Sopravissuti di Hamelin.

di Kodamy
(/viewuser.php?uid=1106)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Act 1. ***
Capitolo 2: *** Act 2. ***



Capitolo 1
*** Act 1. ***


(…)

(…)

E alla fine, per vendicarsi del torto subito dal villaggio, il pifferaio di Hamelin stregò tutti i bambini con il suono del suo flauto e li portò via con sé, lontano dalla casa dove non avrebbero più fatto ritorno.

 

Cosa avrebbe fatto, lei, in una situazione del genere?

In qualche modo era sicura che quei bambini, una volta inghiottiti dal nulla, si fossero tenuti compagnia stringendosi stretti stretti e donandosi quel po’ di conforto che avevano con loro.

 

Ma lei non era più una bambina. Non lo era più da molto tempo, ormai.

 

 

Act 1.

 

 

L’alcool le inebriava i sensi. Come sempre.

Tutte le chiacchiere del bar erano state spinte in un angolo, come semplice sottofondo alla musica del suo cuore. Anko aveva sempre amato ascoltare i battiti del proprio cuore, ritmici, cadenzati. Ora più veloci, ora più lenti.
Nei momenti più difficili, le ricordavano che era ancora viva.

Era seduta al solito posto al bancone, sorseggiando beatamente il sesto bicchiere di sakè della serata. Da tempo, ormai, aveva perso controllo di ciò che le sue labbra e la sua lingua dicevano. Ma il barista, ormai, la conosceva.
Era abituato ai suoi modi di fare, e la cosa non lo disturbava.

La donna ignorò distrattamente la porta che si apriva – con il solito, vecchio, familiare cigolio – ed il saluto accennato e rispettoso del barista al nuovo giunto. Aveva cose migliori di fare, in quel momento: più precisamente, avvertiva la presenza di una buona probabilità di vedere il Nirvana entro la fine della serata.

Venne tuttavia riportata alla realtà e al mondo terreno da una voce burbera ed autoritaria – familiare anche quella, sebbene in quello stato facesse fatica a collegarla ad un volto in particolare. L’uomo le si portò di fianco, sedendosi con un tonfo ed ordinando qualcosa di forte. Molto forte.

Al “che cosa?” avanzato dal barista, si limitò a borbottare un “Non sono pratico di questa roba. Dammi qualcosa di forte e basta.”

Anko riaprì gli occhi, sorniona, sorriso da stregatto spalmato sulle labbra.

L’uomo, seduto al suo fianco, guardava il vuoto massaggiandosi nervosamente una tempia.

“Suvvia, non essere così teso.” Cinguettò, chinando la testa d’un lato. “C’è una prima volta per tutti. Anche se non credo gioverà molto al tuo mal di testa, I-bi-ki-san.” cantilenò l’ultima frase, sillabando il nome dell’uomo che le rotolò troppo facilmente sulla lingua.

“Anko, non oggi.” Fu l’unica reazione che ottenne da lui.

“Oh, per te non è mai oggi.” Commentò lei, soffocando la risatina ed il commento stesso nel sakè.
L’uomo sbuffò, strappando il boccale dalla mano del barista e, dopo un sorso di ricognizione, vuotandolo in un sol colpo. “Seriamente.”

“Oh, sei anche sempre serio.”

“Non sono veramente in vena di aver a che fare con te, oggi.” Ribadì il Jounin, a denti stretti. Soggiungendo, distrattamente, qualcosa riguardo un certo ragazzino ed un paio di epiteti poco carini al riguardo. “Non lo concepisco. Se non fosse per l’Hokage, avrei in mente io un paio di metodi per…”

Anko smise deliberatamente di ascoltare, prendendo un altro sorso.
Serio, era un conto. Ma era positivamente convinta – nonostante fosse ubriaca – di non aver mai sentito Ibiki Morino così frustrato prima di allora.

“Quale ragazzino?” domandò con disinvoltura, seguendo sonnacchiosamente il copione.

“L’Uchiha.”

Oh.

Oh.

Adesso sì che era tutto chiaro. Non si riesce mai a concepire un’Uchiha. Non senza uscirne frustrati, perlomeno.

“Maggiore o minore?”

“Minore.” Fu il ringhio di risposta.

“Oh, l’hanno preso?”

A volte qualche sano gossip politico è una distrazione ben migliore e di gran lunga più efficace dell’alcool. Tuttavia, fece cenno al barista di portarle un’altra bottiglia.

Ibiki la imitò.

