Black mind

di Teikci Ni Kare Suh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lost ***
Capitolo 3: *** Rimembranze ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Sentii il suo respiro vicino al mio collo. Avevo paura, una paura terribile di quello che sarebbe potuto accadere. Sapevo che lui aveva scoperto ciò che gli nascondevo, e non avrei potuto dargli torto se avesse voluto mettere fine alla mia vita. Percepivo la sua rabbia, la sua sete di vendetta e del mio sangue, ma anche la sua indecisione. Improvvisamente qualcosa di freddo mi sfiorò la guancia e sentii un leggero pizzicorio. Il sangue cominciò a scorrere caldo, leggero come un velo di seta. Inspirai il suo odore. Tuttavia non mi sentii più forte, e un’improvvisa voglia di piangere s’impadronì di me. Avevo forse paura di morire? No, non poteva essere. Rispettavo la morte, ne avevo una piena consapevolezza, quasi in ogni momento della mia giornata, ma avevo imparato a non temerla. E allora cosa poteva mai causare tutto questo? Lui. Lo avevo deluso, gli avevo mentito e ora non restava più niente del nostro passato e di tutto quello che avevamo condiviso. Tutto spazzato via. Volvevo mettere fine a quell’agonia, ma lui mi stringeva ancora fortemente a sé con il suo braccio. Quel contatto fisico mi stava distruggendo. Cercai di divincolarmi, ma lui strinse ancora di più la presa. Per un momento pensai che avrebbe potuto rompermi le ossa dello sterno. Affondai le unghie nel suo braccio, ma lui non si scompose. Poi lo sentì accasciarsi, mettersi in ginocchio dietro di me. Lo sentii singhiozzare. Mi abbassai davanti a lui e tentai di accarezzarlo. Con uno scatto fulmineo scostò la mia mano e prese il mio collo con la sua. “Scappa, prima che io decida di  privare il tuo corpo della testa. Perché allora non avrai scampo”
 
Angolo dell’autrice
 
Allora che ne dite? Come vi sembra come inizio? Spero prometta bene, e la prima volta che mi impegno in una storia originale. Recensite e fatemi sapere :3

