The misconception of us.

di Julietaemint
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The misconception of Jonghyun.- ***
Capitolo 2: *** The misconception of Key.- ***
Capitolo 3: *** The misconception of Taemin.- ***
Capitolo 4: *** What was that look for Jong?- ***
Capitolo 5: *** What happened, Taemin?- ***
Capitolo 6: *** Hope that see you soon.- ***
Capitolo 7: *** I see you.- ***
Capitolo 8: *** Such a pain.- ***
Capitolo 9: *** Cheers on the freaking weekend.- ***
Capitolo 10: *** Just a little thing.- ***
Capitolo 11: *** I’m so stupid.- ***
Capitolo 12: *** I'll be here for you.- ***
Capitolo 13: *** Sorry, I can’t wait.- ***
Capitolo 14: *** I’m fallen without you.- ***
Capitolo 15: *** Where have you been?- ***
Capitolo 16: *** Tell me that’s a lie.- ***
Capitolo 17: *** Can’t stop it.- ***
Capitolo 18: *** Our last night.- ***
Capitolo 19: *** Don’t wake me up.- ***



Capitolo 1
*** The misconception of Jonghyun.- ***



6:30. La luce filtrava dalle fessure delle tapparelle, un raggio di luce dritto sul cuscino, infastidendolo, ancora dormiente, consapevole di doversi sbrigare. Fece un’espressione disturbata, arricciando il naso e si stropicciò i suoi grandi occhi bruni. Si diede forza con le braccia e si sedette, barcollando, sul letto. Cercò le infradito, che usava indossare con i calzini, stranamente persi nel letto. Doveva essersi agitato molto, quella notte. Le coperte erano a terra le lenzuola accartocciate ai piedi del letto. Era una settimana che gli accadeva.
Ma precisamente, cosa? Non lo sapeva neanche lui.
Si sollevò, spalancò la finestra, assaporò l’aria fresca che gli accarezzava il volto. Rabbrividì al pensiero che lo tormentava, ormai, da tempo. Troppo tempo, per i suoi gusti, per la sua vita.
Non poteva permetterselo, non poteva davvero. Aveva la scuola, poi il lavoro. Il solito tram tram, che ormai gli riusciva naturale. Dopo un anno, l’abitudine era diventata la sua migliore amica.
Non aveva nemmeno il tempo, ormai, di avere degli amici. Entrò nel bagno, si tolse i boxer, facendoli scivolare a terra, e s’infilò nella doccia. Gli aspettavano le solite ore di scuola: ogni giorno, saltava l’ultima per correre verso la metro, che l’accompagnava a lavoro. Doveva autogestirsi, la sua famiglia non poteva sostenerlo, e lui abitava in un residence per studenti lontano dai suoi, in città.
Uscì dalla doccia, le goccioline gli disegnavano un immaginario motivo su tutto il corpo. Si pettinò i capelli, rasati ai lati, scuri, esaltati da un acceso ciuffo biondo, quella mattina stranamente sbarazzini. ‘Ding’ – il tostapane aveva sfornato due toast caldi, la cui dolce fragranza si diffondeva in tutto l’appartamento. Jong gli afferrò con un tovagliolo; indossava già il suo kiwey blu scuro, l’ultimo acquisto per lui, di sei mesi fa, l’ultima volta che era riuscito a permettersi qualcosa per lui, racimolando soldi con qualche straordinario. Prese la borsa a tracolla scolastica, la mise alla spalla destra e si tirò la porta alle spalle. Scese le tre rampe di scale, non poteva permettersi di aspettare l’ascensore e il pullman non si sarebbe permesso di aspettarlo così a lungo. Si ritrovò, in cinque minuti, alla fermata del bus. Cinque minuti talmente pieni, colmi di pensieri, che passarono in fretta. Si appoggiò con una mano al paletto della fermata del bus, prese il cellulare e lo impostò in ‘silenzioso’. Jong non comprendeva davvero cosa gli accadesse ultimamente. Era passata una settimana da quando gli aveva incrociati, quegli occhi castani. Una settimana da quel dolce sorriso, da quel ciuffo biondo, da quel profumo che l’aveva fatto trasalire, ricordare inevitabilmente casa sua, di cui sentiva la mancanza, e che gli sembrava di sentire tutt’ora, a distanza di tanto tempo.
<<Kim, non vuoi salire stamattina? Su, che facciam tardi!>>.
Fra quei pensieri, Jonghyun non si era nemmeno accorto dell’arrivo del pullman. Riavvivò il suo sguardo, perso nel vuoto, e salutò l’autista, salendo sul pullman, che l’aveva ironicamente ripreso.
Si mise a sedere, indossando gli auricolari. ‘Blue’ dei Big Bang, l’unico momento di svago della giornata. Rivolse lo sguardo all’esterno, da quel finestrino, dietro quel vetro, nella speranza di distrarsi e lasciarsi andare.  

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Capitolo 2
*** The misconception of Key.- ***


7:00. La sveglia suona – l’accattivante tono di Lady Gaga si diffondeva in quel monolocale.
<< Baby I was….in this way.. >>, si rigirò, stringendo ancora di più le coperte attorno a se, cantando, per così dire, a spezzoni il suo brano preferito. Adorava svegliarsi in quel modo.
Ci mise mezz’ora per alzarsi, ma sapeva che la limousine poteva aspettarlo. Si stiracchiò, staccò la sveglia, che era composta da venti canzoni di Gaga, ma ne aveva riprodotte ben dieci, e si mise a sedere sul letto. Si passò una mano fra i capelli dorati e disse “buongiorno Prada, disposte a percorrere anche oggi il viale dell’istituto?”, e sorrise soddisfatto, guardando l’ultimo dei suoi venti paia di scarpe acquistate negli ultimi due mesi, rosse, brillanti. Fece sforzo, si mise in piedi e si preparò un cappuccino. Si lavò, si pettinò i suoi biondissimi capelli e si guardò allo specchio, accennando a qualche faccetta buffa. Mise ben tre gocce del suo profumo preferito, Chanel, indossò le scarpe – non aspettava altro da un’ora, ormai – prese lo zaino, afferrò gli occhiali da sole dal mobile affianco alla porta, gli indossò, poggiandoli sul naso, e s’incamminò all’ascensore.
Aprì lo sportello della limousine e si accomodò sui comodi sedili rivestiti in pelle viola.
<< Buongiorno signor Kibum, anche oggi in ritardo. >> disse il suo autista.
Key si limitò a sorridere, accennando una risata e facendo cenno di saluto con il capo.
Poi abbassò lo sguardo alle sue Prada rosse. Era un bravo ragazzo, conosceva i suoi tempi, anche se si trovava lì da poco più di una settimana.
Aveva cambiato così tanti istituti, e dormitori, che ormai non riusciva a contare nemmeno più. Sin da piccolo, la sua famiglia viaggiava molto per lavoro, e lui era costretto a seguirla.
‘Genitori’, non gli mancavano affatto. La sua famiglia erano i suoi abiti, i suoi oggetti. Sapevano rimpiazzarle così bene, quelle persone con cui l’unico legame che aveva era quello carnale.
Avere amici era indiscutibile, ci aveva messo una croce sopra alle elementari, perché era stato costretto a lasciare una moltitudine di compagni troppe volte, così si era ripromesso, alle medie, di smettere di avere rapporti con dei coetanei, per paura di doverli lasciare, e sentire la loro mancanza.
Ovunque, la sua considerazione era da ‘spaccone presuntuoso’. Ma Key era ben altro.
Guardando quelle Prada, socchiuse gli occhi.
<< ‘Key, oggi ci sono i colloqui, i tuoi genitori ci saranno?’ ‘non credo, signora maestra..’
‘Key, stasera festeggiamo la festa della mamma! Ci sarete, sì?’ ‘Non credo, la mamma non c’è.. ’
>>
Fece un sospiro, riaprì gli occhi, accennò un sorriso, era arrivato.
<< Buona giornata, a dopo.  >>, aprì lo sportello e scese, alzando gli occhi al cielo e respirando profondamente quell’intenso profumo di ciliegi in fiore.

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Capitolo 3
*** The misconception of Taemin.- ***


<< Buongiorno, hyung! >>. Lo sguardo di Key fu richiamato da un saluto troppo esaltato, un tono che sopportava ben poco. << Oh, buongiorno Minnie. >> rispose Key, freddo e in tono poco caldo, affatto accogliente, beffardo, come suo solito.
<< Nuove? Prada, come vedo! Complimentoni! >>.
<< Sì, nuove. Belle, vero? Solo addosso a me, naturalmente, son sicuro diano questo effetto! >> disse Key, abbozzando un sorriso che, per la falsità, era altamente a contrasto con le sue abitudini.
Di fronte a lui un ragazzo dall’aspetto dolce, gentile, con un taglio pari, castano, e una frangetta altrettanto pari che gli cadeva direttamente sulla fronte. Stava seduto composto, sul muretto, e salutava Key con la mano destra, ad altezza del viso, in segno di grande ammirazione, abbassando il capo.
Lee Taemin, figlio di amici di famiglia, l’unico che frequentava da sempre, e non sopportava da altrettanto tempo. Era più piccolo di lui, un cugino lontano, quasi cugino – evitava in tutti i modi di denominarlo come tale.
Genitori, uomini d’affari. Si ritrovavano spesso a passare serate a ‘giocare’, seduti al tavolo, a vista dei genitori, alle noiosissime cene nei noiosissimi ristoranti in stile rinascimentale.
Molte volte, da piccoli, i genitori di Taemin lo lasciavano per interi pomeriggi dall’unica nonna di Key, comune ad entrambi. Stessa cosa per Key, che la considerava come l’unica persona che gli volesse davvero bene. Per Taemin, pur essendo soltanto una prozia, era una donna speciale, una seconda mamma. Per Key, una prima mamma. Tanto affezionato le era da avere continuamente l’impressione che per la donna, Taemin fosse favorito, pur non essendo suo nipote diretto.
Quando si trattava di fare merenda, Taemin aveva per primo il latte con i biscotti; era il primo ad essere rimboccato per il sonnellino, il primo a cui allacciava le scarpette.
Sapeva, ormai cresciuto, che le azioni della nonna erano dovute all’età del piccolo, ma continuava, tutt’ora, ad esserne terribilmente geloso, testardo, evitando nel migliore dei modi qualsiasi tipo di contatto con Taemin, l’ennesima persona che gli aveva portato via l’unico affetto che poteva godersi a pieno, a suo tempo.
<< Entriamo in classe, allora? >> tagliò corto Key, incamminandosi per il vialetto, consapevole che non si sarebbe, come d’abitudine, minimamente importato di una possibile risposta negativa dell’altro.
<< Sì, mio signore! Potrebbe pur aspettarmi qualche volta! >> rispose Taemin, scoppiando in una grande risata gioiosa che illuminò i suoi occhi lucenti di una gioia pura, conseguenza di qualche ricordo che si mostrava perfettamente in quel sorriso limpido, perfetto.
Key non rispose, si bloccò improvvisamente, abbassò il capo e disse << Non siamo più dalla nonna. Hai voglia di essere deriso da tutta la scuola? >>.
Il più piccolo si era fermato anche lui, a distanza di pochi metri, fissando Kibum. Le mani tremavano, era stanco.
Erano anni che ormai riceveva determinate attenzioni e, per quanto volesse farci l’abitudine, si sentiva continuamente la causa dei comportamenti di Kibum.
Al contrario dei pensieri di Key, che credeva non gl’importasse affatto e che non potesse minimamente capire cosa provava, cosa aveva passato, Taemin ne aveva parlato alla nonna mille e mille volte.
<< Cos’hai, piccolo mio? >> e con gli occhi pieni di lacrime le rispondeva che si sentiva triste per Kibum, mai incolpandolo per farlo stare male.
Tirò su col naso, si prese con due dita la nuca, si fece forza. Cercò d’ignorare quelle parole, che erano ormai scese troppo infondo, per essere cancellate, e si erano unite all’immenso altro insieme che risiedeva nel suo stomaco, nel suo cuore.
<< Mi scusi, signor Kibum, andiamo. >> aggiunse, abbozzando un sorriso, quando avrebbe voluto avvolgergli un braccio intorno alle spalle, in segno d’amicizia, pur sapendo quanto l’altro odiasse il contatto fisico, da sempre. S’incamminarono in silenzio, verso la grande entrata, osservando chi le Prada e chi il paesaggio circostante, chi con uno sguardo cupo, insofferente, spento, chi con gli occhi dolcemente sorridenti, seppur pieni di lacrime.

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Capitolo 4
*** What was that look for Jong?- ***


<< Signor Kim, traduca il brano che abbiamo appena letto. >>

<< 
Certo. ‘Quando s’incontrarono, i loro sguardi s’incrociarono così intensamente da scontrarsi violentemente e allo stesso tempo sfiorarsi dolcemente; quale attrazione nasceva tra i due ogni volta che accadeva.’ >>

<<
 Eccellente signor Kim, come al solito. >>

I professori non si stupivano più, ormai, del rendimento di Kim Jonghyun. Come potesse, però, avere un rendimento così alto pur dovendosi autogestire, era davvero ammirevole.

<<
 Un’educazione come la sua è indiscutibilmente eccellente, un miracolo di ragazzo. Di tanti studenti che, pur avendo ampie possibilità di studio, non le sfruttano minimamente, lui è l’eccezione che conferma la regola. Davvero, dovremmo complimentarci. >> aveva sentito, una volta, Jonghyun, fra i corridoi, ricevere tali lusinghe, udire quelle convincenti parole dalle bocche dei suoi professori, per quante voci avesse riconosciuto. Non gli dava, però, alcun peso. Sapeva bene che quelle non erano le sue vere soddisfazioni, che quelle lusinghe non bastavano a guadagnarsi quelle pesanti e interminabili giornate di lavoro, ne a ridurre la sua stanchezza, o il suo stress. La campanella della quinta ora suonò, di nuovo in ritardo. Era tardi, doveva correre. Afferrò la borsa, << Arrivederci. >>, scese le scale freneticamente, attraversò a passo veloce il corridoio, svoltò l’angolo. Oltrepassò la grande porta d’ingresso. Incominciò a correre per l’ampio cortile, con lo sguardo rivolto in avanti, imperterrito, ormai abituato a quelle azioni giornaliere che facevano parte del suo tram tram. Non faceva mai caso alle persone sedute sui moretti, nel piazzale dell’entrata. Non conosceva nessuno – sapeva che osservare era mal educazione – ma, per quanto volesse farlo, non ne aveva minimamente il tempo. Osservava il cemento dello spiazzale, sotto i suoi piedi, e le ombre di questi accavallarti e correre l’una sull’altra, quando, ad un tratto la vista cambiò, un paio di scarpe lucide, rosse, davanti a lui. Alzò istintivamente lo sguardo – ma perché lo stava facendo? Era come se una strana forza avesse atterrato le sue abitudini. Vide un ciuffo biondo, si fermò di colpo.

<< 
Scusami, passa pure. >> disse la figura, posta di tre quarti, guardandolo. A Jong venne un dejavu – ricordava quello sguardo. Il suo respiro si fermò per un secondo, i suoi occhi si sgranarono. Aprì la bocca, rimasero ad osservarsi per dieci interminabili secondi. ‘Quando s’incontrarono, i loro sguardi s’incrociarono così intensamente da scontrarsi violentemente e allo stesso tempo sfiorarsi dolcemente; quale attrazione nasceva tra i due ogni volta che accadeva.’, ecco cosa venne in mente a Jong, immediatamente. Poi un ‘torniamo dentro?’ – che a gli arrivò come un bisbiglio – rivolto all’altro, fece ricordare a Jong di quanto fosse tardi. Chiuse la bocca, rinunciando a far uscire qualche parola, rimasta bloccata alla gola. Riprese la borsa da terra, che gli era scivolata dalla spalla, e proseguì, velocemente, riacquistando il passo. ‘Porca miseria!’, non riusciva ancora a rendersi conto di quello che gli fosse appena successo. Corse per due ininterrotti minuti, senza pensare a niente; troppi pensieri gli offuscavano la mente, i suoi piedi si muovevano da soli, l’uno davanti all’altro, velocemente come mai. Svoltato l’angolo, il pullman lo stava aspettando. Salì velocemente, aveva il fiatone, strizzò gli occhi – la vista era offuscata da puntini, la sua pressione doveva probabilmente essere scesa.

<<
 Le persone si stavano cominciando a lamentare, un altro minuto e sarei stato costretto a partire! >> disse l’autista.

Jong fece cenno di ringraziamento, poi si aggrappò con la mano ai pali per sorreggersi, compresse gli addominali, portando la nuca quasi alle ginocchia: era davvero esausto, tanto da non accorgersi neanche che le altre persone, nel pullman, lo stavano osservando, come fosse la colpa di quel ritardo della partenza, quale era. La sua mente era occupata da altri pensieri, quegli occhi. Dove gli aveva incrociati? Sentiva di averlo saputo fino a quell’istante, quell’attimo, fin quando li aveva ri-incrociati, ma continuava a pensare, e forse era l’unica cosa che sapeva, che erano di una bellezza infinita, affatto comune, che nascondevano qualcosa di altrettanto unico, misterioso. Scese dal pullman senza neanche salutare l’autista, che rimase stupito dal mancato saluto.
Mai come quel giorno, arrivato all’officina, il capo lo stava per riprendere.

<<
 Jonghyun, arrivi sempre più tardi, ogni giorno, soprattutto oggi. Mi piange il cuore..ma dovrò detrarteli dallo stipendio, se tu non vorrai recuperarli la sera, quei minuti >> concluse poi, in tono serio, con delle visibili sfumature di dispiacere. Improvvisamente tutti i pensieri di Jong si dileguarono, lasciando spazio soltanto a quelle parole. Non poteva permetterselo, e la sera, se avesse recuperato, avrebbe perso l’ultimo pullman per tornare a casa. Doveva terminare gli studi, doveva. Aveva bisogno di quel lavoro.

<<
 Chiedo scusa. >> disse, abbassando il capo.

<<
 Cercherò di chiedere di posticipare il mio permesso al preside, così da prendere il pullman precedente, ed arrivare prima. Magari riesco ad aiutarla anche prima del mio orario di lavoro >>, concluse.