“Kakashi e la squadra sette l’hanno riportato a Konoha ieri notte. Su un piatto d’argento.” Sussurrò, abbassando la voce affinché soltanto la sua interlocutrice potesse udirlo. Il solito vecchio paranoico, pensò Anko. “La faccenda è tuttavia da tacere fino a nuovo ordine.” Soggiunse, dopo un lieve ripensamento. La donna l’aveva già autonomamente inteso.

“Strano.” Concesse, riempiendo il nono bicchiere della serata. “Il vecchio Jiraiya sta evidentemente perdendo colpi. Continuava a ripetere quella storia dei… tre anni?” ridacchiò, una risatina vuota che le fece chinare appena il capo. “Come mai è ancora vivo, l’Uchiha?”

“Riuscissi a strappargli qualcosa. Con i metodi approvati dal nuovo Hokage nei confronti del ragazzino, sembra impossibile. Non so cosa facciano alla gente, nel Suono, ma è fottutamente temprato al dolore. Stoico.”

Il sorriso, lievemente perverso, tornò a giocare sulle labbra della ventisettenne, mentre lasciava scorrere l’indice sull’orlo del bicchiere. “Mi piace la sensazione di saperne qualcosa in più di te.” Ammise, onesta. “Comunque, rafforzate le difese attorno a Konoha. Il caro Orochi-sama ci verrà sicuramente a…”

“… non lo sai davvero, allora. Pensavo fossero cazzate.” Osservò Ibiki, effettivamente interrompendola.

Lei tornò a posare lo sguardo su di lui, e stramente lo trovò con la faccia da poker eretta sul volto rovinato.

“… cosa?”

Battito di ciglia.

“Le nuove dal villaggio del Suono. Beh, non che siano poi tanto nuove, ormai.”

Anko schioccò la lingua, sollevando il bicchiere nella pallida imitazione di un brindisi. “L’umile sottoscritta chiede venia per esser stata via in missione per gli ultimi sei mesi, signore. Son tornata oggi e non ho esattamente avuto il tempo per tenermi al passo con i gossip.” Sospirò, prendendo un sorso. “Non nel deserto, comunque. Qual è la grande novità? Orochi-sama ha deciso arbitrariamente che lo Sharingan è del tutto out ed ora gli va più a genio il Byakugan? Dobbiamo mettere gli Hyuuga in quarantena?”

“E’ morto, il tuo Orochi-sama.” Sbottò bruscamente l’uomo, più per zittire quel discorso logorroico che per altro.

E se c’era qualcosa che odiava ancor più di quanto odiasse Anko, quella cosa era indubbiamente un’Anko ubriaca. Prepararla alla notizia non sarebbe servito a nulla, si giustificò osservandola con la coda dell’occhio, prima di tornare a dedicare lo sguardo al boccale posato sul bancone. “La notizia gira il continente da più di un mese. Le prigioni del Suono sono state aperte. Le voci corrono.”

Ma la mente ed ogni barlume di ragione che la donna avrebbe potuto possedere si erano fermati al “morto”.

Oltre quello, il vuoto assoluto.

“… eh?”

“Apparentemente, è stato l’Uchiha ad ucciderlo. Ma sono solo voci. Se solo l’Hokage non facesse tanto la tenera e approvasse, francamente avrei di più da raccontarti.” Borbottò, ordinando un altro bicchiere.

Qualche minuto dopo, china sul water dei bagni del bar, Anko non seppe se attribuire quell’ondata di nausea al troppo alcool – molto, troppo probabile – o alla notizia. Molto, troppo violenta ed improvvisa.

Nell’incertezza, l’attribuì ad entrambe.

 

A distanza di una nottata - passata a far finta di dormire per ingannare sé stessa- pensò che la parola ‘furiosa’ fosse troppo poco intensa per descrivere come si sentiva in quel momento.

Doveva esserci una parola più appropriata. Sicuramente esisteva.

Si maledì, distrattamente, per non averla a portata di mano.

Le prigioni di Konoha erano un posto in cui non si avventurava mai troppo volentieri. Erano buie ed umide, situate sotto il palazzo dell’Hokage, ed emanavano un penetrante odore di disperazione. Mukenin in attesa – alcuni da giorni, come l’ultimo arrivo, altri da anni, dimentichi ormai persino del motivo per cui se n’erano andati dal villaggio, tanto per cominciare.
Mukenin in attesa del verdetto finale.

In attesa del loro destino.

Anko stessa aveva passato sei buoni mesi della sua vita, da ragazzina, in una di quelle celle. Ricordava di essersi concentrata a contare i ragni mentre il segno maledetto pregava di essere rilasciato. Almeno per un po’.

Era stata dichiarata incapace di intendere e di volere, allora.

Innocente.

