Little black star di Cruel Heart (/viewuser.php?uid=271119)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Little black star ***
Capitolo 2: *** To skate or not to skate? ***
Capitolo 3: *** Little Things ***
Capitolo 4: *** How you remind me ***
Capitolo 5: *** Non degli illusi normali,ma ultra-mega-galattici ***
Capitolo 6: *** Everybody Hurts ***
Capitolo 7: *** Nobody's Home ***
Capitolo 8: *** And finally...a new room! ***
Capitolo 9: *** Sk8er Girl and...? ***
Capitolo 10: *** Sk8er Boi ***
Capitolo 11: *** First kiss ***
Capitolo 12: *** Are you ready,Avril? ***
Capitolo 13: *** Are you ready,Evan? ***
Capitolo 14: *** Treasure?! Really?! ***
Capitolo 15: *** Déjà vu ***
Capitolo 16: *** Hot! ***
Capitolo 17: *** Ssh, shut up... ***
Capitolo 18: *** The new president of the United States of America ***
Capitolo 19: *** My World ***
Capitolo 20: *** Goodmorning, guys! ***
Capitolo 21: *** Skate war ***
Capitolo 22: *** Why you have to make things so complicated? ***
Capitolo 23: *** I'm sick of this shit. ***
Capitolo 24: *** What happened to my... Monday? ***
Capitolo 25: *** Isn't anyone trying to find me? Won't somebody come take me home? ***
Capitolo 26: *** S...Sorry ***
Capitolo 27: *** Listen to your heart ***
Capitolo 28: *** Little monkey ***
Capitolo 29: *** Problem... ***
Capitolo 30: *** Insecurity ***
Capitolo 31: *** I'm his girlfr... Ops! ***
Capitolo 32: *** Dance ***
Capitolo 33: *** Innocent ice-cream ***
Capitolo 34: *** To ignore ***
Capitolo 35: *** I choose you because I love you ***
Capitolo 36: *** Life's like this ***
Capitolo 37: *** I'm losing my grip ***
Capitolo 38: *** When you're gone ***
Capitolo 39: *** Slipped away ***
Capitolo 40: *** Forever, little black star ***
Capitolo 1 *** Little black star ***
Oddio,non so cosa dire,sono emozionatissima...per prima cosa,mi presento.
Mi chiamo Cruel Heart ,e questa è la mia prima fanfiction su Avril Lavigne,per cui,siate buoni!!!
Allora,vediamo...innanzitutto,vi vorrei descrivere come ho "conosciuto" Avril.
Non è una cosa iniziata dal 2002,da Let Go.
La mia passione per Avril è molto recente,ed è iniziata questo Natale.
Mi ricordo che stavo nel mio lettone caldo caldo,e i miei come regalo mi avevano preso un cellulare nuovo.Ovviamente,la mia parte drogata di musica ha preso subito il sopravvento,e ho incominciato a trasferire tutti i brani dal telefono vecchio a quello nuovo. Una volta finito,mi sono infalata le cuffie nelle orecchie e ho premuto il tasto "Riproduzione casuale". E non mi scorderò mai quel momento,perchè quella è la prima volta in cui ho sentito la voce di Avril Lavigne. Il brano era "I'm with you". A dir la verità,non ricordavo neanche di avere un suo pezzo e,se vogliamo essere ancora più sinceri,non conoscevo per niente tutto il mondo riguardante Avril Lavigne. Certo,la conoscevo di fama,ma sapevo soltanto che aveva fatto una canzone famossissima,"Girlfriend",e niente più. Insomma,finisco di ascoltare I'm with you,e mi emoziono come un bambino di fronte a un uovo di Pasqua megagalattico. Decisa a scoprire un po' di più sul mondo di Avril,mi sono rivolta a mia cugina Alessandra,scoprendo,con mia grande sorpresa,che lei sapeva quasi tutti i titoli delle canzoni di Avril. Così,me li ha segnati. La sera stessa mi sono letteralmente FIONDATA al pc e mi sono scaricata ogni singola canzone che mia cugina mi aveva scritto nella lista,scoprendone però altre inedite o addirittura mai pubblicate. Ho alternato momenti di spensieratezza in cui ascoltavo solo le canzoni più allegre di Avril,e altri momenti in cui la tristezza prendeva il sopravvento e ho "disprezzato" le canzoni di felicità. E adesso? Beh,adesso(in realtà da un paio di mesi) sono entrata in quella modalità in cui solo una fan accanita può entrare. Ascolto tutte le canzoni di Avril,da mattina a sera,non smetto mai di farlo,e secondo me,è questa la cosa più importante da fare,fregarsi degli altri e seguire solo le NOSTRE passioni!
Bene,spero di non avervi annoiato troppo,ma una misera presentazione era quantomeno d'obbligo! Ora vi lascio al capitolo,in cui,come è normale,non si capirà assolutamente niente. Se la storia vi piace,lasciate una recensione,ma proprio una anche piccola piccola piccola! Grazie!
Tutti
si meritavano di avere
una seconda possibilità.
Tutti
dovevano avere
l’opportunità di rimediare agli errori commessi.
A
tutti, almeno una volta
nella vita, doveva essere data l’occasione di rialzarsi e di
affrontare le
difficoltà della vita, andando avanti e superandole.
A
tutti, mi dicevo, ma non a
me.
Non
potevo essere così
fortunata, mi dicevo, perché adesso, guardando la mia
piccola stella nera sul
polso sinistro, stesa a terra, capivo quanto io potessi essere stata
stupida e
superficiale.
Perché
lui me l’aveva detto,
lui mi aveva avvertito.
E
io, nel più stupido dei
modi, gli avevo fatto una promessa, che sapevo fin dall'inizio non
sarebbe mai
stata mantenuta.
Ma
le promesse erano fatte
per essere infrante, no?
No.
Le
promesse, quelle fatte con
il cuore, andavano sempre mantenute e rispettate.
Improvvisamente,
sentii una
voce, la sua, chiamarmi.
“Avril!
Avril!”
Eccolo,
lo sentivo. Era
incredibile quanto potessi riuscire a sentirlo vicino.
“Sei
qui…” mormorai appena.
“Si
amore, sono qui, sono
qui…”
“Ti
amo…” ebbi solo la forza
di dirgli.
Poi,
finalmente, il buio calò
su di me.
Bene,ci si vede la prossima settimana!
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Capitolo 2 *** To skate or not to skate? ***
Buonsalve a tutti.
Innanzitutto,mi vorrei
scusare con
voi,perché avevo detto che avrei aggiornato la settimana
scorsa,ma non l’ho
fatto.
Quindi,per la vostra
(spero)
felicità,aggiornerò oggi e sabato pomeriggio.
So…ENJOY!
Solo
un altro po’. Devo solo continuare un altro po’.
La
mia gamba continua a spingere,e sento i crampi attanagliarmi quella
sinistra.
Mi
guardo indietro. I miei avversari stanno per raggiungermi.
No,non adesso. Ti
prego,piccola stella,fammi vincere.
Si,lo
so che è stupido pregare uno skate di far vincere chi ci sta
su.
Beh,se
proprio vogliamo essere sinceri,è ancora più
stupido chiamare il proprio skate
“piccola stella”,ma d’altronde…
Ti prego,ti prego,ti prego.
Poi,finalmente
lo vedo. Il traguardo.
Ignoro
il pericolo,ignoro i capelli in faccia,ignoro i crampi.
Ignoro
tutto.
Siamo
solo io,la velocità e lo skate.
“Forza,piccola.
Ci siamo. Ancora un piccolo,piccolissimo sf-“
Non
faccio in tempo a finire la frase,che sento un forte spostamento
d’aria intorno
a me,e la mia faccia assaggia per l’ennesima volta il sapore
dell’asfalto.
No…
“Ma
porca puttana!”. Batto violentemente il palmo della mano
sull’asfalto,prendendomela con la sfortuna e con la mia
scarsa capacità di
sopportare il dolore.
Sento
l’arbitro fischiare la fine della gara,segno che qualcuno
è già arrivato prima
di me.
Vengo
evitata fortunatamente dagli altri concorrenti,che mi sorpassano non
degnandomi
neanche di uno sguardo. Che stronzi!
“Beh,sai
com’è,stanno
partecipando ad una gara…non è che possono andare
in aiuto a tutte le
madamigelle imbranate,che ad un solo metro dal traguardo perdono
l’equilibrio e
si spiaccicano la faccia per terra”
Ecco,la
mia solita,vecchia,cara e merdosa coscienza.
“Una gara a cui tu non
avevi
il permesso di partecipare,o sbaglio?”
Ma
va’ a quel paese!
Mi
rialzo furiosamente da terra,e incomincio a cercare il mio skate. Deve
essere
scivolato via quando sono caduta.
Lo
vedo pochi metri dopo il traguardo. Lo prendo in mano e lo esamino
attentamente.
Nessun
danno.
Almeno non l’hai rotto
come
l’altra volta.
Taci!
Una
piccola folla si raduna intorno all’arbitro,che sta per
annunciare colui che ha
vinto.
“E
il vincitore…” . L’arbitro incomincia la
fatidica frase.
Inutile che ti illudi Av.
“…dell’ultima
gara di skateboard di Settembre…”
Che pena. Tutte le tue
speranze buttate al vento. Dovevi chiudere in grande stile,e
invece,lasciatelo
dire,ti sei sfracellata al suolo come una pera cotta!
“…della
città di Napanee…”
Non
puoi essere tu.
“…è…”
Non
sei tu. Non sei tu. Non sei tu.
“…Avril
Lavigne! “
Sono
io! Sono io! Sono io!
Si!
Si! Si!
Ma,aspetta…sono
io?!
Mi
avvicino confusa
all’arbitro,chiedendomi se non avessi sentito male.
“Ehm…signor
arbitro,ci deve essere
stato un errore,perché io sono caduta a pochi metri dal
traguardo. Per quanto
mi piacerebbe esserlo,non sono io la vincitrice” dico
dispiaciuta.
“Sei
tu Avril Lavigne,registrata
regolarmente con lo skateboard numero 4?”
“Si,ma…”
“Allora
nessun errore. Il
regolamento dice che deve essere dichiarato vincitore il proprietario
dello
skate che supera per primo il traguardo. Non dice però che
la persona deve
esserci sopra quando lo fa. Quindi,tecnicamente,
nonostante tu abbia fatto notare a tutti quanto la forza di
gravità abbia avuto
effetto su di te,hai vinto. Complimenti!”.
Detto
questo,mi prende il braccio
destro e me lo solleva in aria,nel più classico dei gesti
per dimostrare la
vittoria.
Io,dal
canto mio,comincio a
saltellare in aria battendo le mani e gridando:”Alla faccia
vostra,alla faccia
vostra!”
Finisco
il mio piccolo
teatrino,quando mi accorgo che gli sguardi di tutti sono puntati su di
me.
Non
sono sguardi esattamente
normali,sono più sguardi che si rivolgono a una povera
decerebrata che invece
di essere chiusa in una casa di cura,è ancora in piena
libertà.
“Ehm…si,insomma,grazie
per i
complimenti,signor arbitro”.
“Di…nulla,immagino”
dice inarcando
un sopracciglio. “Questi sono per te”
aggiunge,allungandomi i miei meritatissimi
500 dollari.
“Grazie.”
Sono così felice,che mi
verrebbe quasi voglia di dargli un
bacio. Quasi.
Afferro
i miei soldi e non ci
penso due volte ad infilarmi sotto i piedi lo skate e a dirigermi verso
casa.
Ho
vinto! Ho vinto! Ho vinto!
Ancora
non riesco a crederci.
Durante
il viaggio di ritorno mi sembra addirittura di volare per la
felicità
Raggiungo
in fretta casa mia,o meglio casa di mio
padre/poliziotto-sono-autorizzato-a-farmi-i-cazzi-tuoi-perché-non-hai-ancora-18-anni.
Uffa,però,io
di anni ne ho 17. Un anno in più,un anno in
meno…che differenza fa?!
Sto
per suonare il campanello,ma inaspettatamente Jean-Claude mi anticipa.
Chiamo
mio padre per nome perché mi è difficile
chiamarlo “papà” dopo la separazione
da Judy,mia madre. Certo,lei era e rimane una grande stronza,ma forse
non l’ho
ancora perdonato totalmente per non aver provato abbastanza ad
aggiustare le
cose con lei.
“Ehilà”
gli dico con un cenno della mano.
Lui
richiude la porta con una certa violenza e si gira completamente verso
di me.
È
particolarmente rosso in faccia. Deve essere successo qualcosa di
brutto.
“Avril…Ramona…Lavigne”
dice,diventando se possibile ancora più rosso.
Oh
oh. Guai in vista. Non è mai un buon segno quando usa il mio
nome
completo. Cazzo.
“Jean-Cl…ehm,papà”
dico usando il tono più smielato che posso fare
“è
successo qualcosa?”
So
già la risposta,e ho una piccolissima
sensazione che questa cosa centri con me.
“Non
lo so. Dimmelo tu.”
Ok.
È ufficiale. Non solo questa cosa centra con me,ma in
qualche modo,ancora a me
sconosciuto,ha fatto in modo che mi ritrovi nella cacca fino al collo!
“Dove
sei stata?” mi chiede col suo tono da
poliziotto-ti-sto-interrogando.
Decido,non
so se per il mio bene o per il mio male,di non rispondere.
“Ti
ho fatto una domanda. Rispondimi”. Si passa la mano tra i
capelli,segno che è
nervoso,e giustamente,la parte migliore
di me decide che è quello il momento di venire fuori.
“Perché,se
non lo faccio che fai,mi sbatti in cella?”
“Avril…”.
Intravedo leggermente pulsare la sua vena sul collo. Ok,devo
disattivare la
modalità sarcasmo.
“Te
lo ripeto per l’ultima volta. Dove..sei..stata?”.
Questa volta,ed è per il mio
bene più assoluto,ne
sono
certa,decido di rispondere.
“I-in
biblioteca,come ti avevo detto prima di uscire.”
“In
biblioteca,certo. Perché,tu andare ad una gara clandestina
cercando di stare in
equilibrio su quel coso a due
ruote,lo chiami andare in biblioteca?!”
Bene,se
prima intravedevo leggermente la
sua
vena pulsare,adesso è la prima cosa che salta ai miei occhi.
L’unica
cosa a cui riesco a pensare è: MERDA!
“Papà
io…”
“No,papà
un cazzo,signorina. Vai subito in camera tua e non uscire fino a
domani!”
Beh,mi
è andata alla grande. Almeno non mi ha tolto lo skate.
“Oh,a
proposito…questo è sequestrato!”. Che
cosa avevo appena detto?
“Ma…ma…tu
non puoi farmi questo. Tu non…”
“Oh
si,che posso,l’ho appena fatto.”
Respira
Avril,respira.
“Quando
lo riavrò?”
“Uhm…vediamo…dai
30 anni in su?” chiede,buttandomi addosso tutta la sua rabbia.
“AAAAH,sei
insopportabile!”. Grido anch’io ormai. La calma è andata a farsi
fottere.
“Vai…in…camera…tua!”
“Con
immenso piacere!” ribatto pronta,salendo le scale e sbattendo
la porta con
tutta la violenza possibile.
Mi
stendo sul letto e comincio a piangere.
Lacrime
e singhiozzi mi scuotono da dentro,liberandomi da tutta la frustrazione.
Il
mio skate non è solo un coso
a due
ruote su cui stare in equilibrio. È tutto quello che ho al
mondo,insieme alla
mia chitarra. Non mi separerei mai dalle mie migliori amiche.
Poi
però,torna la lucidità.
Come
ha fatto mio padre a sapere dov’ero veramente?
Non
ho visto né agenti né volanti della polizia in
giro,quindi qualcuno che ne era
a conoscenza deve averlo spifferato a Jean-Claude.
Ripenso
mentalmente alle persone a cui l’ho detto.
No…non
può…lui…non può
avermi fatto questo.
Maledetto!
Lo
sconforto lascia velocemente,molto velocemente
il posto alla rabbia.
Prendo
il cellulare e apro un nuovo messaggio.
“Sei veramente un grandissimo stronzo se hai
raccontato tutto a mio padre.
Sappi che non ti parlerò
più,e ti odierò a partire da questo momento per
il resto della mia vita.
Con tutto l’odio
possibile.
Avril”
Scorro
la rubrica fino alla D. Clicco.
Il messaggio è stato
inviato
a: Deryck
L’unica
cosa a cui riesco a pensare è: MALEDETTO.
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Capitolo 3 *** Little Things ***
Buon
pomeriggio a tutti *feels like Mara Venier* (?)
Ok,eccomi
qui. Vi avevo promesso sabato,e sabato è stato.
Vi
voglio dire solo due cose,prima di lasciarvi al capitolo.
La
prima. Nel capitolo,ci saranno due nomi di due importanti
aeroporti. Il primo,il Pearson,è l’aeroporto di
Toronto. Il secondo,il LAX,è
quello di Los Angeles. In caso qualcuno non lo sapesse.
La
seconda cosa. Come vedete questo capitolo si chiama “Little
Things” e fa ovviamente riferimento alla famosissima canzone
dei One Direction.
Non centra molto con il capitolo,ma l’ho scritto interamente
sentendo questa
canzone,quindi…
Bene.
Il prossimo aggiornamento non so quando avverrà,ma
sicuramente in questa settimana,perché,udite udite,oggi
è finalmente finita la
scuola. Yeeeeeeee. Non mi sembra vero.
Ok,scleri
a parte,vi lascio al capitolo. Buona lettura.
“Porca
miseria…”. Perché cavolo non mi
risponde quella specie di energumeno uscito male?
“Sei
veramente un
grandissimo stronzo se hai raccontato tutto a mio padre.
Sappi
che non ti
parlerò più,e ti odierò a partire da
questo momento per il resto della mia vita.
Con
tutto l’odio
possibile. Avril”.
Sono
passati dieci
minuti buoni da quando gli ho mandato quel fottuto messaggio,e ancora
non ho
ricevuto una fottuta risposta.
“Fottiti
Deryck…”
Continuo
a
mangiarmi le unghie per l’impazienza.
Secondo
me vengono
sottovalutate,le unghie.
Sono
un’ottima
valvola di sfogo quando serve.
Si
infatti,sembri
un topo che non vede un pezzo di formaggio da mesi…
Senti,vai
a farti
fottere,coscienza di ‘sta pippa…
Poi,una
vibrazione
mi fa sobbalzare improvvisamente. Un messaggio. Da Deryck.
Beh,finalmente
dopo
dieci minuti buoni di attesa,si è degnato di rispondermi.
Lo
apro.
“Scrivere
un
messaggio equivale a parlare,o sbaglio?”
Stronzo.
Ancora una
volta.
“Non.Cambiare.Discorso.”
Mantieni
la
calma,Av. Ce la puoi fare.
Questa
volta la
risposta mi arriva quasi subito.
“Beh,se
magari mi
dicessi di cosa stiamo parlando…”
Ok.
Calma,vai a
farti fottere insieme alla mia coscienza.
“Di
cosa stiamo
parlando?! Stiamo parlando del fatto che tu sei un grandissimo
stronzo,perché sei
andato a riferire a mio padre della corsa clandestina!”
“Non
ho avuto
scelta. Non lo avrei mai fatto,se ne avessi avuta una. Cosa credi,sono
un
ragazzo a posto,io..”
Inspira.
Espira.
Inspira. Espira.
“Che
cazzo vuol dire che non hai avuto scelta?! Altro che ragazzo a
posto,sei un
infame,ecco cosa sei.”
“Che
cosa potevo fare io,se non confermare tutto quando tuo padre mi
è venuto a
chiedere dove fossi? Te lo ripeto,non ho avuto scelta. A tua madre
quest’idea
frullava in testa già da un po’ di
tempo.”
Mia
madre?!
Per
quanto ne
sapevo,mia madre se n’era andata a Los Angeles con il suo
nuovo marito Phil quando
avevo dieci anni,lasciando nella merda sia me che mio padre.
Non
c’era quando mi
sono sbucciata il ginocchio per la prima volta cadendo dallo skate, non
c’era
quando ho avuto il ciclo per la prima volta,non c’era quando
ho dato il primo
bacio…
Non
c’è stata e né tantomeno
ci sarà mai per me.
Sto
per mandare un
messaggio a Deryck per chiedergli cosa cazzo centri mia madre in tutto
questo,ma all’improvviso sento la voce di mio padre al piano
di sotto.
“Si,pronto?
Oh,sei
tu Judy…”
Mi
metto subito in
ascolto. Per quale diavolo di motivo mia madre chiama mio padre,quando
per lei
è un essere inferiore e privo di sentimenti?
“Si,lo
so. Lo so,ma
non possiamo cercare di risolvere questa cosa in un altro
modo?”
Uhm,forse
quella
stronza di mia madre vuole ancora dei soldi da papà,e lui
deve sempre essere
succube alle richieste di quell’arpia.
Non
avrei capito un
fico secco stando chiusa in camera mia. Dovevo sapere di più.
Apro
lentamente la
porta,per non fare eccessivo rumore.
Mi
tolgo le
ciabatte,e scendo le scale solamente con i calzini,stando attenta a non
far
scricchiolare neanche uno dei gradini.
Un
passo falso,e
mio padre mi rispedirebbe in camera.
“Si,ho
capito,ma…Los
Angeles? Andiamo,non ti sembra un po’ esagerato?”
Ecco,lo
sapevo.
Ancora
una volta
mio padre dovrà sottostare a qualche condizione di quella
donna…che nervi!
Sto
quasi per
scendere gli ultimi gradini e strappare letteralmente il telefono dalle
mani di
mio padre per intervenire,ma una parte del suo discorso attira la mia
attenzione.
“Si,ma
come farà
con la scuola,con i suoi amici,con la sua passione per lo
skate?”
Oh.
No,qui non
stanno parlando di soldi,o di qualche stupida postilla nella sentenza
del
giudice per la separazione. Qui stanno parlando di me.
“Ma
credi che non
ci abbia provato?! È vero,tutti i discorsi,tutti i
rimproveri,tutte le
punizioni non sono serviti a niente,ma…andiamo,ha solo
diciassette anni,è ancora
una ragazzina…”
Mi
blocco,a causa
delle lacrime che sento arrivare. Non so neanche io il
perché.
“Va
bene,va bene.
Domani,alle dieci saremo al Pearson,e poi tu andrai a prenderla al
LAX. No,non ti preoccupare,ci
parlo io,glielo dirò tra poco. Ok,ok,a domani.”
No.
No,no,no.
Ecco
cosa intendeva
Deryck,ecco qual’era l’idea che frullava in testa a
mia madre,ecco perché aveva
chiamato mio padre.
Senza
che me ne
renda conto,mi siedo sull’ultimo gradino e incomincio a
piangere
silenziosamente.
Soltanto
dopo
parecchi minuti,mio padre si rende conto della mia presenza.
“Av,ehi
Av,cosa è
succ-“
“Ti
prego,dimmi che
non è come penso io…”
“Avril,piccola…”
“Dimmi
che mi
sbaglio,che ho capito male,qualunque cosa”
“Avril,ti
prego,non
complicare le cose…”
“No,sei
tu che non
devi complicarle!” grido con tutto il fiato che ho in gola
“Perché
devi sempre
farle prendere tutto? Ti prego,dimmi che mi sto immaginando ogni cosa.
Ti
prego,papà,ti prego”
È
la prima volta
che lo chiamo veramente “papà” davanti a
lui. Mi ritrovo a chiedere come mai
non lo abbia fatto prima.
Lui
sgrana gli
occhi per la sorpresa,ma si riprende subito.
“No,Avril,non
ti
sbagli. Domani tu partirai per Los Angeles.”
“Per
quanto?” ho
solo la forza di chiedergli.
“Per…u-un
anno.” mi
sembra che le lacrime stiano quasi per uscirgli fuori dai suoi occhi
blu,i miei
stessi occhi,ma lui è sempre stato più bravo di
me a controllare le sue
emozioni.
“C-cosa?Per…per
un
anno?” chiedo con la voce tremula.
“Si.
È la decisione
migliore. Così abbiamo deciso io e tua madre.”
Questa
è la goccia
che fa traboccare il vaso. La rabbia s’impossessa totalmente
di me,e mi alzo di
scatto dal gradino.
“Abbiamo?!
Abbiamo,papà?!
Abbiamo,oppure ha?! Ha sempre deciso lei cosa fare di tutto,dalla cosa
più
insignificante fino alla più importante. Guarda,si
è presa tutto. Tutto,papà.
Prima il tuo cuore,poi i tuoi soldi,e adesso persino me. E tu? Tu cosa
fai per
impedirglielo? Niente,assolutamente niente. Ed è questa la
cosa più
brutta,riesco a vederla. E sai cosa vedo,papà?”
chiedo,stando ormai in cima
alla scala.
Lui
scuote piano la
testa,forse impaurito per quello che sto per dirgli.
“La
cosa più brutta
è che,mentre lei ti tratta come il suo zerbino personale,tu
sei ancora
innamorato di lei! Lei ti passa sopra con un carro armato,e tu la pensi
con
occhi innamorati! Beh,non è amore,questo. No. È
un sentimento talmente
perverso,che non so nemmeno io cos’è. Ma la cosa
più grave di tutte,è che più
lei continua a farti del male,più tu te ne
innamori,completamente,perché il
male che ti fa è l’unica cosa che ancora ti tiene
legato a lei.” dico,con tutta
la rabbia che ho in corpo,ed entro in camera mia con mille emozioni
diverse.
Paura,perché
adesso
non so quello che il mondo mi riserva là fuori.
Tristezza,per
non
aver capito prima quanto fosse grave la situazione di mio padre.
Rabbia,per
me
stessa,perché non sono riuscita a rimettere insieme i cocci
quando i miei si
sono separati,sette anni fa.
Ma
soprattutto,quello che mi sconvolge di più,è la
delusione,delusione per un
cambiamento,quello di mia madre,in cui,infondo,ho sperato fino ad oggi.
Cambiamento,che
però,non è avvenuto.
Speravo
quasi che
il mio passato si potesse cancellare,o quantomeno riscrivere,inserendo
mia
madre in tutte le situazioni.
Quando
mi sono sbucciata
il ginocchio per la prima volta cadendo dallo skate, quando ho avuto
per la prima
volta il ciclo, quando ho dato il primo bacio.
Ma
i sogni non
corrispondono mai alla realtà,e,purtroppo,oggi ne ho avuto
la conferma.
P.S.
Siccome sono ancora nuova su questo
fandom,voi con chi preferireste che Avril avesse una storia? Le
possibilità
sono due:Evan,o Chad. A voi la scelta.
|
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Capitolo 4 *** How you remind me ***
Ok. Eccomi qua.
Scusate se non sono riuscita ad aggiornare prima,ma ho avuto un po' da fare in questi giorni,e mi è mancato il tempo.
Comunque,molte emozioni in questo capitolo,davvero.
Armatevi di fazzoletti,ne avrete bisogno ;)
Al prossimo capitolo.
~~~~~~~~~~
Sono le undici di sera.
Guardo fuori dalla finestra,e osservo il panorama della piccola cittadina di Napanee.
Il vento crea un fruscio appena udibile,e scuote le foglie seccate dall'autunno,facendole cadere e depositare sulla strada,formando così un manto di piccole macchie rosse,gialle e marroni.
Tutto intorno a me è immobile.
Ed è allora che capisco quanto il mondo possa rimanere così,statico e fermo,mentre le persone che lo abitano conducono una vita così veloce e frenetica...
Come mai non si riesce a trovare un equilibrio? Sono le persone ad essere troppo veloci,o è il mondo ad essere troppo lento per loro?
Non credo di saperlo,e forse non lo saprò mai.
Ritorno sul mio letto e mi porto le ginocchia al petto.
Quante persone saranno sveglie a quest'ora come me?
Quante non riusciranno a prendere sonno per i loro problemi o semplicemente per insonnia?
Quanti invece stanno dormendo,conducendo la loro solita vita di sempre?
Improvvisamente,sento una strana morsa allo stomaco.
Invidia,penso.
Invidia,per le persone che conoscono già il loro futuro.
Invidia,per le persone che domani si sveglieranno e niente sarà cambiato nelle loro esistenze.
Ma soprattutto,invidia per tutte quelle persone che si sono addormentate,sorridenti,semplicemente perchè sono felici.
Penso a tutte le emozioni che provo. Tristezza,rancore,paura,ansia,rassegnazione...
Penso a quello che mi aspetta,e sento tutto,tutto tranne felicità.
Perchè mi stanno facendo questo?
Perchè,invece di pensare al mio benessere,fanno di testa loro e mi costringono a fare cose che non voglio assolutamente fare?
Un singhiozzo mi scuote da dentro,facendomi stringere ancora di più attorno alle mie gambe.
Ripenso alla prima volta che mio padre mi regalò lo skate.
Ripenso quando mi regalò la chitarra,e suonai il mio primo brano,Can't Stop Thinking About You,per lui.
Ripenso alla volta che mi sorprese durante la mia prima gara clandestina,e nonostante tutte le sgridate,i rimproveri e le punizioni che mi beccai,sorrido ancora al ricordo.
Vengo scossa soltanto da singhiozzi molto forti,ma le lacrime non vogliono ancora fuoriuscire liberamente.
Fa male non riuscire a piangere quando vorresti.
Stendo le gambe sotto le coperte e mi giro sul fianco sinistro,cercando di addormentarmi,nonostante i singhiozzi.
Sto quasi per riuscirci,ma un ultimo pensiero mi trafigge la mente.
La mia unica figura genitoriale negli ultimi 7 anni è stato mio padre.
È stato lui che mi ha fatto sia da padre che da madre.
Dov'era quando avevo bisogno di lei?
Come farò quando dovrà essere lei la mia prima fonte di sostegno?
Ed è così che,fra i singhiozzi che mi scuotono il petto e le lacrime che viaggiano libere sul mio volto,che,finalmente,metto fine alla mia tortura personale,e mi addormento.
***************
"Av...ehi,Av...sono le sei,svegliati...dobbiamo preparare la valigia e andare all'aeroporto."
Mio padre mi parla piano all'orecchio,scuotendomi per farmi svegliare.
"Ok,ok,ora mi sbrigo"dico,prendendo la valigia da sotto il letto e iniziando a sistemarla.
Vado verso il mio armadio e incomincio a prendere i vestiti più indispensabili. Non sono molti,perchè se c'è una cosa che non ho mai avuto,quella è la passione per la moda.
Finisco di prendere quei pochi abiti che avevo deciso di portarmi,quando mio padre decide di parlare.
"Ehm...io vado a prendere una cosa...tu continua pure a sistemare la tua valigia"
"Ok" mormoro appena.
Scende velocemente,e mi lascia da sola con i miei pensieri.
Prendo tutto,oggetti di prima necessità,libri,spartiti,e decido di non rinumciare alla mia amata chitarra.
Mi chiedo solo se potrò portare anche la mia stella...
"Ehm...sorpresa!" dice mio padre,facendomi sobbalzare.
Viene verso di me con un pacco regalo...e dalla forma,capisco subito che è...
"Oh,papà...un altro skate no!"
"Aprilo"
"Papà..."
"Fallo"
"Ma..."
"ORA!"
Scarto la carta regalo con cura,facendo attenzione a non rovinarla.
E quello che vedo...mi lascia con le lacrime agli occhi.
"Oh,papà..." gli corro incontro,e lo abbraccio con tutta la forza di cui sono capace.
"Grazie,davvero..."
"Beh...non è niente,sul serio. Gli ho solo dato una sistemata e gli ho aggiustato anche le ruote,sia quelle anteriori che quelle posteriori. Così potrai fare tranquillamente delle gare clandestine anche a Los Angeles" dice,strizzandomi l'occhio.
"Questo...questo significa...che posso portarlo con me?'
"Ma certo,non ti lasciarei mai senza il tuo coso a due ruote"
Ridiamo insieme,e quando finisco di prepararmi,prende la mia valigia e scende al piano inferiore,aspettandomi in macchina.
Beh,ci siamo...
È il momento di dirci addio,Napanee.
Grazie per avermi accolto con il tuo vento che mi scompigliava i capelli,con la tua aria fresca che mi accarezzava il viso,con il tuo clima fresco e frizzante,che mi accoglieva all'inizio di un nuovo giorno.
Grazie. Di tutto.
Scendo velocemente le scale con la mia chitarra in spalla e il mio skate in mano,pronta a salire in macchina.
Un'ora dopo siamo arrivati al Pearson,a Toronto,ed è da qui che prenderò quel maledetto aereo che mi porterà verso la mia destinazione finale,Los Angeles.
"Beh...siamo arrivati..." dice mio padre,in evidente imbarazzo.
"Già" rispondo io,non essendo da meno.
"Ehm..ecco,non sono un grande fan degli addii,quindi...prendo i tuoi bagagli e ci vediamo al check-in,ok?"
"Si,va bene" dico,e lo vedo avviarsi dentro l'aeroporto.
Sento che però manca qualcosa.
Non voglio lasciarlo così,senza avergli detto almeno due parole.
Non voglio che finisca così,tra noi due.
Prendo un foglio e una penna,tutto quello di cui ho bisogno, e gli scrivo un biglietto.
"Beh papà,lo sai che non sono mai stata molto brava con le parole,quindi non aspettarti molto da quello che ti sto scrivendo.
Voglio dirti grazie,grazie e ancora grazie,per tutto quello che hai fatto per me dalla mia nascita e che,sono sicura,continuerai a fare per me.
Io sarò sempre la tua piccola,dolce e ribelle bambina,quella stessa bambina che ha suonato per te,e quella stessa bambina che ti ha fatto quasi venire un infarto durante la prima corsa.
Così voglio che mi ricordi.
Invece,tu per me,sarai sempre il mio caro e vecchio papone Jean-Claude,quello che si fumava una sigaretta mentre leggeva il giornale la mattina,quello che lanciava commenti aspri verso la televisione,soltanto perchè non capiva come le pubblicità trasmesse potessero essere così assurde,e quello che la mattina si alzava tardi,perchè la sera prima si era scordato di mettere la sveglia.
Così è come ti ricordo,e come ti ricorderò per sempre.
Semplicemente,il mio papone.
Ti voglio bene.Avril."
Con le lacrime agli occhi,metto il bigliettino sul sedile della macchina,e mi dirigo velocemente verso il check-in,dove abbraccio mio padre,promettendogli di stare attenta in ogni situazione e di chiamarlo in ogni situazione appena avessi avuto bisogno di lui.
Supero il check-in,e mi dirigo verso l'aereo.
Entro e mi sistemo subito nel mio posto accanto al finestrino.
È comodo,penso...
Un'improvvisa ondata mi travolge, e sto quasi per addormentarmi,quando sento una vibrazione del mio cellulare.
"Grazie,mi hai fatto commuovere. Anch'io ti voglio bene. Papà"
Ed è allora che,mentre spengo il cellulare e mentre un misto di riconoscenza e gratitudine pervade dentro di me,mi addormento.
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Capitolo 5 *** Non degli illusi normali,ma ultra-mega-galattici ***
Buonsalve a tutti voi. Eccomi qui con un altro capitolo di LBS ;)
Questo sarà decisamente più allegro rispetto al capitolo precedente e vedremo la nostra Avril introdursi nella soleggiata città degli angeli.
Che poi anche qui,fa un caldo tremendo...aiuto! *si sta per sciogliere*
Bene,prima che possa diventare gelatina,vi lascio al capitolo. Enjoy!
*sprofonda nella sua pozza*
*****************
"Signorina...signorina..." sento qualcuno scuotermi gentilmente la spalla.
"Mmh,ancora cinque minuti,pa'..." mormoro infastidita,girandomi sul fianco destro con gli occhi chiusi.
Non voglio essere svegliata,non voglio abbandonare il dolce mondo dei sogni,dove tutto è semplice,immediato,giusto.
"Signorina...signorina,si svegli,stiamo per atterrare,e deve allacciarsi la cintura."
Atterrare....cintura....
Apro gli occhi di scatto e incontro quelli marroni dell'hostess.
Sento la testa dolermi e la mano destra farmi male,molto male,come se migliaia di aghi abbiano deciso in quel momento di pungermi lì tutti insieme.
Il dolore proprio non se ne vuole andare,e così decido di stiracchiarmi un po',per cercare almeno un briciolo di sollievo.
Stringo forte il pugno,ma l'unica cosa che provo è ben lontana dal sollievo.
Migliaia di altri nuovi aghi mi perforano la pelle,diffondendosi questa volta non solo nella mano,ma anche per tutto il braccio e il collo.
"Ma vaff..."
Fisso sinceramente dolorante la mia mano destra,aspettandomi di vederla sanguinante,o quantomento arrossata.
Poi,vedo che la mia mano stringe forte un oggetto,che ancora non riesco a mettere a fuoco totalmente.
Sciolgo pian piano il mio pugno chiuso,e capisco che il dolore era proprio causato da me,che stringevo...il mio...
...Il mio cellulare
Ed è soltanto allora che ricordo,che un enorme flashback mi assale,non lasciandomi alcuna via di fuga,per sottrarmi alla mia tortura personale.
La corsa,la caduta,il mio ritorno a casa,i messaggi con Deryck,la scoperta,la delusione,le lacrime,la mia lettera a papà...
Già,papà...
Chissà se sta bene,chissà se gli manco,chissà se continua ad amare quella donna che lo sta distruggendo lentamente senza remora alcuna.
Una lacrima,calda e silenziosa,percorre la mia guancia lentamente,e sfugge al mio controllo
Ho la certezza,che questa sarà la prima di una lunga,lunghissima serie,di lacrime a Los Angeles,ma non posso permettermi pianti in pubblico,non adesso perlomeno.
La scaccio via malamente con il dorso della mano. Non voglio sembrare debole.
"Ehm...si,grazie,sono sveglia...può anche andare adesso." dico,rivolgendomi alla hostess.
Lei mi guarda ancora per qualche secondo,come se voglia capire tutti i motivi che hanno spinto quell'unica lacrima traditrice ad uscire dai miei occhi,ma poi fa un breve gesto d'assenso e se ne va,lasciandomi da sola.
Mi allaccio la cintura e incomincio a sentire freddo. Non mi piace molto volare,ma non mi faccio tutte le pippe mentali che si fanno i protagonisti dei film americani sui disastri aerei.
Non sono una fifona,io!
Mi ritrovo a sorridere,inaspettatamente. Chissà quanti film come quelli o peggio sono stati girati qui,nei cieli di Los Angeles.
Poi,sento il classico sbalzo d'aria,segno che l'aereo ha iniziato la sua discesa sulla pista d'atterraggio.
Afferro convulsamente il bracciolo,al punto che penso di averlo letteralmente aradicato dal sedile.
Ok,ok. Rettifico.
Odio volare.
Odio decollare.
Odio atterrare.
Odio tutto di questo dannatissimo aereo!
Lo ammetto,sono una completa e totale cagasotto!
Chiudo gli occhi e mi metto a contare i secondi,cercando di diminuire la tensione che aleggia dentro di me.
"Uno,due,tre..."
Oddio...
"Quarantatrè,quarantaquattro,quarantacinque..."
Oddio,oddio...fa' che finisca presto,per favore...
"Ottantacinque,ottantasei,ottantasette..."
Oddio,oddio,oddio...ti prego,fa' che vada tutto bene...
Poi improvvisamente,un bip si leva per tutto l'aereo,e noto con sollievo che il segnale per le cinture è di nuovo spento.
"A tutti i passeggeri. Qui è il comandante Rochester che vi parla. Il volo Toronto-Los Angeles è atterrato senza alcun tipo di problema all'aeroporto LAX di Los Angeles..."
Che genio...è ovvio che se questo è il volo Toronto-Los Angeles,siamo atterrati all'aeroporto di Los Angeles. Dove voleva che atterrassimo,in Uzbekistan?
Dio,questa sì che si chiama perspicacia...
"...Qui sono le ore 09:47. Le condizioni meteo sono stabili,con tempo soleggiato e cielo completamente privo di nuvole,e le temperature oscillano tra i 32 e i 38 gradi.
Grazie ancora per aver scelto la compagnia Air Canada. Vi auguriamo una buona permanenza nella calda e soleggiata Los Angeles!"
Dio,ma da dove era uscito quello,da una pubblicità di assorbenti?!
Tipo,provate i nuovi assorbenti "Air Canada",e la vostra giornata filerà liscia come l'olio?
Ma rimanici tu,nella "calda e soleggiata Los Angeles". Io me ne torno a casa!
Magari...
Sono talmente dal mio monologo interiore,che non mi accorgo di essere scesa dall'aereo e di aver preso l'uscita per i voli internazionali,che il mio umore da "acido normale" diventa decisamente "acido più che corrosivo" appena vedo quella che dovrebbe essere mia madre sbracciarsi tutta sorridente per essere notata da me e indicarmi a quello che dovrebbe essere il suo caro maritino Phil.
La luce del sole prima,e quelle del neon poi,non aiutano i miei poveri occhi, che bruciano e che decidono di ripagarmi con un bel rossore per la mancanza di sonno e per le lacrime.
Spero tanto che non lo notino.
Judy continua a sbracciarsi,e a gridare ripetutamente il mio nome. Dio,ma non si è ancora resa conti che gli occhi ce li ho e che l'ho vista?!
Mi avvicino velocemente con la mia valigia alla "famiglia felice",così almeno lei la smetterà di starnazzare come un'oca giuliva per tutto l'aeroporto.
"Avril! Tesoro mio! Come sono contenta di vederti! Oh,quanto sei cresciuta...fatti vedere!" esclama,stringendomi in un abbraccio stritolatore e perforandomi i timpani con la sua voce acutissima,che a quanto ho già capito,ero ben felice di non sentire.
Mi allontano immediatamente,distanziandomi da lei e dal suo stritolamento,sicuramente programmato.
"Judy,per favore controllati! Non sei una stupida bambina di due anni,e qui non siano al luna park!" dico,irritata al massimo dal suo atteggiamento.
"Scusami,è che sono così eccitata all'idea che tu verrai a vivere con noi! Non vedo l'ora!" dice,continuando deliberatamente a urlarmi nelle orecchie e soffocandomi se possibile ancora di più.
Ok. La situazione è più grave di quanto pensassi...decisamente più grave di quanti pensassi.
Forse non sarà una bambina di due anni,ma stupida lo è sicuramente.
"Signorinella,siamo scese dal letto con il piede sbagliato stamattina,eh?" parla per la prima volta Phil,rivolgendomi un sorriso a sessantaquattro denti,cercando di essere simpatico.
Bene. In quanto a stupidità,anche il maritino non se la passa tanto meglio. Per niente.
"Beh Phil,credo che dovrai farci l'abitudine. Sai com'è,odio le persone che cercano subito di essermi simpatiche,purtroppo per loro,non riuscendoci." ribatto sicura,mentre vedo il suo untuoso sorriso sparire.
"Ehm...sarai stanca dopo il viaggio,immagino. Che ne dici di andare a casa e di riposarti,così magari il tuo umore dopo migliora?" chiede Judy,parecchio insicura.
Se credono davvero che la mancanza di sonno sia la sola causa del mio comportamento,sono degli illusi. Ma non illusi normali,ma ultra-mega-galattici
Annuisco,comunque,sia per finire qui il nostro piccoli teatrino,sia perchè ho davvero un reale bisogno di sonno.
Usciamo dall'aeroporto e,se possibile,il viaggio in macchina è ancora peggio dell'incontro all'aeroporto.
Il tempo passa tra Judy,che non la finisce più di emettere gridolini di eccitazione,Phil,che mi assicura quanto sia bella e grande la loro,o meglio,la nostra casa,e me,che non faccio altro che guardare annoiata fuori dal finestrino
Ma chi gli ha chiesto niente,a quello lì...
Finalmente,capisco che siamo giunti a destinazione,quando Phil dice un fin troppo agitato "siamo arrivati" e guardo fuori dal finestrino.
Ma che cazzo...?
Corde vocali? Preparatevi e mettetevi a riposo. Ho come l'impressione che in questo casa ci sarà da gridare,e molto...
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Capitolo 6 *** Everybody Hurts ***
Ok. Eccomi qui.
Nuovo capitolo,nuove cose,nuove emozioni. Almeno spero ahahah
Vi voglio dire
solo una cosa prima di lasciarvi al capitolo. Io,ringrazio tutte le
persone che
leggono e che recensiscono questa storia,davvero sono molto grata di
tutto ciò.
L’unica cosa,è che questa storia sta venendo messa
poco tra i preferiti e i
ricordati,anzi se proprio vogliamo dirla tutta,non
c’è né neanche uno. Anche se
la storia non vi piace,recensite(non per forza in modo positivo)sempre
e
comunque,perché c’è molta
più partecipazione,ed è molto più
bello così. Io sono
dell’idea che,se una storia piace,bisogna manifestare il
proprio apprezzamento,perché
altrimenti l’autore penserà che questa storia
piaccia solo a sé stesso. Poi,2
secondi,non costa nulla ;)
Bene,vi lascio al
capitolo.
*Everybody
huuuurts. Everybody screeeams. Everybody
feels this waaaay and it’s okaaaay. Na na na
na na na na naaaaaaa*
********************************************
Controllo
l’orologio.
Merda!
Judy mi
aveva detto
di scendere per la cena alle sette,e adesso sono le sette e mezza e non
sono
ancora pronta.
Fottuto
orologio…
Sono in un
fottuto
ritardo,e mi prenderò anche un fottuto cazziatone da quei
due!
Cazzo,che
situazione….
Ok,nulla
è perduto.
Devo solo fare in fretta. Decisamente molto in fretta.
Problema numero 1.
Non so cosa
cacchio
mettere!
Vorrei tanto
mettermi
dei semplici jeans con le borchie,e una delle mie amate felpone
larghe,di cui
non so proprio fare a meno,ma…avevo promesso di usare i
nuovi vestiti
nell’armadio,e…
Ah,quella
stronza mi
sentirà.
Penso
proprio che
dovremo rinegoziare su questo punto.
Va
bene,basta
divagazioni,devo ancora vestirmi.
Non so con
cosa,ma
devo farlo.
Mi dirigo
verso le
ante del mio nuovo e odiosissimo armadio,ovviamente rosa,e non posso
fare a
meno di pensare al pessimo gusto che ha Judy in fatto di arredamento.
Spero di
trovare una
felpa,o al massimo una maglietta non troppo stretta,non sopporto di
sentire il
mio corpo come una pentola a pressione prossima allo scoppio.
Apro le ante
lentamente e mi preparo al peggio,ma niente può essere anche
solo minimamente
paragonabile a quello che mi ritrovo davanti.
Davanti ai
miei occhi
c’è una quantità spropositata di
top,vestiti da sera,giacche,pantaloni
attilatissimi,per non parlare di scarpe,gonne e calze a rete.
Il tutto
è ordinato
per grandezza e colore.
Mio
Dio….ma che
cosa…MANIACALE!
Beh,per una
che ha
dipinto le pareti della camera di sua figlia con un vomitevole rosa
confetto,questo
deve essere niente.
Immergo
letteralmente
le mie mani nella quantità immonda di
vestiti,sparpagliandoli e riversandoli
per terra.
Varie
smorfie di
disgusto puro si dipingono sul mio viso,fino a quando i miei occhi non
scorgono
un top bianco e un paio di jeans neanche troppo stretti.
Oh grazie
mille,mie
ancore di salvezza!
Non mi
prendo neanche
il disturbo di rimettere tutto a posto.
Ci vorrebbe
troppo
tempo,e sinceramente,non mi va di farlo.
Alla faccia
di quella
lì!
Indosso la
mia fedele
collana con il teschio,e mi precipito fuori dalla stanza.
Problema numero 2.
Come
raggiungo la
sala da pranzo?
Non mi
ricordo
un’emerita mazza del “giro turistico”
gentilmente offerto dalla mia cara e
dolce mammina,ero troppo occupata a pensare a quante volte volevo
vomitare
mentalmente solo per essere entrata dentro quella dannata casa
californiana.
Poi, una
voce
femminile stridula giunge alle mie orecchie.
“Avriiiiil,quante
volte ti ho già detto di scendere per la cena?!”
Mmh…fammi
pensare…con
questa una,stronza!
Dio solo sa
quanto
vorrei gridarglielo!
Scendo
velocemente le
scale,e mi dirigo nella direzione dalla quale ho sentito provenire
quella splendida
e carezzevole voce.
Certo,carezzevolissima…come
no!
Beh,almeno
per una
volta,Judy è servita a qualcosa!
Entro nella
stanza,e
osservo l’ambiente che mi circonda.
I
piccioncini sono
già seduti agli estremi dell’enorme tavolo ovale,e
non sembrano essere tanto di
buon’umore.
Il
cetriolone
tamburella nervoso le dita sul tavolo,mentre la stronza mi sta fissando
con
un’espressione di puro disgusto sul volto.
MA CHE CAZZO
GUARDI?!
Mi siedo in
mezzo a
loro,tra i due fuochi,e spero almeno di non scottarmi.
“Grazie
per averci
degnato della tua amatissima presenza. Dolores,per
favore,può servirci la
cena?” dice Phil,calcando molto sull’aggettivo
“amatissima”.
“Subito,señor”
dice
una voce femminile dal forte accento ispanico.
No. Vi prego.
Non ditemi
che si
fanno pure servire la cena…
Ma non ce le
hanno le
mani e le gambe?!
Non possono
muovere
quel culo che si ritrovano e fare tutto da soli,come fanno le persone
normali?!
Oh,dimenticavo…loro
due non sono normali…e ne ho subito una nuova conferma.
“Mio
Dio Avril,ma
come diavolo ti sei aggiustata? Guardati,sei completamente fuori luogo.
Sembri
tutto,fuorché una ragazza perbene e del tuo
rango.” dice Judy,guardandomi
schifata e facendo un gesto della mano nella mia direzione,come a voler
liquidare qualcuno di troppa poco importanza.
La rabbia
incomincia
a salirmi.
“Beh
Judy,non è che
tu ti possa esattamente definire Miss Mondo…”
Sta per
ribattere,ma
vengo salvata da Dolores in calcio d’angolo,che mi passa
davanti con una
quantità spropositata di piatti e mi sorride.
Vorrei tanto
darle
una mano,ma so già che i cogl…ehm…i
genitori,non apprezzerebbero.
Comunque,Dolores,mi
sta già simpatica.
Proprio
mentre stiamo
mangiando,Phil decide di parlare,mostrandomi la sua cena in tutta la
sua
meravigliosa bellezza nella sua “boccuccia”.
Ma non gli
hanno
insegnato che è maleducazione parlare a bocca piena?!
Fanno tanto
i
sofisticati questi qui,e poi non sanno neanche le basi?
Dio,che
schifo…
“Quefto
è pef te”
dice il cetriolone,incespicando sulle sue stesse parole,e lanciandomi
una busta
gialla lungo il tavolo.
Non so
perché,ma mi
ricorda tanto i film western,quando i baristi passano un boccale di
birra ai
cowboy nel saloon.
Chissà,magari
potrei
avere anch’io una pistola nella cintura dei
pantaloni…e saprei anche a che
scopo usarla…prospettiva interessante. Molto interessante.
Prendo in
mano la
busta,e noto che non è leggera,anzi.
La apro,e da
esse
cadono un mezzo di chiavi,un cellulare,dei soldi e dei
fogli…rosa.
MA ALLORA
È UNA
FISSAZIONE!
“Che
significa?”
chiedo,palesemente scocciata.
“Quelle
sono le
chiavi di casa. E quello è il tuo cellulare nuovo”
spiega Judy.
Sono un
po’ confusa,e
così do voce ai miei pensieri.
“Ehm…non
capisco. Io
ce l’ho già un cellulare,non è rotto e
non ho bisogno di uno nuovo,per cui…”
“Oh
Avril,svegliati
per la miseria!”mi interrompe Judy “questo ha una
scheda già predisposta per la California
e non puoi
usare quello che usavi anche a Napanee. In più,vorremmo che
ci consegnassi la
tua vecchia scheda telefonica”.
Non so
perché,ma ho
paura che chiedere ulteriori spiegazioni su questa storia mi
farà male,e molto.
“P-perché?”
chiedo,con la voce tremula.
“Non
vogliamo che tu
stia in contatto con i tuoi vecchia amici,ti hanno portato sulla
cattiva
strada,e questi sono i risultati. Fidati,è per il tuo
bene”
conclude,riprendendo a mangiare.
I miei occhi
si
spalancano per lo stupore.
Sulla
cattiva
strada?!
Perché,poteva
esistere anche una buona strada su cui poter camminare ed evitare di
perdersi
con il mio scarsissimo senso dell’orientamento?!
Dio…
Sento le
lacrime
pungermi gli occhi,ma li alzo subito verso il soffitto. Non voglio che
mi vedano
piangere,non voglio sembrare debole.
Voglio,ma
soprattutto
devo essere forte,almeno per adesso.
“E….e
questi fogli?”
dico agitando i fogliettini all’interno della busta.
“Oh,quelli.
Diciamo
che,ti saranno utili per convivere in pace e in armonia in questa
casa,e
soprattutto,in questa famiglia.” dice,guardandomi negli occhi.
“Bene,riprendiamo
a
mangiare” aggiunge Phil.
Poverino. Il
cetriolone deve anche essere sfamato,dopotutto.
“Oh
Avril,un’altra
cosa” dice Judy,interrompendo per l’ennesima volta
il silenzio.
“Dimmi
str…ehm…Judy”
“Gli
orari sono
importanti,e per questo vanno rispettati. Sempre. Non voglio
più che tardi in
modo così impertinente alla cena. Perdinci,cosa hai fatto in
tutto quel tempo?”
mi chiede ancora,stralunata.
Incomincio a
chiedermi
se Dolores non le abbia messo qualcosa di anche leggermente
allucinogeno nel
piatto,o se lei si comporti in questo modo
abitualmente,così…al naturale.
“Beh
sai…non è facile
orientarsi in una casa così grande…e non avevo di
certo mappe con me” concludo
sarcastica,sfidandola.
“E
con questo? Potevi
sempre domandare a qualcuno.” ribatte lei.
“La
prossima volta
chiederò indicazioni ad un passante se ne vedo uno. Va
bene,Judy?” concludo,con
tutto il disprezzo possibile.
“Sei
sempre più
impertinente,proprio come tuo padre. E poi,mi devi rispetto. Sono tua
madre!”
grida ormai anche lei.
“Eh
no! NO! Questo
non puoi dirlo! La chiami madre tu,una che non conosce i gusti della
figlia nel
vestire? La chiami madre tu,una che dice di sapere cosa piace o non
piace alla
figlia,e le dipinge la camera di un rosa schifoso? La chiami madre
tu,una che la
ha abbandonato a dieci anni?” grido,lottando contro le mie
lacrime,e la fisso
negli occhi.
“Ma
soprattutto,la
chiami madre tu,una che ha strappato la propria figlia
dall’unica sua fonte di
affetto e di amore,facendola soffrire?Certo,tutti si fanno del
male,tutti
soffrono. Ma quello che non riesco a capire,è
perché proprio ora. Perché
soltanto adesso,ti si è risvegliato l’istinto
materno?
Te lo dico
io il
perché. Per questi!” dico,buttando
all’aria i soldi all’interno della
busta,ricacciando indietro le lacrime e avvicinandomi alle scale.
“Oh,un’ultima
cosa,mamma.
Non te sarai resa conto,ma oggi una cosa buona l’hai fatta.
È solo grazie a
te,che oggi sono scesa e ho potuto incontrarvi. Non avevo una
mappa,certo,ma ho
avuto di meglio. Brava,oltre a ferire le persone,fa anche da navigatore
satellitare,quella voce di merda che ti ritrovi!”
dico,salendo le scale e
precipitandomi all’interno della mia camera,con la busta in
mano.
Devo ancora
leggere i
fogli rosa,ma…no,non mi va.
Adesso,voglio
solo
prendermela con il mondo per avermi messa in questa situazione.
Adesso,voglio
solo
sfogarmi.
Adesso,voglio
solo
piangere.
|
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Capitolo 7 *** Nobody's Home ***
Ehilà! Buona giornata a tutti!
Come vi va? Spero bene ahahah
Scusatemi se non ho aggiornato ieri,ma il mare mi chiamava a gran voce,e io non ho saputo resistere.
Ok. In questo capitolo ci saranno molte descrizioni...non so se sono riuscita a farle bene.
Il capitolo,come potete vedere s'intitola "Nobody's home",che dopo When you're gone e Sk8er Boi,è la mia canzone preferita :)
Bene,vi lascio al capitolo. Baci.
****************
Provo a deglutire. Voglio togliere l'arsura che questo dannato caldo mi provoca in bocca.
Una,due,tre volte. Non ci riesco. L'arsura rimane sempre lì.
Sento un groppo salirmi in gola,e questa volta non credo che il caldo ne sia la causa.
"Allora,ti ho lasciato a bocca aperta,eh?" chiede Phil,indicandomi l'ingresso della "nostra nuovissima,grandissima e bellissima casa" e scambiando il mio stupore e rassegnazione per sorpresa e felicità.
Ma la smette di fare il simpatico,quello lì?
"Dai piccolina,chiudi quella boccuccia,altrimenti credo che le mosche apprezzerebbero un po' troppo,e la mia dolce nuova figlioletta potrebbe risentirne notevolmente" dice,facendomi un occhiolino sinistro e aprendomi la portiera della macchina con uno di quei sorrisi finti che non potrei odiare di più.
Ok. Se prima aveva perso un paio di punti,adesso è completamente da annientare. Spacciato. Sepolto. FINITO!
Chiudo la bocca di scatto,irritatissima dal suo atteggiamento,e sguscio fuori dalla macchina.
"Punto numero uno,non sono piccola,ho 17 anni ormai. Punto numero due,credo di avere molto più cervello di quanto ne avessi tu alla mia età per sapere che una mosca non si infilerebbe mai nella bocca di un essere umano. Punto numero tre,io non sono la dolce figlioletta di nessuno,tantomeno quella di un brutto cetriolone come te!" dico di getto,osservando la faccia sbigottita prima e arrabbiata poi di Phil.
"Oh,e la valigia me la porto da sola,non ho bisogno di un facchino personale imbranato" aggiungo sempre più arrabbiata,strappando la valigia dalle mani di Phil,e oltrepassando l'enorme cancello bianco che fa d'ingresso alla casa .
Percorro il viale alberato, osservando tutti i particolari che i miei occhi riescono a percepire.
Quelle che credo siano delle palme,costeggiano il viale alla mia destra e alla mia sinistra,creando una specie di tunnel fatto di colori e odori che si fondono insieme.
Osservo le facciate esterne della casa. Un caldo colore rosso mattone predomina sulle pareti,infondendomi un dolce senso di tranquillità.
Cavolo,questa casa è veramente grande! Forse fin troppo,per i miei gusti.
Oltrepasso il viale alberato e arrivo all'ingresso,dove vedo mia madre che,ignara del battibecco che ho appena avuto con suo marito,accende la luce di un grandissimo lampadario decorato con degli Swarowski,nonostante sia pieno giorno,e mi invita a fare un giro della casa.
Anche lì,osservo l'ambiente circostante. Se prima dall'esterno avevo avuto l'impressione che quella casa fosse enorme,adesso non riesco neanche ad immaginare quanti soldi Phil abbia letteralmente buttato nel cesso per una casa del genere.
Quello che io pensavo fosse l'ingresso,non è altro che una piccolissima anticipazione dell'enorme atrio che si staglia davanti ai miei occhi.
Migliaia di marmi delle gradazioni più disparate di giallo e nero decorano l'atrio,facendomi chiedere se mia madre soffra davvero di qualche problema mentale.
Amplio un po' lo sguardo verso destra ,e vedo più in là un bellissimo pianoforte nero a mezza coda,situato sotto un altro lampadario fatto di Swarowski e un'ampia rampa di scale interamente di parquet che sale a curva verso il piano superiore.
Guardo verso sinistra,e vedo la sala da pranzo,dove al centro domina un enorme tavolo di legno ovale talmente grande,che i capotavola farebbero sicuramente molta fatica a parlare tra di loro.
Osservo poi la cucina,dove il piano cottura è grande almeno il triplo della cucina di Jean-Claude e ci sono migliaia e migliaia di cassetti,ripiani,sportelli,tutti in legno che almeno apparentemente dovrebbe valere più di tutti gli elettrodomestici messi insieme.
Come farò a trovare qualcosa da mettere sotto i denti quando avrò un languorino?! Sono sicura,morirò di fame.
Ci spostiamo al piano di sopra,dove Judy m'informa che si trovano le stanze da letto e i bagni. Finiamo il giro,e avrò visto almeno una trentina di stanze,tra camere da letto e bagni.
Quelli,i bagni,li ho contati bene invece. Sono diciasette.
Diciasette. Fottuti. Bagni.
Ma che cazzo ci fanno diciasette bagni in una casa?!
Poi,non sedici,non diciotto,na diciasette....
Ok che non sono superstiziosa,però quando è troppo è troppo!
Infine,giungiamo all'ultima stanza,quella che,a detta di Judy,è la stanza più meravigliosa di tutta la casa,e devo essere molto grata di questo,perchè,appunto,questa stanza è la mia.
Che fortuna a volte la vita,eh?!
"Sei pronta?" chiede Judy tutta eccitata,appoggiando la mano sulla maniglia,pronta per spalancare la porta.
Pensa che anche io sia in ansia come lei. Beh,lo sono,ma in senso negativo.
Se le altre stanze sono orribili,non voglio neanche immaginare come sarà la mia.
Mormoro un flebile si,e credo di stare per vomitare,tra il caldo del clima e l'orrore che questa giornata si sta portando con sé,ma questo evito di dirglielo.
Finalmente spalanca la porta,e quello che mi si para davanti supera decisamente ogni mia aspettativa.
Si,in negativo,perchè se le altre stanze rappresentano il peggio dell'arredamento mondiale,questa rappresenta il peggio del peggio del peggio del peggio di qualsiasi cosa il mondo abbia mai visto. E la lista potrebbe continuare all'infinito.
Un enorme stanza rosa brilla in tutta la sua...ehm....bruttezza?
Tutto è rosa. Il letto,i mobili le tende,persino le pareti sono di un vomitevole rosa confetto.
C'è rosa,rosa ovunque. Ogni. Cosa. È. Fottutamente. ROSA!
"Ok.. è uno scherzo,vero?" dico,girandomi verso mia madre con una faccia sconvolta,che credo valga molto di più di mille parole.
Mi deve dare una spiegazione,e subito!
"Ma tesoro,a te è sempre piaciuto il rosa!" dice lei,tra lo scandalizzato e l'innocente.
Questa è la goccia che fa traboccare il vaso. La mia rabbia ha raggiunto livelli tali che o scoppia,oppure rimane dentro fino a farmi disentegrare. Molto meglio la prima.
"Oh certo,perchè tu conosci benissimo i miei gusti,visto che mi hai abbandonato quando avevo dieci anni!" grido con tutta la forza che ho,sputandole in faccia tutto il mio rancore.
"Adesso basta signorina!" interviene Phil che, attratto molto probabilmente dalle nostre grida,deve averci raggiunto al piano superiore per difendere la sua donna dalle grinfie della perfida figlia diciassettenne. Che uomo!
"Qui ci sono delle regole e vanno rispettate! Con tuo padre potevi fare tutto quello che volevi,e infatti,guardati,sei diventata una selvaggia! Ma non credere che qui le cose andranno allo stesso modo di quella piccola cittadina sperduta nell'Ontario!" conclude,atteggiandosi da incazzato,ma non riesce a farmi paura nemmeno un decimo di quanta me ne faceva Jean-Claude.
"Oh che paura,mi tremano le gambe da quanto me la faccio sotto. Sinceramente,mi aspettavo che fossi un po' più sveglio e un po' meno tonto,Phil. Il rispetto non lo si impone con qualche stupida regola. Il rispetto,quello vero,ce lo si guadagna,giorno dopo giorno." ribatto sicura. Se crede di spaventarmi 'sto cetriolone si sbaglia di grosso.
Sta per ibattere,ma mia madre lo anticipa, facendo qualcosa di totalmente inatteso,che mai mi sarei aspettata da lei.
Mi tira uno schiaffo,a mano aperta sulla guancia sinistra.
Immediatamente mi porto la mano sulla guancia dolorante e in fiamme,e la fisso con odio.
Se gli sguardi potessero uccidere,a quest'ora sarebbe già morta stecchita.
"Questo è il motivo per cui ti ho tolto a tuo padre. La tua sfrontatezza,il tuo sarcasmo,la tua insopportabile ironia lasciali fuori di casa! Non ti azzardare mai più a insultare o anche minimamente a prenderti gioco di me o di Phil! Le regole sono poche e semplici,ma tu le rispetterai,che ti piaccia o no!" grida,otturandomi le orecchie.
"E se non lo faccio che farai Judy,eh? Mi spedirai di nuovo a casa come un cazzo di pacco postale?"
Solo Dio sa quanto voglia che dica di sì
"No,mia cara. Meglio,molto meglio. Ti mando direttamente in un collegio femminile di suore cattoliche!" ribatte,con un ghigno malefico sul volto,che contemporaneamente,fa scomparire dal mio viso il mio.
"Vedo che ci siamo capite. Ora,cerca di esssere riconoscente per i regali e per tutti i tuoi vestiti nuovi nell'armadio,che sostituiranno tutti quei tuoi straccetti da quattro soldi che ti metti addosso,neanche fossi uno sporco maschiaccio!" grida,sempre più arrabbiata.
Merda! Mi vuole buttare via i vestiti. Forse è il caso che scenda a compromessi.
"No,no,no. Frena,non se ne parla proprio. Facciamo così,tu non butti via i miei vestiti,e io...ehm...mi...mi impegno,si,a...a indossare i vestiti nell'armadio,d'accordo?"
"Perfetto. Vedo che ci siamo capite al volo."
Beh,menonale...almeno questa.
"Oh,e per quanto riguarda la stanza..." aggiunge,facendomi sperare in un suo benaccetto cambiamento d'idea.
"Si?"
"...la lasceremo così com'è. Andiamo Phil." aggiunge,uscendo dalla stanza,e facendomi sprofondare in un nuovo baratro senza speranza.
Ripenso a tutte le parole che sono volate oggi.
In particolare,mi soffermo su quelle che, me ne rendo conto solo ora,mi hanno fatto più male di tutte. Quelle di Phil.
Lui potrà anche aver reso di nuovo Judy felice,potrà anche essere innamorato di lei,ma se c'è una cosa che non può e che non deve fare,quella è nominare mio padre in mia presenza,non quando i suoi schifosi soldi mi hanno portato via da lui.
Quanto mi manca.
Come si dice,non ti rendi conto di una cosa fin quando non la perdi per sempre.
Lui,che era il mio tutto.
Il mio appiglio per le difficoltà.
Il mio scoglio in mezzo all'oceano.
La mia casa.
Ed ora? Cosa mi è rimasto di lui?
Chi è la mia casa adesso?
Nessuno
Adesso,nessuno è la mia casa
*************
BUON PRIMO MESIVERSARIO AHAHAHAH |
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Capitolo 8 *** And finally...a new room! ***
Ooook,eccomi con il capitolo.
Devo dire che il mio discorso del precedente capitolo non ha sortito l'effetto desiderato,ma comunque...fate un po' come volete.
Io comunque,ringrazio sempre tutti i lettori e i recensori di questa storia ;)
Diciamo che questo capitolo si divide sostanzialmente in due parti.
La prima,spero che si capisca,ma nel caso in cui non si dovesse capire subito...beh...calmi e abbassate i forconi,eh...
La seconda parte,secondo me è un po' pallosa,ci sono molte descrizioni,e...non so.
Ok,vi lascio al chappy. Enjoy!
P.S. Nella prima parte del capitolo c'è una frase di Twilight :)
*********************
Corro per i corridoi della casa.
Non so dove andare.
Apro una porta a caso e incontro tre scalini,bianchi e molto grossi.
Non ci penso due volte e li percorro,nonostante non sappia minimamente dove mi porteranno.
Non devo permettere che mi raggiunga. Non devo permettere che si avvicini anche solo ad un centimetro a me.
Ma sono troppo,troppo lenta.
La mia velocità non è nemmeno un decimo,paragonata alla sua.
"Corri...corri,Avril"dice,con una voce trasfigutata dalla rabbia e dalla frenesia più pura.
Sento le mie gambe farsi piombo,e nonostante fremo per la paura e il terrore,percepisco tutto il mio corpo immobile,come se sapesse anche lui che non ho alcuna via di scampo.
La mia forza,ma soprattutto la mia volontà di combattere per rimanere viva,è agli sgoccioli. Perchè lottare per qualcosa,se sai che comunque non potrai mai raggiungerla?
Nonostante tutto,continuo a correre,credendo di potergli sfuggire.
D'altronde,la speranza è l'ultima a morire,no?
No.
Delle volte,la speranza non basta per risalire in superficie.
A conferma di questo,il mio piede inciampa in qualcosa,che non ho neanche il tempo di identificare,e sbatto la testa contro il muro.
È allora,che lui sopraggiunge.
Si avvicina a me,mi guarda intensamente negli occhi. Posso sentire il suo respiro caldo sul mio viso.
"Bene bene,la nostra piccola Avril è pronta per...morire?"dice con quella voce,che ho imparato ad odiare profondamente.
Si,gli rispondo internamente.
Sono pronta.
La morte è serena,facile. La vita è più difficile.
Ed è con questa consolazione che mi preparo all'inevitabile e...
...mi sveglio.
Apro gli occhi di scatto,cercando di mettere a fuoco l'ambiente in cui mi trovo,e cercando di calmare i battiti ancora furiosi del mio cuore per l'incubo appena avuto.
Con gli occhi ancora mezzichiusi per il sonno,capisco,con amarezza,che non mi trovo in quella che considero la mia stanza.
Mi alzo dal letto,e a piedi nudi raggiungo la finestra,osservando il panorama che mi si presenta davanti agli occhi.
Il sole splende nel cielo azzurro,completamente terso e privo di nubi. Illumina le aste del cancello,risaltandone ancora di più le punte metalliche. Le palme del vialetto sono ancora più verdi rispetto a quando sono arrivata,e le punte delle foglie sono protese verso il sole,quasi a volerne catturare qualche tiepido raggio.
Sorrido amaramente.
No. Niente palme,niente cielo azzurro e terso,niente sole senza nubi,niente di tutto ciò,a Napanee.
Le otto.
Decido sul da farsi. Tornare a dormire è impossibile,non ho più sonno.
Non voglio però neanche stare qui a girarmi i pollici per tutta la giornata. Ah,se solo potessi uscire con il mio skate!
Dopo un'ardua consultazione tra me e la mia coscienza,decido di scendere giù a fare colazione,anche se questo significherà...incontrare...la stronza e il cetriolone.
È bastata solo la prima cena per far incrinare pericolosamente il nostro rapporto,o qualsiasi ci sia tra me e loro,e questo,nonostante tutto,non va bene.
Così,per dimostrare il mio cambiamento,almeno tentato,decido di portare la "sim di emergenza" a Judy e Phil.
Non è propriamente la sim del mio vecchio cellulare,no,quella me la conserverò in un posto sicuro e inacessibile a tutti,tranne che per me,ovviamente.
Questa è,una specie di sim per le emergenze che avevo nei casi estremi con papà. Per fortuna che ho deciso di portarmela dietro!
Apro la porta della mia "cameretta alla Barbie" e scendo le scale.
Dopo la scenata di ieri,mi ricordo molto bene dov'è la sala da pranzo,e così la raggiungo subito.
Appena entro,però,i miei occhi notano una scena a dir poco obrobriosa.
I due "piccioncini",ignari della mia presenza,si stanno guardando con aria da innamorati,o per meglio dire,da completi e totali deficienti.
Non voglio pensare a cosa mi capiterà se succederà anche a me di innamorarmi!
Faccio un colpo di tosse,giusto per mettere fine a quella scena troppo sdolcinata per i miei gusti.
I due abbassano immediatamente i loro sguardi,imbarazzati. La prima a prendere la parola è la stronza.
"Oh Avril,siediti. Ti stavamo aspettando impazienti per la colazione." dice ,con un mezzo sorrisetto,a cui partecipa anche il cetriolone.
"Lo vedo..."dico,trattenendo a stento un ringhio di rabbia.
"Dolores."dice mia madre,indicando la cameriera,che incomincia a servirci la colazione.
Non credo che ci farò mai l'abitudine,a questo fatto dei camerieri. Insomma,non siamo mica nel 1800!
Iniziamo la colazione e Judy intraprende una conversazione a dir poco "forzata" con me.
"Allora Avril,come hai dormito nella tua meravigliosa camera?"mi chiede.
Merdosa,vorrai dire...
"Anche se non creda ti interessa saperlo,dormivo molto meglio nella mia camera a Napanee. Comunque,il letto è abbastanza comodo,non darti troppo disturbo." dico,sarcasticamente.
Dopo il mio intervento,nessuno interviene più. Forse hanno capito che è meglio lasciarmi stare. Tanto meglio.
Sto quasi per finire la mia colazione,ma giustamente la stronza decide di interrompere ancora una volta il bel silenzio che si era venuto a creare,intervenendo.
"Lo sai che domani inizia la scuola,vero?"
"No...veramente non lo sapevo."dico,con aria sicuramente shockata.
Si,beh...qui la scuola inizia prima,in California. Comunque dimmi,che cosa hai intenzione di fare durante la mattinata?"mi chiede,sembrandomi davvero poco interessata.
Sono tentata di risponderle "non sono cazzi tuoi",ma evito.
