Shadow and Light di Conny Guitar (/viewuser.php?uid=155556)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo ***
Capitolo 2: *** Danza notturna ***
Capitolo 3: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 4: *** Tempesta di ricordi ***
Capitolo 5: *** Psichedelia - La tigre ha fame ***
Capitolo 6: *** Ode to my family ***
Capitolo 7: *** Ghost ***
Capitolo 8: *** Un cuore matto ***
Capitolo 9: *** The dark side of the moon ***
Capitolo 10: *** Forse perché sei tu ad essertelo inventato ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** L'arrivo ***
Finalmente ero in vacanza. Avrei avuto un po' di pace dopo l'ultima,
interminabile, sessione di esami all'università. I ritmi
erano
davvero pesanti, ci rifilavano test su test concentrati in pochissimo
tempo, e ognuno richiedeva di studiare libri interi. Ma volevo
laurearmi in lingue moderne il prima possibile, quindi cercavo di stare
nei tempi. Ero andata al mare per riposarmi dopo l'ultima sessione, che
era stata la più faticosa fino ad allora. Avevo 21 anni, ero
al
secondo anno.
Per essere aprile faceva davvero caldo, le spiagge erano affollate ed
alcuni osavano fare i primi bagni in mare. Non si era mai vista una
primavera così calda. Si potrebbe dire che capitava a
pennello
con la fine temporanea delle mie fatiche universitarie. Dovevo fare i
salti di gioia. Eppure era tutto così... strano.
Arrivata nella mia villetta, che confinava con un'altra perfettamente
uguale, avevo una sensazione poco piacevole, come se di lì a
breve sarebbe accaduto qualcosa. Qualcosa di poco rassicurante.
Ma procediamo con calma. Ho già detto che la villetta
accanto era perfettamentte uguale
alla mia, o meglio, a quella di famiglia. Fin da piccolina ne avevo
avuto soggezione. Forse perché apparentemente era la
fotocopia
della nostra, o perché lì vi abitva la signora
Schmidt,
una burbera settantenne tedesca che mi guardava sempre male. Ma quando
arrivai, scoprii che qualcosa era cambiato. Davanti alla casa sostava
un camion dei traslochi. Sembrava che avessero appena finito di
scaricare dei mobili. Mi avvicinai e fu in quel momento che la scorsi.
Indossava un tubino bianco ed un coprispalle dello stesso colore; ai
piedi calzava scarpe da tennis, anche queste bianche. Aveva i capelli
corti,
biondo platino, quasi bianchi, e gli occhi... bé, gli
occhi...
erano del colore del fuoco più puro, rossi, innaturali. Le
sopracciglia, quasi inesistenti, erano perennemente aggrottate.
Mi accorsi in quel momento che ero rimasta a fissarla inebetita. Era
bella, terribilmente bella. Ma sembrava inumana. Mi precipitai in casa
e mi chiusi dentro. Sentivo il cuore galoppare infuriato nel mio petto.
Sbirciai dalla finestra e la vidi entrare. Scivolai a terra e caddi in
un sonno senza sogni.
Mi svegliai due ore dopo. Ripensai a lei e
rabbrividii. Perché non era solo il suo aspetto strano ad
avermi
turbata. Quel giorno io indossavo un tubino nero con coprispalle in
tinta, e scarpe da tennis nere. Solo una settimana prima avevo tagliato
i miei capelli neri. Ed ho gli occhi azzurri come il mare. Quella
ragazza era la mia fotocopia bianca. Tuttavia sono sempre stata una
razionale. Era un caso che fosse vestita come me, uno stupido caso. Ed
il suo aspetto... doveva essere un'albina. Anche la sua pelle era
chiarissima. Sì, sicuramente era albina, spesso hanno anche
gli occhi rossi.
Ero giunta a queste conclusioni rassicuranti, però
continuavo a
sentirmi a disagio. Decisa a non pensarci, uscii a comprare qualcosa da
mangiare. Entrai nell'unica gastronomia del paese sperando che avessero
ancora qualcosa. Mirella, la proprietaria, che mi conosceva da quando
ero piccola mi salutò con un: -Ciao, Chiara! Come stai?-
-Bene, ho appena finito una sessione di esami, andata magnificamente!-
-Oh bene, sono felice per te! Che cosa desideri?-
Stavo per dirle di darmi un po' di focaccia di Recco, paesello ligure
che fa una focaccia che è la fine del mondo, quando anche la
mia
nuova vicina entrò nel negozio. Un brivido mi percorse la
schiena, mentre Mirella la salutava: -Buongiorno, Ombra-. La ragazza
rispose con un flebile: -Salve-. Ci pensò Carlo, il marito
di
Mirella, a servirla. Comprò solo un cartone di latte e se ne
andò salutando debolmente. Aspettai che se ne andasse e poi
chiesi a Mirella: -Ma chi è?-
-Ma come, non lo sai? Ha comprato la casa vicino alla tua, quella della
Schmidt-
-Sì, l'ho già vista. Però è
strana. Si chiama come, Ombra?-
-Certo, che nome! è silenziosa, ma abbastanza gentile, forse
è solo timida-
-Poi hai notato che i suoi vestiti sono uguali ai miei, ma bianchi? E
la Schmidt?-
-Hannchen Schmidt è morta di cancro ai polmoni tre settimane
fa.
Comunque, è davvero la tua versione bianca. Penso sia albina-
-Sicuramente, e Ombra non è un nome adatto a lei. Comunque
ci vediamo, ciao-
-Neanche Chiara si adatta a te. Ciao!-
Tornando a casa iniziai a riflettere. La signora Schmidt era morta,
eppure l'avevo vista a Natale sanissima, e non fumava. Tuttavia, non
bisogna necessariamente fumare per il cancro ai polmoni, pensavo.
Magari era un tumore molto aggressivo. Ancora una volta, una
spiegazione razionale che mi sembrava del tutto insensata. E questa
Ombra? In tre settimane aveva comprato la casa e vi si era trasferita.
La signora Schmidt aveva un figlio che viveva in America, con cui non
andava molto d'accordo. Era possibile in tre settimane che il figlio si
interessasse della casa materna in quel paesino minuscolo, che
decidesse di venderla, che sbrigasse tutte le pratiche, che Ombra
adocchiasse la casa e decidesse di comprarla, facendo di nuovo un mare
di scartoffie, ed infine stabilirvisi? Per la burocrazia italiana mi
sembrava un lasso di tempo troppo breve. Ma potevo sbagliarmi, non
lavoravo alla Tecnocasa. Inoltre Mirella conosceva il suo nome, quindi
Ombra doveva essere già andata nella gastronomia. Sapevo
però che Mirella attaccava facilmente bottone, quindi poteva
essere solo la seconda volta che la vedeva. E prima doveva essere
già andata a vedere la villetta. Ero più
tranquilla.
A casa mangiai la focaccia, guardai A qualcuno piace caldo
ed andai a dormire. Sognai figure nere che mi sovrastavano impedendomi
di respirare. Mi svegliai urlando, in preda al panico. Erano anni che
non avevo gli incubi, che non ripensavo a quello che era successo
cinque anni prima, quando avevo causato la morte del mio ex fidanzato.
Mi aveva tradita ed io avevo danneggiato la sua Vespa con una mazza da
baseball. Avevo anche causato dei danni ai freni, cosicché
quando se n'era accorto ed era partito sul motorino, senza casco aveva
avuto un incidente. La sua testa si era spaccata a metà.
Avevo avuto questi incubi per un anno, poi, con l'aiuto dello psicologo
ero riuscita a passare oltre. Ora tornavano. Mi feci un
caffè ed uscii sul balcone. Al pianterreno della casa vicina
la luce si accese. Le mie ginocchia iniziarono a tremare, vidi di nuovo
i fantasmi che mi sovrastavano. Ma non svenni.
The
corner: vi ho messo paura, neh? MUAHAHAHAHAHA!!!!!!!
Scherzo, sono una ragazza seria *naso da Pinocchio*. L'idea mi
è venuta da un angosciante sogno che ho fatto. Ampliandolo,
viene fuori questa storia. A breve la completerò.
P.S.: recensitemi, please :)
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Capitolo 2 *** Danza notturna ***
Sentii lo scatto della maniglia della porta. Avrei voluto scomparire,
tornare a casa, cazzo, avrei preferito rifarmi trenta volte la sessione
di esami piuttosto che essere lì. La mia
razionalità
riuscì ancora ad avere la meglio. Guardai verso di lei, e
strabuzzai gli occhi, non potevo crederci. Era completamente nuda e
portava sotto il braccio un materassino da palestra. La osservai tra il
divertito e lo scioccato mentre stendeva in tutta
tranquillità
il materasso sull'erba e si stendeva sopra. Mi venne da ridere. Si
prendeva la tintarella di luna. "Questa è strana davvero"
pensai. Di nuovo mi sentii rassicurata. Capita a tutti di essere un po'
fuori di testa, magari era ubriaca.
Rimase qualche minuto coricata e perfettamente immobile, poi si
girò su un fianco ed iniziò a fare ginnastica. La
vidi
contorcersi in modi disumani, come i contorsionisti del circo, mentre
provavo una sensazione strana...
una sensazione mai provata, neanche con gli uomini. Non mi eccitavo
così neanche a vedere Slash nudo. "Sono lesbica" pensai. Non
era un pensiero buttato lì, perché non ragionavo
più. Era una certezza.
"Merda". I miei genitori non erano esattamente gay-friendly, quando mio
fratello aveva fatto coming out, dichiarando di voler andare a vivere
con il suo fidanzato, l'avevano cacciato. Solo io mi tenevo in contatto
con lui. Mi aveva portata qualche volta in locali gay, e mi ero sentita
"a casa".
Focalizzai nuovamente la mia attenzione su Ombra. Girava per il suo
giardino, ballando, contorcendosi, saltando, come rapita da una musica.
Ma il silenzio era totale. Anzi, c'era troppo silenzio. Anche in un
paesino di notte si sentono dei rumori. Ma quella sera era
completamente silenziosa. All'improvviso sentì anch'io una
voglia irresistibile di ballare. Nella mia testa risuonavano melodie
arcane, suoni mai esplorati dall'uomo, indescrivibili. Mi mossi per
tutta la casa e scesi in giardino. Ballai e ballai, forse per tutta la
notte, spogliandomi di tutto ciò che avevo addosso
perché improvvisamente sentivo un calore insopportabile. Era
una sensazione del tutto nuova, diversa da qualsiasi trip di droga che
avessi mai avuto le poche volte che mi ero fatta di LSD o fumata una
canna. Era, non so, diverso. Ancora adesso non so spiegarlo. So solo
che era una sensazione libera, come se di lì a poco avrei
spiccato il volo e sarei entrata in un altro mondo, dove sarei stata
libera, onniscente, una divinità.
Mi svegliai alle prime luci dell'alba. L'aria era fresca sulla mia
pelle. Ero in giardino, sotto l'acero che vi cresceva, come mamma mi
aveva fatta, come si suol dire. Ricordai cos'era successo la sera
prima. O meglio, ricordavo fino a quando mi era venuta voglia di
ballare, il resto era confuso. "Devo aver bevuto" pensai. Ma sapevo che
ero sobria. Ed Ombra, di cui non c'era traccia nella casa vicina,
c'entrava qualcosa. Ne
ero certa.
The
corner: scrivo ad ore infami e me ne rendo conto, quindi
perdonate le possibili tavanate che potreste leggere. La nostra cara
Chiara sembra fatta, lo so. Ma questa non è una storia
verosimile. E accadranno delle cose.... Niente anticipazioni. Ogni cosa
a tempo debito. Le recensioni sono gradite :)
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Capitolo 3 *** Faccia a faccia ***
Dopo quella notte, che bollai come "dimenticabile", rientrai in casa e
decisi di non pensarci. Mi vestii e feci colazione, poi pensai che
sarebbe stato bello andare un po' in spiaggia.
"Devo distrarmi" pensavo "L'università è pesante,
adesso
ho bisogno di riposo e poi potrò riprendere con
tranquillità gli studi". Continuavo a ripetermi
queste considerazioni razionali, ma una voce nella mia testa mi urlava:
"Sei pazza. Non c'è niente da fare; è inutile che
continui a dare una spiegazione logica a tutto ciò che ti
succede perché sei PAZZA!!!!".
Mi misi il costume da bagno, il pareo e mi recai alla spiaggia, poco
distante da casa mia. Erano le 8.30, ma in mare c'era già
parecchia gente, ancora tutti increduli della temperatura estiva in
aprile. Stesi un materassino (che mi riportò alla mente la
notte prima) e vi appoggiai la borsa ed il pareo. Mi tuffai in acqua,
finalmente. Andai a fare qualche tuffo dalla scogliera e poi decisi di
recarmi al largo. Me la presi comoda, ascoltando il silenzio. Ogni
tanto davo qualche occhiata sott'acqua, per accertarmi dell'assenza di
meduse. A volte ce n'erano di grosse, e la prudenza non è
mai troppa. Fu così che, dopo un controllo, mi ritrovai
faccia a faccia con Ombra. Se non mi prese un infarto in quel momento
su solo per grazia ricevuta. Sant'Iddio, lo spavento! La guardai a
bocca aperta. Cosa ci faceva lì? Ero stata sott'acqua per
pochi secondi, prima ero da sola, e allora come cavolo era arrivata fin
lì in pochi secondi?!?
-Ciao, sono Ombra, e tu devi essere Chiara, la ragazza di cui sono
diventata neovicina!-
-Sì, ciao...-. Aveva una voce suadente. Incantava sentirla
parlare. "Forse", pensai, "è questa la voce delle sirene,
che rapivano con il loro canto i marinai. è questa la voce
che sentì Ulisse, ma che non raggiunse perché era
legato".
Ombra continuò a parlare di sé, di quanto le
piaceva quel mare nonostante fosse solo la seconda volta che ci andava,
che quello era un posto bellissimo e che si era trasferita in pianta
stabile.
-C-cosa? Ti sei trasferita in pianta stabile?!-
-Sì! Sono così felice! Sai, quando la signora
Schmidt si è ammalata, ha subito messo in vendita la sua
casa. Sapeva che il cancro non le avrebbe lasciato scampo. E...- a
questo punto abbassò la voce, nonstante fossimo sole, -beh,
sono solo voci e non vorrei raccontare falsità su di lei, ma
pare che non sia morta per la malattia. Pare che, quando l'hanno
trovata, avesse in corpo una quantità di barbiturici da
stroncare un elefante. Comunque sono voci di paese, non stava tanto
simpatica a tutti-.
-Poveraccia- dissi. Mi dispiaceva che avesse fatto una fine del genere.
Anche se non ci sopportavamo, era brutto che si fosse uccisa per non
soffrire una malattia. Pensandoci, conclusi che io non ne sarei stata
capace. Sono troppo ottimista.
Ombra andò avanti a parlare di sè. Frequentava
l'università (ovviamente lingue moderne!), era di famiglia
benestante e faceva oziosamente la vita della mantenuta da mamma e
papà. Comunque, era intenzionata a cercare subito lavoro,
appena laureata. Mi chiesi perché fosse venuta a stare in
quel buco di paese e non, che ne so, a Sanremo o posti così.
Con il casinò, Sanremo attirava molti turisti, anche
stranieri. Ero tentata di chiederglielo, magai di dirle qualcosa come:
"Perché stai in questo paesino se vuoi lavorare negli scambi
internazionali o roba simile? Ah, a proposito, ieri sera eri ubriaca?
Mi hai dato qualche droga senza che me ne accorgessi?". Logicamente
tenni la bocca chiusa, e la guardai allontanarsi verso riva. A detta
sua, doveva assolutamente telefonare ad un paio di amiche per far
sapere loro del trasferimento, prima che la dessero per morta e
corressero a comprare fiori per la sua tomba. Quando fu lontana, mi
stesi a morto sull'acqua. Il cielo si fece improvvisamente grigio, e
lampi iniziarono a squarciare le nubi.
The
corner: embè, è con grande piacere,
amici e vicini, che vi presento questo terzo capitolo!!! Cosa lo
presento a fare, che intanto l'avete già letto?
