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Lista capitoli: Capitolo 1: *** INDICE *** Capitolo 2: *** 1. Five Shades of White (Hanabi Hyuuga) *** Capitolo 3: *** 2. The Cruelest Month. (Sasuke Uchiha.) *** Capitolo 4: *** 3. Four rings of light upon the ceiling overhead. (Ino & Sakura) *** Capitolo 5: *** 4. Everything you ever wished for. (Kimimaro Kaguya) *** Capitolo 6: *** 5. The Effect of Impact on Stationary Objects. (Ino Yamanaka ) *** Capitolo 7: *** 6. And yes, the Way You Look at Me. [NejiTen] *** Capitolo 8: *** 7. Snow Falling on Corpses. [Haku & Zabuza] *** Capitolo 9: *** 8. The Blind Leading the Blind. [Sand Siblings] *** Capitolo 10: *** 9. Four Twelves are Forty-eight. [InoShika] *** Capitolo 11: *** 10. One True Thing. [HinaNaru] *** Capitolo 12: *** 11. Your Pretty Blue Eyes are Just Stained Glass. [Ino e Sakura.] *** Capitolo 13: *** 12. Wake unto me. [Naruto&Sakura&Sasuke] *** Capitolo 14: *** 13. Dreams of the impossible. [SakuSasu] *** Capitolo 15: *** 14. As Long as You're Mine. [Sakura x Orochimaru] *** Capitolo 16: *** 15. Bathing in Artificial Light. [Gaara] *** Capitolo 17: *** 16. How Fire took Water to Wife. [Fugaku x Mikoto] [Sakura x Sasuke] *** Capitolo 18: *** 17. A Dark Heart. Beating. [Orochimaru & Tsunade] *** Capitolo 19: *** 18. The smell of hospitals in winter. [ NaruSaku ] *** Capitolo 20: *** 19. Another grey day in the deep blue world. [Team Seven.] *** Capitolo 21: *** 22. The Laughter of Women. [ Mikoto; SakuSasu] *** Capitolo 22: *** 23. Truth and peaches [ Hinata; Kiba; Shino ] *** Capitolo 23: *** 26. Counterglow. [SakuIta; SakuSasu.] *** Capitolo 24: *** 34. The imperious Life. [Ino & Sakura] *** Capitolo 25: *** 35. Recalling things that other people have desired. [Sakura Haruno] *** Capitolo 26: *** 38. Hard, but much truer. [ Team Seven. ] *** Capitolo 27: *** 39. The Need to hold Still. [SakuSasu] *** Capitolo 28: *** 51. Will you get your wish? [ Mikoto Uchiha ] ***
Hanabi Hyuuga non aveva mai trovato insolito odiare sua
sorella. Era una cosa del tutto naturale, che veniva da sé. Come mangiare, come bere, come dormire, come respirare… Banalissimo incidente di percorso, come l’aria che entra
nei polmoni e ti fa vivere, per sbaglio.
2. The Cruelest Month. [Sasuke Uchiha]
Rating: G Genere: Malinconico, Introspettivo.
Quell’espressione era troppo pensierosa, per un bambino di
quell’età. E pensare che le sue gambe erano ancora troppo corte, per sfiorare
quell’acqua. Eppure, quell’espressione adulta era lì, sul viso. Aveva piantato le tende lì, quell’espressione, ma lui non
aveva davvero avuto né il tempo né la voglia di rendersene conto. "Perché non torna?"
3. Four Rings of Light Upon The Ceiling
Overhead. [ Ino Yamanaka & Sakura Haruno ]
Rating: PG.
Genere: Fluff. Accenni leggerissimi di Shoujo Ai – c’è chi vede e chi no.
Ma era l’unica amica che aveva, quindi un
piccolo sacrificio andava fatto. E poi non si sarebbero lasciate mai più, e sarebbero state
felici. Insieme e felici, e Ino-chan le sarebbe sempre stata
accanto. Ecco, era così che doveva andare, quella sera. "Ti sei mai presa una cotta, Sakura-chan?"
4. Everything
you Ever Wished For. [ Kimimaro Kaguya ]
Rating: PG. Genere: Angst, Introspettivo.
Il viso scolpito nella pietra era grottesco, e
non offriva alcun calore. Era freddo e immobile. Aveva un che di disperato. Non parlava e stava lì in silenzio. Era praticamente inutile.
5. The Effect of Impact on Stationary Objects. [ Ino Yamanaka, Sasuke Uchiha ]
Rating: G.
Genere: Introspettivo.
Sasuke-kun era sempre stato inaffondabile e
solido come una quercia. Le era sembrato così intelligente, così calmo, così forte,
così silenzioso, così adulto, così serio, così professionale, così… Così le era sembrato.
Ino è costretta a riflettere su Sasuke. E su una frase di Shikamaru, a cui lei non aveva dato il
giusto peso.
6. And Yes, the
Way you Look at me.[Neji x Tenten]
Rating: PG.
Genere: Ironico, Romantico.
…Glieli avrebbe cavati volentieri, quegli
occhi. (Ovviamente per poi portarseli a casa, tenerli per sé.
Gazza ladra di quegli occhi scintillanti.) Perché lui aveva l’orrenda, odiosa abitudine di fissarla
con quell’espressione vuota, mentre si allenava. Come se al mondo non ci fosse altro (da fare).
Lo capì in quel momento, che quella non era
più una famiglia rispettabile. O meglio, che quella non era più una famiglia. E se era una famiglia, era una famiglia a pezzi.
9. Four Twelves
are Forty-eight![ Ino x Shikamaru ]
Quanto tempo è passato? [Così tanto tempo. Più tutto quello che abbiamo perso.]
E lui non può fare altro che starle vicino. Ed aspettare.
10. One True
Thing. [ Hinata x Naruto ]
Rating: G Genere: Sentimentale, Romantico, Malinconico.
Ogni notte, la bambina dormiva e sognava la sua
vita-che-sarebbe-dovuta-essere. Ma in realtà non vedeva l’ora di svegliarsi, il giorno
dopo, e di andare a riscaldarsi con quell’unico sorriso che le riscaldava il
cuore, come mai i sogni erano riusciti a fare.
Il sorriso di Naruto era ciò che di più reale al mondo
avesse potuto desiderare.
11. Your Pretty
Blue Eyes are Just Stained Glass. [ Ino Yamanaka & Sakura Haruno ]
Sua madre sorrideva sempre.
E lui la ricorda così, con quel sorriso che piegava appena gli angoli delle
labbra all'insù, e quegli occhi scuri che avrebbero abbagliato chiunque
23. Truth and Peaches. [Hinata; Kiba; Shino.]
Rating: PG.
Genere: Introspettivo, Generale.
Hinata non ha mai saputo esprimersi a parole.
Le cerca, cerca le parole che meglio potrebbero esprimere ciò che pensa.
Ma parole del genere non esistono.
26. Counterglow
[ Sakura x Itachi, Sakura x
Sasuke. Onesided.]
Rating: PG. Genere: Drammatico. Introspettivo.
Il sole non c’è, eppure…
… quella luce flebile è lì, dove un tempo c’era stato il
sole. Il mio buio riflette una luce che non c’è più. E quella luce mi sfiora.
Entra, e mi sfiora.
Mi sfiora, senza riuscire a salvarmi dal mio buio.
35. Recalling things
that other people have desired. [ Sakura Haruno, lieve SakuNaru.]
"Questi
vostri sogni, li tenete stretti al cuore?
Quando fallite un test, quando non riuscite in alcun modo a fare ciò che vi
dicono di fare?
Li ripetete, come una formula magica. T
uttavia, arriverà un giorno in cui vi ritroverete in una situazione disperata.
Verrà la tentazione di fermarsi, a quel punto, e di chiedersi: ‘hey, ma io,
esattamente, cosa ci faccio qui? Per cosa, sto combattendo? Ne vale veramente
la pena?’
In quel momento, non dubitate. Non dubitate mai.
38. Hard, but
much truer. [
Team Seven ]
Rating: PG. Genere: What if, malinconico,
sentimentale.
Avevano dovuto lasciarlo andare.
Il suo ricordo stava distruggendo quel po’ che era rimasto della Squadra Sette.
Lo stava corrodendo dall’intero, subdolamente, amaramente, ossessivamente.
Come solo il ricordo di qualcosa perduto può fare.
Come solo Sasuke-kun, come solo Sas’ke avrebbe potuto fare.
Tocco fantasma di
quelle labbra sulle sue.
Tocco fantasma di quelle mani sui suoi fianchi.
“Sasuke…” un sussurro che sapeva di preghiera “… Sasuke-kun…”
(ed ancora una volta si ritrovò a pregare per qualcosa di cui non avrebbe
dovuto affatto avere bisogno, non più)
[Ogni ninja aveva le sue manie, le aveva detto.]
51. Will you get your wish? [ Mikoto Uchiha ]
Rating: PG. Genere: Malinconico.
Era sbagliato, per una
madre, voler accudire e proteggere suo figlio?
Voler essere, almeno nei primi anni della sua vita, il centro del suo mondo?
Non è forse il desiderio di qualunque donna?
Non è forse il diritto, di ogni donna?
[Prima di addormentarsi, Mikoto pensò di essere una madre molto, molto
egoista.]
Capitolo 2 *** 1. Five Shades of White (Hanabi Hyuuga) ***
1.Fiveshades
ofwhite
Hanabi Hyuuga non aveva mai trovato
insolito odiare sua sorella. Era
una cosa del tutto naturale, che veniva da sé. Come mangiare, come bere, come
dormire, come respirare…
Normale, normale. Banalissimo
incidente di percorso, come l’aria che entra nei polmoni e ti fa vivere, per
sbaglio. Fin da piccola, lo aveva potuto infatti trovare sbagliato, magari. Ma mai
insolito. Mai.
Papà la odia.
Mamma la ignora. Neji-niisan la detesta. Allora… cosa c’è di
male? Se la odio anch’io, che c’è di male?
Aveva scartato quel sentimento
che le bruciava dentro come normale. Ed era passata oltre, con la
convinzione che, in famiglia, fosse normale così.
Io odio te, tu odi me, insieme
odiamo loro, che odiano noi e si odiano tra loro… Era un odio senza fine, ma che
ci si può fare. C’est la
vie. Normale. Tutto normale. Tutto sotto controllo. Prendeva la
vita come le veniva offerta, senza una lamentela. Perché avrebbe dovuto
lamentarsi? Andava tutto bene. Niente di nuovo sotto il
sole.
Papà ha occhi solo
per me. Mamma ha occhi solo per me. Il Clan ha occhi solo per
me. Guardatemi.
Quegli occhi bianchi si
assomigliavano tutti, e tutti guardavano solo lei. Occhi che, se presi da
soli, non dicevano nulla. Vuoti. Bianchi. La guardavano e basta. Normale,
normalissimo. Banale vita quotidiana.
La innervosivano. Il peso di tutti
quegli sguardi la schiacciava, ineluttabile. Solo per lei. Quegli occhi tutti
per lei. Non capiva se avesse, un tempo, desiderato davvero quegli
sguardi. Quegli occhi che non dicevano nulla, e tuttavia si aspettavano che
lei capisse. Che lei capisse cosa tutti quegli occhi volessero da
lei.
Perché guardate
solo me? C’è anche lei. C’era anche lei prima di me. Perché lei è così
debole… Debole, debole. Normale, banale. La odiano, la ignorano, la
detestano per questo. Se la odio, la ignoro e la detesto anch’io, che c’è di
male? Normale. Banalissima routine. Se solo lei…
Se solo sua sorella fosse stata più
forte, Hanabi Hyuuga non avrebbe quegli occhi bianchi addosso. Incollati
sulle gracili spalle da bambina, colmi di aspettative, di attenzioni e di
rancore. Pesavano. Era ancora piccola, per l’amor del cielo. Quel cielo
che, sugli Hyuuga, sembrava essere sempre grigio. Quel cielo non aveva pietà
né amore per i bambini. Per l’amor del cielo, certo, ma quale cielo? Ma,
tutto sotto controllo, nulla di che preoccuparsi. Naturale, naturale. Che
importanza aveva? Aveva così tanti occhi, tutti per sé. … e si ritrovava
spesso a soffermarsi su quelli di sua sorella. Che pur essendo bianchi,
avevano così tante sfumature. Che pur essendo bianchi, erano vivi, e
vivevano. Vivevano così tante emozioni, quegli occhi capaci di
piangere. Sembravano occhi così utili. Ma questo perché sua sorella era
debole. Solo perché era debole. Logico, logico.
Se solo tu fossi
stata più forte… avrei potuto avere io, adesso… degli occhi belli come i
tuoi?
Ma sua sorella non era mai stata
forte. Quindi, tutta quell’invidia si limitava a far parte dell’inevitabile
routine quotidiana. Quell’invidia che lei, ingenuamente, chiamava
odio. Molto più naturale, l’odio, per un’Hyuuga. - Se sei il migliore,
non hai nessuno da invidiare. -
Normale, tutto normale. V a
t u t t o b e n e .
Va sempre tutto bene,
comunque. Tanto, odio o invidia, non importava un granché. Entrambe
bruciano. Dentro, logorano. Consumano.
Lei può anche tenersi quegli occhi così belli e
vivi. Tanto io… …
io terrò per me quelli di tutti gli altri.
A/N: E mi ci scappa un: “Così t’impari”
alla fine, ma mi son trattenuta. E’ stato un esperimento… curioso, ecco.
All’inizio, avevo una frase in testa “avrei potuto giocare con le bambole”.
Ergo: se Hinata fosse stata più forte, tizia sarebbe potuta essere bambina,
almeno per un po’. Ho scritto il pezzo, impostando questo stile qui. Poi ho
pensato: si, ma ora devo fare l’introduzione. Allora ho iniziato a scrivere.
Gira che ti rigira, arrivo a “Se solo tu
fossi stata più forte… avrei potuto avere io, adesso… degli occhi belli come i
tuoi?”. E penso: e ora, *£$%- c’entrano le bambole? Assolutamente nulla.
-.-“ Inutile, non ho controllo di ciò che scrivo. Mi sono data alle
52Flavours. Questa è la prima, ecco. 1. Five
Shades of White. La prossima sarà: 2.
The cruelest Month.
Capitolo 3 *** 2. The Cruelest Month. (Sasuke Uchiha.) ***
E dire che le sue gambe erano ancora troppo corte, per sfiorare
quell’acqua
2.
The Cruelest Month
E dire che le sue gambe erano ancora troppo corte, per
sfiorare quell’acqua.
Forse ci
provava inconsciamente, tendendo appena le punte dei piedi.
Non ci riusciva, e lo specchio d’acqua rimandava severo il suo riflesso.
L’acqua lo guardava dal basso, e lui ricambiava lo sguardo. Oziosamente.
Quell’espressione era troppo pensierosa, per un bambino di quell’età. E pensare che le sue gambe erano ancora troppo
corte, per sfiorare quell’acqua. Eppure, quell’espressione adulta era lì, sul viso.
Aveva piantato le tende lì, quell’espressione, ma lui non aveva davvero avuto
né il tempo né la voglia direndersene conto. Semplicemente, pensava e
ricambiava il suo stesso sguardo vagamente contrito.
E cercava di incrinare quel riflesso con le punte dei piedi, e non ci riusciva. Se solo fossi più grande… più adulto… più forte…
Quasi un mese, che andava avanti in questo modo.
Sarebbe stato, forse, più normale piangere. Invece, il bambino rimaneva così. E Iruka davvero non ne poteva più, di vedere un suo
alunno ridotto a quel modo. Di vederlo seduto lì, ogni giorno, dopo le lezioni, a qualche
passo dall’Accademia, dove l’acqua del piccolo canale scorreva tranquilla e
senza troppe pretese.
Su quel pontile che, alla fin fine, era sempre bagnato.
Iruka
sapeva affezionarsi ad ogni suo alunno. E, ormai, non ne poteva più.
“Che cosa stai facendo?”
Fu questa la domanda che, accondiscendente, abbandonò le labbra del maestro.
Domanda che non ottenne risposta, se non una piccola ruga accentuata fra le sopracciglia
del bambino. Con un sospiro, l’uomo gli si sedette accanto, sul pontile. A
gambe incrociate, quasi avesse preso in considerazione i sentimenti dell’altro,
e non volesse fargli vedere quelle gambe adulte
che raggiungevano l’acqua bagnata.
Il bambino non si accorse di quella piccola considerazione, e si limitò a
stringere le labbra.
“Dovresti
andare a casa.”
“Non
ancora.”
Un altro sbuffo sfuggì dalle labbra di Iruka, che
sollevò gli occhi scuri al cielo. Ma non trovò nulla
da ridire – non poteva costringerlo a tornare in quellacasa - e si limitò ad
abbozzare un sorriso, nonostante il bambino fosse troppo concentrato sull’acqua
per vederlo.
“Hai
intenzione di rimanere qui a lungo, allora?”
“Perché
non ritorna?”
La domanda era poco più d’un sussurro, senza alcuna inclinazione
particolare della voce.
E non era affatto pertinente alla domanda che lui
stessa aveva rivolto.
Battè ciglio, non riuscendo a capire dove si stava dirigendo il filo dei
pensieri di quella logica infantile.
“Come?”
“Mio
fratello. Perché non torna?”
Ancora quel sussurro. E l’espressione era
talmente abbandonata da stringergli il cuore.
Sapeva che il bambino guardava l’acqua ma non la
vedeva. Nessuno può avere un’espressione così sola, guardando semplicemente una mera
striscia d’acqua.
Iruka non rispose, forse tentando di trovare la risposta più giusta ed
adeguata. Ma il bambino interpretò male quel silenzio.
“Non mi importa davvero, ecco. Mi basta che torni, posso
perdonarlo, sa? E’ che se n’è andato anche lui. Ma lui
è vivo, no? Può tornare indietro, se è vivo. Perché
non torna?”
Quasi faceva male.
“Perché mi ha lasciato solo, qui?”
“Non può
più tornare indietro, sai.” Ammise a malincuore Iruka, con un sospiro.
“Può
invece. Mi aveva promesso che mi sarebbe venuto a prendere dall’accademia, e mi
avrebbe insegnato… Ha ucciso tutti, e mi ha lasciato
solo. Allora deve
tornare. Lui deve…”
Iruka crucciò appena le sopracciglia, spostando anche lui lo sguardo
sull’acqua. Disposto a perdonare tutto quel che era successo, pur di non rimanere
solo. Pur di non
rimanere solo.
Iruka, in fondo, lo sapeva: era orrido, ritrovarsi soli a quel modo, da un
momento all’altro. E quel bambino, che aspettava di crescere stando
seduto su un pontile bagnato… che aspettava l’impossibile.
Se torna, lo perdono. Torna… per favore? Prometto che non
mi arrabbierò. Davvero.
E le prime giornate passavano tra la più ostinata negazione della realtà, alla
disperazione che solo la solitudine può portare.
Quella realtà e quella solitudine che facevano male.
Iruka lo
sapeva, ci era passato anche lui.
Presto sarebbe cambiato tutto, probabilmente. Avrebbe capito la realtà, e
l’avrebbe distinta dall’illusione.
Crescendo, la solitudine immancabile – perché non
sarebbe mai tornato -
avrebbe alimentato l’odio.
L’odio e la rabbia. Solo quelle. Ma per quel momento… … il primo mese…
… era sempre quello,
il più difficile.
A/N: Quante idee che aspettano solo una
scusa per essere scritte >_>” Un po’ meno Stilosa dell’altra volta, forse. Ma
quest’idea mi piaceva espressa così. Senza troppi fronzoli annessi e connessi
>_< Iruka è un uomo così dolce… chissà me lo vedo un
pochino mamma chioccia, sapete. Vuole un mondo di bene
ai suoi alunni, è così… dolce, appunto. Nulla da dire, va. Spero non sia
troppo OOC. Come avrete inteso, ambientata il primo mese dopo il massacro
Uchiha XD Buon Anno a tutti! [La mia prima Fic da 16enne *_*]
Prossima: Four rings of light upon the ceiling overhead . Inizio a demordere nel mio intento di farle in ordine. Ma è questione di principio, ora XD
Capitolo 4 *** 3. Four rings of light upon the ceiling overhead. (Ino & Sakura) ***
Aveva le guance troppo rosse, e lo sapeva
3. Four rings of light upon the ceiling overhead.
Aveva le
guance troppo rosse, e lo sapeva. Ingenuamente aveva dato la colpa al caldo,
quando sua madre le aveva chiesto se andava tutto bene. Fortunatamente – almeno per una volta - la notte d’estate
le era stata complice.
A dire il vero, aveva un’insensata paura di deludere in qualche modo la sua
nuova amica.
Di non essere abbastanza. Difficile dire esattamente cosa
non fosse abbastanza, in lei.
Chiedendoglielo, la risposta sarebbe stata una sola: “Tutto.”
Una
risposta detta così candidamente e con così tanta convinzione, che non si
poteva ribattere nulla.
Ah, ma non doveva certo pensare a queste cose: Ino-chan si sarebbe sicuramente
arrabbiata con lei, se fosse arrivata con tutto quel rossore in viso. Eppure
era così sicura che avrebbe iniziato
a balbettare.
E poi, comunque, il suo pigiama non era affatto carino. Sapeva che non lo era,
sebbene non ne avesse mai visto uno di un’altra sua coetanea. Sapeva che non
andava bene, semplicemente perché era suo.
Ino-chan sarebbe stata bellissima nel suo nuovissimo pigiama, sicuramente perfetto
in ogni più piccola piega.
Ino-chan l’avrebbe presa sicuramente in giro per il suo pigiama infantile.
L’avrebbe presa in giro con quel suo fare così solare e allegro, così facile,
come se il mondo le appartenesse e le fosse sempre appartenuto di diritto.
Sentiva il calore bruciarle più violento sulle guance, e strinse le labbra.
Non sapeva per quanto tempo fosse rimasta lì, davanti alla porta degli
Yamanaka. Ma stava iniziando a far buio, ormai, e non poteva rimaner lì per
sempre. Era stata invitata, era suo dovere suonare…
… ma non conosceva la signora Yamanaka, e voleva fare una buona impressione.
Arrivare in ritardo avrebbe fatto una buona impressione?
No, no, assolutamente no. Né sulla sua nuova amica, né su sua madre.
Voleva solo aspettare che il rossore passasse.
Eppure continuava ad aumentare.
Deglutì, una, due volte. Ho preso tutto, mi sono ricordata tutto.
Mi sono pettinata, il nastro di Ino-chan è al suo posto.
Tutto è al suo posto, dai, quindi
va bene.
Va bene.
Infine, con una mano incerta, bussò alla porta.
Aveva
intuito – o dato per scontato, alla fin
fine era la stessa cosa – che si trattasse di una sorta di rito di
iniziazione. In mancanza, ovviamente, di una definizione migliore.
Sapeva da Ino-chan che questa non era certo la prima volta che invitava
un’amica a dormire a casa sua.
Le aveva anche detto che era divertente, ma Sakura era sicura che non si
sarebbe divertita affatto: sarebbe stata troppo occupata a dare una buona
impressione.
Ma era l’unica amica che aveva, un piccolo sacrificio andava fatto. E poi non si sarebbero lasciate mai più,
e sarebbero state felici.
Insieme e felici, e Ino-chan le sarebbe sempre stata accanto.
Ecco, era così che doveva andare, quella sera.
Quindi, quando Ino-chan aprì la porta con quel suo sorriso smagliante, lei lo
ricambiò con uno dei suoi, più flebili e non altrettanto sinceri: il cuore le
batteva troppo forte, mentre Ino-chan la invitava ad entrare.
“Sakura-chan,
stai bene? Non avrai mica la febbre, no?” Disappunto. Era qualcosa di simile
alla delusione, no?
Deglutì.
“Nonono, Ino-chan. Sto… Sto benissimo. E’ solo che è estate e…”
“Ah,
capisco. Ma non devi prendere il sole a quel modo, scema! Hai la pelle troppo
chiara e delicata. Brucia tanto?”
Sakura battè ciglio, stringendo al petto il piccolo zaino dove aveva tutto
l’occorrente: vagamente sollevata dalle conclusioni tirate dall’altra, annuì.
Il rossore aumentò.
“No… non
brucia affatto, davvero.” Però, vicino a te, mi sento sempre in
imbarazzo.
In un modo o nell’altro, aveva sempre fatto la figura dell’imbranata.
Ma Ino-chan sorrise, stringendole un braccio, e trascinandola verso la cucina.
”Mamma, Sakura-chan è arrivata! E’ pronta la cena?”
Non aveva
toccato molto cibo, a dire il vero. Forse avrebbe mangiato di più, se la
signora Yamanaka non l’avesse bonariamente riempita di complimenti e di domande
innocenti.
Lei aveva risposto alle più, rossa in viso.
Ed ora si era infilata il pigiama di cotone leggero, sbirciando con la coda
dell’occhio Ino-chan che faceva lo stesso. Ecco, lo sapeva.
La canotta di Ino-chan non aveva neppure una piega.
Sospirò, ripiegando i vestiti. L’altra captò quel sospiro, e si voltò verso di
lei, chinandosi appena in avanti con fare indagatorio.
“Sei
sicura di star bene, Sakura-chan?”
“Benone…”
“Sarà… Che
bellino il tuo pigiama, sai? Quel coniglio è assolutamente adorabile! Lo sai
che adoro i conigli?”
Ino-chan
si lasciò cadere seduta sul materasso, rimbalzando un paio di volte con quel
suo sorriso da piccola diva.
Quel sorriso che illuminava quasi la stanza.
Quello stesso sorriso e quelle stesse parole illuminarono un po’ anche il cuore
di Sakura, che tornò ad arrossire.
Ma per un motivo del tutto diverso dall’imbarazzo. Sorrise, sollevata.
“Grazie.”
“Oh, lo
sai che son sincera. Tieni.”
Gattonò sul letto fino al cuscino, tirandone fuori, da sotto, un piccolo
cuscinetto rotondo foderato di cuoio colorato, con un piccolo bottone di lato.
L’altra bambina battè ciglio, vedendosi porgere quel bizzarro pensiero.
“Per me? …
Cos’è?”
“Ah, nulla
di che. Mia madre li ha presi questa mattina, se ne vendono tantissimi ovunque.
E’ un po’ la moda del momento. Ne ha preso uno per me, uguale. E visto che oggi
venivi tu, ha pensato anche a te. E’ uno specchietto. Come il mio, vedi?”
Indicò la scrivania poco lontana, dove lo stesso oggetto giaceva aperto.
Entrambe le parti consistenti di piccoli specchi rotondi. Sakura battè ciglio,
perplessa. Forse incredula.
“Per me?
Davvero? … Posso?”
“Ah, non
fare la timida. Se ti dico che è per te, è per te. Prendilo. No?”
La luce
della luna entrava liberamente dalla finestra aperta, che cercava invano di far
entrare un po’ di brezza nella stanza troppo calda. Ino-chan stava ridendo come
una matta, e sembrava non volesse smettere più.
“Dai, non
ci credo.”
“Lo ha
fatto, però.” Ribattè appena contrita Sakura, serrando ostinatamente le labbra.
“Ah, ma
non è possibile, fare una cosa del genere! Vorrei tanto averlo visto!”
“ L’Hokage
era arrabbiatissimo. Stava dicendo che non era la prima volta, che quello lì
imbrattava il monumento, sai?”
“Ah, ma è
incredibile. E tutto questo mentre andavi con tua madre a fare la spesa?”
“Mhmh.”
Con un sospiro, la risata argentina di Ino sfumò nel nulla. Sakura rimase a
guardarla, nella penombra, con le ginocchia abbracciate al petto. Sorriso
timido sul viso ora leggermente meno arrossato.
La biondina era sdraiata, i capelli corti dispersi sul cuscino come una piccola
aureola alla luce fioca della luna. Era tutta intenta a cerca di catturare
quella luce con gli specchietti, e due piccoli cerchi di luce si rincorrevano
sul soffitto dipinto d’azzurro. Sembrava contenta di quel passatempo, perché
rimase in silenzio per un po’.
Sakura spostò lo sguardo su quelle piccole luci riflesse, battendo ciglio in
silenzio. Quasi sotto spirito di emulazione, aprì il piccolo specchietto,
tentando di porlo nell’angolazione giusta per far rifrangere la luce, lì in
alto.
Non ci riuscì al primo tentativo, e crucciò appena le sopracciglia. Voleva rubare anche lei la luna, però.
Non era giusto, così.
“Ti sei
mai presa una cotta, Sakura-chan?”
La voce
tranquilla dell’amica la scosse dal torpore, e le fece riportare l’attenzione
su di lei.
“Una
cotta?”
“Ma si.
Una cotta, nel senso se ti è mai piaciuto qualcuno. Io si, mi sono presa una
cotta enorme.”
“Davvero?”
“Sisi. Per
Sasuke-kun. Lo conosci, no? Lo conoscono tutti. Mi piace, è carino. Gli starei
sempre intorno, però credo non mi sopporti. Mi guarda sempre con aria truce,
sai.”
A quel punto Ino-chan sospirò, sconsolata.
Sakura era leggermente a disagio, ancora, senza a riuscire a capirne il motivo.
Costrinse sulle labbra un piccolo sorriso, spostando ancora una volta lo
sguardo sulle due luci, lassù. Non stavano un attimo ferme. Di nuovo tentò di
catturare quella luce che filtrava dalla finestra, e per un attimo due pallidi
fantasmi di luce andarono a far compagnia alle creature luminose di Ino-chan.
Scomparvero un attimo dopo, con suo grande dispiacere.
“Una
cotta…” mormorò, pensierosa. Quasi ci stesse rimuginando su.
“Sai,
quando ti piace una persona e vorresti rimanergli appiccicata addosso, come la
colla. Stare sempre insieme a lei, parlare, vederla sorridere… Queste cose qui.
Ti sarà capitato almeno una volta, no?”
“Se è
così, Ino-chan, penso di avere una cotta per te.” Replicò candidamente l’altra,
riportando lo sguardo su di lei.
E Ino-chan ricambiò lo sguardo, perplessa. Per poi scoppiare a ridere.
“Ma dai, dicevo
sul serio, Sakura-chan!”
“… non dovrei?”
La
biondina rimase priva di un’espressione particolare, per qualche attimo. Poi sorrise
di quel ghigno sicuro di sé, sollevando lo sguardo sui piccoli cerchi che lei
stessa aveva portato alla vita. Ai quali, senza neanche darci peso, se n’erano
aggiunti altri due. Fermi, immobili.
Fermi e immobili, perché Sakura-chan stava guardando lei.
“Sei strana, Sakura-chan.”
Glielo ripetevano fino alla nausea.
“In senso
buono, però?”
Ino sembrò
pensarci un po’ su, arricciando il nasino.
“Uhm, si.
In senso buono.”
E Sakura
si lasciò cadere anche lei sul letto, spalla contro spalla con la sua amica.
Piccolo fantasma di sorriso sulle labbra,
mentre guardava quei quattro cerchi di luce sul soffitto rincorrersi, senza
posa, nella loro luce rubata alla luna.
A/N: Probabilmente è la fic più lunga
che io abbia scritto in così poco tempo. Temo che alla fine non sia venuta come
volevo. Questa forse, è molto inspirata da momenti di vita vissuta. >_>”
Il fatto degli specchietti durante un “pigiama party” è vita vissuta. Di qui,
dove vivo, è veramente un rito d’iniziazione. Non sei la mia migliore amica
finchè non vieni a dormire a casa mia. ._.” Bah. Non penso sia yuri. Non era mia
intenzione -.- Cioè, alla fine si considera come volete, ecco. Volevo solo fare
una Sakura un po’ strana, stralunata, ed insicura. Affatto alla moda, che casca
dalle nuvole. Ino sicuramente non l’ha presa sul serio, ecco o.o
La mia versione di questo tema non è niente rispetto a quella di Lady Antares
etcetc, cioè, della versione di Ross >_>” Quindi vi consiglio di filare a
leggerla. U_u
La prossima sarà: “4.
Everything you ever wished for”
4 .E v e r y t h i n gy o
ue v e rw i s h e df o r .
Il viso scolpito nella pietra era grottesco, e non offriva alcun calore.
Era freddo e immobile.
Se ne stava lì, e l’espressione era talmente cruda da suscitare
timore. - Hai mai visto un viso vero, tu? -
Si, ma avevano tutti quell’espressione.
Non ne conosco altre.
Mi dispiace.
Aveva un che di disperato.
Non parlava, di certo. Stava lì in silenzio.
Ergo, era prettamente inutile.
Talmente inutile che poteva permettersi il lusso di prendersela con
lui. Perché sono in un posto come questo?
Ho fatto qualcosa di sbagliato?
Per quanto
percuotesse quella roccia, quella non poteva
sanguinare o provare dolore. Sebbene il viso di pietra fosse contorto eternamente
in quella smorfia…
… Non era certo intimorito da quell’osso che ostinatamente tentava
di fargli del male.
Era solo uno stupido pezzo di roccia che non provava dolore.
Per questo, non aveva mai ottenuto risposta.
Per questo. Ho fatto qualcosa di sbagliato,
io…?
Prettamente inutile.
Talmente inutile che a volte gli faceva pena, quel viso scolpito nella
pietra.
Allora ne accarezzava le fattezze eternamente
immobili, e sentiva il freddo ruvido sotto le sue dita.
Caro Dio, perché sono intrappolato qui?
Se esisti, ti prego, rispondimi.
Neanche
con le buone otteneva molte risposte, da quella parete di roccia.
Forse, la roccia non sentiva neanche le carezze che tentavano di essere una
scusa per gli sfoghi troppo violenti.
Mi ignori. Mi ignori, o non esisti.
Non mi piace.
Nessuna delle due mi piace.
Anche
quel viso sembrava ignorarlo.
Il pensiero lo irritava.
Lo irritava a tal punto, che iniziava di nuovo a colpirlo.
Rispondetemi.
Solo il
silenzio, fin troppo violento.
Io… volevo solo un po’
di compagnia.
Davvero.
E la
faccia, muta, continuava a non rispondere.
…
Inutile.
A/N: Ho provato a farla più
lunga. A continuarla. Ma non rendeva allo stesso modo.
Così, dopo esser arrivata a due pagine, ho cancellato tutto. E l’ho lasciata finire lì. Diciamo che questa fic è frutto della mia nuova
ossessione, Kimimaro. Mi sto appunto rivedendo le puntate. La prima volta non mi era affatto piaciuto come personaggio. Ora ne sono
innamorata. E la faccia che si vede quando è
rinchiuso nella sua celletta buia mi ha impressionata. Non so perché,
ecco. Della serie: “Uh. Faccia. Weck.
Bruttissima.” Qualcosa del genere, ecco. La scena mi sarà piaciuta
forse perché mi ricordava Hisoka di YaminoMatsuei.
Quanto adoro quel personaggio. Mi sarà piaciuta
per quello. Però, da piccolo, era troppo
tenero. E il design era fantastico. La scena
fantastica. E quindi ecco la fic. Non rende giustizia,
forse… mah. So che è infantile ecco, ma odio quando leggete e non commentate. Ah, piccola parentesi. Ignoratemi, ignoratemi Sisi *_*
Comunque,
si. Ne farò 52 è_é”” *convinta*. Se il mio cervello regge, ecco. Devereggere.
La prossima è… “5. The effect of impact on stationary objects.”
Capitolo 6 *** 5. The Effect of Impact on Stationary Objects. (Ino Yamanaka ) ***
“Aah~ Che noia
5. TheEffectofImpactonStationaryObjects.
“Aah~ Che noia! Perché non riusciamo
a trovare qualcuno che sembri lontanamente debole, eh?”
“Come ho detto- gli
unici che potrebbero essere più deboli di noi, sono Naruto e la sua squadra.”
“Sei un tale scemo.
Ma che cavolo dici?”
“Cosa
ti sembra che io stia dicendo?”
“Naruto e Sakura
potranno anche essere dei perdenti, ma nella loro squadra c’è
Sasuke-kun! Lui è il migliore!”
“Ah, non saprei. Quelli
come lui crollano facilmente, sotto la pressione del mondo
reale.”
“Cos’hai detto?!?”
Ed era questo, che le aveva detto Shikamaru.
Ma in quel periodo era troppo presa dalla sua ossessione per
l’Uchiha: non voleva neanche arrivare a comprendere ciò che il suo compagno di
squadra le aveva detto. Sembrava troppo un insulto rivolto verso Sasuke-kun. Quindi, era assurdo.
Si
arrabbiò, e glielo fece notare senza troppe pretese.
Shikamaru si era scusato, controvoglia: era convinto di quello che aveva detto.
Poi,
Ino non ci aveva pensato più. Tra il vedere Sakura in difficoltà e il volerle
rubare le luci della ribalta, tra l’esame troppo stressante e la lotta per
riuscire a prendere quel dannato rotolo… non ci aveva
pensato più.
Aveva davvero troppi problemi da affrontare, per potersi permettere di pensare
a qualcosa del genere.
Un commento dettato dall’invidia: l’aveva catalogato sotto questa categoria, e
l’aveva gettato nel dimenticatoio.
Poco importante, davvero.
Sasuke-kun
era sempre stato solido e fermo come una quercia, il migliore in tutto quello
che faceva. Mentre gli altri ancora imparavano a tenere come si
deve un kunai in mano, Sasuke-kun conosceva già alcune tecniche ninja. Mentre gli altri si affannavano a tentare di capire i canali
del chakra, lui aveva capito senza troppe difficoltà. Mentre gli altri ancora davano peso ad ogni minimo
graffio, lui manteneva senza fatica la calma.
Così le era sembrato.
Per
tutto questo, l’aveva ammirato.
Sasuke-kun era sempre stato solido e fermo come una quercia, inaffondabile, ed
il migliore in tutto quello che faceva.
Le
capitò un giorno di vedere Sakura aggirarsi come un’anima in pena davanti al
negozio della sua famiglia, senza che trovasse il coraggio di entrare. Aveva
atteso invano, Ino, finché non aveva perso la pazienza.
Ovvero molto presto –poiché ne aveva molto poca.
“Hai
intenzione di vagare come un fantasma per molto tempo ancora, Fronte Spaziosa?”
La
ragazza aveva sollevato lo sguardo su di lei, evidentemente colta alla
sprovvista. Ma non rispose. Ed Ino crucciò le sopracciglia.
“Che vuoi? Spaventi i clienti, così.”
Sakura
mormorò qualcosa che sapeva molto di scusa, e l’espressione sul volto della
bionda divenne semplicemente priva di parole. Battè ciglio.
“Non
ho capito bene.”
“Volevo
prendere qualcosa per Sasuke-kun. E’ all’ospedale.”
“Di
nuovo?” fu quello che le scappò dalle labbra. Incredula.
L’occhiata truce che le lanciò Fronte Spaziosa non servì a farle rimangiare
quella piccola osservazione.
“Si.”
“Oh.
E cos’è successo, ancora?”
“Non
lo so. Naruto non mi ha detto nulla. So solo che è privo di coscienza e non si
sveglia. Kakashi-sensei non lo vedo da giorni. E
Naruto non mi dice nulla.”
Sakura
fece spallucce, ed Ino si concesse la presenza di spirito di compatirla con lo
sguardo. Solo qualche attimo.
“E perché aspettavi fuori?”
“Ah,
non so se prendergli qualcosa o meno. Sono preoccupata.”
“Ti
preoccupi troppo. Sasuke-kun è Sasuke-kun, no? E’ il migliore. E’
imbattibile.Lo sai anche tu, che non
devi preoccuparti. Fronte spaziosa.”
“Ah,
ma che cosa ne vuoi sapere tu, razza di scrofa che non sei
altro.”
Ino
rise di quelle rughe sulla fronte della rivale, di quel discorso troppo paranoico.
Una delle mille preoccupazioni inutili di Sakura: l’aveva catalogato sotto
questa categoria, e l’aveva gettato nel dimenticatoio.
Poco importante, davvero.
Sasuke-kun era sempre stato solido e fermo come una quercia, il migliore in
tutto quello che faceva. Mentre tutti, nelle loro prime missioni, non
riuscivano a dare il meglio perché avevano paura, lui affrontava il lavoro come
un professionista. Mentre tutti gli altri prendevano alla
leggera quel primo periodo, quasi fosse un gioco, lui era serio. Mentre quasi tutti i loro compagni, dentro, erano ancora
bambini, lui era già cresciuto da un pezzo. Così le era sembrato.
Per
tutto questo, l’aveva ammirato.
Sasuke-kun era sempre stato solido e fermo come una quercia, inaffondabile, ed
il migliore in tutto quello che faceva.
Neanche
una settimana dopo, Sakura era in lacrime sul ponte.
“Sai
… fu Naruto a salvarmi da Gaara. E Sasuke me lo disse
con quell’espressione così amara sul viso… E ora, sempre all’ospedale…”
Ino aveva cercato di evitarla come la peste. Davvero, ci aveva provato. Le era
passata accanto, senza degnarla di uno sguardo di troppo. E
la voce di quel fantasma di ragazza l’aveva raggiunta.
“Hanno
rischiato di ammazzarsi, sai. Sasuke-kun ha sfidato Naruto, e si stavano ammazzando. Proprio sul tetto dell’ospedale. Non è
assurdo? Io lo trovo assurdo. Diceva cose assurde, Sasuke-kun. E’ andato via.
Non mi ha degnata di uno sguardo. Aveva uno sguardo
talmente… folle. Era furioso.”
“Non
riesco proprio a capire come questo possa interessarmi.”
Aveva cinguettato Ino, con tono tranquillamente cantilenato. Aveva fatto
spallucce e aveva continuato a camminare.
Sentiva lo sguardo tradito di Sakura trapassarle la schiena. Chissà se aveva bisogno di un’amica. Ma anche se ne avesse avuto bisogno, Ino non poteva più fregiarsi di
quel titolo.
E comunque, aveva da fare. Tuttavia le parole sconsolate dell’altra ragazza avevano
lasciato un’eco strana nella sua mente, come se ci fosse qualcosa fuori posto.
Ecco, qualcosa fuori posto.
Cos’è che aveva detto? Che
Sasuke-kun diceva cose assurde. Che aveva
sfidato Naruto, e quasi si erano uccisi.
La sua squadra non aveva questi
problemi, ovviamente.
Era sicuramente colpa di Naruto Uzumaki. Era sempre colpa sua, dopotutto.
Ma
non aveva detto che era stato l’Uchiha a sfidare quel
buffone? Chissà perché si era abbassato a quel livello.
Aveva uno sguardo
talmente folle. Furioso.
La
voce di Shikamaru la ammonì nella mente, con delle parole che non riusciva a ricordare.
Ci
rimuginò un po’ su.
Pensieri
sciocchi dovuti alla stanchezza dell’allenamento: classificò il tutto sotto
questa categoria, e lo gettò nel dimenticatoio, dirigendosi verso il negozio.
Poco importante, davvero.
Sasuke-kun
era sempre stato solido e fermo come una quercia, il migliore in tutto quello
che faceva.
Mentre
tutti perdevano tempo in maniere più o meno svariate,
Sasuke-kun era così serio. Mentre tutti non riuscivano a controllare alcuna emozione, Sasuke-kun era sempre così calmo.
Così le era sembrato.
Per
tutto questo, l’aveva ammirato.
Sasuke-kun era sempre stato solido e fermo come una quercia, inaffondabile, ed
il migliore in tutto quello che faceva.
Alla
fine, Sasuke-kun se n’era andato.
Ed
Ino era ancora incredula. Era incredula
mentre sedeva accanto a Sakura al negozio che vendeva i Dango. Era incredula mentre ignorava le lacrime dell’altra ragazza.
Era del tutto cascata dalle nuvole.
“Ha
detto che rimanendo qui non sta migliorando affatto. Che non gli importa se quello lì gli prende il corpo. Finchè
potrà uccidere lui, ha detto che non gli importa. Ha detto che la sua strada è diversa dalla nostra. Che ha sprecato questi anni. Che la sua distanza da luinon s’è affatto
accorciata. Che sono insopportabile
e noiosa. Che
siamo solo un peso. Ha detto tutto questo. E
non ho potuto fermarlo.”
Lei non aveva mai visto arrivare qualcosa di simile.
Sasuke-kun
era sempre stato solido e fermo come una quercia, il migliore in tutto quello
che faceva.
Le era sembrato così intelligente, così calmo, così
forte, così silenzioso, così adulto, così serio, così professionale, così… Così le era sembrato.
Per
tutto questo, l’aveva ammirato.
Sasuke-kun era sempre stato solido e fermo come una quercia, inaffondabile, ed
il migliore in tutto quello che faceva.
La
voce di Shikamaru, che fin troppo facilmente aveva gettato nel dimenticatoio,
si riaffacciò fioca alla memoria.
“Quelli come lui crollano
facilmente, sotto la pressione del mondo reale.”
… Oh.
La
quercia, ferma e solida.
La quercia, tutta d’un pezzo.
La quercia, che non si piegava mai a nulla.
Era
stata così cieca? Così accecata dall’idea di Sasuke-kun, per vedere quello che
stava, lentamente, diventando?
Era
così semplice, dopotutto.
Non
potendosi piegare, la quercia si era spezzata sotto il peso dell’impatto col
mondo reale.
Sospirò
mestamente, facendo spallucce e tirando un piccolo morso al mitarashi dango.
– E che ci si può fare, ormai? -
Accanto
a lei, Sakura continuava a singhiozzare, inconsolabile.
A/N: Altra strana fic. A dire
il vero sono curiosa su quale atmosfera vi sia arrivata.
Ho cercato di comunicare un certo tipo di… sensazione, ecco. Ai posteri l’ardua
sentenza.
Artemisia89 è veramente una poetessa, e altro non posso
fare che commuovermi. Prego, calare il sipario mentre
mi asciuga una lacrimuccia… Ecco. Finito, sisi. Non
ti preoccupare. Sono 52 fic. E almeno due son già HinaNeji,
nelle mie previsioni XD Ma, dato che le faccio in
ordine… andiamo per ordine, ecco. O.o
Prossimamente sullo schermo di questo computer:“6.
Andyes, the way you look at me.”
Capitolo 7 *** 6. And yes, the Way You Look at Me. [NejiTen] ***
6
6. And yes, the
way you look at me…
“… Sometimes I'm wondering why you look at me and blink your eye. ( And I would like to run away from reflections of me
in your eyes.)
Oh, please…
Talk to me, show some pity!”
[Shy,
Sonata Artica]
La
giornata era afosa, di quelle in cui, per principio, fai
fatica a respirare.
Di quelle in cui la tua pelle sente quell’umidità infiltrarsi in ogni più
piccolo poro, e avvisa il cervello che i polmoni non dovrebbero respirare a
priori. E loro, per principio, non respirano.
