Ritorno al Passato di _Diane_ (/viewuser.php?uid=36417)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ~ Some Nights ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ~ Lullaby ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ~ Thunderstruck ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ~ Find yourself ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ~ Hero ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ~ Hello Goodbye ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ~ 21st Century Breakdown ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ~ Have a nice day ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ~ Another one Bites the Dust ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ~ Paralyzed ***
Capitolo 1 *** Capitolo Uno ~ Some Nights ***
Capitolo Uno
Some nights, I stay up cashing in my bad luck
Certe
notti resto in piedi a scacciare la mia sfortuna
Some nights, I call it a draw
Certe
notti lo chiamo un pareggio
Some nights, I wish that my lips could build a castle
Certe notti vorrei che le mie
labbra potessero costruire un castello
Some nights, I wish they’d just fall off
Certe
notti vorrei che crollassero e basta
But
I still wake up, I still see your ghost
Ma mi sveglio ancora, vedo
ancora il tuo fantasma
Oh Lord, I’m still not sure what I stand for oh
Oh
Signore, non sono ancora sicuro, per cosa lotto
What do I stand for? What do I stand for?
Per
cosa lotto? Per cosa lotto?
Some Nights ~ Fun
Capitolo Uno
Era un giovedì, un giovedì sera.
Fuori dal suo modesto appartamento, gentilmente concessagli da Nick
Fury qualche tempo prima, il freddo pungente di metà dicembre sferzava
le inanimate facciate in ferro e vetro che ricoprivano la quasi
totalità degli edifici di Manhattan. Nessun essere umano avrebbe osato
mettere piede
fuori da casa, se non fosse per ultimare qualche folle acquisto in
previsione dell'imminente Natale. Questo fortunatamente comportava un
periodo di vacanze anche per i Vendicatori; per quanto spietati e senza
cuore, i supercattivi o invasori alieni che fossero non erano ancora
così pazzi da attaccare New York nel bel mezzo di una bufera di neve.
Dal canto suo, Steve Rogers osservava apatico i fiocchi candidi danzare
sotto il cielo color cenere. Anni prima - parecchi anni prima - non avrebbe
esitato ad uscire di casa e a gettarsi a terra tra la neve soffice,
sguazzandoci dentro felice come un bimbo. Il freddo che penetrava le
ossa allora non gli importava, anzi; il giovane Rogers considerava la
situazione alla stregua di una prova di coraggio alla quale, nonostante
la
sua esile corporatura, sopravvivere.
Da allora ne erano cambiate di
cose. Non aveva più sentito freddo, nemmeno rimanendo bloccato per
decenni nel mezzo di un blocco di ghiaccio.
Così ora osservava le forme geometriche perfette dei fiocchi di neve
danzare al ritmo sfrenato del vento, chiedendosi se quel freddo che
l'aveva così tanto provato non lo avesse infine cambiato.
Ancora intento ad osservare quel silenzioso spettacolo non si accorse
del telefono che stava squillando. Se ne rese conto solo quando il
vento cambiò bruscamente direzione, facendo roteare i fiocchi così
velocemente che non riusciva più a distinguere nulla se non un biancore
assoluto. Il suo cellulare squillava eccome. Ma era una
suoneria così strana, fatta di suoni metallici e strumenti che solo il
diavolo avrebbe saputo come usare.
"Appena lo vedo lo ammazzo. Poi lo
faccio resuscitare con un urlo di Hulk e lo ammazzo ancora."
Steve aveva questi pensieri in testa mentre si alzò contrariato dal
divano e cominciò a mettere a soqquadro la stanza, nel vano tentativo
di trovare un... rettangolo trasparente.
"Come diamine può un essere umano
ideare una cosa che non si può trovare?"
Dopo aver capito da dove provenisse il suono infernale afferrò
finalmente l'aggeggio. La foto che lampeggiava sopra gli fece venir
voglia di scaraventare il cellulare giù per strada ma poi pensò alla
fatica, più mentale che fisica, che aveva speso nel trovarlo e
controvoglia posò un dito sulla superficie per rispondere. Il tono di
voce all'altro capo del telefono gli fece rimpiangere di non aver
meditato maggiormente più l'ipotesi di battere il record olimpico nel
lancio del telefono.
«Poco fa sentivo un fischio incredibile alle orecchie. Tu ne sai
qualcosa? Non dirmi che "Capitan, oh
my Capitan" parla male di me? Sai
ci resterei parecchio male, non dormirei la notte e...»
Steve non era solito riuscire a rispondergli a tono, ma quella volta
qualcosa nel suo cervello gli suggerì la risposta giusta.
«Tranquillo Stark, ci sono già un milione di modi in cui potrei
ucciderti. Sto solo valutando l'ipotesi più divertente.»
«Se stai cercando Willy il Coyote
per ordinargli una cassa di dinamite mi spiace deluderti, le Stark
Industries non producono più quelle anticaglie da un pezzo ormai...»
Il biondo non sapeva minimamente a chi o cosa si riferisse ma non ci
diede molto peso. Ormai era abituato alle sue battute preparate su cose
delle quali lui non conosceva nulla. Emise un sospiro rassegnato.
«Comunque non ti chiamavo per sapere come morirò, ma per ricordarti che
è giovedì, giovedì sera, Capitano smemorato.»
Giovedì. Giovedì sera.
Steve sapeva benissimo cosa occupava il giovedì sera ma il suo
cervello, giustamente, cercava di dimenticarsene puntuale ogni giovedì.
Stark si era messo in mente di creare una sorta di "gruppo" tra i
vendicatori, il giovedì sera. L'idea gli era venuta al termine del
famoso "shawarma party" al quale era stato - suo malgrado - trascinato.
"In onore di questo giorno vorrei
indire, ogni giovedì, una gran riunione segretissima alla Stark Tower".
Aveva sentenziato il grande Iron Man. Peccato che questo alto proposito
poi era precipitato
ne "il giovedì dei film squallidi", ai quali Steve evitava
meticolosamente di andare.
«Prometto, prometto
solennemente sulle mie armature e sulle mie
costosissime automobili che il programma non sarà come l'ultimo
giovedì.»
L'ultimo giovedì, già. L'unica serata alla quale aveva partecipato
erano riusciti a fargli vedere niente meno che... "La Bella
Addormentata". Qualcosa gli fece prudere i muscoli delle mani e per
poco non incrinò il telefono.
«Oltretutto non l'ho nemmeno scelto io, ma quel romanticone del dio del
tuono! Gli altri sono già qui e poi, dai, non ti spaventerà mica una
camminata in mezzo alla neve Capitan ghiacciolo?»
Nessuna risposta.
«Ehm... Steve, sei ancora lì? Non avrai mica distrutto il bellissimo -
e
costosissimo - cellulare che ti ho regalato?»
«Farai bene ad avere già indosso l'armatura quando arrivo, Stark.»
«Ok, ti aspettiamo!» Prima di chiudere la chiamata sentì qualcosa che
gli parve un "Pepper tesoro, prepara
la Mark XLVII!"
Afferrò e indossò un golf blu con il cappuccio mentre infilava il
telefono, ai suoi occhi un banale pezzo di vetro trasparente, in tasca.
Non aveva effettivamente bisogno di vestirsi per camminare in mezzo a
quella bufera di neve, ma preferiva sopportare il caldo piuttosto che
attirarsi gli
sguardi di mezza città perché andava in giro a mezze maniche a metà
dicembre. Sbattè un po' troppo violentemente la porta di legno
massiccio, che ondeggiò pericolosamente, dirigendosi suo malgrado
verso la Stark Tower.
«Signor Rogers entri pure, i suoi colleghi
la stanno già aspettando nella sala dell'home theater.»
Fu come al solito la gentile voce meccanica di Jarvis ad
accoglierlo al suo ingresso nella torre. Dopo la battaglia contro i
Chitauri si era trasformato in una sorta di "appartamento condiviso"
degli Avengers che, nonostante avessero scelto di seguire ognuno la
propria strada, ogni tanto non disdegnavano passare del tempo insieme.
Steve era sicuramente più a suo agio nelle battaglie sanguinose
piuttosto che nel super-gruppo in vena di chiacchere, ma si era imposto
di trovare qualche modo per evitare la solitudine nella quale spesso
ricadeva. Sotto sotto, nemmeno lui osava ammetterlo a sé stesso, ma era
convinto che Tony organizzasse quelle serate proprio per lui. Con
questi pensieri attraversò il grandioso atrio vetrato degli ultimi
piani a passo veloce, dirigendosi verso la sala indicatagli dal
maggiordomo virtuale.
Il Capitano afferrò la maniglia e, dopo un respiro profondo, la abbassò
per entrare.
La sala non era eccessivamente enorme. Visto il lusso al quale era
abituato Iron Man, Steve non capiva perché non avesse abbondato con le
dimensioni della stanza. Per lui comunque l'aspetto più interessante
rimanevano le larghe e comode poltrone reclinabili, l'unico dettagli
del quale potesse commentare qualcosa. In effetti tutto il resto, che
faceva di quella sala uno dei più costosi home theater del paese, non poteva
essere compreso da Rogers. Sistemi riproduttori Hi-Fi e Hi-End, schermo abnorme con
tecnologia al plasma, impianto stereo di ultima generazione.
Aramaico antico, per uno nato
quasi un secolo prima.
Appena entrò la voce di Tony lo accolse, meno gentile di quella di
Jarvis.
«Ehilà Rogers, qual buon vento! Poi dicono che il ritardatario cronico
sono io!»
Le luci erano già basse nella sala e il film stava iniziando. Steve si
accomodò nel primo posto che trovò libero che, sfortunatamente per lui,
era proprio accanto a Stark.
«L'armatura mi aspetta qui fuori, ora direi di goderci il film.»
Anche se Steve non poteva vedere il suo volto, poteva scommettere che
il vicino avesse un sorriso malizioso stampato in faccia.
Poi, dopo alcune schermate di pubblicità, apparve il titolo del film.
«Ritorno al Futuro?» Chiese
sconsolato Steve, nel constatare che qualcuno stava nuovamente per
farsi le beffe di lui.
«Non è come pensi, il film in realtà parla di un ritorno al passato
e... l'ha scelto Bruce. Incolpa lui, non me!»
«Steve, io non volevo assolutamente...»
Il tentativo imbarazzato del dottor Banner di spiegare la sua scelta fu
interrotto da un "la volete smettere
lì davanti, midgardiani!" della possente voce di Thor. Nessuno
osò più fiatare.
E il film cominciò.
Steve trovò la visione del film stranamente... interessante.
Quel ragazzo, quel "Marty", aveva fatto un salto indietro nel tempo dal
1985 al 1955, avendo la possibilità di conoscere i suoi genitori (e di
combinare parecchi disastri). Lo incuriosì soprattutto perché quella
situazione era l'esatto opposto della sua, costretto a fare un balzo in
avanti nel tempo.
Prima che si riaccesero le luci in sala, fu Tony ovviamente il primo a
riprendere parola.
«Se vi state chiedendo "oh, come mai
il grande Tony Stark non ha ancora inventato una macchina del tempo?",
vorrei rispondervi in maniera mooolto semplice. Alle velocità
infraluminali, al di sotto della soglia della velocità della luce nel
vuoto, esistono corpi dotati di massa, sia a riposo che accelerata,
superiore a zero, quindi...»
«Questo per dire che, con le conoscenze attuali, è possibile muoversi
nello spazio ma non nel tempo.»
Esordì Bruce, traducendo per tutti gli altri vendicatori le criptiche
parole di Tony.
Poi la luce si accese automaticamente e l'argomento della conversazione
cambiò molto bruscamente.
Stark stava osservando il volto di Steve, dipinta sul volto
un'espressione un po' stupita e un po' divertita.
«Rogers...» e allungò una mano sulla spalla si Steve «non tutti possono
portare un paio di baffi con quella disinvoltura, credimi!»
Dopo un'animata discussione, fatta di battute sarcastiche di Tony e di
pacche sulla spalla di consolazioni degli altri, Steve decise di
prendersi una boccata d'aria fresca fuori. Salutò e in gran frettà
uscì.
Camminava a passo lento tra le vie della città, diretto nemmeno lui
sapeva dove, giusto sbollire le emozioni. Non era uscito di casa per
qualche giorno e non aveva avuto molta voglia di radersi, così erano
cresciuti un paio di baffi poco curati sul suo volto.
“Tony la deve smettere di comportarsi
da adolescente." Pensò passandosi una mano sulla peluria
incolta, mentre un misto di rabbia e vergogna gli pervadeva l'animo.
Una parte di lui sembrava suggerigli che in effetti era lui che se la
prendeva sempre troppo. Ma ricacciò indietro quel pensiero: come poteva
permettere a quell'uomo egoista e pieno di sé di averla sempre vinta su
tutto e tutti? Forse, forse anche il suo era un atteggiamento
leggermente "adolescenziale", ma non riusciva proprio a darla vinta a
Stark.
Poi però accadde qualcosa che squassò la serenità mentale che Steve
stava cercando di trovare.
Successe tutto in fretta, troppo
in fretta.
Un gran rumore, poi un a luce accecante seguita da un forte botto.
Qualcosa aveva colpito alle spalle Steve che cadde riverso in avanti
battendo violentemente sul ciglio della strada. Nemmeno i riflessi
regalatogli dal siero del supersoldato furono abbastanza veloci per
evitare l'impatto. Prima di capitolare nel buio l'unico volto che,
stranamente, riuscì a delinearsi davanti ai suoi occhi, assumeva le
sembianze di Tony.
Stava per morire e stava anche impazzendo. Non l'aveva mai visto in
vita sua preoccupato, eppure fu così che lo sognò.
Il sonno che seguì fu tormentato incubi animati da ombre. Figure che lo
inseguivano, che lo cercavano. Figure oscure che, prive di volto, lo
tormentavano. Lui cercava di spiegare che non avrebbe potuto salvarle,
che gli dispiaceva, ma loro continuavano ad inseguirlo, in cerca di
spietata vendetta.
Poi Steve ebbe l'impressione di inciampare. Provò a rialzarsi ma fu
raggiunto da una di quelle ombre, più veloci delle altre.
La quale lo pugnalò alle spalle.
Fu allora che il supersoldato si svegliò di soprassalto in una pozza di
sudore, balzando istintivamente a sedere. Gli occhi, apertì troppo in
fretta, mal accettarono la luce che per poco non li accecò, mentre
Steve riprendeva lentamente possesso delle sue funzioni motorie
cercando di calmare il prioprio respiro.
Prima che potesse riaversi completamente fu però assalito da un
terrificante sensazione di dejavù.
Era sdraiato su un letto di una sconosciuta stanza d'albergo. Sul
comodino una radio in legno per nulla ultramoderna, al soffitto delle
banalissime pale roteavano attorno ad un perno fissato al soffitto,
portando sollievo alla sua fonde madida di sudore.
"Sono morto. Sono morto e all'inferno
ti fanno rivivere i momenti peggiori della tua vita." Pensò
amaramente.
Poi però gli occhi di Steve misero a fuoco la stanza. L'udito
ricominciò a funzionare.
La radio era spenta, diversamente da come si era aspettato di trovarla.
Però scorse un giornale adagiato con cura al di sotto di essa. Con non
poca fatica allungò il braccio per afferrarlo.
Gli tremavano le mani. In cima alla prima pagina, campeggiava una data.
Per un momento, Steve avrebbe preferito esser morto.
Venerdì,
17 Dicembre, 1991.
Note finali:
Ebbene sì, io sono pazza. Lo so.
Ma dato che, finquando non
inizieranno nuovamente le lezioni, sono in stato di pseudo-vacanze, ho
iniziato a dedicarmi a questa... cosa!
Non vi saprei neppure più dire
bene come è nata l'idea, anche perché è stata partorita mente la
sottoscritta faceva le pulizie di casa con l'ipod nelle orecchie! Tutto
dire, quindi!
Come avrete capito fin dal
titolo, questa fiction è stata direttamente ispirata dal capolavoro
"Ritorno al futuro" firmato da Steven Spielberg. Ho amato quel film sin
dalla prima visione. *__* Insomma, la mia testolina ha fatto dei
ragionamenti strani dal quale è nata una trama di alcune pagine, che
cercherò di sviluppare all'interno di questa long-fiction!
Alcune precisazioni, così a random:
1) Il telefono che Steve
inizialmente non trova è una citazione sia al bellissimo telefono
trasparente di Tony (sul quale ho scritto anche una cosa, nella fiction
"Even an avenger has fun moments"), sia ad alcuni video sull'Iphone 5
usciti su YouTube qualche giorno prima del suo lancio.
Uno dei video in questione lo
potete trovare qui: http://www.youtube.com/watch?v=rczqP0FwWrk
2) Prima che Steve chiuda la
chiamata, Tony chiede a Pepper di cercargli una... cosa. Se non volete
spoiler su "Iron Man 3" vi consiglio di vivere la vostra vita come se
non aveste mai letto quelle due paroline! (In caso contrario,
inseritele su Goooogle e avrete tutti gli spoiler che volete XD)
3) Per le cose (sconclusionate)
che Tony dice riguardo ai viaggi nel tempo, si ringrazia mamma Wikipedia. Ovviamente.
4) Sul perché al dio del tuono piaccia "La bella addormentata nel
bosco"... A noi mortali non è dato saperlo!
Mi scuso se questo capitolo è un
po' troppo lunghetto, ma non mi sono sentita di toglierne delle parti.
Spero che siate riuscite ad arrivare indenni fino all'ultima riga (che
forse, e dico FORSE è la più importante U__U). Spero di avervi
incuriosito, almeno un poco, con questo primo capitolo introduttivo!
Nel caso ci fosse qualche
sopravvissuto/a (speranza vana) lascereste un commentuccio a questa
povera autrice?
A presto! ;)
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Capitolo 2 *** Capitolo Due ~ Lullaby ***
Capitolo Uno
Well I know the feeling
Conosco la sensazione
Of finding yourself stuck out on the ledge
Di
trovarsi bloccato sul cornicione
And there ain’t no healing
E non c’è
una guarigione
From cutting yourself with the jagged edge
Dal
tagliarsi con il bordo frastagliato
I’m telling you that
Ti sto
dicendo che
Its never that bad
Non è mai
così male
Take it from someone whose been where you’re at
Fattelo
dire da qualcuno che è stato dove sei tu
Laid out on the floor
Disteso
sul pavimento
And your not sure
E non sei
sicuro
You can take this anymore
Di poterlo
più sopportare
Lullaby ~ Nickelback
Capitolo Due
La pala continuava a roteare sopra la
sua testa. La poteva osservare nel riflesso del vetro della tv davanti
a lui, leggermente ricurvo e non piatto come da qualche mese si era
abituato. Ma in realtà i suoi occhi erano persi nel vuoto, come la sua
mente. Era in stallo, non voleva saperne di accendersi e mettersi in
moto a lavorare su cosa stesse succedendo.
Poi si impose si calmarsi. Quando si era svegliato nella camera
d'albergo la "volta precedente" una giovane ragazza era entrata nella
stanza, chiedendogli se gli servisse qualcosa.
Per un attimo, aspettò che qualcosa del genere accadesse. Ma la porta
rimase chiusa.
Sì sentì un po' uno sciocco. Che fosse un sogno, un incubo, o uno
scherzo dei suoi colleghi, lui era Capitan America e non sarebbe
entrato nel panico per così poco.
Fece un paio di respiri profondi. Avvertì l'adrenalina scemare via dal
corpo, rilassò i muscoli della schiena curvandola leggermente e
poggiando la testa tra le mani e i gomiti sulle ginocchia. Come
un'elastico che, troppo tirato, una volta tornato al suo stato naturale
accusa le fatiche del precedente sforzo, così si sentiva Steve.
Improvvisamente lo assalì una fitta alla gamba e al fianco destro,
seguita da una più forte alla testa. Istintivamente portò una mano alla
nuca e scoprì che era parzialmente fasciata. Si alzò e si trascinò
lentamente
alla specchiera in legno intarsiato, poco distante. Quei due passi gli
produssero un'ulteriore fitta all'altezza del bacino, così si appoggiò
al comò con entrambe le braccia per esaminare il suo aspetto.
«Sant'Iddio...»
Furono le uniche due parole che uscirono dalla sua bocca.
Numerosi tagli ornavano il suo volto. Uno in particolare, poco più
sopra del labbro, sembrava quasi averlo diviso in due. La testa era
stata fasciata da una mano esperta e faceva fuoriuscire qua e là ciuffi
di capelli biondi.
Con un po' di fatica aprì qualche bottone della camicia beige che
indossava (che sicuramente non gli apparteneva), rivelando qualche
abrasione anche sul busto. Provò a voltarsi. La schiena pareva messa
meglio, salvo un ematoma di dimensioni considerevoli all'altezza del
gluteo destro, che poteva giustificare il dolore al bacino e al
relativo arto.
Poi tornò ad osservare il suo volto riflesso nello specchio.
Si passò una mano sulla barba, stranamente incolta, che aveva fatto
crescere un paio di curiosi baffi biondi.
Fu in quel momento che Steve
prese a ricordare.
"Il giovedì, giovedì sera. La neve.
Il film. La Stark Tower. Ancora neve. Poi... il sapore del cemento
misto a quello di sangue. Il buio. Una luce. Tony...?"
Le immagini erano scivolate una sull'altra a velocità folle, tanto che
Steve dovette appoggiarsi nuovamente al letto per non cadere. Proprio
in quel momento una mano cadde sul giornale che aveva causato il
black-out nella sua memoria.
Quella data. Venerdì 17 Dicembre 1991.
Questa volta però i suoi occhi scivolarono poco più sotto fino ad
osservare tutta la prima pagina del "The Washington Times". Una foto
troneggiava tra i caratteri scuri della carta stampata. Furono gli
occhi, gli occhi a colpirlo.
Fu allora che capì. Lui conosceva bene
quell'uomo.
Non servì nemmeno leggere i titoli grondanti d'inchiostro.
Mentre scioglieva le bende che gli avvolgevano la testa si alzò,
riabbottonò la camicia, mise il giornale sotto braccio e si lanciò
fuori dalla porta.
Poi giù per le scale.
«Dove corri così di buona lena, giovanotto?»
Come se fosse stato colto con le mani nel sacco dopo aver fatto
qualcosa di sbagliato, Steve di bloccò. Ad un passo dal varcare
l'uscita
dell'hotel qualcuno gli aveva rivolto la parola, probabilmente il
portiere. "Che forse sa anche come
sono arrivato qui." Pensò poi.
Steve non potè esimersi dal voltandosi verso chi aveva appena parlato e
rimase un poco sorpreso. Davanti a lui lo squadrava un uomo anziano,
sull'ottantina, sebbene non si sarebbe mai detto dal tono di voce,
cordiale
e molto giovanile. I capelli ingrigiti dall'età contornavano il viso
leggermente squadrato, al quale si aggiungevano occhiali da
vista con lenti tendenti al rosso e un paio di baffi, anch'essi grigi,
ma molto curati.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua, oltre che ridurti in quel modo la faccia?»
Chiese ancora il portiere, non dando a Steve nemmeno il tempo di
pensare ad una risposta.
«Io... ehm, veramente...»
«Sì certo, non mi devi raccontare nulla. Il tuo amico
che ti ha portato qui mi ha detto della sbronza che hai preso di
ieri sera! Ha dovuto portarti pure in spalla, e dalla tua corporatura
dedico che tu non sia proprio un peso piuma ragazzo!»
Il tizio sembrava ridere di gusto. Steve cercò di assecondare la
situazione, sebbene sapeva d'essere un pessimo attore.
«Uhm sì, bere troppo fa male,
giusto?» Se solo non fosse che, grazie al
siero del supersoldato, non sarebbe mai stato ubriaco in vita sua.
«Ma
una domanda; ho un po' di confusione
in testa... questo mio... "amico",
che aspetto aveva?»
«Annebbiato dai fumi dell'alcool, eh? Comunque in realtà non saprei
aiutarti, a parte che era un uomo alto, credo sulla quarantina.
Portava un cappuccio calato sul volto e ha pagato in contanti - pure in
anticipo - per te. Cos'altro avrei dovuto chiedergli?»
Poi il portiere fece un paio di passi in avanti verso il nostro, con
fare indagatore.
«Ragazzo... Noi due ci conosciamo?»
Il portiere, nonostante l'età, si avvicinò così repentinamente a Steve
che questi, indietreggiando con il busto per la sorpresa, non si
accorse che gli fosse scivolato il giornale da sotto braccio. Finì a
terra, da dove l'anziano signore lo raccolse.
«Uhm, ma vedo che hai un impegno oggi. Ci saranno migliaia di persone
da tutto il mondo a quel funerale; se ci devi andare ti conviene farlo
subito, puoi passare dopo a lasciarmi il nome per la registrazione.»
Quel signore aziano dalla parlantina così gentile e il sorriso bonario
l'aveva completamente distratto. Il giornale lo fece tornare all'amara
realtà. L'uomo glielo porse e lui lo rimise al sicuro sottobraccio.
«Lo... lo conosceva?» Chiese stupidamente senza pensarci.
«Dici di nome? Oh, non credo che ci fosse una singola persona sulla
Terra che non lo conoscesse!
Perché, chi sei tu per aver conosciuto personalmente Howard Stark?»
«Io no, io... Nessuno.»
E corse fuori.
Steve si mise a correre.