"A pafte fafe la selvaggia!"interviene il cetriolone,parlando ancora una volta con la bocca aperta mentre sta mangiando.
Dio,ma allora è proprio un coglione patentato!
"Si...pensavo di fare un giro per la casa,in modo che non userò più come navigatore satellitare la tua voce mer...ehm...meravigliosa!"dico,mordendomi la lingua.
Niente parolacce,per oggi.
"Uhm,penso sia una buona idea. Puoi andare."mi liquida Judy.
"Oh,a proposito,questa è la sim che mi avevate chiesto con tanta gentilezza."dico,mettendola sul tavolo.
Faccio grattare la sedia di proposito sul pavimento,e mi alzo,dirigendomi verso le scale.
"E adesso scusatemi,ma la selvaggia va a fare un giro per la giungla,cercando altri esseri uguali a lei per far progredire la specie!"dico,guardandoli entrambi negli occhi e liberandomi finalmente della loro presenza.
A dire la verità,più che fare un giro per la casa,voglio trovare una nuova stanza veramente adatta a me,non quello schifo fatto apposta per Barbie e Ken.
È stata la prima scusa che mi è venuta in mente per la stronza,e va bene così.
Inizio il nuovo "giro turistico",partendo dal piano superiore,per trovare la camera perfetta.
So che la camera di Judy e Phil è più ad est rispetto alla mia,e così non mi do neanche la pena di cercarne una in quell'area. Ci manca solo che mi prenda una stanza vicino alla loro!
Quindi,per questo motivo,decido di dirigermi nella direzione opposta,ovvero ovest.
Con mia grande sorpresa,scopro che questa parte della villa è davvero spettacolare,si notano nettamente di meno gli interventi che ha fatto Judy nel resto della casa subito dopo aver comprato la proprietà,e questo è senza dubbio un bene!
Le pareti sono di un giallo molto tenue,per niente aggressivo alla vista,che si intona perfettamente con il resto della casa.
Chissà,forse troverò quello che cerco.
Primo tentativo. Apro la porta e mi trovo davanti un bagno dal colore...rosa.
Chiudo la porta di scatto. Non voglio neanche vedere il bagno dove Barbie e Ken fanno i loro "bisogni"
Secondo tentativo. Apro la porta immediatamente più avanti,e osservo una stanza vuota,se non fosse per un enorme letto a baldacchino che troneggia al centro della camera. Potrei tenerla di riserva. Certo,dovrei chiedere al cetriolone di cambiare il letto,quelli a baldacchino mi sanno di vecchio e inutile.
Chiudo la porta. Faccio il terzo tentativo,sperando nella buona sorte. Apro la porte,e trovo una stanza molto impolverata,con migliaia di mobili e cianfrusaglie tutte accatastate le une sulle altre.
Wow. Il disordine di questa stanza fa invidia al mio nella mia camera di Napanee. Il che...
Ovviamente questa stanza non fa per me,ci vorrebbe troppo tempo per metterla apposto. Però magari,quando e soprattutto se avrò trovato la mia nuova stanza,qui ci ritornerei più che volentieri,ci potrei trovare qualcosa di interessante...
Sono talmente presa dalle mie supposizioni che non mi accorgo subito che i miei occhi stanno lacrimando per la troppa polvere. Meglio uscire.
Un'ora e una quindicina di porte dopo non ho ancora trovato quella che dovrà essere la mia camera.
Sono talmente disperata,che m'impongo di fare un ultimo tentativo. Se la stanza non avesse avuto le caratteristiche giuste per diventare la mia nuova stanza,avrei rinunciato e sarei ritornata con la coda tra le gambe nella stanza di Barbie e Ken.
Che tristezza però,io lì non ci voglio stare,cazzo!
Apro la porta e mi trovo davanti...dei gradini!
Ma come...io voglio una stanza e invece che trovo?! Dei gradini! Ma vaffanculo!
Li guardo bene. Sono tre. Bianchi e molto grandi.
A pensarci bene,credo di averli già visti prima questi gradini. Non sono mai venuta qui,ne sono certa,ma la sensazione di deja-vu è fortissima,e...
...Ma certo,il mio incubo!
Sono gli stessi gradini,ne sono sicura.
Beh,se non è un segno questo...
Percorro i tre gradini molto velocemente e mi ritrovo davanti ad un nuovo corridoio con altre tre nuove stanze,due a sinistra e una in fondo a destra.
Dio,ma allora questa casa è un labirinto!
Apro la prima delle due porte a sinistra. Si tratta di un enorme bagno,questa volta bianco(per fortuna) neanche tanto vecchio. Diciamo che,come,bagno può andare benissimo.
Chiudo e la porta e apro invece la seconda sulla sinistra. Ci trovo una cabina armadio molto bella e accogliente. Chissà quanti vestiti ci entrano lì dentro.
Chiudo anche la porta di questa camera,e mi preparo mentalmente per aprirne l'ultima. Finalmente.
Sinceramente,non mi importa granchè del contenuto,tanto peggio di così non potrebbe andare...
Apro l'ultima porta,e quello che vedo mi lascia di sasso.
È un'ampia camera,molto larga e anche molto luminosa. Il soffitto è di un colore giallino molto chiaro,così come la finestra. Il letto a due piazze,invece,è poggiato sulla parete opposta a quella di entrata. Sembra essere in buone condizioni. C'è anche una splendida libreria color avorio,dove sono sicura che i miei libri starebbero benissimo,e i miei CD e i miei spartiti mi ringrazierebbero in ginocchio solo per averli tolti dalla libreria rosa confetto di Judy.
Mi sporgo dalla finestra e osservo il panorama.
Mmh,strano,c'è soltanto un enorme albero al centro del giardino con un tronco veramente molto piccolo e esile,che sarebbe molto facile da scalare,e non c'è traccia nè del cancello nè del viale alberato.
Ma questo significa che....questa stanza...dà sul retro della casa!
E,cosa ancora più importante,potrei scalare l'albero e uscire indisturbata con il mio skate senza che qualcuno se ne accorga! Si,geniale!
Però,devo trovare un nome all'albero,per una questione anche d'affetto.
Dopotutto,è lui che sarà la mia chiave per uscire fuori di galera,no?
Mmh,vediamo...potrei chiamarlo....no,non va bene...oppure potrei...no troppo banale.
Non so proprio che nome dargli a quest'alberello qua...
Poi,improvvisamente...l'idea.
Ma certo,Alberello!
Da oggi in poi tu sarai il mio piccolo Alberello!
Beh,la mia mente non brilla certo per la fantasia,ma non riesco a trovare di meglio,quindi...
Resta soltanto una cosa da fare.
Prendere il mio skate,e andarmene da questo buco -si fa per dire- di casa! |
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Capitolo 9 *** Sk8er Girl and...? ***
Ecchice
qua(?)
Pronti
per il
nuovo capitolo? J
Ci
sarà una
piccola sorpresa verso la fine del capitolo...non
andate a sbirciare però.
Al
prossimo
capitolo ;)
Pov
Avril
Afferro
al volo la mia
piccola Stella e scendo da Alberello stando attenta a non farmi
male.
Non
so se dovrei andare in un
reparto psichiatrico per essere riuscita a scendere da un albero senza
procurarmi qualche livido,o se per la mia mania di dare soprannomi a
destra e a
manca…
Io
opterei per tutte due le
cose.
Per
la mia prima fuga,ho
indossato un paio di shorts di jeans trovati nell’armadio,una
semplice canotta
bianca e le mie adoratissime Converse.
In
più,ho preso qualche
dollaro,che può sempre essermi utile.
Sto
per uscire allo
scoperto,ma faccio appena in tempo a scorgere una limousine tutta
tirata a
lucido,sorvegliata da...una specie…di pinguino.
Oh
no,e adesso che faccio?
Mi
nascondo?
Gli
vado incontro?
Mi
sotterro in una voragine
che si aprirà proprio…adesso?
No,per
mia doppia sfortuna,la
voragine non fa la sua comparsa,e in più vengo beccata anche
dal pinguino.
Nascondo
prontamente lo skate
dietro la schiena.
Nonostante
non sia di certo
una gigante con il mio 1,55m di altezza,spero solo che sia
più scemo di quanto
appaia già da non accorgersene.
“Buongiorno
signorina Avril”
mi saluta gentile,con un cenno del capo.
“’Giorno.
Lei è..?” chiedo,in
evidente imbarazzo
“Oh,che
sbadato,non mi sono
presentato per primo. Piacere,io sono Paul,e sarò il suo
autista personale
addetto ad accompagnarla in qualunque posto lei desideri visitare con questa” mi dice,indicandomi la
limousine.
“Con…questa?!” chiedo
con gli occhi fuori dalle orbite.
“Si,esatto.
Il signor Phil e
la signora Judy mi hanno…ehm…chiesto di accompagnarla
ovunque lei
vada per…evitare
spiacevoli
incidenti” mi dice,con un sorriso falsissimo.
Traduzione:cerca di non mettermi nei
casini,perché non voglio essere buttato fuori per le tue
cazzate.
Bene.
La stronza e il
cetriolone mi hanno messo anche il cane da guardia.
Vediamo
un po’ di ravvivare
questa giornata!
“Oh,capisco.
Beh,ora che me
lo dice,avrei pensato di fare un giro in centro,sa…vetrine,negozi,shopping…”
dico,tremando alla sola idea di vedere vetrine luccicanti piene di robe
inutili
e costose.
“Ma
certo,signorina,io sono a
sua completa disposizione. Prego,si accomodi” mi
dice,andandomi ad aprire la
portiera.
No,così
si accorgerà dello
skate…
“Oh
no,non c’è bisogno di
essere così…galanti.
Faccio da
sola,grazie” dico,bloccandolo,e aprendomi la portiera dei
sedili posteriori.
Lui
annuisce,e per fortuna si
siede al posto del guidatore,senza accorgersi minimamente del fatto che
ho
sistemato il mio skate sotto il suo sedile.
La
limousine parte,e appena
ci immergiamo nelle strade californiane, subito il pinguino P…Pa…non
mi ricordo già più,inizia a parlare a macchinetta
di Los Angeles,del turismo,e
di quanto io sia fortunata ad abitare qui.
Io
annuisco e gli sorrido
affabile,non capendo in realtà un cazzo di quello che sta
dicendo.
Mi
sudano le mani e
l’adrenalina mi scorre nelle vene per l’agitazione.
Non
so se sia per il senso di
libertà che tra poco si scatenerà in me,o se per
la soddisfazione di giocare un
brutto tiro a Judy e a Phil.
“Si
fermi un attimo,per
favore” chiedo all’autista,che mi guarda accigliato
dallo specchietto.
“Si...subito” mi risponde.
Appena
lo sento frenare e
sento la macchina ferma,afferro velocemente il mio skate,apro la
portiera,scendo e busso al finestrino del pinguino.
“Torno
da sola,grazie! Oh,
dica pure a mia madre che
sarò a casa
in tempo per la cena,grazie e addio!” dico,saluntandolo con
una mano e
iniziando a correre sul mio skate.
Dio,se
ripenso alla faccia
con cui l’ho lasciato,mi verrebbe quasi voglia di ritornare
indietro e di fargli
una bella fotografia. Quasi.
Corro
sul mio skate, con tutti i capelli al vento e con la brezza leggera che
mi
accarezza il viso.
Sono
libera di correre, e questa è la cosa più
importante.
Non
mi interessa fare niente di spettacolare o pericoloso, in questo
momento mi
interessa solo correre veloce, veloce come non lo sono mai stata.
Dopo
un’oretta e passa di corsa,capisco che mi devo fermare per
riprendere un po’ di
fiato.
Sono
capitata neanche senza volerlo,nel centro di Los Angeles,a Downtown.
Tutti
questi grattacieli mi mettono in soggezione talmente sono imponenti e
maestosi,non sono abituata -villa del cetriolone a parte- a tutte
queste
dimostrazioni di potere e soldi.
Per
non parlare poi di tutte le vetrine delle boutique che espongono capi
famosi e
all’ultima moda.
Come
se ne cercassi un’ulteriore conferma, capisco ancora una
volta che tutto questo
non fa per niente parte del mio mondo.
Riprendo
a correre veloce.
Voglio
e devo allontanarmi da lì o mi mancherà il fiato
per il senso di inadeguatezza
che mi sta travolgendo velocemente.
Continuo
ad andare con lo skate lungo un muro in una via poco lontano da Gucci e
Prada.
Voglio
andare lontano dai negozi con i completi eleganti di Armani,lontano dai
negozi
che espongono scarpe Hogan, lontano da quella ricchezza che stona
persino con
se stessa.
Lontana
da questo mondo a me totalmente sconosciuto, il mio cuore normalizza il
suo
battito e il mio respiro smette di essere affannoso.
Forse
è meglio che mangi qualcosa.
Ho
fatto attività fisica con nello stomaco solo la colazione,
forse non sono solo
le grandi marche a farmi venire i capogiri.
Per
fortuna poco lontano da me c’è un bar e ringrazio
quel Santo che mi ha dato
l’illuminazione stamattina di prendermi qualche spicciolo.
Sto
per avvicinarmi al chioschetto,quando i miei occhi vengono attratti da
qualcosa...adesso
si che rischio lo svenimento!
Anzi,secondo
me sono già svenuta!
Uno
skateboard “Antiz Serie Vampire” fa bella mostra di
se dall’altro lato della
strada.
Improvvisamente
il bar e la prospettiva di assumere zuccheri passa in secondo piano.
Mi
avvicino, voglio vedere da vicino questa meraviglia.
Non
credevo di poterlo ammirare dal vivo, l’ho sempre visto su
internet, ma non c’è
paragone tra le foto e trovarselo davanti.
Chissà
chi lo avrà comprato.
Sarà
costato una fortuna.
Ma
dopotutto non me ne devo stupire così tanto, con tutti i
soldi che ha qui la
gente è logico che appena schiocchi le dita, ottenga quello
che vogliono.
Ne
osservo rapita tutti i particolari.
La
tavola,le ruote,le decorazioni…
Se
qualcuno mi vedesse adesso penserebbe che io sia
un’assatanata, ho addirittura
gli occhi lucidi per l’emozione.
Mio
Dio,chissà chi l’ha compr-
“Ehm
ehm…”
Sono
così presa dallo skate che salto in aria quando sento
qualcuno schiarirsi la
voce. Mi giro e…
E...?
Chi sarà la persona misteriosa?
Questo
è lo skateà
http://www.brolive.org/photo_gallery/les-tests-skateboards3/antiz_skateboard_julien_Bachelier_Antiz_Serie_vampire.jpg
|
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Capitolo 10 *** Sk8er Boi ***
Salve a
tutti!
Come vi va?
Aaaaw,avete
visto le foto del matrimonio
tra Avril e Chad? Io si…quei due insieme sono la tenerezza
*__*
Anyway,siete
pronti per un nuovo
capitolo di LBS? Ahahah,spero di si.
Voglio
ringraziare tutte le persone che
hanno messo questa fan fiction tra:
-i
preferiti:
Look_at_the_sky
-i
ricordati:
Look_at_the_sky
-i
seguiti:
Look_at_the_sky
Hakkj
AliceKeepHoldingOn
MusicIsMyDestination
Li
ringrazierò ad ogni capitolo!
Oggi,introduciamo
un nuovo personaggio
con la sua famiglia “stramba”,e penso che
già dal titolo abbiate capito di chi
stiamo parlando.
Se non
l’aveste capito,guardate un po’
di chi è il point of view.
Ci vediamo
;)
Pov
Evan
Che
giornata del cazzo.
Ma
chi cavolo aveva inventato
la
Domenica?
Ma
soprattutto,chi cavolo
aveva inventato Annie?
Quella
peste di mia sorella
sta saltellando per tutta la mia stanza,aprendo le tende per fare
entrare la
luce necessaria a farmi aprire gli occhi.
Cacchio,la Domenica
è l’unico giorno
della settimana in cui posso dormire quanto cazzo mi pare e piace,e lei
che
fa,mi viene a svegliare all’alba?!
No
dico,ma è pazza?!
Non
lo sa che io sono andato
a dormire solo pochi minuti fa?
“Annie!”
grido,dicendo il suo
nome come se fosse un’imprecazione.
“Si,fratellino?”
mi chiede
con la sua classica voce da angioletto malefico.
“Smettila!
Starei cercando di
dormire,se non ti dispiace” grugnisco,coprendomi la testa con
il cuscino.
“Dai
pulcino,svegliati! Fuori
c’è una meravigliosa giornata che ti aspetta.
Guarda,gli uccellini cantano,il
sole splende alto nel cielo azzurro e…”
“E
io sto per commettere un sorellicidio!”grido.
“Ma
pulcino…”
“Punto
primo,non chiamarmi
così,è orribile questo soprannome. Punto
secondo,ti assicuro che era una
meravigliosa giornata fino a due minuti fa,prima che tu facessi
irruzione nella
mia camera e mi svegliassi!” dico,facendo trapelare tutta la
mia irritazione.
“Oh
andiamo,non ti facevo
così pigro. Se lo avessi saputo,non avrei chiesto a
papà e mamma di adottare un
bambino decerebrato come te.” ribadisce lei acida.
“Mmh…guarda
che la cosa vale
anche per te,se avessi saputo quanto sei rompiballe”
mormoro,facendole lo
sgambetto e prendendola tra le mie grinfie.
“Allora,vediamo...cosa
vuoi
che ti faccia,il solletico o…il solletico?” le
chiedo sornione,incominciando a
solleticarle i fianchi con le dita.
“No,no,i
fianchi no!”
protesta cercando di divincolarsi,ma,purtroppo per lei,la mia stretta
è ben
salda.
“Ahahah
Ev…Evan…n…no basta,ti
p…prego” mi implora,cercando di articolare una
frase con le lacrime agli occhi.
Devo
ammettere che mi fa
piacere vederla così,spensierata e felice,anche se
è solo per il solletico che
le sto facendo.
“E
allora prometti che non mi
sveglierai più la domenica mattina
all’alba?” le chiedo.
“Va
bene,lo p..prom…”
“Come?
Non ho sentito!” dico,stuzzicandola
e continuando la mia lenta opera di tortura.
“Ahahah
va bene,va bene,hai
vinto,lo prometto! Basta!”
“Brava
sorellina!” le
dico,scompigliandole i capelli biondi e lasciandola andare.
“Certo
che sei un vero
stronzo quando ti ci metti” mi dice,scostandomi le coperte
dal letto.
“Si,senti
chi
parla…comunque,perché mi hai svegliato
così presto?” le chiedo.
“Presto,Evan?
Presto?! Guarda
che è già passato mezzogiorno.” mi
risponde.
“Si
certo,non ci credo per
nien-“ dico,fissando la sveglia.
Le
12 e 22.
“Cazzo.
Il pranzo da mamma!”
grido,saltando fuori dal letto e fiondandomi direttamente in bagno.
Cavolo,mamma
ci teneva
davvero tantissimo a questo pranzo domenicale.
Già
sorvola sui miei orari
quando rientro tardi a casa per via dei miei
“incontri”,quando entro in punta
di piedi per non svegliare nessuno,soprattutto lei che si preoccupa
tanto,in
più io non mi presento neanche a uno dei suoi fantastici
pranzi…
“Beh,bentornato
nel mondo dei
vivi. Sempre che mamma ti ci faccia rimanere a
lungo…” mi dice lei,oltre la
porta.
“Ah
ah ah,spiritosa,molto
spiritosa Annie,davvero” dico sarcastico.
Mi
faccio una doccia,mi vesto
velocemente,neanche fossi Flash,mi sistemo i capelli alla bene e
meglio,e sono
pronto.
“Dai
andiamo,peste!”dico,aprendo la porta con la mia sorellina che
mi fa la
linguaccia.
Scendo
in giardino con Annie
alle calcagna e mi dirigo sotto il gazebo,dove vedo che è
riunita tutta la mia
famiglia.
Mi
chino a baciare il capo a
mia madre Ami che ha atteso pazientemente,molto pazientemente, il mio
arrivo.
Lei
mi accarezza dolcemente
una guancia,trasmettendomi con gli occhi tutto l’affetto che
solo una madre è
capace di donare ad un figlio,e mi fa segno di sedermi al grande tavolo
in
giardino.
Saluto
con un cenno del capo
mio padre Mark,che sorridente ricambia il mio saluto,dietro i suoi
occhiali da
lettura.
“Evviva,si
mangia
finalmente!” trilla mia sorella,battendo le mani tutta
eccitata come una
bambina di cinque anni.
Siamo
una famiglia molto
numerosa,allargata e…stramba,per certi versi.
Ai
capotavola,ci sono i miei
genitori adottivi,Mark e Ami,che si guardano negli occhi sorridendo
felici e innamorati
come non mai.
Anche
se non credo molto
nell’amore,non mi ha mai dato fastidio che la loro intesa
andasse ben oltre la
loro “bolla” privata,anzi.
Agli
altri lati,invece
sediamo noi figli.
Vicino
a me c’è Annie che
molto allegramente,e non so ancora come,parla di shopping con
l’altra mia
sorellastra,Charlotte,che siede molto composta davanti a lei,sorridendo
per la
troppa esuberanza di Annie.
Char
e il suo gemello Drew,che
sospetto abbia una cotta,e neanche troppo leggera,per la peste,sono in
realtà
dei lontani nipoti di mia madre,che,con il suo cuore buono e
caritatevole,non è
riuscita a lasciare da soli i due gemelli quando i loro genitori sono
morti in
un tragico incidente d’auto.
Accanto
a loro,siede l’unico
loro figlio naturale dei Taubenfeld,Matt,un ragazzone
grande,simpaticissimo e
buono come il pane,che è entrato,e neanche troppo
segretamente,nel cuore e
nella camera della non tanto innocente Char.
Penso
che se i miei lo
sapessero,verrebbe loro come minimo un colpo!
Adoro
mio fratello,è una vera
forza della natura.
È
sempre allegro,ha la
battuta pronta in qualsiasi occasione,e ci ha accolti tutti prima come
amici,poi come veri e propri fratelli volendoci un gran bene e sapendo
di
essere ampiamente ricambiato.
In
fin dei conti,è il mio
migliore amico.
Le
conversazioni a tavola si
mescolano e si mischiano tra loro,diventando un chiacchiericcio sempre
più
confuso.
Noi
uomini parliamo di musica
e sport,spazientiti ed estromessi dai discorsi frivoli delle donne
sullo
shopping e sui capi d’abbigliamento che andranno
più di moda questo inverno.
Al
dolce,un semplice gelato
al limone che ci disseta in questa giornata calda,nonostante sia
Settembre,A&A,Ami e Annie,annunciano di avere una cosa
importante da dirci.
Spero
solo che facciano in
fretta,voglio godere del vento tra i miei capelli biondi e del clima
ancora
estivo di Los Angeles facendo un giro con il mio bellissimo,nuovissimo
e amatissimo
skate.
Mia
madre si schiarisce la
voce e inizia a parlare,essendo la capofamiglia.
“Se
avete impegni per la
serata odierna,annullateli,perché siamo stati invitati dai
vicini ed è buona
educazione andarci. Tutti.” aggiunge,ponendo
l’accento sull’ultima parola e
guardandomi eloquentemente.
Beh,in
fondo la capisco.
L’ultima
volta ho abbandonato
la mia famiglia a una cena pallosissima per passare una serata al
“Passion
Skate”,e lei non me l’ha perdonato tanto
facilmente,anzi…credo che serbi ancora
qualche rancore per la cosa.
Ma
che ci posso fare?!
A
me i vicini non piacciono per
niente,li considero troppo antipatici e snob persino per una
città “in” come
Los Angeles.
So
che non stanno per niente
simpatici neanche a mia madre ma,come dice sempre lei,un
invito rifiutato è un dispiacere arrecato.
Quindi,stasera
ci ritroveremo
tutti belli,perfetti ed eleganti,ad una noiosissima cena in cui non
succederà
assolutamente niente,con la promessa però di scambiare
favori e cortesie a
vicenda nei confronti dei rispettivi vicini.
Che
palle!
“Io,per
la serata,sarò la
vostra addetta al guardaroba e a tutto ciò che riguarda il
vostro look”aggiunge
Annie,riferendosi verso di noi.
“Oh
beh…allora,disastro
assicurato!”mormoro.
“In
più…”dice lei,guardandomi
di sbieco “ho una bellissima notizia da darvi. Char mi ha
nominata sua vice per
le selezioni delle cheerleader della scuola!” dice tutta
contenta,battendo le
mani e andando ad abbracciare Char,che prima mi guarda male,come a
dire”stai
attento a non fartele tutte” e poi ricambia
l’abbraccio della sorellastra.
Che
smielate!
“Bene,ora
che gli annunci
sono finiti,io vado” dico ad alta voce,alzandomi da tavola.
Nessuno
dice una parola sul
mio comportamento.
Ci
sono abituati ormai,e poi
sanno che la domenica la dedico tutta al mio bambino.
Scendo
in garage e lo prendo
deciso.
Non
vedo l’ora di sentire macinare
l’asfalto californiano sotto di me.
|
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Capitolo 11 *** First kiss ***
Ok gente!
Eccoci qua
con un nuovo chappy(?)
Penso che
il titolo vi stupirà molto,ma
ricordate…non tutto è oro quel che luccica!
E con
questa massima(?),vi faccio i miei
saluti *si inchina*
Pov
Evan
Mi
dirigo veloce verso il mio
skate. Ho fatto una piccola pausa solo per mettere qualcosa nel mio
stomaco
brontolante,ma adesso voglio solo riprendere a sentire il vento tra i
miei
capelli.
Sto
quasi per raggiungerlo ma
appena lo scorgo,mi blocco.
Una
biondina,un po’ bassina a
dir la verità,è chinata sul mio skate e lo sta
osservando rapita e
meravigliata.
Mi
avvicino da
dietro,furioso.
Nessuno,e
dico nessuno può toccare
il mio
gioiellino.
“Ehm
ehm…”dico,schiarendomi
la voce.
Si
gira
impaurita,probabilmente dall’autorità che
c’è nella mia voce,e così ho la
possibilità di osservarla meglio.
Dei
capelli biondissimi le
incorniciano il volto roseo,un po’ pallido.
Il
naso è dolcemente all’insù
e le labbra sono piccole,ma perfette per il suo viso.
Ma
la cosa che mi colpisce
immediatamente sono i suoi occhi,dei bellissimi e profondissimi occhi
azzurro
chiaro.
Mi
fermo un attimo a
fissarla,ma mi riprendo subito. Sono troppo incazzato.
“Scusa,che
cazzo stai facendo?”
le chiedo indicando il mio prezioso skateboard.
Potrebbe
rovinarmelo,graffiarmelo,o smontare una rotella.
Si
sa,donne e skate non vanno
per niente d’accordo.
Lei,dal
canto suo,è come
paralizzata dalla mia presenza.
Non
mi risponde,e nei suoi
occhi noto un leggero lampo di terrore,forse per essere stata sorpresa
a fare qualcosa
che non doveva fare,o forse per il mio sguardo assassino che la osserva.
“Allora?”
le chiedo incazzato,dalla
radice dei miei capelli fino alle punte dei piedi.
“Ehm…stavo
parlando con lui”mi
risponde finalmente,indicandomi
lo skate.
Ok.
Sono sconvolto.
Vedere
una donna che parla con uno
skateboard non è certo una
cosa da tutti i giorni.
Credo
di essere entrato ufficialmente
in uno stato catatonico.
Lei
probabilmente si accorge
della mia sorpresa,e infatti mi dice:”Chiudi la bocca o ti
entrano le mosche. Sai,secondo
me sei il classico tipo che non capisce un cazzo di skate,ma vuole fare
il figo
a tutti i costi.”ribatte lei.
Bene.
Se prima ero
semplicemente sorpreso,adesso sono letteralmente rimasto di merda.
Credo
che sia la prima forma
umana appartenente al “Cromosoma X” che ha fatto
rimanere senza parole Evan
Taubenfeld.
Mi
intriga molto questa
ragazza.
Le
prendo la mano,e sorridendole
le dico:”Mi dispiace,sei completamente fuoristrada per due
semplici motivi. Primo,io
di skate ne capisco molto,e anche più di te. Secondo,io non
voglio fare il
figo. Io sono figo!”
Così,senza
pensarci due
volte,l’attiro a me,e la bacio.
Le
sue labbra sono
calde,morbide e molto invitanti.
Appoggio
la mia bocca sulla
sua e le bacio il labbro inferiore con dolcezza.
Chiudiamo
gli occhi insieme
ed io assaporo le sue labbra.
Voglio
di più,voglio sentire meglio
il suo sapore,e così chiedo con la mia lingua il tacito
permesso di esplorare
la sua bocca.
Lei
acconsente,dischiudendo
le sue labbra e facendo incontrare le nostre lingue.
Dio,il
suo sapore…è qualcosa
di meraviglioso!
Non
credevo che un singolo
bacio potesse portarmi in Paradiso,e invece…eccomi qui.
Credo,anzi,ne
ho l’assoluta
certezza,che il mio cervello sia scappato da qualche parte…
Pov
Avril
“Ehm
ehm…”
Sono
così presa dallo skate
che salto in aria quando sento qualcuno schiarirsi la voce.
Mi
giro e…vedo un ragazzo,un
bel ragazzo,fissarmi con sguardo omicida
È
abbastanza magro,alto,ha i
capelli biondi,e due occhi azzurri come il cielo.
Sarebbe
una visione
celestiale,se non fosse per l’aura assassina che lo circonda.
“Scusa,che
cazzo stai facendo?”mi
chiede.
Cazzo,è
davvero incazzato.
La
moto deve essere
sicuramente sua,e da come mi guarda,giurerei che non apprezzi molto che
gli
estranei si avvicinino alle cose di sua proprietà.
“Allora?”mi
richiede. Sta
perdendo la pazienza,e se non mi do una svegliata credo che potrebbe
anche
scaraventarmi per strada.
“Ehm…stavo
parlando con lui”gli
rispondo,optando per la verità.
Dal
canto suo,lui è
completamente sconvolto.
Si
vede che è uno di quei
stupidi maschilisti che fa del motto “Donna al
volante,pericolo costante” una
sua virtù.
Che
idiota,l’ho lasciato
completamente senza parole.
Bene,posso
passare al
contrattacco
”Chiudi
la bocca o ti entrano
le mosche. Sai,secondo me sei il classico tipo che non capisce un cazzo
di
skate,ma vuole fare il figo a tutti i costi.”dico,convinta.
Infondo,è quello
che penso.
Lui,forse
per reazione alle
mie parole,fa una cosa che non mi sarei mai aspettata in vita mia.
Mi
prende la mano,mi sorride
e mi dice:”Mi dispiace,sei completamente fuoristrada per due
semplici motivi. Primo,io
di skate ne capisco molto,e anche più di te. Secondo,io non
voglio fare il
figo. Io sono figo!”
Pff,pallone
gonfiato!
Sto
per dirglielo ma non ne
ho la possibilità,perchè mi attira con forza a
sé e mi bacia.
Questo
contatto mi provoca
una scossa elettrica che mi percorre in tutto il corpo.
È
un bacio lento,ma
passionale.
Comincia
a baciarmi il labbro
inferiore con una dolcezza disarmante.
A
prima vista poteva sembrare
di tutto,ma non di certo un tipo dolce.
Chiudiamo
gli
occhi,privandoci a vicenda dei nostri sguardi e cerca di entrare con la
sua
lingua nella mia bocca.
Molto
lentamente,dischiudo le
mie labbra,e quando la sua lingua incontra la mia,sento finalmente il
suo
sapore.
Se
il suo profumo era fantastico, il suo sapore è paradisiaco,
da sogno...
Dio,non
riesco a fermarmi.
Sono
completamente e inesorabilmente persa in questo fantastico bacio.
Non
avevo mai baciato nessuno così.
Certo,con
Deryck c’era stata qualche carezza,e forse addirittura un
bacio una volta,ma
niente paragonabile anche solo minimamente a questo.
È
come se stessi dando il mio primo bacio,infondo.
Oddio…sto
baciando uno sconosciuto?!
Certo,uno
sconosciuto molto bello e che sa baciare anche molto bene…ma
sempre uno
sconosciuto rimane.
Mi
blocco,e mi maledico per quello che sto per fare.
Gli
mordo le labbra per interrompere il bacio,lui si ferma,e appena lo
fa,mi libero
velocemente dalla sua presa e scappo lontano,lasciandolo completamente
disorientato.
Corro
verso casa sulla mia Stella.
È
tardi, e voglio allontanarmi il più possibile da quello
sconosciuto.
In
più,trattengo anche le lacrime che per il mio comportamento
idiota mi stanno
offuscando la vista,perché la dolcezza di quel bacio mi ha
fatto sentire come
se mi trovassi ancora di fronte a quelle vetrine di prima, inadeguata
per quel
mondo.
Ma
che diavolo mi è preso?!
Non
sono mai stata una persona avventata e imprudente,anzi,ho sempre
ragionato e
contato fino a 10 prima di dire o fare qualsiasi cosa.
Arrivo
a casa in ritardo come previsto, confusa da quello che mi è
successo.
Non
ho visto neanche per un attimo l’orologio e ho un senso
dell’orientamento
pessimo,per cui ho faticato molto a trovare la villa giusta.
Mia
madre,altra cosa prevista, non appena varco la soglia di casa, mi si
scaglia
contro.
Ma
perché le voragini non si aprono mai quando vorresti?!
P.S. Se
volete,passate dalla mia
one-shot “I love you”,sempre su Avril e Evan.
L’ho scritta questa mattina,e se
vi piace,recensitela,mi raccomando ;)
|
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Capitolo 12 *** Are you ready,Avril? ***
Buonsalve a
tutti voi!
Volevo
ringraziare prima di tutto chi ha messo questa fan fiction tra:
-
i
preferiti:
-
1
- Beliectioner_FE_love_FE
-
2
- Sciaobelli
-
i ricordati:
-
1
- Sciaobelli
-
i seguiti:
-
1
- AliceKeepHoldingOn
2
- Hakkj
-
3
- Sciaobelli
-
Benebenebene(?),questo
capitolo è decisamente frizzante,con un leggero retrogusto
di suspence.
Ahahah,sembro un
sommelier.
Ok,prima di
essere internata in manicomio,vi lascio al capitolo.
Alla prossima!
Pov
Avril
Arrivo
a casa,in ritardo
ovviamente,e mi sento stremata.
Non
so ancora esattamente se
per la corsa che ho fatto,se per i crampi che mi attanagliano i
polpacci,o se
per le magnifiche sensazioni che quel bacio mi ha provocato.
Ho
ancora la testa tra le
nuvole,quando Judy spalanca la porta di camera mia senza farsi troppi
problemi
e sta per inveirmi contro,ma io la anticipo.
“Che
c’è Judy,la parola “bussare”
non fa parte del tuo vocabolario?” dico,mimando le virgolette
con le dita.
“Avril…Ramona…Lavigne”
Oh-oh.
Guai molto grossi in vista.
“Si,mammina?” Ok,forse dovevo
tenere a freno quella maledetta lingua
che mi ritrovo.
Il
suo viso si fa di un rosso
porpora. Non l’ho mai vista così incazzata ed
è un vero spettacolo per gli
occhi. Manca solo il fumo che le esce dalle orecchie,e poi posso
ufficialmente
scoppiare a ridere.
“Ti
rendi conto dell’ora a
cui sei rientrata?!”
“Aspetta…oh
guarda,sono solo
le sette e mezza. Sei fortunata,quando stavo da papà i miei
orari andavano ben
oltre,per cui…non vedo dove sia il
problema”affermo con tutta la calma
possibile,facendola incazzare ancora di più.
“Non
vedi dove sia il
problema?! NON VEDI DOVE SIA IL PROBLEMA?! Certo,te ne sei andata con
quel
pezzo di ferraglia in giro nel cuore di Los Angeles dove tutti mi
conoscono e
sanno chi sono,e in più l’hai fatto anche senza un
accompagnamento adeguato!”
“Oh
beh,mi devo ancora
abituare a tutte queste dimostrazioni di ricchezza,secondo me inutili.
A
Napanee non c’era certo
bisogno di un pinguino imbalsamato che mi scarrozzava
ovunque!”
Va
bene,forse la parte del
pinguino poteva anche rimanere per me…
“E
infatti, qui non siamo in
quella sperduta cittadina che ti piace tanto. Qui ci sono delle regole
da rispettare,santo
cielo. Ti abbiamo anche fatto una lista di quello che devi o non devi
fare,ma a
quanto pare,eri troppo impegnata ad uscire di casa senza il mio
permesso”dice,mettendosi
le mani sui fianchi.
“Una
lista? E quando avrei
dovuto leggerla,scusa?” le chiedo,dando voce alle mie domande.
“La
sera stessa di quando ti
abbiamo consegnato le chiavi di casa e il tuo cellulare nuovo.
Immaginavo che
la tua impertinenza non ti avrebbe fatto prendere nemmeno in
considerazioni
quei foglietti rosa,nonostante fossero la parte più
importante. Comunque,per
riparare al danno da te causato,ti
elencherò io stessa tutti i punti che io e Phil prentendiamo che rispetti da
adesso!”
“Ah-ah,come
no…” ribatto.
Lei
mi fulmina con lo sguardo
ed incomincia ad elencare tutti i punti di questa maledetta lista.
“Punto
numero 1. Devi cercare
di vestirti in maniera più consona,più adatta ad
una signorina perbene della
tua età”
“Si,la
signorina perbene ci
sta provando…”dico,digrignando i denti.
“Bene.
Punto numero 2. Niente
parolacce,insulti e sarcasmo. Soltanto rispetto e ubbidienza”
“Ma
vaffan…ehm…continua pure”
Maledetta mia linguaccia!
“Punto numero 3. Per
andare in
qualsiasi posto e per andare a scuola userai la limousine e sarai
accompagnata
da Paul,il “pinguino imbalsamato”,per intenderci.
Una volta finite le lezioni
verrai di corsa a casa,senza fermarti da qualche parte. Qualcuno
potrebbe
riconoscerti e capire che sei mia figlia”
“Perché
non adotti
qualche povero bambino orfano e non ne fai il tuo schiavetto? Vedrai
che i tuoi
amici apprezzeranno sicuramente…”dico,sarcastica
“Smettila.
Punto
numero 4. Non puoi saltare la scuola senza un buon motivo,e
soprattutto,non
vogliamo essere convocati né dagli insegnanti,né
tantomeno dal preside”
“Ma non
è colpa
mia. Sono loro che mi prendono in antipatia,e io devo rispondere alle
loro
provocazioni,non posso starmene lì seduta come se niente
fosse!”
Altro sguardo
fulminante. Ok,ok,ho capito…
“Punto
numero 5.
Seguirai una dieta precisa,quindi basta con schifezze unte e piene di
grassi. Sai,qualcuno
potrebbe incominciare a notare quei fianchi…”mi
dice,punzecchiandomi
“Certo,Miss
Taglia
38…”ribatto. Come le ho detto anche prima,io
rispondo sempre alle provocazioni.
“Punto
numero 6.
Nessun contatto con nessuna persona che abita lì in quel
paesino sperduto,Napanee…tranne
tuo padre,ovviamente”
“Oh,grazie.
Non
so,per questa gentile concessione dovrei prostrarmi ai tuoi
piedi?!”. Ecco.
Questa è una classico caso di ALM. Acidità
Livello Massimo.
“Punto
numero 7. Non
uscirai di casa senza avere avuto il permesso…”
certo,loro mi possono
controllare di giorno e sarebbe molto più difficile scappare
da Alberello con
questi due fra i piedi,ma di notte…”e
soprattutto,non potrai uscire di notte. La
notte la userai per dormire,perché è a quello che
serve!”
Chino la testa
mogia. Come non detto…
“Ultimo
punto,ma
non meno importante. Non dovrai usare mai più quel pezzo di
ferraglia e
soprattutto,non azzardarti anche solo a pensare di partecipare ad una
gara
clandestina!”
“No,no,aspetta.
Quel “pezzo di ferraglia” come
lo chiami tu,è uno skateboard,il mio
skateboard,e io non posso e non voglio separarmi da lui.
Chiaro?”
“Oh,con
un po’ di buona
volontà tutto è possibile. Sono sicura che ce la
farai” mi dice,dandomi un
pizzicotto sulla guancia.
Irritata,la
allontano da me. “Ma
allora non hai capito. Che c’è,sei sorda percaso?!
Non puoi vietarmi di andare
in giro con il mio skate”
“Basta
adesso,piccola
impertinente. Io posso farlo e come,sono tua madre!”
“Si,certo…quando
ti ricordi
di avere una figlia!”grido
“No
ti sbagli,io lo sono
sempre. Anzi,menomale che ti ho tirato fuori da qual buco di paese e ti
ho
fatto venire con me. Il tuo egoismo ha raggiunto livelli
spropositati!”
Oh
no,ancora con questa
storia! Basta!
“Judy,smettila,mi
stai
facendo venire un mal di testa pazzesco. Non mi sorprenderei molto se
adesso
venissero i vicini venissero a bussare perché hanno sentito
le tue grida
assurde.”le dico,massaggiandomi la tempia destra con una mano.
Improvvisamente,la
vedo sbiancare,come se si fosse ricordata solo in
quell’istante di un
particolare molto importante,per poi riprendere con più
vigore a lamentarsi e
ad agitarsi
Questa
donna secondo me prende troppi caffè. Mai pensato ad una
buona tazza di camomilla?
Dicono che aiuti.
“Oh
no,i vicini! Vai a farti subito una doccia e a cambiarti, i vestiti te
li
porterà Dolores.
“Come
mai dovrei cambiarmi d’abito,di grazia?” le
chiedo,incrociando le braccia al
petto.
“Tra
poco i vicini saranno qua a cena,ecco perchè!”
Cosa?
Io credevo che venissero solo a lamentarsi,mica a mangiare!
Bene!
Ci mancavano solo degli scrocconi per cena! Fantastico!
“Va
bene,vado, contenta?” le chiedo.
“Ah,un’altra
cosa. Riferisci gentilmente a Dolores che li recupero da me i miei
vestiti, non
ho bisogno della balia!” dico strafottente.
Lo
so,sono molto irritante quando mi ci metto!
“Eh,
no Avril! Tu adesso ti metterai quello che dico io!”
“Oh,
no questo no,come ti permetti,tu non puoi decidere per me!”
Sta
per ribattere quando suonano alla porta.
“Evidentemente,sono
arrivati i vicini" dico
sarcastica a mia madre.
Lei,chiaramente
sorpresa,si volta pallida verso la porta, mentre una cameriera va ad
aprire.
Dopo l’iniziale smarrimento,mia madre si riprende e
incomincia a scendere le scale,ma a metà della prima
rampa,si gira,e mi sussurra con sguardo omicida:"Avril,fai una delle
tue solite stronzate,e giuro che sei morta!"
Io?!
E quando mai?! Ma se sono l’innocenza fatta persona!
In
realtà,dentro gongolo di soddisfazione.
Quanto
sarà bello vedere mia madre fallire miseramente!
Già
assaporo la vittoria.
Sei
pronta,Avril?
Bene,andiamo
a conoscere i nuovi vicini.
P.S. Se
volete,potete fare un salto anche alla mia one-shot su Avril e Evan?
|
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Capitolo 13 *** Are you ready,Evan? ***
Ehilà
gente,come state?
Ringrazio
chi
legge e chi ha messo questa fan fiction tra:
- i
preferiti:- Beliectioner_FE_love_FE -
Sciaobelli
- i
ricordati:- Sciaobelli
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn -
Hakkj - Sciaobelli
Aaaaaw,avete
sentito il nuovo pezzo di Avril “Rock ‘n
‘Roll”?
Io
è da ieri che non faccio altro che ascoltarmelo
ininterrottamente xD.
Mi
piace molto.
Ok
ecco qui il capitolo,tutto Pov Evan ;)
Alla
prossima
POV
EVAN
Dopo
l’incontro con la “straniera”,
maledettamente
eccitante e paradisiaco allo stesso tempo, mi riprendo dalla sorpresa e
comincio a correre sul mio skate.
Devo
scaricare i nervi prima di tornare a casa.
Se
solo penso che mi attende una pallosissima
cena con i vicini,l’irritazione torna prepotente,e vorrei
tanto andare al “Passion
Skate” a rilassarmi.
Da
quando la bella biondina se ne è andata,un
pensiero fisso non mi ha abbandonato,anzi,sta continuando a martellarmi
in modo
frustrante il cervello.
Sono
stato rifiutato per la prima volta nella mia
vita da una donna, anche se sono sicuro che pure lei aveva voluto quel
bacio
quanto lo volevo io. Forse ha un ragazzo e non ha voluto tradirlo, ma
mi sembra
strano,perché a prima vista non avrei mai detto che fosse
una tipa da legami
seri.
Lo
ammetto,il mio ego spropositatamente grande ne
è rimasto ferito,e anche molto.
Il
mio cervellino deve trovare delle scuse per il
rifiuto e sta ancora piangendo per aver avuto una batosta
così grande. Sono
patetico, mi sto compiangendo e incazzando allo stesso tempo per una
ragazza!
Lo
so che è stupido,ma non riesco a smettere di
pensarla.
Riesco
solo ad immaginarmi lei, la sua dolce
fragranza e il suo corpo da urlo,le sue labbra…oh no,mi sto
eccitando di nuovo!
Cazzo,
sono in ritardo. Accelero di più la mia
andatura e il tornado “Annie” mi accoglie
imbestialita.
Appena
la scorgo,alzo le mani in segno di difesa.
Meglio scusarsi e filare a fare la doccia che subire la sua ira.
“Ehi
fratello...ma tu hai proprio deciso di
morire,allora. Arrivare in ritardo non è mai una mossa
furba,soprattutto se Annie
ha passato il pomeriggio nella tua cabina armadio!” mi dice
sghignazzante Matt.
“Grazie
per il tuo sostegno fraterno,Matt!” gli
rispondo sarcastico.
Bella
roba,me lo sono trovato in cima alle scale
con un sorrisino ebete e la battuta pronta!
Ma…è
appena uscito dalla camera di Char...mmh,qui
gatta ci cova.
“Che
ci facevi in camera di nostra sorella,fratellino?”gli
chiedo,affilando lo sguardo.
“Ehm…”
si vede che è a disagio e lo voglio
stuzzicare un po’.
Non
c’è niente di meglio di un po’ di
magnifica e
sana vendetta per migliorare la giornata.
“Lo
so che cosa stavi facendo lì dentro!” gli
rispondo,con un mezzo sorriso malizioso.
“Ma
no,cosa vai a pensare. La stavo…ehm,aiutando,si,ad
allacciare la cerniera del vestito…sai,no,è
quella sulla schiena.” mi risponde
sollevando le spalle, come se il suo gesto non fosse importante.
Voglio
ancora infilare il dito nella piaga,ma come
evocata Charlotte esce dalla sua stanza, splendente e bellissima
“Oh,
Evan, spero che tu abbia passato un buon
pomeriggio ma adesso vedi di andare a vestirti...e fatti una doccia
già che ci
sei...”
“Char,
scusa...credo che tu abbia qualcosa sul
tuo vestito. Ecco,girati un attimo…” le chiedo
gentilmente.
Lei si gira,e mi lascia vedere il retro del suo abito.
Bene,bene,bene…
“Oh
no niente,ho visto male…”dico,alzando le spalle.
Lei
alza leggermente le
sopracciglia,cercando di capire il senso di tutta la mia messa in
scena,ma
ovviamente,non ci riesce.
“Non
ho tempo di fare dei giochetti stupidi,Evan.
Annie ha bisogno di me...ci vediamo al garage e fate in
fretta!” aggiunge
andandosene senza dire altro, mentre io guardo il mio fratello orso,e
scoppio
ovviamente a ridere.
“Ma
il vento si è portato via quel poco che era
rimasto del tuo cervellino minuscolo? Guarda che non c’era
niente sul
vestito,le hai fatto solo perdere tempo.”
“Matt,Matt...il
vestito di Char non ha la
cerniera sulla schiena,ma sul fianco...” dico,dandogli una
pacca sulla spalle,andando
via e lasciandolo letteralmente senza parole.
Chissà,
forse la prossima volta troverà una scusa
migliore...mmh,mi sa che me ne dovrò inventare qualcuna
anche io se non sarò
pronto per uscire,perché questa volta è sicuro,
il tornado “Annie” mi taglierà
la testa!
Nonostante
il pessimismo di Annie e di mia madre,
siamo arrivati alla soglia della casa dei nostri vicini in perfetto
orario.
Dio
che palle.
Ma,forse
faccio ancora in tempo a scappare.
Potrei
mettermi a correre,o potrei chiedere un
passaggio a qualche macchina che passa qui vicino,oppure…
“Già,oppure
potresti inventare il teletrasporto e
farti teletrasportare da qualche parte.
Cretino…”mi dice sarcastico Matt.
Oh…non
mi ero accorto di aver pensato ad alta
voce. Cacchio!
“Permalosetto
il ragazzo,eh?” gli
rispondo,sperando di ravvivare un po’ questa serata.
Sta
per controbattere,ma viene interrotto da mia
madre Ami,che probabilmente,vorrà evitare di assistere ad
una rissa qui sulla
porta dei vicini
“Ragazzi,vi
prego,non adesso. Dobbiamo essere
disponibili,gentili ed eleganti. Ripeti con me,Evan:disponibili,gentili
ed
eleganti” mi dice.
“Ma
mamma,perché lo dici solo a me. È stato lui
che ha incominciato”le rispondo,puntando un dito contro
Matt,che dal canto suo
sghignazza.
“Evan!Disponibili,gentili
ed eleganti!”mi
rimprovera mia madre,fulminandomi con lo sguardo.
“Si,disponibili,gentili
ed irritanti.”le
dico,passandomi una mano nei capelli.
“Non
irritanti,ma el…oh,lasciamo perdere”mi
risponde,roteando lo sguardo.
Mio
padre,molto probabilmente divertito da tutto
quel nostro teatrino a differenza di nostra madre,suona il campanello e
si
sistema gli eleganti occhiali Cavalli.
Neanche
due secondi dopo,sentiamo dei passi molto
veloci affrettarsi per venire ad aprire la porta.
Ecco
qua,tra poco si scatenerà il mio inferno.
“Pronto,fratellino?”mi
chiede dolce Annie.
Pronto?
Sono
pronto?
No.
Non lo sono,e mai lo sarò.
P.S.
Se vi fa piacere,sto iniziando una nuova long-fic,sempre su Avril e
Evan,ho già
pubblicato il prologo. Se vi piace,recensite.
|
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Capitolo 14 *** Treasure?! Really?! ***
Salve
gente!
Come
sempre(non è vero),ringrazio chi legge
e chi ha messo questa fan fiction tra:
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Ed
eccoci qua con un nuovo capitolo,tutto
Pov Avril.
Come
la prenderà la nostra ribelle quando
si ritroverà davanti alla sua porta di casa LUI?
Leggete
e scopritelo!
Pov
Avril
Dopo
la “minaccia” neanche troppo velata di mia madre
nei miei confronti,la vedo
avvicinarsi alla porta e aprirsi in quel sorrisetto falso che ho
imparato fin
troppo bene a conoscere,nonostante sia con lei da poco tempo.
Porge
la mano ad una donna minuta,bella e molto elegante, e a quello che
immagino
essere il marito di lei, un uomo decisamente affascinante,nonostante
delle
piccole rughe facciano la loro comparsa intorno agli occhi.
“Ami,
è splendida!
Come sono felice che abbia accettato il mio invito!”
“Grazie
Judy,mi fa sempre piacere partecipare a questo tipo di
eventi”dice la donna.
“Oh,che
gentile. Dottor Taubenfeld,che piacere,come sta?”chiede
ancora Judy,più per
cortesia che non per vero interesse.
“Molto
bene,grazie Judy,ma di certo non posso raggiungere il suo livello di
splendore.
È veramente magnifica.”replica il
dottore,facendole il baciamano.
“Oh,che
adulatore…ma questa volta ci sono tutti i vostri ragazzi?
Sono proprio contenta
di avere una famiglia così perbene nella mia umile
dimora.”
Ok,devo
trovare un cesso per vomitare.
Ma
quanto può essere falsa una persona sulla faccia della
terra? Sono veramente
disgustata,tutte queste smancerie mi stanno incominciando a dare al
cervello.
Salgo
le scale in fretta,devo sparire.
Oh
menomale,mi restano solo pochi gradini,poi sarò salva e lib-
“Avriiiiil,aspetta
tesoro.”
Oh,perfetto. Non
solo mi aveva beccata,ma mi aveva anche chiamato
“tesoro”.
No,sul
serio,tesoro?! E da quando?!
La sfortuna mi
perseguita,ne sono certa.
“Signori,posso
presentarvi mia figlia Avril? Oggi pomeriggio è
andata a correre ed è appena tornata. È una
salutista...sapete,le adolescenti
capricciose di Los Angeles,no…tutte molto attente alla
linea.”
No,no,no,fermi
un attimo!
Io,una
salutista?!
Io,un’adolescente
capricciosa di Los Angeles?!
Ma
soprattutto,IO MOLTO ATTENTA ALLA LINEA?!
Eh
no,non posso sopportare ben tre insulti gratuiti così,senza
fare nulla.
Inarco
le sopraciglia,scettica che sappia veramente quello che sta dicendo.
“Ma
veramente io non ero proprio andata a…”
“Si,certo,ne
parliamo dopo...amore,loro sono i nostri vicini, Ami e Mark
Taubenfeld.” Ci
risiamo…beh,almeno stavolta ha cambiato soprannome.
“
‘Sera.”dico,rivolgendo per la prima volta lo
sguardo alla famiglia al completo
e….
No…
No,no,no!
Lui,NO!
Merda,
ma che situazione di cacca!
Mi
sento così a disagio, che non mi ricordo di aver provato mai
tanto imbarazzo in
vita mia.
E
lui che fa…ride!
Certo,il
motivo della mia vergogna,il ragazzo dello skate e del bacio,sghignazza
con un
sorrisino bastardo,evidentemente molto divertito dalla situazione.
Io
l’ho sempre saputi di essere sfigata,ma questo è
davvero troppo,per chiunque.
Così,presa
dallo sconforto,faccio una cosa che non avrei mai pensato di poter
fare. Scappo.
Semplicemente,corro
via da tutto quel casino,per rifugiarmi in camera mia.
Non
è solo il mio povero cuore ad essere in
iperventilazione,impazzito e fuori
controllo per esserselo ritrovato davanti, ma anche il mio cervello
è completamente
e totalmente in stand by.
Spento,morto,deceduto.
Dio,se
ripenso a quanto sia perfetto nei suoi jeans e nella camicia blu con le
righe
bianche con le maniche arrotolate sui bicipiti muscolosi,mi viene solo
voglia
di…di andare là e spaccargli quella bella
faccetta da deficiente che si
ritrova,ecco!
Ho
proprio bisogno di una bella doccia ghiacciata,devo riprendere la mia
lucidità,e calmare i bollenti spiriti che mi sconvolgono il
basso ventre da
quando ho incontrato i suoi occhi pieni di malizia.
Non
appena esco dal box doccia con indosso solo l’accappatoio, mi
dirigo nella mia
camera,ma,invece di essere sola,trovo Dolores che armeggia nella cabina
armadio
vicino alla mia stanza.
“Ehm
ehm…cerchi qualcosa?” le chiedo,ma pur non volendo
essere acida, la domanda mi
esce carica di veleno. Bussare non si usa in questa casa per caso?!
“Oh,vostra
madre mi ha pregato di assicurarmi che non vi vestiate come vostro
solito,ma
che vi presentiate dagli ospiti come si confà.”mi
risponde tranquilla lei.
Ok,se
prima mi stava solo un po’ simpatica,adesso la sua
popolarità è scesa fino ai
minimi storici.
“Come
si confà”?!
No,ma
è uscita da qualche romanzo dell’ottocento?
“Mmh…nessuno
le ha mai detto che siamo nel XXI secolo?!” le chiedo
sarcastica. Lo so che lei
non ha nessuna colpa,ma solo il fatto che ha dato ascolto a quella
serpe di
Judy,mi irrita a morte.
Lei,in
tutta risposta,mi squadra da capo a piedi. “Questo
è l’intimo e questo il
vestito, non costringetemi a venire nella vostra camera per assicurarmi
che ve
li mettiate, evitatevi questa umiliazione di certo non troppo decorosa
per voi.”
Sono
rossa dalla rabbia, non sono una bambina e non ho bisogno della
bambinaia.
“Spostati!”
le ordino.
Dolores
è una signora di circa una cinquantina
d’anni,grande come un armadio e probabilmente
con la forza di un toro,ma il disprezzo che provo in quel momento per
tutto e
tutti,potrebbero farmi spostare una montagna.
Lei
si sposta di quel tanto che mi permette di entrare nella cabina
armadio,e
incomincio a frugare tra i vestiti per cercare uno slip non di pizzo e
un paio
di jeans,ma niente…il mio sguardo si posa solo tra
calze,gonne e scarpe col
tacco. E che cazzo!
Dolores,per
niente intimorita dallo sguardo furente che le rivolgo,mi dice con un
sorrisetto sulle labbra:“Mi sono premurata personalmente di
togliere dal vostro
armadio qualsiasi capo d’abbigliamento che non fosse consono
per la serata. Quindi,come
dicevo pocanzi,questo è l’intimo e questo il
vestito. Mentre voi vi vestite,io
cercherò di domarvi quella massa informe di capelli che
avete sopra la testa.”
“Ma
guarda,cosa c’è in questa casa,la convention
mondiale delle stronze?!”le
chiedo,con l’acidità al massimo.
Mi
guardo in giro per la cabina armadio, e alla fine,mi devo convincere
che questa
volta non posso vincere la battaglia.
Dopo
che i miei capelli sono stati “domati”,neanche
fossero dei leoni affamati in
una gabbia,prendo il perizoma di pizzo e il vestito che mi aveva
“consigliato”,o
meglio ordinato di mettere Dolores
e
mi chiudo in bagno per vestirmi.
Ora
che ho un po’ più di calma,posso anche osservare
meglio gli abiti che
indosserò.
Devo
dire che non sono male,anzi,stranamente mi piacciono.
Si
tratta di una maglietta aderente nera,una mini,ma molto
“mini” di jeans e dei
sandali a tacco alto.
Fa
molto stile dark,proprio come piace a me.
E
poi,la maglietta farà risultare anche le mie forme,e quel
ragazzo là sotto
aveva proprio la faccia di uno che voleva essere stuzzicato un
po’.
Mi
trucco velocemente,ed esco dal bagno.
Mi
volto verso Dolores,se non approva le stacco la testa a morsi!
Lei
inclina la testa di lato pensierosa,e alla fine mi sorride.
Ma
non con un sorrisetto come quello di prima,no…questa
volta,mi sembra
sincero,credo…
Apre
il cassetto degli accessori,ma appena lo fa,inizio a storcere il
naso,tutti
quegli orecchini,bracciali,collane di oro…non mi fanno
sentire a mio agio.
Ma
poi,sopra il comodino del letto,noto la mia ancora di
salvezza,l’unica collana
che abbia mai portato in vita mia,quella con il teschio.
Sono
soddisfatta delle mie scelte, non pensavo che Dolores le potesse
approvare.
Chissà,forse
così potrei anche fare colpo su un proprietario di uno
skateboard “Antiz Serie
Vampire”!
|
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Capitolo 15 *** Déjà vu ***
Eccomi
qua,lettori/lettrici!
Ringrazio
chi ha messo questa
ff tra:
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Questa
volta,il capitolo è
tutto Pov Evan, e ovviamente vedremo come reagirà il nostro
skater nello rincontrare
Avril.
Cosa
farà? Scopritelo.
Alla
prossima :)
Pov
Evan
Neanche
due secondi dopo aver suonato il campanello, sentiamo
dei passi molto veloci affrettarsi per venire ad aprire la porta.
Ecco
qua, tra poco si scatenerà il mio inferno.
“Pronto,
fratellino?”mi chiede dolce Annie.
Pronto?
Sono
pronto?
No.
Non lo sono, e mai lo sarò.
Finalmente,
la porta in legno straordinariamente
lucida, si apre, rivelandoci la signora Judy Mitchell, quella che molto
probabilmente credo sia la nostra vicina.
Non
so perché, ma mi sembra che abbia un’aria
quasi…viscida, e, infatti, questa mia supposizione viene
subito confermata da
tutti i complimenti e da tutti i sorrisetti falsi che rifila ai miei
genitori.
Di
lei so soltanto che ha un marito, anche peggio
di lei per quanto riguarda atteggiamenti opportunisti, e una figlia,
che si è
trasferita qui da poco.
Se
così sono i genitori, non vorrei neanche
immaginare in quale stato si trovi la ragazza.
Dopo
questi disgustosi convenevoli, vedo la
signora Judy girarsi verso un punto che non riesco a scorgere e gridare
piuttosto concitata:“Avriiiiil,
aspetta tesoro.”
Oh
beh, almeno non dovrò chiederle il suo nome.
“Signori,posso
presentarvi mia figlia Avril? Oggi pomeriggio è andata a
correre ed è appena tornata. È
una salutista...sapete,le adolescenti capricciose di Los
Angeles,no...tutte molto attente alla linea".
Bene,
adesso sì che la fortuna è dalla mia parte.
Ci
mancava soltanto la figlia perfettina,
capricciosa, viziata e salutista dei miei vicini coglioni per stasera.
Ora,
la mia serata, può considerarsi perfetta!
“Ma
veramente io non ero proprio andata a…" tenta di dire la
ragazza,ma viene subito interrotta dalla madre,che le fa le
presentazioni dei miei genitori.
Un
attimo però.
Ho
una fortissima sensazione di déjà
vu, perché io
questa voce l’ho già sentita, solo che non mi
ricordo dove…
“
‘Sera.” dice, facendosi avanti per la prima volta
verso di
noi, e rivelando il volto a cui apparteneva quella voce così
familiare.
Ecco
perché ti
sembrava così familiare,razza di deficiente!
Già,
a quanto pare, la
figlia perfettina,
capricciosa, viziata e salutista dei miei vicini coglioni, è
la stessa ragazza
che mi ha baciato oggi pomeriggio e che mi ha lasciato leggermente
frastornato.
Seh,leggermente…
A
giudicare dai suoi occhi fuori dalle orbite e dalle sue
guancie completamente in fiamme, anche lei deve avermi notato soltanto
adesso. La
sua faccia è così buffa,che scoppio a
ridere,sghignazzando.
Posso
quasi dire di aver visto un lampo di rabbia
attraversare quegli occhi azzurro cielo, ma lei non mi da il tempo di
controllare,
perché scappa via, allontanandosi da me.
Perché
l’ha fatto? Si è sentita imbarazzata dalla madre,
dalla situazione, o da me?
Ma
poi era davvero imbarazzo, o la scintilla che avevo visto
nei suoi occhi era scattata davvero in seguito alla mia reazione?
Non
so come spiegarlo, ma è come se un improvviso macigno si
fosse conficcato nel mio stomaco e non volesse più uscirne.
Mah,passerà…
Dopo
qualche minuto in cui la mia mente è stata in giro a
farsi dei film mentali degni di un premio oscar, sento Drew che mi da
una
leggera spallata e mi sussurra:“Sei piuttosto
taciturno...”
Roteo
gli occhi. Che c’è,
uno non può più neanche farsi i cazzi suoi in
santa pace?
“Drew,
ti voglio bene, ma non farmi incazzare con
osservazioni inappropriate.”
“Si
inappropriate…tu sei rimasto di merda quando hai visto la
ragazza...” Ecco, come non detto.
“Davvero?
Beh non me ne sono accorto...” Non voglio
assolutamente reggergli il gioco.
“Ah
si? Riproviamo allora, guarda un po’
là.” mi dice lui, indicandomi
l’ingresso del salone, dove ha fatto la sua comparsa la mia
straniera.
No,un
attimo,ho detto mia?!
Sorvolando
sull’aggettivo possessivo che non centrava un
cazzo, sono di nuovo senza parole, due a zero per lei.
Sento
mio fratello ridere al mio fianco, aggiungendomi anche
una gomitata. Merda.
“Che
c’è, il gatto ti ha mangiato la lingua?”
mi dice,
inarcando le sopracciglia.
“No
grazie,ce l’ho ancora…ma dimmi piuttosto,il tuo
cervello
che fine ha fatto?” gli rispondo, restituendogli la battuta.
Avril
è in grande imbarazzo, e tortura, rossa in viso e
nervosa, la collana a forma di teschio che porta. Tutti nella sala la
stanno
fissando, e ovviamente io non rappresento di certo
un’eccezione.
Cazzo,
quanto è bella! Il mio cervello influenza il mio
amichetto laggiù, facendomi fare dei pensieri non del tutto
casti.
Cacchio,
mi sento un pervertito, ma quella mini di jeans mi sta
facendo venir voglia ancora di più di guardarla, i sandali a
tacco alto
risaltano le gambe lunghe e tornite, e poi quella maglietta aderente mi
sta uccidendo.
Già
dal pomeriggio sapevo che aveva delle forme perfette, e
adesso so come riesce a sfruttarle e ad essere attraente. I miei occhi
osservano quei capelli biondi e morbidi che le ricadono sulle spalle e
che sono
resi ancora più belli dal fatto che sono leggermente
bagnati. Poi, le mie
pupille vengono letteralmente affascinate da quelle labbra,
così rosse e
invitanti che…ok, ok, fermo, sono già abbastanza
eccitato senza che pensi a
cosa farei se appoggiassi le mie labbra sulle sue.
“Scusate
il ritardo...” dice sulle scale.
Non
posso fare a meno di riflettere sulla sua voce così
esitante e appena sussurrata. Non c’è traccia
né del sarcasmo né tantomeno del
disprezzo che ha usato con me nel pomeriggio, e mi chiedo chi sia la
vera
Avril e chi invece indossi solo una maschera.
Ci
dirigiamo verso la sala da pranzo riccamente decorata, per
affrontare la cena. Velocemente, prendo il cartellino con scritto Annie
e lo sostituisco con quello che porta il mio nome, piazzandomi vicino
alla mia straniera.
Voglio proprio stuzzicarla per bene, non voglio essere
l’unico eccitato e vorrei tanto avere la sua compagnia nel
gioco un po’
perverso che mi è appena venuto in mente.
P.S.
Ho scritto una song-fic
su Nobody’s Home. Se vi va,passate----> http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2028874&i=1
|
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Capitolo 16 *** Hot! ***
Sssssalve
a tutti!
Ringrazio
chi ha messo questa
ff tra:
- i
preferiti:- Beliectioner_FE_love_FE - Look_at_the_sky
-
Solluxy(recensite
la sua long su Avril, io non ne ho
avuto il tempo ma è veramente bella)
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - Brazza - Hakkj - Look_at_the_sky
Ecco
il nuovo capitolo,
pronto per essere letto.
Credo
che dal titolo si capisca già qualcosa, ma non saltate
subito
alle conclusioni, mi raccomando u.u
Il
mio suggerimento è…prendete un bel ventaglio, e
non solo per il
caldo ;)
Ci
si vede.
Pov
Evan
Le
presentazioni di tutti i componenti
delle rispettive famiglie erano terminate dopo gli antipasti, e sia i
padroni
di casa che noi stavamo aspettando che le cameriere ci servissero i
primi
piatti.
Non
riuscivo a staccare gli
occhi da Avril neanche un attimo. La sua postura era assurdamente
dritta e
rigida, come se si stesse trattenendo dallo scappare da quel tavolo
troppo
affollato per lei.
Ma
se per lei tutto quel
chiacchiericcio inutile rappresentava un problema, per me non lo era
affatto,
anzi, mi permetteva di mettere in atto il mio piano assolutamente e
totalmente
indisturbato.
“Piacere,
Evan” le dissi,
porgendole la mano e cercando di comportarmi da bravo ragazzo.
“Oggi
pomeriggio non ci siamo
presentati, e mi piacerebbe farlo decentemente”. Mi passai
una mano fra i
capelli biondi e le feci uno di quei miei sorrisi abbaglianti.
Nonostante
lo sforzo che
stessi facendo, cercando di essere gentile, non si sciolse
più di tanto, e mi
liquidò con un gelido “Avril”.
Mmh…così
non avrei mai potuto
fare colpo, se ne stava troppo sulle sue. Decisi di passare alla fase
successiva, il comportamento da “ragazzo
imbranato”.
Di
solito le ragazze lo
trovavano dolce, e funzionava per rimorchiare.
Così,
mi ripassai la mano fra
i capelli e con il tono più imbarazzato che riuscii a fare,
sussurrai:”Si,
questo l’avevo capito”.
Niente.
Nessun effetto.
“Beh,allora…che
ne dici di…”incominciai
a chiederle cosa ne pensasse della cena, ma mi interruppe.
“Senti,
Ethan…”
“Evan…”la
corressi,
ostentando indifferenza. In realtà, ero dispiaciuto del
fatto che avesse
sbagliato il mio nome, nonostante gliel’avessi detto appena
che cinque secondi
fa.
“Si,
come ti pare…ascolta,
non so che idea tu ti sia fatto di me, ma non potrò mai
essere il tuo tipo di
ragazza, perciò non sforzarti di parlarmi di cose
inutili,ok?”
Ecco,
era ritornata la
stronza acidella del pomeriggio. Sentii come una fitta allo stomaco
appena
disse quelle parole, ma non ci badai e continuai con il mio piano.
“Sentiamo,
lei si è fatta
qualche idea su di me,signorina?”
Lei
si ravvivò i capelli
biondo cenere, che sotto la luce del lampadario sembravano brillare di
luce
propria, e, con fare fintamente pensieroso, passandosi un dito sulle
labbra –
quanto avrei dato per essere al posto di quel
dito…– mi disse:”Vediamo, le
parole Classico-Stronzo-Puttaniere le dicono qualcosa,
signore?”
Mi
piaceva quel nostro modo
di punzecchiarci a vicenda, forse più del lecito.
Intensificai
lo sguardo e
puntai i miei occhi azzurri dritti nei suoi. “Scommettiamo
che cadrai ai miei
piedi?”
“Scommettiamo
invece di no?”
mi disse, rivolgendomi un’occhiata che era
tutt’altro che amichevole.
Mi
scorsi per prendere il
cestino di pane vicino a lei, ma all’ultimo deviai la mia
traiettoria, e
sorridendole beffardo, le sussurrai
all’orecchio:”Beh, non dire poi che non ti
avevo avvertita”
Lei
mi guardò, completamente
ignara di quello che avevo in mente di fare, ma non ebbe nemmeno il
tempo di
pronunciare una parola,che le mie mani incominciarono a toccarle quelle
gambe magre
e toniche da sotto il tavolo.
Vedo
la sua bocca aprirsi per
il mio gesto inaspettato e i suoi occhi fuori dalle orbite. Di certo
non se l’aspettava,
ma non mi aveva ancora tirato uno schiaffo, quindi potevo, ma
soprattutto
volevo, continuare.
Risalii
pian piano verso le
sua ginocchia e disegnai dei ghirigori immaginari con il pollice.
Dal
canto suo, lei era
completamente ferma, la sua bocca si apriva più per
incanalare l’aria
necessaria a sopportare quel gesto, che non per la sorpresa. Che
strano, non
potevo essere sicuro che quel mio gesto le stesse piacendo, in fondo,
ma ormai
la mia lucidità era completamente andata.
Sollevai
la gonna di jeans
che portava, e vidi i suoi occhi color cielo farsi lucidi per
l’eccitazione.
Ma
allora le stava piacendo!
Continuai
la mia risalita, e potei
quasi sentire il leggero tessuto dei suoi slip se solo…se
solo i camerieri non
avessero deciso di portarci i primi proprio in quel momento. E che
cazzo!
Ritirai
velocemente la mano e
abbassai il mio sguardo su ciò che avevo nel piatto, non che
mi interessasse
davvero.
Io
e Avril mangiammo in
silenzio e i miei occhi, con mio grande dispiacere, non incrociarono
più quelle
grandi e meravigliose pupille da cui ero affascinato.
Non
prestai molta attenzione
a quello che la madre stava blaterando, ma immaginavo che volesse
presentare
sua figlia a noi ragazzi in modo tale che conoscesse già
qualcuno durante il
suo primo giorno di scuola.
Vedevo
la mia stella storcere
impercettibilmente il suo piccolo nasino, molto probabilmente irritata
per quello
che la madre stesse raccontando.
La
signora Mitchell continuava
a parlare senza sosta di quando Avril fosse piccola, senza neanche
notare l’imbarazzo
di sua figlia, che, con il viso in fiamme, cercava protezione tra i
suoi
capelli biondi incredibilmente lucenti.
Odiavo
ammetterlo, ma con
quel rossore di imbarazzo era ancora più
bella…ma, nonostante questo, non
volevo che le guance le si tingessero di rosso, non volevo che si
vergognasse
per dei ridicoli e stupidi ricordi d’infanzia che non avevano
alcun
significato.
Decisi
di prenderle la mano
per infonderle coraggio, ma lei mi spiazzò totalmente.
Allontanò
la sua mano come se
fosse scottata, e, rivolgendomi uno sguardo di puro odio, chiuse la
mano
stretta a pugno, portandola sul fianco.
S’irrigidì
completamente e io
non osai guardarla di nuovo.
Ma
aveva capito male, io
volevo solo aiutarla, farle sapere che c’ero, non continuare
il “discorso” di
prima!
Anche
se…
IDIOTA,
CRETINO, DEFICIENTE!
L’imbarazzo,
per fortuna,
venne spezzato dalle cameriere, che ci annunciarono che avrebbero
servito il
sorbetto al limone, un classico, vicino alla piscina privata della
famiglia.
