Angelus Dominus - Il Bene -

di zippo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incubo ***
Capitolo 2: *** Oltre la mia immaginazione ***
Capitolo 3: *** L'angelo del bene ***
Capitolo 4: *** Un passo silenzioso ***
Capitolo 5: *** Un nuovo mondo ***
Capitolo 6: *** Un posto chiamato casa ***
Capitolo 7: *** La minaccia ***
Capitolo 8: *** Vicini e lontani ***
Capitolo 9: *** L'origine della magia ***
Capitolo 10: *** Cadendo dalle stelle ***
Capitolo 11: *** Come un uragano ***
Capitolo 12: *** Pronta per combattere ***
Capitolo 13: *** C'è qualcosa nel cielo ***
Capitolo 14: *** Testarda è dir poco ***
Capitolo 15: *** Ti ho mai colpito nel cuore? ***
Capitolo 16: *** Non ti credo ***
Capitolo 17: *** Un rifugio sicuro ***
Capitolo 18: *** L'urlo che uccide ***
Capitolo 19: *** Faccia a faccia con il dolore ***
Capitolo 20: *** A testa alta ***
Capitolo 21: *** Amandoti ***
Capitolo 22: *** Il diafano crepuscolo ***
Capitolo 23: *** Le tattiche degli angeli ***
Capitolo 24: *** Gli albori della guerra ***
Capitolo 25: *** Il lusso di un respiro ***
Capitolo 26: *** L'alba degli eroi ***



Capitolo 1
*** L'incubo ***


Cap. 1 - L’INCUBO -

Ombre.

Scuro.

La ragazza vedeva una luce in lontananza…ma era troppo distante. Faceva freddo e intorno a lei molti alberi oscillavano al vento. Doveva trovarsi in un bosco o in una di quelle riserve dove la vegetazione era l’unica fonte di vita. Con la testa, spaventata, guardava le sagome che si muovevano fra gli alberi. La luce si avvicinava. Ancora. Sempre più vicina. Come la luce si avvicinava a lei così anche le ombre sembravano riunirsi a cerchio e raggiungerla.

Ombre e luce.

Ormai erano un tutt’uno e la ragazza, non sapendo cosa fare, andò incontro alla luce, che rappresentava la salvezza da quelle tenebre, e non potè non intravedere, in quel bagliore, dei capelli biondi e due occhi azzurri…poi, tutto si fece confuso e solo la luce, ora, la invadeva.

Rebecca si svegliò di soprassalto, inarcando la schiena si sedette sul suo letto, la fronte sudata e il fiato corto. I capelli color cioccolato le ricadevano leggermente in avanti e il suo ciuffo, spostato verso destra, le copriva gran parte della visuale, sopra quegli occhi scuri che erano sbarrati per l’ansia e il terrore. Con un movimento scattoso diede un’occhiata alla sveglia sopra il suo comodino: le sei di mattina. Mezzora e si sarebbe alzata per andare a scuola.
Con calma, Rebecca, si ridistese sul letto e tirò il copriletto fin sotto il collo, come per proteggersi e sentire più caldo, dopotutto era ottobre e il gelo si faceva sempre più vicino. Sentì dei passi al piano di sotto, probabilmente era sua mamma che si era alzata e stava preparando la colazione. Rebecca alzò gli occhi al cielo e con uno sbuffo si alzò, si mise le ciabatte fucsia che erano ai bordi del letto e con un passo assonnato uscì dalla sua camera. Le luci in corridoio erano tutte spente, solo un bagliore la raggiungeva, e proveniva dalla cucina. Con fatica scese le scale in legno, percorse la sala buia ed entrò in cucina, dove sua madre, Marta, trafficava con due panini appena sfornati.

“Ciao, mamma”


La donna, sentendo la voce melodiosa di sua figlia si girò sorridente verso di lei e Rebecca si ritrovò a pensare che sua madre, nonostante i suoi quarant’anni, rimaneva comunque una donna stupenda: con quei capelli biondo scuro che ricadevano in boccoli e con quegli occhi verde-acqua che tanto sperava di aver ereditato.


“Ciao, Bec. Come mai già in piedi? Non è che ti senti male? Di solito ti vengo a chiamare io” disse Marta, allarmata con il suo sorriso splendente ancora stampato in viso. Rebecca alzò le spalle.


“Ho avuto un incubo e non sono più riuscita a dormire. Lo sai, vero, che quando sogni è come se stessi realmente vivendo quel momento e quel momento è stato particolarmente angoscioso” disse, percorrendo la cucina e andandosi a sedere su uno dei quattro sgabelli che circondavano il bancone. Il caffelatte era pronto e Marta le porse un toast, sedendosi vicina a lei.


“Immagino. Oggi a scuola hai qualche compito o interrogazione?” chiese sua madre, ricevendo un’occhiataccia dalla figlia che ora la guardava esterrefatta.


“Ma mamma! Come hai potuto dimenticartene?! Oggi vado in gita, te l’avevo detto la settimana scorsa, non te lo ricordi?”


“Ah! Me n’ero dimenticata. Scusa, Bec”


“Di niente”


“A questo punto sarebbe meglio che ti preparassi i panini per il pranzo al sacco”


“Non importa, mamma. Vai pure a lavorare, chiamerò papà”


“Ok, e dì anche al papà che oggi, probabilmente, tornerò a casa tardi”


“Come mai?”


“All’ospedale hanno bisogno di me e non posso negare il mio aiuto”


“Che bravo chirurgo…” disse Rebecca, ironica con degli occhi da finta ammirata.


“Sempre gentile tu, eh?”


Marta si alzò aggraziata dal bancone e baciò la figlia sulla fronte. Prese il cappotto appoggiato ad una sedia del grande tavolo da pranzo e con disinvoltura lo indossò.


“Io vado, tesoro. Chiama papà e buona gita”


“Ciao, mamma”


La donna le rivolse un ultimo sorriso prima di aprire la porta di casa e di uscire percorrendo il lungo vialetto di villa Burton. Rebecca rimase da sola a rigirarsi tra le mani il toast, pensierosa e irrequieta, aveva addosso ancora quella sensazione di disagio provata nel sogno. Per quanto terrore potessero aver suscitato le ombre e quel senso di vuoto, di oscuro, di freddo, non riusciva a togliersi dalla testa quegli azzurri, così diversi dai suoi, e per un momento ebbe paura.




***


“Papà! Papà, alzati!” Rebecca continuava a scrollare la figura di suo padre, che era comodamente arrotolato su un fianco. Dopo parecchi scossoni l’uomo aprì gli occhi e con un grande sbadiglio si girò verso la fonte della sua scocciatura.

“Che c’è, Bec? Hai visto un fantasma?”


“Papà, devi farmi i panini per la gita. La mamma si è dimenticata”


“Dov’è ora?”


“A lavoro. Ha detto di dirti che tornerà tardi…dai alzati!”


“Arrivo! Arrivo!”


Jonathan si alzò contro voglia, sovrastando in altezza la figlia. Jonathan era un uomo di quarantacinque anni, con un fisico perfetto (merito delle numerose corse mattutine), due occhi scuri e i capelli castani, con qualche presenza di ciocche bianche. Aveva un lavoro invidiabile, infatti era lo scrittore più ambito di tutta America, e faceva vivere meglio che poteva la sua bella famiglia.


“Coraggio, andiamo a prepararti lo zaino”


Scesero le scale in assoluto silenzio e solo quando furono in cucina, Rebecca, non si trattenne e parlò a suo padre in modo arrogante e provocatorio.


“Ma dimmi te! Mi tocca anche andare in gita in montagna…odio la montagna. E tutto perché siamo andati a vivere in uno stupido paesino di montagna. Spero solo che se cadrò in un pendio e mi romperò la gamba tu abbia i rimorsi, papà”


“Tesoro, lo so quanto adoravi vivere a Phoenix però non ci possiamo fare niente. Tua madre è stata entusiasta e lo eri anche tu di venire a vivere qua” la accusò suo padre, con un grugnito.


“Infatti. Lo ero. Ora non più”


“Perché, scusa?”


“Perché? Uhm…lasciami pensare…ah si! Allora, a Phoenix c’era il sole e il mare, avevamo una bella casa e abbiamo
lasciato anche tutti parenti, avevo delle amiche e mi ero affezionata. E qui? Solo montagne! È sempre nuvolo, il cielo è coperto, la scuola è vecchia e decadente e, soprattutto, sono sempre sola!” Rebecca si fermò per respirare, guardava suo padre in cagnesco e mai, mai, per quanto bene gli volesse, poteva perdonarlo per averle trascinate di punto in bianco in un posto dimenticato da Dio, con la scusa di dover scrivere un libro ambientalistico.


“Odio questo posto” ripetè, più a sé stessa che a Jonathan che la guardava apprensivo e con un moto di sofferenza.


“Mi dispiace. Appena finirò il libro ritorneremo a casa. Te lo prometto”


“Ma non mi importa di quando finirai il libro! È ora che io sto male, lo sai quanto detesto le escursioni e sono obbligata anche a farci una gita di tre giorni!”


“Bec, hai iniziato scuola solo da un mese, è normale che ti senti a disagio non conoscendo nessuno. Ma tu sei forte, e so che ce la farai. Tieni duro. E poi, cosa vuoi che succeda su là, tra i monti?”


“Uhm, magari un orso mi porta via”

“Ti verrò a riprendere”


“E se questo orso è armato?”


“Sono antiproiettile”


“Questo è quello che credi tu…”


“Dai, è quasi ora e ho finito di farti i panini” disse suo padre, mostrando fiero quattro panini incartati.


“Ne bastavano due, papà”


“Ah si?”


“Si, sono uno per la merenda dell’andata e uno per il ritorno. Poi, quando sono nell’ “accampamento” avrò da mangiare”


“Meglio essere previdenti, sai, se l’orso ti rapisce”


“Giusta osservazione”


“Suvvia, brunetta. Accendo la macchina, ti aspetto fuori. Muoviti a prepararti”


“Corro a cambiarmi!”


Rebecca prese con fretta i quattro panini e li ficcò alla bell’e meglio nello zaino della Napapijri marrone assieme al pigiama, occorrente per lavarsi, un paio di ciabatte, di calze, due cambi pesanti e tutto il kit medico datogli da Marta. Con uno sbuffo chiuse la zip e se lo caricò in spalla, mentre con la mano libera afferrava il sacco a pelo. Uscì dal garage e trovò ad aspettarla suo padre, con una sigaretta in bocca, e un sorriso di incoraggiamento. Corse fino alla macchina ed entrò imprecando.


“Spero proprio di essere assicurata per gli infortuni”




***



Alle otto di mattina la piccola Aguila si presentava ancora più terrificante, il sole tardava a sorgere e il vento continuava, insistente, a sbattere contro gli alberi, con ululati e tonfi. Se non era per il semplice fatto che era così per la posizione geografica, Rebecca, quel posto, l’avrebbe paragonato all’inferno, non era degno di appartenere alla bella e soleggiata Arizona. No, proprio no.
La loro bella villa (e unica villa) distava dalla scuola dieci minuti di macchina e in quei minuti Rebecca implorava ogni giorno il Signore affinché sprigionasse un cataclisma sulla scuola, almeno non sarebbe stata costretta ad andarci e avrebbe fatto in tempo a ritornare alla “High School” di Phoenix. Solo allora, sarebbe stata salva e finalmente a casa. Ma come ogni giorno, dalla macchina, girata la curva, le compariva la bella visuale della sua nuova scuola. Un sorriso schifato le riempiva il viso a quella vista. Suo padre, come ogni volta, parcheggiava la macchina nello stesso posto e subito spiccava come un faro a confronto delle altre macchine. Di sicuro, ad Aguila, nessuno aveva una Porsche. Smontò impacciata dall’auto, beccandosi molti sguardi ammirati.

“Non guardano me, guardano te e la macchina” disse Rebecca a suo padre prima di chiudere la portiera, dato che Jonathan era rimasto perplesso dalla moltitudine di facce che erano rivolte a fissarli.


“E io che credevo che fossero amici…”


“Te l’ho detto, papà” Rebecca, con uno spintone chiuse la portiera e si avvicinò al finestrino abbassato. “Io non ho amici”




***



Ecco, se c’era una cosa, una sola cosa che Rebecca non sopportava in quella scuola era l’appello. Nella sua scuola precedente gli alunni non venivano mai chiamati a inizio lezione, semmai chiedevano i nomi degli assenti e scrivevano quelli. Ma ad Aguila tutto era rimasto ai tempi della seconda guerra mondiale, e l’appello portava via ben sette minuti, minuti che intanto passava a ciondolarsi sul posto. Il ritrovo era stata fissato davanti la scuola, nel parchetto, e circa una quarantina di studenti stavano in piedi ad aspettare che venisse chiamato il loro nome, con gli zaini in spalla e le bocche tirate in continui sbadigli. Di certo il tempo non aiutava a sentirsi più svegli, ti metteva ancora più sonno.

“Rebecca Burton” disse a voce alta la professoressa di biologia, Millie Lorenz, donna deliziosa se non avesse avuto una voce talmente acuta da spaccare i timpani ogni qual volta dava fiato ai propri pensieri.


“Ci sono”


“Prego, salga in pulman e prenda posto”


Rebecca non se lo fece ripetere, afferrò saldamente il suo sacco a pelo e salì sul bus già occupato dai pochi studenti che per ordine alfabetico la precedevano e che erano perciò saliti per primi.

Due ragazze avevano preso i posti nella penultima fila a destra e un ragazzo si era invece accaparrato i posti infondo. Senza neanche pensarci Rebecca prese il primo posto a portata di mano: terza fila a sinistra.



***



Il viaggio in pulman era previsto con due ore di andata, la strada era continuamente susseguita da curve e Rebecca si ritenne fortunata di aver scelto uno dei posti davanti altrimenti la colazione della mattina si sarebbe fatta sentire come meglio poteva. L’unica rogna di quel viaggio in corriera era la presenza, alquanto indesiderata, della sua vicina di posto, Judi Marconi: ragazza svogliata, di origini italiane, dalla parlantina facile e con due occhiali rotondi che le facevano risultare ancor più ovale il suo viso paffuto. Judi non lo faceva apposta, ma da quando erano partiti fino al momento dell’arrivo non aveva smesso un attimo di parlare, parlava di lei, della sua famiglia, del suo cane, del suo gatto, del suo ragazzo (ma come faceva ad avere il ragazzo?) e di altre cose che a un certo punto Rebecca si era rifiutata psicologicamente di ascoltare, facendo cenni con la testa come a mostrarsi interessata di quei discorsi. Finalmente il motore si fermò. Rebecca, disorientata, spostò la testa verso il finestrino, il paesaggio era come se l’aspettava: si trovavano in uno spiazzo fangoso circondato da alberi e, dritto davanti a lei, c’era il sentiero che gli avrebbe portati al campo. La ragazza, decisasi finalmente a smontare, si trovava ancora a percorrere gli scalini dell’autobus quando non potè non notare, nell’altro pulman dietro al suo, un ragazzo che, in contemporanea a lei, stava scendendo con un’aria alquanto contrariata dal suo bus. Il fiato le morì in gola.



***

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Capitolo 2
*** Oltre la mia immaginazione ***


Cap. 2 - OLTRE LA MIA IMMAGINAZIONE -

Bec scese dal pulman e rimase ancora qualche istante a fissare quel ragazzo sconosciuto, non perché non avesse mai visto un ragazzo così bello ma perché era talmente stupendo dall’essere più simile ad un alieno che ad un normale adolescente. Sembrava una sorta di miracolo…ci mancava solo l’aureola. Bec si perse nell’osservare la sua pelle così bianca, il suo corpo marmoreo e muscoloso, i capelli biondi: leggermente scompigliati che ricadevano avanti e gli occhi azzurri come il cielo dall’assenza di nuvole. Sembrava indifferente a tutte le persone che in quel momento lo stavano osservando, si muoveva sicuro di sé e con eleganza anche se alcuni ciuffi ribelli davano a intendere che non doveva essere così angelico come sembrava. Percorse con pochi passi l’intero spiazzo e raggiunse quello che doveva essere il suo gruppo di amici, anche loro, come lui, erano di una bellezza sovrannaturale: c’erano due ragazze e due ragazzi. Le due ragazze sembravano a quelle modelle che si trovano solo sui cartelloni pubblicitari, una (la più bassa) era mora, con lineamenti molto femminili e due occhi scuri a mandorla…deliziosa; la seconda ragazza era bionda, con gli occhi chiari…una bellezza aggressiva, niente a che vedere con la dolcezza dell’altra. I ragazzi erano…beh, divini, bellissimi, accattivanti e tenebrosi: due perfetti esemplari di genere umano. Bec rimase sconvolta quando si sentì strattonare da due braccetti esili. Judi.

Ma porca miseria…

“Che c’è?” chiese un po’ sgarbatamente.
 
“Oh, scusa se ti ho toccata ma tentavo di chiamarti da più o meno cinque minuti”

“Che vuoi?”

“Volevo dirti che ci hanno assegnate nella stessa tenda. È la numero 7, ricordatelo”

“Si, si…”

Judi scrutò attentamente il viso di Rebecca e quando capì la direzione che stava prendendo tirò un sospiro di rassegnazione nel vedere il magnifico gruppo di cinque ragazzi che chiacchieravano tranquilli a pochi metri di distanza.

“Lo immaginavo”

Bec si girò di scatto verso la ragazza senza capire realmente a cosa alludeva.

“Cosa?”

“Il magico gruppo ha incantato anche te, a quanto pare”

“Ma chi sono? Non gli ho mai visti a scuola, da dove sbucano fuori?”

“Beh, non gli vedi spesso nei corridoi, stanno sempre nella loro classe e non si separano mai. Nessuno sa il motivo ma succede spesso che per lunghi periodi non vengono n’anche a scuola, forse è per quello che non gli hai mai incontrati. Comunque sono fatti così. Anch’io la prima volta che gli ho visti sono rimasta a corto di fiato…tanto, tanto tempo fa”

“Più che altro il fiato se n’è andato”

“Già, ti capisco”

“Ma come si chiamano?”

“La bionda è Rosalie mentre l’altra ragazza è Delia. Poi ci sono Denali, Kevin e infine Gabriel”

“Ma…”

“Dai! Andiamo, che dobbiamo prenderci il posto e aprire la tenda!” Judi, con uno scatto felino prese per il braccio Bec e la trascinò via. Via dallo spiazzo. Via da quei ragazzi.



***



“Io proprio non riesco a capire cosa ci può essere di così istruttivo nel fare un’uscita in montagna. Fa freddo, ho fame, stanotte dormirò per terra e terribili, raccapriccianti, mostruosi insetti si aggirano nel bosco mentre sono incosciente”

“Poi và a finire che ti diverti”

Bec lanciò un’occhiataccia alla sua compagna di “camera”. Era da venti minuti che Rebecca cercava di sistemare le sue cose nella minuta tenda verde, dalla forma di un triangolo un po’ sbilenco…alquanto orribile. Continuava a lamentarsi su qualsiasi cosa centrasse con le piante e l’erba, sfumando quello che doveva essere lo spirito avventuriero di una giovane ragazza che doveva provare nuove esperienze.

“Oh, certo che mi divertirò. Come no. Magari dopo chiedo a Cip e Ciop di giocare a “chi indovina la ghianda di chi””

“Fa come ti pare. Io esco” Judi si alzò dalla sua posizione “gambe incrociate” e uscì dalla tenda, lasciando Bec a disperarsi da sola.

Probabilmente era stata troppo pesante, troppo antipatica e si stava, in effetti, lamentando troppo. Avrebbe fatto scoppiare la sua compagna entro la notte se avesse continuato così. Ma che ci poteva fare se odiava con tutta sé stessa la montagna? Dopotutto lamentarsi l’aiutava a sfogarsi e sperava ardentemente di continuare a farlo. Del vento freddo entrò nella tenda come tanti spifferi taglienti e gelarono sul posto la ragazza che ne rimase totalmente paralizzata. Era come se le fosse passato qualcuno di striscio e le avesse sfiorato la schiena. La sensazione era la stessa. Bec si massaggiò frettolosamente la schiena, come a voler scacciare un’oscura presenza. Con la mente ritornò a poche ore prima, quando aveva visto per la prima volta quello strano gruppo di ragazzi, tutti troppo belli per essere veri. Sembravano dei divi, dei personaggi appena usciti da una rivista di moda, ma sotto sotto era come se nascondessero un lato inumano, irreale, spaventosamente fuori dall’immaginabile.

Erano persone comuni, nate da famiglie anch’esse comuni eppure attiravano la gente come se fossero dei burattini da circo, ammirati da tutti perché semplicemente sensazionali. Ma Bec non sarebbe cascata nella loro trappola, magari i ragazzi della sua età avrebbero giocato carte false solo per poter rivolgere la parola ad uno di loro ma lei non si sarebbe lasciata intimidire, non correva dietro la moda e non le piaceva seguire la massa. Se quel gruppo le avrebbe creato dei problemi durante il suo soggiorno alpino lei comunque si sarebbe fatta valere, non avrebbe chiuso un occhio solo perché erano loro. Odiava quando le persone si facevano mettere i piedi in testa dagli altri solo perché avevano paura di andare contro coloro che erano più potenti, più in alto, superiori o più belli di loro.



***



Judi quel pomeriggio si trovava lungo le rive del lago che costeggiava il centro del bosco, era indifferente a tutto, silenziosa e come al suo solito era seduta con un tomo sulle ginocchia, i capelli raccolti e gli occhiali circolari che ricadevano leggermente sul naso. Bec si avvicinò lentamente, come a non voler interrompere quell’atmosfera saggia e pacifica. Appena Judi si accorse della sua presenza si portò gli occhiali sulla fronte e la guardò come si guarda una persona per la quale si prova molta, ma molta compassione.

“Allora, hai deciso di abbassare l’ascia di guerra?”

Bec fece un sorriso tirato, colpevole.

“Sai, credo che in fondo ci potrei anche provare”

Il sorriso della ragazza si ampliò.

“Oh, questa è una magnifica notizia. Sai, stavo pensando che ho proprio fame, mi accompagni a prendere qualcosa?”



***



Il sole iniziava ad andarsene quando Bec e Judi raggiunsero la mensa. Sotto un enorme tendone bianco c’erano tavoli e posti per tutti, un bancone con il self-service e dietro ad un separé si trovavano le cucine. Appena Bec entrò, scostando la tenda, diede subito un’occhiata alle persone che erano presenti: come si immaginava quella era un’ora di punta, la maggior parte dei ragazzi del campeggio avevano preso posto insieme formando vari gruppi. Bec seguì Judi che, essendo più sicura, la portò dritta al bancone del self-service.

“Uhm, tortino ai carciofi…buono!” disse Judi, facendo due occhi desiderosi.

“Ah, io credo che questa sera non andrò giù pesante. Penso che prenderò…” Bec spostò la visuale facendola scorrere su tutto il buffet. “…pasta al ragù”

“Sai, stavo pensando che sarebbe bello se questa sera prima di andare a letto andassimo a guardare le stelle in riva al lago. Là c’è una vista fantastica e credo che non saremo le uniche ad andarci, a quanto ho sentito viene anche Gabriel” disse Judi, contenta e speranzosa. Alzò lo sguardo per guardare la reazione di Rebecca alla sua notizia ma la ragazza non si scompose di una virgola.

“Gabriel…chi è dei cinque?”

“È quello biondo che è sceso per primo dal bus”

“Ah. Beh, per vedere le stelle ci sto, basta che non sia troppo freddo”

“Oh, che paranoica che sei!”

Le due ragazze percorsero il bancone e presero posto nel primo tavolo libero che trovarono. Era una tavolata per dieci persone ed era occupata da tre ragazze che non fecero storie quando Bec chiese loro se si potevano sedere. Judi si posizionò di fronte a lei e addentando il tortino e le patate guardò disgustata il piatto della sua amica.

“Ma come fai  a mangiare così poco e male?!”

“Non mangio male, mi piace il ragù e poi non sono mai stata abituata ad abbuffarmi” disse con un’alzata di spalle.

“Si vede, sei uno stecco”

“Non sono uno stecco!”

“Come vuoi, io ti ho avvertita, se poi stasera la tua pancia brontola affari tuoi”

“Ma chi hai detto che viene stasera a vedere le stelle?” chiese Bec, fingendosi indifferente.

“Viene un po’ di gente, ho sentito che è un bellissimo posto dove si possono vedere benissimo e in più c’è il lago davanti perciò è ancora più romantico”

“Ma chi te l’ha detto?”

“Oh, nessuno. Ho sentito dire da Ben…”

“Ben?” chiese Bec, interrompendola, con cipiglio alzato.

“Il ragazzo che do ripetizioni di matematica” si giustificò prontamente Judi, arrossendo leggermente sulle gote.

“Ah, non avevi il ragazzo?”

“No! Chi te l’ha detta una cosa del genere?! Comunque, lui ha detto che stasera, come prima sera quassù, si sarebbe tenuto un incontro segreto sulle rive del lago e mi ha detto di spargere la voce” disse, tutta elettrizzata.

“E naturalmente i professori non ne sanno niente, no?”

“Ovviamente”

Bec si lasciò sfuggire un sorriso sconfitto e scrollando la testa finì di mangiare le ultime paste.



***



“Allora? Quanto manca?”

Dopo cena Bec e Judi si erano rintanate nella loro tenda e, non essendoci corrente elettrica, erano sedute una di fronte all’altra con una pila in mano per dare un po’ di luce allo spazio tetro e poco illuminato. Da quando erano tornate e si erano cambiate per la fuga notturna, Judi non faceva altro che chiedere l’ora ad una alquanto stressata Rebecca, che rispondeva sempre nella speranza di farla tacere.

“Ti ho detto che erano le otto e undici un minuto fa perciò fa i calcoli e trovati l’ora!”

“Oddio, manca poco. Allora, ricapitolando, dobbiamo farci trovare alle nove nello spiazzo dove siamo arrivate con la corriera”

“Farci trovare? Non è che per caso hai dato appuntamento a qualcuno e io n’anche lo sapevo?”

“Oh, beh…avevo detto a Ben che ci saremmo trovati lì”

“Ti detesto, sai?” disse Bec, fingendo un broncio.

“Perché mai?” chiese Judi, presa alla sprovvista.

“Perché poi quando arriveremo là tu starai sempre con il tuo grande amore e andrà a finire che starò da sola dato che non voglio essere la terza in comodo…grazie tante”

“Oh, suvvia, non prendertela. Magari trovi qualcuno anche tu” disse, rivolgendole un sorriso malizioso.

“Come no”

“Dai dai! Non essere pessimista! Il tuo angelo busserà alla porta quando meno te lo aspetti”



***



La tenda dei Jonhson era più grande rispetto alle altre, forse perché doveva contenere cinque persone al suo interno o forse solo perché a queste persone piaceva sentirsi  liberi anche dentro una prigione. Avevano ricevuto anche loro l’invito di andare a vedere le stelle e avevano accettato solo per gentile cortesia verso i loro annunciatori, e non perché realmente ci tenessero. Loro, a differenza dei campeggiatori erano lì per un altro motivo, ma far finta di essere come tutti gli altri era un loro compito che dovevano svolgere alla perfezione. Rosalie era supina lungo il suo sacco a pelo e puntellava con la punta delle dita la sua pancia perfetta, aspettando che qualcuno del gruppo prendesse l’iniziativa di parlare per primo. Diede una sbirciatina a quello che stavano facendo: Denali che si ripuliva il suo coltellino svizzero, Kevin che leggeva, Delia che controllava il suo vestiario e Gabriel…Gabriel che aveva lo sguardo perso nel vuoto.

“Gabriel…Ehi, Gabriel! Sveglia!”

Il ragazzo, sentendosi chiamare per nome, ebbe come un risveglio improvviso e la guardò negli occhi non accennando nessuna parola o nessun movimento brusco.

“Che vuoi, Rosalie” la sua voce bassa e profonda fece smettere agli altri quello che stavano facendo. E l’attenzione fu su di lui.

“Solo riportarti alla realtà”

Tutti sapevano quanto era pericoloso infastidire Gabriel, solo Rosalie non aveva paura di farlo.

“Non ero in questa realtà e tu hai scollegato la comunicazione riportandomi qui”

“Scusa, non lo sapevo, è che sei sempre così perso in te stesso che è come se non fossi mai con noi” disse la bellissima bionda, puntandoli un dito contro.

“È che non mi sento a mio agio qui. Voglio tornare a casa” disse Gabriel, abbassando la testa per nascondere la sua espressione sofferta.

“Prima finiamo il nostro compito e prima ce ne torneremo” disse rassicurante Delia, smettendo di cercare vestiti e guardando il suo compagno con compassione e tenerezza. Gabriel la guardò per qualche secondo e la frase che disse aveva un che di autoritario, che non ammetteva repliche.

“E allora muoviamoci a trovare l’angelo”



***



L’orologio di Bec batteva le nove meno cinque.

“Judi, è ora. Andiamo”

Judi rimase senza fiato e dovette prendere una grossa boccata d’aria per regolarizzare il respiro, era inconcepibile che l’incontro con un ragazzo qualunque potesse farla stare così in agitazione. Si alzò con uno scatto repentino e uscì silenziosamente dalla tenda, controllando che anche Bec la seguisse.

“Ci sono, ci sono!” disse lei, vedendo la faccia sospettosa della ragazza.

Le due ragazze si avviarono furtivamente verso lo spiazzo delle corriere, in completa tensione e silenzio, se solo uno dei professori si fosse accorto delle scappatelle notturne degli studenti avrebbero ricevuto come minimo una sospensione temporanea. Il paesaggio era tetro e il vento faceva oscillare i pini e i cespugli in modo molto inquietante. Non c’erano luci a illuminare il sentiero e loro non potevano certo usare la pila in quel momento o avrebbero catturato l’attenzione delle persone sbagliate. L’aria sapeva di fresco con un profumo di menta piperita, e la luna era alta nel cielo, completamente sferica e circolare: nella sua completa pienezza. Dopo soli cinque minuti di camminata Bec e Judi arrivarono nello spiazzo buio. Accendendo allora le pile controllarono se Ben era arrivato ma non c’era nessuno ad aspettarle. La pista era ancora più sinistra di notte, terra scura formava il centro mentre attorno piante e vegetazione racchiudevano il cerchio, sembrava di essere all’interno di una base segreta o chissà cos’altro. Bec si accasciò su una roccia alta quasi un metro e guardando attorno a lei non aspettava altro che la figura di questo Ben spuntasse da uno dei sentieri.

“È in ritardo” disse Rebecca, mettendo il dito nella piega.

“Si sarà preso male” aggiunse prontamente Judi, cercando di giustificare la mancata educazione del ragazzo.

Dopo pochi minuti di assoluta contemplazione Judi notò un’ombra venire avanti verso di loro. Si mise apposto i capelli e corse incontro al misterioso ragazzo che ora era ben visibile sotto lo sguardo assorto di Bec. Come tipo non era male: alto, magro (anche troppo), capelli scuri e mossi e occhi neri, non era il massimo ma ci si poteva anche accontentare. Certo, dopo aver visto Gabriel, Kevin o Denali tutti gli altri ragazzi sembravano mosche in confronto però per Judi poteva andare bene. Si salutarono con un bacio sulla guancia e Ben rivolse un saluto con la mano a Bec che  rispose con un sorriso tirato. Insieme si avviarono verso il lago, ovviamente Bec stava dietro di qualche metro mentre Judi e il suo quasi ragazzo erano davanti che chiacchieravano come se non esistesse nient’altro al di fuori di loro due. Naturalmente Bec non ci faceva caso, in quelle situazioni era meglio non essere notati, però una strana sensazione si impadronì di lei in quel momento, una fitta chiamata gelosia. Lei, di ragazzi, non ne aveva avuti molti, alcune storie finite male e incontri di una sera avevano caratterizzato il suo rapporto con l’altro sesso. Rebecca in amore pretendeva il massimo, per lei non c’erano le sfumature: o era tutto bianco o era tutto nero, quando amava qualcuno o si dava completamente a quella persona o preferiva troncare la storia sul nascere. Non aveva mai avuto problemi a conoscere ragazzi quando era a Phoenix, era una bella ragazza, di sani principi, divertente e intelligente, attirava i ragazzi grazie al suo fascino e alla sua grazia pari a quelli di una ballerina, era una persona veramente particolare e questa sua unicità l’aveva sempre resa popolare all’interno della sua scuola e veniva apprezzata da tutti. Tutto questo prima che diventasse una scorbutica, lamentevole persona che aveva dovuto subire il trasloco dalla sua amata città. Il cambiamento l’aveva cambiata, ora portava rabbia dentro di sé, ce l’aveva con i suoi genitori perché l’avevano strappata dalla sua meravigliosa vita di ragazza ricca e ammirata, ce l’aveva con tutti i suoi compagni che la guardavano come se fosse una specie di alieno nato male quando invece era semplicemente la nuova arrivata nella scuola, ce l’aveva con gli “amici” perché non la capivano. E lei la sentiva la rabbia, era in lei e gridava perché la facesse uscire. In un modo o nell’altro doveva svuotare la sua agonia, la sua inquietudine, la sua ira per la vita che stava conducendo e che odiava con tutta sé stessa. Persa a rivedere il film della sua vita Bec non si accorse n’anche quando arrivarono al lago e si riscosse solo quando sbattè la faccia contro la schiena di qualcuno. Alzò lo sguardo scioccata. Un ciuffo di capelli biondi fu l’unica cosa che vide. Accortasi della sua colpevolezza di allontanò mortificata.

“S-Scusa, non ti ho visto” disse incerta, cercando di capire chi era il ragazzo. Appena questo si girò e i suoi occhi furono illuminati dai raggi della luna Bec deglutì.

“Non fa niente” disse Gabriel, il viso impassibile non lasciava trapelare nessuna emozione. Bec, non sapendo che dire, fece dietrofront e stava per andarsene quando la voce profonda e sensuale del ragazzo la fermò e la ghiacciò sul posto.

“Non dovresti far finta che tutto vada bene, questo mondo non è fatto per te come non lo è per me”

“Come, prego?” chiese, tornando a fissarlo, non capendo a cosa si riferisse.

“Esattamente quello che ho detto. Capisco cosa provi”

“Ma se n’anche mi conosci?!” affermò, scandalizzata.

E va bene, era bello da far paura ma le sue rotelle erano tutte svitate. Non la conosceva nemmeno! Ci era andata a sbattere contro e ora lui era lì che le parlava come se la frequentasse da anni. La facilità con cui socializzava doveva essere la stessa con la quale catturava l’attenzione delle persone che lo circondavano.

“Io ti leggo dentro” disse semplicemente, sorridendo falsamente ma nel suo sguardo c’era un’incredulità per qualcosa.

“Questo è completamente schizzato da…” Rebecca, parlando a bassa voce più a sé stessa che a lui, fu interrotta da una voce alle sue spalle.

“Bec! Dove sei?”

Bec si girò e dietro di lei Judi la stava chiamando passando in rassegna tutte le persone presenti cercando di trovare la sua figura in mezzo a loro. Rebecca non si girò nemmeno una volta verso Gabriel, corse incontro alla ragazza e le sventolò una mano davanti agli occhi sormontati da un paio di occhiali che avrebbero fatto invidia a Harry Potter.

“Son qui, ci sono. Dove vi eravate cacciati? Ad un certo punto vi ho persi!” disse tutto d’un fiato, ancora scossa dall’incontro con il “ragazzo pazzo”.

“Si, ci siamo accorti che non eri più con noi. Ben ha trovato un bel posticino libero, vieni con noi!”

“Ok, va bene”

Bec, prima di iniziare a seguire Judi, si voltò a guardare il posto dove pochi secondi prima si trovava Gabriel. Lui non c’era più e un moto di dispiacere la invase. Certo, essersene andata via in quel modo non l’aveva aiutata ad acquistare punti in suo favore ma anche lui si era comunque dimostrato ostile nei suoi confronti…invadendo la sua coscienza l’aveva sconvolta e lasciarlo in quel modo le era sembrata l’unica soluzione plausibile. Tanto non avrebbe più avuto modo di rivederlo perciò tanto valeva farsi una bella figura ai suoi occhi.

Il posticino che Ben aveva trovato era effettivamente molto carino, sulla sua sinistra iniziava il lago che con leggere onde s’increspava nei sassolini sulla riva, alla sua destra un telo era sistemato per terra e le piante facevano da sfondo. Preso posto vicino a Judi che era in mezzo tra lei e Ben, naturalmente era più vicina al ragazzo che non alla sua amica. Ma questo non le importava. Bec si stese completamente nel telo e portò le braccia sopra la testa, non aveva mai visto a Phoenix un cielo così carico di stelle. Sembrava quasi che fossero più vicine alla terra, lì, in quel posto dimenticato da Dio. Alzò un attimo la testa per vedere quante persone c’erano (arrivando, sbattendo la testa e fuggendo con Judi, non aveva avuto tempo di constatare in quanti erano). Pochi ragazzi circondavano il piccolo lago, più che altro erano coppiette o gruppi da tre persone, saranno stati una ventina, tutti distesi e con il corpo rivolto verso l’alto. Anche in mezzo a quello scenario Bec non potè non notare il gruppo più numeroso persone, erano in cinque, nella riva opposta alla loro, composto esclusivamente da ragazzi bellissimi. Bec sbuffò e ritornò a stendersi e ad ammirare la volta celeste, che in quel momento, era la cosa più bella che avesse mai visto.



***



Gabriel se ne stava comodamente sdraiato insieme ai suoi amici ma non ascoltava realmente ciò che dicevano, la sua mente viaggiava in un altro spazio, in un’altra dimensione, in un altro luogo chiamato “casa”. Aveva anche passato del tempo a pensare a quella ragazza che gli era andata addosso, la sua faccia perplessa e il suo punto interrogativo stampato sulla fronte. Non era mai successo che una ragazza scappasse da lui. Tutte le ragazze che aveva avuto il piacere di conoscere facevano carte false solo per stare nel suo stesso tavolo in mensa. Da tempo Gabriel aveva capito il vero interesse di queste ragazze. Non si era mai reputato “bello” ma questo era l’aggettivo che tutte gli davano e solo per questo era amato da loro. Ma lui non dava peso alla bellezza in sé, odiava quelle sottospecie di oche starnazzanti che lo circondavano e per la prima volta, da quando era arrivato ad Aquila, una ragazza era scappata da lui. Buffo, ma non gli dispiaceva quel rifiuto. Lo faceva sentire più normale, più umano di quanto non lo fosse. Lui e quella ragazza avevano molte cose in comune, lo sapeva, l’aveva letto in lei. Aveva scorto la stessa malinconia che lo perseguitava, la stessa voglia di evadere che era diventata una forza fondamentale del suo essere.

Non poteva che ammettere di essere stato “fulminato” da quella brunetta, totalmente preso in contro piede e pericolosamente attratto da una parte di lei che non era riuscito a leggere. Gabriel era fatto così, aveva la capacità di sentire i pensieri delle persone, poteva vederne l’anima e contemplarne ogni singolo stato d’animo, lo faceva spesso con tutti, era diventato una sorta di passatempo, a volte era curioso ascoltare nella mente della gente. Ma con lei…con lei non ci era riuscito completamente. Era come se avesse avuto uno scudo. Tutti i segreti, i pensieri, i ricordi, le emozioni, erano fumo e vapore. Sì, la cosa si stava facendo interessante. Da un lato questa situazione lo innervosiva perché non riuscire a leggere in maniera assoluta ciò che provava una singola persona quando con tutte le altre del pianeta ci riusciva era veramente frustrante, ma da un lato lo affascinava ancor di più. C’era la possibilità che anche lei fosse…

Un rumore frusciante alle sue spalle lo destò dai suoi pensieri. Di portò seduto di scatto. Le orecchie tese e la mente aperta a cogliere ogni singolo movimento.

“Hai sentito qualcosa?” chiese la voce preoccupata di Delia.

Tutti e quattro i ragazzi, che prima ridevano e parlavano tra loro, fissavano preoccupati il volto contratto di Gabriel e aspettavano ansiosi che rispondesse alla domanda.

“Sono qui” disse Gabriel, teso.

“Vuol dire che l’hanno trovata?” disse con un filo di voce Kevin.

“Ed è vicino a noi”



***



Rebecca aveva lasciato ormai dalla notte dei tempi il giacinto dei due innamorati, stufa delle loro continue effusioni in aperta montagna, gli aveva lasciati a pomiciare lungo le rive del lago mentre lei aveva intrapreso un sentiero che portava dentro il folto bosco, dietro a dove Judi e Ben si trovavano. Ovviamente non conosceva quel percorso ma si era promessa di non addentrarsi troppo e di non perdere di vista il lago che riusciva ancora a scorgere alle sue spalle. La sua attenzione era stata catturata da una lucciola che, anche se non era la stagione delle lucciole, volava pigra da una foglia all’altra. Avendo sempre abitato in una città caotica come Phoenix non aveva mai visto una lucciola, quella era la prima volta e rimase stupefatta nel vedere quanta luce poteva emanare un insetto così insulso e piccolo.

Senza n’anche rendersene conto aveva iniziato a seguire la bestiolina che intanto aveva cambiato fiore e si addentrava sempre di più nel cuore della boscaglia. Bec era come ipnotizzata da quella luce e non ritornò in sé finchè non sentì dei rami spezzarsi davanti a lei. Sbattendo gli occhi come dopo una seduta psichiatrica si bloccò di colpo e con voce tremula sussurrò spaventata:

“C’è nessuno?”

Appena Rebecca mosse un piede, un altro rumore sinistro la raggiunse. Si girò troppo velocemente verso quella direzione e il collo le scricchiolò, paralizzandole per qualche secondo tutta la testa. Il suo respiro iniziava a farsi sempre più irregolare e i rumori sempre più frequenti, più vicini.

Presa dalla paura iniziò a correre ma invece che seguire il sentiero verso il lago proseguì dritta nella parte opposta. Lontana dalla sua unica via d’uscita.

Mentre correva strane ombre correvano di fianco a lei, ombre nere che…volavano?! Come potevano delle persone volare?! Evidentemente il termine “persone” non si addiceva a quelle strane creature che appena si fecero più vicine a lei indossavano un lungo mantello che sembrava fatto di fumo e che arrivava a coprirne ogni centimetro della pelle. E fluttuavano. Non correvano. Fluttuavano. Appena Rebecca si rese conto che tutto ciò andava contro la logica umana cacciò un urlo di terrore e, continuando a correre, non si rese nemmeno conto di iniziare a piangere. Si passò una mano sugli occhi e con l’altra si teneva premuta la pancia, da un paio di secondi le era venuta una fitta terribile allo stomaco e quelle ombre non davano segno di voler arrendersi. Le stavano dietro e non aspettavano altro se non il momento in cui si fosse arresa. Ma lei non si sarebbe fermata, era troppo spaventata per chiedersi cosa sarebbe successo se solo l’avessero presa.
L’avrebbero mangiata? Risucchiata? Torturata? No, non si sarebbe arresa per nessuna ragi…

Oh no.

Oh-oh.

Quando l’unica via di fuga diventa la tua morte, solo allora ti accorgi veramente di essere in trappola.

“No!”

Davanti a lei una parete di roccia percorreva una montagna che toccava il cielo. Rebecca dovette fermarsi e con il terrore negli occhi si preparò ad affrontare quei mostri. Aveva praticato difesa personale a scuola, sapeva come agire e come muoversi in caso di aggressioni ma quando vide quelle ombre che la circondavano (quante erano? Sei? Sette?) capì che la difesa personale non sarebbe servita a niente. Provò con la diplomazia e la supplica.

“Vi prego, possiamo parlarne da persone civili. Non penso sia il caso di precipitare le cose…” ma non riuscì a continuare. Una delle ombre stava avanzando minacciosamente, due occhi rossi come il sangue erano ben visibili da sotto il cappuccio.

“Cosa…?”

Proprio mentre la creatura stava tendendo una mano verso di lei una luce abbagliante l’accecò e Rebecca, coprendosi il volto con le mani, si accasciò a terra crollando sul suolo e ascoltando le voci disperate delle ombre che imploravano in una strana lingua di non morire.



***





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Capitolo 3
*** L'angelo del bene ***


Cap. 3 - L’ANGELO DEL BENE -

“Non sai cos’è la morte finchè non ci vai a sbattere contro” questo pensò Bec, quando arrivò a non vedere più nulla.

Le mani erano protese verso il suolo e il naso sfiorava la terra fredda.

Gli uomini, crescendo, mettono in preventivo che la vita si concluda con la morte e che tutto, prima o poi, finisca per sempre. Ma la prospettiva della morte la vedi lontana, al compimento della vecchiaia…è nei casi in cui ti colpisce quando meno te l’aspetti che un uomo capisce veramente cosa vuol dire: “morire”. Fino a pochi minuti prima pensava che per lei fosse veramente giunta la sua ora, ma poi, ecco che qualcuno ti salva, che qualcuno sente il tuo grido, qualcuno che ti protegge senza che tu te ne accorga.

Con molta calma, Bec, spostò il gomito che le oscurava l’intera faccia e alzò gli occhi dove prima stavano le  sagome incappucciate pronte a farle chissà cosa. Non poteva crederci.  Sbattè le palpebre un paio di volte ma quando capì che la scena non sarebbe cambiata cercò di giustificare il fatto che tutte le ombre fossero sparite dal luogo in cui si trovavano prima e che ci fosse Gabriel, in piedi, pietrificato e con gli occhi che inchiodavano quelli della ragazza, che rispondeva al suo sguardo con un’espressione meravigliata e confusa. Appena ritrovò la voce chiese balbettando:

“Co-Cosa è…? Successo?”

Il ragazzo, se prima era rimasto completamente immobile e rigido su sé stesso, ora aveva iniziato a fare dei passi in avanti verso di lei, si abbassò per arrivare all’altezza della sua testa, dato che lei era ancora per terra, distesa e tremante.

“Non puoi essere tu”

“Come?”

Gabriel la stava fissando con un’intensità tale che alla ragazza vennero le vertigini.

“Non posso credere che tu sia la persona che cerco”

“Io non riesco a capire quello che stai dicendo!” esclamò, e trovando un po’ di forza, cercò di alzarsi finchè non si trovò in piedi. “Chi erano quelle creature? Come hai fatto a sbarazzartene? Perché volevano me? Da dove vengono? Chi sei tu?” il fiume di domande le uscì prima che riuscisse a fermarlo.

“Non è il momento né il posto per metterti al corrente di questa situazione. Ovviamente, ora come ora non ho intenzione di lasciarti andare, ti terrò sott’occhio e farò in modo che momenti come questi non si ripetano più fino a che non ritorneremo a scuola”

“Ma perché dovresti proteggermi? Sei una specie di spia dei servizi segreti?”

“Devo proteggerti perché sei la cosa più importante per noi e non puoi correre il rischio di essere di nuovo attaccata, non ora che so chi sei”

“Quindi da ora in avanti sarò sotto il tuo controllo ovunque vada?”

“Si”

“M-Ma io voglio delle risposte! Perché non me lo puoi dire ora?” domandò, disperata.

“Perché svelare un segreto quando sei osservato e ascoltato dai nemici non rientra nei miei piani”

“Ma se siamo soli”

“Questo perché vedi ma non osservi” disse Gabriel, duro e inaffondabile come sempre.

“Tze, ti piacerebbe…” borbottò, incrociando le braccia al petto.

“Sarà meglio andare”

Gabriel fu il primo a muoversi di un passo, controllò che anche lei lo seguisse e insieme si addentrarono nel fitto buio del bosco senza proferire parola. Rebecca, a modo suo, era ancora sconvolta ma cercava di non darlo a vedere, voleva apparire fredda e razionale agli occhi del ragazzo. Gabriel, invece, sotto la dura corazza che portava si sentiva il cuore martellare come non mai; non solo l’aveva trovata ma era anche riuscito a salvarla proprio un attimo prima che le ombre la prendessero, il tutto, naturalmente, evitando di dire chi lui veramente fosse. Aveva compiuto la missione per la quale era arrivato inizialmente sulla terra due anni prima e ora poteva tornare a casa.

Là non avrebbe dovuto nascondere la sua vera natura.

Più i minuti passavano, più Bec si sentiva a disagio in presenza del ragazzo che, come se niente fosse, camminava elegantemente davanti a lei spostando lo sguardo di tanto in tanto per controllare che niente si muovesse tra gli alberi. Avrebbe voluto dirgli qualcosa giusto per spezzare quell’atmosfera formale che si stava creando ma appena aprì bocca per prendere fiato lui la precedette:

“Non credo che dovresti farne parola con nessuno” disse, non voltandosi nemmeno a guardarla in faccia finchè parlava.

“È così pericolosa la storia in cui mi sono cacciata?”

Gabriel si fermò e si girò a guardarla negli occhi. Lei sussultò appena, non era abituata a tanta bellezza.

“Sconvolgerà la tua intera esistenza se non saprai accettare il tuo vero essere”

“Il mio vero essere?”

“È ancora presto per le domande e lo è ancora di più per le risposte”

“Ma non ce la farò a sopportare altri due giorni senza sapere niente del perché sono stata presa di mira da dei morti col mantello!”

“Morti col mantello…?!” ripetè Gabriel, con un ghigno divertito.

“Beh, quello che siano”

“Senti, abbi pazienza e tutto ti verrà spiegato”

“Sei un ladro?”

“No”

“Hai intenzione di prendermi in ostaggio e di ricattare i miei genitori?”

“No”

“Sei un assassino?”

“No!”

“Ho capito! Sei un evaso di prigione!”

“Ma per favore!”

“Uhm, allora chi sei?”

“Certo che quando parlo non ascolti, eh ragazza? Ti ho detto: non ora”

Gabriel stava iniziando a scaldarsi e fu allora, quando lei assunse un’aria pensierosa, che provò di nuovo a leggerle nella mente.

Niente.

Perché con lei non ci riusciva? Perché veniva respinto? Perché poteva vedere i suoi stati d’animo come nebbia mentre i suoi pensieri rimanevano segreti?

“Dai, muoviamoci a tornare” disse, infastidito.

La strada per raggiungere il lago sembrava lontanissima, e pensare che all’andata l’aveva fatta di corsa e sembravano essere passati pochi minuti…

Bec controllò l’ora nel suo orologio: le 23:40. Il tempo era volato, non si capacitava del fatto che era da più di due ore fuori dispersa nella boscaglia…chissà che avrà pensato Judi non vedendola rientrare. Rebecca sperò vivamente che non avesse chiamato soccorsi e squadre di ricerca. Anche perché i professori l’avrebbero punita per essere uscita di notte invece di rimanere nella sua tenda, e i suoi genitori le avrebbero dato un anno di reclusione forzata. Stava pensando a quanto quell’idea fosse oggettivamente spaventosa quando la voce del ragazzo parlò dopo tanto tempo.

“Come hai detto che ti chiami?” chiese, camminando sempre e non voltandosi mai.

“Non l’ho detto”

Bec si aspettava una battutina o una risata sprezzante ma quando capì che con quel silenzio non sarebbe arrivata nessuna risposta si affrettò ad aggiungere:

“Mi chiamo Rebecca Burton, ma chiamami Bec, ti prego”

“Perché, Rebecca non ti piace?”

“Si, ma Bec è più carino”

“Io comunque sono Gabriel. Gabriel Jonhson”

“Lo so chi sei”

Gabriel si arrestò e aspettò che lei lo raggiungesse da dietro per poter camminare insieme, fianco a fianco. Naturalmente nella sua faccia aleggiava un punto interrogativo.

“Ah, non passi inosservato, mi è arrivato all’orecchio il tuo nome da una ragazza” spiegò Bec, vedendo la sua faccia.

“È sempre bello essere al centro dell’attenzione” disse Gabriel, e nella sua esclamazione c’era una nota di ironia.

“Beh, non puoi dare la colpa agli altri se ti guardano. Sei così diverso…” la frase restò sospirata fino alla fine.

“Anche tu credi che io sia diverso?” chiese, curioso.

“All’inizio mi sei balzato agli occhi ma poi basta, ho capito che oltre l’apparenza sei ancora più speciale di quanto dai a vedere fuori”

Zac.

Aveva centrato.

“In che senso?”

“È difficile da spiegare ma…il tuo modo di fare, di parlare, di dire sempre le cose giuste al momento giusto, il modo in cui guardi le persone, come se le stessi esaminando costantemente, ti rendono più interessante di quanto tu non lo sia già”

Appena Rebecca ebbe finito alzò gli occhi per poter decifrare la sua espressione, ovviamente lui era freddo e impassibile e non riuscì a capire cosa stesse provando in quel momento.

“E comunque è una mia impressione!” disse, cercando di salvarsi.

“La tua impressione conta più delle altre, questo è sicuro”

“Appena mi spiegherai tutto, spero di poter anche capire il perché di tanto rispetto nei miei confronti”

“Appena lo capirai saprai che è giusto così”

“Come se fossi una sottospecie di angelo da salvare”

A Gabriel scappò una risata.

Ci sei molto vicina, Aidel.

“Interessante osservazione. E secondo la tua teoria io chi sarei?” domandò il ragazzo.

Bec parve pensarci su, e quello che disse turbò profondamente Gabriel.

“Un angelo in incognito”



***



La sponda del lago era limpida e l’acqua brillava sotto la luna e le stelle. La riva era vuota, non c’era più nessuno e questo fece preoccupare ancora di più Rebecca. Era proprio tardi. Diede una rapida occhiata controllando che non ci fosse nessuno e quando capì che loro due erano le uniche persone rimaste pensò che era proprio ora di andare a letto.

“Io dovrei tornare”

Gabriel la scrutò dall’alto del suo metro e ottanta e sorrise.

“Hai paura di stare da sola con me, Rebecca?”

“No. È tardi e ho sonno. E non chiamarmi così”

“Bec, allora ti lascio qui”

“Ma come scusa?! Hai detto che non mi avresti abbandonata?” chiese, scherzosa.

“Oh, ma per controllarti non mi occorre starti vicino”

“Quando arriverò a capire questi enigmi riderò di te” disse, e con un sorriso radioso lo salutò con la mano e pian piano di avviò verso la sua tenda.

Gabriel, con un cenno del capo, le sorrise a sua volta e sparì nel bosco, prendendo una direzione diversa.

Rebecca era veramente riconoscente a quel ragazzo strano, pensava che non avrebbe mai smesso di ringraziarlo per averle salvato la vita.

C’era ancora qualcosa per la quale valeva la pena di vivere.



***



Quando Gabriel rientrò trovò tutti che lo stavano aspettando seduti e avvolti nel loro sacco a pelo, appena chiuse la lampo della tenda Kevin fu il primo a parlare.

“L’hai trovato, non è così?”

“L’ho trovata”

“Trovata?” chiese stupita, Rosalie.

“È una ragazza?” domandò Denali, ancora più scioccato.

“Qualcosa contro le ragazze?” intervenne minacciosa, Delia.

“Allora?”

Gabriel guardò Kevin, tutto agitato e contento, e gli rispose seriamente.

“Sono riuscito a trovarla perché i Sentori l’aveva presa”

“Cosa?!” urlarono, in coro.

“Proprio così, quando ho fiutato nel lago il loro odore, ho immaginato che dovevano averla intercettata perciò sono sempre rimasto in ascolto dei loro pensieri, se così si possono chiamare, ed è stato nella mente di uno loro che ho sentito la loro postazione e la postazione della ragazza. Quando sono corso da lei la stavano riportando a Chenzo”

“Secondo te è Dark Threat che la vuole?”

“Sì, e sicuramente non perché le vuole bene”

“Dobbiamo portarla via da qui il prima possibile, da noi sarà al sicuro e potrà apprendere l’insegnamento adeguato ad una come lei” disse saggiamente, Kevin.

“Dovremo lasciare la scuola, però” Rosalie sembrava dispiaciuta.

“Sì, e dovremo anche modificare la memoria a tutte le persone che hanno avuto un contatto con noi” aggiunse, Denali.

“Dopo due anni che siamo stati sulla terra sarà difficile trovare tutte le persone che ci hanno conosciuti per rimuoverle i ricordi”

“Dobbiamo farcela, dobbiamo tornare al più presto” disse, Gabriel.

“E quando pensi di partire?” parlò la bella Rosalie, malinconica.

“Non appena torniamo da questa gita avremo tempo di ritornare a scuola solo un giorno, giusto il tempo di spiegarle le nostre regole e quello che la riguarda. Poi, ce ne andremo per sempre”

“Come si chiama, la ragazza?”

“Rebecca Burton”



***



Cercando di fare meno rumore possibile Rebecca sgattaiolò dentro il suo sacco a pelo ma proprio quando stava per stendersi sbattè la testa contro uno dei pali che reggevano la tenda e cacciò un urlo. Judi si destò di colpo, spaventata e confusa. Sbattè gli occhi e quando si trovò la figura di una ragazza con i capelli scuri pensò subito che doveva essere Rebecca. Era comunque meglio accertarsene dato che senza occhiali era paragonabile ad un elefante grigio.

“Bec? Sei tu?”

“Certo che sono io! Chi vuoi che sia? Ahia…” disse, massaggiandosi il punto della testa in cui era andata a sbattere.

“Ma dov’eri? Quando io e Ben non ti abbiamo trovata pensavamo che te ne fossi ritornata per dormire ma poi quando ci siamo accorti che non eri n’anche qua sono stata presa dall’ansia! Insomma, non potevo chiamare i professori, non potevo avvertire nessuno! Dove diavolo…?”

“Ero fuori con…” Rebecca non lasciò che Judi finisse la frase ma poi si ritrovò titubante. Non poteva di certo dirle come aveva passato la serata!

“Con...?” la incalzò.

“…con Gabriel”

Beh, tanto valeva dirle un po’ di verità.

“Gabriel?! Uau!” esclamò Judi, sorpresa e con la faccia da ebete.

“Uau cosa?! È stato orribile!” e infatti era stata una notte terrificante.

“Cosa c’è di orribile in Gabriel? È la perfezione fatta in persona!” Judi era offesa.

Come faceva la sua amica a non capire quanto in quel momento fosse fortunata?! Gabriel stava sempre con i suoi amici e non si lasciava avvicinare da nessuna, da quando lo conosceva non lo aveva mai visto in compagnia di una ragazza che non fosse Rosalie o Delia, ma ovviamente loro non contavano. Bec doveva essere stata la prima ragazza ad avere avuto l’onore di trascorrere una serata con lui, e ora lei andava a dire che era stato orribile?!

“Non è perfetto, è alquanto inquietante e misterioso”

“Ma come ti ha avvicinata?” chiese, ignorando la sua affermazione.

“Beh, lui…lui è venuto mentre stavo osservando…una lucciola!” disse con troppa enfasi sull’ultima parola.

“Una lucciola” ripetè Judi, allibita.

“Si, quell’insetto luminoso che…”

“So cos’è una lucciola!”

“Ah”

“Ma che ti ha detto? Dai, racconta!”

Rebecca non capiva tutta quella curiosità verso l’incontro-scontro che aveva avuto con Gabriel quella sera. Bello com’era, sicuramente ne avrà avute e ne poteva avere cento di ragazze, lei che aveva di così speciale da rendere la sua storia interessante? Nonostante tutto, continuò il teatrino.

“Mi ha detto che devo stare attenta, che di notte il bosco è pericoloso e poi mi ha raccontato un po’ di sé, ma poco”

“E che ti ha detto? Gli hai chiesto come fa ad essere così bello?” Judi non si conteneva più dalla curiosità.

“Ma che dici?! Ah! Io ora dormo, buonanotte”

Bec si girò nel sacco a pelo e diede le spalle alla sua compagna di tenda che, stizzita, borbottò qualcosa che assomigliava ad un’offesa e il silenziò calò tra di loro.

Gli spogliatoi della palestra non erano mai stati belli ma erano grandi e sembrava di essere in un labirinto, questo aiutava molto chi, per esempio, doveva fare qualcosa di segreto durante le ore di lezione. Rebecca quel giorno ci era andata perché Gabriel le aveva detto di aspettarlo là. Quando arrivò lui non c’era ancora e si appoggiò ad un armadietto facendo sbattere la portiera. Il suono echeggiò rumoroso lungo tutto gli spogliatoi. Poi, dei passi, la fecero svegliare dai suoi pensieri e guardò lungo la fila degli armadietti. Dalla curva però non apparve Gabriel. Un uomo, con una veste nera e lunga, veniva avanti e parlava una lingua che lei non conosceva. Presa dal panico fece dei passi indietro ma si trovò contro la schiena il freddo muro grigio. L’uomo la stava raggiungendo e stranamente smise di parlare nella sua lingua per rivolgersi a lei sapendo che l’avrebbe capita.

“So chi sei, Aidel. È solo questione di tempo”

Rebecca sentì il sangue gelarsi nelle vene e prese un profondo respiro per parlare cercando di apparire forte e sicura di sé, ma quello che le uscì sembrava più un gridolino isterico.

“Che vuoi da me? Dimmelo”

Non fece a tempo a ricevere una risposta che la stessa luce bianca che l’aveva invasa nel bosco la notte precedente, la stessa che l’aveva accecata nel sogno che aveva fatto prima di partire, illuminò gli spogliatoi e come nelle altre volte chiuse gli occhi e si accucciò. Solamente quando ritornò l’assoluto silenzio si alzò lentamente e inquadrò la persona che, davanti a lei, la guardava come dire: “sempre a cacciarti nei guai, tu?”.

Non aveva parole. Gabriel era davanti a lei e l’uomo era scomparso. L’aveva salvata una seconda volta e con un tempismo impaccabile. Bec si concesse una risata. Non le importava niente che quel ragazzo fosse in realtà un angelo bianco. Era buono e la proteggeva, a lui doveva molto, chi se ne importava che fosse di un altro mondo. Continuando a ridere serena rimase per un attimo a fissare la schiena del ragazzo: un paio di ali candide e luminose spuntavano fuori dalla sua maglietta azzurra e le piume vibravano leggere nell’afoso vento d’autunno.

Quando si svegliò il sudore le impregnava la fronte e dei brividi la percuotevano ancora, sebbene si fosse svegliata.

Fece mente locale del sogno che aveva fatto e si ricordò di un uomo che la voleva portare via con sé e di Gabriel che era arrivato a salvarla, ancora una volta. Si asciugò con il braccio la fronte calda e umida e pensò che finalmente domani sarebbe tornata a casa.

In tutto il giorno non incrociò nemmeno una volta Gabriel o i suoi quattro amici, era come se si fossero volatilizzati, come se, dopo aver compiuto una missione, avessero fatto sparire le loro tracce. La giornata passò nella tensione più totale da parte di Rebecca, che non faceva altro se non guardarsi in giro come se si aspettasse che comparisse un mostro da dietro gli alberi in qualsiasi momento. Certo, anche la non presenza di Gabriel la faceva impazzire, aveva paura che se ne fosse andato e che non l’avrebbe rivisto per quando sarebbero tornati a scuola. Judi aveva detto che i cinque ragazzi alcune volte, inspiegabilmente, se ne stavano via per parecchio tempo.

E se non fosse riuscita a scoprire quello che voleva sapere? Se l’avesse abbandonata perché non voleva più svelarle il segreto?

Certamente questa possibilità la mandava fuori dai gangheri.

Come faceva a star calma come se niente fosse quando temeva costantemente per la sua stessa vita?

La mattina la trascorse a rigirarsi nel sacco a pelo, mangiò una semplice colazione e se ne ritornò a letto. Nel pomeriggio, invece, partecipò alla camminata di due ore su per i monti e quando tornò, tempo di cambiarsi, ebbe l’incontro con i professori che tennero una lezione di biologia all’aperto.

Il momento più duro fu la sera. Se, durante il resto del giorno, aveva avuto qualche speranza di rivedere Gabriel, questa speranza si frantumò quando ebbe la conferma che non l’avrebbe rivisto, dato che ormai tutto stava finendo. Con una camminata strascinata si portò nella sua tenda e crollò nel suo mitico sacco a pelo, con l’intenzione di dormire subito in modo da non dare spazio ai pensieri che stavano arrivando con domande troppo forti da poterle ignorare. Judi era stata poco con lei, da quel che le aveva detto (anche se era stata del tutto assente) lei e Ben erano diventati una specie di coppia. Si conoscevano da tempo, lei gli dava ripetizioni di trigonometria e durante la loro amicizia era nato qualcosa di più, che si era sicuramente rafforzato durante la notte delle stelle.

Rebecca era veramente contenta per lei, almeno non sarebbe stata tra i piedi nel momento in cui avrebbe avuto bisogno di rivedere Gabriel che, ne era sicura, le avrebbe stravolto la vita. Non che non si fosse affezionata a lei ma voleva affrontare il suo destino rimanendo sola, non poteva coinvolgere altre persone. Non ne avrebbe fatto parola n’anche con i suoi genitori, non poteva dirgli che durante la gita era stata attaccata da delle ombre e che un ragazzo-angelo l’aveva salvata.

Nessuno le avrebbe creduto e lei non voleva essere presa per pazza. Doveva arrangiarsi e affidare tutta sé stessa nelle mani di quei cinque ragazzi misteriosi.

Il sonno arrivò presto, prima di quanto sperasse, e nella dormiveglia giurò di aver visto un’ombra che da fuori rimaneva immobile accucciata.

Si assicurava che tutto andasse bene.



***



Il ritorno non fu tragico come Rebecca si aspettava, quando arrivarono alla stazione davanti alla loro scuola, i suoi genitori erano fuori dalla macchina che, appoggiati alle portiere, l’aspettavano ansiosi di rivederla. Erano le tre di pomeriggio e il sole era nascosto dietro ad un’enorme nuvola grigia, probabilmente avrebbe iniziato a piovere di lì a qualche secondo. Judi era seduta qualche posto più indietro con Ben, e Bec aveva accettato l’idea di passare l’intero viaggio di fianco a Matt, il ragazzo più strano e impacciato che avesse mai incontrato. Quando scese dalla corriera, sua madre, Marta, le corse incontro abbracciandola forte.

“Oh, Bec! Come stai? Hai mangiato? Come è andata? Oddio, che bello rivederti!”

Sua madre aveva sempre avuto una protezione nei suoi confronti paragonabile a quella che aveva un gioielliere per il suo tesoro più grande, stravedeva per lei e si preoccupava per ogni cosa. Rebecca rispose gentilmente, non lasciandosi troppo trascinare dall’abbraccio.

“Sto benissimo, mamma. È stato…uhm…bello” disse, non troppo convinta.

“Quando dici così vuol dire che infondo non è vero” la guardò apprensiva, Marta.

“Beh, lo sai quanto odio la montagna. Non dopo aver sempre abitato in una città affollata e puzzolente. Questo, si può dire, è stato il mio primo contatto con la natura nel suo habitat naturale”

Marta sorrise, lasciando andare la figlia.

“Papà dov’è?” domandò, Rebecca.

“Dovrebbe essere andato a prenderti il sacco. Era molto in pensiero per te. Comportati bene con lui” la rimproverò.

Marta sapeva quanto ce l’avesse con suo padre, e questo perché le aveva costrette, per lavoro, a trasferirsi da Phoenix ad Aquila. Anche se lei non aveva subito grandi danni o perdite trasferendosi in quel paesino, immaginava come per la figlia dovesse essere stato uno shock tutto quello.

Dopo pochi secondi, infatti, suo padre Jonathan spuntò dalla folla di genitori e alunni con un sacco a pelo in una mano e un pesante zaino da montagna nelle spalle. Quando vide sua figlia sana e salva…e contenta, gli si riempì il cuore. Sperava ardentemente che si fosse divertita in quella gita, almeno avrebbe dimenticato le ostilità nei suoi confronti.

“Ciao, Bec. Tutto ok?”

Bec gli andò incontro e lo abbracciò, passandoli le braccia attorni ai fianchi. Doveva essere arrabbiata con lui ma in quel momento non riuscì ad essere dura come si aspettava. Era in una sorta di debito con suo padre.

“Ciao papà, tutto bene”    



***



Dopo aver passato dieci minuti in macchina a raccontare tutto quello che aveva fatto, Rebecca evitò accuratamente di parlare della notte in cui si imbatté nelle ombre e i suoi genitori intuirono che doveva essersi divertita parecchio. Parlò della sua nuova amica che era stata anche la prima da quando era arrivata ad Aquila. Jonathan parve contento. Evidentemente, ora che aveva trovato qualcuno con cui fare amicizia, la scuola e i sabati sera non sarebbero più stati pesanti e impossibili da vivere.

Quando la macchina si fermò a “villa Burton” Bec fu felice di ritrovarsi di nuovo a casa, pensare di dormire in un vero letto e di mangiare a merenda quelle brioche al cioccolato che tanto adorava e che purtroppo le era stato vietare di portare con sé nell’uscita.
Buttò la sua roba per terra nell’entrata poco illuminata e dallo zaino provenì un sonoro crac, come se all’interno ci fosse stato qualcosa di prezioso che era stato sbattuto. Mentre i suoi genitori non si erano accorti di nulla e stavano andando in cucina, Rebecca si inginocchiò e aprì lo zaino. Dal rumore sembrava che qualcosa come una collana, una scatolina d’argento o qualcosa di fragile, avesse urtato il pavimento provocando quel rumore.

Strano, perché, che lei sapesse, la sua sacca doveva contenere solo vestiti e accessori come spazzolino, dentifricio, cellulare…ma niente a che vedere con oggetti di latta o metallo. Cercando nello zaino dovette arrivare fino al fondo per sentire, sotto le sue mani, qualcosa di duro e allungato.

Con le mani tremanti tirò fuori il pesante oggetto dalla borsa e ne venne fuori un lungo pugnale. La lama era candida e l’impugnatura formava una croce con sopra una scrittura a caratteri cubitali, scritta in una lingua che lei non conosceva. Sconvolta nel ritrovare nel suo zaino un’arma del genere la rimise subito nella sacca e corse al piano superiore con il fiatone. Dalle scale sentì suo padre che le gridava:

“Non vieni giù a mangiare qualcosa?”

Con voce tremante Rebecca rispose:

“No, dopo. Ora voglio stare in camera mia. Ci sono delle cose che devo…controllare”

Buttata nel letto continuò a rigirarsi tra le dita il pugnale che, diciamocelo, era bellissimo. Tanta bellezza poteva solo essere paragonata a Gabriel, ed era per questo che subito, quando si chiese di chi potesse essere, pensò a lui.

Anzi, era sicura che quel coltello appartenesse a lui, non poteva essere di nessun altro. Dopotutto era stato Gabriel ad aver lottato, per salvarla, contro delle creature mostruose, e per farlo bisognava che avesse avuto un’arma. Passò tutto il tempo in camera, solo alle sette di sera scese in cucina per sgranocchiare qualcosa. Lì, trovò sua madre ai fornelli e un lieve profumo di carne le invase le narici.

“Uhm, carne?” chiese, già con l’acquolina.

“Sì, questa sera ho fatto carne, spinaci e insalata. Spero ti vada bene”

“Più che bene!”

Marta sorrise ma poi ritornò seria.

“Un giorno di questi dobbiamo parlare, Bec”

Il tono di voce con cui sua madre disse quelle parole spaventarono la ragazza.

“Ok, riguarda la scuola?”

“No, riguarda te, noi, la nostra famiglia”

“Devo preoccuparmi, mamma?” chiese, tesa.

“No, non è una cosa grave”

“D’accordo”

Il silenzio cadde nella stanza e Rebecca ebbe l’impulso di allontanarsi da quei fornelli. Andò in salotto e suo padre era seduto in una poltrona, al buio e con gli occhi inespressivi che fissavano il vuoto.

Stava succedendo qualcosa, qualcosa che non potevano controllare e che non potevano evitare. Bec ritornò in camera e si chiuse dentro. Non aveva più fame.



***



La sveglia suonò quando arrivò a contare le sei e mezza. Il sole era sempre coperto da nuvoloni scuri e il presagio che qualcosa di orribile stesse arrivando era sempre più forte. Bec si alzò con molta fatica dal suo letto comodo a due piazze e dovette stiracchiarsi parecchie volte prima di prendere coraggio e cambiarsi. Alle otto arrivò a scuola accompagnata da suo padre e il cuore iniziò a martellarle nel petto.

Gabriel ci sarebbe stato?

Gli conviene, a quel depravato.

Smontò dall’auto e camminò verso l’entrata, piccole gocce di pioggia stavano iniziando a scendere quando attraversò la porta principale. Il corridoio era affollato di ragazzi che, agitati, correvano e camminavano veloci da una parte all’altra, probabilmente preoccupati perché dovevano ancora finire dei compiti o avevano un’interrogazione la prima ora. Per Rebecca quella era una giornata leggera: storia, due ore di matematica, ricreazione, religione, inglese, mensa e due ore di educazione fisica.

Arrivò in classe e tutti i suoi compagni erano già presenti e seduti nei propri banchi, le lanciarono un’occhiata e solo in pochi la salutarono, una di questi era Judi che appena la vide le corse incontro, felice come una pasqua.

Chissà poi per cosa.

“Ciao! Pensavo non venissi a scuola”

“Perché?” domandò Rebecca, presa in contropiede.

“Dicevi che la montagna ti avrebbe fatto male. A quanto pare Gabriel ha proprio fatto un bel lavoro con te”

 “Sai se c’è?”

L’agitazione iniziò ad impadronirsi di lei.

“Si, l’ho visto arrivare presto stamattina”

Rebecca liberò, con uno sbuffo, tanta di quell’aria che ne parve per un attimo prosciugata. Il peggio era passato, non poteva scapparle, non finchè erano a scuola, a due passi dal trovarsi. Il professore di storia entrò nell’aula sbattendo la porta, la lezione era cominciata.



***



Nel piano superiore, nell’aula infondo al corridoio, c’era la classe di Gabriel, Denali, Kevin, Delia e Rosalie. Il perché avessero messo nella stessa classe i cinque ragazzi rimaneva un mistero, di solito gli amici delle medie difficilmente riuscivano a rimanere insieme alle superiori. In quell’ora la professoressa di francese stava cercando di spiegare l’uso degli articoli partitivi, ma gli alunni erano svogliati, distratti, assonnati e la quinta ora che precedeva la mensa, era sempre stata la più dura da sopportare.

L’orologio appeso sopra la lavagna segnava l’una e cinque, mancavano cinque minuti. Gabriel, seduto in una fila centrale a metà della stanza, si sentì strattonare il braccio dalla persona che sedeva alla sua destra: Denali.

“Che c’è?”

“Dobbiamo parlarle dopo” sussurrando Denali si avvicinò verso Gabriel con il corpo che comunque rimaneva incollato sulla scomoda sedia di legno.

“No, voi non venite, le parlerò io” disse Gabriel, in un tono che non ammetteva repliche.

Denali barcollò ma non disse nulla, tornò composto nel suo banco e fece finta di ascoltare la lezione. Dopo tre minuti la campanella suonò, annunciando la pausa pranzo.

Tutti gli studenti, a gruppi, uscirono dalle aule e come una grande mandria si precipitarono nella mensa scolastica al piano terra. I posti, nella mensa, erano già stati occupati dalle varie persone che arrivavano per prime a prenderseli, quando i cinque entrarono andarono subito a sedersi ai loro soliti posti che nessuno osava rubare e che anche in quel momento erano liberi. Il loro tavolo era circolare con cinque sedie, era in fondo alla sala, davanti alla vetrata della mensa. Sicuramente era il posto più bello dove poter mangiare e nessuno poteva occuparlo se non loro, belli quanto il valore che quel tavolo rappresentava: fama e popolarità.

Si sedettero contemporaneamente e Gabriel, la prima cosa che fece, fu di perlustrare l’intera mensa con una tale intensità che era difficile capirne le sue motivazioni. Mentre gli altri andavano a prendersi da mangiare, lui rimase lì, in attesa di vederla entrare.

Rebecca, accompagnata da Judi e Ben (i due erano per mano) percorreva la strada per arrivare alla mensa, era piuttosto nervosa ma era normale, si ripeteva. Quando entrarono nella mensa era quasi piena e con enorme sforzo tentò di non cercare con lo sguardo il ragazzo che in quel momento le interessava trovare. Si diede mentalmente della stupida quando invece lo cercò tra i primi tavoli.

Prendendo un profondo respiro si inoltrò nella stanza e dietro a Judi e Ben stava proseguendo quando si sentì afferrare per il polso da una mano grande e morbida. Girò se sé stessa e si lasciò tirare da Gabriel che, senza fiatare, la stava portando via.

Non conosceva molto la scuola ma giurò che stavano andando dritti in palestra. Lui, da davanti, camminava e la tirava rimanendo silenzioso, lei lo seguiva e cercava di tenere il suo passo veloce.

Stavano andando verso gli spogliatoi.

Flash.

Un flash le riportò le immagini del sogno che aveva fatto. Un flash le fece venire i brividi. Un flash bastò a farle capire che stava succedendo quello che aveva già visto. La pioggia scendeva fitta e pesante, la si poteva sentire che batteva sul tetto in legno della palestra e degli spogliatoi, che erano una struttura a parte della scuola. Quando Gabriel si fermò erano in un corridoio fra due file di armadietti e si guardava intorno con circospezione.

La cosa non le piacque. Bec attese che il ragazzo iniziasse a parlare e intanto lo guardava e si sentiva ancora più indifesa. Gabriel, dal canto suo, era fermo e immobile mentre la fissava con uno sguardo profondo, così profondo che Rebecca ebbe la sensazione che le stesse leggendo fin dentro l’anima, notò un barlume nei suoi occhi ma poi questo si spense e lui parlò.

“Sono qui”

“Ti ascolto” la voce che le uscì era un sussurro teso ed emozionato.

“Cosa vuoi sapere? Una domanda alla volta”

“Chi erano quei mostri che mi hanno assalita nel bosco?”

“Si chiamano Sentori, e sono delle vere e proprie ombre di fumo, ti possono toccare e ferire ma tu non puoi toccare loro perché è come se tentassi di afferrare l’aria”

“Da dove vengono?”

“Da un pianeta chiamato Chenzo, molto diverso dalla Terra, là c’è magia e tutte quelle creature mitologiche che qui hanno trovato l’estinzione moltissimi secoli fa”

“Tu vieni da questo pianeta?”

“Sì”

“E dove si trova?”

“Ti posso solo dire che non è rintracciabile nella vostra galassia dato che si trova in altro universo parallelo”

“Che differenza c’è tra questi universi?”

“Che l’universo dove si trova il vostro mondo è reale mentre il nostro è come un sogno: aleggia la magia e l’impossibile non esiste”

“Perché mi volevano?”

“Ti hanno fiutata. Loro hanno il compito di servire un uomo che passò, molto tempo fa, dal lato oscuro e che da allora ha sempre cercato di eliminare creature come te perché teme uno scontro diretto e la possibilità di una sconfitta. Ora è lui a Chenzo che comanda, abusando del suo enorme potere”

“E chi sono io?”

“Un angelo”

Rebecca mosse impercettibilmente le labbra, non riusciva a collegare niente di quello che Gabriel le stava dicendo.

“Come posso fidarmi di te? Chi mi assicura che non mi stai mentendo? Insomma, la questione che la magia esiste, che ci sia un mondo parallelo, che angeli volino nel cielo…non è frutto della tua fantasia?”

“No”

“Quindi non scherzi. È tutto vero”

“Si, e comunque le ombre che hai visto dovrebbero farti capire che non mento”

“Come può…come può essere?”

“È così, è per quello che ti cercavano: volevano portarti da Mortimer in modo che lui potesse liberarsi facilmente di te, visto che ora non sei una grande minaccia”

“Ora?”

“Finchè rimani sulla Terra i tuoi poteri non possono essere utilizzati, ma se tu venissi a Chenzo e imparassi ad usarli potresti aiutarci a liberarci da Mortimer”

“Ma tu puoi usare i tuoi poteri, gli hai usati per me”

“La mia storia ora non è questione di domande”

“Ma anche tu sei come me! Lo so, ti ho visto nei miei sogni, sei un angelo!” nella sua voce c’era un che di disperato.

“Io…cos’hai visto nel tuo sogno?”

“Nel mio sogno me lo dicevi, eri un angelo bianco!”

“Ero” disse Gabriel, abbassando lo sguardo. Rebecca non gli aveva mai visto uno sguardo così triste.

“Perché lo eri?”

“Ora non più, mi è stato tolto il diritto di essere un angelo bianco”

“Lo possono fare?”
“Sì”

“Chi?”

“Sono gli angeli bianchi per eccellenza, addestrano gli altri angeli iniziati e la loro sembianza è luce pura, non hanno forma, sono perfetti e non mancano di nulla”

“E perché ti hanno fatto questo?”

“Non sono venuto per parlarti di me”

“Oh, beh. Allora, che differenza c’è tra un angelo e un angelo bianco?”

“Un angelo iniziato è praticamente un apprendista, una creatura che deve imparare la magia per poter diventare un angelo completo. Un angelo quando finisce il suo addestramento riceve il titolo e l’investitura, ma prima deve decidere da che parte stare”

“Non ti capisco”

“Un angelo iniziato è un angelo incompleto. Le due grandi forze che dividono gli angeli tra loro sono il Bene e il Male, ogni angelo iniziato contiene in esso entrambe le due forze, sia il Male che il Bene lo padroneggiano. Normalmente la magia che gli viene insegnata è quella indirizzata al Bene ma quando l’angelo diventa maestro e fautore del suo destino…può succedere che alcune volte uno di loro passi dalla parte oscura perché ne rimangono attratti”

“Come può, una persona, passare una vita dalla parte del Bene e poi passare al Male?”

“Perché queste due forze mentre sono in te non rimangono assopite, continuano, giorno dopo giorno, a combattere tra di loro per impadronirsi e avere la meglio sul tuo corpo e sulla tua mente. Dato che all’inizio ti viene insegnata nell’addestramento solo la magia bianca, questa risulterà molto più potente e forte, tanto da calmare e riuscire a reprimere il Male. Ma quando finisci la tua istruzione le due forze si ritrovano su uno stesso livello dato che la magia buona non preme più sull’altra, e dalla notte dei tempi si sa che l’oscuro è sempre stato più forte e ingannevole rispetto il Bene”

“E che succede?” Rebecca ascoltava impietrita il racconto.

“Succede che il Male mette a dura prova la tua forza di resistenza. Quando non ti trovi più con il tuo maestro e rimani sola, il Male ti prende e cerca di farti perdere in esso, tu devi lottare e solo quando l’avrai sconfitto la forza del Male si cancellerà dalla tua anima e tu sarai completamente invasa dal Bene e solo allora diventerai un angelo bianco completo”

“E sennò?”

“Diventerai quello che è diventato Mortimer: un angelo del male”

“E tu eri un angelo del bene”

“Sì”

“E ora? Che si fa?”

“Devi venire con me, altrimenti se rimani qui ti prenderanno. Sei un bersaglio facile e innocuo”

“E chi sarà il mio maestro?”

“Io”

“E gli altri? Denali, Kevin, Rosalie e Delia? Anche loro sono…?”

“No, loro sono amici che mi hanno accompagnato. Denali e Kevin sono fratelli nel mio mondo,
Delia è la figlia del capo villaggio dove noi abitiamo e dove andremo appena torniamo, mentre Rosalie, lei…è mia sorella”

“Allora anche lei è…”

“Devi capire che le persone che possono diventare angeli sono davvero pochissime”

“Quanti angeli iniziati ci sono a Chenzo, oltre a me?”

“Ci sei solo tu”

“Quando hai detto che siamo in pochi non credevo così pochi!”

“Beh, io lo ero, ora ci sei tu che sei un’iniziata, gli angeli bianchi del consiglio sono sette e Mortimer è l’unico angelo del male”

“Uau, e come facciamo a raggiungere questo posto?”

“Entreremo in un campo interspaziale e sfrutteremo la velocità della luce”

“Ok, ma poi come torno a casa, una volta finito il mio allenamento?”

Lo sguardo serio di Gabriel la fece vacillare.

“Quanto dura l’allenamento, Gabriel?” chiese, notando la sua incertezza.

“Dura un anno” ammise, profondamente dispiaciuto.

“Un anno?! E io dovrei tornare tra un anno?!” urlò Rebecca.

“Bec, tu…tu non tornerai a casa”

“Cosa?!”

Non poteva crederci. L’aveva detto sul serio.

“Una volta che diventi un angelo completo non puoi ritornare”

“Perché?” sbraitò lanciando le braccia in aria.
 
“Perché apparterrai a quel mondo, diventerai una sua creatura. Dopotutto, non hai mai avuto nulla a che fare con la Terra”

“Ma io…la scuola, mamma, papà, io…” ma all’improvviso si fermò. Una folle paura la invase e
il dubbio divenne certezza.

“Gabriel, i miei genitori? Come posso essere nata in questo mondo se appartengo al tuo”

“Tu…” Gabriel iniziava a sentirsi profondamente a disagio, non avrebbe voluto dar voce a quello
che stava per dire ma lei, come sempre, arrivò prima di lui.

“Sono stata adottata”



***

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Capitolo 4
*** Un passo silenzioso ***


Cap. 4 - UN PASSO SILENZIOSO -

E tutto divenne sfuocato, indefinito…come se attorno a lei una fitta nebbiolina lievitasse nell’aria.

“Loro sanno che io sono…?”

“No, e non devono saperlo”

Digerire quello che aveva appena scoperto sulla sua vita era troppo difficile per far finta di niente, Bec era pallida e bianca come un fantasma e teneva le mani chiuse a pugno.

“Ma da dove vengo?” chiese, supplicandolo.

“Vieni dal mio pianeta”

“Non capisco!”

Rebecca si tappò le orecchie come per cercare di alleviare un fastidiosissimo mal di testa. Strizzò gli occhi e fece una smorfia di dolore.

“Ti spiegherò tutto, ora devi solo fidarti di me”

“Dove mi porti?”

“In un luogo più sicuro”

Gabriel le prese forte la mano e con un gesto protettivo camminò con lei non lasciandola, tenendola stretta, passando un braccio attorno ai suoi fianchi. Uscirono dagli spogliatoi e attraversarono la mensa vuota, probabilmente la pausa pranzo era terminata da un pezzo. Se ne andarono dalla porta di sicurezza e percorsero il vialetto della scuola. Gabriel si fermò davanti ad una macchina: una mini cooper rossa sfiammante con il tettuccio bianco. Rebecca avrebbe voluto fare i suoi più sinceri complimenti sul bellissimo gusto del ragazzo in fatto di macchine ma in quel momento non aveva proprio voglia di aprire la bocca, era come se le costasse fatica parlare.

Gabriel montò al posto del guidatore e le aprì la porta del passeggero. Lei salì e meccanicamente si allacciò la cintura, aspettando che lui partisse. Appena la macchina girò la prima curva, la scuola era già lontana.

“Non hai niente da chiedermi?” domandò Gabriel, lanciando un’occhiata veloce alla ragazza, per poi ritornare a guardare la strada.

“C’è molto che avrei da chiedere” rispose lei, come un automa.

Lui non rispose, tanto sapeva che lei avrebbe comunque parlato.

“Come mai, se sono nata a Chenzo sono stata portata sulla Terra? Con quale scopo?”

“Al momento della tua nascita si conoscevano i tuoi poteri perché dimostravi il comune simbolo
che lega tutti gli angeli”

“Io non ho simboli!”

“Ah no?” chiese lui, guardandola di sottecchi.

“Beh, ora che ci penso ho qualcosa di strano. Sul braccio sinistro ho una serie di nei che formano
una croce…ma non vuol dire niente!”

“Ecco. Visto? Cosa ti avevo detto?”

“Sarebbe quello il simbolo?” sbottò, perplessa.

“Sì, un simbolo sacro che al tempo stesso non da nell’occhio”

“E perché sono stata allontanata?”

“Perché qualcuno ha sparso la voce che era nato un angelo e Mortimer ti avrebbe trovata nel giro di pochi giorni. Dovevi essere portata via subito, e la Terra era l’unico posto che a noi è sembrato più giusto per far crescere una come te”

“Tu eri già nato?”

“Sì”

“E poi?”

“Sono prematuramente diventato un angelo”

“Sei immortale?”

“Tutti gli angeli lo sono, sia i bianchi  che non. Io però non lo sono più”

“Ma allora come si fa ad ammazzare questo Mortimer?!”

“Un angelo è immune al tempo ma non ad una spada”

“Sono stata adottata”

“Già”

“E come sono, voglio dire, i miei genitori…quelli veri, intendo”

“Sono morti” tagliò corto, Gabriel.

Rebecca si pentì di aver fatto quella domanda, era ancora sconvolta per il fatto di essere stata adottata, non era pronta a scoprire anche che i suoi genitori biologici erano morti.

“E come sono morti?”

“Questo non centra niente”

“Che stronzata” sbottò.

“Fammi domande intelligenti, per l’altro c’è tempo”

Bec lanciò uno sguardo inceneritore al ragazzo che prontamente evitò di incontrare i suoi occhi.

“Fammi capire: finchè ero piccola e indifesa sono stata portata al sicuro e ora, che sono grande e vaccinata, devo tornare per salvarvi tutti? Ma chi diavolo sono io per far questo? Non puoi dirmi queste cose! Non ho mai combattuto contro nessuno!”

“Imparerai, la battaglia ce l’hai nel sangue”

“Ma aspetta! C’è un problema più grande! Se devo venire via come faremo a far sparire le mie tracce? I miei genitori non mi lasceranno andare!”

“Infatti dobbiamo cancellarli la memoria prima di partire”

“Oh” l’unico suono emesso dalla sua voce fece capire molte cose: tristezza, rimpianti, sorpresa, sconfitta, orrore…

“Sarà come se non fossi mai esistita”

L’auto viaggiava dolcemente lungo le dritte strade di Aquila, come uno sciatore percorre una discesa: leggera e silenziosa. Bec non voleva dire addio alla sua famiglia ma doveva. Doveva andare su un altro mondo perché aveva appena scoperto di non essere umana. Doveva combattere e apprendere la magia perché non poteva più fingere la sua identità…ora che l’aveva scoperta. Aveva un milione di motivi validi per andarsene e solo uno per restare: i suoi genitori le sarebbero mancati, anche se era stata adottata loro avevano saputo darle tutto l’amore e tutta la felicità che un qualsiasi genitore biologico avrebbe dato al suo figlio biologico.

“Vi occuperete voi della cancellazione della memoria?” domandò lei, tornando distaccata, come se la questione non la toccasse nemmeno.

“Sì, ci arrangeremo noi. Sarà un lavoro lungo, ci occorrerà un intero giorno, le persone che devono dimenticare sono tutte quelle che hanno avuto rapporti sia con noi che con te. In quel giorno tu, intanto, potresti andare a salutare la tua famiglia”

“Non credo. Credo che mi comporterò come ho sempre fatto. Tanto, una volta che avrò tagliato la corda non si ricorderanno neanche chi era Rebecca Burton” sospirando appoggiò la testa nel finestrino e un deserto rosso era l’unico paesaggio che li accompagnava in quella carreggiata. Poi, come un fulmine a ciel sereno, si drizzò nel sedile e facendo un verso stupito chiese a voce alta, quasi isterica:


“Come diavolo ti è saltato in testa di mettermi un pugnale dentro lo zaino?! Se i miei genitori l’avessero trovato?!”

“Cos…? Ah! Quello! Sì beh, ti piace?”

Gabriel aveva iniziato a passare la mano libera dal volante sui suoi capelli e a mo di scuse tentò di far esaltare la bellezza raffinata di quell’arma.

“Non mi importa sapere che cavolo di pugnale è! Perché l’hai dato a me? A che mi serve?”

“Beh, ho pensato che regalarti un’arma ti avesse fatta contenta. Non lo sei?”

“Sì, come no…ho sempre sognato un’arma per il mio compleanno”

“Quella è speciale. Era di tuo padre, era giusto dartela”

“Anche mio padre era un angelo?”

La curiosità stava iniziando a invaderle il corpo e voleva avere subito delle risposte. Ma Gabriel, come sempre, la guardò malissimo e rimase zitto.

“Eh dai! Dimmi almeno se era o no un angelo come me”

Dopo vari tentennamenti Gabriel non resistette alla faccia supplichevole della graziosa ragazza che, come una gatta, lo stava implorando con quegli occhi dolci e caldi.

“Sì. Ma ora basta!” tagliò corto.

Era meglio, altrimenti avrebbe continuato a parlare sotto l’effetto di quello sguardo ammaliatore.

Gabriel notò che Rebecca era incredibilmente bella. Non aveva mai fatto caso al suo aspetto fisico “in quel senso” ma ora che la guardava meglio doveva ammettere che era proprio carina.

Non aveva una di quelle bellezze provocanti o appariscenti, possedeva  un qualcosa che le altre ragazze non avevano, diversa dai soliti canoni di “bella e perfetta”. E lei di difetti ne aveva, eppure erano così carini e teneri che sembravano incarnare una bellezza tutta loro in quel corpo così grazioso ed elegante. Certamente, le altre non potevano competerle.

Accortosi che stava fissando un po’ troppo il corpo della ragazza, Gabriel tornò con i piedi per terra e riprese la sua guida, chiudendo e bloccando altri pensieri.

La macchina si fermò davanti ad una grande casa, bellissima. I muri erano bianchi e aveva delle enormi finestre con dei balconi azzurri, un enorme portico con una sedia a dondolo occupava l’intera facciata dell’abitazione. Sembrava una di quelle case country adatta solamente alle ricche famiglie benestanti. L’abitazione, infatti, era completamente circondata dal verde e un vialetto in erba battuta attraversava il giardino, assomigliava tantissimo ad una locanda o ad un posto di villeggiatura per sole coppiette di innamorati.

Quando Rebecca vide che la macchina, ormai, si era arrestata e che Gabriel era sceso, aprì la portiera e una leggera brezza calda e profumata la invase.

“Dove siamo?” chiese, estasiata da quell’aroma afrodisiaco che sapeva di fiori ed erba appena tagliata.

Il ragazzo si coprì con una mano la fronte, in modo da guardare la casa senza che i raggi del sole accecassero i suoi occhi. Un sorriso soddisfatto s’impadronì del suo bellissimo volto.

“Questa angelo, è casa mia”



***



Dopo l’iniziale sorpresa, Gabriel, fece strada a Rebecca verso l’ingresso. Non doveva esserci nessuno in casa perché il silenzio era disarmante e la quiete era assoluta. Anche all’interno i muri erano chiari, con delle rifiniture e delle greche in alto. Il colore che predominava era il bianco e il verde acqua. Davanti all’ingresso, delle scale in legno scuro portavano a quello che doveva essere per certo il secondo piano, mentre di fronte a loro si poteva scorgere una cucina in fondo al piano e un salotto alla sinistra. C’erano poi altre due porte che però Rebecca non ebbe la sfacciataggine di domandare dove portassero. Le piaceva quella casa, sembrava uno scenario che utilizzavano per i film western, con sfarzose ed eleganti case arredate in stile inglese.

“Non vivi con i tuoi genitori, vero?”

“No. Vivo con gli altri: Denali, Kevin, Delia e Rosalie. Sono, diciamo, la mia famiglia, e dato che Denali è il più grande fa lui da responsabile e da padre a tutti noi”

“Ah, ho capito”

Gabriel la fece accomodare in un divano pomposo e gonfio, con un’infinità di cuscini ai lati e il tutto molto azzeccato nei colori e nei minimi particolari. Nel sedersi Rebecca si sentì sprofondare dalla morbidezza del divano.

“Uhm…cosa ci facciamo qui?” urlò, dato che Gabriel era sparito in cucina.

“Aspettiamo gli altri” gridò lui, in risposta.

“E fra quanto arrivano?”

“Tra pochi minuti dovrebbero essere qua”

Gabriel tornò in salotto con un vassoio di thè e biscotti al cioccolato. Posò il tutto su un tavolino in legno al centro dei divani e si accasciò in una poltrona, gemella anch’essa della coppia di sofà.

“Grazie” disse Bec, allungando un braccio verso una tazza di fumante thè caldo, prendendo anche un biscotto che aveva tutta l’aria di essere buonissimo.


“In che modo possono aiutarci?”

Gabriel, che non aveva toccato cibo, era rimasto a guardarla e rispose in maniera calma e pacata anche se l’ansia lo stava attanagliando.

