Amori Lontani

di Bale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordi ***
Capitolo 2: *** Trasloco ***
Capitolo 3: *** Arrivi Inaspettati ***
Capitolo 4: *** Nuovi Talenti ***
Capitolo 5: *** Risvegli Burrascosi ***
Capitolo 6: *** Quel Panino al Colosseo ***
Capitolo 7: *** Lasciarsi ***
Capitolo 8: *** Distanze ***
Capitolo 9: *** Il Grande Ritorno ***
Capitolo 10: *** Notizie Inaspettate ***
Capitolo 11: *** Romanzo Senza Titolo ***
Capitolo 12: *** Arrivi ***
Capitolo 13: *** L'Incontro ***
Capitolo 14: *** A Cuore Aperto ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Ricordi ***




Ricordi







Noah era seduto in giardino.

Si sentiva vuoto, sperduto nel mondo.

Recuperò il suo computer portatile e cominciò a scrivere.

Le parole uscirono lisce e fluide e alla fine ne venne fuori uno di quei racconti brevi che pubblicava ormai da due mesi sul suo blog.

Non aveva più scritto libri dopo aver pubblicato quello sulla sua gita a Roma e su Olga.

Si era ritrovato spesso a pensare a lei dopo la pubblicazione del romanzo, ma non aveva mai avuto il coraggio di prendere un aereo per andare a trovarla a Roma.

Gli piaceva pensare a lei come alla sua anima gemella, l’unica che potesse veramente comprendere i suoi timori e le sue preoccupazioni. Per lui Olga significava casa. Era il luogo in cui poteva rifugiarsi quando toccava il fondo, dove poteva essere se stesso, aprirsi, esprimere liberamente il suo essere.

Si erano frequentati poco, ma erano bastati pochi sguardi.

Aveva capito subito che sotto quel guscio ben rinforzato c’era una donna fragile, provata dalla vita.

Quando l’aveva vista con in mano la prima edizione di “Nuvole e Caffè”, poi, aveva capito tutto di lei.

Olga era la sua protagonista, al contrario di Katherine.

Olga era reale, vera, dolcemente complicata e sbagliata. Katherine invece era meschina e lui non si era realmente innamorato di lei, ma solo dell’idea che se ne era fatto.

Non aveva più visto neanche lei. Forse aveva divorziato, forse si era trasferita, forse aveva avuto dei figli.

All’improvviso Noah si sentì precipitare nell’abisso. Un figlio.

Il pensiero viaggiò lontano, raggiungendo automaticamente e irrimediabilmente il figlio che non aveva mai avuto da Katherine. Forse era stato meglio così. Se quel bambino fosse nato gli avrebbe impedito di dire addio a Katherine e soprattutto gli avrebbe impedito di andare avanti con la sua vita che non poteva essere accanto a quella donna.

Scosse la testa e cercò di trattenere le lacrime. Non poteva affatto rallegrarsi per la morte di suo figlio. Il suo bambino. Magari avrebbe avuto le sue stesse paure e probabilmente gli occhi di sua madre. Sarebbe stato un maschio, Noah lo sapeva. Le sue viscere lo sapevano.

Gettò il computer da un lato e andò in cucina. Trascinava i piedi, si sentiva stanco. Stanco della vita.

Una bellissima donna bionda uscì dalla sua camera da letto. Indossava soltanto un paio di slip.

Noah si era quasi dimenticato di lei.

L’aveva conosciuta la sera prima in un locale. Lei lo aveva riconosciuto subito, aveva fatto qualche moina, aveva detto che amava il suo modo di scrivere. Si erano ritrovati a letto insieme senza neanche sapere come.

Noah non era un playboy, non amava le avventure di una notte, ma quella sera c’era cascato.

La ragazza era molto bella, lui aveva bevuto. Si sentiva solo, incredibilmente smarrito e abbandonato.

Aveva bisogno di svegliarsi accanto a qualcuno, di sentire la voce di una donna in casa sua, di preparare la colazione non soltanto per lui.

-Buongiorno-   salutò la ragazza con un sorriso.

Si avvicinò a Noah e gli diede un bacio sulla guancia.

-Dovresti farti la barba-   disse poi.

Lui sorrise e andò verso il frigorifero.

-Hai fame?-   le chiese.

All’improvviso si ritrovò a desiderare di rimanere solo. Voleva che lei se ne andasse.

Non ricordava neanche il suo nome.

Voleva rimanere solo con se stesso, ma ovviamente non poteva cacciarla via.

Noah era un ragazzo dolce, di buon cuore. Aveva un gran rispetto per le donne, anche se la notte precedente lo aveva dimostrato in maniera un po’ bizzarra. Non l’avrebbe mai mandata via. Avrebbe gentilmente aspettato che fosse stata lei ad andarsene dal suo appartamento.

-No, grazie-   rispose lei sbadigliando   -Devo andare a lavorare-

Faceva la cameriera in un bar. Era l’unico dettaglio che Noah ricordava di lei, ancora meglio de suo nome.

-Dove sono i miei vestiti?-

Lui richiuse il frigorifero e andò verso di lei.

-Credo siano sparsi un po’ per tutta la casa-   disse trattenendo un sorrisino compiaciuto   -Ti aiuto a recuperarli-

La ragazza lasciò casa sua pochi minuti dopo e Noah tirò un sospiro di sollievo.

Tornò in giardino con una tazza di caffè e recuperò il suo portatile.

Rilesse con attenzione la breve storia che aveva pubblicato poco prima sul suo blog. Parlava della notte appena trascorsa, con qualche dettaglio in meno.

Noah, rileggendola, si stupì di se stesso. Nel descrivere la ragazza aveva aggiunto caratteristiche che ricordavano Olga. L’aveva definita addirittura acida all’inizio della serata, ma poi molto dolce sotto le lenzuola.

Si stropicciò gli occhi e prese un sorso di caffè.

Forse era arrivato il momento di rivedere la signorina Ranieri.



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Capitolo 2
*** Trasloco ***





Trasloco







Olga Ranieri era riuscita finalmente a vendere la sua enorme villa in periferia per acquistare l’appartamento dei suoi sogni. Si trattava di un piccolo appartamento in centro, molto più comodo e adatto ad una sola persona.

Si guardò intorno con le lacrime agli occhi. In quella casa lasciava una parte di se stessa.

Molte emozioni l’avevano travolta quando viveva lì, per non parlare di Andrea.

Era andato spesso a trovarla e avevano fatto l’amore proprio nel suo letto.

Olga sospirò.

Era arrivato il momento di lasciarsi tutto alle spalle. Non poteva continuare a vivere nel passato.

Doveva andare avanti e soprattutto doveva lasciare in quella casa la sua corazza.

Per anni si era difesa da tutto e tutti mostrandosi indifferente e acida. Aveva pensato che non interessarsi alle cose le avrebbe impedito di starci male in futuro.

Uno stravagante giovane scrittore, però, poco tempo prima, le aveva fatto capire quanto fosse sbagliata la sua filosofia di vita.

Il modo in cui Olga viveva la sua vita era sbagliato. Lei semplicemente si rinchiudeva nel suo guscio e si rifiutava di vivere, di respirare i prati in fiore, di ascoltare gli uccellini cantare.

Vivere, invece, vuol dire cadere, sbagliare, sbattere il muso e farsi male. Vivere vuol dire rialzarsi dopo ogni brutta caduta, proprio come aveva fatto Noah.

Era difficile, e allo stesso tempo tanto triste, credere che un ragazzo così giovane avesse già sofferto così tanto.

Aveva vissuto un amore sbagliato, aveva perso suo figlio ancor prima di diventare padre.

Nel suo cuore lo era diventato nel momento esatto in cui Katherine gli aveva parlato della sua gravidanza, ma non aveva mai potuto conoscere quella creaturina che lei portava in grembo.

Olga sospirò ancora e andò verso la libreria.

Rimanevano soltanto pochi scaffali del soggiorno da svuotare e, attraversando il soggiorno pieno di scatoloni mezzi pieni, Olga sorrise.

Raggiunse il fondo dello scaffale e dalla mensola più alta prese un volume impolverato.

Era una prima edizione di “Nuvole e Caffè” autografata dall’autore.

Lei non lo aprì, non lesse la dedica.

Gli faceva sempre un po’ male pensare a Noah, come se tra di loro fosse rimasto qualcosa in sospeso. Il loro era un romanzo incompleto e chissà se prima o poi avrebbero trovato il coraggio di concluderlo.

Gettò il volume in uno scatolone vuoto, poi si sporse e ne prese un altro.

Era “Vita Amara”, l’ultimo romanzo scritto da Noah Gallagher prima della sua completa sparizione dal panorama letterario.

Olga passò una mano sulla copertina.

Lo aveva comprato, ma non lo aveva letto.

Le era bastato leggere l’anteprima, il manoscritto originale che lui le aveva mandato per chiedere il suo parere.

Sorrise e girò il libro.

Sul retro della copertina c’era una frase:

 

Si appartenevano, lo sapevano entrambi.

Era bastato uno sguardo, l’accenno di un sorriso.

Non sarebbero rimasti insieme a lungo. Erano una di quelle coppie che non possono stare insieme.

Loro avrebbero continuato ad amarsi a distanza, con il cuore perso nel dolore.

Avevano vissuto già troppi amori sbagliati, ora avrebbero vissuto un amore lontano”

 

Una lacrima le scivolò sul viso, ma Olga non l’asciugò.

Noah le mancava ogni giorno. Continuava a pensare a lui da mesi, ma non poteva correre tra le sue braccia.

Si appartenevano, era vero, ma non erano fatti per stare insieme. Lui aveva ragione.

Lasciò cadere anche il secondo volume nello scatolone vuoto. Atterrò con un tonfo su “Nuvole e Caffè”.

Lei rimase immobile per qualche istante, poi andò ad aprire un cassetto.

Estrasse lentamente una busta gialla conservata con cura.

Conteneva il manoscritto, quello che Noah le aveva inviato per posta accompagnato da una lettera.

Le aveva chiesto il permesso per la pubblicazione e le aveva chiesto una recensione. Lo aveva inviato prima a lei che al suo agente.

Olga sorrise e si lasciò sfuggire qualche altra lacrima.

Doveva rivederlo.

Aveva bisogno di sentire ancora il suo odore.




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Capitolo 3
*** Arrivi Inaspettati ***





Arrivi Inaspettati






Si era trasferito a Los Angeles soltanto pochi mesi prima, ma si era subito ambientato.

