Una serata al di fuori dei limiti

di Clars_97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Quel sabato così raccapricciante ***
Capitolo 2: *** 2. La verità fa sempre e comunque male, ammettiamolo. ***
Capitolo 3: *** 3. Promessa: è una parola troppo importante. ***



Capitolo 1
*** 1. Quel sabato così raccapricciante ***


Ero ubriaca. Non stavo bene per niente. Mi girava la testa a duemila. Barcollavo. Forse avevo bevuto troppo, forse era la confusione che era in centro. Senza le mie amiche, in tal caso, non sarei riuscita a ritornare a casa sana e salva. Loro mi tenevano sottobraccio ed io che non riuscivo a capire dove mi trovavo, chi ero e che cosa stavo facendo in quel momento. Ridevo. Socchiudevo gli occhi, li riaprivo e vedevo tutti che ridevano. Ridevano di me? Di quello che stavo facendo? Di com’ero ridotta? Di come parlavo? Delle cavolate che mi uscivano dalla bocca? Non lo sapevo, ma neanche adesso lo so ed è questo che mi preoccupa. Il fatto era che, probabilmente, le mie amiche mi stavano prendendo in giro ed io non riuscivo a rendermene conto. Il motivo era semplice: ero ubriaca e non connettevo nemmeno una minima parte del mio strambo cervello.
Emily era rimasta da sola, mi aveva perso e, perciò, mi chiamò al cellulare. Lo presi dalla tasca dei pantaloni, ma Sarah vide che non riuscivo a digitare il verde, perciò me lo strappò dalle mani e rispose lei. Sentivo appena Emily piangere e mi preoccupai. Chiesi a Sarah cosa le era successo, ma lei non mi rispose e, per di più, si allontanò da me.
Dopo pochi minuti vidi Sarah venire verso di me, dicendomi che dovevamo andare immediatamente da Emily, perché, essendo rimasta sola, aveva paura e aveva bisogno di noi. Mi trascinava verso una direzione che io non avevo la minima idea di quale fosse, però mi ricordo che camminavo, molto velocemente e a passi molto ampi.
Arrivammo da Emily e la vidi accasciata per terra piangendo. Ci rimasi davvero male a vederla ridotta in quello stato, ma non capivo perché eravamo lì, perché stesse piangendo e perché Sarah non mi parlava. Io mi appoggiai di colpo al muro, perché la mia testa non riusciva a smettere di girare e perché io non riuscivo a stare in piedi, senza che qualcuno mi tenesse. Nel frattempo, guardavo la gente che passava, commentavo da sola come una cretina (d’altronde quello che ero!) e ridevo. Ridevo a momenti; prima crepavo dalle risate, un secondo dopo “facevo la seria”.
Intanto Emily e Sarah, le mie due migliori amiche, stavano parlando; Sarah chiedeva a Emily perché stava piangendo e come riuscire a capire a che ora i miei genitori sarebbero venuti a prendermi. Me lo chiesero molto lentamente e come se io fossi stata handicappata. Io risposi che mi sarebbero venuti a prendere alle 22.00, ero incerta, strizzavo gli occhi, guardavo verso il cielo… ma fu davvero comunque tanto se riuscii a rispondere loro.
Sarah guardò l’orologio e si preoccupò molto alla vista, dato che mancavano solo cinque minuti a quel ora. Mi chiese, molto arrabbiata, dove mi sarebbero venuti a prendere. Risposi, sempre molto incerta, alla stazione. Sarah spalancò gli occhi: era lontano da dove eravamo noi in quel momento. Così prese con forza la mano di Emily e la mia e iniziammo a correre più velocemente possibile. A quel punto, io stavo andando completamente fuori dal mondo. Mi chiedevo perché stavamo correndo, oltretutto tutte e tre insieme, mano nella mano. Cos’era successo? Perché Sarah era arrabbiata con me? Ma, soprattutto, mi chiedevo qual era la nostra maledetta direzione.
 
