La coincidenza ci farà incontrare…

di vale 98
(/viewuser.php?uid=224952)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** “Addio” ***
Capitolo 2: *** “Lento processo” ***
Capitolo 3: *** “Cambiamenti” ***
Capitolo 4: *** “Rivelazioni” ***
Capitolo 5: *** “Nothing’s fine, i’m torn” ***
Capitolo 6: *** “Non mi va di parlare di lui, ma lo farò lo stesso.” ***
Capitolo 7: *** “Conoscenze.” ***
Capitolo 8: *** “Un pomeriggio con Liam Payne.” ***
Capitolo 9: *** “Decisione” ***
Capitolo 10: *** “Ritorno a Londra” ***
Capitolo 11: *** “Stay strong” ***
Capitolo 12: *** “Sogni” ***
Capitolo 13: *** “Mancanza” ***
Capitolo 14: *** “Fiducia” ***
Capitolo 15: *** “Riavvolgere il nastro” ***



Capitolo 1
*** “Addio” ***


Capitolo 1
 “Addio” 

 
“La coincidenza ci farà incontrare
E chiamalo destino quel percorso naturale
Che due puntini dentro l’universo
Raggiungono la strada che l’illumina d’immenso 
[…] E questo è il senso di un momento già perfetto
È questo il punto da cui inizia tutto quanto
Arrivi tu.”
«Eli, ti prego, aspetta.» la fermò Liam, prendendole il braccio, per farla voltare e per guardare il viso che tanto amava. 
«Cosa vuoi?» rispose lei, una volta voltatasi e dopo aver visto l’amorevole e dolce volto di Liam. 
«Ti prego, non andartene» chiese lui, speranzoso che lei non andasse via, guardando il viso di lei che guardava il pavimento dell’aeroporto, tenendole ancora il braccio sinistro. 
Tra i due, cadde il silenzio, uno di quei silenzi imbarazzanti, che ti sembrano non finire mai. 
Elisabeth, o per gli amici Eli, era andata via dalla sua abitazione, lasciando tutto, portando con sé giusto le prime cose trovate davanti e il suo cuore, ormai, infranto. 
Doveva andare via, per forza, altrimenti avrebbe danneggiato sé stessa, ma anche andando via, non avrebbe fatto altro che farsi male, separandosi dalla sua anima gemella. 
Liam attendeva una risposta, impaziente, non smettendo di guardarla per un solo istante, senza preoccuparsi del fatto che lei avesse potuto sentirsi osservata. No, lui non voleva lasciarla, non voleva lasciare l’amore della sua vita. Quello che, per quattro mesi, l’aveva reso felice, come nessun altro avesse mai fatto; quello che amava, quello di cui non poteva far a meno. 
Ecco, dopo che lei se ne fosse andata, lui come avrebbe fatto? Una soluzione doveva trovarla. Sapeva che lei non sarebbe rimasta, non dopo quanto successo. 
«Sai che non resterò, Liam. Sai cosa mi hai fatto» rispose Eli, sottovoce, fissando il pavimento.
Persino Liam, che era considerato “l’innocente della band”, aveva commesso un errore. 
D’altronde, nessuno è perfetto, siamo umani. 
«Prova a darmi un’altra possibilità, per favore» disse lui, levando la sua mano dal braccio di lei. 
Continuò a guardarla, in quella sala d’attesa dell’aeroporto, davvero speranzoso di ricevere una comprensione da parte di lei.
Speranza. Cos’è la speranza? Quella cosa che, magari, ti fa vivere; quella cosa in cui credi, perché potrebbe cambiare la tue vita. 
La scelta di Eli, in quel momento, avrebbe cambiato tutto, la vita di lui e la vita di lei. 
Tante volte, lei aveva pensato al futuro che avrebbe potuto avere con Liam, insieme a lui, per sempre, come le aveva detto quella sera alla spiaggia. 
Ma come poteva immaginare un futuro con lui, se lei era decisa di andare via? Sarebbe stato un duro colpo per entrambi, ma il tempo guarisce ogni ferita, almeno così credeva lei. 
«No…» rispose, infine, più decisa che mai, lei, guardando ancora a terra, poi guardò il viso di Liam e, sul volto di entrambi, scese, lentamente, una lacrima lungo le loro goti sinistre.
Il cuore di entrambi si spezzò, amaramente, come se fosse del fuoco diventato ghiaccio a causa di un cattivo tempo, un cattivo tempo abbattutosi su entrambi. 
Eli guardò Liam, vide la lacrima trasparente rigargli la guancia sinistra, sapeva che l’aveva fatto male, ma quale altro modo per non ferire entrambi?
Lei sapeva che, nel bene o nel male, l’avrebbe amato comunque e incondizionatamente. 
In quel momento, quello di scappare e stare lontano da lui era solo un progetto, un programma da mettere in atto nei giorni, mesi e, magari, anche anni. 
«… mi dispiace, Liam, ma non posso.» concluse Eli, mentre un’altra lacrima le rigava il viso. 
Avrebbe voluto assaporare un ultimo bacio di lui, ma sapeva che poi non avrebbe smesso, quindi preferiva evitare. 
Lei rimase immobile e pensò che, infondo, un baciò amicale sarebbe servito, anche come un ultimo e definitivo addio. 
Si avvicinò a lui e poggiò la sua guancia su quella di egli, chiudendo gli occhi e ascoltando il battito del suo cuore, assaporando e respirando, fino a fondo, il profumo di Liam, che tanto le piaceva. 
Liam rimase immobile, quanto avrebbe voluto abbracciarla e stringerla a sé, affinché ella non andasse via. Desiderio impossibile. 
Liam ascoltò, chiaramente, i battiti accelerati del cuore di lei, si rifiutò di credere che lei, da un momento all’altro, non l’amasse più. 
Appena lei lasciò la guancia di lui, rimasero a guardarsi, per poco direi, lei distolse lo sguardo. Aveva fatto un brutto errore a dargli quel bacio, anche se era sulla guancia, non doveva. 
Lei, senza dire altro, riprese la sua valigia e si diresse verso il check-in, pronta per partire e andare via da Londra, senza essere fermata da nessuno. Quello, per lei, fu l’ultimo contatto che ebbe con Liam Payne.

Eccumi quiii *^*
Il capitolo non mi piace molto, non ci avrete capito una ceppa, ma capirete seguendo la storia. Quindi vi invito a seguirla:)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** “Lento processo” ***


Capitolo 2
“Lento processo” 

 
Ormai, su quell’aereo, non poteva far a meno di pensare a lui e a tutti i suoi quattro mesi passati, felicemente, con lui. 
Sarebbe stato difficile cancellare dei ricordi del genere, specialmente, se proprio Liam ne facesse parte. 
Le opzioni erano due: vivere nel passato e morire lentamente; dimenticare tutto e ricominciare la vita lontano da lui e da qualsiasi cosa fosse collegato ad egli. 
Eli avrebbe preferito, cento volte, vivere nel passato, anche a costo di morire, almeno, in quella circostanza, sarebbe stata bene. 
Lo sguardo di lei, dagli occhi quasi annebbiati dalle lacrime, si posò al di fuori, oltre il minuscolo finestrino che permetteva una limitata visuale del paesaggio. 
Vide Liam, che sperava ancora, in qualche modo, che Eli scendesse da quell’aereo e si dirigesse da lui e l’abbracciasse, per fargli capire che non l’avrebbe più abbandonato. 
Ma quel sogno ad occhi aperti di Liam durò ben poco.
Una lacrima scese sul volto di entrambi, come fossero coordinati, una lacrima visibile, anche a quella distanza.
Si stavano facendo del male da soli. Che autolesionisti! 
Ah, se Liam l’avesse fermata, anche se fosse stata l’ennesima volta. 
Ah, se lei lo fosse stata a sentire. 
Questa situazione non sarebbe esistita. 
L’aereo stava per partire, ormai era troppo tardi. Le lacrime scendevano ancora, incessanti, entrambi si guardavano, da lontano, senza sorriderai né fare niente. 
Come potevano sorridersi? Come potevano far finta di niente?
L’aereo decollò e, per Eli, fu come se un grosso peso le si fosse tolto da dosso e, una parte di quel peso, era metà del suo cuore, lei ne era al corrente. Per la loro storia, era davvero la fine. 
Tante volte, lei avrebbe voluto andarsene, ma il suo immenso amore per lui la fermava, pensando che non ce l’avrebbe fatta senza lui. Quella volta, chissà come, era convinta della sua scelta, aveva scelto, senza pensare al futuro, al suo danneggiamento. 
Se avesse pensato, prima di agire. 
La ragazza non poté far altro che guardare il panorama, giù a sé, attraversando le nuvole, grazie ad un aereo, pensando, continuamente, a lui. 
Lui che aveva dato più sole alla sua vita. 
Lui che l’aveva spenta, lasciando una ferita. 
Lui che era indispensabile per lei.
Avrebbe dovuto abituarsi a quell’assenza di lui. 
In quel periodo, i sentimenti di ella erano molto confusionari, non sapeva cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato, come se fosse una bambina. 
Il volo era ancora lungo, il tempo non passava, i pensieri la tormentavano e l’ultima immagine che aveva di Liam le era davanti agli occhi, sempre lì, anche quando chiudeva, semplicemente, i suoi occhi nocciola. 
Per lei, iniziò il tormento, una serie di diversi sensi di colpa e di vuoto incolmabile, proprio nel cuore, al posto delle due arterie. 
Chissà se lì, in Italia, da suo padre, avrebbe ritrovato la serenità che, in quel momento, tanto cercava. 
Chissà se avrebbe dimenticato Liam, quella persona cara che tanto amava.
Mentre che lei pensasse a tutto questo, le lacrime le si seccarono, le palpebre le si abbassarono, stanche, e lei sprofondò nel sonno più profondo e privo di sogni, così da permetterle di dormire, data la notte passata in bianco. 
• • •
Quando lei si svegliò, fu quasi all’arrivo, l’aereo, di lì a poco, sarebbe atterrato e i passeggeri sarebbero scesi. Si sentiva stordita, quasi non capiva cosa lei ci facesse lì, ma i ricordi, soprattutto immagini, riaffiorarono nella sua confusa mente e le permisero di ricordare ciò successo. 
Le lacrime sembravano già pronte a scendere, ma una delle cose che lei odiava era mostrarsi debole, senza sapere che, spesso, le lacrime non sono segno di debolezza, ma segno di dignità e coraggio. 
Soffocò tutte le lacrime che si sentiva dentro, negli occhi. 
L’aereo atterrò, ormai erano arrivati in Italia, a Milano. 
Ricordava che il padre abitava a due passi dalla piazza del Duomo, quindi già sapeva dove andare. 
Scese dall’aereo, diverse persone la urtarono, come se lei fosse invisibile, ma lei era già annebbiata, non sentiva niente, solo un grande vuoto. 
Si diresse al check-in e ritirò la valigia, ormai, aveva tutto con sé, o quasi, e poteva anche andare via dall’aeroporto. Ne uscì e chiamò un taxi. 
Arrivata a destinazione, pagò il tassista e si diresse verso la casa del suo babbo. Per lei, era cominciato un lento processo, un processo che l’avrebbe portata dritta alla morte.