<< 
Va benissimo, non preoccuparti, so che sei un ragazzo molto responsabile e che ti stai impegnando molto per terminare gli studi. Va adesso. >> aggiunse il capo, poggiando una mano sulla spalla del ragazzo, mentre con l’altra si estraeva una chiave inglese, poggiandola sulla scrivania da lavoro.

<< 
Grazie, chiedo ancora scusa. Con permesso. >>

Jong s’incamminò più pensieroso di prima, quasi mortificato. Non poteva crederci, doveva farcela, un colpo basso del genere poteva essere riparato, ma non doveva ricapitare. Si chiedeva come potesse essere successo, nelle ultime settimane, ma soprattutto quel giorno, con il ritardo più ampio. Strinse i denti e si mise a lavorare, indossando la tuta da lavoro, mentre in cuor suo sapeva perfettamente che la causa di quel rimprovero, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, era stato quello sguardo, a cui tutt’ora non riusciva a non pensare.

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Capitolo 5
*** What happened, Taemin?- ***


Driin – intanto l’ultima campanella era suonata, un’ora dopo, anche per Taemin e Key.
Le solite sei ore erano passate. Kibum aveva, come sempre, dormicchiato e osservato le unghie (a cui teneva particolarmente, forse troppo) e Taemin aveva ascoltato e preso una miriade di appunti.
Erano proprio l’opposto, quei due.
<< Hyung, abbiam finito anche oggi! >> disse Taemin, con il suo solito tono gioioso, rivolgendosi ad un Kibum particolarmente assonnato, che era appena saltato per aria al suono squillante dell’ultima campanella.
<< Sono a posto i miei capelli? >> aveva chiesto, e il più piccolo aveva annuito, sorridendo.
Lo raggiungeva sempre, dalla classe accanto, alla fine delle lezioni, e generalmente uscivano in cortile anche nell’intervallo fra la quarta e la quinta ora.
Key incominciò a riordinare i libri nello zaino – borsa Chanel, di pelle nera con particolari in risalto in rosso.
<< Hyung..ma chi era quel ragazzo con cui ti sei scontrato all’intervallo? >>, Taemin non si trattenne, e sfacciatamente chiese al suo hyung di soddisfare la sua curiosità, torcendo nervosamente le mani.
<< Mah, chi lo sa! So solo che mi stava “battezzando” le Prada, quel deficente! >> disse, provocando una risata sul viso dell’altro.
Mentre si alzava, Key si accorse che l’altro incominciava ad innervosirsi: aveva tirato le mani dietro alla schiena e le stringeva, evidentemente sudate.
Key alzò lo sguardo, richiamando quello basso e nervoso di Taemin. << Sta tranquillo, non fa parte del suo gruppo. >>, accennando un sorriso di compassione, uno dei più rari e sinceri di Kibum.
S’incamminarono fuori dalla classe in silenzio. Taemin, era un anno che, ormai, si sentiva così.
Ad ogni uscita il terrore aumentava, ma più che terrore, poteva esser definita ansia.
Key uscì dalla classe per primo, il più piccolo lo seguì. Quando era con il suo hyung, Taemin era più tranquillo. Si sentiva quasi protetto, quasi ‘fuori pericolo’.
Ed eccoli al corridoio; bastava solo svoltare l’angolo e tutto sarebbe finito.
Kibum camminava sicuro, Taemin a tremava, ad occhi chiusi; avanzava con la testa bassa, guardando il pavimento.
Ma oggi era la giornata giusta, e neanche Kibum avrebbe potuto evitare.
Appena un passo e sarebbe stato fuori, insieme a Key, protetto, sicuro. Prese un respiro.
Ma appena svoltò, << Hei ragazzina! Da quanto tempo! >>.
Non l’aveva scampata. Taemin sbarrò gli occhi.
Subito dopo, sentì un fischio. Uno di quei fischi con cui, volgarmente, si richiamano le ‘brave ragazze’, quelli accattivanti, che esprimono un giudizio sporco, pieno di perversione, provenire da quella bocca.
Rimase in silenzio, come al solito.
<< Allora, a quando la prossima? Sanno che ti piace essere sbattuto, quando posso? Oh, che gentile, lo chiedo anche! >> e il tipo lanciò un’occhiatina ai due dietro, che sorrisero, beffardi.
Taemin aveva gli occhi lucidi, ancora. Non poteva far niente. Anche il suo hyung aveva sentito, e, già mezzo fuori, si tirò dentro, appoggiando la mano alla porta.
<< Per oggi basta, Taemin. Andiamo a casa. >>
<< Oh, andiamo a casa! Il viziatello ha detto di andare! Va a casa, cappuccetto rosso, a farti sbattere dal tuo hyung! Chissà quanto vi divertite! >> e di lì una risata fortissima, di quel tipo e dei suoi compagni, dietro di lui, appoggiati agli armadietti.
Taemin era immobile. Key lo afferrò per un braccio e lo tirò via.
Taemin si lasciò tirare e seguì il suo hyung, fra quelle risate che gli risuonavano rumorose nella testa.
La frangetta gli copriva gli occhi, le guance scoperte sentivano il battere del sole, bagnate di lacrime.
Key inforco i suoi occhiali da sole e si risistemò lo zaino. Sospirò, sentendo la testa bruciare sotto il sole. Si passò una mano fra il ciuffo biondo. Si voltò, guardò il piccolo.
<< Basta, sei un uomo. Asciugati quelle lacrime e lascia perdere quel cretino, che oltretutto si veste malissimo. Sali nella limu, ti riporto io a casa, oggi. Asciugati le lacrime e non bagnarmi i sedili. >>
Taemin non rispose, tirò su col naso, asciugò le lacrime con un fazzoletto e seguì Key, che si era già incamminato.
<< Io..non so cosa voglia. Anzi, lo so..ma deve smetterla..è un anno, Jongin deve smetterla. Posso anche essere una matricola, ma non posso essere trattato come 'una' poco di buono.. >>
Taemin cominciava ad odiare i suoi tratti dolci, il suo corpo magro, delicato, longilineo.
Versò l’ultima lacrima, la blocco subito con il fazzoletto: gli occhi gli bruciavano, ormai era un’abitudine, questa, per lui.
Kibum non disse niente; arrivati alla limousine accenno un ‘Sali.’, accompagnato dal cenno della mano destra.
<< Oggi accompagniamo anche Taemin. >>
<< Buongiorno. >>
L’autista annuì.
Era l’incubo di ogni notte, per Taemin. Quel ciuffo scuro, quelle canotte larghe e smanicate, quell’atteggiamento da duro, quel fisico asciutto, quelle braccia muscolose. Non ne poteva più.

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Capitolo 6
*** Hope that see you soon.- ***


<< Jong, per stasera basta, finirai per non reggerti in piedi, domattina. Va a casa e riposa, ci penso io a chiudere. >> gli aveva detto il suo capo.
<< Grazie mille, non si preoccupi per me. A domani, buona serata. >> disse, accennando un sorriso su quel volto sudato e stanco dal troppo lavoro.
Un’altra giornata di lavoro conclusa. Toccava soltanto andare a prendere il bus, adesso.
Una volta a casa, s’infilò sotto la doccia. Indossò l’accappatoio. Il suo stomaco brontolava; aveva saltato il pranzo, come ogni giorno. Andò in cucina, aprì lo sportello del mobile di fianco al frigo e estrasse una pentola.
Era abbastanza bravo in cucina, e preparare delle buone pietanze lo rilassava molto.
Mangiò la sua fettina di carne con insalata, si concesse un pezzetto di cioccolata.
Prese la tavoletta, andò in camera. Si sedette sul letto ed incominciò a pensare.
Spezzò un quadratino di cioccolata, lo osservò, se lo passò fra le dita. Incominciò a leccarlo, poi lo prese fra pollice e indice e se lo porto definitivamente alla bocca. Si lecco le dita con fare sensuale, una, due, tre volte. Prima l’una, poi l’altra. Non c’era niente d’innaturale nei suoi movimenti, niente di voluto o mirato. Era semplicemente abituato a far così.
Finito quel pezzetto di piacere, l’unico della giornata, si infilò nel letto, spense l’abat jour e chiuse gli occhi.
Subito un flash, quegli occhi, quel ciuffo. Doveva rivederli, voleva.
Ma come fare? Sperava solo di rivederli, l’indomani, a scuola. Fra un pensiero e l’altro, vinse la stanchezza, e fini per addormentarsi, con la curiosità e l’intrigo di sapere chi si nascondesse dietro quella figura.

driin – ancora quella maledetta sveglia.
Jong socchiuse gli occhi - niente raggi dalla finestra, stamane. Cielo nuvoloso, forse troppo.
Era stanco, ancora troppo stanco per alzarsi. Si stiracchiò a destra e a sinistra, si girò in cerca delle coperte, di nuovo a terra.
Poi, qualcosa lo spinse ad alzarsi, una certa curiosità. Si ricordò si una certa ‘missione’, si alzò di scatto, spalancò la finestra e si diresse in bagno.
Uscì, aprì l’armadio, scelse una t-shirt di ricambio per il lavoro. Indossò la divisa, preparò il borsone.
Si diresse verso la finestra, udii il suono battente della pioggia cadere. Non si era accorto neanche di quello, tanti pensieri gli affollavano la mente.
Era tutto bagnato, fuori. Per un attimo sentì quel costante battito nella sua testa, e ricordò di guardare l’orario. Era passato solo un quarto d’ora, si stupiva della velocità che aveva ormai acquistato. Andò in cucina, preparò i soliti toast; prese chiavi, borsa e tutto.
Afferrò l’ombrello, tenendo fermo il pollice sul pulsante d’apertura durante la scesa delle scale.
Fuori, uno scatto e ombrello aperto. Una corsa fino alla fermata, fino ad esser al riparo.
Il suo respiro era aumentato, cercava di frenarlo, inutilmente. Respirò l’aria, quel profumo di rugiada sui fiori di ciliegio bagnati, la primavera umida, gli piaceva.
Una volta a scuola, percorse velocemente il cortile. Una volta sotto il portico, aprì e chiuse velocemente l’ombrello, per farlo sgocciolare.
Poi lo riallacciò, e lo infilò nel porta ombrelli. Era presto, anche l’autobus aveva anticipato, stamattina. Probabilmente, in prevenzione del traffico.
Salì con calma le scale, entrò in classe. Non c’era ancora nessuno, così si sedette nel suo banco, vicino alla finestra, e si mise ad osservare il cortile, spoglio, solitario.

Appoggiò il gomito sul banco, e la testa sul braccio. Stette a sentire quel silenzio, così strano.
Dieci minuti dopo incominciarono ad arrivare i suoi compagni, e la scuola si popolò. Mancavano ormai soltanto cinque minuti all’inizio delle lezioni.

Driin – la prima campanella. Il professore di algebra entrò, fece l’appello.>>
Mentre si avvicinava al suo nome, Jong si preparava a confermare la sua presenza.
<< Kim Jongin. >>
<< Presente, anche se preferirei non esserlo, signor professore! >>
<< Kim Jonghyun. >>.
Proprio in quel momento, qualcosa attirò l’attenzione di Jong. Qualcosa nel cortile, qualcuno, piuttosto. Rimase in silenzio, immobile. Tutti si voltarono verso di lui.
Non si accorse minimamente di esser osservato – l’aveva visto di nuovo, camminar svelto, correre verso l’entrata. Ma le scarpe rosse non c’erano, e Jong non ci vedeva poi così bene.
<< Signor Kim, è presente? >>
Al secondo richiamo, Jong saltò in aria. << Sì, sì, mi scusi, ero sovrappensiero. Presente.>>
E si rigirò verso la finestra, notando che il ragazzo era ormai andato via.
Cominciò a pensare a quale classe potesse appartenere, quando suonò la campanella della quinta ora.
Eran passate così in fretta quelle cinque ore, non gli pareva possibile.
Aveva smesso di piovere, s’incamminò verso l’autobus, stavolta in perfetto orario.
Solo ora riusciva a chiedersi come potesse incuriosirlo così tanto quel ragazzo, che non conosceva minimamente.

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Capitolo 7
*** I see you.- ***


Per l’ennesima volta, Kibum era entrato in limousine cinque minuti prima della campanella.
Considerando la pioggia, e anche il traffico, era davvero tardi, ma era il suo ultimo problema.
Odiava indossare per due giorni consecutivi le stesse scarpe, Gucci blu ottanio, oggi, smaltate.
 << Devo fare una commissione veloce, oggi. Passa a prendermi alle 13:30 al posto delle 14:40, ho già il permesso firmato dal mio ‘gestore’. >>
L’autista acconsentì, Kibum scese e s’incamminò per il cortile, accelerando il passo a metà strada, facendo continuamente attenzione a non infangare le sue Gucci.
<< Signor Kibum, le sembra orario? >> << Mi scusi, professoressa, ho avuto dei problemi. Mi spiace. >>
<< Siediti pure, non preoccuparti. >>. La lezione era già incominciata, ma a Kibum, che era un bravo attore, non fregava niente, così si sedette e fece finta di ascoltare per una buona mezz’ora.
Arrivata la quinta ora, mostrò il permesso all’insegnante, e dieci minuti prima della campanella, uscì.
Si accorse che il suo autista non era ancora arrivato, stette ad aspettare per cinque minuti. Niente.
Dannato autista! Sarebbe stato licenziato di lì a poco, a lungo andare.
Key non poteva tardare, aveva un importante appuntamento con il commesso a cui doveva consegnare degli importanti documenti cartacei da portare ai genitori.
<< Dannazione! >>
Kibum odiava prendere l’autobus, per lui era un luogo pieno di sudiciume e gente malvestita, e talvolta poco rispettabile, ma al momento era l’unica soluzione.
Con soli cinque minuti, doveva tentare. Corse sotto la pioggia con l’ombrello a colore delle scarpe, rigorosamente Guess, ma proprio all’inizio della strada dove si trovava, vide l’autobus partire e andare via. Cento metri, soli cento metri.
Doveva tentare. << Aspetti, aspetti!! >> si mise a rincorrere istintivamente l’autobus, e quando lo raggiunse, questo si fermò.
<< Oddio, grazie mille. >> Salì e pagò una mancia in più all’autista.
Si sedette, sospirò, e solo in quel momento si accorse di come si era combinato.
Non si era mai vergognato così tanto in vita sua. Le Gucci erano totalmente bagnate, i suoi calzettoni fradici, la giacca e i pantaloni della divisa scolastica completamente schizzati e il suo ciuffo biondo umido e mosso.
‘Ommioddio’, pensò.
Rialzò il capo, mentre pensò di farla pagare davvero a quell’autista sconsiderato.
Non si era nemmeno accorto di essersi seduto affianco ad un ragazzo, voltato al finestrino, e che gli stesse calpestando la borsa.
<< Chiedo scusa, perdonami, non mi ero minimamente accorto di star calpestando questa, chiedo ancora scusa. >>
Questo si voltò, Key lo guardò incuriosito.
Rimase zitto, poi sorrise. Cos’aveva di strano? Era ridotto male, ma non da far ridere!
<< In realtà dovrei essere io a chiederti scusa, ieri ti son venuto a sbattere contro. Perdonami. >>
<< Figurati, l’avevo quasi..dimenticato. >> disse Key, abbozzando uno dei suoi finti sorrisi.
<< Io sono Kim Jonghyun, piacere. Frequento il terzo anno. >>
<< Oh, piacere. Kim Kibum, quarto anno. >>
I due stettero in silenzio, Key osservava le sue povere Gucci, l’altro guardava fuori, sorridendogli, di tanto in tanto.
Arrivato alla fermata, Key si accorse che anche l’altro doveva scendere lì.
Una volta scesi, si salutarono semplicemente con fare rispettoso.
Kibum si riparò sotto un porticato, ed entrò nell’ufficio del vice.
<< Buongiorno, ho prenotato una visita, sono Kim Kibum. >>
La segretaria, da dietro la scrivania, rispose che il vice sarebbe arrivato di li a poco.
Key si sedette nell’ingresso. Passarono due lunghe ore dal ricevimento.
<< Mi scuso per il ritardo. >> << Si figuri, la prossima volta, oltre a consegnar documenti, avvisi i miei genitori di cambiar vice, magari. >> aggiunse Key, in tono nervoso.
Era davvero troppo, aggiungendo che sarebbe dovuto rientrare in casa in quelle condizioni.
Congedò il vice e si diresse nuovamente alla fermata. Chiamar l’autista sarebbe stato inutile, sarebbe significato aspettare ancora un bel po’, considerando i cinque isolati che dividevano quell’ufficio da casa sua.
Ad un tratto, rivide il ragazzo di prima avvicinarsi alla fermata.
<< Buonasera. >> si sentì in dovere di salutarlo.
<< Oh, ciao. Non è un po’ tardi? >> A Jong riuscì naturale aver quella confidenza, e ciò gli risultava strano, ma, fra quelle parole, riusciva a non pensare a niente.
<< Beh, anche per te. >> A Key non piaceva tutta quella confidenza, ma se ne accorgeva ben poco, diversamente dal solito.
<< Lavoro qui, son costretto a questi orari. Sinceramente, stasera è anche molto presto. Ho finito il turno un’ora prima. >>
<< Beh, fortuna per te! Io son stato ad aspettar per due ore. >> Come riusciva a parlare così naturalmente con una persona conosciuta poco più di due ore prima?
<< Mi dispiace! Ma sei ancora bagnato, vedo! Se vuoi, non è un problema, il pullman ci mette ancora mezz’ora e io ho una divisa scolastica di ricambio, taglia S. Credo ti stia anche larga, non c’è problema, me la restituirai quando puoi. >>
<< Mi dispiacerebbe privarti così !>> disse Key, rendendosi conto di esser davvero tanto in imbarazzo in quelle condizioni.
Poi accettò, e tornato in ufficio per cambiarsi, riuscì giusto in tempo per prendere l’autobus.
I due risalirono sul pullman e scambiarono altre chiacchiere.
Jonghyun non poteva crederci, era felice di aver finalmente incontrato il suo ‘enigma’, e si sentiva anche più tranquillo, tanto che la notte seguente le coperte gli rimasero addosso, e non finirono sul pavimento.
<< Domani il quarto anno non ha lezioni, giusto? Son state tutte sospese per gli esami del quinto anno. >> disse Key.
<< Giusto! L’avevo del tutto dimenticato! Fortuna che appunto le cose! Che ne dici di andare a prendere un caffè, domattina? L’officina è anche chiusa, non ho problemi d’orario. >> propose Jong.
<< Non ci trovo niente di sbagliato, va bene. >> dopo un secondo, Key sbarrò gli occhi.
Erano anni che non aveva conversazioni del genere con un suo coetaneo. Non si spiegava affatto come gli fosse uscito d’accettare.
Ma il che non gli dispiaceva, gli mancava così tanto un amico, pur non volendolo ammettere.
I due si diedero appuntamento la mattina dopo, quando avrebbero deciso il cafè dove recarsi.

