Burn it down

di Otta_Weasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Jeremy Johnson, trentun anni e qualche mese, si era sempre considerato una persona intelligente e in gambo, piena di spirito e di molte altre qualità che gli avrebbero garantito un roseo futuro e un altrettanto roseo conto in banca. -Andiamo stupido bestione! Mi faccia entrare! Non capisce che è finto? Finto!- Era per questo motivo che proprio non riusciva a spiegarsi come avesse fatto a finire, con i suoi buoni voti e la sua buona volontà, a fare da bodyguard in uno stupido locale alla moda. Il Florence’s era uno dei club più esclusivi di Manhattan. Era il posto in cui la gente, l’alta società del luogo –se così si poteva chiamarla- si poteva recare per svagarsi, divertirsi, scatenarsi sulla pista illuminata dalle luci stroboscopiche o, se preferivano, rilassarsi sui comodi divanetti in pelle rossa che arredavano l’interno. Per entrare era necessario ottenere accesso alla famigerata lista che Jeremy teneva in mano e, perché il proprio nome venisse scritto lì sopra, bisogna, sopra ogni altra cosa, essere ricchi sfondati. La gente che si affollava ogni sera davanti all’entrata lo sapeva. Eppure molti curiosi non potevano fare a meno di soffermarsi lì davanti, magari sperando di avvistare qualche personaggio noto o in caccia di alcuni fra i cognomi altisonanti dei rampolli che frequentavano il posto. L’età media verteva sui diciotto, diciannove anni ma, in serate di piena –come quella sera- arrivava gente anche più grande. Il Florence’s, inoltre, era piuttosto famoso per le incredibili serate a tema che venivano organizzate nell’ampio salone, decorato a dovere per rispecchiare lo stile della festa. Quella sera gli abituari del club avrebbero dovuto travestirsi da personaggi fantastici. Jeremy era di Brooklyn. La sua cara, vecchia, povera Brooklyn. Per quanto per molti, soprattutto in vista delle persone che si trovava a frequentare per lavoro, il fatto che tuttora vivesse lì fosse questione di vergogna, Jeremy amava il suo quartiere, così lontano dai lussi e dall’aria patinata che si respirava lì. -Ehi scimmione mi hai sentito?- La voce irritantemente lasciva proveniva da parecchi centimetri in basso rispetto a lui –era piuttosto alto, sfiorava il metro e novantacinque- e assumeva le fattezze di un ragazzo dall’aria scocciata. Jeremy l’aveva visto lì parecchie volte –la maggior parte scortato da accompagnatrici vestite con dei fazzoletti di stoffa troppo corti e succinti per essere determinati come “abiti”- e sapeva anche che era il figlio di un importante impresario della zona. Nonostante la sua giovane età -aveva diciassette anni? Diciotto? Jeremy non lo ricordava e si appuntò di chiedere a Lauren, la barista che sembrava sapere sempre tutto di tutti- il ragazzo aveva un’espressione in viso che lo faceva sembrare molto più vecchio, come se fosse cresciuto all’improvviso. -Non posso lasciarti entrare con quello- ripeté Jeremy con voce atona indicando con un cenno del capo rasato di fresco il paletto che il ragazzo aveva in mano. -Senti amico, non so se ci siamo capiti, ma… è di GOMMA! E fa parte del mio costume!- e detto ciò fece un movimento veloce della mano soffermandosi sul mantello e i denti da vampiro. Stranamente, notò Jeremy, si ostinava a portare una sciarpa rossa al collo. Jeremy gliela aveva vista altre volte e sapeva che il ragazzo la considerava quasi un suo simbolo, perciò aveva preso a soprannominarlo fra se e sé il “ragazzo sciarpa”. Jeremy scosse il capo, stanco. Sapeva che avrebbe dovuto lasciarlo andare oppure avrebbe avuto problemi con il suo capo e, soprattutto, avrebbe dovuto sorbirsi un’altra delle presuntuose tirate sul “tu non sai chi sono io” che il ragazzo gli aveva presentato una volta. Una ragazza dai riccioli scuri gli poggiò una mano sulla spalla e si chinò in avanti, le labbra piene disegnate dal rossetto rosso. Jeremy notò che era stranamente troppo vestita per essere una delle accompagnatrici del “ragazzo sciarpa”. -Chuck basta, lascia perdere e molla quel paletto- Jeremy trovò che quella ragazza gli era abbastanza simpatica –Che poi non so nemmeno perché tu te lo sia portato dietro. Sei un vampiro, che te ne fai di un paletto? Ti suicidi?- sembrò pensarci su e poi si aprì in un sorriso malizioso –Aspetta un attimo, forse dovresti tenerlo!