Cacciatori e Vittime. La Profezia

di Eriok
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Cacciatori e Vittime.

La Profezia

Prologo.

 

Una folla vociante strepitava al centro della piazza, l’aria era carica di elettricità e fermento. Su un patibolo eretto, in legno, si poteva scorgere un tronco morto di albero, sporco di sangue ormai secco.

Una donna fu strappata a un gruppetto di persone, tenute sotto catene vicino a una rampa sulla destra che, seguendo la pianta della piazza, saliva fino al centro del palchetto.

La folla urlava, inneggiando alla violenza e desiderosa del loro spettacolo. Urlava, bramosa di sangue.

Questa donna, con un rozzo sacco calato sul volto, impediva di scorgerla in volto.

Alla sinistra, con una vista esclusiva sull’esecuzione, stava un trono, coperto di sontuosi veli e protetto dal sole corroborante e pesante di quel giorno. Una figura, nell’ombra, gioiva delle urla, e sorrise, stringendo un bastone nelle sue mani giovani. La folla, ignara del sole, lanciava pomodori e uova marce verso la condannata a morte, che però camminava con passo sicuro verso la propria morte. Le spalle ritte, sebbene avesse le mani incatenate e ricoperte di lividi e croste. Era vestita di stracci puzzolenti, e il boia, un energumeno dal volto celato da un cappuccio nero, affilava per l’ultima volta la sua enorme scimitarra prima del colpo.

Il cappuccio fu tolto, e una cascata di capelli rossi come il fuoco nel camino di un castello incantato scese dolcemente, rilucendo alla luce del sole cocente.

La folla urlava, inneggiando cori di odio.

«Morte all’eretica!».

«Bastarda!».

«Muori eretica!».

La figura, prima celata, si alzò, e batté per tre volte il bastone per terra. Il silenzio si propagò nella piazza come vento. E divenne il centro dell’attenzione della folla, ora diventata pubblico.

 

Luce. C’è luce, sui miei occhi.

Non vedo.

Sto... cadendo?

 

«Pietà!» urlò una voce, nel silenzio, grigia nel tono e roca.

Una vecchia, incatenata insieme a un giovane uomo, gridava con tutto il suo povero corpo, pieno di rughe e di malori. Cercò di muoversi verso il patibolo, e la rossa incrociò gli occhi dell’anziana, bianchi come un foglio intonso. Sorrise malinconica, conscia della sua imminente fine, e ringraziò silenziosamente quell’ultimo impeto prima della fine. La vecchia fu bloccata da un soldato, ma non smise di urlare, come se andasse della sua vita.

 

Ora ho capito.

Sto arrivando... amor mio.

 

«Abbiate pietà per mia figlia, ve ne prego!» urlò, disperata. Le lacrime solcavano la sua pelle rugosa, piegata dal tempo. China nella sua postura scoordinata, perse subito le forze del suo impeto, e crollò sulle ginocchia, tremando vistosamente. La rossa fremette alle sue parole, una lacrima invisibile si formò agli angoli degli occhi.

L’uomo, ricoperto di vesti di sacerdote, bianchi e azzurri, sogghignò di fronte alla patetica richiesta dell’anziana e con un cenno del capo fece intuire al boia di continuare.

La ragazza venne obbligata e legata sul ceppo, i capelli scostati per permettere al collo di brillare, bianco come la luna sotto il sole.

La giovane,tremò al silenzio della piazza, e strinse convulsamente le mani sulle catene, aspettando il momento fatidico della morte istantanea. Tutto era in tensione, per il momento culminante.

«Andrea, no!» l’ultimo urlo della vecchia, prima che l’arma venisse alzata. Brillò come oro, sotto il sole impassibile.

E poi...

... un tonfo scosse la terra.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Cacciatori e Vittime.

La Profezia

Capitolo 1.

 

«Sono passati anni ormai, Cassandra.» mormorò l’uomo, con la barba rossa e i capelli colorati di verde, una cresta che ai tempi d’oro resisteva alla forza di gravità ora era calata al lato della testa, come a dimostrare all’uomo che si era abbandonato ai tepori della vita tranquilla, nonostante non mostrasse più di trent’anni.

Ma lei, la donna con cui parlava, di anni ne mostrava molti di più. I suoi occhi parlavano più della sua pelle. E i suoi capelli erano bianchi come le stelle, e la sua età era molto più giovane dell’uomo con cui stava animatamente discutendo di fronte a un focolare. Ma il mondo scorreva lento per lei, perché quella donna era destinata a non vedere la ventina. Eppure lì, a scontare la sua pena in terra.

A piangere su quella speranza di quella specie data grazie al prezzo di una vita.

La vita di lei.

“Elisa...” nei suoi occhi vi era ancora stampato – come a marchio indelebile – il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi capelli ricci, così belli...

«Lo so Giacomo, e tu meriti una donna migliore di me. Ho fatto un voto io, alla Dea.» rispose la donna, guardandolo sommessamente. Provava tenerezza per quell’uomo, così docile, così amorevolmente attaccato a lei, e diceva che l’amava, che voleva sposarla, avere figli...

«La Dea si è portata via la mia migliore amica, non mi porterà via la donna di cui mi sono innamorata.» gli occhi erano lucidi, ricordava ancora i suoi pianti sommessi nella notte, a chiamare il nome di una donna che non sarebbe venuta a salvarli.

Li aveva abbandonati. Li aveva salvati.

Ma ora erano soli, e lei era peggio della polvere. Ha dato la sua vita – la sua anima – per riscattare un mondo che loro pensavano marcio, prossimo all’autodistruzione. Eppure lei vedeva luce dove c’erano solo ombre.

“Ha visto la bellezza in una manciata di ragazzi sporchi di fango...” e sorrise mestamente.

La mano della donna riccia – bianca di colore, ma castana nel suo cuore – gli asciugò una lacrima sparuta, accarezzandogli il bordo spigoloso del suo volto.

«Io sono qui, non vado da nessuna parte Giacomo. Io non ti lascerò.» quella fu l’ultima volta che parlarono di quell’argomento.

Passarono anni, moltissimi, da quel giorno in quella chiesa bianca, relitto di un mare di dolore e sangue. Nacquero bambini che non morivano per l’Infezione – debellata – e crescevano cacciatori, ricostruendo un mondo civile al di là del selvaggio che li circondava.

Ma si sa, quando l’essere umano raggiunge lo scalino più in alto della catena alimentare, e non ha nemici contro cui scontrarsi, infine si scontra con se stesso, capace solo di rendere le differenze come ostacoli insormontabili, pericolosi, da eliminare.

Iniziò un eccidio di coloro che credevano nel Dio Sole, colui che voleva portare la morte per tutto il genere umano, a parte pochi prescelti. Dopotutto, la religione è un culto prettamente umano, credere in qualcosa più grande di sé, per giustificare i propri sbagli e le proprie sventure.

Poi si passò alle dittature, furono molteplici, una più sconvolgente dell’altra, una più cruenta dell’altra.

Per quanto fosse cieca, Cassandra vide tutto con gli occhi della propria anima e udì l’urlo di dolore di molte persone su quella terra, e pianse lacrime che sgorgavano a fiumi, mischiandosi al sangue che colava sul terreno.

Poi si formò una calma, e la civiltà iniziò a formarsi, sotto il suo nome.

La Dea della Luna.

Fu lei stessa – l’unica sacerdotessa in vita – a iniziare il culto e accrescerlo in membri e potenza.

Si sentì parte di quel mondo che prima rifiutava.

Ma quando sentì sul volto di lui - l’uomo che amò con pacata dolcezza su quella terra solo una volta – i segni inequivocabili della morte, portò avanti comunque la gravidanza. Nacque in silenzio, pianse poco e poté tenerla in braccio solo pochi minuti, calmarla con una ninna nanna improvvisata, e sentire come morbida la sua pelle, gli occhi piccoli e la bocca dolce, desiderosa di latte al primo contatto. Le venne detto che aveva occhi castani – come lei – e i capelli rossi come la barba del padre.

L’uomo poté accarezzarla per poco, e spirò pochi mesi più tardi.

Ros e Giulia, le uniche a conoscenza di quella gravidanza non concessa, dimostravano con la loro pelle decadente e la mestizia nei movimenti che anche per loro gli anni iniziavano a sentirsi, e quando Cassandra parlò con loro della sua gravidanza rimasero sorprese, conoscendo i ritmi del corpo femminile.

Cassandra era fisicamente bloccata in quel corpo che sì conosceva il progredire dei giorni ma che non mollava l’anima giovanile che rimaneva lì, in attesa.

Di cosa, non lo sapeva nemmeno Cassandra.

 

«Aspettami. Tornerò.»

«Nel frattempo, amore mio, conta le stelle... per me.»

 

Anzi, no... aveva una speranza, minima, piccolissima, non più grande di un sospiro di bambino, ma abbastanza grande da farle capire che l’avrebbe rivista. Con o senza la Vista.

 

«Lei non deve sapere che io sono sua madre. Nessuno deve saperlo.» diceva Cassandra ansimando, grondante sudore per il parto.

«Come vuoi chiamarla...?» domandò allora Ros, giocando con le sue dita, che afferravano tutto con forza.

