Shadow and Light

di Conny Guitar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo ***
Capitolo 2: *** Danza notturna ***
Capitolo 3: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 4: *** Tempesta di ricordi ***
Capitolo 5: *** Psichedelia - La tigre ha fame ***
Capitolo 6: *** Ode to my family ***
Capitolo 7: *** Ghost ***
Capitolo 8: *** Un cuore matto ***
Capitolo 9: *** The dark side of the moon ***
Capitolo 10: *** Forse perché sei tu ad essertelo inventato ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'arrivo ***


Finalmente ero in vacanza. Avrei avuto un po' di pace dopo l'ultima, interminabile, sessione di esami all'università. I ritmi erano davvero pesanti, ci rifilavano test su test concentrati in pochissimo tempo, e ognuno richiedeva di studiare libri interi. Ma volevo laurearmi in lingue moderne il prima possibile, quindi cercavo di stare nei tempi. Ero andata al mare per riposarmi dopo l'ultima sessione, che era stata la più faticosa fino ad allora. Avevo 21 anni, ero al secondo anno.
Per essere aprile faceva davvero caldo, le spiagge erano affollate ed alcuni osavano fare i primi bagni in mare. Non si era mai vista una primavera così calda. Si potrebbe dire che capitava a pennello con la fine temporanea delle mie fatiche universitarie. Dovevo fare i salti di gioia. Eppure era tutto così... strano. Arrivata nella mia villetta, che confinava con un'altra perfettamente uguale, avevo una sensazione poco piacevole, come se di lì a breve sarebbe accaduto qualcosa. Qualcosa di poco rassicurante.
Ma procediamo con calma. Ho già detto che la villetta accanto era perfettamentte uguale alla mia, o meglio, a quella di famiglia. Fin da piccolina ne avevo avuto soggezione. Forse perché apparentemente era la fotocopia della nostra, o perché lì vi abitva la signora Schmidt, una burbera settantenne tedesca che mi guardava sempre male. Ma quando arrivai, scoprii che qualcosa era cambiato. Davanti alla casa sostava un camion dei traslochi. Sembrava che avessero appena finito di scaricare dei mobili. Mi avvicinai e fu in quel momento che la scorsi. Indossava un tubino bianco ed un coprispalle dello stesso colore; ai piedi calzava scarpe da tennis, anche queste bianche. Aveva i capelli corti, biondo platino, quasi bianchi, e gli occhi... bé, gli occhi... erano del colore del fuoco più puro, rossi, innaturali. Le sopracciglia, quasi inesistenti, erano perennemente aggrottate.
Mi accorsi in quel momento che ero rimasta a fissarla inebetita. Era bella, terribilmente bella. Ma sembrava inumana. Mi precipitai in casa e mi chiusi dentro. Sentivo il cuore galoppare infuriato nel mio petto. Sbirciai dalla finestra e la vidi entrare. Scivolai a terra e caddi in un sonno senza sogni.

Mi svegliai due ore dopo. Ripensai a lei e rabbrividii. Perché non era solo il suo aspetto strano ad avermi turbata. Quel giorno io indossavo un tubino nero con coprispalle in tinta, e scarpe da tennis nere. Solo una settimana prima avevo tagliato i miei capelli neri. Ed ho gli occhi azzurri come il mare. Quella ragazza era la mia fotocopia bianca. Tuttavia sono sempre stata una razionale. Era un caso che fosse vestita come me, uno stupido caso. Ed il suo aspetto... doveva essere un'albina. Anche la sua pelle era chiarissima. Sì, sicuramente era albina, spesso hanno anche gli occhi rossi.
Ero giunta a queste conclusioni rassicuranti, però continuavo a sentirmi a disagio. Decisa a non pensarci, uscii a comprare qualcosa da mangiare. Entrai nell'unica gastronomia del paese sperando che avessero ancora qualcosa. Mirella, la proprietaria, che mi conosceva da quando ero piccola mi salutò con un: -Ciao, Chiara! Come stai?-
-Bene, ho appena finito una sessione di esami, andata magnificamente!-
-Oh bene, sono felice per te! Che cosa desideri?-
Stavo per dirle di darmi un po' di focaccia di Recco, paesello ligure che fa una focaccia che è la fine del mondo, quando anche la mia nuova vicina entrò nel negozio. Un brivido mi percorse la schiena, mentre Mirella la salutava: -Buongiorno, Ombra-. La ragazza rispose con un flebile: -Salve-. Ci pensò Carlo, il marito di Mirella, a servirla. Comprò solo un cartone di latte e se ne andò salutando debolmente. Aspettai che se ne andasse e poi chiesi a Mirella: -Ma chi è?-
-Ma come, non lo sai? Ha comprato la casa vicino alla tua, quella della Schmidt-
-Sì, l'ho già vista. Però è strana. Si chiama come, Ombra?-
-Certo, che nome! è silenziosa, ma abbastanza gentile, forse è solo timida-
-Poi hai notato che i suoi vestiti sono uguali ai miei, ma bianchi? E la Schmidt?-
-Hannchen Schmidt è morta di cancro ai polmoni tre settimane fa. Comunque, è davvero la tua versione bianca. Penso sia albina-
-Sicuramente, e Ombra non è un nome adatto a lei. Comunque ci vediamo, ciao-
-Neanche Chiara si adatta a te. Ciao!-
Tornando a casa iniziai a riflettere. La signora Schmidt era morta, eppure l'avevo vista a Natale sanissima, e non fumava. Tuttavia, non bisogna necessariamente fumare per il cancro ai polmoni, pensavo. Magari era un tumore molto aggressivo. Ancora una volta, una spiegazione razionale che mi sembrava del tutto insensata. E questa Ombra? In tre settimane aveva comprato la casa e vi si era trasferita. La signora Schmidt aveva un figlio che viveva in America, con cui non andava molto d'accordo. Era possibile in tre settimane che il figlio si interessasse della casa materna in quel paesino minuscolo, che decidesse di venderla, che sbrigasse tutte le pratiche, che Ombra adocchiasse la casa e decidesse di comprarla, facendo di nuovo un mare di scartoffie, ed infine stabilirvisi? Per la burocrazia italiana mi sembrava un lasso di tempo troppo breve. Ma potevo sbagliarmi, non lavoravo alla Tecnocasa. Inoltre Mirella conosceva il suo nome, quindi Ombra doveva essere già andata nella gastronomia. Sapevo però che Mirella attaccava facilmente bottone, quindi poteva essere solo la seconda volta che la vedeva. E prima doveva essere già andata a vedere la villetta. Ero più tranquilla.
A casa mangiai la focaccia, guardai A qualcuno piace caldo ed andai a dormire. Sognai figure nere che mi sovrastavano impedendomi di respirare. Mi svegliai urlando, in preda al panico. Erano anni che non avevo gli incubi, che non ripensavo a quello che era successo cinque anni prima, quando avevo causato la morte del mio ex fidanzato. Mi aveva tradita ed io avevo danneggiato la sua Vespa con una mazza da baseball. Avevo anche causato dei danni ai freni, cosicché quando se n'era accorto ed era partito sul motorino, senza casco aveva avuto un incidente. La sua testa si era spaccata a metà. Avevo avuto questi incubi per un anno, poi, con l'aiuto dello psicologo ero riuscita a passare oltre. Ora tornavano. Mi feci un caffè ed uscii sul balcone. Al pianterreno della casa vicina la luce si accese. Le mie ginocchia iniziarono a tremare, vidi di nuovo i fantasmi che mi sovrastavano. Ma non svenni.

The corner: vi ho messo paura, neh? MUAHAHAHAHAHA!!!!!!! Scherzo, sono una ragazza seria *naso da Pinocchio*. L'idea mi è venuta da un angosciante sogno che ho fatto. Ampliandolo, viene fuori questa storia. A breve la completerò.
P.S.: recensitemi, please :)

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Capitolo 2
*** Danza notturna ***


Sentii lo scatto della maniglia della porta. Avrei voluto scomparire, tornare a casa, cazzo, avrei preferito rifarmi trenta volte la sessione di esami piuttosto che essere lì. La mia razionalità riuscì ancora ad avere la meglio. Guardai verso di lei, e strabuzzai gli occhi, non potevo crederci. Era completamente nuda e portava sotto il braccio un materassino da palestra. La osservai tra il divertito e lo scioccato mentre stendeva in tutta tranquillità il materasso sull'erba e si stendeva sopra. Mi venne da ridere. Si prendeva la tintarella di luna. "Questa è strana davvero" pensai. Di nuovo mi sentii rassicurata. Capita a tutti di essere un po' fuori di testa, magari era ubriaca.
Rimase qualche minuto coricata e perfettamente immobile, poi si girò su un fianco ed iniziò a fare ginnastica. La vidi contorcersi in modi disumani, come i contorsionisti del circo, mentre provavo una sensazione strana... una sensazione mai provata, neanche con gli uomini. Non mi eccitavo così neanche a vedere Slash nudo. "Sono lesbica" pensai. Non era un pensiero buttato lì, perché non ragionavo più. Era una certezza. "Merda". I miei genitori non erano esattamente gay-friendly, quando mio fratello aveva fatto coming out, dichiarando di voler andare a vivere con il suo fidanzato, l'avevano cacciato. Solo io mi tenevo in contatto con lui. Mi aveva portata qualche volta in locali gay, e mi ero sentita "a casa".
Focalizzai nuovamente la mia attenzione su Ombra. Girava per il suo giardino, ballando, contorcendosi, saltando, come rapita da una musica. Ma il silenzio era totale. Anzi, c'era troppo silenzio. Anche in un paesino di notte si sentono dei rumori. Ma quella sera era completamente silenziosa. All'improvviso sentì anch'io una voglia irresistibile di ballare. Nella mia testa risuonavano melodie arcane, suoni mai esplorati dall'uomo, indescrivibili. Mi mossi per tutta la casa e scesi in giardino. Ballai e ballai, forse per tutta la notte, spogliandomi di tutto ciò che avevo addosso perché improvvisamente sentivo un calore insopportabile. Era una sensazione del tutto nuova, diversa da qualsiasi trip di droga che avessi mai avuto le poche volte che mi ero fatta di LSD o fumata una canna. Era, non so, diverso. Ancora adesso non so spiegarlo. So solo che era una sensazione libera, come se di lì a poco avrei spiccato il volo e sarei entrata in un altro mondo, dove sarei stata libera, onniscente, una divinità.
Mi svegliai alle prime luci dell'alba. L'aria era fresca sulla mia pelle. Ero in giardino, sotto l'acero che vi cresceva, come mamma mi aveva fatta, come si suol dire. Ricordai cos'era successo la sera prima. O meglio, ricordavo fino a quando mi era venuta voglia di ballare, il resto era confuso. "Devo aver bevuto" pensai. Ma sapevo che ero sobria. Ed Ombra, di cui non c'era traccia nella casa vicina, c'entrava qualcosa. Ne ero certa.

The corner: scrivo ad ore infami e me ne rendo conto, quindi perdonate le possibili tavanate che potreste leggere. La nostra cara Chiara sembra fatta, lo so. Ma questa non è una storia verosimile. E accadranno delle cose.... Niente anticipazioni. Ogni cosa a tempo debito. Le recensioni sono gradite :)

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Capitolo 3
*** Faccia a faccia ***


Dopo quella notte, che bollai come "dimenticabile", rientrai in casa e decisi di non pensarci. Mi vestii e feci colazione, poi pensai che sarebbe stato bello andare un po' in spiaggia.
"Devo distrarmi" pensavo "L'università è pesante, adesso ho bisogno di riposo e poi potrò riprendere con tranquillità gli studi".  Continuavo a ripetermi queste considerazioni razionali, ma una voce nella mia testa mi urlava: "Sei pazza. Non c'è niente da fare; è inutile che continui a dare una spiegazione logica a tutto ciò che ti succede perché sei PAZZA!!!!".
Mi misi il costume da bagno, il pareo e mi recai alla spiaggia, poco distante da casa mia. Erano le 8.30, ma in mare c'era già parecchia gente, ancora tutti increduli della temperatura estiva in aprile. Stesi un materassino (che mi riportò alla mente la notte prima) e vi appoggiai la borsa ed il pareo. Mi tuffai in acqua, finalmente. Andai a fare qualche tuffo dalla scogliera e poi decisi di recarmi al largo. Me la presi comoda, ascoltando il silenzio. Ogni tanto davo qualche occhiata sott'acqua, per accertarmi dell'assenza di meduse. A volte ce n'erano di grosse, e la prudenza non è mai troppa. Fu così che, dopo un controllo, mi ritrovai faccia a faccia con Ombra. Se non mi prese un infarto in quel momento su solo per grazia ricevuta. Sant'Iddio, lo spavento! La guardai a bocca aperta. Cosa ci faceva lì? Ero stata sott'acqua per pochi secondi, prima ero da sola, e allora come cavolo era arrivata fin lì in pochi secondi?!?
-Ciao, sono Ombra, e tu devi essere Chiara, la ragazza di cui sono diventata neovicina!-
-Sì, ciao...-. Aveva una voce suadente. Incantava sentirla parlare. "Forse", pensai, "è questa la voce delle sirene, che rapivano con il loro canto i marinai. è questa la voce che sentì Ulisse, ma che non raggiunse perché era legato".
Ombra continuò a parlare di sé, di quanto le piaceva quel mare nonostante fosse solo la seconda volta che ci andava, che quello era un posto bellissimo e che si era trasferita in pianta stabile.
-C-cosa? Ti sei trasferita in pianta stabile?!-
-Sì! Sono così felice! Sai, quando la signora Schmidt si è ammalata, ha subito messo in vendita la sua casa. Sapeva che il cancro non le avrebbe lasciato scampo. E...- a questo punto abbassò la voce, nonstante fossimo sole, -beh, sono solo voci e non vorrei raccontare falsità su di lei, ma pare che non sia morta per la malattia. Pare che, quando l'hanno trovata, avesse in corpo una quantità di barbiturici da stroncare un elefante. Comunque sono voci di paese, non stava tanto simpatica a tutti-.
-Poveraccia- dissi. Mi dispiaceva che avesse fatto una fine del genere. Anche se non ci sopportavamo, era brutto che si fosse uccisa per non soffrire una malattia. Pensandoci, conclusi che io non ne sarei stata capace. Sono troppo ottimista.
Ombra andò avanti a parlare di sè. Frequentava l'università (ovviamente lingue moderne!), era di famiglia benestante e faceva oziosamente la vita della mantenuta da mamma e papà. Comunque, era intenzionata a cercare subito lavoro, appena laureata. Mi chiesi perché fosse venuta a stare in quel buco di paese e non, che ne so, a Sanremo o posti così. Con il casinò, Sanremo attirava molti turisti, anche stranieri. Ero tentata di chiederglielo, magai di dirle qualcosa come: "Perché stai in questo paesino se vuoi lavorare negli scambi internazionali o roba simile? Ah, a proposito, ieri sera eri ubriaca? Mi hai dato qualche droga senza che me ne accorgessi?". Logicamente tenni la bocca chiusa, e la guardai allontanarsi verso riva. A detta sua, doveva assolutamente telefonare ad un paio di amiche per far sapere loro del trasferimento, prima che la dessero per morta e corressero a comprare fiori per la sua tomba. Quando fu lontana, mi stesi a morto sull'acqua. Il cielo si fece improvvisamente grigio, e lampi iniziarono a squarciare le nubi.