Ricordava di essersi messa a ridere, al verdetto. [E loro aveva semplicemente rafforzato la loro tesi d’incapacità.]

Innocente.

Sbuffò, arrestando il passo e rivolgendo un cenno del capo all’ANBU di guardia.

“Anko.”

La donna ne riconobbe la voce, incrociando le braccia dietro la nuca. “Oh, Kaito. Che luogo lugubre per incontrarci, non ti pare?” cinguettò, distrattamente. Alla mancanza di risposta, tuttavia, riprese con un sospiro. “Sono qui per l’Uchiha. Ho il permesso dell’Hokage, pertanto...” Mentì tranquillamente, sorriso sfacciato sulle labbra. “…Fammi entrare.”

L’ANBU rimase in silenzio, soppesando la dichiarazione. Lei non distolse lo sguardo, fermo, determinato.

Con un tocco di disperazione per addolcire il tutto.

Ed il ninja annuì, con un sospiro fin troppo udibile.
“Cerca di far di meglio la prossima volta, comunque. Non farmene pentire. Non ti ho mai vista entrare.”

“Entrare dove?” domandò lei, amabilmente, sgusciando all’interno della cella per quello spiraglio tenuto aperto dall’ANBU. Una volta all’interno, la porta si richiuse con un piccolo tonfo, e l’uomo tornò al suo ruolo di sentinella.

Come se nulla fosse accaduto.

 

L’interno era, comunque, proprio come lo ricordava. Aveva quel non so che di umido e stantio tipico delle celle, e le pareti erano ancora intrinseche di quell’olezzo di esseri umani abbandonati a sé stessi.

Come prevedibile, l’Uchiha la stava guardando già da prima che fosse ancora entrata. Nonostante i polsi fossero fermati per bene dietro la schiena e – Anko supponeva – i movimenti delle mani fossero limitati sia da quegli odiosi cerchietti di ferro che dall’altrettanto odiosa jutsu, quegli occhi neri come la pece rimanevano sfacciati.

La fissavano, orgogliosi, senza la minima intenzione di distogliere lo sguardo.

Dannato l’orgoglio degli Uchiha.

Le dava ai nervi, e non poco.

“Buongiorno.” Affermò, colloquialmente, sorriso tirato sulle labbra. Falso quanto le menzogne di Kakashi.

Il ragazzo arricciò il naso e crucciò appena le sopracciglia. Tuttavia non disse nulla, limitandosi a fissarla.

Senza neanche battere ciglio.

“Mitarashi Anko.” Continuò lei, perdendo qualche grado dell’inarcamento delle labbra. “Ho qualche domanda che necessita di risposta.”

“Come tutte le domande, del resto.”

L’espressione del ragazzino non era affatto cambiata. Riusciva a squadrarla dall’alto persino dal basso dove si trovava. Anko incrociò le braccia al petto, condividendo un po’ di quella frustrazione che aveva colpito Ibiki.

“Sai chi sono?”

“Jounin Speciale di Konoha.” Replicò vacuamente lui, privo di qualsiasi interesse. “L’esaminatrice della seconda prova, se non erro.”

E dannata anche la memoria fotografica degli Uchiha in generale.

“Esatto. Vedo che non dovrai preoccuparti della vecchiaia, tu!” proruppe la donna, apparentemente deliziata. Tuttavia, quell’espressione beota durò ben poco sul volto abbronzato, lasciando ben presto spazio ad uno sguardo ben più serio.

“Hai intenzione di rispondermi?” soggiunse, abbassando la voce di un’ottava.

L’Uchiha si limitò a guardarla dal basso – e dall’alto, tranquillamente.

Per qualche arcano motivo, lei prese la mancanza di risposta come un brutto, pessimo segno.

“Sei un vendicatore, Uchiha?” domandò, dopo qualche attimo di silenzio, tornando a calare quel falso sorriso sulle labbra e chinandosi appena verso di lui, con fare inquisitorio. Le iridi di lui si ridussero in due uniche fessure color pece. Anko poteva perfettamente immaginarlo mentre scopriva i denti ed iniziava a ringhiarle contro per essere entrata in un territorio evidentemente proibito. “E’ per questo che sei andato da Orochimaru, no? Inseguivi il potere, in modo da poter inseguire al meglio la tua preda.”

Odio. Odio puro, distillato di odio in quelle pupille di pece bollente.

“Kakashi era rimasto molto deluso dal tuo comportamento. Lo ricordo bene. Ma Kakashi non capiva, no? Cosa significa, inseguire una preda. Cosa significa, bramare di avere il suo sangue sulle tue labbra.” E, per qualche motivo, Anko sentiva anche il suo stesso sangue bollire. Rischiando di scoppiarle nelle vene. Rabbia. “Uchiha, tu hai ucciso la mia preda.”