Lasciate perdere queste emerite boiate che scrivo, lo dico per la
vostra sicurezza personale. Aggiornamenti imminenti, appena
finirò gli esami. :)
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Capitolo 4 *** Tempesta di ricordi ***
Aprii gli occhi quando grosse gocce iniziarono a cadere, e mi
spaventai. Improvvisamente, il cielo era diventato di un grigio scuro,
un colore indefinibile, mai visto prima. I lampi squarciavano questa
distesa celeste di pece e mi prese paura, perché il tuono
arrivava subito dopo. Sapevo che il suono si propaga nell'aria ad una
velocità di circa 340 m/s. Era stato un quesito al mio esame
di
terza media ed in quel momento lo ricordai perfettamente: "Marco
vede il lampo e sente il tuono dopo 3 secondi. A quale distanza si
trova da dove è caduto il fulmine? Invece Carlotta si trova
a
1,7 km da dove è caduto il fulmine. Dopo quanto tempo sente
il tuono?".
Fino a quel momento non mi ero mai ricordata di quella domanda.
Figurarsi, erano passati quanti anni? Sette? Nessuno si ricorda di una
cosa del genere dopo sette anni. Eppure, in quel momento mi era
sovvenuta l'immagine di me, a quattordici anni, tutta concentrata a
fare lo scritto di matematica. Avevo risposto velocemente a quella
domanda, è molto facile, 1020 metri e 5 secondi. "In fondo,
il
cervello non cancella niente, è solo che è un
tale casino
che non si trova tutto subito". Di nuovo la vocina mi ricordava che ero
pazza. E sulle basi di
cosa sarei pazza?
Non trovai risposta. Alzai di nuovo lo sguardo al cielo. Era ancora
più cupo, ancora più grigio, ancora
più cattivo.
"Oh, smettila, il cielo non può essere cattivo!". E invece
sì. Sembrava il dipinto di qualche pittore scandinavo
depresso.
Di quelli che dipingono macchie nere e grigie e gli danno titoli
tipo La
cavalcata della morte, Il
sacrificio della vergine, La bestia.
Di quelli che come hobby suonano in un gruppo suicidal depressive black
metal e venerano Burzum e Nattramn. Ho la mia teoria, che al nord non
hanno mai il sole e il caldo e si deprimono. Qua in Italia "OH SOOOLE
MIOOOO!!!!!!!!" e mandolini dei barbieri napoletani. Se in Italia si fa
il black metal, non sono in molti, e poi non ai livelli scandinavi.
"Non pensarci, altrimenti ti vengono gli incubi, e sei già
messa
bene". Appunto, meglio non pensare a cose brutte in primavera.
Primavera? Da come era diventato il cielo, sembrava che il sole si
fosse spento. Aveva iniziato anche a fare freddo. Logico, sta per
tempestare. è normale che al mare faccia così. Le
mareggiate. Portano la posidonia. Dicono che possono usarlo come
biocombustibile, per farci il biogas, è una figata. Alle
medie
hai portato quello come argomento di tecnologia. "Cosa cazzo sono
questi ricordi delle medie?! è un periodo che non voglio
ricordare" pensai allarmata.
Le scuole medie erano stati tre anni che definire terribili
è
riduttivo. Dio Cristo, se ci ripenso ho i crampi allo stomaco. Certo
che se il mio stomaco non si è distrutto in quel periodo,
dev'essere di acciaio. Che figata, lo stomaco di acciaio. Dai una
spanciata a qualcuno e lo fai secco. Durante le scuole medie mi sarebbe
tornato molto utile.
Beh, c'è da dire che fin dall'inizio tirai fuori la mia
anima di
sfigata. Diciamo che mi feci una reputazione. Ma in senso negativo. Ero
nuova della città, venivo da un paese sperduto e
già
questo giocava a mio sfavore. Oddio, non che Ivrea sia
chissà
che metropoli, ma intanto 24.000 eporediesi li fa. E poi ha la torta
Novecento, le Polentine, il Carnevale, nel Canavese è un
centro
importante. Ciò aveva creato nei miei compagni una specie di
senso di superiorità, roba che se fossero andati a Torino,
il loro senso di
superiorità sarebbe crollato come un castello di carte.
Erano
pur sempre provinciali,
come
mi ripetevo quando quegli stronzi mi davano addosso, parole e mani.
C'erano quelle ragazzine, dette la Trinità,
perché erano
sempre insieme, ovvero Martina, Caterina e Sara, che erano
l'incarnazione del male. Puttanelle, certo, ma quanto sono cool
le puttanelle! Si fidanzavano a destra e manca col primo che
passava, ovviamente figo. I nerd sbavavano loro dietro, mentre i fighi,
le promesse del calcio palestrati e che fumavano come dei grandi, le
prendevano e le lasciavano a loro piacimento. Era un modo per fare
una scena degna della migliore tragedia greca nell'intervallo e nel
dopomensa e attirare una folla di
spettatori. Ci mancava solo un cantore cieco che narrasse li millemila
perigli che affrontarono i nostri eroi prima di ritrovarsi,
rimettersi insieme e mollarsi dopo una settimana, ricominciando
amabilmente il ciclo!
A quel tempo avrei dato qualsiasi cosa per essere come loro. Non
bisogna fraintendermi, non volevo farmi un ragazzo a settimana. Ma
piacere a tutti, avere tanti ragazzi sbavanti dietro, avere tante
amiche. Ora che ci penso, non credo che la maggioranza delle amiche di
Martina, Caterina e Sara potessero essere definite tali, piuttosto
erano delle stupide che le inseguivano pur di avere un posto tra le
élite della scuola. Ah, non le condanno! Perché
lì
c'erano caste chiuse. Tipo in India. I sacerdoti erano i fighi, quelli
come la Trinità e i loro fidanzati. Di solito erano delle
scarpe
come rendimento scolastico. Poi c'erano i normali. Di quelli che
vivacchiavano sui 6 e 7. Quelli vivevano tranquilli, avevano rapporti
con i fighi che li potevano elevare, o più raramente,
combinavano qualcosa per cui finivano nel fango degli sfigti. Paria,
intoccabili, perdenti chiamateli come volete. Di
solito erano i secchioni, come me, oppure i normali finiti nella fossa.
Inutile dire che, una volta sfigati, per sempre sfigati.
Io ero un topo di
biblioteca, chitarrista, rocker fino alla morte. Apparecchio, occhiali,
naso non proprio alla francese. I miei si erano appena separati, mio
padre aveva problemi di alcool (per fortuna, poi si fece curare), mia
madre gli aveva messo delle corna da alce con il suo migliore amico,
devo forse continuare? Problemi economici, risolti quando ormai ero
liceale e una malattia cardiaca che curai in terza media e che mi
costringeva ad impasticcarmi di sotalolo tre volte al giorno, 80 mg
ciascuna pastiglia. Sindrome di Wolf Parkinson White. Sindrome da
preeccitazione ventricolare da via anomala a sede laterale sinistra.
Tachicardia. Ai loro occhi apparivo un'appestata.
La peggiore era Caterina, arrivava spesso alle mani. Le altre due ci
davano dentro a parole, forse perché avevano più
paura di essere beccate a pestarmi. Caterina bastava e avanzava. A
causa delle sue botte, avevo preso a girare fornita di cerotti e
disinfettante, unitamente a fard, fondotinta e ombretti. Cate mi faceva
un occhio nero? Ci spennellavo sopra un fondotinta economico quanto
coprente che trovavo al supermercato. Cate con un cazzotto mi tagliava
un labbro?
Cerottino come quelli che si vedono nei film e poi rossetto chiaro, di
quelli che
non si notano molto.
Non avevo assolutamente amici, persino gli altri sfigati mi snobbavano.
Della maggioranza di questi ex compagni non so molto, sono pochi quelli
che ho rivisto. Sicuramente, quando venni a sapere che Caterina era
rimasta incinta a
sedici anni e aveva dovuto abbandonare la scuola, provai un moto di
soddisfazione. Recentemente l'ho incontrata con sua figlia, ci siamo
salutate civilmente, ma nulla di più.
Tutta questa valanga di ricordi mi investì mentre il cielo
continava a farsi sempre più scuro, minaccioso. Guardai a
riva a
provai una morsa al cuore: non c'era più nessuno, neanche un
bagnino. Anche il lungomare si era spopolato, c'era solo più
qualche passante che si affrettava a correre a casa, sotto la
pioggerellina. Poi iniziò a piovere più forte. Fu
come il segnale convenuto perché la natura si
scatenasse. Si alzò un forte vento, mentre le onde del mare
si facevano sempre più grandi. Sono una nuotatrice forte, ho
parecchia
resistenza, ma contro il mare in tempesta si può fare ben
poco. Le onde mi
sommergevano e, con orrore, mi accorsi che mi stavano sbattendo contro
gli scogli. -Cazzo!!- ululai, come se qualcuno avesse potuto sentirmi.
Non c'era assolutamente nessuno. Iniziai a ridere, probabilmente
sull'orlo di una crisi isterica. Ridevo perché sapevo di
essere
spacciata. Nulla può contro la furia del mare.
Strano che si
verificasse una tempesta del genere in Liguria, nel Mar Ligure.
"Sarebbe normale nell'oceano" pensai, prima di ricominciare a ridere.
Se c'era una fine che non volevo fare era quella del tappeto quando
bisogna spolverarlo. In pratica, qualunque morte, ma non finire
sbattuta sugli scogli. Però, dopotutto, potevo sempre
svenire o
annegare prima. Niente dolore. Senza quasi rendermene conto, iniziai a
nuotare controcorrente. Sapevo che dovevo dirigermi come per tentare di
suicidarmi contro la scogliera accanto. Perché
lì, il
mare aperto era diviso dall'area destinata ai bagnanti da due
scogliere, distanti tra loro una decina di metri. Dopo, c'è
il
mare veramente profondo, pochi vi si recano, e per questo mi piace.
Iniziai a nuotare con tutte le mie forze, la speranza è
l'ultima a
morire. Non so per quanto andai avanti a tentare di salvarmi la vita.
Più continuavo, più mi convincevo che era tutto
inutile,
sarei morta. La mia vita finiva quel giorno, e non ci sarebbe stato
ritorno, come cantava Fabrizio De Andrè. Ero partita per la
tangente con i miei pensieri tragici, senza accorgermi che pian piano
mi stavo avvicinando allo stretto tra le scogliere, e che quindi dovevo
nuotare a pelo d'acqua per non prendere gli scogli che si trovavano
sotto appena ad una cinquantina di centimetri. Lo scoprì il
mio
piede, colpendone uno. Mi resi anche conto che il mare era
più
calmo, poiché gli scogli fungevano da
barriera e proteggevano la spiaggia. Nuotai come una pazza, pur di
mettermi in salvo, mentre le
mie braccia suonavano la marcia di Radetzky. Arrivata a riva, mi
abbandonai appena trovai un punto in cui non rischiavo di annegare. Il
mio cuore galoppava nel petto, sembrava stesse suonando il basso in "I
was made for loving you" dei Kiss. Chiusi gli occhi come se fosse
l'ultima volta.
The
corner:
ehilà! Quarto capitolo *vuvuzela e fischietti degni di Axl
Rose
che mi faranno linciare dai vicini*. Mi sono presa più tempo
per
questo capitolo e non l'ho scritto di getto. Io sostengo sempre che i
personaggi sono molto simili al loro creatore. Difatti, come sapranno i
miei coetanei, quella roba sulla velocità del suono era una
domanda dell'Invalsi. Ditemi che non ho sbagliato!! Anche i
biocombustibili sono stati mio argomento all'orale.
P.S: se tenete alla vostra sicurezza, non cercate info su Nattramn,
Burzum e il sucidal depressive black metal, che il nome parla da
sè.
Soprattutto sul primo.
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Capitolo 5 *** Psichedelia - La tigre ha fame ***
-Signorina, mi sente?! Si svegli!-
Una voce maschile continuava a chiedermi se ero sveglia, se ci sentivo.
Gli avrei volentieri urlato in faccia di lasciarmi stare, porca
miseria, stavo così bene! Ma non riuscivo quasi a muovermi,
riuscii soltanto a fare un cenno con la mano. C'era una luce
fortissima, non riuscivo ad aprire gli occhi. Sentivo varie voci, poi
qualcuno che mi toccava e mi muoveva piano. Provai un dolore fortissimo
e di nuovo persi conoscenza. Iniziai a vedere strane forme
colorate che mi sfrecciavano davanti. "Non è un sogno
questo"
pensai. Ero bloccata e mi sembrava di cadere. Mi resi conto di essere
come su un letto che pian piano scivolava sempre più
giù,
sempre più giù verso l'ignoto. Poi
iniziò la
caduta nel vuoto. Mi sembrava di essere in un tunnel verticale di
motivi psichedelici da far venire mal di testa. "Mi sono drogata?" mi
chiesi. Eppure no: ricordavo perfettamente ciò che era
successo,
la tempesta eccetra. Mi ero addormentata sulla spiaggia, poi mi ero
risvegliata, avevo senito un dolore terribile e mi ero riaddormentata.
Ora ero in questo incubo di giochi caleidoscopici e immagini
fantastiche. Sembrava il racconto di Albert Hofmann sulla prima volta
che aveva preso il suo "bambino difficile", ovvero l'LSD. Mi girava
anche la testa e mi sentivo strana, inquieta, ansiosa, ma anche
euforica e con la sensazione che un nuovo mondo si stesse aprendo
davanti a me. "Le porte della percezione" pensai "si stanno schiudendo.
Porca miseria, mi sembra di essere finita nel video di Lucy in the Sky with Diamonds.
Mi sembra quasi di sentirla. E anche qualcosa che somiglia ai Pink
Floyd. Forse fa male ascoltarseli prima di venire in spiaggia,
considerato quello che mi è successo". Mi sembrava di
sentire la
melodia di Time, e improvvisamente vidi ciò che sembravano
degli
orologi. Direte che è normale, vista la canzone. Sembravano La persistenza della memoria di
Salvador Dalì; il quadro con gli orologi molli.
Come colta da un presentimento, abbassai lo sguardo per osservare il
mio corpo. Addosso non avevo più neanche il mio due pezzi,
già con un motivo decisamente psichedelico stampato sopra.
In
compenso ero diventata tutta colorata a strisce. Sembravo soltanto
un'insegna al neon. Sì, fu quello che mi venne in mente. Ero
diventata un'insegna al neon di qualche night club. Ero colorata a
bande azzurre, verdi, gialle e rosa che lampeggiavano velocemente come
un'insegna che sta per bruciarsi.
"Tra un po' mi spegnerò" pensai "e allora non ci
sarò
più". Ma non mi spensi. Continuai a cadere in quel tunnel.
Sembrava infinito, al fondo non si vedeva nulla, neppure una piccola,
dannatissima luce. "La luce in fondo al tunnel, se la vedo la mia
solita sfiga farà sì che sia un bel treno in
corsa!"
pensai amaramente. Ma niente, quel tunnel continuava. Ormai non avevo
più paura, mi sentivo tranquillissima e quasi mi piaceva
continuare a precipitare così. Evidentemente al mio cervello
bacato non doveva piacere troppo il rilassamento e la
felicità
che provavo, perché improvvisamente iniziai a vedere alte
figure
nere che mi sovrastavano. Ce n'erano a migliaia, e mi chiesi come
facevano a stare nel tunnel, dato che mi sembrava molto stretto. è
solo una creazione della tua mente, per questo ci stanno. Non
è
un tunnel reale, con un volume ben definito, ricordava la
mia
coscienza. "E che diavolo, piantala! Tu e 'ste cazzate da matematico
cerebroleso! Sentiamo, da quando ti piace la matematica?". Come al
solito, non rispose, da sempre preferisce il silenzio quando si accorge
che
l'ho vinta io.
Intanto le sagome erano poste in cerchio e continuavano a stringersi
verso il centro. Il centro, ovviamente, ero io. Iniziai a sentirmi
soffocare, come sempre quando facevo questi incubi su Alessandro. Erano
già passati cinque anni. Tanti, alla mia età.