Non aveva soldi per prendere un taxi e comunque non se la sentiva di
volerlo prendere.
Aveva già vissuto abbastanza esperienze "strane" in vita sua, anche se
sperava ancora si trattasse di
un incubo o di un brutto scherzo di
qualcuno. Ma se ci fosse stata
anche la minima possibilità di aver fatto un salto nel passato,
allora...
Vi avrebbe interferito il meno possibile. Nella mente erano impressi i
fotogrammi dei film che gli altri Avengers lo avevano costretto a
vedere, e non sarebbe certo incorso nel pericolo di causare qualche
disastro temporale. Sperava che non fosse vero, ma nel caso lo fosse
tentò di
prepararsi.
Certamente, correre in camicia tra le strade affollate di New York in
inverno inoltrato non era il massimo della discrezione. Steve cercò
comunque di
mantenere una velocità contenuta e di evitare le strade affollate.
Almeno della neve che ricordava coprire con un manto la città non v'era
più traccia.
Infine, al ritmo di "scusate" e "con permesso", riuscì ad
arrivare all'ingresso del cimitero di Woodland - così come il giornale
riportava - appena qualche miglio fuori dalla caotica città di
blulicanti grattacieli.
Poi, dopo aver scavalcato alcune decine di persone si fermò
improvvisamente e...
E lo vide.
Lo vide e la preparazione
mentale alla quale aveva cercato di sottoporsi rivelò tutta la sua
inutilità.
Lo vide e la realtà piombò
decisa e pesante sulle spalle di Steve, come un pugno di Hulk.
Lo vide e avrebbe tanto voluto
poggiarsi sul suo scudo per non crollare a terra. Ma era chissà dove,
forse sepolto ancora tra i ghiacci.
Lo vide e capì che, purtroppo,
non si trattava né di un sogno né di uno scherzo.
Era attorniato da moltissima gente, quasi tutta appartenente alla
classe dirigente americana. Almeno quella stretta attorno alle semplici
bare di legno chiaro, al fianco delle quali lui si ergeva in piedi ritto come
un fuso. Aveva la testa inclinata di lato, lo sguardo basso, perso tra
i ciottoli di ghiaia che componevano il viale. Le braccia conserte,
l'atteggiamento distante. Non applaudì a nessun dicsorso che veniva
proferito in ricordo dei genitori defunti, né volle prender parola.
Oltre alla sua impassibilità, Steve notò la sua immobilità. Non mosse
un solo muscolo.
Poi, quando il prete intonò il canto e la due bare cominciarono la
lenta discesa nella buca scavata nella terra, lui alzò lo sguardo.
Steve vide i suoi giovani occhi castani, freddi ed impassibili,
inondarsi di lacrime. Rigavano il suo volto, ma lo facevano in un
silenzio quasi surreale.
Il cuore di Steve si fermò quandi ebbe l'impressione che stesse
guardando nella sua direzione, quasi stesse cercandolo. Quegli occhi,
quello sguardo... Stava già per scavalcare le poche persone che gli
mancavano dal raggiungerlo quando si rese conto di una cosa.
Lì, alla fine del ventesimo secolo.
Lì, tra tante persone che non conosceva.
Lì, Steve non era nulla, per lui.
Abbassò il volto e vi passò una mano sopra, come per calmarsi. Poi lo
rialzò e... non lo vide più.
Spostò freneticamente lo sguardo a destra, poi a sinistra, poi ancora a
destra e a sinistra, ma nulla.
Ossigeno.
Era in carenza di ossigeno.
Involontariamente si spostò di lato, urtando leggermente uno dei tanti
distinti signori presenti al funerale.
«Stia più attento, per la miseria!»
Steve accennò ad un "mi scusi"
mentre l'uomo si allontanava da lui con la moglie sottobraccio.
«Dai caro, non essere sempre così scortese!»
Il Capitano credette di riconoscere quella voce. Alzò lo sguardo, ma
anche lei era sparita.
Gli venne in mente l'incubo di qualche ora prima, le ombre che lo
inseguivano. Mentre i suoi polmoni assaporavano l'ossigeno pulito come
se non l'avessero mai fatto maledì mentalmente il destino, così
diabolicamente beffardo nei suoi confronti.
Nel tentativo di non divenire completamente pazzo, prese a camminare.
Vagò senza meta, lo fece per quelle che gli sembrarono alcune ore. Si
perse fino ai meandri più solitari e silenziosi del gran cimitero. Gli
sembrava impossibile che, a pochi passi da una città con grattacieli
altissimi onnipresenti dietro alle chiome degli alberi, potesse
esistere ancora un luogo naturale così vasto. Un dolce balsamo che
servì a lenire le sue ferite, sia spirituali che fisiche.
Ma poi nel suo vagare, arrivò laddove non voleva arrivare.
Una semplice lastra di pietra grigia era stata posta in tutta fretta
dopo il funerale, probabilmente provvisoria prima di una più sfarzosa e
monumentale. Recava semplicemente i nomi dei due coniugi. Una bella
foto dei defunti, abbracciati e sorridenti, era stata lasciata da
qualcuno ai piedi della stessa.
Howard Anthony Walter Stark
Maria Collins Carbonell Stark
Steve si avvicinò. Chinandosi un poco in avanti, prese delicatamente
tra le mani la fotografia.
Sebbene avesse già rivisto il suo volto grazie al necrologo del
giornale, si stupì di come non fosse più di molto cambiato dal giovane,
brillante e maldestro inventore che aveva conosciuto negli anni '40. I
lineamenti erano solcati dall'inevitabile scorrere del tempo ma
l'espressione, lo sguardo, persino i baffi e il modo di vestire non
erano cambiati di molto.
Senza rendersene conto si trovò a sorridere di rimando a quei due visi,
quello di Howard e della moglie, così semplicemente spensierati.
Non si accorse nemmeno della pioggia che, gelida e fredda come sapeva
essere il 17 Dicembre, prese a cadere copiosa dal cielo una goccia dopo
l'altra.
Se ne stava fermo in piedi, a snocciolare mentalmente brandelli di
memoria.
Lui che osservava la macchina volante, che però subito dopo piombava
con un suono sordo sul palco.
Loro due in piedi stupiti uno affianco all'altro, mentre Peggy sparava
alcuni colpi decisi contro il nuovissimo scudo in vibranio.
La sua determinazione mentre lo portava con l'aereo tra le fiamme
dell'inferno.
Poi d'un tratto si rese conto che tutt'intorno continuava a piovere,
mentre su di lui non più.
«Non so perché, ma la scelta di andarsene in giro a dicembre solo con
una camicia non mi sembra una buona scelta.»
Steve sobbalzò, letteralmente. Così tanto che urtò le aste metalliche
dell'ombrello sopra di lui, facendolo scivolare dalle mani di chi lo
stava tenendo. Si posò, cadendo, a pochi passi da loro.
Senza dare ascolto ai pensieri che presero a rimbalzare nella sua
testa, richiamò tutte le sue forze e riuscì a focalizzare l'attenzione
sull'ombrello nero. Si chinò, lo raccolse e si avvicinò al ragazzo che
l'aveva perso, fino a coprirlo nuovamente.
«Mi dispiace io... non volevo.»
«Nessun problema.»
Steve non alzò lo sguardo. Il volto volutamente chino, fissava con poca
attenzione la diversa dimensione dei ciottoli di ghiaia sparsi sotto i
suoi piedi. Nonostante l'agitazione e il cuore che batteva a mille, non
potè fare a meno di sorprendersi all'udire quelle poche parole. Non un
velo di ironia, né di sfrontatezza. Solo buonsenso e cortesia.
«Prima, sai prima ti ho notato. Una persona vestita normalmente su un
totale di un migliaio camuffate con abiti neri lunghi non può non
saltare all'occhio.»
Poi, puntanto il dito, sembrò rivolgere la sua attenzione alla foto che
Steve continuava ancora a tenere stretta nella mano che non teneva
l'ombrello.
«Come li conoscevi?»
«No, non... In realtà conoscevo solo
tuo padre. Un amico di vecchia data.»
Steve riuscì a scandire le parole "tuo padre" una di seguito all'altra
con molta fatica.
«Di "vecchia data"...?»
Troppo tardi capì l'errore commesso. Non era riuscito nemmeno ad
articolare due parole di fila che già i due neuroni rimasti nel suo
cervello non riuscivano bene a comunicare.
"Steve maledizione, tu e lui in quest'epoca è come se avete quasi la
stessa età, come diamine può Howard essere per te un'amico di vecchia
data?"
Fu l'altro a rompere silenzio formatosi tra di loro, che aveva come
sottofondo il tamburellare della pioggia sull'ombrello sotto il quale
ancora sostavano.
«Qual'è il tuo nome?»
Steve cadde nel panico. Già. Come si chiamava lui?
«Jarvis. Puoi chiamarmi
semplicemente... Jarvis.»
«Jarvis. E cosa fai a
Manhattan, Jarvis?»
«Faccio il maggiordomo.»
«Un maggiordomo, eh?»
Cominciò a smettere di piovere.
«Ne sto giusto cercando uno.»
Smise completamente di piovere. Lui gli porse la mano.
«Il mio nome è Tony, Tony Stark. Ti aspetto domani mattina per vedere
come te la cavi, ore 10.00, la villa tra la sedicesima e la
quindicesima.»
Steve non lo vide neppure allontanarsi, tanto era assopito.
Semplicemente non percepì più la sua presenza al suo fianco.
E si chiese cosa diamine stesse facendo con l'ombrello aperto, sebbene
non piovesse più.
Note finali:
Dunque. Ho adorato questo capitolo ancora prima che prendesse vita. Mi
piacerebbe essere riuscita a mettere su carta almeno un centesimo le
emozioni che inondavano il mio cervello durante la scrittura di questo
capitolo! Ne sarei davvero felice. Per me si è rivelato particolarmente
coinvolgente, soprattutto in alcuni passi! Spero piaccia anche a voi!
Precisazioni varie (in
realtà solo due):
1) Avete indovinato chi è in realtà l'anziano signore, il portiere
dell'hotel dove soggiorna attualmente Steve? E' una misera imitazione
di un cameo del grandissimo disegnatore della Marvel Stan Lee. Anche se purtroppo ho
letto delle dichiarazioni un po' preccupanti apparse questa settimana
sul web! Stan, facciamo tutti il tifo per te! (Link:
http://www.bestmovie.it/news/luniverso-marvel-rischia-di-perdere-stan-lee/181243/)
2) La data del funerale di Howard e Maria Stark, genitori di Tony, è
presa direttamente dal giornale che si intravede nella presentazione
iniziale del film "Iron Man". In realtà si tratta della data di morte
dei due, ma ho scelto di adattarla e trasformarla come se fosse quella
dei funerali.
Altro? Non so, ditemi voi nel caso avessi omesso di spiegare qualcosa!
Fatemelo sapere nei commenti! :)
Colgo l'occasione per ringraziare infinitamente Alley per le recensioni splendide
che lascia a questi miseri scritti e tutti quelli che hanno inserito
questa fiction nelle storie "seguite"!
Aspetto anche un vostro parere, per me è davvero importantissimo!
Alla prossima! :)
_Diane_
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Capitolo 3 *** Capitolo Tre ~ Thunderstruck ***
Capitolo Uno
I was caught
Sono stato preso
In the middle of a railroad track
Nel mezzo
di un attacco di fulmini
I looked round
Mi sono
guardato attorno
And I knew there was no turning back
E sapevo che non c'era modo di tornare indietro
My mind raced
La mia mente correva
And I thought what could I do
E ho pensato a cosa potevo fare
And I knew
E sapevo
There was no help, no help from you
Che non
avrei avuto aiuto, nessun aiuto da te
Thunderstruck ~ AC/DC
Capitolo Tre
Sabato, 18
Dicembre 1991.
Una tazza fumante di caffè caldo non gli sarebbe per nulla dispiaciuta.
La sera precedente era tornato a casa troppo tardi perché, nella sala
apposita al primo piano, servissero la cena. L'orario inflessibile,
dalle 19,00 alle 21,00 non lasciava scampo. E lui era tornato parecchio
dopo il calare del sole. Così si era rassegnato a quella giornata
infernale ed era proseguito direttamente verso la sua camera da letto,
di soppiatto per evitare scrupolosamente l'anziano custode. L'avrebbe
sicuramente fermato con la sua parlantina travolgente. Magari chiedendo
quale fosse il suo nome per la registrazione. Steve aveva preferito
ritirarsi nel suo personale nido, gentilmente offertogli da chissà chi,
e di ripensarci il mattino seguente.
Ora Steve, dopo aver riposato poco o nulla quella notte, sedeva
composto in uno dei tanti tavoli all'interno di una caffetteria di
grandi dimensioni. Sperava che, dato il daffare delle poche cameriere
impegnate a servire ai tanti tavoli, nessuno avrebbe fatto caso a lui,
seduto nel più minuscolo e sperduto. Così si dedicò all'attività che
più di tutte lo rilassava al mondo. Sfilò dai pantaloni un block notes
e una penna a sfera nera, che aveva trovato in un cassetto della camera
quel mattino, e prese a disegnare tutto quello che aveva davanti agli
occhi. Con un paio di linee timide accennò i contorni della grande
stanza in cui si trovava, poi acquistò più sicurezza e finalmente
s'immerse nel meticoloso lavoro di ridisegno.
Prima abbozzò qualche tavolo, poi iniziò a delinearne le persone
sedute. Un uomo con un cappello di lana nero ed una sciarpa piuttosto
ingombrante brandiva impacciato un bicchierone colmo di cioccolta con
panna, seduto di fronte ad una prosperosa donna con lunghi capelli
biondi. Un ragazzo con uno zaino appeso su una spalla attendeva la sua
brioches, battendo freneticamente il piede per terra per l'impazienza.
Mentre disegnava, finalmente riuscì a tranquillizzarsi, dopo l'incontro
inatteso di quella mattina.
«Ieri sera non ti ho visto rientrare! »
Tuonò l'arzillo vecchietto alla guardia del palazzo, accennando un
saluto, mentre Steve stava migrando dalla sua camera al salone per la
colazione.
«Non volevo disturbarla, era parecchio tardi e ho visto che stava
lavorando dietro il bancone... »
«Massì, non devi giustificarti. Sembra impossibile ma anche io sono
stato ragazzo, una volta. Ti piace proprio passare le serate nei pub
newyorkesi, eh? »
Il signore strizzò l'occhio a Steve con malizia il quale, un po'
imbarazzato, si mise a sorridere.
«Invece, parlando di cose più serie! Come dicevamo ieri, mi
servirebbero nome, data di nascita... Ordinaria burocrazia, insomma. »
Il custode porse al ragazzo un pesante librone, sul quale poggiò una
penna.
Il biondo fu assalito da una vertigine. Cosa avrebbe dovuto scrivere?
Gli venne in mente il nome che si era inventato, di punto in bianco,
davanti alla giovane figura di Tony. Colto alla sprovvista, con il
cuore che
batteva all'impazzata, aveva detto di chiamarsi come l'intelligenza
artificiale che aveva conosciuto nel ventunesimo secolo. Capì solo dopo
che quello era stato un'azzardo, come scommettere tutti i propri averi
su un cavallo zoppo ad un'importante corsa. In effetti Steve non sapeva
se il giovane Stark avesse mai avuto un maggiordomo in carne ed ossa,
prima della versione automatizzata. Ma dal tono con il quale aveva
ripetuto "Jarvis", deduceva che non aveva mai sentito un
nome simile.
Decise che quello non sarebbe stato male come cognome. Dopo aver
impugnato saldamente la penna, ne poggiò la punta sulla superficie
ruvida del foglio, prendendo una decisione anche per quanto riguardava
il suo nome.
«Le do formalmente il benvenuto nel nostro Hotel, signor Edwin Jarvis. » Poi si
interruppe un attimo, porgendogli la mano per presentarsi.
«Stanley Martin Lieber, ma puoi chiamarmi semplicemente Stan, al tuo servizio! »
Seguì una cordiale stretta di mano e Steve si diresse fuori
dall'albergo... Notando solo in un secondo momento che aveva saltato la
colazione.
Un po' rassegnato, chiedendosi se e quando avrebbe potuto mangiare
qualcosa - dato che non lo faceva dal pranzo del giorno precedente -
continuò a vagare per la città, finché non raggiunse il bar nel quale
ancora si trovava.
Steve continuava assorto a disegnare i lineamenti delle persone attorno
a lui.
Intanto il cervello decise di mettersi in modo, rimuginando sugli
avvenimenti del giorno precedente.
Insomma, l'aver fatto un nuovo balzo temporale. Essere stato quasi
ucciso, poi trasportato come un sacco di patate in quell'albergo,
infine medicato. Chi diamine si stava divertendo così tanto alle sue
spalle? Avrebbe tanto voluto saperlo. E quando l'avrebbe saputo, un bel
pugno assestato nel bel mezzo al viso l'avrebbe sicuramente aiutato a
star meglio.
Poi c'era la faccenda... Stark.
Steve aveva l'impressione che l'incontro con... con Tony, un Tony
giovane e completamente differente da come lo ricordava, fosse frutto
della sua fervida immaginazione. In effetti non aveva nemmeno alzato lo
sguardo per vederlo in faccia preso dal timore che, in qualche modo,
potesse riconoscerlo.
"Sicuramente Howard avrà parlato chissà quante volte di me al figlio."
Pensò, con una punta d'orgoglio.
Stranamente, benché ormai avesse avuto più e più modi per stare faccia
a faccia con il Tony del ventunesimo secolo, mai erano capitati a
parlare di suo padre. Strano, pensò; in fondo era un filo rosso
silenzioso che, indelebile, univa i due vendicatori.
Però al momento v'era un'altra faccenda.
"Cosa diavolo mi è saltato in mente! Io, un maggiordomo?" Continuava a
ripetersi, ammonendosi mentalmente.
Quindi il pensiero scivolava sulle ultime parole del giovane Tony.
Avrebbe dovuto presentarsi alle 10,00? Non sarebbe stato uno sbaglio,
un rischio inutile da correre? Perché sfidare così tanto il destino?
Poi, ad un tratto, si sentì stranamente osservato.
Si voltò velocemente. Alle sue spalle trovò il volto incuriosito di una
giovane donna, chinata un po' troppo in avanti verso di lui. I due
volti,
per un attimo, si trovarono ad un soffio. Steve arrossì e
prontamente ritrasse leggermente indietro il busto, mettendo qualche
centimetro in più tra di loro. Non potè però esimersi dall'osservarla,
a quella distanza comunque ravvicinata.
Indossava un completo nero, parecchio attillato. Una gonna
traordinariamente corta per quegli anni, una camicetta nera aperta un
po' troppo sul davanti che lasciava intravedere le forme di un giovane
seno. Il viso ben proporzionato adornato da qualche lentiggine, coperta
una frettolosa passata di trucco. Gli
occhi color blu scuro, i capelli rosso fuoco raccolti da una spettinata
coda molto lunga.
Il Capitano si chiese a) se
si fosse tramutato in una calamita attira guai negli ultimi due giorni,
b) se non avesse pensato
troppo a Tony Stark nelle ultime ore.
Era quasi sicuro di conoscere il nome della giovane ragazza, che aveva
al massimo sedici anni, anche se sembrava la sua copia più grande
fasciata in quell'uniforme scura. Quando gli rivolse la parola,
raddrizzandosi e portando le mani sui fianchi, notò che neppure il tono
di voce era dissimile da quello che aveva nel futuro, le rare volte nelle quali l'aveva incontrata.
«Wow. Tu hai del talento.»
poi, come a non voler dar luogo ad equivoci, aggiunse «Nel disegno, intendo.»
«Oh, questo?» Steve istintivamente chiuse il block-notes
«Non è nulla, un semplice passatempo.»
«Nel quale sembri incredibilmente bravo, però!»
«Io ti... ti ringrazio, sei gentile.»
Poi fu come se lei si rese conto che, sebbene stesse parlando con un
ragazzo che reputava interessante, aveva da svolgere un lavoro
all'interno di quel locale.
«Ma... Non hai ancora ordinato nulla! Cosa
vuoi che ti porti? Abbiamo delle deliziose brioches, oppure dei
prelibati cappuccuni e anche...»
«Ti ringrazio, ma in realtà stavo per andarmene.» Steve
fece per alzarsi, spostando la sedia. «Credo di... aver dimenticato il
portafoglio a casa. Me ne sono accorto quando mi sono seduto, non
volevo occupare il posto d'altri, ora vado.»
«No, aspetta!» Lo fermò la ragazza, facendolo risedere
poggiando le mani sui pettorali di Steve. Che poi lei ritrasse in
fretta, facendo sì che il rossore dei capelli contagiasse anche le sue
gote. «Scusami, intendevo dire... Ho quasi finito il
turno. Vado a cambiarmi e se vuoi posso offrirti qualcosa, sempre che
ti vada!»
Steve arrossì a sua volta, mimando un "sì" con la testa,
cercando di essere il più convincente possibile. La giovane Virginia
"Pepper" Potts si allontanò tutta entusiasta dal tavolo, slacciandosi i
lacci del grambiule che indossava.
No.
Non poteva restare in quel locale.
Non poteva restare in quell'epoca.
Non poteva rischiare di scombussolare la vita d'altri.
Non ne aveva alcun diritto.
La grandiosa villa, fino al giorno prima gremita di persone di diversa
estradizione sociale - industriali, politici, colleghi, compagni
d'università - ora era immersa in un assordante silenzio. Tony non
ricordava che prima lo fosse mai stata. Un
andirivieni di persone per discutere di lavoro, contrattare su armi,
cene d'affari. Tutto quell'improvviso silenzio gli piombò addosso come
un macigno.
Rigirava il bicchiere tra le mani, sorseggiandone poco alla volta.
Spesso aveva bevuto così tanto da non ricordarsi nemmeno più il nome.
Gli piaceva, adorava la sensazione di onnipotenza che derivava dal
perdere completamente la consistenza della realtà.
Ma ora, proprio quando quella sensazione si sarebbe rivelata
consolatoria, il liquido alcolico aveva la consistenza di una carta
ruvida trofinata sulle pareti della sua gola e giù, giù fino al
fegato.
Guardò il Rolex d'oro bianco che portava al polso.
Segnava le 10,29.
Si alzò dalla poltrona nella quale era sprofondato emettendo un
sospiro. Cosa diavolo si aspettava?
Si avvicinò al secondo ripiano del mobile più vicino, afferrando una
delle numerose custodie
trasparenti che vi erano riposte con cura. Sfilò il disco dai riflessi
argentati, lo ripose nel lettore che si aprì con un sonoro "click". Poi
richiuse lo sportello con cura. Ancora "click".
"Play".
La stanza da ricevimento al piano terra, ornata da prezioso marmo
bianco e da varie cristallerie, fu scossa da un tremito. La musica
assordante la riempì istantaneamente; il fragore che l'apparecchiatura
acustica produceva fece istantaneamente star meglio la mente di Tony.
Che si distese un poco, mentre tornava ad occupare la stessa poltrona
di poco prima.
Proprio in quel momento la porta in mogano massiccio si spalancò.
«Una musica infernale. Lo trovo un bel modo di iniziare la giornata,
che dici?»
La figura possente di Obadiah Stane fece il suo ingresso. Tony nutriva
una particolare forma d'affetto per quell'uomo, sempre dedito a parlare
di affari - e di armi, e ancora d'affari; sicuramente lo rispettava,
così come faceva suo padre. D'altronde prima che avrebbe compiuto
ventun'anni, era lui l'erede materiale della Stark Industries, Tony lo
sapeva bene.
«Se solo non fosse che tu detesti questa
musica.» Sottolineò sarcastico Tony, versando un poco della
Tequila che stava tentando invano ii sorseggiare al nuovo arrivato.
«Tu la chiami modernità. Io la chiamo "diventare
sordi prima dei trent'anni". Prima o poi, ammetterai che ho
ragione.»
«Nah-nah, non credo proprio!»
Aggiunse Tony, porgendo il drink al nuovo arrivato.
«Ti ringrazio ma declino l'offerta. Tra poco arriveranno degli
importanti avvocati per discutere di un paio di cosette per quanto
riguarda i passaggi di proprietà, non vorrei dar
loro una cattiva impressione.»
«Ricevuto. Libero il campo, allora.»
Tony si alzò, prese sia la bottiglia che il bicchiere di cristallo,
sistemò alla benché meglio la lussuosa poltrona e si diresse verso
l'uscita del salone.
«Tony, la musica. Sai che di quegli aggeggi moderni non me ne intendo.»
Gli ricordò Obadiah. Girò i tacchi, tornò verso il lettore CD, e con un
gesto spense l'impianto. Tutt'intorno il silenzio rimpiombò istantaneo.
Poi si diresse nuovamente verso la porta.
«Aspettavi qualcuno per caso?»
«No, nessuno.»
«Comunque, parlando d'altro. Sarebbe il caso ti trovassi un
maggiordomo. Anche se non sarà facile, dato che l'altro ieri hai
cacciato tutti in malo modo!»
Tony dapprima non parlò; alzò le spalle, poi aggiunse.
«Preoccupati solo di amministrare bene la mia azienda, durante quest'anno.»
Ed uscì.
Era ormai sera quando la chiave scivolò sicura nella toppa della
serratura. Un giro a sinistra. Poi un altro. E ancora un altro.
