Thunderbolt

di Koori_chan
(/viewuser.php?uid=80932)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Chapter 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***



Salve a tutti! Questa è la prima -e penso ultima- long fic che pubblico in questa sezione. Come in tutte le mie long, ahimé, il primo capitolo è un po' cortino, ma dal momento in cui ho dovuto introdurre un personaggio originale ho pensato che fosse meglio un approccio un po' più graduale...
Ebbene, questa storia risale al lontanissimo anno della mia Seconda Media, ergo ho dovuto lavare la mia protagonista nell'acqua santa sei volte prima di poter osare farle fare capolino nel mondo di EFP... x°
So che ci sono ancora pesanti residui di MarySueaggine, a partire dal nome, ma capitemi, questo è un personaggio che mi ha accompagnata durante la mia adolescenza e qualcosina ho dovuto mantenere. Vi prego quindi di ignorare questa piccola pecca e aiutarmi invece nel caso ci fossero errori madornali o tratti del pg eccessivamente... eccessivi...
Riportare una MarySue sulla retta via è molto più complicato di quanto pensassi...
Detto questo mi auguro che la fanfiction sia di vostro gradimento, buona lettura!




 








Thunderbolt~















Capitolo Primo~


L’Ottobre del 1703 era uno dei più caldi che la gente di Londra ricordasse.
Per strada i bambini correvano scalzi schiamazzando senza ritegno, e sul mercato si vendeva ancora la frutta dell’estate; il sole, che già aveva incominciato la sua discesa verso l’orizzonte, illuminava i dock di un’atmosfera tranquilla, pacifica, quasi si fosse trattato di un sogno intrappolato sulla tela di un quadro.
In una piazzetta nascosta al centro di un dedalo di stadicciole, in piedi sotto a un alberello striminzito e tuttavia verdissimo, se ne stava un uomo sulla quarantina. Indossava ricchi abiti di seta finemente ricamati e sul capo portava una grossa parrucca i cui boccoli castani gli ricadevano sul collo, facendolo sudare in maniera imbarazzante.
L’uomo estrasse un fazzoletto da una tasca e se lo tamponò sulla fronte, domandandosi per quale assurdo motivo avesse finito per assecondare i capricci di sua figlia anche quella volta.
Non che renderla felice lo infastidisse, ma spesso si chiedeva perché non avesse potuto avere una bambina come tutte le altre: tranquilla, posata, discreta…
Invece gli era capitato quel piccolo uragano, quella testa calda che, proprio come sua madre, una volta formulato un pensiero non riusciva a tenerlo fra i denti nemmeno sotto tortura.
Certo, avrebbe potuto semplicemente ignorarla e metterla a tacere con qualche stupida scusa, come facevano tutti gli altri genitori, ma si dava il caso che sua figlia fosse intelligente, una dote quanto mai pericolosa e difficile da gestire.
Aveva provato in ogni modo a dissuaderla da quella folle idea: le aveva proposto abiti, gioielli, esotici animaletti da compagnia, ma, nonostante avesse vacillato per un momento al sentir nominare il pappagallino parlante, la sua amata figliola aveva sostenuto imperterrita il suo bruciante desiderio di vedere la città.
E poi, si poteva sapere che cosa ci trovasse di così interessante in una manciata di vicoli sudici e pericolosi che puzzavano di pesce e di spezie?
Scosse il capo sospirando sconsolato, quando uno dei quattro uomini in divisa scarlatta della scorta lo avvicinò con lo sguardo puntato ai piedi.
- Lord Swann, Signore… - balbettò il giovane, lanciando qualche occhiata furtiva alle sue spalle in cerca del sostegno dei colleghi.
- Che c’è, figliolo? – domandò Swann, seccato.
- Io… non so come diverlo, Signore… - il ragazzo prese a tormentarsi le mani, il viso lentigginoso ora pallido come la morte, ora rosso come una fragola matura.
- Coraggio Howard, dimmi quello che devi dirmi e falla finita!  Intanto voi preparate la carrozza, è tardi. Torniamo a casa, Elizabeth! – esclamò il nobile guardandosi intorno alla ricerca della figlia.
- A proposito di questo, Signore… - sussurrò Howard, la voce ridotta ad un balbettio inconsulto.
- Miss Swann è scomparsa. -
 





Non c’era nessuno, a quell’ora del giorno,  nello stretto vicolo nei pressi del molo, nessuno se non quella singolare ragazzina il cui meraviglioso abito giallo tanto stonava con i muri sudici e polverosi dei palazzi.
Gli occhi castani saettavano curiosi da un lato all’altro della strada, seguendo  con attenzione il volo dei gabbiani sopra la sua testa. Le narici fremevano ad ogni odore nuovo, ancora confuse dagli acri profumi del mercato.
Elizabeth Swann era felice.
Per la prima volta nella sua vita, ossia esattamente nove lunghi anni, la bambina era riuscita a vedere Londra, la vera Londra. Per troppo tempo era rimasta tranquilla e paziente fra le mura della grande villa a sud della città, circondata da balie, servi e tutto ciò che potesse desiderare, eppure non aveva mai visto un mercato in vita sua, non aveva mai udito  i canti delle lavandare né osservato i giochi dei bambini.
Suo padre, Lord Weatherby Swann, l’aveva sempre trattata come una bambola di porcellana, impedendole di uscire dal perimetro sicuro del parco della villa.
Ripensò alla sua piccola fuga: se suo padre si fosse accorto della sua assenza sarebbe certamente andato su tutte le furie. Il pensiero la fece sorridere, mentre un fremito di eccitazione le correva su per la schiena.
Camminò ancora senza badare troppo  alla strada percorsa, per rendersi conto solo ai cinque precisi rintocchi di campana di quanto tempo fosse passato da quando si era allontanata dalla pace della piazzetta.
Gettò una rapida occhiata alle sue spalle, e qualcosa iniziò ad attorcigliarsi sgradevolmente in fondo al suo stomaco: si era persa.
Da dove era arrivata? Aveva preso la strada di destra o di sinistra? Quella fontana c’era anche prima? Forse avrebbe fatto bene a raggiungere le sponde del Tamigi e fare la strada a ritroso seguendo gli argini… Oppure sarebbe stato più saggio rimanere lì dov’era, sperando che prima o poi suo padre o qualcuno della scorta la trovassero…
Stava per farsi sopraffare dallo sconforto e mettersi a piangere quando una vocetta cristallina risuonò sul lastricato asciutto e polveroso.
 
Quindici uomini, quindici uomini
Sulla cassa del morto
Yo-oh-oh
Yo-oh-oh
E una bottiglia di rum
 
Elizabeth si voltò nuovamente in direzione della voce: da una stradina laterale era comparsa una ragazzina esile e pallida che recava con sé un grosso canestro di vimini.
La sconosciuta si accorse di lei e la fissò con impertinenza e malcelata curiosità.
Elizabeth vacillò, impreparata alla forza di quegli occhi grigi come il mare in tempesta.
- E tu chi sei? – domandò quella a bruciapelo, avvicinandosi senza troppi complimenti.
Elizabeth fece un passo indietro, spaventata.  A dire il vero non era abituata a sentirsi dare del tu, nemmeno se si trattava di qualcuno della sua stessa età, e per di più non riusciva a capire come una bambina all’apparenza tanto indifesa potesse andarsene in giro così tranquilla  per i vicoli di Londra.
E quella canzone, poi… Come poteva una fanciulla cantare con tanta spensieratezza di morti e di rum?
- Il mio nome è Elizabeth Swann, e voi siete? – domandò con un piccolo inchino. Era così che le avevano insegnato a fare, mostrarsi superiore, perfetta, sempre.
Silenzio.
L’altra bambina non rispose, limitandosi a squadrarla da capo a piedi per una manciata di secondi. Si avvicinò ancora e fece un piccolo inchino a sua volta.
- Cristal Cooper, molto onorata! – e poi scoppiò a ridere.
- Cosa ci fa una come te in un posto come questo? Credevo che voi ricchi non scendeste mai in città… - continuò curvando le labbra verso l’alto.
- E’ il mio regalo di compleanno. Mio padre mi ha regalato una visita di Londra, adesso che ho nove anni. – spiegò, sentendosi molto importante.
- Che nome è “Cristal”? – non riuscì a impedirsi di chiedere.
La popolana strabuzzò gli occhi, che regalo era mai una visita di Londra? Cosa c’era di così speciale nella città da volerla tanto visitare? E poi cos’era quella storia del regalo di compleanno?
L’ultima domanda di quella bizzarra sconosciuta, poi, le fece arcuare ancor di più le sopracciglia sottili.
- Il mio! Mamma dice che è un nome francese… -
- Sei francese? – chiese ancora Elizabeth, terribilmente curiosa.
La ragazzina scosse il capo, facendo roteare le treccine bionde come due piccole fruste.
- Papà è scozzese, Mamma è di Londra. Io sono nata qui! – spiegò, raspando nel canestro e offrendole una mela.
- Guarda che non è mica avvelenata, eh! – la incalzò poi nel notare che non accennava a prenderla.
Elizabeth afferrò titubante il frutto, si guardò attorno circospetta e vi affondò i denti.
Ci fu qualche momento di silenzio durante il quale le due bambine si squadrarono attentamente, tutte concentrate nel tentativo di carpire qualche informazione l’una sull’altra.
- Ma sei venuta qui da sola? – domandò improvvisamente la biondina, facendo sobbalzare Elizabeth.
Questa arrossì violentemente rivolgendo lo sguardo alla viuzza alle proprie spalle.
- No, sono qui con mio padre e la scorta, ma sono scappata e mi sono persa… - confessò.
Cristal addentò a sua volta una mela e masticò rumorosamente, riservandole uno sguardo ammirato.
- Se ci provassi io a scappare di casa Mamma mi ammazzerebbe… - commentò con un mezzo ghigno.
La giovane Swann sospirò mesta, probabilmente se mai fosse riuscita a tornare a casa le sarebbe spettata la stessa sorte… Se solo fosse rimasta con suo padre e avesse saputo accontentarsi!
L’altra bambina le batté una pacca comprensiva sulla spalla, gesto che la destabilizzò alquanto, per poi prenderla per mano.
- Coraggio, andiamo a cercare tuo padre! Riesci a descrivermi l’ultimo posto in cui l’hai visto? –
Svariati anni dopo, Elizabeth Swann non sarebbe stata in grado di dire cosa le avesse permesso di fidarsi a tal punto di quella curiosa figuretta. Forse erano i suoi modi, così diversi dalla rigida etichetta a cui era abituata, forse erano i suoi occhi, più sinceri dell’orizzonte, o forse era semplicemente il fatto che entrambe, ormai, sapevano di essere diventate amiche.
Anche Lord Swann, ritrovando sua figlia accompagnata da una bambina che sembrava poco o per nulla intimidita dalla parrucca o dalla carrozza, era rimasto spiazzato.
Quando si era azzardato a chiederle, gli occhi ancora sgranati, chi diamine fosse, la bambina si era limitata a rispondere “la figlia del fabbro”, come se l’umile mestiere di suo padre non l’avesse affatto messa in imbarazzo al cospetto di un Lord.
- Forse avrete sentito parlare della mia famiglia materna, Signore. Mia madre, Marion, è figlia di Joseph Hawke, quello dei tessuti… - aveva spiegato  con un sorriso indulgente, pronta a vedere i muscoli del viso dell’uomo rilassarsi e gli occhi brillare di una nuova luce.
Al sentir nominare gli Hawke, infatti, Weatherby Swann si sentì in qualche modo sollevato.
Tutti a Londra conoscevano la tragica storia dei mercanti di tessuti più famosi della Gran Bretagna colpiti dalla malasorte e lentamente caduti in rovina dopo il Grande Incendio del 1666. Non sapeva molto della figlia di Joseph Hawke II, se non che dopo la morte prematura del padre era andata a vivere presso dei lontani parenti in Francia, senza amministrare adeguatamente i beni di famiglia che si erano notevolmente ridotti nell’arco di trent’anni.
Eppure in città tutti parlavano bene di Marion Hawke, la giovane colta e benestante che per amore di un fabbro aveva rinunciato a un matrimonio più vantaggioso e al lusso che la sua classe sociale le avrebbe concesso.
Dopotutto lo stesso Jim Cooper, a discapito delle umili origini, pareva essere un uomo dabbene e dai modi squisiti, proprio come la moglie…
Swann si passò nuovamete il fazzoletto sul viso, benedicendo la bambina di avergli riportato quell’incosciente di Elizabeth sana e salva; prima o poi avrebbe fatto bene a passare dalla proprietà di Marion Hawke e suo marito per ringraziare.
La carrozza partì un paio di minuti dopo, scomparendo in lontananza infondo alla più grande delle stradine che si dipanavano dalla piazza.
Il sole ormai al tramonto tingeva di rosso e di rosa i tetti delle case e Cristal, rimasta sola, riprese a canticchiare il suo inquietante motivetto trotterellando allegramente verso casa.
Chissà cos’avrebbe detto la mamma dopo averle raccontato di Elizabeth e Lord Swann?
Magari, tutta presa dalla notizia, non si sarebbe nemmeno accorta che dal cesto mancavano due mele…
 









Note


Eccoci qui! Grazie a tutti coloro che sono giunti fino alla fine della mia storia!
Onestamente non sono soddisfattissima di questo capitolo, ma come introduzione non avrei potuto davvero aggiungere altro.
Per quanto riguarda la data, lo so, ho palesemente ignorato le informazoni che si trovano su Wikipedia, ma diciamo che è per via di esigenze di copione... xD
La canzone che canta Cristal è tratta dal meraviglioso "L'Isola del Tesoro" di R.L. Stevenson, una lettura obbligata per chiunque ami pirati e affini.
Elizabeth e Cristal sono due persone agli antipodi: una proviene dalla nobiltà inglese, è sempre cresciuta nel lusso ed è estremamente viziata, nonostante il suo buon cuore; l'altra viene da un contesto sociale particolare, che la vede benestante, ma abituata all'umiltà.
Eppure queste due ragazzine tanto diverse hanno sentito immediatamente di essere destinate ad una grande amicizia, un'amicizia che nel corso delle loro vite le porterà a compiere scelte difficili e non sempre giuste, scelte che coinvolgeranno, loro malgrado, tutti coloro che le circondano.
Spero che questo piccolo capitolo introduttivo vi abbia intrigato almeno un po', aspetto i vostri pareri!
Big Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Chapter 2 ***












Capitolo Secondo~



A Londra pioveva incessantemente ormai da cinque giorni.
Il Tamigi si era gonfiato con una rapidità sorprendete e l’umidità iniziava davvero a farsi sentire.
Marion Hawke ravvivò il fuoco nel caminetto e spostò lo sguardo sulla finestra grondante. Quando avrebbe smesso?
Si voltò di nuovo verso sua figlia, che giocava relativamente tranquilla con una barchetta di legno.
- Tutta a tribordo! – la vide sussurrare a fior di labbra muovendo il suo giocattolo su e giù nell’aria, come se fosse stato preda di una tempesta tropicale. La donna si concesse un sorriso, tornando a cucire in silenzio.
- Mamma, pensi che a Elizabeth piacerà il nostro regalo? – domandò improvvisamente Cristal, l’impavido vascello naufragato ormai irrimediabilmente fra le pieghe della sua gonna azzurra.
Marion alzò ancora una volta gli occhi dal suo lavoro.
- E’ quello che spero… - sorrise accarezzandole il capo affettuosamente.
In effetti iniziava a chiedersi se non avrebbe fatto meglio a comprarle dei gioielli o un abito come avrebbero fatto tutti gli altri; eppure Cristal aveva ragione, a Elizabeth avrebbe fatto decisamente più piacere un buon libro.
Certo, forse regalare alla figlia di Lord Swann un’avvventurosa raccolta di biografie di pirati famosi era stata un’idea un po’ azzardata, ma Elizabeth e Cristal erano due bambine talmente fantasiose e sognatrici che sperava che questo loro tratto caratteriale sarebbe bastato a Swann per non saltare a giudizi troppo affrettati riguardo alla convenienza di frequentare una famiglia come i Cooper.
- Non vedo l’ora che sia mercoledì… - sospirò Cristal arrampicandosi sulla sedia e sbirciando attentamente fuori dalla finestra.
Non si poteva certo dire che Marion fosse della stessa idea.
Erano anni, ormai, che non frequentava la nobiltà londinese, e in tutta onestà lo sfarzo delle grandi ville le era sempre stato un po’ stretto. Ricordava ancora con una punta di fastidio le volte in cui suo padre l’aveva costretta ad accompagnarlo a fare visita ai suoi clienti più ricchi. All’epoca aveva pressocchè la stessa età di Cristal e, doveva ammetterlo, era senz’ombra di dubbio una bambina molto più difficile di sua figlia.
A dieci anni, infatti, poco le importava dei libri o delle lingue straniere. Imparava il francese controvoglia e il suo unico interesse pareva essere architettare scherzi ai danni della povera Bess, la balia.
Non che fosse una bambina maleducata: sua madre, nonostante la bontà del suo cuore, era sempre stata particolarmente severa nell’educarla e alla fine, nonostante tutto, Marion non aveva mai fatto fare agli Hawke una brutta figura.
La festa di mercoledì a Villa Swann, tuttavia, le metteva addosso un’angoscia che lei stessa non riusciva a comprendere.
Da quando Cristal e Elizabeth avevano fatto amicizia, nell’Ottobre dell’anno precedente, Lord Swann si era presentato più volte a casa loro. All’inizio era certa che lo facesse per una sua volontà di ficcanasare personalmente nella vita dei Cooper, alla ricerca del più insignificante dettaglio che potesse rappresentare un pericolo per sua figlia, ma evidentemente non era stato soddisfatto in questo suo desiderio, perché le due bambine avevano continuato a frequentarsi quasi avvessero fatto parte della stessa classe sociale.
Marion trovava davvero bizzarra tutta quella situazione, ma non aveva potuto fare a meno di compiacersi della stima che Swann aveva dimostrato di provare nei loro confronti. Jim era entrato subito nelle sue grazie, certamente più per l’amabilità del suo carattere che per il reddito del suo mestiere, mentre lei… da come il nobile le si rivolgeva poteva intuire che, nonostante gli anni e gli eventi, il buon nome degli Hawke era rimasto lo stesso.
Eppure non aveva potuto evitare di notare che, durante quei dodici mesi, mai avevano ricevuto un invito ufficiale a Villa Swann, come se Weatherby avesse preferito mantenere la loro amicizia –sempre che così si potesse chiamare quello strano rapporto- a debita distanza.
Adesso, all’improvviso, erano stati invitati alla festa di compleanno della piccola Elizabeth, alla quale, Marion ne era certa, avrebbero partecipato boriosi Lord con la puzza sotto il naso e, cosa anche peggiore, Ufficiali di Marina.
Una vera seccatura, ma ormai non potevano più tirarsi indietro.
La porta si spalancò all’improvviso, lasciando che uno spiffero freddo si insinuasse nella stanza e solleticasse il fuoco nel camino.
- Marion, tesoro, non immaginerai mai! –
Jim Cooper apparve sulla soglia grondante d’acqua, le grosse e pesanti chiavi della bottega ancora strette in pugno e sul volto il sorriso di un bambino.
- Papà! – esclamò Cristal saltandogli al collo, incurante del fatto che così si sarebbe inzuppata anche lei.
- Cosa succede? – domandò Marion, un po’ preoccupata nonostante l’entusiasmo del marito.
Jim si tolse il mantello e posò il cappello a tricorno sul tavolo accanto all’abito che stava cucendo sua moglie, la bambina seduta sulle ginocchia.
- Weatherby Swann è venuto in bottega, oggi pomeriggio. –
Cristal rizzò la schiena, tutta incuriosita al sentir nominare il padre di Elizabeth, mentre Marion rimestava la zuppa nel pentolone e tornava a sedersi con gli altri.
- Sai che è stato fatto Governatore a Port Royal… - spiegò l’uomo, il sorriso che si apriva sempre di più e gli occhi azzurri che brillavano di pura eccitazione.
- E…? – lo incalzò la moglie.
- E… mi ha offerto di seguirlo! Ha già dato disposizioni affinchè possiamo rilevare la bottega del vecchio fabbro, la clientela sarà garantita e potrò lavorare per lui in persona! –
Marion spalancò gli occhi di sorpresa, sporgendosi in avanti.
- Stai scherzando, vero? Hai idea di che profitto potrebbe portarci lavorare direttamente per Swann? –
- E non ti ho ancora detto della casa! – esclamò Jim, raggiante.
- Casa? Quale casa? –fece Cristal, che voleva partecipare al discorso nonostante non fosse certa di aver capito appieno ciò che i suoi genitori stavano dicendo.
Suo padre le accarezzò i capelli e le parlò con dolcezza.
- Lord Swann ha detto che se accetteremo potremo alloggiare in una casa molto più grande di questa, proprio accanto alla bottega! –
Marion si passò una mano fra i lunghi capelli corvini e scosse la testa.
- Ci dev’essere qualcosa sotto… E’ troppo bello per essere vero… - balbettò incredula.
- E’ tutto vero, amore mio. Basta semplicemente accettare. Direi che non c’è molto a cui pensare, dopo le voci di ieri giù al porto… -
La donna parve rabbuiarsi e portò istintivamente una mano al ciondolo che aveva  al collo, come soleva fare quando qualcosa la impensieriva.
Jim aveva ragione, quell’offerta era provvidenziale.
- Cosa è successo al porto? Che voci circolano? – chiese ancora Cristal, per nulla soddisfatta.
Marion le rivolse un sorriso dolce e sereno, l’ombra sul suo viso scomparsa nel nulla proprio come dal nulla si era presentata.
- Oh, niente di cui preoccuparsi, Cris… Adesso porta via il vestito e aiutami a mettere tavola! – ordinò con un gesto della mano mentre tornava a controllare la zuppa.
Forse mercoledì, a dispetto di ogni pronostico, sarebbe stato in grado di scacciare per un po’ le sue preoccupazioni…






 
I giorni si susseguirono grigi e smorti, araldi del piovoso inverno britannico, finchè il 15 Ottobre non fece capolino attraverso il nubifragio.
- Ma è proprio necessario, Mamma? –
Cristal se ne stava in piedi sullo sgabello nella stessa posizione ormai da due ore, e i muscoli delle braccia iniziavano davvero a non poterne di più.
- Ho quasi finito, Cris, porta pazienza… - sospirò la donna, uno spillo fra le labbra mentre gli occhi grigi scrutavano i punti alla ricerca dell’errore.
- Ma Mamma, faccio ridere vestita così… - si lamentò ancora.
Marion le rivolse un’occhiataccia e la bimba arrossì.
- Non intendo dire che hai fatto un brutto lavoro, è che… dai, Mamma! Mi ci vedi ad andare in giro con questa… questa tenda? Inciamperò ad ogni passo! – piagnucolò.
- No che non inciamperai. Imparano tutte, lo farai anche tu! E poi questo colore ti dona tantissimo! – esclamò a lavoro finito stampandole un bacio sulla guancia.
Cristal sospirò e osservò critica la sua  immagine riflessa nello specchio.
Si ritrovò dunque a fissare una ragazzina di media statura, i fini capelli color del grano sciolti sulle spalle e le guance spruzzate di lentiggini, il corpo esile e acerbo sommerso dagli strati del vestito blu oceano.
Scese dallo sgabello e vi si sedette sopra, i gomiti sulle ginocchia e le mani a sorreggere il mento: no, nonostante le innumerevoli e accuratissime istruzioni di sua madre sul bon ton non sarebbe mai stata aggraziata come Elizabeth, ne era certa.
Marion riapparve poco dopo, vestita con un elegante e sfarzoso abito viola.
- Sapevo che prima o poi mi sarebbe tornato utile! – esclamò mentre sistemava un nastro lillà fra i capelli, un occhiolino divertito all’indirizzo della figlia, che le fece una linguaccia.
- Dai, adesso vieni, papà ci starà già aspettando… - e così dicendo la prese per mano e la condusse in strada, dove una carrozza a noleggio li stava aspettando.
- Ci trattiamo bene… - osservò la bambina con un mezzo sorriso; per quanto riusciva a ricordare quella era la prima volta che prendeva una carrozza.
- E’ solo che la mamma ci teneva a fare bella figura con i Swann e gli altri invitati… - precisò Jim riservando alla moglie un’occhiatina scherzosa.
- Dite che sarà pieno di Bigodini? – continuò lei, incurante del fatto che sua madre era appena arrossita.
- Cristal! Quante volte ti ho detto che non li devi chiamare in questo modo? – sbottò quella indignata, mentre i cavalli fendevano la pioggia con tenacia.
Cristal e Jim scoppiarono a ridere.
- D’accordo, d’accordo… Allora dite che ci saranno tanti Ufficiali? – riformulò con una smorfietta impertinente, per poi riprendere a ridere all’espressione di sua madre.
Cristal ricordava che la prima volta che Elizabeth le aveva sentito pronunciare quella parola aveva riso tanto da farsi venire il mal di pancia. Non avrebbe saputo dire quando aveva iniziato a chiamarli così, ne come le fosse venuta l’idea, sta di fatto che quelle ridicole parrucche che gli Ufficiali di Marina erano costretti a portare e l’antipatia che Cristal provava nei confronti di quelli della loro specie si erano combinate perfettamente in quel nomignolo derisorio che aveva preso l’abitudine di utilizzare.
- Suppongo di si, quindi vedi di limitare le tue arringhe a difesa della Pirateria, signorina, se non vuoi farci impiccare tutti e tre! – la redarguì Marion.
Già sarebbero stati abbastanza fuori luogo a Villa Swann, ci mancava solo che sua figlia si mettesse ad inneggiare alle nobili gesta di Morgan e Bartholomew, fondatori della Fratellanza, al cospetto di un qualche Ammiraglio e avrebbero potuto considerarsi spacciati.
- Ma se stanno antipatici pure a te! – masticò la ragazzina, incrociando le braccia con aria offesa.
Marion dovette concederle una piccola vittoria in quella singolare battaglia di etichetta mondana.
- La mamma ha ragione, Cris. Cerca di essere giudiziosa e vedrai che potrai tornare ad insultare tutti i Bigodini che vuoi… Una volta che saremo tornati a casa… - si affrettò ad aggiungere Jim ad uno sguardo fulminante della moglie.
La bambina sbuffò e fece dondolare i piedi, sfiorando il pavimento della carrozza con le punte delle scarpe.
- Tanto ormai anche Lizzie li chiama così… - sussurrò a fior di labbra.
Sapeva che sua madre l’aveva sentita, perché adesso stava trattenendo a stento un sorrisetto.
Del resto era solo colpa sua e delle storie che le raccontava se aveva sviluppato questa passione insana per il mare e le avventure!
Chiuse gli occhi, concentrandosi sulle gocce di pioggia che sferzavano i vetri della carrozza.
Ancora poco tempo e sarebbero arrivati…









Note


Ben ritrovati, cari lettori!
E' passato ormai un anno da quando Elizabeth Swann ha incontrato Cristal Cooper in uno sperduto vicolo di Londra. Le due, nonostante il divario sociale che le separa, sono diventate ottime amiche.
E' a partire da qui che iniziamo ad intuire quanto Elizabeth sia il più grande punto debole di Weatherby Swann e quanto tale consapevolezza induca la ragazzina a piegare la volontà del padre a suo vantaggio~
In questo secondo capitolo ho deciso di soffermarmi sulla famiglia Cooper in modo da rendere più chiaro il contesto in cui è cresciuta Cristal.
Forse il trasferimento dei Cooper a Port Royal potrà sembrarvi sbrigativo, ma tranquilli, nei prossimi capitoli emergeranno altre informazioni a riguardo di questi individui singolari...
Nel prossimo capitolo, alla festa di Elizabeth, faremo la conoscenza di un altro personaggio chiave in questa storia, ma non anticipo nulla!
Grazie mille a chi ha messo la storia nei preferiti o nelle seguite, a chi ha recensito e anche a chi ha solamente letto.
Spero di non avervi deluso, aspetto i vostri commenti! :D
Big Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Chapter 3 ***







Capitolo Terzo~


La sala da ballo era stracolma di gente.
Il chiacchiericcio soffuso si percepiva fin dal piano inferiore, dove un enorme portone di quercia si spalancava sull’interno caldo e asciutto della Villa.
Tutto in quel luogo sembrava appartenere ad un altro mondo, ad un’altra era.
I quadri alle pareti, gli enormi specchi lucidi nelle loro cornici dorate, i giganteschi lampadari sui quali guizzava allegra la luce delle candele…
Cristal continuava a camminare col naso all’insù, lo sguardo perso nella meraviglia degli affreschi sui soffitti: mai, nella sua vita, aveva pensato che avrebbe potuto osservare tanta bellezza nello stesso luogo.
Jim procedeva accanto a lei con la bocca spalancata nella stessa espressione di incredulo stupore della figlia.
Solo Marion non sembrava particolarmente impressionata da quell’opulenza, nonostante apprezzasse tutta l’arte che le scivolava attorno nel lungo corridoio e per le scale che conducevano al piano superiore.
- Jim, datti un contegno! – scherzò affettuosamente, mentre sua figlia reprimeva a fatica l’istinto di toccare tutti gli strani soprammobili d’argento e di cristallo.
A mano a mano che si avvicinavano al salone il chiacchiericcio si faceva sempre più forte, finchè i tre non vennero letteralmente investiti dagli sgargianti colori degli abiti delle dame e accarezzati dalle note dolci dei violini che, chissà dove in tutto quel marasma, suonavano una quieta melodia di sottofondo.
- Sono tantissimi… - sussurrò Cristal alla vista delle decine di giacche blu degli Ufficiali.
Lei e sua madre si scambiarono uno sguardo complice e soffocarono un risolino, poi la bambina prese a scandagliare la sala in cerca della festeggiata.
- Mister Cooper, Miss Cooper, Cristal! Sono onorato di avervi qui in questo giorno di festa! Spero che la pioggia non abbia disturbato il vostro viaggio… -
Weatherby Swann apparve alle loro spalle con un sorriso gioviale.
- L’onore è nostro, Governatore! – replicò Jim mentre le altre due si esibivano in un piccolo inchino.
Swann parve sorpreso da quelle parole.
- Governatore… Devo ancora abituarmi a questo appellativo… - confessò con una leggera nota di imbarazzo.
- Cristal! – una vocetta acuta si fece sentire al di sopra della gran confusione che regnava nella sala.
Elizabeth superò suo padre e, senza nemmeno salutare i Cooper, gettò le braccia al collo dell’amica.
- Oh, giusto. Vi ringrazio infinitamente della vostra presenza qui… - si affrettò ad aggiungere con un inchino all’occhiataccia del Governatore.
Marion e Jim risero accondiscendenti, mentre la ragazzina le porgeva il suo regalo.
Anche quello, però, passò presto in secondo piano quando le due bambine sparirono nella calca degli invitati ridendo e tenendosi per mano.
- Per fortuna che sei venuta! – esclamò Elizabeth all’improvviso.
- Di solito è uno strazio, mio padre invita sempre le stesse persone con i loro figli antipatici e non si può mai giocare! – continuò nella sua lamentela.
Cristal, che in realtà era tutta concentrata a non caplestare il suo vestito, si limitò a sorriderle e a fare spallucce.
- Dai, non è così terribile! C’è la musica e i bambini odiosi stanno tutti a vantarsi con i Bigodini! – scherzò, indicando con un cenno della testa un ragazzino che poteva avere si e no dodici anni fare bella mostra del suo spadino di rappresentanza di fronte a un Ufficiale.
Alzò lo sguardo sui soffitti affrescati e sugli immensi candelieri che illuminavano l’ambiente, si soffermò un momento ad osservare le dame sontuosamente agghindate e le divise lustre dei cavalieri e pensò che, dopotutto, festeggiare il proprio compleanno così in grande stile fosse un po’ esagerato.
In tutta onestà era la prima volta che sentiva parlare di feste di compelanno, dal momento in cui in casa sua non vi era l’abitudine di invitare nessuno in simili occasioni.
Certo, Marion cucinava sempre qualcuna delle sue squisite torte o altri manicaretti e ci si scambiava qualche piccolo pensierino, ma nulla che potesse reggere il paragone con tutto quel fasto.
Era in momenti come quello che si rendeva di quanto, socialmente parlando, lei ed Elizabeth fossero comunque su due piani completamente separati.
Intelligente, simpatica e carina che fosse, lei restava sempre la figlia del fabbro.
- Cris, va tutto bene? –
La voce di Elizabeth la raggiunse come da molto lontano, riscuotendola dai suoi pensieri.
Non le andava di condividere quella considerazione, temeva di poter sembrare indelicata a rimarcare una simile differenza fra loro due, così cambiò bruscamente direzione alle sue elucubrazioni.
- Pensavo alla Jamaica. La partenza è fissata fra quindici giorni, giusto? –
La giovane Swann sospirò.
- Già. Partiremo all’alba del Trenta di Ottobre, con il salire della marea. O almeno così dice il Capitano Thompson… -
Seguì un momento di silenzio, poi Elizabeth tornò a parlare.
- Ti mancherà? Londra, intendo. Dopotutto tu hai vissuto la città molto più di me… -
Quella era una cosa a cui Cristal non aveva pensato.
Il trasferimento in Jamaica era, in linea teorica, definitivo: avrebbe anche potuto non tornare mai più in Inghilterra.
Londra le sarebbe dunque mancata?
- Beh, no… Non credo… - azzardò dopo averci pensato un po’ su.
- Sono nata qui, certo, ma casa mia è dove sono le persone che amo, e se mia madre e mio padre andranno a Port Royal, se tu andrai a Port Royal, beh… Casa mia sarà laggiù! –
Elizabeth parve rabbuiarsi.
- Ho sempre pensato che casa fosse il luogo dei ricordi… -
Nessuna delle due era mai stata molto interessata a parlare del proprio passato, specialmente Lizzie, la cui madre era mancata quando lei era ancora molto piccola. Cristal intuì che quelle parole fossero riferite a lei e la prese per mano, regalandole uno dei suoi più caldi sorrisi.
- I ricordi non sono forse nel nostro cuore? –
Solo quando sul viso dell’amica apparve un timido sorriso, la ragazzina si sentì soddisfatta.
- Vedrai, sarà bellissimo! Andremo per mare io e te, come due veri pirati, e poi laggiù fa caldo! Niente più pioggia! – rise indicando i grandi finestroni sferzati dal temporale.
- Finalmente un Quindici Ottobre di sole pieno! Credo di non aver mai assistito a un simile evento in tutta la mia vita! – osservò ridacchiando.
Fu in quel momento, mentre un fulmine squarciava il cielo cupo e pesante, che qualcuno fece il suo ingresso nel salone dal grande varco del portone.
Si trattava di un individuo alto, abbigliato con la casacca blu degli Ufficiali di Marina; si tolse il cappello a tricorno e iniziò a guardarsi attorno spaesato, come alla ricerca di qualcuno.
- Oh, è James! Vieni, Cris! – esclamò Elizabeth, prendendola per mano e trascinandola verso lo sconosciuto.
Questo, alla vista della festeggiata, parve illuminarsi.
- Miss Swann! Buon compleanno! – sorrise esibendosi in un inchino educato e porgendole un piccolo pacchetto.
Elizabeth rispose all’inchino e sorrise con grazia.
- Siete molto gentile, vi ringrazio! Vado a cercare mio padre, aspettatemi qui! – suggerì con un altro piccolo inchino prima di sparire fra la folla.
Cristal cercò di replicare, ma prima che riuscisse a formulare un qualsiasi pensiero l’amica era già scomparsa…
Si accorse che lo sconosciuto la stava fissando di sottecchi e si sentì in dovere di dire qualcosa per spezzare quel silenzio imbarazzante.
- Buonasera! Io sono Cristal Cooper, lieta di fare la vostra conoscenza!-
Cercò di copiare le maniere di Elizabeth con un piccolo inchino, ma qualcosa dovette andare storto, perché vide il ragazzo inzarcare un sopraciglio, sorpreso.
Si guardò intorno un paio di volte, prima di replicare educatamente.
- James Norrington al vostro servizio! –
Solo in quel momento a Cristal vennero in mente le parole di sua madre: “aspetta che sia qualcun altro a presentarti, specialmente se a un uomo”.
Fantastico, era già riuscita a dimenticare una delle regole più importanti dell’alta società, la mamma l’avrebbe uccisa…
Già che la figuraccia era ormai irrimediabilmente compiuta, Cristal si concesse di studiare un po’ meglio il signor James Norrington.
Era giovane, molto giovane, probabilmente non raggiungeva ancora la ventina; i suoi capelli scuri spuntavano al di sotto della parrucca nera, adombrando un paio di occhi grigi screziati di verde che sembravano capaci di estremo coraggio e infinita pazienza.
Solo a quel punto Cristal si accorse di un piccolo quanto trascurabile particolare.
- Ma voi siete fradicio! – esclamò improvvisamente.
James Norrington prese a giocherellare con il suo tricorno, evidentemente in imbarazzo.
- Abbiamo avuto un piccolo incidente venendo qui e la mia carrozza si è rotta… Sono stato costretto ad attaversare il giardino a piedi… - spiegò, la giacca blu che gocciolava a terra.
- Spero che riescano a ripararla entro stasera, o sarò costretto a noleggiarne una… - considerò fra sé e sé.
- Avete una carrozza tutta vostra? – si lasciò sfuggire la ragazzina, piena di ammirazione.
Il giovane inarcò nuovamente un sopracciglio.
- Voi non avete una carrozza privata? – domandò, spinto dalla curiosità e un poco sorpreso.
Cristal arrossì, accortasi di aver parlato troppo.
- Io… Ecco, in realtà… - borbottò alla ricerca di una scappatoia.
James Norrington, però, cambiò discorso prima che lei potesse replicare.
- Ma voi siete forse la figlia di Jim Cooper e di Marion Hawke? Miss Swann mi ha parlato molto di voi! – confessò con un sorriso dolce che gli rese lo sguardo caldo e sicuro.
- Davvero? Allora spero che vi abbia detto cose gradevoli! –
Nonostante la sua concentrazione fosse interamente tesa a districare quella situazione complicata, Cristal si era accorta che l’ultima sortita del giovane era stata intenzionalmente architettata per toglierla dall’imbarazzo. Sorrise mentre il ragazzo rispondeva alla sua domanda; le stava simpatico, e nonostante avesse collezionato una figuraccia dopo l’altra non si sentiva giudicata da quello sguardo così misterioso e al contempo così tranquillizzante.
Improvvisamente un’altra voce si fece sentire alle sue spalle.
- Tenente Norrington, alla fine siete riuscito a venire! Ci fa molto piacere avervi qui con noi! – Elizabeth e Weatherby Swann erano infine arrivati.
- Tenente, lasciate che vi presenti Miss Cristal Cooper, figlia di Jim Cooper e Marion Hawke, nonché più cara amica di Elizabeth! – fece Lord Swann con un gesto elegante all’indirizzo della bambina.
L’Ufficiale s esibì nell’ennesimo inchino, rivolgendole uno sguardo d’intesa, come se entrambi fossero stati complici di qualcosa di segreto e personalissimo.
- E’ un vero piacere fare la vostra conoscenza, Miss Cooper! –
Cristal cercò di trattenere le risate e assecondò il galateo.
- Il piacere è mio, Tenente Norrington... –
Fu quando Swann intavolò un noiosissimo discorso di politica che Cristal ed Elizabeth preferirono defilarsi.
- E così hai conosciuto James… - buttò lì la festeggiata, con l’aria di chi ha intenzione di voler raggranellare informazioni esclusive.
- Allora, che te ne è sembrato? – incalzò.
Cristal lanciò un’occhiata al punto dove i suoi genitori, Swann e Norrington stavano tranquillamente chiacchierando.
- Mi sembra un tipo in gamba. Almeno non è odioso come gli altri Bigodini… - osservò ripensando allo sguardo d’intesa di poco prima.
- Ma no, Cris! Intendevo dire se l’hai trovato carino! – ridacchiò l’altra scuotendo la testa.
- Io… Ad essere onesta non ci ho fatto caso… Sì, non… non è brutto…- si limitò ad ammettere facendo spallucce.
Elizabeth si lasciò cadere su una poltroncina, giungendo le mani al petto con aria sognante.
- Non solo è decisamente carino, ma è anche estremamente intelligente! Sono davvero in pochi in Inghilterra a vantare il grado di Tenente a solo diciotto anni! Mio padre sostiene che farà carriera! –
Cristal considerò quelle parole.
Diciotto anni? Il Tenente Norrington era davvero così abile da essersi guadagnato il grado ad una così giovane età?
- Questo può essere un problema… - sospirò, l’aria concentrata.
- Perché? – domandò Lizzie, incuriosita dall’espressione cupa e seria dell’amica.
- Mi stava simpatico, ma di questo passo finiremo per essere l’una contro l’altro! Già lo immagino: l’Ammiraglio Norrington, il più giovane Ammiraglio che la Marina Britannica ricordi, contro Capitan Cooper, il più famoso e abile pirata dei sette mari! Sarà uno scontro senza precedenti! – e rise, divertita ed elettrizzata dallo scenario che si era figurata.
Per un momento Elizabeth Swann tacque, spaventata dall’idea che quello scenario potesse davvero verificarsi e che un giorno dovesse ritrovarsi costretta a scegliere fra la sua migliore amica e il ragazzo che l’aveva vista crescere.
Scosse la testa e scacciò quell’assurdo pensiero, scoppiando a ridere e godendosi il gioco che avevano inventato.
Dopotutto, entrambe erano solo bambine…










 
Note

Lo so, sono vergognosa e dall'ultima volta che ho aggiornato sono passati ventimila anni... E' che capitemi, fra Maturità, un po' di meritate vacanze(?) e i maledettissimi esami universitari il tempo libero che mi ero auspicata è allegramente andato a farsi benedire... T.T
Comunque eccoci qui con un nuovo capitolo!
Finalmente siamo alla festa di compleanno di Elizabeth, dove Cristal e suo padre sono maledettamente affascinati dalle meraviglie di Villa Swann e Marion sembra avere ricordi che non la esaltano poi più di tanto... xD
Le nostre due amiche hanno modo di discutere un po' dell'imminente viaggio in Jamaica, mostrandoci sfaccettature del loro carattere che diventeranno centrali per la trama nei prossimi capitoli~
Ma adesso parliamo di lui, il personaggio che aspetto di introdurre sin dalla prima riga di questa fanfiction.
Signore e Signori ecco a voi l'unico e inimitabile James Norrington!
Okay, nel caso non si fosse capito James è uno dei miei personaggi preferiti della saga e qui lo vediamo in atteggiamenti decisamente inusuali per quel manico di scopa del Tenente/Commodoro/Ammiraglio Norrington.
Koori è andata in OOC? James si è bevuto il cervello? E' stata una cosa momentanea o dovremo vederlo sorridere per tutta la fanfiction?
Non temete, il buon vecchio James rimane il solito Bigodino ligio alle regole di sempre, anche se molto presto scopriremo lati del suo carattere che si è sempre impegnato bene a celare...
Vi ho incuriositi? Beh, lo spero! xD

Ps: probabilmente l'età di Norrington vi avrà lasciati perplessi. Per esigenze di copione ho modificato leggermente alcune date, o meglio, lassi di tempo della storia originale. Non vogliatemene, questi piccoli cambiamenti saranno ininfluenti per quanto riguarda la trama del film, ma essenziali per la verosimiglianza dei miei personaggi.
E sì, James è un marinaio cazzuto e stra raccomandato. <3 xD


Come al solito grazie mille a chi legge/segue/recensisce, mi rendete un'autrice felice! <3

Big Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Chapter 4 ***







Capitolo Quarto~


Marion Hawke sospirò.
In quelle ore le nuvole sembravano essersi addensate ancor di più, tanto che ormai all’esterno della villa pareva essere notte fonda.
Iniziava ad avvertire un leggero mal di testa, che imputò più al locale affollato e all’incessante chiacchiericcio che a un suo essere affaticata dai pensieri che la tormentavano in quei giorni. Dopotutto non si sarebbe mai perdonata una debolezza così umana come la stanchezza.
“Pretendi troppo da te stessa, Marion” le aveva detto infinite volte suo marito, nel tentativo di spianare quel lato così autocritico del suo carattere, tuttavia nemmeno l’impegno costante di Jim sembrava aver sortito alcun effetto in quegli anni.
Sempre all’erta, sempre con le orecchie tese a captare ogni minimo particolare. I passi falsi non erano ammessi, le debolezze non erano contemplate. Questo era stato l’insegnamento maggiore che aveva tratto dagli anni della sua adolescenza e che, fino ad ora, non si era mai rivelato sbagliato.
Peccato solo che l’eccesso di prudenza, a volte, non la portasse a godersi appieno la vita.
- Si sta facendo tardi, forse è meglio se torniamo a casa… - sussurrò all’orecchio di Jim nonappena i due riuscirono ad appartarsi un momento dalla folla di amici e conoscenti del Governatore Swann.
- Cos’è che ti turba? – domandò lui, che sapeva fin troppo bene come interpretare l’incupirsi improvviso degli occhi di sua moglie.
- Pare che non se ne siano ancora andati. Ne parlano anche gli alti Ufficiali, sembra che la faccenda inizi a destare sospetti. – fu la sua replica stringata, lo sguardo basso e le dita lunghe e affusolate a tormentare il suo ciondolo.
Jim tacque, mentre le raffiche di vento sferzavano le finestre e l’acqua colava lungo i vetri.
Non gli piaceva quella situazione, non gli piaceva per niente.
Eppure, mentre il suo cuore rallentava i battiti quasi avesse temuto di tradire la sua presenza, il suo spirito gli ricordò una prospettiva che si apriva di fronte a loro in modo più che provvidenziale.
Sarebbero andati in Jamaica, si sarebbero lasciati Londra e i loro timori alle spalle, avrebbero ricominciato la loro vita da capo, cancellando con un colpo di spugna tutti i pensieri che avevano incupito i loro sogni.
Avrebbero preso il largo, lui, Marion e Cris, e nulla sarebbe andato storto, lo sentiva.
- Sono solo quindici giorni, vedrai che andrà tutto bene. – sorrise poi, accarezzandole dolcemente una guancia.
Marion annuì, ma in cuor suo non si sentiva affatto tranquilla: per assurdo, era proprio lo scadere di quell’attesa a preoccuparla.
Lasciò che i suoi occhi grigi seguissero i passi del marito e si soffermò ad osservare lui e sua figlia da lontano.
Vide Jim dire qualcosa a bassa voce e Cristal sbuffare in modo davvero poco aggraziato prima di fare un cenno ad Elizabeth, in piedi accanto a lei, e cercare con gli occhi il Governatore.
Strinse la sua collana fra le mani e lasciò scivolare il ciondolo nella scollatura del vestito, chiedendosi se accettare l’invito in Jamaica fosse stata una scelta saggia.
Chiuse gli occhi e trasse un lungo sospiro, poi si incamminò verso la sua famiglia; in ogni caso, ormai, il danno era fatto.
 



 
 
Dal Quindici Ottobre Cristal ed Elizabeth non si erano più viste, entrambe fagocitate dai preparativi per il viaggio.
Gli ultimi giorni del mese avevano infine potuto godere dei tenui raggi del sole che, discretamente e senza fretta, si era fatto vedere e aveva preso a scaldare i tetti delle case, donando un po’ di pace ai gatti e ai gabbiani.
Nonostante il lavoro in casa Cooper certo non mancasse, Marion aveva prestato particolare attenzione affinchè Cristal non saltasse nemmeno una delle lezioni di Grammatica, Calcolo, Francese e Geografia alle quali la sottoponeva settimanalmente.
La ragazzina detestava quelle interminabili ore tolte al gioco o alla lettura, ma sua madre era irremovibile e dopotutto se davvero voleva diventare il migliore dei pirati in circolazione avrebbe dovuto istruirsi come si deve.
Fra una delle severe lezioni di sua madre e qualche passeggiata fino al mercato di Covent Garden, alla fine, anche il giorno della tanto attesa partenza per i Caraibi era arrivato, avviluppato in una coltre di sottile pioggerellina.
- Era troppo bello per essere vero… - sospirò la ragazzina spiando attraverso le pesanti imposte di legno.
- C’era da aspettarselo. Speriamo di avere bel tempo sul Canale… - commentò Marion spazzolandosi energicamente i capelli alla luce di un paio di candele.
Erano da poco passate le cinque del mattino e la carrozza che i Swann avevano messo a loro disposizione per raggiungere i docks era appena arrivata, e Jim si stava adoperando per caricare tutte le casse senza bagnarsi troppo.
- Il Canale non è uno dei tratti di mare più pericolosi al mondo? – domandò Cristal, gli occhi spalancati dall’emozione.
Sua madre scosse la testa, divertita.
- Appunto. Ma scommetto che a te non spaventa nemmeno un po’ la prospettiva di incappare in una tempesta, vero Capitan Cooper? – scherzò, scompigliandole affettuosamente i capelli.
Quella scosse la testa con vigore e andò a sedersi sullo sgabello incrociando le gambe.
- Proprio per niente! Anzi, penso che sarebbe elettrizzante! Poi mi piacciono i fulmini! – esclamò dondolandosi avanti e indietro.
Marion scoppiò a ridere e si portò una mano alle labbra.
- Certo, elettrizzante! Fidati, non vi è nulla di elettrizzante a ritrovarsi con l’albero di maestra squarciato da un fulmine e Belle Ile in rotta di collisione a babordo… E stai seduta bene! – la rimbeccò senza particolare intenzione.
- Sei stata davvero in rotta di collisione con Belle Ile senz’albero di maestra?! – fu il gridolino della bambina che, avendo udito in ritardo l’ammonimento di sua madre, si sbilanciò sullo sgabello e cadde a terra, mettendo le mani avanti appena in tempo.
- Ma che sciocchezza, Cristal. E quando mai ne avrei avuto l’occasione? Sai benissimo che non sono mai stata in Bretagna! – continuò a ridere dopo che si fu accertata che non si fosse fatta male.
- Questi sono solo vecchi racconti, cose che ho sentito quando studiavo Rouen dai miei zii… - aggiunse poi, una luce malinconica negli occhi.
Fu in quel momento che la testa di Jim fece capolino dalla porta.
- Siete pronte? I Swann ci staranno già aspettando da un pezzo! –
Durante il tragitto da casa ai docks Cristal non prestò alcuna attenzione a quello che dicevano i suoi genitori: da lì a poco sarebbe salpata assieme a Elizabeth alla volta dei Caraibi e le loro avventure sarebbero finalmente incominciate!
Chiuse gli occhi e si concentrò sul rumore della pioggia che picchiettava sul tetto della carrozza, lasciando che quel suono si mutasse, nelle sue fantasie, nello sciabordio delle onde contro la chiglia della nave.
Il vento fresco dell’estate le scompigliava i capelli mentre, in cima alla murata, stringeva in mano la sua sciabola e osservava orgogliosa il Jolly Roger sventolare dall’alto del pennone.
Con un po’ di impegno poteva immaginare l’odore del sale sulla pelle e sentire le grida dei gabbiani che volteggiavano in circolo sulla sua testa.
Fu con un pizzico di stupore che riaprì gli occhi di scatto quando si accorse che i gabbiani che udiva erano reali e non frutto della sua immaginazione.
- Su, Cristal, siamo arrivati… - la voce di sua madre la richiamò del tutto alla realtà, mentre le sue mani delicate la sospingevano piano verso l’esterno.
Appena si ritrovò all’aria aperta inspirò profondamente, lasciando che le gocce di pioggia le imperlassero il viso; voleva godere appieno ogni singolo momento di quello che sentiva sarebbe stato un giorno più che memorabile!
Mosse qualche passo lungo il molo attenta a non mettere i piedi nelle grandi pozzanghere, mentre con gli occhi cercava i volti familiari di Lizzie e di Weatherby Swann, ma il paio d’occhi stupiti che incontrò al loro posto le fece spalancare la bocca di sorpresa.
Sul molo, sotto la pioggerella fine e appena rischiarato dai primi bagliori del giorno, stretto nella sua giacca blu, in viso un’espressione stupita quanto la sua, se ne stava il Tenente James Norrington.
- Buongiorno… - balbettò, imbarazzata da quello sguardo che sembrava volerle scrutare l’anima.
Norrington fece un cenno con il capo, riacquistando la compostezza che si doveva ad un uomo del suo calibro.
- Buongiorno Miss Cooper. – replicò educatamente, ma senza scomporsi troppo.
Fu a quel punto che i Swann fecero la loro comparsa.
- Che ci fa lui qui?! – sibilò Cristal all’orecchio di Elizabeth lanciando una lunga occhiata al giovane Tenente.
La ragazzina fece spallucce e soffocò con difficoltà uno sbadiglio.
- Torna a casa, è mio padre che ha insistito affinchè venisse in Jamaica con lui. – replicò, approfittando dei saluti che Weatherby, James e i Cooper si stavano scambiando per sbadigliare ancora senza esere notata.
- A casa? Vuoi dire che lui non è nato in Inghilterra? – incalzò la figlia del fabbro, assetata di informazioni su quell’individuo così singolare.
Ma Elizabeth la liquidò con un gesto della mano.
- Ti prego, Cris, sto morendo di sonno… Te lo racconto più tardi, va bene? –
E fu così che, una volta saliti a bordo, il grande Capitan Cooper si vide costretto a salpare le ancore senza il supporto del suo braccio destro Capitan Swann.
La H.M.S. Dauntless, il grande veliero che li avrebbe traghettati attraverso l’Oceano Atlantico fino alla città di Port Royal, era una nave moderna che vantava ottime prestazioni e un equipaggio selezionato.
Cristal, che avrebbe voluto più di ogni altra cosa assistere alla partenza, fu costretta a seguire i suoi genitori sottocoperta nella cabina a loro destinata e si sentì sui carboni ardenti finchè non si furono addormentati.
Quando, un paio d’ore dopo, riuscì finalmente a sgattaiolare sul ponte di coperta, ormai erano già salpati, e Londra scivolava placida lungo i fianchi della nave.
Camminò avanti e indietro per il ponte, osservando con curiosità il lavorio incessante dei marinai e figurandosi mille e mille avventure, poi si affacciò al parapetto di tribordo e prese a canticchiare una vecchia canzone che le aveva insegnato sua madre. A poppa, James Norrington osservava la città svanire nella bruma del mattino, i tetti illuminati dai pallidi raggi del sole che faceva timidamente capolino fra le nuvole.
Nei giorni a seguire le speranze di Marion vennero assecondate, e il viaggio della Dauntless fu benedetto da sole pieno e venti favorevoli.
Cristal, che quando Elizabeth era costretta a rimanere sottocoperta adorava interrogare i marinai sulle loro mansioni, aveva già fatto amicizia con un gruppetto di membri dell’equipaggio, divertiti dal suo zelo e dalla sua fantasia.
In particolar modo le bambine amavano passare i pomeriggi assieme a Joshamee Gibbs, il nostromo.
Costui, infatti, un uomo dagli spessi basettoni grigi e dalla smodata passione per il rum, era a conoscenza delle più belle storie su pirati e affini, e non aveva avuto bisogno di particolare impegno per guadagnarsi la simpatia delle ragazzine.
Si lamentava spesso del fatto che ospitare ben tre donne a bordo fosse una sciagura per la nave, ma alla fine aveva messo da parte la superstizione, spiazzato dalla stranezza dei giochi che Cristal ed Elizabeth organizzavano tutti i giorni e che nella maggior parte dei casi lo coinvolgevano nel ruolo del nemico.
Cristal aveva notato che Elizabeth evitava sempre accuratamente di giocare ai pirati in presenza di Norrington, ma non aveva mai approfondito la faccenda; dopotutto a lui spettavano per la maggior parte i turni in cui Elizabeth rimaneva sottocoperta con suo padre…
Quando né Lizzie né Gibbs erano disponibili, la ragazzina obbligava sua madre a salire sul ponte di coperta per tenerle compagnia.
Chiacchieravano a lungo, cantavano assieme, Cristal la osservava ricamare e pendeva dalle sue labbra quando leggeva per lei, ma si era accorta che, da quando erano saplati, Marion era cambiata.
Forse andare per mare la annoiava un poco e una volta giunti a destinazione quell’espressione malinconica sarebbe svanita dai suoi occhi; dopotutto navigavano ormai da un mese…
Fu un pomeriggio dopo pranzo che la quiete a bordo della Dauntless venne infranta all’improvviso.
Cristal era salita sul ponte di coperta per giocare con Elizabeth, ma prima che potesse individuarla era incappata in James Norrington.
- Buongiorno, Tenente! – fece con un sorriso radioso e un inchino.
- Buongiorno a voi, Miss Cooper! – replicò quello sorridendo a sua volta.
La ragazzina alzò gli occhi al cielo e sospirò.
- Si è alzata la nebbia… Fino a poco fa era bel tempo! – osservò, con una nota di disappunto nella voce.
Norrington si strinse nelle spalle.
- Capita a queste latitudini. – mentì, in volto un’espressione leggermente tesa.
- Vedo che il cattivo tempo non vi demoralizza affatto! – constatò poi, notando che il sorriso non accennava a svanire dalle labbra pallide e sottili della bionda.
Cristal rise e si strinse nelle spalle, seguendo il Tenente nella sua passeggiata verso la prua della nave.
- Mi piace navigare! Finchè abbiamo il vento a favore e le carte sottomano la nebbia non deve preoccuparci, no? –
- All’incirca… - sorrise di fronte al suo ingenuo ottimismo.
Fu a quel punto che una voce li distrasse dai loro discorsi.
Si trattava di Gibbs, intento a rimproverare Elizabeth per chissà cosa.
- Mister Gibbs, basta così. – lo redarguì Norrington.
L’uomo si voltò di scatto, imitato da Elizabeth.
- Stava cantando una canzone di pirati, Signore! Porta male cantare di pirati impegolati come siamo in questa nebbia innaturale, parola mia… -
James lo congedò senza particolare riguardo, e il Nostromo si allontanò borbottando qualcosa contro le donne, tracannando senza ritegno dalla sua fiaschetta di rum.
Cristal gli rivolse un sorrisetto divertito e andò ad affiancare Elizabeth, accorgendosi in quel momento della presenza del Governatore Swann.
- Io credo che conoscere un pirata sarebbe emozionante! – azzardò Lizzie, intenzionata a difendere la sua canzone.
L’amica annuì, pronta a darle manforte, ma il Tenente Norrington intervenne prima che potesse formulare un qualsiasi pensiero.
- Ricredetevi, Miss Swann. – sentenziò, educato e tuttavia tagliente nel suo sorriso sarcastico.
Intrecciò le mani dietro la schiena e superò Weatherby Swann, raggiungendo le ragazzine a prua.
- Vili e dissolute creature, tutti loro. – pronunciò con astio, scandendo bene le parole affinchè sia Elizabeth che Cristal potessero apprenderne appieno il significato.
La figlia del fabbro inarcò un sopracciglio, infastidita da quella definizione, ma Norrington parve non accorgersene.
- Verrà il giorno in cui ogni uomo che naviga sotto bandiera pirata o è stato marchiato come tale avrà ciò che merita… – si concesse una piccola pausa al fine di assicurarsi l’attenzione delle due, poi riprese il suo discorso, accompagnando le sue parole aspre e violente con un sorrisetto compiaciuto.
- Poca corda e caduta sorda! –
Elizabeth, confusa, si voltò verso Gibbs in cerca di spiegazioni, ma Cristal non notò la sua teatrale interpretazione di un’impiccagione: lei aveva capito immediatamente a cosa si riferisse Norrington, e il disgusto nei confronti di quel verdetto così disumano le impediva di distogliere gli occhi spalancati dalla figura del Tenente.
Swann, che aveva notato lo sguardo d’orrore sul volto della ragazzina, temette che le parole di James Norrington potessero avere un effetto negativo su sua figlia, e si affrettò ad esporre il suo disappunto nei confronti della sua esposizione colorita.
- Le mie scuse, Governatore Swann… - borbottò a capo chino, per poi allontanarsi a passo sostenuto.
Cristal, scioccata e disgustata da quello scambio di opinioni, lanciò una lunga occhiata alla schiena del Tenente e prese a camminare spedita verso le scale che conducevano sottocoperta, senza preoccuparsi che Elizabeth la seguisse o meno.
Aveva bisogno di sbollire il nervoso, e non voleva certo farsi vedere da Swann, o peggio, da Norrington.
Proprio mentre stava per imboccare le scale, però, dal buio del ponte inferiore apparvero a braccetto Marion e Jim.
- Cristal! Hai trovato Elizabeth? – le domandò suo padre, accorgendosi troppo tardi dell’espressione cupa sul volto della figlia.
- Stupidi Bigodini. – sibilò lei in tutta risposta.
Marion alzò lo sguardo sul ponte fino ad incontrare la figura del Tenente Norrington in piedi a poppa, intento a fissare la scia della Dauntless.
Scosse la testa, pronta a rimproverare la figlia per il suo eccesso di zelo nella difesa della pirateria, ma uno strano odore che con l’acqua salmastra e il legno bagnato non aveva nulla a che fare le pizzicò le narici.
- Sentite anche voi questa puzza di bruciato? –
Ma le risposte dei suoi familiari vennero soffocate da un grido acuto e agitato, la voce di Elizabeth Swann.

 







 
Note

Finalmente, Signore e Signori, siamo riusciti a partire alla volta dei Caraibi!
Cristal, fantasiosa com'è, riesce a vedere avventure anche in quel dei brumosi docks di Londra, e nonostante in certe occasioni si ritenga una gran signorinella matura e vissuta è evidente quanto in moltissimi aspetti sia ancora ingenua ed infantile.
Nel frattempo, mentre Marion continua a preoccuparsi per chissacché e quel santo di Jim tenta in tutti i modi di tranquillizzarla, abbiamo fatto la conoscenza di un nuovo personaggio, quel simpatico tasso brontolone di Mr Gibbs! Personalmente lo adoro, e immaginarlo dar corda ad Elizabeth e Cristal nei loro giochi mi fa sorriere come una scema.
Boh, ho sempre pensato che Gibbs, superstizione a parte, ci sapesse davvero fare con i bambini.
Chi invece non ci sa fare proprio in generale è il caro Tenente Norrington, simpatico come una zitella inacidita.
Il fatto è che il poveretto sarebbe anche un bravo ragazzo, ma se solo si nominano i pirati anche lontanamente... beh, insomma, l'avete visto come reagisce. <3
Ma per quale motivo Elizabeth avrà mai dovuto gridare? Cos'avrà visto fra i flutti e la burma?
Beh, dai, questa scena la conosciamo tutti talmente bene che non avete nemmeno bisogno di anticipazioni! xD
Dal prossimo capitolo, come avrete infatti capito, apparirà sulla scena anche il giovane Will Turner, con i suoi misteri avvolti nella nebbia.
Cosa accadrà? quanto ci metterà la Dauntless a raggiungere Port Royal?
E soprattutto, Cristal e James si scanneranno a morsi o riusciranno ad andare d'accordo almeno fino allo sbarco?
Meglio non parlare di pirati, o qui seriamente ci scappa il morto~

Ps: un piccolo appunto personale e completamente inutile. Amo la relazione fra Marion e Cris. Quelle due sono la coppia madre-figlia più adorabile che sia mai esistita(?).

Grazie per la pazienza, le recensioni, la voglia di leggere e tutto il resto! <3

Big Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Chapter 5 ***






Capitolo Quinto~



- Guardate, un ragazzo! C’è un ragazzo nell’acqua! –
James Norrington si voltò di scatto e tornò di corsa verso l’albero di maestra, sporgendosi dalla murata per guardare meglio il punto che Elizabeth stava indicando con il dito.
- Uomo in mare! -
Quel richiamo fu come una detonazione: improvvisamente il ponte, che fino a quel momento era stato tranquillo e silenzioso, si infiammò di urla e schiamazzi, scalpiccii e imprecazioni.
Tutti gli uomini della Dauntless abbandonarono le loro posizioni per tentare di recuperare il corpo del ragazzino, che venne issato a bordo e in men che non si dica adagiato sul ponte.
Respirava ancora.
Cristal cercò di divincolarsi dalla persa di sua madre per andare a sbirciare più da vicino, ma un sussulto della donna la fece voltare di scatto verso prua.
- Maria Madre di Dio. – fu il commento di Joshamee Gibbs.
A poche centinaia di metri sulla rotta della Dauntless, ciò che rimaneva di quello che doveva essere stato un possente vascello andava a fuoco, rovesciando il fumo acre e denso nella nebbia.
- Cos’è successo qui? – domandò il Governatore Swann, sconvolto.
Il primo a riaversi fu Norrington, che tentò di razionalizzare l’accaduto nonostante tutti i presenti potessero leggere a chiare lettere sul suo volto un’idea differente.
- Probabilmente il deposito munizioni, i vascelli mercantili viaggiano molto armati. –
Gibbs scosse la testa, esternando il pensiero che aveva attraversato il cuore di tutti i presenti.
- Con quale risultato? Lo pensano tutti, io ho il coraggio di dirlo. Pirati. – sibilò, il calore delle fiamme che iniziava ad accarezzare i loro visi.
- Cristal, fila immediatamente sottocoperta. – ordinò Marion con una severità che mai la figlia aveva udito nelle sue parole.
- Ma Mamma, hai sentito? Potrebbero essere pirati! – si lamentò con uno sguardo eloquente e tuttavia eccitato.
La donna tese le labbra in un’espressione seria, che non ammetteva repliche, mentre Jim prendeva sua figlia per mano e la conduceva lontano dalla murata.
- Papà, ti prego! Lasciami rimanere a guardare! – cercò di convincerlo, strattonando con forza per liberarsi dalla presa ferrea dell’uomo. Quello non rispose né accennò a lasciarla andare, gli occhi puntati sul mare in fiamme di fronte a loro.
Cristal ebbe appena il tempo di vedere sua madre raggiungere il parapetto e sporgersi in avanti, negli occhi una luce che la confuse.
Quella non era paura, no. Era un sentimento diverso, più sottile...
Poi suo padre la tirò per un braccio e la obbligò a scendere le scale, lasciando che il buio dell’ambiente li fagocitasse.
La faccenda venne chiarita solamente il mattino successivo, quando finalmente il ragazzino, tale William Turner, fu abbastanza in forze per mettersi sulle proprie gambe.
Aveva dodici anni ed era originario di Glasgow, cosa che lo fece entrare immediatamente nelle grazie di Jim Cooper. A valore aggiunto, si scoprì che il giovane Turner aveva lavorato per qualche mese in apprendistato presso la bottega di un fabbro prima che la madre lo inviasse nel Nuovo Mondo sulle tracce del padre, salpato in cerca di fortuna quando lui era ancora in fasce.
- Era da poco passato mezzogiorno quando ci hanno attaccati.  – spiegò, divorando le gallette che gli erano state portate dal cuoco di bordo.
- Nessuno li ha visti arrivare, sono come emersi dalla nebbia! –
A quella confessione Cristal ed Elizabeth si scambiarono uno sguardo complice e trattennero il fiato: quella sembrava avere tutte le carte in regola per essere la migliore storia di pirati che avessero mai udito.
Fu come al solito il freddo e razionale Tenente Norrington a rovinare loro la festa, schiarendosi la voce per rendere la sua obbiezione ancora più fastidiosa.
- I vascelli non emergono magicamente dalla nebbia, Signor Turner. Quella nave avrà pur seguito uno straccio di rotta… -
Cristal roteò gli occhi; non aveva ancora perdonato James della sua infelice uscita contro i pirati, e l’evidente diffidenza che provava nei confronti di William non faceva che incentivare l’indisponenza della ragazzina verso l’Ufficiale.
- Suvvia, Tenente, non siate severo nei confronti del giovane William, per lui deve essere stato un bello spavento trovasi sotto attacco da parte di… di simili individui, ecco… - venne in suo soccorso Swann, convinto che non parlando del problema tutto si sarebbe risolto svanendo nella stessa nebbia dalla quale era comparso.
- E poi cos’è successo? Vai avanti! – incalzò Cristal, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Norrington.
Sembrava che l’intesa che si era creata fra di loro alla festa di Elizabeth fosse svanita completamente nel nulla da quando erano salpati.
William cercò di ignorare il personalissimo battibecco che aveva intuito essere in atto fra i due e si era affrettato a rispondere.
- Prima che potessimo reagire in qualsiasi modo è incominciato l’arrembaggio e i pirati hanno invaso il nostro ponte. A bordo c’erano donne e bambini, è stato l’Inferno… - sibilò, gli occhi bassi sulle mani strette a pugno.
Elizabeth gli mise una mano sulla spalla, mentre James lo imitava nell’ira trattenuta.
A quel punto Marion, che se n’era stata in silenzio fino a quel momento, si fece sentire.
- E i pirati? Che aspetto avevano? –
Jim le rivolse uno sguardo obliquo, ma nessuno parve accorgersene.
- Io… Io non saprei, Signora… - indugiò il ragazzo.
- Ho cercato di difendermi come meglio potevo, ma… Insomma, sono stato sbalzato in mare praticamente subito, non saprei… Ho fatto appena in tempo ad aggrapparmi ad una tavolaccia che era piombata in acqua mentre ci cannonavano, poi ho visto i pirati fare dietrofront e tornarsene alla loro nave e allontanarsi di gran carriera. –
- E poi il vostro vascello è saltato per aria. – commentò Gibbs, della cui presenza, nell’apprensione comune, nessuno aveva avuto modo di lamentarsi.
William annuì, gli occhi scuri ulteriormente rabbuiati dal ricordo dell’esplosione.
- Ho sentito storie simili a questa in Inghilterra e in Irlanda, ma saranno almeno dieci anni che non si sa più nulla di quel Capitano… Onestamente credevo fosse morto… - spiegò poi il Nostromo.
- Volete dire che c’è un uomo che fa saltare in aria sistematicamente tutti i vascelli che incontra? – domandò Swann, terrorizzato dall’idea di essere stato così vicino ad un simile individuo.
- E si può sapere chi sarebbe questo scellerato? – la voce di Norrington tremava di rabbia ed era chiaro come il sole che il ragazzo stava facendo appello a tutto il suo autocontrollo per non sbottare.
Gibbs trasse un sorso dalla sua fiaschetta di rum per bagnarsi la gola e sospirò.
- Non ho idea di quale sia il suo vero nome… Mi sembra di ricordare che porti il nome di un rapace, ma non saprei dire di più. In Francia parlano di lui come del Faucon du Nord, ma questo è tutto quello che so… -
Il Governatore Swann, però, doveva ritenere che sua figlia avesse già ottenuto materiale sufficiente su cui fantasticare, perché prese a sospingerla gentilmente verso le scale che portavano al ponte di coperta.
- Coraggio, accompagnate il giovane William a fare una passeggiata all’aperto! E’ una così bella giornata che sarebbe un peccato non approfittarne… - incalzò, rivolto ad Elizabeth e a Cristal, che pendevano letteralmente dalle labbra di Gibbs.
Le due ragazzine obbedirono controvoglia, trascinandosi dietro il nuovo amico, che in tutta onestà era più che felice di poter togliersi dal centro dell’attenzione per qualche momento.
- E così sei di Glasgow! Anche mio padre è nato lì! – esclamò Cristal quando furono abbastanza lontane dagli adulti per poter chiedere quello che davvero deisderavano sapere.
Il ragazzo annuì con un timido sorriso.
- E sei salpato tutto solo! Devi essere davvero coraggioso! – aggiunse Elizabeth, estasiata dall’idea di una simile avventura.
William arrossì e fece spallucce.
- A dire il vero non avrei potuto fare altrimenti, mia madre deve lavorare, non avrebbe mai potuto lasciare Glasgow per accompagnarmi… - confessò grattandosi il naso.
- E tuo padre? Lui ti aiuterà sicuramente, no? – incalzò Elizabeth, sperando di rallegrarlo.
Will alzò gli occhi al cielo e seguì per un poco il volo di una coppia di gabbiani.
- A dire il vero credo di aver perso per sempre le sue tracce… - sospirò.
- Ma non preoccupatevi per me! Quando sbarcheremo a Port Royal cercherò un lavoro, e appena avrò soldi a sufficienza li invierò a mia madre! – esclamò poi, un luccichio di volontà negli occhi.
Cristal si sedette su un barile di polvere da sparo e fece dondolare le gambe, il viso pieno di lentiggini illuminato da un sorrisetto compiaciuto e vagamente misterioso.
- Hai detto che hai lavorato a bottega da un fabbro, giusto? Mi è appena venuta un’idea… -





Tre giorni dopo sembrava che i tre ragazzini si fossero sempre conosciuti.
Will Turner non aveva perso tempo e aveva subito fatto amicizia con Cristal ed Elizabeth, unendosi ai loro giochi strampalati. All’inizio le due amiche avevano evitato accuratamente di parlare di pirati e quant’altro, ma ben presto avevano capito che Will era un tipo di cui ci si poteva fidare e che non avrebbe fatto storie di fronte alla loro strana passione.
Comportamento forse un poco indelicato alla luce dei recenti avenimenti, ma nessuno vi aveva fatto particolarmente caso. Dopotutto erano solamente bambini e si sa, i bambini dimenticano in fretta le disavventure.
Qualcuno che invece proprio sembrava non voler lasciarsi alle spalle l’incidente al quale avevano assistito era il Tenente Norrington.
Cristal aveva notato che continuava a lanciare occhiate in tralice a William e che spesso borbottava in disparte con il Capitano Thompson, senza tuttavia distogliere lo sguardo dal loro gruppetto.
Era stato il pomeriggio del quarto giorno da quando avevano salvato Will che, in un momento di tranquillità, l’aveva avvicinata.
- Buongiorno, Miss Cooper. – l’aveva salutata con un sorriso gentile.
La ragazzina si era guardata intorno, sorpresa da quell’approccio che ormai non riteneva più possibile attribuire al Tenente.
Ricambiò il saluto senza che la sua espressione guardinga abbandonasse il suo visetto affilato.
- Bella giornata, non trovate? – continuò Norrington.
Cristal annuì, incuriosita e al contempo preoccupata dalla vaghezza di quelle parole.
- Siamo quasi arrivati, vero? I gabbiani sono aumentati… - osservò con un cenno alla coffa, attorno alla quale volteggiava un gran numero di gabbiani.
Gli occhi del ragazzo vennero attraversati da un guizzo di ammirazione.
- Avete un ottimo spirito di osservazione, Miss Cooper! – si complimentò, facendo sì che la ragazzina gonfiasse inconsciamente il petto di orgoglio.
Il giovane Tenente si guardò attorno e trasse un profondo respiro, come se quel brevissimo lasso di tempo gli fosse stato vitale per scegliere con cura le parole che stava per pronunciare.
- Proprio per questo, Miss Cooper, mi sento in dovere di mettervi in guardia e di sconsigliarvi, come dire… certe frequentazioni… -
La ragazzina inarcò un sopracciglio, portando istintivamente le mani sui fianchi.
- Come, prego? – domandò, prevenuta.
Norrington si morse un labbro, consapevole della delicatezza che l’argomento richiedeva.
Dannato Swann, questa proprio non gliel’avrebbe mai perdonata!
- Ecco, vedete… Il Governatore Swann è molto preoccupato per l’influenza che il giovane William Turner potrebbe avere su sua figlia, e anche su di voi, dal momento che le sue origini dalla scarsa verificabilità… -
Ma Cristal lo interruppe.
- State forse insinuando che Will è un poco di buono? –
James sobbalzò, impreparato a tutta quella schiettezza.
Senza nemmeno rendersene conto si ritrovò a risponderle, il pugno serrato lungo il fianco.
- Non conosciamo nulla del suo passato, Miss Cooper, tutto ciò che sappiamo è che è stato ritrovato in mare dopo un arrembaggio. – sibilò, le labbra serrate dall’impazienza.
- Non vorrete accusarlo di essere un pirata! – esclamò la bambina, sconvolta da quelle conclusioni affrettate.
- Sssh! – bisbigliò Norrington, facendole segno di abbassare la voce.
L’ultima cosa che voleva era che il resto dell’equipaggio venisse a conoscenza di quella conversazione.
- Non sto accusando nessuno, ma così come non possiamo essere certi della sua colpevolezza, non possiamo nemmeno essere certi della sua innocenza. Nel malaugurato caso in cui il Signor Turner dovesse essere un pirata… -
- Cosa, “poca corda e caduta sorda”? – sbottò Cristal senza riuscire a tenere la lingua fra i denti.
Si pentì immediatamente delle sue parole temerarie, il viso di Norrington contratto in una smorfia severa che per nulla si addiceva alla sua giovane età.
- Certamente! E’ questo che meritano quei criminali, e se William Turner fosse uno di loro non gli risparmierei certo questa fine! – ribatté seccamente.
La ragazzina si morse un labbro per non replicare, ma fu completamente inutile.
Se c’era una cosa che ancora James Norrington non sapeva di lei era che difficilmente accettava la resa in una discussione.
- Impicchereste dunque un ragazzino di dodici anni semplicemente per… per un’ipotesi?! –
Norrington distolse un momento lo sguardo, per poi piantarlo in quello della bambina di fronte a lui.
- Senza indugio. Se lo lasciassi andare oggi solo perché ha dodici anni potrei dover recare a una madre la notizia della morte di suo figlio quando il Signor Turner ne avrà venticinque. –
Tacque, convinto di aver la vittoria in pugno.
- E’ la Legge, Miss Cooper. –
Quella frase che avrebbe dovuto mettere fine alla discussione, però, accese un nuovo fuoco negli occhi della figlia del fabbro.
- I miei genitori si sono impegnati a prendere Will a bottega finchè non sarà in grado di lavorare autonomamente. Mettete forse in dubbio la loro capacità di giudizio? –
James, già pronto a tornare sottocoperta, si fermò con la punta del piede ancora alzata.
Si voltò lentamente, in viso un’espressione stupita e infastidita.
- Auguro a tutti noi che le capacità di valutazione dei vostri genitori siano più che eccellenti, Miss Cooper. Ma nel caso dovesse succedere qualcosa a Miss Swann per colpa di questo ragazzo, voglio che ricordiate di essere stata messa in guardia. –
Cristal, indignata più che mai, era già pronta a rispondergli per le rime, ma la voce della vedetta si fece sentire al di sopra del fischio del vento.
- Terra! –
Quell’unica parola ebbe la facoltà di far dimenticare ai due contendenti il motivo del loro battibecco in un battito di ciglia.
Cristal corse ad arrampicarsi sulla murata di babordo e, tenendosi aggrappata ad una delle cime che si arrampicavano fin su per l’albero maestro, scrutò l’orizzonte.
Laggiù, sottile e vaporosa, della stessa consistenza dei sogni sul far del giorno, una sottile striscia bluastra faceva capolino dai limiti del mondo.
Terra.
Tutti abbandonarono le loro postazioni e si precipitarono lungo il parapetto, le mani sugli occhi a schermare il sole.
- Mamma, Papà! Si vede la costa! – esclamò Cristal alla vista dei genitori appena emersi dal ponte inferiore.
Pochi secondi dopo anche Elizabeth e Swann fecero la loro comparsa sul ponte di coperta, andando a raggiungere la ragazzina al parapetto.
Era vero, era là. Dopo trentaquattro giorni di navigazione, finalmente, quel mattino luminoso e terso aveva mostrato loro la tanto agognata meta.
Terra, Madre, Casa.
Marion posò le mani tremanti sul legno lucido del parapetto, le labbra morbide tese nel più gioioso dei sorrisi mentre suo marito la abbracciava da dietro e gli uomini della Dauntless lanciavano in aria i loro cappelli e cantavano festosi.
- D’ora in avanti tutto andrà bene… - sussurrò Jim Cooper all’orecchio d sua moglie, stringendola meglio fra le sue braccia.
Marion si specchiò un momento nei suoi occhi limpidi e sinceri, prima di posare lo sguado sulla sua bambina e seguire il suo indice puntato verso l’orizzonte.
Per la prima volta dopo una vita intera Marion Hawke si lasciò andare ad una risata limpida e cristallina, felice.
Era vero, da quel momento in avanti tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Adesso non doveva più preoccuparsi….







 
Note

Bentornati, cari lettori!
Un'applauso alla sottoscritta che dopo cent'anni è tornata ad aggiornare!
No, scherzavo, prendetemi a sprangate, sono vergognosa. E' che fra la scuola e il lavoro quest'anno ho avuto veramente poco tempo per scrivere e alla fine ho dovuto momentaneamente mettere questa storia da parte...
Terra!~
Finalmente i nostri eroi(?) sono giunti in Giamaica! Quale futuro li attende in quest'isola sconosciuta e piena di misteri? Beh, intanto abbiamo fatto la conoscenza di un nuovo personaggio centrale nella vita di Lizzie e Cris, ovvero il caro Signor Turner.
James, dolce e comprensivo com'è, ovviamente ha deciso di non fidarsi di lui e... boh, ho come la sensazione che quest'uomo prenda la legge un po' troppo sul serio... xD
Cristal, diciamo la verità, è una vera attaccabrighe, altro che una bambina di diceci anni! Ma che ci volete fare, un'inguaribile idealista come lei non si fa certo scoraggiare dalla sua tenera età. Purtroppo. xD
E chi sarà mai questo misterioso Faucon du Nord, Capitano Pirata che porta il nome di un rapace?
Beh, in realtà credo che l'abbiamo capito tutti... Ma dai, un po' di suspence non stona mai! (??)

Come sempre un ringraziamento a chi recensisce/preferisce/segue/legge/eccetera, siete persone stupende! <3
Alla prossima, sperando che non ci vogliano altri sei mesi... xD

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***







Capitolo Sesto~





La prima cosa a cui Elizabeth Swann aveva dovuto abituarsi una volta giunta a Port Royal era stata la luce.
Irriverente, dispettosa, regina indiscussa di ogni momento, la luce riempiva con prepotenza le giornate, costringendo Swann e il suo seguito ad adeguare al caldo umido della Jamaica le loro abitudini.
Tutto a Port Royal era diverso, inatteso, nuovo.
Il clima non aveva nulla a che vedere con i piovosi pomeriggi di Londra, la sabbia fine e bianca si lasciava trasportare pigramente dalla brezza in arrivo dal mare, rincantucciandosi negli angoli delle strade e accarezzando le palme, alte e sinuose sotto la loro corona di foglie verdi e lucide.
Il cielo terso e limpido della bella stagione era riuscito ad ammorbidire addirittura le preoccupazioni del Governatore, che aveva acconsentito affinchè sua figlia potesse, di tanto in tanto, abbandonare la grande villa sulla sommità della collina per scende in paese a giocare con la figlia dei Cooper.
Per Cristal Port Royal rappresentava il realizzarsi di un sogno: le stradicciole silenziose della città, più piccola e tranquilla della vecchia Londra, si erano rivelate perfette per i suoi giochi; spesso, quando Will finiva il suo turno di lavoro, i due uscivano a giocare e assieme perlustravano il borgo, facendo lunghe passeggiate sulla spiaggia o spingendosi in avanscoperta fino al Forte, dove soldati e marinai si affaccendavano a tutte le ore del giorno e della notte.
La figlia del fabbro adorava il Forte: il blocco centrale dell’edificio, adibito a quartier generale della Marina, era interdetto ai civili, ma l’accesso alla grande terrazza adiacente era libero, e per i ragazzi era un luogo perfetto dove trascorrere qualche ora in attesa che il caldo del mezzogiorno iniziasse a scemare.
Da lì si aveva una vista mozzafiato su tutta la baia, mentre i gabbiani facevano a gara di velocità lanciandosi in picchiata giù dallo strapiombo.
Spesso si dava appuntamento con Elizabeth proprio in quel luogo, e insieme ridiscendevano la strada che portava in paese chiacchierando animatamente e inventando mille avventure, seguite e controllate dall’occhio vigile del giovane Howard Smith, recentemente promosso a guardia del corpo di Miss Swann.
Fu proprio durante uno di quei pomeriggi di attesa che Cristal espresse per la prima volta il desiderio di imparare a tirar di scherma.
William avrebbe lavorato con suo padre fino al calar del sole, così Cristal si era data appuntamento con Elizabeth allo scoccare delle quattro, nella piazza di fronte alla chiesa. Stufa di attendere in casa, aveva ottenuto il permesso di fare una passeggiata fino al Forte e, baciata sua madre su una guancia, era schizzata via nell’afa del pomeriggio.
Portò con sé un vecchio libro che ormai sapeva a memoria e quando giunse in vista del Forte accelerò il passo, ben decisa a sedersi accanto al parapetto per leggere in tranquillità.
Quando però fece capolino dal colonnato si accorse di non essere sola: James Norrington era in piedi al centro della terrazza, nella mano destra una spada sottile e affilata.
Si muoveva lentamente, con precisione, come in una danza, e la ragazzina comprese che doveva star studiando qualche figura del combattimento. Quell’eleganza la affascinava e la incantava, e fu per questo che dimenticò completamente ciò che si era prefissa di fare, rimandendo invece imbambolata accanto a una colonna, all’ombra del porticato.
Fu solamente dopo alcuni minuti di allenamento che il Tenente si accorse di lei e arrossì in maniera vergognosa.
- Ah! Miss Cooper, non… non vi avevo sentita arrivare! – esclamò, imbarazzatissimo.
- Siete lì da molto? –
Cristal scosse la testa, salutandolo con un lieve inchino. Da quando erano arrivati a Port Royal non avevano più avuto modo di discutere di pirati e affini, e il loro rapporto era tornato a somigliare a quello instaurato al compleanno di Elizabeth: rispetto, curiosità e complicità.
- Solo un paio di minuti… Siete davvero bravo, Tenente! – si complimentò muovendo qualche passo in sua direzione.
Il ragazzo fece spallucce e le rivolse un sorriso gentile.
- Sono solo semplici esercizi per mantenermi allenato… - spiegò con modestia.
Un sorrisetto gli si dipinse sulle labbra quando notò il guizzo di curiosità negli occhi della ragazzina.
- Mi piacerebbe tantissimo saper maneggiare una spada… - sospirò la figlia del fabbro con aria sognante.
Norrington si guardò intorno e notando che la terrazza era deserta si chinò verso la bionda, abbassando la voce in tono confidenziale.
- Se volete posso insegnarvi le basi… -
- Davvero lo fareste?! – esclamò Cristal come se le avesse offerto in dono la luna.
Quello scoppiò a ridere e le porse l’arma con cui si stava allenando.
- Fate attenzione, è molto affilata… - la ammonì.
Cristal gli rivolse uno sguardo colmo di stupore e gratitudine assime, poi afferrò la spada e la soppesò con cautela.
- E’ leggera… - osservò, le guance rosse dall’emozione.
- Adesso mettetevi in posizione di guardia e puntate la spada verso di me… - la istruì, indicandole la postura corretta e prendendo la punta della lama fra le dita, per guidarla nella giusta direzione.
Le insegnò alcune figure fondamentali e abbastanza semplici, divertito dall’entusiasmo con cui la bambina eseguiva ogni movimento, ma ben presto una voce sconosciuta li costrinse ad abbandonare il bizzarro allenamento.
- Buongiorno James! –
Cristal si voltò di scatto, paonazza, e nascose la lama dietro alla schiena, terrorizzata dall’eventualità che qualcuno potesse vederla impegnata a tirar di scherma.
Norrington fu svelto a riappropriarsi dell’arma e a rinfoderarla.
- Salve, Lucas! – salutò all’indirizzo di un giovane non molto alto, dagli occhi e i capelli castani.
Cristal lo squadrò da capo a piedi, infastidita da quell’interruzione. Sapeva benissimo che non avrebbe avuto altre occasioni di esercitarsi con la spada, e sperava che quell’idilliaco momento in compagnia di James dovesse non finire mai, ma a quanto pare quel Lucas aveva sentito un bisogno impellente di rovinare tutto.
- Bigodino… - biascicò fra i denti nel notare la sua divisa rossa da sottoufficiale. Lo odiava già.
Lo sconosciuto emerse dal colonnato con un grande sorriso amichevole stampato sul volto.
- Buongiorno signorinella… - la salutò.
- Miss Cooper, permettetemi di presentarvi Lucas Gillette, un mio… caro amico d’infanzia… - lo introdusse Norrington, sebbene alla ragazzina fosse parso che avesse esitato nel definirlo amico.
- Lucas, questa è Cristal Cooper, la figlia del fabbro nonché cara amica di Miss Swann! – terminò le presentazioni con l’aria di chi avrebbe voluto essere in qualsiasi altro luogo eccetto quello.
- Quale onore, Christine! E che ci fai tutta sola al Forte? Oh, quel libro è per James? – domandò, chinandosi per raggiungere la sua altezza.
- Ehm… E’ Cristal… - gli fece notare, lievemente infastidita.
- E comunque il libro è mio. So leggere. – si sentì in dovere di specificare all’espressione stupita del marinaio.
Non le piaceva affatto il modo in cui si rivolgeva a lei, aveva l’impressione che la trattasse come una poppante. Certo,  solitamente i bambini ottenevano ben poche attenzioni, ma così era diverso, e dannatamente irritante.
- Ah, abbiamo a che fare con un piccolo genio! Anche James era così! Pensa che aveva solo tredici anni quando è partito per seguire i corsi a Londra! Tenente a soli diciotto anni… Sono certo che se quei dannati pirati non avessero massacrato i tuoi, ora tuo padre sarebbe davvero fiero di te, James! – esclamò, battendogli una sonora e sgraziata pacca sulla spalla.
Il gelo calò improvvisamente sulla terrazza.
Cristal alzò lo sguardo su Norrington, che lo puntò verso il mare.
Quella era una cosa di cui la giovane non era a conoscenza.
- Che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato? Oh, chiedo scusa, Cristal, ma non devi avere paura dei pirati… Qui a Port Royal non se ne vedono da secoli… - continuò Gillette, ingenuamente.
- Io non… - ribatté la bionda.
Avrebbe voluto dirgli che lei non aveva alcuna paura dei pirati, anzi! Eppure lo sguardo di James la ridusse al silenzio. Ora come ora la sola idea di salpare su una nave dalla bandiera nera la faceva sentire l’ultimo verme sulla faccia della terra.
Era dunque per questo motivo che James detestava tanto la pirateria!
Avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa per sbloccare quella situazione imbarazzante, ma non le veniva in mente nulla di conveniente.
Furono quattro sordi rintocchi di campana a salvarla.
- Sono già le quattro! Sono in ritardo! – esclamò muovendo qualche passo verso il colonnato.
- E’ stato un piacere, Signor Gillette! – mentì spudoratamente con un piccolo inchino.
- Tenente Norrington… - salutò poi, la luce nei suoi occhi spezzata dalle iridi velate del ragazzo.
- Buona giornata Miss Cooper, portate i miei saluti alla vostra famiglia… -  replicò educatamente.
La bambina annuì e con un sorriso imbarazzato si precipitò di corsa fino al luogo dell’appuntamento.
- Cristal! Stai bene? – domandò Elizabeth andandole incontro, Howard in piedi a qualche passo da lei.
- Sei bianca come un lenzuolo! – aggiunse in spiegazione.
La figlia del fabbro puntò lo sguardo a terra e la prese per mano, muovendo qualche passo lontano dalla guardia del corpo.
- Credo di… Norrington… Io… Se l’avessi saputo non avrei… - balbettò, ancora in imbarazzo.
- Cosa? – incalzò Lizzie.
- I suoi genitori. Perché non me l’hai detto? Oddio, gli ho detto cose terribili e lui… -
A quel punto la giovane Swann parve comprendere.
- Come l’hai saputo? Te l’ha detto lui? – si informò, seria come non mai.
Cristal scosse la testa.
- E’ stato un tizio, un certo Gillette… -
Elizabeth sospirò e si voltò per sincerarsi che Howard non fosse a portata d’udito. In ogni caso, per non rischiare, abbassò la voce e si avvicinò ulteriormente all’amica.
- Ascoltami bene, d’accordo? Questa è una storia di cui James non ha piacere che si parli, ma a questo punto non ha senso tenerla nascosta. Dopotutto qui a Port Royal tutti la conoscono… - incominciò, guadagnandosi la totale attenzione della biondina.
- Il padre di James, l’Ammiraglio Norrington, era un vecchio amico di mio padre. Fu trasferito a Port Royal alle dipendenze del vecchio Governatore, e sua moglie partì con lui. James nacque in questo luogo, dove visse fino all’età di tredici anni. Fu allora che suo padre riuscì a farlo imbarcare per Londra, dove iniziò a seguire i corsi per Ufficiali. Mio padre si offrì di garantire per lui e gli mise a disposizione un nostro vecchio possedimento poco lontano da casa nostra. Per quanto ho memoria James ha sempre fatto parte della nostra famiglia, in un certo qual modo. All’inizio eravamo gli unici che conoscesse a Londra, nonostante non ci avesse mai visto di persona. Due anni dopo il suo arrivo a Londra i Norrington decisero di venire a trovarlo, approfittando, credo, della scusa di una visita di cortesia a mio padre. A cinque giorni dalla partenza la loro nave fu attaccata dai pirati e tutti i viaggiatori furono massacrati senza pietà. Pochi sopravvissero all’attacco, e qualcuno si premurò di scrivere una lettera a James per comunicargli l’accaduto. Non lo ha mai fatto pesare in alcun modo, ha sempre tenuto tutto quanto dentro, ma persino io mi ero accorta di quanto soffrisse. Dopotutto aveva solamente quindici anni… - spiegò con un sospiro.
Cristal si morse un labbro, mortificata.
- E’ per questo che detesta tanto i pirati… - osservò.
Elizabeth annnuì, lo sguardo spento da ricordi spiacevoli.
- E’ sempre stato uno studente brillante, ma tutti ci siamo accorti che da quel giorno il suo impegno è aumentato notevolmente. Credo che non avrà pace finchè la pirateria non sarà solo un ricordo… -
Ci fu un lungo e denso momento di silenzio, poi Cristal decise di cambiare discorso.
- Sai, oggi mi ha insegnato a tirar di scherma! – esclamò, il suo solito sorriso di nuovo ad illuminarle l’espressione allegra e vispa.
- Chi, James? – Elizabeth, proprio come l’amica, parve dimenticare quella brutta storia e strabuzzò gli occhi, stupita dalla notizia.
- Ah, Lizzie, è divertentissimo! – cinguettò l’altra, mimando le mosse che il Tenente le aveva appena insegnato.
A quel punto un rumore di passi prese a risuonare sul selciato.
- Hey, Cris! Da quando sai combattere? – Will se ne stava in piedi alle loro spalle ed esibiva un sorrisetto divertito.
- Da oggi! In guardia, Turner! Ti sfido a duello! – e, ridendo, fece un piccolo affondo e gli punzecchiò i fianchi, mentre l’apprendista fabbro cercava di scansarsi ed Elizabeth faceva il tifo un po’ per l’una e un po’ per l’altro.
Come al solito, un buon gioco era stato in grado di far dimenticare loro ogni preoccupazione…
Quella sera stessa, a cena, Cristal aveva il profondo desiderio di imparare a tirar di scherma come si deve, adducendo la scusa che per un buon pirata era d’obbligo saper maneggiare una spada e che quella era un’occupazione che anche Will avrebbe volentieri intrattenuto. Marion aveva inarcato un sopracciglio, neanche poi troppo stupita dallo zelo che la figlia mostrava nei confronti di attività prettamente maschili, ma non era riuscita a imporsi sul marito che, divertito dalla prospettiva, si era subito offerto come insegnante di scherma per i due ragazzini.
- Jim, se in paese dovessero venirlo a sapere… - aveva argomentato la donna, severa e un po’ preoccupata dall’eventualità.
- Marion, sono solo dei bambini che vogliono divertirsi un po’! Nessuno farà obiezioni, stai tranquilla… -
E così, fra gli allenamenti di scherma segreti tenuti ogni giorno nel retrobottega e le passeggiate in riva al mare dove Will insegnò a Cristal a nuotare, fra i pomeriggi trascorsi con Elizabeth nei quali le due avevano finito per rendere il giovane Howard parte dei loro giochi e le ore trascorse in tranquillità al Forte in cerca di un po’ di frescura, due anni passarono veloci e più o meno tranquilli.
Spesso Cristal, di ritorno dal mercato assieme a sua madre, incontrava Joshamee Gibbs e si fermava a scambiare qualche parola.
Adorava quando l’uomo le raccontava le sue storie piene di avventure e di pirati, e anche Marion sembrava apprezzare la fantasia del marinaio.
Immancabilmente, la ragazzina riproponeva la narrazione ad Elizabeth, e insieme si divertivano ad impersonare i protagonisti delle varie avventure.
Era capitato che il Tenente Norrington le avesse sorprese nel bel mezzo di un arrembaggio, e se la figlia del Governatore decideva saggiamente di far finta di niente e sospendere il gioco, la stessa saggezza non si poteva certo attribuire a Cristal.
Testarda, aveva finito per convincersi del fatto che l’astio di Norrington nei confronti della pirateria fosse eccessivo e privo di qualsivoglia discernimento.
- Non tutti i pirati sono uguali, non tutti sono malvagi! – argomentava sempre, già sul piede di guerra, mentre l’amica tratteneva il respiro, incapace di frapporsi fra i due.
- In base a quale esperienza pronunciate simili giudizi, Miss Cooper? – ribatteva Norrington con scherno.
- Quando diventerò un pirata tratterò i nemici con rispetto e giustizia!- spiegava la ragazzina, quasi si trattasse di una sorta di promessa solenne.
- Quando diventerai…! Ti rendi conto di quello che dici?! –
- Prima o poi dovrai darmi ragione! - e finivano entrambi per perdere le staffe e passare dal voi a un ben meno rispettoso tu.
In tutto quello il giovane Howard non poteva fare a meno di ridacchiare sommessamente.
- Che c’è da ridere? Non starai mica dalla parte di quello là! – sbottava la ragazzina, ormai era entrata in confidenza con la guardia, quando il Tenente se ne andava.
Quello si toglieva sempre il cappello e, arrossedo appena, si passava una mano fra i corti capelli pel di carota.
- Fra te e Norrington non so davvero chi la spunterà! – commentava mentre, con un occhiolino all’indirizzo di Elizabeth, faceva scoppiare entrambe in una risata liberatoria.
Nessuno di loro, né Cristal, né Elizabeth, né Howard, né tantomento Norrington, sotto il sole cocente dell’estate giamaicana, avrebbe mai potuto immaginare che, a distanza di tre anni, quelle risate sarebbero state solamente un ricordo amaro e lontano…












 
Note

Buonsalve a tutti!
Lo so, in questo capitolo non succede assolutamente niente. Non vogliatemente, è che per questa storia ho da mettere tanta di quella carne al fuoco che ho bisogno di un po' di capitoli per non incasinare tutto quanto.
Il "protagonista" di questo capitolo, bisogna dirlo, è Norrington, del quale scopriamo qualcosina di più. Mi diverto tantissimo a scrivere di lui, e adoro vederlo sotto luci diverse. Ad esempio questo suo slancio di umanità nel far giocare Cris con la sua spada... Molto poco Norrington, direte voi.
Beh, sono d'accordo. Ma James ha moltissimi lati nascosti che emergeranno pian piano, e dopotutto qui è poco più che un ragazzino, anche se spesso lui è il primo a dimenticarsene...
In più è spuntato il caro(???) Gillette, un personaggio che combinerà diversi pasticci nella nostra storia!
E Howard... Oh, per colpa di qualcuno mi sono innamorata del caro Howard, temo lo rivedremo presto! XD
Come ho subdolamente insinuato nel finale, però, le cose non sono destinate a procedere tranquillamente come è successo finora, e già dal prossimo capitolo una gran bella tempesta inizierà a profilarsi all'orizzonte...
A proposito, sta per entrare in scena, anche se indirettamente, il personaggio che tutti aspettiamo(?).
Grazie mille a chi legge, recensisce ecc... Chiedo scusa se la faccenda qui procede a rilento, ma sono esigenze di copione... T.T
In ogni caso vi voglio bene, sappiatelo. <3
Alla prossima marea! ~

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***







Capitolo Settimo~







Qualcosa stava per cambiare, Cristal lo sentiva nell’aria.
Mancava poco più di un mese al tredicesimo compleanno di Elizabeth, e l’azzurro cielo settembrino sembrava ignorare i temporali che da lì a poco si sarebbero rovesciati sull’isola con la potenza di mille cascate.
In un anno e mezzo di duri allenamenti quotidiani Cristal e Will avevano dimostrato un vero talento per l’arte della scherma, anche se il fisico più sviluppato del ragazzo lo rendeva una spanna superiore all’amica.
- Non vale! Tu hai le braccia più lunghe, è ovvio che in affondo arrivi prima! – si lamentava la ragazzina sotto gli occhi attenti del padre, mentre l’apprendista le rivolgeva linguacce scherzose.
- In un leale duello ti ucciderei! – esclamava poi, suscitando la curiosità di William.
- Un leale duello? E questo non lo è, forse? – domandava lui, tornando ad incrociare le lame mentre la bionda eseguiva una perfetta cavazione e partiva in affondo.
Will parava terza ed evitava di essere colpito.
- Questo duello è soggetto a regole inverosimili! In una vera battaglia solo un folle non approfitterebbe di ciò che ha intorno per volgere lo scontro a suo favore!-
E continuavano a punzecchiarsi per tutto il pomeriggio, finchè l’allenamento non finiva e correvano in strada a giocare, in attesa che Elizabeth li raggiungesse.
Fu un giorno, dal libraio, che Cristal ne sentì parlare per la prima volta.
Da quando aveva scoperto quella piccola bottega non passava settimana che non vi si recasse e, anche se ormai aveva letto gran parte dei libri che il vecchio negoziante le permetteva di prendere in prestito, le piaceva rimanere in quel luogo a fantasticare.
Gibbs era salpato due mesi prima come scorta a un mercantile, e da quel giorno non si era più saputo nulla di lui. Cristal sosteneva che si fosse dato alla pirateria, ma in paese tutti lo avevano ormai dato per morto, così la ragazzina, con grande rammarico, aveva dovuto cercarsi qualcun altro che le raccontasse emozionanti e avventurose storie di mare.
Il vecchio Abraham, per fortuna, si era dimostrato all’altezza di quel compito e anzi, aveva dimostrato subito un grande affetto nei suoi confronti.
- Una donna che legge è come una rosa canina: rigogliosa e stupenda nei terreni impervi, ma da difendere ed incoraggiare fra i fiori di un giardino. – le aveva detto un giorno, porgendole “La Dodicesima Notte” di Shakespeare.
Si chiamavano per nome e si davano del tu, ma entrambi nutrivano stima e rispetto reciproci.
Cristal voleva bene ad Abraham: non solo non la trattava come una bambina, ma addirittura si prendeva la briga di interessarsi alle sue opinioni, ascoltando attentamente cosa pensasse a proposito della pirateria o di mille altri argomenti.
Quel pomeriggio si stava davvero bene all’aria aperta così, in assenza di clienti, avevano deciso di mettersi a chiacchierare seduti sulla panca al di fuori del negozio.
- Davvero è riuscito a fare tutto questo da solo?! – esclamò la ragazzina quando l’anziano signore ebbe terminato il suo racconto.
- E senza espoldere un colpo! Me l’ha raccontato ieri un marinaio giù al porto… - confermò Abraham sistemandosi gli occhialetti tondi sul naso aquilino.
- Vuoi dire che un singolo uomo è stato capace, senza aiuto alcuno, di rubare indisturbato una fregata sotto gli occhi di tutta Santo Domingo senza nemmeno combattere?! – la ragazzina non riusciva a credere alle sue orecchie, come poteva essere? L’impresa aveva davvero dell’impossibile!
Il libraio ridacchiò sommessamente, lasciando che il sole caldo del primo pomeriggio gli scaldasse le ossa stanche.
- Sembra proprio che questo Sparrow ci sappia fare! – commentò, pregustando la reazione di Cristal.
Come da pronostico, questa balzò in piedi e mimò un duello all’arma bianca.
- Abraham, riesci a immaginarlo? Le vele spiegate al vento caldo dell’estate, la mappa con la croce sul tesoro e le spade sguainate! Capitan Cooper e Capitan Sparrow alle prese con la loro nuova ed entusiasmante avventura! Sarebbe bellissimo navigare con uno come lui! – fantasticò con una giravolta a braccia spalancate.
- Adagio, Cristal, adagio… Stai diventando grande, frasi come questa potrebbero diventare scomode… - la ammonì senza eccessiva enfasi.
La figlia del fabbro si lasciò cadere senza grazia sulla panca e sbuffò, poggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sui palmi delle mani.
- Odio questa cosa. Tutta colpa dei Bigodini, vedono la Libertà come un peccato! – si lamentò.
Abraham scosse la testa e le accarezzò i capelli con fare affettuoso.
- Basta non farti sentire da Norrington… - e con un’occhiata complice scoppiarono a ridere entrambi.
Inutile dire che in un battito di ciglia il misterioso e affascinante Jack Sparrow divenne l’eroe di Cristal ed Elizabeth. William non sembrava molto felice di quel nuovo individuo che, senza nemmeno avere un volto, si era guadagnato una posizione inespugnabile nel cuore delle amiche, ma l’irruenza delle due ragazzine non gli aveva concesso di esternare in alcun modo il suo disappunto, e come al solito aveva finito per adeguarsi ai loro giochi.
Fu una manciata di giorni dopo, la mattina del quindici Settembre, che al suo risveglio Cristal trovò ad attenderla una pessima notizia.
Sua madre entrò in camera e spalancò le finestre, lasciando che la luce entrasse con prepotenza e andasse a colpire il volto della figlia.
- Sveglia, è già tardi, hai poltrito abbastanza! – esclamò ricevendo un grugnito carico di disappunto dalla ragazzina sommersa dai cuscini.
-  Che ore sono? Ho sonno! – biascicò, tirandosi le lenzuola fin sopra il volto.
Marion sospirò la scoprì senza alcun garbo.
- Le nove passate. Tuo padre partirà fra un’ora, e a mezzogiorno dovremo essere su al Forte per l’impiccagione! – sciorinò.
- Ti ho già preparato l’acqua calda per il bagno, fila in cucina! –
A quel punto Cristal si svegliò del tutto e scattò a sedere.
- Impiccagione? Quale impiccagione? –
- Non hai sentito ieri mentre ne parlavamo con papà? Oggi ci sarà l’esecuzione pubblica di Michael Gardner, è condannato per diserzione e pirateria. Ci sarà tutta la città, non possiamo mancare…- spiegò di fronte all’espressione inorridita della figlia.
- Ma… Gardner? Quel Michael Gardner? Lo impiccano? Mamma, dobbiamo proprio andare? –
Odiava le impiccagioni. Non che non avesse il coraggio di guardare, la morte non l’aveva mai spaventata, ma riteneva che fosse una pena eccessiva per qualsiasi tipo di crimine.
Era troppo comodo essere uccisi; se la scelta fosse spettata a lei avrebbe costretto i criminali a lunghi anni di reclusione e lavoro, ma nessuno sembrava condividere quell’opinione.
Inoltre aveva conosciuto Michael Gardner, aveva prestato servizio sulla Dauntless durante la traversata dall’Inghilterra, e non le era sembrato una persona malvagia.
- Sai benissimo che nemmeno io sono favorevole a questa pratica, ma non possiamo non presentarci. Ci saranno anche i Swann, e penso che nemmeno Elizabeth sia così desiderosa di partecipare… -
Cristal scese dal letto e si si spogliò, correndo in cucina e lasciandosi scivolare nella grande tinozza già colma d’acqua calda.
- Mamma, non ci voglio andare! – piagnucolò, incrociando le braccia al petto mentre la donna le rovesciava in testa un altro catino d’acqua.
- Niente storie, Cristal. Si tratta solo di mezz’ora, resisterai. – e con quella frase secca e decisa Marion pose fine alla discussione.
Jim partì un’ora dopo alla volta della città vicina, dove un uomo l’aveva contattato per un lavoro, e le due donne della famiglia si ritrovarono a marciare con aria lugubre alla volta del Forte.
Quando arrivarono la terrazza dove si sarebbe tenuta l’impiccagione era già gremita di persone, per lo più popolani curiosi e in cerca di intrattenimento.
- Cristal! Credevo che non saresti venuta! – la voce sottile di Elizabeth si fece sentire al di sopra del chiacchiericcio e le condusse fino al porticato, dove Swann si guardava attorno nervoso.
- Avrei preferito starmene a casa, ma qualcuno mi ha obbligata a presentarmi… - sibilò con un’occhiata eloquente all’indirizzo di sua madre, intenta a salutare il Governatore con un inchino.
- Will non c’è? – si informò poi, sbirciando fra la folla in cerca del volto familiare.
Elizabeth roteò gli occhi e sbuffò.
- E’ andato nelle prime file con dei suoi amici. Sembrano trovare questa situazione divertente. Rozzi barbari. – fu il suo giudizio incrinato da una nota di quella che l’amica interpretò con sorpresa come gelosia.
- Schifosi. Vorrei vedere se ci fossero loro con il cappio al collo… - mugugnò Cristal lisciandosi l’abito marrone e guardandosi attorno nervosa.
Al di là dei principi morali c’era un motivo per cui non aveva alcuna intenzione di presenziare all’impiccagione, e Lizzie ne era al corrente: entrambe sapevano che se James Norrington si fosse presentato la situazione sarebbe di certo degenerata.
Quasi il semplice pensiero fosse stato in grado di evocarne la figura, il Tenente fece la sua comparsa dal lato nord del porticato e prese a marciare dritto verso di loro.
Salutò educatamente Swann e Marion e poi si rivolse alle bambine con un inchino lieve e misurato.
- Miss Swann! Miss Cooper… - ma fu evidente a tutti che lo sguardo che rivolse alla figlia del fabbro celava qualcosa di più, quasi una sfida.
Cristal si inchinò appena e ricambiò con un sorriso teso e diffidente.
Sapeva benissimo che non aspettava altro che un suo passo falso per poter finalmente mostrare quanto le sue arringhe in difesa della pirateria fossero assurde e sbagliate.
Ma lei non gli avrebbe dato quella soddisfazione, non quella volta! Doveva starsene zitta e non dare adito a discussioni. Solo mezz’ora,poi sarebbe finito tutto.
Improvvisamente i tamburi iniziarono a suonare ritmicamente, mentre un uomo magro e pallido veniva condotto senza cura verso il patibolo. La gente nelle prime file gli lanciò contro oggetti e frutta marcia, gridando epiteti osceni che fecero ribollire il sangue nelle vene alla giovane Cooper.
Alcuni minuti dopo, quando qualcuno prese a decantare le vili azioni per cui il condannato si era guadagnato il cappio al collo, ancora inveivano contro di lui.
- Rispetto… - sussurrò senza nemmeno accorgersi di averlo pronunciato al di fuori della sua mente.
- Come avete detto? –
Sua madre si voltò di scatto, in volto uno sguardo di rimprovero, ma la ragazzina non vi fece caso.
Si era resa conto che Norrington non aveva fatto altro che rivolgerle occhiatine furtive da quando era arrivato, e di certo aveva compreso appieno il suo sussurro.
La razionalità, incoraggiata dallo sguardo severo e penetrante di Marion, le avrebbe imposto di chinare il capo in silenzio, ma Cristal era tutto fuorchè razionale, e nessuno si stupì nel vederla rispondere a voce più alta, gli occhi fissi in quelli dell’ufficiale, senza paura o imbarazzo alcuno.
- Ho detto rispetto, Tenente Norrington. – ripeté con fermezza.
- E’ un pirata, nonché un traditore della Patria, Miss Cooper. Quest’uomo non merita rispetto alcuno. – spiegò Norrington pigramente.
Elizabeth tirò una gomitata all’amica per evitare che si cacciasse di nuovo nei guai, ma fu tutto inutile.
- Ognuno merita rispetto, Tenente! Persino l’ultimo uomo sulla faccia della Terra! – non riusciva a  concepire che si potesse essere così ottusi.
“Comprendere, non condannare”. Era con quella massima che sua madre l’aveva sempre cresciuta, e Cristal aveva imparato ad applicarla alla lettera: ogni azione era causata da qualcosa, un qualcosa che andava ricercato e compreso prima di formulare un qualsiasi giudizio. Il rispetto era alla base ogni rapporto, persino fra nemici. Non sopportava che qualcuno potesse comportarsi in una maniera talmente lontana da qualsiasi decenza morale.
- Cristal! – si sentì ammonire proprio da Marion, ma ormai la miccia era accesa.
- Il Signor Gardner ha ucciso, nel caso non vi fosse chiaro. – fu la replica secca e vibrante di James.
- E voi non avete forse fatto lo stesso? Non è forse quello che state facendo? La Legge deve correggere, non estirpare! – esclamò la ragazzina, suscitando una lievissima esclamazione da parte di Swann, stupito da quella radicale presa di posizione.
- Conoscete il signor Gardner meglio di me, sapete che è un brav’uomo! Deve esserci senz’altro un motivo se è diventato un pirata!- continuò, cercando di rendere evidente ciò che Norrington si rifiutava di capire.
- Per quanto involontaria, sempre che così si possa definire, la pirateria non può essere considerata una giusta rotta! – la anticipò lui, avendo invece intuito perfettamente dove volesse andare a parare.
- Cristal, adesso basta! Sono desolata, io… - ma Marion non riuscì a terminare la frase, ancora interrotta dalla figlia.
Rivolse al Tenente uno sguardo di ghiaccio, velenoso e pungente come l’odio che le stava facendo tremare i pugni stretti lungo i fianchi.
- Può darsi, Tenente, che nella rara occasione in cui per seguire la giusta rotta ci voglia un atto di pirateria, la pirateria stessa possa essere la giusta rotta. – sibilò.
Tutti trattennero il fiato, spiazzati da una simile risposta. James stava per risponderle a tono, ma una strana sensazione lo indusse a tacere.
I tamburi avevano cessato di rullare, nessuna voce più si udiva sulla terrazza.
Fu un momento, giusto il tempo di voltarsi verso il patibolo, e a Michael Gardner, disertore e pirata, mancò la terra sotto i piedi.
Fu fortunato: gli si spezzò il collo e la vita abbandonò subito i suoi occhi vitrei, le gambe a penzoloni nel vuoto.
Cristal sussultò, Swann deglutì, Elizabeth si portò le mani alla bocca e Marion serrò le labbra. Persino James Norrington rimase turbato, la pupilla affogata nelle iridi plumbee.
Aprì la bocca per ottenere l’ultima parola, ma la richiuse quando scorse le lacrime intrappolate fra le ciglia di quella bambina così strana che non poteva evitare di punzecchiare ogni volta.
- Con permesso. – balbettò lei.
Fece un inchino impacciato, poi fuggì, mischiandosi alla folla.
- Cristal! Torna qui, Cristal! – la chiamò Marion, ma in un baleno la perse di vista.
Fece appena in tempo a voltarsi per notare che il Tenente l’aveva seguita.
La figlia del fabbro era scappata di corsa, troppo orgogliosa per permettersi di farsi vedere debole dai Swann, da Norrington e da sua madre. Nessuno aveva fatto caso a lei, e piccola e mingherlina com’era non aveva avuto problemi a sgusciare fra la ressa e precipitarsi fino in spiaggia, dove si era lasciata cadere sulla sabbia e aveva permesso alle lacrime di scuoterla dal profondo in forti singhiozzi.
Non era tristezza, non era paura: quella era rabbia.
Rabbia perché sua madre, sebbene la pensasse come lei, preferiva mantenere il buon nome della famiglia, rinnegando i suoi ideali, rabbia perché aveva creduto che Elizabeth l’avrebbe difesa e sostenuta, rabbia perché Norrington l’aveva avuta vinta ancora una volta, e specialmente rabbia perché le sue sarebbero sempre state solo parole al vento, e nessuno le avrebbe mai comprese.
Cercò di ricomporsi traendo profondi respiri, ma non ottenne un granchè.
Riuscì a trattenere il fiato solamente quando percepì la sua presenza alle sue spalle.
- Siete venuto a reclamare la vostra vittoria? – domandò, aggressiva, mentre si passava una manica sul viso nel tentativo di asciugare le lacrime.
Silenzio, solo le onde che accarezzavano il bagnasciuga.
- No. – Norrington si prese una piccola pausa, poi proseguì.
- Sono venuto a chiederti scusa. –
Cristal non si voltò, troppo stupita da quella frase per muoversi.
Le aveva dato del tu, ma non era lo stesso tu di scherno che si rivolgevano durante i loro battibecchi. C’era sincerità nella sua voce, e capì immediatamente che la stava trattando come una sua pari.
- Non avrei dovuto accanirmi tanto, io… Mi dispiace, sono andato troppo oltre. – concluse, sedendosi accanto a lei.
Cristal osò lanciargli un’occhiata furtiva con la coda dell’occhio, e notò che era abbastanza imbarazzato. Non doveva essere semplice per un uomo orgoglioso come lui tornare sui suoi passi, specialmente se a causa di una ragazzina.
Scosse la testa e fece spallucce.
- Non è mai troppo oltre quando si crede in qualcosa. Anche se inizio a pensare che ci troveremo sempre a procedere lungo due linee parallele… - si concesse un sorriso smorzato dalla consapevolezza della sua frase e lasciò che il silenzio tornasse padrone della distanza che li separava.
James sospirò, di nuovo soltanto un ragazzo di vent’anni.
- Per quello che può valere, ho stima di te. Pochi hanno il coraggio che hai mostrato. – confessò.
Cristal gli rivolse un sorriso amaro, crudele e violento da osservarsi su un volto così giovane ed innocente.
- Coraggio? Scappare di fronte alla propria impotenza lo chiami coraggio? –
E ancora una volta Norrington si sorprese nel ricordarsi che stava parlando con una giovane di appena tredici anni.
Era incredibile pensare che la stessa ragazzina che passava i pomeriggi a fingersi un pirata fosse capace di tenere testa ad un adulto in una conversazione tanto delicata.
Fino a quel giorno aveva sempre ritenuto i suoi discorsi come capricci di una bambina troppo fantasiosa, ma quell’episodio aveva messo chiaramente in luce quanto la figlia del fabbro fosse consapevole delle sue parole.
- No, io parlo del coraggio che mostri nel lottare per i tuoi ideali. Fino ad oggi non avevo compreso, ma… inizio a credere che potresti essere davvero disposta a morire per difendere ciò che ami… - sussurrò, rivolto più a se stesso che a lei in quell’improvvisa realizzazione.
Cristal si voltò di nuovo, piantando i suoi occhi ancora arrossati in quelli addolciti dell’ufficiale.
- E tu? –
La domanda rimase però senza risposta.





Mezz’ora dopo, a casa Cooper, era scoppiata la tempesta.
- Spero che tu ti renda conto da sola della pessima figura che mi hai fatto fare, Cristal! – sbraitò Marion, le mani sui fianchi in un atteggiamento tutto fuorchè accondiscendente.
- Ma Mamma, io…! –
- Niente ma! Rispondere in quel modo al Tenente Norrington… Si può sapere per quale motivo ti sei comportata in quel modo? – domandò, i tratti solitamente dolci e affettuosi ora resi affilati dalla delusione.
Cristal, seduta al tavolo della cucina, sorbì un po’ della sua zuppa in silenzio.
- Ti ho fatto una domanda, Cristal. – continuò la donna.
- Ho solamente espresso la mia opinione, è Norrington che…! – si interruppe, in attesa della replica di sua madre, replica che però non venne.
Marion sospirò e raccolse una mela dalla cesta della frutta.
- Cristal, ascoltami bene, perché quello che sto per dirti è molto importante, e vorrei non doverlo ripetere in futuro. Sono molto orgogliosa della tua intelligenza e del modo in cui sai portare avanti una conversazione, ma devi capire che stai crescendo e inizi ad avere nuove responsabilità, e soprattutto che ci sono circostanze in cui esprimere la propria opinione a tutti i costi potrebbe rivelarsi sconveniente. – spiegò, la frangia corvina ad adombrarle gli occhi chiari, ora più tranquilli rispetto a qualche minuto prima.
- Mi stai dicendo di rinnegare i miei ideali per evitare grane? – domandò la figlia, esternando finalmente ciò che voleva rimproverarle già da un po’.
Marion scosse la testa e tagliò uno spicchio di mela che offrì alla bambina.
- Non significa affatto rinnegare i propri ideali. Che senso ha salpare con venti contrari? Non è forse più saggio aspettare una marea favorevole e le correnti giuste? – continuò la donna, retorica.
- Un giorno capirai il valore dell’attesa, Cristal. Nel frattempo promettimi che imparerai a portare pazienza e a capire che di tanto in tanto il silenzio può gettare le fondamenta di una convinzione più grande. –
La bambina masticò a bocca chiusa e annuì, gli occhi puntati al ciondolo che sua madre portava al collo.
Rimase in silenzio per qualche minuto, poi, quando fu chiaro che ormai le acque si erano calmate, azzardò una domanda nuova, giusto per cambiare discorso.
- Mamma, perché indossi sempre quella collana? – in effetti, da quando aveva memoria, non l’aveva mai vista indossare nessun altro ciondolo all’infuori di quella conchiglia bianca e affusolata assicurata tramte un minuscolo forellino alla catenina d’argento.
La donna, che le voltava la schiena impegnata ad asciugare le scodelle, interruppe il suo lavoro.
- Davvero non te ne ho mai parlato? – fece tranquilla, mettendo al loro posto le stoviglie e appendendo lo strofinaccio a un chiodo conficcato nella parete.
Sorrise, e nei suoi occhi grigi come l’oceano Cristal fu in grado di scorgere uno strano sentimento, quasi una sorta di malinconia.
- Risale tutto a quando avevo la tua età… - iniziò a raccontare, seduta accanto alla finestra.
- Ero in Francia da poco, e ancora non ero abituata a quel nuovo paese, a quella nuova lingua, a quella famiglia di cui avevo sempre ignorato i legami di parentela con gli Hawke. Non avevo amici, e preferivo passare le mie giornate al porto di Rouen piuttosto che chiusa in una casa dove ancora non mi sentivo a mio agio. Fu proprio in quel luogo che conobbi l’Ancien Marin, come lo chiamavano in città. –
- Il Vecchio Marinaio? – Cristal si sporse appena in avanti, curiosa di scoprire dove quella storia sarebe andata a concludersi.
- Non ho mai scoperto da dove venisse, le sue parole non avevano accento e sapeva ben quattro lingue diverse. Fu il mio primo vero amico, l’unico che sapesse come far trascorrere le ore, grigie e tutte uguali per una bambina sola e spaventata come me. Seduti di fronte alla grande cattedrale di St Ouen, mi raccontave le mille avventure che aveva avuto in mare aperto, lotte con mostri marini, il gigantesco albatros che lo aveva seguito portandogli disgrazie fino a quando non era stato costretto ad ucciderlo e la superstizione della ciurma che l’aveva abbandonato a Ouessaint. –
- Sembra un tipo in gamba! – commentò Cristal, che nella sua immaginazione si figurava l’uomo con le fattezze del vecchio libraio Abraham.
Marion rise e accarezzò la collana.
- Lo era eccome! Non ho mai più incontrato un uomo, eccetto tuo padre, a cui mi sia sentita più legata. Era la mia guida, mio padre, un amico, un fratello… Tutto ciò che avessi in quel luogo. Morì quando avevo sedici anni, stroncato dall’alcool e dalla malinconia. Sapeva che stava per abbandonare questo mondo, e mi fece chiamare. Era una giornata di Maggio, tiepida e soleggiata. Mi mise in mano questa collana e pronunciò poche parole. “Tienila sempre con te, Marion. E’ molto importante che tu la conservi. Ovunque tu vada, ricordati di me.” Spirò quella sera stessa, e con lui dovetti dire addio a una parte di me. – concluse, gli occhi velati dal ricordo.
- Peccato, mi sarebbe piaciuto conoscerlo… - mormorò Cristal, mortificata e dispiaciuta di aver rievocato un episodio triste del passato di sua madre.
Marion parlava raramente dei suoi anni in Francia, e quando lo faceva era sempre molto evasiva, le labbra arcuate in un sorriso che sapeva di rimpianti e desideri mai realizzati. Per anni Cristal si era interrogata su cosa avesse mai potuto segnarla a tal punto, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiederle nulla. Adesso, finalmente, aveva scoperto, anche se molto probabilmente solo in parte, a cosa fossero dovuti quegli sguardi malinconici che la donna rivolgeva all’orizzonte ogni volta che si parlava del suo passato.
- Sono più che sicura che sareste andati estremamente d’accordo! – rise, per poi scompigliarle i capelli e alzarsi da tavola, sbrigandosi a raggiungere la porta di casa.
Tre colpi sicuri e decisi avevano preannunciato l’arrivo di Elizabeth Swann.
- Sono già le tre? – domandò Cristal, stupita da come il tempo fosse passato velocemente.
Non ottenne risposta e si alzò anche lei, trascinandosi pigramente verso l’uscio.
- Buongiorno Marion! Cristal è in casa? – sentì domandare l’amica.
- Ciao Elizabeth! Sono desolata, ma oggi Cristal non può uscire. – spiegò sua madre con un sorriso gentile.
- Come non può uscire?! – si ritrovarono ad esclamare in coro le due ragazzine, che ora si trovavano faccia a faccia sulla soglia.
- E’ in castigo fino a domani pomeriggio, così forse imparerà come ci si comporta. – aggiunse la donna con un’occhiata tagliente all’indirizzo della figlia.
E lei che credeva di averla scampata solo con una ramanzina!
- Oh, Marion, ti prego! E’ stata colpa di James, è lui che ha incominciato! Ti scongiuro, lasciala uscire! – si lamentò la figlia del Governatore giungendo le mani in segno di supplica.
Elizabeth adorava Marion: sin dal primo momento l’aveva trattata come una bambina normale, come parte della famiglia, e di questo le sarebbe stata grata in eterno. Niente convenevoli, niente favoritismi, Marion era gentile e severa al punto giusto, la madre che aveva sempre desiderato.
Proprio per questo sapeva benissimo che i suoi occhioni dolci e le sue preghiere non sarebbero valse a un bel niente.
- Mi dispiace davvero, Elizabeth, ma per questa volta sono proprio costretta a dirti di no. Se domani pomeriggio potrai uscire, però, conto di preparare una torta… - sorrise, mentre alle sue spalle la figlia sbuffava e incrociava le braccia al petto.
- Howard, sei invitato anche tu, ovviamente… - aggiunse all’indirizzo della guardia del corpo in piedi a qualche passo da Elizabeth.
Il ragazzo arrossì e si tolse il cappello, imbarazzato.
- Siete davvero gentile, Miss Cooper, io… - ma Elizabeth lo interruppe, il visetto illuminato da un sorriso irriverente che fece scoppiare a ridere Marion e Cristal.
- Alle mele, mi raccomando! – esclamò, prima di afferrare la manica della giacca di Howard e trascinarlo verso la carrozza.
La porta di casa Cooper si chiuse mentre Marion ancora rideva.
- Certo che Lizzie è tutto fuorchè una damigella di corte… - considerò, mentre la figlia, sporta fino a mezzo busto dalla finestra, salutava all’indirizzo della carrozza.
- Beh, che ti aspetti da un Capitano pirata? –
Cristal tornò a tavola e aiutò sua madre a finire di riordinare, ormai rassegnata all’idea di passare il pomeriggio chiusa in casa.
Eppure la prospettiva non le dispiaceva, anzi, si sentiva quasi sollevata: sapeva che Lizzie le avrebbbe chiesto di raccontarle cosa era successo in spiaggia, e lei non ne aveva affatto voglia. Non sarebbe stata in grado di spiegare perché, ma in cuor suo sentiva che quella surreale conversazione con James Norrington sarebbe rimasta per sempre un segreto fra loro due.
Si sorprese nel rendersi conto di cosa quella giornata avesse finito per implicare.
Le parole di Norrington significavano una sola cosa: non lotta senza quartiere, né definitiva bandiera bianca. Quella era una tregua, un cessate il fuoco temporaneo.
Comprendere, non condannare.
Forse anche il Tenente aveva deciso di prendersi il suo tempo e cercare di capire qualcosa di più su quella bizzarra bambina che si divertiva a cantare canzoni di mare e a conversare con gli adulti.
E lei cosa avrebbe fatto?
Sarebbe stata accondiscendente, rispettando la tregua e abbassando le armi? Avrebbe provato ad aspettare, ad essere paziente, come le aveva suggerito sua madre?
Sospirò, mentre le nuvole in arrivo dal mare annunciavano l’inizio della stagione autunnale.
In ogni caso, quel giorno qualcosa era cambiato.











 
Note

Ben ritrovati, ciurmaglia!
Questo finalmente, anche se può non sembrare, è un capitolo importante!
Gli allenamenti di scherma di Cris e Will procedono, e abbiamo fatto la conoscenza di un nuovo personaggio, Abraham il libraio.
Ad essere sincera all'inizo non doveva nemmeno avere un nome, ma è risaputo che io adoro i personaggi di contorno e non ho resistito alla tentazione di regalargli qualche battuta... Dopotutto la nostra fantasiosa Cristal aveva bisogno di qualcuno che le procurasse materiale per i suoi giochi, visto che il caro Gibbs ha pensato bene di prendere il largo...
Ed è proprio il vecchio Abraham a presentarci colui che tutti stavamo aspettando, il magnifico e sensazionale Capitan Jack Sparrow!
Lo so, lo so, in realtà non ha ancora fatto, fisicamente parlando, il suo ingresso in scena, ma non disperate: non manca ancora molto~
Ma adesso spendiamo due parole su una delle mie scene preferite dell'intera storia: l'impiccagione del quindici Settembre.
Chi è più maturo fra James e Cristal? Davvero non saprei dire.
Lui, testardo come un mulo, arriva persino ad accanirisi su una bambina piuttosto di avere l'ultima parola a riguardo della pirateria. Lei... beh, lei ha tante belle idee, ma davvero non ha capito quando e come esporle.
Credo che questa scena riassuma abbastanza bene il carattere della nostra protagonista: intelligente e per certi versi molto matura, ma contemporaneamente ancora ingenua ed infantile.
Tenete a mente il dialogo sulla spiaggia, perchè in futuro avremo modo di parlarne di nuovo... -suspence-
Nel frattempo veniamo a sapere anche qualcosa di più sul passato di Marion. Ecco svelato il "mistero" del suo strano ciondolo e della sua adolescenza a Rouen. Riguardo a questo misterioso marinaio legato al passato di Marion mi sono presa una piccola licenza poetica, spero che il caro Coleridge non me ne voglia! <3 xD
Fate bene attenzione anche a questa storia, perchè Marion non ha raccontato proprio tutto~
Come anche la nostra aspirante piratessa ha ormai capito, qualcosa nella routine di Port Royal è ormai cambiato irrimediabilmente. E' un bene? E' un male?
Il prossimo capitolo, penultimo di questa prima parte della nostra storia, sarà un po' la quiete prima della tempesta.
Preparatevi, la marea sta cambiando!

