Colors of the sea

di lulubellula
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter one ***
Capitolo 2: *** Chapter two ***
Capitolo 3: *** Chapter Three ***
Capitolo 4: *** Chapter Four ***



Capitolo 1
*** Chapter one ***




Il cielo era terso, sereno, non c’erano nuvole minacciose portatrici di pioggia, ma solo qualche nuvoletta qua e là di un tenue violetto, rosso, arancio rosato ad incorniciare il mare greco.
Una donna stava osservando una nave andarsene all’orizzonte, con le lacrime agli occhi, stringeva al seno una bambina di circa due anni, mora come sua madre, che dormiva stretta a lei, succhiando debolmente il pollice.
La donna piangeva, le lacrime le scendevano copiose lungo il volto, macchiandole la camicetta leggera e chiara, bagnando i capelli scuri e folti della sua piccola.
Sembravano farsi forza a vicenda, la madre stretta alla figlia, come se quell’abbraccio, quel contatto, quei due corpi famigliari si completassero a vicenda e non servisse nient’altro.
Questo era il ritratto che si prospettava dinnanzi alle persone del villaggio, che spiavano la dolce e forte Calliope, proprietaria della locanda dell’isola, come si guarda una persona cara e amata che non si vorrebbe veder soffrire per niente al mondo.
Invece Calliope soffriva.
Soffriva per amore.
Ma non per una cotta estiva da un nonnulla, di quelle per cui si piange per un paio di settimane e pian piano ce ne si dimentica.
No, lei soffriva perché su quella nave c’era la donna che amava, la donna per la quale avrebbe mollato tutto e che avrebbe seguito in capo al mondo, se solo lei gliene avesse offerto la possibilità di farlo.
Ma Arizona se n’era andata, dopo averla illusa di aver finalmente costruito una famiglia con la persona giusta, lei era andata via, portandosi con sé quei colori e il cavalletto con i quali trascorreva le giornate a dipingere le mille sfumature del mare e del sole, della natura incontaminata di quel luogo magico e unico.
L’aveva abbandonata, anche lei, insieme ai suoi genitori che le avevano indicato la porta di casa, quando lei era rimasta incinta, da nubile che era, sola, senza soldi, né una casa dove ritornare.
 Si era rifugiata nell’unico luogo dove si fosse davvero sentita benvenuta, in quella terra forte e bellissima circondata dalle onde del Mar Egeo, dove trascorreva l’estate con i suoi nonni paterni sin da fanciulla.
Era stato difficile all’inizio, difficilissimo.
Era sola, spaventata e impaurita, senza prospettive, senza futuro e con una paura tremenda di non riuscire ad allevare la creatura che portava in grembo.
Era arrivata sull’isola in un fosco giorno di settembre, il mare era mosso e irrequieto, le onde si scagliavano con violenza sulle pareti della barca e Calliope si sentiva male, la nausea le attanagliava lo stomaco e i movimenti bruschi dovuti al tempo incerto peggioravano il suo malessere di minuto in minuto.
Aveva con sé una manciata di dollari e le chiavi del vecchio casolare dei suoi nonni, che suo padre, in un momento di magnanimità, le aveva consegnato affinché avesse un posto in cui andare a vivere con il bambino, ben lontano da occhi indiscreti e dalle malelingue dell’alta società.
Attraccata al porto, si era trovata spaesata per qualche istante, non sapendo che cosa fare e dove chiedere un passaggio per il vecchio casolare, che sovrastava il paesaggio circostante, situato sulla cima di una collinetta da cui si poteva rimirare l’intera costa ellenica, la sua magnificenza e bellezza, la sua magia antica e sempiterna.
Calliope aveva con sé solo una sacca da viaggio e pochi effetti personali, aveva lasciato gran parte dei suoi ricordi e degli oggetti a lei più cari nella sua camera a Miami, dicendosi che, se proprio doveva incominciare tutto daccapo, portarsi dietro macigni del suo passato sarebbe stato dannoso, doloroso e soprattutto del tutto inutile.
Però ora non sapeva che cosa fare, era incerta e impaurita, a soli venticinque anni si trovava a passare dalle stelle alle stalle, da ricca rampolla di una famiglia ricchissima di proprietari d’alberghi di lusso, a futura ragazza madre senza un soldo bucato, in un luogo famigliare ma lontanissimo da casa sua, dai suoi amici, dalla sua vita di prima.
Eppure non si pentiva della sua scelta di andarsene via, non poteva sposare Mark, proprio non poteva, per quanto gli volesse bene, non riusciva nemmeno a pensare di legarsi a lui per tutta la vita.
Un conto era essere amici e andare talvolta a letto insieme, un altro era ritrovarsi sposati e genitori senza amarsi davvero.
Questo lui non se lo meritava e nemmeno il bambino.
Era sicura di non meritarsi il trattamento che le avevano offerto i suoi genitori, mandare una figlia lontano, dall’altra parte del mondo ad “espiare le sue colpe”, come chiamavano loro un figlio fuori dal matrimonio.
Peccato che la pena che le avevano inflitto avesse il sapore di un ergastolo.
Si sentiva abbandonata, tradita dagli affetti più cari e senza prospettive, aveva solo voglia di raggiungere al più presto quel luogo che aveva calpestato con piedini da bambina e nel quale non ritornava da oltre quindici anni.
