Brothers in arms

di Laylath
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Aprile 1909. Fronte contro Aerugo. ***
Capitolo 2: *** Maggio 1905. Una persona che non ti aspetti. ***
Capitolo 3: *** Maggio - giugno 1905. Prove d'amicizia ***
Capitolo 4: *** Primavera - estate 1906. Teoria dell'amore. ***
Capitolo 5: *** Gennaio 1907. Riti di passaggio. ***
Capitolo 6: *** Dicembre 1907. Un ritorno a casa non previsto. ***
Capitolo 7: *** Dicembre 1907. La decisione di un cane dell'esercito ***
Capitolo 8: *** Dicembre 1907. Quando avrai bisogno di me. ***
Capitolo 9: *** Dicembre 1907. Mio fratello. ***
Capitolo 10: *** Dicembre 1907 - Gennaio 1908. Dolore e cordoglio ***
Capitolo 11: *** Febbraio 1908. I rimorsi del migliore. ***
Capitolo 12: *** Ottobre 1908. La squadra nella squadra. ***
Capitolo 13: *** Inverno 1908-1909. La fine della guerra civile. ***
Capitolo 14: *** Aprile - Maggio 1909. Un nuovo inizio. ***
Capitolo 15: *** Epilogo. Gennaio 1910. Dove tutto ebbe inizio. ***



Capitolo 1
*** Prologo. Aprile 1909. Fronte contro Aerugo. ***


Maledetta trincea, maledetto Aerugo, maledette granate!
Breda si appoggiò pesantemente contro la parete di terra e ansimò. Si costrinse a restare calmo mentre si accorgeva che qualcosa di caldo gli stava colando nel torace: tastò con delicatezza il proprio ventre, salendo lentamente verso l’alto, ma una fitta improvvisa lo fece desistere.
Cazzo, con che le fanno queste granate? Con aghi?
Il dolore era così lancinante che dovette mordersi il labbro fino a farlo sanguinare. Brividi di freddo gli percorsero tutto il corpo mentre aspettava che il dolore provocato dall’aver toccato la ferita si calmasse. Si costrinse ad analizzare la situazione, ma non era buona: ad occhio e croce doveva avere diversi pezzi di quella fottuta granata nel suo corpo… ed era molto probabile che l’avessero colpito in punti vitali.
Merda… non avrei mai pensato di finirla in questo modo
C’era più sorpresa che dolore in quella considerazione: era strano che qualcosa lo cogliesse così impreparato ed impossibilitato a reagire.
Guardò con sconforto quella trincea disseminata di corpi e pezzi di lamiere del materiale che stavano trasportando: odore di sangue e di bruciato… odore di morte. Un piatto che non aveva mai assaggiato.
Chiuse gli occhi, respirando lentamente: i polmoni non dovevano riempirsi troppo, altrimenti qualche scheggia di granata vicino a loro poteva perforarli.
Beh, certo, è utile che i tuoi polmoni funzionino quando stai morendo dissanguato.
Un ghigno doloroso gli sfiorò le labbra. Una situazione davvero ironica, senza dubbio. E se la doveva gestire da solo: quelle teste di cazzo delle squadre di soccorso sembrava facessero a gara per chi era più lento.
Se arrivano quando sto morendo, giuro che userò i miei ultimi respiri per mandarli a fare in culo! Brutti bastardi…
“Breda! Breda!” esclamò una voce, superando il rumore delle granate che esplodevano per tutta la trincea.
Girando il capo verso quel richiamo, nonostante l’elmetto fosse calato così tanto da disturbargli metà visuale, il maresciallo Breda vide un soldato superare come meglio poteva gli ostacoli che c’erano lungo quello stretto percorso di terra. Quando lo vide scavalcare freneticamente un grosso pezzo di lamiera e bestemmiare per essere inciampato su un cadavere non ebbe dubbi sulla sua identità
“Havoc… - mormorò – dannato idiota… no!”
“Oh merda! – esclamò il biondo, mentre finalmente lo raggiungeva e si inginocchiava accanto a lui – Sei ferito?”
No, mi sto semplicemente godendo l’aria pulita di questa trincea… Dio, quanto puoi essere cretino a volte!
“A quanto pare…” rispose sussultando lievemente, quando il compagno gli levò l’elmo
“Ce la fai a bere un po’ d’acqua?” gli chiese Havoc accostandogli la borraccia alle labbra
“Che cavolo ci fai… - una nuova fitta - … qui? Dovevi essere a fare una ricognizione” l’acqua che gli scivolò in gola era un vero sollievo
“Finita da tempo! – rispose Havoc – E non posso allontanarmi da te che ti fai colpire da una granata. Brutto bestione… lo so che cerchi solo di non pagare il prossimo giro di bevute! Ma tra tutti i trucchi… questo è davvero il più idiota!”
Io? Sei tu che non vuoi mai pagare…
“Eh certo…” riuscì a sorridere
Un boato assordante a poca distanza da loro fece capire che i combattimenti erano ancora in pieno svolgimento.
“Vai via da qui!” disse con urgenza Breda
“Non ci penso nemmeno!” scosse il capo Havoc
“Brutto idiota! – tossì Breda – Sono un maresciallo… e tu solo un cazzo di sergente maggiore! Obbedisci!”
“Scordatelo! – si ostinò Havoc schiacciandosi contro la parete di terra proprio accanto a lui – Non ti mollo qui, grassone!”
Breda voleva tanto girarsi e dare un pugno a quel maledetto muso sfacciato, ma una fitta fortissima gli fece serrare gli occhi. Sentì il braccio di Havoc che premeva contro il suo
“Scommettiamo che quei coglioni di Aerugo sono così fessi da non beccarci con le loro granate prima dell’arrivo dei soccorsi?” propose Havoc con un sogghigno, tirando fuori da una tasca un pacchetto di sigarette e accendendosene una
Questo tossico sta fumando in trincea con le granate a pochi centimetri da noi! Come può essere così sconsiderato!?
“Havoc…” iniziò
“Peccato che non ci sia qualche bottiglia, altrimenti l’attesa sarebbe più piacevole” commentò il sergente interrompendolo
“Havoc, per l’amor del cielo – continuò Breda con un sospiro, chiudendo gli occhi e sentendosi sempre più debole – Sei… sei il mio miglior amico… salvati, per favore”
“Appunto, tonto, sono il tuo miglior amico. – disse tranquilla la voce di Havoc, mentre quell’odore di tabacco arrivava alle narici di Breda, nascondendo qualsiasi altro sentore, compreso quello della morte – Non ci siamo promessi di coprirci le spalle l’uno con l’altro? ”
Se coprirmi le spalle vuol dire farti ammazzare in questa dannata trincea, allora siamo messi bene… Bastardo! Sei sempre stato così folle… sin da quel maledetto giorno in cui ci siamo incontrati…
Il rumore delle esplosioni stava diminuendo sensibilmente… si stava facendo tutto così buio e tranquillo, come quando la mattina ti svegli e ti accorgi che puoi ancora restare a letto. E allora ti rigiri dall’altra parte e rimani in quel piacevole dormiveglia dove non capisci se stai sognando o sono solo pensieri…
“Riposa pure, amico mio, ci penso io a tenere sotto controllo la situazione” furono le ultime parole che sentì
Non sei mai stato in grado di farlo, Jean Havoc… sin da quando eravamo cadetti…


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Angolo dell'autrice.
In una mia precedente ff avevo scritto qualcosa come "erano arrivati nel team del colonnello già grandi e con il loro bagaglio di esperienze" riferendomi ad Havoc, Breda e Falman. Così, piano piano, è nata in me l'idea di scrivere davvero delle vicende di questi soldati prima del loro arrivo nel team di Roy.
Questa ff ha una gestazione un po' difficile, vuoi perché si sta sviluppando anche in alcune scene abbastanza pesanti (rispetto a quello che in genere tratto), vuoi per svariati cambiamenti a livello strutturale (come per esempio il pdv che alla fine ho deciso di affidare al solo Breda).
Mentre avevo l'ennesimo ripensamento, tuttavia, proprio stasera mi è uscito spontaneamente questo prologo e ho deciso di postarlo.
Insomma il respiro prima del tuffo l'abbiamo preso ed ecco il balzo dal trampolino.
Purtroppo al contrario di tutte le altre ff che ho scritto, in questo caso ho diversi blocchi... quindi, se eravate abituati a vedermi aggiornare giornalmente in altre mutlicapitolo, qui forse ci saranno pause più lunghe (spero di non essermi portata sfiga da sola).
A presto!

Laylath

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Capitolo 2
*** Maggio 1905. Una persona che non ti aspetti. ***


Heymans Breda, 17 anni, il cadetto migliore del primo anno dell’Accademia Militare.
Stimato dai compagni, apprezzato dai docenti per la sua intelligenza ed arguzia, dotato nelle materie fisiche nonostante la stazza robusta. Una vera promessa dell’esercito.
 
Erano le cinque del pomeriggio della fine del primo semestre ed il ragazzo dai capelli rossi stava nella biblioteca a ripassare gli appunti per l’incombente esame di storia di Amestris. All’esercito premeva che i soldati fossero orgogliosamente consapevoli delle loro radici, della loro storia: era sicuramente un incentivo affinchè si creassero degli uomini devoti alla causa. Per cui quell’esame era parecchio tosto e stava mettendo alla prova anche gli allievi più bravi.
Per Breda non costituiva un problema: per quanto avesse un’ottima memoria, la sua forza stava nel riuscire a trovare il nesso logico tra gli avvenimenti che si erano succeduti. Uno era conseguenza dell’altro: semplice e lineare; bastava partire bene dal principio per arrivare alla conclusione.
“Cadetto Heymans Breda a rapporto!” esclamò una voce, mentre un ufficiale del corpo docenti appariva nella soglia della biblioteca.
“Sissignore!” si alzò prontamente lui, abbandonando i libri e dirigendosi verso l’uscita.
“Vieni con me – disse l’uomo, procendendo per i corridoi – il capo docenti vuole parlarti”
Breda annuì e seguì il suo superiore, due passi indietro, come voleva il regolamento.
Mantenne un’espressione neutra, ma in realtà era abbastanza perplesso da quella convocazione: il capo docenti raramente chiamava qualcuno degli allievi; era più che altro una figura semi-leggendaria che appariva ogni tanto nelle aule, quasi ad incutere timore con la sua presenza. Per quanto dovesse, in teoria, essere un docente pure lui non teneva alcun corso, ma si limitava a dirigere il resto degli ufficiali preposti all’educazione dei futuri soldati.
Che cosa poteva volere da lui?
 
Arrivati nell’ala dell’Accademia riservata al personale docente, luogo con il quale gli studenti preferivano avere poco a che fare, proseguirono per i corridoi fino ad arrivare nella parte più interna. Qui, l’ufficiale si fermò davanti ad una grossa porta di legno di quercia e si girò verso Breda, squadrandolo alla ricerca di qualche eventuale dettaglio da sistemare.
Ma per quanto l’allievo fosse più robusto degli altri, non c’era niente fuori posto nella divisa, perfettamente abbottonata, nei capelli di quel colore così particolare o nell’atteggiamento, calmo e composto. Annuendo con approvazione, finalmente l’uomo bussò alla porta e, dopo aver atteso tre secondi, la aprì facendo segno al giovane di entrare.
L’ufficio del colonnello Grey ispirava imponenza: tutto il mobilio era fatto di pesante legno di noce, finemente lucidato. La grossa finestra alle spalle della scrivania era circondata da pesanti tendaggi di velluto verde, tenuti da cordoni dorati. Le librerie erano cariche di pesanti volumi e sulle superfici libere delle pareti c’erano diversi trofei militari, armi, bandiere.
Se imponente era l’ufficio lo stesso si poteva dire del proprietario. Il colonnello Grey aveva oltre sessant’anni e aveva fatto dell’Accademia la sua casa: considerava la formazione delle nuove leve la sua missione di vita. Era un uomo alto e dritto, nonostante l’età, con il volto severo incorniciato da capelli grigi come il ferro e una corta barba del medesimo colore. Gli occhi scuri riuscivano ad incutere timore e rispetto alla prima occhiata: era chiaro che l’Accademia ruotava intorno a lui.
Queste impressioni furono immagazzinate dal cervello di Breda nei pochi secondi che impiegò per passare dalla soglia  al centro dello studio. Tuttavia il suo sguardo acuto aveva anche notato che c’era un elemento che strideva completamente con tutta quell’ambientazione.
Si trattava di un cadetto che stava seduto su una sedia davanti alla scrivania. Dalla decorazione sulla spallina della camicia si capiva che apparteneva anche lui al primo anno, ma era decisamente più alto della media dei suoi coetanei. Non era a suo agio in quella stanza: nessun cadetto lo sarebbe stato, ma in lui la sensazione di essere un pesce fuor d’acqua era molto tangibile.
Breda cercò di far mente locale e fu sicuro di averlo visto qualche volta in sala mensa con qualche gruppo particolarmente rumoroso di studenti. Non avrebbe saputo dire a quale classe appartenesse anche perché per il primo anno erano presenti ben dieci sezioni di circa venti ragazzi ciascuna.
“Il cadetto Heymans Breda, come aveva richiesto, colonnello” dichiarò l’ufficiale
“Molto bene. Vieni a sederti, cadetto. Quanto a lei, maresciallo, può andare” ordinò il colonnello con voce profonda e autorevole
“Sissignore”
Breda, per nulla intimorito, si sedette nel posto che gli era stato indicato, proprio accanto a quel ragazzo.
I due si squadrarono con curiosità. Il cadetto sconosciuto aveva un viso avvenente, dai profondi occhi azzurri,  contornato da capelli biondi tagliati corti, ma con dritte ciocche ribelli sulla fronte. Il classico belloccio, senza ombra di dubbio.
La sua espressione non riusciva a nascondere l’ansia di trovarsi in quell’ufficio, come testimoniavano anche le mani serrate nervosamente sulle ginocchia. Probabilmente doveva aver combinato qualcosa di grosso.
Quell’analisi fu interrotta dal colonnello
“Vi conoscete?”
“Da parte mia solo di vista” disse prontamente Breda
“No” rispose laconicamente l’altro
“Allora è meglio che provveda a fare le presentazioni. – disse l’uomo prendendo dei fogli davanti a se – Cadetto Heymans Breda, primo anno, prima sezione e Cadetto Jean Havoc, primo anno, quinta sezione”
Quelle parole non sembrarono fare alcun effetto ai due ragazzi, anche se Breda non mancò di notare come la quinta sezione fosse famosa per essere la più turbolenta e dunque la più soggetta a provvedimenti disciplinari.
“Ti starai chiedendo perché sei stato convocato qui, cadetto Breda”
“Sissignore”
“Quanto a te, cadetto Havoc, penso che abbia già qualche sospetto”
“Sissignore” sospirò il ragazzo
“Farò un rapido sunto della situazione a beneficio di entrambi. – iniziò il colonnello poggiandosi allo schienale della sua poltrona e fissando a turno i due giovani – Presto ci saranno gli esami di fine semestre: sono un modo per i docenti di fare una prima scrematura tra voi cadetti. Dovreste sapere che le sezioni del secondo anno in genere sono ridotte rispetto a quelle del primo: questo perché un numero considerevole di allievi non riesce a superare gli esami. E’ necessario se si vogliono ottenere eccellenti soldati”
Breda annuì, mentre Havoc si grattò la nuca con aria imbarazzata e preoccupata
“Ora, davanti a me ho due allievi molto diversi: da una parte ho quello che promette di essere uno dei migliori che l’Accademia abbia avuto negli ultimi anni. Per quanto sia solo al primo semestre, Breda, i tuoi docenti sono davvero contenti di te”
“La ringrazio per queste lodi, signore”
“E dall’altra ho invece quello che è probabilmente il miglior allievo nell’uso delle armi: ottima mira e padronanza nonostante siano solo pochi mesi che le maneggi. Però… - si bloccò, mentre Havoc alzava gli occhi al soffitto - … però i voti nelle restanti materie sono un vero problema. Le lezioni al poligono di tiro e le altre materie fisiche sono solo una parte della formazione di un soldato: è una cosa che vi ripetiamo ogni giorno, affinché vi applichiate nello studio. Materie teoriche come storia, strategia, geografia sono fondamentali per voi”
Il colonnello non aveva alzato la voce, ma la componente di rimprovero era notevole.
Tuttavia Havoc sembrava essere abituato a situazioni simili, per quanto sembrasse sinceramente dispiaciuto. Si vede che anche i docenti erano soliti fargli discorsi di questo tipo.
“La questione è la seguente: le tue prestazioni con le armi sono al di là della norma ed i tuoi insegnanti non vorrebbero lasciarti indietro. Così, dopo una riunione, il consiglio dei docenti ha deciso di prendere un provvedimento speciale nei tuoi confronti, cadetto Havoc”
Breda alzò improvvisamente lo sguardo verso il colonnello, credendo di aver capito il motivo della sua presenza in quella stanza. Ed infatti arrivò la conferma
“Cadetto Breda, tu sei il migliore del primo anno. Il consiglio dei docenti ti chiede di affiancare il tuo compagno in modo da aiutarlo a sostenere al meglio gli esami di fine semestre”
“Cosa?” esclamò Havoc sorpreso, girandosi a fissare il suo “maestro”
“Capisco, signore” disse invece Breda, anche se avrebbe voluto rifiutare ampiamente quell’ordine.
Non che avesse qualcosa contro quel ragazzo, ma era la tipologia di persona con la quale lui non aveva niente a che spartire. Già era impegnativo preparare gli esami, se poi doveva mettere in riga anche quel tipo che non sembrava proprio brillare d’intelligenza…
Lui avrebbe dovuto protestare, non Havoc.
 
Dopo essere stati congedati da colonnello, ai due non rimase che avviarsi per i corridoi.
Breda non aveva molta voglia di parlare: riteneva che gli fosse capitata una bella palla al piede. Lanciando una rapida occhiata a quel ragazzo molto più alto di lui, vide che il viso avvenente aveva perso quell’espressione desolata e spaesata che aveva avuto nello studio del capo docenti. Sembrava molto più rilassato, come se l’allontanarsi da quel posto gli facesse dimenticare il guaio in cui era.
Tuttavia, in quanto suo “maestro” Breda si sentì in dovere di dire qualcosa, ma fu preceduto
“E così dovrei studiare assieme a te…” disse Havoc con tono dubbioso, come se stesse valutando una scappatoia
 “Non credo che ci sia molto da discutere. – annuì Breda, levandogli qualsiasi speranza –Questo è quanto hanno deciso; e se si è scomodato persino il capo docenti, significa che la questione è parecchio grave”
“Che palle! Lo sapevo che questa chiamata non avrebbe portato nulla di buono” sospirò il biondo passandosi la mano tra i ciuffi ribelli sulla fronte.
 “Giusto per curiosità, - chiese Breda – sei davvero messo così male nello studio?”
“Non saprei… però devo ammettere che forse tre sufficienze su dieci non sono un bel risultato, vero?” rispose Havoc con un sorriso imbarazzato
“Tre sufficienze su dieci? – Breda era così sconvolto che si fermò nel corridoio – E, fammi indovinare, le tre materie in cui sei sufficiente sono quelle di educazione fisica, uso delle armi, e simulazione, vero?”
“Esattamente. – ammise Havoc compiaciuto – Però tieni conto che non sono solo sufficiente… ho voti davvero alti in quei campi!”
Breda scosse il capo con preoccupazione: possibile che quel ragazzo fosse così cretino da bearsi di quei voti, quando c’era il baratro di ben sette materie da recuperare?
“Se ti dà molto fastidio aiutarmi, lascia stare. – disse Havoc vedendo la sua espressione – Sono perfettamente consapevole di non essere mai stato un genio a scuola, tutt’altro… Anzi, mi dispiace che tu sia stato chiamato in causa.”
Era molto facile piangere sul latte versato. Il problema è che ormai erano in ballo tutti e due e non potevano tirarsi indietro. Sette materie da recuperare in nemmeno un mese di tempo: una sfida davvero notevole. Difficile, ma non impossibile… sempre che Havoc collaborasse.
“Iniziamo domani, dopo la pausa pranzo. In sala studio alle due precise: porta tutti i tuoi appunti e i programmi… dovremo fare un piano d’azione” disse Breda
Havoc sorrise, lieto di quelle parole
“Molte grazie, cadetto Breda! A domani!” gli diede una pacca sul braccio e riprese a camminare per il corridoio, come se la questione fosse risolta e i bei voti fossero già in tasca sua.
Il giovane dai capelli rossi lo guardò allontanarsi e scosse il capo incredulo: Jean Havoc era decisamente il tipo di persona che non si aspettava.



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Angolo dell'autrice.
Allora, primo capitolo decisamente soft dopo il prologo postato ieri.
Siamo tornati indietro di circa 5 anni ed ora la storia andrà avanti fino a ricongiungersi al 1909, quando i nostri due soldati sono in quella trincea (in ogni caso ad ogni capitolo metterò nel titolo il periodo a cui si riferisce per non confondervi troppo). E' quasi come un flashback di Breda dal momento in cui perde i sensi, anche se ovviamente ho mantenuto la terza persona, per non complicarmi la vita.
Dicevo, capitolo soft rispetto al prologo e anche rispetto ad altri successivi. Oggettivamente stiamo parlando di due allievi dell'Accademia Militare appena diciassettenni, non mi sembrava il caso di inserire drammi dal primo momento. Del resto è normale che le amicizie inizino così, senza particolari botti emotivi.
E' stata la primissima parte che avevo scritto, prima che la ff della scommessa all'ultima valvola prendesse il sopravvento su di me e sul povero Fury ^^'
Dopo alcune riletture e revisioni ho deciso che poteva andare bene così, senza troppi sconvolgimenti.

Ps: grazie ovviamente a Strato e a Xingchan, ormai mie affezionate lettrici e commentatrici *_*

A presto!

Laylath

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Capitolo 3
*** Maggio - giugno 1905. Prove d'amicizia ***


Havoc terminò di caricare il fucile prima del resto di tutti gli altri cadetti.
Il docente al suo fianco annuì soddisfatto e gli diede una pacca sulla spalla, incitando poi gli altri a continuare e a prendere esempio da lui.
Breda, la cui classe quel giorno faceva una lezione congiunta con la quinta sezione, terminò l’operazione una decina di secondi dopo e si concesse di fissare il suo allievo biondo che stava beatamente sorridendo, lieto di essere in un ambiente dove non aveva alcuna difficoltà a farsi valere.
Se c’era una cosa sorprendente in Jean Havoc era il suo cambiare atteggiamento a seconda della situazione: erano ormai cinque giorni che studiavano insieme e la situazione non era certo facile. Non che fosse scemo, ma mancava totalmente di un metodo di studio efficace e, soprattutto, se una cosa non gli interessava, aveva ben poca propensione ad applicarsi. In alcune materie Breda era abbastanza ottimista: teoria delle armi, amministrazione base, geografia sembravano gestibili per quel ragazzo e quindi bastava fare delle ripetizioni mirate per recuperare alcune lacune.
Erano altre materie come storia di Amestris o diritto il vero dramma: era chiaro che Havoc non ci vedeva alcuna utilità e una volta che aveva deciso che una materia proprio non gli andava a genio, il suo livello d’attenzione calava vertiginosamente dopo dieci minuti. Assumeva uno sguardo annoiato e desolato, come per dire “ma perché siamo qui a romperci le scatole con queste cose inutili?”… anzi, spesso e volentieri lo diceva proprio.
Breda aveva cercato di spiegargli l’importanza di queste materie, cercando di trovare in lui un minimo di motivazione, ma sembrava che una delle caratteristiche di Havoc fosse la testardaggine: se lui aveva deciso che una materia era inutile non c’era niente che gli facesse cambiare idea.
“Ehi, Breda, come mai da qualche giorno ti vedo sempre studiare con Havoc?” chiese un suo compagno di classe, distogliendolo dai suoi pensieri
“Una richiesta del corpo docenti. - rispose lui laconico – Tu lo conosci bene?”
“Non esattamente, ho un amico nella sua classe. Proprio stamattina mi stava dicendo che sembra che Havoc sia evaso con i ragazzi del secondo anno, ieri notte”
“Con i ragazzi del secondo anno?” sgranò gli occhi Breda
Il fatto che all’Accademia si evadesse per andare a bere nei locali della città era una tradizione di decenni. Tutti i soldati l’avevano fatto una volta nella vita: era quasi un rito d’iniziazione eludere la sorveglianza e sgattaiolare via. Ovviamente i docenti ne erano perfettamente consapevoli (quando erano studenti l’avevano di certo fatto anche loro), ma se qualcuno veniva scoperto erano comunque problemi seri, in quanto si doveva manterenere una facciata di dignità. Ecco perché era qualcosa che in genere si sperimentava a partire dal secondo semestre, o addirittura nel secondo anno: bisognava avere una certa dimestichezza e non essere dei novellini.
Il fatto che Havoc facesse già le prime evasioni, con i ragazzi del secondo anno, nemmeno a primo semestre terminato era una vera rivelazione.
Se da una parte Breda ne era ammirato, dall’altra una punta di preoccupazione iniziò ad insinuarsi in lui. Già Havoc aveva quei problemi con lo studio… se veniva scoperto in un’evasione, il corpo docenti poteva decidere di non essere così accondiscendente con lui.
Forse doveva parlargli.
 
“E’ facile, no? Il trattato con Drachma prevedeva alcune clausole che non sono stare rispettate, tra cui il non allearsi con Creta: ecco perché Amestris ha rotto la tregua”
Havoc fissò Breda con espressione rassegnata, con la penna in bocca, quasi fosse una sigaretta.
Le lezioni di storia erano la parte peggiore, ma anche quella in cui era necessario maggior impegno.
“Allora hai capito?”
“Non capisco una cosa…” disse il biondo
“Dimmi” annuì Breda pronto a dare delucidazioni
“Che cosa cavolo me ne deve fregare di avvenimenti successi più di ottant’anni fa? – sbottò chiudendo il libro – Che palle! Insomma, siamo in guerra con Drachma e Creta? Sì? Bene, non c’è altro che devo sapere!”
“Ma non è questo il punto!” ribadì Breda, iniziando a perdere la pazienza
“E qual è allora? Diamine! Detesto quando facciamo storia! Gente morta, guerre finite, roba di secoli fa… io dico, ma che me ne importa?”
“E’ il susseguirsi di questi avvenimenti che ci ha portato alla situazione attuale! Come fai a non capirlo?”
“E allora? Mia madre e mio padre si sono incontrati, si sono piaciuti, si sono sposati e hanno avuto prima me e poi mia sorella: che cosa me ne frega di sapere cosa si sono detti al primo appuntamento? O di che colore erano i capelli del mio bisnonno?”
Breda rimase sconcertato di fronte a quella dichiarazione così superficiale e allo stesso tempo così logica. Solo che qui non si parlava della storia di una famiglia, ma di quella del paese.
“Non è proprio la stessa cosa…” commentò scuotendo la testa
“Senti, cambiamo materia? Tanto con storia non combinerò niente, lo so”
“Va bene. – sospirò Breda – Fammi vedere i tuoi esercizi di amministrazione”
Mentre correggeva quelle simulazioni di documenti amministrativi (almeno in quella materia stava ottenendo discreti risultati), Breda chiese distrattamente
“E’ vero che sei evaso con quelli del secondo anno?”
Havoc alzò lo sguardo, ma invece di essere sorpreso di essere stato scoperto, sembrava particolarmente orgoglioso di quell’impresa
“Ho chiesto loro se potevo unirmi alla fuga e l’hanno trovato divertente” disse con semplicità
“In genere quelli del secondo anno non è che considerino molto le matricole come noi”
“Mah, io non mi sono posto il problema. Se mi dicevano di no avrei tentato da solo.”
“Nella tua situazione? – si sconvolse Breda – Cazzo, già sei incasinato con gli esami: se ti scopre qualche docente finisci davvero nei guai”
“Un motivo valido per non farmi scoprire, non credi?”
“Potevi aspettare almeno la fine degli esami del primo semestre. Mancano solo due settimane” gli fece notare Breda riprendendo a correggere gli esercizi
Havoc fece ciondolare la sedia all’indietro, tenendosi in perfetto equilibrio. Il suo viso era pensoso, quasi stesse ponderando se dire o meno qualcosa. Alla fine sorrise e disse
“Fra due notti voglio fare una seconda evasione, questa volta da solo. – dichiarò – Ti va di venire con me o hai paura?”
Breda si irrigidì e alzò lo sguardo su di lui: gli occhi azzurri erano leggermente socchiusi e avevano un atteggiamento di sfida. Come se Havoc avesse deciso di metterlo improvvisamente alla prova in un campo dove era lui l’esperto.
Da una parte voleva dirgli di smetterla con queste idiozie e pensare invece a studiare, ma la prospettiva di quella prova di coraggio lo affascinava. Però non l’avrebbe fatta a titolo gratuito
“Verrò con te, Jean Havoc… - rispose senza esitazioni, assumendo una posa identica alla sua - ma ad una condizione: studierai questi maledetti capitoli di storia senza protestare sulla loro presunta o meno utilità”
Gli occhi azzurri si strinsero pericolosamente, ma quelli di Breda ressero la minaccia senza alcun timore. Dopo una decina di secondi, Havoc sospirò
“E sia, Heymans Breda. Una prova di determinazione contro una di coraggio! Ci sto”
Breda annuì, soddisfatto di aver raggiunto un compromesso. Almeno gli aveva dato una nuova motivazione per riaprire il libro di storia. In quanto a quell’evasione… l’avrebbe gestita senza alcun problema.
 
Era incredibile come i corridoi dell’Accademia potessero essere silenziosi durante la notte. E soprattutto come anche il minimo rumore rimbombasse all’infinito. Tuttavia Breda non si fece scoraggiare da questi dettagli mentre avanzava verso il luogo dell’appuntamento con Havoc: aveva la situazione perfettamente sotto controllo.
Si erano accordati di incontrarsi all’ingresso della biblioteca, due ore dopo lo spegnimento delle luci nei dormitoi.
Per Breda era la prima volta che rompeva il regolamento, ma non si sentiva a disagio: si era infilato silenziosamente i vestiti che aveva messo sotto il cuscino ed era uscito dalla camerata senza fare il minimo rumore.
L’Accademia aveva tutte le luci spente, tuttavia le finestre aperte dei corridoi permettevano alla luce lunare e dei lampioni del cortile di illuminare il percorso il tanto che bastava.
Arrivato alla porta della biblioteca, Breda si poggiò allo stipite a braccia conserte e attese, sperando che nessuno fosse di ronda in quel momento.
All’improvviso la luce di una torcia lo illuminò
“Allora sei venuto!” bisbigliò una voce
“Certo, pensavi che non mantenessi fede alla parola data?” chiese Breda
Havoc si fece avanti, illuminandosi il volto con la torcia: il suo viso esprimeva una grande soddisfazione per l’arrivo del compagno, come se avesse appena ricevuto una piacevole conferma.
“Non nutrirò mai più dubbi in merito, miglior allievo del primo anno. – esclamò infatti - Adesso vieni, ti faccio vedere da dove si passa”
Per quanto Havoc fosse evaso una sola volta, sembrava che facesse quel percorso da una vita quanta era la disinvoltura con cui apriva porte e passava per stanze buie. Breda lo seguiva silenziosamente, guardandosi indietro ogni tanto, giusto per controllare che nessuno li seguisse.
“Stai facendo un’ottima retroguardia” commentò Havoc a un certo punto, senza voltarsi a guardarlo
“Qualcuno ti deve pur coprire le spalle, no? – replicò Breda con schiettezza – Così non avrò problemi a ritornare al dormitorio una volta conclusa la serata”
“Uhm, non male come organizzazione… Comunque ecco qua, signore, la sua strada verso il paradiso è spianata” e con un gesto teatrale aprì un’ultima porta e si trovarono fuori dall’Accademia.
“Retro delle cucine” indovinò Breda
“Già… l’unico posto da cui poter sgusciare fuori senza dover passare in campo aperto. Lezione di strategia: non abbandonare mai una posizione sicura per andare in luoghi dove sarai sotto tiro”
 
Finalmente sicuri di non essere scoperti, si avviarono per le vie della città.
Alla luce dei lampioni Breda notò che Havoc con abiti borghesi, appariva ancora più grande.
Erano l’opposto: mentre lui sembrava più grande in divisa e con l’atteggiamento maturo, Havoc invece possedeva in determinati momenti una disinvoltura tale da farlo considerare più adulto dei suoi diciassette anni.
Quasi a voler aggiungere un tocco a quest’aria ribelle, il biondo tirò fuori da una tasca della sua giacca marrone un pacchetto di sigarette e se ne accese una.
“Quando hai iniziato a fumare?” gli chiese Breda
“Un paio di mesi fa. Ne ho provata una e mi sono accorto che non è niente male. – fece un profondo tiro espirando con soddisfazione il fumo – Ahhh! E’ un vero peccato che in Accademia siano proibite”
“Fanno male, lo sai?”
“Non più male dei capitoli di storia che sto studiando… - ribattè lui con un sorriso divertito – Ma che ti succede?”
Breda si era aggrappato alla manica della sua giacca e teneva lo sguardo fisso a terra. Aveva iniziato a tremare e sembrava che fosse sul punto di scappare via a gambe levate.
“Dimmi quando va via” mormorò con disperazione
“Ma chi? – chiese Havoc perplesso – Non c’è nessuno”
“Quella… quella cosa in mezzo alla strada”
“Eh? Ma io vedo solo un cagnolino?” fece Havoc
“Appunto”
“Non mi dire. – si sorprese il biondo – Hai paura dei cani?”
“Non è proprio corretto – ammise Breda – Ne ho vero e proprio terrore… e non chiedermi il perché. E’ andato via?”
“Si sta allontanando, tranquillo. Ecco, ora non c’è più, ha girato l’angolo”
La presa alla manica della giacca di Havoc si allentò e il cadetto dai capelli rossi parve recuperare un po’ di controllo. Tirò un paio di lunghi respiri e poi riprese a camminare.
Breda si sentiva terribilmente in imbarazzo per quell’incidente. Aveva sempre avuto un terrore pazzesco per i cani, persino per i cuccioli. Non sapeva spiegarsene il motivo: non era mai stato morso o aggredito da uno di loro durante l’infanzia. Semplicemente c’era un’incompatibilità di fondo che, per quanto si fosse sforzato, non era mai riuscito a superare. Sperava solo che Havoc non usasse questa scoperta contro di lui, ma sembrava che il biondo fosse interessato a fumare la sua sigaretta e non ritirò fuori l’argomento.
 
“Fumo e alcool. - commentò il cadetto rosso guardando i bicchieri che Havoc aveva svuotato in poco tempo, contro il numero molto minore dei suoi – Sai che sei una delle persone più viziose che conosca?”
“Vizioso… mah, sembra brutto come termine. – disse Havoc pensoso – Io direi invece che mi godo le cose che mi piacciono. Come fai tu, del resto: hai mangiato tutto quel vassoio di salatini da solo. Dalla tua stazza ho sempre pensato che fossi uno a cui piace mangiare, ed ecco la conferma”
“Sono una buona forchetta, lo ammetto” annuì Breda
“La gola è un vizio, Heymans Breda, e tu sei vizioso quanto me”
“Perché non la smetti di insultare? Vorrei ricordarti che ti sto aiutando con quegli esami di fine semestre”
“E dai, volevo solo divertirmi un po’… - scherzò Havoc – Che c’è? Hai problemi a dire che sei grasso?”
“Jean Havoc, rimangiati immediatamente quello che hai detto!” esclamò Breda puntandogli con finta ferocia uno stuzzicandenti contro.
“Rimangiare… vedi? Pensi al cibo anche quando minacci” sghignazzò il biondo
Quest’ ultima acuta affermazione provocò la risata di Breda, seguito subito da Havoc stesso.
Decisamente quel ragazzo era più furbo di quanto apparisse ad un primo impatto.
Breda si accorse di iniziare a nutrire per lui una strana forma di simpatia: per quanto gli stesse creando problemi con lo studio, doveva ammettere che stare in sua compagnia era più piacevole di quanto pensasse.
Ma ovviamente questo sarebbe terminato dopo gli esami del primo semestre: erano troppo diversi per poter stringere un vero rapporto d’amicizia e non è che lui ne sentisse la necessità. Gli piaceva parlare con gli altri, divertirsi e così via, ma per lui essere amici significava qualcosa di completamente diverso.
E poi, sicuramente, anche Havoc sarebbe tornato a stare con quelli della sua classe.
“Vediamo di non fare troppo tardi. – disse, guardando l’orologio appeso alla parete – Domani ci sono lezioni molto toste e dobbiamo anche dare un’accelerata alle nostre ripetizioni: i primi esami sono alle porte e devi prendere la sufficienza in tutte le materie”
“Oh dai, aspettiamo ancora un po’… a proposito: hai visto quella cameriera prima? Credo che mi abbia fatto l’occhiolino”
“Avrà almeno venticinque anni e tu diciassette; non credi di esagerare?”
“E che male c’è? Non vedo l’ora di essere più grande: forse l’anno prossimo non si limiterà all’occhiolino”
Fumo, alcool… come non aggiungere anche le donne alla lista dei vizi di quel ragazzo fuori di testa?
 
