Misfits

di distantmemory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 Il temporale ***
Capitolo 2: *** 2.1 Strani fenomeni ***



Capitolo 1
*** 1.1 Il temporale ***


Mi guardo intorno. Cavolo, in che razza di posto mi sono andato a cacciare?

Ma ho fatto bene. Sopporterei anche due anni di servizio sociale, ma almeno sono soddisfatto. Ho fatto il mio dovere. Quel coglione se lo meritava.

Già, ma quegli idioti degli assistenti sociali non mi hanno voluto ascoltare. Non che siano i primi. Nessuno mi ha mai ascoltato, e dubito che qualcuno lo farà mai.

Osservo i ragazzi che mi sono affianco. Loro mi squadrano, come se fossi un idiota. Qui gli idioti sono loro. Loro sanno solo drogarsi, ubriacarsi, scopare. Io ho appiccato un incendio ad una casa. Non possiamo confrontarci. E poi, hanno una faccia da stupidi, sono molto più intelligente di loro.

— Bene bene bene. Altri inutili ragazzini della nostra società. Aumentate a dismisura. Mi chiedo sempre che fine farete. — dice l’assistente sociale di fronte a noi. Lo guardiamo con disinteresse, odio, rabbia, schifo. Persino in confronto alle nostre tute arancioni, la sua maglia bianca e nera fa vomitare.

Nessuno ascolta ciò che dice. Io sono troppo occupato a guardare gli altri ragazzi. Una di loro, quella castana, mastica una gomma e parla al telefono.

— Ehi, tu. Courtney. Spegni quel coso, sto parlando. — la richiama l’uomo. O almeno, cerca.

— Non preoccuparti Justin. È solo un coglione che parla. Che stavi dicendo? Ah sì, che ha fatto quella puttana di Anne Marie?

— Courtney, ho detto spegni quel coso.

Si dirige verso di lei e arriva ad una distanza tale da poterla quasi toccare. Allunga una mano, in modo che gli porgi il cellulare. La ragazza lo squadra con disgusto, ma saluta quello con cui sta parlando e si mette il telefono in tasca.

— Ho speso una fortuna per questo. Lo tengo io.

L’assistente sociale annuisce appena e torna alla sua posizione iniziale, di fronte a tutti noi. Ci guarda uno per uno.

— Bene. E adesso, cominciamo a lavorare.




Fino ad ora, nessuno mi ha ancora rivolto la parola. Non so se sia un bene o un male. Non ho nessun amico e non ne ho comunque bisogno, ma trascorrerò sei mesi con questi qui. Sarebbe meglio avvicinarmi ad almeno uno di loro.

Muovo il pennello a destra e a sinistra sulla panca. Ci hanno assegnato di dipingere le panchine davanti all’edificio dove ci ritroveremo per i servizi sociali. Non ricordo come l’hanno chiamata.

Nel frattempo, ascolto i discorsi degli altri.

— E tu per cosa sei stata arrestata? — quello dalla cresta verde ha chiesto questo anche all’altro ragazzo, che è stato arrestato per uso di stupefacenti. Ora lo ha chiesto alla ragazza del telefonino.

— Senti, non ho voglia di raccontare i miei fatti al primo che capita. — risponde, distogliendo lo sguardo dal suo fidato aggeggio per un secondo. Poi ritorna a schiacciare i tasti velocemente.

— Ehi, vaffanculo! Sto cercando di fare amicizia. — lo dice quasi con un tono offeso, palesemente finto. Aspetta una risposta che però non arriva, quindi lo chiede all’altra ragazza. È alta e magra, una carnagione pallida e gli occhi a mandorla.

— Non me lo ricordo nemmeno.

La testa verde si gira verso di me. — E tu, psicopatico, che hai fatto? Hai tanto la faccia di un pedofilo.

— Non sono un pedofilo.

— Allora hai cercato di stuprare una vecchietta?

— No, nemmeno.

— Hai abusato del tuo cane?

Mi chiedo perché sia sempre io quello preso di mira. Ho davvero la faccia di un asociale sfigato? E io che volevo farmelo amico, questo.

— No, ho incendiato una casa! — urlo per la rabbia.