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Capitolo 2
*** Lost ***


Lost


Apro gli occhi ma una luce bianca mi acceca, così che sono costretto a richiuderli.
Tento di spostare una mano sopra la testa per ripararmi la vista, ma non riesco a muovermi: sono completamente bloccato.
Non sento lacci o corde,  solo una forza che mi impedisce qualsiasi movimento.
Avverto una porta scorrere e mi immobilizzo ancora di più, se è possibile.
Qualcuno si avvicina: parecchie persone, cinque o sei, che bisbigliano meravigliate, eccitate.
“E’ riuscito a neutralizzare l’effetto del NATAX!” dice uno a voce leggermente più alta.
“Ma è impossibile!” risponde una voce stridula.
Continuano a confabulare a lungo, ripetendo l’impossibilità di qualcosa che sono riuscito a fare, finché la porta si apre di nuovo, e un silenzio innaturale scende nella stanza.
Un’altra persona entra nella sala.
“Uscite. Immediatamente”
Tutti i presenti se ne vanno velocemente e in silenzio.
L’uomo appena entrato si avvicina al mio letto e sembra sedersi su qualcosa, probabilmente una sedia.
“Apri quegli occhi. Non c’è cascato nessuno.”  Mi dice, o meglio, mi ordina, mentre batte le dita su qualcosa.
Nel momento in cui apro gli occhi, capisco che la forza che mi bloccava è svanita, così mi muovo e mi metto a sedere su quella specie di letto dov’ero steso, e mi appoggio alla sua testiera.
Indosso una maglietta bianca, leggera, mi sembra quasi di non averla, e dei pantaloni lunghi e larghi anche questi bianchi, mentre a entrambi ai polsi porto dei bracciali dello stesso colore dei vestiti.
Alzo lo sguardo sull’uomo seduto vicino a me: sembra alto, in forma, sebbene abbia passato evidentemente i quarant’anni da un pezzo, i capelli sono leggermente lunghi e di un biondo chiaro e luminoso, in tinta con gli occhi verdi.
“Buongiorno”
Chino il capo in segno di saluto.
Non sembra minaccioso, ma non mi fido di quell’individuo, calmo e controllato.
“Dove mi trovo?” domando.
“Questo lo saprai a suo tempo” mi risponde l’uomo.
Faccio un bel respiro e ripeto la domanda.
“Dove mi trovo?”
Lui ridacchia.
“Sei su una base della famiglia Casel. Sei stato ritrovato a Londra privo di sensi, e privo di qualsiasi ricordo.”
Continuai a guardare l’uomo e provai a ricordare qualcosa, ma non successe nulla.
Nella mia mente, nella mia memoria non vi è nulla al di là dei pochi minuti passati dentro la stanza.
Sono vuoto.
“Non riesci a ricordare nulla, vero?”
Suoto la testa, incapace di dire qualcosa.
“Prova.”
“Che cosa?” chiedo, ancora stordito dopo quella presa di coscienza.
“Cerca di ricordare qualcosa”
“Non ci riesco”
“Prova lo stesso”
“Le ho detto che non ricordo nulla!” rispondo frustrato.
Lui mi scruta pensieroso.
“Sarà meglio che tu lo faccia. E in fretta”
Lo fulmino con un’occhiata e cerco di concentrarmi.
Il mio sguardo cade su uno specchio in fondo alla stanza, e noto qualcosa di strano sul mio collo.
Mi alzo dal letto e mi avvicino allo specchio cercando di comprendere cosa sia: una linea blu chiaro parte da sotto l’orecchio e arriva fino alla clavicola.
Vedo una lama vicino a me, poi sento dolore, l’odore del sangue e una risata soffocata.
“E’ stato fatto da una Lagas”
Mi volto a guardare l’uomo e la visione scompare.
“Una cosa, scusi?” domando, sebbene il nome mi sembri famigliare.
“Un tipo di spada forgiato più di settecento anni fa da un popolo antico. Sono molto rare e il loro passaggio…beh, non si dimentica” mi spiega, indicando la ferita.
Annuisco e ritorno a osservare la ferita, sfiorandola con i polpastrelli delle dita.
“Perché volete che ricordi il mio passato?” domando, senza voltarmi.
L’uomo mi si avvicina e mi sussurra all’orecchio.
“Perché tu non esisti”
Sgrano gli occhi, incredulo e mi giro a guardarlo, ma non riesco a dire nulla.
“Strano, vero?”
L’uomo sembra quasi sbeffeggiarmi.
“In che senso, non esisto?” chiedo, cercando di non far tremare la mia voce.
Lui si risiede stancamente, come se parlare gli costasse molta fatica.
“Nel senso che non sei sui nostri registri. O meglio, ci sei ma non sei tu.”
Sento un uragano dentro di me: tutto confuso e forte allo stesso tempo, e non so perché anche rabbia che cresce.
“Volete essere più chiaro?”
Forse sono stato troppo aggressivo, perché aggrotta le sopracciglia e il suo sguardo, da divertito diventa minaccioso.
“Per favore” aggiungo.
L’uomo si china in avanti appoggiando la testa sui dorsi delle mani mi osserva.
“La tua identità è stata falsificata sin dalla nascita. E ora i tuoi ricordi cancellati.”
“E come siete riusciti a scoprire che la mi identità non corrisponde a quella in vostro possesso?”  domando.
“Fonti” mi risponde, arcigno.
“Beh, allora queste…fonti vi sapranno anche dire chi sono realmente” dico spazientito.
“Non se queste fonti sono morte” mi risponde, come se la cosa fosse ovvia.
Sentiamo dei rumori che provengono dall’esterno della stanza, come di qualcuno che bussa.
L’uomo di alza e si avvicina all’uscita.
“Per oggi è tutto. Prova a ricordare”
Ed esce dalla stanza prima che possa dirgli o domandargli qualcosa.
E il silenzio mi inghiotte.