“Loro ritorneranno con noi a Chenzo. Mi aiuteranno a cancellare la memoria a tutte le persone, appena arriveranno inizieremo subito. Prima finiamo meglio è”

N’anche il tempo di ribattere che la porta d’entrata si aprì, provocando un rumore secco di chiavi che giravano dentro la serratura. Bec si voltò per vedere le figure bellissime dei quattro ragazzi che erano appena arrivati, probabilmente, da scuola. Si aspettava un’accoglienza sgarbata e distaccata da tutti e quattro ma appena la videro seduta accanto a Gabriel fecero un enorme sorriso di benvenuto, solo Rosalie era la più triste ma anche lei, almeno, si sforzò di fare un cenno del capo.

“Oh, era ora! Finalmente!” Kevin, l’ultimo ad essere entrato dalla porta era stato il primo a saltarle addosso. Le tese la mano e la gioia gli sprizzava da tutti i pori.

“Smettila Kevin, non vedi che la spaventi?!” quello che aveva appena parlato doveva essere Denali, nascosto in angolo del sottoscala, e subito si fece riconoscere per la sua serietà, il suo volto era marchiato da una vita più lunga e sofferta rispetto agli altri e sembrava molto più grande di quanto non lo fosse. Certamente l’esperienza gli aveva anche conferito un tono autoritario che solo i capi, i leader, potevano avere.

Le due ragazze non le avevano dato un’accoglienza calda come Kevin ma erano comunque contente e un po’ agitate.

Rebecca non riusciva a spiegarsi Rosalie. Appariva contenta ma lei sapeva che quella era solo una maschera usata per non svelare i veri sentimenti che provava. Scacciò quei pensieri e ritornò a prestare attenzione a Kevin che era ancora in piedi davanti a lei e sembrava la stesse studiando, come se si aspettasse che un paio di ali bianche spuntassero dalla sua schiena.

Bec salutò timidamente tutti, passando lo sguardo uno ad uno e rivolgendo sorrisi sinceramente grati.

“Ora che ci siamo tutti direi di iniziare” disse Gabriel, interrompendo i faccia a faccia tra Bec e i quattro ragazzi.

“Ok. Gabriel, tu che sai intercettarli dovrai darci le loro coordinate precise, dopodichè noi interveniremo sulla loro memoria”

Tutti fecero un cenno di assenso a Denali.

“Ehi! Aspettate!” Rebecca si era alzata in piedi, presa in contro piede. Sperava che non se ne fossero dimenticati.

“Cosa c’è?” domandò Gabriel, allarmato.

“I miei genitori. Avevi detto che potevo salutarli prima di partire” disse, rivolta verso il ragazzo biondo che ritornò calmo dopo l’agitazione improvvisa.

“Infatti”

“Non ti seguo. Spiegati”

“Loro sono già qua”



***



Denali, Kevin, Delia e Rosalie stavano aspettando Gabriel fuori in giardino, attorno alla mini cooper rossa sgargiante.

In casa invece Gabriel stava accompagnando Rebecca dai suoi genitori. Le aveva spiegato che era andato a prenderli dopo che lei era partita per scuola, che gli aveva portati in casa sua e che adesso era arrivato il momento per lei di dirli addio. Aveva anche aggiunto che era stato obbligato a portarli lì, perché la cancellazione della loro memoria avrebbe richiesto più tempo ed energia rispetto alle altre persone, i loro ricordi con Bec erano certamente maggiori e più intensi.

Rebecca voleva chiedergli come aveva fatto a rapirli senza scioccarli più di tanto ma se l’era risparmiata, non era ancora pronta per scoprire quali tipi di magie Gabriel era in grado di fare o in quali era immischiato. Si aspettava comunque di non trovare i suoi genitori in perfetta coscienza di quello che era accaduto.

“Sono in quella stanza. Io devo andare, ti vengo a prendere dopo”

E se n’era andato. Così. Senza aggiungere altro. Lasciandola in casa sua senza la minima protezione.

Lo stanzino dov’erano racchiusi i suoi genitori era al piano superiore, all’interno della sua camera da letto, le aveva detto Gabriel. Quando arrivò a toccare con il palmo la maniglia della porta il cuore iniziò a battere fortissimo nel suo petto. Con un movimento deciso fece scattare la serratura e aprì la porta accompagnandola, finchè non ebbe l’intera visuale della stanza davanti ai suoi occhi. I balconi erano chiusi, il buio oscurava la camera ma tutte le sagome erano ben distinte grazie ai raggi del sole che riuscivano a filtrare dal legno dei balconi nonostante tutto fosse chiuso. Con il cuore che rischiava di scoppiarle in gola, Rebecca li chiamò.

“Mamma, papà, dove siete?”

Entrò completamente nella stanza e accese la luce grazie all’interruttore che si trovava subito dopo i cardini della porta. La scena che si presentò davanti a lei le provocò un forte senso di nausea.

Non sarebbe riuscita a dirli addio.

Marta e Jonathan dormivano beatamente nel grande letto matrimoniale di Gabriel, erano abbracciati anche nel sonno e il loro volto era rilassato, come se niente in quel momento potesse turbarli. Rebecca capì che i suoi genitori non dovevano essersi ancora accorti di dov’erano stati portati, pensavano ancora di essere a casa loro, nel loro letto, nella loro camera. Vederli dormire in quel modo, così ignari, così beati…fu una dura prova per il suo autocontrollo.

Perché ora lei doveva venire lì e distruggere tutto? Rovinare la sua famiglia, cancellare la sua vita, far dimenticare a tutti la sua esistenza?

Un enorme vuoto pressava dentro di lei e la voglia di scappare e mettersi a piangere era tanta. Fece un passo verso il letto e scosse sua madre che aveva il volto interamente coperto dai suoi bei riccioli biondi.

Marta aprì a fatica gli occhi, esaminò sua figlia e quando osservò davanti a lei un quadro appeso al muro che non aveva mai visto in camera sua capì di non essere nel suo letto. Quel muro e quel quadro erano sconosciuti. Alzandosi di colpo fece svegliare anche il marito che, anche se non subito, si accorse che c’era qualcosa di strano che non andava.

“Bec! Ma dove siamo?!” chiese Marta, spaventata. Prima che anche suo padre iniziasse a parlare la ragazza disse le prime cose che le vennero in mente.

“Siamo a casa di un mio amico. Quando sono tornata da scuola vi ho trovato svenuti in cucina, era saltato il gas e vi ho portati qui”

Anche se la risposta era del tutto improvvisata fu piuttosto convincente, dato che si calmarono e non s’insospettirono.

“E la casa? Non è saltato in aria tutto, vero?” sua madre, la solita che si preoccupava dell’integrità fisica della sua amata casa, anzi, villa.

“Ora il gas è chiuso, giusto?” intervenne Jonathan.

“Sì, sì, ho fatto tutto, solo…dovrete restare qui per un po’ perché stanno ancora controllando, insomma, non vogliono che corriamo rischi se dovessimo tornare”

I due si guardarono in faccia e annuirono contemporaneamente.

Il più era fatto.

“Bene” annunciò serafica Rebecca, contenta che i suoi se la fossero bevuta. “Ora se non vi dispiace vorrei salutarvi prima di andare” la frase avrebbe dovuto concludersi con un: “andarmene per sempre” ma non riuscì a pronunciare quelle parole. Era meglio pensare al loro distacco non come ad un addio ma come ad un arrivederci.

“Bec, tesoro, sei sicura di non aver preso una botta in testa?” chiese Marta, mentre la ragazza si faceva spazio in mezzo a loro nel bel letto matrimoniale.

Rebecca non era mai stata una ragazza che amava farsi coccolare e quindi risultò strano, per loro, quello slancio improvviso di affetto.

“Tutto bene, mamma”

Rebecca si sistemò sotto alle coperte, con una mano prendeva quella del padre e con l’altra quella della madre. Le tenne strette, finchè suo padre non spense la luce e lei potè dar sfogo all’agonia che portava dentro.

“Appena torniamo a casa, Bec, dobbiamo parlare”

Lei non vide la faccia della madre ma giurò che stesse guardando suo padre e delle lacrime iniziarono a bagnarle gli occhi.

Quel momento non sarebbe mai arrivato, i suoi genitori non avrebbero mai potuto confessarle quella sera, appena arrivati a casa, che non era figlia loro. Entro il pomeriggio avrebbero addirittura dimenticato di avere una figlia. Bec si godette quei pochi attimi che le restavano da passare con i suoi genitori, stringendoseli a sé come quando era bambina e aveva paura dei temporali. Era da moltissimi anni che non dormiva con loro, da quando aveva smesso di avere paura della notte. Ma ora, un’altra paura l’aveva portata ad unirsi con loro nel letto, una paura più spietata e più crudele.

Una paura più difficile da superare.



***



Facendo attenzione che tutti e due dormissero Rebecca si alzò pian piano dal letto e camminando in punta di piedi uscì dalla stanza, il volto ancora rigato dalle calde lacrime. Andò giù in salotto, gli altri non erano ancora arrivati. Approfittando della loro assenza marciò verso la cucina e aprì il frigorifero alla ricerca di qualcosa di commestibile, lo stomaco le sembrava vuoto e aveva bisogno di riempirlo con qualcosa. A Gabriel non sarebbe dispiaciuta la sua inflazione nel suo frigorifero.

Prese, con le mani che ancora le tremavano, una tavoletta di cioccolata bianca e quando chiuse l’anta del frigorifero aveva già cacciato un urlo trovandosi davanti Gabriel che la fissava beato con uno strano sorrisino stampato in faccia.

“Ma sei scemo?!” esclamò, cercando di riportare il battito del cuore al suo ritmo naturale.

“Semmai sei tu la scema che fruga nel mio frigo” disse, con un sorriso furbetto e vispo.

“Come mai già di ritorno?” gli domandò con gli occhi ridotti a due fessure.

“Abbiamo fatto”

“Quindi partiamo?”

“Esatto. Hai salutato i tuoi genitori?”

“Si” fu l’unica, vera, risposta.

“Allora, io dovrei andare da loro…sai, per la memoria, devo modificarla e…ehm…”

“Sì, sì, ok” sbottò e la sua irritazione non passò inosservata al ragazzo.

“Mi dispiace” disse, e sembrava profondamente dispiaciuto.


Forse anche lui, come lei, aveva dovuto passare un momento simile, ma la sua acidità non diminuì.

“Per cosa ti dispiace? In fondo, non erano neanche i miei veri genitori”

Gabriel socchiuse gli occhi, sorvolando su quella battuta poco carina che Rebecca aveva appena fatto.

Fece dietro-front e si avviò al piano superiore.

Lei rimase in cucina, in ascolto, all’erta, cercando di captare un qualsiasi segnale che le facesse capire cosa stesse succedendo nella camera di Gabriel. Forse i suoi genitori erano svegli e vedendo entrare un estraneo avrebbero preso paura? E se Gabriel fosse entrato mostrando le sue ali, i suoi genitori non avrebbero cercato di scappare davanti a tanta assurdità? Avrebbero fatto resistenza?

Nello specifico, com’è che funzionava la cancellazione della memoria? Bec non poteva saperlo dato che nessuno l’aveva informata sull’argomento. Sarebbe stato doloroso? Avrebbero sofferto lentamente oppure era una cosa veloce?

Dal silenzio che albeggiava in casa i suoi genitori dovevano ancora essere addormentati e se tutto andava bene, non si sarebbero n’anche accorti del bellissimo ragazzo biondo che, di soppiatto, avrebbe strappato loro ogni bel ricordo della figlia adottata.

Dei passi la riscossero e le fecero capire che Gabriel aveva finito e che stava tornando dopo aver concluso la sua ultima missione.

Iniziò a piangere. Ancora. E quando tentò di smettere due braccia possenti l’abbracciarono da dietro e il freno che la tratteneva dalla disperazione si spezzò e il suo pianto silenzioso cominciò a diventare un gemito soffocato.

Solamente quando ogni lacrima fu esaurita e ogni singhiozzo finito Rebecca si calmò, sempre sorretta da Gabriel che l’aveva tenuta stretta non aprendo bocca neppure un momento.

Voleva aspettare a parlarle, aspettare che lei si riprendesse dalla consapevolezza di una perdita. La sua prima perdita. Quante ce ne sarebbero state a Chenzo? Niente era sicuro. Nessuno poteva essere sicuro di sopravvivere.

Chi ha paura del domani?

Solo chi non sa se ce l’avrà.

Gabriel prese in braccio Rebecca e la posò delicatamente sul divano pomposo, in modo da farla star comoda, aspettando che anche gli altri arrivassero.

Ora che avevano tolto ogni ricordo a tutte quelle persone erano veramente pronti per partire. Prima però avrebbero dovuto spiegarle come funzionava il passaggio da una dimensione all’altra. Solo i nati a Chenzo potevano, da un mondo all’altro, tornarvici. Lei non era un’eccezione e avrebbe dovuto imparare le regole del gioco. Doveva capire una volta per tutte a quale mondo apparteneva.

La Terra diverrà allora un bel ricordo lontano, un posto che non verrà più preso in considerazione.
Gabriel toccò con le sue mani fredde la guancia arrossata di Rebecca e lei, istintivamente, gliela schiaffeggiò. Il ragazzo si ritrasse e scocciato dal suo comportamento si alzò.

“Dovrebbero essere arrivati. Asciugati gli occhi” le disse con durezza.

La ragazza si passò entrambe le mani sulla faccia, cercando di non far notare ai quattro ragazzi che stavano arrivando, il suo stato d’animo catatonico e un po’ pietoso. Si mise in piedi e approfittò di uno specchio attaccato al muro per mettere apposto anche i capelli che erano tutti spettinati con qualche ciuffo ribelle che andava in su.

Appena ebbe finito di aggiustarsi la porta d’entrata si aprì, sbattendo contro il muro e facendo vibrare alcuni quadri lungo il muro. Entrò per primo Denali che si sistemò il lungo cappotto (inadatto alla temperatura esterna) dandosi una spazzolata con le mani. Gli altri entrarono successivamente, arrossati e molto agitati.

“Dobbiamo andare, presto!” l’esclamazione di Denali lasciò interdetta Rebecca, che non capiva tanta fretta come gli altri.

“Non possiamo andarcene senza averle spiegato come superare il passaggio” lo corresse Gabriel.

Denali indugiò su di lei, squadrandola da capo a piedi. Il suo battito accellerò.

“Bene. Ma lo faremo mentre siamo in macchina” disse Denali, con lo sguardo ancora posato sulla ragazza. “Ci hanno trovati”

Bec lesse il terrore negli occhi freddi di Gabriel e l’irrequietezza negli altri. Capì a cosa si stavano riferendo: i Sentori dovevano averla captata. È così che funzionava: loro imparano a distinguere il tuo odore e quando ti trovano…beh, è meglio darsela a gambe.

In un modo o nell’altro Rebecca si ritrovò con gli altri nel giardino della casa, tutti stavano correndo verso la macchina e la paura era impressa nei loro volti come un marchio indelebile. Le parve che tutto stesse andando a rallentatore, come nei film: lei che raggiungeva la macchina e il vento le muoveva i capelli coprendole la visuale, Gabriel che da dietro le teneva un gomito e la spingeva in macchina. L’auto che, lentamente, inevitabilmente, iniziava a partire.



***



Un passo silenzioso.

Ecco cos’avevano fatto.

Mentre la macchina andava lungo una strada sconosciuta Rebecca stava pensando alla loro fuga.

L’intero mondo non si sarebbe neppure accorto della loro scomparsa: lenti e attenti se ne stavano andando senza lasciare tracce, ricordi, immagini…

Un passo silenzioso che gli avrebbe portati via, per sempre. Un passo che nessuno si sarebbe accorto di aver sentito, visto, udito…stavano diventando invisibili al resto del pianeta. Tra pochi minuti Rebecca Burton, per la Terra, non sarebbe mai esistita.

Ripensò con ansia al campeggio, ai Sentori e alla paura che aveva provato nell’essere attaccata da loro. Le amiche che aveva dovuto lasciare, anche Judi. Nonostante si conoscessero appena Bec ne era convinta: sarebbero potute diventare ottime amiche. Ma purtroppo quella era un’utopia.

Una curva presa male fece sbattere Rebecca contro Gabriel, che lo schiacciò contro il finestrino.

“Scusa”

“Non fa niente”

“Allora…” disse Denali, che alla guida della macchina ora guardava i due ragazzi che stavano dietro attraverso lo specchietto. “Gabriel, ti decidi a dirle come funziona il passaggio o devo far tutto io?”

“Ora lo faccio” disse l’angelo, spazientendosi.

“Aspetta!”

I conti non tornavano. Sbaglio o in macchina eravamo in quattro?

“Dove sono Delia e Rosalie?” chiese la ragazza.

“Loro vengono con la macchina di Delia. Non ci stavano anche loro, dopotutto è pur sempre una mini cooper” un sorriso amichevole le arrivò da Kevin, che stava seduto davanti vicino a Denali.

Anche lei sorrise di rimando.

Si voltò verso Gabriel, aspettando che il ragazzo si decidesse a spiegarle come cavolo doveva fare per attraversare il confine umano. Il ragazzo alzò le spalle.

“È semplice, devi appoggiare la tua mano destra su una pietra”

“Una pietra?” Bec strabuzzò gli occhi.

“È una pietra molto particolare, riconosce solamente i provenienti di Chenzo e nessun altro. Perciò si attiva esclusivamente con noi”

“Perfetto”

Fu un gesto automatico, Rebecca iniziò a sfregolarsi le mani e la consapevolezza che si stavano avvicinando al grande salto ebbe il sopravvento.

Gabriel notò la sua inquietudine e con tenerezza le prese le mani tra le sue massaggiandole in movimenti fluidi e leggeri, tanto che lei dovette sbattere le palpebre per evitare di dar vita al senso di piacere e benessere che si stava impossessando di lei. Scansò immediatamente la mano da quelle morbide del ragazzo, maledicendosi e imprecando.
La macchina si fermò dopo pochi minuti. Scesero tutti e quattro e Rebecca dovette esaminare più volte l’enorme colosso marmoreo che aveva davanti agli occhi prima di capire che aveva la forma di una mano aperta con il palmo rivolto verso l’alto. Sembrava una montagna di rocce di un rosso scuro ma la sua figura era proprio quella di una mano, la dimostrazione che ciò che Gabriel aveva detto era vero e che come in un libro la soluzione di quell’enigma era racchiusa nella sua forma estetica.

Pian piano si avvicinarono alla struttura di sassi e nel basso, quello che doveva essere il polso della mano, c’era una caverna, una rientranza che sicuramente portava nell’interno della montagna.

Miracoloso, pensò Rebecca quando entrarono.

Le pareti erano levigate, non come all’esterno dove le rocce apparivano tozze e irregolari. Era buio pesto ma Denali reggeva una pila e, davanti che conduceva la fila, faceva strada nelle tenebre di quella grotta.

Appena lo stretto corridoio finì si aprì una grandissima stanza circolare con una colonna alta circa un metro nel centro. La ragazza, presa dalla curiosità, si avvicinò alla colonna bianca e nel mezzo stava disegnata una sagoma che, rientrando nel marmo, formava una mano. Non era una mano qualunque. Gabriel le aveva detto che per accedere al passaggio bisognava appoggiare la mano destra sulla roccia ma era come se mano destra e mano sinistra si sovrapponessero a formare un’unica mano con le dita rivolte verso una parte e verso l’altra, come a simboleggiare la presenza di entrambe e non solo di una: la destra.

“Gabriel” lo chiamò.

N’anche il tempo di assicurarsi che il ragazzo fosse arrivato che lui era già al suo fianco.

“Come mai sono raffigurate entrambe le mani? Non avevi detto bisognava metterci solo la destra? Perché devo appoggiare anche la sinistra?”

Gabriel rimase a fissare in silenzio la figura nella roccia e il suo volto divenne una smorfia di orrore, impallidendo a vista d’occhio. Quando parlò, la sua voce era incrinata e non del tutto sicura.

“Rebecca, qui c’è raffigurata solo la mano destra”

“Prego?”

“N-Non c’è la sinistra, non la vedo. Per accedere è la mano destra che devi appoggiare, la sinistra non centra niente”

“Ma io le vedo tutte e due, Gabriel”

“Non può essere, non…”

“Cosa? Cosa c’è?”

“Ecco, vedi…”

Denali e Kevin li raggiunsero insieme a Delia e  Rosalie.

“Noi andiamo”

Denali mise la sua mano destra nella sagoma sopra la roccia e con uno sguardo apprensivo sparì. Letteralmente sparì, perché poco prima si trovava al centro insieme agli altri e dopo…niente! Volatilizzato, scomparso, non c’era più.

Accadde tutto in pochi secondi.

Anche Rosalie, Delia e Kevin (uno alla volta) passarono davanti al blocco di marmo e scomparvero.

Erano rimasti solamente Gabriel e Rebecca. Lei era terrorizzata mentre Gabriel aveva ancora quello sguardo assorto e pensieroso.

“Devo andare prima io?” gli domandò, cercando di rimanere il più calma possibile.

“Sì, sarebbe meglio”

“Ma quale mano devo mettere?”

“Prova a mettere la sinistra”

Rebecca alzò il braccio e con l’arto che tremava appoggiò la mano sinistra sopra la colonna bianca facendola aderire completamente e facendo prendere alla sagoma la forma della sua mano. Un lampo di luce rossa invase la stanza e anche lei sparì. La sensazione era quella di essere risucchiati, come se il tuo corpo si stesse restringendo, schiacciato da due pareti.

L’ultima cosa che vide fu lo sguardo di Gabriel e non le piacque per niente come la stava guardando. Sembrava che avesse paura di lei e i suoi occhi erano sbarrati, vuoti, spaventati per qualcosa che aveva appena scoperto.



***

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Capitolo 5
*** Un nuovo mondo ***


Cap. 5 - UN NUOVO MONDO -

Il nuovo mondo si presentò a Rebecca senza che lei se ne rendesse conto.

Atterrata in una radura si ritrovò sola. Gli altri non c’erano e guardandosi intorno ebbe la piena conferma che quel posto era più simile ad un favola che non alla realtà. Era notte ma non era buio, anzi, una strana luce illuminava tutta la radura sebbene in cielo non ci fossero né stelle né luna, il cielo sembrava semplicemente irradiare una luce tutta sua, brillava di essenza propria e quel mondo ne traeva vantaggio per poter anch’esso risplendere.

Nella radura, tutt’attorno, volavano delle lucciole che come fate sembravano danzare un motivetto classico su una musica appena percepibile. Dietro di lei c’era una piccola montagna di rocce dalla quale, nell’esatto centro, dei fiotti d’acqua uscivano zampillando, formando una rumorosa cascata con attorno uno specchio d’acqua nel quale si riflettevano varie gradazioni di blu. La pace e la magia aleggiavano nell’aria e tutto era decisamente diverso dalla Terra.
Non faceva freddo, sebbene fosse notte inoltrata una lieve arietta vaporosa scaldava i corpi degli esseri viventi. Tutto, era in movimento.

Come guidate da una forza misteriosa tutte le lucciole che prima volavano indispettite sembrarono riunirsi in gruppo e accerchiare la ragazza. Non erano lucciole quelle fonti luminose. Ora che Rebecca le osserva da vicino capì che la sua prima intuizione non era sbagliata: quelle erano veramente delle fate che, con una grazia e una bellezza sovrannaturale, con quei capelli biondi a boccoli, quella pelle gialla e luminosa e quelle tenere ali fatte di rugiada, ora la fissavano spaesate e incuriosite. Alcune iniziarono addirittura a tirarle alcune ciocche di capelli.

“No! Cosa fate? Ferme!”

La ragazza cominciò a buttare le mani in aria per far andare via quelle piccole fate che iniziavano, se vogliamo essere sinceri, a romperle le scatole, e quando Rebecca Burton s’irritava sapeva essere molto devastante.

Le fate non parvero capire quello che la ragazza stava a loro tentando di dire perciò continuarono i loro giri di ispezione sul suo corpo. Nonostante tutto, si lasciò trasportare da quella danza e ridendo chiuse gli occhi continuando a percepire lo sbattere delle ali attorno a lei.

I pensieri iniziarono a prendere forma ma un silenzio tombale riempì la radura. Se prima il rumore delle ali la rilassava ora, non sentendo più nessun movimento, dovette riaprire gli occhi per capire cos’era successo.

Le fate non c’erano più e il cielo si era fatto nero, scuro, freddo. Non c’era più la bellezza fantastica di poco prima, persino il vento parve tagliare quel tepore per portare delle ondate di gelo.

Rebecca iniziò a spaventarsi sul serio e la conferma che era da sola in un posto sconosciuto parve affiorarle alla mente.

Corse, corse e corse.

Non sapeva dove stava andando né tantomeno aveva idea di che tipo di creature o mostri potevano abitare in quel bosco. Sicuramente non avrebbe più incontrato cerbiattini o coniglietti in quell’intrico di alberi, almeno non in quell’incubo.

Stava ormai perdendo ogni speranza di uscire da quel labirinto quando una voce le arrivò ben distinta tra gli alberi. Gabriel la stava chiamando e lei cercò di andare incontro alla sua voce. Quando scorse il ragazzo in un punto poco lontano da lei gli corse disperatamente in contro.

Gabriel non era al massimo del suo aspetto: i capelli erano spettinati e un’ansia gli attanagliava il viso perfetto. Appena si accorse della ragazza la raggiunse con passi veloci.

Rebecca si fermò non appena fu abbastanza vicina da vederlo a pochi metri di distanza ma Gabriel, spinto da una forza improvvisa, non si fermò e le saltò addosso ferocemente. L’abbracciò energicamente nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.

Aveva avuto paura, paura per lei e per l’inspiegabile senso di ansia che l’avevo preso fin dentro le ossa.

Bec rimase stupita da quel gesto così spontaneo e ossessivamente preoccupato, con gli occhi sbarrati aveva lasciato che le braccia le penzolassero lungo i fianchi come se avesse dimenticato come fare ad abbracciare.

Gabriel non era certo il tipo che abbracciava spesso le persone perché da come la teneva stretta poteva sentire il suo corpo tremare. Lui non sapeva abbracciare perché non aveva mai avuto occasione di manifestare i suoi sentimenti o le sue emozioni a nessuno prima d’allora.
Gabriel in vita sua non aveva mai dovuto dare a vedere niente a nessuno, si faceva la sua vita e anche se aveva una famiglia e delle persone a cui si era affezionato non aveva mai detto una volta “ti voglio bene”. Nemmeno a Rosalie.

Era freddo e glaciale e i suoi occhi azzurri erano la dimostrazione che in lui c’era un cuore di ghiaccio.
Forse, l’unico modo per far battere ancora quel cuore era quello di dargli un enorme calore e, in quell’abbraccio, un po’ di affetto era passato dal corpo di lei al suo.

Con enorme imbarazzo Gabriel si staccò da lei e la guardò smarrito. L’intensità del suo sguardo, la sua bocca semichiusa e perplessa, gli occhi persi e sbarrati e un punto interrogativo scritto in fronte fecero accendere un fuoco in Rebecca che subito diventò distaccata per evitare di avvampare.
Gabriel notò quel cambiamento, fece in modo che si creasse un divario tra di loro, cercando di recuperare un po’ di lucidità e tappando il carico di emozioni che stavano arrivando.

“Vieni”

Come una calamita Rebecca lo seguì addentrandosi nella vegetazione, il suo respiro era ancora sconnesso ma almeno ora si sentiva sicura.

“Ci sono città vicine?”

Gabriel si voltò solo per un secondo, giusto il tempo di verificare se la ragazza vaneggiava o aveva sul serio qualche problema psicologico.

“Hai mai visto un regno incantato con dei grattacieli come sfondo?”

Bec si morsicò il labbro inferiore, era stata una domanda inadeguata però voleva almeno togliersi quel dubbio e sapere di più su quel posto.

“Naturalmente non ci sono né grandi città né piccole città. Questo pianeta è molto piccolo e la maggior parte del territorio è formato da lande desolate, foreste allo stato brado e deserti rocciosi ideali per le battaglie. Ci sono pochi villaggi abitati e civilizzati, villaggi dove gli esseri umani vivono pacificamente, lavorando ancora la terra. Poi c’è il regno di Mortimer che è un’area morta, sempre buia, il sole non c’è, ne vedi solo qualche spicchio di luce durante il giorno. Senza contare le varie tribù di depravati che vivono selvaggiamente dove capita”

Non poteva crederci. Sembrava uno di quei film ambientati nell’ottocento, dove le case dei villaggi erano ancora in legno e dove, per guadagnarsi da vivere, bisognava zappare il terreno umido.

“Scioccata?” domandò il ragazzo.

“Un po’. Credo che per abituarmi mi ci vorrà un bel po’ di tempo”

Dopo aver camminato per quella che sembrò un’eternità s’iniziò a intravedere al di là del bosco uno spiraglio di luce artificiale, sembravano dei lampioni, quelli che vanno ad olio e che la loro luce appare fioca e arancione nella notte. Un grosso vociare di persone attirò la sua attenzione.

Ormai pochi alberi erano rimasti davanti a loro e la visuale del piccolo villaggio con strade battute e case di legno si presentava nitida e vicina. Una grande folla si stava riunendo nei confini del bosco, sicuramente erano gli abitanti del villaggio. I loro vestiti antichi sfiguravano in confronto ai jeans e alla maglietta aderente e alla moda che la ragazza portava addosso in quel momento. La maggior parte delle donne avevano i capelli raccolti dietro la nuca e le loro ampie gonne toccavano il terreno. Gli uomini invece brandivano armi in mano (che alla fine si trattava di zappe e accette) e il loro look era quello tipico e paragonabile dei contadini. Anche Gabriel era vestito in jeans e felpa ma, tanto era bello, non stava per niente male.

“Sono Gabriel” urlò il ragazzo, creando attorno a loro un leggero eco.

A quel nome gli uomini gettarono le armi e le donne sorrisero lanciando urletti di gioia e attesa.

Finalmente i due ragazzi uscirono dal bosco e Rebecca si sentì subito tutti gli sguardi dei presenti puntati su di lei.

Il sorriso suoi loro volti si spense tanto velocemente che sembrava non fosse mai arrivato, ora l’avrebbero presa a botte.

Rebecca si nascose timidamente dietro la possente schiena di Gabriel, sperando che nessuno si accorgesse di lei e che dimenticassero la sua presenza. Tutti la stavano esaminando con la bocca aperta e gli occhi spalancati, il corpo leggermente proteso in avanti e lo sguardo che passava da lei al ragazzo.

Perché la fissavano in quel modo? Cosa si aspettavano? Che arrivasse un uomo con tanto di muscoli e ponente?

Beh, si sbagliavano. Purtroppo per loro gli era capitata una donna, anzi, una ragazza senza un minino di esperienza e senza muscoli attorno alle braccia o lungo le gambe.

A vederla così sembrava più un pulcino spaventato che non al più grande angelo mai esistito, il primo a far continuare la stirpe reale dopo la sua estinzione. La ragazza immaginava come tutti si stessero sentendo e non potè biasimarli. Il loro mondo era minacciato da un potentissimo angelo nero e loro, pieni di speranza, si vedevano arrivare come nemico di Mortimer una ragazza nel pieno dell’adolescenza.

Chissà che duro colpo avevano dovuto incassare.

Ma non tutto andò come la ragazza aveva previsto: gli insulti e le urla di disapprovazione non arrivarono e la gente, dapprima paralizzata, iniziò ad avanzare entusiasta verso di lei. Il primo a stringerle la mano era un uomo sulla quarantina con i capelli brizzolati e gli enormi occhi scuri, aveva un fisico ben piantato e Gabriel, sussurrandole all’orecchio, le disse che quello era il capo-villaggio: Bastian.

Dopo Bastian una serie di uomini, donne e bambini si fecero spazio attorno a lei per poterla toccare, baciare, lodare. Alcune donne con le lacrime agli occhi la benedivano e altre la guardavano ammirate. Gli uomini invece non facevano altro che complimentarsi e le davano cordialmente il ben venuto.

“È da tanto che ti aspettavamo”

“Non sai quanto siamo felici di averti con noi”

“Sei il dono più grande che potessimo ricevere”

“Un angelo! È un miracolo!”

Rebecca rispose con dei sorrisi perplessi e venne strattonata da tutti fino a che si ritrovò a camminare in una delle strade del villaggio. Le luci all’interno delle case erano tutte accese da lumi e le persone che non si erano precipitate ad accogliere i due ragazzi ora aprivano rumorosamente le porte d’ingresso e si catapultavano in strada. Bec fu portata da Bastian e da Gabriel, che la teneva sempre stretta per il gomito, in una capanna più grande rispetto le altre case, doveva essere il punto zero, il punto d’incontro di riunioni paesane e di discussioni, nonché la casa del capo-villaggio.

Il capo-villaggio e Gabriel la trascinarono all’interno di una stanza e si chiusero dietro le porte in modo che i concittadini non potessero entrare. La ragazza vide Gabriel sussurrare qualcosa alla porta e poi, questa, emise un rumore ferroso. Enormi lucchetti comparvero a bloccarla.



***



Bec poteva sentire ancora le urla e le esaltazioni dall’esterno della porta. Si trovava in una stanza quadrata, chiusa e senza finestre. Le pareti erano di legno solido dando un senso di accoglienza e di calore. C’era un’enorme scrivania al centro e delle librerie circondavano i muri tutt’attorno. La luce era data da dei candelabri appesi alle pareti e tutto era decisamente antico.

Si sentiva trasportata all’interno di una storia medievale dove tutto era ambientato all’età della pietra. Ispezionò la stanza e accortasi che mancavano sia telefono che elettricità si sentì straziare dalla mancanza di casa. Gabriel era appoggiato ad una libreria e nella penombra della stanza sembrava ancora più misterioso e inquietante. Bastian invece camminava su e giù per la stanza senza darsi pace. Rebecca, come uno stoccafisso, se ne stava giusto al centro dello studio e non sapeva che fare, semplicemente aspettava che qualcuno iniziasse a parlare.

Alla fine Bastian si fermò e puntò i suoi rotondi occhi acquosi verso la ragazza, lasciando trasparire un profondo rispetto e un’immensa paura.

“È inutile girarci attorno. Tu sai del motivo per cui sei qua, giusto?”

La ragazza cercò lo sguardo di Gabriel ma il ragazzo non si era mosso dalla sua postazione e aveva gli occhi chiusi, anche se era ovvio che stava ascoltando tutto, i nervi erano tesi e il corpo proteso in avanti.

“Sì” rispose Rebecca al’uomo.

“Ottimo. Per il resto ci sono io, ora” disse con un sorrisetto tenero che diede a Bec l’idea di essere finalmente in mano sicure.

“Gabriel, ti dispiacerebbe lasciarci soli?” chiese Bastian, gentilmente.

Il ragazzo, quasi infastidito, si staccò dalla parete su cui era appoggiato e con passi silenziosi, senza dire niente, uscì dalla porta che poco prima sembrava blindata da chissà quale magia oscura.

Bastian si sedette sulla scrivania e fece cenno alla ragazza di fare altrettanto in una delle due sedie che si trovavano davanti a lui. Una volta preso posto il capo-villaggio iniziò a parlare.

“Come avrai visto eravamo tutti molto ansiosi del tuo arrivo. Per noi sei la nostra salvezza, era scritto che un angelo sarebbe ritornato per salvare il mondo dalla tirannia del Male. Abbiamo mandato una squadra a prenderti una volta compiuti gli anni giusti per l’apprendimento della magia, come saprai Gabriel era un angelo e io di lui mi fido ciecamente”

“Aspetta, dove stà scritto che io devo aiutarvi con Mortimer?”

“È un libro antico, è il libro sacro degli angeli. Lì dentro c’è scritta la storia di tutti gli angeli che hanno volato su questi cieli e naturalmente c’era anche un accenno a te, Aidel”

“Aidel?” chiese sorpresa la ragazza, sentendosi chiamare con un nome sconosciuto.

“Aidel era il nome di tua madre…un grande angelo” disse Bastian, lasciandosi andare allo schienale della sedia come preso dai ricordi.

“Mia madre era un angelo? Anche lei?” domandò, stupefatta.

“Oh si, e anche tuo padre. Non lo sapevi?”

“No, decisamente no” disse, delusa che Gabriel le avesse omesso dettagli importanti come quelli.

“Beh, ora non parliamo di loro, piuttosto…”

“Perché a Gabriel sono state tolte le ali?”

A quella domanda l’uomo sbiancò visibilmente e con un tono basso rispose seriamente:

“Non sarò certo io a dirtelo Rebecca, sarà lui a farlo quando vorrà. Non è facile convivere con un peso così grande come quello che ha lui, mia cara. Al momento opportuno, se lo riterrà utile, farà in modo di metterti a conoscenza del perché, molto tempo fa, gli sono state tolte le ali e con quelle, il titolo pieno di angelo”

Rebecca ebbe una sgradevole sensazione, si sentiva a disagio. Non capiva cosa potesse aver fatto Gabriel di così orrendo per essere stato esiliato. Ciò nonostante continuò ad ascoltare l’uomo, con una certa fretta di andarsene.

“Domani stesso inizieremo il tuo addestramento, imparerai ad usare la spada, l’arco, il bastone, qualsiasi arma e ti verranno insegnati anche gli scontri corpo a corpo e le arti marziali che poi ti verranno più facili da praticare quando imparerai a volare”

La curiosità della ragazza si accese come una lampadina in una stanza buia.

“Imparerò a volare! Quando?” chiese impaziente, non vedendo l’ora di poterlo fare, immaginando già di sfrecciare in un cielo azzurro sopra a delle dense nuvole.

Da piccola faceva spesso dei sogni nei quali sapeva volare. Poi, quando si svegliava la mattina dopo rimpiangeva la notte appena trascorsa e ogni volta chiedeva disperata alla madre perché non era nata un uccello.

Già. Sua madre.

Suo padre.

Chissà come stavano…

L’eccitante notizia appena appresa lasciò il posto ad una sofferenza soffocante. Bastian dovette aver capito lo stato d’animo della ragazza, perché rispose alla sua domanda con un po’ troppo entusiasmo, gesticolando e sorridendo.

“La comparsa delle ali avverrà nel tuo corpo quando ci sarà una sufficiente concentrazione di magia per cui potrai permetterti uno sforzo tale per farle nascere”

“Nascere?”

“Oh sì, invocare per la prima volta le tue ali costa molto impegno, e molta magia deve scorrere nelle tue vene. Appena ti sentirai pronta loro compariranno magicamente. Ora sulla tua schiena non c’è nessuna traccia che ti faccia capire la loro presenza, nel momento in cui le chiamerai per la prima volta, quando dovrai richiuderle perché non ti serviranno più, formeranno una specie di involucro dove, in un certo senso, si raggomitolano”

“Si raggomitolano?”

“Sì, se ne staranno racchiuse in una sfera e poi saranno pronte per un nuovo utilizzo” sorrise sornione, soddisfatto della sua spiegazione.

“Capito. Io comunque inizio volentieri questo percorso di magia, apprenderò tutto quello di cui avrò bisogno, poi però mi dovrai spiegare un altro po’ di cose”

“Ad esempio?”

“Beh, per esempio io non ho mai ammazzato nessuno. Non sono capace di strategie né di mantenere il sangue freddo in certe situazioni. Sono stata sbattuta in questo posto che, fra virgolette, è anche il mio posto natale però…insomma, devo ancora abituarmi. Finchè si tratta di imparare da un maestro ok, poi però quando subentrerà la guerra vera e propria avrò bisogno di aiuto da tutti voi. Almeno dovrete farmi capire perché metto in gioco la mia vita, perché senza un motivo logico io non mi butto in pasto ai cani. Devo ancora capire perché sono qui”

“Lo capirai, Aidel”

“Perché mi chiami così? Il mio nome è Rebecca” disse, ringhiando.

“Perché è così che ti chiami”

“Avevo capito che si chiamava mia madre in quel modo”

“Anche”

Dopo un minuto di assoluto silenzio Bastian si alzò dalla sedia.

“Ora vai, Gabriel ti aspetterà fuori da questa porta”

Anche lei si alzò e strinse la mano grande e callosa dell’uomo. Stava per lasciare la stanza quando si bloccò con una mano sulla maniglia della porta.

“Chi mi addestrerà?”

Bastian alzò gli occhi da alcuni fogli che stava frettolosamente osservando.

“Gabriel”

“Ma non dovrebbe addestrarmi un angelo?” chiese, con un soppraciglio inarcato.

“Oh, è come se lo fosse. È come se lo fosse…”



***



Quando Rebecca uscì dalla porta si trovò in un piccolo corridoio in quella che doveva essere la più grande casa di tutto il villaggio, sempre e comunque molto piccola rispetto alle case che c’erano sulla Terra. I muri erano di legno scuro e dall’ufficio di Bastian aveva intravisto un’altra porta con una camera da letto.

Nel corridoio c’erano altre due porte.

Sicuramente un bagno e una cucina, pensò.

Anche se non era scontato che ci fossero i bagni all’interno delle abitazioni. Come di comune accordo, Gabriel l’aspettava appoggiato alla soglia dell’uscita e appena la vide le fece cenno di uscire con lui.

Fuori il cielo era ancora scuro.

“Anche voi avete fate uso degli orologi? Esistono le ore, le settimane, i mesi?” domandò la ragazza, chiedendosi in quel momento che ora potesse essere.

“Parli come se non avessi niente a che a fare con noi” disse lui, serio e inespressivo.

“Beh, sicuramente meno di quanto tu pensi. Dovrò farci l’abitudine prima di poter chiamare questo posto casa”

“Comunque sì, abbiamo le ore che corrispondono alle stesse della Terra, dato che Chenzo è una proiezione del tuo pianeta gli orari e le stagioni non cambiano più di tanto”


“Ma qui non ci sono né stelle né luna, e scommetto che neppure il sole sorge su questo mondo”

“Invece ti sbagli, le stelle raramente non compaiono, di lune ne abbiamo più di una ma appaiono solo in presenza delle stelle e il sole sorge e tramonta durante l’arco di una giornata”

“Che sfortuna però non poter vedere le stelle, ho beccato proprio la notte in cui non ci sono”

“Di solito le stelle splendono sempre. Solamente quando accade qualcosa di brutto non si presentano nel cielo”

Stavano camminando a zonzo nel villaggio quando Rebecca si bloccò.

“Vorresti dire che il mio arrivo è una cosa brutta? Porto sfortuna?” chiese, dimostrandosi offesa e imbronciata.

“Non intendevo dire questo” disse il ragazzo, guardandola stupito.

“Beh, l’hai detto. E pensare che devo anche sacrificarmi per voi…”

“Non ci sei solo tu su questo mondo, può anche essere che Mortimer abbia fatto qualcosa di orribile proprio questa notte”

“Beh, sarebbe più sensato” disse, e riprese a camminare fianco a fianco a Gabriel che le lanciava occhiate preoccupate.



***



“Dove stiamo andando?”

“Ti porto a casa” rispose impaziente Gabriel.

Era da più di dieci minuti che proseguivano a piedi e lei, continuamente come una macchinetta, non faceva altro che chiedere dove stavano andando. Forse lo faceva apposta, voleva vendicarsi e non aspettava un momento per torturare il ragazzo che ogni volta le rispondeva che stavano andando a casa.

“Dove stiamo andando?”

“A casa”

“Ma a casa dove? Io non ho una casa qui” ribatteva lei.

Vedeva che Gabriel non ne poteva più di lei e questo, in un certo senso, le dava una profonda soddisfazione. Ammirava Gabriel ma alcune volte non lo reggeva: troppo misterioso e calmo.
Proprio quando il ragazzo stava ormai per perdere la pazienza e risponderle male, arrivarono a destinazione.

“Siamo arrivati, rompi palle” disse Gabriel, incrociando le braccia al petto e restando fermo, guardando di sottecchi la ragazza che invece lo superò.

Rebecca non poteva crederci.

Aveva visto quasi tutto il villaggio (in quindici minuti lo giri tutto) e tutte le case che aveva osservato erano piccole, vecchie e antiquate. Tutte apparte quella del capo-villaggio che era invece la più grande e spaziosa. Ma quella…quella era troppo bella.

Un po’ fuori dal centro del villaggio la sua casa era grande, su due piani ed era così graziosa con la staccionata e i fiori bassi che non si meravigliò quando vide uscire dalla porta d’entrata la bella Rosalie.

“Ti piace, Rebecca? È la tua casa”



***

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Capitolo 6
*** Un posto chiamato casa ***


Cap. 6 - UN POSTO CHIAMATO CASA -

Superato lo stupore iniziale Rebecca ebbe il coraggio di avvicinarsi alla casa. Sulla soglia, Rosalie, l’attendeva stranamente allegra e gioiosa, indossava un completo assai curioso, doveva aver buttato i suoi bei jeans e averli sostituiti con una specie di tutina aderente alla mo di Lara Croft. Sembrava una guerriera coinvolta in un possibile attacco.

Bec la squadrò da capo a piedi e non solo perché quella tutina le metteva in risalto le forme perfette ma perché le rendeva più chiaro il motivo per cui era lì, quel vestito poteva benissimo essere usato per un carnevale a Phoenix ma in quel contesto non era un costume di scena, bensì di vita reale. Ora come ora la presenza della guerra si sentiva nell’aria e nelle persone, presente e instancabile.

Avrebbe dovuto indossare anche lei una cosa del genere? Come si sarebbe sentita? Consapevole che andava a combattere?

“Vieni” disse cordiale Rosalie, facendo entrare in casa la ragazza e schiacciandosi sullo stipite della porta per farla passare.

Mentre entrava Rosalie diede un’occhiata fugace al fratello che da quando era arrivato non aveva neppure per un secondo staccato gli occhi dalla figura della sorella.

“Entra, dai” lo intimò Rosalie, con meno vigore.

Quando Gabriel entrò non si aspettava che la casa fosse così luminosa, era rimasto nelle tenebre della notte allungo e ora la luce gli faceva male agli occhi, le pupille si restrinsero per permettere l’adattamento al nuovo ambiente.

Appena Gabriel posò lo sguardo impassibile su Rebecca, la trovò di schiena ferma in cucina. Da quella posizione poteva vedere le labbra della ragazza dischiuse per lo stupore.

“Chiudi la bocca” le disse, sgridandola.

Con un gesto non del tutto consapevole, chiuse la bocca.

Non si aspettava niente di tutto ciò, la casa non era grandissima, una cucina, un salottino, un bagno e una camera da letto dovevano essere le uniche stanze. Naturalmente nel piano terra c’erano solo la cucina e la sala con il bagno. Ovunque, mobili, muri, finestre, porte erano in legno scuro e i colori della tovaglia e dei divani erano chiari e coordinati all’arredamento. Lì c’era corrente elettrica e acqua calda, probabilmente avevano fatto di tutto pur rendere l’abitazione adatta a lei.

“Di solito le case a Chenzo non possiedono dei salotti ma per te abbiamo voluto qualcosa di speciale, così ti saresti sentita più a tuo agio in una casa che assomigliasse a quella che avevi prima” disse Rosalie, non capendo lo stato brado in cui Rebecca si era ridotta a forza di scrutare la stanza.

“Posso andare di sopra?” domandò la ragazza, curiosa di sapere come Rosalie avesse arredato le camere da letto.

“Fai pure, è casa tua” disse Gabriel, passandole davanti, prendendo posto in una sedia sulla tavola e addentando un pezzo di pane con un po’ troppa confidenza dell’ambiente.

La ragazza lasciò i due e con una curiosità allucinante percorse le scale scricchiolanti. Il piano superiore era grande come quello inferiore ma quando, nel corridoio, notò due porte a destra e due porte a sinistra le sorse un dubbio.

Come mai tutte quelle stanze per una persona sola?

Pian piano, aprì la prima porta e man mano che andava avanti a scoprire le stanze impallidì.



***



Rebecca percorse le scale correndo e il legno sfogava la sua furia facendo scricchiolare i gradini così forte che si sarebbero potuti rompere come carta.

Non fece in tempo a trovarsi a metà scala che sentì la voce nitida di Rosalie urlare qualcosa verso Gabriel.

Nel sentire la voce della ragazza alzarsi di tono, rallentò, bloccandosi, in attesa di capire il motivo di quella lite così accesa. La scena che le si presentò davanti era quella di una Rosalie furiosa, in piedi, che aggrediva un Gabriel seduto sul divano del tutto indifferente e annoiato.

“…e ora è tutta colpa tua! Te ne rendi conto?! Sei arrivato troppo tardi, accidenti!”

La cosa stava degenerando, decisamente. Appena un movimento falso provocò un altro scricchiolio nei gradini la scena s’interruppe e i volti dei due fratelli si posarono velocissimi sulla figura immobile sulle scale.

“Che succede?” chiese la ragazza, intimidita dai toni aggressivi che Rosalie aveva usato.

Gabriel ovviamente se ne stava zitto e fermo, fissandola in silenzio.

“Niente. Niente” disse Rosalie, gesticolando con le mani come se stesse scacciando una mosca invisibile. “Hai bisogno di aiuto?” le chiese, con un sorriso teso, ignorando lo sbuffo di Gabriel.

“Sì, ecco, io volevo sapere come mai ci sono due camere da letto. Non hai detto che la casa è mia?”

“E quando mai! Certo che è tua, è anche tua”

Anche? Chi è l’anche?”

Rosalie ammutolì e il suo sguardo indugiò un po’ troppo allungo su Gabriel, che teneva gli occhi bassi e sembrava molto concentrato su un’unghia delle mani.

“Cosa?! Rosalie, mi stai per caso dicendo che…?!”

“Sorpresa!” cantilenò Gabriel, fingendosi entusiasta e roteando gli occhi.

“No. No. Non può essere, non lui. No” mormorò Rebecca, e picchiettò il palmo sulla fronte.

Quello sicuramente era un incubo.



***



L’idea della convivenza era un peso schiacciante e opprimente. Dopo aver reagito negativamente alla notizia, Rebecca, si accasciò sul divano arrendevole.

Tutto era lontanamente diverso da come lei se l’era immaginato. Non voleva condividere la casa con Gabriel, lui era una sorta di protettore, di maestro, una guida da seguire. Di certo non pensava che avrebbe dovuto convivere con lui sotto lo stesso tetto. Dopotutto, sebbene fosse così austero, era pur sempre un ragazzo di diciannove anni con tanto di ormoni adolescenziali. Lui una volta le aveva parlato di immortalità, del fatto che da quando si diventa angeli si acquisisce automaticamente l’eterna giovinezza ma l’idea di diventare immortale non l’attirava granchè ora come ora.

Una vita eterna con Gabriel.

Rebecca rabbrividì al solo pensiero.

Lei non era di certo una ragazza che puntava sulla bellezza o che ogni mattina si guardava allo specchio per scoprire se le erano spuntate delle rughe! Lei voleva crescere, invecchiare ma soprattutto voleva sposarsi e avere dei figli…tutto questo finchè era sulla Terra. Chissà se anche a Chenzo il matrimonio veniva concepito come un sacramento di unione religiosa. Senza contare il fatto che se fosse diventata immortale automaticamente non avrebbe potuto diventare madre, in quanto non si può far nascere un bambino di per sé immortale.

Un pensiero però, più di tutti, le metteva paura: Gabriel era pur sempre un ragazzo.

E che schianto di ragazzo, porca miseria.

La probabilità di un amore non doveva esserci, anche perché Rebecca contava che prima finiva quella cavolo di guerra, prima se ne poteva tornare a casa.

Solo restando a Chenzo avrebbe imparato l’uso della magia e una volta tornata sulla Terra avrebbe saputo come trovare i suoi genitori, ridarli la loro memoria e infine costruirsi un futuro.

Bec spostò lo sguardo verso Gabriel che, anche lui seduto sul divano, continuava a guardarsi le mani. Questo la mandò in bestia. Lo irritava, non sopportava il suo modo da “chi-se-ne-frega-del-mondo-intorno-a-me” che aveva, la sua arroganza e le sue frasi fatte. Il menefreghismo che aveva quando si parlava di qualcosa d’importante e la sua impassibilità ai sentimenti umani. Il suo estraniarsi da tutto e da tutti facendoti sentire sempre inadeguata a lui, come se solamente i più forti potessero entrare nel suo mondo immaginario e capirlo mentre i comuni mortali restavano a guardarlo così: assorto nei suoi pensieri.

Si mise seduta con la schiena dritta e lo fulminò con gli occhi.

“Tu non dici niente a riguardo o sei troppo impegnato a mangiarti le unghie?”

Il ragazzo alzò lentamente, molto lentamente, gli occhi e la guardò scoccandole uno sguardo irritato.

“Che c’è da dire? Mi sembra che non ci sia niente da capire sul fatto che abiteremo insieme” disse, altezzoso.

Rebecca ringhiò e Rosalie, che fino ad allora era rimasta in piedi, riuscì ad attirare l’attenzione dei ragazzi.

“Io vado. È notte fonda e sinceramente ho sonno. Buona notte, ci vediamo domani mattina per il tuo allenamento, Rebecca”
 
“Subito inizio? Così, di pacca?”

“Oh si, prima finiamo meglio è”

Rosalie scomparve dalla porta con un sorriso amaro e il silenzio calò nella casa. Bec si rigirava nervosa le mani in grembo, lanciando occhiate nervose alla stanza.

La ragazza non si aspettava certo che la convivenza forzata andasse bene, ma lei avrebbe cercato in tutti le maniere di comportarsi nel miglior modo possibile.

Se si fosse arrabbiata avrebbe cercato di tenere a bada il suo pessimo sarcasmo, le frecciatine e la sua impulsività.
La ragazza era sempre stata irascibile, e con la scusa che era figlia unica e i suoi genitori lavoravano praticamente tutto il giorno, aveva imparato ad essere indipendente e aveva creato una sorta di impulsività dovuta all’enorme rancore che provava e alla mancanza d’affetto.

Lei era fatta così, quando succedeva qualcosa di poca rilevanza se ne stava zitta e tutta la rabbia l’accumulava dentro di sé, n’anche avesse un serbatoio di aggressività, ma quando il serbatoio era pieno e una sola goccia entrava nel vaso…lei poteva esplodere, ma non con scenate da ragazzina capricciosa bensì con insulti e attacchi piuttosto mirati e controllati.

Pochi anni prima aveva praticato difesa personale e molti movimenti le erano pure tornati utili quando doveva sfogarsi sul suo sacco da boxe. Aveva poi preso parte a delle lezioni di karate e quando tutto diventata astioso e difficile lei si sentiva ugualmente forte. Forse era vero che avrebbe imparato in fretta a combattere, si sentiva carica e potente come se nelle sue vene scorresse un’elettricità esplosiva.

Prese un respiro e si alzò.

“Posso andare in giro come se fosse casa mia, no?”

“Certo. È casa tua”

Anche Gabriel si era alzato e stava andando di sopra con il suo solito passo silenzioso.

Certo che il ragazzo poteva dimostrarsi anche un pochino più presente! La trattava come un’estranea, lo stesso comportamento che un insegnante assume con un suo allievo: diplomatico e carente di parole carine.

Rebecca andò in cucina tenendo le orecchie ben aperte cercando di capire dove potesse essere Gabriel.

Iniziò ad aprire ante e scaffali a caso finchè non trovò una dispensa che conteneva qualcosa che assomigliava lontanamente a del cibo. Più che altro sembrava a del cibo in scatola, solamente che la scatola era di legno ed era morbida. Sulla Terra non esisteva del legno morbido.

Rebecca scrollo un paio di volte le spalle e decise di andare al piano superiore, la curiosità la stava uccidendo. Aveva sempre vissuto con i suoi genitori e trovarsi a condividere la casa con un ragazzo estraneo la faceva sentire irrequieta, necessitava di sapere ogni suo spostamento.

Stava diventando una specie di comportamento ossessivo compulsivo?

Sì, può essere.

Il corridoio era sempre buio e una luce illuminava la sua fine. La porta era spalancata e Gabriel era seduto dando le spalle alla porta. Era un piccolo studio con una scrivania e delle librerie, molto simile a quello di Bastian. Bec entrò tranquillamente e si andò a sedere su una poltrona rossa di fianco alla scrivania.

Più che sedersi la ragazza si accasciò in una maniera assai poco carina, il termine corretto sarebbe: “si lanciò sul divano come un paracadutista si butta nel vuoto”: schiena supina e gambe in aria appoggiate allo schienale, tipica posizione pre-dormita.

Gabriel alzò lo sguardo da un libro enorme e la guardò con aria di dissenso.

“Non si bussa prima di entrare?” chiese, stizzito, non approvando quella posizione così scomposta e inadatta ad una ragazza.

“La porta era aperta” disse distrattamente Rebecca, osservando il soffitto.

“Almeno avverti”

“Non hai detto che è anche casa mia? Io a casa mia mica busso quando devo spostarmi…beh, apparte quando vado in bagno” disse, e subito rimase con il fiato sospeso.

Non ci aveva pensato al fatto che avrebbero dovuto anche avere un unico bagno in comune.

L’immagine di lei che apriva la porta senza bussare e di Gabriel mezzo nudo in bagno le arrivò chiara e nitida nel cervello e avvampò del tutto.

“Che c’hai?” chiese Gabriel, che aveva notato il cambiamento di colore sulle sue gote pallide.

“Niente” rispose lei, presa dal panico.

Sarebbe molto più facile se la smettessi di guardarmi così, pensò Bec irritata.  

Gabriel provò a leggerle nel pensiero e sentì che la rabbia stava aumentando inspiegabilmente quando non ci riuscì.

Odiava, odiava, odiava non riuscire a leggerle i pensieri.

Anche in quel momento, che stava provando? Perché arrossiva? Aveva detto qualcosa che l’aveva messa a disagio?

Stanco e annoiato chiuse il grosso tomo e annunciò che lui se ne andava a letto.



***



Silenziosamente, camminando in punta di piedi, Rebecca uscì dallo studio e si diresse verso la camera da letto. Durante il giro di ispezione appena arrivata aveva notato due camere da letto, una aveva i muri con le pareti in legno azzurro (esisteva il legno azzurro?) mentre l’altra era sui colori tenui del bianco. Bec optò la seconda stanza, trovando la prima troppo…maschile, ecco. I muri azzurri, il letto squadrato e l’arredamento spoglio si addiceva di più ad un ragazzo che non ad una giovane signorina.

Entrò nella stanza sempre senza fare rumore e decidendo che non occorreva accendere la luce dato che uno spiraglio illuminava comunque si diresse dritta a letto. Proprio mentre si trovava nelle sponde del grande letto a baldacchino si rese conto che era ancora vestita in jeans e maglietta.

Cavolo, il pigiama.

E ora che m’invento?


Nella fretta funesta aveva ovviamente dimenticato cose tipiche come il pigiama, necessario se devi fare un viaggio, se poi bisogna anche trasferirsi peggio che peggio.
Ora che ci pensava non aveva portato niente con sé e l’idea di dover stare per tutta la vita con i soliti jeans e t-shirt addosso le mise agitazione. Lei, abituata al lusso e ai vestiti costosi, allo shopping settimanale con la madre, come poteva concepire un solo capo d’abbigliamento forever? Senza contare alla biancheria, le scarpe, i calzini…

Oddio…

Il panico totale s’impadronì di lei. Ma non aveva voglia di star lì a rimuginarci sopra alla questione, l’indomani avrebbe chiesto aiuto a Rosalie, bella com’era avrebbe certamente avuto un decente corredo di vestiti. Però una cosa non avrebbe mai indossato, nemmeno una volta, quegli orridi vestiti lunghi stile ottocento. Di questo ne era certa.

Si allontanò dal letto per vedere se per caso, dentro all’enorme armadio beige, ci fossero indumenti che assomigliassero ad un pigiama, si sarebbe sennò accontentata di una tuta…ma purtroppo il mobile era vuoto. Non stette a pensare a nient’altro e in meno di dieci secondi si spogliò dei jeans e della maglietta, rimanendo in slip e canottiera. Cercò di lisciarsi i capelli e si coricò a letto.

Non era abituata ad avere un letto così grande, cioè, lei dormiva nei letti a due piazze ma quello sembrava ne avesse quattro! Sentendosi persa in quella stanza si tirò le coperte fin sotto al mento e si accucciò nella sponda, che per poco non rischiò di cadere fuori. Il buio era innaturale, ci vedeva e non ci vedeva. Aveva visto l’armadio e la sponda del letto ma non era riuscita ad inquadrare bene tutta la stanza.

Con le palpebre che ormai erano diventate pesanti come due mattoni decise di abbandonarsi ad un sonno che fosse il più lungo possibile.



***



La serie di rumori che si susseguirono avvennero sempre durante quella notte. Rebecca non era ancora certa di essere del tutto sveglia ma giurava, nella dormiveglia, di sentire qualcosa muoversi nel letto. Era troppo stanca e forse stava sognando. Non erano poi dei rumori che lei avrebbe definito pericolosi, sembrava piuttosto che qualcosa o qualcuno stesse strisciando sulle coperte, nella sponda opposta a dove lei stava rannicchiata.

Nonostante lei cercasse di rilassarsi, giustificando i fruscii con il vento o con qualche animaletto, non riuscì a riprendere sonno, anzi, stava iniziando ad agitarsi. Si stava autoconvincendo che tutto andava bene finchè non sentì qualcosa sfiorarle la gamba nuda.

La cosa era dentro al letto ed era pericolosamente vicina a lei. Era paralizzata, non osava muoversi per la paura che le mordesse un piede.
Per illuminare la stanza avrebbe dovuto accendere l’interruttore ma era troppo distante e rischioso. Bisognava che facesse qualcosa di scattoso, veloce ma che al tempo stesso ci vedesse e non corresse il rischio di trovarsi sbattuta contro un tavolino o un comodino che ignorava l’esistenza.
Le coperte si alzarono improvvisamente, animate, come se stessero fluttuando. Entrò nel letto un’ondata di gelo e poi le coperte si riabbassarono. La cosa si mosse ancora e il letto cigolò.

Ok, non era il momento di fare la fifona. Dopotutto avrebbe dovuto affrontare il Male fatto in persona, non doveva intimidirsi di fronte a qualche piccola bestiolina.

Con un’attenzione fenomenale scese dal letto senza fare nessun tipo di rumore che facesse capire la sua presenza in quella stanza. Con le mani che le tremavano tastò se per caso c’era un comodino accanto.

Le sue mani toccarono un tavolo molto piccolo che doveva avere la forma circolare.

Eccoti!

Una volta trovato cercò qualcosa di abbastanza duro per buttarlo addosso alla cosa, possibilmente facendole del male, molto male.

N'anche dormire posso.

Le sue dita si trovarono a sorreggere un palo con in cima due biforcazioni.

Un candelabro.

Sempre meglio.

Ora, oltre ad aver trovato qualcosa di appuntito, aveva trovato la luce. Avrebbe acceso, velocissima, l’interruttore, giusto il tempo di vedere cosa c’era nel letto e poi, senza il minimo dubbio a riguardo, gli avrebbe scaraventato addosso il candelabro. Sicuramente l’avrebbe tramortito.

Te le faccio vedere io le stelle…

Appena Rebecca prese saldamente il candelabro, appoggiò le dita sull’interruttore.

Beh, premesso che il piano era ottimo…dalla fretta e dalla paura folle la ragazza non fece n’anche in tempo ad accendere la luce che non ebbe il coraggio di guardare cos’era la cosa schifosa sul suo letto e si era messa a lanciare, con tutta la sua forza, la candela contro la parte in fondo del letto.

Seppe di aver centrato il suo bersaglio dall’urlo disumano che sentì. Con la luce che aleggiava nella camera vide una figura che scattò in piedi e che iniziò a massaggiarsi la testa, ma non riusciva bene a capire chi fosse. Riusciva solo a intravedere immagini nell’effetto di luce-ombra.

Capì che qualcosa non andava quando le parve di riconoscere la voce.

La luce saltò e la camera piombò nel buio più totale. Tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans a terra un accendino e con uno strano nodo in gola puntò la luce verso il letto. La scena che vide la impietrì, lasciandola a bocca aperta. Gabriel era schizzato in piedi e una smorfia di puro dolore gli trapassava il bellissimo viso. Con una mano si massaggiava un punto indefinito della testa, dove probabilmente era stato colpito dal candelabro.

Rebecca era in piedi dall’altra parte del letto e con l’accendino ancora in mano. Uno sguardo da ebete stampato in faccia.

“Ma che diavolo credevi di fare? Sei pazza?!” urlò, fuori di sé il ragazzo.


“Oddio…”

L’enorme groppo che aveva in gola, e che lei credeva fosse un pianto nervoso, uscì come una fragorosa risata.

Rebecca cominciò a ridere, piegata in due e non riusciva più a fermarsi davanti alla faccia stupita e furiosa di Gabriel. Si portò una mano allo stomaco e i dolori alla pancia cominciarono ad essere insopportabili.

“Che cavolo ridi?!” il volto contratto dalla rabbia.

“Scusa…è solo che…ti avevo scambiato per un bruco gigante!”

Bec gli puntò un dito contro e ormai aveva le lacrime agli occhi.

Il ragazzo la prese come un’offesa personale, rimase serio e aspettò che lei si calmasse. Ci volle un bel po’ prima che Rebecca riprendesse il controllo. Non aveva mai riso tanto e ora che l’aveva fatto provava una sensazione di liberazione e di spensieratezza che la fecero sentire bene.

Quando si calmò aveva comunque ancora degli scossoni post-risata.

“Hai finito?” domandò Gabriel, in una maschera di odio.

“S-Sì” balbettò, non del tutto sicura che la sua calma apparente potesse durare ancora per molto.

“Perché eri nel mio letto? Dico, non hai visto che c’ero io?”

“Sinceramente non sapevo che era la tua camera e poi con questo buio non ho visto proprio niente. È solo che…”

“Solo che…?”

“È solo che mi ricordavo che l’altra stanza era azzurra e quindi avevo dedotto che ci fossi tu, visto che ai ragazzi piace…quel…colore…”

Ecco, stava per arrivare un altro attacco.

“Smettila!” sbraitò, incavolato.

“Che vuoi?!” chiese Rebecca fingendo di non capire, anche se si vedeva benissimo il suo sforzo nel cercare di non riderli un’altra volta in faccia.

“Continui a ridere come una bambina!” disse lui, scuro in volto.

“Non…ci posso…fare niente…”

E ancora che riparte, ma questa volta la risata fu molto più breve dato che lo sguardo omicida del ragazzo le spense il sorriso.

“Vedi di darti una calmata”

Ovvio, si era offeso.

“Scusa” e questa volta era sincera.

Gabriel si rilassò.

“Allora, ti decidi ad andare via?” chiese il ragazzo, spazientito dall’aspettare in piedi (che, tra parentesi, era con solo i boxer addosso).

La ragazza spalancò gli occhi.

“Non ci penso nemmeno, sei tu l’uomo e a te tocca la camera azzurra!”

“Cos…? Ok, allora me ne vado”

Stava già percorrendo il letto aggirandolo quando lei lo bloccò con le parole.

“N’anche per sogno, me ne vado io!”

I due si guardarono malissimo, nessuno dei due voleva darla vinta all’altro.

“Allora io resto” afferma Gabriel.

“Non è giusto! Questa camera mi spetta di diritto!”

Gabriel e Rebecca si guardarono allibiti.

Alla fine dormirono nella stessa camera con le adeguate distante di sicurezza.



***



Il giorno seguente fu parecchio difficile per Rebecca, la sveglia era prestissimo e la colazione che aveva preparato Gabriel era orrenda.

“La tua cucina è pessima!” lo aveva sgridato.

Gabriel si era subito infervorato, sentendosi punzecchiare nel profondo.

Dopo aver mangiato i due erano usciti e alla luce del sole il villaggio era ancora più bello, immerso nella natura e nel verde dei boschi, l’unica pecca era che tutti i passanti appena la vedevano passare per le strade smettevano di fare quello che stavano facendo e si mettevano a guardarla insistentemente.

“Ehm, dove stiamo andando?” domandò la ragazza, dando continue occhiate alla gente.

“Da Rosalie” rispose, secco.

Forse ce l’aveva ancora con lei per l’offesa recatagli durante la colazione, o per via dell’incidente del letto.

A quel ricordo rise di nuovo. Era una cosa troppo ridicola e stupida per non ridere. Dovette mettersi una mano sulla bocca per tappare il sorriso smagliante che aveva stampato in faccia, altrimenti se il ragazzo se ne fosse accorto l’avrebbe ammazzata facendolo passare per un incidente.

Infatti se ne accorse.

“Quando fai così mi irriti” disse, continuando a camminarle accanto, senza degnarla di uno sguardo, se non di occhiate veloci e intimidatorie.

“Mi scusi, maestro”

Ovviamente Bec scherzava. Da quando aveva perso i genitori, lasciato la Terra e dimenticato parte della sua vita aveva sviluppato un senso dell’umorismo formidabile. Dopo tanto dispiacere e tante lacrime, lei stessa sentiva la necessità di sentirsi felice in modo da renderle ancora piacevole la vita.

“E non chiamarmi maestro, non sono il tuo maestro e nemmeno voglio esserlo”

Oh, ma non gli va bene niente!

“Allora come vuoi che ti chiami? Gabri?”

Capì di aver detto la cosa sbagliata quando gli occhi glaciali di Gabriel la scrutarono con fastidio.

“Tu come chiami gli amici?” disse, e un lieve sorriso si distese sulle sue labbra.

“Con i loro nomi…” non era sicura di dove il ragazzo volesse andare a parare ma tutto un tratto si sentiva più allegra.

“Allora chiamami con il mio nome”

Beh, almeno era stato tenero.

Finchè erano sulla Terra le veniva spontaneo chiamarlo con il suo nome ma da quando aveva scoperto che sarebbe stato il suo maestro e aveva capito che lui, del ragazzo normale non aveva niente, aveva iniziato a vederlo come un vero e proprio insegnate, dimenticandosi che, nonostante la sua saggezza rimaneva comunque un giovane. Ma in fondo era anche dolce.

Spiazzata dalla sua risposta e dall’intimità che si stava creando Rebecca rispose esitante e imbarazzata.

“Ok, Gabri…”

“Gabriel! No Gabri!” sbraitò.

Ok, io lo ammazzo.



***



La casa di Rosalie era…beh, era come la padrona: semplice, decorata con eleganza e incredibilmente bella. La sua era però più piccola, solo più tardi Rebecca scoprì che la ragazza condivideva la casa con un’altra donna, che poteva avere sulla quarantina.

“Come mai Rosalie vive con una donna che non è di famiglia?” bisbigliò Rebecca, all’orecchio teso di Gabriel.

“È la donna che ha cresciuto me e Rosalie quando i nostri genitori sono morti” le spiegò il ragazzo.

Da quello che aveva capito Gabriel e Rosalie, fratelli di sangue, erano rimasti orfani dalla nascita e solamente questa signora: Adele, aveva avuto il fegato di portarli a casa sua e di crescerli come figli suoi, dato che lei di figli non ne aveva. E non era n’anche sposata, sempre che il matrimonio esistesse.

Allora la casa non era di Rosalie ma di quella signora. Bec non vide quel giorno Adele perché entrambi i fratelli dissero che era via ma qualcosa di incredibilmente losco stuzzicava la sua curiosità su quella donna. L’istinto le diceva che avrebbe dovuto fare la sua conoscenza non appena questa fosse tornata.

“Quando torna?” chiese, Rebecca.

“Non lo sappiamo. Ogni tanto parte, non dice niente a nessuno e poi torno stanca e più vecchia di prima” disse Gabriel, in pensiero.

Ormai i tre erano già in casa e comodamente seduti in cucina. Il sole, fuori, batteva e scottata.

“Andiamo” annunciò Rosalie. “Che devi iniziare l’allenamento, no Gabriel?”

Rosalie chiese la conferma al fratello che, prontamente, le fece segno di sì con la testa.

“Ah! Prima che mi dimentichi…Rosalie, per caso non hai un vestito per me? Non posso starmene con i jeans e maglietta”
Sapeva quanto Rosalie la capisse in fatto di moda. La ragazza si sbattè una mano in fronte e sorridendo ripetè continuamente:

“Me ne stavo dimenticando…me ne stavo dimenticando…”

Rosalie scattò dalla sua sedia e per due buoni minuti sparì dalla stanza. Quando tornò, per l’orrore di Rebecca, teneva in mano una tuta simile alla sua. Faceva tanto eroina, paladina…o semplicemente faceva Carnevale.



***

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Capitolo 7
*** La minaccia ***


Cap. 7 - LA MINACCIA -

“Rosalie! Te lo puoi pure scordare che io indossi quella specie di…di…di calza!”

“Cosa?! Non è una calza! È una tuta da guerra, un’uniforme, credo che dovresti iniziare a comprendere in che situazione ti trovi!”

“Ma non con addosso quella roba! Non devo andare mica sulla luna! Oddio, ti prego! Non farmi questo, mi vergognerei troppo!”

“Non se ne parla”

“Ma…ma non conta quello che voglio io?!”

“Smettila di fare la bambina viziata”

“Non dirmi cosa devo fare, Gabriel!”

“Io ti dico cosa devi fare dato che sono…”

“Smettila! Non ti voglio ascoltare!” Rebecca si tappò le orecchie e iniziò a cantilenare un’assurda canzone per non ascoltare i due ragazzi.

Vaneggiano.

Tutti vaneggiano in questo posto!

“Rebecca, è solo un’uniforme!” esclamò esasperata, Rosalie.

“È un carciofo gigante!”

“Io me ne vado” disse Gabriel, stufo del casino che si stava creando, uscì dalla stanza con le mani in tasca e un’aria frustrata.

“Bravo, scappa!” gli urlò dietro la ragazza, ma lui non le diede nemmeno retta e tralasciò tutta la sua serie di imprecazioni.

Rimase solo Rosalie, guardandola con aria affranta.

“Cosa devo fare con te?” sussurrò, demoralizzata.

“Non farmi indossare quel coso, è semplice”

“Ma tu ti rendi conto che non puoi addestrarti con addosso i jeans, vero? Lo sai che dovrai lavorare col fuoco, maneggiare gli elementi della natura, uccidere, affrontare mostri e sopportare l’apnea sott’acqua. Non puoi farlo se non hai i vestiti adeguati. Vuoi morire mentre ti alleni perché invece di interagire con le fiamme ti si bruciano i pantaloni? Io se fossi in te non avrei nemmeno il coraggio di correre con i jeans, se ci fosse una creatura che t’insegue verresti annientata subito, brutalmente, lentamente…per la tua scarsa agilità e competenza. Sarai ostacolata in tutto e rischierai di morire”

“Ok, mi hai convinta”



***



“Che stiamo aspettando?” domandò Gabriel, spazientendosi.

“Che esca” disse Rosalie, freddamente.

Aveva ancora una questione in sospeso con suo fratello.

La tendina che separava Bec dagli altri si scostò e la ragazza uscì dal separé con gli occhi bassi per la vergogna. Si sforzò comunque di fare un sorriso, anche se non molto convincente.

“Allora, come sto?”

Beh, non si poteva dire che la ragazza non avesse avuto un bel fisico ma con quella tuta stretta tutte le sue curve erano messe in estrema evidenzia. L’uniforme era bianca, sintetica ed era intera, si allacciava da dietro con una zip e la vita, caviglie e polsi erano disegnate da delle righe nere, in pieno contrasto con il colore candido.

“Beh, secondo me è perfetta” disse Gabriel, fiero della ragazza, ammirandola sbalordito.

Rosalie aggrottò le soppraciglia lanciando uno sguardo divertito verso il fratello.

“Già…”

Gabriel mise il broncio.

“Che vuoi, tu?” sbottò rivolto a Rosalie, che se la rideva tra sé e sé. “È la verità”

“Si, certo certo”  

Fortuna volle che Rebecca non avesse seguito i battibecchi dei due fratelli e continuava, come un’ossessa, ad ammirarsi. Quel vestito era senza dubbio troppo attillato per i suoi gusti e anche se aveva un bel fisico magrolino e  ben proporzionato si sentiva ugualmente a disagio. Le sembrava di essere nuda, forse perché l’effetto che quell’indumento dava era quello di sentirsi totalmente libera, come se avesse avuto una seconda pelle, come se addosso non avesse niente. I movimenti potevano essere compiuti in maniera fluida e del tutto agiata.

Almeno quella era una bella cosa, basta jeans che stringevano e magliette troppo corte.

Rebecca si portò le mani al ventre e toccò la stoffa della tuta.

Doveva essere super resistente perché provò a pizzicarne la superficie ma le sembrò di tastare una solida roccia.

“Ok, ora che l’ho provata posso toglierla?” chiese, più rivolta a Rosalie che non al ragazzo.

“Naturalmente, sappi che questa tuta ti servirà nei combattimenti, nelle missioni e nelle prove di addestramento. Per quanto riguarda il tuo look nel tempo libero…seguimi”

Le due ragazze arrivarono nella camera da letto di Rosalie e quando lei aprì l’anta del suo bellissimo armadio tirò fuori una scatola rosa con dentro dei vestiti.

“Tienili, c’è un po’ di tutto” disse, sorridendole.

“Grazie, ma non avresti dovuto”

“Di niente, Rebecca! Sempre che anche a te vadano bene”

“Beh, avrò all’incirca la tua taglia, dovrebbero per forza andarmi bene”

“Non sono miei”

“Ah no?” Rebecca ne fu sorpresa.

Certo, di Gabriel non sono.

“Sono di Adele”



***



Dopo aver ringraziato Rosalie, Bec ritornò con Gabriel alle calcagna verso il villaggio. Il centro del villaggio consisteva in una misera piazza, spoglia e circondata dalle altre case, l’unica cosa che rendeva quella piazza il vero e proprio centro del paese era la presenza di una deliziosa fontana circolare. L’acqua sgorgava e mandava degli spruzzi che, vivaci, zampillavano di qua e di là.

Gabriel si fermò.

“Perché ti sei fermato?”

“Dobbiamo aspettare Bastian, anche lui viene con noi”

“Per cosa?”

“Per assistere al grande evento”

“Quale evento?”

La ragazza iniziava a scaldarsi mentre il ragazzo continuava a parlare con la stessa, insolita calma.

“Il tuo addestramento. Bastian dovrà pur vedere a che livelli è la nostra nuova eroina”

“Oh no! Io non so proprio arrivare a nessun livello! Farò una pessima figura, perché non me l’hai detto prima?! Oddio, che vergogna…”

“Smettila di lamentarti” disse il ragazzo, che ormai si era seduto sulla sponda della fontana e i suoi profondi occhi azzurri osservavano un punto indefinito dietro l’agitatissima ragazza.

Rebecca era scioccata, spalancò la bocca ed emise un sospiro offeso. Decise di dargli le spalle e come se niente fosse si allontanò da sola.

“Dove credi di andare?” chiese Gabriel, annoiato.

“In un posto che sia più lontano possibile da te, razza di ghiacciolo senza cuor…”

Continuando ad imprecare contro il ragazzo andò a sbattere contro il petto muscoloso di un uomo.

“Aidel, attenta a dove metti i piedi” disse affettuosamente Bastian. “Stavo giusto venendo per il mio primo appuntamento con una certa guerriera di grande fama”

Ancora mortificata per quello che era successo Rebecca tentò di scusarsi dell’orribile figura fatta con il capo-villaggio.

Gabriel si alzò dalla sponda malvolentieri e raggiunse i due poco più avanti, quando fu vicino a Rebecca e abbastanza lontano per non essere sentito da Bastian le sussurrò in tono canzonatorio:

“A quanto pare ti riesce bene andare addosso alla gente”

“Andiamo!” urlò Bastian, con una grande sorriso stampato in faccia.

Rebecca osservò la scena: Bastian davanti a lei che si sbracciava per attirare la sua attenzione, un sorriso enorme e tanta, tanta voglia di fare.

Dietro a Bastian, Gabriel, aveva le mani in tasca e anche lui la guardava ma nessun sorriso solcava le sue guance, semmai uno sguardo molto più profondo e voglioso.



***



Il campo di addestramento consisteva in una distesa di erba verde, arrivavi tramite il bosco che circondava il villaggio che con la sua fitta vegetazione e i suoi alberi che rendevano l’ambiente ombroso e magico. Davanti a loro un altro bosco si estendeva, mentre a sinistra c’era una ripida parete rocciosa. A destra invece…l’infinito.

L’infinito nel vero senso della parola, perché quella distesa di erba si perdeva all’orizzonte, dove il sole sorgeva e tramontava e non c’era né un solo albero né niente di niente, solo erba e terra per chilometri e chilometri.

“Uau…” Rebecca ne rimase estasiata, non aveva visto mai nulla simile a quello. Si sentiva selvaggia, indomata, libera.

In quell’occasione Rebecca indossava un paio di pantaloni marroni, lunghi e resistenti e un bustino sempre marrone con maniche a ¾. I capelli erano sciolti e svolazzavano al vento. Rimase ferma mentre Gabriel le si parava davanti. Bastian invece si sedette per terra con la schiena appoggiata alla parete rocciosa.

“Tieni” disse Gabriel alla ragazza, lanciandole un bastone che lei, prontamente, prese al volo.

Bastian sembrava agitato e non vedeva l’ora di constatare la forza fisica della ragazza.

La ragazza, vedendo che anche Gabriel aveva magicamente fatto spuntare per sé un bastone e si stava mettendo in posizione d’attacco, gli chiese piano per non farsi sentire:

“Ma che devo fare?”

Lanciava occhiate nervose al capo-villaggio, sperava che non l’avesse sentita chiedere aiuto al ragazzo. Trovarsi impreparata e inadeguata già dal primo giorno di addestramento non era una bella presentazione di sé stessa. Ne sarebbe andato della sua dignità.

Gabriel mandò a quel paese la sua dignità nel momento in cui le disse:

“Stupiscimi”

Cosa?

Che vuol dire “stupiscimi”?!

Prima che Bec se ne potesse rendere conto il ragazzo, velocissimo, si era slanciato in avanti, il bastone impugnato saldamente, pronto ad attaccare.

La paura e lo stupore improvviso fecero azionare qualcosa di inaspettato in lei. Gabriel le era a pochissimi centimetri quando, inaspettatamente, tutto iniziò ad andare a rallentatore. Le sue pupille di dilatarono e l’occhio divenne una sfera nera. Approfittando della sua nuova vista Rebecca evitò facilmente il colpo del ragazzo. Con una faccia stupita continuava a guardare la scena che si muoveva a scatti lenti e ben definiti, poteva persino sentire il respiro di Gabriel e lo scalpitare delle foglie sotto i suoi piedi.

La situazione a suo favore purtroppo durò poco, la vista tornò normale e la scena riprese a scorrere normalmente.

“Brava” disse Gabriel, che aveva capito cos’era successo e che forse le avrebbe anche potuto spiegare il come.

Il ragazzo non si fermò in chiacchiere. Riprese più aggressivo di prima e Rebecca notò che era veramente forte quel biondino dagli occhi di ghiaccio. Com’era successo prima, anche in quel momento Rebecca ebbe la capacità di fermare il tempo e di rendere tutti i movimenti lenti e rallentati. Scivolò via ed evitò anche tutta una serie di colpi che il ragazzo cercò di infliggerle.

Gabriel stava iniziando ad innervosirsi e anche se gli sarebbe piaciuto andarci giù pesante doveva comunque contenere la sua forza per non ferire troppo la ragazza. Se Gabriel perdeva il controllo o s’impegnava seriamente poteva essere distruttivo.

Era l’angelo più forte che ci fosse, subito dopo Mortimer.
Cercò quindi di reprimere l’impulso che aveva nel saltarle letteralmente addosso o di scagliarle contro un incantesimo, anche se il suo orgoglio maschile reclamava vendetta.

Rebecca non osava attaccare Gabriel, cercava semmai di difendersi o di evitare i colpi. Le riusciva molto bene la difesa e non capiva perché avrebbe dovuto aggredirlo non sapendo come fare. Avrebbe rischiato di fare solamente una figuraccia.

Il gioco, nonostante fosse interessante, stava cominciando ad essere ripetitivo e noioso per i due giocatori in gara. Fu allora che Gabriel, sebbene non avesse dovuto approfittare della sua esperienza in fatto di magia, scagliò contro la ragazza un potente incantesimo.

Un fascio di luce dorata uscì dal suo palmo aperto della mano destra e si andò a schiantare contro Rebecca che, trovandosi del tutto impreparata a quello, cadde rigorosamente a terra sbattendo la testa contro l’umido terreno.
Un dolore allucinante le invase la testa e per un paio di secondi non ebbe la forza e la volontà di rialzarsi, era come se il suo corpo si fosse intorpidito tutto un colpo.

Con gli occhi tremanti puntati verso la parete vide che Bastian non era più seduto a guardarli, se n’era andato. Con lo sguardo ancora incollato al precipizio sentì dei passi correre verso di lei e delle mani che, amorevolmente, la stavano tirando a sedere.

Fu allora che riprese conoscenza del suo corpo.

Gabriel, inginocchiato su di lei, la guardava come se fosse morta.

“Lasciami” sussurrò la ragazza, divincolandosi dalla sua presa e alzandosi in piedi con fatica.

“Scusa, non avevo idea…non pensavo che…mi sono lasciato prendere dalla situazione e mi sono dimenticato che tu…”

“Smettila” ruggì Rebecca, e, massaggiandosi il punto in cui la testa le pareva stesse scoppiando, si allontanò dal campo di addestramento.

La prima prova era andata male e la sua dignità era andata a farsi friggere.



***



Si trovava da Rosalie, non aveva per niente voglia di tornare a casa con Gabriel che le girava attorno in continuazione. Si era scusato ma questo non bastava.

La sera precedente avevano deciso insieme che il loro primo allenamento si sarebbe svolto con un incontro corpo a corpo o con un’unica arma in mano disponibile. Alla fine avevano scelto il bastone, visto che la ragazza non era ancora pronta per maneggiare armi pericolose come spade o lance. Quando Rebecca gli chiese se lui avrebbe fatto uso dei suoi poteri magici lui le rispose che non si sarebbe mai permesso di attaccarla con la magia, dato che lei, non conoscendola ancora, ne sarebbe stata svantaggiata.

Stupido orgoglio maschile.

“Allora, com’è andato l’addestramento? Hai steso Gabriel su due piedi?” chiese, speranzosa Rosalie.

“Preferirei non parlare di oggi” disse Rebecca, con una faccia così avvilita che neppure Rosalie ebbe coraggio di continuare con quell’argomento.

Immaginava come suo fratello, preso dalla voglia di far vedere tutta la sua bravura si fosse del tutto dimenticato che aveva di fronte una giovane apprendista e non un mostro da trofeo.

“Che fratello immondo che devo avere, senza un briciolo di umanità”

“Concordo” rispose Bec, imbronciata.

Rebecca passò la notte a casa di Rosalie e dormì comodamente sul divano. La casa era silenziosa e Adele non era ancora tornata, questo rallegrò la ragazza perché se ci fosse stata la madre adottiva di Gabriel e Rosalie probabilmente non avrebbe avuto il coraggio di chiedere ospitalità per la notte.

Rosalie doveva averla capita e senza chiedere nulla aveva accettato di ospitarla a casa sua per una notte. Prima di andare a letto le aveva anche spalmato sulla testa una pomata alle erbe per alleviare il dolore, dato che le era spuntato un enorme bernoccolo.



***



Quando il sole fece la sua comparsa sul villaggio doveva essere prestissimo, Rebecca era in dormiveglia e si stava lentamente coccolando nelle coperte, stiracchiandosi di quando in quando. Non voleva alzarsi ma aveva dormito talmente tanto bene quella notte che nel momento in cui aveva aperto gli occhi non era stata più capace di riaddormentarsi. Il bernoccolo alla testa le dava un fastidio tremendo ma cercava di non pensarci.

La sua prima ferita di guerra.

Rebecca stava fissando assonnata la stanza attorno, illuminata solamente dai fiochi raggi del sole. L’alba era incantevole a Chenzo e il tramonto non era da meno, Bec non sapeva decidersi se era più bella l’alba o il tramonto. Fatto sta’ che erano entrambi due spettacoli da mozzare il fiato.

Improvvisamente la porta d’entrata si aprì di colpo e Gabriel fece la sua comparsa di prima mattina, stupendo persino la ragazza che mai si sarebbe aspettata di trovarselo a quell’ora.

“Ma tu non dormi mai?!” chiese stizzita, mettendosi a sedere e coprendosi con la coperta.

“Dove sei stata?” urlò.

“Sono sempre stata qui” sussurrò lei, con fare innocente.

“Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?! Sono tornato a casa e tu non c’eri! Ti ho aspettata tutta la notte alzato! Ti ho cercata dappertutto! Diamine, non potevi avvertirmi?!”

“Non c’è motivo che ti aggiorni in continuazione dei miei spostamenti, Gabriel” disse duramente.

“Ero preoccupato! Pensavo fossi stata rapita!”

“Calmati! Sto bene, sto benissimo!” gridò in risposta, cercando di sovrastare la voce del ragazzo.

Gabriel parve per un attimo calmarsi e rimase a guardarla con il viso livido dalla rabbia.

“Non farlo mai più”

Uscì, sbattendo la porta.

L’ultimo rumore che Rebecca sentì fu lo sfrusciare del suo mantello contro la porta.  

“Cos’era quel casino?!” domandò a per di fiato Rosalie, correndo in sala con un misero pigiamino e i capelli tutti arruffati dalla corsa. Puntò gli occhi indagatori su Rebecca che stava facendo finta di dormire sperando che la ragazza la smettesse di urlare.

Rosalie, molto preoccupata, era sicura di aver sentito suo fratello Gabriel inveire contro Bec per qualcosa che non le era ancora chiaro, si era svegliata di soprassalto non appena la porta d’ingresso sbattè rumorosamente e ricordò di aver sentito anche delle urla. Gabriel se n’era andato da n’anche due minuti ed era impossibile che Rebecca si fosse di nuovo addormentata.

Rosalie le fu vicina e le diede uno scrollone.

“Rebecca! Lo so che non stai dormendo!”

Bec, ovviamente, cercò di continuare con la recita.

“Uhm…che vuoi, Rosalie? Non vedi che sto dormendo?” il tutto lo disse con una perfetta imitazione di una voce impastata da sonno.

“Ma fammi il piacere! Se fino a due minuti fa ti ho sentita urlare!”

Rebecca non ne poteva più. Le faceva male la testa ed era distrutta dalla conversazione avuta con Gabriel. Decise di darla vinta alla ragazza.

“Va bene! Mi alzo!” disse, esasperata.

“Oh, bene. Che voleva mio fratello di così urgente da venire qui a svegliare tutti alle cinque di mattina?”

“Le cinque di mattina?! Sono davvero le cinque di mattina?!” non poteva crederci, era veramente molto presto e il suo ritmo normale richiedeva un sonno fino a mattina inoltrata.

“Che hai?!”

“È prestissimo!”

“Non ti distrarre!”

“Appena torno a casa mi sente quella specie di…”

“Rebecca!”

“Eh?!”

“Cosa voleva Gabriel?”

“Sgridarmi!”

“Eh?”

“Quando stanotte mi sono fermata a dormire non l’ho avvisato e lui ha passato la notte a cercarmi in lungo e in largo perché credeva che mi avessero rapita. Che assurdità…”

“Davvero?” Rosalie era sbalordita.

Al cenno del capo di Rebecca, rimase interdetta.

“Nascerà un nuovo amore…?”

“Ma non farmi ridere!”

Bec si alzò gesticolando e lanciando in giro la coperta nel tentativo di slegarsela dal corpo, lasciò la stanza con un’aria a dir poco infastidita.

Rimase fino a pomeriggio a casa di Rosalie, con una breve sosta fece un giro per il villaggio prima di tornare a casa, era quasi sera e il buio si faceva avanti pian piano. Non era entusiasta di tornare a casa, cercò più che poteva di allungare la via del ritorno fermandosi ogni tanto davanti qualche casa o fabbro.

Passò via la piazza principale con la fontana che, in quell’ora, il rumore dell’acqua era il solo a farsi sentire. Se Bec incontrava qualche passante lo salutava educatamente, mentre l’altro si esaltava per attirare al massimo la sua attenzione. Girovagava con una lentezza e una pesantezza imparagonabili, indossando una delle tutine che le aveva dato Rosalie e che appartenevano, un tempo, ad Adele.

Rebecca si chiese se avrebbe mai visto quella donna al villaggio, da quel che aveva sentito era una girovaga e per troppo poco tempo si fermava a casa. Chiese a Rosalie se era davvero necessario che usasse tutti i vestiti di Adele, si sentiva una ladra a dover abusare di cose altrui senza che gli altri lo sapessero ma la ragazza aveva riso alla sua domanda, dicendole che non doveva preoccuparsi, che se non avesse accettato i vestiti sarebbero finiti sul fuoco al primo freddo.

Per quanta strada aveva voglia di fare, ad un certo punto si trovò davanti casa. Le luci erano tutte spente, apparte quelle della cucina. Attraversò il vialetto e aprì la porta (a Chenzo, serrature e chiavi non erano usate, ognuno poteva entrare in casa tua quando voleva).

“Sono tornata” disse, urlando a casaccio.

Non sentendo risposta del ragazzo si affrettò a raggiungere l’entrata e lo vide in cucina mentre stava mangiando qualcosa di identificabile.

“Mi domandavo se avrei dovuto anche questa notte venire a cercarti. Ti sei stufata di scappare” disse Gabriel, non prestando attenzione alla ragazza in piedi davanti a lui ma sfogliando distrattamente un libro.

“In realtà non ho mai voluto scappare” esclamò Rebecca un po’ offesa.

Ma per chi la prendeva?! Per una bambina viziata che alla prima difficoltà se la dava a gambe levate?

“Come va la testa?”

“Cosa?”

“La testa. Ho sentito che ti è venuto un bel bernoccolo” disse, e sembrava quasi divertito.

“Tutto bene, sopravviverò. Anche perché non ti darò mai la soddisfazione di farmi vedere debole” disse la ragazza, sedendosi davanti a Gabriel con uno sguardo provocatorio.

“Sono veramente contento per te, anche perché domani abbiamo un altro addestramento, stesso posto, stessa ora. Ci stai, vero? O devi ancora riprenderti?” a quel punto Gabriel aveva smesso di leggere il libro e la guardava con aria di sfida.

“Non sai in che guaio che ti sei cacciato…” disse, con un sorriso malizioso.

“Perfetto, non vedo l’ora di battermi come si deve. Useremo sempre i bastoni, per le spade è presto e vedi di non montarti la testa troppo in fretta”

“Ah-Ah, e tu vedi di mantenere le promesse: niente magia. Troppo facile sennò vincere!” lo accusò.

“Non ho mai detto che sarei stato leale fino in fondo” disse Gabriel, portandosi in avanti per fronteggiarla meglio.

“Sei un angelo bianco! Il bene per il prossimo e la lealtà dovrebbero far parte del tuo corredo genetico!”

Ero un angelo bianco” e qui, una vena di nostalgia dipinse il suo bel volto.

“Beh, fa lo stesso. Comunque sappi che hai imbrogliato e da ora in poi non fido più di te!”

“Che cosa?! Tu sei completamente partita. Quando ti ho salvata dai Sentori nella foresta pensavo fossi più timida e indifesa, invece ora che imparo a conoscerti scopro che sei completamente pazza”

“Pensala come vuoi, io invece con te ho imbroccato da subito. Si vede che ho occhio, io, per queste cose” sbottò la ragazza, indicandosi prima l’occhio e poi sé stessa.

In tutta risposta il ragazzo indicò prima lei e poi si picchiettò la tempia.

Inutile dire che risero entrambi.

“Io vado a letto” annunciò Gabriel, appena smise di ridere.

Si alzò, posò sul bancone il libro e si diresse verso le scale. Si fermò nel primo scalino e guardò Rebecca ancora seduta sulla sedia.

“Non vieni?”

“No, aspetterò che una colomba venga da me e mi porti un fuscello d’ulivo, che si metta a ballare la mazurca e che mi canti tanti auguri, anche se oggi non è il mio compleanno”

Il ragazzo inarcò le sopracciglia.

“Scherzavo! Ovvio che vengo! Cosa vuoi che rimanga a fare in cucina che ormai è buio?!”

Si alzò e con passo felpato raggiunse Gabriel, arrivando a sorpassarlo mettendosi nel terzo gradino. In quel momento era più alta di lui e non le dispiaceva per niente vederlo dall’alto.

“Tu proprio le battute non le capisci, eh?”

Gabriel la guardava ancora come se fosse una matta appena scappata dal manicomio.

“Ah, che tristezza di ragazzo che sei” e percorse le scale trascinando i piedi dal sonno.