Ad un certo punto del tragitto, Sarah iniziò a calmarsi e a camminare, anche se, sempre velocemente. Stranamente capii dove ci trovavamo e quindi il motivo per cui Sarah aveva bruscamente rallentato quella corsa spericolata. Eravamo alla libreria davanti la stazione, perciò eravamo in perfetto orario.
Improvvisamente vidi un gruppo di cinque o sei ragazzi in fila, che venivano verso la nostra direzione. Quello in mezzo mi era familiare, molto familiare. All’inizio non riuscivo a capire chi fosse, ma poi lo scrutai nel miglior modo possibile in quelle condizioni e capii: era Mark.
Mark era ed è il mio ex, l’unico mio vero ex ragazzo. Con lui trascorsi cinque mesi incantevoli, i quali rimpiangerò per tutta la vita e che non dimenticherò mai. Fu l’unico col quale ebbi una vera storia e, tra l’altro,  del quale mi innamorai. L’amore: questo piccolo grande forestiero sentimento. Dopo alcuni mesi dalla nostra storia decidemmo di diventare buoni amici, anche se io non ero del tutto d’accordo, dato che l’amavo ancora, nonostante quello che aveva combinato in precedenza. Più o meno ogni sera chattavamo e, ogni benedetta volta che parlavo o scherzavo con lui, mi faceva e mi fa, tuttora, stare sempre bene; riesce a tirarmi su il morale come nessun altro, a trovare sempre il lato positivo in ogni particolare che mi va storto.
Così, rimasi molto stupita alla sua vista, dato che non ci eravamo mai incontrati, prima di quel momento, in centro. Appena lo vide, prima di me, Emily alzò gli occhi. Sarah fece lo stesso; perché a nessuna delle mie amiche stava simpatico, ma a me, in realtà, non importava un granché.
Appena lo riconobbi e fui sicura che fosse lui, mi strappai di dosso le braccia e le mani di Emily e Sarah e corsi verso di lui. Correvo come una grandissima cretina, urlando a tutta gola il suo nome, poi lo abbracciai. Prima un abbraccio, un bacino da una parte (di quelli che si danno praticamente al vento, come forma di saluto) e un altro bacino dall’altra parte. Lo guardai e lui mi sorrise. Poi guardò le mie amiche e loro gli dissero che ero completamente di fuori con il cervello, cosa che era vera. Un attimo dopo se ne andò, proseguendo con i suoi amici e per la sua strada, opposta alla mia.
Arrivai a destinazione. La macchina grigia di mia madre era accostata al marciapiede davanti alla stazione. Salutai le mie due più care amiche ed entrai. Mi girava la testa, avevo una vaga voglia di rimettere e, intanto, mia madre stava iniziando la sua trafila di domande noiose. Io rispondevo, certo, ma il modo era molto indigesto. Mia madre mi chiese addirittura il motivo della mia voce così insolita e stralunata. Io risposi che avevo il mal di gola, la prima cavolata che mi venne in mente in quel momento. Poi continuavo a parlare, o meglio, a blaterare sottovoce. Nel frattempo ascoltavo Tiziano Ferro alla radio, guardando fuori dal finestrino e pensando intensamente alla figuraccia che avevo fatto pochi minuti prima con l’unico ragazzo che amavo. Tanto per cambiare, mi venne da piangere, ma cercai di trattenere quelle luride lacrime, che non meritavano assolutamente di scivolare lungo il mio viso, dato che la colpa della brutta figura era stata solamente mia e quindi dovevo solo pentirmi amaramente di quello che avevo fatto.
 
Arrivata finalmente a casa, dolce casa, scesi subito dalla macchina e corsi in casa, in camera mia. Posai la borsa sul letto, mi tolsi il cappotto e andai in bagno. Mi guardai allo specchio e pensai:
 
“Guarda come ti sei ridotta.
Sei una schifezza.
Hai i capelli arruffati, gli occhi pieni di nero e con l’aspetto di una che si è appena fatta.
Guardati: non ti riconosci nemmeno più, non sei neanche più tu.
Chi sei?
Dov’è finita quella ragazza così tranquilla, piena di sogni nel cassetto, piena di speranze e di amore?
Io non la vedo più.
Si è dissolta.
Se ne è andata e, da quello che vedo, ho l’idea che non ritornerà mai più, almeno come una volta.
Tu lo amavi..
ma adesso gli hai dimostrato di essere debole, di essere una che si fa facilmente condizionare dagli altri, una di quelle cretine che gira facendosi vedere ubriaca.
Tu, però, non sei affatto così; sei esattamente l’opposto.
Allora, perché vuoi farti del male così? Perché vuoi farti vedere l’opposto di quello che realmente sei? Perché stai cambiando, se ti hanno sempre accettato tutti, nei tuoi pregi e nei tuoi difetti?
Dimmi un solo motivo, che valga oro però.
Non deludere te stessa, facendoti solo del male.
E’ tutto inutile tanto, perché, facendo queste cavolate, non risolverai assolutamente niente di quello che ti va storto.
In questo momento penso che sei solamente ridicola e mi chiedo se davvero non ti vergogni.”
 