Spero vi piaccia!!! :-)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** “Cambiamenti” ***


Capitolo 3
“Cambiamenti” 

 
Una delle cose che, di certo, non si aspettava era proprio una di quelle.
Dopo aver bussato alla porta della sua vecchia casa, dove aveva vissuto per i suoi ultimi quindici anni, le apparve, davanti agli occhi, una donna dai capelli biondi e lunghi, dal viso curato e dal corpo aggraziato. 
Eli era certa di non aver sbagliato casa, era quella e, dalla porta semichiusa, riusciva ad intravedere alcuni dei loro mobili.
«Salve, desidera?» chiese sbrigativa la donna, squadrando dalla testa ai piedi la ragazza che le era di fronte, notando la somiglianza a qualche conoscente. «Ci conosciamo? Mi sembra di averti già vista…» rammentò la donna, passandosi una mano al capo, cercando di rimembrare e di scovare, nei suoi ricordi, dove avesse visto quella ragazza. 
Eli, più imbarazzata che mai, credette di aver sbagliato casa, così abbassò la testa, come per scusarsi dell’inconveniente, ma, più che altro, della figuraccia fatta. 
«Elisabeth, tesoro!» sentì Elisabeth, proprio quando era a testa bassa, sentendo quella voce così familiare e calda, che non era cambiata per niente. 
Alzò la testa di scatto, al sol sentir la voce, l’unica che, in quel momento, le sembrasse amica. 
Vide la persona che aveva parlato proprio davanti a sé, che sorrideva e che aspettava che lei saltasse tra le proprie braccia, come, di solito, faceva da bambina. 
Eli sorrise, vedendo proprio lui ad attenderla e, subito, non perse tempo per scansare la signora dall’aspetto curato e correre verso lui.
Abbracciò quella figura, forte, come un bambino fa con il suo giocattolo. Era così felice. Finalmente, avrebbe potuto sentirsi protetta, tra le braccia del padre che anche lui, in quel momento, la stringeva con forza, sentendo che la sua bambina era tornata e assaporando, pienamente, quell’abbraccio, dopo tanto tempo. 
Erano felici entrambi, mentre che la donna alla porta rimase confusa, ma, nonostante ciò, non chiese nulla, le risposte alle domande sarebbero arrivate da sole. 
Quando i due si lasciarono, dopo un sostanzioso abbraccio, Eli si ricordò della donna che l’aveva accolta alla porta e non attese un istante per domandare, più che altro, per soddisfare la sua curiosità. 
«Papà, chi è lei?» chiese Eli, mentre prendeva le valigie e le trasportava in casa e, nel contempo, lanciò un’occhiata alla donna. 
«Lascia le valigie e andiamo a parlarne in salotto» disse il padre, posando una mano sul dorso della mano di Eli, il cui palmo era appoggiato sulla sua valigia. 
Eli si insospettì, credendo che quella era più che una risposta ad una semplice domanda. Nonostante quel pensiero, annuì senza trattenere la sua espressione preoccupata. 
La donna, con un sorriso, si avviò in salotto, seguita subito dal padre e da Eli. I due si accomodarono, mentre Eli rimase alzata, ad osservare il cambiamento radicale della stanza. 
Era cambiato tutto, cominciando dal colore delle pareti: non era più color verde chiaro, bensì rosa antico, coperto, qua e là, da qualche sbavatura luccicante; i mobili antichi e sofisticati, scelti precedentemente dalla madre, erano stati sostituiti da dei mobili molto più moderni, di colori sfavillanti. 
«Cos’è successo?» chiese Eli, guardandosi intorno e scovando nella stanza anche i più benché minimi particolari. 
«Ecco, vedi…» cominciò a parlare suo padre, con un filo di nervosismo, notabile, nella sua voce. 
Eli posò il suo sguardo sul padre, appena egli cominciò a parlare. Notò, inoltre, che la mano della donna cominciava ad avvicinarsi a quella del padre. 
Brutto segno. 
«Allora?» chiese impaziente Eli, notando il silenzio del padre e non riuscendo a sopportarlo ulteriormente. 
«Lei è Veronica, la mia compagna.» confessò, tutto ad un fiato, Giovanni, il padre di Eli. 
«Oh… Eh… Ehm, da quando?» chiese balbettante Eli, alla quale non piaceva affatto quella situazione, né sentire quelle ultime parole del padre. 
«Da qualche mese, ormai» rispose Veronica, alzandosi, pronta per porgere la mano a Eli. «Piacere» disse poi, con la sua mano attendente di stringere la mano di Eli.
Eli rimase fredda nei suoi confronti, non le diede la mano e non si presentò, invece, mise le braccia conserte e rivolse uno sguardo al padre, come se la donna non avesse parlato. 
Non aveva nient’altro da dire, solo: «Se mi cerchi, sono in camera mia.» 
Quelle parole bastarono per esplicare tutto il discorso, tutti i suoi pensieri. 
Detto quello, non rivolse neanche uno sguardo a Veronica e salì al secondo piano, seconda porta a destra. Un altro cambiamento l’attendeva.

Eccomi qui!!! :-)
Spero che ora capiate un pò di più la storia!!! Fatemi sapere cosa ne pensate 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** “Rivelazioni” ***


Capitolo 4
“Rivelazioni” 

 
«Hai sostituito la mia stanza?!» urlò Eli, appena vide la stanza completamente diversa da come l’aveva lasciata, cambiata in tutto, di fatto, quella era la stanza di Samantha. 
Samantha, la quale non sapeva neanche dell’esistenza di Eli, rimase perplessa dalla reazione della ragazza dai capelli castani e lunghi e dal fisico aggraziato, quasi fosse una ballerina. Non poteva immaginare, di certo, che Eli fosse la figlia del compagno di sua madre, eppure, era sicura che da qualche parte l’aveva vista. Il problema era capire dove. Forse tra le migliaia di riviste che acquistava sugli One Direction? Forse in televisione? O forse in una vecchia foto che era in quella camera?
La familiarità di quel volto, in quel momento, non c’entrava con la somiglianza col padre. No, era ben altro. 
Eli non poteva credere che, essendo mancata solo quattro mesi, il padre avesse attuato quei cambiamenti in casa, pronti a scombussolare chiunque venisse da fuori, conoscendo già il vecchio ambiente. Lo riteneva ingiusto, ecco, specialmente, cos’avevano fatto a lei. 
Giovanni e Veronica raggiunsero al secondo piano Eli, dopo il suo grande urlo. 
«Tesoro, ti posso spiegare» disse il padre, gesticolando e sperando che, per almeno una volta, la figlia lo sentisse.
«Qui non c’è un cazzo da spiegare! Io me ne vado, sono di troppo!» rispose Eli, già scendendo le scale, pronta per andare via, anche per strada, se fosse stato necessario.
Giovanni, esasperato, non poté far altro che andare dietro la figlia, per fermare quell’eventuale pazzia che le fosse venuta in mente. 
Intanto, Samantha, aveva capito chi fosse, di fatto, non perse tempo e, subito, prese l’ultima rivista acquistata sugli One Direction. 
«Trovato, cazzo!» esultò, al di sopra delle urla che si udivano provenire da sotto. «Lei è la fidanzata di Liam Payne!» disse poi, con un filo di entusiasmo e anche un po’ di gelosia, mostrando la rivista, contenente una foto di Liam e Eli che si baciavano, alla madre. «Non ci posso credere.» sussurrò, guardando la rivista, osservando quella foto.