Indossava un vestito azzurro chiaro e teneva i lunghi capelli corvini sciolti che le scendevano lungo le spalle, una cintura larga in cuoio a cingerle la vita ancora stretta, senza un accenno di pancia per il momento.
Si era avviata con rassegnazione verso la via che portava alla casa in cima alla collina, la strada polverosa e piena di ciottoli e di sassi di varie forme e misure, il caldo che inaspettatamente si era manifestato nonostante la nebbia greve che l’aveva accolta solo un paio d’ore prima.
Il sole cominciò ben presto a scaldare l’atmosfera e ad affaticare la povera Calliope, che camminava lungo la via, calzando un paio di sandali blu, poco adatti alla scarpinata vera e propria che ancora la attendeva.
Non ricordava che la strada fosse così lunga e nemmeno il terreno così accidentato in più punti, ma, del resto, era trascorso molto tempo dall’ultima volta che lei aveva messo piede sull’isola.
Camminò ancora per una manciata di minuti, con fatica, attanagliata com’era dalle nausee e dalla mancanza di acqua, respirando polvere ad ogni passo che percorreva.
Ben presto la stanchezza per il viaggio e il cambio di fuso orario si fecero sentire e la donna inciampò maldestramente in una pietra, scivolando e sbattendo la testa a terra, perdendo i sensi.
Di lì a pochi istanti, una vecchia jeep con la carrozzeria imbrattata di polvere passò per quella strada, nella stessa direzione rispetto a Callie.
Arrivata in prossimità della donna, la conducente della vettura frenò bruscamente, scese dall’auto e corse dalla fanciulla svenuta nel bel mezzo della strada per prestarle soccorso.
Si trovò davanti una giovane donna dai lunghi capelli neri, bella da toglierle il fiato, con un vestito azzurro impolverato e un incarnato pallido e malsano, probabilmente dovuto al caldo improvviso e alla disidratazione.
Dopo aver provato a sollevarle gli arti inferiori verso l’alto ed averle adagiato una pezza bagnata d’acqua fresca sulla fronte, la donna rinvenne, ma si mostrò estremamente debole e dovette aggrapparsi alla sua soccorritrice per salire sulla jeep.
Guidò per una manciata di minuti sino ad una casetta bianca, poco più in basso rispetto alla cima della collinetta, e aiutò la giovane donna che si era sentita male ad entrare in casa sua.
All’interno vi era una luce calda e accogliente, un tavolo malfermo e zoppicante, qualche stoviglia da lavare nel lavandino e quadri appesi ovunque alle pareti.
Calliope si lasciò guidare all’interno di una camera da letto arredata in modo estremamente semplice e spartano, un letto matrimoniale, un comodino, una vecchia lampada a gasolio e uno scatolone pieno di libri erano l’unico arredo che riempiva il tutto.
“Grazie mille. Sono in debito con lei” disse Calliope alla sua giovane e taciturna soccorritrice.
La donna annuì, mostrandole un flebile sorriso, quasi un accenno impercettibile, poi la aiutò a coricarsi sul letto e le chiese se avesse bisogno di qualcos’altro.
“Sto bene così, grazie, Signora, ehm, Signorina …” iniziò.
“Arizona”.
“Come lo Stato?” chiese incuriosita.
“No, non come lo Stato, è una lunga storia”.
“Anche lei è americana o sbaglio?, noto una lieve inflessione nella sua voce”.
“Sì, sono americana, lei non si sbaglia – iniziò la donna, poi cambiò argomento per non dover iniziare una lunga, noiosa e probabilmente imbarazzante discussione sulla sua famiglia e su luoghi comuni in generale – Posso chiederle il suo nome?”.
Calliope sorrise debolmente.
“Sono se mi darai del tu, dopotutto siamo coetanee, credo. Io ho venticinque anni e tu?”.
“Ventiquattro. Allora, posso chiederti come ti chiami?”.
“Callie”.
“Callie? E’ il tuo vero nome o il diminutivo di qualcos’altro?”.
“Calliope, in realtà, ma non mi è mai piaciuto più di tanto, trovo che Callie sia di gran lunga meglio”.
“A me Calliope piace, lo trovo un nome stupendo, ha origini greche, no?”.
“Sì, è il nome di una musa, di quella della musica, ha un nonsoché di magico a dire la verità”.
“Sono d’accordo con te”.
Seguì un lungo e imbarazzante silenzio.
Arizona si avvicinò alla porta e fece per uscire.
“Arizona?”.
Lei si voltò.
“Posso chiederti un favore?”.
“Certo”.
“Ti dispiace se resto a dormire qui questa notte, non me la sento di andare al casolare in cima alla collina da sola”.
“Sei diretta lì?”.
“Sì, era dei miei nonni, ci sono stata molte volte d’estate, quando ero bambina”.
“Sei qui per restare o per fuggire?”.
“Per entrambe le cose in realtà, solo che adesso non mi sento pronta a rientrare, ma non vorrei nemmeno approfittare della tua gentilezza e della tua ospitalità”.
“Non ti stai approfittando, Calliope, mi fa piacere avere un’ospite, sono sempre sola, in questa casetta, sola con i miei colori e le mie tele”.
“Sei una pittrice?” le chiese Callie incuriosita.
Arizona annuì e le mostrò i suoi colori, i pennelli, il suo laboratorio e gli attrezzi del mestiere.
Callie li osservò affascinata e ammirata, lasciando scivolare le dita affusolate lungo le setole dei pennelli ripuliti di recente con l’acquaragia.
“Sono bellissimi, Arizona. Davvero una meraviglia. Complimenti”.
“Mai quanto te” pensò Arizona, osservando quella donna giovane e bellissima che era appena entrata nella sua vita, sconvolgendo i suoi piani, come niente e nessuno erano riusciti prima di allora.
 