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Capitolo 8
*** Such a pain.- ***


Domani le lezioni del quarto anno non ci saranno, non verrò a scuola. A domani, manda un messaggio quando sei di ritorno a casa.
Taemin aveva appena ricevuto il messaggio dal suo hyung.
A differenza dei genitori di Key, i suoi avevano concluso la carriera quando lui aveva compiuto undici anni.
<< Tae, è pronta la cena! >>
<< Omma, arrivo! >>
Lanciò il telefono sul letto, e senza pensarci due volte, scese a mangiare. La fragranza di pollo arrosto avvolgeva tutta la casa, e il suo stomaco era piuttosto attratto, tanto da generare acquolina in bocca.
<<Che buono! Yum! Buon appetito! >>
<< Anche a te, Taemin. >> rispose il suo appa, sorridendo.
Finito di cenare, Taemin tornò in camera sua, congedando i suoi genitori. <>
<< Va bene, non far tardi però, dopo, perché domani hai comunque scuola! >>
Taemin era già corso via per le scale, ed era tornato in camera sua. Si stese sul letto e rilesse il messaggio. Solo in quel momento gli venne in mente una cosa. Come sarebbe scampato a quei delinquenti senza il suo hyung? Era disperato.
Minuti dopo, si rese conto che si era soltanto fatto prendere dall’ansia.
<< Che scemo sono!! Son del quarto anno anche loro!! >>, urlò di felicità, scoppiando a ridere.
Gridò talmente forte, che la sua omma dal piano inferiore gli chiese se andasse tutto bene.
Controllò le sue mail, risposte al messaggio del suo hyung con un ‘Va bene, non preoccuparti. Buonanotte hyung, sogni d’oro!’, scese a dar la buonanotte ai suoi, s’infilò nel letto.
Non c’era pericolo, era una certa sicurezza. Si avvolse nelle candide coperte di cotone bianche e si addormentò, pochi minuti dopo.
Sorrideva anche mentre dormiva. La sua espressione da bimbo, così innocente e amorevole, rispecchiava perfettamente il suo carattere. Sua madre lo definiva ‘la dolcezza fatta persona’, e aveva ragione, non sbagliava di una virgola. Era, forse, la persona più generosa, seppur introversa, del mondo.
 
La mattina seguente, si alzò alle sei, come suo solito. Si preparò, si lavò, sistemò la borsa e scese giù, per la colazione.
Alle sette e mezza era pronto, salutò i suoi genitori, prese la borsa e s’incamminò verso scuola.
La pioggia del giorno precedente aveva lasciato spazio ad una bellissima giornata, ad un sole caldo e ad un cielo limpido e lui aveva deciso di andare a piedi.
Attraversò il cortile; nessun alunno di quarto in vista.
Sorride, sospirò, entrò in classe. Nessuna interrogazione, nessun compito, sembrava una giornata bellissima. Sei ore volarono – a Taemin piaceva davvero tanto studiare, imparare e star ad ascoltare qualcuno che ne sapesse più di lui, ma anche non forzatamente.
 
Bene, il suono dell’ultima campanella annunciava, come ogni giorno, la fine delle lezioni.
Doveva andare a casa, aiutare la sua omma con il pranzo e sistemare la camera, uscire e far delle commissioni. Perfetto, nessuna interferenza.
Scese le scale, attraversò velocemente il corridoio, tutto tranquillo.
Svoltò l’angolo, sicuro, per la prima volta in un anno, sorridente.
Quando udì qualcosa che tramutò quel sorriso in tremolio.
<< Signorinella, hehe! Ma che piacere! Non lo sai, siam qui apposta per te! Ci siam presi la briga di venir qui apposta, stupito di vederci? Maddai, sta tranquillo, non importa, non ti faremo niente di male.. >> e Jongin, detto Kai, scoppiò in una delle sue risatelle perverse.
Taemin era immobile, prima che potesse riuscire ad uscire per chiedere aiuto, i due compagni di Kai lo tennero fermo per le braccia, assicurandosi che non passasse nessuno.
Nella mente di Taemin si accavallavano i peggiori pensieri, peggiori. Incominciò a tremare.
<< Nello stanzino ragazzi, quando ho finito, vi chiamo. Avete le chiavi? A quest’ora non c’è nessuno, come di solito. Vi chiamo io quando ho fatto, non preoccupatevi. >>
Kai aprì lo stanzino e i due spinsero il più piccolo dentro. Kai socchiuse la porta, accese la luce di quel posto senza finestre, spinse il più piccolo vicino il muro.
<< Hai paura, ragazzina? Non devi preoccuparti, tesoro..non voglio farti del male! >> disse Jongin, slacciandosi la cintura, sbottonandosi i pantaloni.
Poi procedette, tirando giù i pantaloni del più piccolo, terrorizzato.
<< Smettila di tremare, ti divertirai, vedrai.. >> E con un braccio fece ruotare il più piccolo, con la faccia al muro. D’un tratto gli calò definitivamente i pantaloni, facendo scivolare anche i suoi piccoli e delicati boxer bianchi.
Taemin piangeva, al solo tocco di quelle sporche mani nelle sue parti intime, che lo sfregavano ripetutamente, vogliose, in cerca di qualcosa che lui conosceva bene.
Gli mise una mano sul sedere, glielo palpò, lo sfiorò con un dito.
Taemin provò a ribellarsi, ma appena provò ad urlare di lasciarlo andare, l’altro trovò il modo di farlo stare zitto. Tirò fuori la sua dote, determinato a soddisfare le sue voglie.


D’un tratto, un rumore fortissimo, fece fermare d’istinto Kai. Taemin cadde a terra.

<< Chi c’è lì dentro? Ho bisogno di prendere una scopa, è urgente. >>
Kai sbarrò gli occhi, Taemin cadde a terra e impallidì.
<< Un momento, stavamo discutendo. >>
Il più grande si tirò su i pantaloni.
<< Alza quel culo da terra, tu! Non finisce qui! >> rivolgendosi a Taemin.
Una volta sistemato, aprì la porta. << Chi c’è lì dentro? Ho bisogno di prendere una scopa, è urgente. >>
<< Ah, Choi, sei tu. Ecco, io vado a casa, ciao. >> Finalmente Jongin se n’era andato.

<< Cosa fai lì a terra? Jongin ti ha fatto qualcosa? >>
Taemin non riusciva ad aprir la bocca, guardava a terra, impallidito.
<< Santa miseria, rispondimi..devo portarti in infermeria? Tu hai bisogno di aiuto! >>

Il ragazzo prese sulle spalle Taemin, e lo trascinò fuori, nel cortile.
Gli chiese dove abitasse e fortunatamente Taemin riuscì a comunicarglielo.
Il più grande fece sedere, per un momento, Taemin. Gli diede dell’acqua e lo fece calmare.
<< Sta tranquillo, ora ti accompagno a casa. >>
Si diressero entrambi verso l’abitazione.

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Capitolo 9
*** Cheers on the freaking weekend.- ***


La ‘fatidica’ mattina era arrivata. Tornato a casa, aveva cenato, e fatto la doccia per assicurarsi più tempo la mattina seguente.
Non riusciva a rendersene conto, ma non si sentiva così felice da quando era partito per trasferirsi.
In realtà, non si sentiva nemmeno così spensierato da quasi un secolo.
Lo stress lo accompagnava ogni giorno, e il giorno seguente sarebbe stato l’unico, dopo mesi, di riposo, per pure coincidenze fra scuola e chiusura dell’officina.
Non ci aveva pensato due volte, però, a chiedere a quel ragazzo di uscire, e probabilmente la sua felicità stava anche nell’essersi rapportato, dopo tanto tempo, con un suo coetaneo, o meglio quasi.
Era presto, così gli venne una brillante idea. Entrò nel bagno, aprì delicatamente l’armadietto di fianco al lavabo, afferrò un piccolo barattolino di decolorante e un pennello per stesura.
Lo aprì con cura, con due becchetti si fermò le ciocche di capelli adiacenti al ciuffo.
Indossò un guanto di lattice alla mano destra, impugnò il pennello e ritoccò il ciuffo, donandogli maggiore tintura. Lasciò asciugare, andò in cucina.
Erano le dieci, ormai. Ci aveva messo così tanta cura, così tanta precisione, che gli sembrò di non avercene messa mai tanta.
Non aveva neppure così bisogno di essere ‘ritinteggiato’, quel ciuffo così preciso - aveva frettolosamente compiuto la stessa azione una settimana prima.
Ci mise un’ora, che volo via come un palloncino pieno di elio in aria.
E intanto nella mente di Jong si alternavano i pensieri più belli per la giornata che lo aspettava.
Una volta impacchettato con la carta stagnola il tutto, tornò in cucina, e si posizionò davanti al frigo.
Stette fermo per un momento. Dopo un pomeriggio di lavoro e una mattinata abbastanza impegnativa, successe una cosa del tutto differente dai soliti giorni : non aveva minimamente fame.
Si sentiva lo stomaco colmo, e allo stesso tempo leggero. Sentiva qualcosa formicolare al suo interno, che lo spingeva continuamente a perdere il respiro e sorridere.
Così si girò e decise di prender soltanto una rondella di liquirizia gommosa, estraendola dal grande barattolo sul marmo finto della dispensa.    
Spense le luci, accese l’abat jour. Si lanciò sul letto, incrociò le gambe.
Si guardò dritto allo specchio, continuava a sorridere. Notò quanto potesse essere sbadato – aveva dimenticato di ‘spacchettare’ il ciuffo e bagnarlo, per poi asciugarlo.
Pensò di esser davvero stanco, così si diresse in bagno e fece tutto. Finalmente aveva terminato.
Un biondo platino perfetto, trattenuto da una pinzetta marrone sul capo di Jong.
Finalmente poteva sedersi e gustare quella piccola delizia nera. Incominciò a srotolarla, ottenendo presto un lungo filo nero e gommoso. L’intreccio delle sue dita che scivolavano sinuose fra quel piccolo filo nero. Lo portarono alla bocca. Jong incominciò a mordicchiarlo e succhiarlo, e di tanto in tanto leccava le sue dita, portandole alle bocca e accarezzandosi il labbro inferiore, provocandosi una sensazione piacevole.
Finita quella piccola dolcezza, si stese sul letto, lasciando l’abat jour accesa.
Osservò il soffitto bianco latte, poi diede uno sguardo alla luna piena, che lo osservava, come una madre con suo figlio, dalla finestra. Una di quelle notti fresche e avvolgenti, tutt’altro che tenebrose, che cullano e accompagnano ogni piacevole pensiero.
Poi si rivolse di nuovo al soffitto e porto le mani allo stomaco.
Si accorse che era tutt’altro che stanco – la sua mente era occupata da altro.
Chi era quel ragazzo? E perché lui non riusciva a pensare ad altro?
La cosa di cui non si rendeva conto era, però, di quanto riuscisse a farlo stare bene.
Era stato un incontro da poco, due chiacchiere che si scambiano con chiunque, ma Jong continuava a pensare che non potesse trattarsi di qualcosa di casuale, non poteva esser così.
Abbracciò il suo cuscino, si coprì, si voltò di lato, lasciando la sua calda schiena nuda sul lato sinistro. Rimase sveglio a pensare ancora per un’ora, poi cadde in un sonno profondo.

La fatidica mattina era arrivata. Jong stava fermo ad aspettare l’autobus.
Aveva preso soltanto un bicchiere di latte per colazione, ma aveva trovato il tempo per stare mezz’ora allo specchio, stirarsi i capelli e ritoccarsi le sopracciglia.
Sembrava avesse un ‘primo appuntamento’ con una ragazza, la sua ragazza, per quanto si fosse sistemato.
Aveva indossato i jeans più costosi che avesse, e poi un maglioncino di cotone color grigio melange dallo scollo a V, dolce, che gli cadeva a pennello sul petto.
Stava fermo, con le mani in tasca, o meglio, cercava di star fermo.
I suoi piedi non riuscivano a farlo, continuavano a giocherellare, passandosi il peso del corpo fra loro, contro la volontà di Jong.
Sul suo viso, però, continuava a trasparire un leggero sorriso, tanto che quando salì sul pullman, l’autista gli chiese cosa fosse successo.
<< Torni a casa, Jong? Cos’è quel sorriso? >>
<< Per casa mi ci vorrà ancora un po’, esco semplicemente a fare un giro! >>
<< Certo che sei strano, una mattina che avresti potuto riposare, non l’hai fatto. Sai che ogni tanto ti farebbe bene una giornata di riposo assoluto, sì? Era un occasione eh! >>
<< Lo so, ma sai come la penso. Un giorno di svago non mi farà male, sarà quasi come dormire, forse meglio. >>
Si sedette, ma non indossò le cuffiette. Non ci pensò minimamente – a quanto pare non aveva alcun bisogno di distrazioni, quella mattina.
Arrivato alla fermata, si alzò in piedi, facendosi forza con un braccio contro il sostegno di ferro per sorreggersi.
<< Ah, Jong! Chi era quel ragazzo, ieri? Mi fa piacere che tu abbia un amico. >>
<< Amico? Ah, no! E’ semplicemente un conoscente! Buona giornata! >>
Nel rispondere, Jonghyun chiuse istintivamente gli occhi, sorrise in modo più aperto di quanto già non facesse e abbassò il capo, portando la mano destra dietro la testa, come vergognandosi.
Le sue guance erano rosse. Nel tragitto, le sue gambe cominciarono a tremare.
Ho bevuto del latte e anche riposato, cosa mi prende?’, diede uno sguardo all’orologio e proseguì il cammino, velocizzando il passo.
Si sedette davanti all’edificio dove si erano dati appuntamento.
Dieci minuti dopo, vide, in mezzo al traffico comune, una limousine nera, di lusso, avvicinarsi al marciapiede.
Si aprì lo sportello posteriore.
La prima cosa che pensò Jong, allo scendere di quella figura fu ‘è bellissimo’, senza pensare al fatto che potesse trattarsi di chiunque, soprattutto di un ragazzo.
<< Buongiorno, perdonami per il ritardo. Mi piace far aspettare le persone. >>
Jong sbarrò gli occhi. Un ragazzo con un ciuffo biondo, una giacca in pelle da cui traspariva una polo a righe. Il suo sguardo arrivò fino ai jeans strappati scuri, con rifiniture chiare, e le Prada rosse.
Dopo quella visione, riconobbe il soggetto.
Si diede una piccola scossa. << Buongiorno a te! No..beh..figurati! Sono io in anticipo! >>
<< Bene, andiamo allora. Proporrei proprio questo bar, la scelta del palazzo non era casuale. Però devi permettermi di offrire. >> aggiunse.
Jong non aveva nemmeno sentito quelle parole. Si era soffermato a quegli occhi, contornati da una linea scura di eye-liner, così belli, profondi e allo stesso tempo freddi.
E poi quel naso, quel naso così delicato.
<< Hei, hai sentito? >>
<< Sissì! Scusami, la prossima volta offrirò io, se la mettiamo così. >>
<< Va bene, dai, ora andiamo. >>
I due s’incamminarono, e intrapresero discorsi sugli insegnanti e sulle loro sezioni.
Jong scoprì che il ragazzo era un anno più grande di lui, e l’altro non sembrò stupirsi nello scoprire la minima differenza d’età fra loro.
<< Un tavolo per due nel salottino, per favore. >> ordinò il più grande, con tono autoritario.
Una volta al tavolo, i due sedettero uno di fronte all’altro.
Era un ambiente bellissimo – forse troppo elegante per Jong, che si sentiva un po’ a disagio.
<< Vieni spesso qui? >> chiese con aria interrogativa Jong, per dissimulare.
<< Generalmente sì, sono un cliente abituale. Mi piacciono i posti eleganti e tranquilli, son stato cresciuto così, la mia infanzia appartiene ad ambienti come questo. >>
<< Capisco. >> Jong annuì.
Arrivarono due caldi the al gelsomino e al mango. La loro fragranza si univa con quello delle rose chiare che decoravano l’ambiente, nei piccoli vasi, posti sul mobilio, e con l’odore degli antichi mobili in noce che donavano un tocco di classe delicato all’ambiente.
<< Ieri ha piovuto così tanto, temevo stamane facesse lo stesso. A dir la verità, la pioggia non mi dispiace affatto! >> a Jong veniva naturale parlar con tutti, ma con Kibum particolarmente. Poi aveva afferrato la tazza fumante e annusato il suo profumo, portandola alla bocca.
<< A me piace davvero tanto la pioggia. Mi ricorda la mia infanzia, quando osservavo le piccole lumachine camminare sul davanzale della mia finestra, e trovavo ripugnante il fatto di doverle poi chiamare ‘escargot’, mentre ascoltavo il suono di quella pioggia battente, come una via di fuga da qualunque cosa. >> Key sgranò gli occhi. Ci vollero dei secondi per rendersi conto di quello che aveva appena rivelato, e di quanta naturalezza si fosse servito per farlo, senza minimamente accorgersene.
Non parlava in quel modo da anni, anzi, non aveva mai parlato in quel modo a qualcuno. Non c’era mai più riuscito, dopo la sua infanzia. Si era abituato a non farlo – nessuno avrebbe potuto comprenderlo – ma cosa gli prendeva ora? Come aveva fatto? Con un ragazzo che conosceva da così poche ore, pertanto? In quel momento, sembrava conoscerlo da una vita.
Sembrò sbiancare, incantare lo sguardo, poi sorrise.
<< Tutto bene? >>
<< Certo, certo! >> rispose.
Un secondo dopo, Jong afferrò un piccolo biscotto al cioccolato, e lo portò alla bocca.
Come suo solito, lo prese, lo sfiorò con le labbra, lo fece scivolare delicatamente dentro.
Key stette immobile, fermo, a guardare quanto quelle labbra potessero accogliere quel piccolo pezzetto di pastafrolla marrone, e in che modo lo facessero.
Si sentì bruciare, quasi andare a fuoco. Qualcosa nel suo stomaco, più caldo di quella tazza di te fumante.
Il punto culmine arrivò quando Jong si leccò le dita. Kibum l’aveva sempre ritenuto un gesto ineducato, come da educazione.
Ma in quel momento lo estasiava così tanto, tanto da fargli socchiudere gli occhi e rimanere a bocca aperta.
I due finirono la colazione, Kibum stava ad ascoltare, conversò pochissimo, quasi non riuscendo più a parlare.
Pagò il conto; si diressero fuori.
<< Ora devo proprio andare, si è fatto mezzogiorno ormai..mi ha fatto davvero piacere incontrarti, grazie mille per la colazione. Spero di poter compensare. >> disse Jong, allungando la mano.
Key rimase immobile, poi la strinse.
<< Figurati, non preoccuparti.. >>
<< Bene..allora, ci vediamo, buona giornata. >> disse Jong, abbozzando un sorriso, mentre s’incamminava già.
Kibum stette fermo.
<< A-aspetta un momento! Quando ci rivedremo? >>
Subito, istintivamente, portò una mano alla bocca. Poi pose anche l’altra. Cosa gli prendeva? Non si capacitava di quanto non riuscisse a controllare quelle parole.
<< Dopodomani sera non dovrei avere impegni, aspetta! >> Jong fece per indietreggiare.
<< Hai un pezzetto di carta? >>, continuò.
Kibum estrasse il fazzoletto di stoffa rosso che fuoriusciva dal taschino della giacca e glielo pose.
<< Posso scrivere? Ecco, questo è il mio numero, manda un messaggio o fa una telefonata, ci metteremo d’accordo. >>
Istintivamente, afferrò il fazzoletto e lo baciò. Un bacio morbido e veloce. Gliel’aveva insegnato sua madre quando era piccolo, una cosa carina e dolce.
Salutò velocemente il Kibum e accellerò il passo verso la fermata.
Kibum rimase impietrito. Strinse quel foulard nel pugno, vicino al petto. Aveva un lieve e dolce profumo di cacao.