Lui mi guarda sbalordito e sembra anche impaurito. Che bella sensazione, sono soddisfatto anche di questo.

Egli apre la bocca e fa per parlare, ma ci zittiamo tutti quando sentiamo un rumore assordante. Nessuno mi crederebbe se dicessi di aver visto una roccia cadere dal cielo. Ma è quello che ho visto realmente.

Passa un minuto e non succede nulla, quindi ricominciamo a dipingere le panchine. Quello con la cresta apre di nuovo la bocca, ma si sente di nuovo quel rumore fortissimo. Un’altra roccia è caduta giù dal cielo, probabilmente, ma non l’ho vista. Solo quando seguo gli sguardi spaventati di tutti, capisco che è dietro di me. Ne vola un’altra, e un’altra ancora. Ne volano un centinaio ma noi non ci muoviamo da lì. Siamo come paralizzati. Capiamo di dover scappare quando ne cade una al mio fianco e io urlo. Corriamo tutti verso l’edificio che ci è davanti –quello di cui non conosco il nome– e lì davanti troviamo l’assistente sociale che dorme. Lo svegliamo nonostante i suoi rimproveri. All’inizio non capisce il perché della nostra agitazione, poi vede quella pioggia di massi e prende le chiavi dalla sua tasca. Le chiavi sono un sacco, ne prova una. Niente. Ne prova un’altra e ancora nulla. Continua così per chissà quanto tempo. Io mi mangio le unghie per la paura. Tutti siamo terrorizzati. Ecco, la chiave è entrata. È quella giusta. L’assistente sociale entra, noi facciamo un passo… e voliamo via.

Sento una scarica elettrica percorrermi il corpo. Non so se sia davvero una scarica elettrica oppure il sangue che scorre più velocemente. In qualunque caso, mi sento scombussolato. Non trovo più un appoggio, non ho più i piedi sulla terra. Intorno a me ho solo aria e il tempo sembra essersi fermato. Ho gli occhi chiusi e ho paura di aprirli. Non so che cosa sia successo, non mi sembra di essere ancora sulla Terra.

Poi sbatto a terra, poggiandomi sui gomiti. Ho la testa dolorante e mi fanno male anche gli occhi, ma li apro. Non sono l’unico a terra: affianco a me ci sono anche gli altri quattro ragazzi. L’assistente sociale è davanti a noi, quasi nascosto dietro la porta socchiusa.

— Un fulmine… — balbetta. — Siete stati colpiti tutti da un fulmine! E siete vivi!

— Bè, sarebbe comunque carino chiedere se stiamo bene. — replica il ragazzo con la carnagione olivastra.

Ci alziamo tutti. Guardo dietro di me e noto che la pioggia di massi –o qualunque cosa sia– è terminata.

Tutti sono entrati ed io sono l’unico fuori. La porta si è chiusa a causa del vento.

Allungo un braccio per aprirla e, solo muovendola, mi accorgo che ho un dolore lancinante alla mano destra. La porto davanti ai miei occhi cercando eventuali ferite.

Ma non posso, perché la mia mano sta lentamente scomparendo.



















Angolo dell'Autrice
Salve a tutti!
Questa è la mia seconda long. In questa ci saranno un po' tutti i personaggi e un po' tutte le coppie (anche non esistenti).
Come si capisce dal titolo, è ispirata a Misfits. Non sarà tutto precisamente uguale, ovviamente.
Mi chiedevo solo se debba mettere come nota "Crossover". Potreste dirmelo, per favore?
E una recensione piccola? Mi farebbe davvero molto piacere, anche per segnalare eventuali errori.
E visto che ci sono, mi spammo un pochettino.
Cousins. Mia prima long, DuncanxCourtney e AlejandroxHeather (ancora in corso).
Alla prossima!

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Capitolo 2
*** 2.1 Strani fenomeni ***


Mi avvicino la mano al viso. Non posso credere ai miei occhi. Non so se sia un’allucinazione dovuta alla mia precedente caduta o un incubo. Di certo non può essere la realtà.

Rimetto il mio arto accanto al mio fianco. Qualunque cosa sia, passerà. Non c’è bisogno di preoccuparsi. Sono solo ancora scombussolato.