La porta si aprì, cigolando un poco. Il buio inondava la camera, tanto
che Steve riuciva solo vagamente a distinguere le sagome dei mobili
grazie alla flebile luce dei lampioni fuori che giungeva attraverso le
finestre.
Istintivamente tastò la parete alla destra dell'ingresso per cercare
l'interruttore. Lo trovò, e spostò la leva dal basso verso l'alto.
Ma non accadde niente.
Riprovò un paio di volte ma la luce non ne volle sapere d'accendersi.
Spostò il peso del corpo fuori dall'uscio ancora aperto, facendo leva
sullo stipite. Fuori però il corridoio continuava ad essere illuminato
a giorno.
Riportò il corpo all'interno della stanza, però con circospezione. Non
era sicuro fosse un caso che solamente la sua camera fosse al buio.
Pronto ad affrontare chiunque si sarebbe parato di fronte entrò,
richiudendo lentamente dietro di sé la porta. Per un attimo attese che
gli occhi si fossero abituati alla semi-oscurità. Poi, stando ben fermo
poggiato contro al muro, iniziò ad ispezionare la stanza con lo sguardo.
Apparentemente non era stato spostato niente, né qualcosa sembrava
mancare. Tutto era esattamente come Steve l'aveva lasciato. Avanzò di
qualche passo, ponendo attenzione a non far rumore con le assi del
parquet. Non un rumore o un respiro si disturbavano il silenzio che
permeava l'aria.
Dopo alcuni minuti passati ad aspettare, come un segugio, che qualcosa
accadesse, Steve iniziò a sentirsi stupido per quella situazione.
Magari era davvero saltato, per qualche motivo a lui sconosciuto, solo
il contatore della sua camera.
Inspirò e sospirò profondamente; tutta la tensione accumulata negli
ultimi due giorni proprio non lo voleva abbandonare, anzi. L'incontro
pomeridiano con la giovane Pepper l'aveva indotto ad essere ancora più
prudente. Per quello aveva deciso di non recarsi da Tony, sebbene la
scelta si fosse rivelata più difficile del previsto.
Si voltò per riaprire la porta e scendere da Stan per avvertirlo del
problema quando... qualcuno da dietro lo assalì. Steve non riuscì
nemmeno a capacitarsi di ciò che stesse accadendo. Cadde in avanti per
il peso del suo aggressore e si ritrovò faccia a terra, le mani
bloccate dietro la schiena, la canna fredda di una pistola premuta con
forza sulla sua tempia. Stava per divincolarsi e rispondere a tono
all'agguato, ma l'uomo parlò.
«Buongiorno. Anzi, buonasera. Avrei alcune domande da farle. Direi però
di non cominciare con il piede sbagliato, che dice?»
Steve si bloccò. Per quanto gli era concesso, sdraiato per terra e con
una pistola puntata alla testa, la girò abbastanza per non avere più
dubbi. Più cercava di stare fuori da quel "casino", più ne veniva
trascinato dentro. Il tono di voce tentava di mascherare la commozione
che provava in quel momento, quando scandì tre parole.
«Agente Phil... Coulson?»
Note finali:
Spero, spero che la lunghezza dei capitoli sia adeguata e abbastanza
movimentata affinché voi non giungiate fin qui stremati e sconvolti! Mi
sto impegnando per mantenere circa questa quantità di parole nei vari
capitoli, anche per dar modo alla storia di proseguire di un passo ad
ogni aggiornamento. Ovviamente però, come sempre, amo lasciarvi sulle
spine alla fine del capitolo! *Muahahah* risata malvagia.
Ehm sì, oltre ai motivi malvagi c'èra anche quello di rischiare di
introdurre troppi personaggi in una volta! Quindi ho preferito
rimandare al prossimo capitolo... :)
Precisazioni varie:
1) Edwin Jarvis è il nome
del vero e originario maggiordomo di Tony. Sì, perché almeno
fumettisticamente parlando, non esiste alcuna intelligenza artificiale,
ma il nome "Jarvis" è semplicemente associato al personaggio in carne e
ossa. Questa fiction, appartenendo al fandom "The Avengers", parte
dalle basi nell'universo cinematografico Marvelliano, nel quale
J.A.R.V.I.S. è appunto l'intelligenza artificiale creata da Tony. Ma
che nel 1991, dove è capitato Steve, fortunatamente non esiste
ancora... :)
2) Sempre parlando di nomi vari, Stanley
Martin Lieber è il vero nome del nostro Stan Lee, figlio di
immigrati di origine rumena. (cit. Wikipedia)
3) La scena di Steve seduto al tavolo del bar che disegna e la
cameriera (e che cameriera!) che interrompe i suoi pensieri è
direttamente ripresa dalla scena tagliata del film "The Avengers" nel
quale succede qualcosa di simile. Cercatela, a seguire c'è un altro
cameo sempre del buon vecchio Stan!
4) La canzone che Tony ascolta è la stessa che appare nell'intro del
capitolo, ossia "Thunderstruck" degli AC/DC, facente parte di un CD del
1990 dal titolo "The Razors Edge". Diciamo che è cresciuto ascoltando
buona musica, il nostro Stark jr! :)
5) Obadiah Stane, per chi non lo sapesse, è un personaggio che appare
nel primo film di "Iron Man". Amico fin dalla giovinezza di Howard, si
è sempre occupato di aiutarlo negli affari e prende le redini delle
aziende Stark, almeno fino a quando Tony non abbia compiuto i 21 anni.
Che cosa abbia combinato in quel film poi... si sa. Vero che lo sapete?
XD
Ok, credo che sia tutto! Come sempre, nel caso voleste farmi notare
qualcosa, scrivete pure come commento a questo capitolo!
Grazie, grazie ed ancora grazie per i commenti
(ai quali cerco di rispondere il prima possibile), per i preferiti, le ricordate, le seguite!
Rinnovo l'invito, anche per voi lettori silenziosi, a lasciare un
commentuccio. E' davvero importante per me sapere cosa ne pensate delle
mie "strambe" idee e su come migliorarmi! :)
A presto con il quarto capitolo!
_Diane_
|
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Capitolo 4 *** Capitolo Quattro ~ Find yourself ***
Capitolo Quattro
When you find
yourself
Quando ti trovi
In some far off place
In un
posto lontano
And it cause you
E questo
ti porta
To rethink some things
A ripensare a delle cose
You start to sense
Inizi a sentire
That slowly you're becoming someone else
Che lentamente stai diventando qualcun altro
And then you find yourself
Ed è lì che ritrovi te stesso
Find yourself ~ Brad Paisley
Capitolo Quattro
Sabato, 18
Dicembre 1991.
Sera.
Stava rientrando nella sua camera, quando aveva notato che qualcosa non
andava. La luce rischiarava il buio in tutto l'albergo, eccetto camera
sua. Decise che non potesse essere una coincidenza ed ispezionò la
stanza. Nulla sembrava mancare, nessun segno di vita.
Certo non si sarebbe mai immaginato di essere aggredito, preso di
sprovvista, proprio da... lui.
«Agente Phil... Coulson?»
Furono le tre sole parole che la sua bocca riuscì a scandire. Se ne
sarebbe dovuta rimanere zitta, chiusa ermeticamente. Eppure si era
aperta, ed aveva parlato. Di tutta risposta Steve dovette nuovamente
portare lo sguardo in avanti; la pressione sulla sua tempia era
cresciuta.
«Ok. A quanto pare inizieremo
con il piede sbagliato.»
Scandì lentamente le parole, abbassando la voce. Il tono faceva
trasparire una punta d'ironia.
Stupido, stupido, stupido. Cosa gli era saltato in mente di urlare il
suo nome così? Certo, l'emozione che aveva provato a rivederlo aveva
interdetto anche il briciolo della discrezione rimastogli.
Le ultime cose che ricordava di lui erano i fiori bianchi della
cerimonia privata alla quale avevano preso parte, visibilmente
commossi, tutti i
Vendicatori. Era sicuro che quel giorno Tony indossasse occhiali da
sole scuri non solo per moda.
Non era riuscito neppure a dargli l'estremo saluto, perché quando
giunsero al piccolo cimitero la bara era già stata sigillata. Nella sua
mente era impresso l'odore del sangue che impregnava quelle maledette
figurine.
«Non ho tempo da perdere. I miei superiori non sono tipi molto pazienti.»
La pressione sulla tempia aumentò ancora, così come la ferrea morsa che
bloccava entrambi i polsi di Steve dietro la schiena. Lui parlava con
tono calmo ed autoritario, proprio come lo ricordava. O almeno, come
rammentava
si rivolgesse agli altri, dato che con lui spesso era talmente
emozionato da non riuscire a sbiascicare due parole di seguito.
«Ho bisogno di sapere quello che tu
sai.»
Per un attimo Steve rimase confuso, ma anche un po' sollevato. Che lo
S.H.I.E.L.D. fosse venuto a conoscenza del suo vagabondare nel tempo?
Certo non si spiegava come Coulson non lo riconoscesse. Per questo
inizialmente
preferì restare sulla difensiva.
«Io... non capisco.»
«Oh, qualcosa mi dice che capirai. E parlerai.
Oppure lo farà questa pistola al posto tuo.»
Fu solo in quel momento che l'istinto del soldato prese il sopravvento
sulle sue emozioni. Che si trattasse del vero Coulson, di un gemello,
oppure che qualcuno gli avesse fatto il lavaggio del cervello al suo
corpo non importava. Con uno strattone deciso liberò i polsi, poi
assestò un preciso calcio al ginocchio destro. Steve rapidamente si
voltò; di fronte a lui un Phil ringiovanito e con una folta chioma
castana gli puntava contro la pistola. L'agente fu visibilmente
sorpreso da quelle rapide mosse. Rogers avanzò lentamente, i palmi
delle mani leggermente alzati in segno di resa.
«A-aspetta. Non sparare.»
«Tu. Chi diavolo sei tu?»
«Un amico.»
«Un... amico?» L'agente
sembrò rilassarsi e sorridere, come se si trattasse del finale di una
barzelletta piuttosto divertente. Steve però rimase in allerta, la
canna della pistola non accennava ad abbassarsi.
«Un "amico" che probabilmente ha ammazzato Howard Stark.» Aggiunse
Phil, tornando serissimo. Le palpebre immobili, gli occhi cerulei fissi
in quelli di Rogers.
«Non l'avrei mai potuto fare.» Ribatte Steve sicuro, restando sulla
difensiva.
«Chi me lo assicura? Ti ho pedinato. Da ieri, al cimitero. Miri forse
ad eliminare anche l'erede di casa Stark?»
Steve ebbe l'impressione che gli si formasse un nodo in gola. Coulson
che pensava aveva ucciso Howard e che avrebbe fatto lo stesso con...
Tony?
«Ok-ok. Ti dirò tutto. Solo... Abbassala.»
Per tutta risposta si udì scattare un meccanismo. L'arma era pronta a
far fuoco.
Steve decise di giocare il tutto per tutto.
«Io non lo avrei mai potuto fare perché» e si concesse un respiro
profondo «Howard Stark è stato uno degli uomini che mi ha permesso di
diventare quello che sono diventato.»
Un'altra pausa, nella quale Phil Coulson continuava a scrutarlo con un
misto di curiosità e agitazione.
«Di diventare... Capitan America.
Di salvare vite umane, di servire la mia nazione e il mondo intero.»
«Ammettiamo che io ti creda» Riprese Phil Coulson, apparentemente per
nulla scosso dalla rivelazione di Steve «sarebbe strano che tu ti
trovassi qui. Dovresti essere morto parecchi anni fa, sepolto tra i
ghiacci.»
«Questo è più complicato.» Rispose calmo, comprendendo quando delicata
fosse la situazione.
Poi per un attimo calò il silenzio. Nessuno dei due si mosse; sembrava
una gara a chi stesse più immobile.
Poi Coulson sempre serissimo, proferì parola.
«Capitan America aveva sempre con se uno scudo. Tutti sanno com'era
fatto. Tondo, circolare. Pochissimi di cosa era fatto.»
Steve si sentì come uno studente al primo giorno di scuola. Non alzò la
mano per rispondere ma semplicemente, con calma, lo fece.
«Vibranio. Uno dei materiali
più rari del nostro pianeta. Costruito dallo stesso Howard e sempre da
lui ornato secondo il disegno che ancora oggi sfoggia.»
Phil rimase un attimo ancora immobile. Steve pregò che abbassasse
l'arma, che potesse spiegargli ogni cosa, che capisse nonostante
l'assurdità della situazione. Sapeva che, da qualche parte, c'era
l'agente gentile e di cuore che aveva avuto la fortuna di conoscere. Ma
per il momento poteva solo sperare.
Socchiuse gli occhi, preparandosi al colpo. Morire per mano del tuo più
fidato amico; poteva esserci ironia più crudele?
La pacca sulla spalla che percepì fu la migliore cosa che non gli
accadesse da giorni.
«Saprai bene quanto costa quell'arnese. Si può sapere dove diamine lo
hai lasciato?»
«Non so come tu abbia fatto a sopravvivere. Chiunque altro sarebbe
morto sul colpo.»
La lama metallica scorreva sicura sulla sua pelle. Steve doveva
ammetterlo; la mano che la guidava doveva essere davvero molto esperta.
«Grazie al siero del supersoldato. A cui va sommata una buona dose di
fortuna.»
Il capitano si sentiva tremendamente in imbarazzo. Dopo aver posato la
pistola e fatto poche domande, Phil si era gentilmente offerto di
continuare la chiaccherata davanti allo specchio del bagno, offrendosi
di radergli il volto. L'aveva trovata una proposta strana e curiosa. Ma
non poteva sorvolare il fatto che da troppo tempo Steve non si aveva
cura di sé. Lo stesso Tony glielo aveva fatto ironicamente notare
durante l'ultima serata cinematografica. Quindi realizzò che potesse
essere un modo utile di passare il tempo mentre discutevano.
«Non colleziona per caso... Figurine vintage,
o simili?»
Phil lo guardò di traverso. Sul suo volto si era dipinto un punto
interrogativo grande come l'intero eliveivolo dello S.H.I.E.L.D.
«Niente. Fa come se non avessi detto niente.» Si affrettò ad aggiungere
imbarazzato Steve.
Da dove era venuta quella domanda così stupida? Cosa ne sapeva lui di
quando e come avesse raccolto figurine sul suo conto?
Non riuscì ad arrossire solamente prendendo controllo dei suoi muscoli
facciali. La doveva smettere di aprire la bocca a vanvera.
"Probabilmente è il prezzo da pagare
per stare troppo attaccato a Stark." Si trovò a riflettere,
mentre riepilogava mentalmente alcune delle innumerevoli volte nelle
quali il suo compagno vendicatore aveva dato libero sfogo ai suoi
pensieri.
«Come però tu sia arrivato fin qui
dall'artico» Cominciò Coulson senza guardarlo negli occhi, tutto
concentrato nel lavoro che stava meticolosamente svolgendo «proprio non
lo capisco.»
«In realtà io non.... Non provengo esattamente
dagli anni '40.»
Steve prese un respiro profondo. Poi cominciò a raccontare.
Passarono alcune ore, prima che smise
di parlare. La sensazione che la bocca fosse tremendamente secca gli
confermò che non l'avesse mai fatto in vita sua. Raccontò del momento
dell'inabissamento dell'aereo che aveva preso a pilotare, del Tesseract
che Howard aveva ripescato dall'oceano e che per poco non distruggeva
Manhattan e il mondo, della squadra dei vendicatori, dei Chitauri,
della battaglia, della vittoria. Era come un fiume in piena, non riuscì
a fermarsi.
Solo una cosa, un particolare solo
omesse accuratamente.
Non proferì una sola parola a Phil Coulson su di lui e sulla sua, sulla
sua... non riusciva nemmeno a scandirlo mentalmente.
Vederlo lì alle sue spalle, riflesso nel vetro di fronte a lui, gli
rendeva impossibile pensare che nel suo presente Coulson non c'era più.
Osservando i suoi lineamenti, così giovanili e cordiali, la sua figura
slanciata e l'impeccabile dose di eleganza con la quale indossava il
completo nero... Non voleva e non poteva credere. Nemmeno quello che
ricordava aver visto.
Quindi il racconto, com'era inevitabile, terminò.
Fuori il buio della notte si era fatto particolarmente intenso. Poche
le macchine che sfrecciavano a tutta velocità ai piedi dei giganti in
ferro e vetro della città. Nella piccola stanza d'albergo l'oscurità
era rischiarata dalla flebile luce della vecchia lampada del comodino.
I due sedevano a distanza, il biondo sul letto e il moro sulla sedia
della specchiera.
Phil aveva già da un pezzo finito di radere il volto di Steve, il quale
ora non presentava più una peluria selvaggia ma... un bel paio di baffi
curati. Il capitano nemmeno si era preso la briga di guardare il suo
viso, così impegnato con il discorso. Così ora si trovava stranito a
contemplarsi allo specchio; baffi corti, una specie di pizzetto sul
mento, due "ali" ai lati che salivano ricalcando la linea delle
pronunciate mascelle.
Un taglio di barba e baffi che gli ricordava troppo... Tony Stark. Steve si continuò a
chiedere cosa aveva fatto di male nella sua vita per meritarsi anche
quella tortura. Come vantaggio così anche quei pochi che ricordavano le
sue gesta avrebbero faticato non poco a riconoscerlo, e in quell'epoca
il giovane Stark era stranamente sbarbato. Stava per chiedere a Phil
cosa lo avesse guidato a scegliere quel particolare "taglio", quando si
rese conto dell'urgenza di altre faccende più importanti.
«Nonostante lavori per lo S.H.I.E.L.D. da pochi anni, ne ho viste e
sentite di cose strane. Ma questa storia le batte tutte.»
Steve rimase per un attimo scioccato dall'atteggiamento convinto di
Phil. Non si aspettava minimamente una risposta così sincera, priva di
qualsi dubbio. Eppure stava dimostrando una dose si fiducia davvero
elevata nei suoi confronti; non l'aveva mai interrotto, l'aveva
continuato ad ascoltare imperterrito, ed ora non metteva in dubbio
neppure una parola.
«Purtroppo non riesco ancora capire,» riprese, cercando di celare lo
stupore «ma scoprirò chi o cosa mi ha condotto qui. E come fare a
tornare indietr... avanti.»
«Posso indagare per te, ho parecchi informatori. Al momento la mia
conoscenza riguardo viaggi nel tempo si limita a film e ai fumetti.»
«Purtroppo anche per quanto mi riguarda.» Ammise sconsolato Steve,
ripensando immediatamente al film di Spielberg.
«Però ti chiederei un favore, in cambio.»
Steve annuì. Sentiva di potersi fidare di quel Phil così giovane, come
se si conoscessero da più di una sola serata. Avrebbe fatto qualsiasi
cosa in cambio di quella fiducia immeritata.
«Devi accettare l'invito di Tony Stark, diventando il suo maggiordomo.
Ho sentito il vostro discorso al cimitero, e so anche se non sei andato
all'appuntamento stamattina. Così potrai finalmente far luce sulla
morte di Howard e Maria Stark.»
Non era molto sicuro di quello che gli stava chiedendo. Chi avrebbe
dovuto fare da balia a... chi?
«Accetto.» Sentenziò, senza pensarci oltre. Convenendo con sé stesso
che stava prendendo una quantità spopositata di decisioni affrettate,
ultimamente.
«Perfetto.»
Phil Coulson si alzò, sistemando i propri vestiti. Ripose la pistola
che era stata posata sul comodino lì vicino nel fodero e si diresse
verso la porta, dando le spalle a Steve.
«Domani mattina troverai un completo fuori dalla camera. Indossalo e
presentati a Villa Stark per le 10,00.» Poi sentì qualcosa che suonò
tipo "anche perché ci sarà parecchia gente"; ma non era sicuro l'avesse
realmente detto.
Poi la mano scivolò sulla maniglia e Steve istintivamente si alzò. Non
avrebbe dovuto fermarlo e dirgli qualcosa, riguardo al futuro?
«Sono lusingato di sapere d'essere un tuo amico, nel tempo dal quale
vieni.» Aggiunse con sincerità l'agente, una volta aperta la porta.
Evidentemente non gli era sfuggito il fatto che il suo nome non fosse
stato menzionato nemmeno una volta durante il suo racconto.
«Sì. Uno dei più leali e fidati.»
Riuscì semplicemente a rispondere Steve, prima che Phil lo salutasse
con - quello che gli sembrò - un sottile sorriso ed uscisse dalla
stanza.
Che si fece istantaneamente più fredda e buia.
Note finali:
Okkei. Quarto capitolo "Coulson-centric". Ma non ci ho potuto far
nulla, davvero! Poco fa ho rivisto i due Iron Man uno di fila all'altro
e, bwaaa, che piangere! Soprattutto la prima apparizione, nella quale
incontra Pepper alla conferenza di Tony! T^T
Poi era preventivato fin dai secoli oscuri in cui la mia mente malsana
ha partorito questa fiction, quindi c'è poco da fare!
Invece mi scuso per essere stata poco presente nel fandom e su EFP in
questi tempi. Settimana scorsa avevo un po' di cose da sbrigare e oggi
è ripresa pure l'università che nonostante ami, mi risucchia il tempo
come un buco nero! é__é Quindi scusate davvero, appena avrò un minuto
di tempo risponderò come si deve e commenterò tutte le storie che devo
commentare! Speriamo presto!
Come aggiornamenti terrei circa una volta a settimana, attorno al
week-end. Più di frequente non credo di riuscire a garantire!
Colgo l'occasione per ringraziare infinitamente Alley e SvaneH per i bellissimi commenti!!
Io vi faccio un monumento a testa! E per tutti quelli che, seppur
silenziosamente, seguono questa fiction. Aspetto buona buona il vostro
parere anche su questo, ma ormai lo sapete!
Vi lascio con (poche) precisazioni varie:
1) Adoro la canzone introduttiva del capitolo. E' tratta dalla colonna
sonora del film Pixar "Cars - Motori
ruggenti".
Sebbene il film sia rivolto ad un pubblico giovanissimo, le canzoni
sono di una bellezza commovente. Tutte le volte che riascolto "Find
Youself" ho le lacrime agli occhi, giuro! Vi segnalo il link che porta
alla canzone su YouTube, se foste curiosi di ascoltarla:
2) Lo scudo di Capitan America (almeno per quanto riguarda la versione
"tonda") viene avvistato per la prima volta nel film dedicato al primo
vendicatore. Howard mostra a Steve una serie di scudi ma lui, da buon
intenditore, sceglie il più costoso. Viene rivelato proprio da Stark
senior che si tratta di uno dei metalli più rari della Terra, il
vibranio, in grado di resistere praticamente a tutto (sopravviverà in
"The Avengers" anche al martello di Thor!). A seguire la scena - che
adoro - in cui Peggy spara contro il capitano qualche colpo di pistola.
Poi lui e Howard si guardano in una maniera troppo... LOL! Che miti. *O*
Alla prossima! :)
_Diane_
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Capitolo 5 *** Capitolo Cinque ~ Hero ***
Capitolo Cinque
And then a hero
comes along
E poi arriverà un eroe
With the strength to carry on
Ti darà la
forza di andare avanti
And you cast your fears aside
E metterai
da parte le tue paure
And you know you can survive
E saprai che puoi sopravvivere
Hero ~ Mariah Carey
Capitolo Cinque
«Oh, ti è venuto per caso qualche
livido?»
Il grado di sfacciataggine che avrebbe potuto tollerare era stato
superato da un pezzo. Come si permetteva quell'uomo di trattare tutti
gli altri in quel modo, come se l'intero cosmo gli girasse intorno?
Cosa credeva d'avere più di tutti gli altri eroi, presenti nella
stanza?
«Già. Sei grosso con l'armatura; tolta quella, cosa sei?»
«Un genio; miliardario, playboy, filantropo.»
Steve represse la voglia di assestargli un pugno sul naso. Concluse che
non avrebbe risolto molto.
«Conosco uomini modesti che valgono dieci volte te.» Steve parlava con
tono severo, a testa alta, lo sguardo fisso in quello di Tony. «Ho
visto i filmati. L'unica cosa per cui combatti è te stesso. Non sei il
tipo votato al sacrificio, che si stende sopra un filo spinato perché
gli altri lo scavalchino.»
Pronunciando le ultime parole ricordò un frammento di memoria. Una
granata lanciata, il balzo per proteggere gli altri da un'esplosione
che mai ci fu. Prima, molto tempo prima.
Lui invece abbassa un attimo lo sguardo, come a voler ricomporre i
pensieri.
«Io il filo spinato lo taglierei.»
Adesso invece Steve cercava invano di far ragionare un ragazzino che
non voleva riconoscere i propri limiti. Inconsciamente sul volto del
Capitano si dipinse un sorriso, a metà tra l'esasperato e il divertito.
«Sempre una via d'uscita!» Per poi riprendere, con fare solenne. «Forse
tu non sei una minaccia ma ti conviene di smetterla di giocare a fare
l'eroe.»
«Un eroe? Come te? Sei un
esperimento di laboratorio, Rogers, tutto quello che hai di speciale è
uscito da un'ampolla.»
Il tono non era canzonatorio, né ironico. Tony lo guardava fisso negli
occhi, pienamente consapevole che quelle parole faranno male, molto
male a Rogers.
