Ritorno al Passato

di _Diane_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ~ Some Nights ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ~ Lullaby ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ~ Thunderstruck ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ~ Find yourself ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ~ Hero ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ~ Hello Goodbye ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ~ 21st Century Breakdown ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ~ Have a nice day ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ~ Another one Bites the Dust ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ~ Paralyzed ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ~ Some Nights ***


Capitolo Uno

Some nights, I stay up cashing in my bad luck
Certe notti resto in piedi a scacciare la mia sfortuna
Some nights, I call it a draw
Certe notti lo chiamo un pareggio
Some nights, I wish that my lips could build a castle
Certe notti vorrei che le mie labbra potessero costruire un castello
Some nights, I wish they’d just fall off
Certe notti vorrei che crollassero e basta

But I still wake up, I still see your ghost
Ma mi sveglio ancora, vedo ancora il tuo fantasma

Oh Lord, I’m still not sure what I stand for oh
Oh Signore, non sono ancora sicuro, per cosa lotto
What do I stand for? What do I stand for?
Per cosa lotto? Per cosa lotto?

Some Nights ~ Fun



Capitolo Uno


Era un giovedì, un giovedì sera.
Fuori dal suo modesto appartamento, gentilmente concessagli da Nick Fury qualche tempo prima, il freddo pungente di metà dicembre sferzava le inanimate facciate in ferro e vetro che ricoprivano la quasi totalità degli edifici di Manhattan. Nessun essere umano avrebbe osato mettere piede fuori da casa, se non fosse per ultimare qualche folle acquisto in previsione dell'imminente Natale. Questo fortunatamente comportava un periodo di vacanze anche per i Vendicatori; per quanto spietati e senza cuore, i supercattivi o invasori alieni che fossero non erano ancora così pazzi da attaccare New York nel bel mezzo di una bufera di neve.

Dal canto suo, Steve Rogers osservava apatico i fiocchi candidi danzare sotto il cielo color cenere. Anni prima - parecchi anni prima - non avrebbe esitato ad uscire di casa e a gettarsi a terra tra la neve soffice, sguazzandoci dentro felice come un bimbo. Il freddo che penetrava le ossa allora non gli importava, anzi; il giovane Rogers considerava la situazione alla stregua di una prova di coraggio alla quale, nonostante la sua esile corporatura, sopravvivere.
Da allora ne erano cambiate di cose. Non aveva più sentito freddo, nemmeno rimanendo bloccato per decenni nel mezzo di un blocco di ghiaccio.
Così ora osservava le forme geometriche perfette dei fiocchi di neve danzare al ritmo sfrenato del vento, chiedendosi se quel freddo che l'aveva così tanto provato non lo avesse infine cambiato.

Ancora intento ad osservare quel silenzioso spettacolo non si accorse del telefono che stava squillando. Se ne rese conto solo quando il vento cambiò bruscamente direzione, facendo roteare i fiocchi così velocemente che non riusciva più a distinguere nulla se non un biancore assoluto. Il suo cellulare squillava eccome. Ma era una suoneria così strana, fatta di suoni metallici e strumenti che solo il diavolo avrebbe saputo come usare.

"Appena lo vedo lo ammazzo. Poi lo faccio resuscitare con un urlo di Hulk e lo ammazzo ancora."

Steve aveva questi pensieri in testa mentre si alzò contrariato dal divano e cominciò a mettere a soqquadro la stanza, nel vano tentativo di trovare un...  rettangolo trasparente.

"Come diamine può un essere umano ideare una cosa che non si può trovare?"

Dopo aver capito da dove provenisse il suono infernale afferrò finalmente l'aggeggio. La foto che lampeggiava sopra gli fece venir voglia di scaraventare il cellulare giù per strada ma poi pensò alla fatica, più mentale che fisica, che aveva speso nel trovarlo e controvoglia posò un dito sulla superficie per rispondere. Il tono di voce all'altro capo del telefono gli fece rimpiangere di non aver meditato maggiormente più l'ipotesi di battere il record olimpico nel lancio del telefono.

«Poco fa sentivo un fischio incredibile alle orecchie. Tu ne sai qualcosa? Non dirmi che "Capitan, oh my Capitan" parla male di me? Sai ci resterei parecchio male, non dormirei la notte e...»

Steve non era solito riuscire a rispondergli a tono, ma quella volta qualcosa nel suo cervello gli suggerì la risposta giusta.

«Tranquillo Stark, ci sono già un milione di modi in cui potrei ucciderti. Sto solo valutando l'ipotesi più divertente.»

«Se stai cercando Willy il Coyote per ordinargli una cassa di dinamite mi spiace deluderti, le Stark Industries non producono più quelle anticaglie da un pezzo ormai...»

Il biondo non sapeva minimamente a chi o cosa si riferisse ma non ci diede molto peso. Ormai era abituato alle sue battute preparate su cose delle quali lui non conosceva nulla. Emise un sospiro rassegnato.

«Comunque non ti chiamavo per sapere come morirò, ma per ricordarti che è giovedì, giovedì sera, Capitano smemorato.»

Giovedì. Giovedì sera.
Steve sapeva benissimo cosa occupava il giovedì sera ma il suo cervello, giustamente, cercava di dimenticarsene puntuale ogni giovedì.
Stark si era messo in mente di creare una sorta di "gruppo" tra i vendicatori, il giovedì sera. L'idea gli era venuta al termine del famoso "shawarma party" al quale era stato - suo malgrado - trascinato.
"In onore di questo giorno vorrei indire, ogni giovedì, una gran riunione segretissima alla Stark Tower". Aveva sentenziato il grande Iron Man. Peccato che questo alto proposito poi era precipitato ne "il giovedì dei film squallidi", ai quali Steve evitava meticolosamente di andare.

«Prometto, prometto solennemente sulle mie armature e sulle mie costosissime automobili che il programma non sarà come l'ultimo giovedì.»

L'ultimo giovedì, già. L'unica serata alla quale aveva partecipato erano riusciti a fargli vedere niente meno che... "La Bella Addormentata". Qualcosa gli fece prudere i muscoli delle mani e per poco non incrinò il telefono.

«Oltretutto non l'ho nemmeno scelto io, ma quel romanticone del dio del tuono! Gli altri sono già qui e poi, dai, non ti spaventerà mica una camminata in mezzo alla neve Capitan ghiacciolo?»

Nessuna risposta.

«Ehm... Steve, sei ancora lì? Non avrai mica distrutto il bellissimo - e costosissimo - cellulare che ti ho regalato?»

«Farai bene ad avere già indosso l'armatura quando arrivo, Stark.»

«Ok, ti aspettiamo!» Prima di chiudere la chiamata sentì qualcosa che gli parve un "Pepper tesoro, prepara la Mark XLVII!"

Afferrò e indossò un golf blu con il cappuccio mentre infilava il telefono, ai suoi occhi un banale pezzo di vetro trasparente, in tasca. Non aveva effettivamente bisogno di vestirsi per camminare in mezzo a quella bufera di neve, ma preferiva sopportare il caldo piuttosto che attirarsi gli sguardi di mezza città perché andava in giro a mezze maniche a metà dicembre. Sbattè un po' troppo violentemente la porta di legno massiccio, che ondeggiò pericolosamente,  dirigendosi suo malgrado verso la Stark Tower.

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«Signor Rogers entri pure, i suoi colleghi la stanno già aspettando nella sala dell'home theater

Fu come al solito la gentile voce meccanica di Jarvis ad accoglierlo al suo ingresso nella torre. Dopo la battaglia contro i Chitauri si era trasformato in una sorta di "appartamento condiviso" degli Avengers che, nonostante avessero scelto di seguire ognuno la propria strada, ogni tanto non disdegnavano passare del tempo insieme. Steve era sicuramente più a suo agio nelle battaglie sanguinose piuttosto che nel super-gruppo in vena di chiacchere, ma si era imposto di trovare qualche modo per evitare la solitudine nella quale spesso ricadeva. Sotto sotto, nemmeno lui osava ammetterlo a sé stesso, ma era convinto che Tony organizzasse quelle serate proprio per lui. Con questi pensieri attraversò il grandioso atrio vetrato degli ultimi piani a passo veloce, dirigendosi verso la sala indicatagli dal maggiordomo virtuale.

Il Capitano afferrò la maniglia e, dopo un respiro profondo, la abbassò per entrare.
La sala non era eccessivamente enorme. Visto il lusso al quale era abituato Iron Man, Steve non capiva perché non avesse abbondato con le dimensioni della stanza. Per lui comunque l'aspetto più interessante rimanevano le larghe e comode poltrone reclinabili, l'unico dettagli del quale potesse commentare qualcosa. In effetti tutto il resto, che faceva di quella sala uno dei più costosi home theater del paese, non poteva essere compreso da Rogers. Sistemi riproduttori Hi-Fi e Hi-End, schermo abnorme con tecnologia al plasma, impianto stereo di ultima generazione.
Aramaico antico, per uno nato quasi un secolo prima.

Appena entrò la voce di Tony lo accolse, meno gentile di quella di Jarvis.
«Ehilà Rogers, qual buon vento! Poi dicono che il ritardatario cronico sono io!»
Le luci erano già basse nella sala e il film stava iniziando. Steve si accomodò nel primo posto che trovò libero che, sfortunatamente per lui, era proprio accanto a Stark.

«L'armatura mi aspetta qui fuori, ora direi di goderci il film.»

Anche se Steve non poteva vedere il suo volto, poteva scommettere che il vicino avesse un sorriso malizioso stampato in faccia.
Poi, dopo alcune schermate di pubblicità, apparve il titolo del film.

«Ritorno al Futuro?» Chiese sconsolato Steve, nel constatare che qualcuno stava nuovamente per farsi le beffe di lui.

«Non è come pensi, il film in realtà parla di un ritorno al passato e... l'ha scelto Bruce. Incolpa lui, non me!»

«Steve, io non volevo assolutamente...»

Il tentativo imbarazzato del dottor Banner di spiegare la sua scelta fu interrotto da un "la volete smettere lì davanti, midgardiani!" della possente voce di Thor. Nessuno osò più fiatare.
E il film cominciò.

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Steve trovò la visione del film stranamente... interessante.
Quel ragazzo, quel "Marty", aveva fatto un salto indietro nel tempo dal 1985 al 1955, avendo la possibilità di conoscere i suoi genitori (e di combinare parecchi disastri). Lo incuriosì soprattutto perché quella situazione era l'esatto opposto della sua, costretto a fare un balzo in avanti nel tempo.
Prima che si riaccesero le luci in sala, fu Tony ovviamente il primo a riprendere parola.

«Se vi state chiedendo "oh, come mai il grande Tony Stark non ha ancora inventato una macchina del tempo?", vorrei rispondervi in maniera mooolto semplice. Alle velocità infraluminali, al di sotto della soglia della velocità della luce nel vuoto, esistono corpi dotati di massa, sia a riposo che accelerata, superiore a zero, quindi...»

«Questo per dire che, con le conoscenze attuali, è possibile muoversi nello spazio ma non nel tempo.»

Esordì Bruce, traducendo per tutti gli altri vendicatori le criptiche parole di Tony.
Poi la luce si accese automaticamente e l'argomento della conversazione cambiò molto bruscamente.
Stark stava osservando il volto di Steve, dipinta sul volto un'espressione un po' stupita e un po' divertita.

«Rogers...» e allungò una mano sulla spalla si Steve «non tutti possono portare un paio di baffi con quella disinvoltura, credimi!»

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Dopo un'animata discussione, fatta di battute sarcastiche di Tony e di pacche sulla spalla di consolazioni degli altri, Steve decise di prendersi una boccata d'aria fresca fuori. Salutò e in gran frettà uscì.
Camminava a passo lento tra le vie della città, diretto nemmeno lui sapeva dove, giusto sbollire le emozioni. Non era uscito di casa per qualche giorno e non aveva avuto molta voglia di radersi, così erano cresciuti un paio di baffi poco curati sul suo volto.

Tony la deve smettere di comportarsi da adolescente." Pensò passandosi una mano sulla peluria incolta, mentre un misto di rabbia e vergogna gli pervadeva l'animo.

Una parte di lui sembrava suggerigli che in effetti era lui che se la prendeva sempre troppo. Ma ricacciò indietro quel pensiero: come poteva permettere a quell'uomo egoista e pieno di sé di averla sempre vinta su tutto e tutti? Forse, forse anche il suo era un atteggiamento leggermente "adolescenziale", ma non riusciva proprio a darla vinta a Stark.

Poi però accadde qualcosa che squassò la serenità mentale che Steve stava cercando di trovare.
Successe tutto in fretta, troppo in fretta.
Un gran rumore, poi un a luce accecante seguita da un forte botto. Qualcosa aveva colpito alle spalle Steve che cadde riverso in avanti battendo violentemente sul ciglio della strada. Nemmeno i riflessi regalatogli dal siero del supersoldato furono abbastanza veloci per evitare l'impatto. Prima di capitolare nel buio l'unico volto che, stranamente, riuscì a delinearsi davanti ai suoi occhi, assumeva le sembianze di Tony.
Stava per morire e stava anche impazzendo. Non l'aveva mai visto in vita sua preoccupato, eppure fu così che lo sognò.

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Il sonno che seguì fu tormentato incubi animati da ombre. Figure che lo inseguivano, che lo cercavano. Figure oscure che, prive di volto, lo tormentavano. Lui cercava di spiegare che non avrebbe potuto salvarle, che gli dispiaceva, ma loro continuavano ad inseguirlo, in cerca di spietata vendetta.
Poi Steve ebbe l'impressione di inciampare. Provò a rialzarsi ma fu raggiunto da una di quelle ombre, più veloci delle altre.
La quale lo pugnalò alle spalle.

Fu allora che il supersoldato si svegliò di soprassalto in una pozza di sudore, balzando istintivamente a sedere. Gli occhi, apertì troppo in fretta, mal accettarono la luce che per poco non li accecò, mentre Steve riprendeva lentamente possesso delle sue funzioni motorie cercando di calmare il prioprio respiro.
Prima che potesse riaversi completamente fu però assalito da un terrificante sensazione di dejavù.
Era sdraiato su un letto di una sconosciuta stanza d'albergo. Sul comodino una radio in legno per nulla ultramoderna, al soffitto delle banalissime pale roteavano attorno ad un perno fissato al soffitto, portando sollievo alla sua fonde madida di sudore.

"Sono morto. Sono morto e all'inferno ti fanno rivivere i momenti peggiori della tua vita." Pensò amaramente.

Poi però gli occhi di Steve misero a fuoco la stanza. L'udito ricominciò a funzionare.
La radio era spenta, diversamente da come si era aspettato di trovarla. Però scorse un giornale adagiato con cura al di sotto di essa. Con non poca fatica allungò il braccio per afferrarlo.
Gli tremavano le mani. In cima alla prima pagina, campeggiava una data.
Per un momento, Steve avrebbe preferito esser morto.

Venerdì, 17 Dicembre, 1991.







Note finali:


Ebbene sì, io sono pazza. Lo so.
Ma dato che, finquando non inizieranno nuovamente le lezioni, sono in stato di pseudo-vacanze, ho iniziato a dedicarmi a questa... cosa!
Non vi saprei neppure più dire bene come è nata l'idea, anche perché è stata partorita mente la sottoscritta faceva le pulizie di casa con l'ipod nelle orecchie! Tutto dire, quindi!
Come avrete capito fin dal titolo, questa fiction è stata direttamente ispirata dal capolavoro "Ritorno al futuro" firmato da Steven Spielberg. Ho amato quel film sin dalla prima visione. *__* Insomma, la mia testolina ha fatto dei ragionamenti strani dal quale è nata una trama di alcune pagine, che cercherò di sviluppare all'interno di questa long-fiction!

Alcune precisazioni, così a random:

1) Il telefono che Steve inizialmente non trova è una citazione sia al bellissimo telefono trasparente di Tony (sul quale ho scritto anche una cosa, nella fiction "Even an avenger has fun moments"), sia ad alcuni video sull'Iphone 5 usciti su YouTube qualche giorno prima del suo lancio.
Uno dei video in questione lo potete trovare qui: http://www.youtube.com/watch?v=rczqP0FwWrk

2) Prima che Steve chiuda la chiamata, Tony chiede a Pepper di cercargli una... cosa. Se non volete spoiler su "Iron Man 3" vi consiglio di vivere la vostra vita come se non aveste mai letto quelle due paroline! (In caso contrario, inseritele su Goooogle e avrete tutti gli spoiler che volete XD)

3) Per le cose (sconclusionate) che Tony dice riguardo ai viaggi nel tempo, si ringrazia mamma Wikipedia. Ovviamente.

4) Sul perché al dio del tuono piaccia "La bella addormentata nel bosco"... A noi mortali non è dato saperlo!

Mi scuso se questo capitolo è un po' troppo lunghetto, ma non mi sono sentita di toglierne delle parti. Spero che siate riuscite ad arrivare indenni fino all'ultima riga (che forse, e dico FORSE è la più importante U__U). Spero di avervi incuriosito, almeno un poco, con questo primo capitolo introduttivo!
Nel caso ci fosse qualche sopravvissuto/a (speranza vana) lascereste un commentuccio a questa povera autrice?

A presto! ;)







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Capitolo 2
*** Capitolo Due ~ Lullaby ***


Capitolo Uno

Well I know the feeling
Conosco la sensazione

Of finding yourself stuck out on the ledge
Di trovarsi bloccato sul cornicione
And there ain’t no healing
E non c’è una guarigione
From cutting yourself with the jagged edge
Dal tagliarsi con il bordo frastagliato

I’m telling you that
Ti sto dicendo che
Its never that bad
Non è mai così male
Take it from someone whose been where you’re at
Fattelo dire da qualcuno che è stato dove sei tu
Laid out on the floor
Disteso sul pavimento
And your not sure
E non sei sicuro
You can take this anymore
Di poterlo più sopportare


Lullaby ~ Nickelback



Capitolo Due


La pala continuava a roteare sopra la sua testa. La poteva osservare nel riflesso del vetro della tv davanti a lui, leggermente ricurvo e non piatto come da qualche mese si era abituato. Ma in realtà i suoi occhi erano persi nel vuoto, come la sua mente. Era in stallo, non voleva saperne di accendersi e mettersi in moto a lavorare su cosa stesse succedendo.
Poi si impose si calmarsi. Quando si era svegliato nella camera d'albergo la "volta precedente" una giovane ragazza era entrata nella stanza, chiedendogli se gli servisse qualcosa.
Per un attimo, aspettò che qualcosa del genere accadesse. Ma la porta rimase chiusa.
Sì sentì un po' uno sciocco. Che fosse un sogno, un incubo, o uno scherzo dei suoi colleghi, lui era Capitan America e non sarebbe entrato nel panico per così poco.
Fece un paio di respiri profondi. Avvertì l'adrenalina scemare via dal corpo, rilassò i muscoli della schiena curvandola leggermente e poggiando la testa tra le mani e i gomiti sulle ginocchia. Come un'elastico che, troppo tirato, una volta tornato al suo stato naturale accusa le fatiche del precedente sforzo, così si sentiva Steve. Improvvisamente lo assalì una fitta alla gamba e al fianco destro, seguita da una più forte alla testa. Istintivamente portò una mano alla nuca e scoprì che era parzialmente fasciata. Si alzò e si trascinò lentamente alla specchiera in legno intarsiato, poco distante. Quei due passi gli produssero un'ulteriore fitta all'altezza del bacino, così si appoggiò al comò con entrambe le braccia per esaminare il suo aspetto.

«Sant'Iddio...»

Furono le uniche due parole che uscirono dalla sua bocca.
Numerosi tagli ornavano il suo volto. Uno in particolare, poco più sopra del labbro, sembrava quasi averlo diviso in due. La testa era stata fasciata da una mano esperta e faceva fuoriuscire qua e là ciuffi di capelli biondi.
Con un po' di fatica aprì qualche bottone della camicia beige che indossava (che sicuramente non gli apparteneva), rivelando qualche abrasione anche sul busto. Provò a voltarsi. La schiena pareva messa meglio, salvo un ematoma di dimensioni considerevoli all'altezza del gluteo destro, che poteva giustificare il dolore al bacino e al relativo arto.
Poi tornò ad osservare il suo volto riflesso nello specchio.
Si passò una mano sulla barba, stranamente incolta, che aveva fatto crescere un paio di curiosi baffi biondi.
Fu in quel momento che Steve prese a ricordare.

"Il giovedì, giovedì sera. La neve. Il film. La Stark Tower. Ancora neve. Poi... il sapore del cemento misto a quello di sangue. Il buio. Una luce. Tony...?"

Le immagini erano scivolate una sull'altra a velocità folle, tanto che Steve dovette appoggiarsi nuovamente al letto per non cadere. Proprio in quel momento una mano cadde sul giornale che aveva causato il black-out nella sua memoria.

Quella data. Venerdì 17 Dicembre 1991.

Questa volta però i suoi occhi scivolarono poco più sotto fino ad osservare tutta la prima pagina del "The Washington Times". Una foto troneggiava tra i caratteri scuri della carta stampata. Furono gli occhi, gli occhi a colpirlo.
Fu allora che capì. Lui conosceva bene quell'uomo.
Non servì nemmeno leggere i titoli grondanti d'inchiostro.
Mentre scioglieva le bende che gli avvolgevano la testa si alzò, riabbottonò la camicia, mise il giornale sotto braccio e si lanciò fuori dalla porta.
Poi giù per le scale.

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«Dove corri così di buona lena, giovanotto?»

Come se fosse stato colto con le mani nel sacco dopo aver fatto qualcosa di sbagliato, Steve di bloccò. Ad un passo dal varcare l'uscita dell'hotel qualcuno gli aveva rivolto la parola, probabilmente il portiere. "Che forse sa anche come sono arrivato qui." Pensò poi.
Steve non potè esimersi dal voltandosi verso chi aveva appena parlato e rimase un poco sorpreso. Davanti a lui lo squadrava un uomo anziano, sull'ottantina, sebbene non si sarebbe mai detto dal tono di voce, cordiale e molto giovanile. I capelli ingrigiti dall'età contornavano il viso leggermente squadrato, al quale si aggiungevano occhiali da vista con lenti tendenti al rosso e un paio di baffi, anch'essi grigi, ma molto curati.

«Il gatto ti ha mangiato la lingua, oltre che ridurti in quel modo la faccia?»

Chiese ancora il portiere, non dando a Steve nemmeno il tempo di pensare ad una risposta.

«Io... ehm, veramente...»

«Sì certo, non mi devi raccontare nulla. Il tuo amico che ti ha portato qui mi ha detto della sbronza che hai preso di ieri sera! Ha dovuto portarti pure in spalla, e dalla tua corporatura dedico che tu non sia proprio un peso piuma ragazzo!»

Il tizio sembrava ridere di gusto. Steve cercò di assecondare la situazione, sebbene sapeva d'essere un pessimo attore.

«Uhm sì, bere troppo fa male, giusto?» Se solo non fosse che, grazie al siero del supersoldato, non sarebbe mai stato ubriaco in vita sua.
«Ma una domanda; ho un po' di confusione in testa... questo mio... "amico", che aspetto aveva?»

«Annebbiato dai fumi dell'alcool, eh? Comunque in realtà non saprei aiutarti, a parte che era un uomo alto, credo sulla quarantina. Portava un cappuccio calato sul volto e ha pagato in contanti - pure in anticipo - per te. Cos'altro avrei dovuto chiedergli?»

Poi il portiere fece un paio di passi in avanti verso il nostro, con fare indagatore.

«Ragazzo... Noi due ci conosciamo?»

Il portiere, nonostante l'età, si avvicinò così repentinamente a Steve che questi, indietreggiando con il busto per la sorpresa, non si accorse che gli fosse scivolato il giornale da sotto braccio. Finì a terra, da dove l'anziano signore lo raccolse.

«Uhm, ma vedo che hai un impegno oggi. Ci saranno migliaia di persone da tutto il mondo a quel funerale; se ci devi andare ti conviene farlo subito, puoi passare dopo a lasciarmi il nome per la registrazione.»
 
Quel signore aziano dalla parlantina così gentile e il sorriso bonario l'aveva completamente distratto. Il giornale lo fece tornare all'amara realtà. L'uomo glielo porse e lui lo rimise al sicuro sottobraccio.

«Lo... lo conosceva?» Chiese stupidamente senza pensarci.

«Dici di nome? Oh, non credo che ci fosse una singola persona sulla Terra che non lo conoscesse!
Perché, chi sei tu per aver conosciuto personalmente Howard Stark

«Io no, io... Nessuno

E corse fuori.