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Capitolo 10
*** Just a little thing.- ***


 
Il sole cocente di quel primo pomeriggio batteva sulla schiena umida di Taemin, trascinato per la strada di casa da quel ragazzo, di cui non conosceva nemmeno il nome.
Per quanto volesse chiederglielo, non ne aveva le forze.
Camminava con gli occhi sbarrati, la sua carnagione chiara appariva, ora, molto più bianca, lattea, quasi cadaverica.
Cosa era successo, quei gesti, quelle parole, quelle intenzioni non riuscivano ad andarsene; sembrava quasi lottassero per restare nella sua mente.
<< Manca poco, sta tranquillo, solo un altro piccolo sforzo. >>
Il ragazzo cercava d’incoraggiarlo, di tanto in tanto, a farsi forza, a non demordere.
Si erano fermati ad una fontana per strada, evitando di rimanere ulteriormente in quella scuola, sapendo che le voci dei curiosi si sarebbero presto sparse, attirandone altre a loro volta, e così via. Si sa come vanno certe cose.
Il ragazzo alzò la maglietta di Taemin e gli bagnò il petto, la schiena e la fronte per farlo riprendere.
Poi, lo riprese i spalla. La polo bianca e zuppa di Taemin si era adattata perfettamente alla sua schiena, diventando quasi velata, mostrando quella curva candida, longilinea, perfetta.
Arrivati al cancello di casa, il ragazzo fece appoggiare Taemin all’inferriata, poi citofonò.
La mamma di Taemin, però, aveva già osservato la scena dal balcone che dava sullo spiazzale, e si era apprestata a scendere le scale.
Una volta all’ingresso, era preoccupatissima.
<< Taemin! Taemin, cos’è successo?! >> non riusciva a trattenere il suo tono di voce.
<< Buongiorno signora, niente di grave, non si preoccupi. Taemin è svenuto mentre usciva dalla sua classe, probabilmente un calo di zuccheri. Lo lasci riposare ora. >>
<< Santo Cielo! Va bene, va bene. Come posso ricompensarti? >> la madre continuò ad esser tanto preoccupata, non sapendo come ringraziare quel ragazzo.
Era una buona donna, come il figlio d’altronde, premurosa e gentile.
Il ragazzo scosse la testa.
<< Niente signora, non si preoccupi. Piuttosto, mi permetta di portare il ragazzo dentro. >> disse questo, afferrando Taemin per un fianco e ponendo il braccio sulla sua spalla.
<< Certo, certo, prego!! >> la donna si apprestò a far strada al ragazzo nel piccolo viale circondato di cespugli di rose bianche.
Lo stesero sul divano, sembrava stordito. Riaprì gli occhi e gemette.
Il ragazzo disse di farlo riposare e dargli dell’acqua. Poi congedò la donna, ora più tranquilla, che non smise di ringraziarlo fino alla sua uscita.
Dopo poche ore, Taemin si riprese. Si mise in piedi, accennò un sorriso.
<< Tutto bene, omma, vorrei andare in camera ora, se possibile. Posso? >> chiese il piccolo, portando la mano alla fronte.
<< Sì, certo, certo. Come ti senti? Non sforzarti troppo, che paura ho avuto! >>
<< Non preoccuparti, omma! Vado a riposare, sto bene ora. >> tranquillizzò Taemin, mentre si dirigeva in camera.
 
Si appoggiò alla ringhiera delle scale, incominciò a salire.
Ad ogni scalino, quelle immagini aumentavano, in ripetizione; sembravano riprodursi, come le scene di un film, susseguirsi e proiettarsi nella sua mente.
Quelle parole si accavallavano, quel tono s’intensificava, i suoi ansimi si facevano più forti.

All’ultimo scalino, una lacrima salata percorse il suo viso, dall’occhio sinistro attraversò la lieve curvatura della guancia e degli zigomi, per poi terminare il suo viaggio al mento.
 
Entrò in camera, si lasciò chiudere la porta alle spalle. Si stese sul letto, supino. Guardò il soffitto, poi socchiuse gli occhi. Si sentiva così male, non riusciva a pensare ad altro.
Si portò le mani al viso, coprì il suo dolce volto, inondato dal dolore. Continuò a piangere.
 
Il giorno dopo, non si recò a scuola. Aveva nettamente dimenticato il messaggio per il suo hyung, che non si era preoccupato di informarsi, magari distratto da altro, come suo solito.
Verso le dieci del mattino, l’omma fece visita a Taemin.
Bussò alla sua porta.
<< Buongiorno piccolo mio. Ho preferito non svegliarti, ieri sera son salita, ma dormivi così bene. In ogni caso, è meglio che per oggi riposi. Ti ho portato la colazione. Sta tranquillo, rimani un altro po’ a letto. >>
<< Oh..grazie omma.. >> accennò Taemin, appena sveglio, mentre si stropicciava gli occhioni scuri, con i capelli arruffati e scomposti.
La mamma uscì dalla stanza.
<< Ah, Taemin! Dimenticavo.. ieri ti ha gentilmente accompagnato un ragazzo dai capelli scuri, ricordi? Sembrava più grande di te, ma indossava la divisa della tua scuola. >>
La sua omma fece per rientrare.
<< Oh.. ricordo, poco, ma ricordo. Non mi sembrava di conoscerlo.. >> aggiunse Taemin, sforzandosi di ricordare, grattandosi il capo.
<< Ad ogni modo, è bene che tu lo ringrazi. Non ti ha detto il suo nome? >>
<< Non mi sembra.. >>
<< Vado a preparare dei bisotti, cerca di pensarci. A dopo, amore. >> la mamma lasciò definitivamente la camera di Taemin.
 
Taemin si guardò attorno : aveva appena notato di essersi addormentato con i suoi vestiti, e di aver dormito davvero tanto.
La sua polo era ancora umida, dopo una notte e più.
Si affrettò a togliersela – non voleva aver addosso niente che gli ricordasse il giorno precedente.
Si alzò, andò in bagno, si sciacquò il viso, impastato dalle lacrime.
Osservò la sua immagine riflessa nello specchio, si passò ancora le mani sul volto.
Quella sensazione non era passata – era ripugnante, continuava a rabbrividire.
Si mise una mano alla cintura, per slacciarsela e mettere a lavare quei pantaloni, e contemporaneamente tentare di eliminare quei ricordi, inutilmente.
Improvvisamente, il suo sguardo si poggiò su qualcosa di chiaro, azzurro. Si accorse di un foglietto di carta nella tasca destra della sua divisa. Incuriosito lo prese, e, senza pensarci, lo aprì delicatamente.
Jongin non si sarebbe mai sognato di prendersi la briga di lasciargli un biglietto, dopo quell’avvenimento. Non avrebbe avuto alcun senso, quale altro avvertimento gli avrebbe potuto dar, ormai.

Se ti stessi chiedendo chi sono, Lee Taemin, il mio nome è Choi Minho.
Spero tu ti senta meglio.


Al legger di quelle parole, tutto tornò.
Solo ora si accorse di non essersi minimamente preoccupato di chi potesse essere quel ragazzo.
Subito gli venne in mente. Chi era quella persona, e che motivo avesse di aiutarlo.
Subito fu pervaso da una strana curiosità, una sensazione nuova: voleva scoprire.
Scoprire chi fosse, che motivazioni avesse.
Per un momento, i pensieri precedenti svanirono.
Si lavò, tornò in camera, pose quel bigliettino sulla scrivania, piegandolo con cura.
Scese in cucina – si sentiva stranamente di nuovo in forze.
Sul tavolo, un vassoio di biscotti di pastafrolla con gocce di cioccolato.
<< Ho pensato di prepararne un vassoio per quel ragazzo, che ne pensi? >>
A Taemin quell’idea non dispiaceva affatto. Si mise subito a prepararne un pacchettino, con l’intrigante intenzione di conoscerne il destinatario. 

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Capitolo 11
*** I’m so stupid.- ***


Key era appena tornato a casa. La limousine, guidata da un nuovo autista, aveva fatto capolinea davanti al ‘Madison bar’ all’ora prevista, e Key si sentiva quasi in dovere di complimentarsi con il nuovo autista.
Si chiuse la porta alle spalle. Si mise una mano nei capelli. Aveva preso la lussuosa ascensore tappezzata di velluto rosso, eppure il suo cuore batteva a mille.
Era senza fiato. Istantaneamente mise una mano sul fazzoletto nel suo taschino.
Subito dopo la guardò male, come a rimproverarla di quello che stesse facendo, disubbidendogli.
Cosa gli succedeva? Corse in bagno, si guardò allo specchio. I suoi occhi brillavano. Si passò le mani fra i capelli, si appoggiò alla parete.
Dopo pochi momenti, realizzò. Doveva smetter di pensare a quella mattina, a quel biscotto al cioccolato, ma soprattutto, al modo in cui l’aveva visto mangiare.
Ma il problema era un altro, chi l’aveva mangiato.
E soprattutto, quale potere avesse. Sì, era convinto avesse dei poteri. Eppure non aveva mai creduto nei supereroi, quanto meno nei superpoteri, da quando realizzò che suo padre non poteva esser uno di loro.
Ma quel ragazzo non era come gli altri. Eppure era così diverso da lui.
Kibum, no. Kibum, ti ferirà anche lui, sarai costretto ad andartene ancora, stavolta, come le altre, per scelta tua. Non puoi caderci di nuovo, non puoi.’ cercava di ripetersi, tamponandosi le guance con dell’acqua fredda.
Ma se la testa comandava questo, il suo cuore tutt’altro.
Key si conosceva fin troppo bene. Sapeva autogestirsi benissimo, era la coerenza in persona.
Si diresse freneticamente in cucina. Aprì il frigo, prese una bevanda energetica al limone.
Chiara, quasi platino. Platino. Subito gli vennero in mente i capelli di Jonghyun.
Nonono!’ pose subito la bevanda nel frigo, e quasi violentemente lo richiuse.
Poggiò i gomiti al tavolo, prese la testa fra le mani. Non poteva essere.
Basta, doveva distrarsi. Richiamò il suo autista, c’era una sola cosa da fare, andare a fare shopping.
Girò le migliori vetrine, tutto gli ricordava quel ragazzo.
Per un istante gli sembrò non ci fosse via di scampo. Non appena quel pensiero avvalse la sua mente, riprese a camminare freneticamente e cambiar vetrina.
Alle otto di sera era sfinito, ma la sua mente era ancora fissa. E ciò che la ravvivava maggiormente era l’appuntamento di due sere dopo.
Si sentiva eccitato,e allo stesso tempo ansioso. Quella fu una notte abbastanza insonne.
 
La mattina dopo si mise in piedi alle cinque, più sveglio della sera prima.
Si mise davanti allo specchio. Due lievi aloni viola gli coprivano il viso. Si lavò velocemente, prese del correttore.
Incominciò a coprire quelle imperfezioni velocemente, teneva tanto alla sua estetica.
La cosa che lo colpiva di più, però, non erano quelle imperfezioni.
Era il fatto che, pur sapendo di chi fosse la colpa, non riusciva ad attribuirgliela.
Avrebbe fatto così, come di solito, in altre situazioni. D'altronde, gli altri lo giudicavano sempre, perché attribuire le colpe a se stesso, se non alloro.
Ma non in quella, non adesso, non con lui. Ed era questo il punto: Key sapeva perfettamente cosa, o meglio chi, lo facesse sentir così; solo non voleva ammetterlo, e si aspettava di non farlo mai.
Indossò un paio di Chanel bianche.
 
S’infilò nella limousine.
<< Buongiorno signor Kibum. Volevo ricordarle che, stamane, mi ha telefonato la madre di Lee Taemin, dicendomi che i suoi genitori l’avevano fornita del mio numero. Dobbiamo passare a prendere il ragazzo. >>

Al sentir di quelle parole, Key sgranò gli occhi. Taemin, non aveva ricevuto nessun messaggio.
Poi si diede un colpetto, non poteva esser successo niente di preoccupante, doveva star tranquillo.

<< Perfetto, grazie dell’avviso. >>
 
Key si rivolse verso lo specchietto, poggiando il gomito sull’apposito rivestimento di pelle nera dello sportello.
Si accorse, poi, di un’altra anomalia. Non si era mai preoccupato di Taemin, cosa gli stava capitando?

Taemin, intanto, era fuori ad aspettare. La limu arrivò, e lui s’infilò in macchina.

<< Buongiorno. >>

Key notò subito qualcosa di strano in quel saluto, come nella rigidità del ragazzo.
Evitò di parlargli, fino all’arrivo a scuola.

<< Taemin, ti senti bene? Sei strano. >>
 
<< E..ehm. Niente, niente, non preoccuparti. >>

<< Non ho ricevuto nessun tuo messaggio ieri. >>

<< L’ho dimenticato, hyung. Potremmo andare in classe, ora? >>

Quelle parole, pronunciate da quella bocca, sembravano inverosimili. 
Key lo guardò perplesso, con aria preoccupata. Taemin si era già incamminato.
Quello non era Taemin, non era il Lee Taemin di due giorni prima, non era il Lee Taemin che conosceva dalla sua infanzia.
Si diresse nella sua classe, quasi correndo, con un velo di preoccupazione sul viso, senza neanche salutarlo.

Key era sempre più preoccupato, per la prima volta in vita sua, per Taemin.
All’intervallo, non si era presentato davanti alla sua classe. L’aveva visto seduto nel suo banco, con lo sguardo perso e distratto. Lui non era mai distratto nelle ore scolastiche, mai.
Key decise di agire, prese una decisione. Che quei bastardi senza gusto avessero fatto qualcosa a Taemin? Si diresse nella sezione A del terzo anno.

Ma verso di lui, si dirigeva qualcun altro, che per la seconda volta, gli andò a sbattere contro, distrattamente.
Gli occhi di Key s’illuminarono, era lui.

<< B-buongiorno! >> si sentì improvvisamente le guance bruciare.

<< Oh ciao! >> rispose.

<< Perdonami, sto scappando a lavoro, ci sentiamo, ciao! Non dimenticarti dell'appuntamento! >> Jonghyun si voltò, doveva sbrigarsi.

<< Aspetta un momento! >>
Key fece una cosa che mai si immaginava di dover fare. Afferrò Jonghyun per il polso, un’azione così spontanea che lo spaventò quasi, mollando il braccio dell’altro a mezz’aria.
Le sue guance si fecero più calde di prima.

<< Dovrei parlare con Jongin, sai dove posso trovarlo? >> il coraggio gli tornò. Sapeva che era per Taemin.

<< E’ nella mia classe! Entra pure, hai due minuti ancora d’intervallo, e io zero per il pullman! >>
e Jonghyun scappò così, via, lasciando Key estasiato, con il fiato a mezz’aria e il suo dolce profumo  sotto il naso.

<< Buongiorno. Avrei un problema, chi è il rappresentante di classe qui? >> Key si rivolse al professore in aula, attirando l’attenzione dei compagni.

<< Mi spiace, il rappresentante di classe oggi non è presente. >>

Un ragazzo si alzò freneticamente.
<<Ne prendo io le veci, non si preoccupi. >>

Si diresse fuori dall’aula, in direzione di Kibum. Non lo fece neanche parlare.