Poi improvvisamente, proprio mentre Steve sta ricapitolando mentalmente
ciò che gli era stato appena pronunciato da quel pallone gonfiato in
armatura, un rumore assordante invase la stanza. Poi un violento
spostamento d'aria, che fece cadere tutti a terra.
Steve preoccupato di quello che sta succedendo si alzò di scatto,
riaprendo piano gli occhi. I contorni degli oggetti attorno a lui erano
sfocati, ma il primo pensiero andò a chi non avrebbe mai immaginato di
dover pensare.
«Tony...?»
Mormorò confuso, mentre l'intorno iniziò a delinearsi dinanzi ai suoi
occhi.
Mobili in legno, una porta del medesimo, il soffitto con il
ventilatore, una finestra. Non proprio il futuristico eliveivolo dello
S.H.I.E.L.D.
Steve si mise a sedere facendo scivolare pesantemente entrambe le gambe
a lato del letto, passando una mano sul viso e piegando leggermente la
schiena in avanti.
Si rese conto di aver dormito poco e male quando sullo schienale della
sedia scorse ben piegato un completo grigio da uomo.
Doveva calmarsi, doveva alzarsi, vestirsi, andare.
E mancavano solo pochi minuti alle dieci.
Domenica,
19 Dicembre 1991.
Mattino.
«Appuntamento di lavoro, eh?»
Lo spirito d'osservazione del vecchio Stan aveva raggiunto livelli
estremi. Se solo non fosse che tutta la pregiata stoffa entro la quale
si sentiva mummificato stesse gridando al mondo "ehi, questo tipo non
ha mai indossato un completo e sta per presentarsi al suo primo giorno
di lavoro!"
«Già! Scusa Stan, ma è proprio il caso che mi sbrighi...»
«Oh, non ti preoccupare! Buona giornata ragazzo - e in bocca al lupo!»
Steve salutò la strizzata d'occhio del custode con un cenno della mano,
poi si voltò precipitandosi fuori dall'albergo.
L'aria frizzante dicembrina sembrava sfidare gli impenetrabili strati
di pelle del supersoldato. Però la sua attenzione fu attratta da un
taxi parcheggiato dinanzi all'ingresso in doppia fila.
Si sentì sciocco quando notò che il tassista lo stava osservando con
sguardo scocciato. La memoria andò alla serata prima.
"Phil" pensò semplicemente,
mentre con il buonumore ritrovato dopo l'incubo notturno apriva la
porta del veicolo giallo e si precipitava a bordo.
Il taxi si fermò non molto distante
tra la sedicesima e la
quindicesima, così come ricordò gli aveva riferito Tony il giorno prima
del precedente. Erano già le dieci passate da un pezzo, ma l'autista
aveva fatto l'impossibile per evitare il traffico. Lui non richiese
alcun compenso, anche perché Steve non avrebbe potuto darne, dal
momento che non possedeva il
becco di un quattrino. Salutò brevemente il silenzioso autista e
spalancò la portiera, scendendo dall'auto.
Domandandosi istantaneamente cosa diamine stesse succedendo lì attorno.
Senza che se ne fosse reso conto all'incrocio delle due strade appena
citate si era raccolto un numeroso campanello di persone che,
nonostante la considerevole altezza di Steve, tuttavia gli coprivano
di molto la visuale.
Un po' disorientato, chiuse il portello del taxi che
ripartì in tutta fretta. Mentre il senso di smarrimento continuava,
tentò di farsi largo tra le persone al fine di scorgere la
villa alla quale era diretto. Mentre attraversava quella piccola folla
non potè fare a meno di osservare la gente; tutti uomini, tutti
acconciati con lo stesso completo nero, tutti calzanti un paio di
scarpe tirate a lucido per l'occasione, tutti stretta in mano la
medesima facciata di giornale.
«Ehi tu, biondino, solo perché sei grosso credi di poter passare
avanti?»
La voce aggressiva di un uomo bassottello lo costrinse a fermarsi.
«Devo solo raggiungere quella villa» indicò dinanzi a sé, ora che
poteva vederla «ho un appuntamento e sono in leggero ritardo.»
Il tizio prima si mise a ridere, poi sbuffò e riprese a parlare.
«Sei un tipo divertente, lo sai? Cosa diavolo credi che noi altri
siamo qui a fare, pettiniamo le bambole forse? No, tutti vogliono
entrare là dentro, ognuno di noi desidera ardentemente quel posto. Con
uno stipendio del genere vivrò da re per il resto della vita.»
«Non capisco...»
Seguì un deciso scappellotto dell'uomo all'altezza della schiena di
Steve.
«Non credo che tu ti sia vestito così per andare al bar, amico! Quindi
mettiti in fila ed aspetta; sei arrivato dopo, quindi entrerai per
ultimo.» Poi aggiunse, una volta voltatosi «Prega solo che il colluquio
per diventare maggiordomo del figlio di quel vecchio stronzo armaiolo,
l'anima sua sia maledetta, sia ancora aperto.»
Il capitano rimase leggermente interdetto. A chi aveva dato dello stronzo?
Preso dalla rabbia afferrò l'uomo dal colletto della camicia,
sollevandolo di parecchi centimetri dal suolo.
«Non ti permettere più di chiamarlo in quel modo in mia presenza,
oppure...»
La voce metallica proveniente da alcuni autoparlanti lo calmò, ed evitò
che quella mattinata venisse ricordata come la più grande rissa della
storia americana.
«Signori, vi invito nuovamente a pazientare. Tutti i candidati presenti
per il ruolo di maggiordomo verranno esaminati in giornata. Vi
ringrazio per l'attenzione.»
Chi aveva parlato attraverso il microfono non era la voce del giovane
Tony bensì quella di qualcun altro, profonda ed autoritaria, a lui
sconosciuta. Con parecchi secondi di ritardo, ricordò di tenere ancora
sollevato a mezz'aria l'arrogante tizio di prima, che stava iniziando
ad annaspare. Mollò la presa e questi rovinò a terra come un sacco di
patate, sputando qua e là e pronunziando maledizioni a ripetizione.
Il capitano trovò più sensato allontanarsi dallo spiazzo che si era
formato attorno a lui. Non era in cerca degli sguardi spaventati o
interdetti che si era attirato addosso. Scivolò svelto tra le persone
portandosi tra gli ultimi candidati, i più lontani dalla villa.
Nelle lunghe e noiose ore di attesa
che seguirono, Steven Rogers imparò almeno due cose.
La prima. Il giorno precedente qualcuno aveva inserito un vistoso
annuncio sulla prima pagina del "The Washington Times". Invitava
chiunque avesse avuto un giusto grado di preparazione, esperienza,
serietà, passione e competenza nel praticare il mestiere del
maggiordomo a presentarsi alle ore 10,00 del giorno odierno dinanzi a
Villa Stark. Il capitano non ne possedeva neanche mezza di quelle
capacità ma ipotizzò uno strano parallelo, suggeritogli dall'incubo di
quella notte. In fin dei conti né lui né Tony erano nati eroi; il
giovane Stark non l'aveva nemmeno scelto e v'era solamente capitato.
Entrambi non se l'erano cavata male a combattere gentaglia di ogni
tipo. Così cercò di convicersi che aveva delle possibilità di divenire
maggiordomo. O meglio, lo sperava con tutto il cuore; così in cambio
Phil avrebbe fatto tutto il possibile per riportarlo a... casa.
La seconda. Quell'annuncio veniva assiduamente ripetuto ogni mezz'ora;
alla fine del pomeriggio Steve avrebbe potuto ripeterlo anche al
contrario. Si tramutò nel rumoroso compagno con cui trascorse la
giornata, fino all'imbrunire. Fu un giorno lungo, noioso, piatto. Non
successe assolutamente nulla. Man mano che i candidati davanti a lui
entravano dalla vistosa porta d'ingresso preceduta da eleganti colonne
doriche la folla di persone diminuiva, lentamente ma sempre di più. Un
po' delle persone che uscivano si fermavano con qualche altra
conosciuta durante l'attesa per scambiare due parole, ma nessuna pareva
avere un'aria particolarmente soddisfatta. Presumibilmente avrebbero
esaminato i candidati fino all'ultimo, prima di effettuare una scelta.
Verso le sei di sera mise piede fuori dalla casa anche il suo "amico"
che prima aveva rischiato di morire soffocato. Gli lanciò un'occhiata
irritante, un misto di superiorità e arroganza che per poco non fece
scattare ancora la sensibilità di Steve. Ma mentre questi si
allontanava passando volutamente vicino a lui e guardandolo beffardo
dal basso all'alto, un nuovo annucio metallico si diffuse nell'aria.
«Signori, vi annuncio che le selezioni si sono concluse in questo
momento; non verranno pertanto esaminati ulteriori candidati. Gli esiti
saranno resi noti domani mattina. Auguro a tutti voi una piacevole
serata.»
Steve si guardò intorno, sconcertato. Non si era reso conto di essere
rimasto solo - o quasi - fuori dalla villa. Oltre a lui le altre cinque
persone che non erano riuscite ad entrare lanciarono qualche insulto
contro l'abitazione o qualche fischio, ma nulla di più. Fecero
parecchie smorfie, si scambiarono brevi saluti, girarono i tacchi e se
ne andarono, in fondo sollevati di non dover stare ulteriormente a a
patire il freddo che dal mattino li aveva parecchio provati.
Solamente Steve non riuscì a muoversi; non si trattava del freddo, o
della stanchezza. Si sentiva assopito, abbandonato, solo.
Era sicuro che, nonostante i numerosi contendenti che un solo giorno di
"ritardo" aveva provocato, sarebbe bastato che Tony lo vedesse per far
ricadere la sua scelta su di lui. Di questo ne era convinto; il filo
rosso che li univa, per quando nel futuro avessero tentato entrambi di
negarlo, non aveva mai accennato a sfaldarsi. Ma ora senza un
obiettivo, nessuno al suo fianco, non una prossima missione... Si sentì
inutile. Gli tornarono in mente alcune parole del Tony del ventunesimo
secolo.
"Delle persone qui dentro chi è che
"a" indossa una tuta luccicante e "b" non è utile?"
Sprofondò la testa tra le braccia, appoggiandosi alla cinta metallica
che separava la strada dal giardino della villa.
"Qual'è la prossima mossa,
supersoldato?" Domandò mentalmente a se stesso.
CRASH!
Improvvisamente udì un gran fragore alle sue spalle, che lo fece
balzare in piedi.
Dopo essersi guardato intorno si lanciò dinanzi al cancello di Villa
Stark, dalla quale pareva provenisse il rumore. In effetti attraverso
le sbarre metalliche, nonostante il buio che era già calato da un
pezzo, poteva osservare l'intorno della casa. Abbassò leggermente lo
sguardo; sotto una finestra del piano terra giacevano parecchi vetri
rotti. Certo che qualcuno si stesse introducendo all'interno per
compiere un furto, con un balzo Steve scavalcò il cancello. La
prontezza di riflessi gli permise in pochi secondi di aprire il portone
d'ingresso con una spallata ben assestata, che mise a dura prova la
resistenza dei suoi cardini. Una volta dentro si ritrovò in uno spazio
totalmente buio; le persiane erano già state chiuse, nessuna stanza
pareva essere illuminata. Procedette con estrema prudenza, mentre ebbe
l'impressione di essere tornato alla sera precedente. Una sola
differenza; la certezza che qualcuno di poco raccomandabile si fosse
introdotto in quella casa.
Scivolò lento ma deciso nel corridoio che probabilmente conduceva alla
zona giorno. Nulla sermbrava fuori posto fatta eccezione per il vetro
infranto del salotto, dal quale penetrava all'interno un vento gelido.
Steve rimase allerta; chiunque fosse entrato, non poteva essere andato
molto lontano.
Non dovette poi aspettare molto; un attimo dopo qualcuno da dietro gli
saltò addosso, cingendogli fermamente il collo con entrambe le mani.
Il supersoldato non dovette neppure usare tutta la sua forza; con uno
strattone si levò la figura di dosso e, voltandosi improvvisamente
verso di essa, la scagliò a qualche metro di distanza. Questa ricadde
pesantemente contro quella che doveva essere una vetrina di cristalli,
che andò istantaneamente in frantumi. L'uomo tentò di rialzarsi, ma
Steve fu più veloce. Appena si mise in piedi, seppur barcollante,
Rogers afferrò entrambi i polsi e lo spinse con violenza contro il muro
più vicino.
Questi dapprima cercò di divincolarsi, poi però dopo aver appurato
l'inutilità di quella sua foga. Sembrò rassegnarsi alla sua prigionia.
La stanza piombò in un silenzio surreale, rotto solo dall'ansimare del
ladro. Che alle orecchie di Steve, risultò stranamente familiare.
Poi nel buio, osservò ciò a cui ancora non aveva fatto caso; in una
delle due mani di quell'uomo pareva brillare un piccolo cerchio di luce.
Come se avesse visto un fantasma, mollò istantaneamente la presa. Il
ragazzo piegò leggermente le ginocchia, tossicchiando e continuando ad
ansimare. Mentre la luce diveniva frebile e si spense, Steve capì
benissimo chi si trovava dinanzi.
«Jarvis, prendi nota; invenzione uno-nove-quattro-barra-sei,
decisamente da migliorare.»
Il ragazzo con un paio di passi malfermi raggiunse l'interruttore più
vicino; il salotto fu improvvisamente rischiarato a giorno e Steve
avrebbe preferito venir inghiottito dal pavimento; aveva appena
rischiato di uccidere... Anthony Stark?
«Domani mattina ti aspetto alle 8,00. Porta pure le tue cose, ti
trasferirai qui.» il bruno si sfilò dalla mano un guanto nero e con
poca cura lo gettò sul tavolo lì vicino «Ho capito che la puntualità
non è il tuo forte; ma non è nemmeno la mia, quindi... cogratulazioni,
sei assunto.»
Non riuscì a spiaccicare una parola, nemmeno ad alzare lo sguardo per
appurarsi che Tony, dopo essere stato lanciato contro una vetrina di
cristallo, stesse bene. Rimase semplicemente lì, imbambolato, le guance
in fiamme, la testa bassa.
Forse qualcosa iniziava ad andare nel verso giusto.
And you'll
finally see the truth
E infine vedrai la verità
That a hero lies in you
C'è un
eroe dentro di te
Note finali:
La canzone inserita all'inizio del testo è stata scelta dopo averla,
casualmente, trovata. Solitamente per l'ispirazione di questi capitoli
spulcio la mia raccolta su i-tunes, ma non trovando nulla di adeguato
allo stato d'animo con il quale volevo approcciarmi alla scrittura ho
cambiato tattica, approdando su YouTube (o TuoTubo, per gli amici).
Ecco, ecco. Ed ho scovato questa canzone (che non conoscevo,
picchiatemi pure ora XD) della bravissima Mariah Carey!
Per il resto, che altro aggiungere! Finalmente dal prossimo capitolo
potrete vedere Steve alle prese con le faccende di casa (e non solo, e
non solo)! Credo proprio che Rogers mi inseguirà con una pesante e
condundente spranga!! XD *Si guarda
alle spalle, preoccupata*
Intanto vi lascio, come di consueto, a qualche nota.
~
Precisazioni ~ (un po' Qui,
un po' Qua, e anche un po' Quo, che altrimenti si sentirebbe
escluso):
1) Come avrete subito notato,
la prima parte dove Steve sogna è ripresa pari pari da una delle scene
del film "The Avengers". Questo sia perché secondo me è forse il
dialogo più significativo che i due hanno nel film, sia perché mi da la
possibilità di chiarire un aspetto molto importante per me nello
scrivere questa fiction. La base, le fondamenta della stessa risiedono
proprio entro la filmografia marvelliana, dalla quale non può
prescindere come richiami e sviluppi. Ci tengo perché non ne venga
fuori una cosa "scritta tanto per", ma per divertirmi a fantasticare su
di una cosa che potrebbe accadere, ma che (per ovvi motivi) non vedrò
mai al cinema! ;)
2) Giusto per rimanere in tema
"citazioni cinefile"; la parte in cui Steve arriva davanti a Villa
Stark e trova pieno di aspiranti maggiordomi sarebbe un omaggio ad un
film che ha profondamente segnato la mia infanzia, ossia "Mary
Poppins". Per sfortuna del capitano nessun vento impovviso spazza via
gli altri contendenti, e il nostro deve patire parecchie ore di attesa!
XD
Bof, credo sia tutto! Prima di chiudere vorrei ringraziare Alley, che con i suoi deliziosi
commenti mi fa sciogliere dalla felicità, e dare il benvenuto OkinoLinYu, la quale ha lasciato una
splendida recensione allo scorso capitolo! Grazie anche a tutti quelli
che supportano la fiction inserendola tra le preferite, seguite,
ricordate! *^*
Un abbraccio graaaandissimo!!
A presto!
_Diane_
|
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Capitolo 6 *** Capitolo Sei ~ Hello Goodbye ***
Capitolo 6
RIASSUNTO: Dopo la fine della
battaglia di New York contro alieni di vario tipo, ogni vendicatore è
tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che ogni giovedì sera
il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in tutta pace un bel
film. Al termine di una serata nella quale è stata proposta la visione
di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto del suo posto nel
mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo svenimento. Al suo
risveglio si ritroverà nuovamente spaesato nell'anno... 1991. Tra
vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi, riuscirà il nostro
Capitan America (alias Jarvis)
a cavarsela e tornare a casa?
You say yes, I
say no
Tu dici sì, io dico no
You say stop and I say go, go, go, oh no
Tu dici
fermo e io dico avanti, avanti, avanti, oh no
You say goodbye and I say hello
Tu dici
addio e io dico ciao
Hello hello
I don't know why you say goodbye, I say hello
Io non so
perché tu dica addio, io dico ciao
Hello Goodbye ~The Beatles
Capitolo Sei
Lunedì,
20 Dicembre 1991.
Mattino.
Quella notte Steve non ebbe incubi. Non sognò assolutamente niente di
niente. Riposò come un bimbo grazie ad un sonno pesante e tranquillo,
il che non avveniva da secoli. Forse tutta quella pace era servita per
prepararlo all'ansia che lo assalì una volta sveglio. Non riusciva ad
abbottonarsi la camicia, tantomeno a dare una spazzata decente alla
camera d'albergo nella quale aveva trascorso gli ultimi giorni. Doveva
lasciare l'albergo che, in così poco tempo, era diventato una sorta di
nido in cui ritirarsi.
Passandosi una mano su barba e baffi si guardò nervoso allo specchio.
Doveva ammettere che faticava a riconoscere sé stesso in quel riflsso
così... diverso. Mentre si dimenava invano per domare la cravatta che
non ne voleva sapere di annodarsi al collo, la mente tornò all'incontro
con Phil.
«Serve aiuto?»
La giovanile figura di Coulson apparve sullo stipite della porta; Steve
sobbalzò e, mentre questo rapido la richiuse, si chiese se in fondo
anch'egli non possedesse una sorta di superpotere.
«Credo che normalmente lei presti aiuto agli altri, non il contrario;
ma questa temo sia una battaglia persa.» Svelto si avvicinò a Steve e
con due rapide mosse sistemò il malefico indumento maschile intorno
alla gola del Capitano.
«Grazie.» Rispose semplicemente Rogers, una volta che l'altro si fu
allontanato abbastanza per permettere al suo cervello di ricominciare a
funzionare.
«Le lascio questa.» Proferì serio Phil, poggiando sul letto un borsone
nero di pelle che portava sotto braccio. «Dentro troverà tutto ciò di
cui ha bisogno per la missione.»
«Perfetto.» Il suo rispondere a monosillabi aveva un che di
terribilmente impacciato, ma non riuscì a mascherare quella sensazione
predominante.
«La saluto, signor Rogers. Buona fortuna.»
«Credo mi servirà.»
Sentenziò ironicamente Steve; tenere a bada un Tony Stark adulto era
una missione pressoché impossibile.
Steve sarebbe riuscito a domare la sua controparte adolescenziale?
«E così giunge già il momento dell'addio!»
Proferì in tono melodrammatico il vecchio custode dell'albergo.
«Hai proprio occhio per certe cose?» Ribattè ironico Steve, scendendo
gli ultimi gradini delle scale.
«Mio caro Jarvis, anche qui il mondo passa ma a poche persone per
volta.» Lasciò il bancone e si avvicinò lento al Capitano, guardandolo
fisso negli occhi.
«Ci sono arrivi e partenze, continuamente; negli occhi della gente mi
piace osservare quello che vedranno, non quello che hanno visto.» Poi,
quando fu abbastanza vicino, picchiettò ripetutamente il dito sul
torace di Steve, il viso rivolto verso l'alto per assecondare alla
differenza d'altezza tra i due.
«E tu, qualcosa mi dice che tu stai per intraprendere un nuovo viaggio.»
Rogers rimase interdetto, ma gli riuscì un sorriso che sciolse la
strana situazione.
«Io la ringrazio per la sua gentilezza, signo... Stan.»
Disse, con un paio di pacche sulla spalla forse un po' troppo ben
assestate che fecero vacillare il povero vecchio.
«Ahah, ragazzo tu farai strada!» Rise, con estrema naturalezza.
«Addio!» Salutò Steve, stringendo ulteriormente il borsone che portava
sottobraccio. Seguì fu una cordiale stretta di mano, poi Steve si avviò
verso l'uscita. Prima di varcarla riuscì a sentire un ultima frase
proferita dal vecchio Stan.
«New York è una città più piccola di quello che si pensi; ci rivedremo
presto, soldato!»
L'esitazione dinanzi al campanello, affianco alla porta d'ingresso in
legno massiccio, era qualcosa di pressoché imbarazzante. Doveva
muoversi a premere quel minuscolo pulsante o qualche passante si
sarebbe chiesto se non era morto assiderato. Una volta gli era andata
bene; non gli andava di rischiare una seconda. Soprattutto non dopo le
miriadi di sbalzi temporali affrontati, i quali iniziavano a mettere a
dura prova la sua capacità di comprensione.
Infine prese un profondo respiro di sollievo e, come un soldato
impaurito alla prima missione, sfiorò appena il campanello con il dito.
La porta istantaneamente si spalancò dinanzi a lui.
«Ore otto e quattro minuti.»
Sentenziò grave la giovane figura di Tony, tutta intenta ad
osservare le lancette del costoso orologio che portava al polso.
Poi alzò lo sguardo e con un mezzo sorriso lo invitò ad entrare.
«Non vorrei che stessimo facendo troppi progressi in una volta sola!»
Senza proferir parola, sentendosi punzecchiato come dal Tony del
ventunesimo secolo, varcò la soglia della villa.
La casa si rivelò enorme. Da fuori le
altissime guglie in mattoni ornate da inserti in marmo chiaro già
sembravano immense; ma una volta entrato ebbe l'impressione che lo
spazio potesse essere ancora più grande. La sera prima non aveva visto
pressoché nulla dello splendore che l'ornava; solamente l'ingresso, con
due file laterali di colonne bianchissime dai profili corinzi, sembrava
appartenere alla sala reale di un sovrano. Steve rimase letteramnete a
bocca aperta; nonostante la sua infanzia spartana e semplice, nel tempo
trascorso tra la Torre Stark e le poche volte a Malibù aveva capito
quanto il collega amasse vivere in mezzo al lusso. Però quel lusso
aveva un che di... trasparente,
tecnologico, moderno. Notò
ancora il sontuoso lampadario in vetro pendente dal soffitto, i mobili
in mogano nel quale erano montati pannelli in cristallo che lasciavano
intravedere onorificenze e premi di vario tipo.
Quello sfarzo era differente da quello ricordava; un ben ponderato
misto tra classico e antico.
«Lascia pure il tuo bagaglio di sopra; la tua è l'ultima stanza in
fondo a destra.»
Steve fece un cenno di assenso con la testa e salì la lapidea scalinata
di destra delle due simmetriche che conducevano al primo piano.
Percorse tutto il lungo corridoio, fino a quella che doveva essere
l'ultima porta. Fece scivolare la mano libera dalla borsa sulla
maniglia e questa si aprì. Un prepotente odore di chiuso pervase le sue
narici; la stanza evidentemente non veniva aperta da parecchio tempo.
Entrò e dopo aver lasciato ricadere in un angolo la sua valigia, si
precipitò a spalancare la finestra. Mentre la frizzante aria dicembrina
riempiva istantaneamente l'ambiente, Steve diede un'occhiata in giro.
Certamente era un ambiente più grande del suo ultimo alloggio presso
l'hotel di Steve, non che ci volesse molto in realtà. Un ampio letto a
due piazze, un enorme armadiatura riempiva tutt'una parete, una
scrivania sotto la finestra ed un tavolo rotondo con un paio di sedie
giusto sotto ad un vistoso lampadario.
Poi si ricordò che lui non era in vacanza in quel posto ma anzi, purtroppo si apprestava a
lavorarvici.
Quindi richiuse la finestra, uscì dalla stanza e si precipitò giù per
le scale, laddove Tony gli aveva dato indicazioni per raggiungere la
sua camera.
Ma qui... non trovò anima viva. Dapprima di sentì tremendamente
spaesato; quella Villa era certamente più intricata della più sperduta
e malefica base HYDRA. Poi però si spazientì, convincendosi che
quell'uomo fosse destinato, in qualsiasi epoca, a fargli perdere le
staffe.
"Oppure quel dannato Loki è riuscito a scagliarmi contro una sorta di
maledizione prima di partire
per Asgard."