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Steve si mise a correre.
Non aveva soldi per prendere un taxi e comunque non se la sentiva di volerlo prendere.
Aveva già vissuto abbastanza esperienze "strane" in vita sua, anche se sperava ancora si trattasse di un incubo o di un brutto scherzo di qualcuno. Ma se ci fosse stata anche la minima possibilità di aver fatto un salto nel passato, allora... Vi avrebbe interferito il meno possibile. Nella mente erano impressi i fotogrammi dei film che gli altri Avengers lo avevano costretto a vedere, e non sarebbe certo incorso nel pericolo di causare qualche disastro temporale. Sperava che non fosse vero, ma nel caso lo fosse tentò di prepararsi.

Certamente, correre in camicia tra le strade affollate di New York in inverno inoltrato non era il massimo della discrezione. Steve cercò comunque di mantenere una velocità contenuta e di evitare le strade affollate. Almeno della neve che ricordava coprire con un manto la città non v'era più traccia.
Infine, al ritmo di "scusate" e "con permesso", riuscì ad arrivare all'ingresso del cimitero di Woodland - così come il giornale riportava - appena qualche miglio fuori dalla caotica città di blulicanti grattacieli.

Poi, dopo aver scavalcato alcune decine di persone si fermò improvvisamente e...
E lo vide.
Lo vide e la preparazione mentale alla quale aveva cercato di sottoporsi rivelò tutta la sua inutilità.
Lo vide e la realtà piombò decisa e pesante sulle spalle di Steve, come un pugno di Hulk.
Lo vide e avrebbe tanto voluto poggiarsi sul suo scudo per non crollare a terra. Ma era chissà dove, forse sepolto ancora tra i ghiacci.
Lo vide e capì che, purtroppo, non si trattava né di un sogno né di uno scherzo.

Era attorniato da moltissima gente, quasi tutta appartenente alla classe dirigente americana. Almeno quella stretta attorno alle semplici bare di legno chiaro, al fianco delle quali lui si ergeva in piedi ritto come un fuso. Aveva la testa inclinata di lato, lo sguardo basso, perso tra i ciottoli di ghiaia che componevano il viale. Le braccia conserte, l'atteggiamento distante. Non applaudì a nessun dicsorso che veniva proferito in ricordo dei genitori defunti, né volle prender parola.
Oltre alla sua impassibilità, Steve notò la sua immobilità. Non mosse un solo muscolo.
Poi, quando il prete intonò il canto e la due bare cominciarono la lenta discesa nella buca scavata nella terra, lui alzò lo sguardo.
Steve vide i suoi giovani occhi castani, freddi ed impassibili, inondarsi di lacrime. Rigavano il suo volto, ma lo facevano in un silenzio quasi surreale.

Il cuore di Steve si fermò quandi ebbe l'impressione che stesse guardando nella sua direzione, quasi stesse cercandolo. Quegli occhi, quello sguardo... Stava già per scavalcare le poche persone che gli mancavano dal raggiungerlo quando si rese conto di una cosa.
Lì, alla fine del ventesimo secolo.
Lì, tra tante persone che non conosceva.
Lì, Steve non era nulla, per lui.

Abbassò il volto e vi passò una mano sopra, come per calmarsi. Poi lo rialzò e... non lo vide più.
Spostò freneticamente lo sguardo a destra, poi a sinistra, poi ancora a destra e a sinistra, ma nulla.

Ossigeno.
Era in carenza di ossigeno.
Involontariamente si spostò di lato, urtando leggermente uno dei tanti distinti signori presenti al funerale.

«Stia più attento, per la miseria

Steve accennò ad un "mi scusi" mentre l'uomo si allontanava da lui con la moglie sottobraccio.

«Dai caro, non essere sempre così scortese!»

Il Capitano credette di riconoscere quella voce. Alzò lo sguardo, ma anche lei era sparita.
Gli venne in mente l'incubo di qualche ora prima, le ombre che lo inseguivano. Mentre i suoi polmoni assaporavano l'ossigeno pulito come se non l'avessero mai fatto maledì mentalmente il destino, così diabolicamente beffardo nei suoi confronti.

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Nel tentativo di non divenire completamente pazzo, prese a camminare.
Vagò senza meta, lo fece per quelle che gli sembrarono alcune ore. Si perse fino ai meandri più solitari e silenziosi del gran cimitero. Gli sembrava impossibile che, a pochi passi da una città con grattacieli altissimi onnipresenti dietro alle chiome degli alberi, potesse esistere ancora un luogo naturale così vasto. Un dolce balsamo che servì a lenire le sue ferite, sia spirituali che fisiche.
Ma poi nel suo vagare, arrivò laddove non voleva arrivare.

Una semplice lastra di pietra grigia era stata posta in tutta fretta dopo il funerale, probabilmente provvisoria prima di una più sfarzosa e monumentale. Recava semplicemente i nomi dei due coniugi. Una bella foto dei defunti, abbracciati e sorridenti, era stata lasciata da qualcuno ai piedi della stessa.

Howard Anthony Walter Stark
Maria Collins Carbonell Stark

Steve si avvicinò. Chinandosi un poco in avanti, prese delicatamente tra le mani la fotografia.
Sebbene avesse già rivisto il suo volto grazie al necrologo del giornale, si stupì di come non fosse più di molto cambiato dal giovane, brillante e maldestro inventore che aveva conosciuto negli anni '40. I lineamenti erano solcati dall'inevitabile scorrere del tempo ma l'espressione, lo sguardo, persino i baffi e il modo di vestire non erano cambiati di molto.
Senza rendersene conto si trovò a sorridere di rimando a quei due visi, quello di Howard e della moglie, così semplicemente spensierati.
Non si accorse nemmeno della pioggia che, gelida e fredda come sapeva essere il 17 Dicembre, prese a cadere copiosa dal cielo una goccia dopo l'altra.
Se ne stava fermo in piedi, a snocciolare mentalmente brandelli di memoria.

Lui che osservava la macchina volante, che però subito dopo piombava con un suono sordo sul palco.
Loro due in piedi stupiti uno affianco all'altro, mentre Peggy sparava alcuni colpi decisi contro il nuovissimo scudo in vibranio.
La sua determinazione mentre lo portava con l'aereo tra le fiamme dell'inferno.

Poi d'un tratto si rese conto che tutt'intorno continuava a piovere, mentre su di lui non più.

«Non so perché, ma la scelta di andarsene in giro a dicembre solo con una camicia non mi sembra una buona scelta.»

Steve sobbalzò, letteralmente. Così tanto che urtò le aste metalliche dell'ombrello sopra di lui, facendolo scivolare dalle mani di chi lo stava tenendo. Si posò, cadendo, a pochi passi da loro.
Senza dare ascolto ai pensieri che presero a rimbalzare nella sua testa, richiamò tutte le sue forze e riuscì a focalizzare l'attenzione sull'ombrello nero. Si chinò, lo raccolse e si avvicinò al ragazzo che l'aveva perso, fino a coprirlo nuovamente.

«Mi dispiace io... non volevo.»

«Nessun problema

Steve non alzò lo sguardo. Il volto volutamente chino, fissava con poca attenzione la diversa dimensione dei ciottoli di ghiaia sparsi sotto i suoi piedi. Nonostante l'agitazione e il cuore che batteva a mille, non potè fare a meno di sorprendersi all'udire quelle poche parole. Non un velo di ironia, né di sfrontatezza. Solo buonsenso e cortesia.

«Prima, sai prima ti ho notato. Una persona vestita normalmente su un totale di un migliaio camuffate con abiti neri lunghi non può non saltare all'occhio.»

Poi, puntanto il dito, sembrò rivolgere la sua attenzione alla foto che Steve continuava ancora a tenere stretta nella mano che non teneva l'ombrello.

«Come li conoscevi?»

«No, non... In realtà conoscevo solo tuo padre. Un amico di vecchia data.»

Steve riuscì a scandire le parole "tuo padre" una di seguito all'altra con molta fatica.

«Di "vecchia data"...?»

Troppo tardi capì l'errore commesso. Non era riuscito nemmeno ad articolare due parole di fila che già i due neuroni rimasti nel suo cervello non riuscivano bene a comunicare.
"Steve maledizione, tu e lui in quest'epoca è come se avete quasi la stessa età, come diamine può Howard essere per te un'amico di vecchia data?"
Fu l'altro a rompere silenzio formatosi tra di loro, che aveva come sottofondo il tamburellare della pioggia sull'ombrello sotto il quale ancora sostavano.

«Qual'è il tuo nome?»

Steve cadde nel panico. Già. Come si chiamava lui?

«Jarvis. Puoi chiamarmi semplicemente... Jarvis.»

«Jarvis. E cosa fai a Manhattan, Jarvis?»

«Faccio il maggiordomo.»

«Un maggiordomo, eh?»

Cominciò a smettere di piovere.

«Ne sto giusto cercando uno.»

Smise completamente di piovere. Lui gli porse la mano.

«Il mio nome è Tony, Tony Stark. Ti aspetto domani mattina per vedere come te la cavi, ore 10.00, la villa tra la sedicesima e la quindicesima.»

Steve non lo vide neppure allontanarsi, tanto era assopito. Semplicemente non percepì più la sua presenza al suo fianco.
E si chiese cosa diamine stesse facendo con l'ombrello aperto, sebbene non piovesse più.







Note finali:


Dunque. Ho adorato questo capitolo ancora prima che prendesse vita. Mi piacerebbe essere riuscita a mettere su carta almeno un centesimo le emozioni che inondavano il mio cervello durante la scrittura di questo capitolo! Ne sarei davvero felice. Per me si è rivelato particolarmente coinvolgente, soprattutto in alcuni passi! Spero piaccia anche a voi!

Precisazioni varie (in realtà solo due):

1) Avete indovinato chi è in realtà l'anziano signore, il portiere dell'hotel dove soggiorna attualmente Steve? E' una misera imitazione di un cameo del grandissimo disegnatore della Marvel Stan Lee. Anche se purtroppo ho letto delle dichiarazioni un po' preccupanti apparse questa settimana sul web! Stan, facciamo tutti il tifo per te! (Link: http://www.bestmovie.it/news/luniverso-marvel-rischia-di-perdere-stan-lee/181243/)

2) La data del funerale di Howard e Maria Stark, genitori di Tony, è presa direttamente dal giornale che si intravede nella presentazione iniziale del film "Iron Man". In realtà si tratta della data di morte dei due, ma ho scelto di adattarla e trasformarla come se fosse quella dei funerali.

Altro? Non so, ditemi voi nel caso avessi omesso di spiegare qualcosa! Fatemelo sapere nei commenti! :)
Colgo l'occasione per ringraziare infinitamente Alley per le recensioni splendide che lascia a questi miseri scritti e tutti quelli che hanno inserito questa fiction nelle storie "seguite"! Aspetto anche un vostro parere, per me è davvero importantissimo!

Alla prossima! :)

_Diane_




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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ~ Thunderstruck ***


Capitolo Uno
I was caught
Sono stato preso

In the middle of a railroad track
Nel mezzo di un attacco di fulmini
I looked round
Mi sono guardato attorno
And I knew there was no turning back
E sapevo che non c'era modo di tornare indietro

My mind raced
La mia mente correva

And I thought what could I do
E ho pensato a cosa potevo fare

And I knew
E sapevo

There was no help, no help from you
Che non avrei avuto aiuto, nessun aiuto da te
 

Thunderstruck ~ AC/DC



Capitolo Tre


Sabato, 18 Dicembre 1991.

Una tazza fumante di caffè caldo non gli sarebbe per nulla dispiaciuta.

La sera precedente era tornato a casa troppo tardi perché, nella sala apposita al primo piano, servissero la cena. L'orario inflessibile, dalle 19,00 alle 21,00 non lasciava scampo. E lui era tornato parecchio dopo il calare del sole. Così si era rassegnato a quella giornata infernale ed era proseguito direttamente verso la sua camera da letto, di soppiatto per evitare scrupolosamente l'anziano custode. L'avrebbe sicuramente fermato con la sua parlantina travolgente. Magari chiedendo quale fosse il suo nome per la registrazione. Steve aveva preferito ritirarsi nel suo personale nido, gentilmente offertogli da chissà chi, e di ripensarci il mattino seguente.

Ora Steve, dopo aver riposato poco o nulla quella notte, sedeva composto in uno dei tanti tavoli all'interno di una caffetteria di grandi dimensioni. Sperava che, dato il daffare delle poche cameriere impegnate a servire ai tanti tavoli, nessuno avrebbe fatto caso a lui, seduto nel più minuscolo e sperduto. Così si dedicò all'attività che più di tutte lo rilassava al mondo. Sfilò dai pantaloni un block notes e una penna a sfera nera, che aveva trovato in un cassetto della camera quel mattino, e prese a disegnare tutto quello che aveva davanti agli occhi. Con un paio di linee timide accennò i contorni della grande stanza in cui si trovava, poi acquistò più sicurezza e finalmente s'immerse nel meticoloso lavoro di ridisegno.
Prima abbozzò qualche tavolo, poi iniziò a delinearne le persone sedute. Un uomo con un cappello di lana nero ed una sciarpa piuttosto ingombrante brandiva impacciato un bicchierone colmo di cioccolta con panna, seduto di fronte ad una prosperosa donna con lunghi capelli biondi. Un ragazzo con uno zaino appeso su una spalla attendeva la sua brioches, battendo freneticamente il piede per terra per l'impazienza.

Mentre disegnava, finalmente riuscì a tranquillizzarsi, dopo l'incontro inatteso di quella mattina.
 
«Ieri sera non ti ho visto rientrare!»

Tuonò l'arzillo vecchietto alla guardia del palazzo, accennando un saluto, mentre Steve stava migrando dalla sua camera al salone per la colazione.

«Non volevo disturbarla, era parecchio tardi e ho visto che stava lavorando dietro il bancone...»

«Massì, non devi giustificarti. Sembra impossibile ma anche io sono stato ragazzo, una volta. Ti piace proprio passare le serate nei pub newyorkesi, eh?»

Il signore strizzò l'occhio a Steve con malizia il quale, un po' imbarazzato, si mise a sorridere.

«Invece, parlando di cose più serie! Come dicevamo ieri, mi servirebbero nome, data di nascita... Ordinaria burocrazia, insomma.»

Il custode porse al ragazzo un pesante librone, sul quale poggiò una penna.
Il biondo fu assalito da una vertigine. Cosa avrebbe dovuto scrivere?
Gli venne in mente il nome che si era inventato, di punto in bianco, davanti alla giovane figura di Tony. Colto alla sprovvista, con il cuore che batteva all'impazzata, aveva detto di chiamarsi come l'intelligenza artificiale che aveva conosciuto nel ventunesimo secolo. Capì solo dopo che quello era stato un'azzardo, come scommettere tutti i propri averi su un cavallo zoppo ad un'importante corsa. In effetti Steve non sapeva se il giovane Stark avesse mai avuto un maggiordomo in carne ed ossa, prima della versione automatizzata. Ma dal tono con il quale aveva ripetuto "Jarvis", deduceva che non aveva mai sentito un nome simile.
Decise che quello non sarebbe stato male come cognome. Dopo aver impugnato saldamente la penna, ne poggiò la punta sulla superficie ruvida del foglio, prendendo una decisione anche per quanto riguardava il suo nome.

«Le do formalmente il benvenuto nel nostro Hotel, signor Edwin Jarvis.» Poi si interruppe un attimo, porgendogli la mano per presentarsi.
«Stanley Martin Lieber, ma puoi chiamarmi semplicemente Stan, al tuo servizio!»

Seguì una cordiale stretta di mano e Steve si diresse fuori dall'albergo... Notando solo in un secondo momento che aveva saltato la colazione.
Un po' rassegnato, chiedendosi se e quando avrebbe potuto mangiare qualcosa - dato che non lo faceva dal pranzo del giorno precedente - continuò a vagare per la città, finché non raggiunse il bar nel quale ancora si trovava.

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Steve continuava assorto a disegnare i lineamenti delle persone attorno a lui.

Intanto il cervello decise di mettersi in modo, rimuginando sugli avvenimenti del giorno precedente.
Insomma, l'aver fatto un nuovo balzo temporale. Essere stato quasi ucciso, poi trasportato come un sacco di patate in quell'albergo, infine medicato. Chi diamine si stava divertendo così tanto alle sue spalle? Avrebbe tanto voluto saperlo. E quando l'avrebbe saputo, un bel pugno assestato nel bel mezzo al viso l'avrebbe sicuramente aiutato a star meglio.
Poi c'era la faccenda... Stark.
Steve aveva l'impressione che l'incontro con... con Tony, un Tony giovane e completamente differente da come lo ricordava, fosse frutto della sua fervida immaginazione. In effetti non aveva nemmeno alzato lo sguardo per vederlo in faccia preso dal timore che, in qualche modo, potesse riconoscerlo.
"Sicuramente Howard avrà parlato chissà quante volte di me al figlio." Pensò, con una punta d'orgoglio.
Stranamente, benché ormai avesse avuto più e più modi per stare faccia a faccia con il Tony del ventunesimo secolo, mai erano capitati a parlare di suo padre. Strano, pensò; in fondo era un filo rosso silenzioso che, indelebile, univa i due vendicatori.

Però al momento v'era un'altra faccenda.
"Cosa diavolo mi è saltato in mente! Io, un maggiordomo?" Continuava a ripetersi, ammonendosi mentalmente.
Quindi il pensiero scivolava sulle ultime parole del giovane Tony.
Avrebbe dovuto presentarsi alle 10,00? Non sarebbe stato uno sbaglio, un rischio inutile da correre? Perché sfidare così tanto il destino?

Poi, ad un tratto, si sentì stranamente osservato.
Si voltò velocemente. Alle sue spalle trovò il volto incuriosito di una giovane donna, chinata un po' troppo in avanti verso di lui. I due volti, per  un attimo, si trovarono ad un soffio. Steve arrossì e prontamente ritrasse leggermente indietro il busto, mettendo qualche centimetro in più tra di loro. Non potè però esimersi dall'osservarla, a quella distanza comunque ravvicinata.
Indossava un completo nero, parecchio attillato. Una gonna traordinariamente corta per quegli anni, una camicetta nera aperta un po' troppo sul davanti che lasciava intravedere le forme di un giovane seno. Il viso ben proporzionato adornato da qualche lentiggine, coperta una frettolosa passata di trucco. Gli occhi color blu scuro, i capelli rosso fuoco raccolti da una spettinata coda molto lunga.
Il Capitano si chiese a) se si fosse tramutato in una calamita attira guai negli ultimi due giorni, b) se non avesse pensato troppo a Tony Stark nelle ultime ore.
Era quasi sicuro di conoscere il nome della giovane ragazza, che aveva al massimo sedici anni, anche se sembrava la sua copia più grande fasciata in quell'uniforme scura. Quando gli rivolse la parola, raddrizzandosi e portando le mani sui fianchi, notò che neppure il tono di voce era dissimile da quello che aveva nel futuro, le rare volte nelle quali l'aveva incontrata.

«Wow. Tu hai del talento.» poi, come a non voler dar luogo ad equivoci, aggiunse «Nel disegno, intendo.»

«Oh, questo?» Steve istintivamente chiuse il block-notes «Non è nulla, un semplice passatempo.»

«Nel quale sembri incredibilmente bravo, però!
»

«Io ti... ti ringrazio, sei gentile.
»

Poi fu come se lei si rese conto che, sebbene stesse parlando con un ragazzo che reputava interessante, aveva da svolgere un lavoro all'interno di quel locale.

«Ma... Non hai ancora ordinato nulla! Cosa vuoi che ti porti? Abbiamo delle deliziose brioches, oppure dei prelibati cappuccuni e anche...»

«Ti ringrazio, ma in realtà stavo per andarmene.
» Steve fece per alzarsi, spostando la sedia. «Credo di... aver dimenticato il portafoglio a casa. Me ne sono accorto quando mi sono seduto, non volevo occupare il posto d'altri, ora vado.»

«No, aspetta!» Lo fermò la ragazza, facendolo risedere poggiando le mani sui pettorali di Steve. Che poi lei ritrasse in fretta, facendo sì che il rossore dei capelli contagiasse anche le sue gote. «Scusami, intendevo dire... Ho quasi finito il turno. Vado a cambiarmi e se vuoi posso offrirti qualcosa, sempre che ti vada!»

Steve arrossì a sua volta, mimando un "sì" con la testa, cercando di essere il più convincente possibile. La giovane Virginia "Pepper" Potts si allontanò tutta entusiasta dal tavolo, slacciandosi i lacci del grambiule che indossava.
No.
Non poteva restare in quel locale.
Non poteva restare in quell'epoca.
Non poteva rischiare di scombussolare la vita d'altri.
Non ne aveva alcun diritto.


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La grandiosa villa, fino al giorno prima gremita di persone di diversa estradizione sociale - industriali, politici, colleghi, compagni d'università - ora era immersa in un assordante silenzio. Tony non ricordava che prima lo fosse mai stata. Un andirivieni di persone per discutere di lavoro, contrattare su armi, cene d'affari. Tutto quell'improvviso silenzio gli piombò addosso come un macigno.
Rigirava il bicchiere tra le mani, sorseggiandone poco alla volta.
Spesso aveva bevuto così tanto da non ricordarsi nemmeno più il nome. Gli piaceva, adorava la sensazione di onnipotenza che derivava dal perdere completamente la consistenza della realtà.
Ma ora, proprio quando quella sensazione si sarebbe rivelata consolatoria, il liquido alcolico aveva la consistenza di una carta ruvida trofinata sulle pareti della sua gola e giù, giù fino al fegato.
Guardò il Rolex d'oro bianco che portava al polso.
Segnava le 10,29.
Si alzò dalla poltrona nella quale era sprofondato emettendo un sospiro. Cosa diavolo si aspettava?
Si avvicinò al secondo ripiano del mobile più vicino, afferrando una delle numerose custodie trasparenti che vi erano riposte con cura. Sfilò il disco dai riflessi argentati, lo ripose nel lettore che si aprì con un sonoro "click". Poi richiuse lo sportello con cura. Ancora "click".
"Play".

La stanza da ricevimento al piano terra, ornata da prezioso marmo bianco e da varie cristallerie, fu scossa da un tremito. La musica assordante la riempì istantaneamente; il fragore che l'apparecchiatura acustica produceva fece istantaneamente star meglio la mente di Tony. Che si distese un poco, mentre tornava ad occupare la stessa poltrona di poco prima.
Proprio in quel momento la porta in mogano massiccio si spalancò.

«Una musica infernale. Lo trovo un bel modo di iniziare la giornata, che dici?»

La figura possente di Obadiah Stane fece il suo ingresso. Tony nutriva una particolare forma d'affetto per quell'uomo, sempre dedito a parlare di affari - e di armi, e ancora d'affari; sicuramente lo rispettava, così come faceva suo padre. D'altronde prima che avrebbe compiuto ventun'anni, era lui l'erede materiale della Stark Industries, Tony lo sapeva bene.

«Se solo non fosse che tu detesti questa musica.» Sottolineò sarcastico Tony, versando un poco della Tequila che stava tentando invano ii sorseggiare al nuovo arrivato.

«Tu la chiami modernità. Io la chiamo "diventare sordi prima dei trent'anni". Prima o poi, ammetterai che ho ragione.
»

«Nah-nah, non credo proprio!
» Aggiunse Tony, porgendo il drink al nuovo arrivato.

«Ti ringrazio ma declino l'offerta. Tra poco arriveranno degli importanti avvocati per discutere di un paio di cosette per quanto riguarda i passaggi di proprietà, non vorrei dar loro una cattiva impressione.
»

«Ricevuto. Libero il campo, allora.
»

Tony si alzò, prese sia la bottiglia che il bicchiere di cristallo, sistemò alla benché meglio la lussuosa poltrona e si diresse verso l'uscita del salone.

«Tony, la musica. Sai che di quegli aggeggi moderni non me ne intendo.
»

Gli ricordò Obadiah. Girò i tacchi, tornò verso il lettore CD, e con un gesto spense l'impianto. Tutt'intorno il silenzio rimpiombò istantaneo.
Poi si diresse nuovamente verso la porta.

«Aspettavi qualcuno per caso?
»

«No, nessuno.
»

«Comunque, parlando d'altro. Sarebbe il caso ti trovassi un maggiordomo. Anche se non sarà facile, dato che l'altro ieri hai cacciato tutti in malo modo!
»

Tony dapprima non parlò; alzò le spalle, poi aggiunse.

«Preoccupati solo di amministrare bene la mia azienda, durante quest'anno.
»

Ed uscì.