Grazie mille a tutti quanti, alla prossima! <3

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***





Capitolo Ottavo~






La sera del quindici Settembre 1707 Jim Cooper era tornato a casa con una notizia che avrebbe completamente sconvolto gli equilibri della bottega. Il viaggio nella città vicina gli era fruttato nuovi clienti e una mole spropositata di lavoro che non sarebbe mai riuscito a portare a termine, nemmeno con l’aiuto di Will; era proprio per questo motivo che aveva deciso di entrare in affari con John Brown, fabbro gallese da poco giunto a Port Royal in cerca di fortuna.
L’arrivo del signor Brown alla bottega, però, aveva segnato la fine degli allenamenti di scherma di Cristal, che aveva dovuto, probabilmente per la prima volta in vita sua, chinare il capo di fronte al suo essere donna.
- Mi dispiace tanto, Cris, ma capirai anche tu che sarebbe troppo complicato continuare ad allenarti assieme a Will. – le aveva spiegato suo padre, temendo la reazione della figlia.
Cristal aveva però annuito con garbo, regalandogli un sorriso quieto e comprensivo.
- Tranquillo, papà, non  ho alcuna intenzione di mettervi nei guai con queste sciocchezze. Dopotutto era solo un passatempo… -
Sia Jim che Marion erano rimasti molto sorpresi da quell’atteggiamento pacato e accondiscendente, ma era ciò di cui avevano bisogno, e indagare oltre sarebbe stato uno spreco di tempo ed eneregie.
Nel frattempo le forti piogge monsoniche avevano spazzato via un altro anno, allontanando Will dalle ragazze sempre di più.
- Non viene nemmeno oggi? – domandò Elizabeth un pomeriggio sul finire di Giugno, un paio di settimane dopo il quindicesimo compleanno di Cristal, seduta al tavolo della cucina di casa Cooper.
Cristal fece spallucce e finì di sgranocchiare un tozzo di pane, scrollandosi le briciole di dosso.
- In bottega c’è un sacco di lavoro da fare, e credo che dopo voglia andare giù al porto con Mackie e Fairfax… - concluse con una smorfia.
Elizabeth la guardò interrogativa.
- E chi sarebbero? –
L’amica storse il naso e roteò gli occhi.
- Due suoi nuovi amici, gentaccia. Non mi vogliono con loro perché “una femminuccia sarebbe solo un peso”. Glielo faccio vedere io il peso… - biascicò, scura in volto.
La verità era che le cose fra loro tre, nell’ultimo anno e mezzo, erano radicalmente cambiate.
Erano cresciuti, tutti e tre.
Cristal si era fatta più alta e matura nell’aspetto, Elizabeth ancora più aggraziata, e Will aveva perso ogni interesse a fingersi un temibile pirata.
La figlia del fabbro aveva capito già da un po’ perché a Will non andasse a genio l’idea di trascorrere tutto quel tempo con Lizzie, e in tutta onestà pensava che quelle dell’apprendista fossero motivazioni estremamente stupide, ma col tempo aveva dovuto rassegnarsi al fatto che anche Will era cresciuto, e che il suo ricercare compagnie più turbolente fosse qualcosa di normale.
Dopotutto anche lei era lentamente cambiata, e aveva notato che era già da un po’ che lei e Lizzie non si rincorrevano più per le stradicciole di Port Royal nel bel mezzo di sanguinarie battaglie.
- Comunque i sospetti si sono rivelati fondati! – esclamò improvvisamente Elizabeth, distogliendola dai suoi pensieri.
- Quali sospetti? –
La figlia del Governatore si alzò in pedi e mosse qualche passo misurato all’interno della stanza, dandosi grande importanza.
- Ieri, mentre ti aspettavamo al Forte, abbiamo incontrato Theodore Groves… - incominciò, sul viso un sorrisetto saccente.
Groves era un giovane marinaio, di un paio d’anni più anziano di Norrington e di Howard Smith e molto amico di quest’ultimo.
Nonostante la sua affiliazione alla Marina Britannica, Cristal lo trovava un ragazzo carino ed educato, una piacevole compagnia, insomma.
- E quindi? Groves cosa? Che ha fatto? – domandò, piena di curiosità.
Elizabeth continuò a misurare la cucina a grandi passi, un guizzo malizioso negli occhi.
- Lui e Howard si sono messi a chiacchierare, e indovina qual era l’argomento della loro discussione? –
- Estrella? – azzardò Cristal, che assieme all’amica già da tempo sospettava che ci fosse del tenero fra la guardia del corpo e la cameriera di Elizabeth, cugina di terzo grado di Theodore Groves.
Lizzie anuì e batté le mani, emozionata.
- Pare che Estrella si strugga dietro alla mia valorosa guardia del corpo, e se ho ben capito Groves sarebbe disposto a intercedere per lei presso Howard! – esclamò con un gridolino.
Cristal balzò in piedi.
- Fantastico! Beh, dai, è evidente che Howard non aspetta altro che una conferma da parte sua! Se Theodore gli ha spifferato di Estrella il gioco è fatto! – convenne con soddisfazione, il pugno alzato al cielo in segno di vittoria.
Proprio in quel momento la porta di casa si aprì con un lieve cigolio, mostrando la figura slanciata di Marion, carica di cestini e scampoli di stoffa.
- Buongiorno ragazze! A cosa è dovuta tutta questa euforia? – le salutò mentre posava i suoi acquisti sul tavolo.
- Pare che Howard voglia chiedere la mano di Estrella, ma proprio mentre stavo per origliare i dettagli è arrivato Gillette e addio pettegolezzo! – raccontò Elizabeth, Cristal che sbuffava in piedi accanto a lei.
- Dannato Gillette, appare sempre nei momenti meno opportuni! – si lamentò quella.
Marion ridacchiò, mentre osservava i metri di stoffa colorata che aveva comprato e calcolava rapidamente le ore di lavoro che le sarebbero servite per realizzare un abito per la figlia.
- In ogni caso ho deciso che chiederò a mio padre di dare un ballo, il mese prossimo! Così quei due saranno costretti a parlarsi e chissà, magari Howard troverà il coraggio di invitarla a ballare! – comunicò la giovane Swann, piroettando su se stessa.
- Per fortuna che ho comprato questa bella stoffa blu… - commentò Marion con un sospiro: quasi preferiva le ragazzine quando si divertivano a spacciarsi per pirati…
Giugno arrivò in fretta, portato dal vento dell’estate, e con lui il quindicesimo compleanno di Cristal e il ballo a lungo atteso.
Elizabeth, nel suo grande abito bianco ricamato in porpora, dimostrava decisamente più della sua giovane età, nel portamento elegante e carismatico il riflesso della donna che sarebbe diventata da lì a pochi anni.
- Devo dire che i balli pubblici sono molto più divertenti di quelli privati! – esclamò per farsi sentire al di sopra della musica dopo aver aperto le danze con James Norrington.
- Come hai fatto a convincere tuo padre? – si informò Cristal, gli occhi puntati su Howard ed Estrella che conversavano ad una quindicina di passi di distanza.
Elizabeth rise e prese l’amica per mano, piroettando con lei a ritmo di musica.
- Tu sottovaluti il mio potere, Cristal Cooper! – continuò, al settimo cielo.
L’altra scosse la testa, immaginandola pestare i piedi nelle peggiori scenate di cui era capace.
- Di certo non sottovaluto il tuo fascino… Quell’individuo laggiù… è tutta la sera che ti fissa… Sono sicura che prima che sia finita la serata ti chiederà di ballare! – fece con un cenno del capo a un ragazzo imbellettato che le stava osservando con interesse da qualche minuto.
Elizabeth la guardò con tanto d’occhi.
- Quello? Quello è il figlio dei Campbell, non ballerei con lui nemmeno sotto tortura! –
Ma la loro conversazione venne interrotta dalla voce allegra e dal viso gioviale di Theodore Groves, che le salutò con un inchino.
- Buonasera Miss Swann! Miss Cooper, potrei avere l’onore di invitarvi alla prossima danza e salvarmi così dalle chiacchiere del caro Gillette?- propose con un occhiolino.
Cristal lasciò che lo sguardo vagasse veloce per il grande salone affittato da Swann apposta per l’occasione finchè non riuscì a individuare Lucas Gillette, impegnato in un’accesa conversazione con un Norrington abbastanza annoiato seduto accanto a lui.
- Con immenso piacere, Signor Groves! – rise, ben decisa ad aiutarlo ad evitare la parlantina dell’irriducibile collega.
Non pensò al fatto che quella era la prima volta nella sua vita in cui si lanciava in una simile esperienza, non pensò al fatto che “Capitano Pirata” e “damigella danzante” fossero due epiteti assolutamente inconciliabili, non si interrogò sul perché Norrington fosse scattato in piedi nel vederli ballare, non pensò a nulla se non a divertirsi, mentre volteggiando con Groves incassava lo sguardo ironico di sua madre e si godeva la musica e le risate.
Il sorriso però le scomparve completamente dalle labbra quando, una ventina di minuti dopo, il Tenente Norrington si avvicinò a lei, lo sguardo fisso nei suoi occhi.
- Miss Cooper. – salutò, freddo e composto come suo solito.
- Tenente Norrington. – fu la sua replica a tono, accompagnata da un lieve inchino.
- Mi concedereste l’onore del prossimo ballo? – domandò, Elizabeth e Jim Cooper che spalancavano gli occhi di sorpresa mentre Marion si portava una mano alle labbra per nascondere uno strano sorrisetto.
- Oh. – fu la replica della ragazza, completamente impreparata a una simile richiesta.
- Certamente. – aggiunse, mentre entrambi si affrettavano a concludere il discorso con un altro inchino e si allontanavano ognuno in una direzione diversa.
Cristal trascinò Elizabeth fuori dal salone, dove un grande terrazzo si affacciava sulla baia, offrendo un po’ di frescura ai partecipanti alla festa.
- Lizzie, Norrington mi ha appena invitata a ballare? – domandò, ancora incredula.
L’amica annuì, la mano guantata attorno a quella della figlia del fabbro.
- E io ho accettato. – continuò quella, gli occhi sgranati.
- Ballerò con James Norrington. Io. – balbettò ancora, sconvolta.
- Che male c’è? Scommetto che ti divertirai! – la incoraggiò Elizabeth, ben consapevole di cosa l’espressione atterrita sul viso della bionda significasse.
- Bel problema, giacchè mi sono ripromessa di odiarlo per l’eternità! –
Si scambiarono una lunga occhiata silente, poi scoppiarono a ridere.
Fra le mille cose che erano cambiate in quegli ultimi due anni, il rapporto fra James e Cristal era probabilmente la più evidente.
Dopo l’impiccagione di Gardner non si erano più visti per molto tempo: Norrington era salpato a caccia di pirati e aveva conseguito alcuni importanti risultati, snidando la feccia degli oceani e riguadagnando un po’ di sicurezza lungo le rotte commerciali che conducevano a Port Royal.
Era stato intorno a Settembre dell’anno successivo che aveva dato il via a quella che Elizabeth e Howard avevano definito la sua “politica di avvicinamento ai Cooper”.
Tutto era incominciato un pomeriggio di pioggia scrosciante, quando quattro colpi decisi all’uscio del fabbro avevano fatto accorrere Cristal, con il solo risultato di trovarsi di fronte il Tenente bagnato come un pulcino.
L’aveva fatto entrare e accomodare di fronte al camino, senza pensare al fatto che l’assenza di Marion, in visita a un’amica, avrebbe reso la faccenda ambigua e lievemente imbarazzante.
Stranamente, però, il pomeriggio era trascorso senza imbarazzo alcuno e le visite di Norrington si erano ripetute, sia che ci fosse stata tempesta o cielo terso.
Gli incontri che per Cristal significavano tensione e nervoso si erano così lentamente mutati in quieta accettazione e infine in inconsapevole gradimento.
Jim aveva accolto quella nuova casuale routine con una scettica alzata di sopracciglia, mentre Marion sembrava divertita da quella situazione, divertita come il marito non la vedeva da anni.
- Dai, rientriamo, sarà quasi ora del tuo ballo! – la prese in giro Elizabeth riportandola alla realtà con una leggera gomitata.
Cristal annuì, un poco agitata, e lanciò un’ultima occhiata al cielo nuvoloso prima che il caos della sala da ballo la fagocitasse di nuovo.
Il calore dell’interno la accolse come se avesse sbattutto violentemente contro un muro e quasi si pentì di essere uscita sapendo che sarebbe comunque dovuta rientrare.
Un applauso scrosciante informò le due giovani che il ballo precedente era appena terminato, mentre i violini attaccavano le prime note della nuova melodia e i ballerini prendevano posto lungo il salone.
James si allontanò da un gruppetto di ufficiali e le venne incontro, prendendola per mano con delicatezza e conducendola al centro del salone, dove era rimasto un posticino per loro due.
Iniziò a muovere i primi passi con decisione ed eleganza, e Cristal si sforzò di seguire il suo ritmo senza sbagliare, lo sguardo puntato verso qualsiasi cosa non fossero gli occhi del Tenente.
Era in imbarazzo, era dannatamente in imbarazzo. Non avrebbe mai dovuto accettare.
- Il blu vi dona… - quella frase improvvisa e inattesa la fece sobbalzare.
- Come? – balbettò, sorpresa.
Si concesse una rapida occhiata al suo interlocutore, e notò con una punta di sollievo che l’imbarazzo era lo stesso da entrambe le parti.
Norrington si schiarì la voce e arrossì appena, cosa che fece sorridere la ragazza.
- Il blu… L’abito… Vi dona… Oh, lasciate perdere… - biascicò, sempre più in imbarazzo.
Quello era un complimento? James Norrington aveva appena provato a farle un complimento?-
Il sorriso si aprì sempre più spontaneo sulle labbra della giovane.
- Vi ringrazio! – e fece una giravolta su se stessa, come imponeva la danza, prima di scambiarsi di posto con James sempre tenendogli la mano.
Era un ballo più tranquillo dei precedenti, più intimo, in qualche modo.
Con la coda dell’occhio scorse i suoi genitori danzare poco distante e si sentì improvvisamente piena di energie, come se nulla avesse potuto frapporsi fra lei e qualsiasi obbiettivo si fosse preposta in quel momento.
- E così anche voi avete finito per soccombere al signor Gillette… - commentò dopo qualche passo in silenzio, godendosi il sorriso sincero che ebbe in cambio di quelle parole.
- E’ un brav’uomo, ma la sua parlantina sa essere un nemico più temibile di dieci galeoni… - confessò con un sospiro.
- Da bambino era anche peggio… - aggiunse a mezza voce con un’eloquente alzata di sopracciglia, sporgendosi appena in avanti per essere certo di farsi sentire.
- Ammiro la vostra pazienza, James! – e rise, senza curarsi troppo del fatto che il caldo e la folla avessero allentato i suoi freni inibitori al punto da arrivare a chiamarlo per nome.
Quello parve non accorgersene nemmeno e, terminata la danza, la condusse nuovamente verso la terrazza, chiacchierando allegramente.
- Davvero avete letto Milton? Così giovane? –
Affacciati alla balaustra avevano preso a parlare di libri e Norrington aveva avuto modo di stupirsi della voracità di Cristal in tal proposito.
- Certamente! In effetti ho trovato alcuni passaggi un po’ ostici, ma nel complesso ho davvero apprezzato il Paradiso Perduto. Insomma, l’idea di rovesciare il punto di vista e far vestire al Diavolo i panni del protagonista è qualcosa di geniale! Un ottimo specchio dell’animo umano, se non altro… - spiegò raggiante, mentre il forte vento in arrivo dal mare le scompigliava i capelli.
James scoppiò a ridere e si passò una mano fra i capelli scuri, ora liberi dall’odioso parrucchino.
- Come sempre parteggiate per il lato oscuro del mondo… - commentò senza malizia.
- Lato oscuro? Niente affatto! E’ una questione di punti di vista, invece! Better to reign in Hell than serve in Heaven… E’ una scelta, e le scelte sono sempre più interessanti e apprezzabili di una vita passiva, non trovate? – argomentò la ragazza, convinta delle sue idee.
Proprio in quel momento una luce abbagliante provenne dal mare, seguita da un pigro gorgolìo sopra le loro teste.
Cristal si voltò di scatto, lo sguardo puntato all’orizzonte dove le saette baluginavano e le nuvole correvano rapide verso la costa.
- Tempesta in arrivo… - osservò James senza particolare entusiasmo.
Cristal, invece, accolse le prime gocce di pioggia con un enorme sorriso.
- Fantastico! Adoro la tempesta, i fulmini mi trasmettono un’energia indescrivibile! Questa è una bellissima serata! – esclamò, aprendo le braccia e lasciando che le raffiche di vento le gonfiassero l’abito.
- Ah, non è meraviglioso, James? – aggiunse con una giravolta su se stessa.
- Sono felice che vi stiate divertendo, ma sarei altrettanto felice se per per la settimana prossima fosse tutto finito, salpare in mezzo al nubifragio non è proprio l’ideale… Vieni, rientriamo, o ci bagneremo fino all’osso… - suggerì conducendola delicatamente verso il salone, in fuga dalla pioggia.
Nessuno dei due si accorse che erano passati dal voi al tu in maniera più che naturale.
- Salpare? Per dove? Quanto starai via? – fece lei, quasi dispiaciuta dalla notizia.
Norrington si strinse nelle spalle.
- Pare che ci siano state un paio di incursioni dei pirati a Nord dell’isola. Il Capitano Thompson vuole armare due navi per la ricognizione e vuole che sia io al comando di una delle due… Potrebbe volerci qualche giorno come un mese intero, dipende da cosa incontreremo, e quando… - raccontò, fiero e preoccupato al contempo.
Cristal gli rivolse un sorriso incoraggiante e riaccolse il caldo del salone, sentendo gli spruzzi di pioggia asciugarsi in fretta sul suo viso.
- E’ una bella responsabilità, ma devi sentirti orgoglioso! Abbiamo tutti grande stima di te… -
Ed entrambi notarono, senza tuttavia azzardarsi a mostrarlo, che quella volta la figlia del fabbro si era ben guardata dal parteggiare per i bucanieri.
 




- Cristal, per l’amor del cielo, alza quella guardia! –
Marion Hawke, indosso un paio di pantaloni del marito stretti in vita da una grande cintura, diede un colpetto alla spada di legno della figlia con la punta della sua.
Alla fine la pace era durata poco, e si era deciso che sarebbe stato compito suo occuparsi delle lezioni di scherma di Cristal, da quando l’arrivo di Brown le aveva impedito di continuare ad allenarsi con Will.
La ragazza era rimasta decisamente stupita nello scoprire che, più di quattordici anni prima, Jim aveva insegnato quelle stesse tecniche a sua madre, ma non aveva indagato, sotto sotto felice che Marion, in passato, fosse stata una ragazza curiosa e fantasiosa come lei.
- Mamma, sono distrutta, pietà! – mugolò, sforzandosi di mantenere la guardia nella giusta posizione e piegando appena le ginocchia.
Di certo non avrebbe mai immaginato che la donna sarebbe stata un’insegnante ben più severa ed esigente di suo padre.
- Non esiste tregua nel combattimento! Muovi i piedi, attenta! – esclamò quella, balzando in avanti e accennando un affondo, parato a fatica dalla figlia.
- Come diamine fai ad essere ancora così fresca? E’ un’ora e mezza che mi alleni di punta, non ti fa male il braccio? – azzardò, nella speranza che le concedesse qualche minuto di pausa.
- Concentrata! – fu l’unico grido che ottenne, prima di venire disarmata da un mulinello deciso ed efficace.
La spada cadde a terra, mentre la brezza in arrivo dal mare alzava la polvere nel cortile sul retro della casa.
Marion scosse la testa e si sedette su una cassa abbandonata da Jim qualche giorno prima.
- Non ci siamo proprio… Oggi sei completamente con la testa fra le nuvole, è meglio se ci fermiamo… - suggerì, inziando a sciogliere le trecce in cui aveva raccolto i lunghi capelli corvini.
La figlia, stravolta, si passò il dorso della mano sulla fronte e incassò la testa fra le spalle.
- Mi dispiace, io… Non so davvero… - balbettò in cerca di una scusa.
- Lascia stare, vai a cambiarti e fai una bella passeggiata, vedrai che domani andrà meglio… - le accarezzò il capo ed entrò in casa, ben consapevole di quale fosse la causa della distrazione dell’allieva.
Era già da un mese che la spedizione del Capitano Thompson aveva levato l’ancora, e ancora non si avevano notizie riguardo alla riuscita dell’impresa.
Cristal era riuscita a distrarsi un po’ dalla preoccupazione solo grazie all’annuncio del matrimonio fra Howard ed Estrella, ma sia lei che Elizabeth non riuscivano ad ignorare il cattivo presentimento riguardo alla sorte di James.
- Il Capitano Thompson aveva detto che sarebbe stato un lavoro semplice… In un mese avrebbero tranquillamente potuto coprire la distanza fra qui e Londra… E se fosse successo qualcosa? – osava a volte la figlia del Governatore, gli intelligenti occhi castani puntati sull’orizzonte nella speranza di vedere le due navi comparire all’improvviso.
Cristal scosse la testa sperando di scacciare dalla mente quelle parole, si sistemò il corsetto e annodò distrattamente uno scialle leggero attorno alle spalle.
- Già che ci sei compra due gomitoli di lana scura, che devo finire la mantellina per quest’inverno… - la salutò sua madre porgendole un cestino di vimini dove sistemare gli aquisti.
La giovane annuì e uscì per strada, intenzionata a fare un salto dal libraio prima di sbrigare le commissioni.
Raggiunta la strada principale, però, un insolito viavai la incuriosì al punto di farle cambiare direzione.
Uomini e donne di tutte le età correvano avanti e indietro dal porto al Forte, spaventati e frettolosi.
- Chiedo scusa, cosa succede? – domandò alla prima signora che ebbe la premura di fermarsi un momento e darle retta.
Quella le rivolse uno sguardo preoccupato e le strinse le mani in preda all’agitazione.
- E’ tornata la nave del Capitano Thompson! E’ un disastro, un disastro… Tutti quei giovani… - balbettò.
Fu come passare sotto una cascata gelida, fu come se una fucilata le avesse trapassato il cuore spezzando le costole.
- La nave… del Capitano… - sussurrò.
Si voltò immediatamente verso il porto; oltre i tetti delle case riuscì a scorgere due dei tre alberi del vascello, quello di maestra probabilmente spezzato dalla battaglia.
Una nave sola. Era rientrata una nave sola.
Le pupille affogate nel grigio dell’iride, si portò una mano alla bocca, l’altra artigliata al grembiule che le riparava la gonna dalla polvere.
- Mio dio, James, no… - sussurrò.
Senza più preoccuparsi della donna prese a correre all’impazzata verso il Forte, trattenendosi per miracolo dal sussultare quando raggiunse il porticato adiacente alla terrazza: i soldati di stanza a Port Royal si stavano affaccendando attorno a quello che restava della spedizione di Thompson, uomini e ragazzi erano accasciati all’ombra del colonnato, le viscere trattenute a stento dalle mani tremanti di panico e dolore.
Sentì la respirazione farsi irregolare, mentre qualcosa le chiudeva la gola e il cuore prendeva a battere per conto suo, come impazzito.
No. No. Assolutamente no.
Si diresse a passo deciso verso i quartieri della Marina, salvo venire bloccata sulla porta da Gillette.
- Sono spiacente, Miss Cooper, ma questa è zona interdetta ai civili…- spiegò.
La ragazza notò la scia di sangue sulla sua divisa e le mani rosse e gocciolanti e deglutì a fatica.
- No, non capite… Io devo vedere James! Dovete farmi passare, io…! –
- Miss Cooper, non posso, è vietato! – ribadì con fermezza.
Perché non la faceva passare? Insomma, solo per una volta, non…
- Cristal! – una voce nuova li fece voltare entrambi verso l’interno dell’edificio.
- Theodore! – esclamò lei, aggrappandosi agli occhi di Groves nella speranza che almeno lui la lasciasse passare.
Il marinaio si guardò attorno, poi le fece segno di seguirlo.
- Ma Ted… - balbettò Gillette, confuso.
- Lucas, ci penso io qui, tu vai a dare una mano giù in terrazza. – ordinò nonostante non avesse nessuna autorità effettiva su di lui.
Gillette annuì e si precipitò all’aperto, lasciando che la giovane raggiungesse il collega.
- James? – riuscì solamente ad esalare, terrorizzata dall’eventuale risposta.
Theodore Groves le posò delicatamente una mano su una spalla e la condusse lungo un corridoio che le parve interminabile.
- Non preoccupatevi, è un po’ ammaccato, ma nulla di grave… Adesso è nell’ufficio di Thompson, è l’ultima porta sulla destra... – spiegò, indicandole la fine del corridoio.
La giovane annuì e ringraziò, per poi precipitarsi verso l’ufficio del Capitano Thompson. La porta era aperta e James Norrington, solo, se ne stava appoggiato ad un grande scrittoio, la schiena rivolta all’ingresso e lo sguardo puntato sul brulicare di uomini in terrazza, proprio sotto alla finestra.
Appena si accorse della presenza alle sue spalle fece per voltarsi, ma qualcosa gli impedì il movimento, facendolo trovare stretto in un abbraccio totalmente imprevisto.
- James, grazie al cielo, credevo che fossi morto! –
Di tutte le voci che si sarebbe potuto aspettare in un luogo simile, quella di Cristal Cooper era certamente l’ultima.
La ragazza allentò la presa solamente quando si accorse di avere le mani bagnate.
- Mio dio, ma sei ferito! – esclamò nel notare il sangue colarle lento e denso lungo il braccio.
Norrington riuscì finalmente a voltarsi, sempre puntellandosi allo scrittoio.
- Non preoccuparti, è solo una scheggia, niente di che… - ma non riuscì a dire altro, la giovane lo spinse delicatamente su una sedia e si inginocchiò di fronte a lui, aprendogli la giacca e notando le garze improvvisate madide di sangue al di sotto della camicia.
Solo in un secondo momento lo sguardo le cadde sulla gamba destra, intrappolata fra due stecche di legno e fasciata alla bell’e meglio.
- Cosa è successo? – domandò la figlia del fabbro, mentre controllava che la fasciatura al fianco potesse reggere ancora.
Norrington reclinò la testa all’indietro sullo schienale della poltrona e si lasciò medicare, gli occhi chiusi.
- Abbiamo fatto male i calcoli. Erano organizzati. Tre navi fanno già una flottiglia, avremmo dovuto chiuderli verso le secche, invece Thompson ha voluto affrontarli con la sola forza dei cannoni. Una follia… Siamo riusciti ad affondare la più piccola, poi la loro ammiraglia ha crivellato la Mighty, non c’è stato niente da fare. Sono colati a picco in un attimo. E’ solo un miracolo se siamo riusciti a far saltare la santabarbara della loro ammiraglia. Per fortuna anche senza la Maestra non è stato eccessivamente complicato avere la meglio sull’ultima nave. L’esplosione aveva danneggiato la velatura, non potevano scapparci. – raccontò cercando di trattenere le smorfie di dolore.
- E il Capitano? –
Si concesse un momento di silenzio, le immagini della battaglia ancora vivide davanti agli occhi.
- Con la nave. – disse solamente.
Solo in quel momento riaprì gli occhi e rivolse un’occhiata alla giovane inginocchiata di fronte a lui.
Aveva lo sguardo fisso sul suo volto, gli occhi spalancati mentre lacrime silenziose le scivolavano discrete lungo le guance.
Si concesse un sorriso debole e stanco e le accarezzò il viso, asciugandole le lacrime.
- Cristal… - sussurrò, stupito e intenerito da quella reazione.
La ragazza sospirò e si passò una mano sugli occhi, sporcandosi appena il volto di sangue.
- Scusami, è che… - balbettò, in imbarazzo di fronte alla sua debolezza.
Proprio in quel momento Groves apparve sulla porta.
- Tenente! Il bilancio è stabile, se volete incominciare il rapporto… - azzardò senza osare entrare nell’ufficio.
Cristal si alzò in piedi e si asciugò le mani nel grembiule, tracce rosse sul panno candido.
- Avete bisogno di aiuto con i feriti? – si offrì, riacquistando un’espressione seria e decisa.
Theodore Groves tese le labbra e lanciò una rapida occhiata al Tenente, per poi tornare a rivolgersi alla ragazza.
- Due braccia in più non possono che essere d’aiuto… - commentò.
- Non sforzarti troppo, torno subito. - la bionda rivolse un ultimo sorriso materno a James e uscì dall’ufficio, i tacchi degli stivali che risuonavano lungo il corridoio e Groves dietro di lei, a istuirla sulle procedure.
Norrington si voltò a fatica verso lo scrittoio e, intinta la penna nel calamaio, prese a stilare un rapido rapporto della spedizione il cui fallimento era stato evitato per puro miracolo e con un gran sacrificio.
Sospirò e premette piano la mano sinistra sul fianco, in corrispondenza della fasciatura.
Certo, avevano sconfitto i pirati, ma avevano perso una delle navi migliori della flotta e il Capitano Thompson, esperto e rispettato da tutti, si era inabissato con lei.
No, quella non poteva considerarsi una vittoria.
Gettò un’ultima occhiata distatta alla terrazza e strinse i pugni di fronte al sangue che imbrattava le pietre bianche.
Come comunicare a tutte quelle madri la morte dei loro figli? Era in giorni come quello che il Tenente James Norrington odiava il suo mestiere dal profondo: a soli ventitre anni, a volte, gli sembrava di essere già vecchio e consumato dalla crudezza del mondo.
Le labbra pallide e sottili si tesero in un debole sorriso solamente quando una figuretta esile e volitiva entrò nel suo campo visivo.
I capelli raccolti nello scialle quasi fosse stato una bandana e la gonna legata in un grande nodo laterale perché non le impedisse i movimenti, la figlia del fabbro aiutava le altre donne accorse dal paese a prendersi cura dei marinai feriti, fasciando braccia e steccando gambe.
Non più una ragazzina testarda e sregolata, ma una giovane donna intelligente e di carattere, i cui occhi ingenui e al contempo densi di autocoscienza sapevano trafiggere l’anima come una folgore.
Affaticato dalla posizione sporta in avanti si lasciò ricadere con la schiena contro il sostegno della poltrona e sospirò.
Nell’inferno senza fine di quella giornata quella visita inaspettata era stata capace di donargli un po’ di forza e un briciolo di speranza.
Sì, in quegli ultimi due anni, Cristal Cooper era cresciuta davvero…
 









 
Note

Buonsalve a tutti, ciurma!
Ebbene, gli anni passano e le cose cambiano un po' per tutti in quel di Port Royal...
Ed ecco che entra in scena il caro(?) Mr Brown e che Cristal deve sospendere gli allenamenti di scherma che intratteneva assieme a Will, almeno finchè sua madre non si rassegna a prendere il posto di Jim come insegnante... Sarà forse meno esperta del marito, ma senz'ombra di dubbio è decisamente più severa!
Eppure, eppure... qualcosa, come già si respirava nell'aria del capitolo scorso, è ormai irrimediabilmente cambiato: William si allontana sempre di più da quelle che erano le sue più care amiche, e persino le ragazze sembrano aver accantonato i loro sogni di gloria, iniziando a mostrare i sintomi di quel terribile periodo che è l'adolescenza.
La scena del ballo -che per inciso mi ha fatto sputare sangue, sono pessima quando entra in gioco il romanticismo xD- introduce una tematica centrale nella nostra storia, ossia la scelta.
L'opinione di Cris riguardo a quest'argomento sarà fonte di avvenimenti molto spiacevoli in futuro, ma per ora godiamoci l'incapacità di flirtare di Norrington e non pensiamo alle cose tristi! :D
L'ultima parte del capitolo mi è servita più che altro per studiare ancora un po' l'evolversi della relazione fra questi due poveri disagiati e per approfondire il legame fra James e il suo lavoro, aspetto preponderante del suo personaggio.
Insomma, Will sta virando verso altre compagnie, Elizabeth non ne sembra molto felice (chissà perchè :DDD), Groves sfotte Gillette, James inizia a vedere Cristal sotto una luce completamente diversa e la nostra ingenua protagonista si rende conto per la prima volta di cosa combinino davvero i suoi amati pirati.
Confesso di non essere del tutto soddisfatta di questo capitolo: il romanticismo proprio non fa per me, e spero di non aver reso tutto troppo melenso, in tal caso vi autorizzo a presentarmi il gatto a nove code. <3
In ogni caso godetevi la routine giornaliera di Port Royal, perchè dal prossimo capitolo, che segnerà la fine di questa prima parte della storia, tutto sarà stravolto e nulla sarà più come prima.

Pirates ye be warned~


Grazie a tutti come sempre!
Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***






Capitolo Nono~







Elizabeth Swann arcuò le sopracciglia sottili e schiuse appena le labbra, la brezza leggera in arrivo dal mare che le solleticava il viso e le dita lunghe e affusolate strette attorno al foglio di carta.
Un paio di occhi scuri e irriverenti la fissavano senza pudore, adombrati da alcune ciocche di capelli scuri tenuti lontani dal viso grazie a una bandana dalla quale sporgevano ninnoli di ogni tipo.
Seduta di fronte a lei nel piccolo cortile sul retro della casa del fabbro, Cristal dondolava emozionata, le guance spruzzate di lentiggini.
- Allora? Che ne pensi? Sei delusa? – domandò, il sorriso incerto mentre si alzava in piedi e la affiancava per dare ancora un’occhiata al ritratto.
Elizabeth alzò lo sguardo e fece spallucce.
- Me l’ero immaginato biondo… - confessò, tendendole il foglio che le aveva passato il vecchio Abraham sottobanco.
- Comunque hai ragione tu, ha carisma! – decretò infine, alzandosi in piedi e inspirando a pieni polmoni l’aria salmastra, l’immagine del ricercato ancora impressa nelle retine.
Cristal le fu accanto con un balzo e le prese le mani, facendole fare una giravolta.
- Carisma, carisma! Quest’uomo è geniale! Riuscire a saccheggiare Nassau senza esplodere un colpo! – cinguettò, adorante.
- Capisci? Chiunque potrebbe depredare una città, ma Jack Sparrow fa di più: evita inutili spargimenti di sangue! Secondo Will è un codardo, io lo ritengo un signore! – continuò, negli occhi chiari il luccichio dell’ammirazione.
- Chissà, forse un giorno Sparrow potrà dire con orgoglio di aver navigato sotto i colori di Capitan Swann e Capitan Cooper! – azzardò l’amica con un ghignetto.
Cristal rise e incrociò le braccia al petto, alzando il mento con finta presunzione.
- Vedrai, Elizabeth, un giorno faranno carte false per poter dimostrare di aver navigato con noi! –
Prima che la figlia del Governatore potesse dire qualsiasi cosa, però, la porta sul retro di casa Cooper si spalancò.
- Cris, tuo padre mi ha mandato a dirti di… - ma la voce morì in gola a Will Turner, che tacque, le sopracciglia appena aggrottate e la mano ancora sulla maniglia.
Improvvisamente Cristal percepì una strana tensione, una sensazione spiacevole e viscida alla quale non era per niente abituata.
Non le sfuggì il fremito acquattato infondo alle iridi nocciola dell’amica, né la reticenza imbarazzata dell’apprendista nell’accorgersi che lui e Cristal non erano soli.
- Buongiorno, William. – salutò Elizabeth chinando dolcemente il capo in quella che la figlia del fabbro riconobbe come una misurata e falsa formula di cortesia.
Dal canto suo Will rimase rigido come uno stoccafisso, l’aria imbambolata e piuttosto stupida.
- Elizabeth… Io… Non credevo ci fossi anche tu… - balbettò, le guance appena tinte di rosso.
- Ovviamente. – replicò la ragazza con inusuale freddezza.
Cristal roteò gli occhi e cercò di porre fine a quel fuoco incrociato in cui era incappata suo malgrado.
- Allora? Che c’è? – domandò sgarbatamente avvicinandosi a Will.
Quello parve riscuotersi e  si voltò verso di lei, leggermente più rilassato nell’incontrare il suo sorrisetto ironico.
Cristal sapeva, e lo avrebbe certamente aiutato a trarsi d’impaccio.
Le comunicò in un sussurro la richiesta di Jim Cooper e attese una risposta.
Lei si morse un labbro e contò rapidamente qualcosa aiutandosi con le dita.
- Quattro… Cinque… No, non ce la faccio oggi. Digli che se non è urgente ci andrò domattina. – e con ciò lo congedò con un cenno della testa e un “ci vediamo dopo” sussurrato a fior di labbra.
Will annuì e tornò a grandi passi verso la porta, facendo un piccolo inchino all’indirizzo della giovane Swann.
- Arrivederci, Elizabeth. – e sparì, chiudendosi la porta alle spalle.
Cristal aspettò di essere certa che Will fosse uscito in strada e si voltò verso l’amica, sbottando irritata.
- Si può sapere cos’avete, entrambi? Perchè sei stata così fredda? –
Elizabeth avvampò e si portò una mano al petto.
- Io fredda? Ma l’hai visto? E’ già un miracolo se si degna di guardarmi negli occhi! –
La bionda sbuffò, lasciandosi nuovamente cadere sulla cassa dove era seduta poco prima.
- Elizabeth, è ovvio! Come fai a non capire? E’ un fabbro, sa benissimo di non avere speranze con una come te! Cerca di disilludersi, tutto qui! – argomentò, esasperata dalla cecità dell’amica.
Quella rimase immobile, le guance ora pallide e il respiro tremolante.
Strinse i pugni attorno al vaporoso abito color del sole, in netto contrasto con il cielo di quella giornata, e si morse un labbro.
- Questo non significa che non possiamo più essere amici come una volta… - esalò, afflitta.
Ci fu un lungo momento di silenzio durante il quale Cristal si interrogò se non fosse il caso di tacere e lasciar correre, ma quella faccenda riempiva d’amarezza anche lei, e si ritrovò ad esternare le sue opinioni senza nemmeno accorgersene.
- Non credo che potremo mai più tornare ad essere amici come una volta, Lizzie… - constatò nell’accomodarsi dietro l’orecchio una ciocca di capelli scompigliata dal vento via via più forte.
Lo sapeva, lo sapevano entrambe: un conto era l’infanzia, un tempo in cui ogni gioco è permesso e non vi è malizia negli sguardi, ma adesso erano cresciuti, tutti quanti, e l’avanzare degli anni significava entrare di diritto in quell’odiosa società che pareva creata apposta per tarpare le ali ai desideri e soffocare le speranze.
- Ieri sono andata a trovare James. – comunicò poco dopo Elizabeth nel tentativo di accantonare quel discorso fastidioso.
Operazione riuscita, la figlia del fabbro drizzò la schiena e si sporse in avanti, avida di notizie.
- Come sta? Le ferite? Tutto bene? –
Lizzie annuì con un sorriso gentile.
- Si è rimesso quasi completamente. E ha chiesto di te… - aggiunse, nella voce una reticenza volta ad acuire il senso di mistero.
- Di me? – ma dei colpi decisi alla porta le interruppero.
- Miss Swann, chiedo scusa, ma è ora di tornare a casa… - i dolci occhi verdi di Howard Smith fecero capolino assieme al suo sorriso dispiaciuto.
- Di già? Ma è presto! – si lamentò la ragazza, giungendo le mani nella speranza che la guardia le accordasse ancora qualche minuto.
 Quello però scosse il capo, deciso.
- C’è aria di burrasca, vostro padre vorrebbe evitare che vi bagnaste rientrando… - spiegò.
Cristal fece spallucce e le due tornarono in casa, dove Marion stava sbrigando alcune faccende.
- Vai già via? Porta i miei saluti a tuo padre! – sorrise agitando la mano all’indirizzo della fanciulla e della guardia del corpo.
- Ci vediamo domani! – ricordò Cristal mentre la carrozza già svoltava l’angolo della strada.
Chiuse la porta e si diresse verso il tavolo della cucina, ma sua madre le sbarrò la strada, in mano un cesto di vimini coperto da un panno colorato.
- Ho sentito che il Tenente Norrington si è finalmente rimesso! Sarebbe proprio cosa ben fatta se lo andassi a trovare e gli portassi questa torta con i saluti della famiglia! – propose con un’aria dolce e che al contempo non ammetteva repliche.
- Ma mamma, da qua a casa del Tenente ci vuole più di un quarto d’ora di cammino, se dovesse piovere… -
- Allora tanto meglio che ti sbrighi ad andare e tornare… - la mise a tacere la donna con un buffetto affettuoso sul naso.
- Despota… - biascicò indossando uno scialle per riparare dal vento la scollatura e annodandosi la mantellina di lana al collo.
Proprio mentre Cristal usciva, Jim entrò in casa, rivolgendo alla moglie uno sguardo curioso.
- Dove la stai mandando? –
Marion si avvicinò alla finestra e sbirciò distrattamente sincerandosi che la ragazza si stesse sbrigando.
- Da Norrington, pare che ormai sia guarito quasi del tutto… - spiegò.
Il fabbro manifestò gli stessi timori della figlia.
- Sei pazza? Sarà fradicia prima di aver percorso metà strada! – fece, oltremodo contrariato.
Marion si profuse in un ghigno che non prometteva nulla di buono.
- Appunto… -
Nel frattempo Cristal camminava spedita per le vie del borgo, il cappuccio della mantellina che le sbatacchiava sulla schiena frustato dal vento.
Quell’anno avevano avuto un autunno caldo e umido, e solo in quei giorni di inizio Novembre le temperature erano scese di almeno dieci gradi, intimidite dal forte vento dalle raffiche sostenute che spazzava la costa.
Bassi nuvoloni neri si erano insaccati contro la baia, calando la città in un buio innaturale, mentre la polvere si levava da terra in solitari mulinelli, alzando di tanto in tanto mucchi di foglie secche e crepitanti.
Per strada non c’era nessuno, fatta eccezione di alcuni monelli dalle ginocchia sbucciate e dai sorrisi sdentati che giocavano a nascondino fra casse e barili e si divertivano a tirare la coda ai gatti e guardarli sfrecciare via, le pellicce dritte di disappunto e desiderio di vendetta.
La ragazza attraversò il paese e imboccò la lunga strada che si inerpicava sul lato della collina che dava sul mare.
Due mesi prima, quando era tornata la spedizione di Thompson, aveva raggiunto villa Norrington in carrozza, ben decisa ad accertarsi che il Tenente tornasse a casa e si facesse medicare come si deve senza fare storie, e non le era parso che il sentiero fosse così lungo ed esposto alle intemperie.
Si strinse meglio nella mantellina ed accelerò il passo nel sentire le prime gocce di pioggia: ormai aveva superato la metà del percorso, tornare indietro sarebbe stato anche peggio.
Cinque minuti dopo, quando il pesante batacchio sbattuto ferocemente contro la porta informò James Norrington di avere visite, la ragazza sembrava appena riemersa da un tuffo in mare aperto.
- Miss Cooper?! – fece il ragazzo, sorpreso e un po’ preoccupato nel vederla battere i denti dal freddo, grondante e con i capelli appiccicati al viso.
- Buongiorno Tenente! Ero passata a farvi visita, ma la pioggia non ha avuto la clemenza di aspettare che raggiungessi il portone! – esclamò con un grande sorriso.
Quello ascoltò il suo discorso a bocca spalancata e la fece entrare, conducendola a passo appena claudicante verso il salone.
- Uscire con questo tempaccio… voi siete folle! Venite, sedetevi di fronte al camino… - le intimò indicandole una poltrona rivestita in velluto verde già sistemata accanto al focolare.
A giudicare dal libro aperto a faccia in giù sul bracciolo Cristal dedusse che quello fosse proprio il posto da cui aveva scomodato il Tenente.
- Ma no, vi inzupperei la poltrona! – fece imbarazzata, sbirciando con la coda dell’occhio la scia di pozzanghere che si era lasciata alle spalle.
James valutò rapidamente la situazione squadrandola dall’alto in basso e le fece cenno di seguirlo al piano superiore.
- Vediamo se posso darvi qualcosa da mettere indosso finchè i vostri abiti non si saranno asciugati… - considerò salendo le scale, seguito dall’incedere timido e reticente della ragazza.
Quando raggiunsero la stanza da letto del padrone di casa lei rimase fuori dalla porta, le guance rosse in netto contrasto con il pallore del viso.
Norrington, in imbarazzo quasi quanto lei, le fece segno di entrare e aprì un’anta dell’armadio in legno chiaro, impreziosito da intarsi in pigmento verde e foglia d’oro.
- Temo di non essere più in possesso di abiti adatti a voi… Ho fatto gettare via quelli di mia madre quando… - balbettò, lo sguardo incupito dai ricordi.
- Non fa niente, posso… posso anche restare così! –
Ma l’ufficiale non volle sentire ragioni, e dopo qualche attimo di ricerca fece emergere dal guardaroba una delle divise rosse dei sottoufficiali, corredata di giacca e camicia.
- E’ mia, di quando ero un ragazzino. Dovrebbe andarvi bene… -  spiegò, appoggiando gli indumenti sul letto.
- Io vi aspetto al piano di sotto, prendetevi pure il tempo che vi occorre… Nel frattempo preparo del té! – fece per andarsene, ma la voce flebile dell’ospite lo trattenne sulla porta.
- Ecco, mia madre… mia madre ha preparato un dolce per festeggiare la vostra guarigione! Spero solo non si sia sciolto… - aggiunse con aria appena mortificata, porgendo il cestino di vimini al padrone di casa.
Quello sollevò il panno per scoprire la superficie dorata di una torta in miracolosamente ancora in ottime condizioni ed esibì un grande sorriso, gli occhi a brillargli di una gioia quasi infantile.
- Ha un profumo delizioso! – e con quella rassicurante constatazione accostò la porta e scese le scale zoppicando.
Cristal apparve una decina di minuti dopo, i capelli ancora bagnati raccolti in una treccia laterale e i vestiti fradici tenuti ben lontani dalla sua figura.
James rimase immobile, il dito ancora sospeso sulla pagina che stava voltando.
Non l’aveva mai ammesso a se stesso, ma adesso doveva proprio convenire che Cristal Cooper era bella.
Non come Elizabeth, la cui bellezza era quella irraggiungibile delle regine, nobile, misurata e carismatica.
Cristal aveva in sé la bellezza delle persone semplici: nei capelli gonfiati dall’umidità la carezza dorata del grano del Sussex, negli occhi la limpida fedeltà dell’oceano, le lentiggini come lievi costellazioni in una notte d’estate.
I suoi modi erano particolari, a volte addirittura impacciati e per nulla femminili, eppure aveva in sé una certa grazia, una fermezza nello sguardo che bilanciava la sua ingenuità.
Si rese conto, lasciando che lo sguardo intuisse i polpacci allenati al di sotto degli stretti pantaloni rossi e indugiasse forse un po’ troppo sulla camicia tesa in prossimità del seno, che ormai si trovava al cospetto di una donna, e cercare di negarlo sarebbe stato solamente un mentire a se stesso.
Solo all’incerto “dove li metto?” della ragazza parve finalmente riscuotersi e riacquistare un po’ di concentrazione.
Sistemò gli abiti di fronte al fuoco scoppiettante e si sedette sul divanetto che dava le spalle alla grande finestra sferzata dalla pioggia, facendo segno alla giovane di prendere posto accanto a lui.
Norrington aveva poca servitù: era una persona solitaria, e trovava che la cameriera e il cocchiere fossero più che sufficienti per servire un singolo individuo; inoltre la maggior parte delle stanze della sua grande villa erano chiuse a doppia mandata da anni, e tuttò ciò di cui si doveva preoccupare era il piano terra e la sua stanza da letto, subito in cima alle scale. Quel giorno non aveva in programma di uscire, sapeva che i Swann non lo avrebbero visitato e non avendo più bisogno di aiuto per camminare aveva deciso di concedere alla servitù un pomeriggio di libertà, stanco di tutto l’affaccendarsi che c’era stato attorno a lui in quegli ultimi due mesi.
Proprio per questo motivo aveva provveduto personalmente a preparare il té e a servire la torta in piattini di porcellana cinese appartenuti a sua madre.
Trascorsero un paio d’ore chiacchierando tranquillamente, ma quando il buio della sera si aggiunse a quello delle nuvole Cristal si rese conto di essersi trattenuta un po’ troppo.
- Sono desolata di avervi arrecato tutto questo disturbo, Tenente, appena pioverà un po’ meno mi incamminerò… - incominciò a scusarsi, presto interrotta dalla voce calda e dolce del ragazzo.
- Non dite sciocchezze, Miss Cooper! E’ tardi, sarebbe oltremodo indecoroso permettervi di tornare a casa da sola. Vi riaccompagnerò in carrozza. -  e il suo era quasi un ordine.
- Ma mia madre si preoccuperà se…! –
- Ne avrebbe certamente ragione se decideste di uscire in mezzo a questo nubifragio. Se entro due ore non avrà accennato a smettere potrete restare qui per la notte, e domattina spiegherò ai vostri genitori quanto accaduto… - propose con fermezza.
Cristal sospirò e si lisciò la stoffa dei pantaloni, nervosa.
In che razza di situazione si era cacciata…





 
Come pronosticato, il mattino dopo i suoi genitori –specialmente Jim- l’avevano accolta con aria spaventata e avevano ringraziato quasi eccessivamente Norrington per le sue premure.
- Mamma, non farmelo fare mai più, è stato terribilmente imbarazzante! – si era lamentata, il viso in fiamme, quando finalmente il Tenente se n’era tornato a casa.
- Suvvia, che esagerata! Cosa può mai essere successo di così imbarazzante? – aveva chiesto, volutamente maliziosa.
- Beh, in realtà niente, ma… Insomma… Ha letto per me, poi ci siamo addormentati… - aveva sussurrato, lo sguardo puntato ai piedi.
- Addormentati? Insieme?! – Jim era scattato in piedi, subito tranquillizzato dal mormorio della figlia.
- Sul divano… La ferita al fianco è completamente guarita, ma quella alla gamba lo affatica ancora un pochino, e io ero stravolta e… Dio, mamma, non fare quella faccia, stamattina avrei voluto sprofondare! Grazie al cielo eravamo solo noi due, o non avrei potuto resistere alla vergogna! –
Al “solo noi due” il fabbro aveva lanciato un’occhiata di fiele alla moglie, che però l’aveva ignorato, sul viso un sorrisetto soddisfatto.
Marion aveva continuato con le sue strane ed imbarazzanti insinuazioni per i mesi successivi, finchè il sole caldo di Giugno non era tornato a scaldare le ossa ed Elizabeth era apparsa con una notizia che aveva piombato il paese intero in un’atmosfera di agitazione e preparativi.
Giunse così anche il tanto atteso dodici di Luglio, un mese esatto dopo il sedicesimo compleanno di Cristal, il Forte allestito per la cerimonia e le donne agghindate con gli abiti all’ultima moda.
- Mamma, mi fai male! Così tira! – piagnucolò la giovane Cooper mentre sua madre si affacendava a raccoglierle i capelli con spille e forcine.
- Tutte le volte che devi renderti un po’ più femminile fai sempre le stesse storie! Chi bella vuole apparire, un poco deve soffrire! – cantilenò la donna con un grande sorriso, ammirando soddisfatta il suo operato.
- Ah, guardati, sei bellissima… - commentò poi, portandola di fronte al grande specchio in camera da letto affinchè potesse apprezzarsi a figura intera.
- Se solo penso a com’eri piccina quando siamo andate per la prima volta al compleanno di Elizabeth… - sussurrò, abbracciandola e posandole il mento sulla spalla, portata dalla malinconia.
- Sai, sono passati sei anni… Anche tu avevi meno rughe all’epoca! – la schernì sua figlia strizzandole l’occhio.
Marion si portò indici e medi agli zigomi e tirò verso l’alto rivolgendo una linguaccia al suo riflesso.
- Ho solo vent’anni più di te, non sono ancora decrepita! Ah, eri una bimba così carina, e adesso sei già una donna in età da marito… - considerò, sistemandole il vaporoso abito verde smeraldo.
Cristal roteò gli occhi, sapendo già dove sarebbe andata a parare.
Era ormai quasi un anno che la tormentava con simili discorsi, quasi il suo matrimonio fosse stato la sua unica ragione di vita. Era consapevole di essere ormai abbastanza grande da dover mettere in conto quella prospettiva, ma onestamente non era smaniosa di sistemarsi così come sua madre avrebbe desiderato, dal momento in cui agli occhi dell’unico uomo in tutta Port Royal capace di farle vedere il matrimonio come una gioia e non come una rinuncia lei era completamente indifferente.
Un pomeriggio di qualche giorno prima, di ritorno da una passeggiata con Lizzie, aveva sorpreso i suoi a discutere in proposito.
- Lo faccio per proteggerla, prima sarà lontana da noi, prima sarà al sicuro. – aveva detto sua madre, nella voce un dolore che l’aveva indotta a non aprire subito la porta.
- Marion, la condanneresti ad una vita  in gabbia? – era stata la replica di Jim.
Al di là dell’uscio chiuso, Cristal aveva percepito sua madre alzarsi di scatto da tavola e alzare la voce.
- Jim, non è divertente! Non è solo brezza fra i capelli e vecchie canzoni! –
A quel punto anche il fabbro aveva alzato la voce, severo e quasi accusatore.
- Non mi sembra che tu abbia mai ricordato quei giorni con tale disgusto! –
- Jim, io non ho scelto questa vita! E’ stato un obbligo, non avrei potuto fare altrimenti! No, non lo rimpiango, è vero, ma non voglio condannare mia figlia allo stesso destino di incertezza a cui mi sono condannata io! –
A quel punto aveva aperto la porta, spaventata e disturbata dalla piega che quel discorso aveva preso. Forse non avrebbe mai dovuto fermarsi ad origliare, forse invece avrebbe dovuto chiedere spiegazioni.
In ogni caso, di fronte agli occhi sgranati e alle labbra serrate dei suoi genitori aveva preferito non indagare oltre, fingendo di non aver sentito nulla.
- Dai, vieni, o faremo tardi… - la incalzò sua madre, distogliendola da quegli sgradevoli ricordi.
Uscirono in strada e Jim le salutò con un fischio di ammirazione.
- Le mie donne, sempre le più belle! – esclamò orgoglioso per poi posare un bacio sulle labbra di sua moglie e incamminarsi verso il Forte.
Cristal sospirò e sollevò appena la grande gonna per non calpestarla.
Da quando James si era rimesso, ai primi di Novembre, non aveva avuto un attimo di tregua, impegnato in spedizioni qua e là per il Mar dei Caraibi. L’impeccabile operato e la professionalità senza eguali del giovane avevano presto dato i loro frutti ed ora, sotto il caldo sole di Luglio, sarebbe infine stato promosso a Capitano e avrebbe ereditato l’ufficio di Thompson, del quale era stato considerato degno erede.
L’aveva incontrato solamente una volta da quando, un mese prima, Elizabeth le aveva comunicato la notizia, e la luce orgogliosa e soddisfatta nei suoi occhi le aveva scaldato il cuore.
Se lo meritava, e Cristal era più che certa che avrebbe reso onore al suo grado.
Quando arrivarono al Forte la terrazza e il porticato erano gremiti di gente, e fu Groves ad accoglierli.
- Se cercate Miss Swann è accanto a Norrington, sarà il Governatore a conferirgli il grado e la figlia rimarrà accanto a lui per tutta la cerimonia, temo… - spiegò con una leggera alzata di spalle.
- Vorrà dire che aspetterò… - replicò Cristal con un sorriso tranquillo, prendendo posto assieme a i suoi genitori all’ombra del colonnato.
La cerimonia fu meno lunga di quanto la ragazza avesse temuto; vi fu un breve discorso, il present arm dei soldati e finalmente l’assegnazione del grado.
Elizabeth, che dava l’idea di starsi annoiando come mai in vita sua, schizzò da Cristal nonappena la cerimonia fu terminata, mentre i violini iniziavano a suonare per allietare l’atmosfera.
- Santo cielo, credevo non sarebbe finita mai! – esclamò dopo aver salutato i Cooper con un inchino e aver rivolto una strana occhiata a Marion.
- Poteva andare peggio, devo ricordarti quando l’Ammiraglio Pike si è ritirato dal servizio? – fece Cristal alzando le sopracciaglia con aria allusiva.
Elizabeth roteò gli occhi, sconvolta al solo ricordo di quell’interminabile cerimonia, poi prese l’amica per mano e si allontanò dalla folla, prendendo a spettegolare di mille e mille cose.
Fu qualche minuto dopo che James Norrington le raggiunse, bardato di tutto punto come imponeva l’etichetta.
Le salutò educatamente e rivolse un’occhiata imbarazzata ad Elizabeth, che inarcò un sopracciglio, confusa.
- Ecco io… mi chiedevo se… Se sarebbe possibile rubarvi Miss Cooper per qualche minuto… - balbettò, lo sguardo che saettava qua e là per non dover incontrare gli occhi della figlia del Governatore.
Quella inclinò appena la testa da un lato, mentre un ghigno le squarciava l’espressione.
- Certamente, Capitano, certamente… - e così dicendo si dileguò canticchiando eccitata finchè non ebbe raggiunto l’ombra del porticato.
James tornò a voltarsi verso Cristal e con un cenno della testa la invitò a passeggiare fino al parapetto che dava sul mare.
- Capitano… mi ci vorrà un po’ per abituarmici… - sospirò, il sorriso sincero a tradire la sua soddisfazione.
- Oh, io non credo… Ci si abitua in fretta al potere! – esclamò la ragazza con tono scherzoso.
- Un po’ meno in fretta alle responsabilità… - ammise l’altro senza tuttavia mutare l’espressione.
La figlia del fabbro poggiò le mani sul parapetto scaldato dal sole ed inspirò ad occhi chiusi l’aria slamastra che saliva dal mare calmo e scintillante nel meriggio estivo.
- Siete stato fortunato, oggi è una bellissima giornata! – esclamò, salvo accorgersi che l’ufficiale non la stava ascoltando.
- James? – domandò nel vedere i suoi occhi puntati sull’orizzonte attraversati da un brivido di agitazione.
Quello si voltò di scatto e arrossì violentemente.
 -Ah, chiedo scusa, mi ero distratto… - balbettò con un grande sorriso imbarazzato.
Era agitato, si percepiva chiaramente dalle mani ficcate nelle tasche della giacca, dai muscoli tesi del collo e dalla mascella serrata.
Cosa diamine gli prendeva?
Prima che la ragazza potesse dire qualsiasi cosa, però, si fece serio di colpo.
- D’accordo, non è certo per parlare della mia promozione che siamo qui. - e in un passo coprì la distanza che li divideva, traendo un sospiro profondo per darsi un contegno.
- Quando ti ho conosciuta, Cristal, ho pensato che fossi solamente una bizzara bambina con un’altrettanto bizzarra passione, dettata da una fantasia forse eccessiva e mal indirizzata. Eppure più crescevi e più ciò che io credevo essere testardaggine diventava determinazione, alimentata da un’intelligenza e da una prontezza di spirito più che insolite in una giovane della tua età. E sei diventata ai miei occhi interessante come non lo è mai stata nessun’altra. –
La ragazza tacque, come pietrificata da quel discorso di cui non capiva il senso, ma che la faceva comunque sentire strana, quasi avesse potuto esplodere da un momento all’altro.
- Io non… non capisco… - azzardò.
- Ti amo. – la interruppe senza convenevoli né giri di parole.
Cristal spalancò la bocca, sconvolta da quella dichiarazione.
- Co… Cosa? Io… credevo di esserti indifferente! – balbettò, le guance improvvisamente paonazze e il respiro corto.
- Indifferente?! Non hai notato quanto nell’ultimo anno ci incontrassimo spesso? Credi che le mie passeggiate presso il mercato del Martedì fossero del tutto casuali? Non ti sei mai chiesta come mai capitassi così spesso a casa tua con qualche scusa? –
La giovane si portò le mani alla bocca, sconvolta da quella dichiarazione inaspettata.
Eppure, adesso, ogni cosa aveva senso, ognuna delle fastidiose domande che per mesi le avevano attanagliato il cuore trovava una risposta.
La amava.
James Norrington, il freddo e serio ufficiale della Marina Britannica, l’enfant prodige fiore all’occhiello della guarnizione di Port Royal, la amava.
- Mi rendo conto che tutto ciò potrà sembrare incomprensibile se non addirittura disdicevole, ma credimi quando dico che è stato fatto tutto per poter essere al tuo fianco. Non posso più contenere ciò che provo, Cristal. – le prese le mani in un tocco gentile, sì dimenticò di inginocchiarsi e parlò mosso dal sentimento travolgente che ormai aveva preso pieno possesso del suo cuore.
- Ti prego, sposami. –
Silenzio.
Percepiva solo silenzio, il vocio concitato della gente scomparso assieme alle grida dei gabbiani e allo sciabordio delle onde. Non c’era più niente se non il cuore che pulsava nelle orecchie e quella richiesta crollata sulla sua coscienza come una palla di cannone sulla superficie dell’acqua.
- Io… - esordì, la gola secca e gli occhi che pizzicavano.
Che fossero di gioia o di paura, cercò di ricacciare le lacrime, la mente alla disperata ricerca di una risposta.
- Io… - disse ancora, completamente incapace di pensare.
Norrington rimase immobile, in piedi di fronte a lei, sul volto ancora pietrificato il sorriso incerto e nervoso dell’attesa.
- Capisco… capisco se… Insomma… Se non… - mormorò dopo alcuni secondi di silenzio insopportabile.
- Ma no, no! E’ che… - balbettò lei, agitando le mani imbarazzatissima.
Fu in quel momento che, non si sa se per fortuna o per disgrazia, fece la sua comparsa Lucas Gillette.
- Capitano Norrington! Eccovi qui, vi ho cercato dappertutto! Vi eravate appartato con Miss Cooper, eh? Spiacente, ma dovete assolutamente tornare al porticato, è l’ora del discorso… - sciorinò quasi senza prendere fiato fra una frase e l’altra.
Norrington gli rivolse un’occhiata che avrebbe potuto incenerirlo.
- Non ora, Gillette, per cortesia. – sibilò, tagliente.
Il sottoufficiale non parve accorgersi della gravità della sua intrusione e rivolse un sorriso sarcastico alla figlia del fabbro.
- Non temete, Miss Cooper, ci penso io a salvarvi dalle romanticherie di James. Sicuramente ciò che vi stava dicendo potrà aspettare! – e circondò le spalle del collega con un braccio, spingendolo insistentemente verso il colonnato.
- Ma veramente… - balbettò quello, mentre Cristal, sconvolta, non osava replicare.
- Lucas! – cercò di rimproverarlo, ma quello non volle dargli ascolto.
- Su, James, il Governatore aspetta, farai brutta figura altrimenti… -
- Aspettate! – esclamò a quel punto la ragazza, protendendo una mano verso di loro.
L’ultima cosa che vide prima che i due fossero fagocitati dalla folla fu lo sguardo di James: deluso, sconfitto, spezzato dal rifiuto.
Si appoggiò al parapetto con la schiena, gli occhi ancora sbarrati e il cuore in gola.
Quella era una proposta di matrimonio. James Norrington voleva sposarla.
Barcollò come in trance finchè non ebbe raggiunto Elizabeth, che le venne incontro con aria preoccupata.
- Cris, stai bene? –
Annuì distrattamente, senza considerare realmente cosa le avesse chiesto.
- Credo di aver preso un colpo di sole, è meglio se vado a casa a riposare un po’… Avvisa i miei genitori, per piacere... – proferì piatta, già incamminandosi.
Elizabeth, però, la afferrò per un braccio e la fece voltare.
- Cris, non vorrai dirmi che ti ha…? – l’amica annuì.
- Non dirlo a nessuno, ti prego. Sono in crisi. –
Erano le sette di sera, poco dopo cena, quando Howard Smith bussò alla porta di casa Cooper.
- Buonasera Jim. Miss Swann gradirebbe trascorrere qualche minuto con vostra figlia, ha una questione urgente da risolvere e le serve il suo aiuto… -
L’uomo lanciò un’occhiata alla figlia, seduta a tavola a leggere mentre Marion ricamava.
Durante il pomeriggio la casa era stata come attraversata da una bufera: vi erano stati pianti, grida, risate e silenzi attraverso i quali avevano affrontato, insieme, la grande notizia della dichiarazione.
- Cristal, hai visite! – la chiamò senza notare l’espressione compiaciuta che la guardia del corpo di Elizabeth aveva rivolto a sua moglie, la quale aveva incrociato le braccia indispettita.
- Ti concedo un paio d’ore, non di più. Vedi di essere a casa prima che faccia buio… - le accordò, mentre anche Marion accorreva alla porta per salutare Howard e Lizzie.
- E se per caso capitassi dalle parti del Forte… - sussurrò quella alla figlia mentre la baciava in segno di congedo.
Cristal rise e scosse la testa.
- Sei terribile, mamma! – e, annodando lo scialle leggero, si chiuse la porta alle spalle e raggiunse Elizabeth.
- Allora? Raccontami tutto! Non hai idea delle scenate che ho dovuto fare perché mio padre mi lasciasse uscire di sera! – esclamò la figlia del Governatore quando la guardia del corpo si fu debitamente allontanata.
- Beh, c’è poco da dire, in realtà… - borbottò passandosi una mano fra i capelli ora sciolti sulla schiena.
Le raccontò in breve quanto successo al Forte e cercò di riassumere la lunga discussione avuta con i suoi genitori una volta a casa.
- Credevo che sarebbero stati contrari, invece mia madre è entusiasta, e papà sembra aver preso la notizia di buon grado… - spiegò calciando un sassolino con la punta dello stivale.
- E tu? Insomma, non sei felice? Oddio, Cristal, non vorrai mica rifiutare! – strabuzzò gli occhi di fronte a quell’assurda eventualità.
La figlia del fabbro si morse un labbro.
- Un ufficiale della Marina e un pirata non possono sposarsi, è controproducente… - mormorò, ottenendo solo di far scoppiare a ridere l’amica.
- Ti prego, Cris! Già che ho perso la scommessa, almeno sia per una causa seria! –
- Scommessa? – Cristal inclinò la testa di lato, confusa.
- Avevo scommesso che James si sarebbe dichiarato dopo la cerimonia. Tua madre diceva prima, e per Howard l’avrebbe fatto proprio oggi. Non riesco a credere che siamo state entrambe battute da un uomo! – si lamentò, mentre l’altra interrompeva la marcia di scatto.
- Cosa?! Avete scommesso su… Ma vi sembra una cosa normale?! –
Elizabeth rise, contagiando anche l’amica.
- Se non altro è servito a rilassarti un po’, è da quando siamo uscite che sei tesa come una corda di violino… - considerò con dolcezza.
- Cris, capisco che la faccenda ti abbia scombussolata, ma James è un uomo dabbene e ti ama davvero, è evidente! Non potresti desiderare partito migliore, credimi… - aggiunse poi, i caldi occhi castani carichi d’affetto.
Si separarono un’ora dopo con un abbraccio e la promessa di vedersi il giorno dopo, ma Cristal non rientrò a casa. Aveva ancora un’ora a disposizone, ed era certa che se avesse avuto l’occasione di godersi il tramonto dall’alto del Forte si sarebbe senza dubbio schiarita le idee.
Non che ne avesse davvero bisogno, sapeva esattamente cosa dire, ma aveva bisogno di qualche momento di raccoglimento, giusto una manciata di minuti da sola con se stessa per assaporare gli ultimi riflessi di una vita che avrebbe presto abbandonato.
Dall’alto dello strapiombo, il disco di fuoco che si gettava mollemente nell’abbraccio dell’oceano e le palme bagnate d’oro e di malinconia, a Cristal mancò il fiato, come se quello fosse stato l’ultimo tramonto che avrebbe potuto ammirare da quel luogo, come se il giorno dopo, al suo risveglio, la sua intera esistenza sarebbe stata stravolta.
Sorrise e si diede della stupida per simili pensieri.
Dopotutto non aveva passato gli ultimi mesi a domandarsi sei i suoi sentimenti sarebbero mai stati ricambiati? E ora addirittura James le aveva chiesto di trascorrere tutta la vita assieme!
Alla sola idea si sentì arrossire e non poté trattenere un sorriso. Se solo un paio d’anni prima le avessero detto che si sarebbe ritrovata in quella situazione sarebbe scoppiata a ridere, dichiarandola impossibile. Ah, quante cose erano cambiate…
Attese che anche gli ultimi bagliori venissero catturati dalla linea dell’orizzonte e fece dietrofront, pronta a tornare a casa, ma una figura in piedi a pochi passi da lei la fece sussultare.
- James! – esclamò senza tuttavia provare l’agitazione che si sarebbe aspettata.
- Buonasera, Cristal… - si avvicinò lentamente, e la giovane notò che non indossava il parrucchino, i capelli scuri liberi nella brezza della sera.
La guardò negli occhi senza dire una parola e lei gli sorrise timidamente.
- Per quanto successo oggi vi porgo le mie scuse, capisco perfettamente che… - ma la giovane lo fermò con un gesto delicato della mano.
- Il signor Gillette ha la capacità di presentarsi sempre nei momenti meno opportuni. – esordì, cercando di non ridere di fronte all’espressione sbigottita del ragazzo.
- Sono io a dovermi scusare. – aggiunse, lo sguardo basso e le guance imporporate dall’imbarazzo.
- Ma ecco, se la proposta di quest’oggi è ancora valida… la mia risposta… -
E nell’esatto momento in cui pronunciò il suo , Cristal Cooper comprese che quella era la cosa giusta.
James Norrington sorrise, e i suoi occhi grigi spruzzati di verde brillarono della gioia di chi ha trascorso una vita alla ricerca della serenità e, dopo anni di dolorosa solitudine, finalmente raggiunge la sua pace.
La prese per i fianchi e le fece fare una giravolta, la gonna si gonfiò nel movimento, e mentre lui continuava a ripetere “ti amo” lei rideva, persa nei suoi occhi.
- Dio, non credevo che sarebbe mai stato possibile! – confessò il Capitano stringendola forte fra le sue braccia.
- E io che ti credevo indifferente… - sorrise Cristal, il capo appoggiato al suo petto, gli occhi chiusi ad assaporare ogni singolo respiro.
Adesso non serviva più nascondere i suoi sentimenti, misurare le parole, fingere.
Alzò lo sguardo e nemmeno si sorprese nel trovare il volto del ragazzo a un soffio dal suo, ma un boato improvviso fece tremare la terra sotto i loro piedi.
- Cos’è stato? – domandò, allontanandosi istintivamente da lui e voltandosi verso il mare.
Ciò che vide le congelò il cuore.
- Pirati!  - sputò Norrington, traboccante d’odio: nella baia, i cannoni puntati contro la città, se ne stavano tre imbarcazioni possenti dalla velatura triangolare.
In un battito di ciglia il Forte fu un brulichio di uomini e l’aria si riempì del fumo dei cannoni.
- Cristal, mettiti al riparo, non è sicuro rimanere qui! – urlò per farsi sentire al di sopra del rumore della battaglia.
- James, posso combattere! – replicò lei, senza considerare il fatto che il Capitano non era a conoscenza dei suoi allenamenti di scherma.
Quello, infatti, la guardò convinto che avesse perso il senno.
- Non ho intenzione di rischiare che ti succeda qualcosa… - le spiegò prendendola per un braccio.
- Mirare alla rampa dei cannoni! Fuoco a volontà! Fate assaggiare i fondali di Port Royal a quei cani rognosi! – sbraitò poi ai suoi uomini, richiamandone due.
- Portatela in un luogo sicuro, svelti! –
- Ma James, io… Posso aiutarti, posso…! – ma la sua voce fu coperta da un’altra cannonata pericolosamente vicina.
Fu con orrore che Norrington si accorse che in paese le case avevano preso a bruciare: erano già sbarcati.
- No, aspettate! – gridò, ma i soldati erano già lontani.
In pochi minuti le tranquille strade di Port Royal si erano mutate nella peggiore rappresentazione dell’Inferno: individui sporchi e dalle espressioni truci si erano riversati a ondate per le vie della città, e distruggevano tutto ciò che trovavano sul loro cammino, appiccando il fuoco e portando morte e terrore.
I due soldati di scorta erano stati stroncati da due pallottole impazzite, e Cristal si era ritrovata a fuggire da un uomo basso e magro, gli occhi a mandorla intrisi di cattiveria.
Era quasi stata raggiunta, quando una lama gli trapassò il petto e alle sue spalle comparve la figura di William Turner.
- Will! – Cristal gli corse incontro e si appropriò della spada del pirata che aveva tentanto di ucciderla.
- Cristal! Sono troppi, vai via, mettiti al riparo! – le ordinò il giovane, incrociando le lame con un altro nemico e affondando la spada nel suo fianco.
- Will, la bottega? – domandò la ragazza, un solo pensiero ad occuparle la mente.
Quello scosse la testa.
- Vai, ti copro le spalle! – le assicurò, indicandole la strada con un cenno della testa.
- Will, non farti ammazzare! – e con un cenno d’intesa corse lungo il sentiero che conduceva a casa sua.
Aveva paura, una paura terribile.
Il caos regnava sovrano, il sangue colava per le strade, nemici pronti a spuntare da ogni angolo.
Sentiva il sangue di coloro che aveva ucciso colare giù dalla lama fin sulla sua mano, ma non poteva permettersi di indugiare sulla nausea che le stava rivoltando le viscere, doveva andare a casa ed assicurarsi che i suoi genitori stessero bene.
Improvvisamente qualcosa la colpì lateralmente, facendola rovinare a terra. Rotolò di lato appena in tempo per evitare di venire trafitta e balzò in piedi, per nulla agevolata dall’ampia gonna e dal grembiule che si impigliava ovunque.
Parò un fendente mortale e piroettò di lato, per poi recidere con un colpo netto la testa dell’assalitore, che rotolò macabra ai suoi piedi.
Si asciugò il viso con una manica e riprese a correre, cercando contemporaneamente di legare la gonna in un nodo laterale.
Quando arrivò di fronte a casa e si accorse che la porta era scardinata si sentì mancare.
Deglutì e strinse nervosamente l’impugnatura della spada, pronta a combattere, ma la casa era deserta.
I mobili erano sfasciati e il paiolo era rovesciato in terra, la zuppa sparsa sul pavimento; dei suoi genitori non vi era traccia.
- Hanno lottato… - considerò a mezza voce, notando in quel momento che la porta sul retro era aperta.
Si precipitò in cortile e lo attraversò di corsa, raggiungendo la stradina posteriore che conduceva fino alla spiaggia, poi li vide.
Suo padre aveva i polsi legati e stava in testa alla fila, in mezzo c’erano due pirati, a chiudere sua madre trascinata per un braccio.
Gli occhi delle due si incrociarono per un lungo momento.
- Mamma… - sillabò la ragazza.
- Mamma! – gridò lanciandosi all’inseguimento, ma la smorfia di terrore della donna la indusse a voltarsi appena in tempo per evitare una sciabolata nella schiena. Con violenza conficcò la sua spada nello stomaco dell’assalitore. Quando si voltò, però, dei suoi genitori non c’era più traccia.
Fu in quell’unico momento di distrazione che qualcosa di duro le colpì violentemente la testa.
Sentì un dolore allucinante, l’amara consapevolezza di aver fallito, poi le urla si ovattarono, e cadde nel buio.
Non era morta.
Non era morta, altrimenti non avrebbe sentito quel fastidioso cerchio alla testa e quella puntura all’altezza della nuca.
Aprì gli occhi lentamente e altrettanto lentamente si portò una mano alla fronte, dove le sue dita incontrarono non senza un certo stupore una fascia di lino.
Scattò a sedere, improvvisamente cosciente del sole che le accarezzava il viso e delle soffici coperte tirate fin sul ventre.
Che ora era? Dove si trovava?
Era a letto, questo era indubbio, e di fronte al letto vi era un armadio in legno chiaro decorato con pigmenti verdi e foglia d’oro.
Conosceva quell’armadio.
- Cristal! –
James Norrington, un graffio sulla guancia destra e gli occhi cerchiati dalla notte insonne, se ne stava seduto a uno scrittoio, ai piedi del quale erano appoggiati gli stivali della ragazza.
- James! Grazie a dio stai bene! – esclamò lei inciampando nelle coperte mentre si precipitava fuori dal letto.
- Che ore sono? James, hanno preso i miei genitori! Dobbiamo fare qualcosa! – continuò in preda al panico, aggrappata alla sua giacca come se fosse stato l’ultimo legame con la vita.
Lui cercò di tranquillizzarla, senza ottenere grandi risultati.
- Sono appena suonate le nove del mattino. Dio, Cristal, ho creduto che ti avessero uccisa! – esalò, nella voce ancora l’apprensione di quando aveva trovato la giovane svenuta  poco lontano dalla bottega.
- Le nove del mattino… – ripeté quella passandosi una mano fra i capelli.
- Non ti preoccupare, appena avrò il via libera organizzerò una spedizione. Dammi un giorno o due e vedrai che… -
- Un giorno o due?! – lo interruppe lei, sconvolta.
- James, ti rendi conto che in un giorno o due i miei genitori potrebbero ritrovarsi in fondo all’oceano?! – continuò, un ampio gesto delle braccia ad enfatizzare le sue parole.
Norrington scosse il capo con fare nervoso.
- Cristal, non posso andare contro gli ordini dei miei superiori! Sai benissimo che sarebbe anche peggio di attendere! – replicò, seccato.
La figlia del fabbro tacque.
Era vero, se si fosse rifiutato di attenersi agli ordini e avesse fatto di testa sua, pur nell’eventualità in cui fosse riuscito a salvare i suoi genitori, avrebbe condannato tutti quanti al cappio al collo.
 Nascose il volto nei palmi delle mani e trasse alcuni profondi sospiri.
- D’accordo, hai ragione. C’è sempre qualche nave che salpa per mezzogiorno, vedrò di organizzarmi… - decise con tutta la naturalezza del mondo.
- Cosa vuoi dire?! – sbottò James, che aveva capito alla perfezione i piani della giovane.
- Credi davvero che lascerò i miei genitori alla mercé di quei barbari?! L’idea di partire da sola non alletta neanche me, ma tu non puoi venire, ed ogni secondo che spreco è più di quanto possa permettermi!- spiegò con una freddezza che lo lasciò spiazzato.
Sorrise, orgoglioso del suo coraggio nonostante l’amarezza che gli gonfiava il cuore.
Improvvisamente tornò ad essere un ragazzino malinconico e lontano da casa, un libro stretto fra le mani in una noiosa giornata di pioggia, i seri e intelligenti occhi chiari che scorrevano rapidi le righe.
Poi la porta aperta lentamente, una busta lunga, il taglio sul suo dito dopo averla aperta con troppa foga. Quel foglio sottile che con poche parole aveva liquidato forse per sempre la sua felicità e le lacrime che si era giurato non avrebbe mai più versato.
No, non avrebbe permesso che la sua Cristal dovesse affrontare un simile dolore, non avrebbe permesso che i sensi di colpa rodessero il cuore alla fanciulla che amava fino a trasformarla nel mero fantasma di se stessa.
Sapeva cosa doveva fare, e anche se quella consapevolezza gli spezzava il cuore, si rese conto che se non l’avesse lasciata andare l’avrebbe persa per sempre.
- Dove li cercherai? – domandò, mentre la giovane si chinava e infilava gli stivali, per poi sciogliere il nodo alla gonna, ancora macchiata di sangue e polvere dalla sera prima.
- Vele triangolari, tipiche delle imbarcazioni orientali. Probabilmente dovranno affrontare una lunga traversata, e in ogni caso avranno bisogno di riparare la velatura e gli alberi dopo la battaglia di stanotte. Il porto più vicino dove una nave pirata possa attraccare in tranquillità è Tortuga. Incomincerò da lì, poi bisognerà pregare. – ragionò ad alta voce, sperando che James non cogliesse l’incertezza e la paura nelle sue parole.
Le accarezzò una guancia dolcemente, cercando di imprimersi nella memoria ogni singolo dettaglio di quel viso pallido e punteggiato di lentiggini
- Verrò a cercarti appena potrò… - sussurrò contro le sue labbra.
- Questo non è un addio… - replicò lei in un soffio, il respiro ad infrangersi contro quello del Capitano.
Chiuse gli occhi, ma fu solo per nascondere le lacrime.
- Grazie, James. –
Fuggì senza voltarsi indietro, il cuore pesante e la gola chiusa da un gigantesco nodo che non ne voleva sapere di sciogliersi.
James Norrington raggiunse la finestra e scostò la tenda, osservando l’unica che avesse mai amato allontanarsi di corsa lungo il sentiero che portava in paese.
L’avevano compreso entrambi: quella scelta avrebbe cambiato per sempre tutto ciò a cui erano abituati.
Cristal si fermò solamente quando fu in vista del porto, rallentata dalle fitte lancinanti alla testa.
Si guardò attorno: la città recava tutti i segni dell’assalto della notte precedente, le insegne dei negozi erano crollate a terra sotto i colpi dei cannoni, chiazze di sangue imbrattavano i muri e ogni tanto, agli angoli delle strade, alcuni sventurati feriti durante il combattimento venivano accuditi dalle donne del paese.
Si voltò per proseguire verso casa sua, ma andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.
- Chiedo scusa, io… - fece distrattamente, salvo spalancare la bocca nell’accorgersi chi avesse urtato.
Media statura, andatura ciondolante, cappello a tricorno ben calato in testa e due profondi occhi nocciola.
Come un fulmine le si ripresentò alla memoria il vecchio ritratto che le aveva mostrato Abraham il libraio diversi mesi prima e non riuscì a trattenere un sorriso di pura gioia.
- Oddio, ma tu…! -
Di fronte a lei, esattamente come l’aveva sempre immaginato, se ne stava confuso e spaesato Capitan Jack Sparrow.














 
Note:

Tanto per incominciare AIUTO.
Questo capitolo è stato un parto, davvero, e tuttora non ne sono pienamente soddisfatta.
Pazienza, ormai so che più di così non potrei fare...
Vi chiedo scusa per la lunghezza infinta, ma ho provato a dividerlo ed è stato inutile, così come è stato inutile tentare di fare taglioni. Purtroppo ciò che accade in questo capitolo è tutto di fondamentale importanza per la trama...
Ma andiamo con ordine...
Finalmente diamo un volto al nostro adorato Capitan Jack Sparrow. Lizzie lo definisce "carismatico". Fosse solo quello. Ahah. Cara Lizzie ingenua e ingoran- okay, la pianto. xD
Will è già tutto geloso, e a giudicare da ciò che accadrà in futuro non ha nemmeno tutti i torti... xD
La scena a villa Norrington mi è servita da una parte per introdurre lo snodo successivo della storia, e dall'altra per aprire una piccola parentesi sul personaggio di Marion.
Strano modo di ragionare il suo. Forse un tantino crudele. Tenetelo a mente. ~
Eccoci infine giunti alla scena della proposta di matrimonio.
DIO MIO SE L'HO ODIATA.
Per fortuna che James è terribile in fatto di romanticismo e giustifica la mia incapacità a descrivere le scene rose-cuori-petali-di-ciliegio-svolazzanti.
Però quanto è adorabile quando lei accetta? *w*
Sono sicura che avrete notato tutti la somiglianza che, da questo punto in poi, il capitolo ha con le prime scene della Maledizione della Prima Luna.
Da un certo punto di vista è un omaggio al film, dall'altro... beh, vedremo in futuro cosa comporterà questa somiglianza! -suspence- xD
I misteriosi pirati si sono portati via sulle navi dalle vele triangolari Marion e Jim. Perchè proprio loro? Cosa otterranno dal rapimento di un fabbro qualsiasi?
La nostra Cris, testarda com'è, ha pensato bene di andarli a cercare per conto suo.
Direte voi, non poteva restarsene a Port Royal con il suo promesso sposo e aspettare di lanciare alle calcagna dei pirati i migliori vascelli della Marina Britannica?
Per quale ignoto motivo James l'ha lasciata andare?
La parola chiave di questo capitolo, signori miei, è "scelta", che va a braccetto con "errore".
Ma non vi anticipo niente, non vorrei mai oscurare la trionfale entrata in scena di Capitan Jack! ~ <3

Per tutti coloro che hanno seguito la storia finora sono orgogliosa -e un po' sollevata- nell'annunciarvi che la prima parte di Thunderbolt si è conclusa con questo capitolo. Dimenticate gli agi e la tranquillità di un'infanzia vissuta all'insegna della fantasia: adesso si salpano le ancore, per davvero. E i venti ci sono contrari...

Grazie infinite a chi ha avuto la pazienza di schioppettarsi questo capitolo eterno, a chi recensisce/segue/blabla e a chi è rimasto con me in questo parto attraverso l'analisi dei nostri personaggi! <3

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***





Capitolo Decimo~





Il cielo su Port Royal era azzurro, accarezzato qua e là da ciuffi di nuvole chiare portate dal vento. I gabbiani gridavano senza prestare attenzione alla città al di sotto delle loro ali libere, e la gente si dava da fare per ricostruire ciò che durante la notte era stato distrutto dalle palle di cannone e dall’anima nera dei bucanieri.
Nessuno, in quel viavai affaccendato, parve fare caso alla giovane dalla gonna lercia di sangue e dalla testa fasciata, né tantomeno all’eccentrico individuo in piedi di fronte a lei, in viso tutta l’aria di voler sparire all’istante.
Cristal sbatté le palpebre un paio di volte, sconvolta e non ancora del tutto sicura se credere ai suoi occhi o sedersi un momento in attesa di aver recuperato il senno.
Forse la botta in testa le aveva arrecato più danni di quanto non le fosse parso in principio…
- Tu sei… - balbettò ancora, incredula.
- Smith! O Smitthie, se preferite! – esclamò lo sconosciuto con un sorriso accattivante, ondeggiando appena.
La ragazza osservò con particolare attenzione i capelli scuri raccolti nella bandana colorata, soffermandosi ad esaminare con interesse gli strani oggettini che penzolavano appesi alla stoffa, poi tornò a fissarlo negli occhi con insistenza.
- No. – sentenziò, infine.
- No? – lo straniero fece un movimento all’indietro, le iridi scure attraversate da un lampo di preoccupazione.
La fanciulla assottigliò gli occhi, le sopracciglia arcuate in un pensiero intricato.
- Siete sicuro di chiamarvi Smith? Perché a me ricordate davvero tanto un’altra persona… - azzardò con tono volutamente allusivo.
L’uomo tacque per un secondo, poi proruppe in uno strano sorriso, quasi un ghigno beffardo.
- Non so proprio chi posso ricordarvi, ma ricordandovi qualcuno sicuramente ricorderete che io sono Smith e non la persona che ricordate di ricordare. Ma a che scopo poi ricordarmi se intanto non ricordereste la persona che cercate di ricordare? Quindi, evitatevi questo cruccio e non ricordate che mi avete incontrato, perché intanto sarebbe inutile ricordarlo! Comprendete? – gesticolò, spostandosi a destra di Cristal, che lo bloccò spostandosi a sua volta.
- Certo che comprendo! – ribatté lei, mentre l’altro strabuzzava gli occhi, un po’ sorpreso e un po’ deluso.
- Non sarebbe quindi meglio ammettere di essere Jack Sparrow e farla finita con tutti questi giri di parole? – aggiunse lei, incrociando le braccia al petto con soddisfazione.
Il pirata le si avvicinò finò a trovarsi ad un soffio dal suo viso.
- Capitan Jack Sparrow, dolcezza. – e con uno scarto repentino la superò e fuggì verso il Forte.
Cristal rimase immobile, come pietrificata, mentre ragionava a velocità folle.
Sparrow era un pirata.
Un pirata capace, che aveva sicuramente una nave.
Una nave che poteva salpare a breve.
Una nave che non avrebbe disdegnato di certo una breve sosta a Tortuga.
- Fermo! – urlò, girando sui tacchi e raccogliendo la gonna, pronta a rincorrerlo.
Quello non poteva essere un caso, no! Quello era un segno del destino, un’aiuto inviato dall’Oceano, e non poteva permettersi di lasciarselo scivolare dalle dita come sabbia!
Evitò per un pelo un uomo che trasportava una pesante cassa di chissà cosa, piroettando a sinistra e continuando a correre dietro a Sparrow, nel tentativo di raggiungerlo e non perderlo d’occhio nemmeno un momento.
- Fermatevi, dannazione! – imprecò ancora, troppo distante perché potesse riuscire a bloccarlo.
Scoraggiata, si guardò attorno in cerca di qualcosa che potesse tornarle utile, notando in quel momento che se avesse tagliato per il recinto dove gli Owen tenevano le bestie si sarebbe ritrovata, alla svolta successiva, proprio di fronte al fuggitivo.
Scavalcò la staccionata e rimase in piedi per miracolo, il grembiule incastrato nelle assi di legno mentre le oche starnazzavano il loro disappunto. Con uno strattone lo strappò e proseguì nella sua corsa, svoltando l’angolo di una casa giusto in tempo per ritrovarsi faccia a faccia con Sparrow.
- Fermo! Vengo in pace! – esclamò protendendo le mani in avanti nella speranza che arrestasse la sua corsa.
 L’uomo inchiodò riservandole un’occhiata scocciata.
- Come fai a conoscermi? Ci siamo già visti? –
- Cielo, Capitan Sparrow! Dopo il colpo a Nassau i vostri ritratti hanno fatto il giro dei Caraibi! Seriamente credete che non riconoscerei colui che è riuscito a rubare un vascello e saccheggiare una città senza nemmeno sparare un proiettile? – fece esasperata. Ad essere sincera se l’era immaginato un po’ più perspicace…
Jack Sparrow prese a girarle attorno come un avvoltoio, mettendola a disagio.
- Vedo che sei bene informata sul mio conto… - constatò, senza distogliere l’attenzione dagli occhi della ragazza.
Cristal arrosì: certo non poteva confessare che aveva trascorso l’infanzia fantasticando di solcare gli oceani proprio assieme a lui!
- Diciamo che ho avuto modo di interessarmi delle azioni di diversi gentiluomini di ventura… - buttò lì, sperando che l’altro non indagasse oltre.
- Sei figlia di un Ufficiale? – domandò tuttavia facendo già un passo indietro.
Cristal drizzò la schiena, punta sul vivo da una simile insinuazione.
- Niente affato! Mio padre è un fabbro, grazie a dio non ho Bigodini nella mia famiglia! – aggiunse, disgustata al solo pensiero.
Sparrow inarcò un sopracciglio, incuriosito dal termine appena usato dall’interlocutrice.
- Bigodini, Ufficiali… Le parrucche, sai… - spiegò, mimando attorno alla sua testa la tipica acconciatura, poi continuò, abbandonando spontaneamente il voi.
- Senti, stanotte tre navi pirata hanno attaccato la città e i miei genitori sono stati rapiti! – raccontò, l’urgenza a squillare nella voce.
- E quindi? – incalzò il pirata, confuso da quelle parole.
Cristal roteò gli occhi.
- E quindi tu sei l’unico che può aiutarmi a salvarli! – esclamò allargando le braccia. Possibile che fosse così complicato da capire?
Le labbra del Capitano si tesero appena verso l’alto, mentre con la mano inanellata andava ad accarezzarsi gli ispidi baffetti.
- Dolcezza, proprio non riesco a vedere in che modo questa nobile impresa potrebbe portarmi un profitto… - commentò, già pronto ad andarsene.
- Non si tratta di profitto, Sparrow, si tratta di posta in gioco. – improvvisò.
Quello si sporse in avanti, incuriosito da simili parole.
- Sarebbe un bel vanto per Port Royal poter dire di aver giustiziato il grande Capitan Jack Sparrow… L’intera guarnigione è in città, non potresti fuggire… Ho la tua vita nel palmo della mia mano, mi basta una parola per distruggerla. – cantilenò, mostrando i denti in un ghigno tutto fuorchè femminile.
L’uomo smise di girarle attorno e scosse la testa.
- Perché ovviamente chiunque darebbe retta alla figlia di un fabbro, a cui è scappato il cervello, per giunta… - ribatté per le rime indicando le fasciature con un cenno della testa.
- Non mi è scappato il cervello! Si da il caso che io abbia combattuto!– sbottò, stizzita da quell’allusione.
- Comunque sia forse non darebbero retta alla figlia di un fabbro, ma lo farebbero con la nipote di Joseph Hawke! Non sono un’accattona, Sparrow, e in città ho amicizie influenti! – aggiunse con orgoglio, senza rendersi conto di starsi allontanando dall’obbiettivo.
Quella sortita, però, ebbe l’effetto di riportare l’interesse negli occhi del Capitano.
- Joseph Hawke? Il mercante di Londra? – inclazò, curioso.
Cristal sorrise, soddisfatta di aver finalmente ottenuto un po’ di credito presso il pirata.
- Mia madre, Marion Hawke, è la figlia del vecchio Joseph, ergo sì, sono sua nipote! – confessò, il mento in alto a dimostrare la sua superiorità.
Sparrow rimase per qualche momento con la bocca socchiusa, poi prese la bionda per un braccio e la trascinò lontano dal sentiero, sotto un arco in pietra che apriva l’ingresso ad un vicolo stretto e buio.
- Mi stai chiedendo di prenderti a bordo con me e salpare alla ricerca dei tuoi genitori? – fu il suo riassunto spicciolo.
- E non ti denuncerò alle autorità . – annuì Cristal.
Il pirata si guardò attorno e abbassò la voce per evitare di attirare l’attenzione.
- Ragazzina, noto in te disprezzo nei confronti della Marina e una buona dose di intelligenza, mi stai simpatica! Ho deciso di aiutarti, ma dovrai renderti utile: non accetto nullafacenti a bordo della mia nave. Hai mai navigato? – le concesse gesticolando senza smettere di guardarsi attorno, nervoso.
La giovane sorrise e drizzò la schiena.
- Una volta sola, signore, ma conosco bene la teoria della navigazione, non soffro il mal di mare, so tirar di scherma e conosco il Francese! – sciorinò, domandandosi a che le sarebbe servito saper parlare una lingua straniera a bordo della nave di Sparrow.
Poco male, qualche qualità in più non poteva certo nuocerle!
L’uomo sospirò di fronte a tanta ottimistica ingenuità.
- Salpiamo fra mezz’ora. Fatti trovare al porto alle dieci in punto. Se al suonare dell’ora non ci sarai, non ti aspetterò. – ordinò.
- Chi indietro rimane, indietro viene lasciato! – recitò lei con aria vagamente saccente.
Per la prima volta da quando si erano incontrati l’uomo rise di gusto.
- Sei già un perfetto pirata, Miss…? – inclinò appena la testa, in attesa di un nome.
L’interlocutrice gonfiò il petto d’orgoglio, negli occhi lo scintillio dell’avventura a portata di mano.
- Cooper, signore. Cristal Cooper! –
Si separarono immediatamente, e la ragazza corse a casa sua, rimuginando sull’immensa fortuna che aveva avuto quella mattina.
Non era stupida, e si era accorta che Sparrow aveva iniziato ad interessarsi a lei solamente quando aveva citato le sue facoltose origini.
Probabilmente aveva accettato di aiutarla esclusivamente per poter chiedere ai suoi genitori, una volta salvati, un lauto riscatto affinchè la liberasse.
Forse in un’altra situazione quell’eventualità l’avrebbe impensierita, ma adesso le sembrava una coincidenza prodigiosa: se davvero quelli fossero stati i piani del filibustiere avrebbe potuto approfittarne per guadagnarsi la libertà!
Una volta liberati Marion e Jim, infatti, si sarebbe finta un ostaggio, sviando così qualsiasi sospetto di pirateria dalla sua persona. Dopotutto l’unico al corrente della sua volontaria partenza era James, e sapeva benissimo che non avrebbe mai testimoniato contro di lei.
Varcò l’uscio scardinato di casa con il cuore gonfio di speranza e si precipitò in camera dei suoi genitori, notando con una certa sorpresa che tutto si trovava al suo posto, quasi nessuno vi fosse entrato.
Aprì l’armadio e constatò con crescente stupore che il denaro era ancora lì, nascosto sotto il doppiofondo del cassetto.
Perché non avevano preso i soldi? Perché rapire i suoi genitori ed ignorare l’oro dei Cooper?
Scosse la testa: aveva solo mezz’ora di tempo, non poteva dilungarsi in inutili riflessioni.
Tolse il vestito imbrattato di sangue ed indossò i pantaloni scuri che utilizzava per gli allenamenti di scherma, poi infilò una camicia dalle maniche ampie e una delle casacche color mattone di suo padre, stringendola in vita con una spessa cintura di cuoio.
Si guardò allo specchio e storse il naso: certo, aveva nascosto il seno, ma non era sufficiente.
Legò i capelli in una treccia stretta e severa e raspò dal fondo dell’armadio un vecchio cappello a tricorno che suo padre non usava più da quando erano partiti da Londra.
Lo ficcò in testa con decisione e sorrise al suo riflesso. Non sembrava propriamente un maschio, ma almeno non era proprio riconoscibile a colpo d’occhio.
Dopotutto quello che le interessava era non farsi riconoscere a Port Royal, una volta salpata avrebbe anche potuto tornare al suo vecchio aspetto di ragazza.
Appese un borsello alla cintura e vi ficcò dentro qualche manciata di monete. Non aveva idea di quanto denaro le sarebbe servito, così sperò che quello bastasse e che il viaggio non dovesse durare tanto da farle esaurire le scorte.
Aveva già oltrepassato la porta sul retro quando qualcosa attirò la sua attenzione: un foglio si era accartocciato ai suoi piedi, sospinto dalla brezza del mattino.
Lo raccolse, ritrovandosi a guardare gli occhi scuri e irriverenti di Jack Sparrow.
Sospirò, ripensando a quel giorno di tanti mesi prima in cui aveva mostrato tutta orgogliosa il ritratto alla sua migliore amica.
No, non poteva partire senza dirle nulla.
Cercò febbrilmente qualcosa con cui scrivere, trovando una penna d’oca e delle boccette d’inchiostro ancora chiuse in fondo a un baule rovesciato a terra.
Si sedette al tavolo miracolosamente integro e prese a scrivere con calligrafia minuta e frettolosa sul retro del foglio.
 


Cara Elizabeth,
non ti preoccupare, io sto bene. Questa notte i pirati hanno rapito i miei genitori. So bene che è folle, ma non posso restare a casa mentre dio solo sa cosa dovranno affrontare. Salpo quest’oggi stringendo fra le mani l’avventura che abbiamo sempre sognato, anche se le premesse si presentano ben diverse dai nostri giochi. Dietro questo foglio puoi vedere il viso di colui che ha accettato di aiutarmi: come vedi la marea mi è propizia!
Aspettami, Lizzie, ti prometto che tornerò, e allora sì che avrò una grande storia da raccontare! Non avere paura, tutto andrà bene, e saremo di nuovo insieme, Capitan Swann e Capitan Cooper, come da bambine.
Ti voglio bene,
tua Cristal



 
Rilesse velocemente la lettera e soffiò affinchè l’inchiostro si asciugasse, poi piegò il foglio in quattro e si precipitò fuori da casa sua, correndo senza voltarsi indietro finchè non ebbe raggiunto la bottega di Abraham. Sorrise nel notare che, eccetto un vetro rotto, nessun danno era stato arrecato ed entrò.
Il negozio era vuoto, e la paura che fosse successo qualcosa all’anizano proprietario le attanagliò le viscere.
Scelse un libro dagli scaffali, “La Dodicesima Notte”, e vi fece scivolare dentro il ritratto spiegazzato.
Dei passi alle sue spalle la fecero irrigidire, il respiro spezzato dalla tensione.
- Buongiorno giovanotto! Sono desolato, ma oggi la bottega è chiusa e… - ma Abraham rimase senza parole quando, sotto al cappello, riconobbe la sua cliente preferita.
- Cristal?! Che cosa fai vestita da…? – ma la ragazza lo zittì, portando l’indice davanti alle labbra.
Si avvicinò con una falcata al libraio e gli piazzò il volume fra le mani, accompagnato da due monete d’oro.
- Abraham, stammi bene a sentire. Voglio che tu lo consegni ad Elizabeth Swann e che nessuno a parte lei lo apra. E dovrà essere da sola quando lo leggerà. Tassativamente. – ordinò.
- Certamente, ma… Cosa…? – balbettò, confuso.
La giovane non rispose e lo abbracciò, ringraziandolo in un sussurro.
- Io e te non ci siamo mai visti. – sentenziò, così seria da indurre l’anziano signore ad annuire senza porgerle ulteriori domande.
- Buona fortuna, ragazza mia… - sussurrò semplicemente.
Quella gli sorrise, poi prese la porta e si diresse a passo spedito verso il porto.
Quel 13 Luglio 1710, finalmente, l’avventura della sua vita era incominciata.
Marciò sicura, il capo chino per nascondere i lineamenti e l’enorme sorriso che si era impossessato delle sue labbra: forse era davvero un’allucinazione dettata dalla botta in testa, forse in realtà era ancora a casa di James e quello era tutto un sogno, magari addirittura era morta e quella strana situazione era una beffa che l’aldilà le rivolgeva.
In ogni caso, quella era un’occasione in cui mai e poi mai avrebbe sperato, era il realizzarsi, in qualche modo, di uno sogno che coltivava sin dalla più tenera infanzia…
Il sorriso però svanì completamente quando, accompagnata da dieci sordi rintocchi di campana, raggiunse il molo.
La Dauntless beccheggiava imponente poco distante dalla Lady Grey, una vecchia corvetta della flotta di Port Royal. La Estrella del Sur, un piccolo mercantile che faceva la spola fra la Jamaica e Hispaniola stava attraccando, e di Jack Sparrow non c’era nemmeno l’ombra.
Se n’era andato.
Non l’aveva aspettata e se n’era andato.
D’altronde cosa poteva aspettarsi da un pirata, che mantenesse la parola? Quanto era stata stupida! Probabilmente se l’era data a gambe senza pensarci due volte!
Trasse alcuni profondi sospiri per scacciare lo sconforto e tentò di concentrarsi. Con Sparrow o senza, doveva salpare, e doveva farlo in fretta.
Prese a camminare avanti e indietro per il pontile studiando le varie imbarcazioni: tutte barchette di pescatori, fuori discussione: non solo non avrebbero mai resistito alla traversata fino a Tortuga, ma sarebbe stato anche estremamente complicato mantenere il suo segreto in un guscio di noce.
Avrebbe potuto provare a nascondersi a bordo della Estrella, ma la rotta l’avrebbe allontanata troppo dal suo obbiettivo, e probabilmente sarebbero partiti il giorno dopo, troppo tardi.
Si passò una mano sul viso con aria abbattuta quando una voce la fece voltare di scatto.
- Pensavo che avessi cambiato idea! –
Di fronte a lei, in piedi in quello che sembrava davvero poco più che un peschereccio, Jack Sparrow la guardava con un sorrisetto sornione.
- Cos’è questo coso. –  quella della ragazza non era nemmeno una domanda, quanto piuttosto una velata accusa.
- Stai cercando di dirmi che dovremmo andare a salvare i miei genitori su questa bagnarola? No, dai, dov’è la nave? E la ciurma? – incalzò, incredula.
Sparrow storse il naso, stizzito.
- E’ questa la nave, e la ciurma siamo noi due. Contrattempi sono sopraggiunti e ci dobbiamo accontentare. Ma se la qui presente damigella avrà la pazienza di raggiungere Tortuga… - incominciò.
- Raggiungere Tortuga? Con questo legno vecchio usciremo a malapena dalla baia! – sbraitò, abbassando poi la voce per non attirare troppo l’attenzione.
Il pirata si accigliò, una mano su un fianco e la sua figura che si alzava e si abbassava al ritmo del beccheggio.
- Tesoro, questa mancanza di fiducia è  invero assai fuori luogo! Chi sono io? –
La giovane fece spallucce e scosse appena la testa, incapace di capire dove volesse andare a parare.
- Capitan Jack Sparrow! – rispose quello sconsolato. No, non erano per niente sulla stessa lunghezza d’onda.
- Allora… - riprese poi, la sua solita aria accattivante a illuminargli il ghigno sbilenco.
- Pensi di poter accettare di eseguire gli ordini del tuo Capitano senza lamentarti e protestare come una vecchia zitella? –
- Io non…! – incominciò, ma si zittì nel vedere la mano di Sparrow tesa in sua direzione.
Si voltò un momento, l’ombra maestosa del Forte bagnava le vele delle barche ormeggiate, i cannoni puntati verso l’oceano.
Era pronta a lasciare tutto ciò che aveva sempre conosciuto e a gettarsi in un futuro di pericoli e incertezze?
Nel tempo di un solo respiro sentì sulla pelle il tocco bagnato della sabbia il giorno in cui Will le aveva insegnato a nuotare, sentì le risate di Elizabeth quando, nella grande piazza della chiesa, spettegolavano e importunavano il povero Howard, vide di fronte ai suoi occhi il profilo fragile e letale delle saette quella sera al ballo, quando finalmente aveva capito che James era per lei più di quanto non avesse mai voluto ammettere.
Poi però percepì il calore del focolare, udì il “sono a casa” di suo padre, fradicio dopo essere incappato in un acquazzone mentre sua madre preparava la cena e le cantava vecchie canzoni di pirati.
Deglutì e afferrò la mano di Jack Sparrow, eroe di tante avventure immaginate, poi salì a bordo.
Fu quando anche l’ultimo nodo fu sciolto e la piccola imbarcazione prese ad allontanarsi sempre di più dal molo che Cristal Cooper capì: comunque fosse andata, nulla sarebbe più stato come prima.
 











 
Tutto quello che la figlia del fabbro aveva imparato dopo due giorni di navigazione era che disponeva di un carico di pazienza di gran lunga superiore a quanto non avesse immaginato: senza di quello, infatti, avrebbe di certo gettato Sparrow fuori bordo alla prima occasione.
Non che fosse un uomo antipatico, anzi, continuava a trovarlo dannatamente affascinante, ma a volte temeva sul serio che il peso spropositato del suo ego potesse affondare quel guscio di noce che si ostinava a chiamare dorey.
Certo, probabilmente anche lui aveva avuto il suo bel daffare nel sopportare le stranezze della bionda.
Ad esempio il trascurabile episodio del rum, avvenuto a un paio d’ore dalla partenza, poco dopo aver doppiato il capo che chiudeva la baia nel suo abbraccio protettivo.
La gola arsa dal caldo e dall’emozione, si era azzardata a chiedere al Capitano qualcosa da bere, vedendosi prontamente offerta una bottiglia scura spuntata da chissà dove.
Ignara della sostanza in essa contenuta, aveva dato una genersoa sorsata, salvo sputare tutto quanto in faccia al pirata.
- Sei pazza?! – aveva esclamato quello, sconvolto.
- Che schifo! – aveva tossito lei, le lacrime agli occhi.
- Cos’è questa robaccia?! Volevi uccidermi? – aveva poi continuato nel passarsi una manica sulle labbra sperando di scacciare il saporaccio.
- Questa robaccia, giovane Cooper, è rum. E il rum non è robaccia. – aveva replicato Jack, tetro. Sembrava quasi che quelle parole di veleno fossero state rivolte direttamente a lui.
Cristal non aveva prestato ascolto, tutta intenta nel resistere all’incendio che le era divampato in gola.
- Chiamalo come vuoi, non avresti dell’acqua? –
Il pirata le aveva rivolto uno sguardo d’odio poi, con un movimento meccanico, le aveva offerto un’altra bottiglia panciuta.
- Fattela durare. – aveva proferito, ancora offeso dallo scambio di opinioni sull’alcolico.
Eppure, nonostante le decine di piccoli battibecchi che avevano punteggiato la traversata, i due avevano dimostrato di riuscire a cooperare abbastanza bene, e il Capitano era rimasto sorpreso –ovviamente guardandosi bene dal confessarlo- dalla ricettività della ragazzina, che aveva mostrato una vera propensione alla navigazione.
- Posso chiedere una cosa, Jack? – domandò quando ormai le stelle erano alte nel cielo e una brezza sostenuta gonfiava la vela.
Quello annuì, sdraiato su una delle due panche, una bottiglia di rum stretta nella mano destra e la bussola nella sinista.
- Donna a bordo porta male… Eppure eccomi qua! – fece, curiosa.
Il pirata posò gli occhi su di lei, poi si mise a sedere.
- Donna a bordo porta male? – replicò lui, scettico.
- Prova a dirlo a mia nonna, e vedrai cosa porta male per davvero… - commentò senza alcuna ombra di gioia nella voce.
Poi drizzò la schiena e si alzò in piedi, superando la ragazza e raggiungendo la prua della piccola imbarcazione.
- Che c’è? – chiese lei, voltandosi per capire cosa avesse attirato la sua attenzione.
Non le servì nemmeno udire la risposta al suo quesito: in lontananza, appena sfumato dalla bruma della notte, un grumo di luci indicava l’avvicinarsi della costa.
Ormeggiarono la barca in fretta, e altrettanto in fretta Jack Sparrow prese a sgusciare per le vie della città, affollate e rumorose come se fossero stati in pieno giorno.
- Benvenuta a Tortuga! – esclamò all’indirizzo della giovane, che si guardava attorno scandalizzata.
Aveva cercato di capire se le navi dei pirati si trovassero in quel luogo, ma le imbarcazioni che se ne stavano tranquille alla fonda avevano tutte le vele ammainate, e nessuna sembrava assomigliare a quelle che avevano attaccato Port Royal.
Si era così ritrovata a seguire il Capitano in quel putiferio di città, abbarbicata al suo braccio nel timore di perdersi o di fare qualche brutto incontro.
No, non era per niente come l’aveva immaginato…
Sparrow intanto continuava a commentare con un retrogusto di affetto ogni più lercio cantone, decantando la solerzia delle signorine che si sventagliavano mollemente, le schiene appoggiate ai muri delle bettole e le guance chiazzate di rosso dal trucco e dall’acool di pessima qualità.
- Tieni gli occhi aperti… - le suggerì il pirata nel varcare l’uscio scrostato di una vecchia locanda.
- Il bello e il brutto di Tortuga è che ce n’è per tutti i gusti… -
Lei deglutì sonoramente, gli occhi sgranati e le labbra serrate.
In che assurdo pasticcio si era mai ficcata?
Soffiò l’aria fuori dai polmoni e strinse i pugni, ben decisa a farsi un po’ di coraggio, poi seguì Jack fino al bancone, dove l’oste spolverava con uno straccio macchiato di dio solo sa cosa un boccale tutto ammaccato.
Ordinò una mezza pinta di birra, giusto per non sembrare proprio un pulcino spaurito, e si andò a sedere dove il Capitano le aveva indicato.
- Ti raggiungo subito, cerca di non dare nell’occhio. – le disse prima di sparire nella mischia.
Un quarto d’ora dopo Jack era ancora disperso, e la birra completamente prosciugata.
Stava per alzarsi e ordinarne un’altra quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Nel tavolo accanto al suo, quello addossato alla parete, due uomini stavano discutendo. Uno dei due aveva una folta barba rossiccia, l’altro una benda sull’occhio destro.
- Ma sì, ti dico che è così! Gente strana, quei Cinesi… - borbottò quello con la benda.
Cristal rimase seduta, le orecchie tese a captare anche la più insignificante informazione.
- Ma no, non sono Cinesi! Davvero non conosci la Flotta del Serpente?- fece il barbuto, stupito.
L’altro scosse la testa e lo incitò a proseguire.
- Non li avevo mai visti nei Caraibi, ma quando lavoravo all’Est per la Compagnia delle Indie erano una bella spina nel fianco… Sono Filippini, tenaci come zecche… -
Filippini? Flotta del Serpente? Cosa diamine voleva quella gente dai suoi genitori?
Per quale motivo si erano spinti nei Caraibi affrontando una lunga e pericolosa navigazione fin dal lontano Oriente?
Troppo curiosa per rimanere al suo posto, si alzò e con due passi decisi coprì la distanza che la separava dal tavolo.
- Buona sera signori! Lungi dal voler disturbare, ma non ho potuto evitare di udire la vostra conversazione. – buttò lì, cercando di cammuffare la voce nel modo più mascolino possibile e tenendo il capo chino nella speranza che il cappello le gettasse abbastanza ombra sul viso.
L’uomo barbuto levò gli occhi dal suo boccale sbeccato e l’altro proruppe in un ghigno inquietante.
- Ragazzino, non ti hanno insegnato che non si ficca il naso negli affari altrui? – berciò il guercio.
Cristal tentennò, colta in contropiede.
- Certamente, ma questi sono anche affari miei. Cosa sapete dirmi di questi Filippini? – continuò, pregando la sua buona stella affinchè i due masclazoni fossero inclini alle chiacchiere.
Fu il rosso a risponderle dopo una generosa sorsata di rum.
- Oltre alle leggende? Non so quali affari ti leghino a quella gentaccia, ma non augurerei nemmeno al mio peggior nemico di trovarsi la Flotta del Serpente lungo la rotta! Qua si sono fermati solo un giorno.- raccontò.
Il suo compare annuì con vigore.
- Fanno vela verso Sud, probabilmente quei folli vorranno doppiare Capo Horn… Questa è l’unica cosa che ho capito oltre al fatto che giocano a dadi molto meglio di me… - biascicò con una punta di rancore.
Fu a quel punto che uno strano rumore li fece voltare tutti quanti con un sussulto.
Si udì un gran botto, un urlo e dei passi di corsa, poi fu solo follia.
Dall’altro lato della locanda, la rissa divampò come un incendio, raggiungendo il loro tavolo in un baleno.
- Cosa diamine?! – fu l’unica cosa che la giovane riuscì a balbettare, prima di schivare una bottiglia apparsa da chissà dove che andò a infrangersi contro la parete, proprio sopra alla sua testa.
- Cristal! Eccoti qua! –
Jack era tornato, comparso dalla mischia come un fungo in mezzo al sottobosco.
- Jack, ho scoperto qualcosa! – gridò per farsi sentire al di sopra del baccano.
Quello annuì e le rivolse un grande sorriso costellato di denti d’oro.
- Fantastico! – zufolò per poi afferrarla per un braccio.
- Ora usciamo di qui! – e senza aspettare nemmeno un istante la trascinò verso la porta, piroettando come una ballerina per evitare pugni e bottigliate.
- No, aspetta, Jack! Devo pagare il conto! – ma l’occhiataccia del pirata la ridusse al silenzio.
- E’ proprio a causa di conti da pagare se non ti lascio pagare il conto! - commentò, mentre dalla porta spalancata e ormai lontana del locale si levava un ruggito rabbioso molto simile alla parola “Sparrow”.
Cristal rise, la mano sinistra a premerle il cappello sulla testa e la destra nella presa salda del bucaniere mentre l’odore di alcool e di mare le impregnava le narici e la brezza salata le scivolava sul viso.
Quello che aveva scritto a Elizabeth era più che vero: nonostante le premesse, una volta tornata a casa avrebbe avuto davvero una grande storia da raccontare…
 









 
Note:

Jack Sparrow, sarai la mia rovina.
No, seriamente, nonostante io adori quell'uomo oltre ogni dire, adesso che devo scrivere di lui sto iniziando a sviluppare un odio spropositato nei suoi confronti. Perchè deve essere così dannatamente difficile da gestire?! çAç
Come si sarà capito, non sono del tutto soddisfatta di questo capitolo, e spero veramente di entrare meglio in sintonia con il nostro Capitano man mano che andrò avanti con la storia... Nel frattempo qualsiasi tipo di critica/consiglio è più che benvenuto! <3
Se c'è una cosa che invece mi piace, è lo strano rapporto fra lui e quella testa calda di Cris.
Insomma, aveva passato una vita intera a fantasticare sul famigerato Capitan Sparrow e... e adesso battibeccano di continuo come una coppia di vecchie zitelle! Questo è quello che succede quando due testardi di prima categoria entrano in collisione... xD
Inoltre sarà abbastanza divertente vedere come la loro relazione si evolverà da puro sfruttamento reciproco a quella che sarà una grande -a modo suo xD- amicizia...
Parlando d'altro, ormai ci siamo definitivamente lasciati alle spalle l'ambiente sicuro e protettivo di Port Royal alla volta della movimentata Tortuga!
Cristal è rimasta un po' destabilizzata dal trovarsi a faccia a faccia con una realtà forse un po' più violenta di quanto non si fosse mai immaginata, ma bisogna dire che si sta abituando abbastanza in fretta...
Ma ecco che abbiamo un indizio: i rapitori sono pirati filippini della temuta Flotta del Serpente. Di che si tratta? Perchè sono venuti fino in Jamaica per rapire un semplice fabbro e sua moglie?
Chissà, forse se Jack non si fosse cacciato nei casini come suo solito avremmo anche potuto scoprire qualcosa di più...
Ma non preoccupatevi, l'avventura è appena cominciata! ~ :D

Grazie infinite a chi legge/recensisce/blabla come sempre, mi rendete davvero felice! <3

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***





Capitolo Undicesimo~






In cinque lunghi mesi di navigazione avevano cambiato quattro navi, sette ciurme, e almeno dieci identità.
Cristal, finalmente libera come un gabbiano e padrona di un sogno che aveva inseguito per tutta l’infanzia, aveva scongiurato Jack affinchè le insegnasse tutti i segreti per governare al meglio un vascello: aveva imparato ad ascoltare i mormorii del sartiame e ad interpretare i fruscii delle vele, si era comprata una bussola tutta per sé, scettica com’era a riguardo di quel catorcio dal quale il pirata non si separava mai, ed era riuscita a mettere le mani su una bella spada leggera e maneggevole, perfetta per il suo stile di combattimento preciso e pulito.
All’inizio aveva faticato molto per mantenere la sua identità celata agli altri marinai, compito non facilitato dal comportamento di Jack, che spesso e volentieri sembrava dimenticare il fatto che se la ciurma avesse scoperto di avere una donna a bordo sarebbero sopraggiunti un’infinità di problemi. Era stato solo quando si era scoperto che il taciturno mozzo brasiliano raccattato a Fortaleza era in realtà una giovane schiava in fuga dalla sua piantagione che la figlia del fabbro si era sentita in dovere di rivelare il suo segreto.
Era stato strano, aveva visto gli sguardi dell’equipaggio cambiare natura, ma sua la mano sempre appoggiata sul pomo della spada e la costante supervisione di Jack avevano finito per garantirle una certa sicurezza, se non addirittura un flebile senso di rispetto.
Nel frattempo contava i giorni che la separavano dalla partenza, lo sguardo sempre rivolto alla scia schiumosa e guizzante della nave.
Aveva capito già dopo la prima settimana che scrutare l’orizzonte sarebbe stato inutile, ma la sua ingenua e caparbia speranza riusciva ancora, seppure a fatica, a tenere al guinzaglio l’amara rassegnazione che stava pian piano montandole nell’anima.
A volte le sembrava di scorgere in lontananza delle vele bianche, e allora il suo cuore sussultava, ma bastava una semplice occhiata attraverso la lente incrostata del cannocchiale per rendersi conto che si trattava di cauti mercantili e non dei centosei lucidi cannoni della Dauntless.
Si era accorta che il suo atteggiamento infastidiva parecchio il Capitano, ma proprio non riusciva a impedirsi, di tanto in tanto, di voltare il capo a poppa mentre le vele gonfie la sospingevano sempre più lontano da casa.
- Sai, Cristal – aveva esordito un pomeriggio in cui era particolarmente seccato, forse per via dell’aver esaurito il rum.
- La nostra ricerca sarebbe decisamente più fruttuosa se tu guardassi a prua, e non indietro! – aveva insinuato, stizzito.
La giovane aveva annuito, guardandosi bene dal confessargli il motivo della sua aria malinconica: già la riuscita della missione era appesa a un filo, se Jack avesse dovuto venire a sapere che uno dei più capaci Ufficiali di Marina dei Caraibi era sulle loro tracce… no, non voleva nemmeno pensare a come il pirata avrebbe potuto reagire…
Così si era vista costretta a lasciare momentaneamente da parte l’agrodolce ricordo del suo promesso sposo, riportando l’attenzione  sull’orizzonte che si apriva infinito di fronte a loro.
Si erano da poco lasciati alle spalle l’Arcipelago delle Malvine quando tre macchioline rosse avevano fatto la loro comparsa sulla sottile linea fra cielo e mare.
Era stato Hernan, un ragazzone assoldato all’ultimo approdo, a individuare la sagoma lontana delle vele, e Cristal aveva faticato a tenere fermo il cannocchiale, tanto le mani le tremavano dall’agitazione.
- Jack, sono loro… - aveva balbettato, improvvisamente consapevole di avere la vittoria a portata di mano.
- Che facciamo, ci prepariamo all’arrembaggio? – era stata poi la sua impaziente domanda.
- Cosa sai della Flotta del Serpente? – aveva replicato con uno dei suoi sguardi dannatamente incomprensibili.
La giovane aveva fatto spallucce e aveva sbuffato.
- A parte che sono Filippini? Direi niente… -
- Ecco, appunto. – e senza apportare ulteriori spiegazioni si era diretto sottocoperta, sbandando ogni tanto nel suo particolarissimo incedere.
Era riemerso poco dopo, l’alito che puzzava schifosamente di rum.
Si era guardato intorno con aria pensosa, poi, all'improvviso, aveva iniziato a sbraitare ordini alla ciurma, più serio che mai.
Cristal non aveva potuto trattenere un gigantesco sorriso, mentre un vento accattivante le sferzava le guance: se fossero riusciti a mantenere velocità costante, forse, entro il giorno successivo sarebbero riusciti a raggiungerli.
Ogni ombra di sorriso era però svanita completamente dalle labbra della ciurma quando, poco dopo mezzodì, una muraglia di spesse e minacciose nuvole nere aveva oscurato il sole.
- Capitano! Tempesta in arrivo! – aveva gridato qualcuno, mentre già le acque attorno alla chiglia si intorbidivano, irose e roboanti.
- No bene. – aveva borbottato Jack, mordicchiandosi un’unghia.
- Quanto tempo ci resta? – aveva chiesto Cristal.
Jack non aveva risposto, intento a rimuginare su chissà cosa, così era stato un vecchio marinaio che li seguiva fin da l’Avana a sputare la sentenza.
- Dieci minuti, forse un quarto d’ora… Siamo spacciati, Capitano! Capo Horn non perdona! – aveva piagnucolato per poi fare il segno della croce.
La figlia del fabbro aveva rivolto lo sguardo alla massa grigia all’interno della quale già baluginavano i flumini, poi aveva osservato le tre navi pirata svanire al suo interno.
Li avevano visti di sicuro, e avevano deciso di proseguire, nonostante tutto. Se i Filippini avessero dovuto superare la tempesta indenni e loro si fossero arresi non li avrebbero mai recuperati.
Era folle, ma giunti a quel punto era l’unica cosa da fare.
- Dobbiamo attraversarla! – si era ritrovata ad esclamare, quasi un ordine da tanto il suo tono era parso fermo e deciso.
Solamete quando si era accorta che anche Jack aveva pronunciato quelle stesse parole si era voltata di scatto in sua direzione.
Quello le aveva rivolto un ghigno divertito e aveva alzato appena il cappello in un gesto d’intesa.
- Dritti alla meta… -
Cristal aveva ricambiato il ghigno, elettrizzata da quel motto che il pirata soleva ripetere per spronarli alla ricerca.
- E conquista la preda! – aveva concluso lei, il vento che si alzava e le onde sempre più alte.
Era stata questione di attimi, poi l’inferno li aveva travolti.
Le raffiche di vento si erano fatte sempre più forti, sino a divenire un fischio continuo che stordiva i sensi e rendeva difficile persino restare in piedi.
La nave, sballottata senza ritegno dalla tempesta, gemeva il suo dolore resistendo stoicamente alla violenza delle onde, che si riversavano sul ponte con una potenza tale da far finire i marinai sdraiati al suolo e incapaci di rialzarsi.
- Capitano! Imbarchiamo acqua! – aveva gridato la giovane brasiliana, avvinghiata al sartiame per non precipitare in mare.
Jack, aggrappato al timone, aveva dato un’occhiata alle condizioni del ponte.
- Sei alle pompe, gli altri ai loro posti! – ma l’ordine si era perso nel boato dell’oceano, e i marinai si erano visti costretti a gridarselo a vicenda per riuscire a capire cosa dovessero fare.
- Jack! – aveva tentato di richiamarlo Cristal, ancora in piedi nonostante il rollio impazzito della fregata.
Nel mezzo della tempesta, la sua figura ritta e sicura spiccava e frastornava la vista: concentrata, ma non spaventata, sembrava essere la sola, fatta eccezione per il Capitano, a non soffrire le condizioni in cui versavano. Nei suoi occhi grigi baluginava, assieme ai fulmini schioccanti che si tuffavano nei marosi attorno a loro, una volontà che trascendeva l’umano. Sembrava quasi che a ogni folgore la ragazza guadagnasse stabilità e coraggio.
Condotta a braccetto dalla Morte, non si era mai sentita così viva.
- Jack, le vele non reggeranno oltre, la Maestra ci piega troppo! – aveva urlato raggiungendolo al timone.
Quello aveva annuito, grondante e con gli occhi puntati alla sua inutile bussola scassata.
- Filate le scotte! Liberate le vele! – aveva tuonato.
- Avete sentito? Celeri, uomini! Celeri, prima che l’Oceano ci ingoi! – gli aveva fatto eco la bionda, pronta ad affiancare la ciurma.
Jack l’aveva però trattenuta per un braccio, e la fanciulla aveva fatto giusto in tempo a vedere un marinaio liberare un lembo di vela dai suoi vincoli prima che la stoffa sibilante come una frusta gli schioccasse in faccia facendolo volare fuori bordo.
Quando tutte le vele erano state liberate e il vento se n’era appropriato, uno schianto aveva fatto tremare il ventre dell’imbarcazione e delle urla di terrore erano salite fin sul ponte.
Un cannone, come imbizzarrito, aveva preso a rotolare qua e là al ritmo delle onde, travolgendo tutto quello che trovava sulla sua strada, fossero casse di polvere da sparo o uomini.
I danni sottocoperta erano catastrofici, e la nave aveva preso ad imbarcare ancora più acqua di quanto già non facesse prima.
- Moriremo tutti! – aveva gridato qualcuno, mentre altri piangevano o vomitavano, o pregavano, o si gettavano a terra in attesa del loro destino.
Poi, esattamente com’era apparsa, la tempesta era sparita.
Le nuvole avevano preso a sfilacciarsi e le onde, prima furiose, si erano via via calmate fino a diventare morbide carezze sui fianchi lacerati della piccola fregata.
Erano salvi.
Capo Horn aveva concesso loro la grazia.
Una volta capito di essersi salvata, la ciurma era esplosa in un urlo di gioia, ma per Cristal la gioia era durata poco.
Avanzando a fatica verso una destinazione che solo Jack sembrava conoscere, l’acqua attorno a loro si aveva preso a farsi punteggiata di assi di legno e barili galleggianti di chissà cosa, lembi di vela e cordame aggrovigliato.
A dritta si scorgevano i flutti farsi schiumosi contro la parete rocciosa della scogliera che stavano costeggiando, a prua nemmeno l’ombra delle tre navi.
Era stato sul fare del tramonto che, ormai in condizioni pietose, erano riusciti a gettare l’ancora di fronte a un piccolo paese di pescatori, che li avevano accolti con parole amichevoli nella loro lingua sconosciuta.
E così, fra gesti e frasi smozzicate un po’ in Inglese e un po’ in Spagnolo, la figlia del fabbro aveva visto realizzarsi l’agghiacciante timore che le aveva appesantito il cuore per tutto il pomeriggio: le navi dalle vele triangolari avevano fatto naufragio, nessuno si era salvato.
Forse avrebbe dovuto gridare, piangere, strepitare, forse avrebbe dovuto ubriacarsi per dimenticare quella sconfitta, per dimenticare il fatto che si era giocata tutto e aveva fallito.
Forse avrebbe dovuto avere una di quelle reazioni, o forse avrebbe dovuto averle tutte assieme.
Invece no, il suo cuore era calmo e silenzioso come il mare in bonaccia.
Niente.
Non sentiva più niente.
Era andata sulla spiaggia, si era tolta gli stivali e aveva immerso i piedi nell’acqua, lo sguardo puntato alle stelle, poi era rimasta lì, un’ora, due, tutta la notte, finchè Jack non era andato a cercarla e, nel silenzio, l’aveva chiamata.
- Mi dispiace averti portato via tutto questo tempo… - aveva sussurrato senza nemmeno voltarsi a guardare il pirata.
Quello le aveva piazzato fra le mani una bottiglia di rum e lei, nonostante detestasse dal più profondo del cuore quella bevanda incendiaria, aveva bevuto.
Un gesto meccanico, disinteressato.
Non le interessava più di nulla, di nulla in assoluto.
Solo a quel punto si era accorta che Sparrow sembrava essere abbastanza impaziente di dirle qualcosa.
- Che c’è? – aveva domandato, decidendosi a guardarlo negli occhi.
Quello che vi aveva scorto l’aveva lasciata di stucco: era forse… speranza?
- Sono davvero rammaricato dall’increscioso svolgersi delle vicende e dal nefasto nonché luttuoso evento di oggi pomeriggio… - aveva incominciato, gesticolando lentamente, come se avesse cercato di aiutarsi con le mani ad amalgamare le sue parole.
- Ma? – lo aveva interrotto bruscamente la ragazza, troppo stanca per prestare attenzione ai suoi intricati giochi di parole.
Il pirata aveva ghignato appena, i denti d’oro a baluginare nella fioca luce della luna e la giovane si era chiesta con un guizzo d’odio cosa diamine ci trovasse di divertente in quella situazione sputata dall’nferno.
- Pare che Miss Marion Hawke abbia la pellaccia dura quasi quanto quella della figlia… - aveva cantilenato, sibillino.
- Cosa vuol dire? Mia madre è ancora viva? Parla o giuro che ti strappo la barba! – aveva esclamato improvvisamente lei, facendo fare un passo indietro all’interlocutore, che aveva portato istintivamente una mano al pizzetto.
- Beh, non credo siano molte le donne inglesi dagli occhi “color della tempesta” e munite di “collana del mare” che passano da queste parti… - aveva citato testualmente ciò che era riuscito a estorcere a un paesano, agganciando distrattamente la bussola alla cintura.
Non aveva quasi fatto in tempo a terminare la frase che il peso improvviso della bionda l’aveva fatto piombare in terra, l’acqua salata fino ai gomiti.
- Jack, ti adoro! – aveva esclamato Cristal, abbracciandolo con tutto l’affetto che ormai si era resa conto di provare per lui.
Era assurdo, ma in quei mesi di navigazione, fra le mille avventure che avevano vissuto insieme, sentiva di essersi affezionata a Sparrow come a un fratello: certo, a volte l’avrebbe ucciso, ma aveva imparato a interpretare i suoi modi bizzarri e fuori dagli schemi, e non avrebbe esitato un momento a mettere la sua vita nelle sue mani.
Spiazzato da quel gesto improvviso, il pirata le aveva battuto qualche amichevole pacca sulla schiena, ben attento a non incrociare il suo sguardo.
Non credeva nei miracoli, ma il fatto che la giovane non si fosse accorta di non avergli mai fatto parola della collana doveva senz’altro esserne uno…
Le ricerche erano così proseguite, sebbene a rilento, portandoli fin sulle coste dell’Africa e poi a Est, verso il Madagascar. Giunti sulla meravigliosa e selvaggia isola, tuttavia, erano stati costretti a tornare indietro fino alle Antille e poi in Spagna.
Altri sei mesi erano passati e, anche se con lentezza esasperante, lo squarcio nel cuore della giovane sembava essersi leggermente lenito, curato forse dal balsamo della speranza che le recavano le notizie riguardo a sua madre.
Era una notte calda e stellata e il Nausicaa, un piccolo brigantino sgraffignato a Cadice, veleggiava tranquillo verso le insidiose coste della Bretagna.
- In tutta onestà non la capisco. – sbottò la giovane dopo mezz’ora di agguerrito dibattito con Sparrow.
Quello alzò un sopracciglio, palesemente brillo dopo l’ennesima bottiglia di rum.
- Beh, la madre è la tua… - si difese, onde evitare che gli venissero chiesti ulteriori pareri in merito.
Scelta sbagliata: Cristal sbuffò e si appoggiò al parapetto, guardando con disinteresse la spuma delle onde che si infrangevano contro la chiglia.
- Appunto! Insomma, perché non se ne torna a Port Royal e fine della storia? Ormai è passato quasi un anno da quando siamo partiti, perché continua a girare in tondo senza una meta? –
Quella sua stessa frase le incupì lo sguardo.
Forse Marion non aveva alcuna intenzione di tornare a Port Royal. Forse non voleva ritrovare sua figlia.
Dopotutto era ancora giovane e bella, e la morte di Jim Cooper le offriva altre mille possibilità…
Scosse la testa, schifata di aver avuto un simile pensiero riguardo a sua madre.
No, Marion non avrebbe mai tradito la memoria di suo marito, e non avrebbe mai abbandonato lei, sua figlia.
Per nulla al mondo.
Poi, subdola come la paura di essere stata abbandonata, un’altra immagine si fece largo nella sua coscienza.
Un paio di settimane prima aveva compiuto diciassette anni, e il ricordo di come trascorreva il giorno del suo compleanno a casa le aveva colmato il cuore di malinconia.
Aveva atteso per tutta la vita di solcare i mari senza dover rendere conto a nessuno, ma adesso si rendeva conto di cosa sua madre intendesse con “sconfinata prigione”.
Nulla sapeva rinfacciare gli errori meglio dell’oceano, nessuna vastità sapeva essere così soffocante come l’orizzonte.
Sarebbe mai riuscita a ritrovare sua madre? Sarebbe mai stata capace di riportarla a casa, per condurre insieme una vita serena, nonostante tutto?
Quell’immagine ne evocò un’altra, un volto a cui aveva cercato di non pensare in quei lunghi mesi per mare.
Cosa avrebbe ritrovato, se fosse tornata a Port Royal?
Di certo non l’altare, questo ormai l’aveva capito.  Aveva fatto una scelta, e le conseguenze comportavano dover dire addio a quella vita che, per un secondo, aveva pensato di poter sfiorare con la punta delle dita.
Lo sapeva, lo sapeva fin dall’inizio, sapeva di star mentendo quando aveva sussurrato contro le sue labbra “questo non è un addio”.
James aveva troppo da perdere, non si sarebbe mai arrischiato a seguirla in quella folle ricerca, quell’assurda corsa contro il tempo.
Non l’avrebbe mai cercata, e non l’avrebbe nemmeno aspettata.
- Magari ha una meta ben precisa, ma è costretta a girare in tondo per raggiungerla. Magari sta facendo così apposta per far perdere le sue tracce... – la voce di Jack Sparrow la riportò alla realtà con uno strattone.
Scosse la testa e fece spallucce, voltando le spalle alla murata e puntellandosi sui gomiti.
- E a che pro? Sarebbe bastato raggiungere una qualsiasi base inglese e farsi scortare a Port Royal… Dopotutto il suo nome fa ancora un discreto effetto, dubito che le avrebbero fatto storie… - osservò, un po’ irritata dal non capire cosa diamine passasse per la testa di sua madre.
Fu a quel punto che accadde qualcosa di strano.
Sparrow, la sua inseparabile bottiglia di rum stretta in mano, le fece passare un braccio attorno alle spalle con aria comprensiva.
Fu questione di un secondo, ma Cristal sentì che in quel contatto c’era qualcosa che non quadrava; si irrigidì appena, le sopracciglia inarcate mentre si mordeva dubbiosa il labbro inferiore.
- Jack? – domandò, sulla difensiva.
- Stavo pensando… - esordì nel silenzio della notte.
- Capisco che tu ti senta confusa e addolorata, per non dire quasi tradita… Ma ormai è un anno che navighiamo insieme, io e te, Capitan Jack Sparrow e Cristal Cooper… E insomma… - continuò, stringendola sempre più a sé, tanto che la ragazza dovette trattenere il respiro, schifata dall’alito fetido dell’amico.
- Ma perché crogiolarsi nel dolore? Fa caldo… Ci sono le stelle… - argomentò, allusivo.
La bionda comprese dove voleva andare a parare e sussultò, spiazzata.
- Jack! Potresti essere mio padre! – esclamò, scostandosi e allontanandosi di qualche passo.
- Ma non lo sono! – cinguettò quello con aria accattivante, muovendosi barcollante sulla scia dei suoi passi.
Cristal scoppiò a ridere tetra e si appropriò della sua bottiglia.
- Sei ubriaco. Quante ne hai bevute oggi? – cercò di cambiare discorso.
Missione fallita, il pirata le strappò la bottiglia dalle mani e diede una generosa sorsata, svuotandola del tutto.
- Con questa… ho perso il conto! – esclamò, per poi ghignare ancora, un ghignetto infantile alimentato dall’alcool.
- E comunque non mi capacito di come tu possa resistere al mio innegabile fascino e… - ma la ragazza lo interruppe, improvvisamente nervosa.
- Puzzi. E mi dispiace, Sparrow, ma sei arrivato tardi. – sentenziò con un’amarezza nella voce che avrebbe quasi potuto far tornare sobrio il compagno.
Prese a misurare il ponte a grandi passi, finchè il suo incedere pesante e irato la condusse a prua.
Non sospirò nemmeno quando si accorse che Jack l’aveva seguita.
- Non riesci proprio a capire quando una persona ha piacere di starsene un po’ sola per conto suo, vero? – sbraitò senza tuttavia eccessiva cattiveria.
Sebbene quella non-proposta l’avesse offesa e assurdamente delusa non riusciva a rimanere arrabbiata con Jack per più di cinque minuti. Gli voleva bene, dopotutto, e quella era una debolezza a cui proprio non riusciva a rimediare.
- Chi è? – domandò lui, stranamente serio nonostante la sbronza.
- Chi è chi? – e questa volta fu lei a non capire, confusa da quella domanda.
- L’aitante individuo che ha stregato il tuo cuore di fanciulla, che domande! – la schernì, guadagnandosi un’occhiataccia da colei che l’aveva appena respinto dandogli nemmeno troppo velatamente del vecchio.
Cristal piantò i suoi occhi grigi in quelli scuri dell’amico per poi incrociare le braccia al petto.
- Una storia per una storia. Andata? –
Jack parve pensarci un po’ su, poi annuì e le strinse la mano.
- Andata! –
E fu così che si ritrovò, per la prima volta dopo un anno intero, a parlare della sua famiglia, di Elizabeth e Will, di Abraham, degli allenamenti di scherma con mamma e papà e dei giochi ai danni del povero Howard, di tutte le volte in cui avrebbe voluto strozzare Gillete e di quando, invece, sarebbe saltata al collo di Groves per ringraziarlo dei suoi tempestivi interventi.
E poi parlò di lui. Della prima volta, a Londra, delle litigate, delle passeggiate su al Forte, la pioggia, i fulmini quella sera al ballo, parlò della spedizione di Thompson, di quella volta che le aveva regalato un libro così, solo perché aveva scoperto che le avrebbe fatto piacere leggerlo, parlò di tutto, tutto quanto.
- Dovevamo sposarci. E invece guarda dove sono andata a finire… - commentò con amarezza, il riflesso delle stelle freddo e distante sulla superficie dell’acqua.
Jack tacque, e se non fosse stato per il tanfo di alcool che emanava ad ogni respiro, Cristal avrebe quasi potuto crederlo sobrio.
- Vi assomigliate molto… - borbottò, l’espressione persa in chissà quale ricordo.
- Chi? – domandò lei, improvvisamente curiosa.
- A chi assomiglio? – incalzò.
Il Capitano parve riscuotersi e rendersi conto all’improvviso delle sue parole. Le sorrise come se niente fosse, ma dopo undici mesi a stretto contatto ormai era evidente quando era  in imbarazzo, o quando si rendeva conto di aver parlato troppo.
- Beh, abbiamo detto una storia per una storia! Cosa vuoi sapere del sottoscritto? – domandò per sviare l’attenzione della compagna.
Cristal roteò gli occhi, era chiaro che per quella sera non gli avrebbe scucito una parola di più.
Poco male, avrebbe indagato in un secondo momento… Dopotutto c’era un’altra cosa che le premeva immensamente scoprire…
- Semplice, Jack! – esordì rizzando la schiena.
- Tutti i Capitani hanno una nave tutta per loro: Teach ha la Queen Anne’s Revenge, Ponce de Leon aveva la Santiago… - continuò, enumerando navi e Capitani aiutandosi con le dita.
Attese qualche secondo per aumentare la suspence della sua richiesta, poi parlò ancora.
- Voglio sapere la storia della tua nave, Jack. Dall’inizio alla fine. –
L’uomo le scoccò una lunga occhiata silente, quasi come se quella domanda si fosse avventurata ad esplorare ricordi che era meglio lasciare al loro posto, poi sbuffò e si sedette su una cassa, facendole segno di accomodarsi.
- Siediti, giovane Cooper… abbiamo tutta la notte, e questa è una storia lunga una vita… -
 













 
Brest era una città caotica e la gente sembrava saper comunicare soltanto tramite grida.
Forse era per via del fatto che erano approdati in giorno di mercato, forse era perché i Francesi hanno la tendenza a parlare a voce più alta del dovuto, quasi dovessero imporre le loro idee in qualsiasi frangente.
Il sole brillava alto nel cielo e per le strade si alzava il pungente odore di pesci e ostriche, contese da gabbiani e pescatori.
Le donne erano vestite in modo strano, con copricapi alti e candidi realizzati forse all’uncinetto, e parlavano fra di loro in una lingua tutta sussurri e schiocchi che Cristal non conosceva.
A volte la loro voce aveva i colori del laborioso ronzio delle api, altre volte sembrava più la carezza delicata dell’onda sulla sabbia.
Eppure, anche di fronte a tutte quelle novità, Cristal non poteva fare a meno di ritornare con il pensiero alla storia che le aveva raccontato Jack qualche notte prima.
Come poteva un uomo essere così tanto attaccato a una nave? E con quale crudeltà un altro uomo poteva averlo lasciato a crepare su un’isola deserta con la sola compagnia di una pistola scarica e del suo fallimento?
Per solidarietà a Jack, più che per altre ragioni, sentiva di detestare il suo ex primo ufficiale più di ogni altra persona al mondo.
Quale avidità poteva mai spingere una persona a comportarsi in un modo simile, a diventare un traditore?
Il tradimento, appunto, era un comportamento che Cristal non aveva mai compreso e che aveva sempre condannato.
Anche la vendetta era tuttavia da lei valutata allo stesso modo, e i propositi omicidi di Jack l’avevano lasciata con l’amaro in bocca.
Era davvero quella l’unica via?
Uccidere l’ammutinato gli avrebbe dato la garanzia di riavere indietro la sua nave?
Ovviamente no, o almeno, non così in fretta, ma quelle erano faccende nelle quali non aveva alcuna intenzione di immischiarsi: tutto ciò che doveva fare era concentrarsi e fare di tutto per trovare sua madre.
Una volta tratta in salvo, non ci sarebbero più stati invidie, vendette o tradimenti a cui pensare, non ci sarebbe più stato nulla. Avrebbero ricominciato tutto da capo, ed ogni cosa sarebbe pian piano tornata al suo posto, nonostante tutto.
Sperava che Jack non si fosse accorto delle sue preoccupazioni, ma l’uomo continuava a lanciarle occhiatine furtive sin da quando avevano messo piede a terra, quasi si fosse aspettato un ammutinamento anche da parte sua.
Avevano concesso alla ciurma un paio di giorni liberi, consapevoli che più della metà dei marinai sarebbero svaniti nel nulla al momento di salpare di nuovo.
Non che fosse un gran problema: se non fossero stati in grado di rimediare una nuova ciurma lì a Brest avrebbero sempre potuto veleggiare fino a Saint Malo, dove gentiluomini di ventura di ogni provenienza abbondavano e ingrassavano crogiolandosi nella loro pigrizia.
Cristal seguì Jack fin dentro una vecchia bettola che puzzava di vino scadente e acqua di mare, la luce del giorno che filtrava a fatica attraverso dei grandi finestroni incrostati di sale.
- Trova un posto a sedere, ordino io! – esclamò, marciando sicura verso il bancone.
Poggiò i gomiti sul ripiano di legno e richiamò l’attenzione del locandiere, per poi ordinare una birra e un doppio rum.
- La prima volta a Brest? La vostra mi sembra una faccia nuova! – sorrise l’omone nel versarle la pinta, l’Inglese un po’ zoppicante, ma pur sempre comprensibile.
Aveva i capelli chiari e un paio di limpidi occhi azzurri, troppo sinceri per il luogo in cui si trovava.
La ragazza annuì, gettando una vaga occhiata al locale.
- Sembra un posto trafficato, dovrete vederne un’infinità di facce, ogni giorno… - commentò con disinteresse simulato, giusto per saggiare la propensione dell’uomo alle chiacchiere.
Quello le poggiò il boccale sotto il naso e annuì con vigore, il viso rubizzo teso nell’ennesima espressione di allegria.
- Un’infinità, davvero… Ma i visi particolari me li ricordo, sì! Il vostro è un bel viso, uno di quelli che non si dimenticano! – scherzò senza malizia.
Cristal sorrise e chinò appena il capo, poi bevve un sorso di birra e riportò l’attenzione sull’oste.
- E per caso avete visto qualche viso simile al mio, di recente? – azzardò, con il solo risultato di interrompere il gesto dell’uomo, che stava preparando il doppio rum per Jack.
Si portò una mano al mento e accarezzò pensoso l’ispida barbetta rossiccia, gli occhi assottigliati in cerca di un ricordo.
- Magari con una bella collana a forma di… - ma prima di riuscire a terminare il suggerimento, una mano si arpionò al braccio della giovane, stringendogliela in una presa ferma e imperiosa.
Spaventata, si voltò con un sussulto fino a incrociare un paio di occhi così chiari da sembrare quasi bianchi, circondati da rughe sottili e profonde come larve incastrate nella ragnatela.
- Tais-toi, mioche, c’est pas bonne chose parler ainsi dans un lieu pareil! Spécialement s’il s’agit d’une fille. Spécialement s’il s’agit d’une fille à la recherche de quelque chose qu’elle connaît pas.1
Cristal rimase congelata, di fronte a lei, a guardarla dal basso della sua statura minuta, una vecchia dai capelli grigi e fini, i denti piccoli e appuntiti e le mani esili come ramoscelli e tuttavia vibranti della forza di un gigante.
- Ferme ta gueule e viens avec moi.2 – sibilò poi di fronte alla bocca spalancata della giovane.
- Madame, désolée, mais je suis avec…3- cercò di balbettare, salvo essere di nuovo interrotta, la presa più salda attorno al braccio tanto da farle male.
La vecchia levò gli occhi su Jack che, seduto al tavolo e avvicinato da una procace fanciulla, sembrava non badare a loro.
- Il saura où te chercher. Viens, Cristal Cooper, la marée va vite changer…4 -
Rivolse un cenno del capo all’uomo dietro al bancone e bisbiglio qualcosa al suo indirizzo in una lingua che Cristal non conosceva, poi sbirciò un po' intorno e, guardandosi bene dal mollare la presa, la trascinò verso una porta socchiusa.

