Gabriel non ci mise molto a raggiungerla e, dopo averle augurato la buona notte, entrò nella sua stanza.



***



Il mattino dopo Rebecca aveva talmente tanto sonno che decise di saltare la colazione per rimanere a sgranchirsi nel letto. Aveva sentito dei passi poche ore prima, doveva essere Gabriel che, con una sveglia al posto del cervello, si era alzato per andare a correre.

Rebecca non capiva che senso avesse, per un ragazzo con un fisico perfetto come quello di Gabriel, alzarsi alle sei di mattina per mantenersi ancora più in forma di quanto non lo fosse già. Senza contare che anche durante il pomeriggio e la sera si allenava.

“Quello è schizzato” mormorò sbadigliando, aprendo la bocca al massimo delle sue capacità estensive.

Ancora in pigiama scese le scale e con una mano continuava a sfregarsi il viso cercando di far svegliare gli occhi e di abituarli alla luce del sole. I capelli spettinati e il pigiama corto la rendevano una specie di campeggiatrice.

Solamente nominare “campeggio” le metteva ansia.

Brutti ricordi e spiacevoli conoscenze.

Arrivò in cucina e aprì le ante, prese del latte e mentre se lo stava versando in una tazzina scolorita qualcuno le piombò alle spalle, afferrandola per le spalle.

“Buh!”

Dopo aver cacciato un urlo e aver fatto spandere il resto del latte rimasto nella confezione si girò sconvolta.

Gabriel era lì, davanti a lei, in una tuta da ginnastica blu scuro, i capelli sudati gli ricadevano nel viso e sugli occhi, quella mattina, erano ancora più azzurri. Per non parlare dei capelli. Erano, con i riflessi del sole, di un biondo dorato e che parevano pagliuzze d’oro.

La bellissima visione e lo stupore provato scomparvero subito dall’anticamera del cervello di Rebecca. Certi impulsi e pensieri erano meglio evitarli.

“Gabriel! Mi hai prendere un colpo! Ti è esploso il cervello?! Guarda che casino che mi hai fatto combinare…” disse lamentandosi, mentre afferrava uno straccio.

Gabriel non pareva averla sentita, stava ancora sorridendo e lo scherzetto gli era parecchio piaciuto. Rebecca quando si arrabbiava era veramente carina.

“Sei stato a correre?” chiese, mentre strizzava il panno in un bacile di legno.

“Sì, una bella corsa, non c’è che dire. Vado a farmi la doccia”

“Posso chiederti una cosa?”

Il ragazzo, un po’ sorpreso, annuì.

“Fa preparare a me la doccia, sono un esperta in queste cose, ho una capacità innata di trovare la giusta quantità di acqua calda e acqua fredda”

Gabriel acconsentì, guardandola dirigersi verso il bagno.

Dopo cinque minuti lo chiamò dal bagno. Lui la raggiunse, entrò in bagno, la fece uscire, chiuse la porta e iniziò a spogliarsi. Entrò, aprì la doccia e un fiotto d’acqua uscì prorompente.

Rebecca intanto stava attraversando il corridoio e con un’aria fiera non aspettava altro se non il momento di sentire l’acqua aprirsi.

Un ghigno compiaciuto le attraversò il viso nel momento in cui sentì Gabriel gridare di dolore.

“Dannazione!!! L’acqua è bollente!!!”



***



Nel pomeriggio Gabriel e Rebecca erano pronti per il secondo addestramento. Gabriel non le aveva perdonato lo scherzetto della doccia, lei si era giustificata con la scusa che anche lui le aveva fatto prendere un colpo.

“Non è la stessa cosa! Potevo lasciarci le ali!” aveva urlato, correndo fuori dalla doccia, con un asciugamano legato in vita e tutto il corpo arrossato.

“Ma se non le hai n’anche le ali!”

Dopo quello spiacevole incidente Gabriel rimase indisposto nei confronti di Rebecca, si sentiva preso in giro mentre la ragazza continuava a ridere sguainatamene alla vista della sua pelle rossa.

Sembrava un fungo!

Le cose andarono senza dubbio meglio nel pomeriggio, dato che dovevano lavorare insieme avevano deciso di fare una piccola tregua anche se Gabriel l’aveva minacciata di vendicarsi.

Rebecca in risposta aveva fatto una finta faccia spaventata.

Si posizionarono come l’altra volta uno di fronte all’altra e Bec attese il segnale di Gabriel.

Quel giorno decisero di cambiare il posto in cui si sarebbero addestrati: abbandonato il circolo d’erba si sistemarono in un terreno erboso con quale sasso, sulla sponda di un piccolo torrente. In sottofondo non mancavano comunque i boschi e il sole scottava nel cielo.

Gabriel sorrise furbescamente, guardò la ragazza con un ghigno, gli occhi tirati per l’accecamento del sole. “Non so perché ma so che mi divertirò un mondo questa volta”

In tutta risposta Rebecca sorrise compiaciuta. “Sei sempre stato un pessimo indovino Gabriel, chissà che anche ora tu non debba ricrederti”

“Vedremo”

“E niente trucchetti, imbroglione che non sei altro”

“Paura?” la sfidò, con piacere.

“Di vincere?”

Stava iniziando un confronto psicologico a chi prendeva l’ultima parola.

Anche in quella giornata combatterono con due bastoni e Rebecca, prima di iniziare, inspirò profondamente sentendo dentro di sé un’immensa forza crescere.

Si sentì per la prima volta forte.

Hai la guerra nel sangue, le avevano detto.

Gabriel diede il via e come un leone che accerchia la sua preda attorniò la ragazza, che calma e tranquilla teneva tutta la situazione sotto controllo prestando attenzione ai movimenti del ragazzo.
Gabriel attaccò dall’alto e lei parò il colpo con il bastone sopra la testa, il ragazzo si ritirò per riattaccare e non appena si allontanò Rebecca ne approfittò per andargli addosso.

Prima un colpo basso, poi roteò su sé stessa e infierì a Gabriel un colpo sulla schiena.

Rebecca si stava mentalmente domandando come diavolo faceva ad essere così veloce e brava, era come se tutti i movimenti e i passi li sapesse già. Come se avesse già imparato a combattere, le veniva piuttosto facile e spontaneo attaccare, schivare e anche quando fece un balzo indietro rimase sospesa in aria fluttuando.

Era perplessa, una nuova persona, una nuova forza stavano nascendo in lei conferendole riflessi pronti ed elasticità. Sicuramente nella Terra non avrebbe potuto fare niente di tutto ciò, ma lì, a Chenzo, la forza di gravità non esisteva per chi lo credeva possibile e le creature magiche potevano utilizzare le loro potenzialità come se fosse la cosa più normale da fare.

Nel momento in cui Rebecca abbassò la guardia, spaventata dalla sua stessa bravura, Gabriel, da dietro, l’attaccò.

Sarebbe stato un colpo vincente se non fosse per il fatto che Bec, all’ultimo secondo, ebbe la perfetta percezione di quello che stava accadendo, a rallentatore vide tutto come se avesse avuto gli occhi anche per dietro.

Si girò di scatto sorprendendo il ragazzo che, in aria dopo aver saltato, ricevette in pieno petto il bastone della ragazza che ebbe la capacità di farlo cadere per terra con un solo movimento del braccio.

Appena Gabriel si ritrovò disteso al suolo, Rebecca si posizionò sopra di lui a cavalcioni. Il bastone era a pochi centimetri dagli occhi del ragazzo, glieli avrebbe perforati se solo lo avesse voluto.

Comprendendo di aver ormai vinto, Rebecca, si tolse dal corpo di Gabriel e lo aiutò ad alzarsi.

“Avrei dovuto puntare qualcosa sulla mia vittoria” disse orgogliosa.

La vittoria la rendeva ancora più felice.

Gabriel la osservava sbalordito, non riusciva a credere che dopo così poco tempo fosse riuscita a batterlo. Senza contare che era agli inizi, doveva ancora arrivare ad apprendere la magia e il vero combattimento.

L’allenamento, che si presentava una facile vittoria per il ragazzo, si rivelò invece un’amara sconfitta.

Con fare indifferente Gabriel si complimentò con lei, sebbene si sentisse demoralizzato.

“Complimenti, non c’è che dire”

“Finalmente ho dimostrato che sono degna di stare qua”

“Su questo non c’è dubbio”

“E ora che si fa?”

“In che senso?”

“Si, dai…insomma…voglio provare a farlo con le spade, corpo a corpo, imparare a fare i salti mortali e le capriole in aria e…”

“Si, ok. Ho capito, è inutile che gli mimi”

Gabriel aveva interrotto Rebecca nel momento in cui la ragazza stava mimando con ardore una strana mossa di karate, sembrava un orso.

Penoso.

“Sai Gabriel, perdere ti rende peggio di un riccio con gli aculei” gli fece notare Rebecca, con il cipiglio alzato.

“Continueremo ad allenarci con le armi e ti insegnerò ad usare il tuo corpo negli scontri, poi, la prossima settimana, sarai pronta per imparare qualcosa di diverso”

“Che cosa?”

“La magia”

“Veramente?!”

Bec era a dir poco euforica.

“Sì, ma se continui a rompere faccio presto a tirarmi indietro e a darmi per disperso” disse con severità.

Gabriel aveva preso le sue cose e si era allontanato dal ruscello.

“Antipatico…” brontolò Rebecca, sottovoce.

“Ti ho sentita!” le urlò lui, qualche metro più avanti.



***



Il castello del signore del Male era situato in una roccaforte in cima ad una montagna di rocce scure e precipizi. Tutt’attorno si estendevano lande desolate, non una sola forma di vita prosperava in quelle terre: solo il deserto, con la sua sabbia chiara, ricopriva quel posto dannato.

Il castello di Dark Threat era scuro e al suo interno sembrava disabitato, era silenzioso e ombroso. L’oscurità era l’unica cosa che ancora si muoveva in quelle mura di morte. Pochissime finestre illuminavano i corridoi e le fioche torce appese alle pareti conferivano ai passanti la sensazione di essere in prigione.

Qualcuno bussò alla porta.
La camera da letto di Dark Threat era tanto enorme quanto spoglia, tutta in sassi e con una gigantesca finestra ad arco senza vetri che dava sull’immenso deserto dove era facile e comodo vedere la presenza di nemici.

“Avanti” disse una voce, scura e profonda come quella del demonio.

Un uomo, una sentinella a guardia del palazzo, si fece avanti timoroso, si poteva notare come le sue gambe stessero tremando dalla paura.

“Signore, mi ha fatto chiamare?”

Dark Threat era di spalle, guardava fuori dalla finestra e indossava un mantello con il cappuccio alzato che ricadeva sul suo viso, nascondendo la malvagità che si celata dietro.

“Vezzen, ho una perplessità”

“A che proposito, mio Signore?”

“Chiudi la porta”

Vezzen, servo privato e fedele, fece come gli era stato detto. Rimase in silenzio, aspettando che il suo padrone parlasse.

“Non mi è piaciuto per niente alzarmi stamattina e sentire un odore nuovo in questo mondo” Mortimer spostò leggermente la testa, come a voler controllare che il suo servitore fosse realmente nella sua stanza.

“Sento che è arrivato, ed è una ragazza. Giovane, per di più. Una perfetta preda per il tuo Signore”

“Cosa vorreste fare in proposito?” domandò Vezzen, con una calma apparente…in realtà non vedeva l’ora di lasciare quella camera.

“Voglio che tu invii delle spie al villaggio, dille di controllare la nuova arrivata. Voglio quante più informazioni possibili su di lei”

“Ok, mio Signore. C’è altro?”

Mortimer girò su sé stesso e un orribile ghigno dipinse il suo volto. Vezzen indietreggiò impercettibilmente.

“Oh, sì. Non fallire, non deludermi”

Vezzen ingoiò a fatica e rimase ipnotizzato quando gli occhi di Mortimer indugiarono su di lui, scoperti dal cappuccio lo fissavano duramente.

Erano rossi come la sabbia del deserto.

Erano un pozzo di malignità.

Erano l’inferno.



***

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Capitolo 8
*** Vicini e lontani ***


Cap. 8 - VICINI E LONTANI -

Erano passate tre settimane da quando Rebecca era arrivata a Chenzo, tre settimane faticose e piene di impegni. Ogni mattina, come d’abitudine, la ragazza si alzava, aspettava che Gabriel tornasse dalla corsa mattutina, facevano addestramento, pranzavano e poi ritornavano a casa per dormire.

Il resto della giornata lo passavano insieme, loro due, vagando e imparando. Gabriel si stava dimostrando un ottimo maestro, le aveva insegnato di tutto: dalle piante che vivevano a Chenzo, alle proprietà curative dei fiori e delle erbe, a come orientarsi con la volta celeste che era molto diversa da quella terrestre. Le ordinava costantemente di leggere dei tomi che avevano a che fare con tecniche di combattimento e ogni volta che assimilava i concetti, lui l’aiutava a metterli in pratica.

Gabriel aveva promesso, ancora tre settimane prima, che le avrebbe insegnato ad usare la magia ma per una cosa o per l’altra aveva fatto slittare a più avanti quella lezione.
Secondo Gabriel, la ragazza era ancora troppo indietro nel combattimento ad armi per imparare così presto la magia ma Bec non ci credeva, era solo una scusa per non correre troppo con i tempi.

In realtà Rebecca era diventata bravissima nella lotta, era arrivata ad un livello tale di meditazione che, con la sola forza del pensiero, poteva arrivare a far tutto. Bastava che pensasse a voler fare un doppio salto mortale sopra un tronco per riuscire in pratica a farlo.
Era veloce e agile, e aveva quella percezione dei sensi così accurata che riusciva, concentrandosi, a captare ogni singola forma di vita in un fascio d’erba.

Gabriel ammirava compiaciuto tutti i progressi che lei portava a termine, domandandosi in continuazione come dannazione facesse quella ragazza così impacciata e snervante ad essere un’insopportabile macchina per la guerra.

Gabriel ricordava con ardore i tempi in cui era stato un apprendista e gli dava non poco fastidio quando pensava a Rebecca che in tre settimane aveva quasi completato l’addestramento, mentre a lui, per arrivare a quei livelli, gli ci erano voluti anni.
Senza dubbio era degna di essere la figlia dei due angeli più potenti mai esistiti, evidentemente la loro forza si era trasmessa in quella ragazzina.

I loro rapporti erano migliorati, se prima battibeccavano spesso e non si sopportavano a vicenda ora erano riusciti a ridurre al minimo gli scherzetti e le prese in giro. Mantenevano uno stato di decenza. Portarono la loro forzata convivenza ad un piacevole livello.

Sia Rebecca che Gabriel comunque si divertivano un mondo a fare i dispetti all’altro, di sera qualche volta facevano la lotta nel divano per accaparrarsi il diritto di andare in doccia per primi oppure la mattina facevano a gara per chi riusciva a prepararsi la colazione prima dell’altro, e così dicendo…

Ogni scusa era buona per scherzare e ridere con l’altro, arrivavano anche alle mani in alcuni casi ma non si facevano mai male sul serio, lo facevano con ironia e per puro divertimento.

Grazie all’improvvisa forza che era cresciuta in lei, la ragazza era anche diventata più spensierata, autosufficiente e riuscì ad avere una forte autostima di sé stessa, giusto quel tanto per osare dove gli altri si fermavano prima.

Esempio della sua spavalderia era quello di disturbare continuamente Gabriel mentre, la sera, leggeva sul divano.

Rebecca sapeva quanto a Gabriel desse fastidio essere interrotto mentre leggeva o mentre era concentrato, e lei ci provava gusto nel fargli perdere le staffe.

Erano vivaci ma non cattivi, e stavano diventando molto uniti.



***



“Sei lento, Gabriel!” gli urlò mentre correva, veloce come una gazzella lungo la pendenza di un monte.

Il ragazzo non rispose, continuò con fatica a correre, con il fiatone e i capelli sudati che gli ricadevano scomposti sulla fronte. Rebecca era più avanti di lui, all’inizio era riuscito a seminarla ma poi lei con uno scatto lo aveva superato, e ora la storia andava avanti così da più di un’ora.

La corsa era fondamentale per allenare il corpo e Gabriel, grazie al suo continuo footing mattutino, credeva di essere insuperabile.
Peccato che non avesse tenuto conto degli stupefacenti miglioramenti della ragazza, e ora si ritrovava ultimo in una piccola gara a due persone.

E lei non perdeva tempo per deriderlo.

“Ti muovi come un orso, Gabriel!” continuava a strillare, venti metri più avanti.

“Giuro che se non ti tappi quella boccaccia ti faccio del male!” disse il giovane, con una voce così roca e il fiato così irregolare che sembrava stesse avendo l’ultimo spasmo di vita.

Rebecca rideva di gusto.

“Sì, sì…come no…”

Rebecca non si era mai sentita più libera come in quel momento: con il tramonto ad est e i monti verdi su cui correre, l’aria che sa di pulito e il cielo arancione. Non un grattacielo, non una macchina, niente di sporco, solamente la natura, incontaminata e selvaggia.
L’odore del legno e di pino le arrivava chiaro e distinto attraverso le narici e l’ossigeno continuava ad entrarle in corpo, si riciclava e le permetteva di continuare a correre. Instancabile.

Era da ore che correvano e lei si era ripromessa che non si sarebbe fermata finchè Gabriel non si fosse arreso, voleva vedersi vittoriosa.

Era consapevole dei suoi miglioramenti e delle sue capacità.

Controllava ogni tanto che Gabriel fosse sempre dietro di lei e quando ne aveva la certezza si lasciava portare dalle sue gambe, con gli occhi chiusi si faceva cullare dall’erba.

Gabriel, che non ne poteva più di essere secondo, decise che era arrivato il momento di cambiare i ruoli. Caricò il peso sulle gambe e con le ultime forze che gli restavano in corpo aumento la velocità protraendosi in uno scatto.

I metri che lo separavano da lei erano sempre meno.

Diciotto.

Dodici.

Dieci.

“Ehi, Rebecca! La facciamo finita?”

“Solo quando mi avrai superata, lumaca!”

Otto.

Cinque.

“Sicura?”

“Quando mai scherzo?!”

Quattro.

Tre.

Due.

Uno…

“Vinto!” urlò Gabriel, l’aveva superata e lei neppure se n’era accorta.

Il ragazzo saltava dall’euforia, rideva e si gustava quel momento. C’era mancato poco perché il suo orgoglio andasse ancora una volta calpestato, era lui l’uomo, era lui il maestro e il giorno in cui la sua allieva l’avrebbe superato nella corsa era lontano anni luce.  

Bec invece non rideva per niente, lo guardava storto e con il fiato veloce.

“Non vale” disse senza voce, ora doveva pensare a ritrovare l’ossigeno perduto.

“Sì che vale, signorina tartarugona”

Rebecca incassò il colpo e abbassò la cresta, non c’era niente di male ad essere battuti dal proprio insegnante.

“Ok, ho perso, hai vinto tu. Tanto io rimango comunque più bella di te” esclamò fiera, dandosi delle arie da gran donna.

Bugia, ma in qualcosa doveva pur sempre superarlo.

Non era vero che lei era più bella di Gabriel, poteva passare con un: “carina” ma lui senza dubbio era bellissimo. Ma che importava?! Meglio riderci su, in qualcosa doveva farsi vedere migliore: tanto valeva puntare sull’aspetto fisico.


Era partito tutto come un semplice scherzo, un’autopresa in giro, peccato che qualcosa non andò come aveva programmato.

“Non dovresti dire queste cose”

“Eh? Cosa?”

“Tu sei bella” la corresse, come si corregge di solito un errore madornale.

Gabriel non intendeva certo essere carino con lei ma quel doppio senso lo disse senza nemmeno rendersene conto.
Questo, lo lasciò di stucco. Si stava già rimangiando ciò che aveva detto. Alzò gli occhi al cielo, nervoso, sperando che lei non fraintendesse o travisasse le sue parole. Ci mancava solo che un’adolescente alle prime armi s’invaghisse di lui, sarebbe stato imbarazzante e impossibile da gestire.

Cercò di porre rimedio.

“È un dato di fatto, non parlo personalmente, lo sanno tutti, compresa te, che sei carina!”

Forse fu dal modo convincente in cui lo disse oppure dalla bravura nell’aver mascherato l’errore, che Rebecca cacciò dalla mente l’idea che si era fatta di lui in quell’attimo.  
Appena sentì Gabriel pronunciare quella frase si stupì di trovarlo così schietto, senza n’anche pensarci aveva detto una cosa ed era convinto. Poi, due secondi dopo, le aveva chiaramente fatto capire che lui non intendeva farle un complimento, voleva mettere in chiaro le cose come stavano: lui l’insegnante e l’amico; lei l’allieva e l’amica.

“Sei morta?”

Gabriel si era avvicinato a lei e le sventolava la mano davanti alla faccia per controllare che non fosse andata in trance.

Bec si scosse bruscamente.

“Sembravi una statua di cera” scherzò il ragazzo, che un po’ alla volta rideva sempre di più.

“Senti chi parla! Mister Muso Lungo…”

“Alcune volte non ti sopporto” disse Gabriel, con semplicità, scuotendo la testa.

“Sei così misterioso…” sillabò la ragazza, seguendo un filo logico tutto suo. Era rimasta indietro con i pensieri.

“Che cosa centra, adesso? Ti sto parlando di una cosa e tu te ne salti fuori con quest’affermazione.
L’ho sempre sospettato che ci arrivi sempre dopo rispetto alla media”

Gabriel la guardava come di solito si guarda un paziente malato di una strana patologia mentale.

“Sei un caso perso, dai retta al maestro”


“Guarda che le interconnessioni dei miei neuroni stanno benissimo!” sbraitò Rebecca, cercando di difendersi dalle sue accuse.

“E allora che vuoi?” domandò Gabriel, esasperato.

“Stavo solo pensando a quanto tu sia maledettamente freddo! Ghiacciolo, che non sei altro!”

“Io? Freddo?”

“Sì, tu! Sei la persona più misera di sentimenti che abbia mai conosciuto! Non mi meraviglio che non sei mai riuscito a dire a nessuno “ti voglio bene”.”

“Ma come ti permetti?! Non è vero!”

La conversazione stava prendendo una brutta piega. Entrambi erano molto orgogliosi e nessuno avrebbe ceduto per primo.

“Dimmi Gabriel, è così difficile mostrare a qualcuno i tuoi sentimenti?!”

“No, ma non trovo l’utilità di spargerli ovunque!”

“Ma io sono tua amica” disse Rebecca, improvvisamente calma e dolce.

“Non centra niente” sbottò, frustrato.

“Con me puoi parlare se vuoi”

“Mai”

“E allora resta solo”

Il loro rapporto era così: un giorno erano come cane e gatto mentre il giorno dopo ridevano insieme, come due veri amici. Era da quasi un mese che si conoscevano e sebbene Gabriel si ostentasse a voler rimanere estraneo ai rapporti di amicizia ci cascava ogni volta, trovando sempre piacevole la compagnia di Rebecca.

Gabriel iniziava ad adorare i momenti in cui, quando tornava a casa dalla corsa mattutina, trovava la casa in ordine, la colazione pronta e Bec che girovagava con un tomo in mano in pigiama, con i capelli scomposti e l’aria assente.
Trovava confortevole la sera quando prima di andare a letto, controllando che tutto fosse apposto, lei continuava a sgridarlo per le sue manie da femminuccia.

Ma mai avrebbe dichiarato i suoi sentimenti.

Represse i suoi impulsi e decise di accontentarsi di rimanere per lei un lupo solitario.

“Sono sempre stato solo” disse, con una faccia da cane bastonato ma dura allo stesso tempo.

Lei ammutolì all’istante. Stava provando pena per lui e per la prima volta avrebbe voluto andargli vicino e abbracciarlo forte. S’impose di rimanere ferma al suo posto e chiuse forte il palmo della mano per dare un freno alla serie di emozioni contrastanti che la stavano distruggendo.

Gabriel notò il suo irrigidimento e decise che era meglio andare via da lì il prima possibile.

“Rientriamo”

Bec lo seguì con il capo chino, sfregandosi le mani nervosamente.

“Scusa” disse la ragazza, dopo un po’ di tempo.

Gabriel mantenne la sua camminata composta ma dentro ebbe un tuffo al cuore. Nessuno, che non fosse stato della famiglia, era mai stato con lui così dolce.
Si trovò ad essere in imbarazzo anche se la sua maschera di cemento copriva tutto.

“Lascia stare, fa niente”

Rebecca s’illuminò. Con enorme gioia gli corse accanto.

“Comunque, secondo me, sarebbe meglio insegnarti qualche tecnica di approccio per un futuro, sei troppo noioso. Cosa farai se qualche ragazza volesse avvicinarsi a te e tu…?”

“Taci”

Anche se Gabriel tentò di fermarla prima che lei iniziasse uno dei suoi tanti monologhi, non riuscì a farla smettere, la sua carica esplosiva e la sua vivacità erano troppo contagiose e alla fine cedette.

La lasciò parlare.  



***



Mortimer era impaziente. Restava fermo, immobile, con lo sguardo che si perdeva oltre il tramonto, verso l’infinito, ma era impaziente.

“Signore, la spia è stata informata dei vostri piani. È pronta per partire” disse la vocina di Vezzen, dal fondo della stanza.

“Bene”

Mortimer rilassò i muscoli e, impercettibilmente, sospirò sollevato.



***


Era sera, il piccolo villaggio circolare emanava sprazzi di luce dalle lanterne accese fuori dalle abitazioni. Era quello il momento ideale per farsi una camminata di riflessione. Rebecca si sentiva molto meglio se prima di andare a letto faceva un giro per rinfrescarsi le idee. La pace e la quiete della notte l’aiutavano molto, e lei doveva pensare.

Pensava a quanto strano era il destino: mai avrebbe detto che in quel posto si sarebbe trovata bene, all’inizio la prospettiva di essere stata separata dai genitori l’aveva traumatizzata mai poi…

Erano poche le volte ormai che ricordava Marta e Jonathan Burton, brutto a dirsi ma era così.

Non si aspettava nemmeno che la convivenza con Gabriel andasse così bene, l’aveva irritata da subito la presenza del ragazzo che andava in giro per casa senza il minimo riguardo ma se si fermava a pensarci avrebbe scoperto che ora era diventato l’incontrario: l’avrebbe dispiaciuta una separazione da Gabriel.  

Rebecca non aveva avuto amici maschi, semmai con loro aveva avuto storie d’amore, brevi ed intense ma non era mai riuscita ad installare con l’altro sesso un rapporto che non andasse oltre l’amicizia. Si stupì nel constatare a quanto bello fosse avere un amico maschio, protettivo e così diverso da lei da andare persino d’accordo. Era un completarsi a vicenda.

Rebecca non credeva agli amori che nascevano da antiche amicizie, e lo ripeteva anche un famoso detto:

“Da una grande amicizia non potrà che esserci un debole amore”

E lei quando conosceva un ragazzo si faceva già mille castelli in testa, lo vedeva da subito come un ipotetico ragazzo e perciò non era mai riuscita ad avere un amico sincero, non era mai stata capace di non sognare l’amore. Perché accontentarsi con un ragazzo dell’amicizia? Per quello ci sono le amiche.

Però ora poteva affermare di aver trovato il suo primo, vero, amico. Non provava per Gabriel né interesse fisico (anche se le cose erano com’erano e la bellezza del ragazzo non si poteva negare) né interesse in una presunta storia amorosa. A mala pena lo sopportava in certe occasioni, figurarsi starci insieme per tutta la vita.

E alla consapevolezza di questo si sentì felice.

Il villaggio era deserto e non si udiva nessuno. La ragazza era appena uscita da un vicolo quando si ritrovò davanti alla fontana inattiva.

Puntò dritta verso la sua casa quando un rumore attirò la sua attenzione. Si arrestò di colpo e cercò di tendere le orecchie per capire la fonte di quello scricchiolio. Aveva un che di minaccioso, altrimenti perché nascondersi dietro ai cespugli?

E Rebecca era sicura di due cose: la posizione e la persona.

Era un uomo.

Era dietro i cespugli.

Strinse con forza l’elsa della sua spada legata alla cintura che portava in vita e mantenne la presa come per paura che l’arma le scappasse via proprio quando ne avrebbe avuto bisogno.
Decise di far finta di niente e proseguì, per dare l’idea all’uomo della sua ignoranza. Naturalmente tutto il suo corpo era rigido e contratto, pronto a ricevere l’attacco.

Procedette di pochi passi quando una figura in nero spuntò fuori dalle siepi, con un balzo le atterrò di fianco. Era un uomo alto, con una lunga veste e il volto era coperto da un cappuccio scuro.

Rebecca ringhiò e capì chi era.

Alcuni giorni prima Gabriel l’aveva messa in guardia dai Nim, creature umane con una grandissima abilità per le arti marziali, in poche parole dei perfetti ninja da combattimento. Servivano Mortimer e assecondavano le sue richieste da bravi burattini.

Rebecca non era in grado di affrontarlo, almeno, non per il momento. Nelle arti marziali era ancora troppo scarsa, dato che erano collegate al sapere magico.

Si chiese a che le serviva avere un maestro quando si trovava in quei casi ad essere sempre impreparata.

Era la prima volta che si trovava a combattere con un vero nemico, aveva sempre lavorato a coppia con Gabriel e ormai non c’era n’anche più gusto a torturarlo.

All’improvviso la prese un’enorme paura.

Non aveva il coraggio di uccidere. Non era preparata per quello.

Bec cominciò a tremare e decise che la fuga era la miglior cosa da fare in quel momento. Iniziò a correre, cercando di seminare il Nim che aveva iniziato a muoversi.

Con grande agilità la ragazza corse lungo le mura di una casa e si aggrappò alle sue sporgenze finchè non si trovò inginocchiata sopra al tetto. Controllò dove fosse il Nim e lo vide in basso, che armeggiava con qualcosa. Capì nel momento in cui una serie di lame si mossero nella sua direzione. Con i riflessi pronti schivò tutti i pugnali. Fece un balzo sul posto e roteando su sé stessa sferrò un pugno all’ultima lama rotante mentre questa era in movimento, ricacciandola indietro verso il suo proprietario che la scansò senza problemi.

Veloce Rebecca si fece di corsa tutti i tetti delle abitazioni, saltando da uno all’altro e facendo attenzione a non essere intercettata da uno dei pugnali che in quel momento volavano in tanti con una precisione formidabile. La sua pelle era diventata dura come l’acciaio e per fortuna le lame che la colpivano di striscio non le facevano nulla. Il Nim, non avendo nessuna intenzione di raggiungerla, si limitava semplicemente a seguirla da terra sperando di colpirla prima o dopo.
Ma i suoi pugnali o venivano deviati oppure rimbalzavano sulla pelle della ragazza, tanto era forte la magia che scorreva nelle sue vene. Il suo maestro, chiunque fosse, l’aveva protetta a dovere.  

Con un balzo Rebecca abbandonò i tetti. Fece una capriola in aria e atterrò senza nessuna difficoltà sul terreno umido. Dietro a lei il Nim aveva osservato il suo spostamento con particolare interesse, ora non era più tanto distante da lui.

Bec continuò a correre come una guerriera nel campo di battaglia e con rapidità, tutto avvenne nel giro di due secondi, prese un bastone che era appoggiato lungo le pareti di una casa e lo scagliò con tutta la forza che aveva in corpo verso il nemico.

La velocità del gesto non permisero al Nim di proteggersi dal bastone che gli piombò addosso tramortendolo. Cadde a terra privo di sensi.

Non è morto.

La ragazza, come una furia, si precipitò a casa e spalancò la porta d’entrata con un tale chiasso che Gabriel, il quale stava bevendo un thè sul divano, si ritrovò a sputarlo fuori dallo spavento.

“C-C’è u-un Ni-Ni…” faceva fatica a parlare, non aveva fiato ed era ancora tremante.

Il ragazzo la guardava furibondo.

“Spero per te che sia una cosa grave”

“I-Io ho co-comb…”

“Vuoi un thè che poi te lo rovescio addosso io?”

“Un Nim” disse, tutto d’un fiato.

Gabriel si alzò come scottato e si avvicinò a lei prendendola per le spalle.

“Dov’è?”

“È poco distante dalla casa di Bastian, è svenuto…io non sapevo che fare e l’ho lasciato là, io…” le lacrime iniziarono a sgorgare lente dai suoi occhi.

“Non ti preoccupare, ci vado subito. Sei stata bravissima” disse con tenerezza, raggiungendo la sua guancia umida e posandole le fredde labbra.

Rebecca smise di piangere immediatamente, il bacio di Gabriel doveva essere stato un tocca-sano. Si sentì all’istante tranquilla e si calmò.  

Il ragazzo uscì dalla porta ancora aperta e la richiuse.   



***



Tornò dopo due ore. Rebecca era rimasta alzata per aspettarlo, avvolta in una coperta e in pigiama, nell’oscurità del suo salotto.

Aveva gli occhi persi e fissava il vuoto. Le era andata bene. Anche perché non si era trovata nella condizione di doverlo uccidere, grazie al cielo aveva trovato un bastone con cui colpirlo.

Si strinse ancor di più alle sue ginocchia quando fu percossa da alcuni brividi.

Gabriel entrò e si meravigliò di trovare tutto buio. La chiamò.

“Rebecca?”

“Sono qui” disse lei, alzando una mano e sventolandola.

Il ragazzo si spostò vicino a lei e la guardò per accertarsi che stesse bene.

“L’abbiamo preso, ora non c’è niente che tu debba temere. Probabilmente era una spia mandata da Mortimer per farti fuori ma…non aveva fatto i conti della tua bravura”

“L’avete ucciso?” chiese in un sussurro appena percettibile.

Il mutismo di Gabriel diede la conferma ai suoi timori.

“Gabriel, io ho un enorme problema”

“Cos’hai?” domandò il ragazzo, facendosi avanti.

“Io non riesco ad uccidere” disse, vergognandosi a morte.

Gabriel rimase per qualche secondo stupito. Pensava fosse qualcosa di peggiore.

“Ora non è un problema. Bec, sei alle prime armi e trovo giusto che tu non ti senta ancora pronta ad uccidere un uomo ma devi capire che se non lo farai tu, lo faranno loro senza pensarci due volte. La tua sopravvivenza è fondamentale, non devi permetterli di farti del male, meglio loro che te. Non credo che tu preferisca morire per salvare loro”

“Mi piace quando mi chiami con il mio soprannome”

Un sorriso tirato solcò i suoi zigomi e fece ridere anche Gabriel. La vergogna era svanita e l’allegria era pronta a tornare in quella casa.

“Però Gabriel, ora devi per forza insegnarmi la magia altrimenti rischio grosso la prossima volta” era di nuovo a suo agio e la vitalità stava tornando.

“Domani. Te lo prometto” disse, e andò verso la cucina, facendo un po’ di luce.

“Davvero? Giurin-giurello? Lo sai che di te non mi fido più molto”

“Te lo giuro, potessi morire” affermò convinto, disegnandosi con il pollice una croce sul petto.

“Non è divertente”

“Sei tu la fifona, io della morte non ho paura”

“Io invece vorrei vivere per sempre”

Rebecca ironizzava ma Gabriel non si lasciò sfuggire uno strano bagliore accendersi nello sguardo della ragazza, una luce nuova nei suoi occhi era appena nata.



***



Nello stesso momento in cui Rebecca si addormentò, Gabriel uscì di casa. Camminava ma sembrava che fluttuasse, tanta era la sua grazia.

Bussò alla porta, il silenzio era palpabile. Una ragazza bionda gli aprì la porta, era la ragazza più bella che avesse mai visto e ogni volta si stupiva davanti alla sua femminilità.

Con voce impastata dal sonno la ragazza gli disse, cordiale:

“Entra”

Gabriel non se lo fece ripetere due volte, varcò la soglia e la ragazza chiuse con aria assorta la porta, girandone la chiave.



***



Vezzen correva lungo gli oscuri corridoi del palazzo. Affannava e arrancava nel buio, la sua bassa e grossa statura lo faceva sembrare ad uno gnomo goffo e impacciato, pronto a ribaltarsi sulle sue stesse, corte, gambe.

Aveva fretta di portare la notizia al suo Signore e il ritardo non era mai perdonato.

Bussò con un po’ troppa forza alla porta della sua camera da letto e subito si pentì di aver usato quei modi così poco decorosi.

La porta si aprì da sola con un sonoro crack.

“Perché mi disturbi, Vezzen?”

Dark Threat mantenne un tono calmo e pacato ma si notava dalle sue occhiate infuocate che era scocciato dell’intrusione.

“Signore, il Nim che aveva assegnato per l’incarico è morto, mio Signore. A quanto pare Gabriel l’ha ucciso”

“Gabriel…” ripetere quel nome gli fece tornare in mente molti ricordi.

“Sì Signore, l’ex angelo bianco” aggiunse Vezzen, cercando di mostrare la sua acutezza nelle conoscenze.

“Tanto bianco non è stato” disse Mortimer, quasi divertito.


Ci fu un momento di silenzio, Vezzen era teso più che mai mentre Dark Threat era in preda ad alcuni pensieri riguardanti il passato. Poi Mortimer parlò.

“Il Nim è stato ucciso. Ma che peccato…” disse, e non sembrava per niente dispiaciuto, anzi, sembrava ci stesse provando gusto.

“E siamo sicuri che l’abbia finito il caro Gabriel?”

“L’ha ucciso lui, sì, ma era stato precedentemente colpito dall’angelo” aggiunse.

“L’angelo?” Mortimer si stupì, Vezzen non aveva parlato dell’angelo precedentemente.

“Sì, mio Signore. Gli ha fatto perdere i sensi e poi è stato Gabriel a dargli il colpo di grazia” disse Vezzen, con un mezzo inchino.

“Però…”

“Dispiace anche a me, Signore, per la morte di un nostro alleato”

“Dispiacersi? Nient’affatto. Io trovo che tutto stia andando alla perfezione”

E rise. Mortimer rise a lungo, una risata isterica e crudele.



***



Rebecca si svegliò quella mattina con un gran mal di testa, con le braccia stenche sopra la testa si stava preparando a scendere dal letto. Diede una rapida occhiata al suo orologio che era ancora regolato con l’orario della Terra.

Le 11:00.

“COSA?!”

Bec schiattò in piedi e come una saetta tentò di togliersi dai piedi le lenzuola che erano cadute. Dopo vari tentennamenti uscì dalla camera e corse giù per le scale con tanta pesantezza che sembrava ci fosse in casa una mandria di elefanti.

“È tardi!” urlò, in preda al panico.

Scese in cucina e chiamò Gabriel, ma non le arrivò nessuna risposta e si bloccò sull’entrata. Rimase impampalata con le braccia ancora alzate dopo aversi fatto la coda ai capelli ed ebbe un dubbio mega-gigante.

Che fine aveva fatto il ragazzo?!

Si portò la mano sotto il mento ed entrò in una fase contemplativa.

Allora, Gabriel avrebbe dovuta svegliarla alle nove non appena fosse tornato dalla corsa mattutina, alle dieci e mezza avrebbero dovuto avere l’addestramento e…

Ma che ci faceva ancora a casa?

E, soprattutto, dove diavolo era Gabriel?!

Non era da lui saltare le lezioni! Semmai era lei quella lavativa…

Arrivò un altro dubbio.

Corse come una papera al piano superiore, percorse il corridoio ed entrò nella camera da letto di Gabriel.

Ordinato com’era la mattina appena si svegliava la prima cosa che faceva era il letto. Poi, per tutto il giorno, raramente ritornava nella sua stanza. Soltanto la sera, quando leggeva, si accasciava sulle lenzuola.

La cosa che meravigliò la ragazza fu di trovare ancora le pieghe nelle lenzuola della sera precedente. Era una prova schiacciante: Gabriel aveva passato la notte fuori.

Ma con chi?

“Chi…” sussurrò Bec, e per uno strano motivo a lei sconosciuto si sentì infastidita.

Riprese in fretta il comando delle proprie azioni e fece un lungo respiro.

La yoga le aveva insegnato molto.

In fin dei conti, a chi importava con chi era stato Gabriel?

A me per niente!

Era grande abbastanza per poter fare quello che più desiderava, lei non gli avrebbe di certo detto niente, avrebbe fatto finta di non sapere nulla. Appena fosse tornato a casa lo avrebbe accolto come sempre, né una domanda né un’accusa. Non era certo sua madre! Era la sua amica e gli amici non dovrebbero comportarsi come persone gelose.

Si sedette al tavolo della cucina e animalescamente addentò un pezzo di pane.

“Non m’importa…” ripetè, con la bocca piena, cercando di convincere sé stessa.

Dopo dieci minuti, il tempo che Rebecca finisse di mangiare, la porta si aprì.

Gabriel entrò, era visibilmente stanco, aveva le occhiaie e doveva aver dormito sì e no tre ore in tutta la notte.

Chissà perché, pensò con gli occhi ridotti a due fessure.

I cattivi pensieri di Bec vagavano, tormentandola.

Gabriel si accorse di lei e vedendola corrucciata e con le braccia incrociate, sospirò.

“Scusa, mi sono completamente dimenticato dell’allenamento. Mi dispiace ma io…”

Niente domande, non sei sua madre.

Sei sua madre?

No!

Ecco, e allora stai zitta!

“Dove cavolo sei stato tutta la notte, eh?!” era arrabbiata e glielo si poteva benissimo leggere dalla sua espressione.

Il ragazzo inarcò le sopraciglia.

“Sono stato fuori, ecco tutto” disse tranquillamente, lasciando intendere che non aveva voglia di parlarne.

“No, tu adesso me lo dici!” il suo tono di voce non lasciava scampo.

“Toretto, non vorrei essere scortese con te ma…” Gabriel si avvicinò alla ragazza che era rimasta ancora ferma al suo posto, incollata al pavimento. “…sono fattacci miei”

Rebecca gli diede una leggera spinta che lo mandò indietro.

“Saranno pure fattacci tuoi ma tu hai anche delle responsabilità!”

Sembrava ferita e Gabriel non capiva il perché.

“Ma che ho fatto?!” chiese disperato, vedendo che la ragazza era sull’orlo delle lacrime.

“Me l’avevi promesso!”

Una scossa accese la mente di Gabriel. Ora sì che si sentiva un verme.

“Dovevo insegnarti la magia…” la sua voce era appena udibile.

“Potessi morire” e lei riportò l’identica frase che il ragazzo le aveva detto.

Gabriel rimase zitto, sapeva quanto Rebecca ci tenesse a quel tipo di addestramento e capiva perché lei avesse smesso ormai da tempo di credergli.

“Ora dovrei ucciderti” sussurrò la ragazza, e nel suo sguardo era dipinta un’enorme delusione.

Gli passò davanti e si diresse verso la porta.

“Dove vai?” gli chiese Gabriel preoccupato.

“Affaracci miei” gli fece l’eco, e poi scomparve.



***

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Capitolo 9
*** L'origine della magia ***


Cap. 9 - L’ORIGINE DELLA MAGIA-

Gabriel non si dava pace. Stava percorrendo la stanza da cima a fondo da più o meno due ore, in poche parole, da quando Rebecca se n’era andata sbattendo la porta.
Non appena fosse tornata a casa sicuramente quel suo comportamento tanto deplorevole sarebbe stato punito. Non si faceva così: se aveva qualche problema con lui avrebbe dovuto risolverlo a quattr’occhi, senza troppe cerimonie, non comportandosi come una bambina viziata e maleducata.

Ma ciò che a Gabriel bruciava di più non era, come lui stesso si convinceva, il mancato rispetto della ragazza, quanto piuttosto non gli era chiaro il motivo che l’aveva spinta ad agire in quel modo così poco decoroso senza dare nessuna motivazione.

Un’idea in testa il ragazzo ce l’aveva ma gli sembrava improponibile come soluzione. Decise di aspettare il ritorno della ragazza, anche se quel momento apparve tardare sempre di più.

Nel primo pomeriggio, la casa non godeva ancora della presenza di Rebecca e Gabriel, infastidito, prese il mantello che aveva appoggiato poche ore prima sul divano e se lo fece passare sulla schiena.

Arrivò alla porta che era particolarmente slanciato, tanta era la voglia di uscire a cercarla, e l’aprì con forza. Fece per mettere piede sul primo gradino quando una figura seduta sulle gradinate lo fece inciampare. Gabriel si ritrovò con il sedere a terra e il cappuccio che durante il volo gli si era portato sugli occhi, nascondendoli la vista.

Lanciando una serie di insulti il ragazzo si tolse il cappuccio dal volto.

Bec, accucciata, con le braccia che le circondavano le gambe, era seduta sul primo scalino e lo guardava sconvolta. Aveva sentito la porta aprirsi ma non aveva fatto in tempo a scansarsi che si era sentita qualcosa batterle la schiena e poi aveva visto Gabriel volarle a mo di tuffo sopra la testa.

Il ragazzo, troppo imbarazzato, finse un’aria freddamente composta.

“Sei la persona più pericolosa che io abbia mai conosciuto!”  

Rebecca si rabbuiò e gli rispose a tono.

“Senti da che pulpito viene la predica!”

“Dimmi Rebecca, non è che per caso sei sempre stata qui fuori?!”

“Ottima intuizione Gabriel, mi sorprende solamente che i tuoi sensi ci abbiamo messo molto a capirlo!” disse, con un tono talmente gelido che il ragazzo stesso rimase interdetto per qualche secondo.

“Ma no! Non mi dire…n’anche ti eri accorto che ero qui fuori!” lo derise Bec, centrando in pieno.


“Finiscila. Solo perché non mi sono accorto non vuol dire che non ero in pensiero”

“C’hai messo due ore per capire che eri in pensiero”

Gabriel si rialzò e con una manata si ripulì il lungo mantello, dandosi un’austera compostezza.

Camminò fino alla ragazza e si sedette vicino a lei. Nessuno dei due parlò.

Gabriel fissava lontano.

Rebecca si sorprese più volte a fissarlo di profilo. Tossicò nervosamente, sentendosi a disagio messa in quella situazione.

“Beh, io entro” disse alla fine, non trovando un motivo valido per rimanere.

“Aspetta” con una sola parola Gabriel la zittì e lei si rimise seduta.

“Io…questa notte sono stato da…”

“No! Non lo voglio sapere!”  Rebecca si tappò le orecchie e fece una smorfia disgustata.

Gabriel la guardò strizzando gli occhi.

“Mi hai fatto una scenata perché volevi sapere dov’ero stato! E ora ti tappi le orecchie?! Ma che cosa sei?!”

“Sono una persona!”

“Allora mi senti anche se hai le orecchie tappate…” sorrise.

“Non m’interessa sapere con chi sei stato!”

“COSA?!”

Gabriel scoppiò a ridere in faccia alla ragazza, che si stava agitando nel suo posto per non starlo a sentire, per non sentire il nome di qualche ragazza che avrebbe potuto conoscere o aver intravisto nel villaggio. Alla vista del ragazzo piegato in due dalle risate Rebecca si bloccò e lentamente liberò le orecchie dalle mani che lasciò sospese in aria, tanto era confusa.

“Se ti faccio tanto ridere potevi dirmelo subito…” disse altezzosa, passandosi un dito fra le ciocche dei lisci capelli color cioccolato.

Gabriel parve calmarsi, riuscì a parlare con qualche difficoltà.

“T-Tu…credevi che…” e riprese a ridere.

Ma che ci trova da ridere?

“Guarda che di solito si ride perché qualcosa ti fa ridere! Non mi pare che io abbia fatto una battuta e neppure che io sia una barzelletta vivente!”

“Tu pensavi che io fossi stato con una ragazza, stanotte?” domandò, Gabriel.

“Beh, veramente io…” iniziò ad essere timida e impacciata. Capendo che doveva aver frainteso tutto, arrossì violentemente.

“No”

“Eh?!”

“Non sono stato con nessuna” disse Gabriel, e smise di ridere, tornando a fissare serio in volto lo stesso punto nel vuoto.

“Non prendermi in giro, bugiardo che non sei altro” scattò tutt’un tratto Rebecca, che dopo essere stata zitta a lungo spaventò Gabriel, che si stava abituando alla pace e al silenzio.

“Smettila di irritarmi!” le saltò su il ragazzo, arrabbiato per lo sclero improvviso.

“Se i tuoi sensi sono ad uno stadio primitivo i miei sicuramente non lo sono! Sento il tuo odore! Odore di femmina!”

“Femmina?! E che roba è? Semmai ragazza, impiastro che non sei altro…”

Bec, per tutta risposta all’offesa recatagli, gli sferrò un pugno sullo stomaco. Gabriel si piegò in due dal dolore.

“Grazie” disse Rebecca, distendendo un lieve sorriso, guardando con un ghigno malefico il ragazzo che ancora si lamentava come un lattante.

“D-Di cosa?!” chiese, con una nota di sarcasmo nella voce.

“Mi sono sfogata” rispose a tono, beata, portandosi le braccia sopra la testa e abbandonando la schiena contro la porta.

“Ma prego, fai pure…” esclamò con enfasi il ragazzo.

“Ok” e detto ciò la ragazza gli sferrò un altro pugno nello stesso punto di prima, facendo aumentare ancor di più al ragazzo il dolore al ventre.

“Non ti ammazzo adesso perché rischierei l’esilio, ma aspetta che tu finisca la tua missione…” disse Gabriel minacciandola, offuscato dal dolore.

“Tremo di paura…” lo prese in giro lei.

“Comunque sono stato da Rosalie” disse Gabriel, seguendo un filo di pensiero tutto suo.

Rebecca ne fu contenta e, stando bene attenta a contenere la gioia, domandò, come se la cosa nemmeno la toccasse:

“E come mai?” si guardava le unghie delle mani con fare schizzinoso e dimostrava disinteresse.

Gabriel fece un ghigno, che comparve sul suo lato destro della bocca.

“Dovevo…parlarle”

Vedendolo incerto non se la diede a bere.

“E di cosa?” punse, fastidiosamente la ragazza.

“Affari personali. Se permetti è mia sorella e avevo delle…cose da chiarire con lei”

“Ma io sono la tua unica amica!” protestò, mettendosi addosso una faccia supplichevole.

“Smettila!” la sgridò, e borbottando rientrò in casa.

Rebecca si sentiva addosso un magone in meno, soffiò sulla fronte per scostare la frangetta e seguì spedita il ragazzo dentro casa. Dopo due ore che era rimasta fuori, la sorprese l’oscurità che era calata.

“Uhm, si vede che il padrone di casa era arrabbiato” azzardò, con una battuta che non piacque per niente a Gabriel.

“Finalmente posso mangiare” disse Rebecca, stravaccandosi in una sedia e mordendo una fetta di torta che Delia aveva gentilmente portato loro il giorno prima.

Se con Rosalie, Bec, era riuscita ad instaurare un buon rapporto di amicizia con gli altri non ne era stata capace, specialmente con Denali…quel ragazzo le metteva paura. Quando passeggiava per strada e gli incontrava, gli salutava cordialmente ma raramente venivano a trovare lei e Gabriel.
Questo perché loro, a differenza di Rosalie, non avevano nulla a che fare né con Gabriel né con Rebecca.

Se Rosalie era legata ai due ragazzi e li vedeva una volta al giorno, gli altri tre, non avendo nessun motivo per venire a trovarli, se ne stavano a casa propria. Denali, Kevin e Delia erano state solo delle reclute ingaggiate a tenere compagnia a Gabriel durante il suo alloggio sulla Terra, finita la missione divennero come degli sconosciuti.

Difficilmente Bec si sarebbe fidata di loro in caso di pericolo.

“Quando ritorna Adele?” domandò la ragazza, meravigliando il ragazzo che non si aspettava una simile domanda.

“Io…non lo so. Una volta che parte non si sa mai quando tornerà” disse, risoluto.

“Ah”

“Non ti conviene, dato che oggi non ti sei allenata, approfittare della giornata e andare a farti una corsa?”

Rebecca parve pensarci su, l’offerta era allettante.

“Uhm…si dai! Così almeno mi distraggo. Stare a casa con te è una noia…” esclamò, suscitando un’irritazione in Gabriel.

“Io sarei noioso?!” chiese Gabriel, indicandosi con il dito per accertarsi che fosse veramente lui la persona in questione.

“Si, proprio tu. E ora me ne vado”

Rebecca si chiuse la porta alle spalle ridendo della faccia che aveva visto sul viso di Gabriel. Adorava farlo arrabbiare e dopo essersi “chiariti” si sentiva sempre meglio. Il sole brillava in cielo e l’aria era frizzante, le era proprio venuta voglia di fare una corsetta liberatoria, poi sarebbe ritornata a casa e avrebbe passato una piacevole notte.

In men che non si dica Rebecca si ritrovò a correre senza soste lungo tutto il villaggio, salutando gli abitanti e facendo qualche deviazione per i viottoli delle case. Non poteva immaginare quante nuove case c’erano all’interno dei vicoletti, paralleli alle strade principali, non ci aveva mai fatto caso e per un momento le parve di percorrere una strada di Phoenix, con i grandi caseggiati e grattaceli di fianco e gli squallidi appartamenti al di sopra.

Corse per il vicolo e quando fece una curva si trovò davanti a sé un alto muro, che annunciava la fine del passaggio. Avrebbe potuto facilmente saltarlo via ma la prima cosa che fece fu di fare dietrofront con l’intenzione di ritornare, il prima possibile, lungo la via principale.

Si girò di scatto e già pronta per correre quando si ritrovò a terra, scaraventata da qualcosa che le si era parato d’innanzi.

Un ragazzo alto, ben piazzato e con i capelli scuri la guardava dall’alto al basso.

Rebecca si alzò, scansando la mano che il giovane le aveva offerto per aiutarla a rialzarsi.

Ora che ebbe il tempo di guardarlo meglio notò due profondi e glaciali occhi grigi, una pelle talmente abbronzata e perfetta che per qualche istante rimase a contemplarlo. Non aveva mai visto quel ragazzo nel villaggio e, se l’avesse visto, sicuramente se lo sarebbe ricordato.
Alto, fiero e prorompente aveva tutta l’aria di essere un guerriero, orgoglioso e vivace fin dentro l’anima. I suoi muscoli si tesero nel momento in cui allungò il braccio verso la ragazza.

Con un sorrisino furbo le diede la mano, sfoderando una schiera di bellissimi denti bianchi. Con l’altra mano si scansò allegramente i ciuffi dalla fronte.

“Piacere, Rebecca. Speravo proprio di conoscerti, guarda caso non in questa circostanza” disse, con una voce fanciullesca ed entusiasta.

Bec strinse la sua mano morbida e con un sorriso imbarazzato ricambiò la stretta.

“Come fai a conoscermi?” chiese, venendo completamente contagiata dal sorriso del ragazzo.

“Mio zio, Bastian, mi ha parlato subito di te…e delle tue…doti” disse, con fascino.

“Bastian è tuo zio? Non ti ho mai visto a Chenzo” ammise lei, a proprio agio in quella conversazione.

“Sono arrivato da poco al villaggio, rimarrò qui per un po’, finchè non si saranno calmate le acque nel mio paese” disse e un improvvisa ombra di tristezza gli attraversò il volto abbronzato.

“Sei scappato da Mortimer?”

“Dark Threat…” la corresse, duramente. “…ha attaccato la mia casa e io sono l’unico che è riuscito a scappare. Tornerò non appena mi sentirò di nuovo al sicuro”

“Come ti chiami?” domandò, curiosa e totalmente presa dal giovane, dimenticandosi per un momento che proprio quel ragazzo poco prima l’aveva sbattuta a terra.

“Atreius” disse fiero, come se quel nome rappresentasse un’invincibile garanzia.

“Nome…alquanto originale”

“Ti prego, mi daresti l’onore di accompagnarti a fare un giro? M’interessa molto quello che potresti raccontarmi”

Rebecca sbattè gli occhi un paio di volte.

Di certo quell’Atreius non si dava problemi a rimorchiare una ragazza sola e indifesa.

“Ma certo” disse, e si fece condurre dalla sua nuova conoscenza al di fuori del vicolo buio.



***



Quella che doveva essere una semplice e formale camminata divenne ben presto una formidabile intesa tra i due ragazzi, tanto che passarono l’intero pomeriggio a parlare.
Si stesero su un prato verde e ammirarono il cielo confidandosi di tutto, da tempo Bec non si sentiva così serena e a suo agio con qualcuno. Sebbene la presenza di Gabriel la confortasse, con lui non faceva altro che scontrarsi, non poteva dire di aver avuto in quel periodo una vita sociale molto attiva. Ma con Atreius era tutto diverso, si capirono all’istante, legarono da subito e avevano molte cose in comune.

Atreius, da quello che le aveva detto, veniva da una povera famiglia di contadini al confine tra la terra magica e il regno delle tenebre. Sua madre, Magdala, era scomparsa quando lui era molto piccolo e solo il padre si era preso cura di lui. Era cresciuto in quelle verdeggianti vallate, libero e ribelle, fino al giorno in cui Mortimer non attaccò il suo villaggio, distruggendo tutto quello che a lui era più caro: suo padre non riuscì a sopravvivere e nemmeno il resto degli abitanti. Le case, le calde e accoglienti taverne, i campi coltivati…tutto bruciato. Il fuoco fu una piaga per quella gente. Il fuoco, marchio del potere maligno. Marchio di un mostro senza pietà.
Rebecca nel sentire quel racconto così triste, non potè non provare una forte rabbia dentro di sé, voglia di vendetta e di giustizia.

Senza farsi notare ammirò il profilo marcato di Atreius e vi vide i segni della devastazione, il mento e gli occhi erano rigidi, induriti. Il ragazzo parve per un momento scialbo, più vecchio dei suoi vent’anni e Rebecca ne rimase colpita. Profondamente.
Allungò la mano verso di lui e con un gesto tenero gliela posò sulla spalla, confortandolo. Atreius all’inizio sussultò al tocco leggero di lei ma poi, rilassandosi, si lasciò toccare.

In quel preciso instante seppe che tra lei e Atreius si era instaurato qualcosa, che fosse amicizia o un affetto più profondo questo ancora non lo sapeva. Sapeva solo che voleva aiutarlo, accoraglielo e dargli tutto il suo appoggio.

“Vieni a trovarmi quando vuoi, mi piace parlare con te” disse Bec, amorevolmente.

Atreius fece un cenno con il capo.

“Grazie, sei gentile. Davvero” disse, in un sussurro, tanto che la ragazza dovette avvicinarsi ancor di più a lui per poter capire quello che aveva appena detto.

Il ragazzo, approfittandosi della vicinanza, preso da un improvviso impulso, spostò velocissimo la testa verso quella di Rebecca e le loro bocche s’incontrarono.

Bec spalancò gli occhi non riuscendo a concepire quello che stava accadendo. L’unica cosa che sentiva era la bocca calda e sensuale di Atreius muoversi sulla sua, la sua lingua che cercava la sua. Atreius approfondì con una certa urgenza il bacio, coinvolgendo alla fine anche Rebecca che si lasciò andare totalmente a lui. Portò le sue fragili braccia a circondare il collo abbronzato del ragazzo mentre Atreius, possessivamente, le circondò i fianchi.

Qualcuno dietro di loro tossì. “Scusate…”

A Rebecca partì un colpo al cuore.

Ecco.

Il mio primo infarto.

Una voce profonda e calma con una vibrante nota di fastidio.

La ragazza, staccandosi dal corpo proteso di Atreius, con calma…molta, molta calma si girò per accogliere Gabriel.

Vedendo il viso tirato e freddo del ragazzo, pensò che questa volta l’avrebbe uccisa sul serio ma niente di tutto ciò avvenne: Gabriel, galante come sempre, riuscì comunque a mantenere un tono autoritario e menefreghista. Squadrò con occhiate gelide prima il ragazzo moro poi la sua allieva, le mani appoggiate ai fianchi gli permettevano di trattenersi.

“Vieni subito a casa” con queste poche parole Rebecca scattò in piedi e in preda all’imbarazzo si tolse nervosamente dei fili d’erba dall’uniforme, corse di fianco a Gabriel e mantenne gli occhi bassi dalla vergogna finchè Gabriel parlava con Atreius.

“Non ti ho mai visto qui. Chi sei?” domandò, diventando improvvisamente ostile e maleducato, come se stesse guardando un eretico.

“Sono Atreius, nipote di Bastian” disse il ragazzo, sostenendo alla meglio lo sguardo di Gabriel.

“Che diavolo ci fai nel nostro villaggio?” un’altra domanda rivolta bruscamente.

A quel punto Bec intervenne in difesa di Atreius.


“Gabriel, non mi sembra il caso di essere così scortese con un ospite…” gli sussurrò all’orecchio.

Gabriel non disse niente, strinse i pugni e se ne andò. Lei lo seguì con sguardo avvilito e capendo che era arrabbiato decise di tornare a casa con lui.

“Io vado” disse rivolta ad Atreius, salutandolo con la mano.

Atreius le rivolse uno dei suoi sorrisi più belli e con un fascino enigmatico la congedò con poche parole.

“Tanto non mi scappi”



***



Tornati a casa Rebecca si aspettava da parte di Gabriel una scenata, una di quelle che non finivano più. E invece lui…che fece? Se ne stette zitto. Entrò in casa, buttò il mantello nel divano, andò in cucina e poi in bagno, ignorando completamente Rebecca che lo osservava con sospetto come se non aspettasse altro se non il momento in cui avrebbe dato di matto. Quel momento sarebbe arrivato ma non quella sera.

Cenarono in silenzio e le poche parole che si dissero furono frasi sbrigative o dei monosillabi. La tensione era alle stelle e Bec capì che la cosa non poteva andare avanti ancora per molto, non avrebbe sopportato quell’ostilità anche l’indomani. Prese un bel respiro e decise che, per il momento, era meglio lasciar perdere, gli avrebbe parlato quando sarebbe stato più calmo. Perché, anche se Gabriel dava l’impressione della persona matura che non se l’era presa, a lei non scappò l’occhiata di fuoco che le diede sulla collina e anche i suoi silenzi significavano che era arrabbiato e che preferiva starsene zitto.

Non le diede n’anche la buonanotte, non giocarono nemmeno alla prova dei riflessi e, con orrore di Rebecca, non si erano nemmeno azzuffati nel divano. La situazione stava precipitando, avrebbe preferito che l’avesse presa a pugni piuttosto che evitarla così, come se fosse invisibile.



***



“Stamattina ti insegno la magia” annunciò entusiasta Gabriel, scendendo tutto trafelato in cucina, dove Rebecca stava facendo colazione ancora in pigiama.

La ragazza, vedendolo così di buon umore, aggrottò le sopraciglia.

“Che c’è?” chiese Gabriel, alzando le spalle dinnanzi alla perplessità di Rebecca.

Lei scrollò la testa come a voler scacciare un fastidioso pensiero.

“Niente, niente. È solo che oggi ti vedo così…” disse, e inclinò la testa per guardarlo meglio. “…felice” concluse, non potendo trovare un termine più adatto.  

“Perché, ieri com’ero?”

Rebecca spalancò la bocca.

Possibile che non si ricordava più cos’era successo ieri? Gabriel non aveva fatto scenate ma lei poteva giurare che un po’ si era arrabbiato…ma da come si comportava quella mattina sembrava aver rimosso tutto.

“Un po’ silenzioso” rispose la ragazza con l’angolo destro della bocca inarcato.

“Ieri avevo la luna storta per via di una litigata avuta con Denali” disse, piegandosi in due per far stare nello zaino più provviste possibili, poi continuò: “Che per fortuna abbiamo risolto. Poi, come se non bastasse, te ne sei stata via tutta la giornata e quando ti trovo…cosa fai? Ti baci con un merluzzo fritto sulle colline come se niente fosse! Dovevi darmi il tempo di riprendermi! Non che la cosa mi importi comunque, se vuoi stare con quell’Atroi…”

“Atreius” lo corresse lei, seguendo con interesse il ragazzo, come se non credesse alle proprie orecchie.

“Atreiucometipare…cioè, se vuoi passare del tempo con lui fa pure! Ma sappi che tu, qui, hai una missione da compiere e se fossi in te non m’impegnerei in relazione serie, non avresti né il tempo né la garanzia di portarle avanti”

Gabriel finì di parlare nel momento stesso in cui riuscì a chiudere la cerniera dello zaino, si rimise dritto con le braccia sui fianchi e le regalò un generoso sorriso.

“Non è troppo capiente, quello zaino?” domandò Rebecca, indicando l’enorme massa di stoffa che stava al centro della stanza.

“Che t’importa? Tanto lo devo portare io” disse il ragazzo, muovendosi avanti e indietro.

“Muoviti a mangiare Rebecca, che ho voglia di partire” esclamò, continuando a fare una corsetta sul posto, impaziente di andarsene.  



***



Rebecca lasciò cadere pesantemente lo zaino a terra e lo seguì stendendosi sull’erba, esausta. Con difficoltà aprì gli occhi verso il cielo, il sole le permise solamente di tenerli socchiusi ma a lei andava bene comunque. Dei passi le fecero capire che Gabriel era dietro di lei.

“Per fortuna che lo zaino dovevi portarlo tu!”

Anche Gabriel imitò la ragazza e si accasciò sul morbido prato, guardando Rebecca che, completamente stesa, sembrava stesse dormendo.

“Sembri un morto” scherzò, ridendo della sua battuta.

Bec finse un risata lodatrice e tre secondo dopo fu addosso al ragazzo. Gli si buttò contro, cercando di farli il solletico, mentre Gabriel tentava di scrollarsela di dosso ridendo come un pazzo.

Rotolarono insieme sul pendio travolgendosi a vicenda e dandosi lievi pizzicotti. I loro corpi, avvinghiati e intrecciati, aderivano completamente. Perfettamente.
 
Fu Bec, che alla fine della corsa, si ritrovò vittoriosa sopra a Gabriel. Frenò con i piedi e riuscì a mettersi sopra al ragazzo gridando un: “ho vinto” mentre lui rimase accondiscendente sotto di lei con le braccia e le gambe rilassate, stese lungo il corpo.

Rebecca aveva le braccia che andavano a racchiudere la testa di Gabriel, il petto che aderiva completamente al suo e le gambe di lato che però imprigionavano saldamente la gamba sinistra del ragazzo.
Avevano entrambi il fiato corto e la fronte leggermente sudata, smisero di ridere e i loro sguardi si incatenarono.
I loro volti erano seri e nel modo in cui si stavano guardando sembrava che si stessero scoprendo per la prima volta, gli occhi dell’uno su quelli dell’altra erano profondi e attenti a studiare ogni piccolo particolare.
Ansimavano e da quanto erano presi in quel momento l’uno dall’altra non riuscirono nemmeno a riprendere il fiato, il respiro era veloce e con un ritmo martellante nel petto.

Potevano sentire le scariche che attraversavano i loro corpi in fermento e una lampadina si accese nella testa di Rebecca, dandoli un brusco avvertimento.

Come scottata la ragazza si tolse dal corpo proteso di Gabriel e rotolò su un fianco per allontanarsi il più possibile da lui.

Gabriel, in lotta con sé stesso, rimase fermo in quella posizione e chiuse gli occhi, facendo uno dei suoi esercizi respiratori.

“Sarebbe meglio cominciare, maestro” disse Bec, sottolineando l’ultima parola con l’intenzione di mettere in chiaro la sua posizione di allieva.

Gabriel, dal tono così formale e distaccato di lei, aprì improvvisamente gli occhi. Visibilmente infastidito si rimise in piedi.

Raggiunsero il posto dove avevano lasciato lo zaino e solo allora Rebecca si accorse di dov’erano. Cioè, non che non se ne fosse accorta anche prima…semplicemente ora aveva il tempo di ammirare quel paesaggio.

Dietro a lei c’era una folta foresta di alberi mai visti: sembravano a dei pini…se non fosse stato per il fatto che avevano dei bellissimi fiori rosa.

Dopo la foresta iniziava la collina di erba battuta, verde e con il tipico odore di fresco.

Da dove si trovavano loro era presente un sentiero non molto visibile che affiancava l’intera vegetazione, curvandosi poi verso di essa.

Davanti a lei invece, dove il sentiero finiva, la collina iniziava con un ripido tratto, fino a quando non si concludeva dando vita ad un precipizio roccioso. Al di là del precipizio si innalzavo delle vette assurdamente giganti, spoglie di qualsiasi vita e di una roccia chiara, quasi azzurra. La punta di quelle montagne era appunta e la parete era pericolosamente scivolosa.
Il precipizio (che da quanto era profondo non si scorgeva la fine) non faceva altro che separare da un lato le catene montuose e dall’altro la collina con la foresta.

“Perché mi hai portata qui?” chiese in un sussurro Bec, facendosi inquietare dalla mostruosità delle montagne; avevano un che di oscuro, di minaccioso.

“Perché, che tu ci creda o no, questo è il posto in cui scorre più magia in assoluto. E dato che a te, te ne serve molta di magia, ho trovato opportuno portarti qui”

“Che devo fare?” domandò, mostrandosi impaziente.

“Non pensare che imparerai oggi tutto quello che c’è da sapere sulle arti magiche. In questo giorno ti limiterai a farti carico della magia, essa dimorerà in te grazie alla nascita delle tue ali”

“Avrò le ali? Oggi?!” esclamò, lanciando dei gridolini eccitati.

Gabriel, contento della sua euforia, le fece cenno di sì.



***



“Sapete dov’è Gabriel?” chiese Denali, entrando in casa di Rosalie e trovandosi tutti davanti.

“Penso che sia andato nella collina di Arabek” rispose sbadigliando, Kevin.

“E tu come lo sai?”

“Rosalie, anche se Gabriel è tuo fratello, dimentichi che è il mio migliore amico”

Rosalie parve offesa e cercò, con lo sguardo, l’appoggio di Delia che però non parve accontentarla. Si giustificò con una semplice alzata di spalle che Rosalie capì all’istante.

“Delia, solamente perché tu e Kevin state insieme questo…questo non vuol dire che gliela devi dare sempre vinta”

“Calmati, non voglio prendere posizioni per delle sciocchezze come questa” disse Delia, osservandosi il colletto della camicia semi-aperto e ricevendo un’occhiata amorevole da parte di Kevin.

Denali, che era rimasto nell’entrata, raggiunse il trio accomodandosi nel divano accanto a Rosalie. Al contatto con la pelle di lei, Denali, fu in preda ad un bisogno improvviso di baciarla, strinse i pugni forte per impedire che ciò accadesse. Rosalie se ne accorse e con un’aria afflitta portò lo sguardo a terra.

Nessuno, apparte Kevin e Delia, era a conoscenza della profonda infatuazione che coinvolgeva Denali e Rosalie, un’attrazione così forte che difficilmente i due riuscivano a frenare. Si trattava solamente di puri bisogni e piaceri sessuali che non andavano oltre a degli incontri fuggenti che avvenivano durante la notte.
Non era iniziata da molto questa loro relazione segreta, diversamente da Kevin e Delia che stavano insieme da anni, si era avviata pochi giorni dopo il loro ritorno nel pianeta, dopo che avevano portato a casa l’angelo.

La brutalità e la virilità di Denali e la bellezza accattivante e l’indole combattiva di Rosalie si erano scontrate in una pericolosa relazione amorosa che a fatica riuscivano ad evitare.
Non sapevano n’anche loro se si amavano davvero o se era solo sesso, ma pertanto che nessuno si poneva la domanda, nessuno ci pensava.

Con uno scatto, che non passò inosservato a Kevin e Delia, Denali ritirò la mano che quasi toccava la gamba lunga e snella di Rosalie. La ragazza, sentendosi rifiutata, si alzò con grazia e cambiò posto, sedendosi in una poltrona di fianco a Kevin, sotto lo sguardo severo di Denali.

“Comunque, perché cercavi Gabriel?” chiese, Delia.

 “Ieri abbiamo avuto una pesante discussione riguardo alla ragazza. A quanto pare abbiamo idee diverse su ciò che è convenevole e cosa no”

“Anche a me ne ha parlato, subito dopo che abbiamo fatto ritorno dalla Terra. Devo dire che ne sono rimasta totalmente sorpresa, è venuto a trovarmi diverse volte…di notte” disse Rosalie, rammentando quei spiacevoli ricordi.

“Ragazzi, ma di che state parlando?” domandò Kevin, posando lo sguardo prima su Denali e poi su Rosalie.

Delia fece un cenno del capo, d’accordo con il suo ragazzo.

Rosalie e Denali si guardarono per decidere chi tra i due avrebbe dovuto parlare in rappresentanza dell’altro. Alla fine, prese la parola la ragazza.

“Vedete, Gabriel ha parlato a me e a Denali riguardo a delle sue perplessità sulla ragazza. Ecco, lei…” Rosalie si voltò verso Denali, in cerca di un aiuto che però non arrivò. Perciò continuò, più infastidita che mai. “Secondo noi c’è la possibilità che Rebecca abbia o avrà una tendenza al lato oscuro una volta maturati i suoi poteri. Non dobbiamo scordarci chi sono i suoi genitori e cosa hanno fatto alla sua età, dobbiamo mettere in preventivo cosa farà suo padre quando verrà a sapere che lei è sua figlia. Non è da escludere che la voglia con sé, dalla sua parte. Senza contare che durante la sua permanenza a Chenzo Rebecca ha dimostrato preferenze verso quel lato della forza. Ricordate quando ci siamo trasportati dalla Terra a Chenzo? Beh, Gabriel mi ha confidato che, mentre a tutti noi era visibile il palmo destro della mano, a lei erano raffigurati entrambi. Sapete cosa vuol dire tutto questo, vero? La mano destra rappresenta il Bene, opposta è invece la mano sinistra che da sempre rappresenta il Male. Il fatto che le si siano presentate entrambe le possibilità ci dà da pensare. Significa che la ragazza viaggia tra le due forze e che basta poco a farle cambiare idea, nel bene e nel male, ma data la sua giovane età, la sua ribellione alle regole, la smania di potere…non farebbe altro che indirizzare la sua scelta verso il lato oscuro. Gabriel si ostina a credere che tutto questo sia solamente il frutto del suo DNA, che non siano comportamenti voluti come uccidere o combattere, nei quali è la tua mente a ragionare. Secondo Gabriel il fatto che a Rebecca compaiono entrambe le mani è dovuto semplicemente al sangue che scorre nelle sue vene e che lei non condividerebbe. Questo fino a quando…”

“Fino a quando lei non ha detto una frase molto insolita per un angelo bianco” Concluse Denali, interrompendo Rosalie, che ora lo guardava con astio.

“Se volevi raccontarla tu la storia, bastava che me lo dicessi” disse con durezza Rosalie, facendo rivoltare lo stomaco a Denali, che però non si scompose e la lasciò continuare.

“A quanti pare la frase circospetta che Rebecca avrebbe detto è: “io vorrei vivere per sempre”.”

Non appena Kevin e Delia sentirono quelle parole fecero una faccia sconvolta.

“Non può essere” disse debolmente Delia, portandosi una mano alla bocca.

“Quella ragazza va tenuta sotto controllo!” scattò Kevin, preso da una paura improvvisa. “Non possiamo permettere che riaccada!”

Tutti gli altri nella stanza dinnanzi l’ira di Kevin, abbassarono rispettosi lo sguardo. Prima che il signore delle tenebre prendesse il nome e l’aspetto di Dark Threat altri non era che un giovane angelo del bene: Mortimer. Un ragazzo prodigio che rovinò tutte le aspettative e i sogni dei suoi maestri nel momento in cui scoprì di essere il più grande e potente angelo del Male. La famiglia di Kevin fu una delle tante famiglie che perse la vita nel momento in cui Mortimer scappò dal villaggio. Preso da un momento di follia uccise moltissime persone. Poi scappò e si nascose in quelle lande desolate dove ora sorgeva il suo castello. Quel giorno Kevin non solo perse suo padre e sua madre, ma anche sua moglie e sua figlia.

Nonostante la giovane età del ragazzo Kevin si era sposato prestissimo con una ragazza che lui amava più della sua stessa vita, e qualche anno dopo, all’età di vent’anni, nacque sua figlia, una deliziosa bambina dagli occhi azzurri e i lunghi capelli biondi del padre. Dopo la loro scomparsa tentò più volte il suicidio, voleva morire, la vita non lo appagava più e il solo camminare in quelle strade dove era cresciuto gli si strappava il cuore.

Tutta quest’autodistruzione nei suoi confronti durò finchè non conobbe Delia, di qualche anno più piccola di lui, figlia della locandiera del villaggio, era di una tale bellezza e dolcezza che egli ne rimase colpito profondamente. Delia sin da subito s’innamorò di lui ma, essendo stata messa in guardia della sua tragica storia, mantenne sempre una certa distanza, timorosa di potergli provocare altro dolore. Kevin smise di resisterle un anno dopo che si erano conosciuti e con un impeto tale da sorprendere entrambi si dichiarò. Spiritato da una nuova voglia di vivere, Kevin, concentrò tutto sé stesso nell’amore per Delia, diventando possessivo nei suoi confronti e aggressivo se la sapeva in pericolo.

Ora, la prospettiva che un altro angelo del Male circolasse per Chenzo mandò in allarme Kevin, che, Delia lo sapeva, non ce l’avrebbe fatta a sopportare un’altra perdita.

“Non ti preoccupare, abbiamo tutto sotto controllo” disse Delia, racchiudendo tra le sue tenere mani quella grande e callosa di Kevin.

Kevin, ricordandosi quanto l’amava, la strinse a sé e le baciò la fronte, ringraziandola mentalmente per la sua comprensione.

“Ma è così brutta come può sembrare quest’affermazione?” chiese Delia, con un barlume di speranza.

“Non voglio dare troppo peso a questa cosa ma semplicemente mettervi al corrente dei rischi che corriamo, in maniera che non vi trovino del tutto impreparati” la confortò con apprensione, Rosalie.

“Ma voglio anche farvi capire il peso di quelle parole, un vero angelo bianco non potrebbe mai essere tanto attratto da una simile opportunità di potere. Solo chi brama la fama e l’invincibilità dell’anima può volere tanto; l’immortalità è una conseguenza dell’essere angeli, gli angeli bianchi la accettano con disinvoltura e con scontata maniera mentre gli angeli del male non fanno altro che ricercarla e anche se ce l’hanno già, vogliono di più, sempre di più. L’ultima cosa che ci disse Mortimer prima di scappare fu: “io vivrò per sempre”. Ora, certamente la frase in sé fa paura, ma non dobbiamo partire prevenuti nei suoi confronti, non sarebbe giusto”


“Le staremo vicini” disse Denali, con carattere.

“Certo”

“Ok”

“Va bene”



***



Gabriel era assai contento dei miglioramenti che aveva fatto come maestro, oltre ad essere maturato aveva fatto maturare anche un’altra persona: Rebecca. Era orgoglioso di quanto l’aveva potuta aiutare e di quanto lui stesso avesse contribuito nella sua crescita, si sentiva oramai parte di lei…come lei aveva preso una parte di lui.

Ora, mentre la guardava da dietro, appoggiato ad un tronco sulla soglia della foresta, non poteva che essere fiero di lei, Rebecca non immaginava n’anche quanto lo appagava vederla così migliorata.

Mentre lui aspettava, lei, al limite del pendio, si stava preparando. Gli dava le spalle e per questo non poteva sapere che faccia stava facendo il ragazzo, la turbava saperlo dietro di lei e non avere idea di come la stesse valutando.

Quello che Gabriel le aveva detto di fare era a parole semplice: sfruttare la magia presente nell’aria per irradiare il suo corpo, sentire l’energia nuova scorrerle nelle vene, rilassarsi e al momento opportuno liberarsi da qualsiasi peso. Solo allora le ali avrebbero fatto la loro comparsa.

Il problema era la pratica: era da venti minuti che Bec attendeva di essere colta dalla sensazione di avere finalmente in sé la magia.

E Gabriel, senza battere ciglio, attendeva. Paziente e bramoso allo stesso tempo.

Proprio quando le forze la stavano abbandonando Rebecca si sentì, tutto un colpo, come se il suo corpo si stesse spaccando, una scossa la paralizzò, bloccandole qualsiasi movimento. Sembrava morta, la sensazione era quella, eppure non lo era. La sensazione era quella di essere lontana dal proprio corpo, leggera e talmente libera da poter volare senza nessun peso.

Fu allora che ne approfittò.

Prese un profondo respiro e rilassandosi completamente unì le mani a preghiera e quando le aprì insieme, come a creare uno spazio sempre più grande, la sua schiena si illuminò.  

Gabriel, che dapprima fu preso da un improvviso colpo al cuore, ritornò a fare l’indifferente, appoggiato al tronco, anche se non potè impedire alla sua espressione di essere del tutto ammirata.

Nel momento in cui le ali di Rebecca si aprirono in tutta la loro bellezza Gabriel ne rimase incantato, la guardava con fare possessivo e passionale.

Le ali, intanto, candide e abbaglianti, erano appena sbocciate.



***

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Capitolo 10
*** Cadendo dalle stelle ***


Cap. 10 - CADENDO DALLE STELLE -

Il sole quella mattina picchiava parecchio e nel cielo uno squarcio di luce invase Chenzo, nel momento stesso in cui Bec aprì le ali per la prima volta nella sua vita. Provò un lieve bruciore all’inizio, le parve, per un momento, che un profondo taglio si stesse aprendo nella sua schiena, ma poi il senso di completezza la rilassò completamente.  

Poteva dirsi soddisfatta di sé stessa. Con un sorriso a trecentosessantacinque denti si voltò verso Gabriel che si era tenuto in disparte per non fare da intruso in quel magico momento. Il ragazzo si limitò (la sua vita era fatta di continui limiti) a sorriderle discretamente, con un cenno del capo ma a Rebecca non sfuggì quella nuova luce nei suoi occhi.

Sembrava che Gabriel fosse…

Uhm, interessato?

A lei.

Bec si diede mentalmente della stupida solo per averci pensato. Non credeva le fosse permesso avere certi pensieri riguardo…

E poi, voglio dire, è di Gabriel che stiamo parlando!

Bec fece uno strano gesto, come a voler scacciare una mosca fastidiosa, e, raggiante come il sole, corse verso Gabriel che aveva mantenuto la sua compostezza.

“Allora, maestro, sono stata brava?” chiese, con malizia.

“Direi che un “discreto” vada bene”


“Si, certo…” disse, dandogli una pacca sulla spalla. “Tanto lo so che pensi che io sia stata fantastica. Sai, alcune volte vorrei vederti un po’ più spontaneo”

Il ragazzo la guardò malissimo.

“Per prima cosa abbassa le mani. E poi, diavolo, non potresti richiudere le ali?! Le tue piume mi stanno soffocando!” abbaiò, ed effettivamente aveva ingoiato parecchie piume.

“Non ci penso nemmeno!”

“Eh?”

“Ora voglio proprio vedere com’è volare” disse concitata, beccandosi un’occhiata di rimprovero da Gabriel.

“Tu non ti farai mai mettere i piedi in testa da nessuno, vero?” le domandò Gabriel, e non sembrava per niente arrabbiato.

“Proprio così” disse fiera, prima di farli l’occhiolino.

Lui sorrise con un’alzata di spalle, arrendendosi.

“Hai imparato a combattere con le armi, impari a volare…ora ti manca solamente saper usare la magia negli scontri” disse scrutando il terreno, facendo un breve riepilogo più a sé stesso che alla ragazza.

“Prima di passare al punto due, io direi di iniziare con il punto secondo”

“E il punto primo?” domandò Gabriel, con una leggera nota di derisione.

“Ah, in quello sono praticamente perfetta” disse tranquillamente, ciondolando la testa.

Gabriel si lasciò scappare un ghigno contrariato.

È ambiziosa…

È fiero…

“Direi quindi che Miss Perfezione potrebbe farci vedere una dimostrazione, visto che è così spigliata e capace”

Bec colse la sfida, ora si sentiva talmente sicura di sé stessa che non prese nemmeno in considerazione la possibilità di fallire.

“Sta a guardare…” disse, iniziando a correre lungo la collina. “…pivello” e a quel nomignolo il ragazzo inarcò il sopracciglio, sbuffando.

Bec corse lungo il pendio, davanti a lei il precipizio annunciava la fine della verde montagna. Non si fece assolutamente intimidire, aumentò il passo e quando capì che la corsa era finita seguì il suo istinto.

Si slanciò in aria con le braccia aperte e il corpo teso, le ali, unite alla volontà della ragazza di volare, cominciarono a sbattere.

Non aveva ancora preso coscienza del fatto che stava volando, che già sapeva di saperlo fare. Con un’innata eleganza volò in alto, sempre più in alto. Arrivò in un punto che doveva toccare gli ottanta metri di altezza (una cosa inaudita per un principiante), inarcò la schiena e con una ribaltata indietro tornò a puntare verso terra.

Toccò il suolo freddo e le sue gambe tremavano per l’agitazione, fu un miracolo che riuscirono a sorreggerla. Con un gesto automatico pensò di voler chiudere le sue ali, e queste si chiusero. Dipendevano dai suoi voleri, se avesse saputo che era così facile richiamare le ali ci avrebbe provato prima, anche se era conscia del fatto che ora, in effetti, era e si sentiva molto più forte.

La magia può far rinvigorire.


Sorrise tra sé e sé, non prestando attenzione a Gabriel che, mani in tasca, se ne stava tornando al villaggio.

“Non mi dici neppure “brava”?!” gli chiese Bec, rincorrendolo con un po’ di fatica.

Gabriel dovette far conto di tutta la sua buona volontà per andare via dritto e non prestarle attenzione ma quando lei lo raggiunse si fermò e, con uno sguardo deciso, la fissò. Bec, tutto un tratto, si sentì imbarazzata sotto quello sguardo.

Perché doveva sempre guardarla così?

Con quegli occhi.

Gli occhi…

Quella bocca.

La bocca…

“Sei perfetta” le disse e sembrava stupito di sè.

Sicuramente non si era riferito solamente a quell’occasione.



***



Erano sulla strada del ritorno, Bec (come sempre nella sua vita) non faceva altro che parlare con Gabriel, gli stava praticamente facendo un confessionale. Lui le faceva di tanto in tanto un cenno del capo, alcune volte interveniva in prima persona, sennò era sempre lei a parlare, gesticolava, scalpitava per qualcosa con cui non era d’accordo e ovviamente il linguaggio era leggermente scurrile. Gabriel aveva smesso di guardarla storto ogni volta che lei si lasciava scappare qualche parola di troppo. Anche ora, tornando a casa, non faceva altro che inveire contro qualcuno. Da quanto Gabriel aveva capito, Bastian l’aveva rimproverata per non aver preso parte alle consuete riunioni del giovedì notte nella piazza, secondo lui la presenza di Rebecca poteva giovare lo spirito dei compaesani. Ma tra una cosa e l’altra, Bec, non era mai potuta andare, e odiò Bastian con tutta sé stessa per non averla capita.

Ma cosa credevano che fosse, lei? Un baraccone da circo? Una bella statuina da mettere in mostra, con l’unico obbiettivo di dire sempre: “va tutto bene”?!

“Al diavolo!” sbraitò, lanciando le braccia in aria.

“Cerca di darti una calmata, non vorrei che…” e qui si mise a ridere. “…non vorrei che Atrois s’ingozzasse con una fetta di carne nel sentirti urlare”

“Ah-Ah, spiritoso. Veramente. Si dà il caso, Gabriel, che Atreius, e sottolineo Atreius, non potrebbe mai ingozzarsi con una fetta di carne. E sai perché?” domandò, con una punta di isteria nella voce.

“P-Perché?” domandò Gabriel, trattenendo una risata.

“Perché lui non mangia la carne” disse semplicemente, sbollendosi.

Gabriel trattenne con decisione un sorriso, tanto che la bocca si gonfiò di aria.

Stava per risponderle con qualche battuta poco carina su Atreius quando il diavolo mise le corna. La voce gli si smorzò nel momento stesso in cui vide Atreius sullo stipite della sua porta, della sua casa.

Dal modo in cui teneva le braccia conserte e il corpo appoggiato al muro, si capiva benissimo che stava aspettando qualcuno. Gabriel non fece fatica a fare due più due.

Chissà perché quel tipo non gli piaceva più di tanto.

Sbuffò, leggermente infastidito e con una scusa liquidò Bec al suo fianco. Fece dei passi veloci verso la porta e con un cenno del capo salutò frettolosamente Atreius, nascondendosi in casa. Rebecca, titubante e (ovviamente!) imbarazzata, si avvicinò lentamente ad Atreius.

“Ciao” le disse il ragazzo, con dolcezza.

Chissà perché tutto un tratto faceva freddo…

“Ciao!” disse Bec, con un po’ troppa enfasi. “Co-Cosa ci fai davanti a casa mia?” gli domandò, e sembrava scocciata.

Per un breve istante lo sguardo di Atreius parve vacillare.

“Sono venuto a salutarti! Non sapevo che fare, mi annoiavo, e allora ho pensato…perché non andare a trovare la persona più speciale che esista?! Mi sono catapultato a casa tua ancora una vita fa ma tu non c’eri, allora sono rimasto ad aspettarti e, questa te la devo dire, per intrattenere il tempo ho inventato di tutto: ho rincorso un coniglio bianco e ho fatto lo scivolo negli scalini, finchè non mi si sono tagliati i pantaloni” si girò e mostrò a Bec il suo sedere coperto da dei pantaloni scuri che, in effetti, presentavano un grosso buco al centro e la pelle era ben visibile.

A Bec scappò un sorriso meravigliato, non era da tutti i giorni trovare persone così strane che ti facessero ridere per le loro stravaganze.

“Sono venuto principalmente per due motivi: il primo, voglio farti le mie più sincere scuse per quello che è successo tra noi. Quel bacio che ti ho dato è stato dovuto da un blackout momentaneo, non che non lo rifarei, però forse sono stato troppo frettoloso, visto che ci conosciamo da poco…”

Ma come diavolo faceva?!

Come faceva a passare da un discorso all’altro con una tale tranquillità, senza nessun tipo di imbarazzo o di titubanza?

“…ma confido che ciò non abbia in alcun modo intaccato la nostra amicizia. Mi piaci Bec, dico sul serio, come amica sei fantastica anche se ho cominciato ad apprezzarti da ieri”

Quando finì di parlare, Rebecca non sapeva che dire.

Che gli dici ad uno così?

“E il secondo punto?” domandò, deviando il punto uno più per imbarazzo che per maleducazione.

Atreius parve rimanere stupito ma poi riprese a parlare, anche se si capiva che era deluso.

“Il punto secondo è piuttosto semplice: domani sera ti porto a mangiare fuori” disse con orgoglio, alzandosi quasi in altezza.

Ovviamente non accettava un “no” come risposta, Rebecca non era stupida.

“Ma se non ci sono neanche i ristoranti!”

“Che importa?! Mica ti porto in un bar o in locale! Sarà una sorpresa”

“Beh, penso che…”

Incertezza…

“Oh, non dirmi che il tuo personal-trainer non ti lascia uscire di casa!” chiese, fingendo una smorfia schifata.

Perché non provare…

“In fondo io credo che…”

…a vivere?

“…si potrebbe fare”


***



Mentre Bec rientrava in casa si soffermò a pensare a quanti nomi terrestri conoscesse Atreius, sapeva dei bar, dei locali, dei personal-trainer e nel pomeriggio di quando si sono conosciuti le parlò addirittura della televisione. Lì per lì lei non ci fece caso, le sembravano discorsi normalissimi da fare ma poi, ripensandosi, non erano così adatti alla situazione. Che lei sapesse solamente Gabriel, Rosalie, Delia, Kevin e Denali avevano passato un periodo di vita sulla Terra…non le era giunta voce che vi avesse preso parte anche Atreius.

“Gabriel!” lo chiamò.

Lui arrivò di corsa, un po’ trafelato da chissà che impegni domestici.

“Chi c’è?!” domandò con preoccupazione, guardandosi attorno cercando chissà che losca figura.

La ragazza dovette sbatterli le mani davanti perché capisse che in quella stanza c’era solo lei.

“Nessuno…ma che ti prende?! Hai le manie di persecuzione?”

“Tze…” disse, come se fosse l’affermazione più stupida che avesse mai sentito.

“Gabriel, che tu ne sappia, i Nim sono persone o sono spiriti?”

“Mocciosa, i Nim appaiono come figure incappucciate, fatte di fumo ma in realtà non sono altro che guerrieri ben addestrati che combattono dietro quelle vesti. Ovviamente, i Nim, non sono persone a caso, sono macchine distruttive con un’immensa magia oscura. Praticamente non ti sarà mai possibile vederne il volto, guai a te se li tocchi”

Bec ebbe una brutta, bruttissima sensazione.



***



Il giorno seguente fu piuttosto monotono, stessa sveglia, stessa colazione, stesso solito addestramento (con l’unica differenza che usarono gli incantesimi), stesso di tutto. Per fortuna, si ricordò Bec, la sera sarebbe andata via con Atreius: un motivo in più per perdersi via. Non che Gabriel non fosse ironico o allegro come Atreius ma l’ex angelo la metteva sempre in uno stato di soggezione.

Salutò, quella sera, Gabriel che era in salotto, impegnato in una lettura alquanto corposa.

Ma quando mai i suoi libri non avevano un minimo di ottocento pagine?

“Gabriel, io vado. Non so a che ora ritornerò stanotte, perciò non aspettarmi sveglio, va a dormire e se puoi bevi molta camomilla” gli disse, mentre raccoglieva un elegante maglioncino da terra che le era cascato.

Gabriel la fissò per scrutarla. Doveva ammettere che all’inizio, vedersela arrivare giù dalle scale con un paio di jeans e una graziosa camicia rosa-pesca, aveva pensato che, in fin dei conti, non era niente male come ragazza. Poi si ricordò che aveva un appuntamento con Atreius e subito si adombrò, anche se al momento il motivo non era chiaro.


“Tranquilla, non ho nessuna intenzione di aspettarti sveglio mentre tu vai a fare chissà cosa con un ragazzo a mio parere losco, ti dirò che berrò la camomilla anche se sai già che probabilmente non lo farò e…ah! Per l’orario, se entro le due di notte non sei a casa giuro che da qualsiasi parte tu sia ti vengo a prendere e userò anche la forza se necessario. Tieniti il tuo orologio terrestre che anche noi ci orientiamo con quello, perciò non avrai nessun tipo di problema a guardare l’ora e tantomeno nessuna giustificazione per un presunto ritardo. Sono stato chiaro?”

Rebecca aprì e chiuse la bocca a intermittenza.

“Che cosa?! Mai chi sei? Mia madre?! Non è giusto! Mi stai parlando come se io fossi una ragazzina sprovveduta che ha bisogno di molta protezione! Diamine, so pure difendermi!” gli urlò contro.

Non aveva nessuna intenzione di stare fuori con Atreius per più di mezzanotte, ma non accettava tutte quelle imposizioni.

“Non mi preoccupi te, mi preoccupa lui” il suo sguardo era penetrante ed estremamente serio.

Un altro crampo allo stomaco.

Anche lui, come lei, aveva avuto gli stessi suoi pensieri.

Ma questo non voleva dire che…che…

Giusto?



***



Atreius le aveva fatto proprio una bella sorpresa, l’aveva portata in un posto stupendo, magnifico…arrivati, si ritrovarono in una radura illuminata da tante piccole lucciole e per terra una coperta fungeva da tappeto, diversi cibi erano posati su di essa. La notte, quella notte, era più bella del solito.

Una carezza…

Atreius la fece sedere con un invito della mano, lei accolse il gesto meccanicamente e fece come lui le aveva detto. Sebbene il posto fosse incantevole l’aria era abbastanza tesa.

“Allora, cosa pensa Bastian di me? Tu sicuramente sarai il suo confidente…” disse, tentando di introdurre una conversazione tranquilla.

Atreius sorrise, spiazzato dalla domanda.

“Sinceramente, cosa vuoi che pensa? Pensa che tu sia fantastica e potenzialmente capace” le disse, facendole l’occhiolino.


Bec maledì il suo improvviso arrossamento.

“Oh, suvvia…non esageriamo che non mi piace essere sopravvalutata” esclamò infervorata Bec, anche se sperava che il ragazzo le dicesse ciò.

“Beh, sicuramente sei più unica che rara” aggiunse distrattamente Atreius, spalmando elegantemente “un non so che” su di una fetta di pane.

“Vuoi?” le chiese, porgendole lo strano intruglio.

Non aveva né l’aria di essere buono né l’odore di essere gustoso.

“No, grazie, non ho fame” disse, tossendo apposta.