The corner: embè, è con grande piacere, amici e vicini, che vi presento questo terzo capitolo!!! Cosa lo presento a fare, che intanto l'avete già letto?
Lasciate perdere queste emerite boiate che scrivo, lo dico per la vostra sicurezza personale. Aggiornamenti imminenti, appena finirò gli esami. :)

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Capitolo 4
*** Tempesta di ricordi ***


Aprii gli occhi quando grosse gocce iniziarono a cadere, e mi spaventai. Improvvisamente, il cielo era diventato di un grigio scuro, un colore indefinibile, mai visto prima. I lampi squarciavano questa distesa celeste di pece e mi prese paura, perché il tuono arrivava subito dopo. Sapevo che il suono si propaga nell'aria ad una velocità di circa 340 m/s. Era stato un quesito al mio esame di terza media ed in quel momento lo ricordai perfettamente: "Marco vede il lampo e sente il tuono dopo 3 secondi. A quale distanza si trova da dove è caduto il fulmine? Invece Carlotta si trova a 1,7 km da dove è caduto il fulmine. Dopo quanto tempo sente il tuono?". Fino a quel momento non mi ero mai ricordata di quella domanda. Figurarsi, erano passati quanti anni? Sette? Nessuno si ricorda di una cosa del genere dopo sette anni. Eppure, in quel momento mi era sovvenuta l'immagine di me, a quattordici anni, tutta concentrata a fare lo scritto di matematica. Avevo risposto velocemente a quella domanda, è molto facile, 1020 metri e 5 secondi. "In fondo, il cervello non cancella niente, è solo che è un tale casino che non si trova tutto subito". Di nuovo la vocina mi ricordava che ero pazza. E sulle basi di cosa sarei pazza? Non trovai risposta. Alzai di nuovo lo sguardo al cielo. Era ancora più cupo, ancora più grigio, ancora più cattivo. "Oh, smettila, il cielo non può essere cattivo!". E invece sì. Sembrava il dipinto di qualche pittore scandinavo depresso. Di quelli che dipingono macchie nere e grigie e gli danno titoli tipo La cavalcata della morte, Il sacrificio della vergine, La bestia. Di quelli che come hobby suonano in un gruppo suicidal depressive black metal e venerano Burzum e Nattramn. Ho la mia teoria, che al nord non hanno mai il sole e il caldo e si deprimono. Qua in Italia "OH SOOOLE MIOOOO!!!!!!!!" e mandolini dei barbieri napoletani. Se in Italia si fa il black metal, non sono in molti, e poi non ai livelli scandinavi. "Non pensarci, altrimenti ti vengono gli incubi, e sei già messa bene". Appunto, meglio non pensare a cose brutte in primavera. Primavera? Da come era diventato il cielo, sembrava che il sole si fosse spento. Aveva iniziato anche a fare freddo. Logico, sta per tempestare. è normale che al mare faccia così. Le mareggiate. Portano la posidonia. Dicono che possono usarlo come biocombustibile, per farci il biogas, è una figata. Alle medie hai portato quello come argomento di tecnologia. "Cosa cazzo sono questi ricordi delle medie?! è un periodo che non voglio ricordare" pensai allarmata.
 
Le scuole medie erano stati tre anni che definire terribili è riduttivo. Dio Cristo, se ci ripenso ho i crampi allo stomaco. Certo che se il mio stomaco non si è distrutto in quel periodo, dev'essere di acciaio. Che figata, lo stomaco di acciaio. Dai una spanciata a qualcuno e lo fai secco. Durante le scuole medie mi sarebbe tornato molto utile.
Beh, c'è da dire che fin dall'inizio tirai fuori la mia anima di sfigata. Diciamo che mi feci una reputazione. Ma in senso negativo. Ero nuova della città, venivo da un paese sperduto e già questo giocava a mio sfavore. Oddio, non che Ivrea sia chissà che metropoli, ma intanto 24.000 eporediesi li fa. E poi ha la torta Novecento, le Polentine, il Carnevale, nel Canavese è un centro importante. Ciò aveva creato nei miei compagni una specie di senso di superiorità, roba che se fossero andati a Torino, il loro senso di superiorità sarebbe crollato come un castello di carte. Erano pur sempre provinciali, come mi ripetevo quando quegli stronzi mi davano addosso, parole e mani. C'erano quelle ragazzine, dette la Trinità, perché erano sempre insieme, ovvero Martina, Caterina e Sara, che erano l'incarnazione del male. Puttanelle, certo, ma quanto sono cool le puttanelle! Si fidanzavano a destra e manca col primo che passava, ovviamente figo. I nerd sbavavano loro dietro, mentre i fighi, le promesse del calcio palestrati e che fumavano come dei grandi, le prendevano e le lasciavano a loro piacimento. Era un modo per fare una scena degna della migliore tragedia greca nell'intervallo e nel dopomensa e attirare una folla di spettatori. Ci mancava solo un cantore cieco che narrasse li millemila perigli che affrontarono i nostri eroi prima di ritrovarsi, rimettersi insieme e mollarsi dopo una settimana, ricominciando amabilmente il ciclo!
A quel tempo avrei dato qualsiasi cosa per essere come loro. Non bisogna fraintendermi, non volevo farmi un ragazzo a settimana. Ma piacere a tutti, avere tanti ragazzi sbavanti dietro, avere tante amiche. Ora che ci penso, non credo che la maggioranza delle amiche di Martina, Caterina e Sara potessero essere definite tali, piuttosto erano delle stupide che le inseguivano pur di avere un posto tra le élite della scuola. Ah, non le condanno! Perché lì c'erano caste chiuse. Tipo in India. I sacerdoti erano i fighi, quelli come la Trinità e i loro fidanzati. Di solito erano delle scarpe come rendimento scolastico. Poi c'erano i normali. Di quelli che vivacchiavano sui 6 e 7. Quelli vivevano tranquilli, avevano rapporti con i fighi che li potevano elevare, o più raramente, combinavano qualcosa per cui finivano nel fango degli sfigti. Paria, intoccabili, perdenti chiamateli come volete. Di solito erano i secchioni, come me, oppure i normali finiti nella fossa. Inutile dire che, una volta sfigati, per sempre sfigati.
Io ero un topo di biblioteca, chitarrista, rocker fino alla morte. Apparecchio, occhiali, naso non proprio alla francese. I miei si erano appena separati, mio padre aveva problemi di alcool (per fortuna, poi si fece curare), mia madre gli aveva messo delle corna da alce con il suo migliore amico, devo forse continuare? Problemi economici, risolti quando ormai ero liceale e una malattia cardiaca che curai in terza media e che mi costringeva ad impasticcarmi di sotalolo tre volte al giorno, 80 mg ciascuna pastiglia. Sindrome di Wolf Parkinson White. Sindrome da preeccitazione ventricolare da via anomala a sede laterale sinistra. Tachicardia. Ai loro occhi apparivo un'appestata.
La peggiore era Caterina, arrivava spesso alle mani. Le altre due ci davano dentro a parole, forse perché avevano più paura di essere beccate a pestarmi. Caterina bastava e avanzava. A causa delle sue botte, avevo preso a girare fornita di cerotti e disinfettante, unitamente a fard, fondotinta e ombretti. Cate mi faceva un occhio nero? Ci spennellavo sopra un fondotinta economico quanto coprente che trovavo al supermercato. Cate con un cazzotto mi tagliava un labbro? Cerottino come quelli che si vedono nei film e poi rossetto chiaro, di quelli che non si notano molto.
Non avevo assolutamente amici, persino gli altri sfigati mi snobbavano. Della maggioranza di questi ex compagni non so molto, sono pochi quelli che ho rivisto. Sicuramente, quando venni a sapere che Caterina era rimasta incinta a sedici anni e aveva dovuto abbandonare la scuola, provai un moto di soddisfazione. Recentemente l'ho incontrata con sua figlia, ci siamo salutate civilmente, ma nulla di più.
Tutta questa valanga di ricordi mi investì mentre il cielo continava a farsi sempre più scuro, minaccioso. Guardai a riva a provai una morsa al cuore: non c'era più nessuno, neanche un bagnino. Anche il lungomare si era spopolato, c'era solo più qualche passante che si affrettava a correre a casa, sotto la pioggerellina. Poi iniziò a piovere più forte. Fu come il segnale convenuto perché la natura si scatenasse. Si alzò un forte vento, mentre le onde del mare si facevano sempre più grandi. Sono una nuotatrice forte, ho parecchia resistenza, ma contro il mare in tempesta si può fare ben poco. Le onde mi sommergevano e, con orrore, mi accorsi che mi stavano sbattendo contro gli scogli. -Cazzo!!- ululai, come se qualcuno avesse potuto sentirmi. Non c'era assolutamente nessuno. Iniziai a ridere, probabilmente sull'orlo di una crisi isterica. Ridevo perché sapevo di essere spacciata. Nulla può contro la furia del mare. Strano che si verificasse una tempesta del genere in Liguria, nel Mar Ligure. "Sarebbe normale nell'oceano" pensai, prima di ricominciare a ridere. Se c'era una fine che non volevo fare era quella del tappeto quando bisogna spolverarlo. In pratica, qualunque morte, ma non finire sbattuta sugli scogli. Però, dopotutto, potevo sempre svenire o annegare prima. Niente dolore. Senza quasi rendermene conto, iniziai a nuotare controcorrente. Sapevo che dovevo dirigermi come per tentare di suicidarmi contro la scogliera accanto. Perché lì, il mare aperto era diviso dall'area destinata ai bagnanti da due scogliere, distanti tra loro una decina di metri. Dopo, c'è il mare veramente profondo, pochi vi si recano, e per questo mi piace.
Iniziai a nuotare con tutte le mie forze, la speranza è l'ultima a morire. Non so per quanto andai avanti a tentare di salvarmi la vita. Più continuavo, più mi convincevo che era tutto inutile, sarei morta. La mia vita finiva quel giorno, e non ci sarebbe stato ritorno, come cantava Fabrizio De Andrè. Ero partita per la tangente con i miei pensieri tragici, senza accorgermi che pian piano mi stavo avvicinando allo stretto tra le scogliere, e che quindi dovevo nuotare a pelo d'acqua per non prendere gli scogli che si trovavano sotto appena ad una cinquantina di centimetri. Lo scoprì il mio piede, colpendone uno. Mi resi anche conto che il mare era più calmo, poiché gli scogli fungevano da barriera e proteggevano la spiaggia. Nuotai come una pazza, pur di mettermi in salvo, mentre le mie braccia suonavano la marcia di Radetzky. Arrivata a riva, mi abbandonai appena trovai un punto in cui non rischiavo di annegare. Il mio cuore galoppava nel petto, sembrava stesse suonando il basso in "I was made for loving you" dei Kiss. Chiusi gli occhi come se fosse l'ultima volta.

The corner: ehilà! Quarto capitolo *vuvuzela e fischietti degni di Axl Rose che mi faranno linciare dai vicini*. Mi sono presa più tempo per questo capitolo e non l'ho scritto di getto. Io sostengo sempre che i personaggi sono molto simili al loro creatore. Difatti, come sapranno i miei coetanei, quella roba sulla velocità del suono era una domanda dell'Invalsi. Ditemi che non ho sbagliato!! Anche i biocombustibili sono stati mio argomento all'orale.
P.S: se tenete alla vostra sicurezza, non cercate info su Nattramn, Burzum e il sucidal depressive black metal, che il nome parla da sè. Soprattutto sul primo.

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Capitolo 5
*** Psichedelia - La tigre ha fame ***


