La scienza di leggere fra le righe

di teabox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stelle ***
Capitolo 2: *** Hampstead Heath ***
Capitolo 3: *** Egitto ***
Capitolo 4: *** Rachmaninov ***
Capitolo 5: *** Libro ***
Capitolo 6: *** Otello ***
Capitolo 7: *** Caffè ***
Capitolo 8: *** Keswick ***



Capitolo 1
*** Stelle ***


Nota: doveva/voleva essere una cosa corta e invece non lo è. Ma almeno è già tutta scritta. 

Otto/nove capitoli (dipende da cosa faccio con l’epilogo) post Reichenbach e pre ritorno, dove i soliti sospetti fanno cose misteriose. O stupide. O entrambe?

Sperando che vi piaccia, buona lettura.

 

 

 

 

La scienza di leggere fra le righe

 

Aveva trovato la cartolina solo la sera, di ritorno dal supermercato.

Zia Margaret scriveva dal Lake District invitandola a raggiungerla perché “Molly cara, c’è così tanto da fare e vedere qui.” Che, per carità, era un pensiero davvero molto carino da parte sua. 

Se non fosse stato che zia Margaret era morta - decisamente morta - da almeno due anni.

 

*

 

Si era passata e ripassata la cartolina tra le mani, riflettendo. 

Una mezz’ora per cercare su internet il nome del paese, comprare un biglietto del treno per la mattina dopo e prenotare una stanza in un piccolo B&B.

Quindici minuti per prendere un po’ di cose e metterle dentro una borsa da viaggio. 

Cinque minuti per dubitare di se stessa.

Un minuto per cancellare i dubbi.

 

Solo quando aveva lasciato cadere la cartolina in cima alla borsa, si era permessa di sospirare. 

Aveva perso il conto di quante volte si fosse lasciata usare.

Aveva perso il conto di quante volte si fosse trovata così - la sua vita sottosopra in un attimo - perché lui aveva bisogno di qualcosa. 

Ma le andava bene, le andava bene davvero. Perché era stupido negarlo o pensare il contrario, quando sapeva che si sarebbe lasciata usare da Sherlock ancora e ancora, all’infinito o almeno per sempre, fino a quando non ci sarebbe stato nulla da usare più.

 

*

 

Il viaggio in treno non era abbastanza lungo per addormentarsi, ma abbastanza tranquillo per chiudere gli occhi e cercare di riposarsi. Aveva passato la notte in bianco - non che ne fosse stupita - in compagnia dell’idea fissa che forse l’avrebbe finalmente rivisto, che forse questa volta sarebbe stato diverso. Lo aveva sperato ogni volta e ogni volta si era sbagliata, ma dato che non le costava nulla, perché non farlo. 

Aveva appoggiato la testa al finestrino, il vetro freddo contro la tempia, e i pensieri erano andati a dove tutto era iniziato.

 

 

 

Era stata di fretta, quel giorno, in ritardo per il lavoro. Doveva essere stato almeno un mese dopo la sua scomparsa, ma non sapeva di preciso quando. Aveva smesso di contare i giorni due settimane dopo la sua “morte”. 

Una ragazzina che non aveva visto dei vestiti puliti da molto tempo aveva cercato di fermarla per strada, porgendole un volantino. Molly aveva avvolto le mani nei guanti e le aveva affondate nelle tasche del cappotto - faceva freddo, sì, freddo davvero quel giorno. La ragazzina l’aveva afferrata per un braccio e l’aveva guardata con un’espressione così seria, il volantino teso verso di lei. 

«Dovresti davvero prenderlo, Molly Hooper.»

E lei aveva chiesto “cosa” e “come”, ma la ragazzina che conosceva il suo nome era sparita nella folla nell’attimo in cui lei aveva chiuso le dita sul pezzo di carta, e Molly si era trovata confusa e senza risposte. 

Aveva guardato il volantino - “stelle” scritto a lettere maiuscole, un’esibizione al Planetario di Londra - e aveva notato che uno degli orari dello spettacolo era stato cerchiato con un pennarello nero. 

 

Si era affrettata, subito dopo lavoro. Aveva cancellato un appuntamento - “scusa, un problema di famiglia”, e si era sentita sciocca a dire una cosa del genere - ed era corsa al Planetario, per arrivare appena in tempo. 

Una ragazzina l’aveva aspettata vicino all’ingresso e in un primo momento Molly aveva pensato che fosse stata la stessa di quella mattina, ma no, era un’altra. Sguardo simile, però, e simile espressione, che in qualche modo si era riflessa nella sua. 

«Molly Hooper», aveva detto la ragazzina senza chiedere.

Molly aveva accennato un sì e preso una grossa busta che la ragazzina le aveva allungato. Aveva cercato qualche sterlina da darle, ma la ragazzina aveva scosso la testa. 

«Sono già stata pagata», aveva risposto. Aveva esitato un attimo, guardando Molly incuriosita, poi aveva accennato un saluto con la testa e se n’era andata.

 

Molly aveva aspettato di arrivare a casa. Aveva dovuto. Non aveva idea del contenuto della busta e aveva voluto essere nella riservatezza del suo appartamento per scoprirlo. Lungo il viaggio di ritorno non era riuscita a ricordare di aver mai attesto nulla con tanta aspettativa e terrore. O forse sì, forse una volta, tempo prima.

Quando l’aveva finalmente aperta, aveva trovato nella busta la scheda di un uomo - un uomo morto, per la precisione - e la lista di alcuni organi di cui doveva prendere un campione. Attaccato in un angolo del foglio, un post-it con un orario e un luogo dove lasciarli.

Niente di più.

Aveva sospirato.

 

*

 

Sherlock aveva incontrato l’uomo che chiamavano Il Croato - che era un errore, perché l’uomo era bosniaco - e gli aveva detto di cosa aveva bisogno. L’uomo aveva preso i soldi e fatto cenno con la testa di seguirlo. Dentro un magazzino abbandonato, Il Croato aveva aperto le braccia, invitandolo ad entrare. 

«Prendi chi vuoi», aveva detto riferendosi ai ragazzini e bambini di quasi ogni età che si erano avvicinati circospetti.

Sherlock aveva scrutato i volti e le espressioni. 

«Lei», aveva risposto dopo un attimo, puntando ad una ragazzina magra, i capelli castani sporchi e le labbra sottili. «E lei», aveva aggiunto indicandone un’altra con i stessi capelli castani sporchi e le stesse labbra sottili.

Le due ragazzine si erano avvicinate lentamente, il timore di una compensato dalla sicurezza dell’altra, e Sherlock aveva spiegato loro cosa avrebbero dovuto fare. Se n’era andato subito dopo, il cervello già proiettato alla prossima mossa. 

Due ragazzine erano meglio di due ragazzini, si era detto. Molly era sentimentale di natura, ma in quel modo ci sarebbero state anche meno difficoltà.

Sapeva che quella era la ragione per cui aveva scelto proprio quelle due. Non aveva niente a che fare, si era detto, con il fatto che le ricordassero lei.

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Capitolo 2
*** Hampstead Heath ***


Nota: grazie mille Lisbeth17, IrregolarediBakerStreet ed emme per i commenti gentilissimi. E grazie mille a chi si è fermato a leggere! Ho i miei dubbi su questa storia, ma spero davvero che vi piaccia e/o vi diverta. Si vedrà, immagino. Di nuovo, grazie mille!
Capitolo corto, ma buona lettura!