<< Ciao, sono Choi Minho, piacere. Ho intuito il perché del fatto che tu ti sia recato quì.
Jongin ha fatto quello che probabilmente temevi. Ho visto i suoi due compagni scappare, dopo avermi adocchiato, e.. ho trovato Jongin chiuso a chiave in uno stanzino. Taemin era a terra, stava per perdere i sensi. L’ho riportato a casa. Questa è la situazione, se posso far qualcos’altro, chiamami pure.
>>

<< Come faccio a sapere che tu non stia dalla parte di Jongin? >>

La campanella chiuse la conversazione dei due. Il ragazzo tornò di corsa in classe.
Per l’ora successiva, Key non pensò ad altro che alla sua preoccupazione.
Non riusciva a star fermo per il nervosismo. Cosa aveva fatto quel bastardo, cosa.
E poi Jonghyun, lo mandava così in confusione.
L’ultima campanella suonò. Key si era catapultato fuori dalla porta.
Cercò Taemin dappertutto, i suoi compagni di classe dissero che era già andato via.
Key si affrettò a tornare alla limousine, doveva recarsi a casa del piccolo, e anche in fretta.

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Capitolo 12
*** I'll be here for you.- ***


Key si precipitò nella limousine. Nel viaggio chiese ripetutamente all’autista di andare più veloce.
Una volta davanti casa di Taemin, si catapultò fuori dalla macchina.
<< Buongiorno, sono Kibum. >> subito l’omma di Taemin aprì il cancello, spingendo il tasto del citofono.
<< Kibum, da quanto tempo! >> esclamò l’omma, con un sorriso enorme sulla faccia.
<< Sì. Dovrei parlare un momento con Taemin, è in casa? >> chiese Key, quasi ignorando l’esclamazione della donna.
<< Sì, è tornato pochi minuti fa.. non vi siete visti all’uscita? >>
<< No, ma ho una comunicazione importante per lui. >> rispose Key, in tono freddo, ansioso di vedere il piccolo.
<< Oh, va bene, non c’è problema. Taemin, scendi! C’è Key qui! >> la donna si apprestò a richiamare il figlio.
<< Non preoccuparti, vado io in camera sua, grazie mille! >>
Kibum salì di frettissima le scale; i suoi piedi salivano due scalini per volta.
Arrivò alla porta, bussò.
<< Avanti. >>
<< Devi dirmi cos’è successo ieri. Devi dirmelo. Ho parlato con un ragazzo, Minho Choi. Mi ha preceduto, avevo intenzione di parlare direttamente con Jongin. Se ci fossi stato, non sarebbe successo niente. Per favore, parla. >>
Lo sguardo di Taemin si perse, improvvisamente. Quelle parole avevano rinfrescato tutto.
Si sentì mancare, si sedette.
<< Taemin, cos’hai? Parla, ti prego! >> gli occhi di Key si riempirono di lacrime.
Per la prima volta, sentiva di essere in colpa.
<< Lui….è meglio che tu non sappia, ora sto…bene..non importa. >> rispose Taemin, freddo, quasi vuoto.
<< Taemin devi dirmelo, ti scongiuro! >> una lacrima attraversò il viso di Key. Dritta, fredda.
Sbarrò gli occhi, subito si portò una mano al volto. Solo ora si accorgeva di quella goccia salata.
Erano anni che non piangeva, anni. Tremava quasi.

<< Jongin…mi ha chiuso in quello stanzino..insieme a lui..e ha cercato di..>> Taemin incominciò a tremare, la sua voce non riusciva ad uscir fuori dalla sua bocca.
Una moltitudine di lacrime scesero dai suoi occhi.

<< Taemin mi.. >>

‘Toc toc toc’ – furono interrotti da un dirompente tocchettio alla porta.
Key si portò subito una mano al viso per asciugar le lacrime, Taemin chiese chi era.

<< Sì? >>
<< Sono Choi Minho, è permesso? >>

Taemin sbarrò gli occhi.
<< Un momento! >> si sfilò il cravattino sciolto della divisa, si passò una mano nel ciuffo, scosse la testa.
Si asciugò le lacrime, si sfilò la camicia, prese una maglietta dal cassetto, la sua preferita.
Se la mise. Key lo guardava con aria interrogativa.
Nascose la camicia sotto il letto. << Prego, prego! >>

<< Buongiorno. Perdonatemi l’intrusione. Vorrei soltanto scambiar due parole con voi.
Kibum, sapevo saresti venuto qui. Mi dispiace per Jongin, davvero.

Volevo soltanto ricordarvi che ho preferito dire alla tua omma che, beh, non era successo niente di grave, che avevi avuto un semplice calo di zuccheri. Non volevo si preoccupasse, vista la situazione. >> disse il ragazzo, restando in piedi, scandendo tranquillamente le parole, in posizione composta, eretta, con le mani giunte dietro la schiena.

<< L’avevo intuito. Vorrei soltanto accertarmi del fatto che tu non stia dalla parte di Jongin, caro Choi Minho, come dici. >>
Kibum aveva riacquistato il suo tono sicuro, imponente.

<< No, Key, no! Lui mi ha salvato, è entrato in tempo! Jongin è andato via! >> interruppe Taemin.

<< Non sono dalla parte di Jongin, apparteniamo a due gruppi diversi. Puoi chiedere conferma a lui. Inoltre non avrebbe avuto motivo di andare via, se stessi nel suo gruppo. >> disse in tono serio, Minho.

<< Bene. >> Key portò le mani ai fianchi, in posizione d’osservazione.
‘drindrin drindrin’ – il telefono di Key squillò improvvisamente.

<< Pronto? Certo, sarò lì fra dieci minuti, mi attenda. Grazie. A dopo. >> Key terminò la telefonata.

<< Mi spiace, devo andare. Il mio gestore mi ha richiamato per una comunicazione urgente, altri documenti. Non appena tornerò a casa, ti telefonerò. D’ora in poi, la mattina passerò a prenderti in limousine, e la stessa cosa succederà all’uscita. Ora devo andare, buona giornata. >>
Key si apprestò ad uscire, salutando di due.

Taemin annuì. Minho salutò educatamente.
La porta si chiuse. I due stettero ad osservarsi per qualche secondo, poi voltarono lo sguardo, quasi imbarazzatti.

<< Prego, siediti pure! >> disse Taemin, facendo spazio sul letto dov’era seduto.
<< Grazie mille. >> Minho si sedette.
Taemin avvertì una leggera pressione al cuore, per una frazione di secondo. Aveva la possibilità di conoscere il suo enigma. Gli si era presentata così, quest’opportunità, così inaspettatamente.
<< Volevo…ringraziarti. Per l’altro giorno. >> disse, con un filo di voce.

<< Non preoccuparti, l’importante è che ora vada tutto bene. >> disse Minho, abbassando lo sguardo.

Taemin rabbrividì.

<< Vorrei sapere una cosa. >> chiese timidamente. << Come conoscevi il mio nome? >>

<< Ho sentito parlare di te da Jongin, Sehun e Tao. Sono tipi molto ambigui, sono ossessionati dai tuoi tratti dolci. Non potevi esser che tu, hai un viso molto delicato. >>

Il cuore di Taemin prese a battere incondizionatamente. Anche il suo respiro aumentò.
Si tirò indietro, incrociò le gambe sul letto.

<< Parlami un po’ di te, mi piacerebbe conoscerti meglio. >> chiese Minho.
Taemin rimase impietrito da quella domanda. Il suo respirò cambiò di nuovo.
Non gli apparve, poi, così strana. Quella richiesta non aveva secondi fini, ne era sicuro. Quel tono glielo comunicava.
Incominciò a parlare, descriversi, poco a poco. Anche Minho lo fece. Si conobbero in un’ora, come se si conoscessero da una vita.

Minho aveva incominciato ad aprirsi, a mostrare i suoi primi sorrisi all’altro.
Taemin sentiva il cuore fermarsi ad ognuno.

<< Devo confessarti una cosa! Il tuo sorriso è uno dei più belli che io abbia mai visto. >> disse Taemin, con naturalezza. La sua omma gli aveva insegnato ad esser sincero, con tutti, sempre, a dire quello che pensava, in ogni situazione.

<< Grazie mille. Io credo tu sia molto carino. >> disse Minho, mostrando un sorriso molto grande.
Le sue guance arrossirono.

Il cuore di Taemin, ora, si era fermato per ben tre secondi. Tre lunghissimi secondi.
C’era qualcosa di strano in quel ragazzo, e allo stesso tempo bellissimo.
Taemin non riusciva a capire cosa gli succedesse. Sapeva soltanto che stava pregando affinchè quel pomeriggio non finisse mai.

<< Ora devo andare, mi spiace. Ci rivedremo a scuola. >> disse ad un tratto Minho, alzandosi e voltandosi verso la porta. Fece un passo.
 
<< Aspetta, aspetta un momento! >> fu bloccato dalle parole di Taemin.
Queste uscirono così. Naturali, quasi supplichevoli.

<< Aspetta, resta ancora. >> Taemin si alzò in piedi. Erano ad un metro di distanza.

Minho si voltò. D’un tratto prese il volto di Taemin fra le mani. Lo guardo per dieci lunghi interminabili secondi. Sentì quelle guance scottare sotto le sue mani.
Dolcemente, gli si avvicinò, lasciando sulle sue labbra un dolce bacio.

<<Ora ti confesso io una cosa: aspetto questo momento da un anno. >>
Minho si voltò.

Taemin non aspettò altro tempo, fece una cosa istintiva, che mai si sarebbe sognato di fare.
Afferrò le spalle di Minho, lo fece ruotare. Questa volta fu lui a baciarlo.
Fu un bacio molto più lungo, passionevole.
Dopo quasi un minuto, i due si staccarono l’uno dall’altro. Si scambiarono l’ultimo sguardo, finchè Minho non uscì fuori da quella stanza.

Taemin rimase fermo, portò le sue mani, incrociate, alla bocca.
Qualcosa in se diceva di aver fatto la cosa giusta.
Si sentiva al settimo cielo, mai stato così bene, mai così pieno.
Mai sentito così soddisfatto.
Era sicuro di rivederlo, e sapeva che la data non era poi così lontana.

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Capitolo 13
*** Sorry, I can’t wait.- ***


Un altro pomeriggio di lavoro era passato. E nella testa di Jong vagava sempre lo stesso pensiero.
Era da tre giorni – a dire il vero da una settimana – che non riusciva a toglierselo dalla testa.
Poi, quell’appuntamento. Mancava soltanto un giorno. Sentiva di non potercela fare.
Sembrava avesse due stelle dentro i suoi occhi – il suo capo gli chiese anche cos’avesse, l’autista del pullman era ormai quasi abituato, seppur stranito – il suo stomaco era tremendamente in subbuglio; da quella sera, la fame era quasi svanita, sembrava nutrirsi per necessità, e non per appetito.
Non appena si accorgeva che le sue mani incominciavano a sudare, e la sua mente a distrarsi, scuoteva la testa, stringeva forte gli occhi per riacquistare concentrazione.
Era un ragazzo, era solo una serata da amici, o quasi.
Finita la riparazione di un motore, si pulì le mani dal grasso nero che lo infastidiva.
Entrò nello spogliatoio, slacciò la zip della sua tuta da lavoro che gli cadeva direttamente sui pettorali di quel fisico piazzato, ma allo stesso tempo asciutto. Se la sfilo, indossò subito il suo jeans di ricambio e la sua maglietta. Congedò il capo e si recò verso la fermata del pullman.
Ultimamente, si sbrigava sempre in anticipo dal lavoro, non che ne avesse di meno.
Le ore sembravano volare via, così, in un battito di ciglia. Anche quelle scolastiche, per giunta.
Si sistemò la borsa sulla spalla, incominciò a camminare per quel viale, passo dopo passo.
Le giornate si erano allungate, l’aria era fresca, il cielo quasi limpido, coperto di un leggero rosa candido.
Quel leggero vento soffiava delicatamente sulla morbida pelle di Jonghyun, così dolce, quasi scura.
Alzò il capo. Di colpo il suo cuore iniziò a battere. I suoi piedi si bloccarono, poi incominciarono a velocizzare il passo.
<< Buonasera. >> disse tranquillamente, cercando di trattenersi.
Si rivolgeva ad un ciuffo biondo con delle Chanel bianche, appoggiato al muretto di fianco alla fermata.
<< Uh, buonasera! >> rispose questo, sorridendo. Non aveva mai ammirato un sorriso così, sulla faccia di quel ragazzo.
<< C-cosa ti porta qui? >> queste parole uscirono dalla bocca di Jong. Così impavide, dirompenti, ma contemporaneamente dolci. Non ruppero l’atmosfera, strana, delicata.
<< Ancora documenti.. >> disse Kibum. Ma il suo tono era quasi vago, Jong se ne accorse. Era, seppur l’unico a saperci fare con Key, un bravo ascoltatore.
<< Bene. >> disse Jong, grattandosi il capo e sorridendo, abbassando lo sguardo, perso, quasi dispiaciuto di una risposta mancata, seppur riconoscendo mutevole falsità in quella risposta.
Key sorrise. Passarono lunghi secondi prima che qualcuno riparlasse. Entrambi erano con gli sguardi a terra, quasi persi. Ognuno tentava di legger nel pensiero dell’altro, chiedendosi a cosa fosse rivolto, sperando ne fossero rispettivamente le risposte.
<< In realtà, ti stavo aspettando. >> questo ruppe il silenzio. Per l’ennesima volta, parole incontrollate erano uscite dalla bocca di Kibum. Ma cosa gli prendeva nell’ultimo periodo, quasi ci stava facendo l’abitudine.
<< Sembra che riesca a parlare così naturalmente soltanto con te. >> non gli diede il tempo di far domande. A differenza della prima, questa frase era voluta. Erano parole pesate, coerenti.
Ma quella frase non era affatto una giustificazione per la prima, bensì una conferma.
Oltre al cuore, era la sua mente a parlare. Si erano quasi alleati, adesso, quello stomaco in subbuglio e quel cuore che non smetteva di battere, per entrambi, determinati a sconfiggere i paradigmi mentali che in quel momento li dividevano.
 
<< Non sarei mai riuscito ad aspettare un’altra giornata, ne son sicuro. Di tante cose che stanno succedendo in questo periodo, sei l’unica in grado di distrarmi. >>

Jong stava in silenzio. Non poteva credere a quelle parole, subito un’improvvisa risposta a tutte quelle domande che si era posto, una conferma a tutti quei pensieri che gli giravano per la testa, il cui protagonista era sempre e costantemente Key.
Non disse nulla, si mosse di scatto. Si staccò dal muretto, dove si era appoggiato, ad un metro di distanza dall’altro.
Si avvicinò, si tirò il ciuffo in dietro con una mano. Chiuse gli occhi, lo baciò.
Gli occhi di Key si chiusero, le labbra si lasciarono trasportare da quel bacio dolce.
I due si staccarono, senza allontanarsi. Non ci furono parole, solo un intenso sguardo.

Poi Kibum afferrò, quasi violentemente, con determinazione, la nuca dell’altro. Se lo portò a se.
Fu un bacio molto diverso. Nel silenzio di quella strada isolata, solo il rumore delle loro lingue che si scontravano, si abbracciavano e poi dolcemente si muovevano. Sembrava quello fosse il loro unico fine. Fu un bacio lunghissimo, un’armonia incontrastante.

Kibum abbracciò con le gambe la sottile vita dell’altro, all’in piedi di fronte a lui, come a volersi aggrappare, chiedere che la fine di quel bacio non esistesse.
 
Si staccarono. Si guardarono ancora, i loro occhi s’incrociarono magneticamente più volte.
Key non sciolse le sue gambe, quantomeno le sue braccia dal collo di Jong.

<< Non voglio prendere quel pullman. >> sussurrò Jong.
<< Non voglio tornare a casa. >> gli rispose Key.

Jong si scostò, facendo cenno a Key d’incamminarsi. Prese la sua borsa.
Furono tre isolati pieni di sguardi, morsi sulle labbra, sorrisi. Entrambi osservavano ogni singolo movimento, ogni naturale espressione dell’altro, come se, intorno a loro, non ci fosse nient’altro che quei gesti.
Arrivarono a casa di Jonghyun, e Key si fece strada.

<< Prego, entra pure. Non è niente di quello che ti aspetti, quest’è poco ma sicuro. >> Jonghyun si diresse verso la camera.

<< Accomodati pure sul divano, arrivo. >>

Jong si diresse in camera. Appannò la porta dietro di se. Poggiò il borsone, si sfilò la maglietta.
Key, però, non attese. Osservava, da dietro la porta, quel sinuoso movimento di quel corpo che non poteva essere descritto, così delicato, così sensuale.
Entrò istintivamente.
Senza dire una parola gli andò incontro. Jong si girò, di colpo. Non ebbe il tempo di pronunciar parola, Kibum lo baciò. Fu, ora, uno di quei baci tremendamente lunghi e pieni di passione. Eravamo a tre, e non furono di certo gli ultimi della serata.
 
Key fece per spingere Jonghyun sul letto. Questo non fece resistenza.
Si stesero, senza mai smettere di baciarsi. Key si sfilo il maglioncino di cascemir, che aveva precedentemente cambiato alla divisa scolastica, una volta recatosi in ufficio.
Tocco delicatamente, quasi sfiorando, gli addominali di Jong. Erano così scolpiti, così possenti.
I suoi slip si facevano sempre più stretti. Jonghyun gli sfiorò le labbra con un dito, facendolo scendere lentamente, proseguendo per il collo, per quei pettorali dolci, delicati, per tutto il busto, fino ad arrivare al bottone dei pantaloni.
Lo slacciò delicatamente, lo sfilò. Il respirò di Key aumentò.
Jong portò la sua mano sui delicati slip Chanel dell’altro. Fece per sfiorare anche quella parte, con fare delicato, naturale, come suo solito.
Key ansimava, le loro bocche si unirono nuovamente. Anche Kibum passò a slacciare, e sfilare delicatamente i pantaloni di Jong.
La situazione cambiò, Jonghyun si stese e Key gli si appoggiò delicatamente sul corpo. I loro busti si toccavano, tutto il loro corpo era a contatto, anche i loro membri.