 
Note:


1Taci, ragazzina, non è bene parlare così in un luogo simile. Specialmente se si tratta di una ragazza. Specialmente se si tratta di una ragazza alla ricerca di qualcosa che non conosce.
2Chiudi la bocca e vieni con me.
3Signora, sono desolata, ma sono con...
4 Saprà dove cercarti. Vieni, Cristal Cooper, la marea cambierà presto...




Buonasera a tutti, miei audaci marinai!
Scusate la lentezza nell'aggiornare, ma in questi ultimi giorni sono stata fuori casa e ho avuto davvero poco tempo per scrivere il capitolo...
Ebbene, di questo capitolo, in realtà, non c'è un granché da dire, perchè si tratta di un odioso capitolo di transizione. xD
Ho voluto più che altro dare un'occhiata a come la nostra eroina(?) si sia acclimatata alla vita piratesca, anche se in realtà questo viaggo non si sta rivelando eccessivamente impegnativo.
Beh, almeno fino a Capo Horn.
Mi sono divertita molto a descrivere la scena della tempesta, e un po' meno a parlare del "dopo".
Insomma, le misteriose navi filippine sono colate a picco.
E Jim con loro.
So che in questo capitolo non si parla quasi niente dei sentimenti di Cristal a riguardo, ma è solo perchè questo avrà un discreto spazio nei prossimi capitoli, dove scopriremo qualcosa di nuovo e capiremo meglio cosa diamine è successo.
Per quanto riguarda lo strano comportamento di Jack a bordo del Nausicaa... Non preoccupatevi, non era serio.
Non potrebbe mai, il suo cuore appartiene già a un'altra lei~ xD
Ma il nostro Capitano si sta lasciando sfuggire un po' troppe mezze frasi, per i miei gusti...
E chi è questa vecchia inquietante che appare alla locanda a Brest? Com'è che conosce il nome della nostra pirata in erba?
Non disperate, presto sapremo tutto.... :D

Come sempre grazie mille a tutti voi che mi spronate ad andare avanti con questa storia, vi voglio immensamente bene! <3

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***





Capitolo Dodicesimo~




La stanza era buia e pregna di un odore dolciastro e pesante; dalle fessure nelle imposte serrate filtravano sottili fili di luce e pulviscolo danzante.
Mobilia di ogni genere occupava ogni centimetro quadrato in un’accozzaglia di stili diversi: vi era un paravento orientale, un grosso comò alla francese e decine di mensole dalle quali pendevano gli oggetti più strani e disparati. In un angolo, a terra, cinque statue di legno scuro si ergevano come steli: erano figure umane, i lobi spropositatamente lunghi e le labbra carnose, forse venivano dall’Africa…
La vecchia trascinò Cristal fino a una poltrona consunta dall’uso e la fece sedere con un gesto brusco, dirigendosi poi alle finestre per aprire le imposte e permettere alla luce di scaldare la stanzetta.
La ragazza gettò un’occhiata fuori, il mare luccicava sotto il sole cocente del mezzogiorno, il Nausicaa rollava pigramente nella rada assieme alle altre imbarcazioni; un filo di fumo le solleticò le narici, lo stesso odore che aveva percepito entrando nel vano stracolmo di oggetti.
- Spero che l’incenso non ti dia fastidio, è un’abitudine a cui non ho mai saputo rinunciare… - disse finalmente la vecchia in un Inglese perfetto e senza accento.
- Chi siete? – domandò Cristal sulla difensiva.
Era da considerarsi un nemico o un alleato? Perché l’aveva portata via, trascinandola senza riguardo su per le scale fino a quel luogo strano, come uscito da un sogno, o dal ricordo di un sogno? Come faceva a conoscere il suo nome?
Si prese qualche secondo per studiarla meglio.
Indossava un vestito scarlatto e stracciato, al di sotto del quale spuntava un’ampia gonna bianca. Sulle spalle aveva uno scialle verde e logoro annodato alla bell’e meglio e al collo portava una miriade di ciondoli e catenine: fra i quarzi, le conchiglie e i denti di animale, Cristal riconobbe la croce di Santa Brigida, intrecciata con steli di giunco e fili di paglia.
- In Bretagna mi conoscono come Bleizenn Gwrac’h1, ma tu puoi chiamarmi solo Bleizenn, se vuoi. – le concesse.
- Non fare quella faccia, ragazzina, non ho intenzione di farti del male… - aggiunse nel notare il viso pallido di Cristal e i suoi occhi sgranati.
- Come fate a conoscere il mio nome? – si azzardò quindi a chiedere, i pugni stretti per via della tensione.
La vecchia rise mettendo in mostra i denti appuntiti come quelli di un lupo.
- Ti stupiresti nello scoprire quante cose so di te. Io ti ho vista. Sapevo che saresti arrivata… - fece, misteriosa.
- Siete una veggente? – incalzò la giovane, ancora a disagio.
Bleizenn mosse qualche passo all’interno della stanza, spostando alcuni degli oggettini sulle mensole, i capelli grigi che le ondeggiavano sulle spalle.
- Ufficialmente sono erborista e levatrice… - incominciò, nella voce chiaro come il sole ciò che non aveva ancora pronunciato.
- E non ufficialmente? – la incalzò Cristal per averne la conferma.
La donna voltò lentamente il capo in sua direzione, poi prese la collana di conchiglie fra le dita e la agitò appena sotto al naso dell’ospite.
- Sacerdotessa dell’Antica Religione, voce terrena della Regina Ahès guardiana dei Mari. E’ stata lei ad avvvisarmi della tua venuta. –
Cristal non poté impedirsi di spalancare nuovamente la bocca di stupore. Conosceva la Leggenda di Ahès, la principessa di Ys, la Città nelle Acque che, sedotta ed ingannata dal Demonio, gli aveva offerto le chiavi delle dighe in modo che egli potesse inabissare Ys e tutti i suoi abitanti.
- Regina? Credevo che il trono fosse di suo padre… - fece, cercando di ricordare ciò che sua madre le raccontava da bambina.
Bleizenn scosse la testa con rabbia, gli occhi chiari intrisi di veleno.
- Gradlon ha abbandonato la sua città, ha preferito il lusso offertogli dalla Chiesa all’onore e alla famiglia. Ahès è rimasta ed è affondata con Ys, è lei la vera e sola Regina. – spiegò rancorosa.
Uno strano silenzio calò nella stanzetta, un silenzio carico di ricordi che si insinuò sotto la pelle della figlia del fabbro come sale nelle ferite.
Faceva male, male come se lei stessa avesse subito il tradimento a cui aveva assistito la principessa Ahès, abbandonata dal padre al suo destino di morte e disonore.
- Parlando d’altro, Cristal, sono costretta a rimproverarti per la tua condotta di poco fa… - fece improvvisamente la vecchia, spezzando il silenzio.
- A proposito di questo, Bleizenn… - incominciò, salvo venire nuovamente interrotta.
- Tu non sai cos’è la collana che indossa tua madre, vero? –
Cristal sussultò.
- Avete visto mia madre? – fu la sua risposta, il busto teso in avanti e le mani artigliate ai braccioli della vecchia poltrona.
- Oh, sì, molte volte. Una ragazza deliziosa! La sua devozione alla famiglia compensa senza dubbio la sua freddezza in materia di sangue… - commentò, spiazzando l’interlocutrice.
Quello era di certo il più strano e grottesco ritratto che qualcuno avesse mai fatto di Marion Hawke.
- La collana… è un regalo. Un ricordo di una persona cara… -  borbottò per cambiare discorso. Non le piaceva la piega nascosta nelle parole della vecchia.
Bleizenn annuì come se quella confessione le avesse illuminato la via alla conclusione di una lunga ed intricata congettura.
- Vorrà dire che sarà lei a spiegarti, se lo riterrà opportuno. Ebbene, Cristal, sappi solo che il ciondolo di cui tu vai parlando con tanta leggerezza non è semplicemente un ricordo: si tratta di un oggetto ambito per il quale molte persone sono già state uccise. Non sei l’unica sulle tracce di Marion, ed è per questo che ho preferito interrompere la tua chiacchierata con Erwann giù alla Locanda. –
A quel punto Cristal balzò in piedi, folgorata dalla scoperta.
- Volete dire che i Filippini hanno rapito i miei genitori solamente per la collana di mia madre? Volete dire che se quel maledetto ciondolo non fosse mai esistito…? – ma Bleizenn la interruppe di nuovo, alzando una mano per richiamare il silenzio.
- Adagio, ragazzina! Non è della collana la colpa, bensì della bramosia dell’uomo! Quella fra il Falco e il Serpente è una rivalità antica come il mare… - la redarguì.
Cristal corrugò le sopracciglia e inclinò appena la testa di lato.
Il Falco e il Seprente?
- D’accordo, il Serpente sono i Filippini, fin qua nessun problema, ma il Falco? –
La vecchia guardò fuori dalla finestra, accigliata, poi spense l’incenso e accostò le imposte con un movimento frettoloso.
- Hai mai sentito parlare del Faucon du Nord? –
Ma prima che la bionda potesse replicare la porta della stanzetta si aprì con un tonfo, rivelando la figura di Jack.
- Ah, Sparrow, qual buon vento… - lo salutò Bleizenn.
Jack la salutò con un inchino pomposo e vagamente derisorio.
- Vedo che ti piace sempre rapire le donzelle indifese, cara Bleizenn…- fece, negli occhi il baluginio di un ricordo.
- Prega che io non sia poi così indifesa, Jack. Abbiamo ospiti, e credo che cerchino te! – esclamò improvvisamente Cristal, che sbirciava la strada attraverso le imposte accostate.
Una colonna di soldati armati di tutto punto si dirigeva a passo deciso verso la bettola, attraccato accanto al Nausicaa un galeone imponente e maestoso.
- Sono gli Spagnoli! – notò, mettendo già mano alla spada.
La vecchia Bleizenn roteò gli occhi e scosse la testa.
- Mai che ti si possa parlare un po’ in tranquillità, eh, Jack? Cos’è, questa volta? Furto o tradimento? –
Sparrow esibì un’espressione da marmocchio colto con le mani nel sacco e si strinse nelle spalle.
- E se lo chiamassimo prestito non autorizzato? – la vecchia gli diede una spallata e lo sorpassò, dirigendosi verso il paravento borbottando frasi in Bretone stretto.
- Svelti, indossate questi e sparite da qui, non voglio avere grane, io! – sbraitò lanciando a Cristal un grande abito rosato dai bordi mangiucchiati dalle tarme e a Jack una parrucca candida e una giacca marrone, appartenuta probabilmente a un uomo benestante.
La fanciulla infilò il vestito direttamente sopra agli abiti, nascondendo la scollatura con uno scialle scarlatto che la sacerdotessa le avviluppò attorno al collo, mentre Jack abbottonava la giacca fino in cima e indossava a fatica la fastidiosa parrucca tutta boccoli.
Cristal trattenne una risata nel pensare a quanto Jack, conciato in quel modo, assomigliasse a Weatherby Swann.
- Com’è che avevi queste schifezze già pronte? – mugugnò Jack, lottando con un boccolo ribelle.
- Ahès vede tutto, Sparrow. Anche se si stupisce ancora di queste tue stupide domande… - replicò leggermente acida, per poi voltarsi verso Cristal e posarle le mani sulle spalle in una presa salda e decisa.
- Vai a Londra, alla Royal Raven Inn. Se avrai fortuna troverai tua madre ancora là. –
La ragazza annuì, mentre Jack già la trascinava verso la porta, pronto a darsela a gambe.
- Arrivederci Bleizenn, è stato un piacere! Porterò i tuoi saluti a tua zia! – esclamò il Capitano con cipiglio sfottente, già nel vano delle scale.
La donna sbuffò e si affacciò dalla porta.
- Ci rivedremo presto, Cristal Cooper, Fille de la Tempête2! – e, senza degnare Jack nemmeno di uno sguardo, chiuse la porta con un tonfo.
- E così hai conosciuto la cara Bleizenn Gwrac’h! – cinguettò l’uomo con una nota lievemente macabra nella voce mentre uscivano da una porta sul retro della locanda e si infilavano in un vicolo stretto e lercio.
Cristal annuì, sulla pelle ancora il gelo delle dita nodose della donna.
- Una tipa oltremodo bizzarra, ma bisogna convenire che la loro stirpe è tutto fuorchè ordinaria… - continuò lui nel suo strano monologo.
Giunti in fondo al vicolo diede un’occhiata furtiva alla strada principale per sincerarsi che non vi fossero Spagnoli, poi fece segno alla giovane di seguirlo.
- Che facciamo, Jack? Il Nausicaa ormai è preso! – sibilò, la preoccupazione a incrinarle la voce.
Il pirata fece spallucce.
- Inventa qualcosa! – disse solamente.
Cristal spalancò la bocca.
- Jack! Sei tu il Capitano, per la miseria! Inventa qualcosa tu! – sbraitò allargando le braccia.
Errore imperdonabile.
Una voce li fece voltare di scatto, il terrore dipinto sul volto.
- Capitán Jack Sparrow? –
Di fronte a loro, la baionetta spianata, se ne stava un uomo intorno ai trent’anni, le sopracciglia curvate in un’espressione intimidatoria.
- Dove? Io non lo vedo! – replicò Jack guardandosi attorno stupito e curioso.
Il bluff fu completamente inutile, lo spagnolo puntò e portò un dito sul grilletto, ma non vi fu alcuna detonazione.
Un fiotto di sangue gli schizzò dalla bocca, spruzzando appena il viso del pirata.
Quello abbassò lo sguardo per notare che dal petto del soldato sporgeva di almeno un palmo la punta di una spada. Si voltò a incrociare lo sguardo della compagna, ma Cristal non era più al suo posto.
Il corpo del nemico cadde a terra, alle sue spalle la figlia del fabbro si puliva il viso con un lembo dello scialle, la mano imbrattata del sangue che colava lungo l’elsa della spada.
- L’hai ucciso… - balbettò Jack, stupito e vagamente infastidito dalla scena di fronte ai suoi occhi.
Cristal si asciugò le mani nel sottogonna e prese a camminare a passo spedito, senza tuttavia guardarlo in viso.
- I morti non parlano. – fu la sua unica e fredda replica.
L’uomo spostò lo sguardo dal cadavere del soldato alla schiena esile della ragazza.
Quell’atteggiamento gli ricordava un’altra persona, e per un momento si ritrovò a vacillare, il cuore colto dall’insicurezza.
No, non aveva alcun senso.
Scosse la testa e la raggiunse, affiancandola e prendendola a braccetto.
- Adesso, giovane Cooper, dobbiamo trovarci un passaggio fino a Londra! –
Quella annuì distrattamente, e nelle sue iridi color della tempesta Jack scorse un rimorso che lo tranquillizzò.
Nonostante tutto era sempre la solita ragazzina fantasiosa e dannatamente buona.
L’aveva fatto perché andava fatto, tutto qui.
Eppure, nonostante sapesse di avere a che fare con una giovane a lui completamente devota, non poteva evitare, nella sua mente, di udire quelle parole pronunciate dalla voce di qualcun altro…
- Intanto che cerchiamo una nave sarà meglio inventarci una storia. Non possiamo certo pretendere di imbarcare Capitan Jack Sparrow e Cristal Cooper… - aggiunse la ragazza, la mano destra ancora a sfregarsi contro il tessuto della gonna.
Jack esibì un sorriso sghembo: la stava tirando su proprio bene…
 







 
La traversata era stata breve, per l’immenso gaudio di Jack che si era trovato a impersonare lo zio muto di Marie, la sartina di Rennes in cerca del padre salpato l’anno prima per Londra.
- Ma perché muto? – aveva sbraitato prima di salire a bordo, solo dopo essersi assicurato che nessuno potesse sentirlo.
- Dobbiamo allontanare da noi qualsiasi sospetto, e spacciarci per Francesi è la cosa più semplice che mi sia venuta in mente. Visto che tu però non sai una parola di Francese, fai prima a fingerti muto. – aveva spiegato per l’ennesima volta Cristal, seccata dalla testardaggine del compagno.
- Calunnia e maldicenza! Io so benissimo il Francese: parlay! – aveva esclamato Sparrow, ferito nell’orgoglio.
La ragazza l’aveva fulminato con lo sguardo.
- E’ parler. Tanto per la cronaca. – gli aveva corretto la pronuncia prima di prenderlo per un polso e trascinarlo verso la passerella.
- E adesso lascia parlare me, vedrai che filerà tutto liscio come l’olio! – e, incredibilmente, erano arrivati in Inghilterra incolumi.
Tornare a Londra dopo sette anni le aveva fatto una strana impressione.
Era stato come tornare bambina di colpo: gli odori, i colori, i suoni e le luci, tutto era rimasto invariato, proprio come lo ricordava.
I dock melmosi erano sempre gli stessi, l’accento pulito e ondulato delle persone proprio come quello di Elizabeth e James, accento di casa.
- Oh, Jack… è come se non fosse trascorso nemmeno un giorno… - confessò mentre attraversavano Covent Gardent, la frutta di stagione colorata e invitante.
- Come hai fatto a crescere in un posto simile? – fece lui storcendo il naso.
- Non si vede nemmeno il mare… - si lamentò poi.
Cristal non diede peso alle sue parole, emozionata e ancora in balia dei ricordi.
- Anche Londra ha il suo fascino, ma non mi aspetto che tu riesca a capire… -  rispose sovrappensiero.
Girò l’angolo della strada e inchiodò tanto bruscamente che Jack le sbatté contro.
- Cosa succede? –
Nessuna risposta.
Il pirata seguì il suo sguardo verso l’alto, fino ad incontrare una vecchia insegna in ferro battuto raffigurante un corvo nero come la notte, al di sotto la scritta in caratteri grandi e ben leggibili citava “Royal Raven Inn”.
Sobbalzò appena quando sentì la mano della compagna stringersi attorno alla sua: era fredda e leggermente sudata: aveva paura.
- Bene, siamo arrivati! – esclamò con un grande sorriso per infonderle un po’ di coraggio.
La ragazza rimase immobile e rigida, gli occhi sgranati fissi sulla porta di legno del locale.
Eccola lì, la Royal Raven Inn, il luogo dove, a detta della vecchia Bleizenn, alloggiava sua madre.
Forse, varcata quella porta, avrebbe trovato colei che cercava da ormai un anno.
Forse, al di là di quell’uscio, la sua avventura sarebbe giunta a termine.
Le bastavano pochi passi e avrebbe raggiunto il suo obbiettivo, ma si accorse con una punta di vergogna che aveva paura.
Paura di entrare nel locale e trovarlo vuoto e ostile, paura di scoprire di aver fallito ancora una volta, paura che quell’assurda caccia al tesoro il cui premio era sua madre non sarebbe finita mai.
Deglutì e inspirò a fondo, poi, senza voltarsi indietro, entrò.
Non c’era molta gente: una paio di uomini al bancone, delle vecchie sedute a ciarlare sottovoce di fronte alla grande finestra che illuminava scarsamente il locale, una ragazzina che puliva i tavoli con uno straccio bagnato…
Nel complesso sembrava che la Royal Raven Inn fosse un esercizio di gran lunga più rispettabile di alcune delle bettole che avevano visitato in quel lungo anno di peregrinare incerto qua e là per gli oceani.
- Buon pomeriggio, posso aiutarvi? -  una donna con un grande grembiule bianco legato in vita venne loro incontro con un caloroso sorriso di bevenuto.
Cristal lanciò un’occhiata a Jack, poi incominciò, titubante.
- Buon pomeriggio, Signora! Mi chiedevo se per caso… - ma l’espressione stupita della donna le fece morire le parole in gola.
Quella che probabilmente era la proprietaria del locale si sporse in avanti, squadrando Cristal da capo a piedi.
La giovane rimase pietrificata, imbarazzata da quello strano comportamento, poi le parole della donna le sciolsero il cuore.
- Siete qui per Miss Wordsworth? Cielo, vi assomigliate come due gocce d’acqua! Se avete bisogno di lei dovreste trovarla ancora nella sua stanza, alloggia nell’ultima camera a destra in fondo al corridoio!-
Era lei.
Doveva essere lei.
Probabilmente aveva usato un nome falso per far perdere le sue tracce se, come aveva detto Bleizenn, lei non era l’unica alla ricerca di Marion.
Senza farselo ripetere ringraziò la signora e, sempre seguita da Jack, imboccò le scale che portavano al piano superiore, ignorando gli scricchiolii di disappunto che i gradini le lanciavano ad ogni passo.
Marciò decisa verso il fondo del corridoio buio e si fermò di fronte all’ultima porticina, posò la mano destra sulla superficie di legno e spinse appena.
Fu sufficiente affinchè l’uscio si aprisse, cigolando svogliato finchè non arrivò a cozzare piano contro la partete.
La luce grigia dell’esterno inondò il corridoio, in fuga dal telaio della finestra.
Silenzio.
Solo silenzio mentre una figura di donna seduta di fronte alla finestra, sagoma scura contro la luce padrona indiscussa della scena, si voltava piano in direzione della porta aperta.
Solo silenzio mentre Cristal, incapace di muovere anche un singolo passo, riconosceva, prima di qualsiasi altra cosa, il profumo di erica selvatica e mare che l’aveva cresciuta.
Dimenticò di avere con sé Capitan Jack Sparrow, idolo della sua infanzia nonché famoso pirata, dimenticò di aver viaggiato per undici mesi senza sapere nulla di certo su sua madre, dimenticò la punta di rancore che aveva sentito di provare nei suoi confronti giorni prima, sul Nausicaa.
Dimenticò tutto e finalmente si lasciò scivolare in avanti, stretta nell’abbraccio di quella donna che per lei era sole e stelle, vento e maree, vita, casa.
- Cristal, mio dio, cosa ci fai qua?! – esclamò Marion, gli occhi spalancati di stupore mentre stringeva la figlia al petto.
- Pensavi veramente che ti avrei lasciata in mano a quei pazzi? Sono salpata subito… Oh, mamma, sapessi quante cose sono successe! – spiegò lei, gli occhi lucidi di una gioia incontenibile.
Ce l’aveva fatta! Era riuscita a trovare sua madre! E stava bene, era sana e salva, tutto era perfetto!
- Mamma, ero così in pensiero! Come stai? Non ti hanno fatto niente, vero? Stai bene? – continuò a raffica.
La donna rise e le prese il viso tra le mani.
- Sto bene, tranquilla, sto bene… Ma come sei arrivata fino a Londra? Come hai fatto a… ? –
Jack, ancora impalato sull’uscio, si schiarì la voce.
- Adoro i ricongiungimenti! Chi offre da bere? – esclamò, offeso come un bambino dall’essere stato bellamente ignorato per quel minuto scarso.
A quel punto Cristal scivolò fuori dall’abbraccio di sua madre e indicò il pirata con un cenno della mano.
- Mamma, questo è Capitan Jack Sparrow. E’ lui che mi ha aiutata a cercarti! – lo presentò con un sorriso orgoglioso.
Quando si voltò a guardare Marion, però, si stupì dall’assenza di emozioni sul suo volto.
Nei suoi occhi grigi, piantati in quelli di Jack, vi era una luce seria e indagatrice, quasi sospettosa.
- Ah, Capitan Sparrow. Mi auguro per la vostra incolumità che mia figlia non abbia avuto alcun genere di problema a navigare sotto la vostra bandiera. – sibilò, fredda e tagliente.
Jack esibì il suo solito sorrisetto strafottente e finalmente si avvicinò, posando lievemente una mano sulla spalla di Cristal.
- Non preoccupatevi, Miss Hawke, mi sono occupato di lei con le stesse premure che si riservano a una figlia. Dopotutto potrei essere suo padre… -
Quella gli gettò un’occhiata a metà fra lo sguardo complice e l’intento omicida, consapevole di quanto la chiusura di frase non fosse altro che una frecciatina a lei rivolta.
Marion parve accorgersi di quello scambio di sguardi e sospirò.
- In ogni caso vi ringrazio, me l’avete pur sempre portata viva… - replicò la donna, ancora sulle sue.
Il ghigno sulle labbra di Jack si aprì ancora di più, quasi fosse stato sul punto di rivelare un segreto sconvolgente.
- Non è stato un compito poi così arduo, la giovane Cristal ha un talento innato per la vita di mare. Sembra quasi ce l’abbia nel sangue… -
La figlia del fabbro gonfiò il petto d’orgoglio, al settimo cielo per essersi guadagnata un simile complimento proprio da Jack.
Quello indietreggiò verso la porta con un movimento fluido, i mille ninnoli a tintinnargli fra i capelli.
- Vi lascio sole, scendo a prendermi un doppio rum. Avrete senz’altro molte cose da raccontarvi… - e, con un ultimo enigmatico sguardo a Marion, svanì nel buio del corridoio.
Madre e figlia rimasero qualche secondo in silenzio a fissare la porta ora chiusa, poi si voltarono simultaneamente  l’una verso l’altra.
- Allora, raccontami tutto! Come sei riuscita ad andartene da Port Royal? Un anno intero per mare! Voglio sapere ogni cosa nei minimi dettagli! – la incalzò emozionata, facendola sedere sul letto accanto a sé.
Cristal prese a raccontare, e a mano a mano che parlava sentiva la tensione di quell’anno sempre all’erta allentarsi fino a lasciarla leggera e sollevata.
- E’ stata Bleizenn a indirizzarci qui! Devo ammettere che quella donna mi inquieta un po’… - concluse dopo più di un’ora, la voce appena arrochita dal tanto parlare.
Marion si irrigidì a sentire il nome della sacerdotessa.
- E’ una tipa strana, sì. Ma è fondamentalmente una brava donna, e le devo la vita… - confessò.
Fu a quelle parole che la bionda si rabbuiò.
- A proposito di vite… Mamma, non puoi più tenere la collana. – sentenziò, seria.
La donna portò istintivamente una mano al ciondolo, ancora assicurato al collo tramite la catenina d’argento.
-  Cosa ti ha detto Bleizenn? – domandò, quasi spaventata.
Cristal sospirò e si passò una mano fra i capelli, cercando di radunare i pensieri in una frase di senso compiuto.
- Non è stata molto chiara, in realtà. Tutto quello che ho capito è che c’è chi la desidera a tal punto dal non farsi problemi a uccidere altre persone pur di averla. A questo punto è un vero miracolo se i Filippini non ti hanno uccisa… - osservò, tetra.
Marion osservò il volo di un corvo fuori dalla finestra e sospirò.
- Cristal, ho bisogno che tu mi stia bene a sentire. – esordì, nella voce una stanchezza che sembrava curvarle le spalle.
- Ricordi cosa ti ho detto della collana, che mi fu regalata da un uomo che…? -
- L’Ancien Marin, sì! – annuì Cristal, che da quando aveva udito per la prima volta quel nome non aveva fatto che fantasticare sul suo portatore.
- Ebbene, non ti ho detto proprio tutto. Questa collana è di proprietà del Faucon du Nord, uno dei più temuti pirati che abbiano mai infestato le acque del Mare del Nord. –
La fanciulla sobbalzò e si portò una mano alla bocca, mentre la donna continuava con il racconto.
- Molti, troppi anni fa, il Serpente Nero, Capitano della Flotta dei Filippini, geloso della fama e del potere che il Faucon du Nord stava pian piano acquistando in tutti gli Oceani, giurò che l’avrebbe ucciso e avrebbe preso il suo posto, superandolo in fama, potenza e ricchezza. Ma eliminarlo non sarebbe stato sufficiente: il Serpente Nero aveva bisogno della collana del suo rivale per dimostrare la sua effettiva supremazia. – spiegò.
- La rivalità fra il Falco e il Serpente… - citò la giovane, che stava iniziando a capirci qualcosa.
- Quindi l’Ancien Marin ti ha passato la collana affinchè tu la proteggessi dalla Flotta del Serpente! Insomma, chi sarebbe mai andato a cercarla al collo di una ragazzina di buona famiglia? – giunse alla conclusione battendo un pugno sul palmo aperto.
Marion tacque per qualche secondo, poi annuì.
- Ho sempre saputo che prima o poi mi avrebbero stanata. Onestamente non credevo si sarebbero spinti fino a Port Royal. – confessò.
Cristal incrociò le braccia al petto e scosse a testa.
-Scusa, perché non l’hai appioppata a qualcun altro o addirittura gettata via? Persa la collana il Serpente Nero avrebbe dovuto rassegnarsi! – osservò, pragmatica.
- Cristal, ho giurato di proteggerla! – replicò sua madre, vagamente piccata.
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
- Condannandoti a una vita in perenne apprensione? Insomma, l’hai sempre detto tu stessa: “il Codice è più che altro una traccia che un vero regolamento”! Si sarebbe trattato semplicemente di interpretazione, non avresti fatto niente di male a passare il testimone a qualcun altro… - cercò di farla ragionare.
Marion scattò in piedi.
- No, Cristal! Un conto è interpretare regole, un conto è tradire la fiducia di qualcuno! Per me questa collana significa molto più che il semplice bottino di un pirata, o la leva per una vendetta! – sbottò ferita.
La figlia tacque, il ricordo dell’espressione di sua madre quando raccontava dei suoi anni in Francia ancora vivido di fronte agli occhi.
La donna tornò a sedersi e le prese una mano fra le sue.
- C’è una cosa che ho capito a bordo della nave dei Filippini, una cosa che cambia tutte le carte in tavola e che darebbe un senso alla loro spedizione fino a Port Royal e al nostro rapimento. – spiegò, la voce appena tremolante.
- Sono solo voci, ma… sembra che il Faucon sia ancora in circolazione. –
Quella frase cadde nel silenzio come una palla di cannone.
Cristal sentì i suoi occhi spalancarsi e le pupille rimpicciolire all’interno dell’iride.
Come poteva essere? Non era morto almeno vent’anni prima?
- E’ per questo che dopo Capo Horn ho iniziato a spostarmi e a spacciarmi per un’altra. Se le voci dovessero rivelarsi esatte… Temevo che tornando a Port Royal mi sarei trascinata dietro un disastro ben più grande del previsto… - spiegò, la voce appena incrinata di tristezza.
Cristal non rispose, quelle parole le avevano portato alla mente un altro ricordo, una domanda che ancora non aveva avuto il coraggio di porre.
- A proposito… di Capo Horn… - sussurrò poi, senza osare guardare sua madre negli occhi.
Quella le strinse appena la mano, ma fu sufficiente.
Senza che potesse impedirlo in alcun modo, lacrime calde e salate presero a scivolarle lungo le guance, l’aria che iniziava a mancarle.
Si morse un labbro, ma fu tutto inutile, forti singhiozzi le scuotevano le spalle, in bocca un fastidioso sapore metallico simile a sangue.
Marion la abbracciò stretta, le mani ad accarezzarle piano i capelli chiari come quelli di suo padre.
Non aveva pianto, quella notte sulla spiaggia. Non aveva voluto piangere, perché sotto sotto lei ci sperava ancora, e non si sarebbe arresa finchè non avesse sentito la verità. Ma adesso non aveva più senso continuare a sperare: se fosse esistita anche una sola probabilità, sapeva per certo che Marion gliel’avrebbe detto, che insieme  avrebbero cercato di fare qualcosa.
Ma tanto quanto l’Oceano sa donare, esso sa anche portare via, e così aveva fatto con la vita di Jim Cooper.
Fu in quel momento, stretta fra le braccia di sua madre, le labbra bagnate dalle sue stesse lacrime, che Cristal comprese: non sarebbe tornata indietro, non sarebbe tornata a casa. Port Royal era ormai poco più che un ricordo, parentesi felice di una vita che era in realtà appena incominciata.
Aveva fatto una scelta, e adesso era il momento di fare un bel sospiro e fronteggiare il suo destino, perché quel tredici Luglio del 1710 Cristal Cooper aveva abbracciato il Mare e la sua Libertà, ma aveva rinunciato per sempre alla Terra, e adesso avrebbe dovuto imparare a farci i conti.
Il giorno dopo, quando si risvegliò nel letto di sua madre, aveva ancora gli occhi rossi e un leggero cerchio alla testa.
Si alzò in piedi e si diresse verso la parete opposta, dove uno specchio assediato dalla ruggine sovrastava un piccolo catino accanto al quale era posata una brocca d’acqua.
Cercò di concentrarsi sul suo aspetto, ma più si guardava, le lentiggini a danzare sul suo viso palido e i capelli color del grano, più il sorriso affettuoso e gioviale e lo sguardo vagamente infantile di suo padre facevano capolino nel suo cuore.
- Papà… - si ritrovò a sussurrare quella parola con calma, lasciando che il suo suono le rotolasse fra le labbra come miele amaro.
Due sillabe soltanto, eppure contenevano un affetto inesprimibile, un dolore incancellabile.
Non vi erano stati ringraziamenti, abbracci, parole di congedo, non vi era stato nulla.
Mentre lei si sentiva più viva che mai, in mezzo alla tempesta, il vento e le onde ghermivano per sempre l’anima di Jim.
Scosse la testa e si sciacquò velocemente la faccia, asciugandosi gli occhi con le maniche del vestito.
- Basta, Cris. Le lacrime non lo riporteranno indietro… - esalò mentre finiva di riassettarsi e si sistemava i capelli pettinandoli con le mani.
Trasse un profondo sospiro e uscì dalla stanzetta, diretta al piano di sotto: probabilmente sua madre era scesa a colazione, e inoltre non vedeva Jack dal pomeriggio precedente… C’era solo da sperare che non se la fosse data a gambe…
Quando però raggiunse il salone della Locanda rimase vagamente interdetta nel notare Jack Sparrow e Marion Hawke seduti allo stesso tavolo e tutti presi dalle loro chiacchiere.
A differenza della fredda accoglienza del giorno prima, sembrava che la donna avesse finalmente preso in simpatia il pirata che, raccontando chissà quale avventura, gesticolava senza tregua.
- Buongiorno! Che si dice? – esordì, prendendo posto sulla panca accanto a sua madre.
I due ammutolirono, e fu Marion la prima a prendere la parola.
- Stavamo discutendo su cosa fare d’ora in avanti… - spiegò.
Cristal annuì, consapevole che sua madre aveva già compreso la sua decisione.
- Io rimarrò a Londra. – spiegò infatti quella, un’ombra di malinconia a velarle lo sguardo.
- Port Royal non ha più nulla da offrirmi, e onestamente non saprei dove altro andare… Londra è la mia città: ho vissuto qui per più di vent’anni… - aggiunse all’occhiata scettica di Jack.
- Tutta questa fatica per poi rimanere in questa topaia di città? – ma le due donne ignorarono il commento del pirata.
- Lasciala a me. – sentenziò a quel punto Cristal, il cuore fermo nel parlare.
- La collana, lasciala a me. Se questo deve essere un addio, voglio almeno sapere di lasciarti al sicuro, sennò che senso avrà avuto tutto questo? – fece poi di fronte all’espressione stupita di sua madre.
Marion scosse la testa.
- In questo modo sarai tu ad essere condannata… - le fece notare.
Jack tentò di intromettersi nel discorso, ma la ragazza fu più  svelta.
- Mamma, io non tornerò più. Il Mare sarà la mia casa, e il pericolo… beh, quello ci sarà sempre, che tu mi dia la collana o meno. A questo punto che senso ha non provare? - spiegò sottovoce.
La donna guardò prima sua figlia, poi Sparrow.
- Quindi hai deciso? – domandò con una punta di amarezza.
Cristal serrò le labbra ed annuì.
- Ormai sono un pirata, Mamma. So a cosa stai pensando, che ho solo diciassette anni e vedo ancora tutto come un’avventura, una storia da raccotare attorno al focolare. Forse è vero, ma non del tutto. Ho navigato per un anno, ho visto di cosa è capace l’Oceano, di cosa sono capaci gli uomini. Però ormai il danno è fatto, e non posso ignorare ciò che è stato. Vorrei poter restare, te lo giuro, ma… -
- Il cappio al collo non è certo un’immagine che invogli a rimanere ancorati a terra… - concluse Jack al posto suo.
Marion attese di aver assorbito appieno quelle parole, poi si alzò in piedi.
- Ho capito. Seguitemi. – e senza aggiungere altro si diresse verso le scale, fino in camera sua.
- Domani mattina una nave, la Felur de Lys, salperà per Calais. Fa la spola tutte le settimane, per cui non vi sarà troppo complicato mischiarvi agli altri passeggeri e raggiungere la Francia. Da lì potrete cercarvi un’imbarcazione come si deve e fare vela dove più vi aggrada.– spiegò nello sfilarsi la collana dal collo.
Se la girò fra le mani un paio di volte, lo sguardo colmo di ricordi che accarezzava il ciondolo, sulle labbra l’ombra di un sorriso lontano.
Si riscosse e assicurò la collana al collo di sua figlia, per poi fare un passo indietro e osservarla orgogliosa.
- Porta alta la bandiera. – disse solamente.
Cristal sorrise dolcemente, consapevole del vero significato di quelle parole.
- Lo farò, stanne certa. – e l’abbracciò stretta, godendosi più che poteva quel contatto: lo sapeva, sarebbe stato l’ultimo.
Il giorno dopo, quando finalmente raggiunsero la Manica, il cielo era grigio e un vento sostenuto spirava da Nord-Ovest.
- Certo che è stato un vero buco nell’acqua… - commentò Jack, felice di non dover più impersonare un muto.
Cristal inarcò appena un sopracciglio.
- Perché? –
- Insomma, tutta questa fatica per scoprire che tua madre se ne rimarrà a Londra… E’ stato inutile… -
La ragazza scosse la testa, i capelli raccolti perché il vento non glieli frustasse in faccia.
- Sbagli… Ho ritrovato mia madre, e stava bene. Certo, ho dovuto dirle addio, ma almeno l’ho potuta vedere un’ultima volta… - spiegò, accarezzando la conchiglia appesa alla catenina d’argento.
- Sono orgogliosa di te, Cristal. – le aveva detto alle prime luci dell’alba, quando l’aveva accompagnata al porto.
In quelle parole vi era tutto, tutto ciò di cui la ragazza avesse bisogno.
Certo, la malinconia c’era stata, ma non era stato un addio triste, nessuna lacrima era stata versata.
Forse perché, in fondo al cuore, Marion aveva sempre saputo che sarebbe successo, forse perché, a sentire Sparrow, aveva capito che sua figlia se la sapeva cavare davvero.
Se l’eredità del Faucon du Nord avesse dovuto passare a qualcun altro, non vi era persona migliore di Cristal Cooper, e nulla avrebbe mai potuto farle cambiare opinione.
- E non hai paura della vendetta del Serpente? – la voce di Jack la riportò al presente.
Inspirò a fondo l’aria salmastra e chiuse gli occhi.
- No, non troppo. Fa parte del mestiere avere qualche nemico, no? – alla prima goccia di pioggia riaprì gli occhi e fu per puro caso che rivolse l’attenzione a prua.
Sparrow seguì il suo sguardo e si irrigidì.
In mancanza di Capo Horn, il vecchio continente aveva imparato ad accontentarsi del Canale della Manica, e bisognava dire che il compito era svolto alla perfezione.
Senza che nemmeno avessero il tempo di reagire, le onde presero ad ingrossarsi con violenza inaudita, il vento si era fatto sempre più veloce e i fulmini avevano preso a rincorrersi schioccando fra le nuvole.
In men che non si dica i marinai si erano arrampicati sugli alberi per ammainare le vele, ma era stato tutto inutile, era impossibile contrastare l’ira del mare.
- Al riparo! svelti, al riparo! – si sentì al di sopra dell’ululato del vento.
- Cristal! Vieni qui, Cristal! – gridò Jack, che all’ultima ondata particolarmente rabbiosa era rotolato dall’altro lato del ponte.
- Jack! – urlò lei, ormai fradicia per via del muro d’acqua che le si era riversato addosso.
Si alzò in piedi e, barcollando, cercò di raggiungere il pirata, aggrappandosi a tutto ciò che le capitava sotto tiro. La tempesta era meno violenta di quella di Capo Horn, ma con quel dannato vestito era impossibile rimanere in piedi.
Cercò di toglierselo di dosso, ma si rivelò un’impresa impossibile, continuava a cadere.
- Cristal, sbrigati! – sbraitò Jack nel controllare la sua bussola scassata.
Come sospettava, i marosi li avevano portati fuori rotta, proprio in un tratto di mare in cui la precisione significava salvezza.
Gettò un’occhiata a babordo e notò con orrore che le onde ribollivano e che la nave si stava dirigendo proprio il quella direzione.
- Attenti alla secca! – gridò, ma fu troppo tardi.
Cristal, che era appena riuscita a rimettersi in piedi, non fece in tempo ad aggrapparsi, lo schianto contro gli scogli fracassò la fiancata della nave e la sbalzò fuori bordo.
- JACK! –
Fu questione di un attimo.
Vide gli occhi dell’uomo spalancarsi di orrore mentre precipitava sempre più giù, sempre più lontana dalla mano tesa del pirata.
Chiuse gli occhi e trattenne il fiato, l’acqua ghiacciata le colpì la schiena come una sciabolata.
Appena sentì nuovamente l’aria sulla faccia trasse un profondo respiro, ma un’onda traditrice la travolse, facendole ingoiare una boccata d’acqua.
Riemerse e tossì, la gola arsa dal sale.
- AIUTO! -  urlò, ma il vento ululava più forte di lei, e il fragore della Fleur de Lys che si fracassava contro gli scogli ingoiò ogni suo richiamo.
Sentì le forze abbandonarla, mentre il vestito intriso come una spugna la tirava a fondo.
Prese un ultimo ampio respiro prima che l’acqua si richiudesse sopra la sua testa.
Cercò di strapparsi di dosso l’abito, ma anche sott’acqua continuava ad essere sballottata a destra e a sinistra, e presto anche solo pensare divenne impossibile.
Vide Elizabeth, a casa, ad aspettare il suo ritorno, percepì le braccia salde di James attorno alla sua vita, udì la risata di William durante i loro allenamenti. Poi fu il turno del viso di sua madre, delle carezze di suo padre.
Il nulla l’avvolse, mentre l’acqua ovattava i suoi pensieri.
Un ultimo bagliore prima del buio assoluto, come fulmine nella notte.
Non voglio morire!
E mentre al largo di Calais Cristal Cooper affondava con la Fleur de Lys, a Londra la Dauntless attraccava, a bordo James Norrington e tutte le sue speranze.









 
Note:

1 Il termine Bretone gwrac'h significa sia "vecchia" che "strega". Ambiguità perfetta per il nostro personaggio~
2 Figlia della Tempesta




Zan-zan-zaaaaan!
Eccoci qui, mia prode ciurmaglia, con questo capitolo che finisce veramente, ma veramente bene! :D
Ma andiamo con ordine, e partiamo dalla vecchia Bleizenn...
Che dire, è davvero un peronsaggio strano, ma la adoro... Purtroppo in questo capitolo non ho potuto ancora dire troppo su di lei, ma con l'avanzare della storia scopriremo qualche dettaglio in più su questa erborista/levatrice/sacerdotessa che sembra conoscere così bene Cristal e Marion.
Per quanto riguarda la Leggenda di Ahès è una bellissima storia del folklore Bretone conosciuta anche come Leggenda di Dahut (altro nome della principessa) o Leggenda di Ys (dal nome della città sommersa.)
E' una vicenda che mi ha sempre affascinata molto, e vi consiglio di leggere qualcosina a riguardo se siete amanti del genere~
Ma ecco che, finalmente, dopo undici mesi di ricerche, i nostri eroi ce la fanno e trovano Marion!
Adoro la relazione fra lei e Cristal, non ci posso fare niente, tutte le volte che queste due hanno una scena insieme vado in brodo di giuggiole... xD
E Jack si è legato a un dito l'essere stato respinto da Cris. Quanto sa essere scemo... <3 xDDD
Finalmente, poi, si scopre qualcosa a riguardo di questa misteriosa collana e del passato di Marion... Il Vecchio Marinaio altri non era che il famoso Faucon di Nord, quindi!
Ma come farà ad essere ancora vivo se la donna l'aveva visto sul letto di morte?
E a proposito di morti... cosa succederà dopo il naufragio della Fleur de Lys? Jack starà bene? E Cristal?
Povero James, per lui la sfiga è davvero senza fondo...

Ah, giusto! Per chi ne avesse voglia, un sacco di tempo fa, ho pubblicato come fanfiction d'esordio in questo fandom "Gone Too Soon", che racconta un po' quello che succede quando James arriva a Londra in cerca di Cris.
Visto che questa parte di storia non sarà raccontata in Thunderbolt vi consiglio, se vi va, di darci una letta... :D

Come sempre, un grazie di cuore a tutti quanti, vi adoro! <3

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Chapter 13 ***





Capitolo Tredicesimo~






Sete.
Violenta, soffocante, graffiante; la sete raschiava la gola e le labbra gonfiate e spaccate dal sale.
C’era qualcosa’altro oltre al desiderio impellente di bere, qualcosa di soffice, di delicato, come la carezza di un guanto di seta, come una brezza gentile e materna.
E il sole.
Quel calore costante e vitale non poteva che essere il sole.
Pian piano la vita riprese a scorrere nelle sue vene come lava incandescente, scaldandole il cuore; ad ogni istante un nuovo dettaglio stuzzicava la sua coscienza stanca e rattrappita: le grida alte e giocose dei gabbiani, lo sciabordio complice delle onde, leggeri scalpiccii poco lontano, un gemito misurato e composto al ritmo con il sibilo del vento…
L’ultimo senso riacquisito fu il tatto.
L’acqua salata colava lenta sulla pelle, appiccicando i vestiti al corpo indolenzito e privo di forze. La schiena poggiava su qualcosa di duro e di stabile e un braccio bruciava terribilmente.
Improvvisamente qualcosa le colpì il viso con un debole schiocco, facendole aprire gli occhi di scatto.
- Señorita! Todo bien?
Sole, luce, cielo, vele.
Era su una nave.
Abbassò appena lo sguardo fino ad incontrare un paio di preoccupati occhi castani.
Un uomo la stava schiaffeggiando delicatamente, forse la credeva svenuta.
Le disse qualcosa che non comprese, poi una voce che sembrava provenire da molto lontano parve ragguagliarlo.
L’uomo si schiarì la voce e riprovò.
- Riuscite a capirmi? State bene, signorina? –
Annuì debolmente, troppo stanca anche solo per pensare.
- La Fleur de Lys… - mormorò in un soffio.
Lo sconosciuto si chinò su di lei e le spostò una ciocca di capelli dal viso.
Solo in quel momento si accorse del capannello di facce attorno a loro.
- Andrà tutto bene, Señorita, non preoccupatevi. Qui siete al sicuro…- sussurrò lui con un’espressione dolce e paterna.
Come cullata da quelle parole sorrise appena. Non riuscì ad opporre ulteriore resistenza, chiuse gli occhi e crollò addormentata.
I giorni seguenti furono un susseguirsi di sogni agitati e veglie deliranti. Aveva la febbre alta, questo era riuscita a capirlo, e il bruciore al braccio persisteva.
Terrorizzata dall’idea che dovessero amputarglielo, cercava di farsi forza pensando che per lo meno era il sinistro, senza tuttavia grandi risultati.
Nei radi momenti di lucidità, sebbene stordita dal sonno e dal dolore, aveva percepito la presenza dell’uomo dagli occhi castani affaccendarsi attorno alla branda dove l’avevano adagiata.
Ogni tanto le davano da bere una strana brodaglia dal gusto forte e tremendo, un misto di alcohol e dio solo sa cosa, ma pian piano le sembrava di riprendersi; i sogni si erano fatti meno agitati e la testa non doleva più come prima.
Aprì gli occhi un giorno in cui il vento accarezzava gentile i fianchi dell’imbarcazione, quasi avesse voluto condurla per mano fino a un porto sicuro dove poter riposare.
Sbatté le palpebre un paio di volte per abituarsi alla luce che filtrava attraverso i vetri degli oblò incrostati di sale e cercò di mettersi a sedere.
Si trovava in una stanza piccola, arredata semplicemente con un letto, un piccolo armadio e una discreta quantità di casse e bauli aperti; probabilmente era la cabina del Capitano.
- Buongiorno, Señorita! Vi sentite un po’ meglio? –
Quel saluto improvviso la fece voltare di scatto verso l’altra estremità della stanzetta, dove l’uomo dagli occhi castani se ne stava seduto a un piccolo scrittoio, fra le mani una bottiglia di rum.
- Buongiorno… - balbettò, appena in imbarazzo.
- Sto… sto meglio, grazie… - aggiunse per vedere l’espressione dello sconosciuto distendersi in un grande sorriso.
Aveva i capelli scuri appena striati di grigio raccolti in un codino basso e ondulato, anche se alcune ciocche sfuggivano al nastro colorato e gli ricadevano sulla fronte.
Indossava un paio di grandi stivalacci neri e dei pantaloni di un rosso improbabile, corredati da un’ampia camicia chiara e da una giacca appariscente.
Un paio di baffetti gli rendevano l’espressione intelligente e simpatica.
A giudicare dalle rughe lievi attorno ai suoi occhi doveva avere una quarantina d’anni, forse anche un pochino di più, ma il suo fisico asciutto pareva ancora nel pieno delle forze.
- Chiedo scusa, dove mi trovo? – si azzardò a domandare.
- Siete a bordo della Diablo del Mar, che al momento sta veleggiando al largo di Cherbourg! Siete stata molto fortunata, Señorita: avete avuto la febbre alta, pensavamo non ce l’avreste fatta… - spiegò.
Diablo del Mar… Quindi era su una nave spagnola? Come diamine era arrivata su una nave spagnola?
Tutto quello che ricordava era di essersi impigliata a qualcosa e di aver sentito uno strappo prima di aggrapparsi a qualcosa di solido.
Era forse riuscita a togliersi la gonna? Cercò di ricordare altri dettagli, ma le uniche immagini che riusciva a rievocare erano onde alte e scure e l’acqua gelida che le congelava le ossa.
- Oh, scusate, non mi sono nemmeno presentato! Sono il Capitàn Ramirez, e non preoccupatevi: ho dato l’ordine ai miei uomini di non toccarvi nemmeno con un dito. Non che voi diate l’idea di non sapervi difendere da sola… - ghignò con un cenno del capo in sua direzione.
Confusa, Cristal abbassò lo sguardo per notare che non indossava più la gonna, ma solamente i suoi vecchi abiti maschili.
Sussultò, consapevole di essere stata scoperta. E adesso?
Ramirez scoppiò a ridere di gusto e si passò una mano fra i capelli.
- Calma, calma! Non ho alcuna intenzione di denunciarvi alle autorità! Dopotutto qui siamo tutti sulla stessa barca… - spiegò mostrando il polso sinistro, sul quale una cicatrice a forma di P raccontava una storia cupa e terrificante.
- Mi catturarono a Cadíz quattro anni fa, ma riuscii a scappare, e ora eccomi qui! – raccontò con un sorrisetto compiaciuto.
Dava l’idea di essere un tipo che non si abbatte di fronte a nulla, e il suo viso sincero spronò la ragazza a raccontare la sua storia.
- Mi chiamo Cristal Cooper, sono di Port Royal. Un anno fa vi fu un attacco da parte di una flottiglia di pirati Filippini. I miei genitori furono rapiti, e per salvarli entrai in affari con un pirata. Il resto credo lo sappiate meglio di me… - fece, lo sguardo basso.
- E siete riuscita nel vostro intento? – domandò il Capitano, curioso.
La ragazza annuì, portando istintivamente una mano al ciondolo.
- Mia madre. Lei sta bene. Mio padre è morto a Capo Horn, in una tempesta. –
L’uomo si avvicinò e si sedette accanto a lei, portandole un braccio attorno alle spalle.
- Siete stata coraggiosa, Cristal. La vostra storia vi fa onore. – le disse con estrema serietà.
Poi il suo sguardo si addolcì.
- Dios vi ha fatto la grazia di salvarvi dalla furia dell’Oceano: la vostra vita deve valere molto. Se vorrete, la Diablo sarà la vostra casa. Siete la benvenuta a bordo. –
Cristal considerò quelle parole e si rese conto dell’immensa fortuna che aveva avuto. Non solo era sopravvissuta al naufragio, ma la nave che l’aveva soccorsa era una nave pirata, e il Capitano si era dimostrato una persona talmente gentile e amichevole che se non avesse visto di persona il marchio a fuoco sul suo polso non l’avrebbe mai creduto un fuorilegge.
- Vi ringrazio, Capitano…  - sussurrò, riconoscente.
L’uomo le sorrise e si incamminò verso la porta di fronte al letto.
- Solo Ramirez, por favor! – e con un occhiolino accattivante scomparve al di là dell’uscio.
Si lasciò cadere nuovamente sdraiata, centinaia di pensieri e preoccupazioni a frullarle nella testa.
Quanto tempo era passato dal naufragio della Fleur del Lys? Jack era riuscito a salvarsi? Cos’avrebbe fatto d’ora in avanti?
Secondo Ramirez Dio l’aveva graziata. Non aveva avuto il coraggio di dirgli che lei, in Dio, non aveva mai creduto, nemmeno da bambina, ma non riusciva ad evitare di chiedersi se la sua salvezza non fosse dovuta a qualche strano disegno del destino.
Leggermente barcollante, si alzò dalla branda e gioì nel trovare i suoi stivali poco lontano.
Le girava un poco la testa e si sentiva terribilmente debole, ma era stufa di rimanere a letto, e se davvero avrebbe dovuto trascorrere il resto dei suoi giorni a bordo della Diablo del Mar avrebbe dovuto darsi una mossa a prendere dimestichezza con la nave.
Raggiunse la porta e salì una rampa di scalette finchè non sentì di nuovo la brezza sul suo viso. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo l’aria salmastra, sentendosi immediatamente meglio, ma un’innaturale silenzio la portò a guardarsi intorno.
Il ponte si era come congelato, i marinai immobili a fissare le palle degli occhi sulla sua figura quasi fosse stata una sirena o qualche altra strana creatura mitologica.
Cercò di dire qualcosa, ma si ritrovò presto placcata da un paio di braccia forti e affettuose.
- Sei viva! Che bello! Toby pensava che saresti stecchita, ma sei viva! –
Prima che potesse rendersi conto di cosa fosse successo, un altro individuo le staccò di dosso quel bizzarro concentrato di riccioli ed energia che le era saltato al collo.
- Toby, piccola pulce, lasciala respirare! –
Cristal riconobbe la voce fuori campo che aveva udito quando era stata issata a bordo e scoprì che apparteneva ad un uomo alto con la pelle abbronzata e le braccia muscolose coperte di cicatrici.
- Io sono Finn, e questo disgraziato e Toby. – fece indicando con il pollice un ragazzino alto e magro, che poteva avere su per giù l’età di Cristal.
- Il poveretto ha il cervello di un bambino di cinque anni, ma è infaticabile, un ottimo marinaio! – spiegò poi Finn senza premurarsi di abbassare la voce.
- Sì! Toby è un ottimo marinaio! – ripeté il ragazzo, mostrando i muscoli delle braccia mentre i riccioli castani ondeggiavano qua e là.
Cristal sorrise e si presentò a sua volta.
- E tu che disgrazia ci porti? – le chiese Finn con un sorriso sornione.
- Prego? – replicò quella, non del tutto certa di aver capito.
- A Ramirez non interessano le persone normali. Vuol fare il pirata, ma ha l’animo del buon samaritano… Guarda che ciurma a messo insieme! Un ritardato, un monco… - spiegò alzando una gamba.
Cristal sgranò gli occhi nel notare che era finta.
- Kinsale, contro gli Inglesi. Ma è stato molto tempo prima di arrivare sulla Diablo. Allora, tu che problema hai? –
Cristal ridacchiò, stringendosi nelle spalle, mentre Toby continuava a girarle intorno scrutandola come se fosse stata una scimmia o un pappagallo colorato.
Forse sbagliava, forse era ancora presto per giudicare, ma sentiva che la ciurma di quella goletta sgangherata sarebbe davvero potuta diventare la sua nuova famiglia.
Le settimane passarono in fretta, e ad ogni tramonto la figlia del fabbro riacquistava le forze, finchè non si fu completamente rimessa.
La ciuma, composta in totale da dodici individui così bizzarri da sembrare frutto della fantasia, era tranquilla e divertente: non vi erano dissidi a bordo, ogni cosa veniva equamente divisa e Ramirez sapeva gestire con fermezza e giustizia ogni problema che si presentasse. Era un Capitano capace ed astuto, che aveva imparato con gli anni e l’esperienza a farsi rispettare senza il bisogno di usare violenza.
Dopotutto si trattava di un uomo pacifico, e più che un pirata lo si sarebbe potuto definire un contrabbandiere.
- Ricorda sempre, Cristal: è l’abito a fare il monaco. Se riuscirai a farti un nome rispettato e temuto, non sarà necessario far scorrere sangue. O almeno non più del dovuto. – le diceva spesso, raccontandole di come una goletta dall’equipaggio così disastrato come la Diablo riuscisse a tirare avanti senza alcun problema di sorta.
Eppure, se volevano mettere le mani su un buon carico di seta o d’oro in arrivo dalle Americhe, non potevano certo astenersi dall’attaccare altre imbarcazioni.
Completamente assenti nell’anno di navigazione speso assieme a Jack, gli arrembaggi erano il momento della vita di mare che Cristal preferiva in assoluto: più di stare al timone con Ramirez, più di dare una mano in cucina a Finn, più di sedersi accanto a Toby e raccontargli mille e mille storie per godere della sua espressione piena di meraviglia; nulla, per lei, era paragonabile alla scarica di adrenalina che le accendeva il cuore nel bel mezzo di una battaglia.
Quella era la vita avventurosa che aveva sempre sognato e, finalmente, sentiva di trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
Capitava ancora, a volte, che il suo pensiero andasse a casa, che risalisse le stradicciole di Port Royal fino a raggiungere Villa Swann e che, con un po’ di concentrazione, riuscisse ad immaginare Elizabeth affacciata alla finestra di camera sua, lo sguardo fisso sull’orizzonte nella speranza di poterla veder tornare.
Avrebbe voluto riabbracciarla, o almeno scriverle una lettera per rassicurarla, per raccontarle che tutto andava per il meglio e che era felice della sua nuova vita, ma era ben consapevole di non potersi permettere un simile lusso.
Ormai aveva scelto la sua strada, una strada che l’aveva condotta sempre più lontano da coloro che amava in cambio di una libertà a lungo agognata. Era giunto il momento che chiudesse i ricordi a doppia mandata in fondo al suo cuore e accettasse una volta per tutte la sua decisione.
Ormai, si ripeteva accarezzando distrattamente la collana di sua madre, lei apparteneva all’Oceano.
 








La stagione delle piogge si era riversata su Port Royal con innaturale violenza, quasi avesse voluto rimproverare i suoi abitanti per chissà quale grave mancanza, per chissà quale affronto alla vita stessa.
L’acqua scrosciava sui tetti e lungo le strade, ribollendo nelle pozzanghere e nei barili vuoti, il vento scuoteva le palme e fischiava meschino nelle fessure di porte e finestre.
Al Forte, al riparo del candido colonnato, un uomo osservava la tempesta abbattersi lungo la costa, un sorriso malinconico ad ogni fulmine che squarciava il nero pece delle nubi.
Da quando era tornato dalla sua disperata spedizione, il Capitano James Norrington non era più lo stesso.
Stanco, vuoto, arido, sembrava solamente il fantasma dell’uomo energico e deciso di un tempo. I suoi colleghi e sottoposti avevano imparato a conoscere un ragazzo disponibile ed educato, il carattere serio e stacanovista smussato dalla genuina irruenza dei sorrisi della giovane Cooper, ma da quando il Mare del Nord se l’era portata via, la luce negli occhi dell’Ufficiale si era spenta di colpo, lasciandolo simile a un guscio vuoto.
Sembrava che l’unica cosa in grado di dargli un po’ di sollievo fossero i fulmini, quasi come se l’aria elettrica della tempesta gli portasse alla mente ricordi di una vita migliore.
Fu uno dei tanti giorni di pioggia che qualcuno venne a disturbare la sua contemplazione assorta.
- Capitano Norrington… -
Si voltò di scatto, ritrovandosi con una certa sorpresa ad incrociare lo sguardo cupo di Weatherby Swann.
- Governatore! Buongiorno! – lo salutò, osservando vagamente incuriosito il mantello grondante dell’uomo e la parrucca imperlata di goccioline d’acqua.
- A cosa devo l’onore della vostra visita? – domandò poi, quasi preoccupato dal ritrovarsi al cospetto di Swann in quello stranissimo frangente.
L’uomo mosse qualche passo sotto al porticato, rivolgendo un’occhiata nervosa alle saette che illuminavano la baia, poi trasse un profondo sospiro.
- Si tratta di Elizabeth. – sentenziò serio, torturandosi le mani.
- Da quando ha ricevuto la notizia della scomparsa di Miss Cooper… Sono molto preoccupato, Capitano Norrington! Non parla più, mangia poco, a malapena si alza da letto… - spiegò, negli occhi chiara la paura di un peggioramento delle condizioni della figlia.
Norrington digrignò impercettibilmente i denti, una rabbia e un dolore profondi a scuotergli l’animo.
- Cristal era la sua più cara amica, la reazione di Miss Swann è più che comprensibile… - si limitò ad asserire, la voce pesante e il cuore rattrappito e consumato.
- Non capite, Elizabeth si sta lasciando andare! Ve ne prego, Capitano, dovete parlarle! –
A quella richiesta il giovane sobbalzò.
- Come, prego?! –
Swann annuì vigorosamente, muovendo un altro passo verso di lui.
- Ho provato in mille modi a farla ragionare, ma non vuole darmi ascolto! –
- E secondo voi con me dovrebbe essere diverso? In tutta onestà, Governatore, non credo che la vostra sia una buona idea… - si difese quello, voltandogli sgarbatamente le spalle.
Come avrebbe potuto aiutarla, lui che a malapena riusciva a tenere insieme i suoi, di pezzi? Come avrebbe potuto esserle di conforto, lui che non aveva mai osato un sorriso più di quanto non fosse richiesto dall’etichetta?
- James… -
A sentirsi chiamare di nuovo per nome dopo tanti anni, Norrington si irrigidì, il respiro trattenuto.
- Voi ed Elizabeth siete cresciuti insieme, a Londra. Vi ha sempre stimato ed ammirato, e vi è profondamente affezionata. Se non ascolterà voi, non so davvero a chi altri potrei rivolgermi… - esalò, acquattata nelle sfumature della sua voce una disperazione profonda e nera.
James, sempre voltato di spalle, si morse un labbro, combattuto.
Dopotutto Elizabeth aveva sofferto di certo quanto lui, sola e abbandonata dall’unica persona che avesse saputo capirla e illuminare le sue giornate.
Con quale cuore avrebbe potuto ignorare il grido di aiuto di un padre devoto? Con quale coscienza avrebbe potuto fingersi cieco di fronte al desiderio di morte di una ragazza così giovane, un’amica che aveva visto crescere e sbocciare come il più bello dei fiori?
Trasse un profondo sospiro e si voltò nuovamente verso il Governatore, annuendo piano.
- Farò tutto ciò che è in mio potere, ve lo prometto. –
Quando bussò alla porta della camera di Elizabeth Swann, nessun suono gli giunse in risposta.
Picchiò ancora le nocche contro il legno chiaro, annunciandosi a mezza voce.
- Miss Swann, sono James Norrington… Io… - ma anche quella volta Elizabeth tacque.
Norrington sbuffò, imbarazzato. Per quale motivo quell’ingrato compito doveva spettare proprio a lui? Se almeno si fosse degnata di uscire dalla sua camera!
- Miss Swann, sto per entrare! – fece, alzando la voce.
Niente, silenzio.
Spazientito e ben deciso a portare a termine quella farsa il più in fretta possibile, mandò al diavolo ogni etichetta e spalancò la porta, facendo irruzione nella stanza.
- Elizabeth… - gli sfuggì in un sussurro quando finalmente comprese ciò che agitava i pensieri del Governatore.
La stanza era completamente a soqquadro, i cassetti erano rovesciati, le ante degli armadi aperte, così come le finestre dalle quali entrava con prepotenza il vento in arrivo dal mare.
- Santo cielo, Elizabeth, così vi si allagherà la stanza! – esclamò, fiondandosi a chiudere le finestre.
La figlia del Governatore era a letto, seduta fra le coperte. I capelli sciolti sulle spalle erano sparsi sui cuscini, e alcune ciocche le ricadevano sugli occhi gonfi e arrossati.
- Vi ha mandato mio padre, vero? – sibilò rabbiosa dopo qualche istante di silenzio, senza tuttavia alzare lo sguardo su di lui.
James annuì.
- Sì, è così. Ma mi pento di non essere venuto io prima. – aggiunse.
La ragazza si decise finalmente a guardarlo in viso, stupita dalla sua sincerità, poi tornò a puntare lo sguardo sull’orizzonte burrascoso.
L’Ufficiale rimase in piedi nell’attesa di una qualsiasi replica, poi, arresosi a dover intraprendere una battaglia di silenzi, si sedette ai piedi del letto su una grande cassapanca decorata in rosa e oro.
Rimasero così per una decina di minuti, ognuno dei due arroccato nella sua personalissima fortezza di odio e rancore, finchè, all’improvviso, Elizabeth non ruppe il silenzio.
- Come fai? – domandò in quella che parve un’accusa.
- Come fai a continuare a vivere dopo quello che è successo? Come fai a uscire in strada e accettare la vita che va avanti lo stesso, come se lei non fosse mai esistita, come se tutto fosse normale?! – finì per gridare, le guance solcate da nuove lacrime dense come sangue.
James tacque, sferzato dal rancore in quelle parole di veleno.
- Non la accetto, infatti. Non posso acettarla, non lo farò mai. Sono stato io, Elizabeth. Io l’ho lasciata andare, io non ho saputo proteggerla, e questa consapevolezza mi sta uccidendo come un cappio attorno al collo… - mormorò, di fronte agli occhi ancora vivido il ricordo del loro addio.
- Però, Elizabeth, la vita va avanti anche senza di lei, e non possiamo permetterci il lusso di raggiungerla, ovunque sia andata. Non è giusto, non è corretto nei suoi confronti. – continuò, stupendosi da sé della facilità con cui le parole sgorgavano dalle sue labbra senza incontrare ostacoli.
Era come se, finalmente, fosse riuscito ad ammettere ciò che negava fin da quel lontano giorno a Londra.
- Puoi mentire a tuo padre, puoi mentire a me, puoi mentire anche a te stessa, se vuoi, ma sai benissimo, in fondo al cuore, che arrendersi in questo modo non ha senso. Diamine, Elizabeth, cosa credi che direbbe se ti vedesse in questo stato?! – concluse, alzando appena la voce.
La figlia del Governatore tenne gli occhi bassi e strinse il lenzulo fra le dita, poi un flebile sorriso le tirò impercettibilmente le labbra verso l’alto.
- Capitan Swann, suvvia, vi sembra davvero il caso di tirare i remi in barca? – scimmiottò i modi di fare dell’amica, mentre James sorrideva assieme a lei.
- Sai, fin da quando l’ho conosciuta mi è sempre sembrata indistruttibile. Sapeva sempre cosa dire, cosa fare… Sembrava che niente potesse destabilizzarla… - spiegò con dolcezza lasciando trasparire tutto l’affetto che la legava alla giovane.
Poi la sua espressione si spense di nuovo, e altre lacrime fecero capolino dai suoi occhi.
- Mi aveva promesso che sarebbe tornata. L’ho aspettata, ogni singolo giorno, non vi è stato tramonto in cui io non abbia rivolto lo sguardo all’orizzonte. Ero sicura che sarebbe tornata, non… non mi sono mai preoccupata per lei e invece… - tirò su col naso e si sfregò il dorso della mano sugli occhi in un gesto nervoso, tendendo un foglio di carta al Capitano.
Quello abbandonò la cassapanca e prese ad esaminare il foglio spiegazzato, sedendosi lentamente sul materasso accanto a Elizabeth.
Era una lettera, frettolosa e scritta con una calligrafia minuta e appena inclinata verso destra, la calligrafia di Cristal Cooper.
Le parole presero a danzargli vorticose davanti agli occhi, susseguendosi come in un incubo. Voltò la lettera fino a trovarsi a fissare un paio d’occhi scuri e irriverenti.
- Jack Sparrow… - sillabò in un gorgoglìo rabbioso.
- E’ colpa mia…  Se solo fossi stata meno cieca… Se solo avessi parlato quando era il momento! – si lamentò la ragazza, il rimorso a bruciarle nelle vene.
James scosse la testa e accartocciò appena il foglio di carta nel pugno.
- Elizabeth. – esordì cercando di trattenere la sua ira, le mani poggiate con fermezza sulle spalle esili della ragazza.
- Elizabeth, guardami. – la esortò ancora.
Quella levò gli occhi segnati dal sonno perduto, le guance pallide e le labbra gonfie di pianto.
- Elizabeth, questo non devi nemmeno pensarlo. Quello che è successo… Tu non ne puoi niente. Devi capirlo, non è dipeso da te. – sentenziò, serio come non mai.
- James, io… -
- Esci da questo letto, Elizabeth, esci in strada, vai al porto, respira aria pulita! Non ha senso lasciarti morire! – esclamò poi, scuotendola appena.
In quel momento, il Capitano Norrington si sarebbe aspettato tutto meno che la giovane Swann affondasse il viso nella sua giacca umida e scoppiasse a piangere ancora più forte.
- Non ce la faccio, James! Non ce la faccio! E’ crollato tutto, tutto quanto! Che cosa mi rimane? – riuscì a comprendere fra i singhiozzi soffocati dalla stoffa.
Fu come se una pallottola gli avesse spezzato la spina dorsale, strappandogli in un colpo cuore e polmoni.
Per un istante rimase rigido e freddo, non riusciva a respirare, non riusciva nemmeno a pensare.
Poi, lentamente, portò le sue braccia attorno al corpo esile e fragile dell’amica e prese a carezzarle piano la schiena.
- Hai tuo padre, Elizabeth. Hai me. – si sorprese a dire.
- Il dolore potrà piegarti, ma non permetterò che ti spezzi. Ce la faremo, entrambi, ma tu devi promettermi che ci proverai. Un passo alla volta. Fallo per lei. – aggiunse, determinato a infonderle forza e coraggio.
Elizabeth sospirò e annuì piano, le spalle di tanto in tanto ancora scosse dai singhiozzi.
James aveva ragione, era giunto il momento di farsi coraggio e affrontare la vita per quello che era, e lei l’avrebbe fatto. Sarebbe stata dura, sarebbe inciampata e caduta, ma avrebbe sempre camminato a testa alta, perché in realtà era questa la loro promessa: non arrendersi mai, di fronte a niente.
E mentre sul mare i fulmini schioccavano liberi e severi, il giovane Capitano e la figlia del Governatore, stretti l’uno all’altra a sorreggersi nel loro dolore, assurdamente, continuavano a sperare.
 








 
Fu una mattina di Agosto, pochi giorni dopo che avevano lasciato le coste dell’Irlanda diretti a Sud, che Cristal Cooper si rese conto di avere ormai diciannove anni.
Uscì sul ponte e si stiracchiò, sentendo le ossa della schiena scricchiolare di piacere. L’aria era frizzante e pulita e gonfiava le vele bagnate dal primo sole, vibrante come un alito di fuoco.
La ciurma era di buon umore, caricata dal breve ed intenso soggiorno sull’Isola di Smeraldo e lei stessa sentiva come un brivido dentro al cuore, una forza che l’avrebbe resa invincibile di fronte a qualsiasi nemico.
- Sono passati due anni! Toby tiene sempre il conto dei giorni! –
Sussultò nel ritrovarsi le braccia dell’amico strette attorno al busto.
- Buongiorno Toby! Non sbagli mai un colpo, eh? – sorrise scompigliandogli i riccioli.
Il giovane mozzo aveva ragione: i giorni si erano inseguiti senza tregua, portando con loro il freddo vento dell’inverno e il tiepido calore della primavera, e poi ancora, i colori silenziosi dell’autunno, fino a rinnovare l’estate nel canto libero dei gabbiani.
Due anni.
In quei due anni aveva lavorato sodo, aveva faticato, ma aveva anche riso, imparato, conosciuto luoghi e persone.
Aveva analizzato così tante volte le carte nautiche da conoscere a memoria ogni singolo scoglio o secca del Mare del Nord, aveva ascoltato storie antiche ed entusiasmanti, vecchie leggende spaventose, e, ricambiata, aveva finito per affezionarsi a quella stramba famiglia come se avesse da sempre vissuto con loro.
- Su, al lavoro! – strillò Toby, infaticabile, mentre Ramirez spuntava dalla sua minuscola cabina a poppa e rideva divertito del suo zelo.
Si affacendarono tutta la mattina, mantenendo la rotta per la Francia e procedendo svelti fra i flutti, finchè nel tardo pomeriggio una strana e fastidiosa nebbia non avvolse la Diablo.
Cristal era appollaiata su un mucchio di cordame, Finn, Toby e altri due marinai seduti di fronte a lei.
La discussione era stata sollevata da Ramirez all’ora di pranzo, e a più riprese i suoi uomini avevano tentato di portarla avanti.
- Secondo me sono tutte balle! Insomma, figuratevi se un Italiano… - azzardò Jan, l’Olandese.
Prima che potesse terminare il discorso, però, Simone, un Veneziano dall’orgoglio proverbiale, scattò in piedi.
- Che cosa insinui?! Che noi Italiani siamo forse da meno delle altre genti? –
- Nessuno è peggio degli Inglesi! – si intromise Finn, iniziando a canticchiare fra sé e sé una vecchia canzone in Irlandese.
Cristal incrociò le braccia al petto e sbuffò.
- Suvvia, signori! Non vorrete certo litigare per simili sciocchezze! Lasciate che vi racconti la storia di un Italiano prodigioso che ho avuto l’onore di conoscere tre anni fa! –
Toby, sdraiato accanto a lei, rizzò improvvisamente la schiena, i grandi occhi verdi spalancati di curiosità.
- Sì! Raccontaci una storia! –
Finn roteò gli occhi mentre la bionda si sistemava meglio sul cordame e incrociava le gambe, pronta a raccontare.
“Se non hai almeno una buona storia da raccontare, non vali niente in questo mondo!” le diceva sempre sua madre.
Nulla di più vero.
Si schiarì la voce e si curvò appena in avanti, la nebbia complice attorno a loro.
- Era un pomeriggio nebbioso di fine Novembre, e la mia nave, il Nausicaa, beccheggiava mollemente al largo del Portogallo… -
Ma prima che potesse aggiungere qualsiasi altro dettaglio un urlo li fece voltare tutti quanti. Non ebbero nemmeno il tempo di alzarsi in piedi, una violenta cannonata fece tremare la nave, mentre schegge di legno volavano in ogni direzione.
- Ci attaccano! – gidò qualcuno.
In men che non si dica il ponte fu un brulicare di uomini, Ramirez che sbraitava ordini nella sua giacca colorata.
- Alle armi! Svelti! Difendiamo la nostra nave! – tuonava camminando su e giù.
- Ai cannoni! Svelti! –
Cristal balzò in piedi e raggiunse velocemente l’altro fianco della nave, fino a ritrovarsi di fronte a un piccolo vascello interamente dipinto di nero.
Sporti dalla murata, decine e decine di uomini dall’aspetto rivoltante, gridavano dimenando sciabole e pistole.
Diede una rapida occhiata all’imbarcazione, e non fu necessario un gran sforzo per rendersi conto che i loro quattro cannoni non avrebbero potuto niente contro la potenza di fuoco dei loro nemici.
- Ramirez! – gridò per attirare l’attenzione del Capitano, che la raggiunse in un paio di falcate.
- Non ce la faremo mai, sono troppo… - ma l’uomo la interruppe, levando una mano.
- Mai arrendersi senza aver provato, Cristal Cooper! Prepararsi all’arrembaggio! –
La ragazza sguainò la spada e caricò la pistola, lanciando un’occhiata preoccupata a Finn, qualche passo dietro di lei.
Dopo di ciò, fu solo follia.
La nebbia si era fatta ancora più densa, ed era quasi impossibile riuscire a vedere a più di dieci passi dal proprio naso. Cristal continuava a roteare e schivare attacchi, menando fendenti e facendo attenzione a non ritrovarsi a corto di colpi per il troppo sparare.
Gli uomini della Diablo di battevano con coraggio e tenacia, ma più nemici uccidevano, più ne comparivano, quasi avessero fatto un patto col diavolo per non morire mai.
- Ramirez! Qualcosa non va! – gridò sopra al frastuono, mentre affondava la sua spada nel fianco di un pirata alto e pelato.
L’uomo non parve udirla, impegnato in un duello contro un tizio dai capelli biondicci che sembravano essere stati tagliati da un cieco.
Lanciò un occhiata alla ruota del timone della nave nemica, dove un uomo alto e vestito con una lunga giacca scura e un immenso cappello piumato osservava la battaglia: doveva essere il loro Capitano.
Non ce l’avrebbero mai fatta, a meno che…
Un’idea assurda e folle parve riemergere dalla sua infanzia, spingendola ad aggrapparsi a una corda e lanciarsi sul ponte della nave nemica.
La Santabarbara. Doveva trovare la Santabarbara.
Schivò un fendente e assestò un calcio nello stomaco al suo assalitore, facendolo piombare in acqua, ma altri due pirati le si pararono davanti, pronti ad ucciderla.
Una pallottola si conficcò in fronte al più basso, mentre l’altro veniva prontamente infilzato da Toby.
- Nessuno fa male alla mia sorellina! – esclamò il ragazzo, bianco come un lenzuolo: a differenza di Cristal, lui aveva un terrore nero degli arrembaggi.
Fu a quel punto che la figlia del fabbro spalancò gli occhi con orrore.
- Toby, attento! –
Non fece in tempo nemmeno a muoversi, una spada si conficcò nella spalla sinsita del mozzo spezzandogli le ossa.
Quello crollò a terra con un grido disumano, mentre l’amica si sbarazzava del nemico e lo gettava fuori bordo con una spallata.
Cercò di ignorare il fatto che l’uomo che aveva appena ferito Toby era lo stesso che si era appena preso una palottola in testa e si lasciò cadere a terra al capezzale dell’amico.
- Toby, guardami, Toby! – ma il ragazzo aveva preso a piangere, scosso da fremiti violenti.
- Muoio, muoio! – piagnucolava mentre un rigagnolo di sangue gli colava dall’angolo della bocca.
Cristal deglutì, cercando di trattenere le lacrime, ma per una buona volta il ragazzo sembrava aver capito la situazione senza che nessuno dovesse spiegargli niente.
- No che non muori. Dio, Toby, no… - balbettò, mentre il sangue che usciva a fiotti dalla ferita le inzuppava le mani e i vestiti e colava sul ponte di legno.
- Ho paura… - pianse ancora quello, la mano destra stretta attorno a quella della giovane che era per lui madre e sorella.
Cristal si morse un labbro e scosse la testa, accarezzandogli piano il viso.
- No, Toby, no. Non avere paura. Siamo insieme. Vedi? Sono qui con te, ti tengo la mano… - e mentre gli diceva quelle parole si chiese per quale recondito motivo non l’avessero ancora uccisa.
Forse, accasciati dietro a un enorme barile, esangui e tremanti, non rappresentavano un pericolo.
Si voltò per un momento verso la Diablo, ma la Diablo non c’era.
Lontana nella nebbia, una sagoma scura e delle grida di giubilo indicavano l’incredibile vittoria della goletta spagnola.
Fu questione di un secondo, un brivido di ghiaccio le corse su per la schiena.
- NO! – ma il suo urlo si perse nell’esplosione.
Poi, ancora pietrificata dall’orrore, si accorse che la presa sulla sua mano era svanita.
Si voltò solamente per incontrare un paio di vitrei occhi verdi spalancati nel terrore della morte.
- NO! BASTARDI! – gridò fuori di sé.
Si alzò in piedi e si lanciò contro la ciurma, ancora intenta a sghignazzare di fronte a ciò che restava della detonazione.
Quelli rimasero immobili, senza opporre la minima resistenza, quasi la furia della sua lama non li avesse potuto scalfirli minimamente.
Non morivano.
Quei maledetti non morivano.
Folle di rabbia e desiderio di morte, individuò il Capitano e si scagliò contro di lui, ma quello parò il colpo con facilità.
- Abbastanza prevedibile... – ghignò beffardo, le lame ancora a premere l’una contro l’altra.
Poi lo sguardo azzurro dell’uomo si fece serio di colpo.
Puntò le cornee gialle sul suo viso sfigurato dall’ira e in un gesto secco le afferrò il polso, stringendo così forte da costringerla a lasciare l’arma.
- Questa bella signorina viene con me, e che nessuno di voi sudici topi di sentina si azzardi ad obbiettare! – comunicò con tono alto e fermo.
- E adesso al lavoro, vermi schifosi! – sbraitò poi, trascinando Cristal fino alla sua cabina e sbattendo la porta alle loro spalle.
Disarmata e stravolta, il desiderio di vendetta cedette il passo alla paura, mentre il Capitano, alto e minaccioso nel suo cappello di piume, la squadrava con bramosia.
- Benvenuta a bordo della Perla Nera! – fece malvagio mostrando i denti.
Cristal sussultò.
Era spacciata.
 












 
Note:

Salve a tutti!
Vi prego, non picchiatemi, so di essere in ritardo clamoroso, ma ho una giustificazione: ero in vacanza.
No, okay, non vale un fico secco, ma vabbè... A mia discolpa posso dire che mi sono portata da scrivere! xD
Ma ora eccoci qui, tornati con un nuovo capitolo!
Vi confesso che non sono troppo soddisfatta, forse perchè è uno dei miei odiati capitoli di transizione...
Cristal non è morta, anche se penso fosse abbastanza scontato... xD In ompenso è stata raccattata da questa ciurma di disgraziati che, anche se compare per poco più di una decina di pagine, adoro con tutta me stessa.
Ho fatto un bel balzo temporale, me ne rendo conto... ^^"
E poi c'è la scena a Port Royal.
So che Elizabeth in queste condizioni potrebbe far storcere il naso, e Norrington ancora di più, ma quei due li ho sempre immaginati da un legame molto più profondo di quanto non sembrasse in apparenza.
E poi insomma, ci siamo avvicinando alla storyline dei film, quindi... A voi trarre le debite conclusioni! 
~
Per quanto riguarda il finale di capitolo, permettetemi di squittire perchè è entrato in scena Capitan Barbossa, ovvero il personaggio che amo di più all'interno della saga.
Spero di riuscire a gestirlo bene, perchè insomma, dopo Jack credo sia il personaggio con più sfaccettature di questa storia, e sento già che sarà una bella spina nel fianco.
Ora, chiedendo umilmente scusa in ginocchio sui ceci, fuggo a cena prima che la Famiglia mi fustighi.
A proposito! Ho creato una pagina su FB dove -appena la connnessione ballerina della Montagna me lo permetterà- pubblicherò gli aggiornamenti delle mie storie, i miei disegni ad esse relativi e qualche sclero che non fa mai male!
Anche se vi va di fare solo quattro chiacchiere siete tutti i benvenuti, vi aspetto qui --> https://www.facebook.com/pages/Koori-chan/264301627099186?ref=hl  

Kisses,
Koori-chan

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***





Capitolo Quattordicesimo~






L’acqua sciabordava cauta contro i fianchi della nave, ma non era un suono gentile, leale. No, quello era un suono meschino e beffardo, intriso di cattiveria, proprio come il macabro sorriso sulle labbra del Capitano.
La nebbia densa e crudele sembrava filtrare direttamente dalle assi scricchiolanti fino a impregnare le ossa in un brivido incontrollabile.
Tutto a bordo di quella nave sapeva di morte, ogni cosa aveva il colore malato della putrescenza. C’era qualcosa di profondamente sbagliato in quel vascello, lo sentiva nell’aria, lo percepiva come il sangue nelle vene.
Si impose di rimanere salda nonostante la paura e piantò gli occhi in quelli dell’uomo, un’espressione sfrontata a nascondere il terrore.
Se doveva morire, almeno l’avrebbe fatto a testa alta.
Il Capitano mosse un passo verso di lei, facendola indietreggiare, ma il ghigno sul suo volto era scomparso, lasciando spazio ad uno sguardo cupo e spento.
- Avete perso la lingua, signorina? – incalzò, e attraverso la patina di strafottenza la giovane percepì una punta di impazienza.
Non rispose, né chinò il capo.
Rimase immobile, i pugni serrati lungo i fianchi nel tentativo di contenere i sentimenti che la stavano scuotendo con violenza.
L’uomo si avvicinò ancora, alzando una mano in sua direzione, ma si fermò di colpo quando ricevette lo sputo della ragazza in pieno viso.
- Non ho nulla da dire ad un verme come voi. – sibilò, piena di rancore.
Quello si pulì il viso con la manica della giacca e caricò la pistola, puntandogliela contro minaccioso.
- D’ora in avanti siete mia prigioniera. Non uscirete da questa cabina a meno che non sia io ad ordinarlo e qualsiasi atto di insolenza sarà punito con la morte. – sentenziò con un fremito nella voce che tradì la sua ira.
Portò una mano sulla superficie della porta e spinse appena, per poi voltarsi con un piede già oltre l’uscio.
- Sempre che non sia colto da un profondo atto di generosità. – insinuò.
- In tal caso, prima di uccidervi, potrei cedervi in prestito alla ciurma!- e, sghignazzando di fronte all’espressione inorridita della giovane, uscì sbattendo la porta, i suoi passi pesanti a rimbombare per le scale fino al ponte di coperta.
Cristal fissò per qualche istante la porta chiusa, poi, in un gesto di stizza, si scagliò contro il legno scuro assestandogli un pugno poderoso che ebbe il solo effetto di sbucciarle le nocche.
- Bastardo! Te la farò pagare! – gridò a pieni polmoni, finchè roventi lacrime di frustrazione non presero a sgorgarle lungo le guance.
Voltate le spalle alla porta, attraversò la cabina prendendo a calci tutto quello che le capitava a tiro, finchè non individuò un grosso mobile addossato ai finestroni su cui potersi sedere.
Si arrampicò lasciando cadere a terra il ciarpame che ingombrava la superficie e portò le ginocchia al petto, circondandole con le braccia.
La Perla Nera.
Quella era la nave che un tempo era appartenuta a Jack Sparrow, prima che il suo primo ufficiale gli si ammutinasse contro e lo lasciasse a morire su uno sputo di terra in mezzo al mare.
Ricordò l’ondata di disgusto che aveva provato nei confronti di quell’uomo tanto meschino quando Jack le aveva raccontato la vicenda, e la sentì rinnovarsi triplicata in seguito alla distruzione della Diablo.
Abbassò gli occhi fino ad incontare la figura appena sfocata delle sue mani lerce di sangue, e le lacrime che si erano seccate fra le sue ciglia ripresero a scorrere senza tregua, questa volta non alimentate dall’ira, ma da una disperazione cupa e profonda come l’Oceano attorno a loro.
Ripensò a Toby, a come si fosse affezionata a quel ragazzino sempre bisognoso di supervisione e tuttavia così incredibilmente solare ed ottimista.
Era stato lui a scorgere il suo corpo privo di sensi aggrappato a un’asse di legno e a dare l’allarme.
Poi il suo pensiero andò a Finn, il cuoco senza una gamba, il fiero e ironico Irlandese che amava cantare nella sua vecchia lingua misteriosa.
Adorava sgattaiolare in cucina e importunarlo finchè non sbottava in Gaelico, mulinando la sua gamba di legno in segno di minaccia.
Per ultimo rivide davanti ai suoi occhi il buon Ramirez, troppo onesto per poter sopravvivere in quel mondo spietato nel quale aveva deciso di avventurarsi.
Il suo ottimismo sembrava nutrirsi dei sorrisi dei suoi marinai, e nessun bottino lo rallegrava di più di una bella bevuta in compagnia.
Avevano trascorso assieme due anni, e adesso immaginarli freddi e morti sul fondo del mare le sembrava una cosa impossibile.
Perché la Perla li aveva attaccati? Per quale motivo lei era sopravvissuta? Perché non era affondata con loro?
Fu un istante, e le tornarono in mente le parole che le aveva rivolto Ramirez quel giorno lontano nella sua piccola e accogliete cabina.
“Dios vi ha fatto la grazia di salvarvi dalla furia dell’Oceano: la vostra vita deve valere molto.”
Forse il destino aveva in serbo altre imprese per lei?
In quel momento non le importava.
La sua famiglia era stata sgretolata dalla potenza dell’esplosione, e lei sarebbe certamente morta da lì a poco.
Qualsiasi cosa il destino avesse in mente, lei non aveva alcuna intenzione di prestargli ascolto.
Per il momento voleva solo chiudere gli occhi, dimenticare.
Appoggiò il capo sulle ginocchia e, cullata dalla stanchezza e dal rollio della nave, crollò addormentata.
Fu qualcosa di soffice a svegliarla. Sembrava una piuma, era morbido e delicato, e quando le sfregò il naso lo sentì pizzicare e trattenne uno starnuto. Aprì gli occhi di scatto, e ciò che vide la fece urlare di terrore.
A meno di mezzo centimetro dal suo naso, un paio di vispi occhietti scuri la stavano scrutando incuriositi, mentre due manine frenetiche le tiravano piano i capelli.
All’urlo improvviso della ragazza la creaturina fece un balzo all’indietro, andandosi ad arroccare su un baule, a distanza di sicurezza.
Era una scimmia. Su quella nave c’era una scimmia.
Ripresa una respirazione regolare, Cristal si concesse qualche secondo per osservare la sua bizzarra compagna di prigionia. Si trattava di una bestiola dalle dimensioni ridotte, aveva il pelo corto e castano e il muso e le mani glabri. La cosa più assurda, però, era che vestiva come un umano. Indossava un paio di minuscoli pantaloni marroni e un pacciotto rosso e oro al di sopra di una camicina dalle maniche ampie, la coda lunga e affusolata a muoversi sinuosa ad ogni movimento della bestiola.
Chissà chi era quel pazzo che aveva perso tempo a confezionare quegli abiti in miniatura…
Senza nemmeno rendersene conto, Cristal prese a far schioccare piano la lingua contro il palato, portando una mano in avanti e sfregando piano le dita fra di loro nel tentativo di richiamare l’attenzione della scimmietta.
Quella inclinò la testa di lato, indecisa se prestarle attenzione o continuare nella sua personalissima ispezione della cabina, ma dovette convenire che il ciarpame sparso per terra poteva attendere, e mosse qualche cauto passo a quattro zampe verso la giovane.
- Su bella, vieni qui! Brava… vieni qui… - sussurrò la figlia del fabbro continuando a far schioccare la lingua.
La scimmia si fermò un momento e gettò un’occhiata al di là della sua spalla destra, quasi avesse voluto chiedere il permesso ad un padrone invisibile, poi spiccò un balzo e raggiunse nuovamente il mobile su cui se ne stava appollaiata la prigioniera.
Dapprima titubante, poi sempre più decisa, la bestiola annusò le mani di quella sconosciuta e decise che non era un pericolo, posando la testolina sul suo palmo aperto.
Cristal sorrise, intenerita da quell’animaletto così fuori luogo su una nave che trasudava cattiveria da ogni chiodo.
- Ma che brava che sei! Sei proprio una bella scimmietta, sai? – fece sottovoce grattandole il capo, mentre quella emetteva striduli versi di apprezzamento.
Aveva uno sguardo così furbo e intelligente che per un momento si chiese se non capisse davvero le sue parole.
- Vedo che avete già fatto la conoscenza di Jack! –
Quella frase improvvisa la fece voltare di scatto; la scimmia spostò lo sguardo sulla porta aperta e con due balzi abbandonò Cristal per raggiungere la spalla del suo proprietario.
Il Capitano della Perla Nera le concesse una rapida grattatina dietro le orecchie, poi si chiuse la porta alle spalle, stavolta con cautela.
Jack.
Non si sarebbe affatto stupita nello scoprire che la scimmia doveva quel nome al precedente Capitano. Storse il naso di fronte all’irriverenza dell’ammutinato e incrociò le braccia al petto, alzando il mento e puntando nuovamente lo suardo fuori dai vetri incrostati di sale e di sporco.
- Avete un nome, milady? – domandò il pirata con tono mellifluo.
Cristal gli scoccò un’occhiata di fiele.
- Così come lo avrete voi, suppongo… -
Stranamente, quello parve apprezzare la risposta.
- Avete ragione, ve lo concedo. – replicò, la scimmietta che giocherellava con le piume del suo cappello.
- Il mio nome è Hector Barbossa, e sono il Capitano di questa nave. Quanto a voi? –
Cristal lo osservò attentamente.
Era alto, molto alto.
Sotto al cappello indossava un fazzoletto di un cupo verdeacqua legato a mo’ di bandana. Portava i capelli appena ondulati all’altezza delle spalle; erano stati forse color del grano, striati qua e là da qualche bagliore rossiccio, proprio come i suoi. Attorno alle labbra crescevano un paio di baffi e una barbetta del medesimo colore.
Il suo naso era dritto e grosso, e portava via un po’ della sua aura minacciosa.
Sotto un paio di sopracciglia ispide se ne stavano, spalancati di curiosità, i suoi grandi occhi blu, e per un assurdo momento si ritrovò a pensare che degli occhi di quel colore non potevano appartenere ad una persona tanto malvagia: mai, in tutta la sua vita, Cristal Cooper aveva scorto nelle iridi di qualcuno una tonalità tanto pulita e gentile, come il limpido orizzonte in un pomeriggio d’estate.
Forse Hector Barbossa era un uomo crudele e spietato, ma di certo non lo erano i suoi occhi.
Per ultima notò la cicatrice.
Era biancastra, sottile, quasi elegante, come un lungo graffio silenzioso che si allungava dall’occhio destro attraverso tutta la guancia.
Per un brevissimo quanto vivido istante, la giovane ebbe la sensazione di ricordare quel viso, quasi l’avesse già incontrato, o avesse sentito parlare di lui.
Fu solo un momento, e la figlia del fabbro si scrollò di dosso quella sensazione umida e fredda con un brivido leggero.
- Cristal Cooper. – si presentò, senza aggiungere più di quanto non le fosse stato chiesto.
- Cooper… - l’uomo si lasciò rotolare quel nome fra le labbra come fosse stato miele, assaporandone ogni sillaba, ogni vocale.
Quella deglutì, infastidita e soggezionata dallo strano interesse che l’uomo sembrava nutrire per la sua persona.
- Siete molto giovane, Miss Cooper. Com’è che una ragazzina della vostra età e bellezza si trovava su una nave pirata? –
Cristal storse il naso di fronte al complimento, sempre più a disagio.
- Cosa volete da me? – domandò in risposta, stringendosi inconsapevolmente verso la vetrata.
Barbossa dovette notare il fremito di paura nella sua voce, perché le sue labbra si tesero leggermente verso l’alto in quello che forse voleva essere l’abbozzo di un sorriso tranquillizzante.
- Niente di speciale, per il momento… - considerò, le cornee giallastre ad indugiare sulla scollatura della sua camicia.
Si portò istintivamente una mano a stringere il colletto, incontrando la fredda superficie della sua conchiglia a spirale.
Solo a quel punto, mentre il Capitano le faceva un cenno col capo e si chiudeva la porta alle spalle lasciandola sola, Cristal se ne rese conto.
L’aveva vista, aveva visto la collana.
Se prima le sue probabilità di salvarsi la pelle erano terribilmente remote, adesso si erano del tutto volatilizzate.
Doveva trovare un modo per scappare da lì, e doveva farlo in fretta.
Trascorse il pomeriggio alla disperata ricerca di un piano, misurando a grandi passi la cabina.
Era nervosa, troppo nervosa per poter riuscire a pensare come si deve, per di più sembrava che il tempo si divertisse a prendersi gioco di lei, scorrendo più in fretta del dovuto.
Quando il sole calò dietro lo strato di nebbia, aveva trovato solamente un vecchio coltello arrugginito e una pistola scarica.
Un improvviso toc toc annunciò la presenza di qualcuno alla porta, spaventandola al punto di fare un balzo indietro e puntare le armi di fortuna verso l’ingresso della cabina.
L’uscio si aprì senza che lei avesse ancora osato emettere un suono, ma invece del Capitano, si ritrovò al cospetto di due individui bizzarri e terribilmente male assortiti.
Uno era basso e tarchiato, e pochi capelli radi gli pendevano dalla testa come fili di ragnatele; l’altro era più alto e smilzo, la chioma di un biondo sporco ed insignificante e gli occhi di due colori diversi: uno era azzurro e l’altro, scheggiato e fisso, era un banalissimo occhio di legno dipinto di marrone.
Entrambi gettarono un’occhiata confusa alla prigioniera, poi depositarono sul tavolaccio che se ne stava in mezzo alla stanza una bacinella piena d’acqua e un fagottino bianco.
- Un’offerta da parte del Capitano… - spiegò lo smilzo con un sorriso imbarazzato.
Che tipo strano.
Cristal mosse qualche passo titubante verso il tavolo e raccolse lo straccetto bianco, che si rivelò essere una camica.
La squadrò con disgusto e alzò il capo, impettita.
- Non ho bisogno della sua carità. – sentenziò, fredda.
A questo punto fu l’altro a parlare, con un ghigno decisamente meno candido di quello del suo compare.
- Non è carità verso di voi, ma verso sé stesso: puzzate di morto. – spiegò con un cenno alla sua camicia incrostata di sangue.
La ragazza sgranò gli occhi e serrò le labbra, offesa, mentre il biondino guardava il suo amico con rimprovero, quasi non avesse gradito una simile espressione rivolta ad una fanciulla, poi entrambi fecero dietro front.
- Non sei stato per niente carino con lei! – sentì borbottare Occhio-di-Legno nonappena ebbero chiuso la porta.
Sbuffò e posò la camicia sul tavolo, notando un grande specchio in un angolo della cabina, vicino a quella che doveva essere la branda del Capitano, ritrovandosi a pensare che Barbossa doveva essere davvero un tipo vanitoso per tenere un simile oggetto a bordo.
Quando la sua figurà entrò nel perimetro della cornice si rese conto davvero di cosa intendessero di due pirati che erano venuti a importunarla poco prima: la sua camicia, un tempo color sabbia, era intrisa di sangue e strappata in più punti, dove la battaglia era riuscita a colpirla.
Se la sfilò e si sciacquò velocemente, indossando con riluttanza l’indumento offertole dal Capitano.
Tornò di fronte allo specchio e storse il naso, passandosi una mano sul braccio nudo per poi giocherellare con la collana.
Ah, se solo sua madre fosse stata lì con lei! Con il suo aiuto sarebbe senz’altro riuscita a tirarsi fuori da quell’enorme pasticcio in cui era andata a ficcarsi!
E mentre il suo pensiero indugiava sul volto gentile di Marion, la porta della cabina si aprì nuovamente, l’incedere lento e pesante degli stivali ad annunciare l’arrivo di Capitan Barbossa.
Si voltò lentamente per vedere l’uomo prendere posto su una sedia e posare i piedi sulla superficie del tavolo.
- Così va molto meglio, non credete? – esordì.
Cristal gli rivolse un’occhiata severa.
- Mi avete dato una camicia da donna. – si lamentò tornando a squadrare il sangallo bianco e le cuciture in filo rosso che decoravano le maniche corte e la scollatura quadrata.
- Mi è forse sfuggito qualcosa a riguardo della vostra identità? – domandò Barbossa inarcando un sopracciglio in un’ironia sfottente.
La ragazza fece una smorfia.
- Non sono abituata ad indossare abiti femminili, tutto qui. – concluse, rimpiangendo già il suo ampio camicione di lino che le nascondeva magnificamente il seno.
Silenziosa come un gatto, tornò ad arrampicarsi sul mobile a cassettoni, mentre la scimmia di Barbossa balzava accanto a lei, ben decisa a giocherellare con le sue ciocche bionde.
Continuò a giocare con l’animaletto e non levò il capo nemmeno quando un mozzo nerboruto portò in cabina una scodella di zuppa fumante.
Barbossa, che era rimasto in silenzio ad osservarla, prese finalmente la parola.
- L’ho fatta preparare per voi. Su, mangiate. – ordinò con una sfumatura che in altre circostanze sarebbe potuta sembrare anche gentile.
- Premure sprecate, Capitano. Non ho fame, mangiatela voi. –
Ma a quelle parole il viso del pirata si contrasse in una smorfia che la giovane non riuscì a classificare: era rancore, era rimpianto, e un dolore antico che la fece sentire in colpa senza motivo.
L’uomo si alzò in piedi e con un gesto della mano richiamò a sé la scimmietta.
- Fate sogni d’oro, Miss Cooper… - le augurò, il solito ghigno inquietante rimpiazzato da un’espressione seria, quasi di rimprovero.
- Chissà… - aggiunse poi.
- Forse domani vi ucciderò… -
E la cabina ripiombò nel silenzio, mentre il fumo si alzava pigro e tremolante dal piatto.
Per altri tre giorni Cristal Cooper si rifiutò di toccare cibo, limitandosi a sorbire in silenzio un po’ dello schifosissimo rum che le avevano rifilato perché non morisse di sete.
Ogni giorno Barbossa si presentava a farle visita, e ogni sera prendeva congedo con quell’inquetante e terribile frase.
- Chissà, forse domani vi ucciderò… -
Ma entrambi sapevano che quelle parole avevano perso il loro effetto intimidatorio già alla seconda sera.
Erano tante le cose che la figlia del fabbro non capiva, in primis dove diamine trascorresse il suo tempo il suo aguzzino.
Non mangiava in cabina, come si sarebbe aspettata che fosse, né vi dormiva. La giovane lo vedeva in quel luogo solamente un paio di volte al giorno, all’unico scopo di estorcerle qualche informazione.
Fu la quarta sera che l’incomprensibile routine venne spezzata da un evento che mise Cristal in imbarazzo e che lasciò Barbossa turbato.
Come sempre il pirata le aveva fatto preparare da mangiare, e come sempre la ragazza si era rifiutata di scendere dal mobile a cassettoni.
Quando stava per andarsene, però, uno strano gorgoglìo lo trattenne con una mano sulla porta.
Si voltò giusto in tempo per vedere la fanciulla tenersi la pancia in un’espressione più che imbarazzata e gettare occhiate furtive alla scodella colma di brodaglia.
- Per quanto ancora intendete portarmi rancore? –
La bionda si morse un labbro e sospirò.
Non poteva cedere, ma più che l’onore poté il digiuno e, rossa di vergogna, scese dal mobile e strisciò china verso il tavolaccio.
- Voi avete distrutto la mia nave e massacrato la mia ciurma. Dovrei forse perdonarvi? – si risolse a rispondere dopo alcune avide sorsate all’intruglio disgustoso.
Barbossa si strinse nelle spalle.
- La carità non è amica dei pirati. – si limitò a constatare, sedendosi di fronte a lei.
Trascorsero qualche minuto senza parlare, il silenzio interrotto dal rumore del cucchiaio contro il fondo della scodella, poi Cristal azzardò la domanda che più le premeva da quando si era ritrovata prigioniera della Perla.
- Voi non mangiate. Non dormite. – esordì, radunando gli sfuggevoli pensieri.
- Chi siete, davvero? –
Il Capitano trasse un profondo sospiro. Stanco e consumato, sembrava una vecchia fisarmonica piena di polvere e ruggine.
- Forse sarebbe meglio chiedervi cosa sono, Miss Cooper. – suggerì con lo sbuffo affaticato di una coscienza martoriata.
Il blu dei suoi occhi si incupì fino a diventare il fondo fangoso di una palude, mentre ricordi beffardi gli risalivano lenti su per la gola.
La ragazza deglutì l’ultimo boccone di liquido e pane raffermo, non più così certa di voler conoscere quella storia, ma ormai aveva risvegliato il fantasma di un’epoca passata, e ascoltare era la sua unica opzione.
Barbossa raccontò a lungo, le narrò di tempi lontani, di un uomo curioso e avido, intraprendente e scellerato. La Perla e il suo giovane Capitano salpavano in cerca di un tesoro, e nessun richiamo era più forte di quello dell’oro, per i gentiluomini di ventura.
Il racconto dell’ammutinamento si srotolò nuovamente di fronte agli occhi della figlia del fabbro, dipinto di tinte diverse, a volte più cupe, a volte più sbiadite. Ma il tradimento ha sempre un suo prezzo, e presto anche Barbossa e i suoi avevano dovuto venire ai patti con la loro condotta.
Il tesoro era maledetto, e gli ammutinati, abbandonando Jack Sparrow, avevano salvato la vita a lui e rinunciato alla loro.
- Ironia della sorte… - si lasciò sfuggire lei in un commento velatamente accusatore.
Barbossa però non poté negarle la ragione e annuì, i due ritagli di palude illuminati dal ricordo di qualcosa di perduto.
- Immaginate di bere e non dissetarvi, di mangiare e non sfamarvi. Immaginate di ricordare tutto, e non sentire più nulla. Né gli spruzzi dell’onda sul viso, né il calore di un fuoco scoppiettante. Nulla, Miss Cooper, se non il desiderio ardente di porre fine a quest’eterna agonia. Voler morire, e non poterlo fare. – spiegò in un soffio.
E la fanciulla comprese in uno sguardo che più di una volta, molti anni prima, l’uomo aveva cercato di essere padrone del proprio destino e ribellarsi all’ingiusta punizione.
- E come fate a… Come fate a non impazzire? – balbettò, colpita con violenza da quel dolore senza fine, quella straziante condizione di vuoto di cui era attonita spettatrice.
Il pirata si concesse un sorriso sghembo.
- Voi vedete ora le sembianze di chi fummo, ma è la Luna a mostrare la nostra vera natura: siamo cadaveri, cumuli d’ossa. Ma il forziere attende paziente, e quando ogni pezzo del tesoro sarà restituito, avremo indietro la nostra speranza, e la maledizione si spezzerà. –
Attese qualche secondo, gli occhi a indugiare sul viso pallido e sulla bocca socchiusa della prigioniera.
Solo dopo si accorse della mano piccola e affusolata posata sulla sua.
- Mi dispiace… -
La voce di Cristal Cooper parve accartocciarsi su sé stessa come un foglio di carta divorato dalle fiamme. Incenerita dall’antitesi di quel momento, fluttuò lieve nell’aria statica, depositandosi quieta e rovente sulla pelle dell’uomo.
Quello, con stupore, percepì per la prima volta il bruciore selvaggio della sincerità e si sentì sferzare il petto da quella compassione di brace che, assieme alle parole, vi si era posata senza un suono.
Prima che la ragazza potesse veder sorgere ciò che aveva bandito dal suo cuore da più di vent’anni, Hector Barbossa si alzò in piedi e abbandonò la stanza.
- Buonanotte, Miss Cooper. –
Nessuna minaccia di morte, quella sera.
Solo un’angoscia gonfia e profonda e il germe di qualcosa che avrebbe presto cambiato le carte in tavola.
Da prigioniera, Cristal Cooper divenne ospite.










I giorni si susseguirono silenziosi e ammantati dalla bruma che avvolgeva la nave come il velo di una sposa; il Capitano continuava a scendere in cabina, ma non era più un’imposizione: la figlia del fabbro sembrava quasi aspettare con impazienza le sue visite, unica finestra sulla vita al di fuori di quella stanza traboccante di oggetti.
- E fu così che quel branco di ingrati mi abbandonò a Ouessant, e sai come dicono da quelle parti… - raccontò un pomeriggio soleggiato Barbossa, osservando con aria misteriosa una delle sue mele.
- Qui voit Ouessant voit son sang!1 – esclamarono assieme con un sorriso divertito, mentre Cristal si stupiva del suo Francese perfetto e senza accento.
- Furono loro a rendere scarlatte le acque attorno all’isola. Li colse una tempesta e la nave andò a schiantarsi contro gli scogli. Uccidere l’albatros fu la mia salvezza. – continuò, lanciando il frutto alla prigioniera.
Quella lo prese al volo e vi affondò i denti con soddisfazione, il succo zuccherino a bagnarle le labbra.
Fu mentre masticava che si accorse di conoscere già quella storia.
Dove l’aveva già sentita? Era stato Gibbs? O forse si trattava di uno dei racconti di Abraham il libraio? Eppure non era la loro voce a narrare quelle vicende avventurose, nei suoi ricordi.
Rimase qualche secondo in silenzio, la mela rosicchiata ancora stretta in mano, finchè non si accorse che anche Barbossa aveva smesso di parlare e adesso fissava la sua collana con malcelato interesse.
Era evidente la sua curiosità nei confronti del ciondolo, ma in tutto quel tempo non aveva azzardato nemmeno una domanda a riguardo, quasi un’eventuale risposta lo terrorizzasse.
A volte sembrava sul punto di portare la conversazione su quell’argomento, ma quando era a un passo dalla meta virava bruscamente, cambiando discorso o lasciandola di nuovo sola nel silenzio della cabina.
- Quanto a te, Cristal, cosa ti ha portata a solcare gli oceani alla tua età? –
Ecco che ci riprovava, cauto e amichevole.
Il voi era decaduto già da un pezzo, incapace di reggere l’assurda intesa che era andata a crearsi fra vittima e aguzzino.
La verità era che Cristal sapeva che Hector non le avrebbe mai torto nemmeno un capello. Era una consapevolezza sottile e resistente come una ragnatela, la tacita promessa fra Luna e maree.
Ad ogni tramonto, ad ogni sorgere del sole, la ragazza sentiva con sempre maggiore chiarezza che il cuore nero di quel pirata dai modi teatrali e stravaganti batteva a ritmo con il suo.
Sconosciuti, vedevano nel cielo gli stessi colori, udivano nel vento gli stessi suoni.
Con Jack era felice, ma sapeva che non si sarebbero mai capiti fino in fondo. Hector era diverso, comprendeva i suoi timori e le sue speranze senza il bisogno di emettere un suono, e con un solo sguardo d’oceano sapeva trovare le risposte ai suoi interrogativi.
A volte si sentiva in colpa, una traditrice che aveva stretto un legame con l’assassino della sua ciurma, ma più le onde si aprivano a prua, più comprendeva quanto in mare non esistessero confini netti, nemmeno in materia morale.
“Il Codice è più che altro una traccia, che un vero regolamento” diceva sempre Marion, e stava iniziando a capire il vero significato di quelle parole.
- Se dovessi dire da dove tutto è incominciato, probabilmente dovrei partire da mia madre. – esordì con un grande sospiro.
- Da che ne ho memoria mi ha sempre raccontato le sue avventurose e stravaganti storie di pirati ed è così che sono cresciuta, avventurosa e stravagante, con il sogno costante di poter, un giorno, imbarcarmi e fare vela verso il mio tesoro. Inizio a credere che se non fosse stato per tutte quelle storie adesso sarei ancora a Port Royal a domandarmi quale fosse la scelta giusta… -
E fu con il solito sorriso amaro che dedicava al suo passato che raccontò di come la figlia del fabbro divenne la Figlia della Tempesta, affrontando naufragi e soldati per ritrovare la sua famiglia.
Evitò alcuni dettagli, ad esempiò l’identità del suo accompagnatore in quel viaggio ai limiti della follia, oppure tutto ciò che concerneva la collana, e infine tornò a quel giorno sulla Diablo, appena prima che la nebbia li avvolgesse nella sua morsa quieta e terribile.
Terminato il racconto, Barbossa annuì piano, quasi avesse ancora dovuto finire di incamerare tutte quelle informazioni.
- Indubbiamente una storia avvincente… - commentò poi, tornando a serrare le labbra di fronte allo sguardo opaco della ragazza.
- Mi chiedo solo se ho fatto davvero tutto quello che era in mio potere… Insomma, ho abbandonato mia madre, e… Non so nemmeno se è ancora viva o se… - ma non riuscì a terminare la frase, interrotta dalla voce del Capitano.
- Non credo che una donna capace di far perdere le proprie tracce per sei mesi abbia bisogno di protezione… Tua madre mi sembra una persona decisamente scaltra, nonostante tutto… - commentò mostrando di nuovo i denti.
Cristal si strinse nelle spalle.
- Dote di famiglia. Onestamente non credo che la ricchezza degli Hawke sia derivata esclusivamente dal sudore della loro schiena… - commentò con un ghigno: dopotutto erano una famiglia di mercanti…
Un fremito percorse le iridi dell’uomo come una folata di vento, le labbra impercettibilmente curve verso l’alto.
- Dote di famiglia… - ripeté, assorto.
- E della collana che mi dici? –
Cristal trattenne il respiro. Era succeso, finalmente la domanda era stata posta.
Di colpo, come il bagliore improvviso di una saetta, Cristal tornò indietro di sei anni, seduta al tavolo di una piccola cucina, mentre una giovane donna asciugava le stoviglie e si sbarazzava delle briciole.
“Mamma, perché indossi sempre quella collana?”
E in un istante ricordò dove aveva già sentito la vicenda dell’albatros, ricordò ciò che aveva udito a bordo della Dauntless nella sua traversata verso i Caraibi.
“Volete dire che c’è un uomo che fa saltare in aria sistematicamente tutti i vascelli che incontra?”
La voce terrorizzata di Swann mentre navigavano sempre più lontano da quella nebbia innaturale.
“Sono solo voci, ma… sembra che il Faucon sia ancora in circolazione.”
Un uomo colto dalle parole senza accento, la maledizione, un addio, molti anni prima, la morte, il ritorno.
Ogni tassello andò al suo posto e Cristal spalancò gli occhi, sconvolta dalla scoperta.
Hector Barbossa era il Faucon du Nord.
- La collana… - balbettò, come pietrificata.
- Insomma, è un oggettino strano da trovare al collo di una ragazza, non trovi? – e anziché una semplice domanda le parve la più subdola delle insinuazioni.
Cosa dire? Come reagire?
Ancora una volta, Cristal Cooper scelse di utilizzare l’arma meno conosciuta e più temuta fra i pirati: l’onestà.
- E’ stato un dono. Da parte di mia madre. – si limitò a confessare.
Barbossa le rivolse una lunga occhiata silente.
- Tua madre… - sembrava quasi che pronunciare quelle parole gli ferisse le labbra, da tanto il suono ne uscì sibilante e sofferente.
- E prima che la donasse a te, è sempre stata sua? – continuò, le mani strette attorno ai braccioli della sedia.
C’era qualcosa di strano in quella conversazione, di sbagliato.
Come se quella collana fosse stata fonte di mali indicibili, come se Barbossa ne fosse spaventato e la sua vista gli facesse ribollire nelle vene un antico rancore.
- No. Non sempre. – si affrettò a rispondere, un’inquietudine nera a montarle nel cuore.
- Un tempo apparteneva a… all’Ancien Marin. –
- L’Ancien Marin? – il pirata inarcò un sopracciglio, incuriosito da quell’appellativo.
Cristal prese una rapida boccata d’aria, forse c’era un modo di scoprire qualcosa di più mantenendosi in una posizione neutrale…
- E’ così che lo chiamavano in paese. Mia madre mi ha parlato di lui, di quando l’ha conosciuto a Rouen. E’ stato lui a consegnarle la collana e a farsi promettere di proteggerla sempre. Probabilmente già all’epoca i Filippini erano sulle sue tracce… - finse di considerare.
Barbossa parve abboccare: finchè l’avesse creduta ignorante riguardo alla sua vera identità e al significato del suo ciondolo, forse, le cose sarebbero rimaste com’erano state fino ad allora, e il Capitano non l’avrebbe ritenuta una minaccia.
- A Rouen… Capisco… E quindi ora tu la proteggi al posto suo. – trasse le sue conclusioni.
La bionda annuì.
- E’ il mio compito, ho fatto una promessa. – spiegò con semplicità.
Il Capitano si alzò in piedi e le voltò la schiena.
- Già, una promessa… - e, in un fruscio di stoffa e ricordi, la lasciò nuovamente sola con i suoi dubbi e le sue domande.
Quella sera cenò da sola, il pirata dai modi di seta non tornò a farle compagnia.
Centinaia di interrogativi vorticavano nel suo cuore come sospinti da un uragano, sbatacchiando gli uni contro gli altri e colpendo ogni pensiero sulla loro traiettoria.
Se il Faucon du Nord era ancora vivo, per quale motivo non si era messo sulle tracce della sua collana?
Questa domanda ne sollevava poi un’altra: dal momento in cui Barbossa non era morto, doveva aver contratto la maledizione prima di consegnare la collana a sua madre. Perché quindi lo aveva fatto?
Se avesse voluto indietro la collana gli sarebbe stato sufficiente ucciderla la sera dell’attacco alla Diablo, invece aveva preferito tenerla prigioniera, farsi raccontare la sua storia.
Sospirò, abbandonando la branda che aveva ormai preso ad occupare per soddisfare l’insistenza dell’uomo e dirigendosi verso il mobile.
Si arrampicò senza fare rumore e posò la testa contro i vetri sporchi delle finestre.
Qualcosa le sfuggiva, era evidente; in tutta quella vicenda c’era ancora un tassello mancante che non riusciva ad individuare.
Frustrata, levò lo sguardo fino ad incontrare un bagliore nel cielo.
Sopra la Perla Nera, nell’alto delle tenebre, la Luna sembrava ora sghignazzare beffarda di fronte alla sua insicurezza, ora contorcersi in una smorfia di dolore.
Sul ponte di coperta, nel frattempo, la maledizione mostrava  orgogliosa la sua crudeltà.














