And we can learn to love again.

di damnhudson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 - Beginning. ***
Capitolo 2: *** 2.0 - Snowflake. ***
Capitolo 3: *** 3.0 - Formal. ***
Capitolo 4: *** 4.0 - Thank you. ***
Capitolo 5: *** 5.0 - Soon. ***
Capitolo 6: *** 6.0 - Begin again. ***
Capitolo 7: *** 7.07 - happy ending ***



Capitolo 1
*** 01 - Beginning. ***


1.0 - Beginning.
Quando era più piccola, Santana Lopez era solita giocare da sola. Il fatto che suo padre fosse uno degli uomini più ricchi di Lima, non si era mai rivelato essere di buon auspicio. Non aveva mai stretto una forte amicizia con nessuno, se non con chi cercava di accaparrarsi il suo affetto solo per un po’ di soldi. Morti di fame, ecco come li definiva Santana. All’età di otto anni, aveva imparato di chi fidarsi e di chi no, e ovviamente, non si fidava di nessuno, se non di Marisol, la sua governante. Era una donna molto bella ed era successo più volte che Santana l’avesse scambiata per sua madre. Infatti, aveva perso la madre quando era venuta al mondo, e per questo, negli anni successivi si sentii particolarmente in colpa, ogni giorno della sua vita. Non festeggiava il Natale. Lei non aspettava Babbo Natale e non era convinta che lasciare latte e biscotti, l’avrebbe fatta apparire migliore agli occhi della gente ed era utopico, che, a quell’età, una bambina non avesse un bel sorriso stampato in faccia. La colpa non era di suo padre. La colpa era sua, tutta sua. Sua perché a crescere da sola aveva sviluppato una specie di carattere un po’ ribelle, antipatico, auspico. Ma per quanto questo sarebbe stato colpa sua? Era colpa sua se era cresciuta da sola? Se ogni bambino della sua età si allontanava da lei? Se ogni volta che guardava ‘il re leone.’ non piangeva, perché aveva vissuto avventure ben peggiori? Era realmente colpa sua? Suo padre era del parere che, comunque, non era colpa sua e, nonostante, amasse la moglie, aveva imparato ad amare anche sua figlia.
Quando un giorno, venne a bussare un bambino, più o meno dell’età di Santana, Javier Lopez aprì la porta sorridente.
«Ciao, piccolo!» Disse, aprendo un sorriso grande grande alla vista del bambino con la testa a forma di patata e i capelli a baschetto color biondo cenere.
«Ehi… Salve. – Finn si girò a guardare verso casa sua, dove sua madre stava sulla porta. Insomma, la vedeva male, visto la stagionata. – Mi è caduto il pallone dall’altra parte della sua casa… Può recuperarlo?»
«Vai tu. Hai il mio permesso.»
Finn annuì e sorrise, poco convinto. Non era preparato a questo. Comunque girò dietro la villa e a prima vista intravide il suo pallone, arancione, da basket sull’erba e poi una bambina, con due trecce e una gonnellina rossa, giocare da sola, con una bambola. La vide parlarci anche, mentre giocava con una tazzina da tè, faceva finta di berlo e poi parlava. Finn aveva parecchi amici, il suo preferito si chiamava Noah, ma c’era anche Mike, che era un asiatico simpatico con gli occhi allungati, Finn voleva molto bene ai suoi amici, giocavano sempre a basket, anche se Mike, di tanto in tanto, ballava per arrivare a canestro. Erano simpatici, comunque, anche se Noah era palesemente antipatico e picchiava i bambini che non concordavano con lui.
«Ciao!» Fece Finn, preso da un momento di strana tenerezza per la bambina, mentre raccoglieva il pallone, portandolo sotto il braccio. Santana alzò lo sguardo, guardandolo con la coda dell’occhio, cercando di capire cosa volesse effettivamente da lei. Riprese a giocare con la bambola.
«Sai… Non è buona educazione non rispondere, me lo dice sempre mia madre.» Continuò, il bambino più alto.
«La tua mamma almeno c’è.» Rispose la bambina, alzando di nuovo lo sguardo, notando che il bambino ora si avvicinava a lui, stranito.
«Tu hai un papà. Siamo pari, non pensi?»
Oh. Santana rimase colpita, nella sua innocenza, quando Finn pronunciò le sue parole. Erano pari. Aveva un papà lei, che le voleva bene ogni giorno della sua vita, nonostante non giocasse mai con lei, anche se sapeva che era per lavoro. Finn si strinse nelle spalle, facevo una linea continua con le labbra, serrando l’unico pugnetto rimasto, mentre l’altra reggeva il pallone.
«Posso bere il tè con te?» Chiese allora, mentre Santana non sapeva cosa dire, gli fece cenno col capo e Finn si sedette, spostando la bambola nell’altra sedia, mentre Santana versava il tè nell’altra tazzina, che prima apparteneva alla bambola.
«In realtà è semplice acqua.»
«Io gioco a basket, ma preferisco il football..» Rispose Finn, prendendo un dolcetto che si rivelò essere autentico, sapeva di cocco. Santana sorrise.
«Il basket almeno non ti fa spezzare le ossa, al contrario del football.»
«Non guardi mai le partite alla tv? – chiese il bambino, allora, prendendo grandi morsi del suo biscotto mentre la femminuccia scuoteva la testa. – Allora non sai che portano le protezioni affinché non si facciano male. A meno che non sia un gigante come nella storia di Jake e il fagiolo magico, non dovrebbero mai farsi male.»
Santana fece una strana espressione, mise la bocca a forma di o e rimase stupita, mentre prendeva un biscotto a forma di coniglietto. Marisol era bravissima a fare i dolci.
«Oh.. Cosa vuoi fare da grande?» Chiese dunque lei.
«L’astronauta. O il giocatore di football, appunto. Ma mai il lavoro che mi ha portato via il mio papà.» Disse il bambino sicuro, scrutando l’acqua dentro la tazzina, lasciandola lì dov’era. Chissà se era potabile, inoltre. «Tu?»
«Mia madre non l’ho mai conosciuta. – Prese un sospiro e riprese a parlare. – Oh… non lo so. Come si chiamano quelle ragazze che fanno il tifo? Potrei fare il tifo per te, se ti fa piacere. »
« Non lo so, qualcosa a che fare con pon pon. – Disse, posando un dito sopra la bocca, tutta sporca di biscotto. – Cheerleader.»
«E sarò il capo!»
«E sarai il capo. La capa, forse… Visto che sei una femmina, non trovi?» Chiese il bambino ridendo. Santana, scoppiò a ridere, accorgendosi che qualcuno la fissava da una finestra. Era suo padre, che la vedeva parlare con quel bambino di cui, facendoci caso non sapeva nemmeno il nome. Ora si vergognava, ma sapeva che aveva un grosso sorriso sul viso e forse anche lei era contenta.
«Io non so nemmeno come ti chiami!» Finn si batté una mano sulla fronte, mentre guardava la bambina che gli faceva notare quel particolare importante.
«Finn. Finn Hudson.»
«Ah. Io sono Santana, Santana Lopez.» Fece lei ridendo, prendendosi gioco di lui, mentre lo fissava.
«Santana… Ora devo andare, la mamma mi aspetta. Dobbiamo andare a prendere un cane, per farmi compagnia, quando lei lavora di notte… Sai, succede che anche i bambini maschi abbiano paura, ma non lo dire ai miei amici, eh.» Finn si alzò, guardando Santana e scomparve dietro la casa, correndo, perché non vedeva l’ora di avere quel cagnolino, non vedeva l’ora di non avere più paura, che tutto andasse bene. Non vedeva l’ora di non sentirsi più solo, di trovare un senso a tutto quello che aveva fatto e soprattutto, non vedeva l’ora di raccontare alla sua mamma della sua nuova amica Santana, con le trecce e la gonna rossa. E allora Santana, con un sorriso sulle labbra, riprese a giocare con la bambolina, lasciandola nella sedia in cui Finn Hudson senza il papà, l’aveva lasciata, perché sentiva di avere un nuovo amico ed ogni bambino di otto anni, quando ha un nuovo amico è contento e dopo tanto tempo, Santana si sentiva almeno un po’ felice.




* Marti. *
Non si sa perché io sia tornata su questo fandom, dopo aver detto che mi prendevo una pausa, ma boh, sto pomeriggio avendo da studiare ma avendo poca voglia, ho deciso di scrivere e poi tumblr mi ha aiutato.
Come sempre, stimola la mia fantasia çç
Comunque questa cosa è un po' complessa, nel senso che: praticamente sono vari prompt per i miei bambini, FinntanaFTW, ma è una vera e propria FF. Sto scrivendo una long Finntana, sì... Abbiate pazienza. Non sarà più lunga di tredici/quattordici capitoli, quindi... gnip. Vi aspetto con le recensioni, nel caso vi sia piaciuto quello che ho fatto, sennò smettetela di leggermi u.u
Un abbraccio, Marti.

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Capitolo 2
*** 2.0 - Snowflake. ***


Snowflake.

Cause when you’re fifteen and somebody tells you that they love you you’re gonna believe them

and when you’re fifteen, feeling like there’s nothing to figure out well count to ten,
take it in this is life before you know who you’re gonna be fifteen.

 
Da un po’ di tempo a questa parte, l’unica cosa che riempiva le giornate di Santana erano gli sms di Finn Hudson, gliene arrivavano a centinaia al giorno e le tenevano compagnia, soprattutto quando faceva quel tempo: pioggia perenne. Ormai le promesse tra i due ragazzi erano tante. A quindici anni l’aria si riempiva di parole, di sospiri e respiri tra esse. Promesse, parole, opere che arrivavano al cuore, ti attanagliavano la voce e t’impedivano di rovinare l’epico momento che andava solo sostenuto da un sorriso. A quindici anni non si può rovinare nulla, perché sei talmente ingenua o ingenuo, che crederai in tutto, senza mai mettere in dubbio nulla.. e forse è proprio questo il bello dell’avere quindici anni. Santana credeva a Finn Hudson tanto quanto Finn credeva a Santana Lopez. La ragazza sentiva spesso la mancanza di Finn, rispetto al ragazzo. Lui aveva anche altri amici e si trovava spesso e volentieri a doversi dividere tra Noah e Mike e i pomeriggi con Santana. Nessuno gli avrebbe mai chiesto di scegliere, ma per quanto riguardava Santana, sapeva che avrebbe scelto i due ragazzi. Nessuno l’avrebbe mai scelta.
Un sms la svegliò da quei pensieri, era Finn, chiamato ‘Finnie’ nel cellulare, un nome molto amichevole e carino. Così si chiamavano, quando erano soli. ‘Finnie’ e ‘Sannie’ tra la gente, invece erano solo ‘Lopez’ ed ‘Hudson’. Ma non pesava a nessuno dei due questo freddo tra la gente, perché quello che i due avevano quando erano soli non era nemmeno lontanamente paragonabile alla gente. L’sms diceva che non poteva raggiungerla a casa sua, che aveva da studiare. Tutto il mondo sapeva che Finn Hudson studiava solo quando era con lei e tutto il mondo sapeva che, Finn Hudson, aveva iniziato ad uscire con Quinn Fabray e lei lo sapeva perché Quinn era la sua migliore amica. Anche Finn era il suo migliore amico, però. Ogni rapporto, amicizia o no, si basava sulla fiducia. Perché Finn non le aveva raccontato della loro uscita al contrario di Quinn? Non era quello che il loro rapporto prevedeva, raccontarsi tutto, ecco. Sospirò, mentre qualcuno lanciava sassolini alla sua finestra, Noah Puckerman non mollava la presa nemmeno se lo pagavi per comprarsi quelle stupide figurine degli animali. Si affacciò alla finestra, poggiando le braccia sopra il balconcino, schivando l’ennesima pietrolina lanciata dal ragazzo e piegò di lato la testa.
«Cosa vuoi?» Chiese, osservandolo e aprendo la bocca in un sorriso. O meglio, sollevò solo un angolo e lasciò all’immaginazione de ragazzo il resto.
«Mi annoio, Finn mi ha dato buca. – sbuffò, perché nessuno sapeva quanto un quindicenne poteva provare amore per un altro e nessuno sapeva che Noah Puckerman, con la corazza da duro, provava qualcosa per Quinn Fabray. Nessuno poteva immaginare quanto, in quel momento, si sentisse tradito. Ma almeno lui lo sapeva del suo amico.
Nessuno era tradito quanto Santana. »
Santana alzò le sopracciglia e si strinse nelle spalle, annuendo.
Due minuti dopo scese le scale, avvisando Marisol che stava uscendo con un suo amico e che quello non era Finn Hudson. Prese il cappottino rosso e uscì da casa.
«Allora, che vuoi fare?»
«Andiamo a spiarli.» Fece Noah, sorridendole in maniera complice. Santana scosse la testa, negativa. Non avrebbe fatto questo ai suoi migliori amici.
«Non scherzare, Puckerman.» Fece Santana in risposta, mentre iniziava a camminare. A stare fermi faceva troppo freddo. «A meno che…» Si fermò, sorrise completamente questa volta, guardando il ragazzo che si passava la mano tra i capelli. Idiota, ecco cos’era Noah Puckerman in quel momento.
«Cosa?»
«Sai perché Finn non poteva uscire con te stasera? Perché doveva uscire con me, devo comprare un regalo per un compleanno. E mi ha dato buca per Quinn Fabray, la stessa persona che tu vuoi disturbare, ad un appuntamento… »
«Frena, Lopez. – disse Puck, guardandola e piazzandosi davanti a lei. Perché vorrei spiare proprio lei? Magari anche Finn.»
«Oh, per favore. Perché non stai spiando Mike, dunque?»
«Non sono informato sulla vita privata di Mike Chang.» Ammise il ragazzo.
«Okay, ma di quella di Finn sì! O devo dire di Quinn?» Santana rise sommessamente, prendendo in giro il suo quasi amico. Era molto semplice avere una cotta per Quinn Fabray. Aveva occhi verdi, un verde strano, un verde sublime, labbra rosse e capelli biondi. Nessuno non si sarebbe preso una cotta per lei. Eppure avrebbe, sicuramente, diviso Puck e Finn e non sapeva cosa fare, come fermarli.
«Se dici una parola, Lopez, dirò al mondo che sei innamorata di Finn Hudson da quando è comparso nel tuo giardino e ti ha beccato a giocare da sola, come una disadattata.»
Santana ammutolì per un secondo. Non tanto per quello che aveva detto sul fatto che era una disadattata. Tanto per quello che venne dopo. Lei non era innamorata di Finn. Non poteva esistere. Lui aveva una cotta per Quinn e lei si faceva semplicemente i fatti suoi, ecco. Sarebbe stata la parola di Noah contro la sua. Sorrise convinta. Ora però era arrabbiata come non mai. Lei non aveva bisogno di Finn Hudson, l’aveva chiamata disadattata. Lei era benestante, aveva da mangiare ogni santissimo giorno. E lui? Oh, lui no. Lui doveva aspettare che sua madre tornasse. Lui era cresciuto da solo. Lei aveva Marisol. C’erano così tante differenze abissali tra i due e lui si era permesso di parlare male di lei, con un suo amico? Che scempio, Finn Hudson. Era delusa come non mai dal ragazzo che, ogni giorno, aveva affianco.
Puckerman e Santana ripresero a camminare, assieme, andando verso il centro commerciale dopo aver deciso assieme di voler spiare i ragazzini.
 