«Elisabeth, tu non vai da nessuna parte, fino a quando non te lo dico io!» urlò autoritario il padre, cercando di fermare sua figlia, che stava per prendere le valigie. 
«Bene, allora dimmi dove andare, se qui sono di troppo» disse acida, ma calma, Eli, cominciando, anche, a mordicchiarsi il labbro inferiore, segno di nervosismo. 
«Non abbiamo sostituito la tua stanza, l’abbiamo solo spostata, la roba è rimasta come l’hai lasciata.» si giustificò, finalmente, il padre, sentendo del silenzio, dopo l’affermazione della figlia. 
Eli rimase quasi di sasso, dopo la sua grande figuraccia, fatta per colpa della sua impulsività, cercò, quindi, di cambiare discorso per non sentirsi in imbarazzo, come se non lo fosse abbastanza. 
«Perché lei è qui? Perché avete spostato la mia stanza? Chi sono quelle due?» chiese velocemente, portandosi le braccia conserte al petto.
«Elisabeth, oramai, io e tua madre siamo separati da un bel po’. Non credi che anch’io voglia rifarmi una vita, invece che rimpiangere gli anni passati da solo?» chiese dolcemente il padre, avvicinandosi alla figlia, per accarezzarle i lunghi capelli che le scendevano, ribelli, sulla schiena. 
Eli si vide costretta a pensarci su, dato che non voleva comportarsi da egoista né con suo padre né con chiunque altro. 
«Non ci posso credere!» piombò giù dal secondo piano Samantha, presa dall’entusiasmo di avere, sotto lo stesso tetto, la fidanzata del suo idolo. 
Si mise davanti a Eli, spostando, con una spinta, Giovanni, il quale cercava di parlare con la figlia, ma, dato il grande fracasso che, in quel momento, Samantha stava facendo, la cosa risultava difficile. 
Samantha, appena fu davanti ad Eli, l’abbracciò, come se fossero parenti che non si vedevano da tempo. 
Eli non sapeva cosa stesse succedendo, né perché quella ragazza da lei sconosciuta la stesse abbracciando. 
Intanto, Veronica scese le scale velocemente, cercando di fermare l’eccessivo entusiasmo della figlia. Si fermò all’ultimo gradino, sapendo che, ormai, era troppo tardi. 
«Tu sei la fidanzata di Liam Payne!» urlò, con tanto entusiasmo, Samantha, appena lasciò l’abbraccio che le aveva dato. 
Eli ebbe una scossa di brividi, al solo sentir pronunciare quel nome. Voleva spiegare a Samantha che ormai, tra lei e Liam, era del tutto finito. Ma come poteva, se Samantha non faceva che parlare?

Ciao Carrot!!
Spero vi piaccia!!!


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** “Nothing’s fine, i’m torn” ***


Capitolo 5 
“Nothing’s fine, i’m torn” 

L’entusiasmo di Samantha aveva dato già su i nervi di Elisabeth, mettendoli a dura prova. Nonostante questo, ella cercò di rimanere calma e spiegare tutto con estrema chiarezza, onde evitare equivoci. 
«Ehi, ehi, frenati e calmati.» ordinò Elisabeth, cercando di mettere a freno qualsiasi mossa di Samantha, la quale parlava a vanvera. «Io non sono la fidanzata di… lui, almeno non più.» disse, poi, fermandosi a quasi metà frase, giacché non riuscisse neanche a pronunciare quel nome, anche se le era tanto caro. 
«Come? Vi siete lasciati? Perché? Eravate bellissimi insieme, non credo sia giusto. Guarda che Liam è un ragazzo d’oro che...» la ragazza dai capelli biondi parlò, con un filo di delusione ed indignazione per la notizia appena saputa, ma fu interrotta da Elisabeth. 
«Beh, con me non era tanto “d'oro”, come dici tu, ecco perché sono qui.» interruppe Elisabeth, giustificandosi e guardando il pavimento, un po’ imbarazzata. 
«Aspetta, cosa ti ha fatto quello lì? Ti ha trattata male o ti ha picchiata?» chiese il padre, assistendo alla scena e udendo le parole amare della figlia, la quale stava per scoppiare a piangere.
«No, papà, stai tranquillo, non mi ha fatto nulla» cercò Elisabeth di parlare, ma, per lo più, cercava di tranquillizzarlo, dato che era sempre stato un tipo geloso di sua figlia. 
«Sicura?» chiese, cercando di scovare, nello sguardo della figlia, quell’emozione che dimostrasse il contrario, che dicesse la verità.
«Certo che è sicura, Liam non farebbe del male ad un cucchiaio!» rispose Samantha, al posto di Elisabeth, urlando indignata. 
Elisabeth era, ormai, stanca di sentir parlare ancora di lui, anche se era andata via. Non ce la faceva ad ascoltare il suo nome, neanche la sua voce, benché fosse un cantante. Era andata via da Londra per dimenticarlo, ma, vivendo sotto lo stesso tetto con una Directioner, la cosa sarebbe risultata difficile, anche impossibile. 
Tutto quello che poteva fare era sperare che dimenticasse gli ultimi mesi, che dimenticasse lui e il suo sorriso, lui e i suoi occhi luminosi, lui. 
• • •
Quella sera, Elisabeth aveva deciso di passarla a disfare i suoi bagagli, sperando che quella fosse stata l’ultima volta e che, una volta per tutte, fosse rimasta a Milano. 
Tra i vari e colorati vestiti, trovò la foto di lei e Liam, risalente a qualche settimana prima. La prese tra le mani, osservandola, vedendo la figura nitida, chiara, mentre che una lacrima amara le rigava la gote sinistra, per poi cadere sulla foto. 
Oramai, la sua decisione le fermava ogni pensiero fosse rivolto a Liam, come se lo imprigionasse tra quattro mura di cemento armato. Vivendo nei ricordi, sarebbe morta lentamente, ecco perché, non aspettando un attimo di più, strappò la foto in due parti, dividendo le due anime, immortalate in quell’immagine. Aveva strappato l’unico ricordo materiale che potesse avere di Liam e non era cosa da poco. Se ne pentì all’istante, ma non ricompose la foto.
Assieme alla foto, il cuore le si spezzò, non in due pezzi, ma in mille pezzi di cuore. 
«Nonostante tutto, ti amo.» le uscirono dalla bocca quelle parole, quasi fossero tirate fuori da un filo, alla quale ella non poteva resistere e doveva arrendersi.
La vita ti offre due opzioni: camminare a testa alta, o strisciare come un serpente; ed ella aveva scelto la prima opzione, per cui, non lasciava mai trapelare i suoi più profondi sentimenti, o almeno fino a quando non ebbe incontrato Liam. 
Appena disfatte le valigie, ella non attese di più per andare a sprofondare nel suo caldo e accogliente bagno, che non vedeva da tempo. In quella vasca da bagno, poteva rilassarsi e, magari, trovare la pace che tanto cercava. 
Il bagno non l’aiutò molto, ma in compenso i suoi muscoli erano più sciolti di come non lo fossero prima. 
Non le sarebbe restato altro che mettersi il pigiama e cercare, in qualche modo, di dormire, anche se era troppo presto. 
In quel letto, si girava e rigirava, cercando, magari, la giusta posizione per dormire, ma, in qualunque modo lei si mettesse, l’angoscia l’assaliva, inevitabilmente, così da crearle degli inevitabili e rumorosi singhiozzi che cercava di soffocare con il cuscino. 
Samantha, che era nella stanza di fianco, pensò che Elisabeth non si sentisse bene e, inoltre, le riusciva difficile dormire con tutti quei singhiozzi soffocati, così ella si alzò dal letto e, una volta trovatasi davanti alla porta della stanza di Elisabeth, bussò, decisa.


Continua... <3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** “Non mi va di parlare di lui, ma lo farò lo stesso.” ***


Capitolo 6

“Non mi va di parlare di lui, ma lo farò lo stesso.” 

L’ultima cosa che Elisabeth voleva era fare compassione, per cui, appena sentì le nocche della mano di qualcuno battere contro il legno liscio della porta di camera sua, cercò di soffocare i mille singhiozzi che, in quel momento, sembravano volessero soffocarla e non farla respirare, affinché, però, fossero, in qualche modo, sentiti da qualcuno. 
Il cigolio della porta fu come un avviso che qualcuno era entrato in quella camera, un qualcuno sconosciuto da Elisabeth, giacché ella era poggiata su lato sinistro del corpo, dando le spalle alla porta. 
«Elisabeth, stai bene?» chiese Samantha, arrivata vicina al letto di ella, chinandosi, piegando le sue ginocchia e posando, sulle coperte imbottite, la sua mano destra. 
«Che ci fai qui? Non hai sonno?» chiese Elisabeth, cercando di mostrare la sua voce il più possibile calma e per non far notare che, fino a qualche secondo prima, ella stesse piangendo. 
«Mi è difficile dormire con tutti i singhiozzi che fai» rispose Samantha, abbassando la testa e levando la sua mano dalla superficie delle coperte. 
Dopo quella frase, ci furono secondi interminabili di silenzio, rotti da nulla, neanche dai singhiozzi di lei. 
Samantha pensò che, finalmente, Elisabeth si fosse addormentata, da un momento all’altro, dato la sua stanchezza.
«So che ci conosciamo da poco, solamente da oggi, ma sarei felice se tu mi raccontassi…» cominciò a parlare Samantha, con un filo d’imbarazzo, ma interrotta da Elisabeth.
«Non mi va di raccontare la mia storia con lui.» interruppe, già pronta, Elisabeth, ancora voltata e dante le spalle a Samantha. 
«Non voglio sapere la tua storia con lui, voglio solo conoscere il perché.» precisò, ancora imbarazzata, Samantha, ancora a resta bassa. 
Elisabeth si asciugò l’ultima lacrima che le era sul volto, per poi voltarsi e guardare Samantha, la quale non si aspettava quella reazione da parte di ella. 
«Non capiresti, dovresti sentire tutta la storia» rispose Elisabeth, sedendosi sul letto e poggiando le sue braccia conserte sulla pancia.
«La notte è giovane!» rispose Samantha ironicamente entusiasta, alzandosi e guardando Elisabeth. «Fammi spazio, su.» concluse, infine, facendo gesto a Elisabeth di fare spazio nel lettone, giacché voleva sdraiarsi. 
Un sorriso apparve sul viso di Elisabeth, poi, subito, scalò velocemente sul letto, cercando di dare abbastanza spazio a Samantha, che era già pronta ad entrare in quel letto. 
Appena Samantha entrò in quel letto, Elisabeth si sentì subito meglio, come se un calmante le si fosse iniettato nelle vene, come se Samantha le facesse bene. Non sapeva a cosa fosse dovuto, ma stava bene e quello era l’importante. 
«Allora, che è successo?» chiese Samantha, una volta posate per bene le coperte sulle sue gambe. 
«È al quanto difficile, non so da dove iniziare…» pensò ad alta voce Elisabeth, quasi esausta della cosa. 
Si era ripromessa di non parlare di lui, di non pensarlo, ma lo amava così tanto.
Avrebbe voluto vivere nel passato e, in un modo o nell’altro, avrebbe cercato inconsciamente qualcosa che fosse collegato a lui, per ricordarlo, in qualche modo.
«Comincia dal principio, come vi siete conosciuti?» chiese Samantha, cercando di aiutare Elisabeth ad esplicare il suo discorso. 
«Ero arrivata a Londra da poco e quell’aria mi piaceva, era diversa da quella milanese o italiana. A Londra senti aria di familiarità, di… di industria, di produzione.
Una delle cose che non sai è che io ho frequentato scuola di fotografia, e proprio per questo ero lì. Ero stata chiamata lì per un nuovo photoshoot. Non ero assolutamente pratica nella cosa, ma sapevo cogliere l’attimo fuggente. Arrivata a Londra, non mi limitai a visitare la città, per quello ci sarebbe stato tempo, invece mi recai a quello studio fotografico, non sapevo perché lo feci subito, magari, volevo conoscere il settore. E lui era lì. 
Devo ammettere che non lo conoscevo, anzi non mi accorsi della sua presenza, né lui della mia. Anne – la responsabile di tutto – stava mostrandomi il luogo dove avrei lavorato, poi mi passò davanti, non me né resi conto, ma lo notai solo la seconda volta che mi passò davanti, perché mi urtò. 
“Scusami, non era mia intenzione.” ricordo che mi disse, poggiando la sua mano sul mio braccio, come per sorreggermi. 
“Tranquillo, non mi hai fatto male” risposi io, sorridendo per non preoccuparlo. 
Poco dopo, seppi che avrei dovuto fare io le foto di quel nuovo photoshoot. Non l’avessi mai fatto.»