Cerco di mettere le mie dita invisibili sul pomello della porta, ma quelle l’attraversano. Cerco di farlo ancora, stesso effetto. Allora spingo la porta con la spalla ed entro nell’edificio senza nome.

Mi dirigo agli spogliatoi. Sono misti, e non so se sia un bene o un male. Stamattina, prima ancora di trovarci tutti sul terrazzo per parlare con l’assistente sociale, noi criminali alle prime armi ci siamo incontrati lì. Nessuno ha proferito parola, tutti si limitavano a mettersi la tuta arancione e a sistemarsi davanti allo specchio. Per educazione non ho guardato le ragazze svestirsi, e quell’idiota dai capelli verdi ha urlato:

— Oh, abbiamo un omosessuale tra di noi!

Le ragazze non l’hanno sentito, quindi mi sono girato e le ho guardate.

— Girati, porco! — mi hanno gridato entrambe all’unisono.

Eppure non ero io il punk che le stava spogliando con gli occhi.

Apro la porta dei camerini e non sento nessuna voce. Meglio se sono da solo. Nessuno mi chiamerà porco od omosessuale.

Mi dirigo al mio armadietto –affianco a quello di tutti gli altri– e, solo una volta aperto, mi accorgo della compagnia delle due ragazze.

Deglutisco. Ho paura anche solo a guardarle.

— S-scusate. — balbetto, ma nessuna delle due sembra farci caso. — Me ne vado subito, prendo solo la mia roba e…

— Ehi, Heather, come ti sembrano quei tre? Io li trovo tutti molto strani. — dice la ragazza castana. Sono davvero così noioso da non essere nemmeno ascoltato?

— Mi sembrano tutti dei grandissimi coglioni, specialmente quello tutto piercing. Il rosso, invece, mi sembra solo tanto asociale, ma mi sembra l’unico con un po’ di cervello, lì in mezzo. — risponde Heather.

Sorrido. Magari potrebbe essere una mia amica…

— E quello che parla spagnolo?

— Non mi fa né caldo né freddo.

— Heather, davvero ti sembro una persona intelligente? — le interrompo.

Sarebbe bello se mi rispondesse di sì, ma lei continua a guardarsi allo specchio, a truccarsi.

— Ehi, Heather! — urlo di nuovo.

Ma niente, continua a fare i comodi suoi.

Mi metto di fronte a lei, in modo che non possa guardare il suo riflesso. Mi guarda dubbiosa per qualche secondo, poi si gira verso la sua amica.

— Courtney, che ne dici di andare a bere qualcosa? Non ho nulla da fare oggi.

Courtney chiude il suo armadietto e si gira verso di lei.

— Va bene, magari troviamo qualche bel ragazzo.

Heather si rigira verso di me. Cioè, verso il suo specchio, e si da un’ultima sistemata ai capelli. Guarda nei miei occhi, come se ci si possa riflettere. Poi prende la sua borsa ed esce dallo spogliatoio insieme a Courtney.

Mi copro la faccia con le mani. Perché non mi ha risposto? Perché ha continuato a guardarmi, indifferente?

Mi giro verso lo specchio e sposto le mie mani.

Vorrei sapere cos’ha di tanto strano il mio viso, cosa faccia allontanare le persone da me, ma non posso contemplarlo, perché non riesco a vedere il mio riflesso allo specchio.

******



Non so perché abbia invitato questa ragazza ad una specie di uscita. La conosco da qualche ora, so poco e niente su di lei.

Forse è solo l’idea di avere un’amica ad eccitarmi. Nemmeno lei mi sembra una tanto socievole. Anzi, sembra una ragazza che passa il suo tempo solo con i ragazzi, sembra una puttanella, in poche parole. E forse è questo che odiano le altre di lei.

Anch’io la odierei se fosse nella mia stessa classe. Basta guardarla per innamorarsene subito o per cambiare sponda. È stupenda nella sua semplicità. Se non fosse per il suo modo di vestire, a primo impatto potrebbe essere reputata una normale, magari anche con il pallino dello studio e della perfezione.