*

Finn aveva offerto un gelato a Quinn, uno a due gusti. Aveva scoperto che fragola e pistacchio erano i gusti preferiti della ragazza alla quale, ora, sorrideva. Lui dovette prendere solo una pallina, non poteva permettersi altro. Faceva freddo, eppure era solo pomeriggio. Si strinse nel giubbotto in piumino, mentre osservava tutti fuori. Quanto parlava Quinn. Moltissimo. A differenza di Santana, lei intratteneva un’unica conversazione. Non lasciava che Finn parlasse, che rispondesse né che facesse dei propri argomenti. Lo trattava da stupido, e questo al ragazzo non piaceva. Ma.. gli piaceva Quinn Fabray, e quindi era tutto lecito.
«Come va con Santana?» Chiese Quinn. Finn quasi non ci credeva. Gli aveva posto una domanda, attese qualche secondo prima di rispondere, nel caso volesse parlare solo lei.
«In che senso?»
«Le hai detto che stiamo uscendo assieme?»
A quindici anni, ogni relazione era seria, anche se al primo appuntamento si mangiava gelato come se si avessero dieci anni. A quindici anni tutto si faceva più serio, anche i programmi alla tv che, finalmente, facevano un po’ meno paura.
«No. Era importante?» Forse per Quinn lo era, ma per Santana… Lui conosceva Santana. Nella loro amicizia erano altre le cose che contavano, lo sapeva bene.
«Sia per me che per Santana. Oh, Finn. Sei così stupido. – Quinn aveva visto Noah Puckerman aggirarsi quasi furtivamente per il centro commerciale, ed era accompagnato da una ragazza con una treccia alta che avrebbe scommesso tutto essere Santana. »
«Cosa? Quinn!»
«Santana Lopez… Dio, quanto la conosci? E’ qui. Col tuo amico, quello strano e la cresta. Noah? Ci hanno seguiti.» Quinn grattò la testa, mentre pensava a qualcosa da fare, un modo per scappare. Ma forse scappare non era giusto. Finn l’aveva già fatto omettendo a Santana del loro appuntamento, forse era giusto prendersi le proprie responsabilità. Uscire con Quinn Fabray comprendeva tante cose, una di queste era crescere. Arricciò le labbra e pensò che era la cosa giusta da fare.
Finn stava pensando solo a quanto il cielo si fosse fatto scuro: stava per nevicare così si spiegava il freddo assurdo che faceva quel pomeriggio. Le mani in tasca almeno erano al caldo e aveva una cuffietta rossa molto carina, pure se sembrava un venditore di castagne.
«Dovrai chiedere a Santana scusa. E in fretta, lei è qui!» Nemmeno finito di dirlo che Finn già la cercava con lo sguardo, trovandola affianco a Noah Puckerman. Amici, li chiamavano così. Ma forse non poteva permettersi di dire nulla di tutto quello visto che lui aveva appena omesso alla sua migliore amica che usciva con Quinn. Okay, respirò a lungo e andò incontro a Santana che gli puntò un dito contro il giubbotto, spingendo via Noah, che raggiunse Quinn.
«Tu. – fece la ragazza, guardandolo negli occhi, anche se questo significava mettersi in punta di piedi. – Perché non me lo hai detto? E perché hai detto al tuo amichetto che mi hai trovata e che sembravo una disadattata?» Corse con le domande, ma era arrabbiata da morire.
Quando hai quindici anni ogni problema è qualcosa di abissale, quando hai quindici anni ogni cosa fa male, dannatamente male.
«Sta per nevicare…» Disse solo Finn, guardandola.
«Ti prego, Finn. Perché?»
«Mi ero ripromesso di non farti mai male e dirti che uscivo con la tua migliore amica forse ti avrebbe fatto male e Sannie, sta davvero per nevicare. E’ meglio tornare a casa.» Disse il ragazzo, prendendola per mano, trascinandola quasi, lanciando un’occhiata d’intesa al suo migliore amico che portò Quinn dall’altra parte. Lo sentiva nell’aria, il tempo era cambiato e la neve a fiocchi sarebbe presto scesa giù dal cielo.
Perché quando hai quindici anni, l’unica cosa che vuoi è sentirti speciale…
E Finn aveva fatto una promessa molto importante alla neve. Una di quelle che si fanno raramente, una di quelle che Finn Hudson non avrebbe mai fatto se non fosse stato realmente importante per lui. E non ci credeva nemmeno che quel momento sarebbe arrivato così in fretta, doveva tornare a casa, non era pronto, per nulla tanto mano per quello.
Finn Hudson non voleva ferire la sua migliore amica, la cosa più bella che gli fosse capitata, voleva che stesse bene sempre e mai male per colpa sua, soprattutto per colpa sua. Perché c’erano tante, troppe promesse.
 
*

Ce l’aveva fatta. Avevano preso il bus prima che iniziasse a nevicare anche se Santana non gli parlava. Okay, lo capiva Finn che era arrabbiata, non le aveva parlato di una cosa talmente importante. Ma avevano quindici anni, come pretendeva che quella per lui fosse una cosa di vitale importanza? Okay, sì, stava uscendo con una ragazza e questa era una sua amica, davvero, capiva tutto ma addirittura smettere di parlargli. Sperava solo di arrivare a casa prima che prendesse a nevicare.
«Sannie.. io… » Santana gli pose una mano sul volto, quasi, zittendolo al secondo.
«Non ci provare. Prenditi le conseguenze di quello che vuol dire uscire con Quinn Fabray. Ti sei sentito grande, eh, Finn? Mi hai mentito! Benissimo, bravissimo! Ora, per favore, lasciami in pace.» Si girò dall’altra parte, mentre il ragazzo non poteva far altro che star zitto, come gli era stato richiesto.
«Santana.» Riprovò Finn.
«Te lo sto chiedendo per favore, Finn.»
Stava nevicando, Dio, stava nevicando.
«No, Santana. Devi ascoltarmi. Sta nevicando, io…»
«Bravo, sta nevicando… Oggi sei geniale, Sherlock!» Rispose lei. No, lui aveva bisogno di parlare, assolutamente. Quindi le posò una mano sulla bocca, così sarebbe rimasta in silenzio. A differenza di quanto pensava la ragazza non oppose resistenza.
«Avevo promesso che non appena avrebbe iniziato a nevicare avrei baciato la persona che più m’interessava. Solo quella che mi interessava. Solo con la neve. – Quanto era difficile per Finn. La ‘friendzone’ gli piaceva, non voleva rovinare tutto. Se avesse perso Santana avrebbe perso tutto. – Okay, Santana. Stai ferma, per favore…» Levò la mano dalla bocca della ragazza, che lo pensava pazzo, ma sapeva benissimo come sarebbe andata. Finn posò le labbra sopra quelle della sua migliore amica, annullando tutte le distanze, i rancori e le paure più nascoste: quelle di essere respinto. Lui non lo sapeva se era amore quello per Santana o era solamente offuscato, ma quando hai quindici anni e qualcuno ti dice che ti ama, tu ci crederai, perché crederci tu fa piacere.
«Okay, hai vinto.» Biascicò Santana, con un sorriso sulle stesse labbra che poco prima erano su quelle del ragazzo.
«Ringrazia la neve, Sannie.»
La ragazza rise, trascinando Finn con sé. Il ragazzo girò il viso verso il finestrino, osservando la neve scendere tranquilla, non consapevole di aver fatto una specie di miracolo: aveva fatto uscire Finn Hudson dalla sua paura, l’aveva reso forte. Adulto, forse.

 

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 Marti's corner.
Quest'oggi sono corner, yep.
Deeeeedicato al ritorno del mio mister sul campo, dopo troppo tempo e la vittoria della mia Juventus sia in champions che in Campionato. Grazie leoni. ♥
Allora, veniamo a noi e al mio mastodontico ritardo dovuto a: scuola, poca voglia, presenza in Gdr, che seguo u.u
Ma ora ci sono e visto che ci sono, vi parlo del mio prossimo progetto Seblaine che sto seguendo da un po' ( bugiarda, da ieri notte. ), quindi, appena finita questa Finntana, sposterò la mia attenzione su un'altra coppia che mi fa letteralmente khsjcka, yep.
Sono di poche parole, oggi. Cioè, lo sono sempre, ma oggi non ho voglia di annoiarvi e l'unica cosa importante che voglio dire e' che dedico il mio capitolo a Roberto, che, dannazione, è il mio fan numero uno. ( perde il suo tempo come pochi a leggermi.) Ti voglio bene, Rob.♥

 

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Capitolo 3
*** 3.0 - Formal. ***


× Formal.
 
Due era il numero che univa Finn al tempo.
Due erano i mesi che erano passati da quando aveva baciato Santana sul bus, in quella giornata di neve.
Due erano i mesi che erano passati dalla prima nevicata. E già la neve gli mancava.
 
Erano passati due mesi, in cui Finn e Santana ancora non avevano parlato della situazione che si era creata tra di loro. La ragazza non accettava inviti ad uscire con nessuno, perché davanti a casa sua, abitava una persona parecchio importante alla quale voleva bene e Finn, non usciva più con nessuno che non fosse Mike e Puckerman o la stessa Santana. Mai una volta, si erano seduti a parlare di quel bacio, di come si sarebbero sviluppate le cose, eppure, dopo quel bacio ce ne furono altri successivamente, più belli, più emozionanti più intensi.
Finn e Santana avevano già imparato ad apprezzarsi, sin da piccoli, sin da quando avevano bevuto il tè che si era rivelato acqua, sin da quando lei aveva le codette e lui il capelli a caschetto biondo cenere. Ed era stato così per tutta la loro amicizia, ma ora, ora che stavano lentamente diventando grandi, i due avevano imparato quanto fossero importanti l’uno per l’altro. Si rendeva conto Finn, che senza Santana non ce l’avrebbe fatta a superare nemmeno un giorno e non immaginava nemmeno cosa sarebbe stato per tre mesi, stare in contatto solo in maniera telefonica o per email. L’aria era triste e pesante.
 
Avevano studiato assieme, quel pomeriggio, Finn era pronto e soprattutto aveva molto freddo. Troppo per essere solo a Novembre. Santana un po’ meno, ma si giustificava sempre dicendo che nel suo sangue, scorreva quello latino, ed era calda per antonomasia. L’economia non gli entrava in testa a Finn. La prima liceo non era facile per nessuno, ma i ragazzi si facevano coraggio, pensando che dalla seconda, avrebbero potuto fare domanda e dunque i provini rispettivamente per entrare nelle cheerleader e nella squadra di football. Mentre Finn ripeteva, Santana lo ascoltava distrattamente, guardandolo di tanto in tanto, notando cose sempre nuove: come il neo all’altezza del labbro, piccolo e scuro, le lentiggini sul naso e sparse sulle guance e le labbra, una striscia sottile che, quando sorridevano, formavano una curva. Era così fiera di quello che era il suo migliore amico, perché definizione diversa, ancora non aveva.
L’interrogazione era andata bene, non molto, aveva preso una B, ma almeno non gli restava nulla da recuperare durante l’estate, era salvo in qualche maniera e di nuovo, per ringraziare Santana le diede un bacio, su quelle labbra tanto morbide, ma mai in pubblico. Nessuno sapeva che loro si erano baciati e che lo facevano ancora, con tanto gusto, volendosi bene ogni giorno di più, no. Solo loro lo sapevano e la cosa infastidiva Finn, più di Santana.
 