-Signorina, mi sente?! Si svegli!-
Una voce maschile continuava a chiedermi se ero sveglia, se ci sentivo. Gli avrei volentieri urlato in faccia di lasciarmi stare, porca miseria, stavo così bene! Ma non riuscivo quasi a muovermi, riuscii soltanto a fare un cenno con la mano. C'era una luce fortissima, non riuscivo ad aprire gli occhi. Sentivo varie voci, poi qualcuno che mi toccava e mi muoveva piano. Provai un dolore fortissimo e di nuovo persi conoscenza. Iniziai a vedere strane forme colorate che mi sfrecciavano davanti. "Non è un sogno questo" pensai. Ero bloccata e mi sembrava di cadere. Mi resi conto di essere come su un letto che pian piano scivolava sempre più giù, sempre più giù verso l'ignoto. Poi iniziò la caduta nel vuoto. Mi sembrava di essere in un tunnel verticale di motivi psichedelici da far venire mal di testa. "Mi sono drogata?" mi chiesi. Eppure no: ricordavo perfettamente ciò che era successo, la tempesta eccetra. Mi ero addormentata sulla spiaggia, poi mi ero risvegliata, avevo senito un dolore terribile e mi ero riaddormentata. Ora ero in questo incubo di giochi caleidoscopici e immagini fantastiche. Sembrava il racconto di Albert Hofmann sulla prima volta che aveva preso il suo "bambino difficile", ovvero l'LSD. Mi girava anche la testa e mi sentivo strana, inquieta, ansiosa, ma anche euforica e con la sensazione che un nuovo mondo si stesse aprendo davanti a me. "Le porte della percezione" pensai "si stanno schiudendo. Porca miseria, mi sembra di essere finita nel video di Lucy in the Sky with Diamonds. Mi sembra quasi di sentirla. E anche qualcosa che somiglia ai Pink Floyd. Forse fa male ascoltarseli prima di venire in spiaggia, considerato quello che mi è successo". Mi sembrava di sentire la melodia di Time, e improvvisamente vidi ciò che sembravano degli orologi. Direte che è normale, vista la canzone. Sembravano La persistenza della memoria di Salvador Dalì; il quadro con gli orologi molli.
Come colta da un presentimento, abbassai lo sguardo per osservare il mio corpo. Addosso non avevo più neanche il mio due pezzi, già con un motivo decisamente psichedelico stampato sopra. In compenso ero diventata tutta colorata a strisce. Sembravo soltanto un'insegna al neon. Sì, fu quello che mi venne in mente. Ero diventata un'insegna al neon di qualche night club. Ero colorata a bande azzurre, verdi, gialle e rosa che lampeggiavano velocemente come un'insegna che sta per bruciarsi.
"Tra un po' mi spegnerò" pensai "e allora non ci sarò più". Ma non mi spensi. Continuai a cadere in quel tunnel. Sembrava infinito, al fondo non si vedeva nulla, neppure una piccola, dannatissima luce. "La luce in fondo al tunnel, se la vedo la mia solita sfiga farà sì che sia un bel treno in corsa!" pensai amaramente. Ma niente, quel tunnel continuava. Ormai non avevo più paura, mi sentivo tranquillissima e quasi mi piaceva continuare a precipitare così. Evidentemente al mio cervello bacato non doveva piacere troppo il rilassamento e la felicità che provavo, perché improvvisamente iniziai a vedere alte figure nere che mi sovrastavano. Ce n'erano a migliaia, e mi chiesi come facevano a stare nel tunnel, dato che mi sembrava molto stretto. è solo una creazione della tua mente, per questo ci stanno. Non è un tunnel reale, con un volume ben definito, ricordava la mia coscienza. "E che diavolo, piantala! Tu e 'ste cazzate da matematico cerebroleso! Sentiamo, da quando ti piace la matematica?". Come al solito, non rispose, da sempre preferisce il silenzio quando si accorge che l'ho vinta io.
Intanto le sagome erano poste in cerchio e continuavano a stringersi verso il centro. Il centro, ovviamente, ero io. Iniziai a sentirmi soffocare, come sempre quando facevo questi incubi su Alessandro. Erano già passati cinque anni. Tanti, alla mia età. Cinque anni da quando aveva preso per l'ultima volta la sua Vespa, per venire da me e chiarire il nostro ultimo litigio e le mazzate che avevo dato al suo motorino. Apparentemente non sembrava troppo danneggiato. E invece pare lo fosse. In realtà non si seppe mai bene. Dopo essersi incastrato sotto un tir, non era rimasto molto. La testa di Alessandro si era spaccata a metà come un melone, tanto che dovettero fargli il test del DNA per identificarlo. Forse gli avevo danneggiato i freni, forse aveva sbandato lui stesso, forse era semplicemente destino che dovesse morire un ragazzo di 17 anni.
Avevamo litigato di brutto. Non era mai successo che litigassimo così. Sì, c'erano state qualche discussione, ma cose assolutamente tranquille. Insomma, è normale che in una coppia si abbia qualche divergenza di idee.
Ma quella volta avevamo litigato come matti. E tutto per colpa di quel coglione del batterista della mia band, i Southern, che ci aveva provato con me. Ed io a cercare di convincere Essand, come lo chiamavo affettuosamente, che con quell'idiota non c'era stato niente. Figurarsi se ci andavo a letto. Era uno stupido, e poi io amavo Alessandro. Lo amavo davvero. Era stato un vero colpo di fulmine. Eravamo in classe insieme al liceo linguistico, lui aveva perso un anno a causa di un incidente in macchina. Suo fratello lo stava portando dai nonni ed aveva bevuto un po'. Erano finiti fuori strada, tutti e due discretamente a pezzi, ma Alessandro era quello messo peggio. Così si era ritrovato, nonostante fosse un buono studente, a dover ripetere l'anno. Allora aveva iniziato ad andare male e ad essere scontroso con tutti. Lo prendevano in giro perché pensavano che se la fosse presa per la perdita dell'anno scolastico. Quando ci conoscemmo meglio, capii le sue ragioni. Il fratello aveva problemi con l'alcool, e lui sospettava che ci stesse andando di mezzo anche la droga. I loro genitori erano ricchi, ma ormai stavano insieme soprattutto perché avevano due figli. Diciamo uno, perché il maggiore, di 22 anni, viveva per conto suo, dividendo l'appartamento con un amico presumibilmente coltivatore di cannabis. Ale mi ripeteva sempre che, dopo tutto, forse i suoi avrebbero dovuto separarsi. Il padre aveva uno studio da geometra che aveva ereditato da suo papà, la madre era un avvocato, quindi erano perfettmente autonomi dal punto di vista finanziario. Insistevano a stare insieme, ma non si sopportavano più ed erano molto stressati da questa situazione. -Se divorziassero- mi diceva -potrei vivere con entrambi, sai, farei una settimana da uno e una settimana dall'altro. Sono stufo dei loro litigi, ripetono che devono stare insieme perché hanno ancora un figlio in casa. Ed io mi chiedo "dunque, se me ne vado, finalmente si lasceranno con beneficio di tutti?"-.
Alessandro si era convinto che era lui la causa delle loro tensioni e del loro stress, era colpa sua perché stava ancora tra le palle. Per questo si era depresso. Era incazzato con il mondo, ed era convinto che soltanto Marilyn Manson avrebbe potuto capirlo, dato che si trovava nella stessa situazione. Per questo lo ascoltava quasi maniacalmente. Ho sempre trovato questa sua affermazione su Manson decisamente idiota, ma ripensandoci, credo che avesse bisogno di qualcuno. Qualcuno che capisse minimamente come si sentiva. E magari aveva visto in una rockstar che urlava a Dio e al mondo quanto facessero schifo l'unica persona che potesse capirlo, se mai l'avessee incontrato.
Per quanto mi riguardava, i miei si erano già separati da un po', mia madre aveva lasciato anche il suo amante e viveva da sola con me e mio fratello, sempre più depressa e isolata. Ho sempre pensato che sia una prerogativa di alcune donne, quella di non riuscire a trovare l'uomo adatto. Ci provano e ci riprovano, ma non cè niente da fare, non lo trovano. Avevo sempre avuto il terrore di finire come lei, ma, alla luce delle ultime scoperte, la ricerca della mia metà si prospettava ancora più ardua. Trovare una donna, lesbica e, soprattutto, intenzionata a dichiararlo... "E se smettessi di pensare a queste cose? Insomma, non è umanamente possibile che uno scopra di essere omosessuale solo perché vede nuda la sua vicina di casa che probabilmente si droga! Va bene che mi trovavo bene alla discoteca LGBT in cui mi aveva trascinata mio fratello, ma non vuol dire NIENTE!! Non posso correre a queste conclusioni affrettate su un argomento così delicato e importante come il mio orientamento sessuale. Sono semplicemente rimasta confusa da quella là. Cioè, ti trovi una che balla nuda senza musica nel giardino accanto, sant'Iddio!".
Tutti questi ricordi mi tornarono alla mente, uno sull'altro. Cosa diavolo mi stava succedendo? Mi sovveniva un passato che non volevo più ricordare. "Sono una cogliona. Ma cosa pensavo? Che il passato se ne sarebbe stato buono buono in un angolino come una tigre ammaestrata, senza tornare qualche volta con le unghie sguainate? Brava furba! E adesso si avvinghia a te. La tigre, d'altra parte, ha fame. Ogni tanto bisogna pur darle da mangiare. Ed il suo cibo è la mia sofferenza, i miei ricordi, i miei incubi. C'è gente che quando la sua tigre mangia, sta bene ricordandosi dell' iPhone ricevuto a Natale o del bel voto all'esame. E c'è gente come me che sta male, ricordandosi del padre alcolizzato o del fidanzato morto a 17 anni perché voleva soltanto parlare con me con quel suo tono rassicurante. Avremmo parlato e avremmo fatto pace, lo sapevo. Forse avevo mazzato e rigato il motorino soltanto perché lui venisse da me senza doverlo chiamare, intaccando il mio orgoglio. Ho sempre avuto rimorsi per questo. Se non l'avessi fatto... magari sarebbe successo lo stesso. Magari un giorno sarebbe venuto da me per andare in giro insieme ed avrebbe avuto comunque quell'incidente. E la cosa terribile sarebbe stata che si era ammazzato per incontrare la sua fidanzatina. Che la gente avrebbe lasciato bigliettini davanti a casa sua e sulla tomba del tipo: "Addio angelo", oppure "Proteggila. Proteggi Chiara da lassù". Vomitevole. Invece nessuno lasciò nulla da nessuna parte. Soltanto io ero riuscita a far mettere nella bara il mio plettro, quello con la mia inziale scritta sopra a pennarello. Lui ne aveva uno con la sua, e avevamo giurato che, una volta morti, dovevamo avere nella bara uno il plettro dell'altra, così da non dimenticarci mai e ritrovarci nell'aldilà. L'avevo consegnato a quello che gli aveva preparato la bara, facendogli compassione. Comunque non l'avevo visto, dato che, dopo essere stato letteralmente distrutto (-Il suo cervello è schizzato su tutta la strada- ci disse la polizia) ed aver subìto un'autopsia, era stato meglio sigillarlo nella cassa. Logicamente non facevano vedere quello spettacolo macabro. Io riuscii ad ottenere un paio di foto dalla polizia che aveva documentato l'incidente, quelle meno chiare. Nonostante l'impressione, le ho ancora in un cassetto. Alessandro fu sepolto nella terra, i suoi genitori non avebbero mai voluto ridurlo ad un mucchietto di cenere, per poi magari spargerle sul Monte Soglio, quel luogo che amava così tanto e dove si sentiva se stesso. Troppo cazzata New Age spirituale. Nella sua famiglia, solo Ale era religioso, diceva sempre di volersi convertire al buddhismo tibetano. -Sessantottino idiota- gli avevo detto.
Sua madre, finita la funzione, mi aveva consegnato il plettro del figlio. -Voleva che fosse tuo. Mi raccontava di questa cosa dei plettri da scambiarsi. E non ti dispiacerebbe avere anche il suo basso? Io non ce la faccio a guardarlo-. Così a casa mia arrivò anche il suo bellissimo Ibanez color ocra bordato di nero, con la mia firma che troneggiava tra i pick-up. Mi ci volle un anno per riuscire anche solo a guardarlo senza scoppiare in lacrime. Dopo due anni sono riuscita a toccarlo e dopo tre a strimpellare qualche nota ad orecchio o qualche giro che gli avevo sentito fare. Non mi sono mai impegnata seriamente, sono una chitarrista, però con il mio gruppo, dopo che liquidammo il primo batterista, a volte sostituivo il basso nelle prove per puro divertimento. è un bello strumento, ottimo per chi non vuole un ruolo centrale in un gruppo, dovendo tenere il ritmo. Infatti non faceva al caso mio. Ho sempre cercato di spiccare, scatenarmi durante gli assoli, fare il personaggio. Forse perché, nella vita, non sono mai stata al centro di qualcosa.
La tigre doveva proprio aver fame. Era da un po' che non le davo più da mangiare. La gente pensa che il passato non abbia questa "vita propria", ma non è così. In generale, tutti coloro che suonano strumenti a corde, sostengono che le corde siano dotate di questa vita propria, altrimenti perché si spezzano proprio mentre uno sta suonando e non mentre è a casa, tranquillo? Per il passato vale lo stesso principio. Solo che uno lo dice ridendo che le corde sono esseri pensanti, ma chi come me si porta un bel fagotto sulle spalle di morti, dipendenze varie ed emarginazione nell'adolescenza, non ride più tanto sulla vita del passato. Pensavo spesso a cosa potevo aver fatto, magari in una vita precedente, per meritarmi ciò. Come dice Lydia Sinclair, un personaggio del film "La leggenda del re pescatore", a proposito della sua vita sentimentale praticamente nulla: "Ho sempre avuto idea di essere stata un uomo in una vita precedente, uno che usava le donne per il suo piacere. E adesso ne sconto la pena...". Forse per me vale lo stesso principio. Magari, senza cambiare sesso, in una vita precedente sono stata una bulla, una stronza di prima categoria. Come Caterina. Forse lei in una vita futura sarà una sfigata. O forse no. Forse non esiste la reincarnazione, è semplicemente un caso che io sia così, perché siamo tutti artefici del nostro destino.
Può darsi che ci sia l'aldilà e sia una specie di magazzino di anime. Quando viene concepito un bambino allora qualcosa (Dio, direbbero alcuni) sceglie un'anima a caso e la mette in quel corpo. E se gli va bene esce fuori Jon Bon Jovi, mentre se gli va male esco fuori io. Ho sempre immaginato così la vita dopo la morte. Forse mi faccio troppe seghe mentali.

Tutti questi pensieri continuavano ad assalirmi mentre venivo soffocata dagli spiriti neri. E continuano ad assalirmi anche ora, nonostante tutto. Quel giorno, che non scorderò mai, parlavano anche, continuavano a sussurrare frasi sconnesse. Fu questo il particolare che non avrei mai dimenticato. Pronunciavano parole sconosciute. In realtà non sembravano neanche parole, soltanto dei versi. "Forse è una lingua" pensai "tipo un idioma di qualche popolo sperduto in culo ai lupi. Ma poiché sono creazioni della mia mente, come faccio io a conoscere questa lingua?". Magari la tua anima di sfigata è appartenuta a un componente di queste tribù!, disse sua signoria la mia coscienza. Inchiniamoci tutti alla sua volontà! Forse stavo impazzendo. Ma quelle figure si stringevano sempre più...
Mi svegliai con un urlo, accorgendomi che era stato solo un sogno.
-Ehi, tranquilla, stai calma!- disse una dolce voce. Mi girai verso la sua provenienza, e urlai più forte di prima.

The corner: per questo capitolo sono andata pesante con i Pink Floyd, per "psichedelizzarmi" senza dover rivolgermi ad uno spacciatore. 
Un ringraziamento speciale ad amastuki Yuki perché segue questi miei sogni/prove della mia pazzia che si concretizzano in questa storia.

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Capitolo 6
*** Ode to my family ***