NdA:
In questa storia ci saranno alcuni elementi in comune con il Musical “Mamma mia!”, ma in generale, la trama avrà molti spunti narrativi del tutto inventati da me.
Spero di avervi incuriosito
lulubellula

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Capitolo 2
*** Chapter two ***


Colors of the sea

Chapter Second


La mattina seguente, quando Calliope si svegliò, impiegò diversi attimi prima di rendersi conto del luogo in cui si trovava.

Una stanza che non credeva di ricordare, un comodino vicino al muro, accanto al letto, un materasso troppo scomodo per i suoi gusti e anche informe sugli angoli, una finestrella che dava su un cortile interno.

Furono pochi attimi, istanti, brevi e fugaci, ma intensi, nei quali si cullò nell’idea di trovarsi nel casolare dei suoi nonni, a Kalokairi, momenti nei quali si immaginò che la domestica, Helena, sarebbe entrata a un momento all’altro nella sua cameretta e le avrebbe portato latte e biscotti su di un vassoio, invitandola ad una sana e golosa colazione da gustare nella veranda che dava sul mare.

Per pochi secondi assaporò quest’immagine, vi si aggrappò quasi, come ci si aggrappa con tutte le proprie forze ad un’ancora di salvezza, affondandovi le dita, le unghie, i gomiti, per salvarsi la pelle a tutti i costi.

Ma Calliope non si trovava nel casolare dei suoi nonni ed inoltre non era più una bambina di nove anni, non lo era più da un bel po’ ormai.

Si portò istintivamente le mani sul ventre, accarezzandolo piano, sentendosi meno sola, anche se era ancora presto per sentire i primi movimenti del suo bambino, anche se era troppo tardi per ritornare alla vita di prima.

Aveva preso la sua decisione e non sarebbe ritornata sui suoi passi per nessun motivo al mondo, tuttavia questa consapevolezza non serviva a farla sentire meno sola e meno triste, ma serviva a rammentare dolorosamente, in ogni minuto della giornata che aveva voltato pagina e che piangere sul latte versato, sul passato scintillante a cui era avvezza, sugli amici, le feste in piscina e sui bagni di mezzanotte, non sarebbe servito a nulla, se non ad intristirla inutilmente.

Ricordò gli avvenimenti del giorno precedente e di quelli antecedenti ad esso, suo padre che urlava, sua madre che piangeva, sua sorella che non la guardava più nemmeno negli occhi e lei che cercava di spiegarsi, di cercare di farli ragionare, senza alcun risultato.

Quando aveva capito come stavano le cose, all’incirca al secondo servizio di piatti scagliato a terra con violenza, Calliope se n’era andata in camera sua ed aveva preparato le valigie, riponendovi lo stretto necessario per vivere, qualche abito comodo, delle fotografie, la sua macchina fotografica e la videocamera, qualche altro ricordo e ninnoli di vario genere.

Tutta la sua vita rinchiusa in due bagagli a mano.

Venticinque anni della sua esistenza che si riducevano a questo.

Se ne andò via, lasciandosi tutto alle spalle, chiedendo e ottenendo le chiavi del casolare sull’isola greca e poche migliaia di dollari, che le sarebbero bastati a malapena a vivere per un paio di anni, forse tre, se avesse vissuto in modo estremamente frugale.

Il ricordo del giorno prima si riduceva a qualche brandello di immagini e sensazioni, ricordava il gran caldo e il mare irrequieto e il senso di nausea che le aveva attanagliato lo stomaco.

Si ricordava della donna che l’aveva soccorsa, una pittrice solitaria e gentile, forse un po’ troppo taciturna per i suoi gusti, almeno per quelli di un tempo.

La sua ospitalità l’aveva quasi commossa, l’aveva accolta in casa sua per la notte, nonostante la conoscesse solo da mezzora e le aveva offerto la sua camera e il suo letto, adattandosi a dormire sul divano nel salottino, vicino al tinello.

Calliope si alzò dal letto e sistemò le lenzuola, portandole semplicemente sopra al cuscino, aggiustandole agli angoli, poi si pettinò velocemente guardandosi allo specchio e notando il colorito pallido, quasi verdastro, che le si era dipinto sul volto da quasi due mesi ormai, campanello d’allarme delle sue nausee mattutine, che avevano insospettito i suoi genitori e l’avevano smascherata prima del previsto.

Prese dei trucchi dal beauty case e applicò un fondotinta lievemente più scuro del colore della sua pelle, in modo da darle un po’ di colore e toglierle la stanchezza e il malessere dal suo volto.

Poi si cambiò d’abito, scegliendo un prendisole giallo e dei sandali color beige e  raccolse i lunghi capelli corvini in una semplice coda di cavallo, lasciando intravedere maggiormente il suo sguardo, in particolare gli occhi grandi ed espressivi.

Aprì la porta ed entrò in salotto, chiamò la padrona di casa, Arizona, per ringraziarla dell’ospitalità e dell’aiuto prestatole.

“Sono nella veranda, Calliope. Vieni, esci dalla porticina principale e gira a destra. Mi troverai qui”.