 
Mancavano relativamente poche giornate al Natale, che Finn odiava tanto ma che Santana invece adorava. Odiava il Natale, perché mai nessun Babbo Natale, da più piccolo, aveva bussato alla sua porta o si era calato dal camino, incastrandosi. Mai nessuno aveva accontentato i suoi desideri più remoti, e ovviamente, mai nessuno aveva bevuto il latte bianco o mangiato i biscotti che lui, con le sue manine, aveva fatto. Erano buoni, li mangiava lui stesso.
Per questo, Finn Hudson, aveva una grossa collezione di libri, di quelli che mai nella vita avrebbe letto, perché erano quelli che costavano di meno, quelli che sua madre poteva permettersi, che aveva trovato alla bancarella davanti all’aeroporto, dove lavorava come donna delle pulizie e potevano permettersi solo quello, perché ad un regalo occasionale, Finn sin da bambino, preferiva mangiare.
Era maturato così in fretta, prima che sua madre potesse bloccarlo. Aveva capito, sin da piccolo, cosa dovesse o no dire alla madre quando piangeva per la solitudine o come abbracciarla e soprattutto quando abbracciarla, quando stava a letto, rannicchiata, chiedendosi perché suo padre se ne fosse andato così presto.
Suo padre. Quando arrivava Natale, Finn smetteva di pensare a suo padre come un eroe, arrivava addirittura ad abbassare tutte le sue foto, sparse per la casa. Non poteva pensare a come un uomo, avesse potuto farsi uccidere, lasciando la sua famiglia a sé stessa. Finn Hudson era diventato uomo, ancora prima di essere un bambino. Non era stato per niente facile, ma aveva stretto amicizia con la notte, aveva imparato, come un attore, a trattenere i respiri, mentre piangeva, quando sua madre era in giro per casa. Gli mancava suo padre, da morire. Per un bambino, crescere senza padre era assurdo.
A volte, durante gli allenamenti di basket, sentiva gli altri bambini chiedere per favore ai propri genitori di non andare alle partite, che li mettevano in imbarazzo. Oh, lui avrebbe pagato tutto l’oro che non aveva per avere Christopher alla sua partita. Gli sarebbe bastata una sola partita. Avrebbe dato il meglio di sé, gli sarebbe bastato un po’ d’orgoglio nel sorriso del padre e poi l’avrebbe lasciato andare, di nuovo, ancora una volta.  
 
E così, i giorni erano passati e il giorno della vigilia era scivolato ai piedi di Finn troppo velocemente.
Santana la viveva meglio, invece. La mattina della vigilia andava a fare la spesa con Marisol e verso le tre di pomeriggio, lei e suo padre, uscivano per andare in cimitero, dove sarebbero andati a trovare tutti i nonni e infine sua madre. Le mancava sua madre, da morire, ma non poteva capire bene Finn, suo padre almeno l’aveva un po’ vissuto e sapeva cosa si stava perdendo, mentre Santana, beh, sua madre era morta troppo presto perché potesse conoscerla. Un velo di tristezza si posò sui suoi occhietti castani, mentre si lasciava aprire la portiera da suo padre, lasciandola andare verso casa di Finn. Si erano messi d’accordo per andare a comprare un regalo alla sua mamma, Carole. Non aveva molti soldi l’ormai ragazzino, ma poteva pur sempre fare qualcosa. San bussò alla porta, trovandosi direttamente Finn ad aprirle la porta.
Le diede un bacio e Santana ricambiò ed uscirono di casa, tranquilli. Ognuno nel suo spazio, senza sfioramenti di mani o che, addirittura Finn aveva le mani nel giubbotto smaniato che portava sempre.
«Sai già cosa le prenderai?» Chiese Santana, facendo girare il ragazzo verso di lei.
«No – Finn si grattò il collo, mordicchiandosi un labbro. – Ma non ho molti soldi. »
Santana rimase in silenzio, senza aggiungere altro.
Il centro commerciale non era distante, anzi, un pezzetto a piedi e uno col bus ed erano arrivati. Finn aveva fatto più volte presente di quanto non vedesse l’ora di avere la patente, camminare non gli piaceva affatto e Santana lo sapeva bene, ma quello era il pezzo che dovevano fare.
 
Il tempo era molto scuro, quella che Finn avrebbe chiamato foschia, Santana l’avrebbe chiamata semplicemente nebbia. Ce n’era uno strato spessissimo e dava una specie di visione strana delle cose. Quasi fossero in un film dal quale presto sarebbe saltato fuori un tipo che li avrebbe ammazzati tutti e due. Almeno erano insieme, pensò Santana.
«Un bracciale!» Propose Santana, mentre camminava tra le vetrine di cristallo della gioielleria che conosceva parecchio bene. Suo padre aggiungeva un ciondolo al suo bracciale ogni volta che andava fuori per lavoro: inutile dire che quel bracciale aveva un’infinità di ciondoli.
«Non ne usa. Lo sai.»
«Già, scusa. – Disse la ragazza, mordendosi l’interno della guancia. – Allora… Una maglietta, ce ne sono di carinissime.»
«Non ho molti soldi, Santana.» Fece lui, osservando un piccolo ciondolo che poteva permettersi. Era a forma di fiamma, era di metallo, ma era carino e Finn sapeva che sua madre era tutto quello che aveva. Sapeva anche che, tutti i suoi risparmi, sarebbero terminati comprando quello, ma era pur sempre sua madre e non avrebbe avuto rimpianti, anche perché il regalo di Santana era già a casa, bello impacchettato in una carta verde acqua.
«Hai visto qualcosa?» Chiese la ragazza, avvicinandosi.
Finn glielo indicò e poi sospirò qualcosa, che Santana non distinse. «Okay, perché le vuoi regalare una fiamma?»
«Perché è la mia mamma. E’… una metafora sull’importanza che lei ha per me. Ci sono volte in cui ho pensato di lasciarmi andare, - Finn non aveva mai detto queste cose a voce alta. Erano quelle cose che pensava quando era da solo, la notte, col cuscino stretto tra le gambe. Quando le lacrime erano incontrollabili e il vuoto interiore incolmabile. – di lasciar perdere tutto, volte in cui ho pensato che stare con papà, di là, sarebbe stato più semplice sia per me che per mamma. Lo so, ho solo quindici anni, ma non sai come ci si sente ad avere tanti problemi economici. I primi anni senza papà sono stati un perenne inverno, anche quando sembrava passato tutto. Avevamo freddo, tantissimo. Ma non il freddo che colmi con l’aria condizionata, quello interiore, quel buco dentro che non colmi mai e non dico che lei sia stata capace di colmare quel freddo, ma me l’ha diminuito. Ecco è questa la metafora: con lei ha fatto meno freddo, era il mio fuoco invernale.»
Finn sospirò, posando lo sguardo su Santana, che lo osservava con gli occhioni spalancanti, mentre cercava qualcosa da dire. Un abbraccio valeva più di mille parole, ma per chi li avesse visti assieme, cosa avrebbe pensato? Troppi problemi e lei odiava i problemi. Circondò la vita del suo migliore amico e lo strinse a sé, sorridendogli contro il petto.
«Poi sono arrivata io.» Disse ridendo.
«Sì, ma tu sei un fuoco latino! Non dimenticarlo.» Lui fece una smorfia divertita e lasciò che la ragazza lo abbracciasse. Si sentiva bene, con quel contatto lui a differenza di Santana che sembrava parecchio a disagio, quasi non vedesse l’ora che terminasse.
Finn la scostò, facendosi servire da un commesso che gli impacchettò anche il regalo mentre quella che voleva fosse la sua ragazza lo osservava. Ma cosa si era messo in testa? Lei era solo la sua migliore amica e nella friendzone ci era rimasto e c sarebbe rimasto per tanto tempo, ancora. Magari sarebbe dovuto uscire nuovamente con Quinn, o fare altre cose.
Lasciare perdere Santana, semplicemente. Sospirò e tornò da lei, con in mano la bustina.
«Possiamo tornare a casa.» Decretò infine, sorridendole. Tirando un sorriso. La latina annuì e lo seguì, silenziosa, finché qualcosa in lei non la fece scattare. Non era successo nulla, Finn aveva solamente salutato una persona che lei non conosceva, se non di fame e a lei non era andato bene per niente. E quella era proprio gelosia. La seconda volta che provò gelosia nei confronti di Finn, ecco. La prima volta si erano baciati e ora lei ribolliva di rabbia e stava per fargli una scenata. Respirò a fondo, più volte e sorrise al ragazzo che di tanto in tanto controllava che lei fosse dietro. C’era, lo seguiva.
«Come la conosci?» Chiese, infine, posizionandosi vicino a lui.
«Chi?»
«Maelle. La ragazza che hai salutato poco fa.» Finn alzò un sopracciglio, osservandola attentamente, mentre cercava di capire qualcosa sulla sua espressione. La conosceva da troppo tempo per non sapere che era arrabbiatissima e.. gelosa, forse?
«Non sapevo nemmeno che si chiamasse Maelle e, Santana, non ti devo nessuna spiegazione.» Concluse lui, facendo girare la busta tra le sue dita, con un gesto fluido.
Santana rise, semplicemente.
«No?» Chiese dunque.
«No, o te ne avrei già data una, se mi interessasse dartene una, non pensi?» Finn stirò nuovamente un sorriso e riprese a camminare. La ragazza lo bloccò, tenendolo alla manica della felpa, sotto il giubbino.
«Fermati.» Chiese lei, gentilmente.
«No. Non mi fermo, perché sono stanco e voglio andarmene a casa, non pensi che siamo stati fuori e insieme per troppo tempo, Santana?»
«Fuori e assieme? Ma sei cretino?» Non poteva crederci, Santana a quello che stava sentendo, soprattutto che venisse da Finn. «Passerei tutto il mio tempo con te, fuori al freddo e sotto la neve, se tu volessi.»
«Ma ti vergogni di come gli altri possano vederci. Ma non posso dire che sto con Santana Lopez. Ma non posso farmi vedere mano nella mano con te, no? Non posso baciarti davanti a tutti. O non è questo, quello che intendevi?» Chiese lui, furioso. Non voleva che queste sue paranoie uscissero così, ma era arrivato il momento che si togliesse qualche sassolino dalla scarpa e di recente tutti quelli che aveva riguardavano la sua amica, amica e basta, amica un cazzo. Perché lui sentiva dei sentimenti che aveva ben definito, sapeva benissimo cosa sentiva nei confronti della ragazza. Amore, amore puro. Che mai si vergognava o che mai voleva lasciarla. Ma effettivamente, aspettarsi che fosse lo stesso da parte dell’altra era troppo.
Santana gli diede un colpo in testa, molto fluido e veloce, tanto che Finn non lo vide nemmeno arrivare. A cosa era dovuto? Non aveva fatto nulla, non aveva nemmeno parlato male. Aveva alzato la voce? Non voleva.
«Sei un idiota, Hudson, non capirai mai nulla delle ragazze. Lo faccio per te.»
«Io sono un idiota? Non tu? Fai queste cose per me, quando sappiamo tutti che ti vergogni di me. Forse dovresti uscire con Puckerman. Lui è uno figo, vero?» Aveva marcato la parola figo, Finn. Come lui non si era mai sentito, eppure stava parlando del suo migliore amico. Sospirò, lasciandosi andare.
«Non mi sono mai vergognata di te, Finn e mai lo farò. Siamo cresciuti assieme. Siamo arrivati sin qui senza vergogna e non vedo come mai dovrebbe crescerne un po’ ora. Sei… oddio, Finn. Sei tutto quello che ho, sin da quando sono bambina e voglio che tu sia sempre questo, per me.»
Santana non era brava con queste cose, ma Finn l’aveva capita alla perfezione e il suo cuore era caldo, la foschia al suo interno era scomparsa: faceva caldo e c’era il sereno. Sorrise, creando quelle adorabili fossette nel suo visino da bambino.
«Mi stai chiedendo di stare assieme formalmente?»
 
 
 Marti. ─
 
Ce l’ho fatta. Ci ho messo una vita lo so, ma sono stata impegnatissima, potete ben capirmi tra scuola e tutto ( vacanze di Natale *coff coff* ) mi sono un po’ persa, ma l’importante è tornare da voi, che mi leggete sempre con tanto impegno, lasciandomi addirittura delle recensioni, wow. Siete tipo i migliori che io potessi trovare.
Non mi aspettavo che qualcuno mi seguisse anche in questa avventura Finntanosa, onestamente, se non i miei soliti, che ringrazio ai quali voglio un bene da morire.
Ma ci siete, mi mettete nelle seguite, nelle preferite e mi leggete e sono estasiata dall’avervi.
Bando alle ciance, sono quattro pagine eheh. Torno più carica di prima… Non odiatemi, io vi voglio tanto bene.
 
Lo so che mio padre non leggerà mai questo primo pezzo di capitolo, ma è dedicato a lui. La storia è molto simile alla sua, non sto qui a spiegarvi, ma è molto ispirata al mio papà. Ti voglio bene e, a vedere le tue partite ci vengo io. Sei il padre più padroso di sempre.
Finito, finito.
Scappo, vi voglio mandare un pezzo di cuore a tutti,
 
Marti.
 