Hampstead Heath

 

Era stato quattro mesi più tardi - almeno quattro mesi più tardi - che Molly aveva trovato una di quelle riviste di annunci immobiliari incastrata sotto la porta del suo appartamento. Era stata arrotolata e fermata con un elastico. Quando l’aveva tolto, era cascata una chiave sul pavimento e la rivista si era aperta su di un annuncio marcato in rosso. Un appartamento in Hampstead Heath - uno di quelli in cui aveva sempre sognato di vivere un giorno - e una nota scritta in un angolo. Non sapeva se fosse stata la calligrafia di Sherlock, non l’aveva mai vista, ma il messaggio era nel suo stile. “Prendi quello che trovi e lascialo dove sai”.

 

Era entrata nell’appartamento quella sera stessa e su di un tavolo incastrato nel bovindo del salotto aveva trovato ad attenderla un piccolo pacchetto avvolto in carta marrone. L’aveva preso e messo nella sua borsa, al sicuro. Non si era guardata attorno chiudendo la porta dell’appartamento, né quando era uscita per strada. Si era diretta, invece, al luogo dove era andata la prima volta - deposito bagagli di Charing Cross - e aveva lasciato il pacchetto. Era sembrata una cosa ridicola, sospetta addirittura, ma l’uomo che l’aveva preso non aveva fatto domande.

Molly era tornata a casa, le spalle un po’ curve, lo sguardo fisso sul marciapiede.

 

*

 

Sherlock l’aveva fatta seguire. 

Solo per essere sicuro che Molly facesse esattamente come richiesto, aveva detto alla ragazzina - “chiamami Pip” - e lei lo aveva guardato con un’aria divertita. 

«Come vuoi, capo.»

Quando “chiamami Pip” era tornata, Sherlock l’aveva fatta sedere in un angolo con un libro e una mela, e l’aveva fatta aspettare mentre lui aveva cercato di analizzare dei campioni. Evidentemente Pip non era una lettrice, perché dopo cinque minuti aveva abbandonato il libro e l’angolo, e si era avvicinata. 

«Che fai, capo?»

«Niente che capiresti.»

Lei aveva fatto una smorfia che Sherlock aveva ignorato. 

«Era tipo triste, sai», aveva detto Pip masticando la mela. «Non che siano affari miei, eh. Però, tipo, era davvero triste.»

Sherlock aveva continuato a concentrarsi sul microscopio. «Molly ha fatto quello che le ho chiesto, che fosse triste o meno non è rilevante. E per tua informazione, aggiungere “tipo” ogni due parole non è solo grammaticalmente scorretto, ma anche decisamente irritante.»

Pip aveva dato un’altro morso alla mela. «Tipo che ti dà fastidio?»

Sherlock si era voltato a guardarla. «Esattamente

Lei aveva alzato le spalle. «Eh, capo. A me dà fastidio che non t’interessi che la tua amica è triste, ma cosa ci posso fare? Sopporto. Grazie per la mela.»

Aveva lanciato il torsolo centrando il cestino in un angolo della stanza e se n’era andata con un cenno di saluto.

Sherlock era tornato al microscopio e ai campioni da analizzare.

Non aveva importanza, si era detto. Se non era felice, Molly era triste. E quando non era triste, allora era felice. Semplicemente, non sapeva vivere senza sentire qualcosa. Non era colpa sua, si era detto. Non era davvero colpa sua.

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Capitolo 3
*** Egitto ***


Nota: Lisbeth e Irregolare, di nuovo grazie mille per i commenti! Scrivere Pip è stata una delle cose più divertenti di questa storia, quindi sono contentissima che vi piaccia!

Scusate se gli aggiornamenti sono un po’ a singhiozzo, ma sto cercando di organizzare una piccola sorpresa per l’ultimo capitolo :-)

Al solito, grazie mille a chi si ferma a leggere!



Egitto

 

Due mesi dopo, Molly aveva ricevuto un’email. Il British Museum era stato lieto di invitarla all’apertura di una mostra sull’Egitto. Le era sembrato strano - più che strano - ma quando aveva chiamato il numero riportato nell’email, le avevano confermato che sì, era stata invitata e che no, non si era trattato di un errore.

Così era andata, ma aveva scoperto che l’orario sul suo invito era sbagliato ed era arrivata con un’ora di anticipo. Le avevano detto di attendere nella Galleria delle Sculture Egizie, dove Molly si era fermata davanti alla colossale statua di Ramses II. 

«Era famoso?»

Molly si era voltata verso la persona che aveva fatto quella domanda. 

«Abbastanza», aveva risposto sorridendo alla ragazzina che le si era fermata accanto.

«Ma perché è qui?»

Molly era tornata a guardare la statua. «Così che non si rovini e che lo possano vedere tutti.»

La ragazzina aveva alzato le spalle e si era messa a cercare qualcosa dentro una borsa. «Sarà. A me sembra che ha un’espressione un po’ scema. Comunque, ecco.» Le aveva allungato un cellulare e aveva aspettato che Molly lo prendesse.

«Vuoi che ti faccio una foto?», aveva domandato lei confusa.

La ragazzina aveva riso. «Ma no. E’ per te, Molly Hooper.»

E Molly l’aveva riconosciuta solo in quel momento, perché pulita e con dei vestiti decisamente nuovi era quasi un’altra persona. «Ah, ma sei-»

«Pip. Tutti mi chiamano Pip.» 

Poi, dato che Molly non si era decisa a prendere il cellulare, lei glielo aveva messo in mano con un gesto impaziente. «Credo che ci sia dentro un messaggio per te, ma non ne sono sicura. Non è che il tuo amico sia di molte parole. O almeno con me.»

Molly aveva sorriso, ma l’ansia l’aveva raggiunta subito. «Come sta?»

Pip aveva alzato le spalle. «Bene. Tipo che è sempre occupato con qualcosa, quando lo vedo. Non che lo veda molto, comunque. Cioè, tipo quando ci vediamo non vuole nemmeno che apra la bocca, perché dice che il mio modo di parlare gli dà il mal di testa.» 

Aveva alzato gli occhi al cielo e si era infilata le mani in tasca.

Molly aveva trattenuto una risata. Avrebbe voluto chiedere di più, sapere di più, ma la ragazzina si stava già allontanando. 

«Te lo saluto, eh?», aveva detto prima di sparire in un’altra sala del museo.

Molly aveva trattenuto l’ennesimo sospiro, stringendo le dita attorno al cellulare fino a far sbiancare le nocche. Poi si era decisa a controllare i messaggi ed aveva aperto l’unico presente. 

 

Da: sconosciuto

Riceverai una chiamata alle 21:07. Rispondi con “i lunghi lamenti dei violini d’autunno mordono il cuore”, poi butta via questo cellulare.

 

Molly lo aveva riletto due volte, cercando di non dare troppo peso all’assurdità di quella situazione. 

E quella sera, esattamente sette minuti dopo le nove, aveva risposto alla chiamata con il cuore in gola e ripetuto quella frase senza senso. Qualcuno, dall’altra parte della linea, aveva ascoltato e attaccato il telefono subito dopo l’ultima parola.

Molly aveva fissato il cellulare per qualche istante, poi l’aveva spento e gettato nel cestino della spazzatura.

 

*

 

«Cosa ci fai qui?»

Pip aveva lasciato cadere la borsa per terra e aveva preso una mela dalla ciotola sul tavolo. «Sono venuta a confermarti che ho fatto la mia parte.»

«Lo so», aveva risposto Sherlock infastidito. «Ora, se non ti dispiace, ho altro da fare. Conosci la strada.»