Callie seguì le istruzioni e si diresse verso la veranda.

C’era un grande tavolo in legno grezzo, una semplice e candida tovaglia di lino e un vaso di girasoli a completare l’opera.

Un gazebo grande e spazioso che consentiva di consumare i pasti lontano dalla calura di quelle giornate di fine estate e permetteva di gustarsi la deliziosa colazione che Arizona ha preparato.

Caffè, latte, biscotti e croissant alla marmellata e al cioccolato.

“Wow, Arizona. Non avresti dovuto prepararmi tutte queste leccornie. Mi dispiace esserti di peso in questo modo”.

“Nessun disturbo, Calliope. Mi fa piacere coccolare i miei ospiti” le disse Arizona, tendendo lo sguardo a terra.

“Bè, allora grazie. Direi che potrei cominciare con un croissant al cioccolato e un caffè, anche se immagino che tra dieci minuti potrei pentirmene, pentirmi in generale di aver fatto colazione”.

Arizona la guardò con aria interrogativa.

“Perché? Ti prego, Calliope, non dirmi che sei una di quelle donne perennemente fissate con il peso forma, la linea, le diete!” le chiede incuriosita e un tantino esasperata.

Calliope iniziò a ridere.

“No, Arizona, tutt’altro, mi piace la buona cucina. E’ solo che il piccolino non sempre la gradisce” e si accarezza la pancia con dolcezza.

“Odia il cioccolato, il gelato, la pizza, i sottaceti e praticamente tutti i cibi che mi piacciono di più. Forse dovrei evitare il croissant”.

Arizona rimase senza parole per qualche istante.

“Tu, tu sei, tu aspetti, tu ...”.

“Sì, Arizona, aspetto un bambino” le disse semplicemente Callie.

“E ..., stai bene? C’è qualcosa che posso fare per te?” le chiese.

“Veramente sì, potresti darmi un passaggio fino al casolare in cima alla collina in mattinata? Non credo di riuscire ad arrivarci da sola con due valigie”.

“C-certo, certo, ci mancherebbe! Dimmi solo quando vuoi partire e ti ci accompagno!”.

“Magari più tardi, Arizona, credo che al bambino non piaccia nemmeno la marmellata!”.







“Dannazione, Arizona! Non puoi farlo, non puoi partire proprio adesso! Non pensi a me, non pensi a Sofia. Lei ti cerca prima di addormentarsi, vuole il bacio della buonanotte da te, vuole che le racconti se il terzo porcellino riuscirà a salvarsi nella sua casetta di mattoni! Ti chiama Mama, lei ti chiama Mama! Non significa niente per te tutto questo? Io non significo più nulla per te?”.

Arizona reagisce a quelle parole come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno volto.

“Bene, adesso vedo che ti viene facile dare tuttala colpa a me. Ora ti ricordi. Ti ricordi di noi due, eppure quella sera, quando hai baciato Mark al falò, vicino al mare, non mi sembrava che ti importasse qualcosa di Noi!”.

Arizona infila di tutta fretta dei vestiti in un borsone e inizia a camminare per la strada polverosa.

“Hai davvero intenzione di andartene, di lasciarci?”.

Arizona continua a camminare allungando il passo.

“Sei esattamente come i miei genitori!” le grida Callie.

Arizona si volta.

“Non sono come loro, io non ti ho abbandonata, non ti ho ripudiata, io ti ho voluto bene, ti ho amata, ho vissuto questi ultimi tre anni pensando a renderti felice, dimenticandomi della mia di felicità. Ora è tempo che io pensi a me, che mi decida a troncare questo rapporto soffocante e tossico!”.
Calliope rimane ferita dalle sue parole e si ferma.

“Fantastico. Allora vai, vattene! Sii felice, realizzata, amata, fai tutte quelle cose che ti ho impedito di fare in questi terribili tre anni! Sei libera! Libera! Non farti più vedere qui. Io non ti voglio più vedere. Se te ne vai ora, cerca di non tornare indietro. Non è difficile, sai? Persino un mostro del mio calibro ci è riuscito”.

Arizona osserva Calliope piangere e tornare verso la locanda, quel casolare sulla collina che solo fino alla sera prima chiamava casa.

Continuano a camminare tutte e due, in direzioni opposte, perchè è più facile andarsene via che chiedere scusa e tornare indietro, anche se loro due si amano, anche se dovranno aspettare altri diciotto anni per rivedersi di nuovo.






 
 
“Mamma! Mamma! Mamma!”.

Una giovane dai lunghi capelli corvini e dagli occhi scuri ed espressivi sveglia sua madre nel cuore della notte.

“Che c’è? S-sono sveglia! Sono sveglia! Il terremoto!” risponde svegliandosi di soprassalto.

“Mamma, non è il terremoto. Sono io, Sofia, tua figlia, ricordi?”.

“Che ore sono? E’ ancora buio fuori: e’ successo qualcosa?” chiede ancora insonnolita.

Sofia, con gli occhi che le brillano e al colmo dell’emozione, le dice: “Me l’ha chiesto, Ethan me l’ha chiesto!”.

“Che cosa, amore, che cosa ti ha chiesto?”.

“Come che cosa, mamma? Mi ha chiesto di sposarlo!”.

“T-ti ha, lui ti ha, oddio, te lo ha chiesto!”.

“Sì, mamma!”.