E sul volto della donna non c’era più quella strana gaiezza di qualche attimo prima. Non il divertimento di quando rigirava il coltello nella ferita di lui. Era la sua ferita, ora, a bruciare.

Vendetta. Vendetta per essere stata gettata via.

(Non troppo diversa dalla sua, di vendetta).

“Orochimaru era la mia preda. Era la mia fottutissima preda, Uchiha.”

Non gridò quelle parole. Le sibilò, come un serpente, ed altrettanto velenosa.

Non era la via della Foglia, quella. Era la via del Suono, nella sua orrenda semplicità.

Dove i sibili erano comune promessa di un dolore che, prima o poi, sarebbe arrivato.

Anko non si era accorta di aver affondato la mano tra le ciocche corvine di lui, di averle tirate finchè lui non aveva ricambiato il suo sguardo sul suo stesso livello.

Ma il volto di Sasuke Uchiha non era affatto intimidito. Il volto di Sasuke Uchiha non aveva affatto cambiato espressione. E, quando schiuse le labbra, fu solo una disinteressata domanda a scivolare, con un sospiro.

“… oh. Eri una vendicatrice anche tu?”

Stava ricambiando la stessa cortesia con cui lei aveva infierito sul suo orgoglio, già ferito a causa della vendetta fallita.

E fu questo, principalmente, a farla infuriare. Lasciò andare la presa sui capelli del ragazzino, il cui capo ricadde appena verso il basso senza che lui distogliesse lo sguardo.

Dannato Uchiha. Dannato Uchiha.

“Biasimerò te, Uchiha. La mia vendetta è andata a puttane a causa tua.” Commentò, stringendo i pugni per frenare l’impulso di prendere a pugni quel ninja che, a conti fatti, sarebbe stato difficile da colpire quanto un punching-ball. “Insisterò sulla pena di morte, per il traditore di Konoha. Insisterò fino a costringere chiunque pensi il contrario a cambiare idea. Sarà quella la mia vendetta, ora.”

Qualcosa di simile all’ironia si affacciò a quegli occhi scuri, senza estendersi al resto del viso.

“Accomodati pure.” Fu il mormorio che la seguì alle spalle, stanco, mentre apriva la porta. “Ipocrita.”

La chiuse dietro di sé fin troppo violentemente, guadagnandosi un’occhiata confusa e adeguatamente nascosta dall’ANBU di guardia.

Quell’”ipocrita” la seguì per tutto il tragitto dai sotterranei del Palazzo dell’Hokage al bar, dove affogò quella fottutissima eco con un’adeguata e massiccia dose di sakè.




A/N: questa era nata come flavour. Ma è venuta di dimensioni talmente epiche - non conto più le pagine, ormai - che è finita per diventare una fic a sè stante. Divisa in capitoli non sarà molto lunga. Non penso di superare i sei, o i sette. Sono in astinenza da Anko ed ossessione da Uchiha, biasimate Kishimoto. Non trovate che Sasuke stia diventando sempre più sborone, comunque? Lo scambio di battute con Itachi era terribilmente cool. Mi ricorda i vecchi tempi del suo discorso mentre affrontava Orochi-sama (L)
Fatemi sapere che pensate. E' un crack-pairing, ma nella mia testa è talmente logico.
Ah, la prossima flavour è più leggera delle altre. Perchè sto nel mood più leggero, apparentemente.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Act 2. ***


Dopo otto mesi di discussioni tra Hokage, Consiglio e Squadra Inquisitoria, l’Uchiha fu etichettato – anche lui - come incapac

(…)

E alla fine, per vendicarsi del torto subito dal villaggio, il pifferaio di Hamelin stregò tutti i bambini con il suono del suo flauto e li portò via con sé, lontano dalla casa dove non avrebbero più fatto ritorno.

Cosa avrebbe fatto, lei, in una situazione del genere?

In qualche modo era sicura che quei bambini, una volta inghiottiti dal nulla, si fossero tenuti compagnia stringendosi stretti stretti e donandosi quel po’ di conforto che avevano con loro.

Ma lei non era più una bambina. Non lo era più da molto tempo, ormai.

 

Act 2

 

Dopo otto mesi di discussioni tra Hokage, Consiglio e Squadra Inquisitoria, l’Uchiha era stato etichettato – anche lui - come incapace di intendere e di volere e gli era stato dato il permesso di lasciare le prigioni sotto la custodia di Hatake Kakashi. Esattamente allo stesso modo in cui Anko aveva ricevuto il permesso di tornare finalmente a vivere sotto la custodia di Ibiki Morino.