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Era ormai sera quando la chiave scivolò sicura nella toppa della serratura. Un giro a sinistra. Poi un altro. E ancora un altro.
La porta si aprì, cigolando un poco. Il buio inondava la camera, tanto che Steve riuciva solo vagamente a distinguere le sagome dei mobili grazie alla flebile luce dei lampioni fuori che giungeva attraverso le finestre.
Istintivamente tastò la parete alla destra dell'ingresso per cercare l'interruttore. Lo trovò, e spostò la leva dal basso verso l'alto.
Ma non accadde niente.
Riprovò un paio di volte ma la luce non ne volle sapere d'accendersi.
Spostò il peso del corpo fuori dall'uscio ancora aperto, facendo leva sullo stipite. Fuori però il corridoio continuava ad essere illuminato a giorno.
Riportò il corpo all'interno della stanza, però con circospezione. Non era sicuro fosse un caso che solamente la sua camera fosse al buio.

Pronto ad affrontare chiunque si sarebbe parato di fronte entrò, richiudendo lentamente dietro di sé la porta. Per un attimo attese che gli occhi si fossero abituati alla semi-oscurità. Poi, stando ben fermo poggiato contro al muro, iniziò ad ispezionare la stanza con lo sguardo.
Apparentemente non era stato spostato niente, né qualcosa sembrava mancare. Tutto era esattamente come Steve l'aveva lasciato. Avanzò di qualche passo, ponendo attenzione a non far rumore con le assi del parquet. Non un rumore o un respiro si disturbavano il silenzio che permeava l'aria.
Dopo alcuni minuti passati ad aspettare, come un segugio, che qualcosa accadesse, Steve iniziò a sentirsi stupido per quella situazione. Magari era davvero saltato, per qualche motivo a lui sconosciuto, solo il contatore della sua camera.
Inspirò e sospirò profondamente; tutta la tensione accumulata negli ultimi due giorni proprio non lo voleva abbandonare, anzi. L'incontro pomeridiano con la giovane Pepper l'aveva indotto ad essere ancora più prudente. Per quello aveva deciso di non recarsi da Tony, sebbene la scelta si fosse rivelata più difficile del previsto.

Si voltò per riaprire la porta e scendere da Stan per avvertirlo del problema quando... qualcuno da dietro lo assalì. Steve non riuscì nemmeno a capacitarsi di ciò che stesse accadendo. Cadde in avanti per il peso del suo aggressore e si ritrovò faccia a terra, le mani bloccate dietro la schiena, la canna fredda di una pistola premuta con forza sulla sua tempia. Stava per divincolarsi e rispondere a tono all'agguato, ma l'uomo parlò.

«Buongiorno. Anzi, buonasera. Avrei alcune domande da farle. Direi però di non cominciare con il piede sbagliato, che dice?»

Steve si bloccò. Per quanto gli era concesso, sdraiato per terra e con una pistola puntata alla testa, la girò abbastanza per non avere più dubbi. Più cercava di stare fuori da quel "casino", più ne veniva trascinato dentro. Il tono di voce tentava di mascherare la commozione che provava in quel momento, quando scandì tre parole.

«Agente Phil... Coulson?»










Note finali:


Spero, spero che la lunghezza dei capitoli sia adeguata e abbastanza movimentata affinché voi non giungiate fin qui stremati e sconvolti! Mi sto impegnando per mantenere circa questa quantità di parole nei vari capitoli, anche per dar modo alla storia di proseguire di un passo ad ogni aggiornamento. Ovviamente però, come sempre, amo lasciarvi sulle spine alla fine del capitolo! *Muahahah* risata malvagia.
Ehm sì, oltre ai motivi malvagi c'èra anche quello di rischiare di introdurre troppi personaggi in una volta! Quindi ho preferito rimandare al prossimo capitolo... :)

Precisazioni varie:

1) Edwin Jarvis è il nome del vero e originario maggiordomo di Tony. Sì, perché almeno fumettisticamente parlando, non esiste alcuna intelligenza artificiale, ma il nome "Jarvis" è semplicemente associato al personaggio in carne e ossa. Questa fiction, appartenendo al fandom "The Avengers", parte dalle basi nell'universo cinematografico Marvelliano, nel quale J.A.R.V.I.S. è appunto l'intelligenza artificiale creata da Tony. Ma che nel 1991, dove è capitato Steve, fortunatamente non esiste ancora... :)

2) Sempre parlando di nomi vari, Stanley Martin Lieber è il vero nome del nostro Stan Lee, figlio di immigrati di origine rumena. (cit. Wikipedia)

3) La scena di Steve seduto al tavolo del bar che disegna e la cameriera (e che cameriera!) che interrompe i suoi pensieri è direttamente ripresa dalla scena tagliata del film "The Avengers" nel quale succede qualcosa di simile. Cercatela, a seguire c'è un altro cameo sempre del buon vecchio Stan!

4) La canzone che Tony ascolta è la stessa che appare nell'intro del capitolo, ossia "Thunderstruck" degli AC/DC, facente parte di un CD del 1990 dal titolo "The Razors Edge". Diciamo che è cresciuto ascoltando buona musica, il nostro Stark jr! :)

5) Obadiah Stane, per chi non lo sapesse, è un personaggio che appare nel primo film di "Iron Man". Amico fin dalla giovinezza di Howard, si è sempre occupato di aiutarlo negli affari e prende le redini delle aziende Stark, almeno fino a quando Tony non abbia compiuto i 21 anni. Che cosa abbia combinato in quel film poi... si sa. Vero che lo sapete? XD

Ok, credo che sia tutto! Come sempre, nel caso voleste farmi notare qualcosa, scrivete pure come commento a questo capitolo!
Grazie, grazie ed ancora grazie per i commenti (ai quali cerco di rispondere il prima possibile), per i preferiti, le ricordate, le seguite! Rinnovo l'invito, anche per voi lettori silenziosi, a lasciare un commentuccio. E' davvero importante per me sapere cosa ne pensate delle mie "strambe" idee e su come migliorarmi! :)

A presto con il quarto capitolo!

_Diane_


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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ~ Find yourself ***


Capitolo Quattro
When you find yourself
Quando ti trovi

In some far off place
In un posto lontano
And it cause you
E questo ti porta
To rethink some things
A ripensare a delle cose

You start to sense
Inizi a sentire

That slowly you're becoming someone else
Che lentamente stai diventando qualcun altro

And then you find yourself
Ed è lì che ritrovi te stesso



Find yourself ~ Brad Paisley



Capitolo Quattro


Sabato, 18 Dicembre 1991.
Sera.

Stava rientrando nella sua camera, quando aveva notato che qualcosa non andava. La luce rischiarava il buio in tutto l'albergo, eccetto camera sua. Decise che non potesse essere una coincidenza ed ispezionò la stanza. Nulla sembrava mancare, nessun segno di vita.
Certo non si sarebbe mai immaginato di essere aggredito, preso di sprovvista, proprio da... lui.

«Agente Phil... Coulson

Furono le tre sole parole che la sua bocca riuscì a scandire. Se ne sarebbe dovuta rimanere zitta, chiusa ermeticamente. Eppure si era aperta, ed aveva parlato. Di tutta risposta Steve dovette nuovamente portare lo sguardo in avanti; la pressione sulla sua tempia era cresciuta.

«Ok. A quanto pare inizieremo con il piede sbagliato.»

Scandì lentamente le parole, abbassando la voce. Il tono faceva trasparire una punta d'ironia.
Stupido, stupido, stupido. Cosa gli era saltato in mente di urlare il suo nome così? Certo, l'emozione che aveva provato a rivederlo aveva interdetto anche il briciolo della discrezione rimastogli.
Le ultime cose che ricordava di lui erano i fiori bianchi della cerimonia privata alla quale avevano preso parte, visibilmente commossi, tutti i Vendicatori. Era sicuro che quel giorno Tony indossasse occhiali da sole scuri non solo per moda. Non era riuscito neppure a dargli l'estremo saluto, perché quando giunsero al piccolo cimitero la bara era già stata sigillata. Nella sua mente era impresso l'odore del sangue che impregnava quelle maledette figurine.

«Non ho tempo da perdere. I miei superiori non sono tipi molto pazienti.»

La pressione sulla tempia aumentò ancora, così come la ferrea morsa che bloccava entrambi i polsi di Steve dietro la schiena. Lui parlava con tono calmo ed autoritario, proprio come lo ricordava. O almeno, come rammentava si rivolgesse agli altri, dato che con lui spesso era talmente emozionato da non riuscire a sbiascicare due parole di seguito.

«Ho bisogno di sapere quello che tu sai.»

Per un attimo Steve rimase confuso, ma anche un po' sollevato. Che lo S.H.I.E.L.D. fosse venuto a conoscenza del suo vagabondare nel tempo? Certo non si spiegava come Coulson non lo riconoscesse. Per questo inizialmente preferì restare sulla difensiva.

«Io... non capisco.»

«Oh, qualcosa mi dice che capirai. E parlerai. Oppure lo farà questa pistola al posto tuo.»

Fu solo in quel momento che l'istinto del soldato prese il sopravvento sulle sue emozioni. Che si trattasse del vero Coulson, di un gemello, oppure che qualcuno gli avesse fatto il lavaggio del cervello al suo corpo non importava. Con uno strattone deciso liberò i polsi, poi assestò un preciso calcio al ginocchio destro. Steve rapidamente si voltò; di fronte a lui un Phil ringiovanito e con una folta chioma castana gli puntava contro la pistola. L'agente fu visibilmente sorpreso da quelle rapide mosse. Rogers avanzò lentamente, i palmi delle mani leggermente alzati in segno di resa.

«A-aspetta. Non sparare.»

«Tu. Chi diavolo sei tu?»

«Un amico.»

«Un... amico?» L'agente sembrò rilassarsi e sorridere, come se si trattasse del finale di una barzelletta piuttosto divertente. Steve però rimase in allerta, la canna della pistola non accennava ad abbassarsi.

«Un "amico" che probabilmente ha ammazzato Howard Stark.» Aggiunse Phil, tornando serissimo. Le palpebre immobili, gli occhi cerulei fissi in quelli di Rogers.

«Non l'avrei mai potuto fare.» Ribatte Steve sicuro, restando sulla difensiva.

«Chi me lo assicura? Ti ho pedinato. Da ieri, al cimitero. Miri forse ad eliminare anche l'erede di casa Stark?»

Steve ebbe l'impressione che gli si formasse un nodo in gola. Coulson che pensava aveva ucciso Howard e che avrebbe fatto lo stesso con... Tony?

«Ok-ok. Ti dirò tutto. Solo... Abbassala

Per tutta risposta si udì scattare un meccanismo. L'arma era pronta a far fuoco.
Steve decise di giocare il tutto per tutto.

«Io non lo avrei mai potuto fare perché» e si concesse un respiro profondo «Howard Stark è stato uno degli uomini che mi ha permesso di diventare quello che sono diventato.»
Un'altra pausa, nella quale Phil Coulson continuava a scrutarlo con un misto di curiosità e agitazione.
«Di diventare... Capitan America. Di salvare vite umane, di servire la mia nazione e il mondo intero.»

«Ammettiamo che io ti creda» Riprese Phil Coulson, apparentemente per nulla scosso dalla rivelazione di Steve «sarebbe strano che tu ti trovassi qui. Dovresti essere morto parecchi anni fa, sepolto tra i ghiacci.»

«Questo è più complicato.» Rispose calmo, comprendendo quando delicata fosse la situazione.

Poi per un attimo calò il silenzio. Nessuno dei due si mosse; sembrava una gara a chi stesse più immobile.
Poi Coulson sempre serissimo, proferì parola.

«Capitan America aveva sempre con se uno scudo. Tutti sanno com'era fatto. Tondo, circolare. Pochissimi di cosa era fatto.»

Steve si sentì come uno studente al primo giorno di scuola. Non alzò la mano per rispondere ma semplicemente, con calma, lo fece.

«Vibranio. Uno dei materiali più rari del nostro pianeta. Costruito dallo stesso Howard e sempre da lui ornato secondo il disegno che ancora oggi sfoggia.»

Phil rimase un attimo ancora immobile. Steve pregò che abbassasse l'arma, che potesse spiegargli ogni cosa, che capisse nonostante l'assurdità della situazione. Sapeva che, da qualche parte, c'era l'agente gentile e di cuore che aveva avuto la fortuna di conoscere. Ma per il momento poteva solo sperare.
Socchiuse gli occhi, preparandosi al colpo. Morire per mano del tuo più fidato amico; poteva esserci ironia più crudele?

La pacca sulla spalla che percepì fu la migliore cosa che non gli accadesse da giorni.

«Saprai bene quanto costa quell'arnese. Si può sapere dove diamine lo hai lasciato?»

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«Non so come tu abbia fatto a sopravvivere. Chiunque altro sarebbe morto sul colpo.»

La lama metallica scorreva sicura sulla sua pelle. Steve doveva ammetterlo; la mano che la guidava doveva essere davvero molto esperta.

«Grazie al siero del supersoldato. A cui va sommata una buona dose di fortuna.»

Il capitano si sentiva tremendamente in imbarazzo. Dopo aver posato la pistola e fatto poche domande, Phil si era gentilmente offerto di continuare la chiaccherata davanti allo specchio del bagno, offrendosi di radergli il volto. L'aveva trovata una proposta strana e curiosa. Ma non poteva sorvolare il fatto che da troppo tempo Steve non si aveva cura di sé. Lo stesso Tony glielo aveva fatto ironicamente notare durante l'ultima serata cinematografica. Quindi realizzò che potesse essere un modo utile di passare il tempo mentre discutevano.

«Non colleziona per caso... Figurine vintage, o simili?»

Phil lo guardò di traverso. Sul suo volto si era dipinto un punto interrogativo grande come l'intero eliveivolo dello S.H.I.E.L.D.

«Niente. Fa come se non avessi detto niente.» Si affrettò ad aggiungere imbarazzato Steve.

Da dove era venuta quella domanda così stupida? Cosa ne sapeva lui di quando e come avesse raccolto figurine sul suo conto?
Non riuscì ad arrossire solamente prendendo controllo dei suoi muscoli facciali. La doveva smettere di aprire la bocca a vanvera.
"Probabilmente è il prezzo da pagare per stare troppo attaccato a Stark." Si trovò a riflettere, mentre riepilogava mentalmente alcune delle innumerevoli volte nelle quali il suo compagno vendicatore aveva dato libero sfogo ai suoi pensieri.

«Come però tu sia arrivato fin qui dall'artico» Cominciò Coulson senza guardarlo negli occhi, tutto concentrato nel lavoro che stava meticolosamente svolgendo «proprio non lo capisco.»

«In realtà io non.... Non provengo esattamente dagli anni '40.»

Steve prese un respiro profondo. Poi cominciò a raccontare.

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Passarono alcune ore, prima che smise di parlare. La sensazione che la bocca fosse tremendamente secca gli confermò che non l'avesse mai fatto in vita sua. Raccontò del momento dell'inabissamento dell'aereo che aveva preso a pilotare, del Tesseract che Howard aveva ripescato dall'oceano e che per poco non distruggeva Manhattan e il mondo, della squadra dei vendicatori, dei Chitauri, della battaglia, della vittoria. Era come un fiume in piena, non riuscì a fermarsi.

Solo una cosa, un particolare solo omesse accuratamente.
Non proferì una sola parola a Phil Coulson su di lui e sulla sua, sulla sua... non riusciva nemmeno a scandirlo mentalmente.
Vederlo lì alle sue spalle, riflesso nel vetro di fronte a lui, gli rendeva impossibile pensare che nel suo presente Coulson non c'era più.
Osservando i suoi lineamenti, così giovanili e cordiali, la sua figura slanciata e l'impeccabile dose di eleganza con la quale indossava il completo nero... Non voleva e non poteva credere. Nemmeno quello che ricordava aver visto.

Quindi il racconto, com'era inevitabile, terminò.
Fuori il buio della notte si era fatto particolarmente intenso. Poche le macchine che sfrecciavano a tutta velocità ai piedi dei giganti in ferro e vetro della città. Nella piccola stanza d'albergo l'oscurità era rischiarata dalla flebile luce della vecchia lampada del comodino. I due sedevano a distanza, il biondo sul letto e il moro sulla sedia della specchiera.
Phil aveva già da un pezzo finito di radere il volto di Steve, il quale ora non presentava più una peluria selvaggia ma... un bel paio di baffi curati. Il capitano nemmeno si era preso la briga di guardare il suo viso, così impegnato con il discorso. Così ora si trovava stranito a contemplarsi allo specchio; baffi corti, una specie di pizzetto sul mento, due "ali" ai lati che salivano ricalcando la linea delle pronunciate mascelle.
Un taglio di barba e baffi che gli ricordava troppo... Tony Stark. Steve si continuò a chiedere cosa aveva fatto di male nella sua vita per meritarsi anche quella tortura. Come vantaggio così anche quei pochi che ricordavano le sue gesta avrebbero faticato non poco a riconoscerlo, e in quell'epoca il giovane Stark era stranamente sbarbato. Stava per chiedere a Phil cosa lo avesse guidato a scegliere quel particolare "taglio", quando si rese conto dell'urgenza di altre faccende più importanti.

«Nonostante lavori per lo S.H.I.E.L.D. da pochi anni, ne ho viste e sentite di cose strane. Ma questa storia le batte tutte.»

Steve rimase per un attimo scioccato dall'atteggiamento convinto di Phil. Non si aspettava minimamente una risposta così sincera, priva di qualsi dubbio. Eppure stava dimostrando una dose si fiducia davvero elevata nei suoi confronti; non l'aveva mai interrotto, l'aveva continuato ad ascoltare imperterrito, ed ora non metteva in dubbio neppure una parola.

«Purtroppo non riesco ancora capire,» riprese, cercando di celare lo stupore «ma scoprirò chi o cosa mi ha condotto qui. E come fare a tornare indietr... avanti

«Posso indagare per te, ho parecchi informatori. Al momento la mia conoscenza riguardo viaggi nel tempo si limita a film e ai fumetti.»

«Purtroppo anche per quanto mi riguarda.» Ammise sconsolato Steve, ripensando immediatamente al film di Spielberg.

«Però ti chiederei un favore, in cambio.»

Steve annuì. Sentiva di potersi fidare di quel Phil così giovane, come se si conoscessero da più di una sola serata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa in cambio di quella fiducia immeritata.

«Devi accettare l'invito di Tony Stark, diventando il suo maggiordomo. Ho sentito il vostro discorso al cimitero, e so anche se non sei andato all'appuntamento stamattina. Così potrai finalmente far luce sulla morte di Howard e Maria Stark.»

Non era molto sicuro di quello che gli stava chiedendo. Chi avrebbe dovuto fare da balia a... chi?

«Accetto.» Sentenziò, senza pensarci oltre. Convenendo con sé stesso che stava prendendo una quantità spopositata di decisioni affrettate, ultimamente.

«Perfetto.»

Phil Coulson si alzò, sistemando i propri vestiti. Ripose la pistola che era stata posata sul comodino lì vicino nel fodero e si diresse verso la porta, dando le spalle a Steve.

«Domani mattina troverai un completo fuori dalla camera. Indossalo e presentati a Villa Stark per le 10,00.» Poi sentì qualcosa che suonò tipo "anche perché ci sarà parecchia gente"; ma non era sicuro l'avesse realmente detto.

Poi la mano scivolò sulla maniglia e Steve istintivamente si alzò. Non avrebbe dovuto fermarlo e dirgli qualcosa, riguardo al futuro?

«Sono lusingato di sapere d'essere un tuo amico, nel tempo dal quale vieni.» Aggiunse con sincerità l'agente, una volta aperta la porta. Evidentemente non gli era sfuggito il fatto che il suo nome non fosse stato menzionato nemmeno una volta durante il suo racconto.

«Sì. Uno dei più leali e fidati.»

Riuscì semplicemente a rispondere Steve, prima che Phil lo salutasse con - quello che gli sembrò - un sottile sorriso ed uscisse dalla stanza.
Che si fece istantaneamente più fredda e buia.










Note finali:


Okkei. Quarto capitolo "Coulson-centric". Ma non ci ho potuto far nulla, davvero! Poco fa ho rivisto i due Iron Man uno di fila all'altro e, bwaaa, che piangere! Soprattutto la prima apparizione, nella quale incontra Pepper alla conferenza di Tony! T^T
Poi era preventivato fin dai secoli oscuri in cui la mia mente malsana ha partorito questa fiction, quindi c'è poco da fare!
Invece mi scuso per essere stata poco presente nel fandom e su EFP in questi tempi. Settimana scorsa avevo un po' di cose da sbrigare e oggi è ripresa pure l'università che nonostante ami, mi risucchia il tempo come un buco nero! é__é Quindi scusate davvero, appena avrò un minuto di tempo risponderò come si deve e commenterò tutte le storie che devo commentare! Speriamo presto!
Come aggiornamenti terrei circa una volta a settimana, attorno al week-end. Più di frequente non credo di riuscire a garantire!

Colgo l'occasione per ringraziare infinitamente Alley e SvaneH per i bellissimi commenti!! Io vi faccio un monumento a testa! E per tutti quelli che, seppur silenziosamente, seguono questa fiction. Aspetto buona buona il vostro parere anche su questo, ma ormai lo sapete!


Vi lascio con (poche) precisazioni varie:

1) Adoro la canzone introduttiva del capitolo. E' tratta dalla colonna sonora del film Pixar "Cars - Motori ruggenti". Sebbene il film sia rivolto ad un pubblico giovanissimo, le canzoni sono di una bellezza commovente. Tutte le volte che riascolto "Find Youself" ho le lacrime agli occhi, giuro! Vi segnalo il link che porta alla canzone su YouTube, se foste curiosi di ascoltarla:

2) Lo scudo di Capitan America (almeno per quanto riguarda la versione "tonda") viene avvistato per la prima volta nel film dedicato al primo vendicatore. Howard mostra a Steve una serie di scudi ma lui, da buon intenditore, sceglie il più costoso. Viene rivelato proprio da Stark senior che si tratta di uno dei metalli più rari della Terra, il vibranio, in grado di resistere praticamente a tutto (sopravviverà in "The Avengers" anche al martello di Thor!). A seguire la scena - che adoro - in cui Peggy spara contro il capitano qualche colpo di pistola. Poi lui e Howard si guardano in una maniera troppo... LOL! Che miti. *O*


Alla prossima! :)

_Diane_









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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ~ Hero ***


Capitolo Cinque
And then a hero comes along
E poi arriverà un eroe

With the strength to carry on
Ti darà la forza di andare avanti
And you cast your fears aside
E metterai da parte le tue paure
And you know you can survive
E saprai che puoi sopravvivere


Hero ~ Mariah Carey



Capitolo Cinque


«Oh, ti è venuto per caso qualche livido?»

Il grado di sfacciataggine che avrebbe potuto tollerare era stato superato da un pezzo. Come si permetteva quell'uomo di trattare tutti gli altri in quel modo, come se l'intero cosmo gli girasse intorno? Cosa credeva d'avere più di tutti gli altri eroi, presenti nella stanza?

«Già. Sei grosso con l'armatura; tolta quella, cosa sei?»

«Un genio; miliardario, playboy, filantropo.»

Steve represse la voglia di assestargli un pugno sul naso. Concluse che non avrebbe risolto molto.

«Conosco uomini modesti che valgono dieci volte te.» Steve parlava con tono severo, a testa alta, lo sguardo fisso in quello di Tony. «Ho visto i filmati. L'unica cosa per cui combatti è te stesso. Non sei il tipo votato al sacrificio, che si stende sopra un filo spinato perché gli altri lo scavalchino.»

Pronunciando le ultime parole ricordò un frammento di memoria. Una granata lanciata, il balzo per proteggere gli altri da un'esplosione che mai ci fu. Prima, molto tempo prima.
Lui invece abbassa un attimo lo sguardo, come a voler ricomporre i pensieri.

«Io il filo spinato lo taglierei.»

Adesso invece Steve cercava invano di far ragionare un ragazzino che non voleva riconoscere i propri limiti. Inconsciamente sul volto del Capitano si dipinse un sorriso, a metà tra l'esasperato e il divertito.

«Sempre una via d'uscita!» Per poi riprendere, con fare solenne. «Forse tu non sei una minaccia ma ti conviene di smetterla di giocare a fare l'eroe.»

«Un eroe? Come te? Sei un esperimento di laboratorio, Rogers, tutto quello che hai di speciale è uscito da un'ampolla.»