Lei aveva dato un morso alla mela ed era sembrata del tutto indifferente a quelle parole. Aveva spostato senza interesse un distillatore, delle capsule di Petri e un numero indefinito di provette dal tavolo, e si era fatta spazio per sedersi. 

«Dunque. La tua amica mi ha chiesto come stai.»

«Bene. Mai stato meglio», aveva risposto Sherlock asciutto. Aveva quindi afferrato Pip per le braccia e l’aveva sollevata di peso dal tavolo, lasciandola andare solo sulla soglia della stanza. «Ora vattene.»

«Non era tanto triste, oggi.»

«Quale gioiosa notizia», aveva replicato Sherlock sarcastico, prima di sbatterle la porta in faccia.

«Idiota», aveva detto lei dall’altra parte.

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Capitolo 4
*** Rachmaninov ***


Nota: Lisbeth, Irregolare, Cabiria e yllel! Grazie mille per i commenti e la gentilezza! Scusate se questo capitolo arriva dopo un po’, sto lavorando sulla sorpresina finale e mi sta prendendo un pochino di tempo. 

Ma basta chiacchiere, vi lascio ad uno dei miei capitoli preferiti, sperando che diverta anche voi :)




Rachmaninov

 

Su di uno scaffale della sua libreria, Molly aveva raccolto con attenzione le poche cose che aveva scoperto essere collegate a Sherlock. 

E quel giorno, tre mesi dopo aver aggiunto l’invito per la mostra al British Museum, aveva fatto posto per un cd di Rachmaninov. 

L’aveva ricevuto per posta e quando l’aveva aperto - Romanza in La minore per violino e piano - aveva trovato un post-it tra il libretto e il disco. C’era un nome e subito sotto, “Chiedi a Lestrade”. Seguivano tre domande. 

Molly aveva fissato il cd, tentata di lanciarlo contro la parete o fuori dalla finestra. Invece l’aveva appoggiato nello scaffale e aveva sospirato.

Chiedere a Lestrade significava invitarlo fuori con qualche scusa - anche se Molly sapeva che le scuse non erano necessarie, Greg sarebbe uscito con lei anche senza una buona ragione. Ma non voleva trovarsi costretta a mentirgli, non voleva prendere Greg e trascinarlo nell’ennesima oscura macchinazione di Sherlock. 

Che, tra l’altro, per l’amor del cielo le avrebbe anche potuto dire cosa accidenti stesse facendo.

Ma Molly sapeva che non c’era via d’uscita, e mezz’ora più tardi aveva chiamato Greg e gli aveva chiesto se gli andava di andare a bere qualcosa con lei. Lui ovviamente aveva detto subito di sì.

 

E quella sera Molly aveva scoperto non solo di essere dispiaciuta di aver dovuto coinvolgere Greg, ma anche di sentirsi terribilmente in colpa. Aveva passato un’ora in sua compagnia e non aveva ascoltato una singola parola di quello che le aveva detto. Le domande che Sherlock le aveva chiesto di fare - e francamente le veniva da ridere ad usare il verbo “chiesto” - continuavano a girarle in testa, preoccupata com’era di dimenticarne una o di chiedere la cosa sbagliata. E al secondo bicchiere di vino aveva ceduto.

«Greg», aveva detto interrompendolo a metà di una frase.

Lui era sembrato sorpreso. «Si?»

«Posso chiederti una cosa?»

«Certo.»

Molly aveva preso un sorso di vino, guadagnando tempo e maledicendosi perché non aveva pensato a come introdurre le domande. «Ecco...il nome Sebastian Moran ti dice qualcosa?»

Greg era impallidito. Aveva aggrottato un po’ la fronte e l’aveva guardata preoccupato. «Dove hai sentito quel nome?»

«Ah.» Molly era arrossita. «Ecco, è una storia un po’ lunga. In giro, sai...» 

«Molly», aveva risposto Greg appoggiando la mano sul suo polso, stringendolo. «Non so dove questo “in giro” sia, ma stacci lontana. Moran è un uomo pericoloso. Molto pericoloso.»

Lei aveva accennato un sì e aveva preso un altro sorso di vino. «Vorrei saperne di più.»

«Meno sai, meglio è. Credimi. E comunque sono informazioni private quelle che ho, e non capisco ad ogni modo cosa tu-»

«Ho bisogno di sapere, Greg», l’aveva interrotto lei guardandolo per la prima volta negli occhi. «Solo tre domande, ok?»

Greg aveva scosso appena la testa e si era guardato attorno, come se si fosse improvvisamente sentito a disagio. 

«Per favore», aveva supplicato lei. 

E Greg - che era un brav’uomo ed era silenziosamente attratto da Molly più di quanto sarebbe stato saggio esserlo - aveva ceduto e sospirato un “va bene”.

 

*

 

«Ti accompagno fino alla fermata della metropolitana e ti aspetterò ad un café lì vicino», aveva detto Sherlock concentrato a scrivere un messaggio sul cellulare.

«Sono usciti insieme, sai», aveva risposto Pip camminando lentamente per la stanza.

«Hai quindici minuti per raggiungere il suo appartamento», aveva continuato Sherlock impassibile.

«La tua amica è molto carina e lui, tipo, è ovvio che Miss H. gli piace», aveva detto lei fermandosi a guardare il teschio con curiosità. 

«Troverai Molly a casa. Il venerdì sera è sempre a casa. Ascolta le informazioni che ha ottenuto da Lestrade e memorizza tutto.»

«Voglio dire, mica sarei sorpresa se quei due si mettessero insieme.»

«E se non sei sicura di ricordarti tutto, prendi appunti. Anzi, ripensandoci, chiedi a Molly di scriverli.»

«E tipo, non sarei neanche un po’ sorpresa se si sposassero», aveva detto Pip prendendo il teschio in mano. «Tipo che sarebbe una sposa troppo carina e lui...beh, lui è ok, credo.»

Sherlock le aveva tolto il teschio con un gesto irritato. «Di cosa accidenti stai parlando?»

«Della tua amica e dell’Ispettore.»

«Hai almeno ascoltato una parola di quello che ti ho detto?»

Pip aveva alzato gli occhi al cielo. «Sì, sì. E tu hai ascoltato quello che ho detto io?»

«No.»

«Quindi non t’interessa?», aveva domandato Pip incrociando le braccia.

«No, non m’interessa», aveva risposto Sherlock esasperato. «Per quanto mi riguarda, finché Molly Hooper continua a fare quello che le chiedo di fare, può uscire con chi le pare, sposarsi con chi le pare o farsi suora e dedicare il resto della sua vita alle cause perse.»

Pip gli aveva rivolto un sonoro tsk. «Come se non lo stesse già facendo.»

Sherlock le aveva riservato uno sguardo asciutto, ma non aveva risposto. Aveva rimesso il teschio al suo posto e si era diretto verso la porta, aprendola e invitandola ad uscire con un gesto teatrale e un sorriso falso.

Pip aveva sbuffato, ma lo aveva seguito. 

«E per tua informazione», aveva detto Sherlock scendendo le scale dietro di lei, «Lestrade è già sposato.»

Pip aveva sorriso. «Ah. Ma allora t’interessa.»

«No, ti rendo solo partecipe dei fatti.»

«Certo, come no», aveva replicato lei ridendo.

 

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Capitolo 5
*** Libro ***


Nota: Lisbeth, emme, Cabiria, Irregolare! Grazie, grazie, grazie mille per i commenti! 