Ecco, la giornata era una di quelle.
Le odiava.
Per principio, ovviamente.
Perchè in quelle giornate, i capelli ti si appiccicano sulla fronte e sulla
nuca. – Odiosi.
I vestiti sembrano troppo pesanti e aderiscono e appiccicano ovunque. – Insopportabili.
Ma
tutto sommato, di giornate afose ce n’erano un’eternità, in una vita.
Poteva benissimo fare un piccolo sforzo, un piccolo
sacrificio.
Era stata appena promossa dall’Accademia. Non era passato neanche un mese.
Non poteva certo lamentarsi per un po’ di afa. Che figura ci avrebbe fatto, poi? Era l’unica ragazza
del gruppo, ovviamente. Ma non era debole.
L’avrebbe sopportata, questa afa, con tutta la buona
volontà. Ah, ma no.
Nossignore.
Perché oggi il Destino – buffo
pensare proprio a lui, a dire il vero – ce l’aveva con lei.
Come se non bastassero i capelli e vestiti appiccicati, anche gli occhi di lui le
erano appiccati addosso.
E
pesavano più dei vestiti e dei capelli messi insieme, pensa un po’.
Sentiva
quegli occhi seguire le sue mani, mentre estraeva i kunai.
Sentiva quegli occhi bianchi trapassarle la schiena.
Era sicura che quegli occhi non avessero mai bisogno di battere ciglio.
Erano semplicemente lì, e la fissavano. Il sudore che le colava sulla fronte, sulla nuca, che le
percorreva la schiena…
… il respiro così dannatamente irregolare…
… oh, era sicura che non fosse l’afa.
Era lui che la guardava. E ricordava i giorni di scuola, in cui lui guardava
tutti e non guardava nessuno. E ricordava il bambino che era stato.
E ricordava come non avesse mai incrociato il suo sguardo.
Mai. Neanche una volta. E ora lui la fissava, con così tanta insistenza.
Soggezione. Le incuteva soggezione, quello sguardo. - Ah, ti prego… -
Con un
ultimo scatto, lanciò i quattro kunai contro il fantoccio, in asse verticale.
Fronte, carotide, cuore, e… ah, no.
Non funziona proprio.
Aveva mancato i gioielli di famiglia del manichino.
Nono. Inconcepibile.
Era sempre riuscita a colpire i
gioielli di famiglia.
Li aveva anche innalzati a suo bersaglio preferito, diamine.
E, putacaso, non diede
colpa all’afa.
Voltò le spalle al fantoccio, e i suoi occhi incontrarono lui.
Lui seduto alle radici dell’albero, gambe tranquillamente incrociate.
Lui non disse nulla, continuando a guardarla. Senza che lei riuscisse ad interpretarne l’espressione.
Il modo in cui la guardava… come se le leggesse l’anima.
Sembrava guardasse solo lei, e nient’altro.
Non riuscì
a controllare il calore che le saliva alle guance.
Soggezione.
Imbarazzo. Se solo non l’avesse guardata così insistentemente…
…Glieli
avrebbe cavati volentieri, quegli occhi.
(Ovviamente per poi portarseli a casa, tenerli per sé. Gazza ladra di quegli
occhi scintillanti.)
Perché lui aveva l’orrenda, odiosa abitudine di fissarla con
quell’espressione vuota, mentre si allenava. Come se al mondo non ci fosse altro. E lei sentiva i suoi occhi continuare a seguirla in
ogni minimo movimento. Come se non avesse nulla di meglio da fare.
Incrociò il suo sguardo, vagamente frustrata.
Sentì quegli occhi bianchi violare i suoi, e trafiggerle l’anima.
Quello sguardo la toccava dentro, e sembrava poter leggere qualunque pensiero.
Ed era
come se fosse nuda.
Quello
sguardo…
… quello sguardo non aveva pietà.
- Ah, ti prego… Parlami. Di’ qualcosa… -
Lui,
ovviamente, non disse nulla, ma quel piccolo sorriso di superiorità era troppo
da sopportare. Schiuse le labbra, obbligò i suoi polmoni a respirare
nonostante l’afa, e…
“Ah!
Incredibile! Tenten, hai mancato davvero
il bersaglio?”
… e, ovviamente, non
disse nulla.
Voltò le spalle alla fonte di tanta distrazione, per ritrovarsi a fissare Rock
Lee, appena arrivato.
Il quale, ovviamente, doveva sottolineare tale affronto. Logico. Era intrinseco nella sua natura. Balbettò qualcosa, senza avere la minima idea di come scusare tale
oltraggio – quale i mancati gioielli di famiglia.
Alla fine rinunciò, esasperata.
“Waaargh!”
Si lasciò sfuggire tale femminilissimo
urlo frustrato, alzando le mani in segno di resa.
Si diresse verso il fantoccio e tolse i kunai, ad uno ad uno.
- Non è proprio giornata. –
Forse un
po’ troppo violentemente, a dire il vero.
Rock Lee
si fermò per un po’ a guardarla, confuso – sapere il suo sguardo su di lei non
le faceva né caldo né freddo.
Alla fine,
il ragazzo cominciò ad allenarsi per conto suo.
Lei,
invece, si fermò un po’ più del dovuto di fronte al fantoccio.
Guardandosi circospetta alle spalle con la coda dell’occhio.
Si. Eccolo.
Quello sguardo bianco era ancora lì, su di lei.
Riportò controvoglia l’attenzione sui
kunai. Nonostante l’afa, non poteva avere così caldo in viso.
Era inumano. Quegli occhi la stavano ancora guardando. Sempre a
quel modo. E lei nascose un sorriso, mentre
dentro e fuori andava a fuoco.
Ancora una
volta - manco a dirlo - non diede colpa al caldo.
- Alla fine ci sono cascata persino io, mi sa.-
A/N: Direi che è definitivamente diversa
dalle mie altre fic ò_ò Dai, non c’è neanche un po’
di angst. Neanche un pizzichino ò_ò”
Questa è
la mia prima NejiTen. Ovvero, dato che sono nuova e
questo è il mio esordio nella coppia… ho voluto scrivere dell’esordio della
coppia, ecco. E’ ambientata, come scritto, nel primo mese dalla
formazione del Team Gai.
Alla fine,
è deviata sull’ironico.
Sinceramente,
forse sono una voce fuori dal coro, ecco. Ma Tenten la vedo come un personaggio troppo aldisopra di
certe cose così… femminili, ecco. Penso non sarebbe
felice di ammettere un qualsiasi amore per Neji.
E vabbeh, c’est la vie. Era
da tanto, ormai, che non scrivevo su un pairingXD
Oh si. C’è
anche su Gaara. Come detto, ho 52 titoli da sbrogliarmi. Alla fine penso si
possa vedere di tutto >.<””
Ranting finito, miei siuri
u_u” La prossima sarà: “7. Snow falling on corpses”
Sospiro.
Ma il bambino rimaneva lì, fuori dal sacco a pelo, e
continuava a fissarlo.
“Che c’è?”
“… Nulla, Zabuza-san.”
Rimasero a fissarsi per un po’. Ma Zabuza non aveva davvero pazienza, con i bambini. Né tanto meno esperienza.
Piuttosto, li detestava amabilmente. Qualcuno mi ricorda perché è qui, il
moccioso?
Il bambino battè ciglio.
Ah, si. Arma, Zabuza. Arma. Nonostante il piccolo continuasse a fissarlo, voltò la schiena dall’altro
lato, per riprendere a dormire.
Non sentì lo sguardo del bambino scostarsi dapprima sul cielo, poi sulle sue
stesse mani.
“Mia madre mi diceva sempre che la neve
non è pura. La neve è sporca.”
Senza rimorsi, fece finta di dormire. Ma il bambino non sembrò notarlo. Strinse i pugni. Li
riaprì.
“Diceva che
diventa sporca per prendere con sé le impurità di ciò che tocca.”
Nessuna risposta.
“Io… l’ho pensato
sapete. Quel giorno l’ho pensato: se dovessi morire qui, ora, vorrei
solo che nevicasse. Perché, Zabuza-san, la neve… lei, purifica tutto,
davvero. Vi sembra sciocco?”
Zabuza sospirò e alzò gli occhi al cielo.
Dopodichè, li chiuse.
“Non nevicò, però, quel giorno.”
“Un ragazzo puro e candido come la neve.”
- Che non è pura e candida.-
E le labbra di Haku stavano diventando blu.
Le
vedeva benissimo, da lì vicino.
Vedeva quei fiocchi di neve cadere, ed indugiare su quelle labbra socchiuse.
Socchiuse e blu.
Haku, stai piangendo?
Indugiavano
a sciogliersi. Acqua sporca di sangue.
Sembrava stesse nevicando solo per lavar via quel sangue che stonava così tanto. Così tanto su quel viso troppo dolce, che sembrava
stesse riposando.
Zabuza
sospirò, e alzò gli occhi al cielo.
Dopodichè, li chiuse.
Puoi dormire tranquillo, Haku.
Dormi, e non ti preoccupare
più.
Sta nevicando, ora.
A/N: è stata la più
sofferta. La più difficile. Colei che non voleva farsi scrivere.
Ed infatti, non sono neanche soddisfatta, ecco.
Ma questo è il meglio che sono riuscita a tirare
fuori. Avevo l’idea ben chiara in mente, e non sono riuscita a scriverla. E quando non ho idee, mi escono facilmente. Il mio
cervello mi odia -.-“
Spero almeno di aver fatto intendere quel che volevo. Odio
quando succede così, ecco ç_ç
Next.8. The blind leading the blind.
(SandSiblings,
se dio concede la grazia. Dato che inizia anche la scuola
>.<)
Capitolo 9 *** 8. The Blind Leading the Blind. [Sand Siblings] ***
“Kankuro… Temari…”
8 - The Blind Leading the Blind.
“Kankuro, Temari… Mi
dispiace.”
“…”
“Non ti preoccupare.”
Francamente
parlando, aveva sempre sognato una famiglia normale, lei.
Ovviamente,
ad alta voce non lo avrebbe ammesso
mai.
Era una questione unicamente di principio.
Temari poteva affermare di essere felicemente sopravissuta ai primi tre anni della
sua vita: suo padre era il Kazekage e sua madre aveva
occhi solo per lei – tanto da non notare mai Kankuro che, puntualmente, le rubava le bambole.
Omettendo quest’ultimo particolare, era una bambina felice.
Poi, a suo padre venne la sagace idea di sigillare un demone dentro il
fratellino che stava per nascere, utilizzando la mamma come sacrificio e
richiamando la maledizione della povera donna su tutto il villaggio della
Sabbia.
Non che desse la colpa a suo padre.
Non ad alta voce, almeno.
Così, da un giorno all’altro si era ritrovata senza la mamma, con un
fratello minore che le rubava le bambole, un padre quasi mai a casa e un
marmocchio di più tra i piedi.
- Non aveva ancora capito la distinzione
fra famiglia rispettabile e famiglia rovinata, a quel tempo. -
Sapeva solo che le mancavano le attenzioni della mamma, e che era colpa di quel
fratellino appena arrivato.
Allora, per dispetto, lo aveva ignorato per un po’.
Giusto un poco, per fargli capire che era arrabbiata.
D’altronde,
il bambino era troppo… piccolo. E così poco
interessante.
Aveva iniziato ad avere sospetti sull’integrità di quella famiglia soltanto quando quel marmocchio aveva deciso di cominciare
ad uccidere la gente che aveva paura di lui. Non che lei, a quel tempo, lo avesse capito.
Sapeva solo che un giorno lo zio Yashamaru l’aveva portato a casa, e aveva
parlato con il Kazekage.
“E’
mentalmente instabile. Ha ucciso il vecchio Hoshi.”
Così aveva detto.
Il vecchio Hoshi le dava sempre le caramelle, prima che la mamma morisse.
Il che, quindi, era un vero peccato.
Temari aveva visto molte altre sorelle maggiori tiranneggiare i fratelli più
piccoli.
Loro potevano, perché erano le più grandi. E credevano
che la loro missione nella vita fosse unicamente quella.
Allora, per dispetto, aveva provato anche lei a fare come si deve la sorella
maggiore. Giusto un poco, per fargli capire che era arrabbiata.
Armandosi di tutta la cattiveria – e il coraggio - che una bambina potesse
avere a sei anni, aveva fatto un respiro profondo e si era affacciata alla
stanza, tornata dall’Accademia.
“Gaa…”
E il
piccolo si era girato e l’aveva fulminata con lo sguardo, lì, sulla porta.
Lei aveva avuto
un piccolo infarto sul posto, poi aveva girato sui tacchi ed era uscita dalla
stanza, andando a sfogare la frustrazione di sorella maggiore mancata su
Kankuro, che puntualmente era con le sue bambole.
Aveva
deciso che sarebbe stato lui, suo fratello minore, così avrebbe avuto qualcuno da tiranneggiare per bene.
Gaara non lo voleva mica come fratello, lei.
In qualche
punto durante quegli anni di Accademia, aveva capito
che la loro era una famiglia a pezzi.
E le
giornate passavano tremendamente sbagliate, l’una dopo l’altra.
Aveva
dimenticato l’odore della mamma, di quel profumo che metteva sempre.
Il papà non era mai a casa, lo zio Yashamaru la ignorava e Kankuro era sempre
in camera sua a giocare con le bambole. Immancabilmente, anche
se ormai era troppo grande (e maschio,
per di più).
Il gioco
della tirannica sorella maggiore non la divertiva più, ormai. Mentre nel primo periodo Kankuro aveva avuto la decenza di
fingere qualche lacrimuccia di circostanza, oramai non la ascoltava neanche.
Si era davvero stancata di quel gioco. E intanto, l’altro fratello – che non era suo fratello – girava per casa come un fantasma,
tenendosi stretto quell’orsacchiotto.
- Era sicura fosse stato suo, quell’orsacchiotto.- Aveva provato a prestargli un po’ d’attenzione, davvero, ma tutto il
villaggio aveva paura di lui, perché lui uccideva la gente senza muovere un
dito. Con la sabbia.
Gli abitanti del villaggio avevano paura di lui, e a maggior ragione, perché di
sabbia lì ce n’era tanta.
Sentenziò dunque che era cosa perlomeno saggia, avere paura di suo fratello. Quindi, a dieci anni, la famiglia di Temari era
ridotta ad un fratello pluriomicida di sette anni che non dormiva mai, un
fratello di nove anni che giocava con le bambole e frugava tra i suoi trucchi
giocattolo, un padre invisibile e uno zio che le ricordava troppo la mamma, ma
che era sempre vicino a qualcun altro.
E non a lei.
Probabilmente
lo capì in quel momento, che quella non era più una famiglia rispettabile. O meglio, che quella non era più una famiglia.
E se
era una famiglia, era una famiglia a pezzi.
Da qualche
parte nell’anno successivo, tanto per cambiare, Gaara uccise anche lo zio
Yashamaru.
Non seppe mai com’era accaduto.
A quel punto ormai Gaara la terrorizzava, e si stupiva nel pensare che da
piccola aveva provato a tiranneggiarlo come una
sorella maggiore. Il Kazekage era vicino ad una crisi di mezz’età anticipata e
tentava di passare sempre meno tempo a casa. Quindi,
alla fine, erano solo loro tre.
Lei, suo fratello, e quel fratelloche non era suo fratello.
La loro
numerosa famiglia ridotta a due soli elementi non le piaceva per niente,
pertanto aveva provato ad allargare il cerchio, prendendo le pinze e cercando
di parlare civilmente con Gaara.
Non avendo
più lo zio Yashamaru che faceva da donnina di casa – sebbene
fosse loro zio, lei aveva sempre segretamente pensato che fosse la sorella
della mamma –a undici anni Temari aveva
deciso di prendere finalmente lei il posto di donnina di casa. Aveva imparato
discretamente a fare i letti, un po’ meno a cucinare.
Insomma, da sorella-demonio era
passata alla fase sorella-con-istinto-materno.
In anticipo di qualche anno sulle sue compagne di classe, oltretutto.
E, dato che badare a Gaara aveva sempre fatto parte della routine quotidiana di
Yashamaru, lei s’incaricò mentalmente di questo arduo
compito.
Nonostante
avesse una paura invidiabile.
Il primo
approccio non fu dei migliori. Anche perché Gaara, dopo la dipartita dello zio, era – se umanamente possibile – peggiorato.
“Non ti
considero mia sorella.”
Senza un’espressione particolare, Gaara le aveva detto chiaro e tondo ciò che
lei pensava più o meno da quando lui era nato e aveva
ucciso la mamma. Non sei mia sorella. Non sei la mia
famiglia. E tu non sei mio fratello, quindi siamo pari.
Non era
mai riuscita a far calmare Gaara. Solo Yashamaru sapeva come fare.
Non sapeva che ci voleva amore.
Pensava bastasse dirgli: “Non devi fare così.”
Ben presto abbandonò la prima schiera sul fronte di battaglia, ritirandosi nella
trincea con Kankuro.
Che, nel frattempo, era beatamente e tranquillamente passato dalle bambole alle
marionette – piuttosto prevedibile.
“Kankuro, Temari… Mi
dispiace.”
“…”
“Non ti preoccupare.”
In sedici
lunghi anni di vita, non aveva mai visto Gaara ridotto a quel modo.
Guardava il fuoco del piccolo accampamento con aria piuttosto assente, e stava
immobile. Quasi avesse paura che, muovendosi, potesse sentire
dolore, quel dolore che aveva tanto agognato sentire. Non ti stavi perdendo niente.
Supponeva che quella notte non sarebbe stato l’unico a non dormire.
Kankuro stava fischiettando tranquillo fra sé e sé, completamente fuori dal mondo – come
al solito, come lo era stata la mamma prima di lui - e la luce instabile
delle fiamme faceva sembrare quasi grottesco il suo volto truccato. La
marionetta era aperta sul torace, e con perizia quasi maniacale lui ne stava
pulendo l’interno. E le giunture.
Con uno squeak squeak
continuo nel silenzio tombale.
Irritante.
Lei, d’altro canto, era seduta alle radici di un albero, schiena poggiata
contro la corteccia ruvida.
Sbadigliò, senza curarsi di portare la mano davanti alle labbra. Tanto siamoin famiglia, no?
E
quasi le venne da ridere.
“Kankuro, Temari… mi dispiace.”
“Non ti preoccupare.”
… ma per
favore.
Rise.
E due paia
di occhi si fissarono su di lei, la quale ne ricambiò
lo sguardo, battendo ciglio.
Schioccò la lingua all’occhiata perplessa di Kankuro, sbuffando.
E le si strinse il cuore allo sguardo di Gaara, che
ancora sembrava involontariamente chiedere scusa.
I mostri non chiedono scusa.
I
fratelli si.
“Ma io non
ti considero mia sorella.”
“Che c’è?” sbottò il marionettista, arricciando appena il
naso e deformando la maschera di trucco. Ma lei non lo guardò. Piuttosto distolse lo sguardo da
Gaara, chiudendo gli occhi.
“Pensavo.”
“… a cosa,
esattamente?”
“Ma, dico, ti sei sentito, Kankuro?”
“… non
devi stare tanto bene.”
“ – Non ti
preoccupare – dice lui.” Lo scimmiottò, forse con voce troppo alta e petulante.
“Sai cosa sembravi?”
“Ah, e
smettila! Ti ripeto che non ho geni recessivi femminili. Tutti i ragazzini sono
attratti dalle bambole! Sono gli ormoni, dannazione. Quando
la smetterai con questa storia?”
“… Sembravi
quasi suo fratello.”
Questo
zittì Kankuro, che si limitò a guardarla come se le fosse spuntata una terza
testa.
- la seconda le
era spuntata già da tempo - Gaara, invece,
continuava a guardarla con quegli occhi distanti. Lei ne incrociò lo sguardo,
neppure pensando di sentirsi in colpa per aver riso solo perché Gaara era
sembrato loro fratello, per un attimo.
Aveva riso
perché, in fondo, lo era sempre stato. -
e certo non è compito di una bambina decidere chi è suo fratello e chi no –
Si lasciò
sfuggire un suono divertito, prima di fare spallucce.
“Scusate,
è che non ci sono proprio abituata.”
“Neanche
io.” Fu la laconica e perplessa risposta di Kankuro, che tornò al suo squeak squeak
imperituro.
Gaara si
limitò a battere ciglio, e tornò a guardare il fuoco.
Forse,
volendo, avrebbero potuto rimetter su quei cocci di famiglia.
Era
questo quello che pensava.
Il vero problema,
era che ormai nessuno sapeva più da dove iniziare.
A/N: Si lo
ammetto. Era solo una scusa per scrivere Kankuro che gioca
con le bambole >_>”
No,
seriamente. Allora, l’ultima parte ce l’ho in testa da
giorni. Ma era breve, e volevo scrivere qualcosa di
più lungo. Allora ho buttato giù l’ultima parte. Poi ho lasciato
perdere.
Oggi, mentre mi facevo lo shampoo al posto di studiare Socrate e Henry the Second, mi è venuta in
mente l’immagine di Kankuro che giocava con le bambole di Temari >_> e di
Gaara che le rubava l’orsacchiotto dell’infanzia, perché si sentiva solo. Ecco.
E tutto il resto è nato da lì.
Non so che dire. Era più lunga di così, ho tagliuzzato
un po’ ovunque. Grazie a Ross che mi ha tartassata *_* Osannatela! Osannatela, poiché lei ha creato un mostro! °_° Comunque, è il mio primo tentativo di scrivere di sti tre buzzurri. Mi han fatto notare che Temari è egoista... beh, da piccola non l'abbiam mai vista parlare, ecco. Comunque, forse dovrò mettere OOC tra i warnings. Chissà. o.ò"
Questa è
dedicata alla Cugia, va.
Giusto perché è lei (che mi fa fretta di pubblicarle è_é”)
Capitolo 10 *** 9. Four Twelves are Forty-eight. [InoShika] ***
9
Ricordava
ancora le prime parole che le aveva detto
all’accademia.
Con il
solito tono annoiato, supponente, sbirciando sul suo quaderno.
“Quattro
per dodici fa quarantotto.Tsk. Donne.”
Ricordava
come quegli occhi azzurri avevano battuto ciglio.
Il cipiglio indispettito.
La risatina che ne era seguita.
“Lo so, è stata distrazione.”
Incredibile,
come certe cose non cambiano mai.
9. Four twelves are forty-eight!
[Vorrei fosse davvero così semplice.]
I suoi
occhi erano spenti ed arrossati, ma nonostante tutto riuscivano
a sembrare luminosi quando sorrideva così, con quella sicurezza di sé e quella
confidenza che le erano sempre appartenute.
“In un
anno ci sono dodici mesi, quindi dodici diviso quaranto… no,
no. Mi fa male la testa, scusa. Dicevo, quarantotto diviso dodici fa quattro, con il resto di due, quindi sono quattro anni e
due me…”
“Quattro
per dodici fa quarantotto e basta, Ino.”
Replicò con tono annoiato il ragazzo, sollevando lo sguardo stanco dalla
scacchiera del Shogi. Il viso di lei
si spense per un attimo, come se negli occhi offuscati fosse venuta a mancare
improvvisamente la corrente. Per qualche interminabile momento rimase lì,
immobile, interdetta.
Totalmente plastificata.
Finchè sembrò sbloccarsi appena, azzardando prima un sorriso, poi una risatina.
”Oh, si. Distrazione, la testa sai. Allora quattro.
Quattro anni. Sono tanti. E’ un bel po’ di tempo.”
Così tanto tempo.
Più tutto quello che
hai perso.
“Sei una
tale bionda.” Borbottò lui, con un sospiro fin troppo plateale.
“Naturale.
Bionda naturale.”
“Stupida,
intendo.”
“Oh, devo
farti notare che la tua Temari appartiene al vastissimo mondo delle bionde,
Shika? Potrei fare la spia, visto che non ho nulla di meglio da fare, qui. Non
credo ti farebbe passare liscia questa affermazione,
sai?”
Il Chuunin
non rispose, sollevò solo lo sguardo neutro.
“Non te la
farei passare neanche io, ecco. Potessi alzarmi.” Il
tono della ragazza si fece appena imbronciato, mentre le mani si stringevano
sulle coperte che, per essere ipoteticamente nuove, erano troppo stantie di
sudore e del metallico del sangue.
Gli occhi
scuri di lui si posarono indifferenti su quelle mani, e serrò le labbra.
“Guarda,
Shika, se ti secca così tanto star qui, vai pure da
Temari. Sarà qui al villaggio della Sabbia, da qualche parte. Io posso pure
aspettare da sola. Quand’è che arrivano Tsunade-hime e fronte spaziosa,
piuttosto? E’ di loro che ho bisogno. E poi ti chiamano genio.”
“Che
seccatura che sei.” Mormorò il ragazzo, sbuffando
appena e alzando lo sguardo al soffitto scrostato. “Lo sai benissimo che siamo
in guerra contro il villaggio del Suono, Ino. Voglio dire, ci deve pur essere
un cervello sotto quella massa di capelli.” Il tono di lui rimase piatto, un tono totalmente privo di tono
particolare. Come delle parole imparate semplicemente a memoria, e ripetute per pura inerzia.
“Simpatico
come un calcio nei coglioni~” Cinguettò la ragazza,
gli angoli della bocca un po’ troppo tirati.
“Ci sono i
feriti sul campo, da curare. Quelli che rischiano la vita.
Piuttosto dovresti ringraziarmi, dato che sono
riuscito a portarti al villaggio della Sabbia.”
“Oh,
dovresti piuttosto ringraziarmi tu, poiché ti ho dato la scusa per venire qui, ingrato!”
“Che noia
che sei, con questa storia.”
“Non sono
gelosa.” Affermò compitamente lei.
“Non l’ho
mai insinuato.” Soffocò uno sbadiglio, spostando pigramente un pezzo sulla
scacchiera.
“E’ solo
che non mi va di aspettare troppo, ecco. Sono qui da poche ore, e già non ne
posso più. Di stare ferma. Mi sembra di stare ferma da giorni. E’ che la ferita sulla nuca non mi fa poi così male.
Considerando che mi ha messo K.O. le gambe, mi
aspettavo molto peggio. Non sanguina neanche.”
Occhi spenti sulle gambe immobili, coperte dalle lenzuola
ipoteticamente fresche e pulite.
Così tanto tempo.
Più tutto quello che stiamo perdendo.
“Allora
non lamentarti e dì grazie.”
“Certo non
dirò grazie a te. Dovevi prenderti cura del mio, di corpo. Invece
scommetto che ti sei distratto guardando quello di Temari, mh? Razza di
dongiovanni. La tua compagna di squadra sono io, nel caso ti fosse sfuggito di mente.”
Shikamaru
arricciò il naso, con quell’espressione vagamente distante – quasi depressa – ma non rispose.
Ino assottigliò lo sguardo spento sul viso troppo pallido.
“Nonostante
quello che ti ho detto prima… Non sono mica gelosa, comunque.”
Si giustificò, continuando a fissarlo.
Lo fissò.
Lo fissò finché lui parve sentire quello sguardo, e rispose.
“La Godaime arriverà il prima
possibile.”
“Ah beh.
In fondo sono qui da poco. Un giorno o due li posso aspettare, non sto facendo
i capricci. Posso aspettare.”
“Puoi.” Fu
la caustica e stanca risposta.
Imparata a memoria dal copione.
“E la tua Temari non sa fare l’infermiera, ne, Shika-kuun?” la voce della bionda si abbassò
ad un sussurro malizioso, e per un attimo gli occhi sembrarono brillare appena
da dietro il rossore, da dietro la patina opaca.
“…
sinceramente, sei noiosa. La farai mai finita con questa storia, mh? Sono qui
accanto a te, no?”
Ci rimarrò.
“Oh,
insomma. Anche tu sei noioso. Se proprio devi venire qui con quella faccia, rinfacciandomi che star qui ti
annoia, fai prima a non ve…”
“…nire.”
L’ultima
parola si spense sulle labbra, morì in gola e ricadde giù.
E le
labbra rimasero così, immobili. Semiaperte, lo sguardo fisso davanti a sé, senza che
apparentemente vedesse nulla.
“Non venire.” Ripeté.
Lui
abbassò lo sguardo.
“Non venire, non venire
non venire nonvenirenonvenire…”
La parola
sembrava esserle rimasta incastrata sulla lingua, sulle labbra pallide che la
ripetevano piano, fin troppo tranquillamente, senza affanno.
Come una nenia, fra sé e sé. Quasi non riuscisse a liberarsene.
La testa ciondolava appena, occhi socchiusi e sereni. Persi.
“Shikamaru, cazzo!
Non venire di qua con il mio corpo, ma che cavolo stai
guardando?
Sei scemo o cosa?
Non venire di qui, non venire!”
“Non veni…”
Le spalle di Ino ebbero un sussulto, così come la testa che aveva
lasciato ciondolare sotto il ritmo di quella nenia di parole. Sotto gli occhi impassibili, annoiati di Shikamaru.
Battè ciglio, corrucciando la fronte. Poi le iridi opache si guardarono
attorno, con la stessa pigrizia di chi s’è appena destato
da un lungo, lunghissimo sonno.
“Oh, sei
tu, Shika. Sei venuto a trovarmi?”
Il ragazzo
tentò davvero di sorridere, ma
piuttosto gli sfuggì uno sbadiglio. Quindi, si limitò ad annuire.
“Bene. Sai
che non conosco nessuno qui, e i pochi che conosco non mi piacciono neanche.
Siamo al villaggio della sabbia, no? Dalla finestra si vede la sabbia. Non
vorrei dover passare il tempo con la tua Temari, sai. Non sa fare l’infermiera,
lei? Ne, Shika?”
Quello
sguardo malizioso.
Lui non
rispose.
Lei crucciò la fronte sugli occhi vuoti e cerchiati da occhiaie troppo vistose.
“Dov’è Choji?”
“Sta
ancora combattendo sul fronte, al Villaggio del Suono.”
Risposta.
Imparata.
A.
Memoria.
Annoiata.
“Oh,
allora posso prendermi una piccola pausa. Un giorno o due li posso aspettare, non
sto facendo i capricci. Non mi chiamo mica Sakura, io. Posso aspettare.”
“Puoi.” Ma
lo sguardo di lui rimaneva perso sulle lenzuola in cui
lei era avvolta da settimane.
Poche
ore, ne, Shika? Posso
aspettare.
“Però sono un po’ in pensiero per Choji, sai. E’ che non avevo mai immaginato che saremmo potuti diventare una
squadra così unita.”
“Ah no?”
Sapeva già
la risposta.
“Guai a te
se lo dici in giro, genio, ma credo di tenere molto a
voi.”
Pausa. E nella sua mente, partì il conto alla rovescia.
Tre, due, uno…
“Soprattutto
a te.” Soggiunse, con perfetto tempismo. Una semplice constatazione. “E se me lo fai ripetere, sei morto.”
Eppure
l’aveva già ripetuto così tantevolte.
“E’
incredibile come debba servire la guerra, per farti
capire certe cose. E pensare che da piccoli mi facevate
ribrezzo. Quanti anni sono passati? Quanto tempo è
passato?”
Shikamaru
non rispose.
Lo sguardo di lei si perse, sereno, sul soffitto.
Quello sguardo di chi si è tolto un peso dal cuore.
“In un anno
ci sono dodici mesi.” Riprese lei, ignara. “Quindi
dodici diviso quaranto… no, no. Mi fa male la testa, scusa. Dicevo, quarantotto
diviso dodici fa quattro, con il resto di due, quindi
sono quattro anni e due me…”
“Quattro
per dodici fa quarantotto, Ino. Fa
sempre quarantotto.”
Magari fossetutto
così semplice.
La corresse stancamente il ragazzo, rassegnazione nella voce.
Una morsa
nel cuore, quando lei, per l’ennesima
volta, si bloccò, azzardò un sorriso, e poi una risatina.
Rigorosamente in quell’ordine.
”Oh, si.
Distrazione, la testa sai. Allora quattro. Quattro
anni. Sono tanti. E’ un bel po’ di tempo.”
Così tanto tempo.
Più tutto quello che abbiamo perso.
Non poteva
che starle vicino.
(anche se questo, in realtà, lo uccideva)
…
“Oh, sei
tu, Shika.”
A/N: E’ la più brutta cosa che io abbia scritto finora, ecco. [La Luce dei miei Occhi mi salva
dal Baratro del Buio. Ti amo (L)]
Più
che altro è che avrei voluto spiegarla meglio, ma ogni
parola che aggiungevo mi sembrava, alla fine, superflua – il contrario di
quella sui Sand Siblings, insomma. Chi la leggerà, se
la leggerà qualcuno, mi piacerebbe sapere se si è capita, ecco. Ç_ç Non è nulla di che, più che altro ho
provato a metterci un mezzo plot, in mezzo.
E’ il tema, che è ostico. E’ il dannatissimo tema. 4x12=48.
Va beeene. Dopo dichè? °_°
Spero
che risulti almeno… gradevole per farvi fare una
risata. >_>”
E spero di aver tenuto l’IC, anche se son stata costretta a
stiracchiare un po’ i personaggi, ecco. Ino ha pur sempre visto la morte in
faccia, no.
Sto
cercando scuse. Perdono.
E
faccio una cosa che non facevo da tanto *_* Olè °.°
Artemisia89: No, sono io sorella minore. Ho dieci
anni in meno di mia sorella, purtroppo. Ma lei ci
tiene tanto a farmi sapere quello che pensa su di me, quindi ormai l’ho capito u_U” E poi, le rubavo i giocattoli.
Diste93: Io sono così fiera di quella su
Kimimaro ç_ç” Però Kimimaro non lo ama nessuno, ecco. Basta che lo ami
io. Tutto mio *ç* Fisima a parte, ho trovato quel viso molto, molto
inquietante.
Lyla: Era mia idea appunto
fare una cronaca, ma più che altro per arrivare al pezzo finale, che era quello
che avevo in mente. ^^” Kankuro è nato per giocare
con le bambole.
MaryGarner: fossi stata in Temari, sarei diventata io la pluriomicida
di famiglia, altro che Gaara. Avrebbe avuto mooolto
in comune con Itachi, ecco.
Suzako: scherzavo sul fatto di Kankuro XD Piuttosto, lo so, me l’han
fatto notare molte delle mie tesore a cui propino le fanfic prima di
propinarle sul sito XD Più che altro, è ripetitivo, perché ci ho preso la mano:
volevo marcare come, mentre Temari è più o meno coinvolta nel rapporto con suo
fratello/non fratello – nel senso che ci pensa – Kankuro
è più menefreghista, e passa il tempo a giocare con le bambole. Per questo l’ho
ripetuto più o meno ad ogni lasso temporale: mentre
Temari faceva tot tottot, Kankuro giocava con le bambole e i trucchi. Alla fine,
Temari si barrica in trincea con lui ^o^
JalyChan: Ah, mi mancavi, ecco u_u” *si è affezionata, tipo
gli animali addomesticati* Temari è ironica, Temari è
una dura. E Temari Spakkaè_é””
Next One: 10. One True Thing.
PS. Ino è quella che ha fatto più
presenze, finora. Ben 3 u_u
Capitolo 11 *** 10. One True Thing. [HinaNaru] ***
10
10. One True Thing.
Quando era
piccola, Hinata si ritrovava spesso a pensare di essere venuta al mondo nel
luogo sbagliato.
E’ una cosa piuttosto normale per ogni bambino, immaginare di avere altri
genitori – quelli veri - quando questi lo
rimproverano.
“Non
devi rispondere male! Vai a letto senza cena.”
Un
qualsiasi bambino, rigirandosi nel letto dopo tale affronto, penserebbe: oh,
ma io non solo loro figlio, per questo mi trattano
così. Un giorno verranno i miei genitori, che non hanno mai smesso di cercarmi,
e mi abbracceranno e la faranno pagare a questi impostori che mi hanno trattato
così male.
Purtroppo Hinata non poteva pensare di non essere loro figlia,
di essere una trovatella – i suoi occhi dimostravano troppo bene la sua eredità
genetica. Allora, non avendo altra scelta ma avendo a disposizione una fantasia
piuttosto invidiabile, si convinceva semplicemente di essere venuta al mondo
nel luogo sbagliato.
La cicogna aveva sbagliato indirizzo – tutti possono
sbagliare.
Allora si convinceva lentamente di stare sognando, e che presto si sarebbe
svegliata nella vera realtà, dove lei era brillante e
benvoluta da tutti, e dove era figlia unica.
Accoccolata sotto le coperte, dopo quei pensieri, dormiva e sognava la sua vita
vera – quella che avrebbe dovuto essere.
Sognava di essere una persona dotata di talento o, nei momenti più influenzati
dalle favole, addirittura una viaggiatrice in cammino per una qualche nobile
causa. Mai una principessa, poiché le considerava piuttosto inutili – come d’altronde
lei era in quella realtà da cui voleva sfuggire.
La
vita reale era finta, e i suoi sogni erano reali: nei suoi sogni era la vera sé stessa con tutte le cose che odiava ammettere e quelle
che ammetteva e quelle su cui, timidamente, mentiva.
C’erano coloro poteva chiamare amici, in quei sogni reali, quando nella finta
realtà non ne aveva neanche uno.
Il suo incubo era svegliarsi, un giorno. Se si fosse svegliata, sarebbe scomparsa?
Oppure sarebbe tornata ad essere la bambina invisibile, che non faceva mai
nulla di buono, per la quale i genitori non avevano neppure una parola di
conforto?
Per sicurezza, aveva scelto di continuare a sognare per sempre.
Era il suo sogno, e avrebbe continuato a sognare per
sempre – non ci perdeva nulla.
Non aveva nulla di reale in cui importasse credere.
*** ° ***
A
volte si soffermava a fissarlo. Era più forte di lei.
Era come se quegli occhi bianchi fossero nati solamente per essere
inevitabilmente attratti da lui.
Studiava le sue risate, la sua rabbia, la sua
spensieratezza.
Se qualcuno si fosse degnato di guardare almeno una volta quella bambina in
viso, avrebbe notato che mai si era vista su di lei un’espressione più viva di
quella che aveva quando, seduta compita al suo banco e
ciondolando le gambe esili, guardava lui.
Era viva, ed era curiosa.
Era affascinata.
Qualcosa di interessante era capitato per caso nella
finta realtà, e davvero non riusciva a capacitarsene.
Per un po’ aveva provato ad inserire quella figura così calda nella realtà del sogno… ma tutto ciò che ne usciva era solo una copia
sbiadita, una copia che non emanava neanche metà del calore di un solo sorriso
dell’originale.
Questo la atterriva, perché era stata sicura che nei sogni fosse tutto di gran lunga meglio della vita reale.
Cominciò a cambiare.
Ogni notte, la bambina dormiva e continuava a sognare la sua vita-che-sarebbe-dovuta-essere.
Ma in realtà non vedeva l’ora di svegliarsi, il giorno
dopo, e di andare a riscaldarsi con quell’unico sorriso che le riscaldava il
cuore.
Come mai i sogni erano riusciti a fare.
Nel suo fragile mondo, in cui le uniche cose che l’avevano resa felice erano
unicamente bugie, era entrato qualcosa di reale ed inaspettato.
Il sorriso di Naruto era ciò che di più reale al mondoavesse potuto desiderare.
*** ° ***
A volte si ha solo bisogno di credere in qualcosa.
Un sogno, una persona cara, un dio, un pensiero… qualunque cosa.
Hinata
questo lo sa bene. Sa anche che credere nei sogni fa male, se questi sogni
appartengono ad un mondo che non di può sfiorare
neppure con la punta delle dita. Neanche se cerchi di sollevarti sulla punta dei piedi. Quando era piccola, la speranza era lontana. Non
riusciva a raggiungerla. Ma Naruto le tiene stretta la mano, ora, forse senza
neanche accorgersene.
Quella mano è l’ancora che la tiene ferma lì, nel mondo reale.
Si ricordava di una volta, quando era piccola: si divertiva, come passatempo, a
rincorrere i volatili che si posavano nel giardino della grande
casa. C’era un uccellino: si avvicinava sempre, ma non riusciva mai a
prenderlo.
Le scivolava tra le dita, quelle dita reali che aveva quindi
giudicato inutili – le dita del sogno erano molto più sicure, molto più forti. Ma Naruto non avrebbe mai potuto stringere una mano
fatta di sogno.
Naruto poteva stringere solo una mano reale, e solida.
Naruto
sta stringendo una mano reale e solida, e quella mano
è la sua.
A/N: da tanto non pubblicavo qualcosa che non fosse passata dal vaglio del mio amore. Ma,
purtroppo, sono senza Internet. I traslochi possono fare questo e altro
>_< Fortunatamente c’è mia zia, che nonostante paghi ancora ad ore, mi
permette di pubblicare. Il trasloco è anche il motivo di tale imperdonabile ritardo.
GomenNasai. [Intanto mi sto rivedendo tutti i dvd
di HunterxHunter. Che bello,
lo trasmettono *_* Quante risate appresso alle censure. XD]
Inutile
dirlo: l’ho riscritta otto volte, che ci crediate o
meno. Ma veniva sempre troppo confusa. Comunque sia, pace. Hinata è OOC? Io ci ho provato. Ho notato
che non riesco più a scrivere tanto decentemente. Ah, che rabbia. Credo vada a
periodi.
Ross: Anche tu mi manchi, Amore ç_ç Purtroppo il mio cell ha
deciso di abbandonarmi. Povera me. Si accende e si spegne, ed in più non mi fa
neanche parlare. Checell
inutile.
Jemei: amora,
se leggerai, sappi che mi manchi anche tu. Ma tornerò
presto ç_ç Lo prometto ._. Tanto tra poco facciamo
trasloco ufficiale, sisi. Ho
la casa piena di scatoloni. *_*/
Artemisia89: Mi riscaldi il cuore ç_ç”
Tu contenta che saranno 52? Me
comincia a disperare. Ma per principio, eh, io tengo
fede alla parola data è.é” Cascasse il mondo, ecco ç_ç
Suzako: … assiaç_ç Scrivi da dio – non centra nulla, ma ripeterlo non fa
male -.-“
Shuriken: lieta che abbia raggiunto
l’intento ç_çAdoro l’angst – si nota?
– però ultimamente faccio fatica a scriverlo.
Kirjava: Che tema o_o” Ehr… si. Effettivamente da me non ci si può aspettare
nulla di troppo normale. Mi viene in mente tanto “HomeSweet Home”. Ero tutta un:”questa
scena è brutta perché è troppo felice”. Sono malata? O.o
JalyChan: spero di non
averti delusa con il prossimo °-°Wof! *spirito
di emulazione*.
Next on => 11. Your Pretty Blue Eyes are just Stained Glass.
Sinceramente, fermatemi. Sennò riempirò le Flavourdi Ino. >_>”
Giusto per curiosità, questa One True Thing doveva
essere una NaruSakuSasu. Siiii,
certo. Riuscissi a mantenermi salda alle mie idee,
ecco.
Capitolo 12 *** 11. Your Pretty Blue Eyes are Just Stained Glass. [Ino e Sakura.] ***
Sakura aveva freddo
11. Your Pretty Blue Eyes are Just Stained Glass.
Sakura aveva freddo.
Sakura
era sola, e aveva freddo.
E aveva freddo perché, di nuovo, era sola.
Le gambe
ciondolavano dal letto, e lei le lasciava ciondolare per inerzia, con la schiena
poggiata contro il muro.
Guardando un punto indefinito sul pavimento.
Gli occhi verdi erano vagamente adombrati dalle ciocche della frangia, che dopo
tanto tempo era tornata ad oscurarle il viso. Ogni giorno
quelle ciocche un po’ più lunghe, perché aveva sentito che a lui piacevano i
capelli lunghi.
Nella mano stringeva la cornetta del telefono senza fili, e
con un canino masticava sovrappensiero il labbro inferiore. Nonostante fosse primavera, aveva freddo.
Dentro.
Come se qualcosa fosse tremendamente sbagliato – eppure il mondo non era ancora
crollato, no?
“Pronto?”
“Signora
Yamanaka?”
“Oh,
sei tu, Sakura-chan! Come stai?”
“Be…
bene, bene. … Ino-chan è in casa?”
“Non sei con lei? Mi spiace, Sakura-chan. E’ uscita un’oretta fa, è passata a prenderla quella ragazza
lì… Ayako-chan. Credo siano andate al parco, ma non
saprei dirti con precisione.”
“…”
“Sakura-chan?”
“… oh.
No, fa nulla, allora. Volevo… volevo solo
chiacchierare.”
Si, faceva
decisamente freddo. E mentre lo pensava, lasciò cadere
il telefono sul materasso, abbracciando le ginocchia al petto e crucciando le
sopracciglia.
Dovevamo andare al parco, io ed Ino-chan.
Ino-chan mi aveva promesso che saremmo andate oggi.
E’ dalla settimana scorsa che lo dice.
Ino-chan doveva andare al parco con
me, non con Ayako-chan.
Non la sopporta nemmeno, Ayako-chan.
Ino-chan non è venuta a prendermi, oggi.
Ino-chan…
Sakura era sola, e
aveva freddo.
Ma Ino avrebbe potuto essersene dimenticata, non era
così grave.
Non poteva essere così grave, era solo lei che stava travisando tutto.
Non c’era nulla di sbagliato.
Non la stava perdendo, non la stava perdendo affatto.
Ino-chan si era solo scordata.
[Di lei.]
Strinse i
denti, raccogliendo da un angolo una mantella di cotone per ripararsi dal
freddo, gettandosela sulle spalle.
Non restava che rimediare alla solitudine.
“Ino-chaan!”
La biondina afferrò la palla che la brunetta le
aveva passato, fermandosi di scatto quando quel
richiamo raggiunse le sue orecchie. Sakura – fortunatamente - non la vide
stringere le labbra, né serrare le dita sulla palla.
Sakura vide solo lo sguardo un po’ seccato di Ayako-chan,
ma lo ignorò. Ci era abituata.
”Ino-chan!”
Infine Ino si voltò, battendo ciglio.
”Oh, Sakura-chan.”
Tono piatto – non era felice di rivederla. Il freddo
tornò nonostante la mantella.
Tentò di ignorare anche quello, abbozzando un sorriso. Poi una risatina
nervosa.
“Avevi detto che saresti
passata a prendermi, Ino-chan. Sei una grande sbadata.”
Ancora una volta Ino si
limitò a guardarla con quello sguardo freddo. Poi la vide crucciare le
sopracciglia.
Sospirò, voltando le spalle a Sakura e rilanciando la palla alla compagna di
giochi.
La bambina rimase lì, uno spillo in più su quel puntaspilli che il suo cuore
era diventato.
Attese, cercando semplicemente di non pensare.
Non osava riflettere sul significato di quel comportamento.