 

 

 

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Capitolo 4
*** 4.0 - Thank you. ***


And I, I really like it when the moon looks like a toenail
 And I love you when you say my name
17 Giugno.
Finn tendeva le braccia al cielo, ringraziando Dio, qualsiasi esso fosse, perché la scuola era finita. Ed era andata bene, infatti non gli era rimasta nemmeno una materia, nemmeno l’economia, sua arcinemica sin da subito. Attendeva con ansia queste vacanze, è vero, ma attendeva ancora con più ansia l’inizio del secondo anno di liceo, in cui avrebbe fatto domanda per la squadra di football e i suoi sogni si sarebbero avverati tutti. Ormai i discorsi con sua madre andavano a finire sempre sul nuovo anno che lo aspettava. Carole non sapeva più come gestire la curiosità del figlio, sapeva che era una cosa bella e sapeva che lo avrebbe spronato a studiare di più.
«Finnie, sai che per stare in squadra, oltre che a passare un provino, devi mantenere i voti alti?»
Finn, con uno sguardo pieno d’innocenza, interruppe la sua mangiata di noccioline e guardò la madre, che si sventolava una mano davanti alla faccia. Purtroppo nemmeno quell’ anno sarebbero riusciti a permettersi un condizionatore. Finn scrollò le spalle e annuì.
«No, ma ora lo so. Grazie mà.»
Carole rise dell’ingenuità del figlio. Oh, era così bello aver cresciuto una persona così buona e gentile. Ogni giorno si chiedeva come avesse fatto a farcela. Guardò Finn ancora una volta, sembrava voler dire qualcosa, e invece fissava solamente la nocciolina che aveva appena sbucciato. Carole Hudson odiava quando qualcuno definiva suo figlio stupido. No, Finn non era stupido. Era solo un po’… abbastanza ingenuo. Vedeva sempre il meglio nelle persone e non trovava il pericolo nelle sue azioni. Finn era bello così, nessuno poteva dire il contrario. Finn era bello. Lei lo vedeva bello ogni volta, anche di mattina, quando non diceva nulla se non ‘ohsakhdf’ o ‘mi fai un tè?’.Ma Finn era la sua benedizione, era così bello averlo intorno. Faceva tornare la voglia di vivere, di parlare e di fare qualcosa di utile. Ecco, Carole si sentiva utile da quando Finn aveva imparato a parlare. Aveva insegnato al figlio a leggere, ancora prima di entrare a scuola e Dio, era stata la soddisfazione più grande di tutte, sentirlo leggere sebbene arrancasse. Suo figlio era praticamente la sua vita e lo adorava ogni giorno di più. L’avrebbe adorato sempre, ogni giorno, qualsiasi decisione spiacevole avesse preso. Questo era ciò che una madre faceva: amava incondizionatamente, come se non ci fosse un domani e quello dovesse essere l’ultimo abbraccio.
«Mà?» Chiese Finn, catturando l’attenzione della madre che lo fissava senza sosta.
«Mh?»
«Ti sei per caso innamorata di me? Mi fissi senza sosta da cinque minuti buoni.»
«Potrei dire la stessa cosa per te e la nocciolina. Sicuro che Santana non sia gelosa? – chiese lei, ridendo. – E sì, io mi innamoro di te tutti i giorni.» Si piegò per dargli un bacio, e gli sorrise.
«Potremo chiamarlo incesto, Carole Hudson.»
Carole rise di gusto, portando la testa indietro e facendo sorridere persino Finn che la guardava. Avrebbe voluto avere una cosa sola che sua madre aveva: la sua forza. Sua madre era una forza della natura. Sebbene quest’ultima ci avesse provato a buttarla giù, sebbene ci fosse quasi riuscita, lei si era rialzata, aveva attutito la caduta e si era fatta forza. Quello che lui era, era solamente grazie alla sua mamma, e mai avrebbe pensato di dirlo ma doveva perché oltre a sentirsi quasi in obbligo era pura verità: sua madre, ogni giorno della sua vita, era il suo eroe. E nonostante di tanto in tanto fosse imbarazzante, sua madre l’aveva cresciuto e reso la bella persona che oggi era.

13 Luglio
Santana voleva andare al mare, eppure sapeva bene di doversi accontentare di qualcosa molto vicino ad un lago o un fiume, ecco. Bastava fosse acqua. Bastava sentirsi libera, mentre nuotava. Uno stagno, un fiume, un lago… persino una piscina, sebbene fosse allergica al cloro: aveva bisogno di sentire fresco e questa volta non bastava il condizionatore a farla sentire meglio. Uscì di casa, dirigendosi con l’asciugamano verso la piscina. Finn aveva da fare: lui e Noah passavano tutto il tempo ad allenarsi col loro nuovo amico, un vecchio amico, Mike Chang. Erano tutti intenzionati ad entrare in squadra. La latina era sicura ci sarebbero entrati tutti e tre, perché li aveva visti giocare e di recente anche quelli ‘professionisti’ e non c’era molto distacco tra Finn e l’attuale quarterback della squadra, Sean Merthur. Sapeva che il suo ragazzo ce l’avrebbe fatta e poi loro si sarebbero visti la sera, come ogni sera da tutti quei mesi che aveva smesso di contare in cui si trovava felice ogni volta che poggiava la testa sul cuscino. Era una sensazione di casa, quella che la felicità aveva. Una sensazione che si prova poche volte nella vita e lei voleva godersela a pieno, amando ogni giorno di più Finn Hudson, che le riempiva di amore il cuore, come se non ci fosse un domani. Lo amava in quella maniera, come fossero un otto capovolto, quella parola che, però Santana non avrebbe mai detto, perché era come vedere un gatto nero attraversare la strada. Tutto quello che vide, però fu Brittany. Brittany col suo sorriso contagioso, Brittany con la quale usciva tutti i giorni, Brittany e i suoi folti capelli biondi che ornavano un visino carino con gli occhi blu e le lentiggini. Brittany che era così carina ai suoi occhi e ancora, Santana, non aveva capito perché non avesse un ragazzo. Si rendeva conto di essere stata cattiva in passato, noiosa e spesso lamentosa, ma in cuor suo sapeva di meritare Finn, perché aveva saputo aspettare la persona giusta e aveva portato pazienza, tanta tanta, così sapeva di meritarselo ed era felice, finalmente. Ma si sentiva finalmente felice anche quando incontrava Brittany… e confusa. Sì, confusa quando la vedeva. Sapeva che era come la sua migliore amica, ma si sentiva confusa, perché quando la vedeva sentiva la vista offuscarsi, come se stesse guardando il sole e provava una certa cosa, che forse può essere classificata come ansia, prima di vederla. Era ansiosa di incontrare Brittany.
«Ciao, principessa!» Salutò Santana, agitando la mano quando fu davanti a lei. Si erano messe d’accordo per telefono per incontrarsi all’incrocio ed andare in piscina assieme. Finn adorava Brittany, adorava il fatto che, finalmente, anche Santana avesse delle amiche. Perché sapeva che in fondo, lei stava male sapendo di non avere nessuno al suo fianco che non fosse Javier o Marisol o addirittura i suoi amici.
«Pensi davvero che io sia una principessa, San?» Chiese lei, con un musetto da cucciolo, al quale Santana non poté resistere e sorridere.
«Sei talmente speciale che sei un unicorno, BriBri.»
Fastidiosissima, si ripeteva, mentre ascoltava le sue stesse parole uscire fuori dalla sua bocca senza nemmeno poterle fermare. Dio. Patetica. Cos’era quello che stava provando per la ragazza che era solamente sua amica?
«Oh, Santana, mi hai detto una cosa bellissima!» Brittany si avvicinò alla ragazza e la strinse in un goffo abbraccio, mentre i pensieri di Santana volavano lontani, come la sua mente. Doveva assolutamente farsi un bagno freddo e rinfrescare le idee, perché la conclusione alla quale stava arrivando era tanto patetica quanto assurda e non poteva nemmeno un secondo pensare di far male a Finn, il suo piccolo e dolcissimo Finn Hudson che ora stava allenando per portare a termine quello che era il suo sogno.

8 Agosto.
«Hai fame?» Chiese Finn, buttato sull’amaca diligentemente legata all’albero di limoni e quello arance. Sebbene fosse il giardino di Finn, Santana adorava stare lì. In ogni stagione. Sia che fosse inverno nel quale si stringeva in una coperta calda leggendo un libro o studiando – ma finendo sempre per addormentarsi – sia in estate, dove stava all’ombra e dondolava, dondolava, dondolava come se fosse la cosa più divertente al mondo. Però la sua stagione preferita era senza dubbio la primavera, perché l’arancio fioriva in quel periodo e l’odore dei fiori che produceva era droga per lei. Era successo che, durante le vacanze di primavera, Finn e Santana fossero rimasti lì, fuori al freddo primaverile, a dormire fuori. Tranquilli. Infilati dentro un sacco a pelo, raccontando storie, le più stupide quando quelle serie terminavano. A farsi mille risate e a guardare le stesse cospargersi come polvere sul cielo.
«Cosa c’è da mangiare?» Chiese lei, che invece era buttata sull’erba fresca, strappandone un ciuffo di tanto in tanto e solleticandosi il naso, come fosse una perfetta campagnola a suo agio in campagna. Quello era il suo posto preferito, per quello era così a suo agio, sebbene non fosse casa sua. Tutti avevano un posto e un momento preferito. Il posto preferito di Finn era il campo la notte, d’inverno. Quando alle sette già c’era buio e il freddo creava le nuvolette bianche quando respiravi.

Il cuore martella nel petto e tu stai facendo il tuo ultimo perfetto tiro, prima di tornare a casa a raccontare tutto alla mamma. Uno, due, tre – conti, risparmiando più fiato che puoi affinché il tiro esca perfetto come vuoi tu. – ora! – ti spingi a tirare caricando tutta la forza nel tuo unico braccio destro. – touchdown! Hai vinto tutto, sei il padrone del mondo. La tua squadra, sebbene in allenamento, ha vinto la partita contro l’altra fazione di squadra! Sei una forza e sorridi.

No, il momento preferito di Finn, però non era quello. Era quello che c’era prima di ogni partita, anche quella alla tv. Quelle in cui l’ansia di vincere ti assale, si impadronisce di te e ti rende schiavo del risultato dell’agonismo. L’orgoglio e la forza ti scorrono nelle vene e non puoi fare altro che assecondarlo, dando il massimo. Il suo momento preferito era quando i tacchetti delle scarpe toccavano l’erbetta così soffice, pronta per accogliere il suo nuovo vincitore. Il suo momento preferito era quando il coach dava la carica, pronto a vederlo fallire solo per potergli togliere il ruolo che da una vita aspettava. Il football era in generale il suo momento preferito, perché era davvero fatto di momenti.
Quello di Santana, invece, era quello prima di svegliarsi. La sensazione che le dava la pienezza di aver fatto un sonno completo, sebbene fossero solo le sette e dovesse alzarsi per andare a scuola. Adorava sentirsi riposata e adorava alzarsi con questa consapevolezza: era pronta per un’altra giornata intera, in un posto dove, la maggior parte dei visi, erano amici. Ovviamente questo momento si verificava una volta ogni mai, perché Santana odiava svegliarsi presto, andava a letto mediamente nell’ora giusta, ma non era mai sveglia abbastanza.
«Panino col tonno!» Disse Finn, che osservava da fuori ciò che sua madre stava preparando per la merenda.
«Okay. Quello di tua madre tanto è la fine del mondo.»
«Ma le cheerleader non dovrebbero stare tipo perennemente a dieta?» Chiese Finn, osservandola mentre lui era saltato in piedi.
«Andiamo… è un panino al tonno. Credi davvero che io possa rifiutarlo? Inoltre è di Carole Hudson. E’ la fine del mondo.» Esclamò lei, attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno al dito indice, senza osservare Finn. Come faceva quasi sempre. Non lo guardava, quando doveva dire qualche cretinata. Aveva paura di ridere troppo in fretta così tutto lo scherzo sarebbe passato e non avrebbe più fatto ridere.
«Mio Dio, quanto ti amo!» Esclamò Finn, con troppa enfasi, prima di diventare paonazzo e rendersi conto di quello che aveva detto senza realmente rendersene conto. Portò le mani sopra la bocca, arricciando il naso, quando Santana alzò lo sguardo su di lui, due occhioni castani sbarrati che lo osservavano consci di quello che il ragazzo le aveva appena detto.
«L’hai sentito?» Chiese, mentre lei avanzava verso di lui, tenendo lo sguardo fisso sui suoi occhi.
«Ti prego, sta zitto e non rovinare tutto.» Gli prese il viso tra le mani, baciandolo dolcemente. Anche lei lo amava. Lo amava tanto, con tutto il cuore. Tanto che pensava che sarebbe presto scoppiata con tutto quell’amore che aveva in corpo. Non pensava di poter amare così tanto, ma lo faceva. Finn Hudson le aveva rubato il cuore. Il bacio fu uno di quelli intensi e Finn credette di non averne mai ricevuti di così belli e forse aveva fatto bene a farselo sfuggire, perché le labbra di Santana erano così morbide e dolci.
«Oh, anche io Finn. Un sacco.» Esclamò lei, allontanandosi brevemente dal viso del suo ragazzo che amava alla follia.
Carole si allontanò dalla finestra e rivolse uno sguardo veloce al soffitto – un gesto più mistico di quello che sembrava, per la madre del ragazzo che fuori in giardino cresceva a dismisura, senza che lei se ne rendesse pienamente conto. – sussurrando un grazie che valeva più di mille altre parole. Non sapendo che era qualcuno lassù a ringraziare lei, qualcuno a lei molto vicino, che la ringraziava per aver badato al loro bambino, qualcuno che li proteggeva entrambi amandoli a dismisura ogni giorno e rammaricandosi un po’ per essere andato in quel posto con troppo poco preavviso, rammaricato perché avrebbe voluto viversi quei momenti con la sua famiglia.

I love the sound of violins
 And making someone smile.


* corymonteithisjfhjdjhf *
Ecco, l'ho detto. Cioè, ma avete visto le foto dei cca? dear lord! E poi sono uscite nuove foto di Jon Groff e lo scrivo perché colei che mi ha betato ( grofflicious ) è stra fan. Andate a cercarvi le sue ff se siete le la st.berry, migliori delle sue non se ne trovano con quella ship. Oibò, ad ognuno il suo.
Non lo so, non si toglie il robo per il corsivo, mi sto irritanto e sinceramente non ho voglia di stralunarmi. LOL.
Ci ho messo una vita più un'altra vita a postare perché non avevo voglia di sedermi seramente al computer per scrivere qualcosa di decente. Mettiamola così, sono un po' svogliata, in questo periodo, ecco...
Comunque nulla, voglio ricordare a tutti coloro che mi seguono che questo capitolo è scritto mentre io sto male, quindi se dovesse risultare un po' bruttino è per quello. Io non ci faccio affidamento, tanto XD Quindi nulla... ugh, quanto sto parlando oggi... Vi mollo! Grazie a tutti per tutto, anche solo per il tempo che passate a leggere questa ff, siete tanto amore.