Il tono non era canzonatorio, né ironico. Tony lo guardava fisso negli occhi, pienamente consapevole che quelle parole faranno male, molto male a Rogers.
Poi improvvisamente, proprio mentre Steve sta ricapitolando mentalmente ciò che gli era stato appena pronunciato da quel pallone gonfiato in armatura, un rumore assordante invase la stanza. Poi un violento spostamento d'aria, che fece cadere tutti a terra.

Steve preoccupato di quello che sta succedendo si alzò di scatto, riaprendo piano gli occhi. I contorni degli oggetti attorno a lui erano sfocati, ma il primo pensiero andò a chi non avrebbe mai immaginato di dover pensare.

«Tony...?»

Mormorò confuso, mentre l'intorno iniziò a delinearsi dinanzi ai suoi occhi.
Mobili in legno, una porta del medesimo, il soffitto con il ventilatore, una finestra. Non proprio il futuristico eliveivolo dello S.H.I.E.L.D.
Steve si mise a sedere facendo scivolare pesantemente entrambe le gambe a lato del letto, passando una mano sul viso e piegando leggermente la schiena in avanti.
Si rese conto di aver dormito poco e male quando sullo schienale della sedia scorse ben piegato un completo grigio da uomo.
Doveva calmarsi, doveva alzarsi, vestirsi, andare.
E mancavano solo pochi minuti alle dieci.

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Domenica, 19 Dicembre 1991.
Mattino.

«Appuntamento di lavoro, eh?»

Lo spirito d'osservazione del vecchio Stan aveva raggiunto livelli estremi. Se solo non fosse che tutta la pregiata stoffa entro la quale si sentiva mummificato stesse gridando al mondo "ehi, questo tipo non ha mai indossato un completo e sta per presentarsi al suo primo giorno di lavoro!"

«Già! Scusa Stan, ma è proprio il caso che mi sbrighi...»

«Oh, non ti preoccupare! Buona giornata ragazzo - e in bocca al lupo!»

Steve salutò la strizzata d'occhio del custode con un cenno della mano, poi si voltò precipitandosi fuori dall'albergo.
L'aria frizzante dicembrina sembrava sfidare gli impenetrabili strati di pelle del supersoldato. Però la sua attenzione fu attratta da un taxi parcheggiato dinanzi all'ingresso in doppia fila.
Si sentì sciocco quando notò che il tassista lo stava osservando con sguardo scocciato. La memoria andò alla serata prima.
"Phil" pensò semplicemente, mentre con il buonumore ritrovato dopo l'incubo notturno apriva la porta del veicolo giallo e si precipitava a bordo.

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Il taxi si fermò non molto distante tra la sedicesima e la quindicesima, così come ricordò gli aveva riferito Tony il giorno prima del precedente. Erano già le dieci passate da un pezzo, ma l'autista aveva fatto l'impossibile per evitare il traffico. Lui non richiese alcun compenso, anche perché Steve non avrebbe potuto darne, dal momento che non possedeva il becco di un quattrino. Salutò brevemente il silenzioso autista e spalancò la portiera, scendendo dall'auto.
Domandandosi istantaneamente cosa diamine stesse succedendo lì attorno.

Senza che se ne fosse reso conto all'incrocio delle due strade appena citate si era raccolto un numeroso campanello di persone che, nonostante la considerevole altezza di Steve, tuttavia gli coprivano di molto la visuale.
Un po' disorientato, chiuse il portello del taxi che ripartì in tutta fretta. Mentre il senso di smarrimento continuava, tentò di farsi largo tra le persone al fine di scorgere la villa alla quale era diretto. Mentre attraversava quella piccola folla non potè fare a meno di osservare la gente; tutti uomini, tutti acconciati con lo stesso completo nero, tutti calzanti un paio di scarpe tirate a lucido per l'occasione, tutti stretta in mano la medesima facciata di giornale.

«Ehi tu, biondino, solo perché sei grosso credi di poter passare avanti?»

La voce aggressiva di un uomo bassottello lo costrinse a fermarsi.

«Devo solo raggiungere quella villa» indicò dinanzi a sé, ora che poteva vederla «ho un appuntamento e sono in leggero ritardo.»

Il tizio prima si mise a ridere, poi sbuffò e riprese a parlare.

«Sei un tipo divertente, lo sai? Cosa diavolo credi che noi altri siamo qui a fare, pettiniamo le bambole forse? No, tutti vogliono entrare là dentro, ognuno di noi desidera ardentemente quel posto. Con uno stipendio del genere vivrò da re per il resto della vita.»

«Non capisco...»

Seguì un deciso scappellotto dell'uomo all'altezza della schiena di Steve.

«Non credo che tu ti sia vestito così per andare al bar, amico! Quindi mettiti in fila ed aspetta; sei arrivato dopo, quindi entrerai per ultimo.» Poi aggiunse, una volta voltatosi «Prega solo che il colluquio per diventare maggiordomo del figlio di quel vecchio stronzo armaiolo, l'anima sua sia maledetta, sia ancora aperto.»

Il capitano rimase leggermente interdetto. A chi aveva dato dello stronzo?
Preso dalla rabbia afferrò l'uomo dal colletto della camicia, sollevandolo di parecchi centimetri dal suolo.

«Non ti permettere più di chiamarlo in quel modo in mia presenza, oppure...»

La voce metallica proveniente da alcuni autoparlanti lo calmò, ed evitò che quella mattinata venisse ricordata come la più grande rissa della storia americana.

«Signori, vi invito nuovamente a pazientare. Tutti i candidati presenti per il ruolo di maggiordomo verranno esaminati in giornata. Vi ringrazio per l'attenzione.»

Chi aveva parlato attraverso il microfono non era la voce del giovane Tony bensì quella di qualcun altro, profonda ed autoritaria, a lui sconosciuta. Con parecchi secondi di ritardo, ricordò di tenere ancora sollevato a mezz'aria l'arrogante tizio di prima, che stava iniziando ad annaspare. Mollò la presa e questi rovinò a terra come un sacco di patate, sputando qua e là e pronunziando maledizioni a ripetizione.
Il capitano trovò più sensato allontanarsi dallo spiazzo che si era formato attorno a lui. Non era in cerca degli sguardi spaventati o interdetti che si era attirato addosso. Scivolò svelto tra le persone portandosi tra gli ultimi candidati, i più lontani dalla villa.

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Nelle lunghe e noiose ore di attesa che seguirono, Steven Rogers imparò almeno due cose.

La prima. Il giorno precedente qualcuno aveva inserito un vistoso annuncio sulla prima pagina del "The Washington Times". Invitava chiunque avesse avuto un giusto grado di preparazione, esperienza, serietà, passione e competenza nel praticare il mestiere del maggiordomo a presentarsi alle ore 10,00 del giorno odierno dinanzi a Villa Stark. Il capitano non ne possedeva neanche mezza di quelle capacità ma ipotizzò uno strano parallelo, suggeritogli dall'incubo di quella notte. In fin dei conti né lui né Tony erano nati eroi; il giovane Stark non l'aveva nemmeno scelto e v'era solamente capitato. Entrambi non se l'erano cavata male a combattere gentaglia di ogni tipo. Così cercò di convicersi che aveva delle possibilità di divenire maggiordomo. O meglio, lo sperava con tutto il cuore; così in cambio Phil avrebbe fatto tutto il possibile per riportarlo a... casa.

La seconda. Quell'annuncio veniva assiduamente ripetuto ogni mezz'ora; alla fine del pomeriggio Steve avrebbe potuto ripeterlo anche al contrario. Si tramutò nel rumoroso compagno con cui trascorse la giornata, fino all'imbrunire. Fu un giorno lungo, noioso, piatto. Non successe assolutamente nulla. Man mano che i candidati davanti a lui entravano dalla vistosa porta d'ingresso preceduta da eleganti colonne doriche la folla di persone diminuiva, lentamente ma sempre di più. Un po' delle persone che uscivano si fermavano con qualche altra conosciuta durante l'attesa per scambiare due parole, ma nessuna pareva avere un'aria particolarmente soddisfatta. Presumibilmente avrebbero esaminato i candidati fino all'ultimo, prima di effettuare una scelta.

Verso le sei di sera mise piede fuori dalla casa anche il suo "amico" che prima aveva rischiato di morire soffocato. Gli lanciò un'occhiata irritante, un misto di superiorità e arroganza che per poco non fece scattare ancora la sensibilità di Steve. Ma mentre questi si allontanava passando volutamente vicino a lui e guardandolo beffardo dal basso all'alto, un nuovo annucio metallico si diffuse nell'aria.

«Signori, vi annuncio che le selezioni si sono concluse in questo momento; non verranno pertanto esaminati ulteriori candidati. Gli esiti saranno resi noti domani mattina. Auguro a tutti voi una piacevole serata.»

Steve si guardò intorno, sconcertato. Non si era reso conto di essere rimasto solo - o quasi - fuori dalla villa. Oltre a lui le altre cinque persone che non erano riuscite ad entrare lanciarono qualche insulto contro l'abitazione o qualche fischio, ma nulla di più. Fecero parecchie smorfie, si scambiarono brevi saluti, girarono i tacchi e se ne andarono, in fondo sollevati di non dover stare ulteriormente a a patire il freddo che dal mattino li aveva parecchio provati.
Solamente Steve non riuscì a muoversi; non si trattava del freddo, o della stanchezza. Si sentiva assopito, abbandonato, solo.
Era sicuro che, nonostante i numerosi contendenti che un solo giorno di "ritardo" aveva provocato, sarebbe bastato che Tony lo vedesse per far ricadere la sua scelta su di lui. Di questo ne era convinto; il filo rosso che li univa, per quando nel futuro avessero tentato entrambi di negarlo, non aveva mai accennato a sfaldarsi. Ma ora senza un obiettivo, nessuno al suo fianco, non una prossima missione... Si sentì inutile. Gli tornarono in mente alcune parole del Tony del ventunesimo secolo.
"Delle persone qui dentro chi è che "a" indossa una tuta luccicante e "b" non è utile?"
Sprofondò la testa tra le braccia, appoggiandosi alla cinta metallica che separava la strada dal giardino della villa.

"Qual'è la prossima mossa, supersoldato?" Domandò mentalmente a se stesso.

CRASH!

Improvvisamente udì un gran fragore alle sue spalle, che lo fece balzare in piedi.
Dopo essersi guardato intorno si lanciò dinanzi al cancello di Villa Stark, dalla quale pareva provenisse il rumore. In effetti attraverso le sbarre metalliche, nonostante il buio che era già calato da un pezzo, poteva osservare l'intorno della casa. Abbassò leggermente lo sguardo; sotto una finestra del piano terra giacevano parecchi vetri rotti. Certo che qualcuno si stesse introducendo all'interno per compiere un furto, con un balzo Steve scavalcò il cancello. La prontezza di riflessi gli permise in pochi secondi di aprire il portone d'ingresso con una spallata ben assestata, che mise a dura prova la resistenza dei suoi cardini. Una volta dentro si ritrovò in uno spazio totalmente buio; le persiane erano già state chiuse, nessuna stanza pareva essere illuminata. Procedette con estrema prudenza, mentre ebbe l'impressione di essere tornato alla sera precedente. Una sola differenza; la certezza che qualcuno di poco raccomandabile si fosse introdotto in quella casa.
Scivolò lento ma deciso nel corridoio che probabilmente conduceva alla zona giorno. Nulla sermbrava fuori posto fatta eccezione per il vetro infranto del salotto, dal quale penetrava all'interno un vento gelido. Steve rimase allerta; chiunque fosse entrato, non poteva essere andato molto lontano.

Non dovette poi aspettare molto; un attimo dopo qualcuno da dietro gli saltò addosso, cingendogli fermamente il collo con entrambe le mani.
Il supersoldato non dovette neppure usare tutta la sua forza; con uno strattone si levò la figura di dosso e, voltandosi improvvisamente verso di essa, la scagliò a qualche metro di distanza. Questa ricadde pesantemente contro quella che doveva essere una vetrina di cristalli, che andò istantaneamente in frantumi. L'uomo tentò di rialzarsi, ma Steve fu più veloce. Appena si mise in piedi, seppur barcollante, Rogers afferrò entrambi i polsi e lo spinse con violenza contro il muro più vicino.
Questi dapprima cercò di divincolarsi, poi però dopo aver appurato l'inutilità di quella sua foga. Sembrò rassegnarsi alla sua prigionia.
La stanza piombò in un silenzio surreale, rotto solo dall'ansimare del ladro. Che alle orecchie di Steve, risultò stranamente familiare.
Poi nel buio, osservò ciò a cui ancora non aveva fatto caso; in una delle due mani di quell'uomo pareva brillare un piccolo cerchio di luce.
Come se avesse visto un fantasma, mollò istantaneamente la presa. Il ragazzo piegò leggermente le ginocchia, tossicchiando e continuando ad ansimare.  Mentre la luce diveniva frebile e si spense, Steve capì benissimo chi si trovava dinanzi.

«Jarvis, prendi nota; invenzione uno-nove-quattro-barra-sei, decisamente da migliorare.»

Il ragazzo con un paio di passi malfermi raggiunse l'interruttore più vicino; il salotto fu improvvisamente rischiarato a giorno e Steve avrebbe preferito venir inghiottito dal pavimento; aveva appena rischiato di uccidere... Anthony Stark?

«Domani mattina ti aspetto alle 8,00. Porta pure le tue cose, ti trasferirai qui.» il bruno si sfilò dalla mano un guanto nero e con poca cura lo gettò sul tavolo lì vicino «Ho capito che la puntualità non è il tuo forte; ma non è nemmeno la mia, quindi... cogratulazioni, sei assunto.»

Non riuscì a spiaccicare una parola, nemmeno ad alzare lo sguardo per appurarsi che Tony, dopo essere stato lanciato contro una vetrina di cristallo, stesse bene. Rimase semplicemente lì, imbambolato, le guance in fiamme, la testa bassa.
 
Forse qualcosa iniziava ad andare nel verso giusto.



And you'll finally see the truth
E infine vedrai la verità

That a hero lies in you
C'è un eroe dentro di te







Note finali:


La canzone inserita all'inizio del testo è stata scelta dopo averla, casualmente, trovata. Solitamente per l'ispirazione di questi capitoli spulcio la mia raccolta su i-tunes, ma non trovando nulla di adeguato allo stato d'animo con il quale volevo approcciarmi alla scrittura ho cambiato tattica, approdando su YouTube (o TuoTubo, per gli amici). Ecco, ecco. Ed ho scovato questa canzone (che non conoscevo, picchiatemi pure ora XD) della bravissima Mariah Carey!
Per il resto, che altro aggiungere! Finalmente dal prossimo capitolo potrete vedere Steve alle prese con le faccende di casa (e non solo, e non solo)! Credo proprio che Rogers mi inseguirà con una pesante e condundente spranga!! XD *Si guarda alle spalle, preoccupata*
Intanto vi lascio, come di consueto, a qualche nota.

~ Precisazioni ~ (un po' Qui, un po' Qua, e anche un po' Quo, che altrimenti si sentirebbe escluso):

1) Come avrete subito notato, la prima parte dove Steve sogna è ripresa pari pari da una delle scene del film "The Avengers". Questo sia perché secondo me è forse il dialogo più significativo che i due hanno nel film, sia perché mi da la possibilità di chiarire un aspetto molto importante per me nello scrivere questa fiction. La base, le fondamenta della stessa risiedono proprio entro la filmografia marvelliana, dalla quale non può prescindere come richiami e sviluppi. Ci tengo perché non ne venga fuori una cosa "scritta tanto per", ma per divertirmi a fantasticare su di una cosa che potrebbe accadere, ma che (per ovvi motivi) non vedrò mai al cinema! ;)

2) Giusto per rimanere in tema "citazioni cinefile"; la parte in cui Steve arriva davanti a Villa Stark e trova pieno di aspiranti maggiordomi sarebbe un omaggio ad un film che ha profondamente segnato la mia infanzia, ossia "Mary Poppins". Per sfortuna del capitano nessun vento impovviso spazza via gli altri contendenti, e il nostro deve patire parecchie ore di attesa! XD

Bof, credo sia tutto! Prima di chiudere vorrei ringraziare Alley, che con i suoi deliziosi commenti mi fa sciogliere dalla felicità, e dare il benvenuto OkinoLinYu, la quale ha lasciato una splendida recensione allo scorso capitolo! Grazie anche a tutti quelli che supportano la fiction inserendola tra le preferite, seguite, ricordate! *^*
Un abbraccio graaaandissimo!!

A presto!
_Diane_

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ~ Hello Goodbye ***


Capitolo 6 RIASSUNTO: Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo, ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi, riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e tornare a casa?



You say yes, I say no
Tu dici sì, io dico no

You say stop and I say go, go, go, oh no
Tu dici fermo e io dico avanti, avanti, avanti, oh no
You say goodbye and I say hello
Tu dici addio e io dico ciao
Hello hello
I don't know why you say goodbye, I say hello
Io non so perché tu dica addio, io dico ciao


Hello Goodbye ~The Beatles




Capitolo Sei

Lunedì, 20 Dicembre 1991.
Mattino.


Quella notte Steve non ebbe incubi. Non sognò assolutamente niente di niente. Riposò come un bimbo grazie ad un sonno pesante e tranquillo, il che non avveniva da secoli. Forse tutta quella pace era servita per prepararlo all'ansia che lo assalì una volta sveglio. Non riusciva ad abbottonarsi la camicia, tantomeno a dare una spazzata decente alla camera d'albergo nella quale aveva trascorso gli ultimi giorni. Doveva lasciare l'albergo che, in così poco tempo, era diventato una sorta di nido in cui ritirarsi.
Passandosi una mano su barba e baffi si guardò nervoso allo specchio. Doveva ammettere che faticava a riconoscere sé stesso in quel riflsso così... diverso. Mentre si dimenava invano per domare la cravatta che non ne voleva sapere di annodarsi al collo, la mente tornò all'incontro con Phil.

«Serve aiuto?»

La giovanile figura di Coulson apparve sullo stipite della porta; Steve sobbalzò e, mentre questo rapido la richiuse, si chiese se in fondo anch'egli non possedesse una sorta di superpotere.

«Credo che normalmente lei presti aiuto agli altri, non il contrario; ma questa temo sia una battaglia persa.» Svelto si avvicinò a Steve e con due rapide mosse sistemò il malefico indumento maschile intorno alla gola del Capitano.

«Grazie.» Rispose semplicemente Rogers, una volta che l'altro si fu allontanato abbastanza per permettere al suo cervello di ricominciare a funzionare.

«Le lascio questa.» Proferì serio Phil, poggiando sul letto un borsone nero di pelle che portava sotto braccio. «Dentro troverà tutto ciò di cui ha bisogno per la missione.»

«Perfetto.» Il suo rispondere a monosillabi aveva un che di terribilmente impacciato, ma non riuscì a mascherare quella sensazione predominante.

«La saluto, signor Rogers. Buona fortuna.»

«Credo mi servirà.»

Sentenziò ironicamente Steve; tenere a bada un Tony Stark adulto era una missione pressoché impossibile.
Steve sarebbe riuscito a domare la sua controparte adolescenziale?

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«E così giunge già il momento dell'addio!»

Proferì in tono melodrammatico il vecchio custode dell'albergo.

«Hai proprio occhio per certe cose?» Ribattè ironico Steve, scendendo gli ultimi gradini delle scale.

«Mio caro Jarvis, anche qui il mondo passa ma a poche persone per volta.» Lasciò il bancone e si avvicinò lento al Capitano, guardandolo fisso negli occhi.
«Ci sono arrivi e partenze, continuamente; negli occhi della gente mi piace osservare quello che vedranno, non quello che hanno visto.» Poi, quando fu abbastanza vicino, picchiettò ripetutamente il dito sul torace di Steve, il viso rivolto verso l'alto per assecondare alla differenza d'altezza tra i due.
«E tu, qualcosa mi dice che tu stai per intraprendere un nuovo viaggio.»

Rogers rimase interdetto, ma gli riuscì un sorriso che sciolse la strana situazione.

«Io la ringrazio per la sua gentilezza, signo... Stan.»

Disse, con un paio di pacche sulla spalla  forse un po' troppo ben assestate che fecero vacillare il povero vecchio.

«Ahah, ragazzo tu farai strada!» Rise, con estrema naturalezza.

«Addio!» Salutò Steve, stringendo ulteriormente il borsone che portava sottobraccio. Seguì fu una cordiale stretta di mano, poi Steve si avviò verso l'uscita. Prima di varcarla riuscì a sentire un ultima frase proferita dal vecchio Stan.

«New York è una città più piccola di quello che si pensi; ci rivedremo presto, soldato


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L'esitazione dinanzi al campanello, affianco alla porta d'ingresso in legno massiccio, era qualcosa di pressoché imbarazzante. Doveva muoversi a premere quel minuscolo pulsante o qualche passante si sarebbe chiesto se non era morto assiderato. Una volta gli era andata bene; non gli andava di rischiare una seconda. Soprattutto non dopo le miriadi di sbalzi temporali affrontati, i quali iniziavano a mettere a dura prova la sua capacità di comprensione.
Infine prese un profondo respiro di sollievo e, come un soldato impaurito alla prima missione, sfiorò appena il campanello con il dito.
La porta istantaneamente si spalancò dinanzi a lui.

«Ore otto e quattro minuti.»

Sentenziò grave la giovane figura di Tony,  tutta intenta ad osservare le lancette del costoso orologio che portava al polso.

Poi alzò lo sguardo e con un mezzo sorriso lo invitò ad entrare.

«Non vorrei che stessimo facendo troppi progressi in una volta sola!»

Senza proferir parola, sentendosi punzecchiato come dal Tony del ventunesimo secolo, varcò la soglia della villa.


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La casa si rivelò enorme. Da fuori le altissime guglie in mattoni ornate da inserti in marmo chiaro già sembravano immense; ma una volta entrato ebbe l'impressione che lo spazio potesse essere ancora più grande. La sera prima non aveva visto pressoché nulla dello splendore che l'ornava; solamente l'ingresso, con due file laterali di colonne bianchissime dai profili corinzi, sembrava appartenere alla sala reale di un sovrano. Steve rimase letteramnete a bocca aperta; nonostante la sua infanzia spartana e semplice, nel tempo trascorso tra la Torre Stark e le poche volte a Malibù aveva capito quanto il collega amasse vivere in mezzo al lusso. Però quel lusso aveva un che di... trasparente, tecnologico, moderno. Notò ancora il sontuoso lampadario in vetro pendente dal soffitto, i mobili in mogano nel quale erano montati pannelli in cristallo che lasciavano intravedere onorificenze e premi di vario tipo.
Quello sfarzo era differente da quello ricordava; un ben ponderato misto tra classico e antico.

«Lascia pure il tuo bagaglio di sopra; la tua è l'ultima stanza in fondo a destra.»

Steve fece un cenno di assenso con la testa e salì la lapidea scalinata di destra delle due simmetriche che conducevano al primo piano.
Percorse tutto il lungo corridoio, fino a quella che doveva essere l'ultima porta. Fece scivolare la mano libera dalla borsa sulla maniglia e questa si aprì. Un prepotente odore di chiuso pervase le sue narici; la stanza evidentemente non veniva aperta da parecchio tempo. Entrò e dopo aver lasciato ricadere in un angolo la sua valigia, si precipitò a spalancare la finestra. Mentre la frizzante aria dicembrina riempiva istantaneamente l'ambiente, Steve diede un'occhiata in giro. Certamente era un ambiente più grande del suo ultimo alloggio presso l'hotel di Steve, non che ci volesse molto in realtà. Un ampio letto a due piazze, un enorme armadiatura riempiva tutt'una parete, una scrivania sotto la finestra ed un tavolo rotondo con un paio di sedie giusto sotto ad un vistoso lampadario.

Poi si ricordò che lui non era in vacanza in quel posto ma anzi, purtroppo si apprestava a lavorarvici.
Quindi richiuse la finestra, uscì dalla stanza e si precipitò giù per le scale, laddove Tony gli aveva dato indicazioni per raggiungere la sua camera.
Ma qui... non trovò anima viva. Dapprima di sentì tremendamente spaesato; quella Villa era certamente più intricata della più sperduta e malefica base HYDRA. Poi però si spazientì, convincendosi che quell'uomo fosse destinato, in qualsiasi epoca, a fargli perdere le staffe.

"Oppure quel dannato Loki è riuscito a scagliarmi contro una sorta di maledizione prima di partire per Asgard."

Si ritrovò a rimuginare con un misto di disperazione e ironia, mentre dal salone superò una porta ed iniziò a vagare per il piano terra dell'edificio. Se la colpa di tutto quell'assurda situazione era da attribuire davvero al fratellastro del dio del Tuono, nulla gli avrebbe impedito al suo ritorno di fare una telefonata ad un certo Dottor Banner, e di chiedergli se avesse un paio d'ore libere per spaccare qualcosa.