Infine, Ino parlò.
“E’ che non avevo voglia di arrivare fino a casa
tua, è così lontana dal parco.”
Sakura deglutì, per poi abbozzare un sorriso.“… oh. Capisco. Devi essere stanca, ne?”
“… più o meno.”
Silenzio.
Silenzio e freddo.
Poi, di nuovo il rumore della palla che rimbalzava per terra, e le spalle della
biondina rivolte verso di lei.
Aspettò per un po’, spostando il peso da un piede
all’altro.
Sentì una risatina da parte di Ayako-chan.
Fu troppo.
Girò sui tacchi, e andò verso casa, mormorando un saluto che sapeva di scusa.
Ino-chan non si fece sentire, il giorno dopo. E neanche il giorno dopo ancora. E neppure per tutta l’intera settimana.
Sakura aveva freddo, e aveva voglia di piangere.
Tentava di ricordare quale torto avesse potuto fare
alla sua migliore amica, affinché lei si comportasse a quel modo.
Doveva esserci stato da parte sua un comportamento che ad Ino-chan aveva dato
fastidio.
Doveva solo scusarsi per quello.
Doveva solo…
Ma doveva andare con ordine, non doveva entrare in panico. Si poteva
ancora salvare.
Quell’amicizia si poteva ancora salvare – nonostante lei fosse l’unica a
tentare di farlo.
“Ino-chan!”
La porta del negozio di fiori si aprì, e la bambina dal volto annoiato sollevò
lo sguardo. Battè ciglio, una, due volte.
“Oh, Sakura-chan.”
Ancora una volta, non era felice di vederla.
L’altra bambina cacciò indietro le lacrime, mentre le mani tormentavano il
pacchetto che aveva tra le mani.
Schiuse le labbra, ma impiegò troppo tempo nel
cercare le parole esatte da dire.
“…si?” incalzò Ino, inarcando un sopracciglio.
Indisponente.
Sakura si affrettò a parlare.
“La mamma mi ha chiesto di portarvi questi biscotti.
… Li lascio… qui?”
“Mettili sul bancone.” Fu la risposta
disinteressata, mentre Ino tornava a sistemare alla meglio una primula nella
composizione posata davanti a lei. Distrattamente.
A sguardo basso, Sakura fece qualche passo, poggiando silenziosamente il
pacchetto sul bancone.
Attese, per un po’.
Freddo.
Strinse le labbra.
“Ino-chan…?”
“Mh?”
“… Ho fatto qualcosa di sbagliato?”
“Ascoltatemi
tutti! Ho trovato un ragazzo che mi piace! Provate ad indovinare chi è!”
“Non
farla tanto lunga!”
“Non
sarà mica Sasuke-kun?”
“Eh…?
Come avete fatto a capirlo?”
“Ma è semplice! Sasuke-kun è il più popolare fra le ragazze!”
“Ino-chan!
Ho scoperto che a Sasuke-kun piacciono le ragazze con i capelli lunghi, per cui…”
La biondina sollevò lo sguardo, crucciandosi appena.
Per riflesso istintivo passò una mano fra le ciocche bionde.
Sembrò davvero pensarci sopra, come se il pensiero di ciò che Sakura-chan aveva
fatto non l’avesse ossessionata ogni singola ora, dopo quel giorno.
“Non mi piace per niente come sei diventata.”
Fu ciò che, infine, decise di dire.
Vide quegli occhi verdi sgranarsi appena, troppo liquidi per i suoi gusti.
Non fa altro che
piangere.
“Ti agiti così tanto solo
per farti notare. Hai costante bisogno di attenzione
da tutti coloro che ti sono accanto. Hai bisogno di dimostrare sempre che non
sei una fallita. Devi sempre raccontare tutto quello che fai, come per
dimostrare che la tua vita è interessante. … Non mi piace.”
“Ma… Ino-chan… non è vero,
io…” la bambina tentò di balbettare qualcosa con quel tono incrinato,
perplesso.
“E’ vero.”
Sakura non sapeva se Ino-chan stesse dicendo la verità o meno.
Quegli occhi erano troppo vuoti e controllati, erano occhi di vetro dipinto,
freddi.
Freddo. Stava tremando.
Ino-chan è crudele, lo è sempre stata.
Lo sapevo già.
L’ho vista, essere crudele con gli altri.
Ferirli con le parole.
Le sue parole, quando vuole, sanno essere intrise del più letale dei veleni.
Ma con me, non era mai successo.
Ino-chan mi voleva bene.
Fa male.
Non trovò nient’altro da dire, quindi le voltò le spalle ed uscì dal negozio.
Non sapeva
né quando aveva cominciato a piangere, né quando aveva smesso.
Tuttavia doveva essere accaduto, perché sia le guance che
il cuscino erano bagnati di lacrime.
Singhiozzò un po’, poco convinta, come unica valvola di sfogo.
Io non sono come dice lei.
Io non voglio l’attenzione di nessuno!
Perché non può essere felice per me?
Finalmente, ora che ho trovato qualcuno che mi piace…
… lei deve rovinare tutto! Tutto!
Perché fa così?
Non la sopporto, non la sopporto, la odio, io…
… mi manca, Ino-chan.
Mi manca.
Le lezioni dell’Accademia erano lentamente diventate
un incubo. Sembrava che tutte pensassero avesse fatto qualcosa di estremamente sbagliato; pareva che tutte si fossero
schierate dalla parte di Ino-chan.
Sakura era abituata ad essere sola.
Ma dopo esser stata viziata per così tanto tempo dal
tepore dell’amicizia, aveva dimenticato quanto fossero freddi quegli sguardi
ostili.
Perché mi guardano così?
Io non ho fatto nulla
di sbagliato, ragazze.
Perché non me lo dite?
Io… devo ancora imparare bene, lo sapete. Lo sapete, ne?
La
risposta arrivò proprio da Ayako-chan.
Ayako-chan era quella che la guardava con quel piccolo sorriso di compatimento,
quasi stesse guardando una piccola cosina patetica che non sapeva nulla del
mondo.
Quasi gli sforzi per sopravvivere di quella cosina patetica e sperduta fossero divertenti.
“Certo
che hai una bella faccia tosta, Sakura-chan.”
“C-come?”
“Dopo tutto quello che Ino-chan ha fatto per te.”
“… non
capisco cosa vuoi dire. Non vi capisco. Cos’ho fatto
di male?”
“Ino-chan
ha voluto essere tua amica, Ino-chan ti ha fatta accettare da tutti, e tu la
ripaghi così?”
“Insomma,
come?”
“Avresti
dovuto saperlo che Ino-chan è cotta di Sasuke-kun da una vita.”
Sakura-chan aveva da sempre visto Ino-chan come un essere perfetto. Bravissima
in tutto, simpatica, carina.
A Sakura-chan non piaceva neanche così tanto,
Sasuke-kun.
Lui non sorride mai. E’ tetro.
Ino-chan è molto più solare di lui.
Io avrei perso Ino-chan per lui?
Ino-chan non era affatto
una creatura perfetta.
Ino-chan era arrabbiata con lei.
Ino-chan non le aveva detto cosa non andava.
Ino-chan aveva deciso di troncare tutto e basta.
Come se non le fosse mai importato nulla.
La trovò
seduta su una panchina, nel parco.
Sola, anche lei; e anche lei ciondolava le gambe, distrattamente.
“Ino…”
Fu forse la mancanza del –chan alla
fine del nome a perplimerla, dato che si limitò a sollevare lo sguardo dalla
cosmea che rigirava fra le dita.
“Cosa?”
“… Sei vuota. E tremendamente cattiva.”
La
ragazzina battè ciglio, crucciando le sopracciglia chiare.
“Come
scusa?”
“Ho
sentito dire… che anche a te piace Sasuke-kun.”
Ino scostò
lo sguardo, stringendo le labbra. Come una bambina che è stata colta nell’atto
di rubare le caramelle.
“…Non avevi il diritto di innamorarti di lui.”
“Quante
volte hai parlato con Sasuke-kun, Ino?”
Non
rispose.
“E con me?”
“Non
c’entra assolutamente nulla.”
”Pensavo che i tuoi occhi fossero bellissimi, davvero. Mi ricordavano il cielo
d’estate. Però… tutto ciò che hai di bello finisce fuori.”
Sono solo fondi di bottiglia.
“Ah, ma
stai zitta!” la interruppe bruscamente “Non avrei mai
dovuto essere tua amica! Hai finito con il rubarmi tutto. Lo stile, le amiche…
mia madre non ha mai smesso di paragonarmi a te, che sei
così posata. Ed ora…”
Sakura battè ciglio.
“Ed ora anche Sasuke-kun! Va al diavolo, Sakura, tu e la tua
fronte spaziosa!”
Freddo.
Un brivido.
[Fronte spaziosa.]
Non volevo, Ino-chan.
Pensi lo abbia fatto apposta?
Credevo… credevo mi conoscessi meglio.
Lo disse.
“Credevo mi conoscessi meglio, Ino.”
“Non
voglio conoscerti meglio. Ti sei montata la testa, ora tu…”
“Ora penso
con la mia, di testa!”
“… fronte
spaziosa…”
“ Dillo,
allora, che non volevi un’amica! Tu volevi un cagnolino che ti seguisse ovunque e facesse tutto quello che tu dicevi, no?!”
Non stava piangendo. Ma la sua voce aveva le lacrime,
nonostante l’avesse alzata troppo.
Gli occhi vitrei di Ino erano incrinati.
Crudele, fredda, crudele.
Vuota.
Superficiale e vuota.
Non sei quella che pensavo.
Non sei affatto quella che pensavo.
Mi hai presa in giro per tutto questo tempo!
“Io volevo
essere più forte, per poter essere una tua degna amica. Mi sembrava che mi
tenessi vicina per pietà. Io non volevo la tua pietà. Io volevo la tua
amicizia!”
“Ti ho avvicinata perché mi facevi pena.”
“Allora ho
pensato che, se avessi pensato con la mia testa… se
solo fossi diventata come te…”
“Mi hai
rubato tutto. Ora sei la mia copia mal riuscita, fronte spaziosa!”
Questo
frenò le parole di Sakura.
Abbassò lo sguardo, stringendo le labbra.
Basta, basta così! Non volevo
litigare così.
Non volevo dare
il colpo di grazia…
Freddo.
Non ne poteva più di quel freddo.
Ino non piangeva. Ino la guardava con quegli occhi sgranati e vuoti.
Quello sguardo che lei aveva sempre ammirato, quello sguardo che la faceva
sembrare superiore al mondo.
Quello sguardo controllato.
Sakura cominciava a pensare che, in realtà, non ci fosse nulla lì dentro da controllare.
Cattiva, sei
cattiva, Ino-chan.
Al contrario, sulle guance di Sakura già le prime lacrime avevano cominciato a rincorrersi.
“… è così
che la pensi.” Mormorò, mortificata. “Ma io non sono
come te. Io…”
“… ah no?”
rimbeccò Ino, poco più di un sibilo.
[Come siamo arrivate a questo punto?]
“Io alla
nostra amicizia tenevo.”
“Dopo tutto quello che ho fatto per te, tu…”
“ … sei vuota, Ino. Sei bella fuori, ma sei vuota dentro. Sei
cattiva.”
“Lo sai
che non è vero.”
“E’ vero. Vedi?
Non ti dispiace neanche un po’ che questi anni siano finiti
così. … Io ti volevo bene.”
“Io non ne
potevo più. Ho provato ad esserti amica. Ci ho provato, Sakura.”
"Non è vero."
Calò
ancora una volta il silenzio. Ed ognuna evitava lo
sguardo dell’altra.
Ino aveva i denti serrati, i pugni serrati, e gli occhi vuoti, come stesse cercando di chiudersi al mondo. O meglio, come se avesse voluto chiudere Sakura al di fuori
del suo, di mondo.
L’altra bambina scostò lo sguardo sulla cosmea che Ino rigirava assorta fra le
dita.
“Guardami,
Sakura-chan! Non pensi io siacome una cosmea?”
“Ino-chan…
se tu sei una cosmea, questo cosa fa di me?”
“ …
allora, da oggi saremo rivali.” Mormorò, con un po’ di malinconia nel fil di voce.
I loro sguardi si incrociarono. Ma, questa volta, anche gli occhi di Sakura erano di
vetro.
Non c’è davvero più nulla da
salvare?
“Così sia,
fronte spaziosa.”
Inghiottì le ultime lacrime.
“Così
sia.”
Ciondolò
qualche attimo lì, in piedi.
Poi, le voltò le spalle.
Un unico bisbiglio sfuggì dalle labbra, quasi rassegnato.
[e pensare… sai?Che una volta
eravamo amiche.]
A/N: Casa di Zia, seconda parte. Ho
trovato il modo di salvare la mia sanità mentale, sisi. Scrivo sul portatile,
gioco alla playstation, e quando mia zia non è in casa ma c’è solo la cugia vado e
pubblico. Avessemsn, ci
farei anche un pensierino. Comunque, il cellulare tra
poco sarà vivo. Jem, Amore, aspettatemi ç_ç
Ringrazio
a priori per i commenti, ecco. Dovrei rileggerli tutti bene,
ma più di cinque minuti sfuggevoli la mia adorata madrina non mi fa connettere.
-.-
Sappiate
che mi mancate a prescindere, ecco.
Rispondendo
in maniera sparsa – ovvero seguendo la mia bacatissima
memoria -ci
saranno sicuramente Threesome della NaruSakuSasu, e se scappa una con il Team 10. Devo
ispirarmi. Devo trovare un titolo inspiroso. Insomma,
mi serve solo la scusa.
Ino purtroppo è anche qui. Detiene il record assoluto della Flavour.
La dovrei cacciare. La caccio.
Ora,
capiamoci, non la odio. La trovo così malleabile. E’ che ho preso da poco il
numero sei, allora c’era il flashback… io ho sempre pensato che fosse stata
Sakura a troncare tutto, ma leggendo il flashback ho
visto che è stata brutta Ino-buta a cominciare.
Poverina. Allora ho tentato di dare una continuità logica a quell’avvenimento.
E’ una flavour piuttosto sentita, in quanto ogni singolo
sentimento quivi presente l’ho provato in prima
persona. Si, sia quelli di Ino che quelli di Sakura.
Tutti.
E’ brutto sentire che stai perdendo un’amicizia importante e non capirne il
motivo. Ci si sente male davvero, soprattutto nel sapere di essere stati
rimpiazzati. Non credo sia solo questione di gelosia.
E la
frase finale, è esperienza personale. Forse è quella la frase che fa più male,
in quei casi. Che ci si può fare. Sono complessata,
ultimamente.
Tutto questo ambaradan per
dire che: quindi, ecco, ci sono affezionata. Trattatela con cura (L).
Un’avvertenza
è che l’ho scritto tutto ascoltando solo una canzone: “Wouldn’t
it be loverly?” del musical
“My Fair Lady.” Ha un brutto
effetto sui miei neuroni. Ora la canto a ripetizione. Non la smetto più. Help me, please.
Lots of chocolate for me to eat, lots of coal making
lots of heat… (8)
Ross,
Love ya.
Next On: 12.
Wake Unto Me. Questa
sta a zero, quindi non saprei proprio dire. [Questa qui era mezza pronta, invece.]
Vedete, non homsn allora mi
sfogo scrivendo tutto qui. Salvatemi ç_ò”
Capitolo 13 *** 12. Wake unto me. [Naruto&Sakura&Sasuke] ***
12
12.Wake
unto me.
Non esistono le
favole a lieto fine, comunque.
Ci si deve accontentare di un finale più o meno
mediocre – sempre meglio di niente.
La stanza
era buia, e dentro c’erano solo due fantasmi – un fantasma del presente ed un
fantasma del passato.
Il fantasma del presente si giustificò dicendo che “ a lui bruciavano gli occhi, allora aveva
chiuso le tapparelle ”. E Naruto si limitò a fare spallucce, dato che la
luminosità della stanza non rientrava nelle sue priorità. Chiuse la porta alle
spalle, avvicinandosi ai due.
Fortunatamente, conosceva abbastanza bene casa sua: non aveva bisogno di luce
per arrivare al letto disfatto.
Lo sguardo
si soffermò su quel viso pallido, poggiato sul grembo di lei;
sulla fronte crucciata e sul petto che tentava di incamerare più aria
possibile, ma che era troppo affannato.
Una smorfia si disegnò sul volto abbronzato, una smorfia rassegnata.
“Nulla?”
Il fantasma dai capelli pallidi fece spallucce, con espressione piuttosto
mortificata.
“Nulla.
Sono ore che va avanti così.”
Naruto non rispose, soffocando a stento uno sbadiglio,
che gli spalancò le fauci. Non lo coprì con la mano. Giunse quindi le mani
dietro la nuca, chinandosi sulla figura riversa fra le lenzuola sfatte.
“Oy, Sas’ke.”
Nulla.
“Sas’ke,
Sakura-chan sta cercando di abbassarti i pantaloni.”
Il
cipiglio della ragazza-fantasma si fece appena più severo. Ma Naruto non sembrò notarlo. Lasciò che gli occhi
azzurri vagassero sul viso dell’altro ragazzo, quel viso
che la mano sottile di lei stava distrattamente carezzando: come se con un
gesto talmente semplice potesse alleviarne il dolore insopportabile.
Non ci fu
alcuna reazione, su quel viso – almeno, non quella che si era aspettato. Gli
occhi neri rimasero serrati, e tutto ciò che uscì dalle labbra fu un gemito.
Da quelle di Naruto sfuggì, invece, un sospiro.
“Sei
un’idiota.” Arrivò pronta la voce tranquilla di lei, che sembrava ridere ed
illuminare da sola la penombra.
“Io ci ho
provato.” Affermò il ragazzo, levando le mani in segno di resa, sedendosi di
spalle a lei sul letto. O meglio, lasciandosi cadere. Era stanco – non l’avrebbe mai ammesso.
“Com’è
andata la missione, mh?”
“Portato
rotolo, ucciso tizio, ritorno a casa. Il solito. All’ospedale?”
“Abbiamo
perso i due che sono arrivati ieri con la gamba e il braccio mutilati. Poi
c’era questo bambino dell’accademia che era riuscito ad infilarsi un kunai nel
naso…”
Calò di nuovo il silenzio, mentre le dita di lei
scorrevano fra i capelli neri, disordinati, del ragazzo che ancora stringeva i
denti. L’indice sfiorò le labbra pallide quando da
queste sfuggì un altro gemito.
Un paio di
sopracciglia bionde si crucciò sulla pelle abbronzata.
“Sas’ke,
Itachi ha appena rapito Sakura-chan.” Sussurrò, con
aria convinta, chinandosi appena verso i due compagni.
Sakura sollevò gli occhi verdi al soffitto buio, e Sasuke soffocò
un rumore non meglio definito.
La sua mano pallida, smagrita, tentò di andare a serrarsi sul collo dove tutto
sembrava andare a fuoco: ma fu trattenuta da Naruto. L’ultima volta aveva
tentato di asportarsi via un bel gran pezzo di pelle e con essa
il segno.
Non c’era riuscito, ma ci erano voluti tre lavaggi per
sciacquar via tutto quel sangue dalle lenzuola e dai vestiti di Sakura.
La ragazza abbassò la mano – scattata anch’essa per fermare quella di
Sasuke-kun – sulle piccole virgole di inchiostro nero. I polpastrelli freddi
sfiorarono la pelle febbricitante.
Sasuke ebbe un sussulto, e mormorò qualcosa di incoerente.
“Oy, Sas’ke. Apri gli occhi, bastardo.”
Nulla.
L’espressione abbronzata si fece indispettita.
Quella del fantasma di ragazza si fece, invece, seccata.
“Dacci un
taglio, Naruto. Si tratta di aspettare. Passerà.” Gli occhi verdi si
abbassarono a seguire i movimenti della mano che massaggiava piano la nuca di colui che le stava in grembo.
Un suono strozzato.
“Passa
sempre.” Concluse lei, facendo spallucce, senza
sollevare lo sguardo.
“Sas’ke,
Orochimaru è tornato in vita e sta tentando di abbassarti i pantaloni insieme a
Sakura-chan.” Insistette imperterrito il ragazzo,
cipiglio ostinato sul volto ancora vagamente infantile.
Sakura
sbuffò, sporgendosi appena per andar a raccogliere la pezzuola bagnata dall’interno
della bacinella. La strizzò piano, per poi posarla sulla fronte
di lui.
Qualche goccia d’acqua cadde sul vestito, mentre nella stanza tornava a cadere
il silenzio.
Fu lei, ancora una volta, ad infrangerlo.
“Naruto…?”
“Mh?”
“Perché… perché non ci lascia in pace? E’ morto, e Sasuke-kun
è a casa. Lui non se ne fa più nulla, se è morto. Allora, perché? Perché non ci lascia in pace? Io… davvero, non ne posso più.”
altro non si trattava che di un fil
di voce, dal tono prettamente mortificato. “… non ne posso più.”
Quasi quella domanda da più tempo risiedesse lì, dentro al
cranio, e lei ancora non fosse riuscita a darle una risposta.
Neanche Naruto ne aveva una, e si limitò a schioccare
la lingua, e lasciarsi cadere disteso sulla parte di letto libera.
Non esistono le favole a lieto fine, comunque.
Ci si deve accontentare di un finale più o meno
mediocre – sempre meglio di niente.
Dalla nuova visuale, vedeva il naso di Sasuke spuntare dai capelli disordinati
e sudati, dietro la pezzuola bagnata.
Vedeva il profilo di Sakura, più fragile di quanto mai lo fosse
stato prima d’allora, eppure tremendamente più forte.
“Perché gli fa male oggi, ne, Sakura-chan? Che
ha tentato di fare, questa volta?”
“Non ne ho
la più pallida idea. Sono tornata, e l’ho trovato così.”
“Se solo quel bastardo non fosse così fottutamente
orgoglioso, e capisse il suo posto… Non può più sforzarsi più di tanto. Ha
voluto strafare, che ora paghi le conseguenze.”
Borbottò, nonostante la voce mancasse di malizia.
“Non dire
così, su.” Sorrise lei, scostando qualche ciocca dal viso.
“E’ vero.
Mi fa imbestialire. Ci fa passare giornate intere, così, a preoccuparci per
nulla. Perché è stupido.”
Questa volta lei rise. Rise per un po’, prima di serrare le labbra.
“Sta
piovendo, per caso?”
Naruto annuì.
“Mi
piacerebbe fare una passeggiata sotto la pioggia. Credo piacerebbe anche a lui,
scotta tantissimo. Lo rinfrescherebbe.”
Il biondo
alzò gli occhi al soffitto, piccolo ghigno sulle labbra. “Ma
certo, Sakura-chan. Di sicuro andremo. Appena riesce a mettere due parole di
fila.”
Lei
sbuffò.
Poi la sua attenzione venne attirata da un altro
gemito, più forte dei precedenti. Con pazienza invidiabile, andò ancora una
volta a fermare la mano che, disperata, tentava di portare sollievo lì dove il
segno bruciava.
“Va tutto
bene, Sasuke-kun.”
Due
sfocate pozze nere d’inchiostro ricambiarono il suo sguardo premuroso. Un
rantolo, che ben presto morì in gola.
“Non
sforzarti troppo. Hai avuto un altro attacco.”
Un filo di voce.
Un sorriso.
“Oy, Sas’ke? Gli alieni ti stanno mandando a fuoco la casa.”
Sakura non ne poteva davvero più.
Ma questa
volta, tra i denti serrati dal dolore di lui, scappò
anche una risposta. Che, nonostante l’aspetto di rantolo, riuscì ad essere
pungente.
“’andali via, allora. Baka.”
“Tsk. Devo
fare tutto io, come sempre. ‘stardo.”
“E piantatela, una buona volta. Siete due bambini. Quale
parte di ‘sono stanca’ non riuscite ad afferrare? Non
sono proprio in vena di sentirvi, oggi.”
“Ma quando mai...”
“Naruto…”
Mentre la voce di Sakura si faceva appena minacciosa, gli occhi di
Sasuke si richiusero, lentamente.
Sentì le dita di Sakura sfiorare il segno che lo infettava, ed
involontariamente venne scosso da un brivido. Tentò di
mormorare qualcosa, ma la lingua impastata e l’indice freddo sulle labbra lo fermarono.
Freddo – era piacevole, quel freddo, sulla pelle.
Il dolore si placò un poco.
“Oy, bell’addormentato. L’hai sentita la principessa? Vuole
andare a fare una passeggiata sotto la pioggia. Non so quale gusto arcano ci
provi, oltre a diventare tutta bagnata,
con i vestiti appiccicati addosso…”
Il tono di
Naruto ed il rumore dello schiaffo che seguì gli fece intendere il voluto innuendo. Ma Naruto riprese a parlare, come se nulla fosse, con
quella sua risata calda.
“… sei
capace di alzare il tuo preziosissimo culo e farla
contenta, ne, Sas’ke?”
“Devi
risposare, Sasuke-kun.”
Non
rispose.
La prima cosa che sentì fu una mano stizzita fare pressione sulla pezzuola
bagnata, sulla fronte, facendo gocciolare due piccoli rivoletti d’acqua sulle
tempie. Non ci volle molto a capire che era la protesta silenziosa di Naruto.
Lo capì dallo sbuffo di lei.
Arricciò il naso.
“bene, va bene.”
“Ora sì, che andiamo d’accordo.”
“… ma
quando mai.” Fu la
risposta impastata, stanca, assonnata. Debole.
Ma fu abbastanza ‘risposta’ da far
sospirare la ragazza mentre lo aiutava a tirarsi su,
lentamente, cercando di non fargli perdere l’equilibrio.
“Io lo
giuro…”
“Cosa, Sakura-chan?”
“… non vi
sopporto più.”
Il più
vivo rise, senza prenderla sul serio. Sapeva distinguere una Sakura-chan seria
da una Sakura-chan stanca.
Il poco più di cadavere aveva un’espressione indecifrabile – ancora
addormentata e persa nelle reliquie del dolore che bruciava ossa e vene. Forse
non l’aveva neanche sentita, ma lo vide annuire
distrattamente.
Il fantasma di ragazza non potè fare a meno di pensare che tutto
sommato, nel bene o nel male, nonostante non li sopportasse più…
… tutto sommato, andava bene così.
Non esistono le
favole a lieto fine, comunque.
Ci si deve accontentare di un finale più o meno
mediocre – sempre meglio di niente.
A/N: Ah, ma non mi insultate
Ino, su ç_ç Io la adoro, quella ragazza. *sniffeggia un pochino. E’ sentimentale, dopotutto.* Insomma,
quello. Comunque, ecco, mi dispiace di avere depresso un po’
tutti in generale. Sono i momenti no, e se sei di un certo
umore la scrittura altro non fa che risentirne. Io per lo più scrivo per
diletto, ma a volte – a variazione d’umore- capitano anche gli sfoghi. Ahimè.
Da parte mia, mi sono trovata da ambo le parti, nel tempo. Chi viene sostituita e chi caccia via. Come dice suzako, anche la seconda non è tutta sta pacchia.
Ma penso sia inutile continuare ad insistere quando
non riconosci più la persona che era stata sua amica [Anche se, al contrario,
Ino forse voleva davvero solo un cagnolino, piuttosto che un’amica. Mi sto
impelagando da sola.]
Ignoratemi,
ignoratemi o.o Sono i crisi
di internet-astinenza. Risponderei ai commenti, dio sa
quanto ne ho voglia, ma non li ho sottomano. Me tapina e misera. Sappiate solo
che vi amo indistintamente.
MaRoss di più. (L)
E
anche Jem, ma loro sanno, ecco.
Comunque,
Non saprei che dire di questa. Mi piace scrivere di un ipotetico Sasuke tornato
a casa. Mi piace scrivere di Sasuke e basta. Mi piace scrivere del TeamSeven. Suzako,
mi spiace che non sia impregnata troppo dell’atmosfera threesome-osa.
Ç_ç Semplicemente non voleva starci
è.é” Preferiva essere accennato qui e lì,
quella capricciosa. Nella mia mente c’è sempre e comunque,
ahimè. Si, ho bisogno di una vita. Che poi probabilmente non lo posterò neanche io questo capitolo. Passerà nelle preziosissime mani della cugia, perchè vi voglio bene [ignorate che la frase non ha alcunchè senso grammaticalmente corretto. Tipo quelle tradotte dalle versioni di latino -.-]
L’idea…
allora, l’idea è venuta da non so dove. Semplicemente
avevo in mente Sakura con Sasuke, Sasuke che come sempre agonizza, e Naruto che
ovviamente è inscindibile. D’altronde la serie porta
il suo nome.
Spero sia
abbastanza chiara, ecco, dato che non ho specificato
bene ambientazione nel tempo. Non benissimo come al mio solito, questa volta ho
lanciato gli indizi qui e lì.
La canzone
con cui mi sono drogata è “Electric
Blue Eyes” dei Cranberries.
Bellissima, sisi. Domine, AdiuvaMe~
Next ON: 13. Dreams of the impossible.Allaprossimaispirazione.
Ps.
Non sono depressa, è solo impressione, cugia >_>”
Capitolo 14 *** 13. Dreams of the impossible. [SakuSasu] ***
“Sasuke-kun
13.Dreamsofthe impossible.
“Sasuke-kun?”
Un
grugnito.
“Sasuke-kun,
mi chiedevo… se dovessi morire, ti dispiacerebbe?”
“… come
scusa?”
“Se dovessi morire, in questo momento… ti dispiacerebbe?”
Il ragazzo
aprì gli occhi, vagamente seccato da quel poco più di sussurro, quasi irritante
nella sua malinconia.
Si voltò verso di lei, sollevandosi sui gomiti dal futon, labbra appena
socchiuse. Quasi stesse cercando di trovare una risposta che non fosse dettata
né dal sonno, né dalla voglia di farla stare zitta.
Quando si parla di discorsi allegri.
“Perché me lo chiedi?” sbottò infine, crucciando appena le
sopracciglia.
Nella penombra scorgeva il viso di lei, senza però
riuscire a decifrarne l’espressione. I lunghi capelli, incolori nella notte, le
coprivano il viso.
Dietro di lei, Naruto stava beatamente russando, con le coperte gettate d’un lato e la pancia scoperta. E quel ridicolo berretto calcato sui capelli biondi.
Il futon
di Kakashi-sensei era vuoto.
Sasuke schioccò la lingua, riportando l’attenzione di lei.
Questa volta ripeté, abbassando la voce e tentando di dare un tono meno brusco.
“Perché me lo chiedi, Sakura?”
“Lo
faresti?” insistette lei, con quella vocina. Era ancora sdraiata, e si voltò su
un fianco, verso di lui. Per un attimo la luce della luna che filtrava dalla
finestra le illuminò gli occhi, e Sasuke si sentì vagamente sollevato.
La ragazza era tranquilla, e non sembrava aver intenzione di piangere o
lagnarsi.
Lo rincuorava un poco: supponeva significasse che sarebbe riuscito ad addormentarsi relativamente presto.
“Non
saprei.” Fu quel che rispose.
La ragazza
non replicò subito. Per un po’, Sasuke pensò che non avrebbe
replicato affatto. Quindi si girò dall’altro lato, voltandole le spalle e
chiudendo gli occhi.
“Neanche
un po’?”
Un
sopracciglio tremò, mentre l’altro si corrugava sulla fronte pallida.
“Sakura, è
notte fonda. Non si può parlare di robe filosofiche quando
si è svegli? Ti assicuro che rendo molto di più.”
“Certo che
vi dovete essere stancati molto, oggi, tu e Naruto. Ne, Sasuke-kun?”
“Alla fine
abbiamo raggiunto la cima, se è quello che intendi.”
Replicò caustico.
La zittì
per un po’, ma la sentì sopprimere un mugolio a labbra strette. Rumore di
lenzuola.
“Io non ce l’avrei mai fatta.”
Ah, eccola. Vuole essere adulata.
Non poteva dirlo prima?
Dalle quello che vuole, Uchiha. Non importa.
Poi, torna a dormire.
“Ma se sei stata la prima, a farcela.” Ribattè, forse un po’
troppo bruscamente.
Fra le tante cose che odio, c’è
anche la falsa modestia.
Sakura è solo un mucchio di difetti
– che odio.
“A
continuare a provare così a lungo, sapendo che qualcuno ci era
riuscito senza neanche provarci, intendo.”
“Che cosa stupida.”
E lo
era.
Sakura
tornò zitta, e Sasuke tornò a chiudere gli occhi. Ma lo sentiva. Sentiva che il discorso aleggiava
ancora nell’aria umida, lo sentiva come sentiva
chiaramente quel moccioso russare e parlare nel sonno, dalla stanza accanto.
Probabilmente,
lo sentiva anche Sakura.
Sia il silenzio, che il moccioso.
“Mi chiedo
come faccia la madre di Inari a dormire, la notte, con
questo caos.”
“Mi interesserebbe di più sapere se riuscirò a dormire io, stanotte.”
Ancora una
volta, la ragazza si zittì. Ma questa volta, fu un
silenzio mortificato.
“Scusami.”
Non
rispose.
“E’ che
non mi hai ancora risposto, Sasuke-kun.”
“Perché me lo chiedi, allora? Non risponderò. Voglio
dormire.”
“Mi
piacerebbe saperlo.”
Sasuke
sbuffò.
Sakura sospirò.
Parlare a bassa voce era più faticoso di quanto non sembrasse, pensò il
ragazzo.
Non riusciva a rispondere col tono con cui avrebbe voluto.
“Recitami
la venticinquesima dottrina ninja, Sakura.” Borbottò,
cercando un po’ di pazienza per chiudere il discorso e una posizione appena più
comoda sul cuscino, spostando gli occhi scuri su di
lei.
L’espressione
sul volto pallido della ragazza divenne indispettita, mentre scostava lo
sguardo.
“Un ninja
non deve esprimere i suoi sentimenti in alcuna circostanza. Un ninja deve dare
priorità alla missione e non mostrare mai il proprio dolore.”
Recitò lei, strascicando le ultima lettere.
I suoi
occhi verdi incontrarono quelle pozze scure, stanche e annoiate.
Stanche di lei ed annoiate di quel discorso che per lui non aveva né capo né coda.
“Piangerei?”
Sakura non
rispose subito. Però, quando lo fece, quel sussurro
era quasi deluso.
“No, non
lo faresti.”
Lui sembrò
soddisfatto.
“Allora
lasciami dormire.”
“Ma… ti importerebbe almeno un poco?”
Non la smette più.
“Un poco.
Forse.”
Lei lo
stava fissando, nel buio.
“Forse
anche di più se non fossi così insopportabile, e mi lasciassi
dormire. Avrei un buon ricordo di te.”
Sakura
abbozzò un sorriso un po’ triste.
“Ti lascio
in pace, allora.”
“Ecco.”
Con un
sospiro quasi di sollievo, il ragazzo si voltò dall’altro lato.
Con tutta la buona intenzione di dormire.
Lei no.
Lei rimase ad osservare quella schiena coperta dalle lenzuola chiare.
Fino a quando non sentì il respiro di Sasuke farsi più profondo, un
respiro addormentato.
Naruto iniziò a russare, ancor più rumorosamente del bambino dell’altra stanza.
“Io lo
farei.” Sussurrò soltanto, alla notte.
Probabilmente la notte non la sentì, con tutto quel frastuono proveniente da
Naruto.
“Piangerei, intendo.”
Attese,
quasi si aspettasse una risposta. Quando
questa non arrivò, si limito a chiudere gli occhi.
Procedendo a cancellare per l’ennesima volta l’ennesimo sogno della sua vita da
sogno con Sasuke-kun.
“Nota bene: non piangerà mai per
me.”
A/N: non ho niente da dire…
Si, ecco.
Ambientata nella saga di Haku, come si è potuto notare.
Di questa fanfic mi piace solo il titolo, comunque. E’… psichedelico, ecco. Lasciatemi sfogare con la
grafica. Fatemi sapere cosa ne pensate – non del
titolo, del tutto, intendo.
Miyu,
mi spiace davvero per la tua amica. O meglio, per te.
Figurati, che vai persino chiedendo scusa.
Penso che Sasuke sia preso dalla smania di essere come
suo fratello, e che lo sia sempre stato. Sebbene tentasse
di convincersi del contrario, è qualcosa che non è razionale.
Da piccolo ha idolatrato sempre suo fratello, inconsciamente fa tutto ciò che
suo fratello gli ha chiesto di fare perché voleva imitarlo. Quando
se ne rende conto, poi, si fa la sua bella scenata emo.
Poi, inizia da capo.
Soltanto il fatto che sia diventato ninja traditore anche lui… Beh, ecco,
quello.
E’ uno
scemo ed è infantile, ma è solo la mia opinione. Mi piace per questo.
Mi piacciono i personaggi con tanti difetti, sisi.
[Spiegata
la mia recente ossessione con Ino, che è il prototipo di ragazza che
ufficialmente io odio. A prescindere.]
Naruto è consapevolO, Amore.
Penso che faccia il finto tonto, quello lì. Mi ricorda
vagamente il modo di comportarsi di Tsuzuki di YaminoMatsuei.
Penso che nella scorsa flavourcercasse
solo di tirar su di morale Sakura. Ottenendo l’effetto contrario.
Povero diavolo.
Suzaku-chan, son contenta sia comunque
leggibile. Ultimamente non so neanche come sto scrivendo. E’ tipo trance spirituale, ecco. Poi non mi ricordo cosa ho scritto.
Gran bella roba. – inserire ironia –
Lupus: se ç.ò Me commossa. *si commuove ogni volta che qualcuno di
nuovo commenta, ecco. Tipa strana* Me onorata.
Ah, Arte,
tu ogni volta cogli nel segno. Mi chiedo che tu non abiti nella mia testa. A
volte dai questa impressione, davvero. [Senza raggiungere i livelli di Ross,
con cui si arriva al punto che scriviamo le stesse cose contemporaneamente. Amen.]Stanchezza, bambini che han
conosciuto la morte… non sono questo, i bambini-ninja di Naruto? Quando crescono, dovranno essere pur stanchi, considerando
la morte come una cosa normale e banale.
E’ così che nascono gli aborti mentali come Itachi Uchiha, davvero.
Senza
offesa per Itachi, dato che gli aborti mentali sono sexy.
… e meno male che non avevo niente da dire.
Spero di
non aver saltato nessuno, ecco, dato che li ho letti
oggi pome. Non so quando la cugia pubblicherà, son affari suoi. Fortuna
che c’è lei. Ringraziatela – o uccidetela, dipende dai punti di vista o.o –
Capitolo 15 *** 14. As Long as You're Mine. [Sakura x Orochimaru] ***
14
La prima
volta che aveva visto quel sorriso, dopo tutti quegli
anni, l’aveva trovato bellissimo.
Bellissimo e dannato, quindi appropriato al suo Sasuke-kun.
Il suo Sasuke-kun che, lontano da casa, aveva imparato
a sorridere.
“Sasuke-kun?”
Lei si
era fermata.
Così come
il suo cuore.
Lui si
era voltato verso di lei, con una sorpresa quasi fuori luogo.
Dapprima aveva battuto ciglio.
Occhi
rossi.
F i s s in e
is u o i.
L’aveva
vista e aveva s o r r i s o.
C’era qualcosa di sbagliato, e per un attimo ebbe paura.
Costrinse il suo corpo sulla difensiva, stringendo il kunai nel pugno.
“Torna a
casa, Sasuke-kun.”
Ma lui aveva sorriso.
“Da
quanto tempo…” si era interrotto, una
piccola pausa. Una mano era andata a scostare una ciocca corvina dal volto, un
movimento fluido, e per un attimo – un attimo solo –
l’aveva guardata dall’alto verso il basso.
L’aveva
studiata, per un attimo, e Sakura ebbe l'orrenda impressione che stesse tentando di rammentare il suo nome.
“…Sakura.”
Il cuore di Sakura aveva saltato un battito, di nuovo. Ma la sua voce, quando parlò, fu ferma. Ferma e tagliente.
“Sasuke-kun,
tornerai a casa?”
Quel
sorriso era bellissimo, ma era sbagliato.
“Non
posso tornare.”
Aveva detto, con quel tono così misurato, quasi rassegnato.
Aveva un che di paziente quel tono, quel tono che si usa con i bambini più
piccoli per spiegare loro che il loro cagnolino non
sta affatto dormendo, ma è ormai andato via per sempre.
- ma era così teatrale -
Quel sorriso era bellissimo su quel volto che non aveva saputo sorridere.
Sasuke-kun aveva disteso le dita sottili di quella mano bianca, aperta in un
invito.
Aveva chinato leggermente il capo d’un lato.
“Vieni
tu, con me.”
Lei aveva
serrato le labbra, mentre lui piano si avvicinava.
“…
Sakura.” Un sussurro. Quel
sussurro la lambiva. “A Konoha non ti è rimasto niente.”
Era
probabilmente la voce che aveva avuto il serpente, nel giardino dell’Eden.
La voce delle promesse.
…
Le labbra
di Sasuke-kun avevano un sapore diverso da quello che aveva immaginato.
14. AsLongasYou're Mine
Le stanze
dove Sasuke-kun trascorreva gran parte del suo tempo
l'avevano sempre inquietata.
Non si
sarebbe mai stancata di ripeterglielo: e quindi, puntualmente, glielo ripeteva.
E lui
rideva, ogni volta, con quella sua nuova risata.
[ Quella sommessa, che
gli fa stringere e stirare appena le labbra pallide.
Quella risata gli fa venire quella piccola fossetta,
lì sotto il labbro, poco più a sinistra... ]
Il vero
problema, il nocciolo della questione, era semplicemente uno.
Era troppo sinistre, e all’inizio le avevano fatto
paura. Se non ci fosse stato lui, lì, Sakura non vi avrebbe
mai messo piede.
Ed in
quel momento - mentre avanzava nella poca
luce lì concessa - era questo, che pensava.
[Orrida,
orribile, tremendamente orribile.
Tremendamente
orribile, la tana del serpente.]
Come, tempo prima - forse
secoli - l'aveva immaginata.
Quelle
stanze le sembravano sempre troppo viscide, nonostante fosse consapevole che,
in realtà, era tutto asetticamente perfetto. E pulito.
[Ricordo
vagamente di aver pulito, io, ieri.
Lo ricordo perchè tutto quel sangue è fottutamente difficile da mandar via.]
C’era
stato un periodo in cui aveva domandato un po’ a chiunque lo scopo di quelle
stanze, sottoterra.
Kabuto-sensei le aveva spiegato che la risposta non le
sarebbe piaciuta, e l’aveva spiegato con quell’aria seccata che dedicava solo a lei.
Non ottenendo alcuna risposta soddisfacente, aveva chiesto a Sasuke-kun di
portarla con sé, qualche volta.
“Come mai questa richiesta, così all’improvviso, Sakura?” poco più di
un sussurro, dedicato solo a lei.
Intimo.
Lei aveva
sorriso al suo nome sussurrato, e aveva fatto spallucce.
“Sono
curiosa.”
Kabuto-sensei
aveva avuto ragione, comunque.
Come sempre.
Tuttavia la ragazza si faceva forza, ogni volta.
Soprattutto quando Kabuto-sensei le chiedeva di portare qualcosa a Sasuke-kun.
Erano sempre scatole chiuse che, considerato il contenuto della stanza, Sakura
preferiva non aprire.
“Sasuke-kun?”
La luce malsana era ancora lì, ed illuminava la figura slanciata di Sasuke-kun,
che le dava le spalle.
Ancora per poco.
A quel richiamo lui si voltò, posando su di lei lo sharingan. Sakura sorrise, accennando qualche passo, senza staccare lo
sguardo da lui.
[Perché quelle
cose ai muri assomigliano troppo a degli embrioni, e non sembrano neanche tanto umani.
Non guardare.]
“Kabuto-sensei
mi ha chiesto di portarti questo.”
Lui spostò
lo sguardo sulla scatola, poi di nuovo su di lei.
Sorrise, e Sakura cercò di convincersi che l’aspetto malato di quel sorriso
pallido era dovuto alla luce.
Ci riuscì.
“Vedo che
ti dà troppo da fare.” Sibilò lui, di tutta risposta.
Disappunto.
“Temo che Kabuto-sensei mi odi. Che
sia geloso di qualcosa, anche se non
riesco a capire…”
Silenzio.
“Però è un ottimo maestro, davvero.”
Per un
attimo, gli occhi rossi di Sasuke-kun sembrarono fuori luogo
su quel viso distante. Severo.
Sembrava deluso, in qualche modo.
“La
prossima volta farà meglio a portarmelo lui di persona.”
Commentò, riportando quegli occhi di sangue sul tavolo di lavoro di fronte a sé.
Sakura non riconobbe subito ciò che vi era posato sopra, ma notò il coltellino
nelle mani di lui.
[C’è solo molto sangue.]
Fece
spallucce, con quel sorriso etereo stampato sulle labbra.
Si avvicinò ancora, poggiando la scatola chiusa in un angolino
della superficie in legno scuro.
Quindi chinò appena il volto d’un lato, battendo
ciglio. Spiando, da lì, l’espressione incolore sul volto del ragazzo.
Quella luce ne deformava troppo il sorriso tranquillo – dedicato solo a lei – tanto da farlo sembrare un ghigno.
Sospirò,
passando delicatamente un braccio attorno al fianco di lui,
fino a cingergli la vita - desiderosa di calore da quel corpo freddo.
“Perché? A me piace venire a trovarti, qui.” Non era una vera
bugia.
Lui
sollevò il coltello dal suo lavoro, per poi posarlo sul ripiano. Guardandola
con la coda dell’occhio.
Dall’alto verso il basso.
Lei
gli posò la testa sulla spalla.
Lui le accarezzò i capelli, una carezza languida che scese dapprima sulla
guancia, per fermarsi sulle labbra.
Sasuke-kun
aveva gli occhi rossi, gli occhi rossi delle emozioni
forti.
[Quando mi
guarda, sono sempre rossi.
Lui mi
ama.]
“Mi
ami?” domandò, soltanto. Una domanda retorica.
Lui
rise di quella sua nuova risata, più sommessa.
Forse un po’ roca.
“Importa davvero?” un sibilo, nient’altro che un sibilo,
soffiato sulle sue labbra.
Quasi
la stesse allo stesso tempo tentando e prendendo in giro.
[Non importa nulla.]
Doveva essere quello,
il sorriso del serpente.
I
due respiri si mischiavano, mentre quella mano pallida piano le scivolava lungo la schiena, e lei si perdeva nel brivido di quella carezza. Così dannatamente
ambita.
Al
diavolo la stanza piena di sangue. Al diavolo il corpo infantile aperto sul
banco.
Ci
fu un lampo dorato che, per un
terribile attimo, si affacciò a quegli occhi rossi.