Un regista hollywoodiano gli aveva chiesto di scrivere la sceneggiatura del suo nuovo film.

Noah aveva accettato un po’ controvoglia. La sua vita era la letteratura, il libri, non il cinema. Alla fine si era lasciato comprare e si era trasferito in America.

Purtroppo, però, il progetto era andato in fumo alla fine e Noah era ritornato ad essere uno squattrinato scrittore che non riesce più a trovare l’ispirazione giusta per mettere due parole insieme.

Gli mancava tanto la sua Londra, ma allontanarsi dal posto in cui aveva conosciuto, amato e odiato Katherine gli aveva fatto sicuramente bene.

In America si respirava un’altra aria. Diversa, piena di speranze.

Quella mattina Noah uscì di casa ben presto. Era diretto all’aeroporto.

Salì sul suo taxi con il sorriso sulle labbra e comunicò la sua destinazione.

Tentò di fare conversazione con l’autista, ma lui non sembrava molto in vena di smancerie.

Non poteva farci niente. Noah era fatto così: amava la gente, parlare con loro, sorridere ed essere gentile e cortese. Amava la vita e non voleva perdersene neanche un secondo.

“Siamo tutti troppo precari in questo mondo per stare lì a domandarci cosa è giusto fare”   aveva scritto una volta in un suo libro. Quella, poi, era addirittura diventata la frase di copertina.

Sorrise e scosse la testa. Doveva smetterla di pensare sempre ai suoi personaggi letterari.

Non lo faceva per boria e presunzione, semplicemente li considerava suoi figli.

-Lei è lo scrittore?-   chiese all’improvviso il tassista, mentre si fermava al semaforo che era diventato progressivamente giallo e poi rosso.

Noah annuì.

-Quasi non la riconoscevo senza barba -   continuò l’uomo   - Mia figlia legge i suoi libri-

Noah si accarezzò il viso. Si era rasato di fresco e perdeva ancora del sangue.

Non lo aveva fatto per Olga o per il suo viaggio a Roma.

Gli era venuto naturale, spontaneo. Era stato un gesto significativo, stava ad indicare la sua voglia di cambiamento.

-Sono lusingato-   rispose lui senza abbandonare il suo sorriso.

Non dissero altro. Arrivarono all’aeroporto dopo qualche minuto e Noah lasciò una generosa mancia al suo accompagnatore.

Recuperò il suo misero borsone e scese dall’auto.

Non sapeva neanche cosa ci aveva messo dietro: qualche camicia, un paio di magliette, dei calzini. Non gli importava molto. Andava a Roma per lei e sicuramente non le sarebbe importato quello che avrebbe indossato. Erano sempre bastate le parole, gli sguardi, i gesti.

Non avevamo mai badato all’apparenza, ma soltanto all’essere.

Imboccò l’entrata con decisione. Avrebbe preso il primo volo per l’Italia.

Non gli importava quanto sarebbe costato o quanto sarebbe durato il viaggio. Lui voleva soltanto rivederla. Ne aveva bisogno, doveva saziarsi della sua presenza, del suo sorriso sporadico, dei suoi occhi trasparenti e sinceri.

In quel momento, fermo in mezzo all’aeroporto, si rese conto di amarla come non aveva mai amato nessuno in vita sua.

Forse era vero che non erano fatti per stare insieme, ma lui doveva vederla, passare con lei anche solo un giorno. Non poteva più farcela da solo.

Si decise finalmente ad andare al check-in, ma qualcuno lo fermò.

-Noah?-   lo chiamò una voce femminile.

Lui si voltò meccanicamente.

Quando vide la donna che lo aveva chiamato spalancò la bocca. Non ci credeva, non poteva essere vero.

Rimase imbambolato per un bel po’, poi, dopo aver sbattuto più volte le palpebre, chiese:

-Che ci fai qui?-

-Che ci fai tu qui?-    ribatté lei rigirando la domanda   -Come facevi a sapere che arrivavo oggi?-

Noah era sempre più confuso.

-Io…io…-   balbettò.

Lei sorrise. Il suo solito e intramontabile sorriso compiaciuto e divertito. Aveva sempre amato vederlo contorcersi.

-Io non lo sapevo-   riuscì a dire lui infine   -Come potevo saperlo?-

-Hai ragione-   convenne lei   -Ma questo non vuol dire che tu non possa essere felice di vedermi-

Si avvicinò e gli prese il viso tra le mani.

-Che cosa ci fai qui?-   riprovò lui.

-Sono venuta per te, Noah-

Lui deglutì e la spinse via.

-Per me?-   chiese alzando leggermente la voce   -Tra noi è finita da un pezzo, Katherine!-

Lei quasi si stupì nel sentirlo alzare la voce.

-E’ finita anche tra me e Peter-   rispose gelida   -E sai perché?-

Noah scosse la testa, più incredulo che curioso.

-Perché amo te-   concluse lei con un sorriso.


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Capitolo 4
*** Nuovi Talenti ***






Nuovi Talenti






Olga era cambiata molto.

Aveva cambiato casa e aveva cambiato anche lavoro.

Era stata assunta in una casa editrice da pochi mesi ed ora il suo lavoro consisteva nel leggere volumi su volumi, libri su libri.

Selezionava quelli di un certo spessore che sarebbero poi stati sottoposti al suo grande capo.

Spesso si ritrovava a leggere delle scadenti imitazioni di romanzi famosi già pubblicati e si ritrovava a dover prendere a calci nel sedere giovani pseudo scrittori pieni di speranze.

Un tempo avrebbe amato molto farlo, ma ormai lei non era più quella persona.

Si sedette alla sua scrivania e prese tra e mani un manoscritto.

Il titolo diceva: “Parole d’Amore”. Il nome dell’autore era del tutto nuovo, Olga non lo aveva mai sentito prima di allora.

Si mise comoda sulla sua poltroncina e prese a sfogliarlo.

Era sicura di ritrovarsi a leggere uno di quei romanzetti rosa smielati e pieni di pretese, ma dovette ricredersi. La storia era molto ben scritta.

Il protagonista del romanzo era un giovane professore universitario che si innamorava di una sua studentessa. La trama poteva sembrare leggermente banale, ma era sviluppata in maniera notevole.

I protagonisti vivevano un amore travagliato, sbagliato, ingiusto e doloroso. Vivevano un’esperienza intensa e straziante.

Olga finì il romanzo in poche ore, poi lo richiuse per rileggere il nome dello scrittore sulla prima pagina: Stefano Fosso.

Alzò una mano per attirare l’attenzione della sua segretaria.

Lei si precipitò nell’ufficio.

-Mi dica-

-Mi chiami questo Stefano Fosso, voglio parlare con lui-

La segretaria storse leggermente il suo viso paffuto.

-Ha detto Stefano Fosso?-

Olga si alzò in piedi.

-Sì-   confermò   -Ho trovato un suo manoscritto sulla mia scrivania-

La segretaria deglutì.

Era una brava donna, ma spesso si ritrovava in situazioni che non riusciva a gestire.

Era gentile, premurosa, portava il caffè a Olga tutte le mattine, ma non era abbastanza decisa e determinata a volte.

-Si, certo-   disse dopo qualche istante   -Ma lui è già qui, nella sua sala d’aspetto-

Olga la guardò stupita, poi le fece cenno di lasciarlo passare.

Tornò a sedersi sulla sua comoda poltroncina e riprese tra le mani il manoscritto.

Il titolo non andava, doveva essere cambiato a tutti i costi. La storia, al contrario, era davvero ben scritta e ben sviluppata.

Soltanto un altro scrittore prima di allora era riuscito a farle toccare il cielo con un dito attraverso le sue parole e quello scrittore era molto lontano, in Inghilterra. Forse era ritornato con Katherine o forse aveva trovato un’altra donna. Ciò che era certo era che non scriveva più da un bel pezzo.

Sorrise tra sé e alzò lo sguardo.

Un uomo alto e discreto stava entrando nel suo ufficio.

-Sono Stefano Fosso-   esordì.

Olga sorrise e lo invitò ad accomodarsi.

Lo analizzò per bene prima di iniziare a parlare.

Se lo era aspettato molto diverso. Gli artisti, si sa, sono sempre un po’ trasandati e un po’ eccentrici.

Quell’uomo, invece, non aveva un capello fuori posto, indossava una camicia e una giacca. Le sue scarpe erano perfettamente lucide e il suo modo di fare era decisamente impeccabile.

-E così lei è uno scrittore-

L’uomo scosse la testa divertito.

-No no no-   rispose   -Sono un architetto. Scrivo a tempo perso-

Olga lasciò andare il manoscritto, ma non smise di analizzare le parole in copertina.

-Non lo definirei tempo perso, signor Fosso-   disse dopo un’attenta riflessione   Piuttosto tempo ben speso-

-Le piace il mio romanzo?-   chiese lui sistemandosi meglio sulla sedia.

Sembrava euforico e cercava con tutte le sue forze di non darlo troppo a vedere.

Olga provò all’improvviso una certa tenerezza per quell’uomo così impacciato e timido.

-Il romanzo è notevole, ma il titolo è troppo smielato-

Lui incassò il colpo con decisione. Olga cominciava a provare simpatia per lui.

-Possiamo cambiarlo, ma io non lo trovo così banale-

-Non ho detto banale-   rispose lei con freddezza.

Si alzò in piedi e lui fece lo stesso. Stava per essere congedato.

-Facciamo così-   disse lei tendendogli una mano    -Lei ci pensa su, mentre io passo il romanzo al mio capo-

Stefano Fosso afferrò la mano di quella donna e la strinse con entusiasmo. Era letteralmente al settimo cielo.

-La farò contattare al più presto dalla mia segretaria-   disse lei accompagnandolo alla porta.

Lui annuì e fece per andarsene, ma Olga lo fermò.

-Come mai era già qui?-   chiese curiosa.

-Ho inviato il mio manoscritto due giorni fa ed ero venuto per sapere notizie-

Olga lo interruppe.

-Determinato, bravo a scrivere e un po’ impaziente. Potrebbe fare strada-

Lui sorrise quasi divertito.

-Le ho già detto che scrivo a tempo perso-

-Dovrebbe farlo a tempo pieno-   rispose Olga.

Quell’uomo le faceva uno strano effetto. Le aveva trasmesso qualcosa che non riusciva ancora bene a definire.

-Allora a presto-   disse Stefano senza smettere di guardarla negli occhi.

-Può contarci-   rispose lei guardandolo andare via.

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Capitolo 5
*** Risvegli Burrascosi ***





Risvegli Burrascosi






Ci era ricascato. Di nuovo.