Ps: tieniti stretto quel pezzo, Rob. E' scritto pensando a te. Ti voglio mazzi bene. ( detto alla sarda, quanto sono simpatica oggi?)
Ciao, ciao.

Pss: thanks to Nick Jonas, The Jonas Brothers and Camp Rock per la canzone che ho uttilizzato. Se volete sentirla, si chiama Introducing Me, from Camp Rock 2!
Nick è un simpaticone in quella canzone! YAY!

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Capitolo 5
*** 5.0 - Soon. ***


(*)
Capitolo cinque.
 
Non poteva crederci Finn che l'estate fosse già finita, per un momento credette di avere l'ansia da prestazione, mentre sua madre gli ricordava quanto questo secondo anno fosse per lui importante. Da lì, si sarebbero visti i risultati di quei sogni raccontati a voce alta e con tanto entusiasmo. Finn Hudson aveva iniziato a vivere per un sogno che teneva sin da quando aveva più di otto anni, quando la sua carriera si fece chiara nella sua testa. Il suo cervello iniziò a lavorare veloce, mostrandogli se stesso negli anni. A vent'anni sarebbe entrato nella premier league del football, dove avrebbe incontrato e affiancato tutti i suoi giocatori preferiti. Si sarebbe sistemato a New York con sua madre e gli avrebbe regalato i biglietti gratis per tutte le partite in casa. Una tv nuova, persino. Il condizionatore che sputava fresco o caldo a seconda della stagione e una lavastoviglie, così da impedire a Carol si spaccarsi, letteralmente, le mani ogni volta che le inseriva nell'acqua fredda. Magari non sarebbe arrivato ad assumere una cameriera, ma ce l'avrebbe fatta a provedere a sua madre, restituendole il favore di tutti quegli anni in cui lei aveva fatto a meno di tante cose anche solo per compargli una barretta di cioccolato in più. Si era immaginato anche la vita con Santana: probabilmente solo dopo i trent'anni si sarebbero sposati, avrebbero avuto due bambini e uno di questi, se fosse stato maschio, l'avrebbero chiamato Bentley, mentre la bambina si sarebbe chiamata Sophia, il nome preferito della latina. Sua madre sarebbe rimasta con loro a vivere e Marisol sarebbe andata a trovarli, di tanto in tanto, portando i biscotti con le gocce di cioccolato di cui i suoi bambini sarebbero andati pazzi come faceva lui a sette anni. Verso i trentotto anni, Finn avrebbe smesso di giocare dedicando tutto il suo tempo alla sua famiglia, portandoli in vacanza al mare o in montagna o dove preferivano. Avrebbero costruito castelli di sabbia, tirato la neve o visto i leoni della Savana. Per Finn non c'era nulla di meglio che quel sogno ordito con tanta perfezione. Sistemò la tracolla sulle spalle e uscì di casa, solo dopo aver baciato sua madre sulla guancia, trovando Puck ad attenderlo verso la fine del vialetto, con la mascella serrata. Anche lui avrebbe fatto il suo provino quel giorno, le selezioni erano aperte e anche Mike Chang sarebbe stato lì. Avrebbero corso assieme e avrebbero trovato assieme una soluzione per evitare di rompere il fiato. Puckerman non disse nulla, un cenno col capo e le mani in tasca, mentre percorrevano a piedi la strada per scuola, pensando a tutte quelle vie secondarie in caso di fallimento.
*
Un Hudson allo specchio, talmente piccolo, in confronto agli altri presenti nello spogliatorio: quelli che facevano già parte della squadra e che avrebbero deriso i nuovi da bordo campo. Sebbene fosse alto per la sua età, Finn si sentiva piccolo. Ma non avrebbe lasciato andare il suo sogno per un piccolo complesso di inferiorità. Sospirò, mentre iniziava a togliere la felpa, restando a petto nudo davanti allo stesso specchio che gli mostrava le sue emozioni farsi spazio nel suo faccino teso. Si chinò con calma e prese la maglietta grigia con scritto "proprety of McKinley" che gli era stata passata poco prima e la infilò, sedendosi per far calare i jeans, come se non ci fosse nessun'altro nella stanza, successivamente le calze andando a rimpiazzare il tutto con i pantaloncini rossi e i calzettoni infilando infine le scarpe con dodici tacchetti sotto, che lo facevano stare così a suo agio. Sospirò, restando seduto e riprendendo a guardarsi intorno, mentre valutava una volta per tutte le strade che avrebbe potuto prendere nel caso questo provino fosse andato male. Non c'era altro che volesse fare della sua vita, Finn. Non aveva mai pensato a seconde scelte, perché era troppo preso a pensare a come sarebbe stato gratificante per lui portare a termine qualcosa. Forse avrebbe fatto il giocoliere, nel caso. Sarebbe comunque andato in giro per il mondo col circo, così avrebbe visto tutti quei paesi che non vedeva l'ora di vedere. Il suo sguardo si fermò su Mike Chang il quale futuro era già segnato. Se fosse o meno diventato un giocatore di football, da grande avrebbe fatto il dottore, come suo padre e lo zio prima di lui. Mike, in confidenza, gli aveva confidato che il suo lavoro preferito non sarebbe stato quello, ma nemmeno quello del giocatore di football, infatti lui avrebbe voluto diventare un ballerino a tutti gli effett, seguire dei corsi e fare una scuola ma l'argomento era tabù in casa sua. Ballava dunque chiuso in camera sua, senza che nessuno lo avesse mai visto.
Gli occhi caddero su Noah. Il suo grande amico Noah. Puckerman aveva tutto da perdere, praticamente se non fosse entrato in squadra. Quinn Fabray non lo degnava di uno sguardo e lo avrebbe notato ancora di meno se non fosse entrato in rosa. Non era particolarmente intelligente o sveglio. Noah Puckerman non avrebbe avuto altra via d'uscita se non il football. E poi tornò a pensare a sè, infilando la testa tra i palmi delle mani e chiudendo gli occhi. Contava su se stesso, ma sperava che, se la situazione si mettesse male, qualcuno dall'alto lo avrebbe aiutato. Se lo augurava insomma. Il battito del cuore iniziava ad accellerare, vedendo i veterani alzarsi e dirigersi verso il campo. Gonfiò il petto e mise un sorriso sul volto, saltellando sul posto iniziando a sentire quello che era il rumore dei tacchetti che sbattevano contro le mattonelle sporche dello spogliatoio.
«Femminucce - esordì il coach Tanaka, quando li ebbe tutti davanti in una fila ordinata davanti a sè. Un uomo panciuto, decisamente fuori forma era il loro coach, si chiamava Ken eppure nessuno di loro lì lo paragonava al Ken di Barbie. - c'è solo una cosa che potrà garantirvi un posto nella memoria degli allievi di questa schifosissima scuola: la squadra di football. Il fallimeno è duro da sopportare e tutti sapranno che lo siete stati. Quindi portate il vostro culo sul campo e dimostratemi di non essere femminucce! Dieci interi giri di capo, ragazzine!»
Finn si ritrovò ancora una volta a gonfiare il petto, incanalando in ogni modo possibile e immaginabile tutta l'aria che poteva permettersi, si affiancò a Noah e iniziarono a correre, mangiando giri di campo, in perfetto silenzio.
*
«Oddio! Ce l'hai fatta!» Esclamò Santana, buttandosi tra le braccia del ragazzo che però mostrava solo la più totale indifferenza. Non c'era una sola farfalla nel suo stomaco, nessun contatto gli dava la pelle d'oca. Sentiva l'abbraccio morirgli nel petto, come se non ci fosse mai stato. Nulla di nulla, totale indifferenza. Ed era brutto sentirsi così, ma purtroppo quella era la situazione che Santana si era andata a cercare. La lista degli ammessi in squadra era corta, ma conteneva il suo nome, quello di Noah Puckerman e quello di Mike Chang, i suoi amici più storici. Ed era dannatamente fiero di se stesso, anche se l'ultima persona con la quale voleva festeggiare era lì. Era molto nervoso, quando si trovava Santana vicino. Come poteva non capirlo? La stava ignorando dall'inizio delle lezioni, quando una voce al suo orecchio era arrivata non troppo cautamente.
Quando i immaginava la rottura, Finn faceva partire l'immaginazione in cui lui e Santana si urlavano contro, lei gli dava addirittura uno schiaffo e lui usciva dalla porta sbattendola, lasciando quella casa per sempre. Soprattutto, se la immaginava molto, troppo lontana. Invece era qui, tutto sudato. Probabilmente puzzava anche e Santana lo stava abbracciando e lui non sentiva nulla, che non fosse rabbia. Ne urla, ne cuori spezzarsi... Nulla. Silenzio, totale se non i respiri affannati dei suoi polmoni affatticati. Ed era triste. La situazione, non Finn. La tristezza non montava ancora sul suo corpo, per il momento. Sembrava non avesse ancora realizzato tutto quello che era successo. Non era nemmeno sicuro che fosse realmente successo quello che era arrivato al suo orecchio, poteva pensare che chi gli avesse messo la pulce nell'orecchio stesse solo tirandogli un tiro mancino, ma... il suo subconscio ci credeva, per chissà quale strana ragione.
Allora, con fare calmo e tranquillo, allontanò Santana, sempre senza dire nulla senza darle una plausibile ragione. E così, si allontanò pure lui, girandole le spalle. Non aveva ancora trovato le parole con cui lasciare quella che era ancora la sua ragazza, ma non vedeva l'ora di trovarle, così da uscire da quello stato d'apatia assordante che lo infastidiva e basta. Odiava essere così... piccolo. Odiava sentirsi in quella maniera. Finn Hudson era nato per essere qualcuno, non qualcosa. Non sarebbe stato il giochino di nessuno, nemmeno di Santana Lopez, anche se questa la amava con tutto il cuore: lui veniva prima di chiunque altro. Doveva preferirsi o la sua vita sarebbe terminata ancora prima di iniziare. Aveva obiettivi, strategie, voglia di vincere e non poteva farsi buttare giù, la sua scalata alla piramide sociale del McKinley era appena iniziata.
A pranzo, quando furono passate solo due ore dalla separazione con Santana, Finn la prese in disparte, cercando un tavolo in cui potessero essere visti il meno possibile dalle bocche indiscrete dei giornalisti o delle altre cheerleader. Il fatto che Finn facesse parte della squadra aveva fatto sì che le altre ragazze senza ragazzo iniziassero ad invidiare Santana, riempendo solo il suo ego ed aveva visto una sorta di interesse da parte di Quinn Fabray rifarsi vivo nel suo sguardo. Scosse la testa, togliendosela dalla mente, pensando che quella sarebbe stata la donna del suo migliore amico tra breve. Nel loro codice d'amicizia, queste cose non erano permesse e non avrebbe rotto un'amicizia per una ragazza con gli occhi verdi e i capelli biondi, Finn Hudson poteva avere di più, doveva...
«Sei così strano, oggi!» Inziò Santana, bevendo il suo beverone proteico, l'unica cosa che poteva mangiare/bere nel corso della sua giornata. A colazione, a pranzo, a merenda e anche a cena. Era un'attacco alla sua salute e Finn glielo ripeteva sempre.
«Strano come il fatto che tu abbia smesso di mangiare roba solida? - Si strinse nelle spalle, poco curante della situazione - Cose che succedono nella vita. » Con una forchetta prese una crocchetta di patata, fritta in un olio scadente e uttilizzato al massimo sette volte nel corso del mese. In sè la cosa faceva schifo, ma la crocchette erano molto buone e lo testimoniava il fatto che tutti mangiassero solo quelle a scuola.
«Sempre meglio di te che mangi quelle - indicò il suo piatto, guardandosi intorno, constatando che nessuno la guardasse e prendendone una al volo. Masticandola velocemente e inghiottendola, come se non ci fosse mai stato quel momendo. - schifezze.» Prese un altro sorso, per eliminare l'odore dal suo alito perennemente fresco di menta ma che ultimamente sapeva di fragola o qualcosa del genere a causa del suo beverone.
«Già, scusa... - Fece lui, con una smorfia sul viso, constatando quante cose fossero cambiate, persino il suo modo di parlare gli era estraneo. Era tutto meglio il primo anno e in questi pensieri c'era una nota di malinconia in Finn che quasi lo spingeva a voler restare. Ma non poteva. - Santana... Senti, devo parlar-»
Finn fu interrotto da Lewis, suo compagno di squadra che gli faceva l'occhiolino, vedendolo seduto al tavolo con Santana. Lei gli scosse una mano davanti alla faccia, facendogli segno di continuare. Lo sapeva cosa volesse dirle. Dovevano mettersi d'accordo per il colore del vestito del ballo di primavera. Era stato carino Finn a pensarci.
«Rosso! Mi sta benissimo. Il tuo cravattino sarà bellissimo, in rosso.» Fece lei, sorridendole preventiva. Ma Finn scosse la testa, mordendosi un labbro.
«E' finita, Santana. - Veloce e indolore, come gli era stato consigliato da Mike, che ogni tanto, dall'altro tavolo gli lanciava occhiate che sembravano parlare da sole. - Mi dispiace molto.» E si tenne per se il motivo di questa decisione, fin quando Santana non lo vide alzarsi e alzò la voce, chiedendogli perché. Una stretta al cuore, quella che Finn provò nei confronti della sua ex ragazza, la quale sembrava davvero non essere consapevole delle sue azioni. Un'ottima attrice. Finn prese un momento per passarsi una mano sui capelli, col vassioio poggiato sul tavolo ancora. I pugni stretti, con le unghie che si conficcavano nei palmi, provocandogli dolore. Fece un mezzo sorriso, quello che Santana adorava ma che mancava di convizione, di passione e di felicità. I suoi occhi non sorridevano. Erano troppo tristi. «Perché non si possono avere due relazioni in contemporanea, Santana. Ti auguro tutta la felicità del mondo e puoi stare tranquilla che, con me, il tuo segreto sarà al sicuro. Guardati le spalle dagli occhi indiscreti, però.»
Quelle furono le ultime parole che Finn disse direttamente a Santana, con un sorriso amaro sul volto, per tutto quell'anno in cui passarono il tempo ad ignorarsi. Il secondo anno si era rivelato uno schifo totale. Aveva fatto male a Finn, male a Santana. Ne erano usciti distrutti. Troppe cose da dirsi e mai dette. Troppi sentimenti mai espressi. Troppi sorrisi tirati. Troppi cambiamenti mai chiesti. Troppo dolore inespresso. Troppi silenzi, troppo tutto.
Ma un giorno tutto sarebbe cambiato, Finn e Santana avrebbero smesso di stare male l'uno per l'altro, un giorno avrebbero ripreso a parlare, mettendo da parte il rancore, sorridendo giocosi. Magari sarebbero tornati amici, ma per ora... il silenzio regnava sovrano e faceva male, ogni giorno di più.