 
Note:


1Chi vede Ouessant vede il suo sangue. (Proverbio bretone relativo alla pericolosità delle acque attorno all'isola)



Eccoci qua con un nuovo capitolo.
A dire il vero qui succede ben poco dal punto di vista dell'azione, confinata alla cabina di Barbossa.
Eppure, eppure...
Il mistero inizia a chiarirsi, anche se qualche filo rimane ancora intricato.
E così il famoso e temuto Faucon du Nord è Barbossa.
E così il misterioso uomo di cui parlava Marion è Barbossa.
Insomma, Barbossa sembra essere la chiave di tutto, ma ripeto, non tutto il mistero è svelato...
Scrivere questo capitolo è stata una vera sfida, per prima cosa perchè ritengo che Hector sia un personaggio dannatamente pieno di sfumature e quindi complessissimo da trattare, e per seconda cosa perchè sono stata interrotta almeno cento volte durante la stesura... xD
In questo capitolo, quindi, oltre che a scoprire qualcosa in più sulla collana e sul Faucon, abbiamo modo di dare un'occhiata a Barbossa alle prese con una ragazzina.
E Cristal? La sua strana attrazione nei confronti del pirata troverà una spiegazione più avanti, nel frattempo godiamoci la sua espressione spaesata nel non capirci più niente di ciò che le sta succedendo. xD
Personalmente ho adorato la parte in cui lui le rivela della maledizione. Insomma. Immaginatevi un uomo come Barbossa di fronte ad una persona dannatamente trasparente come Cris... <3
Okay. La smetto.

Ps: questi due insieme sono la cosa più bella del mondo. Li adoro e scriverei di loro per sempre.
Regalatemi Barbossa.

E con ciò vi saluto e mi ritiro nel mio anfratto oscuro... xD
A presto! <3

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***








Capitolo Quindicesimo~








La primavera si era fatta strada a spallate attraverso la spessa nebbia invernale, lasciandosi a poppa le coste del Vecchio Continente come un sogno sbiadito nei primi raggi del sole.
Cristal ormai aveva imparato a conoscere la Perla Nera, sgattaiolando fuori dalla cabina del Capitano ogni volta che la ciurma scendeva a terra per un po’. In quegli istanti rarissimi e preziosi si sentiva carica di energie, come un fulmine pronto a schioccare all’improvviso sulla superficie inconsapevole dell’oceano.
Sapeva che era pericoloso, che non avrebbe dovuto, che Hector sarebbe andato su tutte le furie se l’avesse beccata, ma non riusciva a resistere, il richiamo della brezza era troppo forte.
E così, silenziosa come un topo, sgusciava fuori dalla stanza e saliva le scale lentamente, sbirciando a destra e a sinista per assicurarsi che non ci fosse nessuno.
Solo allora si azzardava a procedere e raggiungeva il ponte di coperta; camminava scalza, affinchè i suoi passi non facessero rumore sul legno, e nulla più di quella sensazione riusciva a farla sentire libera.
Lei non era fatta per gli spazi ristretti, e nonostante attendesse con trepidazione le visite di Barbossa e adorasse i momenti trascorsi insieme, la cabina del Capitano era per lei al pari di una gabbia.
Aveva cercato di accontentarsi, di resistere, consapevole che se avesse preso una qualsiasi iniziativa senza la sua protezione con grandi probabilità se la sarebbe vista terribilmente male.
D’altro canto non aveva potuto evitare di stupirsi quando, quasi con noncuranza, il pirata dal grande cappello piumato le aveva fatto trovare sul tavolo una pila di libri un poco sgualciti.
- Al Capitano doveva piacere Shakespeare. Di solito preferisco l’oro, ma sai… - aveva borbottato cercando di celare l’intento di farle un regalo gradito, in lontananza le fiamme che si innalzavano ancora da ciò che rimaneva del malcapitato vascello che era finito sulla loro rotta.
Alla vista di quel dono inaspettato le sue labbra si erano tese in un sorriso spontaneo e grondante gratitudine.
- Oh, guarda! C’è La Tempesta! Che fortuna, è una delle mie preferite!- si era ritrovata ad esclamare con la stessa gioia di un bambino nel giorno del suo compleanno.
Tutta intenta com’era nello sfogliare i volumetti non si era nemmeno accorta del sorriso di soddisfazione sul volto dell’uomo in piedi di fronte a lei. Un sorriso orgoglioso, il sorriso di un padre.
Certo, nonostante gli assurdi tentativi di Barbossa di farla sentire a suo agio anche se chiusa a doppia mandata in quel bizzarro tipo di prigione, nemmeno le meravigliose rime di Shakespeare, che da bambina l’avevano fatta tanto sognare, erano sufficienti a sedare quel desiderio di brivido che la spingeva ad infrangere il tacito accordo e scivolare sul ponte per inspirare l’odore del sale nel vento.
Fu un pomeriggio a Veracruz che, troppo concentrata sull’odore del mare, non sentì i guai avvicinarsi alle sue spalle.
Un vivace chiacchiericcio la fece voltare di scatto, per ritrovarsi a tu per tu con un paio d’occhi e mezzo.
Erano gli strani individui che, settimane prima, si erano presentati in cabina con la sua camicia nuova e la bacinella d’acqua.
Vi fu un lunghissimo momento di silenzio scandito solamente dal gemere sommesso del sartiame, poi il più tozzo fra i due si azzardò ad aprire bocca.
- E tu che ci fai qui? – domandò saggiamente.
Colta dal panico, Cristal sgranò gli occhi ed esibì un sorrisetto teso e imbarazzato.
- Sorveglio il ponte! – spiegò, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.
L’altro, quello con i capelli color paglia sporca, inarcò un sopracciglio e si sfregò l’occhio finto.
- Sorvegli il ponte? – ribatté, poco convinto.
La ragazza annuì con convinzione, mostrando l’intero ponte di coperta con un ampio gesto della mano.
- Così voialtri potete rilassarvi un po’! Quando stai tutto il giorno chiuso in cabina fare due passi sul ponte può essere dannatamente divertente, sì? – continuò, muovendosi lentamente in una direzione imprecisata.
- Stavi cercando di scappare. – replicò il compare grassoccio, le braccia conserte e una certa aria di superiorità.
- Niente affatto! Non penserete che solo perchè sono una donna io non sia degna di fiducia! – esclamò, fingendosi profondamente offesa.
Quell’insinuazione, però, portò con sé una considerazione che la lasciò vagamente turbata.
Il tizio aveva ragione, perché non aveva ancora cercato di scappare? Dopotutto, in momenti come quello, con un po’ di attenzione avrebbe potuto abbandonare la nave e far perdere le sue tracce nella città in cui avevano fatto porto.
Ma la verità era che lei non voleva scappare, non più. Si rendeva conto di quanto la ciurma della Perla fosse ben diversa da quella della Diablo, ma l’idea di lasciare la nave la metteva a disagio.
Aveva pensato a lungo alla faccenda della Maledizione, della collona e del Faucon du Nord, e solo adesso stava incominciando a capire le parole dal retrogusto provvidenzialistico del vecchio Ramirez.
Non poteva essere semplicemente un caso che proprio lei si fosse ritrovata prigioniera di colui che un tempo terrorizzava i sette mari sotto il nome di Faucon du Nord, e che il suddetto avesse deciso di risparmiarla.
No, non avrebbe potuto andarsene finchè non fosse stata capace di risolvere quell’enigma che sembrava riguardarla così da vicino.
Solo a quel punto si accorse che lo smilzo aveva preso ad osservare con insistenza il suo ciondolo e aveva tirato qualche gomitatina furtiva al compagno affinchè guardasse nella stessa direzione.
- Ma quella è… - balbettò, stupito.
Cristal ghignò appena e colse l’occasione al volo.
- Esatto. Apparteneva al Faucon du Nord, prima che la lasciasse in custodia a mia madre. Ora sono io la depositaria della collana, e non so quanto vi convenga torcermi anche solo un capello finchè sono a bordo di questa nave… -
I due si scambiarono un’occhiata fugace per poi esibire due grandi e ossequiosi sorrisi mezzi marci.
- Pintel e Ragetti al vostro servizio, Signora! – cinguettò quello basso, che a questo punto doveva essere Pintel.
La giovane annuì, decisamente soddisfata.
- Chiamatemi solo Cristal, dopotutto si è fra colleghi… - concesse loro con una complice strizzatina d’occhio.
Anche per quella volta l’aveva scampata bella…
Ben poco desiderosa di sfidare ulteriormente la sorte, prese congedo e tornò a passo spedito nella cabina del Capitano: quei due le sembravano, sotto sotto, brave persone, ma nulla poteva assicurarle che il resto della ciurma si sarebbe fatto tanti scrupoli, collana o no.
Quella sera la cena venne consumata in silenzio, Barbossa intento a dare un’occhiata distratta a una pagina della Tempesta che l’ospite aveva segnato con una piccola orecchia nell’angolo superiore.
- E così il ponte ti piace davvero tanto… - esordì il pirata dopo qualche minuto di lettura, gli occhi sempre puntati sul testo.
Cristal sobbalzò, sentendo il sangue affluire velocemente alle orecchie.
- Come? – cercò di bluffare, accarezzando Jack con movimenti meccanici e un po’ troppo freddi.
Barbossa alzò lo sguardo su di lei e scoprì i denti marci.
- Come se non mi fossi mai accorto delle tue passeggiate non autorizzate… - spiegò indulgente.
La ragazza boccheggiò appena, alla ricerca di una scusa qualsiasi, ma ancora una volta l’uomo anticipò le sue mosse.
- Per quale motivo lo hai fatto? – eppure nella sua voce non vi era accusa, ma curiosità.
La figlia del fabbro fece spallucce, ancora in imbarazzo nonostante fosse evidente che non sarebbe stata rimproverata per la sua condotta.
- Mi manca il Mare. – rispose semplicemente.
- E’ davvero tanto tempo che sono chiusa qua dentro, e l’idea di trovarmi a bordo di una nave bella come la Perla senza poter fare niente di pratico… - non concluse, nel timore di poter sembrare indelicata.
Adorava la compagnia di Barbossa, ma quella staticità l’avrebbe fatta impazzire, prima o poi.
Quello chiuse il libro e con cautela lo appoggiò sul tavolo.
- Quindi ti piacerebbe uscire sul ponte… In maniera ufficiale, intendo.- insinuò, la luce nei suoi occhi a smascherare le sue intenzioni.
Cristal drizzò la schiena e gli regalò un sorriso luminoso.
- Dici davvero che si potrebbe fare? Oh, sarebbe meraviglioso! –
Fu decisamente meno meraviglioso quando, la mattina dopo, la giovane si ritrovò fra le mani un vecchio straccio puzzolente e un secchio d’acqua putrida, mentre un energumeno dalla carnagione scura e dalle braccia muscolose, precisamente il primo ufficiale, le indicava il suo posto sul ponte.
- Pulisci laggiù, e vedi di farlo bene, principessa… -
Storse il naso, trattenendo un insulto a quelle parole di scherno, ma si avvide bene dal cacciarsi nei guai.
Sapeva che nessuno le avrebbe torto un capello finchè Barbossa fosse stato nei paraggi, ma su una nave potevano capitare “incidenti” di ogni sorta, e non aveva alcuna intenzione di andare a cercarsi il male come i medici.
- Rimarrete stupito, ve lo assicuro! – replicò con un sorriso accondiscendente, sgusciando verso la murata senza farselo ripetere due volte.
Certo, sulla Perla non si respirava la stessa aria serena che c’era a bordo della Diablo e più di una volta aveva sentito in maniera terribile e pungente la mancanza di Toby, ma anche sulla meravigliosa nave dalle vele nere, dopotutto, non aveva molto di cui lamentarsi, se non l’ostilità del resto della ciurma nei suoi confronti.
Se per Jack e Ramirez la sua persona non aveva generato alcun tipo di problema, fra l’equipaggio di Barbossa riusciva a udire, ogni tanto, la solita vecchia frase smozzicata: “donna a bordo porta male”…
Eppure era riuscita anche a stringere amicizia con qualcuno dei rozzi e terribilmente male assortiti pirati, e proprio come una volta spesso le capitava di trascorrere i turni di riposo seduta su un barile a raccontare vecchie leggende e avventure mozzafiato.
Generalmente inventava di sana pianta, ma sembrava che la sua irriducibile parlantina fosse stata capace di garantirle l’approvazione di una piccola parte dei suoi sventurati compagni di viaggio, specialmente Pintel e Ragetti, che pendevano letteralmente dalle sue labbra.
Per quanto riguardava il Capitano, sul ponte si aggirava un individuo completamente diverso dall’uomo dai modi di seta che Cristal aveva imparato a conoscere.
Implacabile e severo, con una semplice occhiataccia era capace di riportare il silenzio nel bel mezzo di una mischia, e raramente doveva alzare la voce. Anche in quel caso, comunque, la ciurma si zittiva senza più osare replicare.
Spesso, nonostante tutto, le permetteva di raggiungerlo al timone, dove discutevano di mille e mille argomenti.
Fu un giorno di Giugno che l’atmosfera di precario equilibrio che era riuscita a costruirsi a bordo della Perla Nera crollò all’improvviso, annunciando con la spessa coltre della pioggia un nero destino.
Avevano abbandonato ormai da diverso tempo le coste dell’Europa, alla ricerca dei medaglioni rimasti.
La loro caccia al tesoro li aveva condotti fino a Hispaniola, ed era proprio a poche miglia dalla costa che, un pomeriggio ventoso, avevano finalmente avvistato il mercantile che stavano cercando.
Agile e veloce, la Perla l’aveva raggiunto in poco tempo, mentre le nuvole si addensavano e gonfiavano il cielo di pioggia.
Quando il primo cannone fece sentire il suo boato, il nubifragio si scaricò sui due vascelli senza pietà.
Come ogni volta, improvvisamente fu il caos.
L’esito della battaglia era scontato, ma era comunque divertente vedere gli sguardi di terrore degli incauti marinai nel rendersi conto che i loro nemici non potevano morire.
Cristal, dal canto suo, non poteva certo rimanersene con le mani in mano a sbeffeggiare gli avversari: nessuna maledizione avrebbe potuto proteggerla, e doveva badare a se stessa molto più degli altri.
Caricata dal vento e dalla pioggia, roteava sul ponte menando fendenti mortali a destra e a sinistra, come se non avesse aspettato altro per mesi.
Perché davvero non aveva aspettato altro per mesi.
Come da routine, un gruppo di pirati si era intrufolato sul mercantile alla ricerca del bottino, e fu Ragetti a riemergere per primo, qualcosa di piccolo e lucente stretto fra le mani.
- Capitano! Abbiamo fatto! – gridò agitando la mano che impugnava la spada, mentre la Perla già sfuggiva veloce fra i flutti lasciando indietro il goffo e pesante mercantile.
- Capitano! – gli fece eco Pintel, ma nel caos della battaglia l’uomo non sembrava averli uditi.
Cristal si liberò di uno dei nemici e si voltò verso di lui.
- Barbossa, abbiamo…! – ma la voce le morì in gola, e il corpo reagì più in fretta del buon senso.
Si gettò in avanti e assestò una poderosa spallata al Capitano che, impreparato, barcollò in avanti.
Per un momento le parve che non fosse successo nulla, poi un terribile bruciore si espanse dal braccio destro fino al cuore, mentre le labbra sfioravano le assi bagnate del ponte.
- Cristal! – udì il suo nome gridato al di sopra dei tuoni, poi un colpo di pistola.
Si voltò trattenendo un gemito di dolore, per incontrare gli occhi sgranati del Capitano.
- Volevi farti ammazzare? – le gridò fuori di sé, mentre il mercantile, sempre più lontano, confondeva i suoi contorni nella pioggia.
- Stavano per spararti! – replicò indignata dalla necessità di dover spiegare l’evidenza, mentre la mano sinistra andava a posarsi sulla ferita grondante di sangue.
Intorno a loro il resto della ciurma si occupava dei nemici intrappolati a bordo, i fulmini ad illuminare il sangue che schizzava sul ponte, mentre il primo ufficiale si avvicinava a grandi falcate.
Barbossa aggrottò le sopracciglia, le pupille come due spilli nei suoi occhi d’oceano.
- Stupida! – esclamò.
La figlia del fabbro serrò le labbra, mentre lacrime indesiderate di dolore e di risentimento le facevano capolino fra le ciglia.
Improvvisamente il cielo si tinse di rosso, mentre il boato dell’esplosione faceva vibrare i fondali dei Caraibi.
- Io non posso morire… -
Fu poco più di un sussurro, e di nuovo Hector Barbossa tornò ad essere un uomo stanco e consumato, le ossa nude spazzate da un’amara consapevolezza come l’onda selvaggia spazza la costa.
Poi, come era arrivata, quella malinconia densa e graffiante svanì dalle sue iridi e la voce tornò tonante e decisa.
- Mastro Ragetti! Il medaglione! –
Il miserabile gli si avvicinò titubante, per poi porgergli il prezioso bottino.
Il pirata se lo rigirò fra le dita un paio di volte, poi un sorriso trionfante gli solcò le labbra come una cicatrice.
- Signori, la Speranza si avvicina! – esordì voltando le spalle a Cristal, che silenziosa e confusa continuava a lanciare occhiate preoccupate alla sua ferita.
- Recuperato anche l’ottocentottantesimo pezzo del tesoro, solamente due di questi infami medaglioni si frappongono fra noi e la nostra Libertà! –
Scomposte urla di giubilo si alzarono sotto la pioggia sferzante, mentre Jack la scimmia appariva dal nulla e balzava sulla spalla del suo padrone.
Solo il primo ufficiale non sembrava soddisfatto, sul volto nero come la notte uno sguardo torvo e malvagio.
Il discorso tuttavia proseguì senza curarsi di lui.
- Anni sono trascorsi da quando la sorte ci punì per un crimine mai commesso, abbiamo visto in faccia il diavolo in persona e siamo stati tenaci! Ancora uno sforzo e il torto sarà ripagato, ancora uno sforzo e nessuno potrà dire che Hector Barbossa non vi abbia ricondotti alla vostra Giustizia fino all’ultimo! – ancora esclamazioni, ancora approvazione, quel discorso era stato capace di infiammare quel poco che restava delle loro anime sferzate dall’odio e dal rancore.
- Ora tornate ai vostri compiti, schifosi topi di sentina! – sbraitò improvvisamente, mentre gli uomini si precipitavano alle loro postazioni in un formicolio di insulti e imprecazioni.
- E voi due, portate di sotto quest’incosciente. – sibilò poi, con un cenno della testa a Pintel e Ragetti.
Non degnò Cristal nemmeno di uno sguardo, ma la ragazza, camminando incerta verso la cabina, non poté impedirsi di notare l’occhiata cupa e torbida che si scambiarono Barbossa e il suo primo ufficiale.
- Non è stata una mossa tanto saggia, no, affatto… - commentò Ragetti, osservando la ferita sul braccio della giovane.
Per fortuna era superficiale, il proiettile l’aveva colpita solamente di striscio e c’era più sangue che danno effettivo.
- Lo so, ho agito d’impulso, avrei dovuto pensare che voi non potete… - ma l’occhiataccia di Pintel la mise a tacere.
- Non è di quello che si sta parlando. Davvero non te ne sei accorta, principessa? – fece, porgendo al compagno una vecchia benda pulita emersa da chissà dove.
La bionda inclinò la testa di lato, non riuscendo a trattenere un piccolo gridolino quando la stoffa grezza andò a sfregare contro la carne viva.
- La ciurma non è tanto contenta della tua presenza qui… - spiegò quindi Ragetti, cercando di completare la fasciatura il più delicatamente possibile.
A volte Cristal si chiedeva come un individuo così gentile avesse potuto finire in quella ciurma di dannati: lui e il suo compare avrebbero fatto decisamente più bella figura in quel serraglio di disgraziati che era la Diablo
- E’ che insomma… Non si può dire che il Capitano non ti tratti con un occhio di riguardo… - aggiunse, incassando appena la testa fra le spalle quasi avesse temuto una qualche reazione.
- State dicendo che c’è chi si lamenta di Barbossa? – domandò, un brivido a correrle su per la schiena.
La Perla Nera aveva già visto un ammutinamento, e lei non era certo nella posizione migliore per assistere al secondo.
Pintel fece spallucce e diede un colpetto sul braccio al collega.
- E chi ha detto niente? – fischiettò, allontanandosi con calma.
- Buon riposo, principessa. Recupera le forze! –
La ragazza rimase seduta in fondo alle scale, le gocce di pioggia che le picchiettavano sui capelli senza ritegno, poi si alzò e con un po’ di fatica raggiunse la cabina del capitano, andando ad arrampicarsi sul vecchio mobile a cassettoni con qualche sbuffo di dolore.
Quando tornò Barbossa, qualche ora dopo, la fanciulla si era addormentata.
L’uomo trasse un profondo sospiro e chiuse la porta senza fare rumore; si avvicinò al mobile, ma non osò svegliarla, anzi, rimase in piedi ad osservare il suo viso pallido e spruzzato di lentiggini.
Le sopracciglia sottili erano aggrottate in un’espressione vagamente corrucciata e le labbra appena dischiuse.
Uno strano calore si impadronì del suo cuore nero, asciugando tutti quegli anni di desolazione e odio che lo avevano reso incapace di essere ancora umano, ed Hector Barbossa si ricordò improvvisamente di essere stato un ragazzo, molti anni prima, di aver compiuto lo stesso gesto sconsiderato di quella piccola scellerata e di averci quasi rimesso un occhio.
Sovrappensiero, portò una mano alla guancia destra, dove la cicatrice sottile ancora marcava il territorio di ricordi remoti.
- Barbossa… -
Il flebile richiamo della prigioniera lo fece sobbalzare, non si era accorto che si fosse svegliata.
Posò lo sguardo sulla fasciatura arrangiata in maniera pessima e alzò gli occhi al cielo, facendole segno di sedersi dritta e di porgergli il braccio.
Quella fece come ordinato, gli occhi bassi e le labbra serrate, mentre le spalle si alzavano e si abbassavano aritmicamente: qualcosa la rendeva agitata.
Il Capitano non disse nulla, sapeva cosa si celava dietro quei piccoli gesti, perciò si limitò a sistemarle la fasciatura pulendola da tutto il sangue già raggrumato.
- Barbossa, io non posso più restare. – fece infatti lei dopo qualche secondo di religioso silenzio.
Quello tacque, per poi annuire piano.
- Lo so. – disse semplicemente.
- Sono stata così stupida, non mi ero accorta della ciurma…. Se solo fossi stata meno impulsiva… - blaterò, cercando di trattenere la disperazione che quella verità portava con sé.
Barbossa rise, una delle sue risate basse e divertite, poi indicò la sua cicatrice.
- Siamo tutti impulsivi, da giovani… - sentenziò dirigendosi verso il grosso tavolo, dove prese posto.
- Avevo ventitré anni e una persona cara da proteggere. Pensare è stata l’ultima cosa che mi sia passata per la testa. Ma in tutta onestà lo rifarei senza pensarci due volte… - sussurrò, rivolto più a se stesso che alla ragazza.
Quella scese dal mobile e andò a sedersi di fronte a lui.
Faticava a immaginere un Hector Barbossa della sua età, ma non aveva invece alcuna difficoltà nel figurarselo in un gesto simile.
Non era un uomo affettuoso, affatto, ma in quell’anno scarso di prigionia sulla sua nave si era sentita a casa, protetta, al sicuro.
Ed era stata proprio quella certezza di sicurezza a distruggere tutto.
Ingenua come sempre, aveva creduto che la protezione del Faucon du Nord sarebbe bastata a tenerla lontana dai guai, e non aveva minimamente preso in considerazione che il Faucon stesso avesse una reputazione da mantenere.
Non solo si era messa in pericolo con la sua scarsa accortezza, ma aveva messo in pericolo anche Barbossa.
Non che potesse morire, certamente, ma non osava nemmeno pensare quali assurdi tipi di torture avrebbero potuto escogitare i suoi nemici.
Fu una nuova considerazione di Barbossa a riportarla alla realtà.
- Devi prepararti a partire. Non potrà sembrare architettato. Anzi, sarà molto meglio se passerai per morta. – spiegò mentre Jack si dondolava dal suo trespolo.
Cristal annuì.
- Il momento migliore sarebbe durante un arrembaggio. Potrei sgattaiolare sull’altra nave e rubare una scialuppa. Nessuno se ne accorgerebbe! E se lasciassi le mie cose qui  a bordo crederebbero tutti che io sia semplicemente caduta in acqua o rimasta dall’altra parte. – propose.
- Ci porteremo più vicini alla costa. In questa zona c’è pieno di cale deserte dove si può approdare facilmente. – aggiunse lui, indicando un punto sulla carta spiegata sul tavolo.
Seguì un lungo momento di silenzio denso e pesante, pregno di mille domande inespresse, di mille desideri irrealizzabili.
Fu il pirata a prendere la parola per primo, nella sua voce seria e ferma l’ombra di un rimpianto, forse quasi senso di colpa.
- Cristal, ritengo che tua madre non ti abbia raccontato tutta la verità.– esordì.
La fanciulla trattenne il respiro, che volesse forse confessare la sua vera identità?
Ma ciò che udì la lasciò senza terreno sotto i piedi, vittima di un naufragio interiore che per un momento le fece mancare l’aria.
- Quella che porti al collo non è una semplice collana, così come il Faucon du Nord non era un pirata qualsiasi. Immagino tu abbia sentito parlare della Fratellanza di Shipwreck Cove… -
- Certamente… - esalò.
La Fratellanza, il Consiglio formato dai più grandi pirati in circolazione che si riunivano alla famosa e quasi leggendaria Baia dei Relitti. Cosa c’entrava tutto quello con la sua collana e con Barbossa?
- Al Consiglio possono accedere solamente i cosiddetti Pirati Nobili, distintisi per coraggio ed imprese e padroni –i più solo formalmente- di uno dei Grandi Mari. Quando un pirata raggiunge fama e notorietà particolari, può succedere che gli sia conferita la carica di Pirata Nobile e che gli venga attribuito un Mare. E’ ciò che è successo al Faucon du Nord, più di vent’anni fa. – raccontò Barbossa.
- Quindi il Faucon è un Pirata Nobile! –
- Regna sul Mare del Nord, e quella collana è il suo Pezzo da Otto, il simbolo del suo potere. E’ in realtà il Pezzo da Otto ad essere legato al titolo: chi ne entrasse in possesso potrebbe tranquillamente soppiantare il suo predecessore e impadronirsi del suo posto all’interno del consiglio. – aggiunse.
- E’ per questo che i Filippini volevano la collana! – si lasciò sfuggire Cristal, prima che un’altra consapevolezza le si parasse di fronte al cuore.
- Un momento. Ma questo significa che… Che io sono il nuovo Pirata Nobile del Mare del Nord?! – esclamò, sconvolta.
Non aveva senso! Perché Barbossa non si era riappropriato del suo titolo recuperando la collana che gli apparteneva di diritto?
Quello scosse il capo e poggiò i gomiti sul tavolo.
- E’ necessario essere Capitano per ricoprire la carica. Ma devo metterti in guardia: sono anni che il Faucon non si fa vedere a Shipwreck Cove. Credevamo tutti che fosse morto senza riuscire a tramandare il suo Pezzo da Otto e ora sei apparsa tu, ignara di tutta la faccenda. –
Quelle parole risuonarono nella coscienza della bionda come uno schiaffo sul viso.
Aveva sbagliato.
Il Faucon du Nord non era Barbossa.
Aveva sbagliato.
Quindi non era lui l’uomo che aveva incontrato sua madre. Quindi in tutti quei mesi era stata protetta semplicemente dalla fortuna.
Improvvisamente le tornò in mente, rapido come uno sparo, ciò che Bleizenn le aveva detto tanti anni prima nella vecchia bettola di Brest.
“Non è buona cosa parlare di ciò che non si conosce affatto”.
Aveva sfidato la sorte, e quasi il Mare avesse voluto proteggerla, tutto era sempre filato liscio.
Ma adesso? Se i membri dell’equipaggio avessero capito? Dopotutto Pintel e Ragetti sapevano dell’esistenza della collana e se, come aveva appena scoperto, Barbossa e il Faucon du Nord non c’entravano nulla l’uno con l’altro, niente avrebbe potuto proteggerla.
Notando che la giovane non accennava a ribattere, Barbossa andò avanti con il suo monologo.
- Ho conosciuto il Faucon du Nord prima che diventasse un Pirata Nobile. Diversamente da me, la sua ascesa è stata molto più spettacolare. Un pirata eccezionale, degno della più grande ammirazione, ma proprio per questo odiato e invidiato da molti. Avete moltissimo in comune, tu e il Faucon. Sei la migliore erede che potesse sperare di avere, e proprio per questo la strada di fronte a te non è semplice; devi stare all’erta. –
Ma quella non badò molto al suo consiglio, l’attenzione concentrata su un'altra parte del discorso.
- Vuoi dire che anche tu sei un Pirata Nobile?! – esclamò, gli occhi sgranati di stupore.
Il Capitano si alzò in piedi, un sorrisetto compiaciuto a increspargli le labbra.
- Siamo molto simili, Cristal Cooper. In entrambi vi è decisamente più di quanto non si veda alla vista… - e con quella frase enigmatica alzò il braccio destro in attesa che la scimmietta vi si abbarbicasse, prima di uscire dalla cabina e lasciare la prigioniera sola, un vento di tempesta a spazzarle i pensieri.
 
 




 
 
I giorni trascorsero lenti e carichi d’angoscia.
Nonostante il cielo fosse tornato limpido e terso e il vento in poppa facesse filare la Perla senza problemi, Cristal non riusciva a gioirne.
Da quella sera in cui tutte le sue certezze erano crollate, non era stata capace di impedirsi di pensare al momento della partenza, che sentiva avvicinarsi con sempre maggiore velocità.
Ossessionata da quella prospettiva, cercava di imprimersi nella memoria ogni piccolo particolare, anche i gesti più insignificanti del suo Capitano, i più trascurabili sorrisi, i momenti passati in silenzio in cabina, mentre Jack saltellava qua e là ignaro del più prossimo avvenire.
La verità era che non voleva andarsene.
Un anno prima si sarebbe odiata per una simile considerazione, ma adesso non poteva più mentire a se stessa.
Voleva bene a Barbossa, nel senso più stretto del termine.
Dal più profondo del suo cuore, sperava tutto potesse essere semplice nella sua vita, che ogni cosa potesse essere giusta e che nessun male potesse più raggiungerlo.
Era consapevole di avere a che fare con un uomo senza scrupoli, un assassino, un pirata, ma ormai lei stessa era una di loro, e si era resa conto già da tempo di quanto l’affetto fosse un sentimento imprevedibile e incondizionato.
Sarebbe stato immensamente più semplice se l’uomo l’avesse trattata male, dando segno di odiarla dal profondo delle viscere, o ancora meglio, se avesse provato indifferenza nei suoi confronti, ma nulla di ciò era mai successo.
Quasi dal primo istante il pirata aveva mostrato per lei una premura completamente fuori luogo, quasi i due fossero stati uniti da un legame molto più antico, quasi fosse stata la mano stessa del Destino a volerli unire in quelle circostanze così surreali.
Perché, e di questo ne era più che certa, il loro incontro non era stato casuale.
Non poteva essere stato casuale.
Accadde quattro giorni dopo il ritrovamento del terzultimo medaglione.
Poco dopo mezzogiorno la vedetta individuò una piccola fregata a dritta. Avrebbero potuto ignorarla e proseguire per conto loro, ma l’idea di un arrembaggio allettava tutti quanti. Dopotutto era da molto che non scendevano a terra, ed ogni scusa era buona per distrarsi dalla monotonia della vita di bordo.
Cristal e Barbossa si scambiarono un lungo sguardo silenzioso, il blu a riversarsi nel grigio come il mare si rovescia in un cielo di tempesta, poi l’erede del Faucon si diresse sottocoperta, alla volta della cabina.
Raccolse una carta spiegazzata dei Caraibi e raccattò una manciata di mele e una bottiglia di rum –acqua non ce n’era-, infine controllò di avere la sua vecchia bussola ancora appesa alla cintura e, prima di tornare sul ponte, ficcò tutto in una logora sacca di cuoio che nascose in un barile di mele mezzo vuoto poco distante dalla balaustra di tribordo.
I minuti gocciolavano densi come i grani di sabbia dentro una clessidra, lenti ma inesorabili.
Per non destare sospetti, abbandonò la sua postazione al timone vicino a Barbossa e si intrattenne a chiacchierare con Pintel e Ragetti, gli unici due che potesse definire davvero amici fra quella manica di manigoldi.
Le sarebbero mancati anche loro, dopotutto…
Il sole scese lento sulla linea dell’orizzonte, tingendo la costa poco distante di rosa e di giallo.
Ogni cosa era statica, persino i gabbiani, mentre la Perla Nera fendeva le acque andando incontro alla sua preda.
Raggiunsero la fregata poche ore prima che il sole si tuffasse fra i flutti e ognuno si precipitò a lucidare le armi e a caricare le pistole; nell’aria risuonavano grida eccitate e qualche vecchia canzone da osteria sentita talmente tante volte da non far nemmeno più ridere.
Cristal aveva la nausea, ogni cosa si srotolava davanti a lei come una pergamena consunta e già vista, nulla di nuovo, nulla di buono.
La lentezza esasperante delle operazioni di abbordaggio le faceva prudere le mani, ma doveva starsene ferma e paziente, o tutto sarebbe stato inutile.
Il primo colpo di pistola giunse dalla murata nemica, poi, come sempre, vi fu solamente una gran mescolanza di facce, di voci e di colori nella quale la ragazza si ritrovò a combattere senza intenzione, evitando i colpi avversari e facendosi strada verso la libertà con riluttanza.
Raggiunta la murata, un proiettile le fischiò vicino all’orecchio giusto in tempo per evitare che un marinaio le piantasse la sua sciabola nella schiena.
- E’ il momento, vattene! – le sibilò il suo salvatore, consapevole che nella mischia nessuno avrebbe badato a loro.
Lei si guardò intorno e trasse un profondo sospiro.
Raccolse la sua sacca fastidiosamente leggera e piantò per l’ultima volta i suoi occhi in quelli di Barbossa, due orizzonti in cerca di riscatto.
- Grazie… - sussurrò.
Non si voltò indietro. Afferrò una corda e, al momento migliore, raggiunse il ponte della nave che li avrebbe condotti entrambi alla salvezza.
Qualcuno la attaccò, ma riuscì a difendersi anche con una mano impegnata dalla sacca: nessuno dei suoi avrebbe potuto intuire le sue mosse, tutti avrebbero creduto che fosse lì solamente per razziare, come facevano sempre.
Si accucciò e, non vista, approfittò del fumo e delle ombre ormai lunghe per portarsi dall’altro lato della nave.
Calare la scialuppa da sola fu più difficile del previsto, considerando che il braccio destro le doleva ancora dall’arrembaggio precedente.
Doveva essere più veloce.
E se l’avessero vista? Se se ne fossero accorti? Se qualcuno avesse anche solo per un momento levato lo sguardo dove non avrebbe dovuto?
Ma anche il legno incrostato raggiunse la superficie dell’acqua e i rumori violenti della battaglia divennero un gorgoglio lontano, sciabordio di onde, stridio di gabbiani.
Le mani che ancora le tremavano, prese a remare verso la costa, cercando di non pensare alla ferita che bruciava più di centinaia di spilli, cercando di non pensare a cosa stava abbandonando, cercando di non pensare a niente.
Se avesse tenuto duro tutta la notte, al sorgere del sole avrebbe potuto sentire il tocco sottile della sabbia sotto i piedi, e finalmente avrebbe potuto lasciarsi tutto alle spalle.
Ore dopo, mentre la luna brillava nel cielo come un diamante sporcato dalle nuvole in rapido passaggio, il Capitano della Perla Nera lasciava i suoi uomini a spartirsi il bottino, diretto ai suoi alloggi.
Entrò in cabina ad occhi bassi e lasciò che Jack scorrazzasse e saltellasse qua e là, troppo stanco per badare a lui.
Fu un dettaglio insignificante ad attirare la sua attenzione.
Sul tavolo, accanto a un torsolo di mela, se ne stava aperto uno dei libri della figlia di Marion Hawke.
Incuriosito, lo raccolse e sbirciò velocemente il titolo. Fu un caso, lo sguardo gli cadde su un gruppo di parole vergate con inchiostro scuro e un poco grattato dal tempo, una battuta qualsiasi della tragedia di Shakespeare che la sua ospite aveva riletto per l’ennesima volta.
- Questa creatura delle tenebre, la riconosco mia. – sussurrò a fior di labbra.
Un sorriso grondante dolore gli solcò il viso come acido, mentre il vetro incrostato di sale rifletteva la sua immagine spettrale.
- Forse avrei dovuto dirglielo… - sussurrò alla luna chiudendo piano il volume e abbandonandolo sul vecchio mobile a cassettoni, ora vuoto e freddo come il letto di una sposa abbandonata all’altare.
Adesso, il cuore gonfio di rimpianti, Hector Barbossa si rendeva conto dell’entità della sua perdita.
Cristal Cooper, ignara dell’ultimo segreto, se n’era andata convinta di sapere.
Tutto ciò che aveva con sé, invece, era solamente un’altra mezza verità.





















 

Note:

Speravati di esservi liberati di me, eh? E invece no, eccomi qui ad assillarvi ancora!
No, seriamente.
Chiedo scusa a tutti i lettori per la lunga assenza, ma fra le vacanze, l'Università e il computer da rottamare non ho avuto davvero un secondo per scrivere e pubblicare... T.T
Insomma, ecco, se vorrete sottopormi al gatto a nove code affronterò il mio destino senza lamentarmi, mettiamola così! xD
Per quanto riguarda il capitolo, sono più o meno tre giorni che continuo a rileggerlo, aggiustarlo, cambiarlo, riarrangiarlo e chi più ne ha più ne metta.
La verità è che ho fatto davvero fatica a gestirlo, perchè qui abbiamo un Barbossa completamente diverso dal solito, e spero vivamente di non averlo mandato out of character.
Per quanto riguarda Cristal, invece, la nostra bimbetta idealista è diventata una ventenne dalle dubbie frequentazioni... Non vi dico che malinconia a ripensarla bambina sulla nave per Port Royal, quando era ancora tutto quanto un gioco...
Ma il tempo dei giochi è finito da un pezzo, e il mistero si infittisce.
Barbossa doveva essere il Faucon du Nord, e invece non lo è più.
Cosa vuol dire? Ha mentito? Riusciremo mai a venire a capo di questa matassa o Cristal invecchierà senza sapere a chi diamine appartenesse in origine la collana?
Nel frattempo abbiamo scoperto qualcosa di nuovo: Barbossa è un Pirata Nobile, e lasciarsi prendere dai sentimenti non è mai consigliabile quando si ha a che fare con una ciurma di rognosi -e gelosi- scheletri ambulanti.
Siamo a meno due medaglioni, e se per Hector e i suoi questa è un'ottima notizia... beh, noi sappiamo come andrà a finire...
Ma non dico altro, o veramente spoilero tutta la storia! xD
Spero di sbrigarmi a scrivere il prossimo capitolo, ma visto che si tratta di uno snodo delicato della storia non assicuro niente...
In ogni caso ringrazio come sempre chi legge/recensisce/segue/preferisce/blablabla... vi voglio un bene che non potete nemmeno immaginare! <3
Alla prossima! ~

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***







Capitolo Sedicesimo~






Qualcosa era andato storto.
Molto storto.
Stando ai suoi calcoli, remando costantemente verso Nord-Ovest avrebbe dovuto raggiungere la costa in mattinata, ma quando il sole si era levato sull’orizzonte e i suoi occhi chiari si erano abituati alla luce, della terraferma non vi era alcuna traccia.
Con orrore si rese conto che, complici le correnti, la ferita al braccio l’aveva costretta a remare con meno vigore dal lato destro, con il drammatico risultato di non riuscire a mantenere la rotta prefissa.
In poche parole, aveva remato per ore nella direzione sbagliata, allontanandosi ancora di più dalla costa.
Trasse un profondo sospiro e chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi.
Non tutto era perduto, doveva solamente elaborare un piano per tirarsi fuori dai guai.
Ma come avrebbe potuto mai fare, dal momento in cui non aveva nemmeno la più pallida idea di dove si trovasse?
- Coraggio Cris, sei stata in situazioni ben peggiori… - mentì nel tentativo di non scoppiare a piangere.
Ma a mano a mano che il sole saliva verso lo zenit era sempre più evidente quanto la giovane fosse condannata ad andare alla deriva finchè la morte non fosse sopraggiunta.
Davvero sarebbe finita così? Con tutto quello che aveva affrontato si sarebbe fatta sconfiggere da una tale ingenuità? Ah, quanta inesperienza aveva ancora!
E non aveva con sé neanche un po’ d’acqua, solo quello schifosissimo rum!
In preda al panico si lasciò cadere sulla panca e portò il braccio sinistro, quello sano, a pararle il sole davanti agli occhi.
Prese la sua collana fra le mani e cercò di pensare a qualcosa di sensato, ma sembrava che nulla potesse distogliere i suoi pensieri dall’immagine agghiacciante della morte.
- Se davvero esiste qualche divinità degli oceani, adesso sarebbe proprio il momento di darmi una mano… - borbottò, ritornando con la mente alla vecchia bettola di Bleizenn.
Se fosse uscita viva da quel macello sarebbe andata a Brest a porgere omaggio ad Ahès, qualunque cosa pur di fuggire al martellare del sole sulla sua testa!
Fu proprio a quel punto che un’immagine sfocata a babordo attirò la sua attenzione.
Non aveva un cannocchiale, perciò si limitò a strizzare gli occhi e farsi schermo con una mano, la macchia bianca che pian piano si faceva più definita.
Era una nave.
A velocità costante, il vento in poppa e le vele spiegate, si stava avvicinando una nave.
Balzò in piedi con una tale energia che quasi cadde dalla barcaccia, mentre una nuova speranza le nasceva nel cuore.
- Non posso essere così sfacciatamente fortunata… - ridacchiò fra sé e sé, euforica.
Si fece forza e prese a remare in direzione del vascello, e fu solo dopo diverse ore che raggiunse una distanza accettabile.
Ragionò in fretta. Doveva inventarsi qualcosa, oppure sarebbe stato semplice accostare la sua figura insanguinata alla nobile arte della pirateria, e la Union Jack che sventolava in cima al pennone non faceva presagire un trattamento cordiale nei confronti di tali individui.
Un rapimento? Sì, poteva essere. Come giustificare i suoi abiti maschili?
Beh, in realtà erano solamente i pantaloni a stonare, la camicia e il corsetto rosso mattone che le aveva regalato Barbossa erano capi decisamente femminili…
Un ghigno le lampeggiò sulle labbra quando un urlo dalla murata del grande vascello la informò del suo imminente salvataggio.
Pareva essere un mercantile, se il Capitano avesse abboccato alla sua storiella sarebbe stata salva!
Con un po’ di rammarico gettò in mare le armi e si strappò di dosso la benda che le fasciava il braccio. Tutto doveva sembrare credibile, altrimenti si sarebbe consegnata da sola al patibolo…
- Aiuto! Aiutatemi, vi prego! – gridò, agitando il braccio sano per farsi individuare.
In men che non si dica fu issata a bordo da alcuni giovanotti abbronzati che le rivolsero qualche occhiata stupita e, rapido come una folata di vento, il Capitano fu di fronte a lei.
Si trattava di un uomo sulla quarantina piuttosto alto, i capelli biondo paglia legati in un codino austero e gli occhi verdi luccicanti di un sentimento irriconoscibile.
Bastò uno sguardo, e Cristal decise che quell’uomo non le piaceva.
- Capitano Wilkinson, l’abbiamo ripescata alla deriva su una barcaccia, Signore!– lo informò uno dei giovani che l’avevano aiutata a salire a bordo.
Quello, gli occhi ridotti a due fessure, la squadrò dall’alto in basso.
Le iridi verdi si soffermarono sui pantaloni sporchi di sangue, per poi posarsi sulla collana della fanciulla.
- Capitano, Dio vi benedica! Credevo che sarei morta! Ah, Signore misericordioso! – esclamò quella: la farsa era appena incominciata.
L’uomo rispose bruscamente, per nulla mosso a compassione da quelle esclamazioni devote.
- Suvvia, Signorina, non agitatevi. Che cosa vi è successo? –
Facendo bene attenzione a a simulare un grande spavento, Cristal prese a raccontare.
- Stavo raggiungendo mio zio a Port Royal, quando la nostra nave è stata attaccata… Oh, Maria Vergine, è stato terribile! Hanno ucciso tutti quanti! C’era tanto sangue, Capitano, così tanto sangue! – concluse coprendosi il viso con le mani.
Wilkinson fece un passo avanti e le posò una mano su una spalla in un contatto freddo e per niente spontaneo.
- Signorina, fatevi coraggio… - borbottò, mentre gli altri marinai si erano velocemente raccolti attorno a loro, avidi di notizie.
- Mi hanno presa prigioniera, Dio solo sa cosa mi avrebbero fatto se non fossi riuscita a scappare! Credevo che sarei morta in mare… - continuò, ormai calata alla perfezione nella parte al punto da avere gli occhi umidi di lacrime.
Il Capitano lanciò un’occhiata tagliente alla ciurma, che si dileguò in un baleno, e prese la giovane per un braccio con delicatezza, sospingendola piano in direzione della sua cabina.
- Non preoccupatevi, siete al sicuro. Nessuno vi farà del male a bordo della Liberty Breeze… - spiegò, mentre la faceva sedere e le portava un bicchiere di liquido ambrato che si rivelò essere brandy.
Cristal tossicchiò, ma cercò tuttavia di fingersi grata.
- Vi ringrazio, Capitano… - sussurrò, gli occhi bassi nel timore di sembrare troppo sfacciata.
- E così siete scappata… - considerò invece quello.
La bionda annuì timidamente.
- Il Capitano mi teneva segregata nella sua cabina. Proprio il giorno dopo lo scontro, tuttavia, i pirati furono attaccati da altri della loro specie… Ne approfittai per travestirmi da uomo e scappare nel bel mezzo della battaglia. Quanta paura, Capitano! E che vergona trovarmi ora in queste condizioni disdicevoli… - sussurrò.
Finalmente Wilkinson parve cedere alla sua menzogna, sedendosi di fronte a lei e considerando il da farsi.
Rimase in silenzio a lungo, poi si decise a riprendere la parola.
- Siete stata molto fortunata, senza dubbio. La Liberty dovrebbe fare rientro in Inghilterra, ma non credo che una piccola deviazione di rotta possa comportare un gran prolema. Vi faremo sbarcare nel primo porto amico, di modo che possiate prendere un’altra nave diretta a Port Royal. Temo che a bordo non ci siano abiti consoni alla vostra natura, tuttavia se vorrete potrò offrirvi un ricambio pulito di pantaloni… -
E fu così che, ancora una volta, Cristal Cooper riuscì a cavarsela grazie alla sua parlantina sciolta e ad un’innaturale fortuna.
Il Capitano la lasciò sola per il resto del pomeriggio, con la scusa che dopo un tale spavento avrebbe senz’altro avuto bisogno di riposarsi, e la giovane ne approfittò per studiare meglio la nave su cui era capitata.
La cabina del Capitano era di medie dimensioni, più ampia di quella di Ramirez, ma più piccola di quella di Barbossa. Era arredata in modo semplice e tuttavia ricerato, e Cristal intuì che quel Wilkinson non doveva essere un qualsiasi Capitano di mercantile.
La sua giacca blu era troppo curata, la cabina troppo pulita perché si trattasse di un individuo comune.
Fu allora che lo notò: sul tavolo, tenuto immobile da un fermacarte, se ne stava un foglio appena ingiallito che recava, impresso in inchiostro scuro, un marchio terribile.
- La Compagnia delle Indie… - sussurrò, proseguendo con la lettura.
Con un sussulto comprese quale fosse la vera natura dei commerci della Liberty Breeze e strinse i pugni di fronte all’ipocrisia di quel nome così delicato.
Uomini.
Il Capitano Wilkinson era un trafficante di uomini.
Era a conoscenza del commercio triangolare fra la vecchia Inghilterra, l’Africa e il Nuovo Mondo, il vecchio Abraham gliene aveva parlato spesso, a Port Royal, e Cristal aveva sempre trovato aberrante quella pratica.
Adesso il ventre della nave era carico d’oro, scambiato con le vite di uomini e donne che avrebbero dimenticato persino il loro nome, strappati alla loro terra in cambio di stracci e perline di vetro.
Strinse i denti e indossò gli abiti che il Capitano le aveva fatto portare, poi si pulì il viso e uscì sul ponte, ben decisa a trattare il più in fretta possibile il suo rilascio sulla terraferma.
Stava per imboccare la scala per il ponte di coperta, quanto dei bisbiglii catturarono la sua attenzione.
Si acquattò nel buio, mentre le voci si facevano via via più chiare e comprensibili.
- Non possiamo andare avanti così, è una follia! – sibilò qualcuno.
- Che cosa intendi fare? Sai benissimo che Wilkinson è inflessibile, non si può trattare con lui! – replicò qualcun altro.
Una nuova voce si fece sentire fra i sussurri.
- Qualcosa bisognerà pur decidere. Non mi sono imbarcato per trasportare negri pieni di pulci e non ricevere nemmeno mezzo scellino di ricompensa! –
Cristal trattenne il fiato quando i tre marinai passarono accanto al suo nascondiglio, ma prima che potessero scoprirla un forte schianto proveniente dal ponte li fece accorrere senza pensarci due volte.
- Se è di nuovo Martin, Wilkinson lo uccide! – gridò uno dei tre prima di sparire nella luce.
Cristal si morse un labbro e sospirò, per poi seguire i marinai sul ponte e sbircare quanto accaduto.
Il sole era ormai quasi calato del tutto sull’orizzonte, e i raggi illuminavano di sangue il ponte sul quale stava per consumarsi la tragedia.
Una fune doveva essersi spezzata per la troppa tensione, facendo precipitare i bozzelli sul ponte. Quelli erano piombati su una cassa, sfondandola e rovinando il materiale all’interno.
Il Capitano Wilkinson apparve dal nulla, la lunga giacca blu che svolazzava ad ogni passo.
- Signor Martin! – tuonò.
Un ragazzetto pallido e magro si fece avanti, i denti che battevano di terrore.
- Sì, Signore… - pigolò.
L’uomo lo scrutò intensamente, come se avesse voluto carpire anche il più recondito segreto della sua anima.
Poi parlò lentamente in quello che quasi sembrava un basso ringhiare, il verso di un lupo che si prepara ad attaccare.
- Se non erro, signor Martin, questa è già la quarta volta nell’arco di un mese che create disordini a bordo. – sentenziò senza distogliere lo sguardo dalle pupille impazzite del ragazzino.
- Sì, Signore… - rispose, la voce un miagolio indistinto.
- E, sempre se non erro, ero stato abbastanza chiaro riguardo al trattamento che vi sarebbe spettato nel caso di un altro passo falso. – continuò.
Il giovane annuì e basta, troppo terrorizzato per parlare.
Gli altri marinai si scambiarono sguardi atterriti, bisbigliando concitatamente fra loro.
- E qual è questo trattamento, signor Martin? Sapete dirmelo? – continuò. La paura che trasudava dal mozzo sembrava per lui fonte di godimento, tanto che Cristal sentì i brividi correrle su per la schiena.
Martin bisbigliò qualcosa, ma nessuno riuscì a udirlo.
- Parlate più forte, signor Martin. – lo incalzò il Capitano con un ghigno malato sul viso.
A quel punto l’altro deglutì e alzò appena la voce, quel tanto che bastava per farsi capire da chi gli era più vicino.
- Giro di chiglia. –
Fu come se il cuore di Cristal le fosse caduto in fondo allo stomaco.
- Giro di chiglia! – esclamò Wilkinson con espressione folle, mentre un paio dei suoi uomini si apprestavano a svolgere l’ordine e Martin prendeva a tremare come un epilettico.
Completamente dimentica della sua posizione, la figlia del fabbro si scagliò in avanti, afferrando il Capitano per un braccio.
- Così lo ucciderete! – gridò, nella voce lo sdegno dell’accusa.
L’uomo si voltò di scatto, in viso un’espressione dura e crudele.
- Ha commeso un errore, deve essere punito. La disciplina a bordo è essenziale! – replicò asciutto.
- Ma Signore, è solamente un ragazzino! Può succedere di sbagliare, per l’amor di dio, concedetegli la grazia! – e mentre tentava di difenderlo, il giovane veniva sottoposto all’atroce tortura di fronte alla ciurma attonita.
- Signorina, vi consiglio di non impicciarvi in cose che non vi riguardano. Perché siete sul ponte? Mi sembrava di avervi lasciato in cabina. –
La bionda trasse un profondo respiro per trattenersi dal colpirlo con un pugno poderoso, poi piantò gli occhi in quelli del Capitano senza più preoccuparsi della parte che stava impersonando.
- Volevo chiedervi per quando è previsto il mio sbarco, Capitano, perché sono davvero impaziente di abbandonare la nave. – sputò con astio mentre l’equipaggio rivolgeva l’attenzione un po’ al supplizio del compagno e un po’ al diverbio in atto fra Wilkinson e la sconosciuta.
- Navigando a velocità costante raggiungeremo terra domani in tarda mattinata. E ora, se volete farmi la cortesia di tornare nella mia cabina… -
Cristal gli rivolse un unico sguardo di ghiaccio, prima di voltarsi e marciare a passo deciso verso i suoi alloggi.
Mentre camminava a testa alta fra la ciurma, sentì diversi occhi posarsi su di lei, alle sue spalle il giovane Martin veniva issato nuovamente a bordo prima di perdere i sensi.
Forse aveva osato troppo, d’altronde si era accorta fin da subito che il Capitano nutriva un profondo scetticismo per la sua persona, ma un uomo così spregevole andava constrastato, e di questo era più che convinta.
Vi aveva rimuginato a lungo, ma un’idea le martellava la mente da quel pomeriggio, e più le pareva assurda e suicida, più si rendeva conto che probabilmente ce l’avrebbe fatta.
Era evidente quanto il malumore a bordo fosse condiviso dalla quasi totalità dell’equipaggio, e quel giro di chiglia di certo non aveva aumentato la popolarità del Capitano.
La Liberty Breeze, nonostante la sua funzione, era un’ottima nave. Pescava poco, e questo la rendeva agile nelle acque dei Caraibi, e i tre alberi le garantivano di ingabbiare il vento con facilità.
Era una follia, ma sentiva che osare, per una volta, sarebbe stata la scelta giusta.
Wilkinson scese in cabina per la cena, che consumò in fretta e senza spendere più parole del necessario.
- Dormirete nel mio letto, tornerò fra un’ora. – spiegò semplicemente prima di uscire dalla cabina e recarsi sul ponte di coperta, dove il suo secondo lo attendeva per il rapporto.
La ragazza attese qualche minuto, poi indossò la giacca che aveva richiesto per ripararsi dal freddo della sera e si appropriò di un coltello che aveva trovato nascosto in un cassetto.
Scivolò con cautela verso il ponte inferiore, dove il grosso dell’equipaggio era radunato in una sorta di consiglio, e prima di palesare la sua presenza attese in ascolto, nascosta con la complicità del buio.
Stavano ancora discutendo di Wilkinson e della sua tirannica condotta, e sembrava che tutte le intenzioni confluissero in un unico obbiettivo comune: liberarsi dello spregevole Capitano.
- Ci mancava solo la ragazza, lo sanno tutti che donna a bordo porta male! – esclamò qualcuno con voce un tantino stridula.
Cristal colse al volo l’occasione e apparve alla luce delle lampade, stretta nella giacca.
- Può darsi, invece, che la ragazza sia la leva per la vostra libertà. – sentenziò, beandosi delle espressioni stupite e spaventate dei marinai.
- Da quanto state ascoltando? – sbraitò un omaccione che riconobbe come uno dei tre che aveva incrociato quel pomeriggio prima dell’incidente di Martin.
La figlia del fabbro sorrise enigmatica e si avvicinò al tavolaccio attorno al quale erano raccolti tutti quanti.
- Da abbastanza per capire che voi ed io andiamo decisamente d’accordo. – si limitò a rispondere, in attesa della reazione degli uomini.
Fu il tizio che aveva insultato la sua presenza a parlare.
- E in quale modo voi potreste garantirci la libertà? Avete forse denaro e rum nel vostro corsetto? – sghignazzò, scettico.
Fu un lampo, questione di un secondo, e Cristal fu alle sue spalle, il coltello puntato alla gola.
- Ho esperienza, signore. Anni in mare. E una buona dimestichezza con la lama. – sussurrò mentre gli altri si congelavano, increduli di fronte a quella scena assurda.
In un gesto fluido appese l’arma alla cintura e prese a camminare avanti e indietro di fronte agli uomini.
- Signori, sul serio avete intenzione di continuare a servire un uomo come Wilkinson? – incominciò, schifata.
- Davvero il vostro onore è marcito al punto da rassegnarsi a commerciare uomini come se fossero animali? E il tutto per cosa? Una paga che non basta nemmeno a comprarsi una puttana per un paio d’ore? –
A quelle parole violente qualcuno strinse i pugni, altri spalancarono la bocca.
Chi era quella ragazza spuntata dal nulla che parlava come un condottiero? Per quale motivo rivolgeva loro simili parole?
- Guardatevi, vivete una vita da porci, rassegnati al male minore, terrorizzati da un uomo che vale quanto una pulce. E’ per questo che avete scelto la via del mare? E’ per questa vita? –
Un mormorio si alzò fra i presenti. C’era chi annuiva piano, chi le rivolgeva sguardi confusi.
- Quanti altri giri di chiglia ci vorranno prima che prendiate in mano il vostro destino? Io posso offrirvi la Libertà, quella vera, signori miei. Potrete guadagnare più denaro di quanto non siate capaci di contare e spenderlo con chi più preferite! – e a quell’esclamazione ne seguì un’altra, più unanime, da parte della ciurma.
Un altro marinaio, però, prese la parola.
- Belle parole, ma come intendete darci questa libertà? – domandò per metterla alle strette.
Cristal sbatté un palmo sul piano del tavolo, ormai completamente presa dall’euforia del suo discorso.
- Tutti lo pensano e nessuno ha il coraggio di dirlo. Ammutinamento, signori. Si tratta di pura e semplice democrazia. Il Capitano è indegno del suo ruolo. La ciurma, a voto unanime, lo depone dall’incarico. – spiegò, come se fosse stata la cosa più semplice del mondo.
- E chi ci dice che non finiremo tutti alla gogna? Questa proposta mi puzza, cosa ne viene in tasca a voi, ragazzina? – considerò un uomo dal viso cotto dal sole.
- Ho navigato con Capitan Jack Sparrow e ho servito a bordo della Perla Nera. Sono in mare da quattro anni e sono ancora in piedi. Se mi affiderete il comando della Liberty, giuro sul cuore degli Oceani che avrete la vostra ricompensa e diventerete più ricchi di venti Wilkinson messi insieme. –
Ci fu un momento di silenzio, poi gli uomini si lasciarono andare ad una risata volgare.
- Porterete pure i pantaloni, ma siete pur sempre una donna! – la apostrofarono.
Cristal sorrise, per nulla infastidita; ormai aveva imparato a trattare con gli uomini e sapeva cosa rispondere.
- Una bella garanzia, invero. – cinguettò.
- A chi crederebbero se denunciassi i vostri intenti sobillatori? A una fanciulla pudica e timorata di dio che ha udito per sbaglio una turpe consversazione, o a una manica di rozzi marinai incarogniti in cerca di oro facile? –
Voltò loro la schiena e prese a camminare lentamente verso le scale che portavano al ponte superiore, ma una voce la fermò.
- Aspettate! Avete un piano? –
Le labbra di Cristal Cooper si curvarono lentamente verso l’alto, mentre la ragazza girava sui tacchi.
Due ore dopo, sul ponte di coperta, regnava l’Inferno.
Cristal si era ritirata nella cabina del Capitano giusto in tempo perché Wilkinson non potesse sospettare della sua chiacchierata con la ciurma, e vi rimase per l’ora e mezza successiva, fingendo di dormire.
Fu dopo quella che le sembrava una vita, che rumori fastidiosi disturbarono la quiete nella stanza.
Wilkinson, seduto al tavolo intento a compilare i suoi giornali di bordo, drizzò la schiena e rimase in ascolto.
- Cosa diamine…? – balbettò, prima che uno dei mozzi più giovani spalancasse senza ritegno la porta della cabina urlando di terrore.
- Capitano! Ammutinamento! Aiuto, Capitano! –
L’uomo balzò in piedi e lo seguì senza pensarci due volte, raccattando le sue armi e preparandosi a combattere.
Non sapeva, tuttavia, che quello era un segnale concordato.
Cristal, che aveva finto di dormire fino a quel momento, scese dalla branda e fu all’aperto in un momento, fra le mani la spada leggera e pulita che la ciurma le aveva fatto trovare appena al di fuori del suo alloggio.
Nessuno badò a lei, tantomeno Wilkinson che si ritrovò presto accerchiato dagli ammutinati.
Fu a quel punto che, indietreggiando lentamente, la sua schiena fu pizzicata dalla punta di qualcosa.
Non dovette nemmeno voltarsi per capire cosa stesse succedendo, la voce cristallina della sua ospite risuonò decisa nella brezza notturna.
- Capitano Wilkinson, a nome dell’equipaggio vi dichiaro indegno del vostro ruolo, che d’ora in avanti cessate di ricoprire! – esclamò con fermezza.
Wilkinson fu attraversato da un fremito.
- Chi siete voi, strega? – sibilò, colmo di rancore e di paura mentre lasciava cadere la spada.
La ragazza ghignò, assaporando con un’unica ampia occhiata le espressioni incredule della ciurma.
Parlò con tono squillante come una tromba d’argento, negli occhi un’orgoglio antico e indomabile.
- Sono Cristal Cooper, Figlia della Tempesta ed erede del Faucon du Nord. – lasciò che il suo sguardo si posasse sui fedelissimi di Wilkinson, ora legati come salami all’albero di maestra, poi tornò a concentrarsi sugli ammutinati.
- La nave è presa, signori! Rendiamo la Liberty Breeze degna del suo nome! –
Un coro di hurrà si alzò potente dalla nave, mentre i prigionieri si scambiavano sguardi terrorizzati.
- Sbatteteli nelle sentine finchè non avremo trovato una sistemazione migliore! – ordinò Cristal.
Harvey, l’omaccione che aveva incrociato quel pomeriggio mentre meditava l’ammutinamento, si fece avanti con rispetto.
- Che facciamo con Wilkinson, Capitano? –
La figlia del fabbro assaporò quel suono senza fretta, godendosi ogni singola sillaba.
Capitano.
Alla fine ce l’aveva fatta.
Sotto le iridi verdi d’odio di Wilkinson, tuttavia, le tornò in mente la saggezza di Ramirez, il pirata dal cuore d’oro: è l’abito a fare il monaco e se si è capaci di crearsi un nome rispettato non sarà necessario far scorrere sangue.
O almeno non più del dovuto.
- Il signor Wilkinson non ha adempiuto ai suoi doveri. A errore corrisponde punizione. E sapete qual è la punizione assegnata dal Codice della Marina Britannica a un Capitano incapace, signor Wilkinson? –
L’uomo sbiancò, se possibile, ancora di più, e prese a balbettare parole inconsulte.
- No, vi prego, no! Grazia, Signora! Fatemi la grazia! – piagnucolò senza pudore.
Cristal rise, una risata amara e accusatrice.
- Grazia? Se vi concedo la grazia i miei uomini crederanno che io sia una rammollita. No signore, a bordo c’è bisogno di disciplina. – sibilò.
Poi si voltò verso Harvey e gli altri, seria come non mai.
- Giro di chiglia. E che sia lento a sufficienza. -
 







Nei Caraibi, la straordinaria vicenda dell’ammutinamento della Liberty Breeze si era diffusa a velocità impressionante, come a velocità impressionante si era gonfiata la fama della giovane Capitan Tempesta, come la chiamavano con affetto i suoi uomini.
Cristal Cooper si era dimostrata un Capitano severo e capace, abbastanza ardito da osare quando era il caso e sufficientemente prudente da non rischiare troppo.
Nessuno a bordo sapeva nulla di lei prima del suo arrivo sulla Liberty, e proprio grazie a questo era stata in grado di costruirsi un passato avvolto nelle nebbie, garantendosi una certa tranquillità.
La ciurma non la vedeva più come una ragazzina, una donna incapace di prendere qualsivoglia decisione, bensì come la persona che aveva donato loro la Libertà, qualcuno da seguire in ogni avventura.
Certo, all’inizio era stato difficile farsi rispettare, e nonostante l’esito positivo dell’ammutinamento spesso sentiva bisbiglii di perplessità fra l’equipaggio, tuttavia dopo due anni di navigazione più che fruttuosa, mentre i tacchi dei suoi stivali risuonavano ad ogni passo nel porto di Brest, la figlia del fabbro poteva dirsi soddisfatta di sé stessa.
Nonostante tutto, il mare freddo e selvaggio del Nord le era mancato, e salire le scale scricchiolanti che portavano alla dimora di Bleizenn Gwrac’h era stato per lei un po’ come tornare a casa.
- Bentornata, Capitan Tempesta! –
Gli occhi chiari della sacerdotessa l’avevano accolta assieme al denso aroma dell’incenso, il filo di fumo che serpeggiava nella stanza.
- Quale marea ti ha condotta fino alla mia dimora? – aveva domandato poi, versandole qualcosa da bere quasi avesse atteso il suo arrivo.
Cristal aveva preso posto sulla poltrona come indicatole dalla vecchia e aveva accolto senza indugio la tazza di cidro fresco.
- Una marea generosa, senza dubbio. – aveva replicato dopo essersi bagnata le labbra.
- Sono venuta a salutarvi, e a ringraziarvi. –  aveva continuato.
- Vedo che hai ritrovato tua madre. Mi fa piacere… - aveva replicato la donna con un sorriso indicando la collana con un cenno del capo.
- Ma c’è qualcos’altro di cui vuoi parlarmi, dico bene? – era stato il suo interrogativo, mentre le dita rugose e affusolate giocherellavano con le conchiglie e con i quarzi della sua collana.
Cristal aveva sospirato, puntando lo sguardo fuori dalla finestra aperta.
- Si tratta del Faucon du Nord. Adesso che sono diventata Capitano, il suo ruolo è passato a me… Come credete che potrebbe reagire la Flotta del Serpente? –
In quei due lunghi anni al comando della Liberty Breeze non era riuscita a evitare di pensare e ripensare alle parole di Barbossa. Ora era lei il Pirata Nobile del Mare del Nord, e questo comportava, oltre all’onore, una vasta schiera di nemici. Da chi avrebbe dovuto difendersi? Di chi si sarebbe potuta fidare? C’erano ancora così tante cose che non sapeva…
Bleizenn le aveva rivolto uno sguardo lungo e intenso, gli occhi come vetro a scrutare nell’abisso della sua anima, e finalmente si era decisa a risponderle.
- Custode del Mare del Nord, la benedizione di Ahès è su di te. Finchè mia madre lo vorrà, non correrai alcun rischio. – aveva spiegato.
A Cristal quasi era andato di traverso il cidro.
- Vostra madre?! – aveva esclamato.
Le bretone si era profusa in un sorriso misterioso, ma non aveva risposto a quell’ennesima domanda.
- Come ti dissi tempo fa, la rivalità fra il Falco e il Serpente è qualcosa di antico, e prima di pensare a te, i Filippini si concentreranno sul Faucon du Nord. Starà a te decidere se vorrai proteggere o meno la sua vita, Cristal Cooper. –
La ragazza aveva scosso la testa, contrariata.
- Ma Bleizenn, non so nemmeno chi sia questo dannato Faucon! –
Bleizenn aveva roteato gli occhi in uno sbuffo annoiato.
- Continuo a non capire perché nessuno voglia dirti niente. Fai vela verso Shipwreck Cove, e se necessario di’ che sono stata io a mandarti. Laggiù troverai tutte le risposte di cui hai bisogno. –
Shipwreck Cove, ancora una volta l’oscurità che avvolgeva la sua collana le parlava di quella baia maledetta e inespugnabile.
Cristal aveva preso un altro sorso e aveva sospirato.
- Temo che voi mi sopravvalutiate, Bleizenn. Ammetto che è da molto che vorrei visitare la Baia dei Relitti, ma sfortunatamente non ho la più pallida idea di come si raggiunga… - era stato il suo sospiro sconsolato.
Forse era addirittura arrossita un poco: quella sua sconfinata ignoranza la metteva sempre in soggezione. D’accordo, ormai era per mare da quasi sei anni, ma ogni giorno si rendeva conto di conoscere ben poco di quel mondo sconfinato di azzurro e libertà.
La donna le aveva poggiato una mano sulla spalla con fare materno.
- Non preoccuparti, sei giovane e hai ancora molto da imparare, ma hai già dimostrato di meritare appieno la tua posizione. – l’aveva rassicurata.
- Ad ogni modo, sappi che non esistono carte nautiche che conducano a Shipwreck Cove. La Città dei Relitti fu costruita molti anni fa, quando la Fratellanza era ancora lungi dall’essere fondata. Si tratta di un luogo inespugnabile, e per essere tale, il primo requisito è la segretezza della sua ubicazione. – aveva spiegato, mentre il sole iniziava a calare e accarezzava come seta gli alberi delle navi.
La ragazza, allora, aveva reclinato la testa all’indietro sbuffando nervosa.
- Magnifico! Non raggiungerò mai quel posto maledetto senza uno straccio di carta nautica! –
Ma nuovamente Bleizenn aveva riso della sua impazienza.
Si era alzata dalla sua grande poltrona imbottita ed era andata ad accendere un paio di candele per illuminare l’ambiente.
La sua gonna frusciava tranquilla sulle assi polverose del pavimento, e le collanine tintinnavano allegre, e per un momento Cristal aveva avuto l’impressione di un ricordo familiare.
- Quanta irruenza, Fille de la Tempête! – aveva esclamato la sacerdotessa, gli appuntiti denti da lupa ancora scoperti dal divertimento.
- Solo qualcuno che sia già stato alla Baia ti potrà condurre là. Cerca un Pirata Nobile. Dopotutto mi risulta che tu sia già in buoni rapporti con ben due di loro… -
La bionda aveva inarcato un sopracciglio, confusa.
- Due? –
Beh, uno era certamente Barbossa, ma l’altro? Chi diamine aveva incontrato che facesse parte della Fratellanza?
Bleizenn era andata a chiudere le imposte ed era tornata a sedersi di fronte a lei.
- Uno lo hai lasciato poco tempo fa, l’altro è colui che ti condusse a me… -
- Jack?! Jack è un Pirata Nobile? Cioè, Jack Sparrow?! – a quella notizia non aveva potuto trattenersi e si era sporta in avanti, la bocca spalancata di stupore.
Ma, quella sera, per la misteriosa ed enigmatica Bleizenn erano già state sprecate parole a sufficienza.
Le aveva offerto un luogo dove dormire, con la promessa che il mattino seguente le avrebbe raccontato di più, e così era stato.
Cristal Cooper e la sua ciurma avevano lasciato la Bretagna due giorni dopo, la prua puntata in direzione della vecchia Tortuga.
Harvey, il secondo, si era lamentato della sua scelta di abbandonare così presto le fruttuose acque della Manica, ma la sua indole di brontolone era stata messa a tacere dalla fiducia che provava nei confronti della ragazza.
Era stato il primo a fidarsi di lei, dall’ammutinamento, e in ogni disputa a bordo l’aveva difesa a spada tratta.
Gli piaceva lagnarsi, ma era una brava persona, dopotutto.
- Capitano, lungi dal voler mettere in dubbio le vostre motivazioni, ma mi chiedevo perché non abbiamo attaccato nemmeno uno dei vascelli che abbiamo incrociato finora… - le chiese un giorno di fine Giugno, mentre quella studiava su una vecchia carta consunta la sempre minor distanza che li separava dall’approdo.
Cristal appoggiò il compasso e scelse con cura una mela dal cesto al centro del tavolo pieno di libri e scartoffie.
La natura del bottino era una particolarità del Capitano che i suoi uomini non avevano mai compreso: mentre loro arraffavano quanto più oro possibile, lei andava in cerca di libri, diari, qualsiasi cosa si potesse leggere. Certo, in cabina aveva due forzieri stracolmi di monete e gioielli, ma non sembrava cedere al richiamo dell’oro come la sua ciurma, né dava segno di sperperare i suoi averi. Anzi, trattava il denaro con grande oculatezza, senza spendere mai più del necessario.
- Quando sei figlia di mercanti il risparmio ti resta nel sangue! – aveva spiegato un giorno ridendo al povero secondo, che non aveva capito un granché del suo ragionamento.
- Ho una certa fretta di raggiungere la terraferma, mastro Harvey, e un cattivo presentimento mi dice che non è il caso di rallentare… - rispose, gli occhi appena velati d’ombra nel parlare.
L’uomo storse il naso.
- La ciurma ha sperperato quasi tutto in divertimenti, a Brest… Non ci resterà un granchè arrivati a Tortuga… - continuò lui, ben deciso a non demordere.
La replica del suo Capitano, però, lo ridusse al silenzio, un brivido freddo a serpeggiargli su per la schiena.
- Dobbiamo pregare di arrivarci, a Tortuga… -
Quasi l’avesse sentito nelle ossa, il giorno dopo, a poche ore dall’alba, si levò un forte vento da Est. Sibilava subdolo fra le sartie e schioccava imperioso contro le vele spiegate, piegando gli alberi avanti e indietro.
Non pioveva, ma il cielo era grigio e cupo come il fondo di un boccale vuoto.
Fu poco dopo le sei del mattino che il vento si alzò ancora, inasprendo l’umore dell’Oceano che, infastidito da tanto frastuono, prese a gonfiarsi in disappunto.
Bastarono pochi minuti e il disappunto divenne ira roboante, le onde presero ad abbattersi con violenza contro il ventre della nave, sballottando i poveri marinai da una murata all’altra.
I marosi, sempre più alti nel loro ululare, iniziarono a schiaffegggiare il ponte riversando schiuma dovunque.
- Svegliate il Capitano! – gridò Harvey, mentre       due ragazzi reclutati in Bretagna facevano del loro meglio per ammainare le vele.
Cristal apparve sul ponte come se fosse bastata la sua necessità a farla materializzare.
Con un’ampia occhiata fece il punto della situazione, e il modo in cui aggrottò le sopracciglia non piacque a nessuno.
- Uomini! Stiamo attraversando un bel capriccio dell’Oceano! – gridò, aggrappata saldamente al timone per cercare di mantenere la rotta.
- Ci sarà parecchio da ballare, ma la costa è vicina! Non più di due ore, tenete duro! – ma sapeva anche lei quanto due ore in quelle condizioni potessero essere un’infinità.
Certo, non si trattava della violenza di Capo Horn, né dell’ipocrisia dei fondali della Manica, ma le onde erano impetuose, e la Liberty avrebbe dovuto dare il meglio di sé per resistere.
- Non ammainate ancora! Finchè regge sfrutteremo il vento! – urlò a chi stava cercando di ridurre la velatura.
Gli uomini la guardarono con orrore.
- Siete pazza, Capitano! Ci spezzeremo! –
Ma Cristal ripeté l’ordine, lo sguardo concentrato sull’albero di maestra che oscillava pericolosamente.
- No, finchè farete come dico! Fidatevi di me, ancora una volta! –
Sapeva di star chiedendo l’impossibile, ma se c’era una speranza di cavarsela senza troppe perdite era proprio quella, e per quanto suonasse una follia dovevano darle retta.
- Avete sentito tutti? Che il Diavolo vi porti se non fate come dice! Capitan Tempesta dovrà pur a qualcosa il suo nome, no, razza di cagnacci pulciosi? – sbraitò Harvey, affiancandola.
La bionda sorrise, mentre in cuor suo pregava che il suo soprannome giocasse a suo favore.
Il tempo sembrava scorrere senza senso né direzione. Da quanto erano intrappolati in quella rete di raffiche e acqua? Da quanto erano sballottati a destra e a sinistra senza sapere da quale parte fosse la terraferma?
- Voglio la metà di voi ai velaggi, gli altri ai loro posti! Quando darò il segnale dovrete liberare le vele. Sarà un colpo secco, quindi state attenti, o verrete squarciati in due come foste burro! – spiegò, ma l’ammonimento si perse nel vento.
Se i suoi calcoli erano esatti, forse ce l’avrebbero fatta.
Era un azzardo, ma ormai c’era ben poco da fare.
- Ancora un istante… -
Harvey la aiutava a tenere saldo il timone, mentre Loïc e Mathieu, i nuovi arrivati, attendevano l’ordine assieme ai compagni.
- Cosa vi dice che ce la faremo, Capitano? - sbraitò il suo secondo per farsi sentire al di sopra del fischio del vento.
Quella gli rivolse uno sguardo fugace, la speranza ancora aggrappata ai suoi occhi.
- Perchè l'ho già fatto! -
Poi tornò a concentrarsi sulle vele appena in tempo per dare l'ordine, così come a suo tempo Jack Sparrow aveva fatto a Capo Horn.
- Pronti… ADESSO! –
I pirati lasciarono libere le vele, che si gonfiarono per un istante e, con un rumore spettrale, si strapparono volando nel vento.
Gli alberi tornarono nella loro posizione naturale, ma la violenza dello schiocco aveva mietuto le sue vittime.
Un marinaio era stato colpito da una fune impazzita che gli aveva aperto il ventre in due metà precise, mentre altri due erano stati sbalzati fuori bordo.
I compagni avevano gettato loro delle funi a cui aggrapparsi, ma era stato tutto inutile e le onde li avevano condotti troppo lontani per sperare di farcela.
- Resisti, piccolina, resisti…. – sussurrò Cristal, le nocche livide da tanto stringevano il legno.
Poi accadde quello che più temeva.
Successe tutto contemporaneamente.
Uno schianto assordante li stordì senza lasciargli il tempo di prepararsi al sussulto e allo scarto a sinistra che il vascello fu costretto a compiere dall’irruenza dell’Oceano.
Il timone si era frantumato, e stavano andando alla deriva.
La figlia del fabbro trattenne il respiro. Di fronte a loro, a meno di mezz’ora, il porto di Tortuga li attendeva paziente.
- Ti prego, non illuderci così… - sussurrò.
Il suo secondo la vide muovere le labbra, e non riuscendo a udire le sue parole seguì la direzione dello sguardo.
Un lampo di gioia gli illuminò il viso e il grido gli nacque spontaneo nel petto.
- Terra! Signori, ancora poco e saremo salvi! –
L’equipaggio intero volse lo sguardo a prua, dove la sagoma dell’isola li chiamava più invitante di una sirena.
- Ce la faremo, vero? – domandò poi a colei che aveva offerto loro la vita.
Cristal non rispose, le dita strette attorno al suo ciondolo.
Trasse un profondo respiro e, pallida come non l’avevano mai vista, comunicò il suo verdetto.
- Se superiamo quelli. –
Davanti a loro, a tribordo, il ribollire argenteo delle acque indicava la presenza insidiosa degli scogli.
- Ci schianteremo! Cosa facciamo, Capitano?! –
Si morse le labbra, cercando di ragionare il più in fretta possibile.
Non avrebbero potuto cambiare direzione con il timone fuori uso. Strinse i pugni, cercando di non pensare di averli condannati tutti quanti, e ordinò l’unica cosa che le venisse in mente.
- Legatevi stretti, ci darà un bello scossone! –
L’impatto fu violento e disastroso. La fiancata si squarciò e la nave sbandò pericolosamente dal lato opposto.
- Capitano! Imbarchiamo acqua! – urlò qualcuno, nella voce la disperazione più totale.
Il panico la colse quando si rese conto che i suoi uomini avevano perso la speranza.
- Dieci di voi sottocoperta! Ne voglio altri dieci pronti a dare il cambio! Celeri! –
E mentre i suoi marinai cercavano di salvare la nave, Cristal Cooper contava, gli occhi puntati sulla costa di fronte a sé.
Ancora un paio di minuti e sarebbero stati salvi.
Poi, all’improvviso, l’Inferno tacque.
Riparata dalle scogliere che la separavano dall’Oceano con il loro abbraccio rassicurante, la Baia di Tortuga si aprì davanti a loro in una quiete assordante.
Una volta compreso di essersi lasciata la tempesta alle spalle, la ciurma esplose in un unico e scomposto grido di gioia, cappelli furono lanciati e applausi spesi per il giovane Capitano che li aveva salvati.
- Dovete ringraziare la vostra buona stella, altrimenti sareste stati buoni solo per Davy Jones, là fuori… - commentò un marinaio che li vide attraccare al molo con quello che rimaneva della Liberty Breeze.
Qualcuno rise, qualcuno si fece il segno della croce, altri lo mandarono a quel paese, barcollando ancora un poco sul pontile che si snodava fino alla strada che costeggiava la Baia.
Cristal non vi fece caso.
Seduta su una grande bitta osservava con tristezza la sua nave martoriata.
Le era bastato un rapido sguardo per rendersi conto del miracolo che li aveva salvati, perché della loro agile imbarcazione ormai restava poco più che lo scheletro.
I danni alla fiancata erano più gavi di quanto non avesse temuto, e il timone era completamente da sostituire.
Anche se qualcuno fosse riuscito a ripararla, ci sarebbe voluto troppo tempo, non avrebbe mai potuto trattenere una ciurma così a lungo in un porto come Tortuga.
- Capitano? – Harvey apparve accanto a lei, preoccupato per il suo silenzio innaturale.
- Ce l’abbiamo fatta, cosa vi affligge? –
La ragazza aveva indicato la Liberty con un cenno della testa.
- Guardala. Non rimane più niente. Ho preteso troppo da lei, e l’ho spezzata… - sussurrò.
- Temo, amico mio, che questo sia stato l’ultimo viaggio della Liberty Breeze. –
Ognuno recuperò la sua parte del bottino salutando, chi con tristezza e chi con sollievo, la carcassa del vascello.
Tortuga era una città trafficata e dalle mille opportunità, e degli uomini validi e coraggiosi come loro non avrebbero certo faticato ad imbarcarsi per nuove avventure.
Eppure non tutti erano rimasti soddisfatti dal discorso di congedo del loro Capitano, specialmente i membri più anziani della ciurma.
- E così è finita? Niente più Capitan Tempesta? – aveva mormorato uno scozzese che aveva partecipato all’ammutinamento contro Wilkinson.
- Non lo troveremo mai un altro Capitano così! – era stata la mezza protesta di qualcun altro, ma Cristal era stata irremovibile, e alla fine anche il buon vecchio Harvey, il fedele brontolone, aveva dovuto cedere ai suoi occhi di tempesta.
- Sei stato un ottimo secondo, Harvey. Spero che potremmo fare affari di nuovo, un giorno. –
L’uomo aveva sorriso, gli occhi sorprendentemente lucidi all’ombra guizzante delle torce.
- Cosa farete adesso? – aveva chiesto, impacciato.
Era stato il turno di Cristal di sorridere.
- Ho un certo progetto, ma prima devo trovare una persona. Ci vorrà forse un po’ di tempo, ma sono sicura che un giorno sentirai di nuovo parlare di me, e resterai sorpreso! –
Il pirata aveva cercato di replicare, ma la bionda l’aveva stretto in un abbraccio fugace.
- Riguardati, vecchia comare. – e, senza attendere risposta, era sparita nel buio della notte.
Si era fermata solamente quando aveva raggiunto la porta della più famosa bettola di Tortuga, il rumore del mandolino e delle bottiglie rotte a scaldarle il cuore.
Era da lì che tutto era incominciato, quella sera di tantissimi anni prima assieme a Jack.
A ripensarci ora le sembrava trascorsa un’infinità di tempo.
Aveva sedici anni, un cuore coraggioso e una famiglia da salvare.
Aveva avuto paura, ma salpare assieme a quel pirata dai modi strampalati le era sembrata la cosa più ovvia da fare. Si era lasciata alle spalle tutto quello che aveva, la sua casa, i suoi amici e l’uomo che amava, tuffandosi a capofitto in un baratro di incertezza che avrebbe potuto non risputarla mai più.
E invece ce l’aveva fatta, aveva tenuto duro ed era rimasta a galla, sfidando tempeste e maree, naufragi e battaglie senza quartiere.
Aveva conosciuto persone talmente diverse da credere che potessero provenire da mondi completamente differenti, e si era riscoperta lei stessa una donna che non avrebbe mai creduto di poter essere.
Raggiunse il bancone a grandi passi e vi sbatté due monete sonanti.
- Una bella pinta e una stanza pulita! – esclamò.
Dopotutto era orgogliosa di sé stessa.
Ripensò a Elizabeth e ai loro giochi d’infanzia: Capitan Swann e Capitan Cooper alla conquista dei Sette Mari.
In un certo senso, si ritrovò a considerare con un mezzo sorriso, aveva mantenuto la sua promessa.
Fu mentre beveva il primo sorso di birra scura, un pungolo leggero all’altezza del cuore al ricordo di un’altra persona, che una voce la riportò violentemente alla realtà.
- Cristal Cooper?! Per la barba di Nettuno, siete voi?! –
Si voltò di scatto, gli occhi spalancati di stupore.
Ricordava quella voce, nonostante gli anni.
Come poteva essere?
- Signor Gibbs?! -
































 
Note:

Buongiorno, mia prode ciurmaglia!
Alla fine non sono stata proprio rapidissima come avrei sperato, ma almeno non sono scomprasa per due mesi interi! xD
Questo capitolo mi ha dato non poco filo da torcere, nonostante mi sia molto divertita a scriverlo. Il motivo? Uno e semplice, come al solito ho dovuto riassumere un periodo piuttosto sostanzioso in poche pagine.
Sono sicura che avrei potuto rendere la prima parte in maniera migliore -così mi sembra un po' troppo sbrigativa- e non escludo di rimaneggiarla ulteriormente, quindi ogni consiglio o critica è più che bene accetto!
Dal punto di vista della trama, siamo a una svolta decisamente importante.
Cristal si è giocata il tutto per tutto, ma ancora una volta le è andata bene. Ma il vento della fortuna non potrà sempre soffiare dalla sua parte.... -spoiler grossi come case in arrivo xD-
In questo capitolo, forse, ho usato dei toni un pochino più cupi del solito, così come probabilmente è apparsa più cupa la nostra protagonista. A quanto pare l'anno a bordo della Perla Nera ha dato i suoi frutti... xD
Confesso che ho sofferto nel massacrare la Liberty Breeze a questi modi, ma per esigenze di copione avevo bisogno che Cristal arrivasse a Tortuga, per così dire, appiedata.
Se qualcuno di voi se lo stesse chiedendo, sì, Gibbs annuncia il ricongiungimento con le vicende dei film.
Già dal prossimo capitolo torneremo a vedere i nostri eroi, ma non sarà tutto rose e fiori, anzi...
Ah, ecco! Prima di chiudere vi lascio con una piccola INFORMAZIONE DI SERVIZIO!
Questo Weekend (ossia  Venerdì 31- Sabato 1 e-Domeinca 2) sarà a Lucca per il Lucca Comics and Games. Nel caso qualcuno di voi venisse, ci si può sentire via messaggio privato qui su EFP oppure tramite la mia pagina autore su Facebook!

Come sempre, un abbraccio a tutti voi che leggete/recensite/seguite eccetera!
Kisses,
Koori-chan


Ps: Bleizenn continua a dire cose in modo misetrioso. Riusciremo mai a sentirla parlare chiaro e tondo? XD

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***












Capitolo Diciassettesimo~











I primi giorni di Giugno avevano salutato la Baia di Port Royal con i raggi caldi e invitanti del sole, mentre un gentile vento da Sud accarezzava la costa senza fretta.
La sabbia, silenziosa e fine, aveva ripreso ad ammucchiarsi agli angoli delle strade, mentre i colori vivaci dei panni stesi ad asciugare rallegravano la cittadina in pieno fermento.
La notizia non era ancora ufficiale, ma chissà come si trovava già sulla bocca di tutti: da lì a un mese al Forte si sarebbe tenuta una cerimonia solenne, sfarzosa ed elegante come l’evento richiedeva.
Era da davvero moltissimo tempo che a Port Royal non vi erano simili occasioni, e persino i bambini, generalmente disinteressati a questo tipo di avvenimento, sembravano elettrizzati dalla novità.
Elizabeth Swann era stata una delle prime a saperlo, e la notizia l’aveva riempita di gioia, nonostante il suo sorriso non fosse stato dei più spontanei.
Sebbene fosse sinceramente felice per l’imminente cerimonia, non poteva evitare di tornare indietro con il pensiero all’ultima volta in cui aveva avuto l’occasione di recarsi al Forte agghindata a festa.
- Dunque, dunque… Dovrei averlo messo qui dietro… - la voce appena incurvata dagli anni del vecchio Abraham la riscosse, strappandola con dolcezza a quel mondo di ricordi al quale lei stessa cercava quotidianamente di sfuggire.
- Aspettate, vi aiuto! – si offrì, superando il bancone stracolmo di carte mentre la sua guardia del corpo rimaneva tranquillamente seduta su uno sgabello nell’ingresso.
Forse un tempo Howard Smith si sarebbe preoccupato per l’incolumità di Elizabeth Swann, ma ormai, dopo dodici anni di stretta convivenza, aveva imparato che nulla avrebbe potuto impedire alla ragazza di fare di testa sua.
Così, mentre il bottegaio e la figlia del Governatore cercavano il libro giusto fra le pile traballanti di vecchi volumi impolverati, Howard si guardava pigramente in giro, alla ricerca di qualcosa che potesse intrattenerlo per un po’.
Per caso lo sguardo gli cadde su un foglio spiegazzato stampato in inchiostro nero.
Lo raccolse dal bancone cercando di non far cadere le altre carte e se lo lisciò sulle gambe, strizzando gli occhi per vedere meglio.
Si trattava di un comunicato della Marina emesso una manciata di mesi prima.
- E questo? – domandò quando gli occhialetti del libraio riemersero assieme al sorriso delicato di Elizabeth.
Abraham si avvicinò e lanciò uno sguardo al documento.
- Ah, è un vecchio manifesto segnaletico… Si tratta di una nave pirata, la Liberty Breeze. Il Capitano ha una taglia spaventosa sulla sua testa… -
La giovane Swann si irrigidì impercettibilmente, mentre Howard andava avanti nella lettura.
- Non mi sembra una cifra esagerata. Ci sono pirati con taglie ben più cospicue… - osservò mentre la sua protetta si portava alle sue spalle per dare un’occhiata.
- “Capitan Tempesta”? Non ce l’ha un nome quest’uomo? – osservò, scettica.
Abraham ridacchiò e si pulì le lenti nel grembiule.
- E’ per questo che sostengo che la sua taglia sia molto alta. Stando alle voci, Capitan Tempesta è apparso sulla scena all’incirca due anni fa. Non si sa niente di lui, se non che è molto giovane. Pare che sia letteralmente spuntato dalle acque… - raccontò.
- Un personaggio misterioso, in effetti… - borbottò la guardia del corpo, in attesa del parere di Elizabeth.
Quella però non parlò, le sopracciglia aggrottate e gli occhi che scorrevano rapidi l’annuncio.
- Capitan Tempesta… - sillabò sottovoce dopo un po’.
- Deve di certo essere abile per meritarsi tutta questa attenzione da parte della Marina… -  aggiunse a tono più alto.
Il libraio annuì e lasciò che i suoi occhi stanchi si posassero sul cielo azzurro al di fuori della bottega.
- Temo tuttavia che il nostro pirata misterioso abbia i giorni contati: l’altro ieri è venuto in negozio il Capitano Norrington e abbiamo avuto modo di parlare di questo argomento… - spiegò.
Howard si passò una mano fra i capelli e sospirò.
- Immagino che vorrà sbarazzarsene personalmente, dopotutto da quel giorno non si è più fatto sfuggire un singolo Jolly Roger… - osservò, pentendosi immediatamente della sua sortita nel vedere Elizabeth serrare le labbra. Anche lei, da quel giorno, aveva bruscamente cambiato opinione riguardo alla pirateria.
Quella, senza un suono, raccolse il suo libro dal bancone e si strinse nelle spalle, rivolgendo lo sguardo alla strada polverosa.
Sotto sotto, nelle più recondite profondità del suo cuore, sperava che un giorno, prima o poi, un Jolly Roger potesse riportarle indietro quella promessa non mantenuta.
- Se non altro la promozione gli permetterà una maggiore autonomia in merito! Commodoro Norrington… ne ha fatta di strada quel ragazzino! – commentò il vecchio con un sorriso incoraggiante.
In quello stesso momento, non troppo distante dalla bottega di Abraham il libraio, pensieri simili spiraleggiavano lenti verso il cielo per essere dissolti dal vento in alta quota.
Commodoro…
Più ci pensava, meno James Norrington si sentiva meritevole di quella posizione.
Davvero era così capace da ricoprire un simile incarico? Davvero gli abitanti di Port Royal avevano una tale stima di lui?
Ma poi ricordava tutta la fatica e i sacrifici che aveva fatto per arrivare fin lì, e un piccolo sorriso compiaciuto gli increspava le labbra.
Era sempre stato un ragazzo ambizioso, dopotutto, e finalmente stava per stringere in pugno ciò per cui aveva sempre lottato.
No, non doveva sentirsi inferiore alle sue capacità. Quella promozione era giusta, e lui se l’era guadagnata con fatica e sudore.
Autoconvintosi, inspirò pofondamente l’aria salmastra e si alzò in piedi, allontanandosi dal parapetto in direzione del suo ufficio. Quando però si accorse che, all’ombra del colonnato, Weatherby Swann lo stava osservado da chissà quanto, non poté impedirsi di sussultare lievemente.
- Buongiorno, James! – lo salutò allegro.
L’uomo ricambiò il saluto con un sorriso imbarazzato e le sopracciglia leggermente incurvate verso l’alto.
- Posso esservi utile, Governatore? – fece, educato e composto come sempre, nonostante l’allegria di Swann lo avesse messo in stato di allerta.
Quello rise e gli fece cenno di seguirlo in una breve passeggiata lungo le mura.
- Rilassatevi, ragazzo, questa è solamente una visita informale! Volevo complimentarmi con voi per la vostra promozione senza tutti quei convenevoli che impone l’etichetta! Dopotutto eravate solamente un bambino quando vi abbiamo accolto sotto la nostra ala protettiva… - ricordò con un velo di malinconia: gli anni erano passati anche per lui, e i capelli sotto la sua parrucca erano ormai diventati grigi.
James arrossì appena e abbassò lo sguardo, il suo lato umile ad affiorare lentamente.
- E di questo vi sono infinitamente grato, Governatore. Senza di voi non sarei mai arrivato dove sono ora… -
- Vero! – Swann si concesse un’altra risata, prima di battere un’amichevole pacca sulla spalla di Norrington.
- Sciocchezze James! E’ stato il talento a condurvi fin qui! E si può dire che ormai la vostra vita sia completa! – si complimentò.
L’ufficiale stava per replicare, quando un’innocua aggiunta del Governatore lo ridusse al silenzio.
- Beh, quasi completa. Mi stupisco di come un ragazzo come voi non abbia ancora preso moglie. In effetti trent’anni mi sembra proprio l’età giusta per sposarsi… -
- In realtà non credo di… - ma si bloccò immediatamente, improvvisamente consapevole che quella non era affatto una visita informale.
Una strana sensazione di freddo viscido prese a strisciargli su per la schiena, mentre le iridi verdi si stringevano attorno alla pupilla, in attesa del verdetto.
Swann parve non notare il turbamento nel suo interlocutore e proseguì come se niente fosse.
- Certo, capisco benissimo che un individuo del vostro calibro necessiti di una compagna all’altezza, e proprio per questo mi sento più che tranquillo ad affidarvi le speranze della mia Elizabeth… - ma prima che potesse andare avanti, Norrington lo interruppe.
- Governatore! In tutta onestà ritengo che Elizabeth provi per me nient’altro che affetto, Signore… - si affrettò a chiarire, nervoso.
Lo sguardo di Swann si fece duro, la sua voce intransigente.
- Siete troppo modesto, James. –
- Signore, vi assicuro che la mia non è modestia, e so bene che Elizabeth… - ma ancora una volta fu costretto a tacere, gli occhi del Governatore freddi e taglienti come non li aveva mai visti.
- Perdonate la franchezza, ma è giunto il momento di accettare il fatto che Miss Cooper è morta. Sono passati cinque anni, non potete trascorrere il resto della vostra vita ad attendere il ritorno di un fantasma, e lo stesso vale per Elizabeth! Entrambi avete sofferto per questa disgrazia, ma adesso dovete andare avanti, e l’unico modo in cui potete farlo è insieme! Inoltre mia figlia deve rendersi conto che i giorni dell’infanzia sono finiti e non può più permettersi di mescolarsi a certa gente, se capite ciò che intendo. Sono sicuro che una tale unione porterà giovamento ad entrambi. –
James aprì la bocca per ribattere, ma quell’invettiva lo aveva lasciato annicchilito.
- Potrebbe non ricapitarvi un partito simile, James. Rifletteteci con attenzione. – e con quelle parole ritenne conclusa la conversazione.
Norrington lo vide allontanarsi a passo tranquillo, le mani intrecciate dietro la schiena come se avesse appena terminato una qualsiasi conversazione di circostanza sulle condizioni atmosferiche prima che la carrozza lo riconducesse verso casa.
Il giovane ufficiale voltò nuovamente la schiena alla terrazza e salì le scale fino al suo ufficio, lasciandosi sprofondare sulla poltrona.
Le parole di Swann lo avevano scosso al punto che non era più in grado di pensare coerentemente.
Come aveva potuto fargli una proposta simile? Non si rendeva conto che sarebbe stata nei confronti di Elizabeth una doppia offesa?
Eppure, anche nei giorni a seguire, quel discorso continuò ad impregnare il suo cuore di un senso di densa gravità, rendendolo se possibile più taciturno di quanto già non fosse.
Gillette e Groves, che negli anni erano diventati i suoi uomini più fidati, nonché i suoi unici amici, avevano più volte cercato di comprendere il motivo del suo malessere, seriamente preoccupati per il loro superiore. Gillette, curioso come una faina, continuava a fare speculazioni su speculazioni, mentre Groves, un po’ meno ficcanaso, si era limitato a invitarlo a bere per alleggerirgli un po’ il cuore.
Inutile dire che ogni tentativo da parte dei due ufficiali di scalfire la scorza di apprensione di James era stato inutile, specialmente considerando che Norrington reggeva l’alcol molto meglio di loro.
No, nemmeno i suoi due più cari amici erano stati in grado di fargli dimenticare la conversazione con Swann, e alla fine il Capitano aveva iniziato a cedere.
Lentamente, dopo giorni e giorni passati a rimuginare, una luce si era fatta strada nel buio dei suoi pensieri.
Weatherby Swann non era un uomo malvagio né completamente insensibile, ma era chiaro come il sole che ogni azione della sua vita fosse volta alla protezione della figlia.
Era sempre stato così, da che ne ricordava: anche quando erano a Londra Elizabeth era sempre in cima alla lista delle sue preoccupazioni, e finalmente, una sera di ritorno da una passeggiata in riva al mare, aveva capito.
Quando Cristal era morta aveva giurato a sé stesso che non si sarebbe mai più legato a qualcuno come si era azzardato a fare con lei, e lui, un uomo, se lo sarebbe anche potuto permettere.
Stessa sicurezza, però, non poteva attribuirsi Elizabeth.
No, la figlia del Governatore non lo amava, e di questo era consapevole, ma era altrettanto consapevole che se alla morte del padre la ragazza non si fosse precedentemente sposata con un buon partito sarebbe di certo finita in disgrazia, e questo non poteva permetterlo.
Nonostante William Turner non avesse mai avanzato pretesa alcuna -lui era abbastanza avveduto da rinunciare al suo sogno di fanciullezza-, James sapeva quali sentimenti albergassero nel cuore della giovane.
In quel mondo crudele in cui la strada di ognuno veniva già tracciata davanti ai suoi piedi il giorno stesso della nascita, né lui né Elizabeth sarebbero mai potuti essere felici di quella felicità pura e incondizionata che a vent’anni si è convinti di meritare di diritto.
Sono sicuro che una tale unione porterà giovamento ad entrambi, aveva detto Weatherby, e forse anche lui, pronunciando quella frase, si era reso conto che sua figlia si sarebbe dovuta accontentare del male minore.
Ancora una volta, il genitore cercava di proteggerla, confidando che in futuro i ricordi avrebbero smesso di fare male al suo cuore indomito.
Le notti seguenti erano state lunghe e agitate, i sogni confusi e dolorosi. In ogni fulmine che si scaricava sulla superficie silenziosa dell’oceano, James Norrington leggeva un’accusa sottile e bruciante come una staffilata.
Eppure, ormai, la decisione era presa.
Sapeva che all’inizio Elizabeth non avrebbe capito, e sapeva che molto probabilmente l’avrebbe odiato per quell’offerta, ma entrambi ormai si conoscevano troppo bene per non intuire che, alla fine, anche lei avrebbe chinato il capo accettando il fatto che la vita aveva in serbo per lei progetti diversi dai suoi.
Giugno giunse così a termine, e Luglio si insinuò con allegria fra le colonne del porticato su al Forte, mentre la brezza leggera in arrivo dal mare sfiorava il suo viso accaldato e i violini suonavano dolcemente poco lontano.
Non l’aveva progettato, non era stata sua intenzione, semplicemente era successo.
Era successo e basta.
Aveva invitato Elizabeth a fare due passi e le parole erano filtrate dalle sua labbra come il sangue che filtra da una ferita mal rimarginata.
- Questa promozione ha messo in chiara evidenza ciò che non ho ancora ottenuto dalla vita: un matrimonio con una bella donna. E voi siete diventata una bella donna. – le parole di Swann avevano preso nuova forma, mentre Elizabeth spalancava gli occhi, sul suo volto la più profonda indignazione.
Si era voltato per non doverla guardare in faccia, ma riusciva comunque a immaginare le sopracciglia aggrottate e il labbro superiore impercettibilmente arricciato.
Lo aveva giudicato, di questo ne era più che certo, ma sfortunatamente non aveva avuto il tempo di chiarirle le sue motivazioni.
Era quello ciò che avrebbe voluto dire a Swann quando si incontrarono, quella sera.
Avrebbe voluto dirgli che Elizabeth non avrebbe mai sposato un uomo come lui, e che quel giorno, dichiarandosi alla fanciulla, era come se avesse ucciso Cristal Cooper una seconda volta, precipitando nell’abisso della vergogna anche lui ed Elizabeth.
Avrebbe voluto guardarlo negli occhi affinchè comprendesse quanta altra sofferenza avrebbe portato ai suoi cari quell’idea folle e malata a cui aveva ceduto come un debole, ma ancora una volta, in quel maledetto giorno di Luglio, qualcosa gli impedì di parlare.
Un fischio lontano catturò la sua attenzione, mentre il Governatore camminava al suo fianco ignaro della tempesta in atto nel suo cuore.
Fu questione di un secondo, James si gettò in avanti trascinando l’uomo con sé, dietro di loro solo fumo e detriti.
Quando alzò lo sguardo sulla baia fu come se un’onda gelida lo avesse schiantato contro gli scogli.
Davanti a loro, immersa nella nebbia innaturale e appena rischiarata dai deboli raggi della luna, una nave pirata attaccava la città.
- Governatore! Barricatevi nel mio ufficio! – esclamò, serio e deciso.
- Questo è un ordine! –
Estraendo la sua spada nuova dal fodero, sentì qualcosa spezzarsi all’altezza del cuore.
Era esattamente come quella notte di sei anni prima, come quando aveva perso l’unica che avesse mai amato.
L’immagine dello sguardo freddo e disgustato di Elizabeth Swann tornò alla sua mente come uno schiaffo sul viso assieme alla paura di poter perdere anche lei.
E, mentre cercava di mantenere salda la voce nel dirigere i suoi uomini, sentì impellente il desiderio di piangere, la maledizione di quella luna beffarda a trafiggergli il cuore senza pietà.
 















Se la prima volta che aveva messo piede a Tortuga la città non le aveva fatto un’ottima impressione, adesso, a distanza di anni, la folle sregolatezza dell’isola la faceva sentire a casa.
Abbandonata definitivamente la Liberty Breeze, giunta al termine del suo fedele servizio, Cristal Cooper aveva prolungato fino a data da destinarsi l’affitto di una stanzetta piccola e umida alla Faithful Bride, la locanda dove aveva incontrato Joshamee Gibbs.
- Sapevo che non eravate morto! L’ho sempre saputo! – aveva esclamato abbracciandolo di slancio, mentre quello accoglieva il gesto affettuoso con un po’ di imbarazzo.
- Fatevi vedere bene! Per diamine, siete davvero cresciuta! – era stato il suo commento nel ritrovarsi di fronte una donna fatta e finita e non più la bimba lentigginosa di un tempo.
- E che cosa ci fate su questo sputo di terra? – aveva domandato in seguito, gli occhi azzurri illuminati dalla curiosità.
Cristal aveva bevuto un sorso di birra e aveva offerto un giro al vecchio Nostromo, giocherellando con la sua collana.
- Mettetevi comodo, Signor Gibbs: questa volta tocca a me raccontare una bella storia di pirati! – e così, fra una pinta e l’altra, gli aveva spiegato di come e perché si fosse imbarcata sei anni prima e delle avventure che aveva vissuto nel frattempo, premurandosi di abbassare un poco la voce nel citare Jack Sparrow.
A sentire quel nome, tuttavia, Gibbs aveva sgranato gli occhi.
- E così il famoso Capitan Tempesta ha navigato con Jack? – aveva replicato, stupito e ammirato.
Alla fanciulla non era passata inosservata la familiarità con cui aveva parlato del pirata.
- Oh, sì, anche io ho avuto a che fare con lui, e più di una volta… - aveva confessato lui con un mezzo sorriso divertito e malinconico allo stesso tempo.
Da quell’espressione a suo modo affettuosa, Cristal aveva capito che i due avevano avuto modo di collaborare molto più intensamente di quanto Gibbs volesse far credere, ma non aveva voluto indagare oltre, consapevole che avrebbe avuto altre occasioni per farsi raccontare dal vecchio amico una delle sue avventure.
Nei dieci giorni successivi, infatti, il pirata brontolone era diventato il suo principale appoggio a Tortuga: aveva promesso di aiutarla a cercare una nuova nave e di metterle insieme una ciurma decente, e nonostante trascorressero le giornate ciascuno per conto proprio, la sera non mancavano mai di vedersi per una bella bevuta.
Fu proprio una di quelle sere che, per colpa della sua nuova e appassionante lettura, Cristal non si accorse dello scorrere del tempo e scese nel salone della Faithful Bride con la bellezza di due ore di ritardo, quando ormai il sole era calato da un pezzo e l’isola era avvolta nel buio leggero della notte estiva.
Le era sembrato decisamente strano che Gibbs, abitudinario com’era, non l’avesse mandata a chiamare quando aveva visto che non si presentava, ma ancora più strano le parve vederlo seduto al loro tavolo con uno sconosciuto.
Si avvicinò lentamente, curiosa e tuttavia incerta se interrompere o meno la conversazione.
Lo straniero le dava le spalle, e non riusciva a capire nulla di quello che diceva, ma Gibbs sembrava estremamente interessato alle sue parole.
La ragazza sorpassò un altro tavolo, avvicinandosi ancora di più mentre i due uomini brindavano facendo cozzare i boccali l’uno contro l’altro.
- Dritto alla meta… - sentì dire, mentre il cuore le saltava nel petto.
- E conquista la preda! – replicò Gibbs concludendo il brindisi con una bella sorsata dal suo boccale.
Fu a quel punto che la giovane decise di uscire allo scoperto.
- Chi non muore si rivede! – esclamò, cercando di trattenere la gioia traboccante.
Jack Sparrow si voltò lentamente, un sopracciglio inarcato dalla sorpresa.
- Giustappunto! Ecco la giovane Cooper riapparsa nel regno dei vivi! Davy Jones non ti ha voluta? – ma la frazione di secondo di ritardo con cui giunse la risposta le fece capire che, nonostante il tentativo di mostrarsi tendenzialmente indifferente, Jack era contento di saperla ancora tutta intera.
Cristal rise e gli fece la linguaccia.
-Sono troppo antipatica anche per l’Inferno! – replicò, mentre Gibbs continuava a sbevazzare indisturbato e si godeva il dialogo.
- E sentiamo, quante altri navi hai allietato con la tua pestifera presenza, in questi anni? – si informò ancora Jack, pungolandola come suo solito.
- Non molte in realtà! E comunque ti conviene portare rispetto, è con un Capitano che stai parlando, dopotutto! – replicò la ragazza, che nonostante il titolo acquisito ormai da due anni, avrebbe sempre visto Jack come su un gradino superiore a lei.
L’idillio del ricongiungimento, tuttavia, fu bruscamente interrotto da una nuova voce.
- Jack, Gibbs, ne avete ancora per molto? –
Cristal aggrottò le sopracciglia. Non riconosceva quella voce, eppure vi era in essa una fumatura familiare, come il ricordo di un sogno.
Incuriosita, si voltò fino a incontrare lo sguardo del disturbatore, le tinte nocciola a perdersi in un viso giovane e dai tratti definiti.
Ci fu un momento di silenzio, poi lo indicò senza ritegno.
- Oddio, sei davvero tu?! – esclamò, stupita.
Il ragazzo, alto e moro, sembrò analizzare velocemente i suoi lineamenti, per poi avere la sua stessa reazione.
- Cristal?! –
Quella volta non vi furono abbracci o slanci d’affetto.
I due rimasero a guardarsi senza muovere un muscolo, poi entrambi presero a parlare contemporaneamente.
- Tu sei viva?! Credevamo che fossi morta! Hai idea di quanto Elizabeth sia stata male in questi anni? Perché non ti sei più fatta vedere?! Ti sembra un comportamento normale? – gridò il ragazzo, mentre l’amica d’infanzia agitava le mani in cerca di scuse.
- Io… Dio mio, ma che morta?! Avevo scritto a Liz che ero in buone mani! Mi dispiace, ma ormai ero un pirata, non avrei mai potuto semplicemente ripresentarmi a Port Royal! Santo cielo, mi dispiace! Se avessi saputo avrei cercato di avvisarvi! – ma le sue motivazioni vennero sepolte dalle nuove invettive di Will Turner.
- Un pirata? Tu sei un pirata?! –
A quel punto Jack Sparrow intervenne nella conversazione.
- Non per infrangere i tuoi sogni di rettitudine, ragazzo, ma fino a prova contraria sei un pirata anche tu… Insomma, hai pur sempre rubato una nave della Marina Britannica… - ghignò, interiormente soddisfatto dall’averlo messo in difficoltà.
Non che il giovane Turner gli stesse poi così antipatico, ma era comunque divertente vederlo annaspare in cerca di una risposta pronta.
Gibbs, mosso da estrema carità, decise che si erano sollevate già troppe questioni irrisolte e che andare ad alimentare le incomprensioni fra i due giovani sarebbe stato più che deleterio.
- Pare che entrambi abbiate molte cose da raccontarvi! Perché non vi sedete davanti a due bei boccali di birra e non ne parlate con tranquillità mentre io e Jack finiamo di discutere dei nostri affari? – propose, ridacchiando nervoso.
Cristal e Will si scambiarono un’occhiata in tralice, ma si videro costretti a seguire il consiglio del vecchio Nostromo, ordinando con un grugnito un boccale ciascuno.
Quando una giovane e florida cameriera ebbe lasciato le bevande sul tavolo, però, nessuno dei due si azzardò a prenderne nemmeno un sorso, lanciando occhiate severe dal di sopra del proprio boccale.
Era come se in quegli anni trascorsi lontani, tutta la loro intesa fosse svanita nel nulla.
- Hai rubato una nave. – fece improvvisamente Cristal.
- Tu conosci Jack Sparrow. – replicò Turner.
- Perché conosci Sparrow? – domandò poi.
La bionda si passò una mano fra i capelli e sospirò profondamente.
- Quando ci fu l’attacco a Port Royal, sei anni fa, fu Jack ad aiutarmi a cercare i miei genitori. Salpammo insieme, e navigammo sotto la stessa bandiera per un anno intero. – spiegò.
L’apprendista fabbro strabuzzò gli occhi.
- Cosa? Vuoi dire che non sei stata rapita? Sei… sei partita di tua spontanea volontà? –
La fanciulla annuì, gli occhi bassi al ricordo di quei giorni d’avventura.
- Furono i miei genitori ad essere rapiti, io mi limitai a cercare di salvarli. Mio padre è morto, ma Mamma ce l’ha fatta. Ora vive a Londra… - raccontò al cenno di curiosità di Will.
Il ragazzo chinò leggermente il capo, sinceramente rattristato.
- Mi dispiace per Jim. La sua bottega è passata in proprietà a Brown, ma sono io che me ne occupo in realtà. Lavoro ancora come mi aveva insegnato lui… - sussurrò, sperando che quella notizia senza peso potesse in qualche modo esserle di conforto.
Cristal annuì, un debole sorriso sulle sue labbra.
- Sono felice che la bottega non sia andata perduta, Papà ci teneva molto… -
Lentamente, quel muro di diffidenza che li aveva separati alle prime battute aveva preso a indebolirsi, svanendo completamente al ricordo dei vecchi tempi.
- E Lizzie? Lei come sta? – si informò poi la Figlia della Tempesta.
Lo suardo di Turner si indurì, mentre i muscoli delle braccia si contraevano e le mani si chiudevano a pugno.
- E’ per lei che sono qui. Tre giorni fa Port Royal è stata attaccata da una nave pirata, e il Capitano ha rapito Elizabeth. Jack ha promesso di aiutarmi a inseguire Barbossa e a salvarla. –
A quel nome Cristal non riuscì a trattenersi.
- Barbossa?! E’ lui che ha rapito Elizabeth?! – sbottò.
Will si sporse in avanti, nelle iridi un barlume di speranza.
- Perché, lo conosci? –
- No, ne ho solamente sentito parlare… - si affrettò a rispondere.
L’erede del Faucon du Nord si rese conto solo a frase terminata di che cosa avesse appena fatto.
Perché? Per quale motivo la sua reazione più spontanea a quella domanda era stata mentire? Non aveva nemmeno tentennato, quel “no” era scivolato dalle sue labbra come schiuma di mare, sinuoso e naturale, per nulla forzato.
Bastò un momento perché la ragazza capisse con chiarezza di quale assurda macchinazione era testimone.
Non aveva idea di come Jack fosse finito a Port Royal, ma doveva in qualche modo essere entrato in contatto con Wil proprio quando Elizabeth era stata fatta prigioniera.
Che tempismo perfetto.
A lui non importava niente del savataggio, l’unica cosa che contava era recuperare la Perla.
E uccidere Barbossa.
Un’angoscia ululante le montò nel petto nel rendersi conto del vero obbiettivo di Jack.
Che la vendetta non le fosse mai andata a genio era un dato di fatto, ma forse, ai tempi del Nausicaa, se Jack avesse fucilato Barbossa davanti ai suoi occhi non se ne sarebbe poi rammaricata troppo.
Adesso, la sola immagine mentale di una simile evenienza le chiudeva la gola in un nodo fastidioso.
Sapeva che era assurdo, ma si era affezionata troppo a Barbossa per permettere che venisse ucciso, specialmente se proprio da Jack, che riteneva suo amico.
Tuttavia non sapeva perché l’uomo avesse sequestrato Elizabeth, e il fatto che fosse stato benevolo nei suoi confronti non implicava che lo fosse anche con la sua migliore amica.
Non poteva lasciare che Jack uccidesse Barbossa, ma non poteva nemmeno lasciare che Barbossa uccidesse Elizabeth!
Doveva fare qualcosa, e prima di tutto aveva bisogno di un piano.
- Come intendete procedere, tu e Jack? – domandò, bagnandosi le labbra con un sorso di birra nella speranza che Will non notasse il tremore delle sue mani.
Troppo concentrato sul da farsi, il ragazzo non sembrò farvi caso.
- Innanzitutto dobbiamo reclutare una ciurma, poi faremo rotta verso Isla de Muerta, è lì che Barbossa sta portando Elizabeth. –
Isla de Muerta? Che Lizzie avesse in qualche modo a che fare con la Maledizione?
No, non aveva senso…
Perché Barbossa aveva preso proprio lei? Forse si era sbagliato… Insomma, quali legami poteva avere la figlia del Governatore con la pirateria?
- E quando vorreste partire? – continuò a chiedere, un’idea che si stava pian piano facendo strada nella sua mente.
L’apprendista fabbro si strinse nelle spalle e si guardò intorno spaesato.
- Il prima possibile. Secondo Jack, se Gibbs ci da una mano, per domattina dovremmo essere pronti a salpare… -
Era chiaro come il sole quanto il rimanere fermo sull’isola lo facesse sentire come se stesse camminando sui carboni ardenti: nonostante tutto, anche dopo tutti quegli anni, certe cose non erano cambiate affatto.
Cristal sorrise, le preoccupazioni appena ammorbidite alla vista di quel sentimento che aveva visto nascere e germogliare quando ancora erano poco più che ragazzini.
Ricordava bene di come Will, consapevole di non avere speranze con la figlia di Swann, avesse deciso di allontanarsi lentamente dal gruppo, rinunciando pian piano alla compagnia della fanciulla.
Elizabeth non era stata capace di cogliere le reali motivazioni di quel comportamento, e le sue lamentele nei confronti dell’assenza di William durante i loro incontri si erano protratte per mesi.
Cristal aveva più volte tentato di far desistere l’amico dai suoi propositi di rinuncia, ma aveva dovuto ammettere che Turner aveva la testa più dura della sua, e alla fine lo aveva lasciato proseguire per la sua strada, pregando in cuor suo che il destino avesse in serbo per gli amici una qualche sorpresa.
Adesso, a distanza di tutto quel tempo, sembrava che la sorpresa fosse balzata fuori direttamente dalle pagine di un libro: nulla meglio di un salvataggio alla vecchia moda cavalleresca avrebbe potuto mettere in chiaro cosa entrambi provavano l’uno per l’altra!
Sorpresasi a indugiare su simili pensieri, lei che ormai aveva rinunciato a qualsiasi sogno d’amore, si ritrovò a ridacchiare sommessamente, sotto lo sguardo scocciato di Will.
- Scusa, stavo pensando a una cosa stupida… -
Si guardò intorno, come se rannicchiate sotto ai tavoli e abbrancate alle gambe delle seggiole avesse potuto trovare le parole giuste con cui esporre la sua idea.
- Non ho assolutamente idea del perché un pirata come Barbossa abbia voluto rapire Elizabeth, ma se le voci su di lui sono vere è meglio non rimanere a trastullarsi sulla terraferma. Tre giorni sono tanti, potrebbe già essere successa qualsiasi cosa. – commentò, lo sguardo fattosi improvvisamente serio mentre l’amico tendeva le labbra in un’espressione preoccupata e annuiva deciso.
- Mettere insieme una ciurma in una notte è difficile, ma non impossibile… Se volete posso darvi una mano, conosco un paio di persone che sono in cerca di un ingaggio…  - propose, stringendo un po’ più forte il boccale fra le mani.
Anche se era cambiata molto, Will la conosceva abbastanza bene da capire che dietro a quei gesti c’era una macchinazione che la rendeva elettrica, ma grazie al cielo, ancora una volta, il pensiero di Elizabeth lo distolse da quella deduzione più che elementare.
Invece del dubbio, sul suo volto brillò luminosa la gratitudine.
- Davvero lo faresti? –
Questa volta la giovane si lasciò andare ad una risata spontanea e argentina.
- Ogni volta che ti faccio un’offerta reagisci sempre allo stesso modo, fin da quando ti ho proposto di lavorare con Papà! Dovresti saperlo che la sottoscritta non parla mai a sproposito! –
Solo un paio d’ore più tardi, quando finalmente Gibbs andò a cercare qualcuno di abbastanza pazzo da mettersi contro Barbossa e la sua ciurma e Will, provato da quella bufera di avvenimenti, si decise ad andare a letto, la figlia del fabbro riuscì ad agguantare Jack per un braccio, trascinandolo senza ritegno fuori dalla locanda.
- Che cosa fai?! – sbraitò quello, infastidito da quell’improvvisa invasione del suo spazio personale.
- Che cosa fai tu! Rispondimi: sono vere le voci su Capitan Barbossa?-
Jack rotetò gli occhi, ritenendolo sufficiente come risposta affermativa.
- Allora come diamine intendi recuperare la Perla finchè è in mano a un individuo che non può morire? –
Il pirata ghignò e uno dei suoi denti d’oro baluginò nella notte, mentre da un vicolo laterale si alzava una canzonaccia accompagnata dalle risa sguaiate di qualche caritatevole signorina in rosso.
- Ti ho mai dato modo di dubitare di me? – cinguettò Sparrow, tutto tronfio per via del grande mistero che nascondeva.
Cristal scosse la testa e sbuffò, infastidita.
- Jack, parlo sul serio. Questa è un’impresa impossibile! – e per di più la mia migliore amica ci rischia la pelle, avrebbe voluto aggiungere.
- Diciamo solo che la putrescente condizione di Barbossa e di quel suo branco di serpi non saranno un problema ancora per molto… -
- Cos’è che sai che io non so? – ribatté, snervata dall’evidenza che Jack non aveva alcuna intenzione di condividere il suo segreto, rendendole così ben più che ostica l’impresa in cui si stava lanciando.
- Per ora accontentati di questo, giovane Cooper, e vedi di ricordartelo bene: tutto è possibile, se si ha la leva giusta! –
La ragazza aggrottò le sopracciglia, chiedendosi quale mai potesse essere la leva giusta in quella situazione intricata e letale come la chioma di Medusa.
- D’accordo, come vuoi. Allora vengo con te. – sbottò, consapevole di non poter ottenere un granchè con la persuasione.
Come da pronostico, l’espressione sul volto di Sparrow mutò ad una velocità impressionante.
-Will mi ha detto che siete senza ciurma. Qualunque sia il tuo asso nella manica, se vuoi riprenderti la Perla avrai bisogno di qualcuno che ti copra le spalle. – aggiunse.
L’uomo le rivolse un altro sorriso, questa volta intriso di quella complicità fraterna che aveva colorato le loro avventure in cerca di Marion Hawke.
- Proprio due gocce d’acqua… - commentò criptico, per poi voltarle le spalle e incamminarsi verso la locanda.
- Non voglio perdite di tempo sulla mia nave, sia ben chiaro. E, Capitan Tempesta, vedi di portarmi rispetto! – ordinò con tono appena sfottente, mentre la ragazza lo seguiva, felice di essere riuscita nel suo intento.
Fece per replicare, ma Jack la anticipò, concludendo il suo ammonimento con una frase che la lasciò spiazzata e la fece scoppiare a ridere di gusto.
- Dopotutto, potrei essere tuo padre! –
No, nonostante gli anni, certe cose non erano proprio cambiate…















































 
Note:

Buonsalve a tutti, miei coraggiosi lupi di mare!
Come al solito aggiorno in ritardo sulla tabella di marcia....
Ahimé, ormai mi sa che mi devo rassegnare a postare quando le avversità me lo concedono: come se non bastasse lo studio matto e disperatissimo a tenermi lontana dal Mar dei Caraibi, anche l'alluvione ha pensato bene di mettermi i bastoni fra le ruote... -.-
Dunque, ora qualche commento su questo capitolo...
Beh, in realtà non succede un granchè, ci troviamo per le mani l'ennesimo capitolo di transizione.
Nella prima parte ho voluto fare un salto a Port Royal per vedere come si è evoluta la situazione che avevamo abbandonato nel lontano Capitolo 13. Ebbene, gli anni sono passati, e alla fine anche il caro James Norrington ha dovuto arrendersi all'evidenza che non si può vivere di rimpianti.
Più o meno.
Mi rendo conto che il discorso di Swann sul matrimonio e le reazioni del -quasi- Commodoro a riguardo possano sembrare un po' frettolosi, ma non preoccupatevi, avremo modo di tornare su questo argomento nei capitoli futuri...
Nel frattempo Elizabeth è stata rapita e, magia, Jack e Gibbs si sono incontrati a ordire trame proprio nella locanda dove alloggia la nostra protagonista.
Mi ha divertito molto rendere le reazioni ai vari incontri che avvengono in questo capitolo, specialmente quelle fra Cris e Will...
I due ragazzi sono cresciuti, e come c'era da aspettarsi i rapporti ora sono un po' più freddini...
Ma non basta certo una presunta morte a far dimenticare un'amicizia dalle radici così profonde, e presto vedremo dei begli sviluppi!
Non aggiungo altro e vi lascio nella speranza di avere un po' di tregua dall’Uni, dal lavoro e dagli agenti atmosferici per postare in fretta il nuovo capitolo...
In ogni caso, grazie mille per il supporto, non smetterò mai di dirlo! <3

Kisses,
Koori-chan

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***







Capitolo Diciottesimo~









Joshamee Gibbs era, senza alcun dubbio, la persona più contraddittoria che Cristal Cooper avesse mai conosciuto.
Quando, la sera prima, Jack aveva annunciato che la giovane Capitan Tempesta avrebbe preso parte alla spedizione di salvataggio, il vecchio nostromo era parso più che felice di sapere che avrebbe avuto a bordo un’altra faccia amica eppure, quella stessa mattina, nel vedere il viso impertinente di Anamaria spuntare da sotto il suo cappello a tesa larga, la sua reazione era stata completamente opposta.
Di nuovo lui, di nuovo quell’odioso ritornello che Cristal aveva ormai imparato a memoria: “donna a bordo porta male”.
- Oh, chiudete il becco, Gibbs! – lo aveva apostrofato affettuosamente, premurandosi tuttavia che l’uomo cogliesse la seria nota di rimprovero nel suo sguardo.
A dire il vero non era stata la sua critica al gentil sesso ad indisporla, a simili trattamenti ormai era più che abituata; ciò che l’aveva irritata di più era stata la mancanza di fiducia dell’uomo di fronte a una sua proposta.
Era stata proprio lei, infatti, a contattare Anamaria alle prime luci dell’alba.
Le due si erano conosciute un paio di giorni dopo l’abbandono della Liberty e, accomunate dall’essersi ritrovate senza barca ognuna per un motivo diverso, avevano finito per fare amicizia.
A dirla tutta, Anamaria era la prima ragazza con cui Cristal avesse rapporti da molto, moltissimo tempo, e all’inizio le era sembrato strano non dover dimostrare nulla per ricevere rispetto.
In ogni caso, la sua nuova amica era completamente diversa dalle altre donne che aveva conosciuto nella sua vita.
Di una bellezza semplice e misurata, la giovane mulatta aveva negli occhi scuri la luce fiera e orgogliosa di chi si è guadagnato la propria libertà con il sudore della fronte e un’acuta intelligenza.
In lei non vi era il vezzo di Elizabeth, né la grazia di Marion, né tantomeno la saggezza di Bleizenn, eppure ogni suo gesto era pregno di un fascino particolare, e il suo passo scaltro lasciava intuire l’abitudine al furto.
D’altro canto, la stessa Anamaria era rimasta oltremodo incuriosita dalle storie che si narravano su Capitan Tempesta, e l’ammirazione era stata immediata e reciproca.
Convincerla ad arruolarsi nella ciurma di Jack Sparrow, di cui la giovane si lamentava in continuazione e contro il quale meditava vendetta, era stato un gioco da ragazzi.
Anche Will non era sembrato troppo entusiasta della ciurma, che in tutta onestà, disastrata com’era, avrebbe fatto invidia a quella della Diablo, ma Jack sedò ogni dubbio con un’occhiata eloquente al cielo.
Il giovane Turner non comprese quel gesto, ma Gibbs e Cristal si scambiarono uno sguardo rapido: quel vento umido in arrivo da Est non prometteva niente di buono.
La tempesta che li colse fu violenta e impietosa: l’Interceptor gemeva ad ogni raffica di vento, e sembrava che l’equipaggio avrebbe potuto cedere da un momento all’altro.
Distinguere le forme a bordo del vascello era impossibile, e solo i fulmini secchi e schioccanti riuscivano a rischiarare un poco il ponte immerso nel buio della notte.
- Non ce la faremo mai! – gridò Will per sovrastare il boato dell’Oceano, mentre accanto a lui Cristal controllava la tenuta del sartiame.
- Abbi fede! Jack sa quel che fa! – replicò la ragazza, scostandosi dal volto una ciocca fradicia che le impediva la già scarsa visuale.
Aveva attraversato tempeste di gran lunga peggiori di quella, e i timori dell’amico sembravano quasi intenerirla: se lei sapeva cosa aspettarsi dal vento e dalle onde, il giovane Turner era incredibilmente inesperto, e per un assurdo istante si ritrovò a pensare a quando, da bambini, giocavano assieme immaginando avventure come quella.
Ma all’epoca il beccheggio nauseante era solo frutto della loro fantasia, e l’acqua salata che sferzava la faccia e rendeva scivoloso il ponte non era altro che un espediente per rendere il gioco più emozionante.
C’era poco da stupirsi, quindi, se adesso Will aveva le sue preoccupazioni.
- Come diavolo fai ad essere così tranquilla? – domandò Anamaria, il cappello che le era volato chissà dove nel nubifragio.
La bionda le rivolse un sorriso accondiscendente per poi lanciare un’occhiata a Jack che, aggrappato alla ruota del timone, teneva lo sguardo fisso davanti a sé.
- C’è un motivo se mi chiamano Capitan Tempesta! – e rise, l’ennesimo fulmine a schiantarsi nell’acqua attorno a loro mentre la giovane mulatta la guardava esterrefatta.
- Sei pazza! Siete pazzi tutti e due! – esclamò prima che un’onda particolarmente alta travolgesse il ponte e la costringesse ad aggrapparsi alla murata per non volare fuoribordo.
La figlia del fabbro non badò a quell’invettiva, l’attenzione concentrata sulla figura di Jack che consultava la sua bussola.
Se Anamaria avesse saputo che cosa entrambi stavano macchinando, si ritrovò a considerare, “pazzi” sarebbe stato solo un pallido eufemismo.
Ad ogni goccia che cadeva sul suo viso, ad ogni maroso guadagnato, il senso di impaziente angoscia che l’aveva tenuta all’erta da quando avevano lasciato Tortuga si faceva più pungente, al punto che a volte sembrava quasi volesse toglierle il respiro.
E se non fossero arrivati in tempo? Se Elizabeth avesse fatto qualcosa di stupido? Se Barbossa non fosse stato con la figlia del Governatore generoso e magnanimo come lo era stato con lei?
Quella in cui era andata a cacciarsi si delineava come la più intricata concomitanza di eventi che avesse mai fronteggiato, e in cuor suo temeva che, da sola, non sarebbe mai riuscita a ottenere ciò che sperava.
La tempesta si acquietò alle prime luci dell’alba, ma il cielo era ancora grigio e basso sulla linea dell’orizzonte.
Bagliori perlacei lo attraversavano laddove gli ultimi fulmini si rincorrevano in fuga dal giorno nascente e, lontana e incerta nella bruma, Isla de Muerta iniziava a delinearsi a prua.
A mano a mano che l’Interceptor si avvicinava alla costa frastagliata dell’isola, le nubi si squarciavano rivelando un cielo azzurro e limpido; tuttavia, appena sopra la suaperficie dell’acqua, una nebbia densa e innaturale si alzava nell’aria circondando la nave e rendendo insidiosi gli stretti passaggi fra gli scogli.  
- Ti vedo irrequieta, giovane Cooper... –
La voce di Sparrow la fece sobbalzare: non l’aveva sentito arrivare.
Lei era irrequieta, se non peggio. Era più che preoccupata, e il fatto di non avere la più pallida idea di che cosa Jack avesse in mente la terrificava. Ma non poteva permettere che l’amico subodorasse i suoi veri sentimenti, ragion per cui si limitò ad alzare un sopracciglio, interrogativa.
- Sei stranamente silenziosa... – spiegò il Capitano con aria indagatrice, prendendo a girarle intorno come un avvoltoio proprio come faceva una volta, quando voleva estorcerle informazioni.
Ma Cristal ormai lo conosceva bene, e non si sarebbe fatta fregare dal suo atteggiamento.
Appoggiò i gomiti al parapetto e sbuffò.
- Sono stanca, Jack. Abbiamo navigato tutta la notte in mezzo alla tempesta e i miei vestiti sono fradici. Non siamo tutti inesauribili come te, sai? – aggiunse poi con un sorrisetto di affettuoso rimprovero, sentendosi più tranquilla quando lo vide ricambiato dall’uomo.
- Sei preoccupata per la ragazza. – continuò, testardo e deciso a non demordere.
La bionda gli scoccò un’occhiata fredda e seccata.
- Lo sarò finchè non mi dirai che hai in mente. Per quanto ne so Barbossa non è tipo da risparmiare un ostaggio solo perchè donna. Come intendi salvare Elizabeth se la ciurma della Perla non può morire? – ritentò nella speranza di raggranellare qualche informazione in più.
Sparrow ghignò, un ghigno che la giovane non gli aveva mai visto e che non riuscì a interpretare.
- Dovresti prestare più attenzione, Cristal. Come ti ho già detto, basta avere la leva giusta... – fece criptico, mentre lo sguardo si spostava dall’amica a Will, seduto poco distante assieme a Gibbs.
Lasciandola di nuovo con un pugno di mosche, Jack si incamminò verso il suo secondo ufficiale, seguito a ruota dalla figlia del fabbro.
- Jack! Non penserai mica di parlamentare! E’ una follia! – sbraitò, ma il discorso era da considerarsi concluso.
Sbuffò sonoramente e incrociò le braccia al petto, evidentemente non aveva alcuna intenzione di metterla a parte dei suoi piani.
Calarono l’ancora lì dov’erano in una manovra che le parve affrettata e intirsa di una malcelata agitazione, poi il Capitano si affrettò verso le scialuppe.
- Il giovane Turner e io scendamo a terra. – sentenziò, forse più serio di quanto non avrebbe voluto apparire.
- Jack! – lo chiamò a quel punto, ormai consapevole del fatto che stava palesemente cercando di lasciarla da parte.
- Vengo anch’io. – aggiunse a un tono di voce più basso, gli occhi grigi piantati in quelli scuri dell’uomo alla ricerca del più piccolo indizio che potesse spiegarle cosa frullasse nella sua testa.
- Mi servi qui, a badare alla nave. – replicò Sparrow, mentre Will, ancora per niente abituato all’idea che la sua amica d’infanzia potesse seriamente manovrare una corvetta, rimaneva in silenzio.
- Può farlo benissimo Gibbs! – sbottò, in viso un’espressione che non ammetteva repliche.
Jack la scrutò per quelli che parvero interminabili secondi, poi roteò gli occhi in segno di resa.
Un sorriso baluginò sul volto della bionda, ma fu presto offuscato dalle parole che il Capitano mormorò a Gibbs.
- Rispetta il Codice. –
“Chi indietro rimane, indietro viene lasciato”.
Ricordava che Ramirez aveva sempe criticato quella regola, tacciandola di una profonda barbarie.
Tanti anni prima avevano passato un pomeriggio intero a discuterne, lei, Finn e lo spagnolo: nemmeno Cristal apprezzava quella direttiva, eppure, con il tempo, aveva imparato a capire cosa volesse dire davvero. Come amava suggerire Marion, il Codice era più che altro una traccia che un vero regolamento, e ogni suo dettame andava interpretato alla luce delle singole circostanze. A volte era necessario un sacrificio affinchè si potesse conseguire un risultato che avrebbe giovato ai più, ed era in quei casi che il Codice assumeva significato.
Dopotutto il mare non faceva sconti a nessuno, e ognuno doveva essere responsabile di sé stesso
“Non è barbarie, è legge di natura! Puro e semplice buon senso, ma voi siete troppo generoso per vederla a modo io, Ramirez!” aveva commentato l’irlandese con una scrollata di spalle, molleggiandosi stancamente sulla sua gamba di legno. All’epoca Cristal non era stata capace di formulare un giudizio deciso, ma adesso iniziava a capire che la posizione del cuoco era ben motivata.
Perchè, tuttavia, Jack Sparrow aveva ordinato a Gibbs di attenersi a una legge simile?
Un brivido le attraversò la schiena mentre la scialuppa veniva lentamente calata sulla superficie dell’acqua: voleva davvero parlamentare.
Eppure lanciarsi in una simile impresa senza avere le spalle coperte non era da Jack, e la ragazza si ritrovò a considerare che doveva davvero avere un piano, altrimenti non avrebbe mai preso quella decisione.
Lui voleva parlare con Barbossa, e per poterlo fare doveva avere qualcosa da offrirgli.
A Tortuga le aveva detto che la maledizione che colpiva la Perla Nera e la sua ciurma non sarebbe durata in eterno, e continuava a nominare quella dannata “leva giusta” che proprio non sapeva come intepretare.
Insomma, se sapeva come sconfiggere Barbossa perchè non metterla a parte delle sue macchinazioni?
L’unica ipotesi plausibile era che la leva di Jack fosse qualcosa che Cristal non avrebbe mai approvato.
Ma di cosa poteva trattarsi? Che sapesse qualcosa di Elizabeth che lei non sapeva?
Rimase silenziosa per tutto il tempo che impegarono ad addentrarsi nella grotta, disinteressata al personalissimo battibecco in atto fra Jack e Will.
In tutto quel marasma non aveva avuto un attimo di tempo per esporre i suoi timori al vecchio amico, ma riusciva a sentire nell’aria la tensione che provava: non si fidava di Jack, non del tutto almeno.
- State zitti, o ci scopriranno subito! – sibilò, precedendoli lungo quello che sembrava un vero e proprio sentiero scavato nella roccia.
Barbossa le aveva parlato spesso di Isla de Muerta, ma per quanto accurate, le sue descrizioni non avrebbero mai potuto eguagliare il senso di viscida inquietudine che sembrava trasudare direttamente dalle pareti della caverna.
Il buio inglobava ogni cosa, acquattandosi negli anfratti più remoti e accarezzando come un guanto di seta la superficie dell’acqua.
Ogni tanto qualche sottile e pudico raggio di luce faceva capolino dall’alto, ferendo il silenzio statico e umido con la sua delicatezza, mentre le gocce che scivolavano nel vuoto sfuggendo alle lunghe e tozze stalattiti rimbombavano come bordate.
A mano a mano che proseguivano, le voci concitate della ciurma di Barbossa si facevano sentire, assieme a uno scalpiccio diffuso e al rumore dell’oro che veniva ammassato senza criterio.
Senza emettere un fiato, Cristal raggiunse una spaccatura nella roccia che, proprio come una finestra, si apriva su un grande spazio circolare, la luce che filtrava dal soffitto della caverna a colpire un grande forziere di pietra ubicato al centro dell’ambiente.
Loro erano là.
In piedi davanti al forziere, immobili sotto l’ampio fascio di luce, sembravano due polene immerse nella nebbia e per un momento Cristal si sentì mancare il respiro.
Elizabeth era viva. Stava bene. Poteva ancora salvarla.
- Elizabeth... – sentì Will sussurrare accanto a lei, mentre Jack studiava l’ambiente attorno a loro .
Cristal strizzò gli occhi per distinguere meglio i suoi lineamenti, ma da quella distanza era difficile riuscire a notare qualche dettaglio.
Poi la sua attenzione si spostò sul pirata dal grande cappello piumato, e uno strano calore le pervase il petto.
Anche lui stava bene.
Il discorso solenne era già incominciato, e la Figlia della Tempesta si ritrovò catapultata indietro di tre anni, a bordo della Perla Nera.
Era giunto il momento, anche l’ultimo pezzo di quel tesoro maledetto era stato recuperato, e finalmente Barbossa avrebbe avuto indietro la sua libertà.
Quanto aveva pregato che un giorno come quello potesse arrivare, quanto aveva sperato che quell’uomo dai modi di seta potesse tornare a vivere davvero, senza dover più odiare la luna!
E ce l’aveva fatta, il medaglione al collo di Elizabeth e la pace a portata di mano.
Sarebbe bastato concludere il rito e ogni cosa sarebbe tornata al suo posto, così come doveva essere.
Nelle sue parole leggeva un dolore antico e profondo, il dolore che era arrivato a consumargli l’anima, nei suoi gesti un rancore bruciante per una pena non meritata. E se fosse stata più vicina, e di questo ne era certa, avrebbe potuto scorgere nei suoi occhi blu come una giornata di Giugno una speranza e una gioia senza confini.
Ma Will non conosceva Barbossa, non sapeva nulla del suo tormento, e l’unica cosa che riusciva a vedere era Elizabeth, salda nonostante il terrore, esposta come merce da baratto a quegli uomini senza religione che sembravano volerla sgozzare da un momento all’altro.
- Jack! – esclamò, agitato e irrequieto.
- Non adesso! – lo fermò quello prima che potesse prendere una qualsiasi iniziativa.
- Aspettiamo il momento più opportuno... – aggiunse in spiegazione vedendo lo sconcerto nelle iridi castane del giovane.
Cristal rivolse loro un’occhiata silenziosa, poi tornò a concentrarsi sul forziere. Non si accorse che gli altri due se n’erano andati.
Barbossa stava ancora arringando la sua ciurma, e il discorso incominciò a prendere una piega indesiderata.
Sangue. Come aveva potuto dimenticare il sangue?!
Vide gli uomini della Perla sghignazzare ed estrarre i coltellacci dai foderi, puntandoli contro la figura esile di Elizabeth, sempre più terrificata.
Allora voleva ucciderla?
Ma Jack aveva ragione, non poteva semplicemente fare irruzione all’improvviso sperando di cavarsela. Doveva aspettare il momento migliore, e il momento migliore doveva ancora presentarsi.
In un gesto fluido estrasse la pistola dalla cintura e la caricò, puntandola verso Barbossa, il più lontano possibile dall’amica.
Se qualcosa fosse andato storto avrebbe potuto guadagnare qualche secondo, giocando sull’effetto sorpresa.
In un gesto secco e sgraziato, il pirata fece chinare la fanciulla sul forziere aperto, gli altri manigoldi che inneggiavano in attesa del momento.
Cristal trattenne il fiato, il dito appoggiato sul grilletto in attesa del peggio, ma il peggio non si verificò.
Barbossa afferrò la mano sinistra di Elizabeth e le fece un taglietto sul palmo, bagnando il medaglione col suo sangue.
- Tutto qui?! – la sentì domandare, sconvolta.
L’uomo le rivolse uno strano sorriso, stringendo la mano della ragazza nella sua.
- Odio lo spreco. –
Cristal emise un sospiro sollevato e rinfoderò la pistola.
Sapeva che non le avrebbe fatto del male, lo sapeva!
Solo a quel punto si accorse che Jack e Will erano spariti.
- Oh no, adesso no! – sibilò.
Che cosa aveva in mente Jack? Se avesse colpito Barbossa ora che la maledizione era stata spezzata sarebbe riuscito a ucciderlo, ma loro sarebbero stati condannati, tutti quanti!
Fu uno sparo a farla sobbalzare e a riportare la sua attenzione sul forziere.
- Non ha funzionato! Su noi c’è ancora la maledizione! – sentì berciare un uomo della ciurma.
La figlia del fabbro strinse i pugni, colma d’apprensione.
Come poteva essere? Eppure il rituale era stato svolto, il medaglione restituito e il sangue ripagato!
Che ne avessero usato troppo poco?
Barbossa scrutò per qualche secondo la lama imporporata del coltello, poi si voltò verso Elizabeth.
- Tu, parla! Tuo padre, qual era il suo nome? Non sei la figlia di William Turner? – sbraitò traboccante d’ira, scuotendola vigorosamente.
E all’improvviso tutto fu chiaro.
Perchè la maledizione non si era sciolta.
Perchè Jack pensava di poter parlamentare.
Perchè non le aveva detto niente.
Come aveva ipotizzato, la leva giusta di cui parlava era qualcosa che non avrebbe mai approvato.
Jack voleva vendere Will in cambio della sua vendetta e questo, pirata o no, non avrebbe potuto permetterlo mai.
Come attraversata da una scarica elettrica, si voltò e percorse a ritroso il sentiero, alla ricerca di Jack e Will. Maledizione, c’erano troppi fronti aperti! Non sarebbe mai riuscita a portare avanti quel doppiogioco se doveva occuparsi contemporaneamente di Jack, di Will, di Lizzie e di Barbossa!
- Will! Will! – soffiò, sperando che l’amico lo sentisse e che contemporaneamente nessuno si accorgesse della sua presenza.
Fu a quel punto che, nel buio del cunicolo in cui si era infilata, andò a sbattere contro qualcosa.
- Will? – domandò, consapevole che quella stoffa non poteva in alcun modo appartenere agli abiti del giovane Turner.
- Will! – le fece eco una voce terrorizzata.
L’aria le mancò nei polmoni, e per un momento fu come se il suo cuore si fosse fermato.
Non ebbe tempo di perdersi nella gioia del ritrovamento, il fabbro apparve dal fondo del cunicolo e sospinse sia lei che Elizabeth verso la luce.
- Non c’è tempo, dobbiamo andarcene! – ordinò, prendendo entrambe per mano e trascinandole senza grazia verso la scialuppa.
- Si sono accorti di te? – chiese Cristal, entrando in acqua fino al ginocchio e raccattando i remi delle barcacce della Perla, nella speranza che quel trucchetto gli facesse guadagnare tempo.
William fece salire la fuggitva a bordo della scialuppa e scosse la testa in segno di diniego.
- Ma non ci vorrà molto prima che accada. Presto, sali! –
- Dov’è Jack? – replicò, l’urgenza a bruciarle nella voce.
L’amico le rivolse un’occhiata eloquente e lei emise uno sbuffo mal trattenuto.
- Ordini del Capitano... – si limitò a commentare nel balzare a bordo, per poi sedersi di fronte ad Elizabeth e prendere a remare con vigore verso l’uscita della caverna.
La nebbia si insinuava fin dentro l’oscura cavità, impegnando i loro abiti fradici e i loro cuori ancora colmi di paura.
Elizabeth Swann continuava a guardare dritto davanti a sé come se fosse stata al cospetto di un fantasma.
Da quando avevano iniziato a remare nessuno aveva più pronunciato una parola. Solo dopo un paio di minuti una voce incerta e spezzata si alzò nella foschia.
 