Mentre ripensava con un mezzo sorriso a quegli avvenimenti ormai così lontani nel passato... o nel futuro che fosse, si trovò in quello che era uno dei tanti salotti della casa, le pareti rivestite di immense scaffalature di libri. Incuriosito si avvicinò ad una di queste; i volumi giacevano perfettamente ordinati per autore e titolo dell'opera. Tutti quanti però avevano un denominatore comune: parlavano solo e solamente di... meccanica, elettronica, nautica, armamenti. Un'immenso stuolo di pagine e pagine che il Capitano non aveva mai visto tutte insieme in vita sua. Decise di passare oltre ma anche il successivo scaffale non offriva di meglio.

«Non credo sia stato possibile che diventasse altri che quel che è diventato...»

Si trovò a dar voce ai suoi pensieri, sussurrando.

«Tale padre, tale figlio.»

Venne assalito da un ricordo; solo pochi gioni addietro aveva assistito al funerale di Howard. Mentre un velo di tristezza lo assaliva ripose il libro che stava sfogliando, per lui aramaico antico. Probabilmente il suo vecchio amico aveva sfiorato quelle pagine giusto pochi giorni addietro. Chissà che idee brillanti aveva avuto lo scienziato su quelle superfici ruvide e impolverate.
Avrebbe potuto rivederlo. Dirgli addio.
Fu in quel momento che notò una cosa; in nessuna delle stanze appena passate aveva visto una singola foto o di Stark senior, o della moglie. Nemmeno una dello stesso Tony, a dir la verità. La cosa lo lasciò abbastanza perplesso.

Si rimise a camminare, superando un'altra soglia ed approdando alla stanza successiva. Con suo enorme stupore si trattava della cucina, dalla quale si scorgeva la sala da pranzo. L'area destinata alla preparazione di cibi era pressoché enorme. Un gigante piano da lavoro occupava la parte centrale, la quale nascondeva sotto di sé una miriade di cassetti, mentre una parete era completamente piena di banchi da lavoro con forno, lavandino, frigorifero, ma tutto di proporzioni enormi. Come se in quella casa pranzasse l'intero esercito delle Nazioni Unite.
Quella gigantesta cucina gli fece venir una gran fame. Erano giorni che non mangiava in modo decente.

"Non credo che nessuno s'offenderà se sbircio in frigo cosa c'è..."

Poggiò la mano sulla manopola dell'immenso elettrodomestico quand'ecco che qualcosa gli battè contro. Alzò lo sguardo.
Quello che sembrava un bizzarro braccio meccanico stava gentilmente porgendogli una lattina rossa sfavillante di Coca Cola.
D'apprima Steve scrutò curioso quello strano meccanismo, poco più alto di lui; poi una lampadina nella sua testa si accese nello stesso momento nel quale una certa persona faceva il suo ingresso in cucina.

«Jarvis, ti presento ferrovecchio. Ferrovecchio, Jarvis.»

Il meccanismo all'estremità del braccio automatizzato si aprì con un cigolio, quasi a volerlo salutare. Evidentemente si dimenticò della lattina che teneva stretta tra le ganasce; sarebbe sicuramente caduta se non fosse stato per i riflessi pronti di Steve il quale l'acchiappò ad un centimetro dal suolo.
Il giovane Tony chinò la schiena in avanti giusto quanto bastava per sfilarla dalle mani del Capitano, aprirla con un sonoro schiocco, e berne un sorso portandosela spavaldo alla bocca.
Il biondo si rimise in piedi e sbottò.

«E' tutto uno scherzo per te?»

Nonostante l'esasperazione, in fin dei conti ingiustificata, che traspariva dal suo tono di voce, Steve subito se ne dimenticò; non si era reso conto di non aver avuto occasioni per osservare davvero quella versione ringiovanita del suo collega vendicatore.
Il giorno del funerale del padre, al loro primo incontro, non aveva alzato lo sguardo dal ghiaietto che formava i sentieri del cimitero. Durante la sera precedente, essendo buio ed avendo rischiato di ucciderlo, ugualmente non aveva distolto lo sguardo dal pavimento quando si erano congedati per la notte. Quella mattina lo aveva subito mandato a sistemare la sua roba così... si ritrovò solo in quel momento ad osservare tutta la sua presunzione dei suoi diciannove, forse vent'anni.
L'altezza non era per nulla cambiata; Tony rimaneva sempre lo stesso "pezzo" più basso rispetto a lui. Il tono muscolare, sebbene celato da una comoda tuta da ginnastica nera, era estremamente scarso e il fisico era un bel pezzo più asciutto di come lo ricordava. Gli occhi, quelli erano tremendamente gli stessi; color nocciola, pieni di insolenza e sfacciataggine, solo meno stanchi e preoccupati. Anche le movenze con cui sorseggiava la lattina sembravano non essere cambiate di un millimetro.

Due furono però le cose che, incredibilmente, lo stupirono.

Nessun disco azzurro ornava il petto di quel Tony. La cosa, sebbene logica e ineccepibile, causò una sorta di scompenso nel cervello di Steve. Lì non aveva nessun grappolo di schegge miravano dritte al suo cuore. Lì non aveva scoperto una fonte d'energia pressoché infinita. Lì non era ancora un... supereroe. Una parte di lui lo sapeva, ma mettere l'altra a conoscenza fu un duro colpo.
Niente reattore arc, uguale niente Iron Man.
Non era mai riuscito ad immaginarsi Tony scisso dalla sua metà metallica, ed ora che l'aveva proprio dinanzi agli occhi faticava a capire.

Poi però alzò un poco lo sguardo e notò la seconda cosa che lo sbalordì.
La pelle del volto di quel giovane era completamente... nuda. Non c'era segno degli usuali baffetti e della curiosa barba che sfoggiava, tutto il viso era privo di qualsiasi tipo di peluria e perfettamente curato.
Steve si passò una mano sulla faccia. Ebbe l'impressione di sudare freddo, mentre veniva assalito da un tremendo dubbio.

"Vuoi vedere che...?»

«Oh no, in realtà è la mia tesi di laurea.»

«Eh?»

La risposta di Tony, arrivata così in ritardo rispetto ai viaggi mentali del capitano, costrinse l'aeroplano della sua fantasia ad un brusco atterraggio. Il ragazzo appoggiò la bibita sul pianale lì vicino e si accomodò su una delle sedie attorno al blocco centrale della cucina.

«Dicevo che quello che per te è uno scherzo, in realtà è la mia tesi di laurea.»

La preoccupazione che l'aveva colto sapendo di portare lo stesso taglio di barba e baffi del Tony del futuro passò.
Almeno per il momento.

«Quel braccio meccanico è la tua tesi di laurea?»

Steve in realtà aveva già visto quel braccio meccanico le rare volte che era stato in visita a Malibù. Gli stava simpatico proprio perché Tony lo detestava. Non sapeva che fosse stato un oggetto tanto importante per lui, in passato.

«Già» assertì con la testa, dondolandosi indietro con la sedia «non un granché in realtà. Tutti quegli imbecilli ad applaudirmi per te e invece...» e si rivolse verso il diretto interessato «due anni e sei già un inutile ferrovecchio.»

Il povero meccanismo sembrò capire il tono derisorio del suo padrone ed emise qualche cigolio abbassando l'arto finale verso il pavimento.

«Oh, io credo possa rivelarsi un utile assistente.»

Aggiunse Steve con fare propositivo e canzonatorio.

«Dato che la pensi così...» dondolò ancor di più la sedia all'indietro, poggiando le Converse rosso scuro che indossava direttamente sul tavolo da lavoro «credo che mi diletterò ad osservare da vicino voi due che mi cucinate la colazione.»

Steve fece per controbattere ma capì che non sarebbe servito a nulla. Qualcuno si voleva divertire. Ma lui gliel'avrebbe fatta pagare più tardi.
Al momento si trovava disperato a guardare un povero braccio meccanico, il quale sembrava sconsolato suggerirgli un:

"E' fatto così; che ci vuoi far."








Note finali:


Lo so, lo so. Sto sparendo. Volente o nolente non torno a casa mai prima delle 20,30-21,00 la sera, stando via tutto il giorno. Indi per cui l'unico momento per scrivere le mie scempiaggini (che sarebbero queste) si riduce al weekend, il quale però sta venendo invaso dagli impegni della settimana che non riesco a portare a termine nella stessa. Eh sì, che vita grama! XD
Quindi pubblico questo sesto capitolo con una settimana di ritardo nella quale... ARGHDFBAUIGCYGFYBC è successo di tutto!!! *O* Novità su novità per IRON MAN 3, tra cui uno straniante ma entusiasmante trailer!! Ohmygosh, non sto più nella pellaccia! TT^TT
Prima delle ultime parole sconclusionate, vi lascio al solito con alcune precisazioni:

1) Le parole che pronuncia Stan sono una citazione indiretta allo splendido libro "Novecento" di Alessandro Baricco. Se non lo conoscete leggetelo, fidatevi, saranno tra le due ore più entusiasmanti della vostra vita

2) Credo che effettivamente il povero "ferrovecchio" sia stato effettivamente la tesi di laurea di Tony, laureatosi con lode al MIT a diciassette anni (tipregoTonydonamiunmillesimodellatuaintelligenza). Lo si intravede nella presentazione all'inizio di "Iron Man".

3) La frase "è tutto uno scherzo per te?", direttamente ripresa da "The Avengers". Il capitano non ha molta fantasia, gente.

Gnep. Che altro aggiungere? Che davvero non posso non ringraziare quell'angelo di Alley che continua a sostenermi con le sue bellissime recensioni! Come non posso esimermi dal dire "grazie" a chi continua ad aggiungere la storia tra i vari preferiti, ricordate, ecc!
Se avete voglia di commentare, anche con poche parole, io ne sarei immensamente felice sappiatelo! :)

A presto!
_Diane_

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ~ 21st Century Breakdown ***


Capitolo 6 RIASSUNTO: Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo, ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi, riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e a tornare a casa?





My name is no one
Il mio nome è nessuno
The long lost son
Il figlio a lungo perduto

Born on the 4th of July
Nato il 4 di Luglio
Raised in the era of heroes and cons
Risorto nell'era degli eroi e delle fregature

That left me for dead or alive
Lasciato qui vivo o morto

21st Century Breakdown ~ Green Day




Capitolo Sette

Lunedì, 20 Dicembre 1991.
Pomeriggio.


Il pendolo di legno scandì, con cinque lunghi rintocchi, l'ora del pomeriggio. Fuori dalla finestra il cielo era già imbrunito da un pezzo; nemmeno l'inverno inoltrato sembrava sorridere al povero Steve.
Il braccio meccanico, o ferrovecchio dal dizionario alla "Stark", aveva continuato istancabile il suo ripetitivo lavoro. Il Capitano gli passava un piatto pulito ed asciutto, lui lo riponeva millimetricamente al suo posto nella credenza appena sopra. Questo alienante lavoro proseguì instancabile fino alla quinta ora del pomeriggio nella quale i due finalmente finirono, riponendo in ordine anche l'ultimo bicchiere di cristallo. Avrebbe preferito di gran lunga spaccare la faccia a qualche criminale di turno, gettarsi da un aereo in volo nel bel mezzo di un conflitto, scovare una base inespugnabile tra il fuoco incrociato delle armi nemiche. Tutto, avrebbe preferito tutto a quelle ore di permanenza in cucina. Lui era una buona forchetta, certo, ma ai fornelli non si era mai cimentato. Se doveva cavarsela da solo, un paio di scatolette potevano bastargli per giorni.
Invece, dopo esser stato obbligato a cucinare una colazione che pareva un banchetto di nozze, ed un pranzo degno di un plotone intero, aveva dovuto accettare di lavare qualche migliaia di stovoglie sporche.
Mentre chiudeva finalmente l'acqua calda e riponeva spugne e detersivi ai rispettivi posti, ripensò con rassegnazione alla conversazione avuta dopo mangiato con l'artefice di tali agonie.

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«Non avrei cotto così tanto questa prelibata carne di tacchino però... direi che per oggi può andare.»

La caterva di portate vuote giacenti sul tavolo erano sconsolanti, ma soprattutto indicavano quando Steve si fosse dato da fare. "Certamente troppo" pensò.

«Oh, dimenticavo una cosa...»

Il Capitano stava già pregustando almeno un cinque minuti di pausa dal martello pneumatico chiamato "Tony". Invece questi improvvisamente si alzò e si precipitò fuori dalla sala da pranzo. Quando rientrò, Steve promise a sé stesso che avrebbe trovato della colla molto forte per evitare di farlo alzare prima del dovuto dal tavolo, in futuro.
Le braccia del giovane Iron Man ondeggiavano sotto il peso di un'altissima pila di piatti sporchi di ogni tipo; forchette, coltelli, bicchieri, scodelle. Tutte di un lerciume vagamente immaginabile.

«Tieni.» Le scaricò senza riguardo addosso a Steve, che dovette alzarsi repentinamente per prenderle ed evitare si riducessero in mille pezzi. «E ringraziami, li ho anche impilati ordinatamente apposta per te.»

"Impilati apposta per me?" Steve si impedì mentalmente di sondare dove e da quanto quei piatti potessero trovarsi in simili condizioni, concentrandosi su un altro particolare.

«Credo abbiano già inventato un arnese che pulisce i piatti in modo automatico...?» Esordì a metà tra l'ironico e il disperato. Che mascherarono l'effettiva ignoranza di Steve in materia; gli era capitato di veder usare uno strumento simile nel ventunesimo secolo, ma in effetti ignorava quando fosse stato effettivamente creato.

«Intendi quell'arnese che i comuni mortali chiamano... l... lav... lavastovi... qualcosa? Forse lavastoviglie?»

«Esattamente.» Rispose con tono serio Steve, nel vano tentativo di smorzare l'ironia del morettino.

«Credo che sia, insomma... rotta.»

«Rotta? Come sarebbe a dire, rotta

«Oh scusa; nel tuo dizionario, equivale a non la puoi usare

Ora mancava solo che usasse l'appellativo "Capitan preistorico" e poi si sarebbe sentito a casa. Forse fin troppo.

«E questo può fermare il brillante e geniale Tony Stark?»

Sentenziò, cercando di apparire il più irritante possibile. Ma la cosa non riuscì e di tutta risposta ebbe uno sguardo strano da parte di Tony il quale, dopo aver aperto un'anta della cucina, gli lanciò quasi in faccia un paio di spugne gialle. Le quali ricaddero nell'intigliolo rossastro della scodella in cima alla pila che il biondo teneva ancora tra le mani, schizzandogli sia la faccia che il vestito.


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Bagnato un angolo di un tovagliolo, ripulì come poteva il completo nero che indossava. Poi, dopo aver dato una pacca sulla spalla -o quel che gli assomigliava- al suo meccanico aiutante, si precipitò alla ricerca di un bagno per pulirsi tutto il lerciume che ancora giaceva sulla sua faccia. Con suo sommo sconforto precipitò nuovamente nel labirinto di stanze e corridoi nel quale, com'era ovvio, si perse.

"E dire che in una casa così lussuosa un paio di bagni dovrebbero esserci." Sentenziò mentalmente. Il problema maggiore stava nell'anonimato delle porte, tutte quante bianche ed uguali, ognuna delle quali opportunamente chiusa. Steve, per qualche sorta di ritegno, non voleva aprirle. Era da quella mattina che stava in casa e non gli piaceva già mettere il naso negli affari altrui, soprattutto in quelli di un giovane Tony. Tremava alla sola idea di quello che avrebbe potuto trovarvici.
Poi però, ad un tratto, notò in fondo ad un corridoio un fascio luminoso Strano, perché quell'ala della casa sembrava deserta e non c'era traccia di giovani Stark nei paraggi e il tramondo era ormai passato da un pezzo. Dedusse che qualcuno fosse lì dentro, oppure che la luce fosse stata dimenticata accesa.
Con circospezione raggiunse la porta dalla quale tale fascio proveniva. Fece per bussare, in modo leggero. Nessuno rispose.

«E' permesso...?»

Domandò cortesemente, aprendo piano la porta. La stanza, somma sorpresa, rivelò essere una -vuota- camera da letto. Matrimoniale, ad essere precisi, molto grande e sfarzosa. Al centro del soffitto un futuristico lampadario meccanico, simile alla testa di un'Ursula di Caravaggio, si dimenava con le sue numerose lampadine spandendo luce in ogni angolo.
Il colore predominante della tappezzeria, copriletto ed armadiature era il blu, ma di un blu piacevole, quasi... caldo, molto accogliente e riposante.

Poi notò un particolare che per poco non lo fece trasalire. Sul grande comò, così come sui due rispettivi comodini al lato del letto, si trovavano accatastate un numero esagerato di foto. Tutte rigorosamente bordate da una cornice argentea che le faceva brillare sotto la luce di quell'enorme lampadario. Steve si avvicinò, con fare reverenziale. Ogni immagine accuratamente incastonata era una fotografia. Alcune a colori, altre no.
Quelle che sembravano le più antiche raccontavano di un giovane ragazzo alle prese con le più disparate premiazioni ed invenzioni. Un paio mostravano il ragazzo fattosi uomo prendere per moglie una giovane donna. Altre lo ritraevano in cerimonie importanti, comizi, serate di gala.
Steve ne prese tra le mani una a caso, nella quale Howard pareva felice mentre riceveva quella che sembrava un'onorificenza. Per quanto avesse voluto lasciare lontano il passato, anche quello più recente, lui tentava di ritornare. A ricordargli che in effetti, anche se le tribolazioni degli ultimi giorni gliel'avevano fatto dimenticare, il suo amico era morto da pochi giorni.

Ne osservò i lineamenti distesi, felici.
Forse era per quello che in giro per casa non c'erano fotografie? Forse anche Tony aveva bisogno di allontanare quelle ferite non ancora rimanrginate?
Si diede mentalmente dell'insensibile per non aver dato peso al fatto che il giovane Stark, la settimana prima, avevesse perso entrambi i genitori. Il problema risiedeva nel fatto che, almeno esternamente, lui non lasciava trapelare nulla.

"E in vent'anni qualsiasi cosa lo turba riesce sempre a banalizzarla con la sua sfrontata ironia." Pensò, riponendo la foto sul comò. Poi l'attenzione gli cadde su alcune foto seguenti. Una in particolare, lo colpì davvero molto. Soprattutto i due vispi occhi color nocciola che lo guardavano attraverso il tempo e parevano sfidarlo, brandendo con spavalderia un piccolo scudo rotondo con al centro una stella a cinque punte.


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«Toh, non ci posso credere. All'alba delle sei di sera l'inferno chiamato "cucina" ha risputato un povero diavolo!»

"Credici, credici." Rispose mentalmente Steve, facendo il suo ingresso in quello che sembrava un laboratorio. L'aveva guidato fin lì il povero ferrovecchio, dopo averlo incontrato nella sua cigolante andatura per i labirintici corridoi.

«Caronte stavolta avrà dovuto affrontare un avversario più forte del suo vecchio remo, forse...»

Il Capitano non riuscì ad apprezzare il "quasi" complimento da parte del moro perché era perso ad osservare il posto nel quale si trovava. Un luogo scuro, completamente circondato da scaffali ed armadiature su ogni lato, riempito da tavoli traboccanti di meccanismi, materiali di ogni genere, fogli e libri. Il regno nel quale il sovrano era il caos. Un regno che aveva già intravisto sia a Malibù, sia a New York. Ma questo assomigliava molto, moltissimo al piano sotterraneo della villa vista oceano. Mancavano giusto un paio di armature alle pareti.

«Certo che all'inferno non pensavo si potesse sporcarsi tanto.»

Steve colse in ritardo il riferimento alla sua faccia ancora sporca di unto, mentre Tony alzava il dito puntandolo nella direzione che si rivelò essere quella del bagno. Dopo una rapida ripulita il capitano tornò nel laboratorio, dove l'altro stava armeggiando sopra -pardon, sotto- una lussuosa auto d'epoca blu.
Steve decise che stavolta l'avrebbe intavolata lui la conversazione, mentre prese posto su una sedia poco lontana. Dopo averla sgombrata da una tonnellata di roba, s'intende.

«Ho intravisto uno scudo, entrando.» Mentì. «Non è niente male. Tua creazione?»

«Uno scudo?» Esordì da sotto l'automobile. «Le Stark Industries non producono più archi, frecce e scudi da qualche anno, ormai.»

Notato il sarcasmo nella voce dell'altro, Steve visualizzò mentalmente Clint che lo puniva dall'alto scagliandogli contro uno sciame di dardi esplosivi. Ma allontanò il divertente pensiero quando Tony riprese a parlare.

«Comunque, non so davvero dove tu abbia potuto vederlo. Non ci occupiamo esattamente di quella roba, sai.»

«No. Forse mi sono sbagliato. Credo di averlo intravisto in una fotografia...» Continuò a mentire Steve, sapendo di farlo peggio del peggior attore malpagato di tutta l'America.

«Ok...» Poi, dopo una pausa, il giovane Stark continuò, spuntando da sotto l'auto ma non degnando di uno sguardo Steve.
Poi, con un cambio repentino di atteggiamento, prese nuovamente parola voltandosi verso il biondo e puntandogli contro un grosso cacciavite.

«Tu. Tu sei un tipo giovane, piuttosto atletico, taglio stile marines in carriera impegnato a salvare il mondo. Non sei un tipo votato alle faccende domestiche, come un combattente che si rispetti. Indossi abiti non tuoi, dato che la prima volta che ci siamo introntrati gli stracci erano certamente i tuoi visto l'usura e la poca raffinatezza. Mi duole ammetterlo, ma il grado di sfrontatezza con cui ti rivolgi al sottoscritto non è a) mai stato visto da parte di un maggiordomo in questa casa, come se b) potessi permettertelo tanto il lavoro non ti interessa o c) non hai mai fatto il cameriere in vita tua e non sai come comportarti.»

Poi ci fu un'ulteriore pausa di silenzio, nella quale Steve si sentì come nel bel mezzo di un interrogatorio. Dov'era il poliziotto buono, ora che serviva?

«Insomma, tu: che ci fai qui Jarvis? Sempre che sia il tuo vero nome?»

Steve si sentiva con le spalle al muro e non poteva biasimare Tony. Era entrato nella sua vita improvvisamente, e così tanto improvvisamente lui l'aveva notato e scelto tra centinaia. In quel momento non si era fatto grandi domande, pensava solamente al suo obiettivo; scoprirne di più sulla morte di Howard e la moglie, per poter tornare a casa. Ma Tony di questo non ne sapeva nulla; eppure, senza nemmeno conoscerlo, l'aveva accettato in casa sua. In fin dei conti cordialmente, permettendogli pure di trasferirsi lì.
Come mai tanta fiducia? Solo un segno del destino, oppure una strana forma di curiosità nei suoi confronti?

«Il mio nome sarebbe Edwin, Edwin Jarvis. Ma gli amici mi chiamano semplicemente Jarvis.» Fu Steve a rompere il silenzio creatosi tra di loro, rispondendo all'ultima delle domande poste in sequela calzante dall'altro.

«Un caro amico dei miei genitori conosceva bene tuo padre.» Mentì ancora. Questa volta sembrò essere convincente, il volto pieno di fuliggine del giovane Stark non si scompose di un millimetro. «Attualmente sono solo; i miei sono morti pochi anni fa.»
Il che era vero; il fatto che lo fosse secondo linee temporali stranissime era un piccolo dettaglio.
«Sono nato il 4 Luglio, ho prestato il mio servizio al fronte come tutti i giovani di questo paese, dispongo di pochi spiccioli e ho speso una fortuna per comprarmi questo vestito.» Un misto di verità e bugie. Gli sembrava di sentir parlare Nick Fury.

Il giovane Tony sembrò ascoltare tutto con estrema attenzione, guardandolo dritto dritto negli occhi per quelle che sembrarono ore intere. Non ricordava di aver perceipito il suo sguardo indagatore addosso dal tempo della discussione sull'eliveivolo S.H.I.E.L.D., durante una discussione sognata qualche giorno prima.
Poi improvvisamente i suoi lineamenti si deformarono un po', trattenendo a stento quella che pareva una risata.

«Pff, il... 4 Luglio? Stai scherzando?»

«No, affatto!»

«Incredibile!» Aggiunse mentre ghignava e lanciava lontano il cacciavite con il quale teneva ancora sotto tiro il biondo. «Come quel bellimbusto che osannava tanto mio padre!»