Anko era furiosa, per un qualche arcano motivo, ma non lo dava a vedere.

Diplomaticamente – per quanto riuscisse, nei limiti del suo focoso carattere, ad essere diplomatica – era andata a chiedere spiegazioni all’Hokage: sapeva che Tsunade-hime aveva fin troppo a cuore Naruto Uzumaki – tipetto interessante, se ricordava bene - e Sakura Haruno – prontamente e totalmente rimossa dalla sua memoria.
Non poteva fare a meno di essere convinta che avesse assolto l’Uchiha unicamente nel loro interesse.

Tuttavia, la spiegazione dell’Hokage era stata semplice e lineare.

“Non ha ucciso nessuno del Villaggio. Inoltre, liberato Konoha da uno dei suoi maggiori nemici…” e qui vide qualcosa sul volto della donna, come un’ombra di rimorso misto a nostalgia che non tardò a scomparire, e lei stessa sentì un qualcosa di molto diverso ribollirle nel sangue “… e alla fine Kakashi non ha potuto evitare di portare sotto i riflettori il tuo caso nell’intero dibattito.”

Innocente.

Incapace di intendere e di volere.

Chissà che anche l’Uchiha non si fosse fatto una bella risata, nel sentire quel verdetto.

“Kakashi si arrampica sugli specchi.” Protestò Anko, mani poggiate sui fianchi, frustrazione evidente nella voce.

Lo sapeva, Anko, che non era vero. Sapeva che l’Uchiha ne aveva approfittato, esattamente come ne aveva approfittato lei. Sapeva che aveva riso dell’ingenuità del Villaggio, sapeva che adesso il ragazzo doveva essere sempre più convinto di aver fatto la scelta giusta, a suo tempo.
Lo sapeva, e tuttavia non poteva dir nulla.

Sarebbe stato come mettere in discussione il verdetto che lei aveva ricevuto.

E, a dire il vero, non sembrava proprio il caso.

“Dici?” domandò Tsunade, con quel suo tono pragmatico. Stava discutendo, dopotutto, di un dato di fatto. “Il tuo caso costituisce un precedente di peso notevole. Non eri anche tu una ragazzina? Se ti avessimo condannato, avremmo perso uno dei migliori ninja di Konoha. Quella volta si giunse alla conclusione che Orochimaru è una presenza fin troppo influente su qualcuno con una psiche tanto malleabile quanto quella di un ragazzino. L’Uchiha era un ragazzino come te, quando se n’è andato. Quando ha cominciato a ragionare con la sua testa, ha deciso di andar via. E’ questo che alla fine ha dichiarato il Consiglio.”

“Cazzate” fu la prevedibile replica della donna. Stranamente l’Hokage non la punì per il linguaggio usato.

“Forse.” Concesse, piccolo sorriso sulle labbra. “Bisogna anche calcolare che molti dei componenti del Consiglio avevano debiti – economici o meno – verso il Clan degli Uchiha. Probabilmente, la loro coscienza li ha spinti a ripagarli in questo modo. Tuttavia… penso sia la decisione migliore.”

“Cazzate.” Ripetè Anko, sputando la bestemmia con un sibilo.

“Tu hai avuto l’occasione di cambiare, Anko. Non essere egoista.”

E ipocrita.

Sbuffo da parte della bruna, che tuttavia non trovò nulla da replicare.

“Non rimarrà impunito. Gli è stato negato il diritto a partecipare ai prossimi venti esami per le Selezioni dei Chuunin, ed ogni diritto di proprietà che avesse avuto sulle proprietà del Clan Uchiha è stato revocato. Inoltre, non potrà mai e in alcun modo entrare a far parte degli ANBU, né avere una propria squadra di Genin o diventare Jounin finchè non verrà ritenuto idoneo dal Consiglio stesso. Pensiamo sia abbastanza per una persona così orgogliosa.”

E, ancora una volta, Anko non trovò nulla da dire, se non “… certo che Kakashi si è dato da fare.”

Questo commento fece affiorare un piccolo sorriso affezionato sulle labbra di Tsunade, un’espressione distrattamente materna. “Da quel che ho saputo, è la prima squadra che ha promosso. Aver fallito come insegnante deve essere stato un brutto colpo.”

“Si, certo. Al suo orgoglio.”

“… anche a quello, suppongo. Tuttavia, ha fatto di tutto per rimediare. In fondo, è un bravo ragazzo.”

Con un piccolo suono a metà fra il divertito e l’esasperato, Anko abbandonò la stanza senza un granché di saluto, tuttavia premurandosi di non sbattere la porta.