“Come vuoi” e il ragazzo addentò animalescamente il panino. “Comunque, non hai idea di quanti angeli bianchi ci siano nel villaggio?”

“No, penso di essere l’unica” affermò, con disapprovazione.

“Davvero?!” disse Atreius, spalancando la bocca. “Ma scusa, il tuo amico-nemico non è per caso un angelo bianco?”

“Era” lo corresse, Rebecca.

“Come “era”?” fece il ragazzo, facendosi sempre più curioso.

A Rebecca parve di commettere un reato nel dare delle informazioni non opportune e delicate come quelle ad un estraneo ma non ci vedeva nulla di male a dirle ad Atreius, un povero ragazzo di campagna.

“Non lo so. Il fatto che Gabriel abbia perso il suo titolo di angelo rimane per me un mistero. Le uniche cose che so è che è riuscito a tenersi stretta l’immortalità, e che ha commesso qualcosa di talmente spaventoso da essere brutalmente punito”

Quando finì sentì un freddo improvviso e si costrinse a racchiudersi di più all’interno del suo maglione.

“Come fu punito?”

Bec lo guardò come se stesse vaneggiando.

“È ovvio, la punizione per un angelo che deve essere esiliato dalla sua carica consiste nel bruciarli le sue ali. Perse le sue ali un angelo perde la sua credibilità e la magia stessa”

Atreius sembrava orripilato dal racconto.

“Non sapevo che ti bruciassero le ali. Fa male?” domandò, e a Bec, in quel momento, parve di avere di fronte un piccolo e tenero bambino, alla soglia dei suoi primi “perché”.

“Gabriel non mi parla molto di quella sua fase di vita, per lui è un capitolo da dimenticare…ma, una sera, mi ha detto che quando gli hanno bruciato le ali ha provato talmente tanto male che…” s’interruppe, incapace di trovare una parola talmente forte da far capire l’intensità del gesto.


“Che…?” Atreius pendeva dalle sue labbra.

“Fu come se la sua anima si fosse rotta in due parti, il male era così forte che non ebbe neppure la forza di aprire gli occhi. Indescrivibile”

“Chissà cos’ha fatto per meritarsi tutto questo”

“Una cosa orribile a mio giudizio. Ogni giorno lo conosco sempre di più e ogni maledetto giorno della mia vita mi riesce impossibile pensare cos’abbia fatto di così tremendo per meritarsi una simile condanna. Non lo vedo una persona cattiva, non riesco ad immaginarmelo a far del male. Io…” la voce s’incrinò e fu costretta a smettere, un groppo alla gola le impediva di proseguire.

“Quindi sei l’unico angelo a Chenzo, beh, apparte Dark Threat, ma lui è un caso apparte” disse, sforzando un sorriso che non contagiò la faccia preoccupata di Rebecca.

“Anche Gabriel, che io sappia, ha la possibilità di tornare angelo bianco, ma deve dimostrare la sua lealtà e la sua nuova maturazione. I suoi nuovi propositi devono convincere gli anziani”

“Gli anziani?! Vuoi dire gli angeli bianchi per eccellenza?”

“Si, loro. Ovviamente solo gli angeli bianchi hanno un consiglio di anziani perché gli angeli neri si ammazzano ancor prima di toccare l’inferno. Per fortuna nel paradiso non ci sono questi problemi”

“Si, ma…Bec, sono morti! Comunicate ancora con loro, sebbene si trovino in cielo?”

“Io non ci ho mai comunicato, ma penso che Gabriel l’abbia fatto più di una volta” ammise, con una leggera nota d’invidia.

“Comunque non ti devi preoccupare. Sai, ho sentito, da fonti segrete, che, a quanto pare, c’è un altro angelo a Chenzo” disse Atreius, sapendo di aver creato nella curiosità di Rebecca un alone di mistero.

“Chi?” domandò con voce flebile Bec, fissando le labbra carnose del ragazzo aspettando che dicessero quel nome.

Atreius, scambiando la vicinanza della ragazza dovuta a curiosità, con un desiderio ardente di baciarlo, fece lo stesso, facendosi più vicino a lei finchè non arrivò a sfiorarle con i ciuffi dei capelli la fronte.

Non fece in tempo a colmare la distanza che gli separava, che un sonoro “crack” di materializzazione gli fece sussultare. Si alzarono si scatto e dal fondo della radura venne loro incontro Gabriel.

Non stava affatto bene.

“Cos’è quella faccia da ebete che ti ritrovi?!” le domandò con poca grazia Rebecca, notando la faccia alquanto persa di Gabriel.

A dire il vero sembrava che avesse visto la Madonna, tanto era felice.


“Sempre gentile tu, eh?” disse, con il sorriso che si spense.

Bec alzò le spalle e schioccò la lingua.

“Che vuoi?” domandò, scocciata dell’interruzione. A dire il vero stava ancora pensando al nome del terzo angelo.

“Adele è tornata”  



***



Rebecca era basita. Fino ad un attimo prima era così tranquilla con Atreius e il ragazzo era riuscito persino a stuzzicarla nei punti giusti…e un attimo dopo, veniva trascinata via da Gabriel, sotto lo sguardo vigile di Atreius.

Gabriel e Rebecca arrivarono di corsa a casa di Rosalie che, stranamente, aveva tutte le luci del primo piano accese. Bec si tenne dietro la schiena di Gabriel mentre il ragazzo, con una certa famigliarità, apriva la porta d’ingresso.
Sin da quando misero piede all’interno dell’abitazione si sentirono dei chiacchiericci e dei brusii di sottofondo.

Rosalie sedeva sul divano ed era piuttosto nervosa, aveva un sorriso incantevole. Davanti a Rosalie prendeva posto un’altra donna che dava la schiena all’ingresso. L’unica cosa che vide per prima furono i suoi lunghi capelli castani, molto simili ai suoi.

La bellissima ragazza bionda, non appena si accorse dei due nuovi arrivati, si alzò di scatto dal divano e come una furia si lanciò tra le braccia del fratello.

“Hai visto, Gabriel? È tornata! È tornata!”

Bec all’iniziò non capì tutta quell’euforia nel vedere una persona ritornare dopo un viaggio di pochi mesi, senza contare che Adele era spesso fuori casa. Era come assistere ad una scena di un soldato che dopo tanti anni di servizio militare, torna a casa dalla guerra. La sensazione era la stessa. Spesso, i suoi genitori, viaggiavano all’estero e lei, troppo pigra per seguirli, rimaneva a casa e si faceva ospitare dalla cugina. Erano viaggi che potevano durare anche due mesi, la nostalgia nel rivederli era tanta, ma non aveva mai fatto una scenata come quella che stava facendo Rosalie.

Gabriel, uomo di ristretti sentimenti, si limitava ad accarezzare la schiena della sorella e a lanciare occhiate in direzione del divano.

Pochi secondi dopo, la donna si girò.

Rebecca dovette trattenere il fiato, non aveva mai visto una donna più bella. I suoi capelli castani le andavano ad incorniciare il viso perfetto, con una carnagione di pesca e due grandi occhi scuri a mandorla. La bocca era piena e carnosa, le guance accese e il corpo era simile a quello di una top-model, con qualche chilo in più.

Ora capiva come Gabriel e Rosalie fossero così belli, avendo una tale madre…

Un momento.

Ma che dico…Adele non è la vera madre dei due fratelli. Sono stati anche loro adottati.   

Anche se Adele non era la madre biologica di Gabriel e Rosalie, aveva comunque molte cose in comune con loro, la prima: riusciva anche lei a mettere in soggezione chiunque la guardasse. Se li guardavi, tutti e tre insieme, ti sentivi una schifezza in confronto, avevano la capacità di farti sentire inferiore, modesta e semplice. Questo per quanto riguardava il fattore estetico, perché Bec sapeva molto bene quanto in realtà, lei, fosse più furba e scaltra di Gabriel.

Ma d’altronde, non era forse la prima impressione quella che contava davvero?

La donna, che poteva avere sui trentacinque/quarant’anni, si avvicinò armoniosa e fiera verso i figli. Spostò leggermente Rosalie che con abbraccio soffocatorio tempestava Gabriel, e arrivò finalmente a baciare il ragazzo sulla guancia.

“È bello essere di nuovo a casa, ragazzi. Ti vedo cresciuto, Gabriel. Tua sorella invece diventa ogni giorno più bella, ma questo credo che lo sappia anche lei” e diede un’occhiata di rimprovero alla figlia che se la rideva sotto sotto.   

Adele, abbandonando la guancia del figlio, dedicò, con orrore di Rebecca, l’attenzione su di lei e si fece subito imbarazzata. Era un quadretto famigliare nel quale si sentiva completamente estranea.

Adele posò i suoi occhi indagatori su Rebecca e per un lungo istante rimase seria.

Oddio…

La stava guardando in maniera strana, totalmente fuori luogo. Avrebbe dovuto presentarsi ed essere cortese con la nuova ospite e invece la fissava meravigliata.

Adele si portò una mano al cuore, il ritmo del battito cardiaco era incontrollabile, cercò di mantenere un contegno ma la vista di quella ragazza l’aveva sconvolta. Dopo lo schok iniziale si imbambolò a guardarla, il volto serio e perplesso.

Che diavolo ci faceva, lì?

Alla fine tutto il suo sforzo era stato inutile se lei si presentava ai suoi occhi.

Gabriel, notando l’aria glaciale che aveva invaso la stanza, si avvicinò alla donna e la prese per le spalle.

“Vieni mamma, ti preparo un thè”

La portò con sé verso la cucina e mentre se ne andava sillabò a Rebecca un furioso: “Ma che le hai fatto?!”

Bec alzò le spalle e sgranò gli occhi.

Già.

Che aveva fatto?

Che aveva fatto per sconvolgerla così tanto?

Tutt’un tratto l’idea di conoscere la madre di Gabriel non era più una bella prospettiva.



***



Ben presto si ritrovarono tutti e quattro seduti a cerchio nel divano, sembrava molto ad un confessionale ma l’atmosfera era molto più allegra. L’unica intrusa era Rebecca che, apparte qualche intervento o battuta, rimaneva zitta sul suo posto, lasciando ampie conversazioni tra madre e figli. Adele ritornò ad avere il solito, smagliante sorriso e ben presto nessuno pensò più alla brutta faccenda di poco prima. Gabriel rideva, sorseggiando un thè e Rosalie si lasciava cadere sul divano con le lacrime agli occhi. A quanto pareva Adele stava raccontando la misera figura che un giovane uomo aveva fatto nel dichiararlesi, e la stroncata che lei gli aveva dato.

“Ragazzi, dovevate vedere la faccia che ha fatto! Penso che se un albero gli si fosse schiantato addosso avrebbe fatto meno male! Senza contare che…”

La porta, nel bel mezzo della frase, si spalancò e la figura inquietante di Denali comparve zittendo tutti.

I sorrisi sui loro quattro volti si smorzarono.

“Gabriel, Bastian ti vuole subito” Denali posò lo sguardo su Rebecca. “È urgente”

Gabriel si alzò, colto dal panico.

“Anche io voglio venire” disse Rosalie, alzandosi dal divano.

Denali la guardò con disapprovazione.

“Non credo sia il caso…”

“Lascia decidere a me cosa è meglio e cosa no, Denali” affermò la bionda, facendo infastidire il ragazzo per i suoi modi bruschi.

Rebecca, vedendo che stavano andando via tutti, bloccò per un braccio Gabriel.

“Posso…?”

“No, tu rimani qui con Adele. Aspettami”  

Rebecca, ghiacciata dalla risposta, si sedette meccanicamente al suo posto e con una certa preoccupazione dipinta in volto gli vide andare via.

Ecco, ora la cosa si faceva molto complicata.

Adele la stava guardando con profonda curiosità.

“Da quanto conosci mio figlio?” domandò la donna, giusto per rompere il ghiaccio.

“Oh, solo da pochi mesi. Viviamo insieme…” Bec si fermò, comprendendo quello che aveva appena detto. “Cioè, non deve credere che io e lui…non siamo…siamo amici, io sono la sua protetta, non…”

Era imbarazzatissima e divenne subito rossa come un peperone.

Adele non prestò caso a ciò.

“Non importa, avevo capito che era una situazione più di comodo che resto. Solo…non mi aspettavo di trovarti qui così presto”

Bec non capiva di che stesse parlando.

“È spesso fuori casa?”

“Si certo, ho incarichi molto importanti che mi permettono di trattenermi qui solo tre volte all’anno. Non vado fiera come madre però è l’aiuto minimo che posso dare al villaggio”

“Oh, no! Non creda, Gabriel mi ha sempre parlato benissimo di lei, non deve pensare di essere stata una cattiva madre. Tutti abbiamo degli impegni, lei…diciamo che lei ne ha un po’ di più rispetto agli altri”

Rebecca le regalò un sorriso incoraggiante e Adele si sentì molto meglio.

Il ghiaccio si era rotto.

“Scommetto che non ti racconta molto della sua vita”

“No, ora che ci penso non so niente di lui” Bec, per un attimo, si sentì persa. Sentiva che le mancavano dei tasselli e che qualcosa non tornava.

“Capibile, Gabriel ha avuta un’infanzia molto difficile e sofferta” disse Adele, portandosi una mano alla bocca come a voler trattenere un singhiozzo.

“Perché non me ne parla?” buttò lì la ragazza, sperando che la donna accettasse il suo invito e le svelasse un racconto fatto di dolore e di molte vicissitudini. Forse, dopo aver compreso appieno la vita di Gabriel, si sarebbe sentita più vicina a lui. Forse, avrebbe iniziato a comprenderlo.

Adele la fissò insistentemente, valutava se era il caso di parlarle della vita di suo figlio oppure no. Alla fine, il bisogno di dare una valvola di sfogo ai suoi ricordi ebbe il sopravvento.

“Ok ragazzina, mettiti comoda e ascolta. Molto tempo fa, quando tu eri ancora i fasce, successe che a Chenzo un bambino scoprì di essere nato angelo. Ora, normalmente angeli si diventa ma lui alla nascita aveva già le ali che si aprirono nel momento stesso in cui compì solamente un anno. Naturalmente l’intero villaggio era meravigliato da un simile miracolo, tutti, anche io, ne rimanemmo incantati da quel bambino. A quel tempo io era una giovane donna, legata ad un uomo che amavo. Vivevamo felici, accanto alla casa della famiglia di Gabriel e anche loro, come noi, vivevano nell’armonia, in pace con sé stessi e con il mondo intero. Gabriel aveva una sorella appena nata, di un anno più piccola: Rosalie, che però non aveva acquisito nessun tipo di potere magico e che perciò non aveva attirato l’attenzione di nessuno, tutti erano troppo presi dal piccolo prodigio per badare ad una bambina “normale”. Erano bei tempi, Rebecca, l’uomo poteva sentirsi protetto e al sicuro nella sua piccola dimora in un misero villaggio. Ma le cose cambiano, anche per noi, quando Mortimer salì al potere sconvolse tutte le nostre vite. Anche la famiglia di Gabriel si sgretolò: morirono i suoi genitori, soltanto lui e sua sorella sopravvissero. Nel momento in cui rimasero orfani decisi di occuparmene io di loro, divenni la loro madre adottiva e gli amai come fossero stati miei, riuscendo così a colmare la grande perdita che portavo dentro. Tu forse non lo sai ma anche io, quando ero una ragazza della tua età, fui un angelo bianco ma il mio titolo mi fu tolto per essermi legata alla persona sbagliata. Venivo vista come una traditrice, una poco di buono, con una figlia illegittima marchiata dal male. Per riacquistare la fiducia del villaggio mi proposi come spia di Bastian, che da quando ricordo è sempre stato il capo-villaggio, e costantemente, missione dopo missione, sono stata costretta ad assentarmi per lunghi periodi da casa, con i miei figli che crescevano da soli. Mi faccio vedere nel villaggio per due o tre volte all’anno, i miei viaggi sono interminabili e pericolosissimi, raccatto seguaci ed estorco informazioni su Mortimer. Ormai non sono più un angelo bianco ma ogni tanto mi piace farlo ricordare alle persone del villaggio, mi fa sentire me stessa, mi fa sentire importante. Quando mi bruciarono le ali fu come…fu come se una parte di me fosse morta: la parte più audace, avventuriera, temeraria e coraggiosa. All’inizio risultavo spenta e nessun tipo di calore umano mi poteva riscaldare. Fu lo stesso che passò anche Gabriel, quando anche a lui fu tolto il titolo di angelo. Mi ricordo tutto, sai? L’udienza, le accuse e infine il fuoco che gli rubò le ali. Povero figlio, da quel giorno non fu più lo stesso”

Rebecca aveva ascoltato il racconto di Adele totalmente rapita, non si era persa niente, aveva seguito per filo e per segno tutto quello che le era stato detto. Ora, solo una domanda bruciava più delle altre.

“Perché Gabriel non è più un angelo?”

Adele si bloccò, Rebecca potè notare i suoi muscoli contrarsi.

“Per lo stesso mio motivo. Entrambi tradimmo la stessa gente per la stessa persona”



***

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Capitolo 11
*** Come un uragano ***


Cap. 11 - COME UN URAGANO -

Ok. Ora aveva capito come mai il ragazzo era cresciuto complessato e con dei problemi psicologici che lei reputava dovuti a mancanze d’affetto.

Un passo verso di lui era un passo che si allontanava dalla ragione.

Dopo aver ascoltato la sua storia, le sue radici, non potè non accorgersi di quanto si sentisse attaccata a lui, di quanto gli volesse bene. Si fermò a riflettere sul tempo che avevano passato insieme, quanto era stato? Un anno? Mesi? Ormai non teneva più conto del tempo, come se dove fosse non avesse importanza.

Era sbagliato?

Era sbagliato ammettere che stava iniziando a trovarsi così bene in mezzo a quella gente, tanto da non sentire più il peso del tempo scorrere sui suoi giorni? E Gabriel, che la faceva ridere, arrabbiare, emozionare, infastidire, non si accorgeva di niente?

Come si fa a capire quando una persona ha oltrepassato la linea invisibile che divide l’amicizia dall’amore?

E, soprattutto, come si fa ad ammetterlo?

Rebecca si ritrovò ad interrogarsi su ciò che provava per il ragazzo. Era amore? O amicizia? O magari qualcos’altro? Faticava ad accettare il fatto di poter essersene innamorata. Lei, che era sempre stata attenta a non lasciarsi affascinare e abbindolare dai suoi occhi glaciali, dalle sue labbra carnose…ne era forse rimasta vittima?

Probabile come no. Ma era meglio non pensarci, sicuramente si sarebbe scervellata per niente: Gabriel, freddo e acido com’era, non poteva certo provare qualcosa di simile per lei, sarebbe stato un sentimento non corrisposto: inutile e doloroso. Tanto valeva far finta di niente, e poi non era nemmeno sicura che quello che provava era un’infatuazione, poteva benissimo sbagliarsi, aver preso un abbaglio.

Non era niente.



***



“Ne sei sicuro, Bastian?” disse Gabriel, a denti serrati.

“Purtroppo sì, grazie alle informazioni che Adele ci ha dato non credo ci siano rimasti dubbi in proposito. La ragazza va tenuta sotto controllo, e mi aspetto che tu, Gabriel, le faccia da protettore”

“Puoi starne certo” ruggì, con le labbra ridotte a due fessure.

Questa non ci voleva. Una spia, nel villaggio. Una spia di Mortimer nel villaggio era incaricata di seguire Rebecca.

Poteva essere chiunque, chiunque a cui era stato fatto un lavaggio del cervello, oppure un nuovo infiltrato. Gabriel scartava l’ipotesi dell’infiltrato, l’unica persona nuova nel villaggio era Atreius, ma lui, tutti lo sapevano, era il nipote del capo-villaggio. Non era un estraneo.

Allora doveva essere per forza qualcuno che abitava nel villaggio da anni, qualcuno al quale Mortimer aveva imposto il lavoro con un controllo sul corpo. Mortimer era famoso per i suoi poteri di saper controllare l’animo umano.

Gli umani erano così deboli in confronto a lui, si piegavano e venivano sottomessi da uno qualsiasi dei suoi tanti poteri.

Non c’era da stupirsi se avesse approfittato di una persona e fosse riuscito a manipolarla.

Doveva tornare a casa, aveva lasciato Rebecca con sua madre, a casa di Rosalie, che anche lei, come gli altri componenti del gruppo, erano a fianco a lui in quel momento di riunione.

Gabriel uscì dalla stanza percorrendola a falcate e gli altri non riuscirono a stargli dietro. L’avrebbero raggiunto da Rebecca dieci minuti dopo il suo arrivo.

Si stupì di trovare in casa solamente la ragazza.

“Ciao, straniero” lo accolse Rebecca, che stranamente stava leggendo nel divano.

Gabriel la guardò scioccato.

“Tu?! Che leggi?!”

Lei parve offendersi.

“Che c’è?! Guarda che so leggere! Ti ricordi tutti quei volumi che mi hai dato da leggere quando…”

“Sì, sì, ok” la fermò prima che fosse troppo tardi per i suoi poveri nervi. Stava dimenticando il perché si trovava lì ma un’altra domanda lo colse. “Dov’è Adele?”

La ragazza con un cenno della testa gli indicò il soffitto.

“È di sopra, ha detto che si sentiva stanca e che andava a buttarsi a letto. Come mai sei qui? Che volevano da voi?”

“Ah, niente di che, ora è meglio che andiamo a casa”

Bec biascicò un “ok” e chiuse il libro, lanciando qualche occhiata al ragazzo mentre lui non la guardava.

Gabriel sentì i suoi occhi puntati addosso e la sorprese a fissarlo.

“Che hai da fissarmi?” chiese ad un certo punto, iniziando a sentirsi a disagio.

Rebecca diventò rossissima e distolse lo sguardo.

“N-Niente, mi ero imbambolata, tutto qui. Lascia perdere. Andiamo?” domandò con una certa urgenza.

Gabriel la guardava con il volto aggrottato come se la stesse studiando.
“Sei strana oggi”

“Strana?! Io?! Oh, cosa vuoi che sia…chi lo sa! Io non sono strana! Non lo sono mai stata, forse sono pazza…ma strana mai!”

Parlava che era tutta accaldata, la voce le tremava e stava urlando come un’isterica.

Sì, forse era pazza, non strana.

“Ma che ti prende? Sembra che tu sia…”

“…innamorata!”

Oddio!

No! Che aveva detto?!

Gabriel spalancò la bocca e lei si tappò le labbra con le mani, sconvolta. Si sentiva la fronte scottare per l’imbarazzo. Forse poteva far passare la sua stupida gaffe come qualcosa dettato dalla febbre che in quel momento, ne era sicura, era a quaranta.

Ma perché?! Perché bastava che lei avesse dei pensieri che riguardassero una presunta relazione con lui per farla sgamare e agitare in quel modo?! Ora non sarebbe più riuscita a guardare Gabriel in faccia, non dopo aver fantasticato o pensato a lui in quel modo.

La reazione di Gabriel non tardò ad arrivare. Stranamente, parve infuriato.

“Alla fine ce l’ha fatta” il suo era un ringhio soffocato, strinse forte i pugni finchè non sentì un leggero formicolio alle mani.

Rebecca, che era tutta un movimento, si bloccò.

“Eh?”  

Gabriel ricambiò il suo sguardo.

“Ma scusa…” iniziò, il ragazzo.

“Tu di chi stai parlando?” conclusero insieme, puntandosi un dito a vicenda.

Gabriel scattò indietro portandosi le braccia al petto.

“Mi pare ovvio, parlo di Atreius, il principe azzurro che farebbe innamorare qualsiasi adolescente” disse cattivo, con un ghigno perfido.

“Mi stai dando dell’adolescente rimbambita, per caso?” lo provocò lei, mettendosi le mani sui fianchi.

Il suo sorrisetto bastò a far capire la risposta.

“Mettiamo in chiaro due cose, signor Scassapalle: la prima, non provo nessun tipo di attrazione ne tantomeno amore verso Atreius. Secondo, non sono innamorata di nessuno. Comprendi?”

“Ma se poco fa hai detto che…”

“Lo so, cos’ho detto! E ti posso dire che è stata un’affermazione…ehm, dettata da un blackout momentaneo…dovuto…ad una confusione mentale”

“Tu mi prendi in giro”

“Smettila! O giuro che è la volta buona che il libro te lo tiro in testa!” urlò, infastidita.

“Che fai? Mi minacci pure?” la stuzzicò, con fare divertito.

“Vedi?! Io di indole sarei contro la violenza fisica ma ogni volta che mi fai innervosire in questo modo, con i tuoi stupidi giochetti…giuro che ti strozzerei!”
 
Gabriel ridacchiò. Trovava la cosa estremamente eccitante e divertente.

“Devi solo provarci”

Dava tutto per scontato, l’idiota.

“Tu. Non osare sfidarmi” disse, il dito puntato contro il petto del ragazzo e uno sguardo folle in volto.

“Tu. Non osare minacciarmi” le disse, con gli occhi ridotti a fessure.  

Rebecca si era avvicinata pericolosamente al ragazzo e quando lui valutò la loro lontananza capì che era minima. Non tenne più conto delle sue azioni.

La baciò. Con rabbia. Era una continua lotta con lei e diede sfogo alla sua rabbia in quel bacio. Non che avesse premeditato di baciarla, l’aveva deciso in quel momento, quando era troppo vicina per pensare lucidamente, quando il suo corpo lo spinse con forza verso il corpo di lei.

Rebecca quando sentì le labbra fredde di Gabriel muoversi sulle sue, spalancò gli occhi, agghiacciata dalla sorpresa. Tentò di allontanarlo ma era impossibile. Senza n’anche rendersene conto andò a finire contro lo scaffale dei libri, il corpo di Gabriel che premeva contro il suo. Erano completamente e meravigliosamente allacciati l’uno all’altra, e poteva sentire il cuore del ragazzo battere all’impazzata contro il suo petto.

Non sapendo più che fare (ma non volendo per quello mollare) lasciò vagare una mano in alto, alla ricerca di qualcosa per colpirlo.

Le mani di Gabriel andavano ad imprigionarla sui fianchi e sul collo perciò non fu difficile per la sua mano andare sopra la testa. Trovò quello che cercava: un pesante libro.

Lo prese, e con forza lo sbattè in testa al ragazzo. Non fu difficile vedere la sua reazione né tantomeno il bersaglio da colpire dato che aveva tenuto gli occhi aperti per tutto il tempo.

Gabriel lanciò un urlo di dolore e si portò le mani in testa, allontanandosi da lei. Bec ne approfittò per prendere in mano altri libri. Ne aveva accumulati in braccio una decina e aspettò che il ragazzo la smettesse di stare piegato in avanti e si rialzasse.

Il volto di Gabriel esprimeva puro dolore. Era intontito e la testa gli rendeva la vista della stanza sfuocata, ma non fece fatica a notare la figura infuriata che, appoggiata alla libreria, lo guardava con una pila di libri in mano.

“Ma sei impazzita?! Mi potevi tramortire!” le urlò addosso, cercando di rimettersi dritto.

Rebecca fece una faccia sconvolta.

“Sei tu quello uscito di cranio!” e nel dirlo lanciò un libro cercando di colpirlo.

Gabriel lo scansò senza problemi.

“Non mi pare, visto che l’hai voluto anche tu!”

“Che cosa?!”

Le partì dalle mani un altro libro che andò a colpire il suo gomito sinistro, sebbene Gabriel avesse fatto una strana contorsione per cercare di evitarlo.

Si andò a nascondere dietro al divano mentre un altro libro lanciato gli sfiorò la testa.

“Ok, parliamone” biascicò Gabriel, capendo che la ragazza con in mano quei libri poteva essere pericolosa.

Alzò un mano in segno di resa ma la vista della mano che oscillava da dietro il divano non parve fermare Rebecca.

“Col cavolo!”

Le urla e il movimento che i due ragazzi avevano creato fecero svegliare Adele che, allarmata, corse in salotto per vedere cos’era tutto quel trambusto.

Vi trovò Rebecca rossa dalla testa ai piedi che stava lanciando dei libri addosso a Gabriel che era nascosto dietro al divano e che strisciava da una parte all’altra per non essere colpito.

“Ehi! Ragazzi! Che state combinando?!”

Adele si mise tra la ragazza e suo figlio con le braccia aperte. Guardava il figlio in cerca di una risposta soddisfacente ma lui non la stava neppure degnando di uno sguardo…era completamente perso a fissare Rebecca che, a sua volta, restituiva lo sguardo con la mascella contratta e il respiro che le alzava e abbassava il petto in maniera spaventosa.

“Qualcuno mi potrebbe spiegare che diavolo è successo qui in salotto? Non so voi, ma io non ci arrivo da sola perciò se qualcuno me ne volesse parlare…” cercò con lo sguardo Rebecca ma lei non sembrava essere sul quel pianeta. Spostò l’attenzione sul figlio che intanto si era alzato e le stava prestando attenzione.

“Non è successo niente, mamma. Rebecca ha trovato divertente l’idea di affogarmi con i libri ma per fortuna non mi sono fatto male” parlava e non era del tutto convinto.

“Perché avrebbe dovuto trovare divertente l’idea di tirarti dei libri addosso, Gabriel? Non è che tu l’hai fatta arrabbiare, vero?”

“Eh, dai! Spiegale perché mi sono arrabbiata!” intervenne la ragazza, pronta a tirargli un altro tomo addosso.

Per una questione di riflessi, Gabriel indietreggiò alla vista minacciosa della ragazza.

“Beh, mamma, sai com’è…”

“No. Non voglio saperlo, risolvetevi le vostre faccende private fuori da casa mia. Ho sonno e ora, se non vi dispiace, ritorno a letto. Ti chiederei gentilmente di andare, Rebecca. Mentre tu…fa un altro passo falso e alla prossima missione che mi assegnano ti ci porto di peso con me!”

Detto ciò, la madre comprensiva, con passi assonnati salutò i due e scomparve.

Rebecca gettò i libri nella biblioteca in malo modo e, senza degnare di una parola Gabriel, uscì di casa sbuffando.

Gabriel provò a correrle dietro ma si trovò per terra prima che potesse fermarla. Maledì il tappetto che l’aveva fatto inciampare e si precipitò verso la porta.

Quando l’aprì si trovò davanti Rosalie con la mano sospesa in aria, pronta per afferrare la maniglia.

Con lei, c’era Delia.

“Che ti è successo, Gabriel? Sembri sconvolto…” lo prese in giro, la sorella.

Gabriel le rivolse un sorriso tirato. “Un giorno ti racconterò una storia che parla di libri volanti…”

“Se cerchi Rebecca l’abbiamo incrociata prima di arrivare qua, sembrava molto arrabbiata. Pensa, non ci ha neanche viste, continuava a parlare da sola…più che parlare, urlava” disse Delia, ridendo e portandosi una mano alla bocca. “Che buffa”

“E che diceva?”

“Oh, a me è sembrato di capire che stesse dicendo: “appena lo rivedo lo ammazzo”. Molto inquietante, davvero. Non vorrei essere lo sfortunato di cui stava parlando”

Gabriel deglutì sonoramente.

“Ora sarò meglio se io vado a casa. Ciao”

Le salutò velocemente e corse via.

Rimaste sole, le due ragazze, si sorrisero a vicenda, complici di un segreto comune.

“Qui gatta ci cova”

“Mi sa tanto che me la ritroverò come cognata…”




***



Arrivata a casa Rebecca si buttò disperata nel divano. Si coprì gli occhi e iniziò a scalciare con le gambe all’aria.

Perché se l’era presa così tanto?!

Quando Atreius l’aveva baciata non aveva reagito in quel modo, facendo la pazza, senza nessun controllo. Quando Atreius l’aveva baciata ne era rimasta semplicemente sorpresa ma non sconvolta. Un bacio non aveva mai fatto male a nessuno! Perché non poteva rimanere indifferente anche a Gabriel? Perché con lui si era sentita bruciare così tanto da perdere il lume della ragione? Non si sarebbe mai aspettata un gesto del genere da lui, ma non per quello avrebbe dovuto sorprendersi così tanto.

Il fatto era che proprio non riusciva a concepire quel gesto.

Non così all’improvviso, non da lui!

Lui, che non le aveva mai mostrato nessun tipo d’interessamento. Lui, che appariva freddo e incapace di poter provare sentimenti così forti. Lui, che si era proclamato niente di più che un amico.

Che stava succedendo al mondo intero?!

E lei sicuramente non aiutava a calmare la situazione. Avrebbe dovuto essere intelligente, razionale, decidere che era stata una mossa da parte sua avventata e sbagliata quella di baciarla; chiudere la questione mettendoci una pietra sopra. Ma in quel momento era tutto fuorché razionale. Non poteva impedire a sé stessa di ripensare a quella scena.

E ora, che sarebbe cambiato tra loro due?

Cioè, avrebbe dovuto far finta di niente e aspettare che lui le desse spiegazioni o andare per prima persona a fondo in quella storia.

Oddio…

Era diventata una storia?

I suoi pensieri vennero interrotti quando sentì Gabriel entrare tutto trafelato in casa.

Lo sentì prendere posto nel divano accanto a lei. Sentì la sua schiena sfiorarle le gambe che, distese, occupavano tutto lo spazio.

Stava zitto ma lei era sicura che fosse teso. Non per questo, si scoprì gli occhi. Gli stava dando la possibilità di spiegarsi, di giustificare quel suo gesto avventato ma preferì non vederlo altrimenti sarebbe andata a fuoco.

Percepì un fruscio da dove si trovava Gabriel e capì che si stava muovendo, anche se ignorava verso dove.

Sentì una lieve pressione sul divano all’altezza della sua spalla destra. Sbirciò nella penombra e vide che era una mano. Ritornò a coprirsi gli occhi, intuendo quello che Gabriel stava cercando di fare.

E chissà perchè, sul momento, lo lasciò fare.

Vedeva solamente buio attorno a lei. Fu per quello che, quando sentì le labbra di Gabriel cercare le sue, sussultò, colta di sorpresa.

La stava baciando di nuovo, come se quello che era successo prima non gli bastasse ancora.

Diversamente da prima il bacio era dolce, leggero…non era violento e prepotente. Era dannatamente piacevole e rilassante, tanto da farle piegare la testa di lato.

Non rispose neppure a quel bacio. Proprio mentre Gabriel stava approfondendo il bacio, irritato dalla sua impassibilità, cercando in tutti i modi di coinvolgerla, ritornò in lei.

Si tirò in su di scatto dal divano e andò a sbattere la fronte contro quella di Gabriel. La botta le provocò un annebbiamento totale mentre il ragazzo cadde dal divano.

Lo sentì mugugnare tra sé e sé.

“Ogni volta che provo a baciarla mi ritrovo scaraventato a terra…”

“Finiscila, non lo trovo divertente!”

“Guarda che io mi sono fatto male sul serio”

“Ben ti sta!” gli disse, dandogli una sberla sulla schiena mentre cercava di rialzarsi aiutandosi col tavolino.

“La smetti di picchiarmi?!”

Era infastidito, lo si vedeva benissimo dalla sua espressione.

“Non capisco perché te la prendi tanto” disse, girandole le spalle per non farsi vedere. “Non te l’eri presa poi tanto quando era stato Atreius a farlo” c’era cattiveria nella sua voce, un’irritante cattiveria.

“Beh, perché Atreius è Atreius! Con lui non ha significato niente! Ma tu…sei tu!” stava portando avanti un discorso che faceva acqua da tutte le parti. A quanto pare, in quel giorno, non era capace di formulare una frase decente.

“E perché, come me com’è?” domandò, aggressivo e curioso allo stesso tempo.

“Diverso! Insomma, tu sei il mio insegnante! Sei mio amico! Non puoi aspettarti che rimanessi compiaciuta e stupidamente contenta!”


“Smettila con questa storia dell’insegnante, sono pur sempre un ragazzo della tua età”

Fu tagliente in quella risposta. Rebecca rimase ghiacciata sul posto.

“Ehm, scusate, è permesso?” la voce di Atreius giunse dall’entrata. La porta doveva essere rimasta aperta.

Rebecca abbassò subito gli occhi e sospirò. Una volta tanto la presenza di Atreius fu miracolosa. Non la pensava però allo stesso modo Gabriel, che le parve di sentirlo ringhiare.

“Nessuno ti ha insegnato che ad una certa ora della sera una persona dovrebbe andarsene a letto?” lo attaccò Gabriel, troppo preso dalla conversazione di prima per ragionare correttamente.

Il fatto è che ce l’aveva a morte con quel ragazzo e con lei.

“Zitto, Gabriel. Me ne occupo io”

Con uno sguardo mortificato Rebecca spinse Atreius verso la porta mentre Gabriel gli osservava uscire.

“Scusalo” disse la ragazza, quando chiuse la porta e si trovarono soli sulle scalette.

“Non deve aver passata una bella giornata, no?” domandò Atreius, assorto.

Bec scosse la testa.

“Non l’ho mai visto così arrabbiato. Ho sempre pensato che Gabriel fosse quel genere di persona controllata e sulle sue…ma dopo stanotte giuro che sembrava pronto ad ammazzare qualcuno. Che gli hai fatto per renderlo così?”

Lei non seppe che dire.

“Non lo so. Proprio non lo so”



***



I raggi del sole entravano nella sua stanza e la irradiavano di calore, il profumo di fiori e grano era talmente forte che per un attimo le sembrò di essersi addormentata all’aperto invece che nel suo letto. Quella doveva essere per forza una splendida giornata, con gli occhi chiusi e le palpebre abbassate vedeva tutto arancione. Aveva sorriso per il meraviglioso risveglio quando qualcosa fatto di stoffa le coprì tutta la testa e il volto.
Si tolse velocemente l’oggetto e vide che era una tuta da combattimento. Non fece fatica a capire chi gliel’aveva tirata addosso facendole prendere un colpo.

Girò la testa e guardò la porta aperta che dava sul corridoio. La chiudeva sempre la porta quando andava a dormire.

Il solo fatto di pensare a Gabriel che gironzola nella sua camera mentre ancora lei dorme ignara, le mise i brividi.

Si alzò mal volentieri e si costrinse a scendere per la colazione.

Lo trovò seduto a tavola, da solo, a mangiarsi la sua parte di colazione. Di solito l’aspettava, per mangiare assieme.

“Come mai stamattina hai pensato bene di tirarmi in testa una tuta? La mia non andava bene?” gli si sedette di fronte come se niente fosse.

Il ragazzo rimase per un attimo allibito, poi cercò di risponderle alla bell’e meglio.   

“Oggi ho pensato di fare un percorso ad ostacoli, per quello ho trovato più saggio sostituire la tua vecchia tuta con una di più resistente”

“Sì, è capibile. E poi l’altra era anche un po’ consumata sul ginocchio, tutte le volte che sono caduta…” disse, iniziando a sghignazzare tra sé e sé.

Il sorriso le morì sulle labbra non appena incrociò Gabriel che la guardava basito.

In effetti, dopo quello che era successo ieri, si stava comportando da perfetta idiota.

Doveva darsi un contegno. Tossicchiò e riprese a mangiare in silenzio.

“Sai, non credo che oggi ti annoierai” le disse improvvisamente il ragazzo, con un’ombra di un sorrisetto sul viso.

Chissà perché, quel ghigno non le piacque per niente.



***



“Ah, ecco perché! Vuoi farmela pagare, vero?!”

Aveva ripreso ad urlargli addosso, ma non aveva tutti i torti: il campo di addestramento dove Gabriel l’aveva portata era assurdo ed estremamente rischioso.

Una volta lei gli aveva confidato che aveva una specie di paura ossessiva per i ragni ma non pensava che poi lui se ne sarebbe ricordato! Né tantomeno che avesse usato la sua grande debolezza per abbatterla in quel modo!

Il percorso consisteva in una serie di buche e cerchi di fuoco che bisognava superare per arrivare in fondo e prendere la bandiera bianca di vittoria. Peccato però che nelle buche (obbligatorie da saltarci dentro) ci fossero delle colonie di ragni e che i cerchi di fuoco (nei quali dovevi passarci attraverso senza incenerirti) fossero alimentati da fiamme magiche che bruciavano il doppio rispetto quelle normali.
Senza contare gli altri ostacoli come lame che ti si scagliavano contro e che dovevi evitare; uomini impagliati con una spada in mano e braccia di terra che se ti prendevano le caviglie ti risucchiavano.

“Non dire sciocchezze. Questo è un semplice percorso ad ostacoli”

“Semplice?! Semplice?! Per come la vedo io, un semplice percorso ad ostacoli non prevede creature schifose come ragni grandi due metri!” urlò, presa dalla paura folle di quelle creature.

Poteva vedere, da dove si trovava, le loro grosse zampe pelose muoversi all’interno delle buche.

“Mica devi farteli amici, ti ci devi solo buttare dentro e ammazzarli. Ci sono tre buche: nella prima troverai tre ragni; nella seconda sei e nell’ultima dodici”

“Dodici ragni giganti?!”

“Pronta?” chiese, con quell’aria da strafottente.

“No. Credo che sverrò nella prima buca”

Gabriel le diede una piccola spinta in avanti e le sussurrò all’orecchio:

“Se ti ritiri o muori sappi che dovrai scontare una punizione”

Bec non trovò la cosa divertente quanto il ragazzo. Mai come ora avrebbe voluto avere tra le mani un libro di ottocento pagine.

“Difficile scontare una punizione se muoio” disse, cercando di risultare ironica.

“Beh, in ogni caso in bocca al lupo. Io ti aspetterò nell’altra sponda, alla fine del percorso e ti conviene fare in fretta perché non ho intenzione di aspettarti troppo tenendo in mano la bandierina”

La ragazza lo incenerì con gli occhi, poi lo fermò quando lo vide allontanarsi.

“Ah, Gabriel?” lo chiamò.

Lui si girò a vedere che cavolo voleva da lui.

Con un giro del polso, come se stesse maneggiando una palla invisibile, Rebecca fece comparire dal terreno in cui poggiava i piedi Gabriel una radice che andò ad attorcigliarsi alla caviglia del ragazzo a sua insaputa.

Con uno scatto tirò indietro la mano e così pure la radice che, come mossa da un filo invisibile, si ritirò facendo ribaltare il ragazzo. Cadde con il sedere procurandosi una fitta mostruosa all’osso sacro.

“Scusa Gabriel, ma questa non volevo assolutamente perdermela. Ah, dimenticavo di dirti, se invece vinco sappi che in punizione ci andrai tu”

Il ragazzo non disse nulla e barcollando, con una mano a massaggiarsi il sedere, raggiunse la sua postazione.

Vendetta…

Tremenda vendetta.



***



Gabriel non poteva crederci. Rebecca aveva vinto e lui ora era in punizione. Punizione, lui? Non si era mai sentita una cosa simile.

Era assurdo!

Si stava facendo sottomettere da una sua allieva, una femmina per di più!

“Così Gabriel, dai! Dai, che ce la fai!” lo canzonò lei, mentre leggeva un libro stravaccata nel divano e lui, con una traversa a fiori rosa, una cuffietta gialla in testa con una papera disegnata e la scopa in mano, era costretto a pulire tutta casa.

Ormai era da due ore che lavorava. Non si era mai sentito così deriso in tutta la sua vita. La sentiva ridere alle sue spalle, faceva finta di leggere un libro e con un pretesto lo teneva sott’occhio. Era alla stessa pagina da due ore.

“Finito!” disse, con un sospiro di sollievo mezzora dopo. Si lanciò contro l’altro divano non occupato da Rebecca e restò a pancia in giù fingendo di dormire.

Bec, che lo controllava con il libro davanti alla faccia (solo gli occhi spuntavano fuori), fece un sorriso sornione e falsamente smielato.

“Oh, tesoro, mi dispiace”

Gabriel si voltò di scatto verso di lei quando si sentì chiamare “tesoro”.

“La cena. Non l’hai preparata. Và a fare il tacchino come mi avevi promesso” disse, facendo un sorriso tirato e scoprendo i denti.

“Io non ti avevo promesso niente!” l’attaccò di colpo, spaventato all’idea di dover fare altro duro lavoro.

“Come no, tesoro? Avevamo fatto un patto, se non ricordo male” si finse dubbiosa, come se stesse ripensando alla promesse che si erano scambiati quel pomeriggio.

“Ricordi male”

“No, no. Aspetta…ah, si! Avevamo concordato che se non ci restavo secca o non mi ritiravo dal percorso tu avresti sopportato una piccola punizione per me. Ricordi, tesoro?”

Gabriel sbuffò, contrariato al fatto che lei continuasse a chiamarlo così.


“Ora su, da bravo. Vai a cuocermi il tacchino”

“Tacchino?! Non ci sono tacchini a Chenzo! Dove te lo trovo?” domandò, disperato.

“Stupiscimi” gli disse, con quella faccia fatta di sorrisi finti e di finte gentilezze.

Gli provocò i brividi di freddo.



***



“Ah…squisito!” disse raggiante Rebecca, pulendosi con un tovagliolo la bocca. Due piatti vuoti ai lati della tavola.

Gabriel invece era meno entusiasta della ragazza. Per scovare quello stupido tacchino aveva dovuto barattare con il macellaio del villaggio e la merce del baratto non gli pareva per niente equa. Perché doveva vendere il suo orologio da polso per prendersi un animale che avrebbe mangiato in serata? La giustificazione del macellaio fu che quel tacchino, non trovandosene a Chenzo, era stato importato dalla Terra e che quindi valeva di più.

“Sai, ieri sera ho parlato con Adele prima che tu arrivassi. Mi ha raccontato un po’ della tua vita”

Gabriel, che fino a poco prima aveva tenuto un irresistibile broncio, parve scattare sull’attenti.

“Che stupidaggine, lo sa quanto io odia che se ne parli”

“Io non direi che è una stupidaggine, voleva parlarmene e io ho trovato interessante l’argomento”

“Perché?” domandò Gabriel, guardandola dall’alto al basso.

“Perché m’incuriosiva la tua storia, anche se non ho ben capito una cosa”

“Cosa?”

“Non ho capito come mai sia a te che a tua madre fu tolto il titolo di angeli”

Gabriel s’irrigidì sul posto. Rimase in silenzio e abbassò gli occhi, alcuni ciuffi biondi rendevano invisibili i tratti della fronte.

“Me lo dirai mai?” gli chiese, dolcemente. Nella sua domanda non c’era né curiosità né ostilità.

Come si fa a rimanere arrabbiati con lei?

“Dipende” disse, e la sua voce non era più un lascito di ira. Anche lui si era calmato.

“Da cosa?”

“Da te”


La reazione di Rebecca fu una smorfia deliziosa che le andò ad incorniciare il viso. Gabriel rimase stordito a fissare quel volto.

Ecco, ora avrebbe voluto baciarla.

Ma questo…questo non significava niente, vero?

Vero.



***



Rosalie non ne era del tutto sicura ma le parve di aver sentito un rumore fuori dalla sua finestra. Con uno sbuffo scocciato si alzò dal letto e lasciò il libro che stava leggendo sopra le coperte, aperto. La corrente d’aria, provocata dalla finestra aperta, faceva voltare le pagine al libro.
Si sporse oltre la balconata per vedere se c’era qualcuno, proprio mentre stava guardando verso sinistra vi trovò una losca figura in nero che, appesa alla parete, le tappò la bocca, impedendole di urlare.

Cercò di regolarizzare il respiro quando capì chi era. Il ragazzo, avvicinandosi alla luce della stanza, mostrò un paio di profondi occhi neri che parvero subito calmare la ragazza.

Mollò la presa sulle sue labbra e con un balzo entrò nella camera.

“Denali…” sussurrò Rosalie, spaventata.

Il ragazzo, affascinante e superbo, la squadrò con aria passionale.

“Stupita di vedermi?” le domandò, soffiandole sul collo.

Lei lo respinse e lo fece indietreggiare.

“È solo che non mi aspettavo di vederti qui, stanotte”

“Sai com’è, non sapevo che fare, ero a letto e non prendevo sonno. Mi manchi” le disse, con una certa angoscia.

“Sinceramente Denali, non vedo perché tu debba rimanere, mia madre è nella stanza accanto. Ne abbiamo già parlato, non puoi stare in questa casa. Se Gabriel ti trova ti ammazza!”

“Eddai Rose, tua madre dorme e non ricominciare con la scusa dell’iperprotettività di tuo fratello. Se ne farà una ragione”

“Non sarà necessario che se ne faccia una ragione perché tra noi non succederà niente, niente che vada oltre al rapporto fisico che già abbiamo! Quando abbiamo iniziato la nostra relazione, quali erano i patti, Denali?”

Il ragazzo fece finta di non sentirla e girò la testa da un’altra parte.


“Di non innamorarsi. Io non amo te, e tu non ami me. Non dobbiamo lasciarci andare a stupidi sentimentalismi. Avevamo bisogno di conforto, ci siamo trovati insieme per puro bisogno fisico. Veramente Denali, non ti capisco. Che altro vuoi da me?” domandò disperata la ragazza.

“Voglio di più” rispose secco il ragazzo. “Voglio te”

Rosalie tentennò e il cuore partì a batterle all’impazzata.

“E mi hai, ma non posso darmi più di così. Io non credo di sopportarlo” disse, incupendosi.

“Perché? Hai paura che tu ti possa veramente innamorare di me, come io di te? È questo il tuo timore? Perché se è così, direi che un po’ tardi”

Rosalie trattenne il fiato, non pensava di farcela a parlare. Il fatto era che…sì! Non voleva innamorarsi di lui e lui aveva promesso! Ma a quanto pare era così testardo e cocciuto…

“Ti amo”

“No! No, Denali. Non dire così! Rendi tutto più complicato!” Rosalie si coprì il volto e scosse la testa, come una bambina alla quale era stato fatto un dispetto.

“Se non mi vuoi, stanotte, basta che tu me lo dica. Cacciami e io sparirò”

Rosalie trattenne a stento le lacrime, si sentiva un enorme groppo in gola. Senz’altro quell’idiota stava rendendo tutto più difficile, metteva a dura prova la sua stessa volontà.

Lasciò cadere le braccia sui fianchi e tornò a fronteggiarlo con tutta l’autorità che possedeva.

“Vattene”

“No, non lo puoi pensare davvero” le disse Denali, facendosi più vicino e prendendola per le spalle, scrollandola.

A quel punto le lacrime iniziarono a sgorgare copiose sul bel volto della ragazza.

“Io non voglio innamorarmi di te” lo disse in un sussurrò appena udibile.

“Non sei obbligata a farlo. Anche se penso che ci sei dentro tanto quanto me in questa situazione”

“Tutte, tutte le persone che io ho amato, dalla prima all’ultima, la guerra me le ha portate via. Come puoi pretende che io ritorni ad amare quando so già che l’amore dovrà morire?”

Denali ebbe un sussulto, ora finalmente capiva il motivo per il quale Rosalie non aveva mai voluto che tra loro s’instaurasse una relazione seria. Aveva paura. Non voleva più soffrire.

Il ragazzo cercò di farsi coraggio e di parlare il più dolcemente possibile, anche se la sua voce rimase comunque dura.

“Ti sbagli, Gabriel e Adele ci sono. Ci saranno sempre per te, e anche io non me ne vado da nessuna parte. Sono troppo giovane per morire” concluse con un sorriso. “Allora, vuoi che me ne vada?”

Dopo parecchi secondi la ragazza gli rispose.

“No”

I muscoli del ragazzo si rilassarono e le sue labbra cercarono subito quelle di lei. La travolse in un bacio passionale, fatto di tante emozioni che si susseguivano tra loro. La distese con attenzione sul grande letto matrimoniale e subito le fu sopra. Arrivò a baciarle il collo e la sentì ridere. Alzò la testa per guardarla e non aveva mai visto due occhi azzurri così luminosi.

“Credo che ora sia decisamente troppo tardi per mandarti via” disse, asciugandosi frettolosamente le lacrime con la manica e ridendo spensierata come non si concedeva da tempo.

Denali ghignò, gli occhi scuriti e incupititi dal desiderio.

“Lo è. Decisamente”



***

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Capitolo 12
*** Pronta per combattere ***


Cap. 12 - PRONTA PER COMBATTERE -

Gabriel non era mai stato un ragazzo emotivamente affidabile. Il suo temperamento freddo e glaciale gli avevano creato la fama di “uomo senza cuore”. Lui non se ne vantava di certo, ma non poteva neanche biasimare la gente del villaggio che lo vedeva come un intruso nelle loro feste e divertimenti quotidiani.

Ecco perché, mentre guardava Rebecca pulire i piatti in cucina, comprese che stava diventando un sentimentalone senza speranza.

Insomma, il vero Gabriel non avrebbe mai sprecato ore preziose del suo tempo libero per spiare una ragazza qualsiasi mentre questa lavava dei piatti, ignara della sua presenza alle spalle.

Rebecca strofinava il panno e canticchiava tra sé e sé, persa in un mondo tutto suo e lui restava in disparte e la contemplava pensieroso.

Quando la porta bussò si riscosse dai suoi pensieri e andò ad aprire.

“Che vuoi?” domandò alla sorella, che entrò comodamente in casa senza che lui l’avesse invitata.

Quella mattina era ancora più bella del solito.

Lei lo fulminò con lo sguardo. “Un perfetto gentiluomo tu, eh? E si può sapere perché mi guardi così?”

Gabriel aggrottò la fronte. “Conosco quello sguardo”

“Ok, dove hai sbattuto la testa?” domandò Rosalie, un po’ infastidita dai modi sgarbati del fratello. In realtà temeva che lui avesse capito perfettamente.

Infatti Gabriel parlò con uno stupore tutto nuovo. “Oddio, non anche tu…ti sei innamorata!”

Rosalie sussultò, presa in contro-piede, ma poi scattò sorpresa. “Che vuol dire “anche tu”? Non è che per caso…?” anche lei, come il fratello, spalancò gli occhi. “Ti sei preso una cotta per…”

Prima che potesse dire altro Gabriel volò su di lei e le tappò la bocca impedendole di finire la frase.

“Ehm, che succede?”

Una voce nel corridoio li fece voltare tutti e due. Rebecca, con uno straccio in mano, li stava guardando come se li vedesse per la prima volta. Non li aveva mai visti farsi a botte prima d’ora.

Alle proteste di Rosalie di essere liberata, Gabriel mollò la presa come scottato.

“Niente! Mia sorella mi ha chiesto un favore!”

Bec lo guardò poco convinta e avanzò di un passo, non interrompendo il contatto visivo con il ragazzo.

“Ti ha chiesto di soffocarla?”

A Rosalie scappò una risata mentre Gabriel iniziava a sudare freddo.

“Ma no! Che ti salta in mente…e comunque non sono affari tuoi” disse e poi, infuriato, lasciò la stanza per sparire al piano di sopra, correndo per le scale.

Rebecca alzò gli occhi al cielo. “Quel ragazzo è una malattia per il mio stato di salute” poi si voltò verso la ragazza che se stava ancora immobile nell’entrata, e con una sorriso divertito le domandò: “E tu come mai sei qui?”

Tutt’un tratto Rebecca vide Rosalie andare a fuoco, si stava contorcendo le mani in grembo e i suoi occhi non erano mai stati così luminosi.

All’inizio dovette preoccuparsi. “Ehi, che ti prende? Rosalie, vai a fuoco!”

“In realtà avrei preferito parlarne prima con Gabriel ma credo che arrivati a questo punto possa saperlo anche tu, ormai sei una di famiglia”

“Ehi! Alt. Stop. Frena. Con “una di famiglia” non intenderai affermare che io e Gabriel…? Perché se è così sappi pure che dovrai vedermi sposata ad un troll basso e puzzolente prima che possa stare con uno come tuo fratello. Quel giorno mi vedrai come una donna che guarda l’ultimo uomo sulla faccia della terra. E questo avverrà…vediamo…mai!”

“Non dovresti dire queste cose se non ne sei sicura” la rimproverò saggiamente la ragazza.

Bec parve vacillare, poi, battendo le mani come per scacciare una mosca, domandò: “Allora, che vuoi dirmi?”



***



Gabriel stava cercando di portare la sua attenzione verso un brano che stava leggendo, ma proprio mentre richiudeva il libro un urlo eccitato invase la casa.

Preso da un colpo improvviso per poco non cadeva dalla sedia e correndo fuori dallo studio si precipitò ansante verso il salotto da dov’era provenuto il grido.

Rimase stupito nel vedere che in salotto c’erano solo le due ragazze. Entrò cautamente nella stanza perforando con lo sguardo ogni angoletto buio o spazio vuoto.

“Ecco, ora so cosa sono i deficienti” disse sarcasticamente Rebecca, guadagnandosi uno sguardo perplesso dal ragazzo.

“Nessuna di voi ha gridato?”

Rebecca alzò le spalle. “Sì, io. Problemi, per caso?”

“No, no. Niente” se ne stava andando quando il viso della sorella lo bloccò sul posto. “Rosalie, devi dirmi qualcosa?”

Il viso già arrossato della ragazza divenne di un bel rosso corallo, tanto che Rebecca, al suo fianco, lanciava occhiate da lei a Gabriel come se stesse assistendo ad un film d’azione.

“Sono incinta”

Crollò nella stanza il silenzio più totale. Il bel sorriso scomparve dalla faccia sconvolta di Rebecca che boccheggiò un paio di volte prima di parlare.

“M-Ma prima mi hai detto che tu e Denali stavate insieme! Doveva essere quella la notizia bomba! Non mi hai detto che eri…cosa?!”

Rosalie le sorrise. “Scusami, ma te l’avevo detto che avrei preferito parlarne prima con mio fratello”

Gabriel, che fino ad allora era rimasto immobile e bianco come un fantasma, esplose non appena sentì su di sé gli sguardi delle due ragazze.

“Denali? Denali ti ha messa incinta?! Ok, non ti preoccupare, Rose” la chiamava sempre con il suo nomignolo quando si comportava da fratello maggiore. “Tu adesso stai qua con Rebecca finchè io vado da lui e lo ammazzo. Poi quando torno ne riparliamo, dobbiamo decidere e organizzarci come fare per la tua gravidanza, non potrai vivere da sola d’ora in poi. Adele tra un po’ ripartirà e…”

“No!” urlò Rosalie, alzandosi come una molla dal divano.

Gabriel la guardò come se fosse pazza. “Cosa?” poi, notando Rebecca mordersi il labbro e ricordando quello che poco prima aveva detto, capì.

“Tu non ammazzerai proprio nessuno! Denali non mi ha messa incinta, non è un maniaco né un pervertito che si è approfittato di me. Se è successo è perché ci amiamo. Stiamo insieme, ora”

“Ora?! Vuol dire che questa storia va avanti da tempo! Da quanto, Rose?”

“Da quando siamo tornati a Chenzo dopo aver portato con noi Rebecca”

Gabriel, preso dallo sconforto, si sedette sul divano. Non sapeva più che fare. Sua sorella, la sua adorata sorellina era stata messa incinta dal suo migliore amico.

“Senti, non so più che altro dirti. Se vi amate è bene che cresciate questo bambino insieme. È solo che averlo saputo così è stato un po’ spiazzante. Ma me ne farò una ragione. Dopotutto non credo che diventare zio sia una brutta cosa” disse, sospirando e chiudendo gli occhi per far riposare le palpebre. Si sentiva di colpo così stanco…

“No, Gabriel. Non dev’essere male” intervenne Bec, dolcemente.

Gabriel aprì gli occhi e li puntò verso di lei che lo stava confortando con le parole.

Sorrise pigramente e si grattò la nuca.

Cavolo.

Che cambiamento.



***



Quando Rosalie uscì dalla casa di suo fratello portava addosso una maschera di pura felicità. Mancava poco che al posto di camminare iniziasse anche lei a volare, come quegli angeli che tanto da piccola aveva invidiato.

Arrivò davanti alla casa di Denali tutta accaldata, il manto marrone che la ricopriva svolazzava ai lati delle sue caviglie mentre i capelli ondeggiavano a destra e a sinistra come dei fili d’erba.

Bussò a tempo di musica e non appena venne ad aprirle Denali il suo sorriso contagiò ogni fibra del suo corpo. Anche Denali, vedendola, sorrise, appoggiando la testa allo stipite della porta.

“Posso entrare?”

Il ragazzo diede una fugace occhiata all’interno. “Ma certo, entra”

Non appena mise piede dentro notò subito due figure accomodate.

Rosalie, voltandosi verso il ragazzo e in contemporanea togliendosi il mantello, bisbigliò al suo orecchio. “Non sapevo avessi invitato Kevin e Delia”

Denali arricciò le labbra, contrariato. “In realtà si sono presentati senza avvisare”

“Rosalie!” disse con un urletto eccitato Delia, balzandole addosso per abbracciarla. L’altra, tra lo spaventato e il sorpreso, ricambiò l’abbraccio goffamente, lanciando occhiate interrogative verso Denali.

“Gli ho detto tutto” disse il ragazzo, e sorrise. Rosalie amava quel sorriso furbo. La prima volta che si era resa conto di essere innamorata di lui (mettendo poi tutto segretamente a tacere) fu quando le riservò un tale sorriso: carico d’ambizione e adorante.

“Già” intervenne Kevin. “Ci ha detto tutto è…cavolo, un bambino!”

“Infatti, è tutto così inaspettato anche per noi” poi, stando attenta che Delia non la sentisse, sussurrò verso Denali, con labbra serrate. “Non potevi trattenerti prima di urlarlo a tutto il villaggio?!”

Denali, in risposta, le diede un bacio sulla fronte. “Perché avrei dovuto mettere a tacere una così bella cosa?”

“Per fortuna che io e te dovevamo avere un rapporto usa e getta…” ringhiò Rosalie, in direzione del ragazzo moro.

“Come l’ha presa Gabriel?”

A quel nome, Denali, mandò giù un groppo in gola.

Rosalie si accomodò in cucina, seguita dagli sguardi impazienti degli altri. “Come volete che l’abbia presa? Mi ha diseredata, ha giurato di ammazzare Denali e quando il bambino sarà nato lo spedirà in una casa per giovani orfani”

A quel punto si potè benissimo vedere la faccia di Denali passare dal bianco al viola, dal verde al rosso.

Prima che facesse lo scoppio la ragazza lo calmò. “Sto scherzando. L’ha presa bene, secondo me non è poi così scontento all’idea di diventare zio. Devo ammetterlo, da quando abbiamo qui con noi Rebecca lo vedo molto più…”

“…comprensivo” disse Kevin, con ovvietà.

“…romantico” squittì Delia, battendo le mani e sognando ad occhi aperti.

“…maturo” confermò Denali, con le braccia incrociate al petto in fase di riflessione.

Rosalie li guardò tutti e tre e poi scoppiò a ridere. “Avete riassunto alla perfezione quello che volevo dire!”

“Ma dicci, come l’avete presa quando l’avete saputo?” chiese Delia, poggiando una mano calda sulla gamba di Rosalie.

Denali, avvicinandosi alla ragazza, le passò un braccio attorno alle spalle e lei, alzando lo sguardo su di lui, strinse la sua mano.



***



Era da più di mezzora che gli aveva detto di raggiungerla a casa sua. Adele non c’era e sarebbe tornata a momenti, non voleva che tornasse e lo trovasse lì. Andava avanti e indietro, camminando come una pazza nel corridoio, strofinandosi istericamente le mani e fissando il pavimento.

Quando alla porta sentì dei colpi battere capì che era arrivato il momento.

Rimase parecchi secondi a fissare la porta chiusa, spaventata. Poteva sentire la voce del ragazzo chiamarla.

“Rosalie! Sei in casa? Apri!”

Con un coraggio sovrumano aprì la porta e lo fece accomodare.

Denali entrò preoccupato e la prese per le spalle.

“Tutto bene? Mi ha mandato a chiamarmi un ragazzo dicendomi che mi volevi ed era urgente. Ti prego, non dirmi che è successo qualcosa di grave”

La ragazza prese un forte respiro prima di sputare in faccia a Denali il motivo della sua chiamata. Se non lo faceva subito e alla svelta non avrebbe più avuto la prontezza di dirglielo.

“Aspetto un bambino”

Vide la faccia del ragazzo ingrandirsi e gli occhi diventare due palline da golf. “Come, scusa?!”

Rosalie socchiuse gli occhi e si morse il labbro. “Sono incin…”

“Sì! Ho capito cosa sei! È solo che…”

La ragazza, non osando guardare in faccia Denali, concluse il peggio. “Ok, ho capito. So cosa vuoi dirmi” disse e si voltò, non dando a vedere le lacrime che avevano iniziato a scenderle copiose. “È sicuramente il momento sbagliato: tu non ti senti pronto e io neppure. Siamo stati degli incoscienti a fare l’amore quella sera in camera mia e sarebbe stato meglio se quella volta ti avessi scacciato. Darai tutta la colpa a me, urlerai e dirai che non vuoi avere nessun bambino. Per essere carino e fare una bella figura ti offrirai aiutarmi e io dovrò crescerlo da sola. Non sono stupida, ti conosco. Non sei affatto un uomo di casa, un uomo al quale piace avere una famiglia. Sei un nomade,  un arrogante, orgoglioso, indipendente. Sicuramente questo problema intralcerà la tua libertà, ti sentirai in gabbia, vorrai andartene. Infondo, chi di noi è pronto?”

“Hai finito?”

Rosalie, dandogli le spalle, annuì con un cenno della testa. Si sentiva troppo male, non ce la faceva a girarsi e ad affrontarlo.

Si sentì afferrare da due possenti mani e girare su sé stessa. Sbarrò gli occhi, piacevolmente sorpresa, nel sentire le labbra di Denali sulle sue.

Quando si staccarono, ansanti ed euforici, la ragazza cercò con lo sguardo gli occhi profondi del ragazzo.

Lui le baciò la fronte, dolcemente. “È solo che non credevo esistessero i miracoli”  



***



“Sai, non ho mai trovato nessuno che mi dia sui nervi tanto quanto te in questo momento” disse Rebecca svogliatamente, passando una pagina del libro che stava leggendo.

Ultimamente non faceva altro che leggere libri sull’arte della guerra.

Posò lo sguardo su Gabriel che la guardava dall’altro divano, come se la stesse analizzando: braccia conserte e cipiglio innalzato.

“È che stavo pensando. Devo ancora capire come mai non riesco a leggerti nel pensiero. È stato un chiodo fisso, una domanda che mi ha ossessionato per tutto il primo periodo in cui ci siamo conosciuti. Con gli altri ci riesco benissimo quando voglio ma con te…” lasciò in sospeso la frase. “Boh, me la metterò via”

“Quando saprò il perché di questa cosa stanne certo che verrò a dirtelo ma nel frattempo smettila di fissarmi come se stessi per mangiarmi!” sbottò, con cipiglio severo.

Gabriel portò le mani in alto in segno di resa e spostò la sua attenzione su un quadro appeso al muro che raffigurava una spada nella roccia. Con un sonoro botto la ragazza chiuse il libro e si sistemò meglio nel divano, arrivando a fronteggiare il ragazzo.

“Posso farti una domanda?”

Gabriel inarcò il sopraciglio. “Se ti dico di no me la farai lo stesso. Cosa cambia?”

“Come funziona l’immortalità? Voglio dire, gli angeli bianchi godono di un’immortalità nel vero senso della parola ma noi che siamo: io un angelo iniziato e tu un ex angelo, che tipo di immortalità abbiamo? Una volta tu mi hai detto che eri immortale però allo stesso tempo Rosalie e gli altri hanno la tua stessa età sebbene dovrebbero avere ormai…beh, dovrebbero essere sicuramente più grandi di te!”

“Questo perché non ti ho detto tutto” il suo tono sarcastico lasciò di stucco la ragazza.

Rebecca, senza un apparente motivo, rimase ferita dalle parole di Gabriel. Le aveva omesso delle cose importanti.

Cercò di ignorare il gran caldo che le era montato addosso e gli chiese di spiegarsi.

“Vedi, solamente gli angeli bianchi o neri completi diventano immortali e vivono per sempre. Per quanto riguarda gli angeli come te, quelli iniziati, gli apprendisti, siete mortali. Nel mio caso invece, dato che sono stato per un breve periodo un angelo a tutti gli effetti, ho convissuto con l’immortalità in quegli attimi. Poi, quando sono stato esiliato mi è stata tolta. C’è comunque la possibilità che ritorni ad averla”

“Diventando di nuovo un angelo bianco. Devi conquistarti quel titolo, se non mi sbaglio”

“No, non funziona solo così. Io posso chiedere che mi sia data l’immortalità pur non essendo un angelo completo, l’importante è che almeno lo sia stato. Nel momento in cui inizi ad avere una certa famigliarità con essa è come se s’insinuasse dentro di te e ti alimentasse. Anche quando ti viene tolta, ti rimane la cicatrice in un certo senso”

Rebecca non capiva. “E perché hai rifiutato quest’opportunità?”

“Beh, perché non voglio sprecarla. Se mai arriverà un’occasione giusta domanderò io stesso che mi venga data, farò richiesta agli anziani. Anche se da come la penso io non me la daranno prima che sia ritornato un angelo”

“Perché mi hai mentito?”

“Non lo so” disse Gabriel, non sapendo che altro inventarsi. “Mi dispiace”

“Non fa niente” poi Gabriel la vide contorcersi nel suo posto, agitata e ansiosa. “Posso dirti una cosa, senza che ti arrabbi?”

“Chissà perché non mi piace…”

“Beh, prima ho fatto il conto esatto del tempo che sono qua a Chenzo. Sono quattro mesi che vivo in questa casa, in questo posto, e io ho preso una decisione drastica”

“Drastica? Quanto drastica?” domandò, in tono preoccupato.

“Mi hai insegnato tutto quello che dovevo sapere e…Gabriel, io mi sento pronta per combattere. Ogni giorno, in ogni istante, vedo la faccia spaventata delle persone quando passo per strada e i loro ricordo, la loro memoria di quei giorni mi hanno fatto riflettere. Io sono qui per un motivo ben preciso: salvarvi. Ma da quando sono arrivata non ho fatto niente di concreto! Io…io mi sento in dovere di fare qualcosa, seppur minima!”

Gabriel le prese le mani tra le sue e annuii. “Non è certo colpa tua se prima hai dovuto addestrarti, imparare, ma posso capire la tua voglia di agire. Senz’altro Mortimer avrà capito che è arrivato un angelo nel villaggio, per quello ha mandato delle spie, sarà pronto per muoversi, attaccarci…e sono contento che tu finalmente ti senta preparata abbastanza per affrontarlo”

“Sarà una bella prova, peggio che affrontare i ragni giganti” disse, lanciando un sorriso sicuro.

Gabriel però non sembrava poi tanto contento. “Sappi che io ti sono vicino”

“E vorrei vedere! Ti ammezzerei se solo ti azzardassi a lasciarmi in un momento critico come questo” Gabriel sospirò, ghignando impercettibilmente. “Dobbiamo aspettare finchè non si fa vivo, no?”

“Sì” le rispose il ragazzo. “E non penso lo faccia tra molto. Cercherà sicuramente un modo per scontrarsi con te e farti fuori. Ora come ora tu per lui presenti un enorme pericolo, potresti compromettere i suoi piani per arrivare alla scala del successo. È normale che voglia toglierti di mezzo”

Rebecca sembrava borbottare tra sé e sé, contraria all’uso della parola “normale” in quel contesto.

Poi lui continuò: “Senza contare che fino a poco tempo fa una spia circolava liberamente nel villaggio mentre adesso sembra che si sia dileguata” disse, pensieroso. “Avrà concluso la sua missione e non è una bella cosa”

“Chi pensi che possa essere?”

“Non ne ho idea”

“Bastian non lo sa?”

“No, non è semplice come sembra scovare una spia. Contando che noi ci fidiamo di tutte le persone del villaggio, le conosciamo da quando siamo nati” poi, il ragazzo, come bloccato, spalancò gli occhi. “Beh, apparte…”

“Atreius!” quasi urlò Rebecca, come colta da un’illuminazione mistica.

Gabriel aveva la stessa faccia di una persona che finalmente aveva trovato la risposta a tutte le sue domande.

“È da un po’ che non si vede più Atreius in giro…”

Uno sguardo di puro terrore balenò su Rebecca.



***



“Fatelo entrare” disse Dark Threat, in tono glaciale.

Una porta si aprì, cigolando pigramente. Un ragazzo alto e moro, con due incredibili occhi grigi, entrò nella sala con un un’andatura sicura di sé e per niente impacciata.

Sapeva muoversi, lui, in quei corridoi.

Gli occhi dell’uomo si posarono e incontrarono quelli del ragazzo in segno di sfida. “Hai fatto un ottimo lavoro, Atreius. Ti avevo chiesto di tenermi d’occhio la mocciosa e così hai fatto, dandomi delle utili informazioni sul suo conto e sulla sua vita privata. Mai avrei potuto chiedere di più…si è persino innamorata” disse, iniziando a ridere. “Senza dubbio sapremo dove colpirla. I sentimenti umani e gli attaccamenti tra persone diventano molto pericolosi in guerra, possono diventare armi letali in mano ad un nemico astuto e crudele. Pensa a come starebbe male la ragazzina se le venisse tolto Gabriel o sua sorella…sarebbe vulnerabile! Debole!”

Atreius, soddisfatto, annuii al suo signore.

“È forte mi hai detto…e in gamba. Dovrò muovermi il prima possibile. Tolta di mezzo lei, non avrò più niente da temere. Con lei se ne andranno per sempre gli angeli bianchi”

“Signore?” lo chiamò il ragazzo, per niente intimorito dall’occhiata di fuoco che Dark Threat gli riservò. “Cosa devo fare io, ora?”

“Resta al castello, va nella tua stanza, fa quel che ti pare. La tua missione è stata eseguita in maniera ottima, direi” e qui, un ghigno gli dipinse il volto. “Dopotutto, sei pur sempre mio figlio”



***

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Capitolo 13
*** C'è qualcosa nel cielo ***


Cap. 13 - C’È QUALCOSA NEL CIELO -

[Non dovrei amarti ma voglio farlo.
Posso solo voltarmi, non dovrei vederti
ma non riesco a muovermi,
non riesco a guardare altrove.

E non so come fare a stare bene
quando non sto bene, perché non so
come fermare questa emozione.

Solo per fartelo sapere,
queste emozioni stanno prendendo il controllo di me
e non posso farci niente]

Jesse McCartney - Just so you Know -



***



Rebecca non faceva che andare su e giù per la stanza, torturandosi le mani in grembo, mentre Gabriel, esterrefatto, rimuginava seduto nel divano.

“Come ho fatto a non arrivarci prima?!” mormorò tra sé e sé la ragazza, con vocina stridula.

La voce di Gabriel invece arrivò roca e con una nota di sarcasmo. “A quanto pare non era poi tanto innamorato”

“Ti pare discorsi da fare?” lo rimproverò Rebecca, fissandolo con ostentata disapprovazione. Con uno sbuffo si buttò nel divano e mise il broncio. “Se l’avessi saputo prima…”

“…gli avrei spaccato la faccia” concluse Gabriel, portandosi le mani sotto il mento e fissando il vuoto davanti a sé.

Rebecca gli scoccò un’occhiata di fuoco. “L’avrei fatto prima io! Come ha potuto prendersi gioco di me in quel modo? Io di certo non ero persa per lui ma in ogni caso essere ingannata e circuita così non è piacevole!”

Gabriel si ritrovò suo malgrado a darle ragione, anche se l’idea di avere Atreius fuori dai piedi non gli dispiaceva affatto…

“Che si fa ora?” disse la ragazza, sistemandosi meglio nel divano, in attesa di una risposta.

Gabriel si leccò le labbra. “Io credo che la cosa migliore da fare sia aspettare e vedere che succede”

Rebecca spalancò gli occhi, mettendosi immediatamente dritta. “Mi stai usando come esca?!”

“Mi duole ammetterlo ma è così. Ormai Mortimer saprà quasi tutto di te: dove vivi, con chi, dove vai di giorno, dove ti alleni…non aspetta altro se non il momento migliore”

“Ad esempio quando sono da sola?”

“Sì” disse Gabriel, socchiudendo gli occhi in un gesto sofferente. Quando gli riaprì erano vuoti e tristi.

Vedendolo in quelle condizioni Rebecca si sentì impotente. Dopotutto, che speranze aveva lei per sconfiggere il signore del Male? L’amarezza e la tristezza se ne andarono immediatamente nel momento in cui Rebecca arrivò ad una, clamorosa, conclusione: lei era forte e doveva avere fiducia in sé stessa. Si sentì subito pervadere da una strana sensazione di piacere. Poteva farcela. Ce l’avrebbe fatta.

Tornò a guardare Gabriel che si stava crogiolando nel divano e, come quando si tira fuori una persona dal baratro del “non ritorno”, così lei lo aiutò ad uscire da quel pozzo senza fondo in cui era pietosamente caduto. Lo abbracciò con tutto il calore e il trasporto di cui era capace finchè non sentì le mani del ragazzo posarsi sui suoi fianchi e stringerla a sé.

“Credo che dovremmo parlare a Bastian riguardo suo nipote” disse Rebecca, poggiando il mento sulla spalla del ragazzo e soffiandoli nell’orecchio.

Lo sentì annuire con la testa.

Dieci minuti dopo erano da Bastian.



***



Quando Bastian venne ad aprire alla porta si poterono benissimo notare i solchi e i segni neri attorno ai suoi occhi e la pelle bianca tendeva ad un colore olivastro. Aveva un’aria assorta e leggermente addormentata. Stava da schifo, in poche parole. Dopo aver percorso con lo sguardo i loro volti si grattò la testa e sbadigliò sonoramente.

“Che ci fate qui a quest’ora?”

Rebecca e Gabriel si lanciarono uno sguardo preoccupato.


“È pomeriggio” gli fece notare la ragazza, inarcando le sopraciglia e squadrandolo come per accertarsi che stesse bene.

Bastian si lasciò sfuggire un “oh” sorpreso. “Beh, entrate! Accomodatevi”

Fece loro spazio per fargli passare e poi, dando un’occhiata fuori casa, richiuse la porta. Fece accomodare i due ragazzi e trascinandosi verso una sedia vi prese posto con una stanchezza spaventosa.

“Dormito male?” gli domandò Rebecca.

Bastian fece un altro sbadiglio. “A dire la verità non ricordo l’ultima volta che ho toccato il mio letto e, non so come mai, ho dei ricordi sfuocati di questi giorni, come se fino ad ora avessi vissuto in uno stato di ubriacatezza. Non sono ubriaco, vero? O magari ho la febbre!” domandò, allarmato.  

“No, ma temo di aver capito cosa ti è successo” disse Gabriel, gravemente. “La tua mente è stata controllata da Atreius”

“Chi?”

Rebecca posò subito la sua attenzione verso Gabriel. “Non si ricorda nemmeno chi è!”

Bastian alzò le mani in segno di resa, perplesso. “Cosa state cercando di dirmi, voi due?”

“Vedi…” cominciò il ragazzo, cercando uno sguardo d’appoggio verso Rebecca prima di continuare. “Ho la certezza nell’affermare che tu sia stato temporaneamente controllato da una spia di Mortimer. Sicuramente avrà usato te perché avrà saputo della tua forte influenza sul villaggio e della tua posizione di capo perciò il suo arrivo, presentandosi come tuo nipote, non avrebbe destato né sospetti né pettegolezzi tra la gente”

Bastian, che aveva ascoltato attentamente, spalancò la bocca inorridito. “Non ci posso credere! Sono stato usato da una spia affinché questa avesse una sistemazione nel mio villaggio e controllasse Rebecca?!” sembrava veramente arrabbiato. “Mi dispiace, Aidel” le disse poco dopo, con una faccia da cane bastonato che spezzò il cuore alla ragazza.

“Non fa niente, saprò cavarmela. Non è colpa tua” lo rassicurò, prendendogli una mano tra le sue.

“Nessuno di noi avrebbe voluto finire in questa situazione e devo ammettere che un po’ è stata anche colpa mia”

“Che pensate di fare?” domandò, con uno sguardo mortificato.

Gabriel, incrociando le mani al petto e si lasciò andare contro lo schienale della sedia. “Ci difendiamo”

Rebecca annuì con vigore e anche Bastian fu d’accordo. “Se vi posso essere d’aiuto…” mormorò il capo-villaggio, squadrando i due ragazzi. “…fatemi un fischio”


***



Quando tornarono a casa Gabriel, al massimo della frustrazione, diede un pugno alla porta rimanendo con la fronte incollata al legno freddo della trave. Rebecca, scossa dal rumore e dal gemito di dolore del ragazzo, si voltò verso di lui e lo trovò nella più totale disperazione, appoggiato, con il pugno alzato, alla porta chiusa.

Con timore gli si avvicinò e allacciò le braccia al suo torace, facendolo voltare. Non lo aveva mai visto tanto disperato e la cosa la colpì moltissimo. Senza rendersene conto gli passò una mano tra i biondi capelli e gli scansò qualche ciuffo dalla fronte, i suoi occhi azzurri si erano scuriti e il mento era più spigoloso del solito. La sua mano non abbandonò la faccia di Gabriel che si posò delicatamente sulla sua guancia. Lentamente, molto lentamente, Gabriel aprì gli occhi e puntò le sue iridi glaciali dritte in quelle scure di lei. Le gambe di Rebecca cominciarono improvvisamente a tremare e il cuore iniziò a batterle all’impazzata. Se qualcuno non l’avesse fermata, non sarebbe più stata cosciente delle sue azioni, perciò tentò di parlare nella speranza che la situazione si smorzasse.

“Non è colpa tua”

Gabriel fece un lungo sospiro prima di parlare. “Mia sorella è incinta e tu ora rischi di morire. Non sarò in grado di proteggervi, se Mortimer dovesse attaccare il villaggio non ce la farò mai a garantirvi la massima protezione. Nella situazione in cui è Rosalie poi…sarò troppo debole e vulnerabile”

“Gabriel, non hai mai pensato che: uno, Rosalie abbia già Denali che la protegge e che farà di tutto pur di salvarla e numero due, io sono abbastanza forte. Ti ho battuto molte volte durante gli allenamenti, e dire che tu non sei una schiappa” disse con un sorriso.

“Non vedo come la cosa possa avere un lieto fine”

“Sai, Gabriel…” mormorò la ragazza, con il batticuore in gola. “…tu parli decisamente troppo” e lo baciò.

La mano che prima teneva posata sulla sua guancia la usò per avvicinare il volto del ragazzo al suo e nel momento in cui le loro labbra si unirono gli allacciò le braccia intorno al collo, alzandosi in punta di piedi e permettendo a Gabriel di cingerle i fianchi. Approfondirono immediatamente il bacio e con trasporto finirono, in un modo o nell’altro, distesi sul divano. Non appena Gabriel le fu sopra fece scorrere le sue mani lungo il ventre della ragazza, massaggiandoglielo con tenerezza. Le loro bocche, incollate, si staccarono quando Gabriel decise di andare a baciarle il collo, provocando una serie di mugolii da parte di Rebecca.

Rebecca, volendo essere più audace, infilò le mani sotto la maglietta di Gabriel mentre lui ritornava a baciarla sulle labbra, le dita al contatto con i suoi muscoli tesi, le provocò un senso di piacere e di vittoria.  

Era bello baciarlo.

Avevano perso troppo tempo a parlare, quel “passatempo” era decisamente migliore.

Si chiesero entrambi come mai avevano aspettato tanto tempo quando bastava così poco per trovarsi uniti ed essere d’accordo su qualcosa.

Ma quando la mano di Gabriel si posò sulla sua coscia, lei immediatamente si scostò.

“Scusa” sussurrò Gabriel, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo.

Il respiro irregolare del ragazzo sulla sua spalla le provocò diversi brividi. Aveva la bocca socchiusa e gli occhi erano aperti in maniera confusa. “Và meglio?”

Stupida, pensò subito dopo aver formulato la domanda. Ti sembrano cose da chiedere in un tale momento?

Si morse nervosamente il labbro inferiore e rabbrividì quando l’alito fresco del ragazzo le solleticò la pelle. “Direi di sì” disse con una risata.

Dato che Gabriel si trovava ancora sopra di lei e il peso del ragazzo iniziava a farsi sentire, Rebecca spinse il bacino contro quello del ragazzo, invitandolo a scostarsi. E infatti, tempo di reazione pochi secondi, il ragazzo si tolse bruscamente.

Rimase seduto nel divano e quando Rebecca si alzò e si sistemò la maglietta che le era salita lasciandole scoperta la pancia, notò che la stava fissando seriamente. Arrossì leggermente sotto lo sguardo di lui, e girò in fretta la testa.

Poi lui parlò. “Io credo che, insomma, se vogliamo…qualche volta potremmo anche…”

Capendo a cosa alludeva, Rebecca diventò bordeaux e farfugliò, imbarazzata: “Certo, lo credo anche io. Beh, se capitasse che siamo giù di morale potremmo…”

“Infatti, era quello…”

“Quello…”

“Che intendevo” conclusero insieme.

“Bene” disse, con una strana calma il ragazzo. “Io direi di andare ad allenarci”

Rebecca scattò in piedi e con impacciati movimenti tentò di recuperare il bagaglio delle armi. “Oh, sì! Era quello che stavo per chiederti io”

“Allora, quello che è successo…quando avremmo voglia va bene ma…ma non vuol dire niente” disse Gabriel, trovandosi seriamente in guerra con i suoi sentimenti che lo stavano facendo impazzire.

Bec lo rassicurò sventolando le mani aperte. “Oh, no! Non vuol dire niente!”

“Insomma, io non sono innamorato di…”

“Neppure io!”

“Bene”

“Bene”




***



Le montagne di Chenzo e i suoi paesaggi erano meravigliosi. Le capitava sempre di seguire i profili delle cime, di contare i petali dei trifogli, di ammirare uno strano uccello…

Ma quel pomeriggio, tesa com’era, Rebecca non aveva ancora prestato nessun tipo di attenzione al paesaggio. Stavano correndo da due ore ma era come se avesse sempre avuto la testa svuotata e i pensieri lontani. Se Gabriel le faceva una domanda rispondeva con il minimo necessario, beccandosi torve occhiate da parte del ragazzo che non apprezzava appieno il mutismo in cui si era chiusa.

Non si era neppure accorta di essere in quel momento nel luogo in cui per la prima volta aprì le ali. Saltò via insieme a Gabriel un grosso tronco caduto che bloccava la strada e fu allora che sentì un boato nel cielo, come uno squarcio tra le nuvole.

Entrambi, colti di sorpresa, di arrestarono e alzarono la testa verso il cielo dove un enorme macchia nera troneggiava coprendo il sole.  

Gabriel smise di respirare.

“C’è qualcosa nel cielo” disse Rebecca, indicandoglielo col dito e ritraendolo subito quando capì di aver indicato la figura di un uomo. “È…” cominciò la frase ma non riuscì a finirla poiché un groppo in gola le bloccò il flusso di parole.

“Sì, è lui”

Rebecca prese forza e con ostentata audacia scrollò le spalle. “Era ora che si facesse vivo” disse, a denti stretti.

Non sapeva perché ma odiava quell’uomo.

Una strana forza, che più tardi avrebbe identificato con l’odio, si impossessò di lei dandole coraggio e sfrontatezza.

Sotto lo sguardo sconvolto di Gabriel aprì le ali e sfilò dalla fodera legata alla cintura la sua spada che luccicò lanciando scintille di fuoco. Un generoso dono di Bastian, la chiamavano: “la spada degli eroi” e veniva tramandata a tutti gli angeli bianchi. Aveva il potere di generare vigore e potenza a chi la impugnava. Ecco perché in quel momento, piacevolmente sorpresa, si sentì invincibile.

Fece un passo in avanti ma venne bloccata dal ragazzo.

“Sta attenta”

Paura, amore, terrore, ansia, colpa…nel viso di Gabriel, Rebecca, colse una miriade di emozioni diverse e tutte erano per lei.

“Lo sarò” disse con convinzione e ardore.

Non fallirò.

Si voltò, preparata per affrontare il suo nemico che dall’alto, con un ghigno divertito, non aspettava altro se non il momento in cui lei si fosse presentata a lui pronta per combattere. Ghignò a sua volta, conscia di essere in quell’istante arrogante e sfrontata.

Corse velocemente verso il pendio, pochi metri più avanti c’era il baratro. Quando il terreno sotto di lei finì si diede un enorme spinta con il piede e, librandosi in aria, volò verso il signore del Male.



***

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Capitolo 14
*** Testarda è dir poco ***


Cap. 14 - TESTARDA È DIR POCO -

[È bello sapere che c’eri.

Grazie per aver finto che ti importasse
e per avermi fatta sentire come se io fossi stata l’unica,
è bello sapere che
abbiamo avuto tutto.

Grazie per stare a guardare mentre cado
e per avermi fatto sapere che era finita]

Avril Lavigne - My happy ending -



***



Il volto di Mortimer era esattamente come Rebecca l’aveva immaginato: stempiato e dai duri lineamenti. Si stupì, in un attimo di lucidità, di quanto però in realtà quell’uomo fosse attraente. Per mesi la ragazza si era creata nella sua mente un suo prototipo di bellezza che era lungi dall’essere normale. Per quanto Mortimer trasmettesse comunque terrore e panico se l’era immaginato più mostruoso. A vederlo così, librato in aria in una sorta di potenza, sembrava un uomo qualunque.

Male e Bene. Chi vince?

Rebecca, con le sue ali bianche e la sua divisa bianca, era in netto contrasto con le ali nere e il mantello scuro che ricopriva Mortimer, i capelli un po’ lunghi e neri e gli occhi infuocati.

Bec strabuzzò gli occhi. Il colore degli occhi era il rosso.

Non appena lei arrivò a fronteggiarlo, lui ghignò.

“E così saresti tu il miracolo della gente?” scherzò, deridendola. Con gli occhi la scrutò e un segno di disapprovazione guizzò sul suo volto demoniaco.

Rebecca non si fece intimidire. Si zittì proprio quando stava per risponderli a tono.

Con un gesto deciso tolse la spada dalla fodera e gliela puntò contro con entrambe le mani impugnate nell’elsa.

Era un invito a combattere e impercettibilmente lui avanzò di pochi centimetri, come attratto dal campo di forza racchiuso tra loro. “Spiacente di deluderti ragazzina, ma non ho nessuna intenzione di farti fuori così presto” alla faccia perplessa di Bec, lui continuò. “Prima bisogna torturarti. Se ti uccido subito…” rise. “…non c’è più gusto”

Rebecca, sentendosi profondamente offesa e ridicolizzata, attaccò senza pensarci due volte. Innalzò la spada e andò a colpirlo con l’intento di ferirlo sulla spalla ma lui, dal nulla, fece spuntare una spada che usò come protezione su di sé. Bloccò con mossa decisa la spada di Rebecca e con una spinta l’allontanò da lui facendola volare indietro.

Mortimer, a quel punto, fece scomparire la spada in una nuvola di fumo e unì le braccia al petto formando una X. Quando riaprì le braccia delle schegge blu volarono velocissime sulla ragazza che lei, con uno scudo protettivo, incenerì all’istante.

“È questo tutto quello che sai fare? Ti hanno insegnato solamente come difenderti?”

Rebecca sussultò improvvisamente. I suoi pensieri andarono a Gabriel e quando posò lo sguardo verso terra lo vide in piedi, all’inizio del pendio, con una spada in mano pronto ad intervenire nel caso in cui lei avesse fallito. Nonostante fosse lei a parecchi metri d’altezza poteva benissimo percepire l’ansia e il terrore dilaniare nel corpo del ragazzo.

Non fece in tempo a riprendersi che si vide arrivare addosso una lama. La scansò senza problemi facendo una piroetta con l’aiuto delle sue ali.

La faccia strafottente di Mortimer le fece ricordare per un attimo quella di Atreius e la rabbia le ribollì dentro. Si protese in avanti e ruotando la spada in alto tentò di nuovo di colpire il nemico al cuore ma questa volta le cose andarono diversamente e lei si ritrovò le mani possenti dell’uomo prenderla per le spalle.

Mortimer con una salda stretta la fece voltare fino ad avere la schiena della ragazza incollata al suo petto e la bloccò passandole un braccio sul collo e l’altra mano racchiudendole i polsi. Rebecca, sentendosi in trappola, cominciò a scalciare nel tentativo di sciogliere la presa. Vide Gabriel in basso avanzare preoccupato.

Con un altro strattone Mortimer la inchiodò ben salda a lui e, ridendo, le disse nell’orecchio con voce melliflua: “I sogni finiscono nel momento in cui ti risvegli. Ci penserò io a farti aprire gli occhi” Rebecca sentì il rumore della lama farsi sempre più vicino. Sentì il respiro affannato di Gabriel che le stava disperatamente urlando qualcosa. “Dì addio ai tuoi sogni, dolcezza. Questo è il mondo reale”
Rebecca sbarrò gli occhi e la bocca dal dolore. Si ritrovò impossibilitata ad urlare. Percepiva solamente l’urlo di Gabriel, la risata sfrontata di Mortimer e la spada che, trapassandole l’ala destra, le provocava un dolore immenso.

La ragazza si afflosciò tra le braccia di Mortimer, inerme, e lui mollò la presa che reggeva la ragazza. Rebecca scivolò e si allontanò dal corpo dell’uomo, precipitando verso terra.

Nella caduta i suoi occhi guardavano verso l’alto e, conscia di quello che stava accadendo nonostante la ferita le annebbiasse la vista, vide Mortimer farle l’occhiolino e sparire nel nulla, avvolto da una cortina di fumo grigio.

Mentre precipitava girò il suo corpo in posizione eretta e con lo sguardo cercò Gabriel. Lo vide correre lungo la discesa. Dietro di lei, le montagne rocciose, scorrevano immutabili e davanti a lei c’era l’immagine della collina verde. Abbassò gli occhi e vide che stava precipitando in un baratro scuro e senza fine. Di fronte, il pendio della collina finiva in un precipizio e si stava pian piano sempre più avvicinando alla sua sponda.

Vedeva Gabriel correre come un pazzo e molto sicuro di sé verso il precipizio dove lei stava cadendo e non capì cosa diavolo volesse fare.



***



In effetti per Gabriel le cose da fare erano soltanto due: trovare un modo per salvarla e metterlo in pratica. Nel momento in cui Mortimer l’aveva afferrata, l’aveva preso il panico e quando vide ciò che le stava facendo credeva d’impazzire. La vista delle ali di Rebecca tingersi di rosso l’aveva sbiancato e gelato sul posto. L’unico pensiero razionale era: è ancora viva e ha bisogno di me. Senza pensarci due volte aveva iniziato a correre lungo la discesa e man mano che lui si avvicinava al precipizio Rebecca, dall’alto, si abbassava sempre di più.

Non ci voleva molto affinché sia lui che lei si ritrovassero sullo stesso piano.

L’eleganza e la bellezza di Rebecca erano incontenibili. Anche il quell’istante, per esempio, mentre cadeva in piedi, aveva il potere di metterlo in soggezione come pochi sapevano fare. Si sentiva per lei il suo punto di riferimento e l’unica speranza, e la paura di sbagliare lo stavano uccidendo.

Erano passati gli anni in cui lui era un angelo bianco…allora era tutto molto più semplice, i poteri e la forza fisica aiutavano a compiere qualsiasi impresa. Ma il fatto di essere tornato umano lo faceva sentire impotente e vulnerabile. Se avesse fallito avrebbe incolpato sè stesso per l’accaduto, troppo debole e limitato.

Proprio quando lei stava per essere alla sua stessa altezza, Gabriel tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un rampino e lo fece roteare sopra la sua testa.

Quando Bec intuì quello che aveva in mente sorrise, sinceramente sollevata dell’aiuto che le stava arrivando. Aprì le braccia pronta per accoglierlo.

Con uno slancio Gabriel saltò oltre il precipizio e trovandosi il vuoto sotto di lui, raggiunse la ragazza. La prese tra le braccia e l’impatto fu fortissimo. La tenne stretta con un braccio mentre con l’altro faceva incastrare la punta del rampino in una roccia della montagna, in modo da usarlo come corda e appiglio, evitando la discesa nel baratro. Il rampino trovò su cui incastrarsi ed entrambi si trovarono sbattuti nella parete rocciosa. Gabriel, che si trovava la parete rocciosa a pochi centimetri dal viso e con Rebecca in mezzo tra le sue braccia, piegò le gambe e le distese con forza in modo da ondeggiare verso la sponda opposta.