“Allora ti decidi o no ad aprire quella dannata busta?” chiese Breda con un sospiro, posando la schiena alla parete del corridoio. I docenti avevano appena consegnato a ciascun allievo i risultati degli esami: l’Accademia brulicava di allievi con facce esultanti o preoccupate, ma in ogni caso sollevate che quel primo ostacolo fosse passato.
“Non lo so… non me la sento” ammise Havoc, rigirandosi quel plico bianco tra le mani, quasi lo stesse studiando
“Eri preparato, più o meno, non puoi essere andato così male”
“Tu come sei andato?” chiese Havoc con sguardo accusatore
“Io sono andato bene… Vuoi sapere i dettagli? Massimo dei voti in otto materie su dieci. - rispose senza pietà Breda – Del resto se ti hanno affiancato a me per studiare, dovevi aspettartelo, no?”
“Oh, dannazione! Ma perché non sei come tutti gli altri cazzo di secchioni?”  serrò gli occhi Havoc arruffandosi con rabbia i capelli biondi
“Che cosa vorresti dire?”
“Che quelli bravi dovrebbero essere quattrocchi mingherlini da prendere a pugni! Tu non sei come loro!”
“Vuoi prendertela con me perché non sei bravo? Questa è veramente una grossa stronzata! Se vuoi fare a botte, fai pure… ma prima guarda quei dannati risultati!”
Quella risposta brusca parve avere l’effetto desiderato e Havoc si decise ad aprire la busta.
Breda lo guardò con ansia mentre spiegava il foglio e lo leggeva. In quelle ultime due settimane si erano massacrati di studio per fargli recuperare tutte o quasi le lacune che aveva. C’erano momenti in cui gli sembrava di essere un cuoco che metteva in una pentola centinaia e centinaia di ingredienti, senza sapere se il tutto gli sarebbe esploso nelle mani.
Anche Havoc sembrava non potercela fare più: ormai aveva rinunciato a qualsiasi tentativo di rifiuto, ma certe volte sembrava che dovesse crollare irrimediabilmente.
Onestamente Breda aveva spesso temuto che, durante gli esami, il compagno desse risposte di diritto a domande di geografia o qualche disastro simile. In fondo si stava giocando anche parte della sua reputazione agli occhi dei docenti
“E allora?” chiese
Ma vedendo che Havoc continuava a fissare quel foglio incredulo, perse la pazienza e glielo strappò di mano.
“Cosa… ? Ma perchè facevi quella faccia!? Hai passato tutti gli esami, Havoc!” esclamò
“Tutti… ho preso la sufficienza persino in storia!” riuscì a dire lui, riprendendosi
Si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere, dandosi vicendevolmente pacche sulle spalle.
“E’ grandioso! – sospirò Havoc dopo un po’, riprendendo in mano quel foglio – Adesso mi aspetta un secondo semestre di pace e tranquillità!”
“Cerca di studiare con costanza, invece. – lo rimproverò Breda – Se ti ritrovi di nuovo con l’acqua alla gola anche a fine anno, i docenti potrebbero cambiare idea su di te!”
“Hai ragione… - riflettè il biondo con aria pensosa – Trovato! Non ci sono problemi perché mi aiuterai tu!”
“Cosa?” si sorprese Breda
“Beh, ora posso essere sincero con te. Quando il colonnello Grey ci ha messo a studiare insieme ho pensato che sarebbe stata una vera rottura di scatole. Insomma… pensavo che fossi una persona pallosa e insopportabile. Invece mi piaci, Breda, sul serio. E sei un ottimo compagno di squadra, come hanno dimostrato le ultime evasioni che abbiamo fatto la scorsa settimana”
“Grazie per non considerarmi una persona noiosa” disse con ironia Breda
“Allora siamo amici?” chiese Havoc tendendo la mano con sincera aspettativa
Breda la fissò perplesso, ripensando alle milioni di diversità che c’erano tra di loro. Quante possibilità aveva un’amicizia tra due persone così diverse?
Tuttavia per una volta tanto decise di non riflettere troppo: qualcosa gli diceva che valeva davvero la pena di provarci.
“Sì – rispose, accettando quella stretta così vigorosa – siamo amici, Jean Havoc”




_______________
Angolo dell'autrice.
E con questo capitolo si concludono le vicende del primo anno di Accademia del nostro duo. Infatti nel prossimo li troverete già diciottenni e al secondo anno di Accademia.
Anche qui toni tranquilli, potrei dire scolastici. Ma serviva un capitolo che evidenziasse bene i due differenti caratteri, in particolare i diversi punti di vista per determinati argomenti. E' uno studiarsi e sfidarsi a vicenda che sfocia in quella stretta di mano finale, quando entrambi capiscono che tutte le loro diversità non possono impedire la nascita della loro amicizia.
Ho una bella notizia e una brutta: la bella è che anche il capitolo successivo è stato partorito... anche se adesso è in "Sala revisione perchè l'autrice è molto dubbiosa di alcuni punti". La cattiva (?), almeno per quelli che sono curiosi di continuare... è che dopo di quello non ho scritto assolutamente nulla XD
Insomma, in testa ho più o meno in mente la scaletta da seguire, ma niente è stato buttato giù ^^'

Abbiate fede... e ne "abbio" pure io XD

Un bacio

Laylath

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Capitolo 4
*** Primavera - estate 1906. Teoria dell'amore. ***


“Stasera devo incontrare una ragazza e ho bisogno di te!” esclamò Havoc, sedendosi davanti a Breda in sala mensa.
“Scordatelo” dichiarò il compagno, senza nemmeno alzare lo sguardo dagli appunti che stava studiando per gli esami di fine semestre.
“E dai, Breda, sei o non sei il mio migliore amico?” supplicò il biondo arrivando a congiungere le mani in gesto di preghiera.
Breda alzò gli occhi al cielo, riflettendo su come questa storia venisse casualmente tirata fuori quando più faceva comodo. Che lui e Havoc fossero migliori amici ormai era un dato di fatto: un anno fa forse non avrebbe scommesso molto sulla durata del loro rapporto iniziato in maniera così particolare e forzata ma, a dispetto di tutto e tutti, si era dovuto ricredere. Col tempo si erano conosciuti davvero bene ed ormai era naturale intendersi con pochi sguardi o parole.
E quindi Breda sapeva perfettamente che Jean Havoc era il tipo di persona estremamente esuberante che cerca di coinvolgerti nelle sue iniziative, volente o nolente. E che una volta che si era messo in testa qualcosa si intestardiva tantissimo pur di ottenerla.
“Fammi indovinare – disse, cercando di smorzare, molto probabilmente invano, l’entusiasmo – Mi costringerai a venire al pub solo per farti da spalla quando lei ti mollerà dopo soli venti minuti? Come è successo… vediamo, dieci giorni fa?”
“La storia con Melanie è stata un errore; – dichiarò Havoc con convinzione – ma questa volta, con Alexia, è diverso lo so. E poi tu non dovrai stare nascosto: mi servi perché lei porta un’amica”
“Cosa? Oh no, Havoc… tra tutte le cose che mi puoi chiedere, questa no!” si irrigidì Breda
“E dai! In un anno che ci conosciamo non ti ho mai visto provarci con una”
“Forse perché non mi va di farlo con ragazze che incontro per poche ore, al contrario di qualcuno qui presente”
“Avresti bisogno di una ragazza” dichiarò Havoc con convinzione
“Anche tu, di una che non ti scarichi dopo pochi giorni”
“Andiamo Breda, non ci devi mica provare con l’amica di Alexia, va bene? Le devi solo tenere compagnia… e alle meraviglie dell’amore ci penserò io”
 
Seduto al tavolo del solito locale, mentre osservava Havoc che aspettava impaziente l’arrivo delle ragazze, Breda si soffermò a riflettere sulla spinosa questione dell’amore.
Il suo amico biondo aveva un rapporto molto intenso con il gentil sesso, specialmente da quando avevano iniziato il secondo anno e potevano godere di due sere a settimana di libera uscita, a patto che rientrassero agli orari stabiliti. Fisicamente era un bel ragazzo e riusciva anche molto simpatico, ma aveva la tendenza a rovinare tutto per la troppa “passione” che metteva sin dalle prime ore. A volte gli capitava di pensare che Havoc fosse più innamorato del concetto di avere una fidanzata che della persona che frequentava e questo lo portava a idealizzare in maniera eccessiva un rapporto appena agli inizi, con i risultati che ne conseguivano.
Ad ulteriore prova di questa teoria c’era la rapidissima tempistica con cui Havoc si riprendeva dalle sue sbandate d’amore. Massimo una settimana ed era di nuovo a caccia di nuove prede, come se le lacrime versate non fossero mai esistite: già, le lacrime… non aveva mai visto un uomo piangere come un vitello come lui. Aveva perso il conto di quante volte gli aveva inzuppato la manica della divisa in imbarazzanti scene di rimpianti amorosi.
Per quanto riguardava se stesso, invece, l’amore era una materia strana. Non che non fosse attratto dalle donne, tutt’altro, ma non aveva mai sentito l’esigenza di avventurarsi in un percorso così particolare. Inoltre la presenza di Havoc costituiva, senza volerlo, un ulteriore ostacolo: era abbastanza ovvio chi fosse tra i due ad attirare l’attenzione.
Jean in quell’anno era molto cresciuto, perdendo gli ultimi residui dell’adolescenza; aveva i capelli biondi lievemente più lunghi rispetto al loro primo incontro ed aveva ulteriormente irrobustito il suo fisico asciutto e slanciato.
Lui invece non era cambiato molto, se non in quel centimetro d’altezza che l’aveva assestato alla spalla di Havoc. Il suo viso, dai lineamenti marcati e il naso deciso, non aveva subito particolari cambiamenti ed i capelli rossicci erano sempre gli stessi. Sapeva di non essere un ragazzo particolarmente avvenente, considerata anche la sua stazza, ma fare coppia con Havoc spesso e volentieri significava sparire del tutto
I suoi pensieri furono interrotti dall’arrivo di due ragazze. Havoc si alzò dalla sedia, con la solita espressione felice, e si fece avanti. La sua nuova fiamma era una bella ragazza, bionda come lui, dal viso delicato, un gran bel sorriso e, ovviamente, le curve pronunciate. I due si baciarono appassionatamente e poi Havoc si girò verso Breda
“Alexia, lui è il mio miglior amico: Heymans Breda”
“Ciao Alexia” salutò Breda, alzandosi e stringendole la mano
“Ciao Heymans. Lei invece è la mia amica Kate. Avanti, stupidina, non essere timida!” rise Alexia
La seconda ragazza si fece avanti e Breda potè osservare bene la sua compagna per quella sera. Era bionda anche lei, sebbene fosse un colore più vicino al castano; i suoi occhi erano color nocciola in un viso dai lineamenti particolari, così diverso dalla solita delicatezza femminile delle ragazze di Havoc. Ma quel mento pronunciato e quel naso dritto le conferivano un carattere veramente insolito.
“Molto piacere, sono Heymans Breda” si presentò lui
“Piacere mio, mi chiamo Kate” rispose lei con voce chiara e musicale e un sorriso molto accattivante
E Breda pensò che, forse, la serata non sarebbe stata noiosa come aveva temuto.
 
Il rapporto tra Havoc e Alexia durò poco più di tre settimane, concludendosi come al solito.
La vera sorpresa per Breda fu di iniziare a frequentarsi con Kate: dapprima furono solo incontri a quattro nel solito locale, ma poi decisero di vedersi anche da soli, nei giorni di libera uscita.
Inizialmente, dopo la rottura tra Havoc e Alexia, si sentì leggermente in colpa nei confronti dell’amico, ma sembrava che il biondo fosse profondamente felice per lui, come se si fosse levato un grande cruccio dalla testa. Breda si sorprese a pensare che molto probabilmente Havoc aveva organizzato quel primo incontro a quattro anche per cercare di sistemare lui.
E stranamente c’era riuscito.
Kate era la sua prima ragazza ed era strano trovarsi a gestire quella situazione così particolare. Una relazione per funzionare ha bisogno della collaborazione di entrambi e se c’era una cosa che preoccupava Breda era quella di doversi affidare anche a lei. Però col passare delle settimane si accorse che lui e Kate erano una buona squadra, affiatata e tranquilla. Lei non aveva le pretese della maggior parte delle ragazze di Havoc: le piaceva parlare di libri, politica e svariati argomenti. Era indubbiamente una ragazza di notevole intelligenza e arguzia e, per uno come Breda, avere così tanti spunti di conversazione era molto confortante. Con una donna interessata solo ed esclusivamente a romanticherie si sarebbe di sicuro trovato a disagio e con poche possibilità, ma sembrava che per Kate il romanticismo fosse solo un accessorio non indispensabile per quella relazione.
Il primo bacio che si scambiarono fu quasi inaspettato, al termine di una serata in cui non avevano fatto altro che parlare della situazione politica dei territori dell’est, da dove provenivano entrambi. Non ci fu nessun collegamento logico tra gli ultimi disordini provocati da gruppi di ribelli ed il fatto che, pochi secondi dopo, lui la stava tenendo stretta mentre le loro labbra si incontravano.
Un bacio è puro istinto: non segue alcuna regola e si affida esclusivamente alle sensazioni di entrambi. Fu la cosa più esaltante che Breda avesse provato fino a quel momento: sentiva tutti i suoi sensi perdere il contatto con la realtà per concentrarsi sulle loro bocche che si incontravano. Quando lei schiuse le labbra e le loro lingue iniziarono a stuzzicarsi, Breda, in un angolo remoto della sua mente, iniziò in qualche modo a capire perché Havoc cercasse così tanto la compagnia di una ragazza.
Ma per lui era differente: una donna che non era Kate non gli avrebbe mai fatto provare quello che stava vivendo in quel momento, ne era certo.
 
“Allora, come vanno le cose con Kate?” chiese Havoc dopo circa tre mesi
“Bene” rispose Breda, senza aggiungere altro.
“Ho notato che ultimamente vi state vedendo più spesso”
“Sì… lei è molto più libera in questo periodo. Sai, l’istituto che frequenta ha terminato i corsi e ora hanno più tempo a disposizione prima degli esami finali”
Non ottenendo nessun commento alla risposta, Breda guardò il compagno: sembrava che Havoc  fosse terribilmente imbarazzato e cercasse di arrivare a qualche punto preciso, ma che fosse altresì totalmente ignaro su quale via prendere. Breda si mise a braccia conserte e si mise a fissarlo con insistenza, aspettando di provocare la sua reazione. Infatti dopo una decina di secondi Havoc arrossì e chiese
“Forse non sono affari miei… – iniziò grattandosi il collo – Ma tu è Kate siete arrivati a farlo?”
“Hai ragione, non sono affari tuoi” rispose Breda, senza nemmeno arrabbiarsi
Però iniziava a pensare che con Kate le cose stessero rapidamente andando verso quella direzione. Ma riteneva la cosa strettamente personale e non voleva condividerla nemmeno con lui.
“Scusami, non volevo essere indiscreto…” disse nel frattempo Havoc
“Fa niente, Havoc, lascia stare. Pensa alle tue donne e non alla mia”
 
Quel mese di maggio prometteva di essere più caldo del previsto: il sole batteva come nel periodo estivo e l’afa in città era quasi insopportabile. Per questo una gita nella più fresca campagna era qualcosa di assai gradito.
Ma Breda non stava pensando alle condizioni meteo in quel momento. Stava concentrato su quelle mani candide che gli stavano sbottonando la camicia da cadetto per potersi infilare a toccare la sua pelle.
Era sdraiato in mezzo all’erba alta di un campo abbandonato, con Kate accanto a lui.
Come sempre tutto era iniziato improvvisamente: un momento stavano parlando di chissà che cosa e l’attimo dopo erano uno attaccato all’altra; ma questa volta si stava andando ben oltre i soliti baci e abbracci.
Era stata lei a prendere l’iniziativa vera e propria, afferrando la mano destra di lui e portandosela al seno. Breda si era staccato dalle sue labbra, scostando il viso dal suo quel tanto che bastava per guardarla con curiosità, come per chiederle se era davvero sicura di voler andare avanti.
E sembrava che lei fosse perfettamente d’accordo, quando inizio a baciarlo sul collo.
“Kate… - aveva mormorato – sei certa?”
“Voglio fare l’amore con te…” aveva risposto lei salendo a baciargli il mento.
E da quel momento era stato impossibile fermarsi: c’era una nuova voglia che coinvolgeva i loro corpi, portandoli ad esplorarsi in una maniera del tutto nuova e inebriante. Non esistevano più regole o falsi pudori, esisteva solo la brama di amarsi in maniera completa e assoluta per sfogare quel desiderio così bello.
Seguendo l’istinto Breda si portò sopra la ragazza, mentre con le mani le sollevava leggermente la gonna per poter sfiorare la pelle liscia delle sue gambe. Era dolorosamente consapevole delle dita delicate che gli accarezzavano la schiena, sotto il tessuto della camicia: quel contatto pareva bruciare più del sole di mezzogiorno. Man mano che si avvicinava alla parte alta delle gambe di lei, sentiva la sua virilità pulsare prepotentemente all’interno dei pantaloni  e sembrava che tutto il resto del suo corpo gli gridasse di congiungersi con quello della ragazza.
Anche lei sembrava altrettanto incapace di controllare il desiderio che li stava tormentando.
“Amami… – sussurrò infatti con occhi socchiusi, le iridi castane rese più chiare dai raggi del sole – Ti prego… Heymans”
Sentire il suo nome pronunciato con quel tono sensuale gli provocò una scarica di elettricità in tutto il corpo. Non poté far altro che baciarla con passione, sperando di comunicarle con quel gesto che sì, l’avrebbe amata con tutto se stesso, con tutta la forza di quel primo amore così stupendo e intenso.
Lei sollevò il bacino in un impulso frenetico, andando a farlo sbattere contro il suo.
Dio santo, doveva subito levarsi quei dannati pantaloni o sarebbe esploso.
Che erano entrambi vergini non era un mistero. Breda sapeva che poteva essere doloroso per lei, ma non si era posto il problema: se Kate era pronta ad accettare il dolore, lui non si sarebbe fermato. E così, dopo una prima contrazione  da parte di lei, si mosse imponendo ai loro corpi un ritmo lento ma deciso, fino a quando i movimenti di entrambi trovarono una perfetta sintonia .
Fecero l’amore così, in quel campo, senza nemmeno essersi levati del tutto i vestiti. Che importava se lui aveva i pantaloni e i boxer calati al ginocchio e lei la gonna sollevata e l’intimo alle caviglie? Importava solo essere congiunti, consapevoli che uno era dentro l’altra in un momento di perfezione assoluta in cui il mondo si riduceva soltanto a loro due.
Nessuno dei due raggiunse l’apice del piacere: erano troppo inesperti per poterlo fare. Ma fu qualcosa di incredibilmente appagante sia fisicamente che in modo molto più profondo.
“Ti ho fatto molto male?” chiese alla fine quando si staccarono, esausti e ansimanti
“Non più di quanto mi aspettassi” mormorò lei accarezzandogli il mento
“Ti amo, Kate, lo sai?” disse dopo qualche istante, facendole sollevare il capo per poter passare il braccio attorno al suo collo
“Ti amo pure io, Heymans” rispose lei accoccolandosi al suo petto.
E in quei momenti Breda, accarezzando i capelli morbidi biondi, lievemente umidi, capì perché Havoc l’aveva osservato in quel modo così strano, qualche giorno prima. Lui non aveva mai provato la sensazione di tenere stretta una ragazza dopo averla amata. Tutte le donne che aveva avuto non gli avevano concesso l’intimità che Kate aveva dato a lui, non l’avevano mai guardato con occhi sognanti dopo aver fatto l’amore.
Jean Havoc, il tuo modo di amare è così lontano da quello che sto provando adesso… sei proprio uno stupido.
 
I motivi per cui, qualche mese dopo, la loro storia d’amore finì nessuno dei due seppe mai spiegarli.
Sulle prime Breda aveva pensato che Kate potesse essere rimasta incinta da quel rapporto privo di qualunque protezione, ma non era successo niente di simile, con grande sollievo di entrambi.
Non c’erano nemmeno stati litigi, discussioni o alterazioni d’umore da parte di uno dei due.
Era come se, semplicemente, dopo aver raggiunto l’apice della perfezione in quel mattino di maggio, fosse venuto a mancare lo scopo principale per cui si erano frequentati. Nelle loro uscite serali iniziarono a crearsi silenzi imbarazzanti nei momenti dove prima erano presenti i baci e, molto spesso, finivano solo col parlare, aspettando entrambi il momento del congedo.
A inizio settembre arrivò il momento in cui la situazione non era più sostenibile.
“Sai, ho terminato gli studi in istituto finalmente. Oggi hanno esposto i risultati degli esami finali ed è andato tutto bene, anzi, meglio del previsto.” disse Kate una sera, mentre passeggiavano per la strada
“Sono felice per te. – annuì Breda. Non si stavano tenendo per mano e non c’era alcuna voglia di baciarsi per festeggiare quell’avvenimento. Quella sera sarebbe finito tutto, lo sapeva. – E ora cosa farai?”
“Tu hai ancora un semestre di Accademia, vero?” chiese invece lei
“Sì, terminerò a fine anno”
“Spero che avrai fortuna nell’esercito, Heymans. Sai… - esitò - i miei stanno pensando di trasferirsi a Central City”
“Capisco” annuì lui fissando la luce di un lampione, ancora incerta per gli ultimi sprazzi di tramonto
“Forse non è il caso di continuare qualcosa che… non sapremmo gestire”
Era una bugia chiaramente: l’avrebbero potuta gestire benissimo, avevano tutte le carte in regola per farlo. Semplicemente era finita, come una fiaccola delle feste di paese che arde scintillante e poi piano piano si affievolisce fino a spegnersi.
“Perché non diciamo semplicemente che non ci va più?” disse con franchezza Breda, guardandola negli occhi: erano sempre stati schietti uno con l’altra. Almeno in questo non era il caso di cambiare.
“Hai ragione – mormorò lei dopo qualche momento, con un pallido sorriso – In fondo che senso ha mentirci in una cosa che sappiamo entrambi?”
“Per l’appunto.”
“Heymans… ti giuro che mi dispiace. – ammise lei dopo un minuto di silenzio - Ma, non so nemmeno io cosa ci è successo”
“Forse non dovevamo fare l’amore? In fondo la cosa ha iniziato ad andare a rotoli qualche settimana dopo” propose lui con un mezzo sorriso
“No, di quello non mi pentirò mai e non farlo nemmeno tu. E’ stato il momento più bello della mia vita”
“Allora forse era semplicemente qualcosa che non era destinata a durare, tutto qui” ammise Breda con una scrollata di spalle, cercando di sembrare più tranquillo di quanto in realtà fosse.
“Forse hai ragione. Ma sei stato il mio primo grande amore. E per me è valsa la pena viverlo tutto.” disse lei accarezzandogli il mento per l’ultima volta. Sul viso il sorriso accattivante che l’aveva tanto colpito la sera in cui l’aveva conosciuta: ora che si stavano liberando di questa relazione sembravano essersi ripresi entrambi… in apparenza.
“Oh, sì Kate, – annuì, con sincerità, ricambiando il gesto e seguendo il contorno di quel mento così pronunciato – Ne è valsa davvero la pena”
Non si dissero altro; rimasero per un minuto a fissarsi, domandandosi come potersi salutare. Ma alla fine nessuno aprì bocca: lei semplicemente si girò e andò per la sua strada, lasciandolo solo sotto quel lampione.
E lui rimase lì a fissare la luce artificiale che, man mano che il buio avanzava, prendeva vigore.
Il caldo sole di quel maggio afoso sembrava incredibilmente lontano.
 
Qualche ora dopo era sdraiato supino nel suo letto, nella camerata vuota per il giorno di libera uscita. Aveva le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi chiusi: aveva scoperto che la luce della stanza assomigliava così tanto a quella del lampione da dargli uno strano fastidio.
E così era finita: da una parte si sentiva sollevato, ma dall’altra faceva indubbiamente male. Per quanto non provasse per Kate gli stessi sentimenti di qualche mese prima, i suoi pensieri non potevano fare a meno di tornare ai momenti felici che aveva trascorso con lei. E questo era un aspetto dell’amore che non aveva mai considerato: come fosse dannatamente vigliacco da farti male quando le cose erano finite e teoricamente non ti dovrebbe più importare.
Un sobbalzo alla sua destra con il rumore delle molle del materasso gli fecero capire che non era più solo. Non aveva bisogno di aprire gli occhi per sapere di chi si trattasse. Rimase in silenzio, fino a quando Havoc parlò
“Allora fra te e Kate è finita” disse
“E’ finita” ammise in tono piatto
Non ci fu nessun “mi dispiace” o qualche gesto confortante. Dopo diversi minuti di silenzio Breda aprì gli occhi e si alzò il tanto necessario da guardare Havoc. Il biondo fissava davanti a se, lo sguardo concentrato come se stesse riflettendo su qualcosa di importante.
“Che hai?” gli chiese
“Secondo te, perché due persone smettono di amarsi?” domandò Havoc senza cessare di fissare il vuoto.
Era una domanda così idiota… eppure così sincera da fare male. Breda avrebbe proprio voluto conoscere la risposta, ma non c’era libro o insegnamento che poteva darla. Semplicemente era la natura umana.
“Forse perché ci sono cose che sono destinate a durare poco, per quanto belle”
“Ma non è giusto: proprio perché sono belle dovrebbero durare, non credi?”
“Havoc, hai il dono di fare domande che mi mettono in difficolta, lo sai?” sospirò Breda risdraiandosi
“Se vuoi che me ne vada, non hai che da chiedere. So bene che non sono bravo a…” disse Havoc lasciando la frase in sospeso
Sulle prime Breda fu tentato di dirgli di andare via: le sue domande erano l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Ma c’era uno strano, notevole, conforto ad averlo accanto e sentirlo parlare in quel modo imbarazzato e goffo. Almeno lo faceva pensare ad altro…
“E’ strano, vero? – gli disse con un mezzo sorriso – Per una volta tanto i ruoli si sono invertiti e ora ti trovi tu a dover consolare me”
“Mi sento in colpa; in fondo te l’ho presentata io. E ne andavo anche fiero”
“Non sentirti in colpa. La storia tra me e Kate doveva andare così e basta… e ora perché mi guardi così?”
“Cazzo Breda, ma perché non piangi? – disse, in tono lievemente esasperato, Havoc grattandosi i capelli – Vorrei confortarti, ma tu sembri meno turbato di me… non so cosa fare! Ti offrirei la mia spalla, ma tu sei così… calmo, in maniera oltremodo irritante! Ecco!”
“Finiscila. Siamo alle solite: quando non sai come gestire una situazione ti scaldi…” sospirò Breda, assai poco disposto a cercare di calmarlo. Possibile che Havoc non capisse che le persone potevano stare male in maniera differente dalla sua?
“Visto che lo sai potresti darmi una mano! – sbottò lui – Dato che tu non vuoi la mia! Eppure sono stato mollato così tante volte che so come ci si sente, non credi?”
C’era una nota d’accusa in quell’ultima frase, quasi che Havoc si sentisse tradito da quella che vedeva come una mancanza di fiducia nei suoi confronti. Breda in altre occasioni avrebbe lasciato correre, tuttavia proprio quella frase gli diede molto fastidio per un motivo molto particolare
“Hai mai fatto l’amore?” gli chiese a bruciapelo alzandosi a sedere nel letto
Havoc lo fissò sbigottito, ma poi scosse il capo
“No. Non sono mai andato oltre il bacio e qualche occasionale… uhm… palpata. Come sai i miei rapporti non durano molto – sospirò pensoso – E non so perché…”
“Ascoltami bene, adesso, perché te lo dirò una sola volta. C’è un abisso di differenza tra le tue storie del cazzo e il mio rapporto con Kate, capito? Tu non hai la minima idea di cosa vuol dire stare con una ragazza per più di un mese! – ora iniziava ad arrabbiarsi davvero, tanto che lo prese per il colletto – Tu non sai cosa significa stare accanto a lei, parlare di milioni di argomenti e scoprire che è la cosa che ti piace di più al mondo! Tu hai avuto decine di ragazze, ma nessuna di loro ti ha mai guardato in quel modo speciale… dopo che avete fatto l’amore ed è stata la cosa più bella dell’universo! Tu sei solo un coglione, Havoc!”
“Vaffanculo, Breda – sbottò lui spintonandolo e facendogli mollare la presa – Se io sono coglione, tu lo sei il doppio… se era una cosa così meravigliosa perché te la sei lasciata scappare?”
“Non lo so, va bene? – esclamò con rabbia mentre una singola lacrima gli colava nella guancia destra. Era questo che faceva fottutamente male: non sapere il perchè – Se lo sapessi pensi che non cercherei il modo di rimediare? Oppure credi che ci goda a stare in questo cazzo di letto a chiedermi cosa è successo e dove abbiamo sbagliato sia io che lei? Che mi diverta cercare di convincermi che doveva andare così e basta? Quando invece non doveva!”
“Oh cazzo… no dai! Quando mi lamentavo del fatto che non piangessi… non è che…”
“Oh, finiscila! – tirò su col naso Breda, asciugandosi quell’unica lacrima – Jean Havoc… il ragazzo più figo dell’Accademia! Dici di esserti innamorato almeno due volte al mese, ma qual è la realtà dei fatti? Che dell’amore vero non sai niente, idiota! E lo sai bene pure tu!”
“No, hai ragione! – scattò Havoc alzandosi dal letto – Forse sono così lento che ho bisogno che mi dia delle ripetizioni anche in questa materia, eh? Vaffanculo, Breda!” e con quelle parole si avviò a grandi passi verso l’uscita della stanza.
Breda rimase seduto a fissare la porta per diversi minuti. L’ultima frase non avrebbe dovuto dirla, lo sapeva… ma gli faceva troppo male l’idea che il suo rapporto con Kate fosse stato paragonato a quelle storie senza importanza. Sapeva che Havoc non l’aveva fatto intenzionalmente e che tutto era stato detto in buona fede; dannazione, forse era meglio andare a cercarlo.
Controvoglia si alzò in piedi, ma prima che potesse compiere qualche mossa la porta si aprì e Havoc rientrò a grandi passi nella stanza, dandogli una spinta sulle spalle e rimettendolo a sedere con violenza.
“Non dire niente! – lo zittì prima che potesse dire qualcosa – E’ vero, non so un cazzo dell’amore vero, per quanto mi sia illuso molte volte di esserne un esperto. Non so cosa vuol dire fare l’amore con una ragazza e ammetto che ti ho invidiato tantissimo quando ho visto che le cose tra te e Kate andavano bene. Ma ero felice, sul serio… merda, se c’è una persona che merita una brava ragazza sei tu. Prima volevo solo… aiutarti… ed invece mi sono incazzato come uno scemo. Scusami…”
Le sue mani non avevano mollato la presa sulle spalle robuste di Breda ed il rosso si accorse che ora quel contatto tremava lievemente. Riuscì a sorridere
“La situazione è sfuggita al controllo di entrambi, mi sa. Fa niente” disse, posando una mano sul braccio di lui
“Non hai voglia di evadere al pub, vero?” chiese Havoc leggermente sollevato
“Preferirei evitare” annuì Breda
“Se ti dicessi che ho una bottiglia di liquore nascosta?”
“Iniziamo a ragionare… valla a prendere”
Mentre Havoc sorrideva e correva via, palesemente lieto di aver trovato un modo di tirarlo su di morale, Breda si trovò a pensare che forse era un bene che il suo amico fosse ancora così ingenuo nei confronti dell’amore. Le ragazze che aveva avuto non gli avevano dato ciò che lui aveva provato con Kate e di conseguenza le separazioni non erano mai state così dolorose, a prescindere dalle lacrime versate. In fondo Havoc non era ancora pronto per una sensazione così sgradevole come quella che stava attanagliando lui.
 
Tuttavia era inevitabile che anche il biondo provasse di lì a poco l’esperienza di un vero amore. Al contrario di quella fra Breda e Kate, fu una storia abbastanza travagliata, fatta di litigi e riappacificazioni. A distanza di anni Breda si ricordò sempre di Lucy e di quei quattro mesi di follia che avevano massacrato il suo migliore amico. 
Al contrario di lui, Havoc lottò disperatamente contro l’evidenza che non c’era più niente da fare. Si rifiutò di accettare fino all’ultimo la fine di quella relazione.
E questa volta non ci furono molte lacrime versate, come invece era solito succedere. Per diverse sere Breda rimase in silenzio, accanto a lui, a guardare quegli occhi azzurri asciutti che fissavano il fumo della sigaretta come ipnotizzati.
Sarebbe dovuto passare del tempo prima che Jean Havoc avesse di nuovo voglia di guardare una ragazza.
L’amore era davvero vigliacco: prima ti faceva toccare il cielo con un dito e poi ti buttava a terra in quel modo, senza apparente motivo
No, non esisteva nessuna teoria per controllarlo.



________________________
Angolo dell'autrice.
Ok, spero siate sopravvissuti a questo capitolo particolarmente lungo che non ho avuto il cuore di spezzare in due. 
Tematica particolare affrontata dal personaggio forse meno "carino" del team di Mustang. Però mi è venuto spontaneo porre Breda a confronto con l'amore: tra i due è sempre Havoc quello che ha a che fare con le donne, ma questo non significa che anche il suo amico non abbia avuto le sue esperienze. E' abbastanza strano pensare che tra i due sia stato Breda il primo ad avere una storia importante, ma forse era quello con più maturità per affrontarla.
L'ho rivisto e rivisto e alla fine ne sono abbastanza felice, considerato che per me è una tematica nuova da trattare in una ff.
Spero di non aver esagerato in qualcosa :P

A presto

Laylath

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Capitolo 5
*** Gennaio 1907. Riti di passaggio. ***


“Complimenti, cadetto Breda. Anzi, perdonami, soldato Breda” si congratulò il colonnello Grey stringendogli la mano con vigore
“La ringrazio signore – rispose il neo soldato – è stato un onore frequentare l’Accademia”
“Sono certo che terrai alto il nome dell’esercito, come hai fatto splendidamente in questi due anni di corso”
“Farò del mio meglio”
“In tutta onestà, spero che delle giovani promesse come voi non debbano troppo presto… - l’uomo esitò e poi scosse la testa – Ah, lascia stare le farneticazioni di un vecchio soldato, giovanotto. Vai a goderti la cerimonia; ti ho trattenuto anche troppo”
Con un’ultima stretta di mano il colonnello Grey si congedò da Breda.
Questi lo guardò allontanarsi, chiedendosi come aveva fatto quella figura ad infondere così tanto timore reverenziale per due anni di seguito. Adesso gli sembrava un uomo come tutti gli altri, sebbene di grande autorità. Forse tutto dipendeva dalla nuova divisa che lui indossava: la divisa di un soldato regolare dell’esercito di Amestris. Non più i pantaloni marrone e la camicia bianca dell’Accademia, ma quei caratteristici pantaloni blu terminanti a sbuffo e quella giacca col risvolto così particolare a destra. In genere sotto di essa si indossava una camicia, ma c’era la possibilità di mettere anche una canotta bianca o nera: lui, considerato che i bottoni gli avevano sempre dato fastidio, decise che avrebbe sempre optato per le più comode magliette.
Sistemandosi meglio il berretto si diresse verso il capannello di persone che stava nel cortile principale dell’Accademia, preparato appositamente per la cerimonia di fine corso. Ora Amestris aveva centoventi nuovi soldati di cui andare fiera.
Però c’era ben poca marzialità in quelle figure in blu che festeggiavano e ridevano circondate dalle loro famiglie. Le facce serie e composte erano sparite nel momento in cui il colonnello Grey aveva concesso loro di lanciare i berretti per aria, come era tradizione.
Già, il colonnello Grey. C’era un’espressione malinconica nei suoi occhi in genere così fieri, come se fosse preoccupato.
Chissà, forse aveva ricevuto brutte notizie dal fronte sud: non era un mistero che la guerra civile iniziata ad Ishval si stava espandendo rapidamente nel distretto Sud ed in quello dell’Est. Ora anche zone che prima erano pacifiche venivano interessate da sommosse: per il momento, almeno si diceva, si trattava di disordini di poco conto, ma era molto probabile che le bande di rivoltosi si organizzassero molto rapidamente. E così Amestris si sarebbe trovata militarmente impegnata in tutti i punti cardinali.
Forse il colonnello aveva timore che persino i neo soldati, come loro, venissero mandati al fronte. In genere passava circa un anno prima che arrivassero ordini simili, ma era anche vero che si trattava di un periodo di crisi particolarmente delicato.
“Ehi Breda! Dove cavolo eri finito?” Havoc lo raggiunse di corsa e lo prese per le spalle con un grande sorriso. Se c’era una persona che si stava godendo pienamente la fine dell’Accademia era lui
“Niente, il colonnello Grey voleva solo prendere congedo da me”
“Oh certo, il miglior allievo del corso! – lo sbeffeggiò il biondo, mettendosi sull’attenti – Tutto l’esercito è ai tuoi piedi”
“Molto spiritoso, Havoc. Intanto hai passato tutti gli esami finali grazie a me, vogliamo ricordarlo?” ribattè Breda
“Abbiamo solo studiato insieme. – scosse il capo Havoc – Ma adesso, sei pregato di lasciare ogni questione riguardante gli esami e l’Accademia alle spalle. Avanti! Vieni! Ti devo presentare la mia famiglia!”
E con spinte entusiaste lo trascinò verso la folla festante.
 