Era impossibile descrivere l’effetto che quella donna aveva su di lui.

Anche quando la odiava, la detestava e desiderava non averla mai incontrata, finiva per permetterle di appoggiare la testa sul suo petto, di abbracciarlo. Qualsiasi discussione e qualsiasi rancore finiva sempre a letto.

Noah aprì gli occhi lentamente, quasi spaventato da quello che avrebbe potuto vedere.

Katherine, infatti, era proprio lì, dall’altro lato del letto, poco lontano da lui.

Gli dava le spalle e Noah, per un attimo, provò l’impulso di allungare una mano per accarezzare la sua schiena nuda e liscia.

Si trattenne.

Si alzò dal letto e recuperò i suoi boxer, poi si infilò l’accappatoio.

Si rifugiò in giardino, sulla sua sedia sdraio, dove teneva il portatile.

Lo afferrò, lo accese e cominciò a scrivere.

Gli sembrava di aver già vissuto quel momento, con una bellissima barista bionda però.

Inoltre, quella mattina, le parole venivano fuori ancora più fluide ed erano sicuramente più numerose.

Noah, in poco tempo, scrisse quello che avrebbe potuto essere il primo capitolo del suo prossimo romanzo.

Era incredibile. Katherine gli faceva quello strano effetto. Dopotutto si sa che gli artisti danno il meglio di loro proprio quando sono disperati.

-Stai scrivendo?-   Katherine interruppe i suoi pensieri.

Giunse in giardino a piedi nudi e con una sua maglietta addosso.

Noah provò un senso di fastidio, dovuto, più che alla sua maglietta, alla presenza stessa di quella donna nella sua nuova casa, quella nella quale si era trasferito proprio per starle il più lontano possibile.

-No-   mentì.

Salvò il file in una cartella nascosta e si alzò per rientrare in casa.

-Preparo il caffè-   disse oltrepassandola come se fosse una delle sue incolte e insignificanti aiuole.

Katherine lanciò un’altra occhiata al computer che Noah aveva gettato da un lato, sull’erba.

Alla fine, però, si decise a rientrare in casa.

-Perché non scrivi più?-   chiese afferrando la tazza di caffè che lui le porgeva.

Noah si bloccò per un istante.

Sapeva bene ciò che lei avrebbe voluto sentire in risposta. Avrebbe dovuto dirle che non scriveva più perché gli mancava l’ispirazione e che la sua ispirazione era sempre stata solo e soltanto lei. Solo con quelle parole sarebbe riuscito a farla contenta.

Si ritrovò a detestare la donna con la quale aveva passato la notte, ma non ebbe la forza di mandarla via.

Non volle dirle del suo blog, non voleva rivelare quella parte di sé.

Non voleva che Katherine sapesse ciò che lui era stato durante la sua assenza, ciò che era diventato grazie al loro amore sbagliato.

-Non ne ho più voglia-   rispose stringendosi nelle spalle.

-Come sarebbe?-   chiese lei andandosi a sedere sul divano.

-Non mi va più-   ribadì lui   -Credo di aver dato tutto ciò che avevo da dare al mondo letterario-

Katherine strinse gli occhi e lo fissò intensamente. Sapeva bene che stava mentendo.

Nonostante tutto conosceva Noah più di chiunque altro. O almeno era quello che credeva.

-Ho letto “Vita Amara”-   disse poi.

Noah si limitò ad annuire compiaciuto.

-A chi ti sei ispirato per la protagonista femminile?-

-A nessuno-   rispose lui di getto.

Katherine si insospettì ancora di più.

-Non devo per forza ispirarmi a qualcuno, non è detto-   si affrettò a spiegare lui, notando il suo sguardo.

-Quindi sono stata la tua unica musa?-

Era diventata ancora più insopportabile e piena di sé.

-Sì-   mentì lui   -Ma poi ho capito che Rachel non aveva proprio nulla in comune con te-

Katherine spalancò la bocca e si alzò in piedi.

-Cosa vuoi dire?-

Noah sospirò.

-Voglio dire che lei è quello che io credevo che tu fossi, ma evidentemente mi sbagliavo-

Katherine gli si avvicinò. Il suo viso era paonazzo e lei tentava visibilmente di trattenere la rabbia.

-Ancora con questa storia?-

-Ancora? Sempre! Andremo sempre avanti con questa storia!-   urlò lui infuriato.

-Non possiamo lasciarci il passato alle spalle?-

Noah gettò a terra la sua tazza di caffè rovinando la moquette.

Non gli importava. In quel momento era furioso con il mondo intero e, in maniera particolare, con la donna che aveva davanti. Possibile che fosse così incosciente e insensibile? Per certi versi sembrava ancora più gelida di Olga quando l’aveva conosciuta.

-No che non possiamo! Tu mi hai spezzato il cuore! Non riesco a buttarmi tutto alle spalle!-

-Mi sembra che tu ci sia riuscito benissimo stanotte!-   urlò lei in tutta risposta.

Entrambi sostenevano perfettamente lo sguardo dell’altro. Nessuno dei due aveva intenzione di fare un paso indietro. Alla fine, però, Noah lo fece.

-Perché sei qui, Katherine?-   chiese esasperato   -Perché sei venuta fino a Los Angeles?-

-Perché ti amo, te l’ho già detto-   rispose lei glaciale.

-Tu non mi ami e non mi hai mai amato-   rispose lui sforzandosi di mantenere la calma e di evitare altri attacchi d’ira.

-Invece sì-   disse lei avvicinandosi lentamente e prendendo ad accarezzargli il volto   -Ho solo commesso degli errori-

-Si tratta di errori imperdonabili purtroppo-

Katherine lo lasciò andare e rimase lì, ferma nel salotto, a fissarlo.

Neanche Noah si mosse.

Entrambi aspettavano qualcosa che non sarebbe mai arrivato.



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Capitolo 6
*** Quel Panino al Colosseo ***




Quel Panino al Colosseo







Olga bussò delicatamente alla porta ed entrò nell’ufficio del suo direttore.

Gerardo Armani, detto Gerry, era un uomo basso e paffuto. Era il classico editore, avido di soldi e cattivo con tutti.

Qualche giorno prima Olga gli aveva inviato il manoscritto di Stefano Fosso e, proprio la sera precedente, aveva ricevuto l’invito ad una riunione.

Avrebbe partecipato anche l’autore e infatti Olga, entrando, lo vide seduto sul divano nell’ufficio di Gerry.

Sembrava leggermente a disagio, ma non appena la vide le sorrise e sembrò rilassarsi.

-Buongiorno!-   esordì lei rivolgendosi ad entrambi.

Gerry non si alzò in piedi. Rimase seduto alla sua scrivania con il manoscritto tra le mani.

Stefano, invece, si alzò e le baciò la mano, poi le fece cenno di accomodarsi accanto a lui.

Rimasero in silenzio per quelle che parvero ore, poi il grande capo finalmente parlò.

-E’ buono-   disse semplicemente   -Molto buono-

Non disse altro per diversi minuti.

Stefano cominciava a sentirsi irrequieto. Provò l’impulso di alzarsi e andare via. Aveva bisogno di respirare un po’ d’aria fresca.

Olga gli lanciò un’occhiata rassicurante. Avvertiva perfettamente il suo disagio.

Neanche lei si era mai sentita calma e rilassata in quell’ufficio.

Gerry era un tipo opportunista, avido, un tipo che calpestava volentieri gli altri pur di raggiungere i propri obiettivi.

Ci aveva pensato su parecchio prima di accettare quel lavoro, ma alla fine aveva dovuto ammettere che la proposta era a dir poco allettante. Ora poteva permettersi un appartamento in centro e faceva un lavoro di gran lunga più gratificante.

Il pensiero andò inevitabilmente verso Noah e il tempo lontano in cui lo aveva conosciuto.

Faceva un altro lavoro allora e, anche se non era affatto felice, era riuscita a vedere una luce, un timido barlume alla fine del tunnel proprio grazie allo scrittore che per tanto tempo aveva detestato.

-A chi si ispira?-   chiese all’improvviso Gerry distogliendo Olga dai suoi pensieri.

Stefano guardò Olga, poi scosse la testa.

-A nessuno. Scrivo e basta-   rispose stringendosi nelle spalle.

-Lo chiedo perché il suo lavoro ricorda vagamente quello di uno scrittore inglese di cui non ricordo mai il nome. Credo abbia pubblicato il suo ultimo romanzo qualche anno fa. La storia si svolgeva proprio a Roma-

Gli occhi di Olga si illuminarono all’improvviso e la sua bocca si aprì per pronunciare il suo nome.

-Noah Gallagher?-     

Stefano la anticipò.

-Esatto!-   esclamò Gerry entusiasta   -Peccato però che il signor Gallagher non scriva più-

Olga sentì un brivido attraversarle la schiena. Sentir pronunciare quel nome da qualcun altro proprio nei giorni in cui stava pensando di rivederlo, le faceva uno strano effetto.

Stefano notò la sua reazione, ma finse indifferenza.

-Non è vero-   esclamò dopo aver riportato lo sguardo alla scrivania.

Olga trasalì. Gerry, invece, lo guardò senza capire.

-Ha un blog-   si affrettò a spiegare lui   -Pubblica racconti ogni settimana-

-Un blog?-   chiese Olga sconvolta.

Non conosceva quel blog. Non ne aveva mai saputo l’esistenza, non lo aveva mai cercato.

Si chiese cosa Noah scrivesse su internet e perché aveva deciso di utilizzare quel mezzo un po’ bizzarro per uno scrittore che, come lui, ama le vecchie librerie, i libri antichi e preferisce scrivere a mano o a macchina.

Forse anche Noah, come lei, era cambiato molto dal loro primo ed ultimo incontro.

-Sul serio?-   chiese Gerry.

Stefano annuì.

-Io lo leggo spesso-   confermò    -Scrive in inglese, ovviamente, ma io lo conosco bene, quindi non ho problemi-

-Chi lo avrebbe mai detto!-   commentò il capo alzandosi in piedi e lasciando cadere il manoscritto sulla sua scrivania.

-Ma tornando a noi-   aggiunse poi   -Io il libro lo pubblico e le chiedo di ritornare domani per occuparci del contratto. La mia segretaria preparerà una bozza-

Anche Stefano e Olga si alzarono in piedi.

Lui era al settimo cielo. Sembrava un bambino alle giostre. Cercava di trattenersi in tutti i modi, ma Olga, al suo fianco, notava il suo tremore, il suo sorriso quasi isterico. Non credeva alle sue orecchie, era evidente.