Cinque anni
da quando aveva preso per l'ultima volta la sua Vespa, per venire da me
e chiarire il nostro ultimo litigio e le mazzate che avevo dato al suo
motorino. Apparentemente non sembrava troppo danneggiato. E
invece pare lo fosse. In realtà non si seppe mai bene. Dopo
essersi incastrato sotto un tir, non era rimasto molto. La testa di
Alessandro si era spaccata a metà come un melone, tanto che
dovettero fargli il test del DNA per identificarlo. Forse gli avevo
danneggiato i freni, forse aveva sbandato lui stesso, forse era
semplicemente destino che dovesse morire un ragazzo di 17 anni.
Avevamo litigato di brutto. Non era mai successo che litigassimo
così. Sì, c'erano state qualche discussione, ma
cose
assolutamente tranquille. Insomma, è normale che in una
coppia
si abbia qualche divergenza di idee.
Ma quella volta avevamo litigato come matti. E tutto per colpa di quel
coglione del batterista della mia band, i Southern, che ci aveva
provato con me. Ed io a cercare di convincere Essand, come lo chiamavo
affettuosamente, che con quell'idiota non c'era stato niente. Figurarsi
se ci andavo a letto. Era uno stupido, e poi io amavo Alessandro. Lo
amavo davvero. Era stato un vero colpo di fulmine. Eravamo in classe
insieme al liceo linguistico, lui aveva perso un anno a causa di un
incidente in macchina. Suo fratello lo stava portando dai nonni ed
aveva bevuto un po'. Erano finiti fuori strada, tutti e due
discretamente a pezzi, ma Alessandro era quello messo peggio.
Così si era ritrovato, nonostante fosse un buono studente, a
dover ripetere l'anno. Allora aveva iniziato ad andare male e ad essere
scontroso con tutti. Lo prendevano in giro perché pensavano
che
se la fosse presa per la perdita dell'anno scolastico. Quando ci
conoscemmo meglio, capii le sue ragioni. Il fratello aveva problemi con
l'alcool, e lui sospettava che ci stesse andando di mezzo anche la
droga. I loro genitori erano ricchi, ma ormai stavano insieme
soprattutto perché avevano due figli. Diciamo uno,
perché
il maggiore, di 22 anni, viveva per conto suo, dividendo l'appartamento
con un amico presumibilmente coltivatore di cannabis. Ale mi ripeteva
sempre che, dopo tutto, forse i suoi
avrebbero dovuto separarsi. Il padre aveva uno studio da geometra che
aveva ereditato da suo papà, la madre era un avvocato,
quindi
erano perfettmente autonomi dal punto di vista finanziario. Insistevano
a stare insieme, ma non si sopportavano più ed erano molto
stressati da questa situazione. -Se divorziassero- mi diceva -potrei
vivere con entrambi, sai, farei una settimana da uno e una settimana
dall'altro. Sono stufo dei loro litigi, ripetono che devono stare
insieme perché hanno ancora un figlio in casa. Ed io mi
chiedo
"dunque, se me ne vado, finalmente si lasceranno con beneficio di
tutti?"-.
Alessandro si era convinto che era lui la causa delle loro tensioni e
del loro stress, era colpa sua perché stava ancora tra le
palle.
Per questo si era depresso. Era incazzato con il mondo, ed era convinto
che soltanto Marilyn Manson avrebbe potuto capirlo, dato che si trovava
nella stessa situazione. Per questo lo ascoltava quasi maniacalmente.
Ho sempre trovato questa sua affermazione su Manson decisamente idiota,
ma ripensandoci, credo che avesse bisogno di qualcuno. Qualcuno che
capisse minimamente come si sentiva. E magari aveva visto in una
rockstar che urlava a Dio e al mondo quanto facessero schifo l'unica
persona che potesse capirlo, se mai l'avessee incontrato.
Per quanto mi riguardava, i miei si erano già separati da un
po',
mia madre aveva lasciato anche il suo amante e viveva da sola con me e
mio fratello, sempre più depressa e isolata. Ho sempre
pensato che sia una prerogativa di alcune donne, quella di
non riuscire a trovare l'uomo adatto. Ci provano e ci riprovano, ma non
cè niente da fare, non lo trovano. Avevo sempre avuto il
terrore
di finire come lei, ma, alla luce delle ultime scoperte, la ricerca
della mia metà si prospettava ancora più ardua.
Trovare
una donna, lesbica e, soprattutto, intenzionata a dichiararlo... "E se
smettessi di pensare a queste cose? Insomma, non è
umanamente
possibile che uno scopra di essere omosessuale solo perché
vede
nuda la sua vicina di casa che probabilmente si droga! Va bene che mi
trovavo bene alla discoteca LGBT in cui mi aveva trascinata mio
fratello, ma non vuol dire NIENTE!! Non posso correre a queste
conclusioni affrettate su un argomento così delicato e
importante come il mio orientamento sessuale. Sono semplicemente
rimasta confusa da quella là. Cioè, ti trovi una
che
balla nuda senza musica nel giardino accanto, sant'Iddio!".
Tutti questi ricordi mi tornarono alla mente, uno sull'altro. Cosa
diavolo mi stava succedendo? Mi sovveniva un passato che non volevo
più ricordare. "Sono una cogliona. Ma cosa pensavo? Che il
passato se ne sarebbe stato buono buono in un angolino come una tigre
ammaestrata, senza tornare qualche volta con le unghie sguainate? Brava
furba! E adesso si avvinghia a te. La tigre, d'altra parte, ha fame.
Ogni tanto bisogna pur darle da mangiare. Ed il suo cibo è
la
mia sofferenza, i miei ricordi, i miei incubi. C'è gente che
quando la sua tigre mangia, sta bene ricordandosi dell' iPhone ricevuto
a Natale o del bel voto all'esame. E c'è gente come me che
sta
male, ricordandosi del padre alcolizzato o del fidanzato morto a 17
anni perché voleva soltanto parlare con me con quel suo tono
rassicurante. Avremmo parlato e avremmo fatto pace, lo sapevo. Forse
avevo mazzato e rigato il motorino soltanto perché lui
venisse
da me senza doverlo chiamare, intaccando il mio orgoglio. Ho sempre
avuto rimorsi per questo. Se non l'avessi fatto... magari sarebbe
successo lo stesso. Magari un giorno sarebbe venuto da me per andare in
giro insieme ed avrebbe avuto comunque quell'incidente. E la cosa
terribile sarebbe stata che si era ammazzato per incontrare la sua
fidanzatina. Che la gente avrebbe lasciato bigliettini davanti a casa
sua e sulla tomba del tipo: "Addio angelo", oppure "Proteggila.
Proteggi Chiara da lassù". Vomitevole. Invece nessuno
lasciò nulla da nessuna parte. Soltanto io ero riuscita a
far
mettere nella bara il mio plettro, quello con la mia inziale scritta
sopra a pennarello. Lui ne aveva uno con la sua, e avevamo giurato che,
una volta morti, dovevamo avere nella bara uno il plettro dell'altra,
così da non dimenticarci mai e ritrovarci
nell'aldilà.
L'avevo consegnato a quello che gli aveva preparato la bara, facendogli
compassione. Comunque non l'avevo visto, dato che, dopo essere stato
letteralmente distrutto (-Il suo cervello è schizzato su
tutta la strada- ci disse la polizia) ed aver subìto
un'autopsia, era stato meglio sigillarlo nella cassa. Logicamente non
facevano vedere quello spettacolo macabro. Io riuscii ad ottenere un
paio di foto dalla polizia che aveva documentato l'incidente, quelle
meno chiare. Nonostante l'impressione, le ho ancora in un cassetto.
Alessandro fu sepolto nella terra, i suoi genitori non avebbero mai
voluto ridurlo ad un mucchietto di cenere, per poi magari spargerle sul
Monte Soglio, quel luogo che amava così tanto e dove si
sentiva se stesso. Troppo cazzata New Age spirituale. Nella sua
famiglia, solo Ale era religioso, diceva sempre di volersi convertire
al buddhismo tibetano. -Sessantottino idiota- gli avevo detto.
Sua madre, finita la funzione, mi aveva consegnato il plettro del
figlio. -Voleva che fosse tuo. Mi raccontava di questa cosa dei plettri
da scambiarsi. E non ti dispiacerebbe avere anche il suo basso? Io non
ce la faccio a guardarlo-. Così a casa mia arrivò
anche
il suo bellissimo Ibanez color ocra bordato di nero, con la mia firma
che troneggiava tra i pick-up. Mi ci volle un anno per riuscire anche
solo a guardarlo senza scoppiare in lacrime. Dopo due anni sono
riuscita a toccarlo e dopo tre a strimpellare qualche nota ad orecchio
o qualche giro che gli avevo sentito fare. Non mi sono mai impegnata
seriamente, sono una chitarrista, però con il mio gruppo,
dopo
che liquidammo il primo batterista, a volte sostituivo il basso nelle
prove per puro divertimento. è un bello strumento, ottimo
per chi non vuole un ruolo
centrale in un gruppo, dovendo tenere il ritmo. Infatti non faceva al
caso mio. Ho sempre cercato di spiccare, scatenarmi durante gli assoli,
fare il personaggio. Forse perché, nella vita, non sono mai
stata al centro di qualcosa.
La tigre doveva proprio aver fame. Era da un po' che non le davo
più da mangiare. La gente pensa che il passato non abbia
questa
"vita propria", ma non è così. In generale, tutti
coloro
che suonano strumenti a corde, sostengono che le corde siano dotate di
questa vita propria, altrimenti perché si spezzano proprio
mentre uno sta suonando e non mentre è a casa, tranquillo?
Per
il passato vale lo stesso principio. Solo che uno lo dice ridendo che
le
corde sono esseri pensanti, ma chi come me si porta un bel fagotto
sulle spalle di morti, dipendenze varie ed emarginazione
nell'adolescenza, non ride più tanto sulla vita del passato.
Pensavo spesso a cosa potevo aver fatto, magari in una vita precedente,
per meritarmi ciò. Come dice Lydia Sinclair, un personaggio
del film "La leggenda del re pescatore", a proposito della sua vita
sentimentale praticamente nulla: "Ho sempre avuto idea di essere stata
un uomo in una vita precedente, uno che usava le donne per il suo
piacere. E adesso ne sconto la pena...". Forse per me vale lo stesso
principio. Magari, senza cambiare sesso, in una vita precedente sono
stata una bulla, una stronza di prima categoria. Come Caterina. Forse
lei in una vita futura sarà una sfigata. O forse no. Forse
non esiste la reincarnazione, è semplicemente un caso che io
sia così, perché siamo tutti artefici del nostro
destino.
Può darsi che ci sia l'aldilà e sia una specie di
magazzino di anime. Quando viene concepito un bambino allora qualcosa
(Dio, direbbero alcuni) sceglie un'anima a caso e la mette in quel
corpo. E se gli va bene esce fuori Jon Bon Jovi, mentre se gli va male
esco fuori io. Ho sempre immaginato così la vita dopo la
morte. Forse mi faccio troppe seghe mentali.
Tutti questi pensieri continuavano ad assalirmi mentre venivo soffocata
dagli spiriti neri. E continuano ad assalirmi anche ora, nonostante
tutto. Quel giorno, che non scorderò mai, parlavano anche,
continuavano a sussurrare frasi sconnesse. Fu questo il particolare che
non avrei mai dimenticato. Pronunciavano parole sconosciute. In
realtà non sembravano neanche parole, soltanto dei versi.
"Forse è una lingua" pensai "tipo un idioma di qualche
popolo sperduto in culo ai lupi. Ma poiché sono creazioni
della mia mente, come faccio io a conoscere questa lingua?". Magari la tua anima di sfigata
è appartenuta a un componente di queste tribù!,
disse sua signoria la mia coscienza. Inchiniamoci tutti alla sua
volontà! Forse stavo impazzendo. Ma quelle figure si
stringevano sempre più...
Mi svegliai con un urlo, accorgendomi che era stato solo un sogno.
-Ehi, tranquilla, stai calma!- disse una dolce voce. Mi girai verso la
sua provenienza, e urlai più forte di prima.
The
corner:
per questo capitolo sono andata pesante con i Pink Floyd, per
"psichedelizzarmi" senza dover rivolgermi ad uno spacciatore.
Un ringraziamento speciale ad amastuki Yuki perché segue
questi
miei sogni/prove della mia pazzia che si concretizzano in questa
storia.
|
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Capitolo 6 *** Ode to my family ***
-Aaaahhhh!!!-
-Ehi, ehi, tranquilla, sono io, Ombra! Sei in ospedale- disse. Quella
voce suadente,
nonostante fosse una specie di camomilla, aveva un che di sinistro. Era
troppo
dolce.
I miei battiti cardiaci erano schizzati al massimo. In quel momento
ebbi
un altro spavento. Erano troppo alti. Forse, tutto quel giorno era
troppo. Ma il mio cuore... quella velocità non mi era nuova.
Improvvisamente accorse un'infermiera con una macchina che conoscevo
bene e mi attaccò immediatamente sei elettrodi, facendo
partire
l'elettrocardiogramma.
-Dio Santo!- fece, e chiamò il medico. Anche questo mi
visitò, mi fecero monitoraggi Holter, esami e balle varie,
riuscendo a far tornare i battiti alla normalità. Il
responso
già lo conoscevo.
-Signorina, lei ha avuto un attacco di una malattia compresa nelle
aritmie, detta sindrome di Wolf...-
Non lo lasciai finire: -...Parkinson-White. Sono nata con questa
malattia ed all'età di 14 anni ho subito una
radio-ablazione,
cioè hanno bruciato la via accessoria che causa
l'accellerazione dei battiti. Scommetto che se mi ascolterà
il
cuore adesso, troverà i battiti irregolari. Mi
avevano detto che
la radio-ablazione rendeva le possibilità di recidiva
bassissime
e la mia era stata un'operazione da manuale...-.
-Vedo che lei sa già tutto. Dovrei ottenere la sua storia
clinica, la richiederò al suo medico curante-.
Io fui tenuta in osservazione. E dovetti subire la presenza di Ombra
che non si staccava dal mio capezzale. Più volte tentai di
convincerla ad andarsene, ero in buone mani, ma lei era intenzionata ad
assistermi. Mi raccontò che ero stata trovata sulla spiaggia
quando, verso le 11 era finito il temporale. Ero piena di bolli, graffi
e punture di medusa. Avevano chiamato l'ambulanza e lei stava passando
di lì, dopo aver fatto qualche commissione, così
mi aveva
assistita. All'arrivo dei paramedici mi ero risvegliata, salvo poi
iniziare ad urlare e a dibattermi così violentemente da
farmi
sedare. Ora erano le quattro di pomeriggio. Ombra non si staccava da me
per nessun motivo. Restava semplicemente a fissarmi con la pazienza di
un gatto. Di un gatto che aspetta che il topolino esca dal suo
nascondiglio. Rabbrividii a quest'idea.
Verso sera mi dimisero. Non ero ferita gravemente e gli effetti del
sedativo erano scomparsi quando mi ero risvegliata. Avevo temuto che
potessero ricoverarmi per la tachicardia, tenermi in ospedale per molto
tempo come quando, a due mesi di vita, avevo avuto la prima crisi. Ero
uscita dall'ospedale all'età di quattro mesi.
Riuscii a trovare un autobus che faceva la tratta Sanremo-Imperia e che
passava da Riva Ligure, dov'era casa mia. Dovetti sorbirmi la presenza
di Ombra, poiché lei era venuta in ospedale sull'ambulanza.
Tornammo a casa e lei insistette per entrare da me, almeno per
accertarsi che non avessi bisogno di nulla. Dovetti ammettere che avevo
parecchia fame, così lei si offrì di andare a
comprare un
kebab in una vicina pizzeria. Finalmente sola, anche se per poco. Non
osavo mettere su un film o musica per terrore che piacesse anche a lei
e volesse fermarsi. Alla fine, il bisogno fu maggiore della paura e
misi su un disco dei Dio. "A meno che uno non sia un'appassionata di
rock,
Dio è perlopiù sconosciuto alla plebe" pensai
sorridendo
e feci partire Holy
Diver, il mio preferito. Mi spaparanzai sul divano
ascoltando la voce paradisiaca di Ronnie James partire con Stand up and shout,
seguita da Holy
diver, la mia preferita con Rainbow in the dark,
purtroppo penultima.