Capelli biondi, occhi azzurri, musetto sfrontato e sorridente: Janet Havoc era decisamente la sorella di Jean.
“Ma guardati, fratellone! Con questa divisa da soldato sembri anche una persona seria!” esclamò la ragazzina squadrando Havoc con aria divertita.
“Ti sembra questo il modo di rivolgerti a tuo fratello maggiore?” chiese con finta ferocia il ragazzo sollevandola in aria con una mano sola e suscitando le sue risate entusiaste
“Ragazzi, state calmi – li rimproverò la madre, una donna di circa quarantacinque anni dai modi gentili e pacati – Siamo ad una cerimonia, non dimenticatelo”
“Ah, lasciali stare, Angela, - sorrise il signor Havoc, biondo come i figli e alto quanto Jean – Sono mesi che non si rivedono”
Breda osservava divertito quel quadretto familiare. Gli Havoc erano molto più chiassosi e spontanei della maggior parte delle persone presenti alla cerimonia, ma non sembravano affatto curarsi della cosa. Li aveva trovati simpatici da subito, anche se si era trovato coinvolto in imbarazzanti abbracci da parte della signora.
“Sai, Jean ci ha sempre parlato tanto di te. – aveva detto la donna stringendolo con affetto – Sono davvero felice che tu gli sia stato accanto in questi due anni”
“Oh, ma si figuri signora. – disse Breda, leggermente impacciato nel restituire quell’abbraccio – E’ normale tra amici…”
“Angela, lascia quel ragazzo, non vedi che lo metti in difficoltà? Ah, figliolo – disse il signor Havoc dandogli una pacca sulla spalla – siamo davvero fieri dei risultati che tu e il nostro Jean avete raggiunto”
“La ringrazio signore”
Mentre Jean e il padre cercavano di consolare la signora presa da una nuova ondata di commozione (si iniziava a capire da chi Havoc avesse ereditato la capacità di piangere come un vitello), Breda si sentì tirare per la manica. Janet, appena undicenne, lo fissava con occhi pieni di curiosità.
“Il mio fratellone dice che tu sei il suo miglior amico, è vero?” chiese
“Beh, sì è vero. – rispose Breda, arruffandole la testolina bionda – E anche lui è il mio miglior amico”
La bambina si mise a braccia conserte, fissando il terreno con grande concentrazione: assomigliava tantissimo al fratello quando studiava qualcosa di particolarmente ostico. Poi alzò la testa con un gran sorriso soddisfatto
“Allora tu sei il mio secondo fratellone!” esclamò entusiasta
“Eh?”
“Se sei il suo miglior amico, significa che sei come un fratello – annuì con fierezza lei, mentre una ciocca di capelli biondi le sfuggiva dal nastro azzurro che aveva in testa – e quindi sei anche il mio secondo fratellone! E adesso, tirami su!” concluse tendendo le braccia
Breda si ritrovò a sollevare quella bambina che, con un sorriso furbo, prese il suo berretto e se lo mise in testa. Senza dubbio aveva la stessa logica stringente del fratello.
“Janet Havoc, lo sai che sei proprio una ragazzina sfrontata?” le chiese con un sorriso, dirigendosi verso il resto della famiglia
“Però a Jean piaccio così; – dichiarò lei passandogli un braccio candido attorno al collo – e a te piaccio?”
“Può una sorella non piacere al proprio secondo fratellone?”
“Appunto!”
“Heymans, Jean ci ha detto che la tua famiglia non è potuta venire. – disse la signora Angela, quando li raggiunsero – Vieni a mangiare con noi. Abbiamo organizzato un pranzo in un locale poco lontano: i proprietari sono affezionati clienti del nostro emporio e ci hanno lasciato una sala a disposizione”
“Oh no, signora – protestò Breda, mettendo giù Janet – siete venuti apposta per festeggiare vostro figlio, io non potrei…”
“Non dire cavolate, Breda! - lo zittì Havoc – Mia madre ha preparato da mangiare per un reggimento fra ieri e stamane: se non vieni a darci una mano siamo tutti fregati”
“Non mi spiego ancora come abbia fatto a cucinare tutta quella roba: – annuì il signor Havoc con aria cospiratoria – era come posseduta. Potrebbe ucciderci tutti se non terminiamo ogni pietanza”
“Ho semplicemente pensato che tutti voi avreste avuto fame dopo la cerimonia” protestò la signora
“Io mi siedo tra i miei due fratelloni!” dichiarò Janet, mettendosi tra Havoc e Breda e prendendo la mano ad entrambi
“Non vorrai deludere la nostra sorellina” commentò Havoc mettendo la parola fine alla discussione
“E già… come potrei anche solo pensarci”
 
 “Ah, ragazzi… i pasti della mensa non sono per niente paragonabili al banchetto che ci ha preparato tua madre” sospirò Breda, quella sera, sdraiandosi con soddisfazione nella branda.
“E aspetta di venire a trovarmi a casa – ridacchiò Havoc, seduto nel letto accanto – Mamma è così entusiasta del tuo appetito che ti preparerà di tutto e di più”
“Non nutro alcun dubbio in merito”
Rimasero in silenzio entrambi, godendo della tranquillità del dormitorio ancora vuoto. Breda assaporava quegli attimi di pace, soprattutto dopo un’intera giornata passata a gestire Janet, che sembrava averlo preso decisamente in simpatia.
Pensando che quella sarebbe stata la sua ultima notte in quella branda si sentì leggermente spaesato. Un mondo nuovo si apriva davanti a lui: intrigante, ma anche carico di incertezze e pericoli.
“Come mai i tuoi non sono venuti?” chiese Havoc, facendolo tornare alla realtà
“Problemi di sicurezza. – ammise Breda – Purtroppo la zona vicino casa mia negli ultimi mesi ha visto diversi attacchi da parte di bande di rivoltosi. Non era molto sicuro mettersi in viaggio, anche se mia madre sarebbe voluta tanto venire”
“Questa rivolta a sud sta dilagando più del previsto. – sospirò Havoc grattandosi la testa – Ishval non ha alcuna intenzione di cedere all’esercito. Proprio oggi stavo sentendo che presto verranno inviate nuove truppe”
“Ho sentito anche io notizie simili. Insomma, la guerra civile è ben lontana dal finire”
“Credi che anche a noi toccherà…?”
 “Se non in casi estremi, dubito che mandino al fronte dei neo soldati come noi – riflettè Breda – Se verremo coinvolti in qualche azione armata dovrebbe essere qualcosa di relativamente più tranquillo”
“Qualcosa di più adatto alla tua stazza… così appesantito non credo che potresti correre molto al fronte” scherzò Havoc per distorgliersi da quei pensieri
“Correrei il tanto giusto per riempirti di pugni” sghignazzò Breda, troppo rilassato per prendersela per quelle solite battute.
“Senti Breda, - iniziò Havoc – stamane, mentre tu parlavi con il colonnello, mi ha fermato il tenente Harris, il nostro istruttore al poligono…”
“E ti ha chiesto se volevi fare il corso di tre mesi per la specializzazione in armi da fuoco” terminò per lui Breda
“E tu come lo sai?” si sorprese il biondo
“Non è un mistero che esistano questi corsi, e non è un mistero che tu sei stato il migliore per entrambi i due anni d’Accademia. Se non a te, a chi dovevano proporlo?”
“Stavo pensando di farlo e anche i miei approvano; – ammise infine Havoc – anche se questo vuol dire che…”
“Che ci separeremo” disse Breda, mettendosi a sedere nel letto e fissandolo.
Era una situazione difficile. Entrambi sapevano che era una possibilità molto forte che le loro diverse attitudini li portassero su strade diverse. Negli ultimi mesi, mentre gli altri loro compagni, parlavano della loro carriera futura, loro due non avevano mai affrontato l’argomento. Avevano voluto, stupidamente, evitare la realtà fino all’ultimo momento: il loro essere inseparabili sarebbe stato bruscamente interrotto.
Breda pensò che, paradossalmente, chi si trovava in una posizione d’incertezza era proprio lui. Mentre Havoc aveva questa specializzazione davanti a se e poi, quasi certamente, sarebbe stato inserito in qualche corpo speciale, lui, il miglior allievo del corso, non aveva nessuna idea di cosa gli riservasse l’immediato futuro nell’esercito.
Molto probabilmente avrebbe formato un plotone insieme ai suoi altri compagni e avrebbero atteso qualche ordine di trasferimento, ma era tutto incerto. Il tono triste del colonnello Grey quella mattina gli tornava alla mente come un presagio, ma con il suo spirito pratico lo fece scivolare via. Non era il caso di preoccuparsi per una situazione che era probabile ma non certa. Non ancora.
“Cavolo – mormorò Havoc, grattandosi la testa con imbarazzo – Sarà davvero strano senza di te”
Breda non replicò, ma sarebbe stato strano anche per lui non avere il suo miglior amico vicino.
La vita in Accademia li aveva fatti unire in una maniera indissolubile. Nessuno dei due ovviamente nutriva dubbi sul fatto che di certo si sarebbero reincontrati, ma la mancanza della quotidianità sarebbe stata certamente difficile, soprattutto i primi tempi.
“Almeno non mi romperai più le scatole ventiquattro ore su ventiquattro” sorrise
“Sentirai la mia mancanza, lo so! – scherzò Havoc – Verrai a cercarmi disperato, gridando il mio nome… come una femminuccia!”
“Al diavolo, Havoc. Piuttosto mi suiciderei”
“Senti, lo so che è da idioti – iniziò Havoc fissandolo con attenzione – ma… hai presente la fratellanza di sangue?”
“Oddio, stai ritirando fuori quella vecchia storia che si faceva a scuola?” ridacchiò Breda
Era una specie di patto di amicizia che si faceva da bambini: un piccolo scambio di sangue, magari da una sbucciatura o da un taglietto fatto per l’occasione.
“Lo so che è da scemi, ma… Janet ti ha chiamato fratellone, e per me sei davvero come un fratello. So che non c’è bisogno di cavolate simili per siglare un’amicizia, però…”
Breda non rispose: si limitò a prendere la giacca della divisa, precedentemente buttata nel letto, e ad usare una delle decorazioni in metallo per provocarsi un piccolo taglio nel palmo della mano. Havoc, vedendolo, sorrise e fece altrettanto.
Scambiandosi un sorriso, i due soldati congiunsero i palmi, in una vigorosa stretta.
“Jean Havoc, sei il mio miglior amico, il mio fratello di sangue acquisito. Quando avrai bisogno di me, io ci sarò sempre e so che anche per te sarà così” recitò quella vecchia formula magica dei bambini
“Heymans Breda, sei il mio miglior amico, il mio fratello di sangue acquisito. Quando avrai bisogno di me, io ci sarò sempre e so che anche per te sarà così” ripetè Havoc con un sorriso.
Rimasero diversi minuti a tenere quella stretta di mano. Quell’ultimo gesto fanciullesco segnava la fine della loro adolescenza. Era un’ulteriore cerimonia, ma molto più intima e personale: solo loro due. Ma forse aveva un’importanza maggiore: sapere di avere un amico fidato, un fratello… una persona che nonostante la distanza sarebbe stata sempre dalla tua parte.
Questo valeva molto più dell’ingresso nell’esercito di Amestris.
Adesso erano pronti ad entrare nel mondo degli adulti. 





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Angolo dell'autrice.
Questo pomeriggio ero in crisi nera per questo capitolo che in teoria doveva essere di transito per le vicende successive. Però all'ennesimo ripensamento ho deciso che se avevo così tante difficoltà era perché l'idea iniziale non funzionava... ergo ho cancellato tutto e riniziato da principio. E mi è venuto fuori questo capitolo, non più di transito: è un momento ben preciso in cui si sigilla quest'amicizia che è destinata a durare tutta la vita.
Chissà, forse è stato merito dell'immagine di Ling che mi ha fatto vedere xingchan XD.... A proposito! Cara, il nome della sorellina di Havoc l'ho ripreso dalla tua ff Useless, spero non ti dispiaccia. Mi piaceva l'idea di dare una sorta di continuità XD

Laylath

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Capitolo 6
*** Dicembre 1907. Un ritorno a casa non previsto. ***


Breda mandò giù una un sorso di quel liquido schifoso che, in apparenza, doveva essere the. Perlomeno aiutava a scaldare lo stomaco in quelle dannate giornate di freddo. Il Quartier Generale di East City aveva decisamente bisogno di ristrutturazioni, almeno nell’impianto di riscaldamento. Ma tutte le forze e le risorse dell’esercito erano volte verso la guerra civile e dunque a loro, poveri soldati obbligati a stare lì, non restava che arrangiarsi come meglio si poteva.
Niente di eccezionale che presto ci sarebbe stato un nuovo Generale ad East City e Breda sperava che fosse una persona in grado di occuparsi di quel posto; per lo meno evitare ai soldati di portare il cappotto anche negli uffici.
“Sergente Breda!” chiamò un soldato del suo plotone portandosi davanti a lui e facendogli il saluto
“Che succede?” chiese alzandosi in piedi da quella scrivania dove stava cercando di mettere in ordine quelle mappe lasciate incomplete da soldati troppo frettolosi. E poi ci si chiedeva come mai ci fossero tanti problemi nelle missioni.
“Il capitano Rhea vuole parlarvi”
“Arrivo subito”
 
I corridoi freddi e rovinati rendevano bene lo stato di difficoltà in cui si stava trovando l’esercito. La guerra civile in quell’anno si era inasprita ulteriormente e ormai anche i comuni cittadini spesso si ribellavano, esasperati da quello stato di continua incertezza e razionamento. Sembrava che il governo di Central dovesse cedere da un momento all’altro, ma i giorni continuavano a passare, senza che accadesse nulla.
Dai fronti di guerra le notizie non erano di certo buone. Ishval non aveva ceduto minimanente ed anzi, aveva stretto alleanza con Aerugo. Questo aveva fornito loro nuovi rinforzi ed armi e così, tra le sabbie del deserto, si combatteva un’estenuante guerra di logoramento, senza tregua.
Amestris quell’anno aveva mandato migliaia di soldati su quel fronte, ma non era servito a niente. Come se non bastasse anche gli altri confini avevano subito degli attacchi da parte dello stesso Aerugo, Creta e Drachma. Del resto, quando vedi un animale morente non ti fiondi su di lui per prendertene una parte?
Ed in più c’era la questione delle bande di ribelli: se prima erano un problema di lieve entità, adesso erano una vera e propria piaga nazionale: sud ed est ne erano invasi. Ormai era assodato che si trattava per la maggior parte di gruppi estremisti, spesso con diverse componenti di Aerugo o Ishval, che volevano approfittare della situazione per mettere a ferro e fuoco le campagne e le città. A questi gruppi che avevano una chiara matrice politica, spesso si aggiungevano squadroni di balordi che invece volevano solo depredare e seminare panico. E la cosa triste era che si trattava di giovani della stessa Amestris.
In ogni caso, l’esercito aveva ben altro a cui pensare che il sistema di riscaldamento del quartier generale dell’Est.
Con questi ultimi pensieri Breda, entrò nell’uffico del capitano Rhea e si mise sull’attenti.
“Sergente Breda a rapporto, signore” esclamò
L’uomo alzò gli occhi dalla scrivania.
In un anno Breda era stato agli ordini di almeno cinque comandanti diversi e il capitano Rhea era sicuramente l’ultimo nella sua personale classifica di gradimento. Era stato trasferito da Central circa tre mesi fa ed era chiaro che non aveva gradito molto l’incarico che gli era stato dato: arginare il fenomeno dello squadrismo ribelle nelle campagne dell’Est. Considerava questa missione alla stregua di cacciare i cani, non rendendosi conto che invece era una missione davvero complessa e delicata.
Breda riteneva che quell’uomo dai capelli castani e gli occhi scuri, con i suoi modi così aristocratici, fosse la persona meno indicata per gestire quella situazione critica che, in teoria, avrebbe richiesto anche una notevole comunicazione con la popolazione locale. Invece i suoi metodi, come aveva avuto modo di sperimentare nelle precedenti missioni, portavano gli abitanti delle campagne ad una vera e propria omertà e sfiducia nei confronti dell’esercito. Ogni volta che andavano via da qualche paese, Breda si sentiva addosso sguardi carichi di odio e rabbia: sapeva che molte persone sarebbero passate dalla parte dei ribelli.
“Sergente Breda, ho saputo che sei originario di Giyoir” disse, indicando in una cartina quella città a sud-est di East City.
“Sissignore”
“Quindi conosci bene il territorio circostante”
“Sissignore” annuì lui, molto contrariato del fatto che si stesse parlando proprio della zona vicino a casa sua
“Ci sono arrivate nuove informazioni – spiegò con aria annoiata Rhea – la solita gentaglia che saccheggia e crea problemi: incendi, aggressioni… insomma, tutte cose che abbiamo già visto”
Sì, e che lei spesso e volentieri ha risolto con esecuzioni sommarie dei ribelli…
Breda si trattenne dal dire cosa pensava di quei metodi e si limitò ad annuire.
“Pare che questa volta ci siano diversi infiltrati di Aerugo a sobbillare la popolazione locale: il governo di Central vorrebbe che li catturassimo per procedere ad interrogarli. Potrebbero avere informazioni utili a proposito della loro alleanza con quei bastardi di Ishval”
“Capisco, signore”
“Quanti uomini ci sono nel tuo plotone?”
“Tra trasferimenti e perdite, siamo rimasti in ventidue” Breda disse quella cifra con noncuranza, ma in realtà era molto allarmato. All’inizio erano due plotoni, di cinquanta soldati ciascuno: circa quaranta soldati erano caduti nelle azioni armate, un’altra ventina era stata trasferita presso il confine, mentre altri erano stati feriti. Una decina erano finiti tra i disertori. E così lui, che a rigor di logica in pochi mesi non avrebbe mai potuto aspirare a un rango così, si era trovato promosso da soldato semplice, a caporale fino ad essere sergente. Quello che restava dei due plotoni era stato unito e ora quei ventidue soldati erano ai suoi ordini: e lui aveva compiuto vent’anni quell’estate.
“Ventidue… - riflettè Rhea aggrottando le sopracciglia – ce li faremo bastare. Considerato che per la maggior parte si tratta di gentaglia senza addestramento non dovremmo aver problemi a metterli in riga.”
“Sissignore”
“Dato che sei originario del posto, vorrei che tu andassi in avanscoperta a controllare la situazione e raccogliere informazioni: numero di componenti della banda, armi a disposizione, spostamenti. Conoscendo la zona non dovresti avere problemi a muoverti. E se ben ricordo, il tuo precedente comandante si vantava delle tue notevoli capacità strategiche”
“Saprò come muovermi, signore” garantì lui
“Perfetto. Allora parti col treno di stasera – disse allungandogli una busta – Qui c’è il biglietto. Io e il resto del plotone ti raggiungeremo tra due giorni per fare fuori quei bastardi”
“Sissignore”
 
Giyoir sotto la neve era uno spettacolo che Breda non aveva mai visto. Quell’inverno particolarmente freddo era veramente seccante, ma non mancava di regalare sorprese come questa: East City che si trovava più a settentrione non era stata sfiorata dalla neve ed invece la sua cittadina natale sì. L’agglomerato di case sembrava così etereo e irreale sotto quella coltre bianca e morbida, illuminata dai freddi raggi del tramonto invernale.
Percorrendo quelle strade silenziose e immobili per il coprifuoco (già da alcuni mesi era diventato necessario nelle cittadine al di sopra dei mille abitanti), al soldato sembrava di trovarsi in una realtà parallela, dove tutto era bellissimo ma in qualche modo fuori posto. Le finestre illuminate sembravano quelle di una casa di bambole, dove dentro c’era solo un’illusione di felicità e di calore.
Camminare sulla neve era davvero strano: era diversa rispetto al fango, molto più morbida ma in qualche modo portata a imprigionare maggiormente il piede. I suoi stivali neri erano fradici quando finalmente arrivò a casa sua, nella periferia della città. Si diede una sistemata al cappotto nero, spazzando via la neve dalle spalle e si passò la mano tra i capelli rossi.
Mancava tantissimo da casa: oltre un anno e mezza.
Stava per aprire la porta, ma all’imporvviso si sentì a disagio: aveva l’impressione di non appartenere più a quel posto e gli sembrava di entrare in una casa di estranei. Levò la mano dalla maniglia e bussò.
“Eccomi, eccomi! – disse una voce soffocata dall’interno – Henry sei tu?”
La porta si aprì e una donna dai capelli di un rosso ormai spento raccolti in una crocchia, spalancò i suoi occhi grigi.
“Heymans?” mormorò
“Ciao mamma!” sorrise Breda
“Heymans, caro! – lo abbracciò lei – Che sollievo saperti qui! Vieni, vieni dentro… con questo freddo che c’è non devi stare sulla porta!”
Sua madre lo fece accomodare nella piccola cucina, la zona più calda della casa, dove stava preparando la cena. Breda squadrò quell’ambiente familiare con un pizzico di nostalgia, ma nulla più. La madre gli levò il cappotto fradicio e lo sistemò sullo schienale di una sedia.
“Greg! Greg! – chiamò nel frattempo – vieni a vedere, presto!”
Dal piano superiore, dove stavano le stanze da letto, scese un uomo della stessa stazza di Breda; la sua reazione fu molto diversa da quella della moglie, quando vide il soldato: il suo viso si indurì visibilmente e la mano si serrò attorno al corrimano della scala. Padre e figlio si guardarono in silenzio per qualche secondo prima che l’uomo andasse verso la sedia e battesse una distratta pacca sulle spalle robuste del figlio
“Allora, alla fine sei tornato a casa” annuì
“Sono solo di passaggio, stai tranquillo” ribadì Breda con una scrollata di spalle.
Lui e suo padre non erano mai andati d’accordo. Nonostante possedessero la stessa stoicità e lo stesso senso pratico, Gregor Breda non era mai riuscito ad entrare in sintonia con il proprio primogenito. Avevano idee diametralmente opposte nei confronti dell’esercito e così, quando Breda aveva scelto di entrare in Accademia, si era arrivati ad un litigio tale che il ragazzo era partito con una settimana d’anticipo rispetto alla data prevista.
Diventa un cane dell’esercito e non sarai più mio figlio
A Breda bruciavano ancora quelle parole dette nella loro ultima accesa discussione, durante il suo ritorno a casa in un periodo di pausa dell’Accademia. Ed era questo il motivo per cui nelle vacanze successive era rimasto per conto suo, senza nemmeno dire nulla ad Havoc.
L’unica cosa che dispiaceva al soldato era che sua madre fosse coinvolta in questo litigio. Era una povera donna che aveva tutto il suo mondo nella sua famiglia. Breda sapeva che questi litigi la facevano soffrire e quindi, per amore filiale, tendeva a mantenere la calma e a subire le ire verbali del padre.
“Oh, per favore – disse infatti la donna, intervenendo timidamente e posando le mani sopra le spalle di Breda – dovremmo essere felici di questo momento. Heymans, tesoro, sei così cresciuto… non sai che gioia averti a casa”
“Ti ringrazio, mamma – sorrise sinceramente Breda, prendendo affettuosamente la mano nella sua – anche io sono felice di rivederti”
“E così alla fine ti sei messo la divisa dell’esercito” commentò il padre, squadrandolo
“E’ più o meno quello che succede dopo che si finisce l’Accademia”
“Oh, tesoro, non sai quanto mi è dispiaciuto non poter venire alla cerimonia”
“Stai tranquilla, mamma. Era pericoloso mettersi in viaggio, lo sai. Ma la tua lettera di congratulazioni mi è stata davvero gradita” le rispose lui
“E dimmi – continuò il padre, sedendosi di fronte a Breda – che cosa stai combinando con l’esercito? Consumate le risorse del paese in guerre senza fine? Scommetto che vi trattano bene a voi soldati, fregandosene della povera gente”
Vieni al quartier generale dell’Est e ne riparliamo, caro papà
“Cerchiamo di fare del nostro meglio per finire questa guerra; – rispose Breda con pazienza – adesso il nostro obbiettivo e di far cessare le azioni di squadriglia che ci sono in questa zona, in modo che la popolazione civile possa tornare ad una vita relativamente tranquilla. Da quello che abbiamo saputo c’è una banda abbastanza feroce in questi dintorni”
Sentì le mani della madre stringersi convulsamente nelle sue spalle
“Mamma, tutto bene? – chiese guardandola con preoccupazione – Non devi aver paura… vedrai, faremo in modo che quella gente non vi crei più problemi.”
“No… no, caro. Non è niente” balbettò lei
“Continua” disse il padre, con lo sguardo fisso nel tavolo
“Pare – continuò Breda, sentendo una nuova tensione in quella piccola cucina – che diversi componenti di gruppi rivoltosi di Ishval si siano uniti ad infiltrati di Aerugo per sollevare la popolazione civile. Sono venuto in perlustrazione… e per fortuna vedo che in città non è successo niente di grave. Purtroppo nel paese vicino non posso dire la stessa cosa, ma penso che andrà tutto bene…”
Si bloccò, sentendo quella tensione farsi troppo forte. C’era qualcosa che non andava assolutamente bene nello sguardo fisso di suo padre e in quello preoccupato di sua madre.
“Mamma… - disse con lentezza, iniziando a sospettare qualcosa – prima, come ho bussato… tu credevi che fosse Henry. Dov’è? Non dovrebbe essere fuori considerato il coprifuoco.”
“E così l’esercito vuole dare ancora prova della sua crudeltà con la nostra città…” mormorò Greg con un filo di voce
“Non è così: intendiamo proteggervi da una banda che potrebbe…”
“Conosco la protezione dell’esercito! – lo interruppe l’uomo sbattendo il pugno sul tavolo – Esecuzioni e repressioni senza motivo alcuno. Credi che le notizie non girino? Dimmi, soldato, quanti innocenti hai ucciso?”
Almeno una decina, se ti può interessare… e non erano innocenti: tutti loro cercavano di uccidere me. Ma forse avresti preferito che l’avessero fatto? In fondo sarebbe stato un cane dell’esercito in meno
“Papà, siamo nel mezzo di una guerra civile…”
Non potè continuare che la porta si aprì per far entrare un giovane dai corti capelli rossi, leggermente bagnati per la neve. Indossava un pesante cappotto nero e teneva tra le mani un pacco molto voluminoso.
“Tieni mamma, ho portato delle provvis… Heymans?”
“Henry” salutò Breda, facendo un cenno del capo al suo fratello minore
“Non sapevo saresti tornato” disse il nuovo venuto facendosi avanti e posando il pacco sul tavolo.
“E’ stato una decisione improvvisa”
Il volto di Henry, tre anni più giovane del fratello, era notevolmente teso. Era sempre stato lui il favorito del padre, su questo non c’erano dubbi. Mancava della stazza robusta degli altri maschi della famiglia: aveva preso la corporatura normale della madre, così come i capelli rossi. Era sempre stato un ragazzo con l’argento vivo addosso, pronto a tuffarsi in baruffe con giovani più grandi di lui, cacciarsi nei guai, combinare disastri.
Breda si trovò improvvisamente a paragonarlo ad Havoc: per quanto ad un primo esame i due potessero avere molti punti in comune, non poteva fare a meno di trovare nel suo compagno d’Accademia un’indole molto più sincera e onesta. Era duro pensare cose simili del proprio fratello minore, ma era la semplice realtà dei fatti. L’aver pensato ad Havoc gli fece domandare che fine avesse fatto il suo amico, che non vedeva più da almeno sette mesi. Ma poi tornò ad affrontare la situazione
“Henry, come mai eri fuori durante il coprifuoco?” chiese
“Oh, dai… non sgridarlo, - supplicò la madre – ha solo portato provviste a casa… è così difficile con i razionamenti”
“Invece voi dell’esercito ve la spassate, eh? Chissà quanti banchetti ad East City!” commentò Gregor
Certo. Stufato schifoso a pranzo e a cena… se c’è carne in mezzo siamo fortunati. E surrogati di caffè e the che sanno di acqua sporca. Un banchetto prelibato…
“Ti assicuro che le privazioni le subiamo anche noi soldati” si limitò a dire, senza spostare lo sguardo dal fratello. Gli occhi grigi di Henry erano tesi e sospettosi, come se gli stesse nascondendo qualcosa di grave. Come se vedere la sua divisa lo mettesse estremamente a disagio.
“La situazione non è facile qui, Heymans” disse infine, levando le provviste dal pacco
Breda le osservò con sempre crescente sospetto. Erano prodotti rari da trovare a qualunque spaccio, persino ad East City.
“Posso sapere dove li hai presi?” chiese, avendo capito la situazione
“Ti importa?” domandò lui con tono di sfida
“Sì, mi importa… sai, il paese accanto ha subito un attacco qualche giorno fa. Diversi morti, tanti feriti… incendi e saccheggi: soprattutto un magazzino da poco rifornito con beni di prima necessità che l’esercito era riuscito a recuperare” disse in tono piatto
“E quindi?”
“Beh, vedere mio fratello che torna a casa tardi, nonostante il coprifuoco, con tutta questa roba. O hai contatti con Central e non me l’hai mai detto… oppure…”
“Sentiamo, cane dell'esercito, - disse Henry in tono di sfida, portandosi davanti a lui – oppure?”
Breda si alzò, mettendosi faccia a faccia col fratello: erano alti uguale.
“Oppure il mio fratellino è così coglione da essersi unito ad una banda di ribelli che semina il panico tra la gente!” esclamò furioso sbattendo la mano nel tavolo.
Sentì la madre che scoppiava in lacrime.
Non era stato un bel ritorno a casa.

 


_________________________
Angolo dell'autrice.
Ed ecco il nostro Breda nel mondo degli adulti, nel mezzo di una guerra civile che ormai sta logorando Amestris. Lui e Havoc sono ormai separati da quasi un anno e gli eventi hanno portato il nostro soldato, ora sergente, in un East City assai più cupa rispetto a quella che sarà qualche anno dopo, con la ripresa economica portata dalla fine della guerra. 
Al contrario di Havoc ho fatto provenire Breda da una realtà familiare non proprio facile, con antagonismi abbastanza dichiarati col padre e col fratello. 
Il prossimo capitolo è già in produzione: fortunatamente ho superato lo scoglio più difficile. Ora ho le idee abbastanza chiare per come deve continuare la vicenda :)
Non temete, Havoc tornerà presto ^^

Laylath

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Capitolo 7
*** Dicembre 1907. La decisione di un cane dell'esercito ***


Breda stava sdraiato supino nel letto, le braccia dietro la testa, nella solita posizione. Stare nella sua vecchia stanza gli dava fastidio: quel letto gli sembrava così sconosciuto, abituato com’era alle brande militari. Ma forse quello era il male minore. Il vero problema era tutta la camera: quelle pareti di legno, quegli arredi, quelle coperte, era come se tutto trasudasse brutti ricordi e  incomprensioni.
Il ritorno a casa dopo più di un anno e mezza dovrebbe essere un’occasione di festa: invece dopo una silenziosa cena tutti erano andati a letto con il viso teso dalla rabbia, eccetto sua madre che aveva gli occhi pieni di lacrime.
Breda se ne sentiva in qualche modo responsabile: se non fosse tornato quella donna non avrebbe assistito a quell’ennesimo brutto litigio. Ma, del resto, questa volta non era potuto restare zitto. Non avrebbe mai immaginato che Henry fosse così idiota da unirsi ad una banda di criminali.
La scena di qualche ora prima continuava a danzargli davanti agli occhi
“Avanti, Henry, dato che sei così convinto delle tue azioni, perché  non ti siedi e mi parli della situazione politica tra Aerugo e Amestris?”
“Finiscila Heymans!”
“Oh no, non la finisco! Forse ti sfugge che Aerugo ha sfondato il confine sud, uccidendo migliaia di persone? Forse non sai che ha fornito armi e rifornimenti a Ishval, prolungando questa dannata guerra?”
“E’ colpa di questo governo che non ci considera!”
“E perché? Andiamo, dillo, sono proprio curioso di saperlo. Sei così esperto del mondo che di sicuro mi darai una risposta valida!”
“Heymans, piantala di dire queste cose! Henry ha fatto una scelta pienamente responsabile e non posso che appoggiarlo!”
“Bravo papà! Sei veramente responsabile ad appoggiare tuo figlio, appena diciassettenne ad affiliarsi a bande di criminali. Lo sai che fanno i tuoi amici, Henry? Saccheggiano villaggi e paesi, stuprano donne, bruciano raccolti per ridurre allo stremo popolazione ed esercito, in modo da provocare disordini e prolungare questo stato di agonia”
“Sono gesti necessari per la causa!”
“Ma di che cazzo di causa stai parlando?! Te lo dico io che cosa vogliono fare! Ridurci allo stremo, così Aerugo, Drachma e Creta ci piomberanno addosso come sciacalli! Credi che in quel momento importerà a qualcuno di quello che hai fatto? Non sarai un eroe, come credi! Probabilmente verrai condannato come criminale… a nessuno fanno comodo i briganti quando finiscono le guerre, non lo sai?”
“Io non sono un brigante!”
“No? Hai saccheggiato e bruciato? Hai usato la forza per far del male a delle persone inermi? Hai, e spero di sbagliarmi, ucciso qualcuno, magari saltandogli alle spalle? Questo si chiama brigantaggio… se tu lo chiami atto necessario sei più ipocrita di quanto creda!”
“Ipocrisia! Splendido termine in bocca ad un cane dell’esercito! Tu che vivi nei lussi… non credere che non ci raccontino che vita fate voi soldati!”
“Vi riempiono la testa di cazzate e voi ci credete come scemi! Guarda la mia divisa: certo è proprio bello e lussuoso avere questi strappi e questi rammendi di fortuna! Sono quattro mesi che non vedo la paga! E mamma lo sa bene perché gliene mandavo sempre una parte!”
“Che cosa facevi?”
“Oh, Greg, non arrabbiarti… non ti ho mai detto nulla, perché non avresti gradito”
“Non abbiamo bisogno del tuo sostegno economico, cane dell’esercito!”
“Vaffanculo papà! Da quando hai perso il lavoro…”
“Non osare dire niente!”
“Per il tuo stupido orgoglio saresti capace di mandare in rovina la famiglia!”
“La cosa non ti deve riguardare… questa non è più la tua famiglia!”
“Greg!”
“Forse non lo è mai stata! Vado in camera a riposare, il viaggio è stato lungo. Domani mattina me ne vado, state tranquilli”
“Heymans, ti prego…”
“Scusa mamma, non volevo causare tutto questo. Quanto a te Henry… ti chiedo solo un favore; non per me, non per nostro padre, ma per la mamma: tieniti lontano da quelle persone.”
“Al diavolo Heymans!”
E con quell’ultima battuta tutti erano caduti in un pesante silenzio.
Il fatto che Henry facesse parte della banda che lui doveva sgominare rendeva la faccenda davvero complessa.
Heymans Breda, sei il mio miglior amico, il mio fratello di sangue acquisito. Quando avrai bisogno di me, io ci sarò sempre e so che anche per te sarà così
Le parole di quel giuramento fatto nel dormitorio dell’Accademia, quando non immaginava ancora cosa gli riservasse il futuro, gli tornarono alla mente. Il sorriso di Havoc e la sua stretta di mano lo aiutarono a trovare un minimo di serenità. Era strano pensare di avere anche quell’altro fratello: non avevano lo stesso sangue, eppure il loro legame era molto più forte rispetto a quello con Henry. Havoc non avrebbe mai commesso una cazzata simile: lui aveva quella profonda sicurezza nei suoi principi che non aveva nemmeno bisogno di pensarci per sapere la differenza tra banditismo e “causa”.
Si domandò dove fosse il suo biondo compagno di avventure. Sapeva che aveva terminato il corso di specializzazione  in primavera e che poi era stato inserito in uno squadrone speciale, capitanato dallo stesso tenente Harris che era stato loro istruttore all’Accademia e che gli eventi avevano richiamato sul campo di battaglia.
Non sapeva nemmeno in quale fronte stava combattendo: purtroppo non avevano nessuna possibilità di comunicare dati i continui spostamenti di entrambi.
Certo che averlo accanto in questi momenti avrebbe reso le cose più sopportabili.
 
Si svegliò al sorgere del sole, impaziente di lasciare quel posto così ostile.
Urgeva iniziare la sua opera di informatore per quando fosse giunto il suo plotone. Aveva già idea di come agire; ora doveva tenere conto che, molto probabilmente, i ribelli sapevano del suo arrivo. Purtroppo Henry gli era sembrato abbastanza fanatico e c’era la triste possibilità che avesse avvisato i suoi capi delle sue intenzioni.
Scendendo in cucina vide la madre seduta al tavolo, con le mani congiunte e il volto chino. Sul tavolo vi erano le stoviglie necessarie per preparare la colazione, ma giacevano impilate al centro.
“Mamma, io devo andare”
“Heymans! – lo chiamò lei alzandosi dalla sedia e andandogli incontro – Henry è uscito prima di te… e aveva una faccia… Tesoro, ti prego, cosa possiamo fare?”
Cosa avreste dovuto fare tu e papà da principio…
“Mamma, non so cosa risponderti. – disse sinceramente – Non so fino a che punto sia coinvolto nelle azioni di quella banda”
“Non saprei… a volte manca per giorni. Io – si mise a piangere – sapevo che era sbagliato, ma non ho detto nulla. Era così convinto e felice di far parte di quel gruppo di persone… e anche tuo padre era così fiero, e poi… con i razionamenti…”
“Sssh, mamma! – mormorò Breda, abbracciando quell’esile corpo – Non è colpa tua, davvero. E’ una situazione difficile per tutti quanti. Ma vedrai che prima o poi questa maledetta guerra finirà”
“Figlio mio. Ti chiedo solo un favore: torna! Lo so che le parole che ha detto ieri tuo padre…”
“Oh, mamma, stai tranquilla. Sono parole che vengono dette così, per rabbia…
Non è vero. Lui non mi considera più suo figlio: adesso ha occhi solo per quello sconsiderato di Henry
… non pensarci più. E, certo, ti prometto che farò di tutto per tornare, va bene?”
Il timido sorriso su quel volto in lacrime fece aumentare la tristezza nel cuore di Breda. Perché questa fragile donna, che sembrava dover crollare da un momento all’altro, veniva a trovarsi in una situazione così difficile? Dov’era l’unità che doveva sostenere tutti i membri di una famiglia? Perché loro non erano come Havoc, Janet e i loro genitori?
Perché doveva trovarsi nella situazione di dover combattere contro il suo stesso fratello?
Con un bacio nella fronte materna lasciò scivolare via tutti quegli interrogativi. Le rivolse un sorriso e uscì dalla porta, allacciandosi il cappotto. Quella mattina c’era il sole e nessuna nuvola all’orizzonte che annunciasse una nuova nevicata: l’aria era frizzante e pura e lui la inspirò a pieni polmoni, come a farne scorta.
Il sergente Heymans Breda aveva degli ordini precisi da eseguire: non aveva più tempo da perdere.
 