-Bene-   disse avvicinandosi alla scrivania per stringere la mano a Gerry.

Olga, invece, lo salutò da lontano con un cenno.

-A te spetterà una bella percentuale-   le disse lui prima di vederla scomparire oltre la porta del suo ufficio.

Olga e Stefano uscirono insieme in strada. Avevano bisogno d’aria. Entrambi.

Rimasero fermi sul marciapiede in silenzio, poi finalmente qualcuno parlò.

-Non riesco ancora a crederci-    commentò Stefano.

-Un sogno che si avvera-   rispose lei.

Non riusciva a togliersi dalla testa Noah e il suo blog, così lo chiese senza troppe remore.

-Com’è che si chiama il blog di Gallagher?-

Stefano si voltò sorpreso.

-Lei lo ha conosciuto, vero?-

Anche Olga si stupì.

-Ha avuto una strana reazione quando lo abbiamo nominato-   spiegò in fretta lui.

-L’ho conosciuto qualche anno fa, quando lavoravo per un’altra agenzia-

-Mi piace molto il suo stile. E’ molto bravo-    rispose lui senza approfondire oltre il discorso di Noah e Olga.

-Mi sa dire come si chiama il suo blog?-

Stefano alzò lo sguardo al cielo, come per pensarci su.

-Quel panino al Colosseo-   disse poi   -O qualcosa del genere-

Olga spalancò la bocca, ma la richiuse all’istante per evitare di essere notata.

-Quel tipo deve amare molto Roma-   riprese Stefano   -Chissà perché-

-Già-   confermò Olga   -Chissà perché-



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Capitolo 7
*** Lasciarsi ***





Lasciarsi







Noah si sentiva stanco, vuoto e nervoso.

Le sue dita battevano sulla tastiera.

Metteva per iscritto i suoi pensieri, le sue impressioni. Cercava di mantenersi sempre un po’ vago quando scriveva i pezzi da pubblicare sul suo blog.

Nessuno che conosceva ne sapeva nulla, ma voleva comunque evitare di essere troppo trasparente.

SI trattava di un blog, non di un diario personale. Molta gente lo leggeva, lo sapeva dal contatore dei visitatori.

Alzò per un attimo il suo sguardo. La casa era vuota. Il divano era vuoto.

Katherine se n’era andata. Era stato lui a mandarla via. L’aveva pregata di uscire, di andarsene da casa sua e di tornare in Inghilterra, magari da Peter. Era lì la sua vita e, se anche Noah si fosse sbagliato, era comunque sicuro di non volerla intorno. Non potevano stare insieme, non erano fatti l’uno per l’altra.

Si passò una mano tra i capelli.

Anche di Olga aveva detto la stessa cosa: non erano fatti per stare insieme.

Ma allora cosa lo attendeva? Una vita di solitudine?

Lasciò andare il computer e tornò in casa.

Si versò da bere. Non voleva caffè né tisane. Aveva bisogno di qualcosa di forte.

Recuperò una vecchia bottiglia di whiskey dal fondo di un cassetto e se ne versò un bel po’ in un bicchiere di vetro già pieno di ghiaccio.

Lo mandò giù in fretta e sentì la gola bruciare. Storse il viso in una smorfia di dolore.

Alla fine si infilò in fretta le scarpe e uscì di casa.

Raggiunse l’aeroporto in taxi e trovò Katherine ancora lì, in sala d’attesa.

Andò verso di lei arrivandole alle spalle.

-Katherine?-   la chiamò posandole una mano  sulla spalla e inducendola a voltarsi.

I suoi occhi erano pieni di lacrime.

Quando lo riconobbe non sorrise, non c’era speranza nei suoi occhi.

Sapeva che Noah non aveva fatto tutta quella strada per chiederle di restare. Non aveva cambiato idea. Era solo pentito di averla trattata male, di averla mandata via quasi con la forza. Noah era buono, dolce. Non avrebbe mai potuto fare del male a qualcuno. Non intenzionalmente.

Katherine aveva avuto paura quando aveva visto l’ira nei suoi occhi, ma lo aveva capito.

Noah era distrutto, ferito. Era stata lei a renderlo così fragile e vulnerabile.

-Hai ragione, Noah-   disse all’improvviso mente lui le accarezzava il viso.

Lui la guardò senza capire.

-Io non ti amo più-   spiegò    -Sono corsa qui perché io e Peter siamo in crisi, ma non ti amo. Volevo solo farlo ingelosire, ferirlo. L’ho capito soltanto dopo la tua scenata-

Una lacrima le scese sulla guancia, Noah l’asciugò con le sue dita.

-Ma non puoi credere che non ti abbia mai amato-   proseguì   -Forse l’ho fatto nel modo sbagliato, ma l’ho fatto. Ti ho amato sempre, durante tutte le notti passate insieme e i giorni trascorsi in caffetteria. Ti ho amato anche quando non c’eri-

Lui chinò lo sguardo commosso.

-Anche io ti ho amato tanto, Katherine-    disse senza riuscire a guardarla.

-Non avrei mai voluto farti del male-   riprese lei tra le lacrime.

-Lo so-   rispose lui portando finalmente lo sguardo ai suoi occhi color caramello.

-Mi dispiace tanto-    disse infine   -Ma ora devo lasciarti andare-

-E io devo lasciare andare te-

Noah non riusciva più a distogliere lo sguardo da lei. Quello era un vero e proprio addio.

-Tu mi hai lasciata andare già molto tempo fa-   rispose lei    -Sei stato molto più coraggioso di me-

Si allontanarono l’uno dall’altra, poi Katherine prese il suo bagaglio e sparì tra la folla.

Noah si voltò per dirigersi verso l’uscita, ma si sentì chiamare di nuovo da lei.

Si voltò d’impulso.

-Posso chiederti una cosa?-   disse tornando verso di lui.

Noah annuì curioso.

-Che ci facevi all’aeroporto l’altra mattina?-

Era incredibile, se ne era quasi dimenticato.

-Volevo partire-

-Per andare da un’altra donna?-

Lui annuì con cautela, quasi come se avesse timore di ferirla.

-Allora cosa aspetti? Vai! Parti!-

Si voltò di nuovo e sparì.

Noah , rimasto solo, si guardò intorno.

Avrebbe potuto acquistare il biglietto per Roma, ma dopo qualche momento di esitazione, uscì dall’aeroporto.

Si sentiva in subbuglio, in tumulto. Si sentiva pronto a scrivere un altro libro.

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Capitolo 8
*** Distanze ***




Distanze







“ Se il suo cuore non avesse fatto quel balzo, quel piccolo balzo, se non avesse saltato quel battito, lui non si sarebbe mai accorto della sua bellezza.


Sarebbe passato oltre, distrattamente, come fa la gente ogni giorno sui mezzi pubblici, in treno o in aereo.


Eppure il suo cuore non avrebbe mai potuto passare oltre, non avrebbe mai potuto non notarla.


Lei era bellissima, semplicemente bellissima.


Forse era un termine banale, una definizione abbastanza scontata, ma era esattamente quella adatta.


Ashley era elegante, lo sguardo gentile, ma sul suo viso non c’era l’ombra di un sorriso.


Era chiusa in una corazza, anch’essa bellissima, ma pur sempre una corazza.


Aveva il vizio di starsene in silenzio in un angolo, lontano da tutti. Lontano dal mondo.


I suoi occhi scrutavano il vuoto, penetravano l’oscurità come quelli di un felino.


Anche lui si sentì penetrato da quegli occhi tanto grandi quanto tristi e nulla fu più come prima.”


 
Olga trascorse tutta la notte davanti al suo computer.

Lesse il blog di Noah tutto d’un fiato, fino all’ultimo post.

Molti parlavano di lei, ne era certa. Altri si ispiravano in maniera abbastanza vaga al suo modo di essere.

Lei sapeva di essere la musa ispiratrice di quegli scritti, lo sapeva nel profondo.

Non sapeva, però, come doveva sentirsi, quali erano le conseguenze di quelle letture e di quelle deduzioni.

Noah l’amava?

La risposta alla domanda non era poi così difficile. Lui l’aveva guardata con uno sguardo innamorato, le aveva dedicato un libro che parlava di loro, del loro incontro e del loro amore non convenzionale.

Aveva chiaramente scritto, nero su bianco, quello che provava per lei. Lo aveva definito in tanti modi, ma Olga aveva sempre letto la parola amore.

Si erano trovati, si appartenevano.

Un’altra domanda sorse spontanea nelle mante di Olga, mentre lei si toglieva gli occhiali e spegneva il pc.

Cosa provava lei per Noah Gallagher, lo scrittore squattrinato? Lo amava?

Lo aveva detestato per molto tempo, lo aveva giudicato.

Quando però si erano seduti in quel bar e lui aveva aperto il suo cuore le era sembrato di conoscerlo e soprattutto di amarlo da sempre.

Forse era proprio così. Forse lo conosceva perché aveva letto i suoi libri e lo aveva fatto a cuore aperto, senza quella sua corazza d’odio che nascondeva un cuore carico di furia omicida.

Sorrise. Era il modo in cui Noah l’aveva descritta nei primi capitoli del suo libri: carica di furia omicida.

Lo adorava, questo era certo. Riusciva a farla sorridere, a farla commuovere. Scatenava in lei emozioni e sensazioni che non credeva possibili, che non si riteneva in grado di provare.

Non sapeva se lo amava, ma voleva vederlo.

Scosse la testa.

Non poteva partire per Londra. Era troppo incasinata con il lavoro.

Stavano per pubblicare un nuovo libro, un nuovo autore.

Sospirò e per un attimo pensò a lui. Stefano Fosso.

Era indubbiamente un uomo molto affascinante.

Ricordava vagamente Noah e non solo per il suo modo di scrivere.

Era timido, restio. Faceva sempre un passo indietro quando qualcuno gli si avvicinava. In alcuni momenti balbettava. Era fragile, introverso.

Era un essere perfettamente umano, non uno di quegli uomini tutti pompati che fingono di non avere sentimenti solo per cercare di piacere a qualche squallida oca giuliva.

All’improvviso Olga non seppe più a chi stava pensando.

Noah o Stefano? Erano molto simili, entrambi molto affascinanti. Due scrittori nati, in grado di farle versare lacrime sulle pagine di un libro, capaci di farla entrare nel mondo dei loro personaggi per non uscirne più.

Aveva letto il blog di Noah e le era sembrato diverso, cambiato.

Aveva scritto dei pezzi che le erano sembrati assolutamente autobiografici.

