando Madam Pomfrey mi riterrà libero di lasciare la sua infermeria”.

E si allontanò, sparendo lentamente nel corridoio.

Remus Lupin sentì l’ira esplodergli nell’anima.
Il figlio di James nelle mani di quello sporco, disgustoso Death Eater.

Oh, non poteva tollerarlo.

Fece per inseguirlo e strappargli di mano il bambino quando una bianca, anziana mano lo fermò, posandosi sulla sua spalla.

“Remus, devo chiederti un grande favore. Una di quelle cose che non provo alcun diletto nel domandare, ma che ritengo necessaria. E so che da compagno leale, e fidato membro dell’Ordine, troverai la forza di ascoltare questo povero vecchio…”

Lupin si volse lentamente. Il ‘povero vecchio’ aveva appena ribadito velatamente la loro diversità di condizione e l’ubbidienza che ogni membro doveva al leader della loro organizzazione segreta.

Il giovane uomo comunque annuì, stoicamente.

Silenzio.


“Remus, per favore, ritorna da Molly e Arthur…”


Lupin chiuse gli occhi d’ambra e respirò a fondo, una sola volta.
In completo silenzio si diresse al camino di Snape e ben presto scomparve in una fiammata verde.



A metà del silenzioso, deserto corridoio che portava lentamente verso la sua agognata destinazione Snape decise di svegliare il bambino.
Non aveva la forza di portarlo in braccio ancora a lungo, per quanto poco pesasse, e desiderava che fosse desto nei momenti in cui Madam Pomfrey lo avrebbe visitato. Perché aveva bisogno di risposte. E non poteva che rabbrividire di fronte ad uno degli ultimi pensieri che aveva maturato in quei pochi minuti di agonizzante passeggiata.
A tutti i costi doveva conoscere i limiti entro i quali si erano spinti quei disgustosi, abominevoli Muggle nella loro opera di distruzione. Perché se alcuni di quei limiti fossero stati, sfortunatamente per loro, oltrepassati, se l’innocenza di quel corpo fosse stata violata anche nell’ultima, ignominiosa maniera Severus Snape avrebbe portato la distruzione su quella casa di bestie.
Completa, violenta, atroce e , quanto è vero Iddio, insopportabilmente dolorosa distruzione.

In quel caso al diavolo il Ministero, al diavolo Albus e tutto il resto del mondo.
Severus Snape avrebbe ucciso e ucciso con gusto.


Il piccolo Potter si destò dopo un paio di tentativi e subito apparve completamente privo di energie e quasi troppo assonnato per camminare da solo.
Severus lo prese per mano e, facendo attenzione, lo guidò verso la loro meta.


Severus aprì le porte dell’infermeria, zoppicando lentamente oltre la soglia.
Il bambino era quasi un peso morto ancorato alla sua mano.

Il giovane Professore richiese a gran voce attenzione.

“Madam Pomfrey!”

Il silenzio di un ozioso mattino di vacanza rispose, tediosamente.

“Madam Pomfrey!”

La donna uscì dal suo piccolo studio, affrettandosi verso l’uomo. Le mani graziosamente arricciate a tenere sollevato di un poco il suo lungo grembiule.

“Severus, quante volte ancora dovrò chiederti di abbandonare le vecchie abitudini e chiamarmi Poppy, sei un membro del corpo insegnanti da diverso tempo ormai…”

“Molto bene, Poppy. Puoi preparare un letto?”

Lo sguardo della donna si fece attento.
“Non ti senti bene, Severus? Un incidente con una delle tue pozioni sperimentali?”

“Niente di tutto questo. Non è per me, ma per lui” e con un breve movimento Snape tirò gentilmente avanti il bambino.

La donna osservò il bimbo. Capelli neri. Pelle chiara. Massimo tre o quattro anni, piccolo abbastanza da essere figlio di un giovane uomo di ventisei e quella minuscola manina aggrappata a quella del suddetto giovane uomo…

Madam Pomfrey si lasciò ad un’espressione sorpresa, prima di concedersi un ampio, solare sorriso.

“Mi sono persa qualcosa durante queste vacanze, Severus? O dovrei dire durante questi ultimi anni?”

“Non dire sciocchezze, Poppy. Il bambino è il figlio dei Potter” sibilò Snape.

“Harry? Harry Potter?” domandò basita la donna.

L’uomo annuì.
Madam Pomfrey si ricompose immediatamente.

“Da questa parte”disse lei.

Velocemente la donna si diresse verso uno dei letti più vicini e si volse, certa che Severus l’avesse già rapidamente seguita.
Ma l’uomo avanzava lentamente, trascinando per la mano il bambino e zoppicando.

“Severus! Il tuo piede non…”

“Dopo, Poppy. Ho bisogno che il giovane Potter venga esaminato. Adesso”.

Gli occhi della donna si fecero seri e scuri.
“C’è forse qualcosa che devi dirmi, Severus?” ed il suo non era un tono gioviale, né pronto allo scherzo.

“Ho motivo di credere che il bambino sia stato ripetutamente maltrattato e abusato”.

La donna si portò le mani al viso e sussultò.



 

 




Albus guidò Minerva verso il suo studio e servì del tè caldo ad entrambi. Quel mattino su Hogwarts erano arrivate le nubi ed il cielo presto avrebbe minacciato pioggia. L’austera donna pareva assorta nei suoi pensieri, ma una ruga di preoccupazione le solcava la fronte, contristando l’anziano, affezionato mago.

“Quando sarà pronto, Minerva, quando saranno pronti, mia cara…”

“Sì, lo so Albus, lo so…”


 

 






“Oh, Merlino. Come…”
Madam Pomfrey appariva sconvolta come non lo era mai stata in tutti gli anni in cui l’uomo l’aveva conosciuta.
Snape si lasciò cadere sulla sedia più vicina, inabile a mantenere la stazione eretta anche solo per un altro istante.
“Dopo, Poppy. Nello studio di Dumbledore”.
La donna annuì.
Professionalmente prese subito in consegna il bambino e lo fece sedere sul bordo di uno dei letti bianchi e puliti.

“Ciao piccolino, come ti senti?”

Il bimbo osservò la donna, con occhi stanchi e timorosi.
E non rispose.
Snape si fece attento.

“Senti male da qualche parte?” insistette lei.

Silenzio.

“Harry, Madam Pomfrey ti ha fatto una domanda…”

Il bimbo si volse a guardare confuso l’uomo-Sevreus ed annuì.
“Allora perché non le rispondi?”

Il bambino prese a torcersi le manine l’una nell’altra.
“Il signore Sevreus ha detto che Harry non doveva dire niente e non doveva rispondere se gli veniva chiesto qualcosa. Harry ha promesso”.

Poppy si volse versò Severus.
L’uomo sospirò.

“Sì, lo ricordo, Harry. Ma adesso non siamo più nella casa di quegli uomini, siamo tornati a scuola, sebbene nemmeno io sappia come…”

Il bambino pareva ancora confuso ed incerto.
Severus sospirò ancora, provato dagli eventi del giorno e della notte precedenti.

“Harry, puoi e devi rispondere a Madam Pomfrey. Sempre”.

La donna lanciò uno sguardo in tralice al maestro di Pozioni, promettendogli in silenzio che dopo ci sarebbero state molte, accurate domande e probabilmente una buona dose di rimproveri.
Poppy si volse quindi nuovamente verso il giovane figlio dei Potter.

“Allora, giovanotto, dicevamo… come ti senti?”

“Ho sonno, signora” rispose finalmente Harry.

“Questo è normale Harry ed è una cosa buona. Dimmi, senti male da qualche parte?”

Il piccolo si morse le labbra.
Poteva fidarsi della signora con il grembiule?

Quando Zio Vernon gli chiedeva se sentiva male da qualche parte, le prime volte, Harry aveva risposto subito dicendo la verità, ma dopo aveva imparato. Se Zio Vernon gli chiedeva qualcosa era per poterlo punire dopo e sapere dove fargli più male, quindi Harry diceva sempre di no, anche quando non era vero.

L’uomo-Sevreus sembrava avere fiducia nella donna, quindi anche Harry doveva averne.
Con vocina tremante rispose:

“La pancia, signora…”

Ed Harry si chiese se adesso la donna lo avrebbe picchiato proprio lì…
Ma la signora annuì con decisione e tirò fuori il bastoncino di legno che anche l’uomo-Sevreus aveva e con il quale faceva le magie.
Il bambino fece di tutto per non ritrarsi e fuggire.

“Molto bene, piccoletto, adesso passerò la mia bacchetta vicino al tuo corpo per sapere cosa non va. Sarà come dal dottore, Harry, e ti prometto che non sentirai niente…”

Allarmato Harry cercò subito con lo sguardo l’uomo-Sevreus.
Harry non era mai stato dal dottore e non sapeva bene chi fosse e cosa facesse. Un paio di volte aveva sentito Zia Petunia dire a Dudley che lo avrebbe portato dal dottore e Dudley non era mai contento di andarci e faceva sempre un sacco di storie. No, il dottore non doveva essere una brava persona…
E poi Harry non conosceva quella donna e adesso che aveva scoperto che anche lei aveva uno di quei bastoncini per fare cose strane si sentiva spaventato.
Non voleva che la donna facesse magie su di lui. Le magie erano brutte e cattive. E facevano male.

Severus colse alcune di quelle paure e sentì l’urgenza di parlare.
“Madam Pomfrey è molto brava, Harry e se ti ha detto che non sentirai niente, puoi crederle. Rimani fermo e fai come ti dice”.

Harry chiuse gli occhi, tristemente.
Se l’uomo-Sevreus aveva detto di restare fermo Harry lo avrebbe fatto, anche se non voleva affatto.

Snape parlò ancora, ma questa volta si rivolse alla donna.
“Il bambino non muove affatto bene la spalla sinistra e ritengo abbia rimesso ben più di una volta in questi giorni…”

Madam Pomfrey mormorò un incantesimo e subito la punta della sua bacchetta s’illuminò di una luce rosa tenue.
Harry si ritrasse, impaurito.

Senza una parola Severus si alzò e si accomodò sul bordo del letto accanto al bambino.
Si guardarono.
Il piccolo Harry si perse nello sguardo nero del suo uomo-Sevreus e si sentì subito più calmo.

Poppy prese a far scivolare lentamente la sua bacchetta vicino ad ogni angolo del corpo del bimbo, corrugando la fronte, con le labbra sempre più strette e gli occhi lucidi. Giunta alla spalla sinistra si lasciò sfuggire un gemito di disapprovazione e le sue iridi gentili si fecero più scure. In completo silenzio prese atto delle condizioni del bambino e poco dopo si rialzò.
Un’espressione furibonda sul viso contratto dal dolore e dall’ira.

“Severus! Chi ha os…”

“Poppy, per favore, esamina il bimbo completamente”.

La donna lo squadrò.
“Quali sono i motivi per i quali mi stai chiedendo una cosa simile, Severus?”

“Poppy, il bambino mi è stato affidato da Albus e a quanto pare dovrà restare con me. Ho bisogno di sapere. Di conoscere tutti i tipi di… abuso che il giovane figlio dei Potter ha subito prima di arrivare da me…”

Lo sguardo di Madam Pomfrey si riempì d’orrore.
“Oh, Dio misericordioso, Severus, non starai parlando di…”

“Non lo so, Poppy – la voce dell’uomo era bassa e densa di emozioni ben trattenute. – Non sono a conoscenza della reale estensione degli abusi ai quali è stato sottoposto e voglio, devo, sapere cosa aspettarmi nei mesi in cui resterà qui ad Hogwarts sotto le mie cure”.

La donna annuì, gravemente.
Di nuovo la sua bacchetta s’illuminò di rosa e Madam Pomfrey la ripassò vicino al corpo del bimbo, sostando lievemente vicino al piccolo inguine ed un poco più dietro.

Poppy lasciò uscire un sospiro lungo e profondo e si rialzò nuovamente, ben dritta con la schiena e parlando con certezza e sollievo.
“Nessun segno di abusi sessuali Severus, ringraziando il cielo misericordioso nemmeno uno”.

L’uomo, in silenzio, ne fu profondamente grato.
E chinò la testa per osservare il viso del bimbo.

Il piccolo Harry era sempre più stanco e assonnato, davvero non riusciva a restare sveglio e gli occhi sembravano volersi chiudere da soli. Soffocò malamente uno sbadiglio ed inclinò di un poco la testolina verso il braccio dell’uomo-Sevreus.
Oh, quanto gli sarebbe piaciuto poter dormire ancora accanto al suo uomo-Sevreus…
O, meglio ancora, sulle sue gambe. Oh sì, sarebbe stato meraviglioso, ma non osava affatto sperarlo… non era permesso, non era permesso nemmeno adesso, non era permesso mai…

Severus si alzò, barcollando leggermente.
Il bambino aveva sonno e se l’irreale spiegazione che egli stesso aveva ritenuto possibile invero lo fosse, il maestro di Pozioni conosceva anche la causa di tale spossatezza.

“Penso sia meglio lasciarlo riposare adesso, a meno che le sue condizioni non richiedano il tuo tempestivo intervento, Poppy…”

La donna scosse la testa.
“Il bambino non sta bene, ma penso che iniziare la terapia con un po’ di sano riposo non sia affatto una controindicazione, anzi…”

Severus annuì e senza dire niente lasciò che la donna preparasse il piccolo paziente, rimuovendo scarpe e vestiti con un colpo di bacchetta prima di fargli apparire addosso un morbida vestaglietta azzurra.
Il bambino apparve intimidito e non appena Madam Pomfrey fece per avvicinarsi il piccolo si spostò un po’ più lontano.
Severus sospirò e si fece avanti.
Guidò il bambino sotto le coperte e lo guardò negli occhi.
“Dormi un po’ Harry…”

Il bambino rimase a sedere, ad osservarlo in silenzio mentre i suoi occhi verdi come l’erba parevano riempirsi di ombre e di dubbi.
“Signore Sevreus…”

L’uomo si tolse dalle spalle il mantello nero che lo aveva accompagnato nei momenti della loro cattura e lo avvolse attorno alle piccole, incurvate spalle.
Harry sorrise.
“Questo è un posto sicuro, Harry ed io sarò là, in quella stanza e ti sentirò se mi chiamerai”.
Il piccolo sorrise e non appena si stese si addormentò.

Severus ripensò alle proprie parole, guardandolo.

Un posto sicuro.
Un luogo dove leccarsi le ferite e prendersi del tempo per guarire.
Del tempo per iniziare a vivere felice.
Un nido accogliente, riparato, protetto.


Un nido per un piccolo uccellino smarrito e torturato.


Il figlio di Lily aveva disperatamente bisogno di tutto ciò e Severus era più che deciso a provvederlo fintantoché il bimbo ne avrebbe avuto bisogno.


Avvolto nel mantello del suo uomo-Sevreus finalmente Harry poté dormire serenamente.


 

 




Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

Floo Powder: metropolvere.

 

Note del capitolo: Aberforth Dumbledore è il fratello di Albus Dumbledore, ed un membro dell’originale Ordine della Fenice, anche se dal carattere e dalla moralità ambigui.

 

   

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Capitolo 12
*** 12 - Where sinners fear to tread ***


The Heart of Everything 12
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

 

 

Oh, salve! Grazie mille per i commenti!!! Siete spettacolari! Domani aggiungo le mie risposte, stasera sono troppo stanca...
Mh, che dire, non riesco ancora a tirare le fila di tutto, ho deciso di procedere lentamente... spero il capitolo sia di vostro gradimento, fatemi sapere se desiderate che nei prossimi accada qualcosa in particolare, se posso, sarei felice di accettare richieste!!
Oh, non posso fare a meno di anticiparvi che se riesco inserirò il link di due cose splendide che bombottosa ha fatto per me. Un banner ed una fanlisting su The Heart of Everything... Oddio, come sono belli!!! Grazie, my dear!!

Buona lettura

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 

12 - / Where sinners fear to tread /


 



La quiete empiva gli spazi vuoti, sospesi fra i due adulti ancora svegli ed il piccolo uccellino.
Il sole non riusciva a filtrare le nubi, non riusciva a trovare un varco per donare calore.
Ciò che non era stato detto era come un sipario sulle loro teste, pronto a cadere sulla scena e nascondere per sempre attori e comparse.

Il tempo parve riprendere a scorrere monotono.
Finalmente, dopo un intero giorno di travagli, tutto era calmo.
Severus si rialzò, deciso a lasciare Potter in quel letto e a chiedere subitanea udienza ad Albus.

L’anziano, potente mago aveva molto da spiegare e ancor di più da rimediare.

Snape si diresse alla porta.

“Dove credi di andare con quel piede, Severus?” domandò accigliata Madam Pomfrey.

“Dumbledore mi attende”.

“Attenderà. Sul letto, Severus, fammi controllare anche le tue condizioni”.

L’uomo sospirò mentalmente. Conosceva la donna abbastanza bene da sapere che qualsiasi protesta sarebbe stata severamente punita con lunghe, asfissianti ore di rimproveri e prediche.
Mh, prospettiva orribile.
E comunque alla fine l’avrebbe avuta, come sempre, vinta lei. Quindi rassegnarsi subito aveva molti più punti favorevoli di un’aperta tendenza alla ribellione.
Semplicemente non c’era modo di sfuggire a Poppy quando lei decideva di avere un nuovo paziente…


Snape si sedette, con molta, sfrontata, lentezza.
Subito la donna prese ad affaccendarsi attorno alla sua caviglia e Severus la sentì pronunciare un paio di incantesimi di guarigione. Dopo aver bendato l’estremità in questione Poppy effettuò un breve esame generale e si ritenne un poco più soddisfatta.

“Riposo per tre, quattro giorni, un buon pasto ed una buona notte di riposo e potrai tornare ad avanzare minacciosamente per i corridoi e spaventare a morte quei poveri studenti”.

Severus rispose con un sorrisetto ironico.

Nuovamente la quiete interruppe il loro parlare.
O probabilmente era stato il contrario…

Severus si appoggiò ai cuscini, quasi seduto su quel letto immacolato e candido, e guardò il bambino-Potter riposare.
La sua voce a stento si poté udire al di sopra del silenzio.

“Parlami delle sue condizioni…”

La donna sospirò, amareggiata.

“In tanti anni di servizio in questa infermeria, Severus, non ho mai visto un bambino tanto malnutrito. Il piccolo Harry dimostra almeno tre anni meno della sua età e la sua crescita è pericolosamente rallentata. Le ossa sono sottili e fragili e la spalla sinistra si è calcificata in una posizione anomala…temo sarà necessario un piccolo intervento…”

Madam Pomfrey tacque un istante, abbassando gli occhi umidi.

“Evidentemente è stato picchiato più e più volte. Ho trovato molte vecchie ferite. Bruciature, graffi, lividi, piccole deformità ossee. Dio misericordioso, Severus, chi mai può avergli fatto una cosa simile? Quale essere vivente? Quale disgustosa, abominevole creatura?”

“Il suo zio Muggle e la sua famiglia, Poppy” e gli occhi dell’uomo si fecero neri come le profondità dell’inferno.

“Oh, cielo. I suoi stessi parenti? Proprio coloro che dovevano occuparsi di lui e crescerlo? Ma com’è possibile tutto questo? Oh, Merlino, che orrore, che orrore…”

Silenzio.

“Poppy, mi hai riferito tutto?”

“No”.

La donna raddrizzò la schiena e si portò le mani in grembo.
“Il bambino, ovviamente, è anche malato. Un’infezione acuta allo stomaco è la causa dei frequenti attacchi di vomito di cui mi hai parlato. Anche le vie respiratorie sono irritate e le difese di tutto l’organismo sono così basse che un semplice raffreddore potrebbe trasformarsi in polmonite e… ucciderlo in meno di un giorno. Povero piccolo. Oh, povero piccolo!” gemette afflitta la donna.

Severus si alzò dal letto.

“Devo andare. Fa’ in modo che il bambino non si svegli mentre non ci sono”.

“Severus dovresti riposare...”

“Non lasciare che si svegli, Poppy”.

E senza voltarsi uscì dall'infermeria, diretto a grandi passi verso lo studio di Dumbledore.

Severus entrò senza scomodarsi a bussare, certo che l’anziano e potente mago già sapesse della sua imminente visita.
Si diresse alla finestra, cercando senza sapere perché, un modo calmo e distaccato di iniziare quel lungo, furibondo discorso che teneva attanagliata la sua anima adesso un po’ meno nera.
Improvvisamente, senza una parola, si sedette, gli occhi neri fissi in quelli azzurri dell’uomo anziano dietro la pesante scrivania intagliata.

“Ho bisogno di sentirmi dire che non lo sapevi, Albus. Ne ho bisogno”.

Nessuna luce nel ciano di quelle iridi, ma seria preoccupazione.
“Potrei soddisfare la tua richiesta e dirti quello che vuoi sentirti dire, ragazzo mio, ma non è mia abitudine assentire senza prima aver compreso la domanda...”

Severus osservò Minerva, compostamente seduta accanto al vecchio mago.
La loro relazione era un segreto ad Hogwarts e quindi, naturalmente, tutta la scuola ne era a conoscenza.

“Albus, dimmi che non sapevi niente. Dimmi che quel giorno, quando hai lasciato Potter a quella famiglia di Muggle eri positivamente sicuro che ne avrebbero avuto cura. Dimmi che hai agito nell’ignoranza”.

La fronte del vecchio mago si corrugò leggermente. Minerva parve preoccupata.
“Caro ragazzo, le tue parole mi lasciano inquieto...”

Severus si alzò di scatto. L’aria parve spostarsi com’era avvezza a fare quando veniva frustata dal lungo mantello nero dell’uomo, anche se adesso egli ne era sprovvisto. Ormai l’aveva donato ad un piccolo uccellino.

“Per il sacrosanto Merlino, Albus. Una risposta concreta, per una volta!”

“Ragazzo mio, non ho veramente afferrato il senso delle tue parole…”

Severus si appoggiò con le mani alla scrivania, lo sguardo duro come diamante.

“Il bambino è stato abusato, Albus. Crudelmente picchiato, vessato, affamato. Per cinque anni”.

L’esclamazione inorridita di Minerva riecheggiò nel silenzio.
Per la prima volta da quando lo conosceva, Severus vide una sottile lama di confuso malessere in quel cielo, solitamente limpido, che erano gli occhi di Dumbledore.

Severus ritornò alla finestra.
Il cielo fuori Hogwarts era già carico di venti e di pioggia.

Senza che nessuno chiedesse il giovane uomo prese a narrare.
Guardando oltre i bordi della Foresta Proibita, rivisitò con le parole gli avvenimenti di quel dannato pomeriggio. Dell’improvviso rapimento del bambino. Dell’attacco di Sorier. Del loro imprigionamento. Della sofferenza fisica del figlio dei Potter.

“...e quando tutto cominciò a ricomporsi, quando intuii la verità, non ebbi il tempo di pentirmene e, sinceramente, non me ne pento nemmeno adesso”.

Si volse verso i due maghi più anziani e li osservò fieramente.

“Dovevo sapere, dovevo vedere. Ed ho visto”.

Gli occhi di Minerva si fecero grandi tanto quanto lo stupore che provava, mentre Albus sospirava.

Severus continuò, come se non ci fosse nessuno ad ascoltarlo.
“Ho visto cose che pensavo di aver lasciato indietro, cose che mi ero messo alle spalle quando ho abbandonato la fidata cerchia di seguaci del Signore Oscuro. Erano cinque anni, Albus, che non assistevo nuovamente ad una prolungata, efficace seduta di torture”.

Minerva si coprì il viso con le mani, scuotendo la testa, affranta.

“E adesso il bambino ha paura persino di respirare senza permesso. Ha paura di qualunque cosa si muova e non mangia perché non si ritiene meritevole del cibo”.

Severus si volse ancora una volta, avvicinandosi.
“Quel giorno ha bevuto la mia Wolfsbane perché credeva fermamente che la colazione sul vassoio fosse troppo ‘buona’. Che non potesse essere per lui, Albus”.

Minerva singhiozzò apertamente.

Di nuovo Severus si ritirò alla finestra.
Adesso pioveva.

Quasi come fosse il mondo stesso, attorno a loro, a versare lacrime amare e copiose.
Nessun tuono. Silenzio commemorativo.

E quanto bruciava sapere che certamente Lily Potter non si era sacrificata per lasciare poi che suo figlio venisse così barbaramente abusato…

Un lampo lontanissimo, un lampo quieto, illuminò una parte del suo viso pallido, una parte dei suoi occhi profondi, stracolmi, eppure tristemente vuoti.

“Adesso puoi rispondermi, Albus. Adesso puoi dirmi la verità. Il bambino è in infermeria ed io devo sapere come agire. Devo sapere se Hogwarts è ancora un posto sicuro per lui o se in realtà non lo è mai stato”.

Minerva ancora piangeva.
Una mano anziana le si posò su una spalla, cercando di portare conforto, ma la donna, risoluta nella sua apparente fragilità, la scostò.

“Albus, per l’amore di tutto ciò a cui tieni, per amore mio e di Severus e per la memoria di Lily e James. Rispondi. Ti supplico, dimmi che non sapevi, dimmi la verità”.

L’anziano, triste mago si alzò.
Solennemente pose le mani davanti a sé sulla scrivania.
Gli occhi umidi e decisi.

“Io, Albus Percival Wulfric Brian Dumbledore, confermo di non essere mai venuto a conoscenza delle condizioni in cui il giovane Potter è stato tenuto. Per la prima volta ne sento menzione adesso. E sono pronto a giurare questo sotto Veritaserum. Scendi pure nei tuoi quartieri, giovane maestro di Pozioni, e prendi una boccetta del tuo filtro della verità più potente, la forma più pura che hai distillato. Ed io la berrò”.

Severus si stupì impercettibilmente.

Il silenzio si trascinò a lungo fra loro tre.

Severus scosse la testa.
Il suo animo si era già placato con la semplice offerta di quella possibilità.

Ma Albus Dumbledore era un uomo risoluto, quasi più della sua compagna.
“Temo di dover insistere, mio buon ragazzo. E’ in gioco la fiducia di due delle persone che mi sono più care al mondo. Va’, adesso”.

E Severus andò e quindi fece ritorno.
Fra le dita stringeva la più potente forma pura del Veritaserum. Da lui stesso preparata, da lui stesso sperimentata. Tre gocce e persino un mago potente come Albus non avrebbe potuto contrastarne l’effetto. Tre gocce e di nuovo avrebbe potuto trovare un luogo sicuro dove riposare oppure un altro inferno di menzogne dal quale fuggire.

Albus, attentamente, si fece servire quelle tre gocce.
Dopo un lungo, tirato minuto, egli parlò di nuovo.

“Giuro solennemente di non essere mai venuto a conoscenza delle condizioni in cui il giovane Potter veniva tenuto e davanti a voi me ne dolgo profondamente”.

Severus incrociò quegli occhi azzurri.
Uno sguardo ed annuì.

Era come dire ‘Ti credo’.

E subito gli consegnò l’antidoto.
Non sarebbe stato eticamente corretto, altrimenti, continuare a discorrere.

Albus sorrise affabile.

“Tè, miei cari?”



Severus bevve lentamente dalla sua tazza.
Minerva sedeva ancora quieta accanto al Preside.

Come se non fosse mai stato interrotto il giovane mago riprese a narrare.
Raccontò della magia senza bacchetta e della loro fuga nella foresta.

“E quindi non hai idea di come abbiate fatto, tu ed il giovane Harry, a tornare qui?”

Severus scosse la testa.

“Mi sono risvegliato forse qualche minuto prima che tu, Minerva e Lupin irrompeste nei miei quartieri”.

“Hai pensato a come questo è stato possibile?”

Severus lanciò uno sguardo ancora fuori dalla finestra.

“Sì”.

Severus si alzò.

“Ma ironicamente la spiegazione più plausibile è la meno probabile o, a parer mio, la più fantasiosamente impossibile. Inverosimile in ogni aspetto – si volse verso Albus. – Ma dannazione, l’unica a cui posso pensare”.

Dumbledore si fece serio.

“L’unica vera, ritengo, ragazzo mio. Questa mattina, poco prima di trovarvi nelle tue stanze, Minerva si è precipitata a chiamarmi. Le barriere di Hogwarts erano state infrante. E come sai bene, Severus, soltanto pochissimi avvenimenti ne possono esser stati responsabili”.


Silenzio.

“Stai forse assecondando il mio folle pensiero, Albus? No… deve esserci un’altra spiegazione… un bambino così piccolo non può smaterializzare se stesso ed un’altra persona…”

“Severus…”

“No, non senza dividerci a metà, non così lontano, non attraverso due barriere anti-apparizione, Albus. Non una, due!”

Lo sguardo azzurrò si fece lievemente condiscendente.
“Una volta raccolto il potere per infrangerne una, mio caro ragazzo, perché mai una seconda dovrebbe fermarlo? La magia accidentale è qualcosa di eccezionalmente imprevedibile. Evidentemente il nostro giovane Harry è un mago ancor più grande di quanto già si riteneva…”

Severus, per l’ennesima volta, si ritirò presso la finestra.
Aveva molto su cui pensare.
Un bambino così potente… nelle mani di un uomo affascinato dal potere?
E non era Albus l’uomo di cui aveva pensato…

Dumbledore attese, sorseggiando quietamente il suo tè, una mano dolcemente posata su quella della donna al suo fianco, ancora segretamente scossa a causa delle orribili verità scoperte.

Improvvisamente la voce del giovane uomo domandò: “Il signor Sorier, invece? Ha fornito una spiegazione coerente che giustifichi le sue azioni? Gradirei conoscere il motivo per il quale io e Potter siamo stati costretti a prestarci per quell’insulsa commedia di seconda categoria…”

Albus sospirò.
“Ah. Mi dolgo ancora della reticenza del tuo ex-alunno, Severus, non posso fare altro che consegnarlo al Ministero. Provvederanno al suo processo nelle settimane a venire e forse riusciranno a stabilire l’identità di alcuni dei suoi ‘collaboratori’ ed i loro piani ”.

“Se può aiutare mi sono sentito in diritto di lasciare la mia prigione solo dopo aver raccolto un adeguato, e spero quantomai utile, risarcimento”.

Severus consegnò al Preside il Pensatoio e la bacchetta strappata all’uomo che li aveva raggiunti nella foresta. In seguito riportò i nomi che aveva udito e fece per congedarsi.

“Mio caro ragazzo, Hagrid ha gentilmente raccolto la tua bacchetta. E’ giusto che torni in tuo possesso”.

Con soddisfazione Snape strinse le dita attorno a quel legno conosciuto e sentì una piacevole scossa di potere magico salirgli lungo il braccio.

Di nuovo fece per andarsene.

“Severus, ragazzo mio, c’è ancora molto di cui parlare. Sicuro di non poterti trattenere con noi qui a cena?”

Uno sguardo duro.
“A tempo debito, Albus, te lo assicuro. La mia presenza, adesso, è richiesta altrove”.

E con un leggero cenno del capo si accomiatò.



Nella penombra di quello che orami era pomeriggio inoltrato, Severus si sentì vincere dalla stanchezza.
Senza fare rumore rientrò in infermeria e subito lanciò uno sguardo al letto in cui il bambino dormiva.

Pareva che niente fosse cambiato e tutto era quieto.
Poco dopo Poppy lo raggiunse.

“Il piccolo Harry non si è destato. Perché non ti riposi un poco, Severus?”

L’uomo quasi sospirò. Doveva essere propriamente sfinito per aver pensato di accettare serenamente quel suggerimento e restare sotto l’occhio vigile della donna, piuttosto che ricercare immediatamente la sicurezza e l’isolamento dei suoi quartieri.
Ed inoltre non poteva ignorare che Potter avrebbe avuto piacere nel trovarlo accanto a sé al suo risveglio.
Possibile, realmente, non desiderasse allontanarsi?

Senza ulteriori parole, né indugi, Snape si sdraiò in uno dei letti ed il sonno lo rapì quel medesimo istante.




Nel conforto del suo studio, quella sera, Albus si immerse nelle prime memorie contenute nel Pensatoio offertogli da Severus.



Il giovane uomo si destò al sorgere, nell’alto dei cieli, della luna.
Madam Pomfrey gli sorrise e gli servì una cena leggera.

Nel silenzio di un pasto ormai consumato, che non poteva più permettergli di procrastinare, egli parlò:

“Quanto tempo ti occorre con il bambino, Poppy?”
La donna sospirò.

“Domani mattina pensavo di sistemare la spalla. Nel pomeriggio volevo somministrargli alcune pozioni specifiche per i suoi problemi di salute e per la crescita. Il suo organismo è depauperato, Severus. Ma non sarebbe salutare tentare di correggere questa situazioni tutta in una volta e con il solo aiuto delle tue pozioni. Il suo corpo ha bisogno di buon cibo, di vitamine, di elementi nutritivi in rapporti equilibrati, poco per volta, per dargli il tempo di abituarsi ad assimilare”.

Severus annuì, senza aggiungere niente.
Concordava.

“Il bambino pare molto affaticato. Penso dormirà ininterrottamente tutta la notte. Rimarrai qui, Severus?”

“Sì”.

“Domani mattina riterrei opportuno somministrare una pozione soporifera al bambino prima di procedere con la spalla. Cosa ne pensi?”

“Sì, mi sembra indicato. Il giovane Potter non si trova a suo agio con persone sconosciute ed evitargli dolore e paura renderà senz’altro migliore anche il tuo intervento”.

La donna annuì.

Silenzio.

“Questo pomeriggio ho visto ricomparire la cicatrice sulla sua fronte. L’avevi occultata tu?”

“Diciamo che c’era la possibilità di fare incontri spiacevoli ieri. Una semplice pozione coprente. L’effetto dura un giorno solo”.

Di nuovo Madam Pomfrey annuì.

Silenzio.

“Domani desidererei assistere…”

“Naturalmente. Nel pomeriggio, se lo desideri, potremmo controllare quali pozioni abbiamo a disposizione e quali hanno bisogno di essere nuovamente distillate…”

“Eccellente”.

E Madam Pomfrey lo lasciò, concedendogli quel tempo che fin dal momento in cui aveva abbandonato le stanze di Albus temeva di ritrovarsi fra le mani.
Tempo per riflettere.
Tempo per ricordare ed analizzare.


Quelle ultime ore, dal preciso istante in cui aveva lasciato i suoi quartieri per portare fuori il bambino fino a quel momento, erano state come una lunghissima, indesiderata parentesi di avvenimenti imprevisti ed inimmaginabili.

Il passato e gli abusi subiti dal bimbo lo avevano lasciato inquieto nel profondo, per un motivo che oscillava pericolosamente verso memorie sepolte e rancori mai dimenticati, come una perfetta, bianca e levigata cicatrice.
Lui fra tutti, allevato sul filo di una tragedia sempre imminente, indesiderato e malvoluto, per primo avrebbe potuto accorgersene, ed anche a distanza di ore ed avvenimenti, il sapore aspro della colpa stagnava nell’aria.
Ed avrebbe voluto urlare contro la cecità di Albus, per coprire i propri peccati e sentirsi più libero e puro, ma si era rifiutato tale ignominiosa ipocrisia. Gli anni al servizio del Signore Oscuro lo avevano lasciato proprietario di una radicata idiosincrasia verso coloro che non sapevano farsi carico delle proprie responsabilità. Ogni azione può avere un prezzo o una ricompensa. A seconda di cosa si è donato o preso quando è stata commessa. E davvero il ricordo di Lily era sempre più simile a filo spinato ricoperto di miele. Realmente una dolorosa abnegazione era il cammino giusto?
In quei tragici momenti di prigionia e di rivelazione la sua prospettiva si era piegata sotto al peso degli eventi, ma adesso, in un luogo sicuro, steso in un letto confortevole benché impersonale, le domande fluivano, ondeggiando come spighe in un campo battuto dal vento.

Harry Potter era un bambino eccezionale.
Capace di infrangere senza difficoltà potenti barriere erette da maghi ancor più potenti.
Ma Harry Potter era, al tempo stesso, anche una vittima.
E la cicatrice sulla sua fronte era, e per sempre sarebbe stata, il suo passato, pieno di violenze e soprusi, ed il suo futuro, pieno di lotte e dolore.
Oh, sì. Perché Severus poteva immaginare tutto quello. Poteva immaginare il peso e la responsabilità e l’onere ed il dovere.
Harry Potter era un bambino destinato.
Solo ed unico, infelice e spezzato nell’anima.

E Severus sapeva che se avesse, adesso, rifiutato con convinzione avrebbe potuto mantenere la propria promessa di proteggerlo anche da lontano. Avrebbe per sempre vagato nei corridoi di Hogwarts osservandolo crescere da lontano, sconfiggendo per lui i nemici, eliminando per lui le avversità ed i pericoli.
Ed il suo debito sarebbe stato pagato appieno.
Anche soltanto così.

Adesso che tutto era chiaro e le carte scoperte gridavano di scegliere una direzione, quale cammino avrebbe seguito?

Lunghe ore insonni giunsero e se ne andarono.
E fu mattina.

Ma nessuna decisione apparve assieme al sole, mentre l’aria si riscaldava e la sua mente veniva assaltata impietosamente da dubbi ed ansietà.

Il suo sguardo nero, ancora una volta, si posò leggero sul bambino.

 

 




Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

 

Note del capitolo: Il Veritaserum è un potente filtro, estremamente complesso da preparare, che costringe chi ne assume tre gocce a rispondere sempre dicendo la verità, confessando anche i più nascosti segreti posseduti.

 

   

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Capitolo 13
*** 13 - Our farewell ***


The Heart of Everything 13
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

 

 

E' eccezionale vedere come in ogni capitolo, ogni persona sia colpita da una cosa piuttosto che un’altra. Leggo sempre con molto piacere i vostri splendidi commenti e mi rammarico di essere in ritardo non con una, ma bensì con due risposte. Abbiate pazienza con me, risponderò a tutti molto presto. E abbiate pazienza anche con la mia storia, farei un torto al nostro Sev se la facessi procedere troppo velocemente. Mancherebbe di credibilità, no? Un grazie particolare a Amrlide per la sua mail e a bombottosa per il link al banner e alla fanlisting della mia fic che vi metto qui. Se avete tempo e voglia visitatelo. Banner: http://s2.supload.com/free/melkaine.jpg/view/ Fanlisting: http://tomkat.netsons.org/thoe/

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 

13 – / Our farewell /
 




Quando il sole illuminò leggero i prati gelidi, Severus si alzò. Per molto tempo divenne una figura nera, silenziosa e dritta, che osservava dai vetri lo spettacolo invernale che Hogwarts offriva al di là del lago.

Da lassù sembrava sempre che qualunque gloria una persona stringesse fra le mani fosse ben poca cosa rispetto alla meravigliosa e potente natura. Era come essere avvolti da braccia di un verde profondo, un verde Slytherin che lo confortava, ma al tempo stesso lo spingeva a non abbassare la guardia. L’abbraccio infelice di un amante impazzito e sperso.

Perduto in fitti pensieri l’uomo mancò il primo suono, ma al secondo si volse.

Il piccolo Potter si stava svegliando.
Severus soffocò con violenza il forte istinto di avvicinarsi immediatamente e si dispose ad aspettare.


Il piccolo Harry sbatté le ciglia e si stropicciò un occhio.
Era moltissimo tempo che non dormiva così tanto. Oh sì, aveva dormito così tanto da non ricordare bene cosa fosse successo, da non ricordare bene nemmeno dove fosse. Si guardò attorno mettendosi a sedere. Il suo corpicino protestò vivamente, almeno quella non era una novità… Nella piena luce che lo avvolgeva Harry vide come una macchia. No, era un’ombra, un’immagine nera e alta, contro il vetro. Affascinato, e al tempo stesso intimorito, fissò quel punto e quando i suoi occhi ancora assonnati si abituarono un mormorio lasciò le sue labbra.

“Signore Sevreus?”


Snape non poté impedirselo.

Con un passo si fece più vicino.
“Ti sei svegliato, Potter?”

Il sorriso che prometteva di dipingersi sulla labbra del bimbo scomparve senza lasciare traccia ed il piccolo inclinò la testa, come a chiedere ‘Non più Harry?’

Severus non si rimproverò di aver voluto, nuovamente, tentare di mantenere le distanze.
Il futuro era ancora così incerto…

In quel momento le porte dell’infermeria si aprirono e Madam Pomfrey entrò.
La donna perse poco tempo nei preparativi.

Severus spiegò in poche, scelte parole cosa sarebbe successo e con solo uno sguardo rassegnato il bambino bevve la pozione che l’uomo-Sevreus gli aveva dato.

Subito Harry si addormentò.

Severus e Poppy presero a lavorare alacremente. Il braccio del bambino ben presto venne sistemato. L’osso venne ricollocato nel suo naturale alloggio e la donna aggiunse alla lista delle pozioni per il bambino una o due dosi di Skele-Gro.

Severus distillò infusi tutta la mattina, provvedendo nuove scorte.
I fumi conosciuti e quieti dei suoi calderoni erano balsamo per quel momento di profonda incertezza e occupare le mani e la mente era qualcosa che in quegli istanti quasi non aveva prezzo.

Su quelle stesse indolenti note scivolò via anche il pomeriggio.

Verso sera Madam Pomfrey lo richiamò in infermeria quando il piccolo Harry si destò in preda alla febbre.
Le condizioni del bambino, dopo la prigionia, l’operazione e quella che Snape non esitava a definire come la più strabiliante delle manifestazioni di magia spontanea mai documentata nel corso dei secoli, naturalmente non erano delle migliori e le infezioni occasionali erano soltanto un’eventualità ovvia.
Quando Severus arrivò il bambino tremava, stringendo al petto il mantello che non aveva mai lasciato in quelle ore. I suoi grandi occhi verdi erano lucidi e terrorizzati, vedevano senza vedere realmente e le piccole labbra erano come foglie battute dal vento, pronuncianti lettere che opportunamente sistemate assomigliavano al nome del giovane uomo. Senza esitare Severus gli somministrò della Pepperup ed un’altra dose di Sleeping Draught. Quella notte rimase con lui e nel buio nessuno, nemmeno egli stesso, poté osservare la cura con la quale la sua pallida, lunga mano riposava accanto a quella piccola del bimbo ancora coperta dal suo mantello.

Il mattino seguente Madam Pomfrey somministrò diverse altre pozioni al piccolo Potter e decise di tenerlo in una sorta di prolungato sonno di guarigione. Severus concordava. Il bambino non era abituato alle continue, pressanti attenzioni mediche. Il sapore delle pozioni non contribuiva certo a rendere l’esperienza piacevole e sopra ogni cosa Severus non desiderava vedere i suoi occhi.

Occhi verdi capaci di guidarlo verso pensieri mai realizzati prima, verso azioni così caratterialmente diverse da ciò che egli stesso si riteneva capace di impedirsi.

E tuttavia, ancora adesso, a distanza di cinque giorni dalla loro fuga, mentre sedeva al capezzale del figlio di Lily Potter non trovava una giustificazione piena, completa al suo incoerente comportamento.

La neve era giunta ad Hogwarts. E nel vento dolce della sera cadeva lieve, come polline translucido.
Le gambe elegantemente accavallate, il viso serio e pallido.
Snape si lasciò alle riflessioni che da tempo attendevano un suo esame.

Non aveva più la volontà di ignorarle. Molto tempo addietro aveva scoperto che nessun problema, dal più semplice al più inestricabile, scompariva se non vi veniva più prestata alcuna attenzione.

Sconsiderato.
Questo il suo comportamento.

L’inesplicabile necessità di rassicurare il bambino. Di rassicurare se stesso sulle condizioni del bambino. Di cercare aiuto per lui. E la sua inadulterata ira, la sua richiesta di spiegazioni, il dolore della furia con la quale aveva affrontato Albus. La Legilimens. Lily. La promessa di protezione.

Era come essere stato per ore intere qualcuno di diverso. Un uomo meno freddo, con un peso nel petto che batteva sangue e peccati.

Scosse la testa.

E la neve continuava a cadere attorno a loro.


In quei giorni il suo risentimento per Albus crebbe e, benché egli lo tenesse nascosto persino a se stesso, la sua fredda risolutezza a prendere i pasti nei suoi quartieri o la rabbiosa frustrazione con la quale sopportava anche la più lontana delle vicinanze era di per sé un chiaro segnale. Quando Dumbledore si presentò in infermeria per assicurarsi delle condizioni del giovane Potter, Snape si ritirò a grandi passi nelle sue stanze, senza uno sguardo, accompagnato dal gonfiarsi del suo mantello attorno al suo corpo rigido. Un fruscio violento come una frustata.

Quella sera un gufo della scuola gli recapitò un messaggio.
Il Preside richiedeva la sua presenza nel suo ufficio.

Severus chiuse gli occhi, le pallide, sottili labbra tirate.





“Per favore Severus, entra pure”.

Il cielo della sera non era limpido come lo era stato in quei giorni.

Il giovane uomo si sedette, lentamente.
I suoi occhi non si levarono ad incontrare quelli azzurri del vecchio mago mentre attendeva di conoscere il motivo di quell’incontro.

Il silenzio si allungò oltre quanto consentito dall’etichetta.
Severus si mosse leggermente sulla sedia.

“Tè, nel frattempo?” chiese Albus.

Snape scosse la testa.
La luna quasi sorse mentre ancora niente veniva detto.

La pazienza del giovane mago si fece sottile come un crine di unicorno.
Con la coda dell’occhio osservò Dumbledore.

L’anziano Preside riposava il mento sopra le mani giunte, come in serena attesa di qualcosa.
Severus lo vide prendere un altro sorso di delizioso tè che lui aveva rifiutato e si alzò di scatto.

“Se evidentemente non hai nulla da dirmi Albus ti pregherei di congedarmi, ho molto da fare nei miei quartieri”.

“Oh, temo tu abbia frainteso, ragazzo mio. Non siamo certo qui per qualcosa che io ho da dirti…”

“E allora chi di grazia dovrebbe parlare…”

“Ma tu, naturalmente”.

Severus sbuffò.
Tutto ciò aveva davvero del ridicolo…

“Trovo necessario ricordarti, Albus, che non ho richiesto io questo incontro. Se adesso puoi scusarmi…”

“Non hai davvero niente di cui parlarmi, mio caro ragazzo? Niente di cui, da qualche tempo, vorresti mettermi a parte?”

Gli occhi dell’uomo anziano si fecero penetranti.
E subito dopo si riempirono di una prima scheggia di malinconia.

“Non vedo di cosa…”

Dumbledore scosse la testa canuta.
E si alzò, portandosi alla finestra ed ammirando la neve attorno ad Hogwarts.

“Sai, mio caro, carissimo, ragazzo, posso vederlo nei tuoi occhi scostanti. Posso sentirlo nelle tue parole fredde e calcolate. Ricordo quando arrivasti da me, quando Hogwarts per te non era altro che un inferno che bruciava meno di quello in cui eri prima, quando ancora non potevi avere fiducia. Poi vidi la confidenza crescere nel tuo sguardo e col tempo riconobbi l’affidamento che mi avevi donato e me ne sentii orgoglioso come un padre – Albus si volse, completamente. – So che tu non mi hai perdonato. E forse non mi perdonerai affatto. E rimarresti comunque nel giusto. Mi rimane unicamente di sperare, ragazzo mio. Possa un giorno essermi perdonato il mio errore”.

Severus sentì una rabbia feroce trascinarlo via dai suoi desideri di sufficienza e noncuranza.

“Cinque anni, Albus! CINQUE ANNI! Non cinque ore. Non cinque giorni. Cinque. Anni” gridò e subito dopo tacque, sedendosi con le mani troppo disperatamente vicine al viso, come a volerlo nascondere.

Nel silenzio, un sussurro.

“Puoi dirmi perché, Albus?”


Dumbledore sedette alla sua scrivania. Un sorso di tè.
I suoi occhi non sorridevano più.

“Fui cieco e sordo, ragazzo mio. A quel tempo la protezione generosamente offerta dal sangue della sorella di Lily era tutto quello che serviva. Non ascoltai Minerva. Non ascoltai Hagrid. Desideravo proteggere quel bambino sfortunato. Eressi barriere. Castai incantesimi con il potere di quel sangue e fui felice di aver onorato il dono per il quale la dolce Lily si era sacrificata. La più grande delle protezioni, la più forte. Per anni fui convinto della mia decisione. Ovviamente avevo un membro dell’Ordine a vegliare nel Surrey e per cinque anni ho ricevuto rapporti favorevoli. Non avevo ragione di avere alcun pregiudizio su quella famiglia. Nessun pregiudizio che il bambino venisse… abusato”.

Severus alzò la testa, incapace di ignorare la sensazione di tradimento che sentiva gonfiarsi nel suo petto.
In cuor suo, in tutti quegli anni, da quando aveva messo la sua vita al servizio di Albus Dumbledore, Severus non lo aveva mai considerato capace di sbagliare.
E sentirsi imbrogliati, adesso, era come lasciarsi cospargere di sale una ferita.

“Non ho alcuna intenzione di biasimare altri. Né di sfuggire alla tua ira o a quella di Minerva o di altri. Voglio solo domandarti di lasciarmi… vedere”.

Snape socchiuse le labbra ed inspirò.
Gli occhi di Albus erano intensi e profondi.
Come chi ha vissuto tante, dolorose vite ed ancora non ha perso la capacità di soffrire.

L’uomo anziano trasse a sé un piccolo Pensatoio.

“Se è tua volontà assecondare questo mio desiderio, mostrami cosa ho fatto nella mia ottusità”.

E non vi fu bisogno di chiedere cosa andasse mostrato.
Severus si alzò, la bacchetta in mano.

E lieve, soave filo argentato dopo filo argentato divise con Albus l’orrore.

Adesso era la neve a cadere lenta, nella sera che diveniva notte.
Nel silenzio della scoperta e del dolore.

Quando Severus si volse nuovamente verso Dumbledore tutto era già finito.

E l’uomo anziano era sincero nella sua pena per la sorte del piccolo Harry.
Aveva lo stesso sguardo umido e sconfitto che aveva indossato negli occhi la notte in cui Lily era morta.

E con voce bassa, quasi emozionata, Severus lo sentì parlare.

“Non ho salvato suo padre né sua madre, non ho salvato lui da quella cicatrice e adesso… questo. Condannato a cinque anni di soprusi e sofferenza – Albus sorrise così tristemente… – E’ ragionevole che mi aspetti il suo odio nei prossimi anni, non è vero, ragazzo mio?”

Severus desiderò diventare quella neve che senza pensieri e senza dolore scendeva verso terra ed in silenzio moriva.
Straziato, annuì.


La quiete li sopraffece.



“La signora Figg verrà rimossa dall’Ordine. Spero che il giovane Harry si rimetta presto dalle sue ferite e dai suoi traumi. Desidererei molto avere quei suggerimenti su chi consideravi adatto alla cura del bambino, se ancora ne hai. Quando vorrai potrai ritenerti sollevato da un gravoso compito che non avrei mai dovuto aggiungere al tuo cuore, Severus”.


Un minuto dopo Snape si congedò.
La mano sulla porta.

Un sospiro lo trattenne.

“Ti ho deluso, ragazzo mio. Posso vederlo chiaramente. E non posso che dolermene profondamente”.

Severus strinse con forza il metallo sotto le sue dita, fino a che le sue nocche impallidirono.

“No, sono io a dolermene, Albus. Ancora una volta non ho esercitato abbastanza controllo sulla mia sciocca inclinazione ad aspettarmi qualcosa di più da chi ha potere. Confidavo sinceramente nel fatto che il Signore Oscuro avesse fatto un lavoro migliore nei miei riguardi”.

Albus sospirò nuovamente.

“Più andrai avanti nella vita, ragazzo mio, più capirai che nessuno è onnipotente, che nessuno possiede la conoscenza completa e che anche coloro che hanno la stima di molti possono inciampare e cadere. Un uomo potente ed un uomo saggio sono comunque uomini”.

Severus strinse le labbra. Due pallide strisce di pelle tesa e ruvida.
Si volse, l’ultima volta.

“Davvero, cosa speravi di ottenere dando una bambola rotta ad un burattinaio senza fili, Albus?”

E senza attendere una risposta se ne andò.





Quella notte, nei suoi quartieri, Severus non prese sonno.
Un bicchiere semivuoto di scotch accompagnò la sua mente nel fluire del silenzio. Il gelo pungeva la sua carne che il fuoco non riusciva a riscaldare.

Harry Potter era un bambino fragile e solo.
La sua piccola mente abusata era un campo di battaglia in cui il dolore e la paura non permettevano ad altro di crescere e germogliare.

Eppure, al tempo stesso, era l’unico mago di cui si avesse ricordo capace di smaterializzare due persone dall’altra parte del mondo alla paradossale età di sei anni.

Dunque estremamente potente.

Severus si era scoperto affascinato dal potere già da molto tempo.
E se a ciò non poteva imputare tutti gli errori della sua vita, sapeva bene che per gli altri doveva parlare di comune sfortuna.

Eppure qualcosa si agitava nella sua anima assieme all’inquietudine.
Bevve un altro sorso.

Il pensiero di un’intera creatura da plasmare.
Le potenzialità che potevano diventare un’arma al suo servizio.
Poteva crescere il bambino e seminare quel campo di battaglia con i semi delle sue idee e delle sue convinzioni.

Costruire il suo più potente e fidato alleato. Assicurare alla sua vita molti decenni in più prima che le trame di Voldemort e di Dumbledore lo conducessero ad una prematura fine.

Già il bambino aveva mostrato fiducia in lui. Ottenerne altra, ed incondizionata, non sarebbe stato affatto difficile.
Denutrito di affetto e di cure, abbandonato e solo.
Una parola gentile, una falsa carezza.

Sarebbe stato più che sufficiente.

Ma in tutto questo la sua parola sarebbe venuta meno, se non per prima la sua ritrovata anima.
Aveva giurato in quella prigione, aveva giurato dopo l’inferno di ricordi di cui era stato testimone.
Aveva promesso protezione.

E tutto quello non lo sarebbe stato.

Cosa doveva realmente fare con il bambino?

In un primo momento, durante la fuga, durante i turbolenti dialoghi con Albus, attraverso la repulsione delle scoperte aveva deciso di tenerlo con sé, di proteggerlo per sempre, ma era davvero pronto a fare questo? Ad avere sulla coscienza, nella mente, un simile, gravoso onere? La sua dedizione avrebbe onorato la sua parola, la sua promessa?

Scosse la testa e si portò una mano alla fronte.
Si bagnò le labbra di liquore.

Non era pronto per tutto quello.
Non era pronto per quel cammino di abnegazione che Lily aveva scelto per sé.
Non era pronto per quel destino di intrighi e potere che Albus spargeva con le sue mani.

Era soltanto un’anima errante che attendeva di finire il suo scopo e la sua vita.
E da solo voleva passare su questa terra.

Sì, la decisione era presa.







Da quella notte trascorsero sette anni.

Harry Potter, adesso, era un giovane ragazzo di appena tredici anni.
Snape lo osservava correre per i corridoi, assieme agli amici che si era trovato nella casa che un tempo era stata quella di suo padre e del suo padrino. Giorno dopo giorno Snape aveva fatto del vegliarlo nell’ombra lo scopo della sua vita, così come aveva promesso sette anni prima, quando aveva scoperto la verità. Tempi ancor più difficili erano quelli che stavano arrivando. Fonti indiscrete parlavano di un imminente ritorno del Signore Oscuro e ben presto, Severus lo sapeva, la guerra sarebbe giunta di nuovo. Per tutti loro, ma soprattutto per Harry. Oh, era ancora Harry nella sua mente. Era ancora il bimbo spaventato che un giorno di molto, moltissimo tempo fa aveva tenuto sulle ginocchia in un umida prigione. Era sempre stato il bambino al quale aveva regalato il suo mantello. Anche se adesso, probabilmente Potter non ricordava molto di quei giorni ormai passati.
Terminate le lezioni di quel giorno Severus si ritirò nei propri quartieri. Non era cambiato molto in quegli anni. Semplicemente la stanza del bambino era diventata di nuovo un ripostiglio da quando Remus Lupin aveva portato via il piccolo per crescerlo assieme a sua sorella e ad alcuni fidati membri dell’Ordine. E nonostante avesse impiegato del tempo a riempire quella stanza ad ogni sguardo, nel corso di tutti quei mesi appariva ancora, come sempre, vuota.

Stancamente sedette sulla sua poltrona verdeargento, consumata negli anni e ripensò a come tutto quello fosse successo, a come lui non avesse fatto niente per impedirlo. Una volta guarito dalle ferite del corpo il bambino, per sua concessione, gli era stato portato via. Lupin, Molly ed Arthur Weasley ne avevano chiesto l’allontanamento da Hogwarts, l’allontanamento da Severus. E lo avevano portato via con loro. E non conoscevano che sommariamente quella che era stata l’infanzia di Harry, non conoscevano che le parole ed i fatti narrati, come se poi il dolore e la crudeltà si potessero descrivere, come se si potessero spiegare a voce, sterilmente, senza la bruciante, reale sofferenza incisa nella pelle dell’anima. E nessuno tranne lui ed Albus avevano visto, nessuno conosceva fino in fondo la verità e neppure Albus nella sua lunga vita poteva vantare di comprendere fino in fondo. Soltanto chi aveva sentito, soltanto chi aveva provato.
Soltanto Severus poteva.
E giorno dopo giorno aveva visto sorrisi diventare pallide smorfie di dolore. Durante le lezioni occhi distanti e preoccupati. Gli stessi occhi spersi, che lo avevano guardato pieni di lacrime fino all’orlo quando Severus aveva letto nella sua mente quel lontano dì di dicembre.
Perché tutti loro non erano mai stati abbastanza per il bambino. Sempre trascinato da una casa all’altra, in cerca di un affetto che gli era arrivato nel corso degli anni frammentato ed indebolito, diviso con altri affetti, diviso nel ricordo e nella speranza, nel rimpianto, lontano dalla quiete e dalla stabilità di cui aveva bisogno, di cui solo Severus sapeva che aveva bisogno ed era troppo tardi ormai, dannatamente troppo tardi.
E di notte rivedeva il viso pieno di rimprovero di Lily che in ogni sogno, in ogni incubo ripeteva nel vuoto le stesse parole, le stesse disperate domande.
‘Perché Severus, perché non hai voluto averne parte? Perché lo hai abbandonato? Qui, dove nessuno riesce a dargli appoggio, dove nessuno è capace di comprendere, di sentire? Dove nessuno è abbastanza per il suo cuore, dove nessuno è una luce a guidare i suoi passi? Dove nessuno avrà mai la sua fiducia? Dove nessuno gli insegnerà la felicità?’
E si svegliava in quelle notti, dopo quei giorni angoscianti e nel silenzio delle sue stanze si prendeva la testa fra le mani e senza un suono gridava contro la falsità di quelle ipotetiche speranze. Gridava contro un’apparizione che si sbagliava, contro parole ingiuste e contro un dolore sordo che meritava per la sua codardia.
E avrebbe voluto strappare via Harry, portarlo con sé e rivederlo seduto accanto al fuoco nelle sue stanze, su quella poltrona verde e argento e crescerlo, ma non poteva. Non poteva. Niente era più come prima e mai lo sarebbe stato di nuovo. Il tempo era ancora più vile e crudele di un Oscuro Signore, nessuna supplica e nessuna minaccia ne invertiva lo scorrere e quello che era stato non poteva essere altro adesso. E la sua occasione con esso si era persa, per sempre.
E come senza respiro si alzò.
Per vegliare su Harry da lontano anche quel giorno, come tutti gli altri giorni, per guardare in silenzio i suoi momenti di sconforto, per vedere le sue paure e per donargli la sua vita quando la guerra sarebbe giunta.
Severus s’incamminò per i corridoi e davanti alla Great Hall lo vide.
Il viso nella sua anima quasi sorrise.
Harry Potter.

Il suo bambino-Potter.





Severus si destò, coprendosi il viso sudato con una mano tremante.
La pallida, grigia luce del mattino illuminava male l’infermeria.
Ed illuminava ancora peggio i suoi occhi quasi febbricitanti.

Il petto doleva al ricordo di quel sogno, così simile alla realtà della scelta che era chiamato a compiere, che stava effettivamente per prendere.

Era stato soltanto un sogno. Un lurido, disumano sogno. Il suo sguardo oscuro si posò sul piccolo Harry…

E adesso, di nuovo, qualsiasi previa certezza era infranta e ancora le visioni nella sua testa naufragavano nel dubbio ed i giorni erano passati, incolti e indecifrabili. Calando uno dopo l’altro ad ovest.

Ma l’ineluttabile domanda rimaneva, stagnando profonda nell’aria che respiravano.


Chi era Harry Potter per Severus Snape?


 

 




Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

 

Note del capitolo: La Skele-Gro è una pozione che permette alle ossa di ricrescere.

 

   

 

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Capitolo 14
*** 14 - The loveless child and the wounded beast ***


The Heart of Everything 14
Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

 

 

 

*Finalmente!!!!! Capitolo 14, direi!
Un paio di annunci pubblici.
Primo fra tutti questo importantissimo capitolo di svolta è il capitolo che da giorni sogno di scrivere, diciamo il più forte stimolo per la stesura di questa fic e lo voglio dedicare, oltre che a tutti coloro che hanno letto, a bombottosa per il suo appoggio, il suo aiuto e per lo splendido banner e la fanlisting (che vi invito a vedere nel forum di EFP alla voce Pubblicizzate una fanfiction o a questi indirizzi: Banner: http://s2.supload.com/free/melkaine.jpg/view/ Fanlisting: http://tomkat.netsons.org/thoe/ )
Secondo, dato che ho notato che è stata fatta un po’ di confusione (almeno questo ho evinto da alcuni commenti) mi sento in dovere di specificare che questa storia non è stata tradotta dall’inglese, ma è una mia creazione e che quello dei sette anni dopo era un sogno, che per ora non si è realizzato, quindi Remus non ha cresciuto proprio nessuno. E meno male, direi, dopo tutta la fatica di Sev!!!
Non mi uccidete, sono stata un po’ cattivella alla fine...

Buona lettura!!!!

 

 

Finalmente i ringraziamenti degli ultimi 3 capitoli. Tanto in qualcosa devo essere sempre in perenne ritardo no?

cesarina89: Grazie cara! Il tuo entusiasmo mi contagia. Piccola nota: mi sono stati riferiti problemi di visualizzazione, se puoi, magari non scrivere ad es. bellissimo con troppe ‛o’, perché cambia la struttura della pagina e rende difficile scorrere avanti. Grazie mille.

gokychan: Benvenuta anche tu nel fanclub -Torturiamo i Dursley fino alla morte (loro, ovviamente) - se vuoi, mentre aspetti affilare il coltelli come Aki-chan uh uh uh. Farò in modo da lasciarti qualche tocchetto di Vernon da bruciare. *.*

dario: Grazie. In effetti il momento della finestra è stato bello da scrivere e pensare che non era nemmeno in programma! Stavo scrivendo il capitolo ed improvvisamente mi ritrovo Sev ed Harry al secondo piano e non so nemmeno come... il problema è che sarei io a scrivere  - . -

bufyna: Vabbene, Remus è tuo. Trattalo bene che dopo mi serve, ok?

pikkola prongs: Eh eh, sono riuscita a far odiare Remus. Incredibile. Ma non temere, forse avrà anche lui un momento di gloria prima di scomparire. Eh no, col cavolo che Remus mi rovina il rapporto dei due! Ci ho messo 14 capitoli!!!

bombottosa: Ribadisco veementemente insieme a hocuspocus che le ascelle di Severus non puzzano affatto. E se ti chiedi il perché la risposta è che (hanno di meglio da fare... ops, questo mi ricorda qualcosa...) ... dicevo la risposta è che la storia è mia e nelle mie storie le ascelle di Snape non puzzano MAI! Misera la pseudo-apparizione di Aberforth, ma almeno a qualcosa è servito anche lui uh uh uh! Bomby non rivelare il mio nome alle masse!!! Potrebbero sempre venirmi a cercare se per caso decidessi entro martedì prossimo di darmi alla macchia e concludere la fic con un ‛caddero delle rocce e morirono tutti’.  Adoro le recensioni lunghe. Certo. Ricorda sempre che quando non so che accidenti far dire a Dumbledore la cosa migliore è fargli offrire del tè o delle Lemon Drops!! Sì, infatti è una delle parole che ho imparato dalla mitica 30rossi!! E significa impoverito! Mitica donna! Mitico Sahid! E mitico Locke!!!!!!

antote/akichan: Oddio, grazie. Ti sei registrata per commentare. E’ un gesto bellissimo!! *.* Mh, Sev ancora non ha lanciato maledizioni, ma c’è sempre tempo. Tranquilla, anche a te lascerò un pezzo di Dursley da distruggere a piacimento. Per quanto riguarda il dormire nel baule, ovviamente le cose si sistemeranno. Per quanto riguarda una delle altre richieste guarda in fondo al chap *___* Povero Remy, avrà anche lui i suoi meriti dicevo sopra... però non posso dirti niente, prometto che sarà più bello scoprirlo!!

Ron von Bokky: Oddio, sai che il nick che hai scelto mi incuriosisce?? Posso chiederti come lo hai deciso? Oh, suvvia Remus, come dicevo sopra, avrà un suo momento di gloria, o almeno una sua piccola utilità... No, non morire!! Come faccio senza le tue recensioni!! Ovviamente non poteva finire così, la fic sarà ancora piena di Sev e di Harry...

LagoAiram: Come te anch’io adoro il pg di Snape e scrivere di lui mi piace molto, anche se non è semplice. Il rischio è sempre quello di finire OOC, speriamo bene.

Kary91: Sospetto sia tu la nuova iscritta alla fanlisting della mia storia... se sì, GRAZIE MILLE!!!! Certo che ti presto Harry, ma me lo devi riportare entro martedì, così posso ancora scrivere di lui... e di Sev, naturalmente! Mitico Dumbly!!

Tigre94: In effetti non ho spiegato un granché, grazie per la dritta, aggiungerò un accenno, probabilmente. Oddio, Minerva che va ad uccidere qualcuno non ce la vedo tanto, però potrebbe essere un’idea ^__^. Sì, sono riuscita a tornare alla vecchia tempistica, meno male!! Mh, a me Remus sta simpatico, vediamo se più avanti riesco a farti cambiare idea su di lui XD Se la Prof. minaccia di ucciderti tu mandale Hagrid, te lo presto io!!!

nihal93: Sì, in effetti dovrei scrivere capitoli un po’ più lunghi, ma il tempo è quello che è ^_ = Mitico Dumbly, no, bastardo fino in fondo non sono riuscita a farlo!!! Grazie per i complimenti!!

Vale Lovegood: Ciao! In questo capitolo svelo se Sev terrà il bambino o meno. Grazie per le idee, cmq non cercavo proprio suggerimenti, ovviamente ho già un’idea di come deve andare la storia, volevo sapere se qualcuno voleva qualcosa in particolare che potevo inserire, perché anch’io leggo ff di altre autrici e spesso mi sarebbe piaciuto vedere una scena in un certo modo, quindi mi piace offrire a tutti questa possibilità quando l’autrice sono io ^__^ tutto qui. Cmq, ripeto, ottime idee, alcune delle quali (confesso) erano già in programma, ma non dico quali XD
Sono andata a vedere il sommario della tua storia, ma ancora non ho avuto il tempo di leggerla, prometto che lo farò al più presto, ma penso non ci siano grossi problemi, poi vediamo, ok? Uh uh uh non volevo uccidere nessuno con quella storia dei sette anni dopo, ma a quanto pare ho fatto strage XDDD

iaco: Grazie di cuore. Se vuoi puoi sempre iscriverti alla fanlisting della mia storia... Oddio, spero non piangerai troppo per questo chap, allora, mi sto preoccupando...

Nezu: Oh, oh, Remus ha colpito proprio tutti. Ma quando verrà il momento anche lui avrà il suo ruolo, non è finita qui, te lo assicuro. Sì, ovvio che Albus abbia un po’ di colpa, è un deficiente!! Anche mia madre non è esattamente dolce come Poppy ç__ç Davvero? Hai letto Vision? Oh, questo mi rende molto felice, mi è piaciuto moltissimo scrivere quella fic e sono contenta ti sia piaciuta!! In effetti con la storia dei sette anni dopo ho fregato un bel po’ di gente, anche la ragazza che mi ha fatto il banner e che sa il resto della storia... uh uh uh. Grazie per i complimenti sul banner, se ti va iscriviti alla fanlist ^__^

Mikayla: Grazie mille per il tuo commento sulla mia fic, sono felice e spero vivamente di riuscire a mantenere le aspettative, anche perché quando si tratta di Severus Snape non si è mai al sicuro dall’OOC. ^__^  Penso proprio tu abbia ragione sulla questione AU e What if... ma pubblicando su siti diversi e con regolamenti diversi ho lasciato qualche avvertimento in più, come dicono gli inglesi: Better safe than sorry... anche se effettivamente non era poi necessario, grazie per la nota che dimostra l’attenzione con la quale hai seguito la fic...

Chiara Potter: Oh sì. Anch’io.

briciola88: Oddio, ancora è presto per parlare di custodia... ma ho in mente una cosuccia o due uh uh uh! Per quanto riguarda Albus non sono riuscita fino in fondo a renderlo una carogna, sono troppo buona... Non posso dire molto riguardo a Remus, ma ci saranno dei risvolti inattesi... grazie per esserti fermata a lasciare le recensioni, lo apprezzo moltissimo

lucy6: In effetti Poppy è un nome piuttosto buffo e adesso ogni volta che lo scrivo penso a te che ci ridi sopra! XD

Mimica: Grazie per la concessione (fiuuuu, un altro giorno di vita). Beh, sì, potresti suggermi qualcosina, anche perché arrivati a questo punto ho fomentato un odio di massa e mi sa che le punizioni che pensavo io sarebbero troppo leggere per placare la vostra sete di vendetta, quindi in tuo onore istituirò l’associazione ‛Falciamo allegramente i Dursley tutti insieme appassionatamente’ - Sottoponetemi le vostre fantastiche idee di omicidio!! Che ne dici? XD

hocuspocus: Oh, meno male qualcuno che difende la virtù delle perfette ascelle di Sev! Ammetto con piacere che la tua vince come recensione più lunga e non mi stancherò mai di ripetere quanto mi diverta leggerle ( la linea Wizard Aftershave è un’invenzione splendida). Altra splendida invenzione è la frase - in qualche modo vive quell’attimo di stordimento tipicamente maschile correlato alla consapevolezza della paternità - XDDDDD Ovviamente l’accettazione sarà tortuosa, altrimenti non sarebbe divertente, nevvero? Innamoramento!! Oddio, mi piace davvero tanto questo modo di definirlo! A proposito grazie per la dritta temporale ho già corretto qui su EFP gli errori negli altri capitoli!! Thanks!

sparta: Ciao! In effetti la tua curiosità è più che giustificata. Però Severus non ha potuto ovviamente vedere tutto. Primo perché non ha avuto il tempo di sondare completamente la mente del bambino. Infatti non ha visto nemmeno quello che il bambino ha provato mentre era nei suoi quartieri quindi l’atto di violenza sessuale poteva essergli sfuggito e secondo, dato che Harry è piccolo e probabilmente non conosce niente del sesso e delle sue possibili aberrazioni, per lui un possibile episodio di violenza sessuale poteva non essere stato così importante da finire in prima fila con gli altri ricordi. Diciamo che Sev aveva un disperato bisogno di essere certo e questo, per me, la dice lunga su quanto tenga già al bambino... ( e poi confesso, volevo ribadire ancora una volta che Harry non aveva subito tali violenze, sai, caso mai qualcuno avesse avuto ancora un dubbio...)

clarissa parker: Verissimo, spero davvero che qualcosa nel nostro mondo prima o poi cambi in meglio, anche se sembra una speranza vana. XDDDD anch’io alle volte scrivo Sevreus quando dovrei scrivere Severus!!!!

rotavirus: Grazie! Eh, anch’io non avrei potuto sopportarli gli abusi quindi tranquilla... oh, certo Sev è sempre giusto XD se vuoi puoi iscriverti al comitato ‛Falciamo allegramente i Dursley tutti insieme appassionatamente’ e sottopormi i metodi di tortura che utilizzeresti XDD Eh eh, davvero i sette anni dopo hanno mietuto vittime, chiedo perdono. Grazie del complimento, ma come dice mia madre per ora sono solo la maga del disordine in camera e nulla più XDDD

Kaled: Grazie mille per le tue parole. Sono molto felice di essere riuscita a dare spessore ai pensieri di Sev, cosa non facile, visto il soggetto!!

Chiara Lily Potter: Ecco il prossimo chap. Buona lettura e grazie per aver lasciato un commento!

irelaw: Grazie. In effetti sto cercando un po’ di allungare i tempi per non rendere i pg OOC, sì, anche a me piace molto quel pezzo fra Albus e Severus.

stellabrilla: Camilla, grazie a te per aver letto la mia storia, che spero seguirai fino alla fine, e per aver lasciato la tua opinione. Grazie di cuore.

Chrystal_93: Sì, vero. Harry ha sofferto molto, ma avrà la sua dose di felicità. Il mitico Sev è impossibile da non amare, no???

WingsHP: Grazie mille per quello che hai scritto nella tua recensione. Grazie di cuore. Ti prometto che Sev diventerà ancora più mitico!

ferao: Grazie per la recensione! Adoro moltissimo i nomi inglesi e quindi mi piace molto usarli! Attenzione, quello di sette anni dopo è un sogno, Harry non viene allevato da Remus!!!

Lexie89: No, anche tu! Non morire, pleaseeee! Non lo faccio più!!! Per rispondere alla tua domanda, guarda alla fine del chap!!! *__*

MORFEa: Grazie mille per aver recensito e per i complimenti che mi fai, doppi complimenti direi, visto che l’autrice sono io. Non è una storia tradotta, è mia, anche se l’idea mi è venuta leggendo alcune ff inglesi...

hermy88: Sì, splendida e tristissima, di uno dei due album che preferisco. Oh no, certo che non è finita!! ^__=

LadySnape: Tranquilla, anch’io spesso sparisco!! Grazie mille per aver letto e dedicato un secondo per la recensione!! ^__^

 

Sperando di non aver scordato nessuno... grazie a tutti! Inchino ( _  _ )

 

 

 

 

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 

 

14 - / The loveless child and the wounded beast /



 



Il nono giorno dall’alba della loro fuga il piccolo Harry si svegliò.
Confusamente si guardò attorno.
I suoi occhi si riempirono di spavento, mentre sulle labbra aveva già pronte infinite scuse.


Il sonno leggero di Severus venne improvvisamente disturbato da tante, basse parole che si conficcavano nella sue orecchie.
Il collo doleva, ma di quello conosceva la ragione.
Erano giorni che dormiva in una sedia imbottita a fianco al letto di Potter…

Potter.

Sì.
La voce più incerta e supplichevole era senz’altro quella del bambino-Potter.
L’altra apparteneva ad una donna.

Supplichevole?

Lo sembrava davvero… ma perché?
Non ci sarebbe dovuta essere ragione di supplicare…

Improvvisamente allarmato il giovane uomo aprì gli occhi, raddrizzandosi sulla poltrona su cui si era addormentato

La scena che gli si presentò davanti poteva avere del surreale se non fosse stata così… sofferta.

Il bambino-Potter sedeva a terra, accanto al letto, stringendo forte le coperte e scusandosi all’infinito per qualcosa che Snape ancora non aveva capito.
Pareva assolutamente inconsolabile e in nessun modo Madam Pomfrey riusciva a calmarlo.

“Che succede? Il bambino sta male?” chiese subito il maestro di Pozioni

Poppy scosse la testa.

“Severus ti prego, cerca di farlo ragionare”.

