An imperfect life.

di Ninaa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Alone. ***



Capitolo 1
*** 1. Prologo ***


1. An imperfect life.






Prologo.


Sono Alisya, una ragazza del Mississippi. Una ragazza come tante altre, ma con una sola differenza: la mia famiglia mi odia. Sembra stupida come cosa ma non è così.
Non potevo sopportare gli insulti, i pugni, l’indifferenza di tutti, quindi sono scappata. Mi sentivo così libera, così nuova, così viva che pensavo solo ad andarmene il più lontano possibile. Ma non avendo ne patente, ne patentino, potevo fuggire solo con i mezzi e quindi il mio lontano diventò presto troppo vicino.
Ad un certo punto della serata, presi il mio deca dalla tasca del giubbino, tirai su e fumai quel pezzo di carta con dentro la soluzione a tutti i problemi. Ci sono tanti modi per risolvere i problemi, ma io scelgo sempre quello più facile, e in quel momento era proprio quella la scelta più facile per scappare da questo mondo, anche solo per poche ore.  Fluer era seduta accanto a me e ogni  quattro tiri passavo l’antidoto a lei. Lei c’è sempre stata anche quando fisicamente non c’era, lei mi capiva quando nessun’altro avrebbe potuto farlo.
Ma la libertà che mi era stata concessa durò poche ore e si sarebbe trasformata presto in un vero incubo: i miei genitori mi trovarono e appena arrivammo a casa, l’inferno. Mio fratello iniziò a tirarmi pugni ovunque e quando incominciò a stancarsi mia madre gli diede il cambio e iniziò a scaraventarmi contro l’armadio.
Il giorno dopo avevo lividi su tutto il corpo. Ero ancora viva. Ma quando mi guardai allo specchio, fissai quello che trovai: una ragazza con degli occhi neri profondi come un pozzo;  se guardi non esiste fine ma se osservi puoi notare l’oscurità, puoi notare che non c’è un’anima perché è stata distrutta dalla fusione di felicità, distruzione e debolezza.
Ora mi guardavo ma non sapevo cosa fare. Ero disorientata, non mi trovavo nella mia stanza perché i mobili che mi circondano non erano i mobili famigliari che vedevo ogni mattina.
Proprio in quel momento si apre la porta, entra una luce accecante e sono obbligata a chiudere gli occhi per non essere accecata. Una figura si dirige verso di me e incomincia a parlare, a fare domande ma io non riesco a capire e, ignorando ogni sua richiesta, chiedo:
“D-Dove mi .. trovo?” "Sei in un centro di riabilitazione". Sentii solo questo.

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Capitolo 2
*** 1. Alone. ***


An imperfect life.






1. Alone.

Sono sola. Completamente sola. L’unica cosa che mi tiene ancora in vita sono i loro sorrisi così veri, così profondi: i sorrisi degli amici. Quei visi che anche se li conosco da soli 9 mesi, sembra che sono sempre stati con me, per proteggermi. 
Sono ormai passate due settimane da quando la mia famiglia mi ha scaricato in questa clinica, come spazzatura. Nessuna visita, nessuno che entra in questa stanza con le pareti arancioni e il pavimento in parquet, solo medici che entrano ed escono per i soliti controlli, le solite domande.
Un noioso Venerdì , mentre facendo una passeggiata nel parco della clinica vidi una ragazza, Becky, era nuova e si guardava intorno spaesata. Quello stesso pomeriggio, quando ebbe finito di sistemare la sua borsa, ci incontrammo nel corridoio della clinica e incuriosite incominciammo a conoscerci. Mi raccontò la sua storia: era stata abbandonata dal padre sin dalla nascita e scoprì, ormai grande, che era morto un incendio;  la madre, invece,  era morta in un incidente stradale quando lei aveva solo 4 anni. Da allora è passata da un orfanotrofio  all’altro e quando incominciò a pensare che non la voleva nessuno ha iniziato a bere alcool e fumare erba. Rimasi in silenzio, guardandola negli occhi perché sapevo che ogni parola sarebbe stata sbagliata. Da quel silenzio, capimmo che saremmo diventate molto amiche. E così fu.
Arrivò Martedì. Il Martedì è il giorno della gita. Quel giorno andammo in un parco acquatico, il più grande che avessi mai visto anche l’unico: SeaWord. Andammo in treno e quando arrivammo rimasi sconvolta dall’enorme varietà di animali. Non ne avevo mai visti così tanti in uno stesso posto. Ma un animale in particolare attirò la mia attenzione, il delfino. Erano in cinque in una vasca enorme, loro erano enormi. Erano color grigio brillante e il riflesso dell’acqua sul corpo gli disegnava delle linee argento. La loro coda era come quella di una sirena che esiste solo nelle favole: potente, forte,  incantevole. Le loro pinne al lato assomigliavano alle mani di un bambino neonato; mentre la pinna che hanno sulla “schiena” è come una corona che dice siamo i più potenti dell’oceano. Il loro muso è molto allungato e la loro bocca sembra che  ti bacia ogni volta che la guardi. Gli occhi sono i più belli: scuri come i miei, profondi come i miei. Dopo  quella gita tornammo alla clinica e, visto che eravamo tutti molto stanchi  ed erano ormai le 11e30, andammo a letto.
L’ultimo mio pensiero lo dedicai al giorno dopo: il mio compleanno. Una ragazza della mia età, normale sarebbe stata felicissima perché avrebbe festeggiato con i suoi amici, i famigliari la sua crescita. Ma io, non ero quella ragazza. Avevo solo Becky nella mia vita, e sentivo vicino a me anche Fleur. A mezzanotte e un minuto sentii aprirsi la porta della mia stanza. Era Becky che urlò con tutta la voce che aveva in quel corpo fragile “Auguri Alisya!” e mi porse una scatolina ricoperta da una carta regalo. Rimasi paralizzata da quello che vidi dentro: una collana con incisa la scritta “Sono il capitano della mia anima il padrone del mio destino.”
La mattina mi alzai e quando entrai in mensa per fare colazione vidi sulle pareti grandi cartelloni con scritto “Auguri Alisya” e subito un urlo mi travolse, imprevisto.  Tutti mi vennero incontro e mi abbracciarono per farmeli di persona. In tutta la mia vita non avevo mai festeggiato il mio compleanno e nessuno aveva mai provato affette come le persone che erano in quella mensa. 
Notai nell’angolo in fondo un ragazzo che mi guardava con aria sognante. L’avevo già visto in giro per il cortile ma era sempre da solo a leggere un libro dalla copertina verde con al centro una grande farfalla anch’essa verde dal titolo “Perdersi.”  Si avvicinò a me e mi fece gli auguri ma io mi persi nei suoi occhi, così diversi dai miei, color del ghiaccio quasi invisibili.
Quando finii la colazione quasi tutti erano tornati nelle loro stanze oppure erano andati in cortile a fare una passeggiata. Anche Becky era andata in camera perchè aveva degli esami da fare.
Il ragazzo dagli occhi ghiaccio era ancora in mensa e io lo fissavo curiosa. Proprio in quel momento alzò gli occhi e i nostri sguardi si incontrarono. Lui si alzò e venne verso di me e si sedette proprio di fronte a me e disse “ciao, io sono Alexander.” 

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