«Andrea... sarà il suo nome.» e una lacrima scese, triste, ferita, mentre vedeva una parte del suo cuore camminare lenta via da lei.

“Prima Elisa...poi tu, figlia mia, Andrea...”

 

Il mio cuore prima apparteneva solo a me.

Ora, una metà e morta, e l’altra cammina già sulle sue gambe, lontano dal mio corpo.

 

Ros e Giulia la guardavano sommesse, e capirono. Avvolsero la bambina in un asciugamano pulito, e se ne presero cura come se fosse loro, nel loro rifugio per bambini orfani nella città.

Fu in quel fatidico giorno che nacque la figlia di una sacerdotessa, che era destinata a grandi cose.

Forse allo stesso destino di sua madre.

O uno differente.

 

Ovviamente tutto dipende da che angolazione la guardi.

Non è vero...Dea?

 

Elisa – o almeno, ciò che rimaneva di lei – vagava sospesa nel nulla, gli occhi spenti, la pelle rugosa, i capelli infinitamente lunghi che galleggiavano, come immersi nell’acqua intorno a lei.

 

Ci sei rimasto male, vero... Dio?

Che scoprissi il tuo inghippo, il tuo colpo durante l’eclissi...?

Prendere il posto della Dea e ingannare tutti....tutti tranne me.

Sono qui, ho capito il tuo piano. Ma la Profezia avrà inizio. Oggi è nata colei che ucciderà tutti i tuoi figli, cancellerà i nostri peccati...

Anche i miei.

E i suoi.

 

Un rombo scosse il suo piccolo universo.

Sorrise, i denti ancora perfettamente bianchi. Era un sorriso malvagio che nascondeva felicità.

 

Lei è sua figlia.

E tu solo sai che letteralmente ucciderei per salvarla da te.

 

Passarono anni, e Cassandra si sentiva come una bambina nei vestiti della madre, pesanti, larghi. Così come sentiva il suo corpo. Una animo giovane dentro un corpo prossimo alla decomposizione.

E Andrea crebbe davanti ai suoi occhi ma lontana dalle sue braccia.

Gli occhi dell’anziana avevano visto troppi giovani morti, aveva vissuto troppe vite, per rammaricarsi a veder morire anche sua figlia.

 

E tutto ci riporta lì, a quel patibolo, a quel colpo di stato dove Cassandra si vide il potere della Dea – racchiuso nel suo bastone – letteralmente strappato dalle mani. Il suo assistente che sorrideva, mentre la cacciava via, e i suoi assistenti con lei – Andrea inclusa.

Destinati alla morte più veloce e immediata, e la folla, soggiogata dalle dolci parole del ragazzo, inneggiava al sangue.

E volevano il suo.

 

«Abbiate pietà per mia figlia, ve ne prego!»

 

Quella frase spezzò l’intero universo celestiale. Elisa sorrise.

 

Era ora, Cassandra...

Ti sei decisa finalmente, a chiamarla per nome.

 

Il nulla si spezzò, e nacque la luce. Gli occhi di Elisa si chiusero. Troppo rozzo l’impatto con la realtà. La sua maledizione si era spezzata. Sentiva il vento accarezzarle il volto dopo tanto tempo. La pelle raggrinzita dal troppo tempo passato ritornò scattante, tesa, giovane. I capelli vennero tranciati rozzamente, i vestiti stracciati che la ricoprivano adesso nascevano a nuova vita.

Stava cadendo, e le nuvole si spezzavano sotto il suo corpo che precipitava. La coda si mosse mesta, come a ricordare un passato troppo lontano.

 

Luce. C’è luce, sui miei occhi.

Non vedo.

Sto... cadendo?

 

E poi i suoi occhi si spalancarono. Erano marroni, come l’ultima volta. E vide. Tutto.

La Profezia risuonava nella sua mente, la Dea – quella vera – finalmente le stava parlando. E capì tutto. E sorrise, il sole batteva di nuovo sul suo corpo, riscaldandolo.

 

Ora ho capito.

Sto arrivando... amor mio.

 

Era come il meteorite che si schiantò sulla terra tempo fa, quello che distrusse la sua casa, la velocità di caduta era tale da togliere il fiato dal petto, di cui finalmente provava il bisogno di sentirlo ancora. Gli mancava, respirare.

Essere un essere umano, di nuovo.

Cadeva, e la terra si avvicinava sempre di più. Il suo obbiettivo diventò tangibile. La piccola piazza circondata da case di fattura turca, in cima a una rupe in mezzo al deserto.

Gli occhi si trasformarono. Gialli felino.

La coda si mosse.

Un rumore di ossa che si spezza suono labile.

Ancora pochi metri e avrebbe toccato il suolo. E lei era lì, in pericolo.

 

«Andrea, no!» l’ultimo urlo della vecchia, prima che l’arma venisse alzata. Brillò come oro, sotto il sole impassibile.

E poi...

... un tonfo scosse la terra.

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Cacciatori e Vittime.

La Profezia

Capitolo 2.

 

Raindrops fall from everywhere

I reach out, for you, but your not there

So i stood, waiting, in the dark

With your picture in my hands

Story of a broken heart.

 

[Gocce di pioggia cadono ovunque

Ti cerco, cerco te, ma non ci sei

E me ne sto qui, aspettando, nel buio

Con la tua foto nelle mie mani

La storia di un cuore spezzato.]

(Stay with me – Danity Kane)

 

Cassandra non comprendeva cosa stava accadendo in quel momento, si stava solo disperando. Piangeva, sommessamente nel silenzio intorno a lei, brontolando il nome di sua figlia così tante volte nelle lacrime da trasformarla in una litania. Il ragazzo al suo fianco, giovane allievo e suo aiutante, le stringeva le spalle, in silenzio, mentre osservava ciò che accadeva a bocca aperta. Le catene tintinnavano, e la donna anziana non aveva ancora capito che quel tonfo non era il rumore sordo della testa di sua figlia che cadeva ma di un essere vestito di nero, calato – letteralmente – dal cielo.

Lo sguardo rivolto al patibolo mentre la gente, tutta intorno, la fissava stranita.

Un fruscio di coda.

Gli occhi si sgranarono. E poi la folle corsa ai ripari.

«UN INFETTATO! AI RIPARI!».

«SONO ANCORA VIVI, AIUTO!».

«SI SALVI CHI PUÒ!».

«CI UCCIDERANNO TUTTI!».

La folla di persone scappò per tutte le vie laterali in pochi istanti, creando il panico. L’uomo sul patibolo si alzò, mostrandosi al sole. Vestiva le vesti sacerdotali, bianche e azzurre con caratteri strani, e in mano teneva un bastone rilucente di luce propria. Gli occhi penetranti di un azzurro opaco, i capelli tenuti in un codino, lunghi e biondi, la barba curata e gli zigomi rendevano la sua faccia sottile, oblunga. Sibillina.

Ci fu un attimo di silenzio, le guardie, il boia, il sacerdote, fermi come statue ad osservare una figura lontana, nera, familiare agli occhi di tutti.

 

Don, suono di campana.

Ricorda la Profezia.

Ricorda gli odori, i sapori, la luce.

L’amore.

Gli occhi di chi amavi, e sorridi.

La Vista.

Ricorda la luna.

 

«Joshua, cosa sta succedendo?!» domandò l’anziana al ragazzo tra le lacrime, sentendo le urla. Non capiva cosa era successo, e cosa stava accadendo adesso. Sentiva solo il respiro trattenuto del ragazzo, il silenzio dopo le urla e il terreno fermo, un odore vago, lontano. Familiare.

Nella sua mente spuntò, come un fiore in piena campagna, il ricordo di un nome lontano, quasi dimenticato.

Ma il ragazzo non rispose, era letteralmente sbiancato.

Quella donna era...

 

La figura nera osservò la statua, di medie dimensioni, poco lontana dal patibolo. Mostrava il momento della Purificazione, il sacrificio di Elisa per salvare il mondo, e per volere della Dea. Era realistica, quella statua, i tratti – forse troppo femminili – cozzavano con la figura reale che ora vi camminava vicino. Ogni falcata mostrava la coda che, dolce e morbida, si muoveva sinuosamente dietro di lei.

Era bianca, come la luna.

I capelli erano lunghi e ricci che morbidi si muovevano all’udire del vento.

“Fastidiosi.” Pensò la donna, scostandoli dalla vista.

«Guardie, uccidetelo!» sentenziò il giovane sacerdote, risvegliatosi dal torpore del momento. La punta del bastone indicava lei, e Elisa lo guardò con occhi gialli e furenti.

 

Don, suono di campana.

Ricorda la Profezia.

 

Un manipolo di soldati si avvicinò di corsa, spade alla mano.

La donna chiuse gli occhi. Aprì le braccia, assaporando il movimento pacato del vento, il tepore del sole, e ricordò – come un ricordo di bambina che scalpita tra la gente – le parole dette dalla Dea.

 

“E l’eroe cadrà dalle nuvole,

quando alto si leverà

l’urlo della madre bianca

per salvare la dama di fuoco.”