Sakura
lo ignorò, come sempre.
[Mio, Sasuke-kun.
Adesso, solo mio.
Ti prego…]
Le labbra di Sasuke-kun sapevano di veleno - di quello stesso veleno che lo
aveva ucciso.
Ma tutto questo, per lei, non aveva davvero nessuna importanza.
A/N: alla fine il nome del protagonista
maschile di questa flavour non l’ho
nominato neanche una volta. Per il semplice motivo che,
essendo una sorta di punto di vista di Sakura in terza persona, Sakura non
vuole riconoscere la realtà. Quindi, non chiama
il serpente con il suo nome. Mh, mh.
Che
dire di questa fic? L’idea sta nella mia testa dall’anno scorso – inteso come
dicembre XD. Tuttavia, ero indecisa se farne una long fic od una
oneshot. Alla fine ho trovato le flavour e la scusa.
Questo titolo ci stava proprio bene.
Forse
tendo a rendere l’infatuazione di Sakura – od amore, dipende dai punti di vista
– come una vera e propria ossessione che porta alla follia.
Ma sappiamo tutti che il serpente sa essere mooolto convincente. E’ subdolo e circuisce. Più che un
serpente, si comporta come un ragno, il vecchio Orochi.
Per quanto
riguarda il Kabuto-sensei… mi è sembrata la cosa più logica per una Sakura al
villaggio del suono e apprendista medico. Chissà a cosa erano
dovute la gelosia e l’accanimento contro Sakura~
*faccino innocente*
Ross,
forse è uscita peggio di quanto volessi. Ma alla fine doveva essere così, ed in altro modo non
riusciva.
Questa volta non son riuscita proprio a connettermi ad internet,
neanche per riuscire a sentirvi ç_ç
Comunque
sia, grazie a tutti per i commenti ^^” – oddio, se ce ne son stati XD
Ross,
ti amo.
Ringraziate la cugia
che posta *_* *le sto fondendo il floppy XD*
P.S. Si cugia, son ancora depressa. Colpa della scuola, lo sai :S
Capitolo 16 *** 15. Bathing in Artificial Light. [Gaara] ***
Il suo orsacchiotto non aveva un nome
Il suo
Orsacchiotto non aveva un nome.
Questo
perché Gaara era un bambino molto, molto
razionale.
Non era
difficile vedere quel bambino di appena cinque anni e Senza Nome seduti
sull’altalena dell’arido cortile, in quelle notti in cui il cielo era coperto.
L’altalena cigolava appena, ogni volta, avanti e indietro, e le punte dei piedi
sfioravano distrattamente il terreno polveroso.
Non era difficile vedere quel bambino razionale lì, solo, con quell’espressione distante sul viso.
Sembrava
pensasse molto, in quello spazio che di giorno era dedicato solo ai giochi.
Non aveva paura di rimanere solo,nel buio della notte
– sembrava piuttosto fosse la notte ad avere paura di lui.
Perché aveva l’impressione che le creature notturne si ritirassero al suo
passaggio, così come lo facevano quelle del giorno. Ma
Gaara era un bambino molto, molto razionale, e sapeva che era solo una sua
impressione.
Allora,
semplicemente, dondolava e aspettava con l’unica compagnia di Senza Nome – che,
a dire il vero, serviva a ben poco.Anche perché l’Orsacchiotto oltre a donare un po’ di calore e portare il
profumo di suo sorella, non faceva granché.
La luce
del piccolo lampione che illuminava
il piccolo
parco – tutto su misura – faceva sì che il musetto peloso di Senza Nome
sorridesse: era un sorriso contagioso, che per pochi attimi contagiava anche il
bambino, quando più era di buon umore.
Poi si
ricordava si essere un bambino molto razionale, e smetteva di sorridere.
A quel
punto soleva stancarsi di ciondolare nel vuoto e senza meta con i piedi appesi
ad un altalena, e quindi saltava giù. E riprendeva a vagare per le vie deserte di quel villaggio
nel deserto. In esplorazione.
La gente
di quel villaggio aveva molta paura dei fantasmi, e di notte non usciva di casa.
Ma lui
era coraggioso e razionale, e non aveva paura dei fantasmi.
(Sapeva che non ce n’erano
altri, oltre lui.)
Non era
difficile vedere quel bambino e Senza Nome aggirarsi silenziosi per i vicoli
polverosi di quel villaggio che si rifiutava di conoscerlo, ma che lui conosceva a memoria – per tutte le notti che aveva già
passato in esplorazione.
Restava
fuori fino a quando il cielo non cominciava a
schiarirsi, e il Villaggio non era più solo suo.
Era casa
sua soltanto quando la luce di quel piccolo lampione
creava l’ombra di un sorriso sul muso peloso di Senza Nome, e quindi un po’ di
conforto. Quella sensazione all’altezza del petto, che si può chiamare casa.
Tornava a casa quando cominciava a svegliarsi la Vita, quel bambino così
razionale privato della sua casa notturna.
Trovava
sempre lo zio ad attenderlo dietro la porta, con il viso della mamma assonnato e gli occhi a malapena
aperti.
Cercava di
non fare rumore, come conviene a qualsiasi fantasma
discreto – o perlomeno ad un bambino che ha imparato a sgattaiolare.
Ma lo
zio Yashamaru lo sentiva sempre.
Sbadigliava, coprendosi le labbra con la mano e serrando gli occhi.
Poi se li stropicciava, tranquillamente, quasi volesse
levar via il sonno sotto gli occhi di quel bambino dalle occhiaie così marcate.
“Cosa ci facevi in giro a quest’ora?” chiedeva.
Gaara lo
guardava, sempre, dal basso.
“Esco ogni
notte e me lo chiedi ogni notte, zio.” Rispondeva, con
quella vocina, appena risentito.
Il bambino
si crucciava appena, mentre lo zio lo guardava con quello sguardo inebetito,
battendo ciglio.
No, non
connetteva.
“Non
riuscivo a dormire.” Spiegava allora, con un filo di voce.
Il
fantasma che infestava il Villaggio della Sabbia - e che impediva ai suoi timorosi abitanti di uscire di
notte - era un bambino molto razionale.
Perché non sognava mai.
A/N: Questa fic è nata dalla prima e
dall’ultima frase. Non saprei che dire… un altro approccio a Gaara da piccolo. Quando non era ancora uno psicopatico. Ora, lo so che Gaara
diceva di essere un mostro o.ò Però nella versione Merdaset
diceva di essere un “fantasma sin da quando era nato”. I miei sottotitoli
dicevano diversamente é.è”
Ma comunque, incredibile ma vero, la Merdaset
mi ha inspirata.
Vorrei
tanto rispondere alle recensionole. Alla fine, non
appena riavrò internet, farò una mega nota d’autore è_é” Preparatevi. Temetemi è_é””
Comunque,
non sono fierissima di questa. E quando mai? XD E’ la seconda uscita peggio dopo One TrueThing, a mio parere °.° E’ di una pagina
esatta, che cosa puccia.
Si, sono
rimasta attaccata all’idea che l’orsacchiotto era diTema-chan. Mi ci sono affezionata –
potete linciarmi.
Credo di
essermi beccata l’influenza, inoltre. Happy me.
Vi amo
tutti indistintamente ò_ò
*maRoss e Jem
di più (L)* Mi mancate, fuck. Mi mancate. Sono in
crisi d’astinenza. Respiro, respiro.
Si, si,
sono viva. KeineAngst.
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Fire took Water to Wife. [NdKodamy: … eh? O_O”
*va nell’angolino a piangere*]
Capitolo 17 *** 16. How Fire took Water to Wife. [Fugaku x Mikoto] [Sakura x Sasuke] ***
16
16. How Fire took Waterto Wife.
-Sorry, works only once in a time..-
Mikoto Uchiha
aveva visto per la prima volta Fugaku Uchiha quando
aveva cinque anni, e lui ne aveva dieci.
Le strade
di Konoha erano bardate a festa, e la bambina seguiva le schiene dei suoi
genitori, che portavano fiere lo stemma degli Uchiha.
Il kimono
rosso, la pelle bianca e i capelli neri la facevano sembrare una piccola
bambola di porcellana.
Era una
bambina davvero tranquilla, ed sovente aveva la testa
fra le nuvole.
“Kaa-san,
Fugaku non la smette di tirarmi lo yukata.”
“Fugaku,
lascia in pace tuo fratello.”
“E’ Teyaki
che non mi restituisce i soldi che gli ho prestato,
Kaa-san.”
“Teyaki,
restituisci i soldi a tuo fratello.”
La piccola
Mikoto aveva sentito la voce serafica di quella donna cercar di zittire quelle
giovani più fomentate.
Spostò gli
occhi di pece verso quella donna dai lunghi capelli castani, le cui maniche del
kimono nascondevano i figli.
Anche
quel kimono portava lo stesso ventaglio degli Uchiha, e sua madre la salutò
educatamente con un cenno del capo. La donna ricambiò quel cenno, mentre una
mano smaltata di rosso scompigliava affettuosamente i capelli del minore dei
suoi figli. Questi mandò uno sbuffo udibile sopra il caos della fiera, e scostò
lo sguardo.
I suoi
occhi scuri incontrarono quelli d’inchiostro della bambina, che si limitò a
sorridere con innocente complicità.
Ed un
pizzico di infantile divertimento alla scena e
all’espressione di lui.
Lui aveva
crucciato le sopracciglia, e si era voltato dall’altra parte.
Sakura Haruno aveva
visto per la prima volta Sasuke Uchiha quando avevano
sette anni, il primo giorno di Accademia.
Il cortile dell’accademia
era gremito di genitori e figli, e finita la cerimonia la
bambina era tornata accanto a sua madre. La frangetta troppo lunga le copriva
la fronte ampia – sicuramente una degna sistemazione per la sua intelligenza
vivace. Gli occhi verdi, riparati da quelle tende rosa che li separavano dal
resto del mondo, guardavano con timore ogni singolo bambino, cercando di capire
se sarebbe riuscita a sopravvivere a scuola.
La prendevano tutti in giro, davvero.
“Un altro Uchiha,
allora? Ricordo perfettamente Itachi. Mai avuto uno studente migliore di lui.”
“Grazie per la cura
che ti prenderai di lui.”
“Mi aspetto grandi
cose anche da lui, Fugaku. Tale padre tale figlio.
Come ti chiami?”
“Sasuke.”
Per un attimo quegli
occhi chiari si erano posati sul broncio infantile del bambino, che stava
appena dietro a suo padre.
Li aveva sentiti
nominare, gli Uchiha. Tutti li avevano sentiti nominare.
Il signore dai
capelli castani cominciò ad allontanarsi, ed il bambino rimase lì. Lo vide
sbuffare, e per un attimo i loro sguardi si incrociarono.
Lei aveva battuto ciglio, lui aveva arricciato il
naso.
E si era voltato dall’altra parte.
Mikoto
Uchiha aveva parlato per la prima volta a Fugaku Uchiha
quando aveva dieci anni, e lui quindici.
Era stata
davvero poca cosa.
La
ragazzina era di corsa, come spesso le accadeva: dopo la sveglia, si era persa
in pensieri del tutto incoerenti e inconsistenti con
ciò che avrebbe dovuto fare: alzarsi, e andare all’Accademia.
Ed ora, in
ritardo, correva – con gli shuriken e i kunai che cozzavano metallicamente
nell’apposita tasca sulla coscia destra. I capelli
neri disordinati, neppure spazzolati.
Era
arrivata ai cancelli del Clan, e stava per attraversarli, quando era andata a
sbattere contro qualcuno.
Aveva solo sollevato lo sguardo sul ragazzo più alto, dagli scompigliati
capelli castani - tenuti dal coprifronte della Foglia - e l’espressione severa.
Lui l’aveva squadrata dall’alto in basso.
Lei l’aveva squadrato dal basso verso l’alto.
Lui aveva inarcato un sopracciglio.
Lei aveva battuto ciglio e aveva affrettato un piccolo inchino. “Scusami, non stavo guardando.” Aveva detto.
Era rimasta un po’ lì, a capo chino, quasi ad aspettare una risposta alle sue scuse.
Tuttavia demorse subito, ricordandosi che era in ritardo.
Sollevò di nuovo il capo, oltrepassandolo e voltandosi solo per fare un cenno
con la mano.
Fugaku
Uchiha l’aveva seguita con lo sguardo, per un po’, fino alla fine della via.
Poi aveva sorriso - che era soltanto un leggero stiramento di labbra – ed era
tornato a casa per disinfettare le armi sporche del sangue dell’obbiettivo della missione.
Sakura Haruno aveva
parlato per la prima volta a Sasuke Uchiha quando
avevano sette anni, più precisamente il secondo giorno d’accademia.
Seduta due file più indietro, aveva posato la penna dopo l’ultima risposta –
sicuramente corretta – al test di ingresso. Quel test in cui non si è obbligati a far tutto bene, quel
test che vuol solo saggiare cosa già sai.
Sulle domande che non riguardavano esattamente le arti Ninja, ma la logica, era
andata bene.
Ma quelle più specifiche le aveva lasciate in bianco,
perché gli Haruno non erano una famiglia di Ninja.
Lei sarebbe stata la prima kunoichi della famiglia.
Aveva chinato il
capo, rileggendo tutte le risposte redatte con calligrafia tonda e infantile.
Le ciocche della frangia troppo lunga le solleticavano il naso. Quindi, aveva sollevato lo sguardo e si era alzata. Aveva
visto l’Uchiha fare per alzarsi dal posto, con il test in mano.
“U- Uchiha-kun…”
aveva sussurrato, non riuscendo a richiamare alla mente il suo nome, ma
piuttosto il cognome collegato allo stemma. “… posso consegnarlo io, se… vuoi,
ecco. Mi sono già alzata.”
Apriti cielo.
Aveva solo cercato di
farsi un amico. Ma lui aveva piantato quegli occhi d’inchiostro su di
lei per qualche secondo buono, senza muovere un dito.
Aveva crucciato le sopracciglia, e lei aveva deglutito.
“… se… vuoi?” aveva
quindi soggiunto, con vocina piccola piccola,
porgendogli la mano.
Lui aveva arricciato il naso, per la seconda volta, prima di piantarle il test
nella mano protesa. Poi, aveva scostato lo sguardo.
Sakura aveva battuto ciglio, sentendo sulla pelle le occhiatacce delle bambine
della classe.
No, l’anno non era
iniziato decisamente bene.
Non aveva fatto nulla
di male, davvero.
Dopo quel giorno, non
gli parlò per molto, molto tempo.
Mikoto si
era innamorata di Fugaku Uchiha quando aveva quindici
anni, e lui venti.
Più precisamente
all’esame dei Chuunin, dove lei aveva partecipato e lui era uno degli
esaminatori della seconda prova.
Lei gli
aveva sorriso, chinando leggermente il capo d’un lato,
di un’innocenza tutta zucchero.
Lui aveva
sospirato, e aveva aggrottato la fronte.
“Quando ho detto niente armi ammesse, Mikoto-chan, intendevo davveroniente armi. Fammi vedere la mano destra.”
Lei aveva
continuato a sorridere, imperterrita, sebbene un angolo delle labbra sembrava essersi sollevato di un millimetro e il
sopracciglio essersi abbassato di altrettanto.
“La mano
destra, Mikoto.”
La ragazza
aveva sollevato lo sguardo al soffitto del Dojo che faceva da sfondo alla
prova, porgendogli la mano destra e posando la sinistra su un fianco.
Rassegnata.
L’anello
era lì, e luccicava tranquillamente innocuo.
“Avresti
ingannato chiunque.” Aveva affermato lui, espressione soddisfatta sul volto,
mentre le sfilava senza troppo ritegno il monile. “Ma non me, ti ho vista
combattere troppe volte.”
“Sei un
guastafeste.” Aveva mormorato lei.
“Ho visto
le jutsu che utilizzi su questo anello, Mikoto-chan.
Non vorrei ricevere un pugno quando ci concentri il
chakra. Diventa peggio di un punteruolo.”
“Ripeto, sei un guastafeste. Non è una vera
arma, devi ammetterlo. E’ l’anello di mia madre, vedi?
E’ innocente. Dai, lasciamelo tenere.”
“Niente privilegi.” Categorico, laconico. Insomma, Fugaku. “Sono un
giudice, qui.”
Le aveva messo su un broncio piuttosto infantile, ma
lui aveva sorriso.
“Supererai
la prova anche senza.” Poi, un sussurro. “Non vedo l’ora che arrivi il tuo
incontro. Tu danzi, quando ti batti. E’ una danza stupenda, elegante e letale.”
Aveva
intravisto un’ombra di rosso nei suoi occhi, ed il cuore aveva fatto qualche
battito più del voluto.
“E’ così
che dovrebbe essere una kunoichi. Stupenda, elegante e letale.”
L’aveva
superata con la solita disinvoltura, come se non avesse detto nulla.
“Non puoi
dire cose del genere e scappartene, Fugaku Uchiha! Se vuoi prendermi in giro,
vieni qui e dimmelo chiaro e tondo!”
Oh,
l’avrebbe baciata solo per strapparle la lingua.
Ma lei
era arrossita.
Sakura Haruno si era
innamorata di Sasuke Uchiha a otto anni esatti.
Più precisamente quando non era più un’emarginata, ma una bambina
piuttosto benvoluta. Tutto grazie ad
Ino-chan che l’aveva aiutata.
Ora camminava a testa alta, e mostrava la fronte al mondo.
Il cortile era quasi
deserto: era troppo presto. Tuttavia l’Uchiha era lì, davanti
ai fantocci utilizzati per gli allenamenti.
Aveva gli occhi rossi di pianto, ma non stava piangendo. Lanciava i kunai
contro i bersagli con troppa foga e troppa forza.
Non ne colpiva neanche uno.
Sakura si era fermata
sui suoi passi, a guardarlo mentre si avvicinava al
fantoccio e tirava via i kunai, ad uno ad uno.
Per poi rilanciarli, e mancarli di nuovo.
“Uchiha-kun?” aveva
chiamato, appena basita. “Uchiha-kun, non… ne hai colpito nemmeno uno.” Aveva concluso, a bassa voce.
Lui si era fermato
lì, con il kunai in mano. Aveva battuto e aveva crucciato le sopracciglia,
voltandosi verso di lei.
“Lo so.”
“Beh, ecco… come
dire. Non è da te, Uchiha-kun.”
Lui sembrò pensarci
su, e lei vide il labbro tremare appena.
Lo vide lanciare l’ennesimo kunai, e mancare l’ennesimo bersaglio. Le labbra della bambina si erano curvate in un sorriso ed un piccolo suono divertito.
Lui aveva aggrottato
la fronte.
“Stavi piangendo,
Uchiha-kun?”
“Le femmine
piangono.”
“Ma…
Sei distratto. Non ti ho mai visto mancare un bersaglio.”
“Fammi vedere tu se
sei tanto brava.” Aveva risposto lui, appena inacidito.
Gli occhi un po’ meno lucidi ed un po’ più indispettiti.
“Ma
io non son…”
“Voglio proprio
vedere.”
Aveva provato, e ne aveva mancati nove su dieci. Un pochino mortificata, si era voltata
verso Sasuke, che aveva fatto spallucce con aria abbastanza soddisfatta. “Sei una frana.”
“Non è vero! Non lo
sono.”
Lui aveva accennato
un sorriso divertito, che stonava con gli occhi lucidi. “Neanche io.”
Quel sorriso le aveva
toccato il petto, proprio lì, all’altezza del cuore.
“I-
io non l’ho mai insinuato, Uchiha-kun.”
L’aveva superata con
la solita disinvoltura, come se non avesse detto nulla.
Come se non avessero parlato, come se non avesse pianto.
Voleva vedere ancora
quel sorriso, dedicato a lei.
Era arrossita.
Fugaku
Uchiha si era ‘dichiarato’ e aveva chiesto la mano di Mikoto Uchiha
quando aveva ventitrè anni suonati e lei aveva raggiunto i diciotto
anni.
Suo padre era morto da poco, e lui era il nuovo Capofamiglia.
Capofamiglia senza famiglia.
Una notte,
alla festa di compleanno di suo fratello Teyaki, l’aveva portata nel giardino
della grande casa.
Lei, un po’ inebriata dal sakè, aveva riso alla grande luna piena, indicandola con la mano sottile che
portava il solito anello.
“La luna
sta cadendo, guarda!” aveva detto, con tono estasiato. “E’ così grande.”
Lui aveva
riso con lei, seduto sulla panca di legno. Dall’interno della casa arrivava la
musica, arrivavano le grida, arrivava la vita.
Fuori,
c’era solo la risata placida di lei, e la sua voce che intonava imbranata l’eco delle note che arrivavano fin lì.
Neanche un
filo di vento.
Lei fece una piccola piroetta su sé stessa, finalmente
scostando l’attenzione dalla luna e riportandola sulla terra.
“Hai
sempre la testa lassù, tu.” L’aveva rimproverata lui, tono vagamente severo.
Ma lei
aveva sorriso, piano, guance pallide colorate di
rosso.
Ancora una
volta un kimono rosso, il colore che le donava di più.
Stupenda,
elegante e letale. Dolce e letale.
Le aveva fatto cenno di sedersi accanto a lui, pigramente, con la
mano.
E lei
si era lasciata cader seduta su quel pavimento di legno.
Entrambi erano rimasti in silenzio a guardare la luna
cadere.
Una volta
che Mikoto si rese conto che non sarebbe caduta di lì a momenti, sospirò,
guardandolo con la coda dell’occhio.
“Volevi
dirmi qualcosa, o ti godi la mia compagnia?”
“Volevo
dirti qualcosa, mi godo la tua compagnia e tutta quella gente mi fa male alla
testa.”
“Oh.”
“Già.”
“Cosa volevi dirmi, allora?” aveva riso lei.
Lui aveva
scostato lo sguardo di nuovo sul cielo, con quella fronte perennemente
aggrottata, e quelle labbra perennemente imbronciate.
Aveva mormorato qualcosa, che lei non aveva udito.
“Come?”
“Sposami, ho detto.” Ripeté lui, semplicemente, con
quell’aria truce.
Dato che
la risposta non era arrivata, aveva tossicchiato, una, due
volte.
Era
imbarazzato, come sempre quando si parlava di sentimenti.
Silenzio.
Poi, lei
scoppiò a ridere, senza prenderlo sul serio.
Se possibile, il broncio di lui era diventato ancora
più calcato.
“Ah,
Mikoto, smettila. Dico sul serio!”
Sakura Haruno si era
dichiarata e offerta a Sasuke Uchiha quando aveva tredici anni e aveva sentito
nell’aria la partenza di lui.
Una notte si era messa lì, sulla strada che portava ai cancelli di Konoha, e
l’aveva aspettato.
Lui, con quella sua aria truce e decisa, si era fermato a qualche passo da lei.
“Torna a casa.” Aveva
detto, con tono secco. “Non voglio parlare con te.”
Lei aveva cacciato
indietro le lacrime.
"Sasuke-kun.
Sapevo saresti passato di qui. E
così sono venuta, e ho aspettato..."
“Torna a
dormire.”
Nella
notte c’era il silenzio, e il fischiare del vento fra le fronde degli alberi.
Le si morse il
labbro, guance pallide colorate di rosso.
“Perché vuoi andare via, Sasuke-kun? Siamo stati bene, tutti insieme. Tu mi hai detto che
stare soli fa male. Perché vuoi stare solo, Sasuke-kun?”
“Non ha
nulla a che vedere con te.”
“Si invece. Se tu te ne vai, per me sarà come
essere sola, Sasuke-kun.”
Rimasero
a guardarsi, per un po’, ognuno che attendeva che l’altro cedesse.
Una volta che Sasuke si rese conto che Sakura non avrebbe ceduto, sospirò.
“Sei
veramente noiosa.”
Lei non
lo vide più, ma sentì il suo sospiro bollente sul collo.
“Grazie.”
L’aveva
colpita, e per qualche attimo era rimasto lì, a guardarla cadere per terra.
Quasi, dopo quel colpo, si fosse aspettato una risposta.
Un “Prego.”
Dato che
la risposta non era arrivata, aveva voltato le spalle e se ne
era andato.
Se possibile, con ancor
più rimorsi di prima.
Mikoto
e Fugaku Uchiha avevano avuto due figli, Itachi e Sasuke Uchiha.
Fugaku
Uchiha aveva guidato con ardore e senso di giustizia la polizia di Konoha, ed
era stato un padre severo ed esigente.
Mikoto Uchiha era stata la Jounin più elegante, dolce e forte che
mai fosse nata nel villaggio, e la madre migliore che i piccoli Sasuke e Itachi
avessero mai potuto desiderare.
Sakura
Haruno era rimasta da sola per il resto della sua vita, incapace di convincersi
che una storia d’amore sarebbe potuta finire bene.
Non avrebbe mai potuto essere una buona madre, ma era diventata un’ottimo medico.
Sasuke
Uchiha non ebbe abbastanza anni di vita davanti a sé per rendersi conto di essere solo.
Non era
mai stato una buona persona, ma era diventato un ottimo contenitore di anime altrui.
Fugaku
Uchiha era come il fuoco, aveva pensato Mikoto, un
tempo: fiero e indomabile, brillante ed impetuoso.
Mikoto
Uchiha era come l’acqua, aveva pensato Fugaku, un tempo: placida e serena,
eppure impetuosa e letale quando la missione lo richiedeva.
Per
questo, si erano amati.
Erano morti insieme, l’uno vicino all’altra.
Le loro lacrime si erano mischiate, e non avevano avuto rimpianti.
Sasuke Uchiha era
stato come il fuoco, pensa lei: sebbene pericoloso, non aveva potuto fare a
meno di esserne attratta, fino a quando non si era spento.
Sakura Haruno è come
l’acqua, aveva pensato lui, un tempo: priva di qualsivoglia sapore.
Per questo, non erano
riusciti ad amarsi.
Lui era già morto da
un pezzo, e lei sarebbe morta lontana da lui, nel
tempo e nello spazio.
Avevano versato lacrime amare l’uno a causa dell’altra, ed i rimpianti erano
troppi e inutili da contare.
Un amore fra due cose così diverse può funzionare una volta sola.
(Magari nella prossima vita, Sakura.)
A/N: ancora non riesco a trovare uno
straccio di pc da cui connettermi. La lista di
commenti a cui devo rispondere aumenta – oddio, credo
XD
Questa
flavour… forse è un po’ lenta. Amore, è la sindrome da Nightmare
che mi chiama ç_ç
E’ che se
ho in mente qualcosa in un modo, e viene fuori qualcos’altro, mi deludo da sola XD
Comunque
sono piuttosto fiera di questa – anche perché ieri non avevo idea di come
svilupparla, ed oggi l’ho scritta tutta in esattamente un’ora. Togliendo l’altra
ora di correzioni. Ora, una FugakuxMikoto con SakuraxSasuke annessa. Mi sono trovata un po’ in difficoltà
con la caratterizzazione di Mikoto e Fugaku.
Insomma,
vedendoli crescere, ecco, dato che li abbiamo conosciuti solo come genitori.
Allora è
uscita una Mikoto spensierata, dolce, dalla testa fra le nuvole… ma che ha le palle quando combatte *per il fatto dell’anello mi sono
inspirata alla tecnica di Asuma, lo ammetto >_>”*.
E un Fugaku un po’ burbero, emotivamente incapace, attratto ed
esasperato da quella ragazza così diversa da lui.
Teyaki è
il signore anziano che parla con Sasuke nei Flashback °_° E’ solo una comparsa,
comunque.
La mia
parte preferita è il pezzo che contiene la dichiarazione patetica di Fugaku,
che più che dichiarazione sembra un ordine. Bau!
Sasuke e
Sakura sono Sasuke e Sakura. Sasuke con gli occhi lucidi perché
si tratta di poco tempo dopo il massacro. Otto anni, appunto.
Sakura non
la considero troppo OOC. Non era ancora innamorata di Sasuke, a quel tempo. XD
Quello che
mi piace di questa fanfic è il parallelismo, ecco. Mentre la storia di Mikoto e Fugaku è andata liscia come l’olio –
tranne l’incidente Itachi – nonostante fossero diversi, con Sasu
e Saku non è andata altrettanto bene. Mi sta
tornando la fissazione delle SasuSaku.
Gradirei
avere opinioni ambo positive e negative su questa *_*”
I miei esperimenti assurdi. E soprattutto sulla caratterizzazione di Mikoto e
Fugaku XD
Figuratevi
se anche per un titolo così innocuo potevo scrivere qualcosa di sereno. Bah.
Capitolo 18 *** 17. A Dark Heart. Beating. [Orochimaru & Tsunade] ***
17
Non sembrava così
male. Una volta conosciuto meglio, intendo.
Non sembrava… il
male.
Sembrava solo
qualcuno molto, molto solo.
E molto strano.
[Lo era, comunque.
Il male, intendo.]
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
“Scommetto
che non lo porti neanche!”
“Scommetti?”
“Scommetto!”
Lei si
alzò la maglietta.
E ci
fu uno strano, inquietante attimo di silenzio.
“Ah!” la
ragazzina alzò il mento vittoriosa, e la maglietta
dimenticata ricadde sui fianchi “Alla faccia tua, Jiraya! Cos’è che stavi
dicendo, mh? Ripetimelo. Su, dimmelo in faccia, dai!”
“Il fatto
che tu abbia un reggiseno non implica che tu abbia anche il seno, sai?!” si impuntò il ragazzino, sebbene il viso fosse fin
troppo rosso. Lei si limitò a soffocare un suono altezzoso, battendo una mano
sul petto.
“Fatto sta
che tu hai scommesso, e hai perso! Ora paghi pegno!”
“Ah, che
cosa stupida, non ho neanche detto cosa scommettevo!”
“Allora
decido io.”
“Ma non è
mica giusto, così, strega! Mi hai imbrogliato!”
E pensare che la Squadra
esisteva da appena qualche ora.
Di questo passo, quei tre ragazzini non sarebbero riusciti a combinare nulla di buono, nella loro vita.
Questo era
ciò che pensava Sarutobi, seduto su un ramo dell’alta quercia che sovrastava il
cortile dell’Accademia.
Ah, ecco. I ragazzini non dovevano essere tre?
Per inciso, del terzo ragazzino non ci fu traccia per tutto il pomeriggio. Gli
altri due rimasero a bisticciare sul pegno da pagare per un po’, finchè non
decisero di essersi annoiati abbastanza a vicenda, e si incamminarono
verso casa.
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
17.
A
Dark Heart. Beating.
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
Tsunade
era perfettamente contenta nel mordicchiare i mitarashi dango che la scommessa
con Jiraya le avevano fruttato. Pensava un po’
malinconicamente di aver ottenuto troppo poco, ma quel pervertito era stato
irremovibile. Non aveva tanti soldi con sé – diceva lui – e quindi non poteva
offrirle di meglio.
Tsunade
non era abituata a vincere, a prescindere, quindi le andava
bene lo stesso.
Il giorno dopo
la squadra si sarebbe incontrata con il sensei, un certo Saru-qualcosa, e avrebbero svolto un
allenamento di sopravvivenza. Tsunade non ne aveva
bisogno, ma purtroppo c’era gente come Jiraya che ne aveva fin troppo. E Orochimaru-kun… beh, Orochimaru-kun alla fine faceva
sempre quello che voleva, quindi non le importava un granché.
Non ci aveva mai veramente parlato, e le era sembrato semplicemente uno di
quegli asociali D.O.C. che spuntano una generazione ogni tanto. E ora, erano nella stessa squadra.
Ah, che brutta squadra che era quella.
Non le piaceva per niente.
Sospirò, e
fu un sospiro pieno di zuccheri. Il morso seguente fu un po’ più violento dei
primi – avrebbe dovuto passare la vita in una squadra che non le
piaceva per niente – e la ragazzina deviò il percorso per il parco. Il sole
del primo pomeriggio era caldo, e proiettava le ombre delle foglie sul
selciato. Sovrappensiero, si dedicò un po’ all’arte di evitare le zone di luce.
Poi lo
vide, anche perché era piuttosto impossibile non notare quella macchia scura di
capelli all’interno dell’aiuola.
Era immobile, le braccia lievemente aperte e le mani pallide protese in avanti.
Lo vedeva di profilo, e le labbra sottili e pallide erano socchiuse: gli occhi
dorati fissi di fronte a sé.
Per un attimo
rimase interdetta: la prima cosa che le venne in mente fu il caro vecchio gioco
dell’ “un, due, tre, stella!”, ma dubitava che
qualcuno come Orochimaru, a quell’età, potesse giocarci. O
meglio, dubitava che qualcuno volesse giocarci con lui, che era un tipo così
inquietante e strano.
Sembrava solo, molto solo.
Lui si
mosse un po’, e le maniche dello yukata ciondolarono. Le sopracciglia dorate di
Tsunade si crucciarono sugli occhi color miele, mentre lei tirava un altro
morso. Immobile.
Poi, lui
di scatto allungò e giunse le mani, tanto improvvisamente quanto delicatamente,
a creare una piccola conca vuota all’interno.
Lei vide
quell’aria soddisfatta sul viso smunto, ed inarcò un sopracciglio.
“Oy,
Orochimaru-kun.” Chiamò, a bocca piena, dopo qualche attimo di silenzio.
Lui, con
la solita calma serafica e le mani giunte a conca, si voltò.
“Tsunade-chan.”
Battè ciglio. Le dedicò quell’attimo di preziosa attenzione, per poi voltarle
le spalle e chinarsi sull’erba. La ragazzina intravide un barattolo di vetro ai
piedi di lui, ma da quell’angolazione non riusciva a
vedere nient’altro.
“Sei
scappato, oggi, dall’Accademia.”
“Uhm.”
Non si voltò.
Tsunade
buttò la stecca dei dango per terra, prima di scavalcare l’aiuola.
“Avevi da
fare? Siamo una squadra, ci dovremo pur sopportare, eh.”
Lui accostò
le mani giunte all’apertura del barattolo, per poi schiuderle. Per un attimo,
quel qualcosa di colorato che cadde dalle mani pallide al contenitore
deviò la sua attenzione.
Una
farfalla, bianca e azzurra.
Il ragazzino dai capelli lunghi chiuse il coperchio, con quell’aria vagamente
soddisfatta che faceva sembra le labbra ancora più
sottili. Sorrise, e fu un sorriso possessivo. Tsunade arricciò il naso, ma lui
prese il barattolo di vetro tra le mani, alzandosi e voltandosi verso di lei,
battendo ciglio.”
“Stavi
dicendo qualcosa?”
“Dobbiamo andare d’accordo, non dovresti evitarci. Dovremo
fidarci e affidarci la nostra vita, no?”
“Uhm…”
quelle sopracciglia scure si crucciarono appena sulla fronte, ed Orochimaru non
sembra condividere troppo la sua idea. “… forse.”
“Il tuo
forse è un no.”
“Dipende
dai punti di vista.”
Tsunade
sbuffò, seguendolo con lo sguardo mentre lui
scavalcava ancora una volta l’aiuola, dirigendosi verso una panca di legno. Lì
Tsunade notò un altro paio di barattoli “abitati”, ciascuno con la sua piccola
creatura che dentro annaspava per aria e batteva le ali, cercando di andar
contro e attraversare il muro che non riuscivano a
concepire.
“… catturi
farfalle?”
Lui poggiò
il terzo barattolo accanto ai primi due, prima di guardarla con sufficienza da
sopra una spalla.
“Quando
non ho voglia di rincorrere le lucertole, dato che sono più veloci.”
“E che te ne fai?”
Il ragazzino sembrò sinceramente perplesso e vagamente offeso. “Mi servono.”
“A cosa
può servirti una farfalla asfissiata, poi? Non le mangi mica?”
“Le
studio.” Esclamò lui, forse troppo solennemente.
Il tono con cui lo disse non le piacque per niente, perché si vedeva lontano un
miglio che puzzava di bugia.
“Le
vivisezioni?”
“Affari
miei.”
“Ammettilo, sei un maniaco degli insetti! Sicuro
che non sei un Aburame di quelli lì?”
Lui
sollevò lo sguardo dorato al cielo, con nient’altro che frustrazione, ed
incrociò le braccia al petto. Neanche per un attimo, perse quell’aria distante che
gli aleggiava attorno.
“Sinceramente,
sei un tipo inquietante.” Mormorò semplicemente Tsunade, chinandosi appena in
avanti per esaminare meglio le farfalle al di là del
vetro. “A vederle così da vicino sono molto belle.”
Lui non
rispose, ma sembrava stesse perdendo un po’ la
pazienza.
“Le
vivisezioni, vero? Poi le metti sottovetro. Magari lo fai anche con le rane,
mh? Ho sentito che ne vivisezionano un sacco. Le apri e poi? E
i topi? Con le lucertole che ci fai?”
“Le
studio.”
“Le studi.” Ripeté lei, affatto convinta. “E’ una cosa
abbastanza crudele, però.”
Lui rimase
vagamente perplesso da quell’affermazione, fermandosi a metà strada nel
raccogliere i contenitori.
“Sono solo farfalle.”
“Ritengo
sia una cosa crudele.”
“Moriranno
comunque. Vivono così poco, loro; alcune solo un
giorno. Moriranno comunque.” Fece spallucce,
sottraendo anche l’ultimo contenitore alle attenzioni di lei.
Tsunade si
lasciò cadere sulla panchina, arricciando il naso.
“Beh,
proprio perché si tratta di un giorno… per loro un giorno
è lunghissimo. Magari erano appena uscite dal baco, sai. Erano appena nate e
avevano un intero giorno davanti a loro. Per loro era come una vita intera, no?
E’ una cosa un po’ crudele.”
“… eppure hai lasciato che le chiudessi dentro, e ora me le
stai facendo portare via. Le hai anche guardate, no? Non ti interessa
davvero.” Commentò lui, con quel tono piatto.
Lei si interruppe, stizzita quanto mortificata.
”Non è vero!”
Lui si fermò sui suoi passi, voltandosi quel tanto che bastava per guardarla da
sopra la spalla.
“Scommettiamo?”
La
ragazzina schiuse le labbra.
Il ragazzino attese.
Per quella volta, Tsunade non ne trovò né il coraggio, né la voglia.
Lui
sorrise, e continuò per la sua strada.
A/N: Ecco. Non so che dire. Ringrazio Rekichan che in qualche modo mi ha liberata
dal blocco della scrivana. >.<
Beh, son contenta che Mikoto e Fugaku siano piaciuti ç_ç Me commossa. Mi piace quando le indee prendono quella piega, ecco, è bello perché si
scrivono da sole. Come questa. Anche se non è
bellissima, ma mi serve per riprendermi dalle varie seghe mentali del trasloco.
Andato tutto bene, comunque.
Ho
internet, e risponderò ai commenti. Ma dato che ora stacco, preferisco
pubblicare e aggiungere le risposte domani o_o
Prossimamente su questo schermo *_*
Comunque,
Orochimaru da piccolo non l’abbiamo visto spiccicare una parola. Mi son presa
un po’ di libertà. Farfalle, lucertole, topi. Magari anche gatti. Chissà con
cosa ha iniziato i suoi giochino da piccolo chirurgo *_*”
Capitolo 19 *** 18. The smell of hospitals in winter. [ NaruSaku ] ***
Era tornato a casa
Era tornato a casa. Ancora una volta era tornato a casa.
Ancora una volta, lei non aveva dormito.
“Non lì, Tsunade-hime.”
“Mi dispiace, Sakura. E’ quello che vuole.”
Aveva passato la notte in bianco, a rigirarsi fra le lenzuola
sfatte e madide di sudore, nonostante il freddo invernale.
Dicembre. Era arrivato dicembre.
Non sa quando smettere. Non sa quando smettere.
Non lo sa, dannazione.
E’ tardi, Naruto. E’ tardi.
Perché mi guardi e fai finta di nulla?
Apri gli occhi, cazzo!
18. The Smell of
Hospitals in Winter.
A long december and there’s reason to believe
Maybe this year will be better than the last
Il sole era sorto e tramontato due volte, da quando era sveglio.
Forse tre.
Forse non era tramontato affatto, e quell'ombra che calava ogni
tanto sulla sua vista altro non era che lei che si chinava su di lui, e
gli toccava la fronte ed il collo e la spalla che gli faceva male.
Non gli importava.
Dato che non gli importava, pensò che era inutile continuare a
tenere gli occhi aperti.
Perciò, li chiuse.
La voce di lei arrivò prontamente alle sue orecchie stanche, e
sapeva di rimprovero.
“Hai rischiato di morire.”
Non rispose, limitandosi a mugugnare qualcosa di assonnato.
“Hai seriamente rischiato di morire.” Insistette la voce,
con urgenza: era arrabbiata, questo poteva capirlo.
Giunse alla conclusione che continuare a fingere di dormire non
serviva ad un granché.
Gli occhi azzurri si schiusero, lentamente, soltanto per incontrare quegli
occhi verdi che sapevano di foglia.
Di foglia e di casa.
Casa.
“Hai rischiato di morire.” Quegli occhi erano arrabbiati con
lui.
Pertanto lui strinse le labbra secche in un broncio, crucciando appena le
sopracciglia bionde.
“Lo so, Sakura-chan.” Borbottò, lingua impastata e voce roca.
Sapeva di sembrare piuttosto patetico, quando parlava così: ma la ragazza non
sembrò provare un briciolo di pietà.
Infierì, cruda e secca, senza neppure pensare di darsi un minimo di contegno.
“Sei un idiota. Un idiota. Smettila. Finirai per morire davvero.
Non voglio essere io a dover compilare la cartellina del tuo decesso, Naruto.
Quindi, smettila. E’ tardi, ormai, nel caso tu non l’abbia capito.”
Quelle parole lo ferirono, più che nel cuore, nell’orgoglio.
Inalberò il broncio sulle labbra, borbottando un semplice e desolato “Ma
Sakura-chan, io ho…”
“E pianta con quel Sakura-chan! Non sono dell’umore
adatto.”
Ritornò il silenzio. I loro occhi non si lasciarono neppure per un secondo.
Sakura-chan aveva gli occhi liquidi e rossi, e occhiaie fin troppo vistose.
Sakura-chan era molto brutta, oggi.
Il ragazzo era combattuto fra il risponderle seriamente o il prenderla in giro.
Sospirò, scegliendo una via di mezzo.
“Ah, ma tu non sei mai dell’umore adatto, Sakura-chan!”
“Sono una donna, ho diritto ad avere i miei periodi. Tu no. Io
si.”
Naruto non rispose, limitandosi a guardarla di sottecchi, torvo,
per un po’.
Lo sguardo azzurro si spostò quindi sul cielo, dove ora il sole andava davvero tramontando.
Per un attimo, pensò che gli sarebbe piaciuto vedere pian piano calare il buio.
Ma Sakura si era già alzata, ed aveva acceso il neon con quel semplice ed
insopportabile clic.
Naruto alzò istintivamente il braccio a riparare gli occhi,
gesticolando con l’altra mano verso l’interruttore.
“Aaah! Nononono, Sakura-chan, spegnila! Dai, mi fanno male gli occhi! Le
odio quelle luci!”
“Preferisci rimanere al buio?”
“Ma sono le luci degli ospedali, mi fanno venire mal di testa!
Non mi piacciono mica!” borbottò.
Nel vedere che una lamentela così costruita non aveva alcun effetto, finì per
voltarsi con un piccolo gemito causato dalla spalla, a pancia in giù sul
materasso troppo sottile.
Broncio infantile sulle labbra.
Lei parve pensarci un po’ su, stringendo le labbra. Con uno
sospiro, si lasciò ricadere seduta sul bordo del lettino. Quel baschetto di
capelli chiari gli dava le spalle, e non vide l’espressione di lei quando
parlò.
“E’ incredibile, vero? Fanno sembrare tutto più falso. Più
irreale. E’ una luce fredda, fa sembrare il mondo di plastica.”
“E’ insopportabile.” Mugolò lui.
“E’ l’unico modo per rendere sopportabile questo posto. Niente
sembra reale, quindi va tutto meglio, no?”
Si girò verso di lui, e sorrise.
Ma Naruto aveva già chiuso gli occhi, troppo stanco per ribattere che, in
realtà, non ci vedeva nulla di sopportabile.
All at once you look across a crowded
room
To see the way that light attaches to a girl.
Fu lei, che riprese a parlare.
“La pelle di Sasuke-kun sembrava sempre così malata, sotto
queste luci.” Esordì, distrattamente, con tono piatto. “A dire il vero,
sembrava già morto. Ma sembrava tutto così finto, quindi si poteva far finta di
nulla. Tu, invece… sei così abbronzato che non ti fa un baffo. Con te non si
può mica fingere niente.” Sembrava quasi contrariata. Contrariata e triste.
La risposta ad un tono del genere risultò immediata. “Mi spiace, Sakura-chan.”
“Hai rischiato di morire, Naruto. Non lo fare mai più.” La voce
della ragazza non superò mai la soglia del sussurro.
Naruto deglutì, perché sapeva di pianto. Tuttavia, trovò la presenza di spirito
per ridacchiare.
“Ah, che carina! Ti preoccupi per me, Sakura-chan? Sono
onorato.”
Lei congedò quel commento con un cenno brusco della mano. “Oh,
ma sta zitto!”
La luce artificiale del neon si
limitava a calcarle le occhiaie stanche, a creare ombre che su quel viso da
piccola donna non stavano affatto bene. Per niente.
“Effettivamente non me la sento molto di parlare.” Ammise il ragazzo,
umettandosi le labbra con un gesto stanco.
“Ti fa ancora male? La spalla?”
“E’ bello avere una mamma come te,
Sakura-chan. Penso che l’avrei voluta proprio come te. Sas’ke lo diceva sempre,
che non facevi che farci da mammina. Penso gli desse un po’ fastidio.”
Seguì un lunghissimo attimo di silenzio,
ma Naruto sapeva cosa gli avrebbe chiesto.
“Lo hai visto. Di nuovo, vero?”
Non suonava davvero come una domanda – ma nonostante tutto
lui si ritrovò a rispondere.
“Certo che si, duh. Non sono molte le
persone che mi riducono così, sai?” finse l’offesa, piuttosto magistralmente,
crucciando le sopracciglia ed il nasosul volto abbronzato.
Ma lei non lo stava ascoltando più.
“Non ti ha ucciso. E’ ancora qui,
allora. C’è ancora. Grazie al cielo…”
Grazie al cielo, non l’abbiamo perso ancora
del tutto, Sakura-chan?
Gli occhi azzurri la
videro fissare un punto indefinito del pavimento, con quell’espressione
sollevata e, per un attimo, serena. Per un attimo, nonostante le occhiaie, la
luce, e la puzza di disinfettante, sembrò bella.