“Più di centotrenta?” si sorprese il capitano Rhea, alzando lo sguardo su di lui
“Sissignore. Centotrenta secondo le stime ufficiali ottenute incrociando i dati delle ultime razzie compiute in questo mese. Ma per esperienza farei arrivare questa cifra a centocinquanta unità: è raro che tutta la banda partecipi a un saccheggio; ne restano sempre diversi in copertura” annuì Breda.
Erano passati due giorni e finalmente il suo scarno plotone l’aveva raggiunto. Il capitano Rhea aveva immediatamente  requisito una sala del municipio come base operativa, ma le notizie che Breda aveva portato non erano per niente buone
“Non ho mai sentito di una banda così numerosa! – protestò il capitano, scuotendo il capo con disappunto – In genere si attestano sulle trenta, massimo cinquanta unità”
“E’ vero signore, - ammise Breda, fissando una mappa della zona piena di segni che lui aveva tracciato in quei due giorni di ricognizione – ma questa volta ci troviamo con un caso davvero particolare. Credo che in origine la banda qui presente fosse molto meno numerosa: tuttavia sappiamo che negli ultimi tempi le bande più a nord sono state in buona parte messe a dura prova dall’esercito. Non tutte sono state sgominate, ma il loro numero è notevolmente ridotto: credo che la maggior parte dei superstiti si siano diretti a sud per unirsi alla banda di cui ci stiamo occupando noi”
“Insomma siamo davanti ad un’alleanza”
“Sì, signore. – riflettè il soldato incrociando le braccia – Numericamente ci sovrastano, ma come succede spesso non possono vantare la disciplina dei soldati regolari… e potrei azzardare che non siano nemmeno molto uniti tra di loro”
“Lo credi?”
“E’ un’ipotesi da considerare: le bande basano la loro forza sulla conoscenza del territorio e sulla rete di omertà delle persone. Se ci sono membri locali all’interno di essa si può star certi che la popolazione è dalla loro parte e non da quella dell’esercito. Ma se arrivano molti componenti esterni, la situazione cambia leggermente: si alterano gli equilibri di potere tra i capi e viene a mancare la solidità della gerarchia”
“Credi che sia il loro caso?”
“Non posso garantirglielo, signore. Ma è un’ipotesi che dovremmo tenere in considerazione”
Il capitano di Central City si mise a riflettere su quella mappa dove Breda gli aveva illustrato sommariamente le caratteristiche del territorio.
“Abbiamo l’ordine di sgominare questa banda” mormorò
“Signore, se posso permettermi: non ce la possiamo fare” disse Breda con sincerità
“Continua” disse distrattamente l’uomo, senza nemmeno guardarlo
“Siamo numericamente troppo inferiori e non possiamo permetterci di coprire il territorio necessario per un’azione contro una banda così numerosa. Verremo circondati in pochi minuti e fatti fuori. Senza contare l’ulteriore difficoltà creata dalla neve di quest’inverno: non siamo dotati dell’equipaggiamento necessario”
“Già… maledetta neve. Da decenni non si vedeva a sud, ed eccola proprio quando non serve”
“Signore, io credo che dovremmo aspettare e chiedere rinforzi”
“Apprezzo le tue opinioni, sergente – disse Rhea, squadrandolo con diffidenza – ma sono io al comando di questa missione. Se vogliono metterci alla prova, benissimo!”
“E quali sono gli ordini, signore?” chiese Breda con preoccupazione
“Se davvero ci sono componenti del paese in questa banda e quindi non c’è possibilità di collaborazione con l’esercito, allora passeremo alle maniere forti. Bastano pochi soldati per formare un plotone d’esecuzione” sorrise con cattiveria
“Signore?” si irrigidì Breda
“Giustizieremo tre abitanti del paese ogni giorno, fino a quando quei bastardi non cederanno” dichiarò
“No!”
“Prego, sergente?”
“Signore, - disse rigidamente Breda, cercando di mantenere la calma - non possiamo compiere una simile barbarie. Giustiziare persone innocenti servirà solo ad aumentare la rivolta…”
“Capisco… ovviamente parli così perché c’è la tua famiglia. Stai tranquillo, loro non verranno toccati… e non pretenderò che tu faccia parte del plotone d’esecuzione”
“Non è questo il punto!”
“La missione è stata affidata a me, sergente. Tu limitati ad eseguire gli ordini: ora preparerò un avviso per la popolazione… domani farò il proclama e da dopodomani si inizia con le esecuzioni. Tre persone ogni ventiquattro ore. Ora puoi andare”
 
Breda uscì dal municipio con aria disperata. Quell’uomo era completamente pazzo: stava condannando a morte lui, i suoi uomini e tre innocenti. Perché non c’erano dubbi che alla prima esecuzione la rabbia sarebbe esplosa peggio di una granata.
Si passò una mano tra i corti capelli rossi, chiedendosi con ansia cosa poteva fare. La responsabilità di tutto quanto era su di lui, ne era perfettamente consapevole, e le possibilità erano ben poche: o morire per l’ordine di quel folle oppure disertare. In questo secondo caso, però, doveva convincere anche i suoi uomini: non poteva lasciarli agli ordini del capitano Rhea.
Si mise a camminare nella strada innevata per raggiungere il piccolo magazzino dove stava il resto dei soldati.
Al suo ingresso, tutti si alzarono in segno di saluto, ma lui fece loro cenno di risedersi. Ormai li conosceva uno per uno ed erano dei bravi diavoli: si fidavano di lui e l’avrebbero seguito di sicuro. Ma cosa poteva fare una volta conclusa la diserzione? Unirsi alla banda di ribelli? No, questo era da escludere assolutamente: lasciare quel bastardo di Rhea per unirsi ad altri aguzzini che magari li avrebbero uccisi nel sonno era da folli.
“Signore, qualcosa non va?” chiese uno dei suoi uomini avvicinandosi
“No, Patrick, tutto bene – rispose distrattamente – sono solo un po’ stanco”
“Sa già quali sono le disposizioni?”
Sì… il nostro bravo capitano Rhea sta stendendo un avviso per la nostra condanna a morte
“No, ancora niente. Ho esposto al capitano la situazione, ma dobbiamo aspettare che formuli qualche piano”
“Quello?” ridacchiò il soldato
“Già, quello” sogghignò Breda. Nessuno dei suoi uomini amava Rhea e lui non aveva alcun motivo per soffocare questi sentimenti. Però quel momento di allegria finì in fretta, rendendosi conto che lui, Patrick e gli altri nell’arco di due giorni al massimo potevano essere tutti morti.
“Adesso continuate a riposare – disse, mettendogli una mano sulla spalla – vi voglio freschi per quando arriveranno gli ordini”
 
L’ora del coprifuoco arrivò più in fretta del previsto e le vie, già poco trafficate durante il giorno, divennero deserte, conferendo a Giyoir l’aspetto di una cittadina fantasma.
Nel magazzino dove stava con i suoi uomini, Breda era seduto su uno sgabello, con gli occhi chiusi: sembrava dormisse, ma in realtà continuava a far lavorare freneticamente la sua mente per trovare una scappatoia alla tragedia incombente. Nella sua testa era iniziato un terribile conto alla rovescia per quando il giorno successivo, alle dieci di mattina, il capitano Rhea aveva deciso di dare l’annuncio alla popolazione.
Curiosamente gli tornò in mente quando all’Accademia studiava storia di Amestris: non era necessario imparare a memoria in quanto gli avvenimenti erano solo una logica successione di fatti. Se conoscevi bene il precedente, il successivo non aveva nessun mistero per te. E adesso era proprio questa la situazione: la morte era la logica conseguenza di qualunque decisione lui avesse preso: si trattava solo di scegliere se morire da disertore o da cane dell’esercito.
Però il gusto di mettere fuori gioco quel bastardo di Rhea potrei anche prendermelo. Almeno non moriremo invano: quel coglione smetterebbe una volta per tutte di mettere in difficoltà l’esercito con le sue grandi strategie.
“Signore” lo chiamò uno dei suoi uomini
“Dimmi”
“Non crede che dovremmo fare delle ronde? I ribelli potrebbero decidere di attaccarci mentre riposiamo”
No, non lo faranno: stanno aspettando la nostra mossa suicida. Perché scomodarsi? Siamo solo un piccolo gruppo di soldati del cazzo… non facciamo paura a nessuno… noi non…
“La ronda non è necessaria. Piuttosto, chiamami Denis: ho bisogno di lui” disse con un sospiro
 
“Cittadini di Giyoir – iniziò il capitano Rhea con voce grave, dal piccolo palco che aveva fatto montare davanti al municipio – vi ho fatti convocare qui perché devo farvi un importante annuncio”
La piazza principale della città era brulicante di persone: uomini, vecchi, donne, bambini. Breda, in piedi accanto al suo superiore, notò come la maggior parte dei giovani del paese non fosse presente. Sicuramente si erano tutti uniti alla banda di ribelli, e sapeva che erano almeno una cinquantina di persone valide.
Scrollando le spalle con noncuranza tornò a controllare la folla: intravide i suoi genitori, ma di Henry nessuna traccia, come era prevedibile: ormai chi aveva contatti coi ribelli non riteneva sicuro stare in un paese con dei soldati.
Ovviamente non sono del tutto sicuri che ci potrebbero fare fuori senza alcun problema… devo tenere questo vantaggio il più possibile.
“Come ben sapete c’è una banda di criminali organizzati che imperversa nel territorio, turbando l’ordine di questa parte del paese. – Rhea intanto continuava il suo discorso con voce altisonante – Così il governo di Central City mi ha affidato l’incarico di venire qui e sgominarla, consegnando questi criminali alla giustizia”
La folla rumoreggiò lievemente a quelle parole: quell’uomo non si rendeva conto di aver dato del “criminale” a decine di congiunti dei presenti.
“In questa banda sono inoltre presenti degli infiltrati di Aerugo e Ishval che cercano di portare il paese nel caos totale. Tutti voi sapete che nei confini si combatte aspramente per difendere la nostra amata patria, con il tributo di sangue di centinaia di soldati. Amestris non tollera che questo sacrificio venga reso vano da dei ribelli!”
“Sergente – mormorò uno dei suoi uomini, accostandosi a Breda – è tutto in ordine”
“Molto bene, - annuì lui – allora lasciate fare a me”
Rhea gli lanciò uno sguardo gelido, seccato dall’interruzione, ma poi riprese il suo discorso
“Sono necessarie misure drastiche e dolorose, ma purtroppo in periodo di guerra è inevitabile che accada. Sappiamo per certo che nelle fila di questi ribelli ci sono molti membri di questa città. – si guardò intorno con una pausa teatrale – Ovviamente mi rendo conto che è difficile denunciare un parente o un amico, ma per il bene comune è necessario. Qualcuno ha niente da dire?”
Se spera che qualcuno si faccia avanti è più idiota di quanto credessi…
Breda scosse lievemente il capo.
“In questo caso non mi lasciate altra scelta. – disse seccato il capitano – La decisione presa è la seguente: affinchè i ribelli si consegnino alla giustizia, a partire da domani tre persone verranno estratte a sorte e giustiziate”
Questa volta il mormorio della folla fu molto più acceso. Breda vide sua madre portarsi la mano alla bocca in gesto di sgomento. Suo padre invece guardava Rhea come a volerlo uccidere e lo sguardo includeva anche lui stesso.
Direi che questa storia è durata abbastanza
“Da domani l’estrazione procederà con la seguente modal…”
Click
“… sergente! Che cosa significa questo gesto?” chiese seccato Rhea vedendo che Breda aveva estratto la pistola e l’aveva puntata contro di lui
“Capitano Rhea, lei è in arresto per tradimento” dichiarò il sergente con voce chiara
“Tu devi essere impazzito!”
“Verrà giudicato da una corte marziale in merito ai suoi metodi di repressione. Tutti i miei uomini sono testimoni di quanto detto da lei poco fa: giustiziare cittadini inermi a scopo ricattatorio.”
“Sono assolutamente autorizzato a svolgere…”
“L’esercito deve proteggere la popolazione, non ucciderla. Caporali Smith e Rell, portare il capitano Rhea in prigione: resterà lì fino all’arrivo di un ufficiale di rango a lui superiore, come richiede la procedura”
Due soldati si fecero avanti e legarono lo sbalordito Rhea.
“Questo è ammutinamento, sergente Breda! Ne risponderai tu davanti alla corte marziale! E insieme a te tutti i tuoi uomini!”
Mentre l’uomo veniva portato via, Breda rimase in silenzio. Poi, rimise la pistola nella fondina e fece qualche passo avanti, rivolgendosi alla popolazione. Diverse persone lo fissavano come se lo riconoscessero per la prima volta.
“Molti di voi mi conoscono da quando ero piccolo – iniziò con voce chiara – e se non vi fidate della mia divisa, per colpa di persone come quello lì, posso capirvi. Ma almeno vi chiedo di fidarvi di me. Non ci sarà nessuna ripercussione sulla popolazione civile, assolutamente: si ritorna al normale coprifuoco, senza che voi dobbiate temere qualcosa da me o dai miei uomini.”
Adesso c’erano diversi sorrisi titubanti tra quelle facce infreddolite dal vento pungente
“Tuttavia – continuò facendosi più serio – la necessità di sgominare la banda di ribelli resta. Anche se la città è stata sempre risparmiata, non possiamo ignorare che a farne le spese sono stati paesi vicini, messi a ferro e fuoco. Questi gesti vanno fermati. So che molti di voi hanno contatti con queste persone: nella banda sicuramente ci sono tanti figli, amici, fratelli… ma questa situazione di caos deve finire. Per cui chiedo alle persone che si sono unite ai ribelli di tornare alle proprie case, riprendere in mano la propria vita e dimeticarsi di questa follia provocata dalla guerra…
Ti prego… fai che Henry sia tra queste persone di buon senso
“… per quanto riguarda il resto dei ribelli, tra cui ci sono anche emissari di Aeurugo che hanno diffuso falsità sull’esercito allo scopo di provocare ribellioni…
Che sguardi scioccati… possibile che non ci abbiate mai pensato che non c’era niente di vero? Solo adesso vedete che io e i miei uomini siamo messi male quanto voi?
“… l’esercito non rimarrà inerme e procederà all’annientamento di questa piaga del paese, senza alcuna clemenza. Questo è quanto: adesso vi prego di tornare alle vostre attività. Signor sindaco, – disse infine, rivolgendosi al primo cittadino che stava tra il resto delle persone – mi dispiace che il municipio sia stato occupato. Lei e i suoi funzionari potete tornare nei vostri uffici: io e i miei uomini siamo perfettamente sistemati”
“Grazie Heym… eh, volevo dire sergente” balbettò l’anziano politico
Senza attendere altro, nemmeno lo sguardo dei suoi genitori, Breda scese da quel palco improvvisato e si diresse verso i suoi uomini che avevano assistito al discorso schierati nel lato destro della piazza. Come fu davanti a loro si misero sull’attenti: su molti dei loro visi c’era un’espressione assai soddisfatta.
“Torniamo ai nostri alloggi, soldati” disse semplicemente.
Adesso non ci resta che attendere. Forse questi ventidue cani dell’esercito moriranno nei prossimi giorni… ma almeno non avranno sulle loro mani il sangue di persone innocenti.

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Capitolo 8
*** Dicembre 1907. Quando avrai bisogno di me. ***


“Ci sono notizie, Denis?”
“No, sergente – sospirò il soldato, levandosi le cuffie - purtroppo sembra che abbiano problemi con la loro radio”
“Va bene. Appena ci sono novità fammi sapere immediatamente. Io passo un attimo a casa mia, ma conto di tornare in massimo un’ora”
“Sissignore”
Breda uscì dal magazzino – alloggiamento e si incamminò per le strade di Giyoir.
Erano passati due giorni da quanto aveva preso in mano la situazione e arrestato il capitano Rhea: la città sembrava molto più serena, tanto che, lungo il cammino, alcune persone gli rivolgevano dei timidi saluti e a volte qualche sorriso. Questo era già un grande risultato: sicuramente molto era dovuto al fatto che lo conoscevano sin da ragazzo; ma che riuscissero ad avere un minimo di fiducia in lui e nei suoi uomini, nonostante la divisa, voleva dire che non tutto era andato perduto.
Aveva notato, con cauto ottimismo, che erano ricomparsi anche alcuni dei giovani assenti a quella fatidica assemblea cittadina e che lui sospettava far parte della banda dei rivoltosi. Forse avevano davvero accolto il suo consiglio ed erano tornati a casa; certo, c’era anche la possibilità che in realtà fossero lì solo per controllare la situazione e informare poi i loro capi, ma Breda aveva preso precauzioni in merito: se loro controllavano l’esercito, l’esercito controllava loro. Ogni movimento sospetto sarebbe stato notato.
Era una situazione di apparente stabilità, ma sapeva benissimo che questa tregua poteva crollare da un momento all’altro. I capi della banda sicuramente avevano notato che nessun rinforzo era giunto al suo plotone di ventidue soldati, e un loro attacco era dunque imminente. Questa era forse la parte della situazione più difficile da gestire: Breda sapeva che i rinforzi stavano arrivando, ma le comunicazioni radio erano state poche e cariche di interferenze e dunque non sapeva quando sarebbero giunti e in che numero. Per cui doveva cercare di reggere baracca e burattini da solo, per tutto il tempo possibile.
E l’unico modo per farlo era far vedere che la popolazione era a favore, sebbene in maniera molto cauta, dell’esercito. Questo avrebbe fatto esitare lievemente i capi della banda: non potevano permettersi di perdere l’appoggio degli indigeni.
Per ora stare in città li aveva in qualche modo protetti, ma non poteva durare ancora a lungo.
Arrivato alla porta di casa sua, bussò.
“Heymans! – lo salutò la madre, abbracciandolo – Oh, caro, speravo tanto che passassi a casa!”
“Tutto bene, mamma?” le chiese, ricambiando l’abbraccio e notando con piacere come fosse più serena
“Sì, e sapessi come sono fiera di te. Tutta la città non fa altro che parlare del tuo gesto coraggioso”
“Ho fatto solo quello che dovevo. – sorrise, sedendosi al tavolo – Non potevo permettere che quell’uomo facesse una simile follia”
“E’ così triste pensare che vengano compiute cose così terribili, sebbene siamo in guerra. – commentò lei con malinconia – Ma mi conforta sapere che ci sono dei soldati come te ed i tuoi uomini. A proposito, siete alloggiati bene? Vi manca cibo o altro?”
“Tranquilla mamma, ce la caviamo splendidamente. Ma sei sola in casa? Papà ed Henry non ci sono?”
“Tuo padre è uscito per andare a trovare alcuni amici: sai ormai in città non si può far a meno di commentare gli ultimi avvenimenti. Quanto a Henry…” sospirò tristemente
Non è tornato… dannazione a lui, perché non ha accolto il mio invito?
“Sono sicuro che sta bene: è in gamba, lo è sempre stato”
“Heymans, dimmi la verità. Che succederà se e quando l’esercito…” non riuscì a terminare la frase
Dovrei imprigionarlo e poi farlo processare per brigantaggio… e la pena, in periodo di guerra, è la forca o il plotone d’esecuzione
“Farò il possibile affinchè non incorra in punizioni troppo forti. – disse in tono non troppo convinto – In fondo è solo un ragazzo di diciassette anni”
“Oh, grazie tesoro! Sei sempre stato così responsabile e serio: sono tanto orgogliosa che tu sia mio figlio”
Beh, almeno qualcuno in questa famiglia mi apprezza…
 
Mentre tornava al magazzino, Breda venne affiancato con noncuranza da uno dei suoi uomini
“Dimmi tutto, Tommy” disse in tono tranquillo, continuando a guardare davanti a sè
“Ci sono movimenti sospetti, signore – rispose quello mettendosi le mani nelle tasche del cappotto – Alcuni dei giovani che tenevamo sotto controllo si sono diretti verso le colline circostanti”
“Non li avrete seguiti, spero”
“Assolutamente no, signore, come da ordini”
“Va bene… tu e gli altri assicuratevi che intorno alla nostra base sia tutto in ordine. Voglio parlare a tutti voi”
“Quindi è arrivato il momento?”
“A quanto pare… ora vai”
 
Ventidue uomini: diciannove soldati semplici, tre caporali. Il più giovane aveva vent’anni come lui, il più anziano una trentina; negli ultimi quattro mesi avevano combattuto insieme in almeno sette missioni differenti. Avevano visto le loro file decimarsi tra morti, feriti, trasferimenti: loro erano lo zoccolo duro di quel plotone, l’ultimo collante.
Forse erano stati semplicemente i più fortunati o i più attaccati alla vita: alla fine, quando vedi tanta guerra intorno a te, la smetti di cercare una logica per chi deve vivere e chi deve morire. Ma, nonostante tutto, loro non avevano ceduto: erano rimasti profondamente compatti, appoggiando il loro sergente in qualsiasi decisione.
E adesso l’avevano appoggiato anche nella sua decisione di condannarli a morte. Non aveva bisogno di dare molte spiegazioni; non erano stupidi, tutt’altro: sapevano bene di essere circondati dal nemico e che ormai quei rinforzi non sarebbero arrivati in tempo.
“Va bene, ragazzi… credo che non ci sia molto da spiegare: – inizò Breda sedendosi stancamente su una sedia, mentre tutti si radunavano accanto a lui – ventitre contro centocinquanta circa; equipaggiamento non adatto contro un organizzazione ben fornita… ci smantellano il culo in dieci minuti”
“In quei dieci minuti ne manderemo il più possibile all’inferno” dichiarò Patrick, uno dei caporali scatenando un mormorio d’assenso.
“Non mi aspettavo altro da parte di un branco di diavoli come voi, - sogghignò Breda – gli faremo vedere che ventitre cani dell’esercito sono capaci di spedire all’altro mondo almeno venti di loro, se non di più”
“Signore, non ci offenda… almeno trenta!”
“Uccidetene più di quaranta e giurò che offro da bene a tutti”
Era strano sorridere alla propria condanna a morte in quel modo, ma era un bene poter esorcizzare la paura di quelle ultime ore d’attesa. E se ne avessero fatto fuori almeno trenta, di sicuro avrebbero fatto un favore ai rinforzi che sarebbero arrivati in seguito… sebbene troppo tardi per salvare loro.
“Voglio solo chiedervi un favore: so che potremmo stare qui ad aspettarli e sarebbe la cosa più logica da fare… ma siamo in piena città”
“Andare in campo aperto: signore è la prima volta che fa un gesto così poco strategico” commentò uno degli uomini. Ma nessuno gli chiese spiegazioni o avanzò obiezioni: sapevano tutti che aspettare i nemici in quell’edificio voleva dire coinvolgere anche la popolazione civile. Bastava qualche ribelle particolarmente esagitato e la follia sarebbe dilagata come un fuoco in un campo di erba secca. Invece se si allontanavano, andando verso il bosco, c’erano buone possibilità che il paese venisse risparmiato.
“Bene, signori: prepariamoci. Stasera apriremo noi le danze e non loro”
 
“Una cinquantina o poco più, dislocati in vari punti della boscaglia e lungo il sentiero principale” valutò Patrick, in piedi accanto a Breda. Si trovavano a un centinaio di metri dal bosco dove avrebbero compiuto la loro ultima missione, a circa cinque chilometri dal paese. Una distanza di sicurezza accettabile.
“Abbastanza logico: – annuì lui – non vogliono rischiare tutta la banda per soli ventitre uomini. Chiunque sia il loro capo è una brava volpe, glielo concedo. E posso anche scommettere che questi cinquanta uomini sono quelli di cui si vuole liberare… magari i più vigliacchi.”
“Crede che ci siano anche abitanti del paese?”
“No, ne dubito. Quelli se li tiene stretti perché sa che sono la sua garanzia per avere l’appoggio della popolazione quando salterà fuori quello che succederà nelle prossime ore”
Almeno Henry non è coinvolto in questa storia… preferirei morire sapendo che nessuno dei miei uomini rischia di svuotare il suo ultimo caricatore su di lui
“Bene bene… - commentò il caporale sfregandosi le mani – nessuno scrupolo, signore?”
“Loro ne avranno per noi? - chiese con ironia Breda, passandosi la mano sui capelli rossi – L’unica cosa che vi chiedo è di mantenere la disciplina fino all’ultimo: compatti ne mandiamo di più all’inferno”
“Ovviamente, signore. E’ stato un onore combattere con lei in questi mesi” concluse Patrick tendendogli la mano
“E’ stato un onore anche per me, Patrick” sorrise Breda stringendogliela
Poi fece un cenno agli uomini dietro di lui ed il piccolo plotone di soldati si avventurò nel bosco.
Breda non si girò indietro a guardare l’agglomerato di case poco distante: non aveva avuto la forza di andare da sua madre per dirle addio, per darle la delusione di un figlio che non sarebbe tornato, come invece le aveva promesso di fare. Ma sperava che, prima o poi, capisse il suo gesto e lo perdonasse per il dolore che le avrebbe causato con la sua morte.
 
Possibile che siano passate già tre ore e io sia ancora vivo?
Breda ansimava disperatamente, posato contro un tronco di un albero. Era vivo e miracolosamente illeso, se si escludeva quella leggera storta alla caviglia sinistra quando era caduto nel tentativo di salvare un suo uomo.
Si guardò intorno con desolazione: erano rimasti in dieci, lui compreso. Patrick, Tommy, Liam… tutti caduti, uno dopo l’altro. Ma almeno, in quel terreno coperto da neve e rami secchi, erano rimasti anche i cadaveri di una quindicina di nemici, se non di più.
“Denis, tutto bene?” chiese, guardando il giovane che si sedeva pesantemente a terra con aria sofferente
“Una pallottola nel braccio sinistro, sergente. – mormorò lui, cercando di sorridere – Ma io sparo con la destra: nessun problema”
“Esce sangue?”
“Non molto”
Allora non gli ha preso l’arteria… bene, se gliela leviamo entro le prossime ore in pochi giorni dovrebbe… oddio ma che cazzo sto pensando?… siamo tutti morti!
Scosse il capo con rassegnazione. Erano nascosti in un piccolo rifugio formato da alcuni alberi particolarmente fitti; avevano combattuto aspramente e la loro disciplina era servita a farli sopravvivere così a lungo in quel bosco che diventava sempre più buio, mentre il sole tramontava. Molto presto gli ultimi sprazzi di luce diurna sarebbero spariti e le tenebre si sarebbero fatte fitte: nemmeno la luna sarebbe riuscita a superare, con i suoi raggi, quella boscaglia così densa.
Non avevano luci da accendere e anche se le avessero avute sarebbe stato un suicidio farlo: avrebbero attirato i nemici come il miele attira le api. I briganti invece non avevano problemi ad usare delle torce e il bosco brulicava di tante fiammelle che si muovevano cercandoli.
“Sergente, perché non spariamo alla prima torcia che vediamo?” sussurrò un soldato
“No, Nick, – mormorò Breda, riconoscendone la voce – adesso non avrebbe senso. Se abbiamo fortuna,  non ci trovano subito e si raduneranno in gruppi più numerosi: quando vedrete diverse torce insieme… allora sì che potrete sparare. Non vi ricordate? Mi avete promesso almeno trenta morti”
“Sissignore”
Dopo una decina di minuti quell’attesa si spezzò
“Ho sentito dei rumori!” gridò una voce venendo nella loro direzione. Subito altre voci e richiami risuonarono tra la boscaglia e tutti si dirigevano verso di loro.
“Adesso potete sparare, ragazzi!” esclamò Breda puntando la pistola, verso quei suoni.
L’aria si riempì di nuovo di spari e di gemiti, fortunatamente nessuno proveniente dal gruppo di soldati nascosto nel rifugio
“Figli di puttana! – esclamò qualcuno – Ma adesso sono finiti! Le loro munizioni non durano per sempre!”
E quasi a conferma, Breda sentì le armi dei suoi uomini che cessavano di sparare, con il rumore dei colpi sostituito da quello dei grilletti premuti invano.
“Oh merda!” esclamò uno di loro
“Ci si rivede all’inferno, ragazzi” sospirò Breda, stancamente, alzandosi in piedi. Strinse in mano la pistola, deciso a lanciarla in testa al primo sconsiderato che fosse giunto a portata di tiro
“Sergente! Dietro di lei!” esclamò uno dei suoi uomini
Breda fece in tempo a girarsi per vedere uno dei fuorilegge, con una torcia in mano e un coltellaccio nell’altra, saltare contro di lui, come una bestia famelica. In una frazione di secondo capì che non avrebbe mai fatto in tempo a lanciargli la pistola contro: era finita.
Una pallottola gli passò a un centimetro dal viso e andò a colpire il suo aggressore, centrandolo in pieno petto. L’uomo fu scaraventato all’indietro, cadendo nel terreno senza emettere un suono: era morto.
Contemporaneamente la boscaglia si riempì di nuove luci e di nuovi spari. Le grida dei ribelli si trasformarono da temerarie a terrorizzate e le torce iniziarono a muoversi con frenesia.
“I rinforzi… - singhiozzò la voce di Denis – siamo salvi… grazie al cielo… siamo salvi!”
“State tutti giù, ragazzi! – ordinò Breda, riprendendo il controllo della situazione – Non voglio vedervi morire a causa di fuoco amico!”
 
Se loro erano a malapena sopravvissuti  tre ore in quel maledetto bosco, ai rinforzi bastarono una decina di minuti per prendere in mano la situazione. Finalmente gli spari finirono e ordini secchi, tipici dei militari, iniziarono a farsi sentire: le luci delle torce furono sostituite da quelle più fredde delle lampade in dotazione all’esercito.
Finalmente vennero raggiunti da dei soldati che li aiutarono a lasciare quel rifugio improvvisato
“Sergente Heymans Breda, – si presentò con stanchezza, mentre un suo uomo lo aiutava a camminare per via della caviglia lesionata – ci avete salvato la vita, grazie”
“Venga, sergente – disse un soldato – lei ha bisogno di cure”
“E’ solo una caviglia slogata: il ragazzo lì ha una pallottola nel braccio, pensate a lui”
“Penseremo a tutti. – annuì l’uomo – Fortunatamente il capitano ha intravisto quei movimenti sospetti nel bosco e invece di andare in città ci ha fatto dirottare qui”
“Purtroppo non avevamo molta scelta: minacciavano di attaccare la città e abbiamo preferito evitare vittime civili”
“Scelta encomiabile, sergente. Ecco, si sieda pure qui: arriveranno subito dei medici”
Lui e i suoi uomini vennero fatti accomodare nel mezzo di un piccolo campo dell’esercito, creato in pochissimi minuti. Questa sì che era una squadra organizzata: non era un plotone qualunque. Altrimenti non si sarebbe spiegato la precisione e la facilità con cui avevano messo in fuga quella banda.
E la persona che ha sparato quel colpo che mi è passato a un centimetro dal viso non è certo un dilettante… non è certo un…oh! Ma vaffanculo!
“Perché sorride così, signore?” chiese perplesso Denis, seduto accanto a lui
Quando avrai bisogno di me, io ci sarò sempre e so che anche per te sarà così
L’eco di quel giuramento si fece largo nella sua mente stanca, mentre vedeva una figura avanzare verso di loro.
Breda non rispose alla domanda del suo uomo: aveva occhi solo per quel soldato alto e biondo che fumava una sigaretta e teneva il fucile in spalla con sfacciata disinvoltura. Facendosi beffe del clima freddo, non aveva nessun cappotto sopra la divisa dell’esercito. I capelli biondi, sotto le lampade artificiali, assumevano riflessi più chiari, ma i ciuffi ribelli sulla fronte non erano cambiati. Gli occhi azzurri riflettevano il furbo sorriso delle labbra, mentre si portava davanti a loro.
“Se credi che ti abbracci e ti dica che ho sentito tanto la tua mancanza, allora sei più scemo di quanto ricordassi” sogghignò Breda
“Avrei dovuto sparare a te e non a quell’uomo, se è questo il saluto che mi fai dopo quasi un anno, Heymans Breda”
“Il tuo saluto è stato quel proiettile a meno di un centimetro da me, Jean Havoc: ti aspettavi una risposta diversa?”
“Assolutamente no”
Che tu sia dannato, Jean Havoc, non sono mai stato così felice di vedere il tuo muso impertinente!
 
“Bene, bene: il miglior allievo del corso. – commentò il capitano Harris la mattina successiva, sorridendo compiaciuto – Heymans Breda, ti sei comportato proprio come mi aspettavo da uno come te”
“La ringrazio, signore” annuì Breda
Il magazzino che era sembrato così vuoto quando c’erano solo lui e i suoi uomini ad occuparlo, adesso brulicava di attività. La “Squadra Falco” era composta da cinquanta unità, scelte tra i migliori soldati del paese: considerata la sua specializzazione in operazioni di guerriglia, era stato deciso di usarla per combattere le bande di ribelli, piuttosto che mandarla al fronte. Il capitano di quel corpo d’elite era l’ex istruttore d’armi all’Accademia, Thomas Harris: colui che non aveva mai smesso di appoggiare Havoc all’Accademia, nemmeno quando questi sembrava dover cadere agli esami del primo semestre.
Adesso stava seduto comodamente ad un tavolo, con Breda e Havoc, a fare il punto della situazione.
“Allora: tredici soldati e trentotto ribelli morti. A cui aggiungiamo circa cinque feriti nostri, ma nulla di grave… anche quel ragazzo con la pallottola nel braccio si riprenederà in fretta. Adesso i ribelli sono circa il doppio di noi: una situazione perfettamente gestibile, considerando che ora saranno nel panico”
“Signore, prima di pensare a come procedere, – iniziò Breda – io dovrei anche renderle conto della questione del capitano Rhea”
“Ah sì? Beh, non c’è molto di cui tu mi debba rendere conto. Hai fatto la cosa giusta e, anzi, penso che il tuo sia stato un gesto meritevole di promozione”
“E’ stata comunque un’insubordinazione. – protestò Breda – E per quanto fosse una barbarie, essendo in periodo di guerra, aveva tutto il diritto di prendere un provvedimento simile”
“Ma il suo gesto avrebbe scatenato la popolazione contro l’esercito e questo è ben più grave. Avrebbe compromesso del tutto la vostra posizione già difficile. In tutta confidenza, detesto quando mandano uomini di Central a compiere missioni così delicate: non hanno la minima idea di come gestirle. Fidati, ragazzo, a lui ci penso io. Adesso esponimi tutto quello che sai sulla situazione attuale”
 
Qualche ora dopo Havoc e Breda ebbero finalmente un attimo di tregua e si sedettero in una cassa appena fuori dal magazzino.
“Hai veramente un aspetto pessimo, Breda – sghignazzò Havoc, mentre sorseggiava una tazza di the – E’ difficile pensare che nemmeno un anno fa non avevi un capello fuori posto e la divisa da cadetto sempre in ordine”
“Effetti collaterali di una guerra” alzò le spalle Breda, notando come il suo amico fosse invece in splendida forma
“E sei anche dimagrito!”
“Te ne sei accorto? Beh, sai, non è che l’esercito nutra bene i suoi uomini negli ultimi tempi. Ma racconta, dove sei stato? E’ da aprile che non ho tue notizie”
“Mh, vediamo – pensò Havoc, posando la tazza vuota a terra e prendendo una sigaretta – Principalmente nella parte settentrionale del settore Est di Amestris: il capitano Harris ha guidato la squadra in una serie di azioni per spingere le bande a sud. Ho perso il conto di quante ne abbiamo sgominato”
“E così tutti i vostri scarti sono arrivati qui a rimpolpare la banda di questa zona. Ecco, lo sapevo che dovevi per forza c’entrare qualcosa… centocinquanta banditi! Se non c’era lo zampino di Jean Havoc…”
“E che diamine Breda… sono solo centocinquanta! Potevi benissimo farcela! E poi, se non sbaglio, questo è il tuo paese natale: giocavi anche in casa” sghignazzò Havoc dandogli una pacca sulle spalle. Ma poi diventò serio quando vide che il suo amico non condivideva la risata.
“Come sta Janet?” chiese Breda senza guardarlo negli occhi
“Quel piccolo demonio? Benissimo. Sono stato a casa, qualche mese fa, e ha chiesto del suo secondo fratellone: mi ha anche sgridato per non averti portato con me”
Breda sorrise nel pensare che quella bambina si ricordasse ancora di lui e nonostante tutto lo considerasse ancora un fratellone.
“Ti ho mai detto che ho un fratello pure io?”
“Sì, se non sbaglio più piccolo, vero? Il suo nome inizia con la H come il tuo, se non ricordo male”
“Si chiama Henry ed ha diciassette anni… e si è unito alla banda dei ribelli” confessò Breda con un sospiro, lanciandogli un’occhiata di sbieco per vedere la sua reazione
Havoc non disse niente e guardò davanti a se; sembrava fosse assorto in profondi pensieri tanto che la cenere della sigaretta cadde nel suo stivale senza che se ne accorgesse.
“Era tra quelli che vi hanno attaccato ieri notte?” chiese infine
“No, non credo. Riteniamo che quelli di ieri fossero tutte persone non provenienti dal paese”
“Ci hai parlato?”
“Sì, ma sono state parole al vento… anzi, forse ho anche peggiorato la situazione. Lui e mio padre sono così… cazzo Havoc, non puoi capire quanto mi faccia stare male entrare in quella casa. Se non fosse per mia madre io…” non aggiunse altro, scuotendo la testa e serrando gli occhi.
Detestava avere simili momenti di debolezza. Tuttavia Havoc gli ispirava un senso di fiducia tale che sapeva di potersi fidare ciecamente di lui in queste situazioni di difficoltà emotiva. Forse avrebbe gestito la situazione in modo goffo, ma era sicuro che l’avrebbe compreso e sostenuto
Come dovrebbe fare un vero amico… un vero fratello.
Tuttavia la reazione di Havoc non fu scomposta, come quando avevano quasi sfiorato la lite, dopo che lui aveva rotto con Kate. Il biondo, infatti, si limitò a levarsi la sigaretta di bocca e dire
“Dimmi come è fatto tuo fratello”
“Eh? Fisicamente dici? – chiese Breda perplesso – Beh, capelli come i miei, un po’ più lunghi. Occhi grigi… corporatura normale e non robusta come la mia. Alto più o meno come me”
“Va bene, mi basta. – annuì Havoc con serietà – Quando attaccheremo quei coglioni di ribelli, individuo quel ragazzino: lo stordisco e lo metto da parte, fino a quando non sistemiamo tutti gli altri. E poi ci faccio un bel discorsetto e vedi che lo rimetto in riga.”
“Tu che rimetti in riga Henry – Breda non potè fare a meno di ridacchiare – è una scena che non vorrei davvero perdermi”
“Beh, del resto tu hai gestito Janet al pranzo di fine Accademia. Ti devo un favore”
“Janet non rischia il plotone d’esecuzione per aver preso parte a dei saccheggi… non odia suo fratello maggiore perché è un soldato” sorrise con tristezza Breda
“Oh, dai, in qualche modo la gestiremo. Del resto siamo sempre stati una squadra perfetta tu ed io”
Breda sorrise: decisamente l’entusiasmo di Havoc era la cosa che gli era mancata di più in tutti questi mesi.
Forse ora poteva sperare, seppur minimamente, di far ragionare Henry.