-Aaaahhhh!!!-
-Ehi, ehi, tranquilla, sono io, Ombra! Sei in ospedale- disse. Quella voce suadente, nonostante fosse una specie di camomilla, aveva un che di sinistro. Era troppo dolce.
I miei battiti cardiaci erano schizzati al massimo. In quel momento ebbi un altro spavento. Erano troppo alti. Forse, tutto quel giorno era troppo. Ma il mio cuore... quella velocità non mi era nuova. Improvvisamente accorse un'infermiera con una macchina che conoscevo bene e mi attaccò immediatamente sei elettrodi, facendo partire l'elettrocardiogramma.
-Dio Santo!- fece, e chiamò il medico. Anche questo mi visitò, mi fecero monitoraggi Holter, esami e balle varie, riuscendo a far tornare i battiti alla normalità. Il responso già lo conoscevo.
-Signorina, lei ha avuto un attacco di una malattia compresa nelle aritmie, detta sindrome di Wolf...-
Non lo lasciai finire: -...Parkinson-White. Sono nata con questa malattia ed all'età di 14 anni ho subito una radio-ablazione, cioè hanno bruciato la via accessoria che causa l'accellerazione dei battiti. Scommetto che se mi ascolterà il cuore adesso, troverà i battiti irregolari. Mi avevano detto che la radio-ablazione rendeva le possibilità di recidiva bassissime e la mia era stata un'operazione da manuale...-.
-Vedo che lei sa già tutto. Dovrei ottenere la sua storia clinica, la richiederò al suo medico curante-.
Io fui tenuta in osservazione. E dovetti subire la presenza di Ombra che non si staccava dal mio capezzale. Più volte tentai di convincerla ad andarsene, ero in buone mani, ma lei era intenzionata ad assistermi. Mi raccontò che ero stata trovata sulla spiaggia quando, verso le 11 era finito il temporale. Ero piena di bolli, graffi e punture di medusa. Avevano chiamato l'ambulanza e lei stava passando di lì, dopo aver fatto qualche commissione, così mi aveva assistita. All'arrivo dei paramedici mi ero risvegliata, salvo poi iniziare ad urlare e a dibattermi così violentemente da farmi sedare. Ora erano le quattro di pomeriggio. Ombra non si staccava da me per nessun motivo. Restava semplicemente a fissarmi con la pazienza di un gatto. Di un gatto che aspetta che il topolino esca dal suo nascondiglio. Rabbrividii a quest'idea.
Verso sera mi dimisero. Non ero ferita gravemente e gli effetti del sedativo erano scomparsi quando mi ero risvegliata. Avevo temuto che potessero ricoverarmi per la tachicardia, tenermi in ospedale per molto tempo come quando, a due mesi di vita, avevo avuto la prima crisi. Ero uscita dall'ospedale all'età di quattro mesi.
Riuscii a trovare un autobus che faceva la tratta Sanremo-Imperia e che passava da Riva Ligure, dov'era casa mia. Dovetti sorbirmi la presenza di Ombra, poiché lei era venuta in ospedale sull'ambulanza. Tornammo a casa e lei insistette per entrare da me, almeno per accertarsi che non avessi bisogno di nulla. Dovetti ammettere che avevo parecchia fame, così lei si offrì di andare a comprare un kebab in una vicina pizzeria. Finalmente sola, anche se per poco. Non osavo mettere su un film o musica per terrore che piacesse anche a lei e volesse fermarsi. Alla fine, il bisogno fu maggiore della paura e misi su un disco dei Dio. "A meno che uno non sia un'appassionata di rock, Dio è perlopiù sconosciuto alla plebe" pensai sorridendo e feci partire Holy Diver, il mio preferito. Mi spaparanzai sul divano ascoltando la voce paradisiaca di Ronnie James partire con Stand up and shout, seguita da Holy diver, la mia preferita con Rainbow in the dark, purtroppo penultima.
Ombra rientrò con due fumanti, enormi kebab, mentre finiva Holy diver.
-Cazzo, ma questo è Holy diver dei Dio!- urlò come se le avessero resuscitato Ronnie sotto gli occhi. Magari.
"Tranquilla, non è detto che lo conosca così bene, stai calma!".
-She was straight from hell, but you never could tell, cause you were blinded by her light!!- cantò con la sua voce bellissima. Scoprii che oltre ad avere un bel timbro, aveva anche una buona potenza ed una bella estensione vocale.
-Hai una bella voce...- dissi.
-Già. A quanto pare, ho un'estensione di quasi quattro ottave, non so se mi spiego...-
-Per Dio che riposi in pace!- risposi. -Quattro ottave! Come Freddie Mercury! E mi pare che tu abbia anche una voce potente. Riesci a coprire la musica del disco. Io ho appena due ottave e mezzo, se va bene. Fai canto lirico, per caso?-
-Sì, e canto indifferentemente O mio babbino caro e Carmen. Soprano e mezzosoprano-.
-Anche io canto lirica. Però faccio solo parti da soprano- puntualizzai ridendo. -Almeno sono un soprano leggero. Sai no, quelli da Aria della Regina della Notte. Magra consolazione. Però la lirica è secondaria, nel senso che io nasco come chitarrista-.
Ombra riuscì a non farmi impazzire del tutto, poiché lei suonava il basso. Mentre mangiavamo, le raccontai di Alessandro e del suo mitico basso, scoprendo che anche lei aveva un Ibanez. Per fortuna, mi salvò il disco, perché proprio in quel momento partì Rainbow in the dark. Non potevo assolutamente resistere a quella canzone e mi alzai in piedi cantando a squarciagola. Ombra mi imitò, e cantammo e ballammo come matte, ricadendo sfinite all'inizio di Shame on the night.
Passammo la serata accompagnate dai miei dischi: Bon Jovi, Police (arrivate al verso "Every breath you take, every move you make" mi sanguinò il naso. Forse ero troppo suggestionata) e Aerosmith. L'ultimo che ascoltammo fu Get a grip, appunto degi Aerosmith, e arrivate a Crazy iniziammo a ballare come matte. 
Viste dall'esterno, potevamo sembrare due grandi amiche, un po' come le protagoniste del video della canzone. Due piccole Thelma e Louise, forse senza tutta la carica femminista di quel film, ma il principio della fuga dalla stronza società è lo stesso.
Accompagnate dalla voce di Steven Tyler, ballavamo un simil-tango, alternato a quei balli romanticissimi da discoteca anni '80 di cui mi parlava mio padre. Diceva che ci portava sempre mamma, quando non avevano ancora figli ed ancora si amavano. Ovvero prima che lei conoscesse Carlo, il migliore amico di mio padre, il quale aveva studiato, grazie ad una borsa di studio, in America e vi aveva lavorato per un certo periodo, durante il quale i miei si erano conosciuti e sposati. Io e mio fratello Fabrizio avevamo 9 e 11 anni quando lui tornò a vivere in Italia. La sua società aveva allacciato rapporti con il nostro paese e lui sarebbe stato un "curatore degli affari esteri".
Mio padre parlava spesso di lui, erano praticamente cresciuti insieme. Dopo le superiori, Carlo aveva avuto la borsa di studio per meriti scolastici e se n'era andato. Claudio, mio padre (l'ho sempre chiamato per nome, oppure Jean, come il suo idolo Van Damme) era andato subito a lavorare in una ditta di disegno meccanico. I due avevano continuato a sentirsi regolarmente. Per Claudio, Carlo era più che un amico. Era un fratello. Era stato il suo braccio destro, spalla, confessore, ospedale se faceva il gradasso con qualcuno più grande di lui. Il suo più caro amico. Quella era stata la mia prima lezione sull'affidabilità degli amici. Era venuto a cena da noi, portando due regalini per me e mio fratello. Aveva baciato sulle guance mia mamma e abbracciato da orso mio padre. I loro sguardi la dicevano lunga sui loro sentimenti. Erano felici. Non contenti o allegri, proprio felici.
La serata passò tra racconti della loro vita recente e ricordi d'infanzia. Mi piacque subito quell'uomo. Poteva anche parlare di economia o di politica senza farti addormentare, e ti descriveva le cose facendotele immagiare benissimo. Carlo, al liceo, era stato il classico latin lover amico del timidone della classe. Alto, biondo e occhi verdi, un po' sfacciato per la verità, ma comunque un simpaticone. Claudio invece era l'esatto opposto, era un timido di prima categoria e con le ragazze si era spesso lasciato scappare occasioni che il suo amico non aveva perso. C'è da chiedersi se si sarebbe mai sposato nel caso in cui Carlo fosse rimasto. Considerato come andarono le cose dopo, non è un'ipotesi così assurda.
Carlo era una persona davvero affabile. Dispensava sorrisi a tutti e, all'epoca, mi sembrava avesse la faccia per fare un unico mestiere: il politico. Lo immaginai spesso al posto di George W. Bush, che al tempo era appena stato eletto presidente degli U.S.A., a dispensare i suoi sorrisi in campagna elettorale.
Dichiarò con fierezza che a 37 anni era ancora felicemente scapolo, anche se, un paio di volte, era stato vicino al matrimonio. -Ma solo vicino- precisò. -Tu, invece non hai perso tempo. Complimenti, hai una bellissima famiglia-. Ma la pace era destinata a durare ancora poco.
Carlo entrò nella nostra famiglia come lo zio giramondo di noi bambini. Durante quegli anni aveva fatto spesso viaggi di lavoro, ritrovandosi in Australia, Giappone, Russia, Emirati Arabi, e ci raccontava di quei luoghi lontani. Fu lì che maturò in me l'idea di studiare lingue. Anch'io volevo girare il mondo come lo zio Carlo, e poi scoprii di avere il talento di imparare con facilità il lessico straniero. Carlo sosteneva che con l'inglese si poteva andare dovunque, che era meglio fare una scuola che insegnasse a fare qualcosa, ma io, da brava bastian-contraria quale sono e fui, non lo stetti mai a sentire.
Tra le tante avventure, aveva passato due anni dopo la fine degli studi universitari girando per l'America con un gruppo di amici hippie su un vecchio Volkswagen giallo. Ci aveva mostrato diversi album di foto scattate in California, Oklahoma, Utha. Questi suoi amici erano Sessantottini convinti, di quelli con la testa piena di idee da buddhisti, che sostenevano la causa dei nativi americani e si vestivano con i dashiki. Avevano decorato il bus con simboli della pace e portavano un acchiappasogni appeso allo specchietto retrovisore. Una delle ragazze (che era stato vicino a sposare) gli aveva insegnato a suonare la chitarra. Mio fratello già suonava il pianoforte, mentre io non avevo mai manifestato grande interesse ad imparare a suonare. Amavo la musica ed avevo una discreta cultura, sugli anni '80 in particolare, ma non mi era mai passato per la testa l'idea di farla. Questo finché Carlo mi mostrò la sua chitarra acustica e mi suonò San Francisco di Scott McKenzie, brano simbolico della Summer of Love e dunque amato dai suoi amici hippie. Mi innamorai di quello strumento e pretesi che lui mi insegnasse. Comprammo una chitarra di seconda mano da un vicino di casa e mi impegnai a fondo. Non so perché fino a quel gioro non avevo mai mostrato interesse per la chitarra e subito dopo me ne innamorai perdutamente. Conoscevo la canzone, anzi, ero un'appassionata di rock, e se non c'è una chitarra in un pezzo rock... beh, non è rock! Eppure non era mai scattato quel "colpo di fulmine". Non l'ho mai saputo e mi va bene così.
Con il fatto che era diventato il mio insegnante di chitarra, Carlo iniziò a passare ancora più tempo da noi. Aveva libero accesso a casa nostra ed iniziò a frequentare molto mia madre, che lavorava part-time in un ufficio per potersi occupare di noi. Lei ammirava molto Carlo, inoltre la sua natura ingenua e spontanea la rendeva sempre un po' civettuola. Lui ogni tanto le lanciava qualche sguardo ammiccante, ma lei non se ne accorgeva o faceva finta di niente. Comunque potevano sembrare due innocenti amici che fanno gli scemi per divertirsi.
Visto da occhi esperti ed esterni, il modo in cui lui la ottenne doveva sembrare una cosa da filmone cerebroleso. Pian piano, i due si fecero sempre più affiatati. Ogni volta un po' più in confidenza, ogni volta un po' più vicini. Lei gli raccontò di come si sentiva incompresa da suo marito e come, nonostante avesse una bella famiglia ed un lavoro sicuro, non si sentisse appagata. Il suo carattere è sempre stato piuttosto chiuso e poco propenso a manifestare emozioni. Per queto aveva bisogno di qualcuno che fosse il suo opposto, un uomo sicuro di sè ed espansivo. Uno come Carlo. Lui non aveva impiegato molto a capire che i miei avevano lo stesso carattere e gli opposti si attraggono. Claudio era più concreto e per niente incline alle "psicofesserie da strizzacervelli cerebroleso", come definiva lui la psicologia. Lui non poteva capire se lei voleva bianco o nero, se era incazzata con lui o se aveva semplicemente la sindrome pre-mestruale. Ma Carlo, che, a quanto pareva, negli States aveva avuto parecchie avventure, possedeva l'esperienza necessaria per capire mamma. Con donne di quel genere bisognava costruire una trappola, un po' come il ragno che, a fatica, fa la ragnatela. E, una volta costruita, bisogna aspettare a lungo perché l'ingenua mosca si sbatta lì sopra. Così fece lui. Costruì una ragnatela di confidenze; giocò un po' a fare lo psicologo e riuscì a convincerla a parlargli dei problemi del suo matrimonio. Riusciva a riconoscere il momento in cui lei era giù di corda a premeva per sapere che cosa non andasse. All'inizio lei gli raccontava balle del genere: -Le mie colleghe sono delle deficienti- oppure -La cassiera mi ha dato della ladra perché il codice a barre di un prodotto si era rovinato, quelli delle poste sono dei perditempo e mi hanno scippato l'ombrello con la tempesta-. Ma poi iniziò a raccontargli delle frequenti liti con il marito e della voglia di tornare indietro di quindici anni per cambiare il corso degli eventi. -Amo i ragazzi, eppure vorrei rifare il passato- diceva. Le scuse di prima erano un po' il Gavrilo Princip della situazione. Solo il pretesto, ma non la vera causa dei suoi malumori. E lui che l'ascoltava, la comprendeva, le dava ragione. Ah, non c'è che dire, una tecnica invidiabile. Se non che era mia madre.
Iniziarono una vera relazione più o meno nell'autunno del 2002, quando io avevo dieci anni. Facevo quinta elementare e, sui banchi di scuola, iniziavo a fare le prime scoperte sulla riproduzione. Prima avevo solo qualche nozione generica, ottenuta da mio fratello, che aveva due anni più di me. Penso che già allora avesse capito di essere omosessuale. Ricordo bene di quello scherzo che fece alla sua maestra di scienze delle elementari, che aveva dichiarato apertamente agli studenti il suo odio per i gay. Fabrizio era tornato a casa in lacrime, per poi convincere me ed alcuni suoi amici ad aiutarlo nella sua impresa. Avevamo intercettato un'insegnante di inglese, lesbica dichiarata e forse un po' ingenua, e l'avevamo convinta che la maestra di Fabrizio l'amava. Non so come fece a crederci, fattostà che questa era andata da quella di scienze per chiarire la questione. Mio fratello si era premurato di far assistere la classe a quella scena bizzarra, con la maestra di inglese fermamente convinta di ciò che le era stato detto e l'altra sempre più imbarazzata e confusa. L'insegante di scienze aveva chiesto il trasferimento, mentre noi sedicenti "cupidi" eravamo stati sospesi per un paio di giorni. Per sua fortuna, la mia maestra non era omofoba.
Mio fratello mi aveva dunque preparata all'argomento, aggiungento alcune note ai libri di testo, quali ad esempio il piacere e la masturbazione. Ne ero rimasta scioccata e non ne aveva fatto parola con nessuno. Anche lui aveva notato mamma e Carlo, soffrendone ancora più di me, ma cercando di proteggermi dalla verità nuda e cruda. Lo ammiro per questo. Tuttavia, alla fine anch'io capii come stavano le cose: gli sguardi desiderosi, il confabulare sottovoce per decidere quando incontrarsi, gli abbracci ed i fugaci baci sul collo lontano (o quasi) da sguardi indiscreti. Maledetta la mia curiosità che mi spinge a notare i più piccoli particolari.
Non so tuttora come lo scoprì mio padre. Forse anche lui si era accorto della loro complicità ed aveva indagato, oppure glielo aveva detto Fabrizio. Sta di fatto che li scoprì e chiese immediatamente il divorzio, nell'estate del 2003. Fu così che io, mamma e Fabrizio ci trasferimmo ad Ivrea, dove lei aveva il lavoro. Anche Carlo abitava lì, seguendo il suo lavoro principalmente da casa. Improvvisamente, da zio era diventato uno sconosciuto e "non si accettano caramelle dagli sconosciuti. Ricordatelo, Chiara!". Per un mese non toccai più la chitarra, ma alla fine la passione fu più forte, ormai ero diventata brava. Allora mi chiedevo se la passione tra mia madre e Carlo fosse come la mia passione per la chitarra: un fuoco che brucia all'interno, rendendo impossibile ogni distacco. Ma presto la passione tra mamma e Carlo si esaurì. Così lei si trovò con due figli a carico, perché mio padre non pagava gli alimenti e presto anche lei smise di pretenderli, ed un lavoro che non le permetteva di mantenere lo stesso tenore di vita precendente. Dovemmo tirare la cinghia, mentre mio padre affogava nell'alcool e nessuno lo tirava fuori. Passammo tre anni e mezzo difficili, finché mia madre non cambiò ufficio e posizione, iniziando a guadagnare meglio. Fabrizio, intanto, si impiegò part-time in un negozio di dischi. Mio padre, intanto, passò cinque a bere e vivere come un cane. Poi un giorno andai da lui e lo pregai di farsi ricoverare. Andò in ospedale, ma ne scappò dopo pochi giorni.
Dopo questo, io e mio fratello maturammo un'idea. Io avevo qualche risparmio in banca, mentre lui lavorava. Non erano molti, ma bastavano per mandarlo in una clinica del Monferrato.
-Jean, questi sono i nostri soldi. Lo facciamo per te, mamma non lo sa. è tutto ciò che abbiamo, ci bastano appena per pagarti la terapia. Ti prego, fallo per noi- gli aveva detto Fabrizio, chiamandolo con il suo nomignolo che amava tanto ("Beh, non avrò il fisico di Van Damme, ma sono comunque un gran figo!" era una delle sue frasi abituali). L'amore paterno gli bastò per entrare nella clinica e seguire la cura diligentemente. Noi lo andavamo a trovare, a volte bigiando a scuola perché nostra madre era al lavoro.
Quando uscì, si sentiva come nuovo. Riprese a lavorare e non smise mai di ringraziarci. Io ero davvero felice per ciò che avevamo fatto. Poi morì Alessandro.
 