“Mi dispiace, signora, mi dispiace, non lo farò più, signora, mi dispiace” ripeteva incessantemente il bimbo.

Di nuovo la donna scosse la testa.
“Si è svegliato e quando mi sono avvicinata per chiedergli come si sentiva, ha cominciato a scusarsi e si è praticamente gettato giù dal letto. Continua a ripetere le stesse parole da minuti interi ormai. Non so cosa fare, non dovrebbe stare per terra, sul pavimento freddo, è appena guarito”.

La donna si portò le mani ai fianchi e questo bastò a far rintanare il bambino fin quasi sotto il letto.

Severus si alzò.

“Potter, di grazia, posso sapere cosa stai facendo in terra?”

Gli occhi verdi si sollevarono un istante. Un momento di calma apparente restituì il silenzio prima che il bambino riprendesse a scusarsi.

“Mi scusi, signore. Mi dispiace tanto. Non sapevo, non sono stato io…”

“Potter, ascoltami”.

La voce di Severus riportò il silenzio.
L’uomo quasi sospirò.

“Dimmi, Potter, di cosa ti dispiace?”

Le lacrime sul fondo di quegli occhi verdi rischiavano di tracimare ad ogni attimo.

Il bambino guardò in alto, poi di nuovo a terra. Strinse più forte la coperta.

“Il letto, signore. Mi dispiace. Mi dispiace”.

Severus non comprendeva.
Guardò il letto. Pareva perfettamente uguale a com’era sempre stato. Bianco, immacolato, pulito.
Non capiva.

“Il letto cosa, Potter?”

Snape detestava tirargli fuori ogni singola parola.
Ancora una volta il bambino sembrava sul punto di piangere.
Ma non lo fece.

“Mi dispiace, non ci sono salito io, signore. Non ho fatto niente, per favore, per favore”.

Severus socchiuse minacciosamente gli occhi.
Iniziava a capire…

Quei maledetti, patetici Muggle…possibile fossero arrivati fino al punto d’impedirgli di usare un letto?
Oh, questo davvero non avrebbe dovuto sorprenderlo data l’estensione degli abusi sul bambino…

Severus si sentì avvampare d’ira.
Molto presto, giurò, sarebbe arrivato il tempo di andare a far loro visita ed allora Snape avrebbe goduto di ogni istante mentre portava su di loro la distruzione.

Ma la sua priorità, adesso, era con il bambino-Potter.

Si avvicinò molto lentamente e parlò piano, con calma, riuscendo a dominare la propria furia.
Sapeva che qualsiasi movimento troppo veloce lo avrebbe spaventato ancora di più.
“Potter, ti assicuro che stare sul letto ti è permesso, quindi alzati e torna sotto le coperte”.

Harry guardò intensamente il signore-Sevreus.
Il signore-Sevreus aveva detto che Harry poteva.
Quindi Harry si alzò piano.
La donna lì vicino sorrideva incoraggiante.
Harry tornò a letto e l’uomo-Sevreus annuì.


Mentre il bambino-Potter mangiava il pasto che Madam Pomfrey aveva ordinato per lui dagli elfi, Severus resisté stoicamente al desiderio di affondare il volto nelle proprie mani.
Forse la decisione di Albus di ritrattare l’affidamento del figlio dei Potter non era stata malvagia.

Il bambino aveva bisogni particolari, non era un semplice bambino, era un bambino abusato, con la mentalità di un bambino abusato, trattato come feccia da quando aveva memoria.

Come poteva Severus fare fronte a tutto quello da solo?
Eppure anche prima, l’aveva sfiorato l’insopprimibile desiderio di sollevarlo lui stesso e metterlo sotto le coperte…

Santo Merlino… se ci pensava… proprio lui che un paio di settimane prima sarebbe stato disposto a consegnarlo a chiunque, persino a Lucius Malfoy, pur di non doverlo allevare…

No.

No.

Finalmente questa volta anche Albus concordava.
Questo compito era troppo gravoso.

Probabilmente anche il bambino sarebbe stato meglio con altri e quel dannato sogno non contava niente.

Esatto. Potter sarebbe rimasto Potter.
E sarebbe rimasto lontano da lui.


Qualche ora dopo Madam Pomfrey passò la bacchetta vicino al corpo del bambino.
Annuì, quasi compiaciuta.
Ma Severus non aveva occhi che per l’espressione terrorizzata del bimbo.
Potter ancora non riusciva a sviluppare nessun senso di fiducia negli altri e difficilmente Snape si sentiva in diritto di criticarlo per questo.
Il respiro del piccolo si faceva sempre più superficiale e veloce.
Snape si alzò dalla sedia accanto al letto e si sedette sulla sponda, come la prima volta.

“Potter, Madam Pomfrey ha quasi finito. Non c’è motivo di agitarsi”.

Il bambino lo guardò in silenzio e senza spostare lo sguardo afferrò un lembo del mantello nero da cui ancora non si era separato.
Un attimo dopo la donna li lasciò.

Snape si alzò per permettere al figlio di Lily di tornare sotto le coperte.

Il tempo era migliorato.
Severus pensò che non ci fosse motivo di tenere troppo al caldo il bimbo.
Fece per togliergli il mantello nero quando la piccola voce lo fermò.

“N-no”.

Severus alzò gli occhi, sorpreso.

Il bambino fece per ritrarsi.
“Mi dispiace, mi dispiace, signore, non lo dirò più. Mi dispiace”.

Severus sospirò.

“Il mantello è tuo, Potter. Puoi tenerlo quando vuoi”.

Il bambino, senza una parola, strinse forte a sé la stoffa nera.

Severus si allontanò.
Chissà perché poi quello straccio era così importante…

Nel silenzio dell’infermeria vuota Harry sussurrò un grazie che andò perduto.




La Great Hall pareva quasi deserta e Snape, senza dubbio, la preferiva così, piuttosto che piena di pessimi e pedissequi studenti.
Albus lo salutò, sollevando il calice.

“Oh, mio caro ragazzo, che piacere vederti qui con noi, oggi…”

Il ‘caro ragazzo’ ricambiò con un cenno del capo e sedette senza una parola.
Minerva dall’altra parte del tavolo gli sorrise, accondiscendente.
Snape mangiò in perfetto silenzio.

Non era ancora pronto a perdonare ad Albus le sue colpe, come non era pronto a perdonarsi le proprie.
Lasciava ogni cosa nelle mani del tempo.

Poco prima che il giovane maestro potesse avere l’occasione di congedarsi Albus gli domandò se poteva cortesemente essere accompagnato fino al suo ufficio.

Nel primo pomeriggio il sole aveva fatto breccia fra le nuvole poco distanti dall’orizzonte, ma i suoi raggi, ancora, erano troppo deboli per riscaldare la terra congelata.
Il ritmico suono dei loro passi venne interrotto a metà corridoio.
Come se stesse disquisendo delle previsioni per il prossimo anno, Albus parlò:

“Non ho trovato, nel Pensatoio che mi hai portato, ricordi che potessero aiutarmi a capire i veri motivi dietro al tuo rapimento, ragazzo mio. Dalle parole del signor Sorier ho evinto che il piano, di per sé semplice, era quello di venderti ad un gruppo di Death Eater ancora più che fedeli alla causa che, ovviamente, avrebbero tratto molto conforto dalla tua morte. Le mie fonti mi hanno confermato che ve ne sono ancora molti in libertà…”

Severus sbuffò.

“Di cosa? Di Death Eater o di gente che trarrebbe conforto dalla mia morte?”

Albus lo ignorò.

“Non sappiamo ancora chi c’è dietro a tutto questo, ma raccomando prudenza. Ho rinforzato le barriere di Hogwarts, i limiti della Foresta Proibita sono più sicuri adesso e anche a Spinner’s End non dovresti incorrere in gravi difficoltà. Di nuovo ti invito alla prudenza qui nel mondo magico, mio caro ragazzo”.

Snape annuì, poi ricordandosi che Dumbledore non poteva vederlo, rispose a voce di sì.

Arrivati alla statua del gargoyle il vecchio Preside si volse.

“Ah, dimenticavo ragazzo mio, entro il mese il nostro giovane Harry avrà un nuovo affidatario, per cui non preoccuparti di niente”.

Detto questo si congedò velocemente, fischiettando.

Il giovane uomo, dal canto suo, scivolò via, lento come la sua ombra.




Quella sera Severus leggeva un libro sulla poltrona accanto al letto del bambino.
Potter dormiva da almeno un paio di ore.

Passi leggeri ed un fruscio delicato.

Madam Pomfrey si sedette lentamente ai piedi di un letto vuoto ed immacolato.
I suoi occhi erano seri.

“Severus… pensavo, domani, di dimettere il piccolo Harry…”

Il giovane uomo sospirò.

“Non ho ragione di tenerlo qui ulteriormente. Non ha bisogno di un letto di ospedale” continuò lei.

“Perché stai informando me di questo?”

Adesso fu Poppy a sospirare.

“Albus mi ha informata della situazione. So che sei stato sollevato dal tuo incarico di tutore, ma speravo di poter lasciare il bambino con te per il momento. Almeno fin quando non sarà stata trovata una sistemazione più adatta. Affidarlo per qualche giorno ad un’altra persona per poi spostarlo di nuovo, come un pacco, sarebbe soltanto un’ulteriore causa di stress”.

“Capisco” la voce dell’uomo era piatta e atona, nella sua mente si era fatto vivo il ricordo del sogno. Il piccolo Harry scaricato da una famiglia all’altra, praticamente solo, quindi.

“Comprendo che non sia una situazione ideale, ma almeno ti conosce già Severus ed in qualche modo ti ascolta, questa mattina ne è stato un esempio. Soltanto per pochi giorni, fintantoché non verrà trovata una brava famiglia di maghi o qualche membro dell’Ordine disposto a prendersene cura”.

Snape annuì.

La donna gli sorrise. Evidentemente lo aveva preso per un sì.

Passò un altro minuto di silenzio poi lei raccolse in grembo le mani, come sempre faceva quando si preparava a spiegare ai profani argomenti di pratica medica.

“Visto che ti occuperai del bimbo per qualche tempo desideravo discutere con te la terapia che gli ho prescritto. Se vuoi seguirmi nel mio ufficio…”

Madam Pomfrey si alzò e Severus la accompagnò fino alla porta di una piccola stanza laterale.

“Per cominciare pensavo ad una delle tue migliori pozioni ricostituenti. Una volta al giorno, la mattina. Il bambino deve mangiare poco e spesso. Almeno sei piccoli pasti al giorno. Soprattutto frutta, verdura e proteine. L’infezione allo stomaco è regredita perfettamente, ma questo non significa che sia pronto per pasti elaborati o troppo abbondanti. Non lasciare che prenda troppo freddo, siamo ancora in inverno. E portalo fuori. Al sole, all’aria aperta. La sera un quarto di fiala di Skele-Gro ed una tazza di latte caldo. Alla fine della prima settimana di cura faremo un controllo”.

Mentre parlava la donna aveva preparato una piccola borsa con tutto il necessario.
L’uomo la prese e annuì.

“In seguito saprò dare maggiori indicazioni a chiunque venga scelto per allevarlo”.

“Molto bene”.

Si guardarono in silenzio mentre Severus usciva dalla stanza e tornava alla sua poltrona accanto al letto del bambino.


Quella sera stessa, mentre Madam Pomfrey si ritirava, Severus parlò:

“Sei sicura della tua decisione, Poppy?”

La donna sorrise, girando la testa verso di lui.

“Sì, sono certa che farai un ottimo lavoro, Severus”.

E con un grazioso cenno della testa si accomiatò.

Nel buio Snape rimase a pensare. A tutto e nulla insieme. Lo sguardo perso nel vuoto.




Harry si svegliò presto.
Si sedette nel letto in cui l’uomo-Sevreus aveva detto che doveva stare e provò a ricordare un altro momento della sua vita in cui si era sentito così bene.

Il braccio non faceva più male e nemmeno la pancia.
Si sentiva come se avesse dormito tanti tanti anni senza svegliarsi mai ed il letto era caldo e lui ci poteva stare. Lo aveva detto il signore-Sevreus!

Volse la testa e scrutò l’uomo-Sevreus al suo fianco, addormentato su di una poltrona nera a fianco del letto.
Il suo uomo-Sevreus non lo aveva mai lasciato solo. Tutte le volte che Harry si era svegliato lo aveva trovato sempre lì accanto.
Harry sorrise.
Stare vicino al signore Sevreus, allora, era il motivo che lo faceva stare così bene.
Il piccolo ricordava molto bene come era prima.
Com’era a casa Dursley.
Involontariamente rabbrividì e scosse la testa.
Senza pensarci strinse fra le dita il mantello nero che riposava sopra la coperta e se lo portò al viso.
Non precisamente, ma ricordava l’odore dell’uomo.
E risentirlo su quel vestito nero lo faceva sempre stare meglio quando aveva paura o quando stava male.
Oh, quanto avrebbe voluto stare di nuovo in braccio al suo uomo-Sevreus.
Ancora al caldo, vicino a lui.

Lo guardò.
Lo guardò intensamente e l’uomo-Sevreus si svegliò.



“H-Harry?”

Severus sbatté le palpebre una volta e si ricompose.

Il bambino sorrideva.
Quasi senza volerlo Severus si trovò ad un passo dal fare lo stesso.


L’infermeria era vuota.


I suoi occhi verdi, così… fiduciosi? Ne aveva avvertito lo sguardo e si era destato, prima.

Severus si alzò.
Prima che ogni decisione crollasse, senza che egli ancora sapesse come sentirsene al riguardo.
Avvolse il bimbo nel suo inseparabile mantello nero, come quella notte molti giorni prima, e lo guardò.


“Vieni con me. E’ ora di andare”.




Camminarono insieme per i corridoi scuri.
Come la prima volta che era stato lì, pensò Harry.
Come la prima volta, che sembrava tanto lontana e vicina insieme.


Harry ricordò tante cose quando di nuovo entrò nella sala con il camino.
Il tappeto e quel pezzo di stoffa verde al muro.
Erano familiari.

Sentì uno strano senso di… conosciuto.
Come quando sapeva cosa fare e ad Harry piaceva sapere come fare le cose.
Lo faceva sentire… sicuro.


Insieme entrarono nella stanza del bambino.
Il freddo pungente colpì i sensi di Severus.

“Potter, prendi i tuoi vestiti e vai a metterteli vicino al camino nel salotto, poi torna qui”.

Il bambino ubbidì.
E quando tornò trovò un fuoco caldo in un camino tutto nuovo. Nella sua stanza.

Oh, Harry non aveva mai avuto un camino tutto suo.
Era così bello, così rosso e arancione e caldo.

“Grazie, signore. Grazie”.

Severus annuì e fece per andarsene.

“Voglio trovarti a letto, quando ritorno. In quel letto e da nessun’altra parte”.


Ed il bambino sorrise, di pura contentezza.


Severus si sentì come se il vuoto al suo interno si stesse riempiendo dall’evidente gioia del bimbo.
Ed era così strano, per una volta, esserne l’artefice.
Così strano…




Passarono due soli giorni.
Due giorni… straniti, se così si poteva dire.

Severus non parlò molto. Divise i pasti che poteva dividere con il bambino-Potter ed incaricò un elfo per gli altri.
Avevano in fretta trovato una routine per la terapia di pozioni del bimbo.
La mattina e la sera Potter veniva a cercarlo, così come Severus gli aveva detto di fare.

Non c’erano più argomenti da affrontare, non più i problemi che Severus si era ripromesso di discutere e risolvere insieme.
Niente più da migliorare perché quel compito, presto, sarebbe stato di qualcun altro.

Il bambino era di nuovo con lui adesso e Merlino solo sapeva quanto poco ci sarebbe rimasto, forse solo giorni, forse settimane addirittura tutto il mese di cui Dumbledore aveva parlato, ma presto sarebbe comunque andato via, Albus anche questa volta sembrava sicuro della sua decisione.

Quindi perché preoccuparsi?

Nessuno più richiedeva niente da lui.



Danzavano una danza dolceamara lui ed il bambino.

Il loro tempo insieme, inesorabilmente, stava scadendo.
Ed ogni istante accanto pareva prezioso e senza valore allo stesso momento.





Una sera di quelle, una sera come tante. Il liquore dolcemente bagnava i bordi interni di vetro. La fiamma lenta del camino ne spezzava in migliaia di pagliuzze ocra e magenta la dorata corposità.
Dolce sulle sue labbra, amaro sulla sua lingua.
Come una decisione non presa che si trascina nei giorni, di cui ogni possibile soluzione accarezzata con la mente appare improponibile o semplicemente troppo dolorosa.

E dannazione, quel maledetto sogno non lo lasciava in pace. Rimaneva aggrappato alla sua coscienza e lo torturava con i suoi significati nascosti. Tutto ciò lo disturbava immensamente nella quiete della notte.

Perché non poteva dimenticasene?

Perché non poteva trattarlo come tutti gli altri sogni e scordarsi di esso?
Perché proprio quel sogno aveva deciso di farsi ricordare, di sopravvivere la notte e rimanere indelebile alla fine del mattino?

Perché quel sogno portava la rovina nella sua anima?

Eppure ne conosceva l’inganno.
Era soltanto uno sciocco, inutile sogno. Una fantasia partorita dalla sua mente stanca.
Remus Lupin non aveva nemmeno una sorella, ringraziando il cielo…

Non era stato come usare la Legilimens. Non erano cose del passato.
Era un possibile futuro. Un incerto, possibile futuro.

E questo, improvvisamente, lo colpì.

L’impotenza nell’assistere agli abusi sul bambino lo avevano riempito di rabbia, ma niente aveva potuto.
Erano già compiuti ormai.
Ma il futuro era ancora una porta aperta per lui, per il bambino. Per loro.

Per questo forse, non riusciva a dimenticarlo?
A farsene una ragione?

Perché la realtà era che su quell’incerto, possibile futuro egli poteva ancora fare qualcosa.
Tutto era nelle sue mani.




Le sue dita rigiravano il bicchiere con ritmo costante e piacevole.

Oh, Dio. Nella sera limpida e fredda una danza di pensieri notturni si riversava in lui, come se improvvisamente egli fosse divenuto il Pensatoio di se stesso.

Un bisogno ben nascosto di accettazione muoveva la sua anima verso false speranze o verso irrealizzate verità?
La libertà delle proprie scelte, adesso, era come un respiro troppo a lungo trattenuto che rischiava di soffocarlo.


Eppure temeva. In tutto quello temeva, di svegliarsi un giorno e di scoprire che niente era cambiato. Che nemmeno lui era stato abbastanza per quel bambino senza felicità. Che nemmeno lui si era salvato salvandolo.

Ed in completa, sorprendente contraddizione temeva anche di svegliarsi un giorno e di scoprire che tutto era cambiato. Che l’obiettivo era stato raggiunto, ma senza il suo merito. Temeva di doversi svegliare consapevole del suo fallimento e della sua immeritata fortuna. Temeva davvero di svegliarsi al suono della sua stessa voce che lo rimproverava ‘Non sei stato tu Severus, è stato il tempo, non è affatto merito tuo’.

Le sue mani trascinavano il dolore di stanchi anni di sangue da quelli che sembravano lugubri, lunghi secoli.
L’eco di sofferenze vergognose, senza valore, inseguivano e ammantavano il suo presente.

Come poteva essere un modello di vita per qualcuno? Come poteva esserlo per la creatura più importante del mondo magico? Come poteva esserlo?

Non era altro che un vaso modellato male fin dall’inizio e poi incrinato, infranto, riparato, infranto di nuovo e ricomposto senza troppa cura.

Fragile e solo e lieto di esserlo.
Per se stesso e per gli altri.

Nessuno poteva avere alcuna fiducia in lui, nessuno sano di mente lo avrebbe scelto fra tanti.
Chi avrebbe messo da parte buoni sorrisi e affetto per ricevere invece sarcasmo ed amarezza?

Già da tempo aveva fallito, senza nemmeno veramente provare.
Eppure tanto bastava.

E ricordava le parole di Albus.
Le parole di quel giorno.
Il giorno in cui aveva incontrato il bambino.

‘Harry, voglio presentarti una persona, una persona speciale […] puoi star certo che avrà ottima cura di te e delle tue necessità…’

Ed aveva mentito.
Non era stato vero.
Non si era affatto preso cura di lui.
Non aveva saputo farlo.

Lo aveva affamato, ignorato, messo in pericolo e adesso voleva allontanarlo.
Ed era meglio così.
Forse lo avrebbe veramente salvato in quel modo.


Oh, Dio. Perché doveva essere così difficile?
Perché non riusciva a mostrarsi distaccato come in ogni altra singola cosa?

Perché non riusciva a lasciarlo andare.

Si coprì il viso con le mani e chiuse gli occhi.


Doveva lasciarlo andare, doveva allontanarlo e fargli avere la protezione e l’amore che meritava, la cura e l’affetto che gli erano stati strappati. Perché, Severus lo giurò, il figlio di Lily non sarebbe divenuto come lui.

Solo ed infelice.
Solo e tormentato dal passato, dal presente e da ogni aspettativa del futuro.

No, il figlio dell’unica donna che aveva amato non avrebbe mai avuto quel destino.
Non sarebbe divenuto un reietto.

Non sarebbe divenuto come Severus Snape.

E quindi doveva lasciarlo andare.
Perderlo.

Accompagnarlo verso un altro cammino, con un’altra persona.
Caritatevole, compassionevole, adatta.
Qualcuno che potesse davvero insegnargli il bene e l’affetto e la tenera cura.

Qualcuno che gli potesse parlare della felicità.


Ed egli, fra tutti, era proprio colui che non poteva, perché mai ne aveva conosciuta per sé e mai avrebbe saputo spiegare forme mai viste.



Insieme non avrebbero avuto alcun futuro.
Alcun sogno si sarebbe realizzato con il loro tempo condiviso.


Perché egli, semplicemente, non era adatto.


Perché egli non conosceva né cura né compassione.


Perché Harry Potter era un piccolo bambino senza amore e Severus Snape non era altro che una bestia ferita, arrabbiata con se stessa e con il mondo intero.



Eppure neanche la notte la voce di Lily, il suo dolce ricordo di luce, lo lasciava. Risentiva le parole di quel sogno. Ed il suo istinto gridava di seguire quegli occhi verdi e compiere un dovere che sembrava appartenergli.
Quella era dunque la strada?
L’unica benedizione della sua vita, giunta per purificare i suoi peccati ed offrirgli una concreta speranza di redenzione?

Già una volta aveva giurato.
Aveva ancora tale rispetto di sé da sapere che la seconda avrebbe mantenuto la parola data a costo della sua vita e a discapito del mondo intero.

Quindi, perduta in un paese di dubbi la sua coscienza vagava, richiamata dal dovere, ancora non sapeva scegliere il proprio cammino o meglio chi dovesse accompagnarlo in quel cammino, se qualcuno dovesse essere al suo fianco.
Era quello il premio promesso dopo l’abnegazione?
La salvezza che andava cercando?
L’assoluzione?


Aveva davvero così unicamente bisognoso solo e soltanto di Harry Potter?


Ma forse la domanda reale era un’altra.
Un’altra la domanda più importante.



Harry Potter aveva bisogno di lui?



E di nuovo si coprì gli occhi pieni di disperazione con una caritatevole mano sospirando pesantemente.
La luna sorgeva.

E fuori da lì faceva brillare d’argento le acque nere del lago.



Un suono leggero lo riscosse, una porta che si socchiudeva, piccoli passi nel corridoio.

Harry entrò nella sala cautamente.
Subito abbassò gli occhi quando questi incrociarono lo sguardo scuro dell’uomo.

Evidentemente era lì per la pozione della sera, così come Snape gli aveva detto di fare.

In silenzio l’uomo si alzò e prese la fiala corretta da sopra il camino.
Senza una parola il bambino bevve e Severus si sedette di nuovo.

In piedi, davanti ai suoi occhi, il pensiero fisso che occupava la sua mente.

Tutto occhi verdi e manine che si stropicciavano fra di loro.
Il piccolo corpo abusato per colpe che non aveva mai avuto e che mai avrebbe dovuto scontare.

Severus si piegò in avanti, più vicino.
Il bambino alzò spaventato il volto.

I loro occhi si incrociarono.

La fiamma consumò un altro pezzo di legno.

Harry inclinò la testa e lo guardava così profondamente che Snape si sentì letto dentro, senza più segreti.
Harry sorrise.
Come faceva spesso in quei giorni.

Incline al perdono sopra ogni altra cosa, come la sua dolcissima madre.

Lo sarebbe stato?
Lo era?


Anche nei confronti di un uomo come lui?
Nero come il peccato e come la morte?

Vigliacco e giudice di altri?
Traditore e tradito?

Carnefice e vittima?

Di nuovo una mano sugli occhi, nascondendo il volto.
Qualcosa dentro lo dilaniava e la sua mente era annebbiata dalla confusione e dal timore.
Dolore sordo e ripetitivo, ossessivo come la sua ricerca di qualcosa di puro da crescere vicino alla sua anima arida.

D’improvviso tentò, si offrì.

In fondo non voleva altro ed avrebbe risposto ad ogni domanda.
Anche quelle non ancora poste.



Alzò le braccia, distanti dal corpo in egual misura e le aprì, lentamente.
Si sporse in avanti ancora un poco.

I suoi occhi neri non lasciavano quelli del bambino.

Harry ancora lo guardava, a sua volta.
Il suo sguardo verde si fece vasto come il vento ed umido come il mare.



Senza una parola Severus invitò il perdono, disposto a vedere se esso sarebbe venuto anche da lui.
Da lui fra tutti. Da lui, l’immeritevole.




Ed esso venne.




Il piccolo Harry fece un passo avanti, meravigliato oltre ogni sua immaginazione, oltre ognuna delle fantasie in cui era solito perdersi.



Il suo uomo-Sevreus lo stava chiamando a sé.


E tese le piccole, corte braccine.
In alto, verso di lui, verso quell’uomo.


Un altro passo.


E l’istante dopo fu mani di un corpo che stringevano il corpo di altre mani.



Sì, Severus lo strinse e lo sollevò, portandolo a sé.
Perché suo era.



Da adesso in poi.



Suo e di nessun altro.








Il suo bambino.








E se lo strinse al petto, al cuore, come qualcosa di prezioso che finalmente, dopo tutto quel tempo, gli era permesso di avere per sé.



Perché solo Harry era assoluzione.
Era perdono e compassione e pace.


Le sue piccole mani, le sue piccole braccia allacciate attorno al collo erano accettazione, era come essere finalmente libero, perdonato di tutto, purificato e accolto.

Come se un piccolo angelo si fosse accoccolato sul fondo del suo cuore e vi avesse, da adesso, preso a dimorare. Come se lo stesse scaldando ed sfiorando, guarendo e lavando via da ogni impurità.


Ed era il sentimento più perfetto che egli avesse mai provato.




Harry chiuse gli occhi e lo sentì.

Stretto al suo corpo quasi da fare male, ma per la prima volta era un male che davvero poteva piacergli, che non era male in sé, ma era essere tenuto fra le braccia tanto forte da non respirare, era stare al caldo, era essere, finalmente, al sicuro.

Le mani dell’uomo erano il paradiso ed in paradiso nessuno poteva fargli male.
E si strinse a lui ,nascondendo il viso contro quel collo bianco e forte, come contro un rifugio.
Il suo unico rifugio.


Perché lui era il bambino dell’uomo-Sevreus.



Ed era il sentimento più meraviglioso che avesse mai provato.







Nel silenzio assordante e denso di emozioni, un brivido di consapevolezza nel tono gentile dell’uomo.



“Dimmi Harry – oh, lo chiamava Harry e con una mano gli accarezzava la testa, perché non riusciva a negarsi più niente, niente. – Vuoi restare con me?”



Ed Harry gli strinse le manine sulle spalle e se non fosse stato così piccolo rispetto a lui si sarebbe detto che lo voleva quasi tirare a sé.
E non importava affatto che forse tutto sarebbe rimasto come prima, se anche l’uomo-Sevreus lo avesse ignorato e lasciato solo per tante ore, come all’inizio era successo, era sempre meglio che essere soli davvero. E sicuramente molto meglio che tornare indietro.
No, Harry non voleva andare via.


Perché vicino all’uomo-Sevreus era sempre stato bene.

Perché sopra ogni altra cosa Harry ormai amava l’uomo-Sevreus.




“Sì, per favore, per favore”.





“Come vuoi tu, Harry. Come vuoi tu, bambino mio”.








 

 





Remus Lupin si sedette.
I suoi occhi di giada gialla si fissarono impetuosamente su Albus Dumbledore.

L’anziano mago sorrise, benevolo, mentre traeva un piccolo Pensatoio di marmo chiaro da un antico mobile.
Mentre si sedeva di nuovo il sorriso si fece più ampio.

“Finalmente, Remus”.

I due uomini si guardarono.

Albus spinse verso di lui il Pensatoio.



“Le prove dell’innocenza di Sirius Black”.






 

 

 


Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

 

Note del capitolo: Spinner’s End è la casa Muggle di Snape, ereditata dal padre, che si trova in una zona a nord dell’Inghilterra.

 

   

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Capitolo 15
*** 15 - Overcome: towards the begin ***


The Heart of everything 15
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

 

Buonasera a tutti. Sono ancora con voi, per quanto incredibile possa sembrare. Come alcuni già sapevano ho dovuto interrompere momentaneamente la pubblicazione di The Heart of Everything a causa di un problema puramente tecnico. Il mio adorato pc ha deciso di giustiziare il mio hard disk e di conseguenza sono rimasta quasi 20 giorni senza computer. Oh, una tragedia. Chiedo scusa per l'inconveniente ovviamente non dipendente dalla mia volontà. Adesso comunque sono qui e partendo dal presupposto che riprenderò ad aggiornare con frequenza costante, mi dispiace molto dover dilazionare ulteriormente i tempi. Sono in un periodo piuttosto frenetico, fuori di casa 12 ore al giorno e stanca morta. Pubblicherò quindi non più ogni martedì, ma ogni 2 martedì. Per adesso è il massimo che posso fare, mi dispiace tantissimo, spero comprenderete. Il capitolo di oggi è abbastanza lungo, spero questo possa rallegrarvi almeno un pochino. Colgo l'occasione per ringraziare calorosamente tutte le persone che hanno recensito il capitolo 14, che mi hanno mandato messaggi privati e mail per chiedermi che fine avevamo fatto io e la mia storia. Siete state veramente incoraggianti ^__^ e mi avete dato la forza di riscrivere le 3 pagine che il mio pc mi aveva fatto perdere ( ed io DETESTO riscrivere una storia, da morire!!!!!!!!!). Ancora grazie di cuore e sopratutto grazie a chi si è iscritto nel frattempo alla fanlisting. Non so che dire, davvero. Grazie per avermi atteso e per avermi seguito fino ad ora. Grazie mille.

Mel Kaine

Ps. Una cosa curiosa, diversi capitoli fa ( nel sesto mi pare) scrissi che la prima volta che Sev dava del latte ad Harry prima toccava il bordo della tazza con la bacchetta, nessuno mi ha mai chiesto che cosa avesse fatto a quel latte ^__= questo capitolo vi risponderà.

 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

15  - / Overcome: towards the begin /


 



Pace.


Sensazione completa che non era semplice benessere quanto assenza ben definita di qualsiasi preoccupazione, di rimpianti e rimorsi, di insormontabili problemi troppo vicini.

Era assenza di quel senso di errato che da sempre aveva accompagnato la sua esistenza, ogni sua impersonale decisione. Poiché mai aveva potuto scegliere per sé.

Era essere finalmente in un breve spazio di serenità che iniziava e finiva nel loro abbraccio.

Il tempo gocciolò via lento nell’intensità del momento.
Il calore fra loro ebbe modo di distribuirsi in ogni parte del loro corpo e di bruciare via le loro sofferenze.

Severus quasi pensò che il piccolo Harry si fosse addormentato, ma un attimo dopo sentì quelle manine stringerlo ancora più forte e quasi sorrise.

Una metà di sé avrebbe desiderato continuare ad accarezzargli i capelli, tenerlo lì fino al mattino e lasciare davvero che dormisse così.
L’altra metà, dal canto suo, non era avvezza a simili comportamenti.

Era qualcosa a cui nessuno lo aveva mai abituato.
Qualcosa che non aveva ricevuto così spesso da apprenderlo e desiderare di emularlo.
Era un’ignoranza che non aveva mai voluto colmare, o potuto.
Un altro pezzo in decadenza della sua anima.

Sospirò.

Ma non era solo in questo.
Sapeva bene che anche il bambino-Potter non aveva avuto un’infanzia felice.
Sapeva che per molto tempo, per quel piccolo mago essere toccati voleva dire essere picchiati.
Sentire sempre e comunque male.
Non poteva biasimarlo se adesso rifuggiva ogni contatto.

Due anime simili, dunque.
Anche questa volta, Severus quasi sorrise.

Avrebbero potuto imparare insieme?

Sì. Poteva accadere.



 

 





Remus Lupin rimase immoto per due o tre silenziosi minuti.
Poi sollevò uno sguardo acuto, sospettoso.
Non era avvezzo a simili buone notizie, non senza una sana dose di scetticismo prima.

“Albus, stai dicendo la verità?”

Il vecchio mago sorrise, radioso.

“Assolutamente”.

Remus sospirò, cambiando posizione sulla sedia, come se essa fosse improvvisamente divenuta scomoda.

“Quindi stai realmente affermando, senza ombra di dubbio, che Sirius è innocente e che non ha causato la morte di quei Muggle e che adesso hai la possibilità di scagionarlo e liberarlo da Azkaban?”

“Sì, ragazzo mio. E’ esattamente quello che intendevo”.

In tutta risposta Remus si coprì gli occhi con una mano.

Albus sorrise, paziente.

“Mio buon ragazzo, è vero che sono un po’ troppo vecchio per un abbraccio entusiastico, ma mi aspettavo almeno una reazione di poco più esuberante…”

Remus riaprì gli occhi.
“Albus, ti prego, non scherzare”.

“Non sto affatto scherzando, ragazzo mio, come non mi permetterei mai di scherzare sull’innocenza del nostro caro Sirius”.

Di nuovo Remus cambiò posizione sulla sua sedia.
“Albus, non credo tu capisca quanto questo mi sconvolge adesso, dopo tutti questi anni passati a credere… a domandarmi un perché dopo l’altro… a provare a pensare ad una spiegazione, a cercare di farmene una ragione… a… non so… e adesso… adesso…”

Il brillare degli occhi di Dumbledore si fece più gentile mentre l’uomo anziano si alzava.

“Comprendo il tuo animo, Remus, ma ti invito a riflettere sul fatto che il presente, per quanto assurdo e sconvolgente è fatto anche per superare il dolore del passato. Sirius sarà un uomo libero entro la fine del mese, se riuscirò ad impormi sul Wizengamot come ho stabilito. Le prove sono in mano nostra ed ho tutta l’intenzione di usarle a nostro beneficio”

“Come…?”

“Come le abbiamo ottenute?”

Remus annuì.

Albus riprese a sorridere.

“Eri al corrente che qualche giorno fa Severus ed il giovane Harry hanno avuto un’esperienza poco piacevole. Ecco diciamo che Severus non ha ritenuto opportuno lasciare il luogo della loro prigionia senza quello che chiamerei ‘un adeguato risarcimento’ ”.

“E’ merito di Severus, dunque?”

“Assolutamente, ragazzo mio”.

La serietà della linea delle labbra di Remus venne rotta da un sorriso genuino.

“Sai che metterli a parte di questo non li renderà affatto felici?”

Il sorriso di Albus si fece radioso.


 

 




Severus fissò ancora qualche istante nel vuoto, mentre le sue dita sostavano delicatamente sulla schiena del bimbo, sotto le piccole scapole.
Poi si riscosse e chiamò a voce bassa un elfo del castello.
Ordinò una tazza di latte caldo per il bambino-Potter e dopo pochissimi secondi ebbe quanto richiesto. Posò il bicchiere sul tavolo e con la punta della sua bacchetta ne toccò il bordo.
Sapeva bene che il latte non era un alimento facilmente digeribile per chi, come il bambino, non ne aveva bevuto spesso. Ma aveva provveduto a porre rimedio anche a questo, adesso. Come quella sera, in cucina.
Abbandonò i ricordi precedenti per concentrarsi sul presente e sul nuovo compito.
Se una nuova decisione era stata presa ed una nuova vita doveva cominciare era necessario, prima di ogni altra cosa, parlare con Madam Pomfrey. Ed in seguito affrontare Albus al riguardo. Ma prima:

“Harry, bevi questo”.

Senza esitare troppo il bambino prese la tazza e bevve. Con le piccole dita arricciate attorno alla porcellana, sulle lunghe gambe di Snape.

In pace.

Severus lo osservò senza una parola, la mano ancora quietamente posata sulla schiena del bambino.
Attese che finisse poi lo sollevò e lo rimise a terra. Gli ordinò con calma di andare a letto e poco prima di lasciare i suoi quartieri per dirigersi in infermeria controllò che così avesse fatto.





Una falce di luna, nel cielo, illuminò l’ombra che dalla porta si muoveva verso i letti che Madam Pomfrey stava finendo di rassettare.
La donna alzò lo sguardo e sorrise cordialmente, prima di corrugare la fronte.

“Severus, a cosa devo la tua visita a quest’ora tarda? Il bambino sta bene?”

L’uomo annuì.
“Dorme”.

“Dunque cosa posso fare per te?”

Severus incrociò le braccia al petto.
Inutile tergiversare. Affrontare il nocciolo della questione era molto più consono al suo carattere.


“Gradirei avere quelle indicazioni che hai riservato per chi intende prendersi cura del bambino”.


Gli occhi della donna si fecero dapprima grandi poi si riempirono di felicità.

“Oh, cielo, è magnifico – esclamò estasiata. – Sono davvero molto contenta”.

Severus annuì di nuovo, semplicemente.

Un attimo dopo Madam Pomfrey riacquistò l’atteggiamento sobrio che meglio la caratterizzava e si sedette su uno dei letti vuoti della sua infermeria, le mani in grembo.

Il suo sguardo era tornato pratico e serio.
A sua volta Severus si sedette su una sedia poco distante.

“Non ti mentirò affatto Severus, perché voglio che tu sia pienamente consapevole di quello che ti aspetta. Tutto questo non sarà affatto facile. Ma prima ho assoluta necessità della tua parola, della tua infrangibile promessa che manterrai quest’impegno. Che non tradirai la sua fiducia. Che non lo abbandonerai anche tu. Perché se così fosse, ne sono certa, nessuno potrebbe più salvarlo. Non questa volta”.


Severus Snape scrutò negli occhi la donna che aveva davanti e dalle sue labbra un ‘Sì’ deciso risuonò nel silenzio.


Soddisfatta Madam Pomfrey sospirò e riprese a parlare.

“Come dicevo poc’anzi tutto questo non sarà facile. Il piccolo Harry, come ben sai, non è un bambino che potremmo definire normale, sotto molti, purtroppo tristi, aspetti. Il piccolo Harry è un bambino abusato. Maltrattato. Ignorato. Negato. Umiliato. La sua mente è quella di un bambino che non ha per se stesso alcun rispetto e che crede di non possedere alcun valore. Per anni, come testimoniano molte delle vecchie ferite che ho trovato su di lui, ha subito ogni sorta di crudeli soprusi. E adesso si ritiene meritevole di tutto ciò che gli è stato inflitto, come è piuttosto comune in bambini così piccoli che sono cresciuti in certi, degradanti, ambienti. Il cammino che vi si stende davanti non sarà privo di ostacoli. Dovrai essere in grado di guidarlo, giorno per giorno, verso la conquista dell’autonomia. Dovrai insegnargli ad avere rispetto di sé nei confronti degli altri, a preservarsi, persino a scegliere quando è opportuno difendersi e come cercare protezione e aiuto. Da quando è nato non ha conosciuto altro che violenza e cattiveria. Devi mostrargli che quella vita, la sua precedente vita, non era giusta. Che non può e non deve permettere che accada di nuovo, con nessuno. Harry può diventare molto forte o molte debole in futuro. E non ti mentirò, molto dipenderà anche da te, Severus”.

Il silenzio riempì gli spazi lasciati vuoti attorno a loro.
L’importanza del momento non andò persa

Severus Snape annuì con decisione, una sola volta.
Una volta per tutte.

Senza fretta Madam Pomfrey riprese.
“Le pozioni possono guarire tutte le ferite del corpo, la magia può dare sollievo e curare. Ma per lo spirito e per l’anima soltanto il tempo è nostro alleato. E inizialmente neanche questo ci aiuterà. Qualsiasi piccola, scontata cosa, qualsiasi banale, insignificante situazione potrà riportare alla sua mente ricordi e paure, terrore e panico. Tutto questo per giorni, per mesi, per anni. Il bambino si aspetterà di essere punito per ogni involontaria mancanza, per ogni sciocco errore, a volte persino senza motivo. Perché a questo era stato abituato e paradossalmente questo gli dava sicurezza, perché nella sua assurda crudeltà era una routine che Harry conosceva bene. Tu puoi spezzare questo circolo. Tu devi spezzarlo. Devi fargli conoscere ciò che è normale, ciò che è bene”.

Severus distolse lo sguardo dagli occhi luminosi della donna.
Per una frazione di secondo, ancora un volta, il dubbio lo assalì e lo lasciò con un sapore amaro sulla lingua.

Tsk, l’ironia del destino.
Proprio lui di tutti, insegnare la differenza fra il bene ed il male?
Insegnare ciò che era giusto e buono?
Con quale sacrosanto diritto?

In rispettoso silenzio Madam Pomfrey attese che Severus combattesse la sua personale battaglia.

E l’uomo la vinse.
Il tempo dell’incertezze era davvero finito.

Il suo sguardo d’onice si fece ancora più forte mentre acconsentiva a che la donna proseguisse.
Ella sospirò.

“Non si può cancellare con un colpo di bacchetta tutta la sofferenza di questi cinque, lunghi anni. Non si può chiedere che il bambino dimentichi tutto il dolore che ha dovuto patire, tutta la paura, tutte le lacrime. Ma lo possiamo, lo puoi sostituire con una nuova, meritata serenità”.

Oh, quanto bene lo sapeva Severus che il dolore non si poteva cancellare con nessun incanto, con nessuna pozione. Quanto bene lo sapeva nelle notti in cui la colpa ed il rimorso rendevano amaro lo scotch che beveva nel tentativo di liberarsi delle urla degli innocenti, del sangue delle sue vittime e delle atrocità commesse in nome di un assassino.

Madam Pomfrey si fece impercettibilmente più vicina.

“Se mi consenti qualche altro consiglio, Severus, avrei qualche altra cosa da aggiungere a quanto detto finora”.

Il Death Eater in lui, che non aveva mai preso ordini da chi egli stesso non considerasse a sé superiore, si rifiutava di spendere ancora del tempo in simili stupidaggini.
L’uomo rinnovato, lo spirito purificato che si era seduto accanto alla sua anima, così come il bambino-Potter si era seduto sulle sue ginocchia al tempo stesso gli imponevano di restare ed ascoltare.

La questione era troppo importante affinché il suo orgoglio gli impedisse nuovamente di prendere la decisione migliore.

Senza alcuna espressione diede quindi il suo assenso.
Graziosamente la donna lo ringraziò con lo sguardo.

“Scoprirai pian piano ogni altro aspetto sul quale intervenire. Parla con il piccolo Harry e stabilite un vostro personale rapporto, una vostra routine, almeno inizialmente. Devi conoscerlo e fare in modo che lui riesca a conoscere te, a fidarsi ancor più di quanto non abbia fatto finora. Inoltre il bambino ha bisogno di contatto fisico. Un contatto fisico positivo, buono. Una mano sulla spalla per incoraggiarlo, una carezza sulla testa, sul viso. Un abbraccio. Qualsiasi cosa che lo renda consapevole di meritarsi, come tutti gli altri, qualcosa che sia bello, che sia piacevole. Sono certa che saprai fare un ottimo lavoro. Per qualsiasi altra cosa, qualsiasi sciocchezza sappi fin d’ora che potrai sempre contare sul mio appoggio, perciò non esitare a rivolgerti a me se e quando ne avrai bisogno”.

La donna si prese una lunga pausa, pareva aver finito, ma Snape la conosceva ormai piuttosto bene.

Incuriosito alzò un sopracciglio, mentre inclinava la testa per invitarla a completare il suo discorso.

Ella parve incerta, mentre poco dopo prendeva fiato.

“Ci sarebbe un’ultima cosa. Sulla terapia per il giovane Harry. So… so che il mondo Muggle non gode di molto rispetto ai tuoi occhi, ma non tutto quello che è stato inventato da loro è da buttare. Tu sai Severus quanto io apprezzi la tua arte di creare pozioni, eppure in questo caso sono certa che potremmo, come dire, apportare qualche ‘innovazione’ al solito, vecchio programma”.

“Pare tu abbia passato troppo tempo con Albus… ti dispiacerebbe, Poppy, parlare chiaramente?”

La donna arrossì lievemente, mentre lo riprendeva con uno sguardo che sarebbe dovuto essere di rimprovero, ma che in fondo non lo era affatto.

“Ci sono in commercio, nei luoghi di vendita dove i Muggle comprano il loro cibo, dei prodotti speciali studiati appositamente per i loro bambini. Sono alimenti controllati e arricchiti di vitamine e altre sostanze fondamentali per lo sviluppo. Benché vengano utilizzati quasi esclusivamente su bambini molto piccoli d’età, sono positivamente certa che anche Harry ne potrebbe trarre giovamento”.

Severus sapeva di non apparire assolutamente convinto.
“E come pensi che io possa procurarmi simili ‘provviste’? Non penserai certo che io sia disposto a recarmi in un comune mercato Muggle, voglio sperare…”

La donna sorrise, accondiscendente.
“Non ci vedrei nulla di male, Severus. Comunque se desideri possiamo inizialmente occuparcene io e la cara Professoressa Rosebud. Sono certa che nessuno meglio dell’insegnante di studi Muggle sappia come muoversi in certi ambienti. Se acconsenti potremmo comprarne alcune varietà”.

Severus rifletté qualche istante poi si alzò.

“Va bene, ma prima di somministrarli a Potter mi permetterai di analizzarne qualcuno”.

Poppy rise apertamente.

“Non sono esotiche, possibilmente velenose, pozioni, mio caro Severus”.

L’uomo la rimproverò con uno sguardo accigliato, ma lei continuò a sorridergli.

“Molto bene – disse infine il giovane maestro di Pozioni. – Quando tutto sarà pronto fa’ in modo di farmi chiamare”.

“Senz’altro, Severus”.

L’uomo la guardò.

“Grazie”.

Ed entrambi seppero che non era soltanto per quello.






Minerva McGonagall si fermò non appena riconobbe la persona che le stava venendo incontro.
“Remus, che piacere rivederti, cosa ti porta qui da noi?”
“Salve Minerva, il Preside desiderava parlarmi”.
La donna lasciò che i suoi occhi si soffermassero un po' più a lungo sulla figura palesemente angosciata del giovane uomo.
“Qualcosa non va, Remus? Posso essere d'aiuto?”
Il giovane licantropo sospirò. Le sue labbra dalla piega amara si schiusero con riluttanza.
“Come si può stabilire a cosa e a chi credere, Minerva? Come posso liberarmi in un istante di una convinzione che ho avuto per anni? Com'è possibile sapere qual è la verità?”
La donna sospirò a sua volta.
“La verità, Remus, è al tempo stesso una cosa positiva ed una maledizione. Non sempre si è pronti ad accettarla e anche quando lo si è, non sempre è un processo facile e indolore. Come si suol dire il tempo porta consiglio. Pensaci un po’, quando lo potrai sostenere e sarai pronto lo saprai”.
Il giovane mago sorrise lievemente.
“Ti ringrazio”.
Anche lei sorrise mentre si allontanava verso lo studio di Albus.
Ovviamente qualcosa stava accadendo e la caparbia strega aveva tutte le intenzioni di venirne a conoscenza.

Dumbledore le porse la sua tazza di tè e lei la accettò con un inchino cortese del capo.
Ma la luce nei suoi occhi non smise di brillare con determinazione.
“Albus, ho incontrato Remus nei corridoi, di ritorno da un incontro con te. Pareva stranamente angustiato da qualcosa. Desidero essere messa a parte di quello che sta accadendo. Sono un membro dell’Ordine della Fenice da diverso tempo e ritengo di avere alcuni diritti al riguardo, non credi?”
L’uomo canuto sedette alla sua scrivania ed intrecciò le dita.
“Molto bene”.
Ed in breve la informò sugli sviluppi della vicenda di Sirius Black. Le diede il Pensatoio da guardare ed attese la sua scioccata opinione.
“Oh, Merlino. Adesso comprendo perfettamente l’afflizione di quel povero ragazzo. Per anni eravamo tutti così convinti che fosse impazzito…no, non tutti. Tu non hai mai voluto sentire parlare della sua colpevolezza, tu confidavi ciecamente che fosse stato un errore, un inganno…oh, cielo misericordioso…”
Albus sorrise amabilmente.
“Adesso debbo chiederti, Minerva, di non diffondere questa notizia. Non voglio suscitare false speranze né desidero che i più maldicenti possano ipotizzare che l’improvvisa scarcerazione di Sirius sia imputabile unicamente grazie ad un mio intrigo”.
La donna rimase in silenzio per qualche istante, poi alzò sul vecchio mago due occhi seri e accusatori.
“Questo significa che non intendi parlare di questo con Severus, dico bene?”
Dumbledore sospirò.
“Non ritengo necessario avvertirlo adesso, sì, non gliene parlerò. Ho commesso un errore ed ho già rimediato. Severus è stato affrancato dal suo obbligo di allevare il giovane Harry e al contempo è stato informato che entro la fine del mese qualcuno di più adatto verrà trovato. E chi meglio, per Harry, del suo padrino?”
“Albus, sono assolutamente contraria! Sirius Black, per quanto innocente, è rinchiuso ad Azkaban da ormai alcuni anni. Come puoi pensare che appena uscito sia in grado di prendersi cura di un qualsiasi bambino, figurarsi di un bambino come Harry i cui bisogni, come tu sai, sono particolari dato il grado di abusi che ha ricevuto sotto la patetica cura di quei disgustosi Muggle”
“Ne sono consapevole, Minerva. Per questo ne ho parlato per tempo con Remus ed ho richiesto la sua assistenza. Sono certo che la presenza di uno dei suoi migliori amici sarà assolutamente positiva per la sua ripresa fisica e mentale, senza menzionare che nel frattempo Remus potrà aiutarlo a gestire il bambino nel modo migliore”.
Minerva tacque, senza apparire per nulla convinta.
Dumbledore si alzò per portarsi accanto alla finestra.
“Per questo ti chiedo ancora una volta di non farne parola con nessuno, soprattutto con Severus. L’ho appena liberato da un compito troppo gravoso che egli non meritava affatto e voglio che abbia di nuovo del tempo per sé”.
Minerva si alzò in piedi, di scatto.
“No!”
Albus la guardò seriamente.
Imperterrita lei proseguì con veemenza: “No, mi rifiuto di fare parte di queste tue continue macchinazioni. Severus si è visto affidare il bambino da un giorno all’altro dietro tua richiesta – e lo guardò aspramente, come a ricordargli quanto le sue richieste somigliassero ad ordini. – Se come dici tu ha sofferto a causa di questo compito è inammissibile tenerlo all’oscuro. Severus ha ogni diritto di seguire fino in fondo questa vicenda e di esprimere il suo parere sulla tua scelta di un nuovo tutore. Severus conosce il bambino meglio di noi, Albus, ed è giusto che possa avere parte in questo ed essere ascoltato!”
L’anziano mago la guardò senza tradire alcuna emozione.
“Quindi ne deduco che intendi parlargliene…”
“Se lo riterrò necessario, sì”
“Non ho la possibilità di fermarti in questo, non è vero?”
“Vorrei ben vedere, Albus…”
Il vecchio uomo, nonostante tutto sorrise. In qualche strano modo adorava vederla così fiera e piena di spirito combattivo.
“Sai bene che non appena Severus lo saprà verrà qui a passo di carica…”
La donna sorrise amabilmente, a sua volta.
“Sai bene di meritarlo…”
“Ho sempre avuto le mie buone ragioni, Minerva” sospirò il vecchio mago.
“Oh, non lo metto in dubbio, ma mi chiedo: non sarebbe ora di mettersi da parte?”


La Professoressa d’Incantesimi si congedò dallo studio di Dumbledore di lì a poco.
Si ritirò nelle proprie stanze e si servì una buona tazza di tè, riflettendo in completo silenzio, a lungo.

Per principio ella non concordava affatto con l’insana propensione di Albus di manovrare gli eventi. Non in modo assoluto, almeno. Poteva certamente comprendere che alle volte alcune cose avessero bisogno di essere guidate nella giusta direzione, eppure di natura apprezzava l’azione del tempo. Era sicura che molto spesso fosse molto meglio lasciare che ogni cosa potesse evolversi secondo il suo naturale corso. Ma Dumbledore era ovviamente di parere opposto.
Eppure non lo amava di meno per questo.
Conosceva gran parte dei motivi che Albus aveva citato a sua difesa e per gli altri poteva immaginare, lo conosceva così bene ormai…
Sospirò, perdendosi con lo sguardo nel caldissimo ocra del suo tè.

 



A pomeriggio inoltrato del giorno dopo un lieve, quanto insistente e fastidioso malditesta convinse la Professoressa di Trasfigurazione a cercare l’aiuto di Poppy.

Le due donne si salutarono cordialmente e dopo aver ricevuto la sua pozione Minerva era sul punto di congedarsi. Eppure qualcosa la incuriosì e la trattenne.

“Poppy, mia cara amica, cosa fai con quel vestito così… Muggle in mano?”

“Oh, ne stavo provando alcuni perché questo fine settimana intendevo accompagnare la Professoressa Rosebud in visita nella Londra Muggle”.

“E come mai, se non sono indiscreta? Solitamente non desideri spesso di lasciare la tua infermeria…”

Madam Pomfrey ponderò alcuni istanti la questione.
In fondo non aveva fatto voto di silenzio…

“Non so se dovrei parlartene… comunque non qui. Prendiamoci una buona tazza di tè nel mio studio. Vuoi?”

Minerva acconsentì prontamente.

Pochi minuti dopo la Professoressa venne messa a parte del progetto per il piccolo Potter ed indirettamente delle intenzioni, più che serie, di Severus.

Incomprensibilmente per Poppy, queste notizie sconvolsero l’anziana maga più del dovuto ed in tutta fretta Minerva fece per congedarsi.

“Ti prego di perdonarmi, mia cara. Ma ho motivo di credere che Severus vada informato al più presto che Albus si sta muovendo affinché entro la fine del mese il giovane Potter abbia un nuovo tutore”.

“Oh, cielo misericordioso, no. Sono assolutamente certa che nessuno meglio di Severus possa essere trovato. Il bambino ha molta fiducia in lui e lo stima. Lo ascolta. Lo ritiene importante. Oh, avresti dovuto vederlo mentre dormiva qui in infermeria coperto dal suo mantello nero…”

Minerva annuì.
“Concordo con te e non voglio che una simile opportunità vada persa. Devo andare. Ti prego di perdonarmi, ma non posso trattenermi oltre. Grazie per il tè”.

“Di niente”.



 



Severus si diresse lentamente verso lo studio di Minerva McGonagall.
Non immaginava affatto quale urgente affare l’avesse spinta a mandarlo a chiamare per un colloquio privato. Sperò di non doversi trattenere troppo in compagnia della donna. Aveva molto di cui occuparsi nei suoi quartieri, compreso il bambino-Potter.

Discretamente bussò una volta giunto alla porta e attese l’immancabile assenso ad entrare.
Una volta accomodatosi la donna espose immediatamente e senza molti fronzoli la gravità del problema.

Minerva non fece in tempo a pronunciare il nome di Sirius Black nella stessa frase che conteneva le parole ‘affidare’ e ‘nuovo tutore’ che Severus si alzò di scatto, per nulla padrone dell’espressione di furore che dilagava nei suoi occhi neri .

Senza una parola l’uomo uscì a passo di carica.

Non bisognava certo essere dotati in Divinazione per indovinare dove si stesse dirigendo. Minerva soffocò una risatina inappropriata nella sua tazza di tè e si concesse un minuto di dispiacere per Albus.



Severus Snape aprì la porta dei suoi quartieri con ira e lasciò che sbattesse alle sue spalle. Raccolse un foglio di pergamena nuovo da una pila sulla sua scrivania e fece per uscire di nuovo. Da dietro l’angolo del muro del piccolo corridoio il bambino-Potter lo guardava. Probabilmente il forte rumore lo aveva spaventato. Senza pensare Severus lo raggiunse, notando tristemente come il bambino fosse già sul punto di fuggire, ma senza riuscire a farlo veramente per paura di una punizione. Avrebbero dovuto parlare, ma non adesso. Severus allungò piano una mano e la posò sulla testa del bambino-Potter. Lo accarezzò un istante e poi uscì.

Gli enormi occhi verdi di Harry lo seguirono fino alla porta e anche oltre, se avessero potuto.

Severus avanzava imperiosamente nei corridoi ancora semi-deserti. Il suo animo ribolliva di rabbia al solo ripensare alla brevissima conversazione avuta con Minerva. Quel nome, quel dannato nome aveva il potere di incendiargli d’ira la mente.

Oh, ma Albus questa volta si sarebbe sentito dire quel che meritava… oh, se se lo sarebbe sentito dire…


 



Albus Dumbledore, evidentemente, non si aspettava una sua visita.
Non così presto almeno.

Severus Snape entrò senza annunciarsi e senza osservare nessuna delle cortesie che solitamente non mancava mai di ricordare.

Prima ancora che qualsiasi cosa fosse detta Albus sospirò con rassegnazione.

“Per il santo Merlino, Albus. Dimmi che quello che ho saputo oggi è soltanto uno dei tuoi pessimi scherzi e lascerò immediatamente il tuo studio senza aggiungere altro”.

“Temo di non poterti esaudire nemmeno questa volta, ragazzo mio. Benché tu non ne abbia fatto menzione direttamente credo di comprendere a cosa fai riferimento”.


“Inutile che io esprima il mio palese disappunto con altri sprezzanti commenti velati, allora. Penso sia dolorosamente chiaro che sono assolutamente, completamente e violentemente contrario alla tua decisione di nominare Black come tutore di Potter”.

Albus sorrise.

“Ragazzo mio, ti ripeto che comprendo il tuo punto di vista e posso immaginare i tuoi pensieri al riguardo, ma Black, una volta libero, avrà ogni diritto di prendersi cura del giovane Harry. James lo ha nominato suo padrino e sai bene che questo ha un gran valore nel nostro mondo come in quello Muggle…”

Severus si voltò di scatto.

“Come puoi essere così irresponsabile, Albus? Black, ammesso che prima le possedesse, avrà perso le sue facoltà mentali in quel buco dove lo hanno rinchiuso. Vorresti affidare un bambino così piccolo ad un uomo del genere? Tanto vale consegnarlo veramente a Malfoy. Sono certo che saprà essere più misericordioso”.

“Non essere così duro con Sirius, il tuo giudizio non è mondato dai vostri disagevoli trascorsi e lo sai bene. Inoltre Sirius non sarà solo in questo. Ho parlato anche con Remus e sono certo che la sua presenza renderà…”

“…più veloce la dipartita del bambino da questo mondo! – lo interruppe Severus. – Ma certo, come non pensarci. Un matto assassino ed un licantropo senza controllo. Sono certo che il giovane Potter ne trarrà il ‘massimo’ beneficio nel tempo in cui resterà indenne da tali minacce”.

“Severus…” lo ammonì l’anziano mago.

Ma gli occhi e l’animo di Severus erano persi nell’indignazione e fieramente egli non avrebbe taciuto.
Avrebbe difeso con tutto se stesso il bambino-Potter.


Il suo bambino-Potter.


“No, Albus, non questa volta. Non anche questa maledetta, dannata volta”.

“Mio caro ragazzo, avevamo già affrontato un discorso simile poco tempo fa e ancora ti chiedo perdono per averti caricato di un fardello troppo pesante per te, mi rammarico di aver ferito i tuoi sentimenti e pensavo che avessimo concordato che potevi ritenerti sollevato dai tuoi obblighi verso il giovane Harry…”

Severus sbatté ferocemente un pugno contro il telaio della finestra. I vetri tremarono come se un vento fortissimo li avesse scossi.

“TU hai concordato. TU hai deciso, Albus. Non ho avuto parola in questo, come su molto altro”.

Snape si volse e lo affrontò con il suo sguardo nero come la pece. Tradito.

“Lascia che io possa operare da solo le mie scelte, lascia che possa decidere. Perché posso tradire, mentire, ingannare, persino uccidere, ma non posso scegliere? Il mio giudizio ha così poco valore ai tuoi occhi? Sono così fragile da farti credere che la pressione di una decisione importante possa schiacciarmi? TU NON MI CONOSCI, ALBUS, TU ANCORA NON MI CONOSCI. LASCIA CHE IO ABBIA LIBERTA’ E TI MOSTRERO’ IL MIO VALORE. LASCIA CHE FINALMENTE IO POSSA SCEGLIERE”.


E Albus volse il viso. Abbassando uno sguardo pieno di dolore.
Ed in quel gesto si rivelò più sinceramente di quanto non avesse mai fatto.

Perché quel ragazzo gli era così caro che la sofferenza lo dilaniava. Come fosse stato il figlio che già una volta aveva visto sbagliare e che per miracolo aveva riportato a sé fieramente desiderava proteggerlo da ogni altra possibile decisione errata, da ogni insidia che la libertà di scegliere trascinava con sé nel mondo. E per quanto sapesse che ciò non era una soluzione non poteva portare il suo animo a fare diversamente. E adesso soffriva enormemente.

E Severus lo capì e tacque.


Nel silenzio della prima sera il maestro di Pozioni si ricompose.
Trasse dalle sue tasche la pergamena pulita e la pose davanti ad Albus.

“Non ti chiederò niente oltre questo oggi. Per tutto ciò per il quale ti sono caro, per tutta la fiducia che dici di riporre in me, se è vero che affideresti la tua vita nelle mie mani e se realmente ogni parola che mi hai rivolto aveva il suo proprio significato ti chiedo soltanto di firmare quel foglio bianco. Solo questa sarà la prova che ti chiedo. Ti ho dimostrato la mia lealtà. E’ tempo che tu faccia altrettanto con la tua, Albus”.

Un foglio bianco di pergamena, senza nessuna lettera, senza nessuna richiesta.
Un foglio da riempire con qualunque ordine, pretesa, scelta.

Albus sedette lentamente, mentre il tempo scandiva la sua agonizzante situazione.


Severus si fece più vicino.
Gli istanti sparivano, diventando passato.

“Per favore, Albus. Nient’altro che questo”.







Ed Albus Dumbledore firmò.










Nella totale assenza di rumore Severus ritirò il foglio, con un sentimento indefinito negli occhi


Quiete.
Ancora.


“Per cosa ho firmato, mio caro ragazzo?”




Severus si volse poco prima di raggiungere la porta.
Quasi sorrise nel vedere l’orgoglio per lui negli occhi di Albus mentre gli diceva:


“Per unire di nuovo il mio futuro a quello del piccolo Harry Potter. Questa volta indissolubilmente”.



 







Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

 

Note del capitolo: Il Wizengamot è l'alta corte del mondo della magia. La Professoressa Rosebud è un personaggio di mia invenzione. Gli studi Muggle sono Babbanologia, ovviamente. 

Ulteriori note: Potrebbe sembrare in questo capitolo che Severus sia troppo succube del consiglio e della decisione delle persone che lo circondano. Vorrei precisare che nella mia storia Severus ha soltanto 26 anni e che quindi è naturale che cerchi suggerimenti e che non sia già indipendente da tutto e tutti come può sembrare nel periodo in cui, nei film e nei libri, Harry arriva ad Hogwarts a 11 anni.

   

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Capitolo 16
*** 16 - The other half (of me) ***


The Heart of everything 16
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

 

 

Oddio, non so come, ma finalmente sono tornata! Non so davvero come chiedere scusa per il ritardo di questi (urgh! ç__ç) due mesi. So soltanto che la pausa forzata di tre mesi fa quando il mio pc diede forfait, mi ha portato via l’ispirazione. Fortunatamente in questi giorni l’ho ritrovata. Questo capitolo è veramente, veramente lungo. E parlerà quasi esclusivamente dell’evoluzione dei rapporti interpersonali fra Severus ed il piccolo Harry, così come molti si aspettavano. Spero vivamente possiate apprezzarlo e perdonare il mio pauroso ritardo. Fatemi sapere liberamente se questo capitolo ha incontrato il vostro favore e se era quello che finalmente dopo 15 capitoli vi aspettavate. ^__^ Colgo inoltre l’occasione per assicurare che, se anche dovessi sparire di nuovo, non lascerò incompiuta questa storia, sicuramente la finirò. Non so quanti capitoli ancora scriverò, ma di certo la porterò a termine. Ancora grazie mille a tutte le persone che hanno recensito qui su EFP e sull’altro sito, grazie di cuore per le mail e l’incoraggiamento e lo sprone e la paziente attesa.

Buona lettura
Mel Kaine

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

16  - / The other half (of me) /


 




Il bambino era suo.


Severus Snape chiuse gli occhi e li riaprì, apponendo la sua firma sotto quella di Albus Dumbledore.
In perfetto silenzio rilesse il documento che aveva appena finito di redigere e lo chiuse.

Nella notte, il volo del gufo che lo avrebbe portato al Ministero, parve liberatorio come lasciare andare una lacrima a lungo trattenuta. Come respirare di nuovo, a fondo.
Pungente aria come l’odore dei pini nel freddo dell’inverno.

Inspirò, come fosse stata la prima volta di tutta la sua vita, come fosse stata l’ultima al tempo stesso e chiuse dentro di sé un capitolo che mai più doveva essere aperto. E nel profondo sentì qualcosa prendere una nuova forma.

Un suono alle sue spalle lo fece volgere.

Il bambino-Potter attendeva docilmente vicino al camino.

Severus si ricordò di non avergli ancora somministrato la pozione della sera.
Fece per prenderla dalla mensola più alta del camino, dargliela e dirgli di andare a dormire.
Ma le parole che Madam Pomfrey gli aveva suggerito erano ancora vivide nella sua mente e vi ritornarono. Il bambino aveva bisogno di contatto fisico. Di positivo contatto fisico. Continuare a rimandare il problema non avrebbe prodotto alcun miglioramento.
Quindi Severus prese la pozione e si sedette sulla sua poltrona davanti al camino.


La sera era in bilico, quasi stava per divenire notte.
Il silenzio li avvolse mentre si guardavano.
Come due animali selvaggi, non abituati a fidarsi di niente e nessuno, si scrutarono a vicenda in quel momento di suprema incertezza che sempre precedeva il loro avvicinarsi.

“Harry”.

Il bambino fece un passetto avanti.


Il piccolo Harry non sapeva più cosa pensare.
Erano stati giorni davvero strani.
Da quel pomeriggio in cui avevano incontrato per la prima volta quell’uomo cattivo nella foresta era stata tutta una lunga corsa, come se Harry non avesse mai smesso di fuggire assieme all’uomo-Sevreus.
Poi tutti quei giorni in quel letto bianco, in mezzo a tanti altri letti bianchi e quella donna vestita di bianco e blu, e tutte quelle strane cose da bere e sentirsi di nuovo bene… no, non di nuovo, sentirsi bene e basta. Perché bene davvero, come adesso, il piccolo Harry non si era mai sentito dove stava prima. E tornare nelle stanze dell’uomo e vederlo ancora lì, vicino come e più di prima, molto più di prima.
Ecco, tutto quello lo aveva lasciato confuso.
Confuso e sperduto.
Ed in mezzo a quella bufera di cose accadute e sensazioni restavano certe soltanto due cose.
Che l’uomo-Sevreus non lo aveva lasciato e che lo voleva davvero tenere con sé.
Glielo aveva anche chiesto ed Harry era stato così felice di dirgli di sì, perché era vero che voleva restare con lui e non lasciarlo mai.
E poi si erano abbracciati.
Oh, il piccolo Harry non era mai stato abbracciato da nessuno come era stato abbracciato dall’uomo-Sevreus.
Mai era stato circondato da così tanto caldo, mai si sentito così… adeguato e voluto, mai così… felice.

E adesso il suo uomo-Sevreus si era seduto e lo aveva chiamato. Il piccolo Harry non poteva davvero credere a quello che pensava. Perché Harry non meritava affatto di stare sulle ginocchia del signore-Sevreus per ben due giorni di fila. Non aveva fatto niente per guadagnarsi quella cosa meravigliosa e non capiva perché gliene fosse data la possibilità.

Era davvero, davvero confuso.

Ma Severus non lo era.
Non più.

Il bambino appariva ancora intimidito e, come era ovvio aspettarsi, sarebbe passato diverso tempo prima di vederlo abituarsi. Quella che si apprestava a combattere non era una battaglia facile, né di breve durata. Severus non se lo era mai nascosto. Ma, poco per volta, l’avrebbe affrontata.
E vinta.


Decisamente il bambino-Potter non sembrava intenzionato ad andare da lui entro la fine della sera, quindi Severus si alzò di nuovo.
Una fitta di dispiacere lo colse quando vide il bimbo indietreggiare spaventato, ma egli ignorò il suo sguardo implorante e le manine che si alzavano per difendersi e lo prese in braccio, sollevandolo da terra.

Il piccolo Harry non oppose alcuna resistenza.
Forse aveva sperato troppo e troppo presto.
L’uomo aveva una faccia davvero seria ed Harry comprese che forse non voleva farlo stare sulle sue ginocchia, probabilmente voleva soltanto punirlo per… non sapeva bene per cosa, ma sicuramente qualcosa Harry aveva fatto, perché Harry faceva sempre qualcosa che non andava bene e quindi adesso sarebbe, finalmente, stato picchiato.


Severus si sedette nuovamente e rimase immobile. Contro di lui il bambino-Potter tremava come una fogliolina indifesa.


C’era ancora così tanto da fare.
Così tanto da dire.

E lui non sapeva da dove cominciare.

In cuor suo Severus sperava un giorno di potergli insegnare un timore che non fosse paura, né terrore, un timore fatto di affetto, di semplice volontà di non creare dispiacere alla persona a cui voleva bene. Sperava davvero che un giorno il bambino-Potter potesse mostrargli quel timore. Il timore di dispiacergli.

Snape sospirò. Erano passati alcuni minuti, ma ancora il bambino sembrava una piccola statua seduta su di lui. Con un po’ di pressione, stando attento a non esercitare troppa forza, Severus lo spinse ancor più verso di sé, facendolo accomodare contro il suo petto.
Il bambino raccolse le manine al torace e continuò a restare immobile.

“Harry…”

Immediatamente il bimbo alzò la testa e fece per scusarsi con tutte quelle parole imparate a memoria che il piccolo riusciva a pronunciare velocemente e senza fermarsi mai. Severus fu più veloce.

“Harry, non abbiamo mai avuto modo di chiarire questo punto”.

Ecco, lo sapeva! Aveva fatto qualcosa che non doveva. Almeno era grato del fatto che l’uomo-Sevreus stava per spiegarglielo e quindi, magari, la prossima volta non avrebbe sbagliato. Zio Vernon non gli spiegava mai niente e aspettava soltanto che Harry sbagliasse per poi picchiarlo.

L’uomo-Sevreus lo stava guardando molto, molto seriamente. Il piccolo Harry cercò di non tremare troppo. Non sarebbe riuscito a fare attenzione per bene, altrimenti.


“Stare così è permesso, Harry”.


Il piccolo sbatté le ciglia un paio di volte.




Il piccolo inclinò la testa, ma rimase in silenzio.

Severus pensò che non avesse capito.
Decise quindi di partire dall’inizio.

Ma due manine che si aggrapparono alla sua veste lo fermarono. Il bambino si era fatto più vicino. E ancora lo guardava, con la meraviglia che si stava lentamente dipingendo nei suoi occhi verdi. Le sue piccole dita stringevano la stoffa forte e la piccola fronte ben presto si appoggiò contro il petto dell’uomo. Severus sentì il piccolo sospirare. Un debole suono soffocato, ma di sollievo. Un suono sereno. Una delle mani del maestro di Pozioni si mosse spontaneamente e si posò sulla piccola schiena.

Severus pensò che per il momento poteva andare bene anche così.

Avrebbero affrontato tutti i loro problemi nel fine settimana che stava per cominciare, prima del ritorno degli studenti.


Per qualche lungo minuto lasciò che quel contatto parlasse al posto suo.
In fondo questo era quello di cui avevano più bisogno.

Poi sussurrò: “Sì, Harry. Stare così è permesso”.


Poco dopo diede al bambino la pozione e lo guardò berla.

Sapeva perfettamente che la Skele-Gro aveva un sapore decisamente orribile. Eppure il bambino-Potter l’aveva sempre bevuta senza dire niente, senza lamentarsi. Quando l’ebbe finita l’uomo non poté trattenersi.

“Bravo bambino”.

Il piccolo Harry lo guardò. Quella cosa che doveva bere tutte le sere era davvero cattiva, ma non tanto quanto l’acqua sporca dei piatti che Zia Petunia alle volte gli dava.
E adesso il signore-Sevreus gli aveva fatto un complimento.
Quindi voleva dire che Harry era stato bravo.
Ad Harry piaceva essere bravo per l’uomo-Sevreus.
E quindi gli sorrise.

Severus si perse un istante nella contemplazione di quel sorriso così innocente.
Non ne vedeva da molto tempo.

Severus Snape era un uomo che aveva ormai imparato a riconoscere l’inganno e la falsità dietro i sorrisi ipocriti, anche prima che questi piegassero le untuose labbra di chi li produceva.
Ma davanti a quella genuina dimostrazione di… benessere e serenità poteva soltanto restare a guardare.

In cuor suo fu felice di vedere che, nonostante tutto quello che aveva subito, il bambino-Potter fosse ancora capace di un simile gesto. Lui, da parte sua, aveva perso quel genere di sorriso da molto, molto tempo…

Pigramente il giovane maestro lanciò uno sguardo all’orologio, mentre dava al bambino il latte che ormai ogni sera gli elfi avevano imparato a portare nelle sue stanze.
Si era fatto decisamente tardi, non c’era tempo per affrontare altri argomenti.
Il bambino doveva riposare.

Ma quella sera Severus si ripromise di accompagnarlo in camera e di osservare le sue abitudini.

Il piccolo Harry bevve avidamente.
Non credeva che l’uomo-Sevreus gli avrebbe portato via il bicchiere dalle mani, ma l’istinto era quello e le sue piccole dita stringevano forte la porcellana, come per paura che potesse scomparire all’improvviso.

Severus lo osservava attentamente.

Adesso che sapeva realizzava con quale enorme differenza classificava ogni comportamento del bambino.
Dove prima avrebbe visto l’ombra di James Potter adesso trovava soltanto insicurezze ed i lasciti di una vita di stenti e trascuratezza.
Adesso finalmente leggeva tutte quelle stranezze sotto la giusta luce e ne comprendeva i motivi.
Aveva ancora chiare in mente, come fosse stato adesso, le nauseabonde immagini che la Legilimens gli aveva permesso di vedere. E pensò che difficilmente le avrebbe mai scordate.