Si ritrovò a rimuginare con un misto di disperazione e ironia, mentre
dal salone superò una porta ed iniziò a vagare per il piano terra
dell'edificio. Se la colpa di tutto quell'assurda situazione era da
attribuire davvero al fratellastro del dio del Tuono, nulla gli avrebbe
impedito al suo ritorno di fare una telefonata ad un certo Dottor
Banner, e di chiedergli se avesse un paio d'ore libere per spaccare
qualcosa.
Mentre ripensava con un mezzo sorriso a quegli avvenimenti ormai così
lontani nel passato... o nel futuro che fosse, si trovò in quello che
era uno dei tanti salotti della casa, le pareti rivestite di immense
scaffalature di libri. Incuriosito si avvicinò ad una di queste; i
volumi giacevano perfettamente ordinati per autore e titolo dell'opera.
Tutti quanti però avevano un denominatore comune: parlavano solo e
solamente di... meccanica, elettronica, nautica, armamenti. Un'immenso
stuolo di pagine e pagine che il Capitano non aveva mai visto tutte
insieme in vita sua. Decise di passare oltre ma anche il successivo
scaffale non offriva di meglio.
«Non credo sia stato possibile che diventasse altri che quel che è
diventato...»
Si trovò a dar voce ai suoi pensieri, sussurrando.
«Tale padre, tale figlio.»
Venne assalito da un ricordo; solo pochi gioni addietro aveva assistito
al funerale di Howard. Mentre un velo di tristezza lo assaliva ripose
il libro che stava sfogliando, per lui aramaico antico. Probabilmente
il suo vecchio amico aveva sfiorato quelle pagine giusto pochi giorni
addietro. Chissà che idee brillanti aveva avuto lo scienziato su quelle
superfici ruvide e impolverate.
Avrebbe potuto rivederlo. Dirgli addio.
Fu in quel momento che notò una cosa; in nessuna delle stanze appena
passate aveva visto una singola foto o di Stark senior, o della moglie.
Nemmeno una dello stesso Tony, a dir la verità. La cosa lo lasciò
abbastanza perplesso.
Si rimise a camminare, superando un'altra soglia ed approdando alla
stanza successiva. Con suo enorme stupore si trattava della cucina,
dalla quale si scorgeva la sala da pranzo. L'area destinata alla
preparazione di cibi era pressoché enorme. Un gigante piano da lavoro
occupava la parte centrale, la quale nascondeva sotto di sé una miriade
di cassetti, mentre una parete era completamente piena di banchi da
lavoro con forno, lavandino, frigorifero, ma tutto di proporzioni
enormi. Come se in quella casa pranzasse l'intero esercito delle
Nazioni Unite.
Quella gigantesta cucina gli fece venir una gran fame. Erano giorni che
non mangiava in modo decente.
"Non credo che nessuno s'offenderà se
sbircio in frigo cosa c'è..."
Poggiò la mano sulla manopola dell'immenso elettrodomestico quand'ecco
che qualcosa gli battè contro. Alzò lo sguardo.
Quello che sembrava un bizzarro braccio meccanico stava gentilmente
porgendogli una lattina rossa sfavillante di Coca Cola.
D'apprima Steve scrutò curioso quello strano meccanismo, poco più alto
di lui; poi una lampadina nella sua testa si accese nello stesso
momento nel quale una certa
persona faceva il suo ingresso in cucina.
«Jarvis, ti presento ferrovecchio. Ferrovecchio, Jarvis.»
Il meccanismo all'estremità del braccio automatizzato si aprì con un
cigolio, quasi a volerlo salutare. Evidentemente si dimenticò della
lattina che teneva stretta tra le ganasce; sarebbe sicuramente caduta
se non fosse stato per i riflessi pronti di Steve il quale l'acchiappò
ad un centimetro dal suolo.
Il giovane Tony chinò la schiena in avanti giusto quanto bastava per
sfilarla dalle mani del Capitano, aprirla con un sonoro schiocco, e
berne un sorso portandosela spavaldo alla bocca.
Il biondo si rimise in piedi e sbottò.
«E' tutto uno scherzo per te?»
Nonostante l'esasperazione, in fin dei conti ingiustificata, che
traspariva dal suo tono di voce, Steve subito se ne dimenticò; non si
era reso conto di non aver avuto occasioni per osservare davvero quella
versione ringiovanita del suo collega vendicatore.
Il giorno del funerale del padre, al loro primo incontro, non aveva
alzato lo sguardo dal ghiaietto che formava i sentieri del cimitero.
Durante la sera precedente, essendo buio ed avendo rischiato di
ucciderlo, ugualmente non aveva distolto lo sguardo dal pavimento
quando si erano congedati per la notte. Quella mattina lo aveva subito
mandato a sistemare la sua roba così... si ritrovò solo in quel momento
ad osservare tutta la sua presunzione dei suoi diciannove, forse
vent'anni.
L'altezza non era per nulla cambiata; Tony rimaneva sempre lo stesso
"pezzo" più basso rispetto a lui. Il tono muscolare, sebbene celato da
una comoda tuta da ginnastica nera, era estremamente scarso e il fisico
era un bel pezzo più asciutto di come lo ricordava. Gli occhi, quelli
erano tremendamente gli stessi; color nocciola, pieni di insolenza e
sfacciataggine, solo meno stanchi e preoccupati. Anche le movenze con
cui sorseggiava la lattina sembravano non essere cambiate di un
millimetro.
Due furono però le cose che, incredibilmente, lo stupirono.
Nessun disco azzurro ornava il petto di quel Tony. La cosa, sebbene logica
e ineccepibile, causò una sorta di scompenso nel cervello di Steve. Lì
non aveva nessun grappolo di schegge miravano dritte al suo cuore. Lì
non aveva scoperto una fonte d'energia pressoché infinita. Lì non era
ancora un... supereroe. Una
parte di lui lo sapeva, ma mettere l'altra
a conoscenza fu un duro colpo.
Niente reattore arc, uguale niente Iron Man.
Non era mai riuscito ad immaginarsi Tony scisso dalla sua metà
metallica, ed ora che l'aveva proprio dinanzi agli occhi faticava a
capire.
Poi però alzò un poco lo sguardo e notò la seconda cosa che lo sbalordì.
La pelle del volto di quel giovane era completamente... nuda. Non c'era segno degli usuali
baffetti e della curiosa barba che sfoggiava, tutto il viso era privo
di qualsiasi tipo di peluria e perfettamente curato.
Steve si passò una mano sulla faccia. Ebbe l'impressione di sudare
freddo, mentre veniva assalito da un tremendo dubbio.
"Vuoi vedere che...?»
«Oh no, in realtà è la mia tesi di laurea.»
«Eh?»
La risposta di Tony, arrivata così in ritardo rispetto ai viaggi
mentali del capitano, costrinse l'aeroplano della sua fantasia ad un
brusco atterraggio. Il ragazzo appoggiò la bibita sul pianale lì vicino
e si accomodò su una delle sedie attorno al blocco centrale della
cucina.
«Dicevo che quello che per te è uno scherzo, in realtà è la mia tesi di
laurea.»
La preoccupazione che l'aveva colto sapendo di portare lo stesso taglio
di barba e baffi del Tony del futuro passò.
Almeno per il momento.
«Quel braccio meccanico è la tua tesi di laurea?»
Steve in realtà aveva già visto quel braccio meccanico le rare volte
che era stato in visita a Malibù. Gli stava simpatico proprio perché
Tony lo detestava. Non sapeva che fosse stato un oggetto tanto
importante per lui, in passato.
«Già» assertì con la testa, dondolandosi indietro con la sedia «non un
granché in realtà. Tutti quegli imbecilli ad applaudirmi per te e
invece...» e si rivolse verso il diretto interessato «due anni e sei
già un inutile ferrovecchio.»
Il povero meccanismo sembrò capire il tono derisorio del suo padrone ed
emise qualche cigolio abbassando l'arto finale verso il pavimento.
«Oh, io credo possa rivelarsi un utile assistente.»
Aggiunse Steve con fare propositivo e canzonatorio.
«Dato che la pensi così...» dondolò ancor di più la sedia all'indietro,
poggiando le Converse rosso scuro che indossava direttamente sul tavolo
da lavoro «credo che mi diletterò ad osservare da vicino voi due che mi
cucinate la colazione.»
Steve fece per controbattere ma capì che non sarebbe servito a nulla.
Qualcuno si voleva divertire. Ma lui gliel'avrebbe fatta pagare più
tardi.
Al momento si trovava disperato a guardare un povero braccio meccanico,
il quale sembrava sconsolato suggerirgli un:
"E' fatto così; che ci vuoi far."
Note
finali:
Lo so, lo so. Sto sparendo. Volente o nolente non torno a casa
mai prima delle 20,30-21,00 la sera, stando via tutto il giorno. Indi
per cui l'unico momento per scrivere le mie scempiaggini (che sarebbero
queste) si riduce al weekend, il quale però sta venendo invaso dagli
impegni della settimana che non riesco a portare a termine nella
stessa. Eh sì, che vita grama! XD
Quindi pubblico questo sesto capitolo con una settimana di ritardo
nella quale... ARGHDFBAUIGCYGFYBC è successo di tutto!!! *O* Novità su
novità per IRON MAN 3, tra cui uno straniante ma entusiasmante
trailer!! Ohmygosh, non sto più nella pellaccia! TT^TT
Prima delle ultime parole sconclusionate, vi lascio al solito con
alcune precisazioni:
1) Le parole che pronuncia Stan sono una citazione indiretta allo
splendido libro "Novecento" di Alessandro Baricco. Se non lo conoscete
leggetelo, fidatevi, saranno tra le due ore più entusiasmanti della
vostra vita
2) Credo che effettivamente il povero "ferrovecchio" sia stato
effettivamente la tesi di laurea di Tony, laureatosi con lode al MIT a
diciassette anni (tipregoTonydonamiunmillesimodellatuaintelligenza). Lo
si intravede nella presentazione all'inizio di "Iron Man".
3) La frase "è tutto uno scherzo per te?", direttamente ripresa da "The
Avengers". Il capitano non ha molta fantasia, gente.
Gnep. Che altro aggiungere?
Che davvero non posso non ringraziare quell'angelo di Alley che continua a sostenermi con
le sue bellissime recensioni! Come non posso esimermi dal dire "grazie"
a chi continua ad aggiungere la storia tra i vari preferiti, ricordate,
ecc!
Se avete voglia di commentare, anche con poche parole, io ne sarei
immensamente felice sappiatelo! :)
A presto!
_Diane_
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Capitolo 7 *** Capitolo Sette ~ 21st Century Breakdown ***
Capitolo 6
RIASSUNTO:
Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo,
ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che
ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in
tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata
proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto
del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo
svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato
nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi,
riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e a tornare a
casa?
My name is no one
Il mio
nome è nessuno
The long lost son
Il figlio a lungo perduto
Born
on the 4th of July
Nato il 4
di Luglio
Raised in the era of heroes and cons
Risorto nell'era degli eroi e delle fregature
That left me for dead or alive
Lasciato
qui vivo o morto
21st Century
Breakdown ~ Green Day
Capitolo Sette
Lunedì, 20 Dicembre 1991.
Pomeriggio.
Il pendolo di legno scandì, con
cinque lunghi rintocchi, l'ora del pomeriggio. Fuori dalla finestra il
cielo era già imbrunito da un pezzo; nemmeno l'inverno inoltrato
sembrava sorridere al povero Steve.
Il braccio meccanico, o ferrovecchio
dal dizionario alla "Stark", aveva continuato istancabile il suo
ripetitivo lavoro. Il Capitano gli passava un piatto pulito ed
asciutto, lui lo riponeva millimetricamente al suo posto nella credenza
appena sopra. Questo alienante lavoro proseguì instancabile fino alla
quinta ora del pomeriggio nella quale i due finalmente finirono,
riponendo in ordine anche l'ultimo bicchiere di cristallo. Avrebbe
preferito di gran lunga spaccare la faccia a qualche criminale di
turno, gettarsi da un aereo in volo nel bel mezzo di un conflitto,
scovare una base inespugnabile tra il fuoco incrociato delle armi
nemiche. Tutto, avrebbe preferito tutto a quelle ore di permanenza in
cucina. Lui era una buona forchetta, certo, ma ai fornelli non si era
mai cimentato. Se doveva cavarsela da solo, un paio di scatolette
potevano bastargli per giorni.
Invece, dopo esser stato obbligato a cucinare una colazione che pareva
un banchetto di nozze, ed un pranzo degno di un plotone intero, aveva
dovuto accettare di lavare qualche migliaia di stovoglie sporche.
Mentre chiudeva finalmente l'acqua calda e riponeva spugne e detersivi
ai rispettivi posti, ripensò con rassegnazione alla conversazione avuta
dopo mangiato con l'artefice di tali agonie.
«Non avrei cotto così tanto questa
prelibata carne di tacchino però... direi che per oggi può andare.»
La caterva di portate vuote
giacenti sul tavolo erano sconsolanti, ma soprattutto indicavano quando
Steve si fosse dato da fare. "Certamente troppo" pensò.
«Oh, dimenticavo una cosa...»
Il Capitano stava già
pregustando almeno un cinque minuti di pausa dal martello pneumatico
chiamato "Tony". Invece questi improvvisamente si alzò e si precipitò
fuori dalla sala da pranzo. Quando rientrò, Steve promise a sé stesso
che avrebbe trovato della colla molto forte per evitare di farlo alzare
prima del dovuto dal tavolo, in futuro.
Le braccia del giovane Iron
Man ondeggiavano sotto il peso di un'altissima pila di piatti sporchi
di ogni tipo; forchette, coltelli, bicchieri, scodelle. Tutte di un
lerciume vagamente immaginabile.
«Tieni.» Le scaricò senza
riguardo addosso a Steve, che dovette alzarsi repentinamente per
prenderle ed evitare si riducessero in mille pezzi. «E ringraziami, li
ho anche impilati ordinatamente apposta per te.»
"Impilati apposta per me?"
Steve si impedì mentalmente
di sondare dove e da
quanto quei piatti potessero trovarsi in simili condizioni,
concentrandosi su un altro particolare.
«Credo abbiano già inventato
un arnese che pulisce i piatti in modo automatico...?» Esordì a metà
tra l'ironico e il disperato. Che mascherarono l'effettiva ignoranza di
Steve in materia; gli era capitato di veder usare uno strumento simile
nel ventunesimo secolo, ma in effetti ignorava quando fosse stato
effettivamente creato.
«Intendi quell'arnese che i
comuni mortali chiamano... l... lav... lavastovi... qualcosa? Forse lavastoviglie?»
«Esattamente.» Rispose con
tono serio Steve, nel vano tentativo di smorzare l'ironia del morettino.
«Credo che sia, insomma...
rotta.»
«Rotta? Come sarebbe a dire, rotta?»
«Oh scusa; nel tuo dizionario,
equivale a non la puoi usare.»
Ora mancava solo che usasse
l'appellativo "Capitan preistorico" e poi si sarebbe sentito a casa.
Forse fin troppo.
«E questo può fermare il brillante e geniale Tony Stark?»
Sentenziò, cercando di
apparire il più irritante possibile. Ma la cosa non riuscì e di tutta
risposta ebbe uno sguardo strano da parte di Tony il quale, dopo aver
aperto un'anta della cucina, gli lanciò quasi in faccia un paio di
spugne gialle. Le quali ricaddero nell'intigliolo rossastro della
scodella in cima alla pila che il biondo teneva ancora tra le mani,
schizzandogli sia la faccia che il vestito.
Bagnato un angolo di un tovagliolo,
ripulì come poteva il completo nero che indossava. Poi, dopo aver dato
una pacca sulla spalla -o quel che gli assomigliava- al suo meccanico
aiutante, si precipitò alla ricerca di un bagno per pulirsi tutto il
lerciume che ancora giaceva sulla sua faccia. Con suo sommo sconforto
precipitò nuovamente nel labirinto di stanze e corridoi nel quale,
com'era ovvio, si perse.
"E dire che in una casa così lussuosa un paio di bagni dovrebbero esserci."
Sentenziò mentalmente. Il problema maggiore stava nell'anonimato delle
porte, tutte quante bianche ed uguali, ognuna delle quali
opportunamente chiusa. Steve, per qualche sorta di ritegno, non voleva
aprirle. Era da quella mattina che stava in casa e non gli piaceva già
mettere il naso negli affari altrui, soprattutto in quelli di un
giovane Tony. Tremava alla sola idea di quello che avrebbe potuto
trovarvici.
Poi però, ad un tratto, notò in fondo ad un corridoio un fascio
luminoso Strano, perché quell'ala della casa sembrava deserta e non
c'era traccia di giovani Stark nei paraggi e il tramondo era ormai
passato da un pezzo. Dedusse che qualcuno fosse lì dentro, oppure che
la luce fosse stata dimenticata accesa.
Con circospezione raggiunse la porta dalla quale tale fascio proveniva.
Fece per bussare, in modo leggero. Nessuno rispose.
«E' permesso...?»
Domandò cortesemente, aprendo piano la porta. La stanza, somma
sorpresa, rivelò essere una -vuota- camera da letto. Matrimoniale, ad
essere precisi, molto grande e sfarzosa. Al centro del soffitto un
futuristico lampadario meccanico, simile alla testa di un'Ursula di
Caravaggio, si dimenava con le sue numerose lampadine spandendo luce in
ogni angolo.
Il colore predominante della tappezzeria, copriletto ed armadiature era
il blu, ma di un blu piacevole, quasi... caldo, molto accogliente e
riposante.
Poi notò un particolare che per poco non lo fece trasalire. Sul grande
comò, così come sui due rispettivi comodini al lato del letto, si
trovavano accatastate un numero esagerato di foto. Tutte rigorosamente
bordate da una cornice argentea che le faceva brillare sotto la luce di
quell'enorme lampadario. Steve si avvicinò, con fare reverenziale. Ogni
immagine accuratamente incastonata era una fotografia. Alcune a colori,
altre no.
Quelle che sembravano le più antiche raccontavano di un giovane ragazzo
alle prese con le più disparate premiazioni ed invenzioni. Un paio
mostravano il ragazzo fattosi uomo prendere per moglie una giovane
donna. Altre lo ritraevano in cerimonie importanti, comizi, serate di
gala.
Steve ne prese tra le mani una a caso, nella quale Howard pareva felice
mentre riceveva quella che sembrava un'onorificenza. Per quanto avesse
voluto lasciare lontano il passato, anche quello più recente, lui
tentava di ritornare. A ricordargli che in effetti, anche se le
tribolazioni degli ultimi giorni gliel'avevano fatto dimenticare, il
suo amico era morto da pochi giorni.
Ne osservò i lineamenti distesi, felici.
Forse era per quello che in giro per casa non c'erano fotografie? Forse
anche Tony aveva bisogno di allontanare quelle ferite non ancora
rimanrginate?
Si diede mentalmente dell'insensibile per non aver dato peso al fatto
che il giovane Stark, la settimana prima, avevesse perso entrambi i
genitori. Il problema risiedeva nel fatto che, almeno esternamente, lui
non lasciava trapelare nulla.
"E in vent'anni qualsiasi cosa lo turba riesce sempre a banalizzarla
con la sua sfrontata ironia." Pensò, riponendo la foto sul comò. Poi
l'attenzione gli cadde su alcune foto seguenti. Una in particolare, lo
colpì davvero molto. Soprattutto i due vispi occhi color nocciola che
lo guardavano attraverso il tempo e parevano sfidarlo, brandendo con
spavalderia un piccolo scudo rotondo con al centro una stella a cinque
punte.
«Toh, non ci posso credere. All'alba
delle sei di sera l'inferno chiamato "cucina" ha risputato un povero
diavolo!»
"Credici, credici." Rispose mentalmente Steve, facendo il suo ingresso
in quello che sembrava un laboratorio. L'aveva guidato fin lì il povero
ferrovecchio, dopo averlo incontrato nella sua cigolante andatura per i
labirintici corridoi.
«Caronte stavolta avrà dovuto affrontare un avversario più forte del
suo vecchio remo, forse...»
Il Capitano non riuscì ad apprezzare il "quasi" complimento da parte
del moro perché era perso ad osservare il posto nel quale si trovava.
Un luogo scuro, completamente circondato da scaffali ed armadiature su
ogni lato, riempito da tavoli traboccanti di meccanismi, materiali di
ogni genere, fogli e libri. Il regno nel quale il sovrano era il caos.
Un regno che aveva già intravisto sia a Malibù, sia a New York. Ma
questo assomigliava molto, moltissimo al piano sotterraneo della villa
vista oceano. Mancavano giusto un paio di armature alle pareti.
«Certo che all'inferno non pensavo si potesse sporcarsi tanto.»
Steve colse in ritardo il riferimento alla sua faccia ancora sporca di
unto, mentre Tony alzava il dito puntandolo nella direzione che si
rivelò essere quella del bagno. Dopo una rapida ripulita il capitano
tornò nel laboratorio, dove l'altro stava armeggiando sopra -pardon,
sotto- una lussuosa auto d'epoca blu.
Steve decise che stavolta l'avrebbe intavolata lui la conversazione,
mentre prese posto su una sedia poco lontana. Dopo averla sgombrata da
una tonnellata di roba, s'intende.
«Ho intravisto uno scudo, entrando.» Mentì. «Non è niente male. Tua
creazione?»
«Uno scudo?» Esordì da sotto l'automobile. «Le Stark Industries non
producono più archi, frecce e scudi da qualche anno, ormai.»
Notato il sarcasmo nella voce dell'altro, Steve visualizzò mentalmente
Clint che lo puniva dall'alto scagliandogli contro uno sciame di dardi
esplosivi. Ma allontanò il divertente pensiero quando Tony riprese a
parlare.
«Comunque, non so davvero dove tu abbia potuto vederlo. Non ci
occupiamo esattamente di quella roba, sai.»
«No. Forse mi sono sbagliato. Credo di averlo intravisto in una
fotografia...» Continuò a mentire Steve, sapendo di farlo peggio del
peggior attore malpagato di tutta l'America.
«Ok...» Poi, dopo una pausa, il giovane Stark continuò, spuntando da
sotto l'auto ma non degnando di uno sguardo Steve.
Poi, con un cambio repentino di atteggiamento, prese nuovamente parola
voltandosi verso il biondo e puntandogli contro un grosso cacciavite.
«Tu. Tu sei un tipo giovane, piuttosto atletico, taglio stile marines
in carriera impegnato a salvare il mondo. Non sei un tipo votato alle
faccende domestiche, come un combattente che si rispetti. Indossi abiti
non tuoi, dato che la prima volta che ci siamo introntrati gli stracci
erano certamente i tuoi visto l'usura e la poca raffinatezza. Mi duole
ammetterlo, ma il grado di sfrontatezza con cui ti rivolgi al
sottoscritto non è a) mai stato visto da parte di un maggiordomo in
questa casa, come se b) potessi permettertelo tanto il lavoro non ti
interessa o c) non hai mai fatto il cameriere in vita tua e non sai
come comportarti.»
Poi ci fu un'ulteriore pausa di silenzio, nella quale Steve si sentì
come nel bel mezzo di un interrogatorio. Dov'era il poliziotto buono,
ora che serviva?
«Insomma, tu: che ci fai qui Jarvis?
Sempre che sia il tuo vero nome?»
Steve si sentiva con le spalle al muro e non poteva biasimare Tony. Era
entrato nella sua vita improvvisamente, e così tanto improvvisamente
lui l'aveva notato e scelto tra centinaia. In quel momento non si era
fatto grandi domande, pensava solamente al suo obiettivo; scoprirne di
più sulla morte di Howard e la moglie, per poter tornare a casa. Ma
Tony di questo non ne sapeva nulla; eppure, senza nemmeno conoscerlo,
l'aveva accettato in casa sua. In fin dei conti cordialmente,
permettendogli pure di trasferirsi lì.
Come mai tanta fiducia? Solo un segno del destino, oppure una strana
forma di curiosità nei suoi confronti?
«Il mio nome sarebbe Edwin, Edwin Jarvis. Ma gli amici mi chiamano
semplicemente Jarvis.» Fu Steve a rompere il silenzio creatosi tra di
loro, rispondendo all'ultima delle domande poste in sequela calzante
dall'altro.
«Un caro amico dei miei genitori conosceva bene tuo padre.» Mentì
ancora. Questa volta sembrò essere convincente, il volto pieno di
fuliggine del giovane Stark non si scompose di un millimetro.
«Attualmente sono solo; i miei sono morti pochi anni fa.»
Il che era vero; il fatto che lo fosse secondo linee temporali
stranissime era un piccolo dettaglio.
«Sono nato il 4 Luglio, ho prestato il mio servizio al fronte come
tutti i giovani di questo paese, dispongo di pochi spiccioli e ho speso
una fortuna per comprarmi questo vestito.» Un misto di verità e bugie.
Gli sembrava di sentir parlare Nick Fury.
Il giovane Tony sembrò ascoltare tutto con estrema attenzione,
guardandolo dritto dritto negli occhi per quelle che sembrarono ore
intere. Non ricordava di aver perceipito il suo sguardo indagatore
addosso dal tempo della discussione sull'eliveivolo S.H.I.E.L.D.,
durante una discussione sognata qualche giorno prima.