-Ehi, ti senti male?- mi chiese Ombra con aria preoccupata. Mi ero immersa nei miei ricordi senza più badare al fatto che mi trovavo abbracciata a lei, a ballare come due ubriache. Crazy era finita da un pezzo ed ormai stava per iniziare Amazing. Peccato, mi ero persa Lenny Kravitz.
-No, tranquilla, è solo che... ecco, mi sono ricordata delle cose...- risposi, confusa.
-Quali cose? Se vuoi puoi raccontarmi tutto!- mi rispose.
Le raccontai brevemente della mia famiglia e di ciò che era successo. Lei parlai anche del fatto che mia madre (e anche mio padre, nonostante lui non fosse granché assertivo) non aveva gradito molto il fatto che Fabrizio avesse apertamente dichiarato di essere gay, nonostante fosse palese fin dal giorno dello scherzo alla sua maestra.
-Mi dispiace... è brutto avere dei genitori che non capiscono e accettano ciò che tu sei. Anch'io sono anni che nutro dubbi sulla mia sessualità, eppure i miei non vedono di buon occhio l'omosessualità o la bisessualità, che sento più vicina a me- mi disse.
La guardai stupita: stava dichiarando in tutta calma ad una ragazza semisconosciuta di essere presumibilmente bisex. Non c'è tanta gente che lo fa così apertamente. Ammirevole.
-Penso che mia madre debba solo digerire la notizia. Quanto a mio padre... noi vivevamo da nostra madre, dunque non l'ha deciso lui di spedirlo fuori. Credo non sappia come comportarsi, visto che non è stato granché come padre. Ma noi gli vogliamo bene. Anche solo dovendo scegliere tra un padre ex alcolizzato che ci è riconoscente di averlo salvato ed una madre che gli ha messo le corna sotto il naso di due bambini...-
-Forse hai ragione. E poi ci sei sempre tu per Fabrizio- disse, sorridendomi.
Rimanemmo a guardarci negli occhi, vicine tanto da sentire sulla pelle il respiro dell'altra. Ombra chiuse gli occhi e mi baciò.

The corner: un paio di precisazioni: quella frase tra parentesi sul brano dei Police, che è Every breath you take, l'ho scritta perché in realtà la canzone parla di un personaggio che è quasi uno stalker. Per questo Chiara, che si ritrova Ombra praticamente dappertutto, si lascia un po' suggestionare.
Il titolo del capitolo può sembrare un paradosso, dato che la canzone dei Cranberries dice "mia madre mi stava accanto quando ero lì fuori". Però secondo me "ode alla mia famiglia" ci sta, parla comunque dei suoi ed emerge la figura del fratello, una persona protettiva nei suoi confronti, forse l'unico che si è preso veramente cura di Chiara. Boh, non sono una psicologa, ergo mi fermo qui e lascio a voi l'ardua sentenza.

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Capitolo 7
*** Ghost ***


Fu un bacio lungo e dolce, niente slinguazzamenti forsennati o bioate varie. Si staccò da me e mi guardò sorridendo in modo sinistro.
-Quelle come noi si riconoscono a prima vista- disse.
Ero sconcertata. Voglio dire, mi aveva appena baciata senza neanche essere sicura che fossi anch'io lesbica. E cosa voleva dire con la frase che aveva appena pronunciato?
-C-cosa vuoi dire?- le chiesi, allarmata, temendo che i miei peggiori presentimenti si avverassero e lei mi facesse a pezzettini dopo il bacio d'addio.
-Che noi lesbiche e bisex ci riconosciamo subito. Una specie di radar, come mi disse la prima ragazza con cui ebbi una relazione. Intuizione femminile, chiamala come vuoi- rispose con un sorriso da commessa di un negozio. -Lo so che pensi di non esserlo. Ma prova ad ascoltare te stessa-.
Rimasi senza parole. Ero quasi un po' incazzata per questa sua convinzione. Ma si sbagliava, sicuro.
-Il tuo radar non funziona, allora-.
Lei cambiò discroso: -Lo so che mi hai vista, ieri sera. Ti pregherei di non farne parola con nessuno, e intendo a nessun'anima viva e non. Sarà il nostro piccolo segreto-.
-Perché l'hai fatto?-.
Non mi rispose e si alzò dal divano. Lo stereo era muto da un pezzo, il disco se ne stava lì, ad aspettare di essere riposto nella sua custodia. Per un attimo lo immaginai a tamburellare nervosamente le dita. Leggo troppo, guardo troppi film e ascolto i Pink Floyd.
Ombra ripose il disco e ne scelse un altro a caso. Si trattava di Skid Row, dell'omonima band.
-Pensaci- disse prima di andarsene.
Pensarci? E a cosa diavolo dovevo pensare?! Se ero lesbica o no? No, non lo ero. Insomma, avevo sempre pensato che se uno è gay, se lo sente dentro, come mio fratello, che lo sapeva già a 9 anni, quando non era neanche ancora nella pubertà. Non puoi passare ventun anni della tua vita credendo di essere etero, secondo me non era possibile. Avevo avuto un fidanzato importante, che poi era morto, ma avevamo passato insieme tempi che lasciavano presupporre che a quest'ora saremmo stati ancora insieme. La soluzione era una sola: il turbamento che provavo era dovuto a quel bacio, dato in tutta la sicurezza di essere ricambiati, e alla vista di lei che ballava come drogata in gardino. Anzi, sicuramente era drogata. Questo turbamento era normale... Eppure il bacio mi era piaciuto. Un piacere puro, felice, appagante. Sentivo che con la scarica adrenalinica di quell'unico, piccolo bacio avrei potuto affontare anche mia madre ed i suoi pregiudizi. Ed ora mi dispiaceva di averla lasciata andare, volevo che tornasse.
Quel figo di Bach cantava a squarciagola e decisi di rimandare le mie riflessioni perché non potevo assolutamente resistere a 18 and life. Saltellando e cantando, colllegai la chitarra all'almplificatore per suonare in allegria all'una di notte al massimo volume. Sapevo che poteva causare un linciaggio, ma volevo sfogarmi con la cosa che amavo di più. Improvvisai sull'assolo sentendomi come di fronte a 20000 persone.
Impegnata com'ero a suonare, non mi accorsi della presenza di qualcuno sulla porta. Solo quando finì la canzone, la persona in questione mi applaudì. Non riuscivo a scorgere il suo viso, poiché rimaneva nella penombra. Sorrisi, non c'era più bisogno di farsi le seghe mentali.
-Sei molto migliorata dall'ultima volta che ci siamo visti- disse una voce maschile. Quel timbro sabbioso lo conoscevo bene, eppure impiegai un po' di tempo per riconoscerlo.
-Ma tu... non è possibile!-
-Oh sì, invece. Sono io in persona- rispose Alessandro.
-Tu... tu sei morto cinque anni fa! Ma che... aspetta, sei... un fantasma?!-. Dire che ero scioccata è riduttivo.
-Infatti. Cinque anni. Passano veloci, eh? Vedo che finalmente ti stai rifacendo una vita, con una donna. Ti trovo bene, però. Finalmente un'adulta. Io invece sono rimasto a quel giorno. Ci pensi che oggi sono cinque anni esatti? Era il 12 aprile 2008. Miseriaccia, sai che mi è rimasto quel mega brufolo sul mento, devo aver fatto uno schifo al medico legale. Era una gnocca...- disse tutto d'un fiato.
-Ma... vieni... insomma, dall'aldilà?- chiesi. Che idota.
-Beh, più o meno- rispose. -In realtà ho passato questi cinque anni a girovagare per il mondo. Cazzo, che spasso! Ho terrorizzato tanta di quella gente e combinato qualche casino, ma è stata una figata!! L'ho fatto per tutto questo tempo, ma ora provo nostalgia di te. Mi manchi, Chiara. Voglio rimanere al tuo fianco e proteggerti. Per questo ti dico: fai attenzione ad Ombra. è pericolosa, non posso dirti altro, ma stai attenta!-.
-Fatti vedere- gli dissi, avvicinandomi. Non amavo toccare l'argomento Ombra.
Lui indietreggiò: -No, Chiara! Il mio aspetto è quello del giorno dell'incidente. Lo sai com'ero conciato. Non avvicinarti o scompaio!-.
-Ti prego. Devo sapere come sei. Non posso avere qualcuno al mio finco senza sapere come sia fatto-.
Impiegai un po' di tempo a convincerlo, ma alla fine acconsentì che mi avvicinassi a lui nella penombra, per non vederlo chiaramente. Ciò che scorsi mi bastò per convincermi che l'espressione del capo della polizia "la sua testa si è aperta in due come un melone ed il suo cervello è schizzato su tutta la strada", era papale papale. Avevo visto solo quelle foto poco chiare che mostravano sangue e lamiere distrutte, e quella frase non mi aveva detto molto. Il suo cranio era letteralmente aperto in due, la spaccatura partiva all'altezza del naso e finiva alla nuca. Lì c'era tutto a vista, insieme ad un pezzo di metallo proveniente presumibilmente dal motorino. Fu quello il particolare che più mi colpì. Strano, vero?
-Heavy metal- disse, notando la scoperta di quel particolare.
Mi fece ridere, non era per niente cambiato.
-Già, noi spirti rimaniamo gli stessi che eravamo in vita- continuò, e poi, intuendo la mia perplessità: -Posso leggere nel pensiero. Per questo ti dico di fare attenzione ad Ombra. Non è per niente una santarellina, e te ne accorgerai se le dai troppa confidenza. Però non chiedermi nulla, ok?-.
Seguii il suo consiglio: -Ergo hai girato cinque anni per il mondo-.
-Ah, sì, ho incontrato tantissimi altri spiriti. Ce la siamo spassata alla grande! I fantasmi possono decidere se apparire ai mortali, per questo di solito non si vedono. Sai, girano sulla terra persino Jimi Hendrix e Freddie Mercury. Se ti trovi un loro autografo, non farti prendere un infarto!-.
Rimase con me ad ascoltare musica ed a raccontarmi aneddoti sui fantasmi che aveva incontrato e sulla gente che aveva terrorizzato apparendo come un sedicente messaggero di Satana. Verso le tre e mezza mi lasciò, o forse scomparve sempicemente alla mia vista. Mi addormentai tra dischi che non avevo voglia di rimettere a posto e la mia Gibson Les Paul.
Fui assalita dagli incubi, le solite figure nere. Di nuovo parlavano quella strana lingua, questa volta gridando. Mi risvegliai urlando con quella frase in mente, che trascrissi subito per non dimenticare. A tratti sembrava latino, oppure arabo. No, non era una lingua conosciuta. Non riuscivo a venirne a capo. Cercai in internet, andai in biblioteca fino a Sanremo, pensai a tutti gli idiomi esistenti a questo mondo. Che fosse qualche lingua morta, tipo Maya, oppure un dialetto degli aborigeni australiani?
Passai così l'intera mattina, senza cavarci un ragno dal buco. Esausta dalle ricerche e dal poco sonno, tornai a casa e mi stesi sul divano. Guardandomi nello specchio dell'entrata, vidi la mia faccia stravolta, sembravo la bambina de "L'esorcista" e...
L'esorcista. Regan MacNeil. Possessione diaboica. No, non ero posseduta, ma... "Devo provare a riaddormentrmi" pensai. Non ci misi molto a scivolare nelle braccia di Morfeo e tornare tra le figure nere. Solo che questa volta ero cosciente, e mi sforzai di non farmi prendere dal panico.
-Est-ce que tu parle français?- chiesi.
-Oui, nous parlons français très bien!- risposero in coro.
-Y espanol? Habla Usted espanol?-
-Ciertamente!-
-Should I stay?-
-Or should I go?- risposero, citando la canzone dei Clash.
-Etelov asoc?-
-Irtson iraffa-.
Mi risvegliai improvvisamente con la risposta. Guardai trionfante il foglio su cui avevo annotato "atset al ertlo, icco ilg ertlo". Come avevo fatto a non accorgermene? Ma quali idiomi sconosciuti, le lingue straniere non mi servivano! Era italiano, ma letto al contrario. Avevo pensato a quello quando mi ero ricordata del film, in cui la bambina posseduta parla al contrario e conosce varie lingue, io ora avevo testato i miei fantasmi. Ergo, se le parole erano praticamente lette come l'arabo, alla fine veniva, aggiungendo un'acca che rimane muta al contrario, "Oltre gli occhi, oltre la testa". Grazie al cazzo! Ma che cavolo voleva dire? Certo, non mi aspettavo la soluzione a tutti i miei problemi, ma un confortante "Questo è tutto un brutto sogno, ti sveglierai nel tuo letto e tutto sarà passato". Mi sembrava di essere finita in un assurdo film thriller, di quelli con l'epocale scontro tra Bene e Male alla fine. Ovviamente avrei dovuto combattere per il Bene. Ma allora Ombra... "No, è assurdo, non posso pensarlo, non sono in un dannato film, questa è la fottuta vita reale!!" pensai. Necessitavo di prove, indizi, senza contare che affermazioni del genere bastavano per farti rinchiudere imbottita di Valium. Dovevo essere impazzita. Forse se fossi tornata ad Ivrea sarebbe finito tutto, come un brutto sogno. Forse era davvero un incubo, bastava darsi un pizzicotto e sarebbe svanito. No, purtroppo era reale. Ma ci sei? Esisti sul serio? Sei qui davvero? "Ok, basta con le psicofesserie da strizzacervelli cerebroleso, vengo da una famiglia di schizzati e non vorrei impazzire anch'io. Penso troppo". Ma dai che per essere pazzi bisogna essere innamorati! "Oh, adesso fai anche la romanticona? Ma che dolce!! Mi fai venire le lacrime agli occhi!"; così conclusi un'altra costruttiva chiacchierata con la mia coscienza. Perfetto, era ora di chiamare il manicomio. Allegriaaa!!, come diceva Mike Bongiorno; cavolo, dovevo andare a vedere la sua statua davanti all'Ariston di Sanremo. Potevo andare al cinema, portarci Ombra... ma no, se lei era il Male!
Ma, psicofesserie a parte, nonostante tutto mi attraeva. Non era il fascino del pericolo dovuto questi pensieri, che forse avevano un fondo di verità, dopo quello che mi aveva detto Alessandro. Nonostante mi fidassi di Ale, c'era qualcosa che non mi convinceva nelle sue parole. Dopo tutto, Ombra mi piaceva. Ma dovevo saperne di più sul suo conto, e c'era un unico modo per farlo nella mia testa da cinefila incallita.
Nel classico film americano, il protagonista riesce sempre miracolosamente ad introdursi nella casa dell'assasino/persona sospetta poiché questi riesce ad eludere ogni controllo ma è così sprovveduto da non chiudere a chiave o lasciare le finestre aperte. Poi il cattivo in questione arriva sempre mentre il nostro eroe è dentro, il quale riesce miracolosamente a farla franca portando con sè la prova schiacciante. è evidente che la realtà è un po' diversa. Infatti Ombra aveva chiuso tutto. Perfetto. Decisi, forse perché non vedevo altre soluzioni, di passare dal balcone, che distava poco dal mio, probabilmente senza pensare ai rischi. Trovai la persiana della porta aperta, il che non si poteva dire della porta stessa. Non volevo rompere i vetri, ma notai che la chiave non era infilata nella toppa. Usando le grucce appese allo stendibiancheria riposto contro il muro, riuscii a scassinarla. Si può pensare che i gay siano femminucce; se è così, mio fratello era l'eccezione. Da piccoli ne combinavamo tantissime, tra cui scassinare un armadietto chiuso a chiave nell'armadio di Claudio per trovare scorte di cibo spazzatura, severamente proibito da mamma, che era una salutista. Ringraziando mentalmente Fabrizio, entrai sentendomi come Eva Kant. Gironzolai per la casa. Ogni stanza era arredata in modo diverso, c'era il salotto anni '60, la cucina country ed il bagno giapponese. La sua camera era tappezzata di poster di gruppi rock, ma l'arredamento era in stile hippie, trionfavano simboli della pace ed acchiappasogni. Mi faceva ricordare il famigerato pullmino su cui aveva viaggiato Carlo.
Non speravo di trovare documenti, supponendo che li avesse con sè; invece trovai la sua carta d'identità. Bene, finalmente conoscevo i suoi dati. Puccini Ombra Lara, nata a Firenze, residente a Cuneo in via Garibaldi 3, nubile e studentessa. Alta 1,70 m, capelli biondo platino, occhi rossi, segni particolari nessuno. La carta era valida e nella foto portava i capelli lunghi oltre le spalle. Aveva un viso perfetto, bianchissimo, ed uno sguardo enigmatico.
Trascrissi su uno scontrino che avevo con me i suoi dati e continuai ad ispezionare la casa. Per essersi appena trasferita, era di un ordine impeccabile. Guardai anche nella cabina armadio, che sembrava un castello arabo, ma scorsi soltanto una scatola da scarpe contenente lettere e biglietti d'auguri. Lo facevo anch'io. Improvvisamente, tra i vestiti scorsi quello che si rivelò essere il pomello di un armadietto segreto. Lo aprii, trovandoci una scatola di latta di vecchi biscotti che poteva risalire agli anni '60. La aprii, sperando di trovare al suo interno la soluzione a tutti i miei problemi. Quello che vidi mi lasciò di sasso.