 

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Capitolo 9
*** Dicembre 1907. Mio fratello. ***


Due giorni dopo la Squadra Falco, specialista nello sgominare le bande armate, si mise in azione. Ad affiancarla c’erano anche nove soldati del plotone che li aveva preceduti in città, soltanto uno era rimasto indietro con il braccio ferito in maniera troppo grave.
Il sergente Breda, nonostante la caviglia ancora leggermente dolorante, affiancava il capitano Harris nel coordinamento dei vari uomini: la sua conoscenza del territorio e della dislocazione del nemico, in base alle precedenti ricognizioni da lui fatte, avrebbero consentito ai soldati di agire in maniera efficace, senza subire troppo la superiorità numerica dei ribelli.
Havoc ovviamente era tra gli uomini che avrebbero sferrato l’attacco: il biondo aveva forse la mira migliore di tutta la sua squadra ed era raro che sbagliasse qualche colpo. Inoltre sapeva guidare perfettamente un assalto: il corso di specializzazione l’aveva reso una vera e propria macchina da guerra.
Breda era dispiaciuto che lui e il suo amico fossero in posizioni così diverse dello schieramento, ma era inevitabile: del resto era sempre stato chiaro che uno era fatto maggiormente per lavori di mente e l’altro per azioni pratiche.
Ma a preoccupare il sergente era anche un'altra questione, molto più delicata: tra quei ribelli c’era suo fratello.
Breda sperava con tutto il cuore che Henry non partecipasse al combattimento, ma si tenesse in disparte o scappasse: in questo modo l’avrebbero solo catturato e, con un po’ di fortuna, sarebbe riuscito a tirarlo fuori dai guai.
Ma sapeva anche che un campo di battaglia è il posto dove le cose degenerano in maniera molto rapida. E purtroppo lui aveva la responsabilità dei suoi uomini a cui dare la precedenza.
Con un ultimo sospiro prese i binocoli e osservò la base del nemico.
Si trattava di un piccolo accampamento sorto attorno a un vecchio mulino abbandonato. Tende e baracche improvvisate erano state sistemate attorno a quell’edificio di pietra che ora fungeva da roccaforte.
“Direi che in quell’accampamento ci sono circa una cinquantina di persone” constatò
“Sono d’accordo – annuì Harris – Ovviamente si aspettavano un nostro attacco e non sono rimasti con le mani in tasca. Funziona sempre così: una roccaforte centrale e poi tutti gli altri nascosti intorno, pronti ad uscire non appena i soldati attaccano… è una tecnica con cui hanno fatto fuori diverse squadre”
“Come intende procedere, signore?”
“Molto semplicemente noi attacchiamo prima quelli che stanno nascosti intorno. Basta stanare i primi”
“E poi gli altri verranno presi dal panico e attaccheranno, uscendo dai loro nascondigli” capì Breda
“E’ il loro grande difetto: non hanno la disciplina data dall’addestramento militare… Coraggio, sergente. Se tutto va bene oggi sgomineremo l’ultima grande banda del settore Est di Amestris e daremo un bel giro di vite a questa guerra civile”
“Speriamo, signore. I miei soldati sono pronti a dare tutto il sostegno possibile”
“Che mi dici dei tuoi concittadini coinvolti nella banda?” chiese il capitano, guardandolo con attenzione
“Razionamenti, freddo, disperazione… - mormorò Breda – Signore, la guerra non è facile per nessuno e a volte si fanno scelte sbagliate. Da parte mia posso dire che molti di loro non sono veramente ribelli: sono solo persone che sono state illuse da altre senza scrupoli”
“Capisco. – annuì il capitano – Finita l’operazione della squadra, valuteremo cosa fare di loro. Però non dimentichiamoci di una cosa: ci sono infiltrati di Aerugo e quelli li voglio vivi”
“Sissignore!”
“Perfetto, adesso andiamo: mancano cinque minuti a mezzogiorno e all’inizio dell’operazione”
 
La cosa sorprendente di un animale messo alle strette è che tirerà fuori artigli e denti e combatterà con tutta la ferocia possibile, anche se consapevole di morire.
Era quello l’unico paragone che Breda poteva fare quando la battaglia era in pieno svolgimento. Era cominciato tutto in maniera così veloce che nemmeno si era reso conto che l’azione era partita. Le squadre speciali avevano una modalità d’azione assai diversa rispetto a quella dei normali plotoni: basavano tutto sulla velocità e sulla precisione, con ogni unità che sapeva perfettamente cosa fare, quando e dove farlo. Erano come un meccanismo oliato alla perfezione dove tutti gli ingranaggi sanno muoversi all’unisono.
E’ vero, era stato lui ad indicare le caratteristiche di quelle colline, segnalando tutti i possibili nascondigli offerti dalla morfologia del territorio, ma aveva la netta sensazione che la Squadra Falco se la sarebbe cavata benissimo anche senza il suo aiuto.
All’improvviso il silenzio era stato spezzato da degli spari e tutto era iniziato.
Dalla sua posizione elevata, Breda vide i primi ribelli uscire dai loro nascondigli, come conigli stanati dai cani da caccia. Alcuni caddero per mano di cecchini nascosti, altri riuscirono a dirigersi verso il mulino. Diversi altri ribelli vennero presi dal panico ed abbandonarono i loro nascondigli, cercando di raggiungere la costruzione o sparando nelle direzioni da cui credevano fossero provenuti i proiettili dell’esercito.
Breda scosse il capo davanti a quella mancanza di disciplina: la cosa più logica sarebbe stata restare nascosti e aspettare che l’azione si spostasse verso la roccaforte. Ma erano una banda, non una squadra e quando era necessario ciascuno pensava per sé e non per gli altri.
Sotto i colpi esperti della squadra Falco, nel tragitto per andare verso quel mulino rimasero circa una ventina di cadaveri.
“Bene, direi che sono scesi sotto le cento unità” commentò il capitano Harris
Ma Breda non lo ascoltava: con il binocolo osservava quei corpi, nel terrore di scorgervi anche quello di suo fratello. Tirò un sospiro di sollievo quando non lo vide: era ancora vivo.
Ti prego… ti prego… lo so che è una vana speranza… ma fa che quel folle sia tornato a casa
“Adesso come intende procedere, capitano?” chiese
“Purtroppo siamo sempre troppo pochi per coprire tutte le possibili vie di fuga: è un territorio con troppi sentieri. – ammise l’uomo – Non ci rimane altra scelta se non quella di ingaggiare battaglia immediatamente: dobbiamo assaltarli noi”
“E’ un bel rischio” commentò Breda
“Li attacchiamo da entrambi i lati del mulino, in modo che si sentano alle strette: se siamo fortunati saranno così impanicati che usciranno in campo aperto”
“E dovranno ingaggiare il corpo a corpo”
“I tuoi uomini l’hanno fatto altre volte?”
“Sissignore”
“Allora possono tranquillamente affiancare i miei: le baionette e i fucili dovrebbero bastare. Procediamo!”
 
Merda, possibile che abbiamo sbagliato così tanto le stime? Questi sono ancora più di cento!
“Cazzo, sergente, e questi da dove saltano fuori?” gridò Nick accanto a lui
“E che ne so! A te deve fregare solo di farli fuori!” gli rispose Breda
Sentiva la caviglia dolergli, ma non aveva la minima intenzione di abbandonare i suoi ragazzi in quel combattimento corpo a corpo che era completamente degenerato rispetto ai piani originari.
Li avevano fregati: non sapeva ancora in che modo, ma quei maledetti ribelli avevano anche altri rinforzi che erano saltati fuori all’improvviso, nel momento in cui i soldati avevano attaccato il mulino.
Fortunatamente gli uomini del capitano Harris non si erano fatti prendere dal panico e avevano formato delle curiose squadre di due unità ciascuno, con i soldati spalla contro spalla che riuscivano a tenere testa su entrambi i fronti nemici. Tuttavia questo aveva solo rallentato l’avanzare dei ribelli, spesso armati solo di coltelli o bastoni, e lo scontro corpo a corpo era stato inevitabile.
A quel punto persino Breda e il capitano avevano lasciato il loro posto ed erano scesi in campo, proprio mentre i ribelli del mulino uscivano allo scoperto.
“Occhio, ragazzi! - esclamò sparando a un ribelle che cercava di attaccarli lateralmente – questi arrivano da tutte le parti”
“Signore! Sembra che puntino sempre su di noi!” esclamò Eddie
Ovviamente… siamo tutti e nove insieme: una preda troppo appetibile
“Va bene, ragazzi. Insieme siamo un bersaglio troppo facile. Squadre da due, come fanno gli altri, copritevi le spalle a vicenda e fatene fuori il più possibile”
“E lei signore? Siamo dispari!”
“Io vado per conto mio. Provate a morire e vi anniento!”
 
Se le squadre da due avevano il vantaggio di coprirsi le spalle a vicenda senza essere un bersaglio troppo grosso, l’essere solo comportava una maggiore libertà di movimento. Sembrava che pochi ribelli fossero interessati a lui, armato di baionetta, che procedeva in campo aperto: questo gli dava la possibilità di colpire all’improvviso coloro che attaccavano gli altri soldati.
Certo era una situazione in cui non si era mai trovato: non c’era la minima strategia o disciplina militare in quello che stava facendo, ma l’esigenza gli imponeva di non pensarci e di farsi largo in quel campo di battaglia che si stava trasformando in un mattatoio. Una remota parte della sua mente non mancava di notare che i ribelli, per quanto più numerosi, non riuscivano a prendere il sopravvento sui soldati: la Squadra Falco se la stava cavando egregiamente.
Ogni tanto gli sembrava di scorgere qualche viso conosciuto tra i ribelli, forse qualche suo compaesano: ma erano visioni così fugaci che non ne aveva mai la certezza piena.
Di Henry nessuna traccia… e, ora che ci pensava, nemmeno di Havoc.
“Vaffanculo, brutto stronzo!” esclamò, mentre respingeva un aggressore armato di coltello. La sua baionetta trafisse il ventre di quell’uomo e lo lasciò agonizzante per terra.
No, non è uno del paese
La caviglia gli faceva un male cane, ma lui strinse i denti traendo da quel dolore la forza per proseguire. Doveva continuare ad eliminare quei maledetti: prima o poi il loro numero sarebbe calato.
 
“Oh, cazzo…” sbottò, quando la baionetta cadde a terra dopo uno scontro particolarmente violento con un ribelle.
Con un gesto di disgusto provò a rimontarla rapidamente, ma l’attaccatura era compromessa e la lama si staccò dal manico.
Breda sospirò, notando come ormai fosse quasi il tramonto.
Stranamente poteva permettersi di guardarsi attorno con relativa tranquillità: gli scontri erano ancora numerosi, ma sembrava che tutti fossero eccezionalmente stanchi: erano più di sei ore che combattevano senza tregua.
Con la coda dell’occhio vide che in un lato del campo vi erano una decina di ribelli seduti e controllati da alcuni militari: evidentemente si erano arresi, vedendo che ormai la battaglia era a senso unico. Notò che tra le sentinelle c’erano anche alcuni dei suoi uomini e ne fu lieto: si erano salvati.
Adesso la caviglia gli faceva davvero troppo male: doveva essersi di nuovo gonfiata per il troppo sforzo; l’adrenalina del combattimento era calata e ora era la stanchezza a farla da padrone.
La cosa migliore da fare, considerata anche che la sua baionetta era andata, era unirsi a quelle sentinelle e aspettare l’ormai prossima fine del combattimento.
Fece i primi passi verso quella direzione quando un lampo rosso a destra del campo di battaglia attirò la sua attenzione.
“Oh porca…” balbettò, troppo incredulo per credere a quanto stava vedendo.
Suo fratello era lì che combatteva come un dannato con in mano un coltellaccio da caccia. Ed il suo avversario era Havoc
“…individuo quel ragazzino: lo stordisco e lo metto da parte, fino a quando non sistemiamo tutti gli altri”
Le parole del giorno prima balenarono nella testa di Breda: quel folle lo stava facendo davvero. Era chiaro che Havoc non aveva nessuna intenzione di far del male ad Henry, altrimenti non avrebbe impiegato che due secondi per farlo fuori. Ma proprio questo lo metteva in difficoltà: infatti c’erano altri due ribelli, armati anche loro di coltelli, che lo circondavano… e Breda li riconobbe tutti come amici di suo fratello.
“Maledetti bastardi!” mormorò a denti stretti andando verso di loro
Mentre procedeva vide che Havoc riusciva a metterne fuori combattimento uno con un colpo di baionetta alla gamba: si rivolse quindi verso l’altro avversario pronto a metterlo fuori gioco. Adesso era abbastanza vicino da poter sentire anche la sua voce
“Possibile che tu sia così imbecille da non capire che sto cercando di salvarti la vita?” esclamò Havoc rivolto ad Henry
“Vaffanculo, soldato di merda! Voi siete la rovina del paese!”
“E sta fermo con quel cazzo di coltello, ragazzino!”
“Vai Billy! Attaccalo!”
“Ehi stronz…rrhg!”
“No! Henry!” esclamò Breda, invano. I suoi occhi si dilatarono e il tempo sembrò scorrere più lentamente, mentre osservava con orrore suo fratello, un ragazzo di appena diciassette anni, che affondava la lama sul fianco sinistro di Havoc. Gli occhi azzurri del soldato si spalancarono per la sorpresa, ma ebbe la prontezza di afferrare il manico del coltello e la mano di chi lo impugnava per immobilizzarlo. Lui ed Henry caddero entrambi a terra
Breda prese la pistola dalla fondina che aveva alla cintura e sparò verso l’altro ribelle che incombeva su loro due: lo colpì in pieno viso, in un esplosione di ossa e cervella. La caviglia scelse proprio quel momento per cedere completamente e lui cadde in ginocchio, serrando gli occhi per il dolore
“No! – mormorò disperato – Non proprio ora… maledizione!”
Si costrinse ad aprire gli occhi e a guardare davanti a se
“Dai, cazzo… state giù coglioni…”
Ma quasi a volersi ribellare per un’ultima volta ai suoi consigli, Henry riuscì a svincolarsi dalla presa di Havoc e si alzò in piedi, afferrando con rabbia la baionetta del soldato. La prese con entrambe le mani e la sollevò, come fosse una spada, con la chiara intenzione di affondarla sul biondo.
Ma poi l’espressione del giovane mutò e il suo viso, dopo un fugace momento di sorpresa, fu contorto dal dolore. In un secondo si accasciò a terra. Non si era nemmeno sentito lo sparo che l’aveva colpito.
“No! Henry! No!” esclamò Breda, riuscendo a trovare le forze di alzarsi in piedi e trascinarsi verso i due.
“Breda!” chiamò Havoc con voce dolorante, mentre cercava di sollevarsi a sedere. Il fianco sinistro della sua divisa era zuppo di sangue con l’impugnatura del coltello che ancora sporgeva
“No… no, ti prego!” mormorò Breda accostandosi a loro.
 “Merda… merda – sussurrò Havoc – ma perché si è alzato in piedi!?”
“Henry… Henry, ti prego…” chiamò Breda cadendo in ginocchio e prendendo tra le braccia quel corpo inerme. Sulla camicia bianca del ragazzo una macchia di sangue si allargava rapidamente: girandolo supino Breda lo scrollò leggermente, ma gli occhi grigi spalancati indicavano che era morto sul colpo.
“No… - balbettò Breda stringendo con disperazione quel cadavere – no… no…Henry… ma perché…”
Non riusciva a piangere: non poteva fare altro che cullare il corpo di quel fratello ribelle che non era riuscito a salvare, nonostante l’avesse promesso a sua madre e a se stesso. Sentì una mano che stringeva convulsamente il suo braccio e vide che Havoc era riuscito a mettersi in posizione seduta
Sei ferito, Havoc… dovresti stare sdraiato…
Ma nessuna di queste parole uscì dalla sua bocca. Il suo sguardo tornò su quel viso pallido, dai capelli baciati dal fuoco come quelli della loro madre. Riuscì con mano tremante a chiudere per sempre quegli occhi grigi che, nella morte, avevano perso qualsiasi spirito ribelle e mostravano finalmente il ragazzo di diciassette anni che era stato… e che non  sarebbe dovuto morire in quel modo.
“Mi dispiace… - iniziò a singhiozzare Havoc, affondando il viso nella sua spalla – non ce l’ho fatta… merda… non ce l’ho fatta… è tutta colpa mia…”
 
Quando, poco dopo, la banda dei ribelli fu del tutto sgominata, i soldati del plotone di Breda si accostarono a quella scena straziante. Su un terreno inzuppato di sangue stava seduto il loro sergente, il viso stravolto dal dolore: teneva tra le braccia un giovane, poco più che adolescente, che sembrava dormire protetto dalle braccia fraterne. Accanto del soldato ve n’era un altro, biondo, seduto nonostante una grave ferita al fianco: e questo soldato, forse uno dei migliori della grande Squadra Falco, singhiozzava come un bambino sulla spalla del sergente.
I soldati non riuscirono a proferire parola: si limitarono a fare una muta veglia attorno al terzetto.
Dopo diverso tempo furono raggiunti dal capitano Harris.
“La battaglia è finita – disse con stanchezza – e l’ultima grande banda di ribelli dell’Est è stata sconfitta… quel ragazzo…”
“Credo che sia il fratello” disse Nick
“Capisco… Vai a chiamare un medico: bisogna curare la ferita del caporale Havoc”
“Sissignore”
Annuendo il capitano fece per allontanarsi, in rispetto di quel dolore così profondo e ingiusto.
“Signore…” chiamò la voce di Breda
“Sergente?”
“Io… - iniziò il soldato senza smettere di fissare il viso del fratello – lo so che chiedo tanto, ma… molti di loro erano solo figli… fratelli… - la voce gli si smorzò per un secondo – Se è possibile… restituire i corpi alle famiglie… per dare loro una tomba dove poter…” non terminò la frase
“Soldato – disse il capitano, rivolgendosi ad un altro degli uomini di Breda – prendi altri tre uomini e andate in paese. Riferite quanto e successo… e chiedete a tutti gli uomini in forze di venire qui. I cadaveri delle persone appartenenti al paese di Giyoir verranno restituiti alle loro famiglie: non erano nostri veri nemici… erano solo figli della disperazione”
“Sissignore”
Il sole tramontava su quel campo di battaglia. I suoi raggi davano al sangue una strana brillantezza… un colore così bello che sembrava inneggiare alla vittoria.
In realtà non c’è alcuna vittoria. Abbiamo perso… abbiamo perso tutto. Perché lui non era il mio nemico… era mio fratello.

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Capitolo 10
*** Dicembre 1907 - Gennaio 1908. Dolore e cordoglio ***


Il cimitero di Giyoir sorgeva su una piccola piana, a circa un chilometro una volta usciti dall’agglomerato di case.
Un lungo filare di cipressi delimitava il suo confine che si affacciava sulla strada, interrompendosi solo per lasciare spazio ad un cancello di ferro battuto che fungeva da ingresso.
Quella mattina il cancello era spalancato e sembrava che quasi tutta la popolazione della cittadina fosse in quella piana disseminata di lapidi. Ma se le vecchie sepolture avevano un ordine sparso, tipico dei cimiteri dei piccoli centri, adesso c’erano ventisei nuove lapidi, in un unico filare, alla medesima distanza l’una dall’altra.
Gli abitanti di Giyoir fissavano in silenzio quei tumuli di terra, che spiccavano così ferocemente nel terreno imbiancato dalla neve, come grigi fiori sbocciati dal seme della guerra. Non c’era stata nessuna commemorazione, nessuna funzione religiosa, ad accompagnare la sepoltura di quei ragazzi: solo il rumore delle pale che avevano gettato la terra su quelle casse di legno costruite con urgenza negli ultimi due giorni.
Breda se ne stava in disparte, al lato opposto del cimitero, accompagnato da uno dei suoi uomini, dato che la caviglia era lesionata in maniera così grave da aver bisogno di un sostegno.
Non aveva voluto avvicinarsi a quel gruppo di persone, per quanto ne avrebbe avuto pieno diritto. In realtà si sentiva un estraneo, poco meno che un nemico; non gli andava di turbare ulteriormente quelle famiglie con la divisa che indossava: la stessa che era stata responsabile di quelle lapidi.
Poi, silenziosamente come era iniziato, tutto terminò: una prima donna in lacrime si avviò verso l’uscita, scortata da alcune ragazze; fu come un segnale per tutte le altre persone che, con sguardi spauriti e incerti, ripresero la via per tornare in paese.
Solo quando l’ultimo di loro fu andato via ed il silenzio tornò a regnare in quel luogo di riposo eterno, Breda fece cenno al suo uomo di aiutarlo ad avanzare in quel terreno coperto dalla neve.
Quinta lapide partendo da sinistra.
Henry Breda 1890 – 1907
Un nome, un cognome e due date… troppo vicine tra di loro.
“Signore, – chiese sommessamente Nick – lei crede che la gente ci odi?”
Breda lo guardò: aveva più o meno la sua stessa età ed un viso perennemente malinconico, nonostante fosse uno dei soldati più aggressivi in battaglia. A volte però si lasciava andare a questi pensieri così profondi.
“Perché me lo chiedi?”
“Le persone che erano dove siamo noi adesso… erano così strane rispetto a quelle che ho visto a tanti altri funerali di vittime di guerra. In quelle occasioni c’è tanta rabbia, tanto dolore. Loro dovrebbero odiare i militari: in fondo siamo stati noi a uccidere questi ventisei ragazzi”
“Adesso ti spiego dove sta la differenza, Nick. – sospirò Breda – E’ molto facile mostrare dolore, rabbia, voglia di vendetta quando una persona cara muore magari per mano di un assassino. Ma è molto più difficile mostrare i medesimi sentimenti quando ti senti responsabile di quella morte”
“Mi scusi signore, ma non credo di seguirla”
“Vuoi sapere a cosa stavano pensando quelle persone? Sapevo che mio figlio stava facendo qualcosa di sbagliato e non l’ho fermato. Forse avrei potuto essere più persuasivo ed impedirgli di morire in questo modo. Dicevo di essere orgoglioso di lui in realtà lo stavo condannando a morire. Non è stato l’esercito: l’ho ucciso io… .Questo è quello che pensavano, Nick, e sono cose molto dure da accettare, te lo posso garantire”
“Giyoir è condannata a vivere con questo senso di colpa, dunque?”
“Ci saranno sempre queste ventisei lapidi a ricordare loro quanto successo. Piano piano il dolore passerà, le vite andranno avanti, magari qualcuno si convincerà che non c’era nulla da fare… ma il rimpianto ed il senso di colpa resteranno per sempre. E’ una cosa con cui bisogna imparare a condividere, per quanto difficile”
“Anche lei si sente in colpa, signore?”
Breda non rispose e fissò per l’ultima volta quel nome e quella data di morte; poi si appoggiò alla spalla di Nick
“Adesso andiamo, ragazzo. Non ha molto senso stare qui”
Ma almeno un membro della famiglia doveva venire a porgere l’estremo saluto ad Henry.
 
Quando arrivò nella via dove stava la sua casa, Breda esitò un istante, tanto che anche Nick si fermò.
Il sergente fissò con apatia quella porta di legno, chiedendosi se fosse il caso di farsi ancora del male ed entrare là dentro. Ma era anche vero che sua madre aveva bisogno di lui.
“Nick, non ti voglio trattenere troppo…” iniziò
“La sua caviglia non è ancora guarita abbastanza, sergente – si limitò a dire il ragazzo – La accompagno all’interno e poi aspetterò”
Annuendo Breda si fece coraggio e bussò alla porta. Dovette aspettare diverso tempo prima che venisse aperta da una vecchia vicina di casa.
“Salve, signora Miriam – salutò il sergente – volevo sapere come sta mia madre”
“Ciao Heymans – rispose la donna – vieni, entra dentro… lui non c’è. E tua madre è a letto a riposare”
La vicina fece accomodare lui e Nick nel piccolo tavolo della cucina e si mise a preparare un the caldo. Considerato che la madre di Breda dormiva, lui non ritenne il caso di andare a disturbarla; così restarono tutti in silenzio in quell’ambiente che, due giorni prima, aveva visto quell’impietosa scena di disperazione.
Breda chiuse gli occhi e decise di farsi male, come quando si tocca un dente malato, ripercorrendola per la millesima volta.
“Mio figlio! Mio figlio!”
Le grida disperate di suo padre, mentre due dei suoi uomini portavano su una barella improvvisata il cadavere di Henry dentro la casa. Lui li seguiva appena dietro, appoggiato pesantemente ad un altro di loro.
Non avrebbe mai voluto portare la salma del fratello a casa, ma che altro si poteva fare? L’alternativa era la fossa comune che l’esercito stava preparando per gli altri ribelli morti: ciascuna famiglia aveva dovuto mestamente recuperare il proprio congiunto, una volta identificato, e riportarlo a casa in attesa di organizzare la sepoltura.
Suo padre si era lasciato cadere in ginocchio davanti alla barella ed aveva preso tra le braccia quel corpo ormai freddo.
Breda aveva notato che la madre non era presente
“Papà… dov’è la mamma? Per favore… non deve vedere questo…”
“L’hai ucciso tu, maledetto! E adesso cerchi di fare il figlio devoto? Tu e questi dannati soldati siete solo degli assassini!”
“Non sono riuscito a salvarlo…”
“Tu non hai voluto salvarlo! Tu l’hai assassinato! Voi, cani dell’esercito! Da quando siete arrivati qui non avete fatto altro che portare morte! Henry! Henry! Figlio mio… figlio mio!”
“Sergente… sua madre…”
A quel richiamo di uno dei suoi uomini si era girato verso le scale ed aveva visto sua madre. Immobile e pallida come un fantasma, con i capelli rossicci che evidenziavano ancora di più quella mancanza di colore nel viso. Gli occhi grigi erano dilatati, come lo erano stati quelli di Henry negli ultimi secondi di vita.
“Mamma…! Per l’amor del cielo, Nick vai a sostenerla… e tu aiutami a salire le scale”
“Signora! Si faccia coraggio…”
“Henry… oddio il mio bambino!”
Era riuscito a raggiungerla a metà scala, mentre lei scendeva sostenuta da Nick. L’aveva abbracciata con tutta la forza possibile, rischiando di cadere per la mancanza d’equilibrio. Sembrava una fragilissima bambola di porcellana tra le sue braccia: tremava convulsamente e continuava a fissare la salma di Henry, distesa all’ingresso. Nessuna lacrima solcava il suo viso, ma la morte si rifletteva nei suoi occhi.
“Mamma, ti giuro che mi dispiace! Non ce l’ho fatta…”
“Il mio piccolo… il mio piccolo!”
Lui e i suoi uomini l’avevano aiutata a scendere quei pochi gradini rimasti, dato che ormai era inutile cercare di preparala a quanto era successo. Si era accostata alla salma del figlio e aveva allungato le mani per accarezzare i capelli ramati
“Non osare toccarlo! Anche tu! Anche tu eri dalla parte di questi maledetti!”
Suo padre, fuori di se dalla rabbia e dal dolore, le aveva dato uno spintone. Fortunatamente uno dei suoi ragazzi l’aveva sorretta in tempo.
“E’ mio figlio… ti prego… Greg, è il mio bambino!”
“Tuo figlio è quell’altro cane dell’esercito! Doveva essere lui a morire! Non Henry!”
“Greg… ti prego, non dire queste cose…”
“Signora, per favore, venga a sedersi”
Si ricordava che i suoi uomini avevano accompagnato la donna in una delle sedie della cucina. Quasi contemporaneamente suo padre aveva rimesso il corpo di Henry disteso sulla barella e si era alzato, girandosi verso di lui.
“Tu, maledetto cane! Da quando sei entrato in quel posto hanno fatto di te un assassino! Non hai esitato a voltare le spalle a tutti i principi che ti ho insegnato… a voltare le spalle a me e a tuo fratello! E’ tutta colpa tua!”
Si era avventato contro di lui, sorretto solo dalla forza della disperazione. I suoi uomini l’avevano bloccato immediatamente.
Poi erano arrivati anche alcuni vicini, attratti dalle urla, e avevano trascinato suo padre fuori di casa
“Greg, vieni fuori! Non sei in te!”
“Lasciatemi stare, maledetti!”
“Smettila di agitarti! Ringrazia invece che almeno uno dei tuoi figli è vivo!”
“Lui non è più mio figlio! Dannato cane dell’esercito! Ti ucciderei con le mie stesse mani!”
“Greg! Vieni! Qualcuno pensi a Laura, sta svenendo!”
“Mamma!”
“No, sergente! Faccia attenzione alla sua gamba!”
 “Tieni Heymans” disse la vicina di casa, mettendogli una tazza davanti e distogliendolo dai suoi pensieri
“Grazie, signora. Oggi come è andata?”
“Sta un po’ meglio rispetto a ieri. Le ho detto che oggi avrebbero seppellito Henry e gli altri: avrebbe voluto tanto andare, ma non si reggeva in piedi. Il collasso che ha avuto è stato molto debilitante”
“Mio padre ha detto qualcosa?”
“Greg? No, Heymans… hai visto anche tu come è ridotto. Sai, ormai aveva occhi solo per Henry: la sua morte l’ha devastato”
“Signora, la ringrazio per tutto quello che sta facendo per mia madre”
Proprio in quel momento si sentirono alcuni rumori provenire dal piano di sopra.
“Deve essersi svegliata. Vuoi salire tu?”
“Sì grazie. Nick, per favore, aiutami a salire le scale… poi farò da solo”
 
La camera dei suoi genitori era un posto dove era stato davvero poche volte. Entrare lì gli era sempre parso come la violazione di qualche luogo sacro. Le poche volte che l’aveva fatto era quando c’era sua madre che lo chiamava per qualche motivo. L’esatto opposto di Henry che in quella camera, da piccolo, la faceva da padrone. Però c’era un particolare che l’aveva sempre affascinato: il letto era in una posizione tale che la mattina un raggio di sole entrava dalla finestra e in quel magico fascio di luce si potevano vedere migliaia di minuscole particelle bianche che galleggiavano nell’aria
Sua madre ora giaceva in quel letto, accanto alla finestra, con quella camicia da notte bianca che accentuava il pallore del viso e il colore grigio degli occhi. Il fascio di sole entrava dalla finestra e quei minuscoli puntini bianchi danzavano davanti a lei, rendendola quasi una creatura eterea.
“Heymans..” lo chiamò debolmente quando lo vide entrare
“Ciao mamma, – la salutò, zoppicando con fatica fino alla sedia accanto al letto – la signora Miriam mi ha detto che oggi stai un po’ meglio”
“Oh, caro… zoppichi così tanto. E’ molto grave la tua ferita?”
“No, stai tranquilla. E’ solo una slogatura: l’ho sforzata troppo ed è peggiorata, tutto qui”
“Perdonami, - sospirò lei, debolmente – non ho avuto nemmeno la forza di chiederti come stavi due giorni fa”
“Non hai da rimproverarti… Piuttosto io…” non proseguì la frase
“E’… è stato sepolto degnamente…?” chiese lei, dopo qualche minuto di silenzio
“Sì, mamma, lui e tutti gli altri. Nel cimitero del paese, così quando ti rimetterai in forze potrai andare e lasciare dei fiori, sai, come fai per i nonni”
“Tuo padre è andato?”
No, sicuramente era ubriaco da qualche parte… troppo sconvolto per vedere suo figlio sepolto
“Non ho visto bene… sai, c’era così tanta gente. Ed io purtroppo ero un po’ distante… con questa caviglia stare in mezzo alla folla avrebbe potuto creare disagi. Ma sicuramente c’era”
Aveva detto quelle parole con lo sguardo basso, quindi non vide sua madre sollevare debolmente la mano pallida e posarla sulla sua guancia
“Ti ho mai detto quanto sono orgogliosa di te?” gli chiese
“Dovresti dirmelo? – mormorò Breda alzando lo sguardo su di lei – Mi dispiace, mamma, ti avevo detto che avrei fatto di tutto per salvarlo…”
“Mi avevi anche promesso che saresti tornato e l’hai fatto. Se devo piangere per un figlio morto, almeno posso sorridere per uno vivo. Se avessero portato indietro anche il tuo corpo, il mio povero cuore non avrebbe retto”
“Oh, mamma…”
“E poi so che è grazie a te che ho una tomba su cui poter piangere il mio figlio più piccolo. Il paese deve esserti grato per la richiesta che hai fatto ai tuoi superiori”
“Oh dai, non pensare a queste cose adesso. Dovresti riposare e non sforzarti”
“Heymans, promettimi che partirai con i tuoi uomini”
“Cosa? – si bloccò Breda, davanti a quella richiesta improvvisa – Mamma ma che stai dicendo?”
“Sei l’unico figlio che mi resta – sorrise lei – e una madre vuole che il proprio figlio segua la sua strada e la tua è con l’esercito. Ti ricordi quando hai bloccato quell’uomo che voleva giustiziare tre abitanti al giorno per convincere i ribelli a cedere? Guardandoti così sicuro e convinto delle tue azioni, nonostante le conseguenze che potevano avere su di te, non mi sono mai sentita così orgogliosa. Orgogliosa e sicura che quella era la tua strada, la tua vita… Non lasciare che la morte di Henry uccida anche te, come forse ha ucciso tuo padre.”
“Ma non deve uccidere te! – esclamò lui, prendendole la mano – non devi lasciarti andare! Mamma, io ho bisogno di te”
“Oh, stai tranquillo caro. Non potrei mai lasciarmi andare sapendo che tu sei ancora vivo. Miriam e suo marito si prenderanno cura di me, ne sono certa… e sarò sempre pronta ad accoglierti a braccia aperte quando tornerai a casa. Ma, ti prego, ora lascia questo paese che ha visto tanto dolore. Vai con i tuoi uomini, con i tuoi amici e vivi la tua vita, Heymans. Hai tutta la mia benedizione ” e con queste parole si sporse dal letto per baciarlo sulla fronte
“Va bene, mamma. Farò come desideri” annuì Breda
 
Havoc giaceva su quella brandina da campo, in un angolo dell’alloggiamento della Squadra Falco. Sotto la maglietta, la parte inferiore del torso era fasciata pesantemente: per chissà quale miracolo la coltellata che aveva subito non aveva leso alcun organo vitale e si era rivelata meno grave del previsto. Ma era comunque una lesione di una certa importanza e di conseguenza il medico gli aveva ordinato un mese almeno di riposo.
“Allora, come andiamo oggi? – chiese Breda, sedendosi accanto a lui – Grazie Nick, adesso puoi smetterla di farmi da balia e goderti un po’ di libertà” disse poi, congedando il suo accompagnatore
“Ho finito le sigarette” dichiarò Havoc, sdraiato supino a fissare il soffitto
“Lutto profondo, allora. Ma il tuo corpo ti ringrazierà: fumare quando si sta male non è proprio consigliato”
“Ho saputo che oggi hanno seppellito quei ragazzi”
“Sì, il capitano Harris è stato molto comprensivo nel concedere loro una sepoltura e non la fossa comune”
“Come stai?” gli chiese Havoc, girandosi a guardarlo per la prima volta da quando era arrivato
Vorrei saperlo anche io…
“E’ stata una cosa silenziosa, ma dignitosa – disse, senza rispondere a quella domanda – almeno mia madre avrà una tomba su cui piangere Henry”
“Quel maledetto cretino! Se non fossi stato così dolorante, sarei riuscito a tenerlo giù e…”
“Havoc, per la centesima volta, non è colpa tua” sospirò Breda
“No? Cazzo ce l’avevo quasi fatta! Era tutto il tempo che cercavo di individuarlo… e poi non ho avuto il coraggio di dargli un colpo col calcio del fucile per stordirlo. Risultato?”
“Havoc, dai! Hai fatto il possibile per salvarlo… e non hai idea di quanto ti sia grato per questo. Ma evidentemente non era destino che io e mio fratello tornassimo a casa insieme”
“Sai che cosa mi sta tornando in mente?” chiese Havoc guardandolo con stizza
“Cosa?”
“Quando ti sei mollato con Kate e mi hai fatto incazzare come una iena con la tua tranquillità. Stessa cosa adesso: sei tu a consolare gli altri… ma è a te che è morto il fratello!”
Evidentemente la faccia che fece Breda in risposta dovette essere abbastanza eloquente, perché il biondo si affrettò a dire
“Scusami, sono il solito coglione”
“Lascia stare – sospirò Breda – Fortunatamente conosco questo coglione come le mie tasche e so che non riesce mai a gestire determinate situazioni”
Rimasero in silenzio per qualche secondo, recuperando la calma del loro rapporto. Quando entrambi riuscirono a guardarsi di nuovo negli occhi, Havoc chiese
“Il capitano Harris ha preso qualche decisione?”
“In merito a cosa?”
“In merito a tutte le questioni in sospeso, ovvio”
“Beh, per quanto riguarda i prigionieri, – iniziò Breda, lieto di pensare a questioni pratiche – dei cinquanta catturati, circa venti hanno profondi legami con Aerugo ed Ishval: questi saranno mandati a Central City, come da disposizione”
“Non ne usciranno vivi” commentò seccamente Havoc
“Lo penso pure io, e non me ne dispiace. Un’altra decina sono tagliagole e banditi di vecchia data che si erano uniti alla banda e per loro è prevista l’impiccaggione”
“E i prigionieri tuoi concittadini?”
“Per loro il capitano Harris ha concesso la grazia. E’ stato un gesto carico di buonsenso: ha sostenuto che non era il caso di affossare ulteriormente un paese già così colpito dal lutto. Ovviamente queste persone saranno tenute d’occhio per tutta la durata della guerra, ma mi pare il minimo”
“Credo che oltre il buonsenso ci sia anche il tuo zampino”
“Gliel’ho chiesto, lo ammetto… ma la decisione finale spettava a lui”
“Bene. – sospirò Havoc  – E così anche questa missione a Giyoir è finita. La Squadra Falco si merita un bel periodo di riposo”
“Il capitano ha detto che vuole che io e i miei uomini ci uniamo alla squadra” annunciò Breda
“Davvero? – esclamò Havoc, sedendosi di scatto – Ahia, cazzo!”
“Fai piano con i movimenti, cretino! Non è un taglietto da niente quello che hai! - lo sgridò Breda aiutandolo a risdraiarsi – Comunque sì, io e i miei nove uomini ci uniremo a voi, quando la Squadra Falco riprenderà servizio a Febbraio. Il capitano Harris ci aspetterà ad East City.”
“Più di un mese di licenza? Cavolo! Questo vuol dire che la situazione nel settore Est è davvero migliorata! E allora, Breda! Come ci si sente ad essere di nuovo in squadra con me?”
“Un sergente zoppo ed un caporale tagliato in due come un pezzo di carne… mah, non so proprio come sentirmi!” sogghignò Breda.
Ma in fondo sapere di avere di nuovo come compagno il suo migliore amico era di certo la migliore notizia di quegli ultimi giorni di follia che aveva vissuto.
 