“E tu che cosa hai risposto?”.

“Sì, io ho detto di sì!”.




 
 
NdA:
Sono riuscita a scrivere questo capitolo (si commuove), ce l’ho fatta!
Sappiate che le persone che hanno recensito, aggiunto alle preferite/seguite/ricordate, hanno parte del merito per avermi spronata.
E sì, Ethan è proprio il bambino che sta tanto a cuore ad Owen, perciò io lo considero già suo figlio.
Alla prossima
Luisa
 

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Capitolo 3
*** Chapter Three ***


Colors of the sea

Chapter three

La strada era parecchio scoscesa e sterrata, la polvere si alzava al passaggio della jeep di Arizona, sulla quale viaggiavano le due donne.

Impiegarono una manciata di minuti per giungere sino alla cima della collinetta, che, dall’alto si ergeva a dominare l’isoletta dell’Egeo; la vegetazione era lussureggiante e maestosa, vi erano cactus e fichi d’India, alcune piante grasse, arbusti di ogni tipo e sorta.

Il casolare dei nonni di Calliope si sarebbe potuto confondere con una villa spaziosa al primo sguardo, ma ad un’occhiata più attenta, al secondo impatto si notavano segni di abbandono e di cedimento, quali persiane malandate, tegole del tetto traballanti e assi della veranda che necessitavano di un massiccio intervento di manutenzione.

Calliope si sentì persa tutto d’un tratto, sperava che giungere in quel luogo le avrebbe risollevato il morale e donato un po’ di fiducia, di coraggio e di tranquillità, invece sentiva di trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato, con le intenzioni peggiori e più assurde del mondo, quelle di ricavare una fonte di reddito per sé e il piccoletto che aveva in grembo, in modo da riuscire a sopravvivere in modo onesto e dignitoso nel Vecchio Continente.

“Eccoci arrivate” esclamò la sua gentile accompagnatrice con una nota di entusiasmo sulla voce e un sorriso caldo e avvolgente a illuminarle gli occhi celesti.

Calliope annuì debolmente, cercando di mascherare la sua delusione e il profondo senso di paura e di sconforto che l’avevano assalita, soffocando le poche speranze che l’avevano animata nei giorni precedenti.

“Sembra davvero un bel posto, Calliope, un ottimo posto per aprire una locanda, un albergo, persino un Bed & Breakfast” le disse Arizona incoraggiante.

“Già” disse piano Calliope con poca convinzione.

Arizona la guardò per qualche istante negli occhi, cercando di intuire il motivo di un così poco entusiasmo.

“Non sembri molto entusiasta di questo luogo, Calliope. Credevo che fosse una specie di seconda casa per te, una sorta di porto sicuro, lontano dalle tempeste della tua vita” le disse timidamente.

Calliope abbassò lo sguardo e si lasciò sfuggire una lacrima, che, a fatica era riuscita a trattenere sino a quel momento.

“E’ un disastro, Arizona, ci sono un mucchio di lavori da fare, c’è il tetto da riparare, la veranda da rifare quasi completamente e ci sono dei muri da radere al suolo, nonché un’altra infinità di migliorie da mettere a punto ed io non, i- io non …”.

Arizona le porse un fazzoletto di carta che aveva estratto prontamente dallo zaino che teneva nello spazioso bagagliaio della sua jeep impolverata.

“Grazie” le disse Calliope, nascondendo per qualche istante il volto e mascherando goffamente il suo stato di profonda inquietudine.
“Tu non puoi, cosa?” le chiese Arizona, mordendosi poi il labbro per la paura di essersi comportata in modo eccessivamente sfacciato ed invadente con una donna sola, triste e incinta che, in fondo, conosceva da meno di ventiquattr’ore.

“Io, io non mi posso permettere migliorie di questo tipo, ho un budget davvero molto limitato e devo stare attenta a ciò che spendo se non voglio ritrovarmi sul lastrico, con un mucchio di debiti, il casolare pignorato e un bambino in arrivo senza un posto in cui farlo crescere!”.

Arizona si pentì di averle posto quella domanda che aveva fatto sorgere nella povera Calliope una seconda e ben più impetuosa valanga di lacrime, che faticava a controllare, malgrado i suoi tentativi di farsi forza per non mostrarsi debole.

“Io conosco delle persone che ti potrebbero dare una mano a rimettere in sesto questo luogo, in modo semplice per cominciare, senza troppi fronzoli, abbastanza per far rinascere questo luogo stupendo e renderlo appetibile ai turisti e confortevole per te e per il figlio che nascerà”.

Gli occhi di Callie si riempirono di gratitudine nei confronti di quella donna bella e gentile che sembrava averla presa sotto la sua ala protettrice, quasi un angelo custode venuto in suo aiuto per renderle quel nuovo capitolo della sua vita, aspro e pieno di punti interrogativi un po’meno spaventoso.

 
 
“Non ti riconosco più, Calliope. Non riesco a capire che cosa ti sia successo in tutto questo tempo. Prima rimani incinta e ti rifiuti di sposare Mark, costringendomi a cacciarti di casa e a farti venire a vivere qui e poi mi fai questo!” le urlò contro suo padre con tutto il fiato che aveva in gola.

Calliope si sentì profondamente ferita e amareggiata, toccata nel profondo, nei suoi affetti personali, nella sua vita privata, in quell’angolino di felicità che si era faticosamente ricavata dopo aver sofferto tanto a lungo.

