Solo nell'ospedale

di Gareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A volte mi chiedono se sono ateo o credente ***
Capitolo 2: *** Memorie alla finestra ***



Capitolo 1
*** A volte mi chiedono se sono ateo o credente ***


Cammino su e giù nella mensa del mio ospedale. Alterno passeggiate più lente a passeggiate più veloci, così, giusto per confondere la gente a me attorno. “Sarà diventato pazzo”, penseranno, e mi diverto a sorprenderli con la coda dell’occhio mentre mi fissano e, una volta accorti che i loro sguardi sono ricambiati, a vederli voltare di scatto la testa, fingendo chissà che conversazione interessante con un loro compagno di tavolo.
Vorrei non mangiare oggi, non ho né fame né voglia. Tuttavia so e comprendo che mi servono energie per affrontare la giornata. Non si sa mai quali casi di tensione, come delle operazioni, possono capitare ad un chirurgo come me. “Peccato,” pensavo una volta, “che non esistano energie che non si possono vomitare”. Quando dei giorni vedi certe cose che ti smuovono e scuotono l’intestino non è tanto piacevole aver mangiato tanto. Anche se, dopo trentasette anni, sono abituato a queste certe cose.
Smetto di camminare e mi fermo. Tirano un sospiro di sollievo molti dei presenti in sala, evidentemente infastiditi dal mio comportamento. Ora mi dirigo a prendere da mangiare. Tutto self-service. Prendo poco, mi siedo vicino ad un giovane medico e non mangio assolutamente niente.
Gioia pura il disagio che causo a quel ragazzo, che sedeva vicino ad un altrettanto giovane infermiera.
Non mi prendete per pazzo, la mia vita è un po’ triste e sola, la mia storia è anche peggio.
Finisce la pausa pranzo.
Arriva un codice rosso: un giovane sta perdendo molto sangue a causa di una grossa ferita all’addome, probabilmente una coltellata.
Ci sono qua io, non vi preoccupate. Se può essere salvato sicuramente lo salverò.
Vedo i medici trascinare la barella in sala operatoria con il sudore sulla fronte e vedo la loro fretta. Ci tengono a salvare quell’uomo. Sembrano così patetici. Eppure anch’io devo sembrare patetico, mentre mi affretto a raggiungere quell’uomo, mentre, preparato e vestito con camice, mascherina e cuffietta, mi dirigo a salvarlo.
Sono davanti a lui che si trova steso. È un bianco, colore dei capelli castano chiaro, la faccia rilassata ora sotto l’anestetico. E io adesso devo aprirgli l’addome. Perché è ovvio che devo fargli una laparotomia, non ci vuole l’università per capirlo!
<< Bisturi freddo >>. Ed eccomi subito servito, con tanto di posata. Incido sull’addome.
<< Ora bisturi elettrico >>. Cambio il bisturi quando arrivo al muscolo.
Penso che questo sia proprio il lavoro giusto per me: la sensazione della lama che passa sulla pelle e poi sulla carne è indescrivibile, parecchio piacevole; cercare di controllare la frequenza cardiaca per non far tremare la mano è pura magia. Non tanto lo è la visione che mi aspetta a lavoro finito: Dio! Grazie per questa visione, eh!
Sono sarcastico, nel caso tu non l’avessi capito. Dico a te, Dio.
A volte mi chiedono se sono ateo oppure credente. Ma dopo le mie scuole superiori, pensai -e penso ancora- che essere una delle due cose fosse un atto di presunzione. Già a quindici anni lessi di Platone il Fedro, nel quale Socrate, il famoso filosofo, affermava che dir di avere la verità era un atto di presunzione, che lui non lo voleva commettere, e che quindi lui era più sapiente degli altri. Bene, dico, stessa cosa per la religione. Presumere che Dio esista è presunzione e stupidità, come dunque presumere che non esista. 
Riprendo a concentrarmi sull'operazione.
Sangue. Intestini. Organi.
Svengo e cado all’indietro. Che strano, dall’alto dei miei sessantacinque anni non mi era mai successo.
Tum.