Mi odiavo profondamente. Ero stata una demente a lasciarmi andare tanto in quel modo, non avrei dovuto farlo per nessun motivo al mondo e invece lo feci.
Dopo terribili pensieri e pentimenti, mi struccai, mi sciacquai il viso e mi immersi sotto le coperte.

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Capitolo 2
*** 2. La verità fa sempre e comunque male, ammettiamolo. ***


Il giorno dopo era un normale giorno di scuola, ma al giro c’era poca gente, perché la sera precedente erano andati tutti a ballare oppure in centro, come me. Nessuna delle mie amiche si fece viva alla stazione e così presi la corriera con una mia vecchia cara amica, con cui non parlavo da chissà quanto tempo. La corriera era povera di gente, a differenza di tutti i giorni, senza mai un posto libero dove sedersi.

Arrivata a destinazione, andai a scuola, ancora molto assonnata e con tanta confusione nella testa.
Entrai in classe che eravamo circa una decina e, per noi, eravamo già troppi, dato che non potevamo riuscire, in ogni modo, a impedire ai professori di fare lezione. Emily e Sarah erano al proprio banco ad aspettarmi, con una faccia alquanto preoccupata. Non si limitarono a farmi solo due o tre domande, ma circa una quindicina. Mi chiesero come stavo, cosa avevano detto i miei genitori, se mi ricordavo qualcosa oppure se non mi ricordavo nulla e tante altre. Mi stampai un sorriso stanco, ma contento del fatto che le mie grandi compagne di classe si erano preoccupate di me, la sera stessa e pure il giorno seguente. Dopo risposi che ancora non mi ero del tutto ripresa, che avevo sonno e che ero veramente molto stanca. Poi dissi loro che con i miei genitori me l’ero abbastanza cavata, anche se ho sempre pensato che avessero sospettato anche di un qualunque possibile e immaginabile dettaglio.
Mi girava la testa, così mi sedetti. Avevo un incessante bisogno di dormire; ma intendendo una di quelle dormite stralunghe di cui non ci sarebbe stata alcuna minima ragione per cui pentirsi.
Detto fatto, il pomeriggio seguente mi feci una gran bella pennichella. Mi svegliai che era l’ora di cena. Arrivò mia madre in camera e rimase stupita dal fatto che avevo dormito di pomeriggio, cosa che, infatti, non era mai capitata. Essa, però, mi fece molto bene anche se, ovviamente, tutto il sonno ancora non era passato. Comunque stavo meglio, sia psicologicamente sia fisicamente. Andai a cenare con la mia famiglia, sparecchiai e dopo mangiato, mi rifugiai in camera. Entrai su “Faccia di libro”, come mio solito, ma quel entrata non comportò niente di piacevole, a differenza delle altre solite serate.
 
Appena entrai, si aprì subito la finestra di Mark, il mio ex. Non mi disse né “Ciao” né “Ei” né “Buonasera”, mi chiamò “ubriacona”. Inizialmente ci risi, perché lui ama prendere in giro la gente, divertirsi con gli altri, anche se con affetto e facendoti capire che tiene veramente a te. Dopo, però, lui mi disse che era serio ed era arrabbiato con me. A quel punto, mi preoccupai molto. Mi illusi nel pensare che quella che avevo fatto si era rivelata solo una stupida cavolata, ma per lui non fu così per niente. Prese letteralmente sul serio la visione di me arzilla, ma io non pensavo minimamente che si sarebbe potuto preoccupare di me e della mia salute. Mi scrisse che dovevo darmi una tranquillizzata al fatto di bere alcolici, perché in quel modo mi sarei rovinata e basta.
 
-Non aveva senso bere, per poi finire al giro barcollando, appoggiata alle proprie amiche. Noi siamo il futuro e se quello che fai te si chiama futuro, allora cambia mondo, in modo che tu possa evitare di distruggere il sogno di ognuno di noi, che vive per vivere e non per fare cazzate come te. Ho passato mesi e mesi a dirti qual è il meglio per rendere il nostro mondo migliore e pensavo che tu avessi finalmente capito, ma adesso mi stai dimostrando che quelle che ti dicevo ogni sera erano parole buttate al vento, purché io le consideravo estremamente essenziali per te e per il continuo della tua vita, ma a quanto pare non eri della mia opinione. Mi hai deluso. Hai deluso anche te stessa tra l’altro, perché facendo così ti rovini e io spero che, io o qualsiasi altra persona, riesca a farti capire che stai sbagliando e che la strada per la felicità è dalla parte opposta di quella in cui stai camminando-
 