Per
farmi perdonare del gesto
avventato di poco fa, mi alzai prima di Avril e le scostai la sedia,
pensando
di fare un gesto gradito.
Ancora
una volta, mi
sorprese, ma non come aveva fatto prima.
Si
alzò sulle punte, mi diede
un leggerissimo bacio sulla guancia e mi sussurrò in un
mormorio appena flebile
“Grazie”.
Quello
che provai in quel
momento, ero sicuro di non averlo mai provato prima di allora.
Una
potente scarica elettrica
mi attraversò, facendomi sentire i brividi e accelerando i
battiti del mio
cuore.
Ma,di
una cosa ero certo,
anche lei l’aveva sentita, forte com’era stata.
Ci
dirigemmo tutti nell’ampio giardino, dove era stato imbandito
un grande tavolo rettangolare
a bordo piscina.
Le
fiaccole a bordo piscina illuminavano l’acqua, creando dei
giochi di luce sulla
sua superficie perfettamente liscia.
Io
e la mia stella – ho deciso che la avrei chiamata sempre
così da quel momento,ma
avevo un paio di dubbi sulla veridicità del possessivo -
eravamo stati divisi
dalle mie sorelle, Char ed Annie, che me l’avevano rubata.
Non
perdevo di vista nessuno dei suoi movimenti e non facevo altro che
sentirmi una
specie di maniaco o di pervertito.
Poi,
la vidi avvicinarsi a sua madre e spostarsi verso la piscina, lontano
da tutti,
perché stavano litigando.
Prima
di iniziare la discussione con la madre, i nostri occhi si incrociarono
di
nuovo, e sentii ancora quella scossa di qualche minuto prima.
Ora
ne ero certo, non avrei mai raggiunto il giorno dopo.
No,
sarei morto prima!
|
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Capitolo 17 *** Ssh, shut up... ***
Buonasera
a tutti!
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Allora, che ne dite del nuovo banner? Vi
piace, o vi fa schifo?
Spero di più la prima, ma ditemelo se
non vi piace, eh.
Buona lettura!
Pov
Avril
La
serata
stava prendendo una brutta piega, una brutta, bruttissima e orribile
piega.
Non
solo tra i miei nuovi vicini c’era lui,
ma mi stava anche facendo
impazzire con quel suo stupido giochetto.
E
che giochetto…
All’inizio,
tra provocazioni e punzecchiamenti
vari, non avevo capito dove volesse andare a parare, ma quando avevo
sentito la
sua mano che mi sfiorava le gambe, beh…non ci avevo capito
più nulla.
Da
una parte – quella più irrazionale,
s’intende –
volevo che continuasse quel gioco perverso che aveva iniziato, anche di
fronte
a mia madre, se fosse stato necessario.
Ma
per fortuna, quel briciolo di parte razionale
che mi era rimasta, mi aveva praticamente urlato di farlo smettere, per
tre
semplici ma fondamentali ragioni.
Primo,
se mia madre ci avesse scoperti, mi avrebbe
sicuramente spedito in quel convento in cui tanto desiderava che
andassi. Non
che fosse più tragico che essere bloccata qui, ma sarebbe
stato meglio evitare
complicazioni.
Secondo,
se i suoi fratelli ci avessero beccato,
avrebbero lodato lui per aver confermato quell’aura da
“Cazzone-non-mi-perdo-una-scopata”, e avrebbero
denigrato me per essere caduta
così facilmente nella sua trappola.
Per
ultimo, ma non meno importante, avrei tanto voluto
che si fermasse per riprendere il controllo del mio corpo, e per
spiaccicargli
quella faccetta da stronzo che si ritrovava.
Sante
cameriere che ci avevano interrotto!
Ma
la serata, ovviamente, non poteva migliorare dopo il nostro piccolo
“siparietto”. No, troppo semplice!
Ed
era allora che Judy aveva perso una buonissima, anzi, ottima occasione
per
stare zitta, e aveva raccontato cose imbarazzanti su di me.
Tra
l’altro, sospettavo che la metà delle cose di cui
abbia blaterato, se le fosse
totalmente inventate, perché la maggior parte parlavano di
episodi
spiacevolissimi, per la mia autostima, ovviamente, di quando ero ancora
piccola, e non mi sembrava che lei fosse stata tanto presente durante
la mia
infanzia.
Ero
talmente persa nei miei sproloqui mentali, da non accorgermi che lo stavo ancora fissando negli occhi.
I
nostri sguardi si incrociarono per un breve secondo, prima che Judy
interrompesse quella nostra bolla privata e mi chiedesse cosa non
andasse.
“Devo
parlarti.” le dissi rudemente.
“Non
puoi farlo più tardi?” mi chiese, sorridendo
falsamente agli ospiti, per non
dare l’impressione che stessimo litigando.
Perché
quando avevo l’impressione che per Judy ci potesse essere un
cambiamento
positivo, lei distruggeva tutte le mie speranze e si comportava peggio
di una
stronza in menopausa?!
Beh,
stronza era stronza, chissà se…
“No,
lo devo fare ora”
Sospirò
sonoramente, e prendendomi per un braccio per scostarmi dal resto degli
invitati, mi chiese brusca:”Insomma, si può sapere
che diavolo ti prende?”
Mi
liberai malamente dalla presa, e quasi le gridai in faccia.
“Me ne vado a
letto, Judy.”
“COSA?”
urlò, commettendo il più banale degli errori.
Anche lei, per quanto stupida
fosse, se ne accorse, e fece un altro sorrisino di circostanza, come a
voler
minimizzare la cosa.
“Allora?”
mi chiese, a bassa voce stavolta.
“Oh
andiamo, non fare finta di essere più stupida di quanto tu
già non sia! Dì che
sono stanca, o che non mi sento bene, l’importante
è che ti inventi una scusa,
perché rischio di sfondare qualche specchio in giro se
rimango ancora qui!”
Oh-oh, vidi la vena pulsarle sulla fronte.
“Cosa
credi di fare tu?! Sei stata tutto il giorno in giro e adesso, adesso
che ho
ospiti, mi dici che sei stanca? No, troppo facile così, tu
resti fino alla
fine!” disse andandosene, come se il discorso fosse
definitivamente chiuso.
Ah,
se potessi qualche specchio lo romperei davvero!
“Tutto
ok?” mi chiese una voce da dietro le spalle.
Perfetto,
ecco la mia ciliegina sulla torta, i fuochi d’artificio che
mi avrebbero
permesso di chiudere nella merda questa ancora più merdosa
serata.
“Certo,
tutto perfetto. Come sempre, una meraviglia.”
Lui
ridacchiò e con fare divertito mi chiese:”Sbaglio,
o siamo un po’ nervosette?”
“Ah,
e io che perdo anche il mio tempo con te!” dissi, dandogli le
spalle e
incominciando a raggiungere il gazebo, isolato da tutti.
“Aspetta!”
mi disse raggiungendomi e cercando di afferrarmi per un braccio.
Lo
scostai malamente e continuai a camminare, sempre più
nervosa e agitata.
Volevo
andarmene da quella situazione il più in fretta possibile, e
magari non
rivedere Evan per i prossimi dieci anni. O secoli…
“Ehi
fermati, ti prego.” mi disse ancora, non dandosi per vinto, e
riuscendo a
raggiungermi per la seconda volta.
Inaspettatamente,
mi circondò con le sue braccia e mi spinse accanto al muro
coperto dal gazebo.
Merda,
ora ero bloccata tra la parete e i suoi occhi disarmanti.
“Che
cazzo vuoi fare?” gli chiesi, cercando di allontanarlo
ulteriormente, ma senza
successo.
Non
mi riconoscevo più. Ero completamente inerme, intimorita,
spiazzata, davanti a
lui. La mia maschera da falsa dura non lo avevano scalfito nemmeno un
po’, e
non volevo assolutamente che il suo sguardo facesse breccia nel mio
muro
difensivo che mi ero creata.
“Io…non
voglio farti niente…niente che tu non voglia” mi
confessò.
“Quello
che voglio io sono cazzi miei! E adesso lasciami” gridai.
“Ssh,
sta’ zitta…” mi sussurrò
appena, in una maniera che non riuscì a vedere come
minacciosa.
Bloccò
ogni mia possibile ribellione, avvicinò piano il suo viso al
mio, chiuse gli
occhi e appoggiò le sue labbra sulle mie.
Era
un bacio intenso, dolce e delicato.
Sentivo
le sue labbra che soffici e leggere succhiavano le mie, piano, come se
avesse
paura di farmi male.
Io,
invece, ero completamente ferma, rigida e immobile.
Volevo
ricambiare il suo bacio, ma me ne stavo lì, bloccata e con
le braccia lungo i
fianchi.
Poi,
proprio quando stavo pensando di lasciarmi andare, lui fermò
quel meraviglioso
contatto, allontanò le sue labbra dalle mie e mi
sussurrò un flebile “scusa”,
prima di abbassare gli occhi e di andarsene con la testa bassa e le
spalle
ricurve.
Ritrovai
la lucidità che mi era mancata, e senza dire una parola me
ne tornai dagli
altri.
Ero completamente frastornata dalle sensazioni che lui e quel bacio mi
stavano
provocando, persa nel ricordo delle sue labbra sulle mie e di come mi
accarezzavano con una gentilezza disarmante.
Avevo paura,
molta paura, per le emozioni che sentivo dentro.
Riuscivo a
distinguere però, che la mia paura non era dovuta al fatto
che ci potessero
scoprire, o al fatto che lui potesse pretendere di più da me
dopo quel
contatto.
No.
Avevo paura,
perché
semplicemente volevo che quel bacio continuasse.
Volevo che le sue
labbra tornassero a sfiorare le mie, che le nostre fronti si toccassero
e che i
nostri sguardi si perdessero l’uno nell’altro.
E tutto
ciò era…sbagliato.
La
mia mente, per fortuna, riesce a captare che la seconda portata stava
per
essere servita da Dolores, che mi squadrò con uno sguardo
indagatore che non mi
piacque affatto.
Scattai
in piedi, percorsa dalla consapevolezza di non riuscire più
a ragionare
coerentemente.
Molto
meglio scappare, che rimanere ad affrontare una situazione a dir poco
complicata.
Vidi
l’occhiata che mi riservò Judy, a dir poco furente.
“Scusate...
non mi sento molto bene, credo
proprio che andrò a riposarmi. Buona
continuazione.”
Così,
scappai per la seconda volta in una sera dal suo sguardo, dai suoi
occhi che mi
fissavano perplessi e pieni di rimorso, come se il problema fosse stato
lui e
non io.
Sentii
il sangue fluire velocemente sulle mie guance per
l’intensità del suo
sguardo.
Mi
allontanai il più in fretta possibile, senza correre, con
una tranquillità che
in quel momento non mi apparteneva affatto.
Arrivata
in camera, mi lasciai cadere sul mio letto, esausta e totalmente
confusa.
Mi
toccai con le dita più volte le labbra, prima di cadere in
uno stato di
incoscienza popolato da occhi azzurri e capelli biondi.
P.S.
Gironzolando un po’ su internet, ho trovato un video su Evan
e Avril, che mi ha
fatto lanciare le peggiori imprecazioni, ma comunque…
Diciamo
che Evan vorrebbe fare una certa cosa, ma Avril non gliel’ ha
lasciato fare,
ecco.
Non
voglio anticiparvi niente, ma se non avete mai visto questo
video, fatelo!---> Video Evan
e Avril
|
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Capitolo 18 *** The new president of the United States of America ***
Eilà,
salve a tutti!
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Ok,
buona lettura con questo nuovo capitolo, tutto Pov Evan.
Alla
prossima!
Pov
Evan
Se
prima la serata era stata
accettabile, adesso era decisamente orribile.
Non
ci voleva di certo un
genio, per capire cos'era che facesse la differenza.
Lei,
che mi aveva baciato e
mi aveva morso il labbro, scappando.
Lei,
che si era prestata al
mio giochetto perverso, che a quanto avevo capito, le era anche
piaciuto.
Lei,
che dopo il nostro
ultimo bacio, era corsa via. Di nuovo.
Maledizione,
se solo ci
penso...non mi era mai capitato di essere rifiutato in maniera
così decisa da
una ragazza.
Chissà,
forse i genitori, per
quanto stupidi fossero, non volevano che si fidanzasse con qualcuno.
O,
forse, non le piacevo io.
In fin dei conti, l'aveva detto chiaro e tondo quello che pensava di
me, e in
un certo senso, non potevo darle torto.
Poi,
con il giochino e con il
bacio sotto il gazebo, non avevo di certo migliorato la mia reputazione.
Avevo
capito che non voleva
quel bacio quanto lo volessi io.
L'avevo
presa in contropiede,
si era irrigidita, e tanti bei saluti al bacio romantico.
Non
mi voleva, era chiaro.
Ma
allora...perchè avevo
visto quel luccichio di eccitazione nei suoi occhi, quando avevo quasi
sfiorato
i suoi slip con la mia mano?
No,
tutto ciò non tornava.
"Ehi
Evan, ci sei?"
mi chiese Annie, sventolandomi una mano vicino alla faccia.
"Cosa?
Oh si,
certo."
"Mmh...dai,
spara"
"Cosa
dovrei
sparare?"le chiesi stralunato.
"Oh
andiamo, ti conosco
come le mie tasche"
"E...?"
Non sapevo
dove volesse andare a parare.
"Quando
fai
quell'espressione, vuol dire che ti preoccupa qualcosa, e vorresti
avere
qualcuno con cui parlarne. Perciò, spara." mi disse, alzando
gli occhi.
"Beh
ecco, si. Qualcosa,in
effetti c'è" dissi, pensieroso.
Inarcò
le sopracciglia, come
a volermi invitare ad andare avanti.
"Allora...diciamo
che,
ci sono due persone. Un ragazzo e una ragazza."
"Ok"
Incrociò le
braccia.
"Ecco,
il ragazzo...è
uno che ci sa molto fare con le donne...ma nonostante tutto, non
scalfisce
nemmeno un po’ il guscio della ragazza. Perchè non
ci riesco...non ci
riesce?" finii, sperando che non si fosse accorta del mio errore.
"Oh
beh, le cause
possono essere molte. Può darsi che a questa ragazza non
piaccia lui, o che non
voglia storie serie, o che abbia un ragazzo..." disse, iniziando a
parlare
a macchinetta.
L'ultima
frase mi colpì.
"Un ragazzo?" chiesi.
Si
alterò improvvisamente.
"Non è che il mondo gira intorno a te, sai. Lei si
è trasferita da poco
qui, quindi può essere che prima avesse un ragazzo con
cui..." disse con
una scrollata di spalle, ma la fermai.
"A...aspetta...io
non....non stavo parlando di me e...." Non ebbi il coraggio di finire
la
frase.
"Certo,
e io sono il
nuovo presidente degli Stati Uniti" mi disse, dandomi un pizzicotto
sulla
guancia.
"Grazie...Annie"
sussurrai.
"Quando
vuoi"
rispose con un sorrisino angelico, e se ne andò.
Mmh,
un ragazzo.
Beh,
riflettendoci, poteva
essere, anzi, era molto probabile che una ragazza come lei
già lo avesse.
A
questo pensiero, sentii uno
strano prurito alle mani e una fitta allo stomaco mi percorse.
Non
capii subito cosa fosse.
Forse, era il gelato.
Per
distrarmi, conversai con
i miei fratelli e con la madre di Avril, Judy, scoprendo che, per mia
fortuna o
sfortuna - dovevo ancora decidere - io e la mia stella saremmo andati
nella
stessa scuola, durante l'anno scolastico.
Ma,
con mia grande rabbia, il
pensiero che lei potesse avere un ragazzo, non mi abbandonava.
Era
diventato un pensiero
fisso, come un rubinetto che perde, impossibile da riparare o ignorare.
Plic.
Plic Plic. Fidanzata. Fidanzata.
Fidanzata.
Basta,
avevo deciso.
Sarei
andato direttamente da
lei a chiederglielo, così mi sarei tolto il pensiero una
volta per tutte.
Mi
alzai deciso, e chiesi
gentilmente alla signora Mitchell dove fosse il bagno, e scappai da
quell’inferno,
pronto invece per quello personale.
Non
sapendo dove fosse la sua
camera, fermai la cameriera e le feci un po’ di moine, tanto
per estorcerle l’informazione.
“Oh…s-si,
ecco, salga le
scale, prenda il corridoio a…a sinistra, salga ancora
e…l’ultima porta in
fondo, si…” disse, fissando il mio sorriso.
Non
ringraziai neanche, e mi
diressi verso la direzione indicata dalla cameriera.
Poverina,
forse si stava
ancora riprendendo…
Presi
un bel respiro, e aprii
la porta della camera.
La
vidi sdraiata sul letto girata
sul fianco destro, con le gambe a penzoloni che sporgevano oltre il
bordo e le
mani sotto la testa, a formare una specie di cuscino.
Aveva
gli occhi chiusi e i
capelli biondi scompigliati sparsi sul cuscino.
Non
potei fare a meno di
pensare a quanto fosse bella.
“Posso?”
le chiesi,
dolcemente.
Al
suono della mia voce si alza di scatto dal letto, rischiando di cadere
a causa
dei tacchi, e così per evitare lividi e sbucciature varie,
l’afferro al volo, stringendola
a me.
“Potevi
semplicemente dire di si, senza rischiare la vita”
dissi, ridacchiando.
“Bene,
ora che mi hai preso in giro, te ne puoi anche andare!”
disse, liberandosi
dalla mia presa.
“Oh…va
bene, io ero solo venuto a vedere come stavi…” e a
togliermi giusto uno o due
milioni di dubbi…”ma, se non gradisci la mia
compagnia, me ne vado, non
preoccuparti” le dico, facendo per andarmene.
“No….”
“No,
cosa?” Mi girai.
“Non
voglio che te ne vai, è solo che…quella stupida
cena mi ha fatto un po’ saltare
i nervi…”
Oh,
perfetto, adesso la colpa è mia! Che stupido!
“No,
non fraintendermi, non eri tu il problema…sai, mia madre,
Phil, questi vestiti,
la villa…non è facile, per me”
concluse, abbassando lo sguardo.
“Ehi,
ti va di parlarne?” le chiesi, alzandole il mento con un dito.
“S-si…”
Arrossì di colpo, e io ritirai la mano. “Beh
ecco…io, io non vivevo nel lusso
che c’è qui. Non è esattamente il mio
mondo, questo” disse, sorridendo all’ultima
frase.
“So
che vivevi nell’Ontario”
“Si,
era una piccola città, meno di 16.000 abitanti…ci
conoscevamo tutti.”
“E
vivevi lì con tuo padre?” chiesi serio.
Lei
s’irrigidì per un momento, ma poi mi rispose.
“Si, in realtà lui è ancora
lì,
credo…” Abbassò ancora lo sguardo, e
vidi qualcosa di luccicante scendere sulle
sue guance.
Alle
lacrime, si unirono poi anche alcuni singhiozzi trattenuti.
“Ti
manca molto, vero?”le chiesi, comprensivo.
Lei
annuì, e scacciò via le lacrime dal suo viso.
“Beh,
vedila così, qui ci sono decisamente molte più
piste per andare con lo skate. Ho
visto il tuo, oggi pomeriggio”.
Non
so come, ma riuscii a farla ridere. “Giusto, e io ho visto il
tuo”
“Giusto”
le risposi, facendole l’occhiolino.
Le
guance le s’inondarono ancora di quel dolce rossore, e decisi
che era il
momento di agire.
“Ma…oltre
a tuo padre, ecco…” cercai di dirle.
“Che
vuoi sapere?”
“Si,
insomma, come dire…”
“Non
ci credo, Evan Taubenfeld imbarazzato, questo sì che
è un giorno da ricordare”
disse, ridendo.
Perfetto,
ora sì che la parte da imbranato funzionava…
Presi
un respiro profondo, e dissi tutto di un fiato “Avevi un
fidanzato?”
Lei
era completamente rigida, con lo sguardo dritto e fisso su di me.
Improvvisamente,
squillò un cellulare, ma lei era ancora persa nei suoi
pensieri.
“Ehm,
Avril? Il cellulare” le dissi, con un piccolo scossone.
“C…cosa?”
“Il
cellulare. Ti sta squillando” dissi tranquillo.
“Oh…”
disse, e si alzò in fretta e furia per prenderlo.
Appena
vide il numero sul display, i suoi occhi si illuminarono di nuovo, e un
sorriso
le si dipinse sulle labbra.
Chiunque
fosse, ero già invidioso di lui, perché era
riuscito a farle rispuntare il
sorriso, cosa che io non avevo fatto.
“Ehi
ciao…è da una vita che non ci si sente. Si,
dovresti vedere in che posto mi
sono trasferita, un manicomio praticamente!”
Continuò
così per almeno dieci minuti, tempo in cui io mi stavo
scervellando tra tre
domande.
Primo,
chi era il misterioso interlocutore al telefono?
Secondo,
in che rapporti era con Avril, visto che l’aveva fatta
sorridere soltanto
guardando il suo numero?
Terzo,
aveva o no un fidanzato?
Cazzo,
cazzo, cazzo!
Stavo
per perdere la pazienza, e stavo quasi per dirle che me ne sarei andato
per non
disturbarla ulteriormente, quando una frase catturò la mia
attenzione.
“Si,
mi manchi anche tu, e non sai quanto!” Sospirò
“Si, mi rende la vita molto
difficile, non sono neanche libera di chiamarti quando mi pare e
piace!” Sbuffò
“Si, anche tu sei sempre nei miei pensieri, come sempre. Va
bene, non vedo l’ora
di risentirti. Chiamami presto. Ciao” disse, e chiuse la
chiamata.
D’improvviso,
tutto si fece chiaro nella mia mente.
Il
morso sul labbro, la corsa sullo skateboard, la sua antipatia iniziale
nei miei
confronti, il bacio che non aveva ricambiato e il suo tentennamento a
dire se
fosse fidanzata o no.
Adesso,
tutto aveva un senso.
“Scusa,
era…” disse, ma io la anticipai. Non volevo
più starla a sentire.
“Si,
so benissimo chi era. Non preoccuparti, risparmia le solite cazzate,
non serve”
dissi, scuotendo la
testa e uscendo.
Poi,
sentii tre rumori distinti, susseguirsi.
La
porta, che sbatteva violenta.
Un
bicchiere, che s’infrangeva contro di essa.
I
miei passi, che silenziosi e veloci, scendevano le scale, e
desideravano di non
aver mai messo piede nella sua stupida camera.
|
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Capitolo 19 *** My World ***
Salve
gente! ;)
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Ok,
buona lettura con questo nuovo capitolo, metà Pov Avril e
metà Pov Evan.
Al
prossimo
capitolo.
Pov
Avril
Evan
uscì dalla mia stanza
sbattendo la porta con forza, probabilmente attirando l'attenzione
degli
invitati al piano di sotto.
Che
razza di coglione....
Ma
chi cazzo si credeva di
essere?!
Uno
stronzo, ecco cos'era. Un
grandissimo stronzo pieno di sé, che l'attimo prima mi
trattava con una
dolcezza disarmante, e l'attimo dopo mi trattava come se fossi una
merda da
schiacciare con le sue fottutissime scarpe firmate.
Per
la rabbia, presi il primo
oggetto che mi fu a tiro, un bicchiere di vetro pieno d'acqua, e lo
scagliai
contro la porta dalla quale era uscito.
Il
bicchiere fece un rumore
assordante, rompendosi in mille pezzi e macchiando il legno della porta
con un
alone scuro.
"Fanculo..."
gridai
e mi distesi ancora sul letto, a gambe incrociate.
Non
capivo affatto il suo
comportamento. Proprio per niente.
Qual'era
il problema, il
principino doveva controllare la sua agenda fitta di impegni, e non
poteva
trattenersi oltre?
Gli
appuntamenti del granduca
reale non potevano essere posticipati di qualche minuto per una
telefonata, che
aspettavo dal momento in cui avevo messo piede in questa casa infernale?
No,
troppo semplice per lui fare
la parte del bravo ragazzo e aspettare che la telefonata con mio padre
finisse,
certo...
La
sua reputazione ne avrebbe
sicuramente risentito.
"Fanculo
un'altra
volta" dissi, stendendomi su un fianco e aspettando che il sonno mi
prendesse.
Nella
stanza regnava il
silenzio più totale. Almeno a Napanee ci sarebbero state le
zanzare o le mosche
a farmi compagnia con i loro ronzii...qui invece, niente, nulla,
soltanto i
fastidiosi ticchettii dell'orologio, e i miei respiri che si
susseguivano
agitati mentre mi rigiravo tra le coperte.
Tic. Tac. Tic. Tac. Tic. Tac.
E
no, basta!
Così
avrei sfiorato la
pazzia....sempre che non si fosse già fatta strada dentro di
me.
Se
il sonno non si voleva
decidere a farmi visita, che se ne andasse a quel paese. Lui, e un
ragazzo
biondo di mia conoscenza.
Accesi
il lume vicino al
letto, e con grande cautela, mi avvicinai all'angolino che conteneva
l'oggetto
che mi era più caro al mondo, dopo il mio skate.
Presi
la custodia del mio
strumento, la aprii e ne estrassi la chitarra, poggiandola poi sulle
mie gambe.
Ne
accarezzai il manico
lucido, la cassa, per poi passare alle corde, alle quali dedicai
più tempo.
La
accordai per bene, e feci
un paio di accordi a vuoto, per calmarmi.
Di
solito funzionava, ma
quella sera no.
Non
riuscivo a non pensare
all'irritazione che covavo per Evan, per non essere in grado di capire
cosa
diavolo gli fosse passato per la mente.
Non
riuscivo a non pensare alla
telefonata, a mio padre, che cucinando da solo, per fortuna non era
ancora
morto di intossicazione alimentare.
Non
riuscivo a non pensare a Napanee
e alle persone che avevo lasciato, alle quali, a detta di mio padre,
mancavo
molto.
In
particolare, il mio
cervello riesumò un ricordo, che credevo essere spazzato via
dal tempo.
Apparteneva ad un'altra vita, ad un altro tempo, un tempo in cui
credevo di
essere felice. Una sera d'estate, in cui fui accompagnata da mio padre
dai miei
vicini di casa, i Carter, perchè volevo provare a "essere
indipendente"
e a "guadagnare il pane con il sudore della fronte", come diceva di
fare lui.
Ovviamente,
non potevo andare
in giro ad interrogare e arrestare le persone, ma mi limitai ad un
lavoro più
consono per una bambina di 11 anni, tagliare l'erba del giardino dei
miei
vicini.
Nella
foga di iniziare il
lavoro, il signor Carter non mi spiegò come si frenava con
il tosaerba su cui
ero salita, e così andai a sbattere contro il muretto che
divideva la loro casa
dalla nostra.
Io,
per fortuna, non mi feci
niente. Il giardino del signor Carter, invece...
Sorrisi
al ricordo. Era bello
scoprire di ricordare ancora qualcosa della propria infanzia.
Le
dita iniziarono a cercare degli
accordi che si stavano formando nella mia mente.
Mmh...mi
piaceva come
suonava.
Continuai,
sentendomi sempre
meglio man mano che gli accordi risuonavano nel silenzio avvolgente
della
stanza.
Piano
piano, incominciai ad
associare delle parole, che divennero così frasi, e poi
versi. Versi che
rappresentavano...il mio mondo.
Please tell me what
is takin' place,
‘Cause I
can't seem
to find a trace,
Guess it must have
got erased somehow,
Prabablly because I
always forget,
Everytime someone
tells me their name,
It's always gotta
be the same.
(In my World)
Never wore cover-up,
Always beat the
boys up,
Grew up in a five
thousand population town,
Made my money by
cutting grass,
Got fired by fried
chicken ass,
All in a small
town, Napanee.
You know I always
stay up without sleepin',
And think to myself,
Where do I belong
forever,
In whose arms, the
time and place?
Can't help if I
space in a daze,
My eyes tune out
the other way,
I may switch off
and go in a daydream,
In this head my
thoughts are deep,
But sometimes I
can't even speak,
Will someone be and
not pretend? I'm off again in my World
I never spend less
than an hour,
Washin' my hair in
the shower,
It always takes
five hours to make it straight,
So I'll braid it in
a zillion braids,
Though it may take
a friggin' day,
There's nothin'
else better to do anyway.
When you're all
alone in the lands of forever,
Lay under the milky
way,
On and on it's
getting too late out,
I'm not in love
this time this night.
Can't help if I
space in a daze,
My eyes tune out
the other way,
I may switch off
and go in a daydream,
In this head my
thoughts are deep,
But sometimes I
can't even speak,
Will someone be and
not pretend? I'm off again in my World
la la la la
Take some time,
Mellow out,
Party up,
I don't fall down,
Don't get caught,
Sneak out of the
house.
Can't help if I
space in a daze,
My eyes tune out
the other way,
I may switch off
and go in a daydream,
In this head my
thoughts are deep,
But sometimes I
can't even speak,
Will someone be and
not pretend? I'm off again in my World
Can't help if I
space in a daze,
My eyes tune out
the other way,
I may switch off
and go in a daydream,
In this head my
thoughts are deep,
But sometimes I
can't even speak,
Will someone be and
not pretend? I'm
off again
in my World
Per
favore ditemi cosa sta accadendo,
Perché sembra che non riesca a capire nulla
Credo sia stato cancellato in qualche modo
Probabilmente perché dimentico sempre
Ogni volta che qualcuno mi dice il suo nome
Sarà sempre lo stesso.
(Nel mio mondo)
Non mi sono mai truccata tanto
Ho sempre picchiato i ragazzi
Sono cresciuta in una cittadina di 5000 persone
Ho fatto i soldi tagliando l'erba
Sono stata licenziata da un culo di pollo fritto
Il tutto in una piccola cittadina, Napanee.
Sai che sto sempre sveglia
E penso
A quale posto apparterrò per sempre
In quali braccia, l'ora e il luogo?
Non posso fare a meno di fantasticare
I miei occhi sono sintonizzati su un altro mondo
Potrei spegnermi e entrare in un sogno ad occhi aperti
In questa testa i miei pensieri sono profondi
Ma a volte non riesco nemmeno a parlare
Qualcuno vuol essere se stesso e non fingere?
Sono di nuovo spenta, nel mio mondo
Non passo meno di un'ora
Sotto la doccia a lavarmi i capelli
Ci vogliono sempre cinque ore per stirarli
Allora li intreccio in un miliardo di treccine
Sebbene ci voglia un fottuto giorno
Non c'é comunque nient'altro di meglio da fare
Quando sei tutto solo nelle terre eterne
Mettiti sotto la via lattea
Piano piano si fa tardi
Non sono innamorata questa volta, questa notte
Non posso fare a meno di fantasticare
I miei occhi sono sintonizzati su un altro mondo
Potrei spegnermi e entrare in un sogno ad occhi aperti
In questa testa i miei pensieri sono profondi
Ma a volte non riesco nemmeno a parlare
Qualcuno vuol essere se stesso e non fingere?
Sono di nuovo spenta, nel mio mondo
La
la la la
Prendi tempo
Addolcisciti
Festeggia
Non cederò
Non farti afferrare,
Sgattaiola via dalla casa
Non posso fare a meno di fantasticare
I miei occhi sono sintonizzati su un altro mondo
Potrei spegnermi e entrare in un sogno ad occhi aperti
In questa testa i miei pensieri sono profondi
Ma a volte non riesco nemmeno a parlare
Qualcuno vuol essere se stesso e non fingere?
Sono di nuovo spenta, nel mio mondo
Non posso fare a meno di fantasticare
I miei occhi sono sintonizzati su un altro mondo
Potrei spegnermi e entrare in un sogno ad occhi aperti
In questa testa i miei pensieri sono profondi
Ma a volte non riesco nemmeno a parlare
Qualcuno vuol essere se stesso e non fingere?
Sono di nuovo spenta, nel mio mondo
E
fu così, che tra ricordi e note
appena accennate, il sonno mi divenne amico e mi addormentai.
Pov
Evan
Dopo
essere uscito dalla camera
di Avril, ero arrivato appena in tempo in giardino per andare via con
la mia
famiglia.
"Oh,
guarda un po' chi
si rivede..." mi sussurrò Annie, sorridendo sarcastica.
"Annie...per
favore, non
è il momento adatto adesso" dissi a denti stretti.
Lei
stava per ribattere, ma
per fortuna fui salvato in calcio d'angolo dalla signora Mitchell, che
mi
trascinò via da mia sorella.
"Oh
Evan, sei stato
dalla mia Avril, vero? Come sta la mia bambina?" mi chiese.
Ovviamente,
sapeva meglio di
me che "la sua bambina" non aveva proprio un bel niente e che era
solo una scusa per allontanarsi dalla cena.
Credevo
che avessero litigato
per questo, ma preferii non dirle niente e stare al gioco.
Le
feci un sorriso
smagliante, e nel mio tono da "educato" le dissi:"Non si
preoccupi, signora Mitchell. Sua figlia ha solo un po' di mal di testa,
ma
credo che con un po' di riposo le passerà tutto, stia
tranquilla."
Bene,
la laura in medicina
per il miglior medico di Los Angeles e dintorni, fu assegnata a...Evan
Taubenfeld!
Lei
annuì con fare fintamente
preoccupato, e si girò per poi dirigersi verso suo marito.
I
saluti, alla fine della
serata, si protrassero per un bel po'.
Contavo
i secondi che trascorrevano
lenti, e ad ogni secondo che passava, immaginavo di dare una testata
contro il
muro.
Una
testata. Due testate. Tre
testate...
I
finti convenevoli e le
stucchevoli promesse di ripetere la serata finirono prima della mia
cinquecentocinquantasettesima testata, e così fui libero di
respirare.
Io
e la mia famiglia entrammo
in macchina, e dopo pochi minuti arrivammo a casa. Salii le scale,
impaziente
di rifugiarmi nel mio "rifugio felice", nel mio mondo.
Sulla
soglia della mia
camera, però, mia madre mi si avvivinò e mi
sussurrò con fare dolce:"Ti
sei comportato bene con la ragazza, vero Evan?"
Inizialmente
decisi di non
rispondere, perchè non volevo mentire a mia madre.
Sapevo
di non essermi
comportato bene, ma il problema non ero di certo io...era lei, che
aveva la
colpa di tutto.
Così,
optai per una mezza
verità:"Non ti preoccupare mamma, sono solo andato a
controllare che
stesse bene. Non credo che comunque il mal di testa le importi qualcosa
adesso,
quindi....Buonanotte." conclusi, dandole un bacio sulla guancia ed
entrando in camera mia.
Appena
entrai, mi spogliai
della giacca e dei pantaloni firmati, li buttai sul letto e restai solo
in
boxer e canottiera.
Andai
ad aprire la finestra,
mi sporsi sul piccolo balcone che si affacciava sul giardino e mi
accesi una
sigaretta.
Sapevo
che fumare mi faceva
male, ma in quelle poche occasioni in cui ero nervoso, non riuscivo
proprio a
farne a meno.
Aspirai
velocemente, cercando
di svuotare la mente, rilassare i nervi e osservare il cielo stellato
sopra di
me.
Più
osservavo la lucentezza e
il bagliore che emanavano le stelle sopra la mia testa, più
mi ricordavo del
suo luccichio che aveva negli occhi quando l'avevo toccata.
Mi
ricordavo del profumo dei
suoi capelli che avevo sentito quando l'avevo stretta a me, per
impedirle di
cadere.
Mi
ricordavo delle sue gote
che s'imporporarono di rosso, quando la madre ci parlò a
tavola di suoi alcuni
episodi spiacevoli successi da bambina.
Ma
soprattutto, mi ricordavo
delle sue labbra, di quelle labbra piccole e rosse che avevo baciato e
adorato
due volte.
Merda!
Era tutto inutile,
cazzo!
Gettai
per terra la sigaretta,
frustato con me stesso e con lei.
Ma
non poteva restarsene in
quel buco di paese, invece di venire qui a complicarmi la vita?
Gliel'avrei
fatta pagare,
questo era chiaro.
Volevo
vendetta, e l'avrei
avuta. A qualsiasi costo.
Forse,
pensandoci, sapevo già
dove avrei potuto gustarmela, quel piccolo pezzo di rivincita che
adesso tanto
agognavo.
Se
credeva che trasferirsi da
sua madre fosse un inferno, non sapeva ancora cosa l'avrebbe aspettata
a
scuola.
Mai
mettersi contro Evan
Taubenfeld!
|
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Capitolo 20 *** Goodmorning, guys! ***
Ehilà
people! ;) Abbiamo nuove news per Rock N Roll sotto.
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- Beliectioner_FE_love_FE - Look_at_the_sky - RamonaLBS-
Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - Brazza - Hakkj - Look_at_the_sky - RamonaLBS
ULTIME
NEWS SU ROCK N ROLL
Buone
notizie, il video è stato confermato per il 20 agosto,
quindi tra 5 giorni
esatti. Evvai!
Qui
c’è il primo teaser-----> http://www.youtube.com/watch?v=AFanUahZyxQ
Qui
il secondo-----> http://www.youtube.com/watch?v=w9P9hqFPVGE
Qui
il lyric video----->http://www.youtube.com/watch?v=lI7GjcpdI4A
Ok,
buona lettura a
tutti.
Pov
Avril
Un
detto recitava che il
buongiorno si vede dal mattino.
Bene,
la mia giornata sarebbe
stata di merda.
Esattamente
venti minuti dopo
che mi ero finalmente addormentata senza che il suo
volto mi apparisse davanti agli occhi, con i nervi a pezzi e
l'irritazione a mille, Judy si era presentata in camera mia gridando
molto
dolcemente di "alzare quel culo", e proseguendo la sua opera aprendo
le tende della finestra, per illuminare la camera con il "tipico calore
del sole californiano".
Peccato
che la luce negli
occhi di prima mattina, non abbia mai contribuito esattamente a rendere
le
persone più rilassate, specialmente se queste persone
avevano passato la notte girate
e rigirate tra le coperte in cerca di un briciolo di sonno, come me.
Che
genio quella donna!
Quando
pensavo che avesse
toccato il fondo con la sua stupidità, ecco che mi
sorprendeva, facendo
qualcosa di ancora più stupido e insensato.
Già,
perché se il momento del
risveglio era stato abbastanza difficile, quello in cui avevo scoperto
la
divisa della scuola, era stato totalmente terrificante!
Una
larga camicia grigia, un
foulard nero da mortorio e una gonna grigio scuro che probabilmente mi
arrivava
fino al ginocchio, se non oltre, facevano mostra di se in tutto il
loro...splendore,
appoggiate sulla sedia vicino alla mia scrivania.
Una
divisa per una scuola di
suore sarebbe stata tanto peggio? Non credo proprio.
"Io
quella roba non la
metto" avevo gridato, schifata.
Dopo
ben mezz'ora di opera di
convincimento che non era servito a nulla, ma dopo un ricatto che
invece si era
rivelato vincente, Judy mi aveva costretta a indossare quella specie di
obbrobrio,
che, ne ero certa, avrebbe distrutto quel poco di orgoglio personale
che mi era
rimasto.
"Oh
tesoro mio...sei
bellissima" disse Judy, appoggiandomi le mani sulle spalle, con la voce
rotta e sul punto di piangere.
Lei?!
Lei, che piangeva?!
Qui
l'unica che doveva
piangere ero io, per le figure di schifo che avrei fatto davanti a
tutti con
quella divisa da clausura!
Mi
allontanai dal penoso
riflesso di me stessa allo specchio e da quella scena patetica che mia
madre
aveva messo in atto, e scesi al piano di sotto, dove incontrai Dolores.
"Buongiorno,
signorina
Avril" disse, sorridendo.
Mmh,
ora le possibilità erano
due.
La
prima, essere scorbutica come
sempre, e non degnarla neanche di un saluto. Cosa che avrei potuto fare
benissimo.
La
seconda, fingere un briciolo
di gentilezza e buon senso, e salutarla così come lei aveva
fatto con me.
Beh,
forse un alleato mi
sarebbe stato utile in questa casa. A mali estremi...
"Buongiorno,
Dolores"
Ricambiai il sorriso.
"Vuole
fare
colazione?"
"Ehm...si,
grazie. Una
tazza di latte, se non è di troppo disturbo" sussurrai
appena. Non mi ero
ancora abituata alla servitù.
Lei
mi fece un cenno del capo
e mi invitò a sedermi all'enorme tavolo ovale, che regnava
nella stanza.
Pochi
minuti dopo, Dolores mi
si avvicinò con una tazza fumante in mano, che invece del
semplice latte che
avevo chiesto, conteneva caffè.
"Ma..."
cominciai a
protestare.
"Non
si preoccupi, le ho
dato questo perché le sue occhiaie urlano talmente sono
profonde." mi
spiegò.
Io
tentennavo ancora, sapevo
come la pensasse Judy su certi argomenti, e ci tenevo a risparmiarmi
una
ramanzina di prima mattina.
"Su
coraggio, beva. Deve
mettersi in forze, non vorrà certo mangiare tutte quelle
schifezze dietetiche
di sua madre, vero? La coprirò io" aggiunse, sorridendomi
complice.
Beh,
se lei mi voleva dare
una mano, chi ero io per rifiutare il suo aiuto?
Feci
spallucce e trangugiai
il caffè in un sorso.
Cavolo,
se era buono!
"Grazie,
Dolores"
le dissi, sorridente.
"Di
nulla" mi
rispose lei, e salii di corsa in camera mia.
Mi
infilai veloce le Converse,
prima che avesse qualcosa da ridere anche su quelle, e presi tutto
ciò di cui
avevo bisogno.
Lo
zaino, occhiali scuri, per
mascherare le occhiaie, telefono, lettore mp3, cuffie e ovviamente, il
mio
skate, per andare a scuola.
Scesi
le scale, ma appena
stavo per mettere il piede fuori di casa, Judy mi fermò.
"Avril..."
"Che
c'è, Judy?" le
chiesi, scocciata.
"Io
sono mamma per te,
non Judy. Comunque, non è di questo che ti volevo che
parlare"
"E
di cosa, allora?
Muoviti, devo andare a scuola, ricordi?"
"Certo
che si. Solo che,
mi chiedevo...cosa ci fai, con quello?" mi chiese, indicando lo skate.
"Mmh...pensavo
di
mangiarmelo, ma sai...troppe calorie, non fa per me" le risposi,
sarcastica.
Lei
mi schioccò un'occhiataccia,
che mi costrinse a risponderle seriamente.
"Oh
andiamo, cosa vuoi
che faccia con il mio skate? Ci vado a scuola, genio"
"Tu...tu
pensi veramente
che andrai a scuola...con quello?"
"È
quello che ho appena
detto. Che c'è, sei sorda per caso?"
"Tu
con quel coso non andrai
proprio da nessuna parte. Ci sarà Paul, ad accompagnarti"
Oh,
no!
Il
pinguino dell'altra volta.
Ma
perché la vita doveva
essere così difficile con me?!
La
stronza sorrise raggiante,
conscia che adesso quella in difficoltà fossi io, e si
allontanò.
Ero
sicura che se avesse
potuto ghignare maleficamente, l'avrebbe fatto.
Cazzo,
cazzo, cazzo!
Non
volevo che il primo
giorno di scuola fossi accompagnata da un autista con limousine, per
far vedere
agli altri quanto la mia famiglia fosse schifosamente ricca.
Non
doveva andare così, non
stavolta.
Accecata
dalla rabbia, salii
ancora in camera, mi tolsi quella stupida divisa, la infilai nello
zaino, e
indossai un paio di shorts con una maglietta nera con il teschio.
Ecco,
molto meglio.
Avevo
ancora un paio di
minuti, prima che Judy si accorgesse del mio piano.
Come
il pomeriggio
precedente, saltai da Alberello,
uscii di casa, e incominciai a correre sul mio skate.
Destinazione:
scuola.
Persona
indesiderata: Evan
Taubenfeld.
Pov
Evan
Bip. Bip. Bip.
Allungai
il braccio per
spegnere con violenza la sveglia sul comodino, mentre continuavo inerme
a
fissare il soffitto bianco, con gli occhi sbarrati.
Come
previsto, la notte era
stata insonne.
Per
alcune ore avevo cercato
di dormire, cambiando anche posizione, pensando che potesse giovare al
sonno.
Poi,
mi ero arreso, avevo
preso un libro e avevo incominciato a leggere.
Poche
pagine, in realtà,
perché l'irritazione aveva avuto la meglio e avevo chiuso
frustrato il libro,
continuando a pensare a lei per tutte le ore successive.
Cavolo,
possibile che in così
poco tempo, una ragazza mi avesse mandato in pappa il cervello?
Sempre
che io ce l'avessi, un
cervello...
Mi
alzai, tanto comunque
dovevo andare a scuola, e non volevo di certo sentire la voce di Annie
che mi
rompeva di prima mattina.
Andai
in bagno, aprii le ante
della doccia e incominciai a far fuoriuscire l'acqua, aspettando che il
getto diventasse
caldo.
Intanto,
mi osservai lo
specchio e scoprii con disgusto le occhiaie che mi si dipingevano sul
viso.
Cazzo,
si vedeva lontano un
miglio che non avevo dormito!
Sospirai,
e appena vidi la
leggera nebbiolina appannare i vetri della doccia, mi ci infilai subito.
Il
getto, come previsto, era
caldo e rilassante, e sciolse tutti i muscoli, che per l'insonnia,
erano
contratti.
Mi
insaponai per bene i
capelli e il corpo, cercando di non farmi finire il sapone negli occhi.
Appena
finii, mi avvolsi nel
grande asciugamano e mi asciugai velocemente.
"Evan?
Evan, ci
sei?" sentii mio fratello chiamarmi dall'altra stanza.
"Cazzo
vuoi, Matt?"
gridai. Che fratello rompicoglioni che mi ritrovavo.
"Uh,
nervosetti?"
mi chiese.
"Con
te, sempre"
gli risposi.
Finii
di asciugarmi e riposi
l'accappatoio al suo posto.
Mi
infilai i boxer e aprii il
grande armadio. Per fortuna che a scuola si indossava la divisa, anche
se mi
sentivo una mummia imbalsamata.
Poi,
improvvisamente, la
porta si spalancò e ne uscì un Matt tutto
sorridente.
"Ehi
fratello, ma non
sei ancora pronto? Noi andiamo, ma hai visto che ore sono?"
Che
ore sono? E che ore
potevano essere le 7...
Le
8....Le 8 e 20!
Cazzo,
era tardissimo!
"Si
si, voi andate...vi
raggiungerò dopo" dissi, e mio fratello sparì,
lasciandomi vestire in pace.
Ecco,
un fratello che se ne
andava, e una sorella che entrava.
"Ehm...Evan"
"Dimmi
Annie, cosa c'è?"
Non mi andava di essere scorbutico anche con mia sorella. Dopotutto,
lei mi
aveva aiutato...ieri.
"Ecco,
mi chiedevo...non
è che mi presteresti le chiavi della tua Ducati? Sai, io e
Drew volevamo inaugurare
così il primo giorno di scuola..."
"Si,
certo" la
rassicurai.
Presi
velocemente le chiavi
della mia moto, e gliele lanciai.
"Tieni.
Riportatemela
tutta intera, però" mi raccomandai, e uscii velocemente
dalla mia stanza,
non prima di aver preso lo zaino, e il mio skate nuovo di zecca.
Incominciai
a correre, sforzandomi
di non pensare il più possibile a lei,
ma
più mi concentravo, e più il mio cervello
maledetto si soffermava sugli episodi
della sera precedente.
Al
solo pensiero che l'avrei
rivista...
Arrivai
a scuola di corsa,
con il fiatone per la pura di aver fatto tardi.
Ed
eccola, come se si
sentisse chiamare, il mio incubo personale, colei che mi ha reso la
nottata un
inferno, andare in giro solo con degli shorts, che lasciavano ben poco
all'immaginazione, una t-shirt nera e senza divisa, per giunta.
Mmh...ecco
un ottima
occasione per vendicarmi.
Mi
avvicinai piano da dietro,
come ieri, ma lei questa volta non si spaventò e si
voltò verso di me.
"Taubenfeld,
cosa vuoi
da me?" mi chiese, acida, con le braccia incrociate al petto.
Solo
in quel momento mi resi
conto di averle bloccato il passaggio. I suoi occhi erano coperti da
grossi occhiali
scuri, che mi impedivano di verificarne lo sguardo.
Sorrisi
maligno.
"Ehi,
Mitchell, non puoi
sempre fare quello che vuoi. La divisa dov'è, eh?"
Ha
il capo chinato, le guance
rosse, letteralmente in fiamme e le mani chiuse a forma di pugno lungo
i fianchi.
"Non
osare....non
osare..." sibilò.
"Non
osare cosa
esattamente, Mitchell?"
"Non
devi chiamarmi
Mitchell, il mio cognome è Lavigne." disse, rialzando il
viso e
togliendosi gli occhiali, rivelando così il suo sguardo ma
anche le sue profonde
occhiaie.
Anche
lei aveva dormito poco,
evidentemente.
Continuai
con la mia piccola
vendetta. "Pff, come se me ne fregasse qualcosa. Io ti chiamo come mi
pare! Piuttosto, mancano solo dieci minuti, e sei ancora senza divisa.
Non vorrei
che ti espellessero il primo giorno di scuola, sarebbe una vittoria
davvero
troppo facile, per me"
Mmh...forse,
avevo un po'
esagerato, ma d'altronde, era lei che aveva cominciato.
Strinse
ancora di più i
pugni, facendo sbiancare le nocche.
"Senti,
se tu non mi avessi
bloccata, a quest'ora io starei già con la mia divisa
perfetta e in ordine a
ritirare l'orario in segreteria. E io che ti do pure corda. Sei solo
uno
stronzo figlio di papà, perbenista e snob!"
Cosa?!
Cosa
aveva detto?!
Mi
avvicinai a lei, con i
miei occhi lanciavano sguardi assassini dritti nei suoi.
Se
prima avevo voluto solo
vendicarmi, adesso volevo solo distruggere, distruggere lei e la sua
reputazione.
La
scuola era nel più
assoluto silenzio.
Tutti
i ragazzi aspettavano
una mia reazione, che di certo non sarebbe tardata ad arrivare.
"Ti
propongo una sfida,
Lavigne..." dissi, cattivo.
Lei
spalancò gli occhi, ma si
riprese subito. "Che genere di sfida?"
"Una
sfida in cui io sarò
il vincente e tu, mia cara, la perdente".
|
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Capitolo 21 *** Skate war ***
Vorrei
dedicare questo capitolo a E, perché senza i nostri scleri
sui Minions e sui bambini-fantasma, le serate non sarebbero
più le stesse. Grazie
bro!
Salve
a tutti! ^_^
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- Beliectioner_FE_love_FE - Look_at_the_sky - RamonaLBS-
Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - Brazza - Hakkj - Look_at_the_sky - Mary Fichera - RamonaLBS
Ok,
mancano solo due giorni al video di Rock N roll. *me felice*.
Qui
c’è il terzo teaser----> http://www.youtube.com/watch?v=45qUNPkZMnM
Buona
lettura a tutti!
Muse
– Supermassive Black Hole
(aprire in un’altra scheda)
Pov Avril
Quando
una giornata iniziava
male, non poteva di certo migliorare con il passare del tempo.
Eccomi
qua, incazzata nera a
scuola, senza divisa e con gli occhi di tutti puntati addosso.
Il
motivo?
Quel
deficiente di Taubenfeld
mi aveva apertamente lanciato una sfida, che però ancora non
sapevo in cosa
cavolo consistesse.
Una sfida in cui io sarò
il vincente, e tu, mia cara,
la perdente, aveva
detto.
Che
pallone gonfiato, se
credeva che gliel'avrei data vinta così facilmente,
nonostante non sapessi
ancora cosa dovevo fare.
Dal
tono in cui l'aveva detto
però, traspariva chiaramente la sua sicurezza, e questo non
faceva altro che
aumentare la mia curiosità e incertezza allo stesso tempo.
"Parla
chiaro,
Taubenfeld. Di che sfida si tratta?" chiesi, impaziente.
Lui
stava per rispondermi, ma
fu interrotto da quella che pensavo fosse la sorella.
"Ehi
Evan, le chiavi
della moto" disse, e fece per lanciargliele, ma lui fece un gesto della
mano, come a interrompere la sorella, e riprese a parlare.
"Non
adesso, Annie. La
nuova arrivata vuole sapere cosa ho in serbo per lei.
Bene,
la tua curiosità sarà
accontentata, Lavigne" fece un sorriso maligno, e continuò
"Una sfida
a skateboard. Il parcheggio della scuola. Adesso. Io e te"
"Ma
tu sei solo
pazzo!" dissi, per niente d'accordo all'idea. Avevo già
troppi occhi
puntati su di me, per essere solo il primo giorno.
"Che
c'è..." disse,
mettendosi lo skate sotto i piedi "hai paura?"
"Paura,
ma per piacere!
Non lo voglio fare, perché non vedo il motivo per cui dovrei
sprecare le mie
energie per batterti..." Incrociai le braccia al petto."E poi, chi
decreterà il vincitore, tu?!" chiesi sarcastica.
"Sarebbe
davvero troppo
semplice, quindi no. Decideranno i nostri stessi compagni, in base al
tifo che
faranno per l'uno o per l'altra. Comunque, stavo
pensando...perché non rendere
le cose più interessanti con una piccola scommessa? Ci stai?"
Feci
un cenno e del capo,
buttai lo zaino per terra, mi misi anch'io lo skateboard sotto i piedi
e
dissi:"Se vinco io, la dovrai smettere di sfidarmi in questo modo. E,
in
più, ti darò uno schiaffo talmente forte, da
farti venire le vertigini, Taubenfeld"
"Attenta
a non scherzare
con il fuoco, Lavigne, perché se vinco io...ti
bacerò davanti a tutti in un
modo così passionale, che mi pregherai di rifarlo" disse,
con un ghigno
sul volto.
"Certo,
come no. Le mie
labbra non toccheranno mai le tue, mettitelo in testa" Lo sfidai.
Lui
si avvicinò al mio
orecchio, e con voce maliziosa mi disse:"Sbaglio, o ci siamo
già
passati?" e prima che potessi rispondergli a tono, si
allontanò da me
correndo sul suo skate.
Appena
cominciò la sua
"esibizione", fece subito un kickflip, una mossa che consisteva nel
ruotare lo skate da destra a sinistra, senza l'aiuto della mano.
Era
una buona mossa per
l'inizio, e soprattutto, credevo che fosse anche un messaggio che mi
stava
mandando, della serie "con me, non si scherza".
Poi,
prese a fare lo slalom
tra le varie auto e moto posteggiate lì nel parcheggio.
In
effetti, sembrava molto
sicuro di sè, e questo fece aumentare la mia preoccupazione.
Conoscevo
le mie capacità,
sapevo di poterlo battere. Ma lo potevo fare anche adesso, anche in
queste
condizioni?
Questa
notte avevo fatto di
tutto tranne che dormire - doppi sensi a parte - e le mie profonde
occhiaie ne
erano una testimonianza assicurata.
In
più, le liti in casa con
Judy e Phil, non avevano di certo contribuito a rendere il mio
carattere più
docile e gentile, anzi.
Non
avrei sopportato altre
umiliazioni, perché era quello che lui voleva fare.
Umiliarmi.
In
altre occasioni avrei
potuto batterlo, e anche facilmente, direi.
Ma
adesso? Ne ero davvero in
grado?
La
risposta mi sarebbe
arrivata durante il secondo successivo, giusto in tempo per vedere la
sua corsa
che finiva con il suo piede destro che colpiva la parte posteriore
dello skate,
facendolo roteare su sé stesso. Un classico 360 flip.
Forse
non lo avrei potuto
battere, ma io non ero una che abbandonava così, senza
neanche provarci.
Si
avvicinò a me, con il suo
skate in mano, e mi chiese ad alta voce:"Allora, che ne dici,
Mitchell?"
Che
bastardo. Gli avevo già
detto cosa ne pensassi del mio cognome.
Bene,
avrebbe avuto pane per
i suoi denti.
"Mmh...niente
male..." feci una pausa, giusto in tempo per vedere il suo viso
trasformarsi in un ghigno vittorioso e continuai "...per un
pivello!".
Non
ebbi però il tempo di
vedere la sua faccia, anche se avrei tanto voluto, che partii questa
volta per
la mia gara.
Sin
dal primo istante capii
che non si trattava più della sfida con Evan, ma con una
sfida con me stessa.
Una
sfida che dovevo vincere
a tutti i costi per ritrovare quella che ero e la fiducia che avevo
riposto in
me stessa.
Iniziai
subito con uno slalom
molto stretto per impressionare gli studenti, in modo tale che si
convincessero
che la migliore, ero io.
Alcuni
mi guardavano
impauriti, altri estremamente stupiti per quello che stavo facendo.
Feci
anch'io un kickflip e un
360 flip, perché volevo sia prenderlo un po' in giro, sia
dirgli che in questa
sfida non giocava soltanto lui, ma entrambi.
Ma
non potevo continuare
così.
Se
volevo davvero batterlo,
dovevo inventarmi qualcosa che lasciasse il segno, qualcosa che
lasciasse tutti
a bocca aperta. Soprattutto lui.
Osservai
il grande edificio,
era abbastanza grande e ampio, da poter fare qualsiasi cosa avessi
voluto.
Già...ma
cosa?
Poi,
come se il destino mi
avesse voluto dare un suggerimento, vidi un corrimano giallo in ferro
battuto,
che accompagnava l'enorme scalinata che dava l'accesso al piano
inferiore.
Non
ebbi alcuna esitazione
nel voler tentare.
Avevo
già provato quella
mossa a Napanee, e mi era sempre riuscita.
Corsi
verso la scalinata e,
proprio quando ero a meno di un centimetro di distanza, feci pressione
sulle
mie gambe e spiccai un ampio balzo, sufficiente a farmi atterrare
ancora sana e
salva sul ferro del corrimano. Poi, in perfetto equilibrio, mi lasciai
trascinare con lo skate sotto i piedi, e percorsi tutta la lunghezza
del
corrimano.
Quando
il ferro finii,
spiccai un altro salto e mi ritrovai di nuovo sullo skate, ma stavolta
sulla
terra ferma.
Intanto,
tra tutti gli occhi
che mi osservavano, ne vidi un paio non completamente sconosciuti.
La
sorella di Evan, mi pareva
che si chiamasse Annie, mi fissava completamente strabiliata, con un
sorriso a
trentadue denti sul volto.
Forse
aveva trovato qualcuno
in grado di tener testa al fratello....
Prima
di lei, c'era
parcheggiata una Ducati color rosso fiammante.
Annie,
invece, aveva ancora
in mano le chiavi della moto del fratello, quelle che aveva cercato di
restituirgli prima della sfida.
Chissà
se...
Corsi
verso la moto,
esercitando una pressione leggermente minore di quella che avevo usato
poco
prima, e superai con agilità la moto, sotto gli occhi
stupefatti di tutti.
Poi,
corsi verso la sorella
di Evan, e senza mai fermarmi le sussurrai:"Le chiavi..."
Il
suo sorriso si aprì ancora
di più, mi diede senza alcuna esitazione le chiavi della
moto, e mi diressi
verso le scale, che poco prima avevo sceso in maniera non proprio
ortodossa.
Le
salii con lo skate in una
mano e le chiavi nell'altra, sotto gli sguardi di ogni singola persona
lì
presente.
Non
era una bella sensazione.
Per niente.
Mi
avvicinai piano a lui,
pronta questa volta a riprendermi la mia rivincita.
"Queste
devono essere
tue..." dissi, mettendogliele nella mano destra.
La
sua espressione parlava da
sola.
Era
sorpreso, arrabbiato e
curioso allo stesso tempo.
Avrei
voluto tanto ridergli
in faccia, ma mi trattenni.
Io
non ero come lui.
Poi,
all'improvviso, tutti i
ragazzi presenti si mossero.
All'inizio,
credevo che si
stessero avvicinando per decretare il vincitore -me, ovviamente-, ma
non era
così, perché invece di accalcarsi vicino a noi,
la folla si diresse verso
l'interno della scuola.
Non
capii niente di quello
che stava succedendo, fin quando qualcuno gridò "La
Callingham! Sta
arrivando la Callingham!"
"Merda.
Questa non ci
voleva" esclamò stizzito Evan.
Stavo
per dare voce alla mia
perplessità, quando una donna magra, slanciata, con i
capelli biondi liscissimi
e un decolté di cui non aveva nessun timore a mettere in
mostra, mi precedette.
"Taubenfeld!
Lei e la
sua...amichetta nel mio ufficio!
Subito!"
Brutta
gallina vecchia e
ignorante!
Come
si permetteva di dirmi
che ero la sua "amichetta" con quel tono cattivo e perfido?
Quanto
avrei voluto spaccarle
quella faccia sicuramente rifatta che si ritrovava!
E
quanto avrei voluto avere
un guantone sulla mia mano destra, adesso!
Poi,
sentii la mano calda di
Evan stringermi il polso, come a volermi fermare dai miei propositi
omicidi.
Sgranai
gli occhi e mi girai
verso di lui, che capii appieno la mia incredulità, e mi
spiegò:"Avril,
lei è la vicepreside. Quindi ora te ne stai buona e zitta e
non fai casini,
chiaro?"
Non
volevo che mi trattasse
così. Non ero una bambina. "Ma..."
"No,
niente ma. Non ti
voglio fregare. Per una volta...fidati di me" finì, con una
breve
interruzione nella frase.
Appena
dopo che finì di
parlare, si incamminò dietro quell'oca bionda, trascinando
dietro anche me, e
riuscii per fortuna a raccogliere lo zaino che avevo buttato a terra.
Tra
le sue mani teneva ancora
il mio polso, con una stretta ferrea e salda, che faceva quasi male.
Per
un istante mi sfiorò
l'idea di liberarmi dalla sua presa e di andarmene per conto mio, ma,
per non
so quale motivo, volli fidarmi di lui e affidargli completamente la
situazione.
Attraversammo
veloci i
corridoi ormai deserti, che venivano percorsi solo da quei pochi
ritardatari
che non erano ancora entrati nelle classi.
Evan
allentò la presa sul mio
polso solo quando entrammo nella segreteria, per poi dirigerci verso
una porta
a destra, la vicepresidenza.
Nicole
Callingham, così
recitava la targhetta sulla sua scrivania, ci fece accomodare nel suo
ufficio,
su delle eleganti poltroncine in pelle chiara.
Sicuramente
non aveva
arredato lei la stanza, troppo buon gusto. Giusto quello che le mancava
nel
vestirsi.
Mi
rivolse occhiatacce
infuocate per i primi cinque minuti che stemmo lì.
Va
bene che non mi ero
presentata nel migliore dei modi, ma proprio non capivo tutto
quest'odio nei
miei confronti.
Invece,
lo sguardo che
rivolse a Evan, era totalmente l'opposto.
Con
lui aveva
un'aria...adorante, come se pendesse dalle sue labbra, come se ogni suo
gesto
fosse dipeso da quello del ragazzo al mio fianco.
"Lei
è?" mi chiese,
sprezzante.
Credo
che una gomma attaccata
nei suoi orrendi capelli verrebbe trattata meglio.
"Avril
Lavigne"
rispondo, allo stesso tono. Se lei non era gentile, perché
avrei dovuto esserlo
io?
"È
una studente, per
caso?" disse, con l'incredulità sul viso perché
non conosceva uno dei suoi
studenti.
Al
mio cenno di assenso con
il capo, avvicinò la sedia al computer sulla scrivania,
cominciando a battere
infuriata le dita su quella povera tastiera che non aveva nessuna colpa.
"Lavigne?
Non c'è
nessuna Avril Lavigne iscritta qui."
"Ottimo,
se non sono
iscritta penso proprio che toglierò il disturbo. Buongior..."
"Siediti"
sibilò
Evan, interrompendomi.
Mi
sedetti, se possibile
ancora più incazzata di prima.
Nessuno
in diciassette anni
mi aveva mai messo a tacere con una parola, e lui ci era riuscito in
due
secondi!
"Signorina
Callingham"
si rivolse Evan alla vicepreside, con un sorriso tanto affabile quanto
falso
sul volto.
"Oh,
dimmi Evan"
disse lei, completamente imbambolata.
"Provi
con Avril
Mitchell" rispose, in tono mellifluo.
Lo
guardai allibita. Quanto
avrei voluto gridargli contro
Lui,
probabilmente capendo le
mie intenzioni, mi fece un sorriso dei suoi.
Non
falso come quello che
aveva rivolto alla vicepreside, no, questo era da tremarella alle gambe
e da
brividi dietro la schiena.
Ma
che cavolo andavo a
pensare!
Mi
rimisi composta al mio
posto, sperando che nessuno avesse notato la mia breve distrazione.
"Hai
ragione. Avril
Mitchell, figlia di Judy e Phil Mitchell, dico bene?"
"Si"
grugnii.
"Ecco,
Avril stava
giusto andando a mettersi la divisa, ma ci siamo incontrati e ho voluto
darle
il benvenuto. Non è vero?" disse, rivolgendosi a me con il
tipico sguardo
"menti e pariamoci il culo a
vicenda".
"Esatto, è andata
proprio così."
confermai. In effetti, non era proprio una bugia, avevo solo omesso il
fatto
che avesse un modo tutto di suo di dare il benvenuto.
"Io sono arrivata con il mio skate e stavo andando a
cambiarmi,
quando...Evan" che fatica pronunciare il suo nome invece del cognome
"mi ha fermata per salutarmi. Infatti, ci siamo conosciuti ieri sera a
casa di mia madre." aggiunsi.
"Capisco.
Ma questo non
giustifica nè il suo abbigliamento, signorina, nè
tantomeno quello che avete
fatto nel parcheggio. Cosa credevate di fare con quella sceneggiata da
quattro
soldi?"
Le
sue parole intrise di
disprezzo mi fecero stringere forte le braccia ai fianchi, e le avrei
dato per
la milionesima volta un pugno, se non avesse continuato a parlare.
"Naturalmente,
dovrò
avvisare i suoi genitori, signorina, e le farò sapere in
cosa consisterà il suo
castigo." Poi, cambiò tono. "Tu non preoccuparti Evan, lo so
che sei
stato provocato, quindi..."
Eh
no, cavolo!
Dove
era finito il
"lei" per Evan?
Era
riservato soltanto a me?
E
poi, io ero la vittima, non
il carnefice. Per cui era lui che doveva punire, io avevo soltanto
risposto.
Non
funzionava così nella democratica America!
"Nicole..."
cominciò Evan. La cosa mi urtò moltissimo, ma non
perchè chiamò la vicepreside
con il suo nome di battesimo, ma perché il tono che aveva
usato con lei era
dolce, ipnotico quasi. "...Andiamo, non vorrai che l'intera scuola
venga a
sapere del nostro piccolo...inconveniente?
E non vorrai di certo macchiare la reputazione dell'istituto, vero?"
Alzò
le sopracciglia, con fare eloquente. "Per il castigo...pensaci su,
prenditi tutto il tempo che ti serve, e poi, con la massima
tranquillità,
decidi"
Certo,
facile dirlo per lui.
Tanto alla fine il castigo avrei dovuto sorbirmelo io!
"Mmh...credo
che tu
abbia ragione, come sempre."
disse, facendogli un sorrisino. "Potete andare, ragazzi. Signorina
Mitchell, vada in bagno a cambiarsi, subito, e poi mi aspetti in
segreteria."
Non
risposi neanche, uscii da
quella stanza infernale e mi diressi verso il primo bagno che trovai.
Appena
entrai
un vago senso di nausea che mi prese allo
stomaco. Cosa diavolo mi stava succedendo?
Poi,
presa del tutto alla sprovvista, una lacrima scese piano sulla mia
guancia.
L’asciugai con rabbia, non potevo cedere! Io ero Avril
Lavigne, una ragazza
forte e combattiva, che non si arrendeva di fronte a niente.
Tu
sei forte, tu
sei
forte mi ripetevo come un mantra, per
auto convincermi che
fosse così.
Io
sola dovevo sapere la realtà, che in fondo ero come tutte le
ragazze di questo
mondo, un semplice e stupida ragazzina che credeva di essere grande.
Allacciai
lentamente la camicia, bottone dopo bottone, io
ero forte.
Lisciai
con cura le pieghe della gonna, io ero forte . Mi
chinai ad infilare le scarpe, io
ero forte. Riposi
l’I-pod e gli occhiali da sole nello zaino con i vestiti e le
Converse, io
ero forte. Mi guardai allo
specchio e sfoggiai il mio migliore sorriso.
Nessuno
avrebbe potuto, ma soprattutto dovuto mai intuire questo mio momento di
debolezza.
Ecco,
finalmente mi riconoscevo nell’immagine riflessa allo
specchio. L’io che volevo
essere.
Feci
un respiro profondo e uscii dal bagno più serena di come ero
entrata.
Stavo
bene, dovevo stare bene e gli altri avrebbero visto quello che io
volevo che
vedessero.
Mi
diressi spedita verso la segreteria, con i tacchi che rimbombavano sul
pavimento lucido. Ma in che schifo di posto ero finita? Sembrava di
essere
dentro a quei telefilm dove i protagonisti erano tutti ricchi figli di
papà.
Sorrisi
della mia sbadataggine. Ogni tanto me ne dimenticavo, ma in questa
merda io ora
ci dovevo vivere,
e questa adesso era anche la
mia realtà.
Arrivai
in segreteria e mi accomodai su una piccola poltroncina rossa, in
attesa della
vecchia gallina.
Mi
stravaccai su di essa in cerca di una posizione comoda, del tutto
introvabile.
Forse erano fatte apposta per far sentire a disagio il povero mal
capitato…
Quando
sentii la porta scattare, mi diedi rapidamente un contegno e mi rimisi
a
sedere, composta.
Ma
non era la persona che mi aspettavo. Infatti, entrò una
donna alta, con un
tailleur scuro elegante, e i capelli corti.
Tutta
la sua persona emanò un’aurea di forte
personalità. Nella mia mente si formò un
solo pensiero: la
preside.
Mi
sentii in imbarazzo sotto il suo sguardo scrutatore, così
abbassai il viso.
“Lei
deve essere Avril Lavigne.” affermò sicura.
Alzai
di scatto il viso e mi alzai in piedi, le dovevo rispetto anche solo
perché mi
aveva chiamato con il mio cognome.
Mi
chiesi come facesse a conoscerlo, visto che mia madre mi aveva iscritta
con il cognome
del cetriolone.
“Sì,
sono io.”
“Io
sono la preside Alicia Kellington. Posso
sapere che ci fa già il primo giorno in
presidenza?”
“Ehm…la
vicepreside mi ha chiesto di aspettarla
qui per definire alcuni particolari.” risposi.
“Mmh,
capisco...” assottigliò lo sguardo. “Ma
adesso non dovrebbe essere a lezione?”
“Non
ho ancora ricevuto l’orario.” Già, il
mio orario, chissà che materie avrei
dovuto frequentare.
“La
signorina Callingham non gliel’ha dato? Al lunedì
la segreteria apre alle 10,
doveva venire venerdì.”
“Peccato
che mi sia trasferita sabato.” dissi, più
acida di quanto fosse consigliabile. Era la preside dopotutto, ma se
Judy e la
sua perfetta organizzazione non
funzionavano, non era colpa mia.
La
preside sorrise per la mia risposta , si spostò dietro il
bancone della
segreteria e armeggiò con il computer. Pochi minuti dopo la
stampante era in
funzione, e mi porse una serie di fogli...l’orario e una
sfilza di moduli per
le attività extrascolastiche.
Ne
avevo due obbligatorie, ma almeno le potevo scegliere.
“È
inutile che vada in classe, adesso. Aspetti qui fino alle 10.”
disse, avviandosi verso
il suo ufficio. “Ah, signorina Lavigne, gli insegnanti
useranno il cognome di
sua madre. Per favore, non risponda acidamente, non la voglio
più vedere in
questa stanza se non per iscriversi alle attività
extrascolastiche.
Arrivederci.”
“Arrivederci.”
sussurrai, prima che la porta si chiudesse alle sue spalle e si aprisse
quella
della vicepresidenza.
|
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Capitolo 22 *** Why you have to make things so complicated? ***
Vorrei
dedicare questo
capitolo a una persona che è molto importante per me, ma che
adesso sta poco
bene. Spero che ti riprenderai presto.
Salve.
Mi dispiace dirlo, ma sto avendo un problema in famiglia, per cui non
so quando
aggiornerò di nuovo. Spero comunque presto :)
Anyway,
ringrazio chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- Beliectioner_FE_love_FE - Look_at_the_sky - RamonaLBS-
Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - Brazza - Hakkj -
itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky - Mary Fichera - MusicIsMyDestination
- RamonaLBS
Allora…visto
il video
di Rock N Roll?
Io
si. L’avrò fatto
tipo 5 volte tutte di seguito.
Onestamente,
non credo sia il migliore video che abbia
fatto, ma sicuramente il più divertente, dopo Complicated
(coincidenza?). Poi,
sono scoppiata a ridere quando ha detto:”He was a
boy…she was a girl” nella
parte iniziale, quando ha fatto l’incidente con la macchina e
quando ha
combattuto contro il Bearshark. Anche il bacio non mi è
dispiaciuto, perché
comunque era presente nel fumetto a cui si è ispirata.
Quindi,
assolutamente
promosso, a pieni voti!
Ok,
se volete ditemi le vostre impressioni a riguardo io sono qui,
e per il capitolo, auguro una buona lettura a tutti!