Riuscirono a salvarsi nel momento in cui Gabriel toccò per primo terra e trascinando con sé la ragazza che sembrava improvvisamente essersi addormentata. Sentire l’erba fresca della collina solleticarli il collo era la cosa più confortante che Gabriel potesse provare.

Erano salvi.

Portò la sua attenzione su Rebecca che giaceva priva di sensi poco lontana da lui. La vista della sua ala rossa e perforata fu un pugno nello stomaco. Con urgenza e terrore si avvicinò a lei e iniziò a scuoterla.

Chiamò invano il suo nome, sembrava morta e per un istante ebbe il timore che lo fosse per davvero.   



***



L’odore di medicinali era talmente forte e insopportabile che la obbligarono ad aprire un occhio. Nel compiere quel solo, piccolo movimento sentì tutto il corpo indolenzirsi. Si lasciò sfuggire un lamento e sbirciando capì di essere sdraiata in un letto d’ospedale. Capì di aver ragionato male nel ricordare che a Chenzo non c’erano ospedali.

Con molta fatica si alzò fino ad avere lo schienale del letto a sorreggerle la schiena e rilassandosi fece mente locale di quello che era successo.

Si ricordò tutto in meno di dieci secondi.

Ecco perché tutto quel male.

Toccò la schiena con un dito e la sentì tutta fasciata da delle bende che passavano anche per il torace. Si chiese cosa ne era stato delle sue ali e in che condizioni erano, racchiuse nell’involucro sulla schiena, premute e ferite. Se le avessero detto che non poteva più volare sarebbe morta dal dispiacere, ricordava bene cosa le disse Gabriel a proposito dell’importanza della ali per un angelo. Fanno praticamente da seconda pelle. Quando le perdi o ti vengono sottratte è come perdere una parte di te stessa. Aveva provato quella sensazione lottando con Mortimer e non le era per niente piaciuta.

La porta in quel momento bussò.

Una ciocca di capelli biondi comparve prima di presentare la faccia stanca e incavata di Gabriel.

Rebecca si mise più dritta nel letto e spalancò un enorme sorriso. “È bello vedere delle facce amiche”

Gabriel rimase serio, sulle sue. “Ho appena parlato con il medico, hai riportato solo una ferita grazie al cielo. Le tue ali sono salve, avrai solamente bisogno di dormire, mangiare e star tranquilla in modo che si possano rigenerare”

“Non pensavo avessimo anche i medici” disse, alquanto stupita.

Gabriel fece una smorfia. “Non abbiamo proprio gli ospedali che ha la Terra ma dei luoghi in cui curare la gente con il personale addetto”

“Beh, allora non mi è andata così male se ho riportato solo una ferita”

Il volto di Gabriel s’incupì e distolse lo sguardo dal suo. “Non scherzare, Rebecca. Ho temuto il peggio ieri”

“Gabriel, sto bene…”

“Si, lo so!” urlò quasi. “Ma ieri non stavi bene, Rebecca! Ti ho salvata che potevi morire pochi minuti dopo averti portata qui! Tu non ti rendi conto di com’ero in ansia, aspettavo fuori dalla porta che il medico finisse di curarti e intanto avevo il terrore che uscisse e che mi potesse dire che…basta! Non c’era più speranza! Morta!”

Lei stette in silenzio e aspettò che finisse di parlare.

“Tu ora non stai bene! Ho visto che tipo di ferita ti ha fatto e credimi se ti dico che è un miracolo che tu ti sia salvata. Insomma, che avrei fatto io se tu te ne fossi andata? Tu non hai idea delle conseguenze che causeresti andandotene e io non posso permettertelo”

“Non vado da nessuna parte” disse, stringendo la mano di Gabriel tra le sue.

Gabriel la guardò, scettico. “Mai essere troppo sicuri sulla propria morte” chiuse gli occhi e sospirò. “Una cosa è sicura”

“Cosa?” domandò, allontanando le mani e congiungendole sopra il proprio ventre.

“Non permetterò mai più che accada una cosa del genere”

La ragazza portò indietro la testa e alzò gli occhi al cielo. “Gabriel, non sei mia madre…”

Lui parve offendersi. “Ehi, mica devo essere tua madre! Ti sto solo dicendo che voglio proteggerti”

“Tante grazie”

“Non vuoi?”

“Non voglio essere trattata come una bambina”

“Ma tu ti rendi conto vero che ti ha risparmiata! Se Mortimer avesse avuto intenzione di ucciderti subito l’avrebbe fatto senza tanti problemi! Ecco cosa mi spaventa! Questa volta non aveva l’intenzione e perciò ti è andata bene, ma cosa farai la prossima volta quando te lo troverai davanti con il solo scopo di ucciderti?!”

“Lo uccido per prima”

Il ragazzo grugnì. “Ma fammi il piacere…”

“Se non hai fiducia in me allora alzati ed esci!”

“Non dire cavolate”   

Bec s’infiammò e divenne tutta rossa. “Vai via!”

Gabriel si accomodò nello schienale della sedia accanto al letto e scosse la testa, guardandola a mo di sfida. “Non ci penso nemmeno”

“Vai”

“No”

“Esci!”

“No”

“Senti, ho capito che ti sei preoccupato per me e ti ringrazio anche per avermi salvata ma…” si morsicò con un gesto nervoso il labbro inferiore. “Cavolo, questo è il mio destino! La ragione per cui vivo, per cui sono venuta qui! Non puoi tenermi rinchiusa in una campana di vetro sperando che io sia al sicuro. È vero, per poco non ci restavo secca ma pensi davvero che la soluzione migliore sia quella di tenermi lontana dalla mia missione? Tutte quelle persone là fuori pregano ogni notte prima di andare a letto e hanno fede in me, come la prenderebbero se li dicessi che mi ritiro perché ho paura di farmi male? Gabriel, io mi sento il carico addosso di questa responsabilità e non m’importa se è rischioso, io devo almeno provarci, combattere! Mi aiuterai, ci aiuteremo! Mi allenerò di più e più duramente se sarà necessario ma non voglio mollare ora!”

Gabriel strizzò gli occhi. “Hai ragione, scusa. Non so cosa mi sia preso”

“Volevi vedermi sotto una campana di vetro” ripetè la ragazza, cercando di sorridere.

La tensione si allentò subito e anche Gabriel fece una risata. “Sì, in effetti…”

Lo sguardo di Rebecca si fece improvvisamente dolce. “Ti preoccupi per me, è giusto. Anche se hai il cuore duro e freddo come quello di una roccia d’alta montagna…in fondo ce l’hai un cuore che batte”

Gabriel non riuscì a staccare gli occhi da Rebecca, si sentiva profondamente vicino alla ragazza e la sua frase fece una piccola breccia nel suo cuore ghiacciato. “Potrebbe scalfirsi” sussurrò.

“Sai che guaio! Non riesco nemmeno lontanamente ad immaginarti un romanticone! Sarebbe lo scoop del secolo: “Gabriel lascia le sue vesti dell’orso per prendere quelle di un gattino indifeso”

Gabriel allontanò immediatamente dalla sua testa l’immagine di lui sottoforma di gatto che faceva le fusa sul grembo di una vecchietta. “Questo mai, non sperare di potermi cambiare” disse, fingendosi serio.

La ragazza inarcò le sopraciglia. “Che c’entro io, scusa?”  

Gabriel dovette mordersi la lingua per non parlare. Mantenne un comportamento duro e distaccato nonostante il suo stomaco avesse fatto una capriola. “Era per dire, idiota. Non metterti in testa strane idee”

Sul volto di Rebecca spuntò un sorrisino per niente rassicurante. “Diciamo che le idee in testa me le mette qualcun altro…”

Gabriel sentì corrergli sulla schiena un brivido e deglutì. “Io mai”

Rebecca incrociò le braccia al petto e lo guardò di sottecchi. “Ah, no? Signore dei ghiacci, mi dica, non ti ricorda niente un libro che vola?”

“Uhm, fammi pensare…” mentre faceva finta di pensare pian piano si era avvicinato alla sponda del letto e con la mano racchiuse il mento della ragazza alzandole la testa. “Penso di ricordarmelo, sì”

Rebecca rise, seguita a ruota dal ragazzo, poi si baciarono. Rimasero per alcuni minuti a baciarsi, il tempo sembrava essersi fermato e l’unico rumore nella stanza era provocato dalle loro labbra che si incontravano e si allontanavano per poi ritrovarsi. Proprio quando Gabriel la stava spingendo indietro per stenderla e farsi largo nel letto sopra di lei, la porta si aprì rivelando un giovane medico con gli occhiali.

I due si staccarono immediatamente. Rebecca era rossa in faccia e dalla sorpresa anche abbastanza confusa, Gabriel invece scrutò il giovane con disapprovazione.

“Non sei tu il medico di Rebecca”

C’era irritazione nella voce del ragazzo e il medico, sentendosi a disagio, strette forte nelle mani la cartella clinica di Rebecca. “Io sono l’assistente, mi occupo di assistere i pazienti. Ho il compito di tenerla sottocontrollo”

Gabriel sbuffò, contrariato. “Quanti anni hai?”

Il giovane, preso in contropiede, indietreggiò. “Ehm, ventidue”

Rebecca fischiò in segno di approvazione e subito Gabriel si voltò di scatto verso di lei. “Ti pare il caso?” domandò, perplesso.

Con un’alzata di spalle lei chiuse il discorso.

“Lo so che posso sembrare molto giovane e inesperto ma non è così. Posso assicurare alla ragazza le massime cure e attenzioni” disse il medico, sistemandosi gli occhiali sul naso e guardando con professionalità il ragazzo.

“Sulle cure ci sto. Per quanto riguarda le attenzioni…” s’incamminò verso di lui e quando arrivò a fiancheggiarlo gli sussurrò nell’orecchio, senza essere sentito dalla ragazza: “…non ci provare”

Gabriel prese la direzione verso la porta e sentì Rebecca bisbigliare al medico una frase simile a: “che ha detto quel pazzo?”. Si arrestò, con la mano che impugnava la maniglia.


“Ho detto di andarci piano con te perché conoscendoti appena me ne andrò gli domanderai di farti dimettere” si girò per vedere la reazione della ragazza e sorrise soddisfatto vedendo che metteva il broncio.

“Non ho voglia di stare qua dentro un altro giorno di più” disse in un tono che non ammetteva repliche.

“Signorina, forse è meglio se la teniamo un altro giorno in osservazione”

“Non occorre, non abito lontano da qui e se mai dovessi sentirmi male ho la mia guardia del corpo” disse, indicando Gabriel.

“Ma vede…” il medico provò a parlare ma venne interrotto dalla ragazza.

“Niente ma. Sto bene e stasera torno a casa. Non mi sono mai piaciuti gli ospedali”

“Ma…”

Il medico, non sapendo più che altro dire, si voltò disperato verso Gabriel in cerca di un aiuto ma questo si limitò a scrollare le spalle. “Testarda è dir poco”



***

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Capitolo 15
*** Ti ho mai colpito nel cuore? ***


Cap. 15 - TI HO MAI COLPITO NEL CUORE? -

[È in questo modo
che sto imparando a respirare.
Sto imparando a muovermi in silenzio.
Sto scoprendo che tu e soltanto tu sai spezzare la mia caduta.
Sto vivendo di nuovo, vivo e cosciente,
sto morendo dalla voglia di respirare in questi cieli immensi]

Switchfoot - Learning to breathe -



***



Rebecca, dopo una notte trascorsa in un lettino d’“ospedale”, fece ritorno a casa. La disapprovazione dei curatori e le suppliche di Gabriel di restare non la toccarono minimante. Non aveva nessuna intenzione di starsene un giorno di più in quel posto così macabro e triste.

La miglior cura (diceva sua madre) erano gli amici e la loro allegria.

Peccato che quando arrivò a casa non trovò altro che un imbronciato Gabriel che l’attendeva. Vicino a lui c’era Rosalie che, grazie a Dio, era raggiante e solare. Il suo ventre era sempre più gonfio e arrotondato, la gravidanza non si poteva più nascondere. Le venne incontro e l’abbracciò calorosamente, piangendo come una fontana.

“Sbalzi d’umore” disse Gabriel, vedendo la faccia sconvolta di Rebecca.

Rosalie si tirò indietro e si asciugò alla bene e meglio le lacrime sul volto, arrossendo leggermente.

Fulminò Gabriel con lo sguardo. “Non ho sbalzi d’umore!”

“Sorellina cara, sei incinta. Ti sei forse dimenticata di ieri sera?”

Rosalie s’immusonì e divenne sempre più scura in volto. “Che cosa mi sono persa?” domandò Bec, con un sorriso.

“Domandaglielo a lei” sbottò Gabriel, indicando la sorella come se la stesse incolpando.

La ragazza bionda alzò le spalle e tirò su col naso. “Beh, ecco…gli ho tirato i piatti addosso perché mi aveva preparato un piatto di verdure! Oddio, io odio le verdure!”

“Sbalzi d’umore” dissero in coro Gabriel e Rebecca, ridendo di gusto.

“Allora…” disse Rosalie, sedendosi nel divano e tenendosi una mano nel pancione. “…come ti senti, Rebecca?”

Rebecca, dopo aver dato un’occhiata fugace a Gabriel che era improvvisamente scomparso, le rispose cordiale: “Sto a meraviglia! Ho la pelle dura e una notte di riabilitazione mi è servita anche troppo! Ma dimmi tu piuttosto, come procede la gravidanza?”

“Oh, oramai lo sanno tutti nel villaggio…ho avvisato mia madre, spero solo che il messaggio arrivi in tempo ovunque lei sia, vorrei tanto che fosse presente alla nascita di suo nipote”

“E Denali?”

Rosalie rise, con lo sguardo perso. “Lui è…è fantastico. Sai, detto tra noi, non pensavo che fosse così carino e protettivo, e invece mi ricopre di attenzioni! E pensare che era iniziato tutto per un fatto di sesso! Chi l’avrebbe mai detto che saremo diventati due bravi genitori?!”

“Sì, in effetti pensare a Denali come ad un padre fa senso”

“Già…”

“E pensate di sposarvi?”

Rosalie strabuzzò gli occhi a dismisura e spalancò la bocca. “Non lo sai?!”

“No, cosa?”

“A Chenzo non esistono i matrimoni!”

“Oh…oh! Che peccato però…” disse Rebecca, piuttosto delusa.

“Non esiste il matrimonio come sulla Terra, però c’è. Non c’è bisogno di cerimonie, abiti bianchi o smoking, e non serve neppure un prete che dà la sua benedizione. Se una coppia vuole sposarsi lo fa e basta, ma sono in pochi a farlo”

“E come si fa?”

“Beh, ci sono le fedi. Sono delle fedi speciali, sono magiche. I due che hanno intenzione di sposarsi devono recuperare questi fedi e nel momento in cui se le mettono al dito queste li uniscono per sempre. Formano un legame magico e non si possono più togliere, perciò tu rimani sposata con il tuo uomo finchè morte non ti separa”

“Dove si trovano le fedi?”

“Uhm…penso che tu debba fartele fare da un certo Ares, che è il folletto idiota del fuoco. Lui plasma e ha il potere di controllare i metalli, è lui l’artefice delle fedi. Lo trovi all’interno dei vulcani, nelle profondità delle montagne. Non esce mai, non lo vedi in giro”

“E tu non vuoi avere questi fedi per sposarti?”

“Sei pazza?! Per ottenere le fedi, dato che sono magiche ed incarnano l’amore eterno, devi superare delle prove altrettanto magiche e insidiose. Ecco perché non tutti lo fanno. Ecco perché non voglio rischiare di ammazzare il futuro padre di mio figlio”

“Non è giusto…”

“Te l’ho detto che è diverso rispetto la Terra”

“È tutto così dannatamente magico qui…” commentò Rebecca, immaginando due fedi bellissime, candide e luminose.

“Solamente chi è magico ha il potere di far tutto. Noi comuni mortali dobbiamo rinunciare a molte cose, queste cose sono per noi irraggiungibili perché sono fatte apposta per essere raggiunte dai più forti, e chi è più forte se non un essere con poteri sovrannaturali? Per voi è tutto così semplice…”

Rebecca avvertì un nodo in gola e distolse lo sguardo dalla ragazza. “Non tutti hanno una vita facile”

“No, è vero” disse Rosalie, puntando i suoi occhi chiari su Rebecca. “Ecco perché tu sei un miracolo”

Non appena Rosalie finì di parlare, Gabriel entrò con il suo solito menefreghismo, accompagnato da un libro. Non prestò nessun tipo di attenzione alle due ragazze, né tantomeno si scusò di averle interrotte.

“Io vado!” esclamò tutt’un tratto Rebecca, facendo cadere di mano il libro a Gabriel che la guardò interrogativo.

“E dove vai di preciso, se mi è dato sapere?”

C’era un che di preoccupato nello sguardo del ragazzo. Lei gli battè una mano sulla spalla e con infinita tenerezza gli stampò un bacio sulla guancia, rimproverandolo con simpatia di non preoccuparsi, che sarebbe tornata presto.

Salutò con la mano Rosalie che, divertita, ricambiò il saluto.

Gabriel, immobile come uno stoccafisso, teneva premuta una mano sulla guancia, nel punto in cui Rebecca l’aveva baciato. Sentì il suo corpo infiammarsi improvvisamente e i battiti del suo cuore accelerare.

Rosalie guardava la scena divertita, con un esperto occhio vigile. “Eh sì…questa volta sei fregato, fratellino”

“Oh sta’ zitta!” le urlò il ragazzo, avvampando.



***



“È permesso?” domandò la ragazza, entrando timidamente.

Un uomo girato di schiena le fece cenno di entrare senza troppi problemi, dopotutto era stato lui a chiamarla.

“Allora ti è arrivato il mio messaggio!” disse, voltandosi e mostrando un sorriso smagliante.

Rebecca alzò le spalle. “I curatori me l’hanno più che altro riferito la mattina stessa in cui mi sono dimessa, me l’hanno detto a voce”

“Ah, questi medici!” sospirò, facendole segno di accomodarsi. “Per fortuna tu stai bene!”

“È per questo che mi hai chiamata, Bastian?”

“Sento aria di impazienza nella tua voce, Aidel...comunque no. Non ti ho chiamata solo per sapere come stavi. In realtà ho una proposta da farti”

“Spara”

“Beh, c’è poco da dire! Vengo subito il punto. Ora che hai avuto finalmente uno scontro con Mortimer vorrei che tu partecipassi alle nostre spedizioni” disse schiettamente, senza tanti giri di parole. “Vedi, non te ne ho mai parlato prima perché temevo non fossi abbastanza pronta per affrontarlo apertamente ma ora che hai provato cosa significa combattere contro di lui vorrei che partecipassi a queste missioni. Si tratta di vere e proprie spedizioni che il villaggio compie con alcune reclute per attaccare dei territori di Mortimer, il nostro scopo è quello di indebolirlo. Come avrai sicuramente capito io sono il capo e decido anche i giorni e gli spostamenti. Vorrei molto averti al mio fianco, ci saresti molto utile per neutralizzare le difese del nemico. Ovviamente non voglio obbligarti, prendila più come una proposta a fin di bene”

“Accetto” disse d’un fiato, dopo essere rimasta in silenzio ad ascoltare Bastian con crescente interesse.

Finalmente aveva una missione concreta. Finalmente poteva rendersi veramente utile per il villaggio e dimostrare a tutti quanto valeva…

“Gabriel non ne sa niente, vero?”

Bastian scosse la testa, mortificato. “No, non ho voluto dirglielo perché so come lui la pensa e fidati se ti dico che se la decisione spettasse a lui ti terrebbe segregata in casa. Ma la decisione, ahimè, non spetta né a me, né a Gabriel né a nessun altro. Spetta a te e soltanto a te. Sappi che in queste spedizioni metà degli uomini che prendo non fanno ritorno a casa, sono rischiose e pericolose ma loro dopotutto non sono degli angeli. Per questo penso che tu ce la possa fare ma non devi farti condizionare da nessuno. Cerca di comprendere perché non ho voluto parlarne con Gabriel, lui ti avrebbe sicuramente dissuaso a non partire e questo, inconsciamente, è un obbligo che ti fa contro la tua volontà”

“Capisco e te ne sono grata. Gli parlerò io stessa il prima possibile”

“Ti conviene fare in fretta perché noi partiamo fra sette giorni e attaccheremo uno degli avamposti di Darth Threat: la roccaforte di Detron. Partiremo all’alba, il ritrovo è nel bosco, vicino alla sorgente”

“Il posto dove sono atterrata venendo qui”

“Esatto”

“E Mortimer prenderà parte a questi combattimenti?”

“No, no! Mortimer se ne starà bello e tranquillo nel suo castello! Non sospetta minimanente degli attacchi che noi progettiamo. Avremo a che fare con troll, spettri e altre creature demoniache. Niente di che…”

Rebecca deglutì. “C-Certo, una scampagnata…”

“Non farne parola con nessuno, mi raccomando. Questi sono affari segretissimi! Parlane soltanto con Gabriel che è il tuo maestro, lui ha la precedenza su tutti”

“È da molto tempo che esistono queste spedizioni segrete?”

“Non da molto, saranno due o tre anni”

“E gli uomini che prendete sono del villaggio?”

“No, assolutamente. Desterebbe troppi sospetti! Cosa direbbe la gente del villaggio se da un giorno all’altro vedesse sparire degli uomini e non gli vedrebbe più tornare? No, no. Gli uomini che faccio venire con me provengono da altri villaggi amici e sono ben disposti ad unirsi a questa causa contro il Male”

“Ci sarò, non ti preoccupare”

“Allenati, nel frattempo”

Rebecca si alzò e gli diede una pacca sulla spalla prima di allontanarsi. “È quello che sto facendo ogni giorno”  



***



Rebecca non aveva voglia di tornare a casa. Da quando aveva lasciato la casa di Bastian si stava portando dentro un peso indescrivibile, si sentiva vuota e irrequieta. Sapeva di doverne parlare con Gabriel e la sua reazione la spaventava. Temeva che lui la potesse considerare stolta, superficiale, o peggio, un’incosciente.

Sapeva che se fosse ritornata a casa avrebbe dovuto dirglielo, ecco perché cercava in ogni modo di prolungare quel momento.

Andò sulla collina dove aveva combattuto contro Mortimer. Aprì le ali e volò senza meta fino a sera, sorvolando montagne, laghi e distese di erba verde. Chiunque la vedesse passare sopra la propria testa ne avrebbe percepito l’eleganza e la forza che inquietava, ma vedeva anche uno sguardo condannato con degli occhi sofferenti.

Decise di tornare a casa quando ormai era il tramonto. Percorse il vialetto senza fretta ma non appena alzò una mano per bussare la tirò immediatamente indietro e se andò. Aveva sentito il rumore dei piatti, dell’acqua scrosciante e dei passi di Gabriel.

Il coraggio le venne meno e si allontanò.



***



Dalla finestra della casa, Gabriel, aveva intravisto Rebecca avvicinarsi alla porta. La vide indugiare sulla soglia e, col cuore in gola, aspettò che bussasse.

Quando la vide tirare indietro la mano gli mancò il respiro.

Poi lei si allontanò e lui si scostò la tendina.



***



Rebecca aveva sempre considerato la collina magica come il posto più bello di tutto il villaggio ma dovette ricredersi nel momento in cui scoprì che, poco lontano, al di là del bosco, si estendeva il mare.

Quando aveva bisogno di pensare, di riflettere o solo per starsene tranquilla, veniva lì. Il sentiero che percorreva attraverso il bosco era ondulato e s’infiltrava in una massa di alberi che riflettevano un gioco di luci e ombre fantastico. Nonostante ci fosse il tramonto, mentre Bec camminava nel bosco, scostando dei rametti davanti a lei, il sole non raggiungeva quella fitta prigione e il buio regnava sovrano.

Poco più avanti la luce invadeva il bosco: i raggi di un sole ormai spento squarciavano gli alberi: il bosco finiva.

La ragazza uscì dall’ingorgo di alberi per trovarsi su una rupe rocciosa. Lunga e stretta, la rupe, permetteva di vedere il mare in ogni sua angolazione. Si estendeva fino l’infinito ed era una tavola piatta dove il sole che ne toccava le acque in lontananza gli conferiva dei riflessi dorati.  

Percorse la rupe fino in fondo. Abbassò la testa e sorrise. Sotto di lei il mare si schiantava rabbioso contro la scogliera.

Non era poi così calmo come appariva.

Rialzò la testa e inspirò profondamente, chiudendo gli occhi. Ascoltò il rumore del vento e delle onde che si infrangevano nella roccia, assaporò l’odore di salsedine e di pino.

Aprì le braccia, totalmente libera di pensieri. Sentiva solamente la sensazione di un infinito benessere.

Si lasciò cadere in avanti.

I suoi piedi si staccarono da terra e tenendo le braccia aperte come un uccello si lasciò cadere verso il basso. Non aprì mai gli occhi.

Solamente un attimo prima che si scontrasse contro gli scogli gli aprì e con essi anche le ali. Restò sospesa in aria e affondò un piede nell’acqua.

Rise divertita e poi volò verso l’alto, tornando sulla rupe.

Rimase ancora parecchi minuti con lo sguardo perso verso il mare, la brezza calda del sole la fece rabbrividire.

“Non sapevo di trovarti qui” disse una voce alle sue spalle.

Non si voltò nemmeno. Sapeva benissimo a chi apparteneva quella voce.

“Non ti ho mai detto che venivo qui”

Sentì che si stava avvicinando. Si fermò pochi passi dietro di lei, poteva sentire il peso del suo sguardo sulla schiena.

Lo sentì sospirare.

“C’è qualcosa che devi dirmi?”

Rebecca sentì i suoi muscoli irrigidirsi.

Maledizione, perché avvertiva sempre tutto?! Non poteva nascondergli niente, le leggeva ogni espressione del viso e del corpo. A volte Rebecca si domandava come sarebbero andate le cose se lui fosse stato in grado di leggerle la mente.

Probabilmente si sarebbe trovata a non aver nessun segreto per lui.

“Ero tornata a casa”

“Sì, lo so. Ti ho vista, e ho anche visto che poi te ne sei andata”

“Avevo bisogno di pensare”

Gabriel fece un passo in avanti, il suo viso era una maschera carica di tensione. “A cosa?”

“A quello che ci sta succedendo”

“Parli riguardo a noi?”

“Sì”

Rebecca sentì la mano del ragazzo sfiorarle la spalla. Poi capì che l’aveva riabbassata.

“Io non posso prometterti niente Rebecca, non posso darti le sicurezze che cerchi. L’unica cosa che so è che quando ti ho conosciuta ti ho trovata arrogante, piena di sé e testarda. Quando sono venuto a sapere da Bastian che dovevo farti da maestro e vivere con te nella stessa casa credevo di impazzire, non ti sopportavo…forse perché in realtà siamo molto simili”

“Su questo punto concordo in pieno. Tu non mi hai reso la convivenza una passeggiata”

“Lo so, eppure mentre vivevo con te mi sono sentito vivo. Mi facevi arrabbiare, mi stuzzicavi con le tue battutine, lottavamo nel divano quando tu non volevi cucinare o fare le pulizie…devo ammettere che in quei momenti ti odiavo ma se ci penso ora…mi sono molto affezionato a te, Rebecca. Davvero”

“Pure io. Abbiamo condiviso molte esperienze e momenti felici insieme. Era bello litigare con te” disse, portandosi una mano alla bocca e sorridendo. “Sei stato molto di più di un maestro, sei stato un amico…”

“No, no. Alt! Fermati!” l’aggredì il ragazzo, divincolando le mani.

Rebecca si voltò verso di lui, incuriosita e al tempo stesso perplessa. Il vento le scompigliava i capelli, portandole alcuni ciuffi davanti agli occhi. Vide il volto duro e arrabbiato di Gabriel e fece un passo indietro.

“Che…?”

“Non sono bravo a parlare con le persone perciò ascoltami! Non capisci che con te finalmente sono riuscito ad essere me stesso? Non capisci cosa ha significato il tuo arrivo qui? Cosa sia potuto nascere giorno dopo giorno a forza di vivere con te?”

Rebecca provò a parlare, invano. “Ma…”

“Quello che sto cercando di dirti è che…”
La ragazza prese quell’espressione terrorizzata, e fece per tappargli la bocca, ma troppo tardi.
“…credo di essermi innamorato di te”
Rebecca rimase paralizzata con le braccia a mezz’aria. Si tirò indietro e lo guardò con aria spaventata.

Il fatto era che improvvisamente la sua mente si era svuotata.

Pure lei si era accorta di provare qualcosa di molto profondo per il ragazzo, che andava ben oltre la semplice infatuazione o attrazione fisica, ma aveva sempre cercato di non farci caso. Non voleva trovarsi coinvolta in qualcosa che non poteva né prevedere né controllare.

Perché la storia con Gabriel era così, tutto fuorché prevedibile o razionale. E lei era una persona con i piedi per terra, lui era un ragazzo con il cuore di ghiaccio. Sapevano entrambi quanto pericolosa era l’irrazionalità in due caratteri come i loro, per quello aveva sempre cercato di scappare per non affrontare l’argomento.

Bec non avrebbe mai immaginato che lui potesse farle una tale dichiarazione. A quanto pareva aveva sul serio fatto una breccia nel suo cuore, e ora lui dipendeva totalmente anima e corpo da lei.

Non avrebbe mai dovuto permetterlo.

Cercò di parlare ma riuscì solo a farfugliare quattro vocaboli. “I-Io…non so! Io…”

“Dì di sì”

La timidezza scomparve subito e lei si trovò a fissarlo sbalordita. “Che cosa?!” urlò.

“Dì di sì” ripetè con lui.

“Cosa vuoi che faccia?!”

“Rimani con me” sussurrò Gabriel, il suo volto era traboccante di tenerezza.

Rebecca lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e ricambiò lo sguardo. “Io non me vado, idiota!”

Fu allora che Gabriel, incapace di trattenersi, con poche falcate la prese per le spalle e l’attirò verso di sé. La baciò con passione e desiderio, premendo il suo corpo a quello della ragazza e passandole le braccia attorno la schiena. Lei ricambiò subito e accontentò Gabriel seguendo i suoi movimenti con le labbra, gli circondò il collo con le braccia e lasciò che una mano indugiasse sul suo collo freddo.

Potè sentire i muscoli del ragazzo irrigidirsi sotto il suo tocco e questo la rese molto felice e appagata.

Gabriel posò le mani sui fianchi di Rebecca e lei appoggiò le sue mani con il palmo aperto sul petto del ragazzo.

Si sentiva talmente completa ed eccitata che non si accorse neppure di aver aperto le ali.

Quando si staccarono rimasero fronte contro fronte, con il respiro pesante e affannato. Lui le baciò il naso e poi la fronte, rimanendo appoggiato con il mento e socchiudendo gli occhi.

Rebecca lo sentì ridere. Scostò la guancia dal suo collo per osservarlo meglio. “Che hai da ridere?”

Lui tenne gli occhi chiusi, beato e birichino. “Le tue ali” disse. “Sono aperte”

La ragazza arrossì violentemente e cercò di nascondersi sul suo petto. “Che imbarazzante…”

“Stai scherzando?! Questo è il tuo modo per dirmi che sei eccitata, a me pare un bene!”

Rebecca diventò ancor più rossa e senza pensarci due volte gli sferrò un pugno sulla schiena, allontanandosi indignata. “Ma guarda te…” brontolò, tornando verso il bosco.

Si sentì trattenere da due forti mani che la fecero voltare.

Gabriel rideva. “Non devi vergognarti!”

Rebecca si divincolò e tentò un’altra volta di schiaffeggiarlo ma lui le bloccò la mano prendendola per il polso. La spinse contro di sé e l’abbracciò. Bec sbuffò ma poi si lasciò andare ricambiando l’abbraccio.



***



Gabriel passò con Rebecca i sei giorni più fantastici della sua vita. Se prima credeva di essere innamorato di lei, ora lo sapeva per certo. Era come se la paura di perderla, le regole e gli obblighi che lo vincolavano non fossero mai esistiti.

Cominciava a vivere giorno per giorno, con sentimento e non con la testa: si svegliava grintoso e con molte iniziative per organizzare la giornata, fin quando non rientrava a letto la sera con il sorriso da ebete stampato in faccia. Si divertiva un mondo con lei: ridevano come due ragazzini, si concedevano lunghe passeggiate e spericolate cavalcate a dorso di due magnifici unicorni bianchi (un regalo di Gabriel). Tornavano a casa la sera che erano sfiniti. Si buttavano nel divano spingendosi a vicenda e restavano abbracciati finchè uno dei due non annunciava di voler andare a letto.

Certo, i bisticci e le lotte erano cosa quotidiana ma ora avevano il sapore dell’affetto, non più dell’ostilità.

Gabriel era molto protettivo con lei, non la considerava una bimba indifesa da proteggere ma la sua ragazza che non doveva essere per nulla al mondo toccata. Diventava geloso se qualche ragazzo del villaggio si fermava a parlare con lei durante i giorni del mercato, e faceva delle vere e proprie scenate quando un altro sciagurato le metteva una mano sul fianco. Arrivò persino alle mani quando un giorno, un idiota dall’aria bellicosa, le aveva urlato dietro che se voleva il suo letto era libero.

Rebecca, dal canto suo, non ci faceva caso e anzi, quando Gabriel l’accusava di essere troppo ingenua lo zittiva seduta stante fulminandolo con gli occhi. Lei naturalmente non si aspettava che Gabriel fosse così ossessivo e geloso nei suoi confronti ma ogni gesto che la inducesse a capire i suoi sentimenti era ben accetto e non protestava.

Gabriel con lei riusciva ad aprirsi e ad amarla, non più come il ghiaccio ama la neve ma come il ghiaccio, sciogliendosi, ringrazia il sole.

Alcune sere, quando c’erano le stelle, uscivano al buio per starsene tutta la notte distesi in un prato ad ammirare il cielo. Chiacchieravano, litigavano, si baciavano, facevano pace e poi ricominciavano tutto di nuovo.

Gabriel ricordava una notte in particolare quando lui e Rebecca si erano ritrovato a guardare le stelle sulla collina magica anche se nel cielo non ce ne fosse stata neppure una. Rebecca, con la fronte corrucciata, se ne stava con il mento alzato verso la volta celeste. Gabriel contemplava il suo profilo con divertito interesse.

“Aspetti che le stelle spuntano dal cielo come fanno le margherite?” domandò, con le sopraciglia inarcate e un sorriso beffardo.

Rebecca non distolse lo sguardo dal cielo e rimase seria. “No, stavo pensando che se una cosa non c’è la si può creare, laddove essa non esiste” disse poi, distendendo un sorriso di chi la sapeva lunga.

Unì le mani a coppa e lasciandosi cadere sull’erba umida le buttò in aria. Dalle sue mani uscì luminosa una polvere dorata dalla forma mutevole che si andò a depositare nel cielo formando tante piccole stelle scintillanti.

Gabriel, rimasto di stucco, si unì alla risata di Rebecca con fare ammirevole. Si adagiò sopra di lei e la baciò.

È in questo modo che sto imparando a respirare.



***



Erano passati i sei giorni della scadenza.

Diversamente dalle altre notti quella sera Rebecca non riuscì a prendere sonno. L’irrealtà nella quale aveva vissuto un bellissimo sogno era stata improvvisamente spazzata via da un’ondata di terrore che l’aveva catapultata con brutalità nella vita reale. L’impatto fu angosciante e la ragazza, continuando a rigirarsi nel letto, si chiedeva dove diavolo avrebbe trovato il coraggio di dire a Gabriel che il giorno dopo sarebbe partita.



***



Quando Gabriel scese in cucina per fare colazione, con addosso solo un paio di boxer, si allarmò non vedendo Rebecca solita a prepararli la colazione con puntualità. La chiamò e la cercò in tutte le stanze ma di lei non c’era traccia. Prese una felpa grigia e s’infilò frettolosamente un paio di pantaloni scoloriti. Uscì di corsa a cercarla con un brutto presentimento.

La trovò nel solito posto, il luogo dove lei di norma andava per meditare: la scogliera. Quel mattino il sole non scaldava e alcune nubi nere avanzavano verso di loro dalla lontananza del mare. Le circondò la vita con le sue braccia scolpite e affondò il viso nell’incavo del suo collo, assaporando il profumo della sua pelle: né troppo dolce, né troppo forte. Rebecca si abbandonò con la schiena sul petto del ragazzo e si morsicò la lingua per non parlare.

“Che succede?” le chiese il ragazzo, completamente preso a baciarle il collo e il lobo dell’orecchio.

“C’è una cosa che devo dirti”

Forse fu il tono distaccato e freddo o forse la repulsione che emanava il suo corpo se lui la toccava, che di fatto Gabriel si scostò da lei lievemente ferito.

“Ti ascolto” sussurrò, cercando di non dar retta al suo istinto che lo avvertiva al peggio.

La ragazza si voltò verso di lui e lo guardò negli occhi con una sicurezza disarmante. Sputò fuori quello che voleva dire senza il minimo tatto o titubanza.

“Oggi parto con Bastian e il suo esercito per occupare Detron”

Per Gabriel quelle parole furono una doccia fredda che lo paralizzarono. Eresse su di sé di nuovo il muro dell’indifferenza. Riacquistò la freddezza e l’insensibilità che tanto lo distinguevano. Quando Gabriel si trovava di fronte a problemi troppo importanti per essere affrontati razionalmente alzava la sua famosa barriera di ghiaccio. Era una forma di difesa, un modo per non essere preda dei sentimenti umani.

“Come vuoi. Se hai deciso che partire sia l’unica cosa sensata da fare per aiutare gli abitanti…”

“Lo è” lo interruppe aggressivamente la ragazza, sentendosi offesa per la facilità con la quale Gabriel parlava della sua partenza.

“Bene” disse con compostezza e tranquillità. “Suppongo che tu parta nel pomeriggio?”

“Ma come fai?!” lo assalì Rebecca, sconvolta dalla sua freddezza. “Come fai a parlare di queste cose con così tanta tranquillità?! Come ci riesci?! Come riesci ad essere così insensibile?!”

Incassato il colpo, Gabriel la squadrò e nei suoi occhi Rebecca vi lesse la durezza che tanto la terrorizzò quando lo conobbe. 

“C’è un modo per impedirti di non andare?”

“No” disse Bec a denti stretti.

“Quindi non vale la pena di arrabbiarsi o di fare una scenata”

“Per quello che ti importa…” lo provocò con occhi furiosi.

Gli occhi di Gabriel ebbero un lampo e con ferocia le puntò un dito contro. “Non dubitare mai di quello che provo per te”

“La tua razionalità mi dà la nausea. Sei talmente misero di sentimenti che non ti rendi nemmeno conto del fatto che potrei non tornare viva”

“Tu tornerai. Rebecca, tu tornerai. È un obbligo, non una promessa. Guai a te se non lo fai”

“Perché cavolo dovevo innamorarmi di te?” disse, cercando di sorridere mentre una lacrima le solcava la guancia.

Gabriel fece un ghigno. “Sono o non sono il ragazzo più sexy di tutto l’universo?” disse, riuscendo a farla ridere.

Se non torni, pensò il ragazzo mentre la guardava sorridere serenamente, ti seguirò non appena mi sarà possibile.



***



Quel pomeriggio Rebecca si fece trovare nel bosco lungo le rive del laghetto. Bastian arrivò poco dopo spuntando da dietro un albero. Dietro di lui una trentina di uomini stavano avanzando verso lo specchio d’acqua, tutti armati.

Gabriel non venne a salutarla. Non sopportava gli addii. Temeva che, nell’attimo in cui l’avrebbe vista allontanarsi, non sarebbe riuscito a lasciarla andare.



***



I "THANKS":

OASIS: già, mancava poco che Rebecca ci lasciasse le penne!!! come sempre Gabriel è lì per lei, son contenta che ti piaccia Gabriel come ragazzo perchè ho deciso di dargli queste caratteristiche pensando che alla fine a tutte piacciano i ragazzi così. spero che avendo aggiornato anche questo capitolo tu lo trova interessante come l'altro, soprattutto per il fatto che finalmente è sprofondata nelle braccia del suo fustacchiotto!! ehehehe...e comunque è vero che Rebecca si dà arie da super donna però secondo me è giusta per uno come Gabriel!!! fammi sapere che ne pensi...bacioni!!!

CHICCA90: grazie per l'interessamento che presti alle mie storie!!! fammi sapere com'è questo capitolo.

NIKKITH: davvero non credevi che Rebecca ce la facesse??!! eheheh...no no, per il momento non ho intenzione di far morire nessuno!! più avanti si vedrà...muaaahhh!! fammi saper...bacioni

BELLA4: ti ringrazio molto per come la pensi sia sulla storia sia sul modo di scrivere. fammi sapere con una recensione che ne pensi di questo, mi fa sempre piacere. kiss

BACIONI, FEDERICA


















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Capitolo 16
*** Non ti credo ***


Cap. 16 - NON TI CREDO -

[Sono appeso alla tua corda,
mi tieni sospeso a tre metri dal suolo,
sto ascoltando quello che dici
ma non riesco ad emettere alcun suono.
Dici che hai bisogno di me
poi vai via e mi stronchi.

È troppo tardi per chiedere scusa, è troppo tardi.
Ho detto che è troppo tardi per chiedere scusa, è troppo tardi.

Ti darei un’altra possibilità, cadrei, prenderei colpi per te
e ho bisogno di te come un cuore ha bisogno di battere
ma questo non è niente di nuovo.

Ti amavo con una passione rossa,
ma ora è diventata blu
e tu hai chiesto scusa come un angelo,
nonostante il cielo non sia adatto a te
ma ho paura che sia
troppo tardi per scusarsi]

Timbaland - Apologie -



***



Rebecca viaggiò per cinque giorni a piedi, non un momento di riposo, non un attimo per mangiare qualcosa. Per cinque maledetti giorni non fecero altro che camminare e camminare, nel silenzio più assoluto.

Bastian marciava davanti a tutti e mostrava la strada. Rebecca invece chiudeva la fila e, un po’ lontana dal gruppo compatto di uomini, se ne stava per i fatti suoi.

Sapeva che sarebbe stato difficoltoso il tragitto ma mai avrebbe creduto possibile di poter resistere così tanto a lungo senza dormire e mangiare. Non capiva a che gioco stesse giocando Bastian.

Era pazzo a farli stancare così tanto! Non avrebbero avuto la forza necessaria per combattere in quelle condizioni. Non era così che si immaginava il grande condottiero Bastian. Lei sicuramente avrebbe permesso i ristori e gli spuntini. Che probabilità avevano di vincere se si fossero presentati così stanchi, affamati e privi di forze?

Rebecca fece una smorfia, il caldo la stava letteralmente sciogliendo. Aveva gli occhi socchiusi, accecati dal sole, e la sua armatura, seppur leggera ed elastica, le ricopriva tutto il corpo provocandole dei fortissimi pruriti.

La situazione non cambiò neanche tre giorni dopo. Credeva di morire di fame e di sete, aveva bisogno di una bella dormita e iniziava ad avere le allucinazioni. Faceva fatica a mantenere la camminata perciò si trascinava, a volte anche a carponi, senza che Bastian la vedesse. Notò che anche gli altri erano stanchi e abbattuti, un giorno in più e Bastian si sarebbe trovato l’esercito dimezzato! Stavano percorrendo un sentiero a ridosso di una montagna, il clima era torrido e l’aria era secca. Il paesaggio era simile a quello del Gran Canyon: deserto, rocce e cactus.

L’istinto di sopravvivenza la fece intervenire.

Con le poche energie che le rimasero aprì le ali e volò da Bastian, sotto lo sguardo allarmato e stupito dell’esercito. Gli arrivò alle spalle di soppiatto e lo prese per il colletto, obbligandolo a voltarsi.

L’esercito ammutolì e si bloccò.

“Non ti sembra che sia arrivato il momento di fare una pausa?” ruggì, incapace di trattenersi, accecata dal desiderio insaziabile di mangiare.

Bastian strizzò gli occhi. “È da una settimana che siamo in viaggio, avrei dato io stesso l’ordine entro la sera”

“Se entro stasera non ci farai riposare e mangiare giuro sul mio onore che me ne vado e li porto con me, questi poveretti!” disse, indicando gli uomini alle sue spalle con il volto pallido e la fronte imperlata di sudore.

Bastian spostò lo sguardo dai suoi uomini a Rebecca. “Ok, come vuoi, Aidel. Potete fermarvi”

Rebecca mollò la presa e sospirò.  “Per fortuna…non ce l’avrei fatta fino a sera!”  

La ragazza, come molti altri, si lasciò cadere all’ombra di una roccia e aspettò con impazienza il suo turno.



***



Dopo la partenza di Rebecca, Gabriel non aveva più una vita. Da quando se n’era andata non aveva fatto altro se non dormire, mangiucchiare qualcosa di tanto in tanto, e trascinarsi come un morto verso il divano. Non era più uscito e da quindici giorni non vedeva la luce del sole. Era come se la voglia di vivere che tanto l’aveva animato tempo prima se ne fosse di colpo andata.

Si rigirava i pollici delle mani e sbadigliava da mattina a sera.

Devo reagire, pensò. Peccato che la teoria era ben diversa dalla pratica e ogni volta che tentava di alzarsi dal divano ricadeva indietro come un ubriaco.

Non avendo nulla da fare passava ore e ore a pensare.

Si chiedeva quando Rebecca sarebbe tornata, che faceva in quel momento, se avevano già attaccato Detron…e via dicendo.

Sapeva che Detron era distante, ma quanto?

Facendo leva sulle mani Gabriel si diede una spinta e si alzò dal divano. Raggiunse la biblioteca al secondo piano e prese tra le mani un vecchio atlante. L’atlante di Chenzo.

Cercò con gli occhi sull’indice il nome di Detron e quando lo trovò andò alla pagina suggerita e calcolò la distanza dal villaggio.

Perfetto, pensò annoiato, richiudendo il libro, sono tre settimane di viaggio solo andata.



***



Dopo tre settimane di viaggio la truppa di Bastian raggiunse la roccaforte di Detron. La struttura era circondata da una fitta vegetazione di alberi e cespugli, intorno ad essa un fossato era stato riempito di una strana sostanza gialla che spruzzava bolle e il ponte levatoio era ben chiuso da grossissimi catenacci.

Bastian decise di attaccare di giorno: le creature della notte odiavano il sole e quello era un punto in favore per loro. Diede l’ordine al suo esercito di rimanere nascosti nella foresta: alle prime luci dell’alba avrebbero assalito la roccaforte. Mentre tutti gli uomini farfugliavano tra loro, sospiravano, aprivano le tende e mangiavano, Bastian cercò con lo sguardo Rebecca.

La trovò seduta su una roccia, sovrappensiero, con la sua tenda già montata. Si avvicinò e prese posto vicino a lei.

I suoi occhi fissavano la roccaforte di Detron. “Ogni volta che mi ritrovo a dover attaccare dei territori di Mortimer la sera prima ho paura. Adesso, qui con te, sento che possiamo farcela e non ho più paura”

“Lo sai che sono con voi” disse la ragazza, con voce neutra.

“Quello che voglio è che nessuno si faccia male”

Rebecca lo guardò come se fosse pazzo. “Non dire cavolate Bastian, metà della gente che è qui morirà domani”

“È un’orribile realtà ma io cerco sempre di non pensarci”

“Quante roccaforti avete abbattuto?”

“Abbiamo compiuto tredici spedizioni e ne abbiamo vinte tre”

“Un po’ poco come numero” disse Rebecca gravemente, sentendo una fitta di panico.  

Bastian sospirò. “Noi ci proviamo, ma abbiamo sempre saputo di essere inferiori rispetto a loro. Loro sono creature magiche, per quanto stupide e selvagge siano sono pur sempre forti. E noi siamo dei semplici esseri umani. L’intelligenza sembra non contare in questo mondo…”

“Io non sono umana”

“Spero vivamente che la tua presenza domani ci permetterà di aggiudicarci la vittoria”

“Spiegami che cosa devo fare”

Bastian le illustrò il piano e parlarono per tutta la notte. Quando Rebecca iniziò a sbadigliare sonoramente Bastian le disse che era ora di andare a dormire, si congedò con un saluto affettuoso e se ne andò a letto.

Rebecca entrò nella sua tenda che, rispetto alle altre, era più in alto. Si tolse la divisa e dormì con addosso solo la canottiera e le mutande. Il sonno arrivò dopo tanto e in quel tanto la ragazza pensò a Gabriel. Sentiva una sofferenza straziante nel pensare a lui e avrebbe voluto essere a casa sua, nel suo letto, con lui. La missione si presentava sempre più difficile e insopportabile, si sentiva straniata e stufa, non aveva niente voglia di combattere l’indomani. Si sentiva le ossa a pezzi.

Si rigirò nelle coperte e diede un pugno all’ammasso di stoffa che le faceva da cuscino.



***



Era mattina, Gabriel aprì prima un occhio e quando la luce del sole lo colpì lo richiuse. Si tirò le coperte fino in cima e vi seppellì il viso, lamentandosi.

Con uno strattone le coperte gli volarono via dal corpo e si trovò a rabbrividire, completamente scoperto. Aprì lentamente gli occhi fulminando la sorella che reggeva in mano il copriletto.

“Si può sapere che vuoi da me?!” sbraitò, nascondendo il viso tra i cuscini alla disperata ricerca dell’ombra.

La ragazza, per nulla intimorita dal suo tono, gli andò vicino e lo tirò per le gambe fino a farlo cadere dal letto. Gabriel si rialzò massaggiandosi le natiche e puntò il suo sguardo assassino sulla sorella.

“Non hai altri a cui rompere le scatole?!”

Rosalie assunse un cipiglio severo e camuffò un sorrisino. “Io adoro rompere le scatole a mio fratello! Fin da quando ero piccola. Non crederai che lo faccia a Denali?! Con lui ho altro di meglio da fare…”

Uno sguardo di puro orrore comparve sulla faccia del ragazzo. “Oh, no! No, ti prego! Non voglio sapere che fate insieme! Non credo di sopportarlo” piagnucolò, tappandosi le orecchie. “Maledizione, altro mi tocca sentire! Le prestazioni di mia sorella con il mio migliore amico!”

Rosalie fece finta di non aver sentito e gli passò accanto dicendogli di scendere a far colazione. Stava per uscire quando Gabriel la richiamò.

Il suo tono era serio e per nulla ironico. “Perché lo fai?”

“Perché è da un mese che non ti vedo sorridere”

Gabriel abbassò gli occhi, mortificato. “Mi dispiace, non so cosa mi sia preso”

“Ti manca. Posso capire come tu ti debba sentire ma non è così che dovresti affrontare la situazione”

“Grazie” disse il ragazzo, con sguardo basso come se si stesse vergognando.

“A che servono altrimenti le sorelle?”

“Ehi, Rose…” la richiamò Gabriel. Un fastidioso quanto adorabile sorrisino gli incorniciò il viso. “Non è vero che mi farai diventare zio di due gemelli!”

Rosalie avvampò. “Tu credi?!”

Gabriel scosse la testa. “La tua pancia è enorme per essere quasi al terzo mese!”

“Vuoi dire che sono grossa?!” urlò con vocetta stridula. “Mi stai per caso dicendo che sono grossa?”

Vedendo il viso allarmato della sorella Gabriel non riuscì a trattenere un sorriso.

“Cafone!” disse Rosalie, dandoli una pacca. “Preparati che tra un po’ arrivano anche gli altri”

“Chi?!”

“Ma come “chi”? I nostri amici! Denali, Delia e Kevin. Oggi ti porto fuori!”



***



“Basta! Sono pieno!” annunciò Gabriel, lasciandosi cadere sull’erba.

Sua sorella aveva avuto un’ottima idea a organizzare un pick-nick all’aperto, la compagnia e i sorrisi dei suoi amici aiutarono Gabriel a non pensare a Rebecca. Finalmente era felice. Dopo tre settimane era felice.

C’erano però alcuni momenti che lo rattristavano, ad esempio quando vedeva Kevin abbracciare appassionatamente Delia, o quando Denali, con infinita premura, premeva una mano contro la pancia di Rosalie. Erano visioni di persone innamorate e felici insieme, che non avevano bisogno di nulla al mondo all’infuori del loro amore.

Il loro cuore non era lontano miglia e miglia ma era lì, con loro. Tra loro.

Era allora che Gabriel pensava a Rebecca e un crampo allo stomaco gli faceva capire che purtroppo il suo cuore era distante.

“…non è così, Gabriel?”

Gabriel interruppe i suoi pensieri e fissò Delia con la fronte corrucciata. “Come?”

“Ti avevo fatto una domanda”

Gabriel si mise seduto e si strofinò il naso. “Scusa, ero sovrappensiero. Dicevi?”

Gabriel non vide lo sguardo preoccupato che i tre amici si lanciarono ma immaginò che stavano pensando a quanto dovesse sentirsi solo.

Delia si schiarì la voce, per nulla turbata. “Ti avevo chiesto quando secondo te Rebecca sarebbe tornata”

Ahia Delia, tasto dolente.

Gabriel aprì e richiuse gli occhi continuando a fissare Delia.

Possibile che certe persone dovevano sempre mettere il dito nella piega?! Non un attimo di pace che qualcuno doveva sempre ricordargli il peggio.

Cercò comunque di apparire gentile. “Non ne ho idea. Solamente ad andare ci metteranno tre settimane, quindi un mese e mezzo solo per il viaggio. La battaglia può durare una settimana come un giorno!”

Rosalie intervenne prontamente, cercando di salvare il fratello. “Beh, è passato quasi un mese! Tra poche settimane sarà di nuovo con noi!”

Se torna” disse Denali, sibilando.

Rosalie lo incenerì con gli occhi. “Non sei di aiuto così, sai?!”

“No, ha ragione” disse Gabriel, sentendosi improvvisamente a disagio. “Me ne vado”

“No! Aspetta! Io…” Rosalie, un po’ goffamente e troppo lentamente, cercò di alzarsi per raggiungerlo ma quando lei fu in piedi il fratello era già sparito. “Dannazione!”



***



Tutti gli uomini, alle prime luci dell’alba, presero la loro postazione. Aspettavano con ansia e paura il segnale di Bastian.

Bastian, davanti, girava le spalle ai soldati e il suo corpo era talmente rigido da sembrare una statua. Rebecca, dall’alto delle rocce, osservava i suoi compagni con sguardo vigile.

Ho paura, aveva detto Bastian la notte prima. Ora non più.

La ragazza prese un profondo respiro, non era agitata e neppure impaurita, la cosa che la turbava era la stessa che tormentava tutti gli uomini.

Chi riuscirà a sopravvivere?

Chi tornerà?

Quando Bastian diede il via una centinaia di uomini cominciarono ad avanzare verso la roccaforte: correvano esibendo le loro armi, urlando come dei disperati. Rebecca aprì le ali e volò anche lei verso la roccaforte superando i suoi compagni, che sotto di lei erano piccoli come formiche.

Sapeva cosa doveva fare.

Bastian le aveva detto: “Noi pensiamo alle creature, tu pensa al loro generale”

Così, quando atterrò in un corridoio buio e cupo entrando dalla finestra a cerchio, non ci mise molto ad afferrare violentemente una guardia e a strappargli le informazioni che indicavano l’alloggio del padrone. Non appena ebbe quello che voleva con un sol colpo tramortì la guardia, la sua spada si tinse per la prima volta di sangue.

Nessun rimpianto, nessun ripensamento.

Uccise con facilità e rapidità tutti coloro che le si opponevano lungo il tragitto, quando raggiunse gli alloggi del generale girò con la magia la chiave che bloccava la porta e la spalancò rivelando una camera da letto.

Il generale si svegliò di soprassalto. “Che cosa…? Chi sei tu?!” domandò con voce cattiva e prepotente alla vista della ragazza.

Rebecca sorrise, il suo ghigno aveva un che di sinistro ed inquietante. Puntò la spada contro l’uomo e la rimise nella cinghia. Aveva pensato ad un modo molto più signorile e veloce per ucciderlo.

Bastò un colpo di mani e l’uomo cadde a terra morto. Il suo cuore aveva smesso di battere. Si trattava di una magia facile e sicura: permetteva di creare un’emorragia all’interno del cuore, grazie alla rottura di una vena.  

La ragazza tornò indietro correndo e andò ad aiutare i suoi compagni, brandendo una bellissima spada rossa che lanciava scintille di fuoco nel momento in cui attraversava la carne di un corpo.

“Dove l’hai presa?!” domandò Bastian notando il bellissimo gioiellino che stava impugnando Rebecca.

“L’ho presa al generale, non credo che lui abbia niente in contrario!” urlò per farsi sentire, mentre affrontava una strana bestia e tre teste.

“L’hai ucciso?!” domandò sconvolto Bastian. All’assenso della ragazza, il capo-villaggio la guardò sbalordito e con un misto di rispetto. “Porca miseria…”

“Ora muoviamoci ad ammazzare questi! Ho voglia di tornare a casa!” disse, gettandosi con eleganza nella mischia al centro del salone.  



***



Erano passati due mesi e il giorno prima Adele era tornata a casa. Con sua grande sorpresa Gabriel se la trovò a bussare alla sua porta e le aveva gettato le braccia al collo. Era invecchiata dall’ultima volta che l’aveva vista ma era pur sempre una donna stupenda. Non appena fu dentro gli fece un resoconto di dov’era stata, parlò concitatamente dei posti che aveva visto e sprofondò nella felicità quando affrontò il discorso della gravidanza della figlia. Domando anche di Rebecca e quando Gabriel le ripose scuro in volto che era partita da due mesi, Adele si adombrò.

“Senti Gabriel, ho intenzione di rimanere fino a quando tua sorella non partorirà. Spero che per voi non sia un problema!”

“Stai scherzando?! Vuoi venire a vivere qui per il momento? È una barba stare solo in questa casa enorme!”

Adele scosse la testa, raggiante. “Magari! Ma tua sorella ti ha preceduto! Avrei preferito a questo punto far compagnia a te visto che sei a casa da solo ma dopotutto è di una donna incinta che stiamo parlando e non credo che al momento delle doglie Denali sia di grande aiuto”

Gabriel sorrise, divertito al solo pensiero di vedere Denali in preda all’agitazione, lui che era sempre così impeccabile e controllato! Avrebbe pagato oro per assistere a quella scena!

“Non ti preoccupare, passa a trovarmi quando vuoi, mamma”

“Ovvio! Ma ascolta…di preciso, sai dove sia Rebecca?” domandò, cercando di nascondere la morbosa curiosità che l’assaliva.

“Spiacente ma si tratta di spedizioni top secret, non posso parlarne con nessuno, neppure con te”

“Capisco. Per lo meno sai se è viva?”

“Mamma!” la rimproverò Gabriel, infervorandosi.

“Che ho detto?”

“Ti pare domande da fare?! È ovvio che è viva!”

“Sì, ma potrebbe anche essere ferita o magari avere bisogno di aiut…”

“Cambiamo discordo, ok?” la interruppe il ragazzo bruscamente.

“Ti fa così male la sua assenza?” chiese sua madre, compiangendo il figlio e provando un’infinita pena per lui. Le faceva male vederlo in quello stato e anche lei, sotto sotto, si sentiva triste quanto Gabriel. “Tornerà” disse per rassicurarlo.



***



Gabriel si svegliò stranamente di buon’ora. Spostò le coperte e rimase a contemplare stranito il cielo: enormi nuvole nere s’imbattevano all’orizzonte e oscuravano la giornata. Il sole, nascosto, non riusciva a scaldare il pianeta, e pensare che ce ne sarebbero stati più di uno.

Era tutto come quando Rebecca partì, pensò con nostalgia il ragazzo. Quando se ne andò successe in una giornata nuvolosa e grigia in piena estate. Una speranza gli balenò in testa ma non l’ascoltò per paura di illudersi di nuovo. Ormai stava imparando a vivere senza di lei.

Ma quella che faceva era vita?

“No” si disse.

Si vestì in fretta e uscì. Andò a salutare la sorella, parlò volentieri con lei e Denali, e fu presente quel giorno quando per la prima volta il bambino calciò. Poi andò ad allenarsi al fiume e dopo tre ore che si allenava tornò a casa per farsi una doccia fredda. Mangiò un misero piatto di carne e uscì di nuovo. Cercava di tenersi occupato e l’unica soluzione era di vedere altra gente. Si recò alla locanda e bevve qualcosa in compagnia di Kevin e di due ragazzi molto simpatici. Tornò a casa che era ormai notte ed era talmente stanco che vedeva doppio.

Accese le luci del piano terra e si recò in bagno. Quando uscì sentì un rumore al piano di sopra. Il suo corpo rimase per qualche secondo paralizzato dalla sorpresa e capì che il rumore era dato da dei passi.

C’era qualcuno. E stava scendendo.

Le scale scricchiolavano sotto il suo peso e la persona stava per essere identificata.

Ancora pochi passi e…

“Bastian?!” esclamò Gabriel sconvolto. “Che ci fai qui?” non aspettò che lui rispondesse, collegò la figura di Bastian ad un’altra figura che comparve nitida nei suoi pensieri e un dolore lo colpì al petto.

Il volto di Bastian era addolorato, disperato. Tentò di parlare ma poi richiuse la bocca, troppo sconvolto per unire delle parole.

Rebecca…

Gabriel cadde a terra quando le sue gambe smisero di sostenerlo. Poi fu tutto buio.



***



Gabriel si svegliò grazie ad un forte dolore alle guance. Quando vide Bastian sopra di lui prenderlo a schiaffi capì di essere svenuto. Non appena aprì gli occhi si fece aiutare dall’uomo a rialzarsi e barcollando si mise seduto in una sedia. Ancora troppo debole si racchiuse le mani sulla faccia e si lasciò andare sul tavolo della cucina. Bastian al suo fianco se ne stava zitto e aveva ancora addosso quell’odiosa faccia da funerale.

Non appena Gabriel trovò la forza di parlare domandò, con voce bassa: “È morta, non è vero?”

Aspettò con il cuore in gola che Bastian parlasse. “Tutti abbiamo perso in questa battaglia delle persone a noi care. Purtroppo non tutti ce la fanno. Lo so quanto dura possa essere Gabriel, il dolore ti dilania e ti uccide. Non era mia intenzione procurare tutta questa sofferenza…” fece una pausa, nella quale Gabriel aveva già smesso da tempo di respirare. “…per fortuna non è successo a te” concluse con un sorriso.

Il ragazzo alzò la testa e lo guardò confuso.

Quando sentì dei passi correre lungo le scale si voltò e vide Rebecca entrare in cucina più in forma che mai.

Non ci pensò due volte a catapultarsi su di lei che lo aspettava a braccia aperte. La strinse contro di sé e cominciò a baciarla con foga.

“Ehm, io me ne andrei…” disse Bastian, facendo intendere il suo ruolo da terzo in comodo. Diede un’ultima occhiata ai due ragazzi e, scuotendo la testa divertito, se ne andò.  

Gabriel, che non credeva ancora ai suoi occhi, cominciò con frenesia a toccarla, baciarla, osservarla…come per assicurarsi che stesse bene, che fosse veramente lei. La ragazza di sempre. Non avrebbe mai potuto descrivere la gioia che provò in quel momento.

Rebecca si fece coccolare, si lasciò andare alle sue dolci premure, contenta che ormai fosse tutto finito.

Gabriel controllò inoltre che non avesse riportato ferite e quando si accertò che stava benissimo aumentò la presa dell’abbraccio.

“Sei svenuto! Non ci posso credere!” lo prese in giro la ragazza, sorridente.

“Andate al diavolo tutti e due! Mi avete fatto prendere un colpo…”

Rebecca rise e gli diede dei colpetti sulla spalla. “Dal diavolo non ci vado, ti dico solo che sono appena tornata dall’inferno! Una gran brutto posto!”

Gabriel rise contro la sua spalla e la prese in braccio portandola al piano di sopra. Si buttò con lei nella vecchia poltrona del suo studio e le accarezzò una guancia tracciandole dei piccoli cerchi col pollice. Sembrava incantato da quella pelle così morbida e non potè trattenersi nel chinarsi a baciarla.

“Qualche novità finchè sono stata via?”

Gabriel inarcò un sopraciglio e fissò il soffitto, pensieroso. “Uhm…Rosalie ha intenzione di rendermi due volte zio!”

“No! Non ci posso credere! Aspetta un altro figlio?! M-Ma com’è possibile?!” esclamò sbalordita. “Scientificamente parlando non può essere che…!”

Gabriel la fece tacere posandole un dito sulla bocca. “È probabile che aspetti due gemelli! Devo sempre spiegarti tutto?! Ti facevo più intelligente…”

Rebecca schiaffeggiò il dito che il ragazzo teneva sulle sue labbra e parlò con ostentata tranquillità. “La mia intelligenza rientra nella norma, Gabriel. Tu, piuttosto, come sei stato in queste settimane?”

“Mi sono molto divertito”

“Quanto sei bugiardo!” disse la ragazza, ridendo di fronte allo sguardo imbarazzato di Gabriel. “Non è vero che ti sei divertito! Scommetto che ti mancavo!”  

Il ragazzo assunse un’aria altezzosa e molto distaccata. “Non ci sperare, carina!”

“Ormai ti conosco”

“Non è vero”

“Sì che è vero”

“Come vuoi”

“Allora lo ammetti!” esclamò tutta eccitata Rebecca, che cercava in tutti i modi possibili di far ammettere al ragazzo la sua mancanza per lei.

“Ma falla finita!” sbraitò Gabriel, diventando rosso come un peperone e cercando di evitare la ragazza.

“Sai Gabriel, non fa male alcune volte dimostrare i propri sentimenti” lo rimproverò Rebecca, senza però arrabbiarsi.

Rebecca sapeva com’era fatto Gabriel e aveva capito da tempo la sua freddezza nei legami sentimentali. Sapeva quanto gli costava ammettere di aver bisogno di qualcuno oppure dimostrare quanto volesse bene ad una persona. Aveva visto nella sua vita cose molto brutte e violente e il suo cuore aveva innalzato una formidabile barriera contro il dolore. Non lo rimproverava, semmai lo compativa.

“Scusami” disse il ragazzo a disagio.

“Per cosa?”

“Per essere un eguagliabile insensibile”

“Tranquillo, Gabriel” lo rassicurò la ragazza diventando improvvisamente molto dolce. “Non m’importa che tu me lo dica ogni giorno quanto mi vuoi bene…l’importante è sapere che tu lo pensa”

“Lo penso” confermò Gabriel, in un impeto di amore per lei. Era la ragazza migliore che avesse mai conosciuto.

Che avrebbe fatto senza di lei?

“Hai ucciso molte persone?” domandò all’improvviso il ragazzo, guardandola di sottecchi.

Rebecca rise alla sua provocazione e iniziò a raccontarli, per filo e per segno, tutto quello che aveva passato durante quella missione. Gli parlò del viaggio, di quanto fosse stato insopportabile Bastian e di quanto faticoso fosse stato il sentiero sotto il caldo torrido del deserto. Gli raccontò di quando arrivarono alla roccaforte e di quando poi la espugnarono. Quando poi gli disse di come aveva facilmente ucciso il generale, Gabriel si complimentò con lei, soprattutto per la bellissima spada che grazie alla sua morte aveva preso con sé.

Parlarono per ore e ore, Rebecca veniva interrotta solamente dai commenti di Gabriel o dalle sue battute poco simpatiche. Ricevette inoltre dal ragazzo vari consigli e tattiche di combattimento quando si aveva a che fare con più di una persona da uccidere nello stesso momento.

Smisero di chiacchierare quando fu notte. Rebecca finì di parlare e rimase con lo sguardo fisso sugli occhi del ragazzo. Gabriel potè sentire la profondità di quello sguardo e ne rimase colpito per la sua intensità. I loro occhi si intrecciarono e i loro volti cominciarono ad avvicinarsi poco alla volta per congiungersi in un bacio.

Le loro labbra erano distanti pochissimi centimetri quando un urlo disumano rimbombò per tutto il villaggio, seguito da altri gridi di terrore e rumori di sparo.

I due ragazzi sbarrarono gli occhi, fissandosi con aria interrogativa e terrorizzata.

“Ci attaccano!” urlò Rebecca.

Gabriel scese velocissimo dal divano e si precipitò verso il baule nel quale riponeva le armi. Passò un arco alla ragazza e lui si prese una spada.

Tutte le persone che amava, in quel momento, erano in pericolo. Con la mente andò al ricordo di quando, da piccolo, la sua intera famiglia rimase uccisa durante un attacco al villaggio. Gabriel si sentì a quel punto pervadere dalla paura e le mani iniziarono a tremargli.

Cercò Rebecca con lo sguardo e vi lesse tutta la sua ferocia.

“Non preoccuparti, Gabriel. Non andrà come l’ultima volta. Io non lo permetterò”



***



La situazione fuori, nelle strade, era tragica. L’esercito di Mortimer era ovunque: nelle case, lungo i viali e nelle piazze. Uccidevano le persone che li capitavano davanti senza la minima pietà. Donne, bambini, vecchi, perivano al taglio delle lame e si accasciavano al suolo in una pozza di sangue.

Rebecca non poteva crederci. Davanti a lei, fuori dalla porta di casa sua, c’era in atto un massacro e per un momento la forza le venne meno. Per fortuna che, dietro di lei, la mano calda di Gabriel la rassicurò.

Decisero di dividersi: Gabriel avrebbe combattuto nel lato ovest mentre Rebecca nella zona est del villaggio. Sapevano con certezza che Bastian si sarebbe trovato a nord e Denali con Kevin a sud, verso la piazzetta con la fontana.

Corse più veloce che potè per raggiungere la sua zona e fu contenta di non trovarsi da sola a combattere: quasi tutti gli uomini rispondevano agli estranei con armi e fuoco. La sua presenza non passò inosservata e si sentì afferrare alle spalle.
 
Si voltò con la spada alzata, pronta ad uccidere ma la riabbassò quando vide Adele dietro di sé.

“Io ti copro, d’accordo?”

Rebecca scosse la testa. “No! Adele, no! Io ce la faccio, tu devi aiutarmi a farne fuori il più possibile, ok?!”

Adele annuì. Lanciò un’occhiata preoccupata alla ragazza e brandì la spada verso un gruppo di soldati che stavano avendo la meglio su un povero contadino con in mano una misera zappa.

Dopo aver visto Adele andarsene, Rebecca fece un resoconto della situazione: nella zona est non c’erano molti nemici e con ogni probabilità ci avrebbe impiegato dieci minuti a sbarazzarsi di tutti. Quello che non capiva era che: com’era possibile che Mortimer avesse mandato così pochi uomini da lei quando era proprio lei la persona che voleva morta?

Si preparò a combattere, all’erta e pronta a scattare al minimo segnale.

Aveva un brutto, bruttissimo presentimento.

In quella battaglia diede il meglio di sé stessa, combatté con disciplina e ferocia. Uccideva i suoi nemici come il suo maestro le aveva insegnato: se sono vicini usa le armi o il corpo, se sono lontani fai uso della magia. Gabriel più di una volta però le aveva sconsigliato di usare troppo la magia durante uno scontro perché, sebbene fosse più potente e distruttiva, prosciugava le forze al corpo più in fretta. Alcuni incantesimi, se non si era pronti, potevano portare addirittura alla morte. Ecco perché Rebecca cercava il più possibile di non ricorrere alla magia. Si accontentava di uccidere i soldati con la sua potentissima spada: leggera e precisa, era un gioiellino della guerra.

Rebecca era riuscita a farne fuori la metà in cinque minuti, contava di uccidere gli altri nello stesso tempo. Con una mano si scostò i ciuffi che le ricadevano sulla fronte, iniziava a sentirsi stanca e i movimenti che faceva non erano più agili e fluidi come all’inizio ma pesanti e affannati. Adele era ancora al suo fianco che combatteva come una furia selvaggia e Rebecca la ringraziò mentalmente per quel suo aiuto. Riportò l’attenzione davanti a lei e notò come quattro uomini di Mortimer l’avevano accerchiata senza che lei se ne accorgesse.

Ghignò.

Che idioti, pensò. Non hanno la minima possibilità di battermi. Sarò pure stanca ma non sono debole.

Fece un passo in avanti per attaccare l’uomo che aveva di fronte quando sentì il peso di un corpo stremato aderire alla sua schiena.

Si voltò allarmata e vide Gabriel.

“Ti copro” disse con fatica, respirava velocemente ed era tutto sudato.

“Anche tu come tua madre! Ce la faccio! Piuttosto pensa a te!” lo ammonì la ragazza, preoccupata per la sua salute.

Gabriel non ne volle sapere di abbandonarla. “Io ho finito con la zona ovest perciò ti aiuto, che tu voglia o no. Io ne faccio fuori due, tu pensa agli altri” disse con affanno.

“Ok” mormorò Rebecca, stringendo l’elsa della spada.

I quattro uomini si lanciarono verso i due ragazzi che erano al centro del cerchio con sguardo folle e aggressivo, pronti ad eseguire gli ordini di Darth Threat. Rebecca e Gabriel si presero per mano e, facendo leva sulla mano dell’altro, fecero contemporaneamente una piroetta orizzontale in modo da cambiare lato e da dare un calcio in faccia a due dei quattro uomini.

Toccarono terra e mentre i due uomini erano ancora sdraiati al suolo rimbambiti dal colpo, uccisero gli altri due in piedi. Poi pensarono a quelli per terra: Rebecca piantò la spada sul petto di uno mentre Gabriel tagliò la gola all’altro.

Non fecero in tempo a complimentarsi per le loro prestazioni che un botto molto simile ad un tuono squarciò il cielo.

Rebecca vide tutti gli abitanti del villaggio piegarsi sulle ginocchia e con una smorfia di dolore tentavano di tapparsi le orecchie per non sentire quel suono penetrante. Anche per lei il suono era insopportabile ma non sentiva l’impulso di tapparsi le orecchie come stavano facendo tutti quanti. Sì, proprio tutti quanti, perché anche i soldati di Mortimer erano accucciati e si contorcevano sul terreno per il dolore al timpano.

La ragazza mandò uno sguardo interrogativo a Gabriel ma lui non la stava guardando, fissava un punto indefinito nel cielo e si vedeva lontano un miglio che era terrorizzato. Rebecca osservò la piazzetta e notò con stupore che anche Adele era in piedi, per nulla toccata dal devastante suono.

Fu allora che Rebecca lo vide per la seconda volta.

Nel cielo comparve una nuvola di vapore grigia e un uomo ricoperto interamente da un manto nero.

Il vestito era una tunica nera come l’ebano, con un mantello che toccava il suolo e un cappuccio che ricopriva il viso. Ma a Rebecca non occorreva vedere il suo viso per capire chi fosse quell’essere.

“Mortimer…” disse, in un sussurro impercettibile.

Era proprio lui. Sentì gli abitanti del villaggio tutt’attorno a lei che avevano iniziato a piangere o a gemere in modo disperato, alcuni si stavano trascinando al riparo, altri cercavano di coprirsi gli occhi per non dover vedere.

Darth Threat si tolse il cappuccio, rivelando la sua forma umana di giovane uomo.

Rebecca sentì Gabriel smettere di respirare e Adele sussultare.

L’attenzione di Mortimer non era di nessuno se non per lei. La squadrò da capo a piedi, tenendo le braccia giunte sotto il mantello, e posò i suoi occhi rossi sul suo volto in cerca di qualche segno di paura. Rebecca non battè ciglio e sostenne come meglio potè il suo sguardo, camuffando la paura e il senso di panico che la stavano dilaniando. Mortimer parve contento di lei perché emise una risatina che risuonò come un ghigno strozzato.

“Sei molto coraggiosa, ragazza mia” le disse, con quel volto duro e impassibile. Con una calma sconvolgente e la sua voce profonda.

Rebecca si impose di stare calma. “Non vedo perché dovrei essere spaventata” lo sfidò con gli occhi e con le parole.

In quei casi dimostrarsi il più debole era vivamente sconsigliato.

Mortimer serrò le labbra, apparentemente divertito. “È un vero peccato che tu non stia dalla mia parte…percepisco molta forza oscura in te, ragazzina. Mi saresti molto utile se…”

“Non provare a toccarla!” ruggì Gabriel, parandosi con aria minacciosa tra lei e Mortimer.

“Farmi da scudo non ti salverà la vita!” bisbigliò Rebecca al suo orecchio, con voce sibilante.

“Non ci posso credere…” sussurrò Mortimer e sembrava veramente stupito. “Gabriel! Da quanto tempo!”

Rebecca sentì gelarsi il sangue nelle vene e socchiuse la bocca in una smorfia interrogativa. Gabriel non disse nulla ma fulminando Mortimer gli intimò di starsene zitto.

Darth Threat, parecchio divertito, commentò con voce aspra: “È da molto che non mi fai un favore. L’ultima volta mi sei stato di grande aiuto” disse lanciando rapide occhiate a Rebecca e ad Adele.

Rebecca, sempre più confusa, sentì l’impulso di allontanarsi da Gabriel.

Ne voleva sapere di più.

“Che stà dicendo, Gabriel?” chiese, con voce spaventata.

Gabriel si voltò verso di lei e fece per parlare ma le parole gli morirono in gola: vedere Rebecca in quello stato gli ferì il cuore. Se ne stava in piedi con i pugni chiusi, sembrava ad un pulcino impaurito, bisognoso di carezze e di affetto. Appariva tremante e intimorita. Non gli piacque per niente il modo in cui lo stava fissando, come se stesse avendo paura di lui.  

“Rebecca, io…” provò a dire, tentando di rassicurarla in qualche modo.

“Non gliel’hai ancora detto?!” domandò Mortimer, fingendosi sorpreso. “E quando aspettavi a dirglielo?!”

“Stai zitto!” lo assalì Gabriel. “Non fiatare!”

“Non hai pensato di dirle prima la verità su di te? Prima che v’innamoraste?”

“Dirmi la verità su cosa, Gabriel? Che cosa centro io?”

Gabriel tentò di trovare una scusa buona per salvare quel momento ma anche questa volta il signore del Male lo precedette: “È stato lui a tradire la tua famiglia. Sono morti per colpa sua!” disse con odio puntando il dito contro il ragazzo.

Venire a sapere la verità su Gabriel in quel modo così violento e brutale fu un duro colpo per Rebecca. Tutt’un tratto le parve di non riconoscere più quel ragazzo che tanto aveva amato, l’unico sentimento che ora provava per lui era l’odio più nero.

Lo odiava per averle mentito ma soprattutto per essersi preso gioco di lei facendola innamorare di lui dopo aver ucciso i suoi genitori.

Tutto avvenne a rallentatore: Gabriel che cercava di dirle qualcosa e lei che lo allontanava, il viso sofferente di chi la sapeva lunga di Adele e il sorriso compiaciuto di Mortimer. Quando Rebecca riuscì a sbloccarsi da Gabriel corse incontro a Mortimer, voleva che fosse lui a dirle tutta la verità perché sapeva che lui non le avrebbe nascosto niente.

“Spiegati meglio” disse, digrignando i denti.

Gabriel, che aveva smesso di lottare, se ne stette in piedi ad ascoltare Mortimer con sguardo arreso.

“C’è poco da dire, te lo dirò in modo molto sintetico: non appena Gabriel divenne un angelo bianco m’incontrò poco dopo la sua investitura. A quel tempo ero da poco diventato Darth Threat e, visto che quel ragazzo era un angelo potente e promettente, gli chiesi un favore. Non volevo che ci fossero altri angeli a Chenzo, c’ero io e volevo tenermi il potere tutto per me senza il timore che qualche paladino della giustizia me lo portasse via. Sapevo che c’erano altri due angeli, lui e tua madre Aidel. Lui mi rivelò il nome di tua madre e mi condusse a casa sua. La uccisi nel giro di pochi minuti. Tu non c’eri nella culla e non valeva la pena di perdere altro tempo a cercarti, anche perché se tua madre era un angelo bianco non era detto che lo fossi diventata anche tu. Gabriel non lo uccisi neppure, sapevo che per l’accusa di tradimento il consiglio gli avrebbe tolto le ali e quindi sarei stato l’unico angelo su tutto il pianeta” prese una pausa e poi fece un cenno della testa verso Adele. “Vedi quella donna? Lei è la sorella di tua madre che ebbe una relazione con me, per questo la esiliarono. Fu lei a prendersi cura di te duranti i tuoi primi mesi di vita ma poi decise di spedirti sulla Terra. Presumo che l’abbia fatto non appena scoprì la tua vera natura”

Rebecca rimase ferma. Cercava di trattenersi dall’urlare, avrebbe voluto spaccare la faccia a Gabriel per tutto il male che le stava procurando. Il suo corpo era scosso da singulti e gli occhi cominciarono a pungerle.

Con tutta la dignità che aveva si rivolse a Mortimer. “Grazie”

“Io vivo per questo” le disse il signore del Male poco prima di scomparire, dissolvendosi in una nuvola di fumo. “La prossima volta che ci vedremo sarà per ucciderti”

Con Mortimer se ne andò anche l’odioso rumore rimbombante e il suo esercito. Mentre gli abitanti del villaggio cercavano a fatica di rimettersi in piedi, Gabriel e Adele rimasero ai loro posti, troppo sconvolti per compiere un movimento. Avevano entrambi gli occhi vuoti e spenti, gli occhi di Gabriel non lasciavano quelli di Rebecca e provavano disperatamente a far capire alla ragazza il suo dispiacere.

Non appena il ragazzo fece un passo in avanti con una mano tesa verso di lei, Rebecca scappò nel bosco, troppo sconvolta per poter affrontare il ragazzo. Si lasciò dietro di sé il villaggio e sentì i suoi abitanti che domandavano, perplessi: “ma che succede?”, “dov’è Darth Threat?”, “perché la ragazza scappa?”, “che ne sarà di noi ora?”

Che ne sarà di noi?

Noi.

Tu ed io.

Che faremo ora?

Rebecca stava correndo più veloce che poteva, voleva scappare! Non aveva il coraggio di tornare da Gabriel, non dopo aver scoperto la verità. Non subito almeno. Lo odiava, provava un’infinita vergogna per lui e non l’avrebbe mai perdonato per non averglielo detto prima.

Si sentì bloccare il polso da una mano che strinse la presa saldamente, facendola fermare. Non osava voltarsi, sapeva chi era.

Era buio ma lei non era cieca.

“Vattene” ringhiò la ragazza, con tono minaccioso.

Le sembrava, in quel momento, di non provare neanche più affetto per lui. Quello che Gabriel aveva fatto di così orrendo le era stato sbattuto in faccia e aveva oscurato anche il più dolce e innocente sentimento quale l’amore. Il suo cuore era stato sporcato e spremuto con forza, come poteva avere ancora la capacità di amare?

“No”

Rebecca si girò ad affrontarlo. Le faceva male solamente rivedere quel viso.

“O te ne vai o ti ci mando via io”

Gabriel vacillò sapendo che non scherzava ma era troppo disperato per lasciarla scappare.

“Ti prego, torna a casa e riparliamone”

“Io a casa tua non ci torno, assassino!”

Gabriel sentì una fitta al cuore e si lasciò scappare un gemito di dolore. “Ho sbagliato, è vero, ma io ho pagato per i miei errori e ora sono un’altra persona! Mortimer mi aveva ingannato! Non mi aveva detto che voleva uccidere Aidel, come potevo saperlo che era così malvagio?!”

“È inutile che cerchi di giustificarti per sentirti la coscienza apposto! Mi fai schifo…”

“No, ti prego…Rebecca, non dire così” la prese per un gomito e l’attirò verso di sé ma lei gli rifilò un pugno che lo colpì in pieno viso.

“Non toccarmi, non ti permetterò mai più di farlo!”

Rebecca corse via nella fitta foresta lasciando Gabriel in balia dei suoi rimpianti. Il ragazzo, con la faccia voltata per via del pugno, cominciava a perdere sangue da un labbro. Si tastò la ferita e deglutì.

Non può essere finita davvero…



***



Non so perchè ma quando ho finito di scrivere il capitolo precedente
ho avuto la smania di finire anche questo!!
avevo tutto in testa e non potevo aspettare troppo tempo per aggiornare...
Spero vivamente che questo capitolo vi sia piaciuto come è piaciuto a me mentre lo scrivevo!!!
Ogni recensione è ben gradita...

Il prossimo capitolo si intitolerà: "UN RIFUGIO SICURO"
e vedremo come Rebecca, accecata dall'ira, combinerà un paio di pasticci...dove troverà un rifugio sicuro e con chi!!!!

Alla prossima!!!




***



I "THANKS":

"BELLA4": ehehehe, Rebecca come vedi è tornata, ma non so se in questo caso sia stato un bene o un male!! Soprattutto per quello che è venuta a sapere riguardo a Gabriel!! Recensisci presto!! bacioni

"CHICCA90": eccola, sempre tu!!! Hai proprio ragione sai riguardo le frasi all'inizio di ogni capitolo, mi ascolto le canzoni e immagino la storia, quindi vado in internet a vedermi la traduzione e se vedo che le frasi della canzone combaciano perfettamente con quello che succede nel capitolo è ancor meglio!!! Comunque avevi ragione riguardo al fatto che tornava e si sarebbe trovata un gran figo ad aspettarla...ma cosa mi dici ora che non lo vuole più vedere?????!!!!! hihihihi....

"OASIS": eh già...pure io avevo pensato di mandare Gabriel in guerra però mi sembrava molto più romantico che lui stesse a casa ad aspettarla!! Così non appena lei fosse tornata.......FUOCHI D'ARTIFICIO!!! Eheh..fammi sapere come trovi questo capitolo...kiss kiss

"NIKKITH": eh ma cara mia!!! Gabriel è sì proprio stronzo ma almeno a me piace proprio per quello. Fortuna vuole che abbia trovato una ragazza stronza come lui così si equilibrano!! Gabriel ha una mente fredda e razionale e ho pensato che al momento della dichiarazione della sua partenza lui dovesse rimanere fermo e imperturbabile. Spero di avere azzeccato!!! :-)

Bacioni FEDERICA...



 

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Capitolo 17
*** Un rifugio sicuro ***


Cap. 17 - UN RIFUGIO SICURO -

[A un passo dal possibile,
a un passo da te.
Paura di decidere,
paura di me.

Eppure sentire
nei fiori tra l’asfalto,
nei cieli di cobalto.

Eppure sentire
nei sogni in fondo a un pianto,
nei giorni di silenzio]

Elisa - Eppure sentire -



***



Rebecca correva, aveva perso il sentiero che stava seguendo e ora andava alla ceca schivando i rigidi tronchi degli alberi. Era notte fonda e inquietanti rumori aleggiavano nella foresta ma lei, presa com’era dall’andarsene il più distante possibile, non ci faceva caso. Il paesaggio davanti a lei era sempre lo stesso e il buio della notte oscurava tutto, non una luce, non una scintilla di chiarore.

Era come in quei poemi epici dove la natura del paesaggio rispecchiava i sentimenti del cavaliere errante; così, la cupa e spoglia foresta rispecchiava l’animo ferito e svuotato di Rebecca.

Aveva il fiatone e si sentiva spremere i polmoni nella cassa toracica ma non voleva a tutti costi smettere di correre. Più distante avrebbe trovato riparo, meno probabile era che un segugio come Gabriel la trovasse.

Le tornò in mente lo sguardo disperato di Gabriel e la sua faccia così addolorata…per un momento fu tentata di lanciarli le braccia al collo ma per fortuna la sua razionalità gliel’aveva impedito, altrimenti sarebbe stato troppo tardi e avrebbe dovuto perdonarlo. Il problema era che Rebecca non voleva perdonarlo, voleva fargliela pagare.

Si sentiva così in collera…così arrabbiata!

Doveva stare attenta. Una volta Gabriel le disse che quando un angelo era accecato dall’ira poteva succedere che, senza rendersene conto, scagliasse la sua magia in un impeto di violenza distruttiva. L’odio porta al Male e allontana l’angelo dal Bene. L’angelo accecato dall’ira perde il controllo e potrebbe arrivare ad uccidere con un gesto addirittura il suo migliore amico. E infatti Rebecca la sentiva, sentiva la forza provocata dall’odio scorrerle nelle vene delle mani, nel petto, nelle braccia…ogni fibra del suo corpo bolliva e si chiese se per caso, peggiorando, non sarebbe saltata in aria come un fuoco d’artificio. Perché era così che si sentiva: una mina vagante.



***



Dopo l’attacco di Darth Threat i paesani si stavano dando da fare per rimettere in ordine il villaggio: ripulivano le case sporche di cenere, la strada in sassi macchiata di sangue e i cadaveri venivano gettati in una fossa comune. Sebbene fosse notte e tutti fossero stanchi e doloranti non intendevano fermarsi prima di aver ripulito dal disastro le loro case.

Bastian fissava impietrito la scena da una finestra di casa sua che, per fortuna, non era ridotta a pezzi come la maggior parte delle altre abitazioni. Si struggeva per ciò che vedeva: madri che piangevano disperate sui corpicini privi di vita dei loro figli oppure uomini che non accettavano la perdita della loro compagna.

Bastian sospirò e chiuse fortemente gli occhi come a voler scacciare quelle immagini. Ma quando gli riaprì vide sempre la stessa scena.

Aveva spento tutte le luci in casa ed era stato nelle tenebre più buie che lui aveva trovato pace.

La porta si aprì e andò a sbattere violentemente contro la parete provocando un enorme fracasso, tanto che Bastian sentì alcuni pezzi di muro cadere sul pavimento come macerie.

Sentì dei passi pesanti venire verso di lui e due mani feroci lo afferrarono per le spalle facendolo voltare.

Il volto di Gabriel era minaccioso e i suoi occhi vibravano di rabbia. “Dobbiamo trovarla, Rebecca è scappata. Manda tutti gli uomini che puoi nel bosco e riportala a casa!”

Bastian non disse nulla e parlò dopo averlo scrutato a lungo, valutando ciò che lui gli stava chiedendo. “Molti dei nostri uomini sono morti stanotte. Come pensi che la prenderebbero se gli dicessi ora di andare a trovare una ragazza nel bosco?” Bastian vide Gabriel morsicarsi il labbro e continuò: “Non puoi raggiungerla tu?” domandò con voce spenta, dimostrando dieci anni di più.

Gabriel mollò la presa e cominciò a camminare su e giù per la stanza, furibondo. “Se vado io non tornerà mai! Non vuole n’anche vedermi! Mi serve qualcuno, tutti ma non io!”

“Calmati Gabriel, dopotutto cosa vuoi che le succeda? Rebecca ha la testa sulle spalle, non si trova in uno stato confusionario perciò sarà lei stessa a tornare quando si sentirà meglio”

Il ragazzo si fermò davanti a Bastian e inarcò il sopraciglio. Bastian si lasciò scappare un lungo e sospirato “oh” e raggiunse la porta. “Vado a cercare qualcuno. Tu aspettami qui, non ti muovere”



***



Dopo quella che a Gabriel parve un’eternità, Bastian rientrò in casa, scortato da due uomini che si rivelarono essere Denali e Kevin.

“Soltanto loro due hai trovato?!”

“Ehi, meglio noi due che cento uomini” disse Kevin strizzandogli l’occhio.

Gabriel, dall’irritazione, si sbattè una mano sulla fronte e si abbandonò su una sedia. “Sono perduto”

“Senti, o accetti il nostro aiuto o noi ce ne andiamo. Decidi tu” disse Denali, con la sua solita autorità.

Gabriel lo guardò a lungo. “Ok…va bene!”

“Conta su di noi” disse raggiante Kevin, avvicinandosi al ragazzo e dandogli una pacca affettuosa sulla spalla.

“Ci vediamo” disse Denali, facendo un cenno del capo prima a Bastian e poi a Gabriel.

Quando se ne andarono Bastian fissò il ragazzo con sguardo compassionevole, si sedette vicino a lui che si teneva ancora la mano sulla fronte e gli prestò attenzione. “Beh, dopotutto non sono poi così male quei due”

Gabriel, sentendo Bastian sparare quelle cavolate, alzò il viso e lo guardò come per dire: “stai scherzando, vero?”



***



Rebecca stava correndo quando tutt’un tratto si bloccò, stupita e interessata. Aveva il fiatone e le gambe le tremavano ma aveva ancora la forza necessaria per proseguire fino al mattino. Nonostante tutto si fermò. Davanti a lei, in mezzo alle radure della foresta e circondata da bassi cespugli, c’era una casetta di legno, molto simile a quelle di montagna con un piccolo pergolo sul davanti e finestrelle con balconi. Doveva avere una sola stanza all’interno, era davvero minuscola…

Con passo deciso raggiunse la dimora e fece per aprire la porta quando dall’interno si accese una luce.

Rebecca sussultò e si chiese chi mai potesse abitare in una casina tanto piccola. Per lei poteva essere l’ideale rifugio in cui sistemarsi per un po’ di tempo, peccato che ci fosse già qualcuno. Peggio per lui, l’avrebbe buttato fuori e costretto alla fuga, non aveva certo paura di intimidire con le minacce qualcuno.

Ma quando la porta si aprì e venne ad accoglierla un ragazzo, Rebecca potè sentire il suo cuore smettere di battere. Gli diede un pugno in faccia con tutta la forza che aveva. Voleva che sentisse il suo stesso dolore, il bastardo.

Rebecca fece una risatina ironica. “È sempre un piacere rivederti, Atreius”



***



“Si può sapere che cos’ho fatto per meritarmi un gesto simile?” domandò Atreius, dandosi compostezza e massaggiandosi la guancia colpita.

Rebecca sbuffò e avanzò minacciosa verso di lui che, prontamente, fece un balzo indietro. “Ok, parliamone!” disse il ragazzo, facendosi scudo con le braccia.

“E di che cosa, eh?! Di come, ad esempio, hai ingannato tutto il villaggio spacciandoti per il ragazzo sperduto e indifeso quando il tuo unico scopo era quello di spiarmi?!” urlò, sbattendo violentemente un piede per terra. “Dio! Odio tutti voi uomini!”

“Ehi, paladina! Sono nel tuo stesso casino, ok?! È vero, lo ammetto! Mortimer, che tra parentesi è mio padre, mi aveva incaricato di spiarti per dargli informazioni utili sul tuo conto ma…” si passò nervosamente una mano tra i capelli. “…poi, stando con te, ho iniziato ad affezionarmi e quando ho capito che non potevo portare a termine la mia missione sono scappato facendo credere a Mortimer di essere morto! Sono mesi che me ne sto nascosto in questa baracca e dovresti solo ringraziarmi!”

“Ma che blateri?!”

“È la verità, non potevo tradirti, non dopo essermi innamorato di te” le disse seriamente e in quello sguardo Rebecca vi lesse tutta la sua sincerità.

Rimase per alcuni secondi ammutolita, poi scrollò le spalle e chiese: “Allora, mi fai entrare o no?”

“Che ti serve?”

“Un rifugio sicuro in cui stare finchè non potrò tornare al villaggio”

“Entra” la intimò il ragazzo, facendola passare per prima e accompagnando il gesto posandole protettivamente una mano sulla schiena. “Qui nessuno ti troverà”

“È così…” disse Rebecca con un labbro innalzato, vedendo la casa. “…piccola”   

Atreius chiuse la porta e osservò con lei la piccola stanza quadrata con pochissimi mobili: un letto matrimoniale, un tavolo con tre sedie, un cucinino e un armadio. “Beh, è casa” sospirò, gonfiando il petto e portandosi le mani ai fianchi.

Atreius vide la ragazza avvicinarsi al letto e stendervi sopra senza il minimo accenno al fatto che volesse dormire. “Che fai?” domandò il ragazzo.

Rebecca gli lanciò un’occhiata torva. “Mi pare ovvio: dormo! Sono sfinita, evita di svegliarmi prima che sia giorno”

“Ti dimentichi, tesoro, che in quel letto ci dormo io”

Rebecca, già mezza addormentata, si coccolò tra le lenzuola e sbadigliò con piacere. “Vieni, l’altra metà del letto è libera”

Il ragazzo fece come le disse e quando tutti e due furono addormentati in quel grande letto…ci volle poco perché venisse mattina.



***



Gabriel corse ad aprire alla porta dato che da dieci minuti qualcuno continuava a bussare insistentemente. Denali e Kevin, con due facce stravolte dal sonno, gli si presentarono davanti. Il volto riposato di Gabriel era niente in confronto alle profonde occhiaie che ai due ragazzi scavavano la faccia.

Gabriel arrivò all’amara conclusione che non avevano trovato Rebecca, la cercò con lo sguardo ma non vedendo nessun altro si appoggiò abbattuto alla porta.