<< Sei sicuro? >> chiese Jong, intrepido.
<< Facciamolo. >> rispose Key, con un soffio di voce.
Le loro bocche si sfiorarono poi, quasi violentemente stavolta.
La mano di Key scivolò lentamente negli slip di Jong, provocandogli piacere.
L’altro ricambiò, strofinando ritmicamente la mano sul membro dell’altro, poi accarezzandolo.
I respiri dei due erano quasi al limite, gli ansimi riempivano quell’appartamento.
Erano soltanto loro, loro e tutto il mondo, il loro mondo.
Key si sentiva stranamente felice – per la prima volta nella sua vita si sentiva come se non gli mancasse niente, finalmente in pace con se stesso, finalmente soddisfatto di tutto.
Jonghyun si sentì libero – come se il suo stress non fosse mai esistito, come se il resto del mondo, delle stelle, dell’infinito in quel momento non esistesse.
Erano soltanto lui e Kibum, loro e nessun altro.
 
Fecero l’amore tutta la notte, senza mai chiedersi cosa sarebbe successo il giorno dopo.
Non perché non importasse, ma perché entrambi i loro cuori speravano con tutti se stessi che un domani non esistesse, che quella notte non finisse mai.

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Capitolo 14
*** I’m fallen without you.- ***


Quella mattina, nessuna sveglia era suonata. L’aveva disattivata, prontamente, Jong, la sera precedente, fra un bacio e l’altro.
Un raggio di sole aveva appena svegliato Kibum, colpendolo negli occhi.
Stropicciò i suoi occhi, cercando di tenerli aperti. Poi, gli venne istintivo dare uno sguardo a Jong.
Uno di quegli sguardi amorevoli, gratificanti. Il primo in vita sua.
Dormiva così bene, sembrava un piccolo bimbo. Era a pancia in giù, con le braccia avvolte al cuscino. Le sue dolci palpebre chiuse lo facevano sembrare un angelo. Le sue rosee guance erano diventate la tentazione di Key. Poi le labbra, erano così morbide, dolci. Dopo quella notte erano sue.
Aveva finalmente trovato qualcosa di molto più importante delle sue Prada, anzi, di tutte le sue scarpe.
Mille altre notti’, si erano addormentati sussurrandosi questa frase nelle orecchie, dolcemente.

Key doveva alzarsi, aveva bisogno di sapere che ora fosse. Ma quelle labbra lo tentavano così tanto.
Qualcosa dentro di lui lo spingeva a baciarle, ad accarezzarle, sfiorarle, venire a contatto con queste. Ma, contemporaneamente, aveva paura di svegliarlo.
Si morse il labbro inferiore, gli sfiorò con una mano la guancia.
Poi, calmò le sue voglie. Si alzò lentamente, sfilando il suo braccio da sotto il busto dell’altro.
Raccolse i suoi vestiti, inforcò con due dita le sue scarpe, tenendole per la parte posteriore l’una con un dito e l’altra altrettanto. Fece per uscire, si rivestì.
Controllò il cellulare, erano le sette. Era ancora in tempo per andare a scuola, ma doveva sbrigarsi.
Si affacciò per un ultima volta alla porta della camera di Jonghyun. Lo guardò, sorrise.
Poi, decise di lasciargli un bigliettino sul tavolo.

Ho già voglia di rivederti. Chiamami appena esci dal lavoro, stasera.

Scrisse il suo numero, estrasse il burrocacao alla fragola dalla tasca della sua giacca, se lo applicò velocemente. Baciò sensualmente il bigliettino, lasciando un impronta lieve e profumata.
Chiuse velocemente la porta, facendo attenzione a non fare rumore.

Non c’era altro modo di tornare velocemente a casa, se non chiamare il suo autista.
Per quanto non volesse che si sapesse che fosse rimasto per una notte fuori casa, sapeva che non ci sarebbe stato niente di male da pensare. In quel momento, non gli importava niente.
Dopo cinque minuti, la limousine arrivò.
L’autista non fece domande, Kibum non diede spiegazioni.

<< Mi aspetti qui, scenderò fra mezz’ora. >>

Kibum tornò nel suo appartamento, si preparò e riscese. Prima di uscire, si diede uno sguardo allo specchio. Abbottonò anche l’ultimo bottoncino della camicia, cosa che non era solito fare – doveva necessariamente nascondere quel grosso succhiotto violaceo, coperto successivamente da un morso profondo.

In dieci minuti furono davanti l’abitazione di Taemin.
Questo scese e s’infilò in macchina.

<< Buongiorno Taemin! >> Kibum non si accorse nemmeno del tono gioioso e inusuale che aveva appena utilizzato, e neanche dell’enorme sorriso che aveva stampato in faccia.

<< Buongiorno, buongiorno a te mio hyung! >> nessuno si accorse della troppa felicità dell’altro.

Parlarono per tutto il viaggio, mai successo in tanti anni di conoscenza.
Cinque ore passarono velocissime, la sesta si concluse altrettanto velocemente.

Jong, a fine lezione, incamminandosi per i corridoi, notò che Taemin portava, fra le mani, un sacchettino di seta giunto con uno spago delicato.
Cercò di mangiare la sua curiosità – era pur sempre Kim Kibum.

<< Jongin non si è fatto più vivo. >> disse.
Taemin sospirò, annui e sorrise. Poi velocizzò il passo.
Key lo seguì – per la prima volta era lui a seguirlo in una situazione del genere.

Taemin avanzò, si mise sulle punte, scrutò le persone. Poi s’incamminò.
Dopo qualche passo, si fermo di scatto.
Minho Choi gli passò davanti, a un metro di distanza.
Tutto attorno a Taemin scomparì, tranne lui.

<< Minho! >> esclamò. Non sapeva neanche da dove l’avesse preso quel coraggio.
L’altro si voltò, gli lanciò uno sguardo. Senza degnarlo di altra attenzione, si rigirò e andò via.

L’espressione di Taemin mutò in un attimo. Seguì Minho con lo sguardo, tutto ricomparve.
Si accorse solo ora che l’altro era circondato dal suo gruppo, fra cui Jongin.
Quest’ultimo farfugliò qualcosa, che arrivò come un bisbiglio a Taemin. L’aveva osservato anche lui.
 
Taemin si sentì vuoto. Gli occhi si riempirono di lacrimoni, incominciarono a bruciare.
Ma oltre agli occhi, gli bruciava anche il cuore. Portò due dita alle labbra, ricordò quei baci.
 
<< Taemin, tutto bene? >>
<< S-sì. Andiamo a casa, ora. >> di nuovo quel tono freddo.

Il viaggio di ritorno fu molto diverso dal primo. Key aveva osservato per tutto il tempo il piccolo, con la faccia incuriosita di chi non sa, ma vuol sapere a tutti i costi, senza esser troppo indiscreto.
Taemin non lo degnava di uno sguardo. Il suo era perso, lì da qualche parte, fuori dal suo finestrino.
 
Tornò a casa, la sua omma non era ancora tornata.
Entrò in camera, si stese sul letto.
Si sentiva il cuore stranamente trafitto.
Perché l’aveva fatto, si era forse pentito? Era dalla parte di Jongin? Il suo hyung si sbagliava, era del suo gruppo?
No, non poteva sbagliarsi. E Minho non poteva esserlo. No.
Taemin non poteva aver provato quel sentimento così strano, con una persona così.
Il suo cuore glielo suggeriva, la sua mente era troppo offuscata per trarre conclusioni.
Si mise a pensare, sotto le coperte, ma si addormentò dopo una manciata di minuti.
 
Si svegliò dopo due ore per via di uno strano tocchettio alla finestra.
Saltò letteralmente per aria.
 
<< Taemin, sveglia! Sono io, puoi aprir tranquillo! >>
qualcuno stava sussurrando.
 
Taemin pensò istintivamente alla voce di Jongin. Poi realizzò che non poteva esser la sua. Era troppo delicata, seppur esortativa. Troppo fine, troppo educata, troppo pulita.
Scostò le tendine. Era Minho.
 
Non voleva vederlo, anzi voleva vederlo. No, non voleva.

<< Ti sbrighi ad aprir la finestra, o vuoi lasciarmi quì a rischio di cader giù? >>

Realizzò subito che l’altro era fuori, al piano superiore, sul cornicione di una finestra sul retro, la finestra della sua camera.

<< Certo! >> si affretto ad aprire, diede una mano all’altro.

<< Sono qui per scusarmi, Taemin. Oggi non ti ho salutato. Penserai, che stupido, prima mi bacia e poi si vergogna di salutarmi. Spero tu non sia a pezzi. Posso spiegar.. >>

Un ceffone enorme cadde dalla mano destra di Taemin sulla guancia sinistra di Minho.
Le lacrime del più piccolo cominciarono a battere ritmicamente sul pavimento.

Minho rimase zitto.

<<Stupido dici? A pezzi? Come pensi mi possa esser- >>

Non riuscì a concludere la frase. Minho mosse un passo e lo baciò. Era il terzo bacio.

<< Non ho scavalcato un piano rischiando di esser preso per un ladro per niente. Mi dispiace davvero. Non voglio che Jongin sappia del nostro legame, è per il tuo bene. >>

Taemin chiuse gli occhi e lo abbracciò.

<< Jongin ha smesso, da quando hai fatto irruzione in quello stanzino. >> sussurrò, mentre le lacrime affogavano le sue parole.

<< Lo so, ma non importa. Ora vieni, calmati. >>

Si sedettero sul letto. Taemin si stese, appoggiò la sua testa sulle gambe magre e scolpite di Minho.
Questo, gli accarezzava i capelli, passando dolcemente le sue dita su quella cute, attraversandone quella frangia ben pettinata.
Taemin sembrava un bimbo, aveva le gambe ripiegate e le mani semichiuse sul viso.

Poi, si allungarono. Il letto era ancora aperto, si misero sotto le coperte.
Taemin ricordò solo ora che la sua omma sarebbe rimasta a lavoro tutto il pomeriggio, come da avviso sulla lavagnetta letto la mattina stessa, e il suo appa era fuori città.

Taemin si voltò, dando le spalle a Minho. Minho lo strinse a se, cingendogli il petto.

<< C’è una cosa che devo dirti, Minho.. >> sussurrò Taemin.
<< Non so quale potere tu abbia, non so cosa tu sia in grado di farmi. E’ che da quando ti ho conosciuto che non riesco a pensare ad altro che te. Il tuo sguardo, la tua voce, il mio profumo. >>

continuò, sospirando. Poi, prese la mano di Minho e la baciò.
Il respiro dell’altro si bloccò per un attimo.

<< Sei il mio supereroe. >> disse, infine.

<< Sei la cosa più bella che io abbia mai visto. >> rispose l’altro, chiudendo gli occhi.

I due stettero così per un’altra ora, infinita, lunghissima.
Taemin si girò, si coccolarono ancora, si baciarono ancora.
Le due ore più belle della loro vita. Della loro vita fin ora. 

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Capitolo 15
*** Where have you been?- ***


Jonghyun si svegliò pochi minuti dopo che Kibum aveva lasciato la sua casa.
Saltò quasi per aria, cercò a tentoni il corpo delicato di Key, nella speranza che quella notte non fosse finita.
Non trovandolo, spalancò gli occhi.
Yaaaaaawn’ – sbadigliò. Non aveva mai passato una notte così bella, non era mai stato così felice di alzarsi in piedi.
Subito si diresse in bagno, l’aspettava una bella giornata. Si preparò, mise una goccia del suo profumo – lo faceva solo nelle occasioni tanto speciali quanto uniche.
Tornò in camera, si vestì, prese la borsa e la preparò.
Poi si diresse nella cucina, notando qualcosa di strano sul tavolo.

Ho già voglia di rivederti. Chiamami appena esci dal lavoro, stasera.

Ho già voglia di vederti anche io, anzi, non mi è mai passata.’, pensò.

Nella sua mente, solo Kibum. Solo le sue labbra, quelle morbide e candide labbra che aveva baciato per un’intera notte. Quel corpo magro, longilineo, quasi femminile. Quella voce delicata, ma allo stesso tempo dirompente. Non c’era mai stato qualcuno in grado di farlo sentire così.
Eppure ne aveva avute di fidanzate – era un ragazzo abbastanza ambito, per quanto evitasse di farsi notare e mettersi in mostra.
Notò sul bigliettino un lieve stampo, delle labbra, quelle labbra. Le prese, e le portò alla bocca.
Ripose il bigliettino nel suo portafogli di jeans blu, si preparò dei toast fragranti e si diresse verso la scuola.
Sul pullman, estrasse di nuovo quel bigliettino. Lo prese, se lo passò fra le mani, se lo portò sotto il naso, sentì quella lieve e delicata fragranza di fragola, lo sfiorò con le sue labbra, lo rimise nel portafoglio.
L’autista non ci faceva quasi più caso – Jong era un ragazzo così per bene, non c’era da preoccuparsi.
Arrivò a scuola. Le ore passarono subito – così in fretta da non dar nemmeno minimo peso alle parole dei professori. D'altronde, dopo quella notte, cos’avrebbe potuto fare?
Si diresse a lavoro, quella giornata sembrava volare.
Una volta alla fermata, si ricordò del giorno precedente. Aveva ancora dieci minuti da aspettare, pieni zeppi di altri ricordi. Sembrava tutto un flashback della giornata precedente.
D’un tratto gli venne in mente di fare una cosa. Afferrò di getto il cellulare, estrasse con delicatezza quel bigliettino, digitò quel numero.
Portò subito il telefono all’orecchio. Uno, due, dieci, venti squilli. Niente.
Il sorriso di Jong divenne quasi rassegnato. Nessuna risposta, probabilmente Kibum non aveva sentito il telefono. Beh, toccava ritentarci.
Per tutto il viaggio – in cui si dimenticò per l’ennesima volta di salutare l’autista, ormai abitudinario – guardò il cellulare, nella speranza di un messaggio di avviso.
Estraeva il telefono dalla tasca, poi alzava gli occhi al cielo.

Eddai Kibum..’ stava quasi pregando per quel messaggio.
 
Tornò a casa, si cambiò. Prese di nuovo quel cellulare, ritentò. Nessuna risposta.
Ora, le sue diventavano preoccupazioni. Perché Kibum non rispondeva? Poteva essergli successo qualcosa? Cosa? Stava bene? O magari non aveva voglia di sentirlo, parlargli? Oppure aveva avuto qualche problema? Il respiro di Jong incominciò ad aumentare.

Rinunciò a preparare una cena e mangiar qualcosa – il suo stomaco era definitivamente chiuso.
Si stese sul letto. Fu una notte così lunga, così insonne. Il giorno dopo, era domenica. Non c’erano problemi per il ‘riposarsi’ – in quel momento sembrava non avesse affatto bisogno di dormire.
La stanchezza si era dileguata, o meglio nascosta. Era impossibile per fino riposare.
Rimase una notte a pensare, sudò tantissimo dalla preoccupazione. Si girò e rigirò.

D’un tratto, decise di inviargli un messaggio. Per quanto fosse tardi, il giorno dopo l’avrebbe letto.

Sono abbastanza preoccupato, ti prego di rispondermi. Jong.

A distanza di ore, nessuna risposta.
Si addormentò alle quattro del mattino, quando finalmente la stanchezza ebbe il sopravvento.

Alle dieci riaprì gli occhi. Per prima cosa, afferrò il cellulare, che quella notte aveva dormito al posto di Kibummie, due sere prima.
Niente, nessun messaggio. Jong si passò una mano sulla fronte. Era sudatissimo.
Si alzò di scatto, doveva far qualcosa.
Si mise sotto la doccia – era il suo luogo preferito per pensare. Non poteva far altro che star fermo ad aspettare.
 
Una volta pronto, si mise a camminare freneticamente per casa, avanti e indietro.
Poi, si sedette. Doveva calmarsi.
Decise di rimanere a casa – non aveva la forza di far niente.
Mise in ordine un appartamento intero in tre ore.
A mezzogiorno si distese per riposare. Aveva di nuovo quel telefono affianco.
Si girò su un lato, e si addormentò di nuovo.

Tan tan’ – sobbalzò. Un messaggio.

Ho ricevuto le chiamate, tra dieci minuti sono da te. Vengo a spiegarti tutto.’

Finalmente un messaggio. Le sue preoccupazioni avevano avuto tregua.
Aveva soltanto dieci minuti – sembrarono i dieci minuti più corti della sua vita.
Si alzò, si sciacquò il viso, cercando di levar via anche quel leggero velo viola che gli contornava la parte inferiore degli occhi.
S’infilò un pantalone largo, mise una t-shirt velata, quasi trasparente, con sfumature azzurre.
Rimase scalzo.

Il citofono suonò, in due minuti anche la porta.
Jong fremeva, stava letteralmente fremendo. Aprì la porta e si ritrovò Kibum davanti.

<< Ciao, lascia che ti spieg- >>

Non ebbe il tempo di parlare, Kibum. Jong gli si buttò addosso, lo abbracciò così forte da sentire il suo petto a contatto col suo, come nudo.

<< Per fortuna stai bene, stai bene.. >> sussurrò Jong. Una lacrima scese dal suo viso, quasi a rassicurarlo.

Key rimane immobile, sbarrò gli occhi. Poi si unì all’abbraccio, completandolo.

<< Jonghyun, non piangere, ti prego. >> la sua voce incominciò a tremare.
Non aveva mai sopportato le persone che piangono, non sopportava nemmeno il pianto dei bambini.
Eppure, per la prima volta, quel pianto gli toccava il cuore. Glielo stringeva così forte, lo faceva sentire così in colpa.

<< Jonghyun, basta.. >> cominciò a piangere anche lui. Strinse ancora di più l’altro.

<< Ascoltami. Non ho avuto minimamente il tempo di prendere quel cellulare – non sono stato nemmeno a scuola oggi. I miei genitori mi hanno spillato altri documenti, mio padre è addirittura venuto in quell’ufficio per me, oggi. Mi ha tenuto impegnato una giornata intera, una mattinata a firmar carte di cui non m’importava niente.
Perché in realtà l’unica cosa che avevo voglia di scrivere era il tuo nome.
>>

Chiuse gli occhi, appoggiò la testa sulla spalla dell’altro, che non cessava di piangere, in silenzio.

<< Mi sono preoccupato tantissimo, mai così tanto in vita mia.. >> sussurrò, quasi sibilando. Furono delle parole affannate, strette, compresse fra una ed un’altra lacrima.
 
Rimasero stretti in quell’abbraccio per cinque lunghi minuti.
Poi Kibum estrasse le sue braccia, e prese il viso di Jong fra le sue mani.