CONTINUA…♥

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** “Conoscenze.” ***


Capitolo 7

“Conoscenze.”

«Non avevo nulla in contrario, anche perché non conoscevo nessuno dei cinque.» disse Elisabeth, mentre che Samantha era ben attenta a seguire, senza perdersi neanche una parola. «Per cui, accettai subito. Dovevo solo prendere la mia macchina fotografica, così andai verso la sala pausa, dove avevo posato la borsa. Lì, c’erano Harry e Zayn. 
“Ciao, bella.” mi disse Harry, smettendo subito di parlare con Zayn. 
“Ciao” dissi, senza dargli troppa corda. 
Non lo pensai ulteriormente e andai alla borsa per prendermi la macchina fotografica. Fatto quello, tornai da Anne che, intanto stava parlando proprio con Liam. 
“Anne, eccomi.” le dissi, raggiungendola e mettendomi al suo fianco. 
“Ah, finalmente. Pensavo ti fossi persa” pensò ad alta voce Anne, rivolgendomi uno sguardo amicale. 
Io sorrisi solo, senza a dirle che il mio senso dell’orientamento era, di certo, migliore del suo. Sarei risultata troppo acida e antipatica, se gliel'avessi detto, quindi preferii fare silenzio. 
“Che fai, non ci presenti, Anne?” chiese Liam, guardandomi con un sorriso, mentre che io abbassavo la testa per l’imbarazzo. 
“Ah, certo, che stupida. Liam, lei è Elisabeth, la nuova fotografa, curerà lei questo photoshoot.” mi presentò Anne, mettendo le sue mani attorno alle mie braccia, come per mettermi in evidenza. “Elisabeth, lui e Liam Payne, componente degli One Direction, nonché uno dei cinque soggetti che dovrai fotografare.” mi disse poi Anne, sorridendomi.
Anne non mi è mai piaciuta, ti dirò, aveva l’aria antipatica. Alta, fisico da modella, pelle vecchia, anche se era giovane. Insomma, vederla mi repelle. 
Liam mi porse la mano, sorridendo. Non sapevo cosa ci trovava tanto da sorridere, mi dava quasi su i nervi. 
“Prima volta?” mi chiese, dopo che le nostre mani si furono lasciate. 
“Purtroppo, sì” risposi io, per niente entusiasta della cosa, ancora a testa bassa. 
“Beh, allora buona fortuna.” augurò lui, sorridendo ancora. 
Proprio perché me l’aveva augurato, c’era d’aver timore che succedesse qualcosa. 
“Ma gli altri? Dovreste iniziare” disse Anne, guardandosi intorno, cercando di scovare, almeno, le chiome degli indicati. 
“Niall è lì a mangiare; Louis dovrebbe essere al bagno… Harry e Zayn non so dove siano.” informò Liam, parlando con Anne. 
“Il riccio e il moro credo siano nella sala pausa, ci sono appena passata per prendere la macchina fotografica” parlai, indicando l’oggetto che avevo tra le mani, senza guardare Liam, ma solo Anne. 
Non so il perché, ma sentivo che Liam mi avrebbe portato guai. 
“Ah, eccoli lì. Harry, Zayn!” li chiamò Liam, facendo loro segno di venire. 
“Bene, iniziamo!” disse Anne, entusiasta della cosa. 
Non c’era assolutamente nulla di cui essere entusiasti, dico sul serio. Non ero brava nel settore, non sapevo cosa ne sarebbe uscito, ma tutt’ora non me ne pento, perché, modestia a parte, fui capace… almeno in parte.
Quando finimmo quel photoshoot, io ero già pronta per tornare a casa.
Sai, in questi ultimi mesi, sono stata a casa di una mia vecchia zia, da zia Rosalie, che mi aveva accolta entusiasta lì, giacché fosse sola. 
Passai nella sala pausa per prendere la borsa. Ne posai la macchina fotografica dentro e mi portai la borsa alla spalla. Appena mi voltai, pronta per andare via, mi spaventai malamente. Dietro me, c’era Liam. Aveva uno sguardo imbarazzato, ma non sapevo a cosa fosse dovuto. 
“Mi hai spaventata” dissi, portandomi la mano al petto, giusto per controllare il battito del cuore. 
“Ehm… Sì, scusami. Volevo chiederti se magari ti andasse di venire con me a prendere uno Starbuck, magari, potremmo parlare un po’ così e, magari, potremmo…” disse, portandosi la mano al capo, imbarazzato. 
“Proprio oggi no, avevo in programma di lavorare sulle foto e di visitare un po’ Londra” risposi, felice di aver pianificato quei progetti, prima che Liam mi chiedesse quello. 
“Magari, potrei portarti io un po’ per Londra, poi, alle foto ci lavori più tardi.” si offrì ancora. 
A quel punto, cos’avrei potuto rispondere? Mi sembrava scortese rifiutare un invito del genere. 
“Se proprio insisti…” borbottai, sottovoce, non contenta della cosa. 
“Sì, insisto.” scherzò, sorridendo. 
Fino a quel momento, non ebbi visto il suo sorriso e, quando alzai gli occhi, rimasi persa nei suoi occhi. 
Insieme, ci dirigemmo verso l’uscita. Ecco, ero pronta per passare il resto del pomeriggio con Liam Payne.»

CONTINUA…♥

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** “Un pomeriggio con Liam Payne.” ***


Capitolo 8

“Un pomeriggio con Liam Payne.” 