Avril
Lavigne – Complicated (aprire in un’altra scheda)
Pov
Evan
Uscii
dall’ufficio, seguito dalla vicepreside, e trovammo Avril in
piedi vicino alle
poltroncine, con alcuni fogli in mano. Alla fine, avevo cercato di
convincere
Nicole a non prendere provvedimenti contro la ragazza,
perché infondo era mia
la colpa e mi ero sentito stranamente in dovere di difenderla e
proteggerla.
Eppure,
nonostante tutto, sentivo una rabbia sempre maggiore crescere in me
verso di
lei.
"Chi
le ha dato quei fogli?" Alzai gli occhi al cielo. La vicepreside non
riusciva proprio ad essere gentile stamattina.
"La
preside." Ah, e così Avril aveva conosciuto la signora
Kellington? Avrei
voluto assistere. La preside piegava chiunque con quel suo
atteggiamento
austero e severo da governante del 1800. Persino me.
Il
tono di Avril era sprezzante e tagliente. L'odio tra le due era
evidente e mi
sentivo stranamente coinvolto in questo litigio, come se fossi il
premio per la
vincitrice.
Mah,
che assurdità.
"Ehm...Avril..."
balbettai a disagio per la situazione, cercando di spezzare la
tensione.
Lei
si voltò e mi sorrise smagliante. Non ci misi molto a capire
perché mi
irritava. Era il sorriso più falso che avessi visto sul suo
viso, come se tra
di noi ci fosse un cortese rapporto tra semplici conoscenti, come se
ieri e
stamattina fossero stati cancellati dalla sua memoria.
Mi
farà impazzire con questa sua personalità
multipla!
"Visto
che c'è ancora mezz'ora prima dell'inizio della prossima
lezione, saresti
d'accordo se ti facessi vedere il tuo armadietto e le aule? Prendilo
come un
gesto di cortesia." In realtà, non si trattava di cortesia,
ma di un forte
istinto di fuga da quell'imbarazzante situazione.
"Volentieri.
Lei permette, vero?" chiese sprezzante alla donna al mio fianco,
sfoggiando un sorriso falsissimo che non arrivò neanche ai
suoi bellissimi
occhi.
Poi,
senza nemmeno attendere la risposta, andò verso la porta,
l'aprì di scatto e mi
porse il foglio sul quale c'era scritto il numero del suo armadietto.
Notai
che aveva una grazia innata nel camminare, anche con i tacchi.
Senza
dire una parola l'affiancai, procedendo la sua figura nei corridoi.
Aveva
l'armadietto lontano dal mio, peccato.
Avrei
voluto essere vicino a lei per poterla osservare ogni mattina, ogni
cambio
dell'ora, ogni pomeriggio prima di tornare a casa.
Ero
messo veramente male.
Girai
la testa quel tanto che bastava per guardarla. Era bellissima. I lunghi
capelli
biondi le ricadevano sul viso. Fissava la punta delle sue Converse e
ogni tanto
sospirava, come se stesse pensando a qualcosa che la faceva
preoccupare.
All'improvviso
alzò gli occhi, guardando dritta di fronte a sé.
Sembrava....triste,
persino i suoi occhi non erano più accesi da quella
scintilla di rabbia che di
solito emanavano.
Decisi
che non l'avrei mai più vista triste, le avrei sempre
risollevato il morale, a
partire da adesso.
E,
forse, sapevo anche come fare.
Continuai
a cercare il numero del suo armadietto, e alla fine lo trovai.
"Eccoci
qua...armadietto 439, è il tuo." Gran bella frase di cazzo,
Evan.
Complimenti.
"Già,
è proprio il mio" concordò.
Feci
un cenno del capo, in imbarazzo. Volevo mandare avanti la
conversazione, ma non
sapevo che cavolo dire.
Con
mio grande sollievo, fu lei a parlare. "Grazie...si, insomma, per
avermi
accompagnata." disse, con un lieve rossore che le imporporava le guance.
"Di
niente." risposi, sorridendole.
Anche
lei mi sorrise timidamente, ma questa volta il sorriso era vero.
Bene,
e ora? Cos'altro potevo dire?
Non
mi ero mai sentito così impacciato con una ragazza in vita
mia.
Oh
andiamo Evan, la parte
del ragazzo imbranato funziona solo per rimorchiare, ma poi bisogna
agire.
Forza!
Giusto,
basta insicurezze.
Mi
passai la mano destra tra i capelli e dissi:"Mi chiedevo se..."
"Cosa?"
mi rispose, spostando lo sguardo dai moduli ai miei occhi.
Perfetto,
avevo la sua attenzione. Era il momento di agire.
Mi
parai davanti a lei e la intrappolai tra le mie braccia, proprio come
avevo
fatto la sera precedente. Sorrisi dolcemente."Si insomma, la scommessa
è
finita in un pareggio, per cui...perché non sfruttare la
scommessa, ti
pare?" Mi passai la lingua sulle labbra e mi avvicinai piano alle sue
labbra, in modo che avesse la possibilità di allontanarmi.
Lei
si morse il labbro inferiore con i denti, ma non si mosse. Non mi
colpì, non mi
allontanò, non mi sgridò. Niente.
Una
nuova scintilla esplose letteralmente nei suoi occhi. Non era rabbia o
rancore,
piuttosto...eccitazione?
Ma
lei non era fidanzata?
Oh
chi se ne frega,
fanculo il fidanzato!
Spostai
la mano sul suo collo. Volevo toccarla, sfiorare la sua pelle.
Desideravo
il contatto con il suo corpo più di ogni altra cosa.
Sentivo
il suo cuore battere talmente forte, che temevo potesse avere un
infarto.
Con
estrema lentezza, mi avvicinai ancora, inalando il suo profumo. Sapeva
di
frutta, di dolce. Era buonissimo.
Il
suo cuore sembrava impazzito, mentre il suo respiro era veloce e
irregolare.
Mossi
il mio viso sul suo, con più decisione, e la baciai.
Le
sue labbra si modellarono sulle mie, e respirai il suo stesso respiro.
Era
un bacio diverso da quelli che c'erano stati tra noi, e capii subito il
perché.
Lei
stava rispondendo al
mio bacio.
Ed era la prima volta che lo faceva.
Era
l'emozione più forte che avessi provato in tutta la mia
vita, non avevo mai
sentito il mio corpo desiderare qualcosa in una maniera così
sconvolgente.
Anche
il mio battito era accelerato, e il mio respiro affannato.
Sentii
le sue dita intrecciarsi ai miei capelli, stringendoli forte.
Le
sue labbra si dischiusero, e il calore e il profumo del suo fiato
inondarono
ancora di più il mio respiro.
Forse,
persi troppo presto qualsiasi contatto con la realtà,
perché mi accorsi con
estremo ritardo del fatto che lei si era improvvisamente allontanata e
del
gesto che si stava preparando a compiere.
Infatti,
non vidi neanche la sua mano partire. Sentii solo un improvviso
spostamento
d'aria e un dolore acutissimo trafiggermi la guancia sinistra.
Barcollai
all'indietro, talmente era forte.
Lei...lei
mi aveva
appena...preso a schiaffi!
"È
finita in un pareggio. Giusto, Taubenfeld?" mi sorrise, schernendomi.
La
campanella che annunciò la fine della prima lezione, ci
salvò da un'altra
litigata.
Mi
voltai, stizzito per il suo atteggiamento irritante, e, con la mano
sopra la
guancia dolorante, andai al mio armadietto a prendere i libri per la
lezione
successiva.
Pov
Avril
"Eccoci
qua...armadietto 439, è il tuo."
"Già,
è proprio il mio" E il premio per la risposta più
fantasiosa dell'anno
andava a...Avril Lavigne!
Lui
fece un cenno del capo e ridacchiò. Per la prima volta, mi
sentii in dovere di
ringraziarlo veramente.
"Grazie...si,
insomma, per avermi accompagnata." Sentii le guance andare a fuoco, ero
sicura di essere arrossita. Maledette mie emozioni, perché
mi dovevano
smascherare così facilmente?!
"Di
niente." Mi sorrise, risposi anch'io al suo sorriso e incominciai a
fissare i moduli, cercando di capirci qualcosa.
Poi,
qualcosa nel suo tono di voce cambiò. "Mi chiedevo se..."
"Cosa?"
risposi automaticamente.
Si
mosse repentinamente, e mi bloccò tra il suo corpo e la fila
di armadietti che
scorreva alle mie spalle, esattamente come ieri sera. Mi tolse
letteralmente il
fiato.
"Si
insomma, la scommessa è finita in un pareggio, per
cui...perché non sfruttare
la scommessa, ti pare?" Si avvicino verso di me, e si passò
piano la
lingua sulle labbra. Lì,non capii più niente.
Ero
così attratta da lui, che per la prima volta sentii
l'esigenza di mandare a
fanculo tutto e di buttarmi. Ma non potevo cedere alla tentazione. Mi
morsi il
labbro inferiore, per contrastare quello che il mio corpo mi diceva di
fare.
Me
ne stavo ferma e immobile, con tutta l'eccitazione che sentivo dentro
crescere
ad ogni secondo che passava.
Senza
staccare gli occhi dai miei, alzò la mano destra, e la
posò dolcemente sul mio
collo. Sentivo il mio cuore battere all'impazzata, non so cosa avrei
dato per
rallentarlo.
Poi,
si avvicinò ancora di più al mio viso, e
finalmente posò le sue labbra sulle
mie.
Non
potei prevedere la mia reazione, perchè per la prima volta
riuscivo davvero a baciarlo, senza
esitazioni, e
questo non fece altro che amplificare le sensazioni che provavo.
Sentii
quasi bruciare le labbra, e il mio respiro si trasformò in
un affanno ancora
più incontrollabile.
Intrecciai
le dita ai suoi capelli, stringendolo a me, e dischiusi le labbra per
respirare
il suo profumo.
Ogni
tipo di razionalità presente nel mio cervello era andata
perduta, in preda ai
miei ormoni svalvolati.
Stavamo,
o meglio stavo, perdendo ogni tipo
di
controllo, e questo non andava affatto bene.
Poi,
per quel poco che conoscevo Evan, si sarebbe sicuramente montato la
testa e
avrebbe sfruttato l'occasione a suo vantaggio.
Se
lui non si voleva fermare, l'avrei fatto io.
Mi
staccai da lui, ancora ansante, e spostai talmente velocemente la mia
mano, che
non si accorse neanche che mi ero mossa.
Poi,
quando se ne rese conto, barcollò all'indietro e
sgranò gli occhi.
In
un certo senso, mi dispiaceva averlo fatto, ma se volevo che restasse
al suo
posto, dovevo indossare ancora la maschera da dura.
"È
finita in un pareggio. Giusto, Taubenfeld?" dissi, con la voce ancora
leggermente traballante per la mancanza di fiato.
La
campanella suonò all'improvviso, e si allontanò
da me con la guancia sinistra
arrossata.
Nel
frattempo, il corridoio dove mi trovavo si riempì di un
mormorio indistinto di
chiacchiere e di voci.
Guardai
l'orario sui fogli, in cerca della prossima lezione.
Oh
no, trigonometria. La odiavo!
Però
notai con piacere che la terza ora sarebbe stata letteratura inglese.
Almeno...
Aprii
il mio armadietto, con lo sportello che cigolava e sbatteva, facendo un
fastidioso rumore metallico.
Chiusi
irritata il mio, questa non era esattamente quella che si poteva
definire la
mia giornata.
Per
di più, ricordai con rancore che Taubenfeld era talmente
preso dalle mie
labbra, che non si era nemmeno degnato di dirmi dove fosse l'aula.
Idiota!
D'improvviso,
sentii una voce squillante provenire dalle mie spalle. "Ciao!"
Sembrava
proprio una scena di un film di quarta categoria, uno in cui la nuova
arrivata
della scuola trova una ragazza disponibile e gentilissima, che si offre
di
farle da guida.
Mi
girai lentamente e mi ritrovai di fronte una ragazza, che avrebbe
potuto fare
proprio la parte dell'alunna appena descritta.
Alta,
magrissima e con dei folti capelli lunghi marrone scuro, stava di
fronte a me
con un sorriso a trentadue denti.
Ero
un po' in imbarazzo per la sua esuberanza e il suo modo gioioso di
fare, e lei
era così sorridente, che pensavo rischiasse una paralisi
facciale.
"Ehm...ciao."
le risposi, sperando che la cosa finisse lì. Grosso errore
Avril, grosso
errore.
"Io
sono Danica Mckellar!" Una più triste alle dieci di mattina
non potevo
trovarla, vero?
"E
tu sei Avril Mitchell, giusto?" disse, facendo un altro sorriso.
Non
avrei voluto rovinarle l'umore, ma i miei nervi erano davvero sull'orlo
della
rottura.
"E
tu come fai a sapere chi sono? Sono in questa scuola da solo
un’ora."
"Oh,
ma tutti sanno chi sei...e se non lo hanno ancora saputo, stai certa
che a ora
di pranzo tutti conosceranno l'episodio di stamattina. Sono pochi
quelli che
hanno il coraggio di sfidare un Taubenfeld, soprattutto Evan. Comunque,
io ho
trigonometria, tu?"
Ma bene, anche la
lezione insieme. Perfetto. "Anche
io. Ma
non so dove sia l'aula." Il mio tono leggermente
lugubre non le impedì di sorridere ancora e ci
avviammo tra i corridoi,
scansando i ragazzi. L'avevo detto io, paralisi facciale...
"Complimenti..."
"Per
cosa?"
"Beh,
devi essere o molto coraggiosa o molto stupida a
sfidare Evan Taubenfeld..." La guardai interrogativa, non riuscendo a
capire.
"Nessuno
ha mai osato mettere in discussione la sua autorità o quella
dei suoi fratelli
tra gli studenti. Se nessuno ti rivolge la parola, o peggio, tutti ti
evitano,
è per lo spettacolo di stamattina, perché avere
contro un Taubenfeld vuol dire
morte sociale in questa scuola, e nessuno lo vuole, naturalmente. Se
vuoi un
consiglio, cerca di farti amica Annie, è la più
socievole del gruppo ed è
rarissimo che rifiuti a qualcuno la sua amicizia." disse, partendo a
macchinetta e spiegandomi la situazione.
Solo
in quel momento, notai le occhiatacce che gli altri studenti mi
rivolgevano di
sfuggita.
Non
erano dovute al fatto che ero nuova in quella scuola, ma
perché avevo rischiato
di incrinare un rapporto precostituito.
Ecco
spiegato il motivo della sicurezza, quasi arroganza, di Evan,
nell'avere la
certezza che avrebbe vinto lui. Nessuno, men che meno uno studente, gli
si
sarebbe messo contro.
Intanto
le occhiatacce continuavano, e mi sentii a disagio ad essere al centro
dell'attenzione.
Che
merda, le chiacchiere su di me dovevano essere un piatto succulento in
una
noiosa mattinata di scuola.
"E
tu come mai mi rivolgi la parola? Non hai paura che possa attaccarti la
peste
nera?"
Sorrise. "Oh
no, io sono esentata dalla
morte, perché sono una delle rappresentanti di istituto.
È mio preciso dovere
accogliere e dare le prime indicazioni ai nuovi studenti."
Entrammo
in aula, ci sedammo a metà classe, né troppo
avanti né troppo indietro e iniziò
a prendere appunti.
Il
resto della mattinata scorse tranquilla,
tranne per le figure di merda che i vari professori mi avevano fatto
fare,
costringendo a presentarmi.
L'idea
di essere invisibile agli occhi degli altri si stava rivelando
impossibile da
attuare.
Nel
frattempo, mi stavo dirigendo a mangiare un boccone in mensa, da sola
ovviamente.
Per
fortuna Danica, da brava ragazza, mi aveva dato una piantina
dell'edificio e mi
aveva segnato i punti fondamentali: l'ingresso, la segreteria, il mio
armadietto, la palestra e la mensa.
Mi
fermai un attimo. La sfilza dei corridoi che si stagliavano davanti a
me e
quelli disegnati sulla piantina, non erano esattamente gli stessi. Per
niente
gli stessi.
Cazzo,
dovevo essermi persa! Maledetto il mio pessimo senso dell'orientamento!
Non
c'era anima viva in circolazione, dovevo essere proprio
lontana dal luogo
che volevo raggiungere.
E
comunque, nessuno
ti
rivolgerebbe la parola. Morte sociale, ricordi?
Già,
infatti. Quello
che mi aveva detto
Danica mi stava facendo male.
All'inizio
avevo fatto finta che non mi interessasse, ma la verità era
che non sarei
assolutamente riuscita a trascorrere un anno così,
perché sarei diventata lo
spettro di me stessa.
Mentre
scacciai via quei pensieri tristi, stavo ancora guardando la cartina
per
cercare di trovarci un senso, quando sentii una voce provenire da una
classe.
Mi avvicinai per chiedere informazioni.
"Merda!
Perché deve rendere le cose così complicate?!"
riconobbi subito quella
voce. Era...era Evan, e sembrava piuttosto arrabbiato e alterato.
Non
riuscii a correre via. Il mio cervello, maledetto lui,
elaborò quello che sentì
e invece di scappare, mi spinse ad avvicinarmi alla porta in punta di
piedi.
Socchiusi
la porta, che per fortuna era ben oliata, e vidi lui, intanto a prendere a pugni
un armadio di metallo.
"Brutta..."
un pugno violento "Stronza..." secondo pugno "Cinica e
insensibile!" altro pugno con un calcio diretto all'anta sinistra.
Non
era difficile capire a chi si stesse riferendo. Una lacrima
scappò al mio
controllo, ma la asciugai con rabbia.
Proprio
quando il mio cervello si riattivò, spinto da uno scatto di
rabbia improvvisa,
e decise di lasciarlo stare, Evan, come se avesse percepito una
presenza
indiscreta, alzò lo sguardo e incontrò i miei
occhi.
Non
distolse lo sguardo dal mio, neanche quando altre lacrime sgorgarono
dai miei
occhi e scappai via.
L'unica nota
positiva della faccenda
fu che scappando, ero finita
proprio nella mensa che cercavo.
Persi
una decina di minuti per la fila che si era venuta a creare, presi un
panino e
una bottiglietta d'acqua velocemente, senza guardarmi attorno. Volevo
solo
andare fuori e sedermi da qualche parte.
Uscii
sempre con lo sguardo basso e, sbadata com'ero, andai a sbattere contro
qualcuno.
"Scusa..."
Alzai lo sguardo solo per un istante, giusto per vedere a chi stessi
rivolgendo
la parola.
No.
Non poteva essere!
Evan
mi afferrò le braccia e mi guardò con
intensità, serio. Mi divincolai dalla sua
presa ferrea, piena di vergogna.
Non
riuscii a dire una sola parola, erano tutte morte nella mia gola.
Così,
senza dirgli niente, uscii all'esterno, prendendo una grande boccata
d'aria.
Respirai
a pieni polmoni, dovevo ritrovare la lucidità che davanti a
lui perdevo sempre.
Cercai, e trovai, un posto che non fosse all'ombra, mi ci voleva
proprio un po'
di sole.
Chiusi
gli occhi, beandomi di quel calore che a Napanee non c'era mai.
Non
avrei mai pensato di dirlo, ma mi mancavano le sue nuvole. Era proprio
vero,
che non ti accorgi mai di quanto sia importante qualcosa fin quando non
la
perdi per sempre.
Sfogliai
l'elenco delle letture obbligatorie di letteratura inglese, volevo
distrarmi e
non pensare più a Evan in quella stanza. Come se fosse
semplice.
Visto
il tipo di scuola e visto come se la tiravano tutti lì
dentro, mi aspettavo
qualcosa di più difficile e interessante. Invece no, avevo
già letto tutto: le
sorelle Brontë, Jane Austen, Robert Frost...
All'improvviso,
un'ombra impedì al sole di scaldarmi come prima e mi
costrinse a distogliere lo
sguardo dal foglio, per rivolgerlo alla figura che si trovava davanti a
me.
|
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Capitolo 23 *** I'm sick of this shit. ***
Salve
:)
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- AliceKeepHoldingOn - Beliectioner_FE_love_FE - Look_at_the_sky - RamonaLBS-
Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - Brazza - Hakkj -
itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky - Mary Fichera - MusicIsMyDestination
- RamonaLBS
Auguro
una buona lettura a tutti!
Avril Lavigne
– What The Hell (aprire in un’altra scheda)
Pov
Annie
Non
ero ancora riuscita a parlare con Avril.
Sembrava
che fosse sparita dalla circolazione, esattamente come il mio caro
fratello.
Lui
sapeva benissimo che disapprovavo il suo comportamento di stamattina,
ma non voleva
sentirselo dire. Sarei stata molto delicata...brutto stronzo!
Ti sembra il
caso di mettere nei casini quella ragazza? Si, si,
il mio comportamento
immaginario sarebbe stato perfetto, non avrei neanche alzato la voce
più di
tanto...
Si,
decisamente gli conveniva starmi lontano.
Finalmente,
dopo un paio di minuti, vidi Avril arrivare in mensa. Aveva lo sguardo
basso e
imbarazzato, sperai solo per il bene del mio fratellino che non fosse
colpa
sua.
Mi
alzai dal tavolo che dividevo con gli altri miei fratelli e andai a
fermare la
ragazza, perchè volevo parlarle.
Sentii
una stretta alla mano. Drew mi stava trattenendo, ma non mi dava
affatto
fastidio, anzi, adoravo sentire il calore che le sue mani mi
trasmettevano.
"Aspetta,
non vorrai parlarle qui davanti a tutti?"
"Le
mie intenzioni sarebbero quelle." risposi.
"No,
non è una buona idea, perchè non ti risponderebbe
e ti manderebbe anche a quel
paese, probabilmente." Aveva ragione. Come sempre, mi dava ottimi
consigli.
"E
che dovrei fare?" dissi, dando fiducia a lui e alle sue idee geniali.
Mi
affidavo sempre a lui, anche se non se ne accorgeva mai. Idiota.
"Prendi
due caffè." disse, alzando leggermente le spalle, con fare
quasi ovvio.
Prendi
due caffè,
ma che cavolo di risposta era?!
E
lui avrebbe idee geniali?!
Cazzo,
mentre io e Drew discutevamo, Avril era quasi arrivata all'uscita.
Non
sarei mai riuscita a fermarla, ma poi qualcuno ci pensò per
me.
Evan
le aveva preso le braccia e la teneva ferma, e anche da qui si poteva
notare
perfettamente il suo sguardo serio e penetrante.
Dopo
il primo momento di smarrimento, lei si riprese immediatamente e si
liberò
dalla sua presa.
Una
volta lasciata libera Avril, mio fratello alzò lo sguardo e
il primo sguardo
che incontrò fu il mio di totale disapprovazione. Sorrise,
probabilmente della
mia espressione, e quando ci ebbe raggiunti, si stravaccò
sulla sedia che avevo
lasciato libera, iniziando a giocare con il tappo della bottiglietta di
limonata di Charlotte.
"Hai
deciso di torturarla, per caso?" gli chiesi inviperita.
In
qualche modo, sentivo che Avril sarebbe diventata la grande amica che
non avevo
mai avuto la fortuna di avere, e mi dispiaceva vedere come era trattata
da mio
fratello.
Infatti,
questa mattina avevo chiesto a Danica di aiutarla ad ambientarsi e di
assicurarsi che nessuno le desse fastidio nel suo primo giorno di
scuola. Avevo
voluto proteggerla...
"A
chi ti riferisci?" Alzai gli occhi al cielo, che razza di deficiente.
Sbuffò e proseguì. "E poi, non è
necessario che tu la faccia seguire da Danica."
Mmh, se l'aveva notato, voleva dire che aveva tenuto d'occhio Avril per
tutta
la mattina. "Se hai deciso di farci amicizia, dille che, la prossima
volta, è meglio se si fa i cazzi suoi, grazie."
"Stronzo"
borbottai tra me e me. Non sapevo cosa volesse dire con quella frase,
ma restava
sempre e comunque uno stronzo.
Uscii
dall'edificio e la cercai nel giardino della scuola.
La
vidi seduta sotto un albero a godersi il caldo sole del mezzogiorno,
con gli
occhi chiusi. Rientrai veloce nella caffetteria.
Pov
Avril
Annie
Taubenfeld era di fronte a me e mi stava facendo ombra con il suo
corpo. Mi
regalò un sorriso a trentadue denti. Sembrava proprio uno di
quei personaggi
sempre allegri degli anime giapponesi, con gli occhioni tondi e
luccicanti, e
un viso incorniciato da lunghi capelli marroni chiaro.
"Ti
va un caffè"?mi chiese gentilmente, porgendomi uno dei due
bicchieri della
caffetteria che aveva in mano.
La
guardai con sospetto, cosa significa questo suo gesto?
Aveva
forse mandato la sorella gentile a rimproverarmi?
"Possiamo
parlare un attimo?" chiese, confermando i miei sospetti.
"E
di che vorresti parlare?" le risposi scettica.
"Accetta
il caffè e lo saprai!" Mmh...in
fondo due chiacchiere non avevano mai ammazzato nessuno.
"Ok,
dimmi pure."
"Ehm...ti
va se ci sediamo su una panchina?"
Acconsentii,
ridendo della sua faccia buffa. Mi alzai e mi sistemai la gonna,
afferrando lo
zaino e le scarpe e ci avviammo verso la panchina più
vicina. Camminare a piedi
nudi mi dava sollievo ai piedi, era piacevole sentire l'erba sotto di
sé.
"Allora?
Che hai di tanto importante da dirmi?" Danica mi aveva consigliato di
farmela amica, ma in quel momento ero troppo nervosa per essere gentile.
"Voglio
solo bere un caffè con te." Fece spallucce e mi porse il mio
caffè. Intuii
subito però che mi stava nascondendo qualcosa, come se
avesse un piano segreto
che mi riguardasse da vicino.
"Ah
grazie, mi serviva proprio un caffè adesso." Troppo sincera
Avril, troppo
sincera.
"Allora,
come è andato il primo giorno di scuola?" disse, girandosi
verso di me. Con
la sua aria gentile, sembrava veramente avere un'attenzione genuina per
la mia
giornata.
"Direi...non
male" Ecco, altra grandissima cazzata! Sapevo bene che era stato un
disastro assoluto, e lo sapeva anche lei.
"Davvero?"
disse, alzando le sopracciglia, incredula. Non mi aveva creduto per
niente. "Essere
convocata dalla vicepreside appena arrivata è stato solo
l'inizio, vero? Danica
ti ha definito triste e mi ha detto che non hai parlato con nessuno."
"Capisco...e
tutte queste cose te le ha dette lei, giusto?"
Lei
annuì e continuai. " Non ti preoccupare, comunque. Domani
andrà meglio."
dissi a me stessa più che ad Annie.
"Scusa
per Evan, ma lui di solito non si comporta così...sei andata
a letto con lui?"
mi chiese, diretta.
La
sua domanda a bruciapelo mi lasciò senza parole.
Fissò il suo bicchiere, come
se fosse la cosa più importante del mondo, poi
alzò gli occhi, implorandomi di
dirle che non avevo fatto una cazzata del genere.
"È
un problema?" le chiesi, facendo una finta faccia dispiaciuta. Lei
sgranò
gli occhi e abbassò il capo, demoralizzata. A quel punto non
resistetti più e
scoppiai a ridere.
"No,
tranquilla..." la confortai, facendomi pensierosa.
Quanto
potevo dirle? Ma si, in fondo la figura di merda non la facevo io.
"Toglimi
una curiosità. Tuo fratello è mai
stato...rifiutato?" chiesi.
Al
suo scuotere la testa, risi ancora di più. "Io l'ho fatto,
per ben tre
volte. Credo che questo sia stato abbastanza grave da meritarmi il suo
odio."
conclusi sarcastica.
Lei
mi squadrò, sgranando gli occhi. "Stai scherzando? Evan
rifiutato per ben tre
volte? E chi se lo aspettava." disse, unendosi alla mia risata.
Il
caffè finì in fretta, così come la
pausa pranzo tra le risate. Mi sentivo più
leggera, forse sarebbe andata veramente meglio.
"Bene,
adesso devo andare a lezione. Comunque, oggi pomeriggio, dopo le
lezioni, ci
sono i provini per le nuove cheerleaders. Ci serve una ginnasta con
esperienza,
e da quello che ho visto stamattina tu mi sembri perfetta per il ruolo.
Poi devi
scegliere due attività extrascolastiche, per cui..."
Spalancai
gli occhi e stavo per dirle assolutamente di no, quando si
incamminò verso l'entrata.
"Alle 15 e 30 al campo di football. Ti aspetto." Urlò,
alzando la
mano in segno di saluto.
"No
Annie, non vengo." le urlai in risposta, ma
ormai lei era lontana e non mi sentì.
O, forse, fece finta di non
sentirmi.
Non
avevo nessuna intenzione di passare dal
campo di football, non ero una stupida ragazzina tinta senza cervello e
che si
credeva di essere chissà chi solo perché era una
cheerleader.
Le
lezioni erano finite e mi costrinsi a pensare positivo, facendo il giro
delle
varie sedi dei Club e Circoli dove si svolgevano le attività
extra.
La
lista era lunga e ordinata alfabeticamente ed eliminai subito quelli
che
sicuramente non avrei frequentato, cucito e cheerleaders in testa.
Poi,
mi accorsi che, per andare alla sede di fotografia, dovevo per forza
passare
davanti al campo di football. Probabilmente c'era anche una strada
alternativa,
ma quella che ormai avevo intrapreso era la più veloce, e
avrei tanto voluto
non perdermi, per una volta.
Mi
avvicinai, cercando di rimanere nascosta dalle gradinate.
La
bionda figlia dei Taubenfeld, credevo che si chiamasse Charlotte,
guardava
malevola le candidate.
Va
bene, alcune non avevano per niente il suo fisico, ma non vedevo il
motivo di
essere così perfide.
"La
parola "cheerleaders" in questa scuola vuol dire eccellenza,
perfezione, il meglio del meglio!" Alzai gli occhi. Porca miseria,
quante
arie che si davano. "La squadra di football è la migliore
dello stato e si
merita il tifo migliore, noi! Quindi, le selezioni saranno severe e gli
allenamenti ancora più duri. Se pensate che un impegno
costante e intenso sia troppo
per voi, lasciate stare, il cheerleading non ha bisogno di
scansafatiche.
Soffrirete e vi ammazzerete di fatica in palestra, ma avrete anche
tanto di
vostri sacrifici. Annie."
Non
ero tanto sorpresa dal suo discorso finale, né tanto meno
che lei fosse la capo
tifoseria. Incarnava perfettamente lo stereotipo della
cheerleader:bionda
ossigenata, un fisico da paura, popolare e ricca.
Dentro
di me sogghignai, se gli stereotipi nascevano ci doveva pur essere un
motivo.
Annie
Taubenfeld prese la parola.
"Se
non sapete fare questo..." disse, indicando una ragazza che fece una
spaccata in salto "...potete anche lasciare tutto e andarvene. E non
crediate che vi accetteremo tra di noi, se non siete capaci di fare
anche questo."
Due ragazzi fecero una serie di salti sui tappeti azzurri messi a bordo
campo,
davanti alla squadra. Erano davvero bravi.
Comunque,
questo atteggiamento da parte di Annie, così freddo e
sprezzante, non me lo
sarei mai aspettato. Non era la stessa ragazza con cui avevo parlato a
pranzo.
Lentamente le aspiranti se ne andarono alla spicciolata, con le spalle
curve
per la delusione. Mio malgrado, ero rimasta ferma ad osservare la
scena, con alcune
ragazze che mi passarono accanto e mossero la testa, sconsolate.
Annie
indicò un’altra serie di passi e acrobazie che
avrebbero dovuto scoraggiare
persino le ragazze più convinte. Ma non me.
Prese
gli shorts che avevo messo nello zaino, li infilai sotto la gonna che
tolsi
insieme alle scarpe, slacciai i bottoni della camicia, e me la sfilai,
fregandomene
se qualcuno mi stesse guardando.
Il
teschio sorrise beffardo, aveva ritrovato il suo posto su di me.
Non
mi diedi pena di mettere le Converse, mi avvicinai ai tappetini
direttamente a
piedi nudi.
Per
fortuna, l'attenzione dei ragazzi non era rivolta a me, e
così ne approfittai, facendo
una serie di salti mortali in avanti, alternando uno con le mani a uno
senza, e
concludendo con una ruota perfetta.
Vidi
Annie saltellare sul posto tutta contenta, battendo le sue mani,
eccitata.
Al
contrario, Charlotte mi squadrò disgustata. Disprezzo che
nascondeva
ammirazione? Non ne ero proprio convinta, il suo era odio allo stato
puro. Le
sorrisi, ripagandola con lo stesso odio negli occhi.
"Bene,
ora posso anche andarmene." dissi, andando verso gli spalti e
riprendendomi
lo zaino.
Mi
rinfilai anche le Converse, non potevo di certo continuare ad andare in
giro a
piedi scalzi...
"Ehi,
aspetta!" disse Annie, che era riuscita a raggiungermi con il suo passo
svelto.
"Sei
venuta alla fine. Sei stata grande, lo sapevo che avevi classe. Entra
nella
squadra, ti prego." disse, congiungendo le mani.
"Annie,
toglitelo dalla testa." Non ero stata io a
parlare, ma qualcuno mi aveva appena tolto le parole di bocca.
Charlotte ci aveva
raggiunte. "Scordatelo, non la voglio in squadra."
"E
chi ti dice che io voglia entrarci?" le risposi a tono, mi stava sulle
palle con quella sua aria da sostenuta. "Non è per niente
difficile
ballare quelle mosse idiote che fate." Mi rispose con un'occhiataccia.
"Barbie, non guardarmi così, non credere che il mondo giri
intorno a te,
non funziona in questo modo. Non diventerò mai un'oca senza
cervello!"
dissi, ma quello che non riuscii a prevedere, fu la sua reazione.
Mi
si avventò contro, ma quello che non sapeva era quanto fossi
un asso nelle
risse.
Lei
continuava a colpire con furia cieca, senza senso, e riuscii facilmente
a
tenerle testa.
Più
lei attaccava, più io ridevo e più ridevo,
più lei si irritava e colpiva alla
cieca. Sicuramente, dopo il nostro piccolo scontro, avrebbe dovuto
rifarsi la
piega. Per una ragazza tutta apparenza come lei era la cosa peggiore.
"Char"!
Annie cercò inutilmente di farci dividere, ma non ci
riuscì finché non sentii
delle braccia forti separarci.
Un
altro Taubenfeld, Matt, teneva ferma Charlotte
senza difficoltà. Lei si dimenava come una furia, ma lui era
decisamente più
forte.
Intanto
altre braccia mi sollevarono da terra, dove ero rimasta seduta a ridere
per la
scena tra Matt e la bionda ossigenata.
Voltai
appena il viso e vidi Evan. Con
la divisa da football sta divinamente, è così...
Avril
Ramona Lavigne! Basta con questi discorsi stupidi!
"Ma
tu litighi sempre con tutti?" mi rimproverò, serio. "Sei una
selvaggia." sussurrò al mio orecchio, facendomi
rabbrividire. "Ah, gli
spogliatoi esistono per un motivo preciso, anche se ho comunque
apprezzato lo
spettacolo." disse, ridacchiando.
Ops,
avrei fatto meglio a controllare che non ci fosse nessuno in
circolazione
mentre mi ero cambiata.
Mi
voltai piano verso di lui - non era affatto semplice, perché
mi teneva stretta a
sé - e lo volli stuzzicare un po'. "Sono contenta che ti sia
piaciuto..."sussurrai
maliziosa a pochi centimetri dal suo viso. "...ma la prossima volta sei
pregato di non guardare!" conclusi glaciale, come sempre.
"Come
hai fatto tu?" mi rispose, sarcastico. La bambina che era in me
reagì e
gli pestò un piede con forza. Lui, invece di lasciarmi
andare, cosa che io
speravo, mi attirò ancora più a sé.
Sentii delle scosse che mi percorrevano la
schiena, e la sua presa farsi quasi violenta e possessiva.
"Ehm...ragazzi..."
La voce di Annie mi riportò alla realtà e lo
allontanai con forza.
Presi
lo zaino e mi diressi verso il Club di fotografia, cercando di
riprendere un po'
di lucidità.
La
dovevo smettere di farmi fregare da lui, due volte in un giorno a poche
ore di
distanza era quasi da ricovero. Togliamo
pure il quasi.
Alle
cinque in punto, orario della fine della
giornata scolastica, mi presentai in segreteria e consegnai i moduli
per l'iscrizione
alla squadra di atletica della scuola e al club di lettura, due cose
semplici
che rispecchiavano le mie passioni.
La
segretaria mi restituì l'iscrizione ad atletica, dicendo che
ero già iscritta
nelle cheerleaders e che potevo partecipare ad una sola
attività sportiva.
"Si
sbaglia, non ho nemmeno fatto il provino..." provai a spiegarle.
"Annie
Taubenfeld ha presentato la sua domanda ed è stata
accettata." Il foglio
tra le mie mani si accartocciò.
"Ritiro
la mia iscrizione, va bene?" dissi, con la voce che tremava di rabbia
repressa.
"Non
è possibile, mi spiace." Certo, se lei era dispiaciuta, io
ero una
rockstar conosciuta in tutto il mondo!
Riprese
a lavorare senza degnarmi di ulteriori sguardi e io uscii dalla
segreteria
sbattendo la porta. Andai verso il mio skate e lì trovai
Annie.
"Che
c'è, hai deciso di perseguitarmi?" le chiesi acida.
"No,
voglio solo esserti amica." spiegò con un gran sorriso.
"E
essere amiche vuol dire continuare a mettere lo zampino ovunque?" Non
sopportavo chi entrava a gamba tesa nella mia vita. "Lo sai che non ci
vengo agli allenamenti, vero?" L'ammutinamento mi sembrava la strategia
migliore.
"Proposta!
Stasera esci con me e vestiti comoda, perché ti porto a
ballare." la guardai
scettica. "Ti prego..." mi implorò con una vocina al limite
delle
lacrime.
Sbuffai.
"Ok, ma dovrai passarmi a prendere e convincere Judy a lasciarmi
uscire...sai ho il coprifuoco." conclusi sarcastica, ma con la segreta
speranza che questa volta le regole di Judy mi salvassero in qualche
modo.
"Oh,
ma per quello non c'è problema. Mia madre ha chiamato la
tua, dicendole della
nostra uscita. Ciao, a stasera, alle 9 a
casa tua!" disse, andandosene via.
Che
piccolo essere perfido!
E
se non mi fossi presentata, inventando una scusa all'ultimo momento?
Facile,
Judy mi avrebbe cacciato di casa, pur di uscire con una dei fantastici ragazzi della famiglia Taubenfeld.
Annie
mi aveva fregato. Merda!
|
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Capitolo 24 *** What happened to my... Monday? ***
Salve
:)
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- AliceKeepHoldingOn - Beliectioner_FE_love_FE - Look_at_the_sky - RamonaLBS-
Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - Brazza - Hakkj -
itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky - Mary Fichera - MusicIsMyDestination
- RamonaLBS
Allora,
avete sentito la triste notizia?
La
stessa Avril ha confermato che l’album sarà
rilasciato
ufficialmente il 5 Novembre :(
Invece,
se lo volete pre-ordinare, lo potete fare dal 24
Settembre.
Mi
chiedo chi abbia avuto questa brillante idea…*tutti pronti
con
i forconi?*
Ok,
vorrà dire che aspetteremo fino a Novembre.
E
chi ce la fa?!
Bisogna solo pazientare!
Va
beeene, auguro una buona lettura a tutti con questo capitolo a
ben 3 Pov!
Pov
Annie
Il
mio piano era semplice, perfetto e diabolico, per certi versi.
Avevo
chiamato Ami, pregandola di telefonare con una scusa qualsiasi alla
signora
Mitchell e di chiederle se per lei fosse un problema che sua figlia
studiasse a
casa nostra quella sera. Naturalmente, mia madre sapeva dove la volevo
portare,
ma dopo un paio di lamentele aveva accettato. Non amava conversare con
Judy e
non potevo di certo darle torto, quella donna trasudava
ottusità da ogni
singolo poro della sua pelle.
Avevo
convinto mia madre dicendole che volevo essere amica di Avril, ma che
lei era
diffidente nei miei confronti. Volevo solo che quella ragazza fosse
felice e
così era anche per la mia dolce mamma, perché le
aveva fatto una buona impressione
a cena, ma aveva notato quanto i suoi occhi fossero tristi.
Avril
aveva le mani legate, anche se avesse rifiutato il mio invito, sua
madre
l'avrebbe fatta uscire comunque. L'avrei portata al Passion Skate.
Certo, Evan
non avrebbe apprezzato, ma Avril doveva conoscere meglio il mio mondo,
e
soprattutto quello di mio fratello.
Tra
di loro c'era una strana alchimia, si attraevano come due calamite, ma
i loro
caratteri forti li portavano sempre al contrasto. Per qualche strana
ragione,
il mio fratellino non ammetteva con sé stesso che gli
piacesse Avril, e poi ad
Evan avrebbe fatto sicuramente bene trovare qualcuno che gli tenesse
testa.
Canticchiavo
serena davanti al mio armadio, in cerca di qualcosa di carino per la
serata. La
porta della mia camera si aprì e si chiuse con un tonfo alle
spalle di Drew.
"Non
si usa più bussare?" gli chiesi, ma senza
acidità, tornando a concentrarmi
sul mio armadio.
"Potrei
sapere che intenzioni hai?" Lo guardai, facendo la finta tonta.
"Non
so a cosa ti riferisci." dissi, tornando a canticchiare e togliendo dei
pantaloni dalla loro gruccia.
"Lo
sai benissimo, Annie. Ho appena parlato con Ami." Ecco, e ti pareva che
mamma non facesse la spia e si confidasse con il nipote...
"E
allora, mamma ti ha chiesto di controllare le mie amicizie? Le ho
chiesto solo
di venire a ballare."
"No,
Ami approva il tuo comportamento, ma hai perso la memoria?" disse,
avvicinandosi e sedendosi sul mio letto. "Il lunedì si va
tutti al Passion
Skate a ballare e non credo che Avril sia quel tipo di ragazza e che
tanto meno
Evan approvi che tu la porti con te."
"Non
mi interessa cosa pensa quello sfigato." Strinsi forte i pugni, mio
fratello non poteva impedirmi di avere una nuova amica. Drew mi prese
le mani
tra le sue, facendole schiudere.
"Ti
renderebbe felice avere Avril come amica?" mi chiese, e al mio accenno
di
assenso, continuò. "Ma puoi avere tutte le amiche che vuoi,
perché ti
fissi con lei?"
Tolsi
immediatamente le mie mani dalle sue, scocciata.
"Ma
si può sapere che avete voi uomini? Siete ciechi? Avril ha
una personalità
molto forte, ma è anche fragile, e le serve un'amica come
me!" ribattei,
sicura. "Voglio che lei sia felice, e io posso farla felice!" urlai,
ormai in preda alla rabbia. "E poi, non hai visto l'attrazione che
c'è con
Evan? Io credo che anche lui finalmente possa essere felice con una
ragazza che
apprezzi la sua personalità!" dissi.
Drew
si alzò dal mio letto e si voltò verso la porta.
"Se basta questo a
renderti felice..."disse, dandomi le spalle. Il suo tono era tagliente,
freddo. Non era mai stato così con me.
"Certo
che mi rende felice!"risposi di getto.
"Ma
una volta tanto, non puoi fare qualcosa solo per te stessa e non per
gli
altri?" mi chiese, girandosi.
"Mi
stai accusando di eccessivo altruismo?" ribattei, acida e sarcastica.
"No,
dico solo che anche tu meriti una persona che ti ami." Rimasi
completamente spiazzata da quelle parole. "Secondo me...devi amare una
persona, prima di cercare di trovare la ragazza giusta per Evan."
"Non posso trovarla. Io
amo già
qualcuno." sussurrai triste. "Ma lui non lo vuole capire..."
"Che
stupido." disse, girandosi verso la porta. La sua mano stava per
abbassare
la maniglia, e sentivo tutta la sofferenza, che avevo provato a
nascondere nei
mesi precedenti, crescermi dentro. Insomma, quanto poteva essere cieco?
Possibile che non capisse?
"Già,
sei proprio uno stupido!" Lui si fermò, impietrito dalla mia
rivelazione,
mentre le lacrime che avevo trattenuto per tutto quel tempo, iniziarono
a
scorrere veloci dai miei occhi.
"Annie,
noi siamo fratelli...anche se non geneticamente, né
legalmente." Infatti,
lo sapevo che il mio amore fosse una cosa sbagliata, non c'era bisogno
che me
lo facesse notare anche lui. L'avevo sempre tenuto nascosto da occhi
indiscreti,
cercando di soffocarlo in tutti i modi, ma per quanto avessi provato,
non ci
ero mai riuscita.
"Oh,
scusa se non posso comandare al mio cuore chi amare." dissi, con il
sarcasmo che prese per un momento il posto della tristezza. "Tu non sei
uno stupido, sei un'idiota senza cervello!"
Ero
sicura che fosse uscito dalla mia stanza, perché avevo
sentito il rumore della
porta chiudersi. Così, mi sedetti sul letto e mi presi il
volto tra le mani,
piangendo senza nessuna remora. Poi, però, sentii il
materasso sprofondare
vicino a me e due mani toccare dolcemente le mie.
"Annie,
guardami." Non riuscii a sollevare lo sguardo, ero piena di vergogna.
"Annie! Guardami, per la miseria!" ripeté con
autorità, riuscendo ad
alzare il mio viso verso il suo.
"Annie,
non puoi continuare così. Amarci è...sbagliato".
Il suo volto era molto di
più che sofferente, non avrei mai dovuto confessargli i miei
sentimenti.
"Pensi
che non lo sappia, o che non lo sappiano tua sorella e Matt? Ma loro
non ci
pensano e si amano lo stesso!" gli urlai in faccia.
"C...
Cosa? La mia sorellina e Matt? Ma io a quello gli spacco la
faccia!"disse,
passando dalla sorpresa alla rabbia in un nanosecondo. Asciugai le
ultime
lacrime rimaste, mi ero sfogata abbastanza. Ci avrebbe pensato il
cuscino,
stanotte, ad accogliere il resto del mio dolore.
"Non
lo sapevi? Credo che tu sia l'unico in casa."
"No...
Ma comunque, parleremo dopo di loro, perché... Beh, ecco...
Anch'io... "
"Anche
tu, cosa?"
"Si,
insomma... Anche io ti amo! Ecco, l'ho detto. Ti giuro, ho tentato in
tutti i
modi di amarti, ma anche solo di vederti, come una sorella,
perché so che è
sbagliato, stupido, immorale e..." Oh no, stava andando in
iperventilazione, dovevo fermarlo.
"Drew...
"
"Ho
tentato di respingerlo, davvero, ma più ci pensavo e
più mi faceva male. E
poi... "
"Drew!
Fermati!"
"...
Io non voglio andare contro i nostri genitori, hanno fatto
così tanto per me e
per Char, ci hanno accolto da quando eravamo piccoli, e..."
Ok,
la situazione stava precipitando di secondo
in secondo.
Feci
l'unica cosa possibile per fermarlo e per farlo riprendere. Gli tirai
un
ceffone.
Lui
sgranò gli occhi e si portò la mano sulla guancia
colpita. "Ma che ho
fatto?"
"Innanzitutto,
calmati... E poi, mi sono persa...Che stai dicendo? Anche tu..." Non
ebbi
il coraggio di finire la frase. Non avevo né la forza,
né tantomeno la speranza
di illudermi che anche lui potesse ricambiare i miei sentimenti.
"Sì"
sospirò. "Anne Mary Taubenfeld, anche io ti amo. E... So per
certo, che se
adesso ti dicessi che ti amo solo come sorella, sminuirei tutto l'amore
che un
uomo prova per una donna, e tutto l'amore che io provo per te."
Era
come se fossi divisa in due parti. La prima parte, quella pessimista,
credeva,
inconsciamente, di stare sognando. Quante volte avevo sperato che
questo
momento diventasse realtà? Sembrava troppo giusto, troppo
perfetto, perché
accadesse davvero.
L'altra
parte invece, quella ottimista, stava già saltellando per la
stanza e stava per
andare in giardino ad accendere i fuochi d'artificio.
Sperai
tanto che la parte ottimista avesse ragione.
"E
allora, che problema c'è? Amiamoci!" dissi, sorridendo dolce
e con
semplicità. Mi sembrava una cosa talmente ovvia.
"Ma
non possiamo, non capisci?" mi sussurrò, mettendo le mie
mani sulle sue.
"Drew!
Adesso basta! Tu puoi amarmi e io posso amarti, proviamoci almeno!
Questo è il
miglior giorno della mia vita, non rovinarmelo. Prometti che ti
impegnerai per
far funzionare la cosa?" chiesi, alzando il tono di voce.
"Va
bene" disse, annuendo e sorridendomi, finalmente.
Si
sporse verso di me, e piano le sue labbra furono sulle mie, gentili,
delicate,
in un bacio dolcissimo.
Mi
strinse tra le sue braccia e mi accoccolai
sul suo petto.
Mi
sentivo felice, completa e amata, dopo tanto tempo.
Qualche
minuto dopo, tutta l'aurea di felicità che si era venuta a
creare, fu spazzata
via velocemente dalla "furia Charlotte", che entrò in camera
mia,
spalancando la porta, senza nemmeno bussare.
Vedendoci
così, arrossì di colpo e tentò di
mettere insieme una frase. "Ecco... Si,
io, insomma..."
"Che
c'è sorellina, ti sei scandalizzata?" chiese divertito Drew.
"Che
ne hai fatto del mio gemello, Annie? Questo non è lui..."
disse,
ritrovando la parola.
Mi
girai per guardarlo. Mi fece un sorriso tra l'allegro e il malizioso. Cavolo, era così dannatamente bello...
Per
fortuna, Charlotte mi distrasse dalla mia crisi ormonale.
"Ho
cambiato idea. Non rispondermi, non lo voglio sapere, la nuova versione
di Drew
va bene. Ora, caro fratellino, potresti gentilmente uscire che devo
essere
arrabbiata con la tua nuova ragazza, per favore?" disse.
E
ti pareva che dovesse farmi anche la ramanzina!
Drew
sospirò e mi baciò un'altra volta. Mmh,
potrei anche farci l'abitudine...
Poi,
oltrepassò Char, ma prima di uscire, si fermò e
le disse:"Matt, eh? Io e
te dobbiamo fare un bel discorsetto."
Lei
sgranò gli occhi, ma non disse nulla e abbassò la
testa, rossa in viso. Io,
invece, fischiettavo tranquilla, mentre sceglievo cosa abbinare ai
jeans.
"Annie...La
felicità di vedere mio fratello finalmente felice con la
donna che ama, non mi
impedisce di essere arrabbiata. Non lo hai detto tu a Drew, vero?"
"Ehm...potrebbe
essermi sfuggito." Mi lanciò una delle sue occhiatacce
fulminanti. "E
dai, Char. Sono felice! E innamorata!" dissi, sorridendole.
"Si,
ok, va bene. Piuttosto, parliamo dei provini di stamattina."
"Perché?"
le chiesi, sorpresa.
"Annie,
è vero che ti avevo dato carta bianca...Ma far entrare in
squadra quella idiota
di Avril è troppo!"mi urlò in faccia.
"Ah,
per quello... Beh,"è una brava ginnasta e ci serve per
vincere. Non credo
ci sia niente di male." dissi, scrollando le spalle.
"Sarà
anche una brava ginnasta, ma non è una cheerleader. Non
vuole entrare in
squadra e ci darà un sacco di problemi."
"Oh,
Char... Lo sai che non è tanto diversa da me e da te."
"No,
non credo proprio. Le si legge in faccio il disprezzo per noi!"
"Mmh,
che ne dici di questo abbinamento?" le chiesi, sovrappensiero.
"Cambia
maglietta. E scarpe. Si va a ballare, mica a una sfilata."
"Sì,
mi sa che hai ragione."
"Comunque,
non cambiare discorso, Annie."
"Lei
è come noi Char, non capisci?" le chiesi, aspettando
impaziente la sua
risposta.
"No,
veramente no."
"Insomma,
anche lei vuole essere amata!"esclamai, prima di dichiararmi
soddisfatta
della scelta dei vestiti per la serata.
Un
semplice paio di jeans chiari, a cui avevo abbinato una maglietta senza
maniche
di un azzurro intenso, e le ballerine della stessa tonalità.
"Scusami, ma
cosa..."
"No, niente
ma Char! Ora scusami, ma ho un'ospite da andare a prendere."
Pov
Avril
Scesi
le scale proprio mentre suonavano alla porta.
“Vado
io!” urlai, anticipando la cameriera, tanto sapevo
perfettamente chi fosse.
Infatti,
Annie mi sorrise raggiante, neanche fosse la mattina di Natale.
Judy
fece la sua comparsa sulla porta, e proprio allora decisi che sarebbe
stato il
momento opportuno per levare il disturbo.
"Andiamo.”
La spinsi fuori, mentre agitava la sua manina verso mia madre, che ci
salutò.
“Buona
serata, ragazze!” Non sprecai il mio fiato nemmeno per
risponderle.
Era
convinta che andassi da Annie a studiare. Invece, il programma era di
andare a
ballare. La piccola bugia mi serviva per due motivi. Il primo era per
uscire,
il secondo per evitare il coprifuoco, nonostante non mi facessi tanti
problemi
a mentire a Judy, comunque.
Non
appena vidi la macchina di Annie, sgranai gli occhi.
Ma
cosa cavolo erano i signori Taubenfeld, trafficanti di diamanti?
Prima
una Ducati, ora una BMW...
Salii
sulla macchina, cercando di nascondere l'irritazione.
"Allora,
dove andiamo?” dissi, rompendo il silenzio che era sceso in
macchina.
"Sorpresa!”
mi disse, allegra.
"Io
odio le sorprese." bofonchiai, sentendomi tanto il Puffo Brontolone.
“Oh
andiamo, è un posto che frequentiamo io e i miei
fratelli.” Peggio ancora!
Notando
la mia faccia, si affrettò ad aggiungere:"Ma... sono sicura
che ti
piacerà, vedrai."
Mah,
se lo diceva lei...
Eravamo
alla periferia della città, e riuscì ad
intravedere un ampio parcheggio verso
cui Annie si stava dirigendo. Ampio ma tutto pieno.
“Annie...”
dissi, tentando di farle notare che fosse una cosa totalmente inutile
cercare
un posto libero.
Lei
invece, senza nemmeno guardarsi intorno, si diresse decisa proprio
vicino
all'ingresso dell’edificio e chissà come,
trovò parcheggio. Mi nasceva un
dubbio. Non è che il locale... Nah, non poteva essere.
Lasciai
vagare lo sguardo per il parcheggio. In quanto a mezzi costosi, notai
solo una
Yamaha R1, nera e con la scritta oro, ma niente Ducati, per fortuna.
Lui non
c'era e potei respirare più facilmente. Non credevo di
volerlo vedere, non dopo
oggi.
“Vieni,
gli altri ci aspettano.”
La
voce squillante di Annie mi ridestò da ogni mio pensiero su
di lui. “Gli altri?”dissi,
fermandomi allarmata. Che ci fosse anche lui?
“E
dai, muoviti!” disse, prendendomi per il braccio e trascinandomi verso la
lunga coda all’entrata
del Passion Skate.
“Annie!
Non entreremo mai!" mi lamentai, segretamente soddisfatta. Lei
però mi
sorrise furba e salutò con affabilità i
buttafuori, Ben e Tyson.
Come
mai li avevamo raggiunti così in fretta?
Semplice,
la mia accompagnatrice aveva spintonato e chiesto con
autorità permesso,
tenendomi sempre il polso ed evitando che rimanessi indietro, mentre
io,
imbarazzatissima, chiedevo scusa a chi pazientemente aspettava il
proprio
turno.
Si
perse in chiacchiere con i due omoni, sembrava davvero che li
conoscesse bene.
Ci
fecero passare subito, nessuno nella fila si lamentò, come
se per loro fosse
una cosa normale. Dopo il breve corridoio dell’ingresso, dove
c’era il
guardaroba, entrammo nella sala da ballo. La musica veniva mixata da un
dj su
una torretta in un angolo della sala, con le luci che si inseguivano e
rendevano i ballerini colorati. Ballerini....ballerini di hip-hop!
Sul
mio viso era dipinto un sorriso a trentadue denti, che si stava
allargando
secondo dopo secondo. Annie rise della mia faccia, e mi urlò
nelle orecchie di
chiudere la bocca. Forse la mascella mi toccava terra...
Dovevo
ammetterlo, questa volta ero davvero piacevolmente stupita. Mi sentivo
nel mio
mondo, in qualcosa che conoscevo e amavo. La passione per la breakdance
era
nata quando avevo 12 anni, quando, all'entrata del parco cittadino,
vidi dei
ragazzi tutti tatuati volteggiare per aria ed eseguire delle mosse
davvero
spettacolari.
Mi
colpì la loro leggerezza, la loro facilità nel
compiere mosse che a me
sembravano impossibili, ma soprattutto quel senso di libertà
che emanavano.
Loro
erano liberi, e avrei voluto tanto esserlo anch'io.
Ritornai
al presente quando, come attratta da una calamita, spostai il mio
sguardo verso
il bancone del bar. Una gran folla, soprattutto donne, in
realtà, vi erano
accalcate e lo nascondevano quasi completamente. Cazzo, ma era
lunedì, che ci
facevano tutte quelle ragazze?
Alice
seguì il mio sguardo e, da donna pestifera qual'era, mi
trascinò per
l'ennesima volta. La folla si aprì al suo passaggio, neanche
fosse Mosè davanti
al Mar Rosso. E io, naturalmente, avevo il polso imprigionato nelle sue
grinfie. Questa ragazza aveva davvero una doppia
personalità. Tanto gentile e
dolce all’apparenza o quando ti offriva un caffè,
quanto forte e determinata
quando doveva torturare le future cheerleaders o quando doveva farsi
largo tra
la folla.
“Ehi
Annie!” Anche se la musica mi stava rendendo quasi sorda,
avrei riconosciuto
ovunque quella voce. E adesso, si spiegava anche perché le
donne erano il 99,9%
della piccola folla riunita attorno al bancone. “Che ti
offro?” Io ero rimasta
dietro le spalle di Annie, e lui non mi aveva ancora visto. Non credevo
proprio
che avrebbe fatto i salti di gioia appena mi avesse visto.
“Due
limoncelli!” Wow, mica ci andava leggera la ragazza. Venni
trascinata in avanti
con forza. Menomale che misi le mani avanti, altrimenti mi sarei
già ritrovata
all’ospedale con contusioni multiple per scontro
con bancone di bar.
Evan
aveva versato i limoncelli e mi guardò furente. Cosa avevo detto
io? Salti di
gioia... “Che ci fa lei qui?” sibilò,
rivolto alla sorella, ma continuando a
guardare me con i tratti del suo bel volto induriti dalla rabbia che,
nonostante tutto, stava cercando di reprimere.
“È
mia ospite, quindi non rompere!” gli rispose a tono Annie.
“E
ora, signore e signori, è arrivato il momento tanto
atteso!” disse il dj
dall'alto.
“Io
e te ne riparliamo a casa.” disse, portando la sua attenzione
sulla sorella. “Ma
mi raccomando, non farle fare casini.” C...Cosa? Ma come si
permetteva quello
stronzo? Io fare casini? Ok che facevo sempre qualche cazzata in
qualsiasi posto
andassi, ma la facevo solo se provocata! “Vado, Chad mi sta
chiamando.”
“È
il momento più atteso della serata, ragazzi e ragazze del
Passion Skate! È l’assolo
di Evan Taubenfeld!” Assolo?
Quello
sfrontato di Evan salì in piedi sul bancone, mentre tutti
attorno a me urlavano
eccitati e si spostavano lontano da lì. Evidentemente,
sapevano che avrebbe
saltato, e non doveva essere neanche la prima volta. Odiavo ammetterlo,
ma ero
dannatamente curiosa. A scuola, nonostante tutto, si era mosso
incredibilmente
bene.
“Brody”
Si rivolse ad un ragazzo che stava shakerando un cocktail "Ora hai tu
il
comando.” disse con tono scherzoso, ma allo stesso tempo
autoritario.
Pff,
patetico. Neanche fosse un Dio sceso in terra! Sbuffai irritata dal suo
atteggiamento da padrone del mondo, mentre, con un salto mortale in
avanti con
capriola, atterrò proprio davanti a me.
“Piaciuto?”
mi chiese, sorridendomi beffardo.
“Un
po’ deludente.” gli risposi sarcastica, mentre in
realtà era stato bravo. “Non
sai fare altro?” lo provocai.
“SI!”
Annie saltellò sul posto tutta contenta, battendo le mani.
“Ottima idea!”
“Annie...Che
diavolo stai dicendo?” le chiese Evan, confuso quanto me.
“Sfidatevi!”
Eh? “Matt!” Il ragazzone, come evocato, comparve al
suo fianco. Annie gli
sussurrò qualcosa all’orecchio e lui ci
osservò intensamente mentre il suo
sorriso complice e cospiratore si fece sempre più ampio.
“A
me quei due fanno paura.” sussurrai.
“Concordo.”
Wow, avrei dovuto segnare la data! Evan Taubenfeld era d'accordo con me!
“Silenzio,
gente!” Il vocione di Matt fece calare il silenzio
all’istante. “Chad!”
“Che
vuoi?” urlò il dj, abbassando la musica. Ora
sì che il silenzio era assoluto,
non volava una mosca nell’aria.
“C’è
una sfida questa sera, gente!” Ero sempre più
confusa. “Dai, non dirmi che non
hai voglia di fargliela pagare per stamattina a questo
stronzo!” Mmh, che bel
fratello che si ritrovava Taubenfeld. Beh, se prima mi stava anche solo
un po'
simpatico, ora lo adoravo!
“Matt...”
lo rimproverò Evan.
“E
tu fratello, non avrai mica paura che questa ragazzina ti faccia fare
la
seconda figura di merda in meno di ventiquattrore, vero?”
sghignazzò,
divertito. Io lo ero un po’ meno.
“E
il mio parere non lo chiedete neppure? E poi chi vi dice che io sappia
ballare?”
“Semplice!”
Annie trovava tutto un po' troppo semplice per i miei gusti.
“I tuoi occhi si
sono letteralmente illuminati quando sei entrata qui dentro, come se
partecipassi ad ogni singola mossa dei ballerini in pista.”
Merda, mi aveva
capita meglio di quanto credessi. “E poi, come facevi a
sapere che la sfida
consistesse in un ballo?" Maledetta io e la mia boccaccia. “E
per rendere
il tutto più interessante, c’è il
premio. Se vinci tu non sentirai più parlare
di cheerleader.” Mmh, questo poteva essere interessante.
Affidarmi alle mie
capacità e alla mia buona stella poteva essere un buon modo
per liberarmi
dall'incubo cheerleaders. Certo, l’altro lato della medaglia
era inquietante,
perché, se avessi perso, sarei stata costretta a prendere
parte della squadra.
“E
io che ci guadagno?” Ecco, il solito approfittatore! Questo
potrebbe essere un
problema.
“Scegli
tu!” Eh no, che cazzo! Non volevo assolutamente replicare
l'episodio di
stamattina.
“Fama
eterna.” sussurrai ironica.
Lui
però mi sentì, si chinò verso di me e
mi parlò a pochi centimetri dal viso. “Quella
c’è già.” E lui non era un
essere presuntuoso? “E poi, un Taubenfeld non
commette mai lo stesso errore due volte. Quindi...fatto!”
disse, ridendo
soddisfatto e senza rivelare la sua decisione. Potevo solo immaginare,
da tanta
ilarità, che la cosa non mi sarebbe piaciuta affatto.
“Bene
gente! Si comincia!” Ancora una volta era Matt a dettar
legge. “Dj! Qualcosa di
appropriato, per favore!” Si interruppe un attimo per
guardarci, sempre più
divertito. “Si fa sul serio, quindi tappeti!”
Sentii Evan mormorare afflitto "No, i tappeti
no!", ma non
avevo la più pallida idea a cosa si riferisse.
Il
pubblico attorno a noi era sempre più entusiasta, mentre i
gemelli Taubenfeld
sollevavano dei pannelli mobili al centro della pista, rivelando dei
tappeti
elastici.
Li
avrei sicuramente sfruttati al meglio, non ero una ballerina eccelsa,
ma sapevo
saltare come nessun altro!
Presi
un bicchierino di limoncello e lo bevvi fino alla fine.
Cavolo
se era buono!
Evan
mi guardò impressionato, ma, se volevo ballare con lui,
avevo bisogno di
carica. Tracannai anche il secondo come se niente fosse, con una
scrollata di
spalle.
Non
facemmo in tempo a portarci al centro della
pista e a saggiare l’elasticità dei tappeti, che
la musica risuonò a tutto
volume e iniziammo a ballare. Era ora di dimostrare a Taubenfeld che
anche io
ero brava in qualcosa!
Cazzo,
imprecai in tutte le lingue e in tutti i modi possibili, era davvero
bravo!
Volteggiava, volava, si muoveva con assoluta grazia, imprimendo allo
stesso
tempo ai suoi gesti forza, decisione e carattere. Era...perfetto.
Dopo che ero rimasta immobile a guardarlo, mi
incitò a
farmi avanti, tendendo verso di me il braccio e l’indice che
poi provocante
ripiegò un paio di volte verso di sé. Accettai la
sfida, non potevo fare altro.
Non
pensavo a quello che stavo per fare, agivo e basta, lasciandomi
trasportare
dall'istinto. Saltai sui tappetini, appoggiando il piede sul bordo a
destra,
prima di lanciarmi di nuovo, decisa, sull’elastico e facendo
finire il piede
sul bordo a sinistra. Ricaddi ancora sul tappeto, ma questa volta in
capriola,
atterrando nello spazio tra i due tappeti. Mi voltai verso il mio
sfidante, e
allargai le braccia, per chiedergli se gli bastasse e, con una
sicurezza che
non possedevo, gli feci un cenno del capo, per fargli capire che era il
suo
turno.
Si
muoveva preciso e sinuoso, avvicinandosi sempre di più a me.
Eravamo vicinissimi
e il ritmo si faceva più intenso man mano che i secondi
passavano. I nostri
occhi incatenati e i nostri sorrisi divertiti e sinceri escludevano
totalmente
il pubblico, ballavamo solo per noi. Ci allontanammo e il ritmo
rallentò,
permettendomi di fare alcuni passi in verticale, scendere in ponte,
camminare
all’indietro e rialzarmi. Mi lanciai decisa verso il centro
della pista, saltai
i tappeti con una ruota su una mano sola e oltrepassai
l’ostacolo, scendendo in
spaccata, mi raggomitolo su me stessa e sollevandomi su una vola mano,
faccio
girare le gambe. Quando mi rialzai, mossi le braccia in una sinuosa
onda,
seguendo il percorso con lo sguardo. Naturalmente, la conclusione del
percorso furono
la mia calamita personale, gli occhi di Evan, che, ne ero sicura, mi
aveva
osservata per tutto il tempo. Lo guardai ancora, sfidandolo per
l’ennesima
volta, e non se lo fece ripetere due volte.
Fece
un gioco di gambe velocissimo, ruotò su se stesso e si
lanciò in una capriola
all'indietro. Quando riprese l'equilibrio, intrecciò le
braccia in un groviglio
impossibile da seguire, come se facesse e sciogliesse più
volte un nodo. Poi,
con un balzo, si arrampicò sul traliccio del dj e, con
un'altra capriola
all'indietro, atterrò sul tappetino preciso per la fine
della canzone, incrociò
le braccia e si portò una mano sotto il mento, strafottente.
La folla esultò
impazzita e lo acclamò come se fosse un Dio, alcuni lo
sollevarono addirittura!
Io
ero ancora ferma al mio posto. Tutti mi oltrepassavano, alcuni mi
spintonavano
anche, ma io guardavo solo lui. Ok, dovevo ammetterlo, sfidare Evan
Taubenfeld
nel suo territorio non era stata per niente una grande idea! Quando
tutti i
sogni di gloria venivano infranti, la ritirata era sicuramente la
scelta
migliore. Poco onorevole, ma dignitosamente di classe.
Pov
Evan
Zio
James mi si avvicinò con il suo solito sorriso
untuoso, lo avrei preso a schiaffi davvero molto volentieri.
“Ottima
performance, ragazzo.” si complimentò, falsamente.
Per me poteva anche andare a
quel paese, ma ero un ragazzo di classe e non volevo trattarlo male,
visto che era
l’unico membro della mia famiglia di origine.
“Grazie,
James.” gli risposi, secco e viscido, ripagandolo con la sua
stessa moneta. Lui
era il fratello di mia madre e mi aiutava a gestire il locale. Ero pur
sempre
un diciassettenne che andava ancora a scuola e con molti progetti per
il suo
futuro, che non contemplavano la sola gestione di un locale.
“Lizzie
sarebbe molto orgogliosa di te.” Già, ma non per
merito tuo, caro zietto, o mia
madre, prima di morire, avrebbe nominato te come mio tutore, non Mark.
Sorrisi.
Lizzie era una donna saggia e conosceva bene il fratello. Infatti, da
vero stronzo
quale lui era, aveva tirato in ballo mia madre senza un motivo valido,
pur
sapendo che il ricordo di mia madre mi ferisse molto.
Senza
degnarlo ulteriormente della mia attenzione, osservai la sala. Tutti
erano
tornati a divertirsi dopo la sfida tra me e Avril, e qualcuno doveva
aver
esagerato con l’alcool.
Tyson
era stato bloccato da alcuni ragazzi che avevano deciso di prendersi a
pugni,
dovevano aver alzato troppo il gomito.
Accettavo
tutto al Passion Skate, ma non disordini del genere. Appena vidi Ben,
gli feci
cenno di andare ad aiutare il compagno, in modo che la situazione non
degenerasse
e quegli idioti venissero sbattuti fuori.
Percorsi
ancora una volta la sala con lo sguardo. I miei fratelli erano in pista
che
ballavano come dei matti a coppie, Charlotte e Matt, e Annie e Drew.
Sorrisi,
volevo molto bene a tutti e desideravo con tutto il cuore che fossero
felici. L'unica
nota stonata era che non vedevo lei, la mia stella, doveva sicuramente
essere
uscita dalla sala.
Non
avrebbe dovuto allontanarsi da sola, soprattutto in quel momento che
non c’era nessuno
all’ingresso, merda!
Il
Passion Skate era un posto rispettabile, ma eravamo pur sempre alla
periferia
di Los Angeles. La cosa non mi piaceva per niente. Di solito,
c’era sempre qualcuno
che si assicurava che non accadesse niente ed ero tranquillo, ma
adesso...provavo
una strana ansia. Presi le chiavi della mia moto, il casco e il
giubbino e veloce
guadagnai l’uscita, ignorando chiunque mi salutasse.
Uscii
nell’aria frizzante della notte, che, dopo il caldo
soffocante del locale, mi
faceva sentire stranamente vivo.
Appena
fui fuori, i miei occhi, abituatisi al buio, misero a fuoco una scena
che mi fece
gelare il sangue nelle vene. Lasciai cadere tutto, casco, giacca,
chiavi, ogni cosa.
La
testa mi girò improvvisamente, e sentii tutto il mio corpo
fremere per la
tensione. Morii in quello stesso istante.
|
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Capitolo 25 *** Isn't anyone trying to find me? Won't somebody come take me home? ***
Salve
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Ringrazio
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- nami24_love- RamonaLBS
Per
questo continuo, vorrei
che chiunque, mentre lo leggesse, ascoltasse I’m With You.
Trovo che la canzone
sia praticamente perfetta per il capitolo (per cui mi sono impegnata
molto, tra
l’altro) e penso che la musica lo renderebbe ancora
più speciale.
Un
grazie particolare a tutti quelli che lo faranno.
Avril
Lavigne – I’m With You
Pov
Avril
Ero
uscita a prendere una
boccata d’aria, cercando di controllare la delusione.
Che
merda! La sconfitta,
anche se mi costava ammetterlo, mi bruciava parecchio, sia per come era
stata
causata, ma soprattutto da chi era stata causata . Tirai un calcio
violento ad
una lattina abbandonata per strada, che razza di incivili!
Prendersela
con gli altri era
sempre un buon modo per sfogare la rabbia e non pensare a se stessi. La
vidi
rotolare distante da me e sbuffai, lasciandomi andare ad un'amara
considerazione.
Avrei dovuto immaginare da subito che quella fosse una sfida
già persa in
partenza, una trappola perfetta, o Annie non avrebbe neanche pensato di
mettere
in palio il posto nelle cheerleaders.
Sarei
dovuta rientrare. Forse
quella matta scatenata stava aspettando la sottoscritta per strapparmi
un
giuramento solenne, con tanto di firma con il sangue, sulla
mia
partecipazione agli allenamenti. Sarei anche dovuta andare a correre
sul mio
skate per molto, moltissimo tempo, per non correre il rischio di
staccare la
testa a quella smorfiosa di Charlotte. O forse, dovevo smetterla di
irritarmi a
morte con certi miei pensieri, di certo non del tutto consoni ad una
ragazza
pon pon per bene come me. Il mio viso si contrasse in una smorfia di
puro
disgusto. La cosa peggiore sarebbe sicuramente stata vedere la faccia
di Judy, non
appena avesse appreso la grande
notizia. Come minimo, si sarebbe messa a piangere, emozionata. Come
massimo...avrebbe
fatto il giro di tutte le case di Los Angeles, dicendo che la figlia
era
entrata a far parte della squadra di cheerleaders della scuola.