Quindici uomini, quindici uomini
Sulla cassa del morto
 
Cristal sorrise e chinò il capo, sentendo gli occhi pizzicarle e il cuore esploderle.
 
Yo-oh-oh
Yo-oh-oh
E una bottiglia di rum
 
Le fece eco, tornando a guardarla in viso.
Fu questione di un secondo, un fremito attraversò le iridi castane della figlia del Governatore, e poi le sue braccia furono attorno al collo della vecchia amica in un abbraccio che mai avrebbe creduto possibile.
Non piangeva, ancora troppo scossa dagli eventi, ma il suo sorriso sembrava capace di spazzare via la nebbia, e la sua respirazione irregolare ricordava a entrambe quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che si erano abbracciate.
- Devo dire che dopo sei anni da cadavere sei resuscitata in grande stile, Cristal Cooper! – esclamò, stringendola ancora di più mentre Will remava anche per Cristal.
- Lizzie, se solo avessi saputo... Mi dispiace così tanto... – replicò l’altra, che invece aveva dato libero sfogo alle lacrime.
- Vedi, Turner? E’ così che si accoglie un’amica scomparsa! – scherzò poi, asciugandosi il viso e prendendo delicatamente le mani di Elizabeth fra le sue, il ragazzo che ormai si era rassegnato a remare da solo fino all’Interceptor.
- Oh, Lizzie, sono successe così tante cose... Ti prometto che ti racconterò tutto, ma ora parlami di te! Stai bene? Barbossa ti ha ferita? Mio dio, ho avuto davvero paura che potesse finire male... –
E tutto scomparve come se non fosse mai esistito.
Le incertezze, i timori, i rimpianti.
Elizabeth raccontava, e la sua voce delicata ma ferma la riportava indietro a tempi remoti e confusi che credeva di aver perduto per sempre.
Dopo tanto, troppo tempo, Cristal Cooper tornò ad essere una ragazzina fantasiosa e coraggiosa, una spadina di legno fra le mani nei soleggiati pomeriggi di Port Royal.
Ed era davvero il sole a bagnarle la faccia mentre, affacciata al parapetto di dritta,  ripensava con un sorriso agrodolce sul volto alle circostanze che si erano allineate perchè potesse assaporare una simile gioia dopo tanti anni di rinunce.
Ce l’avevano fatta, Elizabeth era salva, aveva ritrovato la sua amica e assieme a Will l’aveva tirata fuori dai guai.
Appena erano tornati a bordo dell’Interceptor, tuttavia, la gioia aveva dovuto essere messa da parte alla luce dei fatti.
Come pattuito, Anamaria aveva preso il comando della nave, ma Gibbs non si era voluto accontentare dello scarno “è rimasto indietro” che Will aveva pronunciato a proposito di Sparrow.
- Cristal, che cosa è successo? – le aveva domandato, afferrandola per un braccio prima che potesse seguire gli amici d’infanzia sottocoperta.
- Non preoccupatevi, va tutto secondo i piani. Jack vuole parlamentare con Barbossa, ed è quello che farà. – aveva spiegato.
- Se non lo uccidono prima! – era stata la replica stizzita del marinaio.
Cristal aveva sospirato.
Nemmeno a lei andava a genio l’idea di Jack Sparrow nelle grinfie del suo peggior nemico, eppure sapeva che non vi era altra scelta. Se avesse salvato Jack avrebbe condannato Will e Elizabeth, in questo modo, invece, metteva in pericolo i due Capitani della Perla, ma guadagnava tempo per riflettere.
Barbossa non avrebbe mai ucciso Sparrow, finchè Will era con loro.
Questo però significava una cosa, una certezza a cui dovevano prepararsi.
- Verranno a prenderci. – aveva sentenziato, lo sguardo pregno di una serietà che nessuno le aveva mai visto addosso.
Gibbs aveva assorbito l’informazione con un sorso dalla sua fiaschetta di rum, poi si era allontanato a grandi passi, lasciandola sola in compagnia del vento.
- Dimmi qualcosa di allegro. – la voce di Elizabeth la fece voltare di scatto.
A Cristal bastò un secondo per capire che qualcosa sottocoperta era andato storto.
Will aveva fatto qualche stupidaggine, era pronta a scommeterci!
Alzò gli occhi al cielo, portando una mano al mento per completare la sua aria pensosa, poi parve avere l’illuminazione.
- La tua migliore amica è viva ed è diventata Capitano! – esclamò, beandosi dell’espressione stupita della figlia del Governatore.
 - Capitano? – domandò, incentivandola a continuare.
L’amica sorrise e annuì con aria saccente.
- Prima dimmi, cosa sai della Liberty Breeze? –
Ma Elizabeth non rispose e si portò la mano fasciata alla bocca, sul viso un’espressione più che incredula.
- Oddio. Sei... Capitan Tempesta sei tu?! – esalò, sconvolta.
Cristal scoppiò a ridere, divertita da quella reazione.
- Te l’ho detto, ho tantissime cose da raccontarti! – e così dicendo la condusse nuovamente sottocoperta, dove raccattò una mela dal barile delle scorte.
Parlarono a lungo, Cristal le raccontò ogni cosa, la ricerca dei suoi genitori, Capo Horn, l’incontro con Bleizenn Gw’rach, la Diablo e le avventure nei Caraibi a bordo della Liberty.
Lizzie pendeva dalle sue labbra, gli occhi colmi di stupore e d’emozione mentre l’amica narrava di tempeste e arrembaggi come solo lei sapeva fare.
Tutti i giorni trascorsi asserragliata nella sua stanza a piangere a dirotto scrutando l’orizzonte le sembravano ora ripagati, perchè nulla avrebbe potuto renderla più felice di sentire la voce limpida di Cristal Cooper parlare della saggezza di Ramirez e dell’ingenua dolcezza di Toby.
Solo ora che l’aveva di nuovo al suo fianco si rendeva conto di quanto le fosse mancata.
Le era mancata più dell’ossigeno, perchè Cristal era per lei più di una semplice amica. Era sua sorella, l’unica che l’avesse mai capita nel profondo e che avesse sempre saputo cogliere ogni sfumatura nel suo sguardo.
- Aspetta, raccontami di nuovo dell’ammutinamento della Liberty Breeze! Come hai fatto a... – ma prima che potesse terminare la domanda un vociare agitato dal ponte di coperta la ridusse al silenzio.
Confusa e preoccupata, interrogò l’amica con lo sguardo, ma la figlia del fabbro non stava prestando attenzione, gli occhi ridotti a due fessure e l’orecchio teso per captare ogni più insignificante sussurro.
- Arrivano. – disse solamente, prima di precipitarsi sul ponte.
- Che succede? Ditemi! – si informò Elizabeth.
Ma Cristal non aveva certo bisogno della replica di Anamaria per capirlo: la Perla Nera li stava raggiungendo, filando veloce fra le onde come se a sospingerla ci fosse stata una mano divina.
Cercarono di staccarli su delle secche poco distanti, ma lo sapeva, non avevano scampo. La nave di Barbossa era troppo veloce, li avrebbero presi comunque.
Che fare, dunque? Se non potevano fuggire, l’unica soluzione era fronteggiarli.
Fu Will a prendere la decisione, risoluto e volitivo come mai l’avevano visto prima di allora.
Per un istante, tutti e tre ebbero la sensazione di ritorvarsi ancora a Port Royal, in uno dei loro giochi d’infanzia. Si scambiarono uno sguardo d’intesa, il sangue a pompare nelle vene assieme all’adrenalina, poi Cristal scese sottocoperta a impartire gli ordini.
Caricarono i cannoni con tutto ciò che era rimasto a bordo, chiodi, ferraglia e pezzi di vetro. Non sarebbero certo stati proiettili efficienti come palle di cannone, ma sarebbero bastati per difendersi.
Poi un richiamo si fece sentire dal ponte superiore, e l’Interceptor prese a ruotare su se stessa con un violento strattone.
- Viriamo sull’ancora! – considerò spalancando gli occhi, sopresa.
Chi aveva avuto quell’idea così genialmente folle?
- Questa scommetto che non te la aspettavi, Barbossa... – sussurrò fra sé e sé con un ghigno, tornando in superficie per prepararsi all’arrembaggio.
Ancora una volta, proprio come tanti anni prima, Cristal si ritrovò ad osservare la ciurma di dannati sporgersi dalla murata, ma questa volta sapeva cosa avrebbe fronteggiato.
Che avessero provato a distanziarli o che avessero perseverato nell’arrembaggio, l’Interceptor era spacciata, ma forse qualcosa poteva ancora combinare.
- Presidiate la Santabarbara! Che nessuno si avvicini alla polvere da sparo! – urlò mentre le due navi si allineavano.
- La Santabarbara? – domandò Anamaria, confusa. Ma qualcosa doveva averle suggerito che la bionda sapeva di cosa stava parlando, perchè ordinò a due uomini di scendere sottocoperta e prendere posizione.
Come al solito, i minuti che seguirono furono puro caos, il fumo dei cannoni che saliva al cielo offuscando la visuale e rendendo acre l’aria nei polmoni.
Poi, quando ormai avevano abbassato la guardia, una palla doppia tranciò di netto l’albero di maestra, che crollò di lato con uno schianto assordante.
- Saldi, uomini! Saldi! – gridò Cristal nel vedere il terrore impossessarsi della ciurma.
Ma i nemici avevano già messo mano ai rampini, e in men che non si dica il ponte dell’Interceptor divenne un campo di battaglia.
Era il momento.
Mescolandosi nella baraonda, la figlia del fabbro afferrò una corda e si lanciò sul ponte della nave avversaria, menando fendenti nel disperato tentativo di salvarsi.
- Barbossa! – continuava a gridare, ma i suoi richiami erano poco più di pigolii nel frastuono dell’arrembaggio.
Poi lo vide, ritto e fiero fra ciò che restava del loro velaccio massacrato dal fuoco dei cannoni.
Il suo grande cappello piumato ben calcato in testa, analizzava la battaglia mentre il vento leggero gli scuoteva gli orli della pesante giacca scura.
- Barbossa! – lo chiamò ancora, allungando una mano fino a tirarlo per la manica.
Preso alla sprovvista, l’uomo si voltò di scatto, caricando un fendente dall’alto che venne parato per puro miracolo.
- Cristal Cooper?! – né i suoi occhi né la sua voce riuscirono a celare la sopresa e la ragazza non poté fare a meno di sorridere quando le mani del pirata si posarono sulle sue spalle in un gesto di sincera apprensione.
- Stai bene? – domandò, per poi riscuotersi immediatamente e passare ad un tono ben più severo.
- Che cosa ci fai qui?! – sbraitò infatti, scuotendola appena.
Il cuore di Cristal si contrasse di un’angoscia incalzante, la gioia di essersi ricongiunta al dannato spazzata via dalla consapevolezza del pericolo in corso.
Doveva spiegargli cosa stava succedendo, doveva metterlo in guardia da Jack.
- Barbossa, devi starmi a sentire, è molto importante! – incominciò, le mani artigliate al colletto della sua giacca per trasmettergli l’urgenza.
Ma l’uomo sembrava cieco di fronte a quei gesti, troppo concentrato nella sua battaglia.
- Cristal, dannazione, cosa ci facevi su quella nave?! – continuò imperterrito senza lasciarla parlare.
La ragazza scosse la testa e si morse un labbro.
- Barbossa, non c’è tempo per spiegare, devi fidarti di me! –
Ma continuò ad ignorarla, spingendola con malagrazia contro l’albero di mezzana.
- Tu dovresti essere morta! Se la ciurma ti riconosce...! – ma non riuscì a terminare, interrotto dalla voce esasperata della bionda.
- Hector, dannazione, stammi a sentire! – sbraitò, sentendo per la prima volta il sapore del suo nome.
Forse persino il suo portatore ne aveva dimenticato il suono, o forse sentirlo pronunciare in quel modo gli aveva riportato alla mente ricordi di tempi passati che non pensava avrebbe mai più riesumato, perchè tacque e si fece attento.
Doveva salvarlo, non poteva permettersi che gli accadesse qualcosa.
Tuttavia non poteva nemmeno nominare Will, o il suo amico sarebbe stato spacciato!
L’unica speranza era che il pirata si fidasse di lei, che le desse retta e facesse come diceva.
- Devi promettermi che qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa, tu non scioglierai la maledizione! – esclamò finalmente, gli occhi piantati in quelli dell’uomo.
Vide un lampo di sconcerto attraversarli e per un istante sentì la presa farsi più salda sulle sue spalle.
- Cristal, ti rendi conto di quello che stai dicendo? – fu la risposta che ottenne mentre le mani del pirata scivolavano lungo le sue braccia lasciandola libera nei movimenti.
- Fila nella mia cabina e non azzardarti ad uscire, svelta! – ordinò, lo sguardo puntato all’Interceptor.
- Barbossa, ti prego! Jack Sparrow sa quello che fa, è tutto calcolato!– gridò esasperata sperando di riguadagnare la sua attenzione.
- Fila in cabina! – berciò il Capitano, allontanandosi a grandi passi.
- Hector, è una trappola! – ma il suo ammonimento si perse nel caos lasciandole addosso un senso di ghiacciato terrore che le fece salire le lacrime agli occhi.
Non poteva chiudersi in cabina, doveva tornare sull’Interceptor, doveva salvare gli altri!
Dannazione, perchè non era stato ad ascoltarla? Per quale motivo non le aveva dato retta?
Mosse un passo in avanti, pronta ad afferrare la prima corda libera e tornare dai suoi, ma una mano forte e salda la afferrò per un braccio, stringendoglielo talmente forte da farle mollare la presa sulla spada.
-  Bentornata a bordo, Principessa! – non fu la voce, quanto l’apellativo a farle venire i brividi.
Nessuno l’aveva mai chiamata in quel modo, nessuno al di fuori del primo ufficiale di Barbossa, la ragione principale per cui, due anni prima, aveva dovuto fingersi morta per poter abbandonare la Perla in sicurezza.
- Lasciami andare, bastardo! – gridò dimenandosi come un’anguilla, ma la presa dell’uomo era forte, e fu tutto inutile.
- Oh no, non questa volta! Questa volta non ci sfuggirai, piccola puttana! – lo sentì soffiarle nelle orecchie.
Con terrore crescente, si accorse che la ciurma di Barbossa stava ripiegando, con loro, legati o minacciati da coltelli e pistole puntati contro la schiena, i membri dell’equipaggio dell’Interceptor e Jack Sparrow, magicamente ricomparso al momento più opportuno.
Avevano raggiunto la Santabarbara, ormai era questione di minuti, forse secondi.
La Perla si allontanava in fretta da quel che rimaneva dell’agile fregata, e fu solo quando si trovarono a distanza di sicurezza, l’equipaggio di Jack legato alla mezzana perchè a nessuno venissero strane idee, che Cristal si rese conto di un particolare catastrofico.
Ancora prigioniera del primo ufficiale, che le torceva un braccio dietro la schiena e con l’altra mano la tratteneva per i capelli, incrociò lo sguardo di Elizabeth.
- Dov’è Will? – sillabò a fior di labbra senza emettere un suono.
L’amica scosse la testa, poi portò le iridi castane sulla figura dell’Interceptor che fumava poco distante in attesa della sua fine.
La Figlia della Tempesta si sentì morire, una sensazione di freddo straziante ad artigliarle le viscere.
Se quella nave fosse saltata per aria Will sarebbe morto, e con lui la speranza di Barbossa e dei suoi, Jack, Elizabeth e tutti loro.
Stavano per commettere un terribile errore, e non c’era niente che potesse fare.
Eppure non poteva arrendersi a quel modo, non dopo tutto quello che aveva fatto!
Doveva pensare, c’era di sicuro qualcosa che le sfuggiva, qualcosa che avrebbe potuto risolvere quella maledetta situazione!
Ma prima che potesse formulare anche un singolo pensiero accadde l’irreparabile, e, assieme all’urlo straziante di Elizabeth, la detonazione le cannonò il cuore.





























 
Note:

D'accordo, io non farò mai più previsioni sui futuri aggiornamenti perchè porta sfiga.
Cinque mesi. Sono passati quasi cinque mesi dall'ultimo aggiornamento e io veramente  non so con che coraggio mi stia ripresentando.
Davvero, chiedo scusa per essere sparita per così tanto tempo, ma è stato un periodo un po' complicato e fra esami, faccende familiari, altri progetti e una terribile mancanza d'ispirazione non sono stata capace di mettere mano a questa storia prima...
Ma bando alle ciance, e diciamo qualcosa su questo capitolo che mi ha davvero fatto sputare sangue.
Beh, dal punto di vista narrativo non succede niente di nuovo rispetto a quello che ci hanno mostrato i film: l'Interceptor salpa alla volta di Isla de Muerta, Will si rompe le scatole dei giochetti di Jack ed Elizabeth viene tratta in salvo, almeno fino allo scontro fra le due navi.
E Cristal?
Per lei, in realtà, questo è un capitolo denso di avvenimenti e angosce.
Innanzitutto ritrova, dopo moltissimo tempo, due persone che l'hanno segnata nel profondo nel corso della sua crescita: Elizabeth, che credeva non avrebbe incontrato mai più, e Barbossa, che aveva lasciato in maniera così brusca due anni prima.
A differenza della rimpatriata con Will, durante la quale hanno avuto tutto il tempo del mondo per metabolizzare quanto successo e per aggiornarsi sugli avvenimenti degli ultimi sei anni, con Elizabeth è tutto molto più rapido e meno intimo, e le  ragazze riescono a ritagliarsi solo qualche momento per loro due: non che ce ne sia davvero bisogno, dopotutto è bastato davvero poco per spazzare via quei lunghi anni di solitudine e tornare la coppia di amiche di sempre.
Con Barbossa tempo ce n'è ancora meno, e qui Cristal è ancora più frustrata, perchè non è riuscita a dirgli ciò che desiderava.
Come ho già detto, questo capitolo è tutto dedicato all'ansia: ansia di non capire i piani di Jack, ansia per averli capiti, ansia di non poter salvare tutti, ansia di non riuscire a pensare troppo in fretta.
Forse la nostra eroina si è cacciata in un'impresa più grande di lei?
Ma non anticipo niente, se non che d'ora in avanti la faccenda si farà sempre più complicata e dolorosa per la figlia del fabbro...
Come sempre un grazie infinito a chi legge/recensisce/Segue/preferisce/reprime gli istinti omicidi nei miei confronti per l'assenza prolungata.
Vi voglio davvero bene e mi siete mancati tutti. <3

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***





Capitolo Diciannovesimo~





Cadevano in acqua.
Fra i flutti, con spruzzi di schiuma biancastra, i ricordi di Cristal Cooper cadevano in acqua assieme a schegge di legno e vele squarciate.
La fiammata aveva raggiunto la coffa, e adesso quel che rimaneva dell’Interceptor bruciava a capo chino sulla superficie dell’oceano.
Era in mare che si erano conosciuti, lei e Will, e solo adesso si rendeva conto che era stato proprio Barbossa a far intrecciare i loro destini distruggendo la nave su cui viaggiava il giovane Turner nella speranza di torvare uno dei pezzi del tesoro maledetto.
Ricordava ogni cosa come se fosse appena accaduta: la nebbia umida e appiccicosa sulla pelle, l’acre odore di fumo, lo sguardo impaziente di sua madre e il fremito nel suo cuore nello scoprire che poteva essere stata opera dei pirati.
Di quel pomeriggio di tanti anni prima non restava più nulla, se non il grigio della cenere che si depositava sull’acqua; della nebbia nessuna taccia, il sole pesava aggressivo sulle loro teste; sua madre non c’era, abbandonata cinque anni prima in cambio di una vita di espedienti; nessuna emozione, ormai, nel ritrovarsi a faccia a faccia con una ciurma di pirati.
Tutto accadeva con molle indifferenza, quasi avesse immerso la testa in una bolla: i colori erano ovattati, i rumori sbiaditi, e la furia disperata di Elizabeth sembrava rovesciarsi sul Capitano dall’anima nera senza alcun impeto, come una rete trascinata senza cura lungo il fondale.
Will era morto?
Niente più gare di velocità lungo il bagnasciuga, niente più allenamenti nel retrobottega, addio ad ogni cosa.
Will era morto.
Non aveva nemmeno voglia di gridare, di disperarsi.
Erano morti tutti.
Loro avevano perso la leva giusta, Barbossa aveva ucciso la sua libertà
Erano morti tutti.
- Tu, pirata senza dio! – sentì gridare Elizabeth, ma le sue urla non avevano alcun senso.
Cristal riusciva solo a guardare l’Interceptor bruciare, mentre attorno a lei lo sconforto soffocava tutti quanti e la figlia del Governatore veniva ceduta alla ciurma senza la minima attenzione.
Ma qualcosa ebbe l’effetto di una detonazione opposta.
All’improvviso ogni cosa riprese colore, i suoni acquistarono nuova consistenza, e William Turner fece la sua comparsa aggrappato al sartiame di babordo.
- Barbossa! – la sua voce risuonò limpida e potente su tutto il ponte, e la ragazza tornò a sentire la presa ferrea del primo ufficiale sulle sue braccia.
Will era vivo, era riuscito a salvarsi! Vide la gioia tornare a scintillare negli occhi di Elizabeth, lesse lo stupore sulle labbra di Barbossa, e finalmente tornò padrona dei suoi pensieri, macinando a folli velocità.
Vivo, sì, ma per quanto? Come aveva intenzione di giocare le sue carte? E soprattutto era consapevole del ruolo che giocava in tutta quella faccenda?
La risposta gli giunse senza bisogno di proferir parola.
- Lasciatela libera! – ordinò il fabbro, che nel frattempo aveva raccattato una pistola nel mucchio delle armi requisite e la stava puntando contro il Capitano della Perla.
Il dannato non si fece impressionare, e anzi, avanzò verso di lui a passi decisi e testa alta.
- Tu hai un colpo solo e noi non possiamo morire. – spiegò, quasi fosse stato in vena di elargire saggi consigli.
Will parve tentennare un istante, lo sguardo che saettava in cerca di sostegno.
-  Non fare cose stupide! – si sentì sibilare Jack Sparrow.
Cristal gli rivolse un’occhiata di fiele. Come osava parlare in quei termini, lui che era pronto a venderlo in cambio della propria libertà, della propria vendetta?
Quella frase non era forse da interpretarsi più come un “non tagliarmi la via di fuga” piuttosto che come un “tieniti lontano dai guai”?
Ormai aveva capito, o almeno intuito, quale fosse il piano di Jack, e l’idea che Will dovesse essere l’agnello sacrificale che avrebbe permesso a tutti loro di continuare a vivere in pace non le piaceva nemmeno un po’.
Avrebbe voluto che Sparrow cogliesse il rimprovero celato fra le sue labbra serrate, ma l’uomo non la stava guardando, l’attenzione tutta concentrata sul suo amico d’infanzia.
Come colto da un’improvvisa realizzazione, Will corse di nuovo verso la murata e si puntò la pistola alla gola.
- Voi no, ma io sì! – esclamò con fermezza, i vestiti fradici a gocciolare sul ponte e i capelli che gli si appiccicavano al viso e al collo.
- Will, no! – sillabò, ma fu nuovamente ignorata.
La ciurma della Perla Nera non aveva avuto alcun tipo di reazione di fronte a quella minaccia, ma Barbossa era un uomo decisamente più scaltro del suo equipaggio, e aveva capito immediatamente che se il ragazzo parlava in quel modo era perchè aveva qualcosa da offrirgli.
- Chi sei tu? – domandò, gli occhi assottigliati nel tentativo di riconoscere i suoi lineamenti.
Immediatamente Jack gli si parò davanti, blaterando frasi senza senso che non sortirono alcun effetto sull’ammutinato.
- Il mio nome è Will Turner, mio padre era Sputafuoco Bill Turner! Il suo sangue scorre nelle mie vene! – gridò ancora l’altro per accertarsi che Barbossa non ascoltasse gli sproloqui di Sparrow e prestasse invece attenzione a ciò che lui aveva da dirgli.
Barbossa rifilò a Jack lo stesso sguardo che si rifila a un cane rognoso colto a rubare del cibo, mentre a pochi passi da loro Cristal Cooper si mordeva spasmodicamente il labbro inferiore in cerca di un’idea.
Così Will sapeva. Ma fino a che punto? Poteva davvero permettersi di tirare la corda a quel modo? Oppure si sarebbe spezzata fra le sue mani senza che nemmeno avesse il tempo di capire come comportarsi?
- Parola mia, fate quel che vi dico, o premerò il grilletto e dovrete prendermi in fondo al mare. – continuò imperterrito, senza immaginare nemmeno lontanamente la portata del guaio in cui stava cacciando tutti quanti.
Come da pronostico gli occhi blu di Barbossa si tinsero di una bramosia spasmodica, le labbra già tese verso l’alto a pregustare la tanto agognata libertà.
- Ditemi le condizioni, Signor Turner. – sentenziò, le cornee gialle puntate sulla figura del giovane di fronte a lui.
Era una catastrofe.
- Elizabeth viene liberata! –
Barbossa ghignò, prendendosi gioco dei sentimenti di quello che ormai era diventato suo prigioniero.
- Sì, questo l’abbiamo capito... Qualcos’altro? – suggerì.
Will fu lesto a rispondere, indicando con la canna della pistola il soggetto della sua richiesta.
- Anche Cristal. E anche la ciurma! Non fate loro del male. – aggiunse, mal interpretando i mille gesti e segnali di Sparrow.
Fu in quel momento, quando il ghigno sul viso del Capitano si ampliò fino ad assomigliare a un’orrenda cicatrice, che Cristal comprese di aver perso il controllo sulla situazione.
- Accordato... –
Ma la voce di Barbossa fu presto coperta dall’urlo della Figlia della Tempesta.
- No! E’ una trappola! Non è come sembra, è un inganno! –
- Zitta, tu! – berciò il primo ufficiale, torcendole ancora di più il braccio dietro la schiena e strappandole un gemito di dolore.
- Cristal! – esclamò Elizabeth, completamente ignara del fatto che l’avvertimento appena gridato non era rivolto solamente a Will.
Barbossa raggiunse l’erede del Faucon du Nord a passi lenti e misurati, gli occhi improvvisamente freddi e aridi, privi di qualsivoglia emozione.
- Questa lurida sgualdrina traditrice farà bene a cucirsi la bocca se non vuole che disattenda l’accordo appena stipulato... –
Cristal si sentì mancare l’aria nei polmoni e un senso di vertigine la pervase da capo a piedi.
Credeva volesse ostacolarlo.
Cieco di fronte ai suoi tentativi di salvarlo, Hector Barbossa era convinto che la ragazza nella cui compagnia aveva riso e scherzato tempo prima volesse il suo male.
E questo, per lei, era quasi peggio di saperlo morto.
Senza degnarla di ulteriore considerazione, l’uomo le voltò le spalle e si incamminò verso il timone.
- Rotta per Isla de Muerta! – ordinò a gran voce.
- Ma preparatevi ad una piccola deviazione... – aggiunse, poi levò un braccio e Jack la scimmia vi balzò sopra, appollaiandosi con aria di superiorità.
La deviazione si rivelò essere uno sputo di sabbia sul quale una manciata di palme aveva persino trovato il coraggio di crescere.
Il sole picchiava sempre più forte sulle assi del ponte, e Cristal ed Elizabeth, in piedi l’una accanto all’altra, continuavano a scambiarsi sguardi atterriti.
Presto due uomini della ciurma sistemarono l’asse, facendola sporgere di diversi metri al di fuori della murata.
La prima ad esservi condotta fu la figlia del Governatore, che pur colta da un sacro terrore non osò cedere di un passo.
- E’ solo l’asse. Nulla di grave. Ci faranno fare un bel tuffo e ci toccherà raggiungere l’isola per conto nostro, ma ti ho insegnato a nuotare, no? – le aveva sussurrato Cristal all’orecchio quando i pirati avevano incominciato ad organizzare quel crudele teatrino.
In altre circostanze Elizabeth sarebbe quasi stata rassicurata da quelle parole, ma vi era un qualcosa di sbagliato acquattato nella voce dell’amica, un senso di angoscia e disperazione che non aveva mai percepito in lei e che adesso la spaventava a morte.
In piedi sull’asse, tutta la concentrazione volta a mantenere le gambe salde e a non mostrare i tremiti che la facevano ondeggiare,  la giovane Swann era stata costretta a spogliarsi e a restituire al Capitano il meraviglioso abito scarlatto del quale l’aveva omaggiata durante la sua permanenza a bordo.
- Si intona alla vostra anima nera. – il tono di accusa nelle parole della fanciulla era stato quasi palpabile, ma i pensieri di Barbossa non erano per lei, e non rise assieme agli altri quando il primo ufficiale la fece cadere in acqua con uno scrollone al trampolino improvvisato.
Dopo Elizabeth fu il turno di Jack Sparrow, e Cristal quasi provò un senso di godimento nel vederlo annaspare alla ricerca di una scappatoia.
- Jack... Jack... Neanche te ne sei accorto... Quella è la stessa isoletta di cui ti abbiamo fatto Governatore nell’ultimo viaggio... – lo schernì Barbossa.
Cristal vide l’uomo che l’aveva aiutata a ritrovare sua madre fare una smorfia, ferito nell’orgoglio e a corto di idee.
La sortita di Will lo aveva preso talmente in contropiede da ridurlo a chiedere un favore.
- L’altra volta mi hai lasciato una pistola con un colpo... – osservò, lanciando una rapida occhiata alla figlia del fabbro, che però fu svelta a puntare lo sguardo altrove.
Questa volta non l’avrebbe aiutato: quello era un disastro che aveva combinato da solo, e da solo ne sarebbe uscito.
Inoltre lei stessa si trovava in una posizione più che precaria, e non poteva permettersi di schierarsi in maniera troppo definitiva, o quel che rimaneva del suo misero piano aggiornato ad ogni secondo che passava sarebbe andato completamente in fumo.
- Quando hai ragione hai ragione. – gli concesse il pirata maledetto, facendogli portare le sue armi.
Non ottenne di più, una seconda pistola gli venne negata, e il Capitano originario della Perla dovette gettarsi in mare per non rischiare di perdere quell’unico colpo che aveva da parte.
Sul ponte calò di nuovo il silenzio.
Cristal guardava il mare cercando di indovinare il punto in cui Jack sarebbe riemerso.
Sapeva che presto sarebbe stato il suo turno, sapeva che Barbossa si stava muovendo verso di lei, ma non aveva il coraggio di voltarsi.
Lo vedeva con la coda dell’occhio: alto e imponente come sempre, se ne stava di fronte a lei con la mano sinistra poggiata su un fianco e ricordava quasi un padre in procinto di rimproverare la bambina.
Lei rimase immobile, la schiena dritta, il viso ruotato e le labbra tese finchè la mano del pirata non le afferrò il mento per obbligarla a guardarlo negli occhi.
- Cristal! – sentì sbraitare Will, ancora legato e tenuto prigioniero dalla ciurma.
- Non fatele del male! -
Barbossa scosse il capo, in volto un’aria torbida e quasi irritata.
- Siete completamente fuori strada, Signor Turner. –
E fu a quel punto che Cristal cedette ed incrociò il suo sguardo, sfiorando di nuovo quel cielo di Giugno offuscato da una preoccupazione che non comprese e che la turbò.
Quella era un’ombra diversa da quella portata dalla maledizione, era un’ombra diversa da quella legata ai ricordi di tempi migliori.
Sembrava quasi... quasi un addio, lo sguardo della  rinuncia, e si rese conto che era proprio quel sentore di rinuncia a farla star male.
Gli occhi dell’uomo si posarono un’ultima volta sulla collana del Faucon du Nord prima che allentasse la presa sul viso della ragazza e le indicasse l’asse.
- No... – balbettò, sentendo che ogni cosa le scivolava dalle mani senza che potesse trattenerla.
- No, non posso... – continuò, lo sguardo che saettava da Will, a Gibbs per tornare a Barbossa.
- Cammina. – fu la secca replica del Capitano.
- No, Barbossa, ti prego... –
Se avesse abbandonato la nave ogni cosa sarebbe stata perduta. Non avrebbe potuto proteggere né Will né Barbossa, e tutto sarebbe stato vano.
- Via. Di. Qua. – scandì l’uomo per l’ultima volta, sospingendola verso il trampolino.
Cristal scosse il capo, gli occhi sgranati e le mani imploranti.
- Hector ti supplico devi... –
Ma prima che potesse aggiungere altro il pirata diede un calcio all’asse facendole perdere l’equilibrio.
Niente pistola per lei. Solo la sua spada, che piombò in acqua con uno schizzo proprio quando le risate sguaiate sul ponte si spensero e le urla colme d’ira di Will vennero soffocate da un pugno alla bocca dello stomaco.
Bagnata fradicia e scoraggiata, Cristal sbatté il palmo aperto sulla superficie dell’acqua e si immerse per recuperare la spada prima che raggiungesse il fondale.
Quando riemerse notò che Jack la stava aspettando a una decina di bracciate di distanza, mentre Lizzie aveva ormai praticamente raggiunto la riva.
A poche centinaia di metri da dove la Perla li aveva lasciati, deserta e inospitale, l’isola di Jack sarebbe stata la tomba di tutti loro.
 










 
Bleizenn Gwrac’h stava seduta al tavolaccio, le spalle curvate dalla vecchiaia e dalla preoccupazione.
Sulla superficie di legno, una manciata di conchiglie e una candela fumante indicavano l’occupazione della donna.
I suoi occhi limpidi come vetro erano adesso chiusi in concentrazione, una ruga profonda fra le sopracciglia aggrottate ad evidenziare la fatica.
Non andava bene, non andava bene per niente.
Quello che vedeva era solo il preludio, come il lontano baluginio che annuncia la tempesta in arrivo.
L’orizzonte si faceva cupo ad Ovest, e le onde si agitavano.
Il Mare non era felice, e la sua angoscia roboava fra i flutti come spuma che ribolle lungo gli scogli.
Esisteva un modo di arginare la sua ira? Si poteva forse evitare la tragedia?
Non lo sapeva, non ancora, per lo meno.
- On y est presque... – sussurrò, mentre il fumo della candela si alzava in volute stanche e pigre verso il soffitto della stanza.
Un rumore sordo proveniente da vano delle scale la fece sussultare, aveva visitatori.
- J’arrive! – berciò innervosita mentre la pioggia aumentava d’intensità e un tuono faceva vibrare i vetri alle finestre.
Chi diamine poteva essersi avventurato fuori con quel tempaccio della malora?
Aprì la porta di slancio, ritrovandosi di fronte l’ultimo paio d’occhi a cui avrebbe mai potuto pensare.
- E tu che ci fai qui?! – domandò brusca richiudendo la porta alle spalle della misteriosa figura, che si fece strada all’interno della stanza e tolse il cappello a tricorno, cercando un luogo dove abbandonarlo e strizzandosi le ciocche corvine per liberarle di tutta l’acqua di cui erano impregnate.
- Che accoglienza! Credevo sapessi del mio arrivo... – replicò scherzosamente, per poi rabbuiarsi immediatamente alla vista del tavolaccio coperto di conchiglie.
Bleizenn si appropriò del suo cappello e lo appesse al vecchio paravento, riservando all’elemento di disturbo un’occhiata seccata.
- Non è che il mondo giri attorno a te, sai? Ci sono faccende ben più grandi a cui badare, adesso... – spiegò, mentre l’ospite si avvicinava con cautela al tavolo e aggrottava le sopracciglia sperando di comprendere qualcosa della divinazione.
- Non mi piace questo tuo modo di parlare... –
Bleizenn ghignò, scoprendo i suoi denti da lupa, ma era un ghigno intriso di una profonda preoccupazione.
 - E ne hai ben donde. Una guerra si profila all’orizzonte, una guerra come non ne abbiamo mai viste. Le forze in gioco sono antiche e spietate, il Mare è corrotto, e non so per quanto ancora riuscirà a sopportare il putridume che appesta le sue acque. – aggiunse, spegnendo la candela che aveva posizionato sul tavolo e raccogliendo le conchiglie per lasciarle cadere in un sacchetto di cuoio.
L’ospite si mosse stancamente verso la vecchia poltrona, gli stivalacci che lasciavano grosse pozzanghere ad ogni passo, poi si lasciò cadere a peso morto, reclinando la testa all’indietro e passandosi una mano fra i folti capelli.
- Ho scelto proprio il momento migliore per tornare sulla scena... – constatò in un sospiro sconsolato.
Bleizenn, che nel frattempo era andata a versare una tazza di chouchenn, si voltò di scatto, accigliata.
- Tornare? Hai deciso di uscire allo scoperto, dopo tutto questo tempo? –
Ci fu un momento di silenzio durante il quale la vecchia sacerdotessa comprese di aver colpito nel segno, poi l’individuo decise di risponderle.
- Non esattamente. Prima di tutto ho bisogno di una nave e una ciurma, per questo sono a Brest. Ho passato troppo tempo sulla terraferma, ho bisogno del mare, lo sai. –
La donna annuì piano, dopotutto sapeva con chi aveva a che fare, conosceva il suo animo da tutta una vita.
Lasciò la tazza di chouchenn fra le sue mani e tornò a sedersi a tavola, sistemandosi meglio lo scialle sulle spalle.
- Fermati pure qui per tutto il tempo che riterrai necessario. Piuttosto... – e attese un momento, per essere sicura di avere la sua totale attenzione.
- Devo metterti in guardia, non sarà semplice senza la collana. Il Mare non è più lo stesso di vent’anni fa, ti converrà volare basso, Faucon. –
L’ospite le rivolse un’occhiata lunga e seria prima di incrociare le braccia al petto e spostare lo sguardo fuori dalla finestra, dove il temporale imperversava spazzando la costa con forti e violente raffiche di vento.
- Il mare è sempre lo stesso, Bleizenn. E’ chi lo popola ad essere cambiato... –
La sacerdotessa tacque, rigirandosi i quarzi e le conchiglie della sua collana fra le mani.
Nell’amarezza di quella frase si celavano tutti i suoi timori.
Che lo volessero o meno, la guerra era alle porte.
 














 
Ritrovarsi sull’isola deserta solo con Cristal ed Elizabeth non dovette essere facile per Jack.
Il caldo era sempre più insopportabile e le due fanciulle non facevano che sbraitare al suo indirizzo, continuando a ripetere che dovevano assolutamente tornare indietro e salvare Will.
Ma se la figlia del Governatore non immaginava il ruolo di Sparrow in quella faccenda, Capitan Tempesta aveva ormai capito ogni cosa, e questo era davvero un gran bel problema.
- E così era questo il tuo piano geniale per liberarti di Barbossa! Era Will la tua maledetta leva giusta! Cristo, Jack, che fossi un disgraziato lo sapevamo tutti, ma cadere così in basso! – lo aveva investito nonappena Elizabeth era stata abbastanza lontana da non poter sentire.
Ma il pirata non le aveva dato corda, e così si erano ritrovati tutti e tre seduti attorno al fuoco a bere quello schifosissimo rum che i contrabbandieri avevano abbandonato nel loro nascondiglio.
Elizabeth si era lasciata andare all’alcool e, ormai evidentemente sbronza, aveva preso a cantare a squarciagola assieme a Jack, che certo non poteva dirsi messo meglio di lei.
I due, ballando attorno al fuoco, ridevano come se fossero stati amici da sempre, come se nulla fosse successo e Will non fosse stato minimamente in pericolo, e a Cristal era salita la nausea.
- E’ ridicolo... – aveva sbottato, per poi alzarsi in piedi e allontanarsi a grandi passi dal luogo del falò.
Aveva camminato per mezz’ora buona, i passi sostenuti da una rabbia cieca e ribollente, poi si era lasciata cadere sulla sabbia e aveva intrecciato le mani dietro alla nuca, cercando di darsi un contegno e di tornare ad assumere una respirazione regolare.
Stava andando tutto a rotoli.
Certo, quando a Tortuga si era imbarcata con Jack sapeva che avrebbe dovuto giocare d’astuzia, ma non avrebbe mai immaginato che la faccenda avrebbe potuto complicarsi a tal punto.
Adesso Barbossa avrebbe spezzato la maledizione, sì, ma a che prezzo?
Non era così che doveva andare, e adesso persino Lizzie sembrava aver perso la ragione, fraternizzando con l’uomo che aveva venduto la sua felicità in cambio di un pugno di mosche e ubriacandosi come i peggiori scarti umani del Mar dei Caraibi.
Poi un altro pensiero raggiunse il suo cuore, lasciando che la luce delle stelle venisse offuscata da un velo di lacrime.
Barbossa l’aveva cacciata, ripudiata, convinto che le sue parole volessero essere una minaccia e non un monito.
Come aveva potuto credere che volesse il suo male, lei che fin dal principio si era messa in gioco per salvarlo?
Come aveva potuto credere che desiderasse il suo dolore, lei che negli anni aveva compreso di aver trovato in lui un legame profondo come l’oceano?
Sconfitta e sconsolata, aveva portato una mano ad incontrare la conchiglia del Faucon du Nord, fredda e liscia sotto le sue dita.
“Porta alta la bandiera”, queste erano state le parole di sua madre nel consegnarle il ciondolo, e adesso si chiedeva se non avesse disatteso quella promessa su tutta la linea.
- Cosa devo fare? – si era ritrovata a domandare a mezza voce, come se Marion Hawke avesse potuto davvero risponderle con uno dei suoi pragmatici e saggi consigli.
Stufa di sentire le lacrime scivolarle lungo gli zigomi si era infine alzata in piedi e con un gesto secco aveva asciugato le guance, pronta a ritornare al falò e prendere in mano la situazione.
Quando mezz’ora dopo aveva raggiunto il fuoco, però, si era accorta che Elizabeth Swann l’aveva già fatto al posto suo.
- Scusa, ma non mi avrebbe mai lasciato lavorare in pace altrimenti. – aveva spiegato, indicando un Jack Sparrow stramazzato a causa dell’alcool.
Cristal aveva inarcato un sopracciglio, stupita dal trovare la sua amica perfettamente sobria nonostante si fosse scolata più di mezza bottiglia.
- Reggi bene! – aveva commentato, incapace di trattenere un mezzo sorriso di fronte a quella scena surreale.
Lizzie aveva roteato gli occhi.
- E per fortuna. Ora aiutami, ci serve decisamente un fuoco più grande. –
Adesso, il sole di  nuovo alto e pesante sopra le loro teste, il fumo raggiungeva almeno cento piedi, e nonostante le lamentele del redivivo Jack, tutti quanti sapevano che così farsi salvare la pelle sarebbe stato molto più semplice.
Almeno per Elizabeth.
Due ore dopo, infatti, una bandiera bianca crociata di rosso apparve a Est.
- Sono loro, siamo salve! – esclamò la figlia del Governatore, il viso illuminato da nuova speranza e le mani in alto per farsi individuare più in fretta.
Cristal strinse gli occhi per mettere meglio a fuoco l’imbarcazione.
Fu questione di un secondo, il tempo di capire, e il cuore le finì dritto in fondo agli stivali.
Conosceva quelle vele, conosceva quel vascello.
In quell’afoso 12 Luglio 1716, a distanza di dodici anni dall’ultima volta, Cristal Cooper avrebbe rimesso piede su quella che era stata la prima nave della sua vita.
Di fronte a loro, a poche centinaia di metri dalla riva, aveva appena calato l’ancora la H.M.S. Dauntless.
Li vennero a prendere con una lancia a bordo della quale si trovavano marinai giovani che Cristal non conosceva; sulla piccola imbarcazione il silenzio era tombale, un po’ per rispetto, un po’ per disprezzo.
Elizabeth teneva lo sguardo basso, consapevole di aver rischiato forse più di quanto non potesse permettersi, mentre la figlia del fabbro continuava a lanciare occhiate dense e accusatorie a Jack.
“Tu ci hai ficcati in questa situazione, e sarai tu a farci uscire” sembrava volergli dire.
La prima a raggiungere il ponte di coperta fu Elizabeth, aiutata da un paio di ufficiali che la attendevano presso la murata.
Si udì l’esclamazione sollevata di Swann e improvvisamente Cristal fu catapultata a un pomeriggio di tanti anni prima, a Londra.
Ricordava bene come anche allora l’uomo si fosse disperato di fronte alla terribile prospettiva di aver perso sua figlia e di come la luce fosse tornata nei suoi occhi quando lei stessa, all’epoca una bimba spigliata e impertinente, gliel’aveva riportata.
E si accorse che sì, anche Swann, alla fine, le era mancato.
Completamente assorta in tali pensieri lasciò che Sparrow la precedesse a bordo, e fu così l’ultima del gruppo ad abbandonare la lancia, fatta eccezione per i marinai che l’avevano manovrata fin lì.
Non lo notò immediatamente, lo sguardo posato dapprima sulla figura del Governatore che abbracciava sua figlia.
Accadde senza preavviso, volse appena il capo, quasi per caso, e lo trovò lì, davanti a lei.
Sentì il cuore fermarsi un’altra volta per poi riprendere a pompare come impazzito, percepì gli occhi spalancarsi in un’espressione di pura sorpresa e le labbra tendersi verso l’alto, un meraviglioso calore a irradiarle nel petto.
Era vero? Era reale? O forse era solo un miraggio, un’allucinazione dovuta alla rabbia del sole e alla notte insonne?
Trattenne il fiato, incapace di muovere un muscolo, mentre il volto del miraggio, specchio del suo, si illuminava di una gioia impareggiabile, di una felicità indescrivibile.
- Cristal... –
Fu un sussurro, ma bastò. Bastò affinchè la ragazza capisse che era tutto vero, che lui era lì, di fronte a lei,  e che erano solo pochi passi a separarli.
Ogni cosa le parve più luminosa, mentre la voce le sgorgava direttamente dal cuore.
- James! – si ritrovò ad esclamare, muovendosi verso di lui senza nemmeno averlo deciso.
- Cristal, santo cielo, sei... sei davvero... –
Ma nemmeno James Norrington, il freddo e serio ufficiale della Marina Britannica, l’enfant prodige fiore all’occhiello della guarnizione di Port Royal, riuscì a trattenere la risata che sbocciò incontenibile sulle sue labbra.
- Dio mio, Cristal, tu dovresti essere morta! La... La Fleur de Lys, il naufragio! Mi avevano detto che...! – ma non gli importava davvero, non più.
Tutti quegli anni di dolore, di rimpianto, tutto quel tempo trascorso ad odiarsi, a punirsi, a desiderare la morte.
Nulla aveva più senso, non ne avrebbe sofferto mai più.
La sua Cristal era viva, viva e bella proprio come la ricordava, con i suoi capelli biondi come il sole, gli occhi di tempesta e le lentiggini a danzarle sul volto.
Era viva, e proprio come tante volte si era illuso in sogno, il mare l’aveva riportata da lui.
- No, sto bene... Ho avuto fortuna, mi sono salvata... – spiegò, persa in quegli occhi chiari che con tanto impegno aveva cercato di dimenticare, fallendo ogni volta.
Da quando aveva scelto il Mare aveva deciso che avrebbe abbandonato il suo ricordo, consapevole del fatto che non avrebbe mai più avuto occasione di vederlo, e invece adesso era lì, lì con lei, esattamente come l’aveva lasciato.
Certo, con l’avanzare di grado aveva sostituito alla sua solita parrucca nera quella candida dei graduati più importanti e i lineamenti tradivano forse il peso di maggiori responsabilità, ma la luce nei suoi occhi era la stessa, il sorriso immutato.
Era stato proprio quello, tanti anni prima, a farla innamorare: James Norrington era un uomo solo, malinconico, e sorrideva di rado, ma quando lo faceva era capace di accendere il mondo.
Ma insieme al sorriso Cristal Cooper percepì anche la domanda che stava per porle, una domanda lecita, spontanea, una domanda a cui avrebbe voluto non dover rispondere mai.
Prima ancora che James potesse chiederle per quale recondito motivo non fosse mai tornata a Port Royal in tutti quegli anni, un freddo innaturale si impadronì di lei irrigidendole i muscoli.
- Io... – balbettò in risposta, sentendo un dolore acuto all’altezza del cuore.
Fu solo a quel punto che l’ufficiale abbassò lo sguardo, rendendosi conto degli abiti che la ragazza indossava.
Stivalacci logori, un paio di pantaloni e una grossa cintura alla quale era assicurata una spada.
- No. – lo vide sussurrare, sconvolto.
Attorno a loro ogni uomo aveva cessato le proprie attività, l’attenzione dell’intera nave concentrata su di loro.
Sentì alle sue spalle l’ ”oh cielo, ma è Cristal Cooper?” di Swann, mentre da prua si faceva avanti un giovane che la fanciulla conosceva bene.
- Commodoro, come dobbiamo procedere? – domandò Gillette, ora Tenente nella sua giacca blu, osservando la ragazza con una certa dose di stupore.
James Norrington alzò lo sguardo fino ad incontrare quello di Elizabeth, poi lo incrociò con Jack Sparrow, l’uomo che aveva giurato di odiare per sempre, e infine lo rivolse a Gillette, incapace di rispondere con prontezza.
- Cristal, è... è vero? – si rivolse direttamente a lei, pregando in cuor suo per una smentita, pregando che si fosse trattato di un caso, un malinteso, un qui pro quo.
Ma la ragazza annuì, fiera e orgogliosa com’era sempre stata.
- Sì, James. Ho fatto la mia scelta, e ho scelto il Mare. – e nonostante i suoi occhi fossero saldi, la sua voce vacillava.
L’uomo non parlò, rimase immobile mentre Gillette e i suoi lo superavano per legare le mani alla fuorilegge affinchè non creasse problemi nel tragitto verso le sentine.
Quando il suo Tenente gli passò accanto una frase sgorgò dolorosa dalle sue labbra stanche e consumate.
- Gillette, torniamo a casa. –
Una frase già sentita, già detta, la stessa frase che la Dauntless aveva udito anni prima, a Londra.
Ma se all’epoca il dolore era quello dell’essere arrivato troppo tardi, questa volta si trattava di rabbia, perchè per un momento aveva avuto davanti a sé la chiara visione di quello che avrebbe potuto essere ed era stato costretto a rinunciarvi.
Solo a quel punto Elizabeth Swann osò intervenire.
- Cosa fate?! Non potete! – sbraitò, raggiungendo la sua amica in due ampie falcate.
- Miss Swann, è la Legge. – replicò Gillette, la mano ancora poggiata sulla spalla di Cristal.
- Ma... Ma dobbiamo salvare Will! – replicò, sconvolta da ciò a cui stava assistendo.
- No! – si intromise suo padre, già sufficientemente provato dalle vicende degli ultimi giorni.
- Sei salva, basta. Torneremo a port Royal subito, senza girandolare in cerca di pirati. – ordinò con un’eloquente occhiata a Cristal e a Jack.
- E vuoi condannarli a morte certa?! – ribatté la ragazza, sperando di poter fare appello alla pietà dell’uomo.
Quello sospirò, quasi seccato dall’irruenza della figlia.
- Convengo che sia un destino deplorevole, ma lo è altrettanto la decisione di diventare pirata. – sentenziò, convinto che quella frase avrebbe posto fine alla discussione.
Si sbagliava.
Elizabeth, indignata da quelle parole, cercò di convincerlo a ritrattare, inaspettatamente soccorsa da Sparrow.
- Se mi consentite l’audacia di introdurre la mia opinione professionale, la Perla aveva imbaracato parecchia acqua dopo la battaglia. E’ molto improbabile che tenga un’andatura veloce. –
Gillette, che si era nuovamente incamminato verso le sentine, arrestò la sua marcia, incuriosito da quell’intervento, mentre Cristal aggrottava le sopracciglia, curiosa di vedere come se la sarebbe cavata quella volta il pirata.
Sparrow si avvicinò a James Norrington con aria complice e cospiratoria.
- Ci pensate? La Perla Nera, l’ultima vera minaccia pirata dei Caraibi, amico! Come si può farsela scappare? –
Il Commodoro gli rivolse uno sguardo glaciale.
Quello era l’uomo che l’aveva privato della sua felicità, quello era l’uomo che gli aveva portato via Cristal e che l’aveva condotta su quella strada di perdizione a causa della quale adesso sarebbe spettato a lui portarla al patibolo.
Con quale faccia tosta osava mercanteggiare?
- Semplicemente ricordando che servo altri, signor Sparrow, e non solo me stesso. – replicò, sentendo l’amara verità in quelle parole.
Gli voltò le spalle, non voleva che potesse vedere sul suo viso l’uragano che gli stava flagellando l’anima.
Ma ancora una volta Elizabeth si intromise, marciando decisa verso il comandante.
- Commodoro, vi supplico, fate come dice! – ma una semplice supplica non avrebbe concluso niente, e questo lo sapevano tutti quanti.
Fu allora che la ragazza decise di giocare l’ultima carta a sua disposizione, una carta infida e velenosa, che sortì l’effetto desiderato.
-Per me. Come dono di nozze. –
James si voltò di scatto e vide nelle iridi castane della fanciulla tutto quello che non era stata in grado di dirgli al Forte, vi lesse il disprezzo, la sfida e la consapevolezza di aver colpito nel segno.
Con quella frase aveva resa chiara ogni cosa, ogni suo errore, ogni sua scelta.
- Elizabeth! Significa che accetti la proposta del Commodoro? – esclamò il Governatore, sconvolto.
E Cristal desiderò morire.
Nessun Capo Horn, nessuna Diablo, nulla avrebbe mai potuto paragonarsi a quello.
L’aria mancò, la gola si chiuse e le orecchie presero a fischiare come dopo una cannonata.
La proposta.
Dono di nozze.
Anche se stava guardando nella loro direzione, non vide Elizabeth stringere i pugni per zittire i sensi di colpa, non si accorse dello sgomento sul viso di James, che ora era pallido e aveva le labbra tese.
Per un breve momento aveva creduto di poter tirare un sospiro di sollievo, si era illuso che le cose sarebbero tornate al loro posto e che la loro vita sarebbe ricominciata dove l'avevano interrotta sei anni prima.
Avrebbe voluto ringraziare Dio per avergli restituito la sua Cristal, ma il suo sguardo glaciale e torbido come l'oceano in tempesta gli ricordò il suo posto, quella prigione alla quale, grazie alla Legge che egli stesso rappresentava, si era condannato.
La guardò dritta negli occhi e l'amarezza che recavano lo lasciò stremato.
Fulmine.
Ancora una volta, i suoi occhi l'avevano stroncato come un fulmine.
Senza attendere un secondo di più la Figlia della Tempesta girò sui tacchi e scese sottocoperta, Gillette e i suoi uomini che faticavano a starle dietro.
- Miss Cooper, dove andate? –
Ma la ragazza non rispose.
Andava in prigione, andava al patibolo, andava a morire.
Non le importava.
Non le importava più.
Nozze, e lei aveva scelto il Mare.
 



















 
Note:

Salve a tutti!
No, non sono ancora morta, anche se inizio a ppensare che ormai, dopo tutti questi mesi di assenza, aveste iniziato a sperarci... xD
Vi chiedo scusa mille e mille volte, ma per me questo 2o15 si è rivelato davvero una pessima annata fra casini familiari e la mole spropositata di lavoro che mi affibbia l'Uni.
In più ho incominciato a lavorare a un progetto abbastanza ambizioso, e devo ammettere che questo mi ha portato e mi porterà via un sacco di tempo.
Non ho alcuna intenzione di abbandonare o sospendere Thunderbolt, sono troppo affezionata a questa storia e a voi lettori, però mi sembra giusto avvisare che gli aggiornamenti, d'ora in avanti, saranno molto, molto lenti.
Passando al capitolo, qui le cose vanno di male in peggio!
Jack ha davvero combinato un gran casino, e Cristal non è stata capace di restare al passo, sprecando la sua unica occasione e ottenendo l'effetto opposto di quello che desiderava.
Fantastico sapere che la persona che stai cercando di salvare in tutti i modi ti vuole vedere morta,vero?~
Ma la gioia di questo capitolo non finisce qui, perchè il giorno dopo l'abbandono della Perla i nostri eroi vengono pescati dalla Dauntless.
E sarebbe davvero tutto magnifico se solo, nel frattempo, James non avesse deciso di sposare la migliore amica di Cris e questa migliore amica non avese deciso di accettare la proposta. :D
Insomma, in questi giorni alla nostra povera Cristal sembra non andarne bene una...
Nel frattempo un misterioso personaggio ha bussato alla porta di Bleizenn, che sembra parecchio preoccupata.
La guerra è alle porte, e il Faucon ha deciso di tornare sulla scena. E adesso?
Spero solo che non passino altri sei mesi prima di farvi scoprire qualcosa di più... xD
Un grazie infinito a chi legge/segue/recensice/preferisce e a chi ha la pazienza di sopportare i miei aggiornamenti ogni morte di Papa.
Vi voglio un bene dell'anima, giuro.

Kisses,
Koori-chan

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***




Capitolo Ventesimo ~





Il pavimento di legno era viscido e puzzolente, ma a Cristal Cooper non importava un granché.
Anche le avessero destinato la cabina del comandante, sicuramente pulita e ordinata, non avrebbe fatto alcuna differenza.
Navigava da sei anni, da sei anni sfidava la Legge, e il fatto che fosse stato proprio James Norrington a porre fine alla sua libertà aveva un qualcosa di grottescamente ridicolo.
Ma quella volta la Figlia della Tempesta non riuscì a ridere della sfacciata ironia della sorte, non riuscì a mantenere i nervi saldi e la mente lucida come aveva fatto tante altre volte in passato.
Gillette e gli altri marinai l’avevano lasciata sola con lo sciabordio delle onde, e il rumore del mare, compagno di tante avventure, sembrava adesso sputarle in faccia l’amara verità.
Era in gabbia, e ad imprigionarla erano state le stesse persone che per anni aveva dolorosamente cercato di dimenticare.
Per un momento, luminoso e sereno, era tornata una sedicenne piena di belle speranze, aveva riassaporato l’aria del Forte, la gioia nel sentirsi amata, la sicurezza di un’amicizia solida e indissolubile, e l’istante dopo tutto le si era rovesciato addosso con la violenza di una grandinata estiva.
Amore.
Per così tanti anni conservato puro e inviolato nei recessi del suo cuore, adesso vedeva quel sentimento svenduto al miglior offerente, raccolto da terra come una moneta sfuggita al borsello e spesa immediatamente, senza domandarsi quale fosse la sua storia, a chi fosse appartenuta.
E si sentiva tradita.
Da Jack, che l’aveva usata come aveva usato tutti loro.
Da James, che aveva rinnegato il suo ricordo in cambio di un grado.
Da Elizabeth, che, bugiarda come solo un pirata può essere, aveva preteso di decidere dei destini degli altri, voltando le spalle alla fedeltà dell’amicizia e sputando in faccia al rispetto con il solo e palese obbiettivo di salvare la pelle a Will, il cui valore era tale da poter sacrificare la vita di Cristal per salvare la sua.
Fu in quel preciso istante che, la vergogna e il disprezzo a strinarle le vene come acido, si rese conto che in realtà non aveva mai abbracciato il Mare per davvero.
Silenziosa e tranquilla, sopita in fondo all’anima, era rimasta la speranza che un giorno la sua vecchia vita avrebbe potuto, se non ricominciare da dove l’aveva interrotta, almeno intrecciarsi alla nuova.
Sosteneva di aver scelto il Mare, ma in cuor suo non aveva mai rinunciato alla Terra.
Ma quella Cristal Cooper, la figlia del fabbro, la ragazzina intelligente che leggeva John Milton e cantava canzonacce di  pirati, era morta in un naufragio al largo della Manica, colata a picco assieme alla Fleur de Lys, e il mondo era andato avanti senza di lei.
Adesso Capitan Tempesta capiva di essere stata per anni solamente un fantasma, una proiezione dei suoi desideri di bambina, scardinata dal suo mondo e incatenata ad una scelta che l’aveva confinata ad una dimensione diversa e inconciliabile con il suo passato.
Ogni suo valore, ogni sua certezza, ogni punto fermo della sua vita era ora messo in discussione, e per la prima volta sentiva che le onde avrebbero potuto travolgerla per non risputarla mai più.
Aveva affrontato morte e paura a testa alta, si era gettata a capofitto in ogni genere di pericolo e incertezza, ma adesso, paralizzata dalla consapevolezza di essere stata messa da parte, non sapeva più reagire.
Un rumore di passi la destò con un sussulto, e prima che Jack potesse vederla piangere si affrettò ad asciugarsi il viso con la manica della camicia.
Ma non fu il pirata a presentarsi di fronte alla sua cella, e i suoi occhi arrossati si spalancarono di stupore e di panico nell’incrociare le iridi plumbee del Commodoro.
- Cosa vuoi. – e non era nemmeno una domanda, quanto piuttosto un sibilo velenoso.
Perchè si trovava lì, che cosa poteva offrirle dopo che le aveva portato via tutto?
Era tornato per ferirla ancora? O forse per darle spiegazioni che lei non avrebbe comunque ascoltato?
- Tu e Sparrow affiancherete i miei uomini alla barra e fornirete loro la posizione di Isla de Muerta. –
Ecco svelato il mistero.
Gli serviva la posizione di Isla de Muerta, dovevano andare a salvare Will.
- Questo è un compito per cui basta Jack. – replicò, notando che l’uomo stava evitando accuratamente di guardarla negli occhi.
James roteò gli occhi, seccato da quell’ostinata insubordinazione.
- Non mi fido di Sparrow. – si limitò ad asserire mentre girava la chiave nella serratura e apriva la porta della cella.
Cristal gli rivolse uno sguardo crudele e prosciugato di ogni sentimento.
- Fai bene, la fiducia è il cappio degli ingenui. –
Non attese risposta, gli voltò le spalle e prese a camminare verso il ponte di coperta, traendo respiri profondi con il naso per cercare di calmarsi.
La luce del sole tornò a scivolare sulla sua pelle scaldandole le ossa, e per un momento portò una mano a pararle gli occhi, infastidita dal chiarore improvviso.
Lasciò che il suo sguardo spaziasse sul ponte della Dauntless, i ricordi che la colpivano senza pietà come una gragnuola di proiettili: c’era la pioggia fine di Londra, qualche vecchia canzone di mare, un ragazzo giovane dagli occhi limpidi...
A ben ripensarci, ogni avvenimento di quegli ultimi giorni era stato conseguenza diretta di quel viaggio attraverso l’oceano a bordo della Dauntless, come se su quella nave fossero stati irrimediabilmente tracciati tutti i loro destini ed ogni cosa fosse stata già ordinata affinchè si giungesse a quello.
Che in tutti quegli anni avessero collettivamente marciato a testa alta verso la rovina?
La giovane abbandonò quei pensieri solamente quando vide Elizabeth Swann avvicinarla a passo spedito, le mani a torturare la giacca che suo padre le aveva offerto per nascondere la sua sottoveste fradicia e sporca.
- Ci ho provato, ma non ti lasceranno andare. Non ho potuto fare altro, il resto spetta a te. – le sussurrò pregando che comprendesse il suo gesto.
Ma Cristal Cooper non le rivolse alcun cenno d’intesa e si limitò a volgere lo sguardo altrove, alla ricerca del viso di Jack.
L’uomo se ne stava a tribordo, la schiena rivolta all’azzurro del mare e i gomiti appoggiati al parapetto nella posizione più disinteressata che potesse assumere, e tornò a drizzare la schiena solamente nell’individuare la sua compagna di sventure scortata dal Commodoro, che procedeva a qualche passo dietro di lei.
E improvvisamente il pirata ricordò una conversazione avuta molti anni prima a bordo di un brigantino rubato a Cadice, il racconto di una giovane che per salvare la sua famiglia aveva rinunciato forse per sempre all’uomo che amava, e per un pericolosissimo istante si ritrovò incapace di rivolgere ai due il suo solito sorissetto ambiguo, spiazzato dall’assurdità degli eventi.
- Se volete seguirmi sul cassero... – intimò Norrington in quello che avrebbe dovuto essere un ordine, ma che non recava con sé nemmeno l’ombra della solita autorevolezza.
Jack incassò l’occhiata gelida dell’amica e imboccò le scale, marciando sicuro verso il timone mentre il comandante della nave lo superava e andava a spiegare una carta nautica su un barile chiuso.
Cristal andò a piazzarglisi di fronte, le braccia conserte e le spalle appena curvate, quasi avesse voluto nascondersi far dimenticare la sua presenza a bordo.
- Ho bisogno di tutte le informazioni che potete fornirmi su Isla de Muerta e Capitan Barbossa, perciò vedete di collaborare e non raccontate fandonie, mi sono spiegato, signor Sparrow? – esordì James, scoccando un’occhiata eloquente al pirata e ignorando palesemente Cristal.
Spiazzando entrambi, fu lei a prendere la parola, la voce ferma e i modi taglienti.
- L’isola si trova esattamente qui, ma arrivando da questa direzione si incontra una secca non segnalata dalle carte. Se navighiamo a velocità costante arriveremo con la bassa marea, e non potremo prendere il passaggio a Ovest. – spiegò, indicando la carta con un dito a mano a mano che esponeva il suo ragionamento.
- In ogni caso è meglio tenersi lontani da questa baia, perchè è lì che la Perla calerà l’ancora, e si perderebbe qualsiasi speranza di coglierli di sorpresa. Io propongo di ritoccare la rotta quando saremo arrivati a quest’altezza e di aggirare questo scoglio, di modo da sistemarsi a Sud-Est dell’imboccatura della grotta. –
Comunicata la sua opinione, tacque e levò lo sguardo sugli interlocutori.
Jack la stava squadrando con discreto stupore, mentre le iridi di James erano attraversate da un sentimento dal sapore agrodolce che non riuscì ad inquadrare e che le causò un certo imbarazzo.
A quel punto Sparrow esibì uno dei suoi sfottenti sorrisi luccicanti e fece spallucce.
- Sì, quello che ha detto lei! – si limitò a annuire.
- Bene, per quanto riguarda Barbossa, invece, avete a che fare con un vero cane rognoso... – continuò, pronto a dispensare consigli.
Barbossa...
Cristal si mordicchiò il labbro inferiore, gli occhi puntati sulla carta e la mano destra a tormentare la sua collana.
Che lei fosse spacciata era ormai un dato di fatto, ma forse poteva ancora salvare il Capitano della Perla Nera, forse non tutto era già stato scritto.
Quella era probabilmente la sua ultima occasione di fare la differenza, e non aveva alcuna intenzione di sprecarla.
Ma come poteva ancora proteggerlo quando lei stessa non poteva agire liberamente? E come poteva evitare che quell’impresa si trasformasse in un’immensa carneficina?
Se già prima le cose erano complicate, con l’entrata in scena di James e Swann i fronti aperti si erano nuovamente moltiplicati, e adesso anche un minimo errore di calcolo avrebbe condotto tutti quanti alla catastrofe.
Ecco, nonostante tutto, nonostante la delusione e il rancore, Cristal Cooper rimaneva fedele a sé stessa e alle sue debolezze e si dimostrava incapace di scegliere.
Perchè era quello che avrebbe dovuto fare: scegliere. Avrebbe dovuto capire che non avrebbe mai potuto salvare tutti quanti, e avrebbe dovuto, con fermezza e lucidità, operare una decisione.
Poteva risparmiarne solo uno, e ancora una volta stava tentando di salvarli tutti.
- Dico bene, giovane Cooper? – la voce di Jack la fece sussultare, e la ragazza si rese conto di non aver ascoltato una singola parola del piano di battaglia che l’uomo aveva proposto a Norrington.
- Io... Ecco... non... – balbettò, colta in flagrante.
Jack le rivolse una strana occhiata e si profuse in un riassunto di quanto appena architettato accompagnato da ampi gesti delle mani.
- Presta attenzione! Il tuo amico Norrington ancora la nave dove hai detto tu. Noi scendiamo su una barcaccia e raggiungiamo Barbossa nella grotta, così da convincerlo a far uscire i suoi uomini sulle scialuppe. Al che, quelli della Dauntless gli scaricano addosso un po’ di belle cannonate: larga è la foglia, stretta è la via, il caro William è salvo e la Perla Nera, ultima minaccia dei Caraibi, si ritrova senza ciurma e Capitano! Un buon vanto per il Commodoro, no? –
Cristal annuì, consapevole che non avrebbe saputo inventarsi nulla di meglio, ma quel piano, seppure geniale per la loro posizione, la terrorizzava.
Norrington abbandonò la postazione per andare a comunicare la nuova rotta, e la figlia del fabbro ne approfittò per attirare l’attenzione del compagno strattonandolo per la manica della camicia.
- Sei pazzo?! E la maledizione?! – sibilò.
Jack le riservò un ghigno astuto.
- Useremo la maledizione a nostro favore. Non ti preoccupare, senza colpi di testa imprevisti filerà tutto liscio come l’olio. – la ammonì poi velatamente, indicando  Norrington con un cenno del capo.
Cristal tornò ad incrociare le braccia al petto e sbuffò.
- Tranquillo, Jack. Tradire i miei amici per aprirmi una via di fuga non è mai stato nel mio stile. – replicò, godendo della sua espressione spiazzata.
L’uomo ridusse gli occhi a due fessure, seccato da quella frecciata inaspettata.
- Dimmi, Cristal. In quell’anno insieme, ti ho mai dato modo di pentirti di esserti fidata di me? Non ti ho forse portata da tua madre come promesso? – fece, stizzito.
La ragazza non replicò, segno che non poteva contraddirlo.
- Bene, non vedo in che modo le cose possano essere diverse ora. –
- Moriremo tutti, Jack. –
A quel punto il pirata le rivolse un sorriso nuovo, stranamente dolce in rapporto al discorso che stavano affrontando.
Un sorriso che Cristal aveva ormai dimenticato potesse essergli attribuito, lo stesso sorriso che aveva scorto a Capo Horn quando le aveva detto che la speranza non era persa del tutto.
- Solo se ci lasciamo uccidere. –
E a quel punto Cristal capì che Jack Sparrow non aveva ancora scoperto tutte le sue carte.
Trascinata dagli eventi, aveva giudicato forse troppo in fretta, senza attendere di vedere la mano vincente.
Avrebbe dovuto fidarsi, o quello sarebbe stato solamente l’ennesimo passo falso? Ora come ora non poteva saperlo.
- Ti auguro vivamente di avere ragione, Jack. – replicò alla fine, capendo dal lampo negli occhi del compagno che aveva compreso ancor prima di lei di essere stato perdonato, almeno in parte.
- Ahès, mandamela buona... – sussurrò rivolta alla sua collana, appena prima che James Norrington tornasse ad affiancarli in cerca di nuove informazioni.
Il resto del pomeriggio trascorse come la veglia di un moribondo, immerso in una dimensione di totale assurdità.
Jack gironzolava per il ponte, impenitente e fastidioso come era sempre stato, mentre Cristal aveva deciso di rimanere sul cassero a controllare la rotta, correggendo di tanto in tanto gli ordini di Norrington.
Ed era stato strano, quasi surreale, perchè si era accorta che quel giorno lei e James stavano navigando insieme, e i suoi giochi di bambina erano diventati reali nel modo più distorto e malato possibile.
Fu un sollievo, con il calare del sole, individuare la sagoma scura di Isla de Muerta all’orizzonte.
- Bene. – disse solamente il Commodoro, chiamando a sé Sparrow e Gillette.
James Norrington si schiarì la voce, gli occhi che continuavano a posarsi su qualsiasi cosa non fosse il viso dei suoi interlocutori, poi prese a impartire le ultime disposizioni.
- Gillette, fate armare le scialuppe. Io scenderò assieme al signor Sparrow, mentre voi rimarrete a bordo ad occuparvi della nave. – spiegò.
- Chiedo scusa? – si intromise Cristal, che ancora una volta era stata esclusa dai piani senza alcun riguardo.
- C’è qualche problema? – replicò Norrington.
La ragazza strinse i pugni e fece un passo avanti, superando Gillette e piantando lo sguardo in quello del comandante.
- Mi sembrava che l’accordo comprendesse anche me. O forse non mi ritieni all’altezza? – aggiunse, sprezzante e accusatoria.
James le rivolse una lunga occhiata silente, poi si espresse in una replica che la lasciò di stucco.
- Niente affato, ma questo è un compito per cui basta Jack. –
Attese qualche istante, giusto per vedere la ragazza incassare il colpo, poi tornò a rivolgersi al suo ufficiale.
- Gillette, scortatela nelle sentine, e vi chiederei gentilmente di occuparvi anche di Miss Swann. Gradirei saperla al sicuro dietro la porta chiusa dei miei appartamenti. –
Cristal assorbì il significato di quelle parole solamente quando percepì la mano del Tenente stringersi attorno al suo braccio e sospingerla verso il boccaporto.
- No, aspettate! Non potete! – sbraitò, resasi immediatamente conto di essere stata estromessa dal corso degli eventi ancora una volta.
- Gillette, dovete lasciarmi andare! James non sa, io devo... – ma l’uomo la strattonò senza riguardo e la spinse dentro alla stessa cella che aveva occupato quel pomeriggio.
- Gli ordini sono ordini. – si limitò a chiosare serafico, chiudendo la porta a doppia mandata e facendo per andarsene.
Cristal infilò una mano fra le sbarre e lo afferrò per la giacca, ormai decisa a giocarsi il tutto per tutto.
- I pirati sono maledetti: non possono morire! James deve saperlo! –
Ma l’uomo si scrollò di dosso la sua presa e le scoccò un’occhiata tagliente.
- Credo che siate un po’ troppo vecchia per giocare di fantasia, Miss Cooper. – 
- Dannazione, è la verità! Sarà un massacro! –
Gillette non le prestò ulteriore attenzione e marciò sicuro verso il ponte superiore, sordo di fronte ai richiami di quella che considerava nulla più che una traditrice.
- Gillette, razza di idiota, devi ascoltarmi! GILLETTE! –
Ma ancora una volta la sua voce si perse nel buio, e il suo monito cadde inanimato ai suoi piedi.
Senza un aiuto dall’esterno, comprese con agghiacciante lucidità, non ce l’avrebbe mai fatta.
 









 
- Miss Cooper, siete attesa negli appartamenti del Commodoro. –
Fu un giovane soldato che Cristal non conosceva a chiamarla.
Aprì la cella scoccandole qualche occhiata furtiva, quasi come se trovarsi in presenza della ragazza lo avesse in qualche modo intimidito.
Si ritrovò a pensare che per certi versi le ricordava Howard Smith, e per un momento sentì il pungolo della malinconia farsi più fastidioso.
- Ha cambiato idea? – domandò, ironica.
Il ragazzo scosse la testa, prendendola delicatamente per un braccio e scortandola verso le scale.
- Si tratta di Miss Swann, a dire il vero. –
Cristal inclinò la testa di lato in cerca di spiegazioni, ma il giovane non sembrava aver voglia di chiacchierare, e si limitò ad aprirle la porta della cabina di Norrington, chiudendola immediatamente non appena fu entrata.
- Che c’è questa volta? – sospirò, decisamente stufa di tutto quel teatrino.
Elizabeth era seduta allo scrittoio e indossava una delle divise rosse dei soldati, probabilmente l’unico ricambio della sua taglia che fossero riusciti a recuperare a bordo.
I suoi occhi castani la scrutarono attentamente, vibrando appena di quella che a Cristal parve vergogna.
- Cris, non guardarmi così. – sussurrò.
La Figlia della Tempesta non mosse un muscolo, le labbra tirate e la mascella serrata.
- Coraggio, aiutami, non abbiamo molto tempo prima che mio padre si accorga che ti ho fatta uscire di cella! – aggiunse, questa volta in un tono più volitivo, per poi alzarsi in piedi.
Nessuna replica, nessun movimento.
- Cristal, dannazione, datti una mossa, dobbiamo andare! – sbraitò infine, scuotendola per un braccio.
- A salvare Will? – sbottò finalmente, gli occhi ridotti a due fessure.
- A salvarvi tutti! Will, te, e sì, anche Jack Sparrow! E non fare quella faccia scandalizzata, santo cielo! Credi che avessi molta scelta?-
Non gridò, perchè temeva che avrebbero potuto sentirla, ma fu come se le avesse dato uno schiaffo in pieno viso.
- Ma... – balbettò, stordita da quelle parole.
Elizabeth scosse il capo e portò le mani sui fianchi.
- Ti sei chiesta per quale motivo James non ti ha lasciata andare? Per lo stesso motivo per cui ha rinchiuso me: per proteggerti! E secondo te crede davvero che lo sposerò? Cristal, sei l’unica che ci è cascata! –
La figlia del fabbro ascoltò attentamente ogni parola, per poi replicare con lo stesso impeto dell’amica.
- Cascata? Elizabeth, mi hai venduta su tutta la linea! –
La giovane Swann tacque, il volto improvvisamente pallido.
- Tu credi questo? Tu... tu credi che davvero avrei potuto fare una cosa simile? Cristal, tu sei spacciata. Will ha collaborato con Sparrow per salvare me, e questo io posso usarlo a suo favore, ma tu hai scelto la tua strada sei anni fa, e non ho alcun modo per difenderti! L’unica opzione che avevo era giocare d’astuzia, usare la tua assenza per liberarti. Io non sposerò mai James, io amo Will, e questo lo sa bene. Era su qualcos’altro che volevo fare leva con quella sortita, e pensa quello che vuoi, ma ha funzionato. E sì, è sporca e disonesta, ma è la libertà che ti sto offrendo, nell’unico modo in cui te la posso offrire. –
Seguì un lungo momento di silenzio in cui gli anni trascorsi lontane l’una dall’altra si fecero sentire pesanti come non mai, in cui tutte le differenze vennero a galla viscide e subdole.
E compresero entrambe che erano cresciute, e che nulla sarebbe mai stato come prima, che la purezza di un tempo era stata macchiata dalla consapevolezza del ruolo che entrambe ricoprivano in quel mondo, e che non vi sarebbero stati mai più appuntamenti di fronte al portale della chiesa o passeggiate lungo la spiaggia.
- Ragioni proprio come un pirata... – sospirò Cristal in un sorrisetto sghembo.
Elizabeth ricambiò l’espressione e si strinse nelle spalle.
- Che ci vuoi fare, ho imparato dai migliori. – rispose guardandola dritta negli occhi.
E si abbracciarono strette, perchè quello era il più profondo degli addii, l’addio definitivo alla loro innocenza e ai loro sogni di bambine.
Era finito tutto, e in quell’abbraccio sentirono entrambe quel saluto tenuto in sospeso per sei lunghi anni.
- Coraggio, dobbiamo andarcene da qui prima che torni la guardia! – esclamò poi la figlia del Governatore, indicandole un cumulo di lenzuola annodate fra di loro che Cristal non aveva notato entrando.
Trasse un profondo sospiro e scosse la testa, ridacchiando e controllando che la fune improvvisata tenesse.
- Se ti succede qualcosa tuo padre mi ammazza. – commentò, aprendo piano una finestra e incominciando a calare le lenzuola.
Come se quelle parole avessero avuto il potere di evocarlo, la voce di Weatherby Swann si fece sentire dal ponte di coperta.
Elizabeth lanciò un’occhiata alla porta chiusa, poi si mosse verso la finestra e guardò giù, dove la barcaccia le stava aspettando.
- Mio padre ti ammazza lo stesso, tanto vale provarci. – e, con un ultimo sorriso, scavalcò la balaustra e incominciò a calarsi.
- Bene, qual è il piano? – domandò Cristal quando ebbero raggiunto la superficie dell’acqua, Elizabeth che già aveva messo mano ai remi e vogava decisa verso una direzione ignota.
La vide inspirare a fondo, ben più agitata di quanto non volesse dare a vedere.
- Semplice: remiamo fino alla Perla Nera, liberiamo la ciurma, li convinciamo ad aiutarci e facciamo irruzione nella grotta per salvare Will e sconfiggere Barbossa! – esclamò.
- Questo è il tuo piano. – replicò Capitan Tempesta, scettica.
- Credi che non funzionerà? –
Mezz’ora dopo, la prua della barcaccia rivolta nella direzione opposta, le due stavano remando verso l’ingresso della grotta, abbandonate al loro destino e accompagnate dal continuo masticare insulti di Elizabeth.
- Sono pirati! Che ti aspettavi? – cercò di portarla alla ragione Cristal, che si era comunque premurata di appuntarsi mentalmente di farla pagare a Gibbs se mai fosse uscita viva da quella situazione.
- Piuttosto, smettila di lamentarti e fai silenzio, temo che l’unica arma che potremo giocarci sarà l’effetto sorpresa... – aggiunse, fermando l’imbarcazione e aiutando l’amica a scendere a terra.
Camminarono in silenzio, mano nella mano, ogni passo a rimbombare nelle loro coscienze come l’eco di una cannonata.
Cristal sentiva la mano di Elizabeth fredda e sudaticcia nella sua, ma lei stessa non poteva dirsi tranquilla: quella era la resa dei conti, e non avrebbe potuto permettersi alcun tipo di errore.
A mano a mano che si avvicinavano al centro della grotta, dove il forziere avrebbe decretato le sorti del loro fato, uno strano suono si amplificava rimbalzando di stalattite in stalattite.
Era un clangore sordo misto a un rumore di passi la cui cadenza era inconfondibile.
- Stanno combattendo! – e, senza attendere risposte da parte dell’amica, le lasciò la mano e si precipitò verso la fonte del rumore, per trovarsi davanti all’ampio spazio circolare ora quasi completamente deserto.
Sì, stavano combattendo: Jack aveva deciso di giocare la sua ultima carta, e poco distante Will lottava strenuamente contro tre pirati maledetti.
Bastò un istante, bastò che incrociasse lo sguardo con Elizabeth, ed entrambe annuirono, lanciandosi a capofitto nella battaglia.
E mentre l’amica d’infanzia andava a soccorrere Turner, Cristal capiva finalmente quale fosse stato, sin dall’inizio, il piano di Sparrow.
I fasci di luce lunare che fendevano la penombra avevano smascherato le sue intenzioni, rivelando gli effetti della maledizione che aveva fortuitamente evitato in gioventù e che adesso stava usando a suo favore per poter colpire al momento più opportuno.
Di fronte a lui, agile nei movimenti e animato dalla rabbia della prigionia, Hector Barbossa volteggiava menando fendenti.
Ed eccoli lì, Jack e Barbossa, il suo inizio e la sua fine.
Entrambi mossi dalla vendetta, entrambi schiavi della sete di libertà.
E a quel punto Cristal Cooper seppe cosa fare. Era follia, era disperazione, ma dopotutto non era forse la disperazione ad averla condotta per mano fin lì?
Approfittando del trambusto creato da Elizabeth, raggiunse di corsa il centro della sala e, sguainando la spada nella destra, raccolse con la sinistra uno dei medaglioni dal forziere.
Se fino ad allora aveva solamente potuto guardare, adesso le cose sarebbero cambiate, e anche lei avrebbe avuto finalmente voce in capitolo.
- Fermi! – gridò, e la sua voce limpida si alzò nella grotta assieme alla luce della luna, immobilizzando in due avversari con le spade a mezz’aria.
- Cristal?! – Barbossa abbassò la guardia, e la ragazza lesse nei suoi occhi un terrore che le impregnò le ossa del gelo più insopportabile.
Ma era giunta l’ora di scegliere e, quando Jack tornò a lanciarsi verso il Capitano della Perla, la Figlia della Tempesta uscì allo scoperto.
La spada di Jack la attraversò da parte a parte, e sebbene non avesse provato alcun dolore la sorpresa di essere stata colpita le fece sgranare gli occhi ed emettere un verso strozzato.
Vedeva la lama spuntare dal suo ventre e fu solo in un secondo momento che si accorse del “no!” straziante urlato da Barbossa.
La spada venne ritratta e Jack, aspettandosi un suo crollo, la prese istintivamente per le spalle.
- Cristal! – ma si accorse immediatamente che dalla ferita non sgorgava sangue, e se per capire cos’era successo non fosse bastata l’espressione ancora più sconvolta della sua nemesi, tutto fu terribilmente chiaro quando la ragazza gli mostrò il medaglione che ancora stringeva in mano.
- Mi dispiace, Jack. – esordì, liberandosi dalla sua presa.
- Non posso lasciartelo fare. –
L’uomo le rivolse uno sguardo confuso, poi si spostò di lato per evitare un affondo improvviso di Barbossa.
- E in quanto a te, non ti permetterò di ucciderti con le tue stesse mani! – aggiunse la ragazza al suo indirizzo, incrociando le lame con entrambi i pirati.
- Quale esempio di ferrea morale! – esclamò Jack, caricando un fendente che venne schivato dalla ragazza e parato da Barbossa.
- Mi ha salvato la vita, non posso stare a guardare mentre tu lo uccidi! – ribatté lei, che continuava a parare senza avere davvero l’intenzione di colpire gli altri due.
- Sciocca ragazzina! Hai mandato tutto in fumo! – sbraitò Barbossa, spingendola da parte con malagrazia.
Cristal cadde su un cumulo di monete, ma fu lesta a balzare nuovamente in piedi e ad andare a frapporsi ancora una volta fra i due Capitani.
Capì solo in quel momento cosa l’avesse tanto turbata nel comportamento del pirata maledetto in quei due giorni, si rese conto che quello strano sentimento acquattato in fondo alle sue torbide iridi blu era la stessa urgenza che aveva animato lei stessa dall’inizio di quell’avventura.
Lui era stato costretto ad abbandonarla perchè lei potesse salvarsi, e ritrovarsela lì, il medaglione in mano e le ossa nude alla luce della luna, doveva apparirgli come la più bruciante sconfitta.
Nella sua visione degli eventi non era stato capace di proteggerla, e con la sua cocciutaggine e la sua ignorante impulsività, Cristal aveva mandato davvero in fumo ogni suo tentativo di difenderla.
Per contro, Jack sembrava aver compreso le sue motivazioni, dal momento in cui si era accorta che ogni suo attacco sembrava evitarla.
Il suo obbiettivo era Barbossa, ed era Barbossa che voleva ferire, lui e nessun altro.
Che cosa avrebbero fatto? Avrebbero continuato a combattere in eterno, dannati e immortali in un gioco delle parti che alla fine aveva svelato il suo disegno?
Davvero avevano a disposizione tutto quel tempo?
No, in gioco non c’erano solo loro tre, almeno non per Cristal.
Fuori da lì, sotto al cielo notturno, sulla Dauntless stavano già combattendo, e se non fossero giunti in fretta ad una conclusione dio solo sapeva che cosa sarebbe successo a James e Swann.
- Ascoltatemi! Vi prego, fermatevi un secondo, dovete ascoltarmi! –
Ma a quel punto il boato sordo di un’esplosione li fece voltare tutti e tre giusto in tempo per vedere Will ed Elizabeth allontanarsi dalla nuvola di fumo.
Quella distrazione fu fatale: Cristal udì solamente l’ammonimento terrificato della figlia del Governatore prima che qualcosa di duro la colpisse alla testa e le sue labbra andassero a sfregare contro la nuda pietra bagnata d’acqua salmastra.
Per un lunghissimo momento non percepì nulla se non il dolore alla nuca, la vista e tutti gli altri sensi osccurati e la coscienza interrotta, poi un bruciore improvviso alla mano sinistra la riportò violentemente alla realtà, facendole aprire gli occhi ancora appannati dal dolore.
Nonappena tornò in pieno possesso della vista si accorse con orrore che il medaglione era svanito dal suo palmo, al suo posto un taglio lungo e sottile imporporato dal suo sangue.
E nell’esatto momento in cui alzava lo sguardo e gridava il suo “no!”, la detonazione si udì in tutta la grotta, fumo e odore di polvere da sparo ad impregnare il silenzio improvviso.
Elizabeth era immobile su una roccia, gli occhi sgranati e il respiro trattenuto. Al centro della grotta, in piedi accanto al forziere, Will teneva un pugno alzato e lo sguardo fisso su Jack, nelle cui mani fumava ancora la pistola.
Cristal vide Barbossa muovere le labbra, ma non udì le sue parole.
I suoi occhi grigi erano ora spalancati e lacerati dall’orrore e dall’incredulità, perché sapeva cosa sarebbe successo.
Non le servì voltarsi verso Will, non le servì udire il tintinnio dei tre medaglioni che raggiungevano i gemelli nel forziere.
Lei sapeva già che la camicia candida del nemico comune si sarebbe impregnata di sangue, sapeva già che lo sguardo di Barbossa si sarebbe fatto dapprima stupito e poi incredulo.
E rimase in ginocchio, incapace di muoversi mentre la chiazza cremisi si espandeva all’altezza del cuore.
Non era vero.
Non era vero.
Lacrime beffarde presero a scivolare lungo le sue guance, fino al mento, e presto ogni cosa si tinse di morte.
- No... –
Non stava accadendo davvero.
E più del sangue, più delle lacrime, fu il suo sorriso a spezzarla.
Un sorriso dissonante, corroso dall’amarezza di quella sorte che si prendeva gioco di lui.
Hector Barbossa scosse la testa, perchè non ci credeva nemmeno lui.
Perchè adesso sentiva, dopo anni, lo spruzzo dell’onda sul viso, percepiva, dopo anni, il calore del fuoco scoppiettante.
Tornava infine a sfiorare la libertà, e nel suo bacio moriva.
I grandi occhi blu del pirata dai modi di seta si spalancarono ancora, andando a posarsi sul viso di Cristal in un’ultima carezza.
- Sento...! – sussurrò, un ultimo soffio di vittoria, come a volerle comunicare che nonostante tutto era riuscito a liberarsi, che non era stato vano.
Ma mentre la ragazza piangeva, statua di marmo fra i fasci di luna, l’ultima luce svanì dai suoi occhi.
La sua ultima parola si dissolse come la spuma dell’onda, e il corpo senza vita cadde sull’oro con un lieve tintinnio.
Una delle sue mele verdi e lucide gli scivolò via dalla mano.
La maledizione era stata spezzata.
- NO! –
Cristal balzò in avanti, incurante del terribile bruciore alla mano sanguinante.
Non si preoccupò né di Jack, né di Will, né di Elizabeth; i suoi stivali finirono in acqua schizzando dovunque nella corsa, e fu solamente quando ebbe raggiunto l’altra sponda della pozza che si lasciò cadere a terra accanto a Barbossa.
- No... no, ti prego, no... – balbettò fuori di sé, prendendogli il viso fra le mani nell’assurda speranza che potesse in qualche modo risponderle.
Ma gli occhi chiari del pirata erano fissi e muti, e non avrebbero mai più potuto riservarle sguardi d’orgoglio o di rimprovero.
Stravolta dal dolore, la ragazza lasciò che singhiozzi cupi e disperati la scuotessero senza tregua, le mani ad artigliare la giacca dell’uomo e il capo poggiato sul suo petto, completamente incurante del sangue che le sporcava le guance.
 - Ti prego, ti prego, salvalo, ridammelo indietro... – continuava a mormorare stringendo la collana nella mano sinistra, la carne viva a sfregare contro le irregolarità della conchiglia.
Ma quella era una sofferenza inesistente se paragonata allo strazio del suo cuore.
Non era stato come per Jim Cooper, reclamato dall’Oceano, né come per Toby, stroncato dalla battaglia.
Hector Barbossa era morto a un passo dalla salvezza, ed era stata lei ad ucciderlo.
Non era stata capace di arginare gli eventi, aveva permesso che il dramma si consumasse davanti ai suoi occhi, ed era stato il suo sangue a spezzare la maledizione, condannando quell’uomo la cui morte l’aveva resa orfana una seconda volta.
Adesso, alle sue spalle, i suoi tre amici più cari assistevano a quello spettacolo a capo chino, in rispettoso silenzio di fronte alla sua disperazione, e lei sentì di perdonarli tutti.
Perdonò Will, che li aveva salvati, perdonò Elizabeth, che aveva mentito per loro, perdonò Jack, che non aveva avuto mai davvero intenzione di venderli.
Forse, si ritrovò a pensare in fondo alla sua coscienza  mentre i suoi compagni di sventure si aggiravano per la grotta appesantiti ognuno dai propri fantasmi, se fosse stata una persona diversa avrebbe continuato ad odiarli, avrebbe imputato a loro l’esito della vicenda.
Ma Cristal lo sapeva, lo aveva saputo fin da subito: non avrebbe mai potuto salvarli tutti quanti.
Jack aveva fatto quello che lei non era stata capace di fare, aveva ridotto al minimo le perdite, mentre lei li avrebbe condotti irrimediabilmente alla rovina.
Dopo un silenzio lungo una vita, mentre al di sotto della volta di stalattiti il rumore dell’oro accatastato rimbombava senza grazia, l’erede del Faucon du Nord tornava a sedere e rivolgeva lo sguardo al viso cinereo del pirata, accarezzando piano la guancia venata dalla cicatrice.
- Cristal, dobbiamo andare... – la voce dolce e levigata di Elizabeth Swann la fece voltare, e si ritrovò davanti un’amica pallida e triste, come se il suo dolore fosse stato un dolore comune.
Annuì debolmente, poi tornò a rivolgere un ultimo sguardo a Hector Barbossa.
Con mani tremanti gli abbassò le palpebre e lo contemplò un’ultima volta, infine si alzò in piedi, le guance rigate dal pianto.
Elizabeth le circondò le spalle con un braccio e la condusse verso l’uscita, dove Will le stava aspettando.
- Mi dispiace, Cris... – mormorò al suo orecchio, perchè anche se non sapeva nulla di quello che la legava a Barbossa era sua amica, sua sorella, e soffriva con lei.
Proprio a quel punto Jack Sparrow le raggiunse, il collo adorno di collane e una corona sul capo.
La sua espressione ilare si spense di colpo nell’incrociare lo sguardo della figlia del fabbro.
Cristal arrestò la sua marcia e gli rivolse un sorriso tremolante e appena accennato.
- Scusami, Jack. Ho sbagliato a dubitare di te. – disse semplicemente, e quella frase apparetemente innocua riempì il cuore del pirata di un terrore viscido e ben radicato.
Vide il sangue sulle sue guance striato dalle lacrime e percepì nella sua voce un’emozione talmente profonda da farla risultare atona: mentre la giovane gli faceva capire di non provare per lui alcun rancore, Jack Sparrow fu percorso da un brivido che gli svelò la realtà in tutta la sua chiarezza.
Quella notte, lasciandosi alle spalle il cadavere del suo mentore, la Figlia della Tempesta aveva preso la sua ultima decisione.
Cristal Cooper, svuotata di ogni desiderio, si era arresa.

























 
Note:

Buonasera, ciurma! 
Questo capitolo è stato, credo, il più difficile da scrivere in assoluto. (No, non è vero, ho sofferto tantissimo i capitoli 10 e 11, ma quella di questo capitolo è ancora una sofferenza diversa xD)
Insomma, in queste ultime pagine la storia ha preso una piega non propriamente allegra, e per quanto -se non si fosse notato- io sia una grande fan dell'angst, non apprezzo particolarmente certi tipi di depressate.
Ahimé, Cris pare non essere d'accordo.
Credo che questo sia, nell'arco di tutta Thunderbolt già scritta e ancora da scrivere, il momento in cui la vediamo più fragile e più disperata. Insomma, a parer mio, a sedici anni di età aveva affrontato Capo Horn in modo molto più maturo, ma le circostanze erano completamente differenti e spero di essere riuscita a far trasparire questa cosa nel capitolo.
Adesso la nostra Cristal si ritrova a non riconoscere più nulla di tutto ciò in cui credeva e persino le persone che erano state, ognuno a modo proprio, un punto fermo nella sua vita si stanno rivelando in un certo senso a lei ostili.
Tolto Will, che in effetti è un po' il povero sfigato vittima degli eventi, Elizabeth, James, Jack e persino Barbossa non hanno fatto che minare ogni suo più piccolo tentativo di costruire un qualcosa di vagamente sereno.
Poi vabbè, su quel broccolo di Norrington bisognerebbe fare tutto un discorso a parte, ma dirò solo che mi sono divertita tantissimo a vederli lanciarsi frecciatine come due ragazzini capricciosi. Ah, per un passo avanti quei due ne fanno dieci indietro... xD
Cosa mi ha davvero fatto penare è stata la tensione fra Cris e Liz e il fatto che, purtroppo, il rapporto che avevano un tempo sia ormai irrimediabilmente perduto nonostante la loro amicizia sia riuscita a resistere a questo piccolo momento di turbolenza.
Ma adesso giungiamo alla parte che ho temuto fin dal capitolo uno.
Barbossa.
Avrò sicuramente modo di riprendere questo argomento nei capitoli futuri, ma la scena della morte di Barbossa è stata per me un momento terribile e, lo ammetto, mi sono ritrovata per la prima volta nella mia lunga carriera di scrittrice-assassina a piangere al punto da non vedere più i caratteri sullo schermo.
Sono davvero debole. :c xD
Comunque è colpa di Geoffrey Rush che nel suo "I feel cold" finale pronuncia quell' "I feel" quasi con entusiasmo, come a dire "non ci posso credere, finalmente sento, sono libero!" e poi ci sta un po' a pensare e si accorge che l'unico sentire che gli è stato concesso è il freddo della morte.
Scusate, lo so che non frega niente a nessuno, ma è una cosa che dal doppiaggio italiano non traspare e quando me ne sono accorta ho sofferto come un cane e adesso devo comunicare la mia epifania a chiunque mi capiti a tiro. xD
Insomma, se non si fosse capito questa fase della storia mia ha messa duramente alla prova sia dal lato tecnico (che palle tutti questi monologhi interiori, per fortuna sono -quasi- finiti) sia dal lato emotivo.
Prometto che abbiamo quasi chiuso con le depressate e fra poco l'atmosfera sarà più leggera! V.V
Grazie infinite come sempre a chi legge/recensisce/segue/preferisce e vi porgo tutte le mie scuse per avervi regalato a tradimento una serata deprimente.


Ora però vi prego datemi una Sacher e sei scatole di fazzoletti che ho bisogno di tirarmi su il morale.
Anche Geoffrey Rush comunque sarebbe un'offerta gradita. <3


Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***





Capitolo Ventunesimo~









L’alba era pallida e lattiginosa, velata di un silenzio malsano.
Era come la veglia di un malato, la vista offuscata dalla febbre e il freddo a strisciare nelle ossa senza tregua.
Uno strato omogeneo di nuvole rimandava bagliori perlacei, e i deboli raggi di sole che di tanto in tanto riuscivano a fenderne la coltre giungevano a lambire le facciate delle case come flebili sospiri.
Il temporale aveva ceduto il passo alla tacita attesa di un qualcosa di ignoto, e persino i gabbiani, di solito giocosi e rumorosi, adesso se ne stavano fermi come statue, appollaiati sui pennoni delle navi alla fonda o con le zampe in ammollo nelle pozzanghere fangose.
La finestra era chiusa, e Bleizenn Gwrac’h stava in piedi, stretta nello scialle, lo sguardo freddo e distante perso nel grigio del cielo.
Quella notte non aveva chiuso occhio, agitata dal nero presagio della sua divinazione. Per la prima volta sperava di aver sbagliato, di aver male interpretato i segni; ma più la tempesta infuriava fuori dalla sua casa, più la consapevolezza di non aver fallito nemmeno quella volta si faceva strada nel suo cuore annebbiandole la mente.
Poi, alle prime luci dell’alba, il vento si era placato, la pioggia diradata, ed era rimasto solo il ciclico e discreto rumore del mare.
L’agonia era giunta ad una fine.
Bleizenn si era alzata da letto e aveva rovesciato le conchiglie sul tavolo in cerca di una verità che conosceva già e nella frenesia, una condizione che raramente aveva sfiorato la sua mente, si era persino dimenticata di accendere l’incenso.
Aveva visto il bianco sporco della luna, il blu del cielo di Giugno, il rosso scarlatto della libertà e aveva sentito la voce limpida della resa cantare una vecchia canzone, scossa dai singhiozzi.
Ciò che più temeva si era infine verificato.
Poi, all’improvviso, il silenzio era stato rotto da un lamento basso e scomposto: l’ospite, nella stanza adiacente, stava avendo un incubo.
La sacerdotessa era rimasta seduta, una mano a sfiorare i quarzi della sua collana e a rigirarsi la croce di Santa Brigida fra le dita.
Il silenzio era dunque tornato padrone della casa, e la donna si era alzata in piedi, il suo passo lento e cadenzato come una marcia funebre a condurla di fronte alla finestra.
Le ombre che aveva intravisto ad Ovest si erano allungate fin lì, la Baia aveva ripreso a gemere, e un male subdolo e inarrestabile si era svegliato a Nord. Lo scontro era ormai inevitabile, l’alleanza più fragile che mai.
Era trascorsa mezz’ora, e alla fine la porta si era aperta, rivelando la figura del Faucon du Nord aggrappata allo stipite, il viso pallido e gli occhi cerchiati.
I capelli corvini ricadevano sulle spalle spettinati e liberi dal nastro di raso che li aveva tenuti raccolti nel codino basso, le mani tremavano appena nel reggersi al legno.
- Bleizenn... – la chiamò in un soffio, spostando lo sguardo dalla sua schiena al tavolaccio.
Un sussulto attraversò le sue membra, la consapevolezza strinò il suo cuore senza pietà.
La vecchia si voltò lentamente, posando i suoi occhi su quelli del pirata.
Grigi, torbidi e agitati come un mare in tempesta, spaventati e impreparati, per la prima volta dopo anni senza nulla a celarne le emozioni.
Bleizenn sospirò, perchè conosceva quegli occhi e aveva imparato ad amarli, e sapeva a cosa avrebbe assistito.
- Oui. – disse solamente.
Le labbra del Faucon di Nord divennero livide, le nocche bianche attorno alla stoffa della camicia.
Cercò di parlare, ma nessun suono abbandonò la sua coscienza; istintivamente portò una mano al collo, dove per tanti anni era stato al sicuro il suo pezzo da otto, ma non trovò nulla.
Si piegò in avanti, il corpo scosso da un conato violento, poi cadde a terra, in ginocchio.
Fuori dalla finestra, il vento riprese a fischiare.
 