Siamo già al bar. Abbiamo optato per questo perché non abbiamo voglia di camminare troppo. Durante questo breve tragitto, non abbiamo proferito parola.

Entriamo nel locale. Piccolo, buio, massimo una decina di tavoli e una ventina di sgabelli di legno davanti al bancone, un sacco di ragazzi e ragazze della nostra età ubriachi o strafatti o con una sigaretta in bocca. Perfetto per noi.

Frequento sempre questo genere di bar, e mi faccio schifo da sola. Mi fanno schifo gli altri, odio tutti. In tutta la mia vita non ho conosciuto nessuno con un po’ di cervello. Ho sempre cercato di trovarne uno, sia alle elementari che alle medie, ma per questo sono sempre stata derisa. Ero vittima di bullismo, è per questo che ho deciso di cambiare, di diventare una ragazza come tante che, però, va bene alla società.

Ho sempre continuato e continuo ancora a ripetermi che non ero –non sono– io, con i miei difetti non nascosti dal trucco e l’amore per la lettura, la conoscenza, a fare schifo, ma la società.

Camminiamo per il piccolo corridoio cercando di non urtare le altre persone, non molto visibili a causa della poca luce, e a metà strada mi sento afferrare per un braccio.

Mi giro e li vedo. Li saluto con un cenno del capo.

— A quanto pare avete fatto subito amicizia anche voi. — dice quello con la cresta verde, Duncan se non mi sbaglio.

— Già, a quanto pare sì. Ed Heather ed io vorremmo accomodarci, prima che quei tipi laggiù raggiungano l’unico tavolo vuoto prima di noi. Quindi, con permesso, leva le tue manacce dalla mia amica, coglione. — sento Courtney alle mie spalle. Probabilmente li aveva notati e non li ha salutati. Da come me ne ha parlato, il punk non le sta molto simpatico.

— Va bene troietta, non arrabbiarti o rischierai di farti venire le rughe. E tutti sappiamo che le ragazze con le rughe non se le vuole scopare nessuno, vero? — ribatte Duncan con un ghigno beffardo. Courtney gli dà uno schiaffo e mi strattona il braccio dalla sua presa. Lo prende lei e mi porta al tavolo, dopo che abbozzo un sorriso ad Alejandro.

Una volta sedute, la castana cerca di guardare me, invano. Il suo sguardo continua a rivolgersi al verde che, probabilmente, la sta stuzzicando con i suoi soli occhi.

— Duncan ha dei begli occhi. — mi esce spontaneo e sono sorpresa anch’io.

Courtney mi guarda con la stessa espressione meravigliata. — Sì, ma cosa te ne fai di due begli occhi con un cervello in prognosi riservata?

Rido e cambio discorso. Ho capito che l’argomento Duncan non è molto ambito dalla mia amica.

— Quel Justin con cui parlavi oggi è il tuo ragazzo?

— Eh? No, diciamo che è solo uno con cui… sono andata a letto. Ma una sola volta, ed ero pure ubriaca. Quindi non conta. — scorgo l’ombra di un sorriso sul suo volto, ma non capisco il motivo per cui dovrebbe sorridere. — Tu per caso sei vergine?

— Cosa ti fa pensare che lo sia?

— Nulla, in realtà. Anzi, sembri una che cambia ragazzo ogni settimana.

— No, lo era mia madre, ed io sono il frutto di una delle sue tante scop…

— Signorine, volete? — mi interrompe il cameriere.

Dopo aver ordinato due frappè alla fragola, torniamo al nostro discorso.

— Allora, stavi dicendo? — chiede Courtney.

Cambio argomento. Non ho voglia di parlare di mia madre e del mio passato.

— Non sono vergine. — dico in un solo soffio, quasi sia una confessione.

Dopo qualche altro minuto di conversazione, arrivano le nostre bevande. Vorrei continuare a parlare con Courtney e dare esclusiva attenzione a lei, ma sento il mio nome provenire dalla bocca di qualcun altro. O almeno, credo che sia una bocca. Le mie orecchie la sentono distante.

Mi giro e fisso Duncan e Alejandro. Ci stanno guardando, chissà da quanto tempo. Non cambiano espressione ma dalla rigidità improvvisa delle loro spalle capisco che li ho sorpresi, girandomi.