«Quindi, così vi siete conosciuti?» chiese Samantha, immaginando, perfettamente, la scena raccontata da lei. «Ci si potrebbe scrivere un libro» ironizzò, fantasticando. 
«Non mi interrompere, altrimenti perdo il filo.» disse Elisabeth, dandole un colpo sulla spalla, mentre che ritornava al suo racconto. «Usciti dallo studio fotografico, cominciammo a camminare, eravamo, più o meno, nel centro di Londra, la strada era molto trafficata, ma, nonostante questo, sembravamo passare inosservati o forse c’era qualche paparazzo nascosto. 
“Allora, sei qui da poco?” mi chiese, rompendo il silenzio che era quasi nauseante. 
Io mi guardai intorno e risposi, guardando una vetrina, giusto per distrarmi. “Sì, sono qui solo per questa opportunità di lavoro.” 
“Da quanto fai fotografia?” chiese curioso, sentivo i suoi occhi addosso, mi stava guardando, un motivo in più per distrarmi. 
“Da più di quattro anni, mi è piaciuto fin da piccola” risposi, guardando ancora qualcos’altro, eccetto lui. 
“Dove hai vissuto fino poco tempo fa? Voglio dire, in quale paese hai vissuto?” domandò lui. 
Quelle domande mi stavano infastidendo e non sai quanto, tant’è che lo guardai male, lo guardai per, forse, la seconda volta. E per quella seconda volta, persi lucidità. Continuai a guardarlo, camminando assieme a lui, senza neanche sapere la meta. Mi avrà presa per una ritardata» fece una pausa per ridere, ricordando quel momento. «Sapevo che dovevo guardare la strada, ma non ci riuscivo! 
“Allora? Sei tra le nuvole?” chiese Liam, ridendo divertito. 
A quelle parole, fui come risvegliata, ma il mio imbarazzo e il mio battito del cuore salirono alle stelle. Giuro! Era imbarazzante. 
“Scusami, pensavo ad altro.” me ne uscii così, guardando l’asfalto che stavo per calpestare, corrugando leggermente la fronte. “Cosa mi avevi chiesto?” chiesi, poi, per cambiare discorso. 
Il nostro passo era molto lento, come se avessimo voluto che il tempo non finisse mai. 
“In quale paese vivevi?” ricordò, guardando prima davanti a sé, poi me. 
“Ho vissuto in America per i primo cinque anni della mia vita, poi i miei genitori si separarono e… Beh, ho vissuto con papà in Italia fino a quando non sono arrivata qui.” 
“Ti fa piacere di essere qui?” chiese. 
“Avrei preferito essere a Milano, ma purtroppo sono qui” 
“Pensavo ti piacesse fotografare.” 
“Lo è, solo che… credo che non t’importi.” pensai ad alta voce, sperando che non chiedesse ulteriormente. 
“Se te l’ho chiesto, qualcosa m’importa.” rispose. 
“E io non ho voglia di parlarne, sono cose al quanto complicate” 
“Beh, spero che un giorno me le dirai”
Quell’affermazione lasciava a desiderare, che forse lui già sapesse che avremmo cominciato a frequentarci? Insomma, mi avrebbe invitata a uscire qualche altra volta? 
“Spero che quel giorno troverò le parole giuste” dissi sorridendo, appena, e guardandolo. 
Camminammo ancora per un po’, in silenzio. Lui non mi fece più domande e io guardavo le vetrine. 
“Eccoci arrivati.” disse, guardando la grande insegna. 
La guardai anche io, poi guardai l’interno. Ne entrammo e prendemmo due Starbucks. 
In sostanza, passai così quel pomeriggio, parlando con lui. Scoprii che era molto simpatico, aveva parecchi ideali, parecchi piaceri, ma quello dominante era, naturalmente, cantare. Per questo, mi invitò ad un loro concerto, che si sarebbe tenuto quel sabato stesso. All’inizio, rifiutai, dicendo che avevo impegni. Ovviamente, non se la bevve, così insistette talmente tanto da fammi cacciare dalla bocca un sì. Dopo aver preso lo Starbucks e dopo averlo bevuto, andammo via. Continuammo a parlare e, qualche volta, lui mi mostrava qualche viale o qualche monumento londinese. Quando si fece sera, mi accompagnò fin a casa, senza mai smettere di parlare. Arrivati alla porta, mi sorrise. 
“Beh, ci vediamo.” disse, sprigionando un sorriso sul suo volto. 
“Ci vediamo.” risposi, sistemandomi la borsa. “E stato un bel pomeriggio” dovetti ammettere, con un sorriso tenue. 
“E stato bello anche per me… Posso baciarti la guancia?” chiese imbarazzato. 
Trovai ridicola quella richiesta, ma rimasi comunque meravigliata dalla domanda. Insomma, aveva chiesto il permesso! Tutt’ora non ci posso credere. 
Annuii solo, mentre che lui si avvicinava per baciarmi la guancia, con la mano destra sul mio fianco, la sinistra sul collo e le sue labbra appoggiate alla mia guancia sinistra. Rimase in quella posizione per dieci secondi. Improvvisamente, capii che era stata una cattiva idea.»

CONTINUA…♥

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** “Decisione” ***


Capitolo 9
“Decisione” 

 
«E perché mai? Cazzo, Liam Payne ti ha baciato la guancia e tu lo reputi un errore? Sei davvero strana» disse Samantha, sdegnata per l’affermazione di Elisabeth. 
«Ma e una cosa diversa! Lui per me non è Liam Payne quello degli One Direction. Lui per me è Liam Payne, quel semplice ragazzo che vuole vivere. Era un errore, perché il mio cuore finì alle stelle. Come avrei potuto giustificarmi? Era imbarazzante, davvero. 
Quando lasciò la mia guancia, io, senza dire altro, tornai in casa. 
Col tempo, cominciammo a frequentarci, solo come amici. Tra me e lui non c’era niente, solo amicizia, mi trovavo parecchio bene con lui. E, col tempo, decidemmo di metterci insieme, giusto per provare… E ora sono qui» disse tutt’un fiato Elisabeth. 
«Ma perché ora sei qui? Cosa ti ha fatto lui?» chiese Samantha, dubbiosa e curiosa della risposta. 
«Liam è stato un angelo, sempre… Solo che… l’altro giorno, lo stavo aspettando a casa, dovevamo vedere un film. Lui non arrivò e io fini col addormentarmi sul divano. Stamattina, avevo deciso di andare da lui, per capire, almeno, perché non fosse venuto. Avrei preferito, cento volte, non andarci… L’ho trovato sul letto, nudo, con Danielle Peazer accanto. Sì, proprio lei. Ero distrutta, ecco perché sono tornata in Italia… e spero di restarci per sempre e dimenticarmi di lui.»
«Elisabeth, non essere sciocca! Sarà stato un equivoco, Liam non è il tipo da fare queste cose.» cercò Samantha di difendere il povero Liam.
«Lo credevo anch’io» rispose, infine, Elisabeth. «Beh, ormai sai la verità… Puoi anche andare» 
«Elisabeth, io domani partirò per tornare in collegio, per favore, non fare pazzie. Tuo padre ne morirebbe, ti prego.» disse Samantha preoccupata. 
«Non farò pazzie, te lo prometto» rispose Elisabeth, al conoscenza del fatto che non avrebbe mantenuto la promessa. 
Samantha, più tranquilla grazie alla promessa fatta da Elisabeth, si alzò dal letto e si affrettò a rientrare nella sua stanza. 
Elisabeth, fortunatamente, riuscì a passare quella notte, data la sua stanchezza, non poteva far altro. Un paio di volte, si svegliò, ma ben presto si riaddormentò. 
• • • 
I giorni passavano, Elisabeth s’indeboliva, Samantha era lontana, al collegio, il padre di Elisabeth cominciava seriamente a preoccuparsi per la salute di sua figlia. Di fatto, ella, qualsiasi cosa mangiasse, lo ricacciava fuori. Era malata, era anoressica. Tutto questo, per Liam. 
Era difficile stare lontano da lui, sapeva che lo sarebbe stato, ma non fino a quel punto. Non fino al punto di drogarsi, pur di vedere il viso che amava, pur di sognare. 
Droga, anoressia e dolore furono la sua rovina. Furono la rovina del suo futuro, furono la sua morte. 
Ogni notte, cercava, invano, di placare il terribile senso di vuoto che sentiva nel suo cuore, nella sua mente e nel suo corpo. Invano, appunto. 
Una notte, passata in bianco, decise tutto. Ritornare a Londra, ma non per incontrare di nuovo Liam.
L’aveva sempre attratta Londra, allora perché non passarci un soggiorno?
Di fretta, quella mattina, preparò le valigie. Ormai la decisione era presa e non avrebbe cambiato idea. Per quella mattina, cercò di preparare tutto, prese i suoi risparmi, con cui avrebbe pagato il biglietto aereo. 
Avrebbe preferito non dire nulla a suo padre, altrimenti, avrebbe potuto scordarsi del soggiorno a Londra. Così, presi i risparmi, scese lentamente le scale, attenta a non far cadere i suoi bagagli. Aveva chiamato un taxi che sarebbe arrivato da lì a poco. Veronica era in cucina, preparando la colazione, mentre che suo padre si faceva una doccia. 
Tutto andò liscio, uscì da casa e entrò in taxi. 
“Sapevo che tu saresti stato contrario, per questo non ti ho detto nulla, ma sono ritornata a Londra. Perdonami. Eli xx” solo quel biglietto lasciò a suo padre, appoggiato sulla sua scrivania. 
Arrivata all’aeroporto, si diresse al check-in. 
Poche ore e sarebbe arrivata a Londra, poche ore e sarebbe stata più vicina a Liam. Erano passati esattamente tre mesi da quando ella aveva lasciato quella città, ritornarci sarebbe stato difficile, almeno in parte. 
In aereo, pensò a cento e uno, a tutto. 
Arrivata a Londra, controllò il cellulare e, ovviamente, c’erano diverse chiamate perse di suo padre. 
“Sto bene, passerò qualche giorno da zia. Ti voglio bene. Elisabeth xx” inviò quel messaggio per tranquillizzare suo padre.
Respirando quell'aria di Londra, trovò la serenità che tanto cercava.

CONTINUA…♥

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** “Ritorno a Londra” ***


Capitolo 10

“Ritorno a Londra” 

«Elisabeth, tesoro» l’accolse sua zia, alla porta, abbracciandola stretta, ricordando l’ultima volta che l’ebbe vista. 
«Ciao zia» rispose Elisabeth, stringendo, anch’ella, tra le braccia sua zia. 
«Ma ti sei sciupata! Dio, come sei magra e guarda che borse sotto gli occhi. Tesoro, perché questo?» le chiese sua zia molto preoccupata per la nipote, accarezzandole il viso, dopo averla guardata dalla testa ai piedi. 
«Zia, non sono venuta qui per dare spiegazioni, scusami. Scusami, se sono andata via all’improvviso. Scusami, se mi ripresento qui e se ti chiedo di riaccogliermi» disse Elisabeth, abbassando il suo viso, troppo rosso e imbarazzato per farsi vedere. 
«Tu sei sempre la benvenuta qui, ricordalo.» disse sua zia, accarezzandole il capo abbassato. 
Ebbene: Elisabeth per lei era come una figlia, le voleva molto bene e amava passare del tempo con lei che era così solare, ma proprio quel tempo, non più. 
Ah, se la zia avesse saputo della sua dipendenza. 
O se avesse saputo della sua anoressia. 
Elisabeth, fu ben accolta da sua zia e non aspettò altro ad entrare in casa. 
Un senso di calma e tranquillità invase, dalla testa ai piedi, Elisabeth, come se quella casa fosse magica. 
«Grazie zia» disse Elisabeth, sorridendo sinceramente, grata di tutto quello. 
«Non ringraziarmi, è il minimo che potessi fare! Va’ di sopra a disfare i bagagli, la camera è sempre quella. Tra poco sarà pronto il pranzo.» informò velocemente sua zia, chiudendo la porta.
«Sì, grazie.» rispose, semplicemente, Elisabeth, per poi fuggire al piano di sopra, posando sul pavimento le sue valigie. 
Tante promesse ebbe fatto fin ad all’ora, ma quasi nessuna ebbe mantenuto, neanche quella di non fare pazzie. Prima di tutto, voleva ridurre, estirpare la sua dipendenza dalla droga. Una cosa messa in atto già da qualche settimana orsono. Aveva ottenuto buoni risultati, non si sentiva più tanto oppressa e avrebbe potuto, benevolmente, sognare Liam, senza l’aiuto di alcuna droga. 
Un passo avanti importante, non vi pare? 
Essa stessa si sentiva fiera di ciò che stava facendo. Certo, non fiera che si stesse disintossicando dalla droga, ma, nonostante questo, ci stava riuscendo. 
Appena entrata in camera, si posizionò sul suo vecchio letto.
Il pensiero che Liam fosse a poca distanza da lei, la distraeva da quasi tutto. Non poté far a meno che ricordare i pochi mesi passati con Liam, specialmente di quella volta al parco marittimo.