 
Angolo dell’autrice
 
Allora, che ve ne pare? Non è moltissimo, ma devo ancora sviluppare bene la trama. Comunque commentate ;)
 
Teikci

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Capitolo 3
*** Rimembranze ***


Rimembranze
 
“Burritos al tavolo quattro! Mark, por favor, sbrigati!”
“Arrivo, Gustavo!” risposi spazientito, raggiungendo la cucina quasi di corsa. Il cuoco mi passò i due piatti e prima che potesse aggiungere qualcosa mi voltai per portarli al loro tavolo.
Sorrisi ai clienti e augurato loro buon appetito mi diressi a un tavolo qualche metro più in là, occupato da una giovane ragazza piuttosto singolare: non che fosse vestita stranamente, o che portasse con sé qualcosa di bizzarro, era invece una sensazione che…trasmetteva.
Affascinante e terrificante allo stesso tempo.
Mi avvicinai titubante al tavolo “Ha già ordinato, signorina?” le chiesi. Lei alzò lo sguardò da alcuni fogli che aveva posti sul tavolo, smettendo di giocherellare con una ciocca di capelli castani e fissandomi “Affatto.  Mi stavo in effetti domandando quando qualcuno si sarebbe degnato di venire a portarmi come minimo il menù”
Gelida e tagliente.
“Beh, mi auguro che accetti le mie scuse da parte di tutto lo staff e…”dissi mentre afferravo un menù dalle braccia di un mio collega “spero che potremo rimediare con la nostra fantastica cucina” conclusi posando il menù accanto a lei.
La ragazza non mi tolse gli occhi di dosso, di un colore scuro e indefinibile, sorridendo leggermente “Non ho bisogno del menù, grazie. Mi basteranno una porzione di tacos e…non è che avete della tequila?”
“Ha un grado alcolico piuttosto alto non credo di…”
Lei sbuffò spazientita e, facendo un gesto di congedo con la mano, ritornò ai suoi appunti “Lo immaginavo. Allora mi basterà una bottiglia di acqua. Naturale, mi raccomando.”
Annuii, anche se la cliente non mi stava più prestando attenzione, e andai a portare l’ordine in cucina, passando per il piano bar. “Henry, abbiamo della tequila?” chiesi al ragazzo che faceva servizio lì. Lui mi guardò con sguardo accattivante “E pensi che anche se ce ne fosse, non me la sarei già scolata dopo l’orario di chiusura?”  Gli lanciai un’occhiataccia divertita e andai verso la cucina, per poi continuare a prendere ordini e portare fuori e dentro piatti dalla cucina.
Dopo mille corse e spostamenti guardai l’orologio: mancavano solo dieci minuti all’ora di chiusura e rimaneva un solo cliente, la ragazza.
Mi avvicinai discretamente e tossii, in modo che lei mi guardasse “Si?” domandò, come se non notasse che fuori era buio pesto e fossero quasi le due di notte. “Il ristorante sta per chiudere, signorina.” Lei mi fissò stupita “Ah, molte grazie. Io ecco…finisco il mio caffè e me ne vado. Ma non mi chiami signorina, la prego. Mi fa sentire vecchia” Io la guardai “Se mi permette non credo abbia più di vent’anni” La ragazza mi sorrise “Molto gentile da parte sua. Ventun anni in effetti” Bevve qualche sorso dalla tazzina e finì il caffè, poi si alzò e mi porse la mano “Mi chiamo Samir.” Le strinsi la mano incuriosito “Samir? Ma non è un…”
“Un nome maschile? Si. E’ arabo significa compagno di una chiacchierata notturna”   disse con orgoglio.
Sorrisi, cercando di non sembrare sfacciato “Beh, allora in onore di questo nome, se aspetta qualche minuto le potrei offrire una tequila o una margarita, in un bar non lontano da qui?”
I suoi occhi mi esaminarono diffidenti “Potrei considerare l’idea.” 
La salutai con un cenno del capo e andai a sfilarmi la tenuta da cameriere nel retro.
Dopo cinque minuti tornai nella sala principale, dopo aver salutato tutti, ma non la vidi. Un po’ abbattuto uscii dalla porta prima che Gustavo mi chiudesse nel ristorante e mi incamminai verso casa. Appena dopo qualche passo però, un piccolo oggetto mi colpì dietro sulla testa e mi voltai “Allora, questa tequila?”
Samir era appoggiata al muro, inclinata leggermente in avanti a osservarmi divertita. “Credevo te ne fossi andata.” dissi per scusarmi. “E pensi che mi sarei persa una tequila gratis?” mi rispose staccandosi dal muro e avvicinandosi.  Iniziammo così a camminare in silenzio, finché lei non ruppe il ghiaccio “Non mi hai ancora detto come ti chiami”.
Le porsi la mano “Mark, Mark White” lei me la strinse “Piacere Mark White” iniziammo a ridere, silenziosi, sotto la soffice luce dei lampioni portandoci in una visione onirica, come se non stessimo realmente vivendo quella situazione.
O almeno, per me era così.
Il suo atteggiamento era cambiato rispetto a quando eravamo nel ristorante, sembrava più rilassata e meno sulla difensiva. I suoi capelli ondulati erano raccolti in una coda a cavallo, tranne qualche ciuffo lasciato libero a contornare il viso, dandole un’aria sbarazzina, mentre gli occhi, circondati da lunghe ciglia, risaltavano grazie a un trucco leggero, sul verde, che s’intonava alla sua pelle, leggermente abbronzata e una complicata maglia bianca aderente, metteva in luce un fisico perfetto, ben allenato e flessuoso.
Mentre discutevamo sugli ingredienti del cocktail che stavo per offrirle, lei si bloccò di colpo, come se un flash l’avesse accecata, chiuse gli occhi e si portò le mani davanti al viso.
“Tutto bene?” le chiesi, mettendole una mano sulla spalla, delicatamente per non essere troppo invasivo.
Samir annuì e riaprì gli occhi: mi sembravano gelidi, neutrali…cambiati.
“Ho dimenticato una cosa importante. Dovremo rimandare la nostra tequila” mi disse, impassibile. “Ma come ti trovo?” le chiesi, mentre lei si avviava verso una stradina secondaria alla nostra destra. “Mi farò viva io” disse, scomparendo nel buio.
Mi voltai, deluso, arrabbiato.
Calciai un sassolino vicino al bordo del marciapiede e osservai il lampione sopra la mia testa.
 