 

I suoi movimenti, fluidi, impedirono il primo attacco degli uomini, stordendoli e lasciandoli a terra, svenuti. I suoi muscoli rispondevano ancora bene ai movimenti, il suo corpo era scattante e pieno di energia. Si guardò le mani, strinse i pugni e li rilasciò. Quella sensazione di adrenalina ed euforia, le mancava.

Elisa sorrise.

“Sì... sono ancora viva” pensò, gli occhi castani scivolarono al patibolo. La ragazza dai capelli rossi la fissava dall’alto del patibolo, legata al ceppo dove un boia, incoscientemente, aveva fermato la sua sentenza di morte. I loro occhi cozzarono, e rimase abbagliata dalla sua bellezza. Tumulto al cuore.

E capì.

«Boia, uccidila!» intimò il sacerdote, e lui alzò la lama, pronto a colpire.

Bastarono pochi istanti, e la lama si bloccò. Un braccio fermò la sua discesa, scontrandosi contro la superficie metallica della corazza. Elisa, in poche falcate aveva raggiunto e saltato il patibolo, e bloccato la lama. Il boia spinse, con tutta la forza che aveva nelle poderose braccia muscolose, ma la lama non si mosse. Elisa la fece scivolare di lato, colpendo con un calcio il volto celato del boia che, lasciando la presa della spada, cadde a terra rovinosamente.

La donna prese possesso della spada al volo girandola tra le mani come se non avesse peso e la usò per spezzare le catene della ragazza, sciogliendola dal ceppo, e alzandola bruscamente in piedi.

«Chi sei?!» domandò la donna dai capelli rossi, ma quando si tirò su e vide il suo volto rimase pietrificata.

Quei tratti, quelle cicatrici...quella coda bianca...

«Tu sei...Elisa?» quel nome volò nell’aria, scivolando all’interno delle membra della donna. E prese possesso oltre che di sé, anche della propria identità. Elisa assaporò con dolcezza il suo nome sussurrato da quelle labbra così calde, così rosse...da baciare.

«Guardie, uccideteli!» ordinò il sacerdote, indispettito. Non si accorse che la sciabola, lanciata da Elisa, si conficcò pochi millimetri più in là del suo piede. I suoi occhi la fissavano, al di là della distanza. E poteva vederne l’anima, e le intenzioni, e le emozioni. Era nera, era ferma, fredda e... arrabbiata. Molto.

Le guardie le circondarono, con picche e spade, ma poco intenzionate ad attaccare. Avevano paura di un incubo sorto dalle più fervide favole per bambini, avevano terrore della leggenda fattasi carne davanti a loro.

Un Infettato era caduto dal cielo.

Erano circondati, ed Elisa doveva assolutamente proteggere la dama di fuoco che stava vicino a lei.

L’abbracciò, stringendola a sé.

«Ti fidi di me?» domandò, con voce sottile e roca, all’orecchio.

Andrea, sentendola così vicina andò come in estasi. Il suo corpo, la sua essenza, la sua voce, il suo respiro... erano qualcosa di al di là dell’umana percezione, di qualcosa di più, oltre l’anima e i sentimenti. E ne rimase turbata. Non aveva mai sentito una cosa simile, nel proprio animo. E non rispose subito alla sua domanda.

Si voltò, la guardò in volto, era vicina, molto, e le sua labbra sorrisero. E allora rispose.

«Sì.» e la strinse forte, chiudendo gli occhi.

Sentì rumori di ossa rompersi, e di un vento forte sferzarle i capelli, il petto batteva all’impazzata e il suo stomaco faceva le capriole, e tutto intorno sentiva solo l’odore di lei. Di Elisa. E sentì di preferirlo a qualsiasi odore al mondo, perché sapeva – in qualche maniera – che quell’odore era tutto ciò di cui aveva bisogno per respirare.

Joshua rimase abbagliato. La donna, con un secco rumore di ossa, aveva fatto spuntare fuori dalla sua schiena un paio di ali – bianche come la neve – enormi che, con una poderosa spinta, si innalzò in aria di parecchi metri, effettuò una mezzaluna in aria e atterrò morbidamente a pochi passi da loro. E il ragazzo, con la bocca ancora spalancata, rimase ancora più stordito e meravigliato di così come erano nate le ali, così morirono nella schiena della donna, come per magia.

Le guardie erano rimaste basite tanto quanto lui.

Joshua non si accorse nemmeno che a capo della catena che teneva lui e la sacerdotessa imprigionati in un angolo non esisteva più, tranciata di netto dalla spada che Elisa rubò con grazia dalla guardia rimasta lì a sorvegliarli, ora stordita a terra.

Andrea li raggiunse, aiutando l’anziana a sollevarsi.

«Forza madre, alzatevi!» disse, prendendola per un braccio.

Cassandra sobbalzò, non aspettandosi che sua figlia fosse ancora viva.

«Andrea, sei viva?! Grazie alla Dea!» e l’abbracciò, stringendola come mai prima d’ora.

Ma non c’era tempo per le tenerezze. Le guardie li stavano raggiungendo.

«Ci penso io.» disse la donna pantera, muovendosi sinuosa verso le guardie. Ora aveva più spazio di manovra.

Si liberò di quel manipolo in pochi minuti, senza eccessivo spargimento di sangue. Il sacerdote svanito. Erano soli ora, in quella piazza. Ma non sarebbe stato così ancora a lungo. Stavano arrivando rinforzi, Elisa lo sentiva nell’aria.

«Chi è?» domandò Cassandra alla rossa, indugiando. Aveva paura di quella risposta.

«È Elisa, madre. Caduta direttamente dal cielo.» e si girò, sorridendole in modo impacciato. La donna pantera rispose al sorriso.

Elisa si avvicinò, e rimase come paralizzata dallo sguardo dell’anziana, bianco. Perso nel nulla.

E capì.

«...Cassandra?».

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Cacciatori e Vittime.

La Profezia

Capitolo 3.

 

«Elisa...?» la voce della vecchia rispecchiava la sorpresa che scorreva in lei. E i ricordi lontani che entrano nel suo cuore.

Ci fu un secondo di silenzio, dove le due donne si fissarono.

«Scusami...non ho mantenuto la promessa...» mormorò la vecchia, sorridendo amaramente, stringendo il braccio della ragazza affianco a lei. Elisa la guardò con occhi sottili, traspariva risentimento e...tristezza.

Allungò una mano, poggiandola sulla fronte della donna anziana. Un’aura bianca si propagò in modo delicato, per pochi istanti. E poi una luce fortissima, che impedì la vista a Joshua e Andrea.

«Non importa più ormai.» le parole di Elisa spezzarono la luce, e al posto della donna anziana c’era Cassandra, in carne ed ossa, adulta e matura. I muscoli scattanti, la pelle liscia, ma gli occhi ancora bianchi, così come i capelli.

«Non posso fare più di così.» mormorò, fredda «Accontentati. Dopotutto questo sai farlo bene.».

Abbassò la mano, e guardò la strada vuota di fianco a loro, un vicolo stretto e buio.

«Presto, per di qua.» disse, correndovi dentro. I tre la seguirono, sparendo nel dedalo di corridoi e vicoli della città.

 

«Qui dovremmo essere al sicuro. Almeno finché non si saranno calmate le acque.» disse la donna pantera, chiudendo un tombino. Si erano rifugiati in una vecchia stanza della resistenza, piccola e buia, illuminata solo da una candela, nei sotterranei della cittadella.

«Come facevi a sapere della sua esistenza?» domandò Joshua, che pensava di conoscere solo lui i pochi veri anfratti della città. Lo sguardo di Elisa lo intimoriva, non riusciva a reggere il suo sguardo. Per lui, era come interpellare una dea sulla sua forza. E si sentì stupido nell’aver posto quella domanda.

«Lo so e basta.» affermò, sedendosi su una cassa impolverata, osservando la spada che aveva conservato da prima. Era una buona lama, mai usata.

«Se pensi che io sia una Dea o cose simili ti sbagli.» gli disse, vedendo come la guardava. Le dava fastidio, si sentiva deificata, e non le piaceva per niente. Si passò la lama sul braccio e un rivolo di sangue scorse sulla lama affilata. Lui sbiancò. «Posso sanguinare, sentire dolore, e morire. Proprio come te.» la coda si mosse infastidita, e il ragazzo non riuscì a non farci caso. «E non preoccuparti, le favole che vi hanno raccontato sugli Infetti non sono reali. So controllare il mio temperamento.» chiarì, sentendo l’odore di paura aleggiare nell’aria. La ferita lentamente si rimarginò, lasciando solo una traccia di sangue sulla pelle ormai asciutto.

«Su questo non ci giurerei più di tanto.» affermò Cassandra, avvicinandosi alla fonte di luce. Joshua la osservò, indagando la sua figura con malizia. Aveva sentito voci di come la Sacerdotessa fosse una donna bellissima ai suoi tempi, ma ora capiva che non gli rendevano minimamente giustizia. L’altezza non era cambiata, ma la pelle, il viso, il portamento – il seno – tutto insieme la rendeva una donna accattivante, e forte. O almeno così voleva apparire.

«Non ho chiesto un tuo parere, Cassandra.» il nome della Sacerdotessa venne quasi sputato, il tono acido.