Solo una vecchia signora avrebbe potuto chiamare Kakashi “ragazzo”, dopotutto.

 

 

 

Ebbe l’immenso ‘piacere’ di rivedere la faccia dell’Uchiha circa quattro mesi dopo, in una missione di ricognizione all’ormai caduto villaggio del Suono, in cui correntemente imperversava la guerra civile.

Oltre ai capelli leggermente più lunghi ed i lineamenti leggermente più affilati e stanchi, non era cambiato granchè.

Era una missione affidata da Tsunade alla squadra Otto, per via delle abilità richieste affinché venisse portata a termine: gli insetti dell’Aburame, il Byakugan della Hyuuga e il fiuto dell’Inuzuka erano stati la scelta migliore, dato che l’obiettivo era ritrovare la squadra di Chuunin mandata a raccogliere informazioni sulla situazione del Villaggio un mese prima.

Inoltre, in quella squadra di Chuunin, era presente anche Inuzuka Hana.

Stranamente Anko non si era affatto stupita quando Tsunade aveva affidato a lei il compito di guidare la squadra. Sebbene il villaggio del Suono avesse cambiato sede, rispetto ai vecchi tempi, Anko aveva la discutibile capacità di sapersi orientare decentemente in qualsiasi luogo concepito da Orochimaru.
Lo conosceva, sapeva qual’era stato il suo schema di pensiero.

Inoltre, era abbastanza informata sui modi con cui il Villaggio del Suono amava gestire le proprie faccende.

Riflettendoci con il senno di poi, Anko si domandò per quale motivo fu così sorpresa di vedere anche l’Uchiha nell’ufficio dell’Hokage. L’Inuzuka lo stava apertamente fissando, senza preoccuparsi di nascondere lo scetticismo sulla scelta di mandarlo in missione. L’Aburame si nascondeva all’ombra del cappuccio e delle lenti scure.

Soltanto la Hyuuga aveva tentato un piccolo sorriso, fin troppo timido, al quale l’Uchiha aveva semplicemente scostato lo sguardo.

“Anko,” le aveva intimato l’Hokage, dopo aver mandato fuori la nuova generazione “per la durata di questa missione, la sua tutela è tua e non di Kakashi. Ho personalmente insistito per mandarlo in questa missione: deve pur avere l’occasione di dimostrare dove dimora la sua lealtà, ora. Inoltre, sarà un valido aiuto se vi dovrete addentrare nel cuore del Villaggio.”

“Ti fidi troppo di lui.”

“… forse. Devo aver parlato troppo con la sua compagna di squadra.”

Mentiva. Oh, se mentiva. Glielo si leggeva in faccia, che aveva detto quella frase solo per dare aria alla bocca.
Probabilmente, Tsunade vedeva Orochimaru in lui – concluse Anko.
Per questo motivo, non avendo potuto salvare il primo, era così fottutamente intenta a salvare il secondo.

“Ah, vabbeh.” Cinguettò infine la Jounin, stiracchiandosi appena. “Vada come vada. Se qualcuno non ritorna intero, è colpa mia?”

“Non è un esame. La responsabilità per le azioni è tua.”

“Ricevuto. Non voglio genitori assetati di vendetta alle calcagna. Sappiamo quant’è terribile, la vendetta.” Buttò lì, sollevando platealmente lo sguardo al cielo con un sospiro. “Torneremo il prima possibile.”

Non attese la risposta dell’Hokage, abbandonando l’ufficio e chiudendosi la porta alle spalle. Il suo sguardo incrociò quello dei quattro ragazzi – l’Uchiha sempre distrattamente sfacciato – e sospirò. “Bene, mocciosi. Vedete di fare il vostro lavoro e di non  creare problemi. Tu…” si fermò un attimo, indicando l’Uchiha con un sorriso dolciastro ed un gesto fin troppo plateale. “…Ti tengo d’occhio.”

“Prego.” Laconica risposta del moro, che si rifiutò la decenza di distogliere lo sguardo.

Anko si domandò distrattamente se era stata la vergogna del giudizio della Hyuuga, ad impedirgli di guardare quegli occhi bianchi così sfacciatamente, come invece faceva con lei.
O forse era stato il peso di quel sorriso così prontamente donato e così poco meritato?

 

 

L’aria era tremendamente umida, lì.

Non erano entrati ancora tecnicamente nel Villaggio – come si potesse chiamarlo Villaggio, poi, rimaneva un mistero – eppure l’odore pregnante del sangue arrivava fin lì.

Metallico. Dolciastro.

Anko si umettò le labbra, un gesto di umana debolezza, prima di deglutire.