Liam l’aveva invitata lì, qualche giorno prima che si mettessero insieme. A Liam piaceva sul serio passare del tempo con Elisabeth, trovava ella molto attraente e simpatica.
«Allora, come va con le foto? Ci stai lavorando?» chiese Liam, per aprire un qualche discorso, pur di parlare con lei o sentire la sua voce.
«Oh, sì, stasera aggiusterò gli ultimi dettagli.» rispose ella, guardandosi intorno, distratta dalla domanda che le aveva fatto Liam.
Quel posto era molto affollato, ma ciò non sembrava preoccupare nessuno dei due. Insomma, si sarebbero divertiti. Liam, pian piano, le prese la mano. Ella guardò la mano di Liam stretta alla sua, poi guardò lui. Era disinvolto, anche se dentro stava morendo d’imbarazzo. Il viso di lui, così calmo, rassicurò ella, la quale non obiettò in nulla e abbassò la testa, arrossendo lievemente. 
Oltre alle tante persone che c’erano, loro non si sentivano osservati. Avrebbero voluto essere in un posto, magari, più appartato, ma si accontentavano. Per entrambi, l’importante era stare insieme.
«Sai, avevo un’idea per la mente…» accennò Liam, abbassando il viso e squadrando le due mani unite.
«Perché “avevi”? Ora hai cambiato idea?» chiese Elisabeth, curiosa, guardando Liam.
«Ah, beh, non so se ti piacciano i delfini…» disse Liam, abbozzando un sorriso sghembo, il preferito di Elisabeth.
«Delfini? Ma cosa ti passa per la mente?» chiese divertita, non potendo far altro, ma soffocò subito la risata, portandosi la mano alla bocca.
Intanto che i due camminavano e discutevano, Liam aveva imboccato un’altra strada, che l’avrebbero portati proprio alla vasca dei delfini.

CONTINUA…♥

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** “Stay strong” ***


Capitolo 11

“Stay strong” 

Arrivati in quel piccolo spiazzato, dove era presente una piscina di media grandezza, Elisabeth s’immobilizzò. Era un luogo aperto, quasi nascosto dal resto del parco; sul bordo della piscina, vi erano due addetti all'addomesticare i due delfini che erano in quella piscina; lontano dalla piscina, ma in forma sferica, vi erano le grandi panchine, che racchiudevano quella piscina. 
Le gambe di Elisabeth erano immobili, come cemento. 
A Liam, di certo, non sfuggì tale atteggiamento, per cui, si fermò anche lui, con l’intenzione di chiedere spiegazioni. 
«Cosa succede?» domandò Liam, interrogativo, per trovare la risposta a quella reazione. 
«Liam, io ho paura degli animali, qualsiasi esso sia, marino, rettile, vertebrato o invertebrato, ho paura.» rispose Elisabeth, con lo sguardo fisso e terrorizzato, guardando quella piscina, dove vedeva allegramente delfino e istruttore. 
«No, non avere paura. Guarda che Scott è buono» rispose Liam, accarezzando i capelli di lei, per tranquillizzarla.
«Quel coso ha un nome?» chiese Elisabeth, quella volta, posando gli occhi su di Liam, con viso preso dallo stupore, ma anche dalla paura. 
«Sì, ed è buono. Su, vieni.» la invitò Liam, riprendendole la mano. 
Quella volta, per la prima volta, Elisabeth accarezzò il capo liscio e viscido di un delfino, senza avere ulteriore paura, poiché era con Liam.

Grazie a Liam, quindi, lei cominciò ad avere meno paura degli animali.
A Liam, doveva tutto, anche il fatto di essere viva, anzi più morta che viva. 
Rivenne nella realtà, non appena la porta di camera sua si aprì. 
«Elisabeth, tesoro, è pronto in tavola» l’avvertì la zia, facendo spuntare il suo capo dalla porta. 
«Ehm… zia, non ho molta fame, preferisco non mangiare.» rispose sua nipote, seduta sul letto, guardando la zia, quasi preoccupata. 
«Ma assolutamente no! Tu scendi, ora.» insistette sua zia, già pronta ad usare le maniere forti, se fosse stato necessario. 
«Va bene, scendo tra dieci minuti, il tempo che sistemo la roba.» rispose ella, ormai, già rassegnata. 
«Ti aspetto.» rispose la zia, già scomparendo dalla porta, riponendola chiusa, come lo era in precedenza. 
Elisabeth sospirò. Anche se non aveva fame, doveva per forza, voleva guarire anche dall’anoressia, doveva essere forte. 
In dieci minuti, cercò di sistemare tutto. Appena a finì, scese di sotto, pronta a mangiare anche con la forza, se fosse stato necessario. 
«Sì, Giovanni, è arrivata.» Elisabeth si fermò dietro la porta al sol udire queste parole. «Come vuoi che stia? È peggiorata, si è sciupata. Credo sia tutta colpa di Liam, eppure lui era un bravo ragazzo. Si sono lasciati all’improvviso. Le conseguenze, a quanto pare, sono state disastrose. Tu non hai potuto far niente?» fece una pausa. «Sei un imbecille. Cercherò io di farla mangiare, magari anche di farle chiarire tutto con Liam.» fece un’altra pausa. «No, non puoi chiedermi questo!» un’altra pausa e ripartì. «Stammi a sentire, Giovanni. Io voglio molto bene tua figlia e non puoi chiedermi di non farla incontrare con Liam. Sono sicura che si aggiusterà tutto e che i due ritorneranno insieme, com’è giusto che sia. Chiudi il becco. Non sarò io a farli incontrare. La coincidenza li farà incontrare, il destino ha mischiato le loro carte. Loro sono fatti per stare insieme, lo stupido destino ha solo giocato finora. Tu non sai com’era fino a qualche mese fa. E ora ti saluto!» concluse così e riattaccò. 
Elisabeth, ferma sulla porta, non ebbe perso neanche una parola. Uscì dal suo nascondiglio come se nulla fosse e si sedette a tavola. Mangiò quel che poteva, anche se dopo avrebbe riversato tutto. 
«Ti senti bene?» domandò la zia premurosa. 
«Sì, zia, ho solo un po’ di mal di testa. Scusami, vado nella mia stanza.» rispose, la nipote, per poi andare in camera sua. 
Si stese sul letto e attese che il sonno la rubasse, anche se era troppo presto. Nei sogni avrebbe potuto vedere Liam, come se fosse “drogata”. Drogata di un sogno, drogata di un sorriso. Ma quando vivi nei sogni, per cosa vivi davvero? 
Al suo risveglio, però, tutta la sua felicità di quel sogno si frantumò in mille pezzi.
CONTINUA…♥

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** “Sogni” ***


Capitolo 12

“Sogni”