Il risentimento che sgorgava nei suoi occhi ora si poteva sentire anche nel tono di voce.

«So che non sei felice di vedermi. Lo sento. Ma, a differenza tua, io sono felice di...sentirti.» la voce di Cassandra cambiò tono, diventando dolce per un secondo. Elisa alzò lo sguardo e la fissò in volto, cercando di scorgere qualcosa che voleva trovare: il sarcasmo. Ma di quello nemmeno una traccia.

Rimase in silenzio, la donna pantera. Non sapeva cosa dire, e la coda si muoveva stizzita, mostrando palesemente come lei si sentisse.

Andrea aveva osservato tutto nel silenzio della sua postazione poco lontana, arrampicatasi sopra una cassa più alta, appoggiando il busto sul muro, il volto appena illuminato.

Sentendo il silenzio diventare troppo pesante, parlò.

«Allora...sei veramente una Dea?».

Elisa alzò lo sguardo. Era giallo, come un felino che guarda nel buio. Il suo sguardo era più illuminante della candela di fianco a lei, che traballava. Andrea percepì un brivido.

«No. Sono qui solo per La Profezia.» rispose, e abbassò lo sguardo.

«Che Profezia?» domandò Cassandra.

«Non lo so. So solo che la Dea mi ha mandato qui, come emissario della Profezia. Non ricordo di più. Forse...lo saprò più avanti. Quello che so e che tu mi servi. E che devi venire con me, e uscire da questa città.» informò, guardandola storta.

«Qualche obiezione a riguardo?» Elisa pose le mani sulla cintola, i pantaloni neri di pelle aderirono alla sua figura, la camicia nera era scollata, molto, forse troppo per Joshua, che non resistette dal guardare. Si sentì afferrare per il colletto, e gli occhi gialli della donna a pochi millimetri dal suo volto.

«Guardami ancora così, e non avrai più gli occhi per farlo.».

«Scusami! Ti prego non mi uccidere!» il ragazzo sbiancò, chiedendo perdono. Elisa mollò la presa, e Joshua si scontrò col pavimento. La donna lo aveva sollevato da terra senza troppa fatica. I sudori freddi correvano per la sua schiena, e il cuore a mille.

«Tieni a bada il tuo cagnolino, Cassandra, o la prossima volta lo ammazzo.» disse acida, sistemandosi la camicia. La coda si mosse nervosa, ora non più bianca, ma aveva venature nere che scorrevano per tutta la sua lunghezza.

«Non è il mio “cagnolino”, Elisa. È solo un ragazzo.» Cassandra lo aiutò a tirarsi su, e lui si allontanò di qualche metro, spaventato. «Non sfogare la tua rabbia verso di me contro altri.» si alzò, e la guardò, al di là degli occhi bianchi, poteva quasi intravederla.

Elisa prese la spada e iniziò a tagliarsi i capelli a ciuffi, ignorando completamente la riccia.

«Se hai qualcosa da dire, dilla.» ribadì la sacerdotessa, sistemandosi le vesti.

Elisa tagliò l’ultimo ciuffo con rabbia. Ora aveva di nuovo i capelli corti, e Andrea, dall’alto della sua posizione, notò che era ancora più affascinante e intrigante. E sì, che Joshua aveva avuto un bel coraggio a farsi vedere da lei mentre gli fissava il seno.

Anche se, a dirla tutta, aveva tutte le ragioni di questo mondo. È invitante...

“Ma cosa pensi adesso, Andrea?!” si riscosse dai suoi pensieri dandosi una pacca sulla fronte.

«Sì, una cosa te la devo proprio dire.» appoggiò la spada sul mobile, e avanzò, arrivando a pochi millimetri dal volto della donna.

«Vaffanculo.».

«Elisa, non capisco a cosa ti stai riferendo.» lo sguardo della donna non la fissava in volto, ma percepiva che era vicina. Molto vicina. Tanto da sentirne l’odore, e ricordò che non è cambiato, in così tanti anni. Il cuore palpitò di un’emozione talmente vecchia che sembrava ormai dimenticata.

«Lo sai benissimo a cosa.» disse, e si voltò, allontanando lo sguardo. Doveva, non riusciva a guardarla senza...piangere.

«Tu...mi hai dimenticata...» appoggiò le braccia alla cassa, e le spalle divennero curve.

«Non è vero. Non ti ho mai dimenticata.» rispose la riccia, con tono basso.

«Ah sì? Giustificami Giacomo allora.» e si girò, gli occhi spezzati dal giallo. «Era il mio migliore amico, Cassandra! Ti sei scopato il mio migliore amico! E peggio ancora, sei pure rimasta incinta!» l’ira di lei era palpabile nell’aria. Le orecchie di Andrea erano tese, sapeva benissimo che stavano parlando di lei.

“Sentiamo come la giustifichi questa scappatella, madre.”.

«Sono umana, Elisa. Ho sbagliato.» si strinse le mani al petto, cercando di contenere l’emozione. «Ma non ho mai smesso di pensare a te, te lo giuro.» sulle ultime parole la sua voce si spezzò.

Elisa gli voltò di nuovo le spalle, le mani si strinsero a pugno, e uno colpì il muro, lasciando una piccola cavità e una crepa.

«Esseri umani lo siamo tutti, Cassandra.» il suo tono di voce era basso, ma si percepiva un ringhio di sottofondo. «Io mi ero innamorata di te, Cassandra. Ho-».

«Eri...?» la voce di Cassandra si spezzò, nel chiederlo.

Elisa rimase ferma un secondo. In silenzio.

Tolse la mano dal muro, facendo cadere qualche calcinaccio per terra. Si pulì alla bell’e meglio, e sospirò.

Ignorò la domanda, e continuò il discorso, lasciando che fosse il silenzio, per ora, la risposta alla domanda fatta a bruciapelo dalla riccia. Perché ora non aveva il coraggio di affrontarla.

«Ho mentito a tutti, Cassandra. Ho sacrificato la mia vita, ho fatto la stronza, ho girato le spalle a tutti, facendo di testa mia, pur di salvarvi tutti. Pur di salvarti la vita.».

«Nessuno te lo ha chiesto!» il tono di voce di Cassandra si alzò, dagli occhi cadevano lacrime amare. La mora si voltò, guardandola sorpresa. «Chi ti ha detto di sostituirti alla Dea, di scegliere per noi!? Chi ti ha detto che dovevi per forza sacrificarti tu, e di salvare tutti?! Nessuno voleva che tu morissi, Io non volevo che tu morissi!».

«Era tutto falso.».

«Cosa?» la voce di Cassandra si spezzò, non comprendendo.

«La voce che ti parlava, il volere di sterminare tutti. Non era la Dea della Luna a parlarti, era falsa. Era il Dio del Sole.» Elisa incrociò le braccia.

«Come...?» Cassandra rimase come bloccata. Tutto quello in cui aveva creduto...una bugia?

«Era una proiezione. In realtà io ho fatto quello che il Dio del Sole non si aspettava: la cosa giusta. Ho cambiato i suoi piani di distruzione dell’essere umano. Con quel incantamento, Cassandra, avresti distrutto il mondo, non lo avresti salvato. Io ho fatto – inconsciamente – quello che la Dea della Luna voleva veramente. La salvezza dell’umanità.».

Cassandra si sentì mancare le gambe, e cadde sulle ginocchia.

«Quando ho ristabilito l’ordine nei cieli, allora sì, la voce che sentivi era quella della vera Dea della Luna.».

«Tu hai fatto cosa...?» stavolta fu Andrea a parlare, Cassandra aveva lo sguardo perso nel nulla. Sconvolta.

Elisa alzò lo sguardo, gli occhi castani fecero mancare un colpo al cuore alla rossa. Erano tristi, erano distrutti. Prossimi alle lacrime, eppure non piangevano. Eppure rilucevano di vita.

«Quando sacrificai la mia vita, venni punita dal Dio del Sole, sempre fingendosi la Dea. Rompendo l’oscurità in cui ero stata incatenata, liberai gli angeli, e scacciai la presenza del Dio dagli astri competenti della Dea della Luna.»

 

«Elisa!» una figura celestiale le saltò al collo, e la ragazza non riconobbe subito chi fosse. Poi sentì un odore familiare investirla. E la presa divenne più forte.

«Celeste...» le lacrime solcarono il suo volto, e non mollò la presa prima di non essersi ubriacata abbastanza del suo odore.

I suoi occhi erano ancora azzurri come il cielo.

«Ce l’hai fatta!» la donna, dai lunghi capelli biondo scuro la guardava con un sorriso celestiale, e le passò una mano sul volto.

Elisa rimase in silenzio ad ammirarla.

«Mi sei mancata.» e sorrise.

«Anche tu.» rispose l’angelo, scuotendo leggermente le ali.

«Ti avevo detto che sei un angelo.» la bionda spintonò la mora, ridendo.

«Ah, simpatica!».

E per qualche istante tornò come ai vecchi tempi, quando erano solo delle ragazze che sopravvivevano alla morte quotidiana, che ridevano per non piangere, e che condividevano tutto, anche il dolore.

«La Dea ti vuole parlare.» disse la ragazza, prendendola per mano. E fu condotta verso la luce.