Per anticiparvi un dettaglio, la sorpresina dell’ultimo capitolo sarà una specie di piccolo gioco dove potrete vincere una cosa :-) 

Chiudo qui e vi lascio con un’altra delle parti favorite. Grazie e, spero, buona lettura!





Libro

 

Era passato un mese senza sorprese. Poi, una mattina non troppo fredda, Molly si era accorta di avere un libro nella borsa. L’aveva notato solo quando era arrivata all’ospedale e non aveva avuto la più pallida idea di come fosse finito lì dentro, perché sapeva che non era stata lei a mettercelo. 

Quando aveva cercato il portafoglio e la sua mano si era invece chiusa sul libro, l’aveva osservato confusa. Era un piccolo volume antico, un trattato sulla dissezione dei cadaveri - un particolare che sarebbe potuto sembrare inquietante, se non fosse stato che aveva passato mesi, l’anno prima, a cercare senza fortuna proprio quel volume in tutte le librerie antiquarie di Londra. Ed ora era tra le sue mani.

Lo aveva sfogliato con attenzione, cercando una nota o un biglietto che le dicesse cosa doveva fare, ma non aveva trovato nulla. Poi, quando era tornata alla prima pagina, aveva notato - appena visibile - una parola annotata a matita in un angolo. “Grazie”, c’era scritto.

Aveva sorriso come non le era capitato di fare da tempo. 

Quella sera, tornata a casa, aveva messo il libro vicino alle altre cose di Sherlock. Sorrideva ancora.

 

*

 

«Urgh», aveva detto Pip portandosi una mano alla gola e fingendo di vomitare. «Questo libro è pieno di disegni di pezzi umani.»

Aveva aspettato che Sherlock la correggesse - come succedeva sempre, del resto - e lui non aveva mancato di farlo.

«Sono incisioni dell’inizio del millesettecento, non disegni. E per l’amor del cielo, hai in mano un raro trattato di anatomia umana, mostra rispetto.»

Pip aveva mormorato qualcosa sfogliando il libro.

«Se hai qualcosa da dire, sentiti libera di farlo ad alta voce. In fondo non hai mai avuto problemi in passato», le aveva detto Sherlock asciutto.

«Dicevo», aveva risposto Pip con un tono annoiato, «che come regalo non mi sembra un granché.»

«E’ più che adeguato per dimostrare gratitudine.»

«Già», aveva replicato lei sarcastica, continuando a sfogliare il libro, «niente dice “grazie” come il capitolo quattro, “strumenti per dissezionare il cervello umano o animale”. Urgh

«Molly capirà e, al contrario di qualcun altro, apprezzerà», disse Sherlock togliendole il libro di mano. «Ma se la cosa ti dà tanto fastidio, posso sempre trovare qualcun altro disposto a consegnarlo.»

«Stavo solo dicendo», aveva risposto Pip cercando inutilmente di riprendere il libro da Sherlock, che - più alto di lei - aveva semplicemente alzato la mano per allontanarlo dalla sua presa. «Stavo solo dicendo che forse dovresti scrivere qualcosa. Dentro, sai. Tipo un messaggio.»

«Non prendo suggerimenti da una tredicenne-»

«Ho quattordici anni.»

«Non è vero.»

Pip aveva sbuffato. «Ho quasi quattordici anni.»

«Quasi avere qualcosa non è come averlo davvero. E se mi avessi lasciato finire, avresti scoperto che non prendo suggerimenti da una tredicenne, ma in questo caso la tua idea potrebbe essere valida.»

Pip aveva sorriso. «Tipo che ho ragione?»

Sherlock aveva alzato gli occhi al cielo. «Per metterla nella tua forma lessicale scorretta, sì.»

Lei lo aveva osservato cercare una matita, esitare un attimo e quindi scrivere qualcosa nell’angolo di una pagina. Poi aveva chiuso il libro con un gesto secco e l’aveva guardata con sospetto, trattenendo il libro. 

«Cosa?», aveva chiesto lei infastidita.

«Prometti che non lo aprirai e leggerai cosa ho scritto.»

Pip aveva sbuffato. «Prometto.»

Sherlock, ancora riluttante, le aveva passato il libro. «E non farti vedere, quando lo metterai nella sua borsa.»

Lei aveva sorriso. «Hai forse dubbi, capo?»

Ma non aveva aspettato una risposta, perché la conosceva già. No, Sherlock non aveva dubbi e sì, Sherlock poteva dimostrarsi scettico quanto voleva, ma sapeva che quando lei dava la sua parola, la manteneva. 

Anche quando moriva, moriva, moriva dalla voglia di leggere cosa lui avesse scritto.

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Capitolo 6
*** Otello ***


Nota: fiamma, Cabiria, Irregolare e Lisbeth - grazie mille per i complimenti e i commenti! Il gioco/sorpresa dell’ultimo capitolo è pronto, a questo punto bisogna solo arrivare alla fine :) 

Non so bene cosa pensare di questo capitolo (dubbi, dubbi), ma buona lettura, spero!





Otello

 

Due mesi più tardi, Molly - in un grazioso abito da sera - aspettava l’arrivo di un taxi di fronte al suo appartamento.

Il giorno prima qualcuno aveva infilato sotto la sua porta una busta che conteneva un biglietto per assistere all’Otello al National Theatre. Allegata, una lista di agenti chimici che avrebbe dovuto portare con sé e lasciare in una borsa all’addetto al guardaroba.

Si era domandata cosa Sherlock avesse avuto intenzione di fare, ma aveva deciso che probabilmente era meglio non sapere ed era invece preferibile concentrarsi sull’opera teatrale. Che poi, detto per inciso, non le piaceva particolarmente. Troppi morivano e nessuno viveva felice e contento. Semplicemente non era il suo genere di storia.

Ma anche se l’Otello le fosse piaciuto di più, la sua serata sarebbe comunque stata disturbata dalle sostanze potenzialmente letali che aveva dovuto cercare di incastrare nella sua borsetta. 

L’opzione migliore, quindi, le era sembrata quella di arrendersi all’idea di cercare di apprezzare le piccole cose piacevoli di quell’uscita - un vestito carino, una serata al National Theatre, un nuovo messaggio da Sherlock.

«Miss H.!»

Molly si era girata in direzione di quello strano richiamo e aveva visto Pip arrivare a passo svelto, un sorriso leggero sulle labbra e le mani nelle tasche dei jeans.

«Oh, ciao. E’...è cambiato qualcosa?», aveva chiesto Molly incerta di cosa potesse o non potesse dire.

«No, no. Passavo solo da queste parti e ti ho vista. Ti è piaciuto il libro?»

Molly l’aveva guardata sorpresa. «Sei stata tu a metterlo nella mia borsa?»

Pip aveva accennato un sì con un’aria orgogliosa. «Sono brava, eh? Ma ti è piaciuto?»

«Oh, sì. Per favore ringrazia She-...ringrazialo. Digli che non c’era bisogno e-»

«Eccome se c’era bisogno!», l’aveva interrotta la ragazzina. «Voglio dire, a me era sembrato un regalo un po’ strano, però lui era sicuro che ti sarebbe piaciuto.»

Aveva alzato le spalle quasi con rassegnazione, come per dire che davvero non riusciva a capirli gli adulti e i loro strani modi di comportarsi.

«Come...come sta?»

«Al solito», aveva risposto Pip arricciando il naso. «Forse stasera è al teatro, ma non era sicuro.»

Molly sembrò illuminarsi. «Davvero?»