Ombra rientrò con due fumanti, enormi kebab, mentre finiva Holy diver.
-Cazzo, ma questo è Holy
diver dei Dio!- urlò come se le avessero
resuscitato Ronnie sotto gli occhi. Magari.
"Tranquilla, non è detto che lo conosca così
bene, stai calma!".
-She was straight from hell, but you never could tell, cause you were
blinded by her light!!- cantò con la sua voce
bellissima.
Scoprii che oltre ad avere un bel timbro, aveva anche una buona potenza
ed una bella estensione vocale.
-Hai una bella voce...- dissi.
-Già. A quanto pare, ho un'estensione di quasi quattro
ottave, non so se mi spiego...-
-Per Dio che riposi in pace!- risposi. -Quattro ottave! Come Freddie
Mercury! E mi pare che tu abbia anche una voce potente. Riesci a
coprire la musica del disco. Io ho appena due ottave e mezzo, se va
bene. Fai canto lirico, per caso?-
-Sì, e canto indifferentemente O mio babbino caro
e Carmen.
Soprano e mezzosoprano-.
-Anche io canto lirica. Però faccio solo parti da soprano-
puntualizzai ridendo. -Almeno sono un soprano leggero. Sai no, quelli
da Aria della Regina
della Notte. Magra consolazione. Però la lirica
è secondaria, nel senso che io nasco come chitarrista-.
Ombra riuscì a non farmi impazzire del tutto,
poiché lei
suonava il basso. Mentre mangiavamo, le raccontai di Alessandro e del
suo mitico basso, scoprendo che anche lei aveva un Ibanez. Per fortuna,
mi salvò il disco, perché proprio in quel momento
partì Rainbow
in the dark.
Non potevo assolutamente resistere a quella canzone e mi alzai in piedi
cantando a squarciagola. Ombra mi imitò, e cantammo e
ballammo
come matte, ricadendo sfinite all'inizio di Shame on the night.
Passammo la serata accompagnate dai miei dischi: Bon Jovi,
Police
(arrivate al verso "Every breath you take, every move you make" mi
sanguinò il naso. Forse ero troppo suggestionata) e
Aerosmith.
L'ultimo che ascoltammo fu Get
a grip, appunto degi Aerosmith, e arrivate a Crazy
iniziammo a ballare come matte.
Viste dall'esterno, potevamo sembrare due grandi amiche, un po' come le
protagoniste del video della canzone. Due piccole Thelma e Louise,
forse senza tutta la carica femminista di quel film, ma il principio
della fuga dalla stronza società è lo stesso.
Accompagnate dalla voce di Steven Tyler, ballavamo un simil-tango,
alternato a quei balli romanticissimi da discoteca anni '80 di cui mi
parlava mio padre. Diceva che ci portava sempre mamma, quando non
avevano ancora figli ed ancora si amavano. Ovvero prima che lei
conoscesse Carlo, il migliore amico di mio padre, il quale aveva
studiato, grazie ad una borsa di studio, in America e vi aveva lavorato
per un certo periodo, durante il quale i miei si erano conosciuti e
sposati. Io e mio fratello Fabrizio avevamo 9 e 11 anni quando lui
tornò a vivere in Italia. La sua società aveva
allacciato
rapporti con il nostro paese e lui sarebbe stato un "curatore degli
affari esteri".
Mio padre parlava spesso di lui, erano praticamente cresciuti insieme.
Dopo le superiori, Carlo aveva avuto la borsa di studio per meriti
scolastici e se n'era andato. Claudio, mio padre (l'ho sempre chiamato
per nome, oppure Jean, come il suo idolo Van Damme) era andato subito a
lavorare in una ditta di disegno meccanico. I due avevano continuato a
sentirsi regolarmente. Per Claudio, Carlo era più che un
amico.
Era un fratello. Era stato il suo braccio destro, spalla, confessore,
ospedale se faceva il gradasso con qualcuno più grande di
lui.
Il suo più caro amico. Quella era stata la mia prima lezione
sull'affidabilità degli amici. Era venuto a cena da noi,
portando due regalini per me e mio fratello. Aveva baciato sulle guance
mia mamma e abbracciato da orso mio padre. I loro sguardi la dicevano
lunga sui loro sentimenti. Erano felici. Non contenti o allegri,
proprio felici.
La serata passò tra racconti della loro vita recente e
ricordi
d'infanzia. Mi piacque subito quell'uomo. Poteva anche parlare di
economia o di politica senza farti addormentare, e ti descriveva le
cose facendotele immagiare benissimo. Carlo, al liceo, era stato il
classico latin lover amico del timidone della classe. Alto, biondo e
occhi verdi, un po' sfacciato per la verità, ma comunque un
simpaticone. Claudio invece era l'esatto opposto, era un timido di
prima categoria e con le ragazze si era spesso lasciato scappare
occasioni che il suo amico non aveva perso. C'è da chiedersi
se
si sarebbe mai sposato nel caso in cui Carlo fosse rimasto. Considerato
come andarono le cose dopo, non è un'ipotesi così
assurda.
Carlo era una persona davvero affabile. Dispensava sorrisi a tutti e,
all'epoca, mi sembrava avesse la faccia per fare un unico mestiere: il
politico. Lo immaginai spesso al posto di George W. Bush, che al tempo
era appena stato eletto presidente degli U.S.A., a dispensare i suoi
sorrisi in campagna elettorale.
Dichiarò con fierezza che a 37 anni era ancora felicemente
scapolo, anche se, un paio di volte, era stato vicino al matrimonio.
-Ma solo vicino- precisò. -Tu, invece non hai perso tempo.
Complimenti, hai una bellissima famiglia-. Ma la pace era destinata a
durare ancora poco.
Carlo entrò nella nostra famiglia come lo zio giramondo di
noi
bambini. Durante quegli anni aveva fatto spesso viaggi di lavoro,
ritrovandosi in Australia, Giappone, Russia, Emirati Arabi, e ci
raccontava di quei luoghi lontani. Fu lì che
maturò in me
l'idea di studiare lingue. Anch'io volevo girare il mondo come lo zio
Carlo, e poi scoprii di avere il talento di imparare con
facilità il lessico straniero. Carlo sosteneva che con
l'inglese
si poteva andare dovunque, che era meglio fare una scuola che
insegnasse a fare qualcosa, ma io, da brava bastian-contraria quale
sono e fui, non lo stetti mai a sentire.
Tra le tante avventure, aveva passato due anni dopo la fine degli studi
universitari girando per l'America con un gruppo di amici hippie su un
vecchio Volkswagen giallo. Ci aveva mostrato diversi album di foto
scattate in California, Oklahoma, Utha. Questi suoi amici erano
Sessantottini convinti, di quelli con la testa piena di idee da
buddhisti, che sostenevano la causa dei nativi americani e si vestivano
con i dashiki. Avevano decorato il bus con simboli della pace e
portavano un acchiappasogni appeso allo specchietto retrovisore. Una
delle ragazze (che era stato vicino a sposare) gli aveva insegnato a
suonare la chitarra. Mio fratello già suonava il pianoforte,
mentre io non avevo mai manifestato grande interesse ad imparare a
suonare. Amavo la musica ed avevo una discreta cultura, sugli anni '80
in particolare, ma non mi era mai passato per la testa l'idea di farla.
Questo finché Carlo mi mostrò la sua chitarra
acustica e
mi suonò San
Francisco
di Scott McKenzie, brano simbolico della Summer of Love e dunque amato
dai suoi amici hippie. Mi innamorai di quello strumento e pretesi che
lui mi insegnasse. Comprammo una chitarra di seconda mano da un vicino
di casa e mi impegnai a fondo. Non so perché fino a quel
gioro
non avevo mai mostrato interesse per la chitarra e subito dopo me ne
innamorai perdutamente. Conoscevo la canzone, anzi, ero un'appassionata
di rock, e se non c'è una chitarra in un pezzo rock... beh,
non
è rock! Eppure non era mai scattato quel "colpo di fulmine".
Non
l'ho mai saputo e mi va bene così.
Con il fatto che era diventato il mio insegnante di chitarra, Carlo
iniziò a passare ancora più tempo da noi. Aveva
libero accesso a casa nostra ed iniziò a frequentare molto
mia madre, che lavorava part-time in un ufficio per potersi occupare di
noi. Lei ammirava molto Carlo, inoltre la sua natura ingenua e
spontanea la rendeva sempre un po' civettuola. Lui ogni tanto le
lanciava qualche sguardo ammiccante, ma lei non se ne accorgeva o
faceva finta di niente. Comunque potevano sembrare due innocenti amici
che fanno gli scemi per divertirsi.
Visto da occhi esperti ed esterni, il modo in cui lui la ottenne doveva
sembrare una cosa da filmone cerebroleso. Pian piano, i due si fecero
sempre più affiatati. Ogni volta un po' più in
confidenza, ogni volta un po' più vicini. Lei gli
raccontò di come si sentiva incompresa da suo marito e come,
nonostante avesse una bella famiglia ed un lavoro sicuro, non si
sentisse appagata. Il suo carattere è sempre stato piuttosto
chiuso e poco propenso a manifestare emozioni. Per queto aveva bisogno
di qualcuno che fosse il suo opposto, un uomo sicuro di sè
ed espansivo. Uno come Carlo. Lui non aveva impiegato molto a capire
che i miei avevano lo stesso carattere e gli opposti si attraggono.
Claudio era più concreto e per niente incline alle
"psicofesserie da strizzacervelli cerebroleso", come definiva lui la
psicologia. Lui non poteva capire se lei voleva bianco o nero, se era
incazzata con lui o se aveva semplicemente la sindrome pre-mestruale.
Ma Carlo, che, a quanto pareva, negli States aveva avuto parecchie
avventure, possedeva l'esperienza necessaria per capire mamma. Con
donne di quel genere bisognava costruire una trappola, un po' come il
ragno che, a fatica, fa la ragnatela. E, una volta costruita, bisogna
aspettare a lungo perché l'ingenua mosca si sbatta
lì sopra. Così fece lui. Costruì una
ragnatela di confidenze; giocò un po' a fare lo psicologo e
riuscì a convincerla a parlargli dei problemi del suo
matrimonio. Riusciva a riconoscere il momento in cui lei era
giù di corda a premeva per sapere che cosa non andasse.
All'inizio lei gli raccontava balle del genere: -Le mie colleghe sono
delle deficienti- oppure -La cassiera mi ha dato della ladra
perché il codice a barre di un prodotto si era rovinato,
quelli delle poste sono dei perditempo e mi hanno scippato l'ombrello
con la tempesta-. Ma poi iniziò a raccontargli delle
frequenti liti con il marito e della voglia di tornare indietro di
quindici anni per cambiare il corso degli eventi. -Amo i ragazzi,
eppure vorrei rifare il passato- diceva. Le scuse di prima erano un po'
il Gavrilo Princip della situazione. Solo il pretesto, ma non la vera
causa dei suoi malumori. E lui che l'ascoltava, la comprendeva, le dava
ragione. Ah, non c'è che dire, una tecnica invidiabile. Se
non che era mia madre.
Iniziarono una vera relazione più o meno nell'autunno del
2002, quando io avevo dieci anni. Facevo quinta elementare e, sui
banchi di scuola, iniziavo a fare le prime scoperte sulla riproduzione.
Prima avevo solo qualche nozione generica, ottenuta da mio fratello,
che aveva due anni più di me. Penso che
già allora avesse capito di essere omosessuale. Ricordo bene
di quello scherzo che fece alla sua maestra di scienze delle
elementari, che aveva dichiarato apertamente agli studenti il suo odio
per i gay. Fabrizio era tornato a casa in lacrime, per poi convincere
me ed alcuni suoi amici ad aiutarlo nella sua impresa. Avevamo
intercettato un'insegnante di inglese, lesbica dichiarata e forse un
po' ingenua, e l'avevamo convinta che la maestra di Fabrizio l'amava.
Non so come fece a crederci, fattostà che questa era andata
da quella di scienze per chiarire la questione. Mio fratello si era
premurato di far assistere la classe a quella scena bizzarra, con la
maestra di inglese fermamente convinta di ciò che le era
stato detto e l'altra sempre più imbarazzata e confusa.
L'insegante di scienze aveva chiesto il trasferimento, mentre noi
sedicenti "cupidi" eravamo stati sospesi per un paio di giorni. Per sua
fortuna, la mia maestra non era omofoba.
Mio fratello mi aveva dunque preparata all'argomento, aggiungento
alcune note ai libri di testo, quali ad esempio il piacere e la
masturbazione. Ne ero rimasta scioccata e non ne aveva fatto parola con
nessuno. Anche lui aveva notato mamma e Carlo, soffrendone ancora
più di me, ma cercando di proteggermi dalla
verità nuda e cruda. Lo ammiro per questo. Tuttavia, alla
fine anch'io capii come stavano le cose: gli sguardi desiderosi, il
confabulare sottovoce per decidere quando incontrarsi, gli abbracci ed
i fugaci baci sul collo lontano (o quasi) da sguardi indiscreti.
Maledetta la mia curiosità che mi spinge a notare i
più piccoli particolari.
Non so tuttora come lo scoprì mio padre. Forse anche lui si
era accorto della loro complicità ed aveva indagato, oppure
glielo aveva detto Fabrizio. Sta di fatto che li scoprì e
chiese immediatamente il divorzio, nell'estate del 2003. Fu
così che io, mamma e Fabrizio ci trasferimmo ad Ivrea, dove
lei aveva il lavoro. Anche Carlo abitava lì, seguendo il suo
lavoro principalmente da casa. Improvvisamente, da zio era diventato
uno sconosciuto e "non si accettano caramelle dagli sconosciuti.
Ricordatelo, Chiara!". Per un mese non toccai più la
chitarra, ma alla fine la passione fu più forte, ormai ero
diventata brava. Allora mi chiedevo se la passione tra mia madre e
Carlo fosse come la mia passione per la chitarra: un fuoco che brucia
all'interno, rendendo impossibile ogni distacco. Ma presto la passione
tra mamma e Carlo si esaurì. Così lei si
trovò con due figli a carico, perché mio padre
non pagava gli alimenti e presto anche lei smise di pretenderli, ed un
lavoro che non le permetteva di mantenere lo stesso tenore di vita
precendente. Dovemmo tirare la cinghia, mentre mio padre affogava
nell'alcool e nessuno lo tirava fuori. Passammo tre anni e mezzo
difficili, finché mia madre non cambiò ufficio e
posizione, iniziando a guadagnare meglio. Fabrizio, intanto, si
impiegò part-time in un negozio di dischi. Mio padre,
intanto, passò cinque a bere e vivere come un cane. Poi un
giorno andai da lui e lo pregai di farsi ricoverare. Andò in
ospedale, ma ne scappò dopo pochi giorni.
Dopo questo, io e mio fratello maturammo un'idea. Io avevo qualche
risparmio in banca, mentre lui lavorava. Non erano molti, ma bastavano
per mandarlo in una clinica del Monferrato.
-Jean, questi sono i nostri soldi. Lo facciamo per te, mamma non lo sa.
è tutto ciò che abbiamo, ci bastano appena per
pagarti la terapia. Ti prego, fallo per noi- gli aveva detto Fabrizio,
chiamandolo con il suo nomignolo che amava tanto ("Beh, non
avrò il fisico di Van Damme, ma sono comunque un gran figo!"
era una delle sue frasi abituali). L'amore paterno gli bastò
per entrare nella clinica e seguire la cura diligentemente. Noi lo
andavamo a trovare, a volte bigiando a scuola perché nostra
madre era al lavoro.
Quando uscì, si sentiva come nuovo. Riprese a lavorare e non
smise mai di ringraziarci. Io ero davvero felice per ciò che
avevamo fatto. Poi morì Alessandro.
-Ehi, ti senti male?- mi chiese Ombra con aria preoccupata. Mi ero
immersa nei miei ricordi senza più badare al fatto che mi
trovavo abbracciata a lei, a ballare come due ubriache. Crazy era finita da
un pezzo ed ormai stava per iniziare Amazing. Peccato,
mi ero persa Lenny Kravitz.