Ella fu svegliata da una dolce e tenera carezza, che sentì sulla sua guancia rosea. Sorrise inconsciamente, come se già sapesse di chi fosse la mano che stesse compiendo l’azione. Una cosa sentiva certa: era qualcuno che non conosceva.
Aprì gli occhi con molta esitazione, per paura che il suo presentimento fosse falso, e, quindi, per paura di ricevere una delusione. 
Vide lui, davanti al suo volto, piegato sul letto; lei rivoltata verso la porta, il corpo poggiato su di un solo lato, quello sinistro; la luce della sveglia, posata sul comodino, segnava “08.05 p.m.”. 
Era decisamente troppo reale, ma che lui fosse lì rendeva ogni cosa falsa. Lui non poteva essere lì, lei voleva dimenticarlo, almeno cercava. Perché si ripresentò proprio in quel momento? Chi l'aveva chiamato? Perché era venuto? Non aveva ancora dimenticato Elisabeth? 
«Ciao amore.» disse Liam, portando la sua mano sul capo di lei, in modo da accarezzarle i capelli e la fronte.
Lei alzò il volto per esaminare pienamente il viso, che non vedeva da tempo, di lui. 
«Cosa ci fai qui?» chiese la ragazza, in preda al panico. «Lasciami in pace, vattene!» urlò, infine, con le lacrime agli occhi. 
«Ssh, fai meglio a non parlare. È notte fonda, tua zia non sa che sono qui» rispose Liam, portandosi l’indice alla bocca, a mo’ di silenzio. 
«No, sono le otto, è ora di cena e…» rispose ella, lanciando continui sguardi all’orologio digitale postato sul comodino, ma si bloccò, non appena vide un orario diverso.
«Che succede, amore? Ti senti poco bene?» domandò premuroso il ragazzo al capo del letto, accarezzando, ancora una volta, i capelli di ella. 
«Tu non dovresti essere qui, io non ti voglio. Perché sei venuto? Non capisco.» parlò veloce ella, che era sempre più nervosa ed agitata. 
«Amore, sono venuto perché mi mancavi, ma ora non più perché sei qui con me» sussurrò Liam, accarezzando il viso di lei e guardandola negli occhi. 
«No, è tutto un sogno, non può essere, tu non sei qui ed io non voglio averti qui» disse velocemente la ragazza, agitata come non mai. 
«Amore, calmati.» consigliò lui, prendendola per le spalle. 
«Tu non sei qui, è solo la mia immaginazione, non è forse vero?» chiese lei, a testa bassa, mentre che una lacrima di dolore le scendeva lungo il viso. 
«Sì, è vero.» rispose lui. 
D’improvviso, ella si svegliò. Era un sogno, lei lo sapeva fin dal principio, eppure il tocco di Liam era così simile al reale, diverso dal tocco che sentiva quando si drogava o quando, invece, lo sognava di proposito. Quel tocco era vivo, caldo, affettuoso, quasi. Sentiva sulla sua pelle uno strano calore, ma in stanza non c'era nessuno, eccetto lei. Sulle sue braccia sentiva ardere, bruciare la pelle, le ossa. Non capiva cosa le stesse succedendo, sentiva freddo, allo stesso tempo caldo. Uno stato confusionale cominciò a tormentarla. Un tale stato avrebbe spaventato chiunque, anche chi aveva visto la morte. Quasi cercava aiuto, sentiva la testa scoppiare.
Stordita, ma senza farsi domande, posò i suoi occhi sulla sveglia posata sul comodino. Era ora di cena, come nel sogno, ma di Liam, in quella stanza, non c’era nessuna traccia. 
Si alzò da quel letto, le gambe più indolenzite del solito, la bocca impastata dal sonno, gli occhi semichiusi, troppo stanchi per vedere. 
Si diresse verso il bagno, per sciacquarsi velocemente il viso e la bocca. 
Fatto quello, scese con attenzione tutte le scale, era ancora un po’ dormiente, quindi doveva stare attenta. 
Sua zia era voltata verso il piano cottura e cucinava ciò che sarebbe stata la loro cena. 
«Zia, ti serve una mano?» domandò Elisabeth, già portando su le sue maniche. 
«No, tranquilla ho già finito. Stavo venendo a svegliarti, ormai è pronto.» rispose la zia, abbozzando un premuroso sorriso. «Questa sera non mangerò con te, scusami. Devo andare ad una cena di lavoro» avvertì la zia.
«Tranquilla. Io mangerò e filerò a letto, sono molto stanca.» rispose la ragazza, appoggiando le sue mani alla sedia.
• • •
«Mi raccomando, sta’ attenta e non aprire a nessuno» si raccomandò la zia, prendendo di fretta la borsa per uscire.
«Tranquilla, zia. So badare a me stessa.» rispose sua nipote, quasi annoiata, vedendo la tv in salotto.
Appena sentì la porta di casa chiudersi, sospirò, al corrente del fatto che non sarebbe andata a letto presto, specialmente dopo quel sogno.
I suoi appannati pensieri si troncarono non appena sentì il campanello di casa. Era convinta fosse sua zia che avesse dimenticato le chiavi, così, convinta, si diresse verso la porta. L’aprì e, ancora una volta, i suoi sogni persero senso, furono distrutti.

CONTINUA…♥

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** “Mancanza” ***


Capitolo 13

“Mancanza"

Le giovani speranze, i giovani sogni, i pensieri beati di ella si ruppero, come specchio rotto in mille pezzi. 
Entrambi si fissavano: immobili, sguardo spento, pieno di dolore, di disperazione. 
Si erano mancati da tanto tempo, eppure nessun movimento si percepiva da parte di entrambi, nessun spostamento d’aria, nessun sospiro, solo vento entrante dalla porta aperta, tagliato dalla figura davanti ad ella, vento freddo, che faceva venire i brividi alla spina dorsale. 
Sul viso di lei, scese una lacrima, non si sa se di dolore o di felicità, forse entrambi mescolati assieme, o forse solo uno, senza l’altro. 
«Non m’inviti ad entrare?» chiese lui, lanciando uno sguardo alla casa dalle luci calde. «Si congela qui fuori.» continuò con un sorriso ironico. 
Elisabeth annuì e si scostò dalla porta per farlo entrare. Lui entrò subito, togliendosi la giacca color sughero. Sì, lui aveva sempre avuto pessimi gusti nel vestire. 
Ad ogni modo, appese il suo cappotto all’attaccapanni, come se fosse a casa sua. D’altra parte, conosceva bene quella casa, era stato invitato tante volte lì, come ospite, ovvio. 
«Perché sei venuto?» quelle parole uscirono dalla bocca di Elisabeth, fredde come cubetti di ghiaccio. 
Il senso d’angoscia e anche un po’ paura, che provava ella, erano del tutto irrazionali, specialmente in quella circostanza.
«Non essere agitata, di me ti puoi fidare, lo sai.» disse lui, avvicinandosi per posare il suo polpastrello sinistro sulla gote della ragazza.
Un brivido la colse di sorpresa e, improvvisamente, divenne nervosa, dopo essere stata lontana troppo tempo dal tocco di uno dei suoi migliori amici. 
«So di potermi fidare di te, ma è passato tanto tempo, troppo.» rispose ella, cercando di distrarsi, tremante, mentre che le lacrime cominciavano a bagnarle il viso, una dopo l'altra. 
«La fiducia non muore mai, se davvero ti fidi di quella persona» rispose lui, guardandola negli occhi, togliendo il suo dito dal viso di ella. 
«La parte da saggio non fa per te, Harry. Quella sta bene a Zayn» disse ridendo la ragazza, cercando di soffocare la risata con la mano. 
«Almeno so di averti fatto ridere.» disse sorridendo, lieto di quel sorriso che gli ebbe fatto ella. 
Lei sorrise ancora, le era mancato tanto Harry. Lui era uno dei cinque con cui aveva legato di più, forse solo perché lui capiva le persone e perché tante volta ha consigliato Elisabeth su cosa fare, partendo dalle tante lezioni di seduzione che lui le diede. 
«Allora, come stai?» chiese Harry, avviandosi verso la cucina, per prendere un bicchiere d’acqua. 
«Come vuoi che stia?» chiese Elisabeth, retorica, seguendo la figura fin in cucina. «E tu?»
«Sto benone, ormai.» disse sorseggiando dell’acqua, ma per essa c’era a ben poco interesse: lui era venuto lì per un’altra cosa, avrebbe potuto dare anche risposte a Elisabeth. «Senti, Elisabeth, non sono venuto qui per chiederti come stai, perché so già la risposta… o meglio, sono venuto qui per sapere anche come stai.»
Harry fece una pausa, pensando solamente al motivo per cui era arrivato lì, a quell’ora, in quella casa, tutto quello per salvare un amico. 
«Come hai fatto a sapere che ero qui?» chiese Elisabeth, immobile, all’arco della porta.
«Elisabeth, qui il punto è un altro!» urlò, quel poco che bastava, Harry, avvicinandosi a Elisabeth.
«Spiegamelo, perché non credo di capirlo.» disse, calma lei, come se Harry non avesse urlato. Harry fece per parlare, ma lei l’interruppe ancor prima d’iniziare. «Però, aspetta, se sei qui per parlare di lui e per difenderlo ancora una volta, sai dov'è la porta: io non voglio sapere più nulla di lui.» 
«No, tu mi devi ascoltare, vuoi o non vuoi!» urlò, arrabbiato il ragazzo. 
Erano passati tre mesi, eppure, tutta la confidenza che ella aveva perso con lui, sembrò che a Harry non fosse mai andata via. Un’amicizia è per sempre. 
«Mi spiace, Harry. Io non voglio, ti prego.» sussurrò la ragazza, mentre che il suo corpo tremava incessante e che le lacrime scendevano amare lungo le sue goti. 
«Ascoltami, Elisabeth…» disse Harry a voce più bassa. «Io ti voglio bene, lo sai. Il mio bene per te è immenso, come quello che provo per Liam…»
«NON pronunciare quel nome.» ordinò ringhiando Elisabeth, indietreggiando a mano a mano che Harry si avvicinava. 
«Lui sta male, non mangia più, non esce, non vive. A stento, partecipa alle prove. La band si sta sfasciando»
Le ultime cose che Elisabeth voleva sentire erano proprio quelle parole.

CONTINUA…♥

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** “Fiducia” ***


Capitolo 14

“Fiducia"