Rabbrividii,
e non solo per
il freddo.
La
temperatura si era
abbassata parecchio e iniziavo a sentire brividi scorrermi lungo tutto
il
corpo. E io che pensavo che in California ci fosse sempre il sole! Mi
ero totalmente
persa nei miei pensieri e, camminando con lo sguardo rivolto verso
terra, mi ero
allontanata troppo dall'ingresso. Il parcheggio non era ampio, era
decisamente
enorme e il mio senso dell’orientamento non ne
gioì affatto. C'erano moltissime
macchine, di tutti i tipi e dimensioni. Alcune danneggiate, altre
tirate a
lucido, ma tutte disposte in ordine.
Alzai
lo sguardo
all’improvviso, presa dalla strana sensazione di essere
osservata. Mi guardai
attorno, leggermente spaventata, mentre mi ripetevo che era solo una
stupida
sensazione. Affrettai il passo, cercando di raggiungere
l’ingresso del locale, e
tenendo come punto di riferimento l’edificio. Inutile,
più camminavo e più mi
sembrava di allontanarmi.
“Ehi,
dolcezza...” Alzai lo
sguardo verso la voce. Alcuni ragazzi venivano nella mia direzione.
Borbottai
piano un "ciao", prima di invertire la direzione di marcia, sperando
che
la fortuna fosse dalla mia parte. A quanto sembrava, invece, il mio
angelo
custode era in vacanza. Da all'incirca diciassette anni.
“Dove
scappi, tesoro?” Il
tono languido e viscido del ragazzo che mi aveva rivolto la parola mi
fece
rabbrividire. Mi stava seguendo con un paio di altri suoi amici, che
sghignazzavano
perfidi. Aumentai il passo, ma non mi misi a correre. Non volevo dare
l’impressione di stare scappando, anche se era
così. La fuga era la tattica
migliore in questi casi, e la periferia di una grande metropoli non era
mai un
posto sicuro.
All'improvviso,
venni
accecata da un’auto con gli abbaglianti accesi, che si
fermò, inchiodando a
pochi centimetri da me. Era superfluo dire che mi ero spaventata
parecchio,
credevo che non riuscisse a fermarsi quando avevo visto la macchina
svoltare
l’angolo a tutta velocità, derapando con un gran
stridore di pneumatici. Battei
un pugno sul cofano, incazzata, ma sperando segretamente che, chiunque
fosse,
mi togliesse da quella situazione del cazzo.
“Brutto
figlio di puttana.” urlai,
dando un calcio al paraurti dell’auto.
“Che
termini, signorina.”
L’uomo, che prima mi aveva rivolto la parola, era sempre
più vicino.
“Concordo
con te, Jack.
Nessuno può insultare la mia mamma senza essere
punito.” L’autista aveva aperto
lo sportello e si appoggiava ad esso, osservandomi da capo a piedi.
Perfetto,
il guaio diventava
sempre più enorme, non solo quei due si conoscevano, ma le
loro intenzioni non erano
di certo delle più amichevoli. Mi guardai in giro, cercando
una via di fuga.
Intanto Jack si era fatto più vicino, mentre i suoi amici,
che continuavano a ridere
in un modo agghiacciante, si erano disposti in un semicerchio,
intrappolandomi
tra la macchina e Jack, e togliendomi qualsiasi possibilità
di scappare. Angelo
custode? Dove cazzo sei?
“Stammi
lontano.” La mia
voce, nonostante la paura fottuta che avevo in corpo,
risultò bassa e salda.
“Non
fare così, dolcezza.” disse,
con un ghigno malefico che gli comparse in faccia. “Se fai la
brava, possiamo
divertirci tutti.” Chissà perché, ma
non mi sentivo di far parte di quel tutti.
“Si
certo, come no. Ma
vaffanculo, coglione!”
“Mmh,
questa ragazza ha gli
artigli. Mi piace. Sarà decisamente più
divertente di quella di tre giorni
fa." Merda,non dovevo essere la sua prima preda.
Più
lui si avvicinava, più io
mi schiacciavo contro la macchina dietro di me. Due mani mi bloccarono
le
braccia, stringendole, e cogliendomi di sorpresa. Cercai di
divincolarmi, ma era
pur sempre un uomo grande e grosso, mentre io una stupida ragazzina che
si
cacciava sempre nei guai.
Cercai
di fare mente locale,
ma con la paura che mi sentivo addosso, non era facile. Regole
fondamentali di
autodifesa? Giusto, calciare nelle palle, pestare con il tacco il
piede, e, se
ti ha lasciato andare, girarsi e mettergli due dita negli occhi.
Il
piano andava bene fino al
calcio nelle palle, ma dopo avevo le mie Converse ai piedi, quindi
niente tacco.
Va bene. Urlare era il punto due, ma in quel momento mi sentivo
paralizzata
dalla paura e non ero sicura di riuscire ad alzare il volume della
voce.
“Adoro
le ragazzine
coraggiose. È meglio, c’è
più lotta.” Il moto di disgusto che provavo mi
fece venire
i brividi e per poco non mi vomitai. Mi agitavo sempre di
più,nella vana
speranza che mi lasciasse andare, e, per un solo attimo, sperai che
fosse così.
“Ehi
Eric, fai la cose con
calma. Tanto, ce ne è per tutti...” Il terrore mi
paralizzò sempre di più. La
sua voce era vogliosa e malvagia, e aveva una strana luce di perfidia
che gli
animava lo sguardo. Jack era davanti a me, che mi guardava, languido e
famelico, mentre portava le sue mani schifose sui miei fianchi. Feci
l'unica
cosa che potessi fare in quel momento, ma, forse, era anche la
più stupida. Non
tentai né di scappare, né di urlare, no, sarebbe
stato troppo. Invece, chiusi
gli occhi, per tentare di estraniarmi da quella situazione disgustosa,
per
sperare che non stesse accadendo a me, ma a qualcun'altro, e per
cercare di
respingere la violenza se non con il corpo, almeno con la mente. Ma non
mi
lasciarono nemmeno quel desiderio così innocente e stupido.
“Apri
gli occhi!” Il tono era
violento, perfido e cattivo. Mi diede uno schiaffo fortissimo, che
bruciava
sulla mia guancia. Il sapore del sangue in bocca mi diede subito il
voltastomaco. Lo sputai, colpendo casualmente l’uomo davanti
a me in faccia. Pensando
che l'avessi fatto intenzionalmente, si pulì il viso,
ghignando, e mi provocò
altro dolore, dandomi una fortissima ginocchiata nello stomaco. Quasi
barcollai
all'indietro.
“Mossa
sbagliata, bambolina.
Mai, mai farmi incazzare.” Quasi non riuscii neanche a
sentire le sue parole. I
colpi di tosse che la ginocchiata mi provocò erano intensi,
talmente tanto che
per un paio di secondi non riuscii a respirare. Il sangue
ritornò
prepotentemente ad inondarmi la bocca, e, per liberarmene, gli sputai
in faccia
un’altra volta, con tutto il disprezzo possibile, e prendendo
anche la mira per
colpirlo in mezzo agli occhi.
“Brutta
troia!” Non si pulì
nemmeno la saliva mista a sangue dal volto, perché voleva
colpirmi ancora. La
sua mano era a mezz’aria, e chiusi istintivamente gli occhi,
aspettando il
colpo che, quando arrivò, era ancora più doloroso
del primo.
“Ora,
piccola stronza, che ne
dici di fare la brava, eh?” Avevo ancora gli occhi
chiusi, mentre le sue
mani alzavano lievemente la mia maglietta. Sentivo le sue dita
sudaticce
percorrermi lo stomaco, cosa che mi provocò altre ondate di
forte dolore.
L'altro
suo amico, Eric, si
spostò e si avvicinò a me, toccando con la punta
delle sue dita ghiacciate il
lato destro del mio collo. All'inizio, non capii subito cosa volesse
fare, ma
ci arrivai due secondi dopo, quando la sua mano scese fino all'orlo dei
miei
jeans.
Eccola
dunque, la fine. Solo
di una ero certa. Non sarei sopravvissuta, dopo. Anche se mi avessero
lasciata
andare, dopo avermi rubato la verginità con la forza e il
disprezzo, non avrei
avuto abbastanza coraggio, per ricominciare tutto daccapo. Adesso che
lo stavo
provando, non lo auguravo a nessuno, perché nessuna donna o
ragazza che sia è
in grado di sopportare tutto quel dolore, indenne. Sperai solo che
facessero in
fretta, anche se sapevo che fare in fretta, adesso, era l'ultimo dei
loro
pensieri.
Poi
forse, vista la gravità
della situazione, il mio angelo custode aveva deciso di prendersi due
minuti di
pausa dalle sue belle vacanze e di aiutarmi, per una volta. Il potente
rombo di
un motore, sperai la mia ancora di salvezza, squarciò
l’aria. La Yamaha R1 che avevo
visto appena arrivata vicino all’ingresso, aveva rotto il
semicerchio, in cui
ero intrappolata, con un’impennata. Gli altri, presi dalla
paura di essere
investiti, si allontanarono velocemente dalla moto, lasciandomi, giusto
per un
paio di secondi, libera di scappare. Con tutta la velocità
che le mie gambe mi
consentivano, mi fiondai verso la moto, che nel frattempo si era
abbassata e aveva
fatto un giro su se stessa, sgommando.
“Sali!”
Fu solo un ringhio,
che però, in quel momento, mi parve il suono più
dolce del mondo. Evan mi fissò
per un secondo solo, prima di rivolgere lo sguardo davanti a
sé, furioso. Feci
appena in tempo ad allacciare le mie mani sul suo petto, che
partì, impennando.
Lasciai per un secondo i momenti trascorsi alle spalle, e mi concentrai
solo
sul ragazzo che mi stava aiutando. Era sicuro nella sua corsa veloce,
preda di
una strana frenesia che non riuscivo a capire. Le mie mani si stavano
intorpidendo per il freddo, e così mi sporsi oltre la sua
schiena dove, sentendomi
al sicuro, avevo appoggiato la testa, riparandomi solo in parte
dall’aria
gelida. Sentire il suo torace alzarsi e abbassarsi con
regolarità, mi donava
una sensazione di tranquillità incredibile. Era una
sensazione...strana.
Evan
correva senza meta,
veloce, non gli interessano i semafori e la segnaletica stradale, le
macchine e
il traffico. Era arrivato a 180 k/h, ma nonostante la
velocità non mi spaventasse,
eravamo entrambi senza casco, e la sua rabbia avrebbe potuto fargli
commettere
qualche errore di cui poi avrebbe potuto pentirsene.
“Evan!”
cercai di chiamarlo,
ma era difficile che mi sentisse, data la velocità.
All'improvviso, iniziò a
scalare le marce, per poi fermarsi del tutto poco dopo. Non sapevo dove
ci
trovassimo, forse un parco, visto che c'erano degli alberi poco
distanti da
noi. Con un piede mise il cavalletto alla moto, mentre io lo stringevo
ancora a
me. Non volevo perdere il contatto con la sua schiena rassicurante, non
ero
ancora pronta a lasciarlo andare.
“Avril...mi
puoi lasciare,
ora.”
Pov
Evan
“Avril...mi
puoi lasciare,
ora.” Il mio tono era duro e irritato, non per il suo dolce,
ma stritolante,
abbraccio, ma per la scena a cui ero stato costretto ad assistere.
Nessuno
toccava le mie cose.
Sentivo
ancora il suo corpo
fragile e tremante stringersi a me.
Si
era completamente
affidata, mentre come un folle correvo tra il traffico di Los Angeles.
Non sentivo il freddo o i
clacson delle
macchine che mi invitavano gentilmente ad andare a quel paese,
perché l’adrenalina
che scorreva ancora nelle mie vene compensava la mancanza di
razionalità.
Dovevo solo allontanarmi dal parcheggio, per scaricare la tensione del
momento.
Avevo avuto una paura fottuta che potessero farle seriamente del male.
Raddrizzai
la schiena, scosso, e lei seguì il mio movimento, senza
staccarsi.
“Ehi...”
dissi, parlandole
più dolcemente questa volta, non volevo che fosse spaventata
da me. Volevo solo
scendere e andarle a prendere qualcosa per coprirsi, perché
aveva le mani ghiacciate,
peggio di un cadavere. Le presi tra le mie, facendole sciogliere dalla
loro presa
ferrea. Scesi dalla moto e mi voltai appena in tempo per afferrarla
prima che
cadesse. Era pallidissima, tremava e sembrava sul punto di
svenire.
“Avril...”
Ero molto
preoccupato che fosse sotto shock. Anche lei scese dalla moto e, come
se fosse
ubriaca, barcollò. Non riuscì però a
trattenerla a me, perché mi allontanò con
gesto secco e con una forza che non credevo avesse in questo momento.
Alla
fine, si appoggiò con una mano ad un albero poco distante da
dove mi sono
fermato, e vomitò.
“Avril!
Cazzo!” Mi avvicinai
immediatamente a lei e le misi una mano sulla fronte imperlata di
sudore freddo,
aiutandola mentre vomitava l’anima. Si rialzò,
tremante, mentre barcollava
ancora un po’, nonostante il suo volto non fosse
più così pallido. Cercò nelle
tasche qualcosa, ma non riuscì a trovarlo. Così,
immaginando cosa fosse, le
passai un fazzoletto, con cui si pulì la bocca.
“Di
solito...di solito non mi
succede...” spiegò con voce flebile. Stavo per
dirle che non si doveva
giustificare di niente, ma lei mi anticipò:“Ma
tu...tu guidi veramente come un pazzo.”
Rimasi completamente spiazzato. Cioè, lei non vomitava
perché era sotto shock per
quello che era successo, ma vomitava per la mia guida?!
La guardai totalmente
sconcertato. Possibile
non facesse mai quello che mi aspettavo da lei?
“Stai
bene?” chiesi, con una preoccupazione.
“Certo.”
sussurrò, prima di
girarsi e vomitare ancora.
“Certo.”
le feci il verso, ma
non mi allontanai da lei. Non appena smise, la feci sedere sul
marciapiede,
sperando che la nausea le passasse. “Metti la testa tra le
gambe, aiuta.” le
consigliai, mentre mi sedetti accanto a lei, guardando il suo torace
alzarsi e
abbassarsi ritmicamente. Prese dei grandi respiri, cercando di calmare
sé
stessa e il suo stomaco scombussolato.
“Va
meglio.” disse, sospirando
, ma tenendo ancora la testa tra le gambe. Ero sorpreso che avesse
seguito il
mio consiglio, che si fosse fidata di me un'altra volta.
“Te
l'avevo detto.” La canzonai
un po’, credendo che, alleggerendo la situazione, le fosse
più facile
rilassarsi. Il silenzio scese tra di noi.
"Ehm...io
credo di...”
tentennò.
“Di?”
la incitai a
continuare. In parte, volevo sentirglielo dire. In parte, volevo
assicurarmi
che fosse in grado di completare una frase senza vomitare ancora.
“Insomma...didovertiringraziare.”
Disse le parole talmente tanto velocemente, che riuscii a capirle a
fatica.
"Non
ti preoccupare, va
bene così.”
“No,
sul serio. Ho pure
vomitato. Ho sempre tollerato poco l’odore del
sangue.” Solo in quel momento vidi
il labbro spaccato, con la guancia che, evidentemente, non era rossa
solo per
il freddo. Una rabbia incredibile mi montò dentro, strinsi
forte i pugni.
“Ma tu...tu stai
ancora male? Sei sotto
shock?” Tremava come una foglia e questo non faceva altro che
rendermi più ansioso.
Le domande si rincorrevano veloci tra le mie labbra.
“Ehi,
tranquillo.” Mi sorrise,
per rassicurarmi, e mi accarezzò una guancia con la mano
ghiacciata. Lei che
voleva confortare me, semplicemente assurdo! “È
solo il freddo. Sono sempre
stata brava a dimenticare in fretta le cose spiacevoli.”
disse, facendo spallucce,
ma il suo viso si contrasse in una smorfia di dolore ben visibile.
“Vieni.”
Mi alzai e le tesi la
mano. “Forza, andiamo.” Lei
l’afferrò, titubante. Era leggera come una piuma e
la feci alzare facilmente, nonostante non fossi proprio sicuro che le
sue gambe
fossero ancora in grado di reggere il peso del suo corpo.
"Questa
volta vai un po’
più piano, per favore?” Risi. Davvero la
preoccupazione più grande che avesse
in quel momento, era la mia velocità?
Le
offrii la mano, per
aiutarla a salire dietro di me. Lei, sbuffando più
sonoramente, si issò sulla
moto e si attaccò nuovamente a me.
“Perché
qui?” si lamentò,
piagnucolando come una bambina, mentre spensi la moto.
“Fammi
pensare...perché si.” dissi,
ridendo. Appena toccò terra, la presi per mano e la guidai
verso l’entrata. Non
volevo perderla di vista un solo secondo, così le strinsi le
dita tra le mie,
forte e possessivo. Osservai l'entrata, notando che i buttafuori erano
lì.
Esserci prima, no? Evitare una rissa all’interno aveva quasi
permesso una
violenza all’esterno.
“Evan.”
Tyson mi chiamò come
se fosse sorpreso e leggermente ansioso.
“Che
c’è?”
“Ah,
c’è anche la ragazza,
per fortuna.” Lo fissai stranito, che cazzo era successo
ancora? Forse era per
il fatto che fossimo spariti? Possibile che...Comunicò via
radio il nostro
arrivo e in un batter d’occhio, Annie spalancò la
porta, inferocita.
“Tu.”
Mi indicò. Il tono di
voce era basso e vibrante, ma ancora più terrificante.
“E tu.” Il suo indice si
spostò su Avril, pietrificata. “Sparite
un’altra volta in questo modo e vi
scuoio vivi! È una promessa.” Sapevo per
certo che lo avrebbe fatto sul
serio.
“Calmati
Annie, eravamo
solo...” E ora che le raccontavo? Guardai Avril al mio
fianco, ancora più
spaesata di me, e scosse leggermente la testa, senza idee.
“Eravamo
solo andati a fare
un giro in moto, non ti preoccupare. Ok?” Erroraccio, Avril,
erroraccio. Stranamente,
però, mia sorella si rilassò, come se fosse
felice di qualcosa. “Senti Annie, non
è che mi dai un passaggio a casa? Sono molto
stanca...”
“Ti
accompagno io.” dissi, intervenendo
all’istante. Era strano, solitamente non portavo nessuno
dietro di me e questo
Annie lo sapeva.
“Ok.”
Tyson si avvicinò a
noi, e mi passò due caschi. Lo ringraziai con un cenno e
aspettai che la mia
stella si vestisse, prima di partire di nuovo nella notte.
Ero
arrivato a casa Mitchell.
Avril scese dalla moto e mi porse il casco.
“Tienilo,
così potremo fare
altri giri.” Wow, la stavo davvero invitando a venire in moto
con me?
“Non
è il caso. Non credo che
Judy approverebbe, quindi...è meglio se lo tieni tu" disse,
porgendomi il casco.
“Come
vuoi.” dissi, scendendo
e mettendo il cavalletto alla moto. Poi, lei esitò un
secondo. “Che c’è? Sputa
il rospo.”
“Ti
dispiace se...insomma...se
tutto il casino che è successo rimanesse tra noi?”
Le sue guance si infiammarono,
e abbassò gli occhi, imbarazzata, sulle mani, che si stava
torturando.
“Non
lo avrei detto a nessuno.”
affermai, serio mentre lei mi sorrise, grata. Davvero un bellissimo
sorriso. “Buonanotte,
stel...Avril.”
"Buonanotte"
disse,
ricambiando il mio augurio. Raggiunse il cancello di casa sua e stava
quasi per
andarsene via, quando si fermò, corse a tutta
velocità verso di me, e mi baciò.
Per raggiungermi meglio, si alzò sulle punte, mentre io
abbassai lievemente la
testa. Il contatto con le sue labbra era qualcosa di...paradisiaco. Strinse forte i miei
capelli, mentre io posai
la mia mano destra sul suo fianco sinistro, ricambiando appieno il
bacio. Poi,
a quel contatto appena accennato da parte mia, s'irrigidì e
recise il bacio. "Devo andare."
"Va
bene."
sussurrai appena.
"Grazie.
Per
tutto." disse, ed entrò in casa, senza più
guardarsi alle spalle.
Il
mio cervello era
completamente perso, annebbiato e scosso dalle emozioni che quel bacio
aveva
portato con sé.
La
domanda, ora, era una
sola. Che diavolo mi stava succedendo?
|
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Capitolo 26 *** S...Sorry ***
Salve
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Auguro
una buona lettura a tutti!
Pov
Avril
Questa
mattina ero in un
ritardo mostruoso per la scuola. Mi ero svegliata tardi, dopo una notte
tormentata, fatta di pensieri, parziali pentimenti e, soprattutto,
incapacità
di capire le mie reazioni. Il problema era solo uno, in
realtà. Dove cavolo era
finito il mio cervello quando l'avevo baciato, alle Maldive?!
Questa
volta, poi, era
decisamente peggio delle altre, perchè lui non aveva fatto
assolutamente niente
di niente, nichts, nada, nothing! Ero stata io a prendere l'iniziativa.
Ergo,
non potevo sfogare
tutta la mia frustazione su di lui, perché la colpa era
stata solo mia. All'inizio,
mi ero giustificata, dicendomi che lo volevo solo ringraziare per
quello che
aveva fatto per me, per il fatto che mi avesse aiutato, e un bacio mi
sembrava
un grazie più che
sufficiente. Ma
poi, avevo capito che era una scusa totalmente campata in aria.
Lui
non aveva chiesto niente,
e io non dovevo dargli niente che non volessi. Ecco, questo, era
esattamente il
secondo problema, in ordine di gravità. Come gli altri baci
precedenti, la cosa
che mi spaventava di più era il fatto che io volessi
totalmente ricambiare il bacio. Ancora una volta, non
riuscii a capirne il motivo, e questo mi irritava a morte! Sperai solo
che
qualcuno da lassù mi illuminasse o mi schiarisse le idee,
prima o poi.
Ehi, lassù! Nel caso
qualcuno mi stesse ascoltando, possibilmente
prima, grazie!
Comunque,
avevo passato la
notte a girarmi e rigirarmi nel letto, senza trovare una risposta e,
tantomeno,
senza chiudere minimamente occhio. Non avevo fatto colazione ed ero
uscita di
casa senza salutare nessuno, cercando di non farmi vedere.
A
dire la verità, mi sentivo
una ladra nella stessa casa di mia madre, ma il labbro spaccato, la
guancia
gonfia e il livido sullo stomaco sarebbero stati difficili da spiegare.
Un vero
mostro di Loch Ness, praticamente!
Sperai
tanto che Annie non se
ne accorgesse, e soprattutto, che non mi rompesse le palle per
l'assenza che
avrei fatto per le cheerleaders. Non avevo proprio voglia di gridare
come
un'oca mentre agitavo orribili pon pon rosa. Grazie, ma per oggi avrei
volentieri passato.
Arrivai
a scuola di corsa, e attraversai
il corridoio (sempre di corsa, ovviamente) per
arrivare al mio armadietto. Lo intravidi verso
la fine del corridoio, intento a parlare fitto fitto con la sorella.
Presa da
non sapevo quale entusiasmo, mi avvicinai.
"Ciao..."
dissi, arrossendo.
Il bacio di ieri sera bruciava ancora forte sulle mie labbra.
Appena
sentì la mia voce,
s'irrigidì e interruppe il discorso con la sorella. "Va
bene, Annie, ci
vediamo dopo. Mi raccomando."
disse,
lanciandole uno sguardo d'intesa.
Ma che cavolo...
Lei
annuì, sbuffando
platealmente. Poi, rivolgendomi un'occhiata di sfuggita, Evan
girò i tacchi e
se ne andò, senza neanche rispondere al mio saluto. Bel
maleducato!
"Annie,
ma cosa..."
"Scusa
Avril, ma...devo
andare ora. Ci vediamo." disse, interrompendomi e lasciandomi
lì nel
corridoio, da sola.
Beh, almeno lei mi aveva
salutato...
Hai
capito che razza di
stronzo era Taubenfeld!
Io
mi ero fatta mille
problemi, avevo passato una notte insonne per lui, e lui, che faceva?!
Se ne
fregava altamente!
Bel
comportamento del cazzo,
davvero!
Accartocciai
forte un foglio
che avevo tra le mani, fin quando non mi accorsi che si trattava del
mio
orario. No, quello ancora mi serviva!
Lo
allisciai immediatamente,
cercando di eliminare tutte le piccole pieghe che avevo creato.
Maledetto
Taubenfeld!
Prossima
materia? Letteratura
inglese.
Bene,
almeno mi sarei
distratta un po'.
Obiettivo
principale?
Avercela a morte con lui ed evitarlo a tutti i costi.
Ma
che palle... Cos'è che
avevo detto, distrarmi un po'?
Se
l’elenco dei libri di
letteratura inglese mi era sembrato banale, le lezioni erano noiose,
scialbe e
insulse. Eppure era la mia materia preferita e mi costrinsi a stare
attenta.
Il
professor...Tyler, mi
sembrava, parlò a vanvera per la prima mezz'ora, per poi
interrompersi alla
fine della sua dettagliata spiegazione,
perché aveva da comunicarci qualcosa di molto importante,
secondo lui. "Ragazzi,
nella mezz'ora rimanente, farete un test d'ingresso, giusto...per
testare le
vostre capacità iniziali. Ricordate che c'è in
palio il passaggio nella classe
successiva, per le lezioni avanzate."
Ovviamente,
la classe insorse,
ma il professore non se ne ,curò, e continuò.
"Ehm...signorina...Mitchell,
giusto?" disse, rivolgendosi a me.
"Si"
dissi tra i
denti.
"Ecco,
lei sarebbe esentata
dal test, in quanto è una nuova arrivata. Ma, se vuole,
può completarlo lo
stesso, per non annoiarsi."
"Va
bene, professore."
Tanto non avevo nulla da fare, a parte bestemmiare contro Taubenfeld,
chiaro.
Distribuì
le schede a tutti,
me compresa, e il test cominciò.
In
realtà, era molto semplice.
Sul foglio vi erano scritte per metà delle citazioni famose,
e tu dovevi
completarle, inserendo anche l'autore e, se te ne ricordavi, il libro
in cui
era scritta.
Incominciai.
“Siamo
fatti della stessa
sostanza dei sogni.”
E la nostra piccola vita
è circondata dal sonno. William Shakespeare, Sogno di una
notte di
mezz'estate. Piuttosto elementare.
Passai
alla seconda.
“Sono
poche le persone a cui
io voglio veramente bene e ancor meno sono quelle di cui io nutro una
buona
opinione.”
Più conosco il mondo e
meno ne sono entusiasta: ogni
giorno che passa mi conferma nel mio giudizio
sull'instabilità dei caratteri e
sullo scarso affidamento che va fatto su ciò che
può apparire merito o ingegno.
Jane
Austen, Orgoglio e Pregiudizio.
Quel libro l'avevo imparato a memoria, talmente erano le volte che
l'avevo
letto.
“È
una verità universalmente riconosciuta
che un uomo scapolo in possesso di una vasta fortuna debba essere alla
ricerca
di una moglie.”
Per questo, appena un tale uomo
appare all'orizzonte,
tutte le famiglie del vicinato lo considerano proprietà
legittima delle loro
figlie in età da marito. Ancora Jane
Austen, ancora Orgoglio e Pregiudizio, soltanto che questa volta era
l'incipit.
“Tutti
gli animali sono
uguali.”
Ma alcuni sono più
uguali di altri.
Orwell, la Fattoria degli Animali, motto finale.
Finii
il test in cinque
minuti scarsi, e lo consegnai al professor Tyler. Guardai gli altri
ragazzi,
pensando che avessero già finito, come me. Invece, alcuni di
loro guardavano il
loro test, disperati. Altri si mangiucchiavano la punta della penna e
si
grattavano il collo, in attesa di chissà quale illuminazione
divina.
Ma
dai, il test era di una
semplicità assurda. Possibile che non le sapessero?
Ritornai
a sedermi al mio
posto, incrociando le braccia e chiudendo gli occhi. In fondo, due
minutini di
sonno non avevano mai fatto male a nessuno. Soprattutto a chi la notte
non dormiva,
come me...
“Signorina
Mitchell!” Aprii
gli occhi di scatto e alzai subito la testa. Merda, dovevo essermi
addormentata
sul banco senza accorgermene. A quanto pare, invece, sia il professore
che la
classe lo avevano notato, e bene anche, a giudicare dalle loro facce
sconvolte.
Merda,
merda, e ancora merda!
Il mio vocabolario delle imprecazioni si era leggermente bloccato,
tanta era la
merda in cui ero immersa. Se mi mandava dalla preside, ero fregata.
“Sono
esterrefatto, signorina
Mitchell! Dalla preside, subito!” disse, scrivendo qualcosa
su un fogliettino.
Ecco, cosa avevo appena detto?
"Prenda
anche la sua
cartella e questo foglietto, prego.” Non solo dalla preside,
ma anche cacciata
dall’aula. Ma bene. Presi il foglietto che mi tese, ma non mi
preoccupai neanche
leggerlo, sapevo già che non era corretto addormentarsi in
classe.
La
segretaria mi annunciò
alla preside, prima di farmi entrare.
“Signorina
Lavigne.” La
preside mi osservava dubbiosa. Perché? Ah, già,
non voleva più vedermi in
presidenza, grandioso. “A che debbo
l’onore?” Il sarcasmo mal celato nella sua
voce non mi fece presagire niente di buono. Le tesi il foglietto che
avevo in
mano, senza dire una parola. La vidi fissare quell’insulso
pezzo di carta e sul
suo volto comparvero mille espressioni. Rabbia, delusione,
incomprensione, poi
sorpresa, incredulità, per poi finire con la classica mimica
facciale del
preside, la faccia pensierosa.
“Mmh,
capisco. Bene, sembra
che ci sia una sorpresa, qui. Venga con me". disse, alzandosi e uscendo
dal corridoio.
Mi
alzai anch'io, e la
seguii, non potevo far altro. Ma non capivo...dov'erano le occhiatacce,
i
rimproveri e le ramanzine? La preside adesso non aveva la faccia...da preside, ma aveva uno strano
sorrisetto
compiaciuto sulle labbra.
Imboccammo
un altro corridoio
stracolmo di aule, fin quando la preside si fermò e
bussò ad una porta.
Ovviamente, non aspettò di ricevere il permesso. Dopotutto,
era la preside!
Entrò
a passo svelto, per poi
fermarsi e girarsi verso di me. "Su, entra!"
Chi,
io?! E perché mai dovevo
andare in una nuova classe? Non credevo facessero tutto questo casino
solo
perché un alunno si era addormentato durante la lezione. A
saperlo prima...
"Professor
Jones." salutò
la preside.
"Signora
preside"
ricambiò il saluto.
“Sono
felice di informarvi
che avrete un nuovo elemento in questo corso, da oggi.” Eh? E
chi sarebbe il
nuovo elemento, io?! “Il professor Tyler mi ha caldamente
consigliato di far cambiare
classe alla signorina Avril Mitchell, a quanto pare sembra che la sua
preparazione in letteratura inglese sia superiore alla media. Bene, vi
lascio
alla vostra lezione.”
E
certo, io ora rimanevo qui
a fare la figura della scema e lei se ne andava senza dirmi nulla.
Bella merda,
davvero.
"Bene,
allora...benvenuta nel nostro umile corso, signorina Mitchell!" E che
cazzo, anche il professore che voleva fare il simpatico, no!
“Vediamo,
c'è un unico posto
libero, quindi vada all'ultimo banco vicino a Taubenfeld, prego."
Cosa?!
No, no, no, no, non poteva davvero aver detto che...
"Su,
signor Taubenfeld,
aiuti la signorina, non faccia il maleducato, per una volta."
Ecco,
appunto. Da quando in
qua i maleducati venivano ammessi ai corsi avanzati? Di letteratura,
per giunta!
Eppure
lui era lì, bello come
sempre, con i capelli biondi leggermente scompigliati e quegli occhi
azzurri
terribilmente attraenti.
In
effetti, però, c'era
qualcosa che non andava. I...i suoi occhi, erano diversi. Erano freddi,
distanti e pieni di...rimprovero?
“Il
signor Taubenfeld si
premurerà di aiutarla con il programma dalla prossima
settimana. Per oggi si
limiti a seguire e a prendere appunti, se vuole.” disse il
professore.
Mi
sistemai al mio posto,
mentre lui mi guardava di sfuggita e stringeva forte i pugni, di tanto
in
tanto. La prima mezz'ora la trascorsi così, tra lui che non
spiccicava una
parola, e me, che cercavo di concentrarmi su altro, a disagio.
Perché
mi guardava così? Perché
non mi parlava? E soprattutto, cosa diavolo gli avevo fatto per essere
trattata
così?
All'improvviso,
durante uno
dei miei molteplici spostamenti sulla sedia, per cercare la posizione
migliore,
un quaderno mi cadde e andò a finire direttamente tra lo
spazio che ci
divideva.
Mi
chinai per raccoglierlo,
ma lui ebbe la mia stessa idea.
Le
motivazioni che l'avevano
spinto a fare un gesto così improvvisamente cordiale, mi
erano sconosciute. Sapevo
solo che ero rimasta completamente ferma, immobile e paralizzata dai
suoi occhi,
mentre le nostre mani si sfiorarono appena.
"S..scusa"
mormorai.
Lui, come risvegliato da uno stato di trance, si ritirò
velocemente dalla sua
parte, senza dirmi nulla, per poi schizzare letteralmente fuori
dall'aula
quando suonò la campanella, senza nemmeno aspettarmi o
salutarmi.
Che
stronzo, ancora!
E
così, lui non voleva
parlarmi?
Bene,
anche io sarei stata
affetta da una grave forma di mutismo.
Se
lui voleva la guerra,
guerra sarebbe stata!
|
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Capitolo 27 *** Listen to your heart ***
Salve
people!
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- AliceKeepHoldingOn - Beliectioner_FE_love_FE - Look_at_the_sky - RamonaLBS-
Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
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seguiti:- AliceKeepHoldingOn - Brazza - Hakkj -
itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky - Mary Fichera - nami24_love- RamonaLBS
Come
per l’altro capitolo, vorrei
che tutti quelli che leggessero questo, ascoltassero Innocence,
soprattutto per
il Pov Evan. Grazie a chiunque lo farà. ^_^
Auguro
una buona lettura a tutti!
Avril
Lavigne - Innocence
Una settimana dopo...
Pov
Annie
Mio
fratello era un coglione.
Avril
era una cogliona.
Possibile
che fossi
circondata da coglioni?!
Era
da una, e sottolineo una,
settimana che quei due non si parlavano.
Il
motivo, poi, non l'avevo
ancora capito.
Vedevo
solo che se ne stavano
ognuno per i fatti propri, senza parlarsi, senza guardarsi, facendo
come se
l'altro non esistesse.
La
cosa più brutta, però, era
che ci stavano male tutti e due, e mi chiedevo come cavolo facessero a
non
accorgersene da soli. Era così ovvio!
Mi
ricordavo ancora benissimo
cosa mi aveva detto Evan la settimana scorsa. Si era avvicinato, mi
aveva preso
per il braccio e mi aveva detto:"Annie, mi devi fare un favore."
"Certo."
gli
risposi.
"Va
bene. Non devi più
parlare, vederti o sentirti con Avril."
No,
ma era matto?! Infatti,
credevo che il mio quasi urlato
"Cosa?!" avesse ben espresso tutta la mia incredulità.
"Ssh,
abbassa la voce! Sì,
ho bisogno di chiudere tutti i contatti con lei per un po'. E lo devi
fare
anche tu! Fallo per il tuo fratellino, ti prego. Me lo prometti?"
"Va
bene...ma
perché?!" chiesi, esasperata. Non mi rispose,
perché esattamente in quel
momento arrivò Avril, e, sia io che lui, la lasciammo
lì, da sola.
La
cosa che mi faceva più rabbia,
però, era il fatto di non sapere niente. Almeno, se avessi
fatto parte del
segreto, me ne sarei fatta una ragione.
Invece
niente, perché il mio
carissimo fratellino non me lo voleva dire.
Avevo
dei sospetti, e anche
molto fondati, secondo me.
Per
esempio, com'era finita
la serata al Passion Skate.
Erano
spariti tutti e due, facendomi
preoccupare molto, per poi rientrare un'oretta dopo, dicendo che
avevano fatto
"un giretto in moto".
Punto
primo, per fare un
giretto ci volevano sì e no dieci minuti, o al massimo un
quarto d'ora, ma non
di certo sessanta minuti buoni. Doveva essere successo qualcosa!
Punto
secondo, Evan che
faceva fare un giretto ad una ragazza sulla sua moto?! Va bene che la
ragazza
in questione era Avril, ma nessun essere femminile sulla faccia della
Terra, nemmeno
io, era salito sulla sua Yamaha. Doveva essere successo qualcosa!
Punto
terzo, quando erano
tornati, Avril sembrava uno straccio. Era pallida, tremava e, per di
più, aveva
anche il labbro inferiore spaccato. Era successo qualcosa, che cazzo!
All'improvviso,
sentii la
porta di casa sbattere e dei passi salire velocemente le scale.
"Mamma?
Sono a
casa."
Perfetto!
Questa volta il
signorino non mi sarebbe sfuggito.
Uscii
dalla mia camera e mi
parai davanti a lui sulle scale. "Evan David Taubenfeld! In camera mia,
ora!" dissi, trascinandolo direttamente e buttandolo sul letto.
"Allora?"
gli
chiesi, battendo il piede sul pavimento e incrociando le braccia.
"Allora
cosa?" Come
cosa?!
"Non
c'é qualcosa che ti
preoccupa?" Dolcezza, Annie, dolcezza.
"No."
"Quindi...tu
stai...bene?"
"Si."
"E
non c'é niente di cui
tu vuoi parlarmi, giusto?"
"No."
"E
dimmi, sai rispondere
solo con i monosillabi?!" chiesi, al limite della disperazione.
"Forse..."
"Evan!"
"Ok,
ok, scusa. Di che
cosa vorresti parlarmi?"
Feci
finta di pensarci un
secondo. "Mmh, vediamo...per esempio, del fatto che non vuoi
più rivolgere
la parola ad Avril?!"
S'irrigidì
e strinse i pugni.
"No, non te lo posso dire."
"Perché
non puoi?"
"Perché
no." Ma che
grandissima risposta del cazzo!
Mi
sedetti accanto a lui sul
letto, cercando di farlo ragionare. "Va bene, non me lo vuoi dire. Se
la
cosa riguardasse solo te, potrei anche farmi i fatti miei, ma visto che
la cosa
riguarda anche me, dato che mi hai fatto fare una promessa, lo voglio
sapere!"
"No,
Annie, non posso.."
"Ora!"
gridai.
"Non
posso dirtelo
perché non lo so, ok? Non so più cosa mi stia
succedendo, sono sempre più
confuso..." Bene, almeno avevamo ingranato.
"Come
confuso? In che
senso?"
"Si,
quando sto con lei.
È come...se scollegassi il cervello dai comandi e...ho delle
reazioni strane.
Brividi, cuore impazzito, paura di sbagliare solo con un mio gesto..."
"E
quindi, hai pensato
che per non avere più queste "reazioni", non dovessi
più avere nessun
contatto con lei?" Ora riuscivo a capire meglio le cose... Lui...lui si
era...
"Sì,
esatto. Aiutami, ti
prego, sono così confuso."
Gli
stavo per rispondere, ma
Matt entrò in camera mia, probabilmente attirato dalle
nostra grida, e, con una
strana busta gialla in mano, interruppe il discorso.
"Eilà
fratelli. Cofa è
fucceffo?" Che schifo, stava mangiando ancora quelle patatine
disgustose.
Possibile che pensasse sempre e solo a mangiare?
"Sono
confuso, ok?"
gli rispose stizzito Evan, mentre lui ingoiava le patatine.
Ovviamente,
il povero, piccolo
e microscopico cervello di Matt partì per la tangente e
disse la cosa meno
indicata per il momento, intrepretando a modo suo.
"Cosa?!
No, non ci
credo...Non stai parlando di salto della quaglia, altra sponda, cose
del
genere? Ti prego, non dirmi che sei gay, perché
altrimenti..."
"MATT!"
urlammo
insieme.
Si
interruppe subito e alzò
le mani, come a chiedere scusa.
Infastidita
da
quell'atteggiamento, presi il mio stupido fratello sottobraccio, e gli
sussurrai all'orecchio:"Matt, non fare il deficiente, per una volta!
Credo
che Evan si sia innamorato..."
Lui
sgranò gli occhi, sorrise
e puntò subito il dito contro Evan. "Cosa?! Tu...tu ti
sei..."
Gli
pestai accidentalmente un piede e
cambiai
immediatamente la frase. "Insomma, ti sei visto, eh? Non puoi andare in
giro così, basta! Devi schiarirti le idee"
"E
come faccio?" mi
chiese, con i suoi occhi da cucciolo.
Mi
addolcii all'istante e lo
abbracciai, per fargli sentire la mia vicinanza. "Beh, una ricetta
segreta
non c'è, ma...io ti consiglierei di andare in un posto che
ti piace, isolato da
tutti e di fare chiarezza con te stesso."
"Giufto,
fratello" aggiunse
Matt, che nel frattempo stava masticando un'altra quantità
immonda di patatine.
Mi
avvicinai ancora di più a
Evan, e gli sussurrai:"Ti do solo un consiglio, piccolo piccolo. Per
una volta...ascolta
il tuo cuore."
Pov
Evan
Come
sempre, parlare con
Annie mi aveva fatto bene. E anche con Matt, in un certo senso.
Mi
avevano fatto capire che
la vita era troppo breve per trascorrerla in paranoie e pensieri
ingarbugliati.
Meglio essere diretti, ed andare dritti al punto.
Beh,
perlomeno, con gli
altri, questo discorso funzionava. Ma con me stesso?
Potevo
anche essere sincero
con me stesso, e capire quello che mi stava succedendo, mettendo a
tacere tutte
le mie chiacchiere interiori?
Forse,
avrei potuto scoprirlo.
Il
problema era che non
sapevo dove andare, non sapevo cosa fare. Stavo solo correndo sulla mia
moto,
quella stessa moto con cui...l'avevo salvata, una settimana prima.
Quando
la mattina dopo
l'avevo vista a scuola, la guancia livida e il labbro tumefatto mi
avevano
fatto male, molto male. Avrei voluto toccarle il viso, con un tocco
leggerissimo,
per non farle provare altro dolore. Avrei voluto assaporare quelle
labbra, nonostante
la ferita che portavano, piano, per non farle male.
Avrei
voluto aiutarla, dirle
parole rassicuranti, assicurarle che tutto sarebbe andato per il meglio.
Tanti
"avrei
voluto", ma nessun "l'ho fatto".
Ho
preferito scappare, essere
un codardo, piuttosto che mettermi lì e capire il motivo di
tutte quelle
reazioni strane.
Improvvisamente,
un raggio di
luce di un lampione per strada, mi colpì.
Ma…dov'ero finito?!
Mi
guardai attorno, in cerca
di un qualche segno di riconoscimento.
Era
una spiaggia libera, e
sembrava anche molto distante dal centro.
Parcheggiai,
slacciai il
casco, scesi dalla moto ed entrai.
Sembrava
quasi...che ci fossi
già stato lì, come se fosse un luogo che avessi
già visto.
Poi,
un flashback ritorno
nella mia mente, prepotente, come se pretendesse di essere visto.
Ricordai
tutto. Quella era la
spiaggia dove andavo ogni estate da piccolo, quando i miei genitori
erano
ancora vivi.
Mi
tolsi le scarpe da ginnastica,
e provai quel piacere di camminare sulla sabbia bagnata a piedi nudi.
Un piacere
assopito per troppo tempo, forse.
Mi
avvicinai al bagnasciuga,
e vi stesi il mio giubbotto, in modo da non sporcarmi.
Mi
piaceva venire qui. Mi
piaceva avere la mente sgombra e libera da qualsiasi confusione.
Semplicemente,
mi piaceva assaporare
quella libertà che il mare sapeva donarmi.
Mi
ricordavo quando venivo
qui con i miei, quando chiedevo a mia madre da dove venisse tutta
quell'acqua,
e lei mi rispondeva che era acqua piovuta dal cielo e dalle nuvole. O
quando mi
arrabbiavo, perché vedevo le onde crescere, senza fermarsi
mai, e non capivo se
l'onda nascente fosse già lì, o se io mi ero
distratto un attimo e non l'avevo
vista arrivare.
Sorrisi.
Erano tempi passati,
tempi che potevano essere solo ricordati con amarezza, e che non
sarebbero tornati
mai più.
Tempi
più felici.
O
forse...forse ero io che
ero cambiato.
Forse,
per ritrovare quella
felicità che mi mancava, avrei prima dovuto ritrovare le
persone giuste. O la
persona giusta...
Ascolta il tuo cuore, ascolta il
tuo cuore...
Ma
cosa diceva il mio cuore?
Certamente,
c'era qualcosa
che mi legava a lei.
Amicizia,
affetto, oltre ad
uno strano senso di protezione e possessione.
Ma...ne
ero davvero sicuro?
Ricordai
la frase di un
anonimo inglese dell '800, una delle tante citazioni lette su un libro
di
scuola: "L'affetto non è altro che
un derivato, una forma diversa, dell'amore. Vengono chiamati con nomi
differenti,
ma uno è soltanto meno maturo e più instabile
dell'altro."
Improvvisamente,
il mio
cervello si riattivò, i polmoni ricominciarono a filtrare
aria fresca, e i miei
occhi guardarono tutto da un 'altra prospettiva.
Avevo
capito.
Non
era affetto, non era
semplice amicizia, ma qualcosa di più forte. Qualcosa che,
appena incrociava il
mio sguardo, mi faceva desiderare soltanto di immergermi nei suoi occhi
e di
non risalire mai più. Qualcosa che, appena illuminava le mie
giornate con una
sua risata, mi faceva battere il cuore a mille. Qualcosa che, ogni
volta che la
guardavo, mi faceva vedere una bambina piccola e fragile che voleva
solo essere
protetta da tutto e da tutti.
Inutile
dire che il suo
protettore, avrei desiderato esserlo io.
Una
specie di Angelo custode,
che avrebbe vegliato su di lei, sempre.
Sì,
l'avrei fatto, fino a
quando lei avrebbe voluto, e, fino a quando, avrebbe capito che il mio
senso di
protezione non era dovuto a un semplice atto di cortesia, ma a qualcosa
di più
forte e profondo, che non avevo mai creduto lei potesse risvegliare in
me.
Ti amo, Avril. Finalmente, l'ho
ammesso.
Dovevo
dirglielo, al più
presto. E, forse, sapevo anche come fare. Dopotutto, c'era ancora un
premio da
ritirare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** Little monkey ***
Salve
people!
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
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preferiti:- AliceKeepHoldingOn - Beliectioner_FE_love_FE - Look_at_the_sky - RamonaLBS-
Solluxy
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ricordati:- Look_at_the_sky
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seguiti:- AliceKeepHoldingOn - Brazza - Hakkj -
itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky - Mary Fichera - nami24_love- RamonaLBS
Tanti
auguri a me! Tanti auguri a me!
E
anche a tutte le altre "Marie" del mondo.
E
già, è il mio onomastico ^_^ *della serie: non
sono meganomale*
Ok,
vorrei ringraziare Solluxy, che, senza volerlo, mi ha dato
l’ispirazione
per una frase. :)
Poi,
per questo capitolo importante e molto fluffoso (ooohw) vi
vorrei fare ascoltare un brano dei Boyce
Avenue, una rock band americana che fa delle cover
spettacolari, e questa è
la mia preferita *_*.
Grazie
a chiunque lo
farà. ^_^
Auguro
una buona lettura a tutti!
Boyce Avenue – A
Thousand Years
Pov
Avril
Mi
ero addormentata da poco,
il sonno non ne voleva proprio sapere di arrivare. Pensavo sempre a
lui, ai
suoi baci, ai suoi tocchi… e anche a quell'ultima settimana
trascorsa. Ero
molto confusa, in realtà.
All'improvviso,
il mio
maledettissimo telefono squillò, e nonostante nascosi la
testa sotto il cuscino
per non sentirlo, lo presi, guardando l’ora.
Era
prestissimo e risposi
molto incazzata. "Chi cazzo è che mi sveglia a
quest’ora del mattino?
Spero che chiunque tu sia, abbia un buon motivo, se non vuoi morire
investito
da un autotreno!"
“Ciao
Avril, sono Evan” Era lui, con
quella sua bellissima voce e...
Avril!
"Taubenfeld,
come
diavolo hai avuto il mio numero?" W l'acidità!
“Beh...è
piuttosto
imbarazzante da dire, ma ho pregato mia sorella di darmelo. Comunque,
scusa se
ti ho svegliata, ma...volevo chiederti scusa per...per come mi sono
comportato
nell'ultima settimana." disse, tutto imbarazzato.
Ero
rimasta spiazzata, non mi
aspettavo che sotterrasse l'ascia di guerra così presto.
Dov'era finito l'Evan
arrogante che voleva vincere ad ogni costo? Decisi di rincarare un po'
la dose.
"Sì,
in effetti ti sei
comportato propio di merda..."
"Ecco,
io..."
"Sei
stato uno stronzo
con la "s" maiuscola..."
"Scusami,
davvero, io
non..."
"Ma
cosa cazzo ti
passava per il cervello?!"
"Avril!
Basta, ok?! Così
non fai altro che farmi sentire in colpa. Mi dispiace di essermi
comportato in
quel modo e ti chiedo scusa, non lo meritavi!" Mmh,
però...Si era spinto
molto più in là di quanto pensassi... "E..in
più...no, forse è meglio di
no."
"Dai,
spara. In più
cosa?"
"Beh,
ecco...Volevo
ritirare il mio premio."
"Ah..."
Parlava
della sfida dell'altra sfida della settimana scorsa, quella in cui
avevo
miseramente fallito. Il mio morale scese subito a picco. Per un
momento, avevo
creduto veramente che volesse scusarmi con me, ma, a quanto sembrava,
la
telefonata aveva solo fini egoistici. Che
pezzo di...
"Pensavo
di portarti in
un posto, sai, per rivolgerti le mie scuse di persona"
"Che
posto?"
domandai subito, eccitata. Dopotutto, forse, non era così
egoista come avevo
pensato un secondo fa.
"È
una sorpresa, sempre
se decidi di venirci."
"Non
mi dai neanche un
indizio?" chiesi, con la voce più infantile che potessi fare.
"Ehm...No..."
"Neanche
uno piccolo
piccolo piccolo?" continuai.
"Ok,
va bene.
Allora...non fare colazione" Mah, che indizio strano.
"Mmh,
non è che poi fai
finta di niente e non mi rivolgi più la parola?"
"No,
no, non ti
preoccupare. Il mutismo è sparito." assicurò,
ridacchiando. Oddio, la sua
risata imbarazzata! Era da tempo che non la sentivo. Ero sicura che si
stesse
mettendo una mano nei capelli adesso, era davvero tipico di lui. Sembrava così dolce e...
"Allora?"
Cavolo,
doveva avermi fatto
una domanda, e io, da deficiente quel'ero, ero troppo impegnata a
vaneggiare
nella mia crisi ormonale, per sentirla!
"Ehm...Scusa,
mi ero
distratta un attimo. Puoi ripetere la domanda, per favore?" Cazzo,
questa
sì che era una grande figura di merda!
"Sì"
disse,
ridacchiando ancora. Però la colpa
era
anche sua, che cavolo! "Ci stai o no? Per questa piccola
uscita,
intendo..."
"Mmh...Dipende."
"Da
cosa?"
"Dalla
pazienza che ha
l'accompagnatore ad aspettare che la sua donzella butti a terra il
pigiama, e
si presenti in abito da sera." dissi, e riattaccai.
Mi
avviai di corsa in bagno
e, man mano che camminavo, mi spogliavo, lasciando i vari pezzi lungo
il
percosso.
Aprii
l’acqua e, mentre
aspettavo che uscisse quella calda, mi guardai allo specchio.
Mamma
mia! Ero davvero in uno
stato pietoso, avevo delle occhiaie tremende per il sonno perso.
Mi
infilai sotto la doccia e
mi lavai velocemente. Appena uscii, mi avvolsi
nell’asciugamano, mentre
indossavo quella stupida divisa e, contemporaneamente, mi strofinavo i
capelli
per asciugarli il prima possibile.
Presi
il telefonino, lo zaino
e uscii di corsa dalla mia stanza.
Scendendo
le scale di fretta,
incontrai Dolores, con un vassoio pieno di cose buonissime.
"Signorina
Avril!
Ma...le stavo portando la colazione in camera e..."
"Grazie
lo stesso,
Dolores, ma non ho fame!" urlai, nella speranza che mi sentisse.
"Ma
dove va così di
corsa?"
"A
scuola! Ci vediamo
dopo!"
Aprii
il cancello e, appena
lo vidi, appoggiato alla sua moto, mi venne un colpo.
Mi
bloccai per
osservarlo. Dio, come era
bello!
Gli
sorrisi e mi avviai verso
di lui. Appena gli fui vicino, però, la mia goffaggine si
fece avanti e inciampai
nei miei stessi piedi.
Possibile
che la figuraccia
dovessi farla proprio adesso davanti a lui?!
Chiusi
gli occhi, aspettando
di sentire l'asfalto duro sotto il mio povero sedere, ma non accadde.
Mi
ritrovai stretta tra le
sue forti braccia.
Dischiusi
gli occhi e ci
fissammo. Sentivo il mio cuore battere forte ed avevo il terrore
che lui
lo potesse percepire, che potesse sentire la reazione al suo tocco.
Ed
eccomi qua, allacciata ai
suoi occhi azzurri, totalmente incapace di parlare o di fare qualsiasi
altra
cosa che richiedesse l'impulso del mio cervello.
Come
diavolo avevo fatto a
privarmi di quella visione per tutto quel tempo?
"Ti
sei fatta
male?" mi domandò, con una voce dolcissima.
Terra chiama Avril. Ripeto, Terra
chiama
Avril. Sveglia, rispondi!
"No,
niente per fortuna,
grazie" gli risposi, imbarazzata. Slacciò il suo abbraccio e
mi sentii
improvvisamente vuota.
Mi
diede il casco, e montò
prima lui, per poi porgermi la mano e aiutarmi a salire.
"Dove
mi porti?"
gli chiesi.
"In
una piccola
pasticceria qui vicino. Vedrai, fa una torta buonissima ed una
cioccolata calda
da leccarsi i baffi"
"Lo
spero per te, dopo
che mi hai svegliata a quest’ora" gli dissi, sbadigliando.
"Scusami,
ma ne varrà la
pena!"
"D'accordo,
mi
fido" dissi, prima di allacciare le mie braccia alla sua schiena e di
sentire la moto partire con un rombo forte e potente.
Arrivammo
in pochissimo
tempo, era proprio vicino. Scendemmo dalla moto ed entrammo nella
piccola
pasticceria, dove ci accomodammo e venne subito una cameriera a
prendere le
ordinazioni. Evan ordinò due cioccolate ed una fetta di
torta.
Mentre
prendeva gli ordini,
la cameriera lo guardava e gli sorrideva maliziosa. Non sapevo
perché, ma mi
sentii gelosa delle sue attenzioni. Mi irritai, come in segno di
possesso.
Cambiai
subito discorso, per
evitare di pensarci. "Perché non hai preso la torta anche
per te?"
"Non
ho molto appetito.
Prendo solo la cioccolata"
Arrivarono
le cioccolate e la
torta. Appena le vidi, mi venne l’acquolina in bocca. Andavo
matta per il
cioccolato.
Infilai
il dito nella panna:
era buonissima. Lo guardai, e vidi che lui mi sorrideva. Era un sorriso
sincero, ma...nervoso, anche. Non riuscii a capire il motivo.
"Allora,
ti piace?"
"Mmh,
a guardarla sembra
buona, o almeno la panna lo è. L’assaggio e ti
faccio sapere".Portai la
tazza alla bocca e presi un sorso di cioccolata. Era favolosa.
Allontanai
la tazza e notai
che lui mi fissava e, cogliendomi di sorpresa, mi toccò il
naso con il dito e poi
se lo portò alla bocca, lasciandomi incredula per il gesto.
"Ecco...avevi
un po’ di
panna sul naso" si giustificò, imbarazzato. Sentii le mie
guance andare a
fuoco per l’imbarazzo.
"Quindi?
Responso
finale?" mi chiese, fissandomi.
"La
cioccolata è...buonissima,
ma ancora non sei salvo, ora provo la torta." Presi il piattino della
torta che, al solo guardarla, sembrava deliziosa, e
l’assaggiai.
Quant’era
buona. "Mmh!
Buoniffima!" gli dissi, sorridendo, mentre stavo ancora masticando.
Ops!
Ingoiai
questa volta, prima
di parlare. "Va bene, sei perdonato per avermi svegliato
così presto. E
anche per il comportamento della settimana scorsa."
"Grazie,
davvero"
mi rispose sorridendomi.
Quella
torta era...deliziosa,
a dir poco, e volevo che l’assaggiasse anche lui.
Così, gliene porsi un pezzo.
"No, no, grazie. Mangiala tu" mi disse.
"Per
me è troppa. Dai,
aiutami a finirla. Per favore." dissi, esponendo il labbro inferiore e
pensando di fare una faccia tenera. Alla fine, lui si arrese,
acconsentì e
l'assaggiò.
"Si,
avevi ragione. È
proprio buona" concordò.
Nel
frattempo, vedevo che non
beveva la sua cioccolata "Non la bevi?" chiesi, indicandola.
"Cosa?
Oh, ora la
bevo" Prese la tazza e se la portò alla bocca.
Quando
la posò, aveva un
ciuffo di panna sul naso. Scoppiai a ridere, aveva una faccia
troppo
buffa, per pensare anche solo di rimanere seri.
Così,
proprio come aveva
fatto lui con me, lo ripulii, portando il mio dito alla bocca.
Mi
guardò negli occhi,
stupito. Forse non si aspettava quel gesto da me e, a dire la
verità, nemmeno
io.
Distolsi
subito lo sguardo e
sentii le mie guance andare a fuoco, un'altra volta. Ero
sicura di essere
diventata rossa come un pomodoro. Grazie,
mie adorate guance, apprezzo molto il fatto che arrossiate, anche se io
non
voglia!
Ripensai
a cosa avevo fatto,
e capii che quello era un gesto molto intimo e riservato, ed io non
sapevo
ancora...cosa fossimo noi due, in realtà.
Finimmo
le nostre cioccolate
e mangiammo la torta assieme. Era veramente una fetta enorme, non ci
sarei mai
riuscita da sola. Stranamente, avevo lo stomaco chiuso, cosa molta
insolita per
me, che adoravo il cioccolato.
"Grazie...per
questa
piccola uscita." dissi, al limite dell'imbarazzo.
"Di
niente." mi
rispose, e fece un gesto del tutto inaspettato. Mi tocco piano il
labbro
inferiore, il labbro rotto dallo schiaffo che avevo ricevuto la
settimana
prima. Quando le sue dita lo sfiorarono, una forte brivido mi percorse
la
schiena, e lui, pensando che questo mi provocasse dolore, si
allontanò
immediatamente.
In
realtà, non era affatto
dolore. Sapevo benissimo che cos'era. Eccitazione. Eccitazione... solo
perché
mi aveva sfiorata in un modo dolce e innocente.
Quando
uscimmo dalla
pasticceria, lui mi accompagnò a scuola, in moto, e, mio
malgrado, le nostre
strade si divisero per tutta la giornata, per poi rincontrarsi
all'ultima ora. Letteratura
inglese.
Ci
sedemmo all'ultimo banco,
un po' più sorridenti rispetto all'ultima volta.
Il
professor Jones iniziò a
spiegare la vita di Shakespeare, e, malgrado fosse una storia
già sentita e
risentita, tutti stettero ad ascoltare.
Ci
fu soltanto un momento di
distrazione tra noi due. Verso l'ultimo quarto d'ora, mi
passò un foglio, per
non farsi beccare dal prof.
Ti va se
stasera ti passo a prendere e ci
mangiamo un gelato?
Ovviamente,
risposi. Sembra
tanto un appuntamento, Taubenfeld. Che c'è sotto?
Dai, è solo una
semplice uscita.
Mmh...Non
so. Il gelato è
buono?
Il migliore
che tu abbia mai
assaggiato.
E
allora, sono costretta a
dirti di sì. Gli consegnai il foglio
con un sorriso.
Ok. Alle otto?
Alle
otto.
Sorrise
anche lui, ma proprio
mentre stava per ripiegare il foglio per buttarlo via, il professore
vide il
suo movimento, e si avvicinò al nostro banco.
"Taubenfeld!
Mi faccia
vedere subito cosa stava scrivendo!"
"I
miei...appunti,
professore?"
Ovviamente
lui controllò, e
non appena vide la trascrizione di tutti gli argomenti toccati durante
la
lezione, sussurrò:"Bene. Continuiamo, ragazzi."
Evan
approfittò del fatto che
il signor Jones gli desse le spalle, e infilò veloce il
fogliettino in tasca.
Poi, con un sorriso smagliante, si girò verso di me, e mi
fece l'occhiolino,
per poi tornare a seguire la lezione.
Ah, sarei morta giovane. Molto
giovane.
La
giornata a scuola, per
fortuna, finì presto, e mi accompagnò a casa.
Appena
arrivammo, spense la
moto, mise il cavalletto, e scese, aiutando anche me. Solo alla fine,
si tolse
il casco.
"Sei
proprio sicura di
non volerlo tenere?" mi chiese, passandomelo.
"Si,
sicuro. Tienilo
tu." Glielo ripassai.
"Va
bene, come
vuoi."
"Allora...Alle
otto?" dissi, chiedendo conferma. In fondo, poteva aver sempre cambiato
idea.
"Alle
otto."
rispose sicuro, smentendomi immediatamente.
"Mi
raccomando, non fare
tardi." dissi, puntandogli un dito contro.
"Signorsì,
signora!"
Sorrise, si mise sull'attenti e fece il saluto militare.
"Scemo."
Gli
sorrisi anch'io, prima di abbassare gli occhi, leggermente imbarazzata.
Mi
piaceva questo modo di scherzare tra di noi, creava un'atmosfera serena
e
piacevole. Sembrava avesse perso quell'aurea da stronzo menefreghista
che lo
caratterizzava. Era più...felice, e per qualche strano
riflesso, lo ero
anch'io.
"Allora...ciao."
mi
disse, mettendosi le mani in tasca, forse più imbarazzato di
me.
Mi
alzai sulle punte, e gli
diedi un leggerissimo bacio sulla guancia, prima di sussurrare un
"Ciao" appena accennato e di far ritorno dentro casa.
Senza
un motivo apparente, un
grande sorriso mi si dipinse sul viso. Potevo quasi sentire gli
uccellini
cantare alti nel cielo azzurro...
Salutai
perfino mia madre,
cosa mai successa prima, che mi liquidò con un
veloce:"Sì, ciao", non
dandoci troppa importanza.
Questa
inaspettata felicità,
però, non sfuggì a Dolores, che, dapprima mi
chiese se avessi fame, e, alla mia
risposta negativa, mi chiese, con un gran sorriso:"A cosa deve tutta
questa allegria, signorina Avril?"
"Mah...niente..."
risposi, restando sul vago.
"Non
m'inganni. Le è
successo qualcosa, il suo sorriso parla chiaro." ribatté.
"Beh...potrei
avere...una specie di appuntamento" dissi, con una scrollata di spalle.
"Mmh,
mi lasci
indovinare...È con il signorino Evan, giusto?"
Dovevo
avere sicuramente la
mascella a terra, perché restai totalmente di merda. Ma
chi...cosa...quando?!
"E tu...tu come..."
"Come
l'ho capito? Beh,
una governante se le sente certe cose, soprattutto se è
attenta a tutti i
particolari, come me. Ho visto come la guarda il signorino Evan, e
anche come
lei guarda lui. Ve lo si legge negli occhi che siete attratti l'uno
dall'altra,
peggio di due calamite." confessò, con un sorrisino
soddisfatto sulle
labbra.
Io
ero rimasta ancora al
"come" iniziale... "Ma tu...tu non lo dirai a Judy, vero?"
"Sembra
che sua madre
ignori totalmente il primo e unico dovere fondamentale che ha, cioè quello di
occuparsi di sua figlia. Per
cui...non vedo perché dovrei dirglielo."
"Grazie,
davvero."
le risposi, riconoscente. Mi ero sbagliata su di lei, aveva colto molte
più
cose di quante ne avessi colte io, e, in fondo, sapeva essere una buona
amica,
a modo suo. In effetti, da quand'ero qui, mi ero sbagliata su un po'
troppe
persone...
"Su,
su, non perda tempo
con queste sciocchezze. Vada nella sua camera, chiuda gli occhi e si
faccia un
bel sonno ristoratore. Vedrà, la aiuterà molto."
mi disse, facendomi
l'occhiolino.
"Grazie...ancora."
Salii
le scale di corsa, ed
entrai dritta nella mia stanza.
Buttai
lo zaino per terra, mi
spogliai, m'infilai la tuta e mi fiondai sul mio bel lettone nuovo a
due
piazze. Uno dei tanti regali di Judy, per farmi addolcire un po'.
Puntai
la sveglia del
cellulare alle 18:45, così avrei avuto tutto il tempo di
lavarmi e di
scegliermi qualcosa di adatto per la serata.
All'improvviso,
uno sbadiglio
mi prese alla sprovvista. Cavolo, non mi ero accorta di essere
così stanca!
L'aria
di Los Angeles mi
stava rammollendo, era senz'altro per quello.
E
poi, c'era questo bel
lettone gigante a farmi compagnia. In fondo, qualche ora di sonno, me
la potevo
anche concedere.
Quattro ore dopo...
Drin. Drin. Driiiiin.
Drin. Drin. Driiiiin.
Io...io
avrei tanto voluto uccidere
chi aveva inventato quei fottuti cellulari!
Ma
stavo dormendo, che cazzo!
Maledetta suoneria!
Presi
il telefono
bruscamente, e, senza neanche controllare il numero, risposi, con la
voce
ancora impastata dal sonno. "Chi cazzo sei e cosa cazzo vuoi da me?"
"Ehm...sono
di nuovo
io..."
Oh
porco cazzo incazzato!
Ma
allora ditemelo che sono
le figure di merda che mi vengono a cercare!
Le
mie funzioni neurologiche
si riattivarono immediatamente.
"A
quanto pare, sembra
che io e i tuoi risvegli non andiamo molto d'accordo, eh?" disse,
ridacchiando.
"In
effetti..."
Risi anch'io. "Ma...perché mi hai chiamata?"
"Volevo
solo avvisarti
che sono già di fronte a casa tua, tutto qui."
"Oh...Di
già?"
"Beh...non
manca poi
molto." Eh, esagerato!
Che
ore potevano essere?
Le
17...
O
al massimo le 18...
In
fondo, avevo puntato la
sveglia, ed ero sicura al 100% che non fosse ancora suonata. Girai la
testa
verso destra, e guardai l'orologio sul comodino.
No...Non
erano le 17. E
neanche le 18.
Assottigliai
lo sguardo, per cercare
di vedere meglio. Le 19...le 19:50!
Porca
paletta merdosa!
Mancavano
solo dieci
fottutissimi minuti, e la colpa era tutta di quella fottutissima
sveglia del
mio fottutissimo cellulare che non era suonata!
L'avevo
detto io che avrei
tanto voluto uccidere chi aveva inventato quei cosi.
"Ehm,
Avril? Ci sei
ancora?"
Cavolo,
mi ero completamente
dimenticata della telefonata ancora in corso.
Mi
alzai subito dal letto,
appoggiai il telefono tra l'orecchio e la spalla e mi tolsi subito la
maglietta.
"Si,
sono qui. Ho quasi
finito di vestirmi, tranquillo."
"Mmh,
sicura? Non è che
stavi ancora sul letto, a sonnecchiare, magari con una bella tuta
larga?"
E lui chi era, il mago Merlino?
"No...Ti
sbagli,
Taubenfeld." Andai in bagno, aprii l'acqua calda e mi tolsi anche i
pantaloni.
Ridacchiò.
"Va bene,
farò finta di crederci. Ti aspetto qui fuori, allora. E mi
raccomando,
puntuale." disse, facendomi il verso.
"Ah-ah,
simpatico."
dissi acidamente, e chiusi la conversazione.
Cazzo.
Cazzo. Cazzo.
Avevo
bisogno di un alleato,
e subito.
"Doloreeeeeees!"
urlai. "Vieni subito qui!"
Lei
entrò subito in camera
mia, e, probabilmente preoccupata dal grido che avevo emesso,
urlò a sua
volta:"Cos'è successo, signorina? Si è fatta
male? Non si sente bene?
Vuole che chiami un medico?"
"Ma
che medico e
medico!" dissi, sciogliendomi i capelli. "È molto peggio.
Dolores. Mi
devi dare una mano. Ho bisogno che tu mi trovi in due minuti qualcosa
di anche
solo lontanamente adatto per questo tipo di serata, ok?" Presi l'intimo
pulito, andai in bagno, chiusi la porta, e mi spogliai completamente.
"Confido
in te!" le
urlai dalla doccia, lasciandola probabilmente più attonita
di quanto non lo
fosse già in partenza.
Mi
lavai velocemente, e,
appena uscita, mi avvolsi nell'accappatoio e mi infilai l'intimo.
Poi,
con i capelli ancora
bagnati, nonostante li stessi frizionando con l'asciugamano, uscii dal
bagno,
per vedere cosa poteva aver messo insieme Dolores.
Prima,
vidi il suo ghigno
trionfante, poi, i vestiti da lei presi.
Si
trattava di una maglietta
nera abbastanza lunga, con un teschio sorridente e con gli occhi a
forma di
cuore al centro, dei pantaloni neri aderenti, e delle ballerine nere,
ovviamente.
"Mmh,
mi piace. Fa molto
stile dark. Li hai scelti per
quello,
vero?"
"No,
li ho scelti perché
il nero snellisce." disse, lanciandomi un'occhiataccia.
Beh,
per me una cosa valeva
l'altra. "Ok, ok, ho capito." Mi infilai veloce pantaloni, maglietta,
scarpe e, per ultima, la mia immancabile collana a forma di teschio.
Mi
guardai allo specchio, e
il risultato sembrava essere appena appena sopra la decenza. Mi andava
bene.
Diedi
un bacio sulla a
guancia a Dolores e, mentre scendevo di corsa le scale, le
gridai:"Grazie
Dolores. Ti devo un favore!"
Aprii
il cancello e, proprio
come quella mattina, appena me lo ritrovai di fronte, mi venne un
accidente con
la "a" maiuscola.
Se
ne stava appoggiato alla
sua Yamaha, con un giubbotto in pelle marrone, dei jeans scuri e,
ovviamente, i
capelli biondi scompigliati ad arte.
Ditemi che non sto sognando, vi
prego!
Appena
mi vide, i suoi occhi
si illuminarono e mi salutò con un gesto della mano, che
ricambiai prontamente.
Montò
sulla moto e, quando
gli fui abbastanza vicino, mi disse:"Sei bellissima stasera. Come
sempre,
d'altronde."
Guance mie, non arrossite. Guance
mie, non arrossite.
Guance mie, non...
Troppo
tardi, ero già
diventata rossa peggio di un semaforo.
"Grazie,
anche tu."
Inevitabilmente, abbassai leggermente la testa, in imbarazzo.
Sorrise,
e, come era ormai
sua consuetudine, mi porse la sua mano destra per aiutarmi a salire.
"Niente casco?" gli feci notare.
"No,
niente casco."
"Oh,
va bene. Non
superare i limiti, però, non voglio trasformarmi in un
frullato di
Yamaha." scherzai.
"Cosa
c'è, non si fida
della mia guida, signorina?" Si girò, e mi sorrise.
"Mmh,
fammici
pensare...No!" Scoppiammo a ridere entrambi.
"Allora,
dove mi porti
questa volta?" gli chiesi.
"È
un piccolo
chioschetto sulla costa. Ti piacerà. Solo che, è
un po' lontano da qui, e andrò
un pochino pochino più veloce, per cui...reggiti forte,
scimmietta."
disse, prima di dare gas e di partire.
Attaccai
subito le mie
braccia alla sua schiena, e strofinai il mio naso sul suo giubbotto. Mi
piaceva
l'odore che emanava. Sapeva di dolce, sapeva di uomo, sapeva di lui.
Eh già, mi sa proprio
che la scimmietta stava ancora
tranquilla e beata nel mondo dei sogni.
Pov
Evan
Il
vento mi scompigliava
forte i capelli, facendomi sentire un senso di libertà mai
provato prima.
Andare
in moto mi era sempre
piaciuto, ma adesso...beh, adesso era tutta un'altra storia.
Sentivo
le sue piccole ed
esili braccia stringermi forte la schiena, e non potei essere
più felice.
Sentivo
quel calore che
riusciva a donarmi, era ben tangibile dentro il mio cuore.
Voglio solo proteggerti, piccola
stella.
Voglio donarti quel cielo che forse
non hai mai avuto.
Voglio abbracciarti, per far
illuminare quegli occhi
che so quanta meraviglia possono contenere al loro interno.
Ti amo, piccola stella. E questa
sera finalmente lo
saprai.
Finalmente,
arrivammo al
chioschetto.
Le
onde del mare
s'intravedevano all'orizzonte, che facevano aumentare
d'intensità quella serata
magica che stavamo vivendo.