“Non l’avete trovata” non era una domanda ma bensì una scomoda verità.

Denali scosse la testa, pensieroso con una mano sotto la mento. “Il problema è che non c’è stata nessuna traccia che ci abbia fatto risalire a lei. È come se fosse scomparsa…”

Gabriel si drizzò, allarmato. “Non è scomparsa nel nulla, ok?! Se voi non siete riusciti a trovarla lo farò io”

“Io se fossi in te eviterei di farmi vedere da lei” disse Kevin, scrutandolo con aria da rimprovero.

“Bastian vi ha detto perché se n’è andata”

Denali schioccò la lingua. “Ce l’ha detto tua madre, che l’ha detto a Bastian a Rosalie e a Delia. Era talmente sconvolta che ha iniziato a raccontare tutta la storiella incurante che ci fossero sei persone ad ascoltarla. Fidati Gabriel, io me ne starei accuccia, almeno non correrei il rischio di essere ucciso in un suo momento di follia vendicativa”

“Lei non lo farebbe mai” sibilò il ragazzo, guardando Denali dritto negli occhi.

Denali emise una risatina roca. “Tu dici? Eppure da quello che mi hanno detto non c’è essere più pericoloso di un angelo accecato dall’ira, potrebbe farlo senza rendersene conto”

“Io non credo proprio”

Ormai i volti dei due ragazzi erano a pochi centimetri l’uno dall’altro e la tensione era palpabile, avevano tutta l’aria di volersela dare a botte.

“Rebecca è confusa e arrabbiata! Le basterà pochissimo per avvicinarsi al lato oscuro, fragile com’è!”

“Ehi, ragazzi…” provò ad intervenire Kevin, tentando di allontanarli.

“Motivo in più per cercarla. Non me ne starò con le mani in mano!” ruggì Gabriel, andandosene e lasciando i due ragazzi sull’uscio di casa.

Sentì Denali chiamarlo. “Gabriel?”

“Che c’è?”

“Rosalie partorirà tra poche settimane, non voglio essere il solito guastafeste ma cerca di non fare casini per allora”

“Certo, datemi il tempo di riportarla qui e a costo di legarla contro una parete mi assicurerò che non scappi più”



***



Nonostante fuori fosse giorno, il sole era troppo lontano e fiacco per riscaldare il pianeta, Rebecca guardava il cielo sentendosi un enorme vuoto dentro. La rabbia incontenibile e l’ira accecante erano sparite ma al loro posto un tremendo rancore e un disprezzo soffocante s’impadronivano lentamente del suo corpo.

Il giorno prima voleva farla pagare a Gabriel con urla e insulti incontrollati, ora desiderava solamente pregustarsi la vendetta lentamente, con freddezza e impassibilità. Il giorno prima l’avrebbe ucciso volentieri ma poi aveva capito che questo non era possibile, non solo perché era ancora innamorata di lui, ma perché non avrebbe mai potuto essere la fautrice della sua morte. Gli voleva purtroppo troppo bene e sapeva con certezza che entro breve avrebbe ceduto: troppo vogliosa dei suoi baci e delle sue carezze sarebbe stata lei stessa a correre da lui.

Nonostante tutto gli mancava tremendamente. Nonostante gli sbagli e gli errori imperdonabili che aveva fatto lei non riusciva a staccarsi definitivamente da lui.

Lo avrebbe perdonato, ne era certa, ma non ora. Ora voleva fargliela pagare con la sua lontanaza. Sapeva quanto Gabriel si preoccupasse per lei e il solo pensarla dispersa e sola nel bosco l’avrebbe fatto impazzire. Stravedeva per lei ed era questo il suo punto debole.

Sarebbe tornata a tempo debito, anche lei doveva riprendersi dopo il colpo subìto.

Sentiva dei rumori di pentole dalla cucina e intuì che Atreius stesse preparando il pranzo.

Che situazione strana.

Mai e poi mai avrebbe creduto di poter rivedere Atreius, e di essere anche così magnanima con lui! Era stato in un momento di bisogno per un riparo che aveva accettato la compagnia del ragazzo, dopotutto, almeno lui, non era un bugiardo.

“Rebecca! È pronto!” la chiamò con voce squillante.

La ragazza si alzò malvolentieri ed entrò in casa assaporando il profumo di funghi freschi e patate. Lanciò un’occhiata ammirata verso il ragazzo e alla tavola preparata.

“Uau…chi l’avrebbe mai detto? Sei pure un ottimo cuoco”

“Per così poco?!” esclamò Atreius, fingendosi sorpreso. In realtà gli era costata molta fatica trovare tutti quei funghi. Per non parlare delle patate…

Rebecca rise, sentendosi improvvisamente a proprio agio. “Hai fatto tanto, invece. Senza di te, non solo sarei ancora arrabbiata nera, ma sarei anche affamata e senza un tetto su cui dormire” disse, con l’intento di ringraziarlo di cuore.

Atreius, che non la perdeva un secondo con gli occhi, la guardò intensamente. Poi borbottò qualcosa, in evidente imbarazzo. “Non ringraziarmi, è un piacere avere qualcuno con cui parlare. Mangiamo?”

“Oh, si! Ho una fame…!” esclamò eccitata Rebecca, prendendo posto in una delle tre sedie e mangiando con gli occhi la pietanza che aveva davanti.

“Buon appetito”

“Buon appetito!”



***



I soli uomini che Gabriel aveva trovato erano due ubriaconi che frequentavano la locanda del paese. Fortuna volle che quella mattina non fossero sbronzi ma del tutto sobri. Quando Gabriel propose loro di andare a trovare Rebecca, i due uomini furono ben contenti di aiutarlo dato che la ragazza aveva salvato dall’attacco della notte precedente il figlio di uno e la madre dell’altro.

Sebbene Gabriel fosse titubante a portarseli dietro non fece proteste.

Non appena arrivarono ai margini del bosco disse loro che dovevano separarsi in due diverse direzioni. Lui sarebbe andato ad ovest mentre Gustav e Ben ad est. Per poter comunicare tra loro, Gabriel li aveva dato uno strano aggeggio a forma di tubo con una leva: se mai avessero avuto bisogno di aiuto bastava tirare la leva e Gabriel sarebbe corso in loro aiuto, dato che l’oggetto del ragazzo, diverso dal loro, era rotondo e con un monitor specifico per localizzarli.

Si divisero e Gabriel controllò la sua zona correndo come un matto, chiamando il nome della ragazza e cercando ovunque. Sperò in cuor suo che, se non fosse stato fortunato nel ritrovarla, almeno Ben e Gustav lo fossero stati per lui.



***



“Mamma come sono sazia!” disse Rebecca, massaggiandosi la pancia e visibilmente contenta.

Atreius si era alzato e aveva iniziato a sparecchiare la tavola.

“Lascia, faccio io” si offrì di aiutarlo ma lui rifiutò.

“Non importa, tu stai seduta e riposati che con tutto quello che hai mangiato mi meraviglio che non ti sia venuta un’indigestione di funghi!”

“Sto benissimo!” bofonchiò la ragazza, trattenendo un singhiozzò. “È solo che mi sento così grossa…!” disse, scoppiando in una risata.

Anche il ragazzo rise e posò con delicatezza i piatti vuoti nel lavabo. Gli avrebbe puliti più tardi.

“Devo darti una mano ad alzarti?”

Rebecca fece finta di pensarci su ma poi tese la mano verso il ragazzo, con un sorriso smagliante che accecò Atreius, lasciandolo per qualche secondo inebetito.

Proprio quando le loro dita si toccarono successe qualcosa di veramente incredibile: il cielo divenne improvvisamente grigio e dai cespugli provenivano dei rumori sinistri.

I due ragazzi si precipitarono fuori, allarmati.

“È un’eclissi” disse la ragazza, indicando nel cielo la palla nera che copriva il sole.

“E che mi dici di quelli?” domandò Atreius prendendo una spada dalla cintura.

Dal cespuglio infatti comparvero due figure umane, due tizi che Rebecca aveva più volte incrociato nel villaggio.

“Non ci posso credere!” disse, infervorandosi. “Mi hanno trovata!”

“Di che parli?” domandò Atreius, non sapendo se attaccarli o meno.

“Gli avrà sicuramente mandati Gabriel!” sibilò nel dire quel nome e un’antica rabbia repressa iniziava a rifarsi sentire. “Non voglio tornare al villaggio! Non ora!” disse con voce supplichevole ad Atreius che la guardava impotente.

“Non ti preoccupare, se sarà necessario gli ucciderò”

Rebecca s’irrigidì. “Che cosa?”

“Preferisci che ti riportano al villaggio e che ti tengano chiusa in gabbia come un animale? O gli uccidi o saranno loro ad avere la meglio!”

“Non posso!” urlò, sentendosi improvvisamente meschina.

“Non vedi cos’hanno in mano?! È un gingillo di locazione, se lo premono il tuo Gabriel sarà qui in meno di dieci secondi!”

La prospettiva di rivederlo provocò in Rebecca una paura folle. Dopotutto non le importava se quelli erano uomini del villaggio, avevano avuto l’incarico di stanarla e lei doveva fare quello che più conveniva per la sua integrità.

Prese con sicurezza la spada e, vedendo Atreius scagliarsi contro uno di loro, decise di attaccare l’altro.

Atreius, che combatteva con la ferocia di un leone, non ci mise molto a far fuori il primo uomo, ora aspettava che anche Rebecca finisse il suo e intanto la guardava muoversi con visibile interesse.

Gustav tentò meglio che potè di difendersi ma quando la lama rosso sangue della ragazza incontrò la sua misera spada questa si spezzò in due pezzi. Trovandosi disarmato si gettò a terra cominciando a supplicarla di lasciarlo vivo. Rebecca abbassò la spada e fece per rimetterla via quando la voce di Atreius la fece scattare: “Ha in mano l’oggetto! Uccidilo prima che azioni la leva!”

Rebecca osservò l’uomo a terra ai suoi piedi e notò con seccatura che si era accucciato apposta per poter tirar fuori dalla tasca dei pantaloni uno strano affare.

Alzò la spada sopra la propria testa.

Gustav avvicinò le dita alla levetta.

Con forza fece scivolare la spada verso il basso.

Le dita arrivarono a toccare la superficie lunga e affusolata della leva.

La spada penetrò nella carne dell’uomo trapassandogli la spina dorsale.

Era riuscito a spostare la leva.

“L’ha azionata!” disse Rebecca in preda al panico, tirando fuori la spada dal corpo morto dell’uomo.

“Non abbiamo che da aspettare che il tuo uomo arrivi”

Rebecca strabuzzò gli occhi. “Magari non verrà lui ma qualcun altro”

“Tu dici?” domandò Atreius con ovvietà, guardando verso il fitto del bosco dove una figura stava camminando verso di loro.

Anche Rebecca, seguendo il suo sguardo, capì che quella figura era proprio Gabriel. Emise un rantolo soffocato e il suo cuore smise di battere.

Il ragazzo uscì dal bosco e si potè benissimo leggere la sua espressione stupita nel trovarsi di fronte a Rebecca e Atreius. Digrignò i denti e sembrò persino che ruggisse.

“Le spie non dovrebbero morire?” domandò a Rebecca, lanciando occhiate di ghiaccio al ragazzo moro.

Rebecca si parò davanti ad Atreius e allargò le braccia. “Non tutte le spie meritano di morire, non se si sono pentite prima di fare quello che dovevano fare”

Gabriel incassò il colpo, poi osservò i suoi due uomini a terra e provò un odio irrefrenabile.

“A chi devo il merito di ciò?” chiese, alludendo ai due giovani per terra privi di vita.

Fu Atreius a parlare e per un secondo Gabriel non credette alle proprie orecchie. “Io e lei. Non crederai mica che abbia fatto tutto da solo?”

“Non ci credo!” sbraitò.

“Ah no?” lo sfidò il ragazzo, poi gli fece cenno di guardare la spada che Rebecca teneva ancora in mano: era sporca di sangue. Sangue fresco che gocciolava sulla punta della lama.

Gabriel si sentì soffocare. Faticò a parlare. “C-Che ci facevate insieme in quella casa?”

L’occhiata maliziosa che gli lanciò Atreius non piacque per niente a Gabriel che si sentì improvvisamente scottare.

Rebecca era immobile e incapace di reagire, solo ora aveva compreso ciò che aveva fatto: aveva ucciso un uomo a sangue freddo. Non aveva nessuna scusante, volevano solamente che tornasse a casa. Anche ora, in quel momento, il tradimento di Gabriel dovuto ad un inganno non pareva nulla in confronto a quello che aveva fatto lei. Improvvisamente aveva una voglia matta di correre da Gabriel per abbracciarlo, per sentirsi sicura tra le sue braccia.

Ho paura di me stessa.

Che cos’ho fatto?!

Lasciò che la presa sulla sua spada venisse meno e questa cadde a terra in un rumore metallico. Aveva le mani che le tremavano e tutto il corpo era scosso da brividi.

Guardò Gabriel con occhi imploranti e cercò il suo sguardo finchè non lo incrociò. Il ragazzo, vedendo il suo volto sconvolto e impaurito, corse da lei.

Non appena le fu davanti l’abbracciò con trasporto. Rebecca si aggrappò convulsamente alla sua schiena, alle sue spalle, al suo collo…mentre lui la teneva stretta facendo aderire i loro corpi avvinghiati.

“Ti amo” le disse per la prima volta, all’orecchio.

La ragazza sbarrò gli occhi e poi si lasciò andare ad un pianto di gioia. “Anch’io ti amo” sussurrò contro il suo collo, nascondendo poi il viso nel suo petto.

Un tuono squarciò il cielo.

Tutti e tre alzarono le teste in alto e quello che videro li ghiacciarono sul posto. Mortimer scese a terra a pochi metri da loro, con il cipiglio innalzato per la contentezza. Il suo sangue freddo e la sua potenza erano disarmanti.

Gabriel cercò di nascondere dietro di sé la ragazza per paura che la potesse vedere e far del male. “Sei uno contro tre Mortimer, non ti conviene farti sotto”

Mortimer lo perforò con i suoi profondi occhi rossi. “Hai sbagliato a fare i conti, angelo Gabriele. Siamo due contro due”

Gabriel non capì subito a cosa Mortimer si riferisse. Lì c’erano solamente lui, Rebecca e…

Il suo cuore ebbe un sobbalzo. Atreius stava lasciando la sua posizione per andare ad affiancare Darth Threat.

“Tu” ringhiò. “Avrei dovuto saperlo”

“Mi hai imbrogliata!” proruppe Rebecca vedendo fuori dalla schiena del ragazzo, ricevendo un’occhiata allarmata da parte di questo. “Perché?! Io mi ero fidata di te e invece…”

“…invece non era altro che una trappola. Piaciuto lo scherzo?” la schernì Atreius. “È bastato confidarti il mio amore per farti cadere ai miei piedi come una povera scema”

“Io mi fidavo di te, non ho mai smesso di sperare che fossi buono” ribadì Rebecca, lasciando libero sfogo alle sue lacrime.

Che ingenua che sono stata…

Ora per colpa mia anche Gabriel rischia la vita.     

“Ora basta!” la aggredì Atreius, facendola tacere. “Ho un compito da portare a termine”

“Voglio la ragazza” disse Mortimer, che dal cappuccio calato sulla fronte solo gli occhi rossi erano visibili.

“Non ti azzardare!” lo minacciò Gabriel, sfoderando la sua spada azzurra.

“Avanti, fatti sotto” lo intimò Atreius, facendosi avanti.

Le coppie in quel duello erano state fatte: Atreius contro Gabriel e Rebecca contro Mortimer. Caso volle che Rebecca, ancora troppo sconvolta, non riuscì ad attaccare per prima e nel giro di due secondi si trovò catapultata con forza addosso al tronco di un albero. Sentì la sua schiena piegarsi in due e credette di essersela rotta.

Mentre i due ragazzi combattevano ad armi pari, Darth Threat usava la magia. Peccato che la ragazza fosse stata troppo debole per usarla correttamente. Tentò qualche incantesimo per bloccarlo e pietrificarlo ma il suo stato emotivo era talmente fragile che non le riuscì niente. Con un movimento della mano Mortimer la scagliò di nuovo in aria e Rebecca andò a finire contro la ringhiera del pergoletto, aveva tutta la faccia graffiata dalle schegge di legno e la schiena le doleva in maniera assurda.

Sarebbe stato molto più facile chiudere gli occhi e dormire per sempre.

Cercò Gabriel con lo sguardo e vide che anche lui era finito a terra, aveva sbattuto la testa contro un sasso lì vicino e non lo vide rialzarsi.

Gabriel…

Vide il sorrisino vittorioso di Atreius sopra di lui e, credendo che fosse veramente la fine, decise di dormire per non vedere.

“È svenuta” disse Atreius, raggiungendo il suo signore. “Che devo fare con l’altro?” chiese, riferendosi a Gabriel.

Mortimer sospirò da sotto il cappuccio. “Prendi la ragazza e portala al castello. Per quanto riguarda al ragazzo lascialo qui, quando si sveglierà avrà un gran mal di testa”



***



Sì, sì lo so!!! ho fatto super presto!! prestissimo ad aggiornare ma avevo tutto in testa ed era come se
non potessi aspettare!!!
che ne pensate???? Ho fatto correre un po' gli eventi, non volevo che si perdesse
troppo tempo a trovare rebecca!!

Il prossimo capitolo s'intitolerà: "L'URLO CHE UCCIDE" e vedremo che fine
avrà fatto quella povera ragazza...
ehehehe

Recensite, mi raccomando!!!

Ho una richiesta di aiuto da fare!!! qualcuno sa come fare per inserire in un capitolo delle immagini???
Please, se qualcuno sa mi faccia sapere!!

Bacioni...



PS: grazie per tutte le recensioni, scusate se non ho potuto rispondervi ma non ho avuto tempo!!!!











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Capitolo 18
*** L'urlo che uccide ***


Cap. 18 - L’URLO CHE UCCIDE -

[Chiudo gli occhi e trovo la strada,
non ho bisogno di pregare.
Ho camminato così lontano,
ho combattuto così duramente…
Non ho più niente da spiegare,
conosco tutto ciò che rimane
ed è un pianoforte che suona]

Lara Fabian - Adagio -



***



Quando Rebecca aprì gli occhi si sentì colpire da un violento freddo che la fece rabbrividire. Sentiva qualcosa picchiettarle la pelle di tutto il corpo, era bagnata e quando si leccò le labbra sapevano di sale e acqua. Staccò la guancia dal duro pavimento in pietra e si guardò intorno: era prigioniera in una cella con tre pareti di freddo sasso e una sbarra che dava su un corridoio buio con altre celle. Alzò gli occhi e venne accecata da un getto d’acqua tiepida che fuoriusciva da una parete. Era tutta inzuppata e quando tentò di alzarsi aggrappandosi alle sporgenze osservò meglio il fiotto d’acqua. Notò che anche nella cella davanti alla sua le pareti perdevano acqua e delle piccole nuvolette di vapore aleggiavano sul soffitto umido.

Cercò di ricordare quello che era successo e una fitta di nausea la colpì quando provò a camminare. Debole e sfinita si accasciò a terra e credette di vomitare fuori l’anima, i giramenti di testa erano fortissimi e non vedeva con chiarezza.

Si portò una mano sulla fronte per sentire se aveva la febbre ma era difficile dirlo con precisione dato che il getto d’acqua la faceva sudare e accaldare ancor di più. Era disorientata e cercò di trascinarsi verso il fondo della cella dove si sistemò con la schiena contro il muro e posò la testa fra le ginocchia.

Fece l’unica cosa che le sembrò giusta da fare in quel momento: pianse. Pianse per Gabriel, per la ferita infertale da Atreius e per la situazione in cui si era cacciata. Si sentiva una bambina impaurita che non aveva più nulla, una ragazzina alla quale avevano rubato tutto.

Alzò lo sguardo e fissò la persona che era nella cella davanti alla sua. Era una sagoma distesa e sembrava che stesse dormendo dato che il suo corpo si alzava e si abbassava in respiri regolari. L’umidità di quel posto le dava il voltastomaco e l’acqua che continuava a bagnarla la irritava, sembrava di essere in doccia!

Dopo parecchi minuti Rebecca riacquistò la lucidità e il senso di nausea era passato, come anche il mal di testa ma era ancora troppo fragile per mettersi in piedi. L’importante, per lo meno, era di aver recuperato la vista. Ora poteva concentrarsi su come fare per squagliarsela di lì il più in fretta possibile. Notò con disappunto che le mancava la spada e con essa qualsiasi cosa che avesse avuto nelle tasche.

Avrebbe dovuto ricorrere alla magia, sebbene non fosse abbastanza forte per praticarla. Non le importava, voleva andarsene e tornare al villaggio per sapere come stava Gabriel. Quando era rimasta a terra in una sorta di catalessi aveva visto il ragazzo privo di sensi poco distante da lei, non era morto benché avesse preso una brutta botta in testa. Prima di perdere completamente i sensi aveva sentito Mortimer parlare riguardo a Gabriel e al fatto che l’avrebbero lasciato lì dov’era. Non era morto, ragion per cui doveva tornare da lui.

Camminò a carponi fino alle sbarre della cella e vi si aggrappò con forza. Emise un fischio e cercò di ottenere l’attenzione dell’altro prigioniero. Quello continuava a dormire beato e, dopo aver provato tutti i tipi di richiami, Rebecca lo chiamò. “Ehi, tu! Svegliati!”

L’uomo ebbe un sussulto e si voltò spaesato verso di lei.

Aveva un volto molto famigliare…

“Chi sei tu? Non ti ho mai vista” disse, con voce impastata dal sonno. Aveva i capelli castani e una lunga barba folta, doveva avere sui quarant’anni.

Rebecca tartagliò, incapace di respirare. “M-Mi serve il t-tuo aiuto per uscire, per favore”

L’uomo scoppiò in una risata fragorosa e la guardò come se fosse impazzita. “Stai scherzando, vero?” Rebecca, confusa, scrollò la testa e l’uomo continuò dicendo: “Ragazzina, sono anni che mi trovo in questa cella. Tu credi che non abbia tentato di tutto per scappare? È inutile, non puoi farci niente, accetta il tuo destino” disse e fece per tornare a dormire quando lei lo richiamò.

“Ti sbagli, nonnetto! Questo non è il mio destino e io scommetto che posso aiutarti a scappare se mi aiuti!”

L’uomo si voltò e questa volta sembrava molto interessato. “Che vorresti dire? Sei forse una maga?”

Rebecca fece un ghigno, si vedeva lontano un miglio che era orgogliosa di quello che stava per dire. “Meglio. Io sono un angelo”

L’uomo sbarrò gli occhi come due palline da golf e si mise dritto. “Che mi venga un colpo…questo è il mio giorno fortunato!”

“Allora, mi puoi aiutare? Non ho molto tempo da perdere”

L’uomo annuì con enfasi, i suoi occhi scintillavano per l’eccitazione. “Certo che ti aiuto, io di certo non posso far nulla ma se mettiamo insieme la mia testa e i tuoi poteri abbiamo qualche speranza”

“Non mi serve una qualche speranza, mi servono certezze”

“Ehi ragazzina, siamo in guerra, niente è assicurato!”

“Dimmi quello che sai” disse Rebecca, sentendosi improvvisamente prosciugare le forze. Forse aveva sprecato troppe energie per parlare.

“Allora…” cominciò l’uomo, facendosi vicino e parlando tra due sbarre. “Per prima cosa devi sapere che noi non ci troviamo nei sotterranei come ti vogliono far credere, ma bensì nell’ultimo piano del castello. Ci sono due porte, una in fondo al corridoio a destra e una a sinistra, e ogni porta è sorvegliata da due guardie. Le guardie non sono così astute come pensi, di notte sono stanche e il più delle volte si addormentano in piedi. Quello che dobbiamo fare è superare la sorveglianza della porta in fondo al corridoio alla tua sinistra, una volta fatte fuori le guardie bisognerà procedere per un corridoio in discesa nel buio più completo. Percorri un chilometro a piedi e ti troverai nello stesso corridoio circondato però da enormi finestroni, vola fuori e portami con te…e il gioco è fatto”

Rebecca si morse il labbro. “Uhm, mi sembra fin troppo facile”

“Scherzi?!” esclamò l’uomo. “Queste prigioni non sono state certamente progettate per rinchiudere degli angeli! Noi comuni mortali non avremmo potuto scappare perché una volta usciti e percorso il corridoio avremmo dovuto continuare ad andare avanti dritti e ci avrebbero trovati gli altri della sorveglianza ma ad un essere speciale come te basta una finestra o uno sprazzo di cielo per volare via!”

“È vecchio questo castello?”

“No, assolutamente! Però quando Darth Threat l’ha fatto costruire era l’unico angelo in circolazione e non poteva certo prevedere che ne sarebbe arrivato un altro!”  

“Io ho sentito che ce n’è un altro” disse la ragazza, ricordando una conversazione che aveva avuto tempo prima con Atreius, durante un “premeditato” pick-nick.

“No, che io sappia c’era Gabriel e una donna…Aidel, se non sbaglio, ma ora lei è morta e lui è un traditore. Ah, e tu e Mortimer, ovviamente”

Rebecca abbassò lo sguardo, intristendosi. “Già…”

“Sai cosa sono i Nim, vero?”

“Certo, una volta mi sono imbattuta in uno di loro ma è stato molto tempo fa. Perché?”

“Perché siamo nel castello di Darth Threat e sappi che qua dentro o ti troverai a combattere contro il suo esercito di uomini o contro i suoi fidati Nim”

“Ce ne sono molti di Nim?”

L’uomo sbuffò, fissando il pavimento come se gli stesse contando mentalmente. “Non saprei dirti ma non ce ne sono molti, sono molto fedeli e forti ma il loro temperamento aggressivo gli fa tenere alla larga da Mortimer. Comunque fa conto che ce ne saranno una decina”

“Così pochi?”

“Sì, sono una razza ormai estinta e dato che sono tutti uomini non possono riprodursi, ti pare?”

“Ma Nim non si diventa?”

“Certo, si può diventare ma devi avere una certa dote genetica, una prestazione fisica innata che ti renda superiore altri esseri umani”

“E che mi dici dei Sentori?”

“Ah, quelli vanno e vengono…non li vedi mai in giro, sono spettri e sono incaricati di scovare delle persone, hanno un fiuto incredibile e un senso dell’orientamento formidabile”

“Quindi, escludendo i Nim e i Sentori, avrò a che fare con semplici uomini!”

“Semplici non direi, sono comunque forti e ben addestrati, anche se la maggior parte di loro hanno un cervello grande quanto quello di una gallina!”

Rebecca rise alla sua battuta e poi gli domandò, più per curiosità che non per interesse: “Come ti chiami?”

L’uomo la scrutò a lungo prima di rispondere. Che l’avesse riconosciuto? “Mi chiamo Alan”

“Non ci posso credere!” esclamò sorpresa la ragazza, spalancando la bocca. “Ecco dove ti ho visto! In un ritratto a casa di Bastian! Tu sei suo fratello! Il fratello che Mortimer aveva fatto prigioniero durante l’ultimo attaccato al villaggio circa dieci anni fa!”

L’uomo si complimentò con lei con sarcasmo. “Denoto con piacere che sono diventato famoso”

Tutto tornava: dieci anni prima Gabriel e Rosalie avevano otto anni ed era stato quando Mortimer aveva ucciso la loro famiglia e, prima che Adele ne diventasse la madre adottiva, avevano passato un breve periodo sotto la protezione di Bastian e di suo fratello Alan. Lei era già stata portata sulla Terra da Adele e aveva sette anni. Sette anni prima Mortimer era diventato malvagio e Adele, dopo la morte della sorella, l’aveva messa al sicuro in quel mondo di umani nel giorno in cui aveva compiuto il suo primo anno di vita.

Ma come? C’era una cosa però che non tornava…

Se lei aveva un anno quando Gabriel aveva tradito sua madre, questo voleva dire che Gabriel ne aveva due?!

“Alan, quanti aveva Gabriel quando gli sono state tolte le ali?”

“Oh, povero ragazzo! Era piccolo, molto piccolo. Avrà avuto due o tre anni”

“Che cosa?! Ma non è possibile!”

“Eppure è così, Gabriel è sempre stato un bambino prodigio e molto precoce, all’età di due anni sapeva già parlare correttamente, era intelligente e si era scoperto da poco un angelo. Per Mortimer è stato facile estorcergli le informazioni che gli servivano per trovare Aidel”

“Ecco perché l’ha risparmiato mentre ha ucciso Aidel! Perché infondo era solo un bambino! Era Aidel la vera minaccia dato che era grande!” ora tutto combaciava. “Ed ecco perché a Gabriel sono state tolte le ali, non per l’atto di tradimento in sé ma perché essendo stato così forte e precoce fin da bambino era pericoloso se avesse deciso di aiutare ancora Mortimer! E Adele, essendo stata l’amante di Mortimer aveva ricevuto l’esilio e ora aiuta il villaggio per riscattarsi e per Gabriel il suo riscatto consiste nel dimostrare che vale come maestro!” concluse a corto di fiato, la gola era divenuta improvvisamente secca ed era tutta rossa dallo sforzo. “Oddio che cos’ho fatto!” disse tra le lacrime, sentendosi un’idiota per averlo colpevolizzato. “Era solo un bambino…” singhiozzò tra le lacrime.  

Alan, che era rimasto in disparte a guardare il suo sfogo, decise che era meglio lasciarla finire. Sembrava veramente a pezzi quella povera ragazza, e infatti non si poteva certo spiegare a parole quello che Rebecca stava provando. Aveva odiato Gabriel per quello che aveva fatto e l’aveva trattato male, come se fosse stato un assassino che non meritava di vivere. Ma come poteva sapere che era successo quando lui aveva due anni?! Era solo un bambino e non poteva certo aver capito l’inganno di Mortimer o le sue intenzioni di morte! Quando si è bambini non si pensa mai che ci possano essere persone cattive, ecco perché si è così ingenui.

Ma lei non lo poteva sapere e Gabriel non gliel’aveva detto, malgrado lei gli avesse urlato dietro di tutto e lo aveva accusato di omicidio lui se n’era rimasto zitto.

È un ragazzo meraviglioso, pensò. Nonostante avesse potuto salvarsi dalle accuse con quella rivelazione aveva preferito essere incolpato.

Quando Rebecca finì di piangere si asciugò gli occhi arrossati. “Scusa”

“Non ti preoccupare, sono cose che capitano” la rassicurò Alan, molto premuroso.

La ragazza emise un profondo respiro per calmarsi e scacciò per un attimo tutti quei problemi. “Allora, come esco di qui?”

Alan si alzò in piedi e anche lei, un po’ a fatica, lo fece. “Io ho una spada, te la posso passare. Tu non devi fare altro che tagliare le tue sbarre e poi le mie”

“E scusa, non potevi farlo tu?!”

“Sono un uomo ma non sono così forte da spezzare queste sbarre!”

Rebecca si lasciò scappare una risatina isterica, non era pronta. Ma doveva farlo.

Proprio quando Alan stava per tirare fuori da sotto il mantello una spada scintillante, la porta infondo al corridoio a destra si spalancò. Alan rimise in fretta la spada al suo posto e Rebecca balzò indietro andando a finire contro la parete rocciosa. Sentiva dei passi percorrere il corridoio e, non sapendo che fare, si buttò per terra e finse di dormire.

Aveva gli occhi chiusi ma sentì con chiarezza che i passi si erano fermati proprio davanti alla sua cella.

“È strano ma…pensavo che fossi sveglia”

Rebecca, sentendosi avvampare, scattò in piedi e guardò con puro odio la figura terrea davanti a lei. “Strano ma speravo che fossi morto!”

Atreius rise. “Non scherzavo quando dicevo che mi piacevi, Rebecca! Sei davvero una ragazza davvero tosta, peccato che tu debba morire”

“Preferisco morire pur di stare con uno come te”

“Ah, si? No perché quando ti baciavo eri del parere contrario…”

“Basta!” lo interruppe la ragazza, arrossendo per la rabbia.

Atreius schioccò la lingua con aria indifferente. “Potresti farci un pensierino…”

“Muori” sibilò con disgusto tanto che Atreius assunse una faccia offesa.

“Come ti pare, vorrà dire che domani morirai! Intanto…devi seguirmi”

“Non ci penso nemmeno”

Un lampo balenò negli occhi del ragazzo e Rebecca si sentì d’un tratto molto debole, stanca e confusa. Cominciò a vacillare e si piegò in due finendo per terra. “Che mi stai facendo?!” urlò, in preda al panico e alla stessa nausea di poco prima.
 
Il ragazzo non le rispose ma lei sapeva che doveva averla drogata. Chiuse gli occhi e non sentì neppure i richiami disperati di Alan che la incitava a restare sveglia.



***



Diversamente dal castello di Mortimer, dove il sole non splendeva mai troppo e l’aria puzzava di morte, il bosco che circondava il villaggio era illuminato da una luce accecante e un’arietta fresca che sapeva di pulito aleggiava tra gli alberi.

Gabriel, svegliato da un improvviso mal di testa, si sentì soffocare dal caldo. Il sole picchiava nel cielo e capì che era passato un giorno da quando aveva sbattuto la testa, non aveva fatto altro che dormire per ventiquattro ore. Accecato dal male si rialzò goffamente e si sgranchì la schiena. Non fece in tempo a chiedersi che cosa era successo quando vide la spada di Rebecca a terra e i due corpi di Gustav e Ben.

Ebbe un tonfo al cuore quando arrivò alla conclusione che dovevano averla rapita. Prese la spada della ragazza e, sebbene fosse ancora molto spossato e intorpidito, cominciò a correre come un disperato verso il villaggio. Passò via la strada che aveva percorso il giorno prima e pregò con tutto il cuore che Rebecca stesse bene. Gli avrebbe ammazzati tutti se avessero osato solo toccarle un capello!

Doveva fare in fretta.

Arrivò al villaggio in un bagno di sudore e sotto gli sguardi curiosi e preoccupati degli abitanti corse dritto senza fermarsi verso la casa di Bastian, lui era l’unico che poteva aiutarlo e mobilitare abbastanza uomini affinché lo seguissero in quell’impresa. Senza chiedere il permesso né bussare si precipitò dentro e lo sguardo che Bastian gli rivolse fu impagabile.

“Che ti è successo?” domandò, alludendo al suo volto disastrato e al taglio che aveva sulla fronte.

“Mortimer ha rapito Rebecca, ho bisogno del tuo aiuto, non ci metterà molto ad ucciderla se non interveniamo!”

Bastian gli corse incontro, molto spaventato. “Oh no, non ci voleva, dannazione!”

“È stato Atreius, io credo che l’abbia raggirata” disse Gabriel, sputando fuori quel nome come se fosse stata immondizia.

“Quel ragazzo avrebbe dovuto essere morto da tempo!” protestò l’uomo, infervorandosi. Non si era certo dimenticato che quel ragazzo gli aveva posseduto la mente.

“Che facciamo?”

“Mi pare ovvio: andiamo a salvarla”

“Vuoi dichiarare guerra?”

“No, semmai voglio organizzare una spedizione per riportarla a casa. Quando Rebecca sarà di nuovo sana e salva con noi allora cominceremo a prepararci per la guerra, ragazzo mio. Abbiamo aspettato troppo allungo per ribellarci, affronteremo una volta per tutte Darth Threat e il suo esercito ma lo faremo quando anche lei sarà presente”

Gabriel, che non si era ancora calmato, chiese: “Quando partiamo?”

“Sei sicuro di star bene? Quel taglio sembra profondo…non vuoi che aspettiamo un giorno o due?”

“No” disse, digrignando i denti. “Partiamo domattina, al tramonto saremmo arrivati al castello di Mortimer”

“Sei sicuro che l’abbia portata lì?”

“Sicurissimo”

“Ok, io penso a tutto ma tu, per favore, và a farti una dormita e a disinfettare quel taglio! Ti aspetto all’alba”

Gabriel assentì con il capo e tornò a casa. Rosalie lo aspettava ansiosa sulla soglia di casa e quando lo vide arrivare gli saltellò incontro e lo abbracciò. Cominciò a piangere sulla sua spalla come una bambina, sbalzi d’umore o no, Rosalie amava suo fratello e si preoccupava per lui, diventava matta se aveva il minimo sospetto che fosse in pericolo. Gabriel l’abbracciò a sua volta e rise quando sentì il pancione di Rosalie contro il suo ventre piatto.

“Sei ingombrante, sorellina”

“Oh stà zitto! Sei qui che mi prendi in giro mentre Rebecca è tenuta prigioniera chissà dove! Come ti senti?”

“Bene fino a quando non mi hai fatto ricordare che fine ha fatto Rebecca!” borbottò con cipiglio severo.

Rosalie parve non capire. “Ma come? Non andate a salvarla?”

“Parto domani all’alba, vuoi venire?” domandò, con una sfrecciatina sarcastica.

Nonostante tutto la ragazza rise e sciolse l’abbraccio. “Mi sembrava piuttosto ovvio che fossi incinta”

“Già, e non ricordarmi chi è stato a farlo…”

Rosalie gli diede uno scappellotto e lo seguì in casa. “Sono riuscita a far rimanere la mamma per il periodo del parto, spero di fare altrettanto con voi due!”

“Non è certo colpa mia se Rebecca non è qui” disse gravemente, anche se sapeva che un po’ di colpa ce l’aveva.

“Non ho detto questo, è naturale che vorrei avervi tutti con me”

“Sì, scusami, posso capirlo”

“Domani verrà con te anche Denali”

Il ragazzo la fissò del tutto impreparato. “A-Ah si? Non sarebbe meglio che stesse a casa con te?”

“Ha voluto a tutti i costi arruolarsi in questa impresa eroica” disse la ragazza, portandosi un dito sulla bocca per trattenere una risata, non nascondeva però la sua preoccupazione. “Ti chiedo solo di tenermelo d’occhio”

“Non ti preoccupare, Rose. Te lo riporterò a casa”

Rosalie ricominciò a piangere. “Oh no! Non di nuovo, per favore!” la pregò Gabriel, lanciando le braccia in aria.

“B-Beh, s-scusa ma io sono t-triste!” balbettò la ragazza, sussultando per i singhiozzi.



***


“Dove mi state portando?!” sbraitò la ragazza, cercando di liberarsi dalla stretta di due soldati che le bloccavano le braccia.

I due uomini non risposero e lei si sentì invadere dalla frustrazione. Dopo che si era svegliata si era trovata in una barella trascinata da quattro uomini, quando videro che era sveglia la fecero scendere e due di loro le bloccarono le braccia mentre gli altri due le puntarono una spada nella schiena.

“Fa’ un passo falso e ti ammazziamo!” la minacciarono.

Se fossi più forte gli farei fuori tutti e quattro in una volta sola, pensò. Peccato che Atreius l’aveva drogata per bene e tutti i suoi sensi erano scombinati e inefficaci.

Doveva ancora capire dove diavolo la stavano portando, sicuramente al cospetto di Mortimer.

Non era la morte che temeva ma il fatto di ignorare come sarebbe avvenuta.

Tentò un’altra volta di divincolarsi per scappare ma fallì.

E bravo Atreius, solo questo sai fare: rendere idiote le persone!

La portarono lungo un corridoio privo di finestre e porte. Alan non diceva bugie quando le aveva raccontato che erano al piano superiore, man mano che proseguivano era sempre più fresco e si muovevano in discesa. Rebecca scorse un enorme porta scalfita con strani simboli infondo al corridoio.

Chissà perché non le piaceva affatto…

Gli uomini la fecero fermare davanti al portone e uno dei due che stavano dietro si sporse verso il muro per prendere un bastone che era appeso alla parete e lo battè per terra una, due, tre volte. Sembrava molto ad un richiamo o ad un segnale lasciapassare. Fatto stà che le porte si aprirono rivelando la sala del trono.

Enormi finestre corniciavano il soffitto altissimo, una luce fioca penetrava illuminando a fasce la sala. Davanti a Rebecca un tappeto nero proseguiva dritto fino ad una pedana dove al di sopra di essa c’era un grande trono nero con l’inconfondibile Mortimer seduto sopra.

L’intera sala inquietava timore ed era talmente macabra da apparire perfetta per un essere potente come Darth Threat, la stanza stessa sembrava incutere potere.

Mortimer stette fermo al suo posto e Rebecca venne trascinata in avanti finchè non si trovò al suo cospetto. La fecero inchinare e la sua testa non toccò per poco il tappetino nero.

“È sempre un piacere vederti” commentò Mortimer, incrociando le mani con i gomiti appoggiati ai bracciali.

“Mi dispiace non contraccambiare, io stavo meglio non vedendoti” disse a mo di sfida e beccandosi uno schiaffo fortissimo da parte di una delle guardie. Il colpo le fece volare in aria i capelli e il collo le scricchiolò per la velocità con il quale l’aveva girato.

Mortimer ghignò, sempre contento di vedere un po’ di violenza. Sospirò e ripetè il suo nome come una cantilena. “Rebecca, Rebecca, Rebecca…che devo fare con te?”

La ragazza posò i suoi occhi su quelli di lui e per un momento Mortimer vacillò. “Con che odio che mi guardi…” disse, profondamente ammirato e per niente intimorito.

Rebecca tornò a fronteggiarlo nonostante la sua guancia arrossata e il livido viola sul labbro superiore. “È il minimo. Vuoi che ti faccia la festa, Mortimer?”

Ricevette un altro schiaffo, questa volta la fece sanguinare. “Come osi chiamarlo per nome?” disse la guardia con tono minaccioso.

Mortimer fece cenno alla sua guardia di calmarsi. “Lascia stare, non m’importa come mi chiama. Lei è la sola che può permettersi di farlo”

Rebecca strizzò gli occhi, per pochi secondi aveva smesso di vedere.

Possibile che dovevano trattarla così? Erano passati i bei tempi dov’era una ragazza come tutte le altre che andava in discoteca e conosceva ragazzi carini di altre scuole…

“Domani ho intenzione di dare un bello spettacolo per gli abitanti del tuo villaggio” Rebecca lo guardò, intimandolo di andare avanti. “So già che hanno mobilitato un piccolo esercito per venire a salvarti, dovrebbero partire domani mattina all’alba. Per arrivare al mio castello devono passare per la scogliera che fiancheggia il mare…” Rebecca ricordava bene quella scogliera, la rupe oltre il bosco del villaggio era il suo posto preferito. Intendevano forse ucciderla là? “…e sarà in quel posto dove tu ti farai trovare”

“Intendi ammazzarmi ed esibirmi al loro passaggio? È questo che vuoi?”

“Oh, no…sarà molto, molto peggio”

Rebecca colse una nota di squallore in tutto quel discorso e temette per la propria vita. Che cosa aveva in serbo Mortimer per lei di così disgustoso?

La ragazza deglutì. “Devo dedurre che la cosa peggiore all’uccidermi sia quella di tenermi in vita?”

“Ti basti sapere che preferirai morire”

“Facciamo una cosa, dato che non vedo l’ora di andarmene da questo posto perché non mi ammazzate ora?”

“Scherzi con la tua vita?”

“È una cosa che mi riesce bene in effetti” una delle guardie minacciò di tirare fuori la spada e l’avvertì con lo sguardo. Rebecca le fece una smorfia.

“Vedo che ti piace prendere in giro le mie guardie” osservò Mortimer, pregustandosi altra violenza. Non avrebbe di certo fermato il suo uomo se avesse voluto punire la ragazza per la sua sfrontatezza.

Rebecca rispose con voce calma e provocatoria. “Prendo in giro solo le persone stupide”

A quel punto la guardia tirò fuori la spada e gliela puntò alla gola. “Ora basta”

Mortimer battè due volte le mani e il soldato ripose l’arma con disappunto.

“Portatela via e chiamatemi Atreius”

Le quattro guardie fecero fare a Rebecca un altro inchino e la trascinarono via, prima di uscire dal portone la ragazza si sentì chiamare da Darth Threat. Si voltò con il volto cupo e gli occhi ridotti a due fessure.

“Un ultimo desiderio prima di morire?”

Rebecca finse di pensarci su. “Sì, vorrei che andassi al diavolo”

Le guardie imprecarono e con una spinta la buttarono fuori dalla sala del trono, Rebecca sentì la risata di Mortimer prima che il portone si richiudesse.

Beh, almeno si era fatta valere.

Almeno credo.


***



Quella sera Mortimer chiamò per la terza volta Atreius perché drogasse la ragazza. Atreius accettò senza batter ciglio la richiesta di suo padre e le fece bere una strana sostanza mentre dormiva nella sua cella, incurante di quello che le stava accadendo.

“È in gamba la ragazza, non teme la morte e sento che è molto potente”

Atreius contemplò il profilo dell’uomo allungo. “E questo è un bene o un male?”

“Se fosse dalla nostra parte ti direi che è un bene ma essendo nostra nemica non posso che temerla”  

Il ragazzo rimase interdetto. “Ma come? Voi, padre, che avete paura di una ragazzina inesperta?”

Mortimer posò gli occhi sul figlio, disapprovava il fatto che lo chiamasse “padre” ma glielo concedeva quando erano soli. “Il punto è che una ragazzina cresce e diventa una donna. Lei ha qualcosa di più, è come se fosse completamente un angelo”

“State dicendo che secondo voi i suoi genitori sono entrambi degli angeli?”

“Ho paura di sì”

“Ma se questo che dite è vero potrebbe diventare addirittura più forte di voi! Dopotutto voi siete un angelo a metà dato che solo vostro padre lo era”

Darth Threat lo fulminò. “Non mi vanto certo della mia metà umana. Quella ragazza và eliminata prima che possa diventare una minaccia. Non deve sapere delle sue metà angeliche, scommetto che ignora l’entità del padre, sicuramente penserà che sia stato un semplice contadino” Mortimer guardò fuori dalla finestra e vide il sole tramontare. “Andiamo, forza, basta parlare”

Atreius seguì il padre lungo i corridoi del castello. Atreius era nato dall’unione di Mortimer con una ninfa del fuoco: Magdala, ma non era mai diventato un angelo, per la scontentezza del padre, che invece bramava un erede altrettanto potente. Atreius però si accontentava di essere un Nim.

Trasportarono il corpo addormentato della ragazza su una barella grazie a cinque uomini e c’erano inoltre Atreius e Mortimer; pochi ma buoni.

Camminarono per tutta la notte e arrivarono alla rupe proprio quando stava per sorgere l’alba. I cinque uomini apparivano affaticati e assonnati mentre Mortimer e Atreius erano arzilli come se la notte passata a camminare non gli avesse per nulla toccati.

“Mettetela lì” ordinò Darth Threat, e i cinque uomini adagiarono la barella per terra nel punto indicatogli dal loro padrone.

“Che intendete fare?” domandò Atreius, che lasciava facilmente capire la sua morbosa curiosità.

“Ora vedrai”

Mortimer aprì il mantello che gli teneva nascoste le mani e cominciò a recitare un’antica e potente magia. In men che non si dica tutto si compì e Atreius rimase stupefatto.

“Incredibile…”



***



Cioè, sono una bomba ad orologieria!!! Finito pure questo!!!
Sarò mitica!!

Recensite!!!

Il prossimo capitolo s'intitolerà: "FACCIA A FACCIA CON IL DOLORE"

Ci sentiamo al prossimo aggiornamento, baci!!!



I "THANKS":

"OASIS": ed ecco il seguito!! spero che ti piaccia, fammi sapere mi raccomando. grazie del complimento per come scrivo, son contenta che mi segui sempre nei capitoli!! baci

"NIKKITH": Atreius è vero, è proprio stronzo ma vedrai più avanti come la storia tra rebecca e atreius prenderà un risvolto!!!! ti stupirà...

"KICICI": sono veramente contenta che ti sia piaciuta, aggiornando ogni capitolo non è che rileggo ogni volta quelli precedenti e se mi dici che nell'insieme è molto scorrevole e ben costruita posso stare tranquilla!! aspetto una tua recensione per sapere che ne pensi di questo o dei capitoli futuri, grazie.

"BELLA4": eheheh, contenta???? gabriel sta benone apparte qualche dolorino alla testa, quella messa male poveretta è rebecca ma non ti preoccupare che il bell'imbusto la salverà!!!!

"CHICCA90": ehehehehe, angeli e demoni deve ancora venirmi lo spunto giusto per continuare il capitolo!!! aggiornerò quando mi inventerò qualcosa di bello!!! comunque Atreius aveva fin dall'inizio pensato a farlo così stronzo perchè è figlio di mortimer e perchè deve esserci qualche antagonista oltre a quello principale!! lui è più un aiutante!! fammi sapere come trovi questo capitolo che ho aggiornato presto prestissimo!!!!

"ANGEL_OF_DARKNESS": proprio!!! gabriel è un arcangelo proprio niente male!! spero che ora seguirai e recensirai la mia storia!! fammi sapere, baci

"DEMETRA85": grazie per la recensione e perchè hai seguito finora la storia, recensisci per farmi sapere come trovi il capitolo!!!


BACIONI, FEDERICA...


 

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Capitolo 19
*** Faccia a faccia con il dolore ***


Cap. 19 - FACCIA A FACCIA CON IL DOLORE -

[Parole come “violenza”
rompono il silenzio,
fanno irruzione
nel mio piccolo mondo,
sono dolorose per me:
riescono a penetrarmi.

Le promesse sono dette
per essere infrante,
i sentimenti sono intensi,
le parole sono insignificanti,
i piaceri rimangono
così come il dolore.
Le parole non hanno significato
e sono dimenticabili.

Goditi il silenzio]

Lacuna Coil - Enjoy the silence -



***



Era la notte più buia che Gabriel avesse mai visto, non una stella, non una nuvola…niente di niente, solo il nero pece che confondeva l’inizio del cielo e la fine della terra. Andava sempre a finire così, la notte prima di un giorno importante lui non riusciva a dormire, preferiva starsene davanti ad una finestra o a leggere.

Come si poteva biasimarlo, dopotutto?

La sorte della ragazza gli stava troppo a cuore e Gabriel non si era mai sentito tanto preoccupato per una persona, neppure con Rosalie. Rosalie era sua sorella e l’amava in quel modo in cui si amano i famigliari: con affetto e dedizione. Ma Rebecca cos’era? L’amava diversamente, con passione, con desiderio, con fisicità…

Gabriel rise.

Era forse innamorato?

“Era ora che succedesse!” poteva sentire la vocetta eccitata e contenta della sorella se glielo avesse detto.

Come si era trovato immischiato in cose più grandi di lui?

Che lui sapesse l’amore non dura mai per sempre e prima o poi tutti se ne vanno. Lei sarebbe diventata un angelo bianco e avrebbe di conseguenza ricevuto l’immortalità. Lui non l’aveva voluta ed ora era un semplice essere umano, mortale e inferiore.

Lei avrebbe avuto per sempre diciotto anni. Lui i suoi diciannove anni non se gli sarebbe tenuti.

Lei sempre giovane e bella. Lui un vecchio senza più prospettive nella vita.

Gabriel si passò una mano sul viso, frustrato. Se solo fosse anche lui un angelo! Come sarebbero diverse le cose!

Si picchiettò un dito nella tempia e cercò di non pensarci. Finchè potevano era giusto che stessero insieme. Nel momento in cui lui sarebbe diventato troppo grande e vecchio per lei l’avrebbe lasciata. L’immortalità poteva essere un bellissimo dono ma per alcuni era una condanna peggiore della morte.

Gabriel sentì bussare alla porta. Guardò l’ora e scese ad aprire. Si stupì di trovarsi di fronte Denali.

“Non riuscivi a dormire?” chiese il ragazzo.

Denali socchiuse gli occhi. “Non sono l’unico, per lo meno”

“Entra”

Denali entrò in casa e si tolse il cappotto che tenne sotto il braccio, seguì Gabriel in cucina e si sedettero in due sedie.

“A che cosa devo la tua visita alle…” Gabriel ricontrollò l’ora. “…due di notte?”

“Te l’ho detto, non riuscivo a dormire”

“Come facevi a sapere che non dormivo neppure io?”

Denali lo guardò con ovvietà. “Scherzi, vero? Secondo te io dormirei se al posto di Rebecca ci fosse Rosalie?”

“Parlando di mia sorella…” disse, con sguardo indagatore. “…cos’è questa storia che la vuoi sposare?”

Denali per poco non si soffocò. “Ma di che parli?”

“Non fare il finto tonto! Rosalie ieri è venuta a casa mia e dopo essersi scolata bicchieri d’acqua e aver smesso di piangere mi ha detto, accidentalmente, che tu volevi procurarti le fedi da Ares”

“Beh, sarebbe un idea…”

“È pericoloso, Denali. Ti pare che sia normale con un bambino in arrivo andare a fare l’eroe in cerca di due pezzi di ferretto?”

Il volto di Denali s’incupì. “Non vado a fare l’eroe” scandì bene le parole. “Ma tanto tua sorella non me lo permette, minaccia la separazione” borbottò con l’espressione da cane bastonato.

“Fai sul serio con lei, no?”

“Ti dirò la verità, all’inizio era cominciato tutto come una bella storia senza tanti impegni ma poi devo ammettere, sfortuna mia, che mi ci sono trovato dentro fino al collo! Ora è troppo tardi per sbarazzarmi di lei, ahimè…” sospirò.

Gabriel si adombrò. “Stai dicendo che se non fosse rimasta incinta l’avresti lasciata?”

Denali assunse un’aria sconvolta. “No! Intendevo dire che ora è troppo tardi per farlo perché l’amo e il bambino è una benedizione, anche se con questi tempi sarà dura crescer…”

“Non appena Rebecca sarà salvata attaccheremo una volta per tutte il castello di Mortimer”

“Oh”

Il silenzio calò nella stanza, interrotto solo dallo scricchiolio dell’acqua nel lavabo. “Non lo sapevo”

“Parteciperanno tutti gli uomini”

Vedendo la faccia triste di Denali, Gabriel fu costretto a dire: “Non voglio che tu venga”

Denali lo guardò con un misto di gratitudine. “Perché?”

“Per il bambino, Rosalie mi renderà la vita un inferno se ti porto con me in questo periodo”

“Grazie!” disse il ragazzo saltandoli addosso e abbracciandolo fraternamente. “Così tua sorella non mi ammazza!”

Quando Denali se ne andò, Gabriel potè finalmente dormire. Si convinse che tutto sarebbe andato bene.

Tutto era sottocontrollo.



***



L’aria della mattina pizzicava la pelle. Gabriel, assonnato, si passò una mano sul viso e si grattò le guancie sbadigliando apertamente. Avrebbe dovuto trovarsi già da un pezzo al punto di incontro per la spedizione ma non appena era riuscito a chiudere occhio la sveglia era suonata un’ora dopo. L’aveva scaraventata addosso al muro e aveva ripreso a dormire. Quarantacinque minuti dopo era scattato a sedere con uno sguardo di puro panico. Aveva buttato in aria le coperte ed era sceso a cambiarsi.

Chissà perché era convinto che Rebecca fosse a casa e che fosse scesa a far colazione. Si era completamente dimenticato della missione, come se avesse scambiato la realtà con i sogni.

Quando Bastian lo vide arrivare si mise le mani sui fianchi, il suo cipiglio severo garantiva solo un rimprovero.

“Ecco il Bello Addormentato” disse con aria boriosa, suscitando dei cori di risate tra gli uomini intorno. Poi si fece vicino a Gabriel e gli sussurrò all’orecchio: “Pensavo che questa missione ti stesse a cuore. Devo aver frainteso tutto”

Gabriel rimase fermo e lo fulminò con gli occhi. “Andiamo o dobbiamo aspettare ancora allungo?”

“Noi aspettavamo te”

“Non credo che un paio di minuti possano cambiare la missione”

“Pochi minuti no, ma se sono quasi sessanta allora può essere. Parlo più che altro per Rebecca, a lei sì che peserà il tuo ritardo”

Gabriel fece per ribattere ma Bastian lo zittì con un’alzata di mano. Diede il segnale di partire e si mise davanti al gruppo. Gabriel lo raggiunse e Bastian sbuffò contrariato.

“Mi serve che qualcuno serri i ranghi di dietro”

Il ragazzo lanciò un’occhiata all’ultimo della fila e vedendo che era un buon soggetto, ribattè con insistenza: “Non credo che serva il mio aiuto, ho deciso che passerò il tempo a chiacchierare con te qui davanti”

Bastian fece finta di non notare la nota ironica e procedette dritto senza indugi. Nonostante l’età era un ottimo soldato. “È meglio che tu non stia alla mia destra perché se passiamo a ridosso della scogliera potrei accidentalmente buttarti giù” voleva essere una battuta ma Gabriel non rise. “Scherzavo!” esclamò Bastian strabuzzando gli occhi.

Gabriel scrollò la testa. “Scusami, è solo che tutta questa situazione non fa che mettermi addosso una paura folle. E se arrivassimo e lei…?”

“Mortimer non la ucciderà subito”

“Tu dici? Io penso invece che gli piacerebbe molto farlo”

Bastian fece una smorfia come se avesse voluto scacciare una mosca fastidiosa.

Stavano percorrendo a piedi il bosco e non mancava molto affinché arrivassero alla scogliera.

“Dovremmo arrivare tra un po’…” disse Bastian, parlando tra sé e sé.

Il ragazzo lo guardò con aria interrogativa e l’uomo si spiegò meglio: “Dovremmo arrivare nel sentiero che fiancheggia la scogliera. È abbastanza pericoloso quel tratto di strada perché se Mortimer ci volesse attaccare gli basterebbe poco farci cadere tutti in mare”

“Arriviamo alla rupe?”

“Ne parli come se la frequentassi da sempre” osservò il capo-villaggio con aria assente, intento a perlustrare il perimetro della zona e a seguire la conversazione.

“Beh, a Rebecca piaceva andarci spesso” disse con una leggera nota di malinconia. Tutt’un tratto non aveva più tanta voglia di parlare.

“Bene, vorrà dire che quando tornerà a casa la porterai là per un pick-nick”

“Mi piacerebbe ma appena torna dovremo organizzare la battaglia finale”

“Sì, ma ci vorranno giorni, anche una settimana per preparare tutto. Ci servirà un piano, un esercito corposo, delle armi e delle istruzioni da dare agli uomini. Nel frattempo vale il detto: “la quiete prima della tempesta”.”

“La quiete…” ripetè il ragazzo. “Non ho mai capito bene che cosa sia”

“Lo capirai, ti basterà solamente non pensare ai tuoi doveri ma ai tuoi desideri e viverli con calma”

Gabriel rise. “E quando mai ho potuto? Sono inesperto di queste cose”

“Beh, tutti gli eroi lo sono”

“Mi stai considerando un eroe?”

“Lo sei stato, dipende da te ora tornare ad esserlo oppure no”

“A me piaceva esserlo”

“Allora dovrai essere pronto a soffrire. Non è quello che fanno tutti gli eroi?”

Gabriel osservò l’amico vicino a lui e provò per Bastian un immenso affetto. “Anche tu lo sei, Bastian”

Bastian sbuffò. “Io sono solo un umano”

“Sì, ma l’umano più forte di tutti!”

“Quello sei tu”

“Ah, giusto”

“Apprezzo comunque i tuoi tentativi di elogio, sono rari e molto confusionari”

Entrambi risero ma poi si fecero subito seri quando notarono, in lontananza, la fine del bosco. Erano trascorse due ore e, parlando del più e del meno, non si erano neppure accorti del tempo che passava. Si potè sentire come improvvisamente la tensione degli uomini salì alle stelle, ma mai come quella di Gabriel che iniziò a correre.

“Che fai?!” gli gridò dietro Bastian.

Gabriel si voltò indietro mentre correva, il respiro era pesante e la fronte sudata. “Magia! Percepisco un enorme campo di magia oscura!”

Bastian s’inorridì. “Oh Signore salvaci…”

“Dobbiamo procedere, signore?” domandò il primo soldato della fila.

Bastian assentì, deglutendo, e disse di stare attenti: probabilmente Darth Threat era a pochi passi da loro.

Gabriel fu il primo ad uscire dal bosco e rimase paralizzato da quello che vide. Credette che il suo cuore avesse smesso di battere e il fiato gli morì in gola. Fu scosso da brividi in tutto il corpo che lo fecero sussultare come percorso da potenti scosse elettriche. Si accasciò al suolo con le ginocchia e tentò di parlare, ma invano.  

Rebecca era stata crocifissa e messa infondo alla rupe. Sembrava addormentata, priva di conoscenza…le braccia erano aperte ed erano inchiodate, come pure i piedi, alle assi di legno che formavano una grande “più”.

Il sole stava sorgendo e il cielo dietro di lei era di un colore arancio, giallo e rosa. In altri momenti sarebbe stato piacevole osservarlo.

Quando gli altri arrivarono si bloccarono alla vista della ragazza, sembrava morta. Forse lo era per davvero.

Gabriel le andò vicino ma non appena provò a raggiungerla un campo di forza lo scaraventò con forza indietro e finì per sbattere la schiena ai piedi di Bastian.

“Una barriera non ci permette di raggiungerla” disse Bastian con ostentato controllo.

Il ragazzo si rialzò ed era disperato. “Dobbiamo tirarla giù di lì! La barriera che la protegge si sta nutrendo di lei! La troveremo morta se aspettiamo che le succhi ancora forza!”

Bastian cercò di ragionare su cosa fare. “Allora, tenendo presente la situazione io direi di rimandare indietro l’esercito dato che non occorrerà attaccare il castello, lei è qui ed è l’unica cosa che ci interessa. Le sole persone che possono aiutarla e che si intendono di magia siamo io e te Gabriel, perciò finchè riporterò gli uomini al villaggio e gli darò istruzioni valide tu aspettami qui e vedi che possiamo fare, ok?”

Gabriel non rispose, si sentiva svuotato. Vide i suoi amici e Bastian tornarsene indietro e prendendo un bel respiro si voltò verso Rebecca. Costringendosi il massimo autocontrollo si avvicinò allo scudo magico e, come un medico che esamina un paziente, analizzò di che tipo di magia si trattasse. Lanciava delle rapide occhiate alla ragazza per verificare le sue condizioni: stazionarie.

Prese un bel respiro e provò a toccare la barriera. Ricevette una scossa blu che lo spostò appena. Si trattava di un semplice campo energetico, Mortimer non doveva aver sprecato molte delle sue forze per innalzarlo. Dopotutto al villaggio erano tutti umani e non valeva la pena di usare una magia tanto potente, quando alla fine anche quella più debole non sarebbero stati in grado di annientarla. Darth Threat, in poche parole, aveva dato il minimo di sé stesso, convinto che dei semplici esseri umani non avrebbero comunque potuto niente contro la magia che era dei “superiori”. Solo Rebecca e Mortimer potevano distruggerla ma Mortimer era fuori discussione che lo facesse di sua spontanea volontà mentre la ragazza non era al momento in grado.

Arrivò Bastian, di corsa e tutto trafelato. Si posò sulle ginocchia per riprendere fiato. “Non ho più la resistenza di un tempo…allora, cos’hai scoperto, Gabriel?”

“Mortimer ha innalzato una semplice barriera impenetrabile di base, se si fosse un essere magico ci si metterebbe pochissimo a distruggerla ma penso che l’abbia fatto apposta a renderla così debole dato che qui siamo tutti umani. Per concludere: non possiamo fare nulla” disse con voce mesta e addolorata.

“Non c’è un modo per risvegliare Rebecca?”

“No, temo che sia in un sonno perenne”

“Questa non ci voleva…se solo tu fossi un angelo a questo punto…”

“…a questo punto la barriera sarebbe più forte e indistruttibile” concluse, gravemente. “E io forse io sarei già morto da un pezzo”

“Devo tornare al villaggio subito! Non preoccuparti Gabriel, troveremo qualche stregone, qualche mago o…qualsiasi essere che sia disposto ad aiutarci! Tu intanto…”

“Ti aspetto qui” disse Gabriel, con tono irremovibile.

Bastian lo scrutò preoccupato. “Forse dovresti…”

“Ho detto che rimango qui e da qui non mi muovo”



***



Era il tramonto, i colori erano tornati quelli dell’arancio, del giallo e questa volta anche del rosso. Gabriel se ne stava seduto per terra con le ginocchia racchiuse e con lo sguardo rivolto verso l’alto. Non sapeva di preciso cosa stesse aspettando, forse voleva solamente vederla aprire gli occhi.

Come esaudita un preghiera, Gabriel vide Rebecca strizzare gli occhi con dolore. Si alzò di  scatto in piedi, colmo di speranza.

Lentamente la ragazza aprì gli occhi e fece cadere la testa in avanti, tanto che i capelli le nascosero il viso. La sua faccia era una smorfia di un dolore insopportabile.

“Rebecca…” provò a chiamarla il ragazzo timidamente.

Lei alzò il viso e quando lo vide distese le labbra in un sorriso sereno, nonostante il male le deformasse i lineamenti.

“Vattene”

Gabriel non credette di aver sentito bene. “Come?”

“Vattene” ripetè la ragazza con voce impastata.

Per Gabriel fu un duro colpo, le speranze si frantumarono. “Non capisco, io…”

“Non voglio che tu mi veda morire” sussurrò Rebecca, facendo cadere la testa. “Per favore…”

Gabriel ingoiò il vuoto per non mettersi a piangere e cominciò a grattarsi le mani nervosamente. “Non dire stupidaggini, tu non morirai, tu…”

“Questa barriera può essere dissolta solo da chi ha poteri di angelo. Io non posso, sono troppo debole, non ho più forza…” soffocò un gemito e strinse i denti per non urlare dal male.

Si stava pian piano spegnendo.

“Che devo fare? Dimmelo…” gemette il ragazzo, sull’orlo delle lacrime.

Rebecca sorrise. “Voglio che tu ricorda…” Gabriel cominciò a scuotere insistentemente la testa non volendo accettare la realtà. “…e voglio che tu prenda il mio posto in questa battaglia”

“No…” mormorò Gabriel in una maschera di disperazione. “Ti supplico…”

Poi, come illuminato, le parole di Bastian e di Rebecca lo colpirono alla testa velocissime.

Se solo tu fossi un angelo…

Voglio che tu prenda il mio posto in questa battaglia.

Chi ha poteri di angelo.

“So che cosa devo fare”

Rebecca lo guardò, con una strana e incantevole luce di vitalità negli occhi. “Che intendi fare?”

Gabriel sembrò valutare se era il caso oppure no di dirglielo. Beh, tanto l’avrebbe saputo entro breve.

“Ho intenzione di chiedere al Consiglio che mi ridiano i poteri”

La ragazza non mosse un muscolo, parve in un certo senso approvare l’idea di Gabriel.



***



Gabriel illustrò il suo piano a Bastian e lui ne fu prima felice e sorpreso, poi sgomento e allarmato.

“Uhm…quello che dici è fantastico ma…tu credi, insomma, che ti ridaranno i tuoi poteri così? A loro non interessano le situazioni, vogliono i risultati”

“Posso convincerli” tentò Gabriel, con voce speranzosa.

“Quindi vuoi proprio avere un colloquio con loro”

“Sì, assolutamente. Solo così posso salvare facilmente Rebecca”

“Ok, non sarò io a fermarti. Sai dove trovarli?”

“E che ci vuole! Se gli chiamo scommetto che mi si presentano davanti in meno di due secondi”

“Allora fa in fretta” lo avvertì l’uomo, ciondolando una mano. “Prima agiamo meglio sarà per tutti”

Gabriel respirò piano, controllandone il ritmo perché si stava agitando. “Voglio davvero salvarle la vita, ora sento che abbiamo una possibilità!”

“Ora vado a farmi un giro e finchè son via voglio che tu chiama gli angeli superiori. Quando torno voglio vederti quello di una volta”

Bastian gli fece l’occhiolino e per Gabriel tutta la paura, lo sconforto e il senso di perdita che l’avevano divorato parvero cedere il posto alla speranza, alla lucidità e alla gioia.

Finalmente tutto sarebbe andato come doveva andare e lui si sarebbe riscattato.

Ogni angelo conosce il codice per chiamare il Consiglio, egli stesso agli inizi del suo insegnamento con Rebecca gliel’aveva con pazienza fatto imparare. Recitò la formula in una strana lingua, né scritta né parlata. Una lingua magica, con vibranti “s” e parole dure, che non si può apprenderla se non si è magici abbastanza da poterla intendere.

Finì di recitare l’ultima frase quando dal soffitto della casa comparve un raggio luminoso di una luce argentata. Una strana scia di vapore acqueo diede la forma di un uomo che parlò al ragazzo da sotto il bianco mantello coprente. “Sappiamo perché ci hai chiamati, Gabriele”

“Bene, allora saprai anche cosa devi fare ora”

Susseguì un minuto di silenzio nel quale Gabriel percepì dell’ostilità nei suoi confronti. Le sue sicurezze vacillarono.

“Noi non abbiamo intenzione di ridarti tutti i tuoi poteri, non hai ancora superato il tuo esame” disse la figura ambigua in tono imperioso, e il ragazzo si afflosciò nello sconforto. “Tuttavia vogliamo aiutarti. Ti ridaremo soltanto i tuoi poteri magici, non ritornerai angelo e non riavrai le ali…per ora”

La nuvola di vapore si dissolve e con essa pure il fascio di luce abbagliante.

“Tutto qui?” domandò il ragazzo sarcasticamente, aggrottando le sopraciglia.

Non appena finì di parlare una lama di luce dorata trapassò il soffitto e lo colpì in pieno petto, perforandolo. Gabriel aprì le braccia e si lasciò andare alla bellissima sensazione che lo stava invadendo. Si sentiva veramente bene, come se quel fascio di luce lo stesse rigenerando. Quando tutto finì il ragazzo si tastò incerto le mani e le braccia. Ammirò compiaciuto il suo corpo, era lo stesso, certo, ma lui sapeva che c’era di più.

Ora era magico.

Tanto per provare puntò il palmo aperto della mano su una sedia e questa schizzò come colpita fuori dalla finestra, rompendosi in mille pezzi quando sbattè contro il tronco di un albero. La puntò di nuovo contro un vaso e questo si spezzò diventando tre colombe che volarono indispettite alla rinfusa.

Non si era dimenticato come funzionava la magia e non aveva scordato tutto quello che aveva imparato, sebbene fosse successo nei suoi primi due anni di vita.



***



Arrivò da Rebecca con un’agilità e una velocità fuori dalla comune normalità. La ragazza posò i suoi occhi su di lui e che capì che il cambiamento era avvenuto.

I lineamenti di Gabriel, la sua tonicità muscolare, erano cambiati in maniera impressionante. Appariva più vivo e il suo corpo trasudava potenza magica. Quando si avvicinò a lei però non vide quel rotondo rigonfiamento sulla schiena che indicava l’involucro contenenti le ali. Era magico ma non era ancora tornato un angelo.

Lo vide venire più vicino, tanto che il suo corpo sfiorava la barriera che la racchiudeva. Trattenne il respiro quando lo vide alzare una mano per toccare lo scudo.

Gabriel toccò con la mano aperta la barriera e sembrò quasi che la stesse accarezzando, ma Rebecca sapeva che stava usando un incantesimo.

Gabriel era concentratissimo, quando era arrivato non aveva neppure parlato con lei, si era precipitato verso la barriera, desideroso di distruggerla. Poteva sentire le sue forze prosciugarsi man mano che usava la magia per abbattere la protezione.

Alzò gli occhi per guardarla e vide il suo volto stanco e angosciato.

“Non ti preoccupare” le sussurrò con convinzione. “Fidati di me”

Rebecca gli fece un cenno del capo e aspettò.

Poco dopo potè sentire la barriera cederle sotto gli occhi, potè sentire la fine della forza che le prosciugava le forze e la vivacità tornò a dominarla. Mentre il ragazzo la fissava in attesa, lei con uno strattone si liberò dei chiodi che le tenevano prigioniere le mani e le gambe. Cadde in avanti con tutto il peso e Gabriel la prese prontamente tra le sue braccia.

Si era macchiata di sangue dappertutto e il ragazzo la guardò malissimo. “Non potevi usare la magia per toglierti di lì?”

Lei lo guardò con severità. “Mi pareva di averti detto che non sono in grado di usarla momentaneamente”

“Potevi chiedermelo”

“Stà zitto e baciami”

“Ok”

La baciò con tutto l’amore di cui era capace e Rebecca ne rimase piacevolmente coinvolta, stupefatta di sentire tanto sentimento da parte di lui. Gli posò una mano sul collo e lui aumentò la prese sui suoi fianchi. Quando si staccarono rimasero a guardarsi negli occhi.

Il volto di Gabriel era serio e sereno allo stesso tempo. “Sarà meglio che ti riporti a casa, domani abbiamo una guerra”

Il movimento brusco della ragazza tra le sue braccia lo costrinse a fermarsi bruscamente.

“Che cosa?!”



***



Ho deciso di postare questo capitolo proprio oggi!!! Eh già...oggi perchè domani si ricomincia scuola!!!! Provate ad indovinare la mia faccia...
Ho concluso il capitolo velocemente e spero che vi sia piaciuto comunque!!
Mi scuso se non ringrazio le precendenti recensioni ma sappiate che le leggo
e che ne sono contenta!!!!

Fatemi sapere con i vostri commenti!!!

Al prossimo capitolo: "A TESTA ALTA"

BaCiOnI FeDeRiCa...









 



 
 


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Capitolo 20
*** A testa alta ***


Cap. 20 - A TESTA ALTA -

[Mi prenderò il mio tempo,
lei si sta prendendo il suo tempo prima di me.
Lo prenderò lentamente,
non mi affretterò per passeggiare]

Snoop Dogg - Sensual seduction -



***



Senza fare deviazioni né soste, Gabriel portò Rebecca in braccio fino a casa. Aprì a fatica la porta e percorse le scale traballando con lei aggrappata alle spalle molto simile ad un koala ridente. La fece stendere sul grande letto della sua camera e le accarezzò pigramente una guancia. Si stese sopra di lei e rimase per qualche secondo ipnotizzato dal suo volto, con quegli occhi che lo fissavano insistentemente. Era stanca, si vedeva benissimo ma lui non riusciva a fermarsi perché ormai era troppo tardi. La baciò sull’angolo sinistro della bocca, scese verso il mento e poi sul collo. Risalì per baciarle la guancia, il naso e più in su, verso la fronte. Ritornò dove voleva arrivare fin dall’inizio: le labbra.

La baciò con una tale passione che Rebecca gemette contro la sua bocca. Le mani del ragazzo cominciarono a vagare sul suo corpo, scendendo fino a posarsi sui suoi fianchi e lì rimasero fin quando Rebecca, con un movimento del bacino, lo invitò ad andare avanti. Gabriel ebbe un fremito di eccitazione, si fece più audace e scese fino a massaggiarle la coscia. Rebecca si mosse convulsamente sotto di lui e strizzò gli occhi che si erano improvvisamente appannati. Gabriel affondò il viso nell’incavo del suo collo e inspirò il profumo della sua pelle.

Tornò a guardarla con gli occhi scuriti dal desiderio e quando vide che lei non era per niente spaventata cominciò a slacciarsi i bottoni della camicia. Lei rimase a guardarlo, incantata, perfettamente conscia di quello che stava succedendo e desiderosa affinché avvenisse.

Gabriel lasciò cadere indietro la sua bianca camicia, rivelando un petto scolpito e muscoloso con spalle larghe e solidi addominali. Rebecca posò le mani sul suo petto e lui ritornò su di lei per fare altrettanto con la sua uniforme. Era arrivato al secondo bottone quando la porta della camera si aprì di colpo.

“Che bello averv…” la faccia di Rosalie passò dall’euforia all’orrore più totale. “Oh mio Dio!” si coprì gli occhi immediatamente e arrancò alla ricerca della maniglia per uscire.

Gabriel si rivestì in fretta e altrettanto fece Rebecca, dandosi una lisciata ai capelli e abbottonandosi i due bottoni.

Il ragazzo raggiunse la sorella che era scandalizzata. “Senti, non andare, posso offrirti qualcosa? Un thè? Un po’ di acqua?” domandò con voce mortificata.

Rebecca era dietro di lui, rossa come un peperone. “Sì, dai Rosalie, non andartene” la pregò incrociando le braccia al petto.

“Che imbarazzante…”

Tutti e tre i ragazzi evitarono di guardarsi in faccia e fissavano il vuoto a caso.

“Ho saputo che ti hanno ridato i poteri!” intervenì Rosalie, rompendo il ghiaccio.

Gabriel sussultò, probabilmente era caduto in uno stato di semi-incoscienza. “Oh sì! Alla fine hanno fatto qualcosa di buono”

“Non vaneggiare, loro sanno sempre cosa fare”

“Scusa…” Rebecca ottenne l’attenzione del ragazzo e alquanto perplessa gli chiese: “Io non capisco una cosa: quando abbiamo fatto uno dei primi addestramenti e io non sapevo ancora usare la magia…io…io mi ricordo, Gabriel, che tu avevi usato un incantesimo su di me per stendermi. Com’è possibile se non avevi i poteri?”

“È vero, non avevo i miei poteri ma…diciamo che alcuni incantesimi si possono praticare anche senza essere degli angeli, basta sapere il rito o la formula, sono talmente semplici che un essere umano è in grado benissimo di usarli”

“In poche parole sono delle filastrocche che ti impari a memoria e poi reciti ad alta voce” disse Rosalie, a mo di chiarezza.

“Non potevi insegnarmeli?” domandò la ragazza a Gabriel con cipiglio severo.

Gabriel indietreggiò. Lo metteva sempre in soggezione quando lo guardava in quel modo. “Beh, non è meglio ora?”

Rebecca emise un ghigno tutt’altro che simpatico. “Sono molto tentata di farti volare fuori dalla finestra”

“Tu devi solo provarci” la minacciò lui, puntandole un dito contro.

Rebecca si mise le mani nei fianchi, paonazza. “Si può sapere perché devi sempre farci litigare?”

“Beh, prima però non mi sembra che stavamo litigando…” si fermò giusto in tempo per vedere la faccia della ragazza cambiare colore e diventare pallida come un cencio.

Rebecca lo incenerì con gli occhi e lo superò uscendo dalla camera con il mento alzato in un comportamento alquanto altezzoso.

Gabriel la seguì con lo sguardo e poi si rivolse alla sorella con occhi da folle. “Ecco vedi! Và a finire che è sempre colpa mia!”

“Beh, anche tu però…tirare fuori il discorso di quello che stavate facendo prima che io arrivassi!”

“Non era premeditato”

“Ma dimmi fratello, se non fossi arrivata…” cominciò Rosalie, sporgendosi verso il ragazzo alquanto divertita. “…non è che…? Insomma, voi due lo avreste davvero…?”

Gabriel andò letteralmente a fuoco e con uno scossone la spostò per passare.

“Allora, non mi rispondi?” lo incitò la ragazza che se la rideva a più non posso.

Intanto, dal piano di sotto, la voce incazzata di Rebecca raggiunse i due fratelli al piano di sopra. “Gabriel! Scendi immediatamente!”

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e facendosi il segno della croce la raggiunse con aria truce, come se stesse andando al patibolo.

“È inutile che fai quella faccia, tanto non mi incanti” disse Rebecca gelidamente, poi il suo viso si trasformò in un sorriso malizioso. “Però potremmo continuare quello che abbiamo lasciato in sospeso”

Con passo elegante la ragazza si avvicinò a Gabriel che era rimasto fermo e immobile come uno stoccafisso. Gli appoggiò le mani al petto e le fece scorrere fino all’ombelico, senza smettere per un secondo il suo contatto con gli occhi. Si avvicinò e lo baciò sulle labbra, morsicandoli il labbro inferiore. Gabriel spalancò gli occhi ma poi gli richiuse per rispondere al bacio. Stava perdendo la testa.

Rosalie, intervieni altrimenti qui si mette male!

Come invocata, Rosalie, apparve e con un fischio di approvazione gli fece staccare. “Ehi Gabriel, attento! Non vorrei diventare zia entro breve!”

Rebecca imbiancò e Gabriel balbettò qualcosa, decisamente turbato. “M-Ma no! Che vai a pensare?!”   

Rosalie scrollò le spalle e con un cenno di saluto raggiunse la porta. “Io parlo a nome dei vostri ormoni”

“Rose!” sbraitò il ragazzo. “Stai esagerando! Vattene!”

“Ok, ok! Volevo solo scherzare! Ci vediamo, ragazzi”

Quando la porta si fu richiusa e la ragazza sparita, Rebecca chiese: “Non pensi di aver esagerato con lei?”

“Troppo poco” borbottò con la fronte corrucciata.



***



Atreius correva a più non posso verso gli alloggi di Mortimer, le notizie che portava erano scottanti e del tutto impreviste. Bussò con impazienza alla sua porta ed entrò senza aspettare l’invito. Darth Threat era (come sempre) in piedi accanto all’enorme finestra e dava le spalle al ragazzo.

Un giorno gli sarebbe piaciuto sapere che ci trovava di bello a restare tutto il giorno incollato ad un paesaggio.

“Che notizie mi porti?”

Atreius riprese il respiro e si drizzò. “La ragazza. Pare che a Gabriel abbiano ridato i poteri…ma non è tornato angelo, nel caso volevate saperlo. L’ha liberata stamattina, gli uomini hanno trovato le sue tracce e le croce vuota”

“Questa non ci voleva”

“È stato del tutto inaspettato, mio Signore”

“Quel ragazzo mi sorprende sempre. Ma ho imparato una cosa”

“Cosa?”

“Mai fare di un angelo un prigioniero, semmai un morto”

“Quali sono le sue prossime mosse?”

“Aspettiamo”

“Prego?”

“Saranno loro stessi, stupidi umani, a venire da noi. Prepara le armate, Atreius. Mai sottovalutare la mia chiaroveggenza”



***



Rebecca era sdraiata nel divano e faceva ciondolare i piedi oltre i braccioli. Si passava nervosamente le dita fra i capelli e creava dei ricci che poi si scioglievano in una lisciatura perfetta. Teneva gli occhi fissi su Gabriel che era tutto preso nell’aggiustare un candeliere.

“Veramente andiamo in guerra?” domandò con vocetta da bambina.

Gabriel puntò contrariato i suoi occhi su quelli della ragazza, visibilmente irritato dall’interruzione. “Certo. Bastian stasera terrà una riunione nella piazza”

“Embè! Me lo dici così?”

Gabriel la fissò perplesso. “Embè?

La ragazza alzò gli occhi al cielo con fare romantico e lui la squadrò preoccupato dalla reazione.

“Ho avuto un ex fidanzato che diceva sempre quella parola” disse, con la testa sulle nuvole.

A Gabriel venne uno strano tic nell’occhio che gli fece alzare il sopraciglio in modo innaturale. “Ah, sì? E come si chiama?”

“Vincent. Oh, aspetta…forse no, non era lui. No, no, si chiamava Alex! No, quella era un altro. Come diavolo si chiamava?! Joshua non diceva cose del genere, ma allora chi…?”

Gabriel ridusse gli occhi a due fessure. “Vedo che ne hai avuti” rispose con voce tagliente.

“Ci sono! Era Michael!” esclamò, mettendosi dritta e incrociando le gambe nel divano.

“Uhm, Michael…che nome da idiota”

“Non è vero! A me piace molto, invece”

“Certo! A te piacciono tutti quelli che respirano!” sbraitò, sbattendo il candeliere per terra.

“Ma che dici?! Non dire cavolate, per favore!”

“Logico! Tanto io sono solo l’imbecille di turno, no? Il prossimo chi sarà, Rebecca? Hai già adocchiato qualcuno nella piazza? Qualche bel ragazzo?”

Rebecca fissò un punto nel vuoto, quelle domande non si meritavano una risposta. Rimase zitta con il labbro tremante a fissare il tappeto dov’era caduto il candeliere. Sapeva che se gli avesse dato corda non avrebbero più finito di litigare, alcune volte era meglio farsi da parte e lasciar cadere il discorso. O, almeno, aspettare che la bestia si calmasse.

“Non dici niente?” disse il ragazzo con un’orrenda faccia da schiaffi.

Rebecca avvampò. “Cretino! Io lo dicevo solamente per vedere se eri geloso! Possibile che tu debba essere sempre così paranoico?!”

“A quanto pare il tuo test ha funzionato” sbottò, nero in volto.

“Nel dimostrare che sei cretino?”

“No stupida, nel dimostrare che sono geloso” disse, con la faccia da cane bastonato. Poi sospirò e raccolse il candeliere da terra per rimettersi al lavoro.

Gabriel la vide alzarsi e sedersi accanto a lui. La vide torturarsi le mani in grembo e poi avvicinarsi al suo corpo. Rebecca gli passò le braccia attorno ai fianchi e appoggiò la testa sulla sua spalla, socchiudendo gli occhi.

“Ti amo, che altre paure hai?” chiese la ragazza con un leggero accenno di sorriso.

Gabriel si strinse nelle spalle. “Boh, forse che qualcuno migliore di me ti porti via. Mi viene naturale essere così possessivo, forse perché non mi ero mai innamorato prima”

Rebecca aumentò la presa e lo strinse forte, baciandogli il maglione nella spalla. “Gabriel, solo perché ho avuto delle storie poco serie…questo non vuol dire che non sia capace di tenermi un ragazzo fisso. Probabilmente quelle storie erano finite presto proprio perché nessuno di loro era giusto per me”

“Quanti ragazzi hai avuto?”

La ragazza fece un rapido conto e stava per rispondere quando lui la interruppe. “No, non voglio saperlo”

“Meglio”




***



Era sera, stavano camminando fianco a fianco nelle strade del villaggio, diretti verso la piazza dove Bastian avrebbe ottenuto la sua riunione e come sempre stavano litigando.

“Che cosa voleva dire “meglio”?”

“Che è meglio per te non sapere quanti ragazzi ho avuto!”

Gabriel imprecò. “Sì, ma allora sono tanti!”

“Dipende dai punti di vista, dipende da quante ragazze hai avuto te”

Gabriel vacillò e la guardò con attenzione. “Vanno incluse anche quelle da una botta e via?”

Rebecca si bloccò e spalancò la bocca, pallida come non mai. Diventò immediatamente rossa sulle guancie e i suoi occhi divennero due palline rotonde.

“Mi stai dicendo che tu…? Hai già fatto…? Non sei…?”

“No, non lo sono”

Rebecca credette di svenire sul posto. Si sentiva tutt’un tratto un gran caldo in tutto il corpo.

“E io che ti credevo Mister Ghiacciolo! Scommetto che invece te la spassavi a tenere caldo ad una…prima io arrivassi spero!” non riuscì a terminare la frase perché un’orrenda immagine di Gabriel con una misteriosa donna che si strofinavano nel letto le provocò un fortissimo giramento di testa.

“Beh, perché tu, con Atreius?!”

Si riferiva al bacio che c’era stato fra loro. Rebecca aveva avuto molti ragazzi ed erano state tutte storie di poca importanza, certo,  ma lei non era mai stata a letto con nessuno di loro e sperava di poterlo fare con Gabriel, sperava che anche per lui fosse stata la prima volta.

Ma non era andata come sperava.

Forse fu la rabbia, forse fu la gelosia o semplicemente la voglia di fargliela pagare, di farlo soffrire, che Rebecca pronunciò le fatidiche parole che ferirono Gabriel.

“In effetti Atreius fa’ l’amore divinamente” disse con tutto il fiato che aveva in gola, poi si portò una mano a coprirsi la bocca, subito pentita di ciò che aveva appena detto.

Gabriel si paralizzò. La guardò con un’espressione profondamente ferita e sconvolta. Probabilmente una spada in pieno petto avrebbe fatto meno male.



***



La figura di Bastian era elevata da una piattaforma in legno circolare, tutt’attorno a lui la folla di abitanti lo guardava con un misto di ammirazione e spavento. Bastian illustrava loro i piani per la guerra che avrebbe finalmente determinato il vincitore tra Bene e Male e la gente lo seguivano senza perdere il filo del discorso.

Quando Rebecca arrivò da sola, parecchi minuti dopo che la riunione era cominciata, ricevette parecchi sguardi di disapprovazione. Fece un cenno del capo per scusarsi e nonostante il suo volto era triste e abbattuto era riuscita a far cessare le lacrime e i suoi occhi non erano più lucidi.

Bastian, sentendo il mormorio della folla, si fermò e cercò tra essa la fonte del brusio. Quando vide che tutti i volti delle persone erano rivolti verso le ultime file seguì la traiettoria dei loro sguardi e arrivò a notare Rebecca.

Un po’ spaesato, Bastian, ciondolò sul posto. “Rebecca, non pensavo che fossi arrivata ora. Pensavo che fossi già qui ad ascoltare i miei piani”

Rebecca si sentì improvvisamente molto mortificata. Lanciò occhiate dispiaciute alla gente, non che loro ce l’avessero con lei ma era chiaro che in quel momento non era stata il massimo dell’esempio.

“Mi dispiace, ho avuto dei…contrattempi. Continua pure, mi farò illustrare da qualcuno quello che mi sono persa”

“Ok, ora però ascolta. Non vuoi venire qui davanti con me?” domandò il capo-villaggio facendole segno di salire sul palchetto.

Rebecca mosse un piede verso la pedana ma quando vide una testa bionda voltarsi rabbiosamente verso di lei poco più avanti, tornò indietro.

“No, me ne starò buona qui, grazie”

Non si era accorta che Gabriel era così vicino! Le persone davanti l’avevano nascosto e di certo lei non l’aveva cercato tra la folla. L’aveva lasciata da sola e poi non l’aveva più visto arrivare.

Si sentiva irrequieta. Aveva detto un’enorme bugia a Gabriel ed era convinta che se lei gli avesse spiegato tutto lui avrebbe capito e…tutto come prima! Amici di sempre!

Il problema era che non voleva dirgli la verità. Si sentiva rodere dalla gelosia al pensiero di Gabriel con delle altre ragazze alle quali aveva dato tutto, compreso il suo corpo. Il fatto di ammettere che lei era ancora vergine significava dimostrarsi immatura e ancora molto inesperta. Lei invece voleva apparire ai suoi occhi una ragazza forte e decisa, che non temeva nulla, in poche parole: una donna vissuta, giusta per lui.

Però, mentre lo guardava e lo vedeva così avvilito e triste, capì che non sarebbe servito a niente spingersi tanto oltre per uno stupido orgoglio.

Il problema era più che altro riuscire a parlargli.

Basta che non mi faccia saltare la posta al naso perché sennò è la volta buona che lo ammazzo!

Ed ecco che divagava con i pensieri. Bastian parlava, parlava, parlava…e lei non lo ascoltava, contemplava la figura di Gabriel e a come fare per beccarlo da solo che non fosse stato a casa altrimenti sarebbero volati altri libri. La gente attorno a lei seguiva interessata i discorsi del capo-villaggio da paladino della giustizia e Rebecca, in un altro momento, avrebbe trovato tutto molto interessante ma quella non era proprio serata.

Perché mai si era dovuta innamorare?

È più facile vivere senza l’amore che con l’amore…o almeno, questo era quello che lei pensava.

Dopo tre ore che Bastian parlava era notte fonda. Molte persone, soprattutto vecchi e bambini, tiravano la bocca dal sonno e pian piano tutti se ne tornarono contenti a casa. Gli unici a rimanere ancora ai propri posti erano Bastian, Rebecca e Gabriel. Rebecca vide Gabriel, che non l’aveva più degnata di uno sguardo, avvicinarsi al capo-villaggio. Li vide parlare tra loro animatamente e non potendo resistere alla tentazione li raggiunse per origliare meglio.

“Non posso spostarti di gruppo e lo sai!” stava dicendo Bastian, ovviamente contrariato.

Gabriel parlava con le labbra serrate, probabilmente era per contenere la rabbia. “Ti ho detto che non voglio più far parte di quel gruppo!”

“E come mai? Di punto in bianco trovi la presenza di Atreius insopportabile? Ti ho messo in quel gruppo di uomini in modo tale da farti fronteggiare contro Atreius, così tu uccidi il figlio e Rebecca il padre. Non puoi venirmi a dire ora che non lo vuoi più fare!”

“Non lo voglio fare” era irremovibile.

Bastian lasciò vagare gli occhi in giro dalla frustrazione e si accorse che la ragazza era lì.

Camuffò un sorriso. “Oh, Rebecca! Vieni, vieni subito! Urge la tua presenza” disse, strizzandole l’occhio.

Rebecca potè benissimo vedere la schiena di Gabriel irrigidirsi. Si vedeva lontano un chilometro che era scocciato.

“No, io devo andare” tentò di scusarsi e si mostrò molto a disagio, tanto che Bastian se ne stupì.

“Scappi? Ma come? Dove vai da sola a quest’ora della notte?”

Gabriel tirò su col naso e incrociò le braccia al petto guardando un punto in lontananza.

“D-Devo andare da una parte”

“Dove?”

E che cavolo! Chi sei, mio padre?

“Da una parte”

“Sì, ma dove?”

Oddio, finiscila!

“Da una persona” disse la prima cosa che le venne in mente e capì di aver detto la cosa sbagliata quando vide il ragazzo fulminarla con gli occhi.

Che pensa? Che vada a far chissà ché con uno?

Sempre Bastian: “Oh, qualche ragazzo in vista?”

Ok, il bello è che lui si stava anche divertendo!

La ragazza arrossì e Bastian scambio quell’atteggiamento per un sì. “È molto fortunato quel ragazzo, Rebecca. Continua così!” disse tutto eccitato alzandole i pollici. “Non trovi, Gabriel?”

Rebecca avrebbe tanto voluto sprofondare. Si diede uno schiaffo sulla fronte e sospirò per la frustrazione. Gabriel non guardava nessuno dei due.

“Penso che possa anche andare”

Che cosa?! Questo vuole che lo picchi!

“La lasci fuori anche tutta la notte?” domandò stupefatto Bastian, dimostrandosi del tutto sorpreso. “Ed è già successo?”

Ehi, parlate della mia vita come se io non ci fossi!

“No, che io sappia”

Eh certo, perché io di notte vado a farmi i giri a trovare ragazzi!

Da quanto Rebecca si stava innervosendo non si accorse neppure che la sua mano stava andando a fuoco, letteralmente a fuoco. Quando Bastian se ne accorse aprì e chiuse gli occhi a intermittenza e Gabriel corrucciò la fronte.

Rebecca invocò mentalmente un incantesimo di riparo e fece sparire il fuoco che aveva tramutato la sua mano in una fiamma calda e infuocata.

“Scusate, ho perso il controllo” disse, brandendo la mano bruciata, tutta nera, con enormi lividi e con del sangue che colava lungo il braccio fino al gomito.

Bastian la fissava inorridito, non aveva per niente la faccia di una che stava bene, era come se le fosse capitato qualcosa di molto brutto.

“Sarà meglio che io vada” sussurrò scioccato il capo-villaggio e con una calma disarmante si allontanò da loro.

Rebecca provò a dire qualcosa a Gabriel ma venne interrotta. “Io…”

“Vado a dormire. Quando hai…finito con lui…torna a casa”



***



Finito, finito, finito...

Il prossimo capitolo s'intitolerà: "AMANDOTI" e vedremo con molta
attenzione come il loro amore
si rimetterà apposto!!!

Ringrazio tutti per le recensioni che mi fate e anche
se non vi rispondo sempre sappiate che le leggo tutte con curiosità e felicità!!!

Recensite, mi raccomando!!!

BACIONI, FEDERICA...







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Capitolo 21
*** Amandoti ***


Cap. 21 - AMANDOTI -

[Trovo pace quando sono confuso,
trovo speranza quando mi lascio andare
non in me,
in te.
È in te.

Spero di perdermi
per sempre
e spero di ritrovarmi alla fine
non in me,
in te]

Switchfoot - You -



***



Rebecca rimase nel freddo della notte in piedi, la sua mente e il suo cervello erano sconnessi al resto del corpo. Si era cacciata in un brutto guaio, il suo corpo tremava e cercava inutilmente di farsi caldo strofinandosi le mani sulle braccia.

La piazza era vuota e la pedana che poco prima aveva retto Bastian era deserta e inquietante come tutto il paesaggio intorno. Da quando anche Gabriel se n’era andato, Rebecca aveva proprio toccato il fondo della disperazione.

Voleva smuovere i suoi piedi e correre da lui ma c’era quel qualcosa chiamato “orgoglio” che non glielo permetteva.

Sentì dei passi raggiungerla e non ebbe nemmeno la voglia di vedere chi era.

“L’ho capito, sai?” era Bastian.