Poi improvvisamente i suoi lineamenti si deformarono un po',
trattenendo a stento quella che pareva una risata.
«Pff, il... 4 Luglio? Stai
scherzando?»
«No, affatto!»
«Incredibile!» Aggiunse mentre ghignava e lanciava lontano il
cacciavite con il quale teneva ancora sotto tiro il biondo. «Come quel
bellimbusto che osannava tanto mio padre!»
Steve avrebbe voluto aggiunger qualcosa a riguardo, ma si rese conto di
quando sarebbe stata fuori luogo ed estremamente inutile. Quindi decise
che il momento serietà era finito, almeno per quella giornata.
«Dall'ora che si è fatta deduco che dovrò trascinarmi nuovamente in
cucina.»
Poi inaspettatamente, udirono quello che era il campanello della casa
suonare.
«Oh, non credo dovrai preoccuparti; stasera uscirò.»
Mentre sul volto di Steve si dipingeva un punto interrogativo grande
come una casa, Tony si precipitò nel vicino bagno, aprendo il getto
d'acqua della doccia.
«Ah, digli che arrivo!» Sentenziò, come una diva hollywoodiana, mentre
il campanello continuava a risuonare imperterrito.
Note
finali:
La canzone che ho scelto non è nè la canzone più conosciuta dei
Green Day, nè la mia preferita. Ma ho trovato così tanto calzante la
strofa che trovate all'inizio di questo capitolo che non ho potuto
esimermi dall'inserirla! Insomma, pare scritta per Steve; magari anche
la band, scrivendola, si è riferita a Capitan America... Ma non sono
sicura che queste mie congetture corrispondano al vero! XD
Per quanto riguarda la storia, finalmente questi due si stanno
"conoscendo". Prima era una conversazione a senso unico nella quale
l'unico a proferir parola era il giovane Stark, ora invece anche Steve
prende parola. Forse è un bene, forse un male, chi lo sa!
Invece non saprei cosa scrivere come precisazione. Forse perché ce ne
sarebbero da fare tantissime, questo capitolo contiene davvero un
numero altissimo di mini-riferimenti diversi! Quindi stavolta, anche
complice il tempo tirato che purtroppo ho al momento, lascio a voi il
piacere di scovarli. :)
Come cosuetudine ringrazio chi segue questa storia, ma soprattutto la
gentilissima Alley che
continua a recensire con parole bellissime! Come farei, senza di te!
TT___TT
Un grazie davvero a tutti, anche a a chi leggerà questo capitolo!
Alla prossima! :)
_Diane_
|
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Capitolo 8 *** Capitolo Otto ~ Have a nice day ***
Capitolo 6
RIASSUNTO:
Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo,
ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che
ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in
tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata
proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto
del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo
svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato
nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi,
riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e a tornare a
casa?
Why, you wanna tell me how to live my life?
Perchè mi vuoi dire come vivere la mia vita?
Who, are you to tell me if it's black or white?
Chi sei tu per dirmi se questo è bianco o nero?
Mama, can you hear me? Try to understand
Mamma,
riesci a sentirmi? Prova a capire
Is innocence the difference between a boy and a man
L'innocenza
è la differenza tra un ragazzo e un uomo
My daddy lived the lie, it's just the price that he paid
Mio padre
ha vissuto una bugia, è solo il
prezzo che ha dovuto pagare
Sacrificed his life, just slavin' away
Ha
sacrificato la sua vita, per poi buttarla via
Have a nice
day ~ Bon Jovi
Capitolo Otto
Lunedì, 20 Dicembre 1991.
Sera.
«Buonasera. Mi scusi, cercavo Anthony
Stark. E' in casa?»
Un eccesso di gentilezza e serietà, a cui era stato disabituato negli
ultimi giorni, travolse Steve così improvvisamente da spiazzarlo. Un
ragazzo giovane, non più di vent'anni, sostava educato sulla porta con
le braccia dietro la schiena. La carnagione e le pupille scure, il
taglio degli occhi leggermente allungato, il fisico ben proporzionato e
slanciato, taglio di capelli piuttosto corto e geometrico. Lo sguardo
adulto e riservato ed un completo elegante scuro portarono Steve alla
conclusione più ovvia; quell'uomo era certamente in qualche grado
dell'esercito americano.
E poi chi diamine lo chiamava... "Anthony"?
«Chi lo cerca?» Cercò di sondare il Capitano, senza sembrare
scortese dinanzi alla porta d'ingresso rimasta aperta. Temporeggiava
mentre un tarlo indagava, attivatosi scavando nel suo cervello ancora
sbattuto dagli avvenimenti susseguitosi nei giorni precedenti. Conosceva per caso quell'uomo...?
«James, James Rhodes.»
Una lampadina, in qualche anfratto buio della sua memoria, indicò la
strada all'animaletto xilofago.
«Mi scusi, non vorrei sembrare invadente ma per caso lei è un...
militare?» Domandò, senza peli sulla lingua. Sentiva d'aver imbroccato
la galleria giusta.
«Elementare, Watson!» Commentò
ironica una terza voce alle spalle di Steve, che lo fece trasalire.
«Sì, sono un militare, ma purtroppo non ho le facoltà per arrestare
questa testa calda per "atti
osceni in luogo pubblico."»
Steve non capì a cosa si riferisse il nuovo arrivato finchè non si
girò, per capire da dove proveniva la voce del giovane Stark. Questi
sostava sull'uscio di casa dopo aver finito la breve doccia. Ma non
era questo a turbare gli altri due; lo sguardo del Capitano fu
immediatamente attirato più in basso rispetto alla sua disordinata e
bagnata
capigliatura mora. Era quasi completamente nudo, eccezion
fatta per un minuscolo cappotto femminile di un colore tendente al rosa
cinto attorno alla sottile vita che
copriva a malapena le parti basse.
Steve involontariamente si spalmò una mano sulla faccia per la
disperazione. Non voleva
nemmeno sapere da dove arrivasse, quell'indumento.
Dopo aver fatto accomodare
all'interno
l'improvviso ospite, Steve approfittò dell'assenza dell'egocentrico per
scambiare quattro chiacchere. D'altronde si trovava dinanzi ad uno dei
migliori amici di Tony.
Non era da sottovalutare il fatto che, sebbene non lo avesse mai
conosciuto di persona nel ventunesimo secolo, nutriva comunque una
sorta di simpatia per quell'uomo, quel militare che sapeva tener testa
a Stark Jr. Il fatto che anche lui indossava un'armatura metallica nel
futuro poteva aiutare, come ricordava aver letto in alcune delle decine
di scartoffie lette prima di arruolarsi con la banda di Fury.
«Così tu sei il nuovo maggiordomo di casa, eh?» Rhodes sfilò gli
occhiali che ancora portava, sistemandosi meglio sul divano. Indossava
un completo scuro molto elegante che, nonostante la sua giovane età, lo
faceva apparire più adulto e maturo.
«Sì, a quanto pare!» Rispose con tutta la compostezza di cui era
dotato, sfoggiando un sorriso sincero.
«Non so se siate più sprovveduto o... disperato per esservi proposto
per quest'incarico signor...?»
«Io, Ste... Ah-ehm. Io stavo
giusto per presentarmi.» Riprese tossicchiando e dandosi mentalmente
dello stupido. Tese la mano al militare. «Edwin, Edwin Jarvis, piacere
di conoscerla signor Rhodes.»
«Presa ferrea, Jarvis! Ha fatto parte dei marines? Forse dell'esercito?
Aeronautica non credo, l'avrei certamente notata tra le file...»
Questo ritornello, due volte in meno di un'ora, lo spaventava. Forse il
fisico ossuto e magrolino di parecchi anni prima avrebbe aiutato a
passare inosservato.
«Ho prestato servizio al fronte come tutti i giovani di questo paese,
signore.»
Rispose, ripetendo meccanicamente le parole pronunciate poc'anzi al
petulante amico. Premurandosi di aggiungere subito dopo, per cambiare
definitivamente discorso.
«Scusi la curiosità, a cosa di riferiva parlando di "sprovveduti" e
"disperati"?»
«Non che lei mi sembri uno o l'altro tipo di persona, non vorrei
sembrare scortese.» Esordì Rhodes un poco imbarazzato, sistemandosi la
cravatta scura attorno al collo.
«So solo che da quando ho memoria non ho visto in questa casa lo stesso
maggiordomo per più di... un mese direi.»
Steve non rimase né interdetto, né stupito. Ben conosceva la ricchezza
della famiglia Stark, di certo potevano permettersi questo e altro.
Fu proprio la mancanza di stupore del Capitano che colpì Rhodes.
«Uhm? Tutto qua?»
Non sapendo che rispondere, Steve optò per il silenzio stampa.
Rhodes scrutò il suo interlocutore, ancora in piedi composto dinanzi a
lui. Poi roteò gli occhi e li posò sul bicchiere offertogli poco prima
dallo stesso maggiordomo.
«Sembri un bravo ragazzo, non vorrei scoraggiarti. Finché c'era il
vecchio Howard vigeva una sorta di dittatura, in questa casa. Al minimo
errore, amici e colleghi compresi, venivi gettato fuori da casa, che
egualeva nel caso anche dal lavoro e dalle Stark Industries. Il
cerimoniale era d'obbligo, e ad ogni tentativo fallito della servitù di
rimettere in riga l'impeto di Tony corrispondeva ad un licenziamento in
tronco.» Fece roteare il bicchiere tra le mani, facendosi serio. «Con
la tragica scomparsa dei genitori, Tony ha licenziato tutti. Sottolineo
tutti, dalle signore delle
pulizie allo stuolo di cuochi della domenica, dal giardiniere alla
giovane segretaria. Per non parlare del vecchio maggiordomo, mandato
via a pedate senza uno straccio di stipendio. Ed ora ci sei solo... tu,
Jarvis.»
Il silenzio impenetrabile nel quale era immersa l'imponente casa piombò
improvviso sulle spalle dei due giovani uomini. Era come se Steve
potesse udire il rumore prodotto da tutto il viavai di gente che fino a
poco prima aveva affollato quelle stanze.
«Tony mi aveva confidato di non voler rimetter piede in questa casa.»
Aggiunse Rhodes, abbassando lo sguardo e la voce. «Credevo l'avrebbe
venduta o demolita e si sarebbe trasferito lontano da New York, magari
in una bella villa vista mare in California. Non sopportava di vivere
ancora tra queste mura.»
Rialzò lo sguardo. Ricambiandolo, Steve cercò di mascherare i ricordi
legati ad Howard, all'adulto Tony, alla villa a Malibù, tutti dietro ad
una maschera di porcellana parecchio fragile. Avrebbe chiesto
volentieri a quell'uomo sensibile qual'era il segreto che lo avrebbe
portato a rimanere accanto al giovane Stark così a lungo.
«Deve esserci qualcosa, qualcosa che gli ha permesso di... di
ricominciare.»
Proprio mentre la discussione si stava rivelando particolarmente
difficile per il Capitano, un giovane moro sbarbato fece il suo
trionfale ingresso nella stanza, riportandoli alla realtà. I capelli
completamente spettinati, il completo bianco chiaro troppo largo per la
sua sottile corporatura, una camicia di un colore indefinito tendente
all'arancio aperta sul davanti e un paio di occhiali da sole
riflettenti completavano il bizzarro quadro.
«Ci muoviamo, belle statuine?»
Le statuine si mossero. Uscirono
dalla casa e Tony montò su una sfavillante Rolls Royce scura. Steve
gentilmente aprì la portiera a Rhodes che ringraziò con un cenno della
testa, prima di invitare anche Steve a salire. Il giovane Stark
borbottò qualche parola di disaccordo, ma il giovane militare ebbe la
meglio; Jarvis veniva con loro. Con un mezzo sorriso divertente dipinto
sulle labbra lasciò giusto il tempo al Capitano di chiudere la portiera
e mise in moto.
Il nostro protagonista si trovò a dover subire, nell'ora che seguì,
musica sparata ad un volume tale che faceva tremare la carrozzeria di
quella povera auto -che certamente aveva visto tempi migliori-,
lanciata a velocità folle per le strade affollate dallo shopping
natalizio della grande mela. Si trovò a pensare al Tony del futuro che,
completamente solo, si lanciava a velocità stratosferiche nei cieli,
chiuso ermeticamente in un'armatura di ferro. Probabilmente con musica
più assordante di quella sparata direttamente nei timpani. Osservando
come guidò senza problemi per tutto il tragitto capì come potesse
riuscirci, provando tuttavia anche una sorta di compassione nei suoi
confronti.
Mentre Steve riuscì a trovare la concetrazione necessaria per arrivare
a comprendere che non sapesse dove quell'auto era diretta, questa
bruscamente terminò il suo folle zigzagare con una brisca frenata. Dopo
aver rischiato di rompere il setto nasale contro il sedile di fronte,
alzò gli occhi e si trovò di fronte uno stuolo di fotografi e
giornalisti che assediavano l'ingresso di un lussuoso albergo. Un
gregge di pecore che sembravano estremamente sorprese dell'arrivo di
Tony.
«Signor Stark!»
«Signor Stark!»
«Signorino, non speravamo in un vostro intervento! Cosa l'ha spinta a
venire qui stasera?»
«Ci dica, cosa ne pensa di questo passaggio di testimone? Gioverà
all'azienda?»
«Le Stark Industries continueranno in perdita o si riprenderanno da
domani?»
La tempesta di domande che si riversò addosso a Tony avrebbe
sopraffatto chiunque. Chiunque, meno quell'individuo.
«Ho una sfera di cristallo in mano?» Il tono canzonatorio con il quale
il ragazzo ammaliò e zittì i presenti, riportando Steve avanti nel
tempo. O indietro.
«Forse, ma per oggi lasciamola rotolare via e godiamoci la serata!»
In quel momento Tony venne avvicinato da un paio di giovanissime
ragazze, in bella
vista la profonda scollatura aperta sui seni prosperosi e i capelli
lucenti lunghissimi che ricadevano su di essi. Fece poi il suo ingresso
attraverso il lussuoso atrio, mentre una miriade di flash e domande
continuavano invano a riversarsi addosso a lui.
Rhodes alzò le spalle rivolgendosi silenziosamente a Steve e i due
entrarono, dopo che la massa di giornalisti tagliati fuori iniziava a
disperdersi.
«Avete presente i vecchi transitor dei circuiti
integrati? I bipolari usano transistor bipolari classici o CMOS, se usano transistor MOSFET.»
L'estremità del collo della bottiglia di spumante che aveva tra le mani
si poggiò nuovamente alle labbra di Tony. Che riprese a parlare.
«Qualche essere redrogrado diceva che usare entrambi i tipi di
transistor sullo stesso chip sarebbe stato impossibile. Folle! Se
qualcuno, non presente stasera, avesse visto la nuova tecnologia
ibrida per i suoi microprocessori, la BiCMOS,
non saremmo certamente qui stasera a sprecare del buon vino
scialaquando i nostri patrimoni!»
Seguì un imbarazzato applauso, mentre Tony rideva di gusto al termine
di un discorso che quasi nessuno degli agghindati ospiti presenti nella
sala aveva compreso fino in fondo. Steve avrebbe voluto andare a
recuperare il suo futuro collega vendicatore, annebbiato dai fumi
dell'alcool che continuava imperterrito a trangugiare, ma capace
ugualmente di parlare arabo come se fosse lucido.
Eppure qualcosa, in quel marasma, lo colpì.
Un solo uomo, in piedi accanto a lui, non applaudiva meccanicamente ma
teneva le braccia incrociate dinanzi al petto.
«Si riferisce al padre. Se avesse lasciato che Anthony pubblicasse la
sue scoperte nell'ambito dei microchip, la I ntel non l'avrebbe brevettata e
quel ragazzo sarebbe di sicuro la persona più ricca del pianeta.»
Un uomo con lineamenti distintamente orientali, la pelle olivastra e un
completo grigio un poco rovinato, sembrava l'unica persona che aveva
colto l'allusione di Tony.
«Non mi sembra comunque indigente, in verità.» Rispose Steve con una
punta di sarcasmo, gli occhi preoccupati ancora incollati sulla
bottiglia che il giovane Stark non accennava voler abbandonare.
«Uomini come lui sono sempre indigenti.» Disse l'uomo voltandosi verso
Steve, scrutandolo con sguardo assente attraverso le lenti trasparenti
degli occhiali. «Sembrano aver tutto. In realtà, non hanno niente.»
Un ultima occhiata di nuovo al giovane Tony, e l'uomo enigmatico col
quale stava parlando si allontanò. Steve avrebbe voluto fermarlo, ma lo
osservò dileguarsi tra la folla di gente che ancora applaudiva, più per
lo spettacolo che Tony stava mettendo in scena che per quello che
effettivamente stava dicendo.
Fu in quel momento che notò una rapida sagoma nera, scivolare dietro le
tende del palco dove il giovane Stark stava parlando. Fu un attimo, il
pesante tendaggio quasi non si mosse.
Si girò a destra e a sinistra, come per capire se fosse stato l'unico
ad aver visto quella... cosa.
In effetti tutti continuavano a trangugiare cibo e a parlottare tra
loro come se nulla fosse.
" Non è nulla, Steve. Sei ad un party
di nobildonne e nobiluomini per il passaggio di testimone delle redini
dell'azienda Stark."
Almeno fino a quando lui non avrebbe compiuto i ventuno anni, come gli
aveva spiegato poco prima Rhodes, l'impero economico della famiglia
sarebbe stato al sicuro nelle mani di un fidato amico di famiglia. Per
questo la sala ricevimenti di un lussuoso hotel era stata affittata, ed
era stata ingaggiata una squadra per la sicurezza privata. Inoltre non
mancava all'appello nessuno dei ricchi azionisti e guerrafondai clienti
delle Stark Industries.
Già due volte, con il giovane Coulson e Tony, aveva rischiato di
aggredire qualcuno che reputava circospetto. In entrambe le situazioni
si era sbagliato, e avrebbe preferito non aumentare la conta dei
momenti imbarazzanti a suo carico.
Cercò di lasciar correre distraendosi e ascoltando quanto Tony
continuava a blaterare.
Ma, mentre cercava di capire anche solo una parola di quello che diceva
-estremamente divertente a giudicare dalle risate euforiche dei
presenti-, notò una seconda volta la tenda muoversi nella penombra del
palco.
Non riuscì più a trattenersi. Il suo sesto senso gli intimò di
muoversi. Velocemente si fece strada scivolando cauto tra i presenti.
Dopo una miriade di "mi scusi" arrivò vicino all'ubriaco che stava
presiedendo quello strano spettacolo, spostando la tenda per entrare
nel retro del locale.
Retro che non era così oscuro e desolato come si aspettava. C'era
infatti una luce che proveniva da una stanza poco distante, che aveva
la porta accostata. Steve strisciò in punta di piedi portandosi
vicino quanto bastava per scoprire che c'era all'interno più d'una
persona. All'interno, le voci sconosciute di due uomini.
«Tutto è andato come previsto. Nessun ostacolo all'operazione.» Esordì
la prima voce, roca ma giovanile.
«Ed il merito è solo da attribuire a te.» Ribattè soddisfatta una
seconda voce maschile, più profonda ed adulta della prima.
«Non mi accontento di un "grazie" imbustato con la ceralacca, lo
sai...» Riprese sarcastica la voce del primo.
«Ogni promessa è debito.» Rispose serio il secondo. «Spero di tornare
presto a fare affari con te.»
«Ed io le auguro un sereno
Natale.» La voce soddisfatta ed ironica dell'uomo più giovane si
avvicinò pericolosamente alla porta, costringendo Steve ad
indietreggiare dietro ad una sporgenza del muro.
L'individuo scivolò con circospezione fuori dall'uscio e prese lento a
camminare nella direzione opposta al Capitano, infilandosi una busta
nei pantaloni e sparendo rapido nell'ombra. Il nostro protagonista lo
avrebbe anche inseguito se non fosse che anche l'altro lasciò la
stanza, dirigendosi all'opposto verso il palcoscenico.
Non appena potè, Steve prese a seguirlo come un'ombra per i corridoi
bui che conducevano sul palco. Si fermò solo quando questi di fermò, ad
un palmo dalla pesante tenda rossa. Dietro alla quale la voce di Tony
continuava a blaterare scempiaggini.
Fu in quel momento che il nostro notò uno scintillio bluastro provenire
dalla penombra. Si girò e avvertì quella che sembrava essere la canna
di un fucile puntata dietro la sua testa.
Era quel ragazzo appena uscito dalla stanza? Non se ne era forse
andato?
Poi una voce lontana, che sembrò rimbombare solo nella sua testa,
scandì lenta queste parole.
«Non sei tu il mio nemico.» Mormorò in questo modo strano. Per poi
puntare l'arma verso l'uomo che stava sostando dietro alla tenda.
Steve avrebbe voluto ascoltare quella voce; qualcosa gli diceva di
ascoltarla.
Ma il suo addestramento da soldato non poteva lasciar morire un uomo
disarmato che sarebbe stato certamente ucciso alle spalle.
Fece cadere il peso del suo corpo all'indietro contro quello dell'altro
uomo. Ma in quel momento l'arma sparò. Si rivelò un colpo silenzioso,
non emise un solo rumore. "Forse ha un silenziatore" pensò ingenuamente
il Capitano.
Il mondo di Steve però piombò nell'oscurità. Prima di crollare a terra
vide l'uomo che stava sostanto dietro la tenda, ignaro di tutto, fare
il suo ingresso presentato dallo stesso Tony, che gli lasciò il
palcoscenico tra gli applausi dei presenti.
«Ma ora ecco il vero protagonista di stasera, gente! Obadiah Stane,
spero non te la spasserai troppo con i miei soldi, in questi due anni!»
Note
finali:
Eccomi tornata dopo un'abissale periodo d'assenza! Mi spiace davvero
tantissimo, tengo immensamente a questa storia e spero che ci sarà
ancora chi avrò la pazienza e la curiosità di seguirla. Purtroppo la
vita nella "real life", almeno fino a fine Febbraio, sarà piuttosto
impegnativa. Nonostante questo, utilizzerò tutto il tempo che mi
rimarrà per narrare le imprese del povero Steve a spasso nel tempo!
Ora, come di consueto, vi lascio alle precisazioni finali sul capitolo
otto:
1) James Rodhey è un personaggio che personalmente ho adorato
soprattutto in "Iron Man". Sarà per alcune scene (tipo quando trova
Tony
a vagare nel deserto, atterra con l'elicottero, gli corre incontro e i
due si abbracciano *___*), sarà per l'attore Terrance Howard che
proprio mi convinceva con la sua bravura. Infatti ho storto il naso
quando scoprii che non ci sarebbe più stato lo stesso attore ad
interpretare questo personaggio. Evvabbè ormai la frittata è fatta.
Spero che questo War Machine mi piacerà in Iron Man 3.
2) Citazioni film parte 1/2.
Tony si rivolge a Steve con l'espressione
tipica di Sherlock Holmes (mai pronunziata nei libri, in realtà).
Questo perché il brillante Robert Downey Jr. deve farsi sempre notare.
3) Citazioni film parte 2/2.
Come i più arguti avranno notato il
cappotto di colore rosa, cinto attorno alla vita di Tony all'inizio,
non è stato
scelto a caso. Ricordate il film dei "Fantastici 4"? La scena cena
nella quale uno
dei protagonisti accende una fiammella con un dito? Cosa
indossava e... chi era
l'attore? LOL.
4) Non so assolutamente un cavolo a riguardo dei circuiti integrati. So
a malapena come si accende un pc. Quindi ovviamente, ringrazio
immensamente Wikipedia.
http://it.wikipedia.org/wiki/Circuito_integrato
5) In realtà l'incontro con il tizio *non specificato, che dovete
riconoscere voi, muahauha* non avviene a NY bensì a Berna, o almeno
secondo
quanto la sua controparte riferisce a Tony in una scena del film "Iron
Man".
6) Infine vi lascio un'immagine del giovane Robert Downey Jr,
esattamente come immagino Tony scrivendo di lui in questa ff! °ç°
*muore davanti a tutta questa bellezza* Dannato e fortunato Steve!!
http://24.media.tumblr.com/tumblr_makf2dMFzx1qajc4eo3_500.gif
--> Link ad alto contenuto di *sbav*
Spero di tornare presto tra questi lidi! Spero inoltre che vogliate
lasciare un piccolo commento a questo capitolo, sono sempre
curiosissima di sapere cosa ne pensate! :)
Un abbraccio e tanti auguri di buone feste (un poco in ritardo per
ieri)!! XD
_Diane_
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Capitolo 9 *** Capitolo Nove ~ Another one Bites the Dust ***
Capitolo 6
RIASSUNTO:
Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo,
ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che
ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in
tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata
proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto
del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo
svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato
nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi,
riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e a tornare a
casa?
Steve walks warily down the street
Steve
camminava pallido giù per la strada,
With the brim pulled way down low
Con la
visiera del cappello calata sugli occhi
Ain't no sound but the sound of his feet
Non si
sente altro suono che il rumore dei suoi passi
Machine guns ready to go
Le mitragliatrici pronte a far fuoco
Another one
Bites the Dust ~ Queen
Capitolo Nove
Martedì, 22 Dicembre 1991.
Pomeriggio.
Ne era certo; sarebbe stato
licenziato.
Ma non era quello a preoccuparlo maggiormente, mentre tamburellava
freneticamente il piede sul pavimento.