“Sakura-chan, io lo riporterò a casa,
lo sai. Te l’ho promesso.”
Lei parve riscuotersi dal suo torpore, riportando lo sguardo sul compagno di
squadra. Quel po’ di sollievo nel suo sguardo si spense, mentre serrava le
labbra e scuoteva energicamente il capo.
“No. No, ecco cosa dovevo dirti,
Naruto. Dovresti smettere, ecco. Non vedi che hai rischiato la vita…?”
“Ma te l’ho promesso! Non puoi
chiedermi di venir meno alla promessa.”
Lei scostò lo sguardo. L’angoscia.
Vide l’angoscia su quel viso, combattuto.
Sakura-chan era facile da leggere. Sakura-chan rivoleva Sas’ke a casa.
Ma non voleva che Naruto stesso rischiasse la vita.
Naruto pensò che era davvero una ragazza complicata.
“Allora… promettimi che non lo cercherai più.” Negoziò lei, ma la sua voce
tremò.
Non era affatto sicura, come sempre.
“Non funziona mica così, Sakura-chan.”
Proclamò solennemente il ragazzo, sollevando appena il mento, prima di
piantarlo nel cuscino sottile.
Lei rimase in silenzio. Ancora una
volta.
Poi, un sussurro piatto. “Naruto… è dicembre.”
“Beh, a quello ci arrivavo da solo.
L’aria è fredda, me n’ero accorto.”
Tuttavia, sapeva dove quel discorso sarebbe andato a parare. Lo sapeva.
Saperlo non ne migliorava l’umore.
“Dall’anno prossimo… non ti avvicinare
più al Villaggio del Suono, non cercarlo neanche più. Non ne vale più la pena.
E’ tardi, Naruto.” Non lo guardava in viso.
“Ma…”
“Hai fallito, Naruto. Abbiamo fallito,
quindi non c’è molto da fare, ti pare? Siamo proprio degli imbranati, noi.” la
vide forzare un sorriso, mentre lentamente di voltava verso il lettino.
Ma probabilmente lei stessa si accorse di quanto falso quel sorriso sembrasse,
poiché volse subito il viso verso la finestra. Fuori, ormai, era buio.
I guess the winter makes you laugh a
little slower,
Makes you talk a little lower about the things you could not show.
“E’ che… ogni volta… ogni volta che vai
via… per una missione, ed io non posso seguirti… ogni volta, ogni fottutissima
volta, sogno che non tornerai più. Ti vedo, morto, lì, per terra. Vedo lui che
ti ha ucciso. Ho paura, quando non posso seguirti.”
“Sakura-chan…”
“L’ho visto ucciderti così tante volte…
come pensi che io mi senta? Sapere che rischi ogni fottutissima volta di
morire, ogni santissima volta, per colpa mia? Per quanto io lo voglia indietro…
per quanto io… non capisci?”
Lui rimase in silenzio.
La voce di lei si abbassò ad un sussurro.
“Non lo sopporto. Non lo sopporto più.”
“Mi dispiace, Sakura-chan.”
“E’ tutto così assurdo. Non lo reggo,
Naruto. Moriresti davvero, per me?” domandò la ragazza, pizzico di ironia nella
voce sussurrata. Probabilmente, non sapeva se piangere o ridere.
Era stanca, Sakura.
L’espressione sul volto di lui si indignò, ed il ragazzo schioccò la lingua,
arricciando il naso.
“Figurati, non lo farei mai.
Piangeresti come una fontana. Per te vivrei, piuttosto.” Flebile tentativo di
sollevarle il morale, flebile tentativo di farla sorridere.
Ma lei non lo guardava più, quando
diceva cose del genere. Cose del genere la facevano sentire in colpa.
Abbassò il capo e lo sguardo, serrando le labbra. Gli occhi le bruciavano,
ancora.
Non meritava nulla, di tutto quell’affetto. Non meritava nulla, di tutta quella
dedizione.
“Non andare, Naruto. Finirai per morire
per qualcosa di inutile. E’ tardi. Continuare a provare, significa essere
stupidi, ne?” Mormorò, un sussurro rotto dallo sforzo di trattenere le lacrime.
“Ti ho già detto che vivrò, non ti
basta?”
“E’ una promessa che non sta in piedi.
Sasuke-kun… lo abbiamo perso tre anni fa. E’ morto tre anni fa, il mio
Sasuke-kun. Quello che volevo a casa. Io… lo so, lo so. Quindi fa nulla,
davvero. Non rischiare la vita. Questo Sasuke è quello che ti uccide, Naruto.
Vederlo ti fa male. Vederlo mi fa male. Ti prego. Non provare a riportarlo a
casa – se questo significa che devi rischiare la vita, tu…”
Mentiva. Sakura-chan aveva l’orrida abitudine di non guardarlo in faccia,
quando mentiva.
Voleva convincerlo che fosse una cosa stupida, continuare a cercarlo, quando
lei stessa non ne era affatto convinta.
Voleva convincerlo che presto sarebbe morto, quando lei stessa non voleva
affatto crederci.
Voleva convincerlo che non l’avrebbero mai più avuto con loro, quando il
pensiero stesso la distruggeva.
Sakura-chan lo voleva ancora a casa – era solo preoccupata.
Sakura-chan lo aveva sempre voluto a casa – si sentiva in colpa.
E Naruto avrebbe mantenuto quella promessa – è il suo credo ninja.
“…”
“Me lo prometti? Naruto?”
Lui non rispose.
Lei si limitò ad abbassare lo sguardo, e ad inspirare profondamente l’odore
asettico della piccola camera.
Nessuna orchidea nel vaso, a cercare di ricoprire quell’odore.
Le orchidee erano state dedicate all’altro, quando lei era una bambina e
quell’odore le faceva paura.
Ora, vi era troppo abituata.
Sono una persona terribile, terribile.
Mi dispiace, Naruto, mi dispiace.
E’ colpa mia.
Ti chiedo così tanto, e non ottieni nulla in cambio. Nulla.
Sono una persona terribile.
The smell of hospitals in winter
And the feeling that it’s all a lot of oysters, but no pearls
L’odore della pioggia e della terra
bagnata che filtrava dalla finestra, insieme all’aria pungente dell’inverno.
L’odore della disperazione, perché sapeva che l’avrebbe più visto – eppure si
ostinava a volerlo vedere ancora.
L’odore del senso di colpa, nella consapevolezza di essere la causa per cui
Naruto rischierà la vita, ancora e ancora.
L’odore del sangue di quella ferita sulla spalla di lui. L’odore della sua
promessa.
L’odore della morte che lo aveva sfiorato, e della sua impulsività che
l’avrebbe spinto a sfidarla ancora, per lei.
L’odore di lei, l’odore di fragola e antibiotico di quella ragazza terribile,
terribile.
Non ce la faceva, a sopportarlo. Non ce
la faceva.
“Promettimelo.”
Non voglio averti sulla coscienza, Naruto.
Promettilo, dannazione.
Prometti che smetterai di essere così… così…
“Non posso se me lo chiedi piangendo, Sakura-chan.”
Naruto mormorò e sorrise di quel sorriso uguale a mille altri sorrisi. Tutti
falsi, tutti dedicati a lei.
Ed il cuore di Sakura si perse in quella morsa che ormai, da anni, la
stringeva.
Era quello, l’odore del suo dicembre.
Diluito con erbe aromatiche e antisettici.
Strinse le labbra, e si rifiutò di
lasciar sfuggire le lacrime.
Scoppiò a piangere.
“Mi dispiace, Naruto, mi dispiace...”
Ma lui, lui lo sapeva.
“Fa nulla, Sakura-chan.” Mormorò,
chiudendo gli occhi e voltando il viso dall’altro lato, pur di non vederla
piangere.
“Fa nulla.”
And it’s been a long december and
there’s reason to believe
Maybe this year will be better than the last
I can’t remember all the times I tried to tell my myself
To hold on to these moments as they pass.
A/N: no, le flavours
non sono morte. Diciamo che scrivo un po’ e un po’, ecco. Oddio, non so alla
fine come sia uscita. Comunque le cose scritte in grigio chiaro son pezzi della
canzone “ A Long December”dei Counting
Crows, da dove han preso questo titolo. Non sono in ordine, ma seguono le mie
necessità. ^^”
Commenti
negativi o positivi, non scrivo quasi mai su questi due, ecco.
E’ probabile
che le flavour moriranno presto, comunque. Ho intenzione di abbandonare il
fandom, o le fanfiction in generale, finchè non ritorni signora ispirazione.
P.S. Questa
flavour è stata tolta dalla raccolta almeno nove mesi fa. Rivista, ri-rivista,
ed ora ri-pubblicata. Ha avuto solo una notte di vita e una decina di letture,
quindi penso sia comunque inedita <_<” Solo Suzako-chan l’aveva
commentata XD La prossima flavour sarà qui a breve. Scusate l'assenteismo che si è presentato ultimamente.
Capitolo 20 *** 19. Another grey day in the deep blue world. [Team Seven.] ***
19
19. (just) Another grey
day in the deep blue world.
Decise che era decisamente una di quelle giornate in cui
avrebbe fatto decisamente meglio a rimanere a letto. E lo decise circa otto
nanosecondi dopo aver aperto sonnacchiosamente un occhio.
Poiché doveva necessariamente alzarsi comunque, Sasuke
Uchiha decise anche di essere di pessimo umore.
Non solo perché oggi era stato un crampo al polpaccio a
svegliarlo. Non solo perché era l’anniversario della morte dei suoi genitori (
e anche dei prozii, zii, cugini di secondo, terzo, quarto, quinto grado, nonni
ed un paio di bisnonni - perché gli Uchiha si sposavano presto; tuttavia
tendeva a non pensare molto a loro, in quanto già la morte dei genitori era
parecchio deprimente di per sé ). Non solo.
Erano le otto e mezza, il che – se la matematica non è
un’opinione – significava anche che si era svegliato con mezz’ora di ritardo.
Il giorno dell’ennesima missione di classe D.
Oh, avrebbe potuto morire.
Non lo fece.
Stropicciandosi distrattamente un occhio, si alzò seduto
sul materasso. A tentoni, posò i piedi sul pavimento e si alzò soffocando uno
sbadiglio. Qualche passo verso la porta e scivolò sulla maglietta lasciata a
terra la sera prima.
Cadde a terra con un tonfo – sonnacchioso anche lui.
Che cosa così pocoUchiha.
Non era decisamente giornata – ripeté fra sé e sé,
lasciando scorrere lo sguardo sul soffitto. Oh, era una nuova ragnatela,
quella? Strano, eppure Ino – il nome del ragno, quello grosso, brutto e
sopratutto particolarmente fastidioso, non la ragazza – era morto
qualche giorno prima.
Lo sapeva di sicuro, perché se l’era ritrovato nel letto a
gambe all’aria, probabilmente cascato dal soffitto. Il che l’aveva indotto ad
una breve e fugace riflessione sulla caducità – astratta e letterale – della
vita. Ma i ragni non avevano ventose, sotto quelle otto zampe?
Scosse il capo, riducendo gli occhi a due fessure per
studiare al meglio il nuovo ornamento sul soffitto. L’ennesimo.
Decise distrattamente che quel ragno si sarebbe chiamato
Kiba. Così, tanto per.
Gli augurò una morte veloce e quanto mai prossima,
rialzandosi e raccogliendo la maglietta, per poi ributtarla sul letto. Litigò
un po’ con se stesso sul poterla o meno indossare anche quel giorno, ma la
vocina buona – quella che assomigliava tanto a quella di sua madre – ebbe la
meglio.
Sbadigliando, ne prese un’altra dall’armadio.
Dopo esser riuscito il più velocemente possibile
nell’impresa del vestirsi, si diresse verso la cucina. Lì, il destino decise di
dargli un altro evidente segnale dell’andamento della giornata.
Frigo vuoto.
Avrebbe dovuto seriamente occuparsi di più della casa.
Ma un sano adolescente, maschio e soprattutto Uchiha, ha
di meglio a cui pensare – si giustificò, sbattendo l’anta del frigorifero e
procedendo flemmaticamente verso la porta.
“Hic.”
E non aveva neppure varcato la soglia di casa.
Sakura era già lì al luogo dell’appuntamento, il che non
era certo cosa inusuale. Sasuke aveva il vago presentimento che la ragazza lo
facesse apposta per passare un po’ più di tempo sola con lui.
Anche Naruto era già lì, il che invece era vagamente più
preoccupante. Si chiese distrattamente che ore fossero, tenendo stretta al
cuoricino avvizzito la sicurezza che, comunque, Kakashi-sensei non sarebbe
arrivato mai in orario.
Entrambi si voltarono a guardarlo non appena si fermò a
qualche passo da loro. Lui fece per schiudere le labbra e bofonchiare un saluto
– tutto in nome della santissima buona educazione, ma…
“Hic.”
Amen.
In qualche modo riuscì a mantenere una faccia pressoché stoica e seria, sfidandoli
anche solo a pensare di commentare l’uscita poco felice.
Sakura lo fissava già come gli fosse cresciuta una testa
in più, o meglio, come se avesse dimenticato di infilarsi i pantaloni prima di
uscir di casa.
Naruto, invece, scoppiò a ridere.
Sasuke fece per replicare, ma tutto quel che uscì fu un
altro agonizzante, frustrante singhiozzo.
A quel punto la mascella di Sakura aveva raggiunto il
legno del ponticello, quasi fino a quel momento avesse fermamente creduto che
gli Uchiha – o solo Sasuke in particolare – fossero immuni a cose così
comunemente mortali quali il singhiozzo.
Sasuke concluse che probabilmente lo aveva pensato
davvero, e si chiese se faceva ancora in tempo a morire. Oltre al danno, la
beffa. Era così che funzionavano le cose, quella mattinata?
Naruto, intanto,era stato colto da uno
di quei momenti di ridarella che tardano ed esaurirsi.
Non sentendosi particolarmente minaccioso in quel momento,
fra un singhiozzo e l’altro, Sasuke rimase in attesa del silenzio, che tardò ad
arrivare.
“Hic.”
E giù di nuovo a ridere, finchè la pazienza dell’Uchiha –
conosciuta a Konoha come proverbialmente poca – finì con l’esaurirsi prima
della risata dell’idiota.
“Mai sentito qualcuno con il –hic - singhiozzo
prima d’ora, dobe?” sbottò, contrito.
Il risultato fu ben meno che minaccioso, il che lo frustrò
non poco. Fortunatamente Sakura intervenne per placare i bollenti spiriti: più
precisamente, Sasuke si ritrovò con una borraccia rosa shocking piantata sotto
il naso.
Rivolse un singhiozzo interrogativo alla ragazza, il cui
volto era vagamente arrossato.
“Bevisettesorsivelocementediseguitosenzarespirare!”
asserì lei, tutto d’un fiato, determinazione nello sguardo.
Lui inarcò un sopracciglio, spostando lo sguardo dalla
borraccia rosa alla proprietaria.
“Come prego?”
“Sette sorsi!” ripetè lei, ferma, occhi verdi fissi nei
suoi. “Velocemente e di seguito. Senza respirare o interruzione.” Concluse,
aggrottando appena le sopracciglia. Nella sua mente si aggirava un unico
pensiero, sulle false righe del ‘bacio indiretto! Bacio indiretto! Bacio
indiretto!’.
Sasuke concluse che le ragazze erano semplicemente una
razza spaventosa.
Ribattezzò mentalmente il ragno Kiba in ragno Sakura. Tanto per.
Tuttavia, quando lei diede uno spintone alla borraccia,
mandando un paio di gocce sulla sua maglietta pulita, Sasuke
decise che era meglio accontentarla.
Sette sorsi, tutti di fila e con in nervi a fior di pelle,
dato che Naruto non la smetteva ancora di ridere.
Sakura lo guardava ancora con occhi adoranti.
Finita la casereccia terapia, Sasuke ripassò la borraccia
rosa shocking alla ragazza, asciugandosi le labbra con il dorso della mano.
Attese.
Ed attese.
E proprio quando la speranza si stava piano piano
accendendo… “Hic”.
… morì sul nascere, quella speranza.
Naruto non smise di ridere neppure quando arrivò
Kakashi-sensei, e neppure mente quest’ultimo spiegava le condizioni
dell’ennesima, emozionante missione di classe D.
Sasuke si ritrovò a chiedersi quale fosse la probabilità
statistica di morire in una missione di classe D.
La risposta non gli sollevò minimamente il morale.
Durante la missione – ripulire il bagno all’aperto di una
vecchina dalle foglie secche era così eccitante! – non era andata tanto
meglio.
Naruto gli aveva fatto trattenere il fiato per mezzo minuto.
Sakura gli era saltata addosso dalle spalle, gridando un “buh!” che non avrebbe
fatto paura neppure da un bambino di due anni.
Naruto gli aveva fatto trattenere il fiato per un minuto.
Sakura gli aveva teso un agguato da dietro ai cespugli,
gettandolo nell’acqua e gridando un poco convincente “ti ho preso!”
Naruto gli aveva fatto trattenere il fiato per un minuto e
mezzo.
Sakura aveva iniziato a gridare “Sasuke-kun, sta
attento!”, gettandoglisi addosso ed indicando un punto non meglio indefinito
alle sue spalle.
Naruto aveva cercato di fargli trattenere il fiato per due
minuti, ma l’Uchiha lo aveva beatamente mandato a quel paese tra un singhiozzo
e l’altro.
Sasuke aveva il cattivo, pessimo sentore che Naruto stesse
cercando di ucciderlo e che Sakura stesse cercando semplicemente pretesti per
saltargli addosso.
A missione quasi finita, quindi, aveva abbandonato i
compagni al loro lavoro, per rintanarsi in un angolo e deprimersi, per la prima
volta nella mattina, come si deve.
“Hic.”
“Devi mangiare di fretta, Sasuke-kun.” Aveva asserito
Kakashi-sensei, a pranzo, mentre erano seduti ad Ichiraku. “Ho letto che fa
passare davvero il singhiozzo.”
Sasuke aveva trattenuto a stento un gemito all’ingresso
del maestro in quella piccola gara a chi riusciva a frenar per primo le
diaboliche contrazioni del diaframma.
“E dove l’ha letto? In uno di quei suoi libri vietati ai
minori?!” sbottò Naruto, a bocca piena di Ramen. “No, senti Sas’ke! Me lo sono
ricordato! Devi respirare velocissimamente, e poi trattenere il respiro!”
Sasuke, con un singhiozzo, sollevò gli occhi al cielo. Se
era così che il destino aveva deciso, avrebbe dovuto trovare il tempo di
mangiare tra un singhiozzo e l’altro. Non aveva neanche fatto colazione.
Oh, l’umiliazione.
La sua fama di essere stoico e virtualmente perfetto era
andata semplicemente in frantumi.
Oh, la beffa.
Altro non era che la vittima di quella grandissima
bastarda meglio conosciuta come Vita!
Suo padre si stava sicuramente rivoltando nella tomba, in
questo momento.
Oh, già, era l’anniversario della morte dei suoi genitori
(più parenti). Stupido il singhiozzo che glielo aveva fatto quasi dimenticare.
O meglio, stupido lui che se lo andava anche a ricordare.
Sbuffò, singhiozzò e diede un pugno a Naruto quando questi
cercò di tappargli il naso.
Sakura, bacchette ancora in bocca per il ramen appena
trangugiato, scoppiò a ridere.
E suddetto ramen evidentemente le andò di traverso, perché
prese a tossicchiare ed annaspare per aria e a diventare di un bel rosso
pomodoro e a stringere spasmodicamente la mano sul bordo del bancone. Sia
Naruto che Kakashi si fondarono su di lei, mentre Sasuke – che ci mise un po’
per connettere la situazione – si limitò a batter ciglio e soffocare un
singhiozzo.
In attesa che i colpi di tosse finissero.
Ma non finirono, e gli annaspi per aria si facevano sempre
più frequenti.
Era una cosa seria?
Il ramen sono fettuccine lunghe e liquido, per l’amore del cielo!
Quando ti strozzi con entrambi, poi…
“Ohi, piantala dobe! Non la stai facendo respirare!”
sbottò verso il biondo, che melodrammaticamente le si aggirava intorno in
perfetto stile avvoltoio.
“Ne, Sakura-chan! Respira piano! Respira piano!”
“E piantala! Cos’è, oggi riesci a dire solo come deve
respirare la gente? Sakura, datti una calmata!”
Il maestro, durante il battibecco, non fece altro che dare
un po’ di pacche dietro la schiena della ragazza che, imperterrita, continuava
a tossire.
“Sasuke-kun…” annaspò fievolmente la voce della ragazza,
ancora china sul tavolo.
Il ragazzo si girò, battendo ciglio. “Hai finito?”
“… non hai più il singhiozzo.” Mormorò lei, con voce
flebile.
E Sasuke attese.
Attese.
Attese, ma il singhiozzo non tornò.
Riportando lo sguardo sulla ragazza, la vide sorridere,
maleficamente soddisfatta.
Fu allora che comprese che razza veramente
terribile fossero le ragazze.
“Tu…” esordì, minaccioso. Oh, il tono minaccioso degli
Uchiha. Quanto gli era mancato!
Fu Naruto però ad esprimere in poche parole il concetto.
“Stavi facendo finta, Sakura-chan! Non vale!”
“Ne, Naruto, te l’avevo detto che il metodo migliore era
uno spavento! Mi devi 450 yen!”
Sasuke rimase semplicemente immobile, eccezion fatta per
un piccolo, leggero tic all’occhio.
“Io vi ammazzo. Semplicemente vi ammazzo.”
In angolino del suo cuoricino atrofizzato, però, non potè
fare a meno di riflettere su quanto quei due presto-cadaveri fossero
inesorabilmente arrivati a contare per lui. Se un semplice pseudo-soffocamento
da ramen di Sakura lo aveva spaventato tanto da sconfiggere un singhiozzo così
ostinato…
… oh santissimo dio, la fine del mondo era più vicina di
quanto pensasse. Forse avrebbe dovuto mettere in ordine la casa, così, tanto
per non aver scrupoli di coscienza.
Osservò i due ridere, con un lieve pungolio nel cuore
avvizzito: infine, si concesse un sorriso.
Era un po’ arrugginito, certo, ma avrebbe dovuto
funzionare lo stesso.
“Oh, no! Sas’ke ha una paralisi facciale!”
“Sasuke-kun, è per caso un crampo?! Ti fa tanto male?”
Evidentemente no.
Evidentemente oggi era la giornata nazionale del “prendiamocela-con-l’Uchiha”.
“Piantala, stupido!” sbottò, mentre cercava di liberarsi
dalla presa di Naruto, tutto intento a tirargli le guance in perfetto stile
vecchia zia barbuta, con la dedizione di un crociato per liberarlo dalla
fantomatica paralisi.
Sasuke pensò che, amici o meno, li avrebbe ammazzati lo
stesso.
Ed anche abbastanza volentieri.
“Hic.”
Insieme al novantanove percento del resto del mondo. O
dell’universo.
Perché ci sono anche giornate così.
Fortuna che con gente del genere, il tempo per deprimersi
è notevolmente ridotto.
D’altronde, gli amici servono anche a questo – ci
tenne a suggerire la vocina buona, quella che assomigliava a sua madre. E
Sasuke, per puro rispetto dell’anniversario della sua morte, riluttantemente le diede ragione.
A/N: diversa dalle solite flavour. Molto più
leggera, ma pregava di farsi scrivere. Poi, Sasuke che si deprime è uno
spettacolo a cui trovo difficile rinunciare. Per ora mi dedicherò però ai
Sopravissuti di Hamelin, per mio puro piacere personale e per il mio fangirling
sul crack-pairing. XD Oh, si, era pubblicità gratuita, per chi non l’avesse
notato :P
La prossima flavour, sempre per amor dei crack-pairing,
sarà la KarinxTayuya.
Capitolo 21 *** 22. The Laughter of Women. [ Mikoto; SakuSasu] ***
Mikoto Uchiha sorrideva
22. The laughterofwomen.
Mikoto Uchiha sorrideva.
Sempre.
Non v’era stato un solo momento in cui Sasuke non l’aveva vista con un sorriso
stampato sulle labbra.
E lui la ricordava così, con gli angoli delle labbra pallide tesi all’insù,
piccole rughe d’espressione attorno a quegli occhi scuri come inchiostro.
Quella donna, quando sorrideva, abbagliava chiunque guardasse quella fila
ordinata di denti bianchi e quegli occhi luminosi.
Ricordava che sua madre sorrideva, mentre gli raccontava
quelle storie inventate appositamente da lei per seguire i suoi gusti da
bambino.
“… le principesse
sono noiose, mamma.”
“Ah, si?”
“Davvero
davvero.”
“Allora,
uhm, cosa ci dovremmo mettere?”
“… la
missione per andare a recuperare un favoloso tesoro da un villaggio nemico?”
“… ah, ma
allora che senso ha chiamarle favole, ne, Sas’ke?”
Ricordava che sua madre sorrideva quando lui rompeva
qualcosa, nei suoi giochi troppo movimentati quand’era piccolo.
“Sasuke… hai per
caso appena rotto il quadro con il diploma di tuo fratello?”
“Assolutamente no.”
“Oh, che strano.
Eppure avrei giurato che qualcuno l’abbia effettivamente rotto. Che ci siano i
fantasmi? Forse dovresti dormire con mamma e papà, oggi, Sasuke. Non si sa mai,
i fantasmi sono pericolosi.”
“…C-cioè, forse sono
stato io.”
“… forse?”
“… è possibile, si.”
“Ah, ma se continui
così, mi sa che dovremo comprare un’altra casa, perché veramente non so cosa
rimarrà di questa. E poi chi lo sente, papà?”
Ricordava che sua madre sorrideva quando lui si
faceva male, nei suoi tentativi troppo concitati di emulare e raggiungere il
fratello.
“Suvvia, basta
piangere. Vieni qui, la disinfetto io. Non devi provare così tanto, sai? Che
senso ha, se finisci solo per farti male? Ognuno ha i suoi ritmi, Sasuke. Papà
lo sa che ce la stai mettendo tutta, ed è ugualmente fiero di te.”
Ricordava che sua madre sorrideva quando Itachi
tornava dalle missioni, e non era il sorriso fiero di suo padre, bensì il
sorriso di una madre sollevata nel riavere il figlio a casa.
“Sono fiero di te,
Itachi.”
“…”
“Bentornato a casa,
Itachi-kun.”
Ricordava che sua madre sorrideva nel porgergli il
bento da portare in accademia. Ricordava che sorrideva mentre lo abbracciava,
mentre lo coccolava e persino mentre lo rimproverava. Ricordava che sorrideva
alle repliche burbere di suo marito, e rideva apertamente quando lui cercava di
fare la parte del cattivo. Ricordava che sorrideva ed irradiava entusiasmo ogni
qualvolta Itachi o Sasuke raggiungevano un traguardo. Ricordava che sorrideva
mentre cucinava, mentre preparava il tè e quando, stanca, si concedeva un po’
di riposo per sdraiarsi sul letto.
Ricordava che sorrideva anche quando, in quei momenti, lui sgattaiolava nella
loro stanza per accucciarsi accanto a lei sul letto matrimoniale. Sorrideva
quando, in quei momenti, sorrideva anche lui.
Ricordava che quando era entrato in quella stanza che puzzava dell’odore
metallico del sangue e aveva visto i suoi genitori per terra in quella pozza
rossa e suo padre riverso su sua madre e sua madre che lo guardava con quegli
occhi ancora spalancati nel vuoto e opachi e per niente luminosi, lui ricordava
che …
… sua madre, sorrideva.
Sempre.
Sakura Haruno gli
sorride.
Sempre.
Anche quando sono sorrisi falsi, anche quando è
talmente preoccupata che lui riesce a sentire quasi il suo cuore esplodere per
la velocità in cui i battiti si susseguono, l’uno dopo l’altro, senza sosta…
… Sakura Haruno gli sorride.
Sasuke pensa che, nonostante tutto, abbia un bel
sorriso.
E’ un sorriso familiare, con gli angoli delle labbra
pallide tesi all’insù, impercettibili grinze della pelle attorno a quegli occhi
verdi, come le foglie di Konoha. Quella ragazzina, quando sorride, abbaglia
chiunque guardi quella fila di denti bianchi e quegli occhi luminosi.
Lui detesta quel sorriso – quel sorriso che si
sovrappone ad un sorriso molto più antico e più caro, e minaccia di cancellarlo
con la sua sola presenza [ troppo
rassicurante ].
Sakura sorride quando gli chiede di pranzare insieme
[ e lui rifiuta ].
Sakura sorride quando chiede se può aiutarlo [ e lui rifiuta ].
Sakura sorride quando chiede se ha voglia di uscire con lei [ e lui rifiuta ].
Sakura sorride chiedendogli di sorridere, per lei, in
quell’unica foto [ e lui rifiuta ].
Sakura continua a sorridere anche quando, in realtà, vorrebbe solo piangere. [
E allora piange, e sorride ].
Sakura piange, e sorride quel sorriso troppo simile a quello di sua madre mentre gli chiede di
restare a casa.
“Resta con me,
Sasuke-kun. Per favore. Resta con me.”
[ E lui, lui rifiuta. ]
Sakura sul volto ha solo lacrime, quando lui va via,
e neanche la più vaga ombra di sorriso.
E lui pensa che, in fondo, preferisce di gran lunga
vederla piangere.
A/N: Mikoto
2, il Ritorno. E’ un’idea vecchissima, questa, che ho avuto dal momento in cui lessi
i temi delle flavour. Oggi, in una maratona contro il blocco dello scrittore
[che si è risolta anche in un inizio di long-fic su Bleach, che sinceramente ho
postato, ma penso di cancellare entro domani, dato che non mi piace] l’ho
ripresa. E l’ho scritta. Chiedo perdono se è un po’… non saprei dire. Diciamo
che è come la vecchia Snow Falling on Corpses. Se l’avessi scritta più lunga,
penso avrebbe perso di brutto.
Mi son divertita molto a scrivere i momenti mamma/figlio con Mikoto. E questa è
la mia personale interpretazione del perché, alla fine, Sasuke sembri far di
tutto per veder Sakura piangere u_u. Sproloquio finito. Ci si risente ad un
tempo indefinito! *_*
Capitolo 22 *** 23. Truth and peaches [ Hinata; Kiba; Shino ] ***
Kiba non riusciva a capirla, né tantomeno a concepire – anche
lontanamente – come potesse esistere una persona come lei
Kiba non riusciva
a capirla, né tantomeno a concepire – anche lontanamente – come potesse
esistere una persona come lei. Non la comprendeva, o meglio, non ci provava
neppure.
E, per qualcuno per cui le parole sono talmente piene di insidie, è del tutto
impensabile intavolare una comunicazione senza la comprensione.
C’era stato, ad esempio, il primo giorno in cui si erano trovati rinchiusi
nella stessa stanza, tutti e tre, da soli.
All’annuncio delle squadre, lei si era appena rabbuiata in viso, ed aveva mordicchiato
il labbro inferiore. Poi, si era voltata verso di lui e aveva sorriso di un
sorriso sincero ed espressivo ed eloquente.
Lui, con il mento poggiato sulla mano sinistra, aveva inarcato un sopracciglio.
“Ho qualcosa in faccia?” aveva chiesto.
Lei aveva smesso di sorridere ed aveva battuto ciglio, quasi colta di
sprovvista. Le sue labbra si erano aperte e mosse per qualche attimo, senza
emettere però alcun suono. Poi, con una vocina piccola piccola che ben andava
d’accordo con il rossore sulle guance, lei mugolò un “… volevo, solo… cioè…
io…”
Quelle labbra si strinsero, e lui era tentato di darle una spinta per riuscire
a farle sputare l’intera frase.
“… f-facciamo del nostro meglio…” concluse, infine, con
un velo di mortificazione.
Lui fece spallucce, e pensò di essere un pesce fuor d’acqua in quella squadra.
Kiba Inuzuka era decisamente un pesce fuor d’acqua in quell’ambiente talmente
silenzioso. Giocherellando con l’orecchio scuro di Akamaru, quei suoi occhi
selvatici si guardarono attorno. Da un lato, seduto – ed altra definizione era
impossibile dare, per via dei vari oggetti tra occhiali e vestiti che lo
schermavano dagli sguardi indiscreti- c’era Aburame Shino, con il suo colletto
sollevato fino a coprire le labbra e gli occhi schermati dal mondo.
Dall’altro lato, Hinata Hyuuga, seduta con le mani giunte in grembo, come una
bambola composta e zitta. Soprattutto zitta. Stava lì, gli occhi chini sul
banco, immersa nei suoi pensieri – e, dopo quel tentativo di discorso, non
aveva spiccicato neppure una parola.
Kiba sbuffò, pensando che sarebbe stata una lunga, lunga vita.
23. Truthandpeaches The smile on your face lets me know that you need me.
And there’s a truth in your eyes saying you’ll never leave me.
The touch of your hand says you’ll catch me whenever I fall.
And you say it best when you say nothing at all.
La sostanziale
differenza tra Shino e Kiba consisteva unicamente nel fatto che Shino amava
parlare poco ed osservare e riflettere molto, mentre Kiba amava parlare molto
ed osservare e riflettere poco.
Shino trovava il tempo di osservare, cosa che Kiba riteneva positivamente
inutile.
Per questo motivo, col tempo, determinate espressioni sul visino pallido
dell’unica ragazza del gruppo avevano cominciato per lui ad assumere diversi
significati.
Quel sorriso rassicurante, appena accennato ed imbarazzato, significava “sto
bene”.
Quello sollevato, seguito da un sospiro, significava “stai bene”.
Quell’espressione appena contrita, che le faceva appena imbronciare le labbra,
significava “smettetela di litigare”.
Quell’espressione che le aggrottava la fronte imperlata di sudore, significava “non
preoccupatevi per me”.
Quell’espressione inebetita e arrossata, dagli occhi sognanti, significava “ho
visto Naruto-kun”.
Quell’espressione serena e distante, un po’ beota, con cui ogni tanto sedeva,
significava “se avete bisogno, sono qui”.
Shino trovava sempre il tempo di osservare, cosa che Kiba riteneva inutile.
Kiba, quindi, non sapeva che dietro quelle parole arrangiate alla meno peggio,
si trovava un intero mondo a parte.
E Shino, essendo Shino, non gliene avrebbe comunque mai rivelato l’esistenza.
“Non ne posso più.” Dichiarò Kiba, sbuffando e
lasciandosi cader poggiato contro il tronco del pesco, lanciando a mezz’aria il
frutto, lasciandolo in caduta libera per una frazione di secondo, e
riprendendolo.
All’affermazione, Shino non fece una piega; i suoi occhi schermati eran tutti
dedicati a quell’unico insetto che passava di frutto in frutto, indicandogli i
migliori da raccogliere, quelli maturi.
Quindi, l’unica a prender atto di tale constatazione fu Hinata; ma anche lei si
limitò a voltarsi verso di lui, e batter ciglio. Ignorando la mancanza di
reazione, Kiba riprese a parlare con uno sbuffo.
“Perché stiamo facendo un lavoro così stupido, poi?
Capisco che siamo agli inizi, ma per queste cose ci mettano i fattori! Merda.”
Si sedette alle radici dell’albero, rifiutando di alzare soltanto un altro dito
per raccogliere le pesche. Shino, all’albero vicino, schioccò la lingua – cosa
che Kiba non mancò di notare.
“… qualcosa da ridire, mh?”
L’espressione di Hinata era a quel punto fin troppo eloquente, ma Kiba non la
vide. Si limitò a richiamare Akamaru con un fischio, ed il cagnolino dopo
qualche attimo trotterellò da lui, cesto pieno di pesche stretto tra i denti
aguzzi.
Kiba seppellì il viso nell’ombra del cappuccio, sbuffando rumorosamente.
“E poi, mia sorella non fa che prendermi in giro a causa
di missione come questa! Come posso essere un uomo, mh, quando l’unica cosa che
mi danno da fare è raccogliere robe? Dagli alberi, da terra, dal fiume, si
tratta sempre di raccattare roba. Non ne posso più. Non vengo apprezzato come
merito, signori.”
Avrebbe giurato di aver sentito Shino ghignare. Ma, non avendo prove
materiali (poiché i ghigni non fanno rumore, e le labbra di Shino erano sempre
ostinatamente coperte) si limitò a lasciar correre.
“Signori, mi sento ufficialmente inutile, qui. Perché non
lo riconoscono, che valgo più di così? Tanto vale, essere ninja per poi andar a
raccogliere fiori.” Borbottò infine l’Inuzuka.
“Frutti.” Lo corresse automaticamente Shino, con quella
voce impassibile, donandogli ancora le spalle ed osservando distrattamente i
movimenti dell’insetto.
“E’ lo stesso.” Replicò l’altro di tutta risposta,
puntellandosi sui palmi delle mani per rialzarsi, per poi raccogliere ancora la
cesta portata da Akamaru.
Il suo sguardo incrociò quello di Hinata, i cui occhi
erano pieni di pensieri che – di primo acchito – supplicavano di essere colti
al volo con quello sguardo. Ma, ovviamente…
“… che altro, ora? Non ho forse ragione?”
Hinata si mordicchiò il labbro, rossa in viso, e scostando lo sguardo verso la
pesca che stringeva fra le mani.
Un gesto quasi frustrato e vagamente rassegnato.
“… non ho forse ragione? Non… vi sentite inutili anche
voi, eh? Ma sono l’unico, qui, che ha un po’ di autostima?!”
Shino sospirò – e Kiba suppose avesse alzato gli occhi al
cielo – ma non rispose.
Si limitò a borbottare un ‘infantile’ a denti stretti, a cui Kiba però non
riuscì a rispondere.
Perché la voce di Hinata, piccola piccola, era talmente rara da riuscire ad
attirare l’attenzione di un orecchio allenato.
“E- ecco… Kiba-kun…”
Pertanto, l’Inuzuka si bloccò con il pugno di minaccia rivolto a mezz’aria, e
gli occhi selvatici rivolti verso di lei.
Lei trasalì, affrettandosi a spinger fuori le parole successive.
“Kiba-kun... ecco, vedi, penso che… cioè, è un po’…” il balbettio si
interruppe, un attimo, mentre la ragazzina abbassava lo sguardo sulla pesca che
teneva fra le mani, appena raccolta. “ E’… come le pesche, ecco.” Asserì, con
quella vocina imbarazzata.
Kiba inarcò un sopracciglio e, per qualche attimo, tentò di seguire il
ragionamento. Infine sbuffò, senza aggiungere altro. Con un lungo sospiro si
lasciò ancora una volta cadere seduto contro il tronco, incrociando le braccia
al petto e alzando gli al cielo.
“Ma ti prego.” Sbottò. “Risparmiami”.
Sentì Hinata deglutire, ma non la vide mordersi il labbro.
“Cioè… le pesche sono buone e tutto, dolci, e… buone, si. Però,
sai nella mia… cioè, nella mia famiglia… non piacciono quasi a nessuno. Mia
sorella dice che sono troppo dolci, e la mamma era allergica. Il papà le
mangia, si, però… non c’entra molto, però sai, a me, ecco…” le dita di lei
tamburellavano nervosamente sul frutto, gli occhi fissi sulla buccia vellutata.
“… a me piacciono, le pesche. Perché… sono dolci.”
Questa volta fu Shino che, dall’albero vicino, sospirò catalogando
il tutto come corrente di parole di un’Hinata imbarazzata che non sapeva cosa
dire. Quelle correnti non erano molto rare, oltretutto, ed ormai entrambi vi
erano abituati. Probabilmente, nella mente della ragazza il discorso non aveva
fatto una piega – i discorsi provati nella mente e le argomentazioni provate
nella mente non fanno mai una piega – ma, ora che doveva tirarlo fuori,
sembrava convincerla un po’ meno. O l’aveva preso troppo alla lontana.
Shino attese, avendo intuito l’intero mondo a parte di cui Hinata faceva parte.
Ma Kiba crucciò le sopracciglia, aggrottando la fronte.
Tuttavia, quando la guardò, Hinata stava sorridendo. Sorrideva, distante, e non
lo guardava, accarezzando la buccia.
E, come sempre, era un sorriso delicato e bellissimo, poiché era un sorriso
molto più eloquente delle mille parole con le quali lei tentava di esprimersi.
“… anche se a qualcuno non piacciono, non significa che… non
debbano… nascere acerbe e crescere sugli alberi… devono continuare ad esistere,
perché a qualcuno piacciono, e perché, alla fine, sono buone. E dolci, alla
fine.” Poco più di un sussurro, quasi la ragazza stesse parlando più con sé
stessa che con Kiba, incespicando nel suo stesso ragionamento e rossa in viso.
“Ma… se prima non maturano, saranno acerbe e… ecco, penso che acerbe non
possano davvero piacere a nessuno. Acerbe non serviranno a granché… penso. Ma
se maturano, ci sarà… ci sarà… voglio dire, ci sarà qualcuno che le
apprezzerà.”
Kiba batté ciglio, sollevando lo sguardo su di lei.
“Ci deve essere qualcuno che le apprezzerà.” Un sussurro soggiunto
dopo una piccola pausa, ma inappellabile speranza di una vocina tranquilla che
è scesa a patti con la sua vita.
Poi, il Silenzio.
Hinata si accorse della quiete appena stabilitasi, e sollevò di scatto il viso,
ormai troppo arrossata sulle guance.
“… cioè, ecco, quello che volevo dire, io… cioè, lo so,
era un esempio sciocco, scusami, non so, è che io…” si interruppe per qualche
attimo, nascondendo il viso fra le ciocche scure della frangetta. “… quel
discorso non aveva senso…” mormorò infine la ragazza, con un sospiro,
sollevando lo sguardo. Ed aveva un’aria talmente desolata e mortificata, che
Kiba non poté fare a meno di scoppiare a ridere.
A quella risata, Hinata sollevò lo sguardo, pelle bianca dalla sfumatura ormai
tramonto.
“… K-kiba-kun?” “ … nah, Hinata, ho capito
quello che volevi dire. Sei stata una frana, ma ho capito.” Ribatté lui,
tornando a quel tono vagamente arrogante che sempre lo aveva accompagnato.
“… oh.” Hinata scostò lo sguardo, mordicchiando il labbro
inferiore e ponendo la pesca che le era servita per l’esempio nella cesta.
Dopodichè si azzardò a sollevare lo sguardo.
E, ancora una volta, sorrise.
“Grazie, Hinata.”
Lei fece per schiudere le labbra, e rompere l’illusione del sorriso.
Ma lui la zittì con un cenno brusco della mano, scuotendo il capo. “Nah, sta’
zitta, per favore. Non penso ci sia il tempo per farti parlare, ora e…
comunque…” una lieve pausa, un abbassamento di voce ed un sussurro appena
impercettibile “… non c’è bisogno.”
E lei, arrossendo, ancora una volta sorrise e annuì.
Kiba si rialzò, e ritornò a raccogliere le pesche. Quelle mature.
Dato che si erano date tanto da fare per maturare…
… tanto valeva farle servire a qualcosa, tutto qui.
Hinata non ha
mai saputo esprimersi a parole.
Le cerca, cerca le parole che meglio potrebbero esprimere ciò che pensa.
Ma parole del genere non esistono.
Le parole sono sempre complicate, non sono mai quelle
giuste, non dicono mai quello che tu vuoi che dicano.
Le parole ti tradiscono.
Per questo, Hinata parla poco.
Perché le parole sono fonti di bugie.
Hinata incespica e inciampa sulle parole.
Ma quando sorride, le parole non hanno davvero più importanza.
A/N: Ah, qualcosa di decisamente molto più leggero. E’
la prima volta che scrivo su questo team, e volevo provare un approccio più
tranquillo. Questo è un altro mio piccolo studio su Hinata, con Shino e Kiba di
contorno. Shino è un personaggio piuttosto ostico, ma sinceramente… ah, non lo
so neanche io.
Chiedo venia se il discorso di Hinata è un po’… confuso,
ma non poteva essere altrimenti. Non seguendo l’approfondimento psicologico che
le volevo dare in questa shot -.- Spero che, nonostante i giri di parole, si
sia capito. Sono piuttosto soddisfatta con come, alla fine, è finita che
iniziasse a rivolgersi a sé stessa e a farsi forza per diventare matura, così
da piacere a qualcuno. Non era previsto nella scaletta iniziale, ma è stato ben
gradito **
Ringrazio per i commenti su quella cosuccia precedente,
che potevo evitare *_* Effettivamente è stata sentita parecchio come shot, in
quanto mi aveva tormentata nel plot da mesi. Poi, lo stile con cui si è scritta
è quello tortuoso che piace a me. Itachi ooc… ah, ma io l’ho detto. Itachi non
so scriverlo, Itachi non lo capisco. Sono un’umile fanwriter, ed a volte mi
piace far deambulare su di lui il mio pensiero u_u” Grazie mille ad Arte (che
mi mancava ç_ç), bambi88, kibachan a cui si deve l’idea di questa fic e che mi
ha dato la scusa per fare il mio primo tentativo con i due personaggi di Shino
e Kiba, mai provati, Lupus che sta cominciando a farmi prendere infarti con
ogni commento che lascia (ma grassie ç_ç), Mary Garner, Chris e Suzako – ahr,
ti amo *_*” *dichiarazione d’amore totalmente random*
Ovviamente, Ross, ma tu di più, ma tu di più sempre più
forte e solo tu (L) u_u
Un saluto da una Kodamy lievemente più serena e
rassegnata. Il periodo è brutto, ma vedo uno spiraglio di luce e quiete e
tranquillità. Sinceramente, mi sento una Buddha illuminata. Effettivamente
questo era il titolo che mi ispirava di meno insieme a Four Twelves are
fortyeight. Infine, l’ispirazione è venuta. Sia ringraziata Madama Ispirazione.
A bientot!
P.S. La citazione sotto il titolo è della canzone “When
you say nothing at all” di Ronan Keating. Altra fonte di ispiration for this ficlet. See ya!
Il sole non c’è, ed io – sciocca – pensavo fosse buio.
Buio come il cuore, buio come la mente.
Buio come quella sciocca malinconia che, alla fine, non serve a niente.
Ma guarda.
Lassù.
Il sole non c’è, eppure…
… quella luce flebile è lì, dove un tempo c’era stato il sole.
Il mio buio riflette una luce che non c’è più.
E quella luce mi sfiora.
Entra, e mi sfiora.
Mi sfiora
senza riuscire a salvarmi
dal mio buio.
(
Ed io, io affogo. )
Perdonatemi.
26. Counterglow
- GEGENSCHEIN –
La notte è fatta di ombre inconsistenti, intangibili e
astratte.
La notte è fatta di sogni ed incubi, di cose che scompaiono al sorgere del
sole.