“Che cosa?” domandò con voce incolore la ragazza.

“Quello che c’è tra te e Gabriel” disse con voce solenne.

Rebecca sospirò. “Che cosa vuoi dirmi? Che non approvi? Che è una sciocchezza, che siamo due stupidi? Che se fossimo stati a scuola probabilmente sarei stata punita per essere andata con l’insegnante? Che cosa?”

“Che dovreste riporre le armi e far pace, sembrate sempre in guerra tra voi pur amandovi, forse perché non ammettete che vi siete davvero per la prima volta innamorati”

Rebecca si voltò con sguardo cupo verso il capo-villaggio che la stava guardando con aria sofferta. I loro occhi s’incrociarono e Bastian gli abbassò con soggezione.

“Conosco Gabriel da quando era un neonato, mi sono preso cura di lui finora e fidati se ti dico che anche per me è stato veramente difficile stargli accanto” portò gli occhi verso il cielo con fare malinconico e sognante come quando si riporta al presente dei ricordi passati. “Gabriel è sempre stato un ragazzo molto problematico, nel senso che non riusciva a farsi voler bene da nessuno…beh, apparte dai suoi famigliari e da me. Mentre tutti i bambini della sua età giocavano e si rincorrevano ridacchiando, lui era sempre sulle sue, se ne stava da solo, immusonito e privo di reazioni alla vita. Veniva visto in maniera diversa e incuteva una certa paura nei genitori degli altri bambini che lo consideravano cattivo, maligno. Gabriel ha avuto un’infanzia molto difficile, ha avuto pochi e veri amici e non ha mai amato nessuna ragazza sebbene ne avesse potute avere a dozzine. Ora, Rebecca, con questo non voglio dirti che lo scuso per i suoi modi scorbutici o i suoi modi freddi, ma ti sto dicendo che voglio che tu lo capisca e che gli sia vicino il più possibile. Non lo dà a vedere ma soffre molto quando litigate, quando tu non ci sei o quando sei in pericolo. Lo so che è un rompi palle e un insensibile ma penso, anzi, sono convinto che lui ti ami davvero. Cerca di riportarlo in vita regalandogli un sorriso invece di mettere alla prova i suoi sentimenti”

Quando Bastian finì di parlare, Rebecca stava piangendo silenziosamente.

“Vai da lui” le mormorò Bastian incitandola.

“Grazie, Bastian” singhiozzò la ragazza e corse ad abbracciarlo.

Lo abbracciò velocemente e poi partì come una scheggia verso casa.

Al diavolo l’orgoglio, non l’aveva mai amato tanto come in quel momento.



***



Aprì la porta in uno scatto violento e la richiuse facendola sbattere, si precipitò su per le scale facendo gli scalini due a due. Passò via velocemente il corridoio e spalancò la porta della sua camera da letto. Nonostante la penombra vide benissimo la figura del ragazzo sdraiata sul letto.

Rimase qualche secondo sulla soglia della porta con il fiatone e il respiro pesante, i capelli tutti scompigliati e le braccia lasciate cadere pesantemente lungo il corpo. Gabriel, disturbato dal rumore di porte che sbattevano, di passi nelle scale e di respiri pesanti, aprì gli occhi confusamente. Le sue spalle davano verso la porta e si girò col corpo per vedere chi c’era. Si voltò cambiando lato e corrucciò le sopraciglia quando vide Rebecca.

Rebecca provò a dire qualcosa ma era come se i battiti del suo cuore martellante le avessero rubato l’uso della parola.

Gabriel si alzò dal letto e camminò verso di lei, quando la raggiunse fece quasi sfiorare i loro corpi e mantenne quell’espressione seria e imperturbabile.

Nonostante Gabriel tentasse di apparire freddo e distaccato agli occhi della ragazza, Rebecca vide nei suoi occhi tutta la sua trepidante preoccupazione e il suo affetto angosciante. Con le dita le sfiorò il gomito mentre i suoi occhi non la perdevano neppure per un secondo. Rebecca si trovava in uno stato confusionario e avrebbe tanto voluto urlare per sfogare tutta la sua ansia.

“Ti ho detto una bugia, Gabriel” riuscì a dire con voce malferma. “Non sono mai stata con Atreius, né con nessun altro”

Rebecca potè giurare di aver visto il lampo di un sorriso nello sguardo del ragazzo. Gabriel prese le mani della ragazza tra le sue e sentì che erano ghiacciate.

“Non stavo dormendo in realtà, ti aspettavo. Se questa notte non fossi tornata mi sarei alzato dal letto e a costo di setacciare tutto il villaggio ti avrei trovata e riportata a casa con la forza”

“Io non nessun ragazzo, voglio che tu lo sappia”

“È la verità?”

“Certo che è la verità, non ti sto mentendo. Non c’è nessun altro all’infuori di te”

“Stavo impazzendo all’idea di te, questa notte, con un altro. Credevo di morire e avrei tanto voluto sapere dov’eri per poter ammazzare quell’idiota che aveva avuto il coraggio di toccarti”

Rebecca rise e si sentì più tranquilla. Protetta. Gabriel non rideva e la scrutava ancora con quegli occhi azzurri che sembravano quasi grigi.

“Non sto scherzando. Tu sei mia”

Il sorriso di Rebecca si spense pian piano e alla fine smise di respirare. Provò a dire qualcosa ma come sempre lui glielo impedì e le tappò la bocca con un bacio mozzafiato. A Rebecca parve di essere stata derubata di tutto l’ossigeno e si aggrappò al ragazzo come una barca che affonda si aggrappa ad un solido scoglio. Si trascinarono sul letto di Gabriel andando alla cieca, continuando a baciarsi.

Gabriel si stese sulle coperte e Rebecca vi si sdraiò sopra, trascinata dalla caduta. Con un gesto improvviso Gabriel invertì i ruoli e, rotolando, finì sopra la ragazza che lo accolse facendogli spazio fra le gambe e tirandolo giù per il colletto del pigiama.

Poco prima che Gabriel perdesse tutto il suo autocontrollo si fermò e, con ogni minima disapprovazione da parte di Rebecca, si staccò da lei per guardarla negli occhi. Le labbra erano rosse e gonfie.  

“Sei sicura?”

La ragazza socchiuse gli occhi per capire come si sentiva in quel momento: non era mai stata tanto felice in vita sua. Non sentiva paura. Fece di sì con la testa, per nulla spaventata o intimidita.

Gabriel, ancora incerto, rimase a fissarla dubbioso. “Se ti faccio male fermarmi, ok?”

Rebecca rise spensierata e gli diede un leggero bacio sulla punta del naso. “Ok”

“Ti amo” disse Gabriel, cominciando ad aprirle i bottoni della divisa sentendosi improvvisamente impacciato, timoroso di farle male o di sbagliare tutto.

In pochi secondi tutti i loro indumenti finirono a terra e quando il corpo nudo di Gabriel toccò la pelle fredda di Rebecca lei ebbe un brivido, il contatto dei loro corpi la fece impazzire e sussurrò un “ti amo” poco prima che Gabriel, con infinita tenerezza, affondasse in lei.



***



Il primo ad aprire gli occhi fu Gabriel, si svegliò con una strana sensazione di piacere e fiacchezza e stiracchiandosi bellamente assaporò i caldi raggi del sole che penetravano dalla finestra aperta. Toccò con la gamba qualcosa di morbido e caldo. Si voltò e vide che Rebecca dormiva beatamente accanto a lui, gli dava la schiena nuda e il lenzuolo la copriva dal seno in giù. Il respiro era lento e regolare e il ragazzo capì che stava ancora dormendo. Si fece un po’ più vicino a lei e le baciò la spalla scoperta lasciando indugiare le labbra, con delicatezza. Non appena la bocca del ragazzo sfiorò la pelle di Rebecca, questa aprì gli occhi e si lasciò andare ad un pigro sorriso. Si strinse nelle spalle e sbadigliò.

Gabriel fece un enorme sorriso. “Era ora che ti svegliassi! Certo che dormi pesante!”

“Non dire cavolate, tanto lo so che ti sei appena svegliato”

Gabriel rise e appoggiò il mento sulla sua spalla, circondandole i fianchi con le braccia e attirandola verso di sé. Rebecca si lasciò andare alle sue coccole e piegò la testa di lato in modo da permettere al ragazzo di baciarle il collo.

“Come ti senti?” le domandò tra un bacio e l’altro, risalendo lentamente fino all’orecchio.

“Benissimo” mormorò la ragazza richiudendo gli occhi. Poi, tenendosi con una mano il lenzuolo, si mise a pancia in su con la testa rivolta verso Gabriel che, di fianco a lei, aveva osservato i suoi movimenti completamente ipnotizzato. Il ragazzo, appoggiandosi su di lei con i gomiti, le baciò la bocca teneramente. Rebecca rimase a contemplare per qualche secondo il petto nudo di Gabriel e arrossì al pensiero che quella notte, quel corpo, era stato solo e unicamente suo.

Gabriel, vedendola arrossire, fece uno sguardo malizioso. “Ti sto forse imbarazzando?” alludeva alla sua nudità.

“Ripensavo” sottolineò la ragazza con cipiglio severo.

“A cosa?” domandò il ragazzo, scostandosi con uno sbuffo i ciuffi biondi che gli ricadevano sulla fronte.

Rebecca avvampò e si fece piccola piccola sotto di lui. “Sai a cosa”

Gabriel si morsicò il labbro inferiore per trattenere una risata.

Aveva voglia di fare di nuovo l’amore con lei ma, temendo di poterla spaventare dalle sue voglie improvvise, si limitò a baciarla accarezzandola di tanto in tanto. Quando interruppero il bacio Rebecca cercò di alzarsi rimanendo coperta dal lenzuolo, andando a cercare a tastoni i suoi indumenti ammucchiati per terra alla rinfusa.

“Dove vai?” chiese Gabriel allarmato, mettendosi dritto.

Rebecca, che intanto si stava rivestendo, gli rispose: “Vado a preparare la colazione, voglio portartela a letto perciò rimani lì”

Gabriel si lasciò andare contro la testiera del letto permettendo che il lenzuolo arrivasse a coprirlo giusto dall’ombelico in giù. “Agli ordini, capo”

Rebecca indossò il pigiama e andò verso la porta, l’aprì e si voltò a guardarlo: aveva portato le braccia dietro la testa e i suoi occhi erano socchiusi. Era una visione, era davvero bellissimo. La ragazza seguì il profilo del suo petto scolpito e andò letteralmente a fuoco quando vide dove il lenzuolo aveva cominciato a coprirlo. Inciampò sui suoi stessi piedi e chiuse la porta della camera, rossa come un peperone.

Accidenti a lui.  

Mentre scendeva al piano inferiore ripensava con felicità alla notte passata. La migliore della sua vita e Gabriel…Gabriel era stato semplicemente fantastico. Non le aveva messo né fretta né ansia, era stato tenero e dolce fino alla fine, anche se la ragazza aveva capito che si era trattenuto per tutto il tempo. Era stato controllato e attento perché sapeva che per lei era la prima volta e non voleva scioccarla con gesti troppo carnali e passionali. Quando Gabriel amava, amava fino in fondo. Ma Rebecca non se ne preoccupava, avrebbe concesso a Gabriel di amarla come lui desiderava, un piccolo regalo in cambio di quello che lui le aveva donato e portato via così lentamente.

Mise del latte in due tazze e delle fette di pane con della marmellata in un vassoio. Ripose il tutto con cura nel vassoio e con un’andatura da papera camminò fino al piano di sopra. Cercò con attenzione di aprire la porta con una mano mentre teneva con l’altra il vassoio che oscillava pericolosamente. Accompagnò la porta con il bacino e sorrise vittoriosamente per non aver spanto o rotto niente.

“Non potevi portare il vassoio tenendolo sospeso con la magia?” domandò il ragazzo da un angolo della camera.

Rebecca vide che lui non era nel letto e lo cercò con lo sguardo. Lo trovò davanti all’armadio con le ante aperte, si era cambiato e ora indossava una maglia azzurra tinta unita che risaltava ancor di più il colore dei suoi occhi e dei pantaloncini che gli arrivavano fino al ginocchio color beige.

Eh già, era proprio bello.

Chiuse le ante dell’armadio e si buttò sul letto aspettando impaziente la sua colazione. Rebecca si sentì tanto come una di quelle mogli gentili e premurose che portano la colazione a letto al marito e che lo assistono con mille attenzioni. Si sedette anche lei nel letto e trangugiò allegramente la sua parte di colazione lasciando il vassoio al ragazzo.

“Sai, stavo pensando ad una cosa” disse Gabriel tutto su un colpo. “Che ne dici se ti trasferissi qui da me?”

“In che senso?”

“Nel senso di dormire con me, nella mia camera”

Per poco Rebecca non si soffocò con il pane, si diede dei colpetti sul petto tossendo sonoramente. “Mi stai chiedendo di condividere la tua camera?! Cioè, di dormire nello stesso letto?!”

Gabriel si adombrò impercettibilmente vedendo la sua reazione esageratamente spaventata. “Questo ti fa tanto orrore?”

“No! No! È solo che detto così sembra una cosa molto seria!” esclamò, arrossendo.

“Beh, non lo è?” domandò il ragazzo, sentendosi improvvisamente irrequieto.

Rebecca lo baciò colpendolo alla sprovvista. “Infondo credo che si possa fare”

Gabriel si lasciò cadere indietro nascondendosi gli occhi con una mano e ridendo. “Tu mi renderai pazzo, lo so già!”

In tutta risposta la ragazza gli tirò una cuscinata in testa e con aria beffarda gli disse, mettendosi in ginocchio nel materasso: “Io ti renderò pazzo?! Gabriel, non occorre che lo diventi, tu lo sei!”

“Ah, si?” la sfidò il ragazzo andando a colpirla al ventre con un cuscino e tirandola giù con le braccia.

Rebecca emise degli urletti e quando si trovò sotterrata e bloccata dal peso di Gabriel non fece poi molto per liberarsi, stava benissimo così com’era: con il corpo di lui pressato contro di lei. Gabriel infatti le aveva bloccato le gambe e le braccia con le sue gambe e le sue mani. I loro corpi aderivano alla perfezione e quando Rebecca, per mimare una fuga, mosse il bacino contro quello di Gabriel, il ragazzo rimase spiazzato dalla reazione del suo corpo.

La voleva.

Rebecca lo capì dal suo sguardo e non fece nulla per impedirglielo. Si lasciò baciare quasi con ferocia dal ragazzo e quando Gabriel premette ancor di più il suo corpo contro quello della ragazza una fitta di piacere la colpì al ventre. Fecero l’amore in quel letto duro e disordinato e quando tutto finì rimasero abbracciati fino a tardo pomeriggio, completamente esausti. Era avvenuto il cambiamento, la dolcezza e la calma con il quale l’avevano fatto la prima volta se n’erano andate. Gabriel non si era più trattenuto e Rebecca, nel momento più alto e bello, credette di morire.



***



Rebecca stava dormendo quando si sentì strattonare da una parte e l’altra.

“Ancora cinque minuti…” mugugnò nel sonno.

“Muoviti! Mocciosa, svegliati!” era la voce squillante di Gabriel.

Squillante? Da quando Gabriel aveva la voce squillante? Beh, quando era in preda al panico…oddio!

La ragazza si svegliò di soprassalto con uno sguardo di puro terrore in viso. Incrociò gli occhi esasperati di Gabriel e poi si guardò: era nuda. Nuda nel letto di Gabriel con Gabriel nudo.

Ma da quanto tempo non metteva piede fuori casa…?

“Bastian ci aspetta da tre ore!” esclamò Gabriel concitato, scendendo dal letto e cominciando a vestirsi con i primi indumenti che gli capitavano sottomano.

“Oh, cavolo!” imprecò Rebecca seguendo Gabriel e tastando in giro alla disperata ricerca dei suoi pantaloni. “Quanto siamo stati rinchiusi in casa?!” domandò alquanto infuriata prendendo il primo paio di jeans che gli era capitato a tiro.

“Tre giorni” disse il ragazzo a fatica, cercando di far passare uno stretto maglione dalla testa.

Rebecca spalancò inorridita gli occhi e i pantaloni le caddero dalle mani. Si riabbassò e gli riprese in mano con un gesto scattoso, rossa in volto. “Stiamo facendo sesso da tre giorni?!”

Gabriel, il quale maglione non passava per la testa, era nel frattempo inciampato per terra con le lenzuola attorcigliate ai piedi. “Non ci vedo niente!” si lamentò.

Rebecca, con addosso dei vestiti stropicciati, lo aiutò a mettersi il maglione che si era incastrato sul naso e gli oscurava la vista. Peccato che, nell’aiutarlo, finì pure lei per inciampare e gli cadde addosso con tutto il peso. Gabriel urlò dal dolore. “Porca miseria, Rebecca! Vuoi vedermi morto?!”

“Siamo alquanto agitati o sbaglio?!” disse istericamente la ragazza, correndo verso la porta.

Gabriel, con una smorfia simile ad un rantolo soffocato, si rialzò massaggiandosi il sedere e afferrò al volo i pantaloni che la ragazza gli aveva buttato dal corridoio. Si grattò la testa e le indicò i pantaloni con aria interrogativa.

Rebecca lo guardò malissimo. “Non vorrai uscire in boxer, no?”

Gabriel si squadrò.

Eh sì, in effetti era in boxer.

“No, direi proprio di no”



***



Corsero come due matti verso la casa di Bastian, tutta la gente del villaggio che gli vedeva passare gli seguiva con uno sguardo sconvolto, sembravano appena usciti da un cartone animato: erano incredibilmente buffi e disordinati. Bussarono alla porta del capo-villaggio ansanti e con i capelli sparati in aria.

“Se domanda qualcosa è colpa tua” lo avvertì Rebecca cercando di regolarizzare il respiro.

Gabriel strabuzzò gli occhi. “Perché?! Perché deve essere sempre colpa mia?! Mica facevo l’amore da solo!” le rispose affannosamente.

Quando Bastian venne ad aprire alla porta i due si sforzarono di mostrare un sorriso che apparve ovviamente finto.

Il capo-villaggio incrociò le braccia con sguardo severo. “Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro riguardo l’orario quando ti ho parlato” disse, rivolto al ragazzo.

“Lo so, è che…”

“È colpa sua!” esclamò Rebecca indicando il ragazzo che la guardò come se non credesse alle sue parole.

“Grazie Rebecca, ora ci penso io a dirgliene quattro…”

“Sto prendendo in seria considerazione la possibilità di farti del male fisico” le bisbigliò all’orecchio Gabriel, fulminandola con gli occhi.

“Seguitemi” gli ammonì Bastian, ordinandoli di entrare.

Intimoriti i due ragazzi entrarono in casa e si sedettero attorno ad un tavolo dove tre tazze fumanti erano state posizionate davanti a ciascuna delle tre sedie.

“Le avevo preparate tre ore fa ma non vedendovi arrivare le ho lasciate in caldo”

“Scusaci tanto, Bastian” disse Rebecca facendo quel suo visino dispiaciuto e tenero che avrebbe intenerito persino Darth Threat.

Gabriel la squadrò con cipiglio innalzato mentre beveva dalla tazza.

Bastian sospirò. “Tre giorni di sesso di sfrenato non sono una scusante, Rebecca”

Rebecca impallidì mentre Gabriel s’ingozzò con quello che stava bevendo e lo sputò fuori in un getto inzuppando la ragazza che gli era davanti.  

“Gabriel, che schifo!” si lamentò lei cercando di asciugarsi.

Gabriel divenne bianco come un lenzuolo e non sapeva più dove guardare, faceva vagare gli occhi a caso non incrociando nessuno dei presenti. Bastian invece trovava la situazione alquanto divertente. Rebecca, controllata come sempre, salvò in tempo la situazione, prima che Gabriel andasse in iperventilazione.

“Dov’eravamo rimasti?” domandò camuffando un’insolita diplomazia.

“Ad essere sinceri non siamo mai partiti” disse Bastian gravemente. “Avevo parlato con Gabriel nella sera della mia riunione riguardo ad una sua proposta piuttosto fuori luogo che mi aveva lasciato interdetto. Poi mi ha fatto sapere che ci aveva ripensato e che ora vuole di nuovo combattere contro Atreius. Quello che m’interessava chiederti, Rebecca, è se ti andava bene partire per prima”

“Che cosa?! Ma è una follia!” sbraitò il ragazzo, drizzandosi sulla sedia.

“Non capisco” mormorò Rebecca.

“Vuole che tu vada ad attaccare Mortimer da sola e che l’esercito ti raggiunga solo dopo che tu l’abbia ucciso” disse a denti stretti Gabriel guardando Bastian con tutta la disapprovazione possibile.

“A me sembra un buon piano” disse Rebecca scrollando le spalle.

“Che cosa?!”

“Pensaci Gabriel, se io dovessi fallire è naturale che Mortimer dominerebbe su tutta Chenzo ed ovvio che in tal caso Bastian preferisca evitare di sacrificare inutilmente il suo esercito mandandolo a combattere una guerra già persa dall’inizio senza di me. Viceversa, se vinco io sarà l’esercito di Mortimer ad arrendersi dato che senza il loro comandante si sentiranno persi. Questa mossa serve comunque per evitare le perdite del nostro esercito”

Bastian annuii completamente d’accordo con l’esposizione della ragazza. Gabriel, che si era calmato, suo malgrado si ritrovò ad approvare quel piano. Non gli piaceva per niente l’idea che Rebecca se la fosse dovuta vedere da sola ma se questi erano i piani non poteva interferire.

“Ok, va bene. E io quando dovrò vedermela con l’idiota?”

“Mentre Rebecca combatte contro Darth Threat. Se Mortimer dovesse morire avrebbe comunque un erede a piede libero, nessuno ci assicura che alla sua morte Atreius si farà sottomettere senza crearci problemi. Potrebbe continuare l’opera del padre”

“Per quando è prevista la battaglia finale?” chiese la ragazza.

“Fra due settimane. Tempo di riunire l’esercito, armarlo, infliggere gli ordini e mobilitarci…ci vorranno quindici giorni scarsi”

“Dove ci fermeremo per la notte?”

“Nei pressi del castello di Mortimer. Il castello è accerchiato da lande desolate ma a nord è presente in lontananza una boscaglia verde e abbastanza fitta per ripararci. Passeremo là la notte e all’alba attaccheremo. Cioè, tu attaccherai”

“Ma allora perché, Bastian, ci portiamo dietro un esercito se non serve?”

“Ma serve, cara. Il mio esercito ho intenzione di dividerlo in due parti: la prima attaccherà con te ma rimarrà all’esterno mentre tu combatterai all’interno del castello, e l’altra metà raggiungerà te o Gabriel nel caso aveste bisogno di aiuto dentro. Gabriel verrà con te all’interno ma attaccherete in due ale opposte del castello”

“Quindi una metà è per l’interno mentre l’altra per l’esterno del castello?”

“Esatto”

“La prima metà parte con noi ad attaccare l’esterno mentre io e Gabriel siamo all’interno e l’altra metà stà in attesa nel caso le cose si dovessero mettere male per noi due”

“Infatti”

“Mi sembra un buon piano. Non appena tutto sarà pronto facci sapere qualche giorno prima che ho tutta l’intenzione di allenarmi come si deve, no Gabriel? Ti va, vero, di addestrarmi ancora un po’?”

Gabriel assentì con la testa. “Contaci”

“Bene ragazzi, ora che abbiamo chiarito tutto mi potreste anche dire come siete finiti a rinchiudervi in casa per tre giorni”

Un silenzio pesante invase la stanza. Rebecca, troppo imbarazzata per parlare, abbassò gli occhi.

L’unico rumore fu lo schiocco secco della lingua di Gabriel.

“Sinceramente Bastian, che te ne frega?”



***



Dopo essersi gentilmente e con mascherata fretta congedati dalla casa di Bastian, i due ragazzi decisero di andare a trovare Rosalie e Denali. Ormai la ragazza era agli sgoccioli della gravidanza e dopo la visita di Denali a casa di Gabriel si erano visti raramente. Rosalie se ne stava da qualche tempo sempre in casa, lamentandosi per lancinanti dolori e nausee. Denali, inaspettatamente molto premuroso e devoto, le stava costantemente accanto.

La faccia che Rosalie fece quando venne ad aprirli fu impagabile. Forse perché non riceveva più molte visite era sempre ben accetta a far entrare gente in casa.

“La mamma non c’è?” domandò Gabriel vedendo la casa vuota.

“È andata con Denali a prendere qualcosa da mangiare per la cena, sono così carini con me…” disse sovrappensiero.

Rebecca, incantata dall’enorme pancione di Rosalie, la seguì con interesse fino alla cucina. “Che bello Rosalie, tra poco sarai mamma” disse con fare sognante e invidioso, tanto che Gabriel ebbe un campanello d’allarme nel cervello.

Rosalie le sorrise orgogliosa mentre si accarezzava il ventre gonfio. “Non vedo l’ora di sapere se è un maschio o una femmina. Secondo Denali è un maschio, per me…sono tutti e due!” concluse con un gridolino eccitato.

Rebecca aveva un sorriso da ebete stampato in faccia, guardava Rosalie e sembrava che condividesse con lei ogni sua gioia. “Che bello…”

“Che c’è, Rebecca?” disse Rosalie con un sorrisetto poco rassicurante. “Non sarai per caso gelosa, no?”

Gabriel si gelò sul posto mentre Rebecca si lasciò andare ad una risata divertita. “No, no! È solo che mi piacerebbe in un futuro avere dei bambini, e molti anche!”

“Vuole diventare mamma, capito Gabriel?” scherzò la ragazza lanciando uno sguardo al fratello che era fermo e cadaverico.

“Beh, chi non lo vorrebbe?” esclamò Rebecca che, ignorando le reazioni di Gabriel dietro di lei, parlava con naturalezza ed euforia. “Ma dimmi, come pensi di chiamarlo?”

“Allora, se è una femmina Emma e se invece è un maschietto ci piacerebbe molto Ian”

“Ian…” mormorò Rebecca tra sé e sé con aria pensosa, puntandosi un dito sotto il mento.

“Non dirmi che è il nome di uno dei tuoi ex ragazzi perché se è così, Rosalie, ti proibisco di chiamarlo con quel nome!” sbottò il ragazzo che si era improvvisamente risvegliato dal suo stato di apatia.

Rebecca ridusse gli occhi a due fessure. “Ian è un bellissimo nome, punto e basta”

“E tu, Rebecca, come gli chiameresti i tuoi figli?” domandò Rosalie sinceramente curiosa.

A Gabriel, a disagio come non mai, iniziarono a prudere le mani. “Bec, perché non ce ne andiamo?”

Rebecca voltò la testa e lo guardò perplessa. “O-Ok, va bene” si adombrò ma si sforzò subito di sorridere. “Andiamo. Ciao Rosalie, verremmo a trovarti il prima possibile”

La ragazza gli salutò con un leggero velo di fastidio stampato in faccia e quando se ne furono andati, Rebecca aspettò di essere a casa per parlare a Gabriel.

“Ti da fastidio il pensiero di avere dei bambini!” non era una domanda bensì un’affermazione.

“Non mi da fastidio, è solo che ora non mi ci vedo a fare il padre”

Io ti vedrei invece, pensò la ragazza e dovette mordersi il labbro per non parlare.  

“E qui si mette male” disse Rebecca tristemente.

“Perché?”

“Perché io invece ne vorrò” sospirò stancamente, facendo cadere sul divano la sua giacca.

Gabriel ingoiò il vuoto. “Pure io ma non ora”

Rebecca dovette cacciare indietro le lacrime che minacciavano di uscirle. Quando facevano l’amore non usavano di certo delle precauzioni abbastanza efficienti da evitare il rischio di una gravidanza. C’era sempre quella remota possibilità e la ragazza inorridì al pensiero di poter rimanere incinta. Lei, che aveva sempre sognato di esserlo.

Cominciò a piangere silenziosamente e fu quando ebbe un sussulto che Gabriel si accorse che era in lacrime. La vista della ragazza in quelle condizioni gli spezzarono il cuore. L’abbracciò e la tenne stretta cullandola contro il suo petto.

“Non piangere, ti prego”

“Scusa ma non posso farci niente, non lo so neppure io perché sto piangendo, mi viene automatico!”

Gabriel prese un bel respiro. “Senti, se dovesse capitare a me andrebbe più che bene avere un bambino però è naturale che non lo vada apposta a cercare. Se dovesse capitare…non voglio che mio figlio diventi un incidente di percorso, voglio che sia desiderato”

“Magari più avanti”

“Sì, più avanti lo voglio avere un figlio da te”

Rebecca rise. “Te lo immagini un figlio nostro?”

“Intendi dire che sarà bellissimo?” disse Gabriel gonfiando il petto in un impeto di orgoglio paterno.

Rebecca gli tirò un pugnetto sul petto. “No scemo, intendo dire che sarà magico. Molto magico…e bello”

“Su questo sono d’accordo”

Rebecca strofinò il viso sul maglione del ragazzo e poi lo baciò. “Ti amo”

“Idem per me”

“Che ne dici se…?” Rebecca gli strizzò l’occhio e con un cenno del capo indicò il piano di sopra.

Gabriel si finse sorpreso e mostrò un sorriso smagliante. “Letto tuo o mio?”

“Ma come? Non avevi detto che restavo in camera tua?”

“Ah! Giusto. Allora letto mio” disse il ragazzo e con una mossa fenomenale si caricò Rebecca in groppa e trotterellò con lei su per le scale.

Direzione: camera da letto.



***



Evvai!!! Finito, finito e finito!!!
Oh, ma sono una mitica girl ad aggiornare così presto i capitoli...
mi sono presa indietro con l'altra storia ma prometto di aggiornarla il prima possibile.
è solo che siccome questa storia l'ho presto finita
(mancano 4 capitoli!!!)
volevo concludere questa così poi posso dedicarmi all'altra.

Il prossimo capitolo sarà: "IL DIAFANO CREPUSCOLO"
e praticamente è una "quiete prima della tempesta"

Recensite, mi raccomando!!!!!!



I THANKS:

"CHICCA90": ehehe...Gabriel geloso vale una fortuna!!!! nel senso che è secondo me è troppo caro un ragazzo così e io lo pagherei oro per averne uno così!!!! fammi sapere che ne pensi di questo capitolo che sicuramente è il più scottante fra tutti. bacioni...
ps: per angeli e demoni volevo appunto finire questa storia così poi potrò dedicarmi con tranquillità a quella perchè con due storie in contemporanea è un po' difficile con la scuola e tutto il resto. fa conto che l'aggiornerò fra due mesetti scarsi, ok???? pensi di resistere??? eeheheh...

"BELLA4"
: ehm..dicevi che avevi paura che non facessero pace??? ihihih...l'hanno fatta eccome!!!!! spero che con questo capitolo tu ti sia messa il cuore in pace e che finalmente tu possa vederli insieme. comunque tranquilla, anche nei prossimi saranno sempre insieme felici e tranquilli perciò si può dire che (per ora!!!) il peggio è passato.

"NIKKITH": eh beh, è vero, hai ragione. povero gabriel o povera rebecca??? pure io avrei fatto come lei, in questo caso avrei spaccato la faccia a lui per la gelosia. dopotutto è stato lui ad andare con altre ragazze prima di lei mentre rebecca era ancora inesperta in quel campo. però vabbè, diciamo che con questo capitolo ho sistemato a tutto!!!


RECENSITE, bacioni FEDERICA...




   



 

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Capitolo 22
*** Il diafano crepuscolo ***


Cap. 22 - IL DIAFANO CREPUSCOLO -

[La luce del sole riempie i miei capelli
e i sogni sono appesi all’aria.
I gabbiani sono in cielo e nei miei occhi blu.

Il sole è nei tuoi occhi,
il calore è nei tuoi capelli.
Sembra che ti odiano perché tu sei lì
e ho bisogno di un amico
che mi renda felice
e non di restare qui da solo.
Guardami mentre sto qui da solo di nuovo
rivolto proprio verso la luce del sole.

Non ho bisogno di ridere e piangere,
è una meravigliosa vita]

Zucchero - Wonderful life -



***



Quando si dice: “La quiete prima della tempesta” s’intende affermare un momento della propria esistenza che viene vissuto con tranquillità, pace e felicità prima che il dolore, la sofferenza e la violenza distruggano tutto. È un periodo che può essere breve oppure lungo una vita, ma non importa…perché quando la guerra spazza via ciò che si era costruito non si ricorda mai il quanto ma il come. Il tempo non esiste, esistono solo le persone che vivono nel tempo. Anche se si può vivere solo un giorno di quiete questo giorno deve essere intenso.



***



“Non pensi che ci debba essere qualcosa di più di tutto questo?” domandò Rebecca a Gabriel che era steso al suo fianco.

Gabriel, che non smetteva di accarezzarle i capelli, la fissò perplesso. “Che vorresti dire? Che non sei felice?”

Rebecca si strinse al suo fianco e rabbrividì. Forse non era stata una buona idea uscire quella notte a guardare le stelle cadenti. L’erba fredda e umida le provocava dei fortissimi pruriti e il solletico.

Guardò Gabriel e incrociò il suo sguardo preoccupato. “Non ho detto questo” ci tenne a puntualizzare. “Parlavo della guerra e della condizione in cui ci siamo ritrovati a vivere”

“Spiegati meglio”

La ragazza era titubante. “Non so come fare per spiegarti…”

“Provaci” le disse il ragazzo che sembrava volersela mangiare con gli occhi.

“È la guerra. È come se ogni momento fosse l’ultimo. Ho questa sensazione orribile, ho paura che la guerra possa cambiare tutto questo, che possa arrivare proprio ora e distruggere persino l’amore o, peggio ancora, la tua vita”

“Cosa dici? Saremo noi ad attaccare, non corriamo il rischio di ricevere un attacco a sorpresa”

“Lo so ma questa sensazione di ansia non mi abbandona. Temo che possa arrivare da un momento all’altro, io non credo di essere pronta” prese un po’ di fiato. “Non voglio morire” e si coprì gli occhi con le mani. “Non ora che ho trovato te”

Gabriel le scostò le mani per guardarle il viso. “Non morirai, non pensarlo nemmeno”

“Non voglio che tu muoia”

Rebecca era partita. Era partita e ora le sue più grandi paure erano venute a galla con una forza e un’intensità disarmante.

“Smettila di dire queste cose, ti agiti per nulla”

Rebecca sbuffò, frustrata. “E come faccio?! Non ho mica il tuo cuore di pietra!”

Gabriel rise e la strinse a sé. “Non vado in giro a vantarmene infatti”

Le si finse offesa e si divincolò dal suo abbraccio. “Io sto qui a raccontarti tutte le mie paure ossessive e tu mi prendi in giro. Ti odio”

Gabriel strofinò il viso tra i suoi capelli profumati e ne inspirò il profumo. “Il sentimento è reciproco” disse, baciandole la clavicola.

Rebecca, che non voleva cedere così in fretta al suo tocco, si staccò da lui facendo accostare il suo viso a pochi centimetri da quello del ragazzo che la guardava con un misto di meraviglia e stupore. Lasciò, apposta, che le sue labbra sfiorassero quelle di Gabriel e quando lui provò a baciarla lei si tirò indietro con un sorrisetto. Più lui le si avvicinava per baciarla, più lei ricadeva indietro.

“Giochi sporco” le disse il ragazzo che dopo aver perso la pazienza si mise a sedere. “Non vale puntare sulle debolezze del nemico”

Rebecca, stendendosi sull’erba, lo guardò dal basso e ghignò. “Non è forse così che si vince una guerra, Gabriele?”

Al suono di quel nome il ragazzo si voltò di scatto verso di lei.

“È questo il tuo vero nome, vero?” gli chiese la ragazza, diventando seria.

Ora nessuno rideva più.

Gabriel aprì e richiuse la bocca un paio di volte. “Come fai a…?”

“Bastian” disse lei semplicemente. “Vi ho sentiti parlare pochi giorni fa. Come mai non ti fai chiamare così?”

Gabriel parve vacillare e per un momento se ne stette zitto prima di rispondere. “Io ero l’Angelo Gabriele, non ho più avuto il coraggio di tenere quel nome dopo la mia condanna. Quel nome significava potenza, gloria, immortalità, maestosità, magia…da quando divenni un semplice umano mi vergognai di portarlo, non mi sentivo all’altezza di quel nome”

“Posso chiamarti Gabriel?”

Gabriel emise una risata sarcastica. “Preferisci chiamarmi Gabriel perché hai capito che Gabriele non è alla mia altezza, giusto? Beh, non ti rimprovero”

“No, preferisco Gabriel perché penso che tu sia migliore di Gabriele”

“Non dire sciocchezze, per favore. Una volta ero il massimo, ora…non sono nessuno”

“Non è vero, restando umano hai imparato molte più cose di quando non eri un angelo bianco. Ti sei fatto valere come persona e hai dimostrato di saper amare un’altra persona. Io mi sono innamorata di te, non del mitico Angelo Gabriele” disse Rebecca, e senza rendersene conto lanciò un’occhiata alla sua spalla nuda. I nei che formavano una grande croce erano più grandi che mai.

“In effetti non ero un granchè” disse Gabriel, sforzandosi di non ridere.

“Sei meglio ora che hai imparato a condividere con i sentimenti umani, se fossi sempre stato l’invincibile Gabriele ora non sapresti n’anche cos’è l’amore, o l’amicizia, o il dolore. Saresti solamente un robot senza cuore”

“Sai cosa mi piace di te?”

“Cosa?” domandò lei, stupita e divertita allo stesso tempo.

“Che non dici mai mezze verità”

“Sono famosa per i miei modi schietti e sinceri”

“Ecco perché io e te litighiamo”

“Ecco perché ci ammazzeremo a vicenda” disse lei, nel bel mezzo di una risata che la stava facendo sussultare.

Gabriel si sporse su di lei e posò le mani ai lati della sua testa racchiudendola sotto di sé. Soffiò sulle sue labbra e le sfiorò il naso con il proprio naso, solleticandole la fronte con i suoi ciuffi biondi. “Sei meravigliosa” mormorò con voce roca. Poi la baciò passionalmente, con ardore. Piegò le braccia e si ritrovò con il corpo pressato a quello di lei. Rebecca posò le mani sui suoi fianchi e si lasciò baciare rispondendo al bacio con tutta sé stessa.

I loro corpi avvinghiati rotolarono sull’erba e risero come due bambini finendo uno ammassato all’altra.

“Tu mi farai morire!” disse Gabriel tra una risata e l’altra, tentando di farle il solletico anche se lei non lo soffriva.

Rebecca gli si stese sopra e spinse i fianchi contro quelli di Gabriel. Il ragazzo spalancò gli occhi, incredulo, lei ricambiò lo sguardo con una risata. “Hai detto che vuoi morire…”

Gabriel cercò di scivolare dalla sua presa. “Non penserai di farlo qui?” era inorridito.

Rebecca rise e alzò le spalle al cielo. “Mah…”

“Tu sei pazza…se ci beccano poi è sempre colpa mia. Col cavolo che ci rimetto le ossa, piuttosto andiamo a casa”

La ragazza sbuffò leggermente delusa. Scese dal corpo di Gabriel e si stese sull’erba. Si stava benissimo fuori col caldo afoso della notte e l’idea di ritornare dentro quelle quattro mura calde e opprimenti la faceva inorridire.

“No, stiamo qui” disse alla fine a Gabriel, che aspettava accanto a lei una risposta. Lui parve sollevato perché la strinse contro di sé e cominciò allegramente a baciarle i capelli.

“Sei fantastica” le sussurrò ad un certo punto Gabriel.

Rebecca incrociò i suoi occhi. “Perché?”

“Probabilmente non sarei mai stato capace di amare nessun’altra che non fossi tu”

“Neppure io, Gabriel”

Lui la baciò e la strinse possessivamente salendole sopra e schiacciandola sotto di lui. La guardò incantato. “Ti amo davvero”

Lei rise forte e lo baciò a sua volta.



***



Rebecca aveva pregato così allungo Gabriel perché l’allenasse che alla fine lui aveva, a malincuore, accettato.

“Ma se sei perfetta! Che altro allenamento vuoi fare?!” le diceva sempre non appena lei provava ad entrare nel discorso.

Il fatto era che il ragazzo aveva tutta l’intenzione di addestrarla ma non subito. Prima voleva stare e passare con lei tutti quei bellissimi momenti di intimità che li restavano. Le ripeteva che l’avrebbe allenata più tardi, poco prima che la guerra iniziasse, ma lei contestava sempre tutto quello che le diceva e per forza doveva farlo anche quella volta.

Alla fine Gabriel, stremato e rassegnato, si era arreso. L’aveva portata in un caseggiato disabitato in mezzo ai campi, all’interno il capannone era in disuso e non c’era altro che polvere, oscurità, travi di legno abbandonate e accatastate, e raggi di luce che filtravano dalle finestre strette e lunghe in cima alle pareti logore.

Gabriel non metteva piede in quel posto da anni, che però sembravano secoli visto com’era ridotto. Guardò con stizza l’unico stanzone interno mentre Rebecca ne parve soddisfatta.

“Mi piace questo posto” disse con convinzione guardandosi intorno.

Gabriel fece una smorfia. “Se non sei allergica alla polvere”

Rebecca gli diede un’occhiataccia e si fermò al centro della stanza. “Che facciamo? Aspettiamo che faccia buio?”

Gabriel inforcò la sua spada e la puntò contro la ragazza. “Io direi di iniziare” la sfidò.

Rebecca gli lanciò uno sguardo malizioso e lo squadrò da cima a fondo, ondeggiando sul posto. Gabriel inarcò le soppraciglia con uno sguardo divertito. In men che non si dica la ragazza corse a balzi verso di lui mostrando la spada che portava nella cinghia della cintura. Le due lame si scontarono in un rumore penetrante. Entrambe si spezzarono.

Lanciarono da una parte le else con le lame spezzate a metà. Passarono al corpo a corpo. Era Rebecca che attaccava, Gabriel si difendeva dai suoi pugni ben assestati con le braccia alzate, indietreggiando sempre di più. Fu quando Rebecca fece una sforbiciata in aria, e lo colpì in faccia, che invertirono le posizioni: ora era lei con le spalle al muro. Gabriel la guardò soddisfatto mentre si massaggiava la guancia colpita.

Rebecca fece una piroetta indietro e finì contro il muro, cominciò a correre sulla parete aggirando il ragazzo che la guardava dal basso muoversi sul muro. La ragazza scese dalla parete e gli piombò addosso con un calcio pronto. Lui deviò il colpo del suo piede andando indietro con la schiena e finendo a ponte, fece un salto indietro e rimase in posizione di difesa senza lasciare su quel viso un sorrisino divertito.

Rebecca, stufa di giocare, gli andò incontro correndo. Gabriel non aveva nessuna intenzione di spostarsi. Erano al centro della stanza. La ragazza prese la rincorsa. Gabriel piegò il corpo in avanti. Rebecca saltò: premette i palmi delle mani sul petto del ragazzo facendo una verticale perfetta sul suo petto con Gabriel in posizione leggermente piegata indietro. I loro volti erano vicinissimi e sottosopra. Rebecca cambiò lato aiutandosi con le mani e portandole sulle spalle del ragazzo mentre era ancora in verticale. Girò il corpo, lo baciò e con un salto toccò terra. La sua testa era rossa grazie al sangue che nel frattempo era affluito al cervello.

Gabriel si voltò verso di lei che gli era alle spalle, tirò fuori da uno stivale un coltellino e, velocissimo, glielo lanciò addosso all’altezza del cuore. Rebecca lo fermò col solo pensiero, con un movimento della mano invertì la direzione del coltello e questo partì alla carica verso il ragazzo che lo bloccò trasformandolo in petali rossi.

“Ho come la sensazione che non finiremo mai” disse la ragazza col fiatone.

“Continua” sibilò il ragazzo. “Non abbiamo finito”

Combatterono per un’ora ancora, se la diedero di santa ragione con tanto di armi, corpo a corpo e magie. Nessuno dei due perdeva, nessuna dei due vinceva. Era come se si fossero trovati sullo stesso piano. Alla fine, stremati ed esausti, caddero l’uno sopra l’altra.

“Non ce la faccio più…” ansimò la ragazza, cercando di prendere un bel respiro. Il cuore le martellava fortissimo nel petto.

“Secondo me ti è rimasta ancora un po’ di forza”

“Per cosa?” domandò guardando il ragazzo che le stava praticamente sopra. Conosceva quello sguardo. Sorrise forte e annuì, cominciando a sbottonare i calzoni di Gabriel.  



***



Gabriel provò più volte a svegliare la ragazza che, ronfando, non si decideva a muoversi dal letto. Le andò vicino all’orecchio e, soffiandole l’alito caldo sulla guancia, sussurrò con ostentata calma: “Bec, non è che mi faresti un favore e ti sveglieresti?”

La ragazza si strinse tra le coperte sentendo freddo. “Mmh”

“Dai” le disse lui, sempre dolcemente.

“Mmh…”

“Ora”

Rebecca aprì gli occhi e gli sbattè un paio di volte, si stiracchiò bellamente e con cipiglio severo si voltò verso Gabriel che era ancora nudo nonostante la temperatura si fosse abbassata durante la notte. “Perché quella volta non sei nato con il gene della pazienza?”

Gabriel la guardò deluso. “A dir la verità ho una sorpresa per te”

“Gabriel, tra pochi giorni andremo in guerra, ti pare il momento per festeggiare compleanni?”

“Non è una festa!” sbottò irritato. “Vieni e vedrai di che si tratta”

“Uhm…devo proprio?” domandò lei in tono di supplica. “Abbi pietà di me”

Il ragazzo si appoggiò al gomito e la fissò severamente. “Da quando ci siamo allenati al vecchio caseggiato non abbiamo più fatto niente di concreto. Lascia almeno che oggi sia l’ultima giornata spensierata, ti prometto che da domani ci impegneremo seriamente nella guerra ma ti prego, oggi viviamocela all’insegna della spensieratezza”

Rebecca chiuse gli occhi e inspirò profondamente, ammorbidendo le labbra in un pigro sorriso. Da quando lei e Gabriel si erano addestrati parecchi giorni prima avevano passato le seguenti giornate senza far niente. Non toccarono mai discorsi come la guerra, non facevano altro se non lunghe passeggiate, nuotate lungo i fiumi, remavano con delle canoe lungo le rapide o scoscese cascate e andavano a caccia insieme di qualche drago di piccole dimensioni o di centauri (animali che catturavano ma che mai ammazzavano). Facevano l’amore più e più volte durante il giorno, tanto che alcune volte alla sera, sfiniti, si buttavano sul letto e chiudevano subito gli occhi addormentandosi ancora vestiti. Erano state due settimane splendide ma ora era il caso di dedicarsi alla guerra che, sempre più vicina, iniziava a farsi sentire.

Alla fine la ragazza riaprì gli occhi. “Va bene, ma poi ci impegniamo seriamente, capito Gabriel?”

Il volto del ragazzo si fece improvvisamente raggiante e splendido. “Oh, si! Non ti deluderò, mio dolce amore”

“Bravo, pensi di conquistarmi con le parole?” disse Rebecca storcendo il naso.  

Gabriel le diede un bacino nel naso. “Che strano, pensavo di averti già conquistata”



***



“Sarebbe questa la grande sorpresa di cui mi parlavi?!” esclamò la ragazza per niente contenta. “Un campo d’erba all’alba?!”

“Beh…” Gabriel diede un’occhiata intorno a loro. In effetti si trovavano nel bel mezzo di una distesa verde con nient’altro. “…vista così non è granchè”

Rebecca si impose di star calma, ripensò con rimpianto al letto caldo e comodo che aveva abbandonato a casa. Strinse i pugni e digrignò i denti. “Ho una gran voglia di strozzarti…”

Gabriel fece un fischio e lei lo guardò confusa. “Gabriel, che stai facendo?”

Lui le fece cenno di aspettare. In lontananza, che correvano verso di loro con il sole alle spalle, due fantastici unicorni, bianchi e puri come il latte, si rincorrevano tra loro nell’umido campo d’erba. Si fermarono davanti ai due ragazzi e con un nitrito fecero un profondo inchino. Uno dei due, quello che era corso da Gabriel, doveva essere il maschio: era più grande e più possente, il suo corno splendeva di bianco. L’unicorno che invece si era trovata d’innanzi Rebecca era sicuramente la femmina: aggraziata, leggermente più piccola e fragile, e con il corno che tendeva ad un colore rosato.

Rebecca aveva la bocca aperta di fronte a quella meraviglia e guardò Gabriel con una tale gioia che quasi quasi si metteva a piangere. Non aveva mai visto niente di più bello.

“Gabriel, è…” non riusciva a trovare le parole per esprimere la sua contentezza. “È bellissimo! Non ho mai…io non pensavo di vederne mai un esemplare in tutta la mia vita! Credevo fossero leggende, fiabe da bambini ma ora che…” ammirò con rispetto i due unicorni. “Inconcepibile”

Gabriel, visibilmente soddisfatto e compiaciuto, le fece segno di montare in groppa. “Forza, sali!” le disse.

Non appena furono entrambi montati in groppa gli unicorni iniziarono a correre verso l’orizzonte, verso la fine del mondo, dove il sole toccava la terra. I due ragazzi si tenerono come meglio poterono alla criniera degli animali e con il vento che li spettinava i capelli si lasciarono portare da quelle bellissime creature. Fu una cavalcata indimenticabile, Rebecca appariva aggraziata, elegante e bellissima, Gabriel invece somigliava molto ad un guerriero virile e potente con il suo destriero. Guidarono gli animali per tutta la distesa finchè questi non furono esausti e si fermarono con un nitrito. L’unicorno di Rebecca, che era ancora in forze, scalciò indietro e s’impennò, Gabriel fece un salto dal suo unicorno per finire in groppa dietro a Rebecca. Le circondò i fianchi e si strinse a lei. Rebecca incitò la cavalla di partire e questa nitrendo ricominciò a correre lasciando indietro il vecchio e stanco maschio. Viaggiarono tranquilli e felici per altri chilometri dopodichè anche quell’unicorno si stancò e si accasciò a terra.

Rebecca rotolò sopra a Gabriel. “Era il regalo più bello che potessi farmi!”

Lui le baciò la punta del naso. “Sono contento che ti sia piaciuto”

“Se mi è piaciuto?! È stato fenomenale!”

Gabriel rise forte e l’aiuto ad alzarsi. “Forza principessa, torniamo a casa”

Le piaceva quando la chiamava così, era come se la coccolasse con le parole. “Cosa facciamo stasera?”

“Ma come? Io pensavo che cucinassi qualcosa per me”

Rebecca storse il naso. “Non mi piace molto come idea”

Gabriel l’abbracciò e camminarono mano nella mano. “Quando torneremo da questa guerra voglio sposarti e avere tanti bambini dai capelli biondi come i miei e gli occhi scuri come i tuoi. Dovrai saper cucinare per nutrire tuo marito”

Rebecca gli pizzicò il fianco e lui fece un saltino. “Hai davvero intenzione di sposarmi? Non sai in che pasticcio ti sei cacciato…”

“Sì” era serio.

Lei lo guardò negli occhi e vide che non scherzava. Deglutì. “Quindi andrai a prendere le fedi da Ares?”

“Un piccolo inconveniente che però posso facilmente superare ora che ho i miei poteri”

“E così vuoi sposarmi” ripetè.

Lui la fissò come se fosse ritardata. “Mi sembrava di avertelo appena detto, sì”

“Mi sposo” sussurrò, incapace di credere alle sue stesse parole. “Con te”

“C’è qualche passaggio che ti è sfuggito?”

“Non mi hai neanche fatto la proposta come si deve”

“Perché? In tal caso mi diresti di no?”

“Non so, tu prova a farmela” gli disse.

Si erano entrambi fermati e si guardavano con distacco.

Gabriel era impassibile. “Tu mi sposerai, non voglio un no come risposta”

“Ma così mi stai obbligando!” esclamò Rebecca, ridendo e portandosi le mani alla bocca.

Il volto di Gabriel si rilassò. “Non hai altra scelta” la canzonò facendosi più vicino. “Ormai ti sei data a me e io ora non ti lascio andare”

“Comunque il mio era un sì”

“Ci avrei scommesso” disse, baciandola.

Ripreso a camminare fianco a fianco, i loro corpi si sfioravano mentre procedevano verso il villaggio. Era ormai pomeriggio inoltrato.

Rebecca scoppiò a ridere tutto su un colpo. Gabriel la guardò come se fosse impazzita, aveva le sopracciglia inarcate e il labbro innalzato. “Che hai da ridere?”

Rebecca si portò di nuovo una mano alla bocca. “Stavo solo pensando…”

“A cosa?”

“A come sarebbe la nostra vita da coppia sposata”

Gabriel distese un sorriso e puntò i suoi occhi ribelli sulla ragazza. “Sicuramente non sarà per niente noiosa”

“Prevedo molti litigi”

“E libri che volano”

“Porte che sbattono”

“Marmocchi che corrono nei corridoi”

“Ma se non ne volevi di figli!”

“Ho sempre detto non ora, più avanti”

“Ma quanto sei falso…!”

“Vedi?”

“Cosa?”

“Ci stiamo già comportando come una coppia di novelli sposi”



***



Nel cuore della notte Gabriel si alzò dal letto, spostò le lenzuola che lo ricoprivano e andò un attimo al bagno. Era nudo con solo i boxer addosso ma di certo nessuno poteva vederlo perciò tanto valeva farsi problemi in casa propria. Il bagno era silenzioso, emanava un leggero profumo di pulito misto a lavanda e disinfettante. Avevano imitato ed esportato molti prodotti della Terra, come lo specchio, la vasca, il lavandino e la maggior parte dei mobili di quella casa, più moderna rispetto le altre del villaggio. Gabriel voleva che Rebecca si sentisse a proprio agio come se fosse stata nella sua casa in America.

Ecco perché loro avevano un water mentre gli altri no.

Quando ebbe finito tirò l’acqua e tornò in camera da letto. Rebecca dormiva a pancia in giù, la schiena era scoperta e respirava forte. Si grattò la testa e con gli occhi lucidi dal sonno aggirò il letto per raggiungere il suo lato. Vide che Rebecca si stava muovendo. La osservò con attenzione e lei mugugnò qualcosa nel sonno. La osservò meglio e capì che si stava svegliando. Cercò di fare il minimo rumore ma poi lei aprì un po’ alla volta gli occhi.

“Dove sei stato?” chiese, con la voce impastata dal sonno e sbadigliando.

“Al bagno” Gabriel si fermò e rimase per qualche secondo in piedi ciondolando accanto al letto. “Senti, visto che ti sei svegliata non è che mi andresti a fare una tisana?”

Rebecca, che aveva richiuso gli occhi, ne aprì uno solo e fissò il ragazzo. “Perché?” c’era irritazione nella sua voce.

“Perché ne ho voglia e tu fai delle tisane che sono divine”

“Finchè dormi mezzo nudo…”

“Togliamoci pure il “mezzo”.”

La ragazza lo guardò e poi si mise in piedi buttando le coperte in fondo al letto. Sbuffò e indossò una leggera vestaglia in raso viola.

Andò al piano di sotto praticamente arrancando, non riusciva a vedere con lucidità perché il sonno e i continui sbadigli le annebbiavano gli occhi. Si strofinò gli occhi con la manica della vestaglia e fece bollire in un pentolino un po’ d’acqua. Mise dentro ad una tazza delle erbe aromatiche e profumate e aspettò nella sedia con il volto nel tavolo che l’acqua diventasse calda abbastanza per sciogliere le erbe. Non appena l’acqua bollente riempì la tazza le foglioline salirono a galla e un po’ alla volta si sgretolarono fino a sciogliersi completamente. Aggiunse due cucchiaiate di miele e ritornò di sopra. Il corridoio era buio e silenzioso. Con l’altra mano fermò il nodo della vestaglia così forte che si sentì schiacciare la pancia.

Aprì la porta della camera da letto che prima, ne era sicura, era rimasta aperta. Dentro regnava il buio totale, accese la luce e vide Gabriel inginocchiato ai suoi piedi. Sussultò e pose la tazza fumante nel suo comodino.

Conosceva quella posizione, l’aveva vista un milione di volte nei film. Non capiva se il ragazzo stesse scherzando o se faceva sul serio.

Il suo volto era tutto fuorché scherzoso. Lei ammutolì e si portò una mano sul petto come per fermare i battiti incessanti del suo cuore.

“Mi vuoi sposare?” le domandò con voce carezzevole Gabriel.

Non poteva parlare. Ci provò ma niente.

“Dovresti dire qualcosa”

Rimasero a guardarsi allibiti.

I metri che lo separavano da lei erano sempre meno.

Diciotto…

Dodici…

Dieci…

“Ehi, Rebecca! La facciamo finita?”

“Solo quando mi avrai superata, lumaca!”

Otto…

Cinque…

“Sicura?”

“Quando mai scherzo?!”

Quattro…

Tre…

Due…

Uno…

“Vinto!” urlò Gabriel, l’aveva superata e lei neppure se n’era accorta.

Il ragazzo saltava dall’euforia, rideva e si gustava quel momento. C’era mancato poco perché il suo orgoglio andasse ancora una volta calpestato, era lui l’uomo, era lui il maestro e il giorno in cui la sua allieva l’avrebbe superato nella corsa era lontano anni luce.  

Bec invece non rideva per niente, lo guardava storto e con il fiato veloce.

“Non vale” disse senza voce, ora doveva pensare a ritrovare l’ossigeno perduto.

“Si che vale, signorina tartarugona”

Rebecca incassò il colpo e abbassò la cresta, non c’era niente di male ad essere battuti dal proprio insegnante.

“Ok, ho perso, hai vinto tu. Tanto io rimango comunque più bella di te” esclamò fiera Bec, dandosi delle arie da gran donna.

“Non dovresti dire queste cose”

“Eh?! Cosa?”

“Tu sei bella” la corresse, come si corregge di solito un errore madornale.

Gabriel non intendeva certo essere carino con lei ma quel doppio senso lo disse senza nemmeno accorgersene.
Questo, lo lasciò di stucco. Si stava già rimangiando ciò che aveva detto. Alzò gli occhi al cielo, nervoso, sperando che lei non fraintendesse o travisasse le sue parole. Ci mancava solo che un’adolescente alle prime armi s’invaghisse di lui, sarebbe stato imbarazzante e impossibile da gestire.

Cercò di porre rimedio.

“È un dato di fatto, non parlo personalmente, lo sanno tutti, compresa te, che sei carina!”

Forse fu dal modo convincente in cui lo disse oppure dalla bravura nell’aver mascherato l’errore, che Bec cacciò dalla mente l’idea che si era fatta di lui in quell’attimo.
Appena ebbe sentito pronunciare quella frase da Gabriel si stupì di trovarlo così schietto, senza neanche pensarci aveva detto una cosa ed era convinto. Poi, due secondi dopo, le aveva chiaramente fatto capire che lui non intendeva farle un complimento, voleva mettere in chiaro le cose come stavano: lui l’insegnante e l’amico; lei l’allieva e l’amica.

“Sei morta?”

Bec si scosse bruscamente.

“Sembravi una statua di cera” scherzò il ragazzo, che un po’ alla volta rideva sempre di più.

“Senti chi parla! Mister Muso Lungo…”

“Alcune volte non ti sopporto” disse Gabriel, con semplicità, scuotendo la testa.

“Sei così misterioso…” sillabò Bec

“Che cosa centra, adesso? Ti sto parlando di una cosa e tu te ne salti fuori con quest’affermazione. L’ho sempre sospettato che ci arrivi sempre dopo rispetto alla media”

Gabriel la guardava come di solito si guarda un paziente malato di una strana patologia mentale.

“Sei un caso perso, dai retta al tuo maestro”

“Guarda che le interconnessioni dei miei neuroni stanno benissimo!” esclamò Bec, cercando di difendersi dalle accuse fattegli.

“E allora che vuoi?!” domandò Gabriel, esasperato.

“Stavo solo pensando a quanto tu sia maledettamente freddo! Ghiacciolo, che non sei altro!”

“Io? Freddo?”

“Si, tu! Sei la persona più misera di sentimenti che abbia mai conosciuto! Non mi meraviglio che non sei mai riuscito a dire a nessuno “ti voglio bene”!”

“Ma come ti permetti?! Non è vero!”

“Dimmi Gabriel, è così difficile mostrare a qualcuno i tuoi sentimenti?!”

“No, ma non trovo l’utilità di spargerli ovunque!”

“Ma io sono tua amica” disse Bec, improvvisamente calma e dolce.

“Non centra niente” sbottò, frustrato.

“Con me puoi parlare se vuoi”

“Mai”

“E allora resta solo”

“Non ti lascio solo” disse Rebecca, travolta dai ricordi e sull’orlo delle lacrime.

Se avesse saputo che sarebbero arrivati fin quel punto avrebbe cambiato volentieri qualcosa del suo passato con lui? Qualche parola, qualche accusa, qualche supporto, qualche tocco…

Gabriel si alzò e la baciò travolgendola completamente. Era come se si stesse nutrendo di lei, la baciava e da quel bacio trovava la forza per continuare a vivere. Le passò le mani tra i lunghi capelli setosi e con le labbra quasi la divorò. Tolse le mani dal suo corpo e si concentrò su qualcos’altro. Slegò il nodo della sua camicia da notte e la fece stendere sul letto.

“Era un sì” mormorò Rebecca tra un bacio e l’altro, completamente inebriata dal suo profumo.

Gabriel scese a baciarle il collo. “Non avrei accettato un no”

“Sono tua” gli disse circondandogli il collo e aiutandolo a disfarsi dei pantaloni.

“Sei mia” ripetè prima di essere dentro di lei.   



***



“Gabriel, hai sentito?” Rebecca parlava sottovoce al ragazzo che si era da poco svegliato per i suoi strattoni.

Gabriel la guardò confuso e poi fece come gli aveva detto: tese le orecchie. “Non sento niente”

“Io sì” sibilò la ragazza guardando la porta chiusa della loro camera.

Gabriel seguì il suo sguardo e balzò in piedi. “Era aperta la porta prima” esclamò allarmato.

Rebecca gli fece cenno di parlare a bassa voce e gli indicò l’armadio. Si mossero dal letto all’armadio. Aprirono con calma e in silenzio le ante, e in un batter d’occhio si vestirono con due tute che usavano per allenarsi. Rebecca ne indossava una bianca e aderente mentre Gabriel portava una divisa blu scuro che s’intonava perfettamente ai suoi colori.

Cautamente uscirono in corridoio.

“C’è troppo silenzio” disse Rebecca intrufolandosi nella mente di Gabriel che spalancò gli occhi nel sentire la voce della ragazza dentro la sua testa.

“Mi leggi i pensieri?!” le sue labbra rimasero ferme ma il suo volto si trasformò in una smorfia interrogativa.

“No, quando è necessario posso parlare telepaticamente”

“Perché io non ci riesco con te?”

“Questo non lo so, penso faccia parte solo dei miei di poteri. Ora muoviamoci, direi di andare in cucina, è da là che ho sentito un rumore”

Gabriel annuì con la testa e la seguì. Si fermarono sulle scale e videro che in cucina due uomini mascherati stavano mettendo sottoquadro la biblioteca.

“Nim…” pensò a denti stretti la ragazza.  

“Attacchiamoli”

Gli piombarono alle spalle. I due Nim non si accorsero di niente finchè non sentirono il tipico rumore di una lama che infrange l’aria, un leggero sibilo sfrusciante. Entrambi fecero un balzo indietro, finendo rannicchiati sulla parete.

Gabriel si mosse verso il Nim che aveva di fronte, confidando che Rebecca si occupasse dell’altro. Fece roteare la spada intorno al proprio corpo e cercò di colpire il Nim che nel frattempo aveva tirato fuori una sciabola.

Rebecca guardò Gabriel che stava combattendo ad armi pari con il Nim. “Sei pazzo?!” gli urlò dietro. “Usa la magia!”

Gabriel fece finta di non averla sentita e continuò ad attaccare in maniera impeccabile, i suoi movimenti erano velocissimi e gran parte dei suoi salti sembravano fatti a rallentatore nonostante andasse alla massima velocità. A Rebecca sarebbe piaciuto restare a guardarlo…gettò a terra la spada. Era disarmata ed era troppo vicina al Nim. Fece una serie di ruote, capriole e salti indietro finchè non finì nella parte opposta della stanza.

Il Nim non perse tempo e, capendo quello che stava per fare, corse velocissimo verso di lei. Rebecca abbassò la testa e chiuse gli occhi, quando rialzò la testa di scatto e aprì gli occhi il colore delle sue pupille era nero, erano completamente neri.

Vedeva a rallentatore.

Alzò il palmo aperto della mano e da esso fece partire una serie di palline rotonde di colore azzurro che si scagliarono contro il Nim con il solo scopo di congelarlo. I Nim non erano stupidi e tanto meno sprovveduti, scansò la maggior parte delle sfere ma una, l’ultima, lo beccò in pieno petto.

Rebecca aveva deviato con il pensiero la traiettoria dell’ultima sfera rallentando ancora di più, con uno sforzo enorme, il tempo e i movimenti.

Il Nim venne scagliato dall’altra parte della stanza e sbatte la schiena contro la parete, si accasciò a terra, si alzò a fatica e non appena puntò i suoi occhi colmi di odio sulla ragazza il suo corpo si congelò, trasformandolo in una statua di ghiaccio.

Gabriel stava ancora combattendo, si vedeva lontano un miglio che era stanco e sudato, nessuno dei due voleva cedere: il prezzo da pagare era la morte.

Senza che il ragazzo se ne accorgesse Rebecca prese la sciabola che era caduta al Nim congelato e con una mira perfetta la lanciò, facendola roteare su sé stessa, contro il secondo Nim che riuscì a colpirlo proprio dritto al cuore. Lei non si sbagliava mai.

Gabriel si voltò a guardarla allibito, poi vide che fine aveva fatto l’altro Nim e ne rimase sconvolto.

Rebecca, i cui occhi erano tornati normali, di un bel colore cioccolata, richiamò la sciabola dal corpo del secondo Nim a terra. Questa, come posseduta, si estrasse dal cadavere e volò giusta nelle mani protese della ragazza che ammirò con approvazione il gioiellino.

Gabriel la fissava incredulo e con la gola secca. “Non avrei mai pensato che potessi essere così spietata”

Rebecca corrucciò la fronte. “Non capisco”

“Gli hai uccisi a sangue freddo”

“Era così che dovevamo sbarazzarcene”

“Sì, ma contando che fino a poco tempo fa il solo pensiero di uccidere una persona ti dava ribrezzo…”

“Nella mia nuova vita mi sono adattata” disse con noncuranza pulendo il sangue dalla sciabola con la manica della sua divisa pulita. Il bianco della tuta si macchiò di rosso. Gabriel impallidì.

Rebecca si avvicinò alla statua di ghiaccio. “Tra poche ore si scongelerà”

“Che intendi fare?”

Un colpo secco di quella spada mandò in frantumi la statua che una volta era stata un Nim, una moltitudine di cubetti di ghiaccio si sparsero sul pavimento.

“Ecco fatto, ora non credo che riuscirà mai a ricomporsi” disse la ragazza saltellando verso Gabriel e scoccandogli un bacio sulle labbra.

Gabriel era pietrificato.



***



- 3 alla fine del primo capitolo!!!

Il prossimo capitolo sarà: "LE TATTICHE DEGLI ANGELI"

RECENSITE!!!!

Mi raccomando...mi fa sempre piacere ricevere commenti!!!..da ognuno!!!





 
 

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Capitolo 23
*** Le tattiche degli angeli ***


Cap. 23 - LE TATTICHE DEGLI ANGELI -

[Devi tenere la tua mente bene aperta,
ogni possibilità,
devi vivere con gli occhi ben aperti,
credere in quello che vedi]

AnnaSophia Robb - Keep your mind wide open -



***



Erano tornati a dormire, Gabriel aveva sentito Rebecca dirgli qualcosa ma non l’aveva ascoltata, le parole erano entrate per un orecchio ed erano uscite dall’altro. Cadde pesantemente sul materasso e non si mosse. La sentì mentre si toglieva l’uniforme e indossava il pigiama, quando entrò anche lei a letto Gabriel sentì l’aria passare dalle coperte che si erano alzate. Fece finta di dormire. In effetti era quello che avrebbe voluto ma non riusciva a prendere sonno. Rimase sempre nella stessa posizione e non appena cominciò a sentire la gamba destra addormentarsi sbuffò sonoramente e si mise supino. Lanciò un’occhiata torva alla ragazza che dormiva bellamente alla sua sinistra, sotto alle coperte si scaldava col lenzuolo.

Gabriel si passò nervosamente le mani sulla faccia e si premette gli occhi con le dita. Gli bruciavano. Senza contare che in quel momento qualcos’altro stava andando a fuoco: era la testa. La testa proprio perché a forza di pensare a quanto era successo gli era venuto un terribile mal di testa.

Era sempre stato il primo a dire a Rebecca di imparare a difendersi dai nemici, di saper attaccare e affondare. Aveva cercato di insegnarle la diplomazia e la capacità di saper tenere in ogni circostanza il sangue freddo e la mente ben aperta. Era stato proprio lui a dirle di uccidere senza esitazioni.

Nessun rimpianto, nessun ripensamento, nessuna pietà.

Ma ora che aveva visto con i suoi occhi ciò di cui Rebecca era capace provò un forte senso di inadeguatezza e di impotenza. Averla vista così spietata e crudele, e al tempo stesso indifferente e controllata, l’aveva pietrificato. Era abituato ad avere con lei ben altri rapporti. Non invidiava, ora come ora, i suoi nemici. Gabriel era forte e aveva i suoi poteri ma temeva che con uno scontro potesse perdere. Se si fossero trovati in un campo di battaglia come nemici la sua vittoria non era certa.

Rebecca era diventata molto potente e questo dava timore al ragazzo che da sempre aveva avuto qualche sospetto sull’uso della sua mano sinistra e di frasi circospette che lei gli aveva detto riguardo l’immortalità e la voglia di potere. Pure i suoi nei sulla spalla che formavano una croce erano diventati più scuri e accentuati. Ma Gabriel confidava sempre sulla bontà delle persone e mai e poi mai avrebbe creduto che Rebecca fosse stata capace di passare dalla parte del Male.

Dopotutto, che motivo avrebbe avuto?



***



Il mattino dopo Rebecca e Gabriel trovarono soltanto un corpo a terra. Del secondo Nim non c’era traccia.



***



Il Nim era riuscito a scappare. Se la ragazza fosse stata più accorta avrebbe saputo che non bastava conficcare una spada nel cuore per uccidere un Nim. E infatti era riuscito a salvarsi. Non appena l’angelo lo aveva trapassato con la sua stessa sciabola era rimasto a terra in una sorte di morte apparente, aspettando il momento di vederli andare a letto per potersene tornare al castello. Stava per andarsene quando non potè non notare uno strano luccichio provenire da uno scaffale della biblioteca sopra la propria testa.

Allungò una mano e strinse un pugnale. Il più bel pugnale che avesse mai visto. Lo rigirò tra le mani con la strana sensazione di averlo già visto da qualche parte. Osservò meglio l’elsa e vide che era stato disegnato un marchio. Avvicinò gli occhi, era buio e voleva essere sicuro di quello che aveva visto. Infatti non si era sbagliato. Il pugnale portava lo stemma dei Douglas, i genitori di Darth Threat. Il Nim non poteva giurarlo con sicurezza ma con ogni probabilità quel pugnale apparteneva all’intera discendenza di quella stirpe magica.

Strano, pensò, non capisco perché ce l’abbia quella ragazza.

Il Nim nascose il pugnale dentro il suo mantello e corse fuori nella notte. Non aveva nessuna intenzione di ridarlo a Darth Threat. Che lo punissero pure, quell’arma valeva una fortuna.



***



Bastian, compresa la notizia che i due giovani erano stati attaccati durante la notte, aveva deciso di mobilitare le truppe. Dovevano sbrigarsi a concludere quella guerra, con ogni probabilità Mortimer era venuto a conoscenza dei loro piani e questo gli svantaggiava. Dovevano attaccare il prima possibile altrimenti sarebbe stata l’armata di Mortimer a muoversi per prima attaccando loro.

Bastian aveva raccolto a rapporto Gabriel e Rebecca che aveva nominato capitani dei due battaglioni. Il primo era sotto il comando di Rebecca mentre il secondo di Gabriel. Aveva inoltre reclutato più uomini possibili per la guerra: giovani, vecchi volenterosi e uomini, che si sarebbero aggiunti alla schiera dei soldati. Non erano un numero altissimo, Bastian aveva chiamato gente da tutti i villaggi e in molte persone erano giunti al villaggio, desiderosi di unirsi per quella causa ma non erano comunque abbastanza numerosi. Bastian contava molto sulla bravura dei suoi soldati e sulla volontà dei volontari del villaggio, nonostante tutto, grazie a Rebecca, era convinto che avrebbero vinto. Aveva assistito in prima persona ai cambiamenti e al progresso che la ragazza aveva fatto nell’arte della guerra ed era pressoché invincibile. Soltanto Rebecca poteva far fuori mezza armata, ecco perché l’inferiorità numerica dei suoi uomini non lo preoccupava più di tanto.

Quella mattina stessa Bastian aveva riunito tutto l’esercito ed erano partiti di buon’ora verso l’accampamento, l’ultimo avamposto prima del nemico. Erano muniti di armi, tende, cibi e vestiario, si sarebbero fermati a pochi chilometri dal castello di Mortimer, dentro il bosco.

“La maggior parte degli uomini che hai fatto reclutare sono bambini” gli disse Rebecca mentre marciavano lungo un sentiero. Le truppe erano a piedi, Rebecca, Gabriel e Bastian avevano tre cavalli. Il cavallo della ragazza era un unicorno bianco.

Bastian la scrutò con attenzione e abbassò gli occhi per poi rivolgere lo sguardo altrove. “Lo sapevano a cosa andavano incontro, non possono avere un’età inferiore ai sedici anni. Se un ragazzo non è un soldato arruolato ma un semplice contadino che però vuole combattere per la propria terra, è giusto che anche a lui venga data la possibilità di combattere per quello in cui crede”

“Non vedo donne” disse la ragazza con occhio critico.

“Le donne del villaggio non sono esattamente quelle che tu definisci eroine. A quanto pare sei tu l’eccezione”

“Sulla Terra anche le donne possono arruolarsi”

“Beh, qua no. A Chenzo le donne non sono ancora fisicamente portate per la guerra”

Rebecca rimase in silenzio e osservò il cavallo marrone di Bastian. “È vecchio”

Bastian la guardò interrogativamente. “Chi?”

“Il tuo cavallo. È vecchio. Morirà durante la battaglia, ti consiglio di cambiarlo”

“E tu come lo sai?”

“Fidati” gli disse lei lanciando un’occhiata al cavallo nero di Gabriel poco dietro di lei. “Quello di Gabriel è giovane, dovresti prenderne uno così”

“Grazie dell’informazione”

“Di niente”

“Ti dispiace se vado avanti da solo?” domandò Bastian spronando il cavallo e superando la ragazza che con un cenno d’assenso rimase al suo posto.

Gabriel l’affiancò.

In quell’occasione Gabriel indossava una divisa nera, nera come il suo cavallo. Era veramente bello e i suoi capelli biondi risplendevano intorno a tutto quel nero. I suoi occhi erano due pozzi azzurri senza fine. Era in completa opposizione con lei, che invece vestiva una divisa bianca.

“Come va?” le chiese.

Rebecca strinse tra le mani le redini dell’unicorno. “Per essere la mia prima battaglia non sono poi tanto agitata”

“La prima e ultima si spera”

“Già” sussurrò a bassa voce.

“Vedrai che andrà tutto bene, alla fine devi far conto sulle tue capacità e applicare tutto quello che ti ho insegnato”

Rebecca lo guardò malissimo. “Non per offenderti Gabriel, ma uccidere Mortimer non è come allenarsi con te”

Gabriel incassò il colpo e si morse il labbro. La ragazza continuò: “Sarà anche la mia prima e ultima battaglia ma è decisamente troppo per me. Me ne sto proprio accorgendo ora! Perché non posso semplicemente uccidere i soldati dell’esercito invece che affrontarmi con Mortimer?”

“Perché noi speriamo che tu lo possa uccidere”

“Sarà uno scontro alla pari ma rimane comunque troppo forte”

“Tu sei forte, smettila di sottovalutarti”

“Ho paura. Ho paura che appena sarò di fronte a lui possa deludervi”

“In che modo potresti deluderci? Sei un miracolo, e non lo dico solo a nome di tutti”

“Come mai Adele non c’è?”

“È a casa con mia sorella”

“Se siamo fortunati quando torneremo a casa diventerai zio”

Gabriel rise e Rebecca lo seguì. Rebecca diede uno sguardo alla fila di soldati dietro di lei e vide che erano in molti. Tornò con le mani a prendere le redini e cercò di calmare il suo cuore che da quando erano partiti non la smetteva di battere all’impazzata. Si portò una mano sul cuore e la premette sul petto. A Gabriel il gesto non sfuggì e in quel momento si sentì molto depresso.

Non si poteva tornare indietro nel tempo a quei giorni bellissimi appena trascorsi?

Non si poteva fare dietro-front e tornarsene a casa sotto le coperte?

Non potevano essere in qualsiasi posto all’infuori che essere lì, in procinto di morire?

Se mai ne usciremmo entrambi vivi voglio davvero sposarla, pensò Gabriel in un impeto d’affetto. Avrebbe tanto voluto abbracciarla ma non poteva, erano in guerra. In guerra persino l’amore deve essere posto in secondo piano.

“Quanto distante è la roccaforte di Mortimer?” gli domandò la ragazza.

“È a tre giorni dal villaggio”

“Oddio, siamo messi bene…”

Gabriel ghignò, apparentemente divertito all’idea. “Cosa vuoi che siano tre giorni! Passeranno in fretta. Prima che tu possa dire “a” siamo già arrivati”

“A”

Gabriel fece una smorfia. “Era un modo di dire…”

“Non posso volare e aspettarvi là?”

“No”

“Perché?”

“Siamo un gruppo e stiamo insieme compatti. Non mi piace l’idea che tu vada in giro a ronzare da sola quando siamo nel bel mezzo di una guerra” disse severamente il ragazzo. “Ti voglio fuori dai pericoli, d’accordo?”

“D’accordo”



***



Passarono due giorni, al terzo arrivarono all’accampamento. I soldati e i volontari, che avevano dovuto farsi la strada a piedi, non appena toccarono il suolo si buttarono a terra e cominciarono chi a dormire chi a riprendere fiato. Nel giro di poche ore tutti montarono le loro tende di un verde scuro che si mimetizzava perfettamente con il paesaggio. Le tende erano a forma di triangolo ed erano ammassate l’una con l’altra. Ogni tenda conteneva due o tre persone. Bastian aveva una tenda tutta per sé, Rebecca e Gabriel ne condividevano una insieme e si erano messi leggermente distaccati dal resto del gruppo, in una posizione elevata. Non temevano niente e non trovarono utile stare attaccati agli altri per sentirsi difesi e protetti. Non appena finirono di sistemare la maggior parte degli uomini andò a letto, il resto si tenne racchiuso in un cerchio e parlavano del più e del meno, fumavano strane erbe e alcuni apparivano già ubriachi.

Rebecca guardava la scena da distante.

Che si divertano finchè hanno vita.

Rebecca osservava con occhio vigile e attento gli uomini, provava un’infinita pena per loro…dopotutto, erano solo dei semplici esseri umani. Sebbene lei dovesse confrontarsi con Mortimer poteva comunque fare appoggio sulle sue doti ma quelle persone, così vulnerabili, così…normali. Quanti sarebbero morti già nei primi cinque minuti di battaglia?

Socchiuse gli occhi e inspirò profondamente.

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva messo piede in una scuola? Quand’è stata l’ultima volta che ha visto una strada, un grattacelo, un semaforo, una metropolitana, un bar, un centro commerciale…

Quando?

Da quanto era lì? Aveva perso il conto dei giorni, contava le settimane ma mai i mesi. Provò a fare una somma e pensò tra sé e sé che doveva ormai essere passato un anno. La vita che aveva vissuto sulla Terra sembrava appartenere ad un’altra persona, diversa e molto lontana da lei. Lì non aveva visto né grattaceli né tantomeno semafori, ma aveva visto persone morire, aveva ucciso e maneggiava le armi per uccidere. Era maturata, era diventata una persona nuova, diversa, importante. Aveva abbandonato i suoi problemi e le sue fantasticherie da adolescente, basta cellulari, basta discoteche, basta trucchi, vestiti firmati e belle serate. Ora, l’unica cosa veramente importante era la vita. Rimanere in vita il più allungo possibile.

Sopravvivere.

Era diventata un’arma contro il Male, era un angelo. Se mai gliel’avessero detto un anno prima sarebbe scoppiata a ridere. Eppure era tutto reale, la guerra era reale, Mortimer era reale, Gabriel era reale.

Rebecca guardò Gabriel, intento ad aprire le coperte arrotolate nella tenda.

Se fossero stati sulla Terra, se avessero avuto un’esistenza normale, Gabriel avrebbe sicuramente rappresentato il tipico ragazzo bello e impossibile da avere, gettonato, il classico giocatore famoso della scuola corteggiato da ragazze altrettanto importanti e popolari. Lei avrebbe continuato ad essere la Rebecca Burton che era sempre stata: la secchiona della classe con genitori ricchi, esclusa dal gruppo perché troppo complicata da capire.

E invece Gabriel, in quel mondo, aveva scelto lei che era tanto importante quanto una cheerleader sulla Terra.

Gabriel le si avvicinò e l’abbracciò da dietro, nascondendo il suo visto sulla sua spalla. Le circondò i fianchi con le braccia e la cullò.

“Vieni a dormire?” le chiese.

“Gabriel, lo sai vero che ti amo?”

Gabriel si scansò, sciolse l’abbraccio e gli si parò di fronte. Il suo volto era contratto dalla rabbia. La ragazza indietreggiò.

“Non voglio nemmeno sentire questi discorsi apocalittici, Rebecca! Se stai tentando di farmi capire quanto bene mi hai voluto quando sarai morta non attacca”

Rebecca smise di respirare. “Volevo solamente…”

“Ti prego” la interruppe il ragazzo con disperazione. “Vieni dentro e fa finta che domani non ci sia nessuna guerra. Non voglio sentirti dire addii, non voglio che tu pensa che domani possa finire tutto”

Una lacrima solcò la guancia della ragazza, e prontamente venne ricacciata indietro. “Come puoi dirmi una cosa del genere quando sai pure tu che ogni cosa è fatta per rompersi?”

Gabriel aprì le braccia e imprecò. “Smettila! Non ti senti?! Sembri una persona che è convinta che domani morirà! Sii un po’ più ottimista, non essere così catastrofica!”

“Mi riesce bene pensare sempre al peggio” disse Rebecca tirando su col naso.

Gabriel stava perdendo la pazienza. “Per favore, andiamo dentro. Giurami che non ci penserai a domani”

Rebecca scosse il capo.

“Giuramelo” disse Gabriel a denti stretti con un tono di voce che non ammetteva repliche.

Questa volta la ragazza annuì. Si diede della stupida mentalmente, avrebbe voluto punirsi! Doveva essere lei il punto di riferimento per tutti e invece era stata la prima a mettersi a piangere! Doveva essere forte, doveva stringere i denti e credere di potercela fare.

Grazie, Gabriel.

Lo prese per mano e lo condusse dentro la tenda, lo fece sedere sopra le coperte mentre lei chiudeva la tenda. S’inginocchiò davanti a lui e gli passò una mano sul viso.

Ti amo, avrebbe voluto urlarli, ma si limitò a baciarlo.



***



Rebecca si stava mimetizzando dietro ad un albero. Era notte e la foresta era buia e sinistra, il vento faceva danzare i rami degli alberi e l’aria era secca e pungente. Rebecca spiava e poi si rinascondeva appiattendosi contro il tronco. Lo sentiva, anche lui si stava nascondendo e sapeva che lei era lì. Rebecca premette forte le dita sulla spada, riposta al sicuro nella cinghia. Silenziosamente aggirò l’albero per nascondersi dentro un cespuglio: una gamba era lunga distesa mentre l’altra era sostenuta in ginocchio, le mani in avanti, i palmi aperti toccavano la fredda terra.

C’era qualcosa che non andava.

Rebecca si sentiva un’altra persona, avvertiva molto più potere e forza nel suo corpo. C’era un continuo sentimento di odio che la dilaniava, gli occhi le bruciavano ma era come se bruciassero da dentro. Una rabbia incontenibile le faceva battere il cuore ma nell’apparenza era controllata e fredda. La sua impassibilità nascondeva una voglia di uccidere primitiva, irrazionale, violenta.

Sentì un rumore provenire dalla radura davanti a lei.

Anche lui la stava osservando. Non attaccava per primo, forse aveva paura di lei. Forse perché lui non era in grado di distruggerla mentre lei poteva benissimo ucciderlo. Lui non sarebbe mai stato capace di affondare la sua spada nel petto della ragazza, non ne aveva il coraggio. Sarebbe morto anche lui. Ma lei aveva abbandonato da tempo quella realtà e aveva abbracciato un nuovo tipo di vita, un modo di vivere che non le consentiva e non la rendeva capace di amare nessuno. Né tantomeno di risparmiare qualcuno.

Fece un balzo e uscì dal cespuglio.

Contemporaneamente anche lui era balzato fuori dalla radura.

Rebecca puntò le due spade contro il ragazzo e rimase immobile, a studiarlo, impassibile.

Lui impugnò la sua spada leggendaria e gliela puntò contro, il volto deformato da uno sforzo incontenibile, una rassegnazione troppo difficile d’accettare.

Si guardarono in un tacito silenzio, pronti ad attaccare.

Rebecca ghignò, vide nel riflesso della lama della sua spada che i suoi occhi erano rossi. “Era da tempo che aspettavo questo momento, Gabriele”   

Rebecca si svegliò con la fronte imperlata di sudore, scattò a sedere con la bocca spalancata in una ricerca disperata di ossigeno. Si toccò il viso, il collo, le braccia…era completamente bagnata. Scacciò via le coperte di lana che le procuravano un caldo asfissiante. Vide Gabriel svegliarsi, scombussolato e allarmato. Era quasi sicura di aver urlato nel sonno.

“Che succede?!” esclamò preoccupato, circondandole le spalle con le sue braccia nude vedendola in uno stato di schok.

Rebecca provò a parlare ma non ci riuscì. Il sogno era stato così reale…poteva sentirsi addosso tutta la tensione e l’ansia dove poco prima vagava l’odio e la vendetta. Si portò una mano sul cuore: batteva velocissimo.

Emise un rantolo soffocato, di dolore, e si buttò tra le braccia del ragazzo.

“Che è successo?” ripetè Gabriel, accarezzandole la testa.

Gabriel era a conoscenza dell’importanza dei sogni di un angelo e non erano da sottovalutare.  

“Un incubo” mormorò lei con voce roca.

Gabriel socchiuse gli occhi e per un attimo smise di respirare. “Raccontamelo”

“Non credo che tu voglia ascoltarlo”

“Coraggio…”

Rebecca scosse la testa insistentemente e si mosse convulsamente, come per staccarsi, anche se Gabriel la teneva stretta e non la lasciava andare. “Non vuoi parlarmene?” le chiese dolcemente.

“No”

Gabriel inspirò profondamente e si sdraiò, tenendo la ragazza sul suo petto. Coprì tutti e due con le coperte e le disse di dormire un altro po’, che era troppo presto. Rebecca lo ringraziò e gli baciò il torace. Cercò di chiudere gli occhi ma non riuscì a riprendere sonno.

Due occhi rossi continuavano a guardarla nei suoi sogni.

E intanto gli occhi le bruciavano.



***



Mortimer fece chiamare al suo cospetto il Nim sopravvissuto. Era seduto nella sala del trono e si ammirava le dita giallastre nella cupezza del salone. Le due guardie che aveva incaricato erano sparite. Tornarono poco dopo con il Nim in mezzo a loro, trattenuto per le braccia mentre scalciava e si dibatteva, ripetendo continuamente la stessa frase: “io non ho fatto niente”

Ma come si poteva riuscire ad aggirare Mortimer?

Le due guardie gettarono ai piedi di Mortimer il Nim che non fece niente per ribellarsi, poteva solo imprecare. Sapeva che se avesse tentato di scappare il suo signore non ci avrebbe messo molto ad ucciderlo seduta stante.

Mortimer tenne i suoi occhi vuoti immobili sulla creatura. “Dovresti sapere a cosa vai incontro nascondendo degli oggetti preziosi” lo canzonò.

Il Nim spalancò la bocca e gli mancò il respiro. Non si poteva fare niente che non passasse inosservato a Darth Threat. Le gambe cominciarono a tremargli. Si alzò lentamente tenendo lo sguardo basso.

“Chiedo perdono, mio signore”

“Dammi immediatamente il pugnale che hai trovato” sibilò.

Con mani tremanti il Nim prese dal mantello il pugnale e lo porse a Mortimer che attendeva con le braccia tese. Non appena fu nelle sue mani lo rigirò e lo ammirò con il volto meravigliato.

“Dove lo hai trovato?”

“Appartiene alla ragazza, l’angelo Aidel”

Sentire quel nome provocò in Mortimer un senso di vuoto mai colmato. Tenne lo sguardo sull’arma con aria assente. “Questo è mio, perché ce l’aveva lei?”

Il Nim scosse la testa, disperato. “Non lo so!”

“È della mia famiglia. È passato nelle mie mani e mi è stato portato via molto tempo fa, proprio dall’angelo Gabriele, durante uno dei nostri scontri” il Nim e le guardie lo fissarono senza capire. “Perché Gabriel avrebbe dovuto dare questo pugnale proprio a Rebecca?”

Nessuno dei tre rispose e Darth Threat si chiuse in un muto silenzio.

Era riuscito a sbarazzarsi di Aidel molto tempo fa, aveva fatto rinnegare Adele e aveva fatto sì che a Gabriel venisse tolto il titolo di angelo. Possibile che quella ragazza gli dovesse creare così tanti problemi? Aveva avuto una relazione con Adele, sua zia, ma non era concesso a Rebecca di tenere il pugnale.

Il pugnale era magico ed era destinato solamente agli eredi della casata.

Non poteva essere.

Rebecca non poteva tenerlo in custodia, non era la figlia di Adele anche perché lui era sicuro di non aver avuto figli da lei. Era a conoscenza del fatto che il pugnale si ribellava contro il proprietario che non era il suo vero padrone. Perché alla ragazza era rimasto fedele e devoto per tutto quel tempo? Un orrendo dubbio gli pervase la mente.

Che Rebecca fosse sua figlia?

Mortimer scosse la testa.

Impossibile. Adele non era mai stata incinta. Rebecca era figlia di Aidel e non c’erano dubbi. Ma che centrava Aidel in tutto questo? E Rebecca? Com’era possibile che a quella ragazzina venisse riconosciuto dal suo pugnale il titolo di erede? Darth Threat aveva un solo figlio: Atreius, avuto dalla ninfa del fuoco Magdala. Non aveva figli dispersi sul pianeta, era da escludere.

Puntò i suoi occhi freddi sui tre uomini ancora davanti a lui. Era scontrosamente nervoso.

Riprese il controllo della situazione e con uno scatto si mise il pugnale al sicuro dentro il suo mantello nero. Poi, rivolto alle guardie indicò il Nim: “Uccidetelo”

Il Nim sbarrò gli occhi. “No! Non ho fatto niente! No! Pietà!”

Le due guardie presero con forza la creatura e la portarono di peso fuori dalla sala. Le sue urla si sentirono rimbombare per tutto il castello.



***



E venne la mattina. L’alba, i cui pallidi raggi del sole accecarono gli uomini, svegliò i guerrieri dormienti. Mentre tutti i soldati si alzavano, mangiavano, si lavavano e indossavano l’armatura, Bastian raggiunse la tenda dei due ragazzi.

Non chiese il permesso, entrò e quello che vide gli fece chiudere gli occhi all’istante.

“Mio Dio, neppure in guerra sapete trattenervi?!” domandò con una nota isterica nella voce, vedendo i due guerrieri nudi avvolti da una coperta che li ricopriva appena.

Gabriel si svegliò per primo, teneva ancora Rebecca poggiata sul suo petto. Fulminò con lo sguardo il capo-villaggio e sembrò quasi che sputasse fumo dalle orecchie. Strinse a sé la ragazza e cercò di coprirla. Non gli andava il fatto che Bastian potesse vederla. “Scusa Bastian, ci dai due minuti?!”

“Vi aspetto fuori” disse con calma, cercando di non guardare la giovane ragazza ancora addormentata.

Aspettò fuori dalla tenda, in piedi e con le braccia incrociate al petto. Sentì dei rumori provenire da dentro la tenda e poi la voce perplessa e assonnata della ragazza che si svegliava. Uscirono dopo pochi minuti ed erano già vestiti con le divise da guerra. Rebecca sembrava proprio ad un angelo.

“Che cosa volevi?” domandò in tono scontroso il ragazzo parandosi di fronte all’uomo.

Rebecca si tenne indietro e si appoggiò con aria assonnata al palo della tenda.

Bastian schioccò la lingua. “Volevo rivedere con voi il piano”

“Oh si, le tattiche…” lo prese in giro la ragazza con una cantilena.

“Non è il caso di essere spiritosi in un momento come questo” disse severamente Bastian.

Rebecca si morse il labbro per non ridere. “Ok, scusa”

“Oggi andiamo in guerra, lo sapete spero, no?” i due ragazzi rimasero zitti e Bastian continuò: “Rebecca, mi servi subito in postazione, partirai per prima con il tuo gruppo di uomini, vieni con me che ti faccio vedere dove partire. Tu, Gabriel, mi segui e quando te lo dirò io andrai anche tu ad attaccare con il secondo gruppo. Sono stato chiaro?”

Rebecca e Gabriel si drizzarono e si portarono una mano sulla fronte imitando il saluto militare. “Agli ordini, signore!”



***



Salve a tutti!!! manca poco alla fine del primo "libro"
(libro???..beh, come diavolo si chiama)

- 2 capitolo!!!!

RECENSITE, mi raccomando!!!!



"I THANKS":

OASIS: grazie per la recensione, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto. fammi sapere!!! bacioni

CHICCA90: allora cara mia, mancano due capitoli: COME FUOCO VIVO SI ACCENDE e L'ALBA DEGLI EROI. dopodichè è finito il primo capitolo della saga!!!! contenta??? eheh, mi sa no tanti, giusto???? recensisci presto!!! kissolo

NIKKITH: anche se la guerra è iniziata ti posso assicurare che non durerà interi capitoli. non mi piace scrivere pagine di guerra, ma siccome mi tocca farlo sennò non completo bene la storia...sopportiamo insieme!!!!! a presto, baci

VALEVRE: eh infatti vedrai come andrà a finire questa storia....eheh..continua a seguirmi e fammi sapere che ne pensi, bacioni.

STRAWBERRY_FLAVOUR483:
ehi elena, guarda che ti tendo!!!!..fammi sapere come trovi i seguenti capitoli..ormai finisco la storia che tu hai appena iniziato a leggere il primo capitolo!! bella comunque la tua storia, recensirò e fallo anche tu con me!!! baci bella, ci si vede in corriera...ehehehehe!!!

 

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Capitolo 24
*** Gli albori della guerra ***


Cap. 24 - GLI ALBORI DELLA GUERRA -

[Il tempo prenderà la mia mente
e la porterà via lontano, lì dove posso volare.

Non tornerò indietro ma abbasserò
lo sguardo per nasconderlo dai tuoi occhi
perché quel che provo è così dolce e sono così
spaventata che addirittura il mio stesso respiro
potrebbe scoppiare se fosse una bolla
e farei meglio a sognare invece di combattere]

Elisa - Dancing -



***



L’esercito era pronto. Una linea perfetta e impeccabile di soldati era allineata in prima fila mentre dietro di essi un gruppo ammassato e scomposto formava lo squadrone dei volontari. I volontari erano divisi in due gruppi, come anche i guerrieri. Il primo seguiva l’angelo, il secondo l’arcangelo. Gabriel era distante da Rebecca, era a dorso del suo bellissimo destriero e la vedeva lontana, a piedi e senza armi in mano, davanti a tutti. Gli dava le spalle, i suoi occhi guardavano il cielo. Ci fu un solo istante in cui lei si voltò per guardarlo, poi ritornò al suo posto osservando il castello. Un brivido gli percorse la schiena, lasciandolo senza fiato. Era così preoccupato che se fosse stato per lui l’avrebbe lasciata a casa, l’avrebbe tenuta al riparo.