Dopo una settimana la Squadra Falco si sciolse e ogni soldato tornò alla propria casa, per i quaranta giorni di permesso concessi. Erano davvero tanti, ma era anche vero che erano tre mesi consecutivi quei soldati non avevano avuto un attimo di tregua. Per cui, ora che la situazione prometteva di rimanere stabile per un notevole lasso di tempo, il capitano Harris aveva concesso queste vacanze straordinarie.
Havoc passò quindi la sua convalescenza a casa, trascinando con sé anche Breda. A dire il vero anche il sergente aveva bisogno di parecchio riposo: la sua caviglia era stata sottoposta a grave sforzo ed il medico aveva dichiarato che era arrivato molto vicino alla frattura. Per cui la grande casa della famiglia Havoc, appena dietro il loro emporio, per il mese di gennaio ebbe due malati di cui prendersi cura.
I genitori di Havoc erano molto felici di avere anche Breda come ospite: lo ricordavano con molto piacere da quel lontano giorno dell’Accademia. Ma chi era davvero entusiasta era Janet: adesso aveva dodici anni, sebbene il suo corpo non avesse ancora deciso di staccarsi dall’infanzia per entrare nell'adolescenza. La ragazzina si era autonominata infermiera dei suoi fratelloni e passava il tempo nella stanza di Havoc, dove era stato sistemato un letto anche per Breda, a combinare danni.
 
“Piano ragazzina, piano!” esclamò Breda, quando Janet saltò sopra il suo letto, incurante di passare sopra la gamba lesionata
“Oh scusa!” sussurrò lei, per non svegliare Havoc che dormiva profondamente, anche per via delle medicine che stava prendendo
“Sono le undici passate – le disse Breda – dovresti essere a letto, come tutte le brave bambine”
“Ma tu non stai dormendo!”
“Io ho vent’anni, sai… e comunque tra poco mi addormento pure io. Torna in camera tua, da brava”
“Non ho sonno” protestò lei, graziosissima nel suo pigiama rosa chiaro e con i capelli biondi legati in una treccia arruffata, mettendosi a sedere a gambe incrociate nel letto.
Breda sospirò: a volte quella ragazzina era davvero impossibile da gestire… peggio di suo fratello.
“Forza, vieni sotto le coperte – si arrese, allungandosi per spegnere la luce sul comodino – non è consigliabile stare al freddo in una notte invernale come questa… ma è anche vero che sei proprio sconsiderata, come quel tuo fratello lì”
Con una risatina, Janet si infilò sotto le coperte, lieta della sua vittoria. Succedeva spesso che sgusciasse nella loro stanza, la notte: inizialmente si infilava sempre nel letto di Havoc, ma dopo una settimana circa aveva esteso questo onore anche a Breda.
Lo fa perché è preoccupata per le nostre ferite e dormire qui la rassicura
Così l’aveva giustificata Havoc, una notte che la sorella dormiva appellicciata a lui
Sentendo quel corpo sottile abbracciato a lui, Breda si sorprese a pensare a sua madre
“Janet…”
“Sì, fratellone?”
“Eri molto preoccupata quando Jean non era a casa, vero?”
Lei non rispose, ma sentì le sue braccia stringersi a lui e d’istinto si girò di fianco per poterla abbracciare.
“Scusa, non dovevo dirtelo. E’ ovvio che eri preoccupata. Ma lui ora è qui, e guarirà presto, lo sai”
“Ma poi partirete di nuovo, non è vero?” domando lei con un sussurro
“Ma torneremo, promesso…”
“E’ vero che tuo fratello non è tornato?” gli chiese lei all’improvviso
“Janet… non dovresti”
“Lo so, - mormorò lei – ma ho sentito mamma e papà che ne parlavano ieri sera, però non mi hanno visto. Mi dispiace…”
“Senti, non pensarci. E’ una cosa che ti rende triste e io non voglio… se c’è una cosa che mi piace di te, sorellina, e che sei sempre allegra. Per favore, dimentica questa storia, da brava”
“Hai pianto quando non è tornato a casa?” gli chiese lei
Breda non rispose. No, non aveva ancora versato una lacrima… era così impegnato a consolare gli altri e a crogiolarsi nel senso di colpa che non aveva mai trovato il tempo di pensare che suo fratello non c’era più e che, nonostante tutto, gli aveva voluto un bene dell’anima.
“Io…” sussurrò con una prima lacrima involontaria. Ma subito serrò gli occhi, impedendo alle altre di scendere
No, dai cazzo, non ora. La spaventerei più del previsto.
Il dito di Janet gli asciugò quella lacrima e la bambina disse
“Sai, a volte, quando Jean era via, mi sentivo molto triste… allora andavo in camera e piangevo. La mamma mi ha detto che a volte le lacrime fanno bene, perché aiutano a sfogare la tristezza che c’è in noi. E la mamma dice anche che sono lacrime di cui non bisogna mai vergognarsi”
Breda non ce la fece più e si spostò supino, portandosi un braccio davanti agli occhi. Le lacrime presero a scorrere copiose sul suo volto.
Janet non disse altro, limitandosi ad accoccolarsi sulla sua spalla e stringendo le esili braccia al suo collo.
Fu lei l’unica testimone del pianto di quel soldato per la morte di suo fratello. E fu anche il conforto migliore che Breda potesse mai chiedere in quella notte di dolore.




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Angolo dell'autrice.
Ecco un altro capitolo abbastanza lungo. Abbiate pietà, ma effettivamente c'erano tante questioni da trattare, strettamente legate tra di loro.
Finalmente i nostri eroi riprenderanno a lavorare insieme, dopo che le loro ferite saranno guarite.
Ho voluto reinserire Janet nella storia perchè mi sembrava la persona più indicata per poter consolare davvero Breda. Forse gli serviva una persona estranea alla vicenda per potersi davvero concedere il lusso di piangere la morte del fratello... e Janet, nonostante le apparenze, è una bambina davvero matura. Anche lei ha conosciuto le difficoltà della guerra e dei razionamenti, l'angoscia per un fratello che può non tornare. Capisce fin troppo bene quello che sta passando Breda.
Oh, dai... è andata anche questa!

Laylath

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Capitolo 11
*** Febbraio 1908. I rimorsi del migliore. ***


“Accidenti! – sbuffò Havoc scendendo dal treno – una delle cose più noiose dell’essere in guerra è che i treni non sono mai regolari e ci tocca arrivare con due giorni d’anticipo”
“Se questo è il maggior disagio che devo sopportare ci metterei la firma” lo rimproverò Breda, mentre si avviavano verso l’uscita della stazione ferroviaria di East City.
“Beh, eccoci qua. – dichiarò Havoc – Venti febbraio 1908: il sergente Breda e il caporale Havoc riprendono ufficialmente servizio nell’esercito. Perlomeno non c’è più la neve: quel freddo così pungente aveva iniziato ad infastidirmi parecchio”
Breda annuì a quell’ultima considerazione: il clima era tornato quello tipico dell’inverno in quella parte di Amestris, ossia senza quei picchi di freddo raggiunti nei mesi precedenti. Finalmente le strade erano libere da quel bianco monotono che, nei centri abitati, assumeva spesso diverse sfumature di grigio a causa del viavai della gente. Adesso camminare non era più così faticoso e decisamente era una novità che la sua caviglia avrebbe apprezzato.
Ormai sia lui che Havoc erano guariti del tutto (l’unico ricordo di quel giorno era una sottile striscia bianca sul fianco di Havoc), ma era meglio non rischiare troppo, anche perché venivano entrambi da un periodo di riposo abbastanza lungo e dovevano rimettersi in forma.
“Credi che al Quartier Generale troveremo qualcuno della squadra?” chiese Breda
“Pochi. La maggior parte di loro proviene da zone meglio collegate e quindi arriveranno domani, ma sono pronto a scommettere che il capitano Harris è già lì, da almeno una settimana”
“Ci avrei giurato. Non credo che quell’uomo abbia una vita al di fuori dell’esercito. Un po’ come il colonnello Grey”
“Può anche sposarlo l’esercito – sorrise Havoc – ma per me non esiste un superiore migliore di lui”
Breda si trovò perfettamente d’accordo con l’ultima dichiarazione di Havoc.
Era stato estremamente felice quando il capitano Harris aveva proposto a lui e ai suoi uomini di entrare nella Squadra Falco: si trattava di essere ammessi in uno dei più rinomati corpi d’elite dell’esercito, un onore che pochi avevano. Ma soprattutto, per il sergente, era motivo di grande soddisfazione essere agli ordini di qualcuno per cui nutriva profonda stima e ammirazione.
I superiori che aveva avuto variavano dalla totale scadenza del capitano Rhea (che sapeva essere stato degradato in seguito ad un processo della corte marziale), alla mediocre buona volontà di altri. Non era per cattiveria che pensava queste cose: sapeva di essere un soldato al di sopra della norma e dunque era normale che avesse delle aspettative nei confronti dei gradi più alti.
Una persona come il capitano Harris corrispondeva finalmente al suo ideale di leader.
Gli era sempre piaciuto, sin da quando era un suo allievo all’Accademia. Sebbene fosse di media statura e con i lineamenti del tutto comuni, era il tipo di persona che emanava quel carisma che un soldato cerca nel suo superiore. La sua voce era sempre calma e controllata, eppure non si poteva fare a meno di ascoltarla. Era un uomo che dava estrema importanza ai suoi subordinati: si preoccupava della loro condizione (non a caso la Squadra Falco era sempre perfettamente equipaggiata), del loro addestramento, delle loro opinioni. Pretendeva il massimo da tutti ed in primis da se stesso, ma non in maniera indiscriminata: aveva quella rara intuizione per cui capiva quale ruolo si adattava alla perfezione al singolo soldato, e riusciva ad inserirlo nella squadra in totale armonia con gli altri.
Sì, Breda non vedeva l’ora di stare nella sua squadra.
 
Il Quartier Generale di East City, purtroppo, era sempre nelle medesime condizioni di degrado dei mesi precedenti. Sarebbe stato stupido pensare a dei cambiamenti in un lasso di tempo così breve, ma Breda continuava a trovare fastidiosa un’incuria simile. Almeno le giornate non erano più così fredde e forse si poteva stare senza cappotto all’interno degli edifici.
Dopo aver sistemato il proprio bagaglio si diresse con Havoc al poligono di tiro: se c’era un posto dove poteva essere il loro capitano era quello. Ed infatti non si sbagliavano: Harris era lì, nel ruolo di istruttore, ed i suoi allievi erano due dei soldati di Breda
“Molto meglio, ragazzo, - stava dicendo, battendo alcune pacche sulla spalla di Nick – ricordati di rilassare la spalla ed il gioco è fatto. Forza di nuovo”
“Sergente Breda! – esclamò Denis, l’altro allievo, vedendoli arrivare – Bentornato!”
“Salve ragazzi, - li salutò Breda – è un piacere rivedere i vostri musi dopo tante settimane. Allora, vedo che siete messi sotto torchio eh?”
“Non sono niente male – annuì il capitano, andando verso di loro e prevenendo qualsiasi saluto formale – bisognava correggere alcune cose e per questo ho chiesto loro di presentarsi con anticipo rispetto agli altri.”
“Scommetto che ha notato queste cose il giorno della battaglia” sorrise Havoc
“Ovviamente. Mi sono preso la libertà di osservare i superstiti del tuo plotone, sergente… se loro erano ancora vivi un motivo c’era. Allora, signori, le vostre ferite sono guarite del tutto?”
“Sissignore” annuì Breda
“Ne sono felice. Tra una settimana voglio la Squadra perfettamente operativa”
“Abbiamo già qualche nuova missione?” chiese Havoc
“Denis, Nick, voi continuate pure… quando ritorno voglio vedere quel bersaglio colpito nei punti vitali, chiaro?”
“Sissignore!”
Fece quindi segno a Breda ed Havoc di seguirli, fino all’ufficio che gli era stato concesso.
Era una piccola stanza, quasi uno sgabuzzino: ma per una persona come il capitano Harris un ufficio serviva a ben poco. Lui stava sempre nel poligono di tiro, nel terreno della parata, ovunque ci fosse azione: non era un ufficiale da scrivania. Infatti non si sedette nemmeno sulla piccola poltrona dietro il tavolo, ma rimase in piedi, davanti ai suoi due uomini.
“Inanzitutto voglio complimentarmi con voi, sergente Havoc e sergente maggiore Breda”
“Siamo stati promossi?” chiese con un sorriso compiaciuto Havoc
“Sì, le vostre azioni durante la missione a Giyoir sono state riconosciute come degne di questa promozione. In particolare una menzione speciale va a te, Breda, per il buon senso che hai dimostrato prima che intervenisse la mia Squadra: la tua città natale ti deve molto.”
“La ringrazio per i complimenti, signore” annuì Breda
“Adesso passiamo a questioni meno gradevoli: – disse Harris facendosi più serio del previsto e mettendosi a braccia conserte – stanno circolando parecchie voci, abbastanza fondate a parer mio, sul fatto che entro questa primavera il Comandante Supremo prenderà delle decisioni drastiche in merito ad Ishval”
“Questa guerra sta durando da ormai sette anni, signore, - ammise Havoc – per quanto solo negli ultimi due si sia inasprita così tanto da coinvolgere buona parte degli altri distretti”
“Non fraintendermi, Havoc – continuò il capitano – sono il primo a volere che questa storia finisca, e sarei pronto a partire anche domani mattina per quel fronte maledetto”
“Ha parlato di misure drastiche, signore, – commentò Breda, fissandolo con attenzione – quanto drastiche?”
“Quanto può essere drastica una guerra di sterminio?”
Il silenzio scese nella piccola stanza, mentre quelle ultime tre parole rimbombavano pesanti nelle menti dei tre presenti.
Breda non commentò: lui considerava Ishval il suo nemico, alla stregua di Aerugo. Riteneva quei paesi responsabili dei disordini che avevano devastato il paese, portando alla morte di tanti innocenti, tra cui suo fratello. Ma se un conto era combattere contro dei soldati, contro dei ribelli, un altro era accanirsi con donne, vecchi, bambini.
No, lo sterminio non era una cosa che lui riteneva giusta, a prescindere che si trattasse di Ishval o meno.
“E quanto è sicura questa notizia?” chiese con voce sommessa
“Direi che è solo questione di mesi, sergente maggiore” gli rispose nel medesimo tono Harris
“E verrà mandata su quel fronte anche la Squadra Falco?” domandò Havoc, con un tono serio, così strano per lui
“No. Ho già stabilito che partiremo, tra una settimana, massimo dieci giorni, per il fronte contro Aerugo. Noi andiamo a combattere contro altri soldati, non contro i civili”
“Ce lo consentiranno? – chiese perplesso Breda, mentre la sua stima per quell’uomo saliva ancora – In fondo se Central decide di inviare anche la nostra squadra al fronte di Ishval non sarà facile opporsi”
“Sì, sergente, ce lo consentiranno… contro Ishval, Central farà scendere in campo un’altra elite” quell’ultima parola la disse con una sfumatura di disprezzo
“Qualche corpo speciale proveniente da Briggs? – si chiese Havoc, grattandosi la testa – Perché non riesco ad immaginare una squadra pari alla nostra. Non per vantarci signore, ma la Squadra Falco è la più rinomata tra…”
“Non è una squadra quella di cui parlo, Havoc. Loro agiscono come singoli.”
“Alchimisti di Stato” annuì Breda, capendo
Havoc aspirò rumorosamente l’aria, indicando in questo modo la sua sorpresa.
“Pare che Central manderà sul campo di battaglia tutti gli Alchimisti di Stato… voi ne avete mai visto uno all’opera?”
“No, signore – mormorò Breda – ho visto degli alchimisti normali riparare alcune strutture, una volta, ma non sono la stessa cosa, presumo.”
“Quelli sono alchimisti comuni, magari senza la qualifica – scosse il capo Harris – e su di loro non ho alcun preconcetto. Ma qui stiamo parlando di macchine da guerra, armi umane vere e proprie”
“Non sembra averne una buona opinione, signore…” commentò Havoc
“Perché ho visto alcuni di loro in azione: conoscete il Colonnello Basque Grand?”
Sia Breda che Havoc scossero il capo: entrambi sapevano che esistevano gli Alchimisti di Stato, ma nessuno di loro ci aveva mai avuto a che fare e quindi non si erano mai preoccupati di conoscere meglio quelle figure così particolari.
“Non chiedetemi come fa, perché io stesso non capisco molto di alchimia, ma è in grado di trasformare le cose in armi da fuoco di una potenza inaudita… l’ho visto fare anche al suo stesso corpo. E’ stata una strage. Lui è considerato uno dei più forti, ma so per certo che ce ne sono almeno un’altra decina che non gli sono da meno.”
“Se scendono in campo uomini di questo tipo, allora la guerra verrà conclusa in breve tempo” mormorò Breda
“Sì, ma francamente io non voglio sporcarmi le mani con il massacro della popolazione civile, per quanto di un paese nemico. Un soldato deve combattere altri soldati, persone in grado di combattere… non donne e bambini. E non voglio che la mia squadra sia complice di tutto questo. Vi ho addestrati per combattere, non per massacrare indiscriminatamente: voi siete diversi da persone come quel cretino di Rhea e la sua facile soluzione di rivalersi su civili inermi”
“Signore, capisco perfettamente il suo punto di vista. Ma purtroppo è anche vero che pur non partecipando direttamente alla guerra, non potremo impedirla…” iniziò Breda
“Sì, la colpa di quelle morti cadrà indirettamente anche su di noi… ma più di questo non posso fare. Posso solo evitare che vi sporchiate le mani personalmente. Ovviamente vi sto dicendo tutto questo in forma strettamente confidenziale: ho grandi aspettative su di voi, sin dall’Accademia”
“Sissignore!” annuirono Havoc e Breda, capendo di essere stati congedati.
Una volta usciti dall’ufficio, nessuno dei due ebbe voglia di commentare quanto saputo.
 
Quella sera i due soldati non uscirono, ma preferirono restare nella stanza del dormitorio che condividevano. Era come stare nella stanza da letto di Havoc, senza però la sorella che imperversava.
“E’ la terza sigaretta di fila… la vuoi smettere di appestare la stanza? - disse seccato Breda, seduto nella sua branda – Senza contare che fumando a letto rischi di dare fuoco alle lenzuola”
“Oh, finiscila di rompere le scatole! – rispose Havoc – Finalmente posso fumare in santa pace senza mia madre a seccare, e tu ti metti a fare le sue veci?”
“Puoi fumare solo perché ormai tutte le regole dei dormitori sono abolite per via di questa pseudo anarchia del Quartier Generale.”
“Meglio così… tu non puoi capire che travaglio è stato poter fumare pochissimo e sempre di nascosto. Accidenti a mia madre che ancora non si rassegna al fatto che io fumi”
“Santa donna! – sogghignò Breda – Mi ha fatto vivere uno dei momenti più divertenti di tutta la mia convalescenza!”
“Tu e quella piccola spia di Janet! – borbottò Havoc, capendo a cosa Breda si riferisse – Subito a dire che stavo fumando in camera… io dico, la prima fottutissima sigaretta dopo una settimana di astinenza!”
“Jean Havoc, se ti ripesco di nuovo a fumare in camera, giuro che quella ferita al fianco sarà l’ultimo dei tuoi problemi! – recitò Breda, mimando lo sguardo irato della signora Havoc – Non sai che fatica trattenere le risate! Giuro che ho seriamente pensato che ti fracassasse in testa il vassoio con le medicine”
“Lo stava per fare… mia madre a volte è davvero seccante!”
“Per lo meno ti tiene in riga”
“A proposito di madri, come sta la tua?”
“Abbastanza bene. – annuì Breda – Ho ricevuto una sua lettera la settimana scorsa: fisicamente si è ripresa e piano piano beh… va avanti”
“Mi è dispiaciuto di non averla conosciuta” ammise Havoc
“Se ci sarà occasione te la presenterò”
“E tuo padre?” chiese il biondo lanciandogli un’occhiata in tralice
Breda si limitò a scuotere la testa ed il discorso cadde lì. Nella lettera che aveva ricevuto non c’era nessun riferimento a suo padre e questo voleva dire che anche sua madre se ne stava piano piano staccando. Forse aveva visto giusto quando gli aveva detto che lui era morto insieme ad Henry.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, mentre Havoc terminava la sua sigaretta e spegneva la cicca su un piattino che aveva riadattato a posacenere.
“Che ne pensi della scelta del capitano Harris di tenerci fuori da Ishval?” chiese Havoc all’improvviso
“Molti la considererebbero una fuga, – iniziò Breda – ma io la ritengo una scelta carica di buon senso. La Squadra Falco ha una reputazione notevole e lui non vuole infangarla trascinandola in quello che alla fine sarà un massacro”
“Insomma vuole lasciare il lavoro da macello agli Alchimisti di Stato”
“Se sono così potenti come dice, allora a noi non resterebbe che un lavoro di coltello. Non lo so, Havoc, ti giuro che dopo quello che ho passato a Giyoir preferisco andare in trincea contro Aerugo. Basta vedere i civili coinvolti… sul serio… basta”
Disse queste ultime parole scuotendo il capo con sincero convincimento. No, non voleva più tenere tra le braccia il corpo di un adolescente che con la guerra non deve aver niente a che fare. Non voleva più vedere persone uccise per la loro disperazione… madri che piangevano e padri che si tormentavano per i sensi di colpa. Famiglie distrutte… Non voleva assolutamente vedere in maniera amplificata quello che era successo nel suo paese.
“Siamo soldati, Jean, non assassini” disse sommessamente
“A volte non ci vedo molta differenza…” mormorò Havoc in risposta
Breda lo fissò con attenzione. Non capitava spesso che il suo compagno si lasciasse andare a simili affermazioni. Attese quindi con pazienza che continuasse; e infatti dopo un minuto di silenzio il biondo riprese
“Quando ho fatto quel corso di specializzazione mi sono piazzato primo. Ne ero dannatamente fiero: avevo fatto tutto senza il tuo aiuto, solo merito mio. E quando il capitano Harris mi ha proposto di entrare nella Squadra Falco ero al settimo cielo… non avevo ancora compiuto vent’anni e già venivo ammesso in un corpo d’elite come quello. Quante altre persone possono dirlo?”
“Pochissime…” annuì Breda, senza sorridere. Vedeva che il viso del suo amico non esprimeva alcuna felicità per quelle parole che invece dovevano suscitare sentimenti simili. Forse in quei mesi di separazione erano successe diverse cose di cui Havoc non gli aveva ancora parlato.
“Breda, che… che cosa hai provato quando hai ucciso il tuo primo uomo?” chiese Havoc fissando il soffitto.
Il sergente maggiore sussultò, mentre quel ricordo che aveva sepolto in un angolo remoto della sua anima tornava prepotentemente fuori
“Era un fuorilegge… uno della peggior specie. – disse con voce piatta – Se fosse stato preso vivo l’avrebbero messo sulla forca nell’arco di venti minuti. Il mio plotone era in ricognizione dopo che una banda era stata sgominata: mi fu ordinato di entrare con alcuni miei compagni in un vecchio magazzino… ci separammo e io salii al piano di sopra. Me lo sono trovato davanti, nelle scale, con una baionetta strappata a qualche cadavere: mi ha attaccato come una belva… io avevo il fucile puntato e ho premuto il grilletto, più per istinto che per volontà. Il colpo l’ha mandato contro il corrimano ed è caduto al piano di sotto… merda… una visione tremenda. Eppure poi ne ho viste tante in altre missioni, forse anche peggiori, ma… quello l’avevo ucciso io… E’ stato come se…”
“Come se scoprissi di essere una persona diversa da quella che pensavi di essere…” mormorò Havoc senza guardarlo
“Sì, è così. Dai per scontato che essendo un soldato dovrai uccidere… ma farlo, cazzo farlo è tutta un’altra cosa”
“L’hai visto nei tuoi sogni?”
“Quell’uomo? Sì, per settimane e settimane e a volte ancora oggi… ne ho uccisi tanti altri, ma è sempre lui a tornare. Con tutto quel sangue e quell’odore di polvere da sparo così diverso da tutte le altre volte”
Stette poi in silenzio, aspettando che fosse Havoc a raccontare la sua esperienza.
“Wiradu: un centocinquanta chilometri a nord di East City. Un buco di culo che non sapevo nemmeno esistesse… ma lo sapevano alcune bande di ribelli. Solita azione della Squadra Falco. Stani quelli nascosti e poi attacchi la base: lavoro pulito e lineare. Il capitano Harris mi mette accanto a Dominic, tu non lo conosci ancora, il cecchino più preparato della squadra: dovevamo stare lì, nascosti in un’altura a sparare contro tutti quelli che potevamo: ne ho fatti fuori almeno dieci… ed era la mia prima missione”
Breda annuì, un risultato considerevole…
“Dopo dieci minuti che è iniziata l’azione ho sparato per la prima volta… il tizio che ho colpito era distante, non l’ho nemmeno visto in faccia, ma… non potrò dimenticare mai quel movimento così innaturale del suo corpo mentre cadeva di lato. Era così scomposto, come se… come se fosse una marionetta a cui un bambino invisibile ha strattonato i fili. E Dominic accanto a me, si congratula per il mio primo bersaglio e mi incita ad andare avanti. E io lì, come uno scemo, a puntare e sparare… puntare e sparare… una, cinque, dieci volte… poi perdi il conto”
“Havoc…” mormorò Breda, sentendo che il tono di voce dell’amico stava assumendo una strana intonazione, rasentante l’isterismo.
“No, aspetta! Non sono ancora arrivato alla parte migliore! Finisce la missione, la banda viene sgominata: scendo dall’altura con Dominic che mi porta davanti al capitano Harris e gli dice che sono un ottimo cecchino. Si vanta dei miei risultati, come se fossi un bravo bambino che ha fatto il compito senza errori… Ed io sono lì, che mi godo quei complimenti… il ricordo di quel movimento così innaturale del tipo a cui ho sparato si fa lontano. La squadra inizia a ritirarsi e io vedo alcuni miei compagni che stavano dall’altra parte del campo dove si è svolta la battaglia: decido di andare da loro per fare il grande figo… cazzo, ne ho fatti fuori dieci alla mia prima missione, chi non si vanterebbe!? E mentre cammino abbasso lo sguardo a terra… e c’era quel cadavere… non chiedermi come ho fatto a capire che era il mio primo uomo ucciso, Breda… ma era lui, te lo giuro. Aveva solo metà volto… il resto era una massa schifosa di ossa, terra, carne, cervella… una visione da vomito. Ma l’altra parte del volto era integra e quell’unico occhio, castano scuro, mi guardava come se mi riconoscesse, come se sapesse che ero io il suo assassino…”
“Jean… dai, calmati” mormorò Breda alzandosi e andando a sedersi accanto a lui. Non l’aveva mai visto tremare in quel modo. Come si fu seduto nel letto, Havoc si alzò a sedere e gli afferrò convulsamente il braccio.
“Ne ho uccisi dieci quella volta, va bene? – sussurrò con le lacrime agli occhi – E poi ho perso il conto… non ce la potevo fare. Eppure erano tutti così fieri di me: il grande Jean Havoc, l’infallibile cecchino… sono un assassino Breda, altro che cecchino! Ci addestrano a sparare usando sagome a forma di persona perché poi sono persone quelle che uccidiamo! E sono così fieri di me! Sono così bravo da saper sparare ad un centimetro dal volto del mio miglior amico e colpire un uomo dietro di lui”
“Mi hai salvato la vita, Havoc! – lo strattonò Breda – Se sono qui lo devo a te e alla tua cazzo di mira! Tu non sei un assassino! Nessuno di noi lo è!”
“Porca troia, Breda! – singhiozzò lui, senza nemmeno ascoltarlo – Possibile che il mio unico pregio, l’unica cosa per cui la gente si sia mai complimentata con me, è la mia grande capacità di uccidere le persone?!”
“Merda, Jean… - mormorò Breda, mentre l’amico gli si accasciava contro, piangendo – Da quanto te li stai tenendo dentro questi pensieri?”
“Ma… ma che cazzo… ne so…”
Breda gli accarezzò i capelli biondi, colpito da quel momento di fragilità emotiva così intenso.
Dannazione, dovevo essere con lui quando è successo. Aveva bisogno di me e non ero presente. Non doveva tenersi queste cose dentro l'anima senza sputarle fuori
“Ascolta… Jean, da bravo, ascoltami… - gli disse con voce gentile – Non è vero che uccidere è il tuo unico pregio. E’ l’ultima cosa che mi importa di te, sul serio… è l’ultima cosa che importa a tua madre, a tuo padre, a Janet. Tu non sei un assassino: non provi nessun piacere ad ammazzare persone, e lo sai”
“Non… non sarei mai dovuto entrare nell’esercito”
“Non sarei vivo se tu avessi preso una decisione simile… non ci saremmo mai incontrati ed il mio corpo sarebbe stato cibo per animali in quel bosco maledetto. Havoc… noi… noi continueremo sempre a vedere quei morti, i volti delle persone a cui abbiamo levato la vita. Ma altrettanto potrai vedere quello della tua famiglia… quello mio, per quanto non so quanto ti possa far piacere… Se fossi un assassino credi che tua madre ti accoglierebbe a braccia aperte? Eppure lei lo sa qual è il dovere di un soldato…”
“Non potrei… non potrei andare ad Ishval a massacrare donne e bambini” balbettò lui
“E non ci andremo, Havoc. Adesso capisci perché stimo così tanto il capitano Harris? Credo che lui sappia perfettamente quello che hai provato, quando hai visto quel morto. Dimmi, anche lui si è congratulato tanto con te?”
“No… - ammise Havoc – si è… limitato ad annuire. Penso di essermi… anche leggermente offeso”
“Lui sa che non c’è da vantarsi nell’uccidere le persone… e credo sia molto fiero di te perché tu non lo sei e non lo sarai mai”
“E allora perché lo facciamo?”
“Perché siamo soldati… e le nostre azioni, seppur ci lasciano un peso nell’anima, almeno salvano le altre persone. O almeno, mi illudo che sia così”
“Ad Ishval non sarà così…”
“No. Ed io spero… anzi mi auguro con tutto il cuore, che gli Alchimisti di Stato… a prescindere dalla loro potenza, provino le stesse cose che stiamo provando noi. Uno… almeno uno di loro… non chiedo molto”
“Il capitano ha parlato di loro come armi umane…”
“E allora speriamo che la parola umane sia più forte di armi”
“Cazzo… - tirò su col naso Havoc, staccandosi da lui – scusami, ma ti giuro… quello che ha detto oggi il capitano mi ha fatto risalire fuori questi pensieri…”
“Quando avrai bisogno di me io ci sarò. – dichiarò Breda, recitando il loro giuramento e tendendogli la mano dove si era procurato il taglio, quella sera di più di un anno fa – E’ così che funziona, no?”
“Sì – annuì mestamente Havoc, con un pallido sorriso – è così che funziona”
Le loro mani si strinsero di nuovo e per diverso tempo nessuno dei due mollò la presa. Avevano estremamente bisogno di quel contatto fisico.

 

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Capitolo 12
*** Ottobre 1908. La squadra nella squadra. ***


“Cosa?! Fammi capire… sei fidanzato da cinque anni? – esclamò Havoc rovesciando il bicchiere – Ma se ne hai ventuno come me!”
“Io e lei ci conoscevamo fin da bambini, e ci siamo fidanzati quando avevamo sedici anni – spiegò Nick con semplicità – Abbiamo intenzione di sposarci come finisce la guerra”
“Ancora non ci credo… cinque anni!”
“Lo so, per te è una durata inconcepibile – lo prese in giro Breda, riempendosi di nuovo il bicchiere – Ma tu guarda, un brutto muso come te, Nick, che ha una fidanzata. E ce la fai vedere? Scommetto che hai una sua foto!”
“Sì dai! – sorrise Denis – Rallegra questo bivacco di poveri soldati solitari!”
“Quanto siete noiosi… - sospirò Nick; tuttavia tirò fuori una foto dalla divisa e la porse a Breda – Eccola, si chiama Nelly: qui siamo alla cerimonia di fine corso dell’Accademia”
“Accidenti è anche carina!” esclamò Havoc accostandosi all’amico per vedere la foto
“Cerca di tenere un minimo di dignità e non chiedere subito se ha sorelle”
“Mi dispiace, Havoc – ridacchiò Nick – ma Nelly è figlia unica”
Breda passò la foto a Denis, in modo che anche lui potesse vederla. Mentre lui e Havoc continuavano a fare battute nei confronti di Nick, il sergente maggiore osservò con soddisfazione il cielo stellato e si godette il calore di quel bivacco.
Erano in trincea da più di sette mesi, ormai. Il fronte contro Aerugo non concedeva nessuna tregua e la guerra lì sarebbe continuata per anni, era chiaro. Ogni tanto c’erano alcune settimane di relativa tranquillità, ma poi si riprendeva a combattere. Adesso si era in un periodo di calma dopo che, una quindicina di giorni prima, c’erano stati scontri particolarmente intensi.
La Squadra Falco si stava godendo un momento di meritato riposo: da quando erano giunti al fronte non erano rimasti un momento fermi ed ormai la loro fama era tale che persino il nemico li temeva. Il capitano Harris li aveva guidati in sortite incredibili ed il loro intervento si era rivelato diverse volte decisivo per le sorti di una battaglia.
E questo era stato un bene: forte del fatto che la maggior parte delle truppe di Amestris era stata dirottata ad Ishval, Aerugo aveva deciso di andare oltre la solita battaglia di trincea e così i confini tra i gli stati erano saltati e ora i due eserciti si contendevano piccoli centri ormai evacuati.
“Sentito Breda? – lo riscosse Havoc dandogli una gomitata – Invece il nostro Denis è ancora un verginello… ahi ahi ahi, bisognerà rimediare”
“Oh, per favore, sergente, la smetta!” protestò Denis imbarazzato
“E dai, non fare il coglione come sempre, Havoc” lo difese Breda
Negli ultimi mesi lui Havoc, Nick e Denis avevano formato un gruppo particolarmente affiatato. Forse perché avevano tutti la stessa età o forse perché lavoravano davvero bene in gruppo, sta di fatto che spesso e volentieri si trovavano a bivaccare insieme, la sera, quando potevano concedersi delle ore di riposo. Con il malinconico ma agguerrito Nick e il sorridente Denis, non si sentiva molta differenza di rango ed il senso di cameratismo era molto alto.
Queste serate facevano quasi dimenticare a Breda che si trovava in un fronte di guerra e che, a qualche centinaia di chilometri di distanza si stava consumando il peggior eccidio della storia di Amestris.
Le notizie che giungevano parlavano di Ishval ormai in ginocchio: la presa di posizione dell’esercito, unita all’intervento degli Alchimisti di Stato aveva portato la popolazione a capitolare in maniera quasi definitiva. Nel fronte di Aerugo arrivavano notizie quasi ogni settimana… bollettini di guerra che parlavano di sempre più vittime tra la popolazione. Quando Breda leggeva di qualche numero di morti particolarmente alto non aveva dubbi che era intervenuto qualche Alchimista di Stato. Ed erano scesi in campo solo a primavera inoltrata…
“Sergente Havoc, sergente maggiore Breda - li chiamò un altro loro compagno, raggiungendo il loro falò – il capitano Harris vuole vedervi”
“Oh oh! – commentò Havoc, alzandosi e accendendosi una sigaretta – Iniziavo giusto a chiedermi quando ci sarebbe stata qualche missione per noi! A dopo ragazzi, le teste d’ariete della Squadra Falco sono convocate”
“Spacca tutto, sergente Havoc!” commentò Denis
“Beh, mi stavo proprio chiedendo che stessero combinando quei cazzoni di Aerugo” ammise Breda
 
“Vi dico solo due cose: Coir e nuovo arrivato da Central City” dichiarò il capitano Harris come entrarono nella sua personale tenda.
“Ti devo una bottiglia: – sospirò Havoc dando un pugno alla spalla di Breda – c’è stato davvero qualcuno così imbecille da cercare di riprendere quel posto”
Si accostarono al tavolo dove stava la mappa del confine ed osservarono attentamente quanto segnato dal loro capitano. Coir era una minuscola cittadina che si trovata a una decina di chilometri oltre il vecchio confine di Aerugo: prima che i rapporti tra i due stati si logorassero era una sorta di centro doganale tra i commercianti dei due paesi. Adesso era ridotta a pochi edifici abbandonati, ma l’importanza strategica e ideologica era veramente notevole. Le truppe di Amestris erano riuscite a conquistarla l’anno scorso, ma Aerugo aveva ferocemente ripreso quello che era suo.
A parere di Breda, e anche del capitano Harris, non aveva senso cercare di riconquistare quella città. Era abbastanza chiaro che, con un eventuale trattato di tregua, Coir sarebbe rimasta ad Aerugo. Ma quel posto era diventato una specie di banco di prova per tutti i nuovi ufficiali che arrivavano: era quasi una sfida “Prendi Coir e avrai notorietà per il resto della tua vita”. Purtroppo per Amestris, però, Coir veniva a trovarsi totalmente isolata e parecchio lontana dalla zona delle trincee… insomma era una vera e propria oasi nel deserto, totalmente inutile. La sua riconquista era come una sorta di chimera, ma qualsiasi soldato di buon senso sapeva che era solo un dispendioso spreco di forze e uomini.
“Nemmeno una settimana fa arriva il solito imbecille da Central City. – iniziò il capitano Harris – Noi, come ben ricordate, eravamo a farci il mazzo nel settore più orientale altrimenti l’avrei subito messo a sedere questo sedicente stratega. Comunque, poche ore fa arriva il Colonnello Condra e con tono lamentoso mi dice che questo novello Comandante Supremo ha deciso di fare il figo, prendendo cinquanta uomini appena arrivati al fronte e dirigendosi a Coir… questo due giorni fa: da allora nessuna notizia, fino a stamane, quando arriva un emissario di Aerugo e ci dice che hanno preso prigionieri tutti e che vogliono un riscatto principesco… considerando l’altolocazione del capo di quell’impresa”
“Ma possibile che i soldati di Central siano tutti così coglioni? – sospirò Havoc alzando gli occhi al cielo – Nemmeno arrivato e subito abbocca a questa storia”
“E quindi tocca alla Squadra Falco recuperare quegli ostaggi, signore?” chiese Breda, intuendo che c’era altro
“Questo è il minimo, sergente maggiore… visto che dobbiamo intervenire, perché non rendere la cosa più vantaggiosa?” chiese Harris con un’occhiata significativa
“La cosa si fa interessante…” mormorò Havoc
“Breda, tu che sai parecchie cose sul principato di Aerugo… prendere prigioniero un conte imparentato con la famiglia del principe pensi sia un buon incentivo per convincere le truppe di Aerugo a spostarsi un po’ più a sud rispetto a Ermutixso? Sarebbe così fastidioso dover correggere tutte le mappe se poi si cambia il confine”
“Troppo fastidioso, signore. – sorrise Breda – Ci pensiamo noi”
“Ottimo ragazzi. Domani notte voglio la Squadra Falco in grande spolvero… Credo che a Coir le truppe di Aerugo stiano festeggiando: non è stato bello da parte loro non invitarci alle danze.”
“Ovviamente si aspetteranno le nostre rimostranze” commentò Havoc
“Ma sono sicuro che le mie due teste d’ariete sapranno come fregarli”
 