Parlava della vita, dell’amore, di donne e macchine da scrivere.

Parlava molto dell’America e in particolare della California.

Forse Noah aveva intenzione di trasferirsi lì per avere maggiori possibilità, per ritrovare l’ispirazione, per allontanarsi il più possibile da Katherine e forse anche per dimenticarsi di lei e dal loro amore stravagante.

Doveva vederlo, non riusciva a pensare ad altro.

Scese dal suo sgabello e andò verso il telefono.

Non poteva andare da lui, ma poteva chiamarlo. Poteva sentire la sua voce in lontananza, distante come il loro amore.

Guardò l’orologio e lasciò stare. Erano le tre di mattina.

In Inghilterra c’era soltanto un’ora di differenza.

Probabilmente Noah stava dormendo sogni tranquilli.


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Capitolo 9
*** Il Grande Ritorno ***





Il Grande Ritorno






Aveva passato tutta la notte a scrivere.


Aveva recuperato la sua vecchia macchina e aveva cominciato a tirare fuori le parole dal suo cuore.


Le cose per le quali vale la pena vivere si sentono in fondo al petto ed era proprio da lì che Noah aveva estratto le parole del suo nuovo romanzo.


Erano venuti fuori dodici capitoli abbastanza lunghi. Probabilmente li avrebbe divisi e avrebbe anche tolto qualcosa.


Era solo l’inizio. Avrebbe continuato a scrivere tutto il giorno e anche la notte successiva se ce ne fosse stato bisogno.


Non poteva fermarsi, non allora.


Doveva scrivere finché tutto era chiaro nella mente, finché le sue gambe fremevano come quelle di un bambino davanti ad una montagna di dolci, finché le lacrime erano ancora lì pronte a scendere.


Il cuore faceva ancora un po’ male. Lasciare Katherine non era stato del tutto indolore.


Con lei aveva chiuso da un pezzo, questo era certo, ma stava chiudendo un capitolo della sua vita e si trattava di un capitolo che, seppur doloroso, era stato comunque molto importante.


Era stato felice, molto felice.


Aveva anche sofferto come un cane, ma da quella sofferenza e da quel dolore aveva imparato molto.


Si era rialzato, si era leccato le ferite per molto tempo e alla fine aveva incontrato qualcuno pronto a fargli capire che la vita è bella proprio perché fa male. Anzi, è ancora più bella quando si soffre e quando si sbatte contro il muro.


Chiuse gli occhi e vide Katherine, ma quasi immediatamente la sua chioma scura, nella sua immaginazione, si trasformò in una chioma più chiara. Katherine divenne Olga e Noah aprì gli occhi di scatto, spaventato.


Era quello il capitolo in corso: Olga.


Non lo aveva chiuso, non aveva mai avuto il coraggio di finirlo a dire il vero.


C’erano ancora delle pagine bianche in attesa di essere riempite e Noah, in quel momento si rese conto di non poter aspettare più. Doveva vederla, sentire il suo odore, il suo alito al caffè. Aveva bisogno di vedere i suoi occhi glaciali e soprattutto aveva bisogno di andare oltre quella patina di ghiaccio per vedere la sua anima. Lui riusciva a vederla, c’era riuscito fin dal primo incontro.


Lanciò un’occhiata al suo cellulare. Avrebbe potuto chiamarla, mandarle un messaggio.


No, non aveva mai creduto nell’efficacia dei nuovi mezzi di comunicazione.


Nulla avrebbe mai potuto sostituire un bacio, un’occhiata, una carezza.


Lui doveva vedere Olga, guardarla negli occhi, annusarla, toccarla.


Chiuse gli occhi e ricordò le sue carezze, quelle che gli aveva regalato in quel locale al Colosseo, quelle cariche di speranza e piene di sincerità.


Riaprì gli occhi e riportò lo sguardo sulla macchina da scrivere.


Le sue dita toccarono i tasti e le parole presero a scivolare fuori da sole, di nuovo.


Scrisse altre righe, altre pagine, altri capitoli. Non era molto sicuro di quello che stava venendo fuori, ma si fidava del suo istinto. Tutti i suoi maggiori successi erano il frutto di momenti come quello che stava vivendo in quell’istante.


Doveva cogliere l’attimo e fidarsi di se stesso per una volta.


Scrisse ancora e ancora, fino ad addormentarsi sul suo tavolo della cucina.


Quando la mattina dopo si risvegliò un po’ indolenzito, rilesse con attenzione ciò che aveva scritto.


Era venuto fuori un breve romanzo su una ragazza adolescente che cerca il suo posto nel mondo dopo essere fuggita da una madre indifferente e da un padre del tutto assente. Dall’Inghilterra alla California, proprio come lui. Leggendo alcuni passaggi, Noah, si stupì di se stesso. Non ricordava di aver scritto dei pensieri così profondi, ma era del tutto normale. Quando scriveva era assente. Era quasi come essere ubriachi e, dopo essersi svegliati il giorno dopo con il mal di testa, risultava abbastanza difficile cercare di ricordare l’accaduto.


Noah amava il suo lavoro. Scriveva per passione, non per soldi.


Scriveva per Olga e prima ancora aveva scritto per Katherine.


Il romanzo, tutto sommato, era buono. Era venuto fuori tutto quello che Noah aveva dentro, forse anche meglio di quanto non si fosse aspettato. C’era solo bisogno di qualche modifica qua e là, poi sarebbe andato dall’editore e infine avrebbe finalmente potuto realizzare il desiderio che da mesi governava quasi prepotentemente e del tutto insistentemente la sua vita.


Sarebbe andato a Roma, da Olga.


Le avrebbe portato un’anteprima del suo libro e l’avrebbe finalmente guardata negli occhi. Di nuovo. Dopo tanto tempo.


Il suo cuore sarebbe guarito. Finalmente.


Olga era la sua medicina, la sua amica, la sua cura e la sua confidente.


Olga era qualcosa che era difficile descrivere a parole.


Si alzò in piedi e prese fiato gonfiando il petto. Era pronto al suo grande ritorno.



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Capitolo 10
*** Notizie Inaspettate ***





Notizie Inaspettate








Olga era seduta al tavolino di un bar.

Sorseggiava il suo caffè macchiato e non poteva fare a meno di pensare a Noah.

L’ultima volta che si era ritrovata in un bar con un uomo era stato quando Noah le aveva aperto il suo cuore. Le aveva parlato di Katherine, dell’amore folle che aveva provato per lei e della delusione che subito dopo aveva invaso il suo cuore facendogli chiedere a se stesso cosa doveva provare.

Lo ricordava ancora nitidamente. La sua barba incolta, il suo viso dispiaciuto e le sue mani strette in grembo a contorcersi. Quel giorno si era accorta di amarlo. Lo aveva amato con la mente oltre che con il cuore, affascinata da un uomo tanto sensibile e sincero. Era stato trasparente con lei, era stato vero, reale.

Alzò lo sguardo sulla figura che aveva davanti.

Lui le sorrise.

Stefano era appena stato in ufficio con lei e aveva firmato il suo bel contratto.

Non smetteva di sorridere. Si sentiva felice. Aveva finalmente portato a termine qualcosa di concreto, aveva realizzato il suo sogno di scrittore.

Aveva ordinato una tazza di tè, poi se ne era rimasto in silenzio per tutto il tempo a guardarla, a contemplarla.

Olga era una donna molto attraente. I suoi occhi chiari e profondi lasciavano intendere che ne aveva passate tante nella vita, ma che alla fine aveva trovato il coraggio di reagire. Stefano sapeva che lavorava da poco per quella casa editrice, che aveva cambiato casa. Aveva dato una svolta alla sua vita e, per un attimo, si chiese quale potesse essere il motivo che l’aveva spinta a tanto. Forse aveva perso qualcuno di importante, proprio come lui.

Stefano era vedono da tre anni ormai. Lui e sua moglie non avevano potuto avere figli proprio a causa della sua malattia. Era rimasto solo, completamente solo in una città troppo grande, in un mondo troppo meschino.

Per lui, dunque, pubblicare quel libro era una doppia vittoria.

Lo aveva fatto per lei, per Agata, e ci era riuscito. Aveva finalmente dato un senso alla sua vita da vedovo, aveva trovato il modo e soprattutto il coraggio di risollevarsi dopo tanto tempo.

-Ha firmato un gran bel contratto-

Finalmente Olga parlò. Quel silenzio era diventato troppo pesante da reggere.

Stefano annuì.

-Lo dovevo a mia moglie-   rispose chinando il capo.

Olga si stupì. Non aveva pensato ad una moglie e, soltanto in quel momento, notò che in effetti Stefano non portava la fede al dito.

-E’ sposato?-   chiese chinando la testa di lato, incuriosita.

Lui scosse la testa.

-Lo ero-   rispose alzando lo sguardo su di lei, fino ai suoi profondi e tristi occhi chiari    -Sono vedovo-

Olga si portò una mano alla bocca.

-Mi dispiace, non lo sapevo-

-L’ho scritto per lei-   la interruppe lui    -Il libro è un regalo per lei-

Olga provò l’impulso di accarezzargli un braccio, come in un tempo ormai lontano aveva fatto con Noah.

Si trattenne. Stefano non era Noah, doveva smettere di paragonare l’uno all’altro. Doveva decidersi.

Provava una strana sensazione quando si trovava in presenza del signor Fosso, una sensazione che non riusciva a spiegare, del tutto diversa da quella valanga di emozioni che solo Noah sapeva suscitargli. Erano emozioni diverse, ma non per questo l’una era migliore o peggiore dell’altra.

All’improvviso il suo cellulare vibrò nella borsa, costringendola a scuotere la testa per riportarla alla realtà.

-E’ il suo-   disse Stefano indicando la sua borsa appesa al bordo della sedia proprio dietro le sue spalle.

Olga recuperò il cellulare e rispose alla chiamata.

-Sì va bene, arrivo subito-   la sentì dire lui.

Chiuse la chiamata e ripose il cellulare nella borsa, poi estrasse il portafogli.

-Neanche per sogno-   disse Stefano, afferrandole il polso per fermarla    -Offro io. E’ la mia festa-

Lei sorrise e ripose il portafogli nella borsa.

-Grazie-   sussurrò    -Ma ora devo proprio andare. Gerry vuole vedermi-

-Non ci saranno problemi con il mio contratto?-   chiese lui allarmato, lasciandole andare il braccio.

-Non credo-

Si alzò ed uscì dal locale, voltandosi a guardare Stefano attraverso la vetrina.