«Harry, non chiedermi nulla di tutto ciò, non dirmelo… perché sai che io non tornerei da lui comunque» disse Elisabeth, alzando lo sguardo per guardare Harry, che era a qualche centimetro di distanza da lei. 
«E lui non tornerà da te… Pensa che tu non l’ami più!» rispose Harry, prendendole le mani, come per rassicurarla. 
«Pensa bene.»
«So che tu lo ami ancora, non contrastarti con le tue stesse parole. Finirete col perdervi per sempre… E tu non vuoi perderlo definitivamente, vero?» 
A quel punto, Elisabeth era costretta ad ammettere il suo debole, non voleva perdere Liam, almeno non sul serio. 
«Finiremo comunque col perderci. Se non sarà questa volta, sarà in un’altra occasione.» cercò di giustificarsi Elisabeth pur di trovare una scusa per non lasciar intravedere il suo dolore. 
«Non trovare scuse, Elisabeth. O ora, o mai più. Vuoi venire con me da Liam?» 
Quella domanda mise in difficoltà Elisabeth, la quale rimase immobile, pensando a cosa sarebbe successo, se fosse andata da Liam. 
Le idee che le passavano per la mente erano molte, ma una le lampeggiava nella mente, come se fosse un faro, come se quel faro, invece che indicare la giusta strada, stesse indicando quella che, secondo Elisabeth, era assolutamente quella errata: voleva andare da lui e baciarlo. 
Sì, baciarlo. Perché, baciandolo, sapeva che avrebbe ritrovato sé stessa. Perché, baciandolo, si sarebbe sentita bene. Perché, baciandolo, avrebbe posto fine a qualsiasi sua sofferenza.
«Dov’è, ora?» chiese, ancora esitante, Elisabeth, giusto per sapere. 
«È a casa. Andiamo da lui?»
«Andiamo.» rispose solo Elisabeth, abbassando la testa. 
Un sorriso comparve sul volto di Harry. Lui le era grato, avrebbe salvato il suo amico. La sua idea era molto chiara, sapeva che entrambi si desideravano ancora, anche se erano fuoco e ghiaccio, anche se non erano fatti per stare insieme, anche se si sarebbero odiati: il desiderio di uno per l’altra non sarebbe mai cambiato. 
«Oh, grazie. Grazie, grazie. Elisabeth, grazie!» ringraziò Harry, abbracciandola teneramente. 
Anche di quell’abbraccio Elisabeth fu felice, ricambiò stringendolo forte. 
«Allora, andiamo subito!» propose entusiasta Harry.
Elisabeth sorrise, non sapendo neanche perché avesse accettato, ma sentiva di aver fatto la scelta giusta, e questo le bastava. 
Harry posò il bicchiere, soddisfatto di ciò che aveva fatto. 
Entrambi, in fretta, presero il loro cappotto ed andarono in auto, quella di Harry. Per tutto il viaggio, ci fu solo silenzio, come se non avessero nulla da dirsi. Ben due volte, Harry voleva parlare, magari attaccare discorso, ma fu sempre frenato: voleva che Elisabeth riordinasse le idee.
Così ella stava facendo. Prima di tutto, si stava preparando a ciò che sarebbe successo. Avrebbe rincontrato Liam, l’avrebbe visto… E questo già la rendeva nervosa, molto. 
Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse dell’auto ferma e Harry dovette strattonarla per farla ritornare alla realtà.
«Elisabeth, siamo arrivati.» l’informò Harry, poggiandole una mano sul braccio. 
Elisabeth scosse la testa, poi annuì. Erano arrivati, ormai, di lì a poco, avrebbe rivisto Liam. Non sapeva se era pronta a quel passo, ma lo desiderava. 
Uscì subito dall’auto assieme ad Harry e, entrambi, si avviarono verso la porta. Appena Elisabeth entrò, sentì un’ondata di calore riscaldarla tutta e la familiarità di quel luogo le mise allegria. 
«Elisabeth, oh, ciao!» disse Lou, appena vide il suo volto, avviandosi per abbracciarla. 
«Ehi, Louis.» rispose Elisabeth, accarezzandogli delicatamente la schiena. 
«È da tempo che non ci vediamo. Qual buon vento ti porta qui?» chiese lui, staccatosi dall’abbraccio.
«Louis, è venuta per chiarire con Liam, fai silenzio» disse Harry, ammutolendo Louis. «Andiamo» disse poi, salendo le scale. 
Elisabeth lo seguì e, arrivati alla porta della camera di Liam, Harry bussò. 
«Avanti.» disse una voce spenta. 
Harry aprì la porta, facendo spuntare solo la testa. 
«Liam, ho una sorpresa per te.» disse sottovoce Harry. 
Elisabeth era accanto alla porta, pronta per mostrarsi. Il cuore le batteva forte, il fiato quasi le mancava. 
«Se è una di quelle tue amichette, riportala a casa.» rispose Liam. 
A quel punto, Harry aprì completamente la porta, facendo entrare anche Elisabeth. 
Liam non si accorse della presenza di Elisabeth, perché era di spalle. 
«Non sono una di quelle sue amichette» disse Elisabeth, sottovoce. «Sono io.»

CONTINUA…♥

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** “Riavvolgere il nastro” ***


Capitolo 15

“Riavvolgere il nastro”

Il silenzio dominava in quella stanza, mettendo in serio imbarazzo sia Elisabeth, che Liam. Dopo quelle ultime parole, nessuno parlava. Harry aspettava la risposta o reazione di Liam, ma nulla. Lui rimase immobile, come se stesse aspettando un segno per svegliarsi. Sì, Liam credeva fosse un sogno. D’altra parte, come dargli torto? Il modo in cui se n’era andata Elisabeth, l’aveva lasciato senza parole e perso.
Harry, non notando nessun movimento, spinse Elisabeth, facendola sedere sul letto. 
Un’occhiataccia non mancò, ma Harry se ne uscì sorridendo e mostrò un occhiolino, per poi chiudere la porta della stanza.
«Ah, e non fate troppo rumore stanotte.» ne spuntò dalla porta, dicendolo con un pizzico di malizia, poi richiuse la porta e andò in camera sua, anche se avesse voluto sentire la conversazione tra i due. 
Quelle parole rimasero come sospese nell’aria, non si sentì null’altro. 
«Come stai?» provò a chiedere Liam, voltandosi verso di lei che le dava le spalle. 
Con le ginocchia appoggiate sul letto e le mani, chiuse a pugni ai lati, appoggiate sul letto, Liam attendeva una risposta, anche negativa, ma almeno avrebbe sentito il suono della sua voce. 
«Non chiedermi come sto, perché non ho una risposta.» disse Elisabeth, abbassando la testa, torturando le sue mani. «E tu?» domandò, senza muoversi né guardarlo. 
«Non tanto bene.» rispose lui, mostrando un sorrisetto che non sarebbe stato visto dalla sua lei. 
«Credo che siamo in due.» precisò lei, voltandosi.
I loro occhi s’intrecciarono, i loro sguardi parlavano al posto loro, niente parole, solo espressione. Gli occhi sono lo specchio dell’anima e, con quegli sguardi, Liam sembrò capire il male fatto ad ella, ed ella sembrò capire come fosse stato male Liam.
Una cosa, tra tutte, era la più sicura: si erano mancati tanto. 
Si osservarono a lungo e, sul viso di entrambi, non poteva mancare un sorriso, nato dal cuore. 
Liam si avvicinò a lei, e le si mise seduto accanto. 
Il cuore di Elisabeth andò in fibrillazione, averlo accanto la faceva sentire così bene. 
«Mi sei mancato» borbottò, coprendosi i polsi con le maniche della maglia, senza neanche sapere il perché.
«Se non fossi andata via, non sarebbe successo, non credi?» domandò Liam. 
Lei appoggiò il suo capo alla spalla di Liam, come per sentirsi protetta. 
«Se tu non mi avessi tradito, non sarei mai andata via.» rispose ella, socchiudendo gli occhi. 
«Hai smesso di mangiare?» domandò ancora Liam, poggiando, sul fianco di ella, la sua mano destra. 
Lei annuì solo, senza dire altro, si vergognava per quello che aveva fatto, così rimase ad occhi chiusi. 
«Non avresti dovuto» sussurrò lui, rimproverandola e accarezzandole la dolce curva della gote.
«Cos’avrei dovuto fare?» chiese lei sottovoce. 
«Vivere.» 
«La mia vita non ha senso se non ci sei tu. La mia vita non vale la pena di essere vissuta se non ci sei tu»
«Ti sei comportata da stupida, non avresti dovuto andartene.» disse, ancora sottovoce, baciandole il capo.
«Prima di rimproverarmi, sarebbe giusto che tu ti facessi un esame di coscienza. La colpa non è solamente mia.» disse lei, alzando il capo dalla sua spalla. 
«Hai ragione, ho fatto uno sbaglio, ma credimi, quanto avrei voluto tornare indietro nel tempo, riavvolgere il nastro e innamorarci di nuovo. Perché nessuna donna meriterebbe ciò che tu hai passato. Lo vedo nei tuoi occhi, sono così spenti. Il solo pensare che sia tutta colpa mia mi uccide. Vorrei tanto che tu mi perdonassi, ma come potresti? Specialmente, sapendo che Danielle è incinta…» disse tutto d’un fiato Liam. 
«Danielle è incinta?» chiese, incredula Elisabeth, alzandosi dal letto. 
«Sì, credevo lo sapessi.» disse Liam, rendendosi conto dell’errore fatto.
«E io che credevo ti mancassi!» disse, passandosi una mano alla fronte. «Ma certo, lei può darti di più… Ho fatto solo un errore a venire» disse ella, con le lacrime scendenti lungo le sue guance.
Senza dire altro, aprì la porta e ne uscì, mentre che Liam, non volendola perdere di nuovo, la seguì. 
Lei scese frettolosamente le scale, senza neanche dar conto a Zayn e Niall che erano appena arrivati. 
Le lacrime le offuscavano la vista, corse fuori… ma lì, trovò la morte.
Non era destino che lei andasse da Liam, il destino aveva scelto di lasciarli separati, perché la morte l’avrebbe presa dopo poco, ma, quella sera, ebbe anticipato i piani. 
Liam, sconvolto, si immobilizzò all’entrata della porta, mentre che la sua voce urlava il suo nome.
Ma per lei non c’era nulla da fare. Morì alla giovine età di diciotto anni, senza assaporare un ultimo bacio da Liam, senza vivere. Ma avrebbe preferito così, cento volte. Morire sotto una macchina, più tosto che morire di anoressia o dolore.
Se fosse stata a sentire Liam, avrebbe capito quando egli potesse tenere a lei. 
Se avesse perdonato Liam, sarebbe stata felice. 
Se non fosse scappata, non sarebbe morta.

Oggi sono passati circa venticinque anni. 
Liam ha una famiglia, ma non ha mai dimenticato Elisabeth.
Harry, Louis, Zayn e Niall? Anch’essi sono sposati, hanno delle famiglie. 
La zia di Elisabeth è morta da tempo, e il padre è caduto in depressione, specialmente dopo che Veronica l’ebbe lasciato. 
Nella vita non tutto è rose e fiori, basta del vento, per rompere tutto.


FINE.
Ragazze vorrei che mi inviasse qualche recensione per vedere se vi è piciuta la soria!!!
Lo so ho scritto questa FF in un giorno,ma mi ispirava tanto! LOL

Speo vi piaccia!!! :-)
MUCH LOVE!! <3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1847489