Il taxi era arrivato in quel momento, fermandosi davanti a loro due, e Molly aveva esitato aprendo la portiera. «Sei qui da sola? Vuoi un passaggio da qualche parte? Non mi piace saperti in giro così.»

Pip le aveva sorriso. «No, Miss H., ho tutto sotto controllo.» Aveva indicato un angolo della strada, dove un ragazzo alto e magro aspettava appoggiato al muro. «Ho la mia guardia del corpo.»

Molly le aveva sorriso di rimando, accomodandosi nel taxi. «Allora alla prossima volta, immagino.»

«Alla prossima e Miss H.», aveva risposto Pip piegandosi verso il finestrino. «Hai qualche messaggio che vuoi che gli passi?»

«Ah. Digli...digli grazie per il libro. E che lo sto aspettando. Voglio dire, che lo stiamo aspettando.»

«Sarà fatto.»

 

Per il resto della serata Molly non era riuscita a concentrarsi sull’Otello - o su nient’altro, a dire il vero. Aveva lasciato la borsetta al guardaroba, ma l’unica altra cosa che era riuscita a fare era stata guardarsi attorno, quasi continuamente, nella speranza di vedere Sherlock. 

Pip aveva detto “forse” e Molly si era aggrappata a quella parola.

Non era stata fortunata.

 

*

 

Alle nove di sera, Sherlock si era fatto strada nel guardaroba del National Theatre. Tredici minuti più tardi, era uscito da una porta laterale con una borsetta nascosta dentro il cappotto. Aveva indossato un cappello calato sulla fronte e una sciarpa che nascondeva metà del viso, le spalle piegate in avanti e un’andatura lenta e stanca. Chiunque avesse posato gli occhi su di lui, avrebbe visto solo un uomo come tanti, di ritorno a casa dopo una lunga e noiosa giornata in ufficio. 

Stava camminando verso le scalinate di fronte al teatro quando l’aveva vista. Non si era fatto ingannare dal libro tenuto davanti al viso - che nascondeva in realtà un fumetto - né dall’aria innocente e sorpresa con cui lei lo aveva guardato dal gradino su cui era seduta.

«Buonasera, capo.»

Sherlock l’aveva osservata freddamente. «Non dovresti essere qui.»

«Nemmeno tu», aveva risposto Pip alzando le spalle.

«Ho detto che forse sarei venuto.»

«E io non ho detto che non sarei venuta.»

Lui le aveva rivolto uno sguardo irritato. «Tornate a casa.»

Pip aveva sorriso. «Guarda, capo, che non c’è mica bisogno di fare tutte queste scene. Cioè, se vuoi incontrare Miss H. da solo, lo capisco. Nessun problema, basta una parola e Pip scompare nel nulla.»

«Stai deliberatamente implicando stupidaggini», aveva risposto lui asciutto. «Non ho nessuna ragione di voler vedere Molly. Da solo o con te.»

«Peccato», aveva risposto Pip alzandosi dal gradino, «perché è così carina stasera. Tipo che ha questo vestito nero troppo bello e delle scarpe fichissime e i capelli legati-»

«Ha i capelli sciolti.»

«Ah», aveva commentato Pip con un’espressione soddisfatta. 

Sherlock aveva stretto le mani e le aveva rivolto uno sguardo tagliente, rifiutandosi però di giustificare la correzione che aveva fatto. 

Pip aveva infilato le mani nelle tasche dei pantaloni e per qualche istante si era dondolata sui piedi. «Bene, dato che hai già visto Miss H., possiamo andare, no?», aveva chiesto con un tono divertito. «Io vado alla metro. Waterloo dovrebbe essere la più vicina. E tu?»

«Io prendo un taxi», aveva risposto lui ancora infastidito, afferrando Pip per il bavero della giacca. «E tu vieni con me.»

«Non ce li ho i soldi per il taxi.»

«Pago io», aveva risposto Sherlock con un tono piatto, trascinandola verso la strada. Pip aveva fatto per replicare, ma lui l’aveva interrotta prima. «Se prometti di stare zitta.»

E lei aveva chiuso la bocca.

 

Ma non solo. Si era anche addormentata - la testa scivolata sul braccio di Sherlock - lungo il tragitto verso un ex-orfanotrofio, ex-scuola, ex-fabbrica che ora era solo un edificio abbandonato dove passavano le notti i senzatetto e le persone che non avevano di meglio dove dormire. Pip era una di loro. E a lui non importava, francamente. Come non gli era importato di vedere Molly. Era solo capitato, tutto lì. E lei non l’aveva notato, e probabilmente era stato per il meglio.

Pip, nel sonno, si era mossa spingendo un po’ con la testa il braccio di Sherlock, come se avesse avvertito i suoi pensieri e lo avesse voluto prendere in giro. 

Sherlock aveva preferito ignorare quell’idea. 

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Capitolo 7
*** Caffè ***


Nota: Cabiria, emme, Lisbeth e Irregolare, grazie mille per i commenti e per le rassicurazioni! Ad essere sincera, tutta la storia è un grosso dubbio (sai che novità), ma sono contentissima che vi stia ancora piacendo. Oh beh, almeno siamo quasi alla fine :)
Grazie mille per la pazienza!




Caffè

 

Un mese dopo Molly riempiva una grossa busta di carta con delle foto di un cadavere.

Erano successe cose molto più strane nella sua vita, comunque.

Le istruzioni - meticolosamente dettagliate - di cosa fotografare e su quali particolari concentrarsi erano arrivate due giorni prima tramite Pip.

«Il corpo è già all’obitorio, o così ha detto lui. Buon divertimento.»

Aveva fatto una smorfia divertita, subito dopo, e se n’era andata. 

Oltre alle istruzioni, c’era anche un’annotazione su quando e dove lasciare le fotografie - dieci di mattina ad un café non lontano dall’ospedale. In fondo, un’ultima nota in cui Sherlock le diceva che avrebbe saputo a chi darle.

Quindi Molly aveva fatto le foto, le aveva raccolte nella busta e si era diretta al café. E lì, seduta ad un tavolo con un fumetto e due tazze di caffè davanti a sé, Pip la stava aspettando leggendo tranquillamente.

«Non dovresti essere a scuola?», le aveva chiesto Molly sedendosi. E quando la ragazzina le aveva risposto alzando un sopracciglio, era arrossita rendendosi conto della gaffe. «Giusto, come non detto.»

Aveva allora preso la busta dalla borsa e gliela aveva passata, e Pip l’aveva fatta sparire insieme al fumetto.

«Il caffè senza latte è per te», aveva poi detto Pip accennando ad una delle due tazze.

«Ah, grazie.»

Pip aveva sorriso. «Mica devi ringraziare me. E’ lui che paga.»

«Oh», aveva risposto Molly senza sapere bene cosa aggiungere. Si era allora portata il caffè alle labbra e ne aveva preso un sorso. Pip l’aveva fissata con curiosità.

«Ho qualcosa sul viso?», aveva domandato Molly toccandosi una guancia.

Pip aveva scosso la testa. «E’ buono il caffè?»

«Perfetto.»

La ragazzina aveva sorriso soddisfatta. «L’ha scelto lui, sai. Cioè, mica me l’ha detto che a te ti piace così, però ha detto di ordinarne uno proprio così e che l’altro lo potevo prendere come mi pareva.»

Molly aveva cercato di rispondere, ma non le era venuto in mente nulla. Sapeva cosa Pip stesse insinuando, ma sapeva anche che si stava sbagliando. Sherlock non faceva caso a quelle cose. Pip non lo conosceva abbastanza bene per saperlo, ed era comunque troppo giovane per capire che non bastava essere innamorati di qualcuno per ricevere amore in ritorno.