 
Sbarcarono a mezzogiorno, con il sole a picco e una brezza lieve a sfiorare la pelle.
Quando avevano fatto il loro ingresso nella baia avevano sparato a salve, prontamente salutati dai cannoni del Forte, e a Cristal era parso di trovarsi in uno strano sogno, quasi fosse stata ancora bambina e la sua fantasia si fosse divertita a presentarle uno scenario davvero troppo estremo.
Per un attimo aveva creduto che avrebbe riaperto gli occhi e si sarebbe ritrovata nella piazza della chiesa, seduta sui gradoni a godere del sole del primo meriggio, pronta a difendere strenuamente la sua causa in una delle sue solite schermaglie con James, ma quando la realtà era tornata consistente attorno a lei assieme all’odore pungente del legno bagnato aveva ricordato che James non sembrava più essere incline ai battibecchi.
Abbandonata Isla de Muerta, avevano scoperto che la Perla aveva fatto vela verso acque più sicure senza premurarsi di aspettarli, e l’unica soluzione si era rivelata tornare alla Dauntless, dritti fra le fauci del lupo.
Doveva essere stato spiazzante per James vederla tornare a bordo stravolta, il volto imbrattato di sangue e striato da lacrime che mai le aveva visto versare. Era stato sicuramente sconcerto quello che lei aveva colto nelle sue iridi chiare, ma quel sentimento spontaneo era immediatamente stato sostituito da un’altrettanto spontanea preoccupazione.
Con Swann impegnato ad accogliere la sua adorata figliola come se fosse appena tornata dal regno dei morti e Gillette intento ad acchiappare Sparrow per un braccio, il Commodoro si era potuto concedere il lusso di dedicarsi a lei per qualche istante.
Proprio come il pomeriggio precedente, il suo correrle incontro aveva tradito un’emozione decisamente fuori luogo, eppure non del tutto inedita.
- Cristal! Cielo, cosa è successo? – aveva esclamato, fermandosi a un passo da lei.
- Elizabeth sta bene. – aveva replicato lei, atona, già pronta a marciare verso le sentine.
Norrington l’aveva afferrata per la mano e la ragazza aveva sussultato, improvvisamente memore del taglio sanguinante.
- Cristal, ma sei ferita! Che cosa ti hanno fatto? –
La ragazza aveva  gettato una rapida occhiata alla sua mano per poi tornare a sollevare lo sguardo sul Commodoro, e senza che potesse impedirlo gli occhi le si erano velati di lacrime.
- Sto bene. E’ solo un graffio. Nulla... nulla di grave. – aveva balbettato, sentendo improvvisamente tutta la tensione di quei giorni crollarle addosso e trasformarsi in una stanchezza mai provata prima.
- Stai scherzando? Quanto sangue hai già perso? Bisogna medicarti! –
Cristal aveva scosso la testa. Non le importava della ferita, non le importava del sangue, non le importava di nulla. Dopotutto che senso avrebbe avuto? Lei era già morta.
- Ti prego, James. Torniamo a casa. –
Ed era a casa che l’aveva condotta.
Il sole caldo e fedele di Port Royal l’aveva accolta senza un suono, e attorno a lei si erano srotolati i colori della sua infanzia: l’avevano presa per mano e, dolcemente, l’avevano condotta lungo il cammino.
Il porto, con i suoi moli chiassosi e le storie da lontano, la piazza del mercato, ricca di voci e odori pungenti, le strade polverose, le case vecchie dalle finestre incrostate. Tutto in quel luogo le ricordava chi era stata, molto tempo prima.
Mentre la piccola colonna di soldati che scortava lei e Jack verso le carceri avanzava, il suo sguardo si posò su una vecchia insegna in ferro battuto, dove un’incudine e un martello indicavano l’esercizio del fabbro.
Fu come un pugno all’altezza dello stomaco vedere le finestre di casa sua aperte, visi che non appartenevano alla sua famiglia, panni stesi che non erano i suoi.
Eppure era un dolore agrodolce, perchè ancora riusciva a vedere Howard alla porta, il cappello fra le mani nel salutare sua madre, ancora riusciva a vedere Will salutare Mackie e Fairfax e spingere piano l’uscio, scivolando dentro alla bottega dove lo aspettava Jim.
Tutto era diverso, ma nulla era cambiato, e per un brevissimo istante Cristal Cooper si sorprese a sorridere con un misto di amarezza e malinconia: per anni aveva sognato di potere, un giorno, fare ritorno a casa. Mai avrebbe immaginato che sarebbe accaduto in quel modo.
Era stato Gillette a chiudere la sua cella per assicurarsi che non tentasse di nuovo la fuga. Le aveva rivolto un’occhiata di profondo disprezzo, poi aveva trascinato Jack verso le scale, ben deciso a separarlo dalla sua compagna di malefatte.
Non erano stati i soli a rimpolpare le fila dei detenuti di Port Royal: non tutti gli uomini della Perla erano morti durante la battaglia; alcuni di loro avevano preferito la resa e, come Pintel e Ragetti, avevano finito per seguire la sorte dei due Capitani, al sicuro dietro le sbarre.
Aveva trascorso il primo pomeriggio in totale solitudine, seduta in un angolo in muta contemplazione della striscia di lino candido che le fasciava la mano ferita. Alla fine James aveva avuto la meglio ed era riuscito a medicarla. Entrambi avevano osservato in quei pochi minuti un religioso silenzio, e Cristal non aveva potuto evitare di pensare a quel pomeriggio di molti anni prima quando era stata lei a prendersi cura delle ferite dell’allora Tenente.
Fu un rumore di passi di corsa a farla riscuotere dal suo torpore, lo sguardo stanco indirizzato all’imboccatura delle scale.
- Cristal Cooper?! Siete davvero voi! –
La voce che la raggiunse la lasciò interdetta. Il viso era forse un poco più segnato, ma la dolcezza nei lineamenti era esattamente come la ricordava.
- Theodore! – esclamò mentre Groves correva verso di lei, portando le mani a stringere le sbarre.
- Siete viva! Dio, che bella notizia! Non sapete quanto sia stato terribile sapervi perduta nel Canale! – continuò lui con una sincerità disarmante.
L’erede del Faucon du Nord sorrise di fronte all’affetto che le veniva dimostrato, poi scosse la testa, consapevole di quanto quella gioia fosse infondata.
- Non dovreste parlarmi in questo modo... – sussurrò in un vano tentativo di mantenere le distanze.
- Non dite sciocchezze, Miss Cooper! Non posso forse essere felice di scoprire che in questi anni stavate bene? –
La ragazza roteò gli occhi e portò a sua volta le mani attorno al freddo metallo.
- Theodore, fra quattro giorni sarò impiccata per pirateria. Non è saggio da parte vostra dimostrarmi così marcatamente il vostro sostegno... –
Eppure era felice di averlo rivisto, era felice di sapere che qualcuno a casa l’aveva aspettata, che qualcuno gioiva per il suo ritorno.
- Vi ho conosciuta che eravate una ragazzina, Cristal, e credo di conoscervi abbastanza per poter dire senza timore che non siete cambiata poi così tanto in questi sei anni. Forse avrete compiuto scelte sbagliate, forse sarete stata costretta a scendere a compromessi, ma questo non cambia i fatti: voi siete una ragazza buona, e tutti a Port Royal lo sanno. Pirata o no, per me rimanete sempre Cristal Cooper. –
Quelle parole la attraversarono da parte a parte, scaldandole il cuore e facendola sorridere davvero per la prima volta in quegli ultimi giorni infernali.
Sospirò e chinò il capo, perchè guardarlo negli occhi mentre pronunciava un simile discorso le sembrava davvero troppo.
-Vi ringrazio, Theodore. Vi ringrazio per tutto, davvero. Ma io ho compiuto le mie azioni con cognizione di causa, e affronterò il destino che merito senza paura. –
- Ma non lo meritate! Se solo James si decidesse a chiudere un occhio! –
Cristal rise, una risata amara e quasi accusatoria.
- Non dite sciocchezze! James ha la sua posizione da mantenere, non rischierebbe mai così tanto. Non per me. –
- Vi sbagliate, Miss Cooper, se credete questo. Sarà orgoglioso e cocciuto finchè volete, ma lo conosco, e so che per voi James...! - ma la voce di Groves si spense di colpo, sovrastata da passi cadenzati e tuttavia frettolosi, passi che entrambi sarebbero stati capaci di riconoscere ovunque.
- Signor Groves! Non mi aspettavo di trovarvi qui! –
James Norrington se ne stava in piedi all’imboccatura delle scale, la postura ritta e le mani intrecciate dietro la schiena.
Lasciò che il suo sguardo si spostasse dalla prigioniera al sottoposto, per poi indagare ancora.
- Che cosa vi porta nelle prigioni, Groves? –
L’uomo sostenne il suo sguardo di ghiaccio, ormai abituato a interpretare i cambiamenti d’umore del Commodoro.
Ricordava molto bene cosa avesse significato per James tornare a Port Royal sconfitto dalla tempesta, non aveva dimenticato la sua disperazione e la sua decisione di estraniarsi dalla vita, di ritirarsi in una dimensione di grigio e solitudine per il resto dei suoi giorni.
- Spero lo stesso motivo che vi ha condotto voi, James. –
Vide l’uomo venire attraversato da un fremito leggero, forse di consapevolezza, poi dedicò un’ultima occhiata a Cristal Cooper, un ultimo sorriso incoraggiante.
Per quello che era in suo potere, Theodore Groves aveva dato tutto il possibile.
- Con permesso. – si congedò, sparendo su per le scale e lasciandoli soli.
Cristal si allontanò dalle sbarre e diede la schiena al corridoio, andando a sbirciare fuori da quel minuscolo quadratino d’azzurro che l’architetto delle carceri aveva osato definire finestra.
Non era pronta ad affrontare un’altra discussione con lui, non dopo Isla de Muerta.
- Cristal... – esordì, la voce ancora incerta.
- Perchè sei qui? – lo interruppe lei, senza osare voltarsi.
Non avrebbe potuto farcela, era troppo stanca per ragionare.
- Cristal, non è ancora finita. Posso ancora fare qualcosa, ma tu devi aiutarmi! – cercò di smuoverla, facendo un passo avanti verso le sbarre.
Lei non cedette.
- Hai offerto lo stesso trattamento anche a Jack? –
Uno sbuffo, probabilmente aveva alzato gli occhi al cielo come faceva sempre quando era seccato.
- Certo che no! –
Cristal strinse i pugni, la stoffa candida attorno al suo palmo a rinfacciarle in tutto e per tutto la sua posizione.
- E a cosa devo io questa cortesia? – sibilò, gli occhi resi due fessure nonostante avesse ormai smesso di scrutare la vita al di fuori delle prigioni.
Nessuna risposta, James aspettò che si fosse voltata per darle la sua spiegazione.
- Sai benissimo perchè. – disse semplicemente, guardandola negli occhi.
E Cristal si trovò disarmata, arrabbiata e alla deriva, perchè quella era l’unica cosa che non voleva sentirsi dire, l’unica cosa che temeva, come temeva il suo cuore che le era appena schizzato in gola e le sue guance che aveva sentito riscaldarsi per l’afflusso improvviso di sangue.
- No James. No. Non puoi più. Elizabeth... –
- Elizabeth non mi ama, non mi ha mai amato, Cristal! Non ti rendi conto che ha agito così solo per salvare voi?! –
E finalmente la catena si era spezzata, e il vero James Norrington poteva uscire allo scoperto.
- E’ tardi, James! Tu hai fatto la tua scelta, io ho fatto la mia! Non abiurerò mai, se è questo che mi stai chiedendo! – con un passo coprì la distanza che la separava dalle sbarre, le dita avvinghiate al metallo.
- E’ l’unico modo, Cristal! – sbottò nel disperato tentativo di farla ragionare.
- L’unico modo per cosa? Che cosa avrei, se rinnegassi me stessa? Le cose tornerebbero forse come prima? Avrei indietro quello che ho perso? –
James tacque e distolse lo sguardo.
Avrebbero avuto indietro gli anni perduti, le risate, l’amore? No, e lo sapeva bene, ormai era troppo tardi.
- Sai come sono, e sai in che modo vivo. E’ ironico che debba essere tu, ma forse è il finale più giusto. Ho sempre sperato di poter tornare a casa, un giorno. – confessò, la voce improvvisamente più dolce.
- Adesso sono tornata. E’ un epilogo che posso sopportare. – aggiunse.
- Ti stai arrendendo. – fu la replica fredda di Norrington.
Cristal si morse un labbro e portò le mani a sfregarsi le braccia per scacciare il freddo che si stava impadronendo della sua anima.
- Non ho più nulla per cui valga la pena lottare. –
Il silenzio che seguì quella frase fu eterno e spietato, e come la morte sembrava rodere tutto ciò che non avevano ancora avuto il coraggio di dirsi.
Durò minuti, forse ore, e entrambi, a separarli soltanto delle sbarre vecchie e arrugginite, tornarono con la memoria a un pomeriggio di molti anni prima in cui, seduti sulla spiaggia, avevano messo in chiaro per la prima volta ciò a cui il destino li avrebbe condotti.
Ma la figlia del fabbro era all’epoca una persona diversa, più ingenua nei suoi tredici anni e più tenace supportata dalla sua famiglia. Adesso James riusciva a vederla per davvero, spoglia di tutte le sue certezze e aggrappata all’unico valore che le fosse rimasto: l’orgoglio.
Lo aveva saputo fin dal primo momento, lo sapeva quando l’aveva trattenuta a bordo della Dauntless e lo sapeva quando aveva sceso le scale verso la sua cella. Cristal aveva perso molto, e sebbene lui non sapesse nulla di ciò che aveva affrontato in quegli anni, riusciva a capire quanto dolore portasse con sé: qualcosa era cambiato nei suoi occhi, qualcosa si era spento, ma nonostante questo era troppo orgogliosa e troppo tenace, non avrebbe abiurato mai.
- Lo sapevamo fin dall’inizio, James. Le nostre vite hanno sempre corso su due linee parallele. Dovrebbe cambiare l’intero ordine delle cose affinchè possiamo incontrarci su un terreno comune. – sussurrò, l’amara consapevoleza come unico motore della sua anima.
- Non posso farlo. – confessò lui, nella voce tutta la stanchezza e il dolore che aveva accumulato in quei sei anni.
E se fino a quel momento Cristal Cooper era riuscita a mantenere la calma, sentire il Commodoro in tutta la sua più sincera vulnerabilità le fece salire dalle viscere una rabbia cieca e ribollente.
- Perchè? Perchè non puoi? Perchè io no e gli altri sì? – esclamò, il tono ben più alto di quanto non avrebbe desiderato.
- Dannazione, Cristal! Lo sai perchè! Signore, non pretenderai mica che riesca ad impiccarti così a cuor leggero! Ti rendi conto di quello che dici?! – e anche lui, esasperato, si ritrovò a gridare, muovendo un passo verso le sbarre e trovandosi così a pochi centimetri dai suoi occhi di fuoco.
- E tu?! Tu ti rendi conto di quello che dici?! Come puoi usare due pesi e due misure? Sono un pirata e ho ucciso come tutti gli altri pirati, ho tradito la Corona, ho rubato, ho mentito, ho razziato! In che cosa sono diversa dagli altri?! – incalzò, ormai fuori di sé, perchè aveva capito benissimo dove James volesse andare a parare e non poteva sopportare un simile comportamento dopo essere giunta a quel punto.
- In tutto, maledizione, in tutto! Tu sei una persona buona, sincera, onesta! Sei mossa dai valori più alti, io ti conosco, io so come sei! Non c’entri nulla con quella marmaglia di senza Dio, sono state le circostanze a...! – ma si ritrovò messo a tacere da una replica che mai si sarebbe aspettato da lei.
- Lo capisci solo ora che sono io ad andare sulla forca? Era questo il prezzo da pagare per aprirti gli occhi? Poca corda e caduta sorda, James! Hai scelto la tua parte, adesso rispetta la tua decisione, per la miseria, e non farmi vergognare di aver amato un codardo! –
La voce della prigioniera rimbombò lungo i corridoi delle carceri finchè l’eco non si fu dissolta del tutto, e non furono le lacrime che non era riuscita a trattenere a porre fine alla discussione, quanto piuttosto le parole che aveva usato.
Perchè quell’ultima frase era stata l’addio definitivo, ed entrambi avevano capito che non c’era più nulla da salvare.
- Addio. – disse solamente.
James Norrington girò sui tacchi e se ne andò senza voltarsi indietro.
Cristal Cooper, dietro alle sbarre, lo guardò sparire.
Quella notte trascorse lenta e insonne, e ad ogni refolo d’aria, ad ogni bisbiglìo dai piani inferiori, la prigioniera rizzava la schiena, quasi si fosse aspettata di trovare qualcuno alla porta della sua cella.
Ma le ore più buie si dimostrarono dense e solitarie, e nessuno si presentò a tenerle compagnia per distrarla dai suoi cupi pensieri.
Il suo cuore era ora gonfio di un sentimento mai provato prima, un’agrodolce sensazione che talvolta le faceva mancare l’aria come se qualcuno le avesse premuto una mano sulla bocca e sul naso per impedirle di respirare.
In un certo senso era esattamente come un naufragio, solo terribilmente più lento e snervante.
La mattina sopraggiunse senza pudore, filtrando nella cella e andandole a colpire il viso proprio quando le sembrava di essersi appena addormentata.
Quella notte aveva riflettuto a lungo, aveva pensato a sua madre, al modo in cui si erano lasciate e a tutto quello che aveva affrontato per lei.
Adesso sarebbe morta, e Marion Hawke non avrebbe mai saputo nulla di ciò che sua figlia era diventata.
Forse, si era ritrovata a considerare un paio di volte, era meglio così, meglio che la donna non sapesse nulla, che nemmeno sospettasse.
Con quale cuore avrebbe potuto marciare verso il patibolo con l’immagine vivida davanti agli occhi di sua madre accasciata a terra, distrutta dal dolore e scossa dai fremiti, una mano artigliata alla stoffa del suo abito nel disperato tentativo di trattenere lacrime e conati di vomito?
Poi però pensava a suo padre, a Capo Horn che l’aveva inghiottito senza possibilità di appello, e la morte tornava a sembrarle avvenente, invitante, e la sua voce era di nuovo vellutata come una rosa nel chiamarla a sé.
Ma fu un’altra voce, più dura e certo meno incline alla persuasione, a strapparla ai suoi pensieri e a farla voltare verso il corridoio.
- Cristal, svegliati e stammi a sentire. –
Elizabeth e se ne stava in piedi davanti alla sua cella, le braccia conserte e un piede a battere il tempo nervosamente; dietro di lei, le lentiggini sul naso e i capelli rossi ad adombrargli la fronte, Howard Smith.
- Buongiorno Cristal. – la salutò timidamente facendo sì che la ragazza si alzasse in piedi e si avvicinasse alle sbarre.
- Siete pazzi?! Che cosa ci fate qui? – domandò infatti. Perchè un conto era una visita da parte di Groves, e un altro era da parte di Elizabeth e della sua guardia del corpo.
- Mio padre non sa che sono qui. Nessuno sa che sono qui. Abraham si è fermato a parlare con la guardia e Groves ci ha fatti entrare da un ingresso secondario. – spiegò al figlia del Governatore, guardandosi attorno senza tregua.
L’erede del Faucon du Nord scosse la testa e sbuffò.
- Lizzie, vai a casa prima che succeda un disastro. – ma l’amica non dovette gradire il suo consiglio.
- Io non me ne vado finchè non concludiamo qualcosa. –
- Elizabeth, è inutile, io non ho alcuna intenzione di... – ma la giovane la interruppe, le sopracciglia aggrottate e gli occhi ridotti a due fessure.
- Non sono James. Non ho alcuna intenzione di costringerti ad abiurare. – sibilò. Si beò per qualche secondo dell’espressione attonita dell’amica, mentre accanto a lei Howard deglutiva imbarazzato, poi continuò.
- So bene che non rinnegherai mai te stessa e non ho alcuna intenzione che tu lo faccia. Ma tu non morirai a Port Royal, quindi adesso vedi di darti una svegliata e reagisci. C’è solo un modo per farti uscire di qui, e quel modo è la fuga. –
Cristal sbatté le palpebre un paio di volte, alla ricerca di qualcosa da dire che non avesse già detto.
Perchè tutti si ostinavano a volerla salvare, quando era lei la prima a non essere interessata alla salvezza? Perchè non la lasciavano semplicemente morire, svanire, proprio come avevano già fatto una volta?
- Lizzie, io non ho più niente. – cercò di spiegarle, esattamente come aveva già cercato di spiegare a Norrington.
Fu a quel punto che accadde qualcosa che non avrebbe mai immaginato.
Elizabeth infilò una mano nella scollatura e ne fece emergere un piccolo pezzo di carta ripiegato più volte su se stesso.
Senza emettere un suono, lo spiegò finchè non fu tornato delle sue dimensioni naturali e, stendendo il braccio in avanti in un movimento meccanico, lo porse alla prigioniera.
Quella lo prese fra le mani e sussultò appena nel riconoscere l’immagine rovinata dal tempo e la grafia a tratti sciolta dalle lacrime.
Quello era il suo addio, la lettera che le aveva scritto sei anni prima nel lasciare la città.
- Leggila. – ordinò Elizabeth, severa nonostante il suo viso fosse ora pallido e le labbra tese.
Quando Cristal ebbe finito tornò ad alzare lo sguardo sull’amica, curiosa e spiazzata da un simile risvolto nella vicenda.
- Tu sei la ragazzina che ha scritto questa cosa. Tu sei la ragazzina che a sedici anni ha preso il mare per imbarcarsi in un’impresa impossibile. Non sei questo mucchio di stracci tremante e avvilito che ti ostini a voler interpretare. Lui non è morto perchè non l’hai salvato, è morto perchè non poteva essere salvato. E lo sapeva. –
Howard Smith inclinò la testa di lato, perchè quelle ultime frasi lo avevano confuso, ma su Cristal ebbero un effetto diverso.
Sentì un brivido attraversarle la schiena come un colpo di frusta, e per un istante si trovò divisa a metà fra la gioia di avere un’amica così fedele e la stizza di essere diventata per lei un libro aperto al punto da leggerle dentro in quel modo.
- Miss Elizabeth, dovete andare!  - una nuova voce, roca e stanca nonostante l’urgenza che la animava, si fece sentire dall’imboccatura delle scale.
La ragazza si voltò di scatto proprio mentre un viso rugoso e solcato dagli anni faceva capolino dietro l’angolo.
- Aspettate, non ho ancora finito! – esclamò la giovane Swann.
- Elizabeth, dobbiamo andare, se dovessero scoprirci andrebbe tutto a monte! – osservò saggiamente la sua guardia del corpo. Poi si voltò verso Cristal e le rivolse un sorriso incoraggiante.
- Vedrai che ce la faremo, Capitano! – e, prendendo per mano la sua protetta, sparì verso il fondo del corridoio, dove altre scale conducevano al piano inferiore.
Fu a quel punto che il vecchio finalmente abbandonò la sua postazione per raggiungere la cella di Capitan Tempesta, ancora spaesata in seguito allo scambio di battute precedenti.
Lentamente, portò gli occhi a specchiarsi in un paio di lenti rotonde circondate da una fitta ragnatela di rughe e sormontate da un paio di sopracciglia cispose.
- Ragazza mia, come sei diventata grande... – fu il sussurro che sfuggì alle labbra sottili dell’uomo mentre una mano si insinuava fra le sbarre e, tremante, andava ad accarezzarle il viso.
Cristal non riuscì a replicare, pietrificata dal turbinìo di sentimenti che stavano devastando il suo cuore come un uragano.
- Elizabeth mi ha raccontato tutto. Di Isla de Muerta, della Diablo, dei tuoi genitori. Sono così orgoglioso di te... – aggiunse con un sorriso delicato, lo stesso sorriso che le rivolgeva quando, il venerdì pomeriggio, si presentava al suo negozio in cerca di un libro che non avesse ancora letto.
- Abraham, io... – sussurrò, portando una mano ad intrecciarsi con quella del libraio.
Gli anni su di lui erano stati impietosi, e il suo volto dimostrava più inverni di quanti in realtà non ne avesse affrontati.
- Ci sei mancata molto. –
E se Groves non era riuscito a smuoverla, se James aveva avuto il solo potere di farla infuriare, se persino Elizabeth non era stata in grado di rimetterla in piedi, quella semplice frase pronunciata da un vecchio ebbe l’effetto di una violenta pioggia estiva, e in un singolo momento lavò via ogni bugia che aveva continuato a raccontarsi da quando era salita nuovamente a bordo della Dauntless.
Si morse un labbro per trattenere le sue emozioni, ma fu tutto inutile, e le lacrime presero a rotolare lungo le sue guance senza nulla ad impedirlo.
- Io non... non voglio morire! – si ritrovò a confessare, le palpebre strizzate e le mani strette attorno a quelle del libraio.
- Non morirai, ragazza mia... Non morirai... -  le sussurrò dolcemente, accarezzandole piano i capelli e il viso.
- La fine di Capitan Tempesta è ancora lontana, e se non ti dispiace vorrei poter ritagliarmi una piccola parte nella sua storia gloriosa. – aggiunse con un occhiolino, mentre con il pollice le asciugava le lacrime aspettando che i suoi singhiozzi si calmassero.
- Che cosa vuoi fare? – balbettò, cercando disperatamente di darsi un contegno trattenendo il respiro.
- Che cosa ho già fatto, piuttosto... – replicò, una luce misteriosa negli occhi.
- Abraham? – inquisì ancora, per nulla soddisfatta da quella risposta criptica e vagamente preoccupata dall’idea che il vecchio avesse potuto compromettersi per lei.
- Tu e Sparrow fareste meglio a rimanere con i sensi all’erta. – ma un rumore proveniente dal piano superiore lo fece voltare di scatto.
Senza perdere tempo, raccolse da terra il foglio spiegazzato che aveva lasciato Elizabeth e diede alla prigioniera un’ultima affettuosa carezza.
- Sono felice di averti potuta vedere un’ultima volta, Cristal. –
La ragazza fece giusto in tempo a sussurrare un “grazie” prima che l’uomo sparisse dove erano spariti Lizzie e Howard, poi la guardia fece capolino dalle scale per la ronda mattutina.
Nei due giorni successivi non ricevette visite.
Le ore si susseguivano piatte e sempre uguali, scandite dal rumore lontano delle campane e dalle ronde dei soldati che controllavano che tutto fosse a posto.
La mattina del quarto giorno le mandarono un prete, ma lei rifiutò: non temeva l’Inferno, non l’aveva mai fatto.
Vennero a prenderla poco prima di mezzogiorno, e finalmente poté tornare a specchiarsi negli occhi scuri e familiari di Jack. Gli rivolse un sorriso leggero, e lui ghignò in risposta, nonostante quella volta le fosse parso che non ci avesse creduto più di tanto.
Che si fosse arreso, proprio lui che aveva sempre pronta una via di fuga, proprio lui che sapeva sempre che cosa fare? Forse le carceri di Port Royal gli erano sembrate troppo oscure e troppo imponenti per poter sfuggire ancora una volta agli artigli della legge.
Raggiunsero la terrazza al primo rintocco di campana e, fendendo la folla nella loro marcia funebre verso il patibolo, costeggiarono il colonnato al di sotto del quale i Swann e il Commodoro Norrington avrebbero presenziato all’impiccagione.
Elizabeth trattenne il respiro, pallida e tesa nel suo meraviglioso abito dalle tinte tenui. Forse avrebbe voluto sorridere all’amica, essere in qualche modo di incoraggiamento, ma per assurdo fu la condannata ad incoraggiare lei con uno sguardo calmo e sereno.
Avevano fatto del loro meglio, ma proprio come lei stessa le aveva detto qualche giorno prima parlando di Barbossa, Cristal non poteva essere salvata.
La sua tranquillità fu però spezzata dalla figura che se ne stava in piedi accanto al Governatore.
James era rigido e impostato nella sua giacca da cerimonia e, proprio mentre i loro sguardi si incrociavano per una frazione di secondo, entrambi si resero conto che quello era il luogo dove più di ogni altro il loro legame aveva preso forma.
Era lì che l’allora Tenente le aveva insegnato a stare in guardia, permettendo che lei scoprisse la verità sul suo passato.
Era lì che, ad un’altra impiccagione, entrambi avevano messo in chiaro ciò per cui lottavano e avevano incominciato a percepirsi in un modo differente.
Era lì che, cresciuti e più maturi, avevano scoperto le loro carte, sospinti dall’apprensione di una morte evitata per un soffio.
Era sempre lì che, in una torrida giornata di Luglio, avevano ammesso di amarsi.
Cristal distolse lo sguardo, puntandolo al cielo azzurro e sfacciato al di sopra delle loro teste, poi seguì Jack verso il patibolo.
Li condussero su per la scaletta di legno fin sulla piattaforma dove li attendeva il boia, poi li posizionarono a qualche passo di distanza, ognuno al di sotto del proprio nodo scorsoio.
Cristal osservò la corda con un misto di timore e disprezzo, traendo un profondo spospiro nel tentativo di scacciare a paura.
“A testa alta, Cris. A testa alta.” Continuava a ripetersi, perchè non sarebbe morta come un topo in una trappola, non si sarebbe abbassata a tremare invocando il perdono.
“Porta alta la bandiera”, le aveva detto sua madre tanti anni prima in una brumosa mattina di Londra, e lei l’avrebbe fatto, fino alla fine.
Intanto, mentre un uomo decantava le vili gesta dei condannati e il boia sistemava il cappio attorno al loro collo, sotto al porticato James Norrington continuava a mantenere i pugni stretti lungo i fianchi e la mascella serrata, nel cuore un grido che non riusciva a risalire la gola.
- Non è giusto. – sentenziò improvvisamente Elizabeth, accusatoria come mai era stata in vita sua.
- Il Commodoro Norrington deve attenersi alla legge, come noi tutti. – forse Swann avrebbe voluto essere solenne e intransigente con quelle parole, ma l’unica cosa che ottenne fu di apparire seccato e incerto, mettendo a nudo l’imbarazzo che quella situazione gli causava e i sensi di colpa che si stavano arrampicando svelti su per la sua schiena.
James chinò il capo, incapace di sostenere il peso delle sue decisioni: sapeva benissimo che quelle parole erano rivolte a lui ancor più che alla figlia del Governatore, un monito affinchè non dimenticasse la sua posizione e la sua promessa.
Prima che la melmosa agitazione che gli stava impregnando i polmoni potesse portarlo ad agire, però, Will Turner comparve dal cuore della folla piantandosi di fronte a loro con un’espressione di impertinente rispetto sul viso, la stessa espressione che fin dal primo giorno a bordo della Dauntless gli aveva fatto dubitare di lui.
- Governatore Swann... Commodoro... – incominciò, ma la sua voce mutò nonappena i suoi occhi si posarono sulla figura della giovane in piedi di fronte a lui.
- Elizabeth! Avrei dovuto dirtelo ogni giorno dal momento in cui ti ho vista. Ti amo. –
Non una parola di più. I tamburi presero a rullare con maggiore intensità e il ragazzo sparì nuovamente fra la folla.
Swann alzò gli occhi al cielo, evidentemente seccato da quella confessione senza senso né scopo, ma per James quelle parole furono come il ritirarsi della marea: lentamente e tuttavia improvvisamente, tutto ciò che era stato nascosto ai suoi occhi divenne cristallino: quella non era una confessione, quello era un addio.
- Fanti! – esclamò, cercando con gli occhi la figura del fabbro, l’apprensione che si faceva sempre più concreta a mano a mano che la folla gemeva al passaggio del ragazzo.
- Non respiro! – la voce di Elizabeth tuttavia lo fece voltare giusto in tempo per vedere la giovane piombare a terra senza sensi.
Silenzio, il gelo improvviso, e con il cuore in gola Norrington tornò a fissare il patibolo trattenendo a stento un “no!” fra i denti stretti dall’angoscia.
Il boia aveva ormai tirato la leva, le botole si erano aperte sotto i piedi dei condannati, ma i loro corpi non penzolavano penosamente senza vita, né si dibattevano negli ultimi aneliti di disperazione.
Jack Sparrow e Cristal Cooper sporgevano a mezzobusto dalla pedana, sul volto lo stupore più genuino, mentre  di fronte a loro William Turner piroettava cercando di evitare il colosso a cui aveva appena impedito di uccidere i suoi amici.
- Largo! – esclamò James, lanciandosi a rotta di collo verso il patibolo e cercando contemporaneamente di evitare la gente che, terrorizzata e confusa, gli ostruiva il passaggio.
Fu quando finalmente ebbe raggiunto i piedi della forca che si ritrovò nella situazione più assurda che avrebbe mai potuto immaginare.
Di fronte a lui, una spada sottile stretta fra le mani e i polsi ancora segnati dalle corde che li avevano tenuti legati fino a qualche istante prima, c’era la donna che cinque anni prima aveva creduto di aver perso per sempre.
Senza che nemmeno ci fosse il tempo di pensare, i due si ritrovarono ad incrociare le lame, scambiandosi di posizione in figure talmente precise e coordinate da sembrare un allenamento piuttosto che una battaglia all’ultimo sangue.
- Non immaginavi che fossi così brava, vero? – esclamò a un certo punto lei, mentre attorno a loro Sparrow e Turner scatenavano il pandemonio.
James si lasciò andare ad una risata liberatoria completamente in antitesi con quel momento di tensione.
- Ancora una volta non hai deluso le mie aspettative! – ribattè, portando in avanti un affondo che venne evitato con una piroetta puntuale ed elegante.
Fu il turno di Cristal di scoprire i denti in una risata limpida e dimentica del dolore e dell’incertezza di quei giorni.
Era come se in quel momento, l’uno contro l’altra in una danza le cui note erano dettate dal clangore delle loro spade, avessero potuto tornare ad unirsi nello spirito, intrecciando ancora una volta quel legame che li aveva mantenuti vicini nonostante tutti quegli anni trascorsi a convincersi che avrebbero potuto fare a meno l’uno dell’altra.
- Sei lento, James! – esclamò portandosi alle sue spalle e indietreggiando verso il parapetto, dove si erano diretti anche Will e Jack.
- Forse, ma tu sei con le spalle al muro. – sentenziò, indicandole con un cenno della testa il cordone di soldati che si era creato fra lei e gli altri due fuggiaschi.
L’espressione della ragazza mutò repentinamente, mentre la punta della spada di Norrington la sospingeva indietro ricongiungendola ai suoi complici.
Ogni cosa quindi tornò a tingersi di colori statici e dissonanti, mentre l’attenzione del Commodoro si portava nuovamente su Turner, così come la punta della sua lama.
- Eravamo pronti ad accogliere qualunque manigoldo avesse tentato di farlo evadere, ma proprio voi... – sibilò, quasi schifato.
Non si accorse di aver omesso Cristal dalla macchinazione del fabbro, come se sul suo tentativo di fuga avesse potuto chiudere un occhio, come se quasi ne avesse tratto piacere.
Fu Swann, che nel frattempo li aveva raggiunti assieme a sua figlia, a rincarare la dose.
- Quando sono tornato a Port Royal vi ho concesso clemenza, è questo il modo di ringraziarmi? Facendo causa comune con lui? E’ un pirata! –
Ma a quel punto fu Cristal a rendersi conto che nemmeno il Governatore l’aveva chiamata in causa, quasi avesse voluto in un certo senso ignorare il suo coinvolgimento nella vicenda.
Will, tuttavia, non sembrava intenzionato a fare distinzioni.
- E un brav’uomo! Se avrò ottenuto solo che il carnefice guadagni tre paia di stivali invece di uno, così sia! Almeno la mia coscienza sarà pulita. – esclamò, lo sguardo fisso in quello del Commodoro in un’ultima prova di fedeltà alla sua amica d’infanzia e a colui che lo aveva aiutato a salvare la donna che amava.
- Dimenticate il vostro posto, Turner. – sibilò James, a filtrare tra le labbra l’inimicizia di tutta una vita.
- Il mio posto è qui, tra voi e loro. – ribattè Will senza cedere terreno.
Ma a quel punto accadde qualcosa che nessuno avrebbe mai potuto prevedere.
Elizabeth abbandonò il fianco di suo padre e scivolò in avanti, portandosi accanto al giovane fabbro e frapponendosi fra i pirati e le baionette.
- Ed è anche il mio. – ammise mentre suo padre, sconvolto, ordinava ai soldati di abbassare le armi.
E James rimase ancora una volta immobile, attonito, gli occhi spalancati fissi in quelli della figlia del Governatore.
- E quindi è il posto del vostro cuore, anche? – domandò, la voce bassa e delicata, in un dialogo retto interamente dai loro sguardi.
E quando Elizabeth rispose di sì, qualcosa nel cuore del Commodoro parve sciogliersi. Fu doloroso, fu appagante, fu come se una catena si fosse spezzata e un’altra l’avesse intrappolato.
Non l’avrebbe sposata, non più, non ce n’era necessità. Elizabeth lo aveva liberato dal giogo della sua parola, e tuttavia lo aveva scaraventato nella vergogna e nel rimpianto.
Solo allora osò tornare a levare lo sguardo su Cristal, ma Sparrow fu più svelto ad attirare l’attenzione su di sé.
- Bene! Io devo dire che mi sento piuttosto sollevato! E’ il caso di dire che è andato tutto a posto! – esclamò, abbandonando la sua postazione e sporgendosi pericolosamente verso Swann, che si ritrasse istintivamente.
- Comunque sappiate che tenevo per voi, amico! – aggiunse poi all’indirizzo di Norrington, guadagnandosi un’indecifrabile occhiataccia da parte della sua compagna di malefatte.
- Jack? – domandò quella, ma lui non la stette a sentire, perseverando nelle sue strane confessioni rivolte ai presenti.
- Amici!- esclamò infatti, portandosi spaventosamente vicino al parapetto.
Tutti mossero istintivamente un paio di passi in avanti, curiosi e quasi spaventati da quel dondolare ad un passo dal vuoto.
- Questo è il giorno che voi tutti ricorderete come in giorno in cui avet...! – ma non concluse la frase: come da pronostico, inciampò e cadde oltre il parapetto, precipitando in mare.
- Idiota! Spera di evitare il cappio al collo? – osservò sprezzante Gillette, sporto dal parapetto come tutti gli altri.
A pochi passi da lui, fra Elizabeth e James, Cristal guardava in basso, dove Jack era appena riemerso dall’acqua.
Un soldato dietro di lei berciò un “nave in vista” che le fece alzare lo sguardo di scatto: la Perla Nera aveva appena fatto il suo ingresso nella baia.
James la vide sorridere, un sorriso agrodolce che per un singolo istante le imporporò le guance portando a galla un ricordo ti tempi migliori.
- Prima dovrete riuscire a prenderlo... – sogghignò la ragazza in risposta a Gillette.
Rivolse un sorriso fugace a Will ed Elizabeth, mormorando un grazie che li raggiunse come un abbraccio, poi i suoi occhi si posarono sulla figura di Swann.
- Nessun rancore, Signore. – esclamò con un piccolo inchino, facendolo avvampare contro ogni previsione.
James la guardò negli occhi, e quel mare in tempesta si riversò in lui senza bisogno di parole. Ne fu straziato, eppure era felice.
Ancora una volta la lasciava andare, ancora una volta sapeva di non poter fare altrimenti.
- Forse in un’altra vita. – le sussurrò.
Lei sorrise, un sorriso di sfida, la luce negli occhi, ingenua e tuttavia intelligente, che aveva saputo stregarlo fin dal primo momento.
- Questo non è un addio. –
E senza aggiungere altro, senza nemmeno voltarsi indietro, con un piccolo balzo abbandonò il parapetto, e James Norrington non poté fare altro che vederla nuotare, laggiù fra la spuma dell’onda, verso la sua libertà.
- Qual è il piano d’azione? – domandò Gillette, sfondando il silenzio come una cannonata.
- Signore? – incalzò.
Ma James non rispose.
Piano d’azione? Era questo che voleva? Avrebbe potuto far caricare i cannoni e spedire la Perla sul fondo dell’oceano. Ce l’avrebbe fatta, ne era certo, e non sarebbe più stato un suo problema.
Qual era dunque il piano d’azione?
- Può darsi che nella rara occasione in cui per seguire la giusta rotta ci voglia un atto di pirateria... – esordì Weatherby Swann, facendo sì che il cuore del Commodoro arrestasse di colpo la sua corsa.
- La pirateria stessa possa essere la giusta rotta. – concluse, mentre gli angoli della bocca di James si tendevano irrimediabilmente verso l’alto al ricordo di una discussione avvenuta proprio in quel luogo tantissimi anni prima.
Si chiese se il Governatore non avesse in un certo senso aspettato per tutta la vita l’occasione giusta per citare quella sortita di Cristal, una frase che a suo tempo era stata capace di metterli tutti a tacere, poi tornò a levare lo sguardo sull’orizzonte, perchè adesso sapeva cosa doveva fare, sapeva quale strada seguire, e non si sarebbe tirato indietro di fronte a nulla.
E mentre dalla Perla qualcuno gettava una fune affinchè i due pirati potessero salire a bordo, James Norrington percepì con chiarezza di essere stato testimone della fine di qualcosa di grande e dell’inizio di qualcosa di altrettanto importante.
Il mare li aveva divisi, e tuttavia continuava a tenerli in qualche modo uniti.
Forse avrebbero dovuto combattere, forse non si sarebbero visti mai più, forse, come le aveva detto prima di vederla sparire fra le onde, sarebbe stato in un’altra vita, ma di una cosa era certo: prima o poi, in un modo o nell’altro, il mare l’avrebbe riportato a lei.


























 
Note:

Benritrovati, mozzi!
Non avete idea della fatica che ho fatto per concludere questo capitolo.
No, non ne sono pienamente soddisfatta, e probabilmente lo rimaneggerò in futuro, ma nel frattempo mi è sembrato il caso di aggiornare, visto che non ci si sentiva dalla bellezza di cinque mesi... ^^"
In realtà non succede un granchè, come al solito Cris si deprime e litiga un po' con tutti perchè è una gran testa di rapa.
La cosa che invece mi è piaciuta è stato il suo tornare a casa e sentirsi in qualche modo un'estranea, e poi ho voluto approfittarne per far dare qualche cameo ai miei amati personaggi secondari, delle cui azioni scopriremo l'importanza nei prossimi capitoli (Abraham in particolare mi era mancato tantissimo).
La vera protagonista del capitolo, tuttavia, è la relazione fra Cris e James, che ormai è stata sfilacciata, strappata e calpestata in tutti i modi. Mi sono divertita a scrivere l'ultima parte del capitolo dal punto di vista del Commodoro, che forse è messo ancora peggio di Cristal: per quanto questo sia per lei un momento difficile, ha comunque un carattere più volitivo di quello di James. Se lei ha preso ormai la sua decisione in merito al loro legame, lui non riesce a scegliere da che parte stare, da un lato legato dalla legge, e dall'altro desideroso di poter invertire la rotta e ignorare la sua posizione.
Che la loro storia sia quindi finita a Port Royal? Niente affatto, questi due continueranno a perseguitarsi a vicenda ancora per un po', e fra le righe c'è anche qualche spoilerino... xD
Invece in Bretagna siamo alle prese con problemi ben più gravi.
Il Faucon du Nord ha mostrato una strana debolezza, e Bleizenn si trova adesso a dover rimediare a un guaio ben più grande del previsto. Cos'avrà in mente per arginare gli eventi? E che ruolo avrà il Faucon nelle sue macchinazioni?
Non vedo l'ora di raccontarvi tutto, sono perdutamente innamorata di questi due personaggi e del modo contorto in cui sono legati a tutti gli altri!

Come sempre, un grazie infinito a chi continua a seguire questa storia nonostante gli aggiornamenti da un'era geologica all'altra. xD
Vi adoro tutti! <3

Kisses,
Koori-chan

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***






Capitolo Ventiduesimo~







La tazza di chouchenn caldo fumava fra le mani del Faucon du Nord che, seduto sulla vecchia poltrona sfonda, fissava un punto indeterminato nel vuoto davanti a sé.
Gli occhi erano gonfi e arrossati e l’anima spezzata dalla divinazione della donna in piedi lì accanto.
Bleizenn Gwrac’h continuava a guardare fuori dalla finestra, quasi avesse sperato che un qualche indizio sul da farsi avesse potuto materializzarsi fra le nuvole scure.
Aveva ripreso a piovere, ma questa volta si trattava di una pioggia fine e discreta, non più il diluvio della notte appena trascorsa.
- C’est pas bien, c’est pas bien... – continuava a mormorare la vecchia, alla ricerca di una soluzione.
L’ospite alzò finalmente lo sguardo su di lei, traendo un profondo respiro e passandosi una mano sul volto pallido e stanco.
- Bleizenn... – la chiamò a voce bassa.
- Sarebbe dovuto succedere, prima o poi. – fece dolcemente quando ebbe la sua attenzione.
La donna si profuse in un sorriso affettuoso, raro sul suo volto come un quadrifoglio in un prato. Abbandonò la sua postazione di fronte alla finestra e raggiunse la poltrona, sedendosi in bilico su un bracciolo e accarezzando i capelli corvini del pirata con le sue dita lunghe e nodose.
- Ricordo ancora il giorno in cui siete arrivati da me. La tua saggezza mi colpì immediatamente e noto con gioia che nulla è cambiato da quella notte di burrasca. Ma non è la tua rassegnazione né il tuo buon senso ciò di cui ho bisogno, adesso. L’Inghilterra sta covando un male ben più grande di una maledizione azteca spezzata al momento sbagliato e ho ragione di temere che presto ci ritroveremo a dover affrontare una forza antica quasi quanto l’Oceano. – spiegò, continuando ad intrecciare le dita fra i capelli dell’ospite.
Gli occhi grigi del Faucon du Nord si fecero due fessure nel tentativo di comprendere quelle parole arcane.
- L’Inghilterra? Aspetta, stai parlando di Beckett?! – esclamò balzando in piedi e facendo quasi cadere la sacerdotessa dal bracciolo della poltrona.
Un ghigno stanco solcò il suo viso mentre annuiva in risposta.
- E’ per questo che hai abbandonato il tuo rifugio, vero? – domandò poi lei, nonostante conoscesse già la risposta.
- Restare a Londra era poco saggio e al momento temo meno i nemici che ho in mare di quelli che si presentano a terra. – confessò il pirata mordicchiandosi un labbro.
Bleizenn rise, i denti da lupa in bella mostra.
- Bien évidemment, il peso del tuo nome ormai è tutto sulle spalle di quella povera ragazza! – e, nonostante il suo commento fosse senza malizia, il Faucon non poté impedirsi di percepire una lievissima nota accusatoria.
- E’ anche per questo che sono qui. Non mi piace l’aria di tempesta che sta sollevando Beckett. Si dice in giro che voglia muovere guerra alla Fratellanza e sai bene che in Inghilterra l’unica persona che può dichiarare guerra a chicchesia è il Re. Tuttavia, se ho ben inteso l’animo di quell’uomo, il Re sarà un’ostacolo semplice da superare, e sapere in che mani è la mia collana quando per gli oceani si aggira un simile individuo non mi aggrada nemmeno un po’. – spiegò, stringendo impercettibilmente i pugni nel tentativo di governare contemporaneamente stizza e preoccupazione.
La vecchia abbassò lo sguardo.
- Non ti fidi di lei? Ha cercato di salvarlo, sai? C’è anche il suo sangue, adesso, in quel forziere. E’ più capace di quanto tu non creda.-
Il Faucon du Nord ammutolì a quella confessione. Cercò di immaginare la sua erede, una ragazzina ingenua e testarda, frapporsi fra la morte e un uomo i cui più oscuri segreti non conosceva nemmeno, cercò di immaginarla versare il suo sangue per un legame la cui potenza non poteva nemmeno sospettare, e per un istante le sue iridi furono attraversate da un sentimento che fece tremare la sua anima.
- Sai bene perchè voglio indietro la mia collana, Bleizenn. – replicò semplicemente.
La donna sorrise di nuovo, non più un sorriso dolce, quanto piuttosto un ghigno sghembo, il preludio ad un’idea intricata e pericolosa.
- Due gocce d’acqua... – fu il suo misterioso commento. Poi si alzò in piedi e si diresse silenziosamente al tavolaccio, al cui centro sistemò un piccolo bacile di pietra nera.
- Il tuo pezzo da otto non è l’unico ad andare recuperato al più presto. La morte di Hector Barbossa ci reca un dolore non meno grande della preoccupazione che forniscono le sue circostanze: il suo posto alla Fratellanza giace vacante. Non possiamo permetterci di indugiare, il Pirata Nobile del Mar Caspio va immediatamente richiamato ai suoi compiti. -  affermò mentre si alzava nuovamente per andare a prendere una brocca piena di quella che sembrava essere acqua di mare.
- Chiedo scusa? – domandò il Faucon du Nord, l’espressione confusa e gli occhi strabuzzati.
Bleizenn sorrise ancora, questa volta più dolcemente.
- Nessuno ha mai detto che non si potesse fare, solo è un processo molto complicato. –
- Bleizenn, stai... stai parlando di riportare indietro i morti. Come può... – ma la vecchia interruppe nuovamente il flusso di stupore.
- Come ben sai, in Mare vigono regole diverse rispetto alla terraferma così come ne è differente la giurisdizione. Le due sponde del nostro amato Oceano di Mezzo sono governate da due poteri antichi e profondi. Si tratta di Calypso e Ahès, il Sole e la Luna, il Giorno e la Notte, Abisso e Tempesta. La loro libertà è la loro catena, l’amore le ha rese entrambe cieche e prigioniere. –
- L’amore? –
La donna annuì greve.
- Calypso la Bella si legò a un uomo che la amava follemente e profondamente come si ama il Mare. Ma il Mare è volubile, le maree mutevoli e, incapace di sopportare la sua libertà, la vendette. La Fratellanza la imprigionò in un corpo di donna, limitato, arido, vincolante. Davy Jones aveva accettato di traghettare le anime da questo mondo all’altro per lei, in segno della sua devozione, ma il suo amore per Calypso si mutò in odio e crebbe a tal punto che abbandonò il suo compito. –
- Quindi le anime furono abbandonate nello Scrigno di Davy Jones... – completò il Faucon.
La sacerdotessa scosse la testa.
- Errato. Solamente chi ha dei debiti con Jones è destinato allo Scrigno. Quelle povere anime vagano nelle acque dell’oblio fino a quando la corrente giusta non le porta a noi. Hai mai sentito parlare della flotta del Bag-Noz? –
L’ospite annuì, lo sguardo cupo nonostante la scintilla di curiosità.
- E’ il Traghetto della Notte, raccoglie i morti in mare e li conduce alla pace, giusto? – domandò, in cerca di conferma.
- Un tempo. Ma adesso che Davy Jones ha disertato e la sua parte di Oceano è senza legge alcuna il Bag-Noz e la sua flotta non riescono più a svolgere il loro compito. Le anime sono ammassate all’Ile des Trépassés e là attendono. –
Il Faucon du Nord scosse la testa e si passò una mano fra i capelli. Non capiva il senso di tutto quello. Calypso aveva affidato a Jones lo stesso compito della flotta del Bag-Noz, ogni sponda dell’oceano aveva il suo traghettatore, almeno in linea teorica. Ma adesso era la sponda di Ahès a sobbarcarsi l’intero compito, il che signifcava che...
- Quindi mi stai dicendo che Hector è da qualche parte qui in giro prigoniero su un’isola leggendaria finchè Davy Jones non si degnerà di venire a riprendersi la sua parte di anime? –
- La sua anima di certo, ma la faccenda è più complicata del previsto perchè il suo corpo è ancora legato a Isla de Muerta, e si da il caso che quello scoglio maledetto non sia nella nostra giurisdizione. Se Hector Barbossa fosse morto in mare sarebbe bastato uno scambio e Ahès l’avrebbe reso alle onde, ma noi non abbiamo alcun potere su quelle acque ed è per questo che necessitiamo dell’approvazione di Calypso. Fortunatamente Cristal Cooper ha la tendenza ad interessarsi di faccende che non conosce. – spiegò, enigmatica come sempre.
Poi, con una delle conchiglie della sua collana, si fece un piccolo taglio sull’indice e lasciò che poche gocce di sangue cadessero nel bacile.
- Ora vieni accanto a me, on va parler avec une déesse1. –
Un ultimo ghigno e l’acqua di mare divenne un vortice.
 








 
Tortuga alla luce del sole era un mondo completamente differente da quello sregolato e rumoroso della notte.
Se ai bagliori delle fiaccole le vie del porto assomigliavano alla variopinta e chiassosa anticamera dell’inferno, di giorno la cittadina era tranquilla e quasi gradevole. Dopotutto, gli ubriaconi e i senzadio che animavano le bettole rimanevano in stato comatoso per tutta la giornata dopo le notti di bagordi, e all’attracco erano i pescatori e i piccoli commercianti a salutare chi passava.
L’aria fresca in arrivo dal mare riempiva i polmoni di speranza, e Cristal Cooper, seduta su un vecchio muretto a secco, continuava a giocherellare con la fascia stretta attorno alla mano.
Jack era andato, salpato qualche giorno prima verso l’orizzonte in cerca della sua libertà, ma lei non l’aveva voluto seguire. Erano successe troppe cose, aveva provato troppo dolore perchè potesse tornare ad essere la vecchia Cristal Cooper che era salpata con lui tanti anni prima, perciò aveva scelto di proseguire lungo un’altra strada, di accogliere venti differenti.
La prima notte di libertà aveva bevuto fino a che il locale non si era svuotato e l’oste non l’aveva rispedita nella sua stanza. Non si era ubriacata nemmeno per scherzo, la birra della Faithful Bride era allungata con l’acqua, quindi aveva trascorso le due ore successive a fissare la macchia scura nell’angolino del soffitto proprio sopra al suo letto: la luna ne illuminava debolmente i contorni, ma a Cristal la stanza sembrava più buia che mai.
Aveva dormito poco e male, aveva sognato confusamente e ad un certo punto si era vista sulla Perla Nera, la malefica scimmietta accoccolata sulle ginocchia e Barbossa che leggeva ad alta voce una tragedia di Shakespeare. Di tanto in tanto, nel voltare le pagine, l’uomo alzava gli occhi su di lei e le dedicava un vago sorriso.
Quando aveva aperto gli occhi era stata la solita macchia sul soffitto ad accoglierla, e le ci era voluto un po’ perchè capisse che si era trattato solo della deludente e crudele apparenza di un sogno.
Si era alzata in piedi mentre l’orizzonte ancora teneva il sole sott’acqua ed era uscita. Quando l’alba lo aveva fatto sorgere in tutto il suo splendore, la ragazza aveva preso il suo posto fra le onde.
Nonostante tutto, il mare sapeva come calmarla, e il suo antico sussurro sembrava cullarla come a suo tempo aveva fatto sua madre.
A pancia in su, le mani e le gambe allargate ad imitare le punte di una stella, aveva lasciato che la corrente la sospingesse lentamente, mentre il cielo si tingeva di rosa e d’arancio nei primi bagliori del giorno.
C’era un altro motivo oltre alla stanchezza se non aveva voluto proseguire il viaggio assieme a Jack e, per quanto assurdo potesse sembrare, quel motivo risiedeva proprio nella nave di cui l’uomo era tornato ad essere Capitano. La Perla Nera rappresentava per lei qualcosa di preciso, e non era ancora pronta ad inquinarne il significato.
- Capitan Tempesta ha smesso di prendere ordini? – le aveva chiesto Anamaria poco prima che la lasciassero a Tortuga, ma lei si era limitata a fare spallucce e a sorridere senza troppa intenzione.
- Chissà, forse un giorno sentirete di nuovo parlare di me. – aveva commentato. Poi una domanda le era sorta spontanea e non era stata capace di trattenerla.
- Come avete fatto ad arrivare in tempo per l’esecuzione? –
Era stato il turno di Anamaria di sorridere laconica.
- Un uomo, un tale Theodore. Molto carino, molto gentile. Molto... generoso. – era stata la sua risposta accompagnata da un ghigno.
- Ha sborsato una bella cifra per convincermi. Un vero peccato che sia salpato immediatamente, non mi sarebbe dispiaciuto conoscerlo meglio. – aveva aggiunto con un’occhiolino eloquente. Cristal aveva scosso la testa in un sorriso divertito.
- E immagino che non si sia presentato nei suoi soliti abiti della Marina, il nostro generoso Tenente Thedore Groves. – l’espressione sbigottita di Anamaria le era bastata perchè la risata in fuga dalle sue labbra fosse sincera. 
Adesso, seduta sul suo muretto a secco, il sole a scaldarle l’anima infreddolita, si chiedeva come fosse giunta a quel punto.
- Capitano? –
Una voce familiare eppure lontana quasi come un fantasma la fece voltare di scatto. In fondo al sentiero, ad alcuni passi da lei, un uomo la guardava stringendo gli occhi per mettere a fuoco.
- Harvey? Sei tu! – esclamò balzando in piedi nel riconoscere gli occhi affettuosi e la barba castana dell’uomo.
- Vieni qui, vecchia comare! Ah, quanto mi sei mancato! – aggiunse stringendolo in un abbraccio inatteso.
Quello, spiazzato come la prima volta, le batté un’amichevole pacca sulla spalla e attese che la ragazza lo liberasse dalla stretta.
- Beh, Capitano, non è passato nemmeno un mese! – commentò con un sorrisetto divertito.
La ragazza aggrottò le sopracciglia. Aveva ragione, era trascorso poco più di un battito di ciglia da quando avevano dovuto abbandonare la Liberty Breeze, eppure le sembrava una vita intera.
- Sapessi quante cose sono successe nel frattempo! –
E ancora una volta si ritrovò, nuovamente seduta a cavalcioni del muretto, a raccontare la sua vita, fin dal principio, in quel caldo autunno londinese in cui tutto era incominciato.
Ogni tanto vedeva Harvey trattenere il respiro, sorridere o preoccuparsi, perchè quella era la prima volta dopo due anni che Capitan Tempesta gli parlava di sé e mai avrebbe creduto che una ragazza così giovane avesse potuto vivere così tante avventure.
Cristal raccontava, l’uomo la ascoltava e i gabbiani sopra le loro teste rincorrevano il sole nel suo percorso verso lo zenit.
- Fatemi capire. – esordì quando finalmente il resoconto fu terminato.
- A sedici anni vi siete imbarcata con un perfetto sconosciuto, a venti avete guidato un ammutinamento, avete affrontato Capo Horn e chissà quante altre diavolerie senza un fremito e poi quando l’uomo che amavate vi ha chiesto di sposarlo ve la siete fatta sotto dalla paura?! Lasciatemelo dire, Capitano, dovete decisamente rivedere le vostre priorità! – fu il suo consiglio spassionato.
La ragazza gli rivolse una lunga occhiata e ghignò in modo preoccupante.
- Signor Harvey, te lo ricordi il caro, vecchio giro di chiglia? – cinguettò.
- Scusate, Capitano. Niente commenti. – e scoppiarono entrambi a ridere.
Rimasero qualche minuto in silenzio, seduti sul muretto l’uno accanto all’altra, con la brezza a scompigliare loro i capelli e il sole sempre più alto sull’orizzonte. D’un tratto Harvey aggrottò le sopracciglia, inseguendo un pensiero che non riusciva ad acciuffare.
- Ma, Capitano... – esordì.
- Quella persona che dovevate cercare qui a Tortuga... Siete poi riuscita a trovarla? –
La ragazza sbiancò, aprì la bocca e ne uscì un’imprecazione tutto fuorchè signorile e poi affondò il volto fra le mani e reclinò il capo all’indietro.
- Jack! Come ho potuto essere così stupida?! – sbottò.
- Jack Sparrow? L’uomo con cui siete salpata per salvare la vostra amica? – domandò Harvey, già intuendo il motivo di tanta disperazione.
- Sì! Sì, proprio lui! L’uomo con cui ho trascorso gli ultimi venti giorni e a cui mi sono dimenticata di chiedere quello che dovevo chiedergli! – piagnucolò.
- Sono stupida! Harvey, Harvey come ho potuto?! Devi sopprimermi, non merito di vivere! – si lagnò a voce talmente alta che dal fondo del sentiero due pescatori si voltarono, incuriositi dallo schiamazzo.
L’uomo scoppiò a ridere, divertito da quel lato della ragazza che non aveva mai visto.
- Via, Capitano, non esagerate! Avete avuto pensieri decisamente intricati per la testa, non dovete biasimarvi! In ogni caso non possiamo provare a seguirlo? – propose con un’alzata di spalle.
Cristal sospirò, non molto convinta.
- E’ salpato tre giorni fa e non ho assolutamente idea di che rotta abbia fatto. Per seguirlo avremmo bisogno di una nave veloce e gli unici contatti che ho a Tortuga eccetto te sono salpati con Jack. In tutta onestà riuscire a rintracciarlo ora mi sembra un’impresa impossibile. –
Il marinaio si grattò la barba, gli occhi assottigliati mentre cercava di articolare un pensiero, un’idea, qualcosa che potesse aiutare la compagna di tante avventure. All’improvviso, quasi avesse ricevuto un’illuminazione direttamente dal cielo, drizzò la schiena e balzò in piedi, sbattendo un pugno contro il palmo aperto.
- Ma certo! La strega! – esclamò.
- La strega? –
Quello annuì vigorosamente, tutto soddisfatto dalla sua idea geniale.
- Quella donna, a Brest. Quella che vive sopra alla locanda di Erwann! Sapeva dov’era vostra madre, saprà anche come ritrovare Jack Sparrow! – spiegò.
Cristal inarcò un sopracciglio, stupita e perplessa.
- Bleizenn? E’ stata lei a dirmi di cercare Jack, non posso presentarmi a Brest e dirle che mi sono dimenticata! Mi mangerebbe viva! – mugolò.
Harvey si strinse nelle spalle e le dedicò un’occhiata fugace.
- Avete paura delle cose sbagliate, Capitano. Chiedere con gentilezza non può nuocere a nessuno. – sentenziò saggiamente.
Quella curvò un angolo della bocca verso l’alto e gli diede una pacca amichevole sulla spalla.
- E poi ti faresti chiamare pirata? Tu si che incuti timore, Mastro Gentilezza! –
Risero ancora, Cristal perchè non si sentiva più così spaesata e sola e vuota come prima e Harvey perchè quella ragazzina sfacciata ed eccezionale gli era mancata più di quanto non avesse notato.
Dieci giorni dopo, il vento in poppa e gli albatri a confondersi con le vele bianche, l’Oceano si apriva a prua, la rotta calcolata su Brest.
La città li aveva accolti con un manto di nubi scure e minacciose e il forte vento da Ovest che li aveva fatti navigare veloci sui flutti. Faceva freddo e Cristal rimpiangeva di non avere con sé una giacca da mettere sopra alle sue semplici e leggere maniche di camicia; Harvey si era offerto più volte di prestarle la sua, ma nonostante le premure pressanti da parte del suo vecchio secondo aveva cercato di resistere alle raffiche di vento, camminando spedita per raggiungere la dimora di Bleizenn il più in fretta possibile.
- Fantastico! Come se non fossimo già abbastanza mal messi per conto nostro! – sbottò l’uomo alle prime gocce di pioggia, affrettando il passo per non rimanere indietro.
- Coraggio, Harvey, siamo quasi arrivati! Pensa alla bella pinta che ci aspetta da Erwann! – esclamò la ragazza indicando l’insegna del locale.
I due scivolarono dietro la spessa porta di legno senza aspettare un secondo di più e il calore dell’interno li avvolse come un abbraccio.
Fatta eccezione di un paio di clienti abituali, la locanda era deserta, e il proprietario se ne stava al bancone con aria annoiata. Quando vide i due nuovi avventori il suo viso rubizzo si illuminò di una gioia sincera.
- Ah, Fille de la Tempête! – salutò allegro al loro indirizzo.
- Qual buon vento, miei cari amici? – domandò poi nel suo inglese storpiato.
Harvey sedette al banco e ordinò due pinte di birra scura, mentre la compagna si stringeva nelle spalle e prendeva posto accanto a lui.
- I soliti affari, sono venuta a cercare Bleizenn. – spiegò nel prendere fra le mani il boccale e soffiare appena sulla schiuma come d’abitudine.
Gli occhi azzurri di Erwann saettarono rapidi alla pendola appoggiata alla parete.
- E’ uscita stamattina per un parto, ma non credo ci vorrà molto prima che torni, sembrava una cosa abbastanza urgente. Nel frattempo che ne dite di raccontarmi qualcosa di bello dai Caraibi o da dove ne venite ora? – suggerì per smuovere un poco la monotonia della giornata.
Harvey prese a raccontare della fine che aveva fatto la povera Liberty Breeze, mentre ogni tanto Cristal aggiungeva qualche particolare.
Nel frattempo la pioggia fuori dai grandi finestroni incrostati di sale aveva iniziato a sferzare il sentiero e di tanto in tanto i fulmini illuminavano il buio del tardo pomeriggio.
All’ennesimo rombo di tuono la porta del locale si spalancò di colpo rivelando la figura curva e gocciolante di Bleizenn.
Portava con sé un canestro di vimini coperto da un panno ormai fradicio e aveva i lunghi capelli raccolti in una treccia severa.
- Bleizenn! Come è andata? – si informò Erwann correndole incontro e prendendole il canestro dalle mani, preoccupato dalla sua espressione cupa.
La donna si tolse lo scialle e lo andò a sistemare sullo schienale di una seggiola che pose davanti al fuoco, ma sulla quale non si sedette.
- Due gemelli, in salute come la mamma, anche se è stata una faticaccia. – rispose nella sua lingua fatta di schiocchi e bisbiglii.
Solo a quel punto degnò di uno sguardo distratto il bancone al quale erano ancora seduti gli avventori d’olteroceano e il suo viso solcato dagli anni si illuminò in un sincero sorriso.
- Ma fille! – esclamò, correndo incontro a Cristal e prendendole le mani fra le sue, fredde e ancora bagnate.
- Riaverti con noi così presto è una gioia inattesa in questi tempi bui! – la salutò, rivolgendo un cenno anche ad Harvey, che la scrutava con curiosità.
Quella inarcò un sopracciglio, confusa.
- Tempi bui? Che cosa è successo? –
Dopotutto erano trascorsi solamente pochi mesi da quando aveva lasciato Brest l’ultima volta, che cosa mai poteva essere successo in un tempo così breve?
La vecchia si fece versare qualcosa di caldo dal locandiere e prese posto accanto agli altri due.
- E’ giunta una nave dall’Inghilterra questa mattina, salperanno fra una settimana per le Antille. Conosco il Capitano da diversi anni, è un brav’uomo, e so che quando il suo volto è scuro c’è ragione di preoccuparsi. – incominciò.
- E’ successo qualcosa in Inghilterra? – chiese Harvey.
La sacerdotessa annuì e si guardò attorno per sincerarsi che non fosse rimasto più nessuno di cui preoccuparsi fra le mura della locanda.
- Cutler Beckett è salpato venti giorni fa alla volta dei Caraibi, ha una flotta con sé. – spiegò.
- Cutler Beckett? – fu il turno di Cristal di mostrarsi confusa. Non conosceva quel nome, ma sapere che una flotta faceva vela verso i Caraibi e che questo preoccupava Bleizenn era più che sufficiente a farle trattenere il fiato d’apprensione.
Quella sorseggiò la sua bevanda e fu Erwann a rispondere per lei.
- Un Lord. Girano voci che voglia eradicare i pirati dagli oceani e muovere guerra alla Fratellanza. –
- Ma non ha il potere di farlo! Solo il Re può muovere guerra a chicchessia! – sbottò la giovane, scambiandosi una rapida occhiata con il suo secondo e tornando poi a concentrarsi su Bleizenn.
- Volete dire che ha l’autorizzazione del Re? Stanno facendo sul serio?! – sbottò.
- Molto più dell’autorizzazione del Re. Beckett è a capo della Compagnia delle Indie, è lui a manovrare Re George come un burattino. – la informò la donna.
Nella locanda calò un silenzio sgradevole disturbato di tanto in tanto dal crepitare dei ciocchi nel camino.
Quella non era una buona notizia, affatto, e il malumore della vecchia era più che condivisibile.
Fu di nuovo Bleizenn a interrompere il flusso dei loro pensieri, scrutando Cristal fino in fondo all’anima.
- Eppure è per qualcos’altro che sei venuta da me. Di che hai bisogno, Capitan Tempesta? –
Cristal si morse un labbro, mentre il buon Harvey, accanto a lei, la incoraggiava sottovoce.
- Si tratta sempre del solito problema. Mi avevate detto di parlare con Jack Sparrow, ma... ecco, ho perso l’occasione che mi è stata concessa, e ora sono di nuovo al punto di partenza. – confessò con aria accorata.
Non solo si sentiva immensamente stupida per essersi lasciata sfuggire un’occasione talmente ghiotta da sotto il naso, ma i ricordi di quell’avventura avevano ancora l’effetto del sale sulle ferite per lei.
Bleizenn le portò una mano su una spalla in un gesto insolitamente materno.
- Non rimproverarti per ciò che non hai potuto fare. Lo hai salvato in modi che non puoi nemmeno immaginare. – sussurrò talmente piano che né Erwann né Harvey furono certi di aver capito le sue parole.
Poi i suoi occhi di vetro si indurirono, segno che stava per affrontare un argomento di massima importanza.
- Il tempo stringe, giovane Capitano, il pericolo incalza. Se hai perso le tracce di Sparrow c’è una sola persona a cui rivolgerti adesso. Torna nei Caraibi, cerca Tia Dalma e dille che è la sacerdotessa di Ahès a mandarti. Non fare altri nomi con lei, non sarebbe prudente. – la istruì.
Cristal si appuntò mentalmente il nome della donna e tese le labbra in un’espressione pensosa.
- Che tipo di persona è questa Tia Dalma? Potrebbe essermi ostile? –
Bleizenn si strinse nelle spalle e sospirò, mentre l’ennesimo fulmine rischiarava il locale.
- Conosci il Mare, Cristal Cooper, e sai bene che nessun giudizio si può formulare con certezza assoluta a riguardo. Alcune cose sfuggono ai parametri della morale. Non nuocerà a te, ma farai comunque bene a stare in guardia. Inoltre Beckett non è l’unico male a infestare le acque dei Caraibi. – aggiunse.
- Meraviglioso! C’è dell’altro?! – intervenne Harvey, abbandonando il suo boccale ormai vuoto.
La bretone gli rivolse uno sguardo tagliente che lo fece arrossire di colpo.
- Davy Jones. – sentenziò semplicemente.
L’uomo si volse dal suo Capitano in cerca di spiegazioni, e quella si limitò a cantare alcune strofe di una vecchia canzone, la voce ridotta ad un sussurro e il volto improvvisamente pallido.
- Davy Jones, oh Davy Jones, où as tu caché ses os ? Tout au fond de la mer, tout au fond de la mer…2 -
- Davy Jones? Il Capitano dell’ Olandese Volante? State scherzando, vero? Credevo fosse solo una leggenda! – berciò il secondo, ora terrorizzato.
- Folle l’uomo che non prende seriamente le leggende! – lo ammonì Erwann, finendo di sciacquare il suo boccale e riponendolo su uno scaffale.
- Anche io la credevo solamente una storia... – ammise Cristal.
- Allora è vero che si è cavato il cuore dal petto dopo che Calypso lo ha abbandonato? Come... come può essere? – continuò, sbalordita.
Bleizenn propruppe in una risata amara nella quale era celata una vena d’accusa. Era lo stesso sentimento doloroso e pungente che la figlia del fabbro aveva percepito la prima volta che le aveva parlato di Ahès, tanti anni prima, e si chiese se per caso le due storie non fossero state collegate in qualche modo. Dopotutto pur sempre di Regine dei Mari si parlava.
- Adagio con le parole, Cristal Cooper. Sono proprio loro a costituire il peggiore dei pericoli. Sì, Davy Jones si è cavato il cuore dal petto e lo ha maledetto, così come maledette sono la sua ciurma e la sua nave, e ogni onda che la lambisca. Ma adesso le acque chete si sono smosse e la sua Bestia è di nuovo a caccia. Nessun vascello può dirsi al sicuro quando il Kraken è sveglio negli abissi. – la mise in guardia.
Cristal chinò appena il capo, le sopracciglia aggrottate e il cuore colmo di terrore. Aveva sentito molte volte la storia di Davy Jones: le era stata narrata da sua madre quando ancora vivevano a Londra e poi da Finn, a bordo della Diablo, quando i pomeriggi di bonaccia sembravano interminabili. Ognuno aveva offerto alla sua fantasia dettagli differenti, ma nel complesso le tinte del racconto erano sempre quelle oscure e nefande della morte: se c’era qualcuno capace di incarnare in sé l’essenza stessa del male, se c’era qualcuno in grado di spargere il terrore per i sette mari con il semplice rumore dell’argano in azione, quel qualcuno era Jones.
I quattro rimasero ancora a discutere, Cristal e Harvey ad aggiornare Bleizenn sugli ultimi avvenimenti dall’altra sponda dell’oceano e la sacerdotessa ed Erwann a consigliarli sul da farsi.
Che Cristal dovesse partire il prima possibile era chiaro a tutti, ma alla sua dichiarazione di voler salpare da sola Harvey si era opposto con fermezza.
- E’ pericoloso, Capitano. Non avete sentito che cosa ha detto Bleizenn? No, io vengo con voi! –
Ma la giovane aveva continuato imperterrita nella sua convinzione.
- Questa faccenda riguarda me, e se qualcuno dovrà rimetterci la pelle sarò io soltanto. – era stata la sua replica.
Inoltre aveva altri progetti per il suo fedele secondo: una volta conclusa definitivamente quella storia di Shipwreck Cove avrebbe avuto bisogno di una nave e di una ciurma, e nessuno meglio di Harvey avrebbe potuto occuparsi di quel compito; avevano navigato assieme sulla Liberty Breeze e sapeva perfettamente quale tipo di imbarcazione avrebbe soddisfatto i gusti del suo Capitano.
Approfittarono dei giorni seguenti per organizzarsi, Bleizenn la accompagnò al porto a parlare con il Capitano inglese e le procurò un passaggio sicuro fino alle Antille. Cristal aveva notato che spesso la donna era distratta, come se la sua mente fosse stata assieme a qualcun altro e non con lei, ma non indagò. In tutti quegli anni era la prima volta che la vedeva così tesa e certo non aveva intenzione di peggiorare la situazione con inutili domande.
Altri quattro giorni trascorsero sotto una pioggia battente, e fu un mattino buio e umido che Capitan Tempesta si ritrovò ad abbracciare un riluttante Harvey, il quale aveva deciso di accompagnarla al molo assieme a Bleizenn per salutarla alla partenza.
- Fate attenzione. – le disse solamente, la voce roca e lo sguardo basso.
La ragazza sorrise, intenerita dalla goffa dolcezza del pirata.
- Non ti preoccupare, me la caverò. Scrivimi alla Faithful Bride appena trovi qualcosa di interessante, io ti risponderò il prima possibile. – lo tranquillizzò.
Poi rivolse un cenno di saluto a Bleizenn, che la afferrò per un polso e la guardò dritta negli occhi.
- Tieni gli occhi bene aperti e diffida di chi non conosci. La terra e il mare non sono più luoghi sicuri, e la tua collana non è più un lasciapassare. Cautela, Fille de la Tempête, e che le maree ti siano amiche. –
Cristal salì a bordo del piccolo mercantile, dove il Capitano Forde la attendeva in piedi accanto al timone e restò sul ponte ad agitare la mano finchè Brest non fu solamente una striscia scura all’orizzonte.
Sul molo, le due figure rimasero ancora a lungo sotto la fine pioggia del mattino.
- Siate sincera, Bleizenn. La rivedremo mai? – domandò Harvey senza preoccuparsi delle gocce che si impigliavano nella folta barba castana.
La vecchia chiuse gli occhi e ripensò alla lettera che aveva tenuto nascosta sotto al cuscino in quegli ultimi sette giorni. Era vergata con la grafia precisa e ordinata del Faucon du Nord e la aggiornava sul suo ultimo viaggio. La trattativa era andata a buon fine, ma la legge era chiara e Calypso non avrebbe eseguito il rito senza un adeguato pagamento. Il problema era che quella volta il prezzo era più alto del previsto.
- Nulla è certo, mio buon Harvey. Ma se la rivedremo è sicuro che non sarà più la stessa. –
I giorni trascorsero monotoni e grigi e Cristal, spesso confinata in cabina per non creare troppo scompiglio a bordo della nave di Forde, si teneva impegnata scrivendo febbrilmente sul suo diario.
Erano molte le cose successe in quegli ultimi mesi e sentiva che altrettante erano ancora da verificarsi. Fare ordine nei suoi pensieri era d’obbligo, e sapeva di dover avere le idee assolutamente chiare in vista del suo colloquio con Tia Dalma.
Le parole di Bleizenn l’avevano turbata, non tanto per lo stato di allerta che implicavano, quanto piuttosto per ciò che non volevano dire. Era certa che la sacerdotessa avesse omesso volutamente dei dettagli su quella strana storia: poteva davvero fidarsi di quella persona? In che modo avrebbe potuto aiutarla?
E poi c’erano Beckett e Jones a disturbare le acque e a inquietarla ancora di più. I due dovevano essere collegati in qualche modo, ne era certa, ma come?
Quando dopo un mese e mezzo di tranquilla navigazione aveva raggiunto le Antille e aveva ringraziato il Capitano Forde non era ancora riuscita a trovare risposta ai suoi quesiti.
Aveva chiesto indicazioni su come trovare Tia Dalma, ma nessuno sembrava conoscerla; le avevano detto di provare a Tortuga e si era imbarcata con un gruppetto di disgraziati travestita da uomo. Il viaggio, ringraziando la sua buona stella, era stato breve ed era giunta a destinazione nel primo pomeriggio di un giorno soleggiato.
Ancora una volta, aveva domandato agli avventori della Faithful Bride se avessero mai sentito parlare della donna che avrebbe dovuto aiutarla, ma nessuno ricordava il suo nome.
Solo l’oste sembrava avere qualche vago ricordo “per sentito dire, ma non rammento chi me ne abbia parlato...” e Cristal si era ritrovata a salire un’altra volta i gradini che conducevano alla sua stanza e a sdraiarsi sul letto, lo sguardo nuovamente fisso sulla macchia sul soffitto, finchè la stanchezza e lo sconforto non avevano avuto la meglio su di lei e si era addormentata con ancora il tricorno sul capo.
Era stata svegliata da un tonfo diverse ore dopo, quando la luna era ormai alta nel cielo. Sembrava che qualcosa fosse caduto giù dalle scale, ma non vi aveva badato, ormai abituata al piccolo circo di ubriaconi e debosciati che popolavano la locanda: non sarebbe stata la prima volta che si ritrovava per vicino di stanza un poveraccio incapace persino di reggersi in piedi.
La musica che proveniva dal piano di sotto fu però presto coperta dagli spari e dal frastuono di quella che sembrava essere una rissa da taverna in piena regola e la ragazza si sentì in dovere di andare a dare un’occhiata. Quando ebbe raggiunto il bancone, tuttavia, il caos si era già placato e l’oste stava spazzando via i cocci di vetro dal pavimento.
- Accidenti, mi sono persa il divertimento! – esclamò sedendosi al banco e guardandosi attorno.
Dall’altro lato della sala c’era un tavolo ribaltato e per terra, poco distante, un ramo strappato ad una delle piante ornamentali che decoravano l’ambiente. Nella sala adiacente, intanto, la musica aveva ripreso a suonare, seguita dalle risate e dagli allegri schiamazzi degli avventori.
- E’ stato il ragazzo nuovo. Se non finisse continuamente per sfasciarmi il locale mi farebbe quasi pietà. – raccontò l’uomo passando lo straccio sul bancone e sbuffando.
- E perchè non lo cacci, scusa? Non penso che ti paghi abbastanza per compensare... – commentò lei con un sorrisetto e un’occhiata alla devastazione attorno a lei.
L’oste si strinse nelle spalle.
- Che ci vuoi fare, è un povero cristo. L’affitto lo paga, ma è un disperato. Pare abbia fatto vela dritto in mezzo a un uragano e abbia perso nave e ciurma. Doveva avere le palle prima di ridursi così. – considerò.
Cristal fischiò in segno di approvazione, sentendo immediatamente di apprezzare il coraggio e la follia di quello sconosciuto. Dopotutto era qualcosa che anche lei a suo tempo aveva fatto.
- A proposito! Mi sono ricordato da chi avevo sentito di quella Tia Dalma che stai cercando! – esclamò all’improvviso l’uomo con un grande sorriso soddisfatto sul volto sudato.
- Si tratta di Sparrow! Sembrava divertirsi un mondo in mezzo al marasma di prima... – fece poi.
Cristal drizzò la schiena come se fosse stata attraversata da un fulmine.
- Jack Sparrow è qui? – domandò, gli occhi spalancati di sorpresa.
L’oste annuì e prese a parlare.
- Credo sia arrivato poco dopo il tramonto, è venuto a... – ma tacque: Cristal Cooper era già uscita di corsa dal suo esercizio.
Quella sì che era fortuna! Una fortuna sfacciata! Che il destino avesse infine ripreso a sorriderle?
Si lanciò a rotta di collo verso il porto dove i tre alberi della Perla Nera dominavano le altre imbarcazioni e si guardò attorno alla ricerca del Capitano.
- Jack! – gridò, ma fu qualcun altro a risponderle.
- Principessa! – la salutò Pintel, quasi interamente nascosto dalla grande cassa che stava trasportando.
Cristal rispose al saluto e gli diede una mano a reggere il peso.
- Jack è a bordo? Ho bisogno di parlargli! – spiegò, seguendolo lungo la passerella che conduceva al ponte di coperta e aiutandolo ad adagiare la cassa in prossimità del boccaporto.
L’uomo si sfregò i palmi arrossati sulla tela grezza dei pantaloni e si diede un’occhiata attorno.
- Penso sia in cabina, è salito poco fa! Ah, sarà contento il vecchio Jack di questa rimpatriata! – ghignò poi con l’aria di chi la sapeva lunga.
Cristal inarcò un sopracciglio, confusa, ma decise di non chiedere nulla. Dopotutto lei era lì per un motivo preciso e non aveva alcuna intenzione di farsi distrarre da altro.
Con un cenno di ringraziamento a Pintel, aggirò il boccaporto e si diresse a passo spedito verso il cassero, preparandosi mentalmente il discorso da fare al vecchio compagno di avventure.
Quella volta non si sarebbe fatta fregare, avrebbe chiesto a Jack di accompagnarla alla Baia dei Relitti e non avrebbe ammesso repliche!
Presa com’era dai suoi pensieri nemmeno si accorse che qualcuno stava scendendo le scale, carico come un mulo di cassette e cordame, e la collisione fu inevitabile.
- Guarda dove metti i piedi! – sentì berciare in un tono tutto fuorchè accondiscendente quando il frastuono della merce contro le assi del ponte fu riassorbito dalla notte.
Cristal, che era piombata a terra come un sacco di patate, strabuzzò gli occhi e levò il capo di scatto.
Doveva essersi confusa, non c’era altra spiegazione.
Eppure, se non fosse bastata la logora e familiare divisa della marina, gli stupiti occhi verdi appena illuminati dalle lampade le fecero spalancare la bocca d’incredulità.
Perchè ovunque avrebbe immaginato di poter reincontrare James Norrington, ovunque, eccetto sulla Perla Nera.
 










 
Note:

Stiamo per parlare con una dea.
Davy Jones, oh Davy Jones, dove hai nascosto le sue ossa? Laggiù, nelle profondità del mare, nelle profondità del mare...

Ben ritrovati a tutti, miei adorati lettori!
E' passato quasi un anno dall'ultimo aggiornamento e sono sicura che ormai mi avevate data tutti per spacciata. Vi chiedo scusa dal più profondo del cuore: il 2016 è stato un anno difficile in cui mi sono ritrovata, a livello morale, su per giù come la nostra Cris nel capitolo scorso. Ho deciso di non scrivere finché non fossi stata meglio, perchè non volevo che questa storia, a cui sono affezionata in modo indescrivibile, risentisse del mio malumore cronico.
Quindi ora eccomi qui, pronta a riprendere il largo assieme a voi in una nuova fase di questa grande avventura!
Come se lo hiatus interminabile non bastasse, questo è uno dei rognosi capitoli di transizione che purtroppo non si possono omettere, ma forse non è stato del tutto inutile! Diciamo che mi è servito per gettare le basi di quella che sarà la prossima fase della nostra storia e per mettere a posto qualche tassello del puzzle che ancora non aveva trovato la sua sistemazione.
Innanzitutto l'accenno a Groves e al rocambolesco piano di salvataggio elaborato da Abraham nel capitolo 21. Chi se non il nostro Tenente poteva azzardarsi a rintracciare la Perla e rischiare grado e vita per una vecchia amica? Theodore era effettivamente l'unico che potesse raggiungere Tortuga, ed ecco spiegato perchè Anamaria ha deciso di tornare indietro a salvare Jack rinunciando così al comando della migliore nave di tutti i Caraibi. xD
Poi abbiamo reincontrato Harvey, quel povero sole che ha commesso l'imperdonabile errore di affezionarsi al suo vecchio Capitano ed è finito per accompagnarla qua e là per gli oceani. E soprattutto Bleizenn, che è sempre più misteriosa e sempre più preoccupata.
Mi è piaciuto molto scrivere la parte in cui discute con il Faucon du Nord. Quello che li unisce è davvero uno strano legame e la loro scena ha aperto un piccolo spiraglio su uno dei punti cardine della trama. Forse la matassa sta iniziando a sgarbugliarsi?
Chissà, di certo non per Cristal, che si ritrova ancora una volta a Tortuga e ancora una volta in compagnia di vecchie conoscenze. Riuscirà a convincere Jack ad aiutarla? O finirà per farsi fregare un'altra volta dal caro vecchio Sparrow? E come andranno le cose con James dopo quello che era sembrato il loro addio definitivo a Port Royal?

Ps: lo stralcio di canzone che Cris canta alla locanda di Erwann è tratto da "Davy Jones" di Nolwenn Leroy, che vi consiglio vivamente di ascoltare. ;)

Detto questo, il solito grazie di cuore per chi ancora mi segue/legge/recensisce e non mi manda a marcire nello Scrigno di Davy Jones come meriterei. <3

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***






Capitolo Ventitreesimo~






La Perla Nera rollava appena nella calme acque del molo, il movimento quasi impercettibile.
Nonostante fosse ormai notte inoltrata, la luna alta nel cielo, le fiaccole lungo l’ormeggio e le lampade a bordo illuminavano alla perfezione il ponte di coperta, dove Cristal se ne stava ancora seduta e stupita.
Davanti a lei, in piedi e non meno sconvolto, James Norrington la guardava dall’alto in basso, fra le mani l’unica cassa che fosse riuscito a non far cadere.
Solo dopo una manciata di secondi l’uomo parve riaversi dalla sorpresa e abbandonò la cassa per terra, precipitandosi ad aiutare la ragazza a rialzarsi.
- Cristal! Che cosa ci fai qui?! –
Quella afferrò la sua mano e si rimise in piedi.
- Cosa ci fai tu! Perchè sei a bordo della Perla? Che fine hanno fatto i bigodini?! – domandò notando solo in quel momento l’assenza della parrucca e rendendosi conto dello stato pietoso in cui versava la sua divisa.
Norrington puntò lo sguardo altrove.
- Ho rassegnato le dimissioni. –
Vi era stizza nella sua voce, vergogna, addirittura, e il forte odore d’alcool di cui era impregnato lasciava indovinare la storia dietro a quella decisione.
- Hai seguito Jack? – domandò, stupita e contemporaneamente ammirata per la perseveranza.
Norrington roteò gli occhi e fece spallucce.
- Finchè le vele hanno retto. E ce l’avrei fatta, ce l’avrei fatta se non avessi dovuto attraversare quel maledetto uragano! – masticò, pieno di rancore.
La ragazza gli concesse la ragione con un’alzata di sopracciglia.
- Posso immaginare! Deve essere stato... COSA?! – sbottò improvvisamente, resasi conto del vero significato di quelle parole.
- Cosa significa che hai fatto vela attraverso un uragano? Sei matto?! Avresti potuto morire! – sbraitò, senza curarsi minimamente di celare la sua preoccupazione.
Quello fece spalluce, come a indicare che non sarebbe stata poi cosa grave, e lei si rese conto che era proprio di lui che le aveva parlato l’oste della Faithful Bride. Ma se al sudicio bancone quella storia le era sembrata degna di nota adesso percepiva chiaramente ogni sfumatura della sua follia. Il cameratismo goliardico che l’aveva fatta sorridere alla locanda si era spento del tutto, sostituito da una pietà miserabile e amara che l’aveva soffocato come le dita inumidite che si abbattono sullo stoppino acceso.
Si riservò un momento per osservarlo meglio. I capelli scuri erano arruffati e sporchi, la barba incolta e gli abiti lerci di fango e dio solo sapeva cos’altro. I pugni, stretti lungo i fianchi, tremavano appena di rabbia e bisogno d’alcool, e gli occhi non recavano più alcuna traccia dell’intelligente dolcezza di un tempo.
No, quello non era il James Norrington che aveva conosciuto e amato.
Il suo Tenente era scomparso, perduto per sempre, inabissato chissà dove e chissà quando ad un certo punto della sua assenza.
“Forse in un’altra vita”, si ritrovò a pensare, intristita da quello che vedeva.
C’era un relitto davanti a lei, un consapevole naufragio i cui resti sferzati dall’acqua e dai venti non cercavano nemmeno la pace e si facevano bastare la voragine che li rodeva dall’interno.
- James... Perchè lo hai fatto? –
La sua voce abbandonò le sue labbra rotolandone fuori a fatica, stanca e riluttante.
L’uomo lasciò che la pietà e il rimprovero celati in quella domanda lo prendessero a schiaffi sul viso e scosse il capo con un sorriso colmo di disprezzo per sé, per la vita, per ogni cosa: sapeva che Cristal non stava più parlando dell’uragano.
Ma cosa le avrebbe potuto rispondere? Che era stanco di trascinarsi su quella terra che non aveva tenuto da parte un posto per lui? Che si era reso conto di aver lasciato morire di fame i suoi sogni e i suoi desideri e che ora non riusciva più a vedere un futuro per sé, abbandonato da tutto ciò che amava?
Avrebbe potuto guardarla negli occhi e permettere che vedesse quei lunghi mesi dopo Isla de Muerta in cui si era interrogato sulla validità delle sue scelte, avrebbe potuto lasciare che toccasse il suo dolore, i suoi rimpianti, e che grattasse la superficie del suo cuore fino a raggiungere i docks di Londra in un brumoso mattino di cinque anni prima.
Avrebbe potuto confessare la verità, che lui non era come lei, coraggioso e capace di lasciarsi alle spalle ciò che non avrebbe mai più riavuto indietro, che lui non sarebbe mai stato all’altezza delle aspettative perchè era debole e meschino e aveva gettato tutto alle ortiche.
Avrebbe potuto, ma avrebbe dovuto essere forte persino per quello, e sapeva di non esserlo.
Scosse di nuovo la testa e sbuffò appena, alla ricerca di parole che potessero offrirgli una scusante, ma una voce nuova fece voltare di scatto la sua interlocutrice.
- Comunque sia dobbiamo sbrigarci! Non possiamo rimanere a Tortuga un giorno di più! –
I passi frettolosi che accompagnavano la voce si fermarono proprio davanti a loro, accolti dall’incredulità di tutti quanti.
- Liz?! – Cristal strabuzzò gli occhi nel vedere la sua migliore amica vestita da uomo al fianco di Jack Sparrow.
Ecco cosa intendeva Pintel per “rimpatriata”!
- Cris! Diglielo che dobbiamo salpare immediatamente! – replicò, come se l’amica fosse stata già perfettamente al corrente dei suoi piani.
Quella si voltò verso Sparrow in cerca di spiegazioni, ma il Capitano si limitò a fare di no con la testa.
- Salperemo domattina, il buon vecchio William potrà resistere per una notte. – ordinò, irremovibile.
- Will? – domandò ancora la figlia del fabbro, sempre più confusa.
Fu James ad avere la decenza di risponderle, Elizabeth ancora troppo impegnata a battibeccare con Jack.
- Pare che Turner sia nei guai ed Elizabeth sia salpata per andarlo a salvare. –
Cristal roteò gli occhi.
- Voi due non ce la fate proprio a vivere in pace nella vostra casetta, vero? – scherzò, ma l’espressione della figlia del Governatore la ridusse al silenzio.
- E’ una cosa seria? – domandò, spaventata dalla freddezza nei suoi occhi.
La giovane Swann sbuffò e incrociò le braccia al petto.
- Seria nella misura in cui i qui presenti hanno tutti una condanna a morte a pesare sulla loro testa. E anche Will. –
Cristal si sentì sbiancare.
Quella era una cosa che si sarebbe dovuta aspettare, prima o poi. Aveva già avuto taglie sulla propria testa, ricordava di aver strappato lei stessa un manifesto da un muro che prometteva cifre esorbitanti a chi avesse consegnato il misterioso Capitan Tempesta alla giustizia e di essersi assurdamente inorgoglita nel contare gli zeri in fila uno dietro l’altro.
Eppure, in un certo senso, non era di lei che si trattava, all’epoca.
Capitan Tempesta era una persona, e Cristal Cooper era un’altra. Erano due facce della stessa medaglia, ma allora nessuno avrebbe mai potuto ricondurre il suo nome al temibile pirata.
Era un mito quello a cui la Marina dava la caccia, un alter ego, una maschera, un personaggio fumoso e pronto a svanire nel nulla dietro la sua quinta teatrale.
Adesso, dopo Port Royal, i crimini da lei commessi avevano un volto, un nome, un corpo di carne e sangue.
Capitan Tempesta aveva fatto un passo indietro e aveva lasciato il palcoscenico ad una ben più concreta Cristal Cooper.
Ormai non si trattava più di un gioco, ed era giunto il momento di scendere a patti con le proprie responsabilità.
Ma gli altri? In che modo gli altri potevano condividere con lei lo stesso destino? Per quale motivo la Legge era ostile anche a loro, che non avevano mai commesso nulla di sbagliato?
- Tutti? – sussurrò, in cerca di chiarimenti.
Elizabeth annuì lievemente, lo sguardo meno servero, ma le braccia ancora conserte.
- Io e Will perchè vi abbiamo aiutati a scappare. James per diserzione.-
Cristal rivolse un rapido sguardo all’ex Commodoro, poi tornò a rivolgersi all’amica.
- E si può sapere chi ha mosso simili accuse?! E’ assurdo! – sbraitò, indignata e già sul piede di guerra.
Jack ghignò, un ghigno che lasciava indovinare retroscena di cui lui solo era al corrente.
- Cutler Beckett, ovviamente. –
Cutler Beckett.
Lo spettro che aveva tanto impensierito Bleizenn aveva già incominciato a manifestare la sua scomoda presenza e lo aveva fatto colpendo così vicino a lei che si chiese se per caso la sacerdotessa non lo avesse previsto.
- Sì, Bleizenn ha fatto il suo nome... – considerò a mezza voce, le sopracciglia aggrottate e la mano a sorreggerle il mento per completare la sua espressione impensierita.
James e Lizzie la interrogarono con lo sguardo, ma fu Jack a esternare le perplessità di tutti.
- Bleizenn? Sei stata da lei? – domandò, più sorpreso e stranamente preoccupato di quanto probabilmente non volesse sembrare.
Cristal annuì e un lampo di consapevolezza attraversò i suoi occhi: era il momento di chiedere ciò per cui da mesi andava avanti e indietro per l’Atlantico senza fermarsi un secondo.
- Jack, a tal proposito! – incominciò per essere certa di avere la sua attenzione.
Quello rese gli occhi due fessure, anticipando chissà quale strampalata richiesta da parte della giovane.
- Devi assolutamente aiutarmi, sei l’unico che possa farlo ormai. – aggiunse lei.
Sparrow inspirò a fondo, vagamente seccato. Probabilmente trovarsi la nave carica di fanciulle in cerca della sua più dedita collaborazione non era esattamente nei suoi piani quando aveva fatto porto a Tortuga.
- Se si tratta di andare di nuovo a zonzo per gli oceani in cerca di tua madre sappi che posso affrontare una missione di salvataggio alla volta. E Will è arrivato prima! – mise bene in chiaro.
Ma Cristal ignorò quella sortita e continuò imperterrita con la sua richiesta.
- Devi portarmi a Shipwreck Cove. – sentenziò lapidaria.
Jack, che già si stava incamminando da dove era venuto, arrestò la sua marcia e si voltò verso di lei con un gesto eccessivamente brusco per i suoi modi solitamente ondeggianti e sinuosi.
- Devo? – fece stizzito.
Cristal espirò l’aria dalle narici e gettò una rapida occhiata a James ed Elizabeth, in piedi dietro di lei in attesa della sua replica.
- Si tratta del Faucon. Bleizenn ha detto che è tornato. – disse semplicemente. Non le andava di prodigarsi in dettagli, non a quell’ora e con il ponte brulicante di uomini. Se c’era una cosa che aveva imparato da quell’ultima avventura era che non era saggio parlare con leggerezza dei propri affari con la ciurma a portata d’orecchio.
Vide Jack irrigidirsi impercettibilmente al menzionare il nome del terrificante pirata senza volto. Anche lui lasciò che lo sguardo si soffermasse per qualche istante sugli altri due che, tagliati fuori da quel discorso pieno di sottintesi, se n’erano rimasti in silenzio a scambiarsi occhiate perplesse.
- E’ proprio vero che le disgrazie si presentano sempre a braccetto! – commentò poi con una vena di ironia nella voce improvvisamente stanca.
Parve considerare un momento la situazione, gli occhi scuri e insondabili a squadrare con attenzione la figura familiare di Cristal come se avesse dovuto soppesarne ogni pregio e difetto per la prima volta.
- Ti aiuterò a raggiungere la Baia dei Relitti ad una condizione, giovane Cooper. – si azzardò infine a patteggiare.
Cristal si sporse appena in avanti.
- Parla. –
- Salperai con noi in cerca di William. –
Cristal rabbrividì. C’era qualcosa di sbagliato in Jack quella sera, qualcosa che non aveva mai scorto in lui. Lo aveva notato immediatamente, ma non era stata capace di dare un nome a quella strana sensazione che, per osmosi, dall’eccentrico pirata si stava aggrappando saldamente alle sue viscere. Solo in quel momento comprese di che si trattava e per un momento trattenne il respiro: Jack Sparrow aveva paura.
Per la prima volta in vita sua Cristal si sentì indifesa e in pericolo, minacciata da qualcosa che non capiva, forse addirittura dallo stesso sguardo del suo compagno di tante avventure. Poteva fidarsi?
Titubante, si voltò verso Elizabeth e scorse nei suoi occhi la speranza illuminata dai tenui raggi della luna.
Non aveva scelta.
Sotto il sole splendente del giorno dopo, quando la Perla Nera si era ormai lasciata alle spalle Tortuga e il suo turbinio di dissolutezza, Cristal Cooper sedeva a prua con il cuore ancora gonfio d’incertezza.
Alla fine l’aveva avuta vinta Elizabeth ed erano salpati immediatamente, lasciando alla figlia del fabbro giusto il tempo di tornare alla Faithful Bride per recuperare le sue cose. A bordo la ciurma era pressocché la stessa di quando la Perla era andata a salvare lei e Jack a Port Royal. Aveva saputo da Gibbs che Anamaria aveva abbandonato la nave alle Canarie, poco prima che incappassero nel famoso uragano. Curiosa e ancora a disagio, aveva cercato di captare qualche informazione su Jack dal vecchio nostromo, ma si era rivelato uno sforzo inutile: stranamente Gibbs aveva la bocca cucita.
Era andata a dormire alle quattro, approfittando del primo turno di guardia, ma non aveva chiuso occhio. Aveva continuato a girarsi e rigirarsi sulla sua amaca, attenta a non cascare di sotto, dove aveva preso posto James.
Dopo quella che le era sembrata un’eternità, qualcosa le aveva colpito piano la schiena e Cristal aveva capito che il ragazzo le aveva tirato un calcio.
- Che c’è? – aveva domandato in un soffio, sporgendosi appena dall’orlo dell’amaca.
- Non dormi? – le aveva chiesto lui cercando di trovare i suoi occhi nel buio.
Cristal aveva scosso la testa e aveva aggiunto un “no” sottovoce, allora James si era alzato e le aveva offerto il braccio, indicandole con un cenno di seguirlo sul ponte di coperta.
L’aria fresca li aveva accolti come una carezza, e per i primi minuti se n’erano stati entrambi zitti, forse già pentiti di essersi concessi quel momento di intimità senza motivo.
Il primo a parlare, alla fine, era stato Norrington.
- Stai bene? –
Cristal si era sfregata le braccia per riscaldarsi.
- Sì, solo ero abituata a dormire nella cabina del Capitano. – aveva mentito. Forse però non era del tutto una bugia: non aveva mai occupato le brande della Perla Nera, sempre al sicuro dietro la porta della cabina di Barbossa. Anche questo doveva in qualche modo star contribuendo alla leggera nausea che l’aveva colta da quando aveva lasciato Tortuga.
- E così Capitan Tempesta sei tu. Sai, c’è stato un periodo in cui mi ero ripromesso che ti avrei uccisa con le mie mani. La vita è davvero ironica... – aveva poi  considerato l’uomo con un sospiro a metà fra il divertito e lo sconsolato.
- Per quanto sei stata Capitano? – aveva chiesto in seguito.
Cristal lo aveva affiancato al parapetto e aveva inspirato a fondo l’aria salmastra.
- Due anni. Poi mi sono fatta fregare da una secca e mi sono sfasciata la nave. Era Giugno, non sono rimasta molto a terra dopo che ho detto addio alla Liberty. – aveva considerato con un mezzo sorriso.
James invece si era lasciato andare ad una risata vera.
- Non riesco a credere che tu sia riuscita a mantenere il comando di una nave per tutto questo tempo, eppure contemporaneamente mi sembra la cosa più normale del mondo! – aveva confessato. Ma in fondo ai suoi occhi, acquattata e immobile come una preda braccata, vi era una vergogna silenziosa, un rimorso che si attaccava con le unghie alla sua coscienza senza alcuna intenzione di lasciare andare.
Cristal se n’era accorta e aveva cercato di non darlo a vedere, proseguendo la conversazione come se niente fosse, come se fra di loro non ci fosse stato un muro di scelte sbagliate e strade abbandonate.
- Non è sempre stato semplice. Per una donna farsi rispettare da un branco di disgraziati è un’impresa a dir poco titanica. Per fortuna ho avuto un secondo magnifico e degli ottimi maestri... – aveva aggiunto pensando ai suoi tre Capitani con una dolcezza che l’altro non avrebbe mai pouto immaginare rivolta a un pirata.
L’ex Commodoro era rimasto un poco in silenzio ad osservare le stelle, ormai tragicamente sobrio, e aveva posto il suo quesito.
- In che modo sei legata al Faucon du Nord? –
La Figlia della Tempesta aveva sospirato: quella era una domanda davvero difficile.
- Cosa sai di lui? – aveva domandato.
James si era stretto nelle spalle.
- Poco o nulla. Nei Caraibi era poco più di una leggenda, e a Londra non ne parlavano volentieri. Pare che nessuno lo abbia mai nemmeno visto in faccia. L’unica certezza era il modo in cui operava. – aveva raccontato.
- Già. E’ più o meno quello che so io. Per quanto mi riguarda, l’unica cosa che mi lega a quell’uomo è questa collana, il suo Pezzo da Otto, ma sembra essere sufficiente affinchè quei cani che hanno bombardato Port Royal sei anni fa vogliano la mia testa. E ora il Faucon ha deciso di uscire dalla tomba e farsi vedere di nuovo sui mari. Il che, capirai bene, mi mette in una posizione decisamente scomoda. – era stata la replica della ragazza.
Norrington le aveva rivolto uno sguardo confuso.
- La collana di tua madre apparteneva al Faucon du Nord? Come è possibile? – aveva chiesto, ricordandosi del ciondolo di Marion.
Cristal aveva fatto spallucce.
- A quanto pare mia madre lo ha conosciuto, da ragazza. Da quando ha ricevuto la collana non ne ha saputo più nulla di lui, credeva fosse morto da anni. In ogni caso le acque si sono fatte torbide e devo scoprire assolutamente chi è questo Faucon, o potrei ritrovarmi invischiata in situazioni poco piacevoli. –
James non aveva commentato, le sopracciglia aggrottate e le labbra tese in chissà quale pensiero intricato. Aveva scosso la testa e borbottato un “impossibile” che Cristal non aveva capito, poi aveva nuovamente alzato lo sguardo al cielo, dove la luna indicava la via.
Avrebbero potuto andare avanti a parlare per tutta la notte, perchè sei anni e mezzo erano un tempo infinito da recuperare ed entrambi sentivano il bruciante desiderio di raccontare tutto, di rievocare ogni singolo istante passato lontani per esorcizzarne la paura, per soffocarne il rimpianto.
Avrebbero potuto, invece anche Cristal aveva cercato la luce tenue della luna e non aveva detto più nulla.
Dopo minuti impalpabili ed eterni, James Norrington si era allontanato dal parapetto e aveva mosso qualche passo verso il boccaporto; ignorato dalla ragazza, aveva lasciato che il buio lo inghiottisse del tutto: il silenzio aveva vinto ancora.
Il sole era sorto qualche ora dopo, ma non era stato di alcun giovamento alla figlia del fabbro. Aveva continuato a scrutare le onde, a sondare il mare in cerca di qualcosa di non definito, un segno forse, qualsiasi cosa che potesse placare quel pungolo in fondo all’anima, quella terribile sensazione che le attanagliava i polmoni ad ogni respiro più profondo.
- Vedo che siamo di ottimo umore! – la voce squillante di Elizabeth la fece voltare di scatto.
L’amica se ne stava alle sue spalle, il cappello a tricorno ben calcato sui capelli sciolti. Lei, a differenza di Cristal, aveva l’aria riposata e un sorriso relativamente sereno sulle labbra. Di certo aveva dormito, questo era evidente.
- Non sarei dovuta tornare a bordo della Perla. – disse semplicemente, racchiudendo in quella verità i mille pensieri che la tormentavano.
Elizabeth le si avvicinò e le circondò le spalle con un braccio in un gesto di affetto che le riportò entrambe a tempi remoti.
- E’ per via di Barbossa? – chiese dolcemente.
Cristal sorrise di un sorriso sghembo.
- Sì, anche. Sono irrequieta e non capisco perché. Ma non preoccuparti, passerà. – la tranquillizzò.
- Piuttosto, raccontami di Beckett! Cosa vuole da voi? Che è successo a Will? -
Lo sguardo di Elizabeth si fece duro; lasciò il suo fianco e mosse qualche passo avanti e indietro nel tentativo di raccogliere i pensieri, poi le raccontò del suo matrimonio interrotto, della reclusione nelle carceri di Port Royal e della fuga che, in un momento di lucida follia, era riuscita ad assicurarsi. Beckett aveva promesso a Will il perdono in cambio dei suoi servigi, ma Lizzie era sicuramente meno ingenua di lui e aveva capito che rimanere a Port Royal ad attendere il suo promesso sposo sarebbe stata la fine di entrambi.
- Adesso Will è prigioniero di Davy Jones, e l’unico modo di salvarlo è... – ma tacque nel notare gli occhi strabuzzati dell’amica.
- Davy Jones?! Aspetta, vuoi dirmi che Beckett e Davy Jones lavorano insieme? – sbraitò.
Elizabeth fece spallucce.
- Questo non te lo so dire, ma di certo sono in qualche modo collegati. Perchè? Conosci Jones? – fece, curiosa.
Cristal scosse la testa e seguì con gli occhi il volo di un gabbiano fra il sartiame.
- Bleizenn mi ha parlato anche di lui. Mi ha detto di tenermi in guardia da lui, e non che fosse necessario il suo suggerimento per farlo: le leggende a riguardo sono più che sufficienti... –
Fu a quel punto, però, che Jack Sparrow fece la sua comparsa sul ponte di coperta, la stanchezza e la preoccupazione nello sguardo a fare a gara con quelle di Capitan Tempesta.
- Jack! – lo chiamò Elizabeth nel dirigersi a rapide falcate verso di lui, seguita a ruota dall’amica.
Quello, ancora assonnato, arcuò un sopracciglio ad indicare che era pronto a darle udienza, ma la sua espressione cambiò repentinamente quando la figlia del Governatore fece emergere dalla sua casacca un involto di cuoio.
- Che roba è? – mugugnò il pirata, gli occhi scuri a luccicare di anticipazione.
- Lettere di Marca. In cambio della tua bussola. – replicò Elizabeth a bassa voce.
L’uomo le squadrò attentamente, poi lanciò una rapida occhiata a Cristal, quasi avesse voluto saggiare la sua opinione in merito.
- Beckett? – chiese poi a conferma dei suoi dubbi.
Lizzie annuì.
- Sì, sono firmate. Lord Cutler Beckett della Compagnia delle Indie Orientali. – aggiunse mentre Jack già rivolgeva una smorfia schifata alle carte.
- Will lavorava per Beckett e non ne ha fatto parola. –
Joshamee Gibbs era apparso alle loro spalle così silenziosamente che Cristal aveva avuto un piccolo sussulto nel sentirlo parlare.
Non le sfuggì il tono vagamente risentito del primo ufficiale, né lo sguardo colpevole di Elizabeth a quelle parole: evidentemente con Jack non aveva fatto menzione dei traffici in cui erano immischiati lei e William.
- Beckett vuole la bussola. Quante ragioni può avere? – continuò Gibbs, sempre più scettico.
Cristal era perplessa quanto lui. A che gli serviva quel catorcio della bussola di Jack? In che modo era in affari con Jones? Le due cose dovevano essere collegate, ma come?
Poi vide l’espressione di Sparrow farsi cupa come non l’aveva mai vista, e di nuovo quel fremito di terrore che aveva avvertito la notte precedente si impossessò di lei.
- Una sola. Vuole il forziere. – spiegò, gli occhi fissi in quelli di Gibbs mentre Elizabeth ricordava di aver sentito menzionare qualcosa di simile.
Fu proprio Gibbs a chiarire i suoi dubbi con una frase che fece rizzare i peli sulla nuca alla figlia del fabbro.
- Se la Compagnia controlla il Forziere controlla tutto il Mare.-
- Concetto che ha dello sconcertante. – ribadì Jack.
- E male. Male per ogni pover’uomo che si definisce pirata. Credo che da queste vele si possa ottenere di meglio. – aggiunse il quartiermastro con un’occhiata eloquente. Cristal annuì e lo seguì senza farselo ripetere due volte, lasciando Elizabeth e Jack a concludere il loro discorso.
Non udì dunque le condizioni delle Lettere di Marca, né notò che James, inginocchiato a pulire il ponte a pochi passi di distanza, aveva alzato la testa di scatto.
Era troppo presa dai suoi pensieri, la voce di Bleizenn che continuava a rimbombarle nella memoria.
Quindi era questo che Beckett voleva da Jones, era per questo motivo che era arrivato ai Caraibi con una flotta intera ai suoi comandi! Era vero, voleva muovere guerra alla Fratellanza, e se avesse potuto manovrare a suo piacimento Jones e il suo Kraken i pirati avrebbero avuto i giorni contati!
Solo a quel punto si rese conto di cosa quell’informazione implicasse. Se lei era un Pirata Nobile il suo compito era prima di tutto quello di salvaguardare la Fratellanza, e lo stesso valeva per Jack. Ma alla Baia dei Relitti erano a conoscenza dei piani di Beckett? O l’uomo li avrebbe colti impreparati? Con o senza Forziere, la sua presenza nei Caraibi era una pericolosa minaccia, e la Fratellanza andava messa in guardia.
Terminata la manovra di cui si era occupata, fece dietrofront e marciò nuovamente verso poppa alla ricerca di Jack, interrompendo il suo incedere frettoloso solamente quando vide James ed Elizabeth discutere appoggiati al parapetto.
Lei aveva un’espressione terribilmente seccata e lui recava sul volto lo stesso sorrisetto saccente e compiaciuto di quando, dodici anni prima, a bordo della Dauntless aveva candidamente augurato la morte per impiccagione all’intera stirpe dei pirati.
- E non ti sei chiesta come il tuo attuale fidanzato sia finito sull’Olandese Volante? Forse dovresti! – concluse la conversazione con un ghigno di puro scherno.
Cristal vide Elizabeth controllare la bussola di Jack – perchè ce l’aveva lei? – e guardarsi attorno stizzita. Poi il labbro inferiore prese a tremarle pericolosamente e, prima che qualcuno potesse accorgersi di quello che stava accadendo, la giovane si diresse a grandi passi verso il boccaporto.
Norrington ridacchiò ancora fra sé e sé, poi proseguì verso prua, trovandosi però la strada sbarrata da Cristal.
- Che cosa le hai detto. –
James sapeva riconoscere quando la giovane era sul piede di guerra. Le sue domande si mutavano in fredde affermazioni: ottenere la verità non era una richiesta, era un ordine.
- Nulla che non sapesse già. – replicò con leggero sprezzo.
La bionda incrociò le braccia al petto e non si mosse di un millimetro.
- Ad esempio? – incalzò. Aveva capito benissimo quale fosse stato il motivo della disputa fra i due, ed era proprio per quello che non voleva lasciar correre. Era irrazionale e lo sapeva benissimo, ma la rabbia che le era montata nel petto a sentire le parole di Norrington bruciava al punto da farle dimenticare completamente il buon senso.
James sbuffò in maniera sgraziata, i capelli scuri che continuavano a ricadergli sugli occhi.
- Volete dirmi che siete entrambe così ingenue da fidarvi ciecamente di Sparrow?! – sbraitò.
Eccolo lì, il motivo di tutto quel trambusto. Jack. Doveva prevederlo.
Scoppiò in una risata amara e schifata e scosse la testa.
- Cielo, allora è vero! Sei geloso! – sbottò nello scuotere la testa con disgusto.
James, punto sul vivo, si rirrigidì e tese le labbra.
- Geloso?! Per carità! Dico solamente le cose come stanno, non potete fidarvi di quel disgraziato! – replicò, più acuto di quanto non avrebbe desiderato.
Cristal allargò le braccia in un ampio gesto.
- Ah, certo, perchè tu lo conosci così bene da poter pronunciare un giudizio a riguardo! – fece.
L’uomo roteò gli occhi, esasperato.
- Cristal, è un pirata! –
Entrambi rimasero rigidi per un istante, memori di una discussione analoga avuta moltissimi anni prima.
- Davvero? Forse è il caso che ti guardi intorno, James! – sbraitò poi lei, sempre più nervosa e infastidita da quelle parole senza il minimo riguardo.
Quello, al limite della sopportazione, scosse la testa e alzò la voce.
- Sai cosa intendo!  E’ un bugiardo, un criminale! Non potete affidarvi a un uomo come Sparrow! –
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
- Beh, non sei stato tu ad aiutarmi a trovare mia madre, dico bene? – gli urlò in faccia la ragazza, furente.
James Norrington serrò le labbra, colpito da quella frase come da uno schiaffo in pieno viso. Stette zitto, mentre il sangue affluiva rapido alle guance e la vergogna gli strinava le vene, Cristal di fronte a lui paonazza d’ira e di risentimento.
Gli rivolse un lungo sguardo di fiele, poi, quando percepì gli occhi bruciarle minacciati dalle lacrime, girò sui tacchi e sparì anche lei nel buio del boccaporto, proprio come Elizabeth.
Ancora fumante di rabbia, camminò spedita verso la cabina del Capitano, ora deserta, ed entrò sbattendosi la porta alle spalle.
Il vecchio mobile addossato ai finestroni era ancora lì dove l’aveva lasciato e vi si appollaiò in cima senza aspettare un secondo di più, portando le ginocchia al petto e posandovi il capo, sconsolata. Sarebbe riemersa più tardi, adesso voleva solo restare in silenzio.
Il resto del giorno trascorse con una lentezza esasperante. Norrington se n’era stato a pulire il ponte senza più proferir parola, e le ragazze avevano mantenuto lo stesso mutismo, entrambe impegnatissime a non incrociare lo sguardo di nessuno.
Gibbs aveva offerto a Cristal un sorso del suo rum e lei, pur apprezzando infinitamente il gesto dell’uomo, aveva rifiutato. Aveva avuto la nausea per tutto il giorno dopo il litigio con James, tuttavia non se ne pentiva. Sapeva di avere ragione e trovava la palese invidia dell’ex Commodoro un comportamento schifosamente infantile.
Proprio come gli aveva urlato in faccia quel mattino, lui aveva perso la sua occasione quando l’aveva lasciata salpare da sola alla ricerca dei suoi genitori e mettere zizzania fra i membri della ciurma solamente perchè il suo stupido orgoglio gli impediva di starsene buono agli ordini del Capitano era inammissibile.
La notte giunse veloce e finalmente con le prime stelle si fece vedere anche Jack, che se n’era stato sottocoperta per tutto il tempo a pianificare non si sa quale rotta e a scolarsi la sua personale scorta di rum.
A cena Cristal finì seduta accanto a Ragetti, che la salutò con un sincero “bentornata a bordo!”, poi qualcuno prese a cantare una vecchia canzone e a giro ogni membro della ciurma si ritrovò a proporre una strofa o un motivetto che conosceva.
Cantando tutti assieme sembrava che le tensioni della giornata potessero finalmente allentarsi e Cristal quasi dimenticò il nodo allo stomaco che l’aveva tenuta rigida fino a quel momento.
What will we do with the drunken sailor early in the morning?” si ritrovò a cantare ridendo assieme a Gibbs in quello che era stato il suo contributo alla serata, e per un istante le parve di essere ancora sulla Diablo, dove le risate e i canti erano all’ordine del giorno.
Lizzie non cantava, sapeva poche canzoni e si limitava a tenere il tempo con le mani, apparentemente più rilassata anche lei, mentre Jack li teneva d’occhio da poco distante.
Quando il turno di cantare spettò a Norrington, tuttavia, la Perla Nera piombò nel silenzio.
Tutti gli occhi erano puntati sull’ex ufficiale che, visibilmente in imbarazzo, si ritrovò a dover scegliere una canzone da cantare assieme alla ciurma.
Trasse un profondo respiro poi, senza guardare in faccia nessuno, intonò una melodia malinconica che inaspettatamente fece sorridere molti con una luce di agrodolce affetto negli occhi.
- Farewell and adieu to you Spanish ladies, farewell and adieu to you ladies of Spain, for we have received orders to sail for Old England, we hope in a short time to see you again… -
La sua voce era dolce e intonata, in totale disaccordo con la figura sporca e trasandata che si presentava alla vista. A sentirlo cantare, Cristal avrebbe potuto giurare che fosse ancora il vecchio James di Port Royal, in piedi di fronte al tramonto dopo un allenamento di scherma sulla terrazza del Forte e si sorprese nel rendersi conto che in tutta la sua vita quella era la prima volta che lo sentiva intonare una canzone.
Il resto della ciurma cantò assieme a lui, dimenticando che fino a poco prima era stato la pecora nera della Perla, che nonostante avesse perso la parrucca e la sua divisa fosse lercia e strappata, lui era ancora il nemico.
Era come se quella melodia li avesse resi tutti fratelli, avesse appianato le differenze e lenito i dissapori fra di loro.
Anche Cristal cantò. Conosceva bene quella canzone, strofa dopo strofa, e il suo cuore reagiva alla malinconia delle note stringendosi e dilatandosi dolorosamente.
- And let every man drink off his full bumper, and let every man drink off his full glass. We’ll drink and be jolly and drown melancholy, and here’s to the health of each true-hearted lass. – concluse assieme agli altri, spegnendo l’ultima nota nel silenzio della risacca.
La serata terminò con quell’ultima strofa, e coloro a cui spettava il turno di riposo migrarono pigramente sottocoperta, trascinando i piedi all’indirizzo della loro amaca.
Cristal si sdraiò e incrociò le braccia al petto, lasciando che lo sguardo vagasse sui compagni che dormivano lì intorno.
Anche James raggiunse infine la sua branda e prima di coricarsi le rivolse uno sguardo silenzioso e colpevole.
Cristal non lo resse, troppo stanca per concedergli quel gioco a cui da bambina non si sarebbe mai sottratta.
Chiuse le palpebre e si addormentò immediatamente. Quella notte sognò un’impiccagione a Port Royal e sul patibolo, con il cappio al collo, c’era la ciurma della Diablo.
Quando si svegliò non ricordava nulla.
- Hey, Cristal, perchè non ci racconti una storia? –
Ragetti aveva dato l’avvio alla giornata con quella proposta, mentre lui, Pintel e la ragazza, assieme ad altri marinai della ciurma, se ne stavano inginocchiati a pulire il ponte senza la minima intenzione.
- Sì, proprio come ai bei vecchi tempi! – gli aveva fatto eco Pintel.
Cristal si era asciugata il sudore dalla fronte con il dorso della mano, la bandana blu a tenerle i capelli lontani dal viso, e aveva cercato con aria pensosa una storia che potesse adattarsi a quel che rimaneva del loro turno di lavoro.
Come sempre, gli altri erano rimasti incantati dai suoi racconti, e persino James, che era affaccendato a trafficare con alcuni bozzelli inceppati, si era avvicinato a loro per ascoltare.
- E dunque si dice che nelle notti di tempesta, arrivando dal mare, si possa ancora scorgere la figura della ragazza, in piedi in cima alla scogliera, attendere il suo amato fra le saette nella speranza che l’Oceano lo riporti a lei. – concluse a filo con la campana che segnava il termine del turno.
- Caspita, questa sì che era una bella storia! – esclamò Ragetti, vagamente commosso, mentre il suo compare annuiva convinto.
Cristal sorrise e si alzò in piedi, rovesciando fuori bordo il secchio d’acqua ormai lurida con cui aveva lavato il ponte fino a quel momento.
Il gruppetto che era rimasto ad ascoltare si disperse per la nave e anche Cristal guizzò veloce sottocoperta, decisa a schiacciare un breve pisolino prima di riprendere i suoi compiti. Non si accorse, tuttavia, che Norrington l’aveva seguita.
- Cristal! – la chiamò.
Lei si voltò con un sussulto, spaventata. Rimase immobile accanto a un cannone, curiosa e tuttavia in ansia. Non aveva voglia di litigare di nuovo, con tutti i problemi che aveva ci mancava anche James!
Per un istante si rese conto con profonda amarezza che le cose fra loro erano tornate ad essere come all’inizio. Non vi era più affetto, né complicità. Ormai i loro unici contatti sembravano poter avvenire attraverso lo scherno e i battibecchi, attraverso il rinfacciarsi l’un l’altra le proprie scelte.
L’uomo le si avvicinò, illuminato dai tenui fasci di luce che filtravano pigramente attraverso le feritoie per i cannoni.
- Cristal, mi dispiace. Ho sbagliato a parlare in quel modo, ieri mattina. – sospirò.
La ragazza parve soppesare le sue parole, poi si appoggiò al cannone, lo sguardo ancora basso.
- Dovresti dirlo a Elizabeth, non a me. – fece semplicemente.
James annuì.
- Ho mancato di rispetto a entrambe. Non era mia intenzione. – rimase un momento in silenzio, poi tentò di aggiungere qualcosa, ma la giovane lo interruppe.
- Il punto, James, è che tu ci vedi ancora come il nemico. Come la piaga degli oceani. Potrai anche aver rassegnato le dimissioni, ma nel profondo resti fedele alla Marina, fosse solo per principio. – commentò con estrema serietà.
Ci fu un lungo momento di silenzio durante il quale Norrington tenne il capo chino. Cristal aveva ragione. Aveva abbandonato il suo grado, aveva lasciato ciò che restava della Dauntless al comando di Gillette ed era fuggito, mescolandosi alla feccia che aveva sempre disprezzato. E la disprezzava ancora.
Aveva rinnegato sé stesso, non la sua fedeltà alla Corona. In fondo al suo cuore, pur vestendone i panni, avrebbe ancora augurato a qualsiasi pirata “poca corda e caduta sorda”.
Finalmente trovò il coraggio di alzare lo sguardo e incrociare gli occhi grigi e spenti della ragazza.
- Cristal. – esordì, ancora incerto sulle parole da usare.
- Cristal, sii onesta con te stessa. Tu potrai anche essere mossa dai più alti ideali e non lo metto in dubbio, ma rimane il fatto che i pirati sono ladri e assassini, questo non puoi negarlo. – fece, sorprendentemente più calmo di quanto non avrebbe mai immaginato.
Fu quando vide la ragazza sorridere che si chiese se non avesse detto il contrario di quello che pensava.
- Non ho mai voluto negare ciò che dici. Mi rivedo in ogni parola. Ho rubato, ho ucciso. Lo abbiamo fatto tutti. Ma quello che vorrei che riuscissi a vedere, James, è che nonostante questo siamo umani come voi. Non siamo “i pirati”, una massa di dannati senza anima né sentimenti. Credi che ci faccia piacere uccidere? Certo, ci sono anche dei folli omicidi che amano il sapore del sangue, ma questo ritratto non si allontana molto da quello di alcuni Capitani di Marina, dico bene? Anche voi uccidete. Ciò che vi pulisce la coscienza è che i vostri omicidi sono legittimati dalla Corona. Basta un occhiolino di approvazione da parte di Re George e improvvisamente siete disposti a compiere le più turpi azioni senza provare rimorso. I Corsari fanno esattamente quello che facciamo noi, ma hanno a garanzia le loro care Lettere di Marca, e a quelli della loro risma non riservate lo stesso giudizio che riservate a noi. Loro sono ancora tollerabili. E’ la Legge, dev’essere giusto per forza. Addirittura alcuni ci vedono un disegno di Dio! Ti rendi conto? – esclamò, allibita.
- Ma... – cercò di ribattere James, subito interrotto.
- Non credere che quelli come me siano felici della vita che conducono. Non credere che nessuno rimanga sveglio la notte a passare in rassegna i volti, finchè riesce a ricordarli e non diventano numeri. Non credere che il cuore non sanguini quando si è costretti ad abbandonare ogni certezza, quando la mano del proprio fratello giace fredda fra le proprie perchè gliel’hai stretta per dargli conforto finchè la vita non lo ha abbandonato assieme al sangue che impregna le assi del ponte. – la voce le tremò appena nel ricordare lo sguardo vitero di Toby.
- Ramirez, il mio Capitano, era un sarto, a Cadice. Le tasse lo hanno mandato in disgrazia e il Mare è stata l’unica via per non morire di fame. Non ho mai conosciuto un uomo più buono e generoso di lui. Piangeva ad ogni omicidio. La sua nave era un rifugio per disperati e lui li accoglieva tutti a braccia aperte. Avrebbe dovuto essere un prete, non un pirata. – raccontò, mentre James la guardava in silenzio, lo stomaco attorcigliato da una nuova consapevolezza a cui non poteva dare retta.
- James, sei troppo intelligente per credere davvero che basti una bandiera a discernere un uomo buono da un uomo malvagio. – concluse guardandolo dritto negli occhi.
Vi era rassegnazione nella sua voce, e un’amarezza che stonava sempre con il ricordo che Norrington aveva di lei. Il Mare l’aveva cambiata, l’aveva indurita. Adesso vedeva con maggiore chiarezza ciò che non aveva compreso nelle carceri a Port Royal. Ancora una volta quella bizzarra fanciulla aveva dato prova di non parlare a vanvera.
Avrebbe voluto replicare, ma non sapeva nemmeno lui cosa dire.
Fu la voce della vedetta, con il suo “terra!” gridato a pieni polmoni, a porre fine alla conversazione.
Si scambiarono uno sguardo indecifrabile e, senza aggiungere altro, corsero sul ponte di coperta.
All’orizzonte si profilava placida la sagoma di Isla Cruces e presto fu tempo di calare la scialuppa. Jack chiamò a sé Elizabeth e Norrington, rivolgendo a quest’ultimo un sorriso provocatorio, poi fece cenno a Pintel e Ragetti di avvicinarsi.
- Bene, direi che noi cinque possiamo bastare! – concluse.
Cristal  si fece avanti, consapevole di star vivendo una scena già vista.
- Jack! E io? –
L’uomo lanciò un’occhiata fugace all’isola alle sue spalle, poi tornò a concentrarsi su di lei.
- Cristal, dolcezza. – esordì, ma non era il suo solito tono amichevole. Jack era serio, quasi preoccupato.
- Resta con Gibbs e fammi il piacere di non lagnarti troppo. –
Lei stava per ribattere, ma il pirata, approfittando di un momento di distrazione degli altri, si fece avanti e portò le sue labbra all’orecchio della bionda.
- Potremmo avere bisogno di una manovra rapida. Mi servi sulla Perla. –
Quelle parole le fecero piombare il cuore in fondo agli stivali.
Non solo Jack le aveva implicitamente affidato il temporaneo comando della Perla se qualcosa fosse andato storto, ma le aveva anche altrettanto implicitamente suggerito che non erano i soli a battere quella rotta.
Chi avevano alle calcagna? Jones o Beckett?
Annuì, le labbra serrate, e buttò fuori l’aria dalle narici senza preoccuparsi di celare la sua angoscia.
- Fate in fretta, e vedete di tornare interi. – li ammonì tutti quanti.
Elizabeth le rivolse un sorriso incoraggiante, James un cenno del capo, Jack annuì e basta, già catapultato in chissà quale elucubrazione personale.
Appoggiata al parapetto, li guardò remare verso terra e diventare un puntino sempre più piccolo in lontananza, fino al punto in cui avrebbe avuto bisogno del cannocchiale per riuscire a distinguerli.
- E adesso si aspetta... – esalò Gibbs, prendendo posto accanto a lei.
Una noia densa e appiccicosa come il salino che continuava a posarsi sulla pelle riempì le ore seguenti, rendendo qualsiasi attività a bordo noiosa e priva di significato.
Cristal se n’era tornata nella cabina del Capitano nella speranza di trovare qualcosa da leggere, ma ovviamente i volumi di Shakespeare che le erano un tempo appartenuti erano scomparsi, destinati a chissà quale fine durante le ultime battaglie di cui la Perla Nera si era ritrovata protagonista. Dopotutto erano passati tanti anni, forse era stato addirittura lo stesso Barbossa a buttarli via.
Delusa e insoddisfatta dall’assenza di materiale da intrattenimento, aveva arraffato una mela e se l’era andata a sgranocchiare in cima al cassero, guardando di tanto in tanto la spiaggia dove vedeva i puntini muoversi avanti e indietro e di tanto in tanto il mare cristallino a poppa.
Per un istante le era parso di scorgere l’acqua ribollire in maniera sospetta, ma poi aveva scosso la testa e si era data mentalmente della sciocca. Non doveva lasciarsi influenzare a tal punto...
Prima che potesse finire di rimproverarsi, però, la campana della chiesa diroccata che aveva individuato sull’isola aveva preso a suonare come impazzita.
Allarmata, era tornata di corsa verso il centro della nave e aveva rubato il cannocchiale a un membro della ciurma.
- Cosa succede? – aveva chiesto Gibbs, avvicinandola.
Attraverso la lente aveva cercato di individuare Jack e gli altri, ormai scomparsi dalla spiaggia e, proseguendo verso la boscaglia, aveva infine visto Lizzie, Pintel e Ragetti. E non erano soli.
Aveva lasciato il cannocchiale al quartiermastro, e quando questi si era voltato atterrito verso di lei non aveva perso tempo.
- Ciurma! Ai vostri posti! Prepararsi alla manovra rapida! Celeri, celeri come se aveste il diavolo alle calcagna! – aveva squillato, correndo avanti e indietro per il ponte a controllare che ognuno stesse svolgendo il suo compito.
La scialuppa li aveva raggiunti in un battito di ciglia e Jack e gli altri si erano riversati a bordo con gli occhi sgranati di panico, Pintel e Ragetti che sorreggevano il corpo senza sensi di William Turner.
- Will! – esclamò Cristal nel corrergli incontro.
I due pirati lo avevano adagiato su una delle grate che chiudevano i boccaporti e Lizzie già si stava prendendo cura di lui.
- Che cosa è successo? – domandò, inginocchiandosi accanto all’amico svenuto e controllando rapidamente che non fosse ferito.
Quello riprese i sensi, mettendo a fuoco a fatica la sagoma di Elizabeth china su di lui. I due si sorrisero, poi Will parlò a fatica.
- Dov’è il Forziere? –
- Norrington lo ha preso per attirarli a sé. – spiegò la figlia del Governatore.
Cristal si voltò verso di lei, poi verso Pintel e Ragetti che stavano cercando di assicurare la scialuppa e infine verso Jack, tallonato da Gibbs.
Nella confusione non si era accorta che James non era tornato con gli altri.
- Dov’è il Commodoro? – domandò Gibbs, che a differenza sua ne aveva notato l’assenza.
- E’ rimasto indietro! – replicò Jack, senza il minimo segno di dispiacere.
Capitan Tempesta balzò in piedi.
- Cosa significa? L’avete abbandonato? E il Forziere? – domandò, improvvisamente pallida.
Fu Will a risponderle, mettendosi a sedere non senza fatica e portandosi una mano alle tempie.
- Jack non lo avrebbe mai lasciato andare se il contenuto del Forziere non fosse stato al sicuro. Norrington deve essere fuggito con un pugno di mosche. –
Ma prima che Elizabeth e Cristal potessero riuscire a scambiarsi uno sguardo preoccupato un rumore assordante sopraggiunse dal mare e un immenso vascello apparve come sputato dai flutti.
L’Olandese Volante aveva fatto la sua entrata in scena.
La nave, possente e ben più grossa della Perla, aveva un aspetto malsano, il legno pareva marcio e l’equipaggio sembrava essere un tuttuno con l’imbarcazione, da tanto quelle creature erano incrostate di sale e molluschi.
Erano uomini? Erano pesci? Cristal non avrebbe saputo dirlo. Probabilmente era l’effetto della maledizione. Al centro del ponte, in piedi accanto alla murata, un imponente individuo dal grande cappello e dal volto tentacolare fissava con odio la nave di Jack. Per un singolo e terribile istante la ragazza incrociò i suoi occhi piccoli e azzurri e sentì il respiro della morte su di sé: quello era Davy Jones.
Sparrow, tuttavia, non sembrava altrettanto spaventato e anzi, apostrofò il Capitano sventolando un grosso vaso di... terra?
- Io ho un vaso di terra! Io ho un vaso di terra! E indovina dentro che c’è! – continuava a cantilenare, senza rendersi conto dell’ira che a mano a mano montava nel nemico.
Will aveva ragione, Jack non avrebbe mai permesso a James di scappare con il contenuto del Forziere privandosi così della sua leva giusta, e questo significava una sola cosa: all’interno di quel grosso barattolo di vetro c’era il cuore di Davy Jones.
Fu quando l’Olandese rivelò le sue bocche da fuoco, decisamente più minacciose dei loro trentadue miseri cannoni, che Sparrow comprese di aver tirato troppo la corda.
- Tutta a tribordo? - azzardò titubante.
- Tutta a tribordo! – urlarono in coro Cristal ed Elizabeth, muovendosi ognuna verso un capo della nave pronte a sbraitare ordini alla ciurma, Will che dava loro man forte e Gibbs già a manovrare il timone.
La Perla virò ad una velocità sorprendente e filò via con il vento in poppa, seguita dall’Olandese, che prese a cannonarli.
Le prime palle caddero in acqua a qualche metro da loro, ma l’ennesima cannonata sfondò in pieno la vetrata del castello di poppa sfasciando completamente il mobile e portandosi via il tavolo.
Un altro colpo andò a disintegrare una lanterna a pochi passi da Gibbs e altre palle caddero in acqua, mentre la distanza fra le due navi si faceva via via più importante: li stavano staccando.
Poi, improvvisamente, l’Olandese ammainò le vele: si erano arresi.
La Perla si animò delle urla di giubilo dei marinai e Cristal andò ad affiancare Jack, che se ne stava alla ruota del timone con espressione soddisfatta.
- Ce l’abbiamo fatta! – esclamò lei, incredula.
Will li raggiunse con un passo.
- Mio padre è su quella nave. L’abbiamo staccata? Riprendiamola! Viriamo e combattiamo! – ordinò a Jack.
Suo padre?! Che cosa diamine si era persa in quelle due ore lontana dal gruppo?!
Si voltò verso Elizabeth in cerca di spiegazioni, ma quella non volle soddisfare la sua curiosità.
- Combattere quando puoi negoziare? Quando hai la giusta leva? – continuò Sparrow, rivolgendo a Will una smorfia divertita e tamburellando le dita sul coperchio del suo vaso di terra.
Ecco, appunto.
Proprio in quel momento, però, una secca diede alla nave un poderoso scrollone e il barattolo cadde a terra, distrutto.
Il suo contenuto si spare sulle assi del ponte e l’espressione di Jack rese evidente la disgrazia: non c’era nessun cuore fra la terra fine e chiara.
Erano stati fregati.
Cristal rimase immobile con una mano ancora aggrappata a una cima, l’improvvisa realizzazione a lasciarle la bocca spalancata.
Le tornò in mente il discorso avuto con James appena prima di avvistare terra, poi ricordò le Lettere di Marca portate da Elizabeth, il pieno perdono a chi avesse consegnato a Beckett la bussola di Jack affinchè la Compagnia delle Indie potesse mettere le mani sul forziere di Jones.
Sconvolta, portò entrambe le mani a coprirsi naso e bocca, trattenendo a stento un’esclamazione: James li aveva traditi.
- Che gran bastardo! -
Come se quella cannonata dritta al cuore non fosse stata sufficiente, William incominciò a sbraitare come un indemoniato, allontanando dal parapetto chiunque vi si trovasse affacciato.
- Che cos’è? – domandò Elizabeth, confusa quanto tutti gli altri.
- E’ il Kraken. –
In men che non si dica la Perla fu un guazzabuglio di grida e passi frettolosi, gli uomini che andavano su e giù dalle scale mettendo mano alle armi, pronti agli ordini di Will.
Cristal scese sottocoperta per sovrintendere ai cannoni, mentre le parole di Bleizenn continuavano ad echeggiare nella sua memoria. Sembrava che ogni più cupo pronostico della vecchia si stesse avverando.
Viscidi e striscianti, i tentacoli della bestia avevano preso ad arrampicarsi su per la fiancata della nave, portando a bordo un silenzio tombale.
L’equipaggio non osava nemmeno muoversi, terrorizzato da quella vista mostruosa, e Will faceva del suo meglio per ottenere l’attenzione degli uomini.
- Calmi voi! Fermi! Fermi... -  continuava a ripetere.
- Will! – lo chiamò Elizabeth dal ponte di coperta, dove i tentacoli ormai superavano la murata e riversavano acqua e viscidume sulle assi.
- Non ancora... – temporeggiò il giovane.
Cristal, gli occhi sbarrati, vedeva le ventose scivolare contro le bocche dei cannoni, mentre esattamente sopra di lei Lizzie indietreggiava appena.
- WILL! -
Al suo “fuoco!” Cristal diede l’ordine agli uomini che erano con lei. Le detonazioni furono contemporanee e assordanti e la carne del Kraken venne stracciata e ridotta a brandelli, i tentacoli squartati e bruciati che si ritraevano controcendosi dal dolore.
Ce l’avevano fatta?
- Ritornerà, abbandoniamo la nave. – sentenziò Will.
Ma c’era un problema che non aveva tenuto in conto: crollando sul ponte, i tentacoli del mostro marino avevano distrutto tutte le scialuppe.
Will tacque per una manciata di secondi, ragionando sul da farsi, poi espose il suo piano.
Avrebbero dovuto radunare tutti i barili di polvere da sparo e, in assenza di esplosivi migliori, anche il rum che era avanzato. Raccolti tutti quanti in una delle grandi reti della stiva, li avrebbero issati nella speranza di attirare il Kraken nella trappola e poi far detonare il tutto con un colpo di fucile.
Un piano senz’altro geniale se la bestia non fosse tornata all’attacco prima che avessero potuto completarne la prima parte.
Ancora una volta i tentacoli presero a stringere la Perla in una morsa, abbattendosi su chiunque trovassero sul loro cammino.
Gli uomini venivano catturati e gettati in mare, le ossa spezzate dalla presa del mostro.
- Ahès, Ahès, mandamela buona! – esclamò Cristal, terrificata, stringendo la sua collana e guardando con orrore la devastazione attorno a lei.
- Elizabeth! Spara! – gridava intanto Will, appeso alla rete e circondato dai tentacoli.
Ma Elizabeth, il fucile fra le mani e la mira già presa, cadde a terra, trascinata dall’orrenda creatura finchè Pintel e Ragetti non riuscirono a liberarla dalle sue grinfie a colpi di accetta.
- Will! Vattene da lì! – gridò Cristal cercando lei stessa un fucile per poter prendere il posto di Elizabeth.
Will finalmente si liberò e si lasciò cadere sul ponte, il Kraken che ormai aveva avvolto nelle sue spire l’esca di esplosivo.
Nella follia più totale, un proiettile fischiò nell’aria e andò a colpire i barili.
Per un istante fu solo fuoco e rumore, mentre il mostro di Jones soccombeva all’esplosione e brandelli di tentacoli fumanti cadevano sul ponte.
Cristal si accucciò e portò le braccia a proteggerle il capo, poi, quando fu certa di non essere più in pericolo, si voltò verso poppa: il colpo alla fine era stato sparato da Jack Sparrow.
Improvvisamente a bordo fu il silenzio.
Il Kraken aveva mietuto le sue vittime, e fra i suoi resti ancora ardenti i pochi che erano sopravvissuti adesso si aggiravano con aria sconvolta.
L’odore di morte e carne bruciata rendeva l’aria pesante e raschiava la gola, facendo lacrimare gli occhi.
Gibbs continuava a fissare le onde annicchilito, il volto sporco di sangue e fuliggine e i capelli arruffati.
- Capitano, ordini? – fece poi, correndo verso Jack.
Quello scese le scale a passo deciso e gli mise fra le mani il fucile che li aveva salvati tutti.
Le sue parole, però, non furono quelle che si aspettava.
- Abbandonate la nave, nella barcaccia. –
La Figlia della Tempesta rimase immobile mentre Gibbs esternava il suo disappunto e la sua preplessità.
Jack voleva abbandonare la nave. Abbandonare la Perla.
Ritornò con la mente a quella notte lontana a bordo del Nausicaa quando aveva sentito per la prima volta la storia di Sparrow e della sua nave, ricordò l’attaccamento disumano, l’amore che l’uomo provava nei confronti di quello scafo, di quelle vele, di quel nome e quel simbolo che aveva atteso e cercato per tutta una vita.
Davvero era pronto ad abbandonarla?
Davvero era pronto ad arrendersi?
- Andremo via mentre stritola la Perla. – suggerì Will, con l’approvazione degli altri.
- Jack... – esalò Cristal, il nodo in gola sempre più difficile da ignorare.
Quello levò lo sguardo su di lei, ma non disse nulla.
- Abbandonare la nave. Abbandonare la nave o ogni speranza. – ordinò infine Gibbs, grave.
Quello che rimaneva dell’equipaggio radunò ciò che poteva servire e lo caricò sulla barcaccia, iniziando a prendere posto sulle panche e attendendo gli altri.
Cristal mosse qualche passo lungo il ponte, accarezzò il parapetto scheggiato, lasciò che il suo sguardo si arrampicasse su per la maestra e accarezzasse le vele nere.
Quella nave l’aveva presa prigioniera e si era trasformata in un luogo che aveva imparato a chiamare casa.
“Ho sempre pensato che casa fosse il luogo dei ricordi” le aveva detto un giorno Elizabeth. Adesso, gli occhi gonfi di lacrime nel dover abbandonare la Perla Nera e tutto ciò che aveva significato, la giovane si chiedeva se non avesse sempre avuto ragione l’amica, fin dal principio.
- Coraggio, Cristal... – le sussurrò dolcemente Gibbs circondandole le spalle con un braccio con fare protettivo e conducendola piano verso la scialuppa.
Elizabeth fu l’ultima a lasciare la nave e prendere posto fra le panche, fra Will e l’amica d’infanzia.
- Dov’è Jack? – chiese Will.
- Ha scelto di rimanere per darci una chance. – sentenziò lei, seria come non mai.
- Andiamo! – li incalzò poi quando vide che nessuno accennava a muoversi.
La scialuppa si allontanò lentamente dalla fiancata della Perla, condotta dai flutti verso la salvezza, ma nessuno si sentiva salvo per davvero.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi Cristal scattò in piedi, rischiando di far cadere in acqua Gibbs.
-  No! No, dobbiamo tornare indietro! – esclamò, il respiro improvvisamente corto.
Aveva colto in ritardo il significato delle parole dell’amica, e adesso si rendeva conto di quanto già la barcaccia fosse lontana dalla fiancata della Perla.
Elizabeth non rispose, Will chinò il capo.
- No! Non possiamo! Non possiamo lasciarlo lì! Jack! JACK! – prese a gridare, sconvolta.
Fece per tuffarsi, ma Gibbs la prese per le spalle prima che riuscisse ad abbandonare la scialuppa.
- Cristal, calmati! Stai calma! – cercò di farla ragionare, ma lei era ormai fuori di sé.
Jack era là, solo sul ponte, senza aiuto, senza nessuno, e il Kraken avanzava famelico.
- Non possiamo, non possiamo! – continuava a gridare cercando di dimenarsi dalla presa salda dell’uomo.
Quello la strinse di più contro il suo petto, portando istintivamente una mano ad accarezzarle i capelli nel tentativo di placare i suoi singhiozzi.
- Dobbiamo salvarlo, non possiamo abbandonarlo, non possiamo... – continuava a mugolare disperata, lo squarcio nel cuore che stava cercando di ricucire improvvisamente riaperto, improvvisamente violato da quel tradimento a cui non poteva sottrarsi, a quel destino infame che era costretta ad assecondare.
Con le lacrime a scorrere copiose lungo le sue guance osò guardare oltre la spalla di Joshamee Gibbs: ormai troppo distante perchè potessero fare qualsiasi cosa, la Perla Nera soccombeva fra le grinfie del Kraken.
A bordo, abbandonato da tutti, il Capitano affondava con la nave.
 