- Il ragazzo sciarpa scosse la testa, frustrato. –Ricordami perché sono venuto con te? Aspetta no, non voglio nemmeno pensarci. Ma voglio il mio paletto, è una questione di principio!- -Chuck, finiscila di fare il bambino!- la ragazza incrociò le braccia al petto –Lascia quel paletto e andiamo!- detto questo afferrò l’oggetto incriminato e lo gettò per terra, tirandogli un calcio con le scarpette di cristallo tacco 13 che indossava –in tema con il suo vestito da principessa delle favole- detto ciò, afferrò il braccio del suo cavaliere e lo trascinò oltre la soglia con un “Ora si levi dai piedi, stupido scimmione!” che fece ricredere Jeremy sui suoi precedenti ragionamenti. L’alta società non faceva per lui. Fece appena in tempo a sentire un “Adoro quando parli sporco, tesoro” sussurrato da uno stranamente melenso ragazzo-sciarpa alla sua accompagnatrice –che per dirla tutta lo scrollo via e rispose qualcosa di astioso che venne coperto dal volume della musica- prima che un’altra ondata di gente travestita per la festa premesse su di lui per avere accesso al pub. La serata stava volgendo al termine e le prime luci di un tenue mattino stavano rischiarando l’atmosfera. Era stata una notte impegnativa per Jeremy che, in assenza del suo collega Billy, aveva dovuto fronteggiare un numero imprecisato di ragazzini esaltati, giovani donne dagli abiti provocanti e persino uomini più maturi che sbavavano dietro qualche ragazzina. Il locale si era ormai quasi svuotato e rimanevano dentro solo i più grandi o quelli che avevano trovato un intrattenimento piuttosto piacevole, se così si poteva dire. Il ragazzo sciarpa e la sua accompagnatrice, sempre la stessa con sua enorme sorpresa, avevano lasciato il locale pochi minuti prima, infilandosi in una limousine dai vetri oscurati. Jeremy aveva notato con sommo piacere come il giovane fosse diventato uno scodinzolante cagnolino agli ordini della ragazza che, d’altra parte, pur essendo di rimando interessata, non sembrava volergliela dare vinta con facilità. Sorrise enigmatico mentre, con un’occhiata veloce all’orologio, pensava che, fra una mezzoretta sarebbe potuto rincasare nel suo piccolo monolocale. Fu quando mancavano pochi minuti all’ora X, le tre e mezza, che lei apparve. Jeremy non la notò subito. Era buio e si era anche alzata una leggera nebbiolina che impediva di vedere bene anche a poca distanza. Lui era occupato a fissare le sue scarpe nere –in tinta con i pantaloni, la giacca, la camicia e, persino, gli occhiali da sole- e poi aveva sentito un rumore ritmico: come qualcuno che camminava verso di lui. La prima cosa che entrò nella sua visuale furono gli stivali con il tacco alto, neri. Poi i leggins sottili e il giubbotto da motociclista nero, sbottonato sul davanti, che metteva in bella mostra il decoltè e la canotta –anche essa nera- che lo ricopriva. Poi, quando riuscì a staccarsi da quella vista e risalire un po’ più su, ebbe la visuale completa della ragazza che gli stava difronte. Lunghi capelli scuri, leggermente mossi che le ricadevano sulle spalle e sulla fronte, il viso sottile e spigoloso che lo fissava con espressione intensa, le labbra di un rosso scuro, strette in un sorriso provocatorio e gli occhi –oh, gli occhi!- più intensi che Jeremy avesse mai visto. Improvvisamente lui, uomo che ne aveva viste di tutti i colori, iniziò a sentire un caldo decisamente fuori luogo vista la temperatura bassa della notte. Lei sembrava consapevole di quello che lo stava agitando dentro e sorrise di nuovo, scoprendo i denti sorprendentemente aguzzi e bianchi. -Ciao- esclamò e la sua voce era roca e bassa, come Jeremy se l’era immaginata –C’è ancora posto per una bella ragazza che ha fatto tardi?- Jeremy annuì, un groppo in gola che gli impediva di dire qualsiasi cosa. -Non sono nella lista però… se mi lasci entrare senza fare problemi…- continuava a guardarlo dritto negli occhi e si fece avanti con un passo lentamente calcolato. Si protese appena un po’ in avanti e scrollò i capelli dalla fronte –Saprei come ricompensarti, ecco- Detto ciò poggiò la sua mano bianca e sottile sul suo braccio e Jeremy deglutì, annuendo di nuovo. - Grazie mille, sei un tesoro- sussurrò e fece un altro passo avanti, facendo scintillare il suo sorriso sotto le luci forti dell’ingresso. Il suo sorriso, però, non fu l’unica cosa a scintillare. Jeremy fissò nervosamente la strana lama che teneva appesa alla cintura e, con la bocca ancora impastata, fece un cenno con il capo. –Ehm… quella…- Lei chinò di poco il capo, come se aspettasse il continuo della sua frase come un assettato chiede dell’acqua in pieno deserto, poi sorrise di nuovo ed estrasse il coltello dalla cintura, sollevandolo fino a che Jeremy non se lo trovò a pochi centimetri da naso. Deglutì a fondo e continuò la frase, cercando di non pensare a quanto fosse vicina. -Ehm, non è… non è vera, giusto?