Rimase lì a fissarlo per una decina di minuti, mentre lui finiva il suo tè assorto nei suoi pensieri.

Era vedovo. Aveva sofferto molto, era evidente.

Anche lei aveva sofferto per Andrea.

Quando Stefano fece per alzarsi, lei si decise ad attraversare la strada per ritornare in ufficio.

 

Salì le scale e raggiunse l’ufficio del suo direttore.

Bussò delicatamente alla porta e, soltanto dopo aver udito una parola di assenso, l’aprì per entrare.

Gerry era seduto alla scrivania, come al solito. Aveva uno strano ghigno dipinto sul viso tondo e paffuto.

Olga non riusciva proprio ad immaginare cosa ci potesse essere da sogghignare tanto, ma era comunque lieta di non averlo trovato furioso.

Non aveva mai assistito ad una sua sfuriata, ma quando aveva ottenuto il posto, i suoi colleghi le avevano raccontato un sacco di aneddoti. Gerardo Armani era il classico bonaccione, sempre sorridente e con la battuta pronta. Calpestava gli altri con piacere, ma grazie al suo atteggiamento allegro, la gente spesso non ci faceva caso. Tuttavia, quando si arrabbiava diventava una vera e propria bestia. Alcuni suoi colleghi lo avevano visto rovesciare la scrivania e tirare dei manoscritti dietro a dei giovani scrittori che fuggivano via terrorizzati.

-Vuoi sentire l’ultima?-    chiese senza smettere di sogghignare.

Olga andò a sedersi di fronte a lui, poi annuì.

-Quello scrittore inglese…-

-Gallagher?-   chiese Olga sgranando gli occhi stupita.

-Esatto!-     esclamò Gerry   -Proprio lui!-

Fece una pausa e si accese una sigaretta senza neanche chiedere se a Olga dava fastidio.

-Cosa ha fatto?-   chiese lei sulle spine.

-E’ tornato!-   comunicò lui alzandosi in piedi e facendo un leggero inchino.

-Ha scritto un nuovo romanzo?-

Olga era sempre più incredula e confusa.

Erano settimane che ormai non faceva altro che pensare a lui.

-Proprio così-   rispose Gerry girando intorno alla scrivania  e prendendo a passeggiare alle  sue spalle.

-E a noi dovrebbe importare? Se non sbaglio in Italia lo pubblica un’altra casa editrice-

-Ed è proprio qui che sta il colpo di scena!-

Gerry era euforico, totalmente fuori di sé. Se Olga non lo aveva mai visto furioso, era altrettanto vero che non l’aveva mai visto neanche in quello stato.

-Non ti seguo-   disse, in cerca di una spiegazione un po’ più chiara.

-La sua solita casa editrice non vuole pubblicarlo più, dopotutto è passato tanto tempo dalla pubblicazione del suo ultimo libro. Pensano che potrebbe essere un flop-

-Ma potrebbe essere anche un grande ritorno-    rispose lei d’impulso.

Gerry si fermò di scatto e si voltò a guardarla.

Anche Olga si girò sulla sedia per vedere meglio il suo interlocutore.

-Lascia stare l’altra casa editrice, tu lavori per questa-   disse con tono di rimprovero, indicando il pavimento con il suo indice paffuto    -Devono starti a cuore i nostri interessi, non i loro-

-Cosa stai cercando di dirmi?-

Olga strinse gli occhi incuriosita.

-Che ho comprato i diritti-    comunicò soddisfatto    -Lo pubblichiamo noi-

Olga spalancò la bocca, poi se la coprì con la mano.

Noah aveva scritto un nuovo romanzo e lei lo avrebbe pubblicato in Italia? Era un sogno, doveva per forza esserlo.

-Domani avrò il manoscritto in lingua originale. Lo leggerai tu visto che conosci bene la lingua e soprattutto visto che mi fido ciecamente di te-

Olga sorrise a quel complimento, ma non abbandonò il suo stupore.

Troppe notizie scioccanti le erano state comunicate all’improvviso, tutte insieme.

-Perfetto-   riuscì a dire semplicemente.

-Non so a che ora arriverà, sai, per via de fuso orario-   proseguì Gerry riprendendo la sua passeggiata.

-Fuso orario?-   chiese Olga confusa    -Ma la differenza è soltanto di un’ora-

Gerry si voltò di scatto.

-Un’ora?-    ripeté sbalordito    -No, mia cara. In California la differenza è ben più di un’ora-

Si sentì quasi svenire. Cosa diavolo stava succedendo?

Era davvero cambiato tutto?





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Capitolo 11
*** Romanzo Senza Titolo ***





Romanzo Senza Titolo







Era filato tutto liscio. Forse anche troppo.

Il suo editore aveva dato il via alla pubblicazione. Il romanzo di Noah gli era piaciuto molto. Lo aveva letto in pochi giorni, anzi in poche ore, e aveva subito avviato tutte le pratiche necessarie alla pubblicazione in contemporanea in molti paesi europei e in America stessa.

-Manca il titolo-   aveva detto Trevor togliendosi gli occhiali e lasciandoli penzolare sul suo petto appesi ad una ridicola catenella colorata.

-Suggerimenti?-   aveva chiesto Noah con un sorriso imbarazzato.

Non era riuscito a trovarne uno soddisfacente. Il romanzo parlava di una ragazza che affrontava molte sfide nella sua vita e che, alla fine, riusciva a rimanere a galla, anche se con un po’ di fatica. Non era proprio un lieto fine il suo, ma d'altronde Noah non amava affatto i finali belli. Nella vita non ce n’erano. Non esisteva la felicità assoluta, qualcosa andava storto prima o poi, sempre.

-Ti fidi di me?-   aveva chiesto Trevor osservandolo divertito.

Noah aveva annuito ed era andato via.

Il suo dovere lo aveva fatto. Aveva scritto il romanzo, ora doveva passare la palla alla casa editrice.

Era tornato a casa e si era sdraiato sul divano. Si sentiva distrutto. Dopotutto aveva passato una notte in bianco a scrivere e quella successiva a rileggere e risistemare il tutto.

Chiuse gli occhi con l’intenzione di riposare solo qualche minuto, ma sprofondò in un sonno profondissimo.

Si risvegliò l’indomani, alla medesima ora, con un terribile mal di schiena. Il suo divano non era proprio ciò che può definirsi un giaciglio comodo e confortevole.

Andò in cucina e si versò del latte.

Fu proprio nell’istante in cui richiuse il frigorifero che udì il suo cellulare squillare.

Rispose meccanicamente, con la voce ancora assonnata, strofinandosi gli occhi ancora impastati dal sonno.

-Abbiamo il via libera da Italia, Inghilterra e Irlanda-   comunicò allegro Trevor.

Noah annuì, poi, rendendosi conto che il suo editore non poteva vederlo attraverso il telefono, mugugnò un verso affermativo.

-In Italia abbiamo cambiato casa editrice-

-Come mai?-

Ora Noah era completamente sveglio.

-Quella vecchia non ti voleva più-    rispose lui diretto    -Ma non farci caso, non capiscono proprio un fico secco quelli là. Il tuo sarà un grande ritorno e, quando loro se ne accorgeranno, si mangeranno le mani-

-Chi mi pubblica?-   chiese Noah curioso.

-La S&M-

Noah si grattò la testa pensieroso.

-Mai sentita-    sentenziò poi.

-Sono forti-    rispose l’altro    -Hanno una bravissima editrice. Lavora per loro da poco, ma ha già scoperto un sacco di nuovi romanzieri davvero promettenti-

-Se lo dici tu-

Noah era stanco. Non amava quel tipo di conversazioni. Lui era uno scrittore e non gli interessava molto la fase intermedia tra la fine del suo lavoro e l’inizio delle vendite. Purtroppo, però, non aveva un agente che potesse occuparsi di quella particolare parte del lavoro. Ne aveva avuto un paio in Inghilterra, ma quando si era trasferito in America non si era affatto premurato di trovarsene un altro. Dopotutto non scriveva più e non voleva certo avere un avvoltoio che gli piombava addosso ogni giorno per chiedergli un nuovo libro. Se l’era presa comoda, aveva deciso di rilassarsi e respirare un po’. Si era dedicato al suo blog con calma e pazienza, scrivendo pezzi soltanto quando ne aveva voglia o ne sentiva il bisogno. Lo aveva usato come una sorta di diario, nulla di più.

-Ed è anche una gran bella donna a quanto dicono-    riprese Trevor dall’altro capo del telefono.

Noah annuì di nuovo.

-Si tratta di una certa Olga Ranieri. E’ stata lei a leggere il tuo romanzo in lingua originale visto che conosce bene la lingua. Ora attendiamo la traduzione-    proseguì l’altro con tono noncurante.

Il cuore di Noah smise di battere per istanti che parvero eterni. Sgranò gli occhi e scivolò lungo il muro con la schiena, fino a ritrovarsi seduto sul pavimento della cucina.

-Come hai detto?-    chiese incredulo.

-Olga Ranieri-    ripeté lui    -La conosci?-

La pronuncia di Trevor non era proprio esatta, ma per un americano che non ha idea di cosa sia la lingua italiana era del tutto normale. Era anche un po’ troppo esatta forse.

Tuttavia, Noah, era sicuro di aver capito “Olga Ranieri”, la donna che aveva incontrato durante una sua visita a Roma. La donna che aveva detestato all’inizio, ma che aveva amato follemente dopo.

Era un segno del destino?

Era da mesi che non faceva altro che pensare a lei, pianificando in continuazione un suo viaggio in Italia.

Era quasi partito una volta, ma poi Katherine lo aveva bloccato all’aeroporto.

Si era poi messo a scrivere, accantonando in un angolo della mente il suo viaggio. Non lo aveva affatto dimenticato, però. Aveva fatto tutto per lei e solo per lei. Aveva scritto, aveva riprovato a scalare quella montagna chiamata vita solo per poter raggiungere lei sulla vetta.

-Ranieri?-    ripeté boccheggiando come un pesce.

-Si, credo si pronunci così-    riprese Trevor   -Tu conosci l’italiano dopotutto. La conosci?-

Noah non rispose alla domanda. Lasciò andare il telefono e rimase seduto sul pavimento finché fuori non divenne buio.

-Olga-   sussurrò dopo ore passate a pensare a lei, prima di addormentarsi accovacciato sulla moquette.

Dormì sogni tranquilli, del tutto ignaro del fatto che la sua Olga stava andando all’aeroporto proprio in quell’istante. Era ora di partire, di riprendere tutto da dove lo avevano lasciato. Era ora di dare una svolta alle loro vite.