-No, tranquilla, è solo che... ecco, mi sono ricordata delle
cose...- risposi, confusa.
-Quali cose? Se vuoi puoi raccontarmi tutto!- mi rispose.
Le raccontai brevemente della mia famiglia e di ciò che era
successo. Lei parlai anche del fatto che mia madre (e anche mio padre,
nonostante lui non fosse granché assertivo) non aveva
gradito molto il fatto che Fabrizio avesse apertamente dichiarato di
essere gay, nonostante fosse palese fin dal giorno dello scherzo alla
sua maestra.
-Mi dispiace... è brutto avere dei genitori che non
capiscono e accettano ciò che tu sei. Anch'io sono anni che
nutro dubbi sulla mia sessualità, eppure i miei non vedono
di buon occhio l'omosessualità o la bisessualità,
che sento più vicina a me- mi disse.
La guardai stupita: stava dichiarando in tutta calma ad una ragazza
semisconosciuta di essere presumibilmente bisex. Non c'è
tanta gente che lo fa così apertamente. Ammirevole.
-Penso che mia madre debba solo digerire la notizia. Quanto a mio
padre... noi vivevamo da nostra madre, dunque non l'ha deciso lui di
spedirlo fuori. Credo non sappia come comportarsi, visto che non
è stato granché come padre. Ma noi gli vogliamo
bene. Anche solo dovendo scegliere tra un padre ex alcolizzato che ci
è riconoscente di averlo salvato ed una madre che gli ha
messo le corna sotto il naso di due bambini...-
-Forse hai ragione. E poi ci sei sempre tu per Fabrizio- disse,
sorridendomi.
Rimanemmo a guardarci negli occhi, vicine tanto da sentire sulla pelle
il respiro dell'altra. Ombra chiuse gli occhi e mi baciò.
The
corner: un paio di precisazioni: quella frase tra
parentesi sul brano dei Police, che è Every breath you take,
l'ho scritta perché in realtà la canzone parla di
un personaggio che è quasi uno stalker. Per questo Chiara,
che si ritrova Ombra praticamente dappertutto, si lascia un po'
suggestionare.
Il titolo del capitolo può sembrare un paradosso, dato che
la canzone dei Cranberries dice "mia madre mi stava accanto quando ero
lì fuori". Però secondo me "ode alla mia
famiglia" ci sta, parla comunque dei suoi ed emerge la figura del
fratello, una persona protettiva nei suoi confronti, forse l'unico che
si è preso veramente cura di Chiara. Boh, non sono una
psicologa, ergo mi fermo qui e lascio a voi l'ardua sentenza.
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Capitolo 7 *** Ghost ***
Fu un bacio lungo e dolce, niente slinguazzamenti forsennati o bioate
varie. Si staccò da me e mi guardò sorridendo in
modo
sinistro.
-Quelle come noi si riconoscono a prima vista- disse.
Ero sconcertata. Voglio dire, mi aveva appena baciata senza neanche
essere sicura che fossi anch'io lesbica. E cosa voleva dire con la
frase che aveva appena pronunciato?
-C-cosa vuoi dire?- le chiesi, allarmata, temendo che i miei peggiori
presentimenti si avverassero e lei mi facesse a pezzettini dopo il
bacio d'addio.
-Che noi lesbiche e bisex ci riconosciamo subito. Una specie di radar,
come mi disse la prima ragazza con cui ebbi una relazione. Intuizione
femminile, chiamala come vuoi- rispose con un sorriso da commessa di un
negozio. -Lo so che pensi di non esserlo. Ma prova ad ascoltare te
stessa-.
Rimasi senza parole. Ero quasi un po' incazzata per questa sua
convinzione. Ma si sbagliava, sicuro.
-Il tuo radar non funziona, allora-.
Lei cambiò discroso: -Lo so che mi hai vista, ieri sera. Ti
pregherei di non farne parola con nessuno, e intendo a nessun'anima
viva e non. Sarà il nostro piccolo segreto-.
-Perché l'hai fatto?-.
Non mi rispose e si alzò dal divano. Lo stereo era muto da
un
pezzo, il disco se ne stava lì, ad aspettare di essere
riposto
nella sua custodia. Per un attimo lo immaginai a tamburellare
nervosamente le dita. Leggo troppo, guardo troppi film e ascolto i Pink
Floyd.
Ombra ripose il disco e ne scelse un altro a caso. Si trattava di Skid Row,
dell'omonima band.
-Pensaci- disse prima di andarsene.
Pensarci? E a cosa diavolo dovevo pensare?! Se ero lesbica o no? No,
non lo ero. Insomma, avevo sempre pensato che se uno è gay,
se
lo sente dentro, come mio fratello, che lo sapeva già a 9
anni,
quando non era neanche ancora nella pubertà. Non puoi
passare
ventun anni della tua vita credendo di essere etero, secondo me non era
possibile. Avevo avuto un fidanzato importante, che poi era morto, ma
avevamo passato insieme tempi che lasciavano presupporre che a
quest'ora saremmo stati ancora insieme. La soluzione era una sola: il
turbamento che provavo era dovuto a quel bacio, dato in tutta la
sicurezza di essere ricambiati, e alla vista di lei che ballava come
drogata in gardino. Anzi, sicuramente era drogata. Questo turbamento
era normale...
Eppure il
bacio mi era piaciuto. Un piacere puro, felice, appagante. Sentivo che
con la scarica adrenalinica di quell'unico, piccolo bacio avrei potuto
affontare anche mia madre ed i suoi pregiudizi. Ed ora mi dispiaceva di
averla lasciata andare, volevo che tornasse.
Quel figo di Bach cantava a squarciagola e decisi di rimandare le mie
riflessioni perché non potevo assolutamente resistere a 18 and life.
Saltellando e cantando, colllegai la chitarra all'almplificatore per
suonare in allegria all'una di notte al massimo volume. Sapevo che
poteva causare un linciaggio, ma volevo sfogarmi con la cosa che amavo
di più. Improvvisai sull'assolo sentendomi come di fronte a
20000 persone.
Impegnata com'ero a suonare, non mi accorsi della presenza di qualcuno
sulla porta. Solo quando finì la canzone, la persona in
questione mi applaudì. Non riuscivo a scorgere il suo viso,
poiché rimaneva nella penombra. Sorrisi, non c'era
più
bisogno di farsi le seghe mentali.
-Sei molto migliorata dall'ultima volta che ci siamo visti- disse una
voce maschile. Quel timbro sabbioso lo conoscevo bene, eppure impiegai
un po' di tempo per riconoscerlo.
-Ma tu... non è possibile!-
-Oh sì, invece. Sono io in persona- rispose Alessandro.
-Tu... tu sei morto cinque anni fa! Ma che... aspetta, sei... un
fantasma?!-. Dire che ero scioccata è riduttivo.
-Infatti. Cinque anni. Passano veloci, eh? Vedo che finalmente ti stai
rifacendo una vita, con una donna. Ti trovo bene, però.
Finalmente un'adulta. Io invece sono rimasto a quel giorno. Ci pensi
che oggi sono cinque anni esatti? Era il 12 aprile 2008. Miseriaccia,
sai che mi è rimasto quel mega brufolo sul mento, devo aver
fatto uno schifo al medico legale. Era una gnocca...- disse tutto d'un
fiato.
-Ma... vieni... insomma, dall'aldilà?- chiesi. Che idota.
-Beh, più o meno- rispose. -In realtà ho passato
questi
cinque anni a girovagare per il mondo. Cazzo, che spasso! Ho
terrorizzato tanta di quella gente e combinato qualche casino, ma
è stata una figata!! L'ho fatto per tutto questo tempo, ma
ora
provo nostalgia di te. Mi manchi, Chiara. Voglio rimanere al tuo fianco
e proteggerti. Per questo ti dico: fai attenzione ad Ombra.
è
pericolosa, non posso dirti altro, ma stai attenta!-.
-Fatti vedere- gli dissi, avvicinandomi. Non amavo toccare l'argomento
Ombra.
Lui indietreggiò: -No, Chiara! Il mio aspetto è
quello
del giorno dell'incidente. Lo sai com'ero conciato. Non avvicinarti o
scompaio!-.
-Ti prego. Devo sapere come sei. Non posso avere qualcuno al mio finco
senza sapere come sia fatto-.
Impiegai un po' di tempo a convincerlo, ma alla fine
acconsentì
che mi avvicinassi a lui nella penombra, per non vederlo chiaramente.
Ciò che scorsi mi bastò per convincermi che
l'espressione
del capo della polizia "la sua testa si è aperta in due come
un
melone ed il suo cervello è schizzato su tutta la strada",
era
papale papale. Avevo visto solo quelle foto poco chiare che
mostravano sangue e lamiere distrutte, e quella frase non mi aveva
detto molto. Il suo cranio era letteralmente aperto in due, la
spaccatura partiva all'altezza del naso e finiva alla nuca.
Lì
c'era tutto a vista, insieme ad un pezzo di metallo proveniente
presumibilmente dal motorino. Fu quello il particolare che
più
mi colpì. Strano, vero?
-Heavy metal- disse, notando la scoperta di quel particolare.
Mi fece ridere, non era per niente cambiato.
-Già, noi spirti rimaniamo gli stessi che eravamo in vita-
continuò, e poi, intuendo la mia perplessità:
-Posso
leggere nel pensiero. Per questo ti dico di fare attenzione ad Ombra.
Non è per niente una santarellina, e te ne accorgerai se le
dai
troppa confidenza. Però non chiedermi nulla, ok?-.
Seguii il suo consiglio: -Ergo hai girato cinque anni per il mondo-.
-Ah, sì, ho incontrato tantissimi altri spiriti. Ce la siamo
spassata alla grande! I fantasmi possono decidere se apparire ai
mortali, per questo di solito non si vedono. Sai, girano sulla terra
persino Jimi Hendrix e Freddie Mercury. Se ti trovi un loro autografo,
non farti prendere un infarto!-.
Rimase con me ad ascoltare musica ed a raccontarmi aneddoti sui
fantasmi
che aveva incontrato e sulla gente che aveva terrorizzato apparendo
come un sedicente messaggero di Satana. Verso le tre e mezza mi
lasciò, o forse scomparve sempicemente alla mia vista. Mi
addormentai tra dischi che non avevo voglia di rimettere a posto e la
mia
Gibson Les Paul.
Fui assalita dagli incubi, le solite figure nere. Di nuovo parlavano
quella strana lingua, questa volta gridando. Mi risvegliai urlando con
quella frase in mente, che trascrissi subito per non dimenticare. A
tratti sembrava latino, oppure arabo. No, non era una lingua
conosciuta.
Non riuscivo a venirne a capo. Cercai in internet, andai in biblioteca
fino a Sanremo, pensai a tutti gli idiomi esistenti a questo mondo. Che
fosse qualche lingua morta, tipo Maya, oppure un dialetto degli
aborigeni australiani?
Passai così l'intera mattina, senza cavarci un ragno dal
buco.
Esausta dalle ricerche e dal poco sonno, tornai a casa e mi stesi sul
divano. Guardandomi nello specchio dell'entrata, vidi la mia faccia
stravolta, sembravo la bambina de "L'esorcista" e...
L'esorcista. Regan MacNeil. Possessione diaboica. No, non ero
posseduta, ma... "Devo provare a riaddormentrmi" pensai. Non ci misi
molto a scivolare nelle braccia di Morfeo e tornare tra le figure
nere. Solo che questa volta ero cosciente, e mi sforzai di non farmi
prendere dal panico.
-Est-ce que tu parle français?- chiesi.
-Oui, nous parlons français très bien!- risposero
in coro.
-Y espanol? Habla Usted espanol?-
-Ciertamente!-
-Should I stay?-
-Or should I go?- risposero, citando la canzone dei Clash.
-Etelov asoc?-
-Irtson iraffa-.
Mi risvegliai improvvisamente con la risposta. Guardai trionfante il
foglio su cui avevo annotato "atset al ertlo, icco ilg ertlo". Come
avevo fatto a non accorgermene? Ma quali idiomi sconosciuti, le lingue
straniere non mi servivano! Era italiano, ma letto al contrario. Avevo
pensato a quello quando mi ero ricordata del film, in cui la bambina
posseduta
parla al contrario e conosce varie lingue, io ora avevo testato i miei
fantasmi. Ergo, se le parole erano praticamente lette come l'arabo,
alla fine veniva, aggiungendo un'acca che rimane muta al contrario,
"Oltre gli occhi, oltre la testa". Grazie al cazzo! Ma che cavolo
voleva dire? Certo, non mi aspettavo la soluzione a tutti i miei
problemi, ma un confortante "Questo è tutto un brutto sogno,
ti
sveglierai nel tuo letto e tutto sarà passato". Mi sembrava
di
essere finita in un assurdo film thriller, di quelli con l'epocale
scontro tra Bene e Male alla fine. Ovviamente avrei dovuto combattere
per il Bene. Ma allora Ombra... "No, è assurdo, non posso
pensarlo, non sono in un dannato film, questa è la fottuta
vita
reale!!" pensai. Necessitavo di prove, indizi, senza contare che
affermazioni del genere bastavano per farti rinchiudere imbottita di
Valium. Dovevo essere impazzita. Forse se fossi tornata ad Ivrea
sarebbe finito tutto, come un brutto sogno. Forse era davvero un
incubo, bastava darsi un pizzicotto e sarebbe svanito. No, purtroppo
era
reale. Ma ci
sei? Esisti sul serio? Sei qui davvero?
"Ok, basta con le psicofesserie da strizzacervelli cerebroleso, vengo
da una famiglia di schizzati e non vorrei impazzire anch'io. Penso
troppo". Ma dai che per
essere pazzi bisogna essere innamorati!
"Oh, adesso fai anche la romanticona? Ma che dolce!! Mi fai venire le
lacrime agli occhi!"; così conclusi un'altra costruttiva
chiacchierata con la mia coscienza. Perfetto, era ora di chiamare il
manicomio. Allegriaaa!!, come diceva Mike Bongiorno; cavolo, dovevo
andare a vedere la sua statua davanti all'Ariston di Sanremo. Potevo
andare al cinema, portarci Ombra... ma no, se lei era il Male!
Ma,
psicofesserie a parte, nonostante tutto mi attraeva. Non era il fascino
del pericolo dovuto questi pensieri, che forse avevano un
fondo di
verità, dopo quello che mi aveva detto Alessandro.
Nonostante mi
fidassi di Ale, c'era qualcosa che non mi convinceva nelle sue parole.
Dopo tutto, Ombra mi piaceva. Ma dovevo saperne di più sul
suo conto, e c'era un unico modo per farlo nella mia testa da cinefila
incallita.
Nel classico film americano, il protagonista riesce sempre
miracolosamente ad introdursi nella casa dell'assasino/persona sospetta
poiché questi riesce ad eludere ogni controllo ma
è
così sprovveduto da non chiudere a chiave o lasciare le
finestre
aperte. Poi il cattivo in questione arriva sempre mentre il nostro eroe
è dentro, il quale riesce miracolosamente a farla franca
portando con sè la prova schiacciante. è evidente
che la
realtà è un po' diversa. Infatti Ombra aveva
chiuso
tutto. Perfetto. Decisi, forse perché non vedevo
altre
soluzioni, di passare dal balcone, che distava poco dal mio,
probabilmente senza pensare ai rischi. Trovai la persiana della porta
aperta, il che non si poteva dire della porta stessa. Non volevo
rompere i vetri, ma notai che la chiave non era infilata nella toppa.
Usando le grucce appese allo stendibiancheria riposto contro il muro,
riuscii a scassinarla. Si può pensare che i gay siano
femminucce; se è così, mio fratello era
l'eccezione. Da
piccoli ne combinavamo tantissime, tra cui scassinare un armadietto
chiuso a chiave nell'armadio di Claudio per trovare scorte di cibo
spazzatura, severamente proibito da mamma, che era una salutista.
Ringraziando mentalmente Fabrizio, entrai sentendomi come Eva Kant.