A quelle parole mi sentii la persona più inutile e cretina di questo mondo. Mi pentii amaramente di ciò che avevo fatto il sabato precedente. Non sapevo cosa rispondergli ma, dato che, il fatto che mi sentissi all’improvviso stupida dopo le sue parole non era fortemente credibile, decisi di rispondere così:
 
-Lo so, hai ragione, ma non era stata una gran bella giornatina: avevo preso un votaccio a francese e mi scocciava parecchio perché in quel compito avevo studiato e mi ci ero impegnata parecchio; avevo litigato due giorni prima con la mia migliore amica ed ancora non avevo risolto e il motivo siete sempre voi, inutili e stupidi ragazzi. Stava sempre con il suo ragazzo e la sua migliore amica dov’era finita? Tanto è sempre così: fai la buona amica per un pezzo di tempo e poi, quando lei si trova il fidanzato, non si fa risentire nemmeno se la paghi. Poi ha anche il coraggio di arrabbiarsi! Sono io quella ad arrabbiarmi, se quando sto accanto a lei e a Tom, non mi guardano neanche, non mi spiccicano parole e mi fanno venire soltanto il voltastomaco. Io mi sfogo così ok? Finora non ho trovato altro modo per riuscire a liberarmi la mente da tutti i miei problemi. E’ una stronzata, lo so, ma lo è anche continuare così, andando avanti rispondendo sempre che va tutto bene, quando invece non è assolutamente la verità-
 
Per un po’ di tempo rimase la scritta “Mark sta scrivendo”, poi, finalmente, rispose:
 
-Trovi le scuse e basta te, dici che è una stronzata, ma non ti rendi nemmeno conto di quanto significa e quanto valore in realtà ha. Tante di quelle volte ho cercato di farti capire che noi dobbiamo riuscire a cambiare questo cazzo di mondo, perché fa schifo e colpa nostra non è di certo, ma se noi facciamo così lo peggioreremo e lo manderemo ancora di più in rovina. Quindi capisci che quello che hai fatto è sbagliato e non devi farlo mai più! Sono tuo amico e per questo voglio che tu non commetta gli errori più gravi, i quali possono essere semplicemente non fatti-
 
-Grazie. Sono davvero molto felice che tu tenga a me, perché io ho sempre tenuto a te, nonostante tutto. Ho capito che hai ragione, che sono una stupida a comportarmi così. Non ne vale la pena per niente e non posso continuare a stare male per le persone a cui voglio un mondo di bene, ma non posso neanche ribellarmi e sfogarmi con l’alcool. E’ buono, wow! Eccome se lo è, io lo adoro, ma mi fa male ed è questa la verità. Io non voglio certamente rovinarmi la vita, prendendo le abitudini della gente con cui trascorro metà della mia vita. Ti ringrazio veramente tanto di tutto quello che mi dici, nonostante sia una chat, ma apparte tutto ti ringrazio solennemente di farmi capire certi significati particolari; dunque ti faccio una promessa. Prometto di non uscire di nuovo con il cervello e riflettere sempre a ciò che faccio o ciò che sto facendo. Mi stai dando la forza di andare avanti nel modo più giusto e migliore. Sappi che tu sei l’unica persona che fa questo per me; che mi fa capire in modo semplicissimo gli sbagli che commetto e che riesce soprattutto a convincermi di non commetterli più-
 
-Io spero che tu abbia capito sul serio, stavolta, quello che ti ho scritto qui. Credimi, ti sto dicendo cose che agli altri dico molto raramente dato che non mi ascolta mai nessuno. Io penso che tu sia una ragazza che sappia ascoltare chi le parla, più che altro quando ne ha voglia, però se si impegna sulle cose ci riesce sempre e anche bene, come tutti d’altronde. Quindi fai come ti pare, ma sappi che quello che stai facendo è sbagliato.
 
Per poco non mi commossi per il fatto che lui ci teneva davvero a me e sapeva anche dimostrarlo, anche con semplici parole come quelle. Presi la mia decisione: dovevo a tutti i costi seguire ciò che Mark mi scrisse quella sera in chat. Era anche una sfida per me stessa, anche perché quello che lui diceva era la verità e dovevo ascoltarlo, perché lui non era come tutti gli altri; lui sapeva sempre ciò che diceva, non apriva la bocca tanto per far passare l’aria come tanti. Era diverso, era speciale, ma lui non se ne rendeva neanche conto. Non era una persona qualunque, era una di quelle persone che valgono veramente tanto, tra l’altro difficile da dimenticare.