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Capitolo 12
*** Arrivi ***





Arrivi






Si sentiva strana e non solo perché si trovava in un paese straniero.

Il suo malessere era dovuto a lui. Noah.

Lo avrebbe rivisto dopo tanto tempo e, mentre trascinava la sua valigia fuori dall’aeroporto, verso il primo taxi libero, si chiese cosa avrebbe mai potuto dirgli.

Con la mano libera accarezzò la sua borsa. Conteneva il manoscritto di Noah, il suo nuovo libro.

Era rimasta molto colpita da quella storia, tanto che aveva deciso di partire per Los Angeles all’improvviso, senza portarsi troppa roba dietro, lasciando il suo gatto da solo e affamato nel suo nuovo appartamento.

Si era sentita un po’ in colpa una volta sull’aereo, ma quel senso di colpa era stato ben presto sostituito da una strana sensazione di smarrimento.

Si infilò nel taxi e comunicò all’autista la sua destinazione in perfetto inglese. Era riuscita ad avere l’indirizzo grazie alla sua casa editrice che, ormai, lavorava anche per il famoso romanziere inglese Noah Gallagher.

Il tassista sorrise guardandola dallo specchietto retrovisore, poi mise in moto e partì.

Olga si sistemò sul sedile irrequieta. Non sapeva proprio come doveva sentirsi. C’era qualcosa di strano in quell’aria nuova. Era forse l’amore che provava per quello che un tempo aveva definito scrittorino insulso?

Probabilmente le cose stavano proprio in quel modo, ma all’improvviso, Olga fu assalita dai dubbi.

Cosa sarebbe successo? Si sarebbe trasferita anche lei in California? Oppure avrebbe costretto lui ad andare in Italia? E dove se lo sarebbe messo? Aveva appena cambiato casa. Si era trovata un appartamento perfetto per lei e il suo gatto e non c’era posto per nessun altro. E se il problema non fosse stato l’appartamento? Se fosse stato invece il suo cuore a non avere posto per nessuno? Dopotutto ne aveva sofferte tante, era stanco e raggrinzito e chissà come trovava ancora la forza di battere. Da dove veniva quella forza? Da Noah? Dal sentimento sincero e profondo che li legava?

Olga chiuse gli occhi e li strinse forte.

Aveva mal di testa, colpa del fuso orario.

Il tassista gli lanciò un’altra occhiata dallo specchietto. Era preoccupato per lei. Si era portata una mano alla fronte e teneva ancora gli occhi serrati.

-Sta bene?-    chiese l’uomo continuando a sbirciare nello specchietto.

Olga annuì, ricambiando il suo sguardo con un sorriso.

Lui aprì la bocca per dire qualcos’altro, ma la richiuse immediatamente quando vide che Olga portava lo sguardo fuori dal finestrino.

Quelle strade erano ben diverse da quelle romane e lo erano certamente anche da quelle inglesi.

Perché Noah si era trasferito proprio lì? Perché teneva un blog?

Aveva creduto di conoscerlo a fondo. Il loro unico incontro era stato abbastanza intenso e intimo.

Forse si sbagliava. Magari Noah era completamente diverso da ciò che lei era creduto.

Forse c’era cascata anche lei, proprio come lui con Katherine. Aveva visto in Noah quello che voleva vedere e alla fine probabilmente si era innamorata solo di un falso idolo.

Scosse la testa. No, non poteva essere. Lei aveva visto veramente Noah, aveva scrutato la sua anima e aveva capito chi era. Non poteva essersi sbagliata. Il suo istinto non l’aveva mai tradita.

Aprì la borsa e ne estrasse il manoscritto di Noah.

Era battuto a macchina e Olga, accarezzando la copertina, sorrise nel constatare che non si era sbagliata del tutto. Sapeva che preferiva la macchina per scrivere i suoi romanzi e probabilmente, l’unico motivo per il quale aveva adoperato un computer, era solo che gli rendeva più facile la pubblicazione su internet dei suoi pezzi.

Rimise in borsa il manoscritto, ma non distolse lo sguardo da essa. Si era commossa su quelle pagine, aveva pianto. Nessuno era mai stato in grado di strappargli delle lacrime, non dopo la morte di Andrea.

Non aveva più pianto da allora. Il suo cuore era diventato di ghiaccio.

All’improvviso il tassista frenò di botto. Olga fu scaraventata in avanti e batté il mento contro il sedile dell’autista.

-Mi scusi-    disse poi voltandosi per constatare che non si fosse fatta male   -Non avevo visto il numero civico. Comunque siamo arrivati-

Olga si massaggiò il mento per qualche istante, poi portò lo sguardo fuori.

Il quartiere sembrava isolato e tranquillo, l’ideale per uno scrittore. Sbirciò distrattamente il portone d’ingresso, ma subito dopo recuperò la borsa per pagare la sua corsa.

Scese dal taxi dopo aver ringraziato l’autista che l’aiutò premuroso a tirare giù la valigia.

Attese con pazienza che si allontanasse, poi si voltò verso il portone.

Doveva bussare. Era andata fin lì, doveva trovare la forza di farlo.





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Capitolo 13
*** L'Incontro ***





L'Incontro






Aveva dormito sul pavimento, ancora non riusciva a crederci.

Aveva un enorme letto matrimoniale in camera sua e un letto altrettanto comodo nella camera degli ospiti. Anche il divano era di certo più confortevole della sua moquette. Come diavolo aveva fatto ad addormentarsi lì? Come gli era saltato in mente?

Si era svegliato poche ore prima confuso e dolorante e, dopo una bella e tonificante doccia, era uscito a comprare del latte.

Camminava sperduto per le strade di Los Angeles, con un pesante macigno sullo stomaco.

Aveva scritto il suo nuovo romanzo, aveva fatto il suo dovere, eppure non si sentiva ancora pienamente soddisfatto. Solo Olga avrebbe potuto annullare quel suo senso di smarrimento e lui, chissà per quale ragione, stava temporeggiando troppo. Doveva prendere quel dannato aereo e doveva farlo al più presto. Non aveva più scuse, il suo libro doveva aspettare le traduzioni per essere pubblicato in contemporanea in tutti i paesi che lo avevano comprato, quindi non aveva nessun valido motivo per rimanere lì ad aspettare.

Trascinò i piedi sul marciapiede, mentre stringeva tra le braccia la busta della spesa. Aveva comprato del latte, del succo d’arancia, patatine e carne fresca. Mangiava male, molto male, ed era dimagrito notevolmente da quando si era trasferito in America. Non era mai stato troppo in carne, ma se qualcuno che conosceva nella sua vita precedente lo avesse visto in quello stato, lo avrebbe definito anoressico, malato.

Svoltò l’angolo e si fermò di colpo.

Una donna bionda, alta e molto distinta trascinava una valigia verso il marciapiede, proprio davanti alla sua porta di casa, mentre un taxi si allontanava lentamente.

Non riusciva a vedere bene il suo viso, ma aveva decisamente qualcosa di familiare.

Si fermò proprio davanti alla sua casa ed esitò diversi istanti.

Sembrava non trovare il coraggio di bussare.

Teneva lo sguardo fisso sulle sue scarpe e un braccio fermo a mezz’aria.

Noah sapeva chi fosse, lo sapeva fin troppo bene.

Olga aveva preso in mano la situazione, come sempre. Era stata più coraggiosa di lui, più determinata, e questo lo rendeva estremamente felice perché significava che anche lei lo amava e sentiva il bisogno di rivederlo e di stare con lui dopo tanto tempo.

Cercò di superare lo shock di quella visione tanto inaspettata quanto gradita e, dopo aver scosso più volte la testa come per svegliarsi da un sogno, prese a camminare verso di lei.

Le sue gambe quasi cedettero. Tremavano in maniera incontrollabile, mentre lui cercava di farsi spazio per raggiungere ciò che aveva di più caro al mondo, la sua ragione di vita.

Erano stati lontani, ma si erano comunque dati forza a vicenda. L’uno aveva cambiato la vita dell’altra irrimediabilmente e definitivamente. Dopo il loro incontro entrambi non erano stati più gli stessi.

Noah continuò a camminare lentamente verso di lei. Avrebbe voluto gettare da parte la sua busta della spesa e mettersi a correre, ma non lo fece.

Proprio in quell’istante Olga percepì la sua presenza e si voltò.

Noah la vide spalancare gli occhi dallo stupore.

Sorrise. Cercò di rassicurarla sorridendole, ma la verità era che anche lui si sentiva strano e irrequieto.

La raggiunse in pochi passi, continuando a sorridere, cercando le parole da dire.

-Ciao-    balbettò.

Finalmente sorrise anche lei e Noah si sentì illuminato da tanta dolcezza.

Sembrava diversa, meno severa, come se quel blocco di ghiaccio che le aveva per tanto tempo circondato il cuore si fosse definitivamente sciolto.

-Ciao-    rispose lei, faticando a sostenere il suo sguardo.

Sembrava si stesse chiedendo cosa fare e cosa aveva fatto, se quella era la scelta giusta.

Noah non resistette. Lasciò cadere la busta della spesa. La bottiglia di latte andò in mille pezzi, inondando il marciapiede di liquido bianco. Nessuno dei due se ne curò.

Andò verso di lei e le prese il viso tra le mani.

-Finalmente-    sussurrò un attimo prima di baciarla.

Era il loro primo bacio. Stava succedendo tutto così in fretta, in piedi su un marciapiede chissà dove nelle strade di Los Angeles, con le scarpe macchiate di latte e una mano ancora sulla valigia.

Olga rispose al suo bacio con passione e desiderio, mettendo in quel bacio l’attesa, la nostalgia e i pensieri costanti che aveva rivolto a Noah tutti i giorni per tanto, troppo tempo. Chiuse gli occhi e lasciò cadere qualche lacrima. Era felice. Noah la completava, decisamente. Aveva trovato il suo pezzo mancante che a lungo aveva cercato, dapprima nel suo gatto, poi nel suo nuovo appartamento e alla fine nel nuovo lavoro.

Noah sentì scorrere le sue lacrime sulle dita, sulle sue guance e sul suo mento, ma non si fermò. Non poteva farlo. Olga era lì per lui, era sua. Aveva raccolto la sua valigia, l’aveva riempita distrattamente, aveva attraversato mari e oceani per essere lì in quell’istante, per quel momento. Aveva avuto il coraggio di fare la pazzia che Noah pianificava da settimane. Lo aveva sorpreso, stupito, completamente spiazzato.