 

«Ritrovai l’anima di vecchi amici, e di mia madre.» un sorriso sghembo le passò sul volto, e di quello Andrea se ne innamorò. «La Dea mi incaricò di un compito speciale, ed ora eccomi qua. Con la memoria corta a proposito di ciò.» Elisa ritornò a sedersi sulla cassa. La fiamma traballò, la candela stava per morire.

«Quindi ora cosa facciamo?» domandò il ragazzo, riprendendo il coraggio per parlarle. Elisa lo scrutò con occhi calmi, e gli rispose.

«Ora Cassandra si riprenderà ciò che gli è stato tolto da tempo.» quando la riccia sentì il suo nome alzò lo sguardo, era ancora scioccata, ma lucida.

«Intendi il bastone?» domandò, rialzandosi.

«Sì. La Dea mi ha detto che finché non lo recupererai tu non riavrai indietro né la Vista, né i poteri che mi servono per ristabilire l’equilibrio nel mondo.» Elisa inforcò l’arma, saggiandone la presa. Era leggera.

«La Vista? La riavrò, dopo tutti questi anni?» la voce della donna sembrava sorpresa ed euforica.

«Riavrai tutto quello che ti strappai tempo addietro.» il tono della mora era scocciato, ma la riccia non ci fece caso «Quello che ti ho dato per ora è solo l’energia che serviva al tuo corpo per seguirmi in questa nuova missione. Niente di più.».

Andrea cadde vicino a lei, atterrando morbidamente.

«Allora andiamo!» disse, sorridendo. Elisa la guardò sorridente.

«La Dea mi ha anche dato il compito di proteggerti, dama di fuoco.» Andrea, a quelle parole, divenne un tutt’uno con il colore dei capelli.

«Chiamami Andrea, per favore...» mormorò, balbettando leggermente, non riuscendo a guardarla in volto. Le emozioni che aveva provato in quel momento erano troppe da gestire tutte insieme. E il cuore non la smetteva di battere così forte.

«Joshua, vieni con me.» disse Cassandra, allungando la mano verso il respiro del giovane, e lui, timidamente, si avvicinò, afferrando la mano della sacerdotessa.

«Allora, adesso vi spiego il mio piano.».

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Cacciatori e Vittime.

La Profezia

Capitolo 4.

 

«Avete capito tutto?» Elisa guarda nel buio della stanza, la candela era morta.

Ma gli occhi di pantera erano come sfere di luce nell’oscurità. Andrea poteva quasi sentire il respiro caldo e lento sulle sue spalle. E i suoi occhi erano così ardenti da trapassarle il cuore.

«Sì.» dissero in sincrono, e uscirono al rosso del tramonto.

 

Il vicolo era stretto, e lurido, pieno di stracci abbandonati e sabbia filtrata dal deserto che contornava la città. Gli edifici, costruiti con mattoni cotti al sole e calce rozzamente messi insieme erano la componente comune nelle vie più malfamate della periferia.

Uscirono Joshua e Elisa, mentre Andrea e Cassandra rimasero nascoste nella botola travestita da ingresso cantina.

«Farò io l’esca.» disse il ragazzo, inspirando profondamente. Il cuore batteva a mille, era la prima volta che si schierava apertamente. Preferiva di più i modi meno diretti.

Elisa si tirò su il cappuccio, nascondendosi in un mantello nero. Gli occhi gialli, e le orecchie tirate. Lo guardava malissimo. Sentiva la sua puzza di paura intasarle il naso.

«Ti avviso, ragazzino.» e gli occhi caddero sulle sue mani tremanti e sul fisico gracile e sottile, i capelli biondi scompigliati e gli occhi neri come la pece tremanti di paura. Dalla tensione non aveva sentito la spada uscire dal fodero, e se ne accorse solo quando era a un millimetro dalla pelle del suo collo. Il suo corpo si fermò per un secondo, non respirando nemmeno. Era così vicina da farle una paura tale da paralizzarlo. I suoi occhi gialli gli trapassarono l’anima. «Sbaglia, e ti ammazzo.».

E sparì dalla sua vista in pochi istanti, scivolando come un’ombra nel calar del sole.

Il rumore di un usignolo fu il segnale, e Joshua iniziò a correre.

 

«Fermati!» le due guardie correvano per le vie, ma il ragazzo era come acqua sul letto di un fiume in piena, niente sulla sua strada lo fermava. Ceste, carrelli sulla strada, pensili e sacchi erano come piccoli ostacoli, mentre le due guardie arrancavano con il loro rumore di ferraglia e cigolii continui. Per Elisa fu facile come bere un bicchiere d’acqua capire quando sarebbero passati per di lì. Aspettava tesa sul filo di bucato, le mani farsi nere e uncinate. Un rumore di scricchiolii di ossa rotte si propagò nel silenzio delle strade, un sottofondo, nascosto dalle urla delle guardie.

Come un fulmine vide il ragazzino correre e scivolare nel buco di cantina, e sparire nel vicolo cieco.

«Dove è andato?!» i due si fermarono davanti al muro rozzo. Un fischio li fece girare verso l’alto, e Elisa cadde su di loro come l’angelo della morte.

 

«Alt! Fermi!» le guardie ricoperte di metallo e cuoio di fronte all’entrata del palazzo fermarono il piccolo corteo formato da Elisa, in catene, e da Cassandra, legata, costrette a muoversi da due guardie che le trascinavano.

«Abbiamo preso le fuggitive.» una delle guardie spinse con poco garbo Elisa, facendola cadere goffamente sulle ginocchia. Le catene stringevano con forza le sue braccia e le gambe impedendole i movimenti. Gli occhi gialli e il mormorio di un ruggito bloccato da un guinzaglio rozzamente costruito facevano intuire il pericolo che trasmetteva. Poteva comunicare solo attraverso gli occhi, e lo faceva in maniera molto convincente, visto il desistere dei due uomini alla porta ad avvicinarsi.

«Passate, il capo è nel salone principale!» e aprì una delle ante dell’enorme portone in giada, con un rumore roco.

Il salone si presentò con un’ampia stanza ricoperta di piastrelle in bianco perla, e due lunghe scalinate ai fianchi, che portavano ad un portone. L’uomo che vi stava in cima era lo stesso del patibolo, notò Elisa, scrutando l’ambiente.

C’erano solo due guardie, ai fianchi. Le catene tintinnavano e ne sentiva il peso, la donna pantera, e le odiava.

«Finalmente!» l’uomo biondo scese le scale, arrivando di fronte alle due prigioniere.

«Riconosco l’Infetta. Ma questa donna...?» fece, guardando una delle due guardie, entrambe con l’elmo calato. Uno di loro tirò i capelli della riccia, facendole aprire gli occhi, tenuti chiusi fino a quel momento.

«O Dea... Cassandra?!» l’uomo rimase sorpreso per qualche attimo «Vedo che le leggende sulla tua bellezza erano fondate...» si avvicinò, e le sfiorò una guancia. Si passò la lingua sulle labbra. Elisa sussultò sul posto, guardandolo con astio, tirando le catene. Il ringhio suffuso uscì dalla museruola.

Conosceva quello sguardo.

«Oh, calma micetta... con te farò i conti più tardi.» disse, non staccando gli occhi di dosso a Cassandra, continuando a sfiorarle il volto, scendendo seguendo il corso dei suoi capelli.

«Assar... viscido come sempre.» la voce della riccia uscì quasi tra i denti, e il nome venne quasi sputato.

L’uomo sogghignò.

«E tu gentile come sempre...» si girò, guardando le guardie alle sue spalle. «Lasciateci soli.» ordinò, e queste sparirono dietro una porta dietro le scale. Lui fece rotare il bastone, puntando la pietra azzurra alla sua estremità contro il petto della riccia. Brillò, per un secondo, per poi tornare al suo pallido colore. Elisa vide quella reazione strana, e non staccò lo sguardo infuriato all’uomo. Le due guardie che tenevano le prigioniere erano rimaste, e tenevano strette gli estremi delle catene con cui le avevano legate.

Si dimenò, tentando di liberarsi.

«Vorrei ucciderti con le mie mani, ora.» disse, lo sguardo frenetico. La lingua passò di nuovo sulle labbra. «Ma penso che forse potrei divertirmi con una come te...prima di darti il colpo di grazia.» Cassandra sussultò, e gli occhi si strinsero in uno sguardo disgustato. Elisa si dimenò più forte spingendosi verso l’uomo che, per rispondere a quel gesto, con un impulso del bastone la stese al pavimento.

«Tu, bestia immonda, faresti meglio a tacere.» Elisa alzò gli occhi, gialli e pieni di rabbia «Presto arriverà anche il tuo turno...» la sua mano scivolò sulle labbra di Cassandra, costringendola ad aprirla, facendoci passare il pollice. «Ma solo dopo la tua amica...» avvicinò il volto, obbligandola a torcere il collo verso l’alto.

E lì, Elisa perse il controllo.

Un rumore di ruggito furioso, con un sottofondo di ossa spezzate, proruppe nella stanza. Le catene si ruppero, e i resti si sparsero nella stanza. Una zampata arrivò dritta all’uomo che riuscì ad evitarlo all’ultimo.