<< Santo Cielo, cosa ti ho fatto. Hai due occhiaie che neanche la BB cream..>> tentò d’ironizzare, e l’altro accennò un sorriso.

<< Non importa, l’importante è che tu sia quì ora. >> Jong prese Key per mano, e si diresse in camera.

Si stesero, e si strinsero in un abbraccio così perfetto, così armonioso.
Jong era rivolto sul lato destro, di spalle all’altro, che l’abbracciava da dietro , cingendogli la vita.
 
<< Ho bisogno di dirti una cosa, Kibum. >> sussurrò con un filo di voce Jong. Mai sentita tanta dolcezza in parole simili.

<< Dimmi pure. >> continuò Key, sorridendo. Si aspettava qualcosa di dolce.

<< Ti amo. >> sussurrò infine Jong.

Dolce, ma non fine a questo punto. Quelle parole erano così sincere, così dolci. Risuonavano come una melodia nelle orecchie di Key. Chiuse gli occhi, si lasciò trasportare da quella melodia.
In un attimo, si sentì rilassato, felice. Come se tutti i suoi problemi, le sue incomprensioni, fossero sparite. Tutte racchiuse quelle emozioni eliminate da quelle parole. Come una chiave che apre una cella, una rivelazione segreta che non poteva esser più nascosta.

<< Ti amo anche io. >> niente di così sincero era mai fuoriuscito dalla bocca di Kibum, niente di così dolce.
Jong si sentì mancare il respiro. Rimasero a sorridere per ancora qualche secondo, poi Jong si voltò.

Seguì un lungo bacio.

<< Sei mio, prometti di non farmi preoccupare mai più. >>

<< Sono tuo, prometti di non lasciarmi andare mai. >>

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Capitolo 16
*** Tell me that’s a lie.- ***



Rimasero in quel letto, in quella stessa posizione, per altre due ore.
Nessuno poteva interrompere quell’armonia – ne erano certi. Era tutto perfetto, si sentivano, per la prima volta, al posto giusto, nel momento giusto, con la persona giusta.
Qualcosa, però, gli interruppe.

‘driiiin’ – il telefono di Kibum emise un suono, una chiamata.

<< Santa miseria, ancora loro. >> afferrò il telefono, pronunciando quelle parole con un tono così annoiato, quasi maledicendo quella telefonata.

Jong si girò di scatto e si mise ad osservare l’altro, che intanto si era seduto con le gambe incrociate sul letto.
Amava osservarlo, in tutti i suoi particolari che nessuno avrebbe mai notato, tranne lui, in quell’emblema di bellezza che sembrava emanare da tutti i pori della delicatissima e rosea pelle.
Non aveva mai visto niente di più perfetto – la sua carnagione, le sue labbra, gli ricordavano la delicatezza dei fiori di ciliegio a primavera.
 
<< Sì, va bene. Adesso? Come vuole, ho capito. Arrivederci. >> Kibummie si passò una mano sul volto, poi guardò Jong.

<< Mi accompagni, vero? >> fece un’espressione dolcissima, sembrava un bimbo che chiedeva disperatamente del gelato alla sua omma, con il musetto di fuori e gli occhi che brillavano, a differenza che i suoi brillavano ogni qualvolta incontrassero quelli di Jonghyun.
 
Jonghyun sorrise, si morse il labbro. Poi realizzò quella domanda – quello sguardo riusciva sempre a distrarlo. Fece una faccia interrogativa.

<< Mi han detto che ho una comunicazione importante da parte di mio padre, che addirittura è tornato nuovamente in ufficio per parlarmi. >>

<< Niente di grave? >>

<< Non penso. >>

I due si alzarono, si prepararono, e si diressero all’ufficio.
Era carino come Jong potesse, in ogni modo, far sentire Kibum importante. Gli aprì la porta e gli fece cenno di precederlo, gli porse il cappotto, gli allacciò le scarpe. Poi lo baciò.

Una volta in ufficio, Jong si sedette nella sala d’attesa, mentre Key si diresse nella stanza.
Non era affatto preoccupato, stava seduto composto, sfogliando una rivista che aveva trovato lì, notando le Chanel bianche di Key proprio sotto un outfit costosissimo, uscito la settimana precedente.
 
Dopo una mezz’oretta, vide una cosa che non s’aspettava affatto.
Kibum gli venne incontro, con una faccia stanca, quasi rassegnata. Non l’aveva mai visto così.

<< Andiamo. >> si limitò a dirgli soltanto questo, senza neanche incitarlo ad alzarsi.
Jong non fece domande, lo seguì e basta. Per il tragitto di ritorno alla fermata del bus, tacettero.

<< Kibum, cos’è successo? Ti si legge negli occhi che qualcosa non va. >>

<< L’ultima cosa che volevo sentire, che vorrei. L’ultima cosa che immaginavo, ora. >> il tono di Kibummie era tanto serio da far quasi rabbrividire Jong.

<< Cosa? Kibummie cosa? Ti prego devi dirmelo. >> Jong sembrava sbiancare, a quelle parole.
 
Key stette in silenzio. Incominciò a tremare, dalle gambe fino alle labbra. Gli occhi si riempirono di lacrime. Quelle parole non volevano proprio uscire dalla sua bocca – probabilmente era lui a non volerle più sentire pronunciare, nemmeno da se stesso.
 
<< Jong io..i miei genitori mi hanno annunciato che, per motivi di lavoro, non ci sarà più la possibilità che io resti in questa città. Anche l’ufficio si trasferisce, con tutti i suoi funzionari.
Per giunta, c’è nuova possibilità di lavoro anche per i genitori di Taemin. >> quelle parole erano uscite di getto, così confusamente, dalla bocca di Kibum, che era ormai il lacrime, quasi di liberazione. Aveva parlato di Taemin a Jong – infondo non c’era niente di male.
Non poteva crederci, non riusciva quasi a realizzare.

Jonghyun si bloccò, non mosse un passo.

<< Kibum, dimmi che è una bugia. Dimmi che stai scherzando, che è tutto un sogno. Dimmi che non è vero, che non te ne andrai, che non mi lascerai da solo. Ti prego.. >> quelle ultime parole si erano unite ad un pianto supplichevole. Jonghyun era distrutto, aveva realizzato subito.
Il suo più grande incubo, la sua più grande disperazione.
 
Kibum si buttò fra le sue braccia. Lo strinse per quanto potesse. Sembrava non ci fosse alcuna soluzione.  
 
Tornarono a casa, stavolta in quella di Kibummie. Non avevano intenzione di separarsi, non potevano perder tempo. Non sapevano neanche di quanto gli fosse rimasto.
Key aveva provato in tutti i modi, cercando di convincere suo padre, che davanti alla sua richiesta di restare era rimasto rigido, sempre devoto al suo lavoro e non alla felicità di suo figlio.

L’appartamento di Key appariva sfarzoso, quasi lussuoso. C’erano mobili moderni costosi dovunque – non amava il mobilio d’antiquariato.
Ma, in quel momento, a Jong non venne nemmeno minimamente in testa di mettersi ad osservare.
Si stesero sul letto, stavolta quello di Key, matrimoniale, con un copriletto di cotone rosso, vellutato.
Jong si portò le mani al viso – il suo pianto era incessante.
Kibummie non sapeva se a fargli più male era quella notizia – che ancora non realizzava a pieno – o quel viso così pieno di dolore, quanto il suo.

Si strinse in un abbraccio fortissimo all’altro.

<< Io non voglio lasciarti. >> sussurrò, fra il sapore di sale di una lacrima e l’altra.

<< Promettimi che troveremo una soluzione. >> ansimò Jong. Il suo respiro era smozzato da quelle lacrime, così fredde, così dirompenti.

I due si addormentarono insieme. A nessuno importava realmente, ancora di più, di quello che fosse successo il giorno seguente. Sembrava tutto finito, come se un domani non fosse realmente esistito, o almeno non avrebbe avuto alcun senso.

Quello che, ora, aspettava Kibum, era comunicare del trasferimento a Taemin.
Suo padre gli aveva raccomandato di parlargliene, perché sarebbe di sicuro stato maggiormente capace di spiegargli le motivazioni.
Sapeva che gli aspettava una giornata peggiore di quella corrente, sapeva cosa gli andava incontro, pur non volendolo nemmeno immaginare.

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Capitolo 17
*** Can’t stop it.- ***


Sei autorizzato a non recarti a scuola, oggi. Kibummie si recherà qui in mattinata per una comunicazione che ha ricevuto ieri dal suo appa. Sta tranquillo, un bacio, omma.

Il testo del bigliettino attaccato al frigo suonava inusuale a Taemin. Non che non fossero già capitate cose del genere, ma arrivare addirittura a non avvisarlo di persona gli sembrava così strano.
Addirittura, la sua omma era riuscita a disattivare la sveglia, per lasciarlo riposare ancora un po’, vista l’assenza scolastica.
Taemin si stiracchiò, aprì il frigo e si versò un bicchiere di latte. Si sedette e lo sorseggiò, pensieroso.
Kibummie sarebbe arrivato fra un’oretta – era solito recarsi a casa sua in tarda mattinata.
Cosa c’era di così importante da comunicare? Non si sarebbero potuti vedere il pomeriggio successivo?
Pose il bicchiere nel lavandino e si recò in bagno, per lavarsi.
Si sfilò il pigiama, che calzava a pennello su quel fisico longilineo, e lo ripose sotto al cuscino.
Si infilò nella doccia; il rumore dell’acqua sembrò schiarirgli i pensieri.
Pensò di non doversi preoccupare fino a quel punto, così cercò di pensare ad altro.
Si avvolse nell’accappatoio e si recò in camera. Prese il cellulare.
Quando si era recato a casa sua, Minho gli aveva chiesto il suo numero. Era imbarazzatissimo, sembrava un ragazzino color peperone che chiede per la prima volta di uscire alla ragazza che gl’interessa. Era così dolce.
Naturalmente, lui aveva acconsentito e gliel’aveva dettato, istantaneamente.
Un messaggio.

Dimmi che ci sei oggi pomeriggio, mi manchi.

Il suo viso si riempì di calore. Si sentì letteralmente avvampare, si specchiò e si rese conto di quanto rosse potessero essere le sue guance in quel momento. Sorrise.

Certo, possiamo vederci a casa mia se vuoi. Ti aspetto nel primo pomeriggio.

Aveva una matta voglia di fargli sapere quanto gli mancasse, ma non gliel’avrebbe mai scritto.
La sua timidezza lo bloccava per tantissimi aspetti, ma infondo sapeva quanto Minho ci tenesse.
Ebbene, ora non aspettava altro che quel pomeriggio. Si dimenticò quasi dell’arrivo di Kibum.
Si preparò, e pochi minuti dopo suonò il campanello.
Si affrettò a scendere le scale della sua camera e si recò alla porta.
Notò due figure. Il suo hyung era accompagnato da un altro ragazzo, che sembrava aver già visto da qualche parte.
 
<< Buongiorno! >> esclamò Taemin. << Prego, entrate pure. >>

Notò subito un massiccio velo di tristezza sul viso di Kibum. Le occhiaie gli marcavano gli occhi – non  gli aveva nemmeno messi in risalto con l’eyeliner, come era solito fare ne giorni di mancata scuola, come era solito fare, ne aveva coperto il suo viso con della visibile BB cream. Il che era molto strano.  
Si fecero strada, ma prima di entrare a Kibum sembrò giusto presentare gli altri due.

<< Taemin, lui è Jonghyun, frequenta la nostra stessa scuola. >> il tono di Kibum sembrava così privo di vita, così spento.

Taemin si limitò ad annuire e a porgergli la mano.

<< Entrate pure, fate come se fosse casa vostra. >>
I tre si sedettero sui divani di stoffa rosa che si trovavano in quel dolce soggiorno tempestato di fiori.
Kibum continuava a guardare a terra, Taemin non poteva evitare di guardarlo in modo interrogativo, per quanto cercasse di dissimulare per la presenza di Jonghyun.

<< Allora Taemin, come incominciare. I tuoi genitori vogliono te lo riferisca io, quindi bene. C’è un’opportunità di tornare in carriera per i tuoi genitori, insieme ad i miei. Questo implica però una cosa, il trasferimento di entrambi. >>

Taemin sbarrò gli occhi. Si sentì gelare il sangue nelle vene.

<< Non c’è modo di rimanere quì? Potremmo affittare un locale o semplicemente alloggiare in un complesso per studenti! Tu hai il tuo appartamento, potremmo- >>

<< Taemin, non c’è altro modo. La città dista dieci ore da qui, nascerebbero problemi per la ricezione dei documenti, figuriamoci per la comunicazione fra i nostri genitori e noi. >>

Il viso di Key sprofondò nelle sue mani. I suoi gomiti sembravano in cerca di un appoggio più solido, tanto rigidi da essere immobili. Si massaggiò lentamente la fronte – aveva un evidente mal di testa.

<< So cosa comporta, Taemin. E mi dispiace. Anche io non voglio lasciare questo posto, mi sono trovato così bene. Rincominceremo ancora, è l’unica cosa che possiamo fare. Ora andiamo, perdonaci. >>

Si alzarono e congedarono il più piccolo. Jonghyun non aveva avuto il coraggio di aprir bocca, dopo la presentazione.
 
Taemin non riusciva ad aprir bocca, e neanche a muoversi. Neanche le lacrime avevano intenzione di uscire da quegli occhi così turbati da quella notizia.
Raggiunse la sua camera, si sedette.
Era tutto chiaro, i suoi genitori non gliene avevano parlato perché speravano che le parole del suo hyung sarebbero state meno dolorose, speravano fossero un appoggio per lui.
Rimase immobile. Il primo pensiero che gli venne in mente fu Minho.
Non gl’interessava della scuola, quantomeno di quella città. E aveva lasciato decine e decine di compagni nelle varie città. Sentiva che la sua vita non avrebbe avuto più senso.
 
Si stese, non gli venne minimamente in mente di scender per mangiare.
Quando la sua omma tornò a casa dal lavoro part-time che faceva per occupare il tempo – lavorava in un negozio di fiori, che lei amava tantissimo – salì in camera di Taemin.
Taemin cercò di dissimulare la sua condizione – sapeva che per i suoi genitori sarebbe stata un’opportunità unica. Disse alla madre di non aver fame, di aver fatto una colazione molto pesante a metà mattinata. Disse di aver appreso la notizia – in quel momento il suo sguardo cadde sul pavimento – accennando un sorriso, cercando di approvare.
Infine, chiede alla sua omma di mandare Minho in camera sua, qualora si fosse arrivato, e di cercare di non disturbargli.
 
Dopo mezz’ora qualcuno bussò al campanello. L’omma di Taemin aprì e fece accomodare il ragazzo, facendolo dirigere in camera del figlio.
Non gli faceva particolarmente strano che suo figlio avesse un amico che si recava a casa sua, di tanto in tanto, a fargli visita. Per quanto fosse più grande, le faceva piacere che suo figlio avesse stretto un’amicizia. Ora, però, avrebbe dovuto rompere i rapporti, ma non obbligatoriamente.
Si erano sempre interessati della felicità del figlio, e questo non si era mai dimostrato poi tanto triste. Il suo carattere l’aveva sempre portato ad esser comprensivo nei confronti dei genitori – capiva perfettamente l’importanza del loro lavoro.
 
Minho bussò alla porta di Taemin, che gli permise di entrare.
Si accorse subito che qualcosa non andava.
Taemin non trovava le parole, non voleva trovarle. Non poteva sentire nuovamente quel suono dirompente, tagliente. Non voleva.
 
<< Taemin, qualcosa non va? Ti prego di parlarmene. >> Minho si chinò e prese dolcemente il mento di Taemin, ponendo il suo pollice su quel mento candido e puro.
Avvicinò le sue labbra a quelle dell’altro, gli lasciò un bacio a stampo.
L’altro non si mosse, non fece una piega. Si accorse che i suoi occhi incominciarono a riempirsi di lacrime.
Gli si sedette affianco, gli prese una mano.

<< I miei genitori hanno annunciato il nostro trasferimento. Hanno ricevuto un’opportunità di ritornare in carriera unica, non possono rinunciare. La città dista a dieci ore da qui. Dieci ore, Minho, dieci ore..te ne rendi conto?.. >> la voce di Taemin si fece tremolante, dei lacrimoni incominciarono a percorrergli il viso.

Minho avvolse l’altro in un caloroso abbraccio. Non poteva esser così, le sue mani sembravano congelarsi.

<< Minho io non voglio separarmi da te.. non adesso. Non m’importa della scuola, neanche di questa città, non posso lasciarti qui. >> il pianto di Taemin s’intensificò.
 
Quelle parole fecero così male a Minho. Non riusciva ad aprir bocca.
L’abbraccio diventò un avvolgersi di emozioni così stretto, così colmo. Subito dopo, un bacio.
 
I due si stesero, rimasero abbracciati per tantissimo tempo. Poi Minho appoggiò la schiena alla testata del letto, e Taemin si rifugiò fra le sue gambe, sedendosi fra queste, avvolto dall’altro. Socchiuse gli occhi.
Si sentiva così protetto, in quel momento. Come impossibilitato ad andare via, come se tutto quella faccenda fosse stata soltanto un brutto sogno.
Le braccia di Minho gli cingevano le spalle, difensive.

<< Quando sarà la partenza? >> sussurrò Minho, con un filo di voce, come se non volesse realmente ascoltare quella risposta.

<< Dopodomani. >> sussurrò Taemin, mentre un’altra lacrima gli percorreva il viso.