«Sai», aveva detto Pip all’improvviso giocherellando con un cucchiaino. «All’inizio pensavo che fosse freddo, tipo che non gli interessa nulla. Invece non è così.»

Molly le aveva sorriso. «La gente ci mette sempre un po’ a capirlo.»

Pip aveva preso un sorso di caffè portandosi la tazza alla bocca con entrambe le mani. «Gli ho chiesto se aveva bisogno di un’assistente e lui ha detto che non se ne fa nulla di una che parla come me. Poi, però, ha detto che può convincere suo fratello a farmi entrare in una bella scuola e se studio e imparo, tipo, ad osservare le cose, allora forse potrebbe cambiare idea.» Aveva fatto una pausa, prendendo un altro sorso di caffè. «Allora io gli ho detto, “guarda che le cose le osservo di già” e lui ha risposto che quello che faccio io è vedere e non osservare, e che spesso anche quello che vedo è comunque sbagliato. Ma ha detto che è un errore comune e che a volte può essere aggiustato. Allora gli ho detto che ci avrei pensato riguardo alla scuola.»

Molly aveva nascosto un sorriso bevendo il caffè. «Mi sembra una decisione molto saggia.»

Pip aveva accennato un sì e si era alzata. Aveva esitato un istante, prima di lasciare il tavolo, e l’aveva guardata con un’espressione terribilmente seria. 

«Non perdere le speranze, Miss H., ok? Lui osserverà un sacco di cose, ma certe proprio non le vede. Anche quando sono, sai, tipo sotto il suo naso.»

Molly era arrossita, senza capirne bene il motivo. Aveva guardato la ragazzina uscire dal café ed era rimasta seduta al tavolo per qualche minuto, gli occhi fissi sulla tazza vuota di fronte a lei.

 

*

 

Pip aveva guardato quasi con sospetto il depliant sulla scuola privata che Sherlock aveva appoggiato sul tavolo. «E se pensano che sono stupida?»

Lui aveva perso la pazienza. «Certo che penseranno che sei stupida. Ma se ci vai, probabilmente lo sarai di meno.»

Pip aveva sbuffato, ma era rimasta in silenzio per qualche istante prendendo il teschio fra le mani e giocandoci. «Ho detto a Miss H. che il caffè l’hai scelto tu per lei.»

Sherlock, che stava raccogliendo dei vestiti e li stava impilando con attenzione dentro una borsa, si era fermato un attimo. Poi aveva ripreso a preparare la borsa.

«Non ho mica capito la sua reazione,sai», aveva commentato Pip.

Sherlock non aveva risposto, ignorandola.

«E’ sembrata stupita, tipo che non ci voleva credere. E poi è sembrata triste, quando invece avrebbe dovuto essere contenta, no? Non ha mica senso.»

«Benvenuta nel mondo di Molly Hooper», aveva replicato Sherlock sarcastico. «Dove niente di ciò che è logico e razionale ha posto. Sarebbe da domandarsi come sia potuta diventare dottoressa, se non fosse che in quel campo dimostra un’ottima preparazione.»

«Sarà per questo che tu le piaci.»

Sherlock si era voltato a guardarla con un’espressione allibita. «Scusa?»

Pip aveva alzato il teschio e lo aveva rivolto a Sherlock parlando con voce spettrale. «Sarà per questo che tu le piaci.»

Lui aveva sbattuto gli occhi un paio di volte, prima di tornare a dare le spalle a Pip e chiudere la borsa con un gesto secco. «Non sai quello che dici.»

«Certo che lo so, invece. Vero, teschio?», aveva risposto lei facendolo dondolare. «Voglio dire, se niente in Miss H. ha senso, allora è perfettamente logico che sia innamorata di uno come te.»

Sherlock le aveva tolto il teschio di mano con un gesto quasi irritato e lo aveva appoggiato dove lei non poteva arrivare. «Pensala come preferisci. E ora», aveva detto prendendo la borsa e mettendosela in spalla, «io ho un treno da prendere e tu devi fare un’ultimo lavoro.»

Aveva estratto dal cappotto una cartolina e gliela aveva tesa.

Pip l’aveva presa con entrambe le mani. «Chi è zia Margaret?», aveva chiesto divertita.

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Capitolo 8
*** Keswick ***


Nota: vi prendo 30 secondi prima di lasciarvi all’ultimo capitolo, per dirvi grazie di cuore per tutti i commenti, le opinioni, le osservazioni e i punti di vista che siete stati così gentili da lasciarmi. E grazie di cuore per la pazienza, per l’aiuto e per il supporto - grazie mille davvero. Vi lascio, allora, alla storia e al gioco. Di nuovo, grazie :)




Keswick

 

Molly era scesa dal treno a Penrith e da lì aveva preso un autobus per Keswick.

Il B&B era molto grazioso e il paese sembrava uscito da una favola. Il posto ideale per fare una gita con la famiglia o con un fidanzato - entrambi settori in cui Molly era al momento carente.

Nella camera dell’albergo aveva aperto la borsa e preso la cartolina, cercando di immaginare cosa avrebbe dovuto fare a quel punto. Non c’erano indicazioni di luoghi o orari, né le era stato chiesto di portare qualcosa con sé. Si era lasciata cadere sul letto, chiedendosi se valeva la pena uscire a fare un giro o no, quando il telefono sul piccolo comodino della stanza aveva preso a squillare. 

«Sì?», aveva risposto Molly praticamente saltando giù dal letto.

«Miss Hooper? E’ arrivata una busta per lei.»

«Oh, ok. Scendo subito», aveva detto sentendosi, nonostante tutto, delusa. Una notte insonne e ore di viaggio in treno e in autobus per quello. Per prendere una busta. Aveva sceso le scale lentamente, cercando di ignorare come si sentiva e ripetendosi quello che si ripeteva ormai da mesi. Stava aiutando Sherlock, in qualche modo, e quella era la cosa importante.

La signora alla reception le aveva sorriso porgendole la busta, e Molly era riuscita rispondere con un sorriso. Non si era fermata a chiedere chi l’avesse consegnata né se le fosse stato lasciato anche un messaggio, perché a quel punto le sembravano solo domande sciocche. Sherlock prima o poi cosa le avrebbe fatto sapere fare, e tanto le bastava. E tanto le doveva bastare. Era quindi tornata a salire le scale con gli occhi fissi sui gradini e, arrivata al suo piano, si era chiusa nella camera. 

Senza notare la porta socchiusa della stanza accanto alla sua. 

Senza notare l’uomo che l’aveva osservata rientrare. 

 

*

 

Sherlock aveva atteso qualche minuto prima di aprire la porta della camera di Molly. Sapeva che era nel bagno - l’acqua nelle tubature aveva fatto un rumore infernale - ma aveva comunque preferito entrare con cautela.

Non c’era modo di avvisarla della sua presenza senza spaventarla, quindi si era semplicemente avvicinato alla porta del bagno e l’aveva chiamata.

«Molly?»

Lei non aveva risposto subito. «...Sherlock? Sei tu?»

«Sì, Molly. Se volessi uscire.»

«Arrivo subito», aveva risposto lei con un tono agitato. Dopo pochi istanti l’aveva sentita mormorare qualcosa, prima di spuntare dalla porta appena socchiusa. 

«Sherlock? Ho lasciato i miei vestiti nella borsa. Sul letto.»