“Dovresti fare sempre missioni come queste, Breda – sussurrò Havoc, con gli occhi azzurri che scintillavano maliziosi dall’unica fessura del passamontagna nero – Il nero ti sfina parecchio”
“Ti faccio nero l’occhio se non la pianti con questa storia, idiota” gli rispose con lo stesso tono Breda
“Che permaloso… si vede che il cibo di trincea sta iniziando a venirti a noia! Allora?” chiese mentre Breda riponeva il binocolo nella custodia.
“Tutto silenzioso come pensavamo… la classica postazione abbandonata – dichiarò Breda, con un sorriso – Dieci a zero che ci stanno aspettando”
“Avviso il capitano – annuì Havoc prendendo una piccola radiolina dalla cintura – tutto procede secondo i piani” disse rivolto all’apparecchio
“Va bene: ricordate la priorità è individuare dove sono i prigionieri. Messi al sicuro loro ci possiamo sbizzarrire con i nostri cari soldatini di Aerugo” rispose la voce di Harris
Avanzarono silenziosamente in quel terreno brullo e con pochi ripari, aprofittando di quella notte particolarmente coperta. Come sempre capitava in quei momenti, Breda sentiva l’adrenalina alle stelle, ma riusciva perfettamente ad incanalarla in movimenti sicuri e veloci. Havoc, che procedeva spedito accanto a lui, con il fucile in mano, sembrava pronto a reagire al minimo movimento imprevisto.
Non era la prima volta che il capitano Harris li mandava in avanscoperta in queste missioni. Dopo circa un mese nel fronte era saltata fuori questa loro particolare sintonia per azioni che sembravano essere adatte al solo Havoc. Invece Breda si era dimostrato un elemento altrettanto valido e rapido ed in perfetta sintonia con il suo compagno. Ormai erano una sorta di squadra all’interno della squadra.
Raggiunsero i primi edifici dell’avamposto senza che nessuno li intercettasse
Ci credono così imbecilli?
Si appiattirono contro un muro e si guardarono silenziosamente. Coir aveva soltanto una decina di edifici ancora integri e dove quindi potevano essere tenuti i prigionieri. Breda ripassò mentalmente la mappa della città che aveva studiato: ufficio doganale, magazzino, locanda, prigione… man mano che prendeva nota di questi posti cercava di individuarli e vedere la loro situazione.
No… no… no… nemmeno quello… bingo!
Il magazzino per lo stoccaggio merci era l’unico abbastanza grande per poter contenere una cinquantina di soldati prigionieri. Aveva individuato il posto: adesso doveva cercare di focalizzare il nemico.
Erano passati due giorni da quando Aerugo aveva preso prigionieri i soldati di Amestris: quindi il nemico aveva avuto tutto il tempo di far pervenire nuovi uomini per l’agguato all’eventuale squadra di soccorso. Con il capitano Harris avevano stimato almeno cento nemici.
La sua attenzione fu attratta da un movimento sulla strada. Girandosi vide alcuni soldati che si muovevano sicuri verso l’ufficio doganale. Non sembravano per nulla consapevoli della presenza di due soldati nemici.
“Havoc – sussurrò – quei tre lì… senza sparare”
Havoc annuì rapidamente e all’unisono scattarono verso la strada. Fu un’azione rapida e pulita: li presero di sopresa e li stordirono con dei colpi di calcio di fucile ben assestati dietro la testa. Li trascinarono quindi in un vicolo laterale e providero a legarli e imbavagliarli.
“Ma davvero ci stanno credendo?” bisbigliò Havoc
“Hanno qualcosa in mente – annuì Breda - … ne ho contato almeno una ventina sui piani alti”
“Aggiungine almeno altri venti che ho notato io… il doppio che non abbiamo visto: sì, un centinaio di nemici, come previsto”
“Venti minuti e il capitano con gli altri saranno qui: li prenderemo di sopresa dall’altra parte rispetto al magazzino… non se lo aspetteranno. Vieni, andiamo a trovare il loro capo”
 
Ridussero al silenzio altri cinque soldati quando entrarono nell’ufficio doganale, con estrama facilità… troppa.
Breda conosceva questa tipologia di edificio: al piano terra c’erano soltanto i posti per gli impiegati, mentre al piano di sotto c’era in genere un altro ambiente, usato come cassaforte momentanea in attesa che quache inviato del governo venisse a recuperare i soldi.
Solo che al posto dei soldi laggiù troviamo un simpatico membro della famiglia del principe…
Facendo un segno affermativo ad Havoc iniziarono a scendere rapidamente le scale: trovarono una porta chiusa dalla quale provenivano alcune voci che parlavano la lingua di Aerugo.
“Almeno cinque…” mormorò ad Havoc dopo una decina di secondi
“E c’è anche il nostro pollo?”
“Oh sì – sorrise Breda prestando bene attenzione – Adesso lascia fare a me… tu tienili sotto tiro”
Con un cenno del capo, Havoc prese una breve rincorsa e sfondò la porta.
“Fermi tutti! – esclamò Breda esprimendosi in perfetto dialetto di Aerugo – Siete sotto tiro!”
Erano cinque, come aveva previsto: quello alla scrivania indossava l’alta uniforme di quell’esercito, mentre gli altri avevano ranghi inferiori.
“Conte Alessandro – dichiarò Breda con la pistola estratta – da questo momento lei è ostaggio di Amestris. Adesso verrà fuori con noi e ordinerà ai suoi uomini di liberare quelli che tenete come ostaggio”
L’uomo alla scrivania sembrava sorpreso di trovarsi davanti ad una persona che parlasse la sua lingua. In ogni caso, sotto la minaccia del fucile di Havoc, non osò opporre resistenza e fece un gesto a tutti gli altri che si levarono le pistole, posandole a terra.
“Molto bene – proseguì Breda – adesso, uscite in silenzio da questa stanza, in fila… prima lei, conte.”
Che bambino obbediente…
Tenuti d’occhio da Havoc i soldati iniziarono ad uscire dalla stanza, con Breda che chiuse quella strana fila indiana. Silenziosamente tirò fuori l’orologio che aveva in tasca: in perfetto orario.
“Ancora un quarto d’ora e le nostre truppe arriveranno – dichiarò ad Havoc – ricorda cosa ha detto il capitano, di andare nel settore opposto al magazzino dove sono tenuti gli altri”
“Certamente. Riferisci a questi tipi di non fare mosse false o li faccio secchi”
Breda ripetè la minaccia in dialetto di Aerugo ed i cinque annuirono.
Arrivati al piano terra si fermarono. Havoc si mise contro il muro, vigile, tenendo sotto tiro i nemici. Anche Breda assunse un atteggiamento più calmo, chiudendo la porta e mettendoci un tavolo a sigillarla ulteriormente: fortunatamente le finestre erano già sbarrate con assi.
“Oh, non si preoccupi per questi soldati legati, conte – disse Breda con noncuranza – li abbiamo solo messi a nanna per un po’ giusto perché non ci disturbassero mentre venivamo a prenderla”
Il conte annuì con disperazione.
“Come posso dare l’ordine di liberare gli ostaggi se stiamo chiusi qui?” chiese
Breda sorrise sotto il suo passamontagna. Quasi contemporaneamente iniziarono a sentirsi degli spari da fuori.
“Non c’è bisogno del suo ordine, signore. A noi serviva solo che i soldati che ci seguivano sentissero quanto dicevamo ed andassero a riferirlo agli altri che attendevano nascosti”
“E’ una trappola!” esclamò l’uomo, sbiancando
“Come la vostra… e adesso, signor conte – disse avvicinandosi ad uno degli altri uomini messi lungo il muro – non credo sia più necessario che lei finga di avere un rango più basso”
“Ma come…” balbettò il vero conte
“La prossima volta si faccia sostituire da qualcuno che abbia un accento della sua provincia di nascita e vedrà che andrà meglio”
 
“E’ stato fantastico vedere le loro facce quando ci hanno visto arrivare dall’altra parte” ridacchiò Denis
“Perché tu non hai visto la faccia del conte quando Breda l’ha smascherato. Credevo svenisse” commento Havoc
“Sergente maggiore, ma dove ha imparato i dialetti di Aerugo?” chiese Nick
“Ho una vera e propria predisposizione per le lingue straniere – ammise Breda – e così all’Accademia il Colonnello Grey mi propose di prendere alcune lezioni supplementari”
“Sì, ma addirittura conoscere gli accenti delle varie parti…” si sorprese Denis
“Tu non sai quante cose si imparano a fare da guardia al recinto dei prigionieri – commentò Breda con un sorriso furbo – dopo un po’ inizi a cogliere tutte le sfumature della loro lingua. Sapevo che prima o poi quest’idea del capitano sarebbe tornata utile”
“A proposito del capitano – disse Havoc – penso si starà proprio divertendo nel vedere la faccia del Generale Condra ora che vedrà che oltre i soldati di Amestris gli ha portato in omaggio anche un membro della casata del principe”
“Una missione senza nessun morto… solo con qualche ferito grave tra i nemici – constatò Nick – La Squadra Falco ha raggiunto davvero livelli d’eccellenza”
“Un centinaio di ostaggi tra cui un pezzo grosso. Sì, credo proprio che le truppe di Aerugo si sposteranno dal confine sud. E stasera si festeggia, ragazzi! Un hurrà per la Squadra Falco!” propose Breda, prendendo Denis per il collo e arruffandogli i capelli castani con entusiasmo
“E altri due per le sue teste d’ariete! Ah, signori, oggi il mondo è tutto nostro!” esclamò Havoc con altrettanto entusiasmo
Breda sorrise: in quel momento non poteva che dare ragione al suo miglior amico. In fondo per un soldato erano anche questi i momenti importanti.

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Capitolo 13
*** Inverno 1908-1909. La fine della guerra civile. ***


Accadde una mattina di inizio novembre, mentre Breda ed Havoc sedevano insieme a Nick a fare una rapida colazione prima di iniziare il loro turno di archiviazione nel magazzino delle armi. Era un periodo di tranquillità ed anche la Squadra Falco non aveva molto da fare, tanto che i suoi membri venivano utilizzati per altri compiti.
“Ormai il sapore di questa brodaglia non lo sento più” sospirò Breda
“Non posso che darti ragione… ma perché hanno trasferito il cuoco? – protestò Havoc – Era così bravo a riuscire a insaporire questa schifezza”
“Ehi – disse Nick, voltandosi verso l’ingresso della tenda – ecco Denis”
“Se vuole gli cedo la mia porzione di colazione…” borbottò Havoc spingendo lontano da sé la scodella.
“Ragazzi! – esclamò Denis, correndo verso di loro – Dobbiamo tutti andare! Il capitano Harris ha convocato la Squadra Falco al completo!”
“Cosa? – si sorprese Breda, alzandosi immediatamente – Ma che è successo?”
“E’ finita la guerra civile, signore! – rispose il ragazzo, col viso eccitato – Ishval è capitolata!”
Breda sentì la mano di Havoc che gli stringeva il braccio. Anche Nick sembrava incredulo a quella notizia e si era aggrappato con forza al bordo del tavolo di legno.
Sette anni di guerra civile… e finalmente era finita.
 
Il capitano Harris camminava davanti alla sua squadra, perfettamente schierata in una parte periferica del campo est dell’avamposto di Amestris sul confine.
La notizia della fine della guerra con Ishval ormai ronzava per tutto il fronte e c’erano già scene di giubilo e festeggiamenti. La chiusura di quel conflitto significava che Aerugo, Creta e Drachma avrebbero smorzato i loro attacchi: l’esercito di Amestris poteva infatti abbandonare del tutto quel fronte che per anni aveva risucchiato la maggior parte delle sue risorse umane e di mezzi e poteva rivolgersi ai suoi tradizionali nemici con più violenza.
Questo voleva dire che le ostilità con Aerugo si sarebbero in parte ridotte e dunque non sarebbero state necessarie così tante truppe lungo quel confine. Finalmente ai soldati veniva concessa la tanto sospirata tregua.
La Squadra Falco, così come tutto il resto dell’esercito, avrebbe quindi avuto tutti i diritti di essere felice e festeggiare.
Tuttavia Breda, schierato nella prima fila insieme ad Havoc, aveva notato che nonostante un inevitabile sollievo per quella notizia, la maggior parte di quella cinquantina di soldati mostrava volti che variavano dal nervoso al perplesso.
Lo stesso capitano Harris non mostrava la sua solita calma ed il viso abbronzato dal sole del sud, nonostante fossero in inverno, era chiaramente teso.
Dopo aver camminato davanti loro per alcuni minuti, squadrando attentamente le loro facce, si fermò ed iniziò a parlare.
“Stamane, alle nove e trentasei, il Comandante Supremo King Bradley ha dichiarato la fine delle ostilità ed ha ordinato il ritiro delle truppe da Ishval. Quindi, come avrete già sentito dalle voci nel campo, la guerra civile è finita”
Concluse quella frase e tutto rimase silenzioso. Una piccolissima, egoistica, parte di Breda si trovò ad essere arrabbiata: perché non esultavano come tutti gli altri? Perché questa notizia non doveva rendere felici pure loro? Eppure, finalmente, Amestris era salvo.
“E’ un grande giorno per la storia di Amestris: – riprese il capitano Harris – la guerra civile che ha piegato il nostro amato paese per ben sette anni è terminata”
Ancora silenzio
 “Sette anni… - riprese – sette anni di guerra che hanno portato centinaia di morti, tra i soldati e tra i civili. Fame, disperazione: voi tutti ne siete stati testimoni, chi più chi meno” lanciò un’occhiata significativa a Breda e questi annuì, ripensando a quella lapide, nel cimitero di Giyoir, con quelle date troppo vicine tra di loro.
“Dovremmo essere tutti felici – disse il capitano, iniziando a camminare tra i ranghi – adesso la situazione tornerà normale, la pace ci sarà di nuovo… potrete riprendere in mano le vostre vite – toccò con gentilezza la spalla di Nick – sposarvi, tornare alle vostre famiglie. Ho infatti intenzione di sciogliere la Squadra Falco entro la fine di novembre”
Questo annuncio li lasciò sconvolti.
“Ma che dice?” mormorò Havoc, girandosi verso Breda
“Io credo di averlo capito” annuì lui
“Vedo molte facce sorprese, anche se non tutte, – sorrise Harris – ma la maggior parte di voi aveva capito da tempo il motivo per cui eravate qui e non ad Ishval. Non ho voluto che i miei uomini prendessero parte a quell’eccidio, perché di eccidio si è trattato: non c’è alcun onore nel massacrare una città intera con donne, bambini, vecchi. Quelle sabbie saranno per sempre macchiate del sangue di Amestris, perché Ishval è parte del nostro paese… e anche se non eravamo presenti, noi in quanto soldati vivremo sempre con questa colpa nel cuore”
Breda vide che Havoc chinava il capo mestamente e gli diede una lieve gomitata.
“Siamo soldati, non assassini… non dimenticarlo” gli sussurrò
“Va bene…” mormorò lui
“Io tornerò ad insegnare all’Accademia: – dichiarò Harris – ad insegnare alle nuove leve la differenza tra guerra e sterminio, sperando di non dover più vivere delle pagine di storia così tristi. Sappiate che sono fiero di tutti voi, come soldati e come uomini: la Squadra Falco è certamente il miglior corpo d’elite che ho avuto il piacere di comandare nella mia carriera militare. Adesso godetevi la fine della guerra: godetevi le vostre famiglie, le vostre spose, i vostri figli… ma non dimenticate mai qual è stato il prezzo per questa pace. Potete sciogliere i ranghi.”
Si allontanò da loro, senza aspettare risposta.
Le file si spezzarono con dei mormorii riluttanti. Le parole del capitano Harris erano rimaste nell’anima di ciascuno di loro: l’idea di ritornare alle loro vite, in quei momenti sembrava molto strana.
Mentre lui ed Havoc si dirigevano verso l’uscita del campo, Breda non potè far a meno di pensare al discorso che aveva fatto con il suo compagno mesi prima, in quella stanza di dormitorio.
Quante vite sono cadute per mano degli Alchimisti di Stato? Vorrei incontrarne uno e vedere se nei suoi occhi c’è un minimo di rimorso… oppure se dall’alto della sua alchimia distruttiva, non ha problemi ad essere un’arma umana
Scosse il capo con rabbia. Una parte molto stupida della sua mente aveva intimamente sperato che la notizia del completato sterminio non arrivasse mai… come un bambino ingenuo aveva creduto che il mondo si rivelasse migliore di quello che era.
Sono stato solo uno scemo… eppure dovevo imparare la lezione già davanti alla tomba di Henry.
“Sergente Breda, – gli si avvicinò Nick – le devo chiedere un enorme favore”
“Dimmi pure” rispose distrattamente lui
“Ora che la guerra è finita, io e Nelly potremo finalmente sposarci. E, prima che gli eventi ci separino, io vorrei chiederle di farmi da testimone. Voglio che lei, Denis e anche lei, sergente Havoc, siate presenti al mio matrimonio”
Breda si sorprese a quella richiesta: sapeva che Nick non aveva più il padre ed era figlio unico, ma che scegliesse proprio lui…
Sì… per quanto quei morti peseranno sempre nella storia dell’esercito, è giusto riprendere in mano le nostre vite.
“Ma certo, Nick. Era anche ora che ci presentassi la tua Nelly” riuscì a sorridere, stringendogli la spalla con affetto.
 
L’inverno nella parte meridionale di Amestris, eccetto rari casi, era sempre mite. E quel mese di Gennaio lo fu in maniera particolare, con giornate che a volte raggiungevano temperature di inizio primavera. Era come se, dopo l’inverno innevato dell’ anno precedente, con quel freddo così pungente, il clima chiedesse scusa e facesse ammenda con quel sole così dolce e carezzevole.
Il prato verde dove erano stati montati i grandi gazebi per accogliere gli invitati al matrimonio, risuonava delle risate dei bambini, delle voci felici degli invitati che si congratulavano con gli sposi, della musica dell’orchestrina… risuonava di vita e felicità come Breda non riusciva a ricordare da tempo.
Nick diceva il vero quando parlava di sposarsi appena tornato a casa: la Squadra Falco era stata sciolta a inizio dicembre, tra giuramenti, promesse e anche qualche lacrima ben nascosta dai rudi soldati. Diversi di loro erano dovuti restare al fronte ancora per alcune settimane, ma a gennaio erano finalmente tutti liberi. Ed i due fidanzati, dopo nemmeno venti giorni di preparativi, erano convolati a nozze.
Breda era stato felice ed orgoglioso di essere accanto a Nick, mentre la sposa, deliziosa nel semplice abito bianco fatto in casa, avanzava verso di loro. Era contento di sapere che il suo amico avrebbe lasciato l’esercito per occuparsi, insieme alla moglie, della merceria di famiglia. Ora che si era ammogliato, il dovere di quel ragazzo era di stare accanto alla donna che l’aveva tanto atteso.
“Il testimone dello sposo deve ballare con la sposa! – Havoc lo raggiunse mentre si trovava seduto ad un tavolo e lo prese per la manica della divisa – E l’amico del testimone si vuole fare grosse risate!”
“Cosa? Ma stai scherzando, spero! Sei… sei chiaramente ubriaco!” protestò Breda, vedendo con orrore che arrivava la sposa tenendosi con disinvoltura un lembo della gonna per non inciampare
“Oh, sergente Breda, eccola qua – sorrise Nelly prendendogli la mano – avanti, andiamo! E’ tradizione che dopo aver aperto le danze con mio marito, ora balli anche con lei… Forza, l’orchestra ci sta aspettando!”
Il sorriso così fresco e spontaneo di quella giovane sposa era l’ultima cosa a cui Breda potesse dire di no e fu trascinato nello spiazzo destinato alle danze, tra fischi e applausi.
Dopo essere stato costretto a ballare con la sposa, con somme risate da parte di Havoc e Denis, finalmente riuscì a staccarsi dalla piccola folla festante. Sospirò di sollievo mentre si dirigeva verso una staccionata dietro il cortile e si appoggiava pesantemente contro di essa, allentandosi il colletto della divisa (erano comunque militari ed era giusto che per queste occasioni fossero vestiti come si conviene).
“Se quel cretino si metterà a fare la mia imitazione giuro che lo ammazzo…” borbottò
“Ciao Heymans, – lo chiamò una persona dietro di lui – ne è passato di tempo”
Quella voce era inconfondibile e tornava come un fulmine da un passato che ormai sembrava distante secoli. Per un secondo non era più un sergente maggiore in un campo d’erba ben curato, ma un cadetto dell’Accademia, disteso in un campo abbandonato, che teneva tra le braccia il suo primo grande amore. Ed il sole non era quello tiepido di un mattino di gennaio particolarmente mite, ma quello bruciante di una primavera di anni fa.
“Kate…” si girò verso di lei, sgranando leggermente gli occhi.
Se quella che aveva amato era stata una ragazza, davanti a lui ora stava una donna. I capelli biondo scuro non erano più sciolti, ma raccolti morbidamente dietro la nuca per poi ricadere sulle spalle. Il corpo, avvolto in un abito rosa chiaro col bordo argentato, aveva assunto una morbidezza e maturità del tutto nuove, rivelando come anni prima, quando avevano fatto l’amore, lei non era altro che una ragazza. Ma era il viso la cosa più mutata: non per i lineamenti, il naso dritto ed il mento pronunciato erano sempre gli stessi, incredibilmente accattivanti ai suoi occhi. Era come se tutta la nuova maturità di quegli anni di separazione si fosse concentrata in quell’espressione dolce, in quel sorriso delicato.
Come sei cambiata, Kate… sei ancora più bella di come ti ricordavo
Cercò di capire cosa provava il suo cuore mentre la donna si avvicinava a lui. Cosa doveva sentire? Amore? Rabbia?
Ripensò a quell’atroce sofferenza che l’aveva attanagliato quando si erano lasciati, ma si accorse che era una cosa così lontana e sbiadita che sarebbe stato stupido cercare di riattizarla… e lo stesso valeva per la passione che li aveva travolti nei mesi della loro relazione.
“Non sapevo ci fossi anche tu al matrimonio; – disse tranquillamente, con sua stessa sorpresa – sei amica di Nelly?”
“Sì, – sorrise lei – mentre Nick era all’Accademia lei frequentava il mio stesso istituto, proprio nella mia classe. Devo dire che sei stato un fantastico testimone… la divisa fa un grande effetto su di te”
“Più di quella da cadetto?” chiese lui restituendole il sorriso
“E’ un po’ diverso, come lo sei tu”
“Anche tu sei cambiata, Kate. Ma sei sempre bellissima, forse anche di più”
“Ti ringrazio, Heymans. Che dici… ti va di fare una passeggiata come ai vecchi tempi?”
“Perché no?” sorrise lui offrendole il braccio.
 
“Quindi ripartirai a Central già domani sera”
“Sì. Ora che la guerra è finita la scuola dove insegno ha ripreso a fare lezione regolarmente: ho una ventina di rumorosissimi bambini che mi aspettano”
La loro passeggiata li aveva portati sull’argine di un piccolo canale poco distante dal luogo della festa. L’atmosfera era calma e silenziosa, con solo qualche uccellino a farla da padrone. Breda era così rilassato che si era disteso sull’erba, a braccia incrociate dietro la testa, come era solito fare. Kate gli si era seduta accanto: la stoffa del suo abito toccava quella della divisa di lui.
Avevano parlato di tutto in quella lunga passeggiata. Non c’era stato nessun imbarazzo, nessun silenzio tra di loro. Per Breda era stato come rindossare la vecchia divisa da cadetto e scoprire che gli andava ancora alla perfezione: Kate era sempre la stessa persona con cui si sentiva libero di parlare. E le aveva raccontato tutto dal momento della loro separazione: la sua incertezza appena finita l’Accademia, la tristezza per la separazione da Havoc, la guerra civile, l’orrore di Giyoir, l’ingresso nella Squadra Falco, la trincea. Man mano che raccontava gli sembrava assurdo di essere lì, in quel posto così tranquillo, dopo aver vissuto tutte quelle vicende, provato tutte quelle emozioni così forti.
Come gli era potuto scivolare tutto addosso così facilmente?
“Ed eccomi qua: – disse alla fine, fissando una nuvola in cielo e notando come assomigliasse ad un fiore – pare che verrò promosso maresciallo come finirà il periodo di congedo. E poi non lo so: è strano, mi sembra quasi di essere tornato al giorno di fine Accademia, quando non sapevo ancora cosa ne sarebbe stato di me.”
Si girò verso Kate e vide che sorrideva mentre fissava l’acqua del canale.
“Perché sorridi?” le chiese
“Non lo so… è che sono felice di essere qui a sentirti parlare, come ai vecchi tempi”
“Se ti ho annoiato con queste vicende da soldato dillo pure, non mi offendo”
Lei si girò a fissarlo
“Heymans, ma tu ti sei reso conto di quanto sei cresciuto in questi anni?”
Quella domanda ebbe il potere di spiazzarlo, come a volte succedeva con i quesiti di Havoc. Era ovvio che era cresciuto in questi anni.
Ma poi si rese conto che non si era mai soffermato a pensarci davvero: le vicende della sua vita l’avevano trascinato senza che lui opponesse resistenza. Quando aveva rivisto Kate si era accorto di quanto lei fosse maturata in quegli anni, ma non aveva pensato che lo stesso era accaduto a lui... e tanto. In una maniera profonda e incredibile: aveva ucciso persone, aveva tenuto tra le braccia il cadavere del proprio fratello, aveva goduto del calore di veri compagni d’avventura, provato l’adrenalina di missioni al limite dell’assurdo. Cavolo, se queste cose non fanno maturare una persona…
E c’era voluta Kate per farglielo notare.
“No Kate, sono stato così stupido da non rendermene conto…”
“In questo sei sempre lo stesso, Heymans: - sorrise lei scuotendo con dolcezza la testa - ti lasci travolgere da quello che vivi sul momento, poi come finisce vai avanti. Però non ti soffermi mai a pensare di quanto queste cose ti facciano crescere, portandoti ad essere la persona che sei ora”
Un figlio, un amico, un fratello… un soldato… un uomo. E’ così complesso e così meravigliosamente vero…
“Avevo bisogno di fermarmi per capirlo: – annuì sedendosi e prendendole la mano – e ci volevi tu per farmi fare il confronto con quello che ero anni prima”
“E allora ti chiedo la stessa cosa di quando la nostra relazione è finita: – sorrise lei, accarezzandogli il mento, su cui c’era un cortissimo pizzetto rossiccio: chissà perché aveva deciso di farselo crescere – ti penti di qualcosa?”
“No. – ammise lui con franchezza – Perché sono contento della persona che sono diventato. Questa crescita l’ho pagata duramente, è vero, ma sarebbe da vigliacchi rinnegarla. E’ stata una guerra anche dentro di me, Kate, e alla fine l’ho superata… dopo tante battaglie, sconfitte e vittorie. E se devo essere sincero, tu sei stata una delle mie esperienze più belle e profonde.”
“Sono felice di sentirtelo dire, Heymans, non sai quanto. Anche tu lo sei stato per me” mormorò Kate, accoccolandosi a lui.
Breda le mise un braccio attorno alle spalle, stringendola dolcemente. Non dissero altro, non cercarono un amore che oramai non esisteva più: erano semplicemente in pace con il mondo ed andava bene ad entrambi di stare abbracciati a godersi quei momenti di serenità di cui le anime umane necessitano.
 
“Nemmeno un piccolo bacio? Sicuro?” chiese Havoc, una settimana dopo, per la millesima volta
“Nemmeno un bacio, Havoc! - ribadì Breda con un sospiro, guardando dal finestino il paesaggio che scorreva rapidamente – Ma perché ti ho detto di aver rincontrato Kate? Sono giorni che mi assilli con questa storia! Non vedo l’ora che questo treno arrivi!”
“Ma come cavolo avete fatto a restarvene abbracciati senza nemmeno…”
“Prova a dire qualche porcata e ti faccio nero! – sbottò Breda esasperato – Non sono come te che siccome una persona ha un seno e belle gambe allora ci prova!”
“Vedi che lo dici pure tu che aveva un seno e belle gambe? Io ci avrei tentato… eravate una bella coppia, davvero!”
“Oh signore, ma perché ti sto portando con me a Giyoir?”
“Che domande – sorrise Havoc – me la vuoi presentare si o no tua madre?”
“Inizio ad avere qualche ripensamento…”
“Senti – disse Havoc tornando serio – lei sa che Henry ha cercato di uccidermi?”
“No… - ammise Breda, posando lo sguardo su di lui – considerata la situazione non ho mai avuto modo di raccontarle i dettagli della sua morte. Non credo che lo farò mai…”
“Perfetto – annuì dolcemente Havoc – non volevo lo sapesse… e nel caso ti avrei chiesto di cambiare la versione dei fatti. Non sarebbe stato molto… uhm… bello, presentarmi a tua madre come quello che uno dei suoi figli ha tentato di fare fuori. Preferisco essere il migliore amico dell’altro”
“Ma tu sei questo, infatti” sorrise Breda, tornando a fissare il panorama.
 
“Le devo fare i miei complimenti, signora mamma di Heymans – sorrise sfacciatamente Havoc, prendendo la terza porzione di stufato – lei è una cuoca meravigliosa. E le parlo da figlio di una madre che in cucina ci sa fare”
“Oh, chiamami pure Laura, Jean… e mangia pure – sorrise la madre di Breda, portando in tavola altro pane – questo pane l’ho fatto io stamattina. E’ un vero piacere avere due giovani bocche affamate come te ed Heymans”
“Mi mancava la tua cucina, mamma” sorrise Breda, mentre la donna si sedeva tra lui ed Havoc
“Finalmente con la fine della guerra sono terminati anche i razionamenti: adesso posso cucinare come si deve. In questi giorni mi state dando occasione di sbizzarrirmi ai fornelli”
“Ho visto che il paese si sta piano piano risollevando”
“Sì, grazie al cielo è così – ammise lei, prendendo la mano del figlio e stringendola – E’ la vita del resto: si cade, ma ci si rialza e si va avanti, piano piano”
Breda ricambiò quella stretta. Aveva sempre considerato sua madre come una creatura fragile, che l’orrore della guerra civile avrebbe potuto spezzare. Ed invece aveva dimostrato di essere una persona forte, riprendendo in mano la sua vita e rialzandosi dall’orribile lutto che l’aveva colpita.
La casa era pulita e accogliente e lei aveva ripreso il suo lavoro di sarta che aveva abbandonato quando si era sposata ed aveva avuto i figli. Per quanto riguardava il marito, Gregor era andato via dal paese circa un mese dopo che Henry era morto.
Non ci ho potuto fare niente, ma forse è stato meglio così. La morte di Henry ha irrimediabilmente spezzato qualcosa… e per quanto fosse mio marito…
Con quella semplice frase lasciata in sospeso, Breda aveva scoperto che suo padre era sparito. La cosa gli aveva fatto male, per una decina di minuti, ma poi si era accorto che a lui importava solo di vedere sua madre serena e tranquilla. Certo, il dolore per la morte del suo secondogenito era ancora presente, ed i suoi occhi grigi avrebbero sempre portato quel lutto. Ma il sorriso e la felicità che aveva dimostrato per la venuta sua e di Havoc erano sinceri.
“Ah! Quasi dimenticavo! – esclamò la donna, riscuotendo Breda dai suoi pensieri – Non so se ti ricordi di Loris, il nipote del sindaco”
“Beh, sì, mi ricordo di lui… se non sbaglio ha qualche anno più di me”
“Era anche lui nella banda dei ribelli – spiegò lei, giocherellando col tovagliolo – nella battaglia è stato ferito, ma non gravemente. E poi, come tutti gli altri, ha ottenuto la grazia grazie al tuo interessamento… oh, non fare quella faccia, caro, tutti in paese sanno quello che è successo e che tu hai chiesto al tuo superiore di risparmiare i prigionieri”
“E’ sempre stato modesto, il nostro Heymans. Deve vedere come cerca di sminuirsi quando la gente lo ferma per strada” sorrise Havoc dando una pacca sulle spalle del suo amico
“Comunque: lui e Lisa, la sua fidanzata, si sono sposati ed hanno avuto un bambino e l’hanno chiamato Heymans, in tuo onore”
“Cosa? – si sorprese Breda – Oh no! Ma non era necessario…”
“Per me è stato un bel gesto” alzò le spalle la madre
“Heymans junior – rise Havoc – vorrei proprio conoscerlo. Magari diventerà una buona forchetta come te!”
“Havoc, smettila… pensa a mangiare” sbottò Breda, cercando di controllare il calore in faccia, segno che era arrossito.
Dopo il ballo con Nelly e la mancata ripresa di relazione con Kate, ci mancava solo quest’altro argomento con cui Havoc potesse rompergli le scatole.
 