E’ da settimane, ormai, che le sue giornate sono fatte di sole notti – e le
sembra di essere tornata a tanto tempo prima.
Un tempo disperso da qualche parte nella notte dei tempi, in cui lei
rimpiangeva la dipartita del sole.
C’era stato un riflesso, a salvarla.
Questo pensiero le attraversa la mente stanca, e lei sorride, da sola.
Ora, anche quello l’aveva abbandonata.
Questo pensiero le attraversa la menta stanca, e lei piange, da sola.
Ed il buio della cella non è più solo fisico:
è un buio ovattato di singhiozzi e di lacrime - inconsistenti, intangibili ed
astratte.
La notte è fatta di ombre inconsistenti,
intangibili e astratte.
La notte è fatta di sogni ed incubi, di cose che scompaiono al sorgere del
sole.
Ma sono settimane, ormai, che le sue giornate sono fatte di notti – perché il
sole, lei, non lo vede più.
E quindi i suoi incubi non vanno via.
Lei è malata di buio – inframmezzato da sorrisi – ed è malata di sogni
infranti.
Lei è malata, debole, ed inutile. Una cosa che tutti, ormai, preferiscono
lasciarsi alle spalle.
Tsunade-hime è comprensiva, Tsunade-hime è come una mamma che ha capito prima
di sua madre cos’è che non va.
Tsunade-hime la costringe ad alzarsi ogni mattina, la costringe ad affrontare
il sole e le lezioni.
La costringe ad essere viva, ma il sole non c’è. Non si vede.
E’ inverno.
E’ inverno, e Sakura Haruno è malata di d e p r e s s i o n e.
Il piatto di cibo – stranamente cibo
buono, non cibo da cella – è ancora pieno e poggiato in un angolo della stanza.
Lei non l’ha toccato, perché da giorni lei non ha più fame.
La porta si apre, e una flebile luce filtra nella stanza, piccola – sfiora i
muri, sfiora il letto sfatto ed il cibo abbandonato. Sfiora tutto, ma non lei.
Lei che, rintanata e raggomitolata sull’angolo più lontano del letto, abbraccia
il cuscino.
Gli occhi azzurri della persona appena entrata nella stanza si fermano sul
piatto di minestra fredda, e dalle sue labbra curate sfugge un sospiro.
Il rumore tuttavia non distrae Sakura Haruno, perché nulla può distrarre Sakura
Haruno dalla sua ossessione.
« Sakura? »
Non ottiene risposta, e la porta si chiude dietro le
spalle di una riluttante Ino Yamanaka – il buio offusca i suoi scintillanti
occhi da diva, ma lei non se ne lamenta.
Un passo, due, una mano che si ferma sul piatto ancora pieno, che lo sfiora e
lo abbandona.
Un singhiozzo soffocato da parte dell’ospite della stanza buia.
« Come stai, oggi? Fronte spaziosa? » la voce sottile che si usa sul letto di
morte, quella voce accondiscendente di chi concede l’ultimo desiderio ad un
condannato all’esecuzione capitale.
Quella premura non ottiene risposta.
« Sakura... devi smetterla di fare così. La Godaime sta facendo di tutto per
te, quindi non devi… »
« Come sta? » due occhi verdi, braccati, le scrutano nell’anima per ottenere
una risposta.
Purtroppo, lei non ne ha alcuna.
« La sua posizione è ancora sconosciuta, se è questo che intendi. »
E’ inverno, e
Sakura Haruno è malata did e p r e s s
i o n e.
Come in ogni altro periodo dell’anno, fa ciò che meglio ha sempre saputo fare.
E’ lì, è carina, ed è in attesa.
Un quanto mai utile soprammobile seduto lì, sulla mura che circondano Konoha.
Una bambola sudata e sfatta, un po’ scucita, che aspetta che qualcuno la vada a
raccogliere là dov’è stata abbandonata.
Naruto, Sasuke, che importa.
Naruto dovrebbe tornare a casa, presto.
Ecco, sì, pensare a Naruto che tornerà a casa è meglio che pensare a Sasuke che
non tornerà.
Mai, mai, mai.
Le dita di una mano più forte di quella che aveva un tempo, arrossate e
screpolate dall’allenamento della Godaime, tamburellano distrattamente
sull’orlo del vestito.
« Sakura? Sei ancora lì? Se ti sei dimenticata la missione d’infiltrazione,
giuro che vengo a controllare cosa cavolo tieni in quella fronte enorme che ti
ritrovi! »
« Ino? »
« Guarda che manchi solo tu. Non che io stia morendo dalla voglia di fare
una missione con te. Figurati, tanto so che faremo tutto io e Ami. Ma ci tocca,
quindi si può sapere cosa fai, lì? »
« Io…aspetto. »
Un leggero tremore le attraversa la schiena, poco più
d’un brivido.
Sakura Haruno affonda il viso nella federa umida del cuscino, cercando di
soffocare quel patetico lamento che le affiora alle labbra, e possibilmente con
esso anche il suo respiro. Ino Yamanaka - membro della Squadra di Tortura ed Interrogatorio,
in carica per il Caso Haruno – sospira, sedendosi all’angolo opposto del letto. Scosta
qualche ciocca bionda dal viso, inspirando profondamente per raccogliere aria
nei polmoni, prima di tuffarsi in quel buio in cui la sua migliore rivale è
ormai affogata.
« Sakura? »
« Non l’hanno trovato, non l’hanno trovato, grazie
al cielo, al cielo, grazie… » un mormorio sconnesso
soffocato dal cuscino, occhi chiusi nel buio. La kunoichi si culla sul posto,
dondolando appena.
Ino Yamanaka rimane in silenzio, massaggiandosi una tempia.
« Non vuoi dire ancora nulla, Sakura? Lui non tornerà per te. Dovresti saperlo.
»
Quegli occhi vuoti si aprono, fissandosi perplessi su di lei. « Il mio paziente
sta bene. »
« Se continui così,
non potrò dire lo stesso di te. »
Sakura rimane lì, a fissarla, con lo sguardo di una bimba cresciuta troppo in
fretta, con lo sguardo di una donna che ormai ha perso tutto. Scuote il capo,
serrando le labbra. « Sta bene. Lui sta bene! »
« Non ho mai insinuato il contrario, Sakura. »
« Il mio paziente sta bene! »
Quell’affermazione frustrata si spegne nel silenzio del buio, e lacrime sole
cominciano ad affacciarsi ai suoi occhi soli.
Pregando Ino di lasciarla, finalmente, sola – di smettere di tormentarla, di
lasciarla nel suo buio.
Un leggero
tremore le attraversa la schiena, poco più d’un brivido.
Sakura Haruno
pensa che è il brivido dei cattivi presentimenti, e quindi arresta il passo. Il
suo respiro è pesante e soffocato dal dolore della caviglia slogata, dalla
fitta della ferita al fianco destro, dal sangue che le cola dalla fronte.
Tuttavia, stringe i denti e rimane lì. Ferma.
Come sempre, aspetta.
Il cuore batte troppo forte, e quasi copre il suono di quel leggero tintinnare
che il vento premurosamente trasporta fino alle sue orecchie, che riecheggiano
di dolore.
Nulla.
Solo il vento.
Una campanella, lontana.
Decide che non ce la fa più.
Si lascia cadere seduta contro la corteccia di un albero, prendendosi la testa
fra le mani e serrando le labbra. Il sole è alto nel cielo, e lei suda. Suda e
sta male, perché non è più abituata al sole.
Si sente soffocare.
La caviglia le fa male. Il fianco le fa male.
La ferita sulla tempia – con il suo sangue – le offusca la vista.
Pensa che Ino farebbe meglio a muoversi, a tornare e riprenderla. Perché non ha
intenzione di camminare oltre.
« Ino, vieni
a prendermi. Per favore, Ino. Non ce la faccio. L’avevo detto, io, che non ero
pronta. L’avevo detto, io, che volevo rimanere a casa. Volevo stare in camera
mia. Sotto le coperte. Volevo… volevo andare in letargo e risvegliarmi solo…
solo quando… ah, che male. Ino, vieni. Tu ed Ami, completate la missione senza
litigare, e venite. Non vi raggiungo. No, non ce la faccio. Vi aspetto qui,
sono brava ad aspettare.»
L’aria si
forza nei polmoni, gonfiandoli, prima di abbandonarli. Senza ritegno.
I pensieri sono
sconnessi, e la vista si fa debole.Serra gli occhi, cercando di serrare fuori il mondo.
« Va bene. » il tono di voce di Ino è seccato, è stanco, è irritato. « Va bene.
Lo sai quanto non mi piaccia questa storia, Sakura. Vorrei evitare di estorcerti
tutto come se fosse lavoro. Vorrei che tu mi confidassi tutto come ad un’amica.
Non lo sono, forse? »
Il tono di voce di Ino sembra sincero – non lo è, no – incalzante, offeso.
Accusatorio.
Dalla gola di Sakura sfugge un rantolo, sconnesso. « No, io… »
« Loro non c’erano, Sakura. Per anni, non ci sono stati. Chi c’era, accanto a
te? Chi ha cercato di tirarti su, fronte spaziosa? Io. Perché ti sono amica –
quello che dico lo dico per te. »
« Non è vero, lui… » lamento che cerca
un’ancora, un appiglio a cui aggrapparsi.
« Lui? Lui c’era solo quando a lui faceva comodo, Sakura.
Questo lo posso capire. »
Ino fa accuse anche
se non sa nulla.
Ma Ino è fottutamente brava ad indovinare ciò che non sa.
Il viso spento dell’altra donna affonda nel cuscino, ancora una volta.
Un mugolio di cagna abbandonata.
E ad Ino, ancora una volta, quell’ombra di persona fa pena.
« Sakura… dimmi cos’è
successo. »
ipocrita
« Non sopporto di
vederti così, Sakura. Non dopo tutto questo tempo. »
bugiarda
« Ino-chan, voglio tornare a casa. Voglio cercarlo.
Voglio… » una supplica, accolta solo dal silenzio.
I pensieri sono sconnessi, e la vista si fa debole. Serra gli occhi, cercando
di serrare fuori il mondo.
Lascia che la testa si poggi contro la corteccia, mano che – più per abitudine che per istinto –
si va a posare sulla tasca dei kunai, fasciata sulla gamba.
Frusciare di foglie, dall’alto.
Tintinnare.
Vento.
Il pugno si stringe sul kunai, mentre sconnessa solleva lo sguardo annacquato
di sangue.
Vede in rosso.
Due occhi in penombra, neri come la pece, lo ricambiano dall’alto.
Un solo attimo, e neppure un barlume di curiosità.
Capelli neri, neri come l’inchiostro, che indugiano per un attimo attorno al
viso.
« Sa… suke-kun…? »
Campanella.
Un solo attimo, la durata di quello sguardo distratto.
Non c’è più.
« Sasuke-kun…! »
Vorrebbe alzarsi, ma la caviglia è slogata.
La caviglia le fa male. Il fianco le fa male.
La ferita sulla tempia – con il suo sangue – le offusca la vista.
Ma dalle sue labbra stanche non esce neppure una parola.
Puntando entrambe le mani per terra, perni, goffamente si rimette in piedi.
Ma la caviglia non la regge, e non fa che ricadere indietro, contro la
corteccia.
La mano con il kunai si protende, prima lentamente, poi disperatamente distesa.
E quel nome che solo sillabava con le labbra, che era solo un fantasma di
dubbio, prende vita.
E grida. Grida, come un’ossessa.
« Sasuke-kun…!
»
Cadrà a terra, dopo qualche richiamo, e perderà i sensi per aver perso
troppo sangue.
Racconterà ad Ino di “averlo visto”.
Ino le dirà che quello è stato semplicemente il culminare della sua ossessione.
Ino, per una volta, non indovinerà affatto.
Perché l’ossessione di Sakura Haruno è appena cominciata.
« Potrai tornare a
casa una volta finito. »
La voce di Ino arriva dopo qualche attimo di riflessione, accompagnata da un
caldo sorriso.
Quegli occhi verdi la guardano dal basso, increduli.
Lucidi. Ha pianto, o sta piangendo.
Di tutta risposta, la diva annuisce.
« Devi solo rispondere alle mie domande, va bene? » accondiscendente, sorella,
attende.
« Poi… potrò rivederlo? »
« Se lui vorrà rivederti. »
Sakura Haruno scuote il capo nella penombra, e l’altra non riesce a capire bene
dove sia diretto il suo sguardo. Solo è puntato su un punto indefinito alle sue
spalle.
Un singhiozzo, due, un tremore che le scuote l’anima.
Ma Sakura Haruno attende, come sempre, e non risponde.
Ino lo prende come un invito per andare avanti.
« Bene. La prima volta in cui vi siete incontrati. »
« Quando te l’ho detto e tu non mi credesti, Ino-chan. »
La risposta è una risposta sincera, velata di rammarico nei confronti della
rivale, che avrebbe potuto salvarla da quello specchio per le allodole, ma ha
preferito ignorare.
« Temo di non capire. » ribatte lei, con il tono delle faccende importanti e
tanto professionali.
Ino Yamanaka incrocia le mani in grembo, ed attende. Perché ora è il suo turno.
Sakura Haruno non risponde, ma continua a guardare il vuoto.
« Potrai tornare a casa una volta finito. »
La voce di Ino arriva dopo qualche attimo di riflessione, accompagnata da un
caldo sorriso.
Quegli occhi verdi la guardano dal basso, increduli.
« Scrofa, ma non mi hai sentita? Eh, non mi hai sentita? Sasuke-kun si trova
vicino ai confini del paese del Fuoco! Non c’è tempo di aspettare, anzi,
l’avrei fermato io, ma…»
Lo sbuffo scettico della bionda la interrompe, bruscamente.
Le mani di Sakura si stringono sul lenzuolo asettico dell’ospedale, e le labbra
si stringono in un broncio infantile.
E’ Shizune, però, a prendere la parola con quel suo solito sorriso mortificato.
« Sakura, mi fa piacere vederti così piena di vita, dopo tutto questo tempo,
davvero. Ma adesso sta’ un po’ calma e riposa, o Tsunade-hime se la prenderà
con me. »
« Non mi credete, vero? Pensate che io stia diventando matta. Non è così! Io
l’ho visto, Sasuke-kun. E lui ha visto me! E’ li, io lo so che è li, quindi
perché non…! »
« Sakura, ti crediamo benissimo, ma sei ferita. E’ perché hai evitato troppo a
lungo le tue mansioni, e quindi ti sei conciata in questo modo. Al momento la
tua salute è più impo… »
« ... più importante? Più importante, dici? In base a quale criterio? In base a
quale criterio la mia salute è più importante della vita di Sasuk… »
« ... in base al mio, Sakura. Ora, calmati e distenditi sul letto. Ti si
riapriranno le ferite, in questo modo. »
« Voi non capite nulla! Non capite assolutamente nulla! Sasuke era… la mia
vita, perché sarebbe più importante della sua?»
‘Sono solo
inutile. Nella missione – ancora una volta, non ho fatto nulla. Sasuke-kun…’
«Come pretendete che… »
La mano di Shizune la forza un po’ troppo bruscamente verso il basso, e la
ragazza soffoca un gemito, insieme al fiume di parole che tanto aveva lottato
per uscire.
Distrattamente,
incrocia lo sguardo di Ino. Ino che sorride.
Tranquilla.
« Avevi perso molto sangue, Fronte Spaziosa. Probabilmente ti manca molto, e
hai solo immaginato di vederlo lì. »
Vorrebbe staccarle la testa e strappare quel sorriso a fior di labbra.
Ma rimane ferma. Immobile, con i capelli sparsi sul cuscino.
« Non era Sasuke-kun, quello che avevi
visto. »
L’ombra di ragazza scuote il capo, affondando il viso nel cuscino.
Ino sorride, un sorriso di vittoria fuori luogo. « Te l’avevo detto. »
« Avrei dovuto saperlo, Ino-chan. Sasuke-kun non aveva mai avuto capelli ed
occhi così belli. Ma ero così stanca e mi mancava così tanto e non sopportavo
più di stare sola a Konoha perché mi avevano lasciata indietro capisci? Non
aveva avuto bisogno di me. Volevo che uno dei due fosse accanto a me e lo
volevo, dio se lo volevo, io volevo solo essere uti… »
Le parole sono diventate troppo attaccate l’una all’altra, e quindi Sakura smette
di parlare, ansimando.
Dal ritmo irregolare del respiro, Ino capisce che sta piangendo di nuovo.
« Ti chiese qualcosa, quel giorno? »
L’altra scuote il capo.
« Ti disse qualcosa? Ti fece qualcosa? »
« Mi guardò come se fossi la cosa più insignificante del mondo. » mormora
Sakura, con quell’aria sognante che non si addice per niente alle parole che
abbandonano le sue labbra. « Due occhi così belli… »
Ino deglutisce, e scosta lo sguardo, donandole un po’ di privacy in quel
ricordo.
Secondo l’altra, è un ricordo così bello.
Ino ha voglia di vomitare.
« Non sono mai stata guardata così da due occhi così belli. Sasuke-kun mi
guardava così in continuazione, ma i suoi occhi non erano così. I suoi occhi… »
batte ciglio, Sakura Haruno, prima di spostare quello sguardo distante su Ino.
E l’intero volto si trasmuta in una maschera disperata, una maschera disperata
che scopre i denti. « Ma a te cosa interessa, scrofa? A te cosa importa? Tu non
sai cosa significa, essere guardati a quel modo. »
Qualche attimo di silenzio, ed il volto pallido di fantasma ritorna una
maschera tranquilla, mentre la donna stringe il cuscino al petto, e ciondola un
po’.
Ino ha il buonsenso di rimanere in silenzio.
Sakura attende.
Attende, e continua ad attendere per qualcosa di ormai troppo lontano.
« Mi manca, Ino-chan. Ho bisogno di lui, mi manca, dov’è? Non fategli del male.
Il mio paziente sta bene. Non fategli del male… »
« Se risponderai alle domande che ti faccio, andrà tutto bene. Il consiglio
sarà contento. »
Silenzio.
« Quando è stato stipulato il tuo patto con Itachi Uchiha, Sakura? »
« Non era Sasuke-kun, quello che avevi visto.»
La voce di Ino continua a rimbombarle nelle orecchie, con quell’accusa intrisa
di compassione.
« Non era Sasuke-kun, quello che avevi visto.»
Un mantra nella sua testa congelata, freddata su quell’unico straccio di
pensiero che la attraversa, ancora e ancora, senza ritegno. E’immobile, Sakura.
Sakura è immobile, accanto a Naruto, congelata nell’atto di medicargli il
braccio. Naruto è immobile, congelato nell’atto di guardarla da dietro palpebre
abbronzate e semisocchiuse.
« Non era Sasuke-kun, quello che avevi visto.»
Naruto è rimasto ferito nell’ultimo scontro con quel… Kisame, o qualcosa del
genere.
Kakashi-sensei è ancora occupato nel suo, di scontro.
Sakura vorrebbe Kakashi-sensei accanto a lei.
Ma tutte le persone che avrebbe voluto accanto a lei in tutta la sua vita non
hanno mai esaudito questo suo desiderio.
Le ferite di Naruto si stanno già rigenerando, ma il sangue perso è comunque
molto, durante lo scontro.
Naruto si muove appena, guardando dietro Sakura con espressione congelata.
« Non era Sasuke-kun, quello che avevi visto.»
« Kyuubi.»
Quella voce profonda è arrivata alle sue spalle, senza che lei se ne accorgesse.
Si volta, di scatto, dimostrando la paura come sua debolezza.
E non era Sasuke-kun, quello che aveva visto.
Quegli occhi neri come la pece li aveva già visti, ma aveva dato loro un nome
diverso.
Quei capelli neri come la pece li aveva già visti, ma aveva dato loro un nome
diverso.
Non è Sasuke-kun, quello che vede.
Ma gli assomiglia.
Dio, gli assomiglia così tanto…
« … Tu non sei lui. »
Quegli occhi sono sempre freddi, sempre impassibili.
Quegli occhi la degnano appena di uno sguardo, spostandosi su Naruto alle sue
spalle.
Quello che l’aveva tormentata per anni, per anni con quell’unico incontro di
pochi attimi, non era stato Uchiha Sasuke.
Era stato Uchiha Itachi.
Che ora la ignora, del tutto. Che ora si avvicina.
Naruto. Naruto. Naruto.
Non può difendersi ora? Ma non può difendersi neanche lei.
Scatta in piedi, brandendo quel kunai che sempre rimane al suo fianco come
prima difesa.
« N-non ti avvicinare!»
« Quindi, ti sei
alzata volontariamente per andare contro Itachi Uchiha. »
La voce di Ino non è incrinata in una domanda. La voce di Ino la deride per
quella ingenuità.
Eppure il suo volto non sorride.
Sakura questo non lo sa, poiché il suo sguardo è sepolto nel cuscino, così come
il suo respiro e le sue parole soffocate.
« … Ino-chan, non
avresti fatto lo stesso, al posto mio? »
Naruto. Sakura pensa a Naruto, Naruto che da giorni sta fermo, immobile, al di
fuori di quella piccola cella.
Naruto che nessuno è riuscito a smuovere, Naruto che nessuno è riuscito a
convincere ad andare in missione.
Naruto che attende.
Una stretta cerca di sciogliere il cuore di Ino, ma la sua professionalità la
blocca, per congelarlo ancora una volta.
« Hai fatto la cosa giusta, Sakura. » mormora accondiscendente, mettendo su
quel sorriso da sorella.
E Sakura lo ricambia con il suo, vacuo e distante, ma decisamente più sincero.
« Cos’è successo,
poi? Hai accettato quel patto in cambio della salvezza di Naruto? »
« No. » è la laconica risposta, annacquata da quel tono sognante dei ricordi. «
Ho combattuto. »
« … contro Itachi Uchiha. »
« Contro Itachi Uchiha. E quegli occhi… erano così belli. Due gemme nere. Erano
fredde ma brillavano, sai? Quando mi guardava. Era così simile a Sasuke-kun, ma
così diverso… avevo il cuore che mi batteva a mille. » ridacchia pigramente la
donna, chinando il capo. I capelli, corti ed incolti, le ricadono sul viso.
Senza nasconderlo, come un tempo.
« Era la paura, a fartelo battere. »
« Il respiro, mi mancava il respiro. Era così simile a Sasuke-kun, Ino-chan… »
La risatina sfocia in un singhiozzo, seguito da un
singhiozzo, seguito da un singhiozzo.
Ino rimane in silenzio, per qualche attimo. Poi, sorride.
« Allora, com’è successo? »
« Quindi, ti
sei alzata volontariamente per andare contro Itachi Uchiha. »
Ospedale di Konoha.
La voce della Godaime è incredula, e non fa nulla per nasconderlo.
Sakura Haruno, con lo sguardo lievemente distante, si limita ad annuire.
« Ti sei alzata volontariamente per andare contro Itachi Uchiha, e sei viva. »
La voce della Godaime è ancora più incredula, e non fa nulla per nasconderlo.
Sakura Haruno, con lo sguardo lievemente distante, si limita ad annuire.
« Ti sei alzata volontariamente per andare contro Itachi Uchiha, sei viva, e
Naruto è vivo. »
Ormai la voce della Godaime ha raggiunto i limiti dell’incredulità, e non fa
nulla per nasconderlo.
Sakura Haruno, con lo sguardo ed un sorriso lievemente distanti, si limita ad
annuire.
Ricorda quegli occhi scuri dritti nei suoi. Ricorda quello sguardo vacuo.
Ricorda quei movimenti repentini, e quelle sopracciglia crucciate.
Ricorda come nessuno dei suoi attacchi sia mai andato a segno.
Tranne quel pugno che, nella sua impulsività, lo aveva colto di sorpresa,
sfiorandogli la spalla.
Quello sguardo vacuo le aveva fatto dubitare per qualche attimo il fattore
sorpresa.
Ricorda le schegge di legno che avevano attraversato i vestiti e che le avevano
rotto la pelle candida sulla schiena.
Ricorda quella mano che si era serrata attorno alla sua gola.
Ricorda quel caldo respiro vicino all’orecchio, che la invitava fermamente a
guardarlo.
Con quella voce calma e vellutata.
Ricorda quella strana sensazione allo stomaco, provocata da quel respiro caldo.
Non aveva voluto guardarlo negli occhi. Non per la più razionale paura del
Mangenkyou Sharingan contro cui
Kakashi-sensei l’aveva messa in guardia prima della missione.
Non voleva guardare quegli occhi neri. Non voleva guardare quegli occhi neri e
vacui.
Occhi di Sasuke-kun così vuoti e brillanti, nonostante la loro assenza di luce.
Erano gli occhi di Sasuke-kun, quelli. Quegli occhi che potevano diventare
rossi, il colore delle emozioni forti.
Erano gli occhi di Sasuke-kun, quelli.
Ricorda, ancora una volta quel sussurro.
Ricorda quella mano stretta attorno al collo, che l’aveva spinta ancor più
contro il tronco dell’albero.
Il dolore delle schegge di legno.
Ricorda di aver aperto gli occhi spaventati
– la vita fuggiva, fuggiva via tra le sue dita come il respiro fuggiva via dai
polmoni –
e ricorda di averli sollevati a guardare quelli di lui.
Che vedevano solo la sua ombra.
« … non sono lui? »
Quella voce.
Quella voce così vicina le aveva bloccato il respiro più violentemente di
quanto glielo avesse bloccato quella mano..
« … come hai fatto a sopravvivere, Sakura? »
La voce di Tsunade-hime è preoccupata per quell’espressione vuota dipinta sul
viso della sua apprendista.
Sakura non risponde, accarezzando distrattamente il
lenzuolo liso che copre il lettino.
Ino sospira.
« … sapeva che eri l’apprendista di Tsunade-hime? »
La voce di Ino è poco più di un sussurro apprensivo, e Sakura sorride,
dolcemente.
« Ino-chan, stavo usando una jutsu medica piuttosto avanzata, quando è
arrivato. Stavo tentando di salvare Naruto, accelerando la produzione di
globuli rossi nel suo midollo. » è solo un filo di voce, un filo di voce grato.
« Sono un bravo medico. Grazie a me, il mio paziente sta bene. »
Quel filo di voce è fiero di sé.
Ed Ino non ha il coraggio di mettere in dubbio quella sua impresa.
« Sei stata brava,
Sakura. »
« Grazie. »
Quel piccolo sorriso vacuo gioca tra le piccole strisce bagnate che le lacrime
hanno causato nel loro percorso.
« … i suoi occhi… non ti vedevano, Sakura? »
« I suoi occhi vedevano solo ombre, Ino-chan. Ho dovuto rinforzare i canali del
chakra lesionati dal troppo afflusso di chakra causato dal Mangenkyou, poi
renderli lievemente più resistenti del normale con quella jutsu che mi insegnò
Tsunade-hime… quella che ha elaborato lei, sai. Per promuovere l’uso di quelle
tecniche che sono solitamente ad uso limitato a causa della pressione che
apportano sul sistema circolatorio del chakra. Anche l’uso del Chidori. Lo sai,
tramite quella è possibile usare il Chidori per un numero di volte pressoché
infinito. Anche se non è affatto consigliabile, poiché le riserve di chakra
dell’individuo medio non raggiungono tali livelli, e anche la pelle può essere
facilmente bruciata da un afflusso troppo notevole. » il tono di Sakura è
piatto e professionale, lontano -e la
spiegazione è donata con quella sicurezza di sé tipica di chi sa di cosa sta
parlando. « Poi ho dovuto ricollegare questi canali alla retina, ed è un lavoro
di massima precisione, parecchio difficile da effettuare con gli aghi. »
Ino rimane in silenzio, battendo ciglio.
« Ma sono un ottimo medico. Il mio paziente sta bene. » quegli occhi braccati
si sollevano su Ino, e sorridono.
Occhi infestati e sorriso infestato.
Sakura non
risponde, accarezzando distrattamente il lenzuolo liso che copre il lettino.
La Godaime sospira, scotendo il capo ed alzandosi dal bordo del materasso. La
Godaime le sorride, come una mamma, e le augura di rimettersi e presto e di
“riposare, riposare soprattutto corpo e mente”.
Tsunade esce dalla stanza, e Sakura Haruno rimane a fissare il vuoto.
Quei ricordi le fanno battere il cuore con qualcosa a metà tra l’ansia e
l’agitazione.
« … non sono lui? »
« … non sei lui. »
E ripete quelle parole, senza rendersene conto, quelle parole che son rimaste
attaccate alle sue labbra.
Quasi se ne volesse convincere a pieno.
Poteva vedere la realizzazione, in quegli occhi, nel capire di quale ‘lui’ lei
stesse parlando.
Aveva sospirato, e quel sospiro le aveva accarezzato il viso.
E di nuovo, quella morsa allo stomaco e quella paura.
Quella disperazione innata.
« … mi hai ingannata, sai. »
Ed erano rimasti così, in silenzio.
« Quel giorno, non eri lui. »
« Sciocca. Sei tu, che hai ingannato te stessa. »
Erano parole troppo dure e vere, perché lei potesse ribattere.
Cercò di respirare, ma il respiro era bloccato dalla mano di lui.
La lacrime si affacciarono agli occhi, ma non le lasciò cadere.
Erano lacrime frustrate, lacrime di rabbia.
Perché era lì?
Avrebbe dovuto salvare Naruto, per una volta.
Avrebbe dovuto essere utile…
« … lasciami andare. »
« Forse potrei anche. Non sei tu il mio obiettivo. Il mio obiettivo …»
« … è Naruto, lo so. »
Lui rimase in silenzio, guardandola senza vederla.
Lei rimase in silenzio, occhi rossi di lacrime che si rifiutavano di scendere.
‘Non posso
fermarlo.
Solo un peso.
Debole, patetica, solo un peso…’
Ma quelle
cambio di ritmo nel respiro scomposto – quel ritmo che presagiva le lacrime –
non era passato a lui inosservato.
« Sciocca. Debole e patetica. Non ho tempo da perdere, con te. »
Avrebbe voluto gridare, mentre lui lasciava la presa e la lasciava cadere sulla
terra secca.
Avrebbe voluto gridare.
Gridò.
Un grido frustrato, un grido arrabbiato, un grido di sfogo.
« Debole? Patetica? Sciocca? Non sono nulla di questo! Io non sono… »
« Ti ho vista. Restare in disparte mentre Kyuubi combatteva. Mentre il tuo
maestro combatteva. »
« Non sono inutile! Tu non… »
« Dimostramelo, allora. »
Quello sguardo vacuo si era fermato su di lei, ed era uno sguardo stanco.
Uno sguardo rassegnato, vuoto e freddo.
Lo stesso sguardo che Sasuke-kun aveva avuto un tempo, ma diecimila volte
peggiore.
Perché…
« … che senso ha? Tu non mi vedi neanche. »
Ed Itachi Uchiha aveva accennato un sorriso che era solo un piegamento di
labbra.
Un sorriso non esteso agli occhi neri e vuoti.
Non esteso agli occhi di Sasuke-kun.
Ed il suo cuore batteva.
« Il tuo maestro non ti considera molto utile, ragazzina. »
Sakura strinse le labbra.
Ed il suo cuore batteva.
« Ti ha detto di stare indietro, o sbaglio? Limitata ad occuparsi delle poche
ferite di qualcuno che guarisce da sé. »
Una pausa, quasi a lasciare che il senso di quelle parole raggiungesse il suo
cuore.
« Non mi sembra molto utile. »
« Non sono inutile. Io… »
Ma sapeva che aveva ragione.
Faceva così male… avrebbe gridato, ancora.
Era stanca di aspettare, di attendere e di essere un peso. Poteva non esserlo.
Poteva…
« Dimostramelo. »
E ricorda la richiesta. Ricorda la sfida, la provocazione che lui, con quella
fredda sicurezza di sé, le aveva lanciato.
Avvicinandosi a lei, guardandola dall’alto, sollevandole il viso con quella fredda
indifferenza.
« Sei capace di ridar vita a questi occhi consumati? »
Ma il suo respiro, quel respiro che le raggiunse la pelle… quello era caldo.
Sakura ricorda.
Sakura ricorda gli occhi di Sasuke-kun e la voce di Sasuke-kun.
Neri come gli occhi di Itachi Uchiha, e profonda come la voce di Itachi Uchiha.
I capelli neri di Sasuke-kun, ed i capelli neri di Itachi Uchiha.
Sasuke-kun che, freddamente, non aveva mai avuto bisogno di lei.
E quella voce che le aveva proposto, freddamente, un patto.
« … ne sei capace? »
Sakura ricorda, ed il suo cuore batte.
Non per paura, non per ansia.
Ma, semplicemente, perché ha scelto di tornare a battere.
Ha scelto di tornare ad essere un cuore utile.
Ino è ferma, Ino non capisce.
Sakura la fissa, con quell’aria da ragazzina innamorata.
Non si addice affatto, quell’aria, ad una donna.
« … Perché hai accettato?»
« Perché i suoi occhi… »
« Sto parlando seriamente, Sakura. Perché hai accettato?»
Questo zittisce l’altra, che sposta quegli occhi sognanti verso il basso.
« Pensavo avrebbe lasciato Naruto in pace, quel giorno se avessi … »
« Sto parlando seriamente, Sakura. »
E la risposta che ottiene, è solamente un fil di voce. Un fil di voce che non
riesce a comprendere.
« Non ho capito. »
« … aveva bisogno di me, Ino-chan. » si ripete quel fil di voce, aspettando un
rimprovero che non arriva.
Non arriva nulla.
Ino sta zitta.
Sakura solleva lo sguardo velato di pianto, con labbra pallide che
boccheggiano.
« … Ino-chan, sei arrabbiata con me?»
Ma Ino ha il volto adombrato da quei capelli luminosi che le ricadono sulla
fronte.
Ino stringe le labbra e stringe i pugni, ma nella penombra della stanza, Sakura
non vede.
« Ti abbiamo perso da così tanto tempo, Sakura. E non ce ne siamo mai accorti.
»
E’ un mormorio pieno di rimorso, e di senso di colpa.
« Da quando Sasuke-kun se n’è andato… io potevo vedere che eri cambiata. Ma
pensavo… sai, pensavo fosse tutto normale. Che ti saresti ripresa. Non ti sei
mai ripresa del tutto, e quando Naruto è partito con Jiraiya-sama… certo,
vedevo che ti sentivi sola, ma… non avevo il diritto di intromettermi,
dopotutto. Ho perso quel diritto troppo tempo fa. Ed ho pensato che saresti
migliorata, Sakura. Pensavi… che nessuno avesse bisogno di te? Ti abbiamo
lasciata sola. Prima io, poi Sasuke-kun, poi Naruto… pensavi…?»
« … sono sempre stata
un peso per Konoha, Ino-chan. Volevo essere utile. E poi… se non avevo potuto
aiutare Sasuke-kun, io almeno… » ma quel sussurroè un sussurro rassegnato, e privo di rancore. «Non fare così. Io
sono contenta, che mi abbiate abbandonata.»
Ino è troppo occupata a cercare di riconoscere la vecchia Sakura in
quell’ombra, per poter rispondere.
« Se non mi aveste abbandonata, non avrei mai conosciuto lui. Quello che è
veramente, il mio paziente. Lui mi ama.»
Ed Ino ne dubita.
« Mi ama quanto io amo lui. »
« … ma Sakura, lo sai che non è vero. Lo sai che ti ha abbandonato quando vi
hanno… »
« Mi ama quanto io amo lui. Il mio paziente sta bene. Io posso anche stare qui,
ma per favore, non fategli del male.»
« Non fategli del male, Ino-chan.»
Ino è ferma,
Ino non capisce.
Sakura la fissa, con quell’aria da ragazzina innamorata.
« Sakura, è notte fonda. Dovresti dormire. Dove stai andando? »
Sakura non risponde, battendo ciglio. Sulle spalle ha un anonimo zaino rosso, e
lo stringe con entrambe le mani.
« … e tu cosa fai in giro a quest’ora, Ino? »
« Sono appena tornata dalla missione con Shikamaru e Chouji.» la risposta è
spazientita, quasi a dimostrare che, effettivamente, il punto non è quello. «
Ma stavamo parlando di te. »
« Le belle di notte sbocciano solo di sera, e sono più aperte con la luna
piena. Mi servono per l’erbario. » Indicò lo zaino, con un gesto stanco,
gettandosi in un monologo specializzato. « Quelle che avevo sono appassite, ed
il polline ha effetti lenitivi molto più indeboliti. Non posso usarlo per gli
unguenti, in questo modo. Devo recidere gli steli a cinque centimetri dalla
corolla, e sistemarli nei barattoli di vetro. Non più di tre per barattolo, o
appassiscono. E togliere gli insetti, se ci sono. O le lumache. Odio quando si
attaccano ai petali. »
Negli occhi di Sakura c’è una strana luce, che brilla per un attimo negli occhi
verdi.
Il tempo di una lieve pausa.
« Vuoi venire con me? »
Ino scuote immediatamente il capo, soffocando uno sbadiglio piuttosto plateale.
« Figurati se vengo a perdere tempo con te, fronte spaziosa, e a giocare con le
lumache. Le lumache sono viscide. Poi…E’ notte, ho fatto una missione, ed ho sonno. Vatti a divertire da sola,
a fare la piccola fioraia. Io ne ho abbastanza al negozio, quindi non è un
granché emozionante.»
Sakura rimane in silenzio, attendendo che Ino finisca il suo soliloquio.
« … ma
suppongo siano una delle poche soddisfazioni che ricevi, nella vita. Divertiti,
fronte spaziosa. »
Detto questo, Ino continua a camminare verso il centro del villaggio,
superandola.
« Buonanotte, scrofa. »
Ino solleva una mano in cenno di saluto.
« A domani, fronte spaziosa. »
Sakura la
guarda andar via. Poi, prosegue per la sua strada.
Per tre anni, Ino non l’avrebbe più rivista.
I momenti di quei tre anni, Sakura li ricorda tutti.
Momenti ipocriti, momenti di felicità apparente.
Momenti in cui mai avrebbe preferito tornare a casa.
Itachi Uchiha aveva tirato i fili con notevole abilità, e l’aveva usata per
riavere indietro la sua vista.
Itachi non l’aveva mai trattata con affetto.
Era stata lei, lentamente, a provare amore nei suoi confronti.
Sakura ha sempre avuto il bisogno di amare qualcuno.
Sakura è una donna disillusa.
Una donna che non ha potuto amare il sole, una donna che non ha potuto vivere
accanto al suo sole.
Una donna che si è accontentata di un pallido riflesso di quel sole.
Sasuke-kun non aveva mai avuto bisogno di lei.
Itachi aveva avuto fiducia in lei – le bastava credere questo.
Itachi la toccava quando lei chiedeva di essere toccata.
Ma lei era abituata ad essere trattata a quel modo. Con distacco.
Ma lui, lui non la cacciava mai.
Itachi la baciava quando lei lo baciava, ed i suoi baci erano sempre freddi.
Le sue labbra erano calde come il suo respiro.
Ed ogni volta che quegli occhi la guardavano e la vedevano, le veniva da
piangere.
E diceva che lo amava.
Perché aveva bisogno di amarlo, lo capiva?
Lui diceva di capire.
E lei, lei era contenta così.
Quel pallido riflesso di luce
- quel buco nero -
la sfiorava
senza illuminarla davvero.
Ma lei vedeva la luce dove la luce non c’era.
Perché aveva bisogno di vederla.
La sua luce era sempre stata solo una.
« Io lo amo, Ino-chan. »
Silenzio.
« Lo amo davvero. »
Ma, quando la squadra ANBU di Konoha li aveva trovati, lui l’aveva lasciata
indietro.
Poiché era debole e patetica.
E sciocca.
Sciocca.
« Io lo amo, Ino-chan. »
Ino rimane in silenzio, scuotendo il capo.
« Anche lui ti ama, Sakura. Ti sta cercando, ora. »
Sette giorni prima, Itachi Uchiha aveva attaccato Naruto Uzumaki.
Insieme a Kisame, il suo vecchio compagno.
Il suo volto era stato impassibile come sempre.
Ma Sakura non ha bisogno di saperlo.
E’ stata lasciata indietro troppe volte.
« D’altronde è grazie a te, che sta bene. »
« Posso tornare a casa, ora, Ino-chan? Se mi sta cercando, e sto qui, non potrà
trovarmi.»
Ino si alza, in silenzio, stringendo le labbra. Ma quando volta il viso verso
Sakura, sorride.
« Il consiglio sarà contento, e Tsunade-hime ti farà tornare a casa, Sakura. »
Sakura ha sempre vissuto di illusioni, e non può farne a meno.
Ed Ino pensa che, nel continuare ad illuderla – in fondo – non ci sia nulla di
male.
E’ sicura di aver fatto la cosa giusta quando vede il sorriso di Sakura, felice
e sincero.
Braccato dalla mente ormai troppo lontana.
« Potrò rivederlo, allora. »
« Lo rivedrai. »
E Sakura sospira e sorride, ride e sospira. Non come una donna abbandonata, non
come una donna resa folle
dall’amore e dal dolore.
Come una ragazza.
Una ragazza.
Ino abbandona la stanza buia, e deve coprirsi gli occhi con la mano alla luce
artificiale del neon.
Naruto è lì, appoggiato alla parete di fronte.
Ha sentito tutto, e guarda il pavimento.
« Non è colpa tua, Naruto. »
« Lei lo sapeva. Che l’amavo, lei lo sapeva. »
Ino rimane in silenzio, e pensa.
Infine, risponde.
« … ma Naruto, lei voleva Sasuke.»
Naruto annuisce, e sospira, stringendo le labbra.
Lo sa.
Lo sa.
« Solo Sasuke. »
Sola, nella stanza buia.
Sakura affronta la sua notte fatta di ombre inconsistenti e di voci e di
respiri caldi che le riscaldano i ricordi.
Mischiandone la provenienza, come sempre ha fatto.
Sakura attende, con la testa poggiata sul materasso duro del lettino, con il
cuscino stretto tra le braccia come un amante.
Sakura attende.
Sakura osserva.
Quella flebile luce non c’è più, e lei – sciocca – pensava fosse sola.
Sola come il cuore, sola come la mente.
Sola come quella sciocca malinconia che, alla fine, non serve a niente.
Ma lei osserva.
Nella stanza buia.
La luce flebile non c’è, eppure…
… quell’ombra è lì, dove un tempo c’era stata la flebile luce.
Dove un tempo c’era stato il suo.
Tra le ombre del suo buio, c’è l’ombra di un sole che non c’è più.
E quell’ombra la sfiora.
Entra, e la sfiora.
La sfiora
facendola annegare
nel suo buio.
E lei la riconosce, con un sorriso e con le lacrime agli occhi.
E lei, lei affoga,
tendendo le braccia verso quell’ombra.
Che altro non è che un ricordo.
Un ricordo sbiadito.
« Itachi-kun, sei venuto a prendermi, allora. »
Sorride, da sola.
Sorride come una bambina.
« … lo sapevo che mi hai amata, nonostante tutto. Che saresti tornato per me… »
« … lo sapevo, Sasuke-kun. »
E lei, lei affoga.
Perdonatela.
A/N: totalmente What
if.Sigh.
Itachi è IC? Chissene. Ormai ci ho rinunciato con quello lì.
Sakura è totalmente OOC, ma neanche così tanto. E’ semplicemente andata di
matto, e prendo atto.
Ino è IC, per quel che mi riguarda. Ino non è una bellissima persona.
Ed è difficile relazionarsi con quella che un tempo era la sua migliore amica,
ed ora è solo una pazza.
Ecco, qualcosa del genere.
So che non è la fic migliore con cui tornare. E qualcuno avrà già notato che ho
rinunciato a seguire l’ordine numerico. Ma questa fic mi ha fulminata con il
suo plot bunny maledetto, e dovevo scriverla. Perdono se è quanto di più scarso
e confusionario che io abbia scritto.
Deluderò molti e diranno: “Ma con che cavolo se ne torna, dopo così tanto tempo
di scomparsa totale?”
Inoltre, Miyu mi ha detto che è banale ._.” E che non dovrei provare a scrivere
ItaSaku se sono una tale Sasusaku. Io rettifico: questa è una SakuIta, non
un’ItaSaku. Inoltre, io sono per il Sakusasu, non il sasusaku. C’è differenza.
Ecco, volevo dire solo questo.
E’ una fic confusionaria e troppo lunga. Perdonatemi – e perdonate Sakura.
Ed Anche Ino, va. Ho descritto dei personaggi moralmente orribili, questa
volta. E’ un periodaccio.
L’unico che moralmente si salva, nella fic, è Naruto.
Artemisia, la HinaNeji… quando avrò ispirazione. Ç__ç
E scusatemi ancora ._.” Accetto minacce di morte XD
Poi, mi sto dedicando a pieno ad un'originale Fantasy. Son indecisa però se pubblicarla, o meno. Di solito non interessano a nessuno, e per cautelarmi preferirei tenerla per me XD
Capitolo 24 *** 34. The imperious Life. [Ino & Sakura] ***
Meiko era riversa nella scatola di cartone, gettata lì come una cosa
qualunque
34. The imperious life.
Anika era riversa sul fondo, gettata lì come una cosa
qualunque.
Aya sembrava rassegnata al suo destino, composta nel suo kimono di seta, mento
fieramente sollevato.
Claire non portava rancore, ma teneva il volto inclinato
verso il basso, quasi a voler celare qualsivoglia tristezza.
Tuttavia, la piccola Stella la stava guardando dal basso,
seduta sul letto.
Accusatoria con quei suoi occhi di vetro, sembrava sfidare
il mondo intero a smuoverla di lì.
Sono un ricordo, diceva la piccola Stella. Non hai il diritto
di farmi questo.
Non ho tempo, rispondeva la ragazza, quasi avvertendo il
bisogno impellente di giustificarsi. Non ho tempo. Non posso.
Ma la piccola Stella continuava a guardarla accusatoria
dal basso. Fiera, bella, bionda ed indipendente.
Dagli occhi di vetro.
Animata da una nuova forza interiore, la ragazza la
afferrò per il collo. Non posso, ripeté, fermamente.
Gli occhi di vetro non cedettero. Con il cuore in gola,
Sakura strinse vigorosamente la stretta.
Poi, gettò Stella fra le altre bambole riposte nel
cartone.
Tuttavia, non trovò la presenza d’animo di sigillare la
scatola con il nastro da imballaggio, come si era ripromessa di fare. Deglutì,
richiudendola semplicemente con un cenno brusco, e voltandole le spalle.
Tradita, Stella dagli occhi scheggiati non distolse lo
sguardo dal coperchio scuro che la inghiottì nel buio.
* * *
L’erba fresca le solleticava le ginocchia nude, mentre la
leggera brezza della sera ormai vicina le faceva ondeggiare serenamente i
capelli lunghi ed fiocco rosso che li adornava.