Parcheggiai
la moto e aiutai
Avril a scendere.
Cavolo,
vestita così mi aveva
davvero fatta girare la testa, molto più di quanto un
miserissimo "Sei
bellissima stasera" potesse significare.
Ci
avvicinammo ad un signore
anziano con un grembiule bianco, doveva essere per forza un dipendente,
e
salutammo educatamente.
"Buonasera."
"Oh,
due giovani
ragazzi. Buonasera. Cosa vi posso offrire?"
Mi
girai per un attimo verso
Avril, e le dissi:"Prendiamo due coni giganti?"
Al
suo gesto d'assenso, mi
girai ancora verso l'anziano signore, che era pronto per prendere
appunti, e
confermai. "Vada per due coni giganti."
"Va
bene. I gusti?"
"Per
me panna,
cioccolato e fragola" intervenne prontamente.
"Per
me panna e
pistacchio" conclusi.
"Va
bene. Vado a
prepararli." ci disse, con un sorriso, scomparendo sul retro.
Intanto
che aspettavamo, mi
volli togliere una piccola curiosità. "Scusami se te lo
chiedo,
ma...sapevi già che gusti prendere, o ci hai pensato
soltanto adesso?"
Abbassò
la testa, in
imbarazzo. "Beh, no....In realtà, ordino sempre questo tipo
di gelato da
quando avevo 7 anni, quindi..."
"E
non hai mai voluto
cambiarlo?"
"No.
Credo che sia il
tipo di gelato più buono del mondo, senza offesa per il
pistacchio,
naturalmente." aggiunse, con un sorriso che ricambiai subito.
"Naturalmente."
Nel
frattempo i gelati
arrivarono, erano davvero grandi come me li ricordavo.
"Quant'è?"
chiesi
al gelataio.
"Tre
dollari e
cinquanta." disse.
Pagai,
e lo ringraziai con un
sorriso.
"Ti
va se ci sediamo su
quel parapetto?" chiesi, indicandolo.
"Sì,
va bene."
Appena
ci sedemmo, scambiai
prontamente i due gelati, e diedi ad Avril quello con il pistacchio.
Ovviamente,
se ne accorse
subito. "Ehi Evan, il mio è quello con cioccolato e fragola,
non quello al
pistacchio."
"No."
dissi,
sorridendole e dando la prima leccata al gelato.
Ecco,
questo forse non avrei
dovuto farlo... "Taubenfeld! Dammi subito quel fottuto gelato!"
"E
dai, non te la
prendere." Altra leccata. "Voglio solo farti ricredere da uno stupido
pregiudizio che hai, perché quel gelato" lo indicai
"è buono quanto
questo." Piccolo morso alla fragola.
"Ok,
ma...se non mi piace?"
"Assaggialo
almeno, e
beh, se non ti piace, la prossima volta sarai sicura al 100% che quello
al
pistacchio ti farà schifo."
Fece
una piccola e
divertentissima smorfia, e diede anche lei la prima leccata al gelato.
Sul
suo viso potevo
distinguere chiaramente prima espressioni di incertezza, attesa e
assaporamento, per poi passare a sorpresa, incredulità e
gioia.
Mi
sa che ci avevo azzeccato.
"Cavolo,
è davvero
buono." Diede un piccolo morso al pistacchio. "Ful ferio, non avrei
mai penfato che poteffe effere cofì buono..."
Sorrisi
apertamente. Era
adorabile persino quando parlava con la bocca piena.
Lei
se ne accorse, e ingoiò
prima di sussurrare un flebile "Ehm...scusa..."
"Figurati."
Finimmo
di mangiare i nostri
coni giganti nel più assoluto silenzio. Ma non era un
silenzio imbarazzante, di
quelli che cerchi subito un argomento di cui parlare per non fare la
figura
dell'idiota, no. Era uno di quei silenzi...in cui le persone si
trovavano a
proprio agio, in cui anche ammirare il cielo stellato ti faceva sentire
bene.
Poi,
però, appena spostai lo
sguardo su di lei, vidi che tremava.
"Hai
freddo?" le
chiesi, un po' preoccupato.
"N-no,
davvero, non ti
p-preoccupare."
Non
la stetti a sentire, mi
tolsi il giubbotto e glielo misi sulle spalle. "Va meglio?"
Sorrise.
"Sì...grazie" disse, stringendosi al mio giubbotto. "Sai,
all'inizio di tutta questa storia del trasferimento, ero convinta
di...possedere certe idee, certe impressioni, ma poi...poi mi sono
dovuta
ricredere."
"Mmh...non
parli solo
del gelato, vero?"
"No."
Fece un
sorriso amaro. "Prendi la governante, Dolores, per esempio.
All'inizio...mi era sembrata solo una stronza acida che doveva solo
sottostare
agli ordini di mia madre, ma poi si è rivelata un'amica,
quasi." Mi fissò
per qualche secondo negli occhi, per poi ritornare con il capo chino.
"E
poi..."
"Poi?"
la incitai.
"Beh...il
mio più grosso
abbaglio sei stato tu."
Io?!
"In...in che
senso?"
"Non...non
avrei mai
immaginato che tu potessi essere capace di fare cose del genere per una
ragazza, né che la tua stronzaggine iniziale potesse
nascondere tanta dolcezza
all'interno."
"Ehm...grazie
per...il
complimento, suppongo." Rise. "Ma, in realtà...ti avevo
invitata qui
per dirti una cosa, anche molto importante."
Era
giunto il momento, il
cuore mi batteva forte.
"Mi
hai fatto passare
una giornata fantastica, per cui dimmi quello che vuoi."
"Va
bene, però devi
promettermi una cosa, ok?" le chiesi, diventando improvvisamente serio.
Anche
lei avvertì
l'importanza della situazione, e divenne prudente. "Beh...dipende..."
"Prometti
di ascoltarmi
in silenzio, senza intervenire o andare via? Ho bisogno di dirti una
cosa e
vorrei che tu mi ascoltassi, seriamente però. Solo tre
minuti." Avevo
paura, temevo la reazione che avrebbe avuto appena le avessi detto
quello che
provavo.
Se
mi avesse respinto, cosa
molto probabile, mi sarei sentito assolutamente perso.
Nonostante
tutto, però,
dovevo rischiare, perché non resistevo più e
dovevo confessarle ogni cosa,
liberando il mio cuore.
"Ok,
dimmi tutto."
Mi
misi di fronte a lei, feci
un bel respiro ed incrociai le dita.
"Per
cominciare, volevo
chiederti scusa per essermi comportato così all'inizio. Sono
stato un vero
coglione, e non lo nego. E...ti chiedo perdono ancora una volta per
come ti ho
trattato in tutti quei giorni in cui…non
sapevo…di provare qualcosa per
te" Mi fissò stranita, ma non disse niente, e continuai.
"Avril,
senti. So che in
me c'è anche lo stronzo che si è comportato male
all'inizio, ma c'è molto di
più di quello, credimi. Io provo per te qualcosa di
veramente forte. So che per
te i baci che ci siamo scambiati non hanno significato niente, ma per
me,
invece, sono stati diversi, sono stati importanti. E, anche se non mi
crederai,
ti assicuro che l'ultimo bacio è stato il più
bello della mia vita. In quei
pochi secondi in cui ci siamo baciati, mi sono sentito in paradiso.
Ora, puoi
non credere ad una sola parola di quello che ti ho detto, e se vuoi,
puoi anche
schiaffeggiarmi ed andartene però…Avril, tu mi
piaci, e molto anche. E...vorrei
tanto usare altre parole, ma ho l’impressione che ti
spaventeresti."
"Sono
confusa, credo di
non aver capito" Era visibilmente sorpresa ed agitata, tanto quanto me.
"Avril, non
so come
dirtelo, perché non l’ho mai detto a nessuna, ma
non ci riesco più a tenermelo
dentro. Te lo devo chiedere. Poi, tu sarai liberissima di fare le tue
scelte.
So che è una cosa stupida o poco convenzionale, e, forse
anche un po’
infantile, ma non riesco a trovare altri modi per chiedertelo"
Presi
un grande respiro e
continuai. "Vuoi diventare la mia ragazza?".
Sgranò
gli occhi, e si
paralizzò. Si morse il labbro inferiore, sembrava confusa
dalle mie parole. Dal
canto mio, non riuscivo a muovere neanche un muscolo.
Il
tempo sembrava essersi
fermato, tutto era immobile attorno a me.
Aspettavo
solo una sua parola
che però tardava ad arrivare, perché tutto
dipendeva da quello che mi avrebbe
risposto.
Probabilmente
ero stato un
po’ avventato, troppo diretto, soprattutto ad usare le parole
"la mia
ragazza", così azzardate e strane anche per me. Forse le
dovevo solo
chiedere di mettersi con me, ma volevo farle capire che, con lei, avevo
intenzioni serie.
Per
me era la prima volta, mi
sentivo un ragazzino alla prima cotta e non sapevo cosa dire o come
comportami.
Era tutto così nuovo, così assurdo, anche
perché ero diventato insicuro di me.
L'unica
cosa che sapevo era
che lei era diversa da tutte. Un suo bacio era in grado di cambiare la
mia
vita. Nonostante non fossimo mai usciti insieme, sapevo di conoscerla
sufficientemente: per me, lei era la persona giusta.
Dopo
un tempo che mi sembrò
interminabile per la tensione che mi attanagliava lo stomaco,
interruppe il
silenzio. "Taubenfeld, mi stai prendendo in giro?" mi
domandò,
guardandomi stranita.
Anche
per lei era una cosa
assurda, qualcosa a cui era difficile credere. "No Avril, non ti sto
prendendo in giro. Io...io ti amo veramente." confessai alla fine, con
una
facilità che spiazzò anche me.
Alcuni
ciuffi di capelli le
ricadevano disordinati sul viso, e mi azzardai a scostarglieli,
mettendoli
dietro l’orecchio.
Non
si scostò e mi lasciò
fare, ma continuava a fissarmi senza parlare.
Allora
cominciai a prendere
ogni suo singolo dito e a baciarlo, con dolcezza, per farle sentire
anche solo
un po' del calore che volevo donarle.
Niente,
non parlava ancora.
Tutto
questo silenzio era
opprimente, ma stava nascendo in me una piccola speranza: "chi tace
acconsente".
Aveva
gli occhi persi nel
vuoto e si mordeva in continuazione quel povero labbro, martoriandolo.
Perché
non diceva niente?
Voleva lasciarmi morire dall’ansia?
Poi,
finalmente, alzò il viso
ed iniziò a parlare.
"Beh...
Questo è un bel
problema, allora... " disse, sussurrando appena.
Non
mi guardò negli occhi, né
ci fu qualche altro contatto tra di noi. Niente di niente. Pensavo di
chiederle
di ripetere, ma sapevo di aver sentito bene la sua risposta. Sarebbe
stato
inutile, avrei ferito solo i miei sentimenti da solo.
Che
stupido, illuso ed
egoista che ero stato!
Così,
questa era una
delusione? Questo era un cuore infranto che continuava a sanguinare, ma
che non
potevi guarire?
|
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Capitolo 29 *** Problem... ***
Salve
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Ringrazio
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- Look_at_the_sky - Mary Fichera - nami24_love- RamonaLBS
Ok,
auguro una buona lettura a tutti!
Avril
Lavigne – I love you
Pov
Avril
Aveva
detto veramente ciò che
le mie orecchie avevano sentito?
Ero
senza fiato, lo guardavo
imbambolata, non so se per la proposta totalmente assurda ed
inaspettata, o se
per via di quegli occhi azzurri che mi scrutavano così
intensamente da stravolgermi.
Ero
stupita, non avevo parole
per la sua confessione, e anche per il fatto che una come me potesse
piacergli.
Ed
io…
Cosa
provavo veramente per
lui?
Provavo
due sentimenti
contrastanti: Mi piaceva da impazzire quell’Evan gentile,
buono, che mi aveva aiutato
fuori dal Passion Skate, quando ero stata in difficoltà.
Mi
piaceva quell'Evan che mi
baciava con una dolcezza assurda, senza pretendere nulla in cambio.
Mi
piaceva quell’Evan che mi
aveva fatto mangiare il mio dolce preferito, senza saperlo.
Mi
piaceva quell’Evan che,
pur di non farmi soffrire il freddo, mi aveva messo sulle spalle il suo
giubbotto, con il risultato che poi s'infreddoliva lui.
Evan
mi piaceva da matti, mi
attraeva tantissimo, ma non sapevo cosa dire, cosa fare.
I
suoi tentativi di
conquistarmi mi lusingavano, mi facevano sentire apprezzata ed
importante ma...avevo
paura. Paura d'innamorarmi e di essere presa in giro da lui.
Così,
glielo chiesi
direttamente.
"Taubenfeld,
mi stai
prendendo in giro?"
"No
Avril, non ti sto
prendendo in giro. Io...io ti amo veramente." Disse quelle parole con
una
disinvoltura ed una dolcezza assurda.
Fece
battere forte il mio
povero e tormentato muscolo cardiaco che andava sempre più
per conto suo.
Prima
mi scostò un ciuffo di
capelli dal viso, poi afferrò le mie mani e se le
portò alla bocca, cominciando
a baciare ogni mia singola nocca. Sentivo il calore delle sue labbra
sulla mia
pelle e mi piaceva… mi piaceva troppo.
Il
suo modo di guardarmi era
palesemente carico d’amore. I suoi occhi, così
dolci e sinceri, erano troppo
intensi, il suo profumo era troppo inebriante. Per un attimo, non
riuscii a
respirare.
Lo
guardai ancora in quei
bellissimi occhi azzurri, e, in quel momento, crollò del
tutto quella maschera
di pacata tolleranza che avevo indossato fino a quell’istante.
Capii
che lo desideravo
anch’io, che mi piaceva davvero tanto e che volevo stare con
lui.
Sapevo
di provare qualcosa di
veramente forte, viscerale, che nasceva da dentro di me, che riusciva a
travolgermi, a frastornarmi, a confondermi e non farmi più
ragionare con
lucidità.
Lui
mi amava e io lo
desideravo.
Così,
cercai di lasciarmi
andare, di accettare quello che aveva da offrirmi senza pensare troppo,
senza
impormi stupidi limiti. Era giunto il momento di vivere veramente, di
provare
veramente delle emozioni.
"Beh...
Questo è un bel
problema, allora... "dissi, abbassando gli occhi e mordendomi il labbro
inferiore.
Poi,
li rialzai e allungai
una mano e, senza accorgermene, gli stavo accarezzando il viso,
totalmente impietrito
dalla mia rivelazione.
Le
mie mani viaggiavano sulla
sua tempia, sulla sua guancia; sentivo sotto le mie dita la sua pelle
calda,
ruvida per via del sottile strato di barba.
Poggiò
la sua mano sulla mia
che stava sulla sua guancia. La trattene qualche istante, poi la prese
e la
spostò sulle sue labbra.
Mi
baciò il palmo con
dolcezza.
"Perché...credo
di amarti
anch'io."
Gli
diedi il tempo di
assimilare la notizia, ma lui mi sorprese.
Si
avvicinò a me, mise le sue
braccia attorno ai miei fianchi e mi abbracciò forte,
sospirando e facendo
aderire perfettamente il suo torace al mio petto. La sua faccia era
immersa tra
i miei capelli.
Il
mio cuore cominciò a
battere più velocemente, e lui poteva sentirlo martellare
come io sentivo il
suo.
Poi
lo sentii muovere, sentii
le sue labbra vicino al mio orecchio e mi sussurrò
lievemente:"Avril,
posso baciarti?"
"Sì."
Con
dolcezza, spostò i miei
capelli dietro le orecchie, si avvicinò lentamente e mi
posò un bacio sulla
punta del naso. Si allontanò e mi fissò negli
occhi.
Ero
completamente senza
fiato.
Si
riavvicinò nuovamente,
sfiorandomi appena le labbra. Quanto desideravo baciarlo!
Poi,
intensificò quel
contatto, appoggiando le sue labbra calde sulle mie e dandomi un bacio
dolce,
casto, delicato.
Era
la sensazione più bella
che avessi mai provato. Non aveva nulla a che fare con i baci
precedenti. Era
qualcosa di totalmente diverso.
Rimase
fermo sulle mie labbra
per un lungo ed infinito istante, per poi allontanarsi di nuovo. Mi
accorsi che
il mio corpo non voleva più scostarsi da lui. Abbracciata
così, mi sentivo
bene, al sicuro, protetta. Mi sentivo in paradiso.
Evan
avvicinò di nuovo le sue
labbra alle mie e mi baciò. Il mio cuore riprese a
martellare a contatto con le
sue morbide e calde labbra. Mi stava scatenando una valanga di emozioni
che mi
sconvolgevano completamente.
Le
sue labbra si tuffarono
sulle mie, avvolgendole.
La
sua lingua impetuosa entrò
nella mia bocca. Mi abbandonai al suo bacio con altrettanto
ardore.
Le
nostre lingue ormai
avevano preso confidenza. Le mie mani si posarono sulle sue guance e
gli
sostenni il viso mentre ci baciavamo, beandomi del caldo contatto con
la sua
pelle.
Le
sue mani salivano e
scendevano lungo la mia schiena accarezzandomela dolcemente, facendomi
fremere
ad ogni passaggio.
Mi
strinse forte a sé senza
mai staccare il contatto delle nostre labbra . Le nostre lingue si
cercavano e
si scontravano dolcemente.
La
vicinanza pressante dei
nostri corpi mi fece ansimare e meravigliare di me stessa.
Perché
ogni volta che Evan mi
baciava, io non capivo più niente? Per quale ragione, ogni
volta che le sue
labbra toccavano le mie, il mio cervello si scollegava ed andava
totalmente in
blocco?
Le
mie mani scivolarono sulla
superficie muscolosa del suo petto. Non riuscivo a ricordarmi come
fossero
arrivate lì.
Lo
volevo. Mi piacevano i
suoi baci, mi facevano girare la testa.
Desideravo
baciarlo ancora ed
ancora. Avrei passato la mia intera vita a baciare quelle labbra, a
sentirlo
così vicino.
Per
la prima volta, mi
lasciai guidare dal mio istinto. Annullai la ragione e tutta la mia
razionalità, per immergermi in quel mare di sensazioni che
mi facevano
finalmente sentire viva.
Alla
fine, mi staccai un po'
da lui, per cercare di riprendere fiato.
Mi
guardò dritto negli occhi
e avvicinò la sua fronte alla mia. "Fidati di me, ti
proteggerò da tutti e
da tutto. Avril, io ti amo".
"Anch'io
ti amo." Fu
l’unica cosa che riuscii a dirgli in quel momento.
Lui
sorrise e mi baciò la
fronte, con dolcezza, come si bacia una bambina.
"Dai,
torniamo a
casa."
Montammo
sulla moto, e allacciai
senza indugio le mie braccia alle sue, proprio come all'andata.
Mi
sentii completamente al
sicuro. Volevo credere ad ogni parola che aveva detto, volevo fidarmi
ciecamente e lasciarmi cullare da quella sensazione di beatitudine.
Pov
Evan
Dopo
un viaggio che mi sembrò
più breve dell'andata, arrivai a casa sua.
Il
mio cervello era completamente
in stand-by, perso, scollegato, per quello che era successo.
Non
avrei mai creduto che mi
potesse ricambiare, e soprattutto non con la stessa
intensità. Ma, per fortuna,
mi ero sbagliato.
Scesi
dalla moto, e,
ovviamente, aiutai a scendere anche lei.
La
guardai negli occhi,
quegli occhi che mi avevano conquistato sin dal primo momento.
Desideravo
baciarla, non
resistevo più. Le presi una mano tra le mie, era ghiacciata.
Forse, anche lei
come me, era agitata.
"Signorina
Lavigne, potrei
mostrarle cosa intendo fare adesso, prima di darle la buonanotte?"
Cercai
di sdrammatizzare, per alleggerire la situazione.
"Certo,
signor Taubenfeld."
mi rispose.
Mi
avvicinai piano, lei mi
guardò con dolcezza ed accennò un piccolo sorriso.
Il
mio cuore sussultò. Mi
stava sorridendo anche con gli occhi e subito io ricambiai quel
sorriso, che
era tutto per me.
Che
stupido, sciocco
innamorato che ero.
Le
accarezzai il viso con il
palmo della mano, mentre non smettevamo di fissarci negli occhi. Quelle
sue
bellissime pozze color cielo mi guardavano, e potevo vedere la mia
stessa
emozione riflessa.
Lentamente,
avvicinai le
labbra alle sue e le assaporai, trattenendole e mordicchiandole
lievemente con
le mie per poi baciarla dolcemente con un tenero e casto bacio.
Sentii
le sue labbra
schiudersi appena: era l’invito che stavo aspettando.
Infilai
la mia lingua in
quella fenditura, piano, e cominciai ad esplorare la sua bocca.
Muovendo
lentamente la mia lingua, andai alla ricerca della sua. Non appena la
trovai,
cominciai ad accarezzarla dolcemente e lei rispose alle mie carezze.
Cazzo,
avevo il cervello
completamente in tilt. Era meraviglioso!
Persi
completamente la
cognizione del tempo e, quando ci staccammo, mi resi conto che quel
bacio era
stato straordinario. Come il precedente, non l’avrei mai
dimenticato.
La
fissai ancora negli occhi,
prima di accarezzarle dolcemente la guancia, e di
sussurrarle:"Buonanotte."
"'Notte."
mi
rispose, dopo essersi alzata sulle punte, ed avermi soltanto sfiorato
le
labbra.
Dopo
che mi fui assicurato
che fosse entrata, me ne ritornai a casa mia.
Feci
meno rumore possibile,
e, forse, riuscii a non svegliare nessuno.
Mi
svestii velocemente e mi
buttai sul letto, allegro come non mai.
Poteva un cuore solo contenere
tanta felicità?
Beh,
non mi restava che
scoprirlo.
|
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Capitolo 30 *** Insecurity ***
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- Look_at_the_sky – Mary_Malik –RamonaLBS
Allora,
brutta notizia.
Sabato 14
mi è
incominciata scuola.
Questi
capitoli erano già pronti da un pezzo, e quindi è
per questo che non ho avuto
problemi a postarli.
Da
questo in poi, però, spero solo di riuscire a postare con
regolarità i miei
soliti due capitoli a settimana, anche se lo trovo un po’
difficile, facendo il
liceo classico.
Va
bene, nel caso dovessi avere problemi, voi sarete i primi a saperlo,
ovviamente.
Auguro
una
buona
lettura a tutti!
P.S.
Vorrei ringraziare quella razza di
metallara di Glaphyra, per sopportarmi ogni sera in cui sclero, per
accompagnarmi nella nostra – non facile – vita
scolastica, per accontentarsi
dei miei piccolissimi spoiler su questa storia (però anche
tu, che cavolo!).
Insomma,
grazie per essermi accanto da 3 anni,
con tutto il cuore!
Spero
che l'immagine ti piaccia bro! <3
(Ah,
e viva Bruto! Ma quello è un classico…)
Pov
Avril
Appena entrai
nella mia stanza, mi abbandonai sul letto, appoggiando la testa sul
cuscino,
sospirai ed accostai le mie mani sul petto, cercando di far rallentare
i
battiti del mio cuore.
Cavolo, era
successo tutto così in fretta!
Non potevo ancora
crederci. Avevo un ragazzo e...sentivo già che non potevo
più fare a meno di
lui.
Volevo solo
ascoltare il mio cuore, volevo abbandonarmi completamente e non pensare
a
niente, perché lui...lui mi piaceva da morire.
Nonostante ci
fossimo appena lasciati, il mio cuore continuava ancora a battere
talmente
forte, che sembrava volesse uscirmi dal petto. Possibile che mi facesse
quell'effetto?
Sentivo
già la sua
assenza, mi mancava il suo abbraccio, i suoi baci, il suo profumo
intenso…
Non mi sarei mai
abituata a quella sensazione meravigliosa che provavo quando mi
stringeva forte
a sé, ai suoi baci così dolci che poi si
riempivano di passione e mi facevano
girare la testa. Avrei potuto continuare a baciarlo all'infinito.
Sospirai,
chiudendo gli occhi e ripensando alle sue labbra. Erano così
dolci, morbide e
calde, che mi venivano i brividi per le sensazione forti che riuscivano
a
trasmettermi.
Non c’era
niente
che potesse reggere il confronto. Erano talmente da capogiro da farmi
mancare
l’aria, ed era la sensazione più bella al mondo.
Improvvisamente,
sentii squillare il telefono e lo presi, impaziente.
Solo in quel
momento, capii che volevo avere qualcuno con me, a farmi compagnia.
Mi sentii vuota
come se la lontananza da Evan mi facesse sentire sola.
Era una sensazione
che non avevo mai provato prima. Certo, ero stata spesso sola ma, il
vuoto che
sentivo ora, era completamente diverso.
Era lui, la sua
distanza, la mancanza del suo corpo a farmi soffrire.
Controllai il
cellulare, era arrivato un sms. Lo aprii e si materializzò
il messaggio.
Era suo. Il mio
cuore cominciò battere a forte.
Lo lessi.
"Sono passati pochi minuti da quando ci siamo lasciati e già
mi manchi da
morire. Non vedo l’ora di rivederti, e di averti tra le mie
braccia."
Mi sentii felice e
gli risposi immediatamente. “Ti può sembrare
strano, ma anche tu mi
manchi” ed
inviai.
Un minuto dopo
risuonò il mio telefono, era di nuovo lui. “Ti amo
Avril. Ci ho messo un po' a
capirlo, ma voglio che tu lo sappia.”
Sapevo di nutrire
per lui un forte sentimento che mi travolgeva e che mi lasciava senza
fiato, e
sapevo anche qual'era il suo nome. Amore.
All'inizio,
credevo di conoscere cosa fosse. L'avevo letto mille volte tra le righe
di una
poesia o di un libro, e l'avevo sentito mille volte tra le parole della
gente o
tra le note di una canzone. Ma ora...era molto più forte,
come se fosse mille
volte amplificato.
Il perché,
era
semplice. Adesso quel sentimento mi apparteneva, era mio. Mio e della
persona
che amavo.
Così, gli
risposi
subito. "Adesso lo so che mi ami, scemo. E sai perché lo
so?" Sorrisi
del gioco di parole. "Perché ti amo anch'io."
"Non sai
quanto sia bello per me anche solo leggerlo. Ti vengo a prendere domani
mattina, così andiamo insieme a scuola?"
Ahi, argomento
delicato. "Ehm...scusa, ma preferirei andarci da sola. Mia madre
fin'ora
non ha fatto domande, ma potrebbe incominciare a insospettirsi."
Sperai tanto che
non se la prendesse troppo.
"Oh...okay,
va bene. Allora ci vediamo direttamente a scuola. Non vedo l'ora che
sia
domani."
La delusione nel
suo sms era evidente, nonostante l'ultima parte.
Dispiaceva anche a
me non vederlo a pochi minuti dal mio risveglio, ma volevo evitare che
Judy mi
facesse migliaia di domande, altrimenti la situazione sarebbe stata
davvero
insostenibile.
"Sì,
anch'io." Ed era vero. Ero impaziente di rincontrarlo,
perché mi piaceva quando
le sue mani mi toccavano e i suoi baci mi incantavano, quando il suo
abbraccio
mi faceva sentire al sicuro e i suoi occhi mi facevano sciogliere, per
non
parlare della sua voce che mi stregava.
Lo desideravo,
sentivo dentro di me un desiderio viscerale di lui e dei suoi baci.
"Buonanotte e
sogni d'oro."
Risposi subito.
"Buonanotte anche a te. Spero di sognarti." scrissi, spegnendo poi il
cellulare.
Sorrisi. La
vecchia me non avrebbe neanche pensato di mandare un messaggio del
genere a
qualcuno, ma adesso ero cambiata. Mi sentivo in qualche modo cresciuta,
avevo
un ragazzo ed ero felice di essere così smielata.
Non ero mai stata
la classica ragazza che voleva a tutti costi vivere una storia d'amore,
ma
adesso che avevo un ragazzo (e stentavo ancora a crederci, nonostante
tutto),
ragionavo su molte altre cose.
Per esempio,
poteva rappresentare per me Evan la persona da amare, che mi facesse
stare bene
e di cui potermi fidare ciecamente?
Era lui la mia
anima gemella, il mio Romeo, l'altra metà della mela, come
diceva Platone?
Poteva
rappresentare lui tutto questo?
Il cuore diceva di
sì. Il cervello...che avrei avuto modo di scoprirlo,
soltanto vivendo i giorni
a seguire.
Poi, dopo un paio
di minuti, il sonno mise momentaneamente a tacere sia il cuore che il
cervello,
e, con un sorriso sulle labbra, mi addormentai.
Il mattino
dopo...
Toc! Toc!
"Noooo...la
porta...vattene..." sussurrai ancora mezz'addormentata.
Toc! Toc! Toc!
"Aaaah,
lasciatemi dormire..." Mi misi il cuscino sopra le orecchie, cercando
di
coprire quel rumore insopportabile.
Toc! Toc! Toc!
Toc!
"Insomma, chi
cazzo è?!" gridai, incazzata nera.
"Signorina
Avril, sono io, Dolores! Le volevo far notare che sono già
le 08:00 e lei non è
ancora pronta per la scuola."
Aprii gli occhi di
scatto.
I ricordi
ritornarono prepotenti nella mia mente, invadendola per qualche istante.
La nostra uscita,
i gelati, il parapetto sul mare, poi lui, i suoi occhi, la sua
dichiarazione e
il nostro bacio, ed infine il ritorno in moto ed un altro bacio, quello
della
buonanotte. Un sorrisetto comparve sul mio viso.
Sorriso, che,
ovviamente, scomparve appena ricordai la seconda parte della frase di
Dolores.
Cazzo, le 8!
Cazzo, cazzo,
cazzo.
Scattai come un
fulmine dal letto, facendo cadere tutto il lenzuolo per terra.
Merda, mi dovevo
mettere la divisa!
Merda, mi dovevo
lavare i denti!
Merda, mi dovevo
aggiustare i capelli!
Ma perché
nelle
mie mattinate vedevo solo e soltanto merda?!
Non capii come, ma
riuscii a fare tutto e ad arrivare a scuola cinque minuti prima del
suono della
campanella.
Appena arrivai al
mio armadietto, mi piegai sulle ginocchia, in cerca di aria.
Proprio
lì,
incontrai Annie. "Ciao Avril! Mi dispiace per il mutismo della
settimana
scorsa, ma avevo ricevuto ordini precisi e non potevo trasgredire! Non
sai come
mi sono sentita triste per te, ma adesso sono tornata felice e allegra
come
sempre! Però, sembri avere un'aria stanca! Dormito bene?
Tutto a posto? Vuoi
che ti dia una mano a portare i libri?"
Ma...io mi
chiedevo... Come diavolo faceva ad avere tutta questa gioia di vivere
alla
mattina?!
Io mi ero
svegliata appena da cinque minuti e già non mi reggevo in
piedi! E che cazzo!
"Ciao...Io
bene...Solo stanca...Perdonata, non preoccuparti per me..." dissi, col
fiatone.
"Oh, sicura
che non vuoi aiuto?"
"No,
grazie...Una cosa...Tuo fratello...Dov'è?"
"Chi, Matt?
Beh, sarà al distributore automatico di patatine, come
sempre. O forse con
Charlotte. Sì, mi sa che è più
probabile questa, ultimamente quei due stanno
sempre insieme, come appiccicati. Credo che l'amore faccia brutti
scherzi, sai
com'è, non c'è solo amore fraterno tra quelli
lì. È un po' come l'ape e il
fiore, non so se riesci a capirmi, ma quei due..."
"ANNIE!"
gridai.
"Che
c'è?" chiese, con faccia stupita.
"Non Matt,
Evan. Io parlavo di Evan."
"Evan? Ooooh,
Evan, certo, ho
capito..." disse, parlando più con se stessa.
"Sì, sai,
è
tuo fratello, biondo, occhi azzurri. Sai dov'è?"
Fece un sorrisetto
che non prometteva niente di buono, e disse compiaciuta:"No..non so
proprio dove sia...Ora scusami, ma devo andare a lezione, altrimenti
sarò in
ritardo. Ci si vede più tardi!" e mi lasciò sola.
Bene. Fantastico.
Giornata di merda
1, Avril 0.
Grandioso,
davvero.
Strano...avevo la
classica sensazioni di sentirmi...osservata. Guardai sia alla mia
destra che
alla mia sinistra, ma non vidi nessuno, il corridoio era deserto.
Aprii la piccola
anta dell'armadietto, facendola sbattere per il nervosismo.
Presi tutti i
libri che mi servivano per affrontare la giornata, quando,
improvvisamente, mi
sentii toccare alle spalle e feci cadere tutte le mie cose per lo
spavento.
"Scusami, non
volevo spaventarti." disse Evan, abbracciandomi da dietro.
Un sorrisino mi si
dipinse sul viso e mi girai appena, giusto per sussurrargli
all'orecchio:"Non ci riprovare, Taubenfeld."
Anche lui sorrise,
mi fece girare e mi spinse dolcemente verso la fila di armadietti,
prima di
bisbigliare:"Agli ordini." e di baciarmi.
Trovai le sue
labbra morbide e calde, quasi fossero pronte per me. Insinuai la mia
lingua
nella sua bocca e anche lui divenne partecipe al bacio.
Ci baciammo con
foga e desiderio. Assaporavo il suo sapore, respirando il suo profumo,
che mi
inebriava.
La campanella
suonò, decretando l'inizio delle lezioni.
Mi staccai
malvolentieri da lui, e raccolsi velocemente tutti i libri sparsi per
terra.
Prima che potessi
allontanarmi, però, mi afferrò per un braccio, e
mi sussurrò:"Ehi, ti devo
chiedere una cosa. In che aula sarai verso l'una?"
"In biologia,
mi pare..."
"Va bene. Ti
aspetterò in corridoio."
"Mmh...okay,
a dopo."
Feci per
andarmene, ma mi fermò un'altra volta, attirandomi verso di
sè e facendo
sfionare pericolosamente i nostri nasi.
"Attenta a
non finire nei guai, Lavigne...perché aspetterò
con impazienza che quella
dannata campanella suoni ancora".
Poi, se ne
andò,
lasciandomi lì, da sola, con il batticuore e ancora
totalmente ipnotizzata dai
suoi occhi azzurri.
Giornata di merda
1, Avril 1.
Palla al centro.
Pov
Evan
Entrai in classe
con lo zaino in mano, lo sguardo basso e le spalle ricurve.
Passai davanti ad
Annie, che, vedendomi così, mi
sussurrò:"Fratello, che succede?", ma
non le diedi la minima considerazione. Lei non poteva capire.
Andai a sedermi al
mio posto e, quasi fosse un gesto automatico, appena il professore
iniziò a
spiegare, la mia mente iniziò a vagare.
Ripensai alla sera
precedente e a quello che aveva significato per me.
Quando mi aveva
detto che era un "bel problema" che io l'amassi, mi era preso un
colpo!
Non ero molto
sicuro che lei ricambiasse i miei stessi sentimenti, e quella frase non
aveva
fatto altro che stroncare ogni mia possibilità per svariati
minuti.
Mi aveva toccato
il viso con la sua mano piccola e calda, e pensavo fosse un modo per
rendere
meno aspra la sconfitta, fino a quando...anche lei, anche lei mi aveva
detto
che mi amava.
L'aveva detto,
cazzo!
Mi ero sentito
come un uomo appena riportato in vita dopo la sua morte.
Solo che...ieri
sera avevo solo pensato a cogliere il momento che lei mi aveva offerto,
dando
per scontato parecchie cose.
Cose che oggi avrei
voluto chiarire.
Per esempio, ci
aveva ripensato riguardo noi due, nonostante i baci di questa mattina?
E adesso, la
situazione come cambiava? Non eravamo nulla o...eravamo...qualcosa di
più?
Dio, che
confusione nel mio povero cervello!
Non ero mai stato
così insicuro su qualcosa, ma credevo che davanti ad una
importante come questa
tutto veniva messo in discussione.
Misi da parte i
miei mille problemi mentali per un po' di tempo e guardai il grande
orologio
appeso al muro di fronte a me.
Cavolo, mancava
meno di un minuto alle tredici. Infilai velocemente i libri nello
zaino, in
modo da non fare tardi al mio "appuntamento".
Diedi ancora
un'occhiata all'orologio. Mi sembrava che la lancetta dei secondi lo
facesse
apposta a ritardare il suo corso, che cavolo!
Poi, il suono
della mia salvezza. Driiiiiiiin!
Scattai in piedi
meglio di Speedy Gonzalez e mi diressi fuori dall'aula con lo zaino in
spalla.
Centinaia di
studenti si riversarono nei corridoi ampi della scuola, sollevando un
mormorio
e un chiacchiericcio abbastanza fastidioso.
Insomma,
già
c'è la mia testa che mi ronza parecchio, non metteteci anche
voi, ragazzi!
Mi districai tra
quella massa informe di ragazzi e giunsi davanti alla classe di
biologia.
La porta era
ancora chiusa, accidenti! E io che avevo fatto tutta quella corsa!
Andai ad
appoggiarmi al muro proprio di fronte all'aula, battendo il piede
nervoso.
Dopo un paio di
minuti, la porta si aprì, e gli studenti incominciarono ad
abbandonare la
classe.
Mi sporsi per
riuscire a vedere se anche lei fosse nel gruppetto che stava uscendo,
ma non la
individuai.
Alla fine, tutti i
ragazzi, compreso il professore, se ne andarono, lasciandomi da solo
con mille
pensieri.
Perché non
era
uscita?
E se le fosse
successo qualcosa?
E se si fosse
sentita male e fosse tornata a casa senza avvisarmi?
Spinto da un moto
di preoccupazione, entrai nell'aula, fregandomene di quello che avrei
rischiato
se qualcuno mi avesse visto in una classe non mia.
Mi calmai
all'istante. Lei era lì, che cercava di infilare velocemente
tutti i libri in
uno zaino troppo pieno e, nello stesso tempo, cercava di sistemarsi i
capelli
biondi dietro l'orecchio, ma quelli le ricadevano sempre davanti al
viso.
"Posso
aiutarla, signorina?" sussurrai.
Come risvegliata
da un sogno ad occhi aperti, alzò la testa e, alla mia
vista, sgranò gli occhi.
"E-Evan...che
ci fai qui?"
"Beh..."
dissi, avvicinandomi. "Ho visto che non uscivi dalla classe e ho
pensato
di venire a controllare." Le sfiorai il viso, con le nostre bocche
pericolosamente vicine. "Ma, se vuoi, posso sempre andarmene."
Allacciò
le sue
mani al mio collo e sorrise. "Mmh, in effetti, avevo proprio bisogno di
un
cavaliere che aiutasse una povera donzella in difficoltà."
Mi fissò
negli occhi
e poi avvicinò le sue labbra alle mie, ma senza toccarle.
Stavamo a pochi
millimetri l’uno dall’altro. Sentivo il suo respiro
sulle mie labbra e chiusi
gli occhi,
restando in attesa
di quel bacio sospeso.
Dapprima, le sue
labbra sfiorarono solo le mie, poi le sentii premere ed avvertii la
pressione
della sua lingua che chiedeva l’accesso per incontrare la mia.
Dischiusi le
labbra per lasciarla entrare. Oddio, quelle labbra erano qualcosa di
stupefacente!
Le presi il viso
saldamente tra le mani e risposi a quel bacio con tutta la passione che
avevo
dentro.
Non credevo fosse
possibile, eppure ogni volta che ci baciavamo, era sempre diverso.
Lei riusciva a
rendere tutto così unico, così straordinario.
Era come se non ci
fosse niente di reale, come se fosse tutto un sogno.
Era semplicemente
tutto troppo fantastico, troppo bello per essere vero.
L’Edward
insicuro,
purtroppo, si rifece avanti, e non potei fare niente per fermarlo.
Con uno sforzo
enorme, mi staccai dalle sue labbra e la guardai in quei suoi magnifici
occhi,
capaci di trasmettere sempre emozioni diverse e
intense.
Mi allontanai da
lei e mi persi tra i miei pensieri.
Basta, Evan!
Insomma, finiscila con queste paranoie.
"Ehi...cosa
c'è che non va?" mi chiese, notando il mio cambiamento
d'umore.
"No,
niente" risposi, evasivo.
"Non è che
per caso riguarda la domanda che dovevi farmi?"
Ok, come
diavolo aveva fatto?! "No, davvero..."
"Dai, forza.
Dimmi tutto."
"Ecco...insomma...dopo
quello che è successo ieri sera...io ti considero...la
mia...ragazza. Tu
sei...d'accordo, vero?" le chiesi, con lo sguardo basso. Ero diventato
l'essere più insicuro sulla faccia della Terra.
Mi prese il mento
con un dito e mi guardò dritto negli occhi."Certo che
sì, scemo. Come
potrei non esserlo?" Sorrise. "Voglio baciarti, voglio abbracciarti,
voglio tenerti la mano, voglio prendere miliardi di gelati con te e
cambiare
gusto ogni volta, voglio inviarti degli sms stupidi a tarda notte,
voglio
giocare con i tuoi capelli fino a vederteli tutti spettinati.
Semplicemente...voglio
te."
Le mie labbra si
posarono immediatamente sulle sue, per poi spostarsi verso il suo collo
e
scendere fino alla base. Le lasciai una scia di piccoli baci senza
tralasciare
neanche un centimetro del suo candito collo.
La sua pelle aveva
un odore che mi faceva impazzire, e reclinò la testa
all'indietro per
lasciarmi tutto il
posto per muovermi. La sentii fremere sotto di me, e dei piccoli gemiti
uscirono dalla sua bocca, facendomi eccitare.
All'improvviso, la
campanella suonò, e ci staccammo, malvolentieri.
Appoggiai la mia
fronte sulla sua, e, ancora leggermente ansante per la mancanza di
fiato,
sussurrai:"Andiamo in mensa assieme?"
"No."
disse, allontanandosi da me. "Io finisco di sistemare qui, e poi ti
raggiungo, ok?"
"Va bene. Ti
aspetto."
Uscii dall'aula ed
andai in mensa con il cuore stracolmo di felicità.
Era la prima volta
in vita mia che mi impegnavo seriamente in qualcosa.
La volevo, sentivo
di aver finalmente ottenuto la sua fiducia e, davanti a me, ora vedevo
solo una
meritata felicità.
Pov
Avril
Appena finii di
sistemare tutti quei dannati libri nello zaino, mi diressi in mensa,
andando
subito verso il bancone delle vivande.
C’era una
vasta
scelta di pietanze dall’aspetto appetitoso, ma non avevo
molta fame.
Avevo lo stomaco
chiuso.
Presi il vassoio e
lo riempii con un’insalata, una mela ed una bottiglietta
d’acqua.
Mi girai col
vassoio per cercare un tavolo libero, ma mi ritrovai la faccia
sorridente di
Annie davanti.
"Ehi, ciao
Avril! Cosa fai, cerchi un tavolo? Non ce n'è bisogno,
siediti con noi!"
disse, indicandomi il tavolo, con Danica, Drew, Matt, Charlotte
e...Evan.
"Dai, dai,
siediti qui." Mi spinse verso l'unico posto libero, proprio di fronte
al
suo.
M'irrigidì,
non
volevo che gli altri notassero niente.
All'inizio, quando
Evan stette al di fuori del discorso, parlammo del più e del
meno, o di cose
che riguardassero la scuola.
Poi, però,
appena
si risvegliò dal suo torpore e iniziò a parlare,
m'irrigidì ancora di più e,
questa volta, fu il mio turno di tacere.
In compenso, ebbi
la possibilità di osservarlo per bene.
Era davvero
stupendo con quei jeans neri e quella camicia nera.
Stava seduto con
le spalle appoggiate allo schienale, con il corpo leggermente
scivolato, e le
sue gambe erano stese sotto il tavolo con i piedi accavallati.
Era veramente da
violenza!
Lui si
girò
improvvisamente, e per un attimo ci fissammo.
Fece un sorriso
dolcissimo che poi sparì immediatamente, come se se ne fosse
pentito.
Era una sofferenza
fare finta di niente.
Abbassai gli
occhi, rattristata. Avevo voglia di mettermi a parlare con lui, e non
poterlo
fare, mi faceva male.
"Ehi, Avril,
che ti prende?" mi chiese Annie, fissandomi.
"Niente."
risposi tutto d’un fiato, mentendo.
Lei, poi,
continuò
a parlare con Charlotte, e non mi chiese altro.
Improvvisamente,
il mio cellulare vibrò. Alzai lo sguardo, per vedere se
fosse lui, e,
effettivamente, mi fece l'occhiolino.
Abbassai lo
sguardo, sorridendo. Era proprio un pazzo!
Presi dalla tasca
il cellulare ed aprii il messaggio, notando che il destinatario fosse
lui.
"Che dici se
oggi pomeriggio compriamo qualcosa da mangiare e andiamo da qualche
parte?"
Gli risposi.
"No, oggi pomeriggio devo recuperare molti compiti arretrati."
Nonostante
non lo mettessi in bella mostra, ero una ragazza studiosa. "Facciamo
domani?"
Sollevai lo
sguardo, e vidi che stava con il capo chino, probabilmente per digitare
la
risposta. Appena finì di farlo, cambiò posizione.
Ora se ne stava
seduto con le gambe piegate, il petto vicino al tavolo, i gomiti
appoggiati, le
mani sotto il mento, con il telefono ben visibile, racchiuso in un
pugno, e mi
fissava con i suoi splendi occhi azzurri.
Una nuova
vibrazione mi ridestò da quello sguardo così
penetrante. Avevo sempre la
sensazione che quando lui mi guardava, non si soffermasse mai solo sul
mio
corpo ,ma
riuscisse a
scorgere anche la mia anima ed i miei pensieri.
"Oh, va bene,
come vuoi. Ti va il cinese?"
"Ok."
scrissi, ed inviai.
Lo fissai,
aspettando una reazione alla mia risposta.
Poco dopo, i
nostri sguardi si incatenarono.
Un lieve sorriso
piegò le mie labbra e, con mia sorpresa, venni subito
ricambiata dal suo, che
sprigionava dolcezza.
Alla fine, tutti,
compresa io, finimmo di mangiare.
Poi, proprio
mentre stavamo uscendo dal cancello principale, Annie mi raggiunse e mi
disse:"Avril, sei pronta per domani?"
Non riuscii a
capire. "Domani? Che intendi?"
"Ma sì,
domani. Il tuo primo allenamento da cheerleader ufficiale!" mi rispose,
con fare ovvio.
"No, Annie,
non puoi farmi questo!" La mia esasperazione raggiunse le stelle.
"Eh no,
signorina! Hai già saltato la lezione della settimana
precedente, non puoi
anche saltare questa."
Mmh, qui dovevo
giocarmi l'ultima carta. Sporsi in avanti il labbro, e sussurrai
dolce:"Per favore?"
"Aaaaw, sei
adorabile con quel faccino!" Sgranai gli occhi, speranzosa. "...Ma
no! Tu domani vieni agli allenamenti. Punto e basta."
Brutta peste... "Va bene." le dissi,
triste. "Ci vediamo
domani."
Mi avviai verso
casa, con le spalle ricurve.
La notizia di
Annie mi aveva fatto scendere il morale a picco.
Non mi andava
proprio di scodinzolare come un cane che vedeva per la prima volta il
padrone.
Beh...la colpa
è solo della piccola Taubenfeld, mi
suggerì la coscienza.
Infatti. Era lei
che si sarebbe trovata una sorella senza testa, mica io!
|
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Capitolo 31 *** I'm his girlfr... Ops! ***
Salve
people!
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
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- Brazza - Hakkj - icon of the darkness - itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky – Mary_Malik –RamonaLBS
Allora,
la canzone di oggi è “Girlfriend”, e
l’ho scelta più che altro perché
è
abbastanza azzeccata per il capitolo. Sinceramente, la trovo abbastanza
commerciale, e non riesco nemmeno a paragonarla a canzoni come
I’m with you,
Losing Grip, My Happy Ending, When you’re gone, Innocence o
Slipped Away. Semplice
constatazione ^_^
Auguro
una
buona
lettura a tutti!
Avril
Lavigne - Girlfriend
Pov
Annie
L’allenamento era iniziato
da un bel po’ di tempo, e io
saltellavo sul posto, inquieta, guardandomi attorno.
“È in ritardo,
Annie.”
“Lo so anche io,
Char!” le risposi, stizzita ed irritata. “Vedrai
che arriverà...prima o poi.”
Avril era in un gigantesco, enorme e
colossale ritardo.
Se non la avessi conosciuta bene,
avrei detto quasi che ritardasse
di proposito per irritare Charlotte. Quasi.
Finalmente, dopo una decina di
minuti, la vidi arrivare,
tutta trafelata, con la maglietta sottosopra e le scarpe ancora da
infilare.
"Sei in ritardo." commentò
Char, laconica e
sprezzante.
Per fortuna, si era trattenuta a
quell'unica frase, e non era
andata oltre.
Il rapporto tra le due non era di
certo dei migliori, ma
almeno non si erano ancora scannate come il primo giorno.
“Scusa, bionda. Mi sono
persa.”
A quella ragazza serviva veramente un
corso intensivo di orienteering.
Scossi la testa, sconsolata.
Nonostante tutto, non riuscivo
ad arrabbiarmi davanti al suo volto dispiaciuto.
“Mi dici che hai, Avril? In
questi giorni mi sembri un po’...assente,
come se avessi la testa tra le nuvole.” le chiesi,
preoccupata.
Ci spostammo sul prato, per fare un
riscaldamento adatto, in
vista degli allenamenti.
“Per caso mi hai chiesto
qualcosa?” disse, girandosi verso
di me.
“Avril! Ma mi stai
ascoltando?!" le chiesi, incazzata
nera. Non ricevetti nessuna risposta.
Sbuffai, spazientita. Odiavo quando
venivo ignorata, soprattutto
da lei.
In poco tempo, era diventata davvero
la mia migliore amica, e
insieme avevamo costruito un bellissimo rapporto.
Però...C’era
qualcosa che nascondeva, un segreto che non
voleva rivelare a nessuno.
Me lo sentivo.
La fissai intensamente, cercando di
captare quella cosa che
mi sfuggiva tanto.
Profonde occhiaie le segnavano il
viso pallido, più pallido
del solito.
Nella pausa pranzo non mangiava
più di un panino o di una
mela. Mi stavo sinceramente preoccupando per la sua salute.
Chissà, magari se l'avessi
portata fuori...
“Stasera vieni a ballare?
Andiamo al Passion...”
Non mi fece neanche finire la frase,
che mi zittì con un
gesto fulmineo della mano. “No!"
La guardai stranita. Per quale
diavolo di motivo non poteva venire?
Vide la mia espressione, e
cambiò subito il tono di voce.
"Voglio dire...no, Annie, non posso." disse, abbassando lo sguardo.
E no, se pensava di chiudere
così il discorso, si sbagliava
di grosso!
"E perché non puoi
venire?" insistetti.
"Ehm...Beh, ieri notte sono andata a
letto alle due per
finire i compiti, e vorrei tanto non replicare."
La nostra conversazione venne
interrotta dal richiamo di Char,
che ci fece provare la sua ultima coreografia. Prevedeva sia una parte
di
ballo, le cui figure ed evoluzioni principali vennero affidate a me e a
quella
smorfiosa di Caroline Mocciary*, la troia di tutta la scuola, che aveva
una
fastidiosissima erre moscia, sia una di sole acrobazie, in cui la mia
amica aveva
un ruolo importante, essendo la più brava.
Nonostante la sua bravura,
però, Avril dovette farsi
spiegare più volte i passi, non era ancora entrata del tutto
nella logica delle
cheerleaders.
Ripensandoci, però, forse
non era l'unica che non era
entrata bene nel nostro gruppo, perché tutte le volte che
dovevo fare un passo,
mi ritrovavo di proposito Carolina in mezzo ai piedi.
Tra un po’ l'avrei uccisa,
che stronza!
Mi stava facendo diventare una
pessima persona, perché IO
non avevo mai avuto progetti violenti per la testa!
Per fortuna, Charlotte oggi era poco
tollerante e la riprese
più volte, mentre io esultavo nella mia mente, felice come
una bambina.
Ero io la vice capo tifoseria, come
si permetteva questa
cogliona di pestarmi i piedi?
"Va bene, ragazze, facciamo cinque
minuti di
pausa." disse Char, facendo il gesto del timeout.
Proprio in quel momento, mi si
avvicinò Caroline. “Comunque,
ragazzina, non ti esaltare troppo. Qui lo sanno tutti che sei la vice
per via
della tua parentela con Charlotte, quindi smettila di darti tante arie,
chiaro?”
Ma che voleva da me questa gallina?
Stavo per risponderle a tono, quando
le si illuminarono
improvvisamente gli occhi, e un sorriso le si dipinse su quel viso di
plastica
che si ritrovava.
“Oh, ma
c’è Evan!”
Mi girai, ed effettivamente lo vidi
appoggiato al tronco del
grande albero al centro del prato della scuola.
Strano, molto strano.
Perché era qui, se oggi la squadra di
football non aveva gli allenamenti?
Alla parola "Evan", si
girò di scatto anche Avril,
che lo osservò per un minuto scarso, per poi ritornare con
lo sguardo basso che
aveva prima.
Mmh, qui qualcosa non quadrava.
"Oh mio dio, quant'è sexy!
Voglio proprio andare a
salutarlo." disse la smorfiosa, approfittando del fatto che il "sexy
quarterback" fosse lì e andò verso di lui.
Ovviamente, per me era solo il mio
fratellino, il mio
fratellino idiota e pallone gonfiato, ma per Caroline rappresentava la
via per
quella popolarità che agognava da tempo, ma che tutti le
negavano, essendo
appunto una troia con la "t" maiuscola.
"Ma che ha intenzione di fare quella
lì? Guardate come
muove il culo, è una cosa...indecente!" commentò
Avril, indicandola.
Quando Caroline gli si
avvicinò, Evan cercò in tutti i modi
di staccarsela di dosso, ma lei voleva dargli a tutti i costi un bacio
sulla
guancia.
Avril tentò di fare
l'indifferente per i primi minuti, ma
persino io potevo scorgere le occhiate di ira pura che i suoi occhi
stavano
lanciando.
Così, presa da
chissà quale rabbia, si diresse a passo di
carica verso la smorfiosa.
"Ehi, togli le tue manacce schifose
da lui. Non hai
capito che ti vuole fuori dalle palle?!" gridò.
"Sentiamo, e tu chi saresti per dirmi
quello che posso
o non posso fare con lui?"
"La sua ragazza, grandissima testa di
cazzo!" No,
no, no, no! Un attimo! Fate un rewind, per favore!
Lei...lei era la sua ragazza?! E da
quando?!
Sia Evan che Caroline sgranarono gli
occhi, ma la smorfiosa
si riprese subito.
"E cosa vorresti fare, picchiarmi con
il tuo
skateboard, ragazzina?" la provocò, sprezzante,
avvicinandosi alla mia
amica.
"No, lo rovinerei, ma posso sempre
fare questo."
le rispose.
Alcuni ragazzi si avvicinarono,
incuriositi dalla scena.
E no, cacchio, non riuscivo a vedere
cosa le avesse fatto Avril!
Mi avvicinai, spostando i corpi dei
ragazzi, e vidi che le
aveva...
Cazzo, le aveva appena tirato un
pugno!
Caroline indietreggiò di
alcuni passi, barcollante, e io e
alcune ragazze la portammo subito in infermeria.
Il sangue le scendeva copioso, e
l'infermiera le diede
subito un impacco con del ghiaccio per fermare il flusso.
Per fortuna, alla domanda come te lo sei procurato?, la smorfiosa
rispose che era inciampata
sul prato della scuola, cadendo.
Ero sicura che, come lei, anche gli
altri si sarebbero
accodati e non avrebbero fatto il nome di Avril.
Ora che tutti avevano visto cosa il
suo gancio destro era
capace di fare, la paura di beccarsi un pugno in faccia, era troppa.
Ripensai a quella frase urlata, al
fatto che avesse praticamente
gridato di essere la ragazza di mio fratello.
Quanto c'era di vero in quella
risposta?
E, se fosse stato vero, da quanto
tempo andava avanti la
loro relazione?
Come aveva fatto Evan a fare breccia
nella dura e spessa corazza
formata da stupidi pregiudizi che la mia amica aveva in serbo per lui e
per il nostro
mondo?
Dovevo investigare, e mi serviva
Drew, il mio tenero, dolce
e molto persuasivo amore!
Non sapevo ancora come, ma avrei
scoperto ogni cosa, era una
promessa!
E Annie Marie Taubenfeld mantiene
sempre le promesse.
Pov
Avril
“Oh, ma
c’è Evan!” commentò una
ragazza, che a prima vista
sembrava del tutto antipatica e priva di cervello, ma ben fornita
riguardo a
tette e sedere.
Come se fosse un impulso naturale del
mio cervello, guardai
anch'io verso il punto in cui si soffermarono gli occhi della ragazza,
e lo
vidi.
Se ne stava appoggiato ad un albero,
con lo sguardo basso e
la sua classica mano pronta a scompigliare i capelli.
Appena notò il mio sguardo
su di lui, mi sorrise ampiamente,
contagiando anche i suoi splendidi occhi azzurri.
Mamma mia, quanto volevo baciarlo!
Abbassai lo sguardo, e tornai a
fissarmi le scarpe.
Controllo,
ci voleva
controllo!
Dovevo assolutamente ricordarmi che
non ero sola in quel
momento, altrimenti gli sarei volentieri saltata addosso per appoggiare
le mie
labbra sulle sue.
"Oh mio dio, quant'è sexy!
Voglio proprio andare a
salutarlo." rincarò la dose la ragazza.
Brutta
gallina e
ochetta da quattro soldi, non ti azzardare neanche a muovere un solo
dannato
passo verso la sua direzione!
Ovviamente, non ascoltò i
miei pensieri, anzi, andò con
passo veemente verso di lui, agitando quelle brutte chiappe che si
ritrovava.
"Ma che ha intenzione di fare quella
lì? Guardate come
muove il culo, è una cosa...indecente!" dissi ad alta voce,
puntandole un
dito contro.
Strinsi forte i pugni, e una scossa
di pura rabbia e gelosia
si impossessò di me, facendomi andare verso la brutta
gallina che voleva a
tutti i costi dare un bacio al MIO fidanzato.
Nessuno poteva toccare le mie cose!
"Ehi, togli le tue manacce schifose
da lui. Non hai
capito che ti vuole fuori dalle palle?!" le urlai contro.
"Sentiamo, e tu chi saresti per dirmi
quello che posso
o non posso fare con lui?"
Brutta
puttana! "La
sua ragazza, grandissima testa di cazzo!" Oh no, non potevo averlo
detto
davvero! Gli altri non potevano, non dovevano capire...
"E cosa vorresti fare, picchiarmi con
il tuo
skateboard, ragazzina?" Ma senti
questa stronza...
"No, lo rovinerei, ma posso sempre
fare questo."
le risposi, e le tirai un pugno forte e ben assestato sul naso.
Ovviamente, la gallina fu costretta
ad andare in infermeria,
e tutti, forse per paura, o forse perché lo "show" fosse
finito, se ne
andarono, lasciandomi sola con...lui.
Abbassai subito lo sguardo,
vergognandomi per quello che
avevo fatto.
Avevo agito solo badando all'istinto,
con impulsività,
ovviamente sbagliando.
E poi...quella frase. Ora tutti
sapevano, ora tutti erano a
conoscenza di un segreto che volevo rimanesse solo...nostro.
Sentii il suo corpo che si avvicinava
al mio, ed
improvvisamente avvertii il calore della sua mano che mi sollevava il
mento, costringendomi
a guardarlo negli occhi.
"Ehi...Cosa c'è che non
va?"
"E me lo chiedi?! Sono...una stupida."
"Scherzi?!" mi chiese con voce
sorpresa. "Sei
stata...assolutamente grandiosa! Quello sì che era un gancio
destro. Mai
pensato di partecipare ad un torneo di boxe?" mi chiese, con un
sorrisino.
Fantastico, non solo lui non era
arrabbiato con me, ma
trovava anche che avessi fatto la cosa giusta e mi prendeva pure in
giro.
Perfetto!
Mi scostai dalla sua mano, seccata.
"Non mi prendere
per il culo, Evan. Quella frase su noi due...non dovevo dirla, ecco."
"E dai, non fare così. A
dire la verità, io ero venuto
qui proprio per parlarti di questo. Lo so che è successo
tutto molto in fretta,
ma il fatto che nessuno sappia di noi due non mi va più
bene." Mi fissava
con quegli occhi così intensi, che era impossibile replicare
e non pendere dalle
sue labbra. "Io...io voglio gridarlo al mondo intero che tu stai con
me,
voglio che tutti lo sappiano, anche per evitare problemi come questo."
disse, con un risolino. "Sei stata fantastica, fidati. E poi, potrei
anche
aver apprezzato lo spettacolo." Avvicinò sempre di
più le sue labbra alle
mie. "Si dice che la gelosia...sia il più forte sintomo
dell'amore."
Le sue labbra si posarono sulle mie,
dolci e delicate, e mi
diede un casto bacio, che via via si fece più intenso. La
sua lingua cercò la
mia e la trovò immediatamente, dando vita a quei mille
brividi che solo lui
sapeva provocarmi.
Ci staccammo dopo un po', per
riprendere fiato, e, con un
sorriso smagliante, mi chiese:"Allora, andiamo?"
Lo guardai perplessa. "Ehm...Dove?"
"Come dove, al cinese! Dai, ho la
moto parcheggiata."
"Oh, al cinese, giusto" dissi,
mettendomi una
ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Ma...Non posso, devo andare a
casa a
cambiarmi e..."
Mi mise un dito sulle labbra,
sussurandomi:"Sssh, non
c'è bisogno. Tu sei sempre bellissima."
Automaticamente, la mia timidezza
venne a galla, e abbassai
lo sguardo, sentendo le mie guance riscaldarsi.
"Quindi...andiamo?"
"Ehm...andiamo." gli confermai, un
po' incerta. In
risposta, lui mi regalò un altro bellissimo sorriso, uno di
quelli da tremarella
alle ginocchia, da brividi lungo la schiena, e che mi portava a farmi
ogni
volta la stessa domanda.
Come cazzo
facevo ad
essere fidanzata con uno come lui?
Pov
Evan
Finalmente, il viaggio in moto
finì, e raggiungemmo il parcheggio
del ristorante cinese nel cuore della città.
Era stata sicuramente una lunga
giornata e, nonostante
fossimo stati sempre insieme da quando eravamo usciti da scuola, il mio
unico desiderio
era quello di guardarla negli occhi e abbracciarla forte.
Così, tentennai un
momento, ma appena scesi dalla moto, mi
avvicinai e la baciai su quelle labbra così delicate. Non
avrei resistito un
attimo di più.
"Dai, entriamo" le dissi, prendendola
per mano. Inutile
dire che il cuore mi si riempì di felicità solo
per quel piccolo e banale gesto.
Il ristorantino era decorato con
insegne rosse e con i
tipici ideogrammi cinesi in rilievo in oro.
"Allora...cosa ti prendo? Hai delle
preferenze?"
le chiesi.
"Scegli tu. Solo...solo una cosa.
Niente roba tanto
strana, tipo meduse, cavallette, scarafaggi, vermi e cose del genere.
Grazie!»
"Avril...ma sei mai entrata in un
ristorante cinese?"
le domandai, con fare divertito.
"Beh, no, a dire la
verità." mi confessò,
abbassando lo sguardo. "Ma sai com'è, la prudenza non
è mai troppa."
"Ti prendo le cose che piacciano a
me. Nulla di tanto
stravagante, sono certo che ti piaceranno." la confortai, con un
sorriso.
Le diedi un bacio a stampo e mi
avvicinai al bancone. Ordinai
gli stessi piatti che prendevo io, e la raggiunsi all'uscita, accanto
alla moto.
Aprii la sella della mia Yamaha e ci misi le buste dentro. Diedi gas e
partii,
ma non avevo la minima idea di dove portarla.Dopo un paio di mie
proposte
mentali, scartate velocemente, un dejá vù mi
colpì, e capii all'istante che
quello sarebbe stato il posto giusto.
C'erano delle panchine, lì
vicino, e così, da grande
calaviere quale speravo di essere, aprì la sella e presi in
mano anche la sua
busta, invitando la mia stella a sedersi.
"Dai vieni, qui ci venivo sempre con
i miei
genitori..." le confidai.
Mangiammo, guardando le onde
infrangersi ripetutamente sugli
scogli, e ridendo l’uno dell’altro.
Lei non sapeva usare le bacchette ed
io la prendevo in giro,
perché partiva sempre con una grossa quantità di
spaghetti, ma alla fine alla sua
bocca non arrivava mai niente.
Perdeva tutto per strada, ma per
fortuna ricadevano nel
cartoccio e poteva sempre rimendiare.
"Però, che cavolo Evan, ti
potevi anche far consegnare
una forchettina di plastica. Sai, le danno al posto di queste...cose
infernali"
mi disse, sbuffando.
Non ci potevo credere. Era adorabile
persino quando faceva il
broncio!
"Apri la bocca" dissi, ridendo di me
stesso e avvicinando
il cartoccio con le mie bacchette piene di riso.
Aprì la bocca e la
imboccai. Fece una faccia soddisfatta,
doveva aver gradito il riso alla cantonese.
"Comunque...scommetto che tu hai
preso il riso perché
non sai mangiare gli spaghetti!" mi accusò, rimproverandomi
con un dito.
Alzai il sopracciglio e le feci un
sorrisino furbetto. "Cosa
vuoi scommettere?" la sfidai.
"Quello che vuoi" mi rispose, sicura.
"Sentiamo,
cosa vorresti da una povera donzella come me?"
Ci pensai su. "Sai cucinare?" le
chiesi, dopo un
po'.
"Certo, quando abitavo con mio padre
cucinavo sempre
io." affermò, con una scrollata di spalle.
"Allora se vinco io, mi farai una
bella frittata di
patate!" conclusi.
Mi guardò torva, forse per
lei poteva apparire una richiesta
strampalata.
"Una...frittata?" obbiettò
infatti, confusa.
"Si, Avril. Una semplice frittata di
patate. E’ uno dei
miei piatti preferiti, solo che nessuno me la cucina, ed io sono negato
ai
fornelli" le spiegai.
"Ok...ci sto" replicò,
dubbiosa "Ma non mi
chiedi cosa voglio, se vinco io?" domandò.
"Qualsiasi cosa, tanto non hai
speranze di vittoria!"
affermai convinto. Alzai la mano con cui tenevo le bacchette e le feci
dischiudere
e congiungere, per poi continuare "Io
sono il mago
delle bacchette."
Presi le bacchette ed il cartoccio,
catturai un’abbondante
porzione di spaghetti e li portai alla bocca con disinvoltura.
Era stato tutto fin troppo semplice.
Avevo vinto io, ed
avevo avuto la conferma che lei non sapeva resistere alle provocazioni,
specialmente alle mie.
"Va bene, hai vinto!" mi concesse,
sbuffando e facendo
il broncio.
Beh...bisognava dire che aveva perso
vergognosamente.
Appena finii di masticare, mi misi a
ridere, posai le
bacchette ed avvicinai la mano al suo viso, in una carezza delicata e
dolce.
"Mi fai impazzire quando fai questo
broncio" le rivelai,
accostando le mie labbra alle sue, e depositandoci poi un bacio.
Continuammo a mangiare e io,
dolcemente, la imboccavo, dato
che era proprio negata con le bacchette.
Di secondo, avevo preso pollo alle
mandorle, pollo in
agrodolce e involtini primavera.
Era tutto buonissimo, ma il cibo mi
interessava
relativamente. La cosa importante era stare con lei.
Eravamo sazi, avevamo mangiato
tantissimo. Raccolsi tutte le
carte
e le misi nel sacchetto. Appena finii
di sistemare, però,
notai che mi stava fissando insistentemente, per poi scuotere la testa.
"Che c'è?" le chiesi.
"No, niente."
"Dai, lo sai che mi puoi dire tutto."
"No, c'era una domanda che volevo
farti, ma...non è
niente d'importante."
"Sul serio, mi farebbe tanto piacere
scoprire cosa
pensi in quella testolina."
"D'accordo. Tu...tu prima hai detto
che venivi qui con
i tuoi genitori, giusto?"
"Sì, è vero."
le risposi, confuso. Non sapevo dove
volesse andare a parare.
"Va bene, ma...perchè hai
detto venivi? Voglio dire, i tuoi
sono molto impegnati o sei tu che non
puoi..." cercò di spiegarsi.
Ah, ecco cosa voleva sapere.
Le era sembrato strano quel mio
parlare al passato, e adesso
giustamente si chiedeva il perché. Chiaro.
"Avril...Mark ed Ami...non sono i
miei veri
genitori..." dissi, con una certa difficoltà.
Lei sgranò gli occhi per
qualche secondo, e potevo benissimo
vedere il suo cervello che tentava di rimettere insieme i pezzi.
"Cioè...tu sei
stato...adottato?"
"Sì, come tutti noi
ragazzi Taubenfeld, tranne Matt."
"Wow...questa sì che non
me l'aspettavo." disse, annuendo
con il capo con fare pensieroso.
L'aria si fece subito più
pesante, e la conversazione ne
risentì.
Per un po' ce ne stemmo ognuno
rintanato nel suo silenzio,
ma poi, guardando il mare, un pensiero mi attraversò la
mente.
"Avril, dimmi la verità.
C'è qualcos'altro che vuoi
sapere?"
"No...cioè sì,
ma se per te è troppo difficile
non..."
"Tu vuoi sapere
perchè...perchè sono stato adottato,
vero?" Abbassò gli occhi, ed al suo piccolo cenno d'assenso,
continuai.
"Beh...hai ragione. Per me
è difficile...parlarne o
discuterne...come se fosse una cosa normale.
Anzi, non lo è affatto.
Non è una favola, non ci saranno
principi che salvano principesse e le portano nei loro castelli. La
vita con i
miei veri genitori non ha un lieto fine, ma...ho seriamente paura che,
raccontandoti
questa storia, scapperai via da me."
*Capiscimi
bro!
|
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Capitolo 32 *** Dance ***
Salve
a tutti!
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Beliectioner_FE_love_FE - Glaphyra - Look_at_the_sky - RamonaLBS-
Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- avrilismylittleangel
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Brazza - Hakkj - icon of the darkness - itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky – Mary_Malik –RamonaLBS
La
canzone di oggi è “Wherever You Will Go”
dei The Calling. Questa canzone è del
2001, ma io l’ascolto ancora oggi. Ogni volta che parte, mi
fa sempre piangere
un casino T.T. Comunque, non la troverete prima dell’inizio
del primo Pov, ma
nell’ultimo, il Pov Evan. Ascoltatela, perché ci
sarà una scena di un ballo
(come da titolo) e quindi vi potrete anche immedesimare meglio.
Però ora non
andate a spiare, mi raccomando u.u *e fu così che tutti
andarono a leggere*. Ma
così non capireteeee!
Va
bene, schizzi a parte…buona lettura!
Pov
Evan
"I miei veri genitori sono...sono
morti."
confessai sottovoce, con la voce rotta e tremolante.
Il mio viso si trasformò
in una maschera di dolore e i miei
occhi si posarono sull'orizzonte che si stagliava di fronte a me.
Vedevo nubi tempestose ed un mare
agitato, con il vento che
si era intensificato e faceva volare dei piccoli pezzi di carta. Mi
perdetti
nei miei ultimi ricordi felici. Li custodivo con gelosia,
perché nessuno era in
grado di vedere, né tantomeno di comprendere il mio dolore.
Feci un’altra breve pausa,
per cercare le parole giuste, poi
continuai.
"All'inizio eravamo una famiglia
benestante, sai? Mia
madre era casalinga e sognava di fare la cantante, ma mio padre era un
noto
chirurgo, stimato da tutti e che eccelleva nel suo lavoro.
Tutto sembrava andare per il meglio,
avevano appena comprato
casa, i soldi non mancavano di certo, e tra i miei sembrava che l'amore
continuasse e si rafforzasse nel tempo. Ovviamente, mi sbagliavo. Era
tutto
troppo bello, troppo perfetto...per credere che potesse andare avanti.
L'ospedale dove lavorava mio padre chiuse, e la banca chiedeva sempre
più
insistentemente i soldi del mutuo da pagare.
Improvvisamente, la nostra bolla di
felicità scomparse, e
mio padre, disperato, incominciò a bere. Prima un bicchiere,
poi due, poi
tre...fino a ritornare ogni sera ubriaco. Ma, la cosa peggiore, era che
ogni
maledettissima volta che beveva, sfogava tutta la sua frustrazione su
mia
madre.
Ricordo solo le loro grida, i piatti
rotti e le porte
sbattute con violenza, per non parlare dei pianti e delle lacrime
versate da
mia madre.
Lividi, escoriazioni...tutti coperti
da trucco, una bugia e
un sorriso. Ma quella sera non andò così. Avevamo
ricevuto un atto di sfratto
esecutivo, e di lì a una settimana dovevamo lasciare tutto.
Sei solo una
puttana,
hai visto che cosa hai fatto?! Sei un'illusa che non farà
mai niente nella
vita! Questa è tutta colpa tua, tua e dei tuoi fottuti sogni!,
le urlò.