Steve avrebbe voluto aggiunger qualcosa a riguardo, ma si rese conto di quando sarebbe stata fuori luogo ed estremamente inutile. Quindi decise che il momento serietà era finito, almeno per quella giornata.

«Dall'ora che si è fatta deduco che dovrò trascinarmi nuovamente in cucina.»

Poi inaspettatamente, udirono quello che era il campanello della casa suonare.

«Oh, non credo dovrai preoccuparti; stasera uscirò.»

Mentre sul volto di Steve si dipingeva un punto interrogativo grande come una casa, Tony si precipitò nel vicino bagno, aprendo il getto d'acqua della doccia.

«Ah, digli che arrivo!» Sentenziò, come una diva hollywoodiana, mentre il campanello continuava a risuonare imperterrito.









Note finali:


La canzone che ho scelto non è nè la canzone più conosciuta dei Green Day, nè la mia preferita. Ma ho trovato così tanto calzante la strofa che trovate all'inizio di questo capitolo che non ho potuto esimermi dall'inserirla! Insomma, pare scritta per Steve; magari anche la band, scrivendola, si è riferita a Capitan America... Ma non sono sicura che queste mie congetture corrispondano al vero! XD

Per quanto riguarda la storia, finalmente questi due si stanno "conoscendo". Prima era una conversazione a senso unico nella quale l'unico a proferir parola era il giovane Stark, ora invece anche Steve prende parola. Forse è un bene, forse un male, chi lo sa!

Invece non saprei cosa scrivere come precisazione. Forse perché ce ne sarebbero da fare tantissime, questo capitolo contiene davvero un numero altissimo di mini-riferimenti diversi! Quindi stavolta, anche complice il tempo tirato che purtroppo ho al momento, lascio a voi il piacere di scovarli. :)

Come cosuetudine ringrazio chi segue questa storia, ma soprattutto la gentilissima Alley che continua a recensire con parole bellissime! Come farei, senza di te! TT___TT
Un grazie davvero a tutti, anche a a chi leggerà questo capitolo!
Alla prossima! :)

_Diane_

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ~ Have a nice day ***


Capitolo 6 RIASSUNTO: Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo, ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi, riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e a tornare a casa?





Why, you wanna tell me how to live my life?
Perchè mi vuoi dire come vivere la mia vita?
Who, are you to tell me if it's black or white?
Chi sei tu per dirmi se questo è bianco o nero?

Mama, can you hear me? Try to understand
Mamma, riesci a sentirmi? Prova a capire
Is innocence the difference between a boy and a man
L'innocenza è la differenza tra un ragazzo e un uomo
My daddy lived the lie, it's just the price that he paid
Mio padre ha vissuto una bugia, è solo il prezzo che ha dovuto pagare
Sacrificed his life, just slavin' away
Ha sacrificato la sua vita, per poi buttarla via

Have a nice day ~ Bon Jovi




Capitolo Otto

Lunedì, 20 Dicembre 1991.
Sera.


«Buonasera. Mi scusi, cercavo Anthony Stark. E' in casa?»

Un eccesso di gentilezza e serietà, a cui era stato disabituato negli ultimi giorni, travolse Steve così improvvisamente da spiazzarlo. Un ragazzo giovane, non più di vent'anni, sostava educato sulla porta con le braccia dietro la schiena. La carnagione e le pupille scure, il taglio degli occhi leggermente allungato, il fisico ben proporzionato e slanciato, taglio di capelli piuttosto corto e geometrico. Lo sguardo adulto e riservato ed un completo elegante scuro portarono Steve alla conclusione più ovvia; quell'uomo era certamente in qualche grado dell'esercito americano.
E poi chi diamine lo chiamava... "Anthony"?

«Chi lo cerca?» Cercò di sondare il Capitano, senza sembrare scortese dinanzi alla porta d'ingresso rimasta aperta. Temporeggiava mentre un tarlo indagava, attivatosi scavando nel suo cervello ancora sbattuto dagli avvenimenti susseguitosi nei giorni precedenti. Conosceva per caso quell'uomo...?

«James, James Rhodes.»

Una lampadina, in qualche anfratto buio della sua memoria, indicò la strada all'animaletto xilofago.

«Mi scusi, non vorrei sembrare invadente ma per caso lei è un... militare?» Domandò, senza peli sulla lingua. Sentiva d'aver imbroccato la galleria giusta.

«Elementare, Watson!» Commentò ironica una terza voce alle spalle di Steve, che lo fece trasalire.

«Sì, sono un militare, ma purtroppo non ho le facoltà per arrestare questa testa calda per "atti osceni in luogo pubblico."»

Steve non capì a cosa si riferisse il nuovo arrivato finchè non si girò, per capire da dove proveniva la voce del giovane Stark. Questi sostava sull'uscio di casa dopo aver finito la breve doccia. Ma non era questo a turbare gli altri due; lo sguardo del Capitano fu immediatamente attirato più in basso rispetto alla sua disordinata e bagnata capigliatura mora. Era quasi completamente nudo, eccezion fatta per un minuscolo cappotto femminile di un colore tendente al rosa cinto attorno alla sottile vita che copriva a malapena le parti basse.

Steve involontariamente si spalmò una mano sulla faccia per la disperazione. Non voleva nemmeno sapere da dove arrivasse, quell'indumento.


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Dopo aver fatto accomodare all'interno l'improvviso ospite, Steve approfittò dell'assenza dell'egocentrico per scambiare quattro chiacchere. D'altronde si trovava dinanzi ad uno dei migliori amici di Tony.
Non era da sottovalutare il fatto che, sebbene non lo avesse mai conosciuto di persona nel ventunesimo secolo, nutriva comunque una sorta di simpatia per quell'uomo, quel militare che sapeva tener testa a Stark Jr. Il fatto che anche lui indossava un'armatura metallica nel futuro poteva aiutare, come ricordava aver letto in alcune delle decine di scartoffie lette prima di arruolarsi con la banda di Fury.

«Così tu sei il nuovo maggiordomo di casa, eh?» Rhodes sfilò gli occhiali che ancora portava, sistemandosi meglio sul divano. Indossava un completo scuro molto elegante che, nonostante la sua giovane età, lo faceva apparire più adulto e maturo.

«Sì, a quanto pare!» Rispose con tutta la compostezza di cui era dotato, sfoggiando un sorriso sincero.

«Non so se siate più sprovveduto o... disperato per esservi proposto per quest'incarico signor...?»

«Io, Ste... Ah-ehm. Io stavo giusto per presentarmi.» Riprese tossicchiando e dandosi mentalmente dello stupido. Tese la mano al militare. «Edwin, Edwin Jarvis, piacere di conoscerla signor Rhodes.»

«Presa ferrea, Jarvis! Ha fatto parte dei marines? Forse dell'esercito? Aeronautica non credo, l'avrei certamente notata tra le file...»

Questo ritornello, due volte in meno di un'ora, lo spaventava. Forse il fisico ossuto e magrolino di parecchi anni prima avrebbe aiutato a passare inosservato.

«Ho prestato servizio al fronte come tutti i giovani di questo paese, signore.»
Rispose, ripetendo meccanicamente le parole pronunciate poc'anzi al petulante amico. Premurandosi di aggiungere subito dopo, per cambiare definitivamente discorso.
«Scusi la curiosità, a cosa di riferiva parlando di "sprovveduti" e "disperati"?»

«Non che lei mi sembri uno o l'altro tipo di persona, non vorrei sembrare scortese.» Esordì Rhodes un poco imbarazzato, sistemandosi la cravatta scura attorno al collo.
«So solo che da quando ho memoria non ho visto in questa casa lo stesso maggiordomo per più di... un mese direi.»

Steve non rimase né interdetto, né stupito. Ben conosceva la ricchezza della famiglia Stark, di certo potevano permettersi questo e altro.
Fu proprio la mancanza di stupore del Capitano che colpì Rhodes.

«Uhm? Tutto qua?»

Non sapendo che rispondere, Steve optò per il silenzio stampa.
Rhodes scrutò il suo interlocutore, ancora in piedi composto dinanzi a lui. Poi roteò gli occhi e li posò sul bicchiere offertogli poco prima dallo stesso maggiordomo.

«Sembri un bravo ragazzo, non vorrei scoraggiarti. Finché c'era il vecchio Howard vigeva una sorta di dittatura, in questa casa. Al minimo errore, amici e colleghi compresi, venivi gettato fuori da casa, che egualeva nel caso anche dal lavoro e dalle Stark Industries. Il cerimoniale era d'obbligo, e ad ogni tentativo fallito della servitù di rimettere in riga l'impeto di Tony corrispondeva ad un licenziamento in tronco.» Fece roteare il bicchiere tra le mani, facendosi serio. «Con la tragica scomparsa dei genitori, Tony ha licenziato tutti. Sottolineo tutti, dalle signore delle pulizie allo stuolo di cuochi della domenica, dal giardiniere alla giovane segretaria. Per non parlare del vecchio maggiordomo, mandato via a pedate senza uno straccio di stipendio. Ed ora ci sei solo... tu, Jarvis.»

Il silenzio impenetrabile nel quale era immersa l'imponente casa piombò improvviso sulle spalle dei due giovani uomini. Era come se Steve potesse udire il rumore prodotto da tutto il viavai di gente che fino a poco prima aveva affollato quelle stanze.

«Tony mi aveva confidato di non voler rimetter piede in questa casa.» Aggiunse Rhodes, abbassando lo sguardo e la voce. «Credevo l'avrebbe venduta o demolita e si sarebbe trasferito lontano da New York, magari in una bella villa vista mare in California. Non sopportava di vivere ancora tra queste mura.»

Rialzò lo sguardo. Ricambiandolo, Steve cercò di mascherare i ricordi legati ad Howard, all'adulto Tony, alla villa a Malibù, tutti dietro ad una maschera di porcellana parecchio fragile. Avrebbe chiesto volentieri a quell'uomo sensibile qual'era il segreto che lo avrebbe portato a rimanere accanto al giovane Stark così a lungo.

«Deve esserci qualcosa, qualcosa che gli ha permesso di... di ricominciare.»

Proprio mentre la discussione si stava rivelando particolarmente difficile per il Capitano, un giovane moro sbarbato fece il suo trionfale ingresso nella stanza, riportandoli alla realtà. I capelli completamente spettinati, il completo bianco chiaro troppo largo per la sua sottile corporatura, una camicia di un colore indefinito tendente all'arancio aperta sul davanti e un paio di occhiali da sole riflettenti completavano il bizzarro quadro.

«Ci muoviamo, belle statuine?»

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Le statuine si mossero. Uscirono dalla casa e Tony montò su una sfavillante Rolls Royce scura. Steve gentilmente aprì la portiera a Rhodes che ringraziò con un cenno della testa, prima di invitare anche Steve a salire. Il giovane Stark borbottò qualche parola di disaccordo, ma il giovane militare ebbe la meglio; Jarvis veniva con loro. Con un mezzo sorriso divertente dipinto sulle labbra lasciò giusto il tempo al Capitano di chiudere la portiera e mise in moto.

Il nostro protagonista si trovò a dover subire, nell'ora che seguì, musica sparata ad un volume tale che faceva tremare la carrozzeria di quella povera auto -che certamente aveva visto tempi migliori-, lanciata a velocità folle per le strade affollate dallo shopping natalizio della grande mela. Si trovò a pensare al Tony del futuro che, completamente solo, si lanciava a velocità stratosferiche nei cieli, chiuso ermeticamente in un'armatura di ferro. Probabilmente con musica più assordante di quella sparata direttamente nei timpani. Osservando come guidò senza problemi per tutto il tragitto capì come potesse riuscirci, provando tuttavia anche una sorta di compassione nei suoi confronti.

Mentre Steve riuscì a trovare la concetrazione necessaria per arrivare a comprendere che non sapesse dove quell'auto era diretta, questa bruscamente terminò il suo folle zigzagare con una brisca frenata. Dopo aver rischiato di rompere il setto nasale contro il sedile di fronte, alzò gli occhi e si trovò di fronte uno stuolo di fotografi e giornalisti che assediavano l'ingresso di un lussuoso albergo. Un gregge di pecore che sembravano estremamente sorprese dell'arrivo di Tony.

«Signor Stark!»
«Signor Stark!»
«Signorino, non speravamo in un vostro intervento! Cosa l'ha spinta a venire qui stasera?»
«Ci dica, cosa ne pensa di questo passaggio di testimone? Gioverà all'azienda?»
«Le Stark Industries continueranno in perdita o si riprenderanno da domani?»

La tempesta di domande che si riversò addosso a Tony avrebbe sopraffatto chiunque. Chiunque, meno quell'individuo.

«Ho una sfera di cristallo in mano?» Il tono canzonatorio con il quale il ragazzo ammaliò e zittì i presenti, riportando Steve avanti nel tempo. O indietro.
«Forse, ma per oggi lasciamola rotolare via e godiamoci la serata!»

In quel momento Tony venne avvicinato da un paio di giovanissime ragazze, in bella vista la profonda scollatura aperta sui seni prosperosi e i capelli lucenti lunghissimi che ricadevano su di essi. Fece poi il suo ingresso attraverso il lussuoso atrio, mentre una miriade di flash e domande continuavano invano a riversarsi addosso a lui.
Rhodes alzò le spalle rivolgendosi silenziosamente a Steve e i due entrarono, dopo che la massa di giornalisti tagliati fuori iniziava a disperdersi.

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«Avete presente i vecchi transitor dei circuiti integrati? I bipolari usano transistor bipolari classici o CMOS, se usano transistor MOSFET

L'estremità del collo della bottiglia di spumante che aveva tra le mani si poggiò nuovamente alle labbra di Tony. Che riprese a parlare.

«Qualche essere redrogrado diceva che usare entrambi i tipi di transistor sullo stesso chip sarebbe stato impossibile. Folle! Se qualcuno, non presente stasera, avesse visto la  nuova tecnologia ibrida per i suoi microprocessori, la BiCMOS, non saremmo certamente qui stasera a sprecare del buon vino scialaquando i nostri patrimoni!»

Seguì un imbarazzato applauso, mentre Tony rideva di gusto al termine di un discorso che quasi nessuno degli agghindati ospiti presenti nella sala aveva compreso fino in fondo. Steve avrebbe voluto andare a recuperare il suo futuro collega vendicatore, annebbiato dai fumi dell'alcool che continuava imperterrito a trangugiare, ma capace ugualmente di parlare arabo come se fosse lucido.
Eppure qualcosa, in quel marasma, lo colpì.
Un solo uomo, in piedi accanto a lui, non applaudiva meccanicamente ma teneva le braccia incrociate dinanzi al petto.

«Si riferisce al padre. Se avesse lasciato che Anthony pubblicasse la sue scoperte nell'ambito dei microchip, la Intel non l'avrebbe brevettata e quel ragazzo sarebbe di sicuro la persona più ricca del pianeta.»

Un uomo con lineamenti distintamente orientali, la pelle olivastra e un completo grigio un poco rovinato, sembrava l'unica persona che aveva colto l'allusione di Tony.

«Non mi sembra comunque indigente, in verità.» Rispose Steve con una punta di sarcasmo, gli occhi preoccupati ancora incollati sulla bottiglia che il giovane Stark non accennava voler abbandonare.

«Uomini come lui sono sempre indigenti.» Disse l'uomo voltandosi verso Steve, scrutandolo con sguardo assente attraverso le lenti trasparenti degli occhiali. «Sembrano aver tutto. In realtà, non hanno niente.»

Un ultima occhiata di nuovo al giovane Tony, e l'uomo enigmatico col quale stava parlando si allontanò. Steve avrebbe voluto fermarlo, ma lo osservò dileguarsi tra la folla di gente che ancora applaudiva, più per lo spettacolo che Tony stava mettendo in scena che per quello che effettivamente stava dicendo.
Fu in quel momento che notò una rapida sagoma nera, scivolare dietro le tende del palco dove il giovane Stark stava parlando. Fu un attimo, il pesante tendaggio quasi non si mosse.
Si girò a destra e a sinistra, come per capire se fosse stato l'unico ad aver visto quella... cosa.
In effetti tutti continuavano a trangugiare cibo e a parlottare tra loro come se nulla fosse.

"Non è nulla, Steve. Sei ad un party di nobildonne e nobiluomini per il passaggio di testimone delle redini dell'azienda Stark."

Almeno fino a quando lui non avrebbe compiuto i ventuno anni, come gli aveva spiegato poco prima Rhodes, l'impero economico della famiglia sarebbe stato al sicuro nelle mani di un fidato amico di famiglia. Per questo la sala ricevimenti di un lussuoso hotel era stata affittata, ed era stata ingaggiata una squadra per la sicurezza privata. Inoltre non mancava all'appello nessuno dei ricchi azionisti e guerrafondai clienti delle Stark Industries.
Già due volte, con il giovane Coulson e Tony, aveva rischiato di aggredire qualcuno che reputava circospetto. In entrambe le situazioni si era sbagliato, e avrebbe preferito non aumentare la conta dei momenti imbarazzanti a suo carico.
Cercò di lasciar correre distraendosi e ascoltando quanto Tony continuava a blaterare.
Ma, mentre cercava di capire anche solo una parola di quello che diceva -estremamente divertente a giudicare dalle risate euforiche dei presenti-, notò una seconda volta la tenda muoversi nella penombra del palco.

Non riuscì più a trattenersi. Il suo sesto senso gli intimò di muoversi. Velocemente si fece strada scivolando cauto tra i presenti. Dopo una miriade di "mi scusi" arrivò vicino all'ubriaco che stava presiedendo quello strano spettacolo, spostando la tenda per entrare nel retro del locale.
Retro che non era così oscuro e desolato come si aspettava. C'era infatti una luce che proveniva da una stanza poco distante, che aveva la porta accostata. Steve strisciò in punta di piedi  portandosi vicino quanto bastava per scoprire che c'era all'interno più d'una persona. All'interno, le voci sconosciute di due uomini.

«Tutto è andato come previsto. Nessun ostacolo all'operazione.» Esordì la prima voce, roca ma giovanile.
«Ed il merito è solo da attribuire a te.» Ribattè soddisfatta una seconda voce maschile, più profonda ed adulta della prima.
«Non mi accontento di un "grazie" imbustato con la ceralacca, lo sai...» Riprese sarcastica la voce del primo.
«Ogni promessa è debito.» Rispose serio il secondo. «Spero di tornare presto a fare affari con te.»
«Ed io le auguro un sereno Natale.» La voce soddisfatta ed ironica dell'uomo più giovane si avvicinò pericolosamente alla porta, costringendo Steve ad indietreggiare dietro ad una sporgenza del muro.
L'individuo scivolò con circospezione fuori dall'uscio e prese lento a camminare nella direzione opposta al Capitano, infilandosi una busta nei pantaloni e sparendo rapido nell'ombra. Il nostro protagonista lo avrebbe anche inseguito se non fosse che anche l'altro lasciò la stanza, dirigendosi all'opposto verso il palcoscenico.
Non appena potè, Steve prese a seguirlo come un'ombra per i corridoi bui che conducevano sul palco. Si fermò solo quando questi di fermò, ad un palmo dalla pesante tenda rossa. Dietro alla quale la voce di Tony continuava a blaterare scempiaggini.
Fu in quel momento che il nostro notò uno scintillio bluastro provenire dalla penombra. Si girò e avvertì quella che sembrava essere la canna di un fucile puntata dietro la sua testa.
Era quel ragazzo appena uscito dalla stanza? Non se ne era forse andato?
Poi una voce lontana, che sembrò rimbombare solo nella sua testa, scandì lenta queste parole.

«Non sei tu il mio nemico.» Mormorò in questo modo strano. Per poi puntare l'arma verso l'uomo che stava sostando dietro alla tenda.

Steve avrebbe voluto ascoltare quella voce; qualcosa gli diceva di ascoltarla.
Ma il suo addestramento da soldato non poteva lasciar morire un uomo disarmato che sarebbe stato certamente ucciso alle spalle.
Fece cadere il peso del suo corpo all'indietro contro quello dell'altro uomo. Ma in quel momento l'arma sparò. Si rivelò un colpo silenzioso, non emise un solo rumore. "Forse ha un silenziatore" pensò ingenuamente il Capitano.

Il mondo di Steve però piombò nell'oscurità. Prima di crollare a terra vide l'uomo che stava sostanto dietro la tenda, ignaro di tutto, fare il suo ingresso presentato dallo stesso Tony, che gli lasciò il palcoscenico tra gli applausi dei presenti.

«Ma ora ecco il vero protagonista di stasera, gente! Obadiah Stane, spero non te la spasserai troppo con i miei soldi, in questi due anni!»









Note finali:


Eccomi tornata dopo un'abissale periodo d'assenza! Mi spiace davvero tantissimo, tengo immensamente a questa storia e spero che ci sarà ancora chi avrò la pazienza e la curiosità di seguirla. Purtroppo la vita nella "real life", almeno fino a fine Febbraio, sarà piuttosto impegnativa. Nonostante questo, utilizzerò tutto il tempo che mi rimarrà per narrare le imprese del povero Steve a spasso nel tempo! Ora, come di consueto, vi lascio alle precisazioni finali sul capitolo otto:

1) James Rodhey è un personaggio che personalmente ho adorato soprattutto in "Iron Man". Sarà per alcune scene (tipo quando trova Tony a vagare nel deserto, atterra con l'elicottero, gli corre incontro e i due si abbracciano *___*), sarà per l'attore Terrance Howard che proprio mi convinceva con la sua bravura. Infatti ho storto il naso quando scoprii che non ci sarebbe più stato lo stesso attore ad interpretare questo personaggio. Evvabbè ormai la frittata è fatta. Spero che questo War Machine mi piacerà in Iron Man 3.

2) Citazioni film parte 1/2. Tony si rivolge a Steve con l'espressione tipica di Sherlock Holmes (mai pronunziata nei libri, in realtà). Questo perché il brillante Robert Downey Jr. deve farsi sempre notare.

3) Citazioni film parte 2/2. Come i più arguti avranno notato il cappotto di colore rosa, cinto attorno alla vita di Tony all'inizio, non è stato scelto a caso. Ricordate il film dei "Fantastici 4"? La scena cena nella quale uno dei protagonisti accende una fiammella con un dito?  Cosa indossava e... chi era l'attore? LOL.

4) Non so assolutamente un cavolo a riguardo dei circuiti integrati. So a malapena come si accende un pc.  Quindi ovviamente, ringrazio immensamente Wikipedia.
http://it.wikipedia.org/wiki/Circuito_integrato

5) In realtà l'incontro con il tizio *non specificato, che dovete riconoscere voi, muahauha* non avviene a NY bensì a Berna, o almeno secondo quanto la sua controparte riferisce a Tony in una scena del film "Iron Man".

6) Infine vi lascio un'immagine del giovane Robert Downey Jr, esattamente come immagino Tony scrivendo di lui in questa ff! °ç°
*muore davanti a tutta questa bellezza* Dannato e fortunato Steve!!
http://24.media.tumblr.com/tumblr_makf2dMFzx1qajc4eo3_500.gif  --> Link ad alto contenuto di *sbav*


Spero di tornare presto tra questi lidi! Spero inoltre che vogliate lasciare un piccolo commento a questo capitolo, sono sempre curiosissima di sapere cosa ne pensate! :)
Un abbraccio e tanti auguri di buone feste (un poco in ritardo per ieri)!! XD

_Diane_

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ~ Another one Bites the Dust ***


Capitolo 6 RIASSUNTO: Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo, ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi, riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e a tornare a casa?





Steve walks warily down the street
Steve camminava pallido giù per la strada,
With the brim pulled way down low
Con la visiera del cappello calata sugli occhi
Ain't no sound but the sound of his feet
Non si sente altro suono che il rumore dei suoi passi
Machine guns ready to go
Le mitragliatrici pronte a far fuoco


Another one Bites the Dust ~ Queen




Capitolo Nove

Martedì, 22 Dicembre 1991.
Pomeriggio.


Ne era certo; sarebbe stato licenziato.

Ma non era quello a preoccuparlo maggiormente, mentre tamburellava freneticamente il piede sul pavimento.
La luce attorno a sé, nella minuscola stanza d'aspetto, era fioca. L'aria si era fatta pesante e gli faceva girare la testa, che non poteva nemmeno venir cambiata data la completa assenza di finestre.