“Samir!”
Guardo sopra di me, ma non vedo nessun lampione, solo un soffitto bianco, immacolato.
Osservo ciò che mi circonda, non c’è nessuna strada, nessun bar o ristorante messicano.
Mi porto le mani al viso e cerco di capire dove sono: poi ricordo.
Ricordo l’uomo biondo, ricordo che sono su una base e apparentemente non esisto e nessuno sa chi sono.
Però…
Un momento, possibile che quello che avevo appena visto nella mia mente fosse… Un ricordo. Eppure se adesso mi sforzo, lo percepisco solo come un sogno, e non come un qualcosa che avevo realmente vissuto.
La porta in fondo alla stanza si spalanca. L’uomo biondo si precipita dentro e affiancatomi, mi prende per la maglia e mi avvicina a lui. “Cos’hai detto?”
Lo guardo stupito  “Non ho detto nulla…”
Lui mi avvicina ancora di più alla sua faccia “Un nome!”
“Samir” mi esce dalle labbra, naturale, come se l’avessi pronunciato migliaia di volte.
L’uomo mi lascia andare e io ricado sul letto, come un peso morto, mentre lui inizia a camminare per la stanza.
“Samir, Samir…” continua a bisbigliare.
“Mark” dico impercettibilmente.
Lui alza lo sguardo. “Il mio nome era Mark White” ripeto. Lui mi osserva “Quella era la tua copertura” mi risponde e fa per uscire.
“Non se ne vada. Mi deve delle risposte!” gli urlo. Lui si volta e mi guarda con un ghigno stampato sulle labbra “Non temere, ci rivedremo presto. Molto presto. Mark White”.
 
Angolo autrice
 
Allora, allora allora…Ecco finalmente abbiamo dato un nome al nostro personaggio. Ed eccone un altro che spunta fuori. Spero che la trama vi intrighi. Mi raccomando recensite, recensite, recensite e fatemi sapere!
 
Teikci

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