La luce attorno a sé, nella minuscola stanza d'aspetto, era
fioca. L'aria si era fatta pesante e gli faceva girare la
testa, che non poteva nemmeno venir cambiata data la completa assenza
di
finestre.
Il ragazzo si chiese dove diamine potesse essere stato portato.
Sicuramente fuori città, a giudicare dal tempo che avevano impiegato
per raggiungerlo.
Quella mattina, sul tardi, era stato prelevato con urgenza dalla sua
abitazione, fatto salire su un elicottero, bendato, ammutolito e
trasportato
chissà dove.
Era stato abituato, dal giorno in cui era stato assunto, a non fare
domande. Meno chiedi, meglio stai
gli era stato suggerito da chi gli aveva fatto firmare un contratto
lungo un centinaio di pagine. Una marea di scartoffie nelle quali, ogni
due righe, si poteva leggere qualcosa che poteva essere riassunto
nell'espressione "meno
chiedi, meglio stai".
Aveva dovuto fare sua quella filosofia di vita per necessità ed aveva
scoperto dopo poco che non gli dispiaceva molto. Un basso prezzo da
pagare per un posto di lavoro
ben pagato, senza colleghi petulanti ai quali devi necessariamente
sorridere a denti stretti inventandoti di fidanzata e parenti perfetti.
No, niente di tutto questo; possibilità di
promozione, vitto e alloggio ben pagati e... il concreto rischio di
rimetterci le penne ogni
cinque minuti.
Forse meno, a guidicare dalla frazione di tempo bastata affinché
perdesse di vista colui che stava pedinando.
Al pensiero di cosa potesse essere successo a quell'uomo spiaggiato nel
tempo, avvertì un capogiro più forte dei precedenti.
Si piegò in due sulla sedia, poggiando entrambi i gomiti sulle
ginocchia e la testa tra le mani.
Sì. Avrebbe potuto mandare al diavolo tutti, i suoi mille superiori, i
capi, e persino i capi dei loro capi.
Portò una mano nella tasca della giacca sgualcita, dove un pacchetto di
figurine ancora ben sigillato pareva bruciare, incandescente.
No. Però non avrebbe mai e poi mai permesso che quei cinque minuti si
fossero portati via un uomo, forse il migliore tra gli uomini.
Poi una voce lo strappò ai suoi pensieri.
Automaticamente balzò in piedi e si diresse verso la porta che gli
venne aperta.
«Agente Coulson, si accomodi; il direttore la sta aspettando.»
Martedì, 22 Dicembre 1991.
Sera.
Non sapeva cosa pensare.
Semplicemente se ne stava fermo seduto, mentre osservare il tempo
passare.
Aveva chiesto e - fortunatamente - era riuscito ad ottenere vacanze
anticipate per quel Natale. Non era che una semplice matricola
nell'aeronautica, per di più senza famiglia, e non aveva nessun motivo
apparente per starsene a
casa.
Poi però volse lo sguardo al compagno di tante bravate disteso inerme
sul letto. Eccola l'ottima
ragione.
Non l'aveva visto mai bere in quel modo dalla fine del liceo. Gli anni
dell'università di Tony al MIT e il suo arruolamento nell'esercito li
avevano brutalmente allontanati. Poi si erano tornati a frequentare, ma
in modo
molto formale; i due erano ormai considerati adulti, non c'era stato più tempo
per ragazzate asolescenziali. Già. Come se ci ti scaraventassero
dentro, una volta ingranata la marcia della pubertà.
Sprofondato nella poltrona, i pantaloni della sera prima ancora
addosso, la camicia completamente fuori posto e l'aria stressata, James
Rhodes pensò che non doveva proprio avere una bella cera.
Lo sguardo poi tornò, dopo aver ispezionato per la milionesima volta la
camera da letto, su un Tony Stark ancora sbronzo e dormiente tra le
lenzuola.
I genitori dell'amico erano diventati come una seconda
famiglia per lui, figlio di umili operai, che era riuscito
faticosamente a farsi strada nella vita.
In segreto
sapeva che Tony in parte lo detestava, per questo.
In mezzo a litigate furibonde
tra i due Stark non era raro sentire Howard tirare in causa i
giovani americani che non hanno nulla e riescono a farsi strada nella
vita senza genitori che gli puliscano continuamente il culo. Una
metafora chiara e tangibile che però Rhodes, per quanto condannava il
modo con il quale Tony amava sperperare il denaro, non
condivideva. Il suo amico poteva essere anche una testa calda,
come lui spesso amava ripetere, ma non era certamente uno sprovveduto.
Certo, il fatto che aveva ingenti somme di denaro da sperperare e un
ego mica male potevano non essere d'aiuto.
Poi un mugugno sommesso proveniente da sotto le lenzuola, fece tornare
la sua attenzione ai problemi del presente.
«Perché diamine l'inferno
profuma di lavanda?»
Sbiascicò l'amico, portando il proprio peso sul fianco nel - folle -
tentativo di rimettersi in piedi.
«Perché forse non sei all'inferno, Tony.»
Rispose Rhodes, a metà tra il sollevato e l'ironico.
«Ehi, se ci sei anche tu, Rhodey» Esordì abbastanza sopreso, mentre
tentava invano di sollevare il proprio peso dal materasso «questa non può assolutamente essere la casa di
Lucifero.»
«Oh, ma ci sei andato parecchio vicino al conoscerlo, sai.»
Rhodes si alzò dalla poltrona che aveva quasi preso completamente la
sua forma, dal tanto che vi era rimasto seduto. Quasi una giornata
intera, a giudicare dall'ora tarda alla quale il giovane Stark aveva
degnato il mondo della sua viva presenza.
«E non credo sia il caso di fare ora la sua conoscenza. Magari prima o
poi ti capiterà se continui così. Ma non permetterò che accada, almeno
finché sarò nei paraggi.»
Sul volto di Tony prese forma una divertente smorfia, condita con una
punta di disgusto.
«Con tutta questa dolcezza domani mi troverò costretto scucire un bel
milione al dentista.»
Nonostante la sbronza ancora perdurante all'interno del suo organismo
dalla sera precedente, a cui si sommava il fatto che aveva dormito
ininterrottamente per tutto quel tempo sfiorando il coma etilico, Tony
non rinunciava all'utopia di alzarsi da quel dannato letto.
«Non credo che balzare giù dal letto sia una buona idea.»
Riprese Rhodey, con tono canzonatorio.
«Aspetta un attimo; da quando tu hai buone idee?»
Rhodes odiava il sarcasmo inopportuno del quale il suo amico abusava
quando qualcuno gli si opponeva.
Si
passò una mano sulla fronte, come bastasse a spazzare via tutta la
stanchezza accumulata durante quella giornata, mentre con passo lento e
rassegnato circumnavigava
l'ampio letto dal quale l'amico aveva ancora intenzione alzarsi.
Ma l'intenzione si tramutò in realtà prestissimo; Rhodes non fece
neppure in tempo ad aiutarlo che se ne stava già ritto sui suoi stessi
piedi.
I due a distanza iniziarono a studiarsi, come due vecchi amici che non
si vedono da tempo e non sono sicuri di riconoscere il vecchio compagno
d'avventure. Entrambi non avevano un bell'aspetto; Tony ad
esempio aveva il volto bianco come un cencio, gli occhi infossati e
la testa dolorante, mentre tutti gli organi dall'intestino in su pareva
fossero stati investiti e poi macinati per benino. Nonostante tutto il
giovane Stark ebbe improvvisamente l'impressione mancasse... qualcosa.
Si guardò in giro, ingnorando cosa cercare perchè... non lo sapeva.
Rhodey colse immediatamente l'allusione dell'amico, che pareva ancora
in stato semi-confusionale.
«Stai cercando il tuo nuovo maggiordomo?» Domandò, con un tono
preoccupato che non lasciava presagire nulla di buono.
«Il mio nuovo magg...?» La confusione in cui vagava ancora la brillante
mente di Tony era evidente
«Ah, Jarvis intendi! Sarà invischiato in cucina a prepararci la cena.
Ai fornelli è persino più maldestro di te con le donn...»
Ma Rhodes non sorrise a quella battuta. E fu in quel momento che il
cervello annebbiato del giovane Stark riprese a funzionare,
segnalandogli che qualcosa non andava.
«Tony. Jarvis è... sparito.»
Da
qualche parte, nei ghiacci.
1946.
«Non
può essere sparito nel nulla.»
Howard Stark pensava, forse sperava, che continuando a tormentare gli
strumenti di bordo questi avrebbero potuto funzionare meglio. In realtà
detestava ammettere che nemmeno il suo genio sapeva come operare a
bordo di una nave rompighiaccio alla deriva nei freddi mari del nord,
con apparecchiature talmente malridotte che era un miracolo svolgessero
ancora il loro compito. Ma fuori c'erano gli orrori della più
spaventosa guerra vista dall'umanita che bussavano; non c'erano tempo e
soldi da spendere.
Già tanto se gli era stata concessa quella imbarcazione.
Nemmeno il ritrovamento della strana fonte energetica delle armi
dell'Hydra l'aveva rincuorato. Anzi lo preoccupava il bagliore sinistro
che quel cubo emetteva.
Mentre lo sguardo passava in rassegna nuovamente tutti gli schermi dei
sonar ai quali erano collegati, poche parole rimbombavano nella sua
mente; "non può essere sparito nel nulla".
«Signor Stark.»
«Bisogna continuare a cercare, forse spostandoci qualche miglio a ovest
potremmo...»
«Stark, signore.»
«...osservare da vicino il fondale, forse dove il ghiaccio è poco
profondo...»
«SIGNOR Stark!»
La voce che il cervello di Howard aveva escluso dalle frequenze udibili
giunse talmente improvvisa ai suoi orecchi che sobbalzò per lo
spavento, battendo violentemente la testa contro un antello poco più
basso degli altri.
«Eviti di uccidersi nella mia nave, signor Stark.»
«Farò il possibile affinchè non accada» rispose massaggiandosi la testa
dolorante «e nel caso dovesse avvenire, mi premurerò che il suo ponte
di comando venga ripulito completamente».
«Oh, non sarà necessario. Tra un paio di settimane saremo a casa.»
«Come, a... casa?» Riprese visibilmente sorpeso Howard, perdendo anche
la punta di sarcasmo rimastagli.
«Sono mesi che la mia nave scandaglia l'oceano invano. Ho ricevuto
ordini diretti dal governo degli Stati Uniti.»
«Ma qualcosa l'abbiamo
trovato!» Tuonò, mentre avvertiva il sangue ribollirgli nelle vene.
«Non possiamo mollare adesso!»
«Mi dispiace, signor Stark. Domani invertirò la rotta.»
«Le dispiace? LE DISPIACE? Come può lei condannare un uomo innocente,
forse il migliore tra tutti noi, a morire in questa terra dimenticata
da Dio?!»
La plancia di comando fu investita da un gelo glaciale paragonabile a
quello che ammantava il paesaggio fuori dai sottili vetri.
Il respiro affannoso di Howard, condito da sbuffi di vapore, non
riscaldava certo l'ambiente.
«Lei è un uomo razionale, Stark. Ci pensi; sono passati due, due lunghi anni.»
I due uomini si guardarono dritti nelle palle degli occhi; lo spazio di
un'idea folle li separava.
«Guardi fuori. Nessuno, neppure un supersoldato, può resistere in
quest'inferno così a lungo.»
Howard sostenne lo sguardo del suo interlocutore. Avrebbe voluto
trattenere un urlo, almeno una lacrima, ma né la gola né i condotti
lacrimari rispondevano più ai suoi comandi.
«Ormai è deciso. Domani si torna a casa.»
Si sentiva completamente svuotato. Inerme. Consumato.
Nella disperazione di quel momento, che avrebbe rimpianto per tutta la
vita, una sola flebile frase uscì dalla sua bocca.
«Ha ragione, Capitano.»
Non era però rivolta a chi comandava quella nave.
Note
finali:
Sigh. Sob. Sniff.
In teoria questo capitolo è stato abbozzato tra... Natale e Capodanno.
In pratica voi lo vedere pubblicato solo ora (e ci saranno sicuramente
imprecisioni ed errori vari, dei quali mi scuso fin d'ora).
Finché potevo scrivere nei momenti liberi, quelli in cui tiri il fiato
e capisci che hai una TUA vita che non appartiene all'università...
L'ho fatto. Ma ora il tempo "libero" è occupato unicamente dal...
dormire, nel migliore dei casi! XD
Questo per dirvi che ci tengo davvero tanto a questa long fiction come
a nessun altra fin ora, e che il mio cervello bacato si sta corrodendo
nell'attesa di poter trovare un minuto libero di tempo per poter
proseguire. Quindi mi scuso a livello interplanetario (sempre che ci
sia qualche alieno tanto pazzo da leggere questa cosa) con chi sta
seguendo questa fiction e la sta sostenendo! Continuerà, perché DEVE
continuare.
Quindi di cuore ringrazio tutti.
Tutti perché senza di te, anche te che stai leggendo questa recensione
aprendo il capitolo avendo sorvolato il testo della fiction giusto per
capire se sono ancora viva. Te, che approcci a questo capitolo per
curiosità e sì, anche te hai tutto il dovere di insultarmi.
Ma siete qui, quindi... Grazie davvero! :) Grazie anche a chi recensirà
questo nono capitolo, a chi continua a seguire la storia, a chi lo farà!
Vi lascio alle solite precisazioni
con un abbraccio grande; a presto gente! :)
1) Il posto dove è stato portato Coulson, nella mia testa, è la
base segreta dello S.H.I.E.L.D. Ma dato che qui il nostro agente è
ancora un novellino, non può sapere manco dove sia. Povero piccolo. *^*
2) Secondo me il rapporto Tony/Howard, come ho avuto modo di
approfondire in una vecchia fiction ("Hey, dad, look at me." per chi
fosse profondamente autolesionista e non gli bastasse questa fiction),
è stato così come lo descrive brevemente Rhodes. Poche parole, le
uniche dette di apparente disprezzo e disappunto. Ho a-d-o-r-a-t-o la
scena in Iron Man 2
nella quale Nick e Tony parlano del padre, avendone due feed-back
profondamente differenti. Scena, tra l'altro, fondamentale nel tenere
insieme diverse parti dell'universo Marvel (o almeno, per come se lo
immagina la mia testolina bacata).
3) Nelle scorse note vi ho detto che adoro l'attore del primo Iron Man
interpretare Rhodes. Ecco, vi linko un'immagine che mi fa sciogliere
come neve al sole: *ç*
http://24.media.tumblr.com/tumblr_m3kyomFP0s1qc01jno1_500.png
4) Giusto perché sono in vena di tenerezze, vi mostro anche un
Clark Greg da giovane (ovvero come mi immagino il nostro Coulson in
questa fiction):
http://25.media.tumblr.com/tumblr_man4by2KDn1qb1u2po6_250.png
_Diane_
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Capitolo 10 *** Capitolo Dieci ~ Paralyzed ***
capitolo 10
RIASSUNTO:
Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo,
ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che
ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in
tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata
proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto
del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo
svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato
nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi,
riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e a tornare a
casa?
I'm paralyzed I'm paralyzed
Sono paralizzato dall'emozione
I'm lost in time I'm paralyzed
Sono perso nel tempo, sono paralizzato.
Paralyzed ~ The Fire
Capitolo Dieci
Martedì, 21 Dicembre 1991.
Sera.
«Sapevo che affidare un incarico di così importante ad una recluta non
sarebbe stato esente da rischi...»
L'interno della stanza nella quale era stato "invitato" ad entrare
pareva
decisamente più buio del locale nel quale aveva precedentemente
sostato. L'oscurità gli aveva reso difficile persino trovare la sedia
sulla quale ora sedeva composto. Dinanzi a sè un freddo tavolo
metallico,
al lato opposto del quale sedeva colui che gli stava parlando. Non
poteva vederlo; tuttavia percepiva lo sguardo penetrante
dell'altro, desideroso di
informazioni.
«ma non credevo avremmo mai assistito ad una tale esagerazione di
azioni sconsiderate.» Terminò, dopo una breve pausa.
La mente di Philip Coluson si era rassegnata ad aspettare.
Attendeva,
conserto ed immobile, che quelle parole giungessero. Ne era sicuro; la
prossima frase avrebbe contenuto le due paroline magiche: "sei
licenziato". Ma non erano quelle a fargli paura. In tutto lo
S.H.I.E.L.D., benché nessuno volesse ammetterlo, aleggiavano strane
storie di agenti scomparsi da un giorno con l'altro.
Avrebbe preferito rescindere subito il contratto che lo legava a
quell'uomo, ma sapeva bene che all'interno delle scartoffie firmate il
giorno della sua assunzione nemmeno una alludeva
a situazioni di quel tipo.
Il che non era per nulla confortante.
«Seminare la squadra che avevo affidato a questa recluta non
dev'esserti stato semplice; agenti altamente addestrati, pronti a
pedinamenti lunghi interi giorni e intere notti.»
Aspettava il vuoto d'aria di una botola che si apriva sotto il
pavimento, quanto meno una raffica di mitra. D'altronde per il suo
interlocutore non sarebbe
stato difficile ucciderlo a sangue freddo. Tutti conoscevano le cose di
cui era capace il direttore, benché in pochissimi avessero avuto
l'occasione di parlargli.
«Diversi fattori che compongono un'equazione, complessa ed
affascinante, alla quale manca l'incognita; chi sta proteggendo, agente
Coulson?»
Una domanda del genere obbligava il pivello Philip Coulson ad una
immediata risposta.
Avrebbe tanto voluto darla.
Voleva ardentemente spiegare gli avvenimenti degli ultimi giorni a
qualcuno; il suo superiore sarebbe stata la persona migliore.
Probabilmente avrebbe risolto il problema che si era creato, trovando
dove diamine fosse finito... Capitan
America, alias Steve Rogers.
Ma, mentre non riusciva a decidersi ad aprir bocca sull'argomento,
provò uno strano brivido nel pronunciare mentalmente il nome di
quell'uomo. Creduto morto da tutto il mondo,
aveva deciso di confidarsi solamente con... lui.
Ricordava bene le parole che gli aveva rivolto al termine di una lunga
chiaccherata, quando lo aveva definito uno dei suoi amici "più leali e
fidati". O almeno, lo sarebbe stato nel futuro.
«Il gatto ti ha morso la lingua?» Riprese a parlare l'altro, dalla
penombra. Phil avvertiva i suoi passi nervosi sul pavimento, nonostante
il tono di voce si manteneva particolarmente beffardo.
«Ho scommesso molto su di te, affidandoti la delicata missione di
scoprire chi ha ucciso Howard Stark e sua moglie.»
Poi ancora silenzio.
Phil decise; non avrebbe aperto bocca.
Sia perché quello che gli aveva detto il Capitano Rogers gli sembrava
simile alla confessione di un fedele con il prete. Informazioni
strettamente personali da non cedere facilmente a terzi.
Inoltre anche se non conosceva perfettamente le leggi del continuo
spazio-temporale, quel poco che aveva studiato di fisica unito ad
alcune
passioni adolescenziali - fumetti e film di fantascienza - lo
mettevano in guardia; sapeva che qualsiasi informazione proveniente dal
passato poteva avere conseguenze disastrose nel futuro. Giusto sei anni
prima era uscito un film sull'argomento...
"Come si chiamava? Ah, già. Ritorno
al futuro".
Improvvisamente però si rese conto di come il futuro potesse far male.
Il direttore dello S.H.I.E.L.D. terminò la pazienza
quando, con un pugno ben assestato, balzò in avanti colpendo dritto in
faccia
Coulson. Il quale, spiazzato, cadde rovinosamente a terra, dopo aver
udito un sonoro "clack" all'altezza del setto nasale.
Percepì il sangue caldo che iniziava a colargli lungo il viso, mentre
la porta dalla quale era entratò si aprì nuovamente. Da essa fecero
irruzione un
paio di uomini enormi, armati, i quali con fare poco amichevole lo
strattonarono e lo costrinsero ad alzarsi, tenendolo saldamente ognuno
da una parte.
«Ora non ho più tempo da perdere.»
Coulson, per la prima volta in vita sua, vide il volto del direttore
dello Strategic Homeland
Intervention, Enforcement and Logistics
Division. Lo immaginava piuttosto vecchio, sulla sessantina, con
i
capelli imbiancati dal tempo e la pelle percorsa da rughe. Invece il
fascio di luce entrato dalla porta appena aperta, gli rivelò un
uomo apparentemente sulla quarantina, di carnagione scura,
completamente calvo. Una benda nera calata sull'occhio sinistro, quasi
fosse un moderno filibustiere, ed un'uniforme lunga nera
completavano il - poco rassicurante - quadro.
«Portatelo dove sapete. Forse più tardi avrà voglia di scambiare
quattro chiacchere.»
Mentre il sangue continuava copioso a riversarsi sul pavimento e i due
energumeni lo conducevano via, Coulson venne attanagliato da un
preoccupante dubbio, che non aveva minimamente a che fare con gli
avvenimenti di quello strano giorno.
Si chiese se Steve Rogers gli avesse raccontato tutto, ma proprio tutto
riguardo al futuro.
Giovedì, 23 Dicembre 1991.
Mattino.
Poteva vederlo.
Vedeva il volto disperato attraverso lo specchio di vetro che li
separava.
Una lastra che gli appariva quasi incantata; attraverso di
essa poteva percepire come proprie le emozioni provate dal dio
del tuono; impotenza; debolezza; inadeguatezza.
Il possente Thor rinchiuso in una trappola di vetro realizzata dalla
fragile mano dell'uomo. Un affronto; un'umilazione.
In un angolo della stanza buia una figura alta e slanciata, avvolta in
sontuose vesti verde smeraldo, minacciava di poggiare il palmo contro
una pulsantiera, dalla quale risaltava un vistoso pomello di colore
rosso.
Steve vide Thor allontanarsi preoccupato dal bordo del sottile guscio
di vetro dopo avere tentato, invano, di distruggerlo con un colpo ben
assestato del suo possente martello magico. Purtroppo Fury aveva fatto
un lavoro fin troppo accurato, con quella trappola.
«Gli umani ci ritengono immortali.»
Esordì infine Loki, con fare solenne. Un sorriso beffardo dipinto sulle
sottili labbra del dio.
«Vogliamo verificarlo?»
Thor indietreggiò ulteriormente, come fosse ormai pronto al destino di
morte che lo aspettava. Annientato per mano dal suo stesso fratello,
che tanto aveva amato e tanto aveva sperato di salvare.
Steve avrebbe voluto agire, avanzare, aggredire il dio delle malefatte
e punirlo per tutto il dolore che aveva causato alla città di New York.
Invece i suoi muscoli stranamente non risposero al suo comando,
rimanendo ben saldati sulle griglie metalliche che componevano il
precario pavimento dell'eliveivolo dello S.H.I.E.L.D. Non sembrava
nemmeno accorgersi della presenza del capitano, quello stolto alieno.
Ma ad un certo punto qualcosa accadde nell'angolo vicino a lui; a pochi
passi di distanza due agenti sotto il controllo di Loki caddero in
avanti, come tramortiti. Steve sussultò, sollevato; qualche collega
vendicatore era certamente venuto a conoscenza del pericolo ed era
coraggiosamente corso in aiuto del dio del tuono.
Aspettò di vedere il riflesso brillante dell'armatura rossa ed oro di
Stark, oppure l'arco teso con la freccia incoccata di Occhio di Falco.
Attese per quelli che parsero secoli; infine un uomo vestito con un
elegante completo scuro scavalcò lentamente i due uomini ancora a
terra.
Una voce gentile ma severa, come di un insegnante intento a recuperare
l'attenzione di uno scolaro particolarmente insolente, lo fece
trasalire.
«Per favore, indietro!»
L'agente Phil Coulson fece il suo ingresso, reggendo con entrambre le
braccia quello che sembrava un pericoloso e sofisticato cannone. Steve
era stranito; non riusciva a capire perché contro il pericoloso Loki lo
S.H.I.E.L.D. avesse scelto di mandare proprio Coulson per quella
missione disperata. Non che non nutrisse stima nei contronti
dell'agente, anzi. Da quel poco che sapeva era niente meno che il
braccio destro di Nick Fury, e non v'era persona all'interno
dell'organizzazione più preparata di lui.
Ma perché mandarlo da solo? Dritto-dritto nella gabbia del leone? Steve
non capiva. Inoltre desiderava ardentemente potersi muovere,
avvicinarsi ed aiutarlo. Nemmeno il suo amico evidentemente lo poteva
vedere; il capitano si crucciava, incapace di comprederne il perché.
«Ti piace? Abbiamo lavorato sul prototipo dopo che hai mandato il
Distruttore. Neanch'io so cosa faccia... vogliamo verificarlo?»
Fu questione di un secondo.
Dopo che si udì il rumore vibrante dell'avvio della pericolosa arma
impugnata da Coulson, Steve finalmente comprese.
Dove si trovava.
Che cosa stesse succedendo.
Perché non ci fosse nessun altro al fianco del suo amico.
La paura si impadronì della sua anima; quella che spesso aveva provato
durante le battaglie affrontate nel suo vagare avanti e indietro nel
tempo. Nessuno avrebbe mai creduto che il grande Capitan America
potesse cedere ad una tale emozione, considerata appropriata solo per i
deboli. Invece si trattava del motore che spesso lo spingeva ad agire
d'istinto, mettendolo in moto anche quando sapeva che le speranze di
sopravvivenza si rivelavano inesistenti.