Il ragazzo si chiese dove diamine potesse essere stato portato. Sicuramente fuori città, a giudicare dal tempo che avevano impiegato per raggiungerlo. Quella mattina, sul tardi, era stato prelevato con urgenza dalla sua abitazione, fatto salire su un elicottero, bendato, ammutolito e trasportato chissà dove.
Era stato abituato, dal giorno in cui era stato assunto, a non fare domande. Meno chiedi, meglio stai gli era stato suggerito da chi gli aveva fatto firmare un contratto lungo un centinaio di pagine. Una marea di scartoffie nelle quali, ogni due righe, si poteva leggere qualcosa che poteva essere riassunto nell'espressione "meno chiedi, meglio stai". Aveva dovuto fare sua quella filosofia di vita per necessità ed aveva scoperto dopo poco che non gli dispiaceva molto. Un basso prezzo da pagare per un posto di lavoro ben pagato, senza colleghi petulanti ai quali devi necessariamente sorridere a denti stretti inventandoti di fidanzata e parenti perfetti. No, niente di tutto questo; possibilità di promozione, vitto e alloggio ben pagati e... il concreto rischio di rimetterci le penne ogni cinque minuti.

Forse meno, a guidicare dalla frazione di tempo bastata affinché perdesse di vista colui che stava pedinando.

Al pensiero di cosa potesse essere successo a quell'uomo spiaggiato nel tempo, avvertì un capogiro più forte dei precedenti.
Si piegò in due sulla sedia, poggiando entrambi i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani.
Sì. Avrebbe potuto mandare al diavolo tutti, i suoi mille superiori, i capi, e persino i capi dei loro capi.
Portò una mano nella tasca della giacca sgualcita, dove un pacchetto di figurine ancora ben sigillato pareva bruciare, incandescente.
No. Però non avrebbe mai e poi mai permesso che quei cinque minuti si fossero portati via un uomo, forse il migliore tra gli uomini.

Poi una voce lo strappò ai suoi pensieri.
Automaticamente balzò in piedi e si diresse verso la porta che gli venne aperta.

«Agente Coulson, si accomodi; il direttore la sta aspettando.»


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Martedì, 22 Dicembre 1991.
Sera.

Non sapeva cosa pensare. Semplicemente se ne stava fermo seduto, mentre osservare il tempo passare.
Aveva chiesto e - fortunatamente - era riuscito ad ottenere vacanze anticipate per quel Natale. Non era che una semplice matricola nell'aeronautica, per di più senza famiglia, e non aveva nessun motivo apparente per starsene a casa.
Poi però volse lo sguardo al compagno di tante bravate disteso inerme sul letto. Eccola l'ottima ragione.

Non l'aveva visto mai bere in quel modo dalla fine del liceo. Gli anni dell'università di Tony al MIT e il suo arruolamento nell'esercito li avevano brutalmente allontanati. Poi si erano tornati a frequentare, ma in modo molto formale; i due erano ormai considerati adulti, non c'era stato più tempo per ragazzate asolescenziali. Già. Come se ci ti scaraventassero dentro, una volta ingranata la marcia della pubertà.

Sprofondato nella poltrona, i pantaloni della sera prima ancora addosso, la camicia completamente fuori posto e l'aria stressata, James Rhodes pensò che non doveva proprio avere una bella cera.
Lo sguardo poi tornò, dopo aver ispezionato per la milionesima volta la camera da letto, su un Tony Stark ancora sbronzo e dormiente tra le lenzuola.

I genitori dell'amico erano diventati come una seconda famiglia per lui, figlio di umili operai, che era riuscito faticosamente a farsi strada nella vita.
In segreto sapeva che Tony in parte lo detestava, per questo.
In mezzo a litigate furibonde tra i due Stark non era raro sentire Howard tirare in causa i giovani americani che non hanno nulla e riescono a farsi strada nella vita senza genitori che gli puliscano continuamente il culo. Una metafora chiara e tangibile che però Rhodes, per quanto condannava il modo con il quale Tony amava sperperare il denaro, non condivideva. Il suo amico poteva essere anche una testa calda, come lui spesso amava ripetere, ma non era certamente uno sprovveduto. Certo, il fatto che aveva ingenti somme di denaro da sperperare e un ego mica male potevano non essere d'aiuto.
Poi un mugugno sommesso proveniente da sotto le lenzuola, fece tornare la sua attenzione ai problemi del presente.

«Perché diamine l'inferno profuma di lavanda?» Sbiascicò l'amico, portando il proprio peso sul fianco nel - folle - tentativo di rimettersi in piedi.

«Perché forse non sei all'inferno, Tony.» Rispose Rhodes, a metà tra il sollevato e l'ironico.

«Ehi, se ci sei anche tu, Rhodey» Esordì abbastanza sopreso, mentre tentava invano di sollevare il proprio peso dal materasso «questa non può assolutamente essere la casa di Lucifero.»

«Oh, ma ci sei andato parecchio vicino al conoscerlo, sai.»

Rhodes si alzò dalla poltrona che aveva quasi preso completamente la sua forma, dal tanto che vi era rimasto seduto. Quasi una giornata intera, a giudicare dall'ora tarda alla quale il giovane Stark aveva degnato il mondo della sua viva presenza.

«E non credo sia il caso di fare ora la sua conoscenza. Magari prima o poi ti capiterà se continui così. Ma non permetterò che accada, almeno finché sarò nei paraggi.»

Sul volto di Tony prese forma una divertente smorfia, condita con una punta di disgusto.

«Con tutta questa dolcezza domani mi troverò costretto scucire un bel milione al dentista.»

Nonostante la sbronza ancora perdurante all'interno del suo organismo dalla sera precedente, a cui si sommava il fatto che aveva dormito ininterrottamente per tutto quel tempo sfiorando il coma etilico, Tony non rinunciava all'utopia di alzarsi da quel dannato letto.

«Non credo che balzare giù dal letto sia una buona idea.» Riprese Rhodey, con tono canzonatorio.

«Aspetta un attimo; da quando tu hai buone idee?»

Rhodes odiava il sarcasmo inopportuno del quale il suo amico abusava quando qualcuno gli si opponeva.
Si passò una mano sulla fronte, come bastasse a spazzare via tutta la stanchezza accumulata durante quella giornata, mentre con passo lento e rassegnato circumnavigava l'ampio letto dal quale l'amico aveva ancora intenzione alzarsi.
Ma l'intenzione si tramutò in realtà prestissimo; Rhodes non fece neppure in tempo ad aiutarlo che se ne stava già ritto sui suoi stessi piedi.

I due a distanza iniziarono a studiarsi, come due vecchi amici che non si vedono da tempo e non sono sicuri di riconoscere il vecchio compagno d'avventure. Entrambi non avevano un  bell'aspetto; Tony ad esempio aveva il volto bianco come un cencio, gli occhi infossati e la testa dolorante, mentre tutti gli organi dall'intestino in su pareva fossero stati investiti e poi macinati per benino. Nonostante tutto il giovane Stark ebbe improvvisamente l'impressione mancasse... qualcosa.
Si guardò in giro, ingnorando cosa cercare perchè... non lo sapeva.
Rhodey colse immediatamente l'allusione dell'amico, che pareva ancora in stato semi-confusionale.

«Stai cercando il tuo nuovo maggiordomo?» Domandò, con un tono preoccupato che non lasciava presagire nulla di buono.

«Il mio nuovo magg...?» La confusione in cui vagava ancora la brillante mente di Tony era evidente
«Ah, Jarvis intendi! Sarà invischiato in cucina a prepararci la cena. Ai fornelli è persino più maldestro di te con le donn...»

Ma Rhodes non sorrise a quella battuta. E fu in quel momento che il cervello annebbiato del giovane Stark riprese a funzionare, segnalandogli che qualcosa non andava.

«Tony. Jarvis è... sparito.»



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Da qualche parte, nei ghiacci.
1946.

«Non può essere sparito nel nulla.»

Howard Stark pensava, forse sperava, che continuando a tormentare gli strumenti di bordo questi avrebbero potuto funzionare meglio. In realtà detestava ammettere che nemmeno il suo genio sapeva come operare a bordo di una nave rompighiaccio alla deriva nei freddi mari del nord, con apparecchiature talmente malridotte che era un miracolo svolgessero ancora il loro compito. Ma fuori c'erano gli orrori della più spaventosa guerra vista dall'umanita che bussavano; non c'erano tempo e soldi da spendere.
Già tanto se gli era stata concessa quella imbarcazione.
Nemmeno il ritrovamento della strana fonte energetica delle armi dell'Hydra l'aveva rincuorato. Anzi lo preoccupava il bagliore sinistro che quel cubo emetteva.

Mentre lo sguardo passava in rassegna nuovamente tutti gli schermi dei sonar ai quali erano collegati, poche parole rimbombavano nella sua mente; "non può essere sparito nel nulla".

«Signor Stark.»

«Bisogna continuare a cercare, forse spostandoci qualche miglio a ovest potremmo...»

«Stark, signore.»

«...osservare da vicino il fondale, forse dove il ghiaccio è poco profondo...»

«SIGNOR Stark!»

La voce che il cervello di Howard aveva escluso dalle frequenze udibili giunse talmente improvvisa ai suoi orecchi che sobbalzò per lo spavento, battendo violentemente la testa contro un antello poco più basso degli altri.

«Eviti di uccidersi nella mia nave, signor Stark.»

«Farò il possibile affinchè non accada» rispose massaggiandosi la testa dolorante «e nel caso dovesse avvenire, mi premurerò che il suo ponte di comando venga ripulito completamente».

«Oh, non sarà necessario. Tra un paio di settimane saremo a casa.»

«Come, a... casa?» Riprese visibilmente sorpeso Howard, perdendo anche la punta di sarcasmo rimastagli.

«Sono mesi che la mia nave scandaglia l'oceano invano. Ho ricevuto ordini diretti dal governo degli Stati Uniti.»

«Ma qualcosa l'abbiamo trovato!» Tuonò, mentre avvertiva il sangue ribollirgli nelle vene. «Non possiamo mollare adesso!»

«Mi dispiace, signor Stark. Domani invertirò la rotta.»

«Le dispiace? LE DISPIACE? Come può lei condannare un uomo innocente, forse il migliore tra tutti noi, a morire in questa terra dimenticata da Dio?!»

La plancia di comando fu investita da un gelo glaciale paragonabile a quello che ammantava il paesaggio fuori dai sottili vetri.
Il respiro affannoso di Howard, condito da sbuffi di vapore, non riscaldava certo l'ambiente.

«Lei è un uomo razionale, Stark. Ci pensi; sono passati due, due lunghi anni.»

I due uomini si guardarono dritti nelle palle degli occhi; lo spazio di un'idea folle li separava.

«Guardi fuori. Nessuno, neppure un supersoldato, può resistere in quest'inferno così a lungo.»

Howard sostenne lo sguardo del suo interlocutore. Avrebbe voluto trattenere un urlo, almeno una lacrima, ma né la gola né i condotti lacrimari rispondevano più ai suoi comandi.

«Ormai è deciso. Domani si torna a casa.»

Si sentiva completamente svuotato. Inerme. Consumato.
Nella disperazione di quel momento, che avrebbe rimpianto per tutta la vita, una sola flebile frase uscì dalla sua bocca.

«Ha ragione, Capitano

Non era però rivolta a chi comandava quella nave.











Note finali:


Sigh. Sob. Sniff.

In teoria questo capitolo è stato abbozzato tra... Natale e Capodanno.
In pratica voi lo vedere pubblicato solo ora (e ci saranno sicuramente imprecisioni ed errori vari, dei quali mi scuso fin d'ora).

Finché potevo scrivere nei momenti liberi, quelli in cui tiri il fiato e capisci che hai una TUA vita che non appartiene all'università... L'ho fatto. Ma ora il tempo "libero" è occupato unicamente dal... dormire, nel migliore dei casi! XD
Questo per dirvi che ci tengo davvero tanto a questa long fiction come a nessun altra fin ora, e che il mio cervello bacato si sta corrodendo nell'attesa di poter trovare un minuto libero di tempo per poter proseguire. Quindi mi scuso a livello interplanetario (sempre che ci sia qualche alieno tanto pazzo da leggere questa cosa) con chi sta seguendo questa fiction e la sta sostenendo! Continuerà, perché DEVE continuare.

Quindi di cuore ringrazio tutti.
Tutti perché senza di te, anche te che stai leggendo questa recensione aprendo il capitolo avendo sorvolato il testo della fiction giusto per capire se sono ancora viva. Te, che approcci a questo capitolo per curiosità e sì, anche te hai tutto il dovere di insultarmi.
Ma siete qui, quindi... Grazie davvero! :) Grazie anche a chi recensirà questo nono capitolo, a chi continua a seguire la storia, a chi lo farà!

Vi lascio alle solite precisazioni con un abbraccio grande; a presto gente! :)


1) Il posto dove è stato portato Coulson, nella mia testa, è la base segreta dello S.H.I.E.L.D. Ma dato che qui il nostro agente è ancora un novellino, non può sapere manco dove sia. Povero piccolo. *^*

2) Secondo me il rapporto Tony/Howard, come ho avuto modo di approfondire in una vecchia fiction ("Hey, dad, look at me." per chi fosse profondamente autolesionista e non gli bastasse questa fiction), è stato così come lo descrive brevemente Rhodes. Poche parole, le uniche dette di apparente disprezzo e disappunto. Ho a-d-o-r-a-t-o la scena in Iron Man 2 nella quale Nick e Tony parlano del padre, avendone due feed-back profondamente differenti. Scena, tra l'altro, fondamentale nel tenere insieme diverse parti dell'universo Marvel (o almeno, per come se lo immagina la mia testolina bacata). 

3) Nelle scorse note vi ho detto che adoro l'attore del primo Iron Man interpretare Rhodes. Ecco, vi linko un'immagine che mi fa sciogliere come neve al sole:  *ç*
http://24.media.tumblr.com/tumblr_m3kyomFP0s1qc01jno1_500.png


4) Giusto perché sono in vena di tenerezze, vi mostro anche un Clark Greg da giovane (ovvero come mi immagino il nostro Coulson in questa fiction):
http://25.media.tumblr.com/tumblr_man4by2KDn1qb1u2po6_250.png



_Diane_

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ~ Paralyzed ***


capitolo 10 RIASSUNTO: Dopo la fine della battaglia di New York contro alieni di vario tipo, ogni vendicatore è tornato alle sue usuali attività. Eccezion fatta che ogni giovedì sera il gruppo si ritrovi alla Stark Tower a vedersi in tutta pace un bel film. Al termine di una serata nella quale è stata proposta la visione di "Ritorno al Futuro", uno Steve ancora incerto del suo posto nel mondo viene colpito da un qualcosa che ne provoca lo svenimento. Al suo risveglio si ritroverà nuovamente spaesato nell'anno... 1991. Tra vecchi amici, nuove conoscenze, molti problemi, riuscirà il nostro Capitan America (alias Jarvis) a cavarsela e a tornare a casa?





I'm paralyzed I'm paralyzed
Sono paralizzato dall'emozione
I'm lost in time I'm paralyzed
Sono perso nel tempo, sono paralizzato.

Paralyzed ~ The Fire




Capitolo Dieci

Martedì, 21 Dicembre 1991.
Sera.

«Sapevo che affidare un incarico di così importante ad una recluta non sarebbe stato esente da rischi...»

L'interno della stanza nella quale era stato "invitato" ad entrare pareva decisamente più buio del locale nel quale aveva precedentemente sostato. L'oscurità gli aveva reso difficile persino trovare la sedia sulla quale ora sedeva composto. Dinanzi a sè un freddo tavolo metallico, al lato opposto del quale sedeva colui che gli stava parlando. Non poteva vederlo; tuttavia percepiva lo sguardo penetrante dell'altro, desideroso di informazioni.

«ma non credevo avremmo mai assistito ad una tale esagerazione di azioni sconsiderate.» Terminò, dopo una breve pausa.

La mente di Philip Coluson si era rassegnata ad aspettare.
Attendeva, conserto ed immobile, che quelle parole giungessero. Ne era sicuro; la prossima frase avrebbe contenuto le due paroline magiche: "sei licenziato". Ma non erano quelle a fargli paura. In tutto lo S.H.I.E.L.D., benché nessuno volesse ammetterlo, aleggiavano strane storie di agenti scomparsi da un giorno con l'altro. Avrebbe preferito rescindere subito il contratto che lo legava a quell'uomo, ma sapeva bene che all'interno delle scartoffie firmate il giorno della sua assunzione nemmeno una alludeva a situazioni di quel tipo.
Il che non era per nulla confortante.

«Seminare la squadra che avevo affidato a questa recluta non dev'esserti stato semplice; agenti altamente addestrati, pronti a pedinamenti lunghi interi giorni e intere notti.»

Aspettava il vuoto d'aria di una botola che si apriva sotto il pavimento, quanto meno una raffica di mitra. D'altronde per il suo interlocutore non sarebbe stato difficile ucciderlo a sangue freddo. Tutti conoscevano le cose di cui era capace il direttore, benché in pochissimi avessero avuto l'occasione di parlargli.

«Diversi fattori che compongono un'equazione, complessa ed affascinante, alla quale manca l'incognita; chi sta proteggendo, agente Coulson?»

Una domanda del genere obbligava il pivello Philip Coulson ad una immediata risposta.
Avrebbe tanto voluto darla.
Voleva ardentemente spiegare gli avvenimenti degli ultimi giorni a qualcuno; il suo superiore sarebbe stata la persona migliore. Probabilmente avrebbe risolto il problema che si era creato, trovando dove diamine fosse finito... Capitan America, alias Steve Rogers.
Ma, mentre non riusciva a decidersi ad aprir bocca sull'argomento, provò uno strano brivido nel pronunciare mentalmente il nome di quell'uomo. Creduto morto da tutto il mondo, aveva deciso di confidarsi solamente con... lui. Ricordava bene le parole che gli aveva rivolto al termine di una lunga chiaccherata, quando lo aveva definito uno dei suoi amici "più leali e fidati". O almeno, lo sarebbe stato nel futuro.

«Il gatto ti ha morso la lingua?» Riprese a parlare l'altro, dalla penombra. Phil avvertiva i suoi passi nervosi sul pavimento, nonostante il tono di voce si manteneva particolarmente beffardo.

«Ho scommesso molto su di te, affidandoti la delicata missione di scoprire chi ha ucciso Howard Stark e sua moglie.»

Poi ancora silenzio.
Phil decise; non avrebbe aperto bocca.
Sia perché quello che gli aveva detto il Capitano Rogers gli sembrava simile alla confessione di un fedele con il prete. Informazioni strettamente personali da non cedere facilmente a terzi.
Inoltre anche se non conosceva perfettamente le leggi del continuo spazio-temporale, quel poco che aveva studiato di fisica unito ad alcune passioni adolescenziali - fumetti e film di fantascienza - lo mettevano in guardia; sapeva che qualsiasi informazione proveniente dal passato poteva avere conseguenze disastrose nel futuro. Giusto sei anni prima era uscito un film sull'argomento...
"Come si chiamava? Ah, già. Ritorno al futuro".

Improvvisamente però si rese conto di come il futuro potesse far male.
Il direttore dello S.H.I.E.L.D. terminò la pazienza quando, con un pugno ben assestato, balzò in avanti colpendo dritto in faccia Coulson. Il quale, spiazzato, cadde rovinosamente a terra, dopo aver udito un sonoro "clack" all'altezza del setto nasale.
Percepì il sangue caldo che iniziava a colargli lungo il viso, mentre la porta dalla quale era entratò si aprì nuovamente. Da essa fecero irruzione un paio di uomini enormi, armati, i quali con fare poco amichevole lo strattonarono e lo costrinsero ad alzarsi, tenendolo saldamente ognuno da una parte.

«Ora non ho più tempo da perdere.»

Coulson, per la prima volta in vita sua, vide il volto del direttore dello Strategic Homeland Intervention, Enforcement and Logistics Division. Lo immaginava piuttosto vecchio, sulla sessantina, con i capelli imbiancati dal tempo e la pelle percorsa da rughe. Invece il fascio di luce entrato dalla porta appena aperta, gli rivelò un uomo apparentemente sulla quarantina, di carnagione scura, completamente calvo. Una benda nera calata sull'occhio sinistro, quasi fosse un moderno filibustiere, ed un'uniforme lunga nera completavano il - poco rassicurante - quadro.

«Portatelo dove sapete. Forse più tardi avrà voglia di scambiare quattro chiacchere.»

Mentre il sangue continuava copioso a riversarsi sul pavimento e i due energumeni lo conducevano via, Coulson venne attanagliato da un preoccupante dubbio, che non aveva minimamente a che fare con gli avvenimenti di quello strano giorno.

Si chiese se Steve Rogers gli avesse raccontato tutto, ma proprio tutto riguardo al futuro.



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Giovedì, 23 Dicembre 1991.
Mattino.


Poteva vederlo.
Vedeva il volto disperato attraverso lo specchio di vetro che li separava.
Una lastra che gli appariva quasi incantata; attraverso di essa poteva percepire come proprie le emozioni provate dal dio del tuono; impotenza; debolezza; inadeguatezza.
Il possente Thor rinchiuso in una trappola di vetro realizzata dalla fragile mano dell'uomo. Un affronto; un'umilazione.

In un angolo della stanza buia una figura alta e slanciata, avvolta in sontuose vesti verde smeraldo, minacciava di poggiare il palmo contro una pulsantiera, dalla quale risaltava un vistoso pomello di colore rosso.
Steve vide Thor allontanarsi preoccupato dal bordo del sottile guscio di vetro dopo avere tentato, invano, di distruggerlo con un colpo ben assestato del suo possente martello magico. Purtroppo Fury aveva fatto un lavoro fin troppo accurato, con quella trappola.

«Gli umani ci ritengono immortali.» Esordì infine Loki, con fare solenne. Un sorriso beffardo dipinto sulle sottili labbra del dio.
«Vogliamo verificarlo?»

Thor indietreggiò ulteriormente, come fosse ormai pronto al destino di morte che lo aspettava. Annientato per mano dal suo stesso fratello, che tanto aveva amato e tanto aveva sperato di salvare.
Steve avrebbe voluto agire, avanzare, aggredire il dio delle malefatte e punirlo per tutto il dolore che aveva causato alla città di New York. Invece i suoi muscoli stranamente non risposero al suo comando, rimanendo ben saldati sulle griglie metalliche che componevano il precario pavimento dell'eliveivolo dello S.H.I.E.L.D. Non sembrava nemmeno accorgersi della presenza del capitano, quello stolto alieno.
Ma ad un certo punto qualcosa accadde nell'angolo vicino a lui; a pochi passi di distanza due agenti sotto il controllo di Loki caddero in avanti, come tramortiti. Steve sussultò, sollevato; qualche collega vendicatore era certamente venuto a conoscenza del pericolo ed era coraggiosamente corso in aiuto del dio del tuono.
Aspettò di vedere il riflesso brillante dell'armatura rossa ed oro di Stark, oppure l'arco teso con la freccia incoccata di Occhio di Falco.
Attese per quelli che parsero secoli; infine un uomo vestito con un elegante completo scuro scavalcò lentamente i due uomini ancora a terra.
Una voce gentile ma severa, come di un insegnante intento a recuperare l'attenzione di uno scolaro particolarmente insolente, lo fece trasalire.

«Per favore, indietro!»

L'agente Phil Coulson fece il suo ingresso, reggendo con entrambre le braccia quello che sembrava un pericoloso e sofisticato cannone. Steve era stranito; non riusciva a capire perché contro il pericoloso Loki lo S.H.I.E.L.D. avesse scelto di mandare proprio Coulson per quella missione disperata. Non che non nutrisse stima nei contronti dell'agente, anzi. Da quel poco che sapeva era niente meno che il braccio destro di Nick Fury, e non v'era persona all'interno dell'organizzazione più preparata di lui.
Ma perché mandarlo da solo? Dritto-dritto nella gabbia del leone? Steve non capiva. Inoltre desiderava ardentemente potersi muovere, avvicinarsi ed aiutarlo. Nemmeno il suo amico evidentemente lo poteva vedere; il capitano si crucciava, incapace di comprederne il perché.

«Ti piace? Abbiamo lavorato sul prototipo dopo che hai mandato il Distruttore. Neanch'io so cosa faccia... vogliamo verificarlo?»

Fu questione di un secondo.
Dopo che si udì il rumore vibrante dell'avvio della pericolosa arma impugnata da Coulson, Steve finalmente comprese.

Dove si trovava.

Che cosa stesse succedendo.

Perché non ci fosse nessun altro al fianco del suo amico.