“Dillo, avanti, papà, dillo, scommetto che muori dalla voglia di farlo, di dirmi quando io sia una vergogna per te, per la nostra famiglia, un abominio ai tuoi occhi e agli occhi di Dio!”.

“Una ragazza madre, una, una …”.

“Sono felicemente fidanzata con una donna che amo e che mi ama, convivo con lei e se mi chiedesse di sposarla, se volesse fare di me la donna più felice sulla faccia della Terra, accetterei senza esitare un solo istante! E tu, papà, tu dovresti essere felice per me, tu dovresti appoggiarmi e dovresti amare tua nipote, dovresti prenderla in braccio come fanno tutti i nonni del mondo invece di guardarla come se fosse sbagliata, come se io fossi sbagliata!”.

Carlos esitò un istante e si morse il labbro superiore.

“Io non ho una figlia, non più, e lei non è mia nipote, non lo è mai stata!” le disse stringendo i denti.

“E così questo è un addio? Mi stai dicendo che io non significo più nulla per te, che il tuo cuore non si infrangerà in mille pezzi al pensiero che non rivedrai mai più tua figlia?” gli chiese Calliope con la voce rotta dalla rabbia, dalla delusione e dal rammarico.

“Come ho detto prima, mai avuto una figlia in vita mia” e così dicendo, se ne andò lasciandosi la porta dietro le spalle e un pezzo di se stesso in quell’angolo di Paradiso.

Calliope si lasciò scivolare a terra, sfiorando il muro con la schiena e le spalle e piangendo tutte le sue lacrime sino allo stremo delle forze.

Arizona era a pochi passi da lei e non sapeva cosa fare, che cosa dirle, come confortarla, il fatto era che nessuno aveva mia fatto nulla di così folle e passionale, folle e impulsivo, folle e romantico, come aveva appena fatto Calliope, tagliando definitivamente i ponti con la sua famiglia d’origine.

Riuscì solo a sedersi accanto a lei e ad abbracciarla forte, stringendola a sé e addormentandosi vicino a lei sulla porta del loro casolare.


 
 
“Sembra che diventeremo un’unica grande famiglia” le disse entusiasticamente Owen, con gli occhi colmi di commozione e di felicità.

“Già” gli rispose Callie, restando pensierosa e guardando a terra.

“C’è qualcosa che non va, Callie?” le domandò l’uomo preoccupato.

“No, Owen, nulla, è solo che Sofia è così giovane, ha solo vent’anni e anche Ethan ne ha venticinque, sono entrambi così giovani per questo grande passo”.

“Bè, ma sono innamorati e felici. E poi anche tu avevi venticinque anni quando nacque Sofia. Non c’è un’età giusta per amare, solo la persona perfetta e il momento magico in cui ci si rende conto che non si vorrebbe aspettare un secondo di più per trascorrere il resto dei propri giorni con quella persona al proprio fianco” disse l’uomo guardando in direzione di sua moglie Cristina.

Callie soffocò un sospiro, cercando di non mostrasi turbata.

“Cristina è una donna fortunata”.

“No, sono io ad essere un uomo fortunato, ad aver trovato lei, proprio quando stavo per gettare la spugna, è comparsa lei nella mia vita come un fulmine a ciel sereno”.

Calliope si voltò ad osservare Sofia ed Ethan che stavano apparecchiando la tavola, guardandosi negli occhi come attratti l’uno all’altra da una campo magnetico, da una forza misteriosa e magica che li avvolgeva insieme.

“Ti sei mai sentita così, Calliope, come loro due?” le chiese Owen.

“Sì, mi sono sentita così, tanto tempo fa. C’era qualcuno che mi guardava così, negli occhi, e mi faceva sentire la persona più fortunata della Terra” rispose con amarezza nella voce.

“Immagino che ti riferisca al padre di Sofia”.

Callie esitò un istante e poi rispose, mentendogli: “Già, sì, mi riferivo a Mark, una volta eravamo così anche noi due”.

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Capitolo 4
*** Chapter Four ***


Colors of the sea

Chapter Four


Il sole splendeva alto nel cielo e brillava intensamente colorando le onde del mare di tonalità tenui e dolci ed era pressoché impossibile non farvi caso, evitare di guardare in direzione dell’orizzonte.

Calliope era appena entrata nel casolare e aveva constatato con disappunto che le condizioni della vecchia dimora delle sue fanciullesche vacanze portava i segni del tempo e dell’abbandono e che aver licenziato a suo tempo ogni benché minima forma di servitù, aveva acuito notevolmente il degrado.

La casa odorava di chiuso e di stantio, di vecchio e i sofà in salotto, coperti da vecchi lenzuoli ingrigiti, erano cosparsi da almeno due ditate di polvere.

I mobili del soggiorno erano in buono stato, tutto sommato, avevano solo bisogno di una buona dose di detersivo, acqua e olio di gomito per tornare al loro antico splendore e lo stesso valeva per le piastrelle in maiolica e terracotta.

La donna si incamminò a passo sostenuto verso la sua cameretta di un tempo, al piano superiore, seguita da un’intimorita Arizona, che aveva sempre osservato quel casolare da lontano e sentiva una sorta di timore quasi reverenziale nei confronti di quel luogo ormai dimenticato da Dio e dagli uomini.