Infine Severus ritenne che fosse ora di accompagnare il bambino in camera. Avrebbe potuto semplicemente lasciarlo scendere e passare a controllare prima di ritirarsi nelle proprie stanze, ma ancora una volta decise diversamente.
Sistemò meglio le braccia attorno al bambino-Potter e si alzò.
Sentì le piccole mani del bimbo allacciarsi dietro la sua nuca e istintivamente lo strinse per non rischiare di farlo scivolare.
In perfetto silenzio quindi, con il mantello che si ripiegava nell’aria a causa del suo incedere e con il piccolo Harry in braccio, Severus si diresse verso il corridoio.
Mentre camminava il giovane maestro gli chiese se il braccio gli facesse ancora male.
Il piccolo Harry rispose di no e poi disse anche ‘Grazie signore-Sevreus’ mentre si stringeva ancora più forte al suo collo.

Giunti in camera Snape lo posò delicatamente sulla sponda del letto e per caso incrociò i suoi occhi verdi.

Merlino!
Il bimbo lo guardava come se l’uomo gli avesse appena regalato un’intera Great Hall di giocattoli.

Incapace di sostenere oltre quello sguardo (lui che aveva guardato negli occhi persino il Signore Oscuro) Severus gli suggerì di andare a dormire, ma non uscì dalla stanza.

Vide il bambino-Potter andare in bagno (dopo uno sguardo fugace nella sua direzione) e cambiarsi e con ancora più insicurezza salire sul letto.

Severus non attese d’incrociare ancora i suoi occhi e fece per cominciare a dire: “Harry…”

Il bambino quasi si lanciò giù dal letto e subito prese a scusarsi, mentre indietreggiava verso il baule.
Spiacevolmente sorpreso Severus lo vide issarsi dentro il contenitore di legno.

“Cosa stai facendo?”

Oh, Harry era quasi sicuro che il baule fosse permesso, ma era chiaro come avesse sbagliato di nuovo.

“Mi dispiace, signore, pensavo che… mi dispiace” disse.

E si stese sul pavimento, in un angolo.


Severus sospirò, reprimendo il desiderio di bruciare nel fuoco quella patetica famiglia Muggle con tutta la loro patetica casa.
Immediatamente realizzò dove avesse dormito il bambino per tutto quel tempo e decise che più tardi, sistemato anche questo problema, avrebbe avuto modo e tempo di insultarsi.

Dannazione, era pieno inverno. Ed il bambino-Potter era guarito da poco.
Subito Severus lo tirò su, sentendolo ovviamente irrigidirsi.
Lo riportò sulla sponda del letto e fece in modo da attirare la sua completa attenzione.

“Cosa stavi facendo, Harry?”

Il bambino lo guardò, impaurito.

“Andavo… a dormire, come ha detto il signore, signore”.

“Nel baule, Harry?”

Il bambino annuì, colpevolmente.
Oh, avrebbe dovuto immaginare che non andava bene… era troppo grande e troppo pulito, sicuramente l’uomo-Sevreus lo voleva utilizzare per metterci dentro qualcosa che valeva più del piccolo Harry…

Severus si volse un istante, trasse dalla manica la sua bacchetta e fece sparire il baule.
Al suo posto un grosso, morbido tappeto bianco apparve.

Il giovane Professore, quindi, guardò nuovamente il bambino.

“Niente bauli, Harry, niente tappeti e niente pavimento. Non importa dove dormivi nella tua vecchia casa, adesso sei nella mia e dormirai sempre e soltanto nel letto”.

Quegli occhi verdi non parevano affatto convinti.
Severus s’inginocchiò a terra, davanti al bimbo e lentamente, con voce pacata, gli disse:

“Stare sul letto è permesso, Harry. Tutte le volte che vuoi”.

Harry di nuovo sorrise, piano.
Non che Severus sapesse che si poteva sorridere piano… ma era così.
“Grazie mille, signore”.

Severus scosse la testa.
“Non mi devi ringraziare. Tutti hanno diritto a dormire in un letto, Harry, anche tu e non lasciare che nessuno ti convinca mai più del contrario”.

Di nuovo quel sorriso innocente.

“Domani mattina, dopo esserti vestito, vieni in cucina. Adesso va’ a dormire. E’ tardi”.

E lo lasciò, senza sapergli regalare un’ultima carezza.
La sua anima era ancora troppo sporca nei confronti di Lily per potersi avvicinare a quel sorriso così splendente.



La notte fu una notte comoda e morbida per Harry, un poco fredda, forse, ma molto più bella di tutte quelle avute prima.
Per Snape fu una notte di piccoli e grandi rimpianti.
Ogni tanto, fra un sorso di scotch ed un’imprecazione verso se stesso (e per buona misura anche verso quei Muggle), ripensava a quella carezza mancata.
Sperava soltanto di potergliela donare un giorno, con cuore completo, senza i demoni del passato ad incombere mostruosamente su ogni sua buona volontà.
Perché certamente il bambino-Potter, fra tutti, la meritava più di ogni altro.


Quel sabato mattina Snape si stava versando una buona tazza di tè forte quando colse un movimento alla sua sinistra.

“Buongiorno, Harry”.

“B-buongiorno, signore”.

Il bambino rimase immobile sulla soglia.

“Siediti, fra poco avremo la nostra colazione”.

Severus sperò sinceramente di non dover dettare ogni azione del bambino per tutto il tempo che sarebbero rimasti insieme e decise di cogliere l’occasione di quel primo pasto condiviso per insegnargli un po’ di autonomia.
Il bambino-Potter doveva imparare a compiere le sue scelte e Severus lo avrebbe accompagnato per mano da quelle più semplici a quelle più complesse.

Un elfo domestico, qualche istante dopo, servì la colazione e si congedò.

“Preferisci del latte o del succo di zucca, Harry?” chiese l’uomo.

Severus lo pose davanti alla scelta con finta casualità.
Era una cosa sciocca scegliere cosa bere, ma Snape pensò fosse un buon punto d’inizio.
Voleva che si esprimesse, che imparasse a comunicare con la voce quello che desiderava e come, senza timore di dire la cosa sbagliata, senza timore di una punizione.

Il piccolo lanciò due sguardi. Uno al bicchiere di latte, uno al bicchiere pieno di liquido arancio. Sapeva che il latte che l’uomo-Sevreus gli dava era sempre buono.

“L-latte, signore. Grazie, signore”.

Snape pensò che avrebbero dovuto parlare anche di quel ‘signore’. Il bambino non poteva continuare a chiamarlo così, non se dovevano vivere insieme, come una famiglia.

La parola famiglia si formò nella mente del giovane uomo per la prima volta. Un esteso senso di appartenenza si fece spazio nella sua anima e la riscaldò improvvisamente, come fosse una fiamma.
Forse, pensò, il bambino-Potter non era stato l’unico a desiderare da sempre una cosa simile.
A meritarla.

Il piccolo Harry mangiò di gusto i biscotti ed il pudding. Tutte cose che aveva visto tante volte sulla tavola dei Dursley, ma che non aveva mai avuto il permesso di assaggiare. Ma quando alzò gli occhi si sentì improvvisamente in colpa. L’uomo-Sevreus non stava mangiando niente. Subito Harry pensò di avergli portato via il cibo e si affrettò a offrirgli quello che aveva davanti.

Severus lo guardò in silenzio, per un attimo.
La generosità del bambino-Potter lo colse impreparato.
Evidentemente le passate esperienze negative non sembravano aver soffocato le sue buone qualità.
Snape ne fu quasi orgoglioso.

“Grazie, ma no, Harry. Non mangio volentieri la mattina, mi accontento del mio tè”.

Il bambino-Potter annuì semplicemente.

La colazione, quindi, passò senza che accadesse altro di rilevante.


Poco dopo Snape condusse il bambino in salotto.
In teoria avrebbe dovuto correggere alcuni scritti del quinto anno, ma come poteva impegnare il bambino nel frattempo?
Considerò l’idea di dargli un libro, ma una memoria lo colse improvvisamente.
Ricordava la sera in cui aveva interrogato il bambino-Potter sul libro di introduzione alle Pozioni che gli aveva dato da leggere. Un’altra delle cose che non avevano avuto senso…

L’uomo si sedette.
Il bambino-Potter lo guardava, Severus lo sapeva.


“Avvicinati, Harry”.

Severus si sforzava di usare spesso il suo nome proprio. Sospettava che il bambino-Potter fosse stato chiamato con tutta un’altra varietà di nomi nel posto dove aveva abitato prima. Nessuno dei quali gentile, temeva. Inoltre si rifiutava di chiamarlo per cognome, se non in presenza di altri. In qualsiasi situazione avrebbe accettato il figlio di Lily, ma ricordarsi deliberatamente della paternità appartenuta a James Potter…

Scosse la testa, concentrandosi su quanto voleva verificare.
Senza scomporsi di fronte al sussulto del bambino intonò:
Accio ‘Compendio degli ingredienti’ ”.
Il volume levitò docilmente nelle mani del maestro di Pozioni ed egli lo aprì a caso.
Nel frattempo il bambino aveva ubbidito alla sua richiesta e adesso era fermo davanti a lui.
Severus gli mise il libro davanti, indicando un paragrafo con un dito.

“Dimmi, Harry, cosa c’è scritto qui? Leggi ad alta voce…”

Silenzio.
Snape osservò attentamente il bambino-Potter spostare il peso del suo corpicino da una gamba all’altra, inconfortabilmente.
Due occhi di un verde terrorizzato lo guardarono per un secondo, prima di tuffarsi di nuovo sul libro, inutilmente.
Silenzio.

Ecco spiegato il mistero.
Era proprio come sospettava.
Perché non aveva tratto prima quell’ovvia conclusione?

“Non sai leggere, vero?”

Lo sguardo del bimbo si fece umido e disperato.
Il piccolo Harry si sentiva di nuovo inutile e stupido. Aveva ancora una volta fatto una cosa sbagliata, aveva di nuovo deluso l’uomo-Sevreus.
Oh, come si sentiva triste...

“Mi dispiace, signore, mi dispiace tanto…io…”

Severus chiuse il libro delicatamente.
“Non essere sciocco, Harry, non è certamente colpa tua se non ti è stato insegnato niente… dubitavo che quei Muggle ti avessero mandato a scuola…”

Harry alzò di scatto la testa e fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma sembrò ripensarci e chiuse le piccole labbra tremanti dopo aver preso un po’ di fiato.

Snape rimise a posto il libro, manualmente.
“Parla pure, Harry, cosa stavi per dire?”

Il bambino prese a tormentarsi le manine.
“Oh, sono… sono stato a scuola, signore…”

Severus alzò un sopracciglio.
Il bambino-Potter era quindi andato a scuola e nonostante tutto non sapeva (perché quello era più che evidente) ancora leggere?
Insolito.

Snape ebbe un’intuizione.
Adesso che la sua attenzione era diretta alla ricerca di risposte la sua mente acuta sapeva trovare ogni genere di spiegazione plausibile.

“E, dimmi, per quanto tempo sei andato a scuola?”

Il bambino-Potter, prevedibilmente, abbassò lo sguardo.

“Un giorno, signore”.

Quasi Snape rise.
Quasi, perché si rendeva conto che non vi fosse alcunché sopra cui ridere.

In un giorno solo nessuno avrebbe mai potuto imparare a leggere.
Ne mise a parte il bambino e lo sentì sospirare, quasi sollevato.
Sperava, in questo modo, di avergli tolto un’altra delle assurde preoccupazioni che lo rendevano inquieto.
Eppure il problema restava.
Non vi era molta scelta.
In fondo Severus Snape, non a caso, era un Professore di Hogwarts.

Era vero che probabilmente avrebbe dovuto discutere l’educazione del bambino con Albus, ma per le basi ritenne non ci fosse da aspettare.

Si diresse alla propria scrivania e prese una pergamena pulita ed un nuovo calamaio. Ed una piuma, naturalmente. Velocemente, e a caratteri chiari e grandi, scrisse le lettere dell’alfabeto, una sotto l’altra.
Si alzò, trasfigurò una delle due poltrone verdeargento in un piccolo scrittoio e rimpicciolì l’altra.
Il sospirò spezzato del bambino gli ricordò che Harry non amava vedere quelle dimostrazioni di magia.
Severus si appuntò mentalmente di parlare con il bambino anche di quello più tardi.

Lo fece sedere al tavolino, quindi gli lesse le lettere e gli disse di riscriverle tutte, una per una, accanto.

Incredulo il piccolo Harry guardava alternativamente il foglio, la boccetta nera e la penna.
L’uomo-Sevreus gli aveva dato una delle sue penne di piccione!
Oh, era così bella che quasi Harry aveva paura di toccarla.
Ma l’uomo aspettava e lo guardava e quando Harry sollevò la testa il signore-Sevreus annuì.

Snape si assicurò che il bambino-Potter avesse capito il compito (e come bagnare d’inchiostro la piuma) e si ritirò alla sua scrivania.
Ogni tanto alzava la testa dai temi dei suoi studenti e si assicurava che il bimbo stesse lavorando.
Il piccolo Harry aveva un’espressione così concentrata… adorabile.

Severus Snape pensò di essere impazzito.
Evidentemente gli elfi domestici avevano messo qualcosa nel suo maledettissimo tè, perché mai di sua volontà Snape avrebbe pensato al figlio dei Potter come qualcosa di… adorabile.

Per l’ennesima volta scosse la testa e si concentrò sui patetici tentativi di un primo anno Gryffindor di convincerlo che il modo migliore per ottenere una scaglia di drago fosse quello di andare a cercarla per i boschi della Romania… patetico!

Innumerevoli segni rossi dopo Snape era quasi sul punto di terminare le sue correzioni. Un ultimo commento sprezzante e l’uomo alzò lo sguardo. Il bambino-Potter aveva smesso di scrivere e adesso guardava il foglio davanti a sé con uno sguardo incerto. Quando i loro occhi si incontrarono il bambino li abbassò subito.
Severus si alzò.
Gentilmente prese il foglio di pergamena e guardò il lavoro del bimbo.
Accanto alle sue perfette vocali e consonanti c’era un grande insieme di linee tutte storte ed imprecise.
Ma Snape tenne a bada la sua vena polemica. Era perfettamente possibile che il bambino-Potter non avesse mai neanche tenuto in mano una penna prima di allora ed in fondo il suo operato non era così male.
Severus lo guardò.
Il bambino-Potter attendeva ansiosamente il suo verdetto, mentre si teneva la manina destra con l’altra mano, accarezzandosela.
Snape sollevò un sopracciglio.
“Cosa hai fatto alla mano, Harry?”
Il bambino lo guardò esitante.
“F-fa male, signore…”
Ma non allungò la piccola estremità per fargliela vedere alla ricerca di conforto come avrebbe fatto un qualsiasi altro bimbo, invece se la premé ancora di più al petto, come a nasconderla, come a voler evitare di vedersela picchiare.
Severus poteva immaginare che nel luogo dove si trovava prima questo gli fosse capitato.
Sospirò, come spesso faceva in quei primi giorni.
“Fammi vedere…”
Ancora esitante il bambino non poté che ubbidire.
Severus prese la piccola mano fra le sue, avvertendone il tremare incerto e spaventato. La rigirò delicatamente e la massaggiò piano. Riteneva che il bambino-Potter avesse semplicemente abusato dei suoi muscoli, non abituati all’estenuante compito di scrivere, per un tempo prolungato. Lasciò andare la sua mano e lo guardò negli occhi.
“Hai fatto un buon lavoro, Harry. Molto bene”.

Il bambino gli regalò uno dei suoi più sinceri e rari sorrisi.

Severus prese in consegna il foglio con le lettere e lo ripose in una scatola di latta verde, assieme al calamaio, la piuma e qualche altra pergamena pulita. Quindi si diresse alla libreria mentre si rivolgeva al bimbo.
“Questa, Harry, è la tua scatola dei compiti. Ogni mattina verrai qui in sala e la prenderai dall’ultimo scaffale di questa libreria – e gli mostrò l’ultimo ripiano della libreria sull’estrema destra. – Prenderai i tuoi fogli e farai i tuoi esercizi di scrittura. La sera me li consegnerai così da poterli controllare insieme. Ritieni di poterlo fare?”

Il bambino-Potter annuì velocemente, poi si ricordò come di qualcosa.
“Sì, signore”.

Severus si ritenne soddisfatto. Era tempo di creare per il bambino una nuova routine. Con alcune regole, certo, ma indubbiamente molto più appropriata per le esigenze del piccolo. Una routine da dividere insieme.

“Molto bene, Harry. Adesso seguimi in cucina. Sono certo che gli elfi hanno lasciato un piccolo spuntino per noi”.

Snape si assicurò quindi che il giovane Potter mangiasse una buona razione di frutta fresca e qualche morso di un toast. Madam Pomfrey si era raccomandata di fargli fare piccoli pasti, a distanza di un paio d’ore l’uno dall’altro, almeno sei nell’arco della giornata. Severus bevve soltanto una seconda tazza di tè.

Il cielo era coperto, ma non troppo. Mancavano almeno due ore all’ora di pranzo. In condizioni normali Snape si sarebbe chiuso nel suo ufficio a trafficare con le sue pozioni sperimentali, ma non poteva abbandonare a se stesso il bambino-Potter. Doveva attendere che acquistasse un po’ di sicurezza prima di riesumare le vecchie abitudini. Il giovane uomo decise quindi di portare Harry in infermeria. Sicuramente Madam Pomfrey desiderava controllare l’andamento della terapia. Ma prima lo portò davanti al camino e gli coprì la cicatrice con l’unguento speciale, per cancellarla temporaneamente. Dopo la spiacevole esperienza con il signor Sorier non poteva permettersi alcuna fiducia, neppure nei confronti dei suoi stessi studenti. Quando il segno magico fu completamente sparito Snape si ritenne pronto ad andare.

Senza pensarci si girò verso il bambino e lo prese per un polso, per uscire con lui dalle proprie stanze.
E non se ne accorse, ma gli occhi del piccolo Harry si fecero vuoti per un istante, prima che una delle sue terribili memorie riaffiorasse.


Dita enormi. Così strette attorno al suo polso, facevano così male perché stringevano troppo. ‘No, per favore, signore, non ho fatto niente. N-no…’ Twack. Twack. Colpi, sulla schiena, sulle spalle, sulla testa. ‘Piccola lurida creatura, osi forse dire che non è vero, che non ho ragione?’ Twack. ‘No, signore, no’ ‘Osi rispondere pure?’ Twack. Twack. Twack. Twack. ‘Hai del fegato ragazzo! Vieni con me, vedremo se dopo questo avrai ancora il coraggio di parlarmi con quel tono…’ ‘Per favore, ti prego, perfavoreperfavoreperfavorenononononono’ Twack. Twack. ‘Sta’ zitto! ZITTO HO DETTO!!’ Twack. Ah, la fibbia della cintura lo aveva colpito sotto l’occhio, non ci vedeva più. Già si sentiva le guance bagnate. Lo sapeva dove lo stava portando. Era notte e nemmeno Zia Petunia lo avrebbe salvato. Quando vide le scale prese a dimenarsi. Twack. Twack. ‘Sta’ ferma, piccola, sudicia bestia’. Contro il muro, non aveva scampo, cercò di alzarsi, di allontanarsi, di strisciare via da sotto i colpi, ma non fece nemmeno un passo, le gambe non lo reggevano e le braccia tremavano dalla paura. ‘Schifoso… (twack) inutile… (twack) disgustoso… (twack) piccolo (twack) verme (twack)’.
Oh, i colpi non finivano mai, mai.
Sarebbe morto, morto per davvero questa volta e mentre non sentiva più niente pensava che forse non sarebbe stato poi così brutto rivedere mamma e papà…




Il bambino-Potter fu attraversato da uno spasmo violento e si tirò indietro, brutalmente. Se non fosse stato così piccolo e debole probabilmente si sarebbe liberato della mano di Snape subito, ma colto alla sprovvista l’uomo rafforzò la presa, stringendo più forte. Il bambino mugolò e prese a divincolarsi, improvvisamente. Il verde selvaggio dei suoi occhi disse al giovane maestro di Pozioni che qualcosa non andava.
Potter lottava come se d’un tratto un ippogrifo fosse apparso dal nulla e lo avesse attaccato.
Lottava contro qualcosa che non era Severus, contro qualcosa che Snape non riusciva a vedere.
“Harry, che diamine… ow!”
Le piccole unghie dell’altra mano del bambino lo stavano graffiando.
Severus non vide altra soluzione che lasciarlo andare.
Non appena lo liberò il bambino s’accasciò a terra come una bambola di pezza. Ansante, disorientato, terrorizzato oltre ogni dire. In stupito silenzio l’uomo lo vide acciambellarsi a terra e coprirsi la testa.
Parole soffocate e singhiozzi violenti scuotevano il piccolo corpicino, che ancora si muoveva, tremava, si ripiegava su se stesso come se desiderasse sparire per sempre…
“Nosignorebastaperfavoreperfavorelacinturanobastasignore… famale…”

Sconvolto (come mai pensò di poterlo essere) Snape s’inginocchiò e provò a tirare su il bambino.
Ancora le piccole mani tentarono di spingerlo via, Potter piangeva sempre più forte e si era alzato per scappare chissà dove, ma Snape si rifiutò di lasciarlo andare questa volta.
Lo prese in braccio, di peso e se lo strinse contro. Si alzò e si sedette su una delle poltrone, stringendo ancora più forte fra le sue braccia il suo piccolo, devastato fardello.

Un ultimo strattone ed il bambino-Potter smise di dibattersi. Il piccolo, ossuto petto era squassato dai singulti e dai lamenti. Il bimbo era spaventato a morte, tanto da non riuscire quasi a respirare.
Severus lo tenne contro di sé mentre sussurrava:
“Sssh…”
Gli passò una mano fra i capelli, mentre l’altra si posava sulla piccola schiena piegata.
Sentiva che i propri vestiti, lì sul petto, si stavano facendo umidi.

E per la prima volta in tanti anni di sofferenze inflitte e ricevute se lo chiese…
Perché?

Perché persino un bambino così piccolo ed innocente doveva soffrire in quel modo?

Chi lo aveva deciso?

Chiudendo gli occhi Severus si dispose ad attendere che tutto si calmasse.
Sapeva già da tempo che ben presto il passato avrebbe preso a tormentare il bambino.
Probabilmente Harry aveva appena rivissuto una qualche memoria legata alla sua permanenza nella casa di quei Muggle. Non vi era altra spiegazione.
Gli occhi vuoti e terrorizzati, i segni e sintomi del panico, la mente lontana.
Tutto quello era abbastanza per supporre che ciò che il bambino-Potter avesse ricordato non era ovviamente un accadimento felice.
Snape si rimproverò. Non avrebbe dovuto afferrare il bambino per il polso in quel modo. Eppure sapeva bene che con il bimbo era importante usare molta cautela in quello che concerneva il contatto fisico.
Sospirò, in parte sentendosi colpevole per ciò che era successo.

Sapeva che dire qualsiasi cosa in quel frangente non avrebbe giovato. Rimase in silenzio ancora un po’.
Il bambino parve calmarsi.
Severus lasciò la sua mano là dov’era, sulla schiena del bambino-Potter.
Due occhi umidissimi, ma padroni di se stessi lo guardarono, inondandolo di quel verde speranza così bello.
Il bimbo era già pronto a scusarsi fino all’inverosimile.
Severus non trovò altro da fare che fermarlo.
“Va tutto bene, Harry. Adesso va tutto bene. Senti il bisogno di parlarmi di quello che hai ricordato?”
Snape fece attenzione a dare un tono quasi gentile alla domanda, non voleva sembrasse un ordine e guardò il bambino, senza far trapelare sentimenti d’aspettativa o d’imposizione. Desiderava che il bimbo fosse libero di decidere se parlargli o meno. Era un altro passo verso l’autonomia, in fondo.

Il silenzio si allungò esplicitamente.

Era ancora presto.
Severus non si lasciò sfuggire alcun gesto di fastidio o insoddisfazione. Senza far scendere Potter gli spiegò che adesso sarebbero andati a trovare Madam Pomfrey per un controllo della sua salute. Il piccolo annuì.
E quando uscirono dalla stanza, questa volta, Snape si tenne ben lontano dal pensiero di afferrare la sua piccola mano.


La donna era affaccendata vicino ad uno dei letti sul lato destro dell’infermeria. Severus entrò, il bambino al suo seguito.
“Severus!”
“Poppy” salutò l’uomo facendo un cenno con la testa. Visto quanto spesso s’incontravano in quei giorni, il maestro di Pozioni trovava infruttuoso continuare a mantenere verso di lei la formalità mostrata al principio e si era ormai rassegnato a chiamarla con il suo nome proprio.
“Severus – sorrise la donna. – Sei arrivato con troppo anticipo. Io e la Professoressa Rosebud non abbiamo ancora avuto il tempo di comprare quegli alimenti speciali per il nostro giovane Harry”.
Severus lanciò uno sguardo in basso al bambino-Potter, per assicurarsi che non si fosse allontanato.
“Non ha importanza. Ho portato il bambino con me soltanto per un controllo”.
Madam Pomfrey sorrise ancora più apertamente.
“Va bene. Allora giovanotto, dimmi, su quale di tutti questi letti ti va di sederti?”
Snape quasi sogghignò.
Era palese che Poppy concordava con lui sulla spinta verso l’autonomia.
Severus si sentì guardare dal bambino.
Esitando il piccolo scelse il letto più vicino a loro, quello esattamente a tre passi dall’uomo-Sevreus.
Madam Pomfrey lanciò un sorriso al giovane professore che sembrava dire ‘Ci avrei potuto scommettere’.
Snape la ignorò.
La donna si avvicinò lentamente al bimbo e gli sorrise. Subito dopo assunse la sua consueta espressione professionale. Gli occhi verdi del bambino si muovevano incessantemente verso l’uomo. Madam Pomfrey d’un tratto corrugò la fronte scrutando il viso del piccolo Potter.
“E questi occhi rossi, giovanotto?” chiese, subito volgendosi verso Snape. Non era chiaro, a quel punto, chi fosse il giovanotto a cui veniva chiesto…
L’uomo alzò un sopracciglio, criticamente.
“Harry ha, diciamo, passato uno spiacevole momento, mentre venivamo qui. Riguardo alcune memorie del passato, ritengo…”
La donna sospirò.


Il piccolo Harry trovava davvero strano che in quei giorni quasi tutti intorno a lui sospirassero.
Forse era una cosa dei grandi di quel posto…
Prese a guardarsi attorno.
Adesso era di nuovo nella stanza larghissima con tutti i letti bianchi. E c’era di nuovo la signora col grembiule. Harry si stava quasi abituando a lei, non quanto come con l’uomo-Sevreus, ma abbastanza da non sentirsi più tutto rigido come la prima volta che era stato lì.
La signora aveva notato i suoi occhi rossi. Harry sapeva che piangere faceva diventare rossi gli occhi, ma Zia Petunia non se ne voleva mai accorgere quando la mattina lo lasciava uscire dalla cantina. E l’uomo-Sevreus aveva parlato di memoria. Oh, non era sembrata affatto come una cosa ricordata, per lui, quanto piuttosto una cosa che stava accadendo di nuovo in quei momenti, come essere di nuovo lì, con Zio Vernon e la sua cintura.
Harry rabbrividì. Il pensiero di Zio Vernon era sempre molto brutto, Harry non poteva farci niente e desiderò alzarsi ed avvicinarsi all’uomo-Sevreus, ma non osava. Alzò solo di un poco la testa, rabbrividendo di nuovo e vide l’uomo-Sevreus lanciargli uno sguardo.
Un attimo dopo l’uomo era seduto accanto a lui.
Con assoluta meraviglia Harry si chiese se il suo uomo-Sevreus sapesse leggergli nella mente…

Madam Pomfrey passò la bacchetta accanto al corpo del bimbo, mentre si rivolgeva a Snape.
“Capisco. Immagino tu sappia che era solo questione di tempo prima che…”

L’uomo alzò una mano, fermando lo scorrere delle parole della donna.
“Sì, ne ero al corrente. Non intendo essere rude, Poppy, ma non desidero discutere di questo adesso. Sono certo che sia possibile trovare un momento migliore per questa conversazione in uno, due giorni al massimo”.

La donna lo guardò seriamente e quindi annuì.

Snape non si rimproverò per l’interruzione. Lui e Madam Pomfrey avevano discusso fin troppo sulla salute fisica e mentale di Harry alla presenza del bambino. E prima di parlarne ulteriormente voleva avere il tempo di riflettere e magari affrontare il problema con il bambino-Potter direttamente. Inoltre non voleva che la donna, per quanto ben intenzionata, arrivasse a domandare qualcosa ad Harry. La situazione era ancora fragile. Severus non conosceva le situazioni ‘trigger’ che potevano trascinare di nuovo il bimbo nelle memorie del suo orribile passato e lasciare che la donna lo tempestasse di domande subito dopo la crisi non sembrava nemmeno un’idea da prendere in considerazione per il tempo di formularla. Desiderava semplicemente ritirarsi nei suoi quartieri al più presto.

“La terapia ha dato frutti, Poppy?”

La donna si rialzò lievemente.
“Il bambino sta bene, o almeno bene quanto ci si può aspettare dopo le sue passate esperienze. Se concordi io sospenderei la somministrazione di Skele-Gro e lascerei il resto al programma alimentare”.

Severus annuì.
“Sì, sono concorde. L’uso prolungato di alcune pozioni, come la Skele-Gro, non è previsto su un bambino così piccolo per troppo tempo”.

“Molto bene – sorrise Madam Pomfrey al giovane Potter – da stasera, giovanotto, niente più roba cattiva da bere prima di andare a letto, sei contento?”

Harry si chiese se la signora col grembiule si attendesse una risposta. Quando sentì anche lo sguardo dell’uomo-Sevreus pensò che fosse proprio così e disse: “Sì, signore”. Non che ci credesse veramente… nessuno smetteva davvero di dare le cose cattive ad Harry, perché Harry era un verme ed i vermi non hanno cose buone.

Severus pensò che il bambino avesse risposto tanto per rispondere e si ripromise di affrontare anche questo insieme a tutto il resto.
Quindi si alzò e con un “Ritengo sia il momento di ritirarsi per il pranzo” si congedò.
La donna lo fermò sulla soglia.

“Se tornate domani, verso quest’ora, ti farò avere quei prodotti Muggle”.

Severus apparve leggermente contrariato.
“Non li darò al bambino senza prima averli analizzati, comprane un ‘esemplare’ in più”.

Madam Pomfrey rise di vero cuore.
“Oh, Severus. Non sono mica animali e certamente non sono pericolosi, comunque come desideri, ne comprerò qualcuno in più”.
E ridendo ancora li lasciò andare via.



Snape ed il bambino-Potter fecero ritorno nei sotterranei senza nessun altro problema ed il giovane maestro di Pozioni si assicurò che Harry mangiasse tutto quello che gli elfi avevano messo nel suo piatto.

Era primo pomeriggio. Probabilmente l’ora più calda di tutta la giornata, non pioveva e non tirava vento. In più lo speciale unguento per coprire la cicatrice era ancora perfettamente attivo.
Tutto sembrava tramare contro di lui.
Severus quasi sospirò in rammarico per i suoi temi da correggere e le pozioni da sperimentare, ma annunciò lo stesso: “Vestiti, Harry. Fra dieci minuti esatti andremo in giardino”.

Il piccolo sparì nel corridoio prontamente.

Severus chiamò un elfo domestico. Gli chiese di avvertire Dumbledore che lui ed il bambino avrebbero passeggiato per i terreni circostanti la scuola. Ovviamente non era un invito di cortesia, quanto un ammonimento alla prudenza. L’ultima volta che il bambino-Potter era uscito dalla scuola era stato rapito da un gruppo di asini psicopatici e idioti. Sperava che dall’alto del suo ufficio il Preside potesse tenere sotto controllo i limitari della foresta e la barriera anti-apparizione.
Quindi Snape si vestì a sua volta e controllò che la sua bacchetta fosse facilmente raggiungibile all’interno della manica sinistra. Non aveva intenzione di rischiare nulla questa volta.

Quando attraversò la sala notò che il bambino-Potter era già lì, pronto, con il suo mantello nuovo e la sciarpa enorme. Annuì e, dopo essersi assicurato che il bimbo lo stesse seguendo, lo condusse fuori.

La giornata era effettivamente piacevole. Non era più tardi delle due ed il sole, ogni tanto, faceva sentire il suo calore. Le fronde degli alberi della Foresta Proibita erano immobili.
Hagrid li scorse da lontano e li salutò.
Impacciatamene il bambino-Potter alzò una manina per ricambiare e sorrise un pochino quando vide Fang.

Severus gli disse che se voleva poteva andare, ma lo fermò quasi subito.
Il bambino-Potter lo guardò, senza un espressione precisa sul piccolo viso.
Snape ricambiò lo sguardo, quasi serenamente.

“Ricordati di non correre, Harry. Hai appena mangiato”.

“Sì, signore” rispose ubbidientemente il bimbo.

Snape prese a passeggiare lentamente nei pressi della capanna del guardiacaccia. Più precisamente fra il margine della Foresta Proibita e la capanna di Hagrid. Attentamente squadrava i coni d’ombra fra il fogliame, prestando orecchio ad ogni fruscio sospetto, per notare in tempo qualsiasi pericolo potesse comparire.

Una piccola, leggera risata lo distrasse.
Il bambino-Potter aveva appena fatto conoscenza con la lingua di Fang. Il grosso, docile cane non smetteva di leccarlo e dopo la paura del primo giorno Harry era diventato uno dei suoi amici.

Severus se ne disse contento. Date le precedenti esperienze del bambino non si sentiva di criticarlo per aver scelto il suo primo amico nel regno animale, sicuramente avrebbe avuto meno probabilità di essere poi tradito.

Il suo primo amico.
Anche quel pensiero meritava una riflessione particolare.
Il futuro del bambino era come un caleidoscopio. Ogni lucida sfaccettatura era qualcosa che andava esaminato, cambiato, riempito, guarito e reso migliore.
Severus non sapeva se poteva considerarsi amico del bambino-Potter, o meglio, non sapeva ancora se il bambino-Potter lo considerava un amico o un nemico. Quello che sapeva con sicurezza era che ci sarebbe voluto molto tempo per tutto quello che c’era da recuperare.




In breve il sole si fece più pallido.
Snape richiamò il bambino-Potter e lo riportò al castello senza incidenti.


Era passata circa un’ora, un’ora e mezza dall’ultimo pasto, ma il giovane maestro ritenne doveroso condurre ugualmente il bambino in cucina ed offrirgli la possibilità di un piccolo spuntino.

Il piccolo Harry allungò esitante la manina verso una mela, senza lasciare gli occhi dell’uomo-Sevreus.
Snape annuì.

Sedendosi e bevendo il suo tè Severus lanciò uno sguardo critico verso il piccolo abitante dei suoi quartieri. Il bambino-Potter aveva decisamente acquistato in quei giorni un colorito più sano e i suoi occhi non sembravano più costantemente lucidi come in preda alla febbre o ad un pianto improvviso. Pareva anche cominciare ad guadagnare un po’ di peso…

Snape improvvisamente sbuffò divertito quando notò il ridicolo tentativo del bimbo nel continuare a mangiare la mela mentre si strusciava gli occhi assonnati con un pugnetto.
Ebbe l’impulso improvviso di spostargli la frangia dalla fronte con una carezza.
Ma lo soffocò, preferendo aspettare che il piccolo Potter finisse il suo spuntino.

Era quasi metà pomeriggio quando lo accompagnò nella sua stanza e gli disse di riposare.
Sicuramente le attività di quella metà giornata lo avevano stancato.

Severus approfittò di quei momenti di relativa quiete per riprendere i suoi esperimenti.
Preparò la base per la sua nuova Wolfsbane e lentamente prese a mescolare ingredienti e composti. Il tempo parve rallentare il suo corso ad ogni giro di mestolo nel calderone. Era quello un piacere che aveva accompagnato Severus per buona parte della sua vita, ma adesso sembrava realmente una gioia dopo che il maestro se ne era dovuto privare per attendere ai suoi compiti di tutore. In fondo, si trovò a riflettere, la piacevolezza nel coltivare un proprio interesse non poteva che aumentare dopo una prolungata lontananza da quest’ultimo. Trovò ben presto che i suoi pensieri, come spesso accadeva quando i suoi occhi si perdevano nelle trame del liquido in ebollizione, vagassero in direzioni arbitrarie e prese a riflettere su tutto e nulla negli stessi momenti. Non aveva bisogno di controllare il lavoro delle proprie mani, esse erano come dotate di vita propria e perfettamente disciplinate ad eseguire solo e soltanto i compiti esatti.

Fu un pomeriggio rilassante e proficuo, come da molto non ne aveva ed il suo conseguimento del successo in uno dei passaggi fondamentali della sua nuova pozione lo lasciò preda di un gratificante senso di compimento.

Poco prima di cena Severus lasciò il suo esperimento, ma solo dopo averne disposto attentamente. Non poteva assolutamente dimenticare che il bambino-Potter adesso divideva quei quartieri con lui.

Mantenendo l’attenzione sul pensiero del bambino Snape ritenne di doverlo svegliare.
Mentre si dirigeva verso la sua stanza nel piccolo corridoio ripensò alle prime volte, quando con crudele premeditazione apprezzava spalancare la porta con violenza e spaventarlo. Piccoli miseri trionfi basati sull’illusione di avere la sua privacy invasa dal figlio del maledetto James Potter.

Fortunatamente poi la verità era arrivata a fargli visita…

Severus entrò quietamente nella stanza in penombra, il fuoco magico bruciava nel camino spandendo un tepore confortevole, ma l’aria era ancora umida e sollevando un sopracciglio Snape si chiese perché il bambino-Potter si fosse addormentato sopra le coperte quando era evidente, dal suo riposare tutto raggomitolato, che il freddo lo aveva disturbato.

Mantenendosi distante dal letto, per non scatenare altre reazioni di panico, il giovane maestro chiamò il bimbo.

La cena passò velocemente, senza alcunché di rilevante.
Subito dopo si ritirarono in sala.

Ecco.
Era quel momento che Severus aveva atteso e temuto per tutto quel giorno.

Ma era qualcosa che assolutamente andava affrontato.

Snape portò la propria tazza di tè con sé e si sedette su una poltrona. Osservò il bambino-Potter con attenzione, come era abituato a fare dal giorno della verità.
Harry sembrava non essere in grado di trovare per se stesso una collocazione in quella stanza. Continuava a guardare il suo nuovo banchino, ma non osava sedersi di spalle all’uomo-Sevreus. In terra avrebbe sporcato i suoi vestiti nuovi e Snape lo vide mentalmente barrare anche quella possibilità dopo un veloce sguardo a terra e alla sua maglia nuova. Ovviamente il bimbo capiva di non poter tornare in cucina, né di potersi ritirare in camera senza essere stato congedato. E quindi non rimaneva che restare lì, in piedi.
Snape attese pazientemente che il piccolo Harry arrivasse ad accorgersi dell’ultima possibilità.
Ebbe quasi tempo di finire il proprio tè, prima di sentirsi sotto esame, o meglio, prima di sentire le proprie ginocchia sotto esame. Quasi sorrise. Eppure, al tempo stesso, il profondo sguardo verde, pieno di desiderio represso e ansia e bisogno soffocato quasi commosse la sua nuova, ritrovata, umanità.

“Vuoi venire a sedere sulle mie gambe, Harry?”

Senza alzare la testa il bambino-Potter annuì timidamente.

“Guardami negli occhi, Harry, quando mi parli” lo rimproverò in tono delicato l’uomo.

Il bimbo ubbidì.

“Sì, signore” aggiunse ancora più incerto.

Severus posò la tazza e si tirò leggermente più avanti. Prese contatto con gli occhi verdi del figlio di Lily.

“Quando desideri sederti sulle mie ginocchia, Harry, non devi fare altro che chiederlo. Posso darti il permesso oppure no, a seconda della situazione e del momento, ma puoi e devi chiedere, se vuoi. Per quanto mi concerne cercherò di essere il più accomodante possibile. Va bene?”

“Sì, signore” …non che Harry avesse capito come l’uomo-Sevreus potesse diventare più comodo…

Il silenzio si allungò un altro po’, stiracchiandosi fra di loro come un gatto pigro.
Snape attese, per vedere se effettivamente Harry avrebbe provato…

Quando quell’infernale contorcersi di manine riprese Severus seppe che il bambino-Potter stava per parlargli. Evento più unico che raro.

Uno sguardo intimorito attraverso la frangia.
“Signore… posso…uh… – altro sguardo ansioso. – Posso sedermi…sulletueginocchiasignoreSevreus?” finì tutto d’un fiato, tremando leggermente.

Snape soppresse un sorriso compiaciuto e si sistemò meglio sulla poltrona.
“Certamente”.

Con quell’andatura un po’ buffa che tutti i bambini hanno Severus lo vide avanzare, quasi inciampando nel tappeto, le manine raccolte l’una nell’altra, la testa china.
Quando fu ad un soffio da lui Snape si chiese se davvero il bimbo avrebbe avuto il coraggio di salire sulle sue ginocchia.

L’improvviso contatto di una piccola mano sulla sua gamba sinistra lo sorprese ed il bambino lanciò un piccolo guaito di paura, tirandosi indietro.
Snape non attese di vederlo fuggire e nascondersi in un angolo, lo prese sotto le braccia e lo sollevò, portandoselo vicino.

Quando lo accomodò sulle proprie ginocchia lo vide ripararsi la testa con le mani e ancora tremare.
Oh, per il santo Merlino.
Il bambino avrebbe dovuto capirlo oramai.
Se Severus lo avesse voluto picchiare a quest’ora lo avrebbe già fatto e ben più di una volta.

Avrebbe voluto scuoterlo fino a fargli capire che non c’era niente di cui aver paura, ma difficilmente quella sarebbe stata la soluzione adatta.


In fondo, come biasimarlo? In quei vergognosi giorni pieni della sua folle cecità Severus lo aveva trascurato e abbandonato a sé stesso, lo aveva affamato e non aveva curato né il suo corpo né il suo spirito da tutto il male che quei Muggle gli avevano fatto.

La sfida era adesso, dimostrargli che quello non era tutto ciò che Severus aveva da offrire.
Che c’era molto altro.

Che Severus Snape poteva e voleva mostrargli cos’altro c’era .

Mostrargli l’altra metà di sé.

Quella comprensiva, che sapeva in qualche modo, anche non convenzionale, avere cura del prossimo e avvertirne i bisogni e le necessità.
La metà di sé che sapeva parlare senza troppo sarcasmo, che sapeva entrare senza sbattere le porte e che poteva e voleva prendersi cura del piccolo, fragile figlio di una donna coraggiosa, mai dimenticata.

Per questo Severus afferrò molto delicatamente le mani del bimbo e le allontanò dal suo capino tutto arruffato, lentamente.

Il piccolo Harry lo spiava dalla frangia, ancora rinchiuso nei suoi pensieri di timore e angoscia.
Immancabilmente Severus sospirò.

“Harry, perché mai dovrei punirti quando ti ho dato il permesso?”

“N-non… lo so, signore… tanto Harry sbaglia sempre lo stesso, signore”.

Severus si prese un istante per considerare come rispondere.

“Non è esatto. Ti posso assicurare che con me non sbagli quando fai come ti viene detto, Harry”.

Il bambino annuì, finalmente un po’ più rilassato.
Snape pensò a come introdurre in parte il discorso che intendeva fare.
Ritenne che partire dall’inizio fosse un’idea meritevole di considerazione.
In fondo non sapeva nemmeno cosa il bambino-Potter si aspettasse da lui e dalla loro convivenza.

“Immagino, Harry, che nella casa dove vivevi prima di arrivare qui ad Hogwarts ci fossero delle regole, dei compiti da fare in un certo modo…”

Oh, questo catturò immediatamente l’attenzione del piccolo Harry. Sapeva che prima o poi sarebbero arrivati a questa parte ed il bimbo assunse un’aria compita, mentre recitava a memoria i suoi doveri.

“Sì, signore. Harry tutti i giorni fa i lavori in casa per Zia Petunia. Da quando ancora non c’è luce fuori fino alla sera. Harry non può prendere niente da mangiare se non gli viene dato da Zia Petunia o da Zio Vernon e se non lavora bene non può avere niente. Harry non deve mangiare quando non ha il permesso anche se ha fame, non può prendere nemmeno gli avanzi. E non può toccare niente a meno che non ci sia la polvere ed Harry lo deve pulire. Non può toccare le cose di Dudley e soprattutto non può toccare i giocattoli di Dudley, nemmeno per pulirli se non c’è Zia Petunia. Harry non può chiedere niente perché nessuno gli deve dare niente e non può fare domande né rispondere né parlare a meno che non gli venga detto di parlare”.

Il bambino si fermò.
Severus non ricordava di averlo mai sentito parlare così a lungo.
La sua mente adirata sapeva, nonostante tutto, che il racconto non fosse ancora finito.
Trovò necessario incoraggiare entrambi a quel punto.

“Continua, Harry, ti ascolto”.

Il piccolo pensò di aver fatto quasi bene fino ad ora.
In fondo anche Zio Vernon, che non era mai contento, era meno cattivo quando Harry ripeteva per bene tutte le regole.

“E poi Harry deve fare tutto quello che gli viene detto senza dire niente e deve stare nel suo ripostiglio e nella cantina se ci viene messo. Deve stare zitto e al buio quando ci sono persone a casa e non deve farsi vedere perché è brutto e nessuno lo vuole vedere. E non si può spostare quando Zio Vernon lo picchia, perché Harry se lo merita. Se Harry risponde male a Zio Vernon o a Zia Petunia viene picchiato, se Harry tocca Dudley viene picchiato, se Harry non rispetta le regole viene picchiato  – si interruppe nuovamente, poi d’improvviso si agitò, come se avesse dimenticato una cosa importantissima. – Oh, e se, e se Harry non pulisce bene la libreria viene picchiato”.

Questo sembrava tutto.
Severus serrò le labbra in due linee dure e senza perdono.
Chiuse gli occhi e li riaprì, determinato a porre la parola fine a quelle blasfemie che aveva udito.

“Guardami, Harry e ascolta attentamente”.

Due occhi verdi enormi si alzarono a sondare il suo viso.
L’uomo riprese con voce perfettamente udibile e lievemente autoritaria.

“Da oggi, Harry, tutto questo non esisterà più. Lo devi dimenticare perché ti posso assicurare, al di là di qualsiasi ragionevole od irragionevole dubbio, che non tornerai mai più in quella casa. Da adesso tutte le regole che hai detto sono completamente cancellate. Nei miei quartieri e sotto il mio tetto non le dovrai né ricordare né osservare. Sono stato sufficientemente chiaro?”

Il piccolo Harry annuì debolmente.
Non aveva molto capito cosa l’uomo-Sevreus avesse detto, ma sembrava che il suo elenco non gli fosse piaciuto molto. Era sempre così difficile capire le parole del suo signore-Sevreus…
Oh, l’uomo stava ancora parlando…

“Ti è assolutamente permesso domandare qualsiasi cosa tu ti senta di chiedere. Anzi preferisco sentirti chiedere qualcosa piuttosto che lanciarti da solo in qualsiasi impresa palesemente al di fuori della tua portata, capisci?”

Oh, Harry si affrettò a rassicurare l’uomo-Sevreus.
“Sì, signore. Harry è grande abbastanza da capire che lanciarsi fuori dalla porta non è bello, soprattutto se c’è un palo lì vicino, signore”.

Severus ebbe un attimo di smarrimento.

La sua espressione confusa non ebbe un effetto positivo sull’insicurezza che Harry provava nel non aver capito appieno quello che l’uomo-Sevreus aveva tentato di dirgli.
L’uomo-Sevreus sembrava sorpreso ed Harry sapeva bene che quando un grande era sorpreso spesso era qualcosa di brutto. Zio Vernon diventava sempre più cattivo quando qualcosa che Harry diceva o faceva lo sorprendeva e Zio Vernon era uno dei grandi.
Il piccolo Harry ripensò velocemente a cosa era stato detto.
Lui aveva elencato all’uomo-Sevreus le regole e l’uomo non era sembrato molto contento… Eh, certo! Era chiaro, stupido ed inutile che non era altro. L’uomo voleva sentir parlare delle sue regole, non di quelle di altri. E non appena pensò questa cosa Harry ebbe paura. Come poteva elencare all’uomo-Sevreus le sue regole se Harry non le conosceva? Questa comunque non era una cosa nuova, anche Zia Petunia spesso si aspettava che Harry facesse cose che nessuno gli aveva spiegato e lo picchiava con la padella quanto Harry non ci riusciva. L’uomo-Sevreus aveva vicino solo la tazza e forse lo avrebbe picchiato con quella, ma era lo stesso meglio della padella…

Il bambino-Potter era indubbiamente agitato. Adesso sedeva tutto rigido, con la schiena diritta e guardava sospettoso la tazza vuota su un piccolo tavolino trasfigurato all’occorrenza.
I suoi processi mentali erano ancora un’incognita per il giovane maestro di Pozioni.

D’un tratto il piccolo Potter tentò di farsi ancor più piccolo di quello che era, mentre con vocina debole e tremolante si scusava.

“Mi dispiace, signore. Mi dispiace se Harry non conosce le altre regole… Harry sa che qui vivono altre regole, ma Harry non le ha mai incontrate e mi dispiace, signore, mi dispiace tanto…”

Di che diamine stesse parlando davvero Snape non lo sapeva…

L’uomo si schiarì la voce, il bambino sobbalzò sulle sue gambe.
“Partendo dal presupposto che le regole NON vivono, di cosa…”

Ma il bimbo, per la prima volta da quando viveva con lui, lo interruppe.
“Ma il signore-Sevreus lo ha detto la prima sera, che le regole vivono qui dentro e che…”

Snape lo interruppe a sua volta, in un tono forse troppo alto per la sanità mentale del bambino-Potter.
“Sono positivamente certo di non aver mai detto un’assurdità simile!”

Il piccolo fece per scendere dalle gambe dell’uomo-Sevreus e rifugiarsi nell’angolo accanto al camino.
Ecco, lo sapeva! Non aveva saputo elencargli le regole e aveva fatto arrabbiare l’uomo-Sevreus che da giorni gli dava da mangiare e che lo aveva portato in giardino e che lo faceva stare sulle sue gambe. E adesso Harry doveva scendere perché non meritava di stare sull’uomo-Sevreus e doveva aspettare che l’uomo lo punisse perché era giusto così.

Ma non ebbe modo di fare niente di tutto quello che si era ripromesso, perché le mani grandi dell’uomo-Sevreus lo tennero esattamente dov’era e l’uomo-Sevreus adesso lo guardava.

Davvero Snape poteva affermare, dall’alto della sua conoscenza, di non aver afferrato molto di quello che era successo. Prese fiato, cercando spiegazioni logiche e soluzioni pratiche. Sospirò. Era bene innanzitutto chiarire.

“Harry, posso assicurarti di non aver mai detto che le regole vivono qui e…” improvvisamente si bloccò.

Ricompose in un flash di comprensiva luce tutti i pezzi di quel puzzle senza senso e capì.
Le sue parole della prima sera, le ricordò improvvisamente.

[“Molto bene, Potter, ci sono poche semplici cose di cui devo assolutamente informarti prima di mandarti nella tua stanza. Sappi che questi sono i miei quartieri e che qui vigono delle regole per le quali mi aspetto assoluta ubbidienza e rispetto. Chiaro?”]

‘Vigono’, ricordava chiaramente di aver detto ‘vigono’.
E questo non fece che cancellare qualsiasi dubbio egli potesse ancora avere.


Il bambino non capiva le parole troppo complicate.
Come prima ‘palesemente’ e ‘portata’.
Il bambino-Potter le aveva fraintese cercando di ricondurle verso significati conosciuti, ‘palo’ e ‘porta’.

Severus, ovviamente, sospirò.


Il giovane maestro di Pozioni non si era mai sentito in dovere di modificare il suo modo di parlare in tutto il tempo in cui aveva lavorato ad Hogwarts, certamente non a favore di quelle piccole irritanti creaturine a cui doveva insegnare la sottile e, ahimè sottovalutata, arte del creare Pozioni.
Ma onestamente adesso, come poteva pretendere che un bimbo di sei anni senza alcuna scolarità potesse comprendere il suo linguaggio sofisticato, le sue lunghe frasi contorte ed i suoi termini desueti?

“Hai ragione, Harry”.

Il bambino-Potter lo guardò con due occhi verdi tondi, tondi.
L’uomo-Sevreus non era più arrabbiato?

“E’ vero – proseguì Snape. – Ti ho spiegato alcune cose in modo comp… difficile e quindi non hai potuto capirle. Le regole, Harry non vivono, ma vi-go-no. Che vuol dire che ci sono, che sono valide. Questa era una parola che non conoscevi, vero Harry?”

Il bambino annuì, molto più calmo e rilassato.

Severus si sistemò più comodamente sulla poltrona e per buona misura si portò il bimbo un po’ più vicino, quasi contro il torace.

“Tornando a quello che dicevamo prima devi ricordarti, adesso, che hai il permesso di farmi tutte le domande che vuoi e di chiedermi sempre quello di cui hai bisogno, va bene?”

“Sì, signore-Sevreus. Grazie, signore”.

“E devi dimenticare le altre regole, Harry. Devi ricordare soltanto quelle che ti ho detto io, perché soltanto quelle vigeranno – e qui guardò il bimbo per vedere se effettivamente aveva compreso. – Fra me e te”.

E sì, il suo bambino-Potter era intelligente si disse quasi con orgoglio ed aveva capito.
Perché gli stava sorridendo, mentre lui lo abbracciava più stretto.

E Severus avrebbe voluto affrontare anche tutti gli altri discorsi adesso che aveva cominciato, ma guardò in basso e gli occhi del bimbo si stavano quasi chiudendo e sembrava stanco tanto quanto doveva esserlo ed era ora di andare a dormire.

Snape ricordava chiaramente com’era stato vivere continuamente nell’ansia, nel terrore. I suoi giorni da Death Eater non erano poi così lontani quanto sperava e poteva comprendere lo sforzo del bambino-Potter.

“Molto bene, è ora di andare a letto, Harry” annunciò per risvegliarlo dal torpore.

Lo posò a terra e gli disse di andare, che sarebbe venuto a controllare fra poco.
Il piccolo Potter ubbidì subito.

Severus ebbe tempo di sistemare i suoi fogli sulla scrivania e di prendere un libro dalla sua considerevole raccolta.
Poi si avviò nel piccolo corridoio e sostò sulla soglia della stanza di Harry.

Il bambino era già a letto.
Ma qualcosa stonava.
Più che essere a letto, il bambino-Potter era sopra al letto.
Adagiato sul copriletto, tutto raggomitolato su se stesso.

Per un folle istante Severus pensò che quella del figlio di Lily fosse un’esplicita richiesta di attenzione nel farsi rimboccare le coperte.
Ma Snape, ormai devoto all’arte di non presumere alcunché per quel che concerneva il bimbo, si avvicinò per chiedere lo stesso.

“Perché non sei sotto le coperte, Harry?”

Il bambino-Potter lo guardò come se Snape fosse improvvisamente impazzito o come se avesse detto una cosa molto, molto buffa, poi chiese, titubante:
“Posso davvero, signore?”

Il giovane uomo non disse niente, perché ne era certo, se avesse parlato sarebbe stato per imprecare e maledire quei dannati Muggle. Patetici rifiuti simil-umani che avevano negato ad un bimbo persino il conforto di una coperta con la quale proteggersi dal freddo.

Si avvicinò e sollevò un angolo del morbido piumone che ricopriva il letto, lo tenne sollevato, suggerendo silenziosamente che il bambino ne approfittasse per infilarcisi sotto. Harry ubbidì e con occhi meravigliati si lasciò avvolgere nel tepore intenso del suo letto.

Severus sospirò osservando il piccolo, gioioso viso.
Quanto poco bastava per renderlo felice. Quasi ironico nei suoi confronti, la cui soglia di felicità era talmente lontana da non essere più visibile.




Severus sapeva che non avevano affrontato tutti gli argomenti di cui dovevano parlare e sapeva che tante cose ancora dovevano essere sistemate, ma avrebbero avuto tempo anche per quello.
Avrebbero avuto tempo, molto tempo.
Perché se quel documento era arrivato al Ministero avevano praticamente tutta la vita davanti. Insieme.



 









Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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Capitolo 17
*** 17 - The hands that save you ***


The Heart of everything 17
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

 

Salve!!! Spero abbiate passato delle ottime vacanze. Di ritorno dalle ferie annuncio con piacere che non sono stata pigra, ho scritto (sulla spiaggia) anche una buona parte del capitolo successivo. Quindi mi impegnerò per ristabilire il ritmo per quanto possibile, anche se la vedo dura dato che domani devo lasciare il pc di nuovo in riparazione, speriamo in bene.
Ne approfitto per dire che ho ripreso a disegnare (una mia grande passione, un poco trascurata recentemente) ed ho tutta l'intenzione di fare molti disegni di Sev con il bambino, anzi qualcuno l'ho già fatto ^___^
Ma ho un progetto ambizioso! Se riesco a trovare tempo ed ispirazione voglio fare un disegno a tema per ogni capitolo scritto fino ad ora, quindi chiedo l'aiuto di tutti coloro che hanno letto questa storia. Se avete voglia fatemi sapere quale scena scegliereste nei capitoli scritti fino ad ora, ovviamente citarne anche soltanto uno è più che bene accetto, ecco, fatemi sapere se ci sono alcune scene che vi hanno colpito particolarmente e come le immaginate.
Tornando ai disegni già fatti ho pubblicato sul mio Livejournal un paio di disegni per la serie Babies. Uno è un Draco Malfoy baby, l'altro un Harry baby. Il post è aperto a tutti quindi potete andare a vederlo senza problemi, ne sarei felicissima. Ecco il link per Draco: http://mel-kaine.livejournal.com/1117.html  ed il link per Harry: http://mel-kaine.livejournal.com/1415.html

 

 

E adesso dopo tanto tempo le risposte a tutti i commenti. Chiedo scusa se mi limito all'ultimo capitolo e basta, ma sono veramente tanti. Grazie mille, di cuore.

nihal93: Grazie per il sostegno psicologico, in effetti sto quasi per metterci 4 mesi, il che non è bello... chiedo venia... e grazie ancora

dark89: Purtroppo non sono stata molto veloce con questo aggiornamento, mi spiace. Mmh più che un incidente io suggerirei la casuale possibilità che Severus, Sirius, Remus e Minerva passino un pomeriggio, per caso ovviamente, davanti a casa dei Dursley e che uno di loro sollevi la questione di Harry, per una banale associazione di memoria, non certo per altro e che quindi decidano di andare a salutare la felice famigliola e regalargli uno splendido, per niente confortevole, soggiorno all'inferno. Subito dopo aver finito con loro, per sicurezza, manderanno un mail a Voldemort e gli diranno che i Dursley sono i segreti possessori della profezia che lui tanto brama, il resto non sarà umanamente descrivibile... può bastare? ^__^

hocuspocus: Grazie mille, sono felice di non essere incorsa nel terribile OOC più di tanto, è sempre una cosa molto positiva. Concordo che Vernon non sia provvisto non solo di attributi maschili, ma neanche di un qualsivoglia attributo positivo. Oh, la sua ora giungerà presto, credo. Ma prima sarà necessario informare Black, temo. In due si tortura meglio.

Amrlide: Mitico Sevvie. Mi piace dipingerlo 'meno spigoloso', anche se alcuni tratti sono irrinunciabili... ehm, confesso sinceramente che prima non avevo riflettuto sulla possibilità del documento di non arrivare al Ministero, adesso invece un piano diabolico si è formato nella mia testa... *__* forse non sarai felice all'inizio, ma dopo certamente sì, il momento di scontro di fuoco fra Sev e Sirius si avvicina!

titimaci: Wow, sono felice di averti reso felice la giornata con l'aggiornamento, spero di replicare con questo ^_^

briciola88: Eh eh eh come dicevo più su ad Amrlide, in realtà non volevo intendere niente con quel 'se', ma adesso ho formulato un nuovo piano diabolico. Ma non posso dire niente ancora, anche perché deciderò mentre scrivo, come sempre. L'unica cosa certa è che presto ci sarà l'attesissimo scontro Severus vs. Sirius. *_*

antote: Mel_fugge_molto_molto_lontano_mentre_antote_parla_di_carneficina............ ^^'''''''' non penso mi convenga dire niente, ci tengo alla mia pelle, nel frattempo per consolarti posso mandarti a vedere i disegni di baby Harry sul mio livejournal, trovi il link in alto ^__^ spero ti piacciano (e che tu prossimamente ti ricordi di non uccidere l'autrice ^^'''''')

ferao: Confesso che anch'io lo aspettavo e mi sono sentita molto sollevata nel scriverlo, quasi come se avessi ripagato il piccolo  Harry di tutte le cose cattive che gli ho fatto capitare nei primi cap. Sono felice che ti sia piaciuto. Penso che anche questo, in quanto a tenerezza, probabilmente non ti deluderà. ^__^

bellatrix18: Ho cercato strenuamente di mantenee sia Harry che Sev  'in character' e mi rendi felice se mi confermi che ci sono riuscita, personalmente, come te immagino, non condivido le storie in cui tutto si risolve subito o si risolve a metà, mi fanno venire il nervoso e non sono credibili, però questo è il mio punto di vista e quindi avendo la possibilità di scrivere la storia ho cercato di mantenermi fedele a questi principi e speriamo di continuare così... grazie ancora per la recensione

bic: Ciao, non sono stata veloce come speravo, ma non ho abbandonato la storia e non lo farò fin quando non sarà finita. Quando scrivo vedo davvero le sequenze nella mia testa (sembra una cosa da malati, ma è così) e mi piace descriverla come se la vedessi, per l'appunto, che chi legge possa condividere la mia visione mi rende molto felice e realizzata. Grazie per il tuo commento.

WingsHP: Ciao. Ancora molto va detto sul rapporto fra Harry e Sev, non so se tratterò gli anni della scuola di Harry, ma ho già in mente un paio di oneshot tipo side-story da aggiungere alla fine e forse qualcosa su Harry grande si può fare, dopotutto. Potrebbe essere interessante ^_^ grazie del suggerimento.

jame: Innanzitutto grazie per esserti iscritta alla fanlisting. L'immagine è opera di bombottosa, che puoi trovare su livejournal (è una bravissima autrice di avatar su Harry Potter, soprattutto Draco/Hermione). La tua recensione mi ha letteralmente fatto arrossire e non ho parole per ringraziarti (cosa buffa, visto che sono un'autrice ^__^) mi hai incoraggiata molto e spronata a dare il meglio anche in questo cap. Ammetto che far 'vivere' Snape in una storia non è cosa facile, dato il soggetto, ma la sfida mi attraeva e cercherò di portarla fino in fondo. Grazie per il sostegno e per la recensione. Mel

Ron Von Bokky: Eh eh eh, capisco cosa hai provato, capita anche a me quando una fic che leggo viene aggiornata, soprattutto se mi piace e quindi grazie mille per il complimento ^__^ No, dai, niente infarti e niente ictus anche se non posso promettere niente su quel documento. In realtà non volevo intendere niente con quel 'se', ma adesso ho formulato un nuovo piano diabolico. Ma come sempre giuro che finirà tutto bene. ^__^

stellabrilla: Ammetto che un Severus tutto preoccupato ad imparare come fare il padre ha il suo fascino, io mi sono innamorata di lui già tanto tempo fa, ma lo condivido con gioia. Spero che anche questo nuovo capitolo non ti deluda, Severus è ancora in modalità_padre_perfetto ^__^

Aloysia Piton: Ciao! Diciamo che io personalmente apprezzo quasi tutti i pg di mamma Row (a parte poche eccezioni come l'inutile Ron e la lucciola Ginny, ma queste sono mie opinioni quindi non ci fare caso...^__^) e Severus ha da subito esercitato un grandissimo fascino su di me. Harry al contrario mi piace perché lo capisco nelle sue emozioni anche se nei libri è davvero un cretino il più delle volte e almeno fino al 4° libro sono gli altri che fanno tutto per lui, almeno nel film pareva qua e là che avesse qualche intuizione... e poi Harry e Sev li vedo benissimo insieme, ma questa è un'altra storia...  Grazie ancora per i complimenti e per il commento, spero che questo ulteriore capitolo con Sev_in_sweet_mode sia di tuo gradimento.

Vale Lovegood: Mi dispiace averti fatto attendere così tanto, il capitolo nuovo finalmente è pronto, ma sono in ritardo da morire e lo sarò ancora di più adesso che devo riportare il pc in riparazione, nel frattempo, penso, scriverò a mano.  Un bacione e grazie per la recensione.

JDS: Non avevo mai pensato al fatto che effettivamente concedo alla cara Poppy un ruolo non marginario per una volta e ne sono felice. Tempo fa leggevo una storia in cui sia lei che Minerva erano veramente molto presenti nella trama ed aiutavano Harry e Severus a risolvere alcune difficoltà. E' stata una piacevole lettura, quindi si vede che qualcosa mi è rimasto ^__^ Non so se è un bene od un male che tu quasi non riconosca Sev... non vorrei aver sfondato troppo nell' Out Of Character... speriamo in bene, non è facile tenere buoni i pg quando si scrive una AU. Quella frase sulla tazza fece sorridere anche me quando la scrissi. Benché capisca che non c'è niente da sorridere... ^^'''' Grazie ancora per la recensione e scusa il disagio di dover aspettare sempre così tanto recentemente...

Nezu: Ciao! Finalmente sono tornata di nuovo, eh, sto invecchiando anch'io non riesco più ad essere veloce come prima... penso che fra loro le cose si svilupperanno ancora, ci vuole del tempo per certe cose, come dici tu, quindi ne vedremo ancora delle belle... Grazie per i complimenti ^////^

Rose_White: Grazie mille, sono felice che questa storia ti abbia appassionata. Spero vivamente che continuerà a piacerti.

LadySnape: Ti chiedo scusa, alla fine vi ho fatto aspettare moltissimo ed anche il prossimo aggiornamento è in forse dato che il pc sarà in riparazione. Ma sono ugualmente felice che il capitolo precedente sia piaciuto e spero di dare il mio meglio anche nei prossimi. Grazie mille per il commento.

dedy94: Oddio, scusa, alla fine sono passati anche più di due mesi, penso, dall'ultimo aggiornamento. Mi dispiace molto. Cercherò per quanto dipende da me di essere più veloce. Cmq sono felice che la fic ti sia piaciuta e concordo con te che Sev_papà è assolutamente adorabile. Beh, come già ho detto a molti certamente i Dursley avranno presto quello che si meritano e non penso ci andrò leggera... ^__^

Lily_Snape: Oddio, sono felicemente imbarazzata, è la prima volta che qualcuno crea un account per mettere la mia storia fra i preferiti e ne sono più che lusingata. Non ho parole, davvero. Spero di renderti felice allora con questo lungo capitolo di relazione fra Sev ed Harry, un po' come quello precedente, ma decisamente più produttivo. Cercherò di fare l'impossibile per essere più veloce. Un bacio, Mel.

clarissa parker: Il lieto fine con me è sempre più che assicurato. In effetti non hai fiutato male, ma non posso sbottonarmi ancora o rovinerei la sorpresa (per quanto, possibilmente, sgradita). Grazie ancora per il commento e per aver seguito la mia storia.

Kary91: Meno male, spero che anche questo cap valga i due mesi e più che avete aspettato o sarò un'autrice morta prima di poter scrivere la parola fine ^__^ Un bacione

yoko_kage13: Sì, diciamo che tratta anche argomenti scomodi che per noncuranza alle volte vengono dimenticati e mette in evidenza quanto sia infinitamente più difficile riparare ad un torto piuttosto che farlo. Sono sempre lieta di sapere che qualcosa che scrivo invita ad una riflessione, mi fa sentire degna di scrivere. Quindi grazie per avermelo fatto sapere.

ninive: Più che l'ispirazione mi danno il terrore, ma la conclusione è la stessa, mi fanno scrivere, quindi va bene ^^ in quasi sei anni che faccio l'autrice mi sono abituata alle minacce di morte, mail minatorie e vario, ma con la cruciatus non mi avevano ancora minacciata XDDD Cmq grazie per lo sprone ^^

Persefone Fuxia: Sì, come dicevo sopra non è mai facile parlare di argomenti 'scomodi', perché non si sa mai quanto si può dire e come essere duri e delicati al tempo stesso. Ci ho provato, non sempre sono soddisfatta del risultato, ma mi impegno come posso e sono felice che questa storia abbia ricevuto così tanti consensi. Parlare di un Sev giovane e di un Harry bambino mi fa sempre sognare ad occhi aperti e davvero sono contentissima di aver avuto la possibilità di scrivere questa storia. Sì, Harry e Sev hanno bisogno l'uno dell'altro e mano a mano che la storia andrà avanti questo diventerà sempre più chiaro, prima a loro e poi a tutti gli altri. Ti assicuro, come ho assicurato agli altri, che i Dursley la pagheranno e non sarò tenera con loro, vorrei esserlo, ma mi rifiuto e li punirò severamente. Grazie ancora per la recensione e per aver condiviso con me la tua opinione sulla storia.

Tigre94: Ciao, innanzitutto in bocca al lupo per l'inizio della scuola, ti capisco, appena iniziato settembre già un esame anch'io e altri tre prima della fine del mese. Insomma un inferno. Molti hanno notato quel 'se'. In realtà non indicava niente, ma come confessavo sopra la mia mente diabolica ha elaborato un piano terribile e ci sarà un mega scontro Severus vs. Sirius. Ho già scritto diversi dialoghi fra loro e fra loro e Remus, non vedo l'ora di metterli nel loro capitolo ^__^ uh uh uh

 

Arrivati qua non posso che augurarvi buona lettura e ringraziare tutti coloro che leggono, che si sono iscritti alla fanlisting, che mi hanno mandato mail in privato per commentare o chiedere.
Davvero mi sento felice di poter scrivere per tutti voi e donarvi qualcosa, perché senz'altro lo meritate.
Mel

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

17 - / The hands that save you /




Quella domenica mattina l’articolo in prima pagina del Profeta parlava di Black e questo indubbiamente gli rovinò l’inizio della giornata.
Albus si era già mosso, chiaramente.
Il Wizengamot si sarebbe riunito all’inizio della prossima settimana e, in quell’occasione, sarebbero state presentate le prove della presunta innocenza di Black.
Nonostante tutto Severus Snape sorrise fra sé e sé.
Se anche la corte suprema dei maghi avesse scagionato quel patetico cane pulcioso da tutte le accuse e lo avesse rilasciato immediatamente, sarebbe comunque stato troppo tardi.

Il bambino era suo ormai.
Il documento presentato al Ministero chiedeva l’affidamento del giovane Harry Potter ed era controfirmato da Dumbledore stesso come garante.
Il Ministero non aveva alcun motivo per rifiutare una simile richiesta.
E quando Black si sarebbe ripreso dal suo soggiorno ad Azkaban ed avrebbe inoltrato domanda per diventare il nuovo tutore del bambino avrebbe scoperto che qualcun altro aveva già preso il suo posto.

Snape non poté assolutamente contenere un sorriso soddisfatto, neanche dietro un lungo sorso di tè.
Chiuse poi il giornale in tempo per vedere il bambino-Potter scivolare silenziosamente in cucina.

“B-buongiorno, signore”.

“Buongiorno, Harry. Siedi, aspetteremo insieme la colazione”.
Il bambino ubbidì e sedette felice. Ogni mattina era così piacevole stare al tavolo con l’uomo-Sevreus e non doversi accucciare per terra come il piccolo Harry doveva fare ad ogni pasto in casa di Zio Vernon.
Ed il bimbo non sapeva spiegarlo bene, nemmeno a se stesso, ma quel loro ‘dividere’ il tempo ogni mattina, tutte quelle piccole, importantissime cose che si ripetevano ogni dì, sapere cosa aspettarsi e vederlo accadere con precisione, sapere come fare le cose perché l’uomo-Sevreus gliele spiegava e gliele faceva vedere… tutto era così bello, era come essere in pace, era esserlo per la prima volta. Ed ogni giorno, grazie a questo, il piccolo Harry si sentiva un po’ più sicuro.
L’uomo-Sevreus, nonostante il suo aspetto nero e triste e spaventoso, era l’uomo più bravo che Harry avesse mai conosciuto ed il piccolo non riusciva a dare ancora un nome alla strana sensazione che lo avvolgeva tutto quando lo vedeva, lì seduto al tavolo che avrebbero diviso. Non sapeva trovare un nome per quella fortissima voglia di sorridergli, di fargli vedere che era veramente un bravo bambino se voleva e l’infinito desiderio delle sue parole buone, dei suoi complimenti.
Era tutto così nuovo, ma confortante.
Eppure alle volte, soprattutto la notte, l’ansia lo sconvolgeva. Niente di così meraviglioso poteva durare, non se era del piccolo Harry che si parlava, e l’attesa che qualcosa di orrendo capitasse a portargli via l’uomo-Sevreus lo lasciava sempre infelice a rigirarsi fra le coperte che l’uomo gli aveva regalato.
Eppure nel suo piccolo cuore Harry sperava che comportarsi bene sarebbe bastato.
L’uomo-Sevreus aveva detto che tutto quello che era stato prima, nell’altra casa di Harry, doveva essere dimenticato e quindi il piccolo poteva ricominciare tutto da capo e comportarsi esattamente come l’uomo-Sevreus, sembrava una splendida, splendida idea. Forse così si sarebbe fatto voler bene, come quando Dudley cercava di imitare il suo papà e mangiare tanti piatti quanto lui e Zio Vernon gli batteva orgoglioso una mano sulla pancia, ridendo e lodandolo.
Sì, Harry non poteva assolutamente sprecare questa sua nuova, meravigliosa, occasione.
E quindi, giusto per darsi un tono, dato che tutti attorno a lui lo facevano, sospirò.