The corner: ok, eccomi di nuovo qua. Poiché andrò al mare, non so se riuscirò ad aggiornare regolarmente. Mi scuso con chiunque abiti in via Garibaldi 3 a Cuneo, ho scritto un indirizzo assolutamente a caso. E scusatemi anche per lo spagnolo da far rizzare i capelli, non ho ancora iniziato il liceo linguistico. Recensite per favore :)

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Capitolo 8
*** Un cuore matto ***


Logico che da lei mi aspettavo un po' tutto, ma certamente quando ci trovai un ciondolo a forma di pentacolo, mi stupii decisamente. Ok, non ho mai creduto tanto alla storia di Satana, in Dio credo ancora di meno, ma trovare un pentacolo significa trovare un satanista, come trovare un crocifisso vuol dire trovare un cristiano. Triste che Gesù Cristo sia ricordato per come è morto, per la gente che ha mentito e l'ha ucciso, come raccontava, molto più poeticamente, De Andrè nella sua I dieci comandamenti. Se lui era il simbolo dell'amore... no, non importava. Dovevo indagare.
Quando ero ragazzina, avevo mescolato lo stile dark con quello hippie. Ero un ibrido, potevo arrivare il lunedì a scuola truccata e vestita di nero, ascoltando metal a tutto volume, e presentarmi il giorno dopo acqua e sapone, con camicette, fasce e gonnelloni cantando Blowin' in the wind. Questo accadeva al liceo, dove fui automaticamente esclusa dalla cerchia dei fighi, ma trovai dei buoni amici sfigati come me. Tra questi c'era Alessandro, fu amore quasi a prima vista. Ci fidanzammo il 3 maggio 2007, il resto è storia nota. Dopo la sua morte, mi avvicinai alla Chiesa di Satana di LaVey. Ale era già un mezzo satanista, come il suo idolo Marilyn Manson. Satana come rappresentante dei vizi umani, non esattamente come il pensiero di LaVey. Mi ero riempita di pentacoli e teschi per due anni, finché non avevo iniziato a maneggiare il suo basso ed accorgermi che ero ridicola. Allora avevo mollato tutto ed ero tornata al mio stile altalenante. Conservo ancora un pentacolo; quello di Ombra era un po' più grande e completamente nero, mentre il mio era striato di rosso. Lo fotografai con il cellulare e stavo per andarmene, quando mi resi conto di un particolare. Un nastrino verde sembrava essere incollato sul fondo, tirandolo, mi resi conto che serviva a scoprire un doppio fondo. "Dev'esserci qualcosa davvero segreto se è nascosto con cotanta cura" pensai. C'era un foglietto ripiegato. Lo lessi, aspettandomi di trovarci la soluzione di tutti i miei problemi o l'elisir di lunga vita. Il testo era scritto al contrario, altra prova di satanismo, e, conoscendo il trucco, non mi fu difficile leggere ciò che vi era scritto. Parlava di luce, chiarore del mattino e cose simili. Bellina, una poesia, non c'entrava assolutamente niente con Satana, ma ciò non significava nulla. Lo trovai inquietante, forse avrei preferito un inno satanista, almeno sarebbe stato coerente con il pentacolo. Trascrissi la poesia su un altro scontrino (le mie tasche sono sempre state pattumiere), che oggi ho purtroppo perso, per cui non la ricordo esattamente. Rimisi tutto a posto e me ne andai. Uscita sul balcone, mi resi conto che prima non avevo neanche fatto caso alle eventuali persone che potevano passare per la via ed alzare lo sguardo. Meglio non pensarci, ma questa volta volta feci attenzione. Tornata a casa, decisi di cercare Ombra su Facebook, ma lei mi aveva preceduta e mi aveva già inviato una richiesta di amicizia. L'accettai subito e spulciai nel suo profilo. Nata a Firenze, come si poteva intuire dal cognome tipicamente fiorentino, vi aveva vissuto 4 anni, prima di trasferirsi a Roma per altri 4 anni, poi a Bologna, Trieste, Brindisi ed infine Cuneo. In tutti quei luoghi vi aveva vissuto 4 anni, tranne a Cuneo, perché dopo 1 anno era venuta a stare qui, senza famiglia per la prima volta, come mi aveva detto in mare. Strano, però, che fossero avvenuti ad intervalli regolari. Continuai a curiosare nel suo profilo, scoprendo che amava la fotografia, le piaceva la mia stessa musica ed anche tra i film avevamo parecchi punti in comune. Non mi stupì di trovare tra i suoi interessi la Chiesa di Satana. Le fotografie erano in maggioranza paesaggi che fotografava per hobby, ma quelle che la ritraevano non erano molte, quasi tutte scattate a feste e gite in famiglia. Una persona normale, in apparenza. In particolare, una foto attrirò la mia attenzione. In quello scatto doveva avere circa 8-9 anni, ed ebbi un deja-vu, come se l'avessi vista già una volta a quell'età. Eppure a 8 anni si era trasferita a Bologna, come potevo averla vista? Scaricai la foto, la ingrandii, la tagliai, la rigirai, eppure non poteva essere!
Stampai l'immagine e corsi fuori a cercarla. Non avevo idea di dove potesse essere, nè se fosse a Riva o in giro per la Liguria. Anni di jogging avevano fatto il loro effetto, pensavo mentre sfrecciavo per le viuzze. La trovai al bar, a sorseggiare caffè e giocherellare con il cellulare. Mi salutò con un sorriso e mi offrì un caffè. Accettai e presi un Irish coffee, ne avevo bisogno. Senza dire niente le sbattei sotto il naso la foto. Mi guardò dubbiosa, ma poi capì.
-Hai ragione, ci siamo già incontrate. Avevo 8 anni, i miei volevano trasferirsi a Torino ed ero venuta a vedere la scuola. Come ti ho vista mi sei rimasta stampata nella memoria, ho continuato a pensarti per tredici anni, a far crescere quell'immagine, vederti adolescente e donna. E quando ti ho incontrata qui, ho capito che eri tu, ti avevo ritrovata!-.
-Perché non vi trasferiste a Torino?- chiesi.
Lei non mi ascoltò: -Boh, devo andare, sto morendo di fame- disse, prima di pagare i caffè ed andarsene.
Perfetto, adesso si scopriva persino che ci eravamo già incontrate. Non riuscivo a capirci più niente, anzi, non riuscivo a capire che cosa dovevo capire. Magari restare a casa sarebbe stato meglio.
Tornai a casa con una focaccia di Recco, tanto per cambiare. Il pomeriggio dovevo andare in ospedale per un elettrocardiogramma, che si rivelò normale. Il medico me lo rifece quattro volte, ma non mentiva, ero sanissima. Niente onda delta, la bastarda che aveva causato i miei problemi.
-Non capisco. Ieri c'era ed oggi non c'è più. Non mi era mai capitato un caso del genere. Proverò a documentarmi, nel frattempo non posso darle farmaci, se si ripresentasse venga qui immediatamente-.
-So come farmi passare una crisi, il procedimento è lo stesso per stapparsi le orecchie sott'acqua-.
-Vedo che lei sa già tutto. Arrivederci- mi congedò il cardiologo.
-Arrivederci-.
Tornai a casa e chiamai Fabrizio, raccontandogli dell'accaduto, ma tacendogli la parte relativa ad Ombra. Men che meno gli dissi di Alessandro. Mi sentivo in colpa, lui era il mio confidente ed avevamo l'obbligo di raccontarci tutto, tuttavia non potevo farlo, prima dovevo capirci qualcosa. Inoltre se glielo avessi detto avrebbe subito chiamato il soccorso psichiatrico. Chiacchierammo del più e del meno, poi chiamai i miei genitori e dissi loro le stesse cose. Non me la sentivo di andare in spiaggia, avevo ancora dei graffi e l'esperienza del giorno prima non mi allettava. Passai un sano pomeriggio musicale, quando, verso le cinque, sentii delle grida provenire dalla casa di Ombra. Sembrava stesse litigando al telefono. Aveva lasciato la porta che dava sul balcone aperta, così, uscendo, riuscii a captare la conversazione.
-E che cazzo! Viviamo nel ventunesimo secolo, le cose cambiano! No, non se n'è accorto nessuno. Non lo vado a sbandierare. E se ti fa piacere saperlo non ti dò certo la colpa, visto che non è una malattia. Non incolpo né te, né papà, per avermi fatto girare l'Italia ed aver avuto i miei problemi! Stai tranquilla, la mia reputazione è salva, per citare tue testuali parole!! Ciao-.
Mi affrettai a rientrare perché lei si stava recando su balcone, infuriata. Non volevo sapesse che avevo origliato. La spiai da dentro, mentre lei si accendeva una sigaretta. Strano, non puzzava di fumo, a meno che non usasse quantità industriali di profumo. Ad un esame più attento, mi accorsi che non era una sigaretta. Stava fumando una canna in tutta tranquillità sul balcone!! Io almeno, le poche volte che l'avevo fatto, mi ero premurata di nascondermi. Non che fumassi abitualmente, l'ultima canna risaliva all'anno prima, ma al liceo ogni tanto lo facevo, con Ale o con gli amici. Comunque, non amavo molto la marijuana o l'hascisc, mi davano solo mal di testa e non ero in cerca dello sballo. Era da un paio d'anni che non toccavo quella roba.
In quel momento stavo dunque spiando Ombra, ben nascosta. Lei mi chiamò comunque e non ebbi altra scelta che uscire in balcone.
-Lo so che mi hai sentita, cara. Mi spiace, ma litigo spesso con mia madre. Vuoi un tiro?-
Accettai, ma era difficoltoso passarsi la canna dal balcone. Strano, vi ero passata io quella mattina. Così accettai di andare a casa sua. Finsi di stupirmi per l'arredo, quando in realtà l'avevo già potuto ammirare. Ci trasferimmo in camera sua, finimmo la canna e parlammo del più e del meno. Mi faceva una strana sensazione stare con lei come se fossimo due vecchie amiche. Ricordavo, in quel momento, del nostro primo incontro. Anche lei mi aveva fatto una certa impressione, e non solo per il suo aspetto inusuale. Certo, strano che riuscissi a ricordarmi di una bambina che era venuta a vedere la mia scuola in terza elementare. Comunque, mentre ero con lei sentivo quella strana sensazione, come se fossimo legate insieme. Una cosa particolare, che ricordavo di aver provato qualche volta pensando ad Alessandro.
Non ricordo assolutamente di cosa stessimo parlando in quel momento, per la verità non stavo neanche facendo attenzione alla conversazione. Ero concentrata su di lei, osservavo ogni suo movimento, il modo di parlare e di guardarmi. Mi fissava nei suoi occhi rosso fuoco, ma immediatamente volava via, ed io desideravo ardentemente che continuasse a guardarmi per capire cosa provava per me. Comico, a pensarci bene, dato che neanche io conoscevo i miei sentimenti, una cosa odiosa per una precisa ed organizzativa come me. Iniziavo ad avere mal di testa, forse era la canna, non ci ero abituata.
Mentre parlavamo, la mia mente volava in altri mondi, seguendo il filo dei suoi pensieri. Iniziai a non vedere bene Ombra, diventava sempre più sfocata e la sua voce era sempre più lontana. Poi, il buio.

The corner: scusatemi immensamente per codesto ignobile ritardo, ma sono stata al mare e sapete com'è, un giorno in spiaggia quà, un viaggio in Francia là, la connessione interdet che è scomparsa definitivamente, e poi l'inizio della scuola... Ergo scusatemi, mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa (oh, la citazione latina. Ma quanto sono erudita). Comunque, ormai non manca molto alla fine, che sarà una figata o una mmerda, deciderete voi. Un po' inaspettata sarà, almeno così la penso. Le recensioni sono altamente gradite.