Gironzolai per la casa. Ogni stanza era arredata in modo diverso, c'era
il salotto anni '60, la cucina country ed il bagno giapponese. La sua
camera era tappezzata di poster di gruppi rock, ma l'arredamento era in
stile hippie, trionfavano simboli della pace ed acchiappasogni. Mi
faceva ricordare il famigerato pullmino su cui aveva viaggiato Carlo.
Non speravo di trovare documenti, supponendo che li avesse con
sè; invece trovai la sua carta d'identità. Bene,
finalmente conoscevo i suoi dati. Puccini Ombra Lara, nata a Firenze,
residente a Cuneo in via Garibaldi 3, nubile e studentessa. Alta 1,70
m, capelli biondo platino, occhi rossi, segni particolari nessuno. La
carta era valida e nella foto portava i capelli lunghi oltre
le
spalle. Aveva un viso perfetto, bianchissimo, ed uno sguardo enigmatico.
Trascrissi su uno scontrino che avevo con me i suoi dati e continuai ad
ispezionare la casa. Per essersi appena trasferita, era di un ordine
impeccabile. Guardai anche nella cabina armadio, che sembrava un
castello arabo, ma scorsi soltanto una scatola da scarpe contenente
lettere e biglietti d'auguri. Lo facevo anch'io. Improvvisamente, tra i
vestiti scorsi quello che si rivelò essere il pomello di un
armadietto segreto. Lo aprii, trovandoci una scatola di latta di vecchi
biscotti che poteva risalire agli anni '60. La aprii, sperando di
trovare al suo interno la soluzione a tutti i miei problemi. Quello che
vidi mi lasciò di sasso.
The
corner:
ok, eccomi di nuovo qua. Poiché andrò al mare,
non so se
riuscirò ad aggiornare regolarmente. Mi scuso con chiunque
abiti
in via Garibaldi 3 a Cuneo, ho scritto un indirizzo assolutamente a
caso. E scusatemi anche per lo spagnolo da far rizzare i capelli, non
ho ancora
iniziato il liceo linguistico. Recensite per favore :)
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Capitolo 8 *** Un cuore matto ***
Logico che da lei mi aspettavo un po' tutto, ma certamente quando ci
trovai un ciondolo a forma di pentacolo, mi stupii decisamente. Ok, non
ho
mai creduto tanto alla storia di Satana, in Dio credo ancora di meno,
ma trovare un pentacolo significa trovare un satanista, come trovare un
crocifisso vuol dire trovare un cristiano. Triste che Gesù
Cristo sia ricordato per come è morto, per la gente che ha
mentito e l'ha ucciso, come raccontava, molto più
poeticamente,
De Andrè nella sua I
dieci comandamenti. Se lui era il simbolo dell'amore...
no, non importava. Dovevo indagare.
Quando ero ragazzina, avevo mescolato lo stile dark con quello
hippie. Ero un ibrido, potevo arrivare il lunedì a scuola
truccata e vestita di nero, ascoltando metal a tutto volume, e
presentarmi il giorno dopo acqua e sapone, con camicette, fasce e
gonnelloni cantando Blowin'
in the wind.
Questo accadeva al liceo, dove fui automaticamente esclusa dalla
cerchia
dei fighi, ma trovai dei buoni amici sfigati come me. Tra questi c'era
Alessandro, fu amore quasi a prima vista. Ci fidanzammo il 3 maggio
2007, il resto è storia nota. Dopo
la sua morte, mi avvicinai alla Chiesa di Satana di LaVey. Ale era
già un mezzo satanista, come il suo idolo Marilyn Manson.
Satana
come rappresentante dei vizi umani, non esattamente come il pensiero di
LaVey. Mi ero riempita di pentacoli e teschi per due anni,
finché non avevo iniziato a maneggiare il suo basso ed
accorgermi che
ero ridicola. Allora avevo mollato tutto ed ero tornata al mio stile
altalenante. Conservo
ancora un pentacolo; quello di Ombra era un po' più grande e
completamente nero, mentre il mio era striato di rosso. Lo fotografai
con il cellulare e stavo per andarmene, quando mi resi conto di un
particolare. Un nastrino verde sembrava essere incollato sul fondo,
tirandolo, mi resi conto che serviva a scoprire un doppio fondo.
"Dev'esserci qualcosa davvero segreto se è nascosto con
cotanta
cura" pensai. C'era un foglietto ripiegato. Lo lessi, aspettandomi di
trovarci la soluzione di tutti i miei problemi o l'elisir di lunga
vita. Il testo era scritto al contrario, altra prova di satanismo, e,
conoscendo il trucco, non mi fu difficile leggere ciò che vi
era
scritto. Parlava di luce, chiarore del mattino e cose simili. Bellina,
una poesia, non c'entrava assolutamente niente con Satana, ma
ciò non significava nulla. Lo trovai inquietante, forse
avrei
preferito un inno satanista, almeno sarebbe stato coerente con
il
pentacolo. Trascrissi la poesia su un altro scontrino
(le mie tasche sono sempre state pattumiere), che oggi ho purtroppo
perso, per cui non la ricordo esattamente. Rimisi tutto a posto e me ne
andai. Uscita sul balcone, mi resi conto che prima non avevo neanche
fatto caso alle eventuali persone che potevano passare per la via ed
alzare lo sguardo. Meglio non pensarci, ma questa volta volta feci
attenzione. Tornata a casa, decisi di cercare Ombra su Facebook, ma lei
mi aveva preceduta e mi aveva già inviato una richiesta di
amicizia. L'accettai subito e spulciai nel suo profilo. Nata a Firenze,
come si poteva intuire dal cognome tipicamente fiorentino, vi aveva
vissuto 4 anni, prima di trasferirsi a Roma per altri 4 anni, poi a
Bologna, Trieste, Brindisi ed infine Cuneo. In tutti quei luoghi vi
aveva vissuto 4 anni, tranne a Cuneo, perché dopo 1 anno era
venuta a stare qui, senza famiglia per la prima volta, come mi aveva
detto in mare. Strano, però, che fossero avvenuti ad
intervalli
regolari. Continuai a curiosare nel suo
profilo, scoprendo che amava la fotografia, le piaceva la mia stessa
musica ed anche tra i film avevamo parecchi punti in comune. Non mi
stupì di trovare tra i suoi interessi la Chiesa di Satana.
Le
fotografie erano in maggioranza paesaggi che fotografava per hobby, ma
quelle che la ritraevano non erano molte, quasi tutte scattate a feste
e gite in famiglia. Una persona normale, in apparenza. In particolare,
una foto attrirò la mia attenzione. In quello scatto doveva
avere circa 8-9 anni, ed ebbi un deja-vu, come se l'avessi vista
già una volta a quell'età. Eppure a 8 anni si era
trasferita a Bologna, come potevo averla vista? Scaricai la foto, la
ingrandii, la tagliai, la rigirai, eppure non poteva essere!
Stampai l'immagine e corsi fuori a cercarla. Non avevo idea di dove
potesse essere, nè se fosse a Riva o in giro per la Liguria.
Anni di jogging avevano fatto il loro effetto, pensavo mentre
sfrecciavo per le viuzze. La trovai al bar, a sorseggiare
caffè
e giocherellare con il cellulare. Mi salutò con un sorriso e
mi
offrì un caffè. Accettai e presi un Irish coffee,
ne
avevo bisogno. Senza dire niente le sbattei sotto il naso la foto. Mi
guardò dubbiosa, ma poi capì.
-Hai ragione, ci siamo già incontrate. Avevo 8 anni, i miei
volevano trasferirsi a Torino ed ero venuta a vedere la scuola. Come ti
ho vista mi sei rimasta stampata nella memoria, ho continuato a
pensarti per tredici anni, a far crescere quell'immagine, vederti
adolescente e donna. E quando ti ho incontrata qui, ho capito che eri
tu, ti avevo ritrovata!-.
-Perché non vi trasferiste a Torino?- chiesi.
Lei non mi ascoltò: -Boh, devo andare, sto morendo di fame-
disse, prima di pagare i caffè
ed andarsene.
Perfetto, adesso si scopriva persino che ci eravamo già
incontrate. Non riuscivo a capirci più niente,
anzi, non riuscivo a capire che cosa dovevo capire. Magari restare a
casa sarebbe stato meglio.
Tornai a casa con una focaccia di Recco, tanto per cambiare. Il
pomeriggio dovevo andare in ospedale per un elettrocardiogramma, che si
rivelò normale. Il medico me lo rifece quattro volte, ma non
mentiva, ero sanissima. Niente onda delta, la bastarda che aveva
causato
i miei problemi.
-Non capisco. Ieri c'era ed oggi non c'è più. Non
mi era
mai capitato un caso del genere. Proverò a documentarmi, nel
frattempo non posso darle farmaci, se si ripresentasse venga qui
immediatamente-.
-So come farmi passare una crisi, il procedimento è lo
stesso per stapparsi le orecchie sott'acqua-.
-Vedo che lei sa già tutto. Arrivederci- mi
congedò il cardiologo.
-Arrivederci-.
Tornai a casa e chiamai Fabrizio, raccontandogli dell'accaduto, ma
tacendogli la parte relativa ad Ombra. Men che meno gli dissi di
Alessandro. Mi sentivo in colpa, lui era il mio confidente ed avevamo
l'obbligo di raccontarci tutto, tuttavia non potevo farlo, prima dovevo
capirci qualcosa. Inoltre se glielo avessi detto avrebbe subito
chiamato il soccorso psichiatrico. Chiacchierammo del più e
del
meno, poi chiamai
i miei genitori e dissi loro le stesse cose. Non me la sentivo di
andare in spiaggia, avevo ancora dei graffi e l'esperienza del giorno
prima non mi allettava. Passai un sano pomeriggio musicale, quando,
verso le cinque, sentii delle grida provenire dalla casa di Ombra.
Sembrava stesse litigando al telefono. Aveva lasciato la porta che dava
sul balcone aperta, così, uscendo, riuscii a captare la
conversazione.
-E che cazzo! Viviamo nel ventunesimo secolo, le cose cambiano! No, non
se n'è accorto nessuno. Non lo vado a
sbandierare. E se ti fa piacere saperlo non ti dò certo la
colpa, visto che non è una malattia. Non incolpo
né te,
né papà, per avermi fatto girare l'Italia ed aver
avuto i
miei problemi! Stai tranquilla, la mia reputazione è salva,
per
citare tue testuali parole!! Ciao-.
Mi affrettai a rientrare perché lei si stava recando su
balcone,
infuriata. Non volevo sapesse che avevo origliato. La spiai da dentro,
mentre lei si accendeva una sigaretta. Strano, non puzzava di fumo, a
meno che non usasse quantità industriali di profumo. Ad un
esame
più attento, mi accorsi che non era una sigaretta. Stava
fumando
una canna in tutta tranquillità sul balcone!! Io almeno, le
poche volte che l'avevo fatto, mi ero premurata di nascondermi. Non che
fumassi abitualmente, l'ultima canna risaliva all'anno prima, ma al
liceo ogni tanto lo facevo, con Ale o con gli amici. Comunque, non
amavo molto la marijuana o l'hascisc, mi davano solo mal di
testa e non ero in cerca dello sballo. Era da un paio d'anni che non
toccavo quella roba.
In quel momento stavo dunque spiando Ombra, ben nascosta. Lei mi
chiamò comunque e non ebbi altra scelta che uscire in
balcone.
-Lo so che mi hai sentita, cara. Mi spiace, ma litigo spesso con mia
madre. Vuoi un tiro?-
Accettai, ma era difficoltoso passarsi la canna dal balcone. Strano, vi
ero passata io
quella mattina. Così accettai di andare a casa
sua. Finsi di stupirmi per l'arredo, quando in realtà
l'avevo
già potuto ammirare. Ci trasferimmo in camera sua, finimmo
la
canna e parlammo del più e del meno. Mi faceva una strana
sensazione stare con lei come se fossimo due vecchie amiche.
Ricordavo, in quel momento, del nostro primo incontro. Anche lei mi
aveva fatto una certa impressione, e non solo per il suo aspetto
inusuale. Certo, strano che riuscissi a ricordarmi di una bambina che
era venuta a vedere la mia scuola in terza elementare. Comunque, mentre
ero
con lei sentivo quella strana sensazione, come se fossimo legate
insieme. Una cosa particolare, che ricordavo di aver provato qualche
volta pensando ad Alessandro.
Non ricordo assolutamente di cosa stessimo parlando in quel momento,
per la verità non stavo neanche facendo attenzione alla
conversazione. Ero concentrata su di lei, osservavo ogni suo movimento,
il modo di parlare e di guardarmi. Mi fissava nei suoi occhi rosso
fuoco, ma immediatamente volava via, ed io desideravo ardentemente che
continuasse a guardarmi per capire cosa provava per me. Comico, a
pensarci bene, dato che neanche io conoscevo i miei sentimenti, una
cosa odiosa per una precisa ed organizzativa come me.
Iniziavo ad avere mal di testa, forse era la canna, non ci ero
abituata.
Mentre parlavamo, la mia mente volava in altri mondi, seguendo il filo
dei suoi pensieri. Iniziai a non vedere bene Ombra, diventava sempre
più sfocata e la sua voce era sempre più lontana.
Poi, il buio.
The
corner:
scusatemi immensamente per codesto ignobile ritardo, ma sono stata al
mare e sapete com'è, un giorno in spiaggia
quà, un
viaggio in Francia là, la connessione
interdet che è scomparsa definitivamente, e poi
l'inizio della scuola... Ergo scusatemi, mea culpa, mea culpa, mea
maxima culpa (oh, la citazione latina. Ma quanto sono erudita).
Comunque, ormai non manca molto alla fine, che sarà una
figata o
una mmerda, deciderete voi. Un po' inaspettata sarà, almeno
così la penso. Le recensioni sono altamente gradite.
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Capitolo 9 *** The dark side of the moon ***
C'era qualcosa di nuovo. Quello era un sogno che non avevo mai fatto.
Oddio, sogno. Era talmente realistico che aveva più il
carattere di una visione. Almeno
credo. Non so come siano queste visioni, si sentono tanto nei film, ma
la vita reale è un'altra. Già, la vita reale.
Forse, se
per una buona volta avessi iniziato a ragionare come una persona
normale e non come una cinefila cerebrolesa che crede ancora alla
favola del principe azzurro sbiadito, allora qualcosa si sarebbe
aggiustato. Ma chi mi credevo, Lara Croft? Sarah Connor? No, cazzo, ero
Chiara Sandri, 21 anni, normalissima, si fa per dire, studentessa
universitaria. E basta.
C'era una nuova figura nera. Era uguale eppure diversa da tutte le
altre. Innanzitutto era più grande, eppure non era solo
quello.
Nella mia testa, qualcosa mi diceva che l'avevo già
incontrata. E
piantala con queste stronzate. Tu hai già incontrato una
stupidissima ombra?!?! Hai avuto qualche danno, dopo l'incidente in
acqua? Sei ritardata fin da piccola? "Bonjour finesse,
sempre un piacere chiacchierare con Madame Forbita".
Non capisco che problema ho. Nel classico film americano il
protagonista durante una visione del genere capisce tutto della sua
vita ed una volta tornato al mondo degli svegli si adopera per
risolvere la faccenda. Ma questo non è un film americano,
è la vita reale di una ragazza italiana. Molto meno figo. Le
figure parlavano, sembrava che recitassero il rosario. Genere thriller
alla "Il codice Da Vinci". L'unica che stava zitta era proprio la
figura più grande. Sembrava quasi che avesse una forma. Le
altre
erano solo delle ombre con una testa e delle braccia appena accennate.
Ricordavano un po' l'uomo de "L'urlo" di Munch. Ma questa era
più definita. Continuava ad essere completamente nera,
eppure
sembrava proprio l'ombra di una persona. E pian piano si definiva
sempre più, ma prima che potessi capire chi fosse, mi
risvegliai
di colpo.
Non ero nella mia stanza. "Porca madonna". Subito non riconobbi
quell'ambiente, ma poi scorsi una figura seduta alla scrivania. Ero
sdraiata sul copriletto a motivi psichedelici di Ombra. Lei era seduta
davanti a dei libri universitari alla scrivania, e si voltò
non
appena mi mossi. -Bentornata nel mondo dei vivi, Chiara- fece con un
sorriso.