- chiese. La ragazza scoppiò a ridere, a ridere di gusto, gettando il capo all’indietro. Anche Jeremy ridacchiò, poco convinto. Poi, però, la risata di lei si affievolì e sul suo volto prese spazio lo stesso sorriso che l’aveva animata quando aveva cercato di corromperlo per entrare. -Vera?- chiese avvicinandosi sempre di più, il coltello sempre in mano –Certo che è vera. Credi che io me ne vada in giro con dei coltelli giocattolo?- Jeremy sbarrò gli occhi ma, prima che potesse dire qualcosa, lei si mosse e lui sentì un qualcosa colpirgli forte lo stomaco. Portò le mani nella parte interessata e le ritirò coperte di sangue. Lei fissava la lama macchiata di rosso, del mio sangue! pensò confusamente Jeremy, e sorrideva, come se non fosse successo nulla. Si avvicinò di nuovo e, anche se Jeremy cercò di allontanarsi, il dolore sordo allo stomaco dove era stato… accoltellato?, gli impedì di fare alcunché. Si trovò il suo viso a pochi centimetri dal suo mentre sopraffatto da crampi di grande intensità si accasciava sul marciapiede sporco e freddo. -Sogni d’oro, tesoro- sussurrò la sua voce, improvvisamente distaccata e fredda. Jeremy la vide rialzarsi e entrare nel locale, il coltello ancora in mano e i tacchi che colpivano ritmicamente il parquet. Poi fu tutto buio.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

<< Le bestie peggiori sono quelle che ci teniamo dentro
       e che non lasciamo uscire..>>

 
 

Li pneumatici aderivano perfettamente con l’asfalto, la Lamborghini in vernice nera sfrecciava come un’aquila che scende in picchiata verso la terra per catturare la sua preda, gli occhi color ghiaccio della ragazza rimasero fissi sulla strada, il labbro inferiore era bloccato tra la fila superiore dei denti, lei non aveva un’espressione tranquilla, anzi, sembrava parecchio tesa. L’autostrada era deserta e questo le permetteva di premere al massimo il pedale dell’acceleratore. Il display attaccato al cruscotto, si accese, lo schermo da nero divenne bianco e poi apparve il volto di un signore dall’aspetto invecchiato ma dall’espressione fiera, si complimentò con la giovane per il lavoro da lei svolto. La sua voce era roca e interrotta da qualche colpo di tosse; il labbro inferiore di lei si stese insieme a quello superiore in un sorrisetto soddisfatto ora entrambi gli occhi erano sulla strada nonostante l’uomo continuasse a parlare indisturbato.
-      Una nuova missione? – domandò lei eccitata al sol pensiero.
-      No, mia cara. Qualcosa di più importante, ne parliamo appena rientri- rispose l’uomo chiudendo la conversazione con un colpo di tosse.
Uno sfondo arancione dove montagne sabbiose spuntavano da tutti i lati, sembrava una strada senza fine quando, dietro una curva, si aprì uno squarcio meraviglioso. Una struttura interamente costruita nella roccia, grandi vetrate come finestre e abbondanti cascate scendevano dal punto più alto della rupe e cadevano delicatamente in una voragine in marmo. L’auto rallentò e gli occhi della giovane si guardarono intorno come per individuare qualcosa, la sua mano destra andò ad aprire il cruscotto e afferrò un piccolo telecomando nero, premette il pulsante verde e ,da sotto la sabbia, si aprì un portellone che portava al garage. Parcheggiò accanto alle altre sei macchine che c’erano li poi uscì dall’auto e si recò all’ascensore. Varcata la soglia si diresse verso l’ultimo piano, il rumore dei tacchi a spillo sul marmo bianco ,rimbombava  in tutto il corridoio, gli occhi della fanciulla dai tratti ammalianti vagarono sul panorama che era possibile osservare attraverso il vetro che contornava le pareti. La camminata si arrestò e l’indice andò a posarsi su uno schermino al lato della porta in ferro battuto essa si aprì mostrando l’enorme salone in stile country di Smith.