Devo imparare ad amarla un po’ meno, pensò fissandola, incapace di staccarle gli occhi di dosso. Come quando eravamo ancora amici, ancora estranei.



***



L’aria fredda gli pungeva il viso.

“Perché diavolo dobbiamo andare nel bosco a queste ore della notte?!” sbottò irritato Gabriel, osservando Rebecca che camminava tutta euforica ed emozionata accanto a lui.

Lei gli rivolse un sorriso smagliante. “Kevin mi ha detto che di notte, vicino al portale tra Chenzo e la Terra, nel laghetto, si possono vedere le sirene!”

“E tu credi a tutto quello che ti dice Kevin?! Lo conosco da molto tempo e ti posso giurare che se di Denali ci si può fidare di Kevin no!”

Lei non riusciva a contenere la sua gioia e lui abbassò immediatamente lo sguardo, incapace di vedere tanta bellezza. “Ma Gabriel, che pessimista che sei!” disse con una risata.

“Sono realistico, non pessimistico”

“È la stessa cosa! E comunque aspetta prima di sputare sentenze, magari ci sono nel laghetto!”

Gabriel alzò gli occhi al cielo. “Le sirene, anche se fosse, vivono nel mare, negli oceani, non in un laghetto grande tre metri!”

Lei non voleva sentire ragioni e con forza lo tirò dietro di sé. Camminarono a passo spedito e Rebecca scostava per lei e per Gabriel i rami degli alberi che, all’altezza del viso, ostruivano il passaggio. Arrivarono alla radura e videro lo specchio d’acqua, luminoso, brillante, la cui cascata provocava un tranquillo rumore. La pace era la regina assoluta di quell’angolo di paradiso terreno.

Gabriel si fermò e si mollò dalla presa delle mani della ragazza, incrociandole al petto. Il suo cipiglio era innalzato e severo.

Rebecca proseguì e si lasciò cadere sulle sponde del laghetto, i palmi in avanti e il corpo proteso verso lo specchio d’acqua. Scrutava attenta la superficie ma non vide nulla. Provò a chiamare le sirene. Sentì Gabriel ridere dietro di lei. Lo fulminò con gli occhi.

Gabriel era piegato in due dal ridere.

“Che c’hai?!” chiese la ragazza alquanto irritata.

Gabriel si fermò e riprese fiato. “No, è che…” riprese a ridere. “Le sirene non parlano la nostra lingua e vedere te, lì, che le chiami aspettando che ti rispondano…mi fai pena, povera ragazza sprovveduta”

Rebecca ridusse gli occhi a due fessure. “Sprovveduta a chi?! Ripetilo se hai il coraggio!”

Il ragazzo mise le mani in tasca e si appoggiò al tronco con aria annoiata. “Tesoro, non per offenderti, ma hai a malapena imparato ad impugnare un’arma”

Lei si alzò e si mise le mani sui fianchi. “Con questo non vuol dire che io sia impedita!”

“Ho solo detto che sei sprovveduta, indifesa, innocua…come vuoi tu, insomma”

“Ti prometto che un giorno sarò così forte e potente che niente potrà sconfiggermi”

Il volto di Gabriel s’incupì. “Questi sono discorsi egoistici. Io non voglio che tu diventa forte solo per farti un favore, ti sto allentando e sono il tuo maestro perché tu possa un giorno salvarci dal Male”

“E io ti ho detto e ti ripeto che diventerò il più grande angelo mai esistito così potrò aiutarvi tutti”

Gabriel ghignò. “Ora smettiamola con questi discorsi, ritorna a cercare i tuoi pesci e lasciami in pace”

Rebecca lottò contro tutta la sua buona forza di volontà per non attaccarlo e spaccargli la faccia. Strinse i pugni e ritornò ad accucciarsi sulla sponda con l’umore a terra.

Con aria assorta ammirava l’acqua muoversi lentamente. Poi, all’improvviso, qualcosa si mosse nelle profondità. Chiamò Gabriel a gran voce e lo spinse a terra con lei, costringendolo ad inginocchiarsi. Entrambi avvicinarono il viso allo specchio d’acqua, le bocche spalancate e gli occhi sbarrati.

“Hai visto?” domandò la ragazza con un filo di voce.

Gabriel annuì con la testa, non aveva mai visto una sirena.

Videro che la figura stava venendo a galla. Incollarono (se così si può dire) ancor di più le facce contro lo specchio d’acqua finchè una ninfa dispettosa non sbucò con la testa fuori in superficie e li spruzzò d’acqua il viso per poi dissolversi nel nulla. Gabriel scattò indietro e alzandosi si scrollò l’acqua di dosso, imprecando e lanciando minacce alla ninfa. Rebecca rimase a terra e scoppiò a ridere.

“Ti avevo detto o no che le sirene non ci sono nei laghetti di bosco?!” sbraitò il ragazzo. “Kevin è capace solo di…smettila di ridere, Rebecca!”

“Non ci posso fare niente!” disse lei, tra una risata e l’altra. “Dovevi vedere la tua faccia, Gabriel! Era come quella di un bambino che guardava una vetrina di Natale!”

Gabriel perse la pazienza e si avventò su di lei. La prese con rabbia per il polso e la strattonò con violenza perché smettesse di prenderlo in giro. Rebecca si alzò in piedi e, per niente impaurita dal ragazzo, lo abbracciò.

Le mani di Gabriel rimasero sospese a mezz’aria mentre sentì il corpo della ragazza premersi contro il suo. La mano che poco prima le aveva afferrato il polso era a pochi centimetri dal suo braccio nudo. Rimase fermo dov’era, il cervello andò in tilt. Aspettò che lei si allontanasse per riprendere a respirare. Quando tornarono indietro verso casa lei rideva ancora di tanto in tanto, cercando di non farsi sentire.

“Per quello che è successo prima…” disse Gabriel.

“Lo so, io sono l’alunna, tu sei il mio maestro”

“Infatti, non deve succedere ancora. Niente abbracci, né coccole, né carezze. Intesi?”

“Lo prendi molto seriamente il tuo lavoro…”

“Intesi?”

Rebecca brontolò qualcosa e poi rispose, con voce tirata e falsa: “Ti giuro che non succederà più. Né coccole, né abbracci, né carezze, né baci…niente di niente!”

“E neppure l’amore” disse seriamente.

La ragazza lo guardò con i suoi occhi scuri e profondi. “Niente amore”



***



Gabriel scacciò l’ondata di ricordi che lo stava assalendo, riprese a respirare regolarmente e si caricò sulle spalle uno zainetto che diede al medico lì vicino. Raggiunse l’uomo con la tunica bianca e rossa e gli diede i medicinali.

“Come siamo messi con i farmaci?” domandò Gabriel all’uomo che apparve dapprima impaurito e poi timoroso della sua presenza.

“Ne abbiamo abbastanza ma non bastano per tutti gli uomini”

Gabriel prese una boccata d’aria. “Speriamo che non servano a tutti gli uomini, sarebbe grave se tutti i nostri soldati si ferissero gravemente”

Il medico alzò le spalle e armeggiò dentro lo zainetto. Gabriel continuò: “Ci sono altri medici, giusto?”

“Si, si! Siamo in otto, quattro ai lati e due al centro”

“State pure tranquilli, siete neutrali, non vi attaccheranno”

Un lampo di paura pervase gli occhi del giovane medico. “Signore, sta scherzando, vero? Lei pensa che quelle bestie selvagge e assassine si fermeranno quando vedranno che porto la divisa medica?”

Gabriel rimase in silenzio, interdetto. “Lo spero per lei, a questo punto”

Il medico sbarrò gli occhi e il suo mento cominciò a tremare. Gabriel se ne andò, deciso a farsi un giretto prima di prendere posto nel suo gruppo di uomini. Rebecca stava parlando animatamente con un soldato. Gabriel rise tra sé e sé. Probabilmente quel povero sfortunato aveva disubbidito ad un suo ordine e lei prontamente lo sgridava.

Come si fa ad amare un po’ meno?  



***



Avevano appena fatto l’amore e lei si era addormentata tra le sue braccia. Gabriel non riusciva a prendere sonno e trovò molto più bello rimanere a guardarla mentre dormiva. La strinse ancor di più a lui e intrecciò le gambe con le sue. Le baciò la fronte sudata e appoggiò la testa contro la testiera del letto.

Che cosa poteva volere di più dalla vita?

Aveva lei sdraiata sul suo corpo, addormentata e perfetta, come sempre. Lo amava e gli aveva dato tutta sé stessa. Gli aveva donato un regalo che a nessun altro ragazzo aveva mai fatto. Si sentiva in quel momento più geloso che mai.

Dovette averla stretta troppo forte perché lei si svegliò. Puntò i suoi occhi color cioccolata su quelli azzurri del ragazzo, con uno sguardo assorto e confuso.

“Scusa” le disse Gabriel, baciandole i capelli. “Ti ho svegliata”

Rebecca toccò con le mani i fianchi scolpiti del ragazzo e poi gli accarezzò la pancia piatta, perfetta e muscolosa. Lo baciò all’altezza del cuore e sentì che batteva fortissimo. “Non importa, non avevo poi tanto sonno”

“Non riuscivo a dormire, ero troppo preso a guardarti”

La ragazza distese un pigro sorriso e si coccolò contro di lui. “Ti ricordi quella notte quando siamo andati a vedere se c’erano le sirene del laghetto?”

“Quella notte ti ho odiata” disse Gabriel con un sorrisino.

“Ti ricordi quando ti ho detto che sarei diventata forte e brava?”

“Sì”

“Sei contento ora che lo sono diventata?”

“Sono orgoglioso di te, se è questo che vuoi sapere”

Rimasero qualche secondo in silenzio dopodichè Gabriel si chinò a baciarla. Si baciarono a lungo e con passione.

“Gabriel?” lo chiamò la ragazza con voce pensosa.

“Dimmi”

“Perché non hai voluto l’immortalità?”

“Ero piccolo, mi ero già macchiato di tradimento e non volevo più essere così fuori dal comune, volevo essere come tutti gli altri, avevo paura della mia anormalità. A quell’età ero molto precoce e feci la scelta giusta, nonostante tutto”

“Ma non vorresti averla, ora?”

Gabriel si sistemò meglio le coperte. “Non so, non penso. Perché?”

“Quando il consiglio mi nominerà un angelo bianco, con tanto di titolo e nominativo, mi daranno l’immortalità?”

“Sì, un angelo iniziato che diventa un angelo a tutti gli effetti riceve automaticamente l’immortalità”

“Non posso rifiutarla?”

“No” disse Gabriel, teso.

“È per questo che all’inizio non volevi stare con me, non è vero?” domandò lei, con voce malferma.

Gabriel socchiuse gli occhi e rimase immobile. “Rebecca…”

Lei si tirò su in ginocchio, si coprì con le lenzuola, i suoi occhi erano freddi e addolorati. Non rideva più. “È per questo motivo che ti era tanto impossibile stare con me! Sapevi fin dall’inizio che io avrei ricevuto l’immortalità, io sarei rimasta giovane per sempre mentre tu saresti invecchiato, saresti morto! Era un rapporto impossibile da portare avanti!”

“Non volevo stare con te perché non volevo che arrivassi ad assistere alla mia morte. Inoltre, sii ragionevole, tu rimarrai bella, giovane, con la tua pelle morbida e il tuo corpo fresco mentre io diventerò vecchio. Per quanto tu possa amarmi non saresti mai in grado di stare con me tra cinquant’anni. So come finirà, te ne andrai via con un altro giovane ragazzo e mi lascerai morire di solitudine e rimpianti”

Rebecca scosse la testa, sconvolta. “Non è vero…”

“Sapevo a cosa andavo incontro nel momento in cui ho deciso di baciarti per la prima volta. Però, finchè siamo entrambi giovani e mortali possiamo stare insieme, senza contare che io sono più grande di te”

Rebecca tolse le mani del ragazzo dal suo corpo, inorridita. “Come puoi dire una cosa simile?! Finchè siamo giovani stiamo insieme?! E dopo? E dopo, quando io avrò l’immortalità e tu no, cosa farai? Cosa faremo?!”  

Gabriel distolse lo sguardo e i suoi occhi divennero due lame di ghiaccio. “Ti lascerò andare”

La ragazza gli sferrò un pugno sul petto. “Non ci provare nemmeno! Non mi lascerai, capito?!” esclamò, emanando un rantolo di dolore che la portò a piangere.

“È sempre stato un rapporto impossibile il nostro, Rebecca. Te l’avevo detto fin dall’inizio, ti avevo avvertita di non innamorarti”

Rebecca scosse con la testa tutto il corpo, mentre lacrime copiose le scendevano sul viso e bagnavano le coperte. “Ma tu puoi chiedere l’immortalità! Gabriel, te la daranno!”

“Posso riprendermela, è vero, ma devo ritornare un angelo bianco per averla”

La ragazza si coprì il volto con le mani e pianse disperatamente. Gabriel, per quanto volesse stringerla tra le sue braccia, rimase immobile al suo posto. Dopo qualche minuto Rebecca smise di piangere e si asciugò il viso, puntò i suoi occhi contro quelli del ragazzo e Gabriel vi lesse tutta la sua rabbia e la sua disperazione.   

“Ti odio” gli disse a denti stretti.

Gabriel si paralizzò, potè benissimo sentire tutti i suoi muscoli tendersi e bloccarsi.

Vide Rebecca tirarsi appresso la coperta e uscire dalla camera sbattendo la porta.

Non riuscì a muoversi per parecchie ore. Teneva la bocca semichiusa nella disperata ricerca di ossigeno, il suo cuore era a pezzi. Si sentiva spaccato a metà, gli occhi gli bruciavano e la gola era secca.

Si alzò dal letto, si mise i boxer e come un cadavere raggiunse la porta. Uscì in corridoio e sentì un singhiozzo provenire dalla camera di Rebecca. Entrò e la vide distesa nel suo letto, con le coperte che la racchiudevano completamente e il corpo scosso dai singulti.

Con la morte nel cuore salì nel letto e si distese di fianco e lei. L’abbracciò raccogliendola sotto di sé. Le diede un bacio sulla guancia e subito lei si pulì con la mano.

Provò a parlare ma gli riuscì difficile. “Ti prometto che riuscirò a tornare un angelo bianco, così avremmo tutti e due l’immortalità, ok? E quando ne avremmo abbastanza dell’immortalità la ridaremo al consiglio e passeremo il resto della nostra vita da angeli mortali, invecchieremo e metteremo su famiglia, va bene?”

Rebecca smise di piangere ma rimase comunque silenziosa.

“Bec, per favore, non farmi questo…”

“Non ti sto facendo niente, sei tu che mi hai spezzato il cuore. Mentre stavamo insieme, mentre facevamo l’amore, tu stavi progettando il giorno in cui mi avresti lasciata”

“Non dire così”

Rebecca tentò di allontanarlo da sè, invano. “Perché? Sapevi che era una storia impossibile, che ci saremmo dovuti separare, perché hai voluto iniziarla?!”

Gabriel corrucciò la fronte, perplesso. “Avresti preferito non essere mai stata con me?”

“Sì! Se avessi saputo fin dall’inizio che poi ci saremmo dovuti lasciare non avrei mai voluto iniziare questa storia! È un’assurdità!”

Gabriel si arrabbiò, la prese per le spalle e la fece voltare. “Guardami! Guardami negli occhi e ripeti quello che mi hai appena detto!” era fuori di sé, era violento e distaccato.

Rebecca, incontrando i suoi occhi, riprese a piangere. Non parlò e Gabriel si calmò, la lasciò andare e si tirò indietro. “Io volevo solo provare l’emozione di stare con te” disse con voce soffocata.

Fece per andarsene ma venne trattenuto dalla mano dolce e calda di lei che lo bloccò.

“Non andartene” gli disse Rebecca che, avvicinandosi, gli sfiorò l’orecchio con le labbra. Premette il suo corpo contro la schiena del ragazzo e gli passò le mani sul petto.

Gabriel cercò di controllare il respiro che era diventato improvvisamente affannato. “Mi odi?”

“No”

“Mi ami?”

“Sì”

“Questa che ti ho fatto è una promessa, staremo insieme, da immortali. La prima tra noi due ad esserlo sarai tu”

“E quando mi seguirai?”

“Non appena mi sarà possibile”

Rebecca emise uno sbuffo. “E se non ti daranno l’immortalità? E se non riuscirai a riscattarti e a riavere il tuo riconoscimento?”

“Allora dovrai imparare a vivere senza di me”

Rebecca ricacciò indietro le lacrime e aprì la bocca in un urlo silenzioso. Quello era il prezzo da pagare per essere un eroe. Se Gabriel non sarebbe stato capace di ritornare angelo lei avrebbe dovuto restare immortale e l’avrebbe visto morire.

“Non posso diventare un angelo bianco e rinunciare subito all’immortalità?” domandò con una nota di speranza nella voce.

“No, per rinunciare all’immortalità devi essere abbastanza potente e avere un certo grado di importanza, e questo non avviene nei primi cinquant’anni” concluse con voce strozzata.  

Rebecca lo fece voltare e rimasero a guardarsi negli occhi, uno di fronte all’altra. “Suppongo che tu voglia che io sia forte”

“Assolutamente”

“Mi riesce difficile pensare che un giorno tu non possa più camminare su questo mondo”

“Andrai avanti benissimo anche senza di me”

“Da come parli sembra che non ci sia speranza nel riavere indietro la tua immortalità”

“Bisogna prendere in eventualità entrambe le opzioni”

Rebecca cercò di sorridere ma le venne fuori una risata spenta, vuota, lamentosa. “Allora speriamo che vada tutto bene, speriamo che il consiglio ti ridia il titolo di angelo bianco una volta che avrò sconfitto Mortimer, così passeremo un’eternità insieme”

“Esatto”

“E nel caso andasse tutto storto, dovrò farmene una ragione: continuerò la mia vita senza di te e non appena riceverò quel grado di importanza domanderò la mortalità e ti seguirò nella morte”

Gabriel accostò il viso a quello della ragazza e la baciò. Le accarezzò una guancia e si mise sopra di lei. Le scostò le lenzuola che la coprivano e si sfilò i boxer. Muovendosi, facendosi spazio tra le sue gambe entrò in lei e gemette. La sentì aggrapparsi alle sue spalle e si spinse ancora più dentro, affondò con forza in lei e le sussurrò all’orecchio, ansimando: “Vedrai, l’immortalità non è poi così male. Questo è solo l’inizio della tua vita Rebecca, tra trecento milioni di anni sarai ancora in piedi”

“Sì, Gabriel” sussurra lei. “Ma non con te”



***



Devo amarla un po’ meno.

Gabriel era sul punto di abbandonare la guerra, sarebbero stati bene insieme, lei non avrebbe mai ricevuto l’immortalità. Persino gli eroi non possono arrivare dappertutto, non possono compiere miracoli. Ma forse lei sì, lei è diversa, lei è un eroe.

Gabriel sentì Bastian urlare a squarciagola discorsi patriottici e incoraggianti all’esercito e tutti i soldati, carichi ed eccitati, alzavano le mani al cielo e seguivano Bastian con entusiasmo e coraggio. Rebecca era da sola, davanti a tutti, le braccia incrociate al petto, le gambe divaricate. Lo stava fissando, il suo sguardo era triste e al tempo stesso amorevole.

Ora o mai più.

Facendosi largo tra la folla Gabriel la raggiunse di corsa e prima che lei potessi solamente fiatare o dire qualcosa la baciò davanti a tutti. Incuranti della gente, incuranti del fatto che Bastian gli stesse guardando si baciarono. Si baciarono con rabbia, disperazione, bisogno…come se potesse essere il loro ultimo bacio. Quando si staccarono Gabriel si allontanò e ritornò indietro, affiancando il suo gruppo di guerrieri.

Bastian storse il naso e affiancò Rebecca.

“Pronta?” le chiese.

“Ora o mai più”

L’alba era appena finita e il sole iniziava ad innalzarsi da dietro i monti, il buio rimaneva comunque il signore indiscusso di quelle terre aride e morte.

Bastian alzò la spada affinché tutti potessero vederlo. La spronò in aria e la puntò contro il castello di Darth Threat. “Questo è il segnale uomini, andate!” urlò all’esercito.

La guerra iniziò.

Iniziò nel momento in cui gli uomini del primo gruppo cominciarono a correre brandendo le armi verso il castello, nel momento in cui Bastian gli guidò correndo davanti a tutti, nel momento in cui Rebecca aprì le ali e volò dentro una finestra del castello, nel momento in cui il volto di Gabriel divenne pallido.



***



“Signore! Signore!” la guardia corse dentro la sala del trono urlando a più non posso. “Signore, ci attaccano!”

Mortimer, apparentemente addormentato nel suo trono, aprì un occhio. Non sembrava né preoccupato né tantomeno sorpreso della notizia. Scrutò il suo uomo con calma e diffidenza.

“Raduna l’esercito, dà l’ordine di difendere il castello. Fà partecipare tutti, tutti devono combattere, nessuno deve sopravvivere, non voglio fare prigionieri. Ora và”

La guardia se ne andò in tutta fretta e lasciò la sala del trono nella semioscurità.

“Padre…” disse Atreius facendo la sua comparsa da dietro il trono di Darth Threat. “Cosa vuoi che faccia?”

“L’angelo verrà da me. Voglio che tu pensa all’altro”

“A Gabriel?”

“Sì, proprio a lui”

Atreius scomparve e Mortimer rimase finalmente da solo. Congiunse le mani sotto il mento e aspettò che lei arrivasse. C’era già stata nella sala del trono e sapeva come arrivarci. Non vedeva l’ora di ucciderla una volta per tutte. Con lei sarebbe finita la discendenza degli angeli.

L’esercito di Mortimer stava dormendo quando gli venne dato l’ordine di alzarsi e di attaccare, si creò immediatamente il caos generale, le truppe non sapevano come muoversi e non ricevevano ordini precisi dalle guardie che poco sapevano più di loro. Mortimer non si preoccupava affatto dei suoi uomini, quello che gli importava era di uccidere Rebecca, perciò non si mosse di un centimetro dal suo trono e si disinteressò completamente di come procedevano le reclute nel campo esterno del castello. Si fidò del giudizio delle sue guardie, confidava che sarebbero state in grado di guidare l’esercito alla difesa della fortezza. In caso contrario, peggio per loro, gli avrebbe uccisi per la loro incapacità.

Tirò fuori il pugnale della sua famiglia dal mantello e se lo rigirò tra le mani. Sospirò pesantemente e divaricò le narici del naso quando sentì il suo profumo farsi sempre più vicino.



***



Rosalie era affaticata. Era tutto il giorno che si sentiva gonfia e incredibilmente esausta, le doleva il ventre e la schiena. Emise dei piccoli lamenti quando dovette riporre una terrina in cima alla credenza, protese il corpo in alto, si mise in punta di piedi e allungò le mani per poi richiudere l’anta. Quando i piedi ritoccarono terra la ragazza si bloccò. Spalancò gli occhi a dismisura.

Adele, che passava in quel momento con aria assorta e spensierata, si fermò alla vista della figlia.

“Oh mio Dio…”

Rosalie stava strizzando gli occhi dal dolore e la bocca era ricurva in una smorfia, il corpo era piegato in avanti e con una mano pressava il pancione. Sotto di lei una pozzetta d’acqua bagnava il pavimento e i suoi piedi.

“Oh mio Dio…” ripetè la donna.

Senza perdere tempo Adele le corse incontro, le circondò le spalle e l’accompagnò a piccoli passi fino al divano. La fece sdraiare supina e la guardò terrorizzata. Era pronta a tutto ma non a quello!

“Ok, tesoro, stai per partorire. Ti si sono appena rotte le acque. Come ti senti?” era una domanda stupida, Adele lo sapeva, e infatti la ragazza la fulminò con uno sguardo paonazzo.

“Come vuoi che mi senta?!” sbraitò. “Come una che sta per avere un maledetto bambino!”

Adele non aveva mai avuto figli, non aveva mai avuto una gravidanza e naturalmente non aveva mai dovuto partorire. Si sentiva impreparata, impacciata e goffa. Non sapeva come comportarsi con la figlia, non aveva mai fatto nascere nessuno né tantomeno aveva assistito ad un parto. “Vado a chiamarti Denali” disse in preda al panico.

Corse fuori lasciando la figlia in uno stato catatonico, pregò perché Denali si trovasse lì vicino. E infatti lo vide, poco distante, intento a tagliare la legna con un’ascia in mano. Adele lo chiamò, anzi, se si può dire, fece il suo nome urlando come una pazza. Denali si voltò e vedendo il viso sudato, preoccupato e agitato della donna mollò l’ascia a terra e le corse incontro.

“Che succede?!” domandò allarmato. “Rosalie è…?”

“Sta partorendo, porca miseria!”

Denali sbiancò e Adele lo prese per mano fino a condurlo in sala, dove la figlia si contorceva in preda al dolore. Denali si accovacciò di fianco a lei e le prese la mano, tremava ed era bianco come un lenzuolo. La salivazione era aumentata e aveva un senso di vomito fortissimo. Cominciò a non vederci bene e non appena Adele lo affiancò credette di svenire dalla paura.

Rosalie, più isterica che mai, prese il ragazzo per il colletto della camicia e lo attirò a sé con violenza. “Tu! È tutta colpa tua se mi trovo in questa situazione!”

Denali non sapeva che dire. “Rose, io…”

“Rose un corno! Aspetta che mi alzi e ti ammazzo Denali, ti ammazzo con queste mani!” gli mise un pugno davanti agli occhi mentre con l’altra mano lo teneva ancora per la camicia.

Denali fissò inorridito il pugno che la ragazza gli parò davanti al viso e guardò con aria supplichevole Adele che aveva iniziato a bagnare la fronte di Rosalie con delle pezzette di acqua fredda. Adele scrollò le spalle. “Non ti preoccupare Denali, non fare caso a quello che dice. È in uno stato di schok, è il dolore che non la fa ragionare bene”

Denali deglutì, si sentiva impotente. “Forza, procediamo”

Rosalie gettò la testa indietro e urlò. “Per favore, vi prego, fate in fretta. Non ne posso più!”

Denali vide Adele rimboccarsi le maniche e fece altrettanto. “Che devo fare?” sussurrò.

Adele lo guardò e gli indicò la ragazza. “Tienile forte le mani, dalle un supporto, consolala, fa quello che ti pare basta che la conforti”

Il ragazzo annuì con vigore e prese con forza le mani di Rosalie tra le sue.

Tutto avvenne troppo in fretta perché Denali se ne rendesse conto. Adele, nonostante la sua ignoranza nel far partorire, riuscì ad essere controllata e lucida. Sollevò la maglia della figlia e le scoprì la pancia, poi le tolse i pantaloni e le divaricò le gambe. Non era sicura di quello che stava facendo ma cercò di tranquillizzare la ragazza.

“Ok tesoro, ora comincia a spingere”

Rosalie spalancò la sua bocca in una O. “Fa male!”

“Spingi più forte che puoi, io sarò qui e aiuterò il bambino a venir fuori”

Lo sguardo di Denali passava da una donna all’altra, la bocca aperta e la fronte corrucciata. Rosalie cominciò a spingere sotto consiglio della madre, spinse più forte che potè finchè non si sentì lacerata in due. Avvertì una fitta intensa al basso ventre e tentò di gridare ma la voce le si spezzò e non emise alcun suono.

“Vedo la testa!” esclamò la donna eccitata.

Denali cominciò a prendere colore e con un sorriso smagliante si rivolse alla ragazza: “Dai tesoro, un’altra spinta”

Dopo un altro paio di spinte un pianto di bambino echeggiò in tutta la casa. Adele lo afferrò con cura e lo mostrò ai due giovani. Rosalie si accasciò nel divano ed espirò profondamente, Denali prese in braccio il bambino con il viso illuminato dalla felicità.

“È un maschio, ha i tuoi capelli biondi, Rose” disse il ragazzo in un moto di orgoglio paterno, stringendosi al petto il neonato.

Lo cullò tra le braccia e lo fece per dare a Rosalie quando vide il volto della ragazza cambiare da un sorriso compiaciuto ad uno sguardo terrorizzato. Il fiato gli si mozzò in gola e con voce impercettibile mormorò: “Che succede, Rose?”

Adele la guardò allibita e rispose al suo posto. “Ce n’è un altro”

Fortuna volle che Denali fece in tempo a dare a Rosalie il figlio prima di svenire e cadere pesantemente sul pavimento duro.

Quando si svegliò il ragazzo aveva un forte mal di testa. Era disteso nel suo letto e scattò in piedi, corse giù per le scale con una tale furia che quasi non travolse Adele che stava salendo. La guardò e lei gli sorrise, gli fece cenno di andare al piano inferiore.

Quasi con timore Denali scese al pian terreno. Vide Rosalie in cucina, bellissima e già in piedi che camminava avanti e indietro. Non si direbbe che avesse appena partorito. Tra le sue braccia, che dormivano, c’erano due bambini. Uno era moro come il padre, l’altro biondo come la madre.

Denali si avvicinò a lei e accarezzò i figli, commosso. “Sono due maschietti?”

Rosalie scosse la testa, fiera e allegra. “Un maschio e una femmina. La femmina ha i tuoi capelli scuri, il maschio è biondo. Prima avevano gli occhi aperti, è presto per dirlo ma il maschio ha gli occhi grigi e la femmina ha gli occhi verdi”

Denali distese un sorriso appagato. “Hanno preso un po’ da uno e un po’ dall’altra, insomma”

“Esatto”

“Come gli chiamiamo?” domandò, senza staccare gli occhi dai due bambini.

“A me piacerebbe chiamarli Ian ed Emma. Se a te stà bene, naturalmente”

“Ian ed Emma…uhm…sì, mi piace!” disse tutto convinto. “Ti dispiace se ne tengo uno in braccio?”

“Se vuoi te li do tutti e due”

“Sì, grazie. Sarebbe fantastico”



***



Le celle delle prigioni del castello erano quasi vuote. Mortimer non faceva prigionieri, i pochi ad essere stati rinchiusi erano casi speciali. Rebecca sapeva che in una di quelle celle c’era un suo caro amico. Entrò con prepotenza nelle prigioni e uccise con la magia le guardie che custodivano le segrete. Rubò il mazzetto di chiavi dal corpo inerme di una di queste e si avvicinò alla cella di Alan. L’uomo era ancora rinchiuso e stava dormendo con le braccia intorno alle ginocchia, la testa era appoggiata alle mani. Rebecca non trovava le chiavi giuste e non aveva molto tempo da perdere. Perse la pazienza. Si allontanò dalle grate e puntò il palmo aperto della mano contro la cella. Mormorò un incantesimo e le grate saltarono in aria. Prima che le sbarre cadessero a terra provocando un rumore assordante la ragazza con il pensiero le tenne bloccate in aria e le appoggiò al terreno piano e con calma.

Entrò nella cella e scrollò l’uomo.

Non dava segni di vita e questo la preoccupò non poco. Allora gli controllò il battito cardiaco e la respirazione. Era vivo. Lo prese, se lo caricò in spalla e andò fuori dalle prigioni. Davanti a lei un’enorme finestra ad arco dava sul campo del castello dove stava avvenendo il combattimento, vedeva il suo gruppo scontrarsi con gli uomini di Mortimer e il gruppo di Gabriel che stava indietro, in disparte, pronto ad intervenire in caso di bisogno. Aguzzando la vista la ragazza non riuscì a trovare Gabriel.

Doveva essere andato da Atreius.

Vide Bastian a dorso di un nuovo cavallo (l’altro era morto il giorno prima, come lei aveva predetto) e stava attaccando il nemico. Per fortuna era salvo.

Rebecca corse con Alan sulle spalle lungo la scalinata e aprì una porta a caso trovandosi in una sala vuota con un solo tavolo in legno al centro e delle sedie intorno. Non c’erano finestre, era buio e c’era un grande camino incastrato nel muro alla sua sinistra. Appoggiò con cura e attenzione Alan facendogli aderire la schiena contro la parete grigia in sassi. Lo pose vicino al caminetto e, notando che c’erano già delle stele, lo accese con una vampata di fuoco che partì dai suoi occhi.

Uscì dalla stanzetta e focalizzò il numero che era riposto in alto della porta e che indicava il numero della sala nel castello.

137.

Con la magia bloccò la serratura in modo che nessuno potesse entrare né uscire. Proseguì lungo il corridoio cercando di ricordare dove si trovava la sala del trono.

Accellerò quando cominciò a riconoscere quei corridoi.



***



Gabriel non aveva idea da dove partire per cercare Atreius. Aveva abbandonato il campo di battaglia per entrare nel covo del nemico, nel vivo del castello. Lottò contro le proteste di Bastian che era contrario a lasciarlo entrare così presto, dopotutto lui era il capo del secondo gruppo di soldati e sarebbe stato più saggio aspettare a dare loro il via prima di abbandonarli. Ma a Gabriel poco importava, c’era Bastian con loro e al suo gruppo non avrebbe fatto differenza. A lui importava soltanto entrare e combattere con Atreius, finire e correre da lei.

Da lei che, ne era sicuro, avrebbe avuto bisogno di lui. Sarebbe corso immediatamente da Rebecca ma aveva degli ordini da portare a termine e il primo di questi era quello di uccidere l’erede al trono di Darth Threat.

Percorse con il fiatone quegli che gli sembrarono una decina di corridoi diversi, apriva tutte le porte che incontrava e ne controllava le stanze all’interno. Come faceva a sapere dov’erano situati gli alloggi?

Stava cominciando a perdere sul serio la pazienza.

Era stato fortunato, non aveva trovato molti nemici lungo i corridoi e quelli che aveva trovato ci aveva messo poco ad ucciderli. La magia era micidiale e impeccabile, dove non arrivava la magia usava la sua spada.

Si trovava lungo un cunicolo, le finestre al lato sinistro erano state sbarrate e sul soffitto pendevano dei candelabri che illuminavano il vicolo altrimenti oscuro. Non volava una mosca e non c’era il minimo rumore. Gabriel cominciò a rallentare mantenendo una corsetta, impugnò con forza l’elsa della spada facendo scricchiolare le ossa delle dita. Vedeva che infondo al corridoio c’erano due strade, si trovava in una biforcazione. Quale strada era giusta? Destra o sinistra? Decise che ci avrebbe pensato quando si sarebbe trovato di fronte al bivio.

Sentì un rumore. Si fermò. Il corpo teso e il fiato pesante. No, non era un rumore.

Era una risata.

Era dietro di lui.



***



Bastian aveva appena atterrato un Nim, non si capacitava del fatto che quelle creature così indipendenti e orgogliose avessero partecipato alle guerra e che, soprattutto, stessero mettendo a repentaglio la propria vita in un signore che neppure credevano.

Si asciugò la fronte sudata con la mano sporca e ricoperta di sangue. Cercò di riprende fiato, non aveva più il fisico asciutto e allenato di un tempo. Fece roteare la spada un paio di volte e riprese la carica. Provocò la morte di altri tre uomini, poi si voltò e guardò il suo esercito.

Da bravi soldati quelli del gruppo numero due aspettavano indietro in ranghi composti, quelli del gruppo numero uno erano stati decisamente decimati. La maggior parte dei suoi uomini erano stesi a terra privi di vita, gli altri combattevano in piedi o strisciando sul suolo. Erano comunque in inferiorità numerica. I primi a morire erano stati i volontari, i soldati addestrati avevano avuto maggior successo di riuscita.

Bastian puntò lo sguardo al castello. Le persone più importanti, quelle che non dovevano morire ad ogni costo erano là dentro. Si chiese come stessero procedendo le cose per Rebecca e Gabriel.



***



L’eroe non è colui che non cade mai ma colui che una volta caduto trova il coraggio di rialzarsi.

Questa era la frase che più fra tutte aveva colpito Rebecca ai tempi del liceo, quando l’aveva letta per la prima volta. Jim Morrison ci aveva azzeccato in pieno, come sempre. Aveva pensato a quanto bello e fantastico doveva essere stato essere un eroe, si era immaginata lei come ad un eroina. Ora che lo era davvero stentava a credere a quanto quella frase fosse in simbiosi con quello che le era capitato. Lei si sentiva un eroe.

Fu quando vide la maniglia della porta che apriva la sala del trono che ripensò ai suoi anni felici, dove l’immaginazione accompagnava la realtà e gli aforismi dei grandi autori valevano per la propria vita.  

Aprì la porta e quei sogni, quei giorni, quelle speranze scomparvero.



***



Come ho scritto nelle recensioni ho deciso di aggiungere un altro capitolo
alla storia!!! non riesco a fare capitolo TROPPO lunghi (30 o 40 pagine), preferisco fare una ventina di pagine
alla volta. Dato che ho visto che
questo capitolo
stava venendo troppo lungo (mancano ancora gli scontri) ne aggiungo uno in più!!!

Voglio ringraziare tutti quelli che recensiscono e che mi seguono!!!

Un bacioni a tutti e tanti GRAZIE!!!

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Capitolo 25
*** Il lusso di un respiro ***


Cap. 25 - IL LUSSO DI UN RESPIRO -

[Spazi vuoti…per cosa stiamo vivendo?
Luoghi abbandonati…suppongo che noi conosciamo il risultato.
Senza sosta, qualcuno sa cosa stiamo cercando?

Un altro eroe…]

Queen - The show must go on -



***



Non c’era tempo. Rebecca lo sapeva. Poteva persino sentire il ticchettio dei secondi che passavano. Avvenne tutto a rallentatore, il tempo che ci voleva per aprire una porta parve essere interminabile. Il cuore che batte irregolarmente, il respiro che si blocca, il corpo che suda e trema. Le mani scivolose e la gola secca. Pensieri su pensieri che annebbiano il tuo cervello. Flashback, ricordi, lettere, cartoline, messaggi, baci, carezze, risate…tutto sembrava distante, appartenente ad un’altra vita. Rebecca credette di aver sentito una lacrima solcarle le guance ma subito scacciò il pensiero. Non era in vena di piangere e per nulla al mondo sarebbe entrata nella sala con la faccia bagnata di lacrime. Eppure le lacrime erano lì, impazienti di uscire.

La ragazza chiuse per un attimo gli occhi, respirò a fondo, come se quello fosse stato il suo ultimo respiro prima di andare in apnea. Quando gli riaprì, i suoi occhi, erano duri, freddi, imperscrutabili. Le lacrime erano scomparse, il cuore batteva lento e il respiro era regolare se non assente.

La scena che prima andava a rallentatore ritornò ad essere normale e in tre secondi Rebecca aprì il portone. Dovette mettere a fuoco la stanza strizzando gli occhi, tanto era buia. Il gioco di luci e ombre sembrava fatto apposta per disorientare le persone. Fortuna volle che Rebecca rimanesse immune a certe debolezze umane. I suoi sensi erano sviluppati all’inverosimile e non si fece intimidire, proseguì con passo deciso non appena riacquistò padronanza e mise a fuoco la stanza. Vide che Mortimer era comodamente seduto sul suo trono, forse aveva voglia di farsi una bella chiacchierata a quattr’occhi prima di ucciderla.

O almeno, tentare di ucciderla. Non era detto che doveva per forza morire lei.

Non sapeva cosa dire. Cosa si diceva al mostro che voleva farti a pezzi? Così, tanto per incutere timore con delle battute? Non le venne in mente niente e rimase zitta, la mascella contratta per lo sforzo e la tensione. Rimase all’erta, non avanzò di un passo ma rimase di fianco al portone a debita distanza. Lo scrutava con i suoi occhi color cioccolato, in netto contrasto con quelli rossi di lui.

Balzò indietro con un salto non appena vide Mortimer muovere una mano verso di lei. La sua schiena si schiacciò contro il portone, il volto tirato per la concentrazione. Rilassò i muscoli e ricominciò a respirare quando notò che Mortimer, con quel suo ghigno beffardo, bruscava nelle sue tasche. Le si mozzò il fiato in gola quando notò che tirò fuori dal mantello il pugnale dei suoi genitori.

Della sua famiglia.

La sua adorata famiglia.

“Cosa ci fa il mio pugnale nelle tue mani?” ruggì a denti stretti, mentre la rabbia cominciava ad invadere tutto il corpo.

Mortimer parve accigliato ma fu una sfumatura minima sul suo volto di pietra. “È tuo?! O…è mio?”

Rebecca si mise in posizione di attacco. “È mio! Come hai osato rubarmelo?! Non ti appartiene, appartiene a me, alla mia famiglia!” sputò tutto d’un fiato.

Rebecca giurò di aver visto Mortimer impallidire. “Impossibile” sussurrò con voce atona.

Rebecca ringhiò e sfoderò la sua spada, con tutta l’intenzione, una volta ucciso Mortimer, di riprendersi il pugnale di suo padre.

Mortimer, più strano che mai, vacillò e con uno scatto si alzò in piedi disfandosi del mantello che fece cadere pesantemente a terra. Indossava un’uniforme nera, semplice e inquietante al tempo stesso. Le braccia erano nude e scoperte, il cuore della ragazza mancò di un battito quando vide la combinazione di nei che formavano una croce, uguale alla sua, nello stesso punto del braccio sinistro.

Proprio sotto la spalla, come lei.

Cercò di non preoccuparsene, non significava nulla. Dopotutto, tutti gli angeli avevano la pelle marchiata da una croce benedetta, che fosse sottoforma di nei, di piaghe, di voglie o di macchie. Ma la croce che Mortimer portava in corpo era un qualcosa di vivo e famigliare. Rebecca aveva visto mille volte la croce di Gabriel, una voglia color rubino sotto l’ombelico, ma mai le aveva suscitato come ora un senso di calore e appartenenza.

Darth Threat puntò i suoi occhi rossi sulla croce di nei che aveva nel braccio sinistro. Ammirò con curiosità lo sguardo che la ragazza aveva su di lui. Come attratto dalla bramosia di sapere guardò a sua volta le braccia nude di Rebecca. Vide che anche lei aveva la stessa sequenza di nei.

Rebecca, frastornata e confusa, decise di farsi avanti prima che fosse troppo tardi e il coraggio le venisse meno. Non voleva sapere né vedere altro, altrimenti la missione sarebbe diventata troppo difficile da compiere. Doveva sbrigarsi ad ucciderlo, prima che potesse scoprire altre verità.

Mortimer gettò il pugnale sul cuscinetto morbido del trono, questo rimbalzò nell’imbottitura e poi si adagiò. Prese e tenne tra le mani la sua spada, il suo volto non esprimeva nessun tipo di emozione. Era davvero degno di essere un signore delle tenebre, non perdeva mai le staffe, il suo sguardo aveva la capacità di pietrificarti e la sua voce era una lama tagliente che ti squarciava la gola. Il suo viso freddo, duro e penetrante marcava il fatto che in lui non battesse nessun cuore. Il suo cuore si era fermato, così come la capacità di provare sentimenti. Nessun tipo di emozione poteva coinvolgerlo a tal punto da renderlo vulnerabile. In questo, Rebecca, ne provava invidia.

“È un vero peccato che tu non sia passata dalla parte del Male” le disse Mortimer con voce incolore. “Pensaci. Io e te. Al potere. Sentire come il tuo corpo ceda alle tenebre, lasciarsi sopraffare dagli istinti, dal potere, dalla bramosa consapevolezza di essere al di sopra di tutti. Dimmi Rebecca, prima che io ti uccida, non ti piacerebbe sentirti così? Indomata, forte, selvaggia, indistruttibile e immune alle sofferenze umane. Immaginati una vita ricca di soddisfazioni e di vittorie”

Rebecca non si era accorta di aver indietreggiato. Vacillò e il suo tono di voce non risultò così sicuro. “Non potrei mai. Io non sono come te”

Il sopraciglio di Mortimer si inarcò. “Ne sei sicura?”

Gli occhi della ragazza si spalancarono a dismisura. Avvertì dei brividi di piacere al pensiero di poter essere come Mortimer: invincibile e potente. Dei tremiti le percorsero tutto il corpo, quasi volessero invitarla ad unirsi a lui. Qualcosa di invisibile e incorruttibile la legava a Darth Threat, qualcosa di antico e di molto pericoloso.

Si ricordò improvvisamente del sogno che aveva fatto la notte precedente, nella sua mente si proiettò l’immagine di lei, bianca, con gli occhi rossi, il cuore che non batteva e i denti scoperti in un ringhio silenzioso. In quel momento non le parve di ricordare un sogno, piuttosto le sembrò di assistere ad una premonizione.

Si spaventò a morte e la spada le scivolò dalle mani.

Il ghigno compiaciuto di Mortimer echeggiò nella sala buia e silenziosa.

Una premonizione. Poteva avverarsi una cosa come quella nel suo futuro?

Non era più sicura di niente.

Con un gesto disperato (bisognosa di farla finita) prese la spada da terra e puntò la lama contro Mortimer. Darth Threat parve sul momento deluso ma poi un lampo di eccitazione gli pervase gli occhi.

Che la morte decida una volta per tutte chi prendersi tra noi due.



***



Gabriel si voltò e con un sorriso beffardo guardò Atreius davanti a lui. Il ragazzo non era cambiato per nulla, aveva sempre quell’odioso ghigno stampato in faccia che Gabriel avrebbe tanto voluto far andar via a suon di botte.

“Guarda un po’ chi è uscito dal suo ovetto” lo canzonò Gabriel con l’intenzione di ferirlo.

Atreius sorrise sbuffando. “Sei sempre stato molto simpatico Gabriel, non mi stupisco che tu sia diventato ancora più divertente con il passare del tempo. Le stupidaggini che dici farebbero ridere anche mio padre”

“Lo prendo come un complimento. Detto da te, che non sei altro se non un ripiego” sibilò fra i denti, la mascella contratta dall’odio che provava. Si riferiva naturalmente a Rebecca.

Atreius scosse la testa e lo guardò con aria divertita. “Povero Gabriel che non sospetta nulla…”

“Di cosa parli?”

“Ho visto il pugnale che aveva Rebecca”

“E allora?!” sbraitò Gabriel scattando in avanti quasi volesse attaccare Atreius azzannandogli la gola. “Era di suo padre! Possibile che voi non abbiate niente di meglio da fare se non distruggere la vita delle persone?!”

“Appunto. Era di suo padre” disse il ragazzo con soddisfazione, pregustandosi il momento in cui avrebbe sparato la notizia bomba che avrebbe ferito Gabriel a morte.

“Non ti seguo, bastardo” sussurrò Gabriel con gli occhi ridotti a due fessure.

“Il pugnale, a dir la verità, è di Darth Threat”

Silenzio.

Il cuore di Gabriel prese un ritmo accelerato e incontrollabile. Sbiancò e strinse i pugni con forza, provando un moto di dolore e svenimento. Il cuore non accennava a rallentare i battiti, sembrava quasi che potesse uscirgli dal petto. Il labbro inferiore cominciò a tremargli, tutto il suo corpo si paralizzò.

“Non può essere vero!” esclamò.

Ora Rebecca era insieme a lui, nella sala del trono e chissà se le era stato detto qualcosa…ma non era possibile! Perché? Ma soprattutto…come?!

“Rebecca è figlia di Mortimer e di Aidel”  

“Mortimer aveva una relazione con Adele, non ha mai avuto modo di avvicinarsi a Aidel! Ciò che mi dici è un’assurdità!”

“Ah sì?” disse ironico Atreius, assaporando il sapore della vittoria. “Forse tu non l’hai mai saputo ma Aidel aveva una cotta per Mortimer, fin da quando erano giovani! Aveva sempre saputo dell’amore che la sorella nutriva per lui e per questo non si era mai dichiarata, era vissuta tra loro come un’ombra, in disparte e infelice. Pensava che la cotta sarebbe passata con l’avanzare del tempo, degli anni. Si era addirittura proposta come volontaria per andare in missioni che la tenessero via di casa il più allungo possibile, ma ogni volta che tornava al villaggio e lo rivedeva l’amore che nutriva per lui riemergeva a galla con una velocità sorprendente. Non appena venne a conoscenza della punizione data alla sorella e del tradimento di Mortimer capì che quello sarebbe stato l’ultimo giorno in cui l’avrebbe rivisto. Disperata, andò da una maga per farsi dare una pozione d’amore, era convinta che facendo innamorare Mortimer di lei, non solo l’avrebbe convinto a restare ma l’avrebbe anche salvato dal Male. La pozione durò un giorno soltanto, una notte sola. Il potere oscuro di Mortimer era talmente forte e protetto che la pozione non ebbe il soppravvento su di lui. Nonostante tutto Aidel era riuscita ad averlo per sé per una notte soltanto e da quella notte rimase incinta. La sorella Adele era esiliata e per anni non le sarebbe stato dato il permesso di tornare al villaggio, Mortimer era scappato. Non avrebbero assistito alla sua gravidanza e per questo nessuno lo seppe. Aidel si trasferì in una baita all’interno del bosco, non voleva che la gente la vedesse altrimenti avrebbero compreso il danno delle sue azioni. Partorì nove mesi più tardi e qualche mese dopo Mortimer, che non aveva ricordi della notte con Aidel, andò a trovarla nel bosco e la uccise. Naturalmente non si era accorto della bambina che, protetta dalla madre, era racchiusa dentro ad una barriera magica”

Gabriel seguì il racconto senza mai perdere il filo del discorso. Man mano che Atreius parlava, lui si faceva sempre più incredulo e sconvolto. Non riusciva più a parlare, si sentiva svuotato e frastornato.

Trovò le parole per chiedere: “Tu come fai a saperlo?”

“Mia madre” disse Atreius. “Mia madre è una creatura del fuoco, è stata lei a dare la pozione d’amore all’angelo Aidel”

Gabriel colpì la parete di fianco a lui con un pugno furioso, le nocche bianche si sbucciarono e del sangue cominciò a colargli fino al polso. “Mortimer lo sa?!”

“No, ma credo che dopo questo incontro l’abbia capito. Spero solo che riesca a convincerla a passare dalla parte del Male. Sarebbe un vantaggio per noi avere un angelo forte e portato come Rebecca. Senza contare che la famigliola si riunirebbe: padre, figlia e figlio. Molto unita, non trovi?”

Gabriel lo fulminò con gli occhi e digrignò i denti.

Atreius disse: “E poi trovo anche un lato positivo e assai pagante in tutto ciò”

“E cioè? Che Rebecca trapassi la tua inutile testa con un palo di ferro?”

“No, tutt’altro direi. Posso portarmi a letto Rebecca tutte le volte che voglio, dopotutto non siamo veri fratelli”

Prima ancora che terminasse la frase Gabriel gli si avvicinò prepotentemente. L’ultima cosa che Atreius vide fu lo sguardo feroce di Gabriel a pochi centimetri dal suo. “Queste cose non avresti dovuto dirmele”



***



Rebecca era riuscita fino a quel momento a mantenere un atteggiamento controllato ma da quando la rabbia crescente aveva fatto cadere l’ultima goccia, era esplosa. La sua spada venne stretta saldamente tra le sue mani ferme e sicure. In un secondo aveva attraversato la sala del trono ad una velocità disumana.

Si creò in quel momento una situazione contraddittoria: mentre correva alla velocità della luce, vedeva tutto a rallentatore. Vedeva in movimenti bloccati e lenti la figura di Mortimer che restava ferma al suo posto, non c’era nessun accenno al fatto che volesse smuoversi di lì. Quando gli fu a pochi metri di distanza Rebecca fece un balzo e contemporaneamente alzò la spada sopra la propria testa, pronta per colpire. All’ultimo secondo, prima che la lama si infrangesse contro di lui, Mortimer prese la sua spada e la fece scontrare contro quella della ragazza in un boato.

Rebecca venne scagliata indietro e prima di cadere a terra girò su sé stessa per finire con i piedi saldi al pavimento. Sapeva, anzi ne era sicura, che per uccidere Mortimer avrebbe dovuto piantargli il pugnale della sua famiglia dritto al cuore. L’unica cosa che doveva fare era raggiungere il trono e prenderlo. Poi per il resto ci avrebbe pensato al momento, non era il caso di fermarsi a riflettere punto per punto, anche perché Darth Threat le aveva appena scagliato contro un incantesimo che la ragazza ebbe giusto il tempo di schivare.

Rebecca si alzò e con un movimento scattoso fletté il braccio in avanti, il movimento del braccio sembrò quello di un’onda, dal gomito partì una scarica azzurra molto simile ad una corda che andò a colpire in pieno petto Mortimer. Mortimer volò indietro e andò a sbattere la schiena contro la parete, a diversi metri di altezza dal suolo.

Rimase fermo contro il muro a venti metri dal suolo guardando la sua nemica con odio e profonda irritazione. Rebecca non accennava a fermarsi, provò a colpirlo dal basso, questa volta lame di ghiaccio dure come metallo fuoriuscirono dai suoi occhi. Mortimer le schivò con una semplice barriera neutralizzante. Si lasciò cadere a terra e corse verso di lei, era talmente veloce che quasi Rebecca non lo vide arrivare, nonostante avesse usato la vista a rallentatore. Si accorse troppo tardi che gli era praticamente davanti, spalancò gli occhi e girò su sé stessa per colpirlo con le gambe ma lui, con il solo pensiero, la bloccò e la fece volare dall’altra parte.

Rebecca cadde sul pavimento scivoloso che la fece finire contro la porta-finestre che dava ad un piccolo terrazzetto. Cercò di alzarsi ma un dolore allucinante le paralizzò la schiena. Tastò con le mani dove le faceva male e si accorse di aver piantata nella pelle un pezzo di mattonella, probabilmente l’aveva staccata quand’era caduta sul pavimento. Poteva sentire il sangue scorrerle lungo la spina dorsale in un liquido caldo e denso. Se la tirò via con un unico disperato gesto ed emise un gemito soffocato.

Mortimer intanto l’aveva raggiunta e con un piede la fece voltare supina. Rebecca si alzò con uno scatto addominale e provò a colpirlo in faccia con una serie di pugni.

Cercò di tenerlo occupato mentre si concentrava a richiamare con la mente il pugnale ancora appoggiato sul trono. Fece una piroetta in aria e con entrambe le gambe gli ponderò una serie di calci che lo buttarono a terra. Aprì il palmo della mano e Mortimer venne buttato in fondo alla sala da una forza invisibile.

Un ghigno divertito gli dipinse il volto. “Sei forte, ragazza. Molto forte…”

Rebecca osservò con concentrazione il portone della sala, questo si staccò dalle travi e andò a sbattere violentissimo contro la figura stesa al suolo di Mortimer. Mortimer si chiuse a riccio e quando la porta gli cadde addosso, a contatto con il suo corpo, andò in mille pezzi. Alcuni pezzi volarono come scaglie affilate verso Rebecca che neutralizzò trasformandoli in petali di rosa.

“Facciamo anche i trucchetti di magia?” la prese in giro Darth Threat. I suoi occhi erano di un rosso cremisi e non rideva più. “Ora basta giocare, mi sono stufato”

Mortimer congiunse le mani, sembrava che stesse pregando ma la ragazza sapeva che in realtà stava mormorando un incantesimo. Quando, per invocare una determinata magia, si faceva ricorso ad un incantesimo verbale, questo…beh, voleva dire grossi guai. Infatti, quando Mortimer aprì lentamente le mani comparve al centro una palla di fuoco che ruotava su sé stessa e che si faceva sempre più grande man mano che lui apriva le mani.

Quando la palla di fuoco divenne talmente grande da riuscire a toccare il soffitto, Darth Threat la lanciò con un urlo disumano in direzione di Rebecca che, pur sapendo che le cause di quell’impatto sarebbero state disastrose, strinse i pugni e si preparò a difendersi.



***



Un altro pugno di Gabriel colpì Atreius in pieno viso. Ormai il volto del ragazzo era chiazzato da una moltitudine di lividi violacei.

“Non ho ancora finito con te” sibilò Gabriel, mosso da un impulso assassino e da una voglia scottante che aveva di ridurre a pezzi quell’idiota.

Atreius per lui era sempre stata una spina sul fianco.

Da sempre.

Da quando aveva puntato per la prima volta i suoi occhi su Rebecca.

Un altro pugno in faccia.

Da quando aveva osato baciarla sulla collina.

Un pugno nello stomaco.

Da quando l’aveva accolta nella sua casa nel bosco e aveva passato con lei la notte.

Un pugno lo colpì sullo zigomo destro, spaccandoglielo.

Da quando aveva scoperto che era un traditore.

Gabriel ruotò su sé stesso e con una sforbiciata in aria lo fece catapultare contro la finestra sbarrata del corridoio. Atreius rideva, cosa che a Gabriel dava molto fastidio. Si fermò un attimo per riprendere fiato e lo guardò con arroganza.

“Tanto per fartelo sapere, lo sai vero che non hai nessuna possibilità contro di me? Ora ho di nuovo i miei poteri. Devo ancora usarli ma ora che mi ci fai pensare…” Gabriel non terminò la frase e con uno strano sorrisino inquietante fece contorcere in maniera anormale Atreius che gridò dal dolore.

Le braccia, le gambe e la testa erano spostate in modo inconcepibile e impossibile da compiere normalmente, sembrava un pupazzo di pezza, il suo corpo prendeva la posizione che più piaceva alla mente di Gabriel. Nonostante tutto, nonostante lo stesso Atreius fosse conscio del fatto che non aveva speranze (sebbene fosse un Nim nulla poteva contro la magia) non si era mai lamentato, non aveva mai pregato Gabriel di smettere con quella tortura.

Le urla del ragazzo vibrarono lungo lo stretto passaggio e cessarono quando Gabriel smise di possedere il suo corpo. Drizzò la schiena e lo guardò dall’alto al basso.

“Mi aspettavo di più da te, Atreius. Sembra che tu ti stia lasciando ammazzare”

Atreius sorrise. “Forse è quello che sto facendo”

Gabriel rimase per un attimo interdetto ma poi si chinò su di lui e lo afferrò con forza per il colletto. Atreius gemette per lo scatto improvviso che il suo corpo fu costretto a subire. Gli occhi di Gabriel erano due fiamme che ardevano.

“E allora ti accontento, dormirò meglio sapendo che un traditore è morto per mano mia”

Gabriel fece per prendere la spada dalla sua fodera legata in vita ma Atreius, con una forza che il ragazzo non trovava possibile avesse in quel momento, balzò indietro e si buttò giù dalla finestra rompendo il vetro in mille pezzi.

Atreius saltò coprendosi la testa e si lanciò fuori dalla finestra, ad almeno trecento metri di altezza. Si lasciò cadere nel vuoto.

Gabriel corse verso la finestra e fissò in basso la figura del ragazzo che precipitava dimenando le braccia.

Battè con la mano sul muro e corse via.

Doveva andare immediatamente da Rebecca.



***



Atreius vide il volto di Gabriel sporgersi dal cornicione, il suo sguardo era un misto di stupore e incredulità. Non appena la sua testa bionda scomparve dentro il castello, Atreius emise un fischio.

Mancava ancora molto prima che toccasse terra, la fortezza era imponente ed era caduto da uno dei piani più alti.

Al suono del suo fischio un possente drago comparve da una delle torri del castello. Fece rotta verso il ragazzo e lo salvò facendolo sedere sulla sua sella rossa di pelle.



***



Mentre Gabriel stava correndo un’esplosione devastante fece tremare l’intero castello. Andò a sbattere con forza contro il muro del corridoio, le luci che erano accese sopra il soffitto si spensero con una folata di vento caldo. L’odore di bruciato era insopportabile. Il rumore doveva aver raggiunto ogni angolo della roccaforte.

Gabriel premette le mani sulla parete e si massaggiò le orecchie con un sospiro, aveva l’udito disturbato e il corpo gli tremava ancora. Si fece coraggio e proseguì, il suo cuore era pesante, le speranze cominciavano a sgretolarsi man mano che si avvicinava alla verità.



***



Mortimer sorrideva divertito per la scena catastrofica che gli si presentava davanti agli occhi: metà del soffitto era crollato, cumoli di pietre giacevano lungo tutto il pavimento spaccato, un polverone grigio si librava nell’aria verso l’alto. L’impatto era stato micidiale, la ragazza dopo essere stata colpita in pieno dalla sfera era stata sotterrata dai massi che erano crollati da tutte le parti.

Per precauzione Mortimer usò il suo udito infallibile: nessun cuore batteva più in quella stanza. Non sentiva nessun battito, né respiro, né vita sotto quel cumulo.

Rebecca era morta.

Neppure lei era stata in grado di sopportare tanta magia oscura, la palla di fuoco era riuscita a spegnere la sua giovane vita.

Darth Threat se ne compiacque.

In quell’istante il portone della sala si aprì e Gabriel fece il suo ingresso, era scombussolato e il suo volto era una maschera di tensione mista a paura. Il ragazzo guardò Mortimer e quando notò le sue labbra piegate in un sorrisino esultante cercò, nel panico più totale, la figura di Rebecca. I suoi occhi si fermarono sul cumolo di macerie infondo alla stanza e Mortimer giurò di aver sentito il fiato del ragazzo fermarsi in gola. Aveva smesso di respirare. Probabilmente era concentrato a captare qualche segnale di vita in mezzo a quel macello.

“È finita, Gabriel” mormorò in tono vacuo, anche se Gabriel percepì una nota di piacere nella sua voce.

Il labbro inferiore del ragazzo cominciò a tremare. Si lasciò cadere a terra e nascose il viso tra le mani. Non pianse ma si fece travolgere da spasmi di dolore che lo fecero sussultare, era una visione raccapricciante e straziante da guardare.

Darth Threat si avvicinò al ragazzo ormai innocuo con passo silenzioso e acquattato, era come se stesse fluttuando.

Fece per aprir bocca e dire le ultime parole a Gabriel prima di ucciderlo quando sentì il rumore improvviso di un cuore che cominciò a battere debolmente. Sia Mortimer che Gabriel alzarono di scatto la testa sbarrando gli occhi, il primo con orrore e il secondo con incredulità. La figura sfrontata di Rebecca apparve da dietro il trono. In mano teneva il pugnale della sua famiglia che faceva rigirare giocosamente tra le dita.

Darth Threat non ebbe neppure il tempo di registrare la cosa che la ragazza aprì le ali bianche e volò verso di lui piantandogli il pugnale dritto al cuore. Il contatto dei due corpi fu simile a quello di due rocce, Rebecca gli saltò addosso facendo volare entrambi indietro, l’arma ben premuta dentro il suo petto. Mortimer cadde a terra supino, Rebecca gli era sopra e non accennava a togliere il pugnale dal suo cuore, anzi, lo fece penetrare ancora più affondo nella carne.

Darth Threat aveva gli occhi spalancati e vuoti, la bocca aperta in una O muta, in un urlo silenzioso.

Guardò la ragazza sopra di lui con immensa venerazione. “Come hai fatto?” sussurrò con voce roca, poi tossì e sputò sangue.

“Distorsione della realtà. Hai percepito quello che io volevo che percepissi. Un trucchetto di magia, come hai detto tu” disse la ragazza debolmente, la voce incrinata dal dispiacere.

Mio padre…

“Ci rincontreremo, figlia mia. Questo non è il mio ultimo viaggio” disse Mortimer, annaspando alla ricerca di ossigeno. Si lasciò andare ad un debole sorriso e ribaltò gli occhi. Prese un’ultima boccata d’aria dopodichè il suo corpo si afflosciò, privo di vita.

“È finita” sibilò Rebecca estraendo con un colpo secco il pugnale. “Anche per te, padre”



***



Oddio, non ci posso credere...
finito anche questo capitolo!!!! Non vedo l'ora di chiudere con questo primo capitolo
della saga...
cioè, bello quanto volete ma mi snerva troppo!!!
E poi non è che sia bravissima a scrivere parti di guerra, io ci provo ma neppure a me piace poi molto.
Magari mi perfezionerò andando avanti con gli altri due seguiti,
dove SICURAMENTE ci sarà molta più guerra!!!

Fatemi sapere che vi è sembrato del capitolo, le recensioni sono sempre
ben accette!!!

Il prossimo e ultimo capitolo si intitolerà: "L'ALBA DEGLI EROI"

Alla prossima!!

PS: non ho tempo di rispondere alle recensioni che mi avete fatto ma non per questo non vi ringrazio!! le leggo sempre e siete troppo cari!!! grazie a tutti coloro che mi seguono.











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Capitolo 26
*** L'alba degli eroi ***


Cap. 26 - L’ALBA DEGLI EROI -

[La guardo e mi rende fiero,
è un tipo di donna che non ha nemmeno bisogno del mio aiuto.

Ha qualcosa di unico,
è per questo che la amo.

Per sempre]

Ne-Yo - Miss independent -



***



Rebecca rimase a guardare il corpo privo di vita di suo padre. Non riusciva a capire se quello che stava provando era gioia, felicità oppure tristezza e riluttanza. Sì, riluttanza. Riluttanza perché in quel momento si sentiva una bestia, un mostro assassino che era stato capace di ammazzare a sangue freddo persino suo padre. Chiunque avrebbe provato un minimo di pietà e titubanza ma lei no, non ebbe nessun tipo di riguardo, non un’indecisione. Nel momento in cui decise di trapassargli il cuore con un pugnale non aveva avuto nessun fremito di esitazione. Si sentiva svuotata, sconvolta per la sua brutalità.

Gabriel era di fianco a lei e la osservava da lontano, quasi volesse mantenere una distanza di sicurezza, Rebecca s’immaginava già la faccia del ragazzo perplessa e inorridita. Si voltò lentamente con un sospiro, in cerca del suo sostegno, paurosa per quello che avrebbe potuto vedere sul suo volto.

Gli occhi di Gabriel erano puntati sul corpo di Dark Threat, la ragazza si accigliò nel constatare che non era lei la fonte della sua attenzione. Lo sguardo di Gabriel era fisso e vacuo, non si capiva se stesse soffrendo oppure se era contento. Sembrava una statua di marmo bianco. Rebecca si mosse impercettibilmente verso di lui ma poi ci ripensò e tornò al suo posto. Il gesto però non passò inosservato al ragazzo che subito la guardò. La guardò come se la vedesse per la prima volta.

“Gabriel…” lo provò a chiamare, non riusciva a capirlo in quel momento. Sembrava sorpreso, pronto ad urlare qualcosa, sull’orlo di una crisi isterica.

“Non ci posso credere” sussurrò, poi il suo volto si aprì in un sorriso. Rebecca si rilassò e rise con lui. Le corse incontro e l’abbracciò con trasporto. “Ce l’abbiamo fatta! Siamo salvi, è finita! Finita! Te ne rendi conto?!”

La ragazza passò le mani sulla sua schiena e si lasciò stritolare dal ragazzo che sembrava incapace di contenere le proprie emozioni. “Sì, finalmente è finita. Finalmente potremmo vivere in pace” mormorò lei, rischiando di piangere per la felicità.

Rimasero abbracciati allungo, poi Gabriel si staccò e il suo viso era bello e raggiante come il sole. Faceva persino male a guardarlo troppo. “Ogni giorno della mia vita da quando ti ho incontrata ho temuto questo giorno. Ogni giorno vivevo nel terrore che tu potessi morire per mano sua. La paura, l’ansia, le battaglie…si è concluso tutto. Tutto” era incredulo, forse non se ne rendeva ancora conto.

“Per il meglio anche, direi” sorrise soddisfatta.

“Il Male ha perso, insieme faremo in modo che il Bene rimanga sovrano su questo mondo”

“Cosa succederà ai seguaci di Mortimer?” domandò Rebecca.

Gabriel le scansò dal viso dei ciuffi che le erano caduti sulla fronte, poi posò la mano sulla sua guancia, assaporando quel contatto caldo e vicino. “Si arrenderanno. Non ci sarà più nessuno tanto potente quanto Dark Threat, non avranno più nessuno che possa guidarli come ha fatto lui. Scapperanno, si rifugeranno e un po’ alla volta gli staneremo tutti, oppure si faranno la guerra tra loro, dipende”

Rebecca guardò alla sua destra il cumolo di macerie che era rimasto come un’ombra nel pavimento della sala. Della polvere grigia albeggiava ancora nell’aria. Gabriel seguì incuriosito il suo sguardo concentrato e subito s’incupì. La guardò negli occhi e Rebecca vide che era addolorato.

“Che c’è?” chiese, il cipiglio innalzato.

“Niente, stavo ripensando al colpo che mi hai fatto prendere. Ti credevo morta”

“Mi dispiace, non avevo n’anche visto che eri entrato nella sala altrimenti a te avrei risparmiato quel trucchetto illusorio”

“Mi hai fatto morire, in effetti” disse con voce roca. Non rideva più. “Sei veramente cattiva quando ti ci metti”

Nonostante tutto lei si sforzò di sorridere. “Penso che l’abbia pensato anche mio padre” la risata le morì in gola.

Mio padre.

Distolse lo sguardo da Gabriel.

Il ragazzo le prese dolcemente il mento con le dita e le fece voltare la testa perché potesse vederlo. Il volto di Rebecca era imbronciato in una maniera squisitamente tenera. Gabriel distese un sorriso.

“Facciamo che non ci pensiamo più per un po’?”

Rebecca aggrottò la fronte facendo avvicinare le sopracciglia. “Se fosse per me vorrei dimenticare tutto” rispose, con voce piccola, da bambina.

“E lo faremo, insieme, te lo prometto. Ora però sarebbe meglio se andassimo ad avvertire gli altri”

“C’è una persona che dobbiamo aiutare ad uscire dal castello, Gabriel”

Gabriel serrò i pugni. “Non starai parlando di Atreius, vero?” domandò, minaccioso, facendo un passo in avanti. “Anche perché temo che sia troppo tardi”

“No, si tratta del fratello di Bastian: Alan. Credo che Bastian ne sarebbe davvero contento se lo riportassi da lui”

Il volto di Gabriel s’illuminò. Improvvisamente divenne desideroso di muoversi, di lasciare quella stanza, di darsi da fare. Si agitò sul posto, gli occhi scintillanti per l’eccitazione. Le prese le mani e l’avvicinò con uno strattone al suo viso. “Sarebbe il regalo più bello che tu potessi fargli. È da anni che non vedo Alan, mi piacerebbe poterlo abbracciare di nuovo”

“E lo farai, ma ora dobbiamo andare. Alan era l’unico prigioniero nella torre, l’ho nascosto in una stanza e l’ho bloccato all’interno”

“Ti ricordi dov’è la stanza?”

La ragazza annuì convinta e lui si rilassò. La prese per il gomito e la tirò verso la porta, correndo per raggiungere più in fretta possibile l’uscita. Stavano per avvicinarsi al portone quando Rebecca lo bloccò. Gabriel, sentendosi tirare della parte opposta dove stava andando, si voltò perplesso verso la ragazza che, ferma davanti a lui, lo guardava in un modo che lui conosceva fin troppo bene.

Rebecca lo prese per il colletto della divisa e lo attirò a sé. Non ce la faceva più ad aspettare, aveva voglia di sentire le sue labbra sulle sue, il suo corpo premuto in una morsa contro il suo. Si baciarono con urgenza, con furia, nulla a che vedere con quei dolci e casti baci che si davano normalmente. La paura iniziale e la gioia che avevano provato nel ritrovarsi entrambi vivi alla fine della battaglia avevano creato un mix di desiderio e passione. Se non fosse stato per il poco tempo che avevano a disposizione di sicuro Gabriel non si sarebbe risparmiato nel strapparle i vestiti di dosso. Dovette interrompere il bacio e quasi provò una fitta al cuore a quel distacco. Sbirciò con gli occhi e ciò che vide lo fece intenerire: il volto di Rebecca era ancora proteso verso di lui, le palpebre abbassate e le labbra sporgenti, pronte a ricominciare. Gabriel le diede un bacio sul naso e lei riaprì gli occhi tornando con i talloni dei piedi ben saldi a terra.

Storse il naso facendo capire che non approvava quel suo allontanamento da lei.

“Andiamocene mocciosa, prima che sia troppo tardi, altrimenti potrei perdere il controllo e violentarti qui, su questo pavimento freddo”

Rebecca si portò una mano alla bocca per reprimere una risata, cercò di darsi un’aria composta e seria. “E se ti dicessi che non aspetto altro, angelo?” lo prese in giro.

In risposta alla sua provocazione il ragazzo andò letteralmente a fuoco.

“Avremo tempo per quello” sbottò, cercando di acquistare un tono di voce che risultasse duro e autoritario.

Peccato che per dire quattro parole aveva balbettato un po’ troppo.  



***



Non appena i due ragazzi uscirono dalla sala del trono percorsero correndo i corridoio del castello. La notizia della morte di Dark Threat si era sparsa in tutta la roccaforte e ora persino il castello sembrava morire con lui. Le mura e le pareti si stavano sgretolando. Cadevano a terra grossi e pesanti blocchi di marmo, le scale si stavano rompendo e dividendo. Tutto stava cedendo.

Ebbero appena il tempo di salvare Alan, ancora mezzo moribondo, prima che il soffitto crollasse e seppellisse la stanza in una pioggia di pietra. Gabriel e Rebecca aiutarono Alan ad uscire dal castello, procedevano veloci e irrequieti. Avevano paura di incontrare qualcuno in quei corridoi, oltre ad essere stanchi per la battaglia avevano il timore di non essere in grado di proteggere Alan se si fossero trovati davanti un gruppo di soldati. Fortuna volle che non s’imbatterono in nessun nemico durante la loro uscita, sembrava che dell’esercito di Mortimer e dei suoi fedeli non fosse rimasto più nessuno.

Erano appena usciti nel cortile e Gabriel sentì Rebecca gemere al suo fianco. Quando la guardò vide che il suo volto era contratto dal dolore.

Cercò di incrociare il suo sguardo da sopra la testa di Alan. “Che succede, Rebecca? Stai bene?” domandò preoccupato.

La ragazza cercò di sorridere ma non riuscì a nascondere una smorfia. “Penso di essermi fatta male quando mio padre mi ha seppellita sotto a quei sassi” voleva essere simpatica e ironica ma la sofferenza le aleggiava il contorno degli occhi.

Gabriel le squadrò il corpo martoriato da lividi e piccole ferite. Sbarrò gli occhi quando vide nella sua schiena una chiazza enorme di sangue.

La guardò allibito e sconvolto, fece per parlare ma lei lo mise a tacere. “Dopo” sibilò senza nemmeno guardarlo in faccia.

Cercò di camminare il più veloce possibile dato che a correre non ce la faceva più. Avrebbe tanto voluto fermarsi e riposare, medicarsi la ferita e fermare il sangue che continuava sentir colare. Ma non poteva. Doveva prima essere al sicuro e portare Alan al riparo con sé. Cacciava dei piccoli gemiti ogni volta che il taglio nella schiena le bruciava o le faceva male, beccandosi ogni volta delle occhiate allarmate da parte del ragazzo che la guardava con profonda commozione.

“Fermiamoci” le disse il ragazzo con disperazione quando la sentì gemere per l’ennesima volta. Era pronto a mollare la presa su Alan nel caso la ragazza avesse avuto un mancamento.

“Non devi preoccuparti per me, procediamo. Dobbiamo uscire dal castello, sta cadendo a pezzi” rantolò, la voce spezzata e roca.

Gabriel alzò gli occhi al cielo, non sapeva che fare per aiutarla. Aumentò la camminata per arrivare nel loro accampamento.

Rebecca camminava e, mentre con un braccio sosteneva Alan di fianco a lei, con l’altro tentava di tenersi premuta la ferita sulla schiena. Cercava di tamponare con la stoffa della divisa il taglio per fermare la fuoriuscita del sangue. Doveva aver perso molto sangue in effetti, cominciava a vederci sempre di meno, iniziava a sentirsi man mano sempre più debole e fiacca. Strizzò gli occhi un paio di volte prima di rendersi conto che vedeva tutto buio. Perse l’uso della vista e inciampò in un masso. Cadde per terra e sbattè la testa contro il sasso. Sentì Alan scivolare dalla sua presa, sentì la voce di Gabriel rincorrerla quasi volesse prenderla.

Rimase qualche secondo distesa al suolo prima che Gabriel la prendesse. Si sentì alzare e afferrare saldamente per i fianchi. Seppe per certo di essere tra le sue braccia. Lui stava correndo. Cercò di aprire gli occhi. Voleva sgridarlo, ordinargli di metterla a terra e di aiutare Alan invece che lei, ma non ne trovò la forza né la volontà, era come se il suo corpo si fosse intorpidito. Rimase con la testa appoggiata al suo petto muscoloso e un terribile sonno la invase.

Stava per chiudere gli occhi e addormentarsi, sopraffatta da quella sensazione di pace e tranquillità, quando sentì il ragazzo urlarle di restare sveglia. “Non ti addormentare, Rebecca! Non ci provare nemmeno se non vuoi che ti riempia di schiaffi!”

La ragazza mugulò tra le sue braccia e cercò di non dormire. Sebbene avesse gli occhi aperti non ci vedeva niente.

“Siamo arrivati, tesoro. Un altro piccolo sforzo” le mormorò dandole un bacio sulla testa. Rebecca si tranquillizzò nel sentire le labbra del ragazzo premerle forte la fronte.

Gabriel si fermò e la posò a terra, distendendola con cura e devozione. Le passò una mano sulla guancia e a gran voce cominciò a chiamare Bastian affinché gli procurasse un curatore alla svelta. Rebecca fu contenta di sentire la voce di Bastian, temeva che fosse rimasto ucciso durante la battaglia. Cercò di alzare la testa ma una mano la spinse indietro.

Era Gabriel che vegliava su di lei. “Non fare stupidaggini, scema. Rimani ferma e tieni duro. Sta arrivando un medico”

“La battaglia?” domandò la ragazza con un filo di voce.

“Abbiamo vinto, non abbiamo riportato molte perdite nell’esercito. Le truppe di Mortimer sono state decimate e il resto dei soldati hanno fatto fuga” sorrise, non smettendo di accarezzarle le guancie, i capelli, la fronte, le labbra…

Si chinò e la baciò.

“Alan?” sussurrò Rebecca.

“Sei fortunata che il tuo ragazzo abbia avuto i suoi poteri con sé” disse. “L’ho trasportato con la magia”

Non fece in tempo a parlare che lui le premette un dito sulle labbra, zittendola. “Ora basta parlare, dormi”

Rebecca finse una faccia adirata. “Ma come? Prima mi hai detto di star sveglia!”

“Smettila di rompere, signorina. Ora arriva il curatore” era Bastian che aveva parlato. Lo sentì chinarsi su di lei e tastarle il polso. Anche se non ci vedeva non era stupida, sentì il cuore di Bastian accelerare nel suo petto e le parve di vederlo lanciare un’occhiata significativa a Gabriel che impallidì. Sentì che il cuore di Gabriel invece aveva smesso di battere.

Rebecca scrollò la testa da tutte la parti. “Che succede?” domandò con agitazione.

Gabriel le tenne ferme le spalle per non farle fare movimenti troppo pericolosi. Quando le parlò la sua voce era incrinata e malferma. “Niente, non succede niente” cercò di tranquillizzarla ma inutilmente.

“Sarebbe meglio se tu mi dicessi che sto per morire piuttosto che girarci intorno sperando che abbocchi” disse duramente.

Gabriel chiuse gli occhi ed emise un gemito. Bastian sospirò frustrato, guardando il ragazzo con compassione.

Il curatore arrivò dopo pochi minuti e frettolosamente si fece spiegare la situazione. Fu Gabriel a parlagli. “Ha un taglio profondo nella schiena, ha perso molto sangue e la vista è già sparita”

Rebecca ascoltò con attenzione il curatore che spiegò sia a Gabriel che a Bastian in cosa avrebbe consistito la sua operazione. Si presentò abbastanza complessa e dolorosa. Da come parlava sembrava che la possibilità di salvarsi era molto scarsa. Disse ad entrambi di pregare e di attendere che finisse.

“Che Dio prego?” Rebecca sentì Gabriel sussurrare.

Poi il curatore prese una siringa e fece l’anestesia alla ragazza. Pian piano Rebecca si addormentò.



***



Vezzen, l’umile servitore di Dark Threat, vagava come un pazzo lungo i corridoi distrutti del castello. Ammirava con dolore e rimpianto le mura crollate e la sua dimora cadere a pezzi. Non sapeva dove andare ora che il suo Signore era morto.

Morto!

Com’era possibile? Come aveva fatto quella ragazza a sconfiggere il Male?

Andò nelle dimore di Mortimer e si lasciò scappare un singhiozzo vedendo il suo letto spaccato a metà. Ridusse gli occhi a due fessure, in quel momento un odio profondo e incontrollato verso quella ragazza lo stava prosciugando.

“Non ti preoccupare, Vezzen” disse una voce calma e melliflua alle sue spalle.

Vezzen si voltò perplesso e cacciò un singulto nel vedere la figura di Mortimer dietro di lui. Si buttò per terra per prostrarsi ai suoi piedi, elogiandolo. Non appena si tolse il cappuccio dalla testa e mostrò il suo volto, Vezzen sbarrò gli occhi e serrò la mascella. Si alzò in piedi e serrò i pugni, profondamente dispiaciuto.

Atreius lo fissava con uno strano sorrisino stampato in faccia. Gli abiti di suo padre gli calzavano alla perfezione. “Non ti preoccupare” ripetè. “Avranno tutti la loro bella sorpresa. Avranno ciò che si meritano”

Vezzen non capiva a cosa il ragazzo si riferisse con quella frase ma annuì comunque con la testa e fece un piccolo inchino. A quanto pareva era lui, ora, il suo nuovo padrone.



***



Gabriel andava avanti e indietro lungo il corridoio. Era passata più di un’ora da quando avevano portato Rebecca al villaggio. Dopo l’operazione fatta direttamente sul campo di battaglia era stata trasportata su una barella fino al villaggio, per poi essere condotta nell’edificio sanitario che era un po’ simile agli ospedali della Terra. L’avevano adagiata su un lettino e avevano chiesto a Gabriel di uscire e aspettare che finissero di darle i punti sulla ferita. Gabriel aveva insistito per rimanere al suo fianco ma i curatori gli avevano fatto ben capire che se non fosse uscito immediatamente dalla stanza si sarebbero rifiutati di guarirla.

Dopo averli urlato dietro una serie di imprecazioni e di aver sbattuto la porta prima di uscire, si sistemò fuori nel corridoio. Incapace di restare fermo continuava a camminare su e giù, lo sguardo fisso a terra e le mani tenute dietro la schiena.

Sentiva un istinto omicida verso quei curatori. Mandò giù il groppo che aveva in gola e cercò civilmente di aspettare che qualcuno venisse fuori per dargli qualche notizia. Ma dopo un’ora che attendeva cercare di rimanere calmo e pacifico era pressoché impossibile.

In quel momento vide sua sorella corrergli incontro, tutta indaffarata e preoccupata. Si lanciò addosso al fratello e lo abbracciò forte. Gli chiese come stava, come stava Rebecca, se sapeva qualcosa, se era viva, se era guarita…

“Non lo so” rispose il ragazzo con voce incolore. Era svuotato, gli sembrava di vivere un incubo.

Stava ancora tenendo la sorella tra le braccia quando spalancò gli occhi dalla sorpresa. La prese per le spalle e la tirò indietro in modo da guardarla meglio. Non aveva sentito il suo pancione contro il suo ventre quando l’aveva abbracciato, e ora che la vedeva bene notò che la sua pancia era tornata piatta e…vuota!

Credette di svenire. “Rose! La tua pancia! N-Non sei più incinta!” Rosalie fece un enorme sorriso. “Hai partorito!” esclamò il fratello con gli occhi fuori dalle orbite.

“Sì, ho partorito mentre voi eravate a farvi ammazzare” sospirò, lanciando un’occhiata preoccupata alla porta chiusa davanti a lei.

“E non mi dici niente?! Sono diventato zio, porca miseria! Dimmi almeno se è andato tutto bene!”

“Sei diventato zio di due gemelli, caro mio! Un maschio e una femmina. Oh Gabriel, sono così piccoli e belli! Non vedo l’ora che tu possa vederli!”

Il ragazzo era al culmine della felicità. “Due nipoti! E come li hai chiamati?”

“Ian ed Emma. Ti piaceranno, ne sono sicura”

“Ora sono a casa con il papà?”

“Per forza, non volevo lasciarli ma non potevo neppure non venire. Posso capire quanto tu ti senta solo e impotente in questo momento. Lascia che ti faccia un po’ di compagnia”

“Vorrei solo che lei si svegliasse” disse con una faccia talmente addolorata e disperata che Rosalie sentì una fitta al cuore. Non aveva mai visto suo fratello in quello stato. Sembrava spacciato, morto dentro. Lo strinse a sé e insieme si sedettero in una sedia tenendosi sempre stretti l’uno con l’altra.

Quando finalmente la porta di aprì Gabriel scattò in piedi rischiando di far cadere la sorella che gli era seduta sopra. Si catapultò verso il curatore che indossava ancora la mascherina sul viso.

Gabriel lo prese per il colletto della divisa. “Me lo dica, dottore. Come sta?” il suo tono era minaccioso.

“Si è ripresa, è dentro. Potete entrare anche se…”

Il ragazzo non diede il tempo al curatore di finire la frase. Mollò la presa su di lui e corse dentro la stanza come una furia. Non appena vide davanti a sé il lettino con la ragazza sdraiata sopra che lo guardava sorridente le andò incontro con un sorriso a trecentosessantacinque denti.

Rebecca era appoggiata contro lo schienale del letto ed era coperta da un lenzuolo azzurro, le braccia erano scoperte e le mani congiunte. Nonostante avesse appena subito un’operazione era bellissima. Non aveva n’anche un capello fuori posto. Appariva sollevata e tranquilla. Nel vederla in quello stato, così serena e affettuosa, Gabriel ricevette una scossa elettrica. Qualcosa si smosse e si accese dentro di lui, fu come se un fuoco l’avesse invaso. La guardava e non vedeva più la ragazza di cui si era innamorato, bensì vide la sua vita attraverso i suoi occhi. Arrivò alla consapevolezza che di essere arrivato al limite massimo con cui si può amare una persona. Ebbe un tale impulso di possessività che quasi gli mancò il fiato. Era una sensazione straziante e soffocante quella che provava per lei.

Quando vide che il giovane medico le stava toccando il seno per sentire i battiti del cuore emise un basso e minaccioso ringhio. Il ragazzo si voltò verso di lui e sbiancò nel vedere la sua faccia. Tolse immediatamente le mani dal corpo dalla ragazza e gli cadde la cartella medica dalle mani. La raccolse goffamente e uscì di corsa dalla stanza. Gabriel diede uno spintone alla porta e la chiuse.

Rebecca scuoteva la testa. “Guarda che non mi freghi. Ti sembra normale fare queste scenate di gelosia?”

Il ragazzo scrollò le spalle con fare innocente. “Non avercela con me, era lui che ti toccava in tutte le parti possibili e immaginabili. Io gli solo fatto capire che sei di mia proprietà”

“Io. Non. Sono. Di. Tua. Proprietà” scandì bene parole.

Gabriel salì sul lettino con un ginocchio e la sovrastò. Cominciò a baciarla con insistenza prima sulle labbra e poi sul collo. “Sì, sì, dicono tutte così”

Lei lo urtò indietro, fingendosi offesa. “Ti pare che io sia come tutte le altre?”

“Sai cosa intendevo” rispose, poi tornò a baciarla. “Non vedo l’ora di sposarti” le sussurrò all’orecchio.

Il suo alito caldo e sensuale provocò un brivido di eccitazione in Rebecca. Il respiro cominciò a farsi irregolare. “Prima dammi il tempo di riprendermi”

“Bastian ti ringrazia” le disse Gabriel tra un bacio e l’altro.

Rimanere lucidi in un momento come quello era molto difficile. “Ah sì?”

“Gli hai ridato il fratello che aveva perso, chi non potrebbe esserti grato?”

Con gentilezza Rebecca scostò Gabriel.

“Che fai?” domandò il ragazzo, vedendosi respingere.

L’occhiata dolce della ragazza lo tranquillizzò. “Non mi sembra il caso di farci vedere in queste condizioni dai medici”

Gabriel inarcò le sopracciglia. “Rebecca, ti rendi vero conto che in questo momento il giudizio dei medici non me ne sbatte proprio niente”  

“Beh, non voglio che ci vedano amoreggiare, penseranno che siamo due animali assatanati di sesso”

Gabriel innalzò ancora di più le sopracciglia. “Mi sono preso uno spavento sapendoti tra la vita e la morte, e ora mi vieni a dire che devo trattenermi? Beh, mi dispiace, non c’è niente che io voglia di più”

Rebecca deglutì. Lo sguardo del ragazzo la mise in soggezione. Sapeva che poco poteva contro il suo volere. Forse perché anche lei, infondo, lo voleva.

Gabriel le fece l’occhiolino, lei scosse la testa come per chiedergli che avesse in mente. Con una mossa della mano il ragazzo bloccò la serratura della porta e oscurò i vetri. Rebecca alzò gli occhi al cielo e sorrise.



***



Era passato un mese da quando la guerra era finita.

Rebecca era stata dimessa, non aveva riportato problemi dopo l’operazione. La ferita un po’ alla volta si era richiusa anche se era rimasta la cicatrice. Gabriel l’aiutava in ogni modo, le cambiava la garza e le disinfettava la ferita, l’aiutava a cambiarsi e con cura la metteva pure a letto la sera. All’inizio la ragazza aveva problemi a camminare e il più delle volte era Gabriel a portarla in spalla fregandosene delle sue lamentele. Festeggiarono in quei giorni il compleanno di Rebecca che dopo un anno compiva diciotto anni. Il suo primo anno da eroe, il suo primo anno a Chenzo.

“Io sono comunque due anni più grande di te perciò cerca di non metterti in testa strane idee di superiorità” le aveva ribadito Gabriel, beccandosi un pugno in testa da parte della ragazza.

“Ma sei rimasto scemo uguale” aveva esclamato incrociando le braccia al petto con un broncio adorabile stampato in faccia.

Non appena tornarono a casa andarono a trovare Rosalie e Denali che avevano già la fama di essere i migliori genitori del villaggio. Rebecca era stata entusiasta di tenere in braccio Ian ed Emma e Gabriel si era addirittura commosso, sebbene lui l’avesse negato. Gli sguardi fieri di Denali e Rosalie mentre guardavano i loro figli crescere erano un qualcosa di fantastico e unico.

Kevin e Delia avevano deciso, dopo tanto tempo, di andare a vivere insieme. Kevin si era beccato un vaso in testa dopo che ebbe parlato con il padre di Delia, a quanto pareva l’uomo non vedeva di buon occhio il ragazzo della figlia. Dopotutto Kevin non era quello che si poteva definire un ragazzo responsabile. Ma il padre di Delia chiuse un occhio quando vide l’amore che lui nutriva per la ragazza. Si presero una casa vicino al centro del villaggio e parlavano di mettere su famiglia.

Rebecca, scherzando, buttò lì la frase: “Gabriel, potremmo mettere su famiglia anche noi, no?”

Rise come una matta nel vedere la faccia del ragazzo irrigidirsi e sbiancare. Aveva cominciato a balbettare e dopo aver ripreso colorito era diventato rosso come un peperone. Si era giustificato dicendo: “Sono troppo giovane per fare il padre”

Ma lei sapeva che lui sarebbe stato un padre perfetto.

I risultati della loro vittoria avevano contribuito a migliorare il mondo, i villaggi si erano ripopolati, le famiglie si erano ricongiunte e la natura stessa era più prosperosa e verde. Bastian lo si vedeva sempre in giro per il villaggio con il fratello a seguito mentre gli indicava e gli spiegava i cambiamenti che aveva riportato al paese negli anni in cui lui era mancato. Si era anche tenuta una festa, una delle prime sere da quando Rebecca era tornata a casa, ovviamente era in suo onore.

La gente la adorava, la ringraziò e la definì la loro eroina. Il tema di quella festa era appunto: “L’alba degli eroi” e, in un certo senso, era riferito a tutti i cittadini, perché tutti in quel momento potessero sentirsi utili e importanti per il villaggio. Perché tutti dovevano sentirsi dentro un po’ eroi.

La vita riprese ad essere quella di sempre. Ora che non dovevano più combattere Rebecca e Gabriel passavano le loro giornate viaggiando e visitando posti fantastici. Ogni giorno erano in un posto diverso, Gabriel voleva farle vedere tutto il pianeta. Quando tornarono a casa dopo il viaggio era passato un mese. Si potè benissimo immaginare le facce costernate della gente.

“Come avete fatto a visitare Chenzo in un mese?”

Gabriel sorrise orgoglioso e abbracciò Rebecca cingendole i fianchi, attento a non urtarle la ferita che si stava rimarginando. “Ehi, state pur sempre parlando con due angeli”

Chenzo era magnifica e Rebecca fu contenta di averla vista con Gabriel.

Fu mentre erano nella famosa rupe che dava sul mare che alla ragazza comparve un alone di tristezza per la prima volta dopo quel mese di vittoria. Gabriel se ne accorse e si fece più vicino a lei. Stavano entrambi guardando l’orizzonte infinito, era il tramonto e faceva caldo. Era estate. Il mare era tinto di rosso e di arancione, gli scogli erano macchiati di sfumature grigie e nere.

“A che pensi?” le domandò timoroso. Non pensava di essere pronto ad affrontare un discorso serio che comportasse dell’altro dolore.

Lei sospirò, alzando e abbassando il petto. “Pensavo a quello che mi ero ripromessa di fare un anno fa”

“E cioè?”

“Che una volta finito il mio compito su questo pianeta sarei ritornata a casa, sulla Terra, e avrei ridato ai miei genitori la memoria”

Rebecca potè sentire Gabriel irrigidirsi al suo fianco. Sbirciò per guardarlo e vide che il suo volto era contratto e rigido.

“È questo che vuoi?” le domandò con un filo di voce.

La ragazza rimase allungo in silenzio. Si voltò disperato verso di lei e ammirò il suo profilo cupo e pensieroso. Strinse i pugni lungo i fianchi e si morse la lingua per non urlarle addosso. In quel momento rimanere zitto gli costò un sacrificio immenso. Avrebbe voluto gridarle che no, non poteva andarsene. Era impazzita?! Lei doveva rimanere con lui, stare con lui, per sempre. Ma non voleva dimostrarsi egoista, se andarsene era quello che veramente desiderava di più avrebbe saputo accettarlo il tempo necessario per vederla partire. Dopodichè si sarebbe ucciso con le sue mani. Non avrebbe sopportato l’idea di saperla sulla Terra, con una vita normale distante da lui, continuamente attorniata da ragazzi insistenti che la volevano tutta per sé. L’immagine di lei con un altro che si abbracciavano, innamorati e felici, gli mandò il sangue al cervello. Inspirò profondamente e attese che lei parlasse.

“Questo era quello che volevo, Gabriel. Ora però non penso di riuscire ad andarmene”

Gabriel sorrise e prese la sua mano tra la sua. “Era quello che speravo dicessi”

“Sii serio Gabriel, pensavi davvero che ti avrei lasciato qui mentre io me ne sarei andata via a farmi una nuova vita?” sembrava sorpresa. “Avresti una bassa fiducia di me”

Il ragazzo alzò le spalle, guardava il mare dritto davanti a sé. “Non l’ho mai pensato”

Rebecca ghignò. “Ah no? Bugiardo…”

“Te l’ho detto, Bec. Ci sposeremo, avremo dei figli e diventeremo immortali. Passeremo il resto della nostra vita insieme, per l’eternità”

Rebecca si voltò verso di lui, lo guardò e sorrise. “Sai cos’è un lieto fine?” chiese abbassando lo sguardo. “Quando l’eroe, alla fine della storia, comprende finalmente il motivo della sua sofferenza”

Gabriel piegò la testa per cercare di vedere l’espressione del suo volto. Rebecca alzò il viso verso di lui. Gabriel si appoggiò con il mento sulla sua fronte e poi si chinò a baciarle le labbra.



“Fra il Bene e il Male c’è una porta, qualcuno potrebbe aprirla…”

.Continua.




***



Ehi ragazzi, è finita sul serio la storia...vi aspetto con il sequel!!!
"Angelus Dominus - Alone in the dark -"
Grazie di tutto, grazie perchè mi avete seguita, grazie per le vostre recensioni.

Bacioni, Federica.




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