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Capitolo 3
*** 3. Promessa: è una parola troppo importante. ***


Gli feci una promessa e una promessa a lui era come una promessa fatta a Dio, perciò dovevo assolutamente mantenerla. La consideravo importante e dovevo anche ritenerla importante fino al punto giusto. Da quella sera decisi che dovevo cambiare, che dovevo essere me stessa, che dovevo farmi considerare importante per gli altri a modo mio e per la mia personalità, senza condizionamenti dagli altri.
Passarono circa tre settimane. Mantenni la promessa?
 
Una sera era il compleanno di una delle mie migliori amiche, una delle poche che fumavano, a cui piaceva svagarsi, anche se, alcune volte, troppo. Ho delle amiche un po’ matte, rispetto ad altra gente, ma io, in realtà, non sono così e non ho nemmeno nessun interesse a diventare come loro, anche se ho paura di esserlo già diventato senza rendermene conto.
Quella sera non andò come avevo previsto e mi si rovesciò, ancora un’altra benedetta volta, il mondo addosso. Mangiammo una pizza al ristorante dove lavorava l’amica di mia madre. Come sempre, finita la cena, ci dirigemmo verso un locale, il nostro solito locale. Era un posto come tanti altri, ma per noi era l’essenziale e dove stavi sempre bene, perché era adatto a noi adolescenti, maschi e femmine. Per noi, però, era anche bello perché ti davano da bere.
In realtà, i barman ci dicono sempre che per bere alcolici ci dovrebbe essere sempre almeno un maggiorenne, anche se loro farebbero di tutto pur di racimolare soldi, soprattutto da noi ingenui.
Inizialmente io non bevvi niente, pensando a ciò che avevo detto a Mark. Poco dopo, vidi che ero l’unica idiota che non beveva niente. Il fatto era che bere mi piaceva e, vedendo gli altri farlo, non resistevo alla tentazione. Così iniziai con uno shortino; continuai con un altro, un altro e un altro ancora. Succedeva sempre così: quando prendevo il “via”, non riuscivo più a staccarmi dalla voglia degli shortini.
Così, come uno stupido schiocco di dita, riuscì a tradire la promessa.
In realtà, anche nel momento in cui ingoiavo tutto quell’alcool, pensavo all’idea che facendo ciò, avrei tradito la promessa fatta a Mark. Dopotutto, nonostante la grande confusione che c’era nel locale, arrivai al punto di pensare che anche lui, al tempo di quando stavamo insieme, aveva fatto le sue cazzo di promesse…le aveva mantenute? Assolutamente no.
Bene, perciò mi chiedevo cosa avrei ottenuto a mantenere la promessa che avevo fatto io a lui, quando nemmeno lui sapeva cosa significasse promettere.
Così andai in botta un’altra volta, in mezzo a gente che mi voleva bene, ma alla quale facevo divertire in quelle condizioni. E magari lo feci anche per quello; perché ogni volta tutti mi rivelavano che ero simpaticissima e facevo morire dal ridere e quindi, di conseguenza, mi sentivo apprezzata, importante, accettata e magari anche “bella”, dato che quando sei accettata ti senti anche bella, in fin dei conti.
 
Il giorno dopo decisi assolutamente di non rivelare niente a Mark, perché ero sicura che il nostro rapporto, che sia stato un rapporto di amicizia o uno di ex, si sarebbe comunque e in ogni modo distrutto in mille pezzi e questo era tutto ciò che volevo non accadesse.
Perciò continuammo come sempre a scriverci, a parlare online e, in realtà, non sentivo nemmeno il bisogno di rivelargli quello che avevo fatto, come non mi sarei mai immaginata in realtà. Non c’è un vero motivo; ci sono cose le quali senti di dover rivelare alle persone che più ritieni importanti e altre che se le tieni per te o no, fa poca differenza.
In realtà non mi importava più di tanto il fatto che avessi tradito lui, ma più che altro mi importava che avevo tradito me stessa, non mi ero fidata e avevo mandato tutto a schifo.
 
Successe altre volte, poche e di minore confusione, ma le cui conseguenze furono anche peggiori. In particolare ad una festa, dove rischiai di perdere il mio migliore amico, ma per fortuna si risolse tutto con un’estrema risata. 

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