Non avrebbe ucciso se non necessario – si ripeté, mentalmente, come una specie di mantra. Non avrebbe sparso sangue. Erano in una missione in incognito. Nessun motivo di creare più caos del dovuto. Sebbene morisse dalla voglia di saziare quella sua malata sete di sangue con coloro che avevano così a lungo obbedito agli ordini di Orochimaru… Oh.

La Hyuuga aveva una brutta cera – quel visino bianco era tutto arrossato, e pareva non vedersela molto bene né con l’umidità né con il ristagno del sangue. Cercò di concentrarsi su di lei, di provare un minimo di preoccupazione.
Cercò di abbassarsi ad un livello più umano, ma detestava le squadre di ragazzini.
L’Inuzuka le stava accanto, una mitraglia di parole che sfuggivano borbottate dalle sue labbra abbronzate. Tuttavia, sembrava preoccupato: probabilmente, non credeva davvero che la squadra di Chuunin fosse ancora viva.

O meglio, non credeva davvero che sua sorella fosse ancora viva.
L’Aburame era intento a fissare un piccolo scarafaggio posatogli sull’indice, quasi gli stesse parlando. Parlando. Probabilmente, era l’unico in quel momento a star portando avanti la missione.

Ligio al dovere, come ci si sarebbe aspettati da un Aburame.

Fosse stato per lei, la missione l’avrebbe portata a termine radendo al suolo l’intero villaggio e la feccia che ci abitava dentro, e chi s’è visto s’è visto. Amen. Owari. Fine dei giochi.

Ancora una volta, deglutì, passando distrattamente l’indice sul segno maledetto, lì, dietro la nuca. Lo accarezzò con un gesto quasi rassicurante, tentando di cacciar via ogni istinto poco consono alla Via della Foglia.

Un piccolo suono irrisorio la distrasse dai suoi pensieri, polarizzando il suo sguardo sull’Uchiha che, seduto in disparte, la fissava. Nessuno sguardo passivo, in quel momento. L’arroganza fatta ragazzo.

No. Peggio.
L’arroganza fatta Uchiha.

“Hai qualche problema?” domandò affabilmente Anko, umettandosi le labbra con lentezza calcolata.

Sapeva di essere intimidatoria, quando voleva.

“Sei tu, che hai un problema.” Osservò lui, semplicemente.

Nient’altro che una mera constatazione. A cui lei, ovviamente, cacciò fuori un verso irritato. Il ragazzo battè ciglio, poggiò la testa contro la corteccia ruvida, e chiuse gli occhi. Platealmente disinteressato.
Anko si lasciò, invece, guidare alle cose più terrene, nella speranza di poter rimanere così più saldamente con i piedi per terra. Poteva sentire il ronzio delle mosche, attirate dal fetido odore. Poteva sentire grida infervorate, più in basso. Poteva sentire tante cose.

Le stava venendo un gran mal di testa, e il mal di testa non era mai, mai un buon segno.

Non con Anko Mitarashi.
Imperterrita, continuò a massaggiarsi il collo, passando lascivamente la lingua sulle labbra. Un gesto naturale, involontario. Un riflesso incondizionato.
Non aveva senso, restare lì ad aspettare che una ragazzina troppo fragile per essere una ninja si sentisse meglio e si abituasse all’odore del sangue. Gente come lei non si abituava mai, a certe cose. Gente come lei era totalmente, completamente… arrestò lì il suo flusso di pensiero, forzando un sorriso sornione sulle labbra.

Si intimò di non perdere la pazienza e di stare tranquilla.
In un moto di fastidio, l’Uchiha sembrò condividere la sua stessa insofferenza. Riportò lo sguardo sulla Jounin, e fu uno sguardo sfrontato. ‘Non sai fare il tuo lavoro’, diceva quello sguardo, al quale Anko accentuò maggiormente l’inclinazione delle labbra. Ma non furono quelle parole suggerite dagli occhi stanchi, ad uscire dalle labbra velenose.

 “Non c’è motivo di aspettare oltre. Andiamo e basta.” La sua voce era seccata, con una lieve inclinazione alla noia più pura e distillata.

“Se non te ne sei accorto, Uchiha, Hinata non sta bene.” Lo aggredì prontamente – e prevedibilmente l’Inuzuka, scoprendo i denti con veemenza ferina. Sasuke spostò lo sguardo sulla ragazza, che aveva ormai assunto un’espressione mortificata. E, questa volta, fu lei a cedere e chinare il viso sotto il peso di quello sguardo indagatorio.