La scatola era lì, davanti a lei, posata fra le radici
dell’albero. Semiaperta, riusciva a vedere ancora il barlume sinistro dello
sguardo della bambola dai riccioli biondi.
Stella. Che nome stupido.
Esattamente come colei che glielo aveva dato.
Con le mani cominciò a tastare a tentoni il terreno,
spostando qualche zolla facendovi pressione con le dita. Così presa e
concentrata, tuttavia, non sembrò affatto notare la presenza alle sue spalle.
“Che fai, fronte spaziosa? Ti diverti a giocare con il
fango?” arrivò la voce sibillina, divertita e cristallina, che Sakura non potè
fare a meno – a malincuore – di riconoscere.
“Quello lo fanno le scrofe, dovresti saperlo!” fu la
risposta immediata, mentre l’istinto la portava a gettarsi sulla scatola
semiaperta in un impeto di vergogna.
Non vuoi che mi veda? Sembrava dire il luccichio negli
occhi di Stella. Ma Sakura la ignorò.
Allo stesso modo in cui Ino ignorò del tutto il suo
commento suino. “Che cavolo hai lì?” domandò, piuttosto. Sakura si voltò per
guardarla da sopra le spalle, e ritrovarla bella come sempre.
Bionda come sempre. Fiera come sempre. Indipendente come
sempre. Ben vestita come sempre, con la sua gonna corta e lo zaino sulle
spalle. Quello stesso zaino che aveva così tante volte portato a casa sua,
quando si sarebbe fermata lì a dormire.
Ancora una volta, fu animata da una nuova forza interiore.
“Non sono affari tuoi, scrofa. Va’ via e non farmi perdere
tempo!”
Quella che seguì fu, in poche parole, una piccola rissa.
Ino le tirò indietro la testa dal nastro rosso fra i capelli tentando di dare
una sbirciatina, Sakura le morse una mano, Ino le diede uno spintone che la
fece cadere di lato, e nel cadere Sakura le diede un calcio ad uno stinco. Di
tutta risposta Ino le pestò una mano, Sakura le diede una gomitata sul piede ed
Ino una ginocchiata mirata alla fronte, che Sakura tuttavia riuscì ad evitare
all’ultimo momento.
Nel caos del momento, la scatola – probabilmente animata
dalla sola forza di volontà di Stella – decise che quello era un ottimo momento
per essere spinta via da un piede di passaggio e riversare tutto il suo
contenuto sull’erba bagnata.
Il tempo si fermò.
Sakura, con il piede di Ino calcato sulla guancia e
sdraiata sul terreno, guardò la scatola.
Ino, la cui gonna sembrava star per cedere alla forza di
gravità –coadiuvata dalla mano di Sakura che si era serrata sull’orlo del
tessuto - guardò la scatola.
In tutta la sua gloria, Stella entrò in scena rotolando
via dal mucchio. Anika, che era stata sempre la più intraprendente dopo Stella,
la seguì a ruota.
Sakura aveva voglia di morire, ma Ino sembrava piuttosto
aver voglia di discutere. “Cosa…? Cioè, è Stella, quella? La mia
Stella?”
Sakura bofonchiò qualcosa, poiché il piede di Ino le
soffocava ogni capacità di espressione logica. Cogliendo l’implicita richiesta,
Ino ordinò al suo piede di tornare al proprio posto. Lievemente intontita,
Sakura si rimise seduta, poggiando la schiena contro l’albero.
“E’ lei. In tutto il suo splendore.”
“La stavi buttando via!”
“Non sei mai venuta a chiederla indietro.” Rimbeccò
Sakura, arricciando il naso. Questo sembrò zittire la bionda, che piuttosto si
avvicinò alla bambola, chinandosi e raccogliendola.
Con un gesto quasi materno, la ripulì dal terreno.
“Era la mia preferita.” Commentò.
“Tanto che l’hai dimenticata a casa mia.”
“Credevo di averla persa.”
Seguì soltanto un lungo, imbarazzante silenzio.
Imbronciata per essere stata colta con le mani nel sacco, Sakura scostò lo
sguardo. “Puoi riprendertela se vuoi. Io le stavo…”
“… le stavi mettendo dove mettevamo tutti i nostri vecchi
giocattoli.” Comprese Ino, abbassando la voce di un’ottava.
Nostalgia? Perché aveva nostalgia, ora, quella stupida?
Era tutta colpa sua!
Sakura non si rese conto di essere arrossita. “Beh,
scusami tanto. E’ l’abitudine, mi è venuto semplicemente…”
“…Naturale?” la interruppe Ino, lievemente amareggiata. Si
interruppe, quindi, per schioccare la lingua. “… anche a me.”
Sakura aveva già schiuso le labbra per ribattere qualcosa –
non sapeva bene cosa, ma sarebbe stato sicuramente un commento il più caustico
possibile – tuttavia le richiuse non appena il suo cervello elaborò ciò che Ino
aveva appena detto.
“… come?”
“E’ per l’esame di domani, no? Diventeremo adulte. Ho
pensato che avrei dovuto mettere via le bambole, fronte spaziosa. Non ci
arrivi, con quel cervello che ti ritrovi? Se occupa così tanto spazio, potresti
anche usarlo, sai?”
La bionda sembrava davvero amareggiata. Sakura provava, nel profondo del suo
cuore, una sensazione simile. Rimase ad osservare la rivale con sguardo
risentito, mentre quest’ultima – accarezzando distrattamente la chioma
riccioluta di Stella – passava in rassegna le altre bambole sparse per terra.
“Anika e Stella si erano ripromesse di collaborare per far
sì che il ragazzo di cui erano innamorate le notasse.”
“Uh?”
“Ma avevo lasciato lui a casa mia. Per questo lasciai
Stella da te. Avremmo dovuto giocarci il giorno dopo, no?”
“… il giorno dopo io mi sono innamorata di Sasuke-kun.”
Completò Sakura, facendo spallucce ed abbassando lo sguardo. “Te l’avevo detto,
comunque, che una situazione del genere non sarebbe mai potuta accadere nella
realtà. Non si collabora per ottenere l’attenzione di un ragazzo,
scrofa.”
“Beh, fin qui c’ero arrivata, ora.” Commentò laconica Ino,
schioccando la lingua. “Oh, è Aya, quella? E anche Claire! Oh, quella era la
tua bambola che mi piaceva di più, quella.” Mormorò distrattamente,
accucciandosi per terra e poggiando lo zaino sull’erba. Lo aprì, con un sonoro ziiiip,
vuotandone il contenuto sul terreno.
Giocattoli. Interi anni di infanzia caddero con un tonfo
attutito dal tappeto di verde. Vestitini in miniatura, accessori per la casa
delle bambole, piccoli peluche, e persino un paio di diari segreti con dei
coniglietti disegnati sopra.
Sakura li riconobbe come i diari su cui avevano scritto
insieme, giorno per giorno, le testimonianze della loro amicizia. Che sarebbe
dovuta durare per sempre.
Anche quei diari caddero con un tonfo.
Sia Sakura che Ino, involontariamente, trasalirono.
“Muoviti a scavare, fronte spaziosa. Accanto ai vecchi
giocattoli. Su, che devo incontrarmi con Ami, dopo.”
Quella era la bandiera bianca di Ino, aggressivamente
alzata.
“Se hai tanta fretta scava anche tu, scrofa!”
Questa era la proposta di pace accettata da parte di
Sakura.
Tregua concordata.
“O mio dio! E’ Pallina, quella?”
“Ah, quello è il
peluche che ti prestavo sempre quando venivi a dormire a casa mia!”
“Quel vestito te lo cucii io, scrofa! Sei un’ingrata!”
“Ma se è uno sgorbio!”
“Mi dicesti che era bellissimo!”
“24 Novembre: Sakura-chan mi ha raccontato un fatto troppo
da ridere! Dice che stamattina, in piazza, ha incontrato quel tipo strambo con
i capelli biondi, e che…”
“27 Dicembre: sta nevicando, e siamo ancora una volta
rintanate sotto le coperte! Ino-chan non fa che farmi il solletico mentre
scrivo, per questo la calligrafia è così storta!”
“31 Dicembre: è finito un altro anno, e siamo ancora
rintanate sotto le coperte. Fuori c’è bel tempo, ed i fuochi d’artificio erano
bellissimi! Proprio come l’anno scorso! Ino-chan mi ha regalato un nuovo
nastro. Anche questo è rosso, ma è di seta. E’ luccicosissimo! Saremo amiche
per sempre, vero, Ino-chan? - Certo che sì, sceeema! Non ti eccitare per così
poco!”
Risero.
Risero dell’assurdità dell’intera situazione. Una risata amara e disillusa.
Sakura non sapeva se gli occhi di vetro di Ino celassero
qualcosa, ma sapeva benissimo di star ridendo semplicemente per non scoppiare a
piangere.
Anche Stella venne, insieme ad Anika, seppellita. Sakura si trattenne a stento
dal fare una piccola preghiera per la loro dipartita.
Si presero in giro senza pietà, ma non c’era malizia in agguato tra le loro
parole. Forse per questo motivo, Sakura si ritrovò a pensare che era davvero crudele,
il fatto che una tregua in tempo di guerra potesse assomigliare così tanto ad
una pace.
E tuttavia non esserlo affatto.
Probabilmente lo disse ad alta voce, poiché Ino mormorò un
rassegnato “già”, che però non significava assolutamente nulla. Non era una
proposta di pace, quella.
Il giorno dopo, Sakura diede indietro quel nastro rosso
che Ino le aveva regalato a Capodanno. Senza dire nulla – eppure Sakura avrebbe
giurato di aver visto finalmente qualcosa dietro quegli occhi di vetro
vivo – Ino lo accettò, con un piccolo cenno del capo.
La vita, imperiosa, continuò imperterrita ad andare avanti.
A/N: la Kodamy è momentaneamente tornata
Erano mesi che volevo scrivere una cosa del genere. Non ho
nulla da dire, se non che devo necessariamente andare a dormire. Un semplice
missing moment, tutto qui. Mi ha fatto un po’ male scriverlo, però. Come ogni
volta che scrivo di queste due. Vabbeh, son cose che capitano. (L)
Capitolo 25 *** 35. Recalling things that other people have desired. [Sakura Haruno] ***
Live to tell
35. Recalling things that other people have desired.
Lo studio dell’Hokage, da quando aveva preso quella
posizione, era sempre stato silenzioso.
Ricordava perfettamente che ai tempi del Quinto Hokage,
Tsunade-hime, il caos era all’ordine del giorno. La scrivania era piena di
documenti da firmare, e l’aria era piena della bestemmie e delle lamentele
della donna, che proclamava a gran voce che il lavoro da ufficio assolutamente
non faceva per lei.
Neanche il nuovo Hokage adorava particolarmente il lavoro
d’ufficio, tuttavia si ritrovava ad accettarlo di buon grado. Sapeva di aver
raggiunto ormai un livello di forza che difficilmente avrebbe permesso di
trovare un avversario con cui sfogare la tensione muscolare senza fargli
seriamente male.
Non esistevano più, compagni del genere. Ormai se n’era
fatta una ragione.
Fortunatamente, il villaggio si trovava in un periodo di
pace, quindi non doveva preoccuparsi molto. Erano anni, che nell’aria non si
avvertiva più quel profumo di guerra con cui lei, invece, era cresciuta.
Impilò, con accuratezza quasi maniacale, ciascun documento
già firmato in un angolo della scrivania, quindi soffocò uno sbadiglio. Lo
sguardo stanco si soffermò distrattamente sulla finestra, che lasciava filtrare
i raggi pigri del tramonto. L’autunno era alle porte, ormai.
Quanto tempo era passato? Difficile tenere il conto.
Posò sulla scrivania il copricapo bianco e rosso,
sistemando per bene il soprabito con il simbolo del Paese del Fuoco. Qualche
passo, anch’esso silenzioso nonostante i tacchi a spillo, la condusse verso la
porta, che aprì senza troppe pretese.
Non si stupì nel trovare il caro, buon vecchio Iruka ad
attenderla. Sempre lo stesso, nonostante qualche ruga e qualche capello bianco
in più. Neppure l’ombra di barba non rasata riusciva veramente a nasconderne i
lineamenti dolci.
”Scusami se ti ho fatto attendere. C’erano un mucchio di scartoffie, sulla
scrivania.”
L’uomo soffocò una mezza risata, scotendo il capo. “Non
preoccuparti, è ovvio che l’Hokage abbia una scala di priorità e cose ben più
importanti di una visita all’Accademia.”
”A dire il vero, non era nulla di veramente importante. Lui si sarebbe
sicuramente annoiato, qui.” Mormorò lei, con un sospiro, stiracchiando appena
il collo. Scricchiolio di ossa al quale arricciò appena il naso, in disappunto.
“Temo di star diventando vecchia. E’ una cosa che detesto.”
”Diventar vecchia? Non sei certo la prima, credimi.”
“No, no. Il tempo che passa. Non lo sopporto.”
L’uomo non replicò scostando lo sguardo. Passò qualche attimo
di silenzio, prima che le offrisse galantemente il braccetto. “Ora, se mi
permette…” esordì, sorriso stampato sulle labbra.
E Sakura Haruno, stancamente ricambiando il sorriso con uno dei suoi, annuì.
ooOoooooooOoooooooOoo
Trentasette paia di occhi la guardavano dal basso,
battendo ciglio il più velocemente e raramente possibile, quasi a cercare di
non perdersi neppure un attimo della visita della Kunoichi più forte di Konoha
all’Accademia.
Per Sakura fu come fare un tuffo nel passato – un passato
in cui il suo alito non puzzava di tabacco tre giorni sì e uno anche, un
passato in cui lei era una nullità, ma perlomeno una nullità felice. Si prese
qualche momento per esaminare la nuova generazione, poggiandosi disinvoltamente
alla cattedra.
C’era una ragazzina, in prima fila, seduta composta dietro
i suoi occhiali rotondi. Sorrideva quasi di timida anticipazione, mani giunte
davanti a sé sul banco. Accanto a lei, un ragazzino dai capelli scuri
bisticciava apertamente con un suo coetaneo dal volto costellato di lentiggini.
Più in là, una ragazzina con il visino da modella ed i capelli ben curati, il
cui sguardo le ricordò vivamente quello della Ino di un tempo. Una Ino il cui
sorriso da diva soleva illuminare anche le notti più buie. Due file più in là,
un ragazzino dal naso fasciato e dal ghigno sicuro, che fissava distrattamente
la piccola modella. Seduta accanto a lei, una ragazzina della casata Cadetta
del Clan Hyuuga, i cui occhi stanchi tradivano i quasi due secoli di tradizione
che ora gravavano pesantemente sulle sue spalle.
Dietro di lei Shikami, la figlia di Shikamaru, agitò vivacemente la mano per
salutarla.
Questi erano stati loro, un tempo. Un mucchio di
ragazzini, ognuno con il suo sogno da realizzare.
Cosa ne era stato, della loro vita?
Con un sospiro ed un sorriso di circostanza, l’Hokage
rispose al cenno di saluto della ragazzina, che da quel momento diventò
bersaglio delle occhiate invidiose della piccola modella.
“Oggi…” esordì infine la kunoichi, incrociando le braccia
al petto e chiudendo per bene il soprabito da Hokage sul seno “… vorrei farvi
una domanda.”
Questo sembrò scuotere l’interesse dell’auditorio, dal
momento che persino i due ragazzini smisero di litigare.
Al silenzio che seguì, Sakura poté solo sorridere. “No,
no, non come un’interrogazione. Anche se non è un’idea così malvagia,
ripensandoci.”
Molti di loro sembravano per lo più tranquillizzati, e sostanzialmente
incuriositi.
“Perché volete diventare ninja?”
Fu la piccola modella ad alzare prontamente la mano, desiderosa
di attenzione. Lo fece con talmente tanto vigore, che Sakura dovette trattenere
a stento un sospiro. La piccola modella cominciava a ricordarle un po’ meno
Ino, ed un po’ più sé stessa. Sempre la prima ad alzare la mano, sempre quella
che si dimenava per rispondere alla teoria, non riuscendo a brillare nella
pratica.
“Si?”
“Il mio nome è Kazuki Sorashi. Mio fratello è convinto che
una come me non ce la può fare. Ma io voglio seguire le sue orme, Sakura-hime!
Non importa quello che dice lui, è un idiota. Non deluderò la mia famiglia.”
Asserì compunta la ragazzina, ritratto della determinazione.
La figlia di Shikamaru cacciò via una risatina, dissimulata rapidamente in
piccoli colpi di tosse. Tuttavia, la ragazzina la notò. Stava anche per replicare,
piuttosto mordacemente, ma Sakura ebbe il buonsenso di intervenire a spegnere
il fuoco. Sapeva dove andavano a finire, i litigi tra ragazze.
“E per quel che riguarda te, Shikami? Dato che hai tanto
da ridere, dico.” domandò, divertimento nella voce.
“Mamma dice che non accetta donne deboli in famiglia. Dice
che sua figlia non farà la casalinga per poi farsi sposare dal primo riccone
che capita.”
Questa volta, fu gran parte della classe a ridacchiare.
Compresa Sakura.
“Beh, sembra qualcosa che tua madre direbbe sicuramente.
Tuttavia…” soggiunse, di una nota un po’ più seria. “… non dovresti
intraprendere una vita del genere solo perché tua madre lo vuole.”
“Beh, papà non si è mai disturbato di esprimersi al
riguardo.”
“Tu la vuoi, una vita del genere?”
“… potrebbe essere emozionante. Sono piuttosto rassegnata,
comunque.” Biascicò la ragazzina, sdraiandosi quasi sul banco e lasciando
ciondolare le mani nel vuoto.
“Io diventerò Jounin prima di questo qui.” intervenne
ridacchiando il ragazzino con le lentiggini, indicando il brunetto al suo
fianco. “Così magari la smetterà di vantarsi solo perché è tutto pappa e ciccia
con la Yoko di seconda!”
“Almeno lei sembra essere oggettiva. Al contrario di te.”
Borbottò l’altro, occhi chiari ridotti a due fessure.
“Io voglio diventare forte, fare missioni di alto livello
per una decina d’anni, diventare ricco e ritirarmi a vivere una bella vita!”
dichiarò solennemente il ragazzino dal naso rotto, battendo la mano sul banco.
Questo sembrò suscitare ulteriore ilarità generale, che Sakura suo malgrado
rispettò.
Attese, perché il suo sguardo era concentrato su quella
ragazzina con gli occhiali, sola e ancora seduta composta al suo posto.
Tuttavia, il suo sguardo non era più sollevato ad osservare l’Hokage, bensì era
fisso sul pavimento dove i suoi tacchi a spillo poggiavano.
“E tu?” domandò Sakura, avvicinandosi piano. La sua voce
fu coperta dallo schiamazzo generale, ma la ragazzina sollevò lo sguardo da
sopra le lenti. La donna poté vedere la riluttanza scritta a caratteri cubitali
in quegli occhi sottili.
“… io…” esordì la ragazzina, pur non volendo davvero
rispondere alla domanda. Sakura sospirò, nel vederla esitare. “E’ un motivo
sciocco.” Mormorò alla fine, imbronciata, scostando lo sguardo.
“Non esistono motivi sciocchi.” Replicò stancamente
Sakura, piccolo sorriso sulle labbra. “I loro motivi sono migliori dei tuoi?
Certo non sono sembrati epici.”
“…è che… uhm…” la ragazzina abbassò la voce ad un filo
sottile, tanto che Sakura fece fatica a sentire il mormorio. “… pensavo solo
che sarebbe stata una cosa… buona. Proteggere il villaggio, intendo. La… mia
famiglia e… cose del genere, insomma. Tutto qui, non è una… insomma, una
motivazione vera e propria. Pensavo sarebbe stato… carino, tutto qui.”
Sakura non commentò, ma sorrise. Dandole una piccola pacca
sulla testa – momenti come questi le facevano desiderare un figlio più di ogni
cosa – sollevò lo sguardo all’intera aula. “Questi vostri sogni, li tenete
stretti al cuore per superare le situazioni più difficili, non è vero? Quando
fallite un test, quando non riuscite in alcun modo a fare ciò che vi dicono di
fare. Li ripetete, come una formula magica. O meglio, era quello che facevo io
quando avevo la vostra età. Tuttavia, arriverà un giorno in cui vi ritroverete
in una situazione disperata. Verrà la tentazione di fermarsi, a quel punto, e
di chiedersi: ‘hey, ma io, esattamente, cosa ci faccio, qui? Per cosa, sto
combattendo? Ne vale davvero la pena?’, vi chiederete.”
Il chiacchiericcio, lentamente, sfumò. Sakura misurò
l’aula a grandi passi, in silenzio, prima di tornare ad appoggiarsi alla
cattedra. Rassegnata, quasi, rinunciò alla tentazione di una sigaretta.
“… sapete, anche il Sesto Hokage aveva un sogno.” Mormorò,
e la sua voce era calda. Malinconica. “Sapete qual era il sogno del Sesto
Hokage?”
“… difendere il villaggio?” tentò la piccola modella,
senza cogliere la retorica della domanda.
“No, no.” Sorrise Sakura, soffocando una modesta risata.
“Il sogno del Sesto Hokage era di diventare Hokage. Siamo stati buoni amici,
sapevate? L’ho visto crescere, e lui ha visto crescere me. Da quando eravamo
all’Accademia, il suo sogno era stato solo uno. ‘Voglio diventare Hokage’,
’diventerò sicuramente Hokage’, lo ripeteva, strenuamente, fino alla nausea. Io
e… io e il nostro compagno di squadra avevamo l’abitudine di prenderlo sempre
in giro, sapete?”
“Quindi il Sesto Hokage aveva già realizzato il suo
sogno?”
“Oh, no, no. Il Sesto Hokage che conoscete voi è morto da
ANBU, sacrificandosi per il Villaggio e per tutti coloro che lo abitavano.” Non
c’erano più lacrime per quel ricordo, solo una fitta nostalgia dei tempi
passati. Un rimorso per aver rubato il suo sogno così prontamente dopo la sua
morte, un rimorso che aveva l’unico effetto di farla parlare sommessamente e
con devoto rispetto. “La Quinta Hokage lo definì il nuovo eroe del Villaggio, e
disse che era stato più degno del titolo di Hokage di quanto lo fosse mai stata
lei. Gli voleva bene.” Mormorò, con un sospiro. Filo di voce che i ragazzini
faticarono a cogliere. “Anche io gli volevo bene.”
Nessuno disse nulla, e l’Hokage riprese a parlare con un
vago sorriso che le aleggiava sulle labbra.
“Ci sono stati momenti in cui persino lui ha dubitato del
suo sogno. Quando il nostro compagno di squadra lasciò il villaggio, dubitò.
‘Come posso proteggere il villaggio, se non riesco a proteggere neppure il mio
migliore amico?’, diceva, e sono state le poche volte in cui l’ho visto
depresso. Alla fin fine, lui rideva sempre. Tuttavia, strinse i denti e
continuò a credere. A quel tempo eravamo giovani, e non era così difficile.”
Anche qui inserì una piccola pausa, incrociando lo sguardo di Iruka. L’uomo la
guardava, con un’espressione a metà tra il preoccupato ed il curioso.
Era uno sguardo che questionava la sua sanità mentale, e
che lei tranquillizzò con un gesto.
“Il nostro compagno di squadra inseguì il suo sogno fino
alla fine – oh no, non dovrei chiamarlo sogno, piuttosto ambizione
- e morì tentando di farlo diventare realtà. Tuttavia, il Sesto Hokage quella
volta non mise in dubbio il suo sogno. Io ero distrutta, ma gli dissi che non
doveva sentirsi in colpa: i loro sogni si erano scontrati, non sarebbe potuta
andare altrimenti. Ricordo che lui mi sorrise, quando glielo dissi. Poi mi
chiese se avevo soldi per offrirgli del Ramen.”
Qualche risatina incerta, evocata da quella di contenuta
di Sakura, si alzò timidamente nella stanza.
“… l’ultima volta che ha dubitato del suo sogno è stato il
giorno in cui si è sacrificato per il villaggio. ‘Sakura’, mi ha detto ‘ questo
è l’inferno. Cosa ci facciamo qui, noi?’. Eravamo feriti, recuperando le forze
in uno di quei rari momenti di pace che la guerra può offrire. Non seppi
trovare una risposta, quella volta. Fu il nostro maestro a rispondergli.
‘Perché abbiamo scelto di esserci, temo’, disse. Naruto… il Sesto Hokage
scoppiò a ridere, allora. Disse che aveva… perdonatemi la parola, ‘fottutamente
ragione’.”
Iruka la fulminò con lo sguardo, mentre molti degli
allievi scostarono lo sguardo, imbarazzati.
“Disse che se avesse dovuto dubitare di nuovo, avrei
dovuto dargli un pugno ben assestato. Non l’avevo mai visto così determinato,
da quando il nostro compagno di squadra era andato via.”
Quando Sakura non aggiunse nient’altro, il brusio di poco
prima tornò a serpeggiare fra i banchi. Soltanto la piccola diva, il ragazzino
con il naso rotto e la ragazzina con gli occhiali sembravano profondamente
persi nei loro pensieri. Shikami sembrava troppo occupata ad osservare la mosca
che le ronzava di fronte al naso.
“… Forse, se quel giorno non avesse deciso di dubitare
più, il Sesto Hokage sarebbe ancora vivo. Nessuno può dirlo. Questi nostri
sogni… sono pericolosi, ma sono ciò che ci permettono di andare avanti quando
pensiamo di non potercela più fare. E’ incredibile quanta forza ti possa dare,
credere nel tuo sogno. Potrebbero anche non avverarsi: entrambi i miei compagni
hanno inseguito con tutte le forze i loro sogni, hanno vissuto unicamente per
lo scopo di vederli realizzati, e sono morti tentando. I loro sogni non sono
mai diventati realtà. Ma non per questo, dovete rinunciare ad averne uno. Non
dovete… considerarli sciocchi. Non dovete mai perderli di vista. Saranno il
vostro obiettivo, il vostro punto di riferimento.” Piccolo sospiro, qui,
seguito da un sorriso misto di malinconia. Lo sguardo si posò su Shikami che,
stravaccata sul suo posto, la fissava. “Tuo padre ha realizzato il suo sogno;
non avrà rimpianti. Dovreste fare di tutto, pur di non avere rimpianti.
Pertanto, quando quel giorno arriverà; quando vi ritroverete a domandarvi ‘hey,
ma io, esattamente, cosa ci faccio, qui?’; quando non ricorderete più quello
per cui state combattendo, ricordatevi di oggi. Dei sogni su cui siete stati
sinceri, e di quelli su cui avete mentito per vergogna di mostrarli al mondo.”
Sia Shikami che il ragazzino dal naso fasciato furono tra
coloro che arrossirono a quel sottile commento, scostando lo sguardo.
“E’ un sogno che ha fatto di Naruto Uzumaki il Sesto
Hokage ed il ninja che è stato. E’ un sogno che mi ha spinta a voler diventare
allieva della Godaime. E’ un sogno che il primo Hokage ed il secondo Hokage
stavano inseguendo, quando fondarono Konoha. Ricordatevelo sempre: non sono
parole della Settima Hokage. E’ ciò che ho imparato dal Rokkudaime, e… penso
gli avrebbe fatto piacere, essere usato come esempio. Gli piaceva l’idea di
diventare un eroe. Era tutto ciò che volevo dirvi, questa mattina.” Concluse la
donna, sollevando una mano per torturare una ciocca dei capelli chiari sfuggita
alla crocchia sulla nuca. “Pertanto, Iruka-sensei, puoi riavere la tua classe,
se ti va.”
Il brusio fu quasi insopportabile mentre si avviava verso
la porta ed Iruka, con quel suo sorriso contornato di barba, sorrideva. “Non
che mi vada molto. O i bambini diventano sempre più incontrollabili, o sto
diventando vecchio anche io.”
“Hai più anni di me.” Replicò tranquillamente l’Hokage,
aprendo la porta. “Certo che stai diventando vecchio.”
Tuttavia, prima
che riuscisse ad abbandonare la porta, una vocina alle sue spalle la fermò.
“Sakura-hime!”
Varcata di già la porta, la donna si voltò appena per
guardarsi alle spalle. La ragazzina con gli occhiali era poco lontana, e si
affrettò in un inchino impacciato e frettoloso. “Grazie mille. Io… non dubiterò
più, davvero.”
Sakura non rispose, limitandosi ad un ironico saluto
militare. Sollevando il capo, la ragazzina sorrise e sgattaiolò di nuovo al suo
posto. LA donna chiuse la porta alle sue spalle, chiudendo via anche le voci.
Era stanca, si. Ma era stato il credo di Naruto, glielo
doveva. Gli doveva molte cose, a dire il vero.
Aveva trovato inutile parlare del suo sogno, di come la
sua missione era finita e fallita senza appello. Di come il suo sogno era
sfumato quando loro l’avevano lasciata, di come per colmare quel vuoto lei
aveva preso in prestito il sogno di Naruto senza neppure chiedergli il
permesso.
L’aveva rubato, come un ricordo, un trofeo, un oggetto che le avrebbe potuto
ricordare che lui, tanto e troppo tempo fa, era esistito. Non ne aveva
avuto l’intenzione né la forza: faticava ad ammetterlo persino a sé stessa.
E, francamente, aveva bisogno di una sigaretta.
A/N: Credo che questa AN sarà dedicata a Allibito che ha recensito
Four Twelves are forty-eight. Non so se leggerà quello che ho da dire, perché
sinceramente son rimasta allibita anche io nel leggere il suo commento. Un po’
ferita, anche.
Primo,
non prendo alla leggera le malattie mentali. Mio nonno, poco prima di morire,
era in una situazione vicina alla malattia mentale, sebbene il problema fosse ben altro. Ero piccola, certo – si sarà trattato di
sei, sette anni fa. E magari non voglio confrontarlo con la situazione in cui ti trovi - anche se mi secca dare un "peso" ad ogni dolore, il dolore è dolore e basta. Ma ricordo perfettamente cosa significava, stargli accanto
mentre vaneggiava, e soprattutto il modo in cui ti si riduce il cuore vedendo
una persona a cui volevi bene in quello stato.Non è mia intenzione “usare la malattia mentale perché fa figo e fa
leggere la gente”. E’ quello che mi ha offesa, principalmente, del commento. Perché
è una cosa che non farei mai.
E
sicuramente non era mia intenzione offendere nessuno.
La
scelta stilistica che ho adottato in quella shot è stata una scelta ponderata:
sulla caratterizzazione di Ino probabilmente non ho fatto un ottimo lavoro,
perché non mi sono mai trovata nella situazione di Ino. Questo lo posso capire.
Tuttavia,
la caratterizzazione di Shikamaru è stata ponderata a lungo; ognuno affronta le
tragedie a modo suo. E, francamente, è l’unica reazione che potevo vedere in
Shikamaru in un momento del genere. La scelta dello stile secco, non
approfondito, è un riflesso dello stato emotivo di Shikamaru: rassegnato. Le
descrizioni superficiali sono per far spazio a ciò che viene detto. Che, a
volte, ha più valore emotivo di ciò che viene scritto. Bisogna leggere tra le
righe.
Cerco
di affrontare ogni argomento che affronto nel modo che ritengo il migliore
possibile. Tuttavia, non sono una scrittrice professionista. A volte le scelte
che faccio sono “esperimenti” di stile. Che può fallire o meno nel comunicare
ciò che vorrei. Inoltre, è una delle prime della raccolta, risale quasi ad un anno fa. Sicuramente anche quello sarà influente nello stile. Rimane pur sempre a testimoniare dello stile di una quindicenne che ( non per mancanza di tentantivi, sia chiaro >.>) non è ancora Dio. -_-"
Idiozie a parte, mi dispiace che tu ti sia
sentito offeso. Sicuramente non è mia intenzione offendere nessuno. Oh, certo, offendere mi piace. Ma non su queste cose.
Capitolo 26 *** 38. Hard, but much truer. [ Team Seven. ] ***
“Fai sempre promesse che non puoi mantenere
A/N: … vi avverto. E’ una what if
sul ritorno di Sasuke, che poco ha a che fare con la piega presa da Kishimoto.
Vi avverto anche che a tratti è semplicemente surreale, e non riesco a capire
perché. Non so più scrivere, me ne sto rendendo conto. Oppure ho esaurito le
idee. Ma vabbeh. Vi lascio in pace. Sentitevi liberi di prendermi a sassate *ç*
Diciamo che sto depressa per svariati motivi, ne, quindi lascio sfogo alle mie
idee più… idiote.
In quanto What if, c’è pericolo di OOC. Ma, leggendo, mi sembra che sia
più che giustificato.
[inoltre, chi mi conosce sa che cerco in tutti i modi di mantenerlo.
Ma, a volte, chiede solo di spuntar fuori ._.”]
Ironia e sarcasmo sono diffusi qui e lì per tutta la fic, tuttavia. E’
l’umore, e vi chiedo scusa. Sono una principiante, non so staccare l’influenza
dell’umore dalla scrittura °_°”
“Fai
sempre promesse che non puoi mantenere! Equivale a mentire, lo sai?”
“Non è
affatto vero, Sakura-chan! Questa è cattiveria gratuita.”
“No,
questa è idiozia, gratuita! …Non importa più, Naruto. Davvero, non importa
più.”
“Ma
dico, non lo vedi che sei tu a mentire? Dovresti essere più sincera!”
“Io sono
sempre sincera, lo sai!”
“Non è
affatto vero. Tu vuoi che torni, a tutti i costi, no?”
“Prima,
magari. Prima avrei fatto di tutto per vederlo a casa. Ora…”
“… ed io
ho promesso, Sakura-chan! Non ritiro mai la parola data! E’ il mio credo
Ninja!”
“Finirai
con l’ammazzarti, Naruto!”
“… Non
importa.”
“Ed il
tuo sogno di diventare Hokage, allora?!”
“Beh,
almeno finirò sulla lapide degli eroi di Konoha.”
“Smettila.
Non fai ridere per niente.”
“Dannazione,
Sakura-chan! Quando fai così sei insoppor…”
“Non-”
“… ta…
bile. Scusami.”
“- Non
c’è bisogno di ripetermelo. Lo so già.”
“Scusami,
Sakura-chan, non intendevo...”
“… non
ti preoccupare. Io… credo andrò a casa. Sono stanca e, al contrario di te, ho
cose importanti da fare.”
“Anche
io ho cose importanti da fare.”
“Naruto,
tu hai cose impossibili da
fare.”
“Tch.
Non è affatto vero.”
“Sì,
invece. Sono passati tre anni, ormai! Per quanto io voglia riaverlo indietro,
io… io non posso chiederti di riportare indietro i morti. E’ impossibile.” “…”
“I morti
non possono tornare a casa, Naruto”
Il primo litigio era avvenuto nei primi giorni di settembre.
Il secondo, una settimana dopo.
Il terzo, tre giorni dopo.
Il quarto, il giorno dopo.
Da quel momento, per un anno intero, avevano litigato almeno una volta al
giorno. Sempre che non litigassero per tutto il
giorno, e sempre che non si ignorassero, ancora fomentati e contrariati dalla
lite del giorno precedente.
Sembravano litigare su copione, Sakura e Naruto, ed ogni lite era una copia
sbiadita di quella precedente.
La Squadra Sette si stava finalmente, lentamente,
distruggendo del tutto.
Lei, ormai arresasi con razionalità di fronte all’evidenza, accusava lui di
perdere tempo ed essere infantile.
Lui, con l’ostinazione infantile di un bambino, accusava lei di essersi arresa
troppo prontamente alla realtà.
Alla fine, avevano ragione entrambi.
Lo sapevano, eppure non l’avrebbero mai ammesso l’uno di fronte all’altra.
38. Hard, but much Truer.
Erano passati quattro anni, da quando l’Uchiha se n’era
andato.
Non una notizia sfuggita dal Villaggio del Suono, non un sussurro indiscreto.
Il nome di Sasuke Uchiha, dopo un discorso pomposo e troppo noioso - un
discorso che l’Uchiha avrebbe sicuramente detestato contutto sé stesso - era stato convenientemente
nascosto, accantonato, messo da parte e dimenticato.
L’intero Clan Uchiha era diventato, tra i più giovani, quasi una leggenda, un
flebile ricordo di ventagli rossi e bianchi che ne erano l’emblema. Una favola
raccontata, una storia di seconda mano, una favola intrinseca di sangue e
tradimenti. Gli Uchiha erano il male incarnato in terra, e quelle favole
avevano assunto ormai la funzione di deterrente per qualunque azione lievemente
ribelle dei più piccoli.
Gli Uchiha erano diventati ciò che, qualche anno prima,
era stato il Kyuubi.
“Non fare così, o Itachi Uchiha verrà a prenderti!”
L’intero quartiere residenziale del Clan era spettrale ed
abbandonato a sé stesso – dal massacro, lo era sempre stato –e non era
difficile vedere ragazzini dell’accademia tentare di spaventarsi lì nei
dintorni, con racconti ai limiti dell’horror di classe B.
Sussurri indiscreti scivolarono tra gli ANBU e tra i
Jounin di più alto grado, ma rimasero soltanto tali.
Sussurri indiscreti.
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
Sasuke era morto, tuttavia il Team Seven, per un po’,
finse accortamente che non fosse mai esistito.
Non se ne parlò più per un po’ di tempo: soltanto uno dei
tanti, troppi tabù fra loro.
Nonostante tutto, Naruto non si stupì quando una sera
Sakura, quasi distrattamente, deglutì l’ultimo boccone di mitarashi dango e
serrò le labbra, sibilando un caustico e velenoso “Lo voglio uccidere
io.” Lui, che stranamente non sorrideva, l’aveva guardata.
“Quello stronzo di Orochimaru, lo voglio uccidere io.”
Naruto non aveva discusso, e si era limitato a stringere le labbra.
Per
la prima volta in quattro mesi, avevano trovato qualcosa su cui non vi fu
affatto bisogno di litigare.
Fu
l’ultima volta che l’argomento ‘serpente’ fu affrontato.
Ogni volta che Naruto riprovò a sollevarlo, in seguito, Sakura si limitò a far
finta di nulla.
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
Poi
(un’uggiosa domenica mattina di gennaio, quattro anni e mezzo dopo la sua
diserzione) Sasuke Uchiha avevadeciso
di abbandonare l’oblio e si era presentato alle porte del Villaggio.
Semplicemente,
si era presentato lì, come se nulla fosse.
Coperto
di sangue secco, vecchio, dalla testa ai piedi.(come conviene ad ogni fantasma)
Occhi
gonfi e lucidi, ma viso asciutto.
Occhiaie
incavate sotto gli occhi del viso scarno.
Labbra screpolate, strette in un'unica linea tirata.
Pugno
serrato, spasmodicamente, sull’impugnatura della kusanagi.
Nocche
bianche, spigolose, tremanti.
Non
era in granché diverso da una cadavere riesumato da un passato che ormai
sarebbe dovuto essere solo passato, se non per il mero fatto che – oltre ogni
ragionevole dubbio – Sasuke Uchiha respirava ancora.
Silenzioso
come un ombra, aveva sollevato lo sguardo vacuo e lievemente braccato sulle
mura dove sapeva si trovavano i Jounin di guardia.
Ed
i Jounin, pagando il dovuto tributo di silenzio al fantasma, avevano saputo
soltanto ricambiare quegli sguardi.
Quello
del Ninja Traditore Sasuke Uchiha
e
quello della testa che teneva compulsivamente stretta in quella mano ossuta,
per i capelli arruffati e nodosi.
La
testa del Ninja Traditore Itachi Uchiha.
I
Jounin raccontarono, a pranzo, di come quel fantasma – attualmente preso in
‘custodia’ dall’Hokage - avesse un’aria tremendamente soddisfatta.
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
“Ripeterò
la domanda, Uchiha. Hai nulla da dire in tua difesa?”
“…
Assolutamente nulla.”
Sasuke-kun
era, indubbiamente, lì. Nel significato più semplice e letterale della parola.
Nessuna
metafora, nessuno stucchevole “Sasuke-kun sarà sempre qui con noi” che Sakura era
riuscita a pronunciare - con quell’aria seria e triste e la mano sul cuore –
senza farsi effettivamente venire il diabete.
Sasuke-kun
era lì e basta. Un fantasma rigurgitato, vomitato fuori da quelle storie
d’orrore di classe B.
Se
ne stava seduto lì, nell’ufficio dell’Hokage, come se niente fosse. Coperto di
sangue – vestiti rigidi di sangue secco, schizzi sul viso, mani del tutto
macchiate di rosso – guardava accigliato e vagamente vacuo un punto alle spalle
dell’Hokage, fuori dalla finestra.
Sistemata
in grembo, la testa di Itachi Uchiha che non sembrava aver alcuna intenzione di
lasciar andare. Non ancora. Incosciamente, passava le dita ossute tra i
capelli, quasi a scioglierne i nodi. Cipiglio seccato – che gli era sempre
appartenuto, eppure del tutto fuori luogo – stampato sul viso.
Sakura
era rimasta semplicemente in silenzio, e non aver neppure provato ad aprir
bocca. Una scelta saggia, a dire il vero, giacché temeva la possibilità che,
schiudendo le labbra, avrebbe potuto vomitare – metaforicamente o meno – tutto
ciò che aveva dentro.
Naruto,
invece, si concesse qualche momento di iniziale balbettio, senza riuscire
tuttavia a tirar fuori un suono soddisfacente. Alla fine, silenzio per
silenzio, rimase zitto anche lui.
La
Godaime, che aveva appena sollevato lo sguardo al loro arrivo, si limitò a
sollevarlo di nuovo – troppo stanco, troppo stressato – quando la porta si aprì
una seconda volta. L’ultimo ad arrivare – una routine antica e rassicurante,
quella – fu Kakashi-sensei. L’unico occhio scuro del maestro si posò interdetto
sull’Uchiha, e lì si fermò, battendo ciglio. Poi, da ultimo arrivato, fu il
primo a rompere il silenzio, con quel tono prettamente colloquiale.
“Ma guarda. Da quanto tempo, Sasuke-kun.”
In
quel momento, Sakura lo trovò più detestabilmente insopportabile del solito.
Schioccò la lingua e scosse il capo, incredula. In qualche modo, non era
affatto contenta.
Era spiazzata e, in una piccola parte di lei, seppellita profondamente in un
cantuccio oscuro, molto oscuro del suo cuore, quello pieno di ragnatele perché
lei era – dopotutto - una brava ragazza, si sentiva furiosa.
Misurò
le parole che seguirono molto, molto cautamente. “Perché… perché sei qui, Sasuke…kun?”
Questo
parve scuotere il ragazzo, che si limitò a spostare lo sguardo dalla finestra a
lei. Uno sguardo stranamente limpido, ma insipido. “… il mio dovere di
shinobi.”Risposta caustica e secca,
buttata lì come se fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo.
Come
sarebbe stato naturale, pensò distrattamente Naruto, vedere Sakura gettare le
braccia al collo dell’Uchiha, piangendo e ridendo e gridando al mondo quanto
fosse contenta che lui fosse finalmente tornato.
Non
accadde, forse perché Sakura aveva da tempo finito le lacrime, e pensava che
senza lacrime lo spettacolo non avrebbe avuto un granché di successo. La
ragazza si limitò a crucciare le sopracciglia, scuotendo il capo. Labbra appena
schiuse, incerte se ripetere o meno la domanda.
“Il
cadavere di un Uchiha è un cadavere pieno di segreti.” Soggiunse il ragazzo,
non un inflessione sul viso diversa dalla semplice disinvoltura che sapeva dei
giorni passati. “Senza rumore e senza odore. Non è questa la fine di un ninja?”
Stranamente
lucido, considerato che stava parlando di suo fratello. Sakura si limitò a
scuotere il capo, ma Kakashi-sensei fece spallucce. “Avresti dovuto riportarne
tutto il corpo, indietro, Sasuke-kun. E’ l’intero corpo che va sistemato.”
“…
non ne era rimasto granchè.” Si giustificò lui, crucciando appena le
sopracciglia. Una debole protesta, quasi risentita.
“Che
senso ha, poi, parlare di salvaguardare i segreti dello Sharingan, quando li
hai venduti tutti, dal primo all’ultimo, ad Orochimaru?” fu la domanda quasi
stizzita della Godaime, mentre questa si lasciava cadere contro lo schienale
della sedia.
“Ma
Orochimaru è morto.” Risposta piatta.
Sopracciglio
biondo inarcato.
“Davvero?”
“Poi,
volevo visitare le tombe. E’ da molto tempo, e gli spiriti saranno irrequieti.
Questo se, ovviamente, me lo per…” riprese Sasuke, quasi a voler terminare
d’offrire le sue spiegazioni a Sakura.
L’Hokage,
semplicemente, sembrava pensare che tutto questo fosse un sogno. Per un attimo,
Naruto vide in lei la tentazione di alzarsi dalla scrivania ed andare a
sbattere la testa contro il muro.
“Sasuke
Uchiha. Ninja traditore del villaggio della Foglia. Ti prego, illuminami sul
perché dovrei semplicemente accettarti indietro nel villaggio. Illuminami. Ti
ripeto, hai qualcosa da dire in tua difesa? Una scusa? Il Consiglio vorrà la
tua, e la mia, di testa.”
Stanca,
distrutta, esasperata Tsunade-hime.
Sasuke
fece spallucce, e Sakura frenò l’impulso di ricordare alla Godaime il bel
discorso con cui aveva dichiarato sospese le ricerche per l’Uchiha, sebbene
l’intera situazione fosse talmente assurda da risultare quasi divertente.
“Era un ninja promettente.” Aveva detto, perché alla fine tutti parlano bene dei morti. “Ma
era solo un ragazzino, fin troppo malleabile dalle situazioni e dalle promesse
di chi è più grande di lui. E, purtroppo per lui, si è trovato coinvolto in
qualcosa di tremendamente più grande di lui. E’ stata una grave perdita, per il
villaggio. Il Clan degli Uchiha è, da oggi, dichiarato estinto.”
Il
Consiglio aveva mormorato qualche parola d’assenso, e a Sakura era parso di
sentire anche qualche ‘un vero peccato’, e qualche ‘io da piccolo lo conoscevo, sì,
un tesoro di bimbo’
ed un ‘conoscevo suo padre’ che, a dire il vero, non c’entrava assolutamente nulla.
Quel
giorno, la kunoichi aveva quasi potuto sentire il ‘vabbeh, in fondo era
un bravo ragazzo, vittima delle difficoltà della vita’ che aleggiava fra le linee, dietro tutte
quelle parole ‘peccato per il Clan, ma la vita è la vita, e la vita va
avanti. Ora fuori dalla mia vista, ho documenti da firmare, io’.
