Moulin Rose

di AmaleenLavellan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Something wicked this way comes. ***
Capitolo 2: *** Liberta, bellezza, verità e amore. ***
Capitolo 3: *** Occhi umidi e mulini rosa. ***



Capitolo 1
*** Something wicked this way comes. ***


There was a boy
A very strange, enchanted boy
They say he wandered very far, very far
Over land and sea
A little shy
And sad of eye
But very wise
Was he

 
Il Moulin Rose. Un nightclub, una sala da ballo e un bordello. Proprietà di Sandy Ryerson, regno dei piaceri notturni, dove i ricchi giocavano con le giovani e bellissime creature di malaffare. La più bella di tutte queste era l’uomo che amavo. Kurt. Come una cortigiana, vendeva il proprio amore agli uomini. Lo chiamavano il “Diamante Splendente”. Ed era la star… del Moulin Rose. Non ho idea del perché stia scrivendo tutto questo. Sono un compositore squattrinato, non uno scrittore. Ma sento che il mondo dovrebbe conoscere la nostra storia. L’uomo che amavo, è…
 

La cosa più grande che potrai imparare è solo amare e lasciarti amare.

 



Blaine fece un passo nel suo nuovo appartamento e lasciò cadere lo zaino sul pavimento, spalancando le braccia, mentre un sorriso abbagliante gli illuminava il volto.
Eccolo lì. Contro il volere dei propri genitori e di tutta la famiglia. Ce l’aveva fatta.
Certo, quell’appartamento vecchio e polveroso – situato al quinto piano di un edificio dall’aria fin troppo pericolante - non era la villa di lussuosa in cui era cresciuto, ma non gli importava. Ci avrebbe fatto l’abitudine, alla fine.
Chiuse la porta dietro di sé e si avvicinò alla finestra, fissando con occhi adoranti la città che si agitava inquieta sotto di lui. Suoni di clacson giungevano alle sue orecchie come melodie lontane; perfino la luce sembrava più splendente, qui. New York era stupefacente tanto quanto l’aveva sempre sognata – perfino il suo quartiere più malmesso.
Era cosciente che probabilmente – o meglio, sicuramente – avrebbe potuto avere l’appartamento più bello e costoso di tutta l’Avenue A, se solo l’avesse voluto: avrebbe dovuto semplicemente chiamare i suoi genitori, e pronunciare le parole “Mi dispiace, padre. Mi rimangio tutto. Diventerò un avvocato, te lo prometto.”
Ma non era ciò che voleva dal suo futuro. Non voleva diventare un avvocato, sposare una donna che non avrebbe mai potuto amare e perfino avere dei bambini, e tutto questo solo per rendere felici i propri genitori. Ciò che davvero voleva dalla propria vita era scrivere canzoni che parlavano di libertà, verità, bellezza, e ciò in cui credeva più di qualsiasi cosa: l’amore. Voleva creare, aiutare la gente, magari trovare l’uomo dei propri sogni.
 
Non gli importava. Non gli importava di dover vivere in un monolocale puzzolente e che probabilmente era infestato da ratti, scarafaggi e chissà cos’altro. Non gli importava di dover sopravvivere con quel po’ di soldi che suo fratello Cooper riusciva a mandargli senza che i loro genitori lo venissero a sapere.
Questo era tutto ciò che desiderava. Questo era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Quindi spalancò la finestra, lasciando entrare una ventata d’aria fresca, e incrociò le braccia.
La sua nuova vita era appena cominciata.
 
 
 
 
 
Blaine afferrò una penna e piantò gli occhi su quella pagina, che, bianca contro la scrivania di legno scuro, sembrava sfidarlo con una certa aria di sufficienza.
Quello era il momento che tanto aveva atteso. Avrebbe scritto una canzone. No, si corresse mentalmente, non una canzone – lacanzone. La canzone che avrebbe parlato d’Amore.
Con uno slancio fiducioso d’entusiasmo avvicinò la punta al foglio, ma si bloccò un istante prima che la pagina immacolata venisse violata dall’inchiostro scuro.
Aveva appena realizzato una cosa.
Non era mai stato innamorato.
 
Improvvisamente, udì uno schianto fragoroso che quasi lo fece cadere dalla sedia. Con gli occhi spalancati dalla paura, si voltò lentamente, pronto a gridare o a chiamare aiuto se ce ne fosse stato bisogno.
 