Severus alzò lo sguardo dal giornale e osservò in tralice il bambino.
Un elfo domestico apparve e servì la colazione.
Il giovane maestro prese il proprio tè e ne bevve un sorso, posando poi la tazza rumorosamente, perché scivolatagli dalle dita. Un suono simile echeggiò dopo il suo, un altro sguardo con la coda dell’occhio. L’uomo sorrise fra sé e sé. Di nuovo prese la tazza e bevve due sorsi, risucchiando volutamente un po’ d’aria e facendo rumore. Ancora una volta due suoni simili fecero eco ai suoi. Allora l’uomo si scostò leggermente dal tavolo e sollevò ancora la tazza, questa volta accavallando le lunghe gambe. Tutto quello che poté fare, per trattenersi dal ridere apertamente, fu distogliere lo sguardo dai buffi tentativi del bambino-Potter di intrecciare le sue piccole, corte gambine. Oh, per il santo Merlino! Il bambino lo voleva a tutti i costi imitare. E se questo da una parte lo lusingava sfrontatamente, dall’altra non era la strada giusta.
Senza contare che, scrupolosamente attento ai dettagli, il bambino non aveva ancora mangiato niente, così come era abitudine di ogni mattina per il maestro di Pozioni.
L’uomo sospirò e, mentre un altro piccolo sospiro faceva di nuovo da eco al suo, il giovane mago disse:
“Harry, avrai tutto il tempo per imitarmi dopo che avrai fatto colazione. Non devi saltare i pasti”.
Il bambino-Potter abbassò la testolina, cercando di farsi ancora più piccolo, come colto in flagrante.
“Mi dispiace, signore. Non lo farò più, signore”.
Severus si fece più vicino e con delicatezza e molta calma gli sollevò il visino.
“Non c’è niente di cui scusarsi, è una cosa normale quella che volevi fare, ma non è quello di cui hai bisogno”.
Harry lo guardava attentamente, mordendosi uno dei labbrini.
“Ma… ma Harry non è bravo a fare le cose da solo, perché Harry sbaglia sempre e… e se fa quello che fa il signore-Sevreus forse si comporterà bene”.
Il suo sguardo era acceso e si vedeva che credeva fermamente in quello che stava dicendo, ovviamente ignaro del fatto che in nessun universo, nemmeno in uno parallelo, comportarsi come Severus Snape sarebbe equivalso a comportarsi bene.
Beh, dopo un istante di auto-denigrazione il giovane uomo rifletté.
Più tardi avrebbe dovuto affrontare con il bambino-Potter anche il problema di quel suo dannato modo di esprimersi e parlare di se stesso in terza persona. Come un comunissimo elfo domestico. Oh, certamente un altro dei “regali” di Vernon Dursley.
Gli occhi verde fuoco del bimbo attendevano ancora una risposta e tornando al presente Snape disse:
“Non è affatto necessario imitarmi, Harry, per ottenere la mia approvazione – fece una breve pausa. – Sai cosa significa la parola approvazione, vero?”
Il bimbo Potter annuì, poi aggiunse:
“Quando una cosa va bene”.
Severus si accontentò di quella definizione stiracchiata, replicando a sua volta:
“Come dicevo, imitare gli altri non è ciò di cui hai bisogno”.
Si fermò. Come spiegare l’importanza dell’imparare dai propri errori ad un bambino picchiato per ogni più piccola mancanza? Riprese, mascherando l’incertezza.
“Devi decidere da solo come comportarti nel modo che ti sembra giusto; sulla base di quello che imparerai di buono nella tua vita puoi fare le tue scelte in ogni situazione”.
Quegli occhi adesso sembravano un lago verde di profondi dubbi.
“Comunque, se lo desideri, più tardi avremo occasione di parlare di ciò che mi aspetto da te, Harry, e del tuo comportamento. Va bene?”
Il bambino-Potter annuì con chiara decisione.
Era evidente che il bimbo non era ancora in grado di gestire troppa libertà.
In pochi minuti l’uomo attese che il piccolo Potter finisse la colazione e lo portò con sé in sala.
“Va’ a prendere la tua scatola dei compiti, Harry”.
Subito il bimbo si affrettò a trarre la scatola di latta dall’ultimo scaffale della libreria di destra.
Nel frattempo Snape usò quella manciata di secondi per trasfigurare nuovamente la poltrona verde-argento nel piccolo scrittoio personale del bambino.
Il bimbo lo guardava dal centro del salotto, la piccola lucente scatoletta stretta in mano.
“Esercitati ancora sul foglio di ieri mattina, quando hai finito portamelo e lo controlleremo insieme. Prima che la mattina sia finita intendevo iniziare la prima lezione di lettura”.
Il bambino annuì, un piccolo sorriso sulle labbra e si mise al lavoro.
Snape sedette quindi alla sua scrivania e corresse i temi fin quando il bambino-Potter non gli si presentò davanti con il frutto dei suoi sforzi.
Prima di sollevare lo sguardo sul piccolo Severus diede un occhio all’orologio. Era quasi metà mattina, ma avevano tempo prima della visita a Madam Pomfrey.
Severus prese il foglio di pergamena tutto stropicciato e sporco. Il bambino-Potter abbassò gli occhi.
“Mi dispiace, signore. E’ tutto sporco, ma non volevo”.
Severus lasciò uscire un tono leggero mentre scorreva le colonne di lettere tutte storte .
“Non importa, Harry, con il tempo imparerai a non macchiarlo – si fermò, ma meditando sull’importanza di incoraggiarlo aggiunse. – Ne sono certo”.
Nel silenzio dei quartieri dell’uomo-Sevreus, il piccolo Harry ripeteva ad alta voce monosillabi e dittonghi. Sinceramente pensava che ricordarseli tutti fosse impossibile, ma l’uomo-Sevreus sembrava così sicuro che davvero Harry non poteva fare a meno di credergli. Come anche soltanto per il fatto che l’uomo non gli aveva mai mentito. Il piccolo Harry era così contento. Alla fine quello che aveva sperato quando aveva saputo che il signore-Sevreus era un professore si era avverato. Il suo maestro-con-il-naso-da-pinguino gli stava insegnando tutte quelle cose che Harry aveva sempre desiderato imparare a scuola. Adesso sarebbe stato come tutti gli altri bambini e forse, dopo, anche le altre persone avrebbero cominciato a vedere qualcosa di buono in lui.
La mattina di studio e lettura si interruppe per permettere ai due di recarsi nuovamente da Madam Pomfrey.
Severus aveva necessità di portare alla donna le pozioni create di fresco quell’alba e, anche se non lo avrebbe mai ammesso, provava una certa, scientifica, curiosità nei confronti del cibo Muggle che Poppy intendeva sottoporre alla sua attenzione. Che Severus non riponesse alcuna fiducia nelle conoscenze Muggle non era un segreto per nessuno e certamente ogni cosa proveniente da quel mondo di esseri crudeli ed abusivi (come suo padre, come i parenti del bambino-Potter) sarebbe stato propriamente analizzato ed esaminato prima di un qualsiasi, eventuale uso.
Lo aspettava dunque un lungo pomeriggio nel suo laboratorio.
Snape quindi si alzò e chiamò a sé il bambino-Potter, gli applicò l’unguento sulla cicatrice mentre gli spiegava dove sarebbero andati. Il bimbo annuì tranquillamente.
Sospirando Snape si disse che effettivamente stabilire una routine aiutava il figlio di Lily ad affrontare le situazioni note con maggiore serenità, quindi per adesso era indispensabile, almeno fino a quando la sua fiducia in Severus e nella sua nuova vita non fosse cresciuta fino ad un livello accettabile.
Il viaggio sino alle porte dell’infermeria fu privo di eventi ed assolutamente poco interessante.
Il solo pensiero che, quella stessa sera, i pacifici e silenziosi corridoi di Hogwarts sarebbero stati presi d’assalto da una massa urlante di ragazzini fece quasi vacillare la compostezza del maestro di Pozioni, eppure affermare che egli odiasse il proprio lavoro sarebbe stato mentire. Non che farlo, occasionalmente, lo affliggesse da un qualsiasi punto di vista etico, ovviamente.
Madam Pomfrey li accolse con la solita benevolenza ed un sorriso.
“Severus, Harry!”
Snape la salutò con un cenno della testa.
Il bambino-Potter invece mormorò qualcosa che somigliava ad un “Buongiorno” timido e quasi inudibile.
“Poppy ti ho portato le nuove scorte di Calming Draught”.
“Molto bene, ti ringrazio Severus. Io invece ho per te il cibo Muggle da dare ad Harry”.
Severus sospirò esageratamente.
La donna, ignorandolo, entrò nel proprio ufficio e ne uscì porgendo al Professore una piccola scatola bianca che stava perfettamente nel palmo di una mano.
“E’ stato ridotto per comodità…” disse innecessariamente la donna.
Snape annuì e accettò il pacchetto, mettendolo in una delle ampie tasche che si nascondevano fra le pieghe del suo mantello.
Madam Pomfrey si inginocchiò quindi davanti al piccolo Potter, facendo scorrere i suoi gentili occhi sulla piccola figura.
Harry aveva seguito il passaggio della piccola scatola bianca con malcelata curiosità fino a quel momento.
“Allora giovanotto, tutto bene oggi?”
“Sì, signora” e abbassò lo sguardo.
Poppy si rivolse all’uomo.
“Pensi sia necessario un controllo anche questa mattina?”
Snape scosse la testa, i lunghi capelli gli accarezzavano le spalle.
“No, è stato sufficiente ieri, non è accaduto nulla di rilevante durante questo periodo”.
La donna si rialzò, soddisfatta.
“Bene. Allora immagino che avrai il tuo daffare ad analizzare quello che ti ho portato, non ho forse ragione?”
Severus ignorò il leggero accento divertito ed il principio di sorriso sornione sulle labbra della donna, ma non negò.
Si assicurò l’attenzione del bambino-Potter e fece per uscire. Si volse, battendosi un colpetto sulla tasca dove aveva riposto la scatolina bianca ed inclinò la testa.
Madam Pomfrey accolse quel silenzioso ringraziamento con un ultimo sorriso.
Mentre attraversavano gli atri di fronte alla Great Hall Severus osservò il tempo fuori dal castello.
Il bambino trotterellava al suo fianco, poteva vederlo con la coda dell’occhio.
Una voce lo distrasse dalle sue elucubrazioni.
“Severus, mio caro ragazzo!”
“Albus”.
“Oh, il giovane Harry, anche”.
Il bambino-Potter si fece leggermente più indietro.
Dumbledore sorrise loro nuovamente.
“E’ quasi ora di pranzo. Non vorreste raggiungerci nella Hall?”
Severus rispose immediatamente, senza pensarci due volte.
“Non ritengo che il bambino sia pronto per questo, Albus”.
Il vecchio mago non perse il suo sorriso.
“Allora sarà per un’altra volta, miei cari ragazzi”.
“Indubbiamente”. ‘No’ aggiunse nella sua mente il giovane uomo e si allontanò con il bambino-Potter.

Tsk! Albus che parlava loro come se niente fosse successo, che sorrideva loro come se non avesse tentato di separarli solo qualche giorno prima.
Snape rinunciò a comprenderlo e riprese il suo silenzioso ritorno verso i suoi quartieri.
Lui ed il bambino-Potter pranzarono. Il tempo prometteva ancora bene.
Severus sospirò. Ormai l’unguento gliel’aveva già messo…
Guardò il bimbo.
Finito di mangiare Harry era tutto intento a giocare con la forchetta. La disponeva perpendicolarmente al cucchiaio e poi cercava di creare figure e ricalcava il bordo di tutti gli oggetti sul vassoio con la punta stondata dell’altro lato della forchetta.
Severus in qualche misura si rattristò che il figlio di Lily non avesse altro con cui giocare che una posata. Da quello che sapeva i maledetti Dursley non si erano mai preoccupati di comprare dei giochi per il bambino, mentre il loro grasso, inutile figlio ne aveva così tanti da non sapere quale rompere prima.
Severus si alzò, pieno di una sorta di equa indignazione ed una punta di oltraggio.

“Harry andiamo in giardino, vestiti per bene”.
Quasi il piccolo Harry lanciò un gridolino di gioia. L’uomo-Sevreus lo portava di nuovo fuori! Subito posò la forchetta e corse a vestirsi, non voleva che l’uomo cambiasse idea. Snape occupò il tempo vergando un breve messaggio su una pergamena, appose la firma della scuola e convocò un elfo domestico.
“Assicurati di inviarla con uno dei gufi di Hogwarts, quando la missiva di ritorno ed un pacchetto arriveranno alla Guferia fai in modo di mandarmeli entrambi con un altro gufo”.
L’elfo s’inchinò e scomparve.
Al suo posto comparì il bambino-Potter di ritorno dalla sua camera. Snape prese il mantello e se lo drappeggiò sulle spalle. Insieme uscirono sulla distesa ghiacciata attorno al castello. Il camino di Hagrid sbuffava fumo bianco, riempiendo l’aria di un sottile aroma di legna bruciata. Le cime degli alberi erano immobili sotto il peso della neve fresca caduta durante la notte.
Il piccolo Harry fece per chinarsi a raccogliere della neve quando parve ripensarci e alzò il visino verso l’uomo. Snape annuì. Poi si sentì in dovere di ricordargli:
“Non correre e non ti allontanare”.
Guardare il bimbo giocare riempì Severus di una sorta di calma.
I suoi occhi, comunque, scrutavano sempre attorno a loro, preparati a cogliere qualsiasi anomalia, qualsiasi nascosto pericolo. Il sole brillava debole su Hogwarts.
Il bambino gli stava ubbidendo, come ogni volta. Snape doveva ammettere con se stesso che all’inizio, quando gli era stato detto che avrebbe dovuto occuparsi di un bambino di sei anni, aveva realmente temuto il peggio.
Ore ed ore di detenzione per il piccolo marmocchio dei Potter, perché Snape ne era certo, il figlio di James non gli avrebbe ubbidito nemmeno “per magia”.
Ed invece, per merito e colpa di Vernon Dursley, il piccolo Harry Potter non si sentiva in diritto nemmeno di vivere senza permesso. E se da una parte, cinicamente, il vecchio Snape era stato contento di questa spartana educazione (pur disapprovandone sempre il lato ingiustificatamente violento) l’uomo rinnovato, sorto dopo quella notte di prigionia, aveva desiderato con tutto il suo nuovo cuore di aver avuto la custodia del bambino molto prima, per allevarlo nel modo corretto, risparmiandogli gli abusi di quell’orrore di infanzia.
Forse, concluse osservando Harry giocare tranquillo, avere cura di un Potter non sarebbe stato affatto difficile come credeva.
Hagrid li salutò da lontano, poi prese a parlare con Snape ed offrì un biscotto fatto in casa al bambino. Harry guardò l’uomo-Sevreus per avere il permesso. L’uomo-Sevreus gli spiegò che avevano pranzato da poco, ma che avrebbe conservato lui il biscotto e glielo avrebbe dato per merenda. Il piccolo Harry gli credeva. L’uomo-Sevreus non era come Dudley, che mangiava tutto senza lasciare niente per Harry. Ed era così confortante sapere che se l’uomo-Sevreus aveva detto che Harry avrebbe avuto dopo il suo biscotto Harry lo avrebbe per davvero avuto. Il primo pomeriggio volò via su quelle note lente e tranquille. Due volte, mentre parlava con Hagrid, Snape risistemò la sciarpina attorno al collo del bambino-Potter e per entrambe si disse che non poteva lasciarlo lì ad ammalarsi dopo tutto il lavoro di Madam Pomfrey. Che Albus e Minerva non sarebbero stati contenti, che Hagrid avrebbe pensato male di lui se non lo avesse visto preoccuparsi di tali, ‘tutoriali’, incombenze.
Anche cinque anni dopo Voldemort Snape era ancora bravo ad inventare scuse. Sospirò, il giorno in cui avrebbe avuto genuinamente cura del bambino-Potter senza la necessità di ripararsi dietro un muro fatto di mattoni chiamati scuse, allora sia lui che il piccolo Harry sarebbero stati veramente liberi.
Quando fu ora di rientrare il bambino aveva tutta l’aria di essere infreddolito. I guantini erano completamente bagnati, come anche la frangia della sciarpa, continuamente trascinata a terra fra la neve. L’uomo condusse il bambino-Potter di fronte al camino e gli tolse i vestiti bagnati. Una manina fece per toccare il suo braccio, giusto per reggersi mentre il maestro di Pozioni gli slacciava i difficili bottoni del mantello, ma così come si era allungata si ritrasse verso il petto, terrorizzata all’idea di toccare l’uomo senza permesso. Severus sospirò. Ma quello che non si aspettava furono i due grandi occhi che si alzarono a scrutarlo, enormi e verdi come una foresta, lì sul visino inclinato di lato.
“Il signore-Sevreus sbuffa sempre. Mi dispiace che Harry sia sempre un fastidio, signore. Perché Harry è un fastidio, vero, signore?”
Severus non si precipitò a negare. Odiava la gente che si affrettava a porgere rapidi dinieghi. Quelli erano proprio i momenti in cui quelle persone mentivano più spudoratamente o quelli in cui erano completamente sinceri.
E dato che Snape non aveva mai avuto il piacere di credere che attorno a lui vi fosse una cerchia di conoscenti sinceri ciò che restava era un’infame massa di bugiardi senza pudore alcuno.
“No, Harry, non sei un fastidio per me. E non ho ‘sbuffato’. Ho sospirato, come faccio spesso quando penso”.
Un “Oh” di comprensione e sorpresa incurvò le piccole labbra. Così tante richieste di conferma. In quel momento parve a Snape che non avrebbero mai avuto fine.
Severus spedì a letto il bambino-Potter dopo aver acceso il fuoco nella sua stanza e dopo avergli fatto mangiare un frutto ed il biscotto di Hagrid inzuppato nel latte.
Finalmente con un po’ di tempo per sé fra le mani, Snape prese la scatoletta bianca che Madam Pomfrey gli aveva consegnato quella mattina e la posò su uno dei tavoli vuoti del suo laboratorio.
Engorgio”.
La scatola quadruplicò rapidamente le proprie dimensioni, gonfiandosi sempre di più.
Il giovane uomo la aprì, osservando con occhio critico la serie di confezioni gialle e azzurre.
Con cautela ne sollevò una.
“****** Platessa e fagiolini. Solo pesce controllato e garantito in allevamento. Dal 6° mese. Due vasetti da 125 grammi. Senza conservanti.”

Snape sollevò un sopracciglio. Si infilò i guanti di pelle di drago che riservava per le occasioni in cui doveva maneggiare ingredienti pericolosi e aprì un vasetto.
Qualche ora dopo ed innumerevoli esperimenti dopo, il maestro di Pozioni aveva testato il cibo contro qualsiasi veleno, contaminazione o forma di inquinamento.
Ne aveva studiato le componenti, il confezionamento, gli eccipienti, le proprietà, le reazioni con altri elementi, l’odore, il tatto e per ultimo il sapore.
Uhm, pesce. E verdure.
E arricchite di nutrienti, per giunta. Perfetto equilibrio di grassi naturali, proteine, fibre, zuccheri. E ben sigillati.
Per molti versi, in sintesi, migliore del cappone al caramello che qualche natale Albus chiedeva agli elfi.
Severus si arrese all’evidenza. In fondo non tutto quello che era Muggle era da buttare e bruciare come suo padre e gli zii di Potter.
L’ultimo problema rimasto era scoprire se al bambino-Potter sarebbero piaciuti. Ma anche questa era un’incertezza retorica considerata la mole di gusti diversi ed i trascorsi del bambino in fatto di cibo.
Il piccolo Potter non aveva mai lasciato niente nel piatto in tutti quei giorni. Nemmeno una volta.
Snape fece ritorno ai suoi quartieri, mancavano poco più di due ore alla cena e forse avrebbe potuto finire le correzioni sui temi da riconsegnare agli studenti l’indomani. Avrebbe lasciato dormire il bambino ancora un po’…
Harry invece aveva avuto altri programmi e adesso lo guardava dal centro del tappeto, in piedi come un soldatino.
Si era svegliato presto, non sapeva come né perché, ma non aveva dormito bene, come se un brutto sogno non lo avesse fatto riposare. Sì, era stato un brutto sogno, anche se adesso non lo ricordava quasi più. Aveva semplicemente aperto gli occhi in preda al panico e non sentendo suoni era uscito di corsa dalla sua stanza. Voleva stare dove era il signore-Sevreus, voleva vedere il signore-Sevreus e calmarsi. E dopo dieci minuti vissuti nel terrore che l’uomo l’avesse abbandonato, adesso se lo trovava davanti. Voleva chiedere all’uomo-Sevreus se poteva prendere la scatola dei compiti e fare qualcosa. Sperava che l’uomo-Sevreus non si arrabbiasse… subito prese a tormentarsi le manine e Snape seppe che voleva chiedergli qualcosa.
“Dimmi, Harry” lo anticipò.
Il piccolo sgranò gli occhi, come faceva l’uomo-Sevreus a sapere sempre tutto?
Poi pensò che anche Zia Petunia pareva sempre sapere se Dudley aveva bisogno di un altro budino dopo il secondo oppure no. Perché Zia Petunia si occupava di Dudley e gli piaceva, e forse era vero che per l’uomo-Sevreus Harry non era un fastidio perché, come Zia Petunia con Dudley, se il suo uomo-Sevreus sapeva quello che Harry stava per dire o fare era perché se ne voleva occupare veramente.
Il solo pensiero che qualcuno, soprattutto qualcuno fantastico come l’uomo-Sevreus, si volesse occupare di lui gli regalò un calore attorno al cuore che gli esplose nella pancia e nel petto per poi salire verso il viso ed avvolgerlo tutto, come le coperte che finalmente poteva avere.
Che adorava il suo uomo-Sevreus lo aveva già detto, vero?
Quindi Harry si fece coraggio e chiese:
“Posso… potrei prendere la… scatola, signore? Quella dei compiti, per favore, signore?”
Snape approvò rapidamente l’idea e lasciò il bimbo Potter ai suoi esercizi mentre egli stesso esplicava i suoi doveri come docente.
Harry scrisse per un po’ facendo il possibile per non sporcare tutto d’inchiostro, senza però riuscirci.
Mentre tentava di non lasciare sul foglio la settima macchia, un suono strano gli fece alzare la testa. Era come il ticchettio della pioggia sulla finestra, anche se il piccolo Harry sapeva perfettamente che l’uomo-Sevreus non aveva finestre in quella stanza (e nemmeno nelle altre). Così guardò l’uomo per vedere se anche lui aveva sentito. E il signore-Sevreus prese la bacchetta e la agitò e da una minuscola finestrella rettangolare, così in alto e nascosta che Harry non l’aveva mai vista, entrò un uccello.
Il piccolo quasi fece per alzarsi e fuggire, ma al tempo stesso era così curioso che mentre non sapeva decidersi l’uccello aveva posato un pacchetto ed una lettera sulla scrivania e se ne era andato.
Severus alzò gli occhi. Il bambino-Potter sembrava imbambolato e fissava con evidente stupore gli oggetti appena portati.
“Non avevi mai visto un gufo prima d’ora, Harry?” chiese l’uomo mentre apriva velocemente la missiva e ne scrutava il breve, cortese contenuto.
“No, signore”.
“Non devi avere paura, sono animali buoni e molto utili. Portano la posta”.
Il piccolo Harry aveva almeno un miliardo e mezzo di domande su quello, ma annuì e dopo altri cinque minuti di muta ammirazione riprese il proprio lavoro. In breve riempì mezzo foglio di lettere storte e sporche.
Dopo poco prese a ripetere a mezza voce le sillabe in un piacevole ritmo sommesso che accompagnò il lavoro di Snape.
D’un tratto si fece silenzio ed il bambino-Potter emise un piccolo sospiro.
“Hai fame?” chiese di riflesso l’uomo, un occhio all’orologio, il bambino in effetti poteva essere affamato, erano passati più di cinquanta minuti ed era quasi ora ormai.
Il bambino-Potter non rispose, come colto in flagrante, poi scosse la testa ed abbassò gli occhi.
Palesemente mentiva.
Ancora non si sentiva al sicuro.
“Vieni, andiamo a cena” propose l’uomo.
Il piccolo Harry si affrettò a rimettere a posto tutta la sua roba sotto lo sguardo d’approvazione dell’uomo-Sevreus e poi lo seguì.
Oh, lo aveva detto che l’uomo-Sevreus sapeva sempre tutto quello di cui Harry aveva bisogno, no?
Snape ordinò espressamente per il bambino un piatto di zuppa d’avena in bianco, per poterci aggiungere accanto il cibo Muggle. Ne prese due confezioni diverse e le mise davanti al bambino.
“Dimmi, Harry, preferisci pollo o pesce questa sera?”
“Quello… quello che piace al signore-Sevreus…”
“Non è per me, Harry, è per te. Devi scegliere tu quello che vuoi”.
Sembrò pensarci a lungo come se quella particolare domanda non gli fosse mai stata rivolta prima.
E probabilmente era vero.
“Oh… che sapore ha il pesce, è buono, signore?”
Snape, sopracciglio alzato, rifletté sul fatto che da quando il bambino era arrivato, per un motivo o per l’altro, non aveva mai avuto l’opportunità di provare un piatto a base di pesce.
“Potresti provarlo…” si poteva leggere l’incertezza del bambino sul suo viso.
Severus pensò che una piccola spinta fosse necessaria.
“Sì, proviamolo”.
Scelse quindi il ben noto gusto platessa e fagiolini e lo servì al bambino-Potter assieme alla zuppa bianca d’avena.
Snape non si accorse di star quasi trattenendo il fiato fin quando il bambino-Potter non assaggiò il primo boccone.
Una sorta di sorriso si dipinse sulle sottili labbra del giovane uomo, mentre il piccolo Potter mangiava di gusto.
Per concludere Severus scelse un altro vasetto, questa volta alla frutta, mela e banana, e si assicurò che Harry lo mangiasse.
Adesso che quell’ultima domenica di vacanza volgeva al termine Severus Snape seppe che non vi era più tempo per procrastinare.

Era giunto il momento di parlare al bambino.
Severus sapeva che c’erano diversi argomenti che andavano affrontati al più presto e spero di riuscire a trovare le parole giuste.
Spiegare la differenza fra giusto e sbagliato era un qualcosa di estremamente complesso.
Comunemente le esperienze della vita portavano ogni uomo verso la propria personale interpretazione di quelle due realtà e quindi, in seguito, ognuno si comportava di conseguenza, perseguendo ora il bene, ora il male.
Ma come spiegarlo ad un bambino?

Eppure il maestro di Pozioni non si sarebbe tirato indietro.
Aveva deciso che quel weekend sarebbe stata l’opportunità adatta per conoscersi meglio, prima che il ritorno degli studenti e l’inizio della scuola gli sottraessero gran parte del suo tempo.
Come ogni sera portò il bambino in sala, ma non lo accolse sulle proprie ginocchia. Voleva che niente lo distraesse mentre Severus avrebbe cercato di spiegargli come girava il mondo.
Quindi ritrasfigurò il piccolo scrittoio del bimbo nella bella poltrona verde e argento e la indicò per fargli capire che doveva sedersi su di essa.
Il bimbo prontamente ubbidì.

Snape si ritrovò in gola tante parole incastrate fra di loro, ma nessuna sembrava adatta a cominciare quel lungo, intenso dialogo.
Un vasto abisso di ‘se’ lo condusse verso l’incertezza. La paura di mentire involontariamente, così com’era abituato a fare da lungo tempo, la responsabilità totale di quello che avrebbe detto e di come ciò avrebbe piegato, plasmato la mente di quel piccolo, potentissimo mago. Tutto ciò che di sbagliato poteva accadere veniva sussurrato dalla sua anima nera al suo nuovo cuore, desideroso di gettarlo in confusione.
In un attimo di risolutezza egli rinunciò per sempre al fantasma del suo amore per il potere e lasciò che soltanto il bambino-Potter fosse il protagonista della sua stessa educazione, così com’era giusto che fosse.
Con un calma che ancora non sentiva pienamente propria non ebbe che la scelta di cominciare dall’inizio.

“Hai delle domande che vuoi farmi, Harry?”

La richiesta colse di sorpresa il bimbo. Severus ipotizzò che nessuno gliel’avesse mai rivolta prima, anzi ne aveva una discreta certezza.

“P-posso, signore?” giunse incerta la pseudo-risposta.

Inutile disquisire sulla maleducazione di rispondere ad una domanda con una domanda adesso.
Snape si era già preparato ed esercitare tutta la pazienza di cui era dotato e tentare di condurre per mano il bambino-Potter verso la comprensione di alcune cose essenziali.
Quali la magia e la verità su James e Lily Potter.

Nel frattempo si ritrovò a ripetere ancora una volta quanto aveva assicurato al bambino la sera precedente. Profondamente convinto della veridicità del detto latino ‘Verba volant, scripta manent’ si appuntò mentalmente di far scrivere una lista delle cose permesse al bambino-Potter non appena ne fosse stato in grado.
Per il momento si limitò a dire:
“Ricorda sempre Harry che qui nelle mie stanze ti è sempre permesso chiedere, qualsiasi cosa tu voglia sapere o di cui tu abbia bisogno”.
Leggermente più sollevato il bimbo annuì.

“Quindi… ci sono cose che vuoi chiedermi?”
Severus aborriva l’utilizzo di termini generici come ‘cosa’ o ‘roba’, ma aborriva ancor di più non essere comprensibile per il piccolo Potter quindi aggiunse questo sforzo a tutti gli altri.
In cuor suo sentiva che quella era la direzione giusta.

Un piccolo tormentarsi le manine, di breve durata questa volta ed Harry alzò il viso.
“Quando può Harry cominciare a lavorare per il signore-Sevreus, signore? Harry deve guadagnarsi tutte le cose belle che il signore-Sevreus gli dà…”

Severus non ricordava affatto di avergli dato cose belle, ma ponderò che probabilmente data l’estensione degli abusi un letto, cibo, vestiti e delle coperte fossero cose belle per il bambino-Potter. Probabilmente le più belle che avesse mai avuto. Ormai stava perdendo la capacità di stupirsi per ciò che il povero bimbo diceva, benché potesse essere sorpreso da come il suo odio per quei Muggle potesse ancora crescere.

Lentamente si piegò di poco in avanti, per farsi più vicino e sottolineare l’importanza di quello che stava per dire.
“Harry, non sei più nella casa dei tuoi zii, qui non devi lavorare né per me né per nessun altro e non devi guadagnarti niente, tutto quello che hai adesso e molto altro ti verrà dato perché così è giusto e non ti mancherà niente… non ti farò mancare niente, perché lo meriti, capisci?”

Forse aveva parlato confusamente, il bambino-Potter lo guardava come fosse stato un Thestral in equilibrio su una palla.
Evidentemente la meritocrazia non era stato l’argomento favorito di Vernon Dursley.
Probabilmente dovevano partire ancor più dall’inizio.

Severus sospirò e prese fiato.
Accavallò le lunghe gambe e posò su di un ginocchio le mani intrecciate.
“Adesso Harry, voglio che mi ascolti con la massima attenzione. Ci sono alcune cose di cui parleremo”.

Il bambino annuì.
I suoi enormi occhi verdi avevano un’espressione incerta, ma vigile.

“I tuoi zii, le persone con cui hai vissuto prima di arrivare qui da me, ti hanno mentito. Per molto tempo”.

Severus prese di nuovo fiato e attese che quelle prime, sconvolgenti parole, avessero il tempo di sedimentarsi nell’animo del bambino-Potter.

“Sei consapevole che al mondo esistono tanti tipi di persone?”

Oh, certo che Harry lo sapeva. C’erano i vecchietti come il nonnino, le persone strane come l’omone ‘Agrid’ e i maestri-pinguino.
“Sì, signore”.

Snape annuì in assenso.
“Certe volte, durante la loro vita, alcune di queste persone diventano cattive, Harry. Diventano persone che fanno del male agli altri senza un motivo. I tuoi zii, Harry, sono così. Ti hanno fatto del male senza motivo, perché tutto quello che ti hanno detto era una bugia. Una bugia per tentare di giustificarsi. Sai cosa significa giustificarsi, Harry?”

Harry scosse la testa e Snape glielo spiegò rapidamente.

“Capisci?”

“Ma non sono bugie, signore, Harry è veramente brutto e sbaglia sempre e non è un bambino normale e…”

“No, Harry. Sono bugie. Ti sto guardando adesso e non vedo altro che un bambino come tutti gli altri, con gli occhi verdi di sua madre e gli stessi capelli di suo padre, un bambino ubbidiente ed intelligente, che sta imparando a scrivere e che ascolta quello che gli viene detto. Tu sai che non ti ho mai mentito e non lo farò nemmeno questa volta – si fece più vicino, i suoi occhi neri persi in quelli del bimbo. – Ti sto guardando Harry e vedo solo un bravo bambino”.

Due lacrime, veloci come un lampo nel sereno cielo estivo, caddero su quelle piccole guance rosate.
Snape abbozzò un sorriso.

Il piccolo Harry guardava il suo uomo-Sevreus, senza sapere cosa dire mentre nel suo petto una sensazione fortissima lo trascinava via.
Era come stare bene dentro, come quando poteva di nuovo respirare aria buona dopo che Zia Petunia lo lasciava uscire dalla cantina.

Era come essere stati perdonati di tutto quello che Harry pensava di aver fatto di male nella sua vita.
Tutto perdonato, tutto insieme.
Per una parola dell’uomo-Sevreus.


Il piccolo Harry Potter avrebbe per sempre ricordato quel momento, anche una volta diventato grande, come il momento in cui realmente Severus Snape era divenuto tutto il suo mondo.


Snape trasse dalla tasca un fazzoletto pulito e lo porse al bambino-Potter.
Attese che si calmasse e che tutto quello che aveva appreso diventasse la nuova realtà che andava a cancellare il vecchio dolore.
Lentamente riprese.
“Devi dimenticare tutte quelle bugie, Harry, come se non fossero mai esistite, come se non ti fossero mai state dette ed un giorno, quando sarai grande, potrai decidere se perdonare i tuoi zii o no, per adesso devi soltanto impedire che ti facciano ancora del male”.

La sola menzione di un possibile perdono gli rivoltava lo stomaco, ma Snape si rifiutava nella maniera più assoluta di insegnare al bambino ad odiare. Il mondo aveva già un mago di straordinaria potenza pieno d’odio e vendetta, Merlino sapeva che non v’era bisogno di averne un altro.
Più che mai adesso Severus lo riteneva vero, molto di quello che si diventava era la forma umana dei sentimenti che ci hanno pervasi nell’infanzia. In quel periodo così vulnerabile ed importante il nostro piccolo mondo diventa le mani che modellano il carattere e la possibilità di scelte in futuro, così come un vasaio modella un vaso con la pressione delle dita. Come era facile divenire colmi di dolore e lasciare che questo diventasse risentimento ed invidia e desiderio di distruzione, verso se stessi, verso gli altri; Severus questo lo sapeva e per quanto in suo potere sperava di salvare il bambino-Potter, voleva essere le mani che lo potevano salvare e condurre in porti sicuri che ne avrebbero fatto fiorire la grandezza. Sperava solo che non fosse tardi, perché Severus Snape non era bravo a pulire anime già sporche senza annegare nel sentimento d’ipocrisia. Ma con speranza ricordava che non era come era stato per lui, Harry conservava ancora il suo sorriso e le sue lacrime. Era ancora nella fase in cui si sogna che qualcosa di magico porti via il male. E così poteva essere.

Snape si fece ancora più vicino, sopprimendo l’urgenza di prendere la mano del bambino nella sua.
“Io sarò qui per impedire che ti facciano del male, ma tu dovrai cacciarli dalla tua testa, dai tuoi pensieri e sarai libero, Harry, libero. Libero da tutti, libero di decidere, libero di vivere”.

Era un concetto difficile, forse, e non pensava che il bimbo ne avesse compreso tutte le sfaccettature, ma era quello che sentiva di dover dire. Perché Harry Potter aveva il diritto di essere libero. Di essere libero persino dall’influenza di Severus stesso. Libero.

Il visino del piccolo Harry si alzò di scatto.
“Harry non vuole essere libero senza il signore-Sevreus. Non vuole”.

Snape a fatica contenne un sorriso.
“Mi avrai con te per tutto il tempo che vorrai, Harry, non andrò via senza di te. Te lo prometto”.

E questa volta fermare la mano fu impossibile ed essa si posò lieve su quella guancia ancora umida, per accoglierla nel palmo e carezzarla con il pollice, lentamente.

Un punto di profondo contatto fra le loro esistenze veniva scritto quella sera.

Severus ritirò la mano e la sua parte rigida ed inflessibile di insegnante ebbe l’ardire di emergere per qualche istante, giusto per farlo uscire da quella serata con un minimo di reputazione ancora.
“Non esistono più le regole dei tuoi zii, Harry, però questo non significa che non ci siano le mie. Va bene? Mi puoi sempre chiedere tutto quello che vuoi sapere o tutto quello di cui hai bisogno. Ti potrò dire di sì o ti potrò dire di no, ma te ne spiegherò sempre la ragione. Devi ascoltare quello che ti dico e ubbidire, anche quando non ti sembra giusto, se vorrai potrai chiedermi il perché delle mie decisioni, ma mi aspetto ugualmente che tu mi ubbidisca. Puoi mangiare o chiedere da mangiare quando vuoi, quando sarai un po’ meno spaventato dalle creature magiche ti insegnerò come chiamare gli elfi per farti portare del cibo. Puoi stare qui con me in salotto tutte le volte che vuoi, anche quando non ci sono, ma non nella mia stanza, a meno che tu non abbia bisogno di me ed io sia lì. Ti è chiaro questo punto?”

Il bambino-Potter annuì fermamente poi ripeté.
“Mai nella stanza del signore-Sevreus”.

“Ma se hai bisogno di me ed io sono nella mia stanza?”

Mettere in difficoltà il bimbo, purtroppo, era sin troppo semplice. Snape mantenne il saldo controllo della propria pazienza, in fondo il figlio di Lily aveva passato molti brutti momenti in precedenza, anche in quelle stanze. Severus ancora ricordava la tragedia sfiorata con la Wolfsbane…

“Se hai bisogno di me ed io sono nella mia stanza, bussi ed entri quando ti rispondo, va bene?”

Potter annuì di nuovo.
“Entro e busso, signore”.

“Possibilmente non in quest’ordine, Harry…”

Il bimbo quasi rise dell’espressione disperata di Severus.
Il giovane uomo si ricompose brevemente.

“Tu sai che sono un professore, vero? – altro cenno positivo da parte del piccolo. – Quindi sai che devo tenere delle lezioni con gli alunni che frequentano questa scuola, nel fine settimana posso tenermi abbastanza libero, Harry, ma durante la settimana posso tornare qui soltanto la sera. Non avrò la possibilità, se non qualche rara volta, di pranzare con te. Voglio che la mattina, anche quando non ci sono, tu venga qui in sala e prenda la tua scatola dei compiti. Fai i tuoi esercizi tutte le mattine, quando torno ne potremo parlare. Quando saprai leggere e scrivere ti insegnerò molte altre cose. Dopo i tuoi compiti puoi giocare quanto vuoi”.

A quelle parole la felicità del bambino scomparve dal suo piccolo viso, lasciando il freddo di un’infanzia negata. Severus si dispose ad ignorare quel problema per il momento, lo avrebbe risolto prima di mandare il bambino a letto, ma adesso voleva tenere l’attenzione del piccolo concentrata ancora un po’ sulle informazioni fondamentali.


“E poi le cose che sai già. Mangia tutto quello che gli elfi ti portano a metà mattina, a pranzo e a metà pomeriggio e non uscire mai da quella porta – qui indicò la porta di pesante legno che garantiva l’accesso al di fuori dei quartieri di Snape – senza di me, mai, per nessuna ragione. Chiaro?”

“Sì, signore”.

“Molto bene”.

Un attimo di silenzio pervase il cambio d’argomento.
Snape sapeva che non era ancora finita. Si stava facendo tardi, doveva sbrigarsi.

“Adesso rispondimi sinceramente, Harry, perché parleremo ancora di due cose molto importanti”.

Severus si accostò al bordo della sedia, per farsi più vicino al bambino-Potter.
Non che avesse paura di non essere udito, il silenzio inondava la stanza.

“Sai come i… sai qualcosa sui tuoi genitori, Harry?”

La domanda colse il piccolo Harry come un fulmine a ciel sereno. Prima ancora che le parole arrivassero veramente alla sua testa, il suo corpo prese a tremare ed il piccolo si lasciò quasi scivolare a terra, raccogliendosi come una minuscola palla sull’immensa poltrona verdeargento.

Severus immaginava che non sarebbe stato facile.
Chissà quali menzogne gli erano state raccontate e, se anche i Dursley non avessero mentito, bastava la realtà dei fatti a rendere amaro e triste quel momento.

“Harry, parlami. Dimmi, cosa sai?”

“Mi dispiace, mi dispiace tanto…”

Severus posò di nuovo la sua mano calda sulla guancia del bambino-Potter.
Non voleva che si perdesse nel suo mondo di dolore, voleva che parlasse, che gli raccontasse come aveva vissuto quel lutto in quegli anni.

“Parlami, Harry, senza paura”.

Il bimbo si asciugò gli occhi che Snape non aveva visto bagnarsi, stringendo fra le ditine il fazzoletto di Severus.
Poi lentamente si tirò su. La sua incertezza parve durare secoli ancora, ma alla fine disse:

“Zia… Zia Petunia diceva che mamma era cattiva e papà anche peggio, ma… ma… ma che nessuno era cattivo quanto Harry e… – infinite nuove lacrime presero a sgorgare copiose. – E che mamma e papà erano così o-orrorizzati da avere Harry che hanno preferito andare in cielo piuttosto che stare con Harry”.

Snape si passò una mano sul viso.
Era sempre stato un fermo oppositore della violenza sulle donne, ma certe idee, riteneva, presentavano le loro eccezioni.
Riempire la testa di un povero bambino orfano di tali disgustose bugie. Davvero la crudeltà di quei Muggle non aveva fondo e non conosceva vergogna, né rispetto per i morti. Nemmeno rispetto per il proprio sangue, per la propria sorella.

“Tua zia ti ha mentito ancora una volta, Harry”.
Il tono uscì più duro di quanto fosse necessario, ma servì ad attirare la completa attenzione del bimbo.
I suoi occhi verdi si specchiarono in quelli neri dell’uomo, senza distogliersi.

Severus continuò, più pacatamente.
“Ho conosciuto i tuoi genitori, James e Lily Potter. E posso dirti con ogni certezza e al di là di qualsiasi dubbio che non esisteva al mondo una persona che loro amassero più di te quando sei nato, Harry. Puoi chiedere a Madam Pomfrey, puoi chiedere al Preside, puoi chiedere persino ad Hagrid. Ti diranno la stessa cosa, perché tutti conoscevano i tuoi genitori qui e sapevano di quale amore erano capaci, soprattutto quando si parlava di te, il loro unico figlio”.

Il piccolo Harry lo guardava a bocca aperta, quasi sconvolto dal pensiero di poter essere, forse, davvero stato amato un tempo.

“Devi crederci, Harry, i tuoi genitori ti amavano e non si sarebbero mai separati da te, se non con la forza”.

L’ironia del momento era come viva attorno a Snape.
Ma guardatelo, il nemico giurato di James Potter, l’aggressiva e vendicativa preda dei Marauder, Severus Snivellus Snape, pronto a difendere a spada tratta l’amore del suddetto James per Lily e per Harry.
Se il momento non fosse stato così precario ed influente probabilmente il giovane maestro si sarebbe lasciato ad una vuota, patetica risata.
Ma il bambino-Potter lo guardava ed aveva bisogno della sua rassicurazione, non del suo folle rimembrare tempi ormai morti.

Si stava facendo tardi. Non voleva che l’attenzione del bimbo vacillasse per la troppa stanchezza. Dovevano assolutamente concludere i loro argomenti quella sera stessa.

“Immaginavo che nessuno si fosse preso del tempo per spiegarti cosa è accaduto veramente…” disse Snape scuotendo lievemente la testa. I suoi occhi si posarono lievi sul bimbo.

Quello sguardo verde bruciava nel mal nascosto desiderio di sapere qualcosa di più, qualsiasi cosa che potesse essere creduta come vera e definitiva.
Severus si preparò ad enunciare un breve, sintetico resoconto, pronto a tagliare fuori qualsiasi cosa potesse turbare il piccolo, come sapere che quasi certamente il responsabile di tutto era ancora vivo da qualche parte ed aveva giurato morte a tutti i Potter, soprattutto a quello ancora in vita.
Il bambino-Potter si fece più vicino senza rendersene conto, attento e teso come una corda di violino.

“C’era una guerra cinque anni fa, Harry, e tuo padre è stato un bravo soldato che ha combattuto con i buoni fino alla fine”.
Era senz’altro una versione semplicistica della cosa, ma per il momento poteva bastare come inizio.

“E tu signore-Sevreus… anche tu combattevi con i buoni?”

La domanda lo lasciò profondamente turbato. Severus si negò di trovare il coraggio di affrontare anche quella verità quella sera, temeva che il bimbo non avrebbe capito ed avrebbe ripreso ad aver paura, così disse l’unica mezza verità fra tante patetiche menzogne che non aveva il coraggio di pronunciare davanti agli occhi verdi di Lily.
“Io ho combattuto per difendere tua madre, Harry, ma non ci sono riuscito. E me ne dispiace”.

Silenzio.

La voce dell’uomo si fece ancor più bassa, i suoi occhi neri densi e persi nel passato.

“Me ne dispiace ogni giorno, da cinque anni”.

Il piccolo Harry provò il fortissimo desiderio di far sentire al suo signore-Sevreus che lui c’era. Allora allungò una manina verso quella dell’uomo, ma quasi subito si ritrasse. La paura lo prese, facendolo irrigidire.
In quel momento la voce del suo uomo-Sevreus tornò calda e lo rassicurò.
“Puoi toccarmi, Harry. Con moderazione, ma ti è permesso”.

‘Davvero?’ si chiese il piccolo fra sé e sé.

Snape sospirò. Avevano affrontato dolore e ricordi per più di un’ora. Pensò seriamente che entrambi avessero bisogno di conforto e senza farlo spaventare lo prese in braccio.
Se lo posò sulle ginocchia, guardandolo con un mezzo sorriso.
“Dicevamo?”

Il bambino-Potter sorrise meravigliosamente.
E Severus si sentì meno triste di quanto non era mai stato in quelli che parevano secoli.

Il silenzio li avvolse per un po’, esattamente come stavano facendo le braccia di Snape con il corpicino del bimbo.
Poi la quiete venne interrotta dal sobrio apparire di un elfo domestico che portava il latte della sera.

Il bambino-Potter sobbalzò in grembo all’uomo.
Non tanto per la creatura (che ormai aveva visto a sufficienza) quanto per il suo improvviso e ‘magico’ apparire.

L’elfo posò il vassoio e si congedò mentre Snape ricordava l’ultimo argomento che restava da discutere.
Guardò seriamente il bimbo e quando lo ritenne calmo chiese:

“Perché la magia ti infastidisce, Harry?”

Due cose furono subito chiare al giovane uomo. Primo, Harry non si era poi calmato così tanto quanto sembrava. Secondo, pareva che lo avesse davvero ascoltato quando prima gli aveva dato il permesso di toccarlo.

Le piccole manine del bambino-Potter era scattate in avanti senza preavviso e si erano premute forte sulla bocca dell’uomo, tappandogliela.

“Non si dice quella parola, signore-Sevreus”.

Così come Snape immaginava il bimbo ci mise pochi secondi netti a rendersi conto di quello che aveva fatto e a considerarlo, ovviamente, gravissimo.
“Mi dispiace, oh, mi dispiace, s-signore, per favore, non lo farò più, non lo farò più, lo g-giuro, per favore, nonmifaremale…”

Severus non si scompose.
“Benché mi piacerebbe che non lo facessi più, Harry, non hai da temere, non verrai certo punito per una cosa così sciocca e ancor più certamente non verrai picchiato”.

Un altro sospiro mentre l’uomo gli alzava il visino rigato di nuove lacrime.
“Ecco, parliamo anche di questo, Harry. Non posso prometterti che non mi arrabbierò mai con te, perché ti mentirei. Devi sapere che se un giorno dovesse accadere che mi disubbidirai senza un valido motivo, quando espressamente ti avevo detto di non farlo, ecco, allora potrei darti una punizione. Ma non saranno le punizioni dei tuoi zii, perché quelle erano crudeli e senza senso. Le mie punizioni saranno molto diverse da quelle che conoscevi. Potrò farti pulire quelle che tu chiami ‘pentole’, che sono i miei calderoni, oppure il mio tavolo o potrò farti ricopiare una frase per cento volte o non portarti in giardino. So che faremo di tutto insieme per evitare questo e anche se non mi piace l’idea di punirti non posso permettere che tu cresca senza regole, lo capisci questo, Harry? Ma ti assicuro e ti do la mia parola che anche se fossi tremendamente arrabbiato con te per qualsiasi motivo avrai sempre da mangiare quando vorrai ed avrai sempre il tuo letto dove dormire. Non ti chiuderò in cantina, non ti terrò al freddo, non ti abbandonerò e sopra ogni altra cosa non ti farò mai del male. Harry, guardami, te lo giuro, Harry. Se io sono con te nessuno ti picchierà mai più. Io non ti picchierò mai, mai e poi mai. Harry, il male prima o poi finisce e qui con me ti giuro che è già finito e che non tornerà”.


La voce concitata dell’uomo si spense in un soffio, i suoi occhi rilucevano di determinazione.
Il bambino improvvisamente si lanciò verso il suo petto e lo abbracciò, forte quanto poteva, seppellendo il visino contro il tessuto ruvido e caldo. Troppo felice per dire qualcosa chiuse gli occhi in silenzio.

Il piccolo Harry aveva capito le meravigliose parole dell’uomo-Sevreus e decise che mai lo avrebbe lasciato.
Sevreus sarebbe rimasto il suo mondo per sempre.


Snape si lasciò stringere e abbracciare per tutto il tempo che serviva al bambino-Potter.
Poi quando si separarono pensò che il tempo fosse maturo per parlare della magia.

“Vuoi dirmi, adesso, perché non ti piace sentirmi pronunciare quella parola?”

Il piccolo si tormentò le manine.
“P-perché è una brutta parola che i bimbi per bene non dicono e… e se Harry la diceva a casa Zia Petunia lo diceva a Zio Vernon che poi picchiava Harry, perché tutti quelli che dicono quella parola vengono picchiati e gli capitano cose brutte ed Harry non vuole che le cose brutte capitano al signore-Sevreus”.

Mh. La situazione era relativamente semplice.
Un’ulteriore menzogna dei Dursley, dunque.

“Mi fa molto piacere sapere che non vuoi che mi capitino cose brutte, Harry, ma devi sapere che nella realtà niente succede a chi dice ‘magia’”.

Il bambino lo guardava con due occhi tondi tondi, come in attesa che tutto il castello cadesse loro sulla testa.
Quando ovviamente questo non avvenne il bimbo sembrò rilassarsi infinitamente di più.

“Mi dispiace dirti che i tuoi zii ti hanno mentito ancora. Non soltanto la parola ‘magia’ non è una brutta parola, ma la magia stessa esiste ed è intorno a noi e dentro alcuni di noi, dentro tutti i maghi”.

Di nuovo il bambino-Potter boccheggiò scioccato.
Severus pensò fosse il caso di cominciare da capo.
Si sistemò meglio il bimbo sulle gambe e intrecciò fra di loro le dita delle mani che teneva dietro la schiena di Harry.
“Dunque, esistono due mondi su questa Terra. Il mondo delle persone come i tuoi zii che non hanno la magia e che non credono nella sua esistenza e ne sono addirittura spaventati ed il mondo della magia, dove la magia ovviamente esiste e viene usata in tanti modi diversi. Gli abitanti del mondo delle persone vengono chiamati Muggle, mentre gli abitanti del mondo della magia sono i maghi e le streghe. Ora, tu sei cresciuto nel mondo dei Muggle a causa di quella guerra di cui ti parlavo prima, ma in realtà appartieni al mondo della magia. Tu, Harry, sei un mago, così come me e come i tuoi genitori e prima di pensare che questa sia una cosa terribile ti do la mia parola che la magia è la cosa più bella che ti possa capitare di avere. Sai perché?”

Il bambino-Potter scosse la testa.

“Perché puoi usare la magia per fare cose che le persone come i tuoi zii non potranno mai fare. Cose al di là dell’immaginazione e della fantasia. Puoi fare cose fantastiche”.

Le manine di Harry si strinsero eccitate sui vestiti dell’uomo.
“Come volare?”

Severus arricciò le labbra in un mezzo sorriso bonario.
Tratto comune nei geni dei Potter non voler tenere i piedi per terra…

“Certamente. E tanto altro, come creare la luce, diventare un animale, far volare gli oggetti e farli diventare piccoli o grandi, scomparire in un secondo e riapparire dall’altra parte del mondo”.

Le labbra del bimbo arricciate attorno ad un ‘Oh’ di stupore erano uno spettacolo.

“Ma la magia è potere, Harry e va usata bene, va usata per aiutare gli altri e non per far loro del male. Ti ho detto che nel mondo esistono tanti tipi di persone, quelle buone e quelle cattive, come i tuoi zii. Ma devi sapere che anche nel mondo della magia esistono maghi e streghe buoni e maghi e streghe cattivi”.

“Come gli uomini tutti vestiti che ci hanno preso?”

“Esattamente, Harry. Quelli erano maghi cattivi che usano male la magia e devi fare attenzione e fuggire quando li vedi, va bene?”

“Allora la magia è cattiva?”

Snape sapeva che non sarebbe stato facile e non gli aveva detto che meno della metà di tutte le altre cose, come gli Squib, Voldemort e l’Avada Kedavra che gli aveva procurato quella cicatrice.

“No, la magia nella sua forma originale è buona, Harry. Vediamo se posso fare un esempio. Vedi questa tazza? Se adesso la prendo e la tiro contro qualcuno e lo ferisco la sto usando bene o male?”

“M-male, signore”.

“Esatto, perché la tazza è stata creata per fare del bene, cioè per poterci bere dentro. Quindi la tazza, in origine, prima di usarla male era buona o cattiva?”

“Buona”.

“Giusto. Devi capire Harry che le cose diventano quello che noi le facciamo diventare quando le usiamo. Anche la cosa più bella del mondo può diventare cattiva se usata male e questo vale anche per la magia”.

Il bambino-Potter sembrava abbastanza convinto.

“Vedi la magia rende felici quando viene usata nel modo corretto. Adesso che stavamo parlando ed il tuo latte si è raffreddato la magia ci viene in aiuto”.

Snape prese la sua bacchetta dalla manica della sua giacca e la agitò brevemente, prima di toccare il bordo della tazza. Un piacevole fumo chiaro si alzò dalla superficie perlacea della bevanda, rendendo chiaro il fatto che il latte adesso era di nuovo caldo.

Severus quasi sorrise, soddisfatto.

“Adesso bevi, prima che si raffreddi di nuovo”.

Mentre il bambino-Potter beveva avidamente, Snape concluse la sua spiegazione.
“So che non sono ragionamenti facili da seguire, ma quando sarai più grande e ti verrà data la tua bacchetta, sappi che avrai il dovere di usarla bene, per la tua felicità e quella degli altri. Ne capisci l’importanza?”

Il bimbo annuì e con lui annuirono anche i due enormi baffi di latte che gli ornavano la bocca.
Snape soffocò l’istinto di ridere nella propria tazza di tè.

Distrattamente si disse felice anche del fatto che il bimbo sembrava adesso rilassato abbastanza in sua compagnia da aver lasciato da parte gli eterni ‘Sì, signore’ e ‘No, signore’ in favore di semplici cenni della testa.
Era un altro passo avanti, rifletté ottimisticamente.

L’orologio sull’alta mensola sopra il camino risuonò, battendo le undici.
Era assolutamente tardi.

Quando il piccolo Potter ebbe finito Snape mise via la tazza e lo guardò.
“Un’ultima cosa, Harry. Mi piacerebbe che tu imparassi a parlare in prima persona, piuttosto che come un elfo domestico. Se pensi qualcosa dovresti dire ‘Io penso che…’ non ‘Harry pensa che…’. Lo stesso per tutte le altre occasioni. Pensi di poterlo fare?”

Il bambino-Potter annuì per l’ennesima volta, insonnolito.

“Va bene, per stasera abbiamo parlato anche troppo. A letto”.

E così dicendo si alzò, trasportando il bimbo in camera. Lo lasciò prepararsi per la notte, mentre lui andava a prendere la sorpresa che era arrivata quel pomeriggio.

Quando Harry fu sul letto Snape riapparve portando un pacco colorato.
L’uomo si schiarì la voce mentre gli occhi del bimbo lo scrutavano, ma soprattutto scrutavano il pacchetto.

“So che Natale è passato e date le spiacevoli circostanze in cui ci siamo trovati in quel periodo non abbiamo avuto occasione di festeggiarlo. Spero che un dono, benché in ritardo, sia ben accetto”.

E dimenticatosi che il piccolo probabilmente non aveva capito molto del suo discorso gli porse il pacco.

“Per me, signore?” la meraviglia in quella vocina incerta stringeva il cuore, quasi.

“Certamente”.

Lentamente e con riverenza Harry scartò il primo regalo di tutta la sua vita.
Ed il fatto che fosse stato il suo uomo-Sevreus a farglielo rendeva tutto ancora più speciale.

La carta venne messa da parte e dal groviglio di fili multicolore uscì una palla di vetro grossa quanto la testa del bimbo.

Era così bella che il piccolo Harry praticamente non ci credeva. Rimase a guardarla incantato per interi minuti.

Severus si sedette sulla sponda del letto.
“E’ una palla magica. Prova a battere le mani”.

Harry fece come gli era stato detto e batte i palmi, l’uno contro l’altro.
Immediatamente la palla si illumino e dentro, dove c’era tutta l’acqua, dei pallini bianchi brillantinosi che sembravano neve presero a girare, assieme a delle piccole figure volanti di gufi, attorno ad un castello.

Il bimbo alzò quindi lo sguardo e rivolse un sorriso dolcissimo all’uomo.

“Per spegnerla basta battere di nuovo le mani. E ci puoi giocare. E’ magica, quindi anche se cade non si romperà, anzi rimbalza. Guarda”.
Snape prese la palla e la fece cadere a terra. Invece che rompersi in tanti piccoli pezzi come qualsiasi palla di vetro questa rimbalzò a terra e tornò fra le mani del giovane uomo.

“Ti piace?”

Il bimbo annuì in estasi e poi si avvicinò, esitante, per abbracciare il braccio del signore-Sevreus mentre ripeteva.
“Grazie, signore-Sevreus, grazie, grazie”.
Severus lo lasciò fare, soddisfatto, poi si alzò.

“Molto bene. Domani mattina, dopo i tuoi compiti, puoi giocarci quanto vuoi qui nella tua stanza”.

Fece per augurargli buonanotte ed andare via quando si ricordò di dire:

“Per ora, se vuoi, invece che signore puoi chiamarmi maestro”.
Era ancora troppo presto per essere chiamati in un altro modo, avrebbero avuto tempo.

“Sì, maestro”.

“Bravo. A dormire, adesso”.

Lo guardò infilarsi sotto le coperte, non senza una punta di esitazione e si avvicinò.
Si guardarono. I grandi occhi verdi spaziarono sul viso dell’uomo dal naso pronunciato alle labbra sottili, fino ai capelli lunghi e sottili come un velo nero.
Irrimediabilmente spinto da una sorta di naturale sentimento d’affetto Snape allungò una mano per carezzare quel viso un’ultima volta prima di andare via.
E benché il piccolo Harry sapesse che il suo uomo-Sevreus era una persona buona ed aveva detto tutte quelle cose e aveva promesso di non fargli mai del male alcune sensazioni legate ad alcuni ricordi erano ancora più forti di tutta la sua comprensione. E non riuscì, nemmeno volendo, ad evitare di spostarsi leggermente e chiudere gli occhi, paurosamente.
Severus ritrasse la mano e la lasciò tornare come morta al suo fianco.
Si ripeté che non aveva senso provare tutta l’amarezza che stava provando, era ancora presto per avere la completa fiducia del bambino. Cinque anni di dolore non andavano via con tre ore di parole ed un regalo.

“Buonanotte, Harry” disse lentamente.

“Buonanotte, maestro”.

E se ne andò.
Mentre stava per chiudere la porta udì un battito di mani e sorrise.
Un sorriso vero.

 

 






Continua…

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.


Marauders: Malandrini;
Snivellus: Mocciosus

Note capitolo: La Calming Draught è una pozione che, come dice il nome, serve a calmare chi si trova in un profondo stato d'agitazione. Engorgio è l'incanto che permette di ingrandire gli oggetti. I Thestral sono una sorta di scheletrici Cavalli Alati che trainano le carrozze della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts. Snivellus è la forma inglese del nomignolo che i Malandrini hanno affibbiato a Snape per prendersi gioco di lui. In italiano è stata sostituita con Mocciosus.


 

   

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Capitolo 18
*** 18 - Precious and fragile things ***


The Heart of everything 18
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Auguri a tutti!!! In ritardo, ma giusto in tempo per mantenere la mia promessa di aggiornare oggi. Ecco il regalo di Natale promesso! Senza bisogno di fare nomi, ci siamo capiti ^___=
Il capitolo è stato finalmente sistemato e corretto, con qualche lievissima aggiunta, comprese le traduzioni in fondo.
Un grazie infinito a tutti coloro che sono passati a leggere e che mi hanno scritto. Spero di aggiornare molto presto.

Un grandissimo bacio e ancora auguri!

Mel Kaine

Ps. E passato praticamente più di un anno da quando ho cominciato questa storia, ho trovato gli auguri di Natale scorso su uno dei primi capitoli, oddio, quanto tempo passato in un soffio.

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

18 - / Precious and fragile things /
 

 



“La corte suprema del Wizengamot contro Sirius Black. L’imputato si alzi in piedi”.
Suono di catene stridenti che irrompeva nel silenzio.
“Questa corte, in base alle prove esposte ed esaminate, udite le testimonianze e l’accusa e la difesa, ha raggiunto un verdetto”.
Tre figure ammantate di rosso si alzarono in piedi. Avrebbero di lì a breve enunciato tre sentenze.
“Per l’accusa di associazione e pratica delle Arti Oscure come seguace di Colui-che-non-deve-essere-nominato la corte dichiara l’imputato: non colpevole”.
“Per l’accusa di omicidio plurimo e aggravato di dodici Muggle ed un mago la corte dichiara l’imputato: non colpevole”.
“Per l’accusa di tradimento e partecipazione nell’omicidio di James e Lily Potter e nel tentato omicidio di Harry Potter la corte dichiara l’imputato: non colpevole”.
E pertanto questa corte assolve Sirius Black da tutte le imputazioni a suo carico. Signor Black, è libero di andare”.
Suono di catene che svanivano, l’unico che Sirius Black, l’innocente recluso per cinque anni, riusciva ad udire anche al di sopra dell’enorme brusio della folla.
Quasi due settimane e mezzo di processi ed appelli, dopo l’intervento di Albus, l’anziano Preside poté sorridere benignamente ad uno dei suoi innumerevoli figliol prodighi.
Gli Auror tennero lontano i giornalisti impazziti mentre Black accettava la canuta mano sulla spalla e la stringeva con la propria.
“Grazie. Grazie, mille volte grazie, Albus”.
“La verità vince sempre, mio caro ragazzo. Mi duole soltanto che ci siano voluti tutti questi anni – mesta compassione intersecò il brillio dei suoi occhi azzurri. – Adesso va’, avrai senz’altro desiderio di riposare”.
Ancora gli Auror scortarono l’ex prigioniero fuori dalla corte e lo strapparono alle orde di curiosi e giornalisti.
Sirius Black venne condotto in una graziosa saletta adiacente e lì lasciato libero.
Un pacato suono fece trasalire e voltare il giovane animago.
La sorpresa gli illuminò il viso scurito dai patimenti.
“Remus!”
Il suo vecchio amico, il suo unico amico dopo la morte di James ed il tradimento di Peter Pettigrew.
“Sirius”.
Un esitante passo in avanti, bloccato dal dubbio, dalla paura che non tutto potesse tornare come prima.
Improvvisamente Black esplose in una risata vuota e quasi folle.
“Remus. Remus, vecchio amico mio – poi si fece serio. – Mi credi? Sei convinto della mia innocenza?”
Si fece silenzio.
Remus Lupin chiuse gli occhi.
Era giunto il tempo di affrontare ogni incertezza in nome del loro legame.
“Non c’è Dumbledore fra noi, né una corte del Wizengamot, né Pensatoi, né testimoni. Solo noi. Dimmi Sirius, che non sei stato tu a tradire James, qui, adesso ed io ti crederò. E tutto il resto non avrà importanza, né lo considererò mai esistito”.
Sirius allora guardò negli occhi l’uomo che aveva di fronte, l’amico e compagno di un tempo mai dimenticato.
“Non sono stato io a tradire James e Lily e non ho ucciso nessuno, anche se per cinque anni l’ho desiderato intensamente”.
Remus attese che nel suo cuore scendesse a sedimentarsi quella meravigliosa verità e quindi sorrise. Di vero cuore.
Un istante dopo si abbracciarono, come soldati ritrovatisi alla fine di una lunga, dolorosa, guerra.
Sirius si lasciò andare sulla spalla del suo migliore amico.
“Non hai idea di quanto io sia stanco, Moony”.
“Lo posso immaginare, Padfoot, vieni, andiamo a casa”.
“Ah, quella maledetta topaia è ancora in piedi? Speravo fosse crollata sulla testa di quel maledetto elfo domestico”.
Remus rise.
“Suvvia, è pur sempre la tua casa ed un tetto sulla testa”.

 

 

 



La prima settimana dopo la loro lunga conversazione era trascorsa veloce così come scorrono in pochi secondi le pagine di un libro affascinante appena iniziato.
Severus sedeva sulla sua poltrona, in un salotto deserto, nel mezzo della notte.
Il sonno non aveva desiderio di accompagnarlo verso le terre dell’oblio ed il silenzio immoto del buio era confortante.
Il bambino-Potter pareva aver trovato un suo precario equilibrio in quella vita insieme.
Niente era drasticamente cambiato eppure ugualmente niente era identico a prima.
Le loro due storte, tristi vite non erano più linee tangenti decise a scontrarsi o assi perpendicolari intestarditesi nel proseguire ognuna per la propria strada.
Erano lentamente divenute strade parallele, da percorrersi insieme.
Non ancora mano nella mano, ma almeno fianco a fianco.

Ed era inconcepibile come solo una settimana, come soli sette miseri giorni, potessero portare con loro una pace che nemmeno una vita intera era stata capace di donargli.

Il sorriso del suo bambino-Potter compariva più spesso adesso e cacciava l’oscurità dai suoi quartieri e dalle sue giornate.

La sera dopo avergli regalato la palla magica erano riprese le lezioni ed il tempo a disposizione del maestro di Pozioni si era ridotto drasticamente. Nel giro di quella settimana le piccole mani del bimbo erano diventate rosse fuoco a forza di batterle per accendere e spegnere il suo nuovo gioco. Snape aveva quasi pensato di toglierglielo, ma davvero non voleva venir messo davanti all’evidenza che oramai non era più capace di negare niente al suo bambino-Potter, nemmeno il ridicolo conforto di una palla magica.
E poi sapeva con ogni certezza che la sua assenza era pesante per il bambino. Giorno dopo giorno in quella prima settimana di attività dopo l’interruzione natalizia il loro tempo insieme era diventato sempre meno. Ogni mattina e pomeriggio erano spesi in lezioni dopo lezioni, un’ora ogni sera era per il suo ufficio, dopotutto la casa di Salazar Slytherin era stata affidata a lui ed egli aveva l’obbligo di rendersi disponibile per i suoi studenti. A pranzo era spesso costretto a presentarsi nella Great Hall e le pozioni per l’infermeria, le correzioni dei temi e le riunioni tra gli insegnanti occupavano tutto il poco tempo restante.
Sospirò.
Ogni mattina il bambino-Potter si alzava presto e lo raggiungeva in cucina per fare colazione con lui e da qualche giorno aveva preso l’abitudine di fare i suoi compiti anche di sera, sedendosi alla sua piccola scrivania quando Snape era costretto a sedere alla propria per correggere i compiti degli studenti.
Prima di mandarlo a dormire guardavano insieme il lavoro del piccolo Potter e l’uomo aiutava il bimbo a sistemarlo là dove ve n’era bisogno.
Il piccolo stava diventando sempre più bravo e, senza esagerare, Severus si ricordava sempre di farglielo notare.
Le lettere un tempo tutte storte e sporche erano ogni giorno più dritte e nette, sicure.
E la sua manina non doleva più.
Qualche altra sera, invece, troppo stanco anche per leggere le inanità scritte dai suoi studenti il Maestro di Pozioni si sedeva sulla sua poltrona con un buon trattato di magia e lasciava che il bambino-Potter giocasse nella stanza, ovviamente dopo aver castato un bell’incantesimo di protezione su tutte le cose che potevano rompersi con un tiro di palla.
Altre sere ancora, soprattutto quando non si erano visti per tutto il giorno, lo prendeva in braccio, come la prima volta, e gli insegnava a leggere. Oppure, semplicemente, gli leggeva lui stesso qualcuno dei libri più comprensibili sul mondo della magia.

La prima volta che il bambino-Potter si era addormentato sulle sue ginocchia mentre lo ascoltava, Severus era stato colto da un senso di ‘famiglia’ così forte che per un attimo era rimasto in silenzio. Incredulo per quanto tutto quello sembrasse giusto e perfetto. Quando aveva avvertito il piccolo corpicino muoversi, con ogni probabilità inconsciamente infastidito dal prolungato silenzio, gli aveva accarezzato la testa ed aveva ripreso a leggere. Lo aveva tenuto stretto mentre si alzava e, senza interrompere la lettura, l’aveva portato in camera e messo a letto. Lo aveva coperto e aveva letto per qualche minuto ancora, fino a che il respiro del bambino non si era fatto ancor più profondo.

Quella memoria gli tenne compagnia quella notte insonne e, per la prima volta in quelli che parevano anni, Severus non ebbe bisogno di indulgere nell’alcol per trovare pensieri ovattati e tranquilli. Tutto quello che doveva fare era ricordare giorno per giorno quella settimana insieme e lasciare che qualcosa di simile ad un sorriso gli si dipingesse sulle labbra, nascosto nella fedele ombra della notte.

Qualche altro giorno passò discretamente.
Alle volte il piccolo Harry si ritrovava minuti interi a pensare che non fosse altro che un sogno. Magari era lì a giocare in camera sua con la sua palla di vetro e ad un tratto si fermava e pensava che era tutto così bello che davvero non c’era altra spiegazione. Doveva essere un sogno. Allora prendeva la palla di vetro e se la poggiava al viso, pensando che il freddo lo avrebbe svegliato e chiudeva gli occhi e chiudeva forte le labbra, coraggiosamente pronto a svegliarsi nel suo sottoscala dai Dursley.
Ed invece, quando riapriva gli occhi, era ancora nella sua nuova stanza e nessuno gli urlava contro e la palla contro la guancia era sì fredda, ma così vera, così meravigliosamente vera e reale…
E pensava a tutto il tempo che era passato veloce con il suo uomo-Sevreus. A tutte le cose bellissime che avevano fatto insieme. Alle coperte, al letto, al camino, al cibo ogni volta che voleva (ogni volta!). E lo stare bene ed il sentirsi al sicuro, il sapere cosa fare. I compiti, imparare a leggere, a scrivere. Essere bravo. Le mani dell’uomo-Sevreus sulla schiena, sulla testa, sui capelli, sul viso. E la sua voce. Ed i suoi occhi. E le sue ginocchia.
Ecco che il piccolo Harry realizzava che era tutto vero e subito dopo si faceva piccolo piccolo lì sul suo letto e tremava al pensiero che tutto potesse finire.

La sua nuova paura era non veder tornare l’uomo-Sevreus.

Quando ci pensava correva alla porta e restava lì vicino per tutto il tempo, fino a che l’uomo non ritornava. E quando il viso di quello che era tutto il suo mondo si abbassava per guardarlo il piccolo Harry trovava impossibile non sorridere e passava la sera felice, in silenzio, ma sempre intorno al suo uomo-Sevreus.

Eppure quella sera era già tardi, ma il suo maestro non era ancora rientrato. Il buffo e basso omino che gli portava la cena era già comparso ed Harry aveva mangiato soltanto per tre motivi. Perché il signore-Sevreus gli aveva detto di mangiare sempre, perché altrimenti il basso omino non sarebbe andato via e perché non era giusto sprecare il cibo, assolutamente.
Il piccolo Harry mangiò in fretta, girandosi ogni tanto verso la porta, desiderando vederla aprirsi.
Ma il bimbo ebbe tutto il tempo di mangiare, alzarsi, tornare in salotto e continuare a fissare la porta.
L’uomo-Sevreus non era ancora tornato.

Quando l’orologio sul camino batté le undici il piccolo Harry sentì che non poteva più trattenere le lacrime. Era troppo tardi e questo voleva dire che l’uomo-Sevreus non sarebbe tornato mai più. Forse qualcuno lo aveva portato via oppure, stanco di dover stare con l’inutile piccolo Harry, se ne era andato lontano.
Harry tremò forte.
Eppure avrebbe dovuto saperlo. Niente di bello durava nella sua vita. E adesso che il signore-Sevreus era sparito per sempre Harry sarebbe rimasto chiuso in quelle stanze per tantissimi anni, senza più nessuno.
Oh, era un pensiero così brutto e triste che il bambino si strinse al petto la palla di vetro e pianse in silenzio.
Avrebbe fatto di tutto pur di avere la possibilità di vedere il suo uomo-Sevreus un’ultima volta… di tutto.


Severus si affrettò lungo il tetro corridoio che conduceva ai suoi quartieri. La stanchezza gli faceva bruciare gli occhi e gli annebbiava la mente. Era così tardi…
Il meeting fra Capi delle Case, le due punizioni da supervisionare e come se non bastasse una lite nella sala comune dei suoi Slytherin. Tutto aveva giocato a suo sfavore. Ed era così tardi…
Sperava che, non vedendolo arrivare, il bambino-Potter avesse cenato e fosse andato a dormire.
Mentre pensava ancora una volta al bimbo i suoi passi si fecero più rapidi.
Ancor prima di aver varcato la soglia squadrò la sala e quindi lanciò un paio di imprecazioni fra sé e sé.

Il piccolo Potter era sul tappeto, addormentato contro una delle gambe della poltrona, la palla di vetro stretta in mano. Il viso rigato di lacrime.

Severus si passò una mano nei capelli, frustrato.

Si ricordò di quando, quella che sembrava una vita fa, aveva espressamente avvertito Albus di non avere tempo materiale per allevare un bambino.
E per quanto adesso fosse intenzionato a farlo, la realtà era che quel giorno non aveva mentito.
I suoi obblighi e doveri e compiti erano troppi, semplicemente troppi.

Senza indulgere ancora nella propria commiserazione si affrettò e delicatamente raccolse il bimbo da terra. I piccoli occhi chiusi erano gonfi e umidi. Gli tolse la palla dalle mani e la lasciò in sala poi si diresse nella stanza del bambino.
Sedé sul letto, cercando di adagiarlo sotto le coperte senza svegliarlo. Nell’attimo in cui, quasi certo di essere riuscito nel suo intento, Snape fece per togliere le mani da sotto quel corpicino il piccolo Potter si destò. Severus lo sentì irrigidirsi tutto per un istante poi le due piccole braccia che fino a quel momento erano rimaste inermi si avvolsero intorno al suo collo ed il bimbo lo strinse forte quanto poteva. Un singhiozzo ed un mormorio.
Severus non gli chiese di ripetere l’incomprensibile sussurro, ma ricambiò l’abbraccio.

“Mi dispiace, Harry. So che è molto tardi, ma tu sai che ho il mio lavoro e questa sera ha richiesto più tempo del solito. Hai cenato?”

Avvertì un cenno di assenso contro la spalla ed in parte si tranquillizzò.

Senza staccarsi da quel piccolo, goffo abbraccio sospirò.
“Perché hai pianto, Harry?”

Ancora un mormorio incomprensibile, ma questa volta Snape non lasciò correre.
“Cercare di parlare con la bocca attaccata alla mia veste non mi sembra una buona idea se la tua intenzione è quella di darmi una risposta”.
Il tono comunque era leggero, quasi faceto.

Il piccolo Potter si allontanò di una frazione di centimetro.
“Il maestro Sevreus non tornava ed Harry pensava che…”
Venne interrotto da un discreto schiarirsi di gola.
“Harry non parlare come un elfo domestico…”
“Mi dispiace, signore, cioè maestro… ”
“Niente di cui scusarsi, cerca soltanto di ricordarlo tutte le volte che ti è possibile. E adesso dimmi di nuovo, perché piangevi?”
Aveva più o meno individuato il problema, ma voleva sentire il bambino-Potter dirlo. Se non altro almeno per renderlo cosciente dell’assurdità della motivazione.
“H-ho pensato che il maestro Sevreus non tornava più e… e… che ero solo…”
Di nuovo il visino cercò di scavarsi un nascondiglio nella sua spalla e Snape mezzo sospirò e mezzo sorrise. Quasi.
“Ti posso assicurare, Harry, che nonostante vi sia la possibilità per me di tardare anche altre sere, non ho alcuna intenzione di abbandonare né te né le mie stanze. Come ti ho detto alle volte devo trattenermi per lavoro, ma farò sempre ritorno e mi devi promettere di non aspettarmi alzato e ovviamente non c’è bisogno di piangere perché non sparirò all’improvviso”.
Questo piccolo discorso, pronunciato lentamente ed in tono gentile, ma fermo, sembrò alleviare tutte le paure del bambino-Potter ed il piccolo si rilassò per la prima volta e lasciò andare il collo del giovane uomo.
Si guardarono ed il bimbo annuì.
Senza riuscirci bene quanto sapeva di poter fare se si fosse impegnato, Severus cercò di usare un tono autoritario.
“A dormire adesso, è assolutamente tardi”.
Il piccolo Potter sorrise.