Kakashi-sensei
sembrò leggerla nel pensiero. “Era un ninja così promettente, Sasuke-kun.
Peccato si sia trovato coinvolto in questa follia. Era un così bravo ragazzo,
in fondo.”
Un
sospiro esasperato da parte dell’Hokage, un semplice sopracciglio inarcato da
parte di Sasuke ed una risatina aliena e del tutto fuori luogo da parte di
Naruto che – tuttavia – ancora non riusciva a dire nulla.
Il
silenzio che cadde negli attimi che seguirono fu, nonostante tutto, sempre
troppo freddo.
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
( Ciò di cui Sakura aveva
avuto paura, nei tre anni trascorsi ad aspettare – verrebbe da domandarsi se
non fosse il suo passatempo preferito – era che Sasuke rifiutasse l’abbraccio
ed il bacio che lei si era ripromessa di dargli una volta che lui fosse tornato
a casa. A dire il vero, Sakura non aveva provato alcuna voglia di far niente
del genere, quando l’aveva visto. Il pensiero l’aveva fatta star male e l’aveva
fatta sentire a disagio, come se avesse dovuto abbracciare e baciare un
estraneo. Quel Sasuke non era il suo Sasuke, lo ricordava diverso.
Non era sicura di voler
avere di nuovo a che fare con quello sguardo vacuo, con quelle mani che avevano
tenuto stretta al petto una testa mozzata, la testa mozzata di suo fratello.
Le dava la nausea. Eppure
non ne aveva il diritto, no? Era sempre Sasuke-kun.
Si sentì stranamente in
colpa quando, sentendo che sarebbe toccato a Naruto tenerlo d’occhio negli
arresti domiciliari, non poté fare a meno di tirare un sospiro di sollievo.
Quella notte sognò la
testa di Sasuke-kun che le chiedeva, piangendo, perché lo aveva lasciato
andare.
Si svegliò vomitando.)
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
La
presenza di Sasuke gravava su di loro più o meno come una spada di Damocle.
Sakura
tentò di tenersene alla larga il più a lungo possibile, quel senso di disagio e
sconforto aderito ormai del tutto al cuore. Quella sensazione orribile le
impediva di riposare bene la notte, e cercò di dedicare anima e corpo al suo
lavoro di medico.
Naruto,
invece, poteva dedicare anima e corpo solo alla missione che gli era stata
affidata dall’Hokage, e Sakura si sentiva un po’ in pena per lui. Quelle poche
volte che aveva visitato i due in quel limbo, li aveva colti sempre fin troppo
intenti ad accapigliarsi e a prendersi a pugni (non sembrava molto una cosa
reciproca, a dire il vero, in quanto per qualche motivo era sempre Sasuke a
finire per terra e guardare Naruto dal basso, con quello sguardo che diceva
soltanto ‘okay, e ora?’ ed era Naruto, apparentemente, a riniziare ogni lite).
Ogni
volta, reagiva più violentemente del voluto, lei.
Sentiva
le lacrime affacciarsi agli occhi, e gridava, gridava di smetterla e si
intrometteva a dividerli e – ogni volta – ci riusciva. Si mordeva il labbro,
nervosa, scuotendo il capo e piantando le unghie nei palmi delle mani.
Non
diceva molto, quelle volte. Per un paio di giorni, si rifiutava di vederli.
Sasuke
si limitava, ogni volta, a guardarla dal basso con quello sguardo stanco.
oOoOoOoOoOoOoOoOoOo
“Non
si può tornare indietro, vero?”
Naruto
si limitò a stringere un po’ più la benda attorno alla mano pallida e ossuta,
broncio infantile sul viso.
“Non
si può tornare a quattro anni fa.” Non più una domanda, ma un commento acido,
caustico, disilluso.
Con
un lieve retrogusto, amaro, di ‘ve l’avevo detto’.
Il
biondo schioccò la lingua, spostando lo sguardo su quel graffio che, sul
braccio, colava timidamente sangue.
Non si preoccupò di medicarlo in alcun modo, poiché tanto sarebbe guarito
comunque.
“Perché
sei qui, Sas’ke?”
Sempre
la stessa domanda. Sempre la stessa identica domanda. Sasuke sbuffò, ritraendo
la mano bendata e facendo spallucce. Questa volta, con aria semplicemente
rassegnata. “Non c’è nient’altro per me, là fuori.”
Non c’è più una ragione per vivere, là fuori. Lontano da
casa.
Naruto
aveva voglia di piangere, davvero.“Quindi, sei tornato.”
Le
labbra pallide si strinsero, e quegli occhi scuri evitarono il suo sguardo.
Sopracciglia leggermente corrucciate.
“Due
anni fa…”
“…
se non fosse intervenuto quel bastardo, ci avresti uccisi. No?”
“…
nonostante tutto, sei venuto, con quella faccia da idiota… voi… ti avrei ucciso
davvero, dobe. Ti avrei ucciso davvero.” Un sussurro.
“Lo
so.”
Perché
quei legami facevano solo male, no? Quei legami facevano male, si
sovrapponevano l’uno sull’altro, come una ragnatela, e ti tenevano stretto e
non ti facevano più respirare e tu eri costretto a vivere per quei legami.
A
soffrire, per quei legami.
“’Ho
promesso a Sakura-chan che ti avrei riportato a casa, Sas’ke.’” quotò l’Uchiha con tono
piatto, distrattamente, poggiando la schiena contro il muro. Da
quell’angolazione, le occhiaie sembrarono ancora più evidenti.
“…
immagino di aver detto così, sì.” Un sorriso, non troppo sentito, si affacciò
alle labbra di Naruto.
Bei
tempi, quelli. Passati, ma belli.
“L’hai
detto. Nonostante tutto… tutto quello che ho fatto, l’hai detto.”
Il
silenzio che calò fu, come sempre, troppo freddo. Lievemente a disagio, Naruto
scostò lo sguardo sulla porta aperta, gettando uno sguardo sulla cucina. Aveva
fame. Un po’ di Ramen, forse…
Intanto,
il fantasma di Sasuke continuava a stare in silenzio. Con la coda dell’occhio,
Naruto lo vide massaggiarsi distrattamente il livido causato da un pugno, non
veramente meritato.
“Li
ho uccisi, sai. Orochimaru ed Itachi.” Commento distratto, buttato lì per lì.
Naruto
non era sicuro di aver voglia di ascoltare. Non era sicuro di voler essere lì.
[Non
era sicuro di volere ancora quel Sasuke a casa. Affatto.]
“…
era davvero tutta rossa, la radura.” Stava mormorando l’Uchiha, ginocchia
strette al petto, fronte corrugata. Eppure, lo sguardo era lontano, braccato.
“Nii-sa… Itachi era
semplicemente lì, ed io… io non sentivo assolutamente nulla.”
Delusione,
amara.
“Avevo
voglia di gridare. Avevo voglia di distruggerlo, quello stronzo.”
Ed
infatti, non ne era rimasto granché. “Poi ho… ho pensato… ho ricordato ciò che
avevi detto. Ho pensato a Sakura, quella notte. Piangeva. Ho pensato che…”
Non dirlo, non dirlo, non dirlo…
“…
avreste potuto essere sinceri. Che… ci fosse ancora un posto in cui…”
Lo
sguardo di Naruto si spostò sul pavimento, lievemente adombrato. “Sas’ke…”
esordì, ma fu ancora una volta interrotto dal suo vecchio compagno di squadra.
Dal
suo vecchio amico (che, in quel momento, gli sembrò più vecchio di quanto
avesse dovuto).
“…
ma, alla fine, era solo un’abitudine, no?”
“Cosa
intendi dire?”
“Quella
di insistere così ardentemente di rivolermi a casa. Non potrà mai essere tutto
come prima.”
“…
hai ragione.”
Probabilmente,
Sasuke si era aspettato qualcosa di assurdamente idealistico, come ‘insieme
ce la possiamo fare’,
oppure ‘siamo compagni di squadra, riusciremo a cavarcela’.
A quella risposta, l’Uchiha non trovò altra replica che il silenzio.
Non
aveva ucciso Naruto.
L’aveva
semplicemente disilluso.
In qualche modo, non sapeva quale delle due sorti fosse peggiore. Tuttavia,
pensarci in quel momento sarebbe stato ormai del tutto inutile.
“Ci
siamo arresi un anno e mezzo fa, Sas’ke. Sakura si è arresa anche prima. Non ce
la faceva più ad aspettare, sai.”
“Ha
paura di me, non è vero? Che ti faccia del male. Che vi…”
“Come
puoi biasimarla?”
“Non
si fida di me.” labbra strette, contrite.
“Ha
avuto molti incubi, a causa tua.” Era una spiegazione semplicistica, ma Naruto
ricordava fin troppo bene – avrebbe preferito dimenticare, a volte, ma aveva
una memoria abbastanza decente - lo stato di Sakura dopo quegli incubi. Erano
state le poche volte in cui la ragazza lo aveva abbracciato di sua iniziativa,
stretto, quasi avesse paura che – un giorno sempre troppo poco lontano – anche
lui sarebbe scomparso.
Sasuke
sospirò, e scosse il capo. Ancora una volta, quello sguardo vuoto, stanco.
Forse, ora che Naruto ci faceva vagamente caso, lievemente deluso.
Sasuke
era tornato a Konoha, in cerca di una ragione per vivere.
E,
semplicemente, non l’aveva trovata.
“Mi
dispiace. Non volevo arrendermi. Davvero, non volevo arrendermi e smettere di…
provare, non volevo smettere di… ma ci stavi distruggendo, Sas’ke. Me e Sakura.
Non c’eri, e la tua assenza ci stava… ” mormorò Naruto, deglutendo.
“Vi
siete costruiti una vita.” Constatazione che ignorava del tutto le scuse del
ragazzo. Ma il biondo si limitò a sollevare lo sguardo, vagamente ferito.
“…
avremmo dovuto aspettare. Avremmo dovuto…”
“No.
Non avevo il diritto di chiedervi una cosa del genere, dopotutto.”
Ed,
ancora una volta, il silenzio. Il silenzio che opprimeva i polmoni, come la
nebbia troppo fitta in cui Sasuke aveva gettato via la sua vita per salvare
quella del suo compagno di squadra. Quel Sasuke era morto.
Naruto
non aveva ancora avuto il coraggio di rivelare a quel fantasma che la sua
lapide, piccola, effimera, era stata sistemata da lui e da Sakura fuori dalle
mura del Villaggio. Non aveva avuto il coraggio di rivelare quante lacrime la
ragazza aveva sprecato, su quel pezzo di legno.
“…
una vita dove non c’è posto per me.”
Un
borbottio fra Sasuke e Sasuke, che Naruto sentì comunque. Ancora una volta,
tuttavia, non ebbe il coraggio di dire che, effettivamente, Sasuke non era
rientrato tra le opzioni. Sasuke era morto, non poteva rientrare tra le
opzioni.
Avevano
dovuto lasciarlo andare. Il suo ricordo stava distruggendo quel po’ che era
rimasto della Squadra Sette.
Lo
stava corrodendo dall’interno, subdolamente, amaramente, ossessivamente, come
solo il ricordo di qualcosa perduto può fare. Come solo Sasuke-kun, come solo
Sas’ke avrebbe potuto fare.
“Le
cose sono cambiate. Mi dispiace.” disse, soltanto.
“Immaginavo.
E’ stato sciocco da parte mia.”
Andar via.
Vendere il corpo.
Vendere l’anima.
Tornare.
Credere.
Pretendere di trovare tutto come prima.
“…
è sempre stato sciocco da parte tua, teme.”
E,
su questo, l’Uchiha non ebbe assolutamente nulla da obiettare.
A/N:
probabilmente è una delle poche volte che domando una cosa del genere.
Tuttavia, ho molto a cuore questa shot, in quanto è la prima, prima volta che
mi azzardo a scrivere qualcosa che sta del tutto nella mia testa, una di quelle
cose su cui mi piace fantasticare. Le altre stan nella mia testa mentre le
scrivo. Questa è pensata tremendamente prima. Ce l’ho particolarmente a cuore,
inoltre, per un secondo motivo. Sto cercando di ritornare a scrivere
decentemente, e ce la sto davvero mettendo tutta é.è Diciamo che è difficile,
con il calo che ho avuto.
Ogni
recensione, possibilmente costruttiva, è decisamente gradita per questo pezzo.
Positiva o negativa che sia.
Per
quanto riguarda l’ooc, [so già che arriverà, in qualche modo XD] ho solo da
dire che volevo giostrarmi un Sasuke senza più ragione di vivere – e che non ha
ottenuto esattamente pace dalla morte di Itachi, come credeva – una Sakura
talmente stanca di star male da essersi conto della necessità di dimenticare, e
un Naruto che si sente in colpa d’aver dimenticato e d’essere andato avanti
anche lui, anche se solo per il bene di Sakura.
Bambi88: Kakashi è un personaggio che sto ancora cercando di imparare a
scrivere. ^^” E’, penso, quello che avrebbe fatto in una situazione del genere.
Son contenta che ti sia piaciuta ^^ Ed era proprio patetica, che doveva
sembrare. Un po’ come il “penosa” di Suzako, son contenta che la sensazione sia
arrivata *_*
Suzako: vedi sopra *_* Hai fatto passi da gigante, Suzako-chan! Ma non
l’hai capito che scrivo soltanto per farti diventare fan delle SakuSasu,
sciocchina? Ù_ù”” Le allieve avevano quel po’ di caratterizzazione che serviva
per non farle essere semplicemente pretesti per il punto di vista esterno é.è
Sebbene li critichi, mi piace da morire creare OC *:*
Rory_chan: devo dire a suzako di commentare più tardi, allora ù_ù” Coff, coff. Hai
pianto? Non era mia intenzione é.è Chiedo umilmente perdono, sumimasen! Grazie
mille! ^^
eleanor89:
un po’ mi vergogno a postar questa dopo quel commento °_°” Avrei dovuto trovar
qualcosa di migliore, ma vabbeh °_° Ormai è fatta. Sono totalmente lusingata, e
ho dovuto impiegare un paio di aghi per sgonfiarmi l’ego >_>”” Grazie
mille *ò*
Capitolo 27 *** 39. The Need to hold Still. [SakuSasu] ***
39
39. The Need to Hold Still.
Sakura scoppiò a ridere, coprendosi le labbra con una
movenza prettamente femminile, quindi scosse il capo: quasi volesse scuoter via
quella risata, come un cane troppo bagnato cerca di scuoter via l’acqua in
eccesso.
I raggi del sole pomeridiano giocarono per un attimo sul suo viso, calcando le
occhiaie così calcate che, effettivamente, non avrebbe dovuto avere a
quell’età.
“Si, lo so, lo so.” Mormorò distrattamente, prima di
sollevare una mano insanguinata per poter scostare una ciocca di capelli fuori
posto. Sospirò, riportando lo sguardo sulla gamba ferita del paziente -
apparentemente privo di coscienza-sdraiato sul lettino asettico.
“Ma sei sicuro di poter star qui, Sasuke?” soggiunse,
dedicandosi a stringere al meglio la benda attorno alla ferita.
Con la coda dell’occhio, vide Sasuke sorridere e fare
spallucce, come niente fosse.
“Se non posso star qui, me lo verranno a dire.” Sbuffò,
caustico, con quel solito (antico, passato)
tono di noia che permeava ogni parola nata da quelle labbra. Sakura sorrise,
dando un’ultima stretta alla medicazione, prima di sollevare le mani, rese
lievemente attaccaticce dal sangue.
“Ah, finisce sempre così.” Commentò, disinvolta,
provvedendo a dare una prima pulita con il panno che aveva poggiato sulle
lenzuola ed alzandosi dalla sua postazione accanto al lettino. Gli occhi verdi,
innamorati e rapiti, incontrarono quelli di Sasuke, che si limitò a ricambiare
lo sguardo.
Il panno cadde a terra mentre le loro labbra si
incontravano, mentre le mani di lei, ancora sporche di sangue, si fermavano
sulle sue spalle.
Dal basso del lettino, il Jounin Rock Lee l’osservava, con
occhi più tristi di quanto avrebbe voluto.
“Sakura-chan, il Ramen lo paghi tu, vero?” la voce di
Naruto aveva un che di bastonato, quella mattina.
Aveva un che di bastonato da troppo tempo, ormai, eppure… lui sorrideva sempre,
no?
Quindi, alla fine, Sakura non ci vedeva assolutamente nulla di sbagliato.
“Ah, va bene, va bene. Tanto vale. Sasuke, tu non hai
fame?” domandò, con voce pratica e gioviale, voltandosi per accertarsi che
Sasuke-kun li avesse davvero seguiti fino ad Ichiraku
e non avesse preferito andare da qualche altra parte, a
godersi un po’ di pace.
Ma il volto di Sasuke-kun era lì, accanto a lei, ed i suoi
occhi la guardavano, protetti dall’ombra del coprifronte della Foglia. “Non ho
molta fame.” Fece spallucce lui, alla sua domanda.
Lei sospirò, sollevando gli occhi al cielo, prima di scuotere il capo. “Mangi
così poco. Giuro che non ti ho mai visto mangiare. Finirai con qualche disturbo
alimentare, così.”
Naruto si limitava ad osservarla, distratto, mentre quelle
parole abbandonavano le sue labbra.
“Due porzioni di Ramen.” Ordinò lei, con aria rassegnata.
Seguì qualche attimo di silenzio, prima che il biondo
riuscisse a trovare qualcosa da dire – esiste una prima volta per tutto, a
quanto pare. “Com’è andata all’ospedale oggi, Sakura?”
“Mah, bene. La solita noia. A quanto pare Tenten è
riuscita a piantare quattro kunai nella gamba di Lee. Non voglio neanche sapere
come ci sia riuscita.” Cinguettò la ragazza, prima di dividere le bacchette di
legno. “Una vera noia. Fortunatamente Sasuke è riuscito a trovare il tempo per
venire a trovarmi.”
L’espressione di Naruto si rabbuiò appena a quella
confessione, prima che egli portasse tutta l’attenzione sul Ramen.
Sakura notò quel cambiamento
(gelosia? Sei geloso, Naruto? Ancora, tu…)
e si limitò a sospirare prima di dedicarsi alla sua
porzione.
Si sentì sollevata quando la mano di Sasuke si poggiò, rassicurante, sulla sua.
“Oy,! Sakura, Naruto.” la voce di Kakashi – Kakashi e
basta, per lei, sebbene per Naruto fosse ancora Kakashi-sensei – suonò vaga
alle loro spalle, distratta come al solito. Si voltò, occhi appena
assottigliati in due piccole fessure.
Incontrò lo sguardo dell’uomo, che si limitò a ricambiarlo. Poi, Kakashi
sorrise, lentamente – come accorgersi che sorrideva, con quella maschera sempre
sulle labbra? – e sollevò la mano. “Sasuke.” Soggiunse, quasi si fosse solo
allora accorto del ragazzo. Sakura sentì il moro borbottare un saluto, e
sospirò.
Alla fine, non era cambiato granchè dai vecchi tempi.
(eppure Naruto continuava a dire che rimpiangeva i
vecchi tempi, rimpiangeva la Squadra Sette, rimpiangeva…)
Forse era perché le piccoli riunioni della vecchia Squadra
Sette erano ormai rare, pensò, in quanto non si presentavano come una vera e
propria necessità.
Pensandoci anche meglio, non c’era neppure una “nuova” squadra sette, poiché
Kakashi-sensei non era ancora riuscito a trovare un’altra squadra da promuovere
con il suo ormai famigerato test dei campanelli.
(o forse non voleva più saperne, perché aveva avuto fin
troppo l’impressione di esser stato un fallimento come maestro da quando lui se
n’era andato)
“Offro io” buttò lì il medico, tornando alla sua porzione
di ramen. Apparentemente, questo bastò affinché Kakashi si sedesse – accanto a
Naruto, notò distrattamente Sakura.
“Spero tu stia capendo cosa ho dovuto passare con voi,
Naruto.” Aveva detto, con quel tono disinteressato. Sempre lo stesso tono
disinteressato, che si parlasse del tempo o del cibo o di quanti bambini erano
morti nell’ultima rivolta in quel piccolo paese più ad est di cui non riusciva
a ricordare il nome.
“Sono semplicemente detestabili.” Borbottò Naruto, forse
troppo irritato per sorridere davvero. (da quanto non sorridi davvero? Perché? Non volevi, come me, tu non
volevi…?)
“… apparentemente, non capiscono la mia posizione di
autorità. Dovrei prenderli tutti a calci nel…”
“…e quando mai tu
sei riuscito a farti rispettare, dobe?” fu la domanda divertita che
sfuggì dalle labbra di Sasuke, quasi incredula.
“… culo.” Concluse Naruto, ignorando il commento.
Sakura batté ciglio.
No, no.
Naruto si sarebbe dovuto arrabbiare, e gli avrebbe dovuto gridare “Cos’hai
detto bastardo?!” e Sasuke avrebbe dovuto rispondere “Esattamente ciò
che hai sentito, idiota.” E lei sarebbe dovuta intervenire, dicendo…
“Naruto è maturato molto.” La voce di Sasuke, distratta,
poco più di un sussurro, le supplì la spiegazione che non era riuscita a
trovare. Lei sorrise, annuendo lentamente, prima di buttar giù l’ultimo
boccone.
“All’ospedale va tutto bene.” Fece spallucce,
giocherellando con le bacchette. “Ma le nuove allieve che mi hanno affidato,
non so, non fanno che fissarmi e parlottare tra loro. Come le ragazzine
all’accademia. Non hanno un minimo di rispetto. E se si accorgono che le sto
guardando, subito smettono di parlare. Se chiedo che c’è, sai che fanno? Dicono
‘niente’. Mi guardano come se fossi…” La mano si serrò un po’ più del dovuto
sulla bacchetta, e ci fu un sordo rumore di legno che si spezza. “Come se
fossi…” Tremava, la sua mano, e la voce uscì più amara di quanto avesse inteso
di farla suonare.
Naruto sollevò lo sguardo battendo ciglio.
“Mi spiace.” Commentò la ragazza, battendo ciglio.
Scosse il capo, poggiando il denaro sul bancone e alzandosi. “Devo andare, si.”
Non le piacque il tono della sua voce. Non le piacque per niente, perché tremò
anche quello.
Questa volta, anche Kakashi sollevò lo sguardo su di lei,
e lei si rese conto di non averlo mai visto adulto come in quel momento. “…
stai bene?” fu l’unica domanda che le rivolse.
Quasi fosse preoccupato.
Quasi quella domanda non si riferisse affatto a quel
momento, ma fosse una domanda del tutto più profonda.
Quasi fosse…
“Sto benissimo.”
Risposta data troppo in fretta.
“Sasuke, vieni con me?” domandò, scostando lo sguardo dai
due sul ragazzo. Lui si limitò ad annuire, e Sakura lo osservò mentre lanciava
uno sguardo parecchio seccato a Naruto. Li salutò con un cenno del capo.
“A presto, Sakura.” Ancora una volta, la voce di
Kakashi-sensei. “Sasuke.”
Naruto borbottò qualcosa di simile ad un saluto.
Prendendo Sasuke per mano, Sakura si limitò ad agitare la
mano in segno di saluto, e a sorridere.
Dentro di lei, il cuore le batteva così forte che a stento riusciva a
respirare.
“Sto bene.” Ripeté, poco più d’un sussurro, sulla strada
di casa.
Sasuke, accanto a lei, sorrise.
“Lo so.”
Sentiva la mano di Sasuke passarle distrattamente tra i
capelli, quel gesto che si ripeteva ogni volta che lui la vedeva scossa, ogni
volta che lei tremava, ogni volta che lei si svegliava. Accanto a lui.
“Pensi che Naruto sia arrabbiato con me?” un filo di voce.
Lui scosse il capo, come aveva già fatto altre mille volte.
“E’ solo stressato.” Soggiunse, abbassando la voce allo
stesso tono di lei, quel tono che si addice alla notte.
Lei mugolò qualcosa che suonava come un’affermazione,
voltandosi su un fianco. Il materasso cigolò lì per lì sotto lo spostamento del
peso, mentre lei seppelliva la guancia sul suo petto, contro la sottile
maglietta scura.
“Perché non posso sposarmi con te, Sasuke?” domandò, per
l’ennesima volta in quei pochi anni.
“Perché sono un traditore, Sakura.”
“Non più. Sei un jounin, ora. Di Konoha.”
Lui soffocò un suono amaramente divertito in gola. “… non voglio ti guardino
come guardano me, Sakura. Tu non vuoi essere un’Uchiha.”
“Sì che lo voglio.” Un replica che suonò infantile persino
alle sue orecchie. (lovogliolovogliolovoglio)
Sasuke, in ombra, scosse il capo. Al che, Sakura si
sollevò sui gomiti, quasi del tutto sdraiata su di lui. Aveva gli occhi lucidi,
e si sentiva stanca. Tremendamente stanca.
(di cosa?)
(di tutto)
Le loro labbra si incontrarono ancora una volta, ma lei
tremava. Delicatamente, lui si girò su un fianco, posandola contro il
materasso, invertendone le posizioni. Il suo capo chino su quello di lei,
incorniciato da quell’aureola di capelli del color dell’alba. Un bacio, due
(una cascata di quei baci fantasma accompagnati da quei
tocchi fantasma)
su quelle labbra che continuavano a tremare.
“Voglio darti un figlio, Sasuke. Io voglio… perché non ci
riesco, Sasuke? Perché non ci riesco? Perché? Io…”
Il singhiozzò venne interrotto dalle labbra di lui, che le
accarezzarono il collo quando sussurrò “Non importa, Sakura.”
“Non è vero! (non è vero)
Non era uno dei tuoi sogni? Il Clan? Lo so, Sasuke! Lo so
che tu…” (lo so, che tu)
“Ssh…”
Sasuke sorrise, e lei fu contenta che lui avesse imparato a sorridere per lei.
(a sorridere per lei, a vivere per lei)
( a esistere per lei )
Tocco fantasma di quelle mani che le accarezzavano i fianchi, il tessuto del
vestito che premeva contro la pelle, leggero, sottile. Quelle labbra sottili,
leggere, quegli occhi scuri riflessi nei suoi…
“Sasuke…” un sussurro che sapeva di preghiera, che
chiedeva soltanto di essere esaudita.
“… Sasuke-kun…”
(ed ancora una volta si ritrovò a pregare per qualcosa
di cui non avrebbe dovuto affatto avere bisogno, non più)
Al piano di sotto la signora Haruno, fin troppo abituata a
quei gemiti, si versò un’altra tazza di caffè.
L’ospedale puzzava sempre di disinfettante, di sangue e di medicine.
Sakura, circondata dalle sue allieve, sembrava un fiore appassito per essere
stato in quell’ambiente così… spento, per troppo tempo. Pallida come un
fantasma, capelli disordinati, occhiaie calcate sul viso smunto.
Naruto, osservandola da lontano, si domandò distrattamente quanto peso avesse
perso.
“Sorride.” Mormorò, poco più d’un sussurro che gli rimase
incastrato in gola. Tsunade, si limitò a poggiarsi contro il muro, sospirando.
Stanca.
“E’ felice. Te l’ho detto.”
“Come può essere felice?” protestò il ragazzo, occhi
azzurri ridotti a due fessure. “Come può essere felice in quel modo?”
“Lei è felice così.” Ribadì la donna, scostando una ciocca
bionda di capelli. Quando quella mattina Naruto si era presentato alla porta
del suo ufficio, con quell’aria di urgenza, non aveva avuto bisogno di chiedere
per sapere quale fosse il problema. Quale fosse sempre, il problema.
“Devo dirglielo. Non ce la faccio a…” Ripeté tuttavia il
ragazzo, esattamente nello stesso tono con cui aveva sputato quelle due parole
un’oretta prima. “Nonostante tutto, io devo…”
“Cosa le dirai, Naruto? Dopo tutto questo tempo?” il tono
accusatorio di Tsunade gli fece male, e si limitò a sollevare lo sguardo
sull’Hokage. Rimase sorpreso nel vedere la donna con un espressione amara
quanto la sua. “E’ troppo tardi, ormai. Lo sai. Pensavamo fosse per il meglio,
però… Avremmo dovuto far qualcosa prima, no?”
Naruto deglutì, e scostò lo sguardo su Sakura. Ne vedeva
il profilo, ora, mentre parlava.
Ancora una volta, non era rivolta affatto verso le sue allieve, mentre parlava.
Le tre ragazze rimanevano lì, un po’ a disagio. Anche da lì, ne comprendeva lo
stato d’animo.
“La strapperesti così dalla sua felicità, Naruto? Ho
sentito sua madre, oggi. Anomalie a parte, Sakura sta bene. Sakura sorride. Sai
da quanti anni non sorrideva, Naruto? Tu non c’eri. Sorrideva a stento, quella
ragazza.”
Naruto schioccò la lingua. “Se solo…”
“Non era mai stata pronta ad una vita del genere. Forse
una vita da semplice kunoichi… ma è rimasta coinvolta con voi due, e dubito sia
la vita di una normale kunoichi, quella.”
Naruto fece per protestare, prima di accorgersi che non
era effettivamente un’accusa rivolta a lui.
Si limitò ad annuire, lasciando soffermare ancora qualche attimo lo sguardo su
Sakura. Quindi strinse il pugno, voltando le spalle alla scena e percorrendo il
corridoio asettico e maleodorante verso l’entrata.
Miyako – quindici anni, capelli rossi, occhi castani,
banale e decisamente più bassa della media – lasciò scorrere lo sguardo sulle
due compagne, spostando il peso da un piede all’altro, torturandosi le mani.
Evidentemente a disagio.
Aiko aveva quel sorrisetto stampato sulle labbra dipinte di rosso, quasi
Sakura-sempai la divertisse immensamente. Miyako aveva sempre saputo che Aiko
non aveva tutte le rotelle a posto. Momoka-chan invece aveva trovato più saggio
tornare a rivedere gli appunti redatti il giorno prima, aggiustandosi con un
dito gli occhiali sul naso.
“Ne, Sasuke. Non dovresti davvero essere qui, mi distrai
dal lavoro. Ci vediamo più tardi, no? A pranzo, certo. Va bene. Oh, ti prego.
Ah, e non disturbare troppo Naruto. Già ha guai con i suoi Genin, non vorrei
sentirlo lamentarsi ulteriormente, sai.”
Sakura-san rise, dopo qualche attimo, ancora una volta
rivolgendosi al muro bianco lievemente scrostato.
Ancora una volta, Miyako non fece domande.
Naruto-san gliel’aveva detto, no?
Che tutti i ninja, alla fine, hanno le loro manie.
Le aveva detto che un certo Kakashi amava leggere racconti erotici durante le
missioni, che una certa Anko amava il sapore del sangue, che lui aveva
un’ossessione per il Ramen e che Shikamaru-san avrebbe passato l’intera
giornata giocando a Shogi, se avesse potuto. Che la stessa Hokage aveva una
passione sfrenata per l’alcool e che il leggendario Jiraiya amava spiare le
donne mentre facevano il bagno. Che Yamanaka-san, che veniva spesso a trovare
Sakura-san, era ossessionata dalla cura dei suoi capelli. Che Neji Hyuuga,
l’Anbu, amava terribilmente parlare del destino, e che aveva conosciuto un
ninja traditore che amava discutere con un altro nukenin sul fatto che l’arte
fosse o meno qualcosa di eterno ed immutabile.
Sakura-san, semplicemente, non voleva ammettere che la persona per lei più
importante fosse morta, scomparsa per sempre (lontano da lei).
“Ti amo anch’io, Sasuke.”
Miyako era troppo sensibile, e forse per questo le si
strinse il cuore nel sentire quelle parole - dolci, vere, sentite - rivolte al
muro.
“Sakura-san, siamo in ritardo per la visita.” Appuntò
Momoka, sollevando lo sguardo dagli appunti.
Il medico annuì, sorriso sulle labbra, prima di voltar loro le spalle e
proseguire verso la stanza del paziente.
“E’ tutta matta, quella.” Borbottò Aiko, incrociando le
mani dietro la nuca.
Senza dir nulla, Miyako la colpì dietro la nuca con un gesto di stizza, prima
di seguire la sempai.
A/N: il primo che chiede se ci godo a far
soffrire/impazzire Sakura, si becca una bella risata in faccia e un bel “Perché,
non si era notato?”
Questa è un’idea che mi ha colpita due ore fa dal
fisioterapista, mente cercavo di farmi spezzare il collo il due. Più o meno. Mi
è rimasta attaccata e ho dovuto scriverla. Non siate troppo crudeli. Ho
lanciato indizi per tutta la fic, per permettere di arrivare anche prima alla
conclusione ^^” Unpo’ quello che ho
fatto per la OroxSaku. [ Il che significa che probabilmente gli indizi sono
indizi solo per me, come l’altra volta. Amen.]
LA prossima flavour è anche in arrivo. La stavo scrivendo,
prima che mi venisse l’ispirazione per questa. Anche Alcyon Days è in fase di
terminazione capitolo. La Kodamy non è morta. >>”
Capitolo 28 *** 51. Will you get your wish? [ Mikoto Uchiha ] ***
51
51. Will You Get Your Wish?
Mikoto Uchiha non aveva mai conosciuto una notte così
lunga.
Non riusciva a ricordare una notte in cui aveva avuto così
tanta paura, neppure tornando a scavare in quelle notti di quando era bambina, quelle
notti passate a tremare sotto le coperte per poter riuscire ad affermare di
essere stata abbastanza coraggiosa da non spegnere la luce.
I suoi passi cadenzati e ritmici sul tatami erano l’unico
rumore nella casa semivuota. Suo marito, in silenzio, era seduto vicino al
tavolo e scorreva velocemente lo sguardo fra i file della polizia di Konoha.
Apparentemente tranquillo.
Vi erano momenti in cui Mikoto Uchiha invidiava
tremendamente suo marito e, in quei momenti, non poteva fare a meno di
chiedersi cosa esattamente ci fosse di sbagliato in lei.
Si accorse troppo tardi che le sue mani stavano tremando:
cercò di nascondere l’evidenza attorcigliandole in grembo, movimenti spastici
che di poco servivano a coprire l’ansia.
Alla fine, sconfitta, si lasciò cadere seduta sui cuscini.
Occhi color pece che saettavano, di tanto in tanto, verso
la porta, verso il marito, prima di tornare sulla gonna rossa stropicciata.
Fugaku sollevò lo sguardo dai documenti, limitandosi a
battere ciglio.
“Mikoto?”
Lei sussultò appena, cercando di rimandare il cuore –
arrivatole in gola – al suo posto anatomicamente corretto.
“… si, caro?”
“Mi stai facendo venire mal di testa.”
Burbero, schietto Fugaku. Dannatamente tranquillo, e
burbero, e schietto Fugaku.
“Scusami.” Azzardò un sorriso, uno dei tanti, senza
riuscire però a costruirlo come si deve. Suo marito – che d’altronde lo era da
sei anni, ormai – sembrò captare la bugia.
Mikoto diede la colpa alla sua dannata deformazione
professionale.
“Starà bene. Arriverà a casa tra poco.”
Fu probabilmente il tono pratico, pragmatico ed
essenzialmente calmo a far traboccare il vaso. Assottigliò appena lo sguardo,
due sottili lame d’inchiostro. “Cosa te ne fa essere così sicuro, Fugaku? Ha
solo cinque anni, lo sai. E’ il tuo unico figlio. Teyaki l’ha perso di vista,
e…”
“… starà bene. Se la sa cavare.”
“… come diamine fai ad essere così tranquillo!! Ha cinque
anni, per l’amor del cielo! Non so come funzionava a casa tua, ma a casa mia i
bambini di cinque anni non vanno in giro da soli! Non a quest’ora! Non a qualsiasi
ora. E’ sbagliato. E’ semplicemente sbagliato. Per quello che ne sai, potrebbe
essere…”
“… Sono a casa.”
Quella voce, piccola e tranquilla, quasi controllata,
arrivò alle sue orecchie come se quel saluto fosse stato urlato a squarciagola.
Restò per un attimo a bocca leggermente aperta, voltando lo sguardo sulla porta
ed incontrandovi la fonte della sua preoccupazione.
L’unica creatura capace di poterla far preoccupare a quel
modo.
Suo figlio. Itachi Uchiha, 5 anni.
Sporco di fango e dai vestiti fradici.
La tensione accumulata in quelle ore di attesa esplose lì
in quel momento, in un singhiozzo che aveva pregato di farsi strada e di uscire
allo scoperto. Gli si gettò incontro, noncurante del fango, abbracciandolo e
stringendolo forte al petto.
“Non si fa, Itachi, non si fa, non puoi andare in giro da
solo a quest’ora, sei troppo piccolo, avresti potuto…”
Il bambino, ora appena accigliato, cercò di divincolarsi
dall’abbraccio troppo stretto. Dopo qualche tentativo ci riuscì, abbastanza
contrito.
Mikoto sentì l’ennesima piccola pugnalata al petto, dritto
al cuore. Ma, come sempre, la ignorò.
“Stai bene?” indagò piano, dolcemente, piccolo sorriso
sulle labbra.
Incerto su come prendere la situazione, il bambino annuì. “Volevo
provare gli shuriken che mi ha dato papà.” Si giustificò, laconicamente, eppure
con l’innocenza e la candidezza che solo l’infanzia può avere.
Mikoto, per qualche ragione a lei del tutto
incomprensibile – così le piaceva credere – si sentì furiosa.
Con Itachi, con suo marito e con sé stessa.
“… shuriken?” fu tuttavia l’unico, infranto sostantivo che
abbandonò le sue labbra. Senza intaccare il sorriso che ancora aleggiava sulle
labbra.
“Sapevo che ti arrabbiavi.” Spiegò lucidamente in bambino,
scostando lo sguardo. “Non potevo usare il giardino.”
Ne aveva sentite davvero troppe, quella sera.
“Ah!” suono forzatamente divertito che sfuggì dalle sue
labbra, mentre si alzava e spostava l’attenzione su Fugaku. Che, dalla sua
postazione, si era limitato a seguire lo scambio con lo sguardo. “Hai sentito,
caro? Shuriken. Un bambino di cinque anni scompare da casa per poter fare
pratica con gli shuriken.” Si interruppe lì, mordendo ansiosamente il labbro
inferiore. “Un bambino di cinque anni!” ripetè, questa volta appena più
infervorata.
All’assenza di risposta del marito, strinse i pugni,
spasmodicamente, per qualche attimo. Il gesto sembrò calmarla per, rivolgendosi
al figlio, il sorriso tranquillo era di nuovo stampato sulle labbra. “Itachi,
va’ in camera tua. Ti prego di non fare più una cosa del genere. La mamma si
preoccupa, e perde anni di vita, lo sai? Puoi usare il giardino, se ti va. Vai
ad asciugarti, o ti prenderai un malanno. Su, su.”
Probabilmente intuendo l’aria che tirava, il bambino
eseguì senza fare una piega. Lanciò solo uno sguardo, con la coda dell’occhio,
al padre. Fugaku, distrattamente, annuì.
“… Itachi è molto maturo per la sua età, Mikoto.”
Borbottò, ritornando a dedicare lo sguardo ai documenti sul tavolo. “Per
settimane ha insistito, dopo aver visto Shisui allenarsi giù al fiume. Voleva
provare anche lui, diceva.”
“E così tu gli dai un set di shuriken? Ad un bambino che
deve ancora iniziare l’accademia? Che non la inizierà prima di due anni?”
sbottò la donna, incredula, incespicando appena sulle parole.
“Certo che no!” sospirò l’altro, scotendo il capo.
“Mikoto, c’ero io quando ha provato la prima volta.”
Mikoto si limitò a chinare il viso d’un lato,
apparentemente non comprendendo quale fosse la differenza.
“Ha centrato tutti i bersagli, Mikoto. Al secondo
tentativo. E chiudi quella bocca, lo sai che non scherzo su queste cose.”
Incredula, lei obbedì.
Seguì qualche attimo di silenzio, mentre tentava invano di
digerire l’ultima informazione ottenuta.
“Nostro figlio, allora…?”
“Un talento naturale, apparentemente. Un genio.” E non
potè fare a meno di notare la nota d’orgoglio nascosta, insidiosa, tra quelle
parole. “Uno di quei pochi individui che nascono per essere ninja. Penso
riuscirà a diplomarsi in un solo anno.”
Ancora, lei scosse il capo, negando di convenire, di
essere d’accordo in alcun modo con ciò che le era stato detto.
“Può essere stato solo un caso. E poi, una buona mira non
presuppone anche le qualità psicologiche necessarie per affrontare…”
“Mikoto, non devi tarpare le ali a tuo figlio solo per la
tua esperienza personale. Che tu non abbia avuto le qualità psicologiche nece…”
“… non c’entra assolutamente nulla con me! Assolutamente
nulla! Tu hai regalato delle armi letali al nostro bambino! Al mio bambino!
Poteva aspettare! Potevi chiedere il mio parere, consultarmi! Cosa ti ha dato
il diritto di… cosa ti ha dato…” tuttavia la frase le si smorzò in gola, questa
volta soffocata da un singhiozzo di frustrazione.
Accorgendosi dello stato pietoso del suo respiro, si fermò
qualche attimo.
Cercando di regolare l’ammontare di aria incamerato nei polmoni.
Suo marito ne approfittò per poggiare i documenti sul
tavolo con un piccolo tonfo.
Un gesto plateale, come il martello di un giudice al
momento di proclamare il suo verdetto.
Fu in quel momento che Mikoto capì che, in fondo, era
dapprincipio una battaglia persa.
La corte, apparentemente, aveva già deciso.
“Itachi è la speranza del Clan. Di gente come lui ne nasce
una ogni chissà quante generazioni. Lo sai che il Clan sta avendo problemi con
il Consiglio di Konoha, Mikoto. Itachi potrebbe essere la chiave per…”
“Itachi non è nessuna chiave, Fugaku.” Tuttavia, adesso,
la sua voce non era rovinata dalla rabbia. Era frammentata, e terribilmente mortificata.
“Itachi è mio figlio. Mi detesta, credo. Non dovrei trattarlo come un bambino?
E’ quello che è.”
“Il suo cervello non è quello di un bambino. Non vuole
essere trattato come tale.”
E suo marito riusciva a dire tali atrocità senza staccare
neppure un attimo lo sguardo dal fascicolo.
Cosa c’era di sbagliato, nella loro famiglia?
Mikoto scosse il capo, portando entrambe le mani a
massaggiare le tempie. Era stanca. Non riusciva più ad affrontare tanto bene
situazioni così emotivamente stremanti. Il lavoro in campo, come kunoichi, e
quella missione di un cinque anni prima l’avevano logorata.
Quella tensione non prometteva bene per i suoi nervi.
Quella frustrazione minacciava di causarle un crollo a
livello nervoso, e, seriamente, non credeva di poterselo permettere. Asciugò
frettolosamente quelle poche lacrime che erano riuscite a farsi strada sul viso
pallido, tirando appena su con il naso.
Poteva star calma, se voleva.
Era questo che le avevano insegnato.
“Stai bene?” la voce di suo marito era genuinamente
preoccupata.
Lei si limitò a sorridere ed annuire dolcemente. “Si,
scusami. Probabilmente… hai ragione tu, si. E’ così che funziona nel Clan, no?
Il Clan prima di tutto. Tendo… a dimenticarlo, lo sai. E’ stato sempre così.”
Ed anche Fugaku sorrise, lasciando da parte i suoi
documenti per alzarsi e andarle incontro. La abbracciò piano, quasi lei fosse
una cosa fragile, quasi l’avesse dimostrato con lo sfogo di quella notte.
“Lo so, lo so. Lo sai che non devi agitarti troppo. Non ti
fa bene.”
Senza dire altro, lei continuò a sorridere. Fu abbastanza
brava da non permettere neppure ad un singhiozzo di sorpassare la barriera
della sua forza di volontà.
Andando a letto, si fermò a sbirciare dalla porta
semisocchiusa della cameretta di suo figlio. Non appena vi fece capolino,
tuttavia, due piccoli occhi – identici ai suoi – incontrarono tranquilli il suo
sguardo.
Itachi era sveglio e la stava guardando. Candida curiosità
che, in qualche modo, la inquietava.
Gli augurò la buona notte, senza entrare a rimboccargli le
coperte, e chiuse silenziosamente la porta.
Quella notte, donando la schiena a suo marito, pianse
lacrime amare e discrete, serrando le labbra affinché l’unico rumore a
sfuggirle fosse una sorta di uggiolio contenuto.
Suo marito sicuramente ne udì ogni sfumatura ma, tuttavia,
le permise di concedersi quel dovuto sfogo.
Era sbagliato, per una madre, voler accudire e proteggere
suo figlio?
Voler essere, almeno nei primi anni della sua vita, il
centro del suo mondo?
Coccolarlo? Raccontargli favole? Dormire accanto a lui
qualora avesse avuto paura del buio?
Non è forse il desiderio di qualunque donna?
Non è forse diritto, di ogni donna?
Prima di addormentarsi, Mikoto pensò di essere una madre
molto, molto egoista.
Quando, due settimane dopo, Mikoto Uchiha si svegliò per
la seconda mattina di seguito con l’impulso di correre in bagno per rimettere i
resti della cena del giorno prima, si ritrovò il viso bagnato di lacrime di
gioia.
Il silenzio, si lasciò scivolare seduta contro la porta
chiusa del bagno, capelli spettinati, accarezzando amorevolmente il ventre che,
apparentemente, aveva deciso di donare una nuova vita al mondo.
“Andrà tutto bene, questa
volta.” Mormorò distrattamente, un sussurro leggero che volò via nel chiarore
mattutino.
“Non preoccuparti, andrà
tutto bene. Con te andrà tutto bene. La mamma ti proteggerà. Riuscirai ad avere
la tua infanzia. Non temere, la mamma è con te.”
E, fra le lacrime di
gioia, sorrise.
A/N: stavo scrivendo la flavour AnkoxSasuke, ma
questa qui mi ha fulminata. L’idea intendo. E’ sempre il solito studio su mamma
Uchiha, ma stavolta l’ho preso da una angolazione diversa. Fra le prossime
flavour troverete pairing assurdi, del tipo AnkoSasuke – appunto – o la mia
fantomatica KarinTayuya X°D Più probabile che arrivi prima la KarinTayuya,
però. Vedremo. Non sono morta, ragazzuoli, suvvia!
Vi ringrazio tremendamente per il supporto che mi date. Ogni
commento mi commuovo ç_ç Mi dan la forza di pensare che forse riuscirò davvero
a scriverle tutte e 52. Quindi, ancora una volta, grazie mille.