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Capitolo 18
*** Our last night.- ***


Dopo essere stati da Taemin, Jonghyun e Kibum si erano diretti nell’unico posto dove erano sicuri di poter star tranquilli, la casa di Jong.
Volevano star da soli, erano le ultime giornate, le ultime ore. Pochissime, prima che Jong dovesse dirigersi a lavoro.
Entrarono in casa, si chiusero la porta dietro le spalle. Jonghyun posò le chiavi sul tavolino, entrò nella cucina.
Kibummie fece un passo, le sue gambe non ressero. Scivolò con la schiena al muro, il suo viso fu travolto da un’espressione di dolore. Non riusciva ad accettarlo. Per quante volte fosse già successo, non riusciva a digerirlo, questo trasferimento. Non poteva lasciare il suo cuore, trascinando in un’altra città un corpo vuoto.
Portò le mani al viso, per asciugare le lacrime. Non riusciva a respirare – ogni suo gemito era interrotto da un sospiro, una lacrima.
Jong lo avvertì, corse subito a vedere cosa fosse successo. Stette ad osservarlo, per un momento, dalla porta. Poi si diresse immediatamente vicino a lui. Gli si sedette affianco, piegando delicatamente le ginocchia.
Senza pronunciar parola, lo strinse a sé. Kibummie poggiò la sua testa sul petto dell’altro.
Avvertiva il suo battito, il suo calore. Si sentiva protetto.
Un’altra lacrima percorse il suo viso, seguita da una moltitudine di sue simili, quando nella mente di Key tornò il pensiero di dover abbandonare tutto.
Jong cercava di tranquillizzare l’altro. Lo accarezzava dolcemente, gli sfiorava i capelli con quel suo fare sensuale, giocava con le sue ciocchette bionde, che gli si aggrovigliavano ordinatamente fra le dita.
Rimasero lì per ore, finquando Jong non dovette dirigersi a lavoro.

<< E’ ora di andare, vero? >> accennò Kibum, sussurrando.

 Jonghyun annuì. Prese il borsone e si diressero insieme alla porta.
Prima di uscire da quella casa, Jonghyun afferrò dolcemente il viso di Key con una mano.

<< Cerca di riposare, stanotte. Domani ti attende una lunga giornata. >> gli sussurrò. Poi lo baciò, sfiorando le sue labbra.
 
Kibum chiuse gli occhi.
Fu una giornata di lavoro impossibile per Jong. Il suo capo lo guardava con aria interrogativa, non riusciva ad avvitare nemmeno un bullone. Le sue mani sembravano morte, come dimostrava il pallore del suo viso.
 
Kibum tornò a casa. Fra una lacrima e l’altra riuscì a combinare le valige piene di abiti, lasciando degli outfit di ricambio per il giorno seguente e per quello della partenza. Il resto sarebbe stato prelevato in seguito.
Non c’era modo di andare contro questa storia, nessuno.
Portare Jong con se avrebbe significato strapparlo dalla sua vita, dal suo lavoro, non poteva.
 
Fu una notte insonne per entrambi.
 
La mattina seguente Kibummie e Taemin dovettero recarsi forzatamente a scuola, per confermare la lettera di dimissioni dall’istituto recapitata dai genitori al preside.
Taemin non riuscì a pronunciar parola con nessuno.
 
Al termine della scuola, tornarono nelle rispettive case per terminare i preparativi.
Quelle valige facevano quasi ribrezzo a Taemin, come componenti di un incubo talmente realistico da cui sembra impossibile uscire, come in questo caso era.
Il pomeriggio precedente, prima che Minho se ne andasse, si accordarono sul salutarsi la mattina, prima di partire. A Minho non importava più niente della scuola, quantomeno del resto.
 
Dopo aver terminato i preparativi, Taemin si stese sul letto. Era distrutto, gli occhi continuavano a bruciare. Anche le lacrime si rifiutavano di uscire, come a ribellarsi per quella situazione.
Erano le uniche a potersi ribellare, Taemin non ne aveva la facoltà. E anche se l’avesse avuta, non l’avrebbe mai fatto.
Steso sul letto, si sentì mancare il respiro. Guardò l’orologio, le otto in punto. Di colpo gli venne un impulso. Si alzò, afferrò il giubbino.
 
Omma, vado a fare un giro. E’ l’ultima sera, probabilmente resto a dormire fuori. Non preoccuparti, ti prego. Ci vediamo domattina, un bacio enorme!’ scrisse di fretta.
 
Aprì la porta e si diresse alla fermata del pullman. Quei minuti sembravano non passare mai, l’attesa era insopportabile. Il pullman arrivò. Sapeva dove era diretto, pur non essendoci mai stato.
Era un quartiere conosciuto, distava soltanto un isolato e mezzo da casa sua.
Gliene aveva parlato, di casa sua. Taemin era curioso di scoprire se la sua immaginazione corrispondesse a quell’abitazione.
 
Dlin dloon

<< Un momento. >> si sentì sussurrare da dietro quella porta. L’unica barriera che in quel momento li divideva. Finalmente si aprì.
 
<< Taemin. >> dall’altra parte, Minho era incredulo.
 
Taemin sorrise. Si sentì di colpo accelerare il battito cardiaco, i suoi boxer sembrarono improvvisamente stretti. Minho era avvolto in un soffice accappatoio di spugna azzurro, sostenuto alla vita da un solo laccio dello stesso materiale.

<< Scu-scusami. Aspetto che ti vesta, posso aspettare benissimo qui, non ho alcun problema! >> esclamò Taemin, frettolosamente. Si sentì le guance bruciare.

<< Sono io che non posso aspettare. >> disse Minho.
Taemin si sentì avvolgere da un abbraccio caldissimo. L’accappatoio di Minho gli scivolò sulla spalla. Taemin sentì la sua pelle umida sotto le sue braccia, strette intorno al collo dell’altro.

<< Non potevo restare ancora a casa. Non potevo davvero. >>
 
Seguì un bacio. Uno di quei baci pieni di passione, liberatori.
Entrarono in casa, fra un respiro e l’altro, senza mai staccarsi.

<< Aspetta, solo un secondo. >> sussurrò Minho.
Aprì la camera da letto e fece entrare Taemin. Involontariamente, come se i loro corpi lo chiedessero con tutti loro stessi, si distesero. Incominciarono ad amoreggiare, accarezzandosi.
Taemin infilò le mani sotto l’accappatoio di Minho, ad altezza del petto. Le goccioline creavano una specie di trama su quegli addominali così possenti. Vi appoggiò il viso, incominciò a baciarli.
Si accorse che Minho stava trattenendo un qualche impulso. Taemin sfilò velocemente l’accappatoio di Minho,
Si spogliarono entrambi, fecero l’amore per tutta la notte.
 
Non furono i soli. Kibum si era fatto trovare a casa di Jong, quella sera, prima che tornasse dal lavoro. Non avrebbe potuto passare un’altra notte senza di lui, non l’ultima.
Quel letto accoglieva solo loro, era diventato il loro nido. Jongyun incominciò a sfiorare gli addominali di Kibum con un solo dito, provocandogli brividi. Percorreva ogni singola linea di quei leggerissimi incavi. Fece lo stesso con la sua lingua.
 
Era quasi mattina. Minho sfiorava la candida pelle di Taemin, disteso quasi sopra di lui.

<< Dimmi che non finirà. >> disse.
 
Taemin si sentì rabbrividire.


Kibum passò una mano fra il ciuffo candido di Jong.

<< Non può andare così. Giurami che è un brutto sogno. >> disse Jonghyun, socchiudendo gli occhi.
 
Era giunto il momento di pensare a quello che sarebbe successo il giorno seguente.

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Capitolo 19
*** Don’t wake me up.- ***


Quel giorno era arrivato. Non si poteva davvero evitare il destino.
Neanche l’odore del caviale fresco riusciva a ravvivare lo stomaco di Kibummie. Era tornato a casa, sulla strada del ritorno appariva come un ubriaco dopo una serata piena di bravate, barcollante, tirava appena un passo dall’altro.
Alle cinque del mattino si mise a concludere le valige, prendere tutto quello che gli appartenesse. Infine decise di sedersi un momento. In quel momento, la stanchezza sembrava inesistente. Anche la sua forza cercava di ribellarsi.
Si prese la testa fra le mani, appoggiando i gomiti al tavolo. Chiuse gli occhi.
Nella sua mente, quei momenti. Quelle serate, quegli abbracci, quei sorrisi. Quella liquirizia, il suo modo di mangiare, di sorridere. Il suo innato istinto sensuale, il modo in cui Jonghyun si mordeva il labbro inferiore. Quegli occhi pieni di amore, quelle lacrime.
Si alzò di scatto, scaraventò la sedia a terra. Urlò dalla rabbia, tanto forte da sentire un forte graffio alla gola. Si convinse che non potesse accadere davvero.
Entrò nel bagno, dopo essersi calmato. Si sciacquò delicatamente il viso, lo asciugò.
Jonghyun era a scuola, non c’era modo per incontrarlo.
Sapeva che, più tempo avrebbero passato insieme, più sarebbe stato doloroso dirsi addio. Eppure l’unica cosa che voleva Kibummie era vederlo.
L’addio definitivo era stato fissato per quella sera, prima della partenza. Jonghyun avrebbe lasciato il lavoro prima, anche un’ora, solo per vederlo quell’ultima volta.
Pose tutte le valige sul letto, prese la giacca ed uscì.
Si fece accompagnare nel posto del loro primo appuntamento. Il suo sguardo era perso, morto fuori da quel vetro dello sportello.
Una volta davanti a quell’edificio, sospirò. Un soffio di vento gli accarezzo i capelli – assomigliava al tocco delicato di Jong che lo accarezzava dolcemente. Chiuse gli occhi, come per cercar forza.
Chiese di sedersi al loro tavolo. In quel momento, rivisse tutto. Quella conversazione, quel cioccolatino. Si alzò, poi, di getto, lasciando una grande mancia sul tavolino.
Si diresse fuori, voleva scappare, evadere da tutto, andare via con lui. Entrò in un negozio di grandi firme, si mise nervosamente ad osservare i capi della nuova collezione.
Notò una t-shirt di seta bianca con delle giunture verdi. La decorazione era davvero strana, ma bellissima. Era piena di occhi sferici, tanti bulbi oculari con pupilla verde fluorescente, come le giunture. La comprò. Ne era innamorato. Era il suo regalo per Jong.
Ci spese un occhio della testa – d’altronde era l’ultima collezione della Comme Des – ma i soldi non gl’importavano affatto. Se l’era immaginata addosso a lui non appena l’aveva vista, questo bastava.
Fra una vetrina e l’altra, le buste si erano moltiplicate e si erano fatte le tre del pomeriggio. Non gl’importava affatto di mangiare, quantomeno di tornare a casa per farlo.
Si fece accompagnare a casa di Taemin.

<< Buongiorno, tutto bene? Come vanno i preparativi? >> chiese, alla madre di Taemin.

<< Buongiorno Kibummie, ti fai sempre più bello, eh? Tutto bene, è tutto pronto. Vuoi restare a pranzo da noi? Oggi mangiamo più tardi, fra preparazione e sistemazione si son fatte le tre e mezzo. >> chiese gentilmente la signora. Lo considerava come un nipote, quasi un figlio.
 
<< No, grazie mille. Non ho davvero fame. >> Kibum rifiutò. Neanche quei complimenti, che gli avevano da sempre provocato fastidio, ora gli sembrarono indifferenti.

<< Senti, ho pensato che tu e Taemin poteste raggiungerci con un mezzo a parte. Noi e i tuoi genitori c’incontreremo in un albergo lì, per concludere un certo affare e confermare il trasferimento. Ho pensato ad un pullman privato, so che ti piacciono le cose in grande stile.
Non avrei mai voluto un ulteriore trasferimento per voi, soprattutto per Taemin che ora è abbastanza grande. Vorrei regalarvi almeno un bel viaggio. >> disse l’omma. Il suo tono cambiò radicalmente.
 
<< Va benissimo, grazie mille. >>
 
Poi la signora porse il numero dell’autista a Kibum, per confermare l’orario.  
 
Nel viaggio di ritorno, Kibummie telefonò e si accordò con l’autista.
L’appuntamento era alle 20:00 di quella sera, in quella strada, vicino alla fermata del pullman di Jonghyun.
 
Pose a posto anche i nuovi acquisti, indossando il suo nuovo outfit appena acquistato. Poi, scelse le sue Prada rosse. Le lucidò – le aveva già scelte. Erano le scarpe del loro primo incontro.
Si mise a riordinare, attendendo le sette di quella sera, che arrivarono ben presto, forse troppo.
 
Taemin era stato avvisato da Kibummie per l’appuntamento. Minho l’avrebbe raggiunto alle sette, proprio lì. Sapeva che avrebbe provato di tutto per non lasciarlo andare. Dopo quella notte, non voleva davvero.
Si sentiva mangiare dentro. Forse ancora non riusciva a realizzare a pieno quello che sarebbe successo, poche ore dopo. Nel corso dei preparativi, arrivarono le 18:30.
Uscendo da quella porta, si voltò, lanciando un’occhiata alla sua camera, al suo letto. Poi si guardò la mano, strinse più forte quel bigliettino. Lo portò alla bocca. Stava tremando. Trattenne una lacrima, si chiuse quella porta dietro le spalle. Scese di fretta le scale, congedò i suoi genitori, per l’ultima volta uscendo da quella casa.
Camminò lentamente per quel vialetto, chiudendo gli occhi ed aspirando quell’intenso profumo di rose che mai l’avrebbe abbandonato.
S’infilò nella limu, che già lo attendeva. Kibummie indossava due occhiali molto scuri. Lo salutò, cercò di abbozzare un sorriso.
Key lo guardò – sotto quelle lenti s’intravedeva uno sguardo distrutto.
 
<< Andrà tutto bene. >> disse.
Taemin si sentì morire. Era giunta quell’ora.
 
19:55. Il pullman gli attendeva, l’autista aveva già caricato i bagagli di Kibum sul mezzo.
Era tutto pronto, mancava solo quel saluto.
Si sedettero entrambi ad aspettare su quel muretto. Quell’atmosfera sembrava peggiorare le cose. Quel triste tramonto che investiva la città, quel rosso che illuminava i loro volti.
 
<< Choi Minho, cosa ci fai qui!? >> esclamò Jong.

<< Non ho tempo per spiegare. >> disse in tono serio Minho.
 
Erano arrivati. Due figure si dirigevano verso Key e Taemin.
Neanche si accorsero che c’era un altro, per entrambi. A loro non importava proprio di niente. In realtà, anche tutto il resto, attorno a loro, era scomparso.
 
Kibum corse istantaneamente verso Jonghyun. Lo abbracciò, gli saltò in braccio, attorcigliando le sue gambe al suo corpo. Nessuna parola, niente riusciva ad uscire dalla sua bocca. Solo enormi lacrime percorrevano il suo viso. Si nascose fra quelle spalle, in quell’abbraccio.
Sembrava finir tutto, come se niente esistesse e non avesse senso d’esistere. Sentiva di lasciare la sua anima, il suo cuore, i suoi pensieri. Sentiva di essere cambiato, di lasciarsi andare, di rimanere lì, di morire. Pregò che quell’abbraccio fosse infinito.
 
Solo allora, si accorse che qualcosa occupava le mani di Jonghyun.

<< Cos’hai in mano?..>> sussurrò. Non voleva scostarsi da quell’abbraccio, non voleva interromperlo.
 
<< Guarda tu stesso. >> disse Jong. Il suo tono era molto più tranquillo, e Kibum non riusciva a spiegarselo. Scese immediatamente, si voltò. Una valigia.
 
<< E questo cosa significa? >> altre lacrime gli percorsero il suo viso.
 
<< Se non posso far nulla per farti restare, non posso nemmeno lasciarti andare. >>
 
<< Ma Jong, tu, il tuo lavoro..la tua famiglia, i soldi, la scuola, io- >> un bacio interruppe tutto.
 
<< Non m’interessa. Tutto quello che voglio è vivere con te. Troveremo un altro lavoro, cominceremo una nuova vita. Non dirmi di no, adesso. >> disse infine, Jong.
 
Kibummie non trovava parole. Ne il suo cuore ne la sua testa avevano intenzione di disapprovare. Continuava a scuotere la testa, ma un bellissimo sorriso gli migliorava il volto.
Non poteva crederci.
 
Subito dopo, si accorsero che qualche altro saluto stava avvenendo.
Taemin e Minho rimasero a fissarsi in silenzio.
 
<< Sorridi per me. >> disse Minho.
<< Giuro di non riuscirci. >> Taemin abbassò lo sguardo.

Minho avvolse le sue braccia attorno a lui. Gli appoggiò delicatamente le labbra sulla fronte.

<< Sorridi per me, perché i miei bagagli sono già in viaggio. >>

Quelle parole suonarono alle orecchie di Taemin come delle parole magiche.
Scosse la testa, aprì gli occhi. Non poteva crederci. Una lacrima percorse il suo viso, poi ancora un’altra ed un’altra ancora.
 
<< Dimmi che non stai scherzando, ti prego, dimmi che non lo stai facendo. >> accennò Taemin, incredulo. Gli saltò letteralmente addosso, lo strinse così forte da usare tutte le energie del suo esile corpo. Poi si lasciò sostenere dalle sue braccia.
 
<< E’ un anno che ti guardo e penso a come una creatura bella come te possa vivere in mezzo a noi. Non posso lasciarti scappare. >> sussurrò Minho.

Seguì un bacio così passionevole, così intenso che contagiò anche Jonghyun e Kibum, che avevano sentito tutto, erano stati ad assistere alla scena come due spettatori in una sala del cinema.
Anche le loro lacrime si erano trasformate in lacrime di gioia. Si baciarono come se quello fosse l’ultimo bacio. Ma non lo era affatto, era solo uno dei primi che gli attendeva.
 
Era tutto finito, e non riuscivano ancora a realizzarlo. Era tutto perfetto, come meritavano fosse.
Avevano imparato una cosa: rinunciare al resto, perché il resto non contava affatto. Avevano imparato che una persona può stravolgerti la vita, che un sorriso può trafiggerti il cuore e non lasciarlo mai.
Sembrava un sogno, da cui speravano di non essere mai svegliati.
 
Partirono in quel pullman. L’omma di Taemin aveva segretamente nascosto a Kibum che avesse anche una piccola piscina idromassaggio, all’interno. Era una sorta di sorpresa.
Per la prima volta, Kibummie e Taemin erano felici di lasciare una città. Per la prima volta non lasciavano ricordi, li portavano con loro. Non lasciavano luoghi, perché sapevano che ogni piccola cosa era nascosta dentro di loro, e non sarebbe mai andata via.
Niente poteva compensare quei momenti, solo quello che finalmente li aspettava.      

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