- Questo non lo accetto! –
Le conchiglie di Bleizenn Gwrac’h erano cadute a terra sotto la furia del Faucon du Nord, in piedi con le mani sbattute sul tavolo.
La sacerdotessa, seduta di fronte alla sua divinazione sparpagliata in ogni direzione, guardava il pirata livida di disprezzo.
- Non sta a te decidere del destino degli altri, Faucon. – sibilò, calcando bene l’accusa nel pronunciare il suo nome.
La stecca d’incenso aveva terminato di bruciare da ormai dieci minuti, ma nessuno si era premurato di sostituirla, il litigio a portare tuoni e saette nella piccola stanza ricolma di oggetti.
Fuori diluviava, e la pioggia sferzava i vetri alle finestre così come le parole nell’aria sferzavano l’anima.
Il Faucon du Nord fremeva di rabbia, i pugni ora stretti lungo i fianchi e le narici dilatate dall’ira bruciante.
- Giusto, a quello ci pensate tu e Ahès! E’ di vostra competenza spedire la gente a morire per il bene superiore! – sbottò.
Fu il turno della vecchia di alzarsi in piedi, la sua bassa statura resa imponente dal veleno nelle iridi chiare.
- Non osare! E poi non mi sembra sia mai stato un problema per te sacrificare il tuo prossimo per un bene superiore, se questo coincideva con il tuo! – tuonò nel fare un passo avanti, l’indice accusatore puntato di fronte a sé.
L’ospite, il salino ancora appiccicato alla pelle e gli stivali lerci di fango dal suo ultimo viaggio, serrò le labbra e avvampò.
- Sai bene che non ho mai fatto nulla di tutto questo! Ogni mia azione negli ultimi vent’anni è stata fatta per proteggerla! Se avessi saputo che saremmo giunti a questo punto non avrei mai permesso che ripartisse! – si giustificò.
Bleizenn rise di una risata ironica e pungente, il rimprovero ad affiorare assieme al sarcarsmo.
- Certo! E l’avresti tenuta nell’ignoranza per altri vent’anni! – fu la sua accusa sprezzante.
- Bleizenn, l’hai mandata a morire! L’hai spedita a Shipwreck Cove con una flotta che fa vela sulla Baia, Jones a briglia sciolta e la mia stramaledetta conchiglia al collo come un cappio! –
Tacque un istante, poi continuò, il tono meno violento ma ancora rabbioso.
- La Canzone è stata cantata. Le acque non sono più sicure, la vostra protezione non basta più! – incalzò, la voce troppo acuta a tradire un cedimento.
Bleizenn raccolse le conchiglie con un gesto stanco mentre la cera colava lenta lungo le candele che illuminavano la stanza.
- Quando giungesti a me la condizione era critica. La Morte era già china su di te, hai evitato il Bag-Noz per un soffio. Da quel giorno ho vegliato su ogni tuo passo, ti ho offerto consiglio, protezione, un luogo in cui tornare se tutto fosse crollato e l’Oceano ti si fosse rivoltato contro. Ho accolto Cristal Cooper senza chiedere nulla in cambio, le ho dato speranza quando avrei voluto darle verità e ho cercato di evitarle ogni pericolo senza contravvenire al tuo volere, per rispetto. Sin da quando l’ho tenuta fra le braccia per la prima volta ho saputo che la sua vita sarebbe stata sempre sul filo del rasoio e non te l’ho mai nascosto, ma tu hai voluto fare di testa tua e io non ho potuto che arginare i danni, prepararmi al peggio e sperare che non si verificasse. Non imputare a me un destino che non sono stata io a scegliere per lei. – la sua voce era adesso calma, l’oltraggio sostituito da una pietà lieve, da un affetto denso e preoccupato.
Il Faucon du Nord, terrore e leggenda dei mari della vecchia Europa, tacque ancora, le labbra ora pallide e gli occhi velati di consapevolezza, di paura e di rimorso.
Sapeva che la sacerdotessa aveva ragione.
- Bleizenn, è mia figlia! Che cosa dovrei fare? – esalò, vulnerabile come mai prima di allora.
Bleizenn Gwrac’h fissò lo sguardo in quegli occhi grigi e disperati e sospirò, condividendo la stessa paura nonostante il disappunto.
- Comportarti di conseguenza, Marion Hawke. -

















 
Note:

Salve a tutti, miei adorati lettori!
Incredibilmente sono riuscita a pubblicare entro i due mesi dallo scorso capitolo, non credevo che ce l'avrei mai fatta.
La cosa buffa è che ho scritto quasi ogni giorno da quando ho pubblicato il 22, con il ritmo straziante di una o due righe al giorno fino a quando non mi sono fatta forza e ho deciso di averci messo anche troppo.
E' stato un capitolo tosto da scrivere, non tanto per lo svolgersi della trama che è sostanzialmente identico al film, quanto per i dialoghi. E' la prima volta in assoluto che i dialoghi mi danno così tanto filo da torcere...
Questo è più che altro un capitolo di "ideologie". E' dal lontano capitolo 7 che James e Cristal non riuscivano a parlarsi così, con il cuore in mano, e ancora una volta i due hanno dato prova di viaggiare suelle famose strade parallele di cui Cris aveva parlato tanti anni prima. Mi sono divertita in maniera malsana a descrivere il disinnamoramento di questi due personaggi, l'amarezza del non riconoscersi più in quella figura idealizzata che avevano costruito l'uno dell'altra negli anni di lontananza. Era giunto il momento di scendere a patti con la realtà, e ognuno dei due ha finalmente scelto da che parte stare, una volta per tutte.
Mi è piaciuto anche inserire qualche scena di vita di bordo come il giro di canzoni dopo cena. (Per inciso, la canzone cantata da Gibbs e Cris è Drunken Sailor e quella cantata da James è Spanish Ladies in questi arrangiamenti)
Nel frattempo, Jack è stato ingoiato intero dal Kraken e Cristal -anche se non ha esattamente avuto il tempo e la calma per pensarci- si è ritrovata ancora una volta senza il suo passaggio per Shipwreck Cove.
Insomma, in fin dei conti anche questo è stato un altro dei soliti capitoli di transizione in attesa della vera azione in arrivo.
A parte per Bleizenn, che si è rotta le scatole di parlare per enigmi e ha svelato il plot-twist.

Come sempre grazie mille a tutti voi che leggete,

Kisses,
Koori-chan che fugge dai forconi per un plot-twist del cavolo. <3

 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***





Capitolo Ventiquattresimo~









L’aria era densa all’interno della palude, spessa e pesante come una coperta bagnata. Affaticava i polmoni, annebbiava la vista, rallentava i movimenti.
Persino la scialuppa sembrava risentire dell’umidità, avanzando a fatica nel silenzio aiutata dai remi.
Cristal se ne stava seduta senza parlare, lo sguardo puntato all’acqua torbida e melmosa sotto di loro. La luce si era fatta rada, sostituita da una penombra soffocante, da un fogliame fitto che come tende copriva la vista del cielo.
Forse era già notte, forse era l’imbrunire, non avrebbe saputo dirlo con certezza.
Le lacrime si erano esaurite in fretta, ma il dolore non aveva fatto altro che crescere in lei, aumentare di volume fino a spingere contro le pareti della sua anima.
Jack era morto, la Perla affondata e lei, ancora una volta, non aveva potuto fare nulla per invertire la rotta del destino.
Da quando avevano lasciato la battaglia nessuno aveva osato proferire parola, ed era stata Elizabeth, quando la vegetazione aveva incominciato ad accoglierli, a rompere il silenzio.
- Dove stiamo andando? – aveva domandato con un filo di voce.
Era stato Gibbs a risponderle, l’unico a sapere verso quale attracco stessero remando.
- Da Tia Dalma. Forse può aiutarci. – aveva mormorato.
Al suono di quel nome Cristal si era abbandonata ad una risata terrificante, gutturale ed estranea alla sua anima, una risata talmente crudele da aver spaventato gli altri.
Tia Dalma.
Alla fine era destino che si recasse da lei, dopotutto.
Ma a che pro? Hector era morto, Jack era morto, James non era nemmeno più un ricordo felice ormai, e tutto quello che aveva erano solo rimpianti e fallimenti accumulati con infallibile dedizione.
Sarebbe servito a qualcosa scoprire l’identità del Faucon du Nord?
Poi però ripensava alle parole ansiose di Bleizenn, a Harvey fermo sotto la pioggia di Brest, alle Lettere di Marca di Elizabeth, e lo spettro di una guerra alla pirateria le riportava un minimo di buon senso nel cuore. Quella faccenda non riguardava più soltanto lei.
A mano a mano che la barcaccia procedeva apparivano volti nell’oscurità, illuminati da moccoli di candela offerti come in omaggio al grande pirata caduto, quasi avessero saputo il motivo della loro presenza in quel luogo.
La processione li condusse fino a una palafitta e fu così che Cristal la incontrò, in piedi sulla porta con il viso mulatto teso in una smorfia indecifrabile, gli occhi scuri sbarrati e spaventosi e le mani livide attorno alla balaustra di legno marcio.
- E quindi tornate a me, sconfitti. – fu il suo benvenuto in un accento strano, che sapeva di alghe e di risacca.
- Vedo un volto di meno e due di più. Venite, sedetevi, perché sento che il vostro cuore è affranto e il vostro corpo necessita cure. –
Elizabeth le rivolse un lungo sguardo silenzioso, poi scivolò all’interno della catapecchia assieme agli altri.
Cristal rimase in fondo alla fila, il capo chino mentre muoveva il primo passo. Ma la strada le era sbarrata dalla figura snella e tuttavia imponente di Tia Dalma. Era come se la sua anima occupasse tutto lo spazio dell’ingresso con una certa prepotenza. La fissava dritta negli occhi, come se si fosse aspettata qualcosa da lei.
La ragazza esalò un sospiro stanco, memore delle parole di Bleizenn.
- Vi porto i saluti della sacerdotessa di Ahès. – incominciò, ma la strega della palude la interruppe bruscamente con un tono a metà fra il compassionevole e il diffidente.
- So chi sei e con che quesiti giungi, Figlia della Tempesta. Conosco lo spessore del tuo sangue. – sentenziò.
- Ma prima di affrontare questo discorso hai bisogno di sederti e lasciare che ciò che ti tormenta si sedimenti almeno per un po’. – aggiunse, portandole una mano sulla schiena e sospingendola verso l’interno.
Cristal sobbalzò. Per un assurdo e rapidissimo istante aveva avuto come la sensazione che dalle dita della donna profonde e crudeli radici si fossero ancorate al suo cuore. Quando tuttavia, pallida e spaventata, incontrò il suo sguardo, non vi era alcuna traccia di cattiveria. Solo tristezza, solo stanchezza.
Dal di dentro la dimora di Tia Dalma era ancora più bizzarra che dall’esterno. Un caos di ciarpame di ogni sorta era appoggiato su tavoli, scaffali e persino per terra, bottiglie e gabbie pendevano dalle travi del soffitto e moccoli di candela dai lumini guizzanti erano un po’ dappertutto. Vi era una ripida scala di legno dai gradini stretti che conduceva a un soppalco, e Gibbs ne lasciò l’ultimo per cedere il posto a Cristal.
- Vieni, siediti qua… - le sussurrò, gli occhi asciutti e l’anima spezzata. Non rimase con lei: non appena si fu seduta girò sui tacchi e raggiunse la porta, dando le spalle agli altri.
Definire “silenzio” quella statica attesa di qualcosa di ignoto sarebbe stato errato, perché una miriade di suoni diversi animavano la loro sconsolatezza. C’era il flebile sciabordio dell’acqua ai piedi della palafitta, il continuo tirare su col naso di Ragetti, il dondolio delle bottiglie appese e il coltello che Will continuava a lanciare contro il tavolo, senza preoccuparsi che Tia Dalma potesse risentirsene.
E poi c’erano i loro pensieri, rumorosi e scomodi e invadenti che si spintonavano l’uno con l’altro senza lasciare spazio all’intimità, pensieri chiassosi e inopportuni come Jack.
La padrona di casa sparì per qualche minuto e ritornò con un vassoio carico di boccali.
- E’ contro il freddo. E il dolore… - spiegò nel porgerne uno ad Elizabeth.
Cristal rifiutò, consapevole che se avesse ingerito qualsiasi cosa in quel momento l’avrebbe vomitata immediatamente.
La donna scivolò oltre e si accucciò accanto a Will.
- E’ un peccato. – disse.
- Lo so che pensavi che con la Perla potevi catturare il Diavolo e liberare l’anima del padre tuo. –
Will non fu colpito da quella dimostrazione di compassione.
Continuò a lanciare il suo coltello, nervoso e quasi arrabbiato.
- Non importa, ormai. La Perla è morta e con lei il suo capitano. – sentenziò.
- Sì. – gli fece eco Gibbs, ancora sulla porta.
- E già il mondo sembra aver perso un po’ della sua luce. Ci ha imbrogliati tutti, fino all’ultimo, ma alla fine ha avuto il sopravvento la sua vena di onestà. – considerò, levando in alto il boccale in un brindisi al compagno di tante avventure.
- Non ci sarà un altro Capitan Jack! – mugolò Ragetti unendosi al brindisi.
- Era un pirata gentiluomo, questo era! – gli diede man forte Pintel, nelle stesse miserabili condizioni.
- Era un brav’uomo. – fu il contributo di Elizabeth, che alzò il boccale frettolosamente, gli occhi puntati altrove.
- Era… -
Cristal non proseguì.
Cosa avrebbe potuto dire? Cosa era stato Jack Sparrow, per lei? Un collega, un amico, un fratello. Era stato qualcuno a cui avrebbe volentieri tirato il collo, eppure era anche un uomo per cui si sarebbe messa in gioco, sempre. Era stato il suo idolo d’infanzia, inconsapevole compagno di mille e mille giochi, idea e ideale; era stato il suo maestro e molto di più.
Jack era stato il suo inizio, il suo riscatto, la sua scommessa e la sua liberazione, quel Luglio lontano nel caldo sole di Port Royal.
E adesso era un corpo morto, muto.
Un ricordo, nulla di più.
Non concluse, dopotutto non aveva nemmeno di che brindare.
Poi, come un’eco lontana, la voce di Will spezzò il silenzio.
- Se qualcosa si potesse fare, pur di riaverlo… -
La Figlia della Tempesta alzò lo sguardo giusto in tempo ver vedere Tia Dalma sgusciare veloce verso di lui.
- Tu la faresti? – domandò, quasi accusatoria. Poi si voltò verso Elizabeth, sulle labbra un sorriso simile a un ghigno.
- E tu? Che faresti? Che sarebbe disposto a fare ognuno di voi? – continuò a inquisire, a voce più alta.
- Fareste vela ai confini del mondo e ben oltre, pur di riavere il brillante Jack e la sua preziosa Perla? –
Seguì un silenzio denso di domande, ma Gibbs fu più svelto di tutti, quasi non avesse aspettato altro che quell’interrogativo.
- Sì. – replicò senza paura, lo sguardo fermo e il tono deciso.
Fu un coro di “” ad unirsi al suo, e quando il penetrante sguardo della strega si fu posato su di lei, duro e tuttavia impaziente, Cristal non poté fare a meno di sorridere, lo stesso sorriso agrodolce che dedicava ai ricordi di casa.
- Ovviamente. –
E fu in quel momento che ebbe la sensazione che non solo Tia Dalma li avesse aspettati, ma che sapesse da tempo che quel giorno sarebbe arrivato, che proprio loro sarebbero giunti a lei in quel modo, con quelle necessità.
Vide il suo ghigno aprirsi, attraversato da un brivido di euforia e sentì il cuore fermarsi, consapevole che c’era qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione.
- D’accordo… - concesse loro la donna, soddisfatta.
- Ma se dovrete sfidare le infestate e arcane coste dei confini della Terra… Allora vi occorrerà un capitano, uno che conosca quelle acque! – e a quella dichiarazione si voltò di scatto verso Cristal.
Quella inarcò le sopracciglia e strabuzzò gli occhi, spiazzata.
- Io?! – ma la sua flebile domanda venne coperta da un suono diverso, pesante e ritmato, un suono di passi.
Qualcuno stava scendendo le scale.
Cristal si voltò; la scala e ciò che vi era appeso le impediva la visuale, così si alzò in piedi e indietreggiò di un passo, sul chi va là.
Ma qualsiasi cosa avesse in progetto di fare al misterioso individuo svanì completamente dalla sua coscienza, sostituita da un nulla completo dalle forme di un lungo fischio silenzioso.
I passi si erano arrestati.
- Orsù, ditemi! Che ne è stato della mia nave? –
Il cappello ben calato in testa, la scimmia sulla spalla e una mela verde e lucida fra le mani, di fronte a lei c’era Hector Barbossa.
L’uomo si lasciò andare ad una risata sgraziata e sinceramente divertita di fronte a tutte quelle espressioni sbigottite, e non si era ancora spenta che i presenti già avevano iniziato a parlare e imprecare e sbottare tutti insieme, portando nella piccola catapecchia un trambusto incredibile.
C’era chi si era avvicinato, chi aveva fatto un passo indietro, chi gesticolava e chi incredulo sbatteva ripetutamente le palpebre e annusava il contenuto del proprio boccale.
Cristal Cooper invece era ancora lì, ai piedi della scala con la bocca spalancata e le orecchie che fischiavano sempre più forte. Le ci vollero gli occhi blu del pirata fissi nei suoi affinché serrasse le labbra e gli aprisse giacca e camicia con un gesto violento e inaspettato.
Sulla pelle chiara dell’uomo, all’altezza del cuore, vi era una cicatrice biancastra, la prova del suo peccato.
Scioccata, fece un passo indietro e si portò entrambe le mani alla bocca.
- Tu sei morto… - mormorò.
Poi si voltò verso Tia Dalma, che la stava guardando con il suo ghigno trionfante.
- Lui è morto! Come è possibile? Lui era morto, io ero lì! Io l’ho… Io l’ho… - ma tacque, la sua bocca che si rifiutava di pronunciare quella parola.
Tia Dalma rise dolcemente.
- Il Mare ascolta sempre una preghiera sincera… - spiegò.
Come l’Oceano sa togliere, esso sa anche restituire.
Cristal andò istintivamente a guardare la sua collana e non notò l’occhiata di rimprovero che Barbossa aveva scoccato alla donna.
- Che piacere ritrovare tutti questi volti amici! – fece poi lui con macabra ironia: fra i presenti, una persona aveva cercato di ucciderlo e in due c’erano riuscite.
- Hec… - ma la ragazza non riuscì nemmeno a pronunciare il suo nome per intero: si portò repentinamente una mano alla bocca e l’altra ad artigliare la camicia e, senza attendere un secondo di più, si fiondò fuori dalla catapecchia, piegata in avanti sulla balaustra in preda ai conati.
- Cris! – Elizabeth le fu accanto in un attimo, preoccupata e spaventata da quella reazione, ma l’amica agitò una mano come a dirle di non crucciarsi e rimase qualche momento a occhi chiusi, cercando di processare il più velocemente possibile quello che era successo in quegli ultimi minuti.
Pallida come la morte, si passò una manica sulle labbra e tornò a rivolgere l’attenzione all’interno della casa di Tia Dalma, dove tutti la guardavano come se fosse ammattita di colpo.
- Scusatemi, è stato… - inspirò a fondo, in cerca di parole, ma non aveva nulla da dire.
Hector Barbossa era vivo. Parlava, respirava, rideva. Ed era davanti a lei.
Non capiva più niente.
Fu la legittima domanda di Ragetti a sbloccare quella situazione surreale e a interrompere a metà strada Will, che stava cercando di raggiungerla per assicurarsi che stesse bene davvero.
- Quindi ora Capitan Barbossa ci aiuterà a ritrovare Capitan Jack? –
- Ironico… - gli fece eco Pintel, la sua solita aria sfacciata nuovamente in volto.
Il redivivo roteò gli occhi e sbuffò.
- La Canzone è stata cantata. Una guerra si profila all’orizzonte. La Fratellanza va riunita a consiglio. – spiegò, teatrale e misterioso come sempre.
- La Fratellanza? – chiese Elizabeth, confusa.
- Andremo a Shipwreck Cove? – fece Cristal, spaesata quanto lei.
Tia Dalma si fece avanti nel suo incedere solenne e quasi regale.
- Non prima di aver trovato Jack Sparrow. Ma le rotte per lo Scrigno di Davy Jones sono impervie ed ingannevoli, ed è delle Carte Nautiche adeguate che necessitiamo. –
- Carte Nautiche che sono in possesso di Sao Feng di Singapore. Per il momento. – completò Barbossa con un’espressione eloquente.
- Quindi rotta su Singapore? – chiese conferma Will, decisamente meno spiazzato di Gibbs che aveva ancora la bocca spalancata e gli occhi strabuzzati.
Cristal rivolse lo sguardo a Barbossa, curiosa e al contempo inquieta. Quando l’uomo portò le iridi ad incontrare le sue voltò il capo di scatto, incapace di affrontare la paura.
Quante volte in quei mesi aveva sognato di ritrovare Barbossa?
Quante volte, nel sogno, gli correva incontro e lo abbracciava come avrebbe abbracciato un padre, stretto al cuore per non perderlo mai più?
Quante volte, a Tortuga, a Brest o in una branda in mezzo all’Atlantico si era svegliata con una voragine al posto dell’anima e le lacrime a rinfacciarle la realtà?
E adesso che la sua preghiera era stata ascoltata, che quel bizzarro legame che aveva scoperto di voler chiamare famiglia era stato strappato alle onde e a lei restituito, non riusciva a reagire, impietrita dalla paura di svegliarsi un’altra volta e scoprirsi nuda nella sua ingenuità, scoprirsi tradita dalla sua debolezza.
Con le pupille inchiodate al pavimento non si accorse del fremito di delusione che aveva attraversato il volto del pirata.
Quando Hector Barbossa rispose alla domanda di Will, decretando il primo obbiettivo della loro nuova avventura, quel sentimento era già svanito dalla sua voce.










 
Per Will, Elizabeth e Gibbs doveva essere stato strano abituarsi ad essere agli ordini di Barbossa, eppure la piccola goletta su cui erano riusciti a mettere le mani filava fendendo le onde nel migliore dei modi possibili. Il comando era preciso e organizzato e la ciurma, sebbene un poco intimorita, eseguiva di buon grado tutte le mansioni.
Nonostante il vago senso di soggezione si chiacchierava molto, si cantava spesso, e Cristal trovava sempre il tempo per raccontare qualcuna delle sue storie. Anche Tia Dalma le stava a sentire, incantata dalla sua capacità di inventare personaggi e ricamare dettagli, eppure la ragazza aveva sempre la sgradevole sensazione che la sacerdotessa la giudicasse, la tenesse d’occhio in cerca di una falla, di un errore. Anche se non ne aveva mai dato prova esplicita, sapeva di non piacerle.
In generale cercava di trascorrere la maggior parte del suo tempo con Elizabeth, perché l’amica era la sola che sapesse ciò che agitava il suo cuore e la sua compagnia la faceva sentire al sicuro, le faceva posticipare il momento in cui avrebbe dovuto affrontare se stessa.
Per il resto cantava, cantava molto di più di quanto non avesse mai fatto, perché i silenzi le erano insopportabili e le parole non sembravano mai essere quelle giuste.
Barbossa, dal canto suo, non l’aveva più cercata da quando la sua reazione al suo ritorno era stata vomitare istintivamente. Sperava che non si fosse offeso, ma conoscendolo era poco probabile. In effetti la sua accoglienza non era proprio stata delle migliori…
Jack e Hector, il suo inizio e la sua fine.
Era incredibile come i destini di quei due uomini fossero così indissolubilmente intrecciati al suo: Jack, che aveva promesso di condurla a Shipwreck Cove, si era inabissato ed ecco che Hector riemergeva, pronto a mostrarle la via. Bisognava convenire che era stato molto da accettare per una giornata sola.
Quella sera, lungo le coste del Brasile, l’aria era calda e il lavoro quasi concluso e Cristal se ne stava a babordo, appoggiata alla murata a guardare i flutti infrangersi lungo la fiancata della nave.
Era quasi ora di ritirarsi sottocoperta per il turno di riposo, ma aveva finito le mansioni e sembrava che anche gli altri fossero a posto, così si era concessa qualche minuto di tranquillità sul ponte, l’aria che le scompigliava i capelli e le asciugava il sudore sulla fronte.
Stava cantando una vecchia canzone imparata alla bettola di Erwann, e per una volta la sua testa era libera dai pensieri e dalle preoccupazioni. C’era solo il vento, in quel momento. C’era solo il mare.
- Un peu d’eau et de sel juste pour me souvenir que derrière les nuages du ciel se cache ton sourire! 1– canticchiava piano, ma tacque quando qualcun altro intonò il ritornello assieme a lei.
- Juste un peu d’eau sur les lèvres, juste pour me souvenir de ce dernier baiser amer juste avant de t’enfuir.2 – la voce, intonata oltre ogni previsione, era quella di Barbossa.
La giovane trasalì nel trovarselo alle spalle, ma cercò di non darlo a vedere.
- Sai cantare? – chiese invece, sinceramente stupita da quella scoperta.
- Cioè, intendo dire… tu canti? – si corresse con scarso risultato.
L’uomo abbozzò un sorriso e la raggiunse alla murata.
- La cosa ti sorprende? – ma non sembrava offeso, forse solo un poco ferito nell’orgoglio a quella dimostrazione di scarsa fiducia nelle sue doti.
Cristal si strinse nelle spalle.
- Beh, abbastanza… Non ti facevo un tipo da canzoni…. – ammise. Nel tempo trascorso assieme in prigionia non ricordava di averlo mai sentito unirsi ai suoi canti.
Barbossa sospirò e si tolse il cappello, i gomiti poggiati sul legno umido.
- Cristal Cooper, sono tante le cose che ignori di me. – dichiarò con aria misteriosa.
- E dopotutto la Perla non era certo un luogo che facesse venire voglia di cantare… Eccetto a te, ovviamente! – e si lasciò andare ad una risata bassa e personale alla quale Cristal non partecipò se non con un debole sorriso.
Fu silenzio, Hector che si rigirava il cappello fra le mani e Cristal accanto a lui a respirare rumorosamente.
- Perché l’hai fatto? –
La domanda del capitano fu violenta e improvvisa come uno schiaffo.
- Cosa? – balbettò lei, fingendo di non aver capito, ma Barbossa non era mai stato amante della falsa ingenuità.
- A Isla de Muerta. Perché hai dovuto intrometterti? Quella era una faccenda che non ti riguardava. Era una cosa fra me e Jack, che avevi da guadagnarci? – si premurò di riformulare bruscamente il quesito di modo che non vi fosse più nulla da rettificare, ma la reazione della ragazza alla sua freddezza impostata lo spiazzò.
Le sue labbra sottili si tesero spontaneamente verso l’alto e alla luce delle lampade ebbe quasi l’impressione che fosse arrossita.
- La faccenda non mi riguarda… Non ci guadagno nulla… - lo scimmiottò, roteando gli occhi.
- Ti riesce proprio difficile pensare che magari l’ho fatto perché ti voglio bene? – si ritrovò a ribattere, molto più onesta e diretta e sincera di quanto non avesse mai voluto nemmeno osare.
Barbossa serrò la mascella e le rivolse uno sguardo tagliente.
- Non scherzare! La mia era una domanda seria. – sbottò, indispettito.
Ma anche gli occhi grigi della giovane si fecero duri.
- Anche la mia risposta lo era. –
Fu solo una frazione di secondo, ma Cristal avrebbe giurato che fosse stato lui ad arrossire, a quel punto.
Tornò a guardare le onde, il respiro rotto dal desiderio di fuggire sottocoperta e piangere al riparo degli sguardi di tutti, ma improvvisamente qualcosa le nascose in parte la visuale.
Hector le aveva piazzato il suo cappello sul capo ed era scoppiato a ridere, una risata profonda e sincera diversa da tutte le altre, una risata che scaldava il cuore ma che al contempo la metteva in imbarazzo. Stava ridendo di lei? Rideva per quello che gli aveva detto? O forse per come glielo aveva detto? Ringraziò la testa larga del cappello che le copriva gli occhi e impediva all’uomo di vedere la sua espressione completamente persa, salvo poi rendersi conto con uno strano brivido che probabilmente Hector l’aveva fatto apposta.
- Sei di certo il pirata più bizzarro e atipico che io abbia mai incontrato. Questa tua onestà è davvero qualcosa di difficile a cui abituarsi… - tacque alcuni istanti, poi parlò ancora.
- Guarda il cielo. – ordinò.
Cristal si voltò verso di lui, lo sguardo che implorava pietà, ma l’uomo rinnovò il comando e la ragazza si vide costretta ad obbedire.
Alzò la testa, il cappello che le sfiorava la schiena, e a quel punto capì.
Su di loro, quieta e benevola, risplendeva la luna piena.
Barbossa esibiva una smorfia soddisfatta e Cristal si rese conto che era la prima volta che poteva vedere la sua pelle sotto la luce bianca della luna, la prima volta che poteva vedere l’ombra annidarsi lungo le rughe del suo viso e i pallidi bagliori segnare il suo profilo e fargli luccicare gli occhi nel buio.
Non solo Hector era vivo, ma era libero, soprattutto.
- Avevo dimenticato quanto potesse essere bella. – commentò, ripensando forse a tutte le notti in cui l’aveva maledetta, solo nella sua cabina, in fuga da quei raggi dannati che gli ricordavano la sua condizione.
- Anche io. – confessò Cristal.
Il Capitano inarcò un sopracciglio, incuriosito, ma la ragazza non aggiunse altro, così fu lui a riprendere la conversazione, quasi si fosse trattato di un discorso che avevano già intrapreso e lasciato a metà.
- Eppure quello che non riesco a capire è come tu sia finita ai comandi di Jack. Che ci facevi a Isla de Muerta con lui? –
La figlia del fabbro inclinò appena la testa di lato, le piume del cappello a spostarsi con lei.
- Davvero non lo sapevi? Elizabeth e Will erano i miei migliori amici. Io ero di Port Royal, rapendo Liz hai praticamente mobilitato tre quarti della mia infanzia! Non potevo mancare! – ridacchiò, ripensando a quanto in effetti a causa di quella storia avesse finito per ritrovare persone che credeva non avrebbe visto mai più.
- Ero rimasta senza ciurma da qualche giorno e stavo cercando qualcuno che potesse portarmi a Shipwreck Cove per capire cosa si aspettano da me ora che sono Pirata Nobile, così quando ho saputo che Jack reclutava… - ma Barbossa la interruppe bruscamente.
- Pirata Nobile?! Vuoi dirmi che sei Capitano? –
Cristal si rese conto che non aveva mai avuto il tempo per aggiornarlo su ciò che le era successo dopo che aveva lasciato la Perla. In effetti Hector non sapeva nulla di lei in quegli ultimi anni, ignorava tutti i suoi progressi e le amicizie che aveva stretto, ciò che aveva scoperto e ciò che aveva perso.
- Ormai ho raccontato questa storia talmente tante volte che non mi sembra nemmeno più la mia… - esordì con un sospiro.
Ma in realtà non le dispiaceva: una piccola parte di sé adorava ricapitolare le sue avventure. In un certo senso parlarne ad alta voce le legittimava, le rendeva più reali.
Quando ebbe concluso di riassumere tutto il tempo passato lontana da lui e di riempire le lacune di ciò che gli aveva narrato all’epoca, Barbossa alzò entrambe le sopracciglia, sopraffatto da tutte quelle informazioni.
- Hai passato al giro di chiglia un negriero. – commentò.
- Già. –
- Ti ho insegnato proprio bene… - si lodò, beccandosi una spallata inaspettata dalla giovane e riuscendo finalmente a farla prorompere in una risata sincera.
Si godette quella risata in silenzio, perché era da quando si era risvegliato nella baracca di Tia Dalma che la desiderava, perché vederla così spaventata e ferita dalla sua presenza gli aveva fatto provare un dolore che aveva dimenticato di poter provare e perché Cristal Cooper, taciturna e a capo chino, semplicemente non era Cristal Cooper.
- Sono stati mesi molto intensi per te, questi ultimi. Quel Norrington si è davvero comportato da cane… - incominciò, ma Cristal si strinse nelle spalle.
Trasse un profondo sospiro e si sfregò le braccia per scacciare un freddo che solo lei sentiva.
- Credo di averlo amato davvero, molto tempo fa. Ma ormai non c’è più nulla dell’uomo che avrei sposato a Port Royal. Lui ha scelto la sua strada ed io la mia, non ho rimpianti. – sentenziò.
Guardò di nuovo la luna e non vide lo sguardo scettico di Hector, e in ogni caso erano altri i pensieri ad occupare la sua mente.
- Ad ogni modo non è James a preoccuparmi. Se la Fratellanza sarà chiamata a consiglio… credi che il Faucon si farà vivo? Bleizenn è sempre così criptica, non sono riuscita a cavare un ragno dal buco nella mia ultima visita a Brest! – borbottò, più rivolta a se stessa che a Hector.
Quello sogghignò, i gomiti ancora poggiati alla balaustra.
- Immagina la frustrazione quando ho attraversato l’Atlantico per chiederle come disfarmi della maledizione di Cortez e tutto quello che ho avuto in cambio sono state più domande che risposte! –
Cristal rise ancora una volta. Forse in un frangente diverso scoprire che quei due si conoscevano di persona l’avrebbe stupita, ma ormai aveva smesso di sorprendersi nello scoprire che la sacerdotessa di Ahès aveva avuto a che fare con chiunque fosse legato a lei.
Se persino sua madre, totalmente estranea alla promessa delle maree, era capitata presso il suo rifugio, che Barbossa avesse una frequentazione di lunga data con la vecchia era in effetti quasi normale.
- Eppure devo tutto a quella donna… - aggiunse, questa volta una carezza malinconica nella sua voce.
La ragazza lo osservò di sottecchi, incuriosita da quel modo di fare inedito. Vi era una dolcezza agrodolce nei suoi modi che non ricordava di aver mai conosciuto. Era evidente che si trattava di affetto, ma se fosse per Bleizenn o per qualcun altro non fu in grado di definirlo.
- E quindi è stata lei a mandarti alla Baia dei Relitti! – cambiò discorso bruscamente, forse resosi conto di aver indugiato un po’ troppo su ricordi troppo intimi per essere condivisi così apertamente.
La Figlia della Tempesta annuì, le dita che salivano a giocherellare con la sua collana.
- Ho provato a chiedere informazioni a lei ma mi ha detto che solo là potranno dirmi tutto ciò che desidero sapere sul Faucon. E alla luce dei recenti avvenimenti credo che sia davvero giunto il momento che io sappia di chi sto portando il fardello. – concluse con una smorfia scocciata.
Proprio in quel momento la campana di fine turno risuonò fra il sartiame, richiamando la loro attenzione.
Hector scoprì i denti e portò una mano sulla schiena della giovane, sospingendola con grazia verso il boccaporto.
- Sicuramente Bleizenn ha ragione. Faremo rotta su Shipwreck Cove non appena avremo recuperato Jack. Ma ora va a riposare, ne hai bisogno. – le intimò con una fermezza che tuttavia sembrava intrisa di una certa impazienza.
Si fermò a pochi passi dal boccaporto, la figura alta e imponente a stagliarsi scura contro la luce flebile delle lampade. Osservò la ragazza per qualche istante, poi si incamminò verso il timone, dove lo attendeva la sua scimmia dispettosa.
Cristal rimase qualche secondo a guardarlo, poi imboccò le scale che conducevano al ponte inferiore.
Per un istante le era parso che quell’argomento lo avesse messo a disagio: non si era nemmeno ripreso il cappello…
Le settimane di navigazione erano filate veloci come l’acqua attorno ai fianchi della nave, e ogni giorno era stato benedetto da bel tempo e venti favorevoli.
I sonni di Cristal si erano fatti più quieti, e pian piano gli incubi che l’avevano tormentata ogni notte per mesi erano svaniti, dissolti, lasciando spazio a notti che erano in grado di farla riposare davvero.
Capitava che a volte qualche membro della ciurma manifestasse scetticismo nei confronti della missione, ma lei era sempre pronta a rassicurare tutti e a garantire che ce l’avrebbero fatta, che avrebbero riportato indietro Jack e non avrebbero dovuto preoccuparsi di nulla. Persino Will ed Elizabeth, ultimamente così tesi, sembravano beneficiare del ritrovato buonumore dell’amica.
Quello che non sapevano, o che forse avevano voluto ignorare di proposito, era che Cristal, disfattasi delle sue preoccupazioni, aveva di certo avuto più tempo per notare le loro.
Dopotutto erano cresciuti insieme, pensare che non si sarebbe accorta del gelo improvviso fra loro due era stato un comportamento da sciocchi.
Erano infine giunti a Singapore un tardo pomeriggio, la nave abbandonata per non dare nell’occhio e il gruppo diviso per svolgere al meglio i loro compiti. Al momento di decidere il piano di battaglia vi era stato un discreto vociare a bordo, perché nessuno sembrava trovarsi d’accordo con il ruolo assegnatogli.
Elizabeth sarebbe dovuta rimanere con Tia Dalma a coprire loro le spalle, Cristal sarebbe dovuta restare al fianco di Barbossa durante le trattative con Sao Feng e Will si sarebbe dovuto occupare del furto delle Carte Nautiche, ma quando entrambe le ragazze si erano lamentate del fatto che un compito così difficile e pericoloso fosse stato assegnato ad un uomo solo, Barbossa aveva avuto il suo bel daffare a mantenere calme le acque.
- Non esiste che Will vada da solo! Si farà beccare dopo cinque minuti! – era stata la ferma opposizione di Cristal, non particolarmente apprezzata dall’amico.
Alla fine si era giunti alla conclusione che Elizabeth sarebbe andata con Barbossa e Cristal con Will, e Tia Dalma se la sarebbe cavata da sola, forse l’unica a non aver espresso alcun genere di parere fin dall’inizio.
Era così che Will e Cristal si erano ritrovati appostati per due ore accanto al vecchio tempio del rione del mercato, in attesa che giungesse per loro il momento più propizio di entrare in azione.
- E comunque non mi farò beccare dopo cinque minuti… - borbottò il giovane Turner dopo qualche tempo trascorso in silenzio a studiare la strada.
La ragazza trattenne un risolino e gli assestò una leggera spallata.
- Tranquillo, dopotutto il ripresentarti sulla Perla portato in braccio da Liz e Jack era nei piani, no? – scherzò affettuosamente.
Ma si era accorta che al nominare Elizabeth il suo sguardo si era fatto più buio.
- Will… va tutto bene? – chiese, una nota più dolce nella voce ma gli occhi ancora puntati sulla scalinata che conduceva al tempio.
Le rispose un lungo silenzio spezzato dai respiri profondi di Will.
- Ti piace davvero questa vita? Non rimpiangi mai Port Royal, quando ci incontravamo alla mattina davanti alla bottega e duellare in cortile era solamente un gioco? –
Cristal tese le labbra, il cuore stretto da quei ricordi di un tempo che non le apparteneva più.
- La vita ci mette davanti a delle scelte, Will, e dobbiamo affrontarle a testa alta, qualunque sia l’esito. – spiegò.
- Avrei potuto lasciare mia madre a morire. Ma la mia sarebbe davvero stata una vita migliore, in tal caso? – aggiunse a voce più bassa.
Il ragazzo trasse un sospiro profondo e affaticato.
- E’ che avrei potuto essere sposato, a quest’ora. – confessò, sorprendentemente sincero.
L’amica sorrise appena, portandogli una mano sulla spalla.
- Anch’io. – e strinse appena la presa, cercando di non domandarsi se potesse essere stata una cosa saggia da dire o meno.
Dall’espressione di William si rese conto che c’erano ancora molte cose di lei che lui non sapeva. Forse era meglio così, forse era meglio che la sapesse simile a lui senza conoscere i dettagli.
Dopotutto era sempre stato così, fra di loro. Nonostante le differenze, nonostante le divergenze, riuscivano più o meno sempre a capirsi ed evitavano sempre scrupolosamente di chiedere. Testardi entrambi, ed entrambi forse troppo riservati per poter essere felici.
- Oh, Will! Il portale! – esclamò poi nel notare che il monaco di guardia all’ingresso del tempio aveva abbandonato la sua postazione.
Senza farselo ripetere due volte, il giovane la prese per mano e insieme salirono velocemente i gradini che li separavano dal portale, scivolando discreti all’interno del tempio.
Si trattava di un’unica grande sala con un colonnato che correva lungo le pareti. Fatta eccezione per la poca luce che proveniva da alcune lampade di carta colorata l’ambiente era immerso nella penombra, gli angoli bui come l’abisso e i passi che rimbombavano nel silenzio.
Cristal attese che la vista si fosse abituata all’oscurità prima di procedere; lasciò che il compagno la precedesse nell’esplorazione del tempio e alzò lo sguardo, incantata dai bagliori verdastri che sfuggivano alle decorazioni delle lampade. Le colonne in legno erano dipinte di nero, e facendo scorrere i polpastrelli lungo di esse si accorse che vi erano intagliate decine e decine di piccole scaglie, come a imitare la pelle di un rettile.
Erano serpenti, grossi e sinuosi serpenti neri dalle fauci spalancate che si avviluppavano alle colonne salendo verso il soffitto a spiovente.
Cristal ritrasse la mano, inquietata da quelle decorazioni.
Vi era un qualcosa di arcano e intimidatorio in loro, e per un angosciante istante ebbe la fredda e vivida sensazione che non avrebbe dovuto assolutamente trovarsi in quel luogo.
- Cristal! –
Il richiamo di Will la fece sobbalzare, ma lui parve non accorgersene.
- Il tempio è vuoto, sbrighiamoci a trovare le Carte! –
La ragazza annuì e lo seguì verso il ventre dell’edificio, fendendo il profumo dell’incenso la cui fonte era tuttavia impossibile da individuare.
Non dovettero cercare a lungo. Di fronte a loro, accanto ad un altare votivo carico di offerte, vi era un piedistallo con un grosso rotolo in mostra.
I due si scambiarono uno sguardo stupito.
- Sono loro? – fece Will in un soffio.
- Mi sembra troppo facile… - lo ammonì Cristal.
Ma l’amico aveva già estratto il suo coltello e aveva reciso il lungo laccio di cuoio che assicurava l’involto al piedistallo.
Per un lunghissimo secondo nel quale Will riuscì a srotolare la conquista per sincerarsi che fosse ciò che cercavano regnò il silenzio più assoluto, poi un gong assordante fece vibrare l’aria, più forte, spaventoso e inatteso di una cannonata.
- Will! – esclamò Cristal in un rimprovero esasperato.
Entrambi gettarono un’occhiata al laccio di cuoio che il giovane Turner aveva reciso: non c’era più, svanito in un buco nel piedistallo.
Era una trappola e loro ci erano cascati in pieno.
- Filiamo via! – fu la sola reazione della ragazza, che lo prese per mano e incominciò a correre nella direzione da cui erano venuti.
- Non di qua! Se lo aspetteranno! – esclamò Will, cercando di cambiare direzione.
Ma prima che potessero anche solo pensare a come uscirne, una serie di fiaccole si accese l’una dietro l’altra, illuminando il tempio a giorno e immobilizzandoli come se fossero stati intrappolati nel ghiaccio.
Attorno a loro almeno venti uomini puntavano in loro direzione pistole e lame affilate.
Erano circondati.
Uno degli uomini si fece avanti, puntando un coltellaccio alla gola di Will e chiedendo qualcosa in una lingua che non compresero.
- Chi vi manda? – domandò poi, in Inglese.
- Nessuno. – rispose Cristal, ma l’uomo parve non apprezzare la sua iniziativa.
- Nessuno ti ha interpellata, lurida…! – ma prima che lo sconosciuto fosse riuscito a colpirla con la sua mano aperta, la ragazza aveva bloccato il suo polso, gli aveva torto il braccio dietro la schiena con una velocità impressionante e si era impossessata del suo coltello, portandoglielo sotto il mento.
- Lascialo andare o gli taglio la gola! – un’altra voce si fece sentire e questa volta spettò a Will essere quello con un coltello piantato contro la pelle nuda.
- Cris… - esalò.
Quella chiuse gli occhi per un breve istante, poi fece come ordinato. Erano troppo in svantaggio, non sarebbero mai riusciti a uscirne vivi.
A meno che…
- Parlay. –
- Cosa?! – esclamarono tutti i presenti, compreso Will, che ancora stringeva saldamente le Carte Nautiche fra le mani.
Capitan Tempesta lasciò la presa sull’uomo, che si divincolò e si massaggiò il braccio. Era certa che se non si fossero trovati in un luogo sacro le avrebbe sputato in faccia.
- Invoco il diritto a parlamentare. Chi è il vostro capo? Conducetemi a lui così che io possa discutere con un mio pari. – sentenziò, a voce alta e mento all’insù.
Il capannello di uomini attorno a loro scoppiò a ridere.
- E tu, misero pirata d’acqua dolce, vuoi parlamentare con il grande Sao Feng? Sai con chi hai a che fare, ragazzina? – domandò sprezzante colui che aveva parlato per primo.
Will le rivolse un’occhiata silente, la stessa domanda a brillare nei suoi occhi castani.
Sapeva con chi aveva a che fare?
L’unica cosa che Barbossa le aveva detto prima che le loro strade si dividessero era stata “non fidarti di Sao Feng, lui non è come me”. Affatto incoraggiante, ma forse aveva ancora una carta che poteva giocare per salvarsi la pelle.
- Sono il Capitano Cristal Cooper, Pirata Nobile del Mare del Nord, e rinnovo la mia richiesta di poter parlamentare con il Capitano Sao Feng in qualità di sua pari. Ora, pensate di poter onorare la richiesta, o vorrete forse che a Sao Feng venga ascritta un’onta nei confronti della Fratellanza? – domandò nuovamente, nella voce ferma la stessa improvvisata sfacciataggine di quando aveva proposto un ammutinamento agli uomini della Liberty Breeze.
Vide Will alzare un sopracciglio in un’espressione a metà fra lo stupito, l’ammirato e il terrorizzato.
L’uomo che teneva il giovane Turner in ostaggio lo lasciò andare e fece cenno a un altro di prendere il suo posto.
- Allora seguiteci, Capitano. – sibilò sprezzante, indicando agli altri di uscire dal tempio e riappropriandosi con un gesto secco delle Carte Nautiche.
- Sarà interessante quando dovrete spiegare a Sao Feng cosa intendevate fare con queste. – ghignò.
Tornati all’aria aperta, gli uomini del tempio li condussero attraverso il dedalo di strade del rione del mercato in una lunga fila indiana, e per un istante a Cristal tornarono in mente i Filippini nella notte in cui avevano rapito i suoi genitori.
La sensazione delle scaglie dei serpenti di legno contro i polpastrelli le riaffiorò allo spirito e se la scosse di dosso velocemente.
Non era a quello che doveva pensare, adesso.
Si fermarono davanti a un portale decorato in quello che doveva essere stato oro, prima di ricoprirsi di sudiciume, e dopo che l’uomo alla testa della piccola colonna ebbe pronunciato una parola d’ordine un passaggio nascosto nel portale si aprì per lasciarli entrare.
- Capitano Sao Feng, il Tempio del Serpente è stato profanato da questi due stranieri. La donna sostiene di essere il Pirata Nobile del Mare del Nord e ha invocato il diritto a parlamentare. – li annunciò dopo averli introdotti in un ampio salone umido e pieno di vapore.
Dall’altro lato rispetto all’ingresso vi era un uomo a torso nudo che dava loro la schiena.
La sua testa calva era ricoperta di sottili cicatrici e le sue unghie erano lunghe come artigli.
- Il Pirata Nobile del Mare del Nord, dici? – esordì, l’Inglese dal forte accento straniero scandito affinché gli intrusi lo capissero senza problemi.
Quando si voltò verso di loro, Cristal sentì i suoi occhi trafiggerla come lame.
- Parlate, Capitano, vi ascolto. –
La figlia del fabbro e il suo apprendista si scambiarono un’occhiata di puro terrore.
Si erano cacciati in un guaio terribile, e il danno era che, se non ne fossero usciti in fretta, vi avrebbero cacciato anche tutti gli altri.
E forse il mondo intero.















 
Note:

1 Un po' d'acqua e di sale giusto per ricordarmi che in cielo dietro le nuvole si nasconde il tuo sorriso
2 Solo un po' d'acqua sulle labbra, solo per ricordarmi di quel bacio amaro appena prima che tu fuggissi


Ed eccoci qui, tornati dopo millenni ad aggiornare le avventure di questo gruppo di disperati!
Se lo scorso capitolo è stato tosto da scrivere a livello dei contenuti, questo lo è stato a livello del tempo disponibile da dedicargli, dal momento che nel frattempo mi sono ritrovata un Erasmus per le mani e tutte le migliaia di scartoffie da compilare in allegato. Esperienza meravigliosa, ma darei volentieri fuoco a tutti quei fogli.
In questo capitolo abbiamo finalmente una scena che aspettavo da molto, ovvero la reunion fra Cris e Hector e... beh, non è andata esattamente nel modo idilliaco che Cris aveva tanto sognato. Decisamente vomitare alla vista del proprio mentore tornato dall'inferno non è il massimo, ma che ci volete fare, non siamo tutti perfetti.
Nonostante il dialogo fra i due sia stato un momento che ho amato particolarmente scrivere, vi è ancora moltissimo non detto fra Barbossa e Cristal, sia da parte della ragazza, che sotto sotto è ancora terrorizzata dai suoi sentimenti, sia da parte di quell'altro, che dovrebbe sputare una decina di rospi ma non si azzarda. Riprenderemo l'argomento, perchè ce n'è davvero necessità da entrambe le parti.
A proposito, la canzone che cantano è "Just pour me souvenir" della solita Nolwenn Leroy. ;)
E poi, beh, Sao Feng.
Cris e Will non avevano modo di parlare a tu per tu dei loro sentimenti più o meno da quando avevano quindici anni, e mi piace ogni tanto ricordarmi che questi due sono cresciuti come la più improbabile coppia di fratello e sorella che si possa immaginare.
(Comunque aveva ragione Cris, non sono durati nemmeno cinque minuti)
Adesso che si sono fatti cogliere con le mani nel sacco e che Cris si è giocata la sua unica carta (avrà fatto bene? O si sarà fregata con le sue stesse mani?) vedremo cosa Sao Feng di Singapore ha in serbo per loro...
Nel frattempo ci stiamo avvicinando a quello che è in assoluto il mio capitolo preferito dell'intera storia: siamo molto vicini alla resa dei conti... 

Un grazie immenso come al solito a tutti voi che leggete/recensite/ecc...

Kisses,
Koori-chan <3

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***





Capitolo Venticinquesimo









Il vapore caldo appesantiva l’aria, bagnando di lucida muffa le pietre e il bambù che rivestivano la stanza.
Non era un luogo piacevole, la puzza di sudore incollava i vestiti alla pelle e l’umido arricciava i capelli, appiccicandoli al collo. Mancava il respiro, e questo non la aiutava a pensare.
Sao Feng era in piedi davanti a loro, le sopracciglia arcuate in un’espressione di scherno, ben consapevole che presto i suoi due ospiti avrebbero capitolato e sarebbero divenuti due ostaggi. Cosa poteva avere da offrirgli quella ragazzina? Come poteva giustificare la sua presenza al Tempio del Serpente quella straniera?
Cristal cercò di ignorare la goccia di sudore che già sentiva scivolare lungo la sua fronte e si concentrò.
- Sao Feng di Singapore, Pirata Nobile del Mar Cinese Meridionale, sono il Capitano Cristal Cooper, del Mare del Nord. Confido siate al corrente degli eventi che agitano gli oceani. - esordì.
Con la coda dell’occhio percepì Will sbarrare le palpebre, probabilmente incredulo della faccia tosta che stava dimostrando, ma non vi badò. Se avevano una speranza era quella di riuscire a far parlare lui e attendere Barbossa. Fino a che avessero tenuto Sao Feng impegnato in conversazione le Carte Nautiche sarebbero state al sicuro.
E anche loro.
L’uomo le rivolse una lunga occhiata penetrante, evidentemente incuriosito.
- Le correnti del mare sono molte e varie, a quale di esse dovrei prestare il mio orecchio? - inquisì.
Cristal strinse appena le labbra, ragionando frenetica.
- Capitano, ho percorso molte miglia per giungere a voi. Una guerra si profila all’orizzonte e nessun uomo libero che batta bandiera pirata può dirsi al sicuro. -
- Caritatevole da parte vostra attraversare l’oceano per informarmi, Cristal Cooper, tuttavia temo che la vostra giovane età vi precluda alcune informazioni che potreste ritenere interessanti. - ribatté Sao Feng.
Cristal e Will si scambiarono una rapida occhiata, poi la giovane fece cenno al padrone di casa di proseguire.
- Io sono il più temibile pirata che navighi queste acque, non necessito della protezione di una ragazzina. - sibilò.
- Tanto più se si tratta di una ladra. - aggiunse con una smorfia di disprezzo.
La Figlia della Tempesta strinse i pugni lungo i fianchi e si morse la lingua per non controbattere a tono.
- Non ne dubito, eppure temo sottovalutiate la minaccia. Se definite ladra me, che non ho fatto altro che tentare di mettervi in guardia, quali parole userete per definire coloro che sono pronti a liberare il Kraken contro la vostra flotta? -
Al sentir nominare l’arcana creatura Sao Feng impallidì e ordinò un maggiore apporto di vapore alla stanza. Forse aveva fatto centro.
- Il Kraken, voi dite? E’ dunque questo il motivo per cui avete cercato di impadronirvi di ciò che è mio di diritto? -
La ragazza trattenne il respiro per un istante: l’avversario si stava dimostrando più astuto del previsto.
Stava per rispondere, ma Sao Feng parlò nuovamente.
- Il vostro volto non può recare più di venti primavere, eppure già portate un titolo impegnativo sulle vostre spalle. Non è un gingillo il gioiello che indossate. -
Non disse altro e Cristal non fu del tutto certa di come interpretare quella sortita. Che cosa voleva dire con quelle parole? Che ai suoi occhi appariva come una sprovveduta? Che a causa della sua giovane età non l’avrebbe mai presa sul serio? Oppure c’era dell’altro celato in quella frase, un’insinuazione che ancora non riusciva a cogliere?
Si fece coraggio e rizzò un poco la schiena, il mento in alto a fingere sicurezza.
- Non lasciate che il mio volto vi inganni, conosco bene la promessa del Mare e ho imparato a portarne il fardello. Ciò che agita il mio cuore dovrebbe agitare anche il vostro. -
Non sapeva nemmeno lei che cosa stesse dicendo ormai, ogni sua parola era tesa e stiracchiata fino allo spasmo, pronunciata lentamente nella speranza di poter conquistare qualche secondo.
Ma più parlava più Sao Feng guadagnava terreno, sviando la conversazione e camminandole attorno come un predatore pronto a colpire.
Quando sarebbe giunto l’attacco mortale?
L’uomo, ormai a un soffio da lei, la osservò attentamente, gli occhi scuri a scivolare lungo la scollatura fino ad incontrare la sua collana.
- E quindi il Mare del Nord ribolle ancora sotto la superficie dell’acqua… - commentò in un sussurro che le diede i brividi.
Cosa sapeva che non le stava dicendo? A cosa si riferiva?
Rapido come un soffio di vento, Sao Feng indietreggiò, portandosi verso la volta al di sotto della quale li aveva accolti.
Cristal percepì lo sguardo di Will su di sé e si voltò in fretta per cercare di infondergli un poco di coraggio. Attorno a loro, incuriositi dall’irruzione dei luogotenenti di Sao Feng, svariati uomini in ammollo in vasche d’acqua putrida li osservavano famelici.
In quale luogo erano andati a ficcarsi?
- Bene, Capitan Cooper, sarò lieto di approfondire la questione, tuttavia temo di avere un altro appuntamento a cui presenziare. - esclamò il Pirata Nobile dopo aver fatto un cenno con il capo ed essere stato avvicinato da due giovani che avevano preso a vestirlo con costosi abiti di seta scura.
Cristal sospirò appena: ce l’avevano fatta, li lasciavano andare.
- Anzi, credo proprio che assistermi durante la trattativa potrà giovare alla vostra causa: intendo che il mio prossimo ospite sia un nostro pari. Non capita tutti i giorni di ricevere ben due Pirati Nobili senza averne invitato nemmeno uno, non convenite? - la bloccò ancora prima che potesse muovere un passo verso Will.
Cristal fece appello a tutte le sue forze per non mostrare alcun tipo di espressione e si limitò ad annuire.
- Curioso, invero. Rimarrò se lo ritenete necessario. - concesse, ben consapevole di non avere alternative e incamminandosi verso di lui come le veniva indicato.
- A questo punto ritengo si possa liberare il mio Secondo, non trovate? - osservò, infastidita dal modo in cui gli uomini di Sao Feng stavano continuando a trattenere Will.
Ma a quel punto accadde qualcosa di imprevisto: il pirata ghignò, un’espressione crudele che le mozzò il fiato nei polmoni.
- Non ancora! - e ad un rapido cenno della mano i suoi sottoposti assestarono a Will un violento pugno alla bocca dello stomaco che lo fece cadere in ginocchio.
- Will! - si ritrovò ad esclamare, la compostezza perduta in un battito di ciglia.
- La prudenza non è mai troppa quando si ha a che fare con un ladro. Ma sono sicuro che avrete modo di gettare luce su questo disdicevole malinteso quando saremo al cospetto del nostro collega… - insinuò l’uomo con un sorriso mellifluo, mentre due dei suoi sottoposti portavano un grosso palo di legno e vi legavano Will bloccandogli le braccia.
- Non fategli del male. - ordinò Cristal, gelida nel tentativo di trattenere la rabbia.
- Vi ricordo che il Parlay tutela anche il mio equipaggio. - aggiunse.
Sao Feng non disse nulla, si limitò ad ampliare ancora di più il suo ghigno e a guardare in silenzio mentre Cristal veniva afferrata malamente per un braccio e condotta nell’ombra.
La fecero sedere su uno sgabello umido dove fu affiancata da due degli uomini di Sao Feng, il Pirata Nobile che tornava a farsi vestire dalle due giovani. Di tanto in tanto rivolgevano a Cristal qualche occhiata fugace, intrise di curiosità, ma lei non ne ricambiò nemmeno una.
Terrorizzata, continuava a ragionare febbrilmente in cerca di una scappatoia che potesse tirarli fuori dai guai: cosa sarebbe successo all’arrivo di Hector e degli altri? A questo punto potevano tranquillamente scordarsi il prestito che erano andati a chiedere. E le Carte Nautiche? Erano state affidate ad un omino anziano, seduto in un angolo della grande stanza, e senza una buona dose di fortuna non aveva la più pallida idea di come tornarne in possesso.
E dire che ci erano andati così vicini!
Sovrappensiero, portò una mano a sfiorare la conchiglia appesa al collo e le parole di Sao Feng aumentarono l’angoscia che le stava montando nel petto.
Si morse appena il labbro inferiore, e ancora una volta cercò lo sguardo di Will. Quello le sorrise debolmente, forse in un tentativo di darle speranza, ma entrambi dovettero rendersi conto di apparire abbastanza miserabili ad un occhio esterno: uno legato come un carcerato e l’altra prigioniera della sua stessa menzogna.
Dopo diversi minuti un altro uomo apparve da una porta nascosta e comunicò qualcosa in cinese. William fu nuovamente afferrato con malagrazia e condotto di fronte ad una grande tinozza colma d’acqua calda.
- Che cosa gli fate? - domandò Cristal con gli occhi sbarrati, ma prima che Sao Feng potesse risponderle, i suoi sottoposti spinsero il giovane nella tinozza, costringendolo a rimanere nascosto sotto la superficie dell’acqua.
Cristal inorridì e si voltò verso il Pirata Nobile, ma quello portò l’indice alle labbra e le impose il silenzio, mentre dei passi nuovi fendevano il vapore: Barbossa era finalmente arrivato.
- Capitan Barbossa! Benvenuto a Singapore… - lo accolse Sao Feng, un rispetto tutto diverso da quello dedicato a Cristal.
Hector si inchinò, ad imitarlo controvoglia accanto a lui Elizabeth, vestita solamente della sua casacca blu.
Nessuno dei due poteva vederla da quella posizione, e quasi ne fu grata. Se scorgere i loro volti l’aveva consolata per una frazione di secondo, adesso la paura di averli condannati tutti le stringeva la gola.
- Mi è stato detto che avete una richiesta da farmi… - incominciò Sao Feng.
Barbossa sorrise con impostata tranquillità, ma Cristal percepì nei suoi modi affettati un certo disagio.
- E’ più una proposta da sottoporti… - rettificò, forse nella speranza di incontrare il suo favore modificando la terminologia.
- Ho un’impresa da compiere, e il fatto è che mi trovo a corto di una nave e di una ciurma… - spiegò.
Cristal cercò di alzarsi in piedi, ma i due che la tenevano di guardia le piantarono le mani sulle spalle impedendole di muoversi. Gettò un’occhiata colma di apprensione alla vasca di Will, e si chiese quanto ancora Sao Feng avesse intenzione di lasciarlo sott’acqua. Voleva forse farlo affogare?
- Quando si dice la coincidenza… - osservò il padrone di casa con un’ironia sottile.
A quel punto fu Elizabeth ad intromettersi, per nulla spaventata dalle circostanze.
- Perché casualmente avete una nave e una ciurma che vi avanzano? - azzardò, impertinente.
- No. Perché qualche ora fa, non lontano da qui, un ladro, penetrando nel Tempio del mio zio venerabilissimo, ha cercato di portar via queste! - spiegò l’uomo, andando a recuperare le Carte Nautiche dall’anziano che le aveva conservate fino ad allora.
Al riparo del cono d’ombra Cristal vide Hector e Liz scambiarsi uno sguardo atterrito.
- Non sarebbe sorprendente se questa impresa da compiere ti conducesse al mondo più in là di questo? - insinuò Sao Feng, perfettamente consapevole di avere il coltello dalla parte del manico.
Per la prima volta in vita sua Cristal Cooper vide Barbossa annaspare.
- Direi sorprendente oltre ogni limite… - fece infatti con un sorriso tirato.
Sapeva che li avevano presi, doveva starsi chiedendo cosa ne fosse stato di lei e di Will.
La sua curiosità fu presto soddisfatta, e all’ennesimo cenno di Sao Feng, Cristal venne fatta alzare con uno strattone e spinta alla luce, mentre i due a guardia della tinozza facevano emergere Will.
Elizabeth strabuzzò gli occhi ed Hector trasalì, indietreggiando appena.
- E’ questo il ladro! La sua faccia vi dice qualcosa? -
Nessuno si azzardò a guardare Cristal, e quando non vi fu risposta il pirata di Singapore tornò a concentrarsi su Will, estraendo uno strano pugnale dalla cintura.
- Quand’è così… Credo sia inutile lasciargliela! - e senza attendere un istante di più si avventò contro il ragazzo.
- No, no! - l’urlo mal trattenuto di Elizabeth coprì quello di Cristal e fu a quel punto che ogni tentativo di bluff divenne inutile.
Seguì un silenzio densissimo durante il quale Hector e Cristal si scambiarono un’occhiata esterrefatta, poi Sao Feng prese nuovamente la parola.
- Venite nella mia città e poi tradite la mia ospitalità? - li accusò.
- Immagino di non doverti presentare il Pirata Nobile del Mare del Nord… - aggiunse con un’espressione carica di disprezzo all’indirizzo di Cristal, pallida come la morte in piedi dietro di lui.
Barbossa cercò di recuperare vantaggio mentendo.
- Sao Feng, ti assicuro, non avevo idea… -
- Che li avremmo catturati?! - sbottò l’uomo, giunto al limite della sopportazione: l’oltraggio doveva essere diventato troppo grave perché fosse tollerato.
- Voi state andando sul fondo del mare, lo Scrigno di Davy Jones! Ma quello che io mi domando è perché? - continuò, la curiosità più forte della rabbia.
Accadde qualcosa che Cristal non comprese subito.
Barbossa si fece serio come una maschera di gesso e lanciò a Sao Feng qualcosa che afferrò al volo. Se lo portò all’orecchio, come se all’interno dell’oggetto misterioso fosse contenuta la risposta alla sua domanda, e solo allora il vecchio Capitano della Perla si decise a parlare.
A mano a mano che Sao Feng ascoltava in termini diversi lo stesso discorso presentatogli da Cristal Cooper, il suo volto si mutava in una maschera d’odio e apprensione. Richiese altro vapore, ma il vapore non arrivò.
Fu quando l’uomo li accusò di tradimento che Cristal non riuscì più a tenere la lingua a freno.
- Tradire?! Mi domando se non stiate dimenticando il ruolo che ricoprite, Capitano! Lasciate che una mente giovane ve lo rinfreschi: voi, come noi, dovete fedeltà alla Fratellanza prima di tutto! Una guerra è alle porte e non staremo a guardare mentre Singapore si lascia corrompere! - esclamò in un ardito passo avanti che ottenne in cambio un’occhiata oltraggiata e stupita al contempo.
Barbossa annuì, grato dell’imbeccata, e prese ad illustrare il perché della necessità imminente di riunirsi a consiglio, Elizabeth a dargli manforte in un rimprovero appassionato che lasciò i due uomini a bocca aperta tanto quanto quello dell’erede del Faucon du Nord.
Sao Feng si mosse verso di lei proprio come mezz’ora prima aveva fatto con Cristal, serpeggiandole attorno e fissandola da vicino.
- Elizabeth Swann… C’è molto più di quanto non appaia in te. E non è che quel che appare sia poco… - sussurrò.
Will si mosse infastidito da quella vicinanza e Cristal spostò lo sguardo da lui a Elizabeth a Hector, che osservava la scena con attenzione.
Qualcosa nei modi di Sao Feng la disturbava. Perché aveva rivolto loro quelle curiose attenzioni? Cosa vedeva in loro che non riuscivano a comprendere? Se si fosse trattato di chiunque altro avrebbe creduto quello strano e inquietante atteggiamento una mera inclinazione al gentil sesso, ma c’era di più fra le parole del pirata, c’era un obbiettivo specifico che non sapeva individuare.
Erano minacce? No. Erano adulazioni. E non capiva perché.
Come si era presentata, quell’assurda parentesi svanì dalle sue labbra e il discorso tornò a vertere sulle motivazioni di Barbossa. Fu Will a rispondere una volta per tutte, ma quando ebbe nominato Jack fu chiaro a tutti che non era stata una mossa saggia.
Hector chiuse gli occhi nel tentativo di reprimere il desiderio di tirare un pugno sul naso al ragazzo e Cristal si appuntò mentalmente di farlo lei stessa in un secondo momento.
Se l’inimicizia fra Sparrow e Sao Feng non fosse stata abbastanza evidente, l’uomo si premurò di renderla chiara dichiarando che avrebbe desiderato ardentemente recuperare Jack dallo Scrigno solamente per poterlo uccidere con le sue stesse mani.
Barbossa cercò di riportarlo in ragione, spiegando per l’ennesima volta che servivano tutti i Pirati Nobili affinché la Fratellanza potesse riunirsi a consiglio, ma il padrone di casa non lo stava più ascoltando, lo sguardo fisso su uno dei suoi.
Cristal mosse un passo in avanti, incuriosita e desiderosa di potersi schierare al fianco della sua ciurma, ma quando si accorse di ciò che aveva attirato lo sguardo dell’uomo inorridì.
Sulla schiena dello sconosciuto un grande tatuaggio nero si stava pian piano sciogliendo sotto l’effetto del vapore: era un falso, si trattava di una spia.
- Così tu ammetti di avermi ingannato… - disse Sao Feng a Barbossa, che lo guardava confuso ed esasperato dall’andamento altalenante della conversazione.
Ma all’armi! improvviso del pirata anche lui fu costretto a fare un balzo indietro.
- Sao Feng, ti giuro, le nostre intenzioni sono le più onorevoli! - cercò disperatamente di acquietare la situazione, ma proprio mentre apriva le braccia in segno di pace, dalle fessure fra le assi del pavimento apparvero come per magia due coppie di spade che lui ed Elizabeth afferrarono al volo.
Cristal avrebbe voluto nascondere la faccia nelle mani e gridare e per un allucinante momento ebbe la sensazione che Hector si sarebbe messo a piangere, ma prima che i nervi di uno dei due potessero definitivamente cedere Sao Feng afferrò la spia e gli puntò un coltello alla gola.
- Deponete le armi, o uccido la spia! - li minacciò.
Ma la tolleranza agli imprevisti di Barbossa era finalmente giunta all’esaurimento e l’uomo liquidò il problema con una scrollata di spalle esasperata.
- Uccidilo! Non è uno dei miei! -
Fu Will a dare voce ai dubbi di tutti.
- Se non sta con te e non sta con noi… con chi sta? -
E proprio mentre terminava la frase Cristal si rese conto di quale fosse l’altra forza in gioco, del perché in prima battuta si fossero recati a Singapore.
- Gli Inglesi! - gridò, ma il suo ammonimento venne coperto da un’improvvisa carica di fanteria che fece irruzione nell’edificio.
Il fumo dei fucili si andò presto a sostituire al vapore, e la frenesia della battaglia li stordì come un’onda impetuosa.
- Cristal! Stai bene? - Hector la afferrò per un braccio, spingendola al sicuro dietro una colonna e la giovane annuì con decisione, prendendo la spada offertagli dall’uomo.
- Prendiamo le Carte e filiamo via! - replicò, assicurandosi che Will fosse stato liberato.
Ma di fronte al nemico comune Sao Feng aveva saggiamente deciso di schierarsi al fianco dei due Pirati Nobili e fra un fendente e l’altro li condusse verso l’uscita.
Prima di poter realmente capire cosa stesse succedendo, Cristal si ritrovò a correre verso una meta imprecisata, la spada che di tanto in tanto affondava nella carne dei nemici o parava in un sordo clangore i colpi a lei indirizzati.
- Da dove diamine sono spuntati tutti questi soldati?! - urlò per sovrastare il fragore degli spari, Elizabeth poco lontano che si liberava di un avversario facendolo cadere in acqua con una spallata.
- Qualcuno doveva sapere che Sao Feng sarebbe stato contattato! Non hanno fatto altro che aspettare pazienti! - replicò Barbossa roteando di lato e assestando un fendente a un soldato che stava per colpire Cristal.
- Beh, si dà il caso che la mia pazienza stia decisamente vacillando! Pensiamo di andarcene o vogliamo mettere radici in questa fogna di città? - replicò, l’uomo a inseguire un fante fino a un ponticello rialzato.
Un fuoco d’artificio sfrecciò proprio davanti al suo naso sotto lo sguardo attonito della ragazza e andò a colpire quella che doveva essere una polveriera in uno spettacolo di luci e colori che fece guadagnare loro qualche secondo.
- Inaspettato ma gradevole! - commentò la giovane, spingendo di lato il cadavere di cui Barbossa si era appena disfatto e correndo al fianco dell’uomo.
Finalmente il gruppo si ricongiunse, Will con in mano la refurtiva e sul volto un sorriso soddisfatto.
- Hai le carte? - berciò Hector in una domanda che celava l’ordine di consegnargliele immediatamente.
Will le lanciò al Capitano ancor prima di annuire.
- E meglio ancora! Ho una nave e una ciurma! - spiegò.
Cristal assottigliò gli occhi, stupita dal gran numero di cinesi al seguito dell’amico d’infanzia.
- Dov’è Sao Feng? - domandò Elizabeth, perplessa quanto lei.
- Ci copre la fuga e ci raggiunge alla Baia dei Relitti. - replicò Will.
Per un istante, un singolo e rapido istante, Cristal ebbe l’agghiacciante sensazione che il giovane avesse mentito, ma la nuova ciurma la sospinse verso la via di fuga e Barbossa fu svelto a prenderla per mano e trascinarla in salvo.
Salirono a bordo di una giunca dalle vele triangolari e quel gesto parve a Cristal una profanazione.
Nel nero pece del cielo, di tanto in tanto illuminato dalle esplosioni e dai colpi di fucile, rivide una notte d’estate di molti anni prima, sentì l’odore di polvere da sparo portato da vele simili a quelle.
Mentre gli amici di tutta una vita prendevano posto accanto a lei e Hector non le lasciava ancora andare la mano, le scaglie di legno del Tempio del Serpente le riapparvero alla memoria in un ultimo brivido.
C’era qualcosa che le sfuggiva, qualcosa di grave.
Come aveva fatto Will a ottenere nave e ciurma e ad andarsene da lì con le Carte Nautiche quando meno di un quarto d’ora prima Sao Feng aveva cercato di ucciderlo senza pensarci due volte?
Perché il Pirata Nobile del Mar Cinese Meridionale si era comportato in quel modo stranissimo con Elizabeth? E soprattutto, per quale motivo sembrava così sospettoso della carica di Cristal? Cosa intendeva con quella criptica sortita sul Mare del Nord?
Quando la nave fu abbastanza lontana dalla città da potersi dire in salvo, la giovane ancora non aveva risposte.
 







 
Avevano navigato a lungo, la prua puntata ostinatamente a Sud nonostante i vari imprevisti. A mano a mano che avanzavano lungo la loro rotta misteriosa il mare si era fatto agitato e varie tempeste si erano susseguite, minacciando di strappare le vele e rovesciarli.
Poi era sopraggiunto il freddo, un freddo acuto e pungente che aveva preso a divorare dita e pensieri mentre la ciurma se ne stava stretta in cerca di calore ed Hector manovrava indomito, l’ombra di un sorriso sulle labbra.
Per ingannare il tempo e distrarre gli animi Cristal continuava a raccontare le sue storie, integrando alle vicende gli scenari ghiacciati che stavano attraversando, e persino la taciturna Tia Dalma si era seduta accanto a lei, incuriosita e desiderosa di ascoltare. Sembrava che la diffidenza dei primi giorni stesse pian piano svanendo, e la giovane si era ritrovata a pensare che forse era solo questione di conoscersi meglio, che forse era stata troppo precipitosa nel giudicare la sacerdotessa. Si era sorpresa a scorgere una strana malinconia nei suoi occhi, forse addirittura una vera e propria tristezza, ma non aveva osato offrirle parole di conforto, la sua presenza sapeva ancora metterla in soggezione.
Il ghiaccio si era fatto via via più opprimente fino a sparire nuovamente nel nulla, lasciandoli a navigare in una lunga notte senz’anima in cui solo le stelle segnavano la via.
C’era silenzio a bordo, come se tutti stessero trattenendo il respiro, come se tutti avessero percepito che la meta era vicina.
- Il tuo animo è turbato, Figlia della Tempesta… -
Cristal trasalì: non aveva sentito Tia Dalma arrivarle alle spalle.
Ripresasi dallo spavento le rivolse un sorriso leggero, come a smentire le sue parole.
- Ho piena fiducia in Barbossa. - fu la sua risposta, ma la donna scosse la testa e le posò una mano all’altezza del cuore, sfiorando la collana.
- Sono ben altre le tue preoccupazioni. Un cuore sincero può riuscire a sopravvivere a tanto? La lontananza dalle tue acque si fa sentire, la strada che hai scelto ti ha condotta troppo lontano da casa. Stai per raggiungere un regno in cui la tua protezione non ha potere. All’erta, Cristal Cooper. - sussurrò, prima di lasciarla alla murata più terrorizzata di prima.
Che la donna avesse davvero inteso cosa agitava i suoi pensieri da quando avevano lasciato Singapore?
Quasi immediatamente fu Barbossa ad affiancarla, facendole segno di seguirlo alla barra.
- Ci siamo quasi. - le disse, un’occhiata di rimprovero scoccata alla sacerdotessa che però Cristal non notò.
All’improvviso Will spezzò il silenzio, correndo da prua a poppa in loro direzione.
- Barbossa! Di prua! - esclamò, ma l’espressione dell’uomo non fu quella che si aspettava.
- Sì, perduti, questo siamo! - ribatté, soddisfatto.
- Perduti?! - fece Elizabeth.
- Perdersi è l’unico modo per trovare un posto che sia introvabile, altrimenti chiunque saprebbe dove trovarlo! - fu l’assurda spiegazione, e in quell’arzigogolo Cristal ebbe la netta sensazione che fossero ormai vicinissimi a Jack.
- Acquistiamo velocità! - osservò Gibbs dopo un’occhiata alla scia della nave.
Barbossa gli accordò la ragione, ma nessuno comprese la sua gioia: di fronte a loro, troppo vicini perché una manovra potesse funzionare, il mare si interrompeva in un’enorme e roboante cascata.
Terrorizzato, Will assunse il comando e prese a sbraitare ordini alla ciurma in un disperato tentativo di salvare il salvabile, ma fu la voce tonante di Barbossa a sovrastare la sua.
- Non vi azzardate! Che si avanzi dritti, e giù! - ordinò.
Tutti presero a urlare, correndo avanti e indietro nel tentativo di fare qualcosa, Elizabeth che sbraitava contro Hector e Will che maneggiava le sartie come un folle.
Persino Tia Dalma si era rannicchiata in un angolo e adesso consultava febbrilmente il Fato pregando in un esito positivo.
Di tutto l’equipaggio della Hai Peng, solo Cristal non sembrava spaventata.
- Sei matta?! Vuoi morire?! - cercò di riportarla alla ragione Elizabeth per poi scuoterla per un braccio.
La ragazza le rivolse uno sguardo deciso che la fece indietreggiare.
- Abbi fede! - disse solamente, una mano attorno ad una cima e l’altra a stringere la sua collana.
Hector le rivolse un sorriso orgoglioso e scoppiò a ridere, mentre la nave valicava i Confini del Mondo e precipitava nell’oblio.
La risata dell’uomo fu l’ultima cosa che udì, poi l’acqua e il vento si impossessarono di tutto e fu solo buio e silenzio.
Il Mondo dei Morti non ammetteva rumore.
Fu il sapore del sale a riportarla alla luce. L’acqua di mare le era entrata in bocca e nel naso, e prima di tossire si ritrovò a spalancare gli occhi su un sole diverso, un sole che scaldava le ossa con un calore sconosciuto.
- Siamo vivi?! - esclamò, cercando di balzare in piedi e cadendo di nuovo impedita dall’acqua.
Tossì ancora, e una mano forte e salda la afferrò per un braccio e la rimise in piedi.
- Siamo arrivati. - le rispose Barbossa, facendole segno di seguirlo sul bagnasciuga, dove fra i resti spezzati della Hai Peng si stava radunando il resto della ciurma.
Sembrava ce l’avessero fatta sul serio. Erano arrivati, potevano salvare Jack!
Ma di Jack non c’era traccia.
- Non vedo nessuno… - commentò Elizabeth, gli occhi stretti a scrutare il riverbero che si infrangeva sulle alte dune di fronte a loro.
- E’ qui! Davy Jones non lascia mai andare quello che prende! - la tranquillizzò a modo suo Hector, ma Will non sembrava convinto.
- Adesso che importa? Siamo intrappolati anche noi, non meno di Jack. - sibilò, ottenendo uno sguardo di fiele da parte di Cristal.
La ragazza aggirò Barbossa fino a trovarsi a faccia a faccia con l’amico d’infanzia, scura in volto e con un dito puntato contro il suo petto.
- Cautela, Will! Barbossa aveva il compito di portarci fino allo Scrigno, e allo Scrigno ci ha portati! Il dubbio non è merce gradita su queste spiagge. - replicò, ferita dalla completa mancanza di fiducia.
Forse Will la credeva una sprovveduta, forse pensava non avesse notato la brusca virata che aveva compiuto da quando avevano lasciato Singapore, ma conosceva il suo amico e sapeva quando qualcosa in lui non era trasparente. Era da quando si erano separati da Sao Feng che i suoi scambi con Barbossa rasentavano l’insolenza, e le parole di Tia Dalma durante la traversata non avevano fatto che acuire la sua preoccupazione.
Il ragazzo alzò le sopracciglia, stupito da una simile presa di posizione, ma non ebbe tempo di replicare a tono: Tia Dalma si intromise, la voce misteriosa ad alzarsi armonica con la risacca.
- Il brillante Jack è più vicino di quanto pensiate! - ghignò, le dita lunghe e affusolate ad accarezzare la corazza di un piccolo granchio biancastro.
I presenti seguirono lo sguardo della sacerdotessa lungo i crinali delle dune e tutti quanti trasalirono quando all’orizzonte fecero capolino le vele nere che tutti conoscevano.
- E’ la Perla! - esclamò la ragazza, facendo un passo avanti per poi voltarsi verso gli amici in cerca di sostegno, vagamente preoccupata che potesse trattarsi di un’allucinazione.
In piedi sul pennone più alto della Maestra, un puntino minuscolo fra il sartiame, Jack Sparrow scrutava le onde.
Cristal sentì il nodo che le aveva stretto le viscere fino a quel momento sciogliersi di colpo e gli occhi inumidirsi, mentre un sorriso spontaneo le nasceva sulle labbra.
Ce l’avevano fatta.
La Perla Nera scivolò sulla sabbia trasportata da un’onda di piccoli granchi bianchi identici a quello con cui stava giocando Tia Dalma fino a che non ebbe raggiunto la spuma dell’onda, mentre Gibbs, incredulo, si avvicinava piano.
- Per mille palle di cannone con la barba! E’ Jack! - esclamò correndogli in contro, Elizabeth immediatamente dietro di lui ad arrestare la sua corsa dopo qualche passo.
Cristal non si accorse di nulla, troppo intenta a trattenere le lacrime nel superare Gibbs e gettarsi al collo del compagno di tante avventure.
- Jack! Jack ce l’abbiamo fatta! Sei tu! Ce l’abbiamo fatta! - esclamò stringendolo forte e affondando il viso grondante acqua nel colletto della sua giacca.
Non notò la smorfia infastidita di Barbossa, che a quella plateale dimostrazione d’affetto aveva repentinamente distorto lo sguardo, e d’altro canto fu svelta a lasciar andare l’amico, indietreggiando di un passo per poterlo guardare meglio.
Quello le rivolse un’occhiata indecifrabile, poi si indirizzò a Gibbs, che aveva abortito a metà l’abbraccio che anche lui avrebbe voluto dedicargli.
- Signor Gibbs! Fate rapporto! E spero siate in grado di dare conto delle vostre azioni! - berciò Jack, che non sembrava per nulla contento di vederli.
L’uomo, confuso, cercò spiegazioni, e Sparrow non si fece pregare, blaterando tuttavia cose incomprensibili.
Gibbs abbassò il tono, forse in imbarazzo per lui, ma quando ebbe cautamente spiegato che si trovavano all’interno dello Scrigno di Davy Jones la reazione fu ugualmente spiazzante.
Fu finalmente Barbossa ad attirare l’attenzione del pirata chiamandolo per nome.
- Ah, Hector! Da quanto tempo, vero? - esclamò Jack.
Cristal inclinò la testa di lato. Era quello il benvenuto da dare a un redivivo? Che credesse di essere spacciato? O forse li riteneva tutti quanti un’allucinazione dettata dallo Scrigno?
- Sì! Isla de Muerta, mi pare… mi hai sparato! - gli rinfrescò la memoria il suo ex secondo ufficiale.
- Non ero io! - si manlevò come se niente fosse, scartando lateralmente e andando a salutare Tia Dalma.
- Crede che sia un’allucinazione… - Will diede voce alle perplessità di tutti, ma Jack gli rivolse un’occhiata saccente che nessuno si aspettava in quel frangente.
- William, sinceramente! Sei qui perché ti serve il mio aiuto per salvare una damigella pericolosa, o una damigella in pericolo? E’ uguale… - convenne in un discorso che parve chiaro solo a lui.
Solo dopo un’altra dose di blaterare senza senso Elizabeth si fece finalmente avanti.
- Jack! E’ tutto reale, siamo qui! - esclamò.
L’uomo le rivolse un’occhiata che avrebbe potuto dirsi di terrore e fece dietrofront, cercando delucidazioni presso Gibbs.
Cristal tratteneva il fiato, spaventata da quello a cui stava assistendo.
Che Jack avesse perso completamente il senno durante la sua prigionia? Era questo il prezzo da pagare all’interno dello Scrigno? C’era una cura, o si sarebbero dovuti accontentare di quella versione sbiadita e confusa di Jack?
- Siamo venuti a soccorrerti! - cercò di spiegare la giovane Swann, avanzando ancora, ma Jack li spiazzò tutti di nuovo.
- Ma tu guarda! - esordì con una certa dose di disprezzo che Cristal non seppe spiegarsi.
Implacabile, l’uomo prese a lamentarsi del fatto che non aveva voglia di sobbarcarsi dei loro problemi a bordo della sua nave, e quando Hector replicò ad insinuare che l’unica nave in vista apparteneva a lui Cristal perse la pazienza e si sedette sulla sabbia, esasperata.
Allora era questo il problema? I due grandi capitani non avevano intenzione di mollare l’osso e giocavano a chi era più infantile?
Lasciò che fossero gli altri a sbrigarsela con Jack, conosceva bene il suo carattere e onestamente sapeva che se avesse provato lei a farlo ragionare sarebbe probabilmente finita in una scazzottata.
Ma quando, dopo aver riassunto quale fosse l’emergenza, Will gli fece notare che senza un equipaggio non sarebbe mai sfuggito allo Scrigno, Jack ebbe una reazione ancora più inaspettata delle altre.
- Perché dovrei imbarcarmi con voi, di cui quattro hanno tentato di uccidermi e una c’è riuscita? -
L’istante di silenzio che seguì le sue parole fu rapido come un battito di ciglia, rapido come il movimento di coloro che si voltarono in direzione di Elizabeth, rapido come il suo distogliere lo sguardo quando fu sfiorata da quello di Will.
Ma Cristal non stava più prestando attenzione ai dettagli.
Tutto ciò che riusciva a vedere era la colpa di Lizzie marchiata a fuoco sulle sue labbra serrate, era la Perla che si inabissava sui flutti, il dolore cupo e straziante di aver perso di nuovo qualcuno di importante, la disperazione di non essere stata capace di salvarlo, ancora, ancora, ancora.
E invece non aveva capito niente.
E invece come sempre era stata ingannata.
Ancora una volta.
Ancora da Elizabeth.
Jack riprese a parlare, parole di scherno scelte con cura per ferire, ma Cristal non le udiva, ancora stordita dalla rivelazione, ancora ferita come da una staffilata attraverso le tempie.
Con gli occhi vedeva Sparrow organizzare una ciurma, vedeva i cinesi schierarsi al suo fianco e Hector e gli altri farsi forza delle Carte Nautiche come contrappeso, come merce di scambio. Vedeva tutto quello, ma fu solo quando Gibbs le porse una mano per alzarsi in piedi che tornò a sentire la sabbia sotto le suole e l’acuto fischio alle orecchie si diradò.
- Arrivo… - sussurrò, lo sguardo sconvolto ancora fisso su Elizabeth.
Quella finse di non averla notata e proseguì verso la Perla, muta e colpevole.
- La vita è crudele, Cristal Cooper. Non era questa la marea che avevi scelto, dico bene? -
Tia Dalma le scivolò accanto prima di sorpassarla, gli occhi scuri puntati nei suoi e nella voce la vibrazione sottile di chi sa.
- La vita non deve nulla a nessuno. Sta a noi scegliere se essere crudeli o meno. - ribatté, infastidita.
Il sorriso della donna le parve un ghigno di scherno e non indagò oltre: la Perla aveva bisogno di tutti gli sforzi per abbandonare quel luogo di morte e follia e lei si era attardata fin troppo.
Se credeva che una volta a bordo sarebbe riuscita a distrarsi dalla nausea incalzante sbagliava di grosso: i due Capitani, proprio come due bambini capricciosi, avevano preso a litigarsi il comando.
Certo Cristal in quanto Pirata Nobile era una loro pari e avrebbe potuto tranquillamente assumere il comando per placare i continui battibecchi, ma onestamente non aveva alcuna voglia di agire in prima persona. Si sentiva insofferente nei confronti di tutti, ed era grata a Elizabeth di aver deciso di sparire sottocoperta e non farsi più vedere fino al tramonto.
Qualcuno che invece non sembrava aver capito il suo bisogno di solitudine era proprio Jack.
- Allora, giovane Cooper… pare proprio che alla fine tu abbia ottenuto ciò che volevi! - esclamò all’improvviso cingendole la vita con un braccio, la nebbia via via più fitta nella notte attorno a loro.
La ragazza gli rivolse uno sguardo scocciato ed esalò un lungo sospiro.
- Sarebbe a dire? - non si premurò nemmeno di scostarsi, sapeva che sarebbe stato inutile.
Jack le riservò un sorrisetto saccente e inclinò appena la testa in sua direzione.
- Hai recuperato il buon vecchio Hector, in un modo o nell’altro! Mi chiedo solo come tu sia riuscita nell’impresa…  Cosa ti ha chiesto in cambio Tia Dalma? - fece, curioso come una faina.
L’espressione cupa di Cristal però non dovette piacergli.
- Io non ho fatto nulla per riavere Barbossa. Non… non sono stata io a riportarlo indietro. - balbettò, l’ombra di un nuovo dubbio ad insinuarsi nel suo cuore.
Jack si fece serio di colpo e abbassò la voce.
- Che cosa significa che non sei stata tu? - replicò.
La ragazza si divincolò dal suo tocco in un gesto fluido e si guardò intorno, spaesata.
- Jack, non avevo nemmeno idea esistesse una simile soluzione. Nessuno di noi ha pagato Tia Dalma per questo rituale. -
L’uomo serrò le labbra e spalancò gli occhi.
- Solo noi sapevamo di Hector. A meno che il sangue… - considerò, uno sguardo sfuggente alla collana prima che un richiamo da prua li facesse sobbalzare entrambi.
Tante piccole scialuppe erano apparse nel buio della notte e illuminavano la superficie dell’acqua, procedendo lungo la corrente in direzione contraria alla Perla.
Gibbs stava già caricando il fucile, ma Will, che doveva aver intuito qualcosa, lo fermò.
Jack e Cristal si scambiarono un’occhiata preoccupata e si avvicinarono, mentre Barbossa lasciava momentaneamente il timone per unirsi a loro.
- Non siamo null’altro che ombre per loro… - fece Tia Dalma, greve.
- E’ meglio lasciarli passare. - aggiunse Barbossa con dolcezza, una mano sulla spalla di Cristal quasi a trattenerla.
Quella si voltò, gli occhi chiari ad esternare una domanda di cui già conosceva la risposta.
- E’ la flotta del Bag-Noz, vero? -
L’uomo annuì soltanto, mentre Jack accanto a loro rimaneva in silenzio a fissare la lunga processione.
- Che cosa significa? - inquisì Will, ma nessuno ebbe il tempo di rispondergli: in mezzo alla flottiglia apparve un volto conosciuto e all’apprendista del fabbro e alla Figlia della Tempesta il cuore cadde dritto in fondo ai piedi.
Weatherby Swann beccheggiava piano a babordo.
- Oh no… - si lasciò sfuggire Cristal, il respiro mozzato dalla violenza della scoperta.
Fu allora che Elizabeth decise di tornare in coperta e scorse il volto dell’uomo fra le scialuppe.
- E’ mio padre, siamo tornati! Bene! - esclamò, le labbra tese in un sorriso di pura gioia.
- Padre! Padre qui! Sono qui! - prese a saltare sul posto per farsi riconoscere, ma Swann parve non udirla.
Accanto a lei, a Cristal prese a tremare il labbro inferiore, mentre la presa di Barbossa sulla sua spalla si faceva più salda, come un monito o una protezione.
- No. - le sussurrò all’orecchio prima che potesse prendere una qualsiasi iniziativa.
- Elizabeth… non siamo tornati. - fu la spiegazione di Jack.
La ragazza si fece seria di colpo e quando per una frazione di secondo incontrò il viso cinereo e straziato dell’amica parve capire.
- Padre! - chiamò ancora, trascinandosi lungo la murata.
L’uomo finalmente udì il richiamo e la riconobbe, voltandosi in loro direzione.
- Elizabeth! - esclamò, stupito.
- Sei morta? - chiese poi, rendendo ineluttabile il motivo della sua presenza in quel luogo.
Elizabeth prese a scuotere la testa, Cristal ferma nella stessa identica posizione di prima con le mani a coprirle la bocca mentre l’amica negava l’evidenza.
- E’ stato per un forziere, sì… Che strano… in quel momento sembrava così importante! - raccontò Swann.
- Sali a bordo! - urlò Elizabeth, ancora aggrappata all’ultima briciola di speranza che l’oscurità in cui navigavano le stava offrendo.
Ma l’uomo non la ascoltava, e continuò a spiegare le circostanze del suo sacrificio.
- Qualcuno gli getti una cima, Ritorna con noi! - urlò Lizzie, precipitandosi verso un cumulo di corde abbandonate ai piedi di un albero.
Cristal si scrollò di dosso la mano di Barbossa e affiancò l’amica, le guance spruzzate di lentiggini già bagnate da due lacrime traditrici, il cuore già dimentico della violenza del rancore.
- Cristal! Sono stato ingiusto nei tuoi confronti, ti chiedo perdono… Mi perdonerai? - si rivolse poi a lei, vedendola armeggiare con la cima accanto a Elizabeth.
La giovane, che agiva ben consapevole dell’inutilità dei suoi gesti, scosse la testa con un sorriso dolce.
- Non avete nulla di cui farvi perdonare, Governatore! Io vi rispetto! - gli urlò dalla murata, mentre l’uomo ricambiava il sorriso e con un cenno del capo la ringraziava, ignorando la cima che sua figlia gli aveva gettato.
- Sono così fiero di te, Elizabeth… - sussurrò, gli occhi traboccanti amore e orgoglio.
La ragazza però non si arrendeva, le corde vocali raschiate dal tanto gridare e il busto sporto interamente dalla murata.
- Prendi la cima! Padre! Prendi la cima! - continuava a ripetere come un’ossessa, incapace di accettare il destino.
Ma la cima scivolò in acqua, lontano dalla scialuppa, e Weatherby Swann non fece nulla per mutare il suo fato.
Il Governatore tornò invece a rivolgersi a Cristal, il sorriso di poco prima inquinato dal senso di colpa, da una supplica amara nella quale ancora chiedeva perdono.
- Ti sei sempre presa cura di lei. Lo faresti ancora, per me? -
Cristal, ormai in preda ai singhiozzi, annuì e si morse un labbro.
- Sempre, Signore. Avete la mia parola! - gli promise, la vista annebbiata dalle lacrime e il cuore in frantumi.
Ma se lei si era ormai rassegnata a non poterlo salvare, lo stesso non si poteva dire di Elizabeth, già pronta a tuffarsi per recuperarlo.
- Non deve lasciare la nave! - tuonò improvvisamente Tia Dalma, la ragazza che gridava ormai fuori di sé e Will che accorreva nel disperato tentativo di bloccarla e impedirle la follia.
- No, padre! Io non ti lascio! - continuava ad urlare, dimenandosi e cercando di buttarsi.
- Darò un bacio a tua madre per te! - fu l’ultimo saluto di Weatherby Swann, prima che la corrente lo trascinasse troppo lontano perché le sue parole potessero distinguersi.
E mentre William, Elizabeth stretta fra le braccia, chiedeva invano se ci fosse speranza, Cristal Cooper rimaneva ferma alla murata, sola e superata da tutti, le guance scavate dal pianto e gli occhi secchi.
Il silenzio li avvolse di nuovo in una bolla e la notte fu ancora una volta padrona.
La flotta del Bag-Noz era passata.
Il giorno seguente li accolse senza un fiato e con la nefanda notizia dell’esaurimento delle scorte di acqua dolce. Il malcontento a bordo aumentava assieme alla noia portata dalla bonaccia, ma Cristal aveva altro a cui pensare.
Silenziosa, era andata a sedersi accanto a Elizabeth sulle scale che conducevano al cassero, e nessuna delle due aveva aperto bocca per almeno un’ora intera.
Sorprendentemente era stata Elizabeth a parlare per prima.
- Avrei dovuto dirtelo. - disse semplicemente.
- Di Jack, intendo. Non hai torto ad odiarmi. - ma non ebbe risposta e si voltò per assicurarsi che l’amica la stesse ascoltando.
Cristal la stava fissando attentamente, le sopracciglia arcuate in un’espressione severa.
- Sì, avresti dovuto. Ma non ti odio. - rispose solo.
Era ancora arrabbiata con lei, era ancora arrabbiata per il fatto che avesse preso quella decisione così, senza consultare nessuno, ignorando i sentimenti degli altri, sottraendole l’ultimo punto fermo che le fosse rimasto e fingendo che la responsabilità non fosse sua, eppure non riusciva ad odiarla, non adesso, non così.
La vita non doveva niente a nessuno, e stava a lei decidere se essere crudele o meno.
- Come fai a essere così? Come fai a perdonare tutto? - le domandò la ragazza, gli occhi bassi e le mani a tormentare la stoffa blu della casacca.
Cristal le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse a sé in un abbraccio stanco. Non le rispose, non avrebbe saputo che dirle.
- Mi dispiace tanto, Liz. - sussurrò dopo alcuni minuti senza azzardarsi a lasciarla andare.
L’amica sorrise debolmente e poggiò il capo contro la sua spalla.
- E’ solo che papà non c’entrava nulla in tutto questo. Non se lo meritava. Non è giusto. - tacque un momento, poi sospirò.
- Vorrei avere il coraggio che hai tu… - confessò in un soffio, stremata dal dolore della notte appena passata.
Quella frase le sembrò già ascoltata in tempi remoti e Cristal sorrise amara, negli occhi il ricordo di una spiaggia al Sud del mondo, di una locanda nella vecchia Londra. E poi fu il rumore dell’oro a incresparle la pelle, fu il sapore del sangue.
Conosceva bene il dolore di Elizabeth, l’aveva già incontrato due volte.
- Non esiste coraggio di fronte alla perdita, Liz. Solo stanchezza ed inerzia. Ma un giorno sorriderai di nuovo. Un giorno… - non concluse: di fronte a loro Jack e la ciurma avevano preso a correre avanti e indietro lungo il ponte, facendo rollare la nave.
- Che diamine combinano, adesso? - fece Elizabeth, abbandonando lentamente la sua postazione e avvicinandosi in cerca di spiegazioni.
Cristal non la seguì, preferendo affiancare Barbossa dove Jack aveva lasciato spiegate le Carte Nautiche.
- Non ho capito. - dichiarò solennemente, ottenendo in cambio un’alzata di spalle da parte dell’uomo.
Quello si chinò sulle Carte, strizzando gli occhi in cerca di un indizio.
- “Sopra è sotto”… - lesse ad alta voce la ragazza, scorrendo lo sguardo lungo i disegni sulla mappa.
- Sopra è sotto! - esclamò di nuovo, incontrando il guizzo consapevole negli occhi azzurri di Barbossa.
- Sì! Ha intuito tutto! - fece lui, soddisfatto.
- Jack, sei un genio! - urlò Cristal correndo alla murata, pronta ad aiutare il resto della ciurma in un compito il cui vero obbiettivo avevano capito solo in tre per il momento.
Il carico fu liberato, casse, barili e cannoni che vagavano liberi da un lato all’altro della stiva assecondando il rollio della nave.
Ad ogni oscillazione la murata si faceva sempre più vicina alla superficie dell’acqua ed era sempre più difficile riuscire a rimanere in piedi senza precipitare in preda alla gravità. Qualcuno mancò di aggrapparsi e cadde nel vuoto, ma ormai il gioco era fatto: spinta oltre al suo limite, la nave si rovesciò, completamente capovolta al di sotto della superficie.
Erano tutti lì, aggrappati alla murata e al sartiame, gli occhi spalancati e le bocche chiuse in attesa di qualcosa, e proprio quando stavano incominciando a credere di aver commesso un imperdonabile errore una forza inspiegabile prese ad attrarli verso l’alto, l’acqua che si ritirava con un risucchio violento.
Proprio come avevano visto fare all’Olandese Volante, la Perla venne sputata dal mare e atterrò sui flutti con uno schizzo potente che inondò il ponte di coperta, rovesciandovi alghe, pesci e un’incredibile quantità di piccoli granchi.
Cristal, fradicia fino al midollo e con i capelli appiccicati al viso, si alzò in piedi e si avvicinò alla  murata, le labbra socchiuse in un sorriso incredulo.
Sulla linea dell’orizzonte, timido eppure glorioso, faceva capolino il primo sole del mattino.
Si levava l’alba.
Erano tornati a casa.









 
Note:

Per i nostri eroi uscire dallo Scrigno di Davy Jones è stato più facile del previsto, lo stesso non si può dire di me... xD
Ho le mie scuse buone per questa lunghissima assenza: come vi avevo già accennato avevo un progetto abbastanza serio per le mani che richiedeva tutte le mie attenzioni e per questo sono stata costretta a mettere in pausa i miei lavori "da fandom" per un po', ma finalmente posso dire che la parte complicata di questo progetto è giunta a termine e se avrò un briciolo di fortuna potrò presto svelarvi una volta per tutte di che si trattava!
Nel frattempo rieccomi qui, a solcare di nuovo queste acque che mi erano immensamente mancate!
Questo è purtroppo un vero e proprio capitolo di transizione, in cui nulla di nuovo sembra aggiungersi alla trama. Se fate attenzione, tuttavia, qualche piccola anticipazione è celata qua e là nei discorsi dei nostri personaggi, e fra poco (anzi, fra pochissimo) tutte le carte verranno scoperte...
Nel frattempo Cris ha un brutto presentimento che si sta espandendo a macchia d'olio nel suo cuore. Di che si tratta nel concreto? C'è davvero di che preoccuparsi, o è solo una brutta sensazione data dalle cupe circostanze in cui si è trovata ultimamente? Barbossa e Jack smetteranno mai di fare i bambini? (E soprattutto, il Pirata Nobile del Mar Caspio si sarà accorto di essere un tantinello palese per quanto riguarda il suo punto debole?)
Non aggiungo altro e lascio a voi i commenti, sappiate solo che il prossimo capitolo è IL Capitolo e lo stavo aspettando dalla bellezza di dodici anni e mezzo. Non vedo l'ora di far soffrire leggere anche a voi.
Buona fortuna. ;)

Come sempre immani ringraziamenti a voi che leggete/seguite/recensite/non mi uccidete quando torno dal regno dei morti dopo quasi due anni di assenza. Siete la mia gioia. <3

Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***




Capitolo Ventiseiesimo~








La spada giaceva abbandonata sulla branda, proprio davanti a lui.
Era a stento trascorso un anno da quando l’aveva ricevuta, accaldato sotto il sole di mezzogiorno nella cerimonia solenne su al Forte.
Era a stento trascorso un anno, eppure gli sembrava che in quei giorni inseguitisi a passo di marcia una vecchiaia ingiustificata lo avesse afferrato per l’orlo della giacca, avesse tirato e tirato fino a fargli rallentare il passo, troppo appesantito da quella zavorra per poter proseguire senza intoppi.
Gli capitava, la notte, di svegliarsi di soprassalto, nelle orecchie il sordo pompare del cuore di Davy Jones che come una litania indesiderata gli ricordava il suo ruolo. Non erano incubi, quanto piuttosto un richiamo della coscienza, una maledizione a cui lui stesso si era volontariamente sottoposto.
Aveva tenuto il cuore fra le mani, lo aveva osservato, curioso, testardo, desideroso di comprendere come un uomo potesse arrivare a tanto, quale disperazione potesse muoverlo al punto da rinnegare se stesso e strapparsi l’anima dal petto. Aveva creduto di non essere in grado di rispondere a quell’interrogativo, ma si era ritrovato in piedi di fronte alla scrivania di Beckett con il cuore del nemico in un sacco di iuta e si era reso conto che non era solo Jones ad aver rinunciato alla sua umanità.
La risposta era lì, con una divisa logora della marina e i capelli arruffati e incrostati di sale. La risposta era nel suo nome, nei suoi occhi, sulle sue labbra tese di orgoglio e vergogna mentre Beckett lo riabilitava al suo ruolo.
Poteva un uomo arrivare al punto di strapparsi l’anima e rinnegare se stesso?
James Norrington guardava la sua spada abbandonata sulla branda e cercava di ritardare il momento in cui avrebbe risposto a quel quesito, e per un infinitesimale istante fu grato ai tre colpi precisi contro la porta chiusa.
- Avanti! - esclamò, lisciandosi la divisa pulita e drizzando la schiena.
L’uscio si aprì di colpo, contro ogni etichetta, e rivelò la figura alta e ordinata di un giovane ufficiale. Fu questione di un secondo, questione di contestualizzare ciò che aveva davanti agli occhi, e James spalancò la bocca di sorpresa.
- Theodore?! - esclamò.
Ma Groves non gli lasciò il tempo di aggiungere nulla, un enorme sorriso andò a tendergli le labbra verso l’alto e con un paio di ampie falcate attraversò la stanza e strinse Norrington in un abbraccio sincero, onesto come colui che lo stava offrendo.
- James, per diamine! Che cosa ci fai sull’Endeavour?! Lucas aveva detto che avevi rassegnato le dimissioni a Tripoli! Da dove esce quella divisa? Sei… sei stato promosso?! - sciorinò senza prendere fiato.
James sorrise, il peso sul cuore momentaneamente sollevato da quel volto amico: non si era reso conto di quanto Ted gli fosse mancato.
Un ghigno lieve andò a colorargli l’espressione, subito accompagnato da un’orgogliosa pacca sulla spalla.
- Potrei chiedere lo stesso a te, Tenente Groves! - lo elogiò con un cenno della testa alle mostrine, ma Theodore non rispose con l’entusiasmo che si sarebbe aspettato. I suoi caldi occhi castani scesero verso il basso, concentrati sulle assi del pavimento.
- Non era così che avevo immaginato la mia promozione. - mormorò.
Fu un istante, un silenzio di troppo nella replica tardiva, ed entrambi si accorsero di essere d’accordo.
- Sei sempre stato un buon marinaio, Ted. Te lo sei guadagnato. - cercò di sviare l’attenzione dalla reale problematica, ma Theodore era sempre stato troppo intelligente e troppo leale per potergli permettere gioco facile in quel frangente.
- Avrei preferito vedere la tua firma su quel foglio. A Port Royal ne ha fatti impiccare più di duecento. Un terzo erano bambini. - confessò.
Norrington strinse le labbra e trasse un profondo respiro dal naso.
Ricordava uno scambio di battute avvenuto moltissimi anni prima. Ricordava di aver detto che davanti alla Legge non vi erano sconti né carità, perché un ragazzino sarebbe potuto diventare un uomo e la prevenzione era meglio della cura.
Non era più così sicuro di credere a ciò che lui stesso aveva detto a diciotto anni.
- La Legge dovrebbe correggere, non estirpare… - sussurrò, una citazione di cui si appropriò senza diritto, come un ladro. Quello che era, dopotutto.
- E’ quello che ho sempre pensato anche io. Non mi sento a mio agio in questo ruolo. Non più, non così. - continuò il Tenente con un cenno della testa al ponte superiore, dove si trovava l’elegante cabina di Beckett.
- In ogni caso mi fa piacere vedere che stai bene. Quando ho saputo di Tripoli, sai… non posso negare di aver avuto qualche preoccupazione. - fece poi, cambiando discorso.
- Fare rotta attraverso un uragano! Sei stato un folle, James… - considerò ancora, un sorriso affettuoso mentre scuoteva ancora la testa.
Norrington sorrise a sua volta, sentendosi un bugiardo.
- Gillette esagera sempre, lo sai. Non è stata così tragica. Semplicemente Port Royal non aveva più bisogno di me. - liquidò la questione, ma ancora una volta Groves si dimostrò più tenace di quanto non fosse pronto ad affrontare.
- Ero convinto fossi rimasto con lei. - disse semplicemente.
James arcuò le sopracciglia verso il basso, offeso, stupito, punto sul vivo. Detestava quando Theodore lo metteva di fronte alle sue responsabilità.
- Io sono un ufficiale di Marina, Theodore. - fu la replica serrata.
L’amico fece un passo in avanti, questa volta meno accondiscendente.
- Tu sei un uomo come tutti noi, James! Credi che ci siamo dimenticati di come sei tornato a casa dopo la Fleur de Lys? - lo accusò.
- E’ stato tanti anni fa, è cambiato tutto. - ribatté James, nervoso.
Theodore tacque, quello era esattamente il tipo di risposta che si aspettava. Sapeva che avrebbe cercato di rinchiudere la parte migliore di sé in un passato irraggiungibile, sapeva che si sarebbe trincerato dietro mille scuse diverse. Lo faceva sempre, non sarebbe stato diverso quella volta.
Ma se poteva tollerare la sua testardaggine in circostanze differenti, a bordo dell’Endeavour quella cocciuta ostinazione gli sembrava quasi sacrilega.
- E’ solo che… - incominciò, indeciso se affrontare o meno quella conversazione.
James inarcò un sopracciglio, incuriosito nonostante la lieve stizza che ancora gli stringeva i pugni lungo i fianchi.
- Che? - lo incentivò a parlare.
Theodore sospirò e incrociò le braccia al petto, già pentito di aver osato spingersi così in là.
- E’ solo che hai avuto davvero una buona occasione, James. E ti chiedo scusa se sembrerò inappropriato, ma vedere te agli ordini di Beckett suona proprio come uno spreco, dopo la fatica che abbiamo fatto per liberare Miss Cooper! -
Se possibile, il sopracciglio di James si arcuò ancora di più.
- Abbiamo? - domandò.
Groves arrossì violentemente e incassò la testa fra le spalle.
- Beh, la Perla Nera non è certo venuta di sua spontanea iniziativa a recuperare Cristal e Sparrow. - si limitò a replicare.
- In ogni caso non era di questo che si stava parlando. Io capisco tutto: la proposta a Miss Swann, l’eseguire gli ordini contro Sparrow, tutto… Ma non capisco questo. Lo scorso Luglio avevi le mani legate, non lo metto in dubbio, ma adesso? Eri libero, per la prima volta eri davvero libero, e che cosa hai fatto? Ti sei di nuovo legato un cappio al collo, ti sei venduto, proprio tu! Comprenderei chiunque, ma non te, James. Sei sempre stato ambizioso, ma mai arrivista. - lo rimproverò.
L’uomo incassò il colpo in silenzio, incapace di ribattere. Avrebbe potuto cacciarlo dalla sua cabina, punirlo addirittura. Dopotutto era pur sempre un suo superiore. Gli sarebbe bastato uno schiocco di dita per rimetterlo al suo posto e farlo tacere, ma non fece nulla.
Fu lui a rimanere a capo chino, perché sapeva che Theodore era suo amico e nelle sue parole si celava reale preoccupazione. Perché sapeva, nonostante tutto, che aveva ragione.
- Lei ha scelto il Mare, Ted. - esalò, ammettendo per la prima volta la vergogna della disillusione, la sconfitta di un destino che aveva deviato bruscamente dai suoi desideri da troppo tempo per poterne raddrizzare la rotta.
Avrebbe potuto raccontargli di quella sera sul ponte della Perla, delle parole non dette, della vergogna che gli aveva impedito di accettarsi.
Avrebbe potuto spiegargli che persino Elizabeth, con cui un tempo aveva condiviso il peso del dolore, gli aveva voltato le spalle ed era stata capace di liberarsi, lasciandolo solo con la sua inettitudine.
Avrebbe potuto permettersi di essere sincero e mostrargli tutta la sua vulnerabilità, la paura, la consapevolezza di essere caduto troppo in basso per poter essere salvato. Sapeva che Theodore avrebbe compreso.
Non disse nulla. Ancora una volta cercò di raddrizzare la schiena curvata dal rimorso e non disse nulla.
- E quindi ora la tradisci vendendola a Beckett? Vendendoli tutti quanti? - incalzò Groves, forse ignaro della sua tempesta interiore, o forse perfettamente consapevole.
- Non avevo scelta! - si giustificò James, un lontano senso di nausea a stringergli la bocca dello stomaco.
L’amico lo guardò fisso negli occhi, non con rimprovero, ma con compassione.
- Abbiamo sempre una scelta. -
Sospirarono entrambi, perché quella conversazione, seppur carica di verità, era fine a se stessa. Sapevano tutti e due che ormai il danno era fatto. Che cosa avrebbero potuto fare, adesso che erano sotto l’attento sguardo di Beckett? Disertare? No, aveva ragione Theodore, erano entrambi con le mani legate.
James si guardò nervosamente attorno, come se un qualsiasi elemento di arredo della sua cabina semplice e ordinata avesse potuto offrirgli una via di fuga da quel discorso scomodo, ma fu una sincera curiosità a toglierlo d’impiccio.
- E come sta Lucas? Lavora per Beckett anche lui? - chiese all’improvviso.
Dal tendersi spontaneo delle labbra dell’amico intuì che ancora una volta Gillette doveva essersela cavata meglio di loro.
- Quell’infame è stato più furbo di tutti. Non l’ho più visto da quando siete salpati, ho ricevuto vostre notizie via lettera. - incominciò a spiegare, beandosi dello stupore in volto a Norrington.
- Si è fatto mettere di stanza a Minorca. Apparentemente adesso è Tenente Comandante di una corvetta, ma a quanto ha detto nell’ultima lettera non ci sono missioni in vista. Gli hanno dato una casa nel quartiere ufficiali e si gode il clima mediterraneo. -
James alzò gli occhi al cielo e rise sinceramente per la prima volta dopo settimane.
- Che razza di venduto! - commentò con affetto.
- Magari quando andremo in pensione potremo ritirarci tutti a Minorca a casa di Lucas… - ghignò Ted, immaginando già mille modi diversi di mandare in frantumi la tranquillità dell’ignaro Gillette.
Poi si fece serio e si voltò verso la porta, fermandosi proprio di fronte all’uscio.
- Devo andare, teoricamente sarei di turno. Tu a che ora attacchi? - chiese per calcolare se avrebbero avuto turni assieme o se avrebbero dovuto aspettare il cambio della rotazione per poter conversare in tranquillità.
James si mostrò stupito e socchiuse appena le labbra.
- Non… non te l’hanno detto? Non sono destinato all’Endeavour. Beckett ha convocato Jones, hanno affidato a me il comando dell’Olandese. - lo informò.
Theodore strinse appena le palpebre, come se acquisire quel concetto gli riuscisse particolarmente difficile. Forse si stava domandando per quale motivo lo avessero destinato all’Olandese quando l’Olandese aveva già un Capitano. Norrington si chiese se effettivamente Ted sapesse qualcosa del cuore, del forziere e di tutto il resto. Preferì non dire nulla, non era del tutto certo che la conoscenza avrebbe potuto fargli bene finché si trovava a stretto contatto con Beckett.
- Buona fortuna a trattare con Jones, non è un elemento particolarmente gradevole. - lo ragguagliò Theodore.
- Farò tesoro di questo consiglio! - scherzò lui, cercando di scrollarsi di dosso il leggero brivido che lo aveva colto al pensiero: lui per primo era poco entusiasta di quella direttiva.
- Ci vediamo, James! Passami a salutare se non sono in coperta quando parti! - e con un cenno della mano al suo indirizzo aprì la porta e lo lasciò nuovamente da solo nel vuoto della sua cabina.
Rimase qualche istante fermo immobile di fronte alla porta chiusa, poi intrecciò le mani dietro la schiena e mosse qualche passo verso la finestra da cui filtrava la luce del sole.
Gettò un’altra occhiata distratta alla spada ancora abbandonata sul letto e si passò una mano sul volto, stanco e consumato dai pensieri che come gabbiani impazziti continuavano a stridere contro le pareti della sua coscienza.
Meno di un’ora prima, quando Beckett lo aveva convocato per consegnargli la sua arma e impartirgli le nuove direttive, l’appellativo ammiraglio pronunciato da quell’uomo senza scrupoli gli aveva strinato la pelle, bruciando come un marchio a fuoco. C’era una bella differenza fra proporsi come corsaro ed essere riabilitato con promozione sul posto, c’era una bella differenza fra consegnare a uno sconosciuto il cimelio di una leggenda e mettere fra le mani di un freddo e crudele calcolatore lo strumento per piegare al suo volere ogni bandiera che solcasse gli oceani.
Ciò che temevano sulla Perla Nera era vero, Beckett non voleva solo impartire una lezione ai pirati, voleva annientarli, estinguerli, polverizzarli, e lui si rendeva conto solo ora di essere stato la chiave di volta per realizzare i suoi piani di sterminio.
Forse un tempo ne sarebbe stato orgoglioso, forse si sarebbe sentito soddisfatto nel sapersi parte centrale di quell’epurazione che una volta riteneva indispensabile, ma non aveva mentito quando aveva detto a Theodore che ogni cosa era cambiata da quando Cristal era salpata ormai sette anni prima.
Ripensò all’ultima conversazione che aveva avuto con la ragazza prima di tradirla e fuggire con il cuore di Davy Jones, e immediatamente le parole di Theodore andarono a risuonare sulle sue in una cacofonia che per un istante gli diede le vertigini.
Sapeva che alla fine tutta la sua vita si sarebbe ridotta a quello, lo aveva sempre saputo.
Ma James non era forte come voleva far credere, era intriso di insicurezze, intessuto di debolezze, e adesso quella paura di affrontare una realtà a cui aveva sempre voltato le spalle si rendeva imperativa.
Aveva rimandato per tutta la vita, e quella linea d’azione lo aveva condotto fin lì, sull’Endeavour, agli ordini di un uomo che disprezzava e la cui lucida follia temeva più di ogni altra cosa, e il tempo stava scadendo.
Avrebbe potuto rimandare ancora?
Esausto, poggiò la fronte contro il vetro tirato a lucido e chiuse gli occhi.
- Ammiraglio… - sibilò con scherno per se stesso.
Quando li riaprì, l’immagine riflessa era quella di un uomo che non riconosceva più.