 
(*)
Non nascondo che potrebbero esserci parecchi errori, perché non è corretto in quanto non ho il mio amato pc che ha deciso di abbandonarmi proprio questo mese. *RIP LUTTO.*
Comunque vi ho anche detto in una frase sola e senza virgole perché sono sparita per così tanto tempo. Un'altra frase senza virgole, faccio progressi. Pregherei di lasciarmi in pace uu. No, in realtà è palese che la mia voglia di scrivere mi abbia abbandonato come la voglia per fare qualsiasi altra cosa che non inizi per dormi e finisca con re. :D
Vabbè, non credo ci sia molto da dire su questo capitolo, riuscite a sentire il mio cuore spezzarsi? Io sì, ah, ma forse è perché è il mio. Spero come sempre di aver reso al meglio il mio piccolo Finn e la piccola Santana.
Inoltre credo che ci sarà un'altra pausa dopo la conclusione di questa ff, m'è passata la voglia dopo aver perso tutti i capitoli che avevo scritto. ):
Perdonatemi lo schifo, il ritardo e gli errori e lasciatemi andare a commentare role per gdr ♥
Grazie per la pazienza, siete tutti cuoricinosi, pure se mi avete lasciato una sola recensione allo scorso capitolo. LOL. ♥

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Capitolo 6
*** 6.0 - Begin again. ***


Capitolo sei
 

Erano passati dieci anni dalla fine del liceo, quando Finn e Santana, con sogni e aspettative differenti sulle spalle avevano lasciato Lima, lasciandosi dietro ogni particolare vissuto con gusto, con astio o dolore. Erano passati dieci anni, in cui ognuno dei due, aveva provato a trovare una nuova ragione, cercando di lasciare i disguidi di sempre da parte parte, lasciandosi alle spalle una vita fatta di una persona che non ricambiava affatto il suo amore.
Erano stato difficili quegli anni, per Santana e Finn, soprattutto l'ultimo. Per non parlare del terzo anno, quando erano andati a letto assieme in una poverissima camera di un motel, per togliere la grande V al ragazzo. Si era offerta lei, per fargli un piacere, come aveva detto testualmente... ma Finn sapeva che non era così, voleva prendersela per chissà quale motivo. E nonostante gli faceva male, accettò. Le cose erano molto cambiate, perché i due erano cambiati. Avevano perso di vista chi erano davvero. Solo due copie di un Finn e una Santana di tanto tempo fa.
I rapporti incrinati, le amicizie leggendarie compromesse... era tutto parte di quel processo chiamato crescita. Avevano perso tutto ed erano pronti a maturare.
Forse era davvero quello crescere... perdere tutto ma acquistare la consapevolezza di poter riniziare. Solo con quella, andando avanti giorno dopo giorno, ora dopo ora... persino quando faceva più male del giorno precedente... crescere non era un bell'affare, quel furbo di Peter Pan aveva azzeccato. Nel corso degli anni, quelli del liceo, Finn aveva perso Noah. Il suo miglior amico si era rivelato la peggior specie, per quello che gli riguardava. Oltre il tradimento carnale, era arrivato anche quello psicologico. Noah era andato a letto con la sua ragazza, Quinn, mettendola incinta. Strana cosa la vita. Strano il karma, sarebbe opportuno dire, perché Finn ci credeva. Insomma, era stato tradito, ucciso dentro e il karma aveva fatto sì che Quinn imparasse la lezione con un bambino. Frutto di quello che, per Noah era amore, nacque Beth, il giorno delle regionali, contro un Jessie St.James in forma più che mai, che dava il meglio di sé in una canzone che era tutto uno show: bohemian rhapsody. I Vocal Adrenaline avevano schiacciato le Nuove Direzioni, ma sotto le note di quella canzone epica, sotto la voce di un Jessie in forma più che mai, un miracolo nasceva e non potevano rammaricarsi più di tanto perché quel giorno in ospedale... beh, ogni sconfitta valeva la candela. Fu davvero difficile per Finn vedere il sorriso di Quinn, per una bambina che non era la sua, ma faceva ancora più male sapere che tutto quello era suo. Non poté fare a meno di pensare a Santana, come sarebbe nato il loro primo bambino... Ma c'erano dei lati positivi in tutto questo.. Rachel, ad esempio. Oh, Rachel Berry gli guarì le ferite, con tanta passione e devozione. Se non ci fosse stata Santana nel suo cuore, Rachel sarebbe stata l'amore della sua vita, assolutamente. Ma Santana c'era, e lui non aveva dimenticato, era solo andato avanti. La sua storia con Rachel, piena di alti e bassi, lo faceva felice. Pieno di sé, come se improvvisamente ne fosse valsa la pena di avere tutto quello. Ma tutte le cose belle avevano una fine, in questo caso l'entrata alla NYADA di Rachel. Lui voleva lasciarla libera, errore, sì, ma era giusto così. Ma nella vita di Finn c'era spazio per tutto, anche le soddisfazioni. Aveva frequentato il college, portandolo a termine con voti abbastanza scarsi, ma ce l'aveva fatta comunque. A ventidue anni, a New York, era stato avvistato dall'osservatore dei New York Jets ed era entrato piano nel sistema della squadra.
Per Santana fu un altro paio di maniche. Non ebbe un liceo particolarmente difficile, lo finì alla grande, con una relazione con Brittany. Ma il suo coming-out fu sofferto, Finn la costrinse, si era stancato di vederla sempre felice. Era quella la motivazione che aveva dato Quinn quando lei piangendo le aveva chiesto perché avesse fatto tutto quello. Aveva finito con l'odiarlo da morire, odiare il suo grande amore, o quello che credeva essere. Un giorno lui le aveva cantato una canzone, una con un bel significato... e sebbene la sua rabbia fosse dimezzata, lei ancora ce l'aveva con lui. Il suo coming-out doveva essere glorioso, non forzato... ma comunque, anche quello era andato. Dopo il college, dopo la Tisch, dopo un intero corso teatrale, Santana aveva trovato il ruolo principale nel musical Chicago, rientrante nelle classifiche dei musical più famosi al mondo. Santana era così devota a quello che era il suo lavoro, aveva così tanta passione che in pochissimo tempo si era ritrovata a Broadway, in Rent, e poco più tardi commossa alzava un Tony Award. In Rent, aveva fatto l'audizione contro Rachel Berry, la quale le raccontò che anche Finn era a New York.
Andarono ad abitare assieme, in un appartamento al centro della città. Con loro abitava Jessie St.James e tutta la sua grazia enigmatica. Quel ragazzo poteva andare in giro con un sacco in testa ed essere comunque troppo attraente, inoltre se la faceva con la Berry! Con una Berry, Dio santo. Il mondo andava al rovescio, insomma. Santana aveva passato il college a frequentare ragazze sì, ma anche ragazzi... e tanti, perché alla fine le piaceva il sesso in generale, non se lo precludeva e basta. Ma... Finn Hudson era a New York.

*

«Oddio, ragazzi!! - lo speaker realmente emozionato dalla presenza indicava Finn come se lo potessero vedere tutti. - Sono riuscito a fare un miracolo per tutti i tifosi dei Jets e del football in generale! Finn, numerocinque e quarterback dei Jets, Hudson.»
Fece partire gli applausi finti con un semplice gesto della mano e poi fece un sorriso. Finn rise apertamente e posò lo sguardo prima sulla finestra e poi su Axel, lo speaker.
«Wow, amico... grazie dal numero cinque.» Azzardò Finn ridendo ancora.
Palesemente imbarazzato, si ricordò di quella volta che Carole gli aveva detto che aveva una faccia da radio. Complimento? Nah. Della serie 'piccolo, punta basso.' Ma se lui non avesse puntato tutto ciò che aveva, non sarebbe mai diventato chi era oggi.
«Ho preparato un'intervista assurda per oggi, amico mio! Mi sono impegnato. E poi avremo un confronto davvero.... woah, con il mondo del teatro.»
«Teatro e football? Avevo una ragazza, alle superiori, colgo l'occasione per salutarla, ciao Rachel! - Finn mosse la manina verso chissà quale punto della stanza, mentre mandava il suo affetto a Rachel Berry. I due si sentivano ancora, lei sapeva di quell'intervista. Probabilmente sbatteva le manine eccitata al momento.- Lei era l'ape regina del teatro. Mi fece vedere due musical in una sera sola. Per non parlare di tutte le opere teatrali che ho dovuto studiare per fare bella figura con i suoi genitori. Funny girl l'abbiamo visto... ho perso il conto delle volte che l'abbiamo visto. Ma Fanny faceva sempre la stessa vita...»
Ah, se qualcuno potesse vederlo ora. Finn Hudson parlava con tale tranquillità che sembrava da solo, come se nessun al di fuori di Axel lo stesse ascoltando. Era sempre Finn Hudson, il bambino che mangiava panini col tonno dalla mattina alla sera, con una passione e bravura innata per il football. Era cambiato poco e niente, adesso lo si notava. La fama non gli aveva dato alla testa. Firmava cento autografi in una mattinata sola, ma era sempre il piccolo Finnie!
«Sentite un po' qui... -Axel lo indicò, un gesto di vitale importanza, visto che nessuno li vedeva.- ...genio sul campo, genio in altri campi. Raccontaci di Funny Girl, numero cinque!»
«Ho una laurea in diritto ambientale, pensi davvero che sia così stolto? - Finn scoppiò letteralmente a ridere. Non se lo sarebbe mai aspettato di dire una cosa del genere in passato. Era pur sempre Finn Hudson con qualche problema di dislessia. - Allora, Funny Girl é normalmente un flashback della stessa Fanny Brice, la protagonista. Fanny non é un prototipo di bellezza, ma ha talento ed un grande senso dell'umorismo e una volta che si fa notare, esordisce a Broadway. Ha un rapporto difficile con l'amore... si sposa tre volte, ma la piú importante é quella con Nick Arnteint - o qualcosa del genere... che conosce a Baltimora.. il tipo ha un problema con il gioco e verrà riempito di debiti, dovendo scontare una pena di due anni in carcere e chiederà il divorzio a Fanny. - Finn si prese una pausa, per pensare a quanto tutto quello gli mancasse. Il cinema, gli spettacoli... Rachel. Ma non in quel senso. Rachel gli mancava per compagnia. Era una delle persone che più lo capiva, nemmeno Noah lo faceva stare così bene. Stranezze della vita, lui era il suo migliore amico... - Oh, non hai idea di quanto si sbagliasse Rachel. Sai, come Fanny credeva di non essere bella. Ma lei lo era, lo é. Ha un sorriso che ti fa sciogliere, é la sua migliore qualità insieme al suo talento. Ho assistito alla sua versione di Don't rain on my parade alle provinciali e avevo brividi in ogni parte del corpo. E so per certo che mi é stata dedicata My Man, sempre dello stesso musical... perciò Rachel Berry sei la più bella del mondo.»
Se la vedeva ancora una volta, con un sorriso sulle labbra e magari un Jesse arrabbiato al suo fianco. «Colgo l'occasione per salutare anche Jesse St.James che se non sbaglio al momento sta seguendo un progetto off Broadway chiamato Red. Mentre Rachel non ha ottenuto la parte in Rent... Ma farà la splendida Wendla in Spring Awakening.»
Pubblicità occulta al teatro, si sarebbe meritato una granitata che al tempo del liceo non sarebbe tardata.
Quanto gli mancava il liceo in una scala da uno a dieci? Axel lo guardava ammirato, poteva scovarlo nei suoi occhi scuri come la pece. Ogni suo movimento non passava inosservato e probabilmente quello che Finn aveva detto era anche piú di quanto Axel si aspettasse.
«Rachel Berry, Jesse St.James... Ma Finn Hudson ha incontrato l'amore della sua vita?»
Axel gli porse la sua domanda, Finn aveva preparato una risposta a quella domanda, perché sapeva che sarebbe arrivata. Se l'aspettava.
«Al liceo ci chiamavano Finntana. Avevano uno strano modo di incrociare i nomi... Finchel, Klaine... Ho incontrato l'amore della mia vita a sei anni, abbiamo mangiato biscotti al cioccolato facendo finta di bere té. Siamo cresciuti assieme. - Ricordi come se fossero una fontana, ricordava tutto alla perfezione. Con una lucidità travolgente. Sospirò malinconico, riprendendo a parlare poi, avvicinandosi il microfono alla bocca. - L'amore é rude, amico... Ti fa notare la sua presenza, dandoti il tempo di gioire per aver trovato qualcuno che possa apprezzarti per quello che sei. Io ero una persona davvero, davvero difficile. Non ero questo Finn Hudson, ero un bambino con un deficit dell'attenzione, piuttosto stupido e lento. Ho sempre cantato male le canzoni, avevo l'attitudine di dire la C dopo la E... e non sapevo contare. Sono orfano di padre e ho sempre dato dei rompicapi a mia madre... poi è arrivata questa ragazza, che mi ha insegnato ad amare già dai miei primi sei anni. E allora... allora ho creduto di avere tutto, di avere il pugno pieno di risultati... Ma in realtà non avevo proprio niente, perché con una folata di vento tutto è sparito, scomparso... in fumo. Mesi, giorni di sorrisi che vengono rimpiazzati da un broncio... Ma alla domanda 'Il numero cinque, ha incontrato l'amore della sua vita?' ti rispondo tranquillamente... Sì. Il numero cinque ha incontrato l'amore della sua vita.»
Non si era nemmeno reso conto di non aver mai pronunciato il nome della ragazza che gli aveva rubato il cuore da bambino, ma forse era meglio così. Se mai lo avesse pronunciato, avrebbe voluto farlo in sua presenza, vedere che, certi sentimenti, non s'erano mai assopiti. Ma si sarebbero assopiti mai? Finn non lo sapeva, perché in fin dai conti, nemmeno quelli che sentiva per Rachel gli sarebbero mai passati. Aveva una strana concezione dell'amore. Non aveva ancora deciso se gli faceva schifo o no, perché gli aveva lasciato vari bei ricordi con Santana e Rachel, ma entrambe al momento non erano con lui e forse gli faceva schifo per questo. Odiava sentirsi solo, odiava avere una villa ma non avere qualcuno che lo aspettasse la sera... odiava tutto, Finn Hudson si odiava. Forse era tutta colpa sua. Forse era stata colpa sua, dato che non era riuscito a tenersi Santana, forse le aveva fatto mancare qualcosa... Forse faceva schifo e la ragazza non aveva il coraggio di ammetterlo. Ancora peggio, c'era una cosa che sarebbe risultata ancora peggiore di tutte quelle che aveva pensato: la ragazza o bambina del tempo, poteva aver provato pena per lui e per questo era diventata sua amica e poi la sua ragazza.
Ma lei gli aveva detto che lo amava e conosceva abbastanza la Santana del tempo per sapere che non diceva le cose solo per dirle. Le diceva perché le sentiva, provava... Oh, Finn era così confuso da quel tumulto di pensieri che gli violavano la mente.
«Quarterback... cambiamo discorso ti va? - Domandò lo speaker radiofonico. Doveva avere davvero una brutta cera se persino uno sconosciuto aveva riconosciuto il suo umore. - Facciamo entrare la persona di cui ti parlavo prima? Football incontra teatro.»
«Ci sto, fammi vedere chi è.»
«Applausi immaginari per Maureen Johnson, l'attrice di Broadway che incanta tutto il mondo con le sue capacità da attrice... - Finn vide una coda di cavallo comparire davanti alla porta e allora il suo cuore si fermò. Finì in paradiso, perché era sempre stato un buon ragazzo... tonto, ma buono. Gentile, educato... Sarebbe di certo finito in paradiso sebbene avesse imparato a non crederci. - Santana Lopez.»
La stessa Santana che gli aveva spaccato il cuore, preso la verginità, rotto qualcosa dentro di lui. La stessa Santana che aveva giocato con lui, mangiato con lui... e imparato ad amare.
«Santana.»
«Finnocence.»
Axel li guardò e per un momento si improvvisò intelligente, unendo i nomi dei ragazzi che creavano un suono che aveva sentito poco prima da Finn... Finntana. Quella era la Santana di cui parlava il suo quarterback preferito.

