With Love From Queens

di Friselle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La scelta ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Come si più iniziare una storia, che non ha inizio?
E’ del tutto anormale come cosa, giusto?
Dovrebbe essere normale sapere come iniziare a raccontare una storia, giusto?
Dio che discorsi contorti.
Ma d’altronde, da me ci si può aspettare qualsiasi cosa, soprattutto a prima mattina.
Ho sempre fatto dei discorsi astratti ed insensati, eppure ai miei amici andavo bene così.
A me andava bene così.
A San Louis Obispo mi conoscevano come la matta della porta accanto.
Ops. Fermi tutti. Sto parlando come se voi mi conosceste.
Che maleducata che sono.
Perdonatemi.
Piacere, mi chiamo Vittoria Bennett, per gli amici semplicemente Vicky. Quindi chiamatemi Vicky, grazie. Odio il mio nome per intero.

«Vicky, scendi! La colazione è servita!»
Ecco, quella che avete appena sentito è mia madre. Alice Bennet, moglie del giudice Edward Bennett. Mio padre.
«Arrivo mamma!»
Scendo le scale frettolosamente. La colazione è la parte che mi piace di più della giornata. Mia madre ha il vizio di preparare sempre roba-schifezza dolce.
«Oddio mamma! » dico addentando un toast con nutella spalmata abbondantemente sopra. « lo sai che ti adoro, vero?»
Mia madre ridacchia divertita.
«Lo so lo so, soprattutto quando ti preparo ogni tipo di dolce alla nutella.»
Oh sì. Io amo la nutella. E’ il mio solo, unico e grande amore.

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Capitolo 2
*** La scelta ***




Ho già detto che amo la nutella, vero?
Ma mai quanto il mio adorato cappuccino, preso al Coffee Prince.

Lo adoro. Così schiumoso e bollente.
Amo le cose bollenti.
Mi sto perdendo nuovamente tra i miei discorsi contorti.
Passiamo  alle cose davvero importanti.
Il liceo.
Ultimo anno.
Finalmente, oserei dire. Ma va bene.
Un momento, credo di aver dato un’impressione sbagliata di me stessa, o forse no?
Aspettate, non sono la tipica ragazzina timida ed introversa che forse pensate. Anzi, il contrario.
Amo stare in compagnia ed ho amici, non tanti, ma ne ho. Quelli che bastano per stare bene.
Come si dice? Pochi ma buoni. Giusto? A me va bene così.

-Vickyyyyyyyyy.

Ecco appunto.
Questa ragazza che ha appena urlato in pieno centro, è la mia amica Ashley.
Bella eh?
Capelli castani, lunghi, ricci, occhi color del cielo, snella, simpatica..ed attraente. Tanto.
Si direbbe la tipica ragazza della porta accanto. Peccato che non lo sia. Conosce più membri maschili lei che la miglior attrice porno degli Stati Uniti. Ma queste, reputo, cose personali, dunque non approfondiremo tale discorso.

-Ehi Ash, che diavolo ti urli?
-Vicky tesoro, non immagini cosa mi è successo?

Inarco un sopracciglio, scettica. Cosa può esserci di così importante da farla urlare alle otto del mattina?

-Sentiamo, avanti.
-Ieri sera sono uscita con Brad e..
-E ti ha baciata. – concludo io, stanca di sentire dei suoi innumerevoli appuntamenti con i strafigoni del  liceo. Ormai è divenuta una routine. Ma possibile, che per quanti rospi baci, nessuno si trasforma in principe azzurro, facendole mettere la testa sulle spalle?
-Con te non c’è gusto a parlare. – e mi fa una linguaccia degna di una bambina.
-Dai Ash, è che tutti i tuoi appuntamenti finiscono o con un bacio o con una toccatina la dove non batte il sole. – ma che sarcastica che sono.
-Vabbè, ci rinuncio. Forza entriamo o il professore di Psicologia ci castra.
-Ci castra?
-Sì, insomma ci mette il tappo lì.