Snape lo lasciò sotto le coperte per recarsi in salotto, servirsi due dita di scotch e ritirarsi in camera.
Era stata un giornata dannatamente lunga e pensare che davvero esisteva la possibilità che divenisse la norma…

No, assolutamente no.
Urgeva prendere dei provvedimenti.
L’indomani avrebbe parlato con Albus.


Nonostante aver potuto sentire il calore del corpo e le mani del suo uomo-Sevreus prima di addormentarsi, e sopra ogni altra cosa vederlo tornare veramente, il piccolo Harry non riuscì a passare una notte tranquilla. Brutti pensieri lo avevano svegliato diverse volte fino a che il piccolo orologio nella stanza non si era lentamente quasi spostato sull’ora di alzarsi. Grato di poter smettere di rigirarsi senza dormire il piccolo si era vestito velocemente e si era messo ad attendere il maestro-Sevreus in salotto. L’uomo lo aveva guardato leggermente sorpreso, ma non aveva detto niente, se non che quella sera probabilmente avrebbero avuto visite. Oh, il nonnino veniva a trovarli! Quindi finirono la colazione in silenzio.

Quando Severus si diresse alla porta era ovviamente consapevole che il piccolo Harry lo aveva seguito e che adesso, a debita distanza, lo osservava intensamente, come se non volesse per niente al mondo vederlo andare via.
In cuor suo Snape non desiderava affatto che il bambino-Potter dipendesse da lui così palesemente. Voleva che diventasse forte, invece. Forte e giusto come lui stesso non era riuscito a diventare. D’altra parte sentiva che se adesso avesse ignorato il suo bisogno d’affetto, non lo avrebbe fortificato, ma allontanato e forse perso di nuovo.
Merlino, trovare il giusto equilibrio era così dannatamente difficile.

Si scrutarono mentre Severus rimaneva sulla soglia.

Poi lasciò scivolare via la mano che teneva sulla porta e tornò indietro, di fronte al bimbo.
Molto lentamente allungò una mano e gli accarezzò la testolina.

“A questa sera, Harry. Se il Preside dovesse, per qualche ragione, arrivare prima di me, confido che saprai accoglierlo e farlo accomod... sedere su una delle poltrone, vero?”

Il piccolo Potter annuì.
E Snape fece per andarsene quando effettivamente il bimbo lo sorprese.

Una piccola mano si era appoggiata gentilmente sul suo braccio, senza tirargli la veste o trattenerlo, semplicemente ferma a rendere nota la sua presenza.
Guardando in basso Severus incontrò gli enormi occhi verdi.

“Buo-buona giornata, signore”.

A stento e a fatica l’uomo si trattenne dal regalare un’altra carezza al bimbetto.
“Grazie, Harry”.

E si allontanò, più serenamente, per iniziare le sue lezioni.


Quando quella sera il maestro-Sevreus fece ritorno non era solo.
Il piccolo Harry salutò educatamente il nonnino ed il suo uomo-Sevreus, cercando di non essere maleducato fece tutto il possibile per non fissare i pesci sul vestito del vecchino ed il buffo cappello a forma di stella. Prese la propria palla e, dopo aver ricevuto il permesso dal maestro-Sevreus, si mise in un angolino del tappeto a giocare.


“Posso offrirti qualcosa, Albus? Del tè magari?”

“Oh sì, una bella tazza calda, ragazzo mio, sarebbe perfetta”.

Severus servì entrambi. Avrebbe preferito il sapore deciso del liquore, ma non si sarebbe mai permesso di bere alcol di fronte al bambino-Potter.

Albus prese un sorso, lentamente, poi prima che Snape potesse dire qualsiasi cosa, fissò i suoi occhi azzurri sul giovane maestro di Pozioni.

“Mio caro ragazzo, prima di discutere quello che ti preoccupa mi chiedevo se potevi aiutarmi a risolvere un enigma che mi tormenta dall’altro giorno. E’ arrivata la fattura magica di un oggetto che nessuno del corpo docente ritiene di aver ordinato…”
“Invero, Albus, che cosa bizzarra…”
Un sorrisetto storto si dipinse sulle labbra del mago più giovane.
“E ancora non ti ho parlato della natura di questo misterioso articolo – l’anziano Preside fece una pausa per rendere importante il momento della sua grande rivelazione. – Un gioco! Sì, hai udito bene, ragazzo mio, uno dei giocattoli più classici, una sorta di Infrangipalla, credo si chiami…”
“Mh, non è nemmeno un oggetto curriculare Albus, davvero non capisco”.
Il suo sorriso iniziò ad allargarsi pigramente.
“E sai una cosa, mio caro ragazzo? Potrebbe certamente essere la vecchiaia, ma non posso fare a meno di notare come il giovane Harry qui si stia divertendo con qualcosa di sferico e apparentemente infrangibile…”
Il sorriso di Severus si fece apertamente beffardo.
“Che strana coincidenza…”
“Già, per non menzionare come fosse già stato pagato alla consegna senza usare i fondi scolastici, che come ben sai sono a disposizione soprattutto per il nostro giovane Harry. Sembra che io sia destinato a non scoprire niente benché sia stato praticamente ordinato a mio nome. Ora mi chiedevo se, per caso, ti capita di saperne qualcosa, mio caro ragazzo”.
“Non saprei davvero che direzione indicarti, Albus. Certamente appare evidente che la persona che ha fatto questo possiede indubbiamente una sorta di rispettata reputazione che non intende rovinare ed in questo caso ha tutto il mio appoggio e la mia simpatia”.
Gli occhi del vecchio mago si illuminarono, brillando forte di una luce propria e felice.
“Già, ragazzo mio, ne devo senz’altro convenire”.
Il maestro di Pozioni nascose il suo, adesso compiaciuto, sorriso dietro al bordo della sua tazza e prese un lungo sorso. Nella sala l’unico suono era il ritmico rimbalzare della palla di Harry a terra.
Albus sorrise amabilmente.
“E adesso dimmi, ragazzo mio, cosa posso fare per te?”
“Tempo, Albus. Ho bisogno di tempo”.
L’anziano Preside attese che il giovane uomo si spiegasse.
Severus abbassò il tono della voce per non attirare l’attenzione del bambino-Potter.
“Ho bisogno di passare più tempo qui nelle mie stanze”.
“Tempo con il giovane Harry?”
Snape annuì.
“Durante la settimana le lezioni mi tengono inevitabilmente impegnato, senza contare i meeting con gli altri insegnanti e le ore di counseling con gli studenti della mia casa e poi ovviamente le pozioni per l’infermeria, le punizioni da supervisionare, la correzione dei temi e le mie ricerche. E’ semplicemente troppo tempo, molto più di quanto mi sia concesso di sottrarre al bambino. Il mio tardo rientro l’altra sera ne è stato prova e non mi è possibile ignorare quanto la mia assenza sia di peso per lui”.
Dumbledore non chiese ulteriori spiegazioni e prese ad accarezzarsi la lunga barba.
“Hai già in mente qualche possibile soluzione, ragazzo mio?” chiese l’anziano mago dopo un istante di profonda riflessione.
Snape accavallò le lunghe gambe.
“Ovviamente le lezioni non possono subire nessuna modifica e, prima che tu possa anche solo pensarlo, non intendo accettare un altro insegnante nella mia classe di Pozioni né permettere che l’abominevole indulgenza di cui Minerva e gli altri docenti sono così impunemente dotati possa rovinare il mio accurato lavoro di gradazione, o degradazione a detta di alcuni, dei temi. In più la correzione dei compiti degli studenti è qualcosa che posso facilmente completare qui nelle mie stanze, quindi non vedo la necessità di affidare ad altri l’unico piacere che mi deriva dall’essere costretto a gridare al vento un sapere che non raggiungerà mai il condotto uditivo dei pessimi ed asinini marmocchi che ogni anno mi vengono, ahimè, presentati”.
Albus rise benignamente dietro al suo tè.
Le lunghe, sarcastiche tirate del giovane professore non cessavano mai di divertirlo.
“Inoltre temo non sia possibile evitare le ore di incontro con i miei studenti e sinceramente non voglio privare la mia Casa di tale conforto. Difficilmente i miei Slytherin sono abituati a parlare dei loro problemi e certamente la possibilità che lo facciano con uno degli altri Capi delle Case è praticamente inesistente”.
Albus annuì, concorde.
Entrambi si presero un momento per terminare il loro tè prima che il protrarsi della conversazione lo facesse spiacevolmente raffreddare.
Qualche istante dopo Severus riprese, ancor più seriamente.
“Quando tutto questo è iniziato, Albus, ricordo di averti detto che non avevo il tempo materiale di occuparmi di… ciò che mi veniva affidato, a causa dei miei doveri e delle responsabilità che ho. Benché adesso la mia decisione sia stata presa e sia, come ben sai, definitiva, le mie risorse si stanno esaurendo. Ti ho presentato i fatti questa sera al fine di chiederti se ricordi cosa mi dicesti allora”.
Sia mai che Severus Snape richiedesse brutalmente aiuto. Anche se lo scopo era certamente quello sia mai che egli ignorasse così apertamente l’importanza della contorta e depistante dialettica con la quale tale richiesta poteva essere inoltrata.

Albus posò la tazza ormai vuota con delicatezza.
“Nonostante l’età ricordo assai bene le cose importanti, ragazzo mio, e adesso come allora la mia offerta è sempre valida. Avrai tutto l’aiuto che ti serve e non solo perché hai avuto cuore di occuparti di ciò che ti ho chiesto nonostante le difficoltà, ma per il tuo insostituibile valore all’interno di questa scuola e come amico, e figlio, di ognuno di noi”.

Certamente un uomo con meno muri di pietra attorno all’anima si sarebbe sentito in imbarazzo per lo spropositatamente affettivo senso nascosto in quelle parole, ma Severus Snape, in privato, in tutti quegli anni, era venuto a patti con ciò che il piccolo Potter sembrava aver scoperto sin troppo presto. Che non meritava tutto quello. E se per il bimbo ancora c’era tempo e le parole e le azioni potevano cancellare il vuoto e la convinzione di non essere voluto al mondo, alle volte quando anche tali parole di benigna e genuina affezione erano rivolte a lui, Severus sentiva che non erano destinate a raggiungerlo. In cuor suo, nel silenzio della notte, nelle sue visite in se stesso e nelle sue profonde meditazioni sperava che un giorno, per caso, mentre indirizzava il piccolo bambino-Potter verso la strada per la propria realizzazione come persona nel loro mondo, i cancelli, per lui, dal passato oscuro e dai molti peccati, non fossero ancora chiusi e che lentamente avrebbe potuto seguire il figlio della donna che, senza essergli realmente vicina, lo aveva reso partecipe dell’esistenza dell’amore.

“Hai… la mia gratitudine, Albus”.

Il vecchio mago sorrise mentre Severus si adoperava per riempire nuovamente le tazze di tè fumante.

“Molto bene, vediamo dove possiamo recuperare qualche ora…” disse pensosamente Albus.

“I meeting. Quattro incontri a settimana più i tre esclusivi per i Capi delle Case. Sette sere su sette. Improponibile. Il più delle volte la mia presenza non è nemmeno necessaria. A questo proposito volevo chiederti se potevo essere esonerato dagli incontri non indispensabili e quindi ritirarmi prima da quelli di una certa importanza”.

“Senz’altro, ragazzo mio. Considerati libero di prendere la tua decisione di partecipare o meno in base alla tua disponibilità. Sono certo che Minerva o Filius non avranno problemi a farti avere, qui nei tuoi quartieri, un resoconto dei punti salienti delle discussioni alle quali mancherai. Per quanto mi riguarda ti sarei grato se tu potessi avvertirmi in anticipo della tua presenza così che io possa trattare tutto ciò che ti concerne in uno o massimo due degli incontri nei quali sarai con noi”.

“Mi sembra estremamente ragionevole” concordò il maestro di Pozioni.
Dumbledore proseguì, quasi concitatamente, felice di offrire il suo aiuto finalmente.
“Sempre in riferimento alle tue molteplici mansioni, credo che non sarà un problema per la scuola ordinare le pozioni più semplici presso Slug & Jiggers in Diagon Alley…”
“Albus, sai che…”
L’anziano mago alzò una mano per fermare l’offerta dell’altro uomo.
“Sì, so perfettamente che creare pozioni è l’essenza stessa di te nonché la professione nella quale eccelli, ma ritengo inappropriato, date le circostanze, richiederti questo quando è possibile trovare una soluzione così semplice. Certamente Madam Pomfrey non si risentirà se le sue pozioni base non saranno più assolutamente perfette come un tempo, ma solo mediocremente tali, non credi?”
Snape annuì, conscio della mancanza di alternative.
“Ovviamente per le pozioni più complesse ed importanti, non oserei affidare il compito a nessun altro”.
“Tsk, vorrei ben vedere, a meno che tu non voglia vedere il caro Lupin trasformato in un barboncino dal pelo fucsia…”
“Oh cielo, sarebbe terribile, Minerva insisterebbe per tenerlo e dubito che Black ne sarebbe felice al suo ritorno…”

L’involontaria citazione del nome di quel cane rognoso in un istante gelò la conversazione e fece scurire gli occhi di Snape.
Albus bevve lentamente e a lungo.
Quando il suono della palla del bambino-Potter sembrò averlo calmato, Severus riprese.
“Pensavo anche di affidare a Filch la maggior parte delle detenzioni che certamente i petulanti mocciosi con i quali ho a che fare continueranno ad estorcermi…”
“Certamente il nostro Filch non se ne avrà a male”.
Severus annuì, riprendendo.
“Infine ho pensato di conciliare le attività più manovrabili e condensarle nei ritagli di tempo. Certamente la preparazione di alcune pozioni può essere facilmente conseguita mentre supervisiono gli studenti durante le rimanenti punizioni o mentre mi trovo in attesa nel mio ufficio per le ore di counseling. Per il resto limiterò le mie ricerche e le mie altre attività personali come posso…”

Albus sorrise, indulgente.
“Molto bene. Le stesse lezioni, meno meeting, le correzioni e le pozioni durante le supervisioni e le ore di counseling… abbiamo coperto tutto o sbaglio?”

“Ritengo sia tutto”.

“Bene, per qualsiasi altra cosa non esitare. Avvertirò personalmente gli altri docenti delle tue necessità. Per coloro che non sono al corrente della presenza del giovane Harry parlerò di impegni correlati all’Ordine da me stesso affidati a te”.

“Molto bene”.

“E adesso – disse Albus con voce squillante, sistemandosi più comodamente sulla poltrona di Severus. – Parliamo di cose piacevoli… il nostro giovane Harry? Come sta?”
Severus trattenne forzatamente un accenno di sorriso, mentre si voltava a guardare il loro piccolo argomento di conversazione.
“Certamente molto meglio di quando mi è stato presentato. Perfettamente guarito nel corpo come assolutamente non lo è nella mente. Comunque dopo aver chiarito insieme alcuni punti principali è notevolmente meno ansioso e spaventato. Per il momento mi sto concentrando sulla sua educazione”.
Un suono sorpreso.
“Ah, non ero al corrente avessi iniziato a dargli lezioni. Spero non soltanto Pozioni, Severus…”
“Molto divertente, Albus, ma no. Niente Pozioni, né Incantesimi, né Trasfigurazione”.
“Oh, per la barba di Merlino, non riuscirai a convincermi che Divinazione o Cura delle creature magiche siano stati i tuoi primi argomenti…”
“Difficilmente Albus avrei potuto dare al bambino uno dei libri di testo di Madam Trelawney, incomprensibili per principio anche a chi conosce l’alfabeto”.
Dumbledore si fece silenzioso.
“Come certamente hai dedotto i Muggle non si sono preoccupati minimamente della sua educazione. Il bambino Potter non sa leggere né scrivere…”
Albus alzò un canuto sopracciglio.
“Il bambino Potter?”
Diamine! Talmente abituato al termine nella sua testa Snape lo aveva detto ad alta voce…
“Beh, è quello che è, ed era anche analfabeta quando mi è stato presentato. Certamente non puoi aspettarti che rimanga tale, non dopo essere stato affidato a me. Non ho ritenuto necessario avvertirti di questo mio intento, data la sua banalità”.
“Certo, certo, ragazzo mio, non temere, hai fatto più che bene e di sicuro non avrei avuto nulla da dire nemmeno se avessi scelto, in una situazione ideale, Pozioni o Difesa. L’educazione del nostro Harry è senza dubbio compito tuo”.


Una volta di più il piccolo Harry si sentì chiamare. Ma non era proprio come quando veniva chiamato. Era come quando Zia Petunia parlava di Dudley alle vicine di casa e diceva il suo nome ancora e ancora. Eppure non poteva sentirsi tranquillo. Forse aveva fatto qualcosa di male e il suo uomo-Sevreus si stava lamentando con il nonnino o peggio ancora il nonnino voleva portarlo via. Si strinse la palla al petto. Il nonnino era simpatico con tutte quelle cose strane che aveva sempre addosso, ma Harry non voleva vivere con lui, non voleva lasciare la sua stanza (wow, finalmente aveva una stanza che poteva chiamare sua!) e sopra ogni altra cosa non voleva lasciare l’uomo-Sevreus. Mai.
Ad ogni minuto che passava e ad ogni nuovo sussurro del suo nome, il piccolo Harry si sentiva sempre più inquieto e in colpa e spaventato e confuso e di nuovo da capo e tutto insieme.
Si alzò.
Prese tutto il coraggio che aveva e decise di raggiungere il signore-Sevreus ed il nonnino. Se qualcosa di brutto doveva accadere era meglio subito, no?
Lentamente, con la palla stretta in mano, il piccolo si accostò.
Quando fu abbastanza vicino alzò gli occhi.
Il suo sguardo si perse in quello dell’uomo-Sevreus e senza sapere perché Harry si sentì immediatamente calmo. E al sicuro.
“Oh, Harry, stavamo giusto parlando di te, non è vero, Severus?”
Snape annuì distrattamente.
Una mano era già scivolata verso la schiena del bambino-Potter, rassicurante.
Snape si concesse quell’attimo per confortarlo, infastidito che la presenza di Albus ed il suo stesso orgoglio gli impedissero di manifestare i suoi sentimenti più apertamente in pubblico quando il bambino ne aveva bisogno.
Sì, perché sentiva che qualcosa preoccupava il bimbo, i suoi occhi verdi erano ombrati.
Possibile li avesse ascoltati ed avesse frainteso?
Certamente ve ne era la possibilità.
“Sì, dicevo al Preside dei tuoi progressi nella scrittura, vorresti mostrargli il tuo lavoro? Vai a prendere la scatola dei compiti…”
Prontamente il piccolo Harry ubbidì, ma quando fece ritorno l’imbarazzo e la paura di deludere il suo uomo-Sevreus di fronte al nonnino erano quasi troppo. Sapeva che le sue lettere copiate erano bruttissime e storte e sporche e semplicemente orribilissime. Non voleva che il nonnino le vedesse e lo dicesse al signore-Sevreus e lo facesse vergognare per Harry.
Di nuovo quella mano grande dietro la schiena, così calda e rassicurante, gli diede coraggio.


Albus prese solennemente in mano i fogli che tremolantemente gli venivano offerti.
Poco prima di iniziare a guardarli l’anziano mago si sentì osservato.
Snape gli stava lanciando uno sguardo poco amichevole.
Il suoi occhi praticamente gridavano ‘Dì qualcosa di incoraggiante, Albus, o giuro che ti strappo tutti quei pesci dal mantello e li uso nella prossima pozione’.
Non che Dumbledore avesse in mente di dire altro che buone parole…

Lentamente e con molta attenzione guardò tutti i fogli più volte, mentre il bambino si rigirava le manine l’una nell’altra.

“Posso senz’altro dire che sei molto portato Harry, davvero molto bravo” aggiunse quando vide la confusione sul suo visino.
Il bambino sembrava incertamente felice.
“D-davvero signore?”

“Certamente sì. Alla tua età, tanti tanti anni fa, io riuscivo soltanto a fare fogli tutti neri con l’inchiostro. Tu invece sei stato veramente preciso e guarda quanto hai lavorato. Veramente bravo, sì”.

Tsk, si poteva sempre fare affidamento su Albus quando si trattava di ricoprire di melassosi complimenti qualcuno. Non che Snape si aspettasse diversamente dopo il suo meno che gentile sguardo qualche attimo prima…

Severus intervenne. Incoraggiare il bimbo era una cosa. Mentirgli spudoratamente, anche se in bene, non era invece contemplato.
“Sì, Harry è stato bravo, abbiamo ancora tanto da fare con le lettere, ma è un buon inizio”.

Il bambino-Potter gli sorrise, radioso.
L’orologio sul camino rintoccò. Severus lanciò uno sguardo veloce all’ora e disse al bambino-Potter di mettere a posto la scatola. Guardandolo tornare subito dopo al suo fianco gli porse la solita tazza di latte che prendeva ogni sera.
Sentiva inconsciamente che il piccolo Potter desiderava bere quel latte seduto sulle sue ginocchia, ma Albus era presente e Snape non era assolutamente avvezzo a mostrare quel lato di sé in pubblico. Tristemente si chiese se mai sarebbe stato pronto o anche solo meno orgoglioso. La risposta era lontana e nebbiosa.

Severus si alzò cedendo il proprio posto al piccolo.
Il silenzio non era buono per il bambino-Potter, ma Snape non riusciva a trovare niente su cui iniziare una conversazione e comunque non sarebbe stato da lui.
Quindi si risolse ad attendere che il bimbo finisse di bere per mandarlo a letto.

Rimasto solo con il Preside si preparò a congedarlo.
“Molto bene, Albus, ti ringrazio per aver accolto le mie richieste…”

Prontamente l’anziano mago si alzò.
“Non farti alcuno scrupolo a domandare, qualsiasi altra cosa possa fare per te, mio caro ragazzo”.

Snape si prese un attimo per riflettere circa i suoi piani per il weekend.
L’interesse di Albus si accese nuovamente.
“Abbiamo tralasciato qualcosa?”

Incerto se fosse una buona idea o meno, Snape sospirò.
Ma in fondo quando mai si era tirato indietro di fronte al rischio?

“Una cosa ancora, forse…”
Albus lo guardava, incoraggiante.

Severus sospirò nuovamente.
“Mi sarebbe utile se tu potessi proclamare più weekend ad Hogsmead, in modo da allontanare gli studenti dai terreni della scuola e permettermi di uscire indisturbato con il bambino”.
Albus annuì.
“Ma certo, gli studenti ne saranno entusiasti e sembra un buon proposito approfittare di questo periodo di pace sotto tutti gli aspetti – il riferimento alla certezza che un giorno non lontano il Signore Oscuro sarebbe risorto non andò perso alle orecchie del mago più giovane. – Il nostro giovane Harry ti ha chiesto esplicitamente di volere degli spazi aperti? Non so, se hai bisogno di spostarti in un quartiere più arioso posso provvedere…”
“Hai visto anche tu, il bambino è sempre davanti alla porta quando rientro, sospetto che abbia desiderio di uscire fuori in giardino anche se non ha ancora trovato il coraggio di formulare a voce questa richiesta”.
Albus si accarezzò distrattamente la lunga barba.
Poi con occhio critico osservò il maestro di Pozioni.
“Sei realmente certo che sia solo desiderio di uscire quello che spinge il giovane Harry ad aspettarti davanti alla porta?”
E quindi, nello scosso silenzio che seguì la sua affermazione, fece per andarsene. Sulla soglia si volse.
“Avrai certamente i tuoi weekend ad Hogsmead in più, domani, se prima di uscire desideri passare nel mio ufficio vorrei consegnarti qualcosa che tenevo da parte per il nostro Harry e che adesso ritengo sia utile fargli avere in anticipo”.

Ancora incapace di una risposta perfettamente articolata, il giovane uomo annuì brevemente e pronunciò un saluto stringato, borbottando qualcosa sulla necessità di andare a controllare che il bambino fosse a letto.


Il pensiero che davvero il bambino-Potter lo aspettasse davanti alla porta soltanto per vederlo tornare e non per chiedere silenziosamente di andare in giardino lo accompagnò per tutto il suo tragitto verso la camera del piccolo.
Sapeva che le insicurezze emotive del figlio di Lily erano tante e profonde, ma certamente non si aspettava di essere oggetto di una sorta di… così tangibile necessità. Si passò una mano fra i lunghi capelli, un gesto di nervosismo che non si permetteva spesso. Che il bambino-Potter dipendesse da lui così totalmente era catalizzante e tremendo al tempo stesso, lo aveva già detto vero?
Lui, Severus Snape, sarebbe stato all’altezza di quella rinnovata fiducia?

Bussò leggermente entrando nella camera. Il camino era spento e l’aria troppo fredda. Con un gesto della bacchetta l’uomo fece sì che un allegro fuoco illuminasse la stanza, scaldandola.

Il piccolo si bloccò nell’atto di salire sul letto e con ansia lo guardava, adesso.

Benché non ve ne fosse assolutamente la necessità, e benché il bambino-Potter fosse più che capace di mettersi sotto le coperte da solo, Snape non poté ignorare l’improvviso, irrinunciabile istinto che lo fece muovere e prendere fra le braccia il piccolo.

Possibilmente sapeva di averlo ignorato in favore del proprio orgoglio, prima. E adesso un po’ di contatto fisico non sembrava affatto una pessima idea.

Lo strinse per un secondo poi provvide a depositarlo sul letto.
Quando si volse sulla soglia, pronto ad andare via, il bambino-Potter ebbe il fegato di continuare a sorridergli da sotto la coperta.




Se davvero quel giorno Snape intendeva portare fuori il bambino dopo pranzo avrebbe dovuto cominciare presto la propria giornata per organizzare le molteplici attività e farle rientrare tutte. Ad un quarto alle sei quella mattina si diresse in cucina, una tazza di caffè poteva aiutarlo nel cominciare la stesura del più che meritato compito a sorpresa per quei dannatamente inetti Hufflepuff.
Trovare il bambino-Potter ad attenderlo vicino al tavolo a quell’ora incivile del giorno lo sorprese.
Di nuovo non disse niente, come la volta precedente, ma si annotò mentalmente di approfondire quella stranezza quando ne avrebbe avuto il tempo. Semplicemente non era un orario plausibile per un bambino.

Dopo colazione, senza una parola, il piccolo Potter andò a prendere la sua scatola e lavorò sulle sue lettere fino a quando Severus non lo chiamò per controllare il suo operato. Fino a quel momento, benché non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto Cruciatus, insegnare al figlio di James Potter si era rivelato certamente più produttivo di tutte le sue lezioni con l’intera casa di Helga Hufflepuff.
Dopo pranzo Snape si apprestò a coprire la cicatrice sulla fronte del bambino-Potter con l’unguento, come di consueto, e lo fece vestire per portarlo finalmente fuori.
Sapeva che le carrozze per Hogsmead stavano partendo in quei momenti, il salone ed i corridoi erano pieni di studenti in ritardo, ma Severus non voleva attendere, il sole ogni tanto veniva coperto dalle nuvole, con ogni probabilità il bel tempo non sarebbe durato a lungo. In fondo avrebbero potuto utilizzare le scale di riserva dell’ala ovest per raggiungere indisturbati i piani superiori e l’ufficio di Dumbledore. Davvero non riusciva ad immaginare cosa il Preside avesse da dargli, sperava solo di doverci impiegare poco tempo. Di fretta passò accanto alla sua scrivania per prendere dei fogli, se proprio doveva far visita al Preside almeno avrebbe approfittato dell’opportunità per consegnare alcune note e dei registri. Accidentalmente urtò lo spigolo, un lotto di fiale vuote, pronte per essere portate nel suo laboratorio e riempite, cadde a terra, infrangendosi. Imprecando senza voce Snape si rimproverò di non averle rese infrangibili subito. Ma ormai era tardi, gli elfi domestici che sarebbero venuti a ritirare i vassoi del pranzo avrebbero pensato a pulire, inutile sprecare altro tempo.

Il piccolo Harry si affrettò a prepararsi. Il signore-Sevreus lo portava fuori! Questa era una cosa incredibile se il bimbo ripensava a cosa era successo una delle ultime volte e tutto il disturbo che aveva causato al suo uomo-Sevreus quando quell’uomo tutto vestito lo aveva portato via attraverso il bosco. Era assolutamente convinto che non sarebbero usciti così spesso, forse una volta ogni quatto, cinque mesi. Troppo seccante, avrebbe detto Zio Vernon (non che avesse mai portato fuori Harry, eccezione fatta per quando ovviamente lo trascinava sul portico e lo gettava sul prato per togliere le erbacce). Harry sperava ci fosse il sole in giardino. Mentre aspettava l’uomo si guardò intorno. Alle volte quando si sentiva così in pace era completamente certo che tutto quello non potesse durare affatto. Guardava le librerie e sapeva con sicurezza che prima o poi le avrebbe dovute pulire perché così era sempre stato nella sua vita e davvero il piccolo Harry non credeva che qualcosa sarebbe mai cambiato, il suo uomo-Sevreus era così gentile e forse gli stava facendo fare una vacanza o qualcosa del genere perché Harry non era stato bene ed avevano parlato, sì, ed Harry sapeva che il signore-Sevreus aveva detto la verità, perché la diceva ogni volta, ma non aveva detto quanto quella verità sarebbe durata. Non aveva parlato né di giorni, né di mesi, né di anni, aveva detto un ‘mai’ che per il piccolo Harry non aveva molto significato all’interno di tutto quel discorso lungo e sorprendente. Ma davvero ad Harry andava bene così, anche soltanto avere le ginocchia dell’uomo-Sevreus era qualcosa di meraviglioso e quando, certamente, sarebbe arrivato il momento di tornare a fare i suoi doveri non si sarebbe lamentato per nessun motivo.
In silenzio guardò il signore-Sevreus prendere dei fogli e far cadere dei vasetti di vetro. Da qualche parte nella sua testa una memoria non così lontana come credeva fece per risalire alla luce, lasciandolo subito pieno d’ansia. L’ombra del suo signore-Sevreus che si avvicinava improvvisamente lo terrorizzò. Sentiva nella testa una voce che non ascoltava da quando era stato portato via e l’ansia di prima crebbe in lui, ad ogni respiro che si faceva sempre più veloce, diventando panico.
“Vieni Harry, credo proprio che dovremmo passare dalle scale” disse l’uomo ed il mondo del piccolo Harry si infranse in milioni di schegge di paura.

Un tremore violento lo fece quasi cadere a terra, sul tappeto dell’uomo.
No!
Le scale no!
Andava tutto così bene, l’uomo-Sevreus aveva detto che lo avrebbe portato fuori e che Harry avrebbe potuto giocare con la sua palla sulla neve, perché le scale adesso? Perché?

Nella sua testa quella voce che non voleva essere scordata adesso gridava: “Alle scale, ragazzo, adesso!” ed era così cattiva che il piccolo Harry si chiese come avesse potuto quasi dimenticarla.
I suoi occhi verdi improvvisamente si aprirono su un passato che, nei momenti d’orrore, ancora faceva parte del suo presente.
“Le scale no, signore… – pigolò – No, le scale no, per piacere… non voglio…”

Severus seppe che qualcosa non andava solo quando si volse per farsi spiegare perché, per il santo Merlino, non potevano prendere le scale. La dolorosa visione del suo bambino-Potter soffocato dai fantasmi di un’altra vita, una vita degradante, sbagliata, lo angosciò.
Metaforicamente poteva quasi vedere le scheletriche mani dei suoi peggiori incubi ghermirlo e prima che essi potessero portarlo via nel loro mondo oscuro, Severus si inginocchiò per stringerlo a sé e salvarlo. Ma non appena le sue mani si chiusero su quelle piccole spalle tremanti ed incavate, gli occhi verdi del bambino saettarono in alto ed erano un lago che la sua magia innata aprì alla mente di Snape.
Questa volta la Legilimens fu involontaria per entrambi.
Immagini di turpi violenze riempirono gli occhi neri di Severus, senza che le sue mani potessero far niente per impedire che la loro stessa stretta non facesse del male al bimbo. Le scale, in quella che Snape assunse fosse la casa dei Dursley, erano il luogo in cui Vernon Dursley soleva picchiare il piccolo Harry fino a fargli perdere conoscenza, così da poterlo poi gettare, come un sacco di stracci, dentro il sottoscala e chiudere a chiave la piccola porta per giorni. Scena dopo scena, violenza dopo violenza, giorno ricordato dopo giorno ricordato, sembrò un tempo infinito come fosse davvero il riassunto di cinque lunghissimi anni passati davanti a quelle scale che lasciò il giovane uomo nauseato e furente. Uno scatto deciso e Snape volse il viso, interrompendo il contatto, interrompendo la magia, interrompendo le visioni su un’immagine.

Un piccolo occhio verde socchiuso, gonfio e rosso e disperato e solo e appeso alla vita senza un motivo e senza una speranza, che stremato, infine, si chiudeva.

Severus si allontanò dal bambino come bruciato e si girò di scatto. Il suo pugno chiuso si scagliò contro il lato di una delle libreria, sfondando l’asse laterale. I suoi occhi bruciavano d’ira nefasta e promettevano il tormento eterno. Dai suoi denti stretti fuggì un sibilo velenoso.
“Vernon Dursley, tu morirai”.

Immediatamente dopo si ricompose, seppellendo il desiderio di violenza sotto la forza di volontà e serbandolo per quando avrebbe fatto visita al numero quattro di Privet Drive.

Il bambino-Potter adesso aveva bisogno di lui.
Raccolse il piccolo da terra, nonostante la sua classicamente futile resistenza, e lo tenne in braccio, mentre lentamente, molto lentamente, andava su e giù per la stanza, dondolandolo un po’.
Non disse niente, come aveva l’abitudine di fare quando quelle dannate crisi colpivano il bambino.
Semplicemente lasciò che il calore del loro abbraccio condiviso fosse il balsamo che poteva lenire quell’attimo di intensa agonia.
Percorse la stanza molte volte, avanti ed indietro, Harry stretto fra le sue braccia, il visino contro il suo collo, la testolina rannicchiata sotto il suo mento, in attesa che si calmasse e gli parlasse e che tornasse da lui.
Chiamò un elfo domestico e con voce bassa gli ordinò di occuparsi del vetro rotto in terra e di un messaggio da portare a Dumbledore.
“Riferisci al Preside che oggi non ci sarà possibile incontrarlo e che tutto deve essere rimandato a domani, se dovesse chiedere perché puoi rispondergli menzionando che un imprevisto, peraltro già risolto, ha cambiato i nostri programmi”.
L’elfo si inchinò e scomparve in un soffio.

Ancora Snape continuò a passeggiare nei suoi quartieri. Dalla scrivania alla porta principale, da lì alla cucina, dalla cucina al corridoio e di nuovo indietro e da capo. Quando avvertì ogni tensione lasciare il corpo del piccolo Potter lo portò in camera e di nuovo prese ad andare avanti ed indietro. Quando fu certo che fosse profondamente addormentato lo mise a letto e si coprì il viso con le mani.
Non era certo quello il pomeriggio che aveva preventivato.
Con un colpo di bacchetta richiamò a sé un libro e si apprestò a passare lì ciò che rimaneva di quel maledetto sabato, vegliando sul bambino, asciugando le piccole lacrime da quel visino con calma e giurando vendetta.


Domenica mattina il sole era alto e brillante ed Albus Dumbledore era un folle lasciato libero al solo scopo di rendergli la vita un inferno!
Come aveva potuto progettare di regalare un oggetto magico tanto potente e pericoloso ad un ragazzino di undici anni?
Perché anche se non gli era stato confermato sapeva che il suo orribile sospetto era fondato. Albus avrebbe graziato Harry di tale dono durante il suo primo anno ad Hogwarts come studente, ne era certo!
Regalo in memoria del padre un corno di Thestral!
Tsk. Un mantello dell’invisibilità!
Ad un ragazzino!
Non si rendeva conto dell’enormità di quell’incoscienza?
Regalargli praticamente la possibilità di eludere tutte le regole scolastiche e di cacciarsi, non visto ( e quindi non possibilmente salvabile), in qualsiasi genere di pericolosa situazione.
Una follia!
Per una fortuita serie di coincidenze, quali l’arrivo ad Hogwarts in anticipo rispetto al tempo prestabilito e la necessità di non essere visti, il peggio era stato evitato.
Snape avrebbe custodito personalmente il mantello e ne avrebbe regolato l’uso in modo appropriato.
A mente fredda, adesso, poteva ammettere di poter trarre dal possesso dell’oggetto in quel momento un discreto vantaggio. Poteva portare il bambino-Potter in giardino non visto e lasciarlo libero di giocare dietro la capanna di Hagrid o nella radura ad ovest del lago.
Non restava che testarne l’efficienza.
Si fermò nel corridoio dove il bambino lo seguiva solerte e si inginocchiò.
Guardando i suoi occhi verdi ripercorse fugacemente l’accaduto del giorno precedente.
Quando il piccolo Potter si era destato dal sonno avevano brevemente parlato di quanto era successo e del perché. Altre rassicurazioni erano state fatte, le cose precedentemente dette erano state ripetute con convinzione, ma Snape sapeva che ci sarebbe voluto altro tempo. Tanto altro tempo.
Posò gentilmente le mani sulle spalle del bimbo.

“Adesso andremo in giardino, come promesso. Ma desidero che tu ti copra con questo mantello, Harry. E non devi toglierlo fino a che non ti dirò che puoi farlo. E’ importante”.

“Sì, maestro Sevreus”.

Con mani veloci il giovane uomo coprì interamente il bambino con il mantello dell’invisibilità appartenuto a James Potter e lo vide scomparire. Irrazionalmente allarmato lo prese per mano e anche se non le poteva vedere sentì le piccole dita stringersi contro il suo palmo.

“Andiamo”.

Lo condusse fuori, sulla neve, facendolo camminare leggermente davanti a sé, in modo da calpestare le sue orme con le proprie e non far scoprire il trucco della sua invisibilità.
In fretta si diresse verso la capanna di Hagrid e lì fu costretto a lasciar andare la sua mano. Razionalmente sapeva che con ‘l’educazione’ che aveva ricevuto il bambino-Potter non si sarebbe mai allontanato senza permesso, ma ugualmente non riusciva a farsi piacere l’idea di non poterlo vedere.
Erano abbastanza lontani da non essere uditi, così il giovane mago si propose di far parlare il bambino-Potter in modo da sapere dove si trovava dal suono della sua voce.
Severus Snape non si era mai prodigato ad approfondire l’arte della conversazione, ma mise da parte la sua naturale avversione per tali convenzioni sociali per un bene superiore, apparentemente un bene di nome Harry.
Rifletté un istante su cosa chiedere al bimbo. Certamente non intendeva rivangare vecchi incubi o ricordi assolutamente sgradevoli. Non che rimanesse molto di cui discutere, allora. Praticamente l’intera esistenza del figlio di Lily non era altro che una vergognosa parata di insulti, violenza e deprivazione. In breve selezionò l’unico argomento sicuro che poteva trovare e chiese, con finta casualità ed una punta di finto interesse, cosa ricordasse il bambino-Potter del suo primo e unico giorno di scuola.

Inizialmente incerto il piccolo Harry prese a narrare ciò che gli tornò in mente di quelle poche ore così diverse dal solito, in mezzo a tanti altri bambini e nel frattempo costruiva piste di neve con i piedi.

Erano dietro la capanna di Hagrid, ma Snape non aveva considerato che l’edificio in questione, sempre che edificio si potesse definire, non era alto quanto credeva di ricordare, non era un buon posto dove far stare il bambino. Lo avrebbe portato sulla riva ovest del lago. Sull’altra sponda non sarebbero stati visti così facilmente.

Come prima lo fece camminare davanti a sé e lo incitò a continuare nel suo racconto, giusto per sentirlo parlare e sapere dov’era. Ma qualcosa che il bambino-Potter disse attirò la sua attenzione.

“E poi quando sono tornato a casa due signori sono venuti a prendermi ed io stavo pulendo i giocattoli di Dudley mentre Zia Petunia mi guardava, perché Zia Petunia mi guarda sempre quando pulisco i giocattoli per ricordarmi che non ci posso giocare e quando sono arrivati mi hanno portato via anche se non volevo, ma non l’ho detto, però lo stesso non volevo…”

Snape alzò un sopracciglio, genuinamente sorpreso. No, non perché ricordava quanto Moody si fosse sbagliato a credere tutti quei giocattoli di Harry, ma per altro...
“Non desideravi andare via da quella casa, Harry? Dai tuoi terribili parenti?”

Il piccolo scosse la testa, inconsapevole che l’uomo non poteva vederlo, agitandosi.
“Harry voleva andare via, ma…”

“Parla in prima persona, Harry, come hai fatto prima”.

“Oh, sì maestro Sevreus, mi dispiace maestro Sevreus”.

Costeggiarono il principiare della foresta mentre il bambino-Potter riprendeva a parlare a bassa voce.
“Non volevo rimanere con i miei zii, ma volevo andare a scuola il giorno dopo perché le maestre avevano promesso di portarci a vedere i delfini e… ed io non li ho potuti vedere”.

Raggiunsero la sponda del lago e l’uomo si fermò.
“Puoi toglierti il mantello che ti ho dato prima Harry, se vuoi”.

Il bambino annuì e se lo tolse. Certo, portava caldo, ma era anche difficile muoversi sotto di esso, era così pesante e non lo faceva camminare bene.

La sua testolina arruffata spuntò da sotto il materiale iridescente e l’uomo soffocò uno sbuffo divertito.
Ma gli occhi del bambino-Potter non erano felici.

“Cosa c’è, Harry?” chiese Snape prendendo il mantello dell’invisibilità dalle sue mani e ripiegandolo accuratamente.

Il bambino-Potter rimase in silenzio così a lungo da fargli pensare che non avrebbe mai risposto, poi, lentamente parlò.
“I delfini, signore, avrei tanto voluto vederli…”

La tristezza per quell’occasione mancata era palpabile nella sua piccola voce affranta. Snape sospirò e senza pensarci rispose immediatamente, come se qualcosa dentro di lui non potesse sopportare l’affronto di quel tono disperato.

“Non abbiamo certamente delfini qui ad Hogwarts, Harry, ma abbiamo un calamaro gigante in questo lago e sospetto che nessuno dei tuoi compagni di classe avrà mai la possibilità di vederlo da così vicino”.

Il bambino-Potter adesso lo guardava con un’espressione di pura meraviglia e due occhi verdi e tondi.
“Davvero, signore? Tipo un polipo grandissimo?”

Snape quasi sorrise, indubbiamente divertito.
“Non propriamente un polipo. I polipi sono della famiglia dei celenterati mentre invece il calamaro è un cefalopode, senza contare la differenza di dimensioni e la conformazione dei…”

Il piccolo Potter lo guardava con le labbra leggermente schiuse e la testa inclinata.
Severus sospettò fortemente che non lo stesse affatto seguendo in quel ragionamento e in assenza di un paragone migliore si rassegnò ad accettare quello fatto.
Con un sospirò concesse: “Sì, Harry, quasi come un polipo grandissimo”.

Il bambino-Potter batté le manine, entusiasta.
“E’ qui, maestro Sevreus?”

L’uomo annuì.
“Nel lago che abbiamo di fronte, Harry”.
“E…” fece per cominciare il bimbo, ma si fermò, come insicuro del permesso di poter chiedere ancora qualcosa o meno.

“Chiedi pure, Harry” concesse Snape, sedendosi su un masso fortunosamente privo di neve.

“E lo posso vedere?”

“Certamente non possiamo costringerlo a mostrarsi, ma se abbiamo pazienza prima o poi lo potremo vedere”.

“Oh”.

Un passetto alla volta il piccolo Harry si fece più vicino all’uomo-Sevreus. Anche se assolutamente Harry non aveva molto chiaro cosa fosse un calamaro gigante ne voleva vedere uno. Dudley sarebbe stato così invidioso di lui…
Il maestro-Sevreus aveva detto che poteva chiedere e dopo un minuto passato a torcersi le manine il bimbo si decise.

“Posso… posso sedermi anch’io ad aspettare, signore?”

Snape sospirò, ad un occhio inesperto poteva sembrare infastidito, ma fondamentalmente era più rilassato di quanto non fosse stato da molto tempo.

Si girò quel tanto che bastava e prese sotto le braccia il bimbo.
Se lo sistemò sulle gambe e riprese a guardare il lago.
Il vento spirava basso creando piccole onde.
Il sole era ancora caldo.

Evento più unico che raro il silenzio fu rotto dal bambino-Potter.
Sentirlo cominciare una conversazione quando non gli veniva rivolta una domanda era qualcosa a cui Severus non era ancora abituato e non poté trattenere uno sbuffo compiaciuto.

“Sai, maestro Sevreus, un giorno ho sognato un polipo gigante. Ero nel profondo del mare ed era tutto blu e scuro e c’era una grotta con le alghe ed io sapevo che dentro la grotta c’era un tesoro…”

“Mh, che tesoro?” Severus chiese soltanto per incoraggiarlo a parlare, non che fosse realmente interessato o almeno così si disse…

“Giocattoli e cibo e coperte, signore, tantissimo cibo”.

Snape chiuse gli occhi, chissà perché avrebbe preferito sentire un’altra risposta, questa portava troppa tristezza.

Il bambino-Potter riprese lentamente.
“Ma un polipo enorme non voleva farmi passare così ho preso un bastone… per spaventarlo e l’ho colpito, ma molto piano, maestro Sevreus – affermò con convinzione ed importanza il bimbo, girandosi a cercare i suoi occhi. – Perché so che il bastone fa malissimo ed anche se il polipo era cattivo non volevo fargli così tanto male…”

Le mani di Snape si mossero da sole, stringendo il bambino e salendo a carezzargli quei capelli tutti spettinati.
Un sospiro angosciato lasciò le labbra dell’uomo. “Harry”.
Probabilmente il bambino nemmeno si era reso conto di cosa aveva rivelato con quelle poche semplici frasi e di nuovo l’ingiustizia e la crudeltà della sorte che gli era stata riservata sembrava poca cosa in confronto a ciò che il figlio della sua Lily aveva dovuto sopportare in quegli anni.

“Hai fatto molto bene, Harry” fu tutto quello che riuscì a dirgli.

E mentre il vento si muoveva ancora attorno a loro Severus mandò il bambino-Potter a giocare, promettendo che, se mai il calamaro si fosse fatto vedere, l’uomo lo avrebbe chiamato.

Ma probabilmente faceva troppo freddo quel pomeriggio e quando Severus riavvolse il mantello dell’invisibilità attorno al piccolo Potter non poté fare a meno di notare la sua espressione dispiaciuta.

Sbuffò per l’ennesima volta.
“Avremo altre occasioni, Harry. Adesso il vento si è alzato e dobbiamo rientrare”.

“Sì, signore”.

E lo prese per mano e non coprì le sue orme, perché ormai era quasi buio e nemmeno lui riusciva a scorgerle.
Il silenzio sapeva ancora un po’ di disappunto.

“Stasera ti parlerò delle creature e degli animali del mare, Harry, vuoi?”

La sera parve illuminarsi della piccola felicità nella voce del bimbo.
“Sì, maestro Sevreus”.

“Andiamo allora” sussurrò a metà fra l’agonia e la rassegnazione.
Oh, per il santo Merlino, stava diventando un padre.



Insieme rientrarono, mano nella mano.
Forse il cammino che avrebbero intrapreso insieme non sarebbe stato così improponibile, pensò Severus mentre la sua voce accompagnava il bimbo nel mondo dei sogni. Fra le sue mani un libro sui pesci.
E di nuovo quasi sorrise, ancora una volta capace di lasciare che il bambino-Potter quasi lo rendesse, almeno per un po’, inconsapevole della natura effimera delle cose.




Alla fine di quella seconda settimana la notizia della scarcerazione di Sirius Black lo lasciò teso ed irritantemente in ansia. In attesa di un amaro, violento confronto.


 


 







Continua…

 

 

Peter Pettigrew: Peter Minus;
Moony: Lunastorta;
Padfoot: Felpato;
Filch Argus: Gazza Argus;
Helga Hufflepuff: Tosca Tassorosso.

L’Infrangipalla è una mia invenzione. Slug & Jiggers è il nome del negozio di Pozioni (o farmacia) situato in Diagon Alley. Cruciatus è una delle maledizioni imperdonabili che come tutti ben sanno causa dolori terribili a chi ne viene colpito.

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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Capitolo 19
*** 19 - The rose beneath the truth ***


The Heart of Everything 19
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 

Più di tre anni e nonostante tutto ho ancora la faccia tosta di ripresentarmi... XD
Inizio ufficiale direi, anzi re-inizio!
Conto di ripartire con una certa regolarità di ritorno dalle ferie dopo il 20 agosto, intanto l'ostacolo più difficile è stato superato, quello di ricominciare e riprendere le fila di una storia che ho amato tanto scrivere e che amo ancora. Spero proprio di essere riuscita a mantenere lo stile precedente e che il capitolo non sembri troppo distaccato dal resto sia come narrativa che come contenuti, incrocio le dita, mi raccomando, fatemi sapere.
Come sempre devo tutto a voi che mi avete incoraggiata e che continuate a leggermi a dispetto di tutto il tempo che ci metto.
Grazie soprattutto a bombottosa che non ha mai smesso di punzecchiarmi per leggere il finale e che ha ricreato la precedente fanlisting di questa storia con una nuova immagine assolutamente adorabile <3 potete trovarla a questo indirizzo: THOE Fanlisting  e naturalmente iscrivervi, se vi fa piacere ^^

Che rimane da dire...
...buona lettura!

Mel Kaine

 

 

 
 



The Heart of Everything

 

 

 

 19 - / The rose beneath the truth /


 




“Ed avremo bisogno di rimodernare almeno tutto il primo piano, Remus”.

Il licantropo sorrise, accondiscendente.
“Certamente, Sirius, quando starai meglio”.

“Ah, per le palle di Merlino! Non sono infermo e mi annoio, posso sistemare questa casa anche subito”.

“Come no, e dimmi, nelle tue attuali, emaciate condizioni dove pensi di trovare la forza di tenere in mano anche soltanto un rotolo di carta da parati?”

“Ma ho una bacchetta!!”

“Sì, certo, ma non la forza magica per usarla”.

Black sbuffò indispettito, ma tacque.
E Remus aggiunse un’altra ‘x’ sulla sua personale colonna mentale delle vittorie-contro-le-follie-dovute-alla-noia-di-Sirius.

In fondo sperava soltanto di rimetterlo in sesto per quando Albus avrebbe richiesto la loro presenza per l’affidamento dell’unico figlio di James e Lily.




Il piccolo Harry ci pensò seriamente. Molto, molto seriamente.
Non ricordava con precisione quando, ma quasi per caso, dopo aver parlato al suo uomo-Sevreus del polipo enorme, aveva pensato a come da tantissimo tempo non aveva più fantasie da immaginare, a come, sorprendentemente, non ne avesse bisogno. E questo perché ogni sera, quando il suo uomo-Sevreus tornava il piccolo Harry non veniva chiuso in cantina, non veniva picchiato vicino alle scale e gettato nel sottoscala, non veniva lasciato senza mangiare e non aveva alcuna ragione al mondo per avere paura. Davvero, si disse, allora era quello che la gente grande chiamava ‘essere felici’. Come sentirsi sempre bene e avere voglia di sorridere così, dal nulla. Anche se in realtà, se doveva essere sincero, lo sapeva bene il perché. E sapeva che era grazie al suo uomo-Sevreus.

Perché il suo uomo-Sevreus aveva fatto quello che nessun altro aveva mai fatto e che mai avrebbe potuto fare.

Gli aveva donato un mondo nuovo fatto di luci e gioia, un mondo di palle di vetro e gufi e penne di piccione e letti e coperte e camini e burro.

Un mondo dove era permesso essere, finalmente, felici.

E quindi il piccolo Harry sollevò gli occhi verdi e guardò il suo signore-Sevreus con tutto l’affetto che provava, un sorriso radioso sul volto.



Severus alzò gli occhi dai temi che stava correggendo.
Scetticamente scrutò il bambino-Potter.
Era lì sul tappeto, quieto, la palla in mano, vicino al fuoco, un’espressione concentrata sul visino.
Come perso in un ragionamento complicato e affascinante.
Fino a quando non parve giungere ad un’illuminante conclusione ed alzò gli occhi, un sorriso puro e felice sulle piccola labbra.
Perplesso Snape si disse che, con ogni probabilità, non era un sorriso per lui.



Nel suo studio, in piedi davanti alla finestra Albus osservava il desolato bianco senza fine.
Non riusciva a portarsi verso il compimento di quanto aveva promesso.
Avrebbe dovuto chiamarli da tempo. Così come aveva detto, ma qualcosa lo tratteneva e sentiva che in parte stava pagando un debito vecchio e nuovo insieme. Ma quanto ancora avrebbe potuto evitare la calamità?
Scosse la testa ed uscì dal suo studio.
Nei momenti bui vedere Minerva e stringerle una mano gli alleggeriva sempre il cuore.



“Ah… s…”

“Chiedi pure, Harry, sai che è permesso, sempre”.

“Uh. Sì, signore Sevreus – la testolina s’inclinò di lato, quasi irriverente. – Solo le tue ginocchia, signore Sevreus, sono così calde?”

Il giovane uomo scosse la testa, lievemente esasperato da quella sciocchezza.
“No, Harry, quelle di tutti”.

‘Ma le tue lo sono di più, signore-Sevreus’ lo pensò con convinzione, ma non lo disse.
E di nuovo gli sorrise.

Seduti davanti al fuoco, le braccia dell’uomo abbandonate lascamente attorno al corpicino. Era una sera tranquilla. Il bambino-Potter aveva finito i suoi compiti e Severus aveva corretto gli ultimi temi. In realtà, per quella sera, era in programma l’ennesimo meeting fra Capi Casa, ma Snape non aveva  ritenuto indispensabile la propria presenza dopo aver appreso che l’ordine del giorno era rappresentato da qualcosa come ‘L’organizzazione del comitato decorazioni per l’avvento della possibile festa di primavera’. Senz’altro Madam Sprout poteva elargire consigli sulla scelta dei fiori molto meglio di lui, Filius poteva occuparsi degli incantesimi e Minerva poteva proporre i suoi studenti per il lavoro di addobbo. La sua presenza sarebbe stata senz’altro superflua e certamente Severus non aveva tre ore libere da dedicare all’appassionata difesa di se stesso e delle sue serpi contro qualche ignominiosa proposta, quali per esempio spargere rose e mimose nella Great Hall.

Sopprimendo un tremito disgustato per quelle terribili eventualità il giovane professore lanciò uno sguardo al bambino. Il piccolo Potter si era assopito e adesso riposava placido con la testolina sul suo petto. Era ancora presto, ma Severus non se ne sorprese. Il bambino, da qualche tempo, era in piedi ad ore incomprensibili, alle volte anche prima del sorgere del sole.
Prima o poi avrebbe dovuto indagare anche su quello, ma desiderava attendere. Aveva sconvolto la routine del piccolo Potter, gli aveva dato una casa nuova, delle regole nuove, un’intera vita nuova. Probabilmente il totale cambiamento era all’origine di quel chiaro disturbo del sonno.
Aspettare, per il momento, sembrava la scelta migliore.
Se le cose non fossero cambiate in un tempo ragionevole allora sarebbe intervenuto, intanto era meglio lasciare che si abituasse naturalmente, senza pozioni.
Avrebbe dovuto metterlo a letto, ma quella sera era troppo tranquilla e rilassante per lasciarla finire subito. Il giovane Maestro di Pozioni non aveva mai avuto sere così prima dell’arrivo del piccolo Potter.
Ad Hogwarts doveri e frenetiche attività avevano sconvolto per mesi la sua mente, lasciandolo quasi incapace di concedersi del tempo per riposare.
I suoi anni come Death Eaters, poi, avevano visto le sue notti riempirsi di interminabili riunioni in cui folli progetti venivano presentati come piani perfettamente logici o di estenuanti cacce ai Muggle, ore di tortura, omicidi, depravazione e qualsiasi altra forma in cui il suo stupido odio si potesse concretizzare.
E forse all’inizio potersi sfogare di anni di soprusi e crudeltà e venire apprezzati per questo era sembrata la più dolce delle vendette, la migliore carriera. Ma una parte del suo animo era rimasta immune, intonsa, protetta dalla luce splendente di quei ricordi buoni, di quei ricordi meravigliosi.
La luce di Lily.
In attesa di venire scoperta, di lasciar esaurire l’odio per poi riaffiorare, più forte di prima, il suo grido di giustizia che lo avrebbe tormentato costringendolo a capire che dopo il dolore, il disprezzo e la violenza quello che rimaneva era la parte più difficile da accettare.
Aveva cambiato direzione, sì, ma non si illudeva.
Si era scrollato di dosso il giogo di Voldemort solo per accettare quello ben più pesante di Albus.
Le sue tribolazioni non erano finite, lo sapeva bene.
Il Signore Oscuro sarebbe tornato, oh sì, ne era certo, aveva visto di quale feroce, immortale ambizione i suoi occhi bruciavano, niente lo avrebbe fermato se non la completa distruzione.
Non era più ‘se’ la domanda, ma ‘quando’.
E quel momento avrebbe segnato la fine della sua impasse.
La misera speranza che il mondo poteva ancora provare era rappresentata dal fagottino di disperazione e stracci che gli era stato affidato e che adesso riposava beato sul suo petto.
Il bambino Potter sarebbe stato la chiave degli anni a venire, questo Severus lo sapeva con certezza e se ne rammaricava come mai prima.
Impossibile concepire come una creatura così piccola, già piena di sofferenza e dolore, potesse avere davanti un simile ingrato, travagliato cammino.
Involontariamente lo strinse a sé, ma le sue patetiche reazioni inconsce non lo avrebbero salvato quando il Signore Oscuro sarebbe venuto a cercarlo per estinguere con lui tutta la sua fastidiosa stirpe.
Quando quel giorno sarebbe arrivato il piccolo Harry, il suo Harry, avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto, la diplomazia, l’astuzia e la conoscenza che Severus sarebbe stato in grado di dargli.
Questo Severus era disposto a fare per il suo bambino-Potter e questo avrebbe fatto.

Risolutamente guardava di fronte a sé, aveva il piccolo fra le braccia adesso, e lo avrebbe tenuto con sé fin quando poteva, a qualsiasi prezzo.
Le carte erano arrivate al Ministero, di questo era certo, ma non aveva modo di controllare che fossero state approvate completamente. Era impensabile avventurarsi là per informarsene. Non solo avrebbe destato i sospetti di chi, solo qualche tempo prima, aveva cercato di farlo imprigionare ad Azkaban, ma era noto a tutti come il Ministero stesso brulicasse di ancor più che fedeli seguaci del Signore Oscuro, primo fra tutti Lucius Malfoy.
Oltretutto non desiderava creare tutta questa pubblicità attorno al bambino, era troppo pericoloso.
Si sarebbe avvalso di Albus, come sempre era costretto a fare.
Sbuffò, esasperato dalla propria incapacità di far fronte a quegli inconvenienti da solo e si alzò, lentamente, con il bambino in braccio.
Si era fatto tardi  e per quanto piacevole anche quel momento di rilassatezza era giunto al termine.
Senza fare alcun rumore portò il bambino in camera e lo pose delicatamente sotto le coperte. Si perse un istante in contemplazione del suo piccolo viso e poi, riscuotendosi da quell’attimo di debole sentimentalismo, uscì.
Nella sala raccolse i tomi che stava leggendo dal tavolino accanto alle poltrone e fece per dirigersi verso le proprie stanze quando un suono lo fermò accanto alla porta della camera del bimbo.
Come una sorta di basso, lamentoso mugolio.
Pensò che il piccolo Harry si fosse svegliato e si affacciò per offrirgli la consueta buonanotte. Quello che vide fu il bambino-Potter agitarsi nel letto, gli occhi chiusi, la fronte corrugata, le manine che strozzavano la coperta quasi come se da quella stretta dipendesse la sua piccola vita.
Sognava, dunque.
E, ad occhio e croce, non sembrava un sogno piacevole.
Severus aveva un’intima, approfondita conoscenza degli incubi. Ne aveva avuti fin da quando aveva memoria e le impervie strade della sua vita non avevano certo contribuito a lasciarlo scevro di orrori da rivivere quando calavano le tenebre.
Vedere il bambino-Potter soffrire anche quando avrebbe dovuto godere finalmente del sonno dei giusti lo riempì di una sorta d’indignazione.
Rapidamente si avvicinò e, scartando l’idea di svegliarlo per non provocare una reazione isterica, lo prese in braccio e lo cullò, camminando lentamente per la stanza, una mano sulla sua piccola schiena, un braccio sotto le sue gambette raccolte.
Gli accarezzò la testolina arruffata e ancora camminò su e giù per la stanza, come sempre faceva quando una delle terribili memorie degli abusi subiti riaffiorava durante le ore di veglia.
Il tempo scorreva nel silenzio, occasionalmente interrotto da qualche ‘Ssh’ sussurrato da Severus, le sue mani incessanti nel cercare di confortare quella piccola, disperata creatura.
Il movimento costante e la familiarità delle sue braccia riuscirono nel loro scopo e quando Snape lasciò quella stanza il bambino riposava tranquillo, l’espressione distesa.


Come volevasi dimostrare niente era mai semplice con il povero figlio dei Potter.
Severus aveva desiderato ardentemente di potersi dimenticare di quella notte, sperando di poterla classificare come un caso isolato, invece, naturalmente, divenne una tremenda costante.
Notte dopo notte dopo notte.
 
Le giornate scorrevano agitate, il bambino era irrequieto durante le ore di veglia. Copie di inquieti giorni tutti uguali. All’alba trovava il bambino davanti alla porta, nel centro perfetto del tappeto, facevano colazione insieme, il bambino lo accompagnava alla porta e Severus sapeva che lì lo avrebbe trovato al suo ritorno, immobile come un perfetto soldatino. L’immagine iniziava a turbarlo ogni giorno più del precedente. Quando rimaneva nei suoi quartieri il bambino-Potter era sempre attorno a lui, Snape lo guardava fare i compiti, purtroppo costretto a constatare come la mancanza del giusto riposo avesse peggiorato la sua capacità di concentrarsi. Talvolta lo vedeva assopirsi sopra la pergamena e, anche se la vena di intransigente insegnante che aveva dentro pulsava dal desiderio di svegliarlo, si controllava perché niente di tutto quello era colpa di Harry. I continui incubi notturni lasciavano il piccolo spossato e nervoso, incerto e circospetto nei modi quasi come quando era arrivato. La sera crollava subito dopo cena, ma passate poche ore ecco che si agitava, preda dell’ennesimo sogno malvagio, talvolta si dimenava talmente tanto da scoprirsi, si lamentava, piccoli, pietosi guaiti che negli ultimi tempi erano diventati quasi grida.
Incapace di tenere a bada persino i propri, di incubi, Snape non si sentiva certo la persona più adatta e l’impotenza dei suoi futili tentativi lo frustrava..
Aveva provato a leggergli storie sul mondo magico e sulla fauna e sulla flora ogni sera, cercando di trasmettergli calma e serenità, aveva speziato il latte del dopocena con erbe rilassanti per favorire un sonno sereno, aveva tentato la strada del dialogo, ma l’atterrita reticenza del bambino lo aveva fatto desistere. Tutto inutile, tutto quanto.
Lasciava le porte delle loro stanze aperte, stendendosi in silenzioso ascolto sul proprio letto, contando i secondi, i minuti, le ore fra un orrore e l’altro.
E quando accadeva si alzava e faceva del suo meglio per consolare il suo piccolo Harry, ma nulla sembrava mai abbastanza.


Probabilmente avrebbe dovuto discutere di questo con Albus, pensò, adesso che sedeva nello studio di quest’ultimo in cerca di una conferma sulle carte inviate al ministero.
Certamente Albus  avrebbe consigliato di chiamare Madam Pomfrey o di somministrare al bambino una delle sue pozioni Dreamless Sleep .
E certamente sarebbe stato inutile.
Madam Pomfrey e la sua scienza medica non potevano niente contro cinque anni di vessazioni e abusi mentali ed il bambino aveva preso fin troppe pozioni da quando era arrivato ad Hogwarts, senza contare che l’utilizzo su un bimbo così piccolo di una pozione potente come la Dreamless Sleep era sconsigliato su quasi tutti gli autorevoli tomi di pozioni che Snape possedeva.
Severus sospirò profondamente.
Era stata una giornata pesante, una delle tante ormai.
Quella mattina, al suo arrivo in sala, l’assenza del bambino-Potter davanti alla porta lo aveva stupito e preoccupato nello stesso istante.
Immediatamente era andato a cercarlo in camera. Probabilmente, nella foga di assicurarsi della sua presenza, era entrato con troppo impeto, spaventando il piccolo che in quel momento usciva dal bagno.
Convinto di essere tremendamente in ritardo, e quindi punibile per questo, Harry era scoppiato in lacrime alla sua vista e niente era stato in grado di consolarlo.
Gli incubi gli lasciavano addosso un malessere in grado di cancellare persino il ricordo delle buone promesse di Snape, come quella di non picchiarlo mai.
Così Severus aveva dovuto calmarlo, lentamente, spiegandogli che non c’era nulla di cui preoccuparsi e che era suo diritto alzarsi ad un orario ragionevole se lo desiderava, senza il bisogno di salutare Snape sulla porta.
Resosi conto della situazione un po’ alla volta e smesso di piangere per la paura, il bambino-Potter aveva iniziato a scusarsi per il proprio comportamento, si era coperto la bocca con una manina cercando di frenare i singhiozzi e, di nuovo in lacrime, adesso piangeva perché stava piangendo.

Snape era arrivato a lezione con due ore di ritardo e con, fra i denti, una sequela di maledizioni impronunciabili per qualsiasi mago rispettabile.
Da quel momento la giornata era stata devastante e adesso Albus aggiungeva il suo carico, dicendo che non aveva ricevuto risposta al gufo inviato al Ministero giorni prima.
Senza troppi convenevoli Snape si era congedato per fare, finalmente, ritorno nei suoi quartieri.

Il bambino-Potter gli sorrise timidamente dal centro del tappeto.
Severus sospirò con estrema lentezza e, prima di qualsiasi altra cosa, prese dalla propria personale scorta la miglior pozione calmante che riuscì a trovare.
‘Sì – disse fra sé e sé ingoiandola in un unico sorso –  l’annata precedente è un’ottima annata.’


Il piccolo Harry non sapeva spiegarsi bene nemmeno con se stesso, eppure aveva provato a parlarsi di questa cosa che stava succedendo, ma non sapeva come incastrare tutti i pensieri. Quando era sveglio era felice, della sua nuova stanza, della palla di vetro, di stare a casa dell’uomo-Sevreus, di stare bene, di mangiare, eppure… tutte le volte che andava a dormire la sua testa gli faceva vedere sempre la stessa brutta cosa.
Il sogno era sempre uguale ed Harry non ricordava mai tutti i particolari, ma si svegliava sempre di colpo con una sensazione bruttissima.
Quella di non essere più con il suo uomo-Sevreus.
Qualcosa o qualcuno lo portava via e gridare non serviva a niente, così come non era mai servito con Zio Vernon, ma Harry non poteva fare a meno di farlo.
Voleva rimanere con il signore-Sevreus, voleva stare con lui per sempre.
E allora, appena sveglio, correva in sala e aspettava di veder passare il suo uomo-Sevreus.
Non importava che ore erano, lui aspettava ed aspettava, in piedi, in silenzio, sperando di non veder mai arrivare il giorno in cui il signore-Sevreus non sarebbe passato.
Ma adesso non riusciva più a farlo. I sogni brutti lo tenevano sveglio per tanto tempo e non riusciva più ad alzarsi presto la mattina. Anche se sapeva che il suo uomo-Sevreus era buono e correva sempre da lui durante la notte, Harry si sentiva in colpa, non solo era stupido tanto da non riuscire a svegliarsi presto, ma dava molta noia tutte le notti al povero signore-Sevreus. Al suo posto Zio Vernon lo avrebbe picchiato tantissimo e gli avrebbe intimato di non ‘mettere più un solo suono’. Invece il suo uomo-Sevreus si alzava sempre senza dire niente e non lo sgridava mai e lo teneva fra le braccia. Tutte le sere gli leggeva delle storie bellissime.
Il piccolo Harry adorava la voce del suo uomo-Sevreus, era una voce calda, bassa, sicura. Sembrava avvolgerlo tutto e riscaldarlo ben prima di venir messo sotto le sue coperte nuove.
Harry non conosceva tanti altri grandi a parte i suoi zii, la sua maestra della scuola ed il nonnino strambo, ma di una cosa era sicuro.
Se anche li avesse conosciuti tutti il suo uomo-Sevreus era di certo l’unico in grado di accarezzarlo con la voce.
Non esisteva nessuno come lui e questo era tutto il perché dei suoi sogni brutti.



Il bambino-Potter sembrava assorto in un altro dei suoi lunghi, enigmatici ragionamenti. Snape non lo disturbò, ma continuò a leggere anche se era chiaro che il piccolo non lo stesse affatto ascoltando. La pozione aveva fatto fin troppo bene il suo dovere, subito dopo il latte della sera Severus fece appena in tempo a pensare di dover mettere il bambino a letto, dato che ormai s’era addormentato, che si assopì a sua volta, semidisteso sul divanetto per due che aveva trasfigurato in occasione delle sue letture serali al bambino.


Se i suoi quartieri si fossero trovati in alto il classico raggio di sole lo avrebbe destato, ma anche senza la luce solare, quando aprì gli occhi, Snape già sapeva che l’alba era passata.
Si sollevò su di un gomito, maledicendo l’ottima annata precedente ed il suo devastante effetto su un uomo a sua volta già troppo devastato. Un sinistro scricchiolio del collo gli ricordò perché il genere umano avesse inventato i letti e Severus si rimproverò aspramente per essersi addormentato sul divano come un ragazzino, anche se, doveva ammettere, si sentiva piuttosto ben riposato. Probabilmente un’intera notte…
La sua mente lasciò incompiuto quel pensiero ed il suo corpo s’irrigidì.

Il bambino-Potter!

Le stanze erano appena al di là della sala, sicuramente avrebbe dovuto sentirlo durante la notte. Il timore di non essere riuscito a destarsi per salvarlo dai suoi incubi lo colpì come un Petrificus Totalus. Sicuramente il piccolo aveva avuto paura e Snape lo aveva tradito, seppur distrutto dalla fatica abbandonarlo ai suoi orrori era stata un’imperdonabile mancanza con la quale rischiava seriamente di compromettere tutto quello che aveva fatto.

Fece per alzarsi di scatto per sincerarsi del grado del suo fallimento quando qualcosa si strinse alla sua tunica.

Una manina che, esclusa l’impensabile follia di un elfo domestico, poteva essere solo del suo bambino-Potter.

Ricordava di aver pensato di doverlo mettere a letto, ma evidentemente non era riuscito a concretizzare quell’azione e, adesso, appariva chiaro come si fossero addormentati insieme.
Il giovane maestro abbassò lo sguardo sul visino del bimbo e, mentre tirava un mentale sospiro di sollievo per lo scampato insuccesso, la sua perspicacia lo pose di fronte ad una scoperta dai risvolti straordinari, ma potenzialmente terribili.

Per tutto il tempo il bambino non aveva avuto alcun incubo.

Questa facile deduzione era avallata dalla notte d’indisturbato riposo che Severus aveva sperimentato. Era positivamente impossibile credere che il bambino avesse avuto degli incubi e che Snape non si fosse svegliato, erano praticamente distesi sullo stesso rettangolo di stoffa nera e questo portava alla ben più difficile da accettare conclusione iniziale, la quale prevedeva di offrire come unica, lucente spiegazione la presenza di Severus prima e durante il suddetto sonno condiviso.

Come sempre, quando era richiesto alla sua mente acuta di venire a patti con una verità inconsulta, la sua più grande necessità risiedeva nel trovare al più presto uno studente qualsiasi sul quale riversare un commento crudele, preferibilmente proprio fuori dalla porta, se possibile.
Senza spostare il bambino e facendo attenzione a coprirlo in modo che potesse, finalmente, recuperare parte del sonno perso, Snape uscì in un minaccioso svolazzio di nero tessuto.




Remus sospirò.
Sirius era chiaramente agitato.
Passeggiava nervosamente nello studio dove avevano appena preso il tè, la sua tazza intonsa sul tavolino basso.
Camminava furiosamente avanti e indietro nel centro della stanza, per poi ricordarsi all’improvviso di essere ancora piuttosto debole, allora sedeva per qualche minuto con un’espressione perduta ed infastidita solo per alzarsi nuovamente nel giro di poco e cominciare tutto daccapo.
Remus sapeva bene cosa angustiasse il suo amico, ma aveva già espresso il proprio parere molteplici volte e sapeva che, a questo punto, era inutile continuare a parlargli.
Sicuramente quest’inspiegabile attesa doveva avere una giustificazione. Conosceva Albus e la sua propensione all’attendere il momento propizio secondo le sue strane macchinazioni, ma non si preoccupava. Si fidava di lui e del suo giudizio. Probabilmente non era ancora arrivato il momento giusto, bisognava solo attendere ancora un po’.
Ma il problema era come farlo capire anche a Sirius…



Il brusio alle sue spalle era talmente lieve che Snape non si girò neppure.
“Trenta punti in meno per Gryffindor ed è tutta colpa sua, signor Holdan”.
Severus terminò di scrivere le istruzioni per la pozione del giorno della sua classe del quinto anno Gryffindor-Slytherin, beandosi dei sospiri disperati di quei piccoli pusillanimi chiacchieroni.
Poi sedette alla sua scrivania e, mentre tutta la classe iniziava a creare la pozione richiesta in perfetto, meraviglioso silenzio, Snape poté finalmente provare ad affrontare le conseguenze della sua mattutina illuminazione.
Che tutto fosse tremendamente chiaro e semplice non l’aiutava quanto avrebbe dovuto.
Naturalmente in quei mesi il bambino-Potter si era affezionato a lui ed il fatto che il motivo di questo incommensurabile affetto derivasse tutto dal ricevere cibo, coperte e nessuno schiaffo poteva essere causa di sconfinata ilarità se non fosse stata una cosa così terribile.
Il bambino si sentiva sicuro in sua compagnia perché, come era stato dimostrato dagli sfortunati avvenimenti di qualche tempo prima, Severus era ben in grado di difendere se stesso e gli altri in situazioni di pericolo.
Era, quindi, solo una deduzione logica concepire che il bambino, tormentato dagli incubi la notte, potesse trovare sollievo da essi restando accanto all’unico uomo che lo aveva saputo difendere senza abusarlo.
Peccato che tutto questo si scontrasse profondamente con ciò in cui Severus credeva.
Severus Snape non era un uomo buono, né un uomo compassionevole o giusto o prono agli affetti e alle smancerie.
Credeva nell’educazione portata avanti con disciplina come unica salvezza per le scalmanate generazioni a venire e predicava come il sapere potesse rendere potenti le persone, perché la vita gli aveva insegnato fin troppo presto che il potere era tutto ciò che serviva per essere rispettati, per sopravvivere senza inginocchiarsi ora di fronte ad un signore ora di fronte ad un altro.
Ormai asservito, a causa dei suoi errori, cercava la libertà nella conoscenza, si applicava nella sperimentazione, l’unica àncora di salvezza alla quale poteva aggrapparsi per sperare, un giorno, di vivere soltanto per se stesso.
Il figlio dei Potter, in tutto questo, era arrivato dal niente portando scompiglio e rabbia. I ricordi, il dolore, la costrizione di vedersi affidare un esserino arrogante e fastidioso che alla fine si era rivelato essere un’altra, innocente, vittima delle decisioni di chi, fra loro, poteva esercitare quel potere che a lui sembrava ogni giorno più irraggiungibile.
Non c’era spazio nella vita di un uomo come Severus per quel tipo di sentimenti, in privato, nei propri pensieri, sentiva di non esserne in grado e anche se aveva giurato di tenere con sé il bambino e costretto Albus a firmare per l’adozione non credeva sarebbero dovuti arrivare a quel punto.
Il confine fra l’assoluzione che il bambino-Potter rappresentava e la pericolosità di un vincolo sentimentale praticamente paterno.
Snape era anche un uomo che detestava per natura i legami, di qualsiasi genere.
I legami blandivano il potere degli uomini, lo soggiogavano ancor più subdolamente e rappresentavano un punto debole, una breccia in un bastione altrimenti inespugnabile.
Voldemort non aveva legami, così come non li aveva Albus.
La loro strada di volontà e predominio li aveva certo condotti alla solitudine, ma quali grandezze avevano raggiunto?
Seppur con scopi diversi erano stati in grado di conquistare poteri sconfinati, con i quali dominavano la vita di tutti loro.
Severus si frenò dal nascondersi il viso fra le mani davanti alla sua classe, ma desiderava intensamente farlo.
Che avesse compiuto un immenso errore di valutazione?
Che il dolore accecante della Legilimens e dei ricordi della dolce Lily lo avesse momentaneamente annebbiato tanto da fargli intraprendere quella strada così palesemente inadatta?
Era in grado, ora che veniva chiamato ad esplicare i propri doveri di tutore e figura di riferimento, di abbandonare definitivamente il proprio credo, di vivere anche per qualcun altro, per un bambino, per il suo bambino?
Era pronto ad averlo come punto debole, come perfetta occasione di ricatto in ogni possibile circostanza?
Rimase come stordito da questi dubbi, ora redarguendosi aspramente di aver sempre saputo a cosa andava in contro, ora rifiutandosi di accettare la propria scelta pienamente.
Raccolse senza dire niente tutte le pozioni dei suoi studenti e non si alzò, neppure quando la classe si fu completamente svuotata.