Lui l’amava, l’amava alla follia e non l’avrebbe mai più lasciata andare.

Rimasero lì a baciarsi per quelle che parvero ore. Nessuno dei due ne aveva ancora abbastanza, nessuno dei due avrebbe mai voluto smettere.

Avevano vissuto le loro contorte vite solo e unicamente per quel momento, per essere lì ed essere felici in una bizzarra e inaspettata mattinata dell’estate Californiana.

Quando Noah, finalmente, la lasciò andare, Olga sorrise.

-Vieni dentro-    le disse con un cenno del capo, senza raccogliere la sua spesa.

Aprì la porta e si fece da parte per farla entrare.

-Voglio fare l’amore con te-   sussurrò lei al suo orecchio prima di oltrepassare la soglia della sua casa.





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Capitolo 14
*** A Cuore Aperto ***





A Cuore Aperto






Era nuda, completamente nuda, avvolta nelle lenzuola del letto di Noah.

Avevano fatto l’amore ed era stato bellissimo.

Lui si era addormentato poco dopo, con le braccia strette intorno alla sua vita.

Olga si sentiva felice, finalmente, dopo tanto tempo. All’inizio aveva provato un leggero imbarazzo, poi si era lasciata andare. Non aveva più toccato un uomo da quando Andrea se n’era andato. Non si era più lasciata andare con nessuno, non aveva più fatto l’amore.

Guardò Noah e provò l’istinto di accarezzargli i capelli, ma si trattenne per evitare di svegliarlo. Era così bello, scapigliato e in disordine, con la barca leggermente incolta e le occhiaie. Il viso era pallido, scavato. Noah era dimagrito molto dall’ultima volta in cui Olga lo aveva visto.

Lei rimase lì a guardarlo per ore, poi si addormentò Era stanca, sfinita dalle troppe emozioni, distrutta dal fuso orario.

Lui si svegliò appena in tempo per vederla chiudere gli occhi. Era bellissima, ancora più bella dell’ultima volta. Sembrava un’altra. Non aveva più la mascella serrata e lo sguardo freddo. Sembrava piuttosto una donna vissuta, ma sempre in gamba. Il suo sorriso si era addolcito e Noah, per un attimo, ripensò alla dedica che anni prima le aveva scritto su una prima edizione del suo “Nuvole e Caffè”.

Le aveva augurato di tornare a sorridere con gioia, di abbandonare i suoi glaciali sorrisi di cortesia per fare spazio alla vera Olga, quella che aveva di certo sofferto, ma che si era rialzata e che doveva trovare il coraggio di tornare ad essere se stessa.

Noah, guardandola, si rese conto di non sapere cosa Olga aveva passato. Era chiaro che aveva sofferto, e anche molto, ma non aveva mai raccontato a lui cosa le era realmente accaduto.

Lui si era aperto con lei, le aveva detto di Katherine, del loro amore, del figlio perduto. Aveva aperto il suo cuore, reso palese la sua anima. Non se ne era mai pentito perché, in fondo, quell’incontro aveva cambiato per sempre la sua vita.

Olga si svegliò all’improvviso, dopo quelli che a Noah erano parsi solo pochi minuti, ma che in realtà erano ore.

-Stai bene?-    le chiese quando lei lo mise bene a fuoco.

Olga annuì e si nascose la faccia dietro il lenzuolo, come una bambina.

-Avrò un aspetto orribile-    disse.

Noah la guardò. Il trucco non era più in ordine come quando era arrivata, i capelli erano arruffati e spettinati, ma Olga manteneva la sua bellezza che non proveniva affatto dai capelli o dal trucco, ma dal profondo della sua anima, visibile perfettamente attraverso i suoi occhi.

-Sei splendida-    rispose lui accarezzandole il viso, nascosto per metà dietro il lenzuolo.

-Mi sei mancato-    rispose lei baciandogli la punta del naso.

-Mi sei mancata anche tu-

Noah fece per alzarsi, ma Olga lo trattenne.

-Dove vai?-    chiese quasi spaventata.

Non voleva più perderlo di vista. Si erano finalmente ritrovati dopo tanto tempo e dovevano rimanere insieme, uniti dal loro amore profondo e sincero.

-In bagno-    rispose lui stringendosi nelle spalle.

Lei lo lasciò andare, ma attese trepidante il suo ritorno. Quando lo vide uscire dal bagno, con addosso soltanto i suoi boxer neri, poté notare quanto era effettivamente dimagrito.

-Stai bene?-    chiese analizzandolo dalla testa ai piedi con lo sguardo.

-Sto benissimo-    rispose lui ributtandosi sul letto    -Ora che ti ho ritrovata-

Olga sorrise e lo prese tra le braccia.

Si baciarono di nuovo, non ancora sazi l’uno dell’altra.

-Sei cambiata molto-   disse lui infine.

Olga sospirò.

-Ho sofferto molto nella mia vita e per tanto tempo ho gettato il mio dolore e la mia rabbia sugli altri come veleno-

Cominciò a parlare senza neanche rendersene conto, senza sapere dove quel discorso sarebbe andato a finire.

-Un amore sbagliato?-   chiese Noah guardandola rapito.

Anche lei si stava aprendo, finalmente.

-Diciamo di sì-    rispose voltandosi dall’altra parte.

Non aveva mai raccontato quella storia a nessuno, non per intero. Stava per farlo per la prima volta e, mentre sentiva le mani tremare, cercò di trovare il coraggio di essere se stessa.

-Ho amato un uomo sposato-    disse dopo qualche istante, tornando a guardare Noah.

Lui non batté ciglio. Si risistemò meglio sul letto, in modo da poterla vedere bene.

-Aveva una moglie, dei figli. Non avrei dovuto…-

-L’amore ci mette alla prova-    commentò Noah accarezzando la sua pelle bianca e morbida.

-E’ morto-    disse Olga all’improvviso per porre fine a quell’incubo di ricordi che stava prendendo vita proprio davanti ai suoi occhi, proiettato dalla sua mente.

Noah spalancò la bocca sorpreso.

Il suo era un finale ancor più tragico di quello che aveva avuto lui con Katherine.

All’improvviso si sentì in colpa. A Roma le aveva dato addosso, l’aveva trattata in maniera un po’ brusca e poi le aveva scritto quella dedica sul suo sorriso. Non immaginava il suo dolore e non avrebbe dovuto essere così presuntuoso.

La baciò delicatamente, come per scusarsi.

-Ha avuto un incidente-    proseguì lei con lo sguardo perso nel vuoto    -Mentre veniva da me. Avevamo un appuntamento-

-Mi dispiace-    sussurrò ancora lui.

-Non sono potuta andare al funerale, non ho potuto dirgli addio-    riprese lei con le lacrime agli occhi    -Ero l’amante, l’amore nascosto-

Noah la prese tra le braccia e attese che Olga finisse tutte le sue lacrime. Doveva piangere la morte di un uomo che non aveva ancora avuto occasione di piangere. Doveva farlo per andare avanti, insieme a lui.



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Capitolo 15
*** Epilogo ***





Epilogo






Era mattina presto. Noah era sveglio, ma teneva ancora gli occhi chiusi, persi nel ricordo di quegli ultimi due giorni.

Olga era stata lì con lui per tutto il tempo e avevano vissuto come una vera coppia.

Avevano dormito insieme, avevano cucinato, ordinato la pizza, avevano mangiato seduti sul tappeto a guardare la televisione, erano scesi in spiaggia a fare il bagno.

Si erano divertiti, erano stati felici sul serio.

Eppure, quella mattina, Noah evitò accuratamente di aprire gli occhi, per la paura di ciò che avrebbe potuto trovare.

Uno strano senso di inadeguatezza lo rendeva irrequieto. Sentiva un macigno sullo stomaco e i brividi gli percorrevano insistentemente la schiena nuda.

“La felicità non dura”     aveva scritto alla fine del suo ultimo romanzo e, improvvisamente, quello gli parve il titolo adatto per la sua opera. Avrebbe chiamato l’editore, ma lo avrebbe fatto più tardi.

Non voleva aprire proprio gli occhi, li stringeva forte.

Non credeva al lieto fine, non c’era mai stato nella sua vita. Qualcosa doveva sempre andare storto.

C’è sempre una tessera del puzzle che non si trova, ma anche quando si riesce a trovarla, non è detto che rimanga al suo posto.

Noah lo sapeva, lo aveva sperimentato sulla sua pelle. Anche se, alla fine, lui e Katherine avevano chiarito, lui non aveva certo trovato la felicità. Le cose riescono ad andare male anche quando sembrano andare bene.

Fece per aprire gli occhi, come per verificare il motivo di tutti quei suoi brutti presentimenti.

Lo trovò nel letto vuoto, completamente vuoto.

Olga non c’era. Non era neanche in cucina né in bagno, Noah non percepiva la sua presenza. Era andata via.

Poco lontano da lui, sulle lenzuola verde pastello c’era un biglietto scritto a mano. La calligrafia era storta e tremante e Noah, richiudendo gli occhi, provò ad immaginare la sua Olga mentre scriveva quel biglietto. Piangeva. Le lacrime colavano sul foglio, mentre lei faticava a tenere la penna tra le mani.

Allungò un braccio e afferrò quel foglio di carta.

Poche righe gli dicevano addio.

 



“ Perdonami Noah,


ma non posso restare.


Ti amo, ma non posso rimanere con te.


Siamo stati insieme, ci siamo dati forza, ma è ora di tornare alle nostre vite complementari, ma troppo diverse. Troppo distanti.


Ti porterò sempre nel mio cuore.


Con la speranza di rivederti presto,


Olga "
 




Noah accartocciò il foglio tra le mani e lo gettò sul pavimento. La palla di carta atterrò senza il minimo suono, lasciando Noah da solo nel silenzio e nel vuoto più assoluto.

Si lasciò cadere di nuovo sul letto e rimase lì a fissare il soffitto.

 

Nel frattempo, Olga, all’aeroporto, stava per imbarcarsi.

Una lacrima le rigò il viso, mentre cercava di convincersi di aver fatto la scelta giusta.

Non erano fatti per stare insieme. Lo sapeva lei e lo sapeva benissimo Noah.

Tuttavia si appartenevano e nulla, proprio nulla, avrebbe mai potuto cambiare quella realtà.

Si sarebbero rivisti un giorno, magari a Roma. Magari sarebbe stato lui a raggiungerla.

Sorrise a quel pensiero e salì sull’aereo.

Dopotutto, il loro era un amore lontano.



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