 

*pipipipi cammina a testa bassa perché stavolta il ritardo é davvero... ritardoso.*

Non ho molte cose da dire perché non sono nemmeno io a pubblicare ed infatti la prima cosa che devo dire e dare ( e comandami! Boh, nulla... ) é un Grande Grazie a chi ha negato i miei orrori grammaticali, chi sta pubblicando e chi mi ha sempre supportato a scrivere. Sempre la stessa persona quella che qui troviamo come __Sabotage ma che da me si chiama Giulia aka l'amore.
Secondo di tutto voglio fare una dedica velocissima di questo Finn: non credo che farò il suo nome, ma dedico spessissimo i miei Finntana a lui e appena vedrà se ne accorgerà. :)
La parte di Rachel la dedico all'unica Rachel della mia vita, l'unica Lea Michele che potrei sopportare anche solo lontanamente lei sai.
E i Finntana come coppia sempre a colei che mi beta, affinché possa iniziare a shippare qualcosa che esiste..... non ce la faremo mai c.c

Tappete.. il prossimo capitolo é l'ultimo! Sto lavorando ad un'altra storia però... stay tuned :)
dh aka Marti.

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Capitolo 7
*** 7.07 - happy ending ***


7.07 - Happy ending

I festeggiamenti aspettavano Finn Hudson e la sua squadra. Quella sera avrebbero dato il meglio di loro, esagerando con la birra, dandosi alla pazza gioia con urla e schiamazzi che mai avevano sentito prima le pareti di quella stanza. I Jets avevano perso l'ultima partita di campionato, eppure era come se l'avessero vinta. Come se si fossero portati a casa il titolo finale, il titolo che spettava ai vincenti. Non erano usciti da vinti, mai. Il quarterback della squadra, Finn Hudson, aveva fatto un discorso che aveva impedito loro di abbattersi. Andava tutto bene. Erano tra amici, e quell'estate si sarebbero dedicati semplicemente alla spiaggia, al calcio sulla sabbia e agli allenamenti sporadici. Si sarebbero riuniti di tanto in tanto per mangiare una pizza tutti assieme e a metà Agosto sarebbero tornati sul gigantesco campo e sarebbero tornati i Jets di sempre, pronti alla loro rivincita contro i Giants.
Nonostante i suoi due migliori amici "abitassero" nell'altra squadra, Finn aveva deciso che voleva che ci fossero anche loro nel suo festeggiamento personale. L'amicizia era amicizia, lo sport era un'altra cosa. Anche se quello era il loro lavoro, ormai.
«Okay, okay... Ne ho una io. - Fece Matt, il vecchio Matt Rutherdoff alzandosi col suo boccale di birra pieno. Lo poggiò sul tavolo e spingendo sulle gambe saltò sul tavolo, recuperandolo. La squadra si zittì per un momento infinito, ascoltando Matt. - Porca miseria! Non vi ho mai sentiti così silenziosi in tutta la mia vita! Comunque. Era il terzo anno di liceo. Finn Hudson, il qui presente, stava con una bomba sexy, chiamata Quinn Fabray.»
La maggior parte dei ragazzi che stavano a quel tavolo, si girarono a guardare Noah, il quale rideva a crepapelle, perché quella al momento era la sua ragazza. « Beh, mica posso spaccargli la faccia perché ha detto la verità. Avete visto tutti Quinn alle mie partite!»
Alcuni annuirono, altri spostarono direttamente lo sguardo su Matt, pendendo dalle sue labbra, aspettando che tornasse a parlare. Finn, Mike e Noah sapevano benissimo dove il ragazzo di colore sarebbe andato a parare, ma lo lasciarono andare, perché erano un po' tutti brilli e non avevano voglia di alzare il culo dalla sedia.
«Grazie Puck, dicevo... Finn stava con Quinn Fabray, la quale faceva parte del club della castità. Come ogni ragazzino della sua età che ancora non aveva mai avuto l'onore di toccare nulla di... sostanzioso - Noah gli lanciò un'occhiata, forse stava esagerando. Alzò le mani al cielo e sorrise. -, una volta, diventarono talmente intimi da andare a pomiciare in una piscina con l'idromassaggio e Finn... beh, Finn, credette di venire. Simultaneamente a questo incontro ravvicinato, il qui presente Noah Puckerman si era fatto la Fabray, mettendola incinta, boom, non lo sapevate? »
«Si chiama Beth, è bionda come la madre ed è stata data in adozione. Ma continuiamo a vederla, perché è la nostra piccola bimba perfetta.» Noah spiegò il tutto, evitando gli sguardi degli altri. Matt gli fece un cenno col capo. Non si stava scusando, gli stava solo ricordando quanto quella fosse la scelta giusta da fare e lui fosse orgoglioso del ragazzo con la cresta da mohicano. Si erano tutti comportati da amici, quando era successo tutto quel casino e sebbene Noah e Quinn non stessero più assieme al tempo, gestirono la cosa nel migliore dei modi. Fu in quel frangente, che Finn si accorse che erano fatti l'uno per l'altro.
«La storia comunque è quella che è, difatti, Finn credeva di aver messo incinta la sua ragazza di allora, venendo in piscina. Insomma, come i bimbi che non si toccano la mano per paura di avere un bambino.»
«Ah-ha. - Finn si battè una mano sul busto, facendo finta di ridere. Era divertente sentire quelle storie, essendo passato così tanto tempo, aveva paura di averle dimenticate, ed invece erano scolpite nella memoria dei suoi amici e la cosa lo faceva sorridere e gioire allo stesso tempo, perché significava che loro c'erano stati, sempre e comunque, anche se Matt parecchio tempo dopo si era trasferito in un'altra scuola. Era contento di averlo ritrovato. Aveva fatto un po' il giro del mondo, ma era stata una piacevole sorpresa, quando si era ritrovato con lui alla Pace University. - Jolene, fammi un altro giro, per favore!»
Fanculo, era ricco, poteva permettersi tutti i giri che voleva di birra e poteva permettersi anche di pagare tutto a tutti.
Non c'era nulla nell'aria che lo rendesse triste. Erano quei momenti in cui pensava che la sua vita lo soddisfasse a pieno, che non avesse proprio nulla di cui pentirsi. Come poteva mai averlo deluso la vita? Nessuno lo aveva mai mancato di rispetto, quando era uscito dal liceo, aveva intorno le persone che desiderava, Quinn, Puckerman, Rachel e Jesse, che erano un pacchetto completo ormai. Dove andava uno, andava l'altro, per forza. Mercedes, che sentiva di tanto in tanto, Sam, Tina che era ancora la "storica ragazza dell'altro asiatico", Artie che gli aveva proposto di girare un documentario con lui, Sugar che era la ragazza di un suo qualche compagno di squadra. Aveva rivisto persino Brittany alla quale aveva deciso di non portare rancore, perché le cose andavano come andavano, lui non comandava il cuore di nessuno.
Gli mancava solo Santana, all'infinito appello. Una sola persona che avrebbe scambiato con la metà di quelle, anche solo per una telefonata, un messaggio, un incontro sporadico. Esagerava, chiaro. Non avrebbe mai scambiato nessuno dei suoi amici, ma spesso Santana, l'ispanica tutto pepe, gli mancava come l'aria. Forse un motivo per essere triste c'era eccome.
E con quei pensieri, una risata con gli amici ed un boccale di birra perennemente pieno, si fece tarda notte, e gli amici incominciarono a congedarsi. Tina e Quinn furono richiamate dai loro ragazzi stessi, affinché andassero a prenderli, visto come avevano bevuto. Avevano chiesto a Finn se volesse un passaggio e lui aveva accettato di buon grado, con la promessa che sarebbe tornato l'indomani a prendere la sua adorata macchina, Anita. L'aveva chiamata così. Quella con Anita era la cosa più vicina che aveva ad una relazione amorosa.
Fu una volta in macchina, mentre guardava l'amore infinito di Tina e Mike, che si rese conto di una cosa. Quei due ragazzi si conoscevano da una vita, dal primo anno di liceo. Tina avrebbe potuto scrivere un libro sulla biografia di Mike, con annessi i difetti e i pregi, sapeva tutto e probabilmente se si girava la cosa, anche Mike avrebbe potuto farlo. Era strano, ma si era ritrovato ad invidiarli, tanto, troppo. Così, una volta arrivato a casa, prese la cornetta del telefono e compose il numero di Rachel, aspettando che quella rispose.
« Pronto? » Una voce maschile e piena di sonno rispondeva al telefono.
« Oh, porca... - Finn non continuò ma per il semplice motivo che scoppiò a ridere pesantemente, ubriaco fradicio. - Ciao, mi sa che ho sbagliato numero.»
« No, cretino, sono Jesse. Sono le cinque di mattina, dove cazzo sei?» Il ragazzo, Jesse St.James si stava alzando dal letto, per non disturbare il sonno della sua principessa ebrea. L'aveva lasciata mentre le sorrideva, gentile e pieno d'amore.
« Uhm? Ciao, Jesse! No, sono a casa mia. Volevo... parlare con Rachel. Devo... chiederle scusa.»
« Per cosa, Giant? Sta dormendo, domani ha la seconda audizione per il remake di Funny Girl.» Rispose Jesse, chiudendo la porta della veranda alle spalle e accendendo la sigaretta che lasciò tra le labbra.
« Perché l'ho delusa. L'ho delusa tante volte, quando stavamo assieme. Credeva fossi il suo vero amore...»
« Meno male che ha ri-incontrato me, allora! Non avrei permesso mai che la sua vita fosse un'illusione.»
Ci fu un momento di silenzio, con Finn che ponderava o forse che si era addormentato. Aveva chiamato Rachel, ma aveva risposto Jesse. Anche questo lo fece pensare. Aveva bisogno di una persona che rispondesse alle sue chiamate? Che lo lasciasse dormire per sbrigare una faccenda importante? Lui era davvero importante come credeva di essere? Forse per se stesso, sì. Ma per gli altri...
« Cazzone, svegliati. - Jesse lo rimproverò e Finn riemerse dai suoi pensieri.»
« Sono sveglio, ma ho bevuto... tanto, tantissimo. »
« Ci hai chiamato per dirci che ti manca Santana? Ancora, Finn?»
"Ancora"? Allora lo faceva spesso? I suoi amici erano stufi di lui, sapeva che Jesse andava a mirare lì. Stava cercando di dirgli che doveva andare avanti o chiamarla. Forse doveva chiamarla. Jesse St.James non era mai stato famoso per la sua pazienza, ne aveva ben poca con chiunque non si chiamasse Rachel Berry.
« Giant, domani a cena, chiederò a Rachel di sposarmi. Ho comprato un anello con un diamante, spargerò casa nostra con petali di rose bianche. Lo farò solo per lei, per ricordarle che la amo e che voglio passare il resto della mia vita con lei. Quand'è stata l'ultima volta che hai preso una decisone sensata nella tua vita?»
« Prima di ridurmi in questo stato. Ho deciso che Tom dovesse fare un blitz per difendere la nostra linea. »
« Ti è sembrata una buona decisone? A me no. Avete perso contro i Jets, e io ho perso la mia dannata scommessa.» Jesse respirò il fumo e poi lo lasciò andare fuori, godendosi l'accenno di alba che iniziava ad uscire allo scoperto.
« St.James! Hai scommesso su di me? Aww, è la cosa più carina che tu abbia mai fatto per me, dopo il fatto di avermi detto di non dover mai più danzare vicino alla tua ragazza. - Finn respirò a lungo e poi si buttò sul letto. - Se il blitz non conta allora non prendo decisioni decisive dal terzo anno di liceo.» Quando aveva lasciato Santana. Una vita fa, praticamente.
« Chiamala e non romperci più il cazzo la notte! Buonanotte, Giant.»
« Buonanotte, Jesse. Dì a Rachel di cantare Next to me! E falle i miei più cari auguri!»
« Non si dice-... »
Ma Finn aveva chiuso, lasciando un Jesse basito davanti a tutta quella faccenda. Se avesse dovuto interrompere ancora il suo sonno, sarebbe andato a prenderlo a pugni, lo giurava.