Calliope spalancò la porta della sua stanzetta e notò che tutto si era fermato esattamente a sedici anni prima, all’ultima volta che lei aveva trascorso lì le sue lunghe e spensierate vacanze estive, prima di mettere piede in collegio e poi uscirvi dopo aver conseguito il suo diploma.

Il letto a baldacchino era rimasto tale e quale, le lenzuola erano un po’ ingiallite e qua e là vi erano ragnatele e piccoli ed innocui ragnetti, ma era rimasta la stessa.

Il cassettone bianco, la sua cassapanca colma di giocattoli, i vestiti di ricambio di quando era bambina.

Era come se in quella stanzetta il tempo si fosse fermato, come se non fosse passato un solo giorno da allora.

E sul comodino, accanto ad letto, c’era una vecchia fotografia in bianco e nero di lei bambina, nella stessa identica posizione, sola e pensierosa a scostare le tende e guardare fuori dalla finestra.

Arizona, che aveva aperto la porta della camera su invito della proprietaria, restò rapita da quell’immagine, da quelle due proiezioni della donna, l’una giovane e a colori, dal vivo, l’altra fanciulla, in bianco e nero, così distanti, eppure così simili.

Continuò ad osservarla da lontano, vedendo i tiepidi raggi del sole settembrino che illuminavano il suo volto, che le facevano risplendere i capelli scuri e lisci, come se il brillio dei suoi occhi non bastasse da solo a farla splendere di luce propria.

Scrutava le sue dita affusolate che scivolavano lungo le superfici dei mobili ricoprirsi di polvere, il suo sguardo proiettato verso l’alto a guardare con disappunto le ragnatele, quei ricami naturali che conferivano all’intera stanza un’atmosfera senza età, quasi eterna.

“E’ passato così tanto tempo” disse Calliope tra sé e sé, con un velo di amarezza nella voce.

“Sedici anni. Giusto?” le domandò piano la pittrice, a voce bassa, come se non avesse voluto spezzare quell’incanto che si era ricreato.

Callie si voltò, guardando la donna negli occhi, quasi dimentica della sua presenza, della sua vicinanza.

“Sì, sedici lunghissime, interminabili primavere. Eppure è strano” iniziò la donna.

“Cosa? Che cos’è che ti sembra strano?” le domandò incuriosita.

“Mi sembra di non essermene mai andata, di essermi assentata solo per poco, di essere rimasta sempre qui. Mi sento più a casa in questo luogo, tra queste mura in rovina, tra questi teli impolverati, di quanto mi sia mai sentita a Miami, tra posate d’argento e tovaglie di lino bianchissimo. Magari ti sembrerà una sciocchezza, forse ora ti sembrerò una pazza e sentimentale in balia di un forte squilibrio ormonale” disse Calliope, arrossendo in volto e girando nuovamente la testa in direzione della finestra.

Arizona le sorrise.

“Non credo che tu sia pazza o folle. Penso semplicemente che tu abbia ragione, che questo luogo racchiuda dentro di sé qualcosa di magico, qualcosa di speciale. Capisco benissimo la tua sensazione, mi è famigliare” affermò rassicurandola.

“Davvero?”.

“Sì, certo. Non ti è mai successo di provare lo stesso con delle persone appena conosciute, con una in particolare?”.

“Che cosa intendi?”.

“Ok – iniziò Arizona – magari è solo una sciocchezza, una mia fantasia e forse, tra noi due, la folle sono io. Però a me è successo di parlare con una persona, una perfetta sconosciuta, incontrata in un modo del tutto fortuito e di sentire che, nonostante io non l’avessi mai vista né incontrata prima d’allora, lei riuscisse a scrutarmi, a leggermi dentro più di chiunque altro. Come se per lei fossi un libro aperto, cristallina, senza enigmi, la pura e semplice me stessa”.

“E che cosa hai fatto? L’hai più rivista?” le chiese Calliope.

“Sì. No. In un certo senso” rispose Arizona balbettando.

“Non mi sembra che tu abbia le idee molto chiare”.

“Hai ragione. Scusami – la donna si passò una mano tra i capelli color grano e sospirò – è complicato, davvero complicato. Ed io non voglio essere un peso in più per lei, la sua vita è già difficile così com’è, senza che io peggiori ulteriormente le cose” ammise.

“E così non ci hai nemmeno provato? Non hai nemmeno tentato di starle vicino, di farle capire quello che provi?”.

“Ho tentato, le sono stata vicino, le sto vicino, ma non credo che le dirò mai quello che provo. Le farei del male, io finisco sempre per fare del male alle persone a cui mi affeziono, a cui voglio bene. Distruggo tutto ciò che tocco, tutto ciò che amo, senza volerlo, senza premeditarlo. Semplicemente è così”.

Callie la guardò negli occhi e le prese le mani.

“Io non ti conosco bene, io sono ancora una sconosciuta per te. Tu mi stai aiutando, non mi stai facendo del male. Tu sei buona, Arizona, io riesco a vederlo. Tu sei una brava persona. Le cose vanno male tutti i giorni e a volte possiamo solo accettarle, a volte non c’è niente che possiamo fare per cambiarle. Solo adeguarci all’onda e seguirla oppure lasciarci sommergere dagli eventi e aspettare che ci trascinino a fondo. Io non mi lascio travolgere, io combatto, io mi rialzo, sempre. E la tua vicinanza potrà solo farmi stare meglio, mi sta già facendo vivere più serenamente. Non lascerò che la tua paura di ferire gli altri ti faccia allontanare dalla persone, da me. Semplicemente non riuscirei a sopportarlo”.