Che amica scurrile che ho, davvero.
Sospiro affranta.
Non cambierà mai, è inutile. Con lei è una battaglia persa in partenza.
Sono le otto del mattino e già sono esausta. Non oso immagine il resto. Devo farcela. È l’ultimo anno, non posso abbattermi proprio ora.
 


Ecco, ci addentriamo nel carcere meglio noto come Torner High School. Ringrazio Dio che questo è il mio ultimo anno qui.
O almeno credo. Bocciature a parte.
Arriviamo in classe, spintonate dalla massa informe, meglio definita come studenti.
Io e Ash, come al solito, ci sediamo vicine. Inseparabili, come sempre.
Sento, nuovamente, il ticchettio delle lancetta dell’orologio, che segnano l’orario che passa.
Che nervi. Quel suono stridulo, non mi era mancato per niente.
Inizia a mancarmi il mio morbido letto.
Il professore entra, facendo un colpo di tosse per attirare l’attenzione di noi studenti, troppo presi a spettegolare.

-Buongiorno ragazzi.
-Buongiorno Prof. –rispondiamo scocciati.
-Ho una notizia importante da annunciarvi.

Un brusio si eleva dalla classe. Studenti curiosi.
Il professore, riprende il suo discorso, imperterrito, sbattendo il palmo della mano destra sulla cattedra, cercando di calmarci.
Illuso.

-Ragazzi, volevo comunicarvi che in bacheca, sono stati esposti i nomi dei ragazzi che hanno vinto la borsa di studio per la New York University. Andateci a dare un’occhiata. A fine lezione intendo Signor Moore. – dice rivolgendosi ad un ragazzo che onestamente, non avevo mai calcolato prima.

Ma, quel ragazzo, ha mai frequentato i nostri corsi, almeno? Bah. Cazzi suoi.
Torno con lo sguardo sul professore, tornando alla realtà.
Oh, già. La borsa di studio.
Avevo fatto la domanda tre mesi fa, prima della pausa estiva.
L’avrò superata? Sono troppo curiosa per poter resistere alla fine delle lezioni, e così con una scusa mi dileguo.



Percorro il lungo corridoio e mi dirigo verso l’aula di musica, è alla destra della porta che appendono gli annunci.
Scorro con l’indice, la lista dei nomi.

-Uhm..Garner, Smith, Stuart.. cacchio non mi hanno presa...no aspetta un momento! – dico iniziando a saltellare sul posto. – mi hanno presa! Cazzo sìsìsìsì mi hanno presa! Andrò a New York!
 
 
 



-No, assolutamente no. Tu non andrai da nessuna parte. Soprattutto New York! E’ pericolosissima.
-Mamma, tu non capisci un cazzo. Papà falla ragionare ti prego.
-Mi dispiace Vittoria, ma tua madre ha ragione. –ecco. Mio padre patteggia sempre per mia madre. Sai che novità.
-Io ci andrò. Che lo vogliate o no. Sono maggiorenne e vaccinata porca vacca.
-Vittoria Bennett, non usare questi vocaboli volgari in casa nostra. – mia madre, sempre petulante ed isterica. – Caro dille qualcosa.

Mio padre però, si limita a liquidarmi con un gesto della mano.

-Partirò lo stesso. – sibilò a denti stretti. Che mi abbiano sentita o meno, me ne sbatto altamente.
 



Salgo in camera. La mia. Esco dal mio armadio a muro l’enorme valigia, che i miei genitori mi hanno regalato per Natale 3 anni fa, ci butto dentro tutti i miei capi d’abbigliamento più belli. Raduno in un altro borsone i miei effetti personali. Apro il mio salvadanaio e prelevo tutti i miei risparmi. Due mila dollari. Ah però. Son brava a risparmiare. Metto in borsa anche il mio libretto bancario con altri risparmi dentro.
Accendo il pc, inizio a cercare orari e costi per il pullman.
Ecco, trovati.