La sua forma era bestiale ed enorme, alta più di due uomini, il respiro affannato e la pelliccia nera ricopriva il suo corpo, con qualche venatura bianca che correva sul corpo. Gli artigli erano lunghi e lucenti, così come le zanne del muso che aveva completamente sconvolto il volto della donna pantera.

Ora, era più bestia che essere umano. Ed era arrabbiata. Eppure, in quella forma, riusciva ancora a parlare.

«Non osare toccarla.» proruppe con voce gutturale e profonda. Si mise davanti alla riccia, prona sulle ginocchia per l’improvviso scoppio di Elisa.

«Guardie!» urlò l’uomo, ma appena le due guardie uscirono dalla porticina, due frecce si conficcarono nel loro cranio. Una delle due guardie si era tolto l’elmo e sfoderato un arco. Era Joshua.

«Ora sei solo.» disse lui, incoccando un’altra freccia con mano lesta, puntandola al sacerdote. I suoi occhi azzurro ghiaccio frizzavano di fastidio, e ira.

Un altro elmo cadde a terra, e rivelò una dolce cascata di capelli rossi, e una lama tratta.

«Fregato.» disse Andrea sogghignando.

Elisa mosse un passo verso di lui, e il pavimento vibrò per il suo peso.

«Ora... sei mio.».

E si scagliò verso il sacerdote che, per rispondere all’attacco imminente, evocò una barriera cristallina intorno al suo corpo. La zampata della donna pantera si fermò a pochi centimetri dal volto dell’uomo, che sogghignava divertito.

«Se pensi di vincere con la forza bruta, ti sbagli.» fece ruotare il bastone, colpendola con un’onda d’urto. Si accasciò a terra, perdendo volume nella trasformazione. «Serve molto di più per sconfiggere il potere della Dea.» e il cristallo vibrò di luce scura. Elisa ne sentì il potere attraverso l’aria, ed entrarle nelle viscere.

Era forte. Era potente.

«Non è la Dea che ti comanda. E lo sappiamo!» urlò Cassandra, liberata dalla rossa. Gli occhi bianchi, ciechi alla vista ma non al potere degli Dei, riconobbe benissimo l’entità del Dio del Sole, antagonista della Dea della Luna.

«Era ora che “aprissi gli occhi”, Cassandra!» e fece una risata da ghiacciare i presenti. Allora ne era cosciente fin dall’inizio.

«Lascia il bastone!» urlò la rossa, scagliandosi armata di spada contro Assar che, con un semplice movimento della mano, la scagliò contro il muro.

«Zitta, peccatrice.» il suo sguardo serio e profondo attraversò la stanza, guardandola con odio tale da trapelare oltre la sua anima e la sua barriera, colorandola di nero. «Tu sei quella che ha permesso al Dio di tornare, ma porti ancora il Marchio su di te.» Andrea, sofferente, sentì quelle parole pesarle come un macigno.

“Come?!” pensò, “...io?”.

«Non osare dire di più, bastardo!» urlò Elisa, balzando contro l’uomo, sfruttando la velocità e la potenza dei colpi. La barriera si infranse, permettendo alla donna pantera di colpire finalmente Assar, ferendolo a un braccio, prima di essere di nuovo scagliata via da un’onda d’urto.

L’uomo biondo, ansimante, iniziò a muoversi verso le scale, ma una freccia passò davanti al suo volto, bloccandolo nel movimento.

«Non scapperai.» gli occhi di Joshua brillavano. Le mani ferme, pronte a scoccare.

“Nessuno tocca la Sacerdotessa in quella maniera in mia presenza.”.

Il portone dietro di loro si aprì, sorprendendo gli astanti. Una marea di guardie entrò nella stanza, attaccando gli intrusi che, pronti a tutto, iniziarono a rispondere al fuoco.

Joshua scagliava frecce letali senza battere ciglio, come se fosse nato per quello, mantenendo le distanze con Cassandra che, ancora senza poteri e senza la Vista, non poteva fare niente.

«Andrea, proteggi tua madre!» urlò Elisa, scagliando via due guardie con un solo braccio. Gli occhi su Assar che, nel mentre della confusione, cercava di fuggire salendo le scale.

Andrea, scagliando colpi a destra e a manca con la spada, riusciva a tenere un freno all’avanzata dei soldati che, però, avanzavano con la forza dei numeri.

La donna pantera, con un balzo arrivò in cima alle scale, fermando la fuga del sacerdote, e con la mano afferrò il bastone.

Sentì vibrare dentro di sé ciò che gli rimaneva del potere della Dea, e venir risucchiato via in pochi istanti. Il sacerdote era ancora troppo potente per lei. Si sentì svuotata di tutto, la forza venir meno. Si accasciò su se stessa, perdendo la forma di pantera, tornando umana, cadendo sulle ginocchia. La mano ancora sul bastone, tremante, stringendolo con ciò che le rimaneva in corpo.

Non doveva fallire, non poteva.

«Sei troppo debole, Elisa. Salvatrice del mondo.» disse lui, assorbendo il potere di cui il bastone brillava, nero profondo. «Devi fare molto di più, se vuoi sopravvivere a questo mondo.» il volto vicino, gli occhi azzurri con venature nere che la fissavano. Elisa non vedeva più oltre la sua figura. Il bastone le stava rubando troppo.

 

Non doveva finire così.

Non può finire così.

 

«Elisa!» la voce di Cassandra le arrivò da lontano, e sentì una mano delicata poggiarle sulla spalla. «Non mollare!» sentì, ma ormai non riusciva più a reggere il gioco di poteri dentro di lei. La mano stava scivolando sul metallo liscio del bastone.

Sentì un calore fermare la sua corsa verso la sconfitta. Un calore familiare, lontano nel tempo.

Gli occhi si alzarono e vide le dita di Cassandra, lunghe e affusolate, stringere le sue, con forza ed energia.

«Non puoi mollare!» la sua voce... era più vicina adesso.

Sentì una forza nuova nascerle dentro, e spingere per uscire. Strinse con forza il bastone, e con un colpo potente lo strappò dalle mani avide del sacerdote.

«Ridammelo!» urlò, allungando la mano verso Elisa, esausta. Un pugno in volto fermò la sua azione, facendolo cadere a terra, inerme.

«Taci!» disse Cassandra, stringendosi la mano chiusa a pugno. Era la prima volta che colpiva qualcuno fisicamente, lo spirito più sollevato.

E prese il bastone dalle mani di Elisa.

Ci fu come un momento in cui il tempo sembrò fermarsi, tutti fermi a guardare lei. La luce bianca che spazzava via il nero, l’aridità dell’aria e il dolore.

Oltre il silenzio e un suono di campana risuonare da lontano.

 

Don, suono di campana.

Ricorda la Profezia.

 

 

“Oltre le vele del tempo e delle ali dell’Apocalisse,

Ella si ergerà come nuova portatrice di parole

Domatrice della Luce della Dea.

Padrona del Nero nel Buio.”

 

Finalmente poteva vedere. Gli occhi, la luce. Tutto.

Cassandra aveva di nuovo la Vista. Il volere della Dea le sfiorava di nuovo il cuore. E stavolta...era caldo.

«Cassandra...» una voce da lontano che la chiama. Le ricorda il presente.

E vi ritorna con forza nuova.

«Finalmente ci sei.» Elisa sogghigna, mentre si rialza. Nuova forza nel suo corpo. Sentiva quel filo, prima sottile, diventare più forte. Come una corda indissolubile oltre il velo della polvere, stringere le loro essenze in una. Erano di nuovo loro.

Elisa e Cassandra.

L’Eroe e il Sacrificio.

«Possiamo iniziare la festa.» ribadì sogghignando Cassandra, il bastone che brilla di luce nuova, cambiando le vesti povere della sacerdotessa, nata a nuova vita. Gli occhi che vedono oltre la luce del giorno.

Elisa, tramutata in bestia, divenne nera come la morte, pronta al combattimento, mentre altre guardie riempivano la sala. Gli occhi spezzati di giallo, e il ruggito di sottofondo, mentre gli artigli neri spezzavano le piastrelle bianche sotto la sua forza. Un’ombra di bianco pelo che colora leggermente il braccio sinistro.

 

 

Sarò il tuo anticristo, se lo desideri, e il tuo diavolo personale, se mi vorrai.

Ma non chiedermi di vestirmi di bianco e di ricoprire le mie ali di piume.

L'unico angelo che diventerò...

...sarà quello della morte.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Cacciatori e Vittime.

La Profezia

Capitolo 5.

 

È passato così tanto tempo da quando ti ho vista così. Illuminata di quel bagliore che mi feriva gli occhi e riempiva il cuore di dolore e amore.

Mi sei mancata.

Vederti così, finalmente libera…

…ora puoi contare le stelle insieme a lui.

Io mi farò da parte… e vivrò guardandoti da lontano, mentre sorridi.

 

Il trucco è voltarsi, e camminare fin quando non hai più memorie.

Che infantile, che egoista, comportarmi così…penserai.

Ma alla fine penso che sia meglio così. Per me. Mi dispiace abbandonarti.

Ma se dovessi scegliere tra me e te ora…sceglierei di salvare me stessa.