Ma nonostante provasse a gridare con tutto il fiato che aveva in corpo,
mentre i suoi neuroni bombardavano inutilmente di ordini il suo corpo
di marmo, la tragica scena alla quale non aveva assistito in passato si
ripropose dinanzi a lui come in un un film.
Il dio degli inganni materializzò sé stesso alle spalle di Coulson.
Steve aprì disperatamente la bocca; i suoi polmoni di supersoldato non
riuscirono ad emette nemmeno un sibilo.
Lo scettro scintillante penetrò nella solida schiena dell'amico, che si
incurvò impercettibilmente in avanti. Poi la punta di quell'arnese
trapassò da parte a parte il ventre dell'amico.
Steve sentì come se avesse dilaniato la propria stessa carne.
Steve rivide Bucky.
Lo rivide cadere dal folle treno in corsa, precipitare nel vuoto, gli
occhi disperati rivolti come in una supplica verso di lui.
Steve rivide il gentile professor Abraham Erskine.
Lo rivide mentre, poco prima di morire, cercava di dirgli qualcosa
puntandogli un dito in direzione del suo cuore.
Steve rivide Tony.
Lo rivide fermo ed immobile dinanzi a sé dopo essere precipitato dal
cielo polveroso di New York, steso a terra, immobile nell'armatura che
avrebbe dovuto proteggere da ogni minaccia il figlio del suo vecchio
amico.
Troppe persone che non era stato in grado di aiutare. Nei confronti
delle quali si era sentito il gracile e piccolo ragazzino di Brooklin
di anni e anni addietro.
Troppe, troppe emozioni.
Che finalmente lo destarono.
«Whoa!»
Il suo corpo fu percorso da uno spasmo fortissimo, come se fosse stato
per qualche minuto di troppo in apnea sottacqua. I polmoni cercavano
disperatamente la materia prima della quale sembravano momentaneamente
privi, continuando ad espandere e comprimere freneticamente la gabbia
toracica di Steve. Il quale si rese lentamente conto che quello che
aveva appena vissuto era un incubo che lo riportava indietro nel
tempo... anzi, in avanti.
Cercò di allontanare le immagini così vivive che tanto avevano
impressionato la sua mente e cercò di concentrarsi sul presente,
qualche diavolo fosse il tempo nel quale si trovava.
Immediatamente si rese conto di due cose; la prima era che i suoi occhi
erano completamente accecati da una luce fortissima. La seconda che,
ancora provato dai profondi spasmi che lo scuotevano tutto, in più era
completamente bloccato supino mediante l'uso di parecchi sistemi
metallici. Manette grandi come per legare un orso e catene argentate
che non gli permettevano di muoversi, se non di pochi millimetri.
Non riusciva a capire dov'era. La luce bianca era troppo forte per
permettere ai suoi occhi celesti di abituarvisi.
Percepì che si trovava sdraiato su di qualcosa di vagamente soffice,
forse un letto. Ma le sue percezioni risultavano decisamente alterate;
il senso di nausea e gli spasmi del risveglio non lo allontanavano man
mano che scorreva il tempo. Steve si chiese se non fosse stato drogato.
Non ne era sicuro dal momento che non aveva mai assunto sostanze
stupefacenti in vita sua. Inoltre, per quanto ricordava gli fosse stato
detto, dopo aver assunto il siero del supersoldato nemmeno i prodotti
di sintesi più strani avrebbero fatto effetto sul suo corpo.Invece...
non era vero?
Mentre ancora rifletteva frastornato su cosa potesse essergli successo,
fu sicuro di aver avvertito un movimento impercettibile affianco a sé.
In quel posto doveva esserci qualcuno.
Chiunque fosse non avrebbe avuto certamente intenzioni amichevoli.
Il corpo di Steve cercò di rieagire ma, come se proseguisse anche nella
realtà il precedente incubo, il biondo si trovò nella spiacevole
situazione di non poter muovere un muscolo.
«Mhhhrggg...»
Riuscì a mugulare, frustrato e confuso, mentre percepiva il suo nemico
scivolare lentamente al suo fianco. Si sentiva inerme, impotente,
mentre lo percepiva appoggiarsi contro il giaciglio nel quale era
costretto.
"Sarai contento di uccidere un uomo disarmato e incatenato, razza di
codardo." Pensò furibondo, non smettendo si provare a riaquistare la
padronanza perduta sul proprio corpo.
«Non sono un codardo. L'ho dimostrato, ieri sera.»
Come se fosse stato colpito per la seconda volta da un potente uragano
che gli aveva squassato il cervello, Steve capì chi aveva di fronte e
gli tornarono in mente gli ultimi istanti alla cerimonia di passaggio
del testimone delle redini delle Stark Industries. Prima che cadesse a
terra, colpito da una qualche arma. La voce non lasciava trasparire
ironia, ma Rogers ne colse comunque parecchia.
Ma la cosa più strana, che probabilmente era da addebitare al suo
momentaneo stato confusionale era che... quell'uomo gli aveva risposto
prima che lui avesse potuto aprir bocca. Cosa che in effetti,
momentaneamente, non gli riusciva.
Steve decise che, dopo aver visto cose stranissime in vita sua, nemmeno
quello lo avrebbe scosso più di tanto. Complice la sostanza che aveva
in corpo.
«Lo so benissimo» Continuò lentamente la voce neutra che gli rimbombava
nel cervello. «per questo sono qui; per porre fine alle tue sofferenze».
Steve percepì l'uomo che si sporgeva sopra di lui, avvicinandosi al suo
viso.
Avrebbe voluto vederlo in faccia, a quel vigliacco che gli aveva
sparato. Che ora voleva metterlo a tacere per sempre. Quanto avrebbe
dato per poter imbracciare il suo scudo e poi spaccarglielo in testa,
assestargli un paio di colpi ben piazzati e poi lanciarlo in pasto ai
primi mostri alieni di passaggio... Uh? Mostri alieni? Steve aveva
davvero avuto a che fare con creature di un altro mondo?
Cercava di ricordare quando ciò fosse avvenuto, ma invano. Forse era
avvenuto nell'ambito di una battaglia. Ma... che battaglia? E quando?
«Bene.» Esordì soddisfatta la voce nella sua testa. «Sta finalmente
facendo effetto.»
L'altro evidentemente si riferiva alla sostanza che era in circolo nel
corpo del supersoldato.
Ma proprio mentre percepiva il passato scivolare in un panorama grigio
e piatto... Il volto sopra di sé, complice l'ombra che esso stesso
proiettava su Steve, gli fu visibile per qualche secondo. Nel quale il
biondo trasalì.
L'individuo in piedi smise di parlare in quel modo paranormale,
preferendo le sue stesse labbra.
«Addio, Capitano.»
Giovedì, 23 Dicembre 1991.
Sera.
La giovane e attraente chioma rossa di Virginia "Pepper" Potts
ondeggiava ritmicamente su e giù, mentre la sua proprietaria camminava
tranquilla per le chiassose strade della grande mela. Normalmente, dopo
aver finito di lavorare, avrebbe preferito correre a casa senza perdere
tempo ad osservare le vetrine che si frapponevano tra lei e il suo
piccolo rifugio. Eppure quella sera, nonostante il cielo fosse coperto
e le raffiche di gelo pungenti, dimenticandosi che con i soldi
guadagnati al locale riusciva a malapena a pagarsi l'affitto, era lì a
vagare.
Percorse tutta una lunga arteria viabilistica sul marciapiede, il naso
arrossato che metteva becco in ogni vetrina che le catturava
l'attenzione. Doveva ammettere che erano molte; d'altronde in periodo
natalizio i commercianti non badavano a spese pur di vendere qualche
articolo in più. Così ogni spazio antistante all'ingresso diventava un
tripudio di colori, di canzoni registrate o di piccoli cori
improvvisati, di luci pulsanti o di profumi gustosissimi di qualche
prelibato dolciume.
Pepper continuò a camminare, stringendosi più forte a sé il suo
giubbotto di pelle nera e chiedendosi perché aveva deciso di indossare
anche quel giorno la sua minigonna preferita, nonostante i quasi meno
dieci gradi sotto zero e la previsione di neve nelle successive
ventiquattrore.
«Babbo Natale arriverà con la neve; come in ogni film natalizio che si
rispetti.»
Sospirò, pensando che l'indomani non avrebbe dovuto recarsi al lavoro,
bensì preparare le valigie per prendere un'aereo che l'avrebbe
riportata dalla sua famiglia.
Mentre già pregustava le prelibatezze che sua madre stava già
certamente iniziando a cucinare, data la sua passione ai fornelli,
decise di attraversare la strada per passare d'inanzi ad alcuni negozi
di vestiti eleganti che la facevano letteralmente sognare.
Sull'altro lato del marciapiede si piantò davanti alla vetrina,
scandagliandola inutilmente in cerca di qualcosa che costasse meno di
50 dollari. Come immaginava, non poteva permettersi nemmeno una
striminzita cintura.
"Verrà il giorno in cui indosserò qualcosa di decente. Diverrò qualcuno
d'importante. Farò strada. Sarò finalmente rispettata e, perché no... amata."
Sospirò per una seconda volta, consapevole che probabilmente quando
sarebbe tornata a New York in tempo per il Capodanno l'avrebbe
festeggiato come al solito in compagnia dei suoi più stretti amici,
tutti in coppia da anni con altri ragazzi e ragazze. L'unica senza
nessuno sarebbe stata, come da copione, solamente lei.
«Ehi!»
Improvvisamente qualcuno, nella ressa in movimento su quel lato del
marciapiede, la colpì forte sulla schiena, facendole perdere
l'equilibrio. Se non fosse stato per i suoi riflessi pronti sarebbe
finita dritta dritta all'interno della tanto adorata vetrina del
negozio.
«Insomma, che modi sarebbero?» Esordì alterata, mentre si girò di
scatto pronta ad aggredire verbalmente quel maldestro passante.
Davanti a lei però non c'era esattamente quel maldestro passante che
aveva aspettato di trovarsi, bensì un giovane uomo alto e muscoloso,
vestito elegantemente e di tutto punto. Solo i capelli biondi erano più
spettinati dalla prima - e anche ultima - volta che l'aveva visto,
mentre gli occhi azzurri vagavano persi nel vuoto dinanzi a sé, come a
voler cercare qualcosa che aveva perso.
«Ma... io ti conosco! Ci siamo incrociati qualche giorno fa nel locale
dove lavoro!»
Lo sguardo del ragazzo finalmente si posò su di lei, anche se non
ricambiò il saluto, anzi. Sul suo volto si compose un'espressione di
smarrimento.
«Massì, ero la ragazza che ti ha servito al tavolo, mentre tu
disegnavi...»
Ma l'altro non diede segni di ricordare alcunchè.
«Mi scusi signorina, non credo proprio di conoscerla.» Disse in modo
gentile infine l'altro, dopo averla squadrata in modo approssimativo
per qualche secondo.
Poi il ragazzo, del quale Pepper ricordò non sapeva nemmeno il nome,
ebbe come un giramento di testa. Portò una mano sugli occhi,
socchiudendoli. Poi le gambe gli cedettero e scivolò lentamente a terra
poggiando la schiena contro il muro.
La rossa si avvicinò preoccupata al biondo con uno slancio.
«Non ti senti bene? Cos'hai?»
«Nulla, nulla...» Bofonchiò l'altro, cominciando a respirare in modo
affannoso e per nulla normale.
Pepper, allarmata, gli passò una mano sulla fronte.
«Tu... scotti!»
La febbre alta probabilmente spiegava anche il momentaneo stato
confusionale.
«Non stai per niente bene.» Disse preoccupata. «Se non vuoi che ti
accompagni in ospedale, lascia almeno che ti aiuti ad arrivare a casa».
L'altro però non rispose. Sembrava in stato di sonnolenza, con gli
occhi semi aperti che fissavano il nulla dinanzi a sé.
Pepper valutò l'ipotesi di portarlo in ospedale, dato che non sembrava
in grado di fornirle indicazioni circa la sua ubicazione. Anche in quel
caso comunque vedeva difficile poter aiutare quel ragazzo da sola; il
suo fisico asciutto avrebbe a fatica sostenuto quello muscoloso del
biondo. Di chiamare un taxi, non se ne parlava; i due dollari scarsi
che aveva in tasca parlavano chiaro.
"Che faccio?" Pensò, sconsolata.
Dall'altro lato della strada giunse la voce di qualcuno.
«Signorina, sì, dico a lei! Ha bisogno di aiuto?»
La ragazza si voltò; dietro di lei vide arrivare a passo svelto un uomo
anziano che era appena uscito da un albergo poco distante.
«Ho assistito a tutta la scena e...» rimase di stucco quando vide chi
era il giovane bisognoso «e conosco quest'uomo. So anche dove abita.»
"Grazie al cielo!" Esordì mentalmente Pepper, ringraziando il
vecchietto con un largo sorriso. Poi, con non poca fatica, aiutarono il
ragazzo a salire sull'auto del gentile signore.
«Oh, che scortese, non mi sono presentato.» Disse simpaticamente
questo, mentre metteva in moto l'auto. «Stanley Martin Lieber, ma puoi
chiamarmi semplicemente Stan; al tuo servizio!»
Giovedì, 23 Dicembre 1991.
Sera tardi.
Un bicchiere vuoto girava e rigirava tra le mani di Tony Stark.
Solo, nella sua villa di New York ad un giorno esatto dalla vigilia di
Natale, osservava dal terrazzo la città in preda al panico. Sembrava
che tutta la popolazione dovesse comprare necessariamenre all'ultimo
secondo i regali da mettere sotto l'albero.
Non capiva il perché di tanta inutile frenesia. Rincorrere un dono che
statisticamente quasi mai la persona alla quale era destinato avrebbe
realmente apprezzato.
Mentre il suo cervello vagava senza una precisa meta, e il suo corpo si
rilassava sdraiato sulla costosa poltrona chaise longue disegnata da un
architetto detesco, qualcosa di freddo cadde sul suo naso.
Tony esaminò il piccolo frammento cristallino, portandolo vicino agli
occhi.
Quella meraviglia della natura resistette solo pochi attimi sul palmo
del ragazzo; poi si sciolse, svanendo nel nulla.
Il moro si alzò in piedi lentamente, avvicinandosi alla balaustra della
balconata mentre i fiocchi di neve iniziavano a cadere uno dopo l'altro.
«Chissà dove sei sparito.» Si chiese ad alta voce, guardando ancora giù
verso le strade trafficate, oltre il giardino che lo separava dal mondo
esterno.
Non aveva denunciato la polizia locale, benché Jarvis ormai mancasse da
parecchi giorni. Parlandone con Rhodey si rese conto sarebbe stato
meglio evitarlo, dal momento che si erano resi conto che il suo
maggiordomo non aveva il benché minimo straccio di un documento, il che
avrebbe costituito un grosso problema.
Il fatto che fosse sparito però lo preoccupava, quasi quanto l'arnese
che aveva trovato in camera sua dopo averla perquisita a fondo cercando
qualcosa che potesse aiutarlo nella sua silenziosa ricerca. Così,
mentre Rhodey conduceva discretamente delle indagini sfruttando la sua
posizione all'interno delle istituzioni americane, Tony si arrovellava
su quell'oggetto strano che aveva in tasca.
Mentre aveva poggiato il bicchiere ormai vuoto sul vicino tavolino, e
si apprestava per l'ennesima volta a tirarlo fuori per poterlo
esaminare, uno stridio di gomme proveniente dalla strada davanti alla
sua villa gli fece alzare lo sguardo.
Dall'auto parcheggiata malamente in doppia fila scese un anziano
signore, seguito da una ragazza dai capelli rossi e da un giovane uomo
che veniva sorretto difficilmente da entrambi.
Tony riconobbe immediatamente quella figura.
Rientrò in casa, percorse il corridoio, scese le scale e attraversò
l'atrio a passo svelto, sperando di non aver avuto un'allucinazione.
Dlin-dlon.
Mentre il campanello iniziò a suonare, Tony raggiunse la porta e l'aprì
senza esitare.
Lo strano trio che aveva davanti gli avrebbe potuto facilmente
strappare una risata, se fosse stato in un altro momento.
«Tony Stark?»
Domandò senza mezzi giri di parole la giovane dai capelli rossi.
«Esattamente. E voi non credo siate i fantasmi del Natale passato,
presente e futuro di Dickens, vero?»
La ragazza parve sconcertata dal comportamento di chi gli aveva appena
aperto la porta. Un turbamento che durò qualche millesimo di secondo,
dopo il quale rispose.
«Perché, avresti forse paura di confrontarti con i tuoi peccati, signor
Stark?»
Tony percepì il tono di sfida con cui quella sconosciuta lo stava
sfidando. Se fosse stato un altro momento avrebbe approfondito la
conoscenza con quella giovane. Ma la sua attenzione al momento era
rivolta all'individuo che lei e l'anziano signore stavano ancora
sostendo.
«L'ho trovato in stato confusionale su un marciapiede, qualche
chilometro da qui.» Riprese la giovane quando vide che l'attenzione del
suo interlocutore si posò preoccupata sul biondo. «Non sta bene, scotta
parecchio. Fortunatamente ho incontrato questo signore, il quale sapeva
dove risiedesse...»
«...Jarvis.» Concluse Tony la frase, dato che la ragazza evidentemente
non ricordava il suo nome.
Tony lo squadrò, preoccupato. Non aveva una bella cera e non sembrava
capire cosa stesse accadendo attorno a lui. Si avvicinò a lui come a
voler aiutare i due che si erano presentati alla sua porta, facendo
poggiare il corpo del suo maggiordomo su di lui.
"Accidenti quanto pesa". Pensò.
«Bella stamberga.» Esordì improvvisamente l'anziano vecchietto,
osservando oltre l'uscio di casa Stark i lussuosi interni che
l'adornavano.
«Oh, in realtà non sono shifosamente ricco, è che mi disegnano così!»
Rispose ironico, mentre cercava di fare i pochi passi che li avrebbero
ricondotti al caldo.
Poi si rigirò, come se si fosse dimenticato qualcosa d'importante.
«Non serve ringraziare, giovanotto». Lo anticipò l'uomo, voltandosi e
salutandolo con un cenno gentile. Poco dopo anche la ragazza fece lo
stesso e si voltò, pronta a varcare il cancello.
«Aspetta» la chiamò Tony, mentre la neve continuava a cadere «dimmi
almeno come ti chiami».
Lei, prima di girare l'angolo e tornare sui suoi passi, si voltò
un'ultima volta indietro.
«Pepper. Pepper Potts.»
Sabato, 25 Dicembre 1991.
Mattino.
Dlin-dlon.
Il campanello risuonò tra le pareti di villa Stark. L'uomo che
aspettava alla porta aveva poco tempo, ma non avrebbe rinunciato a fare
gli auguri di persona all'amico che viveva all'interno. Anche perché
voleva sapere gli sviluppi della convalescenza di Jarvis,
miracolosamente ritrovato la sera prima da due persone per strada e
misteriosamente avvolto in uno stato confusionale.
«Ehilà Rhodes! Felice festa di Babbo... qualcosa!»
Un Tony in vestaglia rossa aprì la porta di casa all'amico.
«Ergh, sarebbe "Buon Natale" in teoria.»
«Già; ma a te anche babbo si
abbina benissimo.»
Scuotendo la testa rassegnato, Rhodey si fece strada ed entrò
all'interno della villa. Anche perché fuori, complice lo spesso strato
di neve accumulatosi durante il giorno precedente, si moriva di freddo.
«Comunque sia, buon Natale Tony.» L'ospite porse al padrone di casa un
piccolo pacchetto regalo verde che aveva nascosto nella giacca scura.
«Da parte mia e dei miei genitori. Come sai, sono di passaggio. Mi
aspettano fuori in auto, andiamo dai miei zii a festeggiare.»
«Oh. già.» Rispose semplicemente Tony, rabbuiandosi.
Rhodey trovò strano il fatto che non avesse aggiunto qualche altra
battutina sarcastica, ma lasciò perdere. D'altronde, era Natale per
tutti.
«Come sta Jarvis?» Domandò improvvisamente al giovane Stark, cambiando
bruscamente argomento.
«Nessun miglioramento. Non si è ancora svegliato.»
«Forse però... ora sì.» Riprese sgomento Rhodes, ountanto il dito oltre
le spalle di Tony.
Il quale si girò rapido; Jarvis stava discendendo a passo incerto le
scale che lo separavano dai due, ancora vicini all'ingresso.
Tony lo vide camminare e fermarsi davanti a loro.
Per un attimo rimasero tutti in uno strano silenzio. Rotto infine dalla
voce flebile di Jarvis, il quale squadrò entrambi con aria confusa.
«Dove mi trovo? Chi siete?
E chi... chi sono io?»
Sabato, 25 Dicembre 1991.
Pranzo.
Dopo aver salutato Rhodes, Tony
esaminò Jarvis. Gli fece alcune domande, ma nessuna ebbe risposta.
Era come se soffrisse di una grave forma di amnesia totale. La quale
difficilmente poteva essere stata causata dallo stato febbrile nel
quale era piombato in casa il giorno prima del precedente.
Non ricordava niente di niente. Tony non aveva mai visto niente di
simile.
Cercò di spiegargli quel che sapeva su di lui. "In realtà poco o nulla"
si trovò a rimuginare.
Così aveva deciso che non era il caso di stare a tormentarlo troppo e
si era diretto in cucina. Sapeva che era il minore dei mali, ma si
sentiva perseguitato dalla sfortuna. Ritrova il maggiordomo che aveva
perso e questi... perdeva la memoria. Quindi anche la -già- scarsa
capacità ai fornelli.
Tuttavia Tony non voleva che, proprio il giorno di Natale, la tavola
rimanesse vuota. Aveva tanto odiato i pranzi natalizi passati con gente
snob dell'alta società, invitata dai suoi genitori puntualmente ogni
anno solo per interessi reciproci. Ora che entrambi erano scomparsi,
Tony quasi quasi rimpiangeva quei detestati ricordi.
Mentre trafficava alla ricerca di una pentola per cuocere qualcosa si
accorse che... non sapeva cosa avrebbe dovuto cuocere e come.
Mentre mandava al diavolo tutto, il rumore di un braccio meccanico
arrivò alle sue orecchie.
Dritto dritto dalla dispensa fece il suo traballante ingresso
ferrovecchio; stretta dalla morsa del suo artiglio una scatoletta di
tonno appena aperta.
“Meglio di niente" pensò, aprendone un'altra e mettendo il contenuto in
due piatti.
Prima di tornare nel soggiorno, dove Jarvis sedeva ad un lato della
tavola già imbandita, gettò un'occhio all'oggetto che ancora teneva in
tasca della vestaglia.
Lo tirò fuori, girandoselo tra le mani. Un pezzo di vetro trasparente
che non aveva niente di speciale.
Eppure, dopo averlo trovato tra le cose del suo misterioso maggiordomo
ed averlo studiato sommariamente, aveva concluso che nessuno va in giro
con un pezzo di vetro dai bordi arrotondati.
Poi lasciò scivolare via quei pensieri, prendendo i piatti e sorridendo
al maggiordomo.
"Almeno oggi. In fondo, è Natale."
FINE PRIMA PARTE.
Note finali:
Buonasera. Buonanotte. O buongiorno, in base al momento nel
quale tu stia leggendo queste parole!
Insomma, ave a tutti, romani e non. Questo capitolo non ha la
presunzione di essere migliore degli altri ma certamente è il più lungo
scritto fin ora ed è quella che ho definito come la "Fine della prima
parte". La lunghezza ve la devo; non aggiorno questa fiction da
tantissimo e volevo proprio farvi un regalo di Natale... Un po' in
ritardo, nevvero (ma tanto ormai siamo abituati a festeggiare il Natale
a primavera inoltrata, complice Iron Man 3)!
Insomma, sono in debito con voi. Con voi che avete continuato ad
aggiungere questa storia tra le seguite, ricordate, ecc. Con chi ha
continuato assiduamente a recensire, facendo sì che questo lavoro
continuasse e che io ci mettessi quel poco tempo che ho sempre
-purtroppo- avuto.
Quindi... eccomi qui, mentre dovrei -almeno- fingere di scrivere una
tesi, a pubblicare il nuovo capitolo di "Ritorno al Passato"! Non so
che altro aggiungere; vorrei scrivere qui sotto e usuali "precisazioni"
ma sono davvero troppe quindi mi limiterò, come capitato qualche
capitolo fa, a lasciare trovare curiosità e rimandi ad altri universi
al vostro occhio attento.
Vi ringrazio ancora, oh lettori vecchi e fidati oppure nuovi e freschi,
spero di non avervi tediato con questo lunghissimo scritto e... a
presto, nuovamente su questi lidi! La storia di Jarvis/Steve deve
continuare!! :)
Un abbraccio enorme!
_Diane_
Ps: Mi scuso fin da subito per eventuali errori di
battitura/distrazione! Spero di avere il tempo, nei prossimi giorni, di
poter rileggere attentamente il tutto!
Pss: Nel caso vi fosse qualche anima in pena giunta fin qui...
lascereste un commentino-ino-ino a questa povera autrice? ;)
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