Quando sentì il rumore soffocato dei passi il piccolo Harry si assicurò di stare ben diritto con la schiena e di non fare alcun rumore. Sapeva perfettamente che dopo il lavoro i grandi erano sempre stanchi e arrabbiati ed anche un po’ per questo non è che desiderasse così tanto crescere.
Però, d’altra parte, un po’ lo desiderava lo stesso, si rendeva conto di essere piccolo e basso e poco forte e così non poteva aiutare il signore-Sevreus in niente. Non poteva portare le pentole del signore-Sevreus né sistemare i suoi libri né pulire in alto. Avrebbe voluto tanto aiutare il suo signore-Sevreus e forse un giorno, da grande, Harry avrebbe imparato a cucinare come l’uomo-Sevreus, tutte quelle cose che sembrava sempre preparare e che Harry pensava di mangiare a cena, anche se il maestro non diceva mai che erano cose fatte da lui Harry lo credeva perché erano sempre buone come era buono il signore-Sevreus.
Harry avrebbe fatto qualunque cosa per lui e anche se non sarebbe mai stato abbastanza doveva, voleva ringraziarlo.
Il solo stare nella stessa stanza scacciava tutte le sue paure e tutti i sogni brutti, così come era successo la notte prima, ed il piccolo Harry non sapeva bene come rendere chiaro che questa era una cosa incredibilmente bella, anche se non si aspettava certo di vederla ricapitare…
‘Oh, eccolo, eccolo, sssh’ si disse e quando lo vide rientrare illuminò la stanza con il suo piccolo sorriso.
 

Senza nemmeno avere il tempo di pensare a cosa faceva Snape si chinò e prese il bambino in braccio, rapido come un serpente. Immediatamente si rese conto di aver commesso un errore, ricordava molto bene a cosa i movimenti improvvisi corrispondevano per il bambino, considerata la violenta educazione impartita dai Dursley.
Dopo un iniziale momento di rigidità Snape si stupì della rilassatezza con la quale il figlio di Lily lo guardava adesso. La piena fiducia, che Severus non sapeva più se desiderare o meno, scritta a chiare lettere nei suoi occhi verdi.
Incredibile come le cose stessero cambiando, si disse il giovane maestro, forse non tutto era stato inutile.
Le sere a leggere, il cullarlo, le lezioni, le pozioni, le regole, la Legilimens.
Eppure, si chiese, come spiegare quegli incubi?
Perché era stato incapace di troncare quel legame malsano con il passato?
Forse non era stato così bravo, così pronto come credeva…

Si sedette con il bambino in braccio e lo guardò negli occhi, ancora sconcertato dalla sua mancanza di paura  e dal piccolo sorriso che tuttora gli piegava le labbra.

“Harry, devo chiedertelo. E’ molto importante per me sapere o non ti potrò aiutare…”

Intendeva davvero farlo o in realtà lo avrebbe abbandonato una volta saputa la verità? Quella verità che avrebbe rivelato la sua incapacità, la sua inadeguatezza. Non sarebbe mai riuscito a redimersi salvandolo perché era troppo tardi e nessuno avrebbe mai sigillato il dolore in lui, immutabile in tutte le notti a venire. Un altro fallimento nella vita di Severus Snape. Lo aveva illuso di poter riscattare entrambi, di recuperare le loro vite e adesso sarebbe fuggito di fronte alla prova che i Dursley non se ne sarebbero mai andati dalla sua piccola mente piena di cicatrici.

Il bambino annuì, sembrava capire l’importanza di quel momento. Forse era stata l’azione improvvisa di Snape, di solito così calmo e composto, o forse il tono concitato della sua richiesta, non sapeva. Sapeva solo che voleva sapere.

“Bisogna che tu mi dica che cosa sogni tutte le notti, che cosa ti spaventa… Harry, dimmelo, per favore”.

Severus vide chiaramente nelle iridi del piccolo Harry come la richiesta lo addolorasse. Non sapeva perché, ma quasi si pentì d’averlo domandato, anche se ormai era troppo tardi.

Il bambino-Potter prese fiato, era chiaro che non desiderasse affatto rivelare quella parte di sé, ma poi qualcosa in lui cambiò, sul suo piccolo viso comparve una risoluzione nuova e Severus lo sentì prendere fiato di nuovo, come un adulto che si rassegna alla decisione presa.

“Harry… Harry sa che si può fidare del maestro Sevreus, Harry…”

“Harry” disse Snape, guardandolo con una punta di rimprovero.

“Ah, scusi maestro, non Harry, io” comprese al volo il bambino.

Era sveglio, ma questo Severus lo sapeva già

“Dicevi, Harry?”
Non poteva lasciar correre, ormai erano giunti fin là insieme…

“H… Io so che posso fidarmi del maestro Sevreus, io so che il maestro Sevreus non mi chiede questo per prendere in giro Ha… per prendermi in giro o per far succedere quello che sogno, vero, maestro?”

La certezza delle sue parole cancellata dal tono di domanda, ma questo Snape poteva capirlo, fino a qualche mese fa per lui Severus non era altro che un estraneo dal naso brutto e l’aspetto spaventoso.

“Naturalmente Harry, non è mia intenzione fare ciò, puoi credermi”.

“Ma Harry ti crede, cioè… io ti credo, maestro – la forma di cortesia dimenticata nella fretta di rassicurarlo, Snape lo notò, ma non disse niente – e sono molto felice di stare qui con te, maestro, ed è per questo che ho paura e che faccio sempre lo stesso sogno brutto…”

Un attimo di silenzio.
Sembrò lungo ore, ma parve non esserci mai stato quando il bambino parlò di nuovo.
“…un sogno dove quella porta si apre – indicò la porta d’ingresso dei loro quartieri – mentre sono qui a giocare con la palla che il maestro mi ha regalato ed il maestro è lì al tavolo e d’improvviso qualcuno entra e mi afferra e mi porta via, lontano, Harry grida, maestro, ma non può fare niente ed il maestro è sempre più lontano attraverso la porta che diventa piccola piccola e tutto si fa sempre più nero e buio, Harry grida, ma nessuno può salvarlo, perché lo sa, questa cosa così bella di vivere con il maestro deve finire come tutte le cose belle che sono sempre finite per Harry…”

Piangeva, piangeva adesso, ma non smise di parlare, di raccontare una verità che Severus non poteva nemmeno immaginare.


“…perché Harry non vuole più andare via, Harry vuole stare qui con il maestro e allora sogna che presto qualcuno lo porterà via, perché così è sempre stato con le cose belle ed il maestro è la cosa più bella che adesso Harry ha…  –  si fermò, il piccolo viso così serio, così determinato –  … la cosa più bella che io ho”.


E poi non disse altro.


C’era talmente tanta profondità e dignità nelle parole di quel bambino di sei anni che per un attimo Severus Snape non riuscì a pensare a niente.


Ecco qui la verità che pensava lo avrebbe liberato da tutto, che lo avrebbe messo di fronte al fallimento, pronto a battere in ritirata, come sempre nella sua vita, da Voldemort o da Albus che differenza faceva? Invece no, non questa volta.
Questa volta la vittoria scorreva copiosa sul viso del suo piccolo Harry.
Nessun Dursley, nessun ricordo concreto.
Il bambino aveva voltato pagina e poco importava se adesso altre paure lo afferravano.
Erano paure nuove.
Severus aveva effettivamente spezzato quella catena di dolore, nulla sarebbe stato semplice, ma tutto era diverso.
La maturazione del bambino aveva portato a lui la sua e non v’erano più dubbi.
L’occasione di essere liberi insieme era ancora là, intonsa.
E Severus Snape non avrebbe esitato mai più.


Accarezzò la testa del bambino, consolandolo senza inutili frasi di circostanza e si alzò, sentendosi più forte, più potente.



Era dunque questo che si provava nel vincere?



La sera arrivò come un ladro nella notte. Il bambino si era calmato e giocava sul tappeto con la sua palla di vetro. Le tazze vuote del tè e del latte della sera erano già state portate via dagli elfi.
Era l’ora di andare a letto.
Il bambino lo sapeva bene, Snape lo poteva intuire dalla sua postura rassegnata, le piccole spalle abbassate sotto il peso del pensiero per la notte insonne che lo attendeva.

“Andiamo a letto, Harry”.

Pronto ed ubbidiente il bimbo si alzò subito, senza dire niente.
Non che Severus lo avesse mai sentito protestare o fare i capricci, immaginava bene come Vernon Dursley aveva punito simili comportamenti…

Snape spense tutte le luci con un gesto nervoso della bacchetta e si diresse lungo il corridoio, si girò in tempo per vedere il bambino fermarsi di fronte alla propria camera, una manina alzata per aprire la porta.

“No, Harry. Da questa parte” disse il maestro di Pozioni, proseguendo.

Sapeva bene che il bambino-Potter non avrebbe fatto domande, ma immaginava lo stesso quell’espressione di sorpresa, confusione ed incertezza così tipicamente sua.

Lo condusse velocemente in fondo al corridoio, verso le proprie stanze e lo fece entrare.
I vestiti del bambino per la notte erano ben sistemati sul letto.
Lo stesso letto dove Snape aveva temuto di vederlo morire quando il bambino aveva mangiato per sbaglio la sua Wolfsbane.
Lo stesso letto nel quale, adesso, lo stava accogliendo per salvarlo dal dolore e dagli incubi.


Harry guardava il suo maestro senza riuscire a pensare a nulla, senza riuscire a parlare.
Harry non avrebbe sperato mai e poi mai, proprio mai-mai, di poter dormire con il suo maestro Sevreus.
Non si era fatto illusioni al riguardo, sapeva che i bambini come Harry non solo erano troppo grandi per dormire nel letto degli adulti, ma anche che ai bambini come Harry questa cosa non poteva essere offerta. Perché era sudicio ed ingrato e avrebbe finito per dare fastidio a tutti. Eppure sapeva quanto lo aveva desiderato. Lo aveva desiderato persino in casa dei suoi zii quando, durante le lunghe notti in cui non riusciva a dormire per la fame e per le botte, sentiva la porta di camera di Dudley aprirsi e i suoi passi verso quella dei suoi genitori, ma mai quelli di ritorno.
Aveva capito che Dudley poteva dormire con i suoi genitori e che lui non avrebbe mai potuto sperarlo. E quella cosa, più di tutte, gli mancava e lo faceva piangere.
Non avere due genitori dai quali poter dormire, non avere quella cosa per lui aveva significato essere solo.
Completamente solo.
Questo lo aveva fatto disperare per così tante notti, ma adesso, si disse con una meraviglia senza fine, adesso il signore-Sevreus ( che sembrava sapere perfettamente tutto, ma proprio tutto, quello che ad Harry mancava ) lo avrebbe fatto dormire con sé ed Harry sarebbe stato come gli altri bambini, come Dudley, forse di più, perché lui aveva l’uomo-Sevreus accanto ed Harry sapeva, sentiva, che l’uomo-Sevreus era forte e che lo poteva difendere. Nessuno Zio Vernon poteva picchiarlo lì, perché l’uomo-Sevreus non l’avrebbe permesso.
I pensieri del bambino vennero interrotti dal maestro.
Snape porse al bimbo il pigiama e gli indicò la sala da bagno, approfittando della sua momentanea assenza per prepararsi a sua volta per la notte.

Quando rientrò in stanza il bambino fu preso da un attimo di incertezza, sembrava non credere fino in fondo a quello che stava succedendo e certamente Snape non riusciva ad immaginare Vernon Dursley permettere al figlio dei Potter di dormire assieme a lui, quindi poteva comprendere. La situazione era già troppo… sentimentale… così com’era, senza lunghi momenti d’esitazione, quindi Snape si sporse sulla sponda del letto libera e allungando una mano invitò il bambino a salire. Non si fidava della propria voce, avrebbe finito per dire cose che Albus avrebbe trovato deliziose e che invece a lui avrebbero rovinato il sonno. Coprì se stesso ed il bambino accanto a sé e poi rimase immobile.
Sapeva, dannazione, di dover comunque dire qualcosa o il bambino non si sarebbe mai rilassato.
Dimostrare affetto quando il piccolo Potter era emotivamente provato o in una situazione di pericolo o necessità era una cosa, adesso, nel silenzio della notte, nelle proprie stanze, Severus si rendeva conto di tutti i propri limiti.
Avrebbe dovuto fare molto meglio di così, se voleva sperare di salvare davvero entrambi, ma per il momento poteva solo trovare qualcosa da dire, ma sorprendentemente venne anticipato.

“Grazie, maestro”.

Spezzato il silenzio, liberato dai suoi vincoli, solo Harry sapeva come sorprenderlo, forse lo aveva capito in quel momento, forse lo aveva capito da subito, ma continuava a succedere.

“Non c’è bisogno di dire niente” rispose, forse un po’ bruscamente.

Ma Harry rise, un risolino divertito, innocente, puro.
Perché Harry sapeva che quando l’uomo-Sevreus usava quel tono non diceva davvero quello che pensava, ma lo nascondeva.
Harry conosceva il suo uomo-Sevreus.
Prese fiato un’ultima volta, non voleva disturbare ancora il maestro, ma era emozionato e non poteva stare zitto.

“Sono felice, maestro”.


Non ci fu modo di fermarsi.
“Anche io, Harry” disse, prima di poterci pensare.

Ma che importava?
Era la verità.
Tutta la bellezza della verità.





Sirius era calmo, troppo calmo.
Dopo giorni di agitazione e proteste e invettive e lettere e parole irripetibili ora niente.
Piatto come la superficie di un lago.
Placido.
E Remus sapeva che questo era peggio di ogni altra cosa.
Così, quella mattina, lo seguì quando lo sentì uscire all’alba dalla sua stanza.
Lungo il corridoio, giù per le scale, in sala da pranzo.
In tempo per vederlo prendere della Floo Powder e pronunciare chiaramente “Hogsmeade”.
Senza nemmeno aspettare che la nuvola della precedente polvere magica si disperdesse Remus ne prese a sua volta e immediatamente lo seguì.



Continua…








La Dreamless Sleep è una pozione dal colore violetto usata per indurre un sonno senza sogni in chi la beve.
Il Petrificus Totalus è un incantesimo che rende la vittima completamente immobile, spesso impiegato nel duello come incantesimo di difesa.
La Floo Powder è la metropolvere, la polvere magica che permette di viaggiare da camino a camino.


Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.





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Capitolo 20
*** 20 - Concern of mine ***


The Heart of everything 20
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 


 

Eccomi, direi che sono migliorata almeno un pochino, un mese invece di altri tre anni non è male, no? XD
Volevo provare a mantenere un ritmo di circa tre settimane ora che sono rientrata dalle ferie, ma è meglio non promettere per il momento! Grazie ancora per la pazienza e finalmente il nuovo capitolo!

Buona lettura

Ps. Cercherò di rispondere a tutte le recensioni al più presto, grazie del tempo che mi avete dedicato <3 

 



The Heart of Everything

 

 

 20 - / Concern of mine /

 

“Minerva, mia cara, potresti lasciarmi solo?” chiese gentilmente Albus, ritraendosi dalla finestra del suo studio con lentezza.

Con un grazioso cenno della testa la Professoressa McGonagall acconsentì, bevve rapidamente l’ultimo sorso dalla sua tazza di tè del mattino e si accomiatò.

Dumbledore si diresse verso la scrivania e la liberò con un gesto pigro della mano dai resti della colazione condivisa con la professoressa di Trasfigurazione quindi chiamò un elfo domestico.

“Ti pregherei di comunicare al Professor Snape che la sua presenza è richiesta nel mio ufficio fra circa un quarto d’ora”.

L’elfo annuì e scomparve.

A quel punto Albus sedette, le dita delle mani incrociate sotto il mento.
In attesa dell’inevitabile.





 
Il piccolo Harry si svegliò presto. Aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu il nero e subito si tranquillizzò. Era buffo pensare che a casa dei suoi zii il nero aveva sempre voluto dire dolore e cantina e spazzatura da mangiare e notti al freddo a piangere, ma adesso tutto era diverso, il nero era il colore dell’uomo-Sevreus e svegliarsi accanto a lui per il piccolo Harry era un sogno che diventava realtà. Nessuno avrebbe mai voluto dormire con Harry, perché Harry era sporco e cattivo e brutto, questo dicevano i suoi zii ed invece non era così. L’uomo-Sevreus l’aveva detto, i suoi zii gli avevano mentito tutto il tempo e adesso Harry non credeva più loro, non gli avrebbe creduto mai più perché l’uomo-Sevreus aveva dormito con lui e lo aveva fatto stare nel suo letto perché Harry non era sporco e cattivo e nemmeno brutto.
Harry era un bambino normale.
Pensarlo lo riempì di una tale gioia che Harry quasi rise a voce alta, ma si trattenne perché l’uomo-Sevreus stava ancora dormendo ed Harry non voleva disturbarlo.
Rimase immobile un po’ di tempo poi prese a studiare l’uomo-Sevreus.
Era la prima volta che lo guardava così da vicino senza essere visto.
Ridacchiò pianissimo.
Ricordava bene cosa aveva pensato del suo uomo-Sevreus la prima volta che lo aveva visto e ricordava bene anche tutta la paura che aveva avuto, si sentiva un po’ sciocco ora, ma in quei momenti non poteva sapere ed era davvero terrorizzato perché l’uomo-Sevreus gli era sembrato alto e nero e minaccioso, con il naso grande come quello di un grosso pinguino cattivo.
Adesso, a guardarlo bene, non era proprio così.
Senza rendersene conto allungò le manine per toccare il naso dell’uomo-Sevreus.
Era grosso, sì, ma non pareva più quello di un pinguino visto così da vicino e non era affatto freddo, sembrava quasi un naso normale, ed Harry era stato ingiusto anche con i pinguini perché non ne aveva mai visto uno dal vivo ed in effetti non poteva sapere se quelli con il naso grosso erano più cattivi degli altri…

“Posso chiedere, di grazia, cosa stai facendo, Harry?”

Harry si era perso il momento in cui l’uomo-Sevreus si era svegliato e adesso aveva ritratto in fretta le mani.
Si sentiva un po’ in colpa, aveva svegliato l’uomo-Sevreus che era stato così gentile da farlo dormire nel suo letto.
Quindi chiese scusa subito, ma non scappò dal letto come avrebbe fatto un tempo.
Harry era piccolo, sì, ma sapeva bene che tante cose erano cambiate, lui era cambiato.
Si sentiva bene, meglio di quanto avesse mai ricordato ed era… sì, più… certo nelle cose, più bravo.
Sì, stava diventando bravo e non aveva paura dell’uomo-Sevreus, né paura di dover andare via perché se diventava bravo nessuno lo avrebbe mai mandato via.
Sorrise, pensando a come era bello farlo, a come era bello avere un motivo per farlo.


Rinunciando a capire il bambino-Potter, che prima aveva ‘mappato’ tutto il suo naso per poi sorridere senza nessun motivo apparente, Snape si alzò.
Mentre si vestiva s’informò su come il bambino aveva passato la notte e la risposta fu di suo gradimento.
Attese quindi che il piccolo Potter finisse di prepararsi ed insieme entrarono in cucina per fare colazione.
Un elfo domestico comparve in quell’istante senza essere stato chiamato, Severus trovò la cosa insolita, ma tutto fu chiaro quando la piccola creatura riferì il messaggio di Dumbledore.
Snape annuì e la colazione passò, per il maestro di Pozioni, in un turbinio di pensieri e supposizioni.




Sirius Black, per una volta nella vita, fu grato dell’onniscienza di Dumbledore all’interno delle mura di Hogwarts.
Non era dell’umore adatto a farsi annunciare, era andato lì per uno scopo ben preciso e, come era insito nella sua natura, preferiva arrivare direttamente al punto.
Pertanto quando il gargoyle all’ingresso dell’ufficio del Preside si aprì senza la parola d’ordine Sirius se ne compiacque e subito entrò con Remus.
Quest’ultimo lo aveva seguito fin da Hogsmeade, qualche passo indietro ed in rigoroso silenzio.
Quel silenzio di rimprovero che Sirius conosceva così bene, ma che per una volta aveva deciso di ignorare.
La pazienza non era il suo punto di forza, Sirius lo ammetteva sempre di buon grado, e adesso men che meno. Erano passate settimane e nessuna notizia dell’unico figlio di James e Lily.
Possibile che proprio Albus, fra tutti, non capisse quanto era importante per lui poter finalmente compiere il proprio dovere e prendersi cura del suo figlioccio?
Quanto era stato difficile venire a patti con la propria coscienza e lottare con il senso di colpa che lo aveva divorato come – e qui ironicamente rise – un cane affamato divora un osso?
Non sapere cosa ne era stato di quello che rimaneva della sua famiglia, perché tale l’aveva considerata, era stato un fallimento che lo aveva condotto quasi alla pazzia, più di tutto quello che i Dementors gli avevano fatto, eppure era rimasto aggrappato alla speranza di riuscire, un giorno, ad esaudire la preghiera dei suoi amici, morti in una guerra giusta, una guerra per la libertà.
E quel singolo pensiero lo aveva aiutato, giorno dopo giorno, in quei cinque anni di buio completo. Adesso, che il momento era giunto, nessuno, neppure Dumbledore, sarebbe riuscito a fermarlo.


“Albus”.

“Sirius, ragazzo mio, è un piacere vederti, come ti senti?”

Black esitò, ma lo sguardo severo di Remus lo convinse a mostrare tutta l’educazione che era possibile raccogliere in quella situazione.

“Molto meglio, grazie”.

Naturalmente i limiti della cortesia dei Black non erano tali da spingerlo ad indulgere in inutili chiacchiere di circostanza e Sirius sapeva bene che Dumbledore poteva capirlo, anche se leggeva della disapprovazione nei suoi occhi azzurri .
Mentre sedeva con palese riluttanza decise quindi di arrivare al dunque senza ulteriori distrazioni.


“Immagino tu sappia perché sono… siamo – fece un gesto della mano includendo, suo malgrado, anche Remus – qui, Albus”.

“Naturalmente, mio caro ragazzo, naturalmente” rispose bonariamente il Preside.

E quindi non aggiunse altro per un tempo abbastanza lungo.

Sirius tentò di dominare la propria impulsività, ma i secondi rintoccavano nella sua testa, irritandolo.
“E… dunque?” chiese, sperando di non dover estorcere informazioni in quel modo per tutto il resto della loro, si augurava, breve conversazione.
 
Albus sorrise, affabilmente.
“Stiamo aspettando chi potrà rispondere alla tua prossima domanda, immagino”.

Sirius si posò una mano sulla tempia, al limite della pazienza, mentre Remus tentava di comunicargli spirito di sopportazione con un discreto colpo di tosse quando la porta dello studio si aprì, garantendo l’ingresso a Severus Snape.

“Che cosa ci fa lui qui?” gridò subito Sirius, alzandosi in piedi di scatto.

Albus lo ignorò in favore del nuovo arrivato.
“Proprio la persona che stavamo aspettando, vieni mio caro ragazzo. Siediti”.

Nonostante il rancore che aveva provato alla vista del cane rognoso e del suo amico mannaro Severus sapeva ancora riconoscere la differenza fra un invito ed un ordine quindi sedette con lo sguardo fisso su Albus, sperando veementemente di comunicargli tutto il risentimento che provava per lui in quei momenti.

“Bene, bene – disse Albus, sistemandosi più comodamente. –  Adesso, Sirius, siamo pronti. Puoi porre tutti i tuoi interrogativi a me e a Severus”.

Prima che l’espressione di puro odio che Sirius aveva sul viso si trasformasse in una sequela di insulti inascoltabili Remus intervenne con la domanda più sensata che fu in grado di trovare sul momento.

“Di grazia, Albus, perché mai Severus Snape avrebbe le risposte che Sirius… che noi… cerchiamo?”

“Ma è molto semplice, ragazzo mio. Siete qui per informarvi sulle condizioni del piccolo Harry Potter, dico bene? Come certamente saprete dopo un breve periodo con i suoi più prossimi parenti nel mondo dei Muggle, il mutamento di alcune circostanze, che è superfluo menzionare adesso, hanno imposto il mio intervento. Il piccolo Harry è stato quindi prelevato dalla casa dei suoi zii e condotto qui ad Hogwarts. All’epoca di questi fatti Sirius stava ancora scontando la sua ingiusta condanna ad Azkaban e Severus si è gentilmente offerto – e qui Snape sbuffò ironicamente a voce alta – di occuparsi del bambino. Quindi, se la domanda che Sirius è ansioso di porre è: ‘Dov’è Harry?’ nel presente momento nessuno meglio di Severus è in grado di rispondergli”.


Il gelo più completo cadde su di loro, stendendosi come una coltre mortale di candida neve.


Severus incrociò le braccia sul petto, ma ormai nessuno sguardo o atteggiamento poteva comunicare il profondo astio che sentiva per Albus e per la sua semplicistica e reticente spiegazione.
Come poteva, nel giro di qualche imprecisa frase, ridurre a niente tutte le crudeltà subite dal bambino, tutto il dolore ed il lavoro che c’era stato dietro ogni singolo attimo di libertà che adesso il piccolo Potter poteva respirare?
Il tutto, ovviamente, senza fare alcuna menzione delle proprie colpe, tipico di Dumbledore, certo.
Non sentiva di dovergli rendere le cose facili.
Parlò prima di riflettere.

“Non dimentichi nulla, Albus?”

L’anziano Preside non perse il suo sorriso soddisfatto.
“Oh, giusto ragazzo mio, giusto. Con mio sommo piacere dalla loro convivenza è nato, fra il Professor Snape ed il piccolo Harry, un eccellente sodalizio che ha spinto Severus ad inoltrare, con il mio benestare, domanda di affidamento per il bambino. Naturalmente, ripeto ancora una volta per chiarezza, all’epoca non eravamo ancora in possesso delle prove della tua innocenza, Sirius, e questa soluzione sembrava la migliore per tutti. A mio avviso lo è ancora, in effetti…”


Nemmeno la tolleranza di Remus poteva arrivare a tanto, quando Sirius si alzò minaccioso, il viso distorto in una maschera di incredulo furore, Lupin non gli lanciò nessun avvertimento, nessuno sguardo di invito alla moderazione. Concordava con Black che Dumbledore aveva definitivamente passato il segno.

Severus intanto sospirò fra sé e sé, immobile nell’attesa dell’epico scontro che non aveva potuto prevedere durante la colazione passata a riflettere, ma che aveva fiutato con sicurezza nell’aria entrando nello studio del Preside.
Dannato Albus!
Aveva raccolto davanti a sé i suoi pedoni per poi restare fermo a guardarli scannarsi per una decisione che era già stata presa e sulla quale non si doveva assolutamente tornare.
Era semplicemente impensabile ritenere che Sirius Black potesse essere in condizioni di occuparsi di un bambino qualsiasi, tantomeno di un bambino devastato come Harry Potter.
Bastava fare riferimento all’attuale momento temporale pieno di urla e insulti per rendersi conto che Black non solo non possedeva alcuna padronanza di sé, ma che era incline ad alzare la voce e forse anche le mani.
Assolutamente inaccettabile.


Intanto Sirius, fedele al suo momento di completo rifiuto, continuava ad inveire contro Albus.
“Di tutte le cose assurde e di tutte le tue maledettissime macchinazioni questa è in assoluto la peggiore! Di tutti quelli che avevi a disposizione, di tutti, FRA TUTTI: lui! LUI! Non ti rendi conto del favore che gli stai facendo? Era quello che voleva per vendicarsi, finalmente! Il figlio di James, nelle sue mani! No, NO, NO!”

Albus lo ascoltava pazientemente, mentre Remus restava immobile, ma dal suo modo di sedere si evinceva una profonda agitazione che solo il Preside poteva cogliere appieno.

“ALBUS! TI SBAGLI DI GROSSO SE PENSI CHE LASCERÓ IL FIGLIO DI JAMES E LILY NELLE MANI DI UNO SPORCO DEATH EATER…”

La paziente attesa di Dumbledore cessò in quell’istante, la sua espressione si fece dura, i suoi occhi divennero di ghiaccio.
La sua voce restò pacata, ma risuonò come un incantesimo devastante.

“Adesso basta, Sirius. Ci sono cose che nemmeno trasportato dalla rabbia ti è concesso dire, ricordalo bene. Inoltre tu per primo – e lo guardò intensamente – sai che nessuno, ripeto nessuno, deve essere giudicato prima di essere ritenuto colpevole”.

Sirius indicò furiosamente Snape.
“Il suo braccio sinistro è una prova schiacciante che nessuna corte potrebbe rifiutare…”

“A quanto pare non è così, lo sai bene. Severus è stato sottoposto a giudizio ed è uscito dalle sale del Wizengamot prosciolto da tutte le accuse”.

“Dannazione Albus! Non prendiamoci in giro, sappiamo tutti come tu abbia interceduto in suo favore per i tuoi scopi, ma ti dico che ti sbagli se pensi che…”


“Per quanto illuminante e coinvolgente sia la discussione alla quale ho potuto gentilmente prendere parte grazie ad un, direi, tempestivo invito, Preside, mi trovo costretto a lasciarvi per…”

“TSK!” lo interruppe Sirius, con disprezzo.

“…ottemperare ai miei compiti di insegnante. La mia classe mi attende, vogliate scusarmi”.


“DOVE CREDI DI…”iniziò subito Sirius, ma la voce di Dumbledore lo fermò.

“Severus, ti chiedo di rimanere, per favore. È giusto che Sirius e Remus vengano a conoscenza dei fatti…”

“Ah, sì?” disse Snape, alzando un alquanto ironico sopracciglio.

“…al momento strettamente necessari a risolvere questo problema. Confido nella tua comprensione, Severus, come sempre”.

Maledetto, cento volte maledetto, Albus!
Ma l’avrebbe scontata, un giorno. Forse proprio per mano sua se il cielo avesse voluto.

L’ironia di quel ricordo non gli sarebbe certo sfuggita anni dopo, ma al momento Severus regnò sulla propria, silente, furia e sedette nuovamente.

Per la prima volta da quando era entrato in quelle stanze Sirius gli si rivolse direttamente.
“Dove diamine pensavi di andare? Albus può dire quello che vuole, tutto il dannato mondo magico può dire quello che vuole, ma io conosco la verità, credi che non sappia? Che non abbia udito voci al riguardo?”

“Che tu abbia udito voci, Black, non lo metto in dubbio, pazzo come sei…”

“Sei un assassino ed io lo so. Ti inginocchiavi ai piedi di quell’essere disgustoso e lo servivi, lo ammiravi, perché il suo potere piaceva alla tua anima marcia e nessuno, nessuno smette mai di essere un… suo seguace. Odiavi James e Lily, hai informato tu il Signore Oscuro della profezia e sei riuscito a prenderti la tua vendetta su di loro e adesso, per completare il tuo capolavoro, vuoi tormentare quel povero bambino, ma io non te lo permetterò mai, MAI! MI HAI SENTITO?”

Senza scomporsi troppo, abituato a non mostrare alcuna emozione proprio a causa di quell’essere disgustoso che aveva servito, il maestro di Pozioni replicò lentamente.

“Dimentichi, Black, di essere anche tu un assassino, con la tua, come definirla, malaugurata idea di consigliare Pettigrew come Secret Keeper dei Potter. E’ stata l’espressione più alta della tua idiozia a suggerirtelo oppure in realtà covavi un certo, malsano, risentimento nei confronti del tuo migliore amico?”

“Maledetto. Lurido. Bastardo! Dov’è Harry? Dove lo tieni? Cosa gli hai fatto? Esigo di saperlo, sono il suo padrino!”

Snape rimase in perfetto silenzio, rifiutandosi di rispondere.
Albus sospirò e, attirata l’attenzione del suo insegnante, gli fece cenno di accontentare Sirius.

Con tutta la calma del mondo Snape prese la bacchetta, osservando con la coda dell’occhio come Sirius si fosse quasi impercettibilmente ritratto, e castò un incantesimo temporale per controllare che ore fossero. Non che ne avesse bisogno, ma si compiaceva all’idea di far spazientire quel cane rabbioso.

“A quest’ora il bambino sta facendo i suoi compiti”.

“Quali compiti? Cosa significa? Lo stai facendo lavorare per te? Albus, non puoi aver affidato Harry a questo… questo… no, chissà cosa gli ha fatto, cosa gli ha detto… Snape, ti giuro che se…”

Sufficientemente stanco di quel giochino Severus si alzò.
 
“Naturalmente, Albus, se mi hai chiamato per una consulenza privata, e ne immagino il motivo – disse lentamente squadrando Sirius dall’alto in basso con disprezzo –  il verdetto non ti piacerà. E’ evidente che questo fenomeno da baraccone è nuovamente orientato nel tempo e nello spazio, forse sa anche tornare alla cuccia da solo senza il suo fedele spirito guida mannaro, ed anche la memoria a lungo termine non sembra eccessivamente compromessa per quanto si presenti selettiva e lacunosa… Il problema riguarda tutte le altre funzioni intellettive, quelle superiori, delle quali il soggetto è ovviamente privo, ma di questo non possiamo certo dare la colpa ai poveri Dementors. È senz’altro un grande rammarico che la loro eccellente opera sia stata interrotta così presto…”

“TU! Come osi, maledetto! Lurido… Snivellus!” e fece per gettarglisi contro, un pugno alzato.

Il mezzo sorrisetto sarcastico sparì dai tratti di Snape per lasciare posto ad un’espressione ben più terribile e pericolosa.
In un attimo Severus ebbe in mano la bacchetta e senza esitazione la puntò su Black, mormorando suadentemente:

“Desideri forse che ti venga mostrato perché mi considerava il migliore dei suoi seguaci?”


Albus si alzò a sua volta.
Invisibile, ma presente, il potere magico che sfrigolava attorno al suo corpo dall’apparenza così fragile avvolse tutti nella stanza.


“Vi consiglio caldamente di riprendere i vostri posti, signori. Adesso” disse il Preside con voce bassa, ma assolutamente perentoria.


Sirius sedette, ma Snape, nonostante il potere che poteva chiaramente avvertire, rimase dov’era. Abbassò la bacchetta e fece per andarsene.
Si girò un attimo prima di uscire.

“Fino ad ora ho partecipato a questa farsa dietro tua richiesta, Albus, anche se sai bene quanto io detesti buttare via il mio poco tempo, ricordi? Ma adesso mi rifiuto di sottrarmi ulteriormente ai miei compiti per assistere a questa pessima commedia. Com’è stato possibile osservare con chiarezza Sirius Black non è in grado di controllarsi, nelle parole come nei fatti. La sua impulsività, la sua irascibilità, la sua mancanza di controllo alla minima provocazione verbale, per non parlare della sua somma idiozia, lo escludono completamente e definitivamente dall’essere in grado di occuparsi di una qualsiasi creatura vivente, lui stesso compreso. Pertanto questo ‘allegro convivio’ è completamente inutile. Non permetterò mai ad un uomo simile di avvicinarsi al bambino con questa scarsità di autocontrollo e di… pfui, igiene personale”.

Sirius si rialzò, ma non fece nemmeno un passo verso Snape, sentiva ancora il potere di Dumbledore attorno a loro e non era così stolto da sfidarlo, così si limitò a gridargli dietro.
“Porterò questo in tribunale, Snape, sappilo! Non l’avrai vinta, ti strapperò Harry. Puoi starne certo!”

Severus lo graziò di un ultimo sorrisetto ironico.
“Provaci pure, Black, e buona fortuna”.
Poi si volse verso Albus, la sua espressione s’indurì ulteriormente.

“Ritengo la faccenda conclusa. Potter è, e resterà, una mia preoccupazione. Mia e di nessun altro”.

E così dicendo se ne andò.


Dumbledore sospirò intensamente.
“Tutto questo era veramente necessario, ragazzo mio?” chiese a Sirius mentre quest’ultimo sedeva di nuovo, visibilmente furioso.

Con sua grande sorpresa fu Remus a rispondergli e lo fece con un’altra domanda.
“E’ quello che chiedo a te, Albus. Era necessario? Tenerci all’oscuro, farci aspettare tutto questo tempo, costringerci a venire a cercare la verità per poi scoprire che ci hai traditi affidando il bambino a Snape. Sai che non è mia abitudine giudicare nessuno, ma cosa posso pensare di te? Sai che Sirius ha aspettato tanto questo momento e… proprio lui, poi. Non c’era davvero nessun altro?”

“Remus, ti posso assicurare che in questo momento nessuno, nessuno, è più adatto di Severus e spero che possiate comprendere che non desideravo arrecarvi dolore, ma la situazione ha richiesto un intervento urgente e voi, tu, ma soprattutto Sirius, non eravate ancora qui. Il piccolo Harry aveva bisogno di stabilità e credo sinceramente che l’abbia trovata con Severus…”

“Basta! Non intendo sentire altro. Contatterò il Ministero della Magia ed intenterò causa per ottenere l’affidamento di Harry. Andiamo, Remus” disse Black, alzandosi per andarsene.

“Non c’è davvero nulla che posso dire per farti vedere le cose diversamente, mio caro ragazzo?” tentò un’ultima volta l’anziano mago.

“Non intendo ascoltarti, Albus. Non ti credo più”.

E senza aggiungere altro se ne andarono.






Snape rientrò nelle proprie stanze per pranzo.
Era alquanto insolito che lo facesse, negli ultimi tempi preferiva mangiare in classe, dove poteva più facilmente mettersi avanti con il lavoro per poter poi dedicare più tempo al bambino la sera.
Ma dopo quello che era successo nello studio di Dumbledore aveva bisogno di un posto confortevole per riflettere con calma.
Il bambino era in cucina, presumibilmente intento nel finire il proprio pasto, come Snape gli raccomandava spesso di fare. La scatola dei compiti era ancora sulla piccola scrivania piena di fogli e pergamene di lettere e sillabe.
Non c’era che dire. Si poteva senza dubbio affermare che Harry Potter fosse in assoluto il più costante e diligente studente di Severus Snape.
La sua piccola mente era brillante, quel bambino era come una pianta lasciata troppo tempo al sole che adesso, in presenza della giusta acqua e di un buon riparo dalla luce diretta, si stava riprendendo con tutta l’intenzione di diventare assolutamente rigogliosa.
E Snape ne sarebbe stato impercettibilmente estasiato se non fosse stato per l’insistente pensiero che tutto potesse finire da un attimo all’altro.
Quel disgustoso cane pulcioso era stato chiaro: sarebbero andati in tribunale.
L’ultima cosa di cui Snape aveva bisogno era quella di essere coinvolto in un nuovo processo, in modo da agevolare i membri del Wizengamot che ancora stavano cercando prove contro di lui.
E, senza dubbio, l’ultima cosa di cui il piccolo Harry aveva bisogno era tutta la pubblicità che sarebbe seguita all’evento. Il non avere più una vita già dalla tenera età di sei anni, il dover presenziare di fronte alla corte, l’agitazione che ne sarebbe seguita, per non parlare del fatto che a quel punto la sua nuova collocazione sarebbe stata nota a tutti, soprattutto a chi desiderava ucciderlo o rapirlo.
Era una situazione terribile e come sempre Snape non poteva che dare la colpa ad Albus e alla sua incapacità di giocare a carte scoperte.
Se avesse introdotto l’argomento per gradi subito dopo la scarcerazione di quel demente di Black forse non sarebbero arrivati allo scontro diretto.
Ma Dumbledore si sbagliava enormemente se pensava che Snape non avrebbe usato tutti i suoi assi nella manica.
Era stata taciuta l’informazione sugli abusi e sui parenti Muggle di Harry, così come si era glissato sul nome del responsabile.
Snape aveva compreso immediatamente il motivo della reticenza di Albus. Sicuramente il Preside, dopo tutta la fatica fatta per scagionare Black, non avrebbe tratto giovamento da una sua nuova condanna per plurimo omicidio.
Ma se dire tutta la verità avrebbe significato restare con il suo bambino-Potter, Snape, per una volta, si sarebbe sforzato di dirla.
Al diavolo le conseguenze, al diavolo Albus, al diavolo tutti quanti!
Il bambino-Potter era suo. Suo e di nessun altro, come aveva detto nello studio di Dumbledore.
Una sua preoccupazione, una preoccupazione che Snape voleva con sé, per sempre.



Preso da quei pensieri agitati Severus non si accorse che non solo il bambino aveva finito il suo pranzo, ma che silenziosamente gli si era avvicinato fino a trovarselo davanti nel momento in cui aveva alzato gli occhi.
Il bambino-Potter lo osservava curiosamente, pensoso.
Poi, avvicinandosi ancor di più, lo stupì con una richiesta che non aveva quasi mai avanzato prima.

“Posso toccarti, Maestro Sevreus?”

La sua prima reazione sarebbe stata quella di chiedere ‘Per fare cosa, Potter?’, ma il suo Harry non meritava certo tutto quel sospetto, quindi Snape annuì, chinandosi con il viso in avanti, stranamente convinto che il bambino-Potter volesse in qualche modo portare avanti gli studi morfologici del suo naso iniziati quella mattina.

Invece tutto quello che il piccolo Harry fece fu tenerlo delicatamente fermo con le sue piccole manine mentre gli regalava un bacetto sulla guancia, per poi guardarlo, ridacchiando compiaciuto.

L’espressione di puro stupore che si dipinse sui tratti dell’altrimenti austero ed inflessibile Professore probabilmente venne interpretata dal bambino come una richiesta di spiegazioni.

Ed ecco l’infernale torcersi di manine che Snape non vedeva da un po’ di tempo.
“Harry… io… ho visto che il Maestro Sevreus sembrava come quando i grandi hanno i loro problemi e qualcosa li preoccupa allora ho pensato di fare questa cosa che ho visto fare qualche volta e funzionava sempre quando la vedevo fare… forse ho sbagliato a farlo? Non ha funzionato? Il Maestro Sevreus è ancora preoccupato?”


Quell’animo, quella bontà, come non riconoscerli? Come non sapere che erano il lascito di Lily?
La stessa dolcezza, il bisogno di confortare chi vedeva in difficoltà, la stessa bontà, no forse anche di più perché Severus sapeva che, escludendo sua sorella, Lily Evans aveva avuto una buona famiglia che l’aveva amata ed accettata. Al piccolo Harry invece erano toccati quei rifiuti della società, ma nonostante tutto il bene era così radicato nel suo intero essere da risplendere intensamente anche con un essere nero come Severus.

Sapendo di dovergli una risposta gli accarezzò la testolina arruffata e disse:
“Va molto meglio adesso Harry, grazie per il tuo… aiuto”.

Il bambino sorrise e si allontanò per tornare ai propri compiti, lasciandolo solo con un tale calderone di sentimenti contrastanti in petto da sembrare una pozione di un Hufflepuff del primo anno.



Quella sera stessa, dopo essersi rifiutato tutto il giorno di toccare cibo, Sirius sedette nel suo studio. Quando Remus entrò con un vassoio di tè lo trovò intento a scrivere una lettera. Anche senza vedere il destinatario Lupin sapeva già.
Sedette a sua volta, stancamente.
Dopo un attimo fece per prendere fiato e parlare, ma la risposta di Sirius arrivò senza che la domanda venisse neppure formulata.
“No”.

Remus sorrise brevemente.
Poi parlò, come nulla fosse.


“Non credi sia il caso di… aspettare? ” chiese, gentilmente. Sapeva quanto fosse fragile Sirius in quel momento.

Questa volta Black non gli rispose, ma Remus fece finta di niente.
Aveva sempre funzionato così fra loro.

“Lo so che questa parola, ‘aspettare’, non ti piace e concordo con te che il comportamento di Albus è stato imperdonabile…”

“Pronuncialo questo ‘ma’, prima che ti si incastri in gola, vecchio lupo” sbuffò Sirius.

Lupin rise, un po’ più sereno.
“Ma – disse con estrema enfasi – c’è… non so… qualcosa che non capisco ancora. Dei punti oscuri. Non sarebbe più saggio aspettare di vederci…chiaro?”

In tutta risposta Sirius chiuse la missiva in fretta, la consegnò al gufo che attendeva lì vicino e lo guardò volare via nella sera.

“Capisco” disse Remus, alzandosi e andando via.

 









Continua…






 

Dementors: Dissennatori;
Peter Pettigrew: Peter Minus;
Secret Keeper: è colui che prendendo parte ad un incantesimo Fidelius diventa l'unico custode dell'esistenza di chi è sotto quell'incantesimo, chi si nasconde con l'incantesimo Fidelius non può essere trovato a meno che colui che ne custodisce il segreto non lo riveli;
Snivellus: è il soprannome dispregiativo che James Potter aveva inventato per Severus Snape durante gli anni di scuola.

Non so se effettivamente sia plausibile che Sirius fosse a conoscenza del fatto che Severus avesse ascoltato parte della Profezia e che l'avesse riportata a Lord Voldemort o che Severus sapesse che era stato Sirius a suggerire Peter Pettigrew come Secret Keeper, ma mi serviva per la trama, perdonatemi se fosse un'inesattezza.

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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Capitolo 21
*** 21 - To keep you near ***


The Heart of everything 21
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

 


 

Chiedo scusa per il salto temporale di un paio di mesi, problemi di lavoro e d'ispirazione ( soprattutto questi ultimi ). Capitolo corto, ma voglio continuare a pubblicare senza far passare troppo tempo o rischio di fermarmi di nuovo. Sperando sempre che sia di vostro gradimento,
buona lettura.

Mel Kaine


Ps. 3 novembre: auguri iceriel carissima!

 

 



The Heart of Everything

 

 

 21 - / To keep you near /




“Questa sera ti parlerò delle creature che abitano le foreste del mondo magico…”


Il piccolo Harry ascoltava affascinato. Certo che l’uomo-Sevreus sapeva davvero un sacco di cose, ma questo Harry lo sapeva già perché il Maestro-Sevreus era il migliore maestro del mondo. In poco tempo Harry aveva imparato a scrivere le lettere diritte e a leggere le parole più semplici. L’uomo-Sevreus gli spiegava tutto chiaramente, senza tante frasi strane e usava sempre parole che Harry poteva capire.
L’altro giorno gli aveva fatto leggere il nome sui vasetti del cibo e poi lo aveva fatto scegliere fra vitello e tacchino.
Harry aveva preferito il tacchino perché, anche se aveva un nome buffo, era davvero molto buono.
Ah, e poi il Maestro gli aveva fatto scrivere qualche parola e gli aveva promesso che presto gli avrebbe fatto scrivere le loro regole.
Ad Harry piacevano tanto le regole dell’uomo-Sevreus, erano regole buone che parlavano di cibo, regali, compiti e del dormire con il Maestro-Sevreus.
Sapeva bene che non avrebbe potuto dormire con il Maestro per sempre, ma lo sperava, ecco, questo oltre ogni cosa Harry aveva imparato di nuovo: a sperare.
E se anche poi quelle cose non fossero successe il Maestro-Sevreus lo avrebbe aiutato ed insieme ce l’avrebbero fatta.
S’addormentò contento nel suo lato di letto, mentre ancora il Maestro parlava di tutti quegli animali fantastici.



Severus percepì immediatamente il cambio di respiro nel bambino-Potter che indicava il suo ingresso nel mondo dei sogni. Parlò ancora un po’ a vuoto, per non rischiare di svegliarlo col silenzio, poi si stese al buio dalla propria parte.
Finalmente gli incubi erano cessati.
Non che l’attuale situazione fosse una soluzione permanente, Severus lo sapeva bene e ancor meglio lo sapeva il bambino.
Harry era molto intelligente, di un’intelligenza empatica che solo con la vicinanza era possibile apprezzare, il problema era che Harry non permetteva ancora a nessuno di avvicinarsi a lui. Avevano fatto dei progressi enormi insieme. Ma c’era ancora molto da fare e forse il tempo a loro disposizione era ormai scaduto. L’indomani avrebbe partecipato ad una riunione con Albus e Minerva sul futuro del bambino.
Tsk, prima Dumbledore gli scavava la fossa poi formava un comizio per tentare di tiralo fuori…
Aveva rinunciato molto tempo fa a capire perché quel vecchio mago amasse così tanto cospirare in ogni istante della vita.
Certo era che Albus aveva sempre un motivo, magari oscuro ed incomprensibile ai più, ma sempre un perché. Non che questo lo spingesse a tentare di giustificarsi davanti agli altri rivelandolo, no, Albus Dumbledore lavorava da solo, così come il Signore Oscuro. Potevano entrambi avvalersi di altri, le loro adorate, inutili pedine, quelle che si contendevano aspramente, ma alla fine ciò di cui si stava parlando era solo una lotta per il potere giunta ad un’impasse.
Severus era consapevole della sua posizione e del suo ipotetico valore agli occhi di entrambi e sinceramente non poteva che darsene tutte le colpe, nel momento in cui gli sarebbe stato chiesto egli avrebbe fatto ciò che doveva e da anni immaginava che non gli sarebbe piaciuto affatto.
Non avrebbe avuto scelta, anche se gli sarebbe piaciuto averla adesso che un’altra vita era legata alla sua.
Forse era questo.
Forse Albus aveva favorito lo scontro fra lui e Sirius per allontanare il bambino dalla vita di servitù che attendeva Severus senza doversene assumere la colpa. Forse Albus si era accorto di star perdendo il suo miglior alfiere, oh sì, Snape lo poteva dire a voce alta e senza falsa modestia. Quando il Signore Oscuro sarebbe risorto chi sarebbe stato mandato al suo cospetto come spia? Non certo il licantropo dal cuore gentile, né un qualsiasi onesto e caritatevole Auror né tantomeno quel cane pulcioso che abbaiava contro tutto e tutti. Sarebbero morti all’istante. Il Signore Oscuro leggeva i cuori con uno sguardo e nessuno di loro poteva minimamente sperare di ingannarlo. Severus invece sarebbe riuscito, sarebbe riuscito perché il suo cuore era nero ed i suoi motivi oscuri, così come piaceva a Lord Voldemort. Ma sarebbe riuscito soltanto se niente l’avesse cambiato, nessun sentimento, nessuna speranza, nessuna gioia. Il bambino rappresentava un punto debole per lui e quindi anche per Albus. Nel suo studiato piano di fare di loro delle armi non c’era posto per i cambiamenti d’animo.
Forse era per questo, forse no.
Certo era che il tempo a loro disposizione stava davvero finendo e Severus detestava non avere nessun controllo sulla cosa.


Alla riunione di Albus, la riunione per il futuro di Harry Potter, c’erano fin troppe persone per i gusti di Snape.
La prima cosa che Severus aveva imparato da ragazzo al cospetto di Lord Voldemort era che un segreto si poteva conservare solo se a conoscerlo erano due persone e se la seconda veniva uccisa subito.
Severus si fece avanti per chiarire questo punto, attirando l’attenzione del Preside con un discreto schiarirsi di voce.
Albus si volse, sorridendo radioso. Si accomiatò da Madam Pomfrey e si fece vicino a Snape esclamando:
“Pensavo avessi portato il giovane Harry con te, ragazzo mio”.

“Infatti, Albus, cerca meglio vicino alle mie gambe”.

L’anziano mago abbassò lo sguardo e venne salutato da un vispo paio di occhioni verde scuro.
Il piccolo Potter se ne stava lì, aggrappato alle gambe lunghe e nere del Professore di Pozioni, come uno scarabeo alla corteccia di un albero.
Albus sorrise, ancor più raggiante.

“Oh, oh, il giovane Harry sembra aver sviluppato un visibile attaccamento a te, Severus”.

“Sì, mi trovo, ahimé, nella condizione di dover convenire col tuo pensiero… una volta tanto…”

Il Preside prese a ridere divertito, ma Snape squadrava la studio di Dumbledore con espressione contrariata.
Madam McGonagall e Madam Pomfrey erano certamente attese, ma Madam Hooch, Madam Sprout, Arthur Weasley, Alastor Moody e, soprattutto, Remus Lupin?

Il dannato lupo mannaro se ne stava in disparte, appoggiato alla mensola del focolare con apparente rilassatezza, ma Severus leggeva nella sua posa un disperato bisogno di muoversi, andarsene.
E ne aveva tutte le ragioni.
Non si spiegava la sua presenza e detestava l’idea di lasciarlo interagire con Harry.
Era stato abbastanza difficile spiegare al bambino cosa sarebbero andati a fare nello studio del ‘nonnino’, quello era il termine abominevole che Harry soleva usare, il bambino era ancora completamente diffidente di tutte le cose che potevano capitargli fuori dalle stanze di Severus e, nella visione personale del Maestro di Pozioni, faceva più che bene.
Eppure, nonostante la recalcitrante paura del bimbo, Severus era stato irremovibile.
Il bambino aveva il sacrosanto diritto di sapere cosa veniva detto di lui e cosa lo aspettava, Snape conosceva bene Albus, se lo avesse lasciato fare quello sarebbe stato solo l’inizio di ciò che avrebbe atteso Harry negli anni a seguire. Riunioni segrete in cui veniva discusso della sua vita e della sua morte, l’oscurità più completa su cosa sarebbe stato chiamato a fare, l’assoluta non-scelta in ogni momento di quello che sarebbe dovuto essere il suo periodo più felice e spensierato.
No.
Snape non lo avrebbe permesso, non a queste condizioni.
Harry Potter, il suo bambino-Potter, non sarebbe diventato un altro martire inconsapevole, un’altra ingenua, e magari persino grata, vittima.
Severus lo avrebbe reso partecipe del suo destino, fin da quell’età e sempre.
Naturalmente Albus non ne era stato contento, ma alla fine aveva dovuto cedere.
Adesso, con tutta quella gente che, era superfluo dire, non doveva essere lì, non sembrava più un’idea eccellente e mentre Snape pensava a come congedarsi velocemente da quella sgradita compagnia prima che il dannato lupo potesse allungare le sue zampe su Harry la prima minaccia arrivò inaspettatamente da Arthur Weasley.

“Oh, il piccolo Harry. Ma come siamo grandi, giovanotto! Vieni a conoscere lo Zio Arthur”.

Anche senza guardarlo Severus lo sentì, le manine che si stringevano alla sua gamba, artigliando la stoffa dei suoi vestiti, il cuoricino che si faceva veloce ed irrequieto come quello di un uccellino in gabbia, gli occhi atterriti, il respiro che aumentava freneticamente fino ai livelli del panico. Lo immaginava nella sua testa, lo sapeva bene, come sapeva che nessun altro lo avrebbe capito.
Solo Snape poteva comprendere fino a che punto presentarsi ad Harry con la parola ‘Zio’ fosse la peggiore delle idee più stupide mai avute dai tempi di Merlino.
Immediatamente si frappose fra il bambino ed il non richiesto slancio d’affetto che Weasley stava compiendo per prendere il braccio il piccolo Harry.
Dannazione, il lupo lo stava guardando…

“Il giovane Potter non è esuberante né sprovveduto come gli altri bambini, Arthur, ritengo sia più appropriato presentarsi senza l’uso di termini impropri e… da una certa distanza”.

Il capofamiglia dei Weasley rimase interdetto, colto a metà di un gesto che era solito fare con tutti i bambini, soprattutto con i suoi numerosi figli, senza capire perché quella circostanza fosse diversa.
Immediatamente Severus ne approfittò per chiarire di fronte ai presenti come dovessero essere svolte le normali relazioni colloquiali con il bambino-Potter.

“Quest’uomo è Arthur Weasley, lavora al Ministero della Magia e conosce da tempo tutti noi. Harry…”

E non aggiunse altro.
Il bambino-Potter sapeva cosa fare.
Snape glielo aveva insegnato.

Senza distaccarsi molto il piccolo Harry si affacciò meglio da dietro le gambe dell’uomo-Sevreus e si sforzò di guardare in viso quel signore dai capelli rosso fuoco.
Aveva timore, ma l’uomo-Sevreus lo aveva protetto, aveva fermato quel signore che lo voleva toccare.
Adesso che l’uomo-Sevreus era fra loro ed era chiaro che l’uomo coi capelli rossi non fosse un altro zio che Harry assolutamente non voleva conoscere era chiaro che doveva presentarsi, perché il Maestro-Sevreus gli aveva insegnato le buone maniere ed Harry era stato bravo ad impararle e nessuno gli diceva più che non le poteva imparare perché era un piccolo cane bastardo…
Accortosi del tempo che passava guardò in viso l’uomo e fece un piccolo cenno della testa.

“Harry Potter, signore. Molto piacere, signore”.

Snape approvò con uno sguardo il primo tentativo sociale del bambino e quindi si allontanò con lui sotto lo sguardo di tutti in cerca di un angolo dal quale lasciare lo studio al più presto.


Remus Lupin si stava lentamente convincendo di non aver mai avuto ragione su qualcosa come in quel presente momento.
In attesa di dire quello per il quale era venuto ogni tanto lanciava uno sguardo a Snape ed uno al bambino, ora la piccola mano del figlio di Lily e James stringeva la presa, ora quella di Snape scivolava inconsapevole sulla sua piccola spalla come a rassicuralo –  che sciocchezza, impossibile, si disse, uno Snape ‘rassicurante’ non sarebbe mai esistito –  adesso si chinava a parlargli e gli diceva qualcosa nell’orecchio, il bambino annuiva, gli occhi pieni di fiducia e… adorazione? Cosa gli aveva fatto Snape? Come lo aveva stregato? Perché il bambino era lì? Perché Snape aveva fermato Arthur? Qualcosa era sbagliato, qualcosa era stato tenuto nascosto…

Mentre pensava a questo la riunione ebbe inizio e tutti i suoi pensieri si concentrarono sul presente discorso di Albus. A casa, con la calma della sera, avrebbe riflettuto su ciò che aveva visto.


Dumbledore stava spiegando a coloro fra i presenti che non ne erano al corrente quando e come Harry Potter era arrivato fra loro.
Naturalmente le oscene, abominevoli crudeltà perpetrate dalla famiglia del bambino vennero nuovamente censurate a beneficio di una storia ancor più vaga di quella rifilata al cane pulcioso e al suo compagno mannaro. Snape si trattenne a stento dall’interrompere quella ridicola premessa con un sonoro ‘Tsk’.
Il bambino-Potter era ancora agitato,  Severus lo sentiva sussultare ogni volta che il suo nome veniva pronunciato da qualcuno. Non sapeva cos’altro dirgli, né come calmarlo in altro modo se non con le mani sulle spalle o sulla testolina arruffata.
Cominciava a pensare seriamente che non fosse stata per niente una buona idea, ma ancora non desiderava tornare indietro e tenere il bambino all’oscuro di tutto.
Lo sguardo di Lupin gli scivolava addosso, lo sentiva. Cercò di distrarsi ascoltando le assurde melensità del Preside, ma inutilmente.
I presenti, dopo la talmente poco credibile versione di Dumbledore – ma che assolutamente doveva esserlo perché rivelata da Dumbledore stesso –  stavano discutendo sulla scelta di Hogwarts come nascondiglio, come se quello fosse un punto ancora da chiarire.
Che inutile perdita di tempo!
Proprio mentre si rammaricava di essere lì per l’ennesima volta qualcuno, non voleva neppure sapere chi, osò affermare che forse avrebbero dovuto presentare il bambino in società, per ravvivare la ripresa emotiva del Mondo Magico adesso che Voi-sapete-chi era certamente scomparso.

“Ma certo, come abbiamo potuto non pensarci prima, Preside – li interruppe Severus, con evidente disprezzo e pesante sarcasmo – presentiamolo al suo pubblico adorante già a quest’età e aspettiamo, in un modo o nell’altro sarà divertente, non per Potter, naturalmente…”

“Severus, era solo un suggerimento, insieme a tutti gli altri. Se tu volessi contribuire esponendo il tuo pensiero…” lo invitò gentilmente Arthur Weasley.

“Se proprio mi è richiesto nessun posto è sicuro per Potter…”

“Questo non ci aiuta, Severus”.

“ ‘Questo’ non deve aiutare voi, deve aiutare il bambino. Mi è stato chiesto un pensiero ed io l’ho riferito in base alle esperienze avute in questo lasso di tempo. Se pensate che i pericoli siano solo fuori da Hogwarts non avete una visione completa né sensata di quello che sta succedendo né di quello che succederà. Nell’interesse di ciò che mi è stato affidato è necessario mostrare ogni tipo di cautela”.

“Severus ha senz’altro ragione, i tempi bui sono stati procrastinati, ma non sono finiti. Hogwarts per sua stessa natura è un luogo aperto ad accogliere persone, non importa la loro età, di qualsiasi estrazione sociale, genere, origini e, ahimé convinzioni morali”.

Mentre il Preside riportava quindi brevemente lo spiacevole episodio con il signor Sorier Snape si concesse un breve momento di riflessione.

Benché non richiesta né gradita la presenza di tutti i Capi delle Case era chiara. In previsione di tenere il bambino ad Hogwarts ognuno di loro andava informato in modo da poter più agevolmente camuffare la presenza del piccolo Potter qualora qualcuno dovesse vedere o udire qualcosa. Anche la partecipazione di Weasley non rappresentava un enigma. Arthur Weasley era un uomo discreto che sapeva bene quando parlare e quando farsi da parte. Nonostante il suo innecessario buonismo e la sua propensione a riprodursi più di quanto fosse consigliabile, era uno dei migliori membri dell’Ordine della Fenice ed avrebbe informato soltanto chi doveva dietro comando diretto di Albus. Inoltre lavorando al Ministero della Magia poteva facilmente venire a conoscenza di qualsiasi pericolosa fuga di notizie o azione di disturbo che il Ministro o i fedeli seguaci del Signore Oscuro nascosti fra i suoi collaboratori potevano tentare di attuare, almeno negli uffici. Fuori, sul campo, ci avrebbe pensato Moody. Col suo occhio di vetro e la sua innata sfiducia verso il prossimo avrebbe tenuto le orecchie ben aperte e la bocca ben chiusa con tutti gli altri Auror ed avrebbe potuto riferire circostanze sospette o dispiegamenti di forze ingiustificati.
Il fatto che fosse possibile trovare un motivo valido alla presenza di tutti, tranne quella del maledetto lupo ovviamente, ebbe il potere di contrariare Snape ancor di più.
Erano comunque troppi e le cose non sarebbero andate bene, questo Snape aveva imparato dall’esperienza e questo si aspettava.
Sperava solo di riuscire a prevedere la falla e di arginarla prima di mettere il bambino, il suo bambino, in pericolo.
Avrebbe protetto Harry, avrebbe protetto quella povera creatura che in soli sei anni aveva conosciuto orrori che la metà dei presenti, alla loro ben più che adulta età, non sarebbe riuscita neppure ad immaginare.
Inconsapevolmente lo strinse a sé, contro la propria gamba e fu proprio allora che Harry, sussurrando,  fece la sua richiesta.




Il piccolo Harry sapeva bene perché erano nello studio del nonnino, il Maestro Sevreus si era preso del tempo per spiegare ad Harry cosa sarebbero andati a fare. Il Maestro aveva sempre del tempo per spiegare le cose ad Harry e quella era una cosa che Harry sinceramente adorava. Ma nonostante le parole del Maestro ad Harry non piaceva tutta quella gente. Riconosceva la signora della stanza con i letti tutti bianchi che lo aveva visitato e sussultò quando vide l’uomo con l’occhio strano che roteava. Per un attimo ebbe il terrore che fosse lì per portarlo via, così come aveva fatto a casa dei Dursley, ma per fortuna l’uomo non lo guardava neppure e poi lì c’era l’uomo-Sevreus e l’uomo-Sevreus non avrebbe permesso a nessuno di portarlo via. Si rilassò di pochissimo e rimase aggrappato alla gamba del Maestro mentre lui parlava con il nonnino e poi quello strano signore dai capelli rossi che aveva detto di essere suo zio si era avvicinato, ma ancora una volta l’uomo-Sevreus lo aveva salvato e gli aveva spiegato la verità.
Adesso, dall’angolo in cui si trovava, in piedi accanto alla poltrona del Maestro, guardava la stanza, tentando di non ascoltare quegli strani discorsi, ma quando veniva detto il suo nome non poteva fare a meno di agitarsi. Era come dai Dursley, quando venivano i parenti di Zio Vernon e lui non doveva farsi vedere né sentire. Quelle poche volte che era successo le voci si erano fatte basse e quegli sconosciuti avevano continuato a ripetere il suo nome fra loro dicendo cose brutte su di lui e sulla sua famiglia scomparsa. Ad Harry non piacevano gli sconosciuti e nemmeno i discorsi in cui si diceva il suo nome. Ma l’uomo-Sevreus aveva detto che sarebbe stato così, che avrebbero parlato di lui per decidere insieme del suo futuro perché Harry era ancora troppo piccolo per decidere da solo. Harry lo sapeva e non voleva decidere da solo, non voleva stare solo. Voleva rimanere con l’uomo-Sevreus ancora e ancora. Harry si era immaginato già da solo che la stanza del nonnino fosse stramba quanto lui, ma per quante cose ci fossero da guardare non riusciva a non ascoltare il suo nome che veniva ripetuto. Quella sensazione strana, soffocante e brutta che lo aveva preso quando erano entrati in quella stanza piena di gente che Harry non conosceva stava crescendo nel suo petto. Il piccolo Harry la sentiva farsi più grande ad ogni ‘thump’ del suo cuore e cresceva sempre più mentre quelle persone parlavano e si guardavano seriamente e lo guardavano come se Harry non dovesse a vederle.
Sembravano sempre più alte e lo intimorivano con le loro parole incomprensibili ed i loro occhi. Le mani e le frasi buone del Maestro non riuscivano più a calmarlo, Harry si sentiva come sull’orlo di un buco nero e presto sarebbe caduto, quelle voci di quelle persone lo avrebbero spinto giù, lo sentiva. Lui voleva solo salvarsi e ritrovare qualcosa di conosciuto e sicuro dove appoggiarsi, voleva stare in braccio all’uomo-Sevreus, come facevano nelle loro stanze, le stanze del piccolo Harry e del suo maestro. Ma non sapeva affatto se chiederlo o meno. Ricordava bene che il suo Maestro Sevreus aveva detto di chiedere, che chiedere era sempre giusto, che lui poteva dire di sì o di no, ma che non lo avrebbe mai picchiato per questo ed Harry gli credeva e poi c’erano le altre persone, neppure Zio Vernon lo aveva mai picchiato davanti alle altre persone quindi era sicuro di questo, ma ancora non trovava il coraggio perché pensava che se il Maestro Sevreus avesse detto no Harry sarebbe stato spinto per davvero in quel buco nero e non voleva far fare questa cosa brutta al suo Maestro.
Improvvisamente il braccio dell’uomo-Sevreus lo circondò e lo strinse contro la sua gamba, in un piccolo, lungo abbraccio che gli fece sentire così tanto calore da convincerlo.
Se quello era il premio il piccolo Harry avrebbe rischiato di sentirsi dire di no e così glielo chiese, sussurrando, perché sapeva che ai grandi non piacevano i bambini rumorosi che li interrompevano per chiedere cose come quelle ad alta voce.


Severus guardò negli occhi il bambino-Potter.
Il suo mormorio era stato talmente basso che il giovane Maestro di Pozioni dovette elaborare l’informazione ed integrarla usando le proprie capacità d’interpretazione.

Il bambino voleva salire sulle sue ginocchia e restare lì.

Assolutamente no, fu il primo pensiero che attraversò la mente di Snape.

C’era troppa gente, il lupo mannaro li guardava continuamente di sfuggita – tsk, credeva davvero che Severus non se ne fosse accorto? Povero stolto! –  Albus avrebbe sorriso odiosamente e ben presto la sua reputazione di terrore dei piccoli ignorantelli con i quali aveva a che fare sarebbe stata sostituita da quella di un nero Babbo Natale dal naso lungo ed il cuore tenero.
Assolutamente improponibile!
Palesemente inaccettabile!

Eppure Harry lo guardava.
I suoi occhi avevano colto il rifiuto nel silenzio protratto di Snape?
La rassegnazione nel suo sguardo sarebbe presto diventata evidente ed avrebbe pesato fra di loro nei giorni a venire, rallentando o addirittura interrompendo i loro progressi. Severus sapeva che il bambino si trovava a disagio, enormemente a disagio.
Tutti quegli sconosciuti, tutti quei discorsi con il suo nome ogni tre parole.
Lo sapeva, anche se non aveva potuto evitarlo questo non voleva certo dire che lo approvasse.
Ma era un male necessario.
Tenerlo lì in piedi come un piccolo soldatino invece non lo era, non era necessario.
Era necessario solo all’orgoglio di Snape.
Quel maledetto orgoglio che così tante volte, contro tutta la sua imponente logica lo aveva trascinato a fondo, seppellendolo tra azioni avventate e giudizi sbagliati. Spesso, ancora, l’esperienza non lo serviva bene quanto doveva e quell’emotività avvelenata, puntigliosa, lo corrompeva. Corrompeva la sua mente acuta e adesso rischiava di corrompere l’unica cosa pura che Snape aveva avuto l’insperata fortuna di trovare lungo il suo cammino desolato.
‘Come puoi vergognarti di lui? Come puoi vergognarti del vostro affetto? Sei come tuo padre, dannatamente uguale a chi disprezzavi di più. Lo perderai per sempre, come se non lo avessi mai meritato, così come non meritavi Lily, due volte lo stesso crimine, nessuno ti assolverà più, né in questa vita né in un’altra. Per una volta, qualcosa da tenere con te, da proteggere veramente. Non lo perdere, non lo perdere’.

Lo sollevò senza farsi notare troppo e rimase immobile.
“Certo che puoi, Harry” disse semplicemente e quando lo sguardo sorpreso di Lupin scivolò apertamente su di loro Snape sopportò stoicamente lo sgretolarsi di una parte della sua, in fin dei conti inutile, corazza.

Per il suo piccolo Harry.
E per nessun altro.



 







Continua…



 

Madam Sprout:  Madama Sprite, insegnante di Erbologia e direttrice della casa Tassorosso
Madam Hooch: Madama Bumb, insegnante di volo e di Quidditch. In questo storia, per motivi di trama, direttrice di Corvonero.

Nei libri il direttore della casa di Corvonero è Filius Vitious ( Filius Flitwick in originale ) per motivi di trama ho fatto sì che lo fosse Madam Hooch, spero perdonerete questo piccolo cambio.

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 


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Capitolo 22
*** 22 - In the middle of the night ***


The Heart of everything 22
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

Che dire... un altro anno scivolato via, ma non ho mai dimenticato il piccolo Harry e l'ho portato con me in vacanza, al mio nuovo lavoro, nella mia nuova casa e nella mia nuova vita. Naturalmente non ho più 18 anni come quando iniziai a scrivere e pubblicare e le necessità cambiano. Come scrivevo ad un mio caro amico poco tempo fa ci sono tanti privilegi nel vivere da adulti, ma anche tante responsabilità che prima qualcun altro si prendeva per te. Come ho scritto ad alcuni ( presto risponderò a tutti i commenti ) prima di ripresentarmi sono andata un po' avanti ed ho qualche capitolo già pronto, non dovrebbe mancare molto, forse non arrivo ai 30, non lo so con precisione, speriamo che il materiale in più mi dia il tempo di riprendere la scrittura nuovamente interrotta. Comunque mi godo questo momento, quest'anno è il mio anniversario, 10 anni dal giorno della mia prima storia su Ysal, 10 anni che scrivo e che sogno, insieme a tutti coloro che condividono le mie storie, le loro e la nostra passione. 

Mel Kaine

 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

 22 - / In the middle of the night  /


 


Lo sguardo di Lupin era stato solo il primo di molti altri e non tutti erano appartenuti al dannato lupo. Ma Severus sedeva diritto e impassibile, imperturbabile quasi nel suo tentativo di trasmettere sicurezza al figlio di Lily, sapeva che il bambino era in grado di percepire la rigidità del suo atteggiamento e convenne con se stesso che persino interessarsi all’insulsa conversazione che stava andando avanti poteva rappresentare una distrazione.

Albus stava parlando del cane pulcioso, quale momento migliore di questo per ascoltare? Tsk!

“Come ho già detto il presente arrangiamento è il migliore per tutti, eppure non possiamo contestare il diritto di Sirius, anche se la situazione andrebbe ponderata a fondo, dovrei parlargli di nuovo, ritengo…”

“A questo riguardo, Albus, riferisco quello che devo riferire e poi toglierò l’incomodo. Sirius ha inviato un gufo al Ministero, inutile parlargli ormai, la pratica di contestazione sull’affidamento di Harry Potter è stata iniziata. Appena ne saprò di più tornerò ad informarvi. Con permesso”.

E si congedò, non prima di aver fissato ancora una volta il suo sguardo in quello di Severus mentre raggiungeva la porta.

Un breve mormorio nacque nello studio, ma presto si chetò ad un gesto dell’anziana mano di Albus.

“Affidamento?” chiese quindi Arthur, interpretando i dubbi di molti altri.

“Sì, stavo appunto informandovi di questo prima della breve notizia riferita da Remus. Dopo alcune consultazioni fra di noi – ‘accese discussioni’ fornì la mente di Snape – abbiamo convenuto con Severus, non molto tempo fa, seppur prima della scarcerazione di Sirius, che il bambino avesse bisogno di un tutore legale in modo da fronteggiare per tempo qualsiasi mossa avventata da parte del Ministero” rispose Albus.