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Capitolo 9
*** The dark side of the moon ***


C'era qualcosa di nuovo. Quello era un sogno che non avevo mai fatto. Oddio, sogno. Era talmente realistico che aveva più il carattere di una visione. Almeno credo. Non so come siano queste visioni, si sentono tanto nei film, ma la vita reale è un'altra. Già, la vita reale. Forse, se per una buona volta avessi iniziato a ragionare come una persona normale e non come una cinefila cerebrolesa che crede ancora alla favola del principe azzurro sbiadito, allora qualcosa si sarebbe aggiustato. Ma chi mi credevo, Lara Croft? Sarah Connor? No, cazzo, ero Chiara Sandri, 21 anni, normalissima, si fa per dire, studentessa universitaria. E basta.
C'era una nuova figura nera. Era uguale eppure diversa da tutte le altre. Innanzitutto era più grande, eppure non era solo quello. Nella mia testa, qualcosa mi diceva che l'avevo già incontrata. E piantala con queste stronzate. Tu hai già incontrato una stupidissima ombra?!?! Hai avuto qualche danno, dopo l'incidente in acqua? Sei ritardata fin da piccola? "Bonjour finesse, sempre un piacere chiacchierare con Madame Forbita".
Non capisco che problema ho. Nel classico film americano il protagonista durante una visione del genere capisce tutto della sua vita ed una volta tornato al mondo degli svegli si adopera per risolvere la faccenda. Ma questo non è un film americano, è la vita reale di una ragazza italiana. Molto meno figo. Le figure parlavano, sembrava che recitassero il rosario. Genere thriller alla "Il codice Da Vinci". L'unica che stava zitta era proprio la figura più grande. Sembrava quasi che avesse una forma. Le altre erano solo delle ombre con una testa e delle braccia appena accennate. Ricordavano un po' l'uomo de "L'urlo" di Munch. Ma questa era più definita. Continuava ad essere completamente nera, eppure sembrava proprio l'ombra di una persona. E pian piano si definiva sempre più, ma prima che potessi capire chi fosse, mi risvegliai di colpo.
Non ero nella mia stanza. "Porca madonna". Subito non riconobbi quell'ambiente, ma poi scorsi una figura seduta alla scrivania. Ero sdraiata sul copriletto a motivi psichedelici di Ombra. Lei era seduta davanti a dei libri universitari alla scrivania, e si voltò non appena mi mossi. -Bentornata nel mondo dei vivi, Chiara- fece con un sorriso.
-Ma... Che...- dissi. Non ricordavo più come ci fossi arrivata. "Non è che magari..."
-Stavamo parlando, quando tu sei svenuta; così ti ho sdraiata lì aspettando che ti riprendessi- disse con un sorrisetto.
-Oh. Oh, oh cazzo!!- urlai spaventata.
-No, no, calma, cosa ti prende?!- mi prese per le spalle, guardandomi negli occhi.
-Io... Io... Scusa, n-non ce... ce la f-faccio più- biasciai. Ero esaurita, ne avevo abbastanza di non capire più nulla.
-Tranquilla, calma, ti aiuto io. Che cosa ti succede?-
-Da giorni mi succedono cose strane, faccio incubi, non capisco più niente di quello che mi accade!- confessai, tra le lacrime.
-Shhhh, è normale fare dei brutti sogni... a volte pensiamo di aver eliminato il passato... ma è come una Fenice, che risorge dalle ceneri-.
Mi abbracciò forte. Rimasi un attimo interdetta, chiedendomi il significato delle sue parole e di quell'abbraccio. Ma alla fine mi lasciai andare tra le sue braccia e la strinsi a mia volta. Un abbraccio non risolverà la situazione, ma dà immenso conforto. Pian piano mi sentivo meglio, poi cominciai a sentire uno strano calore avvolgente che mi fece sciogliere come un budino. Avete presente rientrare in una casa riscaldata dopo una bufera di neve? Mi era capitato durante un mio viaggio a San Pietroburgo: aveva iniziato a nevicare (cretina anch'io che c'ero andata d'inverno) ed a tirare un vento fortissimo, ero rientrata nella casa dov'ero ospitata mezza congelata, ed il riscaldamento acceso mi aveva letteralmente fatta sciogliere. La sensazione era la stessa, piacevole, eppure era una cosa strana, innaturale.
Non so quanto tempo rimanemmo così abbracciate, ma a me parvero giorni. Mi lasciò con un sorriso, chiedendomi se stavo meglio.
-Sì, grazie- risposi, tranquilla. Ora la sua pelle sembrava ancora più pallida del solito, quasi azzurra. Cercò di alzarsi per accompagnarmi alla porta, ma ebbe un capogiro e dovette risedersi.
-Mi sa che dovrai uscire da sola. Tranquilla, ogni tanto mi capita, sono stanca. Ciao!- mi disse.
Le lascia il mio numero, pregandola di chiamarmi se ne avesse avuto bisogno.
Rientrata in casa, ripresi fiato, dovevo rimettere ordine nella mia testa. Le ero svenuta in casa e lei mi aveva tenuta lì, sul suo letto. Normale, considerato il fatto che stavo passando un periodo di emmental americano. Ma non esiste! "Difatti". Cioé, ero stata nel suo letto! Va bene, da svenuta sul copriletto, però mi faceva un certo effetto. Non so, come dire: "ho dormito nel suo letto, è come se fossi stata con una parte di lei e...". Ma la pianti di pensare a queste porcate?! Dico, ti ha tenuta lì perché eri svenuta, mica perché voleva portarti a letto. Ma ti sei definitivamente bevuta il cervello?!? "Ma ci arrivo anch'io a capire che sto dicendo una cazzate, Sua Signoria la Duchessa di Windsurf. Sei tu ad esserti sbattuta il cervello. Che poi lo condividiamo anche". Difatti, l'hai bevuto tu, però. "Va bene, mi rimetto al volere di Sua Maestà!".
Pensare troppo non mi faceva bene, eppure dovevo rimettere insieme tutte le idee. Ma come fare, visto che ero come in una tempesta, peggio di quella in cui mi ero trovata quando? Il giorno prima? Mi sembrava già che fosse passata un'eternità. "E poi le ho pure lasciato il mio numero. Ma sono pirla?" Sì, alquanto. "Tu non ti intromettere. Pensavo di fare una cosa intelligente, è stata male!" Sì, sì, va bene. Intelligente come sedersi sui fornelli accesi.
Forse avrei potuto dare un attimo ascolto alla mia coscienza. Forse non stava dicendo cazzate. Avevo passato tutta la mia vita a farci infinite discussioni, a maledirla ed a fare di testa mia. Ventun anni tra risate, lacrime, momenti bui e momenti felici, sempre facendo l'esatto contrario di ciò che lei mi suggeriva. Eppure la coscienza è la parte più recondita della nostra mente, i nostri pensieri più profondi. E questo dovrebbe significare che dovremmo, forse, darle ascolto. Forse lei è la vera noi, quello che sono il nostro corpo e la nostra testa. Noi, quello che crediamo di essere, siamo solo una copertura. Una maschera per la nostra coscienza. Come un robot programmato per seguire i dettami del suo proprietario, ovvero la coscienza. Ma si sa che i robot sono solo macchine. Ed alcune macchine possono essere difettose, possono cercare di sottrarsi al loro comandante. Perché forse questi robot non sono unicamente macchine, sono qualcosa di superiore. Pensano, ma il loro pensiero è offuscato dalla coscienza. Quella coscienza cinica, che a volte, davanti alla scena finale del bacio in mezzo alla strada in un film romantico, se ne esce con: "Adesso passa un ubriaco al volante, li centra e solo lei muore. Lui, sopraffatto dal dolore, diventa un tossicodipendente alcolizzato e si suicida drogandosi e buttandosi nel fiume. Quella coscienza bacchettona, o maniaca, che non cammina mai sulle linee delle piastrelle e non tocca le maniglie dei pullman perché le hanno toccate tutti. E i robot riescono ad eluderla, almeno in queste cose, ma alla fine si finisce sempre per esserne soggiogati. Chi di noi non ha mai fatto il cinico davanti alla scena di un bacio? Io regolarmente. Quelli tipo Jack Nicholson in Qualcosa è cambiato, cioé quelli che non camminano sulle linee delle piastrelle, sono praticamente esseri non pensanti controllati dalla coscienza. E chi lascia completamente la coscienza? Non credo siano molti, ma penso che la maggior parte finisca al manicomio. In tutti noi ci sono due lati. La persona che siamo fuori e quella che siamo dentro. La persona fuori è il nostro aspetto normale, può essere solare, cinica, responsabile o sensibile, ma è comunque ciò che siamo nel mondo e cosa gli altri vedono di noi. Ma poi c'è la parte dentro, il lato oscuro, the dark side of the moon. Quello che siamo veramente e che solo noi possiamo vedere. E possiamo vedere qualcosa di terribile o un po' meno. In ogni caso mai bello. La cosa migliore, però, è che questo lato è nascosto, come una faccia della luna. E spesso finiamo per confonderlo con ciò che siamo all'esterno, magari con un aspetto che vorremmo cambiare. Ma il lato oscuro è sempre lì, in agguato, ed ogni tanto arriva a bussare per ricordarci che c'è, ben nascosto, ma c'è. La cosa più sconvolgente è che non sappiamo mai cosa porterà con sé quando verrà a chiamarci, perché è una tigre che ha fame. Ricordi? Follia omicida? Se potessimo dirlo con certezza vivremmo meglio. Almeno credo.
Se ti fai le seghe mentali su cosa sono io per te finisci sul serio al manicomio. Fatti furba e pensa piuttosto ad Ombra ed a tutto il casino che hai combinato, a cominciare dal darle il tuo numero. "Come se fosse un crimine. Sarò ben libera di dare il mio numero a chi voglio, sono maggiorenne e da quest'anno posso anche giocare al casinò". Come vuoi, io la mia opinione l'ho espressa, sei sempre tu quella che dice che viviamo in un paese libero.
Avevo bisogno di distrarmi veramente ed una buona commedia non poteva fare che bene. Prima, però, uscii ed andai a comprare qualcosa da mangiare. Per miracolo, mi cucinai una cena decente, che decisi di mangiare davanti alla televisione. Mi accesi La leggenda del re pescatore, il mio film preferito. Lo sapevo a memoria, ed ero arrivata alla mia scena preferita, quando il clochard attore dice ai protagonisti: "Oh sì, certo, io adoro dissanguarmi nella merda di cavallo, sei più umano di Gandhi!", quando sentii di nuovo Ombra alzare la voce. Era sul balcone, ed io non potei resistere dall'origliare la conversazione.
-Per la miseria, mamma, ma la vuoi piantare?! Cazzate new age... ma stai scherzando? Non ho ucciso nessuno, non... No, guarda che non sono Wonder Woman. Ti sbagli. Se ho i superpoteri non vuol dire che tu devi farmi la ramanzina ogni volta che li uso. Mi è sembrata una cosa buona da farle, non l'ho violentata... Ma non muoio, porco diesel!! E vuoi sapere l'ultima novità? Mi sembri sempre interessata alle novità. Io sono lesbica e lei mi piace!!-
Rientrò in casa visibilmente incazzata ed io tornai al film, ma smisi di seguirlo veramente. Di chi aveva parlato, di me? Poteva darsi. Mentre fissavo lo schermo della tele senza vederlo, giravo, analizzavo, giravo di nuovo tutta la sua conversazione telefonica. Una cosa mi lasciava perplessa: i superpoteri. Cosa cavolo intendeva dire? Usare i superpoteri. Ammettendo che stesse parlando di me, quasi sicuro, visto che in tutto il giorno non avevo sentito di visite ricevute, in che senso aveva usato i superpoteri? L'unica cosa strana che aveva fatto... l'abbraccio. Quell'abbraccio che mi aveva infuso calore, che mi sembrava una cosa strana...
"Ha i superpoteri? Figata!!" fu la prima cosa a cui pensai. Poi analizzai più razionalmente la situazione. I supereroi esistono nei fumetti. Che si sappia nessuno si è mai fatto spuntare artiglioni dalle nocche o reso invisibile. Però è anche vero che non c'è certezza. Ma se avesse i superpoteri potrebbe anche decidere di usarli per distruggere l'umanità. "In tal caso sarò l'eroina che salverà il mondo, e non si scomodi la mia coscienza perché so di aver detto una cazzata". Capirci qualcosa era impossibile.
Cercai di concentrarmi sul film, ma non c'era niente da fare. C'era una cosa, però, che mi faceva più effetto di tutto il resto, ed era un effetto in positivo. Aveva detto che mi amava... ed io amavo lei.

The corner: in immancabile ritardo giungo con questo capitolo, ma ho avuto problemi, visto che non sapevo se finire tutto con questo e poi fare l'epilogo oppure scrivere ancora un capitolo prima dell'epilogo. Già, manca poco alla fine e spero sinceramente di finire per Capodanno. Potreste ritrovarvi il finale come regalo di Natale *sogna ragazza, sogna*. Comunque sia, buonasera a tutti.

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Capitolo 10
*** Forse perché sei tu ad essertelo inventato ***


Spensi la televisione ed accesi il computer. Non sapevo esattamente a cosa potesse servire quello che stavo per fare, probabilmente era fine a se stesso, però avevo bisogno di certezze, di rimettere in ordine le uniche cose che sapevo con sicurezza. Aprii Office Word e, servendomi di Facebook e di ciò che ricordavo, iniziai a scrivere:

"Ombra Lara Puccini, nata a Firenze il 3 marzo 1992. Nel '96 si trasferisce a Roma, nel 2000 a Bologna, nel 2004 a Trieste, nel 2008 a Brindisi e nel 2012 a Cuneo. Poi si trasferisce, da sola, a Riva Ligure, l'11 aprile 2013. Strane conversazioni telefoniche con la madre. Nell'ultima parla di "superpoteri", riferendosi forse al fatto che mi ha infuso una specie di strano calore, inumano, una figata. L'ho già incontrata all'età di 8 anni, era venuta a vedere la mia scuola, ma poi è andata a stare a Bologna. Da ragazzina deve aver avuto dei problemi, connessi con i continui trasferimenti. è una satanista. è una figa stratosferica."