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Spazio approfondimenti: Salve a tutti, sono Gareth. Questa storia inizialmente è nata come una raccolta di one shot con sempre lo stesso protagonista (il chirurgo) a cui ho poi aggiunto una storia, per così dire, principale. Infatti ogni capitolo non sarà molto lungo. Tuttavia io spero che non vi concentrerete tanto sulla storia, quanto su tutto quello che c'é attorno (l'atmosfera, i pensieri ecc. ecc,). Perdonatemi se i miei termini medici (a cui tuttavia presto attenzione cercando di documentarmi) non sono precisissimi, dato che nell'università di medicina non ci sono neanche mai entrato, vista anche la mia giovane età. Ringrazio in anticipo tutti quelli che mi leggeranno e vi invito, come sempre, a lasciar recensioni. Cercherò di aggiornare quando potrò, non credo sarò, ahimé, molto costante, anche perché do la precedenza alla mia altra storia, "Dark Warden". Per quanto riguarda quest'ultima infatti non aggiorno oramai da mesi, ma a breve mi rifarò vivo. 

Saluti, Gareth

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Capitolo 2
*** Memorie alla finestra ***


Chirugia per filosofi II È guerra. Questa battaglia avanza spedita come una lama che incide la carne e tra i due schieramenti comincia a imporsi un vincitore. Io, perseguitore del sacro diritto di lavorare, sto perdendo contro le file di medici incapaci e infermiere senza cuore che mi costringono al letto. Ma non gliela darò per vinta: le mie armi sono il brontolio costante e il rifiuto e l'opposizione a ogni consiglio che mi danno, come "sta' a letto, dottore", "dottore, per favore, si prenda cura di sé", "non si affatichi, signore" -e sì, ogni tanto trovo qualche idiota che si dimentica che lavoro in questo ospedale da prima che nascesse!
I loro mezzi sono invece la ragione, la pazienza e la loro instancabile fiducia nel credermi pazzo, con i quali io, a volte, faccio fatica a misurarmi.
Come se non avessero mai visto un infarto! Ogni tanto capita, quando si ha una certa età, si sa. Beh, più o meno.



Lo svenimento in sala operatoria mi aveva trasportato in un letto d'ospedale nel quale non temevo di rimanerci più di un giorno. Chiesi carta e penna appena potei, e me ne rimasi la mattina tranquillo ad aspettare che il tempo passasse scribacchiando qualche verso di qualche mia poesia di gioventù.

"Se tu sei un cerchio
io sono un tuo puntino,
se ci separi non sei più un cerchio,
e io valgo ancora meno."


Si arrivò all'ora di pranzo. Un'infermiera -di cui appresi presto il nome, Linda, che richiama per assonanza una certa famosa cioccolata e da cui la fanciulla doveva aver preso anche la dolcezza- mi portò da mangiare una minestrina calda e mi informò che l'uomo della notte prima si era salvato. Notiziona, considerato l'imprevisto del mio mancamento che non credevo proprio che quei quattro incapaci sarebbero riusciti a gestire. Dopo pranzo mi godei uno splendido sole dalla finestra della mia stanza lanciando ogni tanto qualche occhiata al signore con cui dividevo la camera, molto somigliante ad un'ameba a cui erano attaccati dei bei tubicini trasparenti che, devo dire, gli donavano proprio. Più tardi ricordai che si trattava di un mio vecchio paziente a cui avevo trapiantato così tanti organi da non sapere più come chiamarlo.
Continuai a scrivere.
"Se tu sei un granello di sabbia
io sono un bambino
e ti raccoglierò per farti giocare."

Da giovane, innocente e insignificante come un puntino, non cercai la perfezione, ma la trovai lo stesso. Portava nome di donna e le piacevano le gonne lunghe come quelle delle principesse. I suoi occhi erano neri come quelli della monaca di Monza, e i suoi capelli ricordavano una nocciola da portare a tavola, che ti rendeva felice. Capii presto che ogni singola parte di me le apparteneva, che lei era il mio cerchio, perfetto, ed io uno dei suoi puntini. La desiderai come si può desiderare ogni ragazza, creandomi un buco nel cuore ogni volta che lei non era con me e riempendolo quando lei mi sorrideva. E così, ben presto scambiammo dimensioni: lei si ridusse a un granello di sabbia, così piccolo da poter essere tenuto in mano da chiunque, ma così compatto da essere invincibile; io invece divenni il suo bambino, morbidamente la raccoglievo e la facevo divertire, con l'unico scopo di farla felice...
Questo ricordai, mentre il sole irradiava i paesaggi. Le memorie portano così tanta dolcezza, pensai. Interruppi questi bei momenti quando l'ameba accanto a me ricevette delle visite. La figlia, ormai cinquantenne, lo guardava e forzava il suo sorriso, mentre la nipote, una giovane quindicenne, non ci riusciva davanti a quel nonno così malridotto. Ringraziai di non avere dei nipoti e delle figlie come queste, che mi compiangessero.
Dopo che se ne andarono era già pomeriggio inoltrato e nuovamente rivolsi lo sguardo fuori dalla finestra. Il paesaggio era costituito solo dal cielo, data la mia supina posizione nel letto. C'era un bel sole anche adesso, ma grossi nuvoloni si avvicinavano da ovest, come minacciosi tiranni parevano legiferare che la luce sarebbe stata oscurata presto togliendomi un lieto trastullo in quella giornata di noia. Passò casualmente per il cielo una rondine. Niente mi avrebbe potuto fare più felice, perché nient'altro mi avrebbe fatto ricordare i versi successivi di quella poesia e mi immersi di nuovo nei tempi che furono.