La picchiò a sangue, le
tirava tutto quello che teneva sotto
tiro, fino a quando non si rese conto di averla uccisa. Allora,
totalmente
perso nei sensi di colpa e nel rimorso, prese dal tiretto del
comò la pistola
che teneva per le emergenze, la avvicinò alla tempia, e si
sparò. Io assistetti
a tutta la scena, ma per fortuna, non ricordo molto, ero solo un
bambino.
Questo è tutto quello che
ho saputo da Mark, prima che, allarmato
dal fatto che il suo migliore amico non rispondesse al cellulare,
sfondò la
porta di casa e si prendesse cura di me e di Annie.
Ovviamente, lei non sa niente di
questa storia. Le abbiamo
sempre raccontato che morirono in un incidente d'auto, per un pirata
della
strada.
Ho sempre...cercato, di non farle
provare lo stesso dolore
che mi porto dentro ogni giorno."
Pov
Avril
I suoi occhi avevano uno sguardo
sofferente ed erano così
lucidi che sembrava si dovesse mettere a piangere da un momento
all’altro.
Sembrava un uomo divorato dalle
fiamme, e con la mia
stupidissima domanda l’avevo solo fatto soffrire e mi
maledissi mentalmente in
tutti i modi possibili per la mia boccaccia.
"Scusami tanto Evan, io non...non
sapevo. Ti prego,
perdonami se puoi".
Allungai la mano per accarezzargli il
viso. Lui posò la sua
mano sulla mia e piegò la testa per accogliere meglio la mia
carezza. Adesso
era così diverso, dolce, sensibile…
I sensi di colpa per la mia mancanza
di tatto e di
sensibilità incominciarono a infierire pesantemente su di
me.
Mi sentii talmente triste per lui,
che mi venne un groppo
alla gola, mi si sciolse il cuore ed iniziai a piangere
silenziosamente.
Un fulmine irruppe nel cielo,
illuminando il suo viso, e
vidi una lacrima scendere, lenta e inesorabile, sulla sua guancia.
Riportò il suo sguardo su
di me e nei suoi occhi c’era
gentilezza, unita a sofferenza e tristezza.
Vendendo le mie lacrime,
allungò l’altra mano per
asciugarle, domandandomi:"Avril, perché piangi?"
"Perché sono una
grandissima cogliona. Ti ho ferito
solo per soddisfare una mia stupidissima curiosità,
perché volevo provare a
capire un po' di più il tuo mondo. Sono stata
un’egoista" mormorai,
distrutta nell’animo.
Sentivo il suo sguardo su di me, ma
non avevo il coraggio di
guardarlo, fino a che non sentii una sua mano accarezzarmi una guancia
con
dolcezza.
"Avril, tu non mi hai ferito. Sono
solo ricordi
che...non mi piace...tirar fuori. Diciamo che...è stato
troppo per il mio lieto
fine, ecco. E poi, non hai bisogno di provare a capire il mio mondo. Tu
ne fai
già parte."
Passò le sue dita sulla
mia bocca, seguendo la linea delle
labbra.
Il mio sorriso si
intensificò tra le sue dita
"Grazie, è molto
importante per me." gli dissi.
"Sento che voglio stare con te, che voglio vivere questa nostra storia
con
tutta me stessa"
Non riuscii a resistere, mi avvicinai
a lui e gli posai
baciai teneramente le labbra. Lui mi
strinse forte a sé,
rispondendo al mio bacio, con dolcezza.
Dischiusi la bocca e la sua lingua
entrò, facendomi sentire
tutto il suo sapore.
Mentre continuavamo a baciarci, mi
portò sulle sue gambe, e
allontanò il viso
dal mio. Lo fissai in quei suoi
bellissimi occhi azzurri.
"Mmh, ora che ci penso...
perché non vieni a casa mia
per cena, stasera?"
Cosa?! Io...a casa sua?! "Annie,
Drew, Char e Matt sono
al Passion Skate, e i miei sono fuori città per un convegno.
Ho casa
libera." mi disse, con una scrollata di spalle.
Ecco, questo era già
più rassicurante, ma...era comunque
casa sua! "Non...non vorrei disturbare." gli risposi, abbassando lo
sguardo.
Ma da quando ero diventata
così timida e insicura di me
stessa?
"E dai, così mi prepari la
tua fantastica frittata. Per
favore..." Sporse in avanti il labbro, e mi guardò con quei
suoi occhioni,
così profondi da spiazzarmi.
Ma, io...non dovevo...non potevo...
Oh, al
diavolo, come
si poteva resistere ad un ragazzo così tenero?!
"Ehm...va bene, ma a patto che mi
accompagni a casa
presto a cena finita, d'accordo?"
"D'accordo." disse, sorridendomi ed
accarezzandomi
il viso.
Avvicinai di nuovo le mie labbra alle
sue e gli diedi un
casto bacio. Sorrise sulle mie
labbra e mi baciò a sua volta.
Mi sollevai e mi misi a cavalluccio
su di lui, in modo da
stare uno di fronte all’altro.
Mi avvolse con le sue braccia in un
grande abbraccio. Le sue
mani scorrevano sui miei fianchi e sulla mia schiena, facendomi sentire
mille
brividi di piacere. Ci baciammo a lungo, senza sosta.
Mentre continuammo a baciarci, il
suo...amichetto si
risvegliò.
Lui si irrigidì, ma io
cercai di tranquillizzarlo, e pensai
che, in fondo, non c'era niente di male ed erano cose naturali.
Avrei dovuto preoccuparmi se la cosa
non fosse capitata.
Continuai a baciarlo, facendo finta
di niente.
Improvvisamente, cominciò
a farmi il solletico e mi staccai
dalle sue labbra, cominciando a contorcermi su di lui.
Evan ridacchiava divertito,
continuando a torturarmi con il
solletico.
Stava cercando di stemperare la
situazione. Mi mancava il
respiro, e cercai di reagire, ripagandolo con la sua stessa moneta.
Allungai le mie mani e le infilai
sotto la sua camicia,
cominciando a fargli il solletico di rimando. Sembravamo due bambini
che
giocavano felici.
Feci uscire le mani dalla camicia,
gli presi il viso e non
potei fare a meno di baciarne ogni singola parte.
Mi strinse più forte a
sé, ricambiando ogni mio singolo
bacio. Ero totalmente persa di lui.
Evan guardò
l’orologio, buttò tutte le carte in un cestino
lì vicino, e, mentre mi alzavo dalla panchina facendo leva
sulle sue braccia,
disse:"Dai, andiamo. Ti voglio portare in un posticino, prima."
Salimmo sulla sua Yamaha e
partì.
Portai la punta del mio naso sulla
sua schiena, e lo strinsi
forte a me.
Stavamo andando verso una zona piena
di negozi di tutti i
tipi, dall'abbigliamento agli alimentari.
Improvvisamente, si fermò
vicino all' entrata di un negozio.
Scesi e osservai l'insegna per capire cosa fosse.
"E quindi, il posticino...sarebbe un
supermarket?"
gli chiesi, accigliata.
"Beh...si. Non ho la minima idea di
cosa serva per fare
una frittata, quindi mi sa che tocchi a te provvedere." rispose,
grattandosi la testa con fare imbarazzato.
Entrammo ed acquistammo tutto il
necessario. Poi, Evan mi
guardò, esitante. "Ehm...visto che siamo qui, potresti
prenderti qualcosa
che ti piace per quando stai da me, no?"
Lo guardai perplessa, "In che senso?"
"Non lo so, ma ho
l’impressione che tu sia una da
schifezze. Compriamo dei pop-corn per quando guarderemo un film, del
cioccolato, delle caramelle. Quello che vuoi, così ti
sentirai a tuo agio
quando e se deciderai di ritornare a casa mia."
Che gesto dolce!
Il fatto che pensasse sempre ad
evitare di farmi sentire a
disagio, mi faceva capire quanto lui tenesse a me.
Gli schioccai un bacio a stampo ed
accettai. "Ok, se mi
prometti che dividerai con me le scorpacciate.»
"Ci sto! Sai, credo che
comincerò ad apprezzare molto
di più il tempo passato
a casa e non avrò
più tutta questa smania di uscire."
Pagammo la spesa e ci dirigemmo verso
casa sua.
Pov
Evan
Il pomeriggio che avevamo passato
insieme era stato molto piacevole.
Era strano per entrambi vivere questi
momenti di vita
quotidiana, perché fino ad ora il nostro rapporta era stato
tutto fuorché
ordinario.
Dovevamo abituarci ad un sacco di
novità ma, accanto a lei,
tutto sembrava estremamente facile e naturale.
Tutte le paure e le incertezze
stavano sparendo e cominciavo
a sentirmi libero di parlare, senza l’incubo di un suo
ripensamento.
All' inizio, ero certo che ogni
occasione sarebbe stata
buona per lasciarmi, o per trovare qualche scusa per troncare sul
nascere la
nostra storia.
Adesso, invece, il nostro rapporto
aveva superato
quell’enorme scoglio, quello del mio passato, e ne era uscito
più forte e
robusto.
Ero al settimo cielo. Tutto quello
che volevo e desideravo
era stare con lei.
Per la serata, volevo solo che tutto
fosse perfetto.
Arrivati a casa, entrammo ed indicai
alla mia stella la via
per la cucina, memtre io allestivo il tutto.
Anche se avevo già in
mente il tutto, ero un po’ nervoso, e
quando pensai di aver finito, mi resi conto di essere ancora
più agitato.
Mi ero impegnato, e speravo solo che
apprezzasse il mio
impegno.
Era la prima volta che facevo una
cosa del genere per una
ragazza.
Era la prima volta che lo facevo in
assoluto, ma volevo che
fosse speciale.
"Ecco, la frittata
è...pronta."
Non mi aspettavo che finisse
così presto, e così, quando
entrò in salotto, mi prese in contropiede.
"Beh, ecco..." Alzai la mano ad
indicare il tavolo
ed abbassai gli occhi. "Sorpresa!"
Era rimasta a bocca aperta.
Non volevo una cena ordinaria,
così avevo apparecchiato
l’ampio tavolino del salotto.
Niente di che, sia chiaro. Avevo solo
messo dei piatti
bianchi su una tovaglia blu,
circondato il tavolo da dei cuscini
rossi ed acceso il
camino di fronte a noi, che adesso scoppiettava.
"Evan... è…
bellissimo, ma hai fatto tutto tu?"
Annuii e lei posò i piatti sul tavolo, avvicinandosi a me ed
abbracciandomi
forte.
"E’ veramente tutto
perfetto, grazie! Mi hai fatto una
meravigliosa sorpresa, Spero solo che...questa cosa...sia
all’altezza."
Andai allo stereo e scelsi un mix di
canzoni.
Per quella serata qualcosa di soft
andava molto bene.
Quando ebbi finito, mi avvicinai al
frigo, presi due lattine
di coca-cola e le stappai.
"Che ne dici, se per iniziare,
facciamo un bel
brindisi?" le dissi, passandole la lattina.
"Perfetto… a noi!"
rispose, alzandola.
"A noi." risposi, brindando.
Ne bevvi un sorso, e le lanciai un
sorriso.
Oltre alla frittata, aveva preparato
anche un piccolo
antipasto, dei piccoli crostini con pomodoro e prosciutto.
Era tutto buonissimo e, cenammo
tranquillamente, assaporando
tutto.
"Avril, ti devo fare i complimenti.
E’ tutto molto
buono. Non pensavo sapessi cucinare così bene."
"Non è che mi sia sprecata
tanto. Alla fine, gli
ingredienti erano tutti pronti, ma cucinare mi piace."
"Io sono abituato a mangiare quasi
sempre fuori o al massimo
con il cibo da asporto. Una cena così per me è il
massimo, e se poi so che
l’hai preparata tu, tutto diventa più buono."
Finita la cena, rimanemmo seduti e ci
accomodammo tra i
cuscini, chiacchierando finalmente tranquilli, bevendo un po’
di coca-cola.
Era tutto talmente bello da non
sembrarmi vero.
Non c’era nessuna fretta,
nessuna ansia, solo io e lei e la
nostra curiosità reciproca.
Scoprire che parlare per ore, solo
tenendosi per mano e
giocherellando con
le nostra dita davanti al camino, era
una cosa piacevole e
meravigliosa, mi dava la possibilità di apprezzare di
più quello che la vita mi
dava.
Come ultima sorpresa, avevo pensato
al dolce. Mi ricordai
che mia madre aveva preso una torta al cioccolato dalla piccola
pasticceria
dell'altro giorno, e, con la panna montata avevo scritto sopra For my love!.
Quando l'avevo servita a tavola, lei
si era sorpresa e,
subito dopo, imbarazzata.
"Grazie, mi metti in imbarazzo. Hai
fatto così tanto per
rendere tutto speciale. Io ti ho fatto una semplice frittata, non
è giusto. Ero
io quella che doveva pagare il pegno della
scommessa."
"Ma non ti rendi conto? Tu mi hai
fatto il dono più
speciale, sei qui! A me basta questo."
Si alzò in ginocchio dal
cuscino ed iniziò a baciarmi con
dolcezza, prendendomi il viso tra le mani.
Io l’avvolsi nel mio
abbraccio e l’attirai a me,
portandomela in braccio.
Ci sistemammo tra i cuscini e ci
baciammo, senza fretta.
Era tardissimo quando ci alzammo.
"Devo proprio
riportarti a casa? Non puoi rimanere qui da me? I miei fratelli
torneranno
talmente ubriachi che non si accorgeranno neanche di te." chiesi
speranzoso.
"E’ meglio di no, non
vorrei correre troppo"
rispose, imbarazzata,abbassando lo sguardo.
"Non farei mai nulla per metterti in
imbarazzo. Farei
il cavaliere, ti cederei la mia stanza. Io dormo sul divano, non
c’è
problema." proposi.
"No, tranquillo, ti lascio il tuo
letto. È meglio se me
ne torno a casa."
Aveva ragione ma, una parte di me,
ancora sperava accettasse
di rimanere.
Proprio in quel momento,
iniziò una canzone.
Mi piaceva molto
e le parole si addicevano a noi, neanche a farlo apposta.
L’abbracciai stretta e le
sussurrai
all’orecchio:"L’accompagno alla sua dimora,
signorina, ma prima…mi concede
un ultimo ballo?"
Lei mi guardò, sorpresa.
Poi, sorridendo mi rispose.
"Con piacere!"
Le feci un inchino ed iniziammo a
ballare stretti l’uno
all’altra.
Le parole della canzone mi
vorticavano nella testa e gliele
canticchiavo, sussurrandogliele all’orecchio.
So
lately, I've been wonderin'
Who will be there to take my place
When I'm gone, you'll
need
love
To light the shadows on your face
If a great wave should fall
It would fall upon us all
And between the sand and stone
Could you make it on your own
If I
could, then I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go
And
maybe, I'll find out
The way to make it back someday
To watch you, to guide you
Through the darkest of your days
If a great wave should fall
It would fall upon us all
Well I hope there's someone out there
Who can bring me back to you
If I
could, then I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go
Runaway
with my heart
Runaway with my hope
Runaway with my love
I know
now just quite how
My
life and love might
still go on
In your heart, in your mind
I'll stay with you for all of time
If I
could, then I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go
If I
could turn back time
I'll go wherever you will go
If I could
make
you mine
I'll go wherever you will go.
Così
ultimamente mi sono chiesto
chi sarà lì per prendere il mio posto
quando me ne andrò avrai bisogno d'amore
per illuminare le ombre sul tuo viso.
Se una grande onda dovesse cadere
si getterebbe su entrambi
e tra la sabbia e le rocce
potresti farcela da sola.
Se
potessi, allora lo farei
andrò ovunque tu andrai
in alto o in basso
andrò ovunque tu andrai.
E
forse
scoprirò
il modo per tornare indietro un giorno
per vederti, per guidarti
attraverso il più buio dei tuoi giorni.
Se una grande onda dovesse cadere
si getterebbe su entrambi
bene, spero che ci sia qualcuno là fuori
che possa riportarmi da te.
Se
potessi, allora lo farei
andrò ovunque tu andrai
in alto o in basso
andrò ovunque tu andrai.
Fuggi
con il mio cuore
fuggi con la mia speranza
fuggi con il mio amore.
Ora
so
quasi perfettamente come
la mia vita e il mio amore potrebbero ancora andare avanti
nel tuo cuore, nei tuoi pensieri
resterò per
sempre con te.
Se
potessi, allora lo farei
andrò ovunque tu andrai
in alto o in basso
andrò ovunque tu andrai.
Se
potessi riportare indietro il tempo
andrò ovunque tu andrai
se potessi farti mia
andrò ovunque tu andrai.
Quando la canzone finì,
vidi calde lacrime rigarle il viso.
Speravo avesse capito finalmente quanto tenessi a lei.
"Ti amo, piccola stella.".
|
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Capitolo 33 *** Innocent ice-cream ***
Salve
a tutti!
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Beliectioner_FE_love_FE - Glaphyra - Look_at_the_sky - nunueroby(grazie ancora ^_^) -RamonaLBS - Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- avrilismylittleangel
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Brazza - Hakkj - icon of the darkness - itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky – Mary_Malik –RamonaLBS – SaraHappenin
Scusate,
non badate a me… sono
askdlfkflaffkjs per i leaked del nuovo album che sono stati messi
online! (Anche
se così l’album potrebbe vendere di
meno…Dannati conflitti interiori!)
Qui
trovate la mia “classifica” dei
piccoli brani in base all’ordine in cui li ho posizionati,
ovviamente con i
relativi link ^_^
Give
You What You Like - http://www.youtube.com/watch?v=SbAzD_tYJj8
Let
me go - http://www.youtube.com/watch?v=glqUcy60LEo
Sippin
On Sunshine - http://www.youtube.com/watch?v=JLsIQKEi-Ts
Allora…
come state?
Scommetto
che la scuola
vi sta già uccidendo, vero?
Anch’io
faccio parte del gruppo,
purtroppo, *affoga nei compiti* e quindi sono riuscita ad aggiornare
solo oggi.
Questo
capitolo non mi piace molto, se
devo essere sincera. È stato davvero un parto, non finiva
più. (E Glaphyra mi
può capire, VERO? <.<)
Ok,
dopo quest’interessaaaante
conversazione (?), vi lascio al capitolo.
Buona
lettura a tutti!
26
Settembre
Pov
Evan
Il
vento forte mi
scompigliava i capelli, mentre il classico senso di libertà
s'impossessava di
me.
A
scuola la giornata era
stata pesante, per non parlare poi del pomeriggio.
Le
ore scorrevano lente,
quasi immutabili, mentre la mia voglia di rivederla cresceva di secondo
in
secondo.
Non
potevo farci niente.
Sapevo
che non volesse far
sapere di noi due a sua madre. In fondo, neanche io l'avevo ancora detto alla mia
famiglia, ma volevo
farlo il più presto possibile.
Sapevo
di invadere i suoi
spazi facendo così, ma, come diceva Oscar Wilde, il modo
migliore per resistere
alle tentazioni, è cedervi.
Arrivai
vicino a casa sua, e
parcheggiai la moto, impaziente.
Presi
i libri che mi ero
portato dietro, e andai a suonare il campanello.
Cercai
di sistemarmi alla
bene e meglio i capelli.
Ah, perché dovevano
sempre essere così disordinati?
Sentii
dei passi avvicinarsi
alla porta, e una voce femminile parlare.
"Sì,
lo so Jean-Claude,
ma diciott'anni si compiono una sola volta nella vita..." Fece una
breve
pausa, e continuò:"Beh, io veramente pensavo ad una collana
di perle, o
qualcosa del genere." Per poi gridare:"Come sarebbe a dire che non
conosco abbastanza mia figlia?! È il suo primo compleanno
qui, ma credo di
avere tutto il diritto di decidere per lei!"
A
quel punto, la porta si
aprì, e la signora Mitchell, senza badare molto a chi fosse
la persona sull'uscio
di casa sua, ovvero io, rispose:"Può andare, non ci serve
niente."
Fece
per chiudere la porta,
ma misi prontamente un piede a bloccarla. "Signora Mitchell, sono io,
Evan
Taubenfeld."
La
signora si immobilizzò per
qualche secondo, per poi dire al suo interlocutore al
telefono:"Jean-Claude,
devo riattaccare. Ti richiamo io."
Alzò
per la prima volta lo
sguardo su di me, e mi sorrise. Un suo classico sorriso, viscido e che
non mi
dava alcun tipo di emozione.
"Oh,
mio caro Evan, che
piacere. Come mai sei qui?"
Recitai
la parte che ormai
avevo imparato a memoria. "Devo studiare con sua figlia, signora, e ci
siamo dati appuntamento qui, a casa sua." Le mostrai subito i libri,
per
avvalorare la bugia. La mia intenzione
non era di certo quella di studiare!
"Capisco,
ma... non so,
Avril non mi aveva avvisato." disse, palesemente in
difficoltà.
Probabilmente
non voleva
ritrovarmi in mezzo ai piedi e aveva già qualcosa da fare.
Così,
mi giocai l'ultima
carta. Avevo un bisogno viscerale di vederla.
"Va
bene, come vuole
lei. Peccato però, mia madre aveva intenzione di ricambiare
l'invito
invitandola a cena casa nostra, ma se è così...
sarà per la prossima volta."
Ti prego! Abbocca, abbocca, abbocca!
"Beh,
ripensandoci...credo
che un pomeriggio di studio insieme non faccia male a nessuno, in
fondo." Perfetto, aveva abboccato!
"Grazie.
Lei è davvero
molto gentile, signora." Non aspettai un secondo di più, ed
entrai.
Avevo
già avuto il piacere di
conoscere la strada per arrivare alla sua camera.
"Ma
Evan, e per la cena?"
chiese, mentre io stavo salendo ormai le scale.
Cavolo, e ora come me la toglievo
di torno? "Sì,
certo, la cena..Ehm, la chiamerà direttamente mia
madre per mettersi d'accordo, non si preoccupi!"
Salii
gli scalini a due a
due, per evitare che quell'approfittatrice di cene a case altrui mi
fermasse di
nuovo, e bussai con due colpi secchi alla porta della camera di Avril.
"Oh
insomma Judy, si può
sapere che cazzo vuoi anc-"disse, aprendo in contemporanea la porta.
"Ehm...
Si può?" sdrammatizzai,
per toglierla dal momento imbarazzante.
La
mia piccola sgranò gli
occhi, e si fiondò letteralmente tra le mie braccia.
"Evan!
Ma cosa...quando...?"
"Ssh,
prima i gesti, poi
le parole. Oggi ho anche aspettato troppo." le sussurrai piano,
baciandola.
Appoggiai
le mie labbra che,
in modo dolce e lento, accarezzarono le sue.
Prima
di staccarsi da me,
però, mi tirò dentro la sua stanza e chiuse la
porta.
"Allora?
Come hai fatto
ad entrare? E perché sei venuto qui?" mi domandò.
"Beh,
la prima risposta
è molto semplice, in realtà. Ho suonato il
campanello e tua madre mi è venuta
ad aprire." dissi, con una scrollata di spalle.
"C...Cosa?
Judy?! E
tu...tu le hai detto di noi?" chiese, spaventata.
Posai
le mie mani sulle sue
spalle e la guardai negli occhi. "Ehi, Avril, calmati. Non le ho
rivelato
niente, sta' tranquilla. Le ho solo detto che dovevamo studiare
insieme, tutto
qui." Appoggiai i libri sulla sua scrivania e abbassai lo sguardo,
triste.
Come avevo detto prima, ero a conoscenza del fatto che non volesse
mettere al
corrente i suoi della nostra relazione, ma...continuavo a sentirmelo
dire, più
faceva male.
Lei,
probabilmente notando il
mio cambio di umore, cercò di cambiare subito discorso.
Apprezzavo
anche questo
tratto di lei.
Mi
capiva con un solo sguardo,
e anche con una semplice frase era in grado di farmi sentire un po'
più felice.
"Non
hai risposto alla
seconda domanda, però..." esitò, mordendosi il
labbro.
"Una
domanda così
stupida richiede una risposta altrettanto stupida." le risposi,
sorridendo. Le presi il viso tra le mani, cercando di comunicarle anche
con gli
occhi, quello che con le parole mi risultava difficile fare. "Avevo
voglia
di vederti. E questa mia voglia, assolutamente e totalmente insensata e
priva
di qualsiasi razionalità, mi ha fatto correre da te ed
essere qui. L'unico
posto in cui sono adesso, e l'unico posto in cui vorrei essere."
Annullai
la distanza tra le nostre bocche, e la baciai, di nuovo.
La
mia lingua trovò subito la
sua, e continuammo a baciarci con sempre più passione.
La
spinsi dolcemente sul
letto e lei andò con la sua testa sempre più
verso il cuscino, mentre io la
seguivo con il mio corpo.
Riprendemmo
a baciarci, con
più trasporto di prima.
I
miei jeans incominciarono a
farsi più stretti e mi irrigidì di rimando.
Non
volevo rovinare il
momento romantico con la mia stupida erezione!
Le
morsi delicatamente il
labbro inferiore, e un gemito uscì dalla sua bocca.
Mi
strinse forte i capelli,
facendo diventare i miei jeans sempre più stretti.
"Mmh...Evan..."
mi
sussurrò all'orecchio, eccitandomi ulteriormente.
Cercò
di togliermi la
maglietta che indossavo, e mi allontanai per un attimo da lei per
facilitare la
cosa, ma un improvviso bussare alla porta ci bloccò.
"Ragazzi!
Posso
entrare?"
Sgranammo
gli occhi entrambi,
e ci staccammo subito l'uno dall'altra.
Avril
si alzò di scatto dal
letto e io mi ci stesi sopra a pancia in giù, per non far
notare il mio
piccolo...ehm...problemuccio alle parti basse, appena un secondo prima
di
vedere la signora Mitchell, che, senza aspettare una nostra risposta,
aveva
fatto irruzione nella camera.
Ti prego, fa che non si accorga
della mia erezione e
che non faccia domande. Ti prego...
"Oh...Ma
che stavate
facendo?" Appunto. Cazzo. Cazzo. Cazzo.
"Ehm...lui...stava
cercando..." Di portarmi a letto e
di fare l'amore insieme...Ma che vai a pensare, pervertito! "La
mia
penna!" dichiarò.
Cosa?!
"La tua penna?"
le chiesi. Ma che cavolo stava dicendo?
"Sì!
La MIA penna,
quella che mi è caduta un attimo fa, e che tu ti sei offerto
di
recuperare!" Era una mia impressione o il suo sguardo era leggermente assassino?
Dopo
un istante di
tentennamento, capii. "Oh, già, la tua penna." dissi,
facendo finta
di stare a cercare qualcosa. "Sì, infatti, volevo dirti che
qui non c'è.
Deve esserti caduta dall'altro lato del letto."
"Avril,
ma insomma! Si
trattano così gli ospiti? Sei sempre la solita sbadata!
Evan, caro, se vuoi
cerco io la penna di mia figlia per te..."
"NO!"
rispondemmo
insieme io e Avril.
"No
mamma, non ce n'è
bisogno."
"Infatti,
signora
Mitchell. Non si preoccupi, la cerco io." la convinsi, facendole un
piccolo sorriso.
"Va
bene. Comunque, ero
solo salita per chiederti se rimarrai a cena da noi, Evan."
"Ma
mamma, non..."
"Volentieri!"
intervenni.
"Perfetto,
allora. La
casa offrirà un buon gelato tutto da gustare. Non
preoccupatevi, vi verrò io a
chiamare tra poco." disse, con una voce talmente acuta, da procurare un
quasi certo perforamento ai timpani. Per fortuna, fece per andarsene,
ma
all'ultimo, come se si fosse ricordata di qualcosa, si girò
ancora verso di
noi, e parlò alla figlia. "Ah Avril, ricordati poi di
chiamare
Jean-Claude. Ti vuole parlare."
"Va
bene, va bene, ho
capito." le rispose lei, scocciata.
"Mi
raccomando, non
dimenticartene." concluse, e chiuse la porta.
Quando
fummo certi che fosse
andata effettivamente al piano di sotto, ci ricomponemmo, e tirammo
entrambi un
sospiro di sollievo.
"Una
penna, eh? Beh,
potevi sempre dire che stavo cercando un'astronave o un oggetto non
identificato!" esclamai io, sarcastico.
"È
stata la prima cosa
che mi è venuta in mente." mi rispose, con una scrollata di
spalle.
"E poi, qui se c'è una persona con un cervello limitato,
beh...quello sei
tu!" aggiunse, facendomi la linguaccia.
Cosa?!
Lei che faceva la
linguaccia a me?!
"Stia
attenta al suo
comportamento, signorina Lavigne..." dissi, avvicinandomi lentamente e
facendola indietreggiare sul letto "perché...potrebbe
pentirsi... molto
amaramente... delle conseguenze!"
Saltai
anch'io sul letto, e incominciai
a solleticarla da tutte le parti, scoprendo con mia grande sorpresa che
soffriva particolarmente il solletico ai fianchi.
Ovviamente,
da vero bastardo,
insistetti su quel punto.
"Ahahah...Evan...ti
prego...basta!"
"Prometti
che non mi
farai più una linguaccia?"
"S...sì..."
"Come?
Non ho sentito
bene!"
"Sì,
sì, va bene, te lo
prometto. Ma adesso lasciami!"
Staccai
subito le mie mani da
lei. Avevo ottenuto ciò che volevo, e, cosa più
importante, avevo scoperto un
suo punto debole che poteva sicuramente tornarmi utile. Il solletico ai
fianchi.
Si
rannicchiò contro di me, e
appoggiò la sua testa sulla mia spalla.
"Sai...ho
sempre adorato
il tuo profumo." mi confessò, un po' imbarazzata.
"Oh...beh...spero
di non
profumare come una discarica, allora." ci scherzai su.
"Ma
no, scemo! Lo sai
che non è quello che intendevo. Mi sono sempre sentita in
qualche modo legata a
te, e ora ne conosco il motivo. Credo di essermi innamorata di te da
quella
sera in cui sei salito qui in camera mia." disse, guardandomi negli
occhi,
improvvisamente seria.
"Ecco,
a proposito di
quella sera..." esordii.
"Sì?"
Oh,
quant'ero stupido! Era
passato molto tempo, e tutto era cambiato da allora. Che senso aveva
chiedere
chiarimenti su una cosa ormai lontana da noi anni luce?
"No,
no, niente, non
preoccuparti."
"Dai,
su, dimmi. Cosa
volevi chiedermi?" mi chiese, incuriosita.
Dannata
curiosità!
"Ehm...
Beh, quella
sera...tu...hai parlato al cellulare con qualcuno, ricordi?"
Rimase
visibilmente spiazzata
da quella domanda, ma rispose ugualmente. "Oh, si, mi ricordo.
Ma...questo
che c'entra con..."
Presi
un respiro profondo, e
le dissi a bruciapelo:"Vorrei sapere chi è quel qualcuno, se
non ti
dispiace."
"Ok,
ma...perché?"
"E
me lo chiedi, Avril?
Io ti avevo appena chiesto se fossi fidanzata, tu non mi rispondesti
affatto, e
in più squillò anche il cellulare, con il tuo
misterioso interlocutore che non
faceva altro che farti ridere e illuminarti gli occhi di gioia.
È per questo
che me ne sono andato così, perché ho pensato che
tu avessi già un fidanzato,
ecco tutto."
Mi
fissò per un attimo con
quei grandi occhi azzurri, adesso così vuoti e inespressivi,
mentre tentavano
di registrare e di capire le mie parole. Poi, un sorriso sempre
più ampio
comparve sul suo viso, contagiando anche i suoi splendidi occhi.
"Tu...tu
sei
geloso?"
Mi
incazzai ancora di più.
"Beh, scusa se sono geloso della mia ragazza!"
"Non
ci credo, tu sei
geloso!"
Niente,
ormai era andata. Non
faceva altro che ridere e a ripetere quella stupida frase.
"Mi
dici cosa ci trovi
di tanto divertente?!"
"Ahahah...il
fatto...è
che...tu sei geloso...di mio padre Jean-Claude!" disse, ridendo a
crepapelle.
Ci
mesi ben oltre un minuto
per ricollegare il cervello.
"Vuoi...vuoi
dire...che
quello al telefono...era tuo padre?"
"Sì,
proprio lui!"
Oh,
cazzo! Maledetta mia
boccaccia! Ma perché non mi stavo mai zitto?!
"Ragazzi,
è
pronto!" gridò nel frattempo Judy al piano di sotto.
"Arriviamo!"
urlò
di rimando la mia stella.
Ci
alzammo entrambi, con la
mia tristezza che era un po' più visibile rispetto a prima.
Aprì
la porta, e mentre si
stava incamminando per scendere le scale, si fermò. "Dai
Evan, non prendertela,
vedi il lato positivo della cosa. Almeno questa volta la figura di
merda l'hai
fatta tu, e non io!" disse, prima di farmi un'altra linguaccia e di
scendere a tutta velocità le scale.
Ci
accomodammo al grande
tavolo della sala da pranzo, e, ovviamente, io e lei ci sedemmo vicini.
All'inizio,
per rompere il
ghiaccio con i genitori, parlammo un po' della scuola e del
comportamento che
dovevamo tenere durante le ore scolastiche.
Pian
piano, i signori
Mitchell parlarono tra di loro, e la mia stella, per non farsi beccare,
mi
parlò all'orecchio.
"Che
serata noiosa! Che
ne dici se la ravviviamo un po'?"
La
guardai, confuso. "E
che vorresti fare ad una cena allo stesso tavolo con i tuoi, scusa?"
Nel
frattempo, Dolores servì
le coppe del gelato in argento, tutte rigorosamente pulite e lucide.
"Per
esempio...potremmo
riprendere il discorso dell'altra sera..."
Ero
sempre più confuso, non
riuscivo a capire dove volesse andare a parare.
"Ma
che vuoi dire? Non
ti st..."
Mi
interruppi bruscamente,
perché sentii il contatto della sua piccola mano calda lungo
la parte superiore
della mia gamba.
Ah, ecco cosa intendeva!
"No,
Avril, non puoi!
Smettila subito, non possiamo rischiare di..."
"Evan,
caro!" mi
chiamò dall'altro lato del tavolo la signora Mitchell.
"S..sì?
Mi...mi
dica..." Riuscii a malapena a balbettare, perché la sua mano
stava
pericolosamente raggiungendo la zona X.
"Sai,
l'altro giorno, ho
letto un articolo su una rivista."
"Aaaah!"
Cazzo, era
arrivata...lì! Ma perché aveva avuto quest'idea
perversa?
Vidi
la signora Judy che mi fissava
stranita, e solo allora mi accorsi di aver dato troppa enfasi alla mia
"esclamazione".
"Voglio
dire, ah,
interessante?"
"Molto,
caro. In
quest'articolo, si diceva che dal modo in cui una persona mangia un
gelato, si può
capire molto della sua personalità. Vorrei sapere anche il
vostro parere in
merito." ci chiese, con fare pacato.
Ingoiai
a vuoto, cercando di
calmarmi e di mettere insieme una frase di senso compiuto. Una cosa era
certa.
Avril me l'avrebbe pagata cara.
"Beh,
non so... Io lo...
Mordo... Credo."
"E
tu, Avril?"
"Oh
no, io no, ho i
denti sensibili. Riesco solo a leccarlo." Rivolse lo sguardo verso di
me,
mentre la sua mano mi stava facendo perdere completamente la ragione,
prima di
continuare. "Il gelato."
"Beh,
è una cosa
senz'altro interessante. Non trovi, Phil?"
"Cosa?
Oh, certo,
certo." rispose il marito, praticamente assente dalla nostra
conversazione.
Avril
finì di mangiare la sua
porzione di gelato, ritirò improvvisamente la mano, e,
facendo finta di
stiracchiarsi, disse:"Scusatemi, vado un attimo in bagno."
Quella piccola strega...
"Ehm,
perdonatemi, ma
non credo di sentirmi molto bene. Vado a fare due passi." E il premio per la peggiore scusa dell'anno
va a...Evan Taubenfeld! Grandissimi complimenti!
Mi
allontanai, con un piccolo
grande problema in corso.
Mi
aveva ripagato con la mia
stessa moneta, ed era per questo che adesso volevo trovarla.
Finalmente,
dopo un paio di
giri, riuscii a scorgere il bagno, e mi ci fiondai dentro.
Lei
era lì, pronta per me e
per le mie labbra, che volevano baciare incessantemente le sue.
"Ti
sembra giusto quello
che fai?" le chiesi, con voce arrocchita dal desiderio.
"Ssh,sta'
zitto e
baciami."
Ci
baciammo con una passione
sempre più crescente, fino a quando lei non
sgusciò via da me e mi sussurrò:"Raggiungimi
tra un po', e...calma i bollenti spiriti.", prima di sparire del tutto.
Come
suggerito da lei, cercai
di calmarmi e, dopo due minuti buoni, ci riuscì.
Ritornai
nella sala da
pranzo, dove mi accolse Judy, con una faccia preoccupata.
"Evan,
caro, tua madre
mi ha chiamato, chiedendomi dove fossi, e io le ho detto che avevi
cenato da
noi e che stavi rientrando subito. Spero non ti dispiaccia."
"No,
non si preoccupi,
signora Mitchell. Stavo proprio per venire..." Guardai Avril solo per
un
secondo."...a dirvelo."
"Va
bene allora, sarà
meglio che ti avvii."
"Sì.
Grazie della
splendida serata, signora Mitchell."
"Oh,
che ragazzo gentile
ed educato. Avril, prendi i suoi libri e accompagnalo alla porta."
"Certo."
rispose la
mia stella.
Mi
imcamminai con passo
spedito, e, sull'uscio, prima che lei potesse chiudere la porta, le
dissi:"La
prossima volta non mi sfuggirai."
Si
alzò sulle punte, e mi
sussurrò all'orecchio:"Non vedo l'ora."
Quelle
sue parole, appena
accennate, mi rimasero impresse per tutto il viaggio di ritorno, da
casa sua
fino alla mia.
Una
volta buttato sul letto,
feci un rapido rewind della serata.
Nonostante
avessi ricordato
tutto con assoluta meticolosità, sentivo che c'era qualcosa
su cui non mi ero
soffermato abbastanza, c'era qualcosa che mi sfuggiva.
Improvvisamente,
ricordai una
frase che la signora Mitchell aveva pronunciato, e a cui inizialmente
non avevo
dato molto peso.
"Sì, lo so Jean-Claude,
ma diciott'anni si
compiono una sola volta nella vita...
Io pensavo ad una collana di perle,
o qualcosa del
genere...
È il suo primo
compleanno qui..."
Quindi...questo
voleva dire
che...domani era il compleanno di Avril!
E...io...non
sapevo come
organizzarmi, cosa regalarle...
Cercai
di pensare alla cosa
con un briciolo di lucidità, e mi venne in mente anche una
buona idea.
Mandai
subito un messaggio a Chad.
"Ehi C., per caso il tuo studio
è aperto domani
pomeriggio?"
Mi
arrivò la risposta qualche
minuto dopo.
"Certo, il mio studio è
sempre aperto per te!"
Perfetto!
Sapevo
cosa regalarle.
Ora
non restava che scoprire
se il regalo avrebbe avuto l'effetto desiderato.
Sperai
di sì, con tutto il
mio cuore.
|
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Capitolo 34 *** To ignore ***
Buonsalve,
little black stars!
Ringrazio
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Ecco
qua un altro capitolo!
Va
bene, devo dire che
originariamente doveva essere più lungo, ma l’ho
diviso in due perché altrimenti
non finivo più e.e
Allooooora,
AVETE SENTITO LET ME GO?
Quella
canzone è davvero fantastica,
non mi stancherò mai di ascoltarla. La voce di Chad
è qualcosa di askfjskajfjd.
Poi,
un’altra cosa. È uscita la
“cover”
del singolo, ma non si sa se sia quella ufficiale o meno.
Io,
sinceramente, spero di no.
Per
carità, è molto bella, ma è
troppo “sofisticata”.
Avril
sembra una statua di cera,
anzi, a dirla tutta, non sembra neanche lei T.T
Ok,
era un mio parere personale ^_^
Buona
lettura a tutti!
Avril
Lavigne ft. Chad Kroeger – Let Me Go
Il
giorno dopo…
Pov
Avril
"No, Phil,
no!"
"Su, non
fare tanto la difficile."
"E dai Phil,
smettila, non vorrei che ci scoprisse." Un...un attimo. Sentivo le voci
della stronza e del cetriolone. Ma perché? Stavo per caso
sognando?
"Dai amore,
neanche le cannonate riuscirebbero a svegliarla. Solo un altro bacio,
ti prego."
Ok, doveva essere per forza un sogno. Ma che sogno strano!
"Ma qui,
così...davanti a lei, non possiamo."
"Ma sì che
possiamo, Judy. Dai, solo un altro."
E insomma, basta.
Ero nella mia stanza, nel mio letto, e io volevo anche un po' dormire!
Così, infastidita
dalle voci che sentivo vicine, aprii gli occhi di scatto.
Forse...troppo di
scatto. Meglio richiuderli, così forse la scena in cui
vedevo un chilometro di
lingua del cetriolone entrare nella bocca di Judy, sarebbe andata via.
Riprovai a
sbattere le palpebre. No, l'orripilante scena era sempre lì.
"Ehm
ehm..." mi schiarii la voce.
La testa di Judy
si girò piano verso di me, mentre i suoi occhi si sgranarono
dalla sorpresa di
vedermi sveglia. Allontanò di scatto il cetriolone, e con
fare allegro, dissero
in coro:"Buon Compleanno!"
Cavolo, ma
perché
avevano dovuto ricordarmelo?!
Poi, con mio
grande piacere, Judy si allontanò definitivamente da lui, e
venne verso il mio
letto. "Ehm...sai, io e Phil stavamo parlando e...uhm...Comunque, non
sei
contenta che siamo saliti in camera tua per farti gli auguri?" mi
chiese,
sviando il discorso.
"Sì certo,
come no, ho visto in che modo stavate parlando." commentai sarcastica,
roteando gli occhi.
"Ehm,sì...Ecco
a te il tuo regalo!" affermò, porgendomi un inquietante
pacchetto color
confetto.
Non sapevo se
fosse più preoccupante il colore della carta da regalo, o la
sua faccia
esagitata che mi fissava, aspettando una mia qualsiasi reazione.
Sospirai, e,
facendomi coraggio, aprii il mio regalo.
Ecco...ora avevo
una risposta per la domanda precedente. Tra il colore della carta da
regalo e
la faccia esagitata di Judy, il contenuto del pacchetto era senz'altro
peggio.
Una vistosa
collana di perle grigie mi si stagliò davanti agli occhi,
lasciandomi
completamente...senza parole.
"Ehm...credo
di...doverti ringraziare...?" le dissi, con un tono di voce a
metà fra una
domanda e un'affermazione.
"Oh, non fa
niente. Questo ed altro per la mia bambina." mi rispose, tirandomi un
pizzicotto sulla guancia e stritolandomi nel suo abbraccio.
Peccato che
ricordasse di fare queste cose solo quando le conveniva, e non nei
momenti in
cui ne avevo davvero bisogno.
"Judy...lasciami...così...m-m...mi
fai male!"
"Scusami!"
mi disse, allontanandosi immediatamente. "Dai, adesso io e Phil ce ne
andiamo, e tu ti prepari per la scuola. Ci vediamo dopo." E con questa
sua
massima, uscì dalla mia stanza, con il cetriolone alle
calcagna, neanche fosse
un cane da riporto.
Quindi...in fin
dei conti...lei mi aveva regalato una collana!
Beh, fantastico.
Molto più che fantastico, oserei dire.
Mi alzai dal
letto e scostai malamente quelle povere coperte che, con la mia rabbia,
non
c'entravano proprio nulla.
Guardai per un
attimo fuori dalla finestra, osservando il cielo che si mostrava in
tutta la
sua maestosità.
Azzurro. Qui il cielo era
quasi costantemente e inspiegabilmente azzurro.
Come faceva ad
avere sempre la forza di spazzare via le nuvole e di splendere in quel
modo?
A Napanee, no.
Tutto questo azzurro accecante e noioso era coperto da soffici e
perenni
nuvole.
Mi piacevano, mi
facevano sentire...protetta.
Ritornai per un
attimo con la mente al passato, e ripercorsi tutti i compleanni passati
in
Canada.
Sin da piccola, non
mi piaceva affatto né festeggiare i compleanni,
né tantomeno ricevere regali.
Proprio per niente.
Il primo motivo
era semplice. Non ci trovavo niente di divertente nel constatare come
il tempo
passasse e rendesse più acide le persone, inclusa me.
Il secondo motivo
era, se possibile, ancora più naturale del precedente. Ogni
maledetto anno in
cui festeggiavo o ricevevo auguri di buon compleanno, puntualmente mi
venivano fatti
dei regali più disparati. Non che non apprezzassi la loro
buona volontà,
ma...semplicemente, tutti i regali venivano presi e messi in cantina,
perché
non mi piacevano.
Quindi,
perché
fingere di apprezzare un regalo, quando il primo pensiero che si
formava nella mia
mente era quello di cercare di immaginare dove avrei potuto buttarlo?
L'unico regalo
che avevo davvero amato è stata la chitarra di
papà.
Quel regalo era
il solo che mi era rimasto dentro.
Scacciai via il
groppo in gola che mi si era formato, e ritornai subito con la mente al
presente.
Dovevo sbrigarmi e arrivare puntuale a scuola.
Provai a chiamare
Evan, per chiedergli un passaggio.
Con il mio skate
non sarei mai arrivata in orario, ma forse con la sua moto...
Composi il numero
e aspettai impaziente.
Uno, due, tre
squilli...Niente.
Chiusi la
chiamata e riprovai due minuti più tardi.
Battei il piede
sul pavimento, fino a quando, al quinto squillo, la linea cadde.
Sgranai gli
occhi, e allontanai il cellulare dal mio orecchio, per controllare che
non si
fosse spento.
No...era ancora
perfettamente funzionante.
Allora...allora c'era
solo un'altra e unica spiegazione.
Mi aveva appena
riattaccato!
Aveva rifiutato la mia chiamata senza che riuscissi nemmeno a dirgli
"ciao".
Una forte scarica
di rabbia mi assalì. Se oggi fossi entrata in ritardo, la
colpa sarebbe stata
solo sua!
Afferrai il
cellulare, il mio zaino e lo skate, uscii da casa e incominciai a
correre più
veloce che potei.
Ovviamente,
arrivai a scuola con dieci minuti di ritardo, e ricevetti un richiamo,
purtroppo
solo verbale, dalla preside.
Peccato, almeno
la giornata sarebbe stata un po' più movimentata.
Di ora in ora mi
spostavo in aule diverse, rendendo il mio corpo partecipe alla lezione,
ma il cervello
completamente scollegato.
Non stavo
minimamente attenta a nulla che avvenisse intorno a me, anzi, pensavo a
tutt'altro.
Perché non
mi
aveva risposto?
Ma soprattutto,
perché aveva riattaccato?
Poteva avere un
impegno...
O poteva aver
fatto scivolare erroneamente il suo dito sul tasto rosso invece che sul
tasto
verde...
Oppure...poteva
essere arrabbiato con me per come mi ero comportata ieri sera. Certo,
forse
avevo un po' esagerato, ma la serata stava diventando così
tanto noiosa.
E poi, credevo
che in qualche modo lui avesse anche apprezzato,
ieri sera.
Quindi,
perché
prendersela in questo modo il giorno dopo?
Piena di domande,
arrivai finalmente all'ultima ora, letteratura inglese.
Ecco, il primo
barlume di fortuna nella giornata.
Avrei potuto
avere tutte le risposte che cercavo direttamente da lui.
Lui non era
ancora entrato in classe, e così mi accomodai al nostro
solito ultimo banco, prima
vuoto.
Appoggiai lo
zaino ed aspettai pazientemente il suo arrivo.
Finalmente, dopo
due minuti d'orologio, lo vidi arrivare con un grande sorriso sul volto.
Ma allora non era
arrabbiato!
E io che mi ero
fatta tutte quei mille problemi mentali!
Non si accorse di
me, ma fece per venire verso la mia direzione, e così alzai
la mano, a mo' di
saluto, facendo un gran sorriso di rimando.
...Sorriso che
scomparve un secondo dopo, quando lo vidi sedersi a due banchi di
distanza,
vicino a Chad.
Ma...perché?
Mi sembrava di
essere ritornata a settimane fa.
Osservai il suo
comportamento
per tutta l'ora, fregandomene altamente della lezione in corso.
Chiacchierava e
rideva allegramente con Chad, e alcune volte alzava la testa per
seguire il
professor Jones.
Ad un osservatore
esterno, non poteva neanche venire in mente l'idea che ce l'avesse con
me o con
qualcun altro.
Ma io sapevo
benissimo cosa stava facendo.
Mi stava ignorando.
Non mi aveva rivolto
neanche uno sguardo, neanche per sbaglio.
Eppure sapeva che
ero dietro di lui, doveva saperlo!
Ebbi un'ulteriore
conferma delle mie supposizioni quando, a fine lezione, si diresse,
senza
voltarsi indietro, in mensa.
Mi alzai anch'io,
lentamente, mentre percorrevo il corridoio che mi avrebbe portato nella
sua
stessa direzione, stringendomi nel mio giubbotto.
Che grandissima
giornata del cazzo! Dopotutto, era il mio compleanno.
Va bene che qui
non lo sapeva nessuno, ma un po' di gentilezza non avrebbe di certo
guastato!
Arrivai
finalmente nell'ampia sala, e presi soltanto un succo di frutta.
Ovviamente, non
avevo molta fame.
Mi diressi, senza
neanche perdere il mio tempo a cercare un tavolo disponibile, verso una
panchina, distante da tutto e da tutti.
L'unica cosa
buona di quella panchina vecchia e malridotta era la visuale che avevo
da lì.
Infatti, con mio
grande piacere, potevo osservare tutta la mensa, e non ci misi molto a
scegliere quale sarebbe stato il mio obiettivo.
Lo individuai
subito, vedendolo seduto ad un tavolo accanto alla piccola finestra che
dava
sull'esterno.
Qualunque forma
di tristezza, che pensavo lo avrebbe contagiato in mia assenza, era
sparita dal
suo volto, che, anzi, era allegro e sereno come sempre, o forse anche
di più
rispetto alle altre volte.
Esattamente come
durante letteratura inglese, parlava e rideva frequentemente con Chad,
con il
quale si scambiava anche delle amichevoli pacche sulle spalle.
Cavolo, sembrava
quasi che fosse Chad la
sua fidanzata, e non io!
Insomma,
perché
con lui rideva e scherzava, e a me invece neanche salutava?
No, non era
affatto giusto. [N.D.A. Ciccia! Chi segue Titeuf mi capirà
u.u. Ok, riprendiamo]
Mi soffermai a
guardarlo, lanciandogli occhiatacce.
Per un attimo, e
solo per un attimo, i suoi occhi incrociarono i miei.
Sì,
esatto, guardami.
Ti sei accorto che
esisto?
Perché non
mi parli?
Perché
mi stai ignorando?
Abbassò
subito lo
sguardo, facendo un irritante sorrisino e alzandosi dalla sedia.
Ma che cazzo
aveva da ridere?
Mi alzai anch'io da
quella stupida panchina e, con il mio zaino, mi diressi verso l'uscita.
Mi aveva ferita,
ma la cosa più grave era il fatto che non se ne rendesse
conto.
Appena fuori
dall'uscita
principale, vidi uno strano ragazzo che si guardava intorno, ansioso.
Era strapieno di
tatuaggi e piercing, e questa cosa m'incuriosiva molto.
Voglio dire, chi
mai sarebbe venuto in una scuola di perbenisti figli di papà
conciato in quel
modo?
Mi avvicinai allo
strano ragazzo, che, appena mi vide, sgranò gli occhi, e mi
fermò con un braccio.
"Ehy...ehy,
sei tu la ragazzina che ha dato spettacolo qui con il suo skate il
primo
giorno?" Ma che cacchio...?
"Sì, sono
io. Tu, chi sei? Perché mi cerchi?"
"Ehy, ehy,
ragazzina, calmati. [N.D.A. Senti cosa, intanto ti calmi xD] Io sono
Gabriel,
piacere di fare la tua conoscenza." disse, porgendomi la mano.
Che c'è,
prima mi
chiamava ragazzina e adesso voleva presentarsi? No, grazie. "Non posso
dire la stessa cosa, Gabriel."
"Ah no? Beh,
sono sicuro che cambierai idea, appena ti avrò detto cosa ci
faccio qui."
"Ecco, bravo.
Fai in fretta." dissi, incrociando le braccia al petto. Ma
che voleva da me 'sto tipo?
"Va bene, vado
subito al sodo. In questa zona, sono io quello che organizza le gare
clandestine di skateboarding, e...visto che ti muovi bene, mi chiedevo
se
volessi partecipare anche tu."
Cosa? Una gara
clandestina?
E io che pensavo
che si facessero solo a Napanee.
"Beh, ci
devo pensare. Così, su due piedi, mi è un po'
difficile risponderti."
"Va bene, facciamo
così." disse, prendendo una penna dalla tasca dei jeans e
iniziando a scrivere
sulla mia mano. "Questo...è...il mio numero. Nel caso
volessi ricontattarmi."
No, dico, ma era
scemo?!
Mi aveva appena
scritto sulla mano!
Notando la mia
faccia sbalordita, scrollò le spalle, e, con fare innocente,
disse:"Che
c'è? Sai, mi stai simpatica, ragazzina. Hai carattere, e
questo è molto
importante, quando si vogliono vincere delle sfide."
Stavo per
rispondergli a tono, ma lui mi anticipò. "Anzi, fai una
bella cosa, già
che ci sei. Porta anche il tuo amichetto biondo dell'altro giorno.
Sembra che
anche lui se la cavi, e più siamo, meglio è."
Ma guarda
tu...amichetto biondo?!
"Ok, ok, ci
penserò. Ora devo andare." aggiunsi, e mi allontanai in
fretta.
Poteva anche
essere una proposta interessante...peccato che lui non sapesse che il
mio
"amichetto biondo", per qualche strana ragione, avesse incominciato
deliberatamente ad ignorarmi!
Entrai nel
parcheggio praticamente vuoto, e intravidi la sua moto.
Lui, però,
non
c'era.
Chissà,
forse era andato a limonare con
Chad!
Stavo quasi per
superare la sua Yamaha, quando sentii due braccia forti bloccarmi da
dietro.
Iniziai subito a
dimenarmi e ad urlare, ma poi avvertii la sua
voce calda e dolce che mi sussurrava:"Ssh, sono io. Buon compleanno!"
Cosa?! Mi girai
di scatto e lo guardai negli occhi, vedendo finalmente il suo
bellissimo
sorriso. "Ma...ma come fai a saperlo?"
"Eh, è una
storia lunga, troppo lunga. Ma...aspetta, prima devo fare una cosa."
"Che
co-"
Non mi diede il
tempo di finire la domanda, che prese il mio viso tra le mani e sentii
le sue
labbra, morbide e calde, sulle mie.
"Ok.
Adesso...girati, e soprattutto, non fare domande!" mi
ordinò, con tono
autoritario.
"Va bene,
papino." lo presi in giro, girandomi.
All'improvviso,
sentii qualcosa venire a contatto con la mia pelle, e persi del tutto
la vista.
Nel vero senso della parola.
"Evan,
ma...perché mi hai bendata?"
"Ssh, cosa
ti ho detto prima? Niente domande! Su, ora muoviti e sali sulla moto."
"Ma come
faccio a salire sulla moto?! MI HAI BENDATA!"
"Uuh, quante
storie per una benda. Aspetta, ti guido io."
Dopo cinque
minuti, in cui il mio povero corpo si era letteralmente sfracellato
sotto la
guida di Evan, riuscii a salire sulla Yamaha."
"Dai,
stella, allacciati a me."
Lo feci
immediatamente e, maledicendo la mia curiosità, gli
chiesi:"Allora, ho
capito che non devo fare domande, ma almeno dove stiamo andando...me lo
puoi
dire?"
"Certo che
posso. Qui c'è una piccola stella ancora senza regalo, o
sbaglio?"
|
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Capitolo 35 *** I choose you because I love you ***
Buona
domenica, little black stars!
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Beliectioner_FE_love_FE - Curly_Boy14 -
Glaphyra - Look_at_the_sky - nunueroby
-RamonaLBS - Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- avrilismylittleangel-
nunueroby
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Brazza - Hakkj - icon of the darkness - itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky – Mary_Malik –RamonaLBS – SaraHappenin
Allora…Devo
ancora associare queste
tre parole…
-Martedì
-Video
-Let
Me Go
(Glaphyra
non mi uccidere! So che
vorresti farlo, ma non lo fare u.u)
Ok,
sono akslflskaksf.
Bene,
andiamo avanti.
Per
il capitolo…eheheh, posso solo
dirvi di prendere un mega-estintore, perché oggi non se ne
esce vivi, vi
avviso.
Spero
di aver fatto un buon lavoro.
Va
bene, auguro una buona lettura a
tutti!
Pov
Avril
Avevo
una benda sugli occhi,
non sapevo che regalo mi avesse fatto Evan né tantomeno dove
mi stesse
portando, ma nonostante questo, mi sentivo benissimo.
Ero
completamente allacciata
alla sua schiena, e non perché avessi paura di cadere dalla
moto o altro, ma
perché cercavo continuamente il contatto con lui.
Il
suo corpo mi attraeva, e
la sua vicinanza mi rassicurava. Bastava questo, per rendere un momento
perfetto.
Mi
aveva chiesto, o meglio ordinato, di
non fare domande, ma...ce
n'era una che, come una fastidiosa e stupida zanzara, mi ronzava nella
mente, e
non voleva proprio saperne di andarsene.
"Evan?"
"Sì?"
mi chiese,
girandosi leggermente.
"Ehm...Stamattina...avevi
qualche impegno, per caso?"
"No...ma
perché me lo
chiedi?"
"Ecco,
io avevo provato
a chiamarti, ma-"
"Oh,
sì, ti riferisci
alla tua chiamata. L'avevo vista, non preoccuparti."
"Ok,
quindi tu...hai
chiuso di proposito?"
"Sì."
"Ah."
Non
riuscii a dire altro.
Provai una strana fitta al cuore, un misto tra amarezza e delusione.
Non mi ero
mai sentita così.
Certo,
avevo immaginato che
avesse rifiutato la chiamata, ma sentirselo dire così
tranquillamente da lui,
era tutta un'altra cosa.
Diventai
improvvisamente
triste, e non riuscii a fare niente per impedire ad una lacrima
solitaria,
lenta e inesorabile, di oltrpassare la benda e di solcare la mia
guancia.
Dei
singhiozzi leggeri
incominciarono a scuotermi il petto.
Che
senso aveva farmi un
regalo, se poi non voleva neanche sentire la mia voce al telefono?
"Eccoci,
siamo
arrivati." disse, fermando la moto e accostando.
Mi
aiutò a scendere, e
intrecciò la sua mano con la mia.
La
sua vicinanza mi destabilizzò
completamente, e tirai su con il naso. Non gli avrei dato la
soddisfazione di
vedermi piangere.
"Ehi
piccola stella, che
ti prende?"
No.
Non poteva farmi questo.
"Sì, certo, come se di me t'importasse qualcosa. E poi, non
chiamarmi
così!"
Staccai
la mia mano dalla sua,
e cercai di allontanarmi da lui. Stupida benda, ma perché me
l'aveva messa?!
"Avril!
Avril,
aspetta!" Lo sentii correre verso di me, e velocemente i suoi passi mi
raggiunsero, bloccando ogni mia possibilità di fuga.
Fuga
per altro ancora più
impossibile, perché non vedevo un accidente.
Le
sue mani mi alzarono
delicatamente la benda, facendomela scivolare sulla fronte.
No,
non volevo che lo
facesse.
Avrebbe
visto l'Avril debole
che cadeva ad ogni difficoltà, avrebbe visto l'Avril ferita
che piangeva per
lui.
Non
volevo che mi vedesse
così.
Abbassai
immediatamente lo
sguardo, per non fargli notare quanto i miei occhi fossero arrossati
dalle
lacrime.
"Ehy..."
disse,
facendomi alzare il viso, e puntando i suoi occhi nei miei.
"Perché
piangi?"
Troppa dolcezza nei suoi gesti,
troppa preoccupazione
nelle sue parole, troppo dolore nel mio
cuore.
"Beh,
non lo so, dimmelo
tu. Prima dici che hai rifiutato una mia chiamata, poi a scuola mi
vedi, ma non
mi parli, ignorandomi totalmente, e adesso mi chiedi che succede?!"
Fece
uno sguardo stranito,
come per dire ma ti rendi conto di quello
che stai dicendo?
"Non
penserai che
l'abbia fatto di proposito, vero? Avril...non capisci? Io ho dovuto ignorarti!"
Mi
sa che qui, se c'era qualcuno
che non sapeva quello che stava dicendo, quella persona era lui.
Le
lacrime di delusione, che
cercavo di trattenere, si trasformarono presto in lacrime di rabbia.
Ma...che
cavolo stava dicendo?
"Parla
chiaro, Evan.
Quello che dici non ha senso."
"Va
bene, parlerò
chiaramente, ma tu, almeno...prometti di non arrabbiarti ulteriormente
con
me?"
"Questo
non mi aiuta
però..."
"Ok,
tu ascolta e basta.
Poi, se vuoi arrabbiarti, fallo." Prese un bel respiro, e
incominciò a
parlare.
"Allora,
tu sai che
adesso riceverai un regalo da parte mia, vero?"
Gli
feci un cenno di assenso
con il capo, e lui continuò.
"E
sai anche che questo
regalo è molto importante sia per te che per me, vero?"
"Sì,
ma questo che
c'entra con-"
"Fammi
finire. C'entra,
perché, sin da ieri sera, morivo letteralmente dalla voglia
di dirti di cosa si
trattasse, e sapevo che se solo fossi stato accanto a te anche solo per
un
attimo, ti avrei detto tutto. Non volevo rovinarti la sorpresa, ma
conosco i
miei limiti, e sapevo che se tu me l'avresti chiesto, avrei vuotato il
sacco.
Così, per non cadere in tentazione, ho pensato di starti
lontano in tutti i
modi possibili, fino a quando non ti avrei almeno accompagnata qui.
Ora...tu
non mi consideri uno stupido solo perché ho fatto tutto
questo, vero?"
"Quindi...fammi
capire
bene. Tu hai rifiutato una mia chiamata, facendomi pensare le peggiori
cose del
mondo, mi hai fatta arrivare tardi a scuola, mi hai ignorata sia in
classe che
in mensa, e mi hai fatto piangere adesso...tutto
perché...PERCHÉ AVEVI PAURA DI
RIVELARMI IN COSA CONSISTESSE IL MIO FOTTUTISSIMO REGALO?!"
"Beh,
tecnicamente non
sono io che ti ho fatto arrivare tardi a-"
"RISPONDIMI!"
"Va
bene, sì, se la
metti su questo piano, hai perfettamente ragione."
"Certo,
no... tu non sei
uno stupido, no, tu sei solo un idiota, coglione e deficiente che
invece di
dirmi le cose come stanno, le complica ulteriormente."
"Ma...non
pensavo te la
saresti presa così tanto. Scusa, io l'ho fatto solo per te."
disse,
abbassando lo sguardo, dispiaciuto.
"Infatti,
questa è
l'unica cosa che mi fa stare meglio. Quindi, prima che un attacco di
isteria mi
prenda, andiamo finalmente a prendere questo dannato regalo!"
"Ai
suoi ordini,
mademoisielle." mi rispose, facendo una brutta copia di un inchino.
"Ma prima...la benda!" La abbassò sui miei occhi e mi spinse
dolcemente in avanti.
"Certo,
sarebbe un
evento catastrofico se potessi camminare senza una stupida bandana che
mi copre
tutto, vero?" commentai, sarcastica.
"Assolutamente
sì. Un
vero spreco di energie." ribatté, con un risolino. Sentii
una porta
metallica aprirsi e dei passi avanzare verso di noi.
"Evan,
spera solo che
questo regalo sia al di sopra di ogni mia aspettativa,
perché
altrimenti..."
Non
riuscii a finire la
frase, che la voce calda e allegra di Chad mi interruppe.
"Ehy,
ragazzi. Ce ne
avete messo di tempo per arrivare, eh?"
Aprii
la bocca, ma Evan mi
precedette. "Sì...Ho voluto fare le cose per bene, per una
volta."
Però,
campioni di gentilezza
'sti due, non mi avevano fatto spiccicare una frase. Complimenti.
"Ok...Ciao
Avril!"
Questa
volta potei rispondere
al saluto.
"Ciao
Chad."
"Bene...adesso...aspetta
che ti porto di là..." Mi prese per un braccio e
guidò. Ma dove cavolo mi voleva
portare?
"Ma...Chad,
non mi fai
assistere?" A cosa?
"No,
amico, la ragazza
ha bisogno di tranquillità adesso, ed è meglio
non stressarla. Tu siediti lì e
aspetta." gli disse, e chiuse la porta con un gran tonfo.
Ma aspettare quanto?
Quanto tempo ci voleva per darmi un
piccolo
pacchettino?
La cosa iniziava seriamente a
preoccuparmi.
Se solo avessi potuto togliere
questa cosa da sopra
gli occhi, forse avrei capito qualcosa in più...
"Ehm...Chad,
posso
togliere la benda ora?"
"Non
chiedermi il perché
Avril, ma quel pazzo del tuo fidanzato mi ha pregato di non fartela
togiere per
tutta la durata dell'intervento. Mi dispiace, ma non puoi."
No, un attimo, aveva...aveva detto
intervento?!
"Ora...stenditi
qui sul
lettino...bravissima...e stai tranquilla, non pensare a niente. Tra
un'oretta
al massimo sarà tutto finito."
Fu
l'ultima cosa che sentii,
prima di provare un immenso dolore al polso del braccio sinistro.
Pov Evan
Tic, tac, tic,
tac...
Battei
il piede sul
pavimento, impaziente.
Perché
cavolo ci metteva così
tanto?
Va
bene che tutto doveva
essere perfetto, ma così...A questo punto facevo prima ad
entrare e a mandare
all'aria tutto.
Se
penso che ero arrivato
addirittura a farla piangere...
Che
stupido, pazzo e
innamorato che ero.
Finalmente,
dopo un'attesa
interminabile, la vidi varcare la soglia della grande porta che
divideva lo
studio di Chad dall'improvvisata "sala d'attesa".
Aveva
ancora la benda
addosso, e sembrava parecchio disorientata.
Feci
un cenno a Chad, come a
dire me ne occupo io, e la guidai
verso la moto.
"Ehy,
piccola stella,
tutto bene?"
Sorrisi
leggermente. Adesso,
quest'espressione era diventata, se possibile, ancora più
perfetta per lei.
Si
limitò ad annuire con la
testa, senza dar voce ai pensieri che, ne ero sicuro, le stavano
frullando in
mente.
"Dai,
cinque minuti
d'orologio, e potrai avere tutte le spiegazioni che vorrai, va bene?"
Altro
cenno di assenso, ma
nessuna risposta concreta.
Diedi
gas alla moto, e
partimmo.
Sgombrai
la mia mente da
qualsiasi pensiero inutile, e limitai i miei occhi ad osservare il
paesaggio
circostante, sempre badando però all'asfalto.
Dal
canto suo, era allacciata
a me, ma sembrava che, oltre alla sua mente, anche il suo corpo fosse
da tutt'altra
parte.
Che
era scombussolata, era
chiaro.
Doveva
averle fatto davvero
male, per avere una reazione del genere.
Improvvisamente,
mi ritrovai
a chiedere se ne fosse valsa davvero la pena.
Insomma,
a lei poteva anche
non piacere, e io mi sarei ritrovato come il ragazzo dispotico che non
aveva
chiesto anche la sua opinione.
Ero
stato così preso
dall'organizzazione di questa cosa, che non avevo ragionato su una cosa
basilare.
Cosa
avrei fatto se a lei non
fosse piaciuto?
Non
era una maglietta, che si
poteva portare indietro e cambiare ad un negozio, anzi...era qualcosa
di
assolutamente indelebile, e che, sperai, avrebbe gradito.
La
aiutai a scendere e la
condussi vicino al grande portone.
Poi,
presi le chiavi dalla
tasca destra dei jeans, e aprii la porta.
"Ma...siamo
a casa tua?"
mi chiese, probabilmente riconoscendo il rumore metallico delle chiavi.
"Sì.
Sta' tranquilla,
comunque. A quanto ne so io, in casa non c'è nessuno."
"Oh...ok."
Poggiai
le chiavi nel
posacenere all'ingresso e feci entrare Avril nel salotto, richiudendo
delicatamente la porta alle sue spalle.
"E-Evan...che
cosa mi ha
fatto Chad?" mi chiese, con voce appena tremante.
"Secondo
te cosa ti ha
fatto?" ribattei incuriosito, incrociando le braccia. Volevo
assolutamente
conoscere le teorie strampalate che si era sicuramente fatta. Ero poco
più che
sicuro, che non si sarebbe neanche avvicinata a quello che avevo
progettato per
lei.
"Beh,
non lo so...Mi
ricordo che mi sono stesa su un lettino e ad un certo punto...ho
sentito un ago
sulla pelle. Ma non mi stava entrando dentro, no...era più
come se ci stesse
disegnando sopra. Potrebbe essere...un tatuaggio?"
...No,
ma dai!
Come
diavolo aveva fatto a
capirlo?
Così
mi aveva rovinato tutta
la sorpresa, che cavolo!
Cercai
di moderare la delusione
nel mio tono di voce. "Perché non lo scopri tu stessa?" le
chiesi,
avvicinandomi verso di lei, togliendole la benda e gettandola per terra.
I
suoi occhi ignorarono i
miei, e andarono direttamente alla parte arrossata del braccio
sinistro, quella
parte su cui io avevo deciso di porre un segno indelebile che
caratterizzasse
me stesso.
Sgranò
gli occhi, e dischiuse
leggermente la bocca da quella che speravo fosse sorpresa.
"Allora?
Ti piace?"
chiesi, con l'emozione a mille.
"Evan,
ma...mi hai fatto
tatuare...una stella nera?" Ignorò completamente la mia
domanda
precedente.
E
adesso? Come dovevo
interpretare la cosa?
Le
era piaciuto?
Le
faceva schifo?
Mi
dovevo far ricoverare in
qualche clinica psichiatrica?
Optai
per la terza ipotesi.
"Sì...è
asimmetrica e
nera. Tutte le stelle sono bianche e perfettamente simmetriche, ma
questa
no...Questa è diversa, perché tu sei diversa. Non
hai cerchi un cielo oscuro
per illuminarti. Il tuo cielo sei sempre e solo tu, non c'è
nient'altro di cui
tu abbia bisogno."
Puntò
i suoi immensi occhi
blu nei miei.
"In
realtà, c'è una cosa
di cui ho bisogno adesso..."
Si
alzò sulle punte e arrivò
con le labbra ad un millimetro dalle mie, disse:"Te..."
E
finalmente, mi baciò.
Pov
Avril
Non
riuscii più a resistere e
lo baciai.
Le
sue labbra erano morbide,
calde...da sogno.
Era
da una mattinata intera
che sognavo di farlo.
La
sua reazione a quel bacio fu
rapidissima. Mi prese per i fianchi e mi spinse delicatamente contro il
muro.
Mi
allontanai
impercettibilmente dalle sue labbra e gli sussurrai:"Ti amo."
Mi
era uscito dal cuore, e avrei
voluto urlarlo al mondo.
Lui
si bloccò, forse un po'
sorpreso di sentirmelo dire con tutra quell'intensità.
Glielo
ripetei un secondo
dopo.
"Ti
amo, Evan."
I
suoi occhi si
riempirono di una bellissima luce. mi strinse forte a sé e
ad ogni bacio che mi
regalava, mi sussurava a sua volta:"Ti amo."
Le
sue mani mi accarezzavano
tutto il corpo, facendomi fremere letteralmente.
Allacciai
le mie gambe ai
suoi fianchi, per essere alla stessa altezza. Mi fissò negli
occhi, mentre mi
chiedeva silenziosamente il permesso per sfilare la maglietta.
Feci
un lieve cenno d'assenso
con la testa, e me la tolse, mentre anch'io buttai con molta meno
pazienza la
sua.
La
nostra pelle era finalmente
a contatto.
Si
spostò a baciarmi la
clavicola, scese per le spalle e arrivò vicino al pizzo del
mio reggiseno.
"Evan..."
"A-Avril...sei
sicura?" mi chiese, quasi imbarazzato.
"Sì.
Non c'è nient'altro
che vorrei fare, adesso." gli risposi, sicura.
Mi
slacciò il gancetto e mi
guardò negli occhi. "Sei bellissima..."
Il
suono eccitato della sua
voce non fece altro che far aumentare i battiti del mio povero cuore.
Si
avvicinò lentamente a me,
e mi baciò, di nuovo.
Era...incredibile.
Riusciva
a farmi eccitare e perdere
i sensi con un solo semplice bacio.
Mi
morsi nervosamente il
labbro inferiore finché la sua mano non mi toccò
il viso e mi incatenò con i
suoi occhi azzurri. Sentivo battere furiosi i nostri cuori ed
il mio
respiro, come il suo, era affannoso.
"Aspetta...ti
prego,
ascoltami. Io voglio rendere la nostra prima volta speciale, e qui non
c'è
nulla di speciale!"
"Qui
è tutto speciale.
Tu sei speciale, insieme siamo speciali e questo a me basta."
"Ma
Avril..." Non
lo lasciai finire.