Dopo un attimo di pausa riprese.
“Come molti di noi certamente sapranno spesso la ‘benevolenza’ del Ministero della Magia si riversa su soggetti che difficilmente avrebbero avuto questo aiuto se non fossero stati, per così dire, straordinari nel loro genere e questo è il caso del nostro Harry…”

“Certo, il Bambino Sopravvissuto fa gola a quel branco di pecore belanti, così da grande potrà tessere le lodi del Ministro per averlo salvato dalla strada, tutti uguali questi politici, puah – sputò Moody – meglio con i suoi parenti Muggle piuttosto”.

“Altri cinque anni con quei… Muggle? Inaccettabile, Albus! Desideri forse che lo chiamino 
Il Bambino Sopravvissuto Per Davvero?” non poté trattenersi Snape.

“Severus…” lo ammonì Dumbledore.

Il giovane Maestro di Pozioni si alzò, dopo aver accompagnato gentilmente il bambino a terra.
“Appare evidente, dopo l’edificante notizia di Lupin, che qualsiasi cosa pensiate di decidere in questa riunione avverrà in tutta un’altra maniera. Per quanto estasiato dal pensiero di condividere con tutti voi illuminanti teorie su quello che sicuramente non accadrà mi trovo costretto a lasciarvi per motivi di tempo. Ho saputo quanto dovevo. Preside”.

E così dicendo si congedò, furibondo.


Il cane rognoso si era già mosso, ovviamente.
Come non aspettarselo?

Dannazione! Dannazione!

Senza accorgersene, col passo reso furioso dalle inanità sentite durante quell’insulsa riunione, Snape arrivò davanti al dipinto che nascondeva l’accesso ai suoi quartieri senza voltarsi.
Mentre entrava provò l’inusuale, strana sensazione di aver dimenticato qualcosa di fondamentale.
Nel girarsi per suggerire al bambino-Potter di andare a lavarsi le mani per la cena incontrò solo il vuoto di una stanza in cui era, chiaramente, solo.
Si lanciò fuori dalle sue stanze come se i suoi quartieri fossero improvvisamente diventati il nuovo campo della Coppa Mondiale di Quidditch e, quando il nero di un corridoio ancor più deserto dei suoi alloggi lo investì, corse in preda ad un senso di allarme che aveva provato solo un’altra volta nella vita.
La notte in cui Lily era morta.
Nella testa ripeteva il nome del bambino-Potter come un mantra che doveva, questa volta almeno, farlo arrivare in tempo.
L’urgenza che provava rischiò di soffocarlo all’ennesimo angolo che non rivelava niente se non stupide fiaccole incantate e odore di umido.
Il battito sconvolto del suo cuore pareva risuonare fra le pareti degli atri corridoi che avevano rapito Harry.
Stupido, stupido che non era altro.
Avrebbe dovuto ricordarsi di non camminare troppo veloce, il bambino-Potter era così piccolo da non riuscire a stare al suo passo e adesso l’aveva perso dentro Hogwarts, la stessa Hogwarts che aveva covato in seno vipere pronte a tutto come il signor Sorier.
Non ebbe neppure il tempo di finire quella furiosa invettiva contro se stesso che lo vide girare sperdutamente un angolo, le manine raccolte contro la pancia, gli occhi che persino da lontano sembravano lucidi.
Corse verso di lui ed Harry, quando lo vide, fece lo stesso, un sollievo mai visto prima sul suo visetto triste e tirato.
S’incontrarono ironicamente prima della metà del corridoio, Severus con la sua altezza aveva fatto molta più strada e l’aveva accolto fra le braccia quasi vicino all’angolo, là dove l’aveva visto.
Lo ghermì come un falco cala sulla preda e se lo strinse contro mentre il bambino-Potter mormorava singhiozzando tutta una serie di inutili scuse che Severus non ascoltò.
Sapeva già che non era stata colpa di Harry, che niente era colpa di Harry, ma adesso il loro tempo era davvero finito ed il solo pensiero di provare di nuovo la devastante sensazione di perderlo, questa volta per sempre, era sufficiente a fargli desiderare con tutto il cuore che non aveva un misericordioso Avada Kedavra.


Il maestro di Pozioni riportò Harry nei loro quartieri e lo aiutò a calmarsi. Cenarono e Snape diede al bambino degli esercizi nuovi, per distrarlo.
Lo vedeva lavorare, sapeva che al bambino-Potter piaceva imparare e che per lui era importante sapere di fare dei progressi, di avere ‘cose nuove’ da fare perché le ‘cose vecchie’ le aveva imparate, ma quella sera tutto era macchiato dall’impronta della recente paura. Gli  occhi del piccolo Harry si sollevavano spesso dal foglio e si puntavano su di lui, non direttamente, non sfrontatamente. Di nascosto, ma non per la paura di una sua violenta reazione, no, ma nello stesso modo in cui si potrebbe guardare una visione magnifica che da un momento all’altro potrebbe scomparire lasciando solo tristezza e rimpianto.
E Severus si dannava in quello sguardo perché sapeva di avergli insegnato, maldestramente, a contare su di lui, ad averlo accanto e se anche avessero avuto l’eternità davanti non si sarebbe mai sentito all’altezza di quello sguardo.

Inutile dire che neppure la bottiglia migliore che possedeva fu di una qualche attrattiva per lui quando rientrò quella sera.
Albus lo aveva chiamato per un incontro privato dopo cena.
Dopo aver controllato i compiti del bambino, preso il latte della sera con lui, messo il bambino-Potter a letto ed aver atteso un tempo congruo affinché pensasse che anche Severus fosse lì nel letto con lui il giovane maestro si era alzato ed aveva raggiunto lo studio di Albus.
Aveva istruito un elfo domestico affinché lo informasse tempestivamente nel caso in cui il bambino si fosse svegliato.
Dannato Albus!
Si era presentato da lui molto tempo dopo il suo invito, in cuor suo estremamente soddisfatto di aver avuto affari più urgenti che lo avevano scusato dal presentarsi al cospetto del suo burattinaio con la fretta che Albus sempre sapeva instillare nelle sue marionette preferite.
Non aveva che quelle misere rivolte contro di lui, pensò entrando.
Naturalmente Albus sorrise affabile e non menzionò il ritardo di Severus neppure una volta.

La loro conversazione era stata come Snape l’aveva immaginata durante il percorso dai suoi quartieri all’ufficio del Preside.

Di tutta l’inutile, insulsa ripetizione di quanto era emerso dalla loro riunione pomeridiana Snape non aveva tratto nessun beneficio.
Il punto chiave erano state le parole del lupo mannaro, ma Albus, una volta di più deciso a tormentarlo, vi arrivò solo dopo tutto il resto.
Di quello che si erano detti Severus si portò nelle sue stanze solo l’ultima conversazione.

Implacabile quando giungeva al punto Dumbledore lo morse alla giugulare.
“Severus… è meglio che tu sia preparato… il Wizengamot deve cinque anni di libertà a Sirius. Faranno di tutto per entrare nelle sue grazie, sperando così di evitare il risarcimento che gli devono, anche se questo volesse dire strappare il tuo documento di adozione e affidare a lui il bambino, nonostante Sirius non sia… pronto”.

La sua frustrazione era salita a livelli inimmaginabili, quella giornata sembrava interminabile e Severus stava esaurendo le proprie risorse.
Si alzò di scatto.
“Credi forse che non ci abbia pensato? Che non lo sappia? Che cosa posso fare, Albus? Desidererei non aver mai…”
“Non dirlo, ragazzo mio”.
Silenzio.
“Non dirlo perché sai che non è vero. Non sapevi cosa contenesse quel Pensatoio, ma se anche tu l’avessi saputo sono certo che avresti fatto la scelta giusta, come sempre”.

Severus si volse di scatto, furibondo.
“Allora è chiaro che non mi conosci affatto” sibilò per poi andarsene senza aggiungere altro.

Rientrò nei suoi quartieri senza far rumore.
Rimase in piedi in mezzo al salotto, così come aveva fatto il bambino-Potter tante volte in quei mesi.
Lanciò uno sguardo all’armadietto dei liquori e soppesò quello che andava fatto.
Un sorso non sarebbe bastato, forse neppure un’intera bottiglia.
Doveva essere sobrio per il bambino, se mai avesse avuto dei problemi durante la notte.
E poi non voleva andare a letto con l’odore dell’alcol addosso.

Così si ritirò nella propria camera, congedando silenziosamente l’elfo rimasto a guardia e stendendosi accanto al bambino-Potter.
Si preparò ad una notte di pessimo riposo, costellata dai brandelli delle conversazioni avute quel giorno. Una notte senza il sollievo dell’alcol o di una pozione, una notte in cui si sacrificava volentieri per chi dormiva con lui.

Nel buio assoluto una manina lo cercò, piano piano.
E con altrettanta, esitante, goffa, lentezza s’infilò nella sua.

Nel silenzio la voce del bimbo lo raggiunse.
“Harry sapeva che il maestro-Sevreus sarebbe tornato, Harry ne era sicuro e… ti ho aspettato perché dobbiamo dormire insieme. Buonanotte, maestro-Sevreus”.

“Buonanotte, Harry” fu la sua roca, spezzata risposta.

E se era vero che Severus aveva scacciato gli incubi del piccolo Harry, quella notte anche Harry scacciò i suoi.
Insieme dormirono fino al mattino.

Si scrutavano da sopra le loro tazze.
Il bambino-Potter sorrideva impunemente, mentre Snape finiva il suo tè.
La notte appena passata lo aveva ristorato, nel corpo e nello spirito.
Non che una stretta di mano e due parole nel buio avessero spazzato via la spada di Damocle che pendeva sopra le loro teste, ma Severus si sentiva più concentrato, più… pronto.

Nessuna corsa affannosa verso il successo avrebbe fatto maturare il bambino-Potter in un giorno, nessun programma anticipato lo avrebbe aiutato ad acquisire le normali abitudini di un bambino sano nello spirito.
Non sapevano quanto poco tempo restava, ma per coerenza Snape non avrebbe abbandonato il percorso scelto.
Tutto doveva restare come prima.
Con i loro piccoli traguardi giorno dopo giorno, finché gliene era concesso il tempo.
Il bambino-Potter aveva bisogno di stabilità, di equilibrio.
E adesso la priorità era mantenere entrambi e proseguire con le loro abituali attività.


I compiti al mattino, il giardino nel weekend, la cena insieme, il latte della sera.
Un’altra settimana.
Nessuna notizia di Lupin o peggio ancora, di Black.
Adesso che, seppur non scongiurata, la minaccia si era allontanata, Snape ebbe modo di riflettere su qualcosa che fin dall’inizio lo aveva turbato e che non cessava di farlo neppure adesso.

Il bambino-Potter dormiva ancora con lui.

Ormai era tedioso persino per se stesso ripetersi altre amenità su come dividere il letto con il figlio di James Potter fosse impensabile persino adesso che accadeva.
Il punto non era quello.
Il problema era il metodo scientifico di quell’approccio poco ortodosso.
Qualsiasi teoria, dalla più ridicola alla più complessa e affascinante, portava inesorabilmente verso quel momento che il giovane maestro di Pozioni attendeva sempre con innegabile aspettativa.
La verifica della sua attendibilità.
Per i profani, il risultato.
Ma questo singolare, anticonvenzionale esperimento condotto per liberare il bambino-Potter dagli incubi aveva l’indubbia lacuna di non presentare alcun mezzo di verifica.
In sua compagnia le pessime esperienze oniriche del bambino si erano ridotte fino a scomparire, ma era solo un risultato parziale che si verificava in sua presenza oppure poteva ritenere risolto il suo disturbo?
Non aveva modo di saperlo e, mai come in questo momento, detestò di non avere altra possibilità che quella di procedere per tentativi.
Severus Snape era un uomo di scienza che credeva fermamente nel potere della logica e del dimostrabile, ma come poteva ignorare quella sottile umanità che adesso gli sorrideva da dietro quegli occhi verde bosco?
Avrebbe potuto lasciarsi guidare dalle deduzioni e dall’osservazione, ma riteneva più giusto intervenire.
Il bambino dipendeva già da lui per troppe cose ed il suo animo poteva facilmente scivolare verso oscuri presagi di un dominio senza precedenti sul mago più potente di tutti.
Ma Severus non aveva promesso di fare del bambino-Potter un servo felice, aveva giurato a se stesso di renderlo forte, come Lily. La dolce, determinata Lily che aveva dato la vita affrontando il mago più oscuro di tutti i tempi, sapendo di non avere alcuna possibilità, ma coraggiosamente, fino all’ultimo respiro.
Era stata quella forza, quel coraggio a salvare suo figlio e adesso Snape era chiamato a fare quello che Lily non poteva più. Insegnare quello stesso coraggio a suo figlio, al suo piccolo Harry.
E non sarebbe stato facile, ma per Dio l’avrebbe fatto.
Ed avrebbe cominciato proprio da quegl’incubi che lo tormentavano.

Presa la sua decisione Severus osservò attentamente il bambino-Potter per qualche giorno. Sembrava tranquillo nella sua routine, la sera non impiegava mai troppo tempo ad addormentarsi e non cercava di procrastinare l’ora di andare a letto. Casualmente il maestro di Pozioni  introdusse l’argomento a colazione e chiese al bambino-Potter come avesse passato la notte. La risposta del piccolo sembrò incoraggiante.
Forse potevano provare a separarsi una di quelle sere.

Il piccolo Harry si mise al lavoro sui suoi fogli, ma sentiva che la sua testa era da un’altra parte. Il suo uomo-Sevreus gli aveva fatto delle domande su come Harry dormiva ed Harry non era stupido come diceva sempre Zio Vernon a tutti. Harry sapeva che l’uomo-Sevreus l’aveva portato a dormire con sé perché Harry faceva sempre dei sogni brutti e lo svegliava. Certo, da quando dormiva con il suo uomo-Sevreus non aveva avuto più nessuno di quei sogni, ma non si sentiva lo stesso pronto a dormire da solo. Non avrebbe saputo dire perché, ma lo sapeva. Però aveva capito anche che l’uomo-Sevreus voleva che Harry imparasse a dormire da solo di nuovo, certamente era stanco di dividere il suo letto con Harry. Magari Harry nel sonno faceva tutti quei versi che faceva sempre Zio Vernon e che tenevano sveglia Zia Petunia.
Harry non voleva essere un problema per il suo uomo-Sevreus e quindi avrebbe provato, per lui, a tornare in camera.
Presa la sua decisione cercò di lavorare al meglio sulle parole che il maestro Sevreus gli aveva dato.

Quella sera fu un susseguirsi di sguardi in un clima di strano silenzio.
Mentre Severus dibatteva con se stesso sulla tempistica e la maniera di trovare un riavvicinamento fra il bambino-Potter e la sua camera il piccolo Harry era in ansia per la notte che si avvicinava.

Appena finita la cena, ottenuto il permesso di alzarsi, Harry corse alla sua scatola dei compiti come se fosse una boa in mezzo ad un mare in tempesta.
Severus lo guardò con un sopracciglio alzato, ma non approfondì quel suo atteggiamento.

Per il piccolo Harry scrivere tutte quelle lettere era una cosa bellissima, una cosa che Harry sapeva fare e che non gli faceva pensare alle sue paure e alle cose brutte che gli erano successe da quando poteva ricordare, quindi scrisse tutta la sera, fino a che l’uomo-Sevreus non lo chiamò per dargli la sua tazza di latte.
Finito il latte non c’era davvero più niente che poteva fare per non andare a letto e quindi si rassegnò con un piccolo sospiro e, con la schiena ben dritta, come dicevano i grandi, seguì il maestro Sevreus lungo il corridoio.
Arrivato di fronte alla porta della sua stanza il piccolo Harry si fermò. Incerto se permettersi di chiamare il maestro o entrare senza dire niente il bimbo rimase lì.
Non sentendo dietro di sé la presenza del bambino-Potter Snape si volse senza perder tempo. Il figlio di Lily lo guardava da metà del corridoio, davanti alla porta chiusa di quella che era stata la sua stanza. I suoi occhi verdi erano un oceano di acque agitate in cui era impossibile leggere qualcosa tranne una profonda insicurezza.

“Cosa c’è, Harry? Mi devi dire qualcosa?” Snape fece attenzione a non dare nessun tono particolare alla domanda, non voleva scoraggiare i rari slanci di iniziativa che il bambino prendeva.

Di nuovo quell’infernale contorcersi di manine, una costante dei primi tempi che adesso si vedeva meno, ma ritornava quando il piccolo Potter non si sentiva a suo agio. Poi finalmente la risposta.

“Har... ehm, signore, io pensavo, chiedevo... volevo chiedere se posso...  tornarenellamiastanza,signore!”

Inutile dire quale sorpresa provò il maestro di Pozioni nel sentirsi fare quella richiesta.
Quell’argomento lo aveva tormentato tutto il giorno e adesso, come per magia, appunto, il bambino-Potter chiedeva di fare esattamente quello che Severus desiderava.
Oh sì, c’era stato un tempo lontanissimo, in cui Severus Snape aveva creduto alla fortuna, al caso e alla benevolenza delle stelle, ma quel periodo era finito molto, molto presto.
Non avrebbe pensato neppure per un istante che quell’insolita richiesta fosse venuta fuori per pura coincidenza.
Non poteva ancora affermarne appieno l’origine o il motivo, ma l’avrebbe accolta, almeno per il momento. In fin dei conti non era proprio quello che avrebbe dovuto fare?

“Ti senti... pronto, Harry?”

No rispose il piccolo nella sua testa, un no così forte da preoccuparsi che il maestro lo sentisse, ma non poteva, Harry non poteva fare questo al suo maestro Sevreus, dopo tutto, tutto quanto, non essere capace di fare quella piccola cosa per lui sembrava terribile, perché poteva vedere che il maestro lo voleva, voleva che Harry fosse bravo per lui, anche la notte.

“Sì, signore” rispose subito.

Severus si trattenne forzatamente dallo scuotere la testa. Erano tornati ai ‘Sì, signore’, ‘No, signore’.
Brutto segno.
Ma Snape poteva vedere oltre le apparenze ormai.
Il bambino-Potter, per qualche suo motivo, sembrava veramente convinto di quella decisione e Snape si preparò a castare in silenzio un incantesimo di monitoraggio sulla sua stanza, mentre acconsentiva e guardava il bambino rientrare nella propria camera.

Al piccolo Harry la stanza che il maestro Sevreus aveva preparato per lui piaceva, la sua prima, vera, camera, con il letto e le coperte e tutto quanto, ma non era come entrare nella camera del maestro e sapere di poterlo avere accanto.
Il piccolo Harry si mise sotto le coperte sotto lo sguardo attento del maestro e fece finta di essere felice con un piccolo sorriso tutto storto.

Severus non disse niente. Lo osservò con la certezza che non sarebbe andata bene e mentre il bambino era in bagno per le abluzioni della sera castò l’incantesimo che gli avrebbe notificato ogni cambiamento durante il riposo notturno del piccolo Harry.
Lo attese, dunque, sedette con lui, lo coprì e provò a leggergli un capitolo del loro libro sugli animali del Mondo Magico, poi lo lasciò.

L’allarme del suo incantesimo lo svegliò la prima volta poco dopo la mezzanotte, poi di nuovo alle due.
Un brutto sogno poteva capitare a chiunque, due nella stessa notte no.
Si alzò senza ulteriori indugi e senza fare rumore scivolò piano nella stanza del bambino.

Harry sedeva al centro del letto, le ginocchia al petto, le braccia appoggiate alle ginocchia, la testa affondata sulle braccia. Sembrava uno di quei maledetti gomitoli con i quali Minerva amava giocare nella sua forma di Animagus. Persino dalla soglia si poteva notare il vistoso tremore che lo scuoteva anche se, come sempre, il pianto del bambino-Potter era silenziosissimo.
Severus sospirò senza emettere suono. Chiuse rumorosamente la porta per rendere nota la propria presenza poi si avvicinò e prese il bambino in braccio.
Di nuovo avanti e indietro per la stanza, come aveva imparato a fare tempo prima. Era l’unica cosa che funzionava sempre. Un retaggio della sua primissima, felice, infanzia, forse.
Non lo sapeva, come non sapeva cosa volesse dire avere tutto quel dolore dentro a quell’età.
Snape non era stato un bambino felice e certamente non era un adulto contento, ma almeno aveva avuto una stanza sua, una madre presente e un’amica. Il bambino-Potter non aveva avuto nemmeno quel piccolo, insulso, conforto.
Gli accarezzava la schiena in piccoli cerchi concentrici mentre ascoltava i suoi piccoli singulti interrotti qua e là da pietose richieste di perdono per aver disturbato il suo sonno.
Come se importasse... aveva perso notti intere per questioni molto più frivole... come trucidare Muggle, ad esempio...
Quando il bambino si fu calmato lo riportò al letto e si sedette accanto a lui.
Il bambino alzò su di lui uno sguardo umido e colpevole.
“Mi dispiace, signore, mi dispiace tanto...”

“Di cosa ti dispiace, Harry?” chiese.

“Harry non è riuscito a dormire da solo. Harry... Harry sapeva che forse non sarebbe riuscito, ma voleva e sapeva che anche il maestro voleva, vero?”

“Certamente Harry avrei piacere nel sapere che riesci a dormire da solo senza avere incubi, ma se non eri sicuro perché lo hai fatto?”

“Harry doveva provare, maestro. Harry ha capito che era importante per il maestro, ma... - abbassò il capino - non ce l’ha fatta” si guardava le mani tristemente poi alzò la testa, gli occhi verde sottobosco fissi in quelli neri.
“Il maestro è... arrabbiato con Harry?”

Severus provava disappunto, certo, ma non per le ragioni che Harry poteva immaginare.
Non lo aveva fermato. Sapeva che non era pronto e non lo aveva fermato, lo aveva lasciato solo in quella stanza ed aveva aspettato di assistere nuovamente alla sua sofferenza, ancora una volta.
Non lo aveva aiutato, non lo aveva reso forte.
Aveva solo lasciato che si sacrificasse per lui, per il suo falso idolo egoista.
Avevano ancora molto su cui lavorare.
Intanto avrebbe cominciato col rispondere che non era arrabbiato e col riportarlo di nuovo nelle sue stanze per salvare quello che rimaneva di quella notte di stupidi tentativi.









Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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Capitolo 23
*** 23 - Things I thought I put behind me ***


The Heart of everything 23
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

Eccomi con un altro capitolo. Grazie a tutti per il bentornata nonostante tutto il tempo che ci ho messo ^^

Mel Kaine

 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

 23 - / Things I thought I put behind me  /


 


In quei giorni la calma apparente di Sirius vacillava pericolosamente, soprattutto verso sera. Quando il sole scompariva e l’ultima luce moriva sugli infissi delle invisibili finestre di Grimmauld Place il suo animo mutava con l’arrivo dell’oscurità.
Era come se il buio avvolgesse anche la sua anima, oltre alla sua figura emaciata.
I suoi occhi diventavano come privi di vita e la sua mente rimaneva lontana, mentre lui restava immobile per ore, affrontando in silenzio i demoni delle tenebre.
In un paio di occasioni Lupin aveva provato, da amico fedele, a salvarlo.
Ma niente di quello che poteva offrire sembrava interessare Sirius e quello sguardo morto lo inquietava più di quanto Remus gradisse ammettere.
Non sapeva cosa pensare, sentiva che le cose non si sarebbero aggiustate con la vittoria dell’imminente causa per l’affidamento del piccolo Harry, ma non sapeva come sistemarle.
Intanto aspettava nell’ombra, indeciso se recarsi da Dumbledore oppure no.




Incredibile come non ci avesse pensato molto prima.
Veramente sorprendente.
Sorprendentemente stupido, ovvio.
Perché una delle discipline più alte che era riuscito a conquistare con il sudore della sua fronte e che in ben più di un’occasione gli aveva salvato la vita non si era affacciata per prima alla sua inetta mente?

L’Occlumanzia rappresentava una speranza, una speranza vera per la vittoria.

Quella sera, si ripromise Severus, avrebbe iniziato il bambino-Potter alle prime nozioni di preparazione all’Occlumanzia, sperando così di fortificare la sua mente ed aiutarlo definitivamente ad allontanare gli incubi che lo tormentavano.
L’Occlumanzia era una pratica magica molto complessa e le sue infinite varianti e possibilità la rendevano un soggetto affascinante ed intricato anche per i maghi più esperti.
Un po’ per sete di conoscenza, un po’ per necessità Severus ne aveva appreso i più reconditi segreti e tuttora ne studiava le applicazioni e fortificava le sue barriere, giorno dopo giorno. In attesa del conflitto che inevitabilmente stava per iniziare nuovamente.
Era vero che l’Occlumanzia non era certo argomento per un bambino di sei anni, analfabeta e spaventato dalla magia, ma alcuni degli esercizi preparatori allo studio della disciplina stessa servivano a liberare la mente da tutti gli influssi, a rendere più forte la volontà e ad individuare ed eliminare ogni influenza o pensiero nocivo per il proprio equilibrio mentale.
Questo era esattamente ciò di cui il bambino-Potter aveva bisogno.
Adesso doveva soltanto scoprire perché, per l’amor del cielo, il bambino non era nel letto con lui.


 
Harry pensava che impegnarsi a scrivere sarebbe stata una bellissima idea. Dopo aver provato senza riuscire a dormire da solo, aver svegliato l’uomo-Sevreus ed essere finito di nuovo a dormire con lui dandogli un sacco di disturbo il piccolo si sentiva stupido e inutile, esattamente come gli avevano detto tante volte i suoi zii. Perché non era in grado di rendere felice il suo uomo-Sevreus? Perché faceva sempre peggio degli altri e non riusciva a fare quello che sicuramente gli altri bambini sapevano fare? Harry si vergognava molto per la notte precedente e per cercare di rimediare almeno un pochino si era alzato prestissimo e aveva già scritto diversi fogli quando l’uomo-Sevreus apparve dal corridoio.
Sembrava come aver perso qualcosa e poi, quando si guardarono, subito gli sembrò più calmo.

“Buongiorno, Harry”.

“Buongiorno, maestro” pigolò il bimbo. E se il maestro era arrabbiato? Era vero che Harry glielo aveva chiesto, ma Harry sapeva anche che spesso i grandi dicevano una cosa e poi il giorno dopo un’altra.
Improvvisamente si sentì in colpa anche per quello, perché dubitava del suo maestro? Il suo uomo-Sevreus gli aveva sempre detto la verità e non gli aveva mai mentito e adesso era molto cattivo da parte sua pensare che il maestro fosse come tutti gli altri grandi.
Non sapeva cosa dire né come far andare via quella brutta sensazione di aver pensato male del maestro-Sevreus così prese i fogli in mano per fargli vedere il suo lavoro, perché forse quella era l’unica cosa buona che aveva fatto dalla sera prima.


Snape alzò un sopracciglio.
Il bambino-Potter non era certo un bambino come gli altri, per tutta una serie di motivi, sia pubblicamente noti che non, ma certo talvolta aveva degli atteggiamenti molto particolari e non sempre era chiaro il perché delle sue azioni.
Adesso per esempio esibiva decine di fogli di esercizi e lo guardava come un carcerato in attesa della grazia.
Ma certo.
Come non comprendere.
Severus fece per sospirare, ma si fermò.
Poteva essere frainteso.
Sedette quindi sulla sua poltrona mentre ordinava la colazione per entrambi e si mise a scrutare attentamente il lavoro del bambino.
Poi sollevò lo sguardo su di lui.
Severus lesse in quegli occhi verdi ed enormi quanto un complimento fosse necessario al bambino, quasi come l’aria che respirava, ne poteva percepire l’anelante desiderio nella stretta serrata delle sue piccole labbra e nell’agitazione del suo respiro, nella forza della sua presa sui fogli e nell’incessante tensione del suo corpicino.

“Molto bene, Harry. Hai lavorato molto e sei stato bravo”.

Un sorriso radioso lo ricompensò per quel dono così raro – Severus Snape che si complimentava sinceramente con uno studente – mentre arrivava la colazione.

Con finta noncuranza Snape sedette al tavolo e iniziò la vera conversazione che andava fatta una volta espletate le formalità vitali per l’autostima del piccolo Potter.

“Naturalmente, Harry, sai bene che quello che è successo ieri notte non è stato un problema, ma un rischio calcolato, diciamo, più semplicemente, una cosa che sapevo poteva accadere. Quindi il tuo alzarti molto presto per fare i compiti, benché io lo apprezzi molto, non è certo perché ti senti di non aver fatto… bene… ieri notte, vero?”

Il bambino lo guardava perplesso. Immediatamente Snape fece per trovare altre parole con le quali spiegarsi quando Harry rispose, piegando di lato la sua testolina ancora arruffata.

“Harry… ha fatto bene ieri sera?”

Severus posò lentamente sul tavolo la sua tazza di tè.

Non rimpiangeva di aver utilizzato una sintassi non immediatamente comprensibile nel formulare la sua precedente frase. Il bambino andava stimolato nell’acquisizione di nuovi vocaboli e di concetti via via più complessi o non sarebbe mai migliorato.
Naturalmente adesso aveva frainteso, ma non per niente Severus era un insegnante, un insegnante occasionalmente dotato di grande pazienza.
Almeno nel momento giusto, con lo studente adatto e nella propria personalissima visione.

“Intendevo dire, Harry, che quello che è successo ieri notte è perfettamente normale. Sapevamo, sia io che tu, che non eri pronto, dico bene?”

“Sì, signore”.

Severus  ignorò la forma della risposta, proseguendo.
“Quindi era facile aspettarsi che avresti avuto altri incubi. Bisogna lasciar passare ancora del tempo, non eri pronto e non dovevo lasciarti fare quel tentativo, è colpa mia, Harry”.

Il bambino Potter si agitò improvvisamente.
“No, signore, non è colpa del signore, è colpa di Harry, il signore… il maestro non ha fatto niente, maestro. Harry non è bravo abbastanza, ma…”

Snape interruppe quel fiume di parole, in terza persona oltretutto.

“No, Harry. Io sono la persona che si occupa di te ed io dovevo sapere cos’era meglio fare, dovevo fermarti e … non farti soffrire”.

“Perché è questo che devono fare i grandi, sign… maestro?”

“Sì, Harry, anche se spesso non riesce loro così bene” un tono amaro che sperò il bambino non cogliesse. Severus Snape era certamente un uomo che sapeva alla perfezione in quanti e quali modi un grande poteva fallire.

Il bambino lo guardò un attimo, poi disse seriamente.
“Sì, signore, ”.

Al di là dell’uso della solita, ingranata risposta improvvisamente sembrò molto più maturo della sua età, ma Severus non se ne stupì. In qualche modo erano simili, soli e spezzati, abbandonati in balia di una tempesta che li aveva quasi distrutti e lasciati senza più sogni e adesso lui era per il figlio di Lily ciò che Dumbledore era stato per lui, anche se un pensiero si affacciò alla sua mente, potente come la marea.

“Io farò meglio di lui…”

Subito dopo scacciò l’irritante sensazione di inadeguatezza che lo aveva colto e riprese la sua tazza, proseguendo nella conversazione.

“Comunque non devi preoccuparti, da questa sera, se lo desideri, possiamo iniziare delle lezioni speciali”.

Incredibile come lo sguardo rapito del bambino-Potter lo riempisse d’orgoglio. L’amore incondizionato per la conoscenza e la curiosità erano state le prime cose che aveva condiviso con Lily ed era dolce ricordarle e ritrovarle in suo figlio. Era come se, dopotutto,  lei non fosse mai andata via…

Di nuovo soffocò i propri pensieri, le proprie forti emozioni, schiarendosi la voce in un sorso di tè nero.

“Sì, Harry. Delle lezioni speciali per imparare a tenere lontani i brutti sogni e i brutti pensieri. Non sarà come imparare l’alfabeto, ma sono sicuro che riuscirai”.

Entusiasta il bambino-Potter annuì, poi come ricordandosi improvvisamente dell’educazione ricevuta rispose tutto compito.
“Sì, maestro, grazie maestro”.

“Molto bene, adesso mangia. Più tardi ne parleremo di nuovo”.

La giornata trascorse senza alcuna novità, così come piaceva a Snape. L’esistenza gli aveva ormai insegnato che le sorprese a lui destinate non erano mai piacevoli e che un giorno monotono era preferibile ad uno di inseguimenti, omicidi, rapimenti e pericoli potenzialmente – o sicuramente – mortali.
La sera arrivò adagio, i giorni lentamente si allungavano anche se attraverso le spesse mura di pietra non se ne aveva mai una percezione reale. Presto sarebbe arrivato il periodo più freddo dell’anno e fortunatamente, a parte un piccolo, come al solito immodesto, regalo da parte di Albus e Minerva, il suo compleanno era passato del tutto inosservato.

Quella sera si ritrovò quindi nel letto con il suo più attento ed estasiato studente.
Il bambino-Potter attendeva quietamente, ma si poteva leggere l’eccitazione per quella novità promessa in ogni fibra del suo corpo e del suo atteggiamento.

Senza indugiare oltre Severus si dispose ad impartirgli la prima lezione.

“Questa sera, prima di lasciarti provare, ti spiegherò cosa faremo. La disciplina, cioè la materia della quale parleremo, si chiama Occlumanzia. Questa parola deriva dal latino, una lingua antica molto diffusa in Europa molto tempo fa, e vuol dire  ‘chiudere la mente’. Quello che faremo è solo una piccola parte dello studio di questa pratica, perché il suo apprendimento completo richiede moltissimo tempo e un’ottima conoscenza della magia e tu Harry non hai ancora nemmeno la tua bacchetta”.

Il piccolo Harry sussultò senza poterci fare niente.
Avrebbe avuto anche lui una bacchetta? Come tutti quei personaggi meravigliosi che qualche volta era riuscito a sbirciare di nascosto durante le sue faccende quando Dudley guardava la tv? Proprio come la bacchetta del maestro? Sì, il maestro l’aveva detto, allora sarebbe successo questo ormai era sicuro.

Per impedire al bambino di perdere la concentrazione della quale avrebbe presto avuto bisogno Severus proseguì nella sua introduzione.
“Non solo non sarà niente di difficile, ma se eseguito correttamente ti permetterà di allontanare gli incubi che non ti lasciano dormire. E’ importante concentrarsi, cioè prestare tutta la propria attenzione a quello che ti dirò di fare. Pensi di voler provare, Harry?”

Il bambino non rispose subito, era positivo sapere che comprendeva l’importanza di decidere senza lasciarsi immediatamente travolgere dal bisogno di compiacere il suo interlocutore.

Finalmente Harry lo guardò e c’era adorazione nel suo sguardo, sì, lo sapeva, ma sotto tutto quel bene che Severus aveva ottenuto senza dare quasi niente c’era qualcosa che per la prima volta rendeva palpabile la speranza di insegnare al bambino quello che tutti avevano e avrebbero cercato di portargli via.
La consapevolezza di poter decidere.

“Sì, maestro. Voglio provare”.

A distanza di anni Snape avrebbe ripensato a quel momento come il punto di rottura che avevano così affannosamente cercato. Quell’istante aveva rappresentato il culmine dei loro sforzi congiunti, la prova inconfutabile che c’era la possibilità di cancellare il passato e di vincere i propri, crudeli, mostri.
Sì, più dell’Occlumanzia stessa quell’attimo rappresentò un incantesimo racchiuso nel tempo che finalmente restituiva a quel piccolo essere vivente la sua dignità.

“Molto bene, Harry. Iniziamo”.




Le strade per le quali camminava erano oscure e ogni ombra fra due lampioni celava presagi ai quali lui non voleva più pensare. L’agonia della scelta fra la fiducia che provava e l’istinto che lo mordeva alla gola era dilaniante. Desiderava avere pace da quell’incessante risacca di dubbi che a volte allagava la sua mente per poi lasciarla, la volta dopo, in secca.
Una cosa sola gli appariva chiara. Nei momenti lieti, come in quelli tristi aveva sempre affidato se stesso alle parole e adesso ne aveva bisogno. Avrebbe ascoltato il proprio bisogno, ma comunque una decisione definitiva non era necessaria quella notte stessa, perché la luna, ormai, si era fatta piena.




“Respira lentamente, Harry. Lascia uscire il nero dei pensieri ed entrare la luce chiara e pulita”.
La voce bassa e profonda di Severus riempiva la stanza assieme alla tenue luminosità di qualche candela. Il silenzio era ovunque e aiutava il bambino a rilassarsi. Naturalmente non lo avrebbe confessato mai, ma il maestro di Pozioni era realmente orgoglioso dei progressi ottenuti. Considerata l’età e la fisiologica, brevissima durata della soglia dell’attenzione nei bambini piccoli Harry rappresentava quasi una miracolosa eccezione.
Il suo incredibile  bambino-Potter.
Dentro di sé quasi sorrise, come spesso faceva in quei giorni.

“Concentrati sul tuo corpo, adesso, senti bene dove appoggia? È rilassato. Il tuo respiro è lento, profondo, risale verso la luce, verso la calma. I pensieri diventano quello che vuoi, puoi cancellarli o tenerli con te, scegliere quali preferisci e respirare. Lentamente”.

Il piccolo Harry faceva quello che il maestro gli insegnava e sapeva di saperlo fare. Era una sensazione così forte e bella essere capaci. Lo rendeva orgoglioso di se stesso davanti al suo maestro-Sevreus e poi quelle lezioni gli piacevano veramente.
Oh, era sempre stato bravo ad immaginare cose… aveva avuto tantissimo tempo, notti e notti in cantina, nel sottoscala, in giardino, nel buio, da solo, con l’unica compagnia di quelle storie che inventava nella sua testa, ma non aveva mai pensato che ‘concentrarsi’, come diceva il maestro, lo avrebbe aiutato così tanto. Il giorno prima si era addirittura addormentato da solo sulla poltrona del maestro mentre lui era a insegnare e non aveva avuto nessun brutto sogno. Tutte le sere il maestro si prendeva del tempo per spiegare ad Harry come cancellare i cattivi ricordi e ad Harry piaceva tanto perché sapeva anche che il maestro era contento di lui, lo vedeva nei suoi occhi neri e tutto era… perfetto.


La voce di Snape riprese a scorrere lenta, vellutata.
“Questa sera, imparerai una cosa nuova. Creerai il tuo spazio mentale, un luogo speciale che da oggi sarà tuo per sempre, che potrai ritrovare nei tuoi pensieri tutte le volte che ne avrai bisogno. Un posto dove mai niente di brutto potrà toccarti. Lo potrai raggiungere in qualsiasi momento, da qualsiasi luogo sulla Terra, semplicemente chiudendo gli occhi e concentrandoti. E’ un posto che ti rende sicuro, che ti dà conforto e nel quale ti senti protetto. Un posto nei tuoi pensieri che puoi vedere nella mente, dove puoi fare qualsiasi cosa ed essere… felice. Adesso smetterò di parlare, ma non devi aprire gli occhi. Continua ad immaginare fino a che non avrai ben chiaro ogni particolare del tuo luogo speciale, prendi tutto il tempo che ti serve per crearlo e quando avrai finito aprirai gli occhi”.

Così Snape tacque e cercando di muoversi il meno possibile si stese a sua volta accanto al bambino-Potter, in attesa di vederlo riaprire gli occhi.
Harry era davvero un discepolo eccellente e anche se Severus sapeva perfettamente che buona parte di quello che gli spiegava non era chiara per il bambino, il figlio di Lily seguiva alla lettera i suoi insegnamenti e stava già traendo i primi benefici.
Naturalmente Snape non aveva nessuna certezza dei risultati, non poteva sapere se l’effetto di quelle tecniche così superficiali sarebbe stato duraturo o meno, ma aveva tutta l’intenzione di sperimentarlo prima di ripetere un’altra notte come quella passata da poco.
Mentre rifletteva su questo il tempo era scorso veloce, quando si volse per verificare i progressi del bambino si rese conto che Harry non avrebbe affatto riaperto gli occhi, non per quella sera almeno.
Si era addormentato profondamente, alla ricerca del suo luogo speciale ed aveva un’espressione così serena sul piccolo viso che Severus fu certo che l’avesse davvero trovato.




Remus passeggiava nervosamente costeggiando il lago. Il vento soffiava a tratti, gelando le sue mani anche attraverso il tessuto sdrucito delle tasche nelle quali erano infilate. Quell’attesa non ci voleva. Il suo animo era ancora incerto e aspettare lo riempiva di dubbi. Il suo era da considerarsi un tradimento o un segno di matura amicizia? Lo faceva per dovere o per dimostrare a Sirius di avere, una volta di più, ragione? Detestava interrogarsi, ma Dumbledore non lo aveva potuto ricevere. Un colloquio con alcuni membri del Ministero. Segni di attività di Mangiamorte ad ovest. L’Ordine naturalmente sapeva già tutto, ma il Ministro cercava conferme dell’assoluta ignoranza circa quegli avvenimenti da parte di Albus. Insomma un gioco di potere fra burattinai. Niente d’insolito, ma terribilmente fastidioso, soprattutto con quel freddo e quella terribile esitazione. La sua mente era alla ricerca di una distrazione qualsiasi quando il suo finissimo udito lo spinse ad avventurarsi verso la capanna di Hagrid. Sentiva dei rumori provenire da lì vicino e nella peggiore delle ipotesi persino le sospettose ‘annusate’ di Fang sarebbero state ben accolte.
Così avanzò lentamente, ma appena scostate delle frasche fradice di neve si fermò, come pietrificato.
Severus Snape ed il piccolo Harry Potter erano lì, a qualche decina di metri da lui.
Ecco qui, come in un quadro dipinto davanti ai suoi occhi, tutti i suoi problemi.
Il bambino e Snape.

Rimase immobile, senza voler restare nell’ombra a spiarli, ma senza riuscire a ritrarsi, sommerso com’era da tutti i pensieri che aveva tentato di tenere lontano fino a quel momento.
I movimenti del piccolo lo distrassero e Remus lo guardò correre un po’ più avanti per poi voltarsi indietro.
Il suo piccolo viso era luminoso di gioia, le guance bianche e rosse per il freddo, la sciarpa ben avvolta attorno al collo e alle spalle.
I suoi occhi verdi brillavano come il sole sulla neve, i suoi capelli erano stati arruffati dal vento.
“Maestro Sevreus, Maestro Sevreus, guarda, là è dove ‘vige’ Hagrid”.
Ed il silenzio dopo quell’affermazione fu rotto da un suono che Remus poteva giurare sulla sua testa, su quella di tutta la sua intera famiglia e su quella di Merlino stesso di non aver mai sentito prima in vita sua.

La risata di Severus.

Non aveva certo il tono di chi era abituato a ridere ed era bassa e pacata, ma era reale, genuina.
Una risata vera, che gli tirava le labbra in modo diverso dai soliti sorrisetti sprezzanti e dai ghigni di disgusto. Un qualcosa che nessuno, nessuno mai aveva strappato all’austero insegnante di Pozioni di Hogwarts, Remus ci si sarebbe giocato la vita.

L’aveva vista e sentita, eppure sapeva già che non l’avrebbe mai potuta raccontare.
Nessuno gli avrebbe creduto.

Di nuovo la sua sconcertante sorpresa fu interrotta dalle loro voci.
Snape stava raggiungendo il bambino.

“Harry, Hagrid non ‘vige’, non è una regola, tutt’al più ‘vive’, ‘abita’ in quella capanna dal gusto… discutibile”.

Il bambino lo guardava adesso e Snape colse qualcosa che Remus non aveva affatto intuito.
“Sai cosa vuol dire ‘discutibile’?”

“No, Maestro”.

“Discutibile è qualcosa sul quale si avrebbe molto da parlare, ma che spesso viene definito così proprio perché non se ne vuol parlare dato che non ci piace”.

Remus vide Harry annuire, pensieroso.
Snape interruppe entrambe le loro riflessioni.

“Vieni, vediamo se Hagrid può salutarti”.

E così dicendo, con estrema naturalezza, scostò la propria mano dalla lunga veste nera e subito Harry la prese.
Anche dopo che furono spariti dalla sua vista Remus rimase immobile. Molto tempo dopo si ritirò nuovamente sulle rive del lago e quando un elfo apparve per informarlo che Albus lo poteva ricevere Remus non avrebbe affatto saputo dire quanto tempo era passato.



L’anziano mago spostò il piatto con le sue caramelle preferite verso il suo ospite. Bevve un altro sorso di tè mentre attendeva di conoscere il motivo di quella visita, almeno in parte, inattesa. Albus sapeva che Remus non era accecato dalla rabbia e dal risentimento come Sirius, aveva letto domande nei suoi occhi durante la riunione sul futuro del figlio di Lily e James. Forse quegli stessi interrogativi ai quali non avrebbe mai potuto dare risposta da solo l’avevano spinto a venire da lui ed Albus era immensamente lieto di quell’opportunità che finalmente gli permetteva, per così dire, di volgere a suo favore – e a favore di Severus – le circostanze.

Quello che successe negli attimi successivi, però, lo colse alla sprovvista come tutti i comuni mortali.

La statua di pietra a guardia del suo ufficio ruotò su se stessa e Sirius apparve, muovendosi lentamente, ma con ferocia, verso di loro.
“Non voglio sapere cosa pensavi di fare venendo qui, Remus, ma ogni altra parola o macchinazione è inutile. Ho qui il foglio di affidamento preventivo, Albus. Manda un elfo a prendere il bambino”.











Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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Capitolo 24
*** 24 - Hands of darkness (reaching for my soul) ***


The Heart of everything 24
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

Buon 2014! Teniamo le dita incrociate e speriamo sia l'anno buono per finire HoE. Durante la lettura di questo capitolo consiglio l'ascolto di una delle canzoni del mio storico gruppo preferito, i Within Temptation. Il titolo è "Our farewell", sembra scritta proprio per questo momento della storia, è perfetta in ogni parola. 

P.S. Premetto che uccidere l'autrice NON farà concludere bene la storia... anzi non la farà concludere affatto quindi confido nella vostra bontà *___*

Mel Kaine

 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

 24 - / Hands of darkness (reaching for my soul) /


 




Remus si alzò di scatto dalla sedia, come a raggiungere Sirius. I suoi occhi guardavano il pezzo di pergamena che il suo amico stringeva in pugno come un trofeo.
Albus Dumbledore, sospirando lentamente, fece per prendere parola, ma Sirius li gelò entrambi.

“No. Non voglio. Sentire. Altre. Scuse. Non voglio le tue banalità Remus e tanto meno le tue menzogne, Albus. Non mi interessano i tuoi, tsk, piani segreti. E non ascolterò nessuno di voi. Se non vuoi che vada di persona a strappare il figlio di James dalle mani di quel… uomo – si trattenne a stento – sarà meglio che tu provveda immediatamente a farmi portare qui il bambino. A meno che tu non preferisca risponderne al Ministro con l’accusa di insubordinazione. Non dare quest’asso nella manica a Fudge, Albus, ti assicuro che non aspetta altro”.

C’era così tanto odio nelle sue parole, nei suoi gesti, nella sua voce che Albus se ne rattristò. No, non era odio verso di lui, verso il Ministero, verso Remus e non era, probabilmente, neppure un odio destinato solo a Severus.
Sirius era un animale ferito quasi a morte, incapace di ragionare.
La situazione sarebbe peggiorata ancora e ancora.
Sarebbero caduti in una spirale che avrebbe portato tutti loro alla rovina.
Si alzò, dunque, con estrema risolutezza e con estrema calma disse:

“Permettimi almeno di recarmi da lui personalmente, Sirius. Tu potrai aver dimenticato le buone maniere, ma io certamente non l’ho fatto e Severus merita una spiegazione, non un altro rapimento”.

Senza una parola Sirius si fece da parte, liberando l’uscita del suo ufficio.
Uno sguardo duro come il diamante nei suoi occhi, ricambiato, per un istante, dal Preside.
Perché se era vero che Sirius avvertiva lui di non giocargli uno dei suoi tiri mancini, Albus avvertì Sirius che da quel momento in poi non avrebbe tollerato altri colpi di testa.

In silenzio e avanzando senza fretta Albus si diresse verso i piani inferiori del castello.


Dopo il rientro dal pomeriggio in giardino il bambino-Potter aveva fatto una buona merenda e adesso sedeva assonnato su una delle poltrone verde-argento.
Severus ne aveva approfittato per finire la lettura di uno dei trattati più interessanti pubblicati quella settimana su uno dei suoi giornali preferiti di pozioni.

La magia di Snape lo avvertì dell’identità del suo visitatore ben prima del colpo di nocche alla porta e, sospirando infastidito, il giovane professore si alzò per far entrare il grande Albus Dumbledore  nei suoi umili quartieri. Gettando un’occhiata al bambino pensò subito che la sua fortuita ed addormentata presenza gli avrebbe permesso di liberarsi presto del suo non richiesto ospite.

Ma quando si ritrovò di fronte al Preside immediatamente fu chiaro che quella non era una visita di cortesia.
La magia di Albus, benché perfettamente dominata, si poteva percepire attorno a loro, potente, irrequieta e sul suo viso immoto mancava quel dannato brillio negli occhi che aveva sempre avuto il potere di irritarlo, ma che al tempo stesso  lo confortava.
Non era certamente il momento di indugiare nei convenevoli.

“Che succede, Albus?”

L’anziano Preside sospirò, volgendo lo sguardo alle sue stanze mentre entrava.
E questo era davvero un pessimo segno.

“Devo parlarti urgentemente, Severus. Quello che temevamo è, infine, accaduto”.

Severus si volse la frazione di un istante. Il bambino dormiva ancora.
“Da questa parte” disse e lasciò che Albus lo seguisse verso la piccola sala da pranzo.

Senza tergiversare oltre, per una volta, l’anziano mago arrivò al punto, preciso come un arciere.

“Temo che Sirius abbia fatto la sua mossa definitiva. Adesso aspetta nel mio ufficio, con un documento ufficiale che gli consente di portare via il giovane Harry. Ora”.

Per la prima volta Severus Snape rimase in silenzio, senza trovare niente da dire o da rispondere a quella frase gettata lì, quasi casualmente.
Quando aveva visto la tempesta negli occhi di Albus si era immaginato molte cose.
Un attacco a sorpresa, un problema con il Ministero, la morte di uno dei membri dell’Ordine, persino Voldemort in persona tornato dall’inferno e magicamente riapparso nella Sala Grande.
Qualsiasi cosa, ma non… questo.

Questo. L’unica cosa che al momento poteva toccarlo veramente, ferirlo.
Mangiamorte? Avrebbe lottato ed ucciso, lo aveva già fatto.
Il Ministero? Avrebbe mentito ed ingannato, lo aveva già fatto.
La morte? Avrebbe giurato di onorare la memoria di chi si sacrificava per la causa, lo aveva già fatto.
Voldemort? L’avrebbe guardato negli occhi, di nuovo e si sarebbe schierato al fianco di Albus.
Sì, l’aveva già fatto.

Ma questo no.
Harry.

Il suo bambino-Potter.
Suo, suo.

Harry.

Rimase immobile e tutto quello che avrebbe voluto dire si spense in un gesto disperato della sua testa, mentre Albus faceva l’errore di mettergli una mano sulla spalla.
Snape la scostò bruscamente.
“No. NO – gridò all’improvviso. – Io ho mandato quel foglio e tu l’hai firmato. E’ abbastanza. Deve essere abbastanza. Come osa quel cane schifoso presentarsi qui adesso e pretendere di occuparsi di un bambino quando non è nemmeno in grado di occuparsi di se stesso. Dov’era quando Voldemort ha ucciso i suoi genitori, dov’era quando quei Muggle bastardi hanno picchiato e affamato il suo ‘figlioccio’. No, Albus, questa volta no. Non me lo porterà via. Non mi porterà via anche Harry. Dov’è? DOVE SI TROVA? Questo sarà il giorno in cui regoleremo i nostri conti una volta per tutte…”

“Ragazzo mio, per favore, calmati…”

“NON DIRMI COSA DEVO FARE, SONO STANCO DEI TUOI ORDINI, SONO STANCO DI…”

Improvvisamente tacque, gli occhi di carbone lievemente sgranati, fissi in un punto vicino alla soglia della cucina.

Il bambino-Potter li guardava da lì.


Il piccolo Harry era stato svegliato dalla voce arrabbiata del suo uomo-Sevreus. Un senso di allarme fortissimo lo aveva colto e lo aveva svegliato del tutto facendolo scendere in fretta dalla poltrona. Mentre rimaneva lì, incerto se correre in cucina dall’uomo per aiutarlo o meno sentì ‘le parole’.
Eccole.
Quelle che aveva sempre temuto, quelle che sapeva, sarebbero arrivate.

‘Portare via’.

Lo sapeva, lo sapeva, ripeté fra sé e sé. Non doveva essere triste, non doveva piangere. Aveva sempre saputo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato e che nessuno, nemmeno il suo maestro, così buono con lui, avrebbe potuto fare niente.
Ecco.
Adesso doveva solo fare un bel respiro, stare ben dritto con la schiena, come il piccolo soldato di cui l’uomo sarebbe stato orgoglioso e farsi… portare via.
Aveva avuto un piccolo paradiso, era potuto stare con l’uomo-Sevreus, avevano fatto così tante cose belle che sarebbero per sempre rimaste nei suoi ricordi.
Eppure era così difficile fare quel respiro, quasi impossibile.
Qualcosa di simile ad un grosso sasso gli si era incastrato in gola e le lacrime gli facevano pungere gli occhi insopportabilmente.
Non voleva andare via, non voleva.
Il maestro, però, continuava ad urlare ed Harry sapeva che non aveva scelta.
Adesso che ne aveva l’occasione poteva, doveva fare questo per lui.
Non voleva metterlo nei guai, non voleva che combattesse, anche se non sapeva contro chi…

Così avanzò, prima che la decisione di quei momenti lo lasciasse per sempre.
Il maestro-Sevreus gli aveva insegnato che Harry era libero di scegliere ed Harry avrebbe fatto tesoro di quel dono e lo avrebbe usato per ringraziarlo.
Così si mise sulla soglia della cucina, le piccole spalle diritte, la testolina alta.
Sì, un buon soldato.
Per il suo uomo-Sevreus.


“Harry…”
Quella voce, quella voce profonda, che lo accarezzava ogni volta, quella voce che gli aveva parlato di cose meravigliose tutte quelle sere.
Non voleva lasciarlo, non voleva.
Le lacrime rotolavano lungo le sue guance così come quelle parole dalle sue piccole labbra tremanti.

“Se il maestro Sevreus è nei guai perché Harry è qui, Harry può andare via, maestro. Harry non vuole che il maestro abbia dei problemi, mai, Harry può andare via, davvero maestro”.

La sua piccola, coraggiosa voce si spense in un singulto talmente forte da scuotere il suo intero corpicino e, senza pensarci due volte, Snape s’inginocchiò davanti a lui e lo strinse forte fra le sue braccia nere.
Al diavolo Albus che guardava, al diavolo tutto il suo riserbo, tutto il suo orgoglio.
“No, Harry non deve andare via. Harry deve restare per sempre con me. Harry”.

Con una mano strinse delicatamente la sua testolina contro il proprio petto mentre il bambino piangeva disperato.
Harry aveva sentito le parole del suo maestro e ne era stato felice, ma sapeva che quella volta non sarebbero potute essere vere anche se il maestro lo voleva quanto lui, l’aveva sentito nella sua voce, nel suo abbraccio.
Rimasero così a lungo, senza la volontà di lasciarsi, perché farlo avrebbe significato separarsi e Snape non riusciva ad accettarlo.
Avrebbe lottato, non importava il prezzo.
Infine spezzò il loro contatto e si alzò in piedi in un solo movimento fluido e pieno di determinazione. Con un gesto veloce e preciso estrasse la bacchetta.

“No” disse solo Dumbledore.

Gli occhi di Severus adesso erano due lame di fuoco.
Quelli di Albus, invece, lo guardavano con dolore, con vero dolore.
Per una volta qualcosa di sincero sul tuo viso, dovevamo arrivare a questo Albus…

“No, ragazzo mio. Non posso permettertelo”.

“Vogliamo mettere alla prova questa tua affermazione?” lo sfidò Snape.

Ignorando l’irrispettoso tono di sfida e la velata minaccia delle sue parole Albus si fece vicino e lo guardò negli occhi, seriamente.

“Non permetterò né a te né a Sirius di fare quest’errore. Ti assicuro, ragazzo, che oltre a soddisfare la tua sete di vendetta non otterrai altro. Ad Azkaban non potrai occuparti di Harry né tanto meno vederlo. Invece se rimani calmo potrai combattere in tribunale la tua battaglia. Non capisci che correndo da Sirius con la bacchetta in mano gli darai esattamente ciò che vuole? Ti comporterai esattamente come lui si aspetta da te e così facendo giustificherai la sua decisione sbagliata. Sirius è pieno di rabbia e frustrazione, sente il peso della responsabilità della morte dei suoi amici, si è fidato stupidamente ed ha scontato il proprio ingenuo errore con cinque duri anni d’ingiusta incarcerazione. Cosa pensi di ottenere da lui adesso? Non è in grado di comprendere e non possiamo fermarlo. Non provo piacere nel ricordartelo, credimi, ma il Ministero aspetta soltanto la tua testa Severus e Sirius ha pronto il vassoio d’argento. La mia volontà è influente in molti luoghi qui nel mondo magico, ma se verrai condannato nemmeno io potrò fare niente per te. So che non sei così sciocco da non capire, ragazzo mio, hai guardato la morte negli occhi più di una volta e non hai mai vacillato. Se avrai pazienza assisterai alla disfatta del tuo nemico altrimenti perderai tutto per un solo attimo di gloria. E’ questo, dunque, quello che vuoi?”

Anche dopo le sue parole le loro volontà si scontrarono ancora a lungo attraverso i loro sguardi. In silenzio.
Poi, facendo appello ad ogni residuo di padronanza e di dominio sui propri sentimenti, Severus rinfoderò la bacchetta.
Il suo animo bruciava nel desiderio di sporcarsi di sangue le mani, ma la ragione gridava di controllarsi e di attendere il momento propizio.
Ciò che gli rendeva insopportabile ascoltarla era il pensiero di sacrificare Harry. Di tradirlo. Aveva giurato di difenderlo da tutto e tutti e questo certamente includeva il suo folle, dissennato padrino. Ma la verità lo teneva incatenato ad Hogwarts. Da nessun altra parte avrebbe trovato asilo e protezione. Poteva solo accettare di aver perso quella battaglia e prepararsi a vincere la guerra.

“Attenderò, ma puoi fermare la mia mano solo questa volta Albus. Ricordalo”.

“Ti ringrazio, Severus. So che hai preso la decisione giusta, come sempre”.

“Per favore, non rivolgermi mai più queste parole. Non le sopporto”.

E con disprezzo si volse.
Se fosse stato un’adorante, sciocca pedina come tutti gli altri avrebbe ringraziato il potente Dumbledore per averlo riportato a più miti consigli, ma Severus non poteva dimenticare chi per primo li aveva portati allo scontro.

Prima di rimpiangere ulteriormente la propria decisione s’inginocchiò nuovamente di fronte al bambino-Potter.
“Harry. Questo non è definitivo, lo capisci?”

Harry annuì lievemente mentre Snape con un piccolo sorriso storto gli chiedeva:
“Sai che vuol dire ‘definitivo’?”
Il bimbo annuì di nuovo e si asciugò un occhio con un pugnetto chiuso.
Il maestro-Sevreus era così buono da dirgli quelle cose per consolarlo anche se sapevano tutti e due che non erano vere. Oh, quanto gli voleva bene…
“Harry…”
Con risoluzione si alzò e tese la mano per prendere quella del bambino.
Di nuovo Albus lo fermò.
“Severus lascia che accompagni io Harry. Sai cosa succederà se sarai tu a farlo. Da una parola di troppo o da un singolo gesto potreste arrivare allo scontro che adesso, saggiamente, stai evitando…”
Snape si volse, furente.
“Pensi forse che una volta presa una decisione io non sia in grado di mantenerla?”
Albus si fece nuovamente vicino a lui.
“Ascolta questo vecchio ancora una volta, ragazzo mio. Dai a Sirius questa vittoria, completamente”.
Il dolore era incredibile, ma nel profondo Severus sapeva che quel dannato vecchio aveva ragione. Accompagnare il bambino-Potter sarebbe stato solo un pretesto.
La sua mano si fece lasca ed egli lasciò andare quella del bambino.
Rapidamente Dumbledore prese il suo posto e dopo un rapido assenso della testa da parte del suo maestro Harry si preparò a seguire il Preside anche se, con enorme soddisfazione di Severus, Harry non prese mai la mano che Albus gli offriva.
 
E mentre Dumbledore concedeva ancora loro un istante Severus guardò il suo bambino-Potter e fu guardato in cambio.
Il verde dei boschi nel nero dell’onice.
Infine quella piccola voce, quel verde brillante dei suoi occhi che si accendeva, forse, per l’ultima volta.
“Grazie, maestro”.
Un sussurro, un piccolo sorriso.
Quando si volsero per uscire Snape fece lo stesso dall’altra parte. E non corse alla porta per abbracciarlo.
Perché quello non sarebbe stato un addio anche se lo sembrava così tanto da spezzargli il respiro.


Senza una parola il nonnino lo condusse su per corridoi e scale. Il piccolo Harry era grato del silenzio, non aveva voglia di parlare con nessuno. Tutto era grigio e scuro e non incontrarono persone fino a che, davanti ad una statua spaventosa non vide due uomini che aspettavano.
Ecco.
Non li guardò negli occhi, non guardò com’erano, non chiese nulla, non sapeva cosa fare né cosa aspettarsi e nemmeno gli importava.
Niente gli importava.
Ormai l’unica cosa importante nella sua vita era rimasta giù, in quelle stanze nere come i suoi vestiti.

Albus si fermò e così sentì fare al bambino al suo fianco.
Il suo sguardo si levò duro e intransigente su Sirius.
Parlò lentamente, senza dare nessun tono preciso alle sue parole, ma tutti le sentirono come riecheggiare nella loro testa. Soprattutto Black.
“Spero ti renderai conto di quello che hai richiesto da me oggi, Sirius. Ricorderò la lealtà che mi devi quando sarà il momento”.
Ed il suo potere si levò violento attorno a loro e vide nei loro occhi che lo avevano sentito, che lo potevano percepire sulla pelle increspata dal brivido elettrico che li aveva attraversati.
Sirius poteva essere davvero pazzo secondo alcuni, ma non così tanto da trovare la propria distruzione in quei momenti.
“Naturalmente, Albus”.

La magia attorno a loro si dissolse in un istante mentre Dumbledore faceva cenno al bambino di farsi avanti.
“Molto bene. Harry, questi signori sono qui per te. Entrambi sono stati cari amici dei tuoi genitori e Sirius è anche il tuo padrino. Puoi andare con loro…”
 
Sembrava quasi che il nonnino stesse per aggiungere ‘se vuoi’ ed Harry lo sperò tanto, con tutte le sue forze. Sarebbe stato maleducato, certo, ma avrebbe detto ‘no, non voglio assolutamente’ e sarebbe tornato giù per le scale e sulla soglia avrebbe chiamato il nome del suo maestro e si sarebbero abbracciati di nuovo e sarebbero rimasti insieme, questa volta per sempre.
Ma nessuno gli chiese se voleva.
Nessuno glielo aveva mai chiesto.
Solo l’uomo-Sevreus.
Ma adesso non c’era più.


Harry era solo.
















Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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Capitolo 25
*** 25 - Neverending sorrow ***


The Heart of everything 25
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

Grazie ancora a tutti per le recensioni, anche se non riesco a rispondere come vorrei le leggo tutte e ne traggo beneficio per tornare verso la sfolgorante luce dell'ispirazione, quando scrivevo pagine e pagine in un'ora, ahimé, adesso se riesco a stare cinque minuti al pc prima che il gatto mi salti sulla testa perché vuole mangiare, che mi chiamino dal lavoro o che debba fare qualche cosa in casa è un miracolo - _____ - 

Grazie per la comprensione, vostra affezionatissima Mel Kaine.

 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

 25 - / Neverending sorrow /


 



Harry sedeva a terra, accanto al suo nuovo letto.
Ricordava perfettamente una sera simile, quello che sembrava tanto tempo fa, in cui era rimasto seduto contro la porta della cucina dei suoi zii cercando di piangere il più silenziosamente possibile.
Anche adesso stava piangendo ed il fatto che non fosse per la fame o le botte non lo consolava poi tanto.
La camera dove si trovava era la sua stanza nuova, ma Harry non la voleva.
Era scura, anche se aveva una finestra grande, e tutto sembrava vecchio e triste. Triste come lui.
Aveva un letto anche qui, ma nessuno gli aveva detto se poteva salirci così era rimasto in terra.
Adesso tutto ricominciava come un brutto sogno dal quale non ci si poteva svegliare.
Non sapeva cosa aspettarsi da quei due signori, non conosceva le loro regole, non sapeva se l’avrebbero picchiato, se l’avrebbero fatto lavorare o se lo avrebbero fatto morire di fame.
Venir portato via dal castello era stato terribile.
L’uomo con i capelli più scuri aveva cercato più volte di prendergli la mano, ma Harry non glielo aveva permesso.
Non gli avrebbe dato né la mano, né un nome tutto suo, neppure a costo di essere picchiato.
Il signore si era presentato, gli aveva detto di chiamarsi “S e qualcosa”, ma Harry non aveva ascoltato. Sapeva di essere stato maleducato, ma non era riuscito a comportarsi bene.
Gli avrebbe risposto solo ‘Sì, signore’ e ‘No, signore’, come a casa dei suoi zii. E solo ‘signore’ sarebbe rimasto.
Perché non aveva nomi nella sua testa per chi lo aveva portato via dal suo maestro Sevreus.
Erano usciti dal castello e poi avevano preso uno strano treno e poi un altro.
L’altro signore dai capelli più chiari era rimasto silenzioso tutto il tempo ed ogni volta che per caso il loro sguardo s’incontrava gli sorrideva. Sembrava gentile, ma Harry sapeva bene che non poteva fidarsi, perché i sorrisi dei grandi non erano quasi mai veri.
La casa dove erano entrati era buia e sporca, faceva paura e scricchiolava come le sedie quando zio Vernon si sedeva.
Il cameriere-elfo del signore era ancor più brutto di quello del maestro Sevreus e lo guardava fisso borbottando cose che Harry non riusciva a sentire, ma che sembravano brutte parole.
Poi era stato condotto nella sua stanza nuova e lì era rimasto fino a quel momento.
Le lacrime si erano appena seccate quando la porta si aprì ed Harry si preparò al suo destino.


Appena lo vide Sirius spalancò le braccia, anche se aveva compreso dalla loro esperienza pomeridiana che il figlio di James non sarebbe corso da lui come un qualsiasi figlioccio con il proprio padrino.
Ma non importava, lo fece comunque perché non poteva contenere la propria emozione.
Era felice di aver avuto la sua vittoria su quel lurido Slytherin e di avere il figlio di James finalmente con sé.
Esattamente dove doveva essere, con il suo padrino.
Adesso tutto sarebbe andato bene.
“Oh, ecco il nostro giovanotto! Harry come sei cresciuto, sai che ti ricordavo piccolo piccolo in braccio a Lily?”
Il bambino lo guardava con un’espressione strana, a metà fra il disinteresse e la… diffidenza.
Era certamente singolare trovare sentimenti del genere in un bambino così piccolo, ma Sirius non se ne preoccupò più di tanto.
Harry si sarebbe abituato a vivere con loro, adesso probabilmente era spaesato e stanco e chissà cosa gli era stato detto da quel maledetto Death Eater, chissà quali bugie si era inventato il piagnucoloso Snivellus per metterlo in cattiva luce.
Oh, ma le cose sì che sarebbero cambiate.

“Allora Harry, vieni, andiamo a tavola, sto morendo di fame e tu? Hai fame?”

Il piccolo Harry non sapeva cosa rispondere.
In casa dei suoi zii avrebbe saputo che doveva dire di no, con il suo amato maestro avrebbe saputo che poteva dire la verità, ma qui non sapeva cosa era giusto dire, cosa quei due signori volevano che lui dicesse.
Quindi rimase in silenzio, a torcersi le manine.
Quando il signore dai capelli più scuri fece un passo avanti Harry non poté trattenersi e ne fece uno indietro. Per un istante ci fu silenzio.
Poi il signore scoppiò a ridere.
“Non temere Harry, sei al sicuro ora. Qui non ci sono più maghi cattivi, brutti e neri come quello con cui stavi per sbaglio. Ora sei qui con noi, questa è la tua vera casa, con me. E adesso andiamo a mangiare. Remus prendi una bottiglia di buon vino, dobbiamo festeggiare!”

E fu incredibile, ma per la prima volta Harry alzò gli occhi su un grande che non era il maestro e gli rispose.

“Il maestro non è brutto. Il maestro non è cattivo!”

Il suo cuoricino batteva fortissimo per la paura, ma non aveva proprio potuto resistere. Nessuno poteva dire quelle cose sul suo uomo-Sevreus.
Stare con l’uomo-Sevreus non era stato uno sbaglio, era stata la cosa più bella di tutta la sua vita ed Harry lo avrebbe detto, anche a costo di essere picchiato e chiuso in cantina.
La faccia del signore si fece seria per un lungo, terrificante momento.
‘Adesso mi picchierà sicuramente…’ pensò il piccolo Harry, ma il tempo passava e così fece l’ombra scura sul viso del signore.
“Bah, ho ancora i miei dubbi, lo conosco bene, sai… comunque andiamo a mangiare prima che si raffreddi”.
Il piccolo Harry s’imbronciò ancor di più. Come faceva il signore a dire che conosceva bene il maestro? Harry aveva vissuto nelle stanze del maestro per parecchio tempo e non aveva mai visto il signore venire a trovarlo quindi il signore aveva detto una bugia per dire male del maestro.
Ad Harry non piaceva proprio il signore, per niente.
Mentre pensava queste cose il signore dai capelli chiari si avvicinò leggermente e gli fece cenno di seguirlo.
Per non far arrabbiare anche lui Harry lo seguì anche se non voleva mangiare con loro, non voleva proprio.





Nelle sue stanze nemmeno una luce a rischiarare i suoi pensieri così come nessuna speranza rimaneva nel suo animo.
Il suo ritrovato cuore non era altro che uno zerbino che tutti si sentivano in diritto di calpestare. E questo Sirius Black lo sapeva così bene, lui che ci aveva stazionato sopra per pulirsi la coscienza dal fango delle sue colpe.
Dannazione! MILLE VOLTE DANNAZIONE!
Un lieve rintocco risuonò battendo le nove.
Il suo sguardo nero e vuoto si volse improvvisamente verso il corridoio.
Ma nessuna testolina arruffata sarebbe spuntata dall’ombra per venire a bere il latte della sera.

Era solo, adesso.




Remus si ritirò nella sua stanza augurando a tutti una buona notte.
Aveva ancora molto su cui pensare. La cena era stata uno strano monologo di Sirius intervallato dalle laconiche risposte di Harry. Sempre le stesse due. Sì e no e poi quel ‘signore’. Sirius si era presentato ad Hogwarts e di nuovo a casa, sia come Sirius Black, sia come suo padrino, eppure Harry non lo chiamava che ‘signore’. Remus sapeva che la cosa irritava Sirius e sperava che, ambientandosi, il bambino abbandonasse quell’abitudine.
Quello che non riusciva a comprendere era stato l’avvertimento di Snape.
Sì, Albus aveva portato loro il bambino e si erano diretti verso l’uscita quando dall’ombra una voce l’aveva fermato.
Sirius era andato avanti, seguito dal bambino. Remus aveva indugiato un secondo e quell’attimo aveva dato modo a Severus Snape di uscire dall’oscurità delle scale dove, a quanto pare, aveva atteso il loro passaggio.


“Lupin, devo parlarti, ora”.

Remus aveva sospirato.
“Sai bene cosa succederà se Sirius ti dovesse vedere…”

“Non importa Lupin, ascoltami e basta”.

“Sai anche che non posso fare niente. E’ Sirius che ha deciso e poi non vedo perché dovrei intercedere in tuo favore…”

“Non si tratta di questo, dannazione, fammi parlare Remus!”

L’uso del suo nome proprio, con tutta probabilità mai pronunciato prima da quelle labbra lo aveva sconvolto.
Snape aveva approfittato di quell’attimo di smarrimento per parlare, con tono conciso e denso di… emozioni? Impossibile, quello era Snape…
“Devi promettermi che qualsiasi cosa il bambino faccia, anche la più sensazionalmente stupida ed idiota, se anche foste al limite della vostra sopportazione non alzerete le mani su di lui. E’ importante Lupin. Promettimelo. Promettimi che terrai a bada quel cane rabbioso che vive con te. E non provare a raccontarmi favole. Sappiano tutti e due che nessuno lascia Azkaban senza… cicatrici. Promettilo!”

Quindi tacque.
La sua voce si era spenta in un sussurro, ma tale era la forza ed il sentimento con i quali aveva parlato che Remus si era chiesto se i suoi occhi non lo stessero ingannando, non poteva realmente avere davanti la figura nera ed ammantata del maestro di Pozioni.
Per un lungo momento non seppe cosa rispondere.
Quella richiesta, avanzata da lui, lui fra tutti, lui che avrebbe dovuto volere la sofferenza della progenie di James…
Quell’attimo di riflessione, comunque, fu di troppo.
Da lontano Sirius lo chiamava. Doveva andare.
Snape aspettava ancora. Il volto cinereo semicoperto dalle ombre che morbidamente accoglievano il suo corpo sottile. I suoi occhi attenti, fissi su di lui, sembravano bruciare come carbone acceso nelle tenebre.
Remus sapeva di dovergli una risposta.
Ma non poteva promettere qualcosa che non capiva, che ancora gli sfuggiva.

“Farò del mio meglio. Devo andare”.


Il ricordo sfumava nei dubbi e nei nuovi interrogativi che adesso accompagnavano la sua solitaria sera.
Il suo fine udito aveva sentito distintamente la porta della stanza di Harry aprirsi e chiudersi.
Sicuramente Sirius aveva mandato il bambino a letto.
Non era tardi, ma comprendeva come lo scarso autocontrollo del suo amico fosse già stato messo a dura prova. Troppe emozioni contrastanti in un solo giorno per qualcuno che – e poteva ammetterlo almeno a se stesso – non era affatto stabile. Non ancora.
Remus lo conosceva bene.
Erano stati compagni di gioco, amici poi complici, fratelli, compagni.
Credeva in lui, sapeva che poteva uccidere i fantasmi che la notte venivano a fargli visita e che si potevano scorgere nelle sue pupille vuote.
Era giunta quell’ora della sera e Sirius aveva allontanato il bambino.
Gli voleva bene, certo.
Avrebbe avuto cura di lui, certo, ma era per lui, per Harry o era solo un favore, un ultimo, imperante dovere nei confronti dell’amico che aveva disertato?
E Snape? Cos’era quella luce nei suoi occhi, oltre la determinazione? Cosa lo… preoccupava? Lo strano rapporto che aveva percepito fra lui ed Harry non trovava una spiegazione nella semplice simpatia reciproca. Snape non provava simpatia, non l’aveva mai provata. Questo era certo.
Allora cosa l’aveva spinto a nascondersi come una serpe e a parlargli in segreto? Tutta quella necessità nella sua voce di sentirlo promettere di non far del male al bambino… dannazione. Veniva da chiedersi se Snape avesse effettivamente capito che il bambino era figlio di James, di James, il suo mortale nemico, e della donna che Snape amava.
Sì, Remus lo sapeva, era stato lui il primo ad accorgersene. Lui lo aveva detto a Sirius.
Provava dispiacere al pensiero di non avergli potuto dare la propria parola. Aveva avuto una parte importante nel rendere gli anni di scuola di Snape un vero inferno e adesso non era riuscito a fare nemmeno questo per mondarsi da quei peccati.
Eppure qualcosa non tornava, nella sua mente tutto scompariva un istante prima di connettersi e la visione d’insieme gli sfuggiva.
Quando sentì anche Sirius salire le scale per coricarsi decise di smettere di pensare. Prima o poi la comprensione di quegli eventi sarebbe giunta.