(*)

Erano passate tre ore da quella chiamata, Finn non aveva chiuso occhio ed era entrato in doccia, dopo aver bevuto una quantità immane di acqua e soprattutto di caffé. Adesso si sentiva super attivo ed aveva deciso che andare a correre lo avrebbe aiutato a smaltire la sbornia. Incontrò fan, paparazzi... Incontrò giornalisti, che gli chiesero di descrivere il suo stato d'animo nei confronti della sconfitta e della vittoria dei Giants, ma tutto quello che seppe dire fu: " Sono contento per Chang e Puckerman. "
Diplomatico e modesto come al solito. Gentile, onesto... I Jets si vantavano sempre di questo quando parlavano in conferenza. Il loro quarterback era ricercato da tutte le squadre, in quel periodo, come se tutti volessero averlo con loro, ma Finn nonostante tutto, non avrebbe mai lasciato i suoi compagni d'avventure.
Fu un cartellone pubblicitario a stravolgergli la giornata. Uno di quelli in mezzo alla strada, abnormi e che attiravano l'attenzione. Tipo quelli che avevano una donna nuda sopra, con solo le mutande e il seno coperto. In questo c'era la faccia di Santana, con i capelli sciolti neri che le cadevano sulle spalle e un sorriso che andavano a pubblicizzare West Side Story.
Era stata una perfetta Anita, al tempo. Nonostante non sapesse che parte le fosse toccata, era sicuro che sarebbe decisamente andato tutto bene, perché Santana Lopez spaccava i culi.
Era una decisione presa sul momento, ma si stava infilando una cravatta ed una camicia, comprava dei fiori e li faceva recapitare nel camerino di Santana. Broadway non era mai stato il sogno di nessuno dei due, ma adesso si sentiva così strano ad esserci dentro, a prendere posto e guardare un palco con ansia, mentre non aveva nessuno dei suoi migliori amici attorno. Se ci fossero stati Mike, o Puck, avrebbero di certo schernito i capelli della signora davanti o si sarebbero chiesti se l'uomo che stava al suo fianco aveva o meno il collo... invece era solo, ad aspettare Santana. Che si sarebbe esibita come Maria. Rachel Berry l'avrebbe uccisa, Dio solo sa quanto. Chissà chi sarebbe stato il Tony della ragazza. Sbuffò e d'un tratto le scene si oscurarono e tutto venne a mancare, perché c'era Santana, più bella che mai.

(*)

« Lolita? Questi fiori? » Santana si sedette esausta alla poltrona, dove avrebbe tolto la metà del trucco e si sarebbe accasciata. Stanca, esausta e stremata. Le venivano in mente più sinonimi per esprimere il tutto.
« No se. Me siento, Santie. » Rispose con un perfetto accento spagnolo. Le sciolse i capelli e li pettinò con cura.
« Sono molto stanca... »
« Però sei stata eccezionale, pequenita. » Lola le fece eco, annuendo alle sue stesse parole. Era un talento, quella ragazza. Tanto pagata quanto talentuosa. Guadagnava davvero molti soldi e se li meritava tutti, insomma. Santana si strinse nelle spalle quando dietro di lei comparve una grossa figura, quella di Andy, probabilmente, il suo nuovo ragazzo. Uscivano assieme da nemmeno un paio di settimane, forse tre settimane, nemmeno un mese. A Santana non interessava molto, ma comunque era un buon passatempo, uscire e divertirsi un po' ed evitare di pensare.
In effetti, era da un paio di settimane che non guardava i notiziari sportivi, che non si interessava a nulla che riguardasse il football. Nulla di nulla, aveva lasciato alle spalle o almeno ci provava a lasciarsi alle spalle lo sport. Lontano dal cuore, lontano dalla mente, o qualcosa del genere. Non aveva mai imparato i modi di dire, strano a dirsi, visto che sapeva a memoria ogni cosa riguardasse un copione, compresi i sospiri... Questo le ricordava, per chissà quale motivo, che una sera lei e il suo primo ragazzo, Finn, l'avevano passata a guardare il football, mentre lui le spiegava con cura ogni cosa potesse servirle un giorno.
Strano a dirsi, sebbene fosse stata tutta colpa sua, le mancava Finn. Non si era mai lasciata alle spalle la loro relazione.
La figura ancora identificata come quella di Andy, si andò a sedere su una poltrona nera, posta dietro quella di Santana e quando questo alzò lo sguardo e Santana lo incontrò, ebbe un fremito. Fu qualcosa di veloce, come in quei film dove vicino alla propria morte, tutti i ricordi tornavano alla mente. Non poteva dire se era o meno piacevole rivivere la sua adolescenza da capo, compresa l'infanzia, ma sul suo volto si fermò un sorriso, perché nella sua memoria un ricordo con Finn si era fermato. Adesso il ragazzo era proprio lì. Sentiva il cuore che le batteva all'impazzata, non sarebbe potuta diventare famosa perché quel giorno le sarebbe venuto un infarto. Era bello, bello come il sole, bello come sempre. I capelli pettinati in un crestino basso, con una bananina come chiamava la madre quella pettinatura. Aveva un'espressione stranamente stanca in volto e qualcosa le diceva che il campionato era finito, non sapeva perché, ma aveva visto quell'espressione beata una volta, al party Berry, il secondo, quando quella volta non era lui l'autista desiganto. Era in uno stato confusionale, stanco ma allo stesso tempo felice. Ed era felice anche lei.
« Finnocence. - Si era decisa a parlare, perché il ragazzo continuava a stare sulle sue a guardarsi intorno dentro il camerino. Lui era abituato a spogliatoi unti e puzzolenti, mentre quello era il posto preferito di Santana ormai. - Qual buon vento? »
« Ti ricordi il mio posto preferito, Santana? E' cambiato. »
« L'amaca tra i due alberi davanti a casa tua, ma sei sempre stato un po' indeciso. Un giorno era quello, l'altro il campo da football. Adesso quale è? » Chiese lei, senza capire il nesso del discorso che il ragazzo si stava preparando ad affrontare. Avrebbe voluto leggergli nella mente, perché adesso che lui la guardava, poteva chiaramente sentire le ginocchia cederle. Non aveva mai più incontrato uno sguardo del genere, dal vivo. Aveva conosciuto attori e attrici, visto il mondo, seguito Finn alla televisione, eppure vederlo dal vivo era tutta un'altra cosa.
« Il mio posto preferito è decisamente il campo da football. Ed è seguito dal mio momento preferito: quello in cui a testa bassa entro nel campo e quando poi alzo lo sguardo, vedo tutta quella gente lì per me, per supportare la mia squadra. E allora mi rendo conto di una cosa, una sola.»
Santana lo osservava, mentre era assorto in qualcosa che le sfuggiva, ma non chiese nulla, lo conosceva, avrebbe a breve ripreso a parlare, così le avrebbe spiegato tutto quello strano blaterare.
« Quando tutto cambia, non te ne accorgi, lo sai? Te ne accorgi in cinque giorni, al massimo. Il primo giorno ti svegli in una stanza diversa, il secondo mentre ti guardi allo specchio, inizi a pensare che forse non sei così brutto e stupido come ti dicevano al liceo. Il terzo giorno, mentre vai a lezione, incontri una ragazza che ti chiede di prendere un caffé con lei e allora si rafforza il punto due. Il quarto giorno ti offrono un contratto di quattro anni nella squadra migliore del mondo di football, rafforzando in maniera lata il punto due, ancora. Il quinto giorno, ti stabilisci all'università, da solo, senza nessuno e ti rendi conto di non aver bisogno di nessuno. Al contrario di quanto pensavi nemmeno due settimane prima. Il giorno sei, sei una persona totalmente diversa che quasi non ti riconosci allo specchio, quando parli, quando mangi. E allora sei cambiato! Ne hanno dette così tante su di me... Un giorno ero stupido, l'altro grasso, quell'altro ancora brutto da fare paura. Hanno detto che mio padre aveva lasciato mia madre e che quest'ultima faceva finta di piangere la sua morte, ma che se l'avessero cercato in Brasile, l'avrebbero trovato a ballare la samba alla faccia nostra. Hanno detto che non avrei mai combinato nulla di buono, di mettere da parte tutti i miei sogni e di lavorare con Burt. Sai quale è la cosa peggiore di tutte, Santana? Il fatto che io abbia iniziato a sottovalutare me stesso perché ci credevo: io credevo a loro. Ho iniziato a prendere a pugni il mondo, senza accorgermi che era lui che mi prendeva a pugni, lasciandomi senza fiato ogni volta che cadevo. E sono caduto tante volte, ce n'erano alcune che credevo che sarei morto lì e mi rallegravo, perché se fossi morto, avrei dimostrato al mondo che mio padre mi stava aspettando lì. - Anche se non sembrava, il ragazzo si prendeva della pause, non gli sarebbe mai passata la delusione verso quel mondo che adesso si era costretto a chiamare casa, probabilmente non gli sarebbe mai passata nemmeno la paura di ritrovarsi nuovamente col sedere per terra, piangendo come un bambino. - Ma sai cosa ho imparato nel corso degli anni, da persona stupida che dicevano che ero? Che la vita va avanti e che non la puoi controllare. E anche se chiedi perdono per la persona che sei, è come scartare i regali e non trovarci nulla, capisci la metafora?»
Capiva, capiva alla perfezione la metafora, Santana Lopez, mentre lo guardava dallo specchio. Non aveva voglia di piangere, non particolarmente. L'unica cosa che voleva fare era abbracciare il ragazzo, dirgli che le dispiaceva per tutto, ma che comunque non si pentiva. Come aveva amato Brittany, aveva amato lui. Forse era stato questo a distruggerlo, ma non era così egocentrica da pensarlo. A Finn Hudson l'aveva distrutto il mondo intero, con i suoi pugni, come aveva detto lui stesso. Era stato distrutto da quando era piccolissimo, ma lei l'aveva osservato tanto e l'aveva visto rimettere a posto ogni santissimo pezzo del suo cuore, attaccato con la colla ma solido e aveva fatto attenzione a non farselo rompere mai ignaro. Perciò lei aveva annuito e basta, pensando che forse era ora di far sentire al ragazzo la sua voce, anche.
« Finn, mi dispiace averti fatto del male. C'è stato un momento della mia vita in cui tutto sembrava così dannatamente sbagliato, compreso stare con te. Mi sentivo così sbagliata per tutto il mondo che quasi non volevo starci più. E sai quanto sia pesante sentirsi in questa maniera. Sai quanto sia triste, guardarsi intorno e non vedere nulla. Tu lo sai. »
« Non ti ho mai fatto una colpa per avermi lasciato, Santana. Vorrei dedicarti una canzone, oggi, ma non vorrei fare brutta figura. Mi hai reso quello che sono, e io sono un guerriero, lo sono sempre stato. Mi hai solo svegliato, ma non sono qui per questo, sono qui per chiederti se vuoi uscire con me. »
E perché sebbene non lo avrebbe mai ammesso, le mancava. A Finn Hudson mancavano i modi scontrosi di Santana Lopez e aveva tutta una vita per riprovarci con lei, anche se quella volta gli avesse detto di no, sarebbe tornato allo spettaccolo del giorno dopo, presentandosi con un mazzo di fiori diverso, chiedendole di uscire, ancora una volta, perché Santana era l'amore della vita di Finn e l'aveva lasciata andare via una volta, ma non questa.




Sinceramente non mi aspettavo di finirla! Anche perché c'è stato un momento in cui me la sono proprio dimenticata come storia e mentre pensavo alla storia che scrivo, mi é giunta in mente. Inoltre siamo in periodo di maturità e io sono piuttosto indietro! Comunque questo é l'ultimo capitolo e forse é il mio preferito, a dire la verità. Questa é l'ennesima Finntana che aggiungerò alla mia collezione. Però m'é piaciuta tanto scriverla. :)
Voglio ringraziare tutti coloro che l'hanno letta, recensita etc e voglio mandare un abbraccio e un ringraziamento speciale a chi me l'ha betata, fangirlizzata e tutto. Sei la mia salvezza. E lo sai. <3
Buona permanenza su efp, torno quando meno ve l'aspettate.
- Marti

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