«Molly», aveva risposto lui secco, «conosco l’anatomia del corpo umano femminile. Sono sicuro che quello che l’asciugamano non riuscirà a coprire non rappresenterà nulla di nuovo per me.»

Molly era arrossita, ma aveva aperto la porta e aveva fatto qualche passo nella stanza. Aveva esitato - Sherlock l’aveva notato - divisa tra l’istinto di volerlo abbracciare e il fatto che avesse solo un asciugamano addosso. Si era spostata una ciocca di capelli umidi dietro ad un orecchio e lui aveva registrato tutto. La pelle bagnata, il rossore sulle guance, le clavicole, le gambe nude. 

«Potresti girarti un attimo?», aveva chiesto lei senza riuscire a guardarlo.

«Molly, guarda che-»

«Per l’amor del cielo, Sherlock, girati. Voglio indossare qualcosa», l’aveva interrotto lei arrossendo di nuovo.

E Sherlock l’aveva intuito, ma quello che aveva cercato di dirle era che girarsi non avrebbe fatto nessuna differenza, perché lo specchio nell’angolo della stanza avrebbe riflesso la sua immagine e lui l’avrebbe vista comunque. 

Ma non aveva detto nulla, invece, e si era girato. E anche se avrebbe potuto guardare altrove o chiudere gli occhi, aveva deciso di non farlo. Perché anche se conosceva l’anatomia di un corpo umano femminile, sentiva la ridicola necessità di dimostrarsi che Molly davvero non rappresentava una novità. Che non c’era nulla in lei che poteva distrarlo.

L’aveva osservata prendere una camicia dalla borsa - una camicia da uomo, forse un ricordo del padre o di un ex fidanzato - e lasciar cadere l’asciugamano per terra. Per qualche istante il suo corpo era rimasto completamente nudo e lui aveva lasciato scorrere gli occhi lungo la schiena e sul fondoschiena, lungo le forme proporzionate e la pelle candida. Poi la camicia aveva nascosto tutto e lei aveva cercato un paio di slip da indossare e un elastico con cui legarsi i capelli. Quando gli aveva detto che poteva voltarsi, stava ancora cercando di annodarli in modo disordinato.

Lui non aveva detto nulla e lei era rimasta incerta - con quel suo incessante tormentarsi le dita - a pochi passi da lui, ancora visibilmente indecisa se abbracciarlo o meno. Ma doveva averlo capito anche lei che l’attimo era ormai passato e che abbracciarlo in quel momento sarebbe stato solo strano. 

«Come stai?», gli aveva chiesto alla fine.

«Bene», aveva risposto lui asciutto. Gli occhi si erano spostati dalla gola di lei ai seni, che si intravedevano un poco attraverso il tessuto sottile della camicia. Aveva spostato lo sguardo. «Ho bisogno della busta che hai ricevuto.»

Lei aveva accennato un sì e gli era passata accanto - il braccio aveva sfiorato il suo braccio - e si era piegata su di un cassettone, spostandolo un po’. «L’ho nascosta qui dietro.»

Non si era resa conto che la camicia le era salita lungo i fianchi, scoprendo un po’ gli slip. Non se n’era accorta e forse era stato proprio quel particolare a rendere quell’attimo così difficile da controllare per Sherlock - una parte del suo cervello che lo spingeva ad andare dove lui non voleva.

Aveva avuto a che fare con Irene Adler, che era stata più che esplicita e aveva indossato i suoi abiti e dormito nel suo letto e non ne aveva di certo fatto un segreto il fatto di essere attratta da lui. Molly Hooper, di contrasto, aveva a volte un modo di essere oggettivamente attraente, ma senza contraffazione o adulteramento. Era semplice - “genuina”, avrebbe detto, e “pura”, se fosse stato un altro genere di uomo.

Per dirla in un linguaggio che non gli apparteneva, Irene Adler aveva cercato di fotterlo a livello mentale. Molly Hooper, invece, per un attimo era diventata un’inaspettata tentazione a livello fisico. Forse era quella sua corrotta necessità di prendere dagli altri quello che lui non aveva mai avuto e rovinarlo. Forse era solo l’euforia dovuta dal sapere che aveva quasi finito, che era quasi giunto alla fine di quel suo nascondersi, vendicarsi e vagabondare. Forse era solo la fame mentale per una sensazione, qualcosa di simile alla necessità di fumare o assumere droghe.

Quale fosse la ragione, Sherlock non sapeva e per una volta non intendeva sapere. Quindi quando Molly aveva recuperato la busta e gliela aveva passata, Sherlock non l’aveva nemmeno ringraziata. Si era spostato di lato facendola passare ed evitando accuratamente qualsiasi contatto fisico, e si era avviato verso la porta. 

Ma Molly - sciocca, sciocca Molly - lo aveva fermato sulla soglia, chiamandolo. E quando lui si era voltato, lei lo aveva abbracciato. Corpo contro corpo, braccia attorno al collo, in punta di piedi, le gambe appoggiate alle sue. E il calore della pelle, la morbidezza dei seni, il profumo di sapone e - semplice, profonda - la necessità di stringerlo. Non gli aveva detto nulla, ma Sherlock aveva comunque sentito il sospiro che le era sfuggito.

E lui aveva riconosciuto la reazione del suo corpo, la feniletilamina che invadeva il cervello e la dopamina che si metteva a lavoro subito dopo, il leggero senso di vertigine e il sangue che iniziava a scorrere più veloce di quanto avrebbe dovuto. 

Ma conosceva quelle reazioni e sapeva come controllarle. Così si era ricomposto quasi subito, appoggiando le mani sulle braccia di Molly e allontanandola da sé. Le aveva addirittura sorriso. Più o meno. E se n’era andato senza dire nulla.

Cosa avrebbe dovuto dire, comunque. 

 

*

Cosa avrebbe dovuto dire, comunque.

Molly se lo era chiesto. Forse un grazie o forse una rassicurazione, una bugia o una falsa promessa. Avrebbe accettato volentieri qualsiasi cosa. Tranne, forse, la verità - che già conosceva, già immaginava, già custodiva nascosta in una cartellina che portava sempre con sé.

La prendeva di tanto in tanto, aprendola sempre con apprensione.

Aveva iniziato a raccogliere articoli e informazioni fin da quando Sherlock le aveva detto di Sebastian Moran. Non era stato difficile, poi, trovare gli altri.

Aleister Crowley - il cadavere da cui aveva preso i campioni di alcuni organi - era stato una delle persone più vicine a Moriarty. La salma era comparsa dal nulla al Barts.

Lo stesso era successo con un tale Culverton Smith - un’altro uomo di Moriarty, aveva poi scoperto Molly. Pochi giorni dopo aver preso il pacchetto nell’appartamento ad Hampstead Heath e averlo lasciato a Charing Cross, il cadavere dell’uomo era arrivato all’ospedale.

Il Dottor Roylott, invece, era stato ucciso la notte in cui Molly aveva ripetuto quella frase senza senso a chiunque si fosse trovato dall’altra parte della linea - lo aveva capito solo dopo, quando i giornali avevano parlato di “esecuzione”, che la frase era stata l’ordine in codice di uccidere e l’uomo dall’altra parte della linea il cecchino incaricato di farlo.

Poi c’era stato Sebastian Moran, ma Molly non aveva idea di cosa gli fosse capitato. E dopo di lui era stato il turno di J. Rucastle e degli agenti chimici, e del cadavere di Charles Milverton. 