San Luis Obispo – New York.
Durata viaggio: 43 ore. Oh cazzo.
Costo biglietto: 200 dollari. Minchia.

Ok. Ora devo trovare un appartamento disponibile.
Inizio a cercare sui vari siti di annunci.
Tra i tanti, troppo costosi o troppo schifosi, uno mi salta subito all’occhio.

“Piccolo appartamento, 3 vani più un accessorio. Fitto. 150 dollari. Un inquilino. Località: Queens.”

Ok, appartamento, tranne per il quartiere ma poco importa, perfetto. Chiamo, risponde una ragazza, dice di chiamarmi Emily.
Le dico che dovrei arrivare fra 2 giorni, al massimo 3, salvo imprevisti. Mi lascia il numero di cellulare, per qualsiasi evenienza.
Mi sembra simpatica dal tono di voce, ma mai dire mai nella vita.

-Bene, è tutto pronto.

Mando un sms ad Ashley, avvisandola della mia fuga. Chiamo la scuola avvisando che sarei partita immediatamente per ambientarmi, e ringraziando la mia buona media, acconsentono. Manderanno tutti i moduli al college. Perfetto.
Una nuova vita sta per iniziare.
No, un momento, cos’è questa strana sensazione che mi attanaglia?
E perché lo stomaco mi si è chiuso?
Che cavolo mi prende ora?
Possibile che abbia i sensi di colpa?
Da giù, sento provenire il vociare dei miei genitori, allegri, che scherzano.
Che pessima figlia che sono.
Ho praticamente deciso di andare via, da loro.
Di iniziare una nuova vita, senza di loro.
Ma che sto combinando?
È giusto andare via così?
Senza badare a niente e nessuno? Soprattutto alle conseguenze?
Che sto combinando?
Dannazione.
Sono una figlia di merda, ma questa è la mia vita, cazzo.
È un’opportunità irrinunciabile ed io, ho voglia di vivere.
Ho voglia di conoscere il mondo al di fuori di questa cittadina di provincia.
Mi alzo dalla sedia e mi dirigo nel corridoio.
Sento il vociare più vicino.
I miei genitori, stanno scherzando come due adolescenti.
Mi appoggio alla ringhiera delle scale, sorridendo.
Dio, quanto sono adorabili.
Mio padre che finge di essere un duro, dal cuore d’oro. Mia madre, tanto dolce quanto bella.
Ed io? Una stronza, senza riserve.
Sorrido ancora, come un’ebete, udendo le loro voci allegre.
E pensare che sarò io stessa la responsabile del loro doloro, fra poco.
Ma cosa devo fare?
Sospiro, cercando di cacciare indietro le lacrime che minacciano d’uscire.
Mi mordo il labbro inferiore, sino a sentire il sapore metallico del sangue.
Dio che schifo.
Odio il sangue. L’ho sempre odiato.
Pensare che dovrò lasciare la mia vita, così impostata e tranquilla, per dirigermi in un posto malfamato come il Queens.
Sto davvero facendo la cosa giusta?
Non lo so e non lo voglio neanche sapere.
Davvero.

-Vicky, sei tu?

Sobbalzo, spaventata dalla voce di mia madre.

-S-sì mamma, dimmi.
-Scendi a cenare? O devi studiare?
-No mamma, non ho molta fame. Preferisco andare a riposare, scusami.

Faccio dietro- front e ritorno in camera.
Mi richiudo la porta alle spalle, appoggiandomi su di essa.
Devo scacciare tutti questi pensieri e pensare solo a me stessa.
Devo diventare un po’ più egoista.
Devo pensare solo a me stessa.
Basta.
Una nuova vita deve iniziare e voglio che sia dannatamente perfetta.
Credo.
 
 
 
 

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