Dopo qualche attimo di silenzio – forse un minuto, dato che Anko stava per prendere le redini della faccenda nelle sue mani – l’Uchiha, schioccò la lingua.
“Lasciamola qui.” Commentò, seccamente, senza distogliere lo sguardo. “E’ solo un peso.”

Oh, delizioso modo di pensare della Via del Suono. Per poco la donna non scoppiò a ridere.

Con la coda dell’occhio, Anko vide la ragazzina in questione sollevare lo sguardo. Pura angoscia dipinta su quel visino di porcellana. “N… no, no, sto bene.” Arrivò anche la vocina, appena incerta, e stranamente insistente. Concedendole l’intera attenzione, la donna la vide sollevarsi facendo perno su entrambe le mani. L’Inuzuka insistette senza parole per aiutarla. Barcollante ma in piedi, Hinata cercò lo sguardo – quasi supplichevole – sul volto dell’Uchiha.
Quasi fosse lui a guidare la missione. Animata da spirito puramente antagonistico, Anko si alzò bruscamente, guardando i giovani Chuunin dall’alto verso il basso.
“Allora possiamo andare. Avresti potuto dirlo anche prima, signorina, invece di far perdere tempo.” Asserì, schioccando la lingua. Dopodiché battè le mani – puro gesto teatrale, perché si trattenne dal fare rumore – e, con un sorriso spalmato sulle labbra sottili, si chinò leggermente in avanti. “Su, su. Alzate quei culi e datevi una mossa.”

“Guarda che avere la pressione bassa non è un reato, Hinata. E’ quello, che è uno stronzo. Non è che ha un qualche potere decisionale, qui, quindi vedi di non dargli retta. La prossima volta che…” sentì l’Inuzuka borbottare distrattamente in direzione della ragazza, rifiutandosi di lasciare la presa che l’aiutava a tenersi in piedi senza barcollare. In silenzio, si alzò anche l’Aburame.

“Sono pochi, quelli rimasti in vita laggiù.” Fu tuttò ciò che disse, con chiarezza e semplicità sorprendenti.
Anko annuì, umettandosi le labbra. Soltanto l’Uchiha rimase seduto, occhi color pece fissi sulla Hyuuga.

Passò qualche attimo, prima che si decidesse ad abbandonare la postazione.

La Squadra Otto si incamminò per quell’ultimo tratto, tuttavia Anko attese – diligentemente – di aver l’Uchiha ben in vista davanti a sé.

Superandola, il ragazzo si limitò a commentare con quel suo tono laconico che rasentava la sufficienza. “Non è niente di sovrannaturale o altro. Solo enzimi che reagiscono agli impulsi nervosi. E’ questione di autocontrollo, vendicatrice.”

Non servì chiedere di cosa stesse parlando. Sapeva benissimo a cosa si riferiva.
Anko pensò che, semplicemente, il mondo la detestasse.
Perché l’autocontrollo era l’unica cosa di cui era totalmente, interamente, completamente sprovvista.

 


 

A/N: ho dovuto rivederla perché era scritta totalmente in stile oneshot. Non mi ero resa conto di avere stili così diversi tra long fic e one shot. Seriamente. So solo che mi diverto un mondo a scrivere questa fic, a riscriverla, e quant’altro. Sto cercando di tenere tutti IC (adoro la squadra Otto *_*), e ci saranno accenni subdoli ad altre coppie. Spero che la caratterizzazione dei personaggi vada bene. Di tutti ._.” E’ una fatica, gestire questi stupidi ninja che vogliono fare tutto di testa loro.

 

La fic riprende diversi momenti, anche a distanza di anni. E non è rose e fiori. Avverto, ne. Forse il prossimo capitolo sarà più dalla prospettiva di Sasuke… mi manca scrivere dalla sua prospettiva. Si fa così tante seghe mentali!

 

Tra parentesi adoro Hinata. Non penso sia un peso (L)

 

Sono di buon umore *_* La Kodamy avrà pure la febbre, ma è finalmente diciassettenne! *_*
Un altro anno, e arrivo ai diciotto *ç*

… Non che cambi molto, a dire il vero. E’ giusto il priscio della maggiore età.

 

Buon 2008 a tutti! *ç*

 

Helen Lance: aw, mi sei mancata ç_ç *si lascia prendere dall’emozione* Spero di continuare a mantenere l’IC per tutta la fic. Questa coppia mi manda in Fangirl Mode, ormai. XD Grazie mille :P

Chris: lo so, anche a me manca Anko. E’ una delle poche kunoichi che si fa rispettare, ed è una ventata di freschezza, davvero. La rivoglio in scena. Ora è_é La esigo ç_ç Grazie anche a te per il sostegno morale :P

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=185802