Dunque sì, un grazie o una rassicurazione sarebbero state parole che forse Molly avrebbe accolto volentieri da parte di Sherlock - ma, francamente, dubitava che sarebbero mai state abbastanza per farla sentire meglio. Perché anche se razionalmente sapeva di non aver ucciso nessuno, Molly non riusciva comunque a scacciare l’idea di aver fatto parte del meccanismo che Sherlock aveva messo in moto per eliminare alcune persone che, sospettava, avevano avuto a che fare con Moriarty. Che, in qualche misura, Sherlock l’avesse usata - resa complice, avrebbe forse detto Greg - per uccidere dei nemici. E quello era un pensiero che Molly non riusciva a sostenere ancora bene. 

Eppure, proprio il fatto che lui non le avesse mai detto nulla - non un grazie o una rassicurazione, ma nemmeno un accenno a quelle persone e a cosa fosse successo loro - era l’unica cosa che permetteva a Molly di cacciare in un angolo la verità e pretendere di non sapere o di non aver capito. E di conseguenza rendeva quella decisione la cosa più sensibile che Sherlock avesse mai fatto nei suoi confronti.

Che non era molto, ma era pur sempre qualcosa.

  

*

 

Pip gli adulti non li capiva e quello era un dato di fatto. 

Ma Miss H. e Sherlock erano decisamente fuori dall’ordinario. Certo, entrambi erano stati molto gentili con lei - più Miss H. che Sherlock, ma Pip l’aveva capito da tempo che lui era fatto così e basta. 

E comunque lui aveva mantenuto la sua promessa e l’aveva fatta entrare in quella scuola privata - e le aveva anche fatto avere una camera nel dormitorio e tutto pagato - e tutto sommato lei non si sentiva neanche troppo stupida lì.

Miss H., invece, le aveva regalato un cellulare - “per festeggiare!”, aveva detto - e le mandava regolarmente messaggi per sapere come stava e se aveva bisogno di qualcosa e come procedevano gli studi. 

Era stato così che aveva scoperto che quel giorno Sherlock e Miss H. si sarebbero visti, perché lei le aveva scritto che glielo avrebbe salutato “per primissima cosa oggi, appena mette piede in laboratorio”.

E se era ormai da tempo che Pip non faceva più quello che faceva prima - nell’altra vita che ormai sembrava secoli fa - ogni tanto, se la ragione era buona, ancora sgattaiolava fuori dalla scuola quando non avrebbe dovuto.

E quella, francamente, non le sembrava una buona ragione. Le sembrava ottima.  

Era arrivata in tempo per vedere Sherlock entrare nell’ospedale - e anche se lo aveva visto solo di schiena, Pip non aveva dubbi che si fosse trattato di lui perché Sherlock era davvero inconfondibile. Quindi si era seduta su di una panchina di fronte all’ingresso e aveva aspettato pazientemente, prendendo il cellulare e aprendo l’applicazione che lui le aveva praticamente ordinato di installare - un dizionario che doveva usare per imparare un vocabolo nuovo ogni giorno (esatte istruzioni). 

Aveva studiato la parola della giornata e stava cercando di pensare ad una frase in cui utilizzarla, quando li aveva visti uscire insieme dall’ospedale. Quindi si era affrettata a riporre il cellulare nella tasca dei pantaloni e si era messa a seguirli discretamente. 

Camminavano abbastanza vicini perché le loro mani si sfiorassero, ma non abbastanza vicini da toccarsi veramente. Miss H. stava parlando, tutta la sua attenzione concentrata su Sherlock. Lui, invece, non sembrava nemmeno ascoltarla.

Pip aveva alzato gli occhi al cielo.

Solo qualche attimo più tardi, però, Sherlock aveva preso Miss H. per un braccio e l’aveva tirata a sé, evitandole così di andare a sbattere contro una persona che stava camminando nella direzione opposta. Sherlock l’aveva poi sgridata - «Molly, ti è stato dato il dono della vista, usalo per guardare dove vai» - e Miss H. aveva accennato un sì e si era messa a guardare di fronte a lei.

Ma Pip aveva visto. Sherlock poteva dire tutto quello che voleva, ma Pip aveva osservato e aveva visto.

Prima che Sherlock la tirasse a sé, Miss H. si stava già spostando per evitare l’altra persona. Anche Sherlock doveva averlo notato, ma aveva scelto di tirarla a sé lo stesso chiudendola in un mezzo abbraccio. Inoltre, Pip era sicura che nell’attimo in cui Sherlock aveva trattenuto Miss H. contro il suo corpo, le avesse accarezzato appena il braccio lasciando scivolare le dita sulla pelle di lei. 

Pip aveva sorriso, domandandosi se anche Miss H. si fosse resa conto di quello che era successo. Probabilmente no, si era detta. Miss H. era fatta così.

Aveva allora estratto il cellulare dalla tasca e aveva scattato una fotografia di quei due adulti incomprensibili, che camminavano abbastanza vicini da sfiorarsi ma non abbastanza vicini da toccarsi veramente. L’avrebbe mandata a Miss H. più tardi. 

Invece quello che doveva fare subito, aveva pensato, era mandare un messaggio a Sherlock. L’aveva scritto velocemente, cercando di non ridere.

 

A: Sherlock

Parola del giorno: negazione. Esempio: meccanismo mentale inconscio adoperato per risolvere un conflitto emotivo e per diminuire l’ansia che ne deriva negando uno degli elementi costituivi. E’ così negata la presenza di un pensiero, di un desiderio, di una necessità. Tipo: essere innamorati di Miss H. ma negarlo.

 

Davanti a lei, Sherlock e Miss H. avevano raggiunto un angolo e lo avevano girato. Pip aveva fatto in tempo a vedere Sherlock estrarre il cellulare e leggere il messaggio, ma non a vedere la sua espressione. Aveva comunque deciso che non era necessario seguirli oltre e si era voltata per tornare verso la scuola e il dormitorio. 

E non avrebbe nemmeno controllato il cellulare, perché era piuttosto certa che Sherlock non le avrebbe mai risposto. Che, agli occhi di Pip, rimaneva comunque la risposta migliore. 

 

Anche in seguito, quando ebbe modo di incontrare Sherlock di nuovo, la cosa non venne mai menzionata. E quando Pip gli disse che in fondo lui sapeva che lei sapeva che lui sapeva, la risposta di Sherlock era stata piuttosto secca.

«La tua frase è un’osceno abuso della parola “sapere”. E sei pregata di smetterla di sorridere a quel modo.»

E Pip, allora, si era messa ridere.

 

 

Fin.

 

 

 

 

 

*

Il Gioco

*

 

 

Il gioco è chiuso! Complimenti a IrregolarediBakerStreet, emme e EbeSposaDiErcole per essere state le prime tre ad indovinare! 

Per ringraziarvi e in onore della terza stagione di Sherlock e “perché no”, ecco un piccolo gioco di deduzione per voi. 

 

E’ molto semplice. Ho nascosto un dettaglio all’interno della storia, qualcosa che dovete scoprire basandovi su questi tre indizi:

  1. la risposta è un insieme di elementi che vanno uniti.
  2. ogni elemento è proprio sotto i vostri occhi.
  3. tutto è cominciato con il primo capitolo e si è concluso nell’ultimo.

 

Se avete la risposta, contattami qui su EFP (privatamente, non nei commenti) e fatemi sapere la vostra deduzione, e le prime 3 persone che trovano la soluzione corretta vincono uno di questi 3 braccialetti. 

In bocca al lupo :) !


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