Le guerriere fanno così, si salvano da sole.

E tu sei la principessa che mi aveva ammaliato, invogliandola a salvarla. Ma io non sono il tuo principe azzurro. Non lo sono mai stata.

Mi dispiace, scusami.

Ora va. Io sto qui. Ho una missione da compiere…

Devo combattere… per me stessa.

 

Nonostante la potenza di Cassandra, e del potere della Dea della Luna, le guardie continuavano ad affluire in massa dentro il salone, scavalcando i cadaveri dei propri compagni e a scivolare sul sangue che imbrattava il pavimento bianco.

«Ritiriamoci, via!» Elisa urlò, tornando normale e aprendo la porta sotto le scale, dove di corsa si insinuarono Andrea e Joshua, provati dai combattimenti. Cassandra ignorò platealmente il suo comando, continuando a combattere. Dardi composti da pietra di luna nascevano e affluivano come pioggia aguzza contro i guerrieri che cercavano di ripararsi dai suoi attacchi usando scudi di ferro. La pietra, così come moriva spezzandosi contro di essi, spariva nel nulla, lasciando solo un bagliore tenute nell’aria.

«Cassandra! Muoviti!» le urlò, spingendo via altri due uomini armati. Erano troppi.

«Ce la posso fare!» rispose, continuando a scagliare scaglie di luna e a lanciare con la forza della dea i guerrieri lontano da lei. Ma una presa forte sul braccio la trascinò con forza, spingendola dentro il piccolo corridoio buio, chiudendo la porta in legno.

Bloccò con un bastone la porta, subito assediata dai soldati dall’altra parte.

«Muoviamoci! Correte!» e iniziarono a correre per il corridoio. Cassandra prese il braccio di Elisa, fermandola infuriata.

«Come ti sei permessa di trascinarmi qui! Ero completamente in grado di farcela!» il suo orgoglio ferito gridava vendetta. Elisa la fulminò con lo sguardo.

«Se non te ne sei accorta, signora sacerdotessa, non esisti solo tu! E ora muoviti, discuteremo poi!».

Elisa si strinse il fianco con una mano. Una fitta lancinante le aveva spezzato il respiro. Cassandra notò il gesto, ma non proferì parola, continuando a correre. Era ancora arrabbiata per il modo in cui l’aveva trattata.

Alla fine del corridoio si ritrovarono in una saletta, dove subito i due ragazzi iniziarono a liberarsi dell’armatura, ormai inutile e pesante nei movimenti.

«Dobbiamo dividerci.» dissero all’unisono Elisa e Andrea. La ragazza divenne leggermente color porpora in viso, deviando lo sguardo dal suo. Quegli occhi gialli, mezzi spezzati dal marrone, non riusciva a reggere il confronto. Il respiro di Elisa si fece affannato. Quella fitta al fianco… non si fermava dal pulsare.

«Sì, voi andate verso est, mentre noi due attireremo l’attenzione portandoli nelle strade, dove faremo perdere le nostre tracce.» i rumori di passi pesanti e di comandi urlati ai soldati si avvicinavano sempre di più.

«Ci ritroviamo in una delle case abbandonate vicino alla porta di sud-est. Saprete quale perché vedrete il simbolo della dea su una di quelle porte.» E detto quello i due giovani sparirono dietro l’angolo del corridoio.

Elisa si trasformò, e ruggì con forza per farsi sentire dalle guardie. In quel momento Elisa sentì quasi le forze cederle. Rimanere trasformata… le rendeva le cose più facili.

«Monta su, forza!» intimò alla sacerdotessa, con voce gutturale e furiosa. Cassandra, a quelle parole reagì in maniera completamente diversa da quella che la donna pantera si aspettava. Sembrò spaventata.

«No!» disse, come se si fosse scottata col fuoco. I suoi occhi erano pieni di timori. Qualcosa che Elisa non riusciva a comprendere.

«Forza, muoviti! Non c’è tempo!» delle guardie stavano correndo verso la loro direzione, richiamando le altre guardie. La sacerdotessa, con riluttanza, salì sulla pantera, afferrando il pelo del collo. Elisa ruggì, instillando nelle guardie la paura. E Cassandra sentì un brivido familiare percorrerle la schiena. In quel momento, il calore di lei, il suo odore così forte, la delicatezza della sua pelliccia sotto le sue mani e quel ruggito così rassicurante, pieno della potenza e della rabbia di lei, pronta a difenderla con la sua vita.

 

Ecco, di nuovo quel sentimento, Cassandra.

Ma allora, in tutti questi anni, cosa hai imparato?

Dopo tutto questo tempo… quel sentimento è ancora vivo?

Non posso farlo…

Non voglio ferirla di nuovo. Non posso. Non io.

Devo mantenere le distanze.

Se non sarà lei quella matura… lo sarò io.

 

E poi il vento le sferzò il volto, il balzo del corpo della pantera sotto il suo peso la trascinò in una corsa per la sopravvivenza in mezzo a lance e frecce, dove per resistere al non cadere si afferrò con tutte le sue forze al collo di quel possente animale che era la sua amica morta. La sua amica morta tornata alla vita per uno scopo divino.

Quando uscì fuori non si rese nemmeno conto che c’era la luna piena, e la luce era così forte da far sembrare la notte il giorno. E i corridoi del palazzo scorrevano veloci sotto i suoi occhi, così come i palazzi intorno ad esso. Era stata velocissima a uscire dalla residenza del sacerdote capo, una volta la sua residenza, ignorando completamente le guardie che tentavano di fermarla. Era inesorabile, scattante e veloce. Ignorava completamente le guardie e, se poteva, evitava di fare loro del male.

Come se avesse un presentimento, quando si fermarono in mezzo ad un incrocio di strade, Cassandra poté sentire benissimo il fiatone della pantera. Ansimava pesantemente.

“Qualcosa non va.”.

«Elisa… Stai bene?» domandò la sacerdotessa, accarezzandole il collo, ma venne prontamente zittita scostando il volto, come a scacciare quel gesto. Stava ascoltando, Elisa. Cercando di ignorare il rumore pesante del suo respiro. Aveva evitato i colpi più pericolosi, ma era comunque ferita. Non riusciva a capire come mai si sentiva a corto di energie. Il suo corpo sembrava non rispondere bene ai comandi. E il fianco… non la smetteva di pulsare e spingere nelle sue viscere, come una lama incandescente nelle sue interiora e scuoterle. Forse, pensò, quando aveva afferrato il bastone per strapparlo al falso sacerdote, l’energia del Dio del Sole non le aveva risucchiato solo la poca energia divina rimasta in lei. Ma anche le sue energie di semplice essere umano.

Un rumore da ovest la fece correre subito in avanti, spingendo oltre i limiti del proprio corpo. Il rumore di cavalli lungo le vie la mettevano sotto uno stress ulteriore. La vista iniziava a calare. Ad un certo punto, saltando da un palazzo, si accorse a metà caduta di aver perso le sembianze di pantera. Lei, e Cassandra, stavano letteralmente cadendo nel vuoto. In quell’istante, in mezzo all’aria, la prima cosa istintiva fu quello di girarsi e afferrare Cassandra per proteggerla dalla caduta.

Rovinarono dentro un vecchio magazzino, sfondando il tetto di semplice paglia, cadendo e scivolando su dei vecchi cumuli di vestiti.

Elisa, tremante, strinse il corpo di Cassandra, come pronta a nuovi dolori. A nuove fitte. Le mani di Cassandra strinsero con dolcezza i fianchi di lei, che rispose scattando, issandosi.

 

Il tuo respiro sul collo…

O Dea…

 

I loro volti vicini, gli occhi che si mischiano in una apoteosi di magia e incanto, persi nel loro mondo fatato pieno di dolcezza e confusione, di amarezza e voglia di affogarci, riempiendosi e svuotandosi di sentimenti oltre il confine del voluto e non voluto.

 

Baciami.

 

Cassandra si perse in quel desiderio e i suoi occhi, indecifrabili, erano indecisi se guardarla e basta, o prendere le sue labbra lì, in quel preciso istante, così inevitabilmente vicine alle proprie. Così dannatamente invitanti.

Si guardarono per istanti che sembravano eternità, eternamente indecise se rispondere a quella voce lontana che ricordava il loro passato, travestita da istinto, e baciarsi, o rispondere alla chiara voce della ragione, che gli ricordava che erano entrambe braccate e ricercate da tutte le guardie della città.

Elisa mosse leggermente un ginocchio, sfiorando l’interno coscia di Cassandra. Che rispose con un ansimo.

 

Dea, Cassandra…

Pensavo di essere andata avanti…

Ma le tue mani sul mio corpo…

La tua voce ansimante…

 

Tra i due litiganti il terzo gode, dice il detto.

Il fisico spossato di Elisa ha vinto sia sui suoi istinti, sia sulla ragione, e perse i sensi svenendo addosso a Cassandra.

«Elisa?!» la sacerdotessa cercò di scuoterla, sorpresa, sentendo come era crollata a peso morto addosso a lei. Non riuscendo a svegliarla la scostò da lei, appoggiandola al pavimento con cura. Con le mani impose dei simboli sulla sua fronte, mormorando parole dimenticate. Il bastone brillò leggermente, e gli occhi di Elisa si riaprirono.