Opprimente sensazione di vuoto. Giorno dopo giorno dopo giorno. Lasciare le fondamenta della scuola per andare a fare lezione era troppo per le sue forze. Ogni giorno era come trascinare un corpo di nervi morti che non desiderava muoversi, ma affondare nell’oblio.
Niente aveva più nessuna importanza.
L’occasione del riscatto, del sentimento mai provato, della… pace (finalmente, finalmente, finalmente) era semplicemente sparita.
Le ore di luce e di buio erano scandite dalle abitudine ormai perdute.
L’ora della scatola dei compiti, l’ora dello spuntino, l’ora del pranzo, dell’uscita in giardino, della lettura, della merenda, del riposo, della cena, del latte della sera, delle sue ginocchia occupate da quindici chili di occhi verdi e domande ed insicurezze. L’ora di dormire insieme per scacciare l’uno gli incubi dell’altro.
Niente.
Più.
Niente.


Afferrò una delle confezioni gialle e blu di quel cibo Muggle e la scagliò contro il muro.
Il suono del vetro in frantumi lo calmò un solo, misericordioso istante prima che il dolore sordo nella sua testa e nel suo sterno lo ricoprisse come una cappa scura di irrespirabile desolazione.



Il piccolo Harry si svegliò di colpo. Una sensazione bruttissima lo prese subito quando si rese conto che non era stato un sogno, non era stato uno di quegli incubi che il maestro era così bravo a mandare via.
No.
Non c’era nessuno con lui.
Gli era stato detto che poteva andare ovunque in quella casa, meno che in soffitta. Harry non aveva nessuna intenzione di andarci, sapeva che le soffitte erano come le cantine, brutte, buie e piene di cose polverose e di mostri.
La sua stanza era triste ed Harry non voleva passare le giornate seduto in terra a guardare quella finestra tutta scrostata. La sala da pranzo poi era stretta e lunga, il tavolo era lunghissimo, sicuramente il più lungo che Harry avesse mai visto, ma anche lì tutto era avvolto dalla penombra e poi c’era il cameriere-elfo del signore che lo guardava male ogni volta. In bagno, anche se adesso gli era permesso andarci, non poteva certo restare e così alla fine aveva trovato quella stanza. Era buia e triste anche quella certo, ma lì si sentiva più… in pace.
Perché c’erano libri, libri ovunque, su alte librerie, come quelle del maestro, ma con molta più polvere.
Quella stanza e quei libri gli ricordavano il maestro, la casa del maestro dove Harry era stato così felice. E restava ore lì, accucciato in terra accanto ad una poltrona vecchia e pensava al maestro Sevreus, a cosa stava facendo adesso con le sue pentole giganti e la sua piuma di piccione.
Era tutto così… brutto.
Lì dove si trovava non c’era una scrivania abbastanza piccola e bassa per lui, non c’era la sua scatola dei compiti, non gli era permesso toccare i libri aveva detto il signore e nessuno gli leggeva niente, nessuno gli insegnava niente e si sentiva solo.
Almeno prima dai suoi zii non aveva mai avuto un amico, un maestro. Tutto era terribile e triste anche lì certo, ma almeno non aveva avuto qualcuno che poi aveva perso. Sapere com’era avere qualcuno che dormiva con lui, che gli leggeva le storie, che gli dava da mangiare, che lo portava in giardino e poi improvvisamente doversene separare forse era peggio che non sapere proprio. Sì, Harry pensava questo, anche se il tempo con il suo uomo-Sevreus gli aveva lasciato tanti bei ricordi ora voleva non averli perché lo facevano stare male nel desiderio di ritornare dall’uomo-Sevreus.
I suoi pensieri vennero interrotti dall’arrivo del cameriere-elfo che gli diceva che i signori lo aspettavano a tavola. Harry lo seguì anche se non voleva per niente andare a tavola.
Ecco, quella era un’altra cosa veramente difficile.
Il piccolo Harry aveva provato la fame e sapeva che era una cosa molto brutta e che faceva piangere e anche se non gli piaceva era grato che il signore gli desse da mangiare senza farlo ancora lavorare, ma quello che il signore gli dava da mangiare era… troppo.
Harry non aveva mai visto dei piatti così pieni prima. Ed il signore pretendeva – ah, questa parola gliel’aveva insegnata il maestro – che Harry mangiasse tutto. Ma Harry non poteva. Il giorno prima ci aveva provato, ma poi era dovuto correre in bagno ed aveva vomitato e poi era stato male.
Invece con il maestro Harry mangiava spesso e mai così tanto tutto in una volta e non si era mai sentito male dopo, tranne il giorno della zuppa grigia, ma lì era stata colpa sua…
Anche quel giorno il suo piatto era davvero pieno ed Harry prese a mangiare sapendo cosa l’aspettava.
“Mangia, Harry. Vedi Remus? Vedi com’è magro? Sono sicuro che l’ha affamato! Per vendicarsi di James”.
“Via, Sirius. Questo sarebbe troppo anche per lui. E’ un bambino”.
“Tsk e questo dovrebbe fermarlo? Lo sai anche tu che un Deat…”
Lupin lo interruppe, serio.
“Ora basta Sirius, per favore. Non davanti ad Harry”.
Black chiuse gli occhi un attimo per calmarsi poi si volse verso il suo figlioccio.
“Ti piace, Harry? E’ buono?”
“Sì, signore. Grazie, signore”.
Sirius sospirò e Lupin si preparò al peggio.
“Quante volte ti ho detto che mi puoi chiamare padrino o meglio ancora Sirius? Se vuoi puoi chiamarmi anche zio, in fondo io e tuo padre eravamo come fratelli, si può dire”.
Al sentire quella parola ecco che tutto si fece chiaro.


Zio.


Ormai Harry sapeva cosa aspettarsi dagli zii.
Ecco perché era stato portato via, ecco perché gli aveva tolto l’unica cosa bella della sua vita e presto l’avrebbe anche picchiato e fatto lavorare, Harry lo sapeva, poteva sopportarlo, se almeno avesse potuto rivedere l’uomo-Sevreus anche solo un momento…
Alzò la testa, disperato.
“Quando potrò vedere di nuovo il maestro, signore?”

La stanza cadde in un silenzio profondo, come quando zia Petunia toglieva la voce alla tv per rispondere al telefono.
Il signore si fece di nuovo scuro in volto e non disse niente per diverso tempo, poi, senza guardarlo, gli disse solo:
“Non ora, mangia adesso”.

Ed Harry mangiò tutto, anche se sentiva lo stomaco fargli male e quando si poté alzare andò in bagno e di nuovo vomitò il pranzo.
Si lavò per bene la bocca come gli aveva insegnato il maestro e tornò nella sala con i libri per poi sedersi di nuovo accanto alla poltrona fino alla sera.
Guardò i libri finché la vista non si appannò tutta e continuò a guardarli anche se le lacrime non glieli facevano vedere per bene.
Dov’era il suo maestro? Dov’era?
















Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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Capitolo 26
*** 26 - A demon's fate ***


The Heart of everything 26
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

Rinnovo i miei ringraziamenti a tutti coloro che leggono ancora THoE e che mi incoraggiano. Fra pochi giorni dovrò sottopormi ad un piccolo intervento laser agli occhi, anche se non mi hanno dato notizie certe in merito ritengo che non potrò passare molto tempo al pc, almeno all'inizio, non che cambi niente, penserete in molti (e a ragione, direi -.- )... ah le gioie dell'autoironia. Incrocio le dita e per chi volesse farlo con me un grande abbraccio.
Piccola nota curiosa: in una recensione al capitolo scorso, perdonate non ricordo quale, veniva chiesto come mai Snape non cercasse di fare qualcosa, anche soltanto scrivere una lettera, se non ricordo male. E' curioso come il capitolo che mi accingo a pubblicare ora sia stato scritto praticamente insieme all'altro e quindi credo che chi ha scritto la recensione abbia qualche potere di preveggenza o che si sia immedesimato/a moltissimo. E' sempre assurdamente fantastico quando qualcuno ti commenta una cosa che hai già scritto o pensato di scrivere, perché rende l'idea di quanto sia possibile coinvolgere ed entrare in sintonia con la scrittura.
Ancora grazie e a presto.

Mel Kaine


 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

 26 - /A demon's fate  /


 


“Signor Collins, ha intenzione di mandarci tutti in infermeria dentro una tabacchiera?”
Lo sgraziato alunno in questione s’irrigidì di colpo, ritraendo la mano che conteneva l’ingrediente sbagliato prima di poter fare esplodere la pozione gettandolo nel calderone.
A quel punto l’intera classe di Hufflepuff e Ravenclaw si aspettava una decurtazione di almeno cinquanta punti e un mese di punizione per lo sfortunato ed incauto studente, ma Snape non aggiunse altro e con un gesto della bacchetta estinse la fiamma sotto ai calderoni e mandò via tutti.
Lentamente raccolse le sue cose e si ritirò verso le proprie stanze. Vicino alla Great Hall la voce di Minerva lo riscosse.
“Severus, tutto… bene?”
Snape si volse, seccato.
“Naturalmente, Professoressa McGonagall. Aveva bisogno di me?”
Minerva sospirò.
Erano giorno che Snape si rivolgeva a stento a chiunque e quando lo faceva manteneva una distanza tale da gelare il suo interlocutore anche con una semplice risposta.
Naturalmente con tanti anni di insegnamento alle spalle ci sarebbe voluto ben altro per scoraggiarla.
“Albus desidera vederti. Puoi trovare del tempo per andare nel suo studio, diciamo, nel pomeriggio?”
“Che ‘inaspettato piacere’. Non mancherò. Con permesso”.
Severus rientrò nelle proprie stanze e subito si sedette su una delle sue poltrone. Sul tavolino accanto c’erano i resti della sua cena ed il suo imminente pranzo.
Una bottiglia di scotch.
Non voleva nient’altro che la bruciante carezza dell’alcol ed anche se non aveva ancora bevuto tanto da ubriacarsi sapeva di star andando in una direzione pericolosa.
Eppure non poteva farne a meno.
Preferiva di gran lunga il torpore mentale che il liquore riusciva a dargli all’insensatezza di quello che provava.
Aveva cercato di darsi un contegno, ma ogni volta qualcosa intorno a lui gli ricordava il momento in cui la sua faticosamente conquistata ed impensabile pace era stata distrutta da Black.
Di nuovo.
Piccoli particolari disseminati nelle sue stanze come quella dannata Infrangipalla vicino al tappeto o la scatola di latta dei suoi compiti sulla libreria. E la sua stanza.
Snape aveva lasciato tutto com’era e l’aveva sigillata.
Eppure qua e là il bambino-Potter aveva comunque lasciato dei segni della sua breve quanto profonda permanenza e Snape non riusciva a buttarli via né tanto meno a chiuderli in un ripostiglio.
Lasciava tutto com’era – perché non era una separazione definitiva, Harry, non lo era –  anche se sapeva che ogni casuale sguardo sarebbe stato una fitta di dolore nel rammarico di non aver lottato abbastanza per lui, così come non aveva potuto fare per lei.
Ironia della sorte che adesso legava la sua anima scura a madre e figlio ancor più saldamente.
Si alzò.
Era tempo di farsi compatire dal grande Dumbledore.



Harry si svegliò di nuovo di colpo, ma questa volta sapeva dare un nome e una faccia al sogno che lo aveva spaventato.
Zio Vernon era tornato a tormentarlo.
Aveva sognato che il signore lo riportava a casa dei suoi zii e poi si sedeva a guardare mentre Zio Vernon lo faceva lavorare per imparare come farlo lavorare anche lì, in quella casa buia e polverosa.
Il silenzio lo avvolgeva, ma non era come un abbraccio, era qualcosa che gli toglieva il fiato e che lo faceva sentire come ‘schiacciato’.
Non c’era mai nessuno.
Il signore spesso usciva ed Harry veniva chiamato solo per mangiare.
Era senz’alto una punizione perché Harry non aveva chiesto di lavorare. Il signore lo faceva mangiare tanto e così Harry vomitava e poi aveva di nuovo fame, ma la volta dopo mangiava di nuovo troppo e di nuovo vomitava e aveva ancora fame e così, per sempre.
Harry sapeva che avrebbe dovuto chiedere di lavorare, ma il maestro-Sevreus gli aveva spiegato che i bambini non devono lavorare, devono studiare ed ubbidire ai grandi, ma non a tutti i grandi, solo a quelli buoni. Poi il maestro aveva provato a fargli capire come riconoscere i grandi buoni, ma non era facile ed Harry non era ancora sicuro. Quello che sapeva era che il maestro era buono e forse un po’ buono era anche il signore dai capelli chiari, invece il signore non lo sembrava. Harry doveva dire, però che non era stato picchiato né nulla, ma il signore era strano, uno strano diverso da quello del maestro, che pure era strano, certo. Quello del signore era uno strano strano, nel senso che Harry non sapeva cosa aspettarsi e… non si fidava.
Il maestro aveva detto di non lavorare e quindi Harry non aveva chiesto di lavorare, ma non poteva nemmeno studiare, perché nessuno gli insegnava niente e non c’erano penne di piccione o fogli gialli in quella casa, ma solo tanti libri che Harry non poteva toccare.
E adesso erano tornati anche i brutti sogni. Harry aveva tanta paura che non se ne sarebbero andati senza l’uomo-Sevreus.
No, non ce l’avrebbe mai fatta, anche se avrebbe provato.
D’un tratto di nuovo comparve il cameriere-elfo e prima che potesse finire di parlare il piccolo Harry si era già alzato per andare a tavola.




“Desiderava vedermi, Preside?” chiese retoricamente Snape, entrando nell’ufficio del Preside come se ogni passo gli costasse sudore e sangue.

“Oh, Severus, caro ragazzo, come stai? Sono giorni che nessuno ti vede nella Great Hall. Gli elfi mi hanno detto che non stai consumando con regolarità i tuoi pasti…”

“Per favore, Preside. Se mi ha convocato per discutere delle mie abitudini alimentari, o della loro mancanza, allora posso ritenermi congedato”.

Fece per andarsene, ma naturalmente Albus non aveva che iniziato.

“Suvvia, Severus, rimani, per favore. E’ tanto tempo che non ho più occasione di godere della tua compagnia e spero così che tu possa parlarmi di come… vanno le cose”.

Severus si volse.
Un’espressione di marmo negli occhi.
Dumbledore sorrise amabilmente.

“Del tè?”




Quella notte fu la prima, la prima di molte in cui tutto sembrava finito per sempre.
La pace, la piccola serenità che Harry aveva trovato sotto la protezione dell’uomo-Sevreus era scomparsa come la neve nel Surrey quando arrivava la primavera.
Quella notte Zio Vernon era apparso di nuovo nei suoi sogni, ancor più spaventoso.
Camminava verso di lui e rideva con quel sorriso cattivo che Harry aveva imparato a conoscere e che portava sempre dolore e botte. Si muoveva verso di lui e intanto rideva e gli diceva ‘Sei di nuovo solo adesso, ragazzo. E lo sai che cosa capita quando sei solo? Adesso ti porterò vicino alle scale…’
Il terrore era stato troppo. Il piccolo Harry aveva urlato così forte da svegliarsi. Ma nessuna porta si era aperta, nessun rumore di passi che venivano a salvarlo. Nessun abbraccio nero e confortante, nessuno che lo cullasse. Niente. Niente.
E quel niente era spaventoso quasi quanto Zio Vernon o forse di più.
Perché era reale.




Albus lo aveva tormentato a sufficienza. Severus ricordava, nel buio del suo salotto, di aver contrattaccato ad un certo punto.

“Ha ricevuto notizie dai due… canidi, Preside? Circa il bambino, ovviamente…”

Albus aveva disapprovato la scelta del termine, ma non aveva potuto nemmeno apertamente confutarla.
Aveva scosso la testa, dunque, fermandosi nel gesto di riempire nuovamente la tazza di Severus quando questi aveva fatto cenno di no.
“Tristemente, niente. Ho richiesto la presenza di Remus, ma purtroppo la luna non ci è favorevole, sorgerà piena questa notte e il nostro amico avrà senza dubbio altro a cui pensare per qualche giorno”.

“Vedo che le cattive abitudini sono dure a morire…”

“Quelle di trasformarsi in un lupo, mio caro ragazzo?”

“No, le sue di affidare il bambino a degli incompetenti e poi non vigilare su di lui”.

La frase era stata come una tempesta su di un prato poco prima soleggiato.
Ma della reazione del grande e potente Dumbledore a Snape non importava.
Niente importava.

Albus chiuse gli occhi. Si era meritato quella stoccata. Lo sapevano entrambi.
“Ti prometto che mi informerò al più presto, dovessi anche presentarmi di persona a Grimmauld Place”.

“Allora farà bene a sbrigarsi, Preside – aveva risposto il giovane maestro, alzandosi. – Non vorrei che il viaggio verso quella casa fosse lungo cinque anni come il precedente”.

E con quel veleno finalmente sputatogli addosso se n’era andato.
A bere nelle sue stanze buie.



All’inizio il piccolo Harry ci aveva provato. Il maestro-Sevreus poteva essere orgoglioso di lui. Tutte le sere, prima di andare a letto o meglio, di stendersi sul tappeto ai piedi del letto, Harry faceva i suoi esercizi con la mente. Chiudeva gli occhi e respirava piano, sempre più piano e poi cercava di aprire la porta del suo luogo segreto, quello che il maestro gli aveva detto di creare e all’inizio Harry ce l’aveva fatta. Chiudeva gli occhi e all’improvviso nel buio, in fondo vedeva una luce, la luce di… un caminetto. Il caminetto del salotto dell’uomo. Tutto era uguale, tutto era come Harry lo ricordava. La piccola scrivania fatta per lui, i libri sugli scaffali, la scatola di latta, il pezzo di stoffa verde con la ‘S’ sulla parete, le piume di piccione dell’uomo, la scrivania grande e poi lì, davanti al fuoco, sulla poltrona verdeargento, proprio là, davanti a lui, l’uomo-Sevreus. I suoi vestiti neri, il suo mantello che aveva protetto Harry dal freddo quando gli uomini col cappuccio li avevano presi, il suo naso da pinguino, tutto. Poteva vedere tutto, ma durava sempre poco, durava sempre meno poi tutto scompariva ed ecco che Zio Vernon usciva dal buio e lo afferrava e lo picchiava e nessuno lo poteva aiutare.
Aveva smesso di urlare, tremava e basta, tremava come le foglie degli alberi quando soffiava il vento, ma nessuno veniva da lui.
Era solo.
E non poteva fare altro che piangere. In silenzio.



Severus non riusciva a dormire.
Ormai erano notti che girava per i corridoi bui e quieti della scuola in cerca di una pace che non trovava. Dumbledore non era riuscito affatto a rassicurarlo, né il giorno in cui avevano parlato né tutti quelli dopo. Era preoccupato. Nessuno sapeva niente del bambino e Lupin non si era presentato. Non sapeva se il dannato lupo avesse realmente prestato orecchio a quel suo consiglio gettato lì dalla penombra delle scale, non sapeva se fosse successo qualcosa, non sapeva se Lupin e quell’imbecille di Black avessero notato lo strano comportamento di Harry in determinate situazioni. Non sapeva niente.
E quel niente lo turbava.
Profondamente.
Quando rientrò nei suoi quartieri fuori ormai albeggiava.
Severus si sedé al suo tavolo e prese a scrivere furiosamente.




Quel giorno Sirius non aveva stupide incombenze legali o altre seccature simili e sapeva che Remus sarebbe rientrato a momenti dopo i suoi giorni da Moony. Aveva pensato di passare il pomeriggio con lui e con Harry. Sapeva di non poterlo portare fuori, Albus era stato tassativo su quel punto, ma potevano parlare di Quidditch o giocare a scacchi. Provò a cercarlo in camera, ma la stanza non sembrava solo vuota, ma positivamente disabitata. Provò a guardare in bagno, in cucina, nella sala finché non fu costretto a chiamare il suo stupido elfo domestico per domandarglielo.
“Il bambino è sempre nella sala della biblioteca” disse Kreacher con il solito tono di disgusto.
Congedato il caustico elfo Sirius si diresse a grandi passi verso la biblioteca dei Black. Sperava sinceramente che il bambino gli avesse dato retta quando gli aveva detto di non toccare nessun libro. La collezione di testi della sua famiglia era molto preziosa e, soprattutto, pericolosa. Nel corso dei secoli i suoi antenati avevano raccolto libri magici di ogni genere e Sirius non poteva fare a meno di preoccuparsi. Harry avrebbe potuto aprire uno di quei libri proibiti di magia nera ed essere risucchiato o fatto a pezzi. Arrivò alla porta trafelato, ma una volta aperta si bloccò.
Il bambino era lì, immobile, ai piedi di una vecchia poltrona. Guardava fisso davanti a sé gli scaffali, ma appariva incolume. Non sembrava aver toccato niente, sembrava solo perso, con lo sguardo nel vuoto.
Sirius fece per entrare, ma una voce alle sue spalle lo fermò.
Remus era rientrato in quel momento.
“Il buon vecchio, simpatico Kreacher mi ha detto che potevo trovarvi qua”.
Sirius sbuffò della fin troppo gentile ironia del suo amico.
“Già, dovrei proprio decidermi a dare un calcio ed un calzino a quell’elfo”.
“Ma poi dove finirebbe tutto il divertimento?”
Risero brevemente mentre Sirius indicava a Remus il bambino.
Poi socchiuse la porta della biblioteca e si volse verso il suo vecchio amico.
“Non… non credi che Harry sia un po’… strano, Remus? A quanto ho capito sta tutto il giorno là e fissa i libri  e poi tutti quei ‘Sì, signore’ e ‘No, signore’, mi sono presentato non so quante volte e ho perso il conto delle occasioni in cui gli ho detto come chiamarmi, ma niente. Pensi che possa essere… ritardato?”
Lupin rimase interdetto.
Non aveva notato nessun comportamento pienamente anomalo, ma poteva certo affermare che qualcosa in Harry era diverso rispetto a tutti gli altri bambini.
Intanto Sirius continuava.
“No, non può essere. Albus lo avrebbe detto e poi James e Lily erano perfettamente sani, pensi che possa essere stato quel maledetto Snivellus? Che gli abbia fatto qualcosa di orribile con tutte quelle sue pozioni disgustose? Perché se così fosse…”
Remus lo fermò prima che quel pensiero assurdo potesse diventare anche minimamente rispettabile.
“Sirius, non esagerare. Penso piuttosto che Harry sia un bambino molto timido e non dimentichiamoci di cosa ha passato. Poteva anche avere un anno, ma ha visto i suoi genitori morire. Dobbiamo essere comprensivi con lui. Le cose miglioreranno, vedrai”.

“Mh, sarà come dici, ma molto presto ho intenzione di tornare da Albus per saperne di più”.

“E sarà meglio farlo alla svelta anche, sono giorni che ci cerca, credo ci siano diversi suoi messaggi nella posta, hai avuto modo di controllare cosa dicessero?”

“No, sai che ho avuto molti impegni con i notai per la vendita di quelle proprietà mentre ero in prigione. Il Ministero si è appropriato di quasi tutti i beni della mia famiglia, ma li riavrò indietro, ne puoi star certo”.        

Insieme si diressero in cucina, dove Kreacher aveva raccolto la posta arrivata in quella settimana.
Sirius prese a frugare fra le lettere. Erano giorni che non aveva il tempo di fare niente con tutti quei maledetti avvocati e le sere passate a…
Non voleva soffermarsi su quello adesso.
I demoni che lo tormentavano dovevano restare chiusi dietro ai suoi occhi.
Aveva Harry a cui pensare.
Nella posta trovò quattro o cinque lettere di Albus. Tutte chiedevano la stessa cosa.
Notizie del bambino.
Tsk, perché mai Albus si preoccupava tanto? Il bambino era dove doveva essere, dove era giusto che fosse, con il suo padrino, insieme a due dei migliori amici dei suoi genitori. Non certo con quel dannato Death Eater.
Si lasciò nuovamente distrarre dalla corrispondenza arretrata fino a che non trovò fra le altre una lettera che non era indirizzata a lui.
“Questa è per te, Remus”.

Il giovane lupo alzò un sopracciglio, meravigliato.
Non riceveva molte lettere, fatta eccezione per le comunicazioni di Albus, ma quella non sembrava affatto la sua calligrafia.
Fece per aprirla, ma qualcosa lo fermò.
La ripose per poi leggerla più tardi.
Era quasi ora di cena ormai.
Sirius finì di controllare la sua posta, esclamando qui e lì per il disappunto ed inveendo contro questo e quel funzionario del Ministero.
“Ecco, un altro dei miei possedimenti venduto illegalmente” stava gridando nel momento in cui Kreacher li avvertì che tutto era pronto e che il bambino era stato chiamato.
Così anche quella cena scivolò via presto. L’unica cosa spontanea che Harry faceva era domandare di Snape e naturalmente questo faceva infuriare Sirius.
Ma quella sera il giovane mago dai capelli neri non si era arreso.
Aveva portato il bambino in salotto deciso a passare del tempo con lui, ma Harry era rimasto in piedi, non si era avvicinato né a lui né alla scacchiera e persino quando Sirius aveva cominciato a parlargli del Quidditch aveva ascoltato senza chiedere nulla, senza mostrare nessun interesse.
Lo guardava, lo guardava e basta con quegli enormi occhi verdi che sembravano scrutarlo, giudicarlo, accusarlo.
Fu Remus a porre fine alla serata prima che potesse evolversi in un disastro completo.
Dopo aver chiesto una tazza di tè per tutti congedò il bambino e consigliò a Sirius di andare a riposarsi. Il giorno dopo sarebbe stato un giorno migliore.


Rimasto solo Remus salì nelle sue stanze e mentre si preparava per coricarsi, riponendo la giacca su una delle antiche poltrone, si ricordò della lettera che aveva ricevuto.
Incuriosito dalla bizzarria del mittente misterioso la aprì.
La lesse in pochi minuti, avvezzo com’era, da buon professore, a divorare libri e si sorprese grandemente di trovarvi in fondo la firma di Minerva.
La Professoressa McGonagall non gli aveva mai scritto e adesso lo faceva per parlargli… delle abitudini alimentari di Harry Potter?
Sì, la lettera non era altro che una serie di gentili consigli sul bambino, su come Madam Pomfrey si fosse raccomandata con tutti ad Hogwarts di far mangiare il piccolo Harry poco e spesso, di come fosse importante favorire il suo sviluppo con alimenti sani e nutrienti, di come avesse bisogno di essere guidato in molte delle attività quotidiane perché insicuro e di come fosse essenziale, anzi ‘vitale’, diceva la lettera, non spaventarlo in alcun modo, con la voce o peggio ancora con atteggiamenti o gesti collerici. Infine concludeva, scusandosi per la sua insolita intromissione, ma aveva ritenuto cosa buona e giusta informarli di ciò che forse non avevano avuto il tempo di sapere andando via in fretta dal castello.
Lentamente Remus si sedette alla propria scrivania. Rilesse la lettera ancora una volta e poi prese a fissarla, riflettendo.
Il modo di esprimersi diretto e gentile sembrava inequivocabilmente quello di Minerva ed anche la firma pareva essere la sua, Lupin aveva avuto modo di vederla diverse volte su documenti ufficiali dell’Ordine eppure qualcosa, qualcosa di sottile allertava i suoi sensi.
Qualcosa che…
D’impulso prese la lettera e l’annusò.
No.
Quello non era l’odore dello studio di Minerva.
Non era quell’aroma un po’ antico di foglie di tè essiccate, gesso e pot-pourri.
No.
Quell’odore era più… ricordava l’infermeria, ma non la biancheria sterile dei letti o il profumo dolciastro di Madam Pomfrey, ma di qualcosa che si trovava in infermeria… come…

Pozioni!

Sì, era l’odore sottile delle erbe secche mescolate, della magia incatenata in un liquido.
Era l’odore che aveva l’aula di Pozioni nei suoi ricordi di studente, era l’odore del loro vecchio Professore.
E, presumibilmente, anche di quello nuovo.

Era l’odore di Snape.

Naturalmente se Remus non fosse stato un licantropo non avrebbe mai potuto percepire quel lieve aroma rimasto intrappolato nella pergamena anche dopo ore di volo di un gufo.
Ma, fortunatamente o sfortunatamente, Lupin poteva e ne aveva la certezza.
Quella lettera non era di Minerva.
Era semplicemente impensabile credere che la Professoressa McGonagall si fosse fatta invitare da Severus Snape nei suoi quartieri solo per usare la sua carta da lettera.
E poi alla riunione Albus non aveva parlato del coinvolgimento degli altri Professori nella cura del bambino. Anzi quasi tutti i presenti erano sembrati all’oscuro persino della sua esistenza…
Restava da capire perché mai Snape fosse arrivato a tanto.
Quello che poteva essere affermato con sicurezza era che quei consigli non sembravano una trappola.
Bastava guardare il bambino. Se possibile sembrava ancor più magro di quando era arrivato, nonostante tutta la roba che Sirius gli faceva mangiare. Probabilmente la strategia migliore con un bambino così piccolo e sottopeso era proprio quella di permettergli di mangiare più spesso e in quantità minore. Eppure non ci avevano pensato.
La realtà era che loro non avevano nessuna idea di cosa volesse dire crescere un bambino.
Nessuno di loro ne aveva esperienza, nemmeno in famiglia.
Erano sempre stati, per un motivo o per l’altro, e ironicamente, due lupi solitari e non riuscivano neppure ad immaginare cosa volesse dire rivoluzionare la loro vita per occuparsi di Harry.
Non era così facile come sembrava su quel foglio di affidamento.
Non lo era affatto.
Oltretutto, a rendere più gravosa una situazione che non aveva affatto bisogno di essere ulteriormente complicata, c’era anche la pura e semplice verità che Harry stesso non desiderava affatto stare con loro. Naturalmente non lo aveva mai detto e non lo avrebbe fatto, aveva troppa paura, si vedeva, ma lo pensava, era chiaro, traspariva da ogni suo gesto, da ogni suo silenzio.
Remus ricordava bene l’espressione di pura gioia che aveva visto su quel piccolo viso quando era andato ad Hogwarts per parlare con Albus il giorno in cui avevano portato via il bambino.
Il suo sorriso era radioso quel giorno sulla neve ed i suoi occhi verdi non vedevano che… Severus Snape. A lui aveva rivolto quell’espressione felice, a lui anelava, sua era la mano che Harry aveva cercato, afferrato.
Mentre di Sirius rifiutava persino di ricordarsi il nome e, ancor più certamente, non lo avrebbe preso per mano, non lo avrebbe toccato.
Certo, Sirius era il padrino di Harry, l’uomo scelto da James e Lily per vegliare sul bambino in quei tempi oscuri, ma forse non era la decisione più giusta.
Oh, Dio.
Era così difficile pensare, così complicato vivere, scegliere, fare la cosa migliore.

Ripose la lettera in un cassetto e spense le luci.
L’indomani avrebbe cercato altre risposte.
In Harry.



Il silenzio era completo e totale. Una lama che affondava nel suo petto, trafiggendolo in un letto di sudore in cui non trovava pace. Ogni volta che desiderava anche solo un attimo di chiudere gli occhi immagini di quello che aveva perduto lo tormentavano, strappando le sue carni incatenate al cotone.
Pensava a lui, a quel piccolo pezzo di paradiso scomparso. Se respirava abbastanza profondamente poteva vedere con gli occhi della mente il suo sorriso candido, sembrava quello di lei, in tutto e per tutto. Uguale, ma diverso.
Un dolore profondo colorava di malinconia quegli occhi sul visetto pallido.
Lontano, lontano da lui.
Come la pioggia che cadeva sulla terra metri sopra il suo letto.
Da lì non poteva udirla, mai.
Così come non poteva vedere più il bambino di quel giglio.
Non poteva salvarlo.
Harry.

‘Maestro Sevreus’

Si alzò dal letto di scatto, nel buio delle sue stanze.
Si guardò attorno prima di mormorare un ‘Lumos’ con labbra quasi tremanti.
Eppure… eppure aveva udito la sua voce.
La voce del suo bambino-Potter.
Come se fosse lì, con lui.

Si prese la testa fra le mani, lasciandosi andare sulla sponda di un letto vuoto come il suo cuore.
Troppo poco sonno, troppo liquore, troppo dolore.
Doveva essere stato un parto della sua mente sconvolta dall’impotenza.
Si ripiegò quasi su se stesso.
Un verme, non era che un nero, sudicio, vigliacco verme.
Avrebbe dovuto prendere la bacchetta e smaterializzarsi a Grimmauld Place adesso, prendere Harry, portarlo via ed invece era… inutile.

Inutile.




Inutile, era tutto inutile. Non aveva più lacrime, ormai. Ma la paura lo soffocava tanto da fargli pensare che non sarebbe mai andata via. E provava ancora, nonostante tutto, provava tutte le notti a visitare il suo posto segreto, quello che altro non era che la stanza del maestro. E lo vedeva sulla poltrona, tutte le notti, ma non poteva toccarlo, non poteva farsi rassicurare dal suo abbraccio, dalla sua voce.
E lo chiamava, lo chiamava senza fermarsi mai, tutta la notte.
Nella sua testa.
Lo chiamava.



Remus scese in cucina per primo, molto presto. Non chiamò Kreacher. Se anche l’avesse fatto certamente l’elfo non avrebbe eseguito gli ordini di uno sporco licantropo e poi Remus preferiva prepararsi da solo un buon tè, il susseguirsi lento di quelle azioni talmente conosciute da essere automatiche aveva il potere di rilassarlo. Mentre attendeva che l’acqua arrivasse alla temperatura giusta decise di recarsi nella sala della biblioteca per prendere un libro con cui passare il tempo in attesa degli altri.
Lì sulla soglia si bloccò.

Harry.

Il piccolo Harry sedeva là, a terra, la testolina arruffata contro il legno vecchio di una poltrona logora.
Cosa facesse lì a tutte le ore del giorno era un mistero.
Era passata solo da poco l’alba.
Il bambino dormiva e giorno dopo giorno gli enigmi attorno a lui, ai suoi comportamenti, invece di dissolversi aumentavano.
Tornò dunque sui suoi passi e bevve in profonda riflessione il proprio tè, pensando a quello che stava succedendo.


Qualche tempo dopo Sirius lo raggiunse. I suoi occhi sembravano ancor più neri dell’inferno che probabilmente era stata quella notte anche per lui.
Senza dire niente Remus gli porse del tè caldo e poi si alzò per chiamare Harry.

Lo svegliò piano e nonostante ciò lo vide indietreggiare, terrorizzato. Gli occhi dilatati come un cervo nel bosco che tenta di fuggire dal cacciatore.
Decise di soprassedere, Sirius li stava aspettando.
“Vieni Harry. La colazione è pronta”.

Il bambino si mise in piedi senza dire niente. Quando raggiunsero la porta si volse un attimo, guardò i libri con qualcosa di simile al desiderio poi alzò gli occhi su di lui.
Remus si sentì trafitto da quello sguardo.
Così profondo e disperato insieme.
Sembrava che stesse per parlargli e Lupin si ritrovò a trattenere il fiato.

“Quando posso vedere il Maestro, signore?”

Era, ancora una volta, solo quello.
Remus chiuse la porta alle loro spalle.

“Non lo so Harry, ma non chiederlo di nuovo davanti a Sirius, credo non sia di buon umore questa mattina” e sorrise, cercando di alleggerire quel rinnovato silenzio che sarebbe durato, sapeva, fino alla prossima richiesta di vedere Snape.















Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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Capitolo 27
*** 27 - What about us? ***


The Heart of everything 27
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.

Tutto bene, sospirone di sollievo e mille grazie per tutti gli auguri che ho ricevuto. L'operazione agli occhi è stata un successo YAY!
Capitolo nuovo e forse anche un altro fra non molto.
Perdonate l'attesa.

Mel Kaine


 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

 27 - /What about us? /


 




Il pranzo quel giorno fu completamente diverso.
Harry si presentò a tavola con rassegnazione, pronto a mangiare come al solito tutto e certo di sentirsi male dopo.
Invece il suo piatto non era pieno come sempre, non poté impedirsi di guardarlo sollevato, ma subito alzò lo sguardo per vedere se i due signori lo avevano visto. Era da stupidi essere contenti perché ti hanno dato poco cibo, Harry lo poteva capire, ma non era riuscito a trattenersi.
Il signore con i capelli chiari lo guardava attentamente e gli sorrideva. Harry pensava ogni volta che avesse un sorriso gentile e se non fosse stato uno dei due signori che lo avevano portato via dal suo uomo-Sevreus Harry, forse, lo avrebbe anche trovato simpatico, almeno un pochino, ma non poteva dimenticarsi di quel giorno orribile in cui li avevano separati.
L’altro signore, invece, non si era accorto di nulla, ma Harry se lo aspettava. Sembrava spesso perso in un mondo tutto suo, come faceva a volte Harry, solo che le fantasie del signore non dovevano essere tanto belle, ogni volta sembrava sempre più scuro in viso.

“Va meglio così, Harry?” chiese Lupin.

“Sì, signore” rispose il bambino.

Immediatamente Sirius abbandonò i suoi pensieri per unirsi alla curiosa conversazione.
“Cosa, Remus? Ci sono problemi?”

“No, al contrario – sorrise il licantropo. – Semplicemente ho maturato il pensiero che se Harry è così magro perché ha mangiato poco prima di arrivare qui cercare di fargli riprendere peso a tappe forzate, riempiendogli il piatto, non è la scelta migliore. Credo che Harry preferisca mangiare meno e forse, un po’ più spesso, dico bene, Harry?”

Il bambino alzò lo sguardo su di lui.
Ecco, allora era stato il signore dai capelli chiari a pensare a quello. Certamente non poteva essere stato l’altro signore.
Il piccolo Harry lo guardò negli occhi, come gli aveva insegnato il maestro e gli rispose:
“Sì, grazie signore Lupo”.

Remus scoppiò a ridere per la quanto mai adeguata storpiatura del suo nome, ma quando incrociò gli occhi di Sirius vide la tempesta in quelle iridi e tornò serio.
Il suo amico doveva essere furioso.
Con quella frase il bambino aveva reso chiaro che sapeva perfettamente i loro nomi ( o quasi perfettamente ) e che l’unico motivo per il quale non li usava era che non ne aveva nessuna intenzione.
Temendo di aver fatto peggio nel tentativo di fare la cosa giusta Remus si affrettò a cambiare discorso.

Quel pomeriggio Harry non si sentì male e appena poté corse nella sala dei libri per sedersi accanto alla poltrona e fantasticare sul suo uomo-Sevreus.
Ecco, adesso erano in un bosco, e i due signori li rincorrevano, anche se quello con i capelli chiari non sembrava tanto convinto, ma lo faceva perché gli era stato detto dall’altro. E loro scappavano e si rifugiavano in una casetta di legno dove il maestro tirava fuori le sue pentole enormi e creava un liquido magico super-forte. Poi si nascondevano fra i rami e quando il signore passava loro gli gettavano addosso un secchio con il liquido magico e subito il signore si dimenticava perché li stava inseguendo, diceva loro buongiorno e spariva. Così Harry ed il Maestro potevano fare una gita nel bosco e vedere gli animali e accendere un fuoco e fare merenda.
Piano piano si addormentò, un po’ più sereno.


Ancora incerto se parlare o meno a Sirius della lettera e dei suoi sospetti Remus lo lasciò da solo, fino a che non fu proprio il suo vecchio amico a venire a cercarlo.
Sembrava più calmo, ma Remus poteva sentirlo sulla pelle, Sirius aveva accusato il colpo e forse non lo aveva incassato così bene come voleva fargli credere.
Comunque quel pomeriggio sembrava deciso a ritentare la fortuna con il bambino. Aveva persino comprato dei dolcetti per la merenda.
Ma quando trovarono il bambino, ancora in terra, ancora nella biblioteca, nuovamente addormentato, Sirius chiuse la porta e sbottò.
“Possibile, Remus? Sono giorni, giorni che sta lì in terra, come… come un cucciolo abbandonato, dannazione. Non so nemmeno se sia normale per un bambino dormire così tanto di giorno…”

“Non saprei proprio, Sirius, non ho consigli utili in questo campo, sai che di bambini ne so quanto te…”

“Eppure non sembrava. A pranzo la tua scelta, a differenza della mia, ti è valsa un ringraziamento personalizzato”.

Remus si aspettava quel commento ed era più che felice che il suo vecchio amico se la prendesse con lui piuttosto che con il bambino. Lupin sapeva che non doveva essere facile per Sirius, non doveva esserlo affatto. Su di lui gravavano troppe responsabilità e nonostante tutta la sua spavalderia Sirius non si era affatto rimesso dai suoi anni di prigionia.

“Suvvia, Sirius, non avertene a male. Devi sapere che non sono stato io ad avere quell’idea, anche se sì, ho voluto fare il grand’uomo, lo ammetto” e rise, alleggerendo la tensione fra loro.

Questo attirò subito l’interesse di Sirius, così come Lupin si aspettava.
“Che vuoi dire?”

“Volevo mostrartela ieri, ma era tardi. La lettera misteriosa. Non è altro che una serie di consigli su come occuparsi del bambino. E’ là che ho trovato quell’idea”.

“E chi te l’ha mandata? Albus?”

“Minerva”.

“Minerva?”

“Già. Come te non so che pensare. Credo sia meglio parlarne con Albus al più presto. Ci sono molte cose che non capisco, Sirius, sinceramente”.

“Mh. Il problema è che non so quando potrò essere presente. Le cause per i miei beni venduti illegalmente stanno per cominciare”.

“Lo capisco, ma dobbiamo trovare il modo, sento che è importante, Sirius”.

Il mago dai capelli scuri si passò una mano sul viso.
“D’accordo, farò quello che posso”.





‘Maestro Sevreus’

‘Maestro Sevreus’



‘Maestro Sevreus’



Snape si alzò di scatto dalla scrivania su cui stava studiando testi antichi.
Era notte fonda, ma non aveva avuto desiderio di dormire.

Non poteva certamente convincersi adesso che era stato il vento o l’alcol o il dolore.
L’aveva sentito distintamente.
Risuonare fra le pareti della sua testa, triste e disperato.


Harry.


“Harry, come stai?” chiese a voce alta.


Forse stava impazzendo, forse no.

Scrivere quella lettera l’aveva fatto sentire utile giusto il tempo di scriverla. Naturalmente non avrebbe mai potuto firmarla con il proprio nome, quel cane bastardo di Black l’avrebbe bruciata prima di consegnarla al dannato lupo mannaro e i consigli che sperava leggessero erano più importanti di una lurida questione d’orgoglio.
Ma anche quella luce di conforto si era già spenta e la sensazione che Harry non stesse bene, che fosse disperato ( come lui? ) si era conficcata nella sua testa come quella voce che lo chiamava.
Aveva ripreso in mano le redini della sua vita molte volte in quegli anni, uscendo da qualsiasi situazione, ma adesso si sentiva stanco.
Forse una di quelle notti sarebbe andato da Albus e lo avrebbe salutato, per sempre.



Con qualcosa nello stomaco e meno fame Harry si sentiva un po’ meglio, ma i giorni felici li aveva ormai dimenticati. Il signore cercava di passare del tempo con lui ed Harry non si sarebbe certo permesso di evitarlo, ma avrebbe voluto. Quello che faceva o diceva semplicemente non gli interessava. Harry non sapeva niente di un certo gioco che il signore chiamava ‘quinci’ e qualcosa e non capiva nemmeno perché il signore sembrava convinto che Harry dovesse per forza volerlo giocare assolutamente. Harry non voleva giocare. Voleva imparare. Voleva conoscere, scrivere, leggere. Tutte quelle cose che il Maestro aveva cominciato ad insegnargli e che a Harry piacevano tantissimo. E poi Harry non avrebbe giocato a niente se non poteva avere la sua palla, il suo primo ed unico regalo di Natale. Sapeva che il signore spesso si comportava meglio di suo Zio Vernon e non lo picchiava e non gli urlava brutte parole quando Harry non mostrava interesse, ma tutto era diverso ora.
Il Maestro gli aveva spiegato che Harry doveva fare quello che sentiva giusto, quello che voleva, a patto che non andasse contro le regole buone dei grandi buoni, quelle che ‘vigevano’ per proteggerlo dalle cose che ancora non conosceva o capiva.
Harry sapeva cos’era un padrino e se davvero il signore era il suo padrino Harry poteva capire perché cercava di passare il tempo con lui, ma quello che non poteva perdonare al signore, al nonnino e anche al signore coi capelli chiari era di non aver chiesto cosa voleva Harry.
Avevano sbagliato.
Per la prima volta Harry lo sapeva.
Quei grandi avevano sbagliato.
Era libero di saperlo, di sapere che anche i grandi sbagliavano e che avevano sbagliato con lui. Che non era Harry ad essere il solo a sbagliare.
Questo, questo era stato il regalo d’addio del Maestro.
E mai, niente, mai, davvero mai, sarebbe stato altrettanto bello e importante.





“Maestro Sevreus…”

“Sì, Harry?”

“Harry può…”

“Harry…” un tono di lieve rimprovero.

“Oh, sì, Maestro. Scusa, Maestro. Posso chiedere cosa stai facendo, Maestro?”

“Certo, chiedere è sempre permesso. Lo scriverai per me dopo e lo metteremo nel tuo quaderno delle regole”.

“Sì, Maestro!”

Silenzio. Il bambino lo guardava, rapito.

“Cosa fai, Maestro?”

“Sto creando una pozione, Harry”.

“Cos’è una pozione?”

“È un liquido magico con delle proprietà, cioè delle caratteristiche, diverse a seconda degli ingredienti che vengono usati per prepararlo. Lo studio di come riconoscere tutti gli ingredienti ed i loro molteplici, che vuol dire ‘tanti’, usi è quello che io insegno in questa scuola”.

Il bambino lo guardò negli occhi, la piccola bocca schiusa in una ‘oh’ sorpresa, la testolina piegata di lato, come sempre quando qualcosa lo lasciava perplesso.
“Ma il Maestro non insegna a cucinare?”

Severus soffocò una risata mentre immaginava che faccia avrebbero fatto i suoi studenti se mai avessero sentito una cosa simile. La sua reputazione sarebbe crollata come un castello di sabbia. Fortunatamente quei momenti erano solo loro e Snape era un ottimo Occlumante.

“Per quelle persone che non conoscono la magia potrebbe sembrare un piatto cucinato con ingredienti strani, Harry. Ma noi siamo maghi e pozioni come questa possono aiutarci a salvare la vita di altre persone e ottenere la soluzione a molti problemi”.

“Il Maestro salva le persone?”

“Occasionalmente, Harry”.
Il bambino batté le manine, estasiato.
“Il Maestro è un eroe, Harry lo sapeva!”

“No, Harry, non credo ci sia nessuno né in questo mondo né in un altro che possa considerarmi un eroe”.

Labbra tirate in un leggero broncio.
“Harry c’è. Per Harry il Maestro è un eroe, un grande eroe”.



Quanto si era sbagliato, ma ormai doveva già essersene accorto.
Severus Snape non era e non sarebbe mai stato un eroe per nessuno.
Si destò da quell’ennesimo ricordo con apatia.
Non provava più nemmeno dolore.
Solo desolazione.
Quei ricordi invadevano spesso la sua mente, durante il sonno travestiti da sogni e adesso anche di giorno, come stupide fantasie a occhi aperti.
Frammenti perduti, come petali caduti da steli marroni ed appassiti.
Il tempo li avrebbe ricoperti di polvere come la cornice con la foto di Lily, sfocando i contorni dei visi, lasciando solo una vaga sensazione di aver perso qualcosa (tutto) nello scorrere di un tempo non voluto e tiranno.

‘Maestro, cosa fai?’

Le domande di Harry, la sua voce, rimanevano nell’aria a lungo, anche dopo che le fantasie si erano assopite ed egli sempre rispondeva loro, come se conversassero, lui ed il suo bambino, di nuovo.

“Aspetto una vita in cui riavrò tutto quello che ho perso, Harry” mormorò.

Ma gli unici occhi che si fermarono a guardarlo erano quelli delle stelle nella Torre di Astronomia.












Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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Capitolo 28
*** 28 - The howling ***


The Heart of everything 28
 Disclaimers: These characters don’t belong to me. Eventual issueing gets me no profits. All rights reserved to the legitimate owner of the copyright.



Non presto quanto desideravo, ma almeno bello lungo! E parecchio denso di avvenimenti. Nuovo capitolo per salutare l'estate che arriva. Buone vacanze a chi fosse già partito o in procinto di farlo.

Mel Kaine

PS. In questo capitolo succede una cosa la cui idea mi era stata ispirata da alcune fanfiction che avevo letto quando iniziai questa, riportate nel primo capitolo. Ringrazierò sempre quelle due autrici inglesi per le loro storie, perchè è così che ho potuto iniziare questa, spinta dalla loro ispirazione. Leggere è il cibo dell'anima.

 

 

 

 

 



The Heart of Everything

 

 

 

 28 - / The howling /




Quella sera Sirius mangiava svelto ed in silenzio.
Pessimo segno, disse fra sé e sé Remus.
La causa per le sue proprietà non doveva essere cominciata nel migliore dei modi e poi Harry lo aveva chiamato ancora ‘signore’.
La serata sarebbe diventata difficile, Lupin poteva prevederlo e avrebbe voluto intervenire, ma Sirius non lasciò tempo a nessuno per fare niente.
Ordinò ad Harry di seguirlo in salotto per un’altra inutile e frustrante conversazione, probabilmente.
Nessuno poteva dire che Sirius non avesse provato qualsiasi strada con Harry, nei limiti del tempo a sua disposizione e delle sue conoscenze sui bambini, ovviamente.
Non era un cattivo padrino, questo lo avrebbe potuto vedere chiunque, ma Azkaban non lo aveva lasciato con più pazienza di quando era entrato e per sua natura Sirius desiderava ottenere i propri risultati subito, senza mai comprendere quando invece era meglio ritirarsi per riorganizzare la strategia.
Probabilmente si era convinto di riuscire a catturare l’attenzione del figlio di James con i suoi ripetuti inviti a sedersi accanto, con i suoi racconti su lui e James da ragazzi, con giornali di Quidditch e le caramelle.
E questo, presumibilmente, avrebbe convinto qualsiasi altro bambino, col tempo.
Ma non Harry.
Harry non era come gli altri bambini.
Remus ne era certo ormai.
C’era qualcosa nei suoi occhi, nei rari momenti in cui nessuno parlava in salotto ed Harry si avvicinava al fuoco, qualcosa che possedeva una profondità innaturale per i pochi anni che aveva vissuto. Qualcosa che Harry condivideva con chi, come lui, Sirius e Snape, aveva visto l’inferno ed era sopravvissuto per raccontarlo.
Ma Harry non avrebbe mai potuto ricordare la prima guerra contro Voldemort, era troppo piccolo e quindi le ombre nel verde foglia dei suoi occhi non avevano una spiegazione, ma lo inquietavano. Lo lasciavano turbato, lo riempivano di dubbi che Remus non sapeva a chi sottoporre.
Albus? Con la sua potente, sapiente mente? Con i suoi misteri e le sue trame intrecciate?
Sirius? Con tutta la sua buona volontà? Con tutti i demoni della follia e della vendetta?
Minerva?
Madam Pomfrey?


Severus Snape?



Certamente il Maestro di Pozioni non gli avrebbe mentito a discapito del figlio di Lily. Dopo quelle parole sulle scale e quella lettera Remus lo sentiva.
Qualcosa li legava, ma cosa?


Non ebbe modo di riflettere ancora perché Sirius lo interruppe con i suoi goffi tentativi di attirare l’attenzione di Harry.
Prima aveva provato con le parole, poi gli aveva offerto dei dolci.
Ma il bambino aveva rifiutato.
“Il Maestro dice che non fa bene mangiare dopo… aver mangiato, signore. Grazie, signore”.

“Certo, il ‘Maestro’…” sputò Sirius, gettando di lato la confezione di biscotti che aveva comprato quel pomeriggio.
Si alzò in piedi.
“Perché lui sa cosa è bene e cosa è male” rise, sprezzante.
“Sirius” lo riprese bonariamente Remus.
“Non provare a difenderlo come fai sempre, è la verità e lo sai anche tu – rispose Black, inalberandosi – anzi lo dovrebbe sapere anche Harry. Giusto Harry? Vuoi sapere la verità sul tuo caro ‘Maestro’?”

“Sirius, per amor del cielo, ti rendi conto di quello che stai dicendo? Credo che questa serata sia meglio concluderla qui…” fece per alzarsi per portare su il bambino quando Sirius gli rispose.

“Oh no. No, no, no, Remus. Questo modo di fare non porta da nessuna parte. Abbiamo aspettato, siamo stati pazienti, sono stato paziente, ma in dieci giorni non gli ho mai sentito pronunciare neppure il mio cognome. Naturalmente sono sicuro che sia colpa del maledetto Snivellus eppure bisogna chiarire le cose, qui, adesso”.

La situazione stava precipitando, Remus non sapeva cosa aspettarsi, impercettibilmente cercò di farsi vicino ad Harry. Non pensava veramente che Sirius gli avrebbe fatto del male, ma doveva ammettere di non conoscere più così bene il suo amico come faceva finta di credere. Era già passata quell’ora della sera in cui arrivavano i suoi demoni, i suoi tentativi con Harry avevano impegnato tutto il resto del tempo e le ombre nei suoi occhi già neri si stavano facendo dense.
Cercò di riportare l’attenzione su di sé.

“Cosa vorresti chiarire, Sirius? Ti rendi conto che Harry ha troppi pochi anni per capire una storia complessa come la nostra? Un giorno saprà e potrà decidere, ma non puoi coinvolgerlo nel tuo risentimento, non è giusto per lui”.

“Certo e quello che è giusto per me? Nessuna giustizia per Sirius Black incarcerato senza prove e marchiato come assassino mentre adesso l’eroe è Snivellus. Intrepido cavaliere senza macchia né peccati. Tsk!”

“Questo non ha nulla a che fare con Harry”.

“Ha tutto a che fare con Harry, invece. Sono stanco del suo fantasma fra di noi. Harry è dove dovrebbe essere e imparerà a farselo andare bene”.


Ecco.
Era il momento.
Anche qui sapeva che sarebbe arrivato, ma come la volta precedente quando era stato portato via e anche se se lo era aspettato era stato malissimo, anche ora sapeva, aveva immaginato, ma non poteva fare niente per mandare via quella paura grandissima che lo stava afferrando.
Il signore era furioso, furioso come Zio Vernon, anche se non diventava tutto rosso in viso perché era magro, si vedeva bene che era arrabbiato.
Ora Harry sapeva cosa fare, cosa non dire, come comportarsi, ma non ci riusciva.
La paura gli impediva di muoversi e anche se quello che il Maestro gli aveva detto sui grandi, che non avrebbero dovuto fargli male, che non era giusto, gli era sembrato così vero e bello sapeva anche, soprattutto adesso, che la realtà non era così.
Che ci sarebbero sempre stati dei grandi che avrebbero voluto fargli del male e lui non sarebbe riuscito a fare niente per fermarli.
In quegli attimi di puro terrore tutto quello al quale poteva aggrapparsi era il suo posto segreto nella mente, quello in cui rivedeva il Maestro accanto al camino che lo invitava sulle sue ginocchia.
Quanto desiderava vederlo, farsi stringere dalle sue braccia, farsi accarezzare sulla testa dalle sue mani grandi, sentire la sua voce profonda avvolgerlo.
Cominciò a piangere mentre i ricordi della vita prima del Maestro e di quel momento si confondevano. Alzò due occhi disperati sul signore dai capelli chiari che era vicino a lui.
Sapeva che non avrebbe dovuto, non in quel momento, non con il signore furioso, pronto a portarlo vicino alle scale per picchiarlo, ma non aveva potuto fermarsi.
Voleva il suo uomo-Sevreus, lo desiderava con tutte le sue forze.
“Dov’è il Maestro? Posso vedere il Maestro, per favoreperfavore… ?”


A quelle parole Sirius perse il controllo.



Veloce come un’ombra afferrò il bambino per le spalle e lo scrollò con impeto.
“NON C’E’ NESSUN MAESTRO. NON LO VEDRAI PIU’. BASTA! SMETTILA DI CHIEDERLO! SMETTILA!” gli urlò sul viso prima di rinsavire e allontanarsi bruscamente.

Nel silenzio innaturale, mentre le lacrime di Harry gocciolavano ancor più copiose sui suoi vestiti e sul pavimento Remus si pose di fronte a bambino e guardò Sirius con uno scintillio pericoloso negli occhi venati di giallo.

“Ti consiglio di ritirarti nelle tue stanze. Adesso”.

Sirius si passò una mano fra i capelli, improvvisamente conscio di quello che era accaduto, di quello che aveva fatto.
In perfetto silenzio il bambino piangeva, immobile come uno di quei nanetti di gesso nei cortili.
Il suo amico era furibondo. La situazione irreparabile.

“Remus per favore… io… lo sai che…”

“Le mie congratulazioni per esserti comportato esattamente come Snape aveva predetto”.

Si guardarono un istante, mentre Remus consapevolmente affondava la lama nella sua ferita più aperta.
Ma la conversazione doveva essere rimandata.
Senza aggiungere altro Sirius sparì su per le scale.


Rimasto solo nell’angosciante ticchettare del pendolo di quella sala Lupin si volse per occuparsi del bambino.
Ancora una volta la sensazione di qualcosa di profondamente sbagliato lo avvolse quando vide il piccolo Harry restare immoto nell’esatto punto in cui era stato afferrato, le lacrime che gli bagnavano completamente il viso e la maglietta, ma nemmeno un suono, un singhiozzo, un fiato.

“Harry?”

“Sì… signore?”

Nessun capriccio, nessun urlo, nessuna crisi.
Niente.

“Parliamo, Harry”.


“Sì, signore”.


Quella risposta automatica, quella postura statica, quegli occhi profondi e bui ed enormi. Silenzio. Che si allungava, che cresceva in un vuoto che sembrava espandersi dallo sguardo di quel bimbo a tutto l’universo intorno.
La sensazione si fece terrificante, soffocante.
Remus si sedé sul divano.

“Fai un passo avanti, Harry”.

Un solo passo.
La piccola schiena diritta come un palo, le mani chiuse.
Un soldato? Un servo?


“Un altro Harry, vieni qui”.

Ancora un ordine eseguito, le lacrime che scorrevano.
Tutto era così innaturale, claustrofobico.


Harry era davanti a lui, Remus avrebbe voluto sollevarlo e prenderlo in braccio come aveva fatto innumerevoli volte con tutti i bambini che aveva incontrato.
Ma quando fece per sollevarlo con delicatezza lo sentì irrigidirsi completamente, come un blocco di granito. Se i suoi occhi non fossero stati fissi sul pavimento vi avrebbe di sicuro letto dentro la volontà di dimenarsi, di scappare. Quando aveva allungato le mani per prenderlo non gli era sfuggito il lieve scatto indietro del suo corpicino.
Lo lasciò subito andare, come scottato.

“Possiamo parlare anche così, giusto Harry? Io qui e tu lì. E’ meglio? Ti senti più… a tuo agio?”

“Sì, signore”.

Remus sospirò.
Era impensabile affrontare tutti i pensieri che aveva in testa in quel momento.
Dopo quell’attimo di follia il bambino aveva solo bisogno di essere lasciato in pace, ma Remus doveva, voleva almeno gettare le basi per recuperare quello che Sirius aveva buttato al vento.

“Sai che Sirius non voleva fare quello che ha fatto?”

Silenzio.
“Sì, signore”.
Silenzio.


“E’ vero che ha sbagliato, ma sono sicuro che è già dispiaciuto e che non lo farà più. Sirius, il tuo padrino, ha avuto molti problemi in questi giorni e anche se questa non deve essere una scusa ho bisogno che tu lo sappia, Harry. Che tu capisca che è molto… provato”.


Silenzio.

“Ti prometto che farà attenzione, che faremo attenzione, anche io, affinché non capiti più. E’ stato un attimo di… rabbia, ma lo conosco bene Harry, si è già pentito e domani ti chiederà scusa, vedrai”.

Silenzio.


“Va bene, Harry?”


“Sì, signore”.
Silenzio.



“D’accordo, andiamo a letto, è stata una giornata… lunga”.
Lo accompagnò su, si assicurò che entrasse in camera poi scese a prepararsi del tè bollente.
Ne aveva bisogno.

Naturalmente avrebbe anche potuto raccontare ad Harry che Sirius era in realtà una scimmia con un vestito a pallini scesa dalla Luna e la risposta sarebbe stata sempre ‘Sì, signore’.
Vuota, ripetitiva, priva di qualsiasi sentimento.

Le cose stavano precipitando, se lo era già ripetuto fin troppe volte, ma non sapeva come fermarle.
Rimase a riflettere fino alle prime luci del mattino poi si ritirò in tempo per sentire Sirius uscire di casa.







Il feroce malditesta che lo tormentava dalla sera prima non si era placato nemmeno un attimo e lo lasciava senza la concentrazione per decidere quali tomi prendere da portare via.
Si era preparato una lista mentre ingoiava scotch nel buio di una sala dal camino spento.
Il libro piccolo a destra no, il secondo sotto da sinistra sì, i due trattati sulla scrivania alle fiamme e poco sotto la scatola dei compiti…
La scatola dei compiti ad Albus, così che potesse farla avere ad Ha…. al piccolo Potter.

Forse non gliel’avrebbe neppure consegnata di persona, un elfo poteva farlo al posto suo.
Vedere Albus era inutile, inutile e dannoso.

E naturalmente non appena ebbe finito di pensarlo sentì la sua presenza fuori dalla porta.
Gli garantì l’accesso senza alzarsi, tentare di chiudere la porta in faccia al padrone di casa non aveva nessun senso.

Passò molto tempo prima che uno di loro parlasse, ovviamente fu Albus a farlo per primo.


“Ragazzo mio, nel caso, pensavi di passare per l’ultimo saluto o avevi immaginato di allontanarti nella notte?”

Inutile chiedersi come facesse quel dannato vecchio a sapere qualcosa che Severus non aveva ancora deciso.
Certo, aveva accarezzato l’idea più di una volta…
Ah, la disperazione portava sempre verso gesti teatrali, come gettarsi ai piedi di un Signore Oscuro o vendersi subito dopo al suo nemico…
Non che li sentisse ‘consoni’ alla sua indole, ma non si poteva certo scegliere cosa provare e le azioni avventate erano tali proprio perché nessuno si sedeva prima a ponderarle.


“Non saprei, Preside, abbiamo altro da… dirci?”
 

“Volevo soltanto assicurarmi di avere il tempo di chiederti se posso fare qualcosa per te, ragazzo mio. Qualcosa che desideri, per farti cambiare intenzioni, magari”.

Severus posò lentamente il bicchiere vuoto che aveva in mano e chiuse gli occhi.
Anche attraverso le trame fitte dell’oscurità in cui erano immersi era come avere quel viso davanti agli occhi, continuamente.
Serrare le palpebre non lo cancellava, ma almeno fermava quelle lacrime folli, vergognose.



“Harry. Semplicemente voglio Harry. Le mie stanze non sono mai sembrate tanto vuote” sussurrò.




Albus chinò la testa, rammaricato.
Poi, incredibilmente, fece la cosa che Snape meno si aspettava da lui.

Rise.

Non era certo una delle sue risate gioviali, ma questo non lenì il dolore e la furia che Severus improvvisamente sentì per quello scherno.


“Quanto devo essere caduto in basso se persino il sensibile, compassionevole Dumbledore ride di me – sibilò trattenendosi a stento dall’alzarsi per buttarlo fuori con le sue mani. – Lasciami, prima che…”

“No, no, ragazzo mio, non adirarti. Questa risata vuota non era per te, come potrei, non mi conosci forse abbastanza? Ridevo di me stesso, dei miei piccoli sotterfugi, dei miei mirabolanti piani segreti, Severus. Di come tutto sia andato esattamente nella direzione che meno desideravo e adesso ho perso il piccolo Harry, ho perso Sirius e Remus e sto per perdere te. Te, che con tutte le mie forze ho provato a salvare dal dolore e ripetutamente ho deluso”.

Per la prima volta da quando era entrato Severus si volse a guardarlo. Per la prima volta sembrava quello che era. Un vecchio stanco, un monarca sconfitto.

“E’ così. Sembrava proprio ciò di cui avevamo bisogno, Severus. Ciò di cui avevi bisogno. Una ragione per continuare”.

“Non temere, quando sarà il momento tornerò per compiere il mio dovere, non tradirò la mia parola se questo è quello che ti preoccupa”.

Albus scosse la testa, mestamente.

“No, è più di questo, per quanto tu possa non credermi, e ne hai tutti i diritti, è più di questo. Non cercavo un motivo per farmi obbedire, so che alla fine farai sempre la cosa giusta, nonostante i tuoi ordini, nonostante me, nonostante tutti. Ma questi anni, Severus, per te sarebbero passati come una lenta, vuota agonia. Non possiamo vivere senza una ragione nel nostro cuore. Nemmeno tu. E volevo darti quella ragione, qualcosa, qualcuno, il figlio di Lily, l’unico legame con lei. Non volevo un soldato grato di morire per terminare la propria sofferenza, voglio un uomo che combatta per la libertà di vivere felice.”.

Severus non lo interruppe, come avrebbe potuto con la gola serrata da emozioni che non voleva provare.
Lo sentì alzarsi, farsi vicino. Nel buio poteva vedere quei suoi dannati occhi brillare.

“Tu devi essere qui con me, Severus, perché quando la lotta contro il male che attanaglia il nostro mondo si farà aspra, quando io mi spingerò troppo oltre il buonsenso, quando non vedrò altro che un’arma in quel bambino tu dovrai essere qui a mitigare il suo dolore, a minacciarmi, a mettere un freno alla mia follia, per non lasciare che io divenga peggiore di Voldemort nella mia battaglia contro di lui”.


L’anziana voce tremò impercettibilmente, prima di spegnersi nella quieta oscurità.
Severus ingoiò il groppo in gola che non si era accorto di avere.

“Sono finito vittima delle mie stesse macchinazioni, mio caro ragazzo, e non posso biasimare nessun altro per questo, se non me stesso. Non mi devi niente, sei libero di trovare la tua pace dove meglio credi”.

E con queste ultime parole se ne andò, senza voltarsi.

La notte si prospettava molto più lunga di quanto Severus non avesse immaginato.
Il mattino avrebbe portato la sua decisione.





Il piccolo Harry sognò il signore quella sera. Alto, enorme, minaccioso. Lo inseguiva, lo afferrava, lo scuoteva e poi lo portava da zio Vernon e si sedevano tutti sul divano, il signore, Zio Vernon, Zia Petunia, i signori col cappuccio nero e gli dicevano ‘Da adesso vivrai con noi ed imparerai a fartelo andare bene’ …

‘…a fartelo andare bene’…

‘… bene’…

Si svegliò di colpo, spaventato, in lacrime, non cadde dal letto solo perché non ci era mai salito, non era permesso, non era permesso il letto, non erano permessi i libri, non era permesso chiedere del Maestro, non era permesso più essere felici.
Si coprì gli occhi con le piccole manine e pianse in silenzio fino a che fuori non si fece giorno.

Attese con paura tutto il tempo che si facesse sera. Non voleva rivedere il signore, non voleva di nuovo essere afferrato. Il signore dai capelli chiari aveva detto che l’altro signore aveva sbagliato, ma non lo aveva fermato, non era come il Maestro. Il Maestro lo aveva sempre difeso, quando uno dei signori incappucciati che li avevano portati via tempo fa lo aveva sollevato per le braccia il Maestro si era gettato contro di lui e l’aveva colpito per salvare Harry. Anche se il signore dai capelli chiari sembrava buono non aveva difeso Harry, non aveva allontanato l’altro signore, non l’aveva protetto come il Maestro aveva fatto. Non si aspettava nessun aiuto da loro. Era solo. Solo.

E la sera arrivò. Harry era sempre più agitato. Non riusciva a stare a sedere in terra vicino alla vecchia poltrona. Il signore dai capelli chiari era lì con lui, leggeva e lo guardava ed Harry sapeva che aspettava anche lui che l’altro signore tornasse così da poter vedere lo spettacolo quando Harry sarebbe stato picchiato, esattamente come faceva sempre Dudley.
Perché? Perché tutto l’orrore era ricominciato? Perché non poteva essere felice? Perché doveva sempre avere paura?
Perché?



Remus guardava il bambino, sfogliando distrattamente un libro di Incantesimi, sospirando.
Il figlio di James sembrava profondamente angosciato, guardava in continuazione la porta, poi lanciava occhiate furtive verso di lui e di nuovo cercava di rimanere fermo anche se si vedeva perfettamente che avrebbe voluto muoversi, correre, fuggire.
Harry non sembrava affatto un bambino, ma un adulto in miniatura.
Lui e Padfoot non sapevano niente della sua vita con i suoi parenti prima di Hogwarts e, dannazione, non sapevano nulla nemmeno della sua vita assieme a Snape. Sirius non aveva pensato ad altro che a prendere il bambino per portarlo lontano dal suo acerrimo nemico, non aveva domandato niente, non aveva chiesto niente e se non fosse stato per quella lettera avrebbero continuato ad essere all’oscuro persino delle cose più banali sui suoi bisogni.
Erano stati stupidi. Stupidi e presuntuosi.
Cosa sarà mai occuparsi di un bambino? L’avevano pensato, sia lui che Sirius, doveva ammetterlo,  e adesso non sapevano affrontare la situazione.
Che idioti!
Intanto l’agitazione del piccolo Harry cresceva, si guardava intorno come un animale in gabbia, in attesa di essere ucciso e mangiato. Quando si sentì in lontananza il rumore di Sirius che rientrava il bambino sussultò vistosamente e prese a guardare la stanza. Sembrava davvero cercare un posto dove nascondersi eppure non si mosse nonostante il terrore nei suoi occhi.
Remus si alzò per dargli qualche parola di conforto e calmare la sua agitazione, ma non fece in tempo a dir nulla per rassicurare Harry che non gli sarebbe stato fatto alcun male. Sirius spalancò la porta della  biblioteca e cercò subito Harry con gli occhi.
Gli si avvicinò troppo velocemente per la sanità mentale del bambino e quando si fermò a riflettere era ormai troppo tardi.
Harry si era accucciato sulle ginocchia e con le mani si riparava la testa come se si aspettasse di essere colpito senza pietà.
Il dolore che esplose negli occhi di Black non era paragonabile nemmeno ad un Cruciatus.
Remus si fece vicino per offrire conforto sia all’uno che all’altro.


“No, no, Harry, non avere paura di me – lo pregava Sirius, la voce supplichevole, sincera. – Ti prego, Harry, mi dispiace per ieri, ti chiedo scusa, non avrei dovuto, non volevo, te lo giuro, ci sono tante cose che non sai che sono successe fra me e… il Maestro, ma credimi, non voglio farti del male. Per farmi perdonare ti ho portato un regalo, tieni, Harry, prendi”.

E così dicendo gli allungò un pacchetto oblungo.

Il piccolo Harry si permise di aprire un occhio.
Spiò il signore e sembrava che dicesse la verità. Gli aveva chiesto scusa e gli aveva comprato un regalo. Sembrava gentile, sembrava capire di avergli fatto male.
Molto, molto lentamente si rialzò appena ed il signore gli mise fra le braccia il suo regalo.
Era il secondo regalo di tutta la sua vita e non poteva farci niente, anche se aveva ancora paura, era così bello ricevere un regalo.
Lo guardò a lungo, prima che il signore parlasse all’improvviso, spaventandolo un pochino.
“Aprilo Harry. Apri il pacchetto”.
Fece come gli veniva detto e lo scartò.


Quello che provò quando lo ebbe aperto non avrebbe potuto farlo capire a nessuno.
Un dolore così grande che dallo stomaco gli salì alla testa riempiendogli gli occhi di lacrime disperate.




Una scopa.




Questo era quello che si meritava per essersi dimenticato il suo posto.
Doveva stare zitto e lavorare. Sudicio, piccolo, disgustoso verme.
Come aveva potuto pensare che qualcosa era cambiato, che forse era vero che non tutti i grandi erano come i suoi zii.
Il signore era esattamente come suo zio.
Il signore era suo zio.
E gli regalava una scopa, così che Harry non dimenticasse mai che prima o dopo avrebbe dovuto lavorare per guadagnarsi da mangiare e se avesse parlato o si fosse rifiutato il signore l’avrebbe afferrato. Gli aveva fatto vedere il giorno prima cosa l’aspettava e adesso gli aveva dato il suo lavoro da fare ed Harry era così triste perché tradiva il Maestro, ma non avrebbe detto di no. Era troppo importante poter mangiare e dormire al chiuso, così un giorno sarebbe diventato grande e sarebbe scappato ed avrebbe cercato il Maestro.

Adesso doveva solo fare quello che gli chiedevano.
Sapeva bene cosa dire e cosa fare e lo avrebbe detto e fatto.

Per il Maestro.


Guardò il signore, stringendo forte il manico della piccola scopa al petto.
“Grazie molte, signore”.

E nel silenzio e nello stupore Sirius e Remus lo videro andare in un angolo della sala e cominciare a spazzare.

Quei suoi occhi verdi, profondi come incubi, afflitti come quelli di un uomo morente avevano chiuso loro la bocca.
Si guardarono senza capire perché Harry non saltava di gioia a cavallo della sua nuova Nimbus per volare nella stanza e perdonare loro le loro colpe.
Lupin si passò una mano sul viso.
Un gesto che tradiva la sua enorme inquietudine. Ancor più preoccupante in un uomo pacato e sereno come lui.

“Non capisco, Remus. Harry, cosa stai facendo?”

Il bambino li guardò, terrorizzato.
“Harry ha sbagliato stanza? Se il signore dice ad Harry quale deve pulire Harry la pulisce, signore”.

“No, non devi pulire, Harry e perché dici ‘Harry’, io… Remus, cosa significa?”


Il suo amico lo guardò negli occhi, impotente.


“Sirius, dobbiamo guardare in faccia la realtà. Non siamo pronti ad affrontare tutto questo”.






Il tempo era scaduto. Sentiva che fuori, metri e metri sopra di lui, il sole sorgeva.
Il tempo era scaduto.
Lasciare o combattere.
Il nulla lo chiamava. Lo invitava sinuoso a lasciarsi ammaestrare, gli avrebbe insegnato a non avere scopi, non avere voleri, non avere desideri, gioie, affetti preziosi, ma al tempo stesso prometteva niente più dolore, nessuna afflizione.
Quel nulla che lo conosceva bene, che faceva leva sui ricordi di quella notte, gli occhi vuoti e morti di Lily, il suo cadavere a terra, come spazzatura.
Non si sarebbe mai più sentito come quella notte semplicemente perché non avrebbe avuto più niente e nessuno da perdere.
Mai più.
Nessuna felicità, nessun dolore.



Sembrava equo, sembrava giusto.



Ma non avrebbe accettato.


Aveva perso troppe battaglie, adesso era tempo di vincere la guerra.
Avrebbe usato tutte le armi a sua disposizione.
Avrebbe fatto l’impossibile.



Era tempo di riprendersi Harry.









Continua…

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

   

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