Henry Breda 1890 – 1907.
La lapide era sempre la stessa: la quinta partendo da sinistra.
Adesso però, insieme alle altre della fila, non spiccava più in modo orribile nel cimitero del paese. Non c’era più la neve ed il terreno era ricoperto dall’erba selvatica che in diversi punti concedeva a gentili fiori di campo di crescere nonostante il periodo invernale. Con lentezza, il cimitero di Giyoir aveva avvolto con la sua pace le sepolture di quelle persone, privandole di quella crudezza che aveva caratterizzato la loro creazione, più di un anno prima.
Breda ed Havoc stavano davanti a quella tomba, notando come fosse pulita e ci fossero dei fiori freschi sopra.
Nessuno dei due aveva detto una parola: stavano entrambi lì, nella loro uniforme, a fissare quello che era stato il loro più grande rimpianto in tutti quegli anni di guerra.
“Sai – iniziò Breda dopo un po’ – quando è stato sepolto io ero dall’altra parte del cimitero, insieme a Nick. Non mi era sembrato giusto che ci fossero delle divise tra la gente che dava l’addio i propri cari”
“Che stronzate; – sbottò Havoc – era tuo fratello ed avevi tutto il diritto di esserci. E se dicevano qualcosa li potevi mandare al diavolo”
“Non è questo il punto. – riflettè Breda – E’ che… ci trovavamo in una situazione così assurda che nessuno sapeva più chi veramanete fosse. E’ stato forse il momento in cui ho vacillato di più nel mio convincimento di essere un soldato. Avevo combattuto contro persone che non erano miei nemici, e avevo ucciso diversi di loro. E per la gente del paese ero un nemico e allo stesso tempo no… non sapevano se odiarmi o meno.”
“E’ la fregatura della guerra civile: – ammise Havoc, accendendosi una sigaretta – almeno nel fronte sai bene che sei tu contro quelli con la divisa diversa dalla tua.”
“Ho visto mio fratello tentare di uccidere l’altro mio fratello…”
“E’ difficile farmi fuori, Breda, dovresti saperlo. Ma ammetto che il momento non è stato facile… quando Henry incombeva su di me con quella baionetta mi sono paralizzato… e non è che pensavo qualcosa come “oh merda, è finita ora mi ammazza”… no. L’unico pensiero che avevo in testa era “E’ il fratello del mio migliore amico… è tutto sbagliato”… ed è stato ancora più sbagliato quello che è successo dopo”
Breda annuì, trovandosi perfettamente d’accordo con lui. Sbagliato. Era la parola giusta per tutto quello che era successo in quel dicembre maledetto.
“Sai, Jean, essere qui, ora che la guerra civile è finita mi fa sentire come se finalmente si chiudesse un cerchio. Adesso che vedo mia madre serena, i nostri amici felici, il paese rinascere come tutta Amestris… è come quando potevamo sederci a bivaccare una volta terminata una missione. Sento che abbiamo finalmente portato a compimento questa dura fase della nostra vita. Ma non posso dimenticare il prezzo che è stato pagato per farci arrivare a questo momento”
“La morte di migliaia di innocenti ad Ishval”
“Esatto… - sospirò Breda – E’ stato un eccidio voluto dal governo e di questo Amestris si dovrà sempre vergognare. Noi soldati dovremmo sempre ricordare che non c’è stata nessuna vittoria, solo la fine di un massacro. Proprio come quando un anno fa tenevo tra le braccia il corpo di Henry: non è stata una vittoria della squadra falco… le vere vittorie le abbiamo avute contro Aerugo, non contro la nostra stessa gente”
“Cosa pensi che succederà?” chiese Havoc piegandosi sui talloni e giocherellando con un filo d’erba particolarmente lungo, proprio sul bordo della lapide
“A noi, dici? – chiese Breda, fissando il cielo – Non lo so. Ora che la Squadra Falco è sciolta siamo senza alcuna appartenenza. Forse dovremo tornare al fronte contro Aerugo… del resto il ricambio delle truppe si doveva avere a maggio, mentre noi siamo andati via a fine dicembre”
“E poi?”
“Si tornerà al Quartier Generale dell’Est. Però, mi sono ripromesso una cosa molto importante”
“Ah si? E che cosa?”
“Se mai sarò di nuovo sotto gli ordini di qualcuno, voglio che questo qualcuno sia meritevole della mia fiducia. Non voglio far parte della squadra di una persona come il capitano Rhea. Io starò agli ordini di qualcuno come il capitano Harris: che sa bene qual è il vero compito di un soldato e che crede nei miei stessi ideali. Non mi troverò a combattere di nuovo contro un mio fratello, in una guerra senza senso, lo giuro davanti a questa tomba”
“Mi piace come idea. – sorrise Havoc – Ti seguirò, Heymans Breda”
“Non avevo dubbi, Jean Havoc. Perché tu sei il mio fratello ed il mio migliore amico” sorrise di rimando Breda, avviandosi verso l’uscita del cimitero. Il biondo strappò il filo d’erba con cui aveva giocherellato e lo lasciò in balia del tiepido vento di inizio febbraio.
“Breda?”
“Mh?”
“Con tutto il rispetto, ma Henry è stato davvero un grandissimo coglione”
“Perché?”
“Perché non ha capito quanto era fortunato ad avere un fratello maggiore come te”

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Capitolo 14
*** Aprile - Maggio 1909. Un nuovo inizio. ***


“Signore, devo insistere: non si può fumare in ospedale!”
“Mamma mia, infermiera! Non penso di peggiorare le condizioni del mio amico con una sigaretta!”
Queste parole sembravano provenire da veramente lontano, ma nonostante tutto riuscivano a superare la profonda nebbia che lo avvolgeva. Piano piano si accorse che quel limbo dove si trovava si stava diradando e al posto suo si stava facendo avanti una luce sempre più forte, verso la quale era attratto con una forza inarrestabile.
Non potè opporre nessuna resistenza e all’improvviso sentì ogni fibra del suo corpo riprendere consistenza. Come aveva fatto a non accorgersi di essere stato così immateriale in quel posto così strano?
Questo pensiero sparì come era nato e lui si dimenticò di quel limbo grigio e ovattato. Adesso sentiva il suo corpo sdraiato e soprattutto un intenso odore di fumo alla sua sinistra.
… fumare in ospedale… Dannazione, Havoc, ma perche ci devi appestare tutti? Perché non la smetti?
“… la smetti?” chiese Breda con voce debole senza nemmeno aprire gli occhi
“Ha ripreso conoscenza! – esclamò una voce femminile – Vado immediatamente a chiamare il dottore!”
“Ecco brava, – borbottò la voce di Havoc, in tono basso – levati dalle scatole, vecchia megera! Ehi, Breda! Breda, mi senti?”
Sì, Havoc, sento te e quel dannato odore di sigaretta…
Si accorse che quello che aveva voluto dire in realtà l’aveva solo pensato. Con uno sforzo enorme cercò di recuperare il controllo dei sensi e del corpo: dalla mente le parole dovevano arrivare alla bocca. E forse sarebbe stato un bene aprire pure gli occhi, sperando che la luce non fosse troppo forte.
Lentamente sollevò le palpebre, sentendole fastidiosamente pesanti e si trovò a fissare un soffitto bianco con una luce che gli ricordava quella del dormitorio all’Accademia.
 Si sentiva molto stordito e una parte della sua mente pensò che se era in ospedale forse gli avevano dato dei medicinali ed era per questo che si sentiva così.
Ma perché sono in ospedale? Non sento dolore… eppure…oh, la granata!
 “Havoc…?” chiamò con urgenza, girandosi.
Aveva perso i sensi mentre erano in quella trincea, in mezzo alle bombe, con il rischio di morire da un momento all’altro. Anche Havoc era ferito?
“Sono qui, amico mio, – sorrise il biondo, apparendo nel suo campo visivo – è tutto finito”
Breda annuì debolmente, sollevato nel vedere che il suo compagno non era su un letto, ma su una sedia accanto al suo. Provò a muoversi per girare anche il corpo verso la sua direzione, ma subito delle fitte di dolore improvvise lo tormentarono.
“No, non è il caso che ti muova: – lo bloccò gentilmente lui, mettendogli una mano sulla spalla - hai la parte sinistra del torace fasciata ed i punti alle ferite devono restare fermi”
“La granata…” mormorò lui, mentre la scena gli tornava in mente assieme al dolore che quelle ferite gli avevano provocato. Quella maledetta sensazione di aghi che lo trafiggevano.
“Sei stato tre giorni senza riprendere conoscenza. Non sai che fatica per farti trasportare in un vero ospedale e non in quel cazzo di ospedale da campo che c’è al fronte. Ma ci ho pensato io!” quest’ultima affermazione aveva un tono pericolosamente compiaciuto.
“Che… che hai combinato?” Breda chiuse stancamente gli occhi
“Oh, tranquillo. Alla fine questo stupido fronte contro Aerugo deve parecchio alla Squadra Falco… e così sono passati sopra i miei metodi poco ortodossi” sorrise sfacciatamente Havoc
“Voglio sapere… - iniziò Breda, cercando di non agitarsi troppo – che cosa hai…fatto. Da quando ho perso i maledetti… sensi!”
“Va bene, va bene. Ma stai calmo! – sospirò Havoc –Vediamo: hai perso i sensi poco dopo che ti avevo raggiunto. E siamo rimasti almeno altre quattro ore in quel posto prima che arrivassero quei cazzoni delle squadre di soccorso. Credo… uhm… di non essere stato molto gentile con loro mentre ti caricavano in una barella: figurati, avevano anche proposto di lasciarti lì dicendo che non c’era molto da fare”
“Che idioti, eh?” sorrise debolmente Breda
“Infatti: ho fatto loro notare che se non ti portavano subito via da quella trincea mi sarei arrabbiato parecchio e così si sono stati zitti. Poi, all’ospedale da campo stessa storia: i dottori dicevano che non potevano fare molto considerate le tue condizioni… hanno detto che lì non era possibile operarti per quelle ferite. Così dato che era quello il problema ho fatto pressioni affinchè ti si trasportasse qui”
“Pressioni di che tipo?”
“Più o meno le stesse che avevano indotto il conte di Aerugo a seguirci via da Coir”
“Hai… hai minacciato il personale con la pistola…?”
“No, solo quello stronzo di medico che non voleva fare niente per te. Per fortuna poi è arrivato un capitano che, ricordandosi di noi e della Squadra Falco, ha acconsentito al tuo trasporto eccezionale”
Che eri pazzo lo sapevo… ma non fino a questo punto.
Breda riportò lo sguardo sul suo amico e si accorse di alcuni particolari.
“Sei rimasto accanto a me tutto questo tempo, vero?”
“Oh, dici per questa divisa puzzolente che indosso? Ti dà molto fastidio?”
No, non mi hai lasciato un secondo… oh, Jean, sei proprio un’idiota
“E quel sangue… nella casacca?”
“Ne stavi perdendo molto e così l’ho usata per tamponare la ferita… non so quanto possa essere stato igienico, considerato che era già sporca di terra e fango” ammise con un sorriso colpevole lui.
“Ti devo più di un giro di bottiglie, Havoc”
“Ah, lascia stare questa storia… Mentre eri incosciente ho giurato che se ti salvavi avrei rinunciato a tutti i giri che mi dovevi ancora offrire. Si vede che ero davvero stanco, eh?”
“La situazione ti era proprio sfuggita di mano, come sempre…”
“L’importante è averla superata. Coraggio Breda: maggio è alle porte. Guarisci a andiamocene via da questo cazzo di fronte: Aerugo mi ha proprio rotto le scatole”
“Anche a me, Havoc… - sorrise Breda – anche a me”
Sì, basta con la guerra, basta con la trincea. E’ arrivato il momento di finire anche questo capitolo, amico mio.
 
Breda dovette restare altre due settimane in ospedale prima che i medici lo ritenessero abbastanza guarito da poter essere dimesso. Le schegge della granata l’avevano colpito in buona parte del fianco e, pur non ledendo organi vitali, l’avevano portato ad un passo dalla morte. Tuttavia, nonostante questo, il maresciallo riprese le forze in maniera abbastanza rapida.
Così quando il treno che riportava le truppe ad East City partì, c’erano anche lui ed Havoc.
“E così siamo rimasti solo noi due! – sospirò, sistemandosi con cautela nel sedile per evitare che le ferite subissero scossoni – Ancora non ci credo che Denis è stato trasferito a South City”
Il giovane caporale era infatti riuscito ad ottenere un posto al Quartier Generale del Sud: i membri della Squadra Falco erano enormemente contesi.
“A lui conveniva, la sua famiglia abita lì vicino. Sono sicuro che sarà felice: magari riesce anche a trovarsi una fidanzatina e perdere quella benedetta verginità!” sorrise Havoc
“Sei un porco, Havoc. Lo stavi assillando con questa storia di sverginarsi! Lui ha i suoi tempi, lo dovresti sapere”
“E dai! Ventidue anni e non si è ancora portato a letto una ragazza. Ma come si fa?!”
“Sei senza speranze!”
“Tu sei senza speranze! Non ci credo che un paio di mesi fa avevi…”
“Tira fuori di nuovo la storia con Kate e ti anniento!”
“Piano, Breda! Le tue ferite non sono ancora guarite del tutto”
“Lo sono abbastanza per spaccarti la testa contro il finestrino, idiota!”
Havoc ridacchiò e si sistemò meglio sul sedile, spostando pesantemente la sua sacca militare. Breda pensò che si era tornati alle origini, con solo loro due, solido nucleo che ormai era impossibile scindere. Anche se non se lo erano giurato, era chiaro che uno avrebbe seguito l’altro e che avrebbero sempre lavorato insieme.
“Che cosa ci toccherà fare una volta ad East City?” chiese Havoc
“Resteremo a disposizione nel Quartier Generale”
“Credi che avremmo qualche proposta?”
“Se ci sarà, sai benissimo quali condizioni mi sono posto” dichiarò Breda con serietà.
 
“Ah, però! E chi se lo aspettava!” esclamò Havoc con sincera sorpresa
“E’ vero che la guerra è finita da mesi, ormai; – gli fece eco Breda – ma devo fare i miei complimenti al nuovo generale del Quartier Generale dell’Est per l’ottimo lavoro”
Era da più di un anno che non rivedevano quel posto ed era totalmente diverso da quegli edifici semi abbandonati che c’erano durante la guerra. Adesso c’erano squadre di operai che stavano lavorando alla sistemazione di una nuova cisterna vicino al campo di parata, dove diversi soldati stavano compiendo delle esercitazioni.
Tutti gli edifici avevano ricevuto opere di manutenzione e finalmente camminare nei corridoi non era così deprimente. Le pareti scrostate erano state riverniciate; i tubi e i cavi elettrici che pendevano dal soffitto erano stati finalmente nascosti alla vista; le scatole piene di documenti che giacevano abbandonate in varie stanze erano sparite e sembrava che gli uffici fossero di nuovo riempiti da soldati e ufficiali che lavoravano con entusiasmo.
Beh, in fondo è giusto. Amestris si sta riprendendo dalla guerra e così anche l’esercito
“Penso che i regolamenti dei dormitori siano di nuovo in vigore: – sghignazzò all’indirizzo di Havoc. – dovrai rinunciare alle tue fumate notturne”
“Accidenti, penso che tu abbia ragione! – sospirò Havoc – Poco male! Come saliamo di grado e quindi ci aumenta lo stipendio mi cerco una casa per conto mio”
“Tossico… Ah, eccoci arrivati all’ufficio personale”
Entrarono in quella stanza pulita e si diressero alla scrivania dove stava una ragazza che lavorava alacrmente su diversi documenti. Alzò gli occhi su di loro e rimase leggermente sorpresa.
“Siamo appena tornati dal fronte contro Aerugo – spiegò Breda – Dovremmo essere di stanza qui”
“Certo signori, allora compilate pure questi moduli con i vostri dati”
“Accidenti quante scartoffie – sospirò Havoc prendendo in mano quei fogli – la guerra aveva di buono che la burocrazia non rompeva le scatole così tanto”
Ma Breda non rispose: nell’intestazione del modulo aveva finalmente letto il nome del nuovo generale dell’Est.
Generale Grumman, eh? Bene bene, almeno ci sa fare.
 
“Scacco matto!” esclamò Breda, posandosi con soddisfazione allo schienale della sedia
“E che diamine! Di nuovo!” borbottò il suo avversario
“E con questa sono cinque vittorie su cinque. Direi che può bastare”
“Complimenti maresciallo Breda, – ridacchiò qualcuno, mentre lui si alzava – lei è davvero invincibile a questi giochi”
Con un gesto della mano, Breda accantonò quei complimenti e si diresse fuori da quella sala ricreativa. Non giocava più a simulazioni di strategia dai tempi dell’Accademia, ma aveva scoperto di non aver perso per niente la sua abilità, tanto che nell’arco di un paio di settimane era diventato quasi una leggenda del Quartier Generale.
Quelle partite erano un interessante svago contro la monotonia che lo stava attanagliando.
Purtroppo quando hai passato tre anni della tua vita in continuo movimento ed azione risulta difficile riadattarsi ai ritmi più monotoni di un esercito in pace. Ovviamente non si lamentava di questa situazione, ma sentiva la mancanza di quella motivazione che l’aveva accompagnato in tutto quel tempo.
Lui ed Havoc non avevano ancora ricevuto proposte per entrare in qualche squadra. Sulle prime la cosa gli era sembrata molto strana, ma poi si era anche reso conto del motivo: soldati come Denis erano molto ricercati perché pur avendo fatto parte della Squadra Falco, non erano così importanti e potevano facilmente essere adattati a qualsiasi lavoro.
Invece lui ed Havoc avevano una fama che li precedeva: erano le teste d’ariete della Squadra, le punte di diamante e di conseguenza i superiori erano abbastanza riluttanti a prendere due soldati così elitari in un periodo di pace come quello. E quindi a Breda, come al suo compagno, non restava che aspettare ed aiutare altri soldati a portare a termine la manutenzione del Quartier Generale.
“Eccoti qui! – lo raggiunse Havoc, interrompendo i suoi pensieri – Abbiamo un’interessante novità”
“Ah sì?”
“Sì, leggi questa lettera: siamo convocati domani mattina alle otto e mezza. A quanto pare siamo stati richiesti da un tenente colonnello.”
“Roy Mustang – mormorò Breda leggendo quel nome – oh! Sai chi è?”
“No, perché tu lo conosci?”
“E’ l’Alchimista di Fuoco: ne girano di voci su di lui”
“L’Alchimista di Fuoco!? Cavolo, dicono che sia stato una belva ad Ish… che cosa vuoi fare?”
“Sai quali sono i miei principi – dichiarò Breda – Domani andremo a questa convocazione ovviamente. Ma questo tenente colonnello Mustang dovrà convincermi”
“Ed il fatto che sia un alchimista che ha partecipato ad Ishval?”
Voglio guardarlo negli occhi: scoprire se è fiero di essere stato usato come un'arma per compiere quell’eccidio. Nel caso, sbattergli la porta in faccia sarà una grande soddisfazione, anche se questo comporterà dei problemi disciplinari.
“Non lo giudicherò fino a quando non vedrò bene come è fatto. Mi seguirai, Havoc?”
“Beh, voglio vedere pure io come è fatto un alchimista di stato, no?” sorrise lui
 
Era un piccolo salottino quello dove stavano attendendo che si facessero le otto e mezza. Lui ed Havoc stavano seduti davanti a quel basso tavolo, senza parlare. Breda era costretto ad ammettere che, nonostante tutto, era teso da questo incontro e così doveva esserlo anche Havoc. Le loro divise erano in perfetto ordine, persino in quei dettagli che ogni tanto trascuravano.
Forse è da stupidi tutta questa attenzione ai particolari. Ma è comunque una convocazione formale.
Mancavano ancora cinque minuti all’incontro quando arrivò un altro soldato.
“Siete qui su convocazione del tenente colonnello Mustang?” chiese mettendosi sull’attenti, considerato il suo rango inferiore.
“Sì, sergente – annuì Breda, vedendo i suoi gradi sulla spallina – Maresciallo Heymans Breda e lui è il Sergente Maggiore Jean Havoc”
“Sergente Vato Falman! – salutò lui – E’ un onore conoscere due membri della Squadra Falco”
“Oh, dai, non farci arrossire – scherzò Havoc – siediti pure assieme a noi”
“Grazie signore” annuì lui sedendosi davanti a loro.
Breda lo squadrò con attenzione. Era forse alto quanto Havoc, ma molto più slanciato considerata la magrezza dei tratti. Il viso era pallido, dagli occhi curiosamente allungati e incorniciato da corti capelli bicolore.
Nero e grigio-bianco… eppure deve essere massimo sulla trentina. Dove ti sei procurato quei capelli, Falman?
“Ma che hanno i tuoi capelli?” chiese Havoc, con la solita mancanza di tatto
“Sono sempre stati così, signore” rispose Falman con semplicità
“Che? Eh, sono ben strani… senza offesa, chiaramente”
“Nessun problema”
Rimasero in silenzio a fissarsi, mentre l’orologio sopra di loro segnava un minuto alle otto e mezza
Un sergente eh? Di certo anche lui deve essere speciale per ricevere questa convocazione. Forse non avrà servito in un corpo elitario come il nostro, anche perché non mi sembra molto propenso all’azione, ma di certo deve avere notevoli doti.
“Maresciallo Breda, Sergente Maggiore Havoc, Sergente Falman” disse una voce alle loro spalle.
Breda si girò assieme agli altri e vide che a parlare era stata una… era una ragazza, sicuramente più giovane di loro: eppure le decorazioni indicavano il rango di maresciallo, come il suo
“Sono il Maresciallo Riza Hawkeye, assistente personale del Tenente Colonnello Mustang. Se volete seguirmi”
Breda osservava con attenzione quella schiena dritta che procedeva marzialmente davanti a loro. I corti capelli biondi, indicavano che la testa era puntata in avanti, senza abbassare lo sguardo.
Non sei una bambina che sta dietro la scrivania, Riza Hawkeye. Le tue manine bianche hanno gli inequivocabili segni di chi maneggia le armi da fuoco. E sei già maresciallo, nonostante tu sia chiaramente più giovane di me: vuol dire che hai già visto qualche campo di battaglia… Ishval, vero? Avevo sentito che avevano spedito lì anche alcuni cadetti particolarmente promettenti.
Quasi avesse sentito i suoi pensieri, la donna girò leggermente il capo verso di lui. Sotto la corta frangetta bionda c’erano due profondi occhi castani che affrontarono il suo sguardo senza alcuna paura di giudizio.
Ti sei bruciata con quelle sabbie del deserto, eh? Si vede nei tuoi occhi, piccola, non potrai mai nasconderlo a chi come me ha visto tanto orrore. E nemmeno a te è piaciuto. Ma vedo in te la mia stessa determinazione ad andare avanti: sei una bambina forte, Riza Hawkeye, e per questo meriti il mio rispetto.
Breda fece un rapido cenno affermativo alla donna e così, questo rapido confronto silenzioso terminò.
“Aspettate qui – disse lei, mentre entrava dentro un ufficio – avviso subito il mio superiore”
“Hai capito… – mormorò Havoc quando la porta si chiuse – niente meno che Riza Hawkeye”
“La conosce, signore?” chiese Falman
“No, ma è una vera leggenda: ha circa vent’anni, ma è stata uno dei cecchini più forti ad Ishval. Era così brava che l’hanno chiamata dall’Accademia che ancora non aveva terminato il secondo anno”
“Più brava di te?” chiese Breda
“Non mi dispiacerebbe fare un confronto” ammise Havoc con un sorriso furbo e carico d’aspettativa.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, prima che la porta si riaprisse e la donna facesse loro segno di entrare.
Vennero introdotti in una grande stanza: il centro era occupato da sei scrivanie, una davanti all’altra. Erano tutte vuote, eccetto quella in fondo a sinistra, dove c’erano alcuni documenti. In fondo alla stanza, proprio sotto delle ampie finestre, vi era un'altra scrivania, più grossa, con un elegante poltrona nera.
Il suo proprietario però non era seduto in quel posto di comando, ma era in piedi, di spalle, intento a fissare il panorama fuori dalla finestra. Le spalle erano dritte ed i capelli neri e sottili abbastanza lunghi per sfiorare il colletto della divisa.
Breda, Havoc e Falman si portarono davanti alla sua scrivania e si misero sull’attenti, aspettando che l’alchimista si girasse verso di loro.
Andiamo, Roy Mustang, mostrami il tuo volto…
E finalmente lui si girò.
Aveva più o meno la sua età, il viso avvenente, di una bellezza più tenebrosa rispetto a quella solare di Havoc; i capelli neri cadevano sulla fronte, andando a sfiorare gli occhi sottili e scurissimi.
Occhi che avevano visto quell’eccidio, consapevoli di averne preso ampia parte.
Occhi che non andavano assolutamente fieri di come era stata utilizzata l’alchimia del fuoco.
Quelle pupille nere bruciavano incredibilmente dalla voglia di cambiare il mondo.
Perché lui era una persona e non un’arma umana.
Breda intravide tutto questo, mentre lo sguardo del tenente colonnello Mustang si posava su ciascuno di loro. E non ebbe dubbi che le medesime sensazioni le stava provando anche Havoc.
“Sono il tenente colonnello Roy Mustang – disse l’uomo con voce chiara – e vi ho convocati qui perché ritengo che voi siate le persone giuste per formare il mio team”
E tu sei la persona giusta che io seguirò fino alla fine, Roy Mustang. Ne sono certo.
Sei tu il mio nuovo inizio.

 


___________________________________
Nota dell'autrice.

E alla fine ci siamo arrivati! Siamo finalmente tornati al momento iniziale di questa ff quando Breda perde i sensi in quella trincea, accanto al suo migliore amico.
Ormai è ora che lui ed Havoc abbandonino la guerra e si preparino al loro nuovo inizio: sarete contenti di vedere tre personaggi conosciuti entrare nelle loro vite, eh? :D
Per dovere di cronaca Fury non c'è perchè è troppo giovane rispetto a loro... arriverà in seguito nel team di Roy. ;)
Questo era l'ultimo capitolo: ora manca solo l'epilogo ^^

Laylath

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Capitolo 15
*** Epilogo. Gennaio 1910. Dove tutto ebbe inizio. ***


“Ah, che meraviglia, questo periodo di vacanza ci voleva proprio!” si stiracchiò Havoc, mentre uscivano dalla stazione ferroviaria.
“Con il capo in missione per conto dell’esercito potevamo fare ben poco in ufficio. A lui bastava la compagnia del sottotenente Hawkeye” ammise Breda scrollando le spalle e avviandosi per le vie della città
“Ma non ho ben capito: in che cosa consiste questa fantomatica missione?”
“Oh, è una questione molto semplice: dopo la guerra di Ishval sono stati parecchi gli alchimisti che hanno rinnegato il loro titolo statale”
“… rimorsi di coscienza, eh?”
“Beh, c’è chi come il colonnello sceglie di andare avanti e cambiare le cose, e chi invece si ritira per piangere sulle proprie colpe. Sono due reazioni differenti: noi che abbiamo visto la guerra sappiamo che possono esserci scelte diverse per lo stesso evento”
“Lo so. Comunque, che dicevi a proposito degli alchimisti di stato?”
“Ah sì. Dicevo… il loro numero è diminuito considerevolmente e così il governo ha incaricato quelli ancora nell’esercito di andare alla ricerca di, come posso definirli… talenti che potrebbero sostenere l’esame statale. Penso che il capo si stia girando tutto il settore est di Amestris”
“Credi che ne troverà qualcuno?”
“Lo spero per lui e anche per noi. Lo sai che quando non ottiene risultati tende ad essere irritato per diverso tempo”
“E se è irritato vuol dire che ha ancora meno voglia di lavorare… e questo significa che anche il sottotenente Hawkeye sarà irritata. E il clima ostile appesterà l’ufficio e noi poveri tre sfigati! - sospirò Havoc – Spero davvero che trovi qualcuno!”
 
“Fa un certo effetto,vero Havoc?” sorrise Breda fermandosi davanti al grande ingresso
“E’ sempre stata così? Io me la ricordavo più imponente” commentò il biondo ricambiando il sorriso.
Davanti a loro l’Accademia Militare. Il grande cancello di ferro battuto con lo stemma dell’esercito era aperto ed il lungo viale di acciottolato portava dritto verso il grande edificio grigio chiaro, dove spiccava la grande bandiera verde con il cane simbolo di Amestris. Il grande cortile era sempre lo stesso, con i filari di alberi ordinati, come tanti soldati messi in riga.
Era metà mattina ed era tutto silenzioso: i cadetti erano impegnati nelle lezioni ed i corridoio erano vuoti.
Camminare in quei luoghi così familiari, con i passi dei loro stivali che rimbombavano in quel silenzio, era così strano. Stare con la divisa blu dell’esercito invece che con quella marrone dei cadetti faceva sentire Breda quasi fuori posto. Però i ricordi di quanto aveva vissuto lì dentro erano meravigliosi e felici: forse gli anni d’Accademia erano stati i più belli della sua vita.
Insieme all’amico si diresse verso il poligono di tiro. Era tutto vuoto: sicuramente in quel mese le lezioni si svolgevano  durante le ore pomeridiane.
“Quanto era il tuo record?” chiese Breda mentre Havoc si accostava ad un banco in cui c’era un fucile pronto da caricare
“Otto secondi netti nella mia prova migliore del secondo anno” sorrise lui intrecciando le dita e mettendosi in posizione.
Breda prese un cronometro che stava lì vicino
“Pronto?”
“Ovviamente”
“Vai!”
Le mani di Havoc si mossero con rapida precisione, prendendo il fucile e caricandolo con mosse abili e sicure.
“Sei secondi e mezza. Complimenti Havoc, del resto una delle teste d’ariete della Squadra Falco non poteva non abbattere il suo personalissimo record” sogghignò Breda compiaciuto, fermando il cronometro
“E non mi sarei aspettato di meno da questo ragazzo” esclamò una voce alle loro spalle, mentre sentivano delle mani applaudire
“Capitano Harris!” esclamò felice Havoc, rimettendo a posto il fucile.
Anche Breda sorrise mentre il loro ex superiore si avvicinava e stringeva con calore le mani ad entrambe.
“Eccole qua le mie due teste d’ariete! Razza di furfanti! – sorrise compiaciuto – Mi chiedevo quando sareste passati a trovarmi. Le ultime notizie che avevo di voi erano vecchie di quasi un anno… e parlavano di un grosso fraintendimento con l’ospedale da campo del fronte contro Aerugo”
“Oh, solo un disguido tecnico – ammise Havoc – volevano lasciar morire Breda per un paio di schegge di granata. Sul serio, signore, da quando la Squadra Falco si è sciolta, lì sono diventati dei veri e propri scansafatiche”
“Meno male che hai pensato bene di portare un po’ di disciplina, sergente…anzi no, maresciallo Havoc. Ho sempre apprezzato il vostro spirito d’iniziativa, giovanotti. Poi nessun problema con le ferite, vero sottotenente Breda?”
“Tutto guarito, capitano – rassicurò Breda – nonostante qualcuno mi desse per spacciato, nell’arco di un paio di settimane ero di nuovo a pieno regime”
“Semplicemente si è salvato perché è grasso e la ciccia l’ha protetto!” scherzò Havoc
“Spiritoso”
Il capitano Harris scoppiò a ridere mettendo una mano sulla spalla di ciascuno
“Ah, i miei ragazzi! Sono felice di vedere che non siete cambiati per niente! Ma adesso voglio che mi aggiornate sulla vostra situazione e anche su quella di quei due furfanti di Denis e Nick: eravate sempre a fare gruppo”
“Sarà un piacere, signore, ma non ha lezione?”
“Non entro le prossime ore. Ed è meglio non pensarci: alcuni cadetti sono così imbranati che mi metterei le mani nei capelli. Sono passati i tempi in cui avevo delle eccellenze come te, Havoc. Forza, andiamo a prenderci qualcosa di caldo”
 
“Roy Mustang eh? – annuì Harris a braccia conserte – Ne ho sentito parlare parecchio. E’ stato uno dei più forti nello sterminio di Ishval”
Non c’era tono di accusa in quell’affermazione.
A dire il vero Breda era stato leggermente timoroso di far sapere al capitano Harris che ora era agli ordini di un Alchimista di Stato. Sapeva che il suo ex superiore non nutriva grande simpatia per questa categoria di soldati, per tutta una serie di motivazioni, non ultima il loro impiego come armi umane ad Ishval.
“So il ruolo che hanno avuto gli alchimisti in quell’eccidio – ammise Breda, lanciando uno sguardo ad Havoc che annuì – e sono il primo a condannare l’esercito per quello che è successo. Ma ammiro Roy Mustang perché sa benissimo quanto sia stata sbagliata quella guerra e perché non è scappato davanti alle sue colpe, ma cerca di porvi rimedio”
“Ah sì?” chiese Harris squadrandoli entrambi con attenzione
“Sì, signore, – disse Havoc – e un giorno lui cambierà le cose”
Era una frase semplice che poteva sembrare una vanteria da sciocchi. Ma c’era una serena convinzione nel tono di Havoc tanto che Breda non potè fare a meno di essere d’accordo con lui. Perché ci credevano entrambi, veramente.
Harris rimase in silenzio per qualche secondo e poi sospirò
“Nei miti si parla della fenice, l’uccello di fuoco, che risorge dalle sue stesse ceneri. Spero che questo alchimista di fuoco sappia far risorgere Ishval dalle sabbie di quel deserto”
“Lo farà, ne sono certo. Non potrà cambiare quanto successo, – ammise Breda – ma sono sicuro che si adopererà per dare giustizia. E noi lo seguiremo, perché nutriamo nei suoi confronti la stessa fiducia che abbiamo avuto in lei, signore”
“Bene bene, se sento queste parole da parte delle mie punte di diamante, allora i miei giudizi sugli alchimisti di stato sono sempre stati troppo superficiali. – sorrise sinceramente  Harris – Spero con tutto il cuore che il vostro Mustang realizzi tutti i sogni che portate nel cuore, ragazzi miei… che poi sono anche quelli di questo cocciuto capitano che non perde mai la speranza di vedere crescere soldati come voi”
“La guerra civile ha segnato un’intera generazione, signore – disse Breda – ma non per questo ci ha fatto perdere gli ideali in cui crediamo… anzi ci ha reso ancora più determinati a realizzarli”
Ed io ho una tomba come monito per non perdere mai questa determinazione: una tomba con un nome, un cognome e due date troppo vicine tra di loro.
“Ah, figlioli. Vi avevo detto che nutrivo grandi aspettative su di voi. E non avete idea di quanto le avete realizzate. Ora posso fare lezione con maggiore serenità: sono così ottimista che forse riuscirò a far sparare decentemente qualcuno di questi nuovi cadetti”
 
La grossa porta di legno di quercia non poteva fare a meno di incutere ancora un certo timore reverenziale. Breda non potè che guardare il suo compagno per ricevere un cenno affermativo, quindi trasse un sospiro e bussò.
Attese i tre secondi stabiliti e poi abbassò la maniglia d’ottone lucido in modo che la porta si aprisse sullo studio del colonnello Grey. Nulla era cambiato in quell’imponente stanza: le pesanti tende di velluto verde, il mobilio in legno di noce, le pareti ricoperte di librerie e trofei. Il senso di grandiosità ovattata di quello studio era immutabile, così come il suo proprietario.
“Ah, siete voi! – salutò il colonnello Grey, che si trovava al lato della stanza, davanti ad un grande schedario di legno – Finisco questa faccenda e sono subito a vostra disposizione, soldati”
“Faccia con comodo, signore” annuì Breda, facendo il saluto, seguito immediatamente da Havoc.
Tuttavia il colonnello Grey fece loro un distratto cenno di riposo, mentre continuava a cercare tra i documenti di quello schedario. Solo quando levò lo sguardo da lui Breda si accorse che non erano soli nella stanza.  Ad attendere in piedi, vicino alla scrivania, c’era un cadetto del primo anno, come indicava la decorazione sulla spallina.
Con uno sguardo distratto vide che Havoc si era diretto verso una parete dove stava appeso un vecchio fucile e lo stava studiano con occhio esperto. Lui invece spostò di nuovo la sua attenzione su quel ragazzo.
Certo gli studenti del primo anno a volte sono ancora fisicamente dei ragazzini, ma questo sembrava averci messo particolare impegno per sembrare poco più che un bambino. Forse dipendeva, oltre che dalla statura e dall’esilità del corpo, anche dall’atteggiamento: stava lì fermo, con le mani intrecciate dietro la schiena ed il viso occhialuto abbassato a fissare il pavimento. I capelli neri, per quanto corti, erano così ribelli che i ciuffi andavano in tutte le direzioni.
Quel piccoletto ispirò uno strano senso di protezione a Breda che non potè fare a meno di andare verso di lui ed arruffargli con gentilezza quella chioma così particolare. Il cadetto gli lanciò una timida occhiata con i suoi occhi scuri e poi torno a fissare il pavimento, mentre le sue guance arrossivano lievemente.
“Oh, ecco qua. Trovato – esclamò intanto il colonnello Grey, tornando verso di loro con alcuni documenti che diede al cadetto – Tieni, ragazzo, porta questi al tuo docente. Dovrebbero essere la cosa migliore per un caso come il tuo”
“Va bene, signore – rispose il giovane con voce timida e ancora infantile. Però Breda notò che era scattato sull’attenti in maniera impeccabile – La ringrazio molto per il suo interessamento”
Riportando lo sguardo a terra il ragazzo si avviò verso la porta, non prima di aver lanciato un’altra timida occhiata a Breda. Come il battente si chiuse anche Havoc si riscosse dal suo esame del fucile esposto e si diresse verso il colonnello.
“Sedetevi pure, figlioli. – lì invitò l’uomo andando verso la sua scrivania – Intanto scusate, ma questo povero vecchio si prepara una tazza di the”
Se lei è un povero vecchio, colonnello Grey, allora Havoc non è un fumatore.
Mentre attendevano il colonnello, Breda si trovò improvvisamente a pensare che era seduto nel medesimo posto dove, cinque anni fa, lui ed Havoc si erano incontrati per la prima volta.
Girandosi verso il suo amico, seduto anche lui nella stessa sedia di anni prima, per un istante non vide il maresciallo scanzonato che aveva appena caricato un fucile a tempo record, ma quel cadetto del primo anno, dai capelli più corti che fissava con rassegnazione il colonnello Grey per sapere quale provvedimento sarebbe stato preso per i suoi brutti voti.
Come sei cresciuto, Jean. Quell’aria da pesce fuor d’acqua che avevi quella volta è così lontana. Anche tu, come me, stai pensando che la nostra avventura è iniziata proprio in questo ufficio?
Chiuse gli occhi e ripercorse rapidamente tutti quegli anni passati: Havoc cadetto, con le sue prime sigarette, le sue evasioni, i suoi primi devastanti amori. Il ragazzo biondo con cui aveva sfiorato la lite quando aveva avuto la sua prima delusione d’amore. Il fratello maggiore che sollevava in braccio Janet alla cerimonia di fine Accademia. Il compagno ritrovato che avanzava sorridente verso di lui, dopo avergli salvato la vita in quel bosco maledetto. L’amico distrutto per non essere riuscito a salvare Henry… il cecchino provetto con i suoi mostruosi sensi di colpa. La testa d’ariete, assieme a lui, in decine di missioni spericolate. Il compagno di una vita e per la vita.
Perché Jean Havoc era tutto questo per Breda, e molto di più.
“Eccomi qua, signori – disse il colonnello Grey sedendosi alla scrivania con una tazza di the – Scusate ma il caso di quel ragazzo richiedeva tutta la mia attenzione”
“E’ davvero piccolino per essere già all’Accademia”
“Sì, ma non farti ingannare, Heymans Breda, sotto quell’aria fanciullesca c’è un ottimo cervello e un futuro ottimo soldato. Nutro grandi speranze per lui, nonostante lo conosca da pochissimo: gli ho dato delle lezioni supplementari, come faccio in rarissimi casi… e tu lo sai bene”
“Capisco, signore” annuì Breda. Se il colonnello dava a dei cadetti dei corsi speciali voleva dire che erano di gran talento.
“Certo è stato un po’ difficile convincere i docenti di elettronica dei corsi specialistici, ma pazienza. Ora veniamo a noi: ma guarda… ho come un senso di dèjà vu a vedervi qui, seduti davanti a me”
Havoc ridacchiò e si passò la mano tra i capelli biondi con imbarazzo.
“Ci stavi davvero mettendo in una situazione difficile con i tuoi voti, Jean Havoc. Ma a posteriori è stata una vera fortuna che avessi così tante difficolta: mi sento orgoglioso di avervi fatto incontrare… ho saputo parecchie cose su di voi dal capitano Harris: un legame come il vostro si vede raramente, persino tra i soldati”
“Diciamo che le vicende della guerra ci hanno portato ad essere una vera e propria squadra” ammise Breda, pur sapendo di sminuire quello che era il suo rapporto con Havoc.
“Oh, certo, come dici tu. Ma già nei due anni che avete trascorso qui eravate già una squadra vincente. Mi sento davvero orgoglioso… e sono estremamente soddisfatto di sapere che siete sotto gli ordini del colonnello Mustang”
“Lo conosce signore?” chiese Havoc sorpreso
“Beh, è passato anche lui per questa Accademia, no? E credo che ci riserverà molte soprese. Se due come voi hanno accettato di stare ai suoi ordini c’è un motivo ben preciso. Vero?”
Breda ed Havoc si lanciarono un’occhiata e non dissero nulla, ma sembrava che il colonnello Grey non si aspettasse risposta.
“Oh beh! Lasciamo stare questi discorsi. Che ne dite di allietare un po’ questo vecchio con i resoconti di qualche missione della Squadra Falco? Il capitano Harris è molto esaustivo, certo, ma credo che voi siate in grado di rendere queste storie più divertenti, eh?”
“Come vuole, signore!” sorrise Havoc
 
“Bene, direi che è proprio ora di andare” sospirò Breda, mentre si avviavano verso l’uscita dell’Accademia.
“E’ stata una giornata davvero divertente – sorrise Havoc – rivedere il capitano Harris, il colonnello Grey e gli altri docenti mi ha fatto davvero piacere. Hai visto come si ricordavano tutti di noi?”
“Beh, siamo stati dei cadetti fuori dal comune - ammise Breda – Perché ti fermi?” chiese vedendo che Havoc si era bloccato all’improvviso. Dopo qualche secondo, il biondo si voltò verso di lui e lo fissò con attenzione
“Era il dieci gennaio del 1907, esattamente tre anni fa. La notte della cerimonia di chiusura del corso… il nostro ultimo giorno d’Accademia”
Breda sorrise, capendo cosa voleva dire l’amico. Tese la mano, come aveva fatto anni prima e l’altro la afferrò con presa salda.
“Jean Havoc, sei il mio miglior amico, il mio fratello di sangue acquisito. Quando avrai bisogno di me, io ci sarò sempre e so che anche per te sarà così” disse
“Heymans Breda, sei il mio miglior amico, il mio fratello di sangue acquisito. Quando avrai bisogno di me, io ci sarò sempre e so che anche per te sarà così” ripetè Havoc con un sorriso.
Era un semplice giuramento che facevano i bambini per sigillare la loro amicizia.
Ma quella formula magica li univa indissolubilmente per tutta la vita, e loro lo sapevano.
Ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altro, perché erano fratelli.

 
 

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