"Se tu sei una rondine
io sono il tuo nido,
sempre un posto sicuro,
pronto a proteggerti."

Diventammo grandi amici, nulla più, io e lei, per lungo tempo fino a che, un giorno, accadde l'insperato.
Lei aveva un ragazzo, lo aveva già. Tutti lo chiamavano Dany, era alto, più alto di me, con gli occhi chiarissimi, più chiari dei miei, e molto bello, più bello di quanto io sarei mai stato. Ma era uno stupido, questo è certo. Perlomeno, un ragazzo intelligente non tradirebbe mai la ragazza più speciale di questo mondo. Così, la sera in cui lei lo scoprì, per caso la trovai e la scoprii muta. Ma riuscii a farla parlare e lei mi raccontò ogni cosa ed io la abbracciai e lei pianse e io la abbracciai più forte e poi, ci baciammo. Io l'amai e non ebbi timore di dirglielo: ero il suo scudo, il suo nuovo nido che avrebbe protetto lei, libera rondine.
Durante la nostra storia mi tradì due volte. Io non potevo fare altro che perdonarla... e stare con lei ancora. E volevo sapere tutto di lei, perché potessi fermarla quando avrei dovuto.

"Se tu sei un mare
io sono un sasso e affondo,
profondissima cerco la parte più nascosta di te"

Ma quello che riuscii a sapere di lei non era mai abbastanza. Era una ragazza... imprevedibile. Mi tradì una terza. Ma anche se lei mi feriva di continuo, non poteva uccidermi: ero forte e il mio amore lo era ancora di più. Se lei era irascibile io ero paziente, se lei confusa io sicuro di me stesso, se lei si odiava io l'amavo.

"Se tu sei nebbia
io sono un cieco,
che tanto non mi crei problemi."

Talvolta si tagliò anche. E io le ero accanto e facevo del mio meglio ma... Io non bastavo. Le servivano l'alcol, la droga. Ne venne fuori, dopo grandi sforzi...
Nel mio ospedale cominciai a ricordare le cose brutte con il passare del tempo e venne sera, e poi la notte. E poi la pioggia. E volevo dimenticare. Ma la notte era appena cominciata e l'insonnia non mi avrebbe abbandonato.
Scesi dal letto perché volevo vedere la pioggia più da vicino. Il contatto del piede nudo col pavimento fu traumatico: il freddo risalì lungo i femori fino alle ginocchia. Accesi la lampada vicino a me, non mi preoccupai nemmeno del mio compagno. Con passo lento e insicuro mi diressi nel mezzo dell'oscurità alla grande finestra di vetro. Pioveva davvero forte.
Lei riuscì a uscire dal circolo vizioso in cui si era immessa solo dopo molti anni, ma nel suo sangue, nel suo cervello e in tutti i suoi organi interni rimase la traccia di tutto quello che aveva commesso. Morì di alzheimer a cinquantadue anni di età, undici anni e un giorno fa. Il giorno prima era l'anniversario della sua morte.
Toccai con la mano la finestra. Era ghiacciata. i brividi di freddo risalirono la mano, l'ulna e la radio e si fermarono alla spalla.
Aprii la finestra. Il rumore scrosciante della pioggia invadeva le mie orecchie e il freddo riempì la stanza. Allungai la mano e lasciai che l'acqua la ricoprisse ancora e ancora.
Ricordai l'ultimo strofa di quella mia poesia.

"Se tu sei pioggia
io sono un ombrello,
ci sono solo se ci sei anche tu."

Piansi lacrime amare. Quell'ultimo verso è falso, non vale niente. Io sono qui, vivo, mentre lei non c'è più.
Il freddo era in ogni parte di me e all'improvviso sentii un forte e improvviso dolore al petto. Poi non ricordo più nulla e quando mi svegliai ero qui in questa stanza, convinto che se non avessi lavorato al più presto la avrei ricordata ancora.




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