Rilessi il tutto, ritrovandomi al punto di partenza. Oh, perfetto, questo risolverà tutto, sicuro! Come se a scrivere dove ha vissuto e quando l'hai incontrata la prima volta possa servirti a diventare Sherlock Holmes! Direi più Shelrock Homes, si chiamava così quello di Focus Junior che se non arrivava il vero Holmes si faceva fregare. Ma pensa e dammi ascolto, una volta tanto! Dover ammettere, una volta tanto, che la popria coscienza ha ragione è difficile. Ci litigavo da anni, avevo sempre fatto ciò che volevo ed ora vai a dire: -Sì, ha ragione-. Mi sarei fatta torturare, piuttosto. Però, effettivamente, quello che avevo scritto non aveva senso. Insomma, mi ero messa a catalogare i suoi trasferimenti, basta. Forse uno psicologo funzionerebbe. "Stai insinuando che sono matta?" Non ho detto manicomio, ho detto psicologo. Sono due cose diverse. "Molte grazie!" Anche la gente normale va dallo psicologo. Chi ha subito un trauma, chi ha perso qualcuno... "Dici che sono una traumatizzata che adesso vede diavoli e fantasmi dappertutto?" Mah, dopotutto il cervello è una grande invenzione. E poiché tutti, più o meno, ne abbiamo uno, è soltanto inutile e dannoso arrivare a conclusioni.
Mi chiedi se mi fossi bevuta la parte del mio cervello che controllava la coscienza. Adesso non bastavano tutte le conversazioni enigmatiche di Ombra con me e con sua madre, adesso anche Coscienza doveva partire con i discorsi alla Dostoevskij. Miseria ladra.
Pensare che Ombra potesse avere dei superpoteri nel senso lato del termine era anche fattibile per una persona come me. "Ergo, la magia esiste e tu, Coscienza, non ti intromettere". Se qualcuno mi avesse sentita, credo che mi avrebbero davvero rinchiusa. Oddio, ce n'è di gente che crede alla magia, però proprio andare a dirlo di persone in particolare...
Un leggero fruscio mi fece voltare di scatto. Caccia un urlo, prima di accorgermi che era di nuovo il fantasma di Alessandro. Si mostrava in piena luce e faticai a guardarlo senza provare un moto di disgusto nei confronti di quell'ammasso di cervella e lamiere che aveva come testa. Certo che era messo proprio male, ora che lo vedevo bene notavo che era ancora peggio di come me l'aspettavo. Gli sorrisi, ben sapendo che non serviva, lui avrebbe letto il mio pensiero. Non sorrideva affatto, sembrava decisamente incazzato.
-Ma santa Madonna, cosa cazzo t'avevo detto?! Se ti dico di stare lontana da Ombra ci sarà un motivo, non lo faccio per sport. Non ti dico cazzate, vorrei che mi ascoltassi al posto di fare di testa tua come al solito: Ombra è nostra nemica! Non ti rendi neanche conto che si è appena lasciata scappare un'informazione vitale? Gli stramaledetti "superpoteri", pensaci! Quell'abbraccio... è uno dei suoi metodi per attirarti a lei, come una tela di un ragno. Ti attirerà finché tu non potrai più scappare, ed allora zan! la stoccata finale che ti ucciderà. Chiara, resta con me, non sei lesbica, seguimi!-
Rimasi un attimo in silenzio, troppe informazioni in un colpo solo, credo che si sentissero gli ingranaggi del mio cervello chiamati a lavorare, per una volta, come si deve. Rielaborai con sorprendente rapidità tutto ciò che mi aveva detto, arrivando sulla conclusione del suo discorso troppo violentemente. Impiegai un attimo a capire l'ultima frase.
-Ma... tu dici... seguirti dove? No, non dirmi, nella morte...-
-Scarabeo!-. Sorrisi, lo diceva sempre. -Chiara, è l'unico modo che hai per restare con me. Ormai sei troppo dentro a questa storia, il ricordo di me è macchiato. Se mi avessi ascoltato, non saremmo qui. Ma non è tutto perduto: seguimi! La mia morte ti ha fatta crescere, ti ha temprata: vuoi buttare tutto all'aria per la prima che passa? Non credo. Capisco che tu non riesca a ritrovarti in questa storia, perciò ti farò un breve riassunto sul conto di Ombra: lei è il Ragno, magia nera. Si comporta esattamente come l'animaletto: attira a sè le persone, specialmente coloro che hanno un forte ricordo di qualcuno, proprio come te, e "risucchia" questo ricordo, svuotandole di una parte dell'anima. Alla fine impazziscono, e possono diventare pericolose. Sono venuto qua apposta quando ho visto che eri incappata in un Ragno. Il satanismo dovrebbe essere un indizio, come quelle cose scritte al contrario. Scrive al contrario cosicché, quando qualcuno trova i suoi scritti, pensa "satanista, meglio lasciar perdere" e non vede il significato profondo delle parole, sono dei riti propiziatori per il suo scopo. Lo so che ti sembra un discorso sconclusionato e privo di senso, ma sai che non potrei mai mentirti. Ce l'eravamo giurato!!! I fantasmi, la magia nera, tutto questo esiste! Lo dici anche tu, che non c'è certezza-.
Di tutto ciò che avrei potuto dire, feci un'unica domanda: -Perché?-
-Perché? Perché tu sei mia. Ecco perché! Se non vieni con me, ti prenderò io di forza-.
-No! E sai il motivo? Perché è giusto che io mi rifaccia una vita, che compia le mie esperienze, che sbagli anche, ma sai che non potrei dimenticarti, insomma, tu hai avuto un ruolo importante nella mia vita e poi scusa se te lo faccio presente, ma io non ho voglia di morire. Mi manchi, è vero, ma non posso suicidarmi per questo!- dissi tutto d'un fiato, mentre iniziavo ad allontanarmi. Sapevo che scappare da un fantasma è inutile, ma la speranza è l'ultima a morire.
Non so perché, uscendo, iniziai a correre verso lo stradone principale e non dall'altra parte, verso il mare e verso il centro del paese. Non so perché non riuscissi a rendermi conto di star correndo verso una strada perennemente trafficata. Non so perché stessi correndo. Forse c'entrava sempre quel discorso sulla speranza. Durante quella corsa all'impazzata, potei sbirciare attraverso il buco della serratura delle porte dell'inconscio. Esagerato? Allora pensavo che si fossero spalancate del tutto. Poi ho pensato che forse avevo solo sbirciato, non visto. Fa niente, è il meno in questa parte della mia storia.
Non è che stessi pensando, nel senso letterale del termine. La mia mente si era come annullata, credo. Io e la mia coscienza eravamo diventate un unico pensiero. O forse era lei ad aver preso il sopravvento. Ci ripensai con calma, dopo, quando tutto finì, e ci ripenso ancora oggi, giungendo alla conclusione che si trattasse del secondo caso. Il famoso lato oscuro che viene a bussare. Mi considero fortunata, sapete? Perché fui capace solo di fare del male a me stessa e non ad altri. Anche se il tizio della macchina si ruppe il braccio. Però penso che questa corsa sia stata necessaria. Nonostante tutto quello che abbia potuto dire la gente dopo. La mia mente sembrava più razionale, eppure non si rendeva conto che stava correndo verso il pericolo. Ero in una strada abbastanza trafficata, proprio nel mezzo, però le macchine mi passavano attraverso. O meglio, non avevo proprio corpo, c'erano solo i miei occhi ad un metro e sessanta d'altezza. Ero ad Ivrea. In quella strada c'ero già stata, nel senso che ci ero già stata ferma in piedi. Poi mi ricordai. E prima che formulassi bene il pensiero, un motorino arrivò a tutta velocità e si schiantò contro un tir polacco che stava arrivando nella direzione opposta. Ho proprio questo ricordo vivido, che il tir era polacco. Strano come la mente registra dettagli insignificanti, no? Il motorino si era accartocciato ed infilato sotto al tir, ed i soccorsi non tardarono ad arrivare. Ed, all'improvviso, vidi me stessa. Vidi me stessa a 16, con tutte le borchie ed il trucco nero addosso. Ero veramente orribile e ridicola. Io che venivo trattenuta di forza dalla polizia mentre cercavo di correre verso ciò che rimaneva di Alessandro, urlando che era colpa mia se era morto.
La scena cambiò. Ero in camera mia, sempre vedendo me stessa come fossi un'altra persona. Vedevo me stessa due anni dopo, con in mano il basso di Alessandro ed il suo plettro. Mi vidi mentre lo collegavo all'amplificatore e mi venne da piangere. Perché nella mia testa risuonava la sua voce. La sua voce da vivo, che mi diceva che per me ci sarebbe sempre stato, che avrebbe vegliato su di me e che mi avrebbe seguita in tutto quello che avrei fatto. Mi venne da piangere perché, quando me l'aveva detto, aveva degli occhi strani, occhi che non sono di un ragazzo di 16 anni. Gli occhi di un uomo che muore... Forse aveva sempre saputo che sarebbe morto giovane. Spesso, almeno, ne dava l'impressione. Ma mi venne ancor più da piangere per com'era ora quel fantasma che mi inseguiva. E poi, inesorabile, in pensiero avanzò nella mia testa: "Questa non è la voce del vero Alessandro... L'Ale che conoscevo io aveva un'altra voce". -Era tutto nella mia testa...- dissi ad alta voce. E mi girai. Ero arrivata allo stradone ed il fantasma mi fissava, ghignando. Non che la sua faccia fosse in condizioni di ghignare, ma mi sembrava che lo stesse facendo. Forse perché sei tu ad essertelo inventato. La Coscienza. Ma la sua voce risultava più dolce, non la solita vocetta fastidiosa e pignola. Forse perché sei tu ad essertelo inventato. Sorrisi al fantasma. E quello scomparve.
Buio.

The corner: e guingo con l'ultimo capitolo prima dell'epilogo. Contenti che me ne vado? Magari vi capita l'epilogo come regalo di Natale *sorride sadica*

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Capitolo 11
*** Epilogo ***


11 aprile 2023

Mi risvegliai 13 ore dopo in ospedale. Ero corsa in mezzo alla strada e finita sotto una macchina. Frattura della gamba sinistra e del braccio destro, commozione cerebrale, mezza calva a causa di un taglio in testa. Poco male, considerato che ero viva. Quello che accadde dopo...
Ombra mi aveva sentito. Mi aveva sentita mentre parlavo "sdoppiandomi" in me ed Alessandro. Alla fine raccontai tutto ciò che era successo ad uno psichiatra dell'ospedale. Mi diagnosticarono questa forma di "sdoppiamento della personalità" ed altre definizioni auliche che non ho mai capito. Ho solo capito che mi sdoppiavo come Norman Bates di Psycho. Dissero che avevo avuto questo episodio così forte perché non avevo mai "elaborato il lutto" di Alessandro. Iniziai a fare sedute dallo psichiatra; le faccio tutt'ora, anche se non mi è mai più capitata una cosa simile. Sono tuttavia convinta che se anche sono una mezza pazza, qualcosa dev'essere capitato. Gli incubi che avevo non erano casuali, erano gli stessi che facevo quando era morto Alessandro. Ed il fantasma... non riesco a credere di essermelo inventato. Non lo credo possibile e qualcosa devo aver visto. Però queste cose non le vado certo a dire allo psichiatra, che mi rinchiudono di nuovo in manicomio come dieci anni fa. Un trauma. Cercare di capire che era tutto effettivamente nella mia testa, vedere ogni giorno pazzi scatenati mi causò più problemi di quanti non ne avessi già avuti. Ebbi un mezzo esaurimento quando un ragazzo di 18 anni si suicidò buttandosi giù dalla finestra della sala comune un pomeriggio di piena estate. Era l'unico amico che avevo lì dentro. Inizialmente avevo iniziato a parlarci per il solo fatto che forse, se avessi mostrato interesse a socializzare, avrei avuto più possibilità di guarire. O meglio, di sembrare guarita, perché volevo solo uscire di lì.
Quel ragazzo aveva una grave forma di bipolarismo e tendenze suicide, parlare con lui era complicato perché poteva, da un momento all'altro, passare all'altro polo. I suoi lo tenevano lì per comodità, meglio scansare i problemi che affrontarli. Mi ci volle del tempo per avvicinarmi a lui ed accedere ad una piccola parte del suo immenso mondo interiore. Era magro e non tanto alto, biondo con gli occhi azzurri. Persino un bel ragazzo. Mi faceva pena, sembrava così indifeso. E lo era. Era un cucciolo abbandonato per strada, aveva bisogno solo di un po' di amore. Credo che si fosse innamorato di me, anche se sapeva che io ero omosessuale, glielo avevo detto onde evitare spiacevoli situazioni. Però cercai sempre di stargli accanto, di parlargli, avevo il terrore che compisse l'estremo gesto. La sua era una storia molto triste. Era nato "per sbaglio" quando sua madre era poco più che adolescente. Frequentava il penultimo anno di liceo ed aveva avuto una relazione con il suo professore di storia dell'arte. Erano riusciti perfettamente a nasconderla, si incontravano in motel e, sporadicamente, per non dare troppo nell'occhio, in casa di lui, entrando separatamente. Poi però la ragazza aveva scoperto di essere incinta. Non aveva mai confessato la paternità del figlio, salvando così la faccia al professore. Avevano poi smesso di vedersi, lei era maturata e lui aveva capito che, volente o nolente, era una cosa da fare. Lei si era risposata qualche anno dopo ed aveva avuto una bambina, dieci anni più piccola del fratello. La madre non si era mai lasciata scappare alcun indizio sul padre, ed il mio amico aveva appreso queste cose dalla più cara amica di sua madre, l'unica che conoscesse l'intera storia e che aveva infranto con lui la regola del silenzio.
Avevo visto qualche volta la madre far visita al ragazzo accompagnata dal marito, ma la bambina più piccola non c'era: la madre voleva evitarle il trauma di entrare in un manicomio e vedere il fratello maggiore in divisa verde. Un colore insolito, il colore della speranza. Una grande presa per il culo, la definiva lui. Perché lì dentro non c'era speranza, per tutti noi c'era solo il vuoto. I matti sono apostoli di un dio che non li vuole, cantava Cristicchi. Triste, ma vero, diceva, soprattutto perché non esiste nessun maledettissimo dio. Quando è la società che ti rinchiude nel suo manicomio, è la fine.
-Tu sei qua perché ti ci hanno mandata i medici. Hai degli amici, una famiglia. Uno come me non lo vuole nessuno. Non mi vuole neanche mia madre, non dovevo nascere, cazzo. Il mio patrigno non mi considera, per lui c'è solo mia sorella. Lei mi vuole bene perché è una bambina, non capisce, non distingue che cosa è bene seguire e cosa è meglio rinnegare. Sono una merda umana, e non lo dico per autocommiserazione: definizione di un mio compagno di liceo-.
Ne aveva passate tante, e mai nessuno l'aveva amato. Una notte l'avevo passata con lui. Volevo che, almeno per un momento, potesse capire che c'è qualcosa più della sofferenza, che non si può vivere nel pessimismo più cosmico. Due giorni dopo si era buttato giù dalla finestra. Proprio il giorno in cui fui dimessa. Andai al suo funerale e conobbi la sua famiglia, che non ne volle sapere di me. Recentemente, però, ho contattato la sorella. Ha 18 anni, l'età che aveva lui. Somiglia tantissimo al fratello, ma lei è una ragazza allegra, una bellissima persona. Abbiamo parlato molto di lui, serba un tenero ricordo, ma non le ho detto della notte passata assieme. Non l'ho mai detto a nessuno, menchemeno ad Ombra.
Ombra... lei mi è sempre stata vicina, veniva a trovarmi all'ospedale, piangendo perché sentiva che se ero lì la colpa era sua.
-Perché, pensi che non ci sarei finita lo stesso? Almeno tu hai dato una spiegazione razionale di ciò che è accaduto, io non sapevo neanche di essere finita in strada- le dicevo.
Non le ho mai detto di cosa avevo fatto con quel ragazzo, sa solo che era un mio caro amico. Tutt'ora mi chiedo se ho fatto bene ad andarci a letto. Forse si sarebbe ammazzato lo stesso.
Siamo andate a vivere in Spagna, a Malaga. Entrambe abbiamo studiato spagnolo a scuola, io anche al liceo, mentre Ombra, che aveva fatto scienze umane, all'università. Abbiamo adottato due bambini, maschio e femmina, Anastasia ed Alessio, come il ragazzo del manicomio. Viviamo bene. A mia madre pesa un po' la lontananza, ma io mi sento più libera. Fabrizio fa una vita itinerante, è allergico alle relazioni stabili, sta un po' di qua e un po' di là. Ha già vissuto in Iowa, con una specie di burbero madriano, l'esatto opposto suo. Però pare che fosse una specie di macchina del sesso, un superdotato. Dall'Iowa è partito alla volta di Cefalonia, in Grecia. Ha gironzolato per la Grecia un anno, poi è andato a stare con un pescatore, a pescare pure lui. Non credo gli piacesse come lavoro. Poi è stato in Norvegia, con un perfetto norvegese simil-salmone. Dopo questo (pare che non fosse granché. In tutti i sensi) si è trasferito in un paesino nel sud della Francia, una specie di paradiso terrestre, il classico villaggio provenzale. La relazione che ha avuto lì sembrava seria, mia madre quasi si preparava a vedere il suo figliolo accasato, con un uomo, certo, ma l'altra stava in Spagna con una donna, quindi una forma di rassegnazione l'avrà pur adottata. E poi la Provenza le piace. Invece ha lasciato anche questo, partendo alla volta di Madrid. Per ora vive lì, ci vediamo spesso, ma tra un paio di settimane potrebbe fare le valigie e andarsene in Australia, a vedere come sono gli uomini là. Che bambino...
Sono felice. Ho tutto ciò che voglio. Ma spesso sogno Alessandro ed Alessio. Sono bei sogni, però. Alessandro è ancora vivo e fa il musicista la sua passione. Alessio ha una famiglia che lo ama. È triste come tutto ciò sia solo un sogno. Però sognare è l'unico modo per evadere dalla realtà. Per vivere quei pochi minuti di felicità perfetta. A meno che non sia un incubo. O forse vale la pena di pensare che viviamo per uno sputo di tempo e bisogna godersi la vita a modo proprio.
Finiamo per vivere come se dovessimo morire domani e per morire come se non avessimo mai vissuto. Perdiamo la salute per fare soldi e poi perdiamo i soldi per recuperare la salute, lo diceva il Dalai Lama, mi pare.
Ma, in fondo, la vita è un grande contrasto, la vita è luce e oscurita. La vita è Chiara ed Ombra.

The corner: epilogo che nessuno si filerà, pazienza. Che tristezza, questa era la mia prima storia a capitoli, nata da un sogno in cui una ragazza albina ballava nuda di notte in giardino e la vicina di casa la imitava, per poi finire pugnalata dalla ragazza albina. Bei sogni che faccio, sicuro. Sono in lutto per questa storia, e sono riuscita a non pubblicarla il 24 dicembre (solo perché il 25 sono via). *Si ritira in lacrime*

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