-Ma... Che...- dissi. Non ricordavo più come ci fossi
arrivata. "Non è che magari..."
-Stavamo parlando, quando tu sei svenuta; così ti ho
sdraiata
lì aspettando che ti riprendessi- disse con un sorrisetto.
-Oh. Oh, oh cazzo!!- urlai spaventata.
-No, no, calma, cosa ti prende?!- mi prese per le spalle, guardandomi
negli occhi.
-Io... Io... Scusa, n-non ce... ce la f-faccio più-
biasciai.
Ero esaurita, ne avevo abbastanza di non capire più nulla.
-Tranquilla, calma, ti aiuto io. Che cosa ti succede?-
-Da giorni mi succedono cose strane, faccio incubi, non capisco
più niente di quello che mi accade!- confessai, tra le
lacrime.
-Shhhh, è normale fare dei brutti sogni... a volte pensiamo
di
aver eliminato il passato... ma è come una Fenice, che
risorge
dalle ceneri-.
Mi abbracciò forte. Rimasi un attimo interdetta, chiedendomi
il
significato delle sue parole e di quell'abbraccio. Ma alla fine mi
lasciai andare tra le sue braccia e la strinsi a mia volta. Un
abbraccio non risolverà la situazione, ma dà
immenso
conforto. Pian piano mi sentivo meglio, poi cominciai a sentire uno
strano calore avvolgente che mi fece sciogliere come un budino. Avete
presente rientrare in una casa riscaldata dopo una bufera di neve? Mi
era capitato durante un mio viaggio a San Pietroburgo: aveva iniziato a
nevicare (cretina anch'io che c'ero andata d'inverno) ed a tirare un
vento fortissimo, ero rientrata nella casa dov'ero ospitata mezza
congelata, ed il riscaldamento acceso mi aveva letteralmente fatta
sciogliere. La sensazione era la stessa, piacevole, eppure era una cosa
strana, innaturale.
Non so quanto tempo rimanemmo così abbracciate, ma a me
parvero
giorni. Mi lasciò con un sorriso, chiedendomi se stavo
meglio.
-Sì, grazie- risposi, tranquilla. Ora la sua pelle sembrava
ancora più pallida del solito, quasi azzurra.
Cercò di
alzarsi per accompagnarmi alla porta, ma ebbe un capogiro e dovette
risedersi.
-Mi sa che dovrai uscire da sola. Tranquilla, ogni tanto mi capita,
sono stanca. Ciao!- mi disse.
Le lascia il mio numero, pregandola di chiamarmi se ne avesse avuto
bisogno.
Rientrata in casa, ripresi fiato, dovevo rimettere ordine nella mia
testa. Le ero svenuta in casa e lei mi aveva tenuta lì, sul
suo
letto. Normale, considerato il fatto che stavo passando un periodo di
emmental americano. Ma
non esiste!
"Difatti". Cioé, ero stata nel suo letto! Va bene, da
svenuta
sul copriletto, però mi faceva un certo effetto. Non so,
come
dire: "ho dormito nel suo letto, è come se fossi stata con
una
parte di lei e...". Ma
la pianti di
pensare a queste porcate?! Dico, ti ha tenuta lì
perché
eri svenuta, mica perché voleva portarti a letto. Ma ti sei
definitivamente bevuta il cervello?!? "Ma ci arrivo
anch'io a
capire che sto dicendo una cazzate, Sua Signoria la Duchessa di
Windsurf. Sei tu ad esserti sbattuta il cervello. Che poi lo
condividiamo anche". Difatti,
l'hai bevuto tu, però. "Va bene, mi rimetto al
volere di Sua Maestà!".
Pensare troppo non mi faceva bene, eppure dovevo rimettere insieme
tutte le idee. Ma come fare, visto che ero come in una tempesta, peggio
di quella in cui mi ero trovata quando? Il giorno prima? Mi sembrava
già che fosse passata un'eternità. "E poi le ho
pure lasciato il mio numero. Ma sono pirla?" Sì, alquanto.
"Tu non ti intromettere. Pensavo di fare una cosa intelligente,
è stata male!" Sì,
sì, va bene. Intelligente come sedersi sui fornelli accesi.
Forse avrei potuto dare un attimo ascolto alla mia coscienza. Forse non
stava dicendo cazzate. Avevo passato tutta la mia vita a farci infinite
discussioni, a maledirla ed a fare di testa mia. Ventun
anni tra
risate, lacrime, momenti bui e momenti felici, sempre facendo l'esatto
contrario di ciò che lei mi suggeriva. Eppure la coscienza
è la parte più recondita della nostra
mente, i
nostri pensieri più profondi. E questo dovrebbe significare
che
dovremmo, forse, darle ascolto. Forse lei è la vera noi,
quello
che sono il nostro corpo e la nostra testa. Noi, quello che crediamo di
essere, siamo solo una copertura. Una maschera per la nostra coscienza.
Come un robot programmato per seguire i dettami del suo proprietario,
ovvero la coscienza. Ma si sa che i robot sono solo macchine. Ed alcune
macchine possono essere difettose, possono cercare di sottrarsi al loro
comandante. Perché forse questi robot non sono unicamente
macchine, sono qualcosa di superiore. Pensano, ma il loro pensiero
è offuscato dalla coscienza. Quella coscienza cinica, che a
volte, davanti alla scena finale del bacio in mezzo alla strada in un
film romantico, se ne esce con: "Adesso passa un ubriaco al volante, li
centra e solo lei muore. Lui, sopraffatto dal dolore, diventa un
tossicodipendente alcolizzato e si suicida drogandosi e buttandosi nel
fiume. Quella coscienza bacchettona, o maniaca,
che non cammina mai sulle linee delle piastrelle e non tocca
le maniglie dei pullman perché le hanno toccate tutti. E i
robot
riescono ad eluderla, almeno in queste cose, ma alla fine si finisce
sempre per esserne soggiogati. Chi di noi non ha mai fatto il cinico
davanti alla scena di un bacio? Io regolarmente. Quelli tipo Jack
Nicholson in Qualcosa
è cambiato,
cioé quelli che non camminano sulle linee delle piastrelle,
sono
praticamente esseri non pensanti controllati dalla coscienza. E chi
lascia completamente la coscienza? Non credo siano molti, ma penso che
la maggior parte finisca al manicomio. In tutti noi ci sono due lati.
La persona che siamo fuori e quella che siamo dentro. La persona fuori
è il nostro aspetto normale, può essere solare,
cinica,
responsabile o sensibile, ma è comunque ciò che
siamo nel
mondo e cosa gli altri vedono di noi. Ma poi c'è la
parte
dentro, il lato oscuro, the dark side of the moon. Quello che siamo
veramente e che solo noi possiamo vedere. E possiamo vedere qualcosa di
terribile o un po' meno. In ogni caso mai bello. La cosa migliore,
però, è che questo lato è nascosto,
come una
faccia della luna. E spesso finiamo per confonderlo con ciò
che
siamo all'esterno, magari con un aspetto che vorremmo cambiare. Ma il
lato oscuro è sempre lì, in agguato, ed ogni
tanto arriva
a bussare per ricordarci che c'è, ben nascosto, ma
c'è.
La cosa più sconvolgente è che non sappiamo mai
cosa
porterà con sé quando verrà a
chiamarci,
perché è una tigre che ha fame. Ricordi? Follia
omicida?
Se potessimo dirlo con certezza vivremmo meglio. Almeno credo.
Se ti fai le seghe
mentali su cosa sono io per te finisci sul serio al manicomio.
Fatti furba e pensa piuttosto ad Ombra ed a tutto il casino che hai
combinato, a cominciare dal darle il tuo numero.
"Come se fosse un crimine. Sarò ben libera di dare il mio
numero
a chi voglio, sono maggiorenne e da quest'anno posso anche giocare al
casinò". Come
vuoi, io la mia opinione l'ho espressa, sei sempre tu quella che dice
che viviamo in un paese libero.
Avevo bisogno di distrarmi veramente ed una buona commedia non poteva
fare che bene. Prima, però, uscii ed andai a comprare
qualcosa
da mangiare. Per miracolo, mi cucinai una cena decente, che decisi di
mangiare davanti alla televisione. Mi accesi La leggenda del re pescatore,
il mio film preferito. Lo sapevo a memoria, ed ero arrivata alla mia
scena preferita, quando il clochard attore dice ai protagonisti: "Oh
sì, certo, io adoro dissanguarmi nella merda di cavallo, sei
più umano di Gandhi!", quando sentii di nuovo Ombra alzare
la
voce. Era sul balcone, ed io non potei resistere dall'origliare la
conversazione.
-Per la miseria, mamma, ma la vuoi piantare?! Cazzate new age... ma
stai scherzando? Non ho ucciso nessuno, non... No, guarda che non sono
Wonder Woman. Ti sbagli. Se ho i superpoteri non vuol dire che tu devi
farmi la ramanzina ogni volta che li uso. Mi è sembrata una
cosa
buona da farle, non l'ho violentata... Ma non muoio, porco diesel!! E
vuoi sapere l'ultima novità? Mi sembri sempre interessata
alle
novità. Io sono lesbica e lei mi piace!!-
Rientrò in casa visibilmente incazzata ed io tornai al film,
ma
smisi di seguirlo veramente. Di chi aveva parlato, di me? Poteva darsi.
Mentre fissavo lo schermo della tele senza vederlo, giravo, analizzavo,
giravo di nuovo tutta la sua conversazione telefonica. Una cosa mi
lasciava perplessa: i superpoteri. Cosa cavolo intendeva dire? Usare i
superpoteri. Ammettendo che stesse parlando di me, quasi sicuro, visto
che in tutto il giorno non avevo sentito di visite ricevute, in che
senso aveva usato i superpoteri? L'unica cosa strana che aveva fatto...
l'abbraccio. Quell'abbraccio che mi aveva infuso calore, che mi
sembrava una cosa strana...
"Ha i superpoteri? Figata!!" fu la prima cosa a cui pensai. Poi
analizzai più razionalmente la situazione. I supereroi
esistono
nei fumetti. Che si sappia nessuno si è mai fatto spuntare
artiglioni dalle nocche o reso invisibile. Però è
anche
vero che non c'è certezza. Ma se avesse i superpoteri
potrebbe
anche decidere di usarli per distruggere l'umanità. "In tal
caso
sarò l'eroina che salverà il mondo, e non si
scomodi la
mia coscienza perché so di aver detto una cazzata". Capirci
qualcosa era impossibile.
Cercai di concentrarmi sul film, ma non c'era niente da fare. C'era una
cosa, però, che mi faceva più effetto di tutto il
resto,
ed era un effetto in positivo. Aveva detto che mi amava... ed io amavo
lei.
The corner: in immancabile ritardo giungo con questo
capitolo, ma ho
avuto problemi, visto che non sapevo se finire tutto con questo e poi
fare l'epilogo oppure scrivere ancora un capitolo prima dell'epilogo.
Già, manca poco alla fine e spero sinceramente di finire per
Capodanno. Potreste ritrovarvi il finale come regalo di Natale *sogna
ragazza, sogna*. Comunque sia, buonasera a tutti.
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Capitolo 10 *** Forse perché sei tu ad essertelo inventato ***
Spensi la televisione ed accesi il computer. Non sapevo esattamente a
cosa potesse servire quello che stavo per fare, probabilmente era fine
a se stesso, però avevo bisogno di certezze, di rimettere in
ordine le uniche cose che sapevo con sicurezza. Aprii Office Word e,
servendomi di Facebook e di ciò che ricordavo, iniziai a
scrivere:
"Ombra Lara Puccini, nata a Firenze il 3 marzo 1992. Nel '96 si
trasferisce a Roma, nel 2000 a Bologna, nel 2004 a Trieste, nel 2008 a
Brindisi e nel 2012 a Cuneo. Poi si trasferisce, da sola, a Riva
Ligure, l'11 aprile 2013. Strane conversazioni telefoniche con la
madre. Nell'ultima parla di "superpoteri", riferendosi forse al fatto
che mi ha infuso una specie di strano calore, inumano, una figata. L'ho
già incontrata all'età di 8 anni, era venuta a
vedere la
mia scuola, ma poi è andata a stare a Bologna. Da ragazzina
deve
aver avuto dei problemi, connessi con i continui trasferimenti.
è una satanista. è una figa stratosferica."
Rilessi il tutto,
ritrovandomi al punto di partenza. Oh,
perfetto, questo risolverà tutto, sicuro! Come se a scrivere
dove ha vissuto e quando l'hai incontrata la prima volta possa servirti
a diventare Sherlock Holmes! Direi più Shelrock Homes, si
chiamava così quello di Focus Junior che se non arrivava il
vero
Holmes si faceva fregare. Ma pensa e dammi ascolto, una volta tanto! Dover
ammettere, una volta tanto, che la popria coscienza ha ragione
è difficile. Ci litigavo da anni, avevo sempre fatto
ciò
che volevo ed ora vai a dire: -Sì, ha ragione-. Mi sarei
fatta
torturare, piuttosto. Però, effettivamente, quello che avevo
scritto non aveva senso. Insomma, mi ero messa a catalogare i suoi
trasferimenti, basta. Forse
uno psicologo funzionerebbe. "Stai insinuando che sono
matta?" Non ho detto
manicomio, ho detto psicologo. Sono due cose diverse. "Molte
grazie!" Anche la gente
normale va dallo psicologo. Chi ha subito un trauma, chi ha perso
qualcuno... "Dici che sono una traumatizzata che adesso
vede diavoli e fantasmi dappertutto?" Mah,
dopotutto il cervello è una grande invenzione. E
poiché
tutti, più o meno, ne abbiamo uno, è soltanto
inutile e
dannoso arrivare a conclusioni.
Mi chiedi se mi fossi bevuta la parte del mio cervello che controllava
la coscienza. Adesso non bastavano tutte le conversazioni enigmatiche
di Ombra con me e con sua madre, adesso anche Coscienza doveva partire
con i discorsi alla Dostoevskij. Miseria ladra.
Pensare che Ombra potesse avere dei superpoteri nel senso lato del
termine era anche fattibile per una persona come me. "Ergo, la magia
esiste e tu, Coscienza, non ti intromettere". Se qualcuno mi avesse
sentita, credo che mi avrebbero davvero rinchiusa. Oddio, ce
n'è
di gente che crede alla magia, però proprio andare a dirlo
di
persone in particolare...
Un leggero fruscio mi fece voltare di scatto. Caccia un urlo, prima di
accorgermi che era di nuovo il fantasma di Alessandro. Si mostrava in
piena luce e faticai a guardarlo senza provare un moto di disgusto nei
confronti di quell'ammasso di cervella e lamiere che aveva come testa.
Certo che era messo proprio male, ora che lo vedevo bene notavo che era
ancora peggio di come me l'aspettavo. Gli sorrisi, ben sapendo che non
serviva, lui avrebbe letto il mio pensiero. Non sorrideva affatto,
sembrava decisamente incazzato.
-Ma santa Madonna, cosa cazzo t'avevo detto?! Se ti dico di stare
lontana da Ombra ci sarà un motivo, non lo faccio per sport.
Non
ti dico cazzate, vorrei che mi ascoltassi al posto di fare di testa tua
come al solito: Ombra è nostra nemica! Non ti rendi neanche
conto che si è appena lasciata scappare un'informazione
vitale?
Gli stramaledetti "superpoteri", pensaci! Quell'abbraccio...
è
uno dei suoi metodi per attirarti a lei, come una tela di un ragno. Ti
attirerà finché tu non potrai più
scappare, ed
allora zan! la stoccata finale che ti ucciderà. Chiara,
resta
con me, non
sei lesbica, seguimi!-
Rimasi un attimo in silenzio, troppe informazioni in un colpo solo,
credo che si sentissero gli ingranaggi del mio cervello chiamati a
lavorare, per una volta, come si deve. Rielaborai con sorprendente
rapidità tutto ciò che mi aveva detto, arrivando
sulla
conclusione del suo discorso troppo violentemente. Impiegai un attimo a
capire l'ultima frase.