"Ssh,
smettila. Non sono
più la ragazzina che ero quando sono arrivata. Con te sono
diventata donna, ed
ora ti voglio e scelgo te perché hai reso migliori le mie
giornate…
Io
scelgo te perché sei
salito in camera mia solo per farmi sentire meglio…
Io
scelgo te perché non ti
sei mai arreso, anche quando ti trattavo male...
Io
scelgo te perché quella
notte mi hai salvata…
Io
scelgo te perché hai
affrontato mia madre solo per farmi felice…
Io
scelgo te perché hai
voluto farmi un regalo così splendido…
Io
scelgo te perché mi fai
sentire migliore e amata incondizionatamente….
E
io scelgo te perché ti amo…"
dissi, liberando il mio cuore e facendogli capire quello che provavo.
Mi
baciò come non aveva mai fatto
prima.
Mi
prese in braccio, mi portò
nella stanza da letto e mi depositò delicatamente sul
materasso. Mi sistemai
seduta, mentre lui si mise accanto a me in ginocchio sul letto.
Mi
avvicinai, mettendomi in
ginocchio per raggiungere meglio le sue labbra. Lo baciai con calma e
delicatezza, facendogli sentire tutto l'amore che provavo per lui.
Lui
mi strinse a sé, spogliandomi
del tutto, e togliendosi anche i suoi ultimi vestiti rimasti.
I
nostri corpi, finalmente
liberi da impedimenti, potevano aderire l’uno
all’altro.
Potevo
sentire chiaramente il
battere fragoroso del suo cuore sul mio petto.
Cominciai
a baciargli il
viso, la fronte, gli occhi, il naso, le guance fino ad
arrivare al suo
orecchio, per bisbigliargli:"Ti amo."
Lui
afferrò il mio viso e,
fissandomi negli occhi, mi disse:"Grazie, Avril. Grazie di amarmi.
Grazie
di essere mia."
Si
sdraiò cautamente sopra di
me, aiutandosi con le braccia per non schiacciarmi, e lentamente,
entrò in me.
Mi
lasciò completamente senza
fiato. Rimasi immobile per quella presenza, per quella invasione.
Lui
se ne accorse e si fermò a
fissarmi dubbioso.
"Avril...posso...posso
continuare?" mi chiese, con un filo di voce. Io non gli risposi a
parole,
ma glielo feci capire, avvicinando il mio bacino al suo.
Rassicurato,
cominciò a
mordicchiarmi il collo.
Le
mie mani stringevano forte
i suoi capelli, sia come segno di possesso, sia come segno delle
fantastiche
emozioni che mi stava facendo provare.
Non
smettevamo di fissarci
negli occhi, accarezzandomi con dolcezza il viso.
Eravamo
un solo essere, un
solo corpo, una sola anima.
Lo
sentii fremere. Prese le
mie mani con le sue, intrecciando le nostre dita proprio come quella
mattina e raggiungemmo
insieme l'apice del piacere, sussurrandomi ancora “Ti
amo”.
Ogni
singola cellula del mio
corpo, era andata a fuoco, per poi toccare la vetta più alta
del paradiso.
Avevamo
ancora le nostre mani
intrecciate ed i nostri respiri erano frenetici.
Mi
diede, con tenerezza, un
bacio sulla fronte, e si spostò, sdraiandosi accanto a me.
Mi abbracciò in modo
tale che i nostri corpi fossero completamente fusi uno con
l’altro, con le
gambe allacciate.
Improvvisamente,
si mise a
ridacchiare. Lo guardai, incuriosita e perplessa.
"Tu
hai idea di quello
che mi hai fatto provare?" mi chiese, stringendomi forte a lui.
"Penso
di si. Spero sia la
stessa cosa che tu hai fatto provare a me." gli risposi.
"Non
immagini neanche come
mi senta in questo momento." mi disse, prendendo il mio viso tra le sue
mani.
"Credo
di sì, invece. Ti
rendi conto di essere felice all’inverosimile. Senti il tuo
cuore battere così
forte che pensi possa scoppiarti nel petto, e...e vorresti che quel
momento non
finisse mai." gli confessai, fissandolo negli occhi, imbarazzata.
"Si
Avril, proprio così."
mi disse, appoggiando le sue labbra sulle mie.
Mi
abbracciò stretta a sé, e
mi ritrovai a fissare la mia nuova stella sul polso.
Dopo
un po’, ci addormentammo
in quella posizione, stretti l’uno all’altra, nella
consapevolezza di essere
uno parte dell’altra.
|
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Capitolo 36 *** Life's like this ***
Buona
domenica sera, little black stars!
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Beliectioner_FE_love_FE - Curly_Boy14 - Glaphyra - Look_at_the_sky - Mirianalol -nunueroby
-RamonaLBS - Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- avrilismylittleangel-
nunueroby
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Brazza - Hakkj - icon of the darkness - itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky – Mary_Malik –Mirianalol–nunueroby– RamonaLBS – SaraHappenin
Pensavate
che fossi sparita, eh?
E
invece no! Sono ancora qui! (Per
vostra sfortuna…)
Allora,
visto il video di Lei Me Go?
È…una…cosa…FANTASTICA!
Molto
più bello rispetto a HTNGU o
RNR, e molto più maturo, anche.
A
me è piaciuto tantissimo.
Ok,
se volete lasciarmi commenti, io
sono qui.
Passando
al capitolo…ho preso spunto
dal video di Complicated, come potete vedere dal titolo, ma non ci
saranno
tutte le scene, e alcune sono state modificate.
Ok,
detto questo, auguro una buona lettura
a tutti!
P.s.
Se volete contattarmi o parlarmi, ho aggiunto il bottone facebook sulla
pagina dell'autore di efp.
Pov
Evan
Mi
svegliai con i raggi del
sole che filtravano dalla finestra e illuminavano tutta la stanza.
Guardai la
sveglia sul comodino, erano le 8:43 di Domenica.
Stringevo
la mia stella tra
le braccia, mentre era ancora addormentata profondamente.
Era
accoccolata su un fianco,
con il viso appoggiato sul mio petto.
I
suoi capelli erano sparsi
tutto attorno al suo viso, creando una nuvola di capelli biondi sul
cuscino.
Sentivo
il suo respiro caldo
sul mio collo, sentivo il suo torace alzarsi e abbassarsi placidamente.
Sembrava un angelo, il mio angelo.
Riflettei
un attimo sugli
avvenimenti accaduti, cercando di trattenere un urlo di gioia.
Svegliarmi
così era un sogno
ad occhi aperti. La sera prima avevamo fatto l’amore, ed era
stato unico.
Per
la prima volta in vita
mia, mi ero sentito davvero bene, mi ero sentito completo.
Era
come se avessi passato
una vita intera fuoriposto, e adesso avessi capito quale fosse il mio
posto nel
mondo.
Tutto
questo, era successo
grazie a lei.
Lentamente
sfilai il braccio
da sotto il suo corpo, e mi alzai, senza svegliarla.
Volevo
farle una sorpresa e
prepararle la colazione, per quanto le mie doti culinarie me lo
permettessero.
Per questo motivo, andai in cucina, e mi diedi subito da fare.
Preparai
delle fette
biscottate con la nutella, e misi sul fuoco il latte per prepararle la
cioccolata calda.
Ero
intento a fissare
attentamente la cioccolata, per evitare che scoppiasse una bomba
atomica dovunque
mettessi mano, quando la sentì entrare in punta di piedi.
"Evan?"
mi chiamò.
Mi
girai immediatamente a
guardarla.
Era
bellissima con quei
capelli tutti arruffati, mentre si strofinava gli occhi e si
stiracchiava.
Aveva
la faccina di una
bambina che appena sveglia che non aveva più trovato la sua
mamma accanto a sé
nel letto.
"Ehi,
vieni qui."
le dissi, allargando le braccia.
Si
avvicinò a me e la strinsi
forte, dandole un bacio sulla sua piccola testolina.
"Mmh,
che buon odore! Ma
cos'è, ciocc-"
"Ah,
no no no,
signorina" le dissi, mettendole le mani sulle spalle e accompagnandola
verso l'uscita della cucina. "Adesso lei va di là, si
rilassa e aspetta
pazientemente, mentre io le preparerò un'ottima colazione."
"Va
bene, mammina."
mi rispose, facendomi la linguaccia e chiudendo la porta.
Roteai
gli occhi, e mi rimisi
al lavoro.
Versai
la cioccolata e nelle
tazze, le posai sul vassoio insieme alle fette biscottate, e ritornai
da Avril,
sedendomi accanto a lei.
Facemmo
colazione insieme,
sorridendo per quanta poca nutella avevo messo sulle fette biscottate.
Ero
proprio un pessimo cuoco.
"Grazie
Evan." mi
disse con un sorriso a trentadue denti, riempiendomi il cuore di
felicità.
"Sono
felice che ti sia
piaciuta...nonostante tutto fosse appena commestibile."
"Mmh,
allora...che
facciamo di bello oggi?" mi chiese, mettendosi seduta e fissandomi con
quei suoi splendidi occhi.
"Beh,
potremmo andare da
qualche parte...o rimanere in questo bel lettone grande..." le risposi,
avvicinandomi sempre di più alle sue labbra.
"Credo
che accetterò la
seconda proposta." sussurrò, prima di annullare la distanza
e baciarmi.
Intrecciò
le mani dietro il
mio collo e continuò a baciarmi sempre con più
passione.
La
situazione si faceva
sempre più bollente, fino a quando...fino a quando sentimmo
uno scatto alla
serratura della porta, che si aprì e si richiuse due secondi
dopo.
Sgranammo
gli occhi entrambi
e si allontanò un poco da me, spaventata.
"Ma
Evan...chi può
essere?" sussurrò.
Io
ero ancora più confuso di
lei. "Non lo so, non mi aspettavo nessuno in casa per quest'ora." le
risposi, sempre a bassa voce.
"E
allora...che
facciamo?"
"Tu
stai qui, io vado a
vedere." mormorai, alzandomi piano dal letto, e andando nel salotto.
Mi
avvicinai sempre in punta
di piedi all'entrata, facendo attenzione a non inciampiare in niente.
"Evan...aspettami!"
mi sentì chiamare da dietro.
Mi
girai di scatto verso di
lei. "Avril! Ti avevo detto di stare di là!"
"Lo
so, ma non mi andava
di lasciarti solo... Scusa."
"Va
bene, va bene.
Adesso però stai dietro di me e non muoverti, chiaro?"
Mi
raggiunse velocemente e mi
fece un cenno d'assenso.
Ripresi
a camminare
lentamente, scorgendo una sagoma scura che stava girata di spalle.
"Chi...chi
è?"
chiesi, con voce tremolante.
Mi
pentii un secondo dopo
aver detto quella frase. Se fosse stato un ladro, non avrebbe certo
risposto signor Taubenfeld, non si preoccupi,
le sto
solo svaligiando casa!
La
sagoma si girò verso di
me, e con voce seccata, disse:"E chi altri può essere, razza
di
scemo?"
Sia
io che Avril tirammo un
sospiro di sollievo.
"Annie!
Ma, insomma, da
dove salti fuori? Ci hai fatto prendere uno spavento!"
"Sono
andata fuori con
Drew, non vedo quale sia il problema." mi rispose, con una scrollata di
spalle. "E poi...ci?"
Sollevò il sopracciglio, con fare sospetto.
Oh
oh. Quant'ero idiota!
"Ecco, sì, con me c'è anche...Avril." dissi,
facendomi un po' più
avanti, in modo da lasciarle spazio.
"Ciao
Annie." la
salutò, tutta imbarazzata.
Ero.
Un. Deficiente.
"Aaaaaah,
Avril!"
urlò Annie, andandola ad abbracciare. "Ma perché
non mi hai detto che eri
qui?!"
Ero.
Un. Grandissimo.
Deficiente.
"Ehm,
sai, io e
Evan...stavamo..."
"Oh,
non m'interessa se
vi stavate sbaciucchiando amabilmente, adesso l'importante è
che sei
quiiii!" strillò, stritolandola un'altra volta.
Ma
che aveva detto?!
"Annie...io
e Avril non
ci stavamo sbac-" cercai d'intervenire.
"Sì,
sì, fratellone.
Puoi anche smetterla di fingere, tanto ormai lo sa tutto il vicinato
che voi
due siete fidanzati."
Vidi
Avril appoggiarsi al
divano, per evitare di cadere dalla sorpresa.
"Anzi,
sapete che
faccio? Adesso chiamo Char, Matt e Drew, e organizziamo una bella
uscita a sei
per fare shopping!" gridò, e incominciò a battere
le mani come una
bambina.
"Ma
Annie...shopping...no!" urlai, più forte di lei.
Alzò
la testa, e, con fare
altezzoso, fece un gesto della mano, come per zittirmi.
"Ssh,
taci, plebeo. È
tutto perfetto, il centro commerciale apre tra mezz'ora. Adesso vado a
chiamare
il mio amore, e ci organizziamo."
Estrasse
il telefono dalla
borsetta e compose un numero in fretta e furia.
"Pronto,
Dreeeeew?"
e sparì in cucina.
Fissai
Avril, ancora
completamente scioccata dalla scena a cui aveva assistito.
Come
me, d'altronde.
"Ti
prego, ti prego!
Posso non venire con voi?" le chiesi, quasi in ginocchio.
"E
lasciarmi da sola
nelle grinfie di tua sorella? No, grazie. La vita è
così. Io ti amo, tu mi ami.
Io sono felice, tu sei felice. Io devo subire una lunga e lenta tortura
a base
di shopping, e tu..."
"E
io devo subire una
lunga e lenta tortura a base di shopping, ho capito. Comunque,
è meglio se ci
andiamo a preparare. Non credo che accetterà un rifiuto
così facilmente."
dissi, sbuffando.
Mia
sorella era proprio una
rompipalle quando ci si metteva.
Va
bene...lo era sempre.
Esattamente
alle 09:01 ci
trovammo tutti e sei all'entrata del centro commerciale, "pronti" per
entrare.
Alcuni
(Annie e Char) erano
più allegri di altri (io con i miei fratelli e Avril).
Le
ragazze, nonostante
andassero a visitare i negozi assiduamente quasi ogni settimana, si
comportavano come se non facessero shopping da mesi.
Man
mano che il tempo
passava, si introducevano sempre più disperate, trascinando
anche Avril, in
sempre più boutiques, andando alla ricerca del vestito
perfetto tanto agognato.
Ovviamente,
noi ragazzi
eravamo gli addetti alle buste o, più semplicemente, i
portaborse.
Ci
dirigemmo verso un negozio
di scarpe, dove all'esterno trovammo la prima panchina libera.
Neanche
fossimo degli
assetati che scorgevano un'oasi nel deserto, corremmo tutti e quattro,
buste
comprese, verso la panchina.
"Vi
prego, basta."
disse Matt.
"Sì,
infatti, non ce la
faccio più." gli fece eco Drew.
"Ma
di che vi lamentate
voi?! Almeno non vi hanno vestito e rivestito dieci miliardi di volte
peggio di
un bambolotto!" si lamentò Avril.
"Certo
che quelle due
sono proprio perf-"
"Ehm
ehm..." Le
voci di Char e di Annie giunsero alle nostre spalle, facendo
interrompere la
frase di Matt immediatamente.
"Matt,
Drew, dovete
aiutare me e Annie a scegliere le scarpe più alla moda."
"No!"
"Nooo,
ma perché noi
due?" chiese Drew.
"Perché
sì. E adesso
muovetevi, forza!" ordinò Annie, autoritaria.
I
due poveretti, non vedendo
altre vie d'uscita, si alzarono laconicamente dalla panchina, e
seguirono le
ragazze.
Beh,
almeno io e Avril
eravamo soli, adesso.
"Allora,
che si fa? Li
aspettiamo fino a quando e soprattutto SE usciranno vivi da
quell'inferno?" mi chiese, appoggiando la testa sulla mia spalla.
"Mmh,
in realtà...io
un'idea ce l'avrei."
"Cioé?"
mi guardò
interrogativa.
"Seguimi.
Andiamo a
divertirci per conto nostro." le risposi, porgendole la mano per
aiutarla
ad alzarsi.
"Ma
Evan...Matt, Char,
Annie e Drew...non possiamo lasciarli qui."
"Preferiresti
continuare
a passare un pomeriggio intero tra tacchi e borsette?"
Rabbrividì
e mi rispose due
secondi dopo. "No no, accetto la tua proposta. Andiamo"
Le
passai il braccio attorno
alla vita e ci incamminammo per la nostra strada.
Non
avevo idea di cosa
avremmo fatto, ma volevo solo passare un pomeriggio in pace, lontano da
insanità mentali e shopping sfrenato.
Vidi
l'insegna luminosa di un
ristorante, il "Bonita Cocina", con un ragazzo vestito da hot dog
gigante che, all'esterno del locale, vendeva degli assaggini gratis.
Andammo
verso la sua
direzione, e prendemmo in mano degli assaggini.
Solo
che, invece di
mangiarli, li tirammo addosso al povero ragazzo, che, cercando di
difendersi,
cadde a terra rovinosamente!
Si
rialzò due secondi dopo,
quando, resosi conto della figuraccia che gli avevamo fatto fare,
iniziò a
chiamarci con i peggiori appellativi del mondo e a rincorrerci.
Ci
rifugiammo in un negozio
di articoli sportivi nelle vicinanze.
Ero
sicuro che Mr. Hot Dog
gigante non sarebbe mai venuto lì a cercarci .
Passammo
davanti a dei
manichini, e mi venne un'altra idea.
"Ti
va una
scommessa?"
Si
girò a guardarmi e alzò un
sopracciglio. "Che tipo di scommessa?"
"Devi
dare un pugno a
mani nudi sulla faccia di quel manichino." dissi, indicandolo.
"Se
perdi...dovrai fare
un dispetto a delle guardie che ho visto prima."
"E
se vinco?"
domandò, incrociando le braccia, divertita.
"Decidi
tu, tanto so già
che sarà impossibile." ribattei, sicuro.
"Mmh,
vediamo...dovrai
provare dei vestiti orrendi nel primo negozio in cui siamo andati con
Annie e
Char!"
"No,
ti prego, il
"Fashion City", quello con le commesse snob?" chiesi, scioccato.
"Esatto,
proprio quello.
E comunque, non deve preoccuparsi che io vinca, signor Taubenfeld, tanto sa già che sarà
impossibile."
mi disse, facendomi il verso.
Impugnò
un guantone da box
rosso e, in men che non si dica, lo buttò giù,
come se niente fosse.
Si
girò verso di me, con un
ghigno trionfante sul viso.
"Hai
visto? Ce l'ho
fatta!" mi disse, euforica.
"Già,
niente
male...peccato che io avessi detto a mani nude." le ricordai.
"Quindi,
il vincitore
sono io!"
"Ehi,
la scommessa
riguardava il pugno e il manichino, e io, come puoi ben vedere, l'ho
steso in
meno di un secondo."
"Sì,
ma io avevo
detto..."
"Ok,
ok, facciamo così.
Paghiamo pegno tutti e due. Prima i tuoi splendidi
vestiti, e poi il mio dispetto alle guardie."
"Ma
io..."
"Ssh,
niente ma.
Andiamo!" Chiuse ogni mia possibilità di fuga e mi
trascinò verso l'odiato
negozio.
Maledetta
la mia boccaccia!
Ma perché perdevo sempre una buona occasione per stare zitto?
Entrammo
nel negozio
dall'inquietante insegna rosa.
Avril
si rivolse alle
commesse, e chiese:"Scusate, dov'è il reparto uomini?"
Prima
di rispondere, ci
squadrarono per due minuti buoni dalla testa ai piedi, e alla fine, ci
dissero,
quasi disgustate per il nostro cattivo
gusto:"Da quella parte."
La
mia stella non perse il
suo tempo in ringraziamenti inutili, e mi tirò nella
direzione indicata.
"Ah,
ecco i camerini. Tu
siediti sui divanetti, che io intanto scelgo i vestiti." mi disse,
allontanandosi.
Roteai
gli occhi, scocciato.
Conoscendola,
sapevo a quali
tipi di vestiti avrebbe puntato.
Ritornò
cinque minuti dopo,
con delle cose...veramente orribili.
"Non...non
dirmi che mi
devo provare questa roba!" gridai.
"Perché
no?
Starai...bene." mi rispose, prendendomi per il culo. "Dai, vai,
infondo non è niente di così tragico." Mi spinse
nel camerino, ridendo.
Presi
il primo...abito.
Ovviamente,
era un vestito da
donna.
Che
peste!
Si
trattava di una lunga
vestaglia bianca, con un cappellino marrone scuro e uno scialle
azzurrino
chiaro.
"Avril...devo
proprio
uscire?" la pregai.
"Certo,
voglio vedere
come ti stanno."
"Ma...è
da donna!"
dissi, tentando di farla ragionare.
"E
allora? Ti starà
benissimo."
Perfetto,
altra presa per il
culo, altro giro.
Nascondersi
nel camerino era
inutile, tanto valeva togliersi subito il dente.
Così,
presi un bel respiro,
mi feci coraggio, ed uscii.
Almeno
questa tortura sarebbe
finita prima.
Alzai
lo sguardo verso Avril,
e con voce ferma, quanto incazzata, le dissi:"NON. RIDERE."
"N-no,
no...non
voglio...ehm...ridere." mi rispose, facendosi scappare un risolino.
"Va
bene, ora posso
andarmi a provare l'altro?"
"Sì,
certo...SIGNORA
TAUBENFELD!"
"Avril...me
la pagherai
cara..."
"Non
vedo l'ora, amore."
Ritornai
nel camerino, e
provai il secondo abito.
Beh,
almeno questo era da
uomo.
Uscii,
e mi preparai a vedere
la sua faccia.
...Purtroppo,
nessuna delle
mie previsioni eguagliò la realtà.
Scoppiò
a ridere due secondi
dopo avermi visto.
"Ahahahah,
oddio, con
quel cagnolino sul maglioncino nero sembri un pensionato il giorno di
natale!
Ahahahah."
E
no eh! Adesso basta!
Mi
rivestii in fretta, e le
dissi:""Ah si? Adesso ti faccio vedere io chi è il
pensionato!"
La
presi dalla pancia, e me
la caricai sulle spalle, portandola verso l'uscita.
Inutile
descrivere il modo in
cui ci guardarono le commesse.
"No...basta
Evan.
Ahahahah, mettimi giù!" mi implorò.
"Assolutamente
no. Dopo
aver provato questi vestiti orribili, la mia fedina penale
sarà
irrimediabilmente compromessa. Ho detto che me la pagherai...e adesso,
con
quella guardia, lo farai."
La
misi giù, e indicai i due
uomini in divisa.
"Li
vedi quei due? Ecco,
il tuo pegno consiste nel rubare la stecca di cioccolato al poliziotto
che sta
mangiando."
"Ma...mai
sei pazzo?
L'hai visto? Sarà almeno...il doppio di me!"
"Ti
devo ricordare il
modo in cui mi hai fatto vestire?"
"Va
bene, vado, non c'è
bisogno."
La
vidi avvicinarsi ai due,
con aria apparentemente tranquilla.
Poi,
però, appena si avvicinò
all'uomo che le avevo indicato, rubò la stecca di
cioccolato, e corse via.
Il
poliziotto, appena capì
cosa aveva fatto, le si scagliò contro e
incominciò a inseguirla dappertutto.
"Vieni
da questa
parte!" le gridai, mentre correvamo entrambi per non farci prendere.
Salimmo
velocemente le scale mobili,
stando attenti a non inciampare.
Nonostante
tutto, il
poliziotto era ancora alle nostre calcagna.
"Avril,
ho un'idea! Io
prendo la bici, tu quel go-kart. Così andiamo più
veloce e riusciamo a
seminarlo."
Si
fiondò sul go-kart, mentre
io incominciai a pedalare verso l'uscita.
Le
sue capacità
automobilistiche erano innegabili.
Andava
a sbattere contro
qualsiasi cosa, sia che fosse un muro, sia che fossero delle scatole.
Non
so come, arrivammo
all'uscita e abbandonammo i nostri "mezzi di trasporto".
Decidemmo
di ritornare verso
casa a piedi, una piccola passeggiata mano nella mano non ci avrebbe
fatto di
certo male.
All'improvviso,
però, il suo
telefono squillò, e lesse velocemente un messaggio.
Quando
rialzò la testa, non
aveva più la stessa espressione felice e spensierata di
prima.
Sembrava
che volesse dirmi
qualcosa...e questa cosa, non sapevo ancora perché, non mi
sarebbe piaciuta.
"Ehm...Evan...ti
posso
dire una cosa?"
"Sì,
certo. Dimmi."
"Sai,
ieri all'uscita di
scuola ho incontrato un ragazzo che mi, o meglio ci ha, proposto una
cosa. Lui
ci aveva visto il primo giorno di scuola, con gli skateboards, ti
ricordi?"
"Sì,
certo che mi
ricordo. Ma che c'entra questo?"
"Beh,
lui mi aveva
chiesto se io e te volessimo partecipare ad una gara."
"Che
genere...di
gara?" La fissai negli occhi, sapendo già dove volesse
andare a parare, ma
sperai fino all'ultimo che non lo dicesse.
"Una
gara...clandestina." mi rispose, abbassando lo sguardo.
La
presi per le spalle, e
quasi gridai:"No, Avril, no!"
Sgranò
gli occhi,
probabilmente perché non si aspettava una reazione del
genere da parte mia, ma
non me ne curai e continuai il mio discorso. "Non voglio che partecipi
a
questo genere di cose, può essere pericoloso."
"Ma...io
ci andavo già a
Napanee, e non mi ê mai successo niente."
"Ma
una volta non è
uguale all'altra! Chi ti dice che se a Napanee non ti è mai
successo qualcosa,
non ti accadrà niente anche a questa gara? Basta, non voglio
andarci e
tantomeno voglio che ci vada tu. Il discorso è chiuso."
Mi
fissò negli occhi, si
liberò dalla mia presa e abbassò lo sguardo,
prima di sussurrare:"Va bene,
non ci andrò." e di camminare un po' più avanti
rispetto a me.
Quella
frase, anziché
rassicurarmi, mi destabilizzò ancora di più.
Perché
sapevo che non sarebbe
andata così?
Perché
sapevo che mi stava
mentendo?
|
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Capitolo 37 *** I'm losing my grip ***
Buona
domenica mattina, little black stars!
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Beliectioner_FE_love_FE - Curly_Boy14 - Glaphyra - Look_at_the_sky - Mirianalol -nunueroby
- Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- avrilismylittleangel-
nunueroby
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Brazza - Hakkj - icon of the darkness - itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky – Mary_Malik –Mirianalol–nunueroby– RamonaLBS – SaraHappenin
Uhm…uhm…Allora,
ho sentito i leak del
nuovo album.
So
già qual è la mia canzone
preferita, Hush Hush.
Non
dirò niente, non voglio rovinare l’attesa
a quelle persone che stanno aspettando l’uscita ufficiale per
sentire le
canzoni.
Se
volete chiedermi parere sull’album,
inviatemi un messaggio in privato, e io vi risponderò ^_^.
Detto
questo, auguro una buona lettura
a tutti, ci vediamo giù!
Pov
Avril
Me
ne stavo seduta a gambe
incrociate sul letto, vedendo la mia camera illuminata dalla tenue luce
del
giorno.
Guardai
l'orario sul comodino.
Erano le 10:19 di Domenica mattina.
In
casa regnava il silenzio,
non c'era neanche un piccolo fruscio di vento a farmi compagnia.
Era
quello il momento che
odiavo di più, durante le giornate.
Il silenzio.
Quel
momento in cui nessuno
sembrava notarmi, in cui le emozioni si facevano più intense
e travolgenti, in
cui restavo da sola, con i miei pensieri che diventavano sempre
più
incontrollabili.
La
mia mente si era
unicamente focalizzata su quello che mi aveva detto Evan, quando
eravamo usciti
dal centro commerciale.
"Non
voglio che
partecipi a questo genere di cose, può essere pericoloso."
"Chi
ti dice che se
a Napanee non ti è mai successo qualcosa, non ti
accadrà niente anche a questa
gara? Basta, non voglio andarci e tantomeno voglio che ci vada tu. Il
discorso
è chiuso."
Sospirai,
avvicinando le ginocchia al petto.
Giusto
due secondi prima di avere questa discussione, mi era arrivato un
messaggio da
Gabriel.
"Ciao,
sono io.
Volevo dirti che la gara è domani alle 11, allo Skateboard
Ramp Rental, e spero
che tu parteciperai. Non ero presente quel giorno a scuola, ma da
quello che mi
hanno raccontato, devi essere davvero forte. Devi avere il coraggio di
combattere per le tue passioni, fallo per te stessa!"
Quel
messaggio mi aveva
veramente colpito.
Aveva
perfettamente descritto
la mia situazione in un solo messaggio.
Sapevo
già che non avrebbe
mai accettato, ma avevo provato lo stesso a fare un tentativo.
Volevo
che lo sapesse, perché
volevo condividere una delle mie passioni con lui, per costruire
insieme un
legame ancora più profondo.
No.
Per
lui non si poteva fare,
diceva che era troppo pericoloso.
Non
riuscivo proprio a
capirlo.
Cosa
c'era di male
nell'andare lì e nel provarci?
"Ma dai, non lo fa per cattiveria.
Lo fa solo per
te, per proteggerti." avevo
pensato durante la notte passata insonne, cercando di auto-convincermi
che
fosse così.
Alla
fine, ero arrivata ad un'unica
conclusione.
Forse
intenzionalmente, forse
no, cercava di difendermi a modo suo, tenendomi sotto una campana di
vetro
impenetrabile e indistruttibile.
Pensavo
che mi sarebbe piaciuto
sentire questo senso di protezione su di me, ma mi sbagliavo.
L'unico
desiderio che provavo
adesso era di infrangere le regole, di evadere, di tornare a
concentrarmi sulle
mie passioni.
Da
quando ci eravamo
fidanzati avevo sempre pensato a noi due come una cosa sola, come
un'unica
entità, trascurando anche un po' me stessa.
Egoista?
Forse,
ma non m'importava.
In
fondo, che c'era di male
nel comportarsi come la ragazzina ribelle che ero sempre stata soltanto
per un
giorno?
Niente, mi
diceva il cuore.
Tutto, suggeriva
invece il cervello.
Sospirai
ancora, guardando il
cielo azzurro che si poteva scorgere dalla mia finestra.
Dannati conflitti interiori.
Sorrisi
leggermente.
Una
volta non ci avrei
pensato neanche due volte, prima di prendere lo skate e correre.
Adesso...Beh,
adesso era
tutto diverso.
Dovevo
ammetterlo, ero
cresciuta. E non parlavo della mia statura, per quello non c'era
già più
speranza da parecchi anni ormai.
Parlavo
del mio carattere che
si era fatto più forte, dei miei pensieri che, in qualche
modo, si erano fatti
più maturi.
Ero
cambiata, d'accordo, ma
quanto potevo sbagliare nell'infrangere una piccola promessa e nel
voler ritornare
per poche ore com'ero prima?
Dov'era
finita la vecchia
Avril?
La
risposta era una sola.
Alla rampa.
**
Correvo
veloce, superando
tutte le macchine che suonavano impazzite il clacson dietro di me.
I
capelli erano completamente
in balia del vento, mentre le mie orecchie erano totalmente rapite da
una canzone
mai sentita
prima.
Sei
consapevole di come mi fai sentire, baby?
Ora
mi sento invisibile per te, come se non esistessi
Non
mi hai sentito stringere le mie braccia attorno a te
Perché
te ne vai?
Qui
c'è quello che devo dirti
Sono
stata lasciata qui a piangere, aspettando qui fuori
Bruciando
con uno sguardo perso
Fu
allora che decisi.
Perché
dovrei preoccuparmi?
Perché
tu non eri qui quando ero spaventata
Ero
così sola.
Tu,
tu devi ascoltarmi
Sto
andando fuori di testa, sto perdendo il controllo
E
sono sola in questa situazione
E
sono solo una ragazzina che tu hai messo accanto a te
Per
prendere il posto di qualcun'altra
Quando
ti volti puoi riconoscere la mia faccia
Eri
abituato ad amarmi, eri abituato ad abbracciarmi
Ma
non era questo il caso
Niente
era okay
Sono
stata lasciata qui a piangere, aspettando qui fuori
Bruciando
con uno sguardo perso
Fu
allora che decisi.
Perché
dovrei preoccuparmi?
Perché
tu non eri qui quando ero spaventata
Ero
così sola.
Tu,
tu devi ascoltarmi
Sto
andando fuori di testa, sto perdendo il controllo
E
sono sola in questa situazione
Piangere
senza farsi sentire
Sto
piangendo senza farmi sentire
Piangere
senza farsi sentire
Sto
piangendo senza farmi sentire
Apri
gli occhi
Apriti
completamente
Perché
dovrei preoccuparmi?
Perché
tu non eri qui quando ero spaventata
Ero
così sola.
Perché
dovrei preoccuparmi?
Perché
tu non eri qui quando ero spaventata
Ero
così sola.
Perché
dovrei preoccuparmi?
Se
tu non ti preoccupi allora neanche io mi preoccupo
Non
andremo da nessuna parte.
Certo,
adesso ero sola, senza
che nessuno sapesse dove mi trovavo o che cosa stessi facendo.
Stavo
perdendo il controllo
di me stessa?
Potevo
o dovevo farlo, solo
per qualche ora?
Stavo
infrangendo tutte le
regole, persino quelle più basilari, ma non m'importava.
Per
poco tempo, volevo di
nuovo ritornare ad essere la ragazza spregiudicata che ero stata.
Prima
di trasferirmi qui.
Prima
di incontrare lui.
Quella
stessa persona a cui
ero grata, e che adesso stavo tradendo.
Quella
stessa persona a cui
avevo fatto una promessa, che mi pesava mantenere.
Dopo
qualche minuto, arrivai
alla rampa, trafelata per la corsa che avevo fatto.
Proprio
all'entrata,
incontrai Gabriel.
"Ciao
skater, sapevo che
saresti venuta!"
Non
avevo proprio voglia di
fare conversazione. "Sì, certo, ma se te lo chiede
qualcuno... Io non ho
mai messo piede qui, chiaro?"
Mi
sorrise, e fece finta di
chiudersi la bocca come se fosse stata una zip.
"Bene.
Dove devo
andare?" gli chiesi.
"Lì,
alla linea di
partenza." mi rispose, indicandomi con un dito l'enorme striscione
bianco.
"Preparati, tra cinque minuti si inizia." disse, facendo l'occhiolino,
e andando verso altri ragazzi.
Raggiunsi
una delle tanti
postazioni presenti, e posai il mio skate per terra.
Sentivo
già l'adrenalina
scorrermi nelle vene.
Per
distrarmi un po', accesi
il cellulare, giusto per vedere se qualcuno si era accorto della mia
assenza.
Inutile
dire che il mio
pensiero andò subito ad una persona in particolare.
Appena
il mio telefono riprese
vita, trovai subito delle chiamate e dei messaggi.
17
chiamate perse e 4
messaggi non letti.
Era
tutta roba sua.
Beh,
almeno lui se n'era
accorto.
Decisi
di dare uno sguardo ai
messaggi.
I
primi erano abbastanza
tranquilli, ma man mano che le parole scorrevano, si alzavano i toni.
"Ehi, sono io. Scusami per ieri, ho
esagerato.
Che ne dici se ci incontriamo e facciamo pace?"
"Ho provato a chiamarti, ma non mi
rispondi. Ti
prego, mi dispiace, lo so che sei arrabbiata, ma almeno non farmi stare
in
pensiero."
"È da due ore che provo
a mettermi in contatto
con te. Ora basta, non ce la faccio più."
"Ho chiamato i tuoi, non riuscivo
più a
resistere. Mi hanno detto che a casa non ci sei, e che non sanno dove
tu possa
esserti cacciata. TI PREGO, TI SCONGIURO, NON ANDARE LÌ!
Fallo per noi... Fallo
per me."
Troppo tardi, adesso... pensai, prima di spegnerlo
definitivamente, e di concentrarmi
sulla gara a cui stavo partecipando.
Osservai
prima di tutto il
tracciato.
C'erano
molti ostacoli,
alcuni anche difficili da superare, se non si prestava la dovuta
attenzione.
In
altri punti, invece, c'era
un ampio margine di distanza tra un ostacolo e l'altro, e questo
significava
che potevo dare più spinta con il piede, ed andare
più veloce.
Anche
qui, però, dovevo stare
attenta. C'era stato un violento acquazzone durante la notte, il che
rendeva
tutto più scivoloso.
Chiusi
gli occhi, ed espirai
profondamente.
Il
cuore mi batteva forte,
come non aveva mai fatto prima. Persino senza appoggiare la mano al
petto,
riuscivo a sentirlo.
Le
mie mani incominciarono a
sudare, e strinsi i pugni, mentre il respiro si faceva sempre
più irregolare.
Ma
che mi stava succedendo?
Non mi ero mai sentita così prima di una gara.
Inspirai
ed espirai più
volte, cercando di calmarmi.
Tentativo
totalmente inutile.
Aprii
gli occhi di scatto, e puntai
lo sguardo sulla grande bandiera a scacchi che si apprestava ad essere
abbassata, ignorando tutta l'ansia che si agitava dentro di me.
Caricai
la gamba destra, per
avere uno slancio maggiore, in modo da staccare già in
partenza gli altri.
La
bandiera toccò finalmente
terra, e partii un secondo dopo.
Solo
altri due partecipanti
avevano avuto la mia stessa prontezza di riflessi, ed ero leggermente
dietro di
loro.
Altri,
per loro sfortuna, non
erano stati altrettanto pronti, e potevo anche non considerarli
più. Non ce
l'avrebbero mai fatta a superarmi.
Non
conoscevo bene la rampa,
e così seguì per un po' i ragazzi che erano di
fronte a me. Superai un paio di
ostacoli veramente elementari, proseguendo il percorso.
Imboccai
una curva, secca ed
improvvisa, attraverso cui riuscii a passare all’interno
della traiettoria del
primo skater davanti a me che, preso in contropiede, non era riuscito
ad
ostruirmi il passaggio.
Bene, fuori uno. Grazie, piccola
stella.
Adesso
si trattava solo di
superare l'altro, e di passare in testa.
Prima
curva. Gli ero sotto, stavo
quasi per superarlo, ma poi recuperò qualcosa tra una curva
e l’altra.
Non
mi diedi per vinta, ovviamente.
Alla seconda curva, infatti, riuscii ad infilarmi, superandolo.
Non
gioii, la strada era
ancora tanta da fare e lo skater potrebbe giocarmi un tiro mancino in
qualunque
momento, in un qualunque punto del percorso.
Dopo
qualche minuto mi
affiancò, ma riuscii a staccarlo un po’.
Per
le restanti curve, cercò
di sorpassarmi, e ci riuscì nel punto più alto,
prima della discesa.
Eravamo
all’ultima curva
prima dell’arrivo, qui si sarebbe decisa la gara.
Non
ero ancora riuscita a superarlo,
anche se comunque gli stavo davvero alle calcagna.
Improvvisamente,
vidi che,
invece di continuare ad andare dritto, che sarebbe stata la via
più breve per
arrivare primi, girò verso sinistra, allungando, e non di
poco, il percorso.
Invece
di cantare vittoria,
ci riflettei un attimo.
Lo
skater, chiunque fosse, si
era dimostrato davvero bravo.
Aveva
un ottimo controllo
della tavola e del proprio corpo, quindi... perché scegliere
la via più lunga,
quando davanti a te hai un pass diretto per la gloria?
Alzai
lo sguardo, per vedere
cosa mi aspettasse a quell'ultima curva.
Oh. Ecco perché.
Eccolo
lì, l'ultimo ostacolo,
che aveva fatto scappare persino quello che mi era sembrato il
corridore più
forte.
Davanti
ai miei occhi, si
stagliava una rampa di scale, con un corrimano grigio e arrugginito, e
c'era un
solo modo in cui poteva essere superato.
Inutile
dire che una forte
sensazione di dejà-vù mi colpì in
pieno.
Solo
allora mi resi conto
che, per quanto il mio desiderio di voler ritornare alle origini si
fosse
avverato, sarebbe rimasto incompleto, spezzato a metà.
Lui
non c'era, ed io stavo
affrontando questa gara da sola.
Una
gara che, però, avrei
sicuramente vinto.
Come
a scuola, corsi verso la
scalinata e feci un’ultima pressione sulle mie gambe,
sufficiente a farmi fare un
ampio balzo, e a farmi scivolare sul ferro del corrimano.
In
un primo momento mi lasciai
trascinare dal mio skate, ma poi... qualcosa cambiò.
Il
corrimano, reso scivoloso
dalla pioggia caduta nella notte precedente, fece slittare le ruote con
un
rumore assordante, facendomi mancare improvvisamente l'equilibrio.
Il
mio skate schizzò via, in
avanti, mentre, proprio come il peggiore degli incubi, caddi a terra
rovinosamente, urtando la schiena contro la strada. Soffocai un urlo.
Bastò
un secondo, solo uno.
Senza
avere la possibilità di
mettere le mani davanti, per proteggermi anche solo un poco dalla
caduta, battei
il retro della mia testa contro l'asfalto duro e freddo della rampa.
Alcuni
ragazzi si
avvicinarono, probabilmente attirati dal rumore, ma non riuscivo a
distinguere
i loro visi.
Tutto
davanti a me incominciò
ad offuscarsi, a mischiarsi, a confondersi.
Riuscii
a distinguere solo
alcune grida ovattate, soffuse, come se stessi pian piano abbandonando
questo
mondo.
Tutti si meritavano di avere una
seconda possibilità.
Tutti dovevano avere
l’opportunità di rimediare agli errori
commessi.
A tutti, almeno una volta nella
vita, doveva essere
data l’occasione di rialzarsi e di affrontare le
difficoltà della vita, andando
avanti e superandole.
A tutti, mi dicevo, ma non a me.
Non potevo essere così
fortunata, mi dicevo, perché adesso,
guardando la mia piccola stella nera sul polso sinistro, stesa a terra,
capivo
quanto io potessi essere stata stupida e superficiale.
Perché lui me
l’aveva detto, lui mi aveva avvertito.
E io, nel più stupido
dei modi, gli avevo fatto una
promessa, che sapevo fin dall'inizio non sarebbe mai stata mantenuta.
Ma le promesse erano fatte per
essere infrante, no?
No.
Le promesse, quelle fatte con il
cuore, andavano sempre
mantenute e rispettate.
Improvvisamente, sentii una voce,
la sua, chiamarmi.
“Avril! Avril!”
Eccolo, lo sentivo. Era incredibile
quanto potessi
riuscire a sentirlo vicino.
“Sei
qui…” mormorai appena.
“Si amore, sono qui, sono
qui…”
“Ti
amo…” ebbi solo la forza di dirgli.
Poi, finalmente, il buio
calò su di me.
Alla
fine, il controllo,
l'avevo perso davvero.
…Ok,
non mi scannate! Siate buoni… Allora, vi spiego. Non so se a
questo punto sarà chiaro, ma tutta la ff in
realtà dura pochissimo. Dal primo
capitolo, è partito tutto un luuuunghissimo flashback, che
si conclude qui, in
pratica. Sono partita da questo punto specifico, per poi sviluppare
tutti i
capitoli.
Bene,
ultima cosa.
Voglio
ringraziare tantiiissimo una ragazza, Anna, per i
complimenti dolciosi che mi fa ç__ç
Mi
raccomando, iscriviti presto che voglio vedere il tuo nome
sulle recensioni che leggo.
Bueno
(?), evaporo.
Buona
giornata!
Cruel
Heart.
P.S.
Ribadisco, se volete contattarmi tramite facebook, potete
farlo con il link che ho aggiunto alla pagine dell’autore di
efp.
|
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Capitolo 38 *** When you're gone ***
Buon giovedì, little black stars!
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Beliectioner_FE_love_FE - Curly_Boy14 - Glaphyra - Look_at_the_sky - Mirianalol -nunueroby
- Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- avrilismylittleangel-
nunueroby
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Brazza - Hakkj - icon of the darkness - itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky – Mary_Malik –Mirianalol–nunueroby– RamonaLBS – SaraHappenin
Alluora,
per il nuovo album… mi sono
innamorata anche di Falling Fast, non so se l’avete sentita
anche voi.
E’
bellissima *-*
Poi,
passando al capitolo.
Scusatemi,
ma è venuto uno schifo, e
in più è più corto rispetto agli
altri, causa compito di filosofia T.T
(Glaphyra, mi dici in cosa consiste la filosofia eraclitea? xD)
Non
sono riuscita a fare di meglio.
La
canzone sarà When You’re Gone (pianti tra
3…2…1…), ed è
importantissimo che la
ascoltiate!
Questa,
però, non sarà la versione
normale, ma una versione maschile *-*
Fate
finta che sia Evan, così sarà
ancora più commovente ç.ç
Il
cantante ve lo dirò alla fine,
così non vi rovinerò la sorpresa.
Buona
lettura!
Due
mesi dopo...
Pov
Evan
La
solita fredda e dura sedia
di plastica accoglieva il mio corpo, vuoto da più di due
mesi ormai.
Le
tenevo la mano, come
sempre, accarezzandone dolcemente il dorso con il pollice.
La
sua pelle era ancora
liscia e profumata, ma, adesso, completamente priva di una qualsiasi
forma di
vita.
Quella
vita che mi aveva
permesso di conoscerla, quella vita che mi aveva permesso di ammirarne
pregi e
difetti, portandomi ad aprirle tutto il mio cuore e a confessare i
sentimenti
che provavo per lei.
Quella
stessa vita che,
adesso, era appesa ad un filo.
Un
filo sottile, invisibile,
quasi lacerato, come la mia anima, che non trovava pace tra le fiamme
insuperabili
che il destino aveva posto sul nostro cammino.
Era
bastato un minuto, uno
solo, per rovinare tutto.
In
fondo, cosa rappresentava,
per me, un minuto?
Era
solo una stupida unità di
misura, inventata da chissà chi, chissà quando e
chissà dove, in cui l'essere
umano non poteva svolgere una determinata attività,
perché il lasso di tempo era
troppo breve.
Avrebbe
potuto essere una
buona risposta, se non fosse stato per il fatto che fosse completamente
sbagliata.
In quella stupida unità
di misura,
tutto era cambiato.
In quel lasso di tempo troppo breve, il mondo mi era crollato addosso,
senza che me ne
accorgessi.
Fissai,
ma solo per un
attimo, il piccolo monitor che segnava le funzioni di Avril, e che
scandiva
ogni pulsazione del suo piccolo cuore con un "bip".
Ricordavo
ancora quel dannatissimo
giorno in cui successe tutto.
Era
scolpito nella mia
memoria.
Ogni
volta che quei secondi mi
ritornavano in mente, cercavo di scandirli, immagine per immagine,
fotogramma
per fotogramma, affinché la vista di ogni maledettissimo
frammento mi perforasse
la pelle del petto come un coltello e mi facesse male.
Perché,
dopotutto, la colpa
era solo mia.
Perché,
nel più stupido dei
modi, non ero riuscito nell'unico compito che mi ero ripromesso di
adempiere.
Quello
di renderla felice.
La
caduta dal corrimano all'asfalto
era stata breve, ma era il modo in cui aveva subìto
l'impatto, che rendeva la
situazione critica.
Il
verdetto dei medici era stato
uno solo: trauma cranico dovuto ad un danno celebrale grave.
Tempo
previsto per la
guarigione: indefinito.
Esito
finale: dal recupero
completo di tutte le funzioni, fino alla disabilità
permanente oppure... alla
morte .
Deglutii
a vuoto, stringendo forte
il lenzuolo verde scuro che contrastava con il bianco pallido e
marmoreo della
sua pelle.
No,
non dovevo neanche pensarla
una cosa del genere.
Non
sapevo se credere alla
speranza, che mi diceva che tutto sarebbe andato per il meglio.
Non
sapevo se credere a tutte
le persone che mi stavano vicine, che mi dicevano che non dovevo mai
smettere
di avere fiducia in un possibile miglioramento.
Oppure,
non sapevo se credere
a quell'entità malvagia e crudele che era la
realtà, che mi ricordava di secondo
in secondo, di minuto in minuto, di giorno in giorno, che la mia
piccola e
dolce stella, nonostante tutto, stesse ancora in quello stato di coma.
Incrociai
le braccia sul lettino,
continuando a tenerle la mano con la sinistra e appoggiando
placidamente la
testa sulla destra.
Chiusi
per un attimo gli
occhi, nella speranza che la mia mente si liberasse da tutti i pensieri
e mi
lasciasse un po' riposare.
Negli
ultimi mesi, l’insonnia
era diventata la mia unica compagna di viaggio.
Un
viaggio che speravo
potesse concludersi il più presto possibile...o che poteva
durare per tutta la
vita.
Quando te ne sei andata, i pezzi
del mio cuore hanno
sentito la tua mancanza.
Quando te ne sei andata, mi
è mancato il volto che
conoscevo ed amavo.
Quando te ne sei andata, mi sono
mancate le parole che
avevo bisogno di sentire per farmi andare sempre avanti fino alla fine
della
giornata.
Mi manchi, Avril.
***
Tutto
a un tratto spalancai
gli occhi, poiché avevo sentito di un forte rumore dietro di
me. Sembrava come
se una porta fosse stata chiusa.
Mi
resi conto di essermi
addormentato, e alzai di scatto la testa.
Mi
guardai intorno, e vidi mia
sorella Annie che, alle mie spalle, mi fissava addolorata,
più alcuni medici,
dall'aria comprensiva, ma allo stesso tempo molto distaccata.
"Signor
Taubenfeld, io e
la mia squadra dovremmo effettuare dei controlli sulla signorina
Lavigne."
Feci
un profondo respiro ed espirai
lentamente, lasciando che il mio sguardo percorresse il corpo di Avril.
Strinsi
forte la sua mano
nella mia, sperando che, all'ultimo secondo, potesse ricambiare la mia
stretta.
Speranza
che, naturalmente, non
si avverò.
Mi
alzai lentamente dalla
sedia, con le gambe che mi formicolavano, per il molto tempo ero
rimasto lì
seduto nella stessa posizione.
Abbassai
la testa, e,
avviandomi verso l'uscita, sussurrai con la poca voce che mi era
rimasta:"Bene. Vi lascio soli."
Uscii
da quella stanza
infernale, con gli occhi che incominciarono a pizzicare, mentre mi
aggrappavo
alla mano che mia sorella mi stava tendendo.
Pov
Annie
Evan,
negli ultimi mesi, era
stato travolto da una molteplicità di emozioni e sentimenti
totalmente contrastanti,
che lo avevano portato a passare varie fasi.
All’inizio,
fu la negazione a
sovrastarlo. Tentava di negare l'accaduto.
Si
chiedeva spesso se la
causa del mancato risveglio di Avril fosse l'intervento sbagliato dei
medici, o
di farmaci non idonei, o ancora del modo, secondo lui "sgarbato e privo
di
tatto", con cui i medici la trattavano.
Poi
era comparsa la rabbia e
la paura. Si condannava per quello che aveva fatto.
A
volte se la prendeva con me,
con Matt o con chiunque gli capitasse a tiro, e non sapevamo come
calmarlo.
Spesso
si era chiesto perché
era toccato proprio a lui, perché il destino si fosse
accanito così
tanto contro di loro.
Finita
la fase della rabbia e
della negazione, comparve un forte senso di sconfitta, di rifiuto e la
chiusura
in sé stesso. Aveva preso consapevolezza del corpo di Avril
e del suo stato di
salute, e si rendeva conto che, contro quel male, non aveva nessun
potere
decisionale.
Aveva
capito che la ribellione
era inutile, e che niente dipendeva da lui.
Per
questo, tutta la rabbia che
aveva dentro, venne sostituita dal senso di abbattimento e dalla
depressione.
Ora,
era nella fase di
accettazione. Era consapevole di ciò che le stava accadendo,
e alternava spesso
momenti di silenzio e riflessione con se stesso, a momenti di
comunicazione con
me e Matt, che eravamo le persone più vicine a lui.
Con
questi suoi continui
sbalzi di umore, era impossibile capire in pieno quello che stava
pensando,
malgrado vivessi tutto il suo dolore direttamente con lui.
Volevo
iniziare un discorso,
ma mandò all'aria tutto, poggiandosi sulla mia spalla, e
cominciando a
singhiozzare pesantemente per un paio di minuti.
"Ehi,
Evan, basta
piangere." sussurrai.
Pov
Evan
"Evan,
basta piangere. Non
ti devi arrendere, trova la forza in te stesso per andare avanti. Fallo
per te.
Fallo per lei." disse, facendomi sollevare la testa dalla sua spalla.
"Asciuga
quelle lacrime,
lei non avrebbe mai voluto vederti così.
Devi
essere forte.
Devi
lottare per tutti e due
e superare quest'ostacolo grazie all'amore che vi ha unito e che vi
unisce
tutt'ora.
Continua
a tenere duro, perché
sai che ce la farà, e che ce la farai anche tu.
Non
sei solo, e non lo sarai
mai.
Siamo
insieme, ed io sarò al
tuo fianco. Sempre."
All'improvviso,
nella stanza,
vidi i medici farsi sempre più irrequieti, più
agitati, più frenetici nei loro
movimenti...
Non
sapevo il perché, ma continuavano
a fissare il monitor che segnava le funzioni vitali di Avril
Poi,
lo capii, il motivo.
Tutto...era
diventato così
semplicemente surreale. Solo in quel momento, mi resi conto di cosa
fosse davvero
la vita.
Un bip...più lungo degli
altri.
La vita era un dono.
"Dottore,
presto! È in
arresto cardiaco!"
La vita era un regalo inaspettato e
non richiesto.
"Datemi
un
defibrillatore, ora!"
Era una farfalla che, se non
l'acchiappavi in tempo,
ti sfuggiva tra le dita.
"Libera!"
Era un'esperienza meravigliosa, che
si meritava
soltanto giorno dopo giorno.
"Ancora,
libera!"
Azione dopo azione.
"Dottore,
la stiamo
perdendo…Faccia qualcosa!"
Lacrima dopo lacrima.
Allora,
se siete ancora vivi dopo
questa fine, vi dico chi è il cantante.
Il
cantante…è…Avril!
La
versione era l’originale di WYG,
ma l’audio è stato modificato e abbassato di
qualche ottava, per rendere la
voce maschile ^_^
Ok,
ci vediamo al prossimo capitolo, perché
la ff non è ancora finita!
Preparatevi
psicologicamente, la
canzone del prossimo sarà Slipped Away.
Non
mi scannate!
Cruel
Heart.
P.s.
Anna, viva le cime di rapa! (?)
|
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Capitolo 39 *** Slipped away ***
Buon
sabato a tutti!
Ringrazio
chi ha messo questa ff tra:
- i
preferiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Beliectioner_FE_love_FE - Curly_Boy14 - Glaphyra - Look_at_the_sky - Mirianalol -nunueroby
- Solluxy
- i
ricordati:- Look_at_the_sky
- avrilismylittleangel-
nunueroby
- i
seguiti:- AliceKeepHoldingOn - avrilismylittleangel
- Brazza - Hakkj - icon of the darkness - itwasworthallthewhile
- Look_at_the_sky – Mary_Malik –Mirianalol–nunueroby– RamonaLBS – SaraHappenin
Allora,
vi volevo parlare brevemente
dei ringraziamenti di Avril nel booklet.
Ho
sentito molte polemiche,
specialmente sul fatto che non ha speso ringraziamenti per noi fans.
Addirittura
ci sono persone che non vogliono più comprare
l’album per questo.
La
mia opinione è che la musica di un
cantante, se piace davvero, deve essere supportata sempre,
indipendentemente
dal comportamento che quest’ultimo ha.
Non
volete comprare l’album? Bene,
sappiate solo che così le vendite scenderanno e Avril non
verrà di certo
chiedervi scusa perché si è dimenticata di
inserirci tra i ringraziamenti.
Well,
mi sono sfogata.
Passando
al capitolo… pronti per la “male
version” di Slipped Away?
Io
no D:
Ok,
prima di lasciarvi, chiedo scusa
a tutte le persone che ho fatto andare in analisi (?) con gli ultimi
capitoli,
me compresa.
Buona
lettura.
Avril Lavigne –
Slipped Away (Male
Version)
Pov
Evan
No...
N... Non poteva essere... Non
poteva essere vero!
Mi
mancava l'aria, non riuscivo
più a respirare...
Le
gambe, le braccia, tutto mi
tremava... ma dovevo fare qualcosa, dovevo sapere.
Mi
fiondai come un forsennato
nella piccola stanza da cui ero appena uscito, e osservai il suo corpo
steso
sul lettino.
I
medici si muovevano frenetici,
senza sosta. Le loro grida si accalcavano l'una sull'altra, si
confondevano, si
mischiavano...
Continuavo
a sentire solo un
unico, pressante e maledettissimo suono. Quel bip
così lungo, così soffocante, che se l'era portata
via.
Mi
lasciai prendere dalla rabbia,
dalla paura, dall' orrore di averlo persa per sempre.
Ebbi
la strana sensazione di non
percepire più niente e nessuno. Mi sembrava di essere uscito
dal mio corpo e
tutto intorno a me era ovattato.
Degli
spasmi di pianto mi fecero
tremare convulsamente.
Ti
prego, Avril, ti prego. Non lasciarmi.
Dovevamo
invecchiare insieme.
Dovevamo
amarci fino alla fine.
Dovevo
darti dei figli.
Non
lasciarmi.
Mi
misi ad urlare, senza avere la
possibilità di fare altro. "Aiutatela, aiutatela!"
Sentii
aprire la porta e qualcuno
mi si avvicinò, prendendomi dal busto, ma io protestai,
scalciando e tentando
di liberarmi da quella presa ferrea. Non volevo allontanarmi da quel
letto, non
potevano portarmi via da lei.
"Evan."
Una voce calda e
comprensiva mi parlava. Sapevo che si trattasse di mio fratello Matt,
ma la mia
mente non riusciva ad elaborare nessun pensiero logico. La mia mente
pensava
solo ad Avril.
Mi
sentii trascinare fino alla
sedia, ma il mio corpo, che non controllavo più, cadde a
terra. Vidi delle mani
toccare il suo collo, e poi una mano si posò sul suo corpo.
Sul suo cuore.
Le
stavano controllando con lo
stetoscopio se ci fosse un qualche segno di vita, ma sapevo che ormai
mi aveva
lasciato. Lei se n'era andata.
Il
mio pianto si fece sempre più
disperato, man mano che la mia mente rielaborava tutto quello che stava
accadendo.
Sentii
altri passi dietro le mie
spalle. "Dottor Tennant?" Era una voce femminile.
"Rose,
non serve il carrello
delle emergenze. La signorina è deceduta" rispose la
prima voce.
Sapevo
che era morta, ma quando
quella voce diede la conferma a tutti i miei pensieri, mi sentii come
se mi
fossi rotto in milioni di piccoli pezzi. Un'unica parola, mi
confermò che la
mia vita era finita con quella del mio angelo.
Urlai
disperato. "Avril, no!"
"Evan,
alzati. Ti prego,
fatti forza." mi disse mio fratello. Feci di no con la testa.
"Signor
Taubenfeld... A mio
parere, deve essere contento per lei."
Ma
che cazzo stava dicendo quella
voce? Come potevo essere felice... se Avril era morta!
Preso
da una forte scarica di
adrenalina, mi alzai di soprassalto, e cercai di andare verso quella
feccia.
"Io ti spacco la faccia, pezzo di merda!"
Anche
questa volta, fui bloccato
dalle braccia forti di Matt, che mi trattennero al mio posto. "Si
calmi, Evan,
so come ci si sente. La signorina Lavigne aveva un trauma cranico molto
grave,
e il coma sarebbe potuto durare molto di più di due semplici
mesi. Lo so che adesso
sta soffrendo, ma pensi anche a lei. Ora non soffre più.
Dov'è andata starà
bene."
Mi
rifiutai categoricamente di
dare ragione a quelle parole pazze e senza senso.
Ora
lei non soffriva più, ma ero
io quello che stava male. Ero egoista, la volevo ancora accanto a me,
avrei
voluto stringerla ancora, volevo baciarla, volevo vedere i suoi occhi
che si
aprivano, volevo che mi tenesse stretto tra le sue braccia e mi dicesse
che
sarebbe andato tutto bene.
Ma
non era così. Ero solo, sentivo
freddo, e non c'era nessuno che avrebbe potuto consolarmi, e quel
pensiero mi
spaventava più di qualunque altra cosa.
"Evan,
se le posso dare un
consiglio... stia accanto a lei, le tenga la mano... almeno fin quando
ne ha la
possibilità." disse quella stessa voce di prima.
"Rose,
mi porti qualcosa
per calmarlo ed avverta i
signori Mitchell".
"Subito,
dottor Tennant"
rispose la voce femminile.
Avevo
difficoltà a respirare, completamente
attanagliato dal dolore. Tremavo, singhiozzavo, non avevo nessun
controllo del
mio corpo. Quella figura maschile si inginocchiò accanto a
me, e mi mise le
mani sulle spalle, ma l'unica cosa che sentivo era il freddo della
morte che
aleggiava in quella stanza. "Evan, lei si deve calmare."
Di
nuovo?! Ma che cosa stava
dicendo? Come facevo a calmarmi? Non era lui che aveva perso l'amore
della
propria vita.
Sentii
ancora quei passi di donna.
"Dottor Tennant, i signori Mitchell stanno arrivando. Erano
già in viaggio
quando li ho chiamati. Tenga."
"Grazie,
Rose." disse
alla donna, per poi rivolgersi a me. "Evan, le sto facendo una puntura,
è
solo per calmarla." disse quella voce.
Non
reagii, non dissi niente
nemmeno quando sentii l'ago entrarmi nel braccio.
Non
avevo né la forza, né la
volontà di protestare. L'unica cosa che i miei occhi
riuscivano a vedere tra le
lacrime che scendevano senza sosta, era la figura immobile e priva di
vita di Avril,
mentre sentivo un leggero dolore al braccio incominciare a diffondersi.
Mi
accompagnarono da lei e io mi
sedetti sulla mia sedia, quella in cui avevo passato ore ed ore negli
ultimi
mesi.
Strinsi
per l'ultima volta la mano
del mio angelo. Le accarezzai le guance e le baciai per l'ultima volta
le
labbra.
Due
forti braccia mi presero e mi
scostarono improvvisamente dal letto. Non riuscii a protestare, forse
per l'effetto
del calmante.
Mi
appoggiai a Matt e gli
circondai le spalle con le mie braccia, premendo il mento contro la sua
scapola.
Lui
mi abbracciò forte quasi da
spezzarmi in due.
Stavo
soffrendo, e avevo il cuore trafitto
da un dolore infinito. Avril mi aveva lasciato. Mi aveva lasciato solo
ad
affrontare la mia vita. Lei, che era stata la mia stella, e che aveva
illuminato le mie notti buie e solitarie, adesso si era spenta, ed ero
circondato solo da oscurità.
Mi
sentivo senza forze e le gambe non
mi reggevano più. Se non fosse stato per le forti braccia di
Matt, sarei caduto
sicuramente a terra. All'improvviso, cominciò a girarmi
tutto e vedevo delle
strane luci davanti agli occhi, mentre sentivo un forte torpore
penetrarmi fin
dentro le ossa.
"Dottor
Tennant. Evan sta
male." disse Matt, mentre mi circondava la vita con un braccio e
metteva il
mio braccio sinistro sulle sue spalle.
"Stia
tranquillo, è l'effetto
del sedativo."
Adesso
capivo perché mi sentissi
così sereno. Poi non sentì più niente,
e venni avvolto dal buio, ma...era una
sensazione strana.
Non
si trattava di un indebolimento,
o di uno svenimento. Direi quasi... di un risveglio.
Sì,
sentivo che il torpore che mi
circondava le ossa stava sparendo, e veniva sostituito da un formicolio
che,
partendo dalla mano sinistra, si stava diffondendo in tutto il corpo,
soprattutto nelle gambe e nel collo.
Sentivo
che le forze che stavo perdendo,
mi stavano pian piano ritornando, rendendomi più vivo.
Poi,
una voce leggerissima e quasi
inudibile mi chiamò. "Ev...n. E...an"
No...
non poteva essere. Questa...
questa era la sua voce! Ne ero
sicuro,
l'avrei riconosciuta tra mille.
L'ansia
tornò a colpirmi, più forte
di prima.
Cosa
significava questo? Ero morto
anch'io?
Anch'io,
come Avril, avevo definitivamente
abbandonato la mia vita?
Sperai
di sì con tutto me stesso.
Non potevo vivere in un mondo dove lei non esisteva.
Il
formicolio alla mano si fece
sempre più forte, sempre più pressante, come se
qualcuno me la stesse toccando
insistentemente.
Fu
quella la spinta che aspettavo.
Il mio cervello emise il primo impulso, quello di
farmi aprire gli occhi. Scoprii di trovarmi
nella stessa posizione in cui mi ero addormentato, con il capo piegato,
la testa
poggiata sulla mano destra e la mia mano sinistra che racchiudeva
protettiva
quella di Avril.
Ecco
spiegato il dolore al collo.
Poi,
le mie orecchie riascoltarono
il suono più dolce che potesse esistere.
Il
mio nome detto dalle labbra di
Avril, accompagnato dai bip regolari del suo cuore che la macchina
registrava.
Alzai
piano la testa, seguendo la provenienza
del suono.
Se
quest'ultimo mi era sembrato la
cosa più dolce che avessi mai sentito, non poteva neanche
essere paragonato
alla visione che mi ritrovai di fronte.
Avril,
sullo stesso lettino del
sogno.
Con
la sua mano ancora stretta
nella mia che cercava di svegliarmi.
Ma
soprattutto, viva! Viva e con
quei fantastici occhi blu, che mi erano mancati tanto, e che pensavo di
aver
perso per sempre.
Non
vi preoccupate, la situazione si chiarirà nel prossimo, nel
caso non fosse chiara.
Cruel
Heart.
P.S.
Spam moment: ho scritto una nuova ff se Avril e Chad. Se
volete, dateci un’occhiata. Remember
me.
|
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Capitolo 40 *** Forever, little black star ***
Buona
domenica a tutti.
Io
non dico niente, ci vediamo giù.
Avril
Lavigne – Black Star
Dieci
anni dopo...
Pov
Evan
"Prima
di cominciare, vorrei
pregarti di non prendermi in giro nei giorni a seguire.
Vorrei
che ricordassi questo
momento per l’emozione che ti ho provocato, e non per la mia
voce tremolante o le
mie mani sudate.
D’accordo?
Abbi pietà di me.
Va
bene, la finisco con queste
preghiere e cominciamo.
La
mia vita è cambiata quando
ti ho conosciuta.
È
una frase che si dice spesso,
lo so, ma è vera.
Quando
pensai di andarmi a
fare un giro sullo skateboard quel giorno, di certo non mi aspettavo di
conoscere
la persona della mia vita! E che bel tipetto di persona!
Ricordo
ancora come mi
trattasti quel pomeriggio in cui ci incontrammo per le strade di Los
Angeles.
Te
ne stavi lì, ad osservare il
mio skate, come se nulla fosse.
Perché,
diciamocelo, era un
gran fico come il proprietario!
Mi
avvicinai lentamente, ed
appena i nostri occhi si incrociarono, si creò subito un
legame profondo.
Talmente profondo... che il secondo dopo la mia lingua era
già in avanscoperta.
E non provo nessun tipo di vergogna nel dirlo, non so proprio dove
sarei arrivato
i piccoli dentini di qualcuno non mi avessero fermato.
E
così, il grande Evan Taubenfeld,
colui che faceva cadere decine e decine di ragazze ai suoi piedi, era
stato
rifiutato, perché una ragazza appena conosciuta aveva tirato
fuori gli artigli.
Mi
trattasti malissimo, lo sai
vero?
Ma,
per tua sfortuna, mi
piacesti all’istante.
E
da quel giorno?
Quante
me ne hai fatte
passare?
Lo
schiaffo che mi hai dato
dopo il bacio è senza dubbio il ricordo che preferisco.
Non
solo ti avevo reso partecipe
del bacio più bello e focoso che avessi mai dato, ma mi
avevi anche rifilato
una bella cinquina alla fine!
Dimmi
tu se si può.
E
quella volta che c'era tua
madre e stavamo per farlo nella tua c…
No,
forse questo è meglio se
lo teniamo per noi.
Comunque,
il succo è che, io,
Evan David Taubenfeld, mi innamorai.
Mi
ci volle molto prima di
capirlo, prima di accettarlo. Perché, donare completamente
il mio cuore a
qualcuno, rappresentava un rischio che all'inizio non volevo correre.
Troppo
complicato, troppo doloroso.
Come puoi provare un sentimento così
forte
per qualcuno, se sei certo
che quel qualcuno in realtà ti odi?
Ma
si sa, al cuor non si comanda.
Accettai
quell’amore e mi convinsi
che era giusto. Perché lo era, e lo è ancora
adesso.
Quando
quella sera di dieci
anni fa tu entrasti in coma, per me la vita era finita, ed era
incominciata la
sopravvivenza.
Sopravissi
nella paura, Avril.
Nella paura più totale di perderti per sempre, e di non
poter ascoltare più il
tuo cuore che batteva.
Sopravissi
nel dolore.
Vederti
così, apparentemente
senza vita tra le mie braccia giorno dopo giorno, era quanto di
più doloroso
avessi mai provato.
Rischiai
di cadere più volte,
ma mi rialzai.
Mi
rialzai, perché sapevo che
ormai ero diventato il tuo unico appoggio. E non potevo permettere che
tu
cadessi inerme sul pavimento come le tante lacrime che ho versato.
Sopravissi
nella rabbia.
Lo
ammetto, ero arrabbiato
con te.
Ero
arrabbiato con il mondo.
Ed
ero arrabbiato con Dio che
ti stava portando via da me.
La
rabbia, ecco cosa non ho
mai saputo affrontare.
Mi
rese egoista, ed era
proprio lei che mi impediva di vedere la realtà.
Di
vedere la tua realtà.
Avrei
dovuto capire quante energie stavi consumando per ritornare da me, quanto stanca fossi
di
combattere.
E
forse, nel profondo, sapevo
che sarebbe stato meglio se ti avessi lasciata andare.
Ma
sai una cosa? Sono felice,
anzi, sono strafelice di non averlo fatto.
Perché
sei qui con me, ora,
davanti ad all'uomo più fortunato della Terra, che ti sta
parlando in
ginocchio, mentre tu stai consumando tutti i fazzoletti che abbiamo in
casa per
le troppe lacrime che stai versando.
La
nostra storia non è una
storia come le altre.
Stava
per concludersi nella
paura, nel dolore e nella morte.
E
forse è assurdo, ma sono
convinto che questi tre elementi abbiano reso l’amore che
proviamo verso l’altro
il più vero di tutti.
Ci
hanno resi forti e ci hanno
legati indissolubilmente.
Non
c’è più niente al mondo
che noi due non possiamo affrontare insieme, piccola stella nera.
E
sono queste le parole magiche.
Abbiamo
vissuto nella paura,
nel dolore e nella morte, ma abbiamo superato tutto perché
quella piccola
stella ci ha tenuti uniti, e lo saremo per sempre.
È
questa la mia promessa.
“Finché
morte non ci separi” dice
la formula che, se accetterai questa mia proposta, ti
renderà mia moglie, ma io
non sono d’accordo.
Il
nostro amore… durerà anche
oltre.
È
per questo, che, adesso, con
le ginocchia che mi fanno male e con la gola secca per il lungo
discorso che ho
fatto, ma soprattutto, facendoti dono di questo anello, ti chiedo
finalmente: Avril Ramona Lavigne. Vuoi sposarmi?"
"Certo
che s-sì,
brutto... coglione... che... mi... ha... fatto... piangere...
dall'inizio alla
fine!"
-FINE-
Ok…
respiro… espiro… respiro…
espiro…
Non
potete neanche immaginare il mio stato emotivo in questo
momento!
Ho
scelto il verde perché è stato il colore della
mia prima
introduzione quando ho postato, quindi… mi sembrava carino
rifarlo.
*Respiro
profondo*
Bene.
Come sapete e come avrete senz’altro intuito, questo
è l’ultimo
capitolo di Little Black Star.
Cavolo…
ma come è possibile?
Me
lo sto chiedendo da quando ho iniziato questo capitolo.
Non
so davvero cosa dire, se non un immenso GRAZIE.
Grazie
alle 812 persone che fino ad adesso hanno letto il primo
capitolo e a tutte quelle che hanno seguito con piacere questa ff, a
Glaphyra
per sopportarmi qui su efp e anche in tutti i giorni della vita reale
(W la
cicciona cadavere), grazie ad Anna che mi ha riempito sempre di
complimenti che
non meritavo (W le cime di rapa), grazie a Solluxy (e Giovanni) che mi
ha
recensito sempre con le sue recensioni kilometriche sin dal capitolo 16
e non
ha mai più smesso, grazie comunque ad Hakkj, che
è stata la mia prima
recensione positiva, grazie a avrilismylittleangel, nunueroby, Ramona
LBS,
AliceKeepHoldingOn, Curly_Boy14 e Look_at_the_sky per aver recensito
più o meno
quasi tutti i capitoli.
E
l’ultimo grazie va a quella nana malefica e al suo
ex-chitarrista
skater, per tutte le canzoni fantastiche che hanno suonato insieme.
Che
dire… ci vedremo presto!
(Tradotto,
vi romperò ancora le bollas MUAHAHAH)
Per
l’ultima volta in questa ff, evaporo.
Cruel
Heart.
|
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