 
-      Freya, mia cara- da una delle poltrone si alzò lo stesso uomo che era apparso sullo schermo attimi prima, stessa voce stessi colpi di tosse. – Vieni accomodati- allargò le braccia indicando il salotto attorno al camino, la donna camminò verso la zona da Smith indicata e si accomodò sul divanetto
-      Nessuna traccia, nessun corpo. È filato tutto liscio- la voce di lei era profonda, suadente e anche leggermente provocatoria, lo sguardo sembrava rappresentare il gelo del polo sud e la sua espressione, o la sua espressione, era un miscuglio di smorfie delicate e attraenti: labbra piegate in un leggero ed accennato sorriso, occhi leggermente socchiusi e testa di poco inclinata verso un lato per guardare il vecchietto meglio.
-      Cosa si fa ora? Nuova missione?- domandò all’uomo quasi impaziente di partire per una nuova avventura.
-      Mi dispiace, mia cara, ma questa volta il tuo compito sarà un po’ più… Complicato- la mano aggrinzita di Smith si posò per un momento interminabile sulla spalla della donna che lo guardò con aria di sufficienza.
-      Cosa vuoi dire?- chiese aggrottando la fronte e alzando un sopracciglio, l’atmosfera non era più quella di qualche minuto prima, la mora non toglieva i suoi occhi color ghiaccio dal volto del vecchio cercando di captare ogni forma di indizio
-      Beh, Freya, sarà più impegnativo stavolta…- fece una breve pausa guardando, per un momento, fuori dalla vetrata –Dovrai proteggere una famiglia da un gruppo di killer e dovrai recuperare una chiave USB di vitale importanza- gli occhi giallognoli di Smith si agganciarono a quelli di Freya che deglutì in modo quasi impercettibile.
-      C’è un’altra cosa…- aggiunse lui prima che lei potesse protestare o dire altro –non lavorerai da sola – Freya sgranò gli occhi e serrò i pugni conficcando le unghie nella pelle della poltrona sulla quale era seduta.
-      Come prego?- biascicò infine guardando (leggermente con astio) il suo capo.
-      Esattamente, mi hai sentito bene… Un’altra ragazza, Keira, è qui per aiutarti. È inesperta ma imparerà subito non temere- strizzò l’occhio destro e accennò una risata profonda ed inquietante.
-      No, forse non è chiaro: io non lavoro in compagnia, sono un tipo solitario, non posso perdere tempo e mettere a rischio la missione per colpa di una novellina- pronunciò quell’ultima parola quasi con disgusto, lei era sempre stata molto capace nel fare fuori i cattivi (o i buoni dipende dai punti di vista). Scosse la testa con veemenza indicando il suo profondo dissenso verso la decisione presa dal signor Smith.
-      Ora vai, la tua camera è infondo al corridoio a destra, domani partirai per Vancouver lì incontrerai la tua nuova collega e una macchina ad aspettarti- detto questo premette il pulsante, rosso e medio grande, che si trovava sulla scrivania così da far aprire le porte in ferro battuto. Freya si alzò e senza dire parola uscì dall’ufficio.
I corridoi che portavano alla sua stanza erano desolati e silenziosi, dalle grandi vetrate che fungevano da muro, trapelava una luce fioca e rossastra; solo dopo un paio di metri comparve la prima figura animata. Un uomo dalla pelle bianca latte stava pulendo il pavimento, l’uniforme che indossava, rossa e con un piccolo stemma sulla tasca destra, stava ad indicare la sua appartenenza ai dipendenti di quel palazzo. La donna arrestò la sua camminata e si parò davanti la porta che sti trovava alle spalle del ragazzo.
-Mi scusi, le dispiace spostarsi un momento?- la chioma rosso fuoco di lui si alzò fino a che i suoi occhi azzurri non incontrarono quelli grigio chiaro di lei, un’espressione mortificata gli si dipinse sul volto e subito si scostò dall’ingresso mormorando un “mi scusi signorina O’Malley”, in tutta risposta ebbe solo la porta sbattuta in faccia dalla suddetta signorina.
La stanza era di una bellezza sconvolgente: vista sulle cascate, un letto matrimoniale con coperta in seta pura (con pigiama coordinato sotto il cuscino) , una scrivania in legno di quercia si trovava contro la finestra. La donna sbuffò probabilmente scocciata da quello successo poco prima –ma guarda te se è mai possibile.. – mormorò tra se e se lasciandosi cadere sul letto. Il sole calava, segnando così la fine di un altro giorno, il suo sguardo era rivolto verso il soffitto imbiancato e le sue mani erano unite in una stretta salda sotto il capo, il suo corpo affondava nel materasso , alto e soffice. Chiuse gli occhi lasciandosi andare tra le braccia di Morfeo.
 

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