 
 
Ma non trovò voce per urlare, perché lì, appesa ad una corda, appena caduta da un gigantesco buco nel soffitto, coperta da polvere e intonaco, stava una donna bellissima e priva di conoscenza.
Prima che potesse anche solo realizzare cosa diamine stesse succedendo, una ragazza bassa, vestita da suora, si fiondò nella stanza, quasi comparendo dal nulla. “Come va?” chiese con un sorriso splendente, continuando poi a parlare senza attendersi una risposta. “Mi chiamo Rachel Barbra Patti Lea Berry. Beh, in realtà Patti e Lea non fanno parte del mio vero nome, sono solo nomi d’arte, hai presente? Come Patti LuPone e Lea Salonga. Perché loro sono star. E lo sono anche io.”
 
Arrancò attraverso la stanza, cercando di evitare i calcinacci, e si avvicinò alla donna svenuta, senza smettere di parlare.
Il viso di Blaine era paralizzato dallo shock. Seriamente, che diavolo-
“Sono terribilmente dispiaciuta”, dichiarò la donna, appoggiandosi una mano sul petto con delicatezza, “eravamo di sopra a provare uno spettacolo.”
“Che?!” riuscì finalmente a squittire Blaine, strabuzzando gli occhi in maniera quasi ridicola.
Uno spettacolo. Dio, era sempre stato il suo sogno recitare in uno spettacolo e scriverne la musica. Un vero spettacolo, con professionisti e un palco e i riflettori e il pubblico ad applaudire e piangere e ridere sguaiatamente-
“Uno spettacolo, ho detto! Il più stupefacente e da togliere il fiato che tu abbia mai visto. Si chiama Spectacular Spectacular. È ambientato in Svizzera!”, annunciò, con gli occhi che brillavano dalla meraviglia.
 
Blaine fece scorrere lo sguardo tra lei e la donna appesa, sbattendo le palpebre lentamente, cercando di mantenere la calma. 
In conclusione, c'era una ragazza appesa ad una corda nel suo salotto, perché lei e la suora - Rachel - stavano facendo le prove per uno spettacolo ambientato in Svizzera. Certo. Bene. Nient'affatto strano.
Comprendendo forse la sua confusione, Rachel abbassò d'improvviso la voce, coprendosi la bocca con una mano come se stesse per rivelare un pericolosissimo segreto. 
"Lei è Santana. È ispanica", disse, indicandola con il pollice, "soffre di attacchi di rabbia. Almeno con me. Se le saltano i nervi, probabilmente comincerà a urlare qualcosa riguardo un posto chiamato Lima Heights e poi ti prenderà a pugni finché non perdi i sensi. Quindi, qualche volta, sì, insomma, ogni volta che posso, le verso nell'acqua una... Medicina, diciamo. Me la procura un mio amico, Sandy; è estremamente affidabile, lo posso garantire! Anche se in realtà non riesco a sopportarlo la maggior parte del tempo. Comunque, quando il battito cardiaco di Santana comincia ad accelerare troppo, la dro- voglio dire, la medicina, fa effetto ed eccola lì, pronta a picchiarti un momento prima prima, svenuta il momento dopo. Giuro che lo faccio per lei! La rabbia non fa bene all'organismo e fa venire le rughe. L'ho letto. Da qualche parte", blaterò tutto d'un fiato, senza nemmeno tentare di respirare. Poi scoppiò a ridere.
Blaine aprì e chiuse la bocca a vuoto, senza riuscire a dire una parola. Stava sognando. Questa non poteva essere la realtà. Nella vita reale le donne non cadevano dai tetti e le persone non drogavano i propri amici perché questi si arrabbiavano facilmente. Nemmeno a New York.
... Giusto?
In quel momento, due volti femminili spuntarono dal buco sul soffitto: una ragazza dai lineamenti asiatici e i lunghi capelli neri, e l'altra, di colore, con uno strano cappello calato sul viso.
"Come sta?" gridò una voce maschile dal piano di sopra; Blaine non riusciva a vedere a chi appartenesse.
"Magnifico! Miss So-Tutto-Io è svenuta", sbottò la ragazza nera, chiaramente nervosa, "ora non finiremo mai in tempo per presentare lo spettacolo a Ryerson domani!"
Quella asiatica aveva l'aria di essere sul punto di scoppiare a piangere da un momento all'altro. "Rachel, io non ho ancora finito la musica!" si lamentò, disperata.
"Oh, vi prego! A Broadway non permetterebbero mai che una sciocchezza simile interrompa le prove! Qualcun altro leggerà la parte," ribatté Rachel, agitando la mano con nonchalance, come se la cosa non la turbasse minimamente.
"E dove vuoi trovare qualcuno che legga la parte di un 'giovane e sensibile poeta svizzero', per l'amor del cielo?" gridò la ragazza nera di nuovo.
Rachel lanciò un'occhiata a Blaine, ancora intento a fissare le due figure sopra di lui.
Lei gli picchiettò sulla spalla, le labbra incurvate in un sorriso inquietantemente ampio e per nulla rassicurante. Fu nel momento esatto in cui Blaine si volse verso di lei, e notò la sua espressione, che capì che quella banda strampalata e tutto ciò che gli stava accadendo non l'avrebbero portato a nulla di buono.