“Dovresti invece, se sapessi quello che ti sta aspettando, ti allontaneresti immediatamente da me, scegliendo di rimanere una sconosciuta ai miei occhi”.

“Ascoltami, Arizona! Prestami attenzione! Io sono Calliope Iphegenia Torres, ho venticinque anni, sono di Miami. Aspetto un bambino dal mio migliore amico Mark, probabilmente la persona che mi capisca di più al mondo e che mi rispetti, qualunque cosa io faccia, qualunque decisione io prenda. Gli voglio bene, ma non lo amo e sono fuggita dall’idea di un matrimonio senza amore, non ero pronta a mentire di fronte a Dio e a me stessa, non lo sarò mai. Adoro la pizza e non posso dire lo stesso dell’insalata. Mi piace ballare e sono piuttosto brava. Amo questo luogo più di ogni altro e voglio ridargli nuova vita, a costo di investire fino all’ultimo centesimo in quest’impresa”.

“Perché mi dici tutte queste cose? Perché lo fai?”.

“Questa è una lista di cose che sai di me. Questa è una lista che fa’ di me una tua conoscente, non più una sconosciuta. Queste parole ti impediranno di tenermi fuori dalla tua vita”.

“Calliope …”.

“Niente, Calliope! La frittata è fatta e tu non puoi più tirarti indietro, Arizona!”.

“Avresti dovuto aggiungere testarda”:

“Hai ragione! E anche caparbia, orgogliosa e non arrendevole”.

“Sei proprio sicura di quello che stai facendo?”.

“Arizona!” la rimproverò Callie.

“Rispondimi!”.

“Sì, ne sono certa. Ora ti dispiacerebbe darmi una mano a rendere questo caos, perlomeno vivibile?” le domandò con un sorriso.

Arizona annuì.

“Mi stai rendendo tutto più difficile, sconosciuta. Stai costruendo la tua futura infelicità, mattone dopo mattone. Se ti amassi davvero, Calliope, me ne andrei subito. Se ti amassi veramente, ti lascerei andare. Se fossi la persona che credi, non sarei così egoista e rinuncerei a te, fermando nel principio la spirale maledetta che coinvolgerà anche te, Calliope, che arriverà a farti odiare persino il suono della mia voce” pensò tristemente tra sé e sé.



 
 
“Di nuovo nulla?” le chiese Arizona, tenendo la piccola Sofia tra le braccia, dopo averle appena dato il biberon colmo di latte.

Calliope scosse la testa e si allontanò dalla cassetta delle lettere.

“Niente telegrammi, lettere, regali per la bambina. Sofia ha quasi tre mesi, i miei genitori avranno ricevuto la notizia della sua nascita da un pezzo. Non la vogliono conoscere, ci hanno tagliato fuori dalle loro vite, come si fa con i rami secchi degli alberi, inutili, dannosi, sterili. Non hanno più una figlia, io non ho più dei genitori”.

Calliope si sedette su una sedia e lasciò che le lacrime scivolassero sul suo volto, scendendole piano , morendole sulle labbra rosee.

“Sono loro quelli che hanno perso. Nonostante credano di aver ragione, sono loro quelli che ci rimettono in tutta questa storia. Perché non possono godere di questa piccola meraviglia, perché non possono più abbracciare te”.

Callie annuì debolmente e cominciò a sistemare la cucina, in attesa del turisti che avrebbero affollato la sua locanda nelle ore serali.

E Arizona non poté fare a meno di osservarla, senza farsi accorgere, perché aveva promesso a se stessa che avrebbe taciuto, perché aveva promesso a se stessa che non avrebbe rovinato tutto.

Continuò a stringere a sé la bambina, cullandola come se fosse sua figlia, come se, finalmente, avesse di nuovo una famiglia.





 
“Sei così bella, Sofia, uno splendore!” le disse Callie, osservando con orgoglio la figlia che indossava quello che sarebbe stato il suo futuro abito da sposa.

Un bianco, vaporoso modello a sirena, con un velo di pizzo e uno strascico candido che le scendeva lungo le spalle, un diadema di famiglia a incorniciarle il volto regolare e i capelli, un sorriso smagliante a dipingerle lo sguardo, radioso e spensierato, lo sguardo di una giovane innamorata e felice.

“Sei felice, mamma? Sei contenta che io stia per sposarmi?”.

Callie venne presa alla sprovvista da quella domanda posta a bruciapelo.

“S-Sì, Sofia, felicissima, sono felicissima. Ethan è un bravo ragazzo e ti ama, tienitelo stretto, amore”.

“Mamma, posso chiederti un’altra cosa?”.

“Sì, fai pure”.

“Sei mai stata innamorata? Innamorata veramente?”.

Callie sentì una fitta dolorosa dritta al cuore.

“S- no, Sofia, non abbastanza almeno. Non abbastanza da sposarmi” mentì e taglio corto, evitando di fornire ulteriori dettagli e mettendo a tacere nuovamente con se stessa la nostalgia dei primissimi anni di vita di sua figlia, della locanda appena riaperta, di Arizona al suo fianco.




NdA:
Scusate il ritardo, finalmente sono riuscita a scrivere questo capitolo ...
Grazie a tutte le persone che mi seguono e un grazie in più a chi recensisce.
A presto
lulubellula
 

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