La paura si impadronì della sua anima; quella che spesso aveva provato durante le battaglie affrontate nel suo vagare avanti e indietro nel tempo. Nessuno avrebbe mai creduto che il grande Capitan America potesse cedere ad una tale emozione, considerata appropriata solo per i deboli. Invece si trattava del motore che spesso lo spingeva ad agire d'istinto, mettendolo in moto anche quando sapeva che le speranze di sopravvivenza si rivelavano inesistenti.
Ma nonostante provasse a gridare con tutto il fiato che aveva in corpo, mentre i suoi neuroni bombardavano inutilmente di ordini il suo corpo di marmo, la tragica scena alla quale non aveva assistito in passato si ripropose dinanzi a lui come in un un film.
Il dio degli inganni materializzò sé stesso alle spalle di Coulson.
Steve aprì disperatamente la bocca; i suoi polmoni di supersoldato non riuscirono ad emette nemmeno un sibilo.
Lo scettro scintillante penetrò nella solida schiena dell'amico, che si incurvò impercettibilmente in avanti. Poi la punta di quell'arnese trapassò da parte a parte il ventre dell'amico.
Steve sentì come se avesse dilaniato la propria stessa carne.

Steve rivide Bucky.
Lo rivide cadere dal folle treno in corsa, precipitare nel vuoto, gli occhi disperati rivolti come in una supplica verso di lui.

Steve rivide il gentile professor Abraham Erskine.
Lo rivide mentre, poco prima di morire, cercava di dirgli qualcosa puntandogli un dito in direzione del suo cuore.

Steve rivide Tony.
Lo rivide fermo ed immobile dinanzi a sé dopo essere precipitato dal cielo polveroso di New York, steso a terra, immobile nell'armatura che avrebbe dovuto proteggere da ogni minaccia il figlio del suo vecchio amico.

Troppe persone che non era stato in grado di aiutare. Nei confronti delle quali si era sentito il gracile e piccolo ragazzino di Brooklin di anni e anni addietro.
Troppe, troppe emozioni.
Che finalmente lo destarono.

«Whoa!»

Il suo corpo fu percorso da uno spasmo fortissimo, come se fosse stato per qualche minuto di troppo in apnea sottacqua. I polmoni cercavano disperatamente la materia prima della quale sembravano momentaneamente privi, continuando ad espandere e comprimere freneticamente la gabbia toracica di Steve. Il quale si rese lentamente conto che quello che aveva appena vissuto era un incubo che lo riportava indietro nel tempo... anzi, in avanti.
Cercò di allontanare le immagini così vivive che tanto avevano impressionato la sua mente e cercò di concentrarsi sul presente, qualche diavolo fosse il tempo nel quale si trovava.
Immediatamente si rese conto di due cose; la prima era che i suoi occhi erano completamente accecati da una luce fortissima. La seconda che, ancora provato dai profondi spasmi che lo scuotevano tutto, in più era completamente bloccato supino mediante l'uso di parecchi sistemi metallici. Manette grandi come per legare un orso e catene argentate che non gli permettevano di muoversi, se non di pochi millimetri.
Non riusciva a capire dov'era. La luce bianca era troppo forte per permettere ai suoi occhi celesti di abituarvisi.
Percepì che si trovava sdraiato su di qualcosa di vagamente soffice, forse un letto. Ma le sue percezioni risultavano decisamente alterate; il senso di nausea e gli spasmi del risveglio non lo allontanavano man mano che scorreva il tempo. Steve si chiese se non fosse stato drogato. Non ne era sicuro dal momento che non aveva mai assunto sostanze stupefacenti in vita sua. Inoltre, per quanto ricordava gli fosse stato detto, dopo aver assunto il siero del supersoldato nemmeno i prodotti di sintesi più strani avrebbero fatto effetto sul suo corpo.Invece... non era vero?
Mentre ancora rifletteva frastornato su cosa potesse essergli successo, fu sicuro di aver avvertito un movimento impercettibile affianco a sé.

In quel posto doveva esserci qualcuno.
Chiunque fosse non avrebbe avuto certamente intenzioni amichevoli.
Il corpo di Steve cercò di rieagire ma, come se proseguisse anche nella realtà il precedente incubo, il biondo si trovò nella spiacevole situazione di non poter muovere un muscolo.

«Mhhhrggg...»

Riuscì a mugulare, frustrato e confuso, mentre percepiva il suo nemico scivolare lentamente al suo fianco. Si sentiva inerme, impotente, mentre lo percepiva appoggiarsi contro il giaciglio nel quale era costretto.
"Sarai contento di uccidere un uomo disarmato e incatenato, razza di codardo." Pensò furibondo, non smettendo si provare a riaquistare la padronanza perduta sul proprio corpo.

«Non sono un codardo. L'ho dimostrato, ieri sera.»

Come se fosse stato colpito per la seconda volta da un potente uragano che gli aveva squassato il cervello, Steve capì chi aveva di fronte e gli tornarono in mente gli ultimi istanti alla cerimonia di passaggio del testimone delle redini delle Stark Industries. Prima che cadesse a terra, colpito da una qualche arma. La voce non lasciava trasparire ironia, ma Rogers ne colse comunque parecchia.
Ma la cosa più strana, che probabilmente era da addebitare al suo momentaneo stato confusionale era che... quell'uomo gli aveva risposto prima che lui avesse potuto aprir bocca. Cosa che in effetti, momentaneamente, non gli riusciva.
Steve decise che, dopo aver visto cose stranissime in vita sua, nemmeno quello lo avrebbe scosso più di tanto. Complice la sostanza che aveva in corpo.

«Lo so benissimo» Continuò lentamente la voce neutra che gli rimbombava nel cervello. «per questo sono qui; per porre fine alle tue sofferenze».

Steve percepì l'uomo che si sporgeva sopra di lui, avvicinandosi al suo viso.
Avrebbe voluto vederlo in faccia, a quel vigliacco che gli aveva sparato. Che ora voleva metterlo a tacere per sempre. Quanto avrebbe dato per poter imbracciare il suo scudo e poi spaccarglielo in testa, assestargli un paio di colpi ben piazzati e poi lanciarlo in pasto ai primi mostri alieni di passaggio... Uh? Mostri alieni? Steve aveva davvero avuto a che fare con creature di un altro mondo?
Cercava di ricordare quando ciò fosse avvenuto, ma invano. Forse era avvenuto nell'ambito di una battaglia. Ma... che battaglia? E quando?

«Bene.» Esordì soddisfatta la voce nella sua testa. «Sta finalmente facendo effetto.»

L'altro evidentemente si riferiva alla sostanza che era in circolo nel corpo del supersoldato.
Ma proprio mentre percepiva il passato scivolare in un panorama grigio e piatto... Il volto sopra di sé, complice l'ombra che esso stesso proiettava su Steve, gli fu visibile per qualche secondo. Nel quale il biondo trasalì.

L'individuo in piedi smise di parlare in quel modo paranormale, preferendo le sue stesse labbra.

«Addio, Capitano.»


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Giovedì, 23 Dicembre 1991.
Sera.

La giovane e attraente chioma rossa di Virginia "Pepper" Potts ondeggiava ritmicamente su e giù, mentre la sua proprietaria camminava tranquilla per le chiassose strade della grande mela. Normalmente, dopo aver finito di lavorare, avrebbe preferito correre a casa senza perdere tempo ad osservare le vetrine che si frapponevano tra lei e il suo piccolo rifugio. Eppure quella sera, nonostante il cielo fosse coperto e le raffiche di gelo pungenti, dimenticandosi che con i soldi guadagnati al locale riusciva a malapena a pagarsi l'affitto, era lì a vagare.
Percorse tutta una lunga arteria viabilistica sul marciapiede, il naso arrossato che metteva becco in ogni vetrina che le catturava l'attenzione. Doveva ammettere che erano molte; d'altronde in periodo natalizio i commercianti non badavano a spese pur di vendere qualche articolo in più. Così ogni spazio antistante all'ingresso diventava un tripudio di colori, di canzoni registrate o di piccoli cori improvvisati, di luci pulsanti o di profumi gustosissimi di qualche prelibato dolciume.
Pepper continuò a camminare, stringendosi più forte a sé il suo giubbotto di pelle nera e chiedendosi perché aveva deciso di indossare anche quel giorno la sua minigonna preferita, nonostante i quasi meno dieci gradi sotto zero e la previsione di neve nelle successive ventiquattrore.

«Babbo Natale arriverà con la neve; come in ogni film natalizio che si rispetti.»

Sospirò, pensando che l'indomani non avrebbe dovuto recarsi al lavoro, bensì preparare le valigie per prendere un'aereo che l'avrebbe riportata dalla sua famiglia.
Mentre già pregustava le prelibatezze che sua madre stava già certamente iniziando a cucinare, data la sua passione ai fornelli, decise di attraversare la strada per passare d'inanzi ad alcuni negozi di vestiti eleganti che la facevano letteralmente sognare.
Sull'altro lato del marciapiede si piantò davanti alla vetrina, scandagliandola inutilmente in cerca di qualcosa che costasse meno di 50 dollari. Come immaginava, non poteva permettersi nemmeno una striminzita cintura.

"Verrà il giorno in cui indosserò qualcosa di decente. Diverrò qualcuno d'importante. Farò strada. Sarò finalmente rispettata e, perché no... amata."

Sospirò per una seconda volta, consapevole che probabilmente quando sarebbe tornata a New York in tempo per il Capodanno l'avrebbe festeggiato come al solito in compagnia dei suoi più stretti amici, tutti in coppia da anni con altri ragazzi e ragazze. L'unica senza nessuno sarebbe stata, come da copione, solamente lei.

«Ehi!»

Improvvisamente qualcuno, nella ressa in movimento su quel lato del marciapiede, la colpì forte sulla schiena, facendole perdere l'equilibrio. Se non fosse stato per i suoi riflessi pronti sarebbe finita dritta dritta all'interno della tanto adorata vetrina del negozio.

«Insomma, che modi sarebbero?» Esordì alterata, mentre si girò di scatto pronta ad aggredire verbalmente quel maldestro passante.

Davanti a lei però non c'era esattamente quel maldestro passante che aveva aspettato di trovarsi, bensì un giovane uomo alto e muscoloso, vestito elegantemente e di tutto punto. Solo i capelli biondi erano più spettinati dalla prima - e anche ultima - volta che l'aveva visto, mentre gli occhi azzurri vagavano persi nel vuoto dinanzi a sé, come a voler cercare qualcosa che aveva perso.

«Ma... io ti conosco! Ci siamo incrociati qualche giorno fa nel locale dove lavoro!»

Lo sguardo del ragazzo finalmente si posò su di lei, anche se non ricambiò il saluto, anzi. Sul suo volto si compose un'espressione di smarrimento.

«Massì, ero la ragazza che ti ha servito al tavolo, mentre tu disegnavi...»

Ma l'altro non diede segni di ricordare alcunchè.

«Mi scusi signorina, non credo proprio di conoscerla.» Disse in modo gentile infine l'altro, dopo averla squadrata in modo approssimativo per qualche secondo.

Poi il ragazzo, del quale Pepper ricordò non sapeva nemmeno il nome, ebbe come un giramento di testa. Portò una mano sugli occhi, socchiudendoli. Poi le gambe gli cedettero e scivolò lentamente a terra poggiando la schiena contro il muro.
La rossa si avvicinò preoccupata al biondo con uno slancio.

«Non ti senti bene? Cos'hai?»

«Nulla, nulla...» Bofonchiò l'altro, cominciando a respirare in modo affannoso e per nulla normale.

Pepper, allarmata, gli passò una mano sulla fronte.

«Tu... scotti

La febbre alta probabilmente spiegava anche il momentaneo stato confusionale.

«Non stai per niente bene.» Disse preoccupata. «Se non vuoi che ti accompagni in ospedale, lascia almeno che ti aiuti ad arrivare a casa».

L'altro però non rispose. Sembrava in stato di sonnolenza, con gli occhi semi aperti che fissavano il nulla dinanzi a sé.
Pepper valutò l'ipotesi di portarlo in ospedale, dato che non sembrava in grado di fornirle indicazioni circa la sua ubicazione. Anche in quel caso comunque vedeva difficile poter aiutare quel ragazzo da sola; il suo fisico asciutto avrebbe a fatica sostenuto quello muscoloso del biondo. Di chiamare un taxi, non se ne parlava; i due dollari scarsi che aveva in tasca parlavano chiaro.

"Che faccio?" Pensò, sconsolata.

Dall'altro lato della strada giunse la voce di qualcuno.

«Signorina, sì, dico a lei! Ha bisogno di aiuto?»

La ragazza si voltò; dietro di lei vide arrivare a passo svelto un uomo anziano che era appena uscito da un albergo poco distante.

«Ho assistito a tutta la scena e...» rimase di stucco quando vide chi era il giovane bisognoso «e conosco quest'uomo. So anche dove abita.»

"Grazie al cielo!" Esordì mentalmente Pepper, ringraziando il vecchietto con un largo sorriso. Poi, con non poca fatica, aiutarono il ragazzo a salire sull'auto del gentile signore.

«Oh, che scortese, non mi sono presentato.» Disse simpaticamente questo, mentre metteva in moto l'auto. «Stanley Martin Lieber, ma puoi chiamarmi semplicemente Stan; al tuo servizio!»


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Giovedì, 23 Dicembre 1991.
Sera tardi.

Un bicchiere vuoto girava e rigirava tra le mani di Tony Stark.
Solo, nella sua villa di New York ad un giorno esatto dalla vigilia di Natale, osservava dal terrazzo la città in preda al panico. Sembrava che tutta la popolazione dovesse comprare necessariamenre all'ultimo secondo i regali da mettere sotto l'albero.
Non capiva il perché di tanta inutile frenesia. Rincorrere un dono che statisticamente quasi mai la persona alla quale era destinato avrebbe realmente apprezzato.
Mentre il suo cervello vagava senza una precisa meta, e il suo corpo si rilassava sdraiato sulla costosa poltrona chaise longue disegnata da un architetto detesco, qualcosa di freddo cadde sul suo naso.
Tony esaminò il piccolo frammento cristallino, portandolo vicino agli occhi.
Quella meraviglia della natura resistette solo pochi attimi sul palmo del ragazzo; poi si sciolse, svanendo nel nulla.

Il moro si alzò in piedi lentamente, avvicinandosi alla balaustra della balconata mentre i fiocchi di neve iniziavano a cadere uno dopo l'altro.

«Chissà dove sei sparito.» Si chiese ad alta voce, guardando ancora giù verso le strade trafficate, oltre il giardino che lo separava dal mondo esterno.

Non aveva denunciato la polizia locale, benché Jarvis ormai mancasse da parecchi giorni. Parlandone con Rhodey si rese conto sarebbe stato meglio evitarlo, dal momento che si erano resi conto che il suo maggiordomo non aveva il benché minimo straccio di un documento, il che avrebbe costituito un grosso problema.
Il fatto che fosse sparito però lo preoccupava, quasi quanto l'arnese che aveva trovato in camera sua dopo averla perquisita a fondo cercando qualcosa che potesse aiutarlo nella sua silenziosa ricerca. Così, mentre Rhodey conduceva discretamente delle indagini sfruttando la sua posizione all'interno delle istituzioni americane, Tony si arrovellava su quell'oggetto strano che aveva in tasca.
Mentre aveva poggiato il bicchiere ormai vuoto sul vicino tavolino, e si apprestava per l'ennesima volta a tirarlo fuori per poterlo esaminare, uno stridio di gomme proveniente dalla strada davanti alla sua villa gli fece alzare lo sguardo.
Dall'auto parcheggiata malamente in doppia fila scese un anziano signore, seguito da una ragazza dai capelli rossi e da un giovane uomo che veniva sorretto difficilmente da entrambi.
Tony riconobbe immediatamente quella figura.
Rientrò in casa, percorse il corridoio, scese le scale e attraversò l'atrio a passo svelto, sperando di non aver avuto un'allucinazione.

Dlin-dlon.

Mentre il campanello iniziò a suonare, Tony raggiunse la porta e l'aprì senza esitare.
Lo strano trio che aveva davanti gli avrebbe potuto facilmente strappare una risata, se fosse stato in un altro momento.

«Tony Stark?»

Domandò senza mezzi giri di parole la giovane dai capelli rossi.

«Esattamente. E voi non credo siate i fantasmi del Natale passato, presente e futuro di Dickens, vero?»

La ragazza parve sconcertata dal comportamento di chi gli aveva appena aperto la porta. Un turbamento che durò qualche millesimo di secondo, dopo il quale rispose.

«Perché, avresti forse paura di confrontarti con i tuoi peccati, signor Stark?»

Tony percepì il tono di sfida con cui quella sconosciuta lo stava sfidando. Se fosse stato un altro momento avrebbe approfondito la conoscenza con quella giovane. Ma la sua attenzione al momento era rivolta all'individuo che lei e l'anziano signore stavano ancora sostendo.

«L'ho trovato in stato confusionale su un marciapiede, qualche chilometro da qui.» Riprese la giovane quando vide che l'attenzione del suo interlocutore si posò preoccupata sul biondo. «Non sta bene, scotta parecchio. Fortunatamente ho incontrato questo signore, il quale sapeva dove risiedesse...»

«...Jarvis.» Concluse Tony la frase, dato che la ragazza evidentemente non ricordava il suo nome.

Tony lo squadrò, preoccupato. Non aveva una bella cera e non sembrava capire cosa stesse accadendo attorno a lui. Si avvicinò a lui come a voler aiutare i due che si erano presentati alla sua porta, facendo poggiare il corpo del suo maggiordomo su di lui.

"Accidenti quanto pesa". Pensò.

«Bella stamberga.» Esordì improvvisamente l'anziano vecchietto, osservando oltre l'uscio di casa Stark i lussuosi interni che l'adornavano.

«Oh, in realtà non sono shifosamente ricco, è che mi disegnano così!» Rispose ironico, mentre cercava di fare i pochi passi che li avrebbero ricondotti al caldo.
Poi si rigirò, come se si fosse dimenticato qualcosa d'importante.

«Non serve ringraziare, giovanotto». Lo anticipò l'uomo, voltandosi e salutandolo con un cenno gentile. Poco dopo anche la ragazza fece lo stesso e si voltò, pronta a varcare il cancello.

«Aspetta» la chiamò Tony, mentre la neve continuava a cadere «dimmi almeno come ti chiami».

Lei, prima di girare l'angolo e tornare sui suoi passi, si voltò un'ultima volta indietro.

«Pepper. Pepper Potts.»


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Sabato, 25 Dicembre 1991.
Mattino.

Dlin-dlon.

Il campanello risuonò tra le pareti di villa Stark. L'uomo che aspettava alla porta aveva poco tempo, ma non avrebbe rinunciato a fare gli auguri di persona all'amico che viveva all'interno. Anche perché voleva sapere gli sviluppi della convalescenza di Jarvis, miracolosamente ritrovato la sera prima da due persone per strada e misteriosamente avvolto in uno stato confusionale.

«Ehilà Rhodes! Felice festa di Babbo... qualcosa

Un Tony in vestaglia rossa aprì la porta di casa all'amico.

«Ergh, sarebbe "Buon Natale" in teoria.»

«Già; ma a te anche babbo si abbina benissimo.»

Scuotendo la testa rassegnato, Rhodey si fece strada ed entrò all'interno della villa. Anche perché fuori, complice lo spesso strato di neve accumulatosi durante il giorno precedente, si moriva di freddo.

«Comunque sia, buon Natale Tony.» L'ospite porse al padrone di casa un piccolo pacchetto regalo verde che aveva nascosto nella giacca scura. «Da parte mia e dei miei genitori. Come sai, sono di passaggio. Mi aspettano fuori in auto, andiamo dai miei zii a festeggiare.»

«Oh. già.» Rispose semplicemente Tony, rabbuiandosi.
Rhodey trovò strano il fatto che non avesse aggiunto qualche altra battutina sarcastica, ma lasciò perdere. D'altronde, era Natale per tutti.

«Come sta Jarvis?» Domandò improvvisamente al giovane Stark, cambiando bruscamente argomento.

«Nessun miglioramento. Non si è ancora svegliato.»

«Forse però... ora sì.» Riprese sgomento Rhodes, ountanto il dito oltre le spalle di Tony.
Il quale si girò rapido; Jarvis stava discendendo a passo incerto le scale che lo separavano dai due, ancora vicini all'ingresso.
Tony lo vide camminare e fermarsi davanti a loro.
Per un attimo rimasero tutti in uno strano silenzio. Rotto infine dalla voce flebile di Jarvis, il quale squadrò entrambi con aria confusa.

«Dove mi trovo? Chi siete?
E chi... chi sono io?»


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Sabato, 25 Dicembre 1991.
Pranzo.


Dopo aver salutato Rhodes, Tony esaminò Jarvis. Gli fece alcune domande, ma nessuna ebbe risposta.
Era come se soffrisse di una grave forma di amnesia totale. La quale difficilmente poteva essere stata causata dallo stato febbrile nel quale era piombato in casa il giorno prima del precedente.
Non ricordava niente di niente. Tony non aveva mai visto niente di simile.
Cercò di spiegargli quel che sapeva su di lui. "In realtà poco o nulla" si trovò a rimuginare.
Così aveva deciso che non era il caso di stare a tormentarlo troppo e si era diretto in cucina. Sapeva che era il minore dei mali, ma si sentiva perseguitato dalla sfortuna. Ritrova il maggiordomo che aveva perso e questi... perdeva la memoria. Quindi anche la -già- scarsa capacità ai fornelli.

Tuttavia Tony non voleva che, proprio il giorno di Natale, la tavola rimanesse vuota. Aveva tanto odiato i pranzi natalizi passati con gente snob dell'alta società, invitata dai suoi genitori puntualmente ogni anno solo per interessi reciproci. Ora che entrambi erano scomparsi, Tony quasi quasi rimpiangeva quei detestati ricordi.

Mentre trafficava alla ricerca di una pentola per cuocere qualcosa si accorse che... non sapeva cosa avrebbe dovuto cuocere e come.
Mentre mandava al diavolo tutto, il rumore di un braccio meccanico arrivò alle sue orecchie.
Dritto dritto dalla dispensa fece il suo traballante ingresso ferrovecchio; stretta dalla morsa del suo artiglio una scatoletta di tonno appena aperta.

“Meglio di niente" pensò, aprendone un'altra e mettendo il contenuto in due piatti.
Prima di tornare nel soggiorno, dove Jarvis sedeva ad un lato della tavola già imbandita, gettò un'occhio all'oggetto che ancora teneva in tasca della vestaglia.
Lo tirò fuori, girandoselo tra le mani. Un pezzo di vetro trasparente che non aveva niente di speciale.
Eppure, dopo averlo trovato tra le cose del suo misterioso maggiordomo ed averlo studiato sommariamente, aveva concluso che nessuno va in giro con un pezzo di vetro dai bordi arrotondati.
Poi lasciò scivolare via quei pensieri, prendendo i piatti e sorridendo al maggiordomo.

"Almeno oggi. In fondo, è Natale."



FINE PRIMA PARTE.




















Note finali:

Buonasera. Buonanotte. O buongiorno, in base al momento nel quale tu stia leggendo queste parole!
Insomma, ave a tutti, romani e non. Questo capitolo non ha la presunzione di essere migliore degli altri ma certamente è il più lungo scritto fin ora ed è quella che ho definito come la "Fine della prima parte". La lunghezza ve la devo; non aggiorno questa fiction da tantissimo e volevo proprio farvi un regalo di Natale... Un po' in ritardo, nevvero (ma tanto ormai siamo abituati a festeggiare il Natale a primavera inoltrata, complice Iron Man 3)!
Insomma, sono in debito con voi. Con voi che avete continuato ad aggiungere questa storia tra le seguite, ricordate, ecc. Con chi ha continuato assiduamente a recensire, facendo sì che questo lavoro continuasse e che io ci mettessi quel poco tempo che ho sempre -purtroppo- avuto.
Quindi... eccomi qui, mentre dovrei -almeno- fingere di scrivere una tesi, a pubblicare il nuovo capitolo di "Ritorno al Passato"! Non so che altro aggiungere; vorrei scrivere qui sotto e usuali "precisazioni" ma sono davvero troppe quindi mi limiterò, come capitato qualche capitolo fa, a lasciare trovare curiosità e rimandi ad altri universi al vostro occhio attento.

Vi ringrazio ancora, oh lettori vecchi e fidati oppure nuovi e freschi, spero di non avervi tediato con questo lunghissimo scritto e... a presto, nuovamente su questi lidi! La storia di Jarvis/Steve deve continuare!! :)

Un abbraccio enorme!

_Diane_


Ps: Mi scuso fin da subito per eventuali errori di battitura/distrazione! Spero di avere il tempo, nei prossimi giorni, di poter rileggere attentamente il tutto!
Pss: Nel caso vi fosse qualche anima in pena giunta fin qui... lascereste un commentino-ino-ino a questa povera autrice? ;)

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