Ed eccoci qui con una nuova ff! 
I capitoli saranno abbastanza corti, ma posterò con regolarità (e questa volta è una promessa) dato che in realtà avevo già scritto questa fanfiction in inglese, quindi per i primi 10-11 capitoli devo solo tradurla :)
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un bacione dalla vostra Ivy <3

P.S. Fate un salto dalla mia pagina facebook, 
IvyTheMoonBlossom - EFP :) Vi adoro!

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Capitolo 2
*** Liberta, bellezza, verità e amore. ***


Prima che potesse anche solo rendersene conto, Blaine era al piano di sopra, costretto a prendere il posto dell’ispanica svenuta – Santana. Rachel era stata irremovibile: lo spettacolo doveva andare avanti, anche a costo di trascinare il povero giovane nella casa di uno sconosciuto, trasformata in quel momento in una valle circondata da montagne innevate grazie alla scenografia improvvisata. E così, conciato in maniera totalmente ridicola, avvinghiato a una scala di legno che sembrava reggere il suo peso per miracolo, ascoltava Rachel intonare a squarciagola il testo di una canzone decisamente orribile – e dire che la musica era anche orecchiabile! Ma il testo, quello decisamente andava riscritto dall’inizio. Chi aveva scritto uno scempio simile? Lanciò uno sguardo a quegli sconosciuti che erano riuniti nella stanza, e che probabilmente si consideravano già suoi amici. Tecnicamente, “il merito” – o piuttosto la colpa – era di Artie, il ragazzo in sedia a rotelle a cui aveva scoperto appartenere la voce che aveva sentito prima. Eppure quell’Artie stava scuotendo la testa in preda alla frustrazione da circa dieci minuti, stringendo convulsamente il copione tra le mani, risistemandosi con un gesto nervoso gli occhiali sul naso con una frequenza di circa tre volte al minuto.
Non sembrava esattamente compiaciuto.
 
Fu quando Blaine stava per girarsi nuovamente verso Rachel, che la ragazza di colore – Mercedes – trovò finalmente il coraggio di porre fine a quell’orribile tortura.
“Oh diavolo, no! Basta!” esplose, suscitando il sollievo generale, sotto lo sguardo allibito e oltraggiato di Rachel.
“Come osi-
“Rachel,” intervenne a quel punto Artie, risistemandosi per l’ennesima volta gli occhiali, “Mercedes ha ragione. È orribile. Stai rovinando il mio spettacolo! Perché diavolo hai cambiato il testo della canzone?!”
“Perché” spiegò a quel punto la donna, mettendosi una mano sul fianco e alzando il mento, “il testo che hai scritto tu è privo di significati profondi ed emozione. Sembra che sia stato scritto da qualche automa senza cuore – non prenderla sul personale, Artie”.
Rachel non conosce esattamente il significato della parola ‘tatto’,pensò Blaine, incrociando le braccia con un sospiro di sconforto.
 
“Oh, beh, tu sei irritante e tutti ti odiano, ma non prendere questo sul personale”, sbottò il ragazzo in risposta, ricevendo dagli alti ragazzi una serie di risate e esclamazioni, come supporto a tale affermazione.
Accidenti. Non mi piace come si sta evolvendo la cosa. Blaine tentò di aprire bocca, con la speranza di fermare la discussione prima che potesse trasformarsi in un litigio, ma venne preceduto da Rachel, che fissava Artie con la bocca spalancata e le sopracciglia corrugate dall’indignazione.
“Come osi!”
“La tua versione della canzone era davvero inascoltabile, Rachel”, intervenne Tina (la ragazza asiatica), per poi continuare, “Ma Artie, non credo che una suora canterebbe mai ‘le colline si animano con i brillanti toni dell’illusione’ a delle montagne