-Ma... tu dici... seguirti dove? No, non dirmi, nella morte...-
-Scarabeo!-. Sorrisi, lo diceva sempre. -Chiara, è l'unico
modo
che hai per restare con me. Ormai sei troppo dentro a questa storia, il
ricordo di me è macchiato. Se mi avessi ascoltato, non
saremmo
qui. Ma non è tutto perduto: seguimi! La mia morte ti ha
fatta
crescere, ti ha temprata: vuoi buttare tutto all'aria per la prima che
passa? Non credo. Capisco che tu non riesca a ritrovarti in questa
storia, perciò ti farò un breve riassunto sul
conto di
Ombra: lei è il Ragno, magia nera. Si comporta esattamente
come
l'animaletto: attira a sè le persone, specialmente coloro
che
hanno un forte ricordo di qualcuno, proprio come te, e "risucchia"
questo ricordo, svuotandole di una parte dell'anima. Alla fine
impazziscono, e possono diventare pericolose. Sono venuto qua apposta
quando ho visto che eri incappata in un Ragno. Il satanismo dovrebbe
essere un indizio, come quelle cose scritte al contrario. Scrive al
contrario cosicché, quando qualcuno trova i suoi scritti,
pensa
"satanista, meglio lasciar perdere" e non vede il significato profondo
delle parole, sono dei riti propiziatori per il suo scopo. Lo so che ti
sembra un discorso sconclusionato e privo di senso, ma sai che non
potrei mai mentirti. Ce l'eravamo giurato!!! I fantasmi, la magia nera,
tutto questo esiste! Lo dici anche tu, che non c'è certezza-.
Di tutto ciò che avrei potuto dire, feci un'unica domanda:
-Perché?-
-Perché? Perché tu sei mia. Ecco
perché! Se non vieni con me, ti prenderò io di
forza-.
-No! E sai il motivo? Perché è giusto che io mi
rifaccia
una vita, che compia le mie esperienze, che sbagli anche, ma sai che
non potrei dimenticarti, insomma, tu hai avuto un ruolo importante
nella mia vita e poi scusa se te lo faccio presente, ma io non ho
voglia di morire. Mi manchi, è vero, ma non posso suicidarmi
per
questo!- dissi tutto d'un fiato, mentre iniziavo ad allontanarmi.
Sapevo che scappare da un fantasma è inutile, ma la speranza
è l'ultima a morire.
Non so perché, uscendo, iniziai a correre verso lo stradone
principale e non dall'altra parte, verso il mare e verso il centro del
paese. Non so perché non riuscissi a rendermi conto di star
correndo verso una strada perennemente trafficata. Non so
perché
stessi correndo. Forse c'entrava sempre quel discorso sulla speranza.
Durante quella corsa all'impazzata, potei sbirciare attraverso il buco
della serratura delle porte dell'inconscio. Esagerato? Allora pensavo
che si fossero spalancate del tutto. Poi ho pensato che forse avevo
solo sbirciato, non visto. Fa niente, è il meno in questa
parte
della mia storia.
Non è che stessi pensando,
nel senso letterale del termine. La mia mente si era come annullata,
credo. Io e la mia coscienza eravamo diventate un unico pensiero. O
forse era lei ad aver preso il sopravvento. Ci ripensai con calma,
dopo, quando tutto finì, e ci ripenso ancora oggi, giungendo
alla conclusione che si trattasse del secondo caso. Il famoso lato
oscuro che viene a bussare. Mi considero fortunata, sapete?
Perché fui capace solo di fare del male a me stessa e non ad
altri. Anche se il tizio della macchina si ruppe il braccio.
Però penso che questa corsa sia stata necessaria. Nonostante
tutto quello che abbia potuto dire la gente dopo. La mia mente sembrava
più razionale, eppure non si rendeva conto che stava
correndo
verso il pericolo. Ero in una strada abbastanza trafficata, proprio nel
mezzo, però le macchine mi passavano attraverso. O meglio,
non
avevo proprio corpo, c'erano solo i miei occhi ad un metro e sessanta
d'altezza. Ero ad Ivrea. In quella strada c'ero già stata,
nel
senso che ci ero già stata ferma in piedi. Poi mi ricordai.
E
prima che formulassi bene il pensiero, un motorino arrivò a
tutta velocità e si schiantò contro un tir
polacco che
stava arrivando nella direzione opposta. Ho proprio questo ricordo
vivido, che il tir era polacco. Strano come la mente registra dettagli
insignificanti, no? Il motorino si era accartocciato ed infilato sotto
al tir, ed i soccorsi non tardarono ad arrivare. Ed, all'improvviso,
vidi me stessa. Vidi me stessa a 16, con tutte le borchie ed il trucco
nero addosso. Ero veramente orribile e ridicola. Io che venivo
trattenuta di forza dalla polizia mentre cercavo di correre verso
ciò che rimaneva di Alessandro, urlando che era colpa mia se
era morto.
La scena cambiò. Ero in camera mia, sempre vedendo me stessa
come fossi un'altra persona. Vedevo me stessa due anni dopo, con in
mano il basso di Alessandro ed il suo plettro. Mi vidi mentre lo
collegavo all'amplificatore e mi venne da piangere. Perché
nella mia testa risuonava la sua voce. La sua voce da vivo, che mi
diceva che per me ci sarebbe sempre stato, che avrebbe vegliato su di
me e che mi avrebbe seguita in tutto quello che avrei fatto. Mi venne
da piangere perché, quando me l'aveva detto, aveva degli
occhi strani, occhi che non sono di un ragazzo di 16 anni. Gli occhi di un uomo che muore...
Forse aveva sempre saputo che sarebbe morto giovane. Spesso, almeno, ne
dava l'impressione. Ma mi venne ancor più da piangere per
com'era ora quel fantasma che mi inseguiva. E poi, inesorabile, in
pensiero avanzò nella mia testa: "Questa non è la
voce del vero Alessandro... L'Ale che conoscevo io aveva un'altra
voce". -Era tutto nella mia testa...- dissi ad alta voce. E mi girai.
Ero arrivata allo stradone ed il fantasma mi fissava, ghignando. Non
che la sua faccia fosse in condizioni di ghignare, ma mi sembrava che
lo stesse facendo. Forse
perché sei tu ad essertelo inventato. La
Coscienza. Ma la sua voce risultava più dolce, non la solita
vocetta fastidiosa e pignola. Forse perché sei tu
ad essertelo inventato. Sorrisi al fantasma. E quello
scomparve.
Buio.
The
corner: e guingo con l'ultimo capitolo prima dell'epilogo.
Contenti che me ne vado? Magari vi capita l'epilogo come regalo di
Natale *sorride sadica*
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Capitolo 11 *** Epilogo ***
11 aprile 2023
Mi risvegliai 13 ore dopo in ospedale. Ero corsa in mezzo alla strada e
finita sotto una macchina.
Frattura della gamba sinistra e del braccio destro, commozione
cerebrale, mezza calva a causa di un taglio in testa. Poco male,
considerato che ero viva. Quello che accadde dopo...
Ombra mi aveva sentito. Mi aveva sentita mentre parlavo "sdoppiandomi"
in me ed Alessandro. Alla fine raccontai tutto ciò che era
successo ad uno psichiatra dell'ospedale. Mi diagnosticarono questa
forma di "sdoppiamento della personalità" ed altre
definizioni
auliche che non ho mai capito. Ho solo capito che mi sdoppiavo come
Norman Bates di Psycho. Dissero che avevo avuto questo episodio
così forte perché non avevo mai "elaborato il
lutto" di
Alessandro. Iniziai a fare sedute dallo psichiatra; le faccio tutt'ora,
anche se non mi è mai più capitata una cosa
simile. Sono
tuttavia convinta che se anche sono una mezza pazza, qualcosa
dev'essere capitato. Gli incubi che avevo non erano casuali, erano gli
stessi che facevo quando era morto Alessandro. Ed il fantasma... non
riesco a credere di essermelo inventato. Non lo credo possibile e
qualcosa devo aver visto. Però queste cose non le vado certo
a
dire allo psichiatra, che mi rinchiudono di nuovo in manicomio come
dieci anni fa. Un trauma. Cercare di capire che era tutto
effettivamente nella mia testa, vedere ogni giorno pazzi scatenati mi
causò più problemi di quanti non ne avessi
già
avuti. Ebbi un mezzo esaurimento quando un ragazzo di 18 anni si
suicidò buttandosi giù dalla finestra della sala
comune
un pomeriggio di piena estate. Era l'unico amico che avevo
lì
dentro. Inizialmente avevo iniziato a parlarci per il solo fatto che
forse, se avessi mostrato interesse a socializzare, avrei avuto
più possibilità di guarire. O meglio, di sembrare
guarita, perché volevo solo uscire di lì.
Quel ragazzo aveva una grave forma di bipolarismo e tendenze suicide,
parlare con lui era complicato perché poteva, da un momento
all'altro, passare all'altro polo. I suoi lo tenevano lì per
comodità, meglio scansare i problemi che affrontarli. Mi ci
volle del tempo per avvicinarmi a lui ed accedere ad una piccola parte
del suo immenso mondo interiore. Era magro e non tanto alto, biondo con
gli occhi azzurri.
Persino un bel ragazzo. Mi faceva pena, sembrava così
indifeso. E lo era. Era un cucciolo abbandonato per strada, aveva
bisogno solo di un po' di amore. Credo che si fosse innamorato di me,
anche se sapeva che io ero omosessuale, glielo avevo detto onde evitare
spiacevoli situazioni. Però cercai sempre di stargli
accanto, di parlargli, avevo il terrore che compisse l'estremo gesto.
La sua era una storia molto triste. Era nato "per sbaglio" quando sua
madre era poco più che adolescente. Frequentava il penultimo
anno di liceo ed aveva avuto una relazione con il suo professore di
storia dell'arte. Erano riusciti perfettamente a nasconderla, si
incontravano in motel e, sporadicamente, per non dare troppo
nell'occhio, in casa di lui, entrando separatamente. Poi
però la ragazza aveva scoperto di essere incinta. Non aveva
mai confessato la paternità del figlio, salvando
così la faccia al professore. Avevano poi smesso di vedersi,
lei era maturata e lui aveva capito che, volente o nolente, era una
cosa da fare. Lei si era risposata qualche anno dopo ed aveva avuto una
bambina, dieci anni più piccola del fratello. La madre non
si era mai lasciata scappare alcun indizio sul padre, ed il mio amico
aveva appreso queste cose dalla più cara amica di sua madre,
l'unica che conoscesse l'intera storia e che aveva infranto con lui la
regola del silenzio.
Avevo visto qualche volta la madre far visita al ragazzo accompagnata
dal marito, ma la bambina più piccola non c'era: la madre
voleva evitarle il trauma di entrare in un manicomio e vedere il
fratello maggiore in divisa verde. Un colore insolito, il colore della
speranza. Una grande presa per il culo, la definiva lui.
Perché lì dentro non c'era speranza, per tutti
noi c'era solo il vuoto. I
matti sono apostoli di un dio che non li vuole, cantava
Cristicchi. Triste, ma vero, diceva, soprattutto perché non
esiste nessun maledettissimo dio. Quando è la
società che ti rinchiude nel suo manicomio, è la
fine.
-Tu sei qua perché ti ci hanno mandata i medici. Hai degli
amici, una famiglia. Uno come me non lo vuole nessuno. Non mi vuole
neanche mia madre, non dovevo nascere, cazzo. Il mio patrigno non mi
considera, per lui c'è solo mia sorella. Lei mi vuole bene
perché è una bambina, non capisce, non distingue
che cosa è bene seguire e cosa è meglio
rinnegare. Sono una merda umana, e non lo dico per autocommiserazione:
definizione di un mio compagno di liceo-.
Ne aveva passate tante, e mai nessuno l'aveva amato. Una notte l'avevo
passata con lui. Volevo che, almeno per un momento, potesse capire che
c'è qualcosa più della sofferenza, che non si
può vivere nel pessimismo più cosmico. Due giorni
dopo si era buttato giù dalla finestra. Proprio il giorno in
cui fui dimessa. Andai al suo funerale e conobbi la sua famiglia, che
non ne volle sapere di me. Recentemente, però, ho contattato
la sorella. Ha 18 anni, l'età che aveva lui. Somiglia
tantissimo al fratello, ma lei è una ragazza allegra, una
bellissima persona. Abbiamo parlato molto di lui, serba un tenero
ricordo, ma non le ho detto della notte passata assieme. Non l'ho mai
detto a nessuno, menchemeno ad Ombra.
Ombra... lei mi è sempre stata vicina, veniva a trovarmi
all'ospedale, piangendo perché sentiva che se ero
lì la colpa era sua.
-Perché, pensi che non ci sarei finita lo stesso? Almeno tu
hai dato una spiegazione razionale di ciò che è
accaduto, io non sapevo neanche di essere finita in strada- le dicevo.
Non le ho mai detto di cosa avevo fatto con quel ragazzo, sa solo che
era un mio caro amico. Tutt'ora mi chiedo se ho fatto bene ad andarci a
letto. Forse si sarebbe ammazzato lo stesso.
Siamo andate a vivere in Spagna, a Malaga. Entrambe abbiamo studiato
spagnolo a scuola, io anche al liceo, mentre Ombra, che aveva fatto
scienze umane, all'università. Abbiamo adottato due bambini,
maschio e femmina, Anastasia ed Alessio, come il ragazzo del manicomio.
Viviamo bene. A mia madre pesa un po' la lontananza, ma io mi
sento più libera. Fabrizio fa una vita itinerante,
è allergico alle relazioni stabili, sta un po' di qua e un
po' di là. Ha già vissuto in Iowa, con una specie
di burbero madriano, l'esatto opposto suo. Però pare che
fosse una specie di macchina del sesso, un superdotato. Dall'Iowa
è partito alla volta di Cefalonia, in Grecia. Ha gironzolato
per la Grecia un anno, poi è andato a stare con un
pescatore, a pescare pure lui. Non credo gli piacesse come lavoro. Poi
è stato in Norvegia, con un perfetto norvegese
simil-salmone. Dopo questo (pare che non fosse granché. In
tutti i sensi) si è trasferito in un paesino nel sud della
Francia, una specie di paradiso terrestre, il classico villaggio
provenzale. La relazione che ha avuto lì sembrava seria, mia
madre quasi si preparava a vedere il suo figliolo accasato, con un
uomo, certo, ma l'altra stava in Spagna con una donna, quindi una forma
di rassegnazione l'avrà pur adottata. E poi la Provenza le
piace. Invece ha lasciato anche questo, partendo alla volta di Madrid.
Per ora vive lì, ci vediamo spesso, ma tra un paio di
settimane potrebbe fare le valigie e andarsene in Australia, a vedere
come sono gli uomini là. Che bambino...
Sono felice. Ho tutto ciò che voglio. Ma spesso sogno
Alessandro ed Alessio. Sono bei sogni, però. Alessandro
è ancora vivo e fa il musicista la sua passione. Alessio ha
una famiglia che lo ama. È triste come tutto ciò
sia solo un sogno. Però sognare è l'unico modo
per evadere dalla realtà. Per vivere quei pochi minuti di
felicità perfetta. A meno che non sia un incubo. O forse
vale la pena di pensare che viviamo per uno sputo di tempo e bisogna
godersi la vita a modo proprio.
Finiamo per vivere come se dovessimo morire domani e per morire come se
non avessimo mai vissuto. Perdiamo la salute per fare soldi e poi
perdiamo i soldi per recuperare la salute, lo diceva il Dalai Lama, mi
pare.
Ma, in fondo, la vita è un grande contrasto, la vita
è luce e oscurita. La vita è Chiara ed Ombra.
The
corner: epilogo che nessuno si filerà,
pazienza. Che tristezza, questa era la mia prima storia a capitoli,
nata da un sogno in cui una ragazza albina ballava nuda di notte in
giardino e la vicina di casa la imitava, per poi finire pugnalata dalla
ragazza albina. Bei sogni che faccio, sicuro. Sono in lutto per questa
storia, e sono riuscita a non pubblicarla il 24 dicembre (solo
perché il 25 sono via). *Si ritira in lacrime*
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