“Cazzo, perché ci sta guardando? Spero che non mi abbia sentito, altrimenti sono fottuto.” Sento la voce del messicano eppure non sta muovendo le labbra.

“Una cosa a tre non mi dispiacerebbe, con quelle due. Magari invito anche Alejandro.” Questo è Duncan con il suo solito tono strafottente e un ghigno dipinto sul volto. Anche lui non muove la bocca.

Cos’è, si è fermato il tempo? No, che cosa assurda. Vedo le persone chiacchierare tra di loro e mangiare, fumare.

Mi sento richiamare dall’ispanica e mi volto verso di lei, sorridendole in segno di scuse.

— Scusa, pensavo che qualcuno mi avesse chiamato. — bisbiglio, non molto sicura di me. Già, ho sentito il mio nome, ma non ho visto nessuno che lo pronunciava.

— Non ti preoccupare. Senti, io fra una mezzoretta dovrei andare a casa perché mio fratello ha invitato un suo amico e… è molto carino. Sia il suo amico, che mio fratello. — fa una breve pausa. — Vanno in discoteca e mio fratello ha detto che posso andarci anche io se vengo con una mia amica. Quindi … hai qualcosa da fare per stasera? — un angolo della bocca si alza in su e noto un sorrisetto furbo.

Non ci penso due volte. Non ho assolutamente voglia di stare a casa con quei rompipalle dei miei genitori. — Sì, ci sarò. Dove ci incontriamo?

Courtney ride. — Incontrarci? Oh no, tu oggi sei mia ospite. Vieni a casa mia, ti darò uno dei miei vestiti. Abbiamo sicuramente la stessa taglia. Chiama i tuoi genitori e avvertili se devi, ma di’ loro che dormi anche da me.

— No, guarda, non posso dormire-

— Heather, dormire è una scusa. Non credo che nello stesso letto di mio fratello dormirai, stanotte.

La mia bocca semiaperta si trasforma in un ghigno.

— Va bene, se proprio insisti.

Ci alziamo dalle sedie e camminiamo per metà corridoio, arrivando di fronte alla cassa e accanto ai due ragazzi.

— Ehi, ragazze, avete qualcosa da fare stasera? — domanda Duncan.

— Sì. — precedo Courtney — Mi sa che per quella cosa a quattro dovrete aspettare. — sussurro e mi gusto con piacere le loro facce sbalordite. La mia nuova amica non ha capito, probabilmente.

“Come fa a sapere che io…”

— Idiota, l’hai detto ad alta voce.

— Io non ho detto nulla ad alta voce! — ribatte il punk.

— Sì invece, anzi, l’avete quasi urlato se sono stata capace di sentirlo fino a là fuori!

— Tu sei fatta.

— Tu sei fatto, coglione! — quasi urlo e il cameriere dietro la cassa mi guarda con la fronte aggrottata.

— Volete pagare, signorine? — capisco che cerca di tenere un tono pacato.

— Sì, abbiamo… — comincia Courtney, ma la fermo.

— Pagano loro due. — dico, indicando Duncan e Alejandro.

Loro mi guardano male e prendo per un polso Courtney, portandola fuori da quel locale, dopo aver sentito delle parole del punk.

“Se non fosse per il suo carattere di merda, me la sarei già portata a letto.”








Angolo dell'Autrice
Emh, scusate, una mia amica ha cancellato per sbaglio (sì, certo, per sbaglio) il capitolo e l'ho dovuto ripostare.
Ho letto la precedente recensione di craggyqualcosa (che memoria di ferro che ho!) e volevo dire che i pov non li scrivo apposta, non solo perchè mettere il nome mi fa un po'... emh... schifo?, ma anche perchè molti non lo scrivono. E' per fare anche incuriosire il lettore.
Inoltre, Trent e Gwen non ci sono nella storia, per ora, ma ci saranno. E questa storia è sia per chi shippa Duncney sia per i DunGwen, ma alla fine solo una coppia resterà.
Ringrazio chi ha recensito il primo capitolo e le lettrici silenziose che hanno messo la storia tra i preferiti, le ricordate o le seguite.
Alla prossima.

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