«Elisa, mia Dea… come stai?» mormorò, parlando a bassa voce. Le urla delle guardie riecheggiavano nelle vie, ma erano lontane…per ora. I desideri carnali…spariti.

 

Forse è meglio così.

Ci sei andata troppo vicina, Cassandra…troppo vicina.

 

«Ah… che mi è successo?» domandò, stringendosi la testa con le mani. Finalmente la fitta di prima le era passata…ma non aveva ancora capito perché.

«Sei svenuta…» rispose, e l’aiutò ad alzarsi.

«Dobbiamo andare, adesso che siamo riuscite a far perdere le nostre tracce…» mormorò, traballando leggermente. La presa dolce di Cassandra addosso a lei bruciava. La scostò, come per farle capire che sapeva stare in piedi da sola.

«Sì, andiamo…» mormorò, delusa dal distacco immediato di lei. Il contatto…era qualcosa che ricercava, e allo stesso tempo temeva. Si avvicinarono al portone, aprendolo leggermente.

«Ah, Cassandra…» disse Elisa, scrutandola dal buio con i suoi occhi gialli. «Grazie.» e uscì, lasciando un sorriso sincero sul volto della giovane donna riccia.

 

Dea Elisa… mi fai sentire come se non avessi cent’anni.

Mi fai sentire di nuovo come quella ragazzina impacciata, che voleva solo crescere…

Dea, se potessi tornare indietro…

 

********

 

I ragazzi si muovevano veloci e silenziosi per la via, rivestiti da mantelli neri stracciati avanzavano nella notte, i capelli rossi di Andrea si potevano vedere lontano metri, illuminati dal bagliore della luna piena.

Erano riusciti a scampare molto velocemente. Dopotutto, le ricercate erano Cassandra ed Elisa, non loro.

«Qui.» bisbigliò Joshua, indicando una porta divelta. Passando vide inciso sullo stipite il simbolo della dea.

Raggiungendo il piano superiore poté sentire gli scricchiolii delle scale sotto il suo peso. Poi, in un secondo, vide il mantello del ragazzo sollevarsi, e la voce gutturale di Elisa uscire dal buio, così come i suoi occhi iniettati di giallo.

«Identificati.».

«Siamo noi, lascialo andare!» sbraitò d’istinto Andrea, e vide lui crollare sul terreno. I suoi occhi gialli erano su di lei, ed erano tremendamente affascinanti. Sentì il suo corpo cedere a quello sguardo e non smise di fissarla e desiderarla. Le vesti stracciate di lei che tralasciavano pezzi di pelle che in quell’istante Andrea desiderava mordere e fare sua.

Cassandra uscì da un angolo, portando in mano un globo di luce fievole, che illuminava appena la stanza, ma abbastanza forte da potersi vedere in faccia. E la magia si spezzò.

«Elisa, calmati.» le rimproverò, scocciata. Rispose grugnendo e sedendosi per terra. La coda si muoveva in modo agitato.

«Cos’ha?» domandò Joshua, stringendosi il collo. Gli aveva spezzato il respiro con poco.

«Non lo so.» rispose la sacerdotessa «Voi come state?».

«Vi abbiamo portato delle provviste.» disse la rossa, porgendo un fagotto alla riccia.

«Le avete rubate?» domandò Cassandra, conoscendo il passato di Joshua. I suoi occhi fulminarono il ragazzo, che prontamente rispose.

«No, le ho comprate.» disse seccato, conoscendo benissimo quello sguardo di lei. Aveva lo stesso identico sguardo quando gli chiedeva dove aveva preso la roba. Sì, era ringiovanita, e aveva ripreso la vista, ma era sempre lo stesso modo di guardarlo. Anche se, con il buio e con quelle vesti così…succinte, riecheggiava di meno la rabbia nel suo corpo, per far spazio a più frivole fantasie… che cacciò passando un fagottino a Elisa.

Lei lo guardò stranito.

«Che è?» domandò, come se non capisse.

«Cibo.» rispose.

Elisa lo afferrò e vide una forma di formaggio insieme a un pezzo di pane. La sola vista le fece venire un conato di vomito. Troppo forte da ritirare. Abbandonò il fagotto sul pavimento e si precipitò verso la finestra, vomitando.

«Elisa!» Andrea scattò verso di lei, mettendole una mano sulla spalla, come per sorreggerla. Vomitò bile. E cadde sulle ginocchia, come se non avesse più forze per reggersi in piedi. Andrea l’afferrò con forza, trascinandola verso l’interno. Le passò dell’acqua che prontamente Joshua le aveva passato. Bevve come se non avesse mai bevuto in vita sua, come un assiderato nel deserto. Andrea notò le labbra fruste di lei appoggiarsi al boccale della borraccia da dove aveva bevuto prima, e non riuscì a reprimere quella piccola soddisfazione di aver condiviso con lei quel bacio indiretto.

La voce di Cassandra spezzò, per la seconda volta, le sue fantasie.

«Lei mangia solo carne. Il resto la disgusta.» disse, come per informare gli astanti che lei non è un semplice essere umano ma un Infetto. Un mostro che divora carne e interiora per il proprio autosostentamento.

«Carne…» iniziò a mormorare, come in una litania. Una preghiera. E gli occhi da marrone passarono al giallo. Con forza sovraumana spinse sul pavimento Andrea, costringendola sotto il peso di quello che ora era più pantera che essere umano.

«Carne…» mormorò con voce gutturale, passandosi la lingua sulle fauci che ora grondavano saliva, come a pregustare il banchetto sotto le sue mani.

La rossa rimase come immobilizzata. Fissandola negli occhi completamente gialli, che le penetrava l’anima.

La sua presa era così forte che le mise in moto l’adrenalina e l’eccitazione.

Il suo corpo a contatto col suo era così invitante… poi vide un bagliore bianco dividerle, e il corpo di Elisa tornare normale. Ansimante e sudato. Come se avesse ripreso una coscienza in maniera brutale e dolorosa, abbandonò la presa su Andrea e in quel momento la mora si rese conto di cosa stava per fare.

La rossa, come di fronte ad un vetro, vide l’evolversi delle sue emozioni: prima la sorpresa, come se la pantera non fosse sotto il suo totale controllo, poi la stanchezza, un barlume di confusione – così intrigante, così affascinante – e infine quello che le spezzò il cuore… l’amarezza. Il disgusto verso se stessa per quello che stava per fare.

«Andrea…» si scostò di lato, trascinandosi verso il muro, appoggiando la schiena. «Scusami, io non…».

«…non eri in te.» finì la frase Cassandra, scocciata. Il bastone in mano.

«Osa toccarla un’altra volta e ti spezzo le ossa.» Joshua guardava la sacerdotessa con i poteri della Dea nelle sue mani e la Vista nei suoi occhi. Era come l’apoteosi della magnificenza divina. Ed era fottutamente eccitante. Scosse di nuovo la testa per scacciare quei carnali pensieri dalla testa.

In quel momento Andrea odiò sua madre con tutta se stessa, e la fulminò con gli occhi, come se avesse interrotto qualcosa che non doveva essere fermato.

«Dobbiamo andare via da questa città, prima o poi ci troveranno.» disse il ragazzo, guardando le due donne che si stavano scannando con gli occhi. Madre e figlia in un combattimento silente.

«Dobbiamo… rubare un cavallo…» disse Elisa, ansimando. L’incantesimo di Cassandra aveva effetto immediato, ma non poteva darle sollievo. L’unica cosa che l’avrebbe rimessa in forze era la carne…e lei sapeva benissimo quello che doveva fare. Anche se il solo pensiero la disgustava.

«Qui vicino c’è una caserma, poco prima dell’accesso verso il deserto.» informò Joshua, che conosceva benissimo quel posto. Vi era stato rinchiuso, una volta.

«Allora tu sai come fare per prenderlo…dico bene?» insinuò Cassandra, con lingua malevola. Il ragazzo non rispose alla provocazione.

«Riuscirò a prenderne solo uno però.».

«Non importa, uno basta.».

«Ma siamo in quattro. Un cavallo riesce a portare al massimo due persone.».

«Una la porterò io.».

«Ma non sei in forze. E poi ci sono troppe guardie per passare inosservati dalla porta.» disse Andrea. Cassandra mangiava in silenzio, mentre osservava Elisa. I suoi occhi diventarono gialli, sogghignò, e il suo sguardo divenne maligno. E un ricordo le balenò in mente.

 

«Mi hai tradita!» urlò Cassandra, tra le lacrime, coprendosi con un velo. Elisa, tornando alla forma umana, sogghignò. Gli occhi gialli. La voce distorta.

«Stupida umana, che credevi? Che mi fossi innamorata di te?».

 

«A loro ci penserò io.» e un brivido freddo passò per i due giovani che la guardavano. Uno per lo spavento, l’altra per l’eccitazione. Più la guardava e più la desiderava.

 

Ero alla ricerca di un sogno.

Lo bramavo, e lo cercavo nella carne.

E ora, nel buio della notte… quel sogno sta prendendo le forme di un corpo.

E di un volto.

Il suo.

 

 

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