 
L’onda lunga che spazzava la costa aveva reso difficile sbarcare, ma alla fine un piccolo drappello di uomini, capitanato da Jack e Hector, era riuscito a scendere a terra.
Secondo le carte nautiche quell’isola celava delle sorgenti d’acqua dolce, e dopo essere tornati miracolosamente vivi dallo Scrigno di Davy Jones nessuno di loro aveva voglia di morire di una morte stupida come quella per mancanza d’acqua.
Certo, si ritrovò a pensare Cristal allontanandosi pigramente dal bagnasciuga, si sarebbe sentita più tranquilla a lasciare la Perla se non si fosse verificato il piccolo incidente delle pistole.
Non appena avevano avuto la certezza di essere effettivamente tornati nel regno dei vivi, la velocità con cui il tacito accordo di non belligeranza istituito alla bettola di Tia Dalma si era infranto era stata impressionante: Barbossa era stato il primo a levare le armi contro i compagni di viaggio, ma dalla prontezza con cui Jack, Will e Lizzie avevano reagito sembrava che nessuno di loro ne fosse particolarmente stupito. Dopotutto ognuno di loro era imbarcato in quell’avventura per un motivo diverso, ed era giunta l’ora che la priorità del viaggio venisse definita.
Cristal, nemmeno a dirlo, era rimasta tagliata fuori dalla diatriba, anche se il suo interesse aveva finito curiosamente per allinearsi a quello di Barbossa: come l’uomo voleva riunire la Fratellanza a Consiglio, anche la ragazza necessitava, seppur per ragioni diverse, di recarsi a Shipwreck Cove, e Jack sembrava aver completamente dimenticato la promessa fattale a Tortuga.
- Lurido infame, avevi giurato! - era stata la sua esclamazione furibonda, ma Jack le aveva rivolto un occhiolino irriverente prima di cinguettare “pirata!” e tornare a dedicarsi alle due pistole di Elizabeth puntate contro di lui.
Gli avrebbe probabilmente messo le mani addosso se lo stesso desiderio non fosse stato anticipato dalla sarcastica minaccia di Barbossa.
Adesso, in momentaneo cessate il fuoco e con Liz e Will a guardia della Perla, Cristal si chiedeva come diamine sarebbero riusciti a trovare un punto di incontro senza venire alle mani.
La strisciante sensazione di disagio che l’aveva colta a Singapore era tornata a stringerle il cuore in una morsa fastidiosa, e si era accorta che Tia Dalma la stava tenendo d’occhio. Cercava di non pensare alle sue parole misteriose, così come cercava di non pensare all’ammonimento di Bleizenn, eppure più l’avventura si srotolava davanti a lei come una mappa da riempire, più la voce della bretone andava ad anticipare ogni segno sulla carta.
Bleizenn sapeva qualcosa di cui non l’aveva messa al corrente, e quella cosa si stava avvicinando veloce come la marea, ormai era evidente.
Quando finalmente raggiunse la sabbia asciutta e alzò lo sguardo, quella semplice supposizione si fece concreta con la violenza di uno schiaffo in pieno viso.
- Porca… - si zittì prima di completare l’esclamazione, troppo turbata da quello che vedeva per poter parlare oltre: di fronte a loro, arenata come un leviatano in secca, la carcassa del Kraken li guardava con occhi vitrei e distanti.
Barbossa si voltò verso di lei senza dire una parola, lo sguardo serio come l’aveva visto in pochissime altre occasioni.
- Che cosa significa? - gli chiese in un soffio, pregando che l’uomo potesse in qualche modo tranquillizzare quella paura irrazionale che le ululava nel petto.
Il pirata fissò gli occhi nei suoi e le portò una mano sulla spalla, stringendo appena. Non rispose subito, la osservò con attenzione, quasi come se avesse cercato nel suo volto un ricordo lontano, una memoria passata.
Lasciò ricadere la mano lungo un fianco, un sospiro teso ad accompagnare il gesto.
- Significa che è guerra aperta. - disse solamente.
Le voltò le spalle e prese a camminare verso il cadavere assalito dagli uccelli, ma Cristal non lo seguì.
Rimase a distanza, in soggezione di fronte alle spoglie del mostro. Non si avvicinò, non subito: le sembrava di profanare qualcosa di sacro.
Improvvisamente il terrore che aveva provato al suo cospetto combattendolo a bordo della Perla si mutò in pietà, profonda e dolorosa. Quella creatura antica, padrona degli abissi e protettrice delle onde, aveva incontrato un destino immeritato, piegata al volere di uomini avidi e scellerati, che non provavano rispetto per nulla se non il potere che andavano cercando.
Fino a che punto il Mare avrebbe subito l’ambizione dell’uomo?
Portò una mano alla sua collana, sentendo lungo i polpastrelli la superficie increspata ad ogni voluta della conchiglia, e tutto d’un tratto si sentì un’usurpatrice: con quale diritto Beckett, Jones, la Marina e persino la Fratellanza avanzavano pretese sugli oceani? Con quale diritto osavano decidere di qualcosa di così antico e insondabile come le profondità marine? Nessuno di loro era padrone di nulla, e per un istante la violenza delle onde a Capo Horn tornò a spruzzarle la faccia di schiuma e salino.
Per la prima volta si rese conto davvero di non essere nulla più che una passeggera, una mera contingenza che non avrebbe lasciato alcuna scia dietro la poppa. Era il Mare a concedere loro la grazia, a tollerarli e a guidare le loro rotte, non viceversa.
Loro non erano nessuno di fronte alla potenza millenaria delle maree, e quella consapevolezza le fece vibrare le ossa di rispetto di fronte a ciò che restava del Kraken.
Quando avevano dimenticato la promessa del Mare? Quando avevano smesso di proteggerlo e avevano incominciato ad appropriarsene?
Colma di vergogna davanti a quella scena miserabile, si riscosse solamente al richiamo di Ragetti e Pintel, che invece si erano lanciati immediatamente alla volta della bestia.
- Cristal! Vieni a vedere! -
La giovane allungò il passo, intenzionata a suggerire ai due pirati una condotta più dignitosa, ma la figura di Jack immobile e avvilito proprio come lo era stata lei fino a qualche istante prima attirò la sua attenzione.
Accanto a lui, Hector aveva un’aria stranamente malinconica e per un momento ebbe l’assurda impressione che a modo suo lo stesse consolando.
- Sì, ma quante sono le probabilità che accada? Non c’è la garanzia di tornare indietro, ma al contrario la morte è una cosa certa. -
Fu l’unica frase della loro conversazione che riuscì a intercettare prima che gli schiamazzi di Pintel e Ragetti la distraessero di nuovo, ma quella considerazione le smosse qualcosa nel fondo della coscienza.
Barbossa aveva ragione: quante probabilità esistevano che si potesse tornare dal regno dei morti? Eppure lui e Jack erano lì, davanti a lei, in carne ed ossa a discutere su quale fosse la scelta più giusta da operare alla luce di quella scoperta.
Sparrow si accorse che la giovane lo stava guardando con le sopracciglia aggrottate in un pensiero contorto e le rivolse un vago sorriso, poi aprì le braccia in un ampio gesto ed esortò il piccolo drappello a proseguire la ricerca della sorgente.
- In marcia! - esclamò, girando sui tacchi e incamminandosi verso il fitto della vegetazione.
- Sei riuscito a convincerlo? - sussurrò Cristal all’orecchio di Barbossa, ben attenta a non farsi sentire dall’altro Capitano.
Hector curvò un angolo della bocca verso l’alto senza smettere di camminare.
- Ovviamente… - replicò, orgoglioso.
La giovane scosse la testa con uno sbuffo divertito, cercando di mostrarsi convinta, eppure non riusciva ad impedirsi di ripensare ossessivamente a quanto il suo interlocutore aveva appena detto a Jack.
Erano tornati. Erano morti ed erano tornati.
Perché?
Era più che certa che ciò che Bleizenn aveva volutamente omesso si celasse tutto nella risposta a quel quesito.
Mentre gli stivali spezzavano i ramoscelli che incontrava lungo il cammino, Cristal ripercorse a ritroso quegli ultimi mesi, consapevole che il dettaglio che le sfuggiva era di certo nascosto in bella vista fra i suoi ricordi.
Quando Hector era morto, quella notte terribile a Isla de Muerta, non vi era stato nulla che potesse suggerire un suo ritorno. La maledizione era stata spezzata e il proiettile che gli aveva attraversato il cuore lo aveva ucciso come avrebbe ucciso chiunque altro. Cristal ricordava di aver pianto, di aver pregato Ahès che glielo restituisse, ricordava la rabbia e l’odio che aveva provato verso il suo stesso sangue, il sangue che aveva ucciso l’uomo che più di tutti aveva imparato a chiamare casa. Ma nulla di anomalo era successo.
Aveva lasciato i Caraibi ignara di ciò che il destino avesse in serbo per lei ed era nuovamente approdata a Brest, dove Bleizenn l’aveva accolta con affetto e con quelle parole che l’avevano messa in allarme.
C’era stato uno sfuggente riferimento a quell’ultima tragica avventura, ma Cristal non lo aveva compreso, e lo aveva ritenuto più che altro un goffo tentativo di consolarla.
“Lo hai salvato in modi che non puoi nemmeno immaginare”, le aveva detto per poi dedicarsi al racconto di Calypso e Davy Jones.
Gettò una rapida occhiata a Barbossa che procedeva accanto a lei aprendosi la strada fra il fogliame a sciabolate, poi tornò a concentrarsi sul suo ragionamento.
L’unica menzione ad Hector che fosse mai stata fatta da quando era morto a quando Tia Dalma glielo aveva restituito era stata quella strana sortita di Bleizenn.
Certo era bizzarro che la vita l’avesse poi condotta esattamente dalla donna che la sacerdotessa di Ahès le aveva suggerito di cercare, ma era stata la morte di Jack, un evento in fin dei conti imprevedibile, a condurla alla sua catapecchia.
“So chi sei e con che quesiti giungi.”, le aveva detto. “Conosco lo spessore del tuo sangue.”
Ancora una volta non si era interrogata su quelle arcane parole, troppo stravolta dalla perdita di Jack per poterle incamerare seriamente, ma adesso, a distanza di mesi, quel saluto le sembrava quanto mai fuori posto.
Per quale motivo aveva nominato il sangue? Come poteva conoscerla già? Che Hector le avesse parlato di lei, del suo fallimentare tentativo, del modo in cui il suo sangue lo aveva infine condannato? Che in qualche modo avesse intuito in anticipo, attraverso i racconti dell’uomo, il dolore che aveva provato rivolgendo ad una dea distante un oceano intero una preghiera inesaudibile?
Fu come se le avessero sparato a bruciapelo in mezzo alle scapole.
Interruppe la marcia di colpo, gli occhi sbarrati e le labbra socchiuse.
Si trattava davvero di una preghiera inesaudibile?
Come faceva Bleizenn a dire che era stata capace di salvarlo, se Hector giaceva freddo in una grotta in mezzo al mare? Eppure eccolo lì, a camminare a pochi passi da lei, vivo e reale come se nulla gli fosse mai accaduto.
- E se il sangue… - sussurrò, un’assurda spiegazione che si dipanava alla sua intelligenza come le stelle si mostrano quando la nebbia si dirada.
“Cosa ti ha chiesto in cambio Tia Dalma?” era stato il quesito di Jack.
Nulla. Assolutamente nulla.
E ora capiva cosa Bleizenn non le avesse detto: qual era stato il prezzo da pagare per riavere indietro Hector? Quale prezzo avrebbero pagato per aver riavuto Jack?
Non ebbe tempo di darsi ulteriori risposte: qualcosa di altrettanto angosciante era all’opera proprio sotto i suoi occhi.
- Che diamine… ? - sussurrò Ragetti accanto a lei: di fronte a loro, riverso a faccia in giù nell’acqua di fonte, un cadavere galleggiava macabro.
- Velenosa, guastata dal cadavere! - li informò Hector sputando quella poca acqua che aveva assaggiato bagnandosi l’indice nella pozza.
Pintel superò il pirata e andò a voltare l’uomo riverso, mettendo in mostra un punteruolo di legno che entrandogli dalla bocca gli aveva sfondato il cranio.
- Questo lo conosco! - osservò.
- Stava a Singapore! - aggiunse per chiarire.
Proprio a quel punto un richiamo di Marty li fece voltare tutti quanti verso la spiaggia.
Mentre non guardavano, silenziosa come solo i traditori sanno essere, l’Imperatrice di Sao Feng aveva fatto la sua comparsa dall’orizzonte e aveva affiancato la Perla.
- Ma cosa diavolo…?! - esclamò Cristal voltandosi di nuovo verso Hector e Jack, ma anche loro dovettero contenere le loro esclamazioni di stupore, le pistole dell’equipaggio della Hai Peng puntate contro.
- Questa è proprio una sorpresa inaspettata… - commentò la ragazza con astio mentre i pirati la facevano salire a bordo con una baionetta a punzecchiarle la schiena.
- Sao Feng! La tua presenza qui è fuor di dubbio un’inspiegabile… coincidenza… - fu il saluto di Hector, Jack che andava a nascondersi dietro la sua figura come un bambino che si ripara fra le sottane della mamma.
Fu assolutamente inutile, Sao Feng non degnò Barbossa nemmeno di uno sguardo e avanzò dritto verso l’altro pirata.
- Jack Sparrow, un tempo tu mi hai gravemente insultato… - esordì mentre Cristal approfittava della distrazione dei presenti per scivolare più vicina ad Elizabeth, tenuta prigioniera.
- Strano, non è da me! - replicò Jack, ma l’umorismo non era la dote più spiccata del cinese, che gli assestò un violento pugno sul naso che fece sussultare tutti i presenti.
- Diciamo che siamo pari, adesso? - azzardò, ma la sua battuta venne coperta da un rumore di passi.
- Liberatela, lei non fa parte del patto! - Will era apparso come dal nulla indicando Elizabeth.
- Di quale patto si parla?! - si ritrovarono ad esclamare insieme Cristal e Barbossa, una indignata e l’altro più guardingo.
- Sentito il Capitano Turner? Liberatela! - lo schernì Sao Feng, suscitando l’ilarità della ciurma.
Will evitò lo sguardo dell’amica d’infanzia e si difese dalle accuse che gli piovvero contro.
- Mi occorre la Perla per liberare mio padre, è la sola ragione per cui ho intrapreso questo viaggio. - confessò senza pudore.
La figlia del fabbro fece per muovere un passo in avanti, forse con l’intenzione di mollargli un sonoro ceffone, ma Elizabeth fu più svelta di lei e coprì in un paio di falcate la distanza che li separava.
- Perché non mi hai detto del tuo piano? - chiese, ferita.
- Era il mio peso da portare. - rispose in quello che aveva tutta l’aria di essere un botta e risposta comprensibile solo a loro due.
A quel punto Jack perse la pazienza, stizzito al punto da scimmiottare il traditore.
- E tu ti sentivi in colpa! E tu hai la tua Fratellanza a consiglio e andremo tutti a Shipwreck Cove! - esclamò accusando uno ad uno Elizabeth, Barbossa e Cristal, che gli rivolse un’occhiata di fiele.
- Nessuno è venuto a salvarmi solo perché sentiva la mia mancanza? - sbottò allargando le braccia, Gibbs a sbuffare dietro di lui mentre Tia Dalma alzava gli occhi al cielo.
Quando i membri dell’equipaggio della Perla si dichiararono sinceramente fedeli a Jack, quello fece per andare a schierarsi accanto a loro nell’atto conclusivo della sua scena madre, ma Sao Feng lo bloccò, afferrandolo per la collottola.
- Mi dispiace Jack, ma prima c’è un vecchio amico che è venuto a trovarti. - lo informò.
Solo a quel punto Cristal spostò l’attenzione da ciò che stava accadendo sul ponte all’orizzonte dietro di loro.
Non erano più soli: a fare vela verso la Perla, l’Endeavour di Cutler Beckett filava veloce sui flutti.
Jack fu trasferito a bordo della nave della Compagnia delle Indie, che in cambio inviò un drappello di soldati sulla Perla, sotto lo sguardo furente della sua ciurma.
Un uomo che Cristal non aveva mai visto si avvicinò a passi decisi verso Sao Feng, che apparentemente era scontento dello svolgersi degli eventi.
- Il mio equipaggio sarà sufficiente. - puntualizzò infatti, ma l’uomo parve non essere d’accordo e gli rivolse un’occhiata gelida.
- La Compagnia ha un equipaggio suo. - rettificò con un tono che non ammetteva repliche.
- L’accordo era che la Perla sarebbe stata mia. - intervenne Will, mettendo a nudo la sua ingenuità.
- L’accordo era questo… - lo schernì il Pirata Nobile prima di ordinare ai suoi di catturare Will.
- Quanto in basso è caduto il vostro onore… - sibilò Cristal all’indirizzo del cinese, che sollevò un sopracciglio mostrandosi poco impressionato.
Nel frattempo gli uomini della Compagnia stavano occupando le loro postazioni a bordo della Perla Nera.
- Lord Beckett ha detto che la Perla Nera spettava a me. - esclamò Sao Feng afferrando una spalla dello sconosciuto, un gesto a metà fra la minaccia e il panico.
L’emissario di Beckett ghignò appena, godendo dell’impotenza nelle iridi scure dell’interlocutore.
- Lord Beckett non rinuncerà all’unica nave che può rivaleggiare con l’Olandese. - replicò, scrollandoselo di dosso e allontanandosi.
Cristal gli avrebbe volentieri riso in faccia, ma fu Barbossa ad esternare i pensieri di tutti.
- Loro non devono rispettare il Codice della Fratellanza, ahimè, perché l’onore è cosa rara da trovare al giorno d’oggi. - rincarò la dose con la sua solita eleganza.
La stizza di Sao Feng si fece se possibile ancora più evidente.
- Non c’è alcun onore nel rimanere dalla parte del perdente. Lasciarla per quella del vincente è l’unica scelta possibile. - si giustificò.
- Dalla parte del perdente, eh? - replicò Hector, ma Cristal si accorse che quella frase non era una semplice provocazione. Barbossa stava conducendo il dialogo esattamente dove aveva intenzione di condurlo.
- Loro hanno l’Olandese. E ora la Perla! E invece la Fratellanza che ha? - berciò, furibondo.
Il lampo di soddisfazione negli occhi blu di Barbossa rese evidente che aveva ottenuto ciò che voleva.
Si sporse appena in avanti e abbassò lievemente il tono, come se fosse stato in procinto di rivelare un grande segreto.
- Noi abbiamo Calypso… -
A quella dichiarazione seguì un lungo istante di silenzio, poi Sao Feng proruppe in una risata nervosa.
- Calypso! E’ un’antica leggenda! - lo schernì, ma la sicurezza del pirata non parve essere scalfita da quell’atteggiamento.
- No! E’ una dea, imprigionata nella sua umana forma. - incominciò a raccontare una storia che ormai Cristal sapeva alla nausea.
- Immagina: tutti i poteri del Mare scatenati contro il nostro nemico! Io intendo liberarla, ma per questo mi occorre il Consiglio della Fratellanza. Tutto il Consiglio. - si premurò di chiarire.
La ragazza però non fece caso alla sfumatura nella sua voce, non notò nemmeno il mutare d’espressione di Sao Feng.
All’improvviso, rapida e violenta come un fulmine, la verità le si era palesata.
Calypso! Come aveva fatto a non capire?!
Il sangue, la preghiera, l’ammonimento di Bleizenn, il prezzo da pagare! E perché andare a riprendere Jack? Perché organizzare un viaggio così pericoloso per un pirata la cui vita aveva fatto il suo corso?
Ma soprattutto, perché unirsi all’impresa quando la pirateria non faceva parte delle proprie occupazioni?
Cristal si voltò di scatto verso Tia Dalma, gli occhi spalancati di consapevolezza. Finalmente il disagio che provava in sua presenza, le mezze frasi a lei rivolte, la sensazione che sapesse sempre quali fossero i suoi pensieri trovarono una spiegazione.
Calypso.
La sua preghiera era stata esaudita, ma il prezzo da pagare non spettava a lei, bensì a Barbossa: Calypso andava liberata una volta per tutte dalla sua forma mortale.
Tia Dalma, che aveva ghignato alle parole di Barbossa, volse lo sguardo e incrociò gli occhi di Cristal. Fu un istante, ma fu chiaro ad entrambe che, almeno per quanto riguardava la Figlia della Tempesta, la verità era stata scoperchiata.
Ma se c’era qualcuno che non aveva compreso nulla, quel qualcuno era Sao Feng.
- Che stai proponendo, Capitano? - domandò a Barbossa, di nuovo rispettoso nella sua malcelata avidità.
- Che sarebbe accettabile, Capitano? - replicò Hector con una domanda, senza nemmeno premurarsi di nascondere quanto lo stesse raggirando. Del resto, e di questo Cristal si era accorta immediatamente, il cinese era convinto di avere il coltello dalla parte del manico. Il granchio che aveva preso era colossale, solo restava da capire come intendesse muoversi.
- La ragazza. - fu la sua richiesta, le iridi scure puntate su Elizabeth.
- Cosa?! - sbottò lei, che non doveva aver colto l’equivoco.
Cristal assottigliò gli occhi, concentrata sullo scambio di battute.
Certo, il fatto che Sao Feng avesse attribuito l’identità di Calypso alla persona sbagliata giocava a loro favore, ma in questo modo Elizabeth poteva dirsi al sicuro? Da quel momento in avanti ogni mossa, ogni singola parola avrebbe dovuto essere calibrata alla perfezione.
- Elizabeth non è merce di scambio! - intervenne Will, sulla difensiva.
- Nemmeno a chiederlo! - gli diede manforte Barbossa, per nulla preoccupato. A dirla tutta, anche se non si sentiva completamente tranquilla, Cristal aveva l’impressione che si stesse divertendo un mondo.
- Infatti non l’ho chiesto. - se non si fosse fidata ciecamente di Barbossa, l’arroganza di Sao Feng le avrebbe fatto ribollire il sangue nelle vene. Ancora non gli aveva perdonato la sufficienza con cui l’aveva trattata a Singapore, e vederlo così sicuro di sé sapendo fra l’altro quanto sbagliasse glielo rendeva ancora più indigesto.
Il silenzio infranto dalle onde venne tuttavia riempito contro ogni pronostico dalla voce decisa di Elizabeth Swann.
- Andata! - esclamò.
Will si voltò di scatto verso di lei, allibito.
- Cosa?! Non è andata! -
Persino Hector era stato colto in contropiede e si era voltato verso Elizabeth: quello non rientrava nel suo piano.
- Ci hai cacciati in questo pasticcio, se serve ad uscirne è andata! - fece esasperata la giovane per poi muovere un passo verso Sao Feng.
Cristal gettò un’occhiata veloce a Barbossa, nervosa: se prima sapeva che sarebbero riusciti a cavarsela, alla luce di quell’inatteso colpo di testa non era più così tranquilla.
- Elizabeth, sono pirati! - sibilò tuttavia Will, frapponendosi fra lei e il cinese.
Mentre la ragazza gli rispondeva a tono, Cristal ebbe chiara davanti ai suoi occhi la stessa identica conversazione, solo con un altro uomo e in un altro contesto. Per un momento trovò quel parallelismo uno scherzo del destino privo di qualsivoglia ironia, ma l’incedere spasmodico degli eventi si riappropriò in fretta della sua attenzione: con uno spintone Elizabeth si era liberata di Will e aveva fatto un altro passo avanti, gli occhi lampeggianti di rabbia.
- Allora abbiamo un accordo? - inquisì Barbossa.
Le labbra di Sao Feng si aprirono come uno squarcio in un ghigno crudele e i suoi occhi andarono a posarsi sulla figura di Cristal, in piedi dietro ad Elizabeth.
- Quasi. - pronunciò con estrema lentezza.
- Non vorrai certo negare ad una dama la sua compagnia… - aggiunse beandosi dell’espressione atterrita sul volto dell’interlocutore: quella era una piega degli eventi che non aveva minimamente messo in conto.
Cristal e Lizzie si scambiarono uno sguardo veloce.
- Non ho bisogno di una guardia del corpo. - sibilò la figlia del Governatore nel tentativo di liberare almeno Cristal da quell’assurda rete in cui si era ficcata da sola, ma il ghigno di Sao Feng rimase al suo posto.
- E’ inutile intestardirsi nel proprio orgoglio. Dopotutto non vogliamo certo separare l’Oceano… - fu la sua replica melliflua.
Durò solo un istante, ma lo sguardo dell’uomo indugiò sulla scollatura di Cristal e la ragazza si ricordò improvvisamente di una frase curiosa che le aveva rivolto a Singapore.
Abbassò il capo di scatto notando la sua collana in bella vista, e anche se non sapeva quale fosse il preciso piano di Sao Feng, capì che se avesse voluto neutralizzarne la minaccia l’unica soluzione sarebbe stata assecondarlo.
Lei sapeva la verità su Calypso e questo la metteva in una posizione di vantaggio; con un poco di fortuna avrebbe anche potuto farcela.
- Che l’Oceano non si separi, dunque. - acconsentì, portandosi al fianco dell’amica.
- Cristal, che cosa stai…?! - sbottò Barbossa, contrariato.
Era forse paura quella strana luce acquattata in fondo alle sue iridi chiare?
La giovane lo fissò dritto negli occhi, mostrandosi spavalda.
- E’ giunta l’ora che le due Sponde si riuniscano. - improvvisò. Se aveva ben inteso le intenzioni di Sao Feng, ogni singola parola di Bleizenn avrebbe trovato una spiegazione, e forse davvero sarebbe stata lei ad avere il coltello dalla parte del manico a bordo dell’Imperatrice.
Barbossa le rivolse un’occhiata densa, a metà fra il rimprovero e l’apprensione, mentre alle sue spalle Tia Dalma, Calypso, continuava a sorridere di fronte a quella macchinazione che portava il suo nome.
Cristal si chiese se avesse intuito il suo gioco, ma non ebbe tempo di indagare oltre, Sao Feng afferrò sia lei che Elizabeth per le spalle e le condusse senza grazia sull’Imperatrice.
Non vi fu nemmeno tempo di dare un ultimo addio alla ciurma, le due ragazze furono caricate su una scialuppa e fatte salire a bordo il più celermente possibile. Cristal gettò un’ultima occhiata alla Perla: affacciato al parapetto di tribordo, Hector Barbossa la guardava scivolare via dalla sua protezione ancora una volta.
Quando il suono familiare dei cannoni della nave dalle vele nere la informò che l’Endeavour era sotto attacco, ormai erano già lontani.
Sao Feng impartì alcuni ordini in Cinese ai suoi sottoposti, poi tornò a dedicarsi alle ragazze. Si avvicinò ad Elizabeth e le rivolse un sorriso stranamente rispettoso.
- Alloggerete in una delle mie cabine. - la informò, facendole cenno di seguire due giovani donne vestite di nero.
La ragazza scambiò un’occhiata incuriosita con Cristal e si fece guidare dalle due, seguita a ruota dall’amica a cui tuttavia il braccio teso del Pirata Nobile bloccò la strada.
- Ferma, Cristal Cooper. Non è a voi che mi sono rivolto. - disse con calma, il disprezzo a filtrare nuovamente senza freni dalle sue labbra.
- E ditemi, Capitano, quali quartieri mi avete destinato? Credevo non voleste separare l’Oceano. - lo provocò.
L’uomo mostrò i denti in un’espressione carica di scherno, un’espressione che rinnovò in lei la rabbia e il desiderio di prenderlo a pugni abbandonando ogni diplomazia.
- Voi non siete che il rimpiazzo del Faucon du Nord, sono certo che Ahès non si risentirà se lascerò la sua piccola e ingenua messaggera a marcire nelle mie sentine fino a nuovo ordine. -
La giovane sgranò gli occhi, spiazzata da quella frase.
- State scherzando?! Sono un Pirata Nobile, non avete il diritto di trattarmi come un qualsiasi mozzo d’acqua dolce! - ma prima che potesse terminare l’invettiva un cenno dell’uomo autorizzò due dei suoi marinai a zittire la giovane con un pugno nello stomaco, proprio come mesi prima avevano fatto con Will.
Impreparata, Cristal emise uno sbuffo di dolore e si piegò in avanti, subito bloccata dai due pirati.
- Pirata Nobile… - la derise Sao Feng, prendendosi gioco del suo titolo.
Poi si chinò in avanti e si avvicinò al suo volto, abbassando la voce.
- Mi sembrava di averti detto che non era un gingillo quello che indossi. - aggiunse.
Prima che Cristal potesse reagire in una qualsiasi maniera, Sao Feng afferrò la collana del Faucon e gliela strappò con un gesto deciso.
- No! - urlò, cerando di lanciarsi in avanti con un inutile colpo di reni.
- Sao Feng, la tua arroganza ti impedisce di vedere al di là del tuo naso! Puoi anche incarcerarmi, ma non otterrai alcun favore da Ahès, né tantomeno da Calypso! - sputò velenosa senza più premurarsi di mantenere il voi di cortesia, le braccia torte dolorosamente dietro la schiena.
L’uomo la afferrò senza grazia per il mento, le lunghe unghie nere a sfiorarle le guance.
- Sciocca, credi ancora che la tua spavalderia serva a qualcosa? La tua devozione è ammirevole, ma non hai alcun valore in questa vicenda. Quando l’Oceano sarà riunito e la Fiamma del Serpente riaccesa non ci saranno né Beckett né Fratellanza che potranno fermarmi! Persino le Dee sono soggette alla loro Legge, il Dominio dei Mari sarà mio. - sibilò a un soffio dal suo volto.
- Peccato, Cristal Cooper, ma temo che la tua protezione non abbia più effetto. -
Sao Feng girò sui tacchi e si incamminò solenne verso il boccaporto, il ciondolo stretto in pugno e il sottile filo d’argento a pendere inerme fra le dita.
- Lurido schifoso! Ridammelo! Il Mare non ti appartiene! Non ti apparterrà mai! - urlò ancora la ragazza, ma un violento colpo in mezzo alle scapole le mozzò il respiro e le fece appannare la vista.
Si sentì stringere le braccia e trascinare con forza, mentre i due uomini che la tenevano prigioniera le urlavano chissà cosa in Cinese.
Quando finalmente le lasciarono andare le braccia fu solo per spingerla senza grazia all’interno della sua cella.
La porta le venne chiusa in faccia con violenza e la giovane si rimise in piedi di scatto, lanciandosi contro le sbarre.
- Fatemi uscire! Sao Feng, schifoso bugiardo traditore, lasciami andare! Restituiscimi quella collana! - urlò fino a che la gola non le fece male, ma si rese conto in fretta che era tutto inutile.
Certo, Sao Feng avrebbe cercato presso Elizabeth favori che non avrebbe mai ottenuto, ma adesso l’uomo era in possesso della sua collana e di fatto le aveva sottratto ogni autorità, divenendo lui stesso Pirata Nobile del Mare del Nord.
Furente, si lasciò cadere per terra e incrociò le gambe poggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sui palmi delle mani.
Chiuse gli occhi e trasse alcuni profondi respiri per calmarsi.
Aveva perso la collana.
La collana, custodita da sua madre per venti lunghi anni e da lei perduta nel più stupido dei modi.
La collana, cimelio del Faucon du Nord e, solo adesso capiva quanto, legame concreto con la dea Ahès.
Come aveva potuto farsi fregare in un modo così stupido?!
La minaccia di Sao Feng tornò a rimbombarle nella coscienza. Certo, lei sapeva che la vera Calypso era rimasta a bordo della Perla e che in realtà il piano del cinese non avrebbe mai trovato concretizzazione, ma se Elizabeth fosse stata davvero Calypso? Che cosa sarebbe successo se l’uomo fosse davvero entrato in possesso delle due sponde dell’Oceano? Cosa significava quella Fiamma del Serpente che aveva nominato? Cosa avrebbe dovuto fare, concretamente, per ottenere quel fantomatico Dominio dei Mari?
E soprattutto, cosa ne sarebbe stato di loro quando si sarebbe accorto dell’errore commesso?
Non c’era tempo da perdere, doveva trovare una soluzione a quel problema e doveva farlo in fretta.
Riuscire a cavarsela con la sua parlantina era inutile: Sao Feng aveva dimostrato di esserne totalmente immune e dubitava fortemente che i membri più umili dell’equipaggio, sicuramente più facilmente raggirabili, potessero comprendere la sua lingua.
Sia la diplomazia che l’inganno erano dunque due strade impossibili da percorrere, non le rimaneva che giocare d’astuzia.
Si guardò attorno. La cella era spoglia ma non umida, e da una piccola apertura in alto entrava la luce del giorno. Le sbarre non recavano particolare ruggine, segno che erano state sostituite di recente, e nessuno era posto a guardia dell’accesso alle sentine.
Si alzò di nuovo in piedi e tornò ad avvicinarsi alle sbarre, saggiandone la resistenza con le mani e analizzando alla cieca la serratura.
Se solo avesse avuto le sue armi avrebbe potuto provare a forzarla, ma la spada e la pistola giacevano abbandonate su una cassa poco distante.
Cercò di ricordare quello che suo padre le spiegava da bambina, quando Marion era impegnata e lei, annoiata, sgattaiolava in bottega per guardare il lavoro di Jim e Will. Si parlava di perni, di leve, di forze da applicare, ma Cristal, seppur curiosa, non aveva mai speso troppo tempo nell’incamerare seriamente quelle nozioni, convinta che non ne avrebbe mai avuto bisogno. Adesso, nella più impellente necessità di sapere come scalzare una porta di ferro dai suoi cardini, la figlia del fabbro inviò un vibrante pensiero di rimprovero alla se stessa dodicenne.
Nel frattempo, la luce che filtrava dalla piccola finestra cambiava colore e intensità, sintomo che il sole era ormai quasi del tutto calato sulla linea dell’orizzonte.
- Diamine, ci vorrebbe un miracolo… - borbottò innervosita nel rendersi conto che con il solo ausilio delle sue mani non sarebbe mai riuscita a liberarsi.
Seccata, abbandonò nuovamente la porta della cella e si spostò a sinistra, intenzionata a raggiungere l’angolo più lontano e sedersi in cerca di nuove idee, ma un fischio sempre più forte catturò la sua attenzione.
Prima che potesse capire qualsiasi cosa un fragoroso boato e un violento spostamento d’aria la spinsero contro le sbarre di sinistra. Diede una testata dolorosa contro il ferro nudo e la polvere le entrò in gola facendola tossire.
Incredula, posò gli occhi lacrimanti sulla devastazione attorno a sé: una bordata aveva appena squarciato il ventre dell’Imperatrice e divelto la porta della sua cella.
Rimase immobile per una manciata di secondi, un sorriso trionfante ad aprirsi lentamente sulle sue labbra, poi fu una vera e propria risata ad abbandonare la sua gola.
- Ah! Ripetimi quella cosa della protezione, Sao Feng! - esclamò fra sé e sé, correndo a recuperare le sue armi e lanciandosi a rotta di collo su per le scale che portavano al ponte di coperta.
Quelli non erano i cannoni della Perla, segno che Hector non si era lanciato al loro inseguimento. Sperò che la loro rappresaglia contro l’Endeavour fosse andata a buon fine e si chiese per un istante che cosa ne fosse stato di Jack, ma quando l’aria fresca della sera accolse il suo volto accaldato e gli occhi si adeguarono alla fioca luce delle prime stelle si rese conto con un brivido di terrore che conosceva già il suono di quei cannoni.
- E’ l’Olandese! - considerò ad occhi sgranati, la spada sguainata stretta in pugno e la pistola al sicuro appesa alla sua cintura.
- Uomini! Caricare la batteria di babordo! Pronti a fare fuoco! - urlò, senza curarsi del fatto che quella non era la sua nave, né il suo equipaggio, e che probabilmente erano solamente in quattro a capire le sue parole.
Il sottoposto di Sao Feng che li aveva accompagnati fino allo Scrigno apparve dal fumo e la raggiunse a rapide falcate.
- Tu non sei il nostro Capitano! - sputò con rancore, probabilmente troppo preso dall’urgenza per notare che, oltre alla lecita osservazione, avrebbe anche potuto puntualizzare sulla sua evasione dalle sentine.
Cristal, stufa di non vedere la sua posizione riconosciuta, gli rivolse un’occhiata raggelante.
- No, ma mentre il vostro Capitano è impegnato con la sua bella vi ci vuole qualcuno che sia capace di svolgere il compito. Ora, ordinate di caricare la batteria di babordo oppure potrete lamentarvi direttamente con Jones dell’inettitudine di Sao Feng! -
L’uomo rimase immobile a valutare quelle parole, ma quando un’altra bordata li raggiunse capì che non c’era tempo per andare troppo per il sottile. L’ordine venne ripetuto alla ciurma, ma era troppo tardi: gli uomini di Davy Jones abbordarono l’Imperatrice, e da quel momento in avanti fu il caos.
Cristal si riparò dal fendente di un uomo dalla testa di murena e roteò a destra per poi colpirlo in un affondo pulito. Non si soffermò a sincerarsi che fosse morto, non era nemmeno del tutto certa che quei cosi si potessero realmente ammazzare, ma dopotutto non era quella la sua priorità.
Approfittando del marasma e della nebbia causata dalle detonazioni, voltò le spalle alla battaglia e scese sottocoperta, diretta alla cabina di Sao Feng. Inetto e arrogante che fosse, qualcosa non andava nell’assenza sul ponte del Capitano dell’Imperatrice.
- Sao Feng! - esclamò, aprendo la porta della cabina con un calcio.
La scena che si trovò davanti fu capace di strapparle un urlo.
Il pirata giaceva a terra, un enorme pezzo di legno conficcato nello stomaco. Inginocchiata accanto a lui, vestita di sontuosi abiti che non le appartenevano, Elizabeth raccoglieva quelle che dovevano essere le ultime parole dell’uomo.
- Capitano! La nave è presa, non possiamo…! -  e proprio come le parole erano morte in gola a Cristal, lo stesso accadde con il primo ufficiale dell’Imperatrice, che attonito si tolse il cappello in segno di rispetto.
- Che cosa ti ha detto? - domandò a Elizabeth quando fu chiaro che per Sao Feng non c’era più nulla da fare.
La giovane Swann si alzò in piedi lentamente, fra le mani il Nodo di Giada del Pirata Nobile e sul volto un’espressione sconvolta.
- Mi ha nominata Capitano! - balbettò, incredula.
Il cinese le rivolse una smorfia di profondo disprezzo e, senza attendere un momento di più, si precipitò sul ponte di coperta.
- Elizabeth! Stai bene?! - esclamò invece Cristal, correndo verso di lei.
La ragazza annuì debolmente, ancora sconvolta da quanto appena accaduto.
- Non ha avuto il tempo di farmi nulla, per fortuna. -
- Cosa succede, chi è che ci attacca? - si informò poi.
Cristal la superò e si inginocchiò accanto al cadavere di Sao Feng, incominciando a rovistare nelle sue tasche.
- L’Olandese! Dobbiamo sbrigarci, ci hanno abbordati e io devo trovare quella stramaledetta collana! - le rispose senza tuttavia guardarla. Pregò che l’esplosione non l’avesse polverizzata, mentre in preda al panico apriva con un gesto deciso le vesti dell’uomo sbirciando attraverso il sangue.
- Non c’è tempo, Cris! - replicò Elizabeth.
L’amica sbuffò, sempre più agitata.
- Vai avanti, io arrivo! - le concesse, continuando a cercare.
Elizabeth annuì soltanto e seguì in coperta colui che era diventato il suo primo ufficiale, mentre Cristal ancora cercava fra le schegge.
Non poteva averla persa, non ora, non così!
Poi, proprio quando stava incominciando ad abbandonare ogni speranza, si rese conto che dalla mano chiusa del pirata spuntava un sottile filo d’argento.
- Eccoti qua! - sussurrò in trionfo, spostando le dita e indossando nuovamente il suo gioiello insanguinato.
Rivolse un ultimo sguardo a ciò che restava del Pirata Nobile del Mar Cinese Meridionale, ma si accorse di non provare pietà.
- Il Mare non appartiene a nessuno. - disse solo, come se avesse ancora potuto sentirla.
Non si attardò oltre, e anche lei imboccò la scala che portava all’aperto.
Ancora una volta si ritrovò fra l’odore della polvere da sparo e il clangore delle lame, ma le parve che il caos si fosse in qualche modo attutito, ritirato come la marea.
Mosse qualche passo in avanti, gli occhi a scandagliare il ponte in cerca di Elizabeth, e quando la trovò rimase senza parole: qualcuno la stava abbracciando.
- Liz…! - fece per chiamarla, ma non alzò la voce, non scese nemmeno le scale, rimase immobile dov’era con un violento fischio nelle orecchie e una sensazione che non credeva avrebbe mai provato.
Di fronte alla sua migliore amica, apparentemente incredulo e sicuramente fuori posto, c’era James Norrington.
Che cosa ci faceva sull’Olandese Volante? Come mai si trovava in mezzo alla battaglia, proprio lì, in quel frangente che non aveva nulla a che vedere con lui?
Quindi era vero, era realmente andata come avevano ipotizzato: James aveva portato il cuore a Beckett e con quello strumento l’uomo era riuscito a far leva su Davy Jones! E adesso, come premio, Norrington non solo aveva ricevuto l’amnistia, ma vestiva la livrea dell’Ammiraglio.
Una rabbia rovente le aggredì la bocca dello stomaco, mentre la delusione, violenta come mai l’aveva provata, si faceva strada attraverso le sue viscere.
Scese le scale lentamente, un passo alla volta, avvicinandosi non vista ad Elizabeth e James.
- Grazie a Dio sei viva! Per tuo padre sarà una gioia saperti salva! - esclamò lui, un sorriso sul volto che Cristal gli aveva visto in rarissime occasioni e che le parve la più volgare delle bestemmie.
- Suo padre è morto! - esclamò a voce alta e carica di disprezzo, interrompendo il momento fra i due. Si accorse solo dopo che Elizabeth aveva risposto allo stesso identico modo.
James spostò lo sguardo alle spalle della giovane, notando Cristal dietro di lei e sgranando gli occhi di sorpresa e di vergogna.
- Cris… - sussurrò a fior di labbra.
Apparentemente confuso, tornò a rivolgersi alla figlia del Governatore.
- No, non è vero! E’… E’ tornato in Inghilterra! - balbettò, il tono che voleva mostrarsi sicuro, ma le sopracciglia aggrottante a minare gli sforzi.
Cristal non riuscì a vedere l’espressione di Elizabeth, ma se la ragazza provava anche solo un grammo del disgusto che stava provando lei immaginò che i suoi occhi lo mostrassero con sufficiente decisione.
- Così Lord Beckett non te l’ha detto. - sentenziò infatti, e in quella frase crudele Elizabeth riuscì a umiliarlo nel peggiore dei modi, colpendolo in quello che era il suo punto più debole, l’orgoglio.
Davanti alla constatazione della ragazza, il prezzo irrisorio a cui si era svenduto diventava evidente, così come diventava evidente quanto Beckett lo stesse usando come semplice pedina in un gioco nettamente più grande di lui.
Abbassò lo sguardo, eppure per un rapidissimo momento in Cristal balenò la sensazione che la sua aria mortificata non avesse nulla a che fare con l’orgoglio ferito. Fu un solo istante, poi la compassione svanì nuovamente dal cuore dell’erede del Faucon du Nord.
James alzò di nuovo lo sguardo, questa volta su di lei, come se avesse potuto in qualche modo ottenere un perdono, ma comprese subito che nulla di tutto quello sarebbe mai successo.
Sia lui che la giovane aprirono bocca per dire qualcosa, ma vennero interrotti da una nuova voce, aspra come l’acqua che ribolle attorno a una secca.
- Chi è di voi che si chiama Capitano? -
Davy Jones, spaventoso e crudele nel suo lento incedere, era salito a bordo dell’Imperatrice e ne ispezionava la ciurma terrorizzata.
Fu il secondo di Sao Feng a rispondergli, un dito puntato contro chi di dovere e la vile paura a muovergli le membra.
- Capitano? Loro due! - fece all’indirizzo di Cristal ed Elizabeth, che ne portavano entrambe la prova appesa al collo. La ciurma, senza probabilmente avere realmente capito cosa stesse succedendo, lo imitò levando il dito contro le due.
Jones sembrò notarle per la prima volta e rivolse loro un ghigno sprezzante.
- Capitani! - esordì con sfregio, ma James lo interruppe bruscamente.
- Trainate la nave! Mettete i prigionieri in cella! - ordinò senza nemmeno guardarlo in faccia.
- I Capitani staranno nei miei alloggi. - aggiunse poi, in un patetico tentativo di mostrarsi rispettoso verso le ragazze.
Elizabeth non si diede nemmeno il tempo di pensare a quella proposta, gli scoccò uno sguardo di sufficienza e drizzò la schiena con orgoglio.
- Grazie Signore, ma preferisco rimanere col mio equipaggio. - sibilò prima di seguire la ciurma a bordo dell’Olandese.
Lo sguardo di James saettò a Cristal, che senza proferire parola aveva seguito l’amica verso il vascello nemico.
Colto dal panico, l’uomo le afferrò entrambe per le braccia, guadagnandosi solamente un paio di espressioni indignate.
- Ragazze! - esordì, l’urgenza ad incrinargli appena la voce.
- Vi giuro, io non lo sapevo. - ammise.
Cristal incrociò il suo sguardo per un brevissimo istante, e la rabbia di poco prima si mutò in un’immotivata paura. Improvvisamente sentì crescere in lei il desiderio di piangere e il fiato le si mozzò in gola.
Non disse nulla, ci pensò Elizabeth a rispondere per entrambe.
- Che cosa? Quale parte hai scelto? - replicò infatti con un’altra domanda, spiazzandolo.
- Beh, ora lo sai. - fu il suo verdetto finale.
Gli voltò le spalle e intimò ai suoi uomini di seguirla, senza controllare che l’amica si fosse mossa con lei.
Cristal rimase ancora qualche istante con gli occhi sgranati fissi in quelli dell’Ammiraglio, una sensazione terribile a farle mancare il respiro.
- Cristal, ti prego… Sai che non lo sapevo… - sussurrò Norrington cercando di celare il panico che lo stava cogliendo.
La ragazza aprì nuovamente la bocca per parlare, e incapace di dire qualsiasi cosa la richiuse.
A labbra serrate gli rivolse un ultimo sguardo di ghiaccio in fondo al quale erano acquattati una tristezza ed un terrore senza nome.
Scosse appena la testa a negargli qualsiasi risposta, poi lo abbandonò esattamente come aveva fatto Elizabeth; Davy Jones osservò ogni suo singolo passo, il volto tentacolare a seguirla nella sua marcia verso le sentine. Lei non notò il suo sguardo posato sulla conchiglia imbrattata di sangue e non si accorse del suo ghigno luciferino: ciò che agitava il suo cuore in quel momento era ben altro.
L’Olandese Volante era diverso da qualsiasi nave avesse mai visitato. Le luci a bordo erano poche e fioche, le assi viscide e incrostate di marcio e molluschi, l’umido a trasudare dalle pareti come sangue spurgato da una vecchia ferita.
Cristal aveva navigato a lungo e in condizioni diverse, aveva vissuto a stretto contatto con ladri e assassini, con pirati non morti che si riducevano a sudici cumuli d’ossa ad ogni luna piena, eppure mai in vita sua aveva provato un tale ribrezzo.
Li sbatterono tutti quanti nella stessa lurida cella, e la giovane andò a sistemarsi in un angolo, cercando assurdamente di non toccare nulla. Persino l’aria che respirava le faceva schifo, e comprese in quel momento quanto davvero la nave di Jones fosse l’Inferno in terra.
Elizabeth, dal canto suo, non aveva nemmeno atteso che la porta si fosse chiusa alle sue spalle prima di reagire a quella situazione drammatica: frenetica, aveva preso a rivolgersi a chiunque passasse davanti alla loro cella, un nome a vibrare sulle sue labbra come un incantesimo.
- Sputafuoco? Bill Turner? - continuava a domandare, ma in cambio riceveva solamente occhiate divertite e risate di scherno.
- Persino il loro cervello deve essere diventato quello di un pesce. - commentò Cristal con astio all’ennesima risata sguaiata che ebbero in risposta.
Ma quando anche Elizabeth stava per arrendersi qualcosa si mosse nella parete, e Cristal comprese in un attimo che la sua amica non avrebbe mai ottenuto l’aiuto che sperava di trovare.
Un uomo era apparso dal buio, letteralmente staccato dalla parete come una cozza viene strappata allo scoglio. Riconoscere che si trattava di una persona non era tuttavia immediato, considerata la quantità di alghe e molluschi che ne infestavano il volto e i vestiti. Un paio d’occhi tristi e spenti, tuttavia, era ancora facilmente individuabile, e Cristal sussultò appena nel riconoscervi lo sguardo gentile di Will.
Sì, avevano trovato Bill Turner, ma non era affatto come entrambe se l’erano immaginato. L’uomo sembrava sconnesso dalla realtà, in un primo momento esaltato dall’udire il nome del figlio e poi repentinamente avvilito, le spalle curvate dalla resa.
Mentre il padre del suo più caro amico spiegava perché non sarebbe mai riuscito ad abbandonare la nave, il piano di Will diventava chiaro come il sole agli occhi di Cristal, tutto ciò che non era stata in grado di capire in quei mesi ora evidente e scontato.
William aveva finalmente conosciuto suo padre, un uomo sul quale da bambino fantasticava in continuazione, ma la realtà si era dimostrata molto più crudele di quanto Will avesse mai immaginato. Il ragazzo doveva quindi avergli promesso di liberarlo dal giogo di Jones, ma la Legge del Mare parlava chiaro, e l’unico modo di liberare la ciurma dell’Olandese sarebbe stato eliminarne il Capitano. Adesso, nella voce mortificata di Turner, l’inattuabilità del piano veniva a galla come una carcassa: pugnalato Jones, il suo assassino avrebbe dovuto prenderne il posto al comando dell’Olandese Volante. Se Will avesse voluto salvare suo padre, avrebbe dovuto rinunciare ad Elizabeth.
Per sempre.
L’uomo, consapevole del suo destino, era poi tornato a rintanarsi nella parete, comunicando ad Elizabeth che era troppo tardi per poterlo salvare. Aveva chiuso gli occhi, come addormentato, e quando la ragazza lo aveva chiamato, forse per chiedergli altro, il pirata non aveva dato cenno di ricordare la conversazione appena conclusa, il sorriso infantile velato d’oblio.
Elizabeth lo aveva lasciato andare, gli occhi velati di lacrime, e Bill Turner non li aveva più disturbati.
Elizabeth e Cristal rimasero in silenzio per lunghissimi minuti, incapaci di commentare la miseria a cui avevano assistito, poi la figlia del Governatore si rivolse all’amica.
- Speravo potesse aiutarci. - sussurrò, e Cristal annuì mesta.
- Anche io. E invece dobbiamo cavarcela da sole un’altra volta. - constatò.
Solo a quel punto Elizabeth si ricordò di un dettaglio a cui non aveva ancora avuto tempo di dare importanza.
Abbassò ulteriormente la voce e si avvicinò a Cristal, distanziando la ciurma di qualche passo.
- Sao Feng… Aveva la tua collana, perché? Che cosa è successo sull’Imperatrice mentre non c’ero? -
L’amica si concesse un sorrisetto amaro.
- Il nostro amico mi ha spedita nelle sentine, oggi non è esattamente il mio giorno fortunato. - ironizzò con un’occhiata eloquente al luogo in cui si trovavano.
- Non è stato molto chiaro, ma ha menzionato Ahès e Calypso e un certo Fuoco del Serpente, penso parlasse di una sorta di rituale, qualcosa per ottenere il dominio dei mari. - spiegò.
- Già, credeva che io fossi Calypso… - commentò Elizabeth.
Cristal si concesse qualche istante per raccogliere i pensieri, poi riprese a parlare.
- Non gli sono mai piaciuta, questo è evidente. Già a Singapore aveva opposto un sacco di resistenza alle mie parole. Credo che in un certo senso abbia a che fare con il mio legame con il Faucon du Nord… -
- Dici che si conoscevano? -
La Figlia della Tempesta strinse le labbra e fece spallucce.
- Non ne ho idea, ma è evidente che non è un personaggio che Sao Feng doveva apprezzare particolarmente. Ma sono informazioni curiose, possiamo provare a utilizzarle a nostro vantaggio! - fece con un certo grado di convinzione.
Elizabeth alzò un sopracciglio, desiderosa di ulteriori spiegazioni.
- Da qui non ce ne andremo per un atto di carità da parte dell’equipaggio. La Marina ci vede già appese per il collo, quanto alla ciurma di Jones… mi chiedo quanta sabbia gli uscirebbe dalle orecchie se li ribaltassimo a testa in giù. - commentò con disprezzo.
- Ho un piano. O meglio, l’abbozzo di un piano. In realtà è più un’intuizione. - aggiunse.
- Vuoi parlamentare?! - sbottò Elizabeth, che la conosceva come le sue tasche.
Cristal emise un sospiro nervoso.
- Non esattamente. Jones se ne infischierebbe altamente di un Parlay, ma rimane pur sempre un pirata, e i pirati rispondono tutti ad un'unica cosa. - incominciò.
- L’oro? - Elizabeth doveva starsi chiedendo se la sua amica avesse intenzione di far apparire sacchi di monete dalla scollatura della camicia, ma Cristal scosse di nuovo la testa.
- Il Mare. Davy Jones si è strappato il cuore dal petto per Calypso e si è condannato a servire l’oceano fino alla fine dei tempi. Se ci fosse un modo per liberarlo dalla sua agonia? -
- Il rito di Sao Feng! - comprese finalmente Elizabeth.
L’amica annuì con convinzione.
- Ovviamente non ho idea di che si tratti, ma questo Jones non lo deve sapere. Quando sarà il momento andrò d’improvvisazione e cercherò di fargli capire che gli conviene di più schierarsi con la Fratellanza che leccare le suole di Beckett! -
Elizabeth le scoccò un’occhiata preoccupata.
- Se si accorge che menti sei morta. - la ammonì, severa.
- Se non ci provo nemmeno sono morta lo stesso. - fu la replica che ottenne.
Non aggiunsero altro ed entrambe si chiusero in un mutismo personale fatto di macchinazioni e rimpianti.
Di tanto in tanto Elizabeth si voltava ad osservare la sua amica d’infanzia. L’ottimismo sfrontato di Cristal era sempre stato un campanello d’allarme, indice che lei stessa stava cercando di autoconvincersi del positivo per non pensare a ciò che davvero attanagliava il suo cuore.
Infuriata com’era non si era sprecata a controllare come avesse reagito all’incontro con James, anzi, da Isla Cruces non lo avevano mai più nominato, ma adesso che la rabbia aveva lasciato spazio alla tristezza si rendeva conto di quanto per Cristal dovesse essere ancora più dura che per lei affrontare tutto quello.
Proprio come sospettava Elizabeth, Cristal si era gettata a capofitto in mille macchinazioni per non dover pensare a quel breve dialogo sul ponte dell’Imperatrice, ma ad ogni pausa nei suoi ragionamenti il cuore la riportava lì con una tenacia quasi irritante.
C’era qualcosa di sbagliato in quegli occhi, qualcosa che stonava con tutto il resto.
James l’aveva tradita, aveva tradito tutti loro consegnandoli direttamente al peggiore dei nemici, eppure quello che aveva udito rannicchiato nella sua voce era rimorso.
Ma come poteva provare rimorso dopo la freddezza con cui aveva agito? Come poteva provare rimorso dopo la conversazione che avevano avuto sulla Perla, dopo che lei gli aveva parlato con il cuore in mano e lui se n’era andato con ogni loro speranza?
Come avrebbe potuto lei perdonarlo, quella volta?
Sospirò e si passò una mano sugli occhi, stravolta.
Lo odiava. Odiava il sorriso sfrontato con cui si prendeva gioco di loro, odiava la sua ambizione senza freni che lo aveva divorato dall’interno, odiava la sua testardaggine, che gli faceva voltare il capo davanti all’evidenza.
Odiava la sua aria afflitta di fronte all’errore, odiava la sua richiesta di perdono, odiava persino il suono della sua voce.
Odiava il dodici Luglio del 1710 perché era cascata in pieno in una rete che l’aveva tenuta prigioniera per tutta la vita, mentre lui se n’era liberato immediatamente.
Odiava averci creduto, essersi fidata, odiava averlo rimpianto ed atteso e sognato e amato fino allo spasmo, fino alla fine, fino a prova contraria.
Odiava lui e odiava se stessa, perché nemmeno adesso, quando avrebbe dovuto passarlo da parte a parte a fil di lama come il più infame dei traditori, riusciva ad odiarlo.
Lo amava ancora.
Stupida, debole e meschina, lo amava ancora.
La paura irrazionale che aveva provato per tutta la giornata tornò a impossessarsi di lei come un’onda, stringendole la bocca dello stomaco e facendola boccheggiare all’improvviso. Strabuzzò gli occhi che aveva chiuso in cerca di concentrazione, una mano sul cuore come se con quel gesto avesse potuto fermare le palpitazioni.
Qualcosa non andava.
Non era una semplice sensazione, il malessere trascurabile del pomeriggio si era mutato con il passare delle ore in un problema serio che le rendeva difficile respirare. Era come un presentimento, un assurdo presagio a cui non riusciva a dare un volto né un nome.
Chiuse di nuovo gli occhi e inspirò dal naso; minacciose, le oscure parole di Tia Dalma continuavano a vorticarle nella coscienza.
Tia Dalma, Calypso.
Cristal deglutì nel tentativo vano di scacciare l’angoscia ululante dal cuore. Che la donna sapesse qualcosa?
Non ebbe il tempo di darsi una risposta, un rumore metallico la richiamò all’attenzione e le fece nuovamente spalancare gli occhi di scatto.
Era stata una chiave, una vecchia chiave arrugginita che aveva grattato la serratura, aprendo la porta con un sordo clangore.
- Venite con me. - fu l’ordine impartito con frettolosa autorità: dal corridoio gli occhi chiari di James Norrington li scrutavano carichi d’urgenza.
- Svelti! - incalzò in un sussurro nervoso notando che nessuno dava cenno di muoversi.
Cristal, incredula, si voltò lentamente in cerca degli occhi di Elizabeth. Le due si scambiarono uno sguardo silente in cui era racchiuso un intero dialogo; l’erede del Faucon du Nord annuì debolmente e il nuovo Capitano dell’Imperatrice fece dunque cenno ai suoi uomini di lasciare le sentine.
I cinesi furono svelti a sgusciare ai loro fianchi per riversarsi all’esterno della cella, monitorati dallo sguardo attento di Norrington, e le ragazze rimasero le ultime, titubanti e sospettose.
Elizabeth mosse qualche passo verso la porta, Cristal ancora alle sue spalle.
- Che stai facendo? - chiese tagliente, quasi accusatoria.
Anche in quella domanda all’Ammiraglio era racchiusa una lunga e privata conversazione, e se Cristal avesse potuto vederli in quegli anni lontana da Port Royal sarebbe stata capace di interpretarla.
C’era accusa, sì, nelle parole di Elizabeth, ma c’era soprattutto protezione. C’era un desiderio quasi crudele di mettere l’uomo di fronte alle sue responsabilità, di ricordargli chi fosse e da quale porto fosse salpato per giungere fin lì. Anche lei lo odiava, ma anche lei non riusciva a ignorare la consapevolezza che non era un uomo malvagio quello in piedi di fronte a lei.
James Norrington resse il suo sguardo, accolse ogni staffilata del rimprovero di Elizabeth, ne bilanciò meglio l’onere sulle spalle e ne accettò ogni più subdola implicazione, perché Elizabeth lo conosceva, perché erano cresciuti insieme e lei era la sola in grado di spingersi così in là con un semplice sguardo.
Quando fu il suo turno di rispondere, tuttavia, le iridi plumbee di James si spostarono sulla figura di Cristal, si ancorarono alle sue labbra tese, alle sue sopracciglia chiare, alle lentiggini leggere e ai suoi occhi che come un fulmine avevano ancora il potere di trapassarlo lasciandolo in vita.
- Scelgo una parte. - disse solamente.
Non notò l’impercettibile curvarsi delle labbra di Elizabeth prima che lo superasse per raggiungere la ciurma, non notò le spalle della giovane ammorbidirsi appena. Tutta la sua attenzione era ora sul rossore selvaggio che aveva preso possesso del viso di Cristal.
- Presto, al balcone di poppa! - sibilò poi facendo cenno a Elizabeth di muoversi.
Non attese un momento di più, prese Cristal per mano e la guidò attraverso il ventre ostile dell’Olandese, i passi felpati per non farsi individuare e i cuori a battere impazziti di paura e di stupore.
- Non ti fermare! - le sussurrò, la presa sulla sua mano un po’ più salda mentre con la testa indicava la giusta direzione.
Cristal annuì e ricambiò la stretta, ma non riusciva a concentrarsi. La paura era sempre più acuta, la sensazione che ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato sempre più viscerale. La collana ancora sporca di sangue le rimbalzava sul petto ad ogni passo e le sembrava che il rumore fosse quello di una detonazione.
Qualcosa non andava. Qualcosa non andava e lei doveva capire che cosa.
Superarono Elizabeth per indicare la via alla ciurma, il vento fresco della notte ad investirli quando raggiunsero il balcone di poppa.
- Stai bene? -
Cristal scosse appena la testa, spiazzata da quella domanda, da quella dolcezza che non aveva nulla a che fare con quel luogo, con quella situazione, con le azioni di cui James si era macchiato.
No, non stava bene per niente, il fiato era sempre più corto e gli occhi le si velavano di lacrime che fortunatamente riusciva sempre bene o male a ricacciare da dov’erano venute.
Trasse un profondo respiro per darsi un contegno, la mano ancora stretta in quella dell’uomo.
- Sì. - mentì, mentre anche l’ultimo dei cinesi si aggrappava al cavo di traino e incominciava a muoversi verso la sagoma scura dell’Imperatrice.
Solo a quel punto Elizabeth li raggiunse e James sembrò ricordarsi all’improvviso di qualcosa di importante.
- Non andate alla Baia dei Relitti! - esclamò a bruciapelo.
- Beckett sa del Consiglio della Fratellanza, fra loro temo ci sia un traditore. - aggiunse in spiegazione, l’urgenza sempre più pressante a spingergli le parole contro le labbra.
- Un traditore? - fece Cristal, tagliente.
- E’ tardi per guadagnarti il mio perdono. - le diede man forte Elizabeth.
James le guardò entrambe, questa volta con una determinazione diversa.
- Io non c’entro nulla con la morte di tuo padre! - si difese ancora una volta. Tacque una manciata di istanti, gli occhi bassi per la vergogna.
- Questo non mi assolve dai miei altri peccati. - ammise.
Per Cristal fu troppo.
Con uno strattone lasciò andare la sua mano, e se era oltraggio quello che voleva mostrare sul suo volto di certo non vi riuscì, boicottata da un desiderio di perdono che lacerava ogni sua precedente risoluzione.
- E cosa vorresti dire con questo?! Cosa dovremmo…? - ma Elizabeth la interruppe, un altro ordine perentorio che li spiazzò entrambi.
- Vieni con noi. -
L’uomo le rivolse un’espressione annichilita, ed Elizabeth comprese.
- James… - replicò, quasi una supplica.
Anche negli occhi dell’uomo la supplica fu chiara ed evidente, ancora più dolorosa di saperlo schierato dalla parte del nemico.
Elizabeth schiuse appena le labbra, Norrington non distolse lo sguardo dal suo nemmeno per un momento, poi emise un lungo sospiro.
- D’accordo. Ma sbrigatevi! - le esortò a seguire la ciurma lungo il cavo di traino.
Cristal non notò l’espressione diffidente di Elizabeth mentre saliva sul parapetto e si aggrappava alla corda, né si accorse del leggero sollievo che aveva allentato la tensione nelle spalle dell’uomo. Si mosse per seguire l’amica, ma una voce li fece trasalire tutti e tre.
- Chi va là? -
James sguainò la spada, la posizione di guardia larga per proteggere le ragazze a braccia aperte.
- Andate! Vi raggiungerò! - ordinò, cercando di mantenere salda la voce.
Elizabeth interruppe la sua fuga, Cristal, già in piedi sul parapetto, tornò a voltarsi verso l’Ammiraglio.
- Bugiardo! - lo accusò, ma non era indignazione quella nella sua voce: era paura.
- Tu vieni con noi e non ammetto repliche! - fu il suo contrordine incrinato dall’angoscia.
Proprio in quel momento, dal corridoio di babordo fece la sua comparsa Bill Turner, annebbiato dall’oblio e con una spada sguainata fra le mani.
- Torna al tuo posto, marinaio! - fece Norrington, la voce salda e la lama ferma.
- Nessuno lascia la nave… - osservò Turner, confuso.
E più Norrington cercava di tenere a bada ciò che restava dell’uomo, più Cristal sentiva il terrore crescere in sé, congelandola in piedi sul parapetto e impedendole di muoversi in alcuna direzione.
- Parte della ciurma, parte della nave… Parte della ciurma, parte della nave! I prigionieri stanno scappando! - urlò improvvisamene Sputafuoco.
- Contrordine! -
Fu come una cannonata, Cristal si riscosse con un sussulto, la mano che correva all’elsa della spada.
- James! - Elizabeth invertì la marcia e cercò di tornare a bordo e in un momento fu chiaro a tutti e tre cosa sarebbe successo.
Norrington, straziato, sparò al cavo di traino e colpì Cristal alle ginocchia, facendo cadere entrambe, ma se Elizabeth era troppo distante per poter fare altro che urlare, la figlia del fabbro aveva anticipato quella mossa, e con un dolore abbacinante riuscì ad aggrapparsi al parapetto.
Fu come se le avessero strappato le braccia e sparato dritto nel cuore, sentì un bruciore terribile e le mancò l’aria, ma la sensazione durò meno di un secondo: un orrido suono strozzato le fece dimenticare di essere viva.
- No. - balbettò, le urla di Elizabeth a giungere dalla superficie nera dell’oceano.
- No, ti prego, no! -
Con uno sforzo immane si issò nuovamente, sgraziata e già accecata dalle lacrime.
Sapeva cosa avrebbe visto, sapeva cos’era successo.
- No, no, no, no, no, ti prego, no! Ti prego, no! -
James si era accasciato con la schiena poggiata contro il parapetto, la spada di Turner piantata nello sterno e il sangue che già impregnava la divisa.
Cristal si gettò in ginocchio accanto a lui, lo sguardo offuscato, le mani tremanti, le lacrime che le andavano in gola e giù per il collo.
Cercò di rimuovere la lama, ma il tocco lieve dell’uomo la bloccò.
- Questa volta no. - sussurrò, la voce rotta dal dolore.
- James, no. No. Ora ce ne andiamo. Non ti lascio qui, ce ne andiamo! - continuò lei, senza nemmeno accorgersi che Bill Turner era indietreggiato e adesso li guardava nascosto dietro l’angolo del corridoio di babordo.
James cercò di calmarla, la voce sempre più debole, lo sguardo addolcito da un ricordo lontano.
- Non ti lascio qui, non ti lascio, non ti lascio… Ti prego, non ci provare, non ci provare! Perché? Perché?! - Cristal, disperata, continuava a singhiozzare, le mani sul volto dell’uomo come se in qualche modo avessero potuto curarlo.
James sorrise, un sorriso che gli procurò una fitta di dolore e che ottenne finalmente silenzio da parte della giovane.
- Mi chiedesti se sarei stato… - si bloccò, tossì, continuò.
- Disposto a morire per… per ciò che amo. -
Prese fiato, Cristal lo guardò ad occhi sgranati e labbra serrate.
- Questa è la mia risposta. - un altro sorriso, la mano andò ad accarezzarle il viso e Cristal non riuscì a trattenersi.
Incurante della situazione, incurante di essere un bersaglio, incurante dell’Imperatrice che si allontanava sempre di più, incontrò le labbra di James e sentì solo sangue e sale e lacrime e mare, sentì la vita che avrebbero potuto avere scivolarle via dalle dita sporche di sangue e strinse gli occhi e non pianse perché non poteva più, perché non era giusto, perché non era giusto.
- Ah! Ammiraglio! -
Trasalì e si voltò di scatto, Davy Jones era apparso assieme alla sua ciurma di rinnegati.
- E con te c’è anche il Capitano! Che struggente finale! - commentò con scherno.
Livida di rabbia, Cristal Cooper si alzò in piedi e sguainò la spada, suscitando una profonda risata nel nemico.
 - Cris… - la voce sempre più flebile di James giunse alle sue orecchie come una preghiera, presto sovrastata da quella di Jones.
- Ah, l’amore! Che miserabile bugia. - commentò.
- E tu, ragazzina, cosa vorresti fare, uccidere anche me? - chiese poi sghignazzando.
La giovane strinse ancora di più la spada, le nocche bianche e la punta della lama che vibrava appena.
Un altro debolissimo richiamo la fece voltare un istante.
Guardò James, guardò l’Imperatrice che si allontanava nella notte, e poi tornò a guardare il sangue che aveva già preso ad impregnare le assi.
- James… - sillabò senza un suono.
Rinfoderò la spada e con un guizzo fu nuovamente in piedi sul parapetto, lo sguardo arrossato fisso negli occhi piccoli e crudeli di Jones.
- Tu! Non osare parlare d’amore! - esclamò.
- Non è a me che spetta ucciderti, Davy Jones, ma ricordati di me! Io sono Cristal Cooper, e parlo in nome del Mare. Bada a ciò che dico: il tuo tempo sta scadendo. Presto non ci sarà onda che non si rivolti contro di te. - sputò carica di rancore, le lacrime non ancora asciutte sul suo viso mentre il pirata si irrigidiva appena, forse turbato dalle sue parole.
Cristal gettò un ultimo sguardo a James, dilaniata dal dolore, voltò le spalle all’orizzonte e si lasciò cadere. Il mare si chiuse sopra la sua testa e le nascose ogni rumore.
Lo aveva lasciato.
Nel frattempo, sul ponte dell’Olandese Volante, Davy Jones si inginocchiò davanti all’Ammiraglio.
- James Norrington, temi tu la morte? -
Nel suo ultimo slancio di vita, l’uomo lo trafisse con la spada che aveva marchiato la sua vergogna.
Jones si prese gioco di lui un’ultima volta e lo abbandonò dov’era, voltandogli le spalle e incamminandosi verso la sua cabina, ma James non provava più vergogna.
Il sangue inzuppava i vestiti e le assi del ponte e ogni cosa perdeva pian piano i contorni, ma era giusto così, era un finale che poteva accettare.
Le aveva salvate, dopotutto. Ora poteva anche chiudere gli occhi.
Si era riscattato.
Non si accorse nemmeno del buio in cui sprofondava, accolto dal tocco lieve di un ricordo di tanti anni prima.
C’era vento sulla terrazza, e le prime gocce di pioggia gli imperlavano il viso mentre un fulmine schioccava in lontananza.
Il sorriso sincero della ragazza gli accarezzò il cuore mentre un’altra raffica le gonfiava l’abito, gli occhi che brillavano di gioia.
- Non è meraviglioso, James? -
Un respiro, impercettibile, l’ultimo, mentre un sorriso leggero gli sfiorava le labbra.
- E’ perfetto... - sussurrò.
E fu solo il fulmine.











 
Note:

Beh, sì, insomma.
Doveva succedere.

Ben tornati a tutti e grazie come sempre di non randellarmi per i ritardi, sappiate che apprezzo moltissimo! xD
Questo è stato un capitolo tosto da scrivere, un po' perché come avrete notato è lunghissimo, un po' per quello che vi succede.
La nostra vecchia Cristal inizia davvero a non poterne più di questi giochi di potere e tradimenti, forse aveva ragione Tia Dalma, il suo cuore non è davvero adatto a tutto questo...
E a proposito di Tia Dalma, finalmente le carte si scoprono e si capisce un po' di più sulle dinamiche che stanno conducendo i nostri eroi nel loro viaggio. E anche su come sia tornato, in concreto, il buon vecchio Hector. Certo, a Cristal manca ancora un piccolo tassello per fare chiarezza una volta per tutte sulla vicenda, ma la Baia dei Relitti ormai è vicina e avrà tutte le risposte che vuole...
Per quanto riguarda James.... Beh, insomma, sapevamo tutti che sarebbe succeso.
Plottavo e riplottavo questo capitolo da dodici anni e mezzo? Sì!
Ero davvero pronta a scriverlo? Assolutamente no!
Come sempre, ho cercato di mantenere le scene il più fedeli possibile all'originale, anche se di tanto in tanto ho ovviamente dovuto apportare alcune modifiche, spero che questa versione della scena cinematografica che mi ha traumatizzata di più al mondo vi sia piaciuta!
Ho anche introdotto una scena fra James e Groves, un po' perché Groves ha la pessima abitudine di infilarsi a forza nei capitoli (vedrete, vedrete...) e un po' perché a mano a mano che scrivevo Thunderbolt mi sono innamorata sempre di più dell'amicizia fra questi due (e Gillette, che non ho potuto non citare!). Pensavo che fosse importante un confronto a viso aperto con quello che è il suo amico più caro, pria di ricevere la strigliata finale (seppur tutta silenziosa nel gioco di sguardi) da Elizabeth.
E quindi James Norrington ci ha lasciati.
E io con lui.
Addio amici, vado a piangere via tutti i liquidi che ho in corpo!
Come sempre spero che il capitolo sia stato di vostro gradiento, un grazie atomico a chi legge/segue/recensisce/blabla....
Siete il cuore di questa storia. <3


Kisses,
Koori-chan

 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***






Capitolo Ventisettesimo~






Avrebbe dovuto sentire freddo, bagnata fradicia in piedi a prua nel cuore della notte, ma non sentiva nulla.
Né il vento sulla faccia, né la spuma dell’onda. Nulla, se non la sorda vibrazione dell’abisso spaccatosi dentro di lei.
Sapeva di aver nuotato fino a dove la attendeva Elizabeth, sapeva che assieme si erano aggrappate alla corda lanciata dalla murata dell’Imperatrice e che erano state issate a bordo, dove già gli uomini le attendevano, sapeva di aver risposto a qualche domanda, di aver detto di non essere ferita e di aver rifiutato una coperta.
Sapeva di aver fatto tutto quello, ma non lo ricordava. Era come se dal momento in cui l’acqua scura dell’Oceano si era richiusa sopra la sua testa ogni capacità di sentire si fosse in lei prosciugata, ovattata fino a lasciare come unico residuo di coscienza quel rombo sordo dentro la cassa toracica, come un tuono dai più reconditi recessi della sua anima.
Era l’unica cosa che aveva, mentre il sale di lacrime e onde si asciugava lentamente sulle sue guance e gli occhi  rimanevano fissi sul buio, quasi invetrati.
Non avrebbe pianto, non più. Non poteva. Non sentiva nulla, perché piangere? Con quale diritto?
No, non avrebbe pianto.
Socchiuse la bocca per liberare un sospiro e fu in quel momento che si accorse di Elizabeth, in piedi titubante a qualche passo da lei.
Forse avrebbe voluto chiamarla, forse temporeggiava in cerca di parole da dirle per confortarla, ma lei non aveva bisogno di conforto, non sentiva niente, dopotutto.
Ma commise l’errore di guardarla negli occhi e li vide gonfi e arrossati e capì che Elizabeth aveva pianto, e forse già piangeva quando l’aveva raggiunta in acqua. Commise l’errore di guardarla negli occhi e si rese conto che non era vero che non provava nulla, ma il rumore dei suoi sentimenti urlava talmente violento da coprire ogni altra cosa.
La guardò negli occhi, e non riuscì a trattenersi.
- Oh, Cris, no… - sussurrò Elizabeth correndole incontro e stringendola a sé, mentre la ragazza svuotava la sua anima dilaniata piangendo senza ritegno sulla sua spalla, in singhiozzi cupi e disperati, preda dei fremiti più incontrollati.
Elizabeth poggiò la testa sulla sua e anche lei non fu capace di trattenere le lacrime, seppur più composta dell’amica.
Nessuna delle due parlò, nessuna disse nulla, perché non esistevano parole per riempire quel vuoto, per curare quella ferita. Rimasero abbracciate a prua in silenzio per quelle che parvero ore, mentre l’acqua accarezzava i fianchi della nave e placida le conduceva a Shipwreck Cove.
Solo dopo un tempo infinito Cristal trovò il coraggio di rompere il silenzio, gli occhi che le dolevano e la testa che sembrava volersi spaccare in due.
- Avrei dovuto saperlo. - sussurrò pianissimo.
- Anzi no, lo sapevo. Lo sapevo e non ho voluto crederci. - aggiunse.
Elizabeth strinse le labbra, perché anche lei lo sapeva, perché entrambe conoscevano James troppo bene per illudersi che non si sarebbe sacrificato per loro.
- Non potevamo immaginare che si sarebbe arrivati a questo. - mentì in un goffo tentativo di sollevarla dai suoi sensi di colpa.
Cristal rimase in silenzio qualche istante, poi sorrise amara.
- Ci troveremo sempre a procedere lungo due linee parallele. - disse solamente.
La figlia del Governatore si scostò dall’abbraccio per rivolgerle uno sguardo perplesso, e il sorriso sul volto della giovane si fece ancora più sofferto.
- Avevo tredici anni. Dopo l’impiccagione di Gardner, quando scappai. Lui mi inseguì. Per scusarsi. Mi disse che mi ammirava, che ammirava il mio coraggio nel difendere le mie posizioni. Quella fu la mia risposta. - spiegò, il respiro difficile al ricordo dell’ultima frase di James, della risposta che aveva atteso per dieci anni e che mai avrebbe voluto sentire.
- Non lo sapevo. - commentò Elizabeth, confusa eppure completamente consapevole di cosa l’amica stesse cercando di raccontarle.
Cristal annuì piano.
- Non l’ho mai raccontato a nessuno. Non so perché. - ma lo sapeva, lo aveva saputo fin dall’inizio.
Era stato in quell’istante, in quella domanda senza risposta, nelle sue impronte che si allontanavano silenziose sulla sabbia, che Cristal si era accorta di tenere a James.
Era stato quel pomeriggio, rendendosi conto che non avrebbe mai potuto raccontare quella conversazione senza sentirsi spogliata e nuda di fronte al suo prossimo, che aveva capito che quel giovane taciturno e solo era per lei molto più di un nemico.
Non ne aveva mai parlato con nessuno, perché altrimenti avrebbe dovuto spiegare l’origine di quel terrore latente nel capire che le loro strade non si sarebbero unite mai, non ne aveva mai parlato con nessuno perché allora avrebbe dovuto ammettere che lei desiderava l’approvazione di James più di ogni altra cosa al mondo, e assieme alla sua approvazione desiderava il suo rispetto, il suo affetto e la sua felicità.
E non aveva saputo spiegarlo nemmeno a se stessa, mentre gli anni passavano e gli incontri casuali da graditi si mutavano in desiderati, da desiderati diventavano agognati e ogni giornata senza lo sguardo di James ad incontrare il suo era priva di colore.
E lo aveva negato a se stessa, lo aveva giurato ai tramonti solitari su al Forte, aveva opposto resistenza con ogni fibra di sé, perché lei non poteva cedere, perché quel sentimento era sciocco, e frivolo e sprecato e semplicemente non adatto ad una come lei; aveva cercato di ignorarlo perché lei era goffa, e diversa, e sbagliata e il suo nome non era stato plasmato per accostarsi all’amore, perché lei era intrisa di canti di guerra e non avrebbe mai potuto accogliere una forza così antica e potente e disarmante.
Aveva negato, e negato, e negato, e ad ogni diniego il suo cuore cambiava la rotta dei suoi passi e la riportava indietro, deciso, volitivo come una mano sul pomo del timone a contrastare le correnti. Aveva giurato, e giurato e giurato e si era ritrovata a cercare il volto di James dietro a ogni angolo, in ogni riflesso sull’onda, nel luccichio delle stelle prima di coricarsi e fra le pagine di un libro a colazione.
E allora aveva dovuto cedere, e almeno con se stessa essere sincera e ammettere che quell’uomo era diventato per lei imprescindibile e che persino una goffa e diversa e sbagliata come lei aveva dovuto arrendersi all’amore, chinare il capo e acquietare i canti di guerra.
E la cosa più assurda, la scoperta più sconvolgente era stata che non si era trattato di una rinuncia, bensì di una liberazione, e quella sera su al Forte, l’ultima sera, le era sembrato che il mondo vibrasse solo per loro e che ogni dolore o tristezza passati fossero insensati e trascurabili e inutili.
- Ho sprecato così tanto tempo… - sospirò, la voce ridotta ad un soffio.
Elizabeth tornò a cingerle le spalle e le accarezzò piano i capelli ora del tutto asciugati.
- Non darti colpe che non hai, Cris. -
Nemmeno voleva pensare a quello che avrebbe provato se un simile dolore avesse dovuto capitare a lei.
Si chiese come stesse Will, che cosa fosse successo in quel lunghissimo pomeriggio, e si rese conto che se avesse dovuto perderlo per sempre non sarebbe mai stata capace di reagire.
Cristal, invece, trasse un ultimo lungo sospiro e si scostò i capelli da davanti alla faccia, alzandosi in piedi con fatica.
- Coraggio, dobbiamo arrivare a Shipwreck Cove in condizioni di comprendere cosa succede. Avremo tempo dopo per tutto il resto. - ordinò più a se stessa che a Liz.
Quella, ancora seduta sulle assi, le rivolse una lunga occhiata silenziosa carica di ammirazione e compassione. Sapeva benissimo che, appena sola, Cristal sarebbe crollata di nuovo, eppure adesso faceva di tutto per mostrarsi salda, per congelare il suo dolore e non perdere la concentrazione.
Aveva perso la sua famiglia, i suoi amici, Hector e Jack, e adesso perdeva l’uomo che aveva sempre amato e tuttavia stringeva i denti e rimandava la resa dei conti con i suoi sentimenti, ignorava la sua sofferenza e si rimboccava le maniche per farsi coraggio, perché non era ancora finita e non poteva permettersi di gettare la spugna ad un passo dal traguardo.
Perché aveva fatto una promessa e l’avrebbe mantenuta, fino alla fine, nonostante tutto.
- Beckett e Jones la pagheranno cara. - rispose Elizabeth alzandosi a sua volta.
Avrebbero dovuto vincere quella battaglia a tutti i costi.
Anche per James.
Cristal le rivolse un debole sorriso, una mano che saliva incerta a stringere la sua collana.
Aprì la bocca per parlare, ma non aveva nulla da dire. Annuì soltanto, poi scese in coperta: c’era molto lavoro da sbrigare, e non poteva permettersi di fermarsi.
Arrivarono a Shipwreck Cove non meno di due ore dopo, la ciurma di Sao Feng a guidare l’Imperatrice attraverso i tranelli della notte.
- La Baia dei Relitti non porta il suo nome per caso. Acque pericolose, acque infestate. Solo un pilota esperto può condurvi all’approdo. - spiegava il primo ufficiale, che forse avrebbe voluto davvero farli affondare tutti quanti.
Elizabeth lo stava a sentire, incuriosita, ma i suoi occhi erano puntati sulla meraviglia di fronte a sé: un’intera città di navi arenate si innalzava davanti a loro in un continuo tremolio di fiaccole, come tante minuscole stelle a danzare nell’abbraccio dell’Isola.
Doveva essere stata un vulcano, si trovò a considerare Cristal notando la forma quasi perfettamente circolare della baia e i pendii scoscesi che la separavano dal mare aperto. Certo, questa particolarità rendeva il sito inespugnabile ed era semplice comprendere come avesse potuto mantenersi segreto per tutti quegli anni.
E alla fine eccola lì, meta inseguita per tutti quegli anni e raggiunta alla vigilia di una guerra inevitabile, sotto la guida di uno sconosciuto e con l’anima pesante come non mai.
Di tanti modi in cui aveva immaginato il suo arrivo a Shipwreck Cove, quello non era mai stato nemmeno abbozzato e si trovò a domandarsi cosa ne avrebbe pensato Bleizenn.
La Figlia della Tempesta sospirò. Aveva atteso a lungo quel momento, ma non provava nemmeno un grammo dell’eccitazione che avrebbe creduto. Il suo unico desiderio al momento era andarsene a dormire per non doversi risvegliare mai più.
- Non si può dire che non sia imponente. - commentò Elizabeth ad alta voce, sistemando meglio sul capo il tricorno cinese che aveva scelto per completare il suo nuovo abbigliamento.
Cristal le aveva rivolto il primo sorriso sincero di quelle ultime ore terribili.
- Darò un giudizio dopo aver conosciuto gli abitanti. - si limitò a rispondere.
Scesero a terra e vennero condotti verso la sommità della collina di relitti, dove a detta dell’uomo che li stava guidando si trovava la Sala del Consiglio.
Ogni corridoio, ogni stanza o anfratto di quel luogo era composto da relitti, pezzi di navi, elementi rimossi a chissà quale vascello e reimpiegati a nuovo utilizzo, in una creatività pratica che riusciva persino ad avere il suo fascino. Per quanto quella fosse la prima volta che visitava quel luogo labirintico, Cristal si rese conto di trovarlo familiare, fra le polene e le vetrate di poppa che ne costruivano l’anatomia.
- La riunione sarà già incominciata. - osservò sottovoce.
Liz annuì e si avvicinò a lei.
- Spero non abbiano deliberato senza di noi. - confessò, tesa nonostante cercasse di mostrarsi spavalda.
- Non credo che possano, dopotutto manca un Pezzo da Otto fondamentale all’appello. - fece Cristal con un cenno alla collana di Sao Feng che l’amica portava al collo.
- E poi non penso che sia così semplice far andare d’accordo tutti questi pirati… - aggiunse pensierosa.
Elizabeth le accordò la ragione con una lieve alzata di sopracciglia, poi l’uomo che le stava scortando arrestò la sua marcia.
- La Sala del Consiglio è oltre quel ponte. Solo i Pirati Nobili e i loro equipaggi sono ammessi durante un Consiglio. - spiegò, indicando loro la via con un cenno del braccio.
- Grazie. - rispose Elizabeth, mentre Cristal si univa con un cenno del capo.
L’uomo rivolse loro un mezzo sorriso bucato e voltò loro le spalle, incamminandosi da dove era venuto.
- Pronte? - domandò Capitan Tempesta.
Elizabeth trasse un profondo sospiro.
- Pronte. - replicò, puntando lo sguardo dritto avanti a sé e attraversando il ponte.
- Sao Feng è morto! Ucciso dall’Olandese Volante! -
Ecco, se proprio avesse dovuto essere sincera, Cristal non si sarebbe esattamente immaginata un’entrata in scena così plateale. Credeva ingenuamente che si sarebbero limitate ad entrare, chiedere scusa per il ritardo e sedersi al loro posto senza disturbare, unendosi al dibattito solo quando si fossero messe in pari con le argomentazioni, ma conosceva Elizabeth abbastanza bene da sapere benissimo che nulla di tutto quello sarebbe mai successo.
Ed ora erano lì, in piedi davanti ad una tavolata gremita dei più grandi pirati che la storia contemporanea annoverasse, ad annunciare a gran voce che uno dei loro era stato ucciso e che una ragazzina sbucata dal nulla aveva preso il suo posto.
La notizia portò il putiferio nella sala. Alcuni si alzarono in piedi, altri sbatterono le mani sul tavolo e Jack, incredulo di fronte alla figura di Elizabeth che conficcava la sua spada nel grande mappamondo alla sua sinistra proprio come avevano fatto gli altri prima di lei, disse qualcosa che Cristal non capì, fagocitato dal caos.
- Ascoltate! Ascoltatemi! Hanno scoperto dove ci stiamo riunendo. Jones è sotto il comando di Lord Beckett, e stanno venendo qui! - continuò Elizabeth, incurante del marasma.
- Chi ha fatto la spia? - domandò un pirata dalla pelle scura che aveva tutta l’aria di essere un Capitano.
Fu Barbossa, in piedi accanto a Jack e apparentemente nel ruolo di moderatore della tavolata, a rispondergli.
- Non credo che il traditore sia qui tra noi. - lo tranquillizzò, ma la sua frase non ebbe lo stesso effetto su Elizabeth.
- Dov’è Will? - fece, accorgendosi improvvisamente dell’assenza.
Mentre Jack confermava i suoi dubbi, Cristal si avvicinò al mappamondo e titubante conficcò la sua spada nel ritaglio di mare fra Inghilterra, Province Unite e Danimarca. Contro i suoi calcoli, tuttavia, nessuno parlò in quel momento e il suono della lama che si piantava nel legno riecheggiò nel silenzio.
- Chi altri viene a sedersi al nostro tavolo? - fu una voce di donna a porre il quesito, alta e sicura nel silenzio.
Cristal non l’aveva mai udita prima eppure la riconobbe immediatamente: vi era una sola donna fra i Pirati Nobili, e si trattava della Vedova Ching. Sua madre le aveva parlato molto di lei quando era bambina: Capitano temuto e rispettato era completamente cieca, eppure aveva al suo comando una flotta numerosa e letale.
Inutile dire che era stata uno dei suoi modelli di stile, e ritrovarsi ora realmente al suo cospetto la metteva in non poca soggezione.
- Sono Cristal Cooper, Signora. Pirata Nobile del Mare del Nord! - spiegò a voce alta, avvicinandosi lentamente a Barbossa in cerca di supporto e sperando che l’emozione non la facesse tremare troppo.
La replica che ottenne, tuttavia, le fece dimenticare ogni possibile imbarazzo.
- Cristal Cooper? E quindi il Faucon du Nord ha infine passato il testimone? Dimmi, ragazza, che ne è stato della vecchia Marion Hawke? - incalzò.
Elizabeth si voltò di scatto verso di lei, Jack si irrigidì e fece un lentissimo passo indietro.
Un nuovo brusio fagocitò la voce della vecchia, e Cristal, gli occhi sgranati e le pupille minuscole, si voltò verso Hector, nello sguardo un rimprovero che sembrò quasi capace di farlo indietreggiare.
L’uomo abbozzò un sorriso teso e imbarazzato, chiaramente alle strette.
- Beh, non importa! La questione è: ora che ci hanno trovati, che cosa fare? - sviò con scaltrezza l’attenzione dalle domande precedenti.
Cristal, indignata e furente, fece per controbattere, ma Elizabeth la bloccò prima che potesse parlare.
- Combattere! - esclamò, cogliendo l’occasione offertale da Barbossa.
I pirati scoppiarono a ridere sommessamente tutti insieme, causando un gran baccano, ma Cristal non se ne accorse più di tanto.
La sua concentrazione era tutta proiettata su quell’unica informazione, sugli occhi di Hector che puntavano ovunque tranne che a lei, su Jack che, colpevole tanto quanto lui, cercava di evitare di andare a sistemarsi accanto a lei.
Marion Hawke.
Doveva essersi sbagliata.
Marion Hawke!
Come poteva essere?! Come faceva la Vedova Ching a conoscere il nome di sua madre?
Ma era tutto chiaro, tutto scontato, tutto vergognosamente ovvio.
Non esisteva nessun Ancien Marin, nessuna promessa, nessun regalo.
Il Faucon du Nord era sempre stato sotto i suoi occhi, in ogni insegnamento della sua infanzia, in ogni rotta tracciata sulle carte.
Sua madre.
E le vecchie canzoni, le storie per addormentarsi, gli allenamenti di scherma, la malinconia nell’odore del mare e della polvere da sparo.
Tutto assumeva nuova forma e nuovo significato nella voce di quella vecchia che le aveva sbattuto in faccia senza criterio la verità, rendendo chiaro a tutti quanto fosse stupida e sciocca ed ingenua.
Sua madre.
Strinse i pugni, una rabbia cieca a ribollirle nelle vene, ma il richiamo sguaiato di un altro pirata sconosciuto le ricordò che avrebbe avuto tempo dopo di fare chiarezza su quell’enorme e gravissima omissione.
- La Baia dei Relitti è una fortezza. E’ una fortezza assai piena di provviste. Non c’è bisogno di combattere, se non possono arrivare a noi! - si fece sentire nuovamente la Vedova Ching, riscuotendo il consenso generale.
Cristal avrebbe voluto sbattere le mani sul tavolo e urlare in faccia a tutti quanti che Beckett li avrebbe stanati uno ad uno e che non si sarebbe fermato finché ogni singolo abitante di Shipwreck Cove non fosse stato a penzolare da una forca, ma era troppo stanca, confusa e arrabbiata per prendere realmente parte al dibattito e Barbossa fu più svelto di lei nell’ottenere la parola.
- Ci sarebbe una terza… rotta. - esordì, accentrando tutta l’attenzione su di sé.
Cristal roteò gli occhi e l’uomo se ne accorse.
Che cosa poteva mai offrire loro? Altre menzogne? Dopotutto sembrava che fosse questa l’unica lingua che i pirati potessero parlare.
Persino lui.
Persino sua madre.
Hector si schiarì la voce e iniziò a raccontare come solo lui sapeva fare, con le sue parole scelte con cura e le pause ad effetto.
Parlò di un altro Consiglio, molti anni prima, di come Calypso era stata imprigionata e di quanto quell’errore si fosse dimostrato gravissimo.
Il suo discorso ispirato andò a tratteggiare un tempo remoto, in cui il mare era libero e la libertà stessa era frutto di impegni e sacrifici e non di menzogne sussurrate agli abissi, e per un momento quasi Cristal cedette, per un istante sentì anche lei il calore del sole sulla fronte ricoperta di sudore.
Ma quando Hector decretò che Calypso andava liberata, il piccolo mondo di cristallo che l’uomo aveva dipinto per loro si sgretolò in mille frammenti, randellato dalla cruda realtà.
- E quindi è questo il tuo piano? Tutto si spiega! - commentò sprezzante, mentre attorno a lei di nuovo tutti quanti si parlavano addosso, per lo più inveendo contro l’uomo.
- Sao Feng sarebbe stato d’accordo con Barbossa! - esclamò all’improvviso il secondo ufficiale dell’Imperatrice.
- Ecco! - lo ringraziò a modo suo il pirata.
- Ma fammi il piacere! Sao Feng era pronto a venderci tutti quanti a Beckett, Calypso è stata solo una fortuita coincidenza! - berciò Cristal, prendendosi gioco del defunto e ottenendo un’occhiata di stizza da Hector.
- Calypso era nostra nemica, oggi lo sarebbe ancora! - tuonò il pirata dalla pelle scura.
- E dubito sia di migliore umore! - gli diede manforte un uomo dal marcato accento francese.
Accadde tutto in un istante, qualcuno disse qualcosa, partì un colpo di pistola e in men che non si dica tutti i presenti si stavano azzuffando, riversi sul tavolo e pronti a fracassare contro l’avversario qualunque oggetto gli passasse per le mani.
- Questa è follia… - commentò Elizabeth, sconcertata.
- Questa è politica! - fu la replica di Jack, sconcertato quanto lei, seppur in un certo senso divertito dalla situazione.
L’avvilente teatrino andò avanti ancora per una decina di minuti senza che nessuno accennasse a cedere, poi Barbossa, stufo di non essere ascoltato, salì in piedi sul tavolo e sparò un colpo in aria, reclamando il silenzio.
- E’ stato il Primo Consiglio ad imprigionare Calypso! Noi dobbiamo essere quelli che la liberano: ci sarà grata e di sicuro ci vorrà accordare i suoi favori. - spiegò nuovamente.
Cristal sbuffò sonoramente e incrociò le braccia al petto, andando a sedersi sul bordo del tavolo e dandogli appena le spalle.
- Per cortesia… - biascicò, chiaramente in disaccordo.
Conforme a sé stesso, anche Jack diede contro a Barbossa e, incoraggiato proprio dal Pirata Nobile del Mar Caspio, prese ad illustrare il suo piano.
- Sono d’accordo… - esordì a conclusione del suo intricato ragionamento per poi borbottare qualcosa che mise in luce quanto quella dichiarazione gli costasse.
- Con Capitan Swann. -
Ma se per gli altri pirati quella poteva sembrare una qualsiasi presa di posizione, per Barbossa fu troppo.
- Te la sei sempre svignata! - lo accusò.
- No, mai! - esclamò Jack, oltremodo offeso nonostante sapesse benissimo che era la verità.
Accusa e difesa vennero rimpallate fra di loro in un gioco del tutto infantile, finché la parlantina di Sparrow non ebbe la meglio e gli fece guadagnare un coro di volti alla sua causa.
Ma Barbossa non sembrava minimamente in difficoltà.
Con un sorriso saccente che in altre circostanze avrebbe divertito Cristal, ma che ora le faceva solamente venire voglia di fargli saltare tutti i denti con un pugno, l’uomo mise in mostra la sua profonda conoscenza.
- Secondo il nostro Codice, un atto di guerra, di questo infatti si tratta, non può essere dichiarato che dal Pirata Re. - snocciolò quasi a memoria.
- Te lo sei inventato! - fece Jack.
- Ah, inventato? Io chiamo il Capitano Teague, Custode del Codice! - esclamò, in volto un’espressione di pura sfida.
Jack impallidì, ma prima che potesse replicare un pirata dal turbante variopinto decretò quanto tutto quello gli sembrasse pura follia.
Non riuscì tuttavia a terminare la sua invettiva contro il Codice: una pallottola lo stroncò a metà del discorso.
Il silenziò piombò glaciale sulla sala, rotto solamente dai passi di un uomo spaventosamente simile a Jack.
- Il Codice è Legge. - disse solo, intimando con un cenno che altri due uomini portassero al cospetto della Fratellanza un pesantissimo volume protetto da un grande lucchetto.
- Il Codice! - Cristal si lasciò sfuggire un sussurro nel silenzio, cercando con la mano il braccio di Elizabeth per reclamare la sua attenzione.
La ragazza si voltò verso di lei, in volto la stessa espressione stupita ed elettrizzata di una donna che vede davanti ai suoi occhi la reliquia delle sue fantasie di bambina.
L’uomo del Codice, serio e silenzioso, prese a sfogliarlo, gli occhi concentrati alla ricerca dell’informazione di cui necessitava, poi si fermò.
- Ah! Barbossa ha ragione! - sentenziò.
Jack, abbandonata ogni ritrosia, scostò di lato il Capitano Teague e sbirciò senza decenza fra le righe del Codice.
- Parlamentare con gli avversari. - lesse a voce un po’ più alta dopo qualche parola farfugliata fra sé e sé.
- Questo mi piace! - fu poi il suo commento.
- Non c’è stato un Re fin dal Primo Consiglio, e non è facile che si cambi! - fece saggiamente notare il Capitano francese.
- Perché no? - chiese Elizabeth, confusa.
Gibbs e Hector si offrirono di spiegarle, ma Cristal non prestò attenzione: conosceva già la risposta.
Infatti, quando Jack chiese solennemente una votazione, nessuno parve scomporsi: ognuno avrebbe votato per sé, come da norma.
- Cristal Cooper. - esclamò, costretta al voto dalla sua posizione anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno, mentre Hector le faceva eco votando per se stesso.
- Elizabeth Swann. - ma a pronunciare quel nome non era stata la sua proprietaria, che aveva votato appena prima di Cristal, bensì Jack Sparrow.
L’uomo se ne stava in piedi di fronte a loro con in volto l’espressione più sfottente che un essere umano potesse esibire.
Fu il delirio, tutti si alzarono in piedi urlando, promettendo favori a chiunque li avesse votati, alcuni urlavano all’illegalità della votazione, altri chiedevano che fosse annullata e rifatta, ma quando Jack solleticò l’ipotesi che qualcuno desiderasse disattendere le regole del Codice il silenzio calò nuovamente, portato dal sol del liuto di Teague, che era prontamente saltato all’insinuazione di Sparrow.
Nessuno osò replicare, e fu la Vedova Ching a prendere la parola per prima.
- Molto bene. - esordì, seria e imperiosa nonostante la sua bassa statura.
- Che dite voi, Capitan Swann, Re del Consiglio della Fratellanza? -
Elizabeth tacque un istante, assaporando quel titolo così inaspettato e tuttavia così significativo, poi un sorriso di pura soddisfazione andò a curvare le sue labbra, non prima di aver lanciato una rapida occhiata a Cristal.
- Preparate ogni nave alla fonda. All’alba saremo in guerra. -
E incredibilmente, come se la nuova carica fosse diventata improvvisamente sacra e insindacabile, tutti i presenti si unirono in un solo grido, pronti a combattere sotto la stessa bandiera.
Era fatta.
Ancora poche ore e le sorti del Mare sarebbero state decise.
Cristal approfittò del marasma per sgusciare via, ma il fodero di una spada la colpì lievemente all’altezza dello stomaco, impedendole la fuga.
- Ho delle domande da porti, Cristal Cooper. - la Vedova Ching se ne stava in piedi accanto a lei, gli occhi velati ma i sensi in allerta.
Le fece cenno di seguirla e si mosse con una sicurezza invidiabile attraverso le sedie e il ciarpame, puntando verso un vecchio scranno come se fosse riuscita a vederlo.
Quando si fu seduta, posò in grembo la sua spada e rivolse a Cristal un sorriso che quasi avrebbe potuto apparire gentile.
- La tua voce ha un suono familiare. Canta per me. - ordinò.
Cristal si sentì arrossire e cercò di indietreggiare, ma la donna la afferrò per le mani e la fece inginocchiare al suo cospetto.
- Signora, non so se è il caso, la mia voce non è… - balbettò, imbarazzata.
Perché anche quel teatrino? Perché non potevano semplicemente lasciarla andare e permettere a quella giornata infernale di giungere a un termine?
Ma comprese che finché non avesse soddisfatto le richieste del pirata non avrebbe avuto scampo, perciò intonò una vecchia canzone, cercando di non pensare che era stata proprio sua madre ad insegnargliela.
- Intonata, sì. Ma Marion aveva una voce più morbida. - fu il decreto che seguì.
Cristal abbassò lo sguardo, pur consapevole di non poter essere vista.
- La conoscevate bene? - domandò, un tremolio nella voce che sperò passasse inosservato.
La donna sorrise e questa volta fu sicura di scorgere affetto nella sua espressione.
- Non navigammo assieme troppo a lungo, ma era una ragazza che sapeva lasciare il segno. - spiegò, criptica.
- Quella di noi donne è una vita difficile, fatta di sacrifici e di rinunce. Dobbiamo aiutarci fra di noi, non farci la guerra. - aggiunse, forse aspettandosi che Cristal comprendesse il perché di quella riflessione.
- Vi chiedo scusa, Madama, ma non vi seguo. - ammise infatti.
La vecchia portò le mani ad accarezzarle il viso, soffermandosi sull’arco delle sopracciglia, sul naso appena all’insù, sulle labbra sottili.
- Io ero una prostituta, Cristal Cooper. Merce da baratto e nulla di più. Ma ho saputo riscattarmi e trovare una nuova libertà. C’è chi dice che la mia sia stata scaltrezza, ma la ritengo solo una grande fortuna. Senza la giusta occasione a quest’ora sarei morta di sifilide in un bordello. - spiegò.
- Ognuna di noi vive la sua vita all’ombra degli uomini, ognuna di noi sfida la sorte costantemente, accontentandosi del male minore o dovendo chinare il capo senza speranza di libertà. Nella mia flotta le donne hanno gli stessi diritti degli uomini e vigono regole ferree. Marion aveva le sue perplessità, ma alla fine sono certa che avesse compreso le mie posizioni. E io le sue. - aggiunse, lasciando intendere una collaborazione più profonda di quanto non fosse apparso in precedenza.
- Mi ero abituata alla sua presenza, mi è dispiaciuto quando è dovuta ripartire. Ma i patti erano patti, e mi sembra di intendere che il suo lascito non sia andato perduto. Mi addolora sapere che tua madre è morta, se non ricordo male doveva essere ancora giovane. - sospirò.
Cristal incassò quella strana conversazione e si fece punto di chiedere di più non appena avesse avuto la mente più lucida, dal momento in cui la Vedova Ching sembrava conoscere sua madre molto meglio di lei, ma alla luce di quell’incomprensione si affrettò a chiarire.
- Oh, no! Mia madre non è morta! Almeno, non credo… - si affrettò a spiegare, sporgendosi appena in avanti.
- Non la vedo da anni, ma quando l’ho lasciata era viva e in salute. E’ stata lei a cedermi la collana, non… non l’ho ereditata. - ammise.
Il volto truccato della donna si contrasse in una smorfia indecifrabile.
- Una mossa curiosa, dopo la fatica che ha fatto per ottenere il suo titolo… - commentò a mezza voce.
Cristal sbuffò e roteò gli occhi, consapevole che quel gesto di stizza non sarebbe stato percepito.
- Sono molte le cose curiose di quella donna. - sibilò.
- Chi era il Pirata Nobile del Mare del Nord prima di lei? Come ha ereditato la posizione? - domandò poi, troppo curiosa per tacere.
Solo allora la Vedova Ching parve comprendere, gli occhi spalancati nonostante non vedessero nulla.
- Oh, mia cara ragazza, non esisteva un Pirata Nobile del Mare del Nord, prima di tua madre. -
- Volete dire che si è… inventata il titolo?! -
- Voglio dire che se lo è guadagnata. Con il sudore della fronte e la forza della sua schiena. - replicò, appropriandosi delle parole usate poco prima da Barbossa.
Cristal avrebbe dovuto sentirsi orgogliosa, eppure era solo nausea a montarle in corpo, era solo rabbia e vergogna.
Menzogne, solo menzogne, su quello e null’altro era basata la sua vita. Sua madre le aveva mentito ogni singolo istante della sua esistenza, le aveva messo al collo la collana come un cappio e l’aveva spedita al macello senza curarsi del suo destino, con l’unico scopo di liberarsi di un fardello ormai indesiderato.
- Percepisco in te il suo stesso talento, il suo stesso coraggio. Siete fatte della stessa pasta, tu e lei. - fece ancora la vecchia, forse con la speranza di esserle di incoraggiamento.
- Vi ringrazio. - mentì Cristal, sciogliendo la stretta delle mani della donna e rialzandosi in piedi.
- Spero che la vostra fiducia in me possa dimostrarsi ben riposta. Adesso, se non vi dispiace, credo sia saggio riposare in vista della battaglia. - suggerì poi.
La donna riprese la sua spada e si puntellò su di essa come fosse un bastone da passeggio, poi si alzò in piedi.
- Che la notte vegli su di te, Cristal Cooper. Domani sarà un onore poter combattere assieme. - decretò con un piccolo inchino, prima di accogliere il suo suggerimento e ritirarsi in cerca del suo equipaggio.
Per la prima volta dopo ore che le erano sembrate millenni, Cristal rimase di nuovo da sola.
Trasse un profondo respiro e si passò una mano sul volto, distrutta, poi approfittò del trambusto generale per defilarsi, scivolando non vista accanto a un Jack che sentì, senza nemmeno troppa sorpresa, appellare il Capitano Teague come padre.
Sbuffò ancora, e a passi pesanti abbandonò la Sala del Consiglio imboccando un corridoio a caso che la portò abbastanza lontano da non sentire più gli schiamazzi dei Pirati Nobili.
Si fermò solamente quando si rese conto che il corridoio l’aveva condotta ad un vicolo cieco, un vecchio terrazzo di poppa incastrato in una chiglia squarciata di modo da tramutarlo in uno scadente belvedere. Ai lati dell’ingresso vi erano persino due panche per chi volesse godere della vista in tranquillità, ma Cristal non era certo dell’umore per ammirare il panorama con calma.
Ancora più stizzita dall’essersi trovata la via sbarrata dalla balaustra, decise che ignorare ogni buon senso e sedervisi a cavalcioni avrebbe potuto essere una valida azione di protesta.
Con una gamba a penzoloni nel vuoto e l’altra a un palmo dal pavimento, poggiò la schiena contro una delle colonne di legno che supportavano il soffitto della balconata e reclinò appena la testa, voltandola pigramente verso la baia.
Al di là della corona di roccia che la circondava, la luna brillava quieta, ignara di essere spettatrice delle ultime ore di calma prima della battaglia.
Cristal chiuse gli occhi e cercò di liberarsi dell’ira che ancora le scuoteva le mani. Inspirò a fondo, fece uscire l’aria dalle narici e si concentrò sui suoni attorno a lei: il crepitio delle fiaccole alle sue spalle, il chiacchiericcio sommesso che saliva dalle vie della città, i cocci rotti di qualche bottiglia in una taverna chissà dove in quel dedalo sconosciuto e laggiù, in fondo alla collina, il cauto sciabordio delle onde contro le palafitte del molo.
Niente, era inutile, tutto inutile! Più cercava di concentrarsi su altro, più il cuore le si stringeva fino a farle mancare il respiro, riproponendole come in una giostra nauseante il tanfo dell’Olandese, Sao Feng, sua madre, James, e il sangue, ancora sangue, sempre sangue di cui mai avrebbe voluto macchiarsi e che invece era diventato il suo unico colore per una scelta che era stata convinta aver preso da sola e che invece era già stata tracciata per lei ancor prima che nascesse.
- Cristal, sei qui! Ti ho cercata ovunque! -
La ragazza aprì gli occhi di scatto, ma non si voltò, nemmeno rispose.
Rimase immobile, sperando che fosse stata solo un’impressione, un’allucinazione data dalla stanchezza.
Ma Barbossa parlò di nuovo e la giovane capì che era tutto reale.
- Cristal? - la chiamò.
- Allora, dimmi, che cosa sei venuto a omettere? - disse freddamente, ancora senza voltarsi.
Non poteva vederlo in volto, ma fu certa che si fosse irrigidito.
- Cristal, io non… - balbettò infatti, colto alla sprovvista.
- Che cosa, non credevi che l’avrei mai scoperto? - lo accusò, finalmente distogliendo lo sguardo dalla luna e puntandolo feroce su di lui.
- Già, un vero peccato che alla fine io sia riuscita ad arrivare a Shipwreck Cove! - aggiunse con astio.
Barbossa aggrottò le sopracciglia e fece un passo avanti.
- Cristal, non è per questo. Non… - ma di nuovo le parole lo tradirono.
- Tu conoscevi mia madre. - sibilò la ragazza.
- Tu la conoscevi e sapevi chi era. Sapevi chi era e non mi hai detto niente! - esclamò scendendo dalla balaustra con un gesto meccanico, i tacchi a schioccare contro il legno quando raggiunsero il pavimento.
- Non era compito mio! Ho pensato che se non te l’aveva mai detto doveva avere i suoi motivi! - replicò l’uomo, alzando impercettibilmente la voce.
Capitan Tempesta rise di una risata finta, una risata che trasudava disprezzo e rancore.
- Certo che li aveva! E’ tutto così dannatamente chiaro, ora! - sbottò.
- Il Faucon du Nord, terrore dei sette mari, si è trovata fra i piedi una bambina che le ha stroncato la carriera e se l’è levata di torno alla prima occasione approfittandone per sbolognarle la causa di tutti i suoi problemi! - aggiunse.
Barbossa serrò i pugni lungo i fianchi e fece un altro passo avanti, in un vago tentativo di intercettare il continuo andare avanti e indietro della giovane, che imprecando aveva incominciato ad agitare le braccia gesticolando per dare enfasi alla furia delle sue parole.
- Cristal, sai che non è vero. Tua madre non avrebbe abbandonato il mare per qualcosa di meno importante, per qualcosa che non fossi tu! Non per costrizione, ma per amore, puoi starne certa! - cercò di farla ragionare.
Ma quelle parole ebbero l’effetto di un fulmine sulle sterpaglie.
- Certa?! Non sono più certa di nulla! Ogni istante della mia vita l’ho trascorso nella menzogna! Tutti gli insegnamenti che ho ricevuto, tutte le storie che mi ha raccontato… Mia madre era il Faucon du Nord! Ti rendi conto?! Non è mai stata a Rouen, non aveva nessuna famiglia in Francia! Questa stramaledetta collana non gliel’ha data nessun Ancien Marin, non esiste nessuno, era tutta una bugia! - urlò con le lacrime agli occhi, sempre più consapevole di quanto la donna l’avesse usata come una pedina nei suoi giochi, l’avesse mantenuta accanto finché le serviva e poi, con una scusa, si fosse disfatta di lei e dei suoi problemi in un colpo solo.
- “Porta alta la bandiera” un corno! Al diavolo! Mi ha spedita a morire al posto suo con questa collana senza nemmeno spiegarmi, mi ha… mi ha mentito! - continuò, fuori di sé.
- Se ha deciso di agire in questo modo è stato per proteggerti! Non eri pronta per affrontare la verità! - ribatté Barbossa, il tono fermo ma un’agitazione fremente a serpeggiare lungo le sue membra.
- Ma ero pronta per morire al suo posto! Ero pronta per affrontare tutto questo nell’ignoranza più totale, come una sprovveduta! E tu! Tu lo hai saputo subito, tu me lo hai tenuto nascosto e mi hai lasciata andare e non me lo hai detto! Non mi hai detto niente! Mi hai dato una verità che non significava nulla! E io imbecille che avevo creduto che il Faucon du Nord fossi tu, che la collana mia madre l’avesse avuta da te! - sbraitò, perché secondo al dolore di sapere sua madre una bugiarda vi era solo quello di scoprire che persino Hector le aveva mentito, persino lui si era preso gioco di lei senza curarsi dei suoi sentimenti.
Barbossa non rispose, un lampo negli occhi che riempì il silenzio più delle parole, una consapevolezza che non osò pronunciare ad alta voce.
A quel punto Cristal si interruppe, folgorata da un’idea inconcepibile che le fece sgranare gli occhi con orrore.
- Se ogni parola era una menzogna… come posso sapere che cosa è vero? Come posso sapere chi sono, come posso sapere se… Dio, lo sono davvero una Cooper o è l’ennesima bugia?! - finì per urlare, l’indignazione a bruciarle la gola e a farle tremare la voce.
Quando alzò gli occhi su Barbossa, lo sguardo dell’uomo era furente di rabbia, di rimprovero e di qualcos’altro che non sapeva riconoscere.
- Cristal Cooper, non osare! Marion Hawke era una donna rispettabile, e se Cooper è il nome che porti, allora dei Cooper è il sangue che scorre nelle tue vene! - sbraitò senza trattenersi, la voce alta e le pupille ridotte a due spilli che sembravano volerle trafiggere l’anima.
La ragazza tacque, spaventata: quella era la prima volta che si rivolgeva a lei urlandole contro in quel modo.
Poi i suoi muscoli si rilassarono appena, il blu del cielo di Giugno si tinse di un sentimento agrodolce, il sorriso sbiadito e lacerato come la sottile cicatrice sulla sua guancia.
Parlò ancora e nonostante l’ira si fosse mitigata le sue parole si susseguivano veloci e ansiose, prede di un trasporto completamente dimentico di ogni stoicismo o impostato distacco.
- Sì, ho amato tua madre davvero, profondamente, come sangue del mio sangue, ma non avrei mai osato sfiorarla nemmeno con un dito, e per quanto ormai io ti consideri mia figlia non potrò mai avere il privilegio di potermi dire tuo padre! -
Le parole lasciarono la coscienza di Hector Barbossa come il faticoso rombo di un tuono, e il silenzio si impadronì del loro significato.
Le spalle dell’uomo si alzavano e si abbassavano, la respirazione alterata dal litigio, i pugni stretti lungo i fianchi; i suoi occhi erano ancora sgranati, proprio come quelli della giovane in piedi di fronte a lui, ora pallida e incredula.
Cristal Cooper aveva la bocca spalancata e la gola serrata dal più stretto dei nodi; le mani tremavano nella sospensione di quell’istante senza senso, senza scopo…
Hector aprì la bocca e le sue labbra si mossero, ma non riuscì a dire nulla, le guance solcate dagli anni e dal mare a tradire l’imbarazzo di essersi mostrato debole, di essersi mostrato umano.
- Che cosa… hai detto? - sussurrò la ragazza, incapace di sciogliere i loro sguardi, aggrappata a quel viso con ogni fibra dell’anima.
- Io… - balbettò Barbossa, senza riuscire a trovare parole migliori.
Ma accadde qualcosa che non avrebbe mai potuto immaginare come seguito a quella conversazione che lo aveva esposto alle intemperie della sincerità, nudo scheletro sotto i raggi della luna.
Cristal tirò su col naso una volta, due, tre, le labbra increspate dal pianto e i singhiozzi che le scuotevano le spalle senza ritegno.
Piangeva, e il suo volto prima così pallido era adesso paonazzo, le lacrime a gocciolare lungo le guance fino alle assi sudicie del pavimento.
Piangeva, e quel pianto le scuoteva il cuore e le puliva l’anima.
- Questa… creatura delle tenebre… - mormorò, la voce spezzata e flebile.
Barbossa, ancora rigido e disarmato da quella reazione, proruppe in un sorriso morbido come la seta, caldo come la sabbia, dolce come le stelle.
- La riconosco mia… - completò.
Non ebbe il tempo di fare nulla, la ragazza gli si gettò al collo e lo strinse in un abbraccio a lungo agognato.
Il Pirata Nobile del Mare del Nord si mostrava ora per quello che era: fragile e delicata, da proteggere e cullare e calmare come una bambina, la sua bambina.
Hector Barbossa portò le braccia a circondare il corpo esile della fanciulla e la strinse a sé, una mano sul capo ad accarezzarle i capelli e il cuore finalmente in pace.
Dopo ventisette lunghi anni, adesso, non sentiva più freddo.
Cristal rimase immobile fra le braccia dell’uomo, le lacrime a inzuppare la sua giacca e a scivolarle sotto il colletto della camicia.
Era stanca, stanca morta. Era confusa, arrabbiata, disperata. Non capiva più nulla, se non che aveva udito parole che mai avrebbe nemmeno sperato di poter udire e lo aveva fatto nel frangente più assurdo del mondo.
- Vieni, sediamoci un attimo. - sussurrò Hector dopo qualche minuto, sciogliendo l’abbraccio e conducendola su una delle due panche.
La ragazza, gli occhi rossi e gonfi, si lasciò guidare, stravolta, e cercò di darsi un contegno, passandosi la manica della camicia sul volto nel tentativo di asciugare lacrime che stavano continuando a scendere senza tregua.
- Non posso perdonarla per questo… - confessò, la voce flebile ma decisa.
Barbossa le scostò una ciocca di capelli dalla fronte in un movimento goffo e poco fluido.
- Non posso costringerti a farlo. - replicò, più calmo di prima, l’amarezza e il rimprovero nella voce sostituiti da una compassione che non gli si addiceva.
- Perché non me l’ha mai detto? Perché ha taciuto una cosa simile? - domandò, quasi una supplica per la verità.
Il pirata trasse un profondo sospiro e non la guardò in viso nel risponderle.
- Conobbi tua madre quando era poco più che una bambina. Rimase solo tre anni con noi, dovetti lasciarla andare. Non potevo più tenerla al sicuro. - spiegò, e in quelle parole Cristal percepì con un brivido una storia a lei familiare, una storia che aveva vissuto in prima persona lei stessa, non molti anni prima, lasciando la Perla durante un arrembaggio.
- Prima che se ne andasse le donai questa, come porta fortuna. Ovunque tu vada… - citò, sfiorando la piccola conchiglia che Cristal portava al collo.
- Ricordati di me… - completò lei con un sussurro.
- Allora la collana era davvero un regalo. L’Ancien Marin… eri tu? Eri davvero tu? - domandò, incredula.
Barbossa esibì un sorriso malinconico e tornò a guardare la luna davanti a loro.
- Come vedi quelle di tua madre non erano tutte bugie. Il Codice è più che altro una traccia, che un vero regolamento. - spiegò a voce bassa.
- Da quando la lasciai andare non è passato giorno in cui non mi sia pentito di non essere andato con lei. Non l’ho mai più rivista. Ma non tutti i mali vengono per nuocere. - aggiunse sotto lo sguardo curioso e confuso della bionda.
- Capii subito che il misterioso Faucon du Nord di cui tanto si parlava era Marion. Non ci incontrammo mai più, ma riuscivo ad avere informazioni su di lei tramite le voci alle locande o nei porti. Seppi che era andata a Shipwreck Cove, che aveva ottenuto un Mare e che aveva scelto come suo Pezzo da Otto la conchiglia. Poi, un giorno, il Faucon du Nord sparì nel nulla. Si disse che era morto in mare. E come tutti gli altri finii per credervi anche io. -
- Ma mia madre è… - intervenne Cristal, ma Hector la zittì immediatamente.
- Non ebbi il coraggio di indagare per tre lunghi anni. Evitai le rotte per la Francia, rimasi lontano dal Mare del Nord e mi spostai nei Caraibi. Poi un giorno finii da Bleizenn e fu lei a darmi la notizia più bella che abbia mai ricevuto. Marion era viva, stava bene e aveva lasciato il mare per qualcosa di molto più grande: una bambina. -
Cristal non lo interruppe. Aveva smesso di piangere, troppo rapita dal racconto per dedicarsi ad altro, e i suoi occhi erano fissi nel volto del pirata, sul quale espressioni nuove e mai immaginate portavano una morbidezza inedita, una dolcezza che altrimenti non avrebbe saputo comprendere.
- Marion non era... Lei e il mare erano un tutt’uno, era come se ce l’avesse nel sangue. Non aveva scelto la pirateria per volontà, era stata costretta a intraprendere questa via, eppure fu chiaro a tutti, immediatamente, che lei apparteneva alle onde. Aveva la stoffa del capitano, dell’ammiraglio persino. Eppure lasciò tutto per te. Per darti una vita serena, sicura, felice. - tacque un istante, si inumidì le labbra e chinò il capo, perso in chissà quale ricordo, poi proseguì.
- Quando ti vidi per la prima volta, in mezzo ai lampi dei moschetti a bordo della Perla, ti riconobbi immediatamente. Avevi il suo stesso sguardo, la sua stessa fierezza. -
- E la collana. - aggiunse Cristal.
Hector sorrise e annuì.
- E la collana. - le diede ragione.
- Capisco il tuo turbamento, Cristal, ma non odiarla. A volte si è costretti a compiere scelte difficili per proteggere coloro che amiamo. E non sempre sono scelte sagge o efficaci. - spiegò, portando una mano a sfiorare la cicatrice lungo la sua guancia.
Cristal sospirò e chiuse gli occhi. Sapeva che Hector aveva ragione, lo aveva provato lei stessa sulla sua pelle un anno prima, cercando disperatamente di salvarlo da se stesso. Forse, si ritrovò a pensare, se gli avesse parlato immediatamente con franchezza, Hector avrebbe capito, forse addirittura per lei avrebbe prestato ascolto alle sue richieste. Sarebbe stato più semplice, più giusto. Ma allora il suo unico obbiettivo era salvare tutti quanti il più in fretta possibile, e per quanto le sue azioni si fossero provate inutili e quasi deleterie, le aveva compiute tutte in buona fede.
- E’ tanto da accettare. - disse solamente, la fatica a filtrare dalle sue labbra.
- Fino a due ore fa credevo che mia madre fosse una qualunque donna rispettabile e adesso… -
- Adesso è un Pirata Nobile. E tu, guadagnandoti la sua eredità, hai potuto sedere alla tavola del Consiglio della Fratellanza come una pari, hai votato con diritto e i Nove ti chiamano Capitano. Persino Shakespeare si toglierebbe il cappello al cospetto della tua storia. - commentò, ironico e incoraggiante.
La giovane sorrise, forse il primo vero sorriso della giornata.
- Se non altro in tutto questo ho potuto incontrare te. - ammise, di nuovo sorprendentemente sincera, poggiando il capo sulla sua spalla.
Barbossa arrossì, ma nessuno poteva vederli su quel lurido belvedere improvvisato.
- Ho una reputazione da mantenere, ragazzina. - borbottò, ma non si scostò. Non se n’era mai accorto davvero, o forse non aveva mai voluto ammetterlo, ma comprendeva ora che quel contatto gentile, quel tipo di quiete, il calore di una persona che gli volesse bene davvero gli erano mancati in tutti quegli anni più di ogni altra cosa.
La maledizione di Cortez lo aveva tenuto in scacco per una vita intera, ma era un altro tipo di catena che doveva spezzare, e quell’assurda ragazzina apparsa dal nulla in una notte come tante, unita a lui da un destino che non conosceva, era stata capace di liberarlo, di salvarlo in modi che nemmeno immaginava.
- E quindi domani intendi liberare Calypso. - osservò Capitan Tempesta dopo qualche minuto di silenzio.
Lo sguardo di Barbossa si fece cupo.
- E’ il prezzo da pagare. E’ il tuo sangue che mi ha permesso di tornare in vita. Ahès ascolta sempre una preghiera sincera. -
Cristal levò la testa di scatto, aveva già sentito quelle parole.
- Ahès e Tia Dalma… - sussurrò.
- La mia vita era reclamata da Ahès, ma il mio corpo era sotto la giurisdizione di Calypso. E’ stato necessario uno scambio. La mia anima per la sua libertà. - spiegò.
- Nove pezzi da otto la confinarono e nove pezzi da otto sono necessari per spezzare la maledizione. Gli stessi nove. Aveva bisogno di te. -  sentenziò, tutti i tasselli che finalmente si confermavano al posto giusto.
- Non ci accorderà mai i suoi favori, lo sai. - aggiunse, la preoccupazione a vibrare nella sua voce.
- Tentar non nuoce. Dopotutto le offriremo la libertà, non è cosa da poco. - cercò di convincerla Hector senza grande enfasi e per la prima volta fu chiaro che nemmeno lui nutriva troppe speranze in quel piano.
Cristal gli rivolse un’occhiata obliqua e impensierita.
- Il Mare non ha condizioni. - disse solamente prima di alzarsi nuovamente in piedi, forse con l’intenzione di tornare finalmente sulla Perla.
Ma se credeva che la loro conversazione fosse terminata, non aveva tenuto in considerazione un altro aspetto di quella giornata sfiancante, una preoccupazione che aveva tenuto Hector con i muscoli in tensione finché non l’aveva vista piantare la sua spada nel cuore del Mare del Nord e unirsi al Consiglio.
- A proposito di Calypso… Che cosa è successo con Sao Feng? Come siete riuscite a sfuggire all’Olandese? - domandò, giustamente curioso e desideroso di porre fine una volta per tutte alle sue angosce.
Cristal si bloccò, il passo a metà con il tacco a terra e la punta dello stivale ancora per aria.
- Noi… - sussurrò, improvvisamente di nuovo pallida come un cencio.
- Noi non siamo sfuggite all’Olandese. Siamo state aiutate a scappare. - rettificò senza osare guardarlo negli occhi.
Barbossa comprese che qualcosa non andava e fu il suo turno di alzarsi in piedi e raggiungerla con un’ampia falcata.
- Come? - incalzò, perché conosceva Sao Feng e temeva che le avesse aiutate a caro prezzo, ad un prezzo per cui lui stesso lo avrebbe resuscitato dai morti per poterlo uccidere con le sue mani.
Ma Cristal sorrise, e in quel sorriso Hector lesse tutto un altro tipo di dolore, un dolore crudele e beffardo che lui stesso aveva conosciuto.
- Ti ricordi di James Norrington? - chiese la giovane, le labbra a tremare appena.
Hector annuì, serio come nessuno l’aveva mai visto.
Per quella serata i racconti non erano ancora conclusi.





Il mattino dopo li aveva svegliati una spessa coltre di nebbia che come una pesante coperta si era sollevata lentamente, a mano a mano che il sole si arrampicava lungo la tela imbrattata del cielo.
Nessuno parlava, a Shipwreck Cove, se non per dare e ricevere ordini.
C’era tensione, c’era paura. L’ignoto li aspettava al largo dell’Isola e nessuno sapeva per certo che cosa sarebbe accaduto, o quando.
I Pirati Nobili avevano preparato le navi e, uno ad uno, erano usciti dalla Baia, seguiti da imbarcazioni più piccole in qualche modo fedeli alla causa.
Cristal aveva dormito poco e male, rigirandosi continuamente nella sua branda, e quando alle prime luci dell’alba Elizabeth era andata a svegliarla le sembrava di aver appena preso sonno.
- Come stai? - le aveva chiesto, sinceramente preoccupata.
- Ieri sera ho pensato preferissi startene un po’ da sola. Insomma, quello che è successo… - aveva poi commentato, titubante e incerta se proseguire.
Cristal si era sfregata gli occhi e si era alzata in piedi, indossando la cintura pigramente e sbadigliando senza decenza.
- Ho parlato con Hector. - aveva detto.
- Va tutto bene. Per lo meno, nei limiti del possibile. - era stata la sua scarna spiegazione, e Liz se l’era fatta bastare.
- Dov’è Will? - si era poi informata, capendo già tutto dallo sguardo dell’amica.
- Fidati, preferisci non saperlo. - era stata la sua replica, e anche Cristal se l’era fatta bastare.
Anche Jack le si era avvicinato, ma non le aveva detto niente, forse nel timore di ricevere lo stesso trattamento che era spettato a Hector, ma la ragazza lo aveva stupito.
- Guai a lasciare un Pirata Nobile con il seggio vacante, dico bene? - gli aveva detto, provocatoria.
Jack aveva compreso immediatamente a cosa si riferisse e aveva ghignato.
- Devi ammettere che il nome di tua madre cambiava tutte le carte in tavola. - aveva replicato con una lieve alzata di spalle.
Erano passati sette anni da quando Jack l’aveva presa con sé ed erano salpati alla ricerca di Marion, ma a volte le sembrava che fosse ancora il primo giorno, sotto il sole battente di Port Royal, quando aveva dovuto convincerlo a unirsi alla sua ricerca.
Cristal gli aveva rivolto un’occhiata fintamente seccata perché sì, avrebbe voluto insultare anche lui, ma a questo punto capiva che forse era andata meglio così, che forse, se all’epoca avesse saputo, davvero non sarebbe stata pronta ad affrontare tutto quello.
Con un’occhiata complice, Jack aveva preso congedo ed era salito fino al timone, dove se ne stava Hector, e i due avevano preso a confabulare.
Forse, aveva pensato l’erede del Faucon du Nord, parlavano di lei.
Schierate come pedine su una scacchiera, le navi avevano atteso fianco a fianco che il nemico facesse la sua comparsa, ma ci era voluta almeno un’ora di agonia prima che qualcosa si mostrasse fra la nebbia.
Cristal Cooper scrutava l’orizzonte ad occhi stretti, alla ricerca della minima variazione nei colori dell’oceano, e fu quando una piccola macchia scura prese pian piano consistenza che si ritrovò a sussultare e stringere appena la manica di Elizabeth, per richiamare la sua attenzione.
- Arrivano! - esclamò.
Dall’alto del sartiame Marty diede l’annuncio a gran voce e tutta la flotta esplose in un urlo tonante, ma qualcosa non andava.
- Non penseranno certo si tratti di una sola nave… - sussurrò Cristal, l’occhio vigile di Barbossa a posarsi su di lei nel sentire quella considerazione.
Fu sufficiente un minuto, e dietro all’ammiraglia fecero capolino cinque, dieci, trenta navi, sempre di più, una flotta intera contro la quale era chiaro a tutti non avrebbero avuto la minima speranza.
Il grido di giubilo si spense in fretta, congelato da quella vista, e Cristal e Liz si scambiarono uno sguardo atterrito.
- Questo è un problema. - sentenziò la figlia del fabbro, mentre l’amica, esterrefatta, annuiva piano.
Tutta la ciurma della Perla si voltò simultaneamente verso Jack, il volto pallido come la morte e un sacro terrore negli occhi.
- Parlay? - azzardò.
Poco dopo, lui, Elizabeth e Hector erano scesi su una sottile lingua di terra, agguerriti e ben decisi a parlamentare la resa incondizionata della flotta di Beckett.
Cristal era rimasta a bordo, incaricata di prendere il comando della Perla se qualcosa fosse andato storto, e proprio come a Isla Cruces il tempo sembrava non passare mai.
Preoccupata, continuava ad andare avanti e indietro per il ponte, incapace di rimanere ferma per più di dieci secondi consecutivi.
- Ho bisogno di rum. - disse a un certo punto ottenendo un’occhiata sconvolta da Gibbs, in ansia tanto quanto lei.
Senza attendere oltre scese sottocoperta, fin nella stiva dove stipavano gli alcolici, ma quando si ritrovò davanti all’ingresso delle sentine fermò i suoi passi.
Una musica lieve, il suono di un carillon, l’aveva distratta.
- Cristal Cooper, Figlia della Tempesta. La notte è stata buia per te. -
La voce di Tia Dalma la raggiunse come il canto di una sirena a cui non riuscì a sottrarsi.
Dimentica del suo iniziale obbiettivo, imboccò il corridoio delle sentine e si fermò di fronte alle sbarre al di là delle quali Tia Dalma rimaneva seduta composta, colma di dignità.
- Devo ringraziarti. Me lo hai restituito, Calypso. - le disse atona, come se fosse stata una parte da imparare a memoria e recitare per un pubblico disattento.
La donna fremette nel sentire il suo nome.
- Quindi tu sai. Sei una ragazza perspicace, Cristal Cooper. - si complimentò con un ghigno, avvicinandosi alle sbarre.
C’era un non so che di intimidatorio nel suo incedere, un qualcosa di strisciante nella sua voce.
Come un incantesimo, un sortilegio.
Ma Cristal, fedele al mare più che all’ambizione, era immune alle sue melodie.
- Il Consiglio è stato crudele con te, ma chi semina vento raccoglie tempesta. - le disse con fermezza, lo sguardo risoluto e convinto di quelle parole.
Tia Dalma, Calypso, inclinò appena la testa di lato, sinceramente confusa.
- Parla, ragazza. Ti ascolto. -
Fu Cristal ad avvicinarsi alle sbarre della cella, ma non vi era alcuna minaccia nel suo incedere, solo stanchezza, solo amarezza.
- Dieci anni in mare e tu non c’eri. Una promessa è una promessa, Calypso. Anche per una dea. Anche se si tratta dell’oceano. - la rimproverò freddamente.
La donna rise, i denti in bella mostra nel suo gesto sprezzante.
- Mi conosci, Cristal, meglio dell’intero Consiglio della Fratellanza. Io non posso essere legata a nessuno. - spiegò, un paternalismo nella voce che fece stringere i pugni al giovane capitano.
- E allora non legarti a nessuno! Hai ingannato Jones, ti sei presa gioco di lui, lo hai usato come avrebbe fatto il più meschino degli uomini e adesso assisti alle conseguenze delle tue azioni! L’ambizione e la vendetta corrodono gli uomini, ti do ragione, ma dea o no non ti puoi sottrarre alla tua responsabilità! Non riesco a provare pietà per nessuno di voi due. - ammise, infischiandosene delle ripercussioni che quelle parole avrebbero potuto avere sul suo destino.
Ma Calypso non si indignò, non mostrò alcun cedimento.
La guardò dall’alto in basso scandagliando ogni centimetro di lei, osservando la sua anima e imprimendosela a fuoco in quelle cornee mortali che presto avrebbe abbandonato.
- Tu ci somigli, Figlia della Tempesta. Parli la nostra lingua. Ho testato lo spessore del tuo sangue. - disse solamente, criptica come sempre.
Cristal fece per ribattere, ma un rumore alla sua destra la fece voltare di scatto: Hector era sulla soglia, lo sguardo torvo posato su di loro.
Erano tornati.
Era il momento.












 
Note:

Buonsalve a tutti!

Eccoci qui, dopo tanta fatica, finalmente sbarcati a Shipwreck Cove.
Se dal punto di vista dei fatti non siamo andati troppo avanti, emotivamente in questo capitolo c'è tantissima carne al fuoco: la morte di James è talmente recente da non aver nemmeno trovato il tempo di essere metabolizzata, ma ho pensato che una piccola riflessione sul legame che lo univa a Cris fosse d'obbligo: mi sono resa conto che, se l'innamoramento di James era stato ampiamente trattato nei capitoli ambientati a Port Royal, lo stesso non si poteva dire di Cristal. Certamente la nostra ragazza ha una visione particolare dell'amore, ma non crediate che abbia imparato tutto ciò che c'è da imparare: il destino ha in serbo per lei ancora qualche sorpresa. Che sia gradita o meno lo scopriremo insieme. ;)
Decisamente più gradita è l'ammissione di Hector nel bel mezzo del loro litigio. Questa sorta di mezza confessione è un peso che Hector si portava sul cuore dal lontano Capitolo 15, quando lasciando andare Cristal si era reso conto di quanto il loro legame fosse diventato per lui importante più di ogni altra cosa.
Confesso che ho sempre avuto un po' di apprensione per questo aspetto della storia (il dialogo al belvedere è stato scritto moltissimo tempo fa, molto prima che uscisse il quinto film e che quindi venisse affrontato il tema "paternità" per quanto riguarda Hector), perché Barbossa non è mai stato un personaggio tenero e in Thunderbolt il suo rapporto con Cristal è di certo una sua enorme debolezza che ho sempre cercato di equilibrare il più possibile.
Iniziano a spiegarsi molte cose e le lacune che costellavano la vita di Capitan Tempesta si stanno colmando una ad una, pur a caro prezzo. Quello che nessuno può immaginare, né Cristal né tantomeno Hector, è che la Battaglia del Maelstrom sarà solo l'inizio della vera avventura.

Ps: voglio così bene a quella pazza sanguinaria della Vedova Ching... presto ne sentiremo parlare di nuovo, non vedo l'ora!

Come sempre, un grazie di cuore a chi legge/segue/recensisce ecc...



Vi rubo ancora due righe per avvisarvi che ho pubblicato una nuova storia in questa sezione, un racconto che si può un po' considerare un prequel, le origini di Thunderbolt.
Perciò, se volete scoprire i segreti del Faucon du Nord, ritrovare vecchi personaggi e incontrarne di nuovi o semplicemente imbarcarvi per una nuova avventura vi aspetto una trentina d'anni fa, proprio qui -->
Mémoires d'Ophélia - Come il Mare del Nord.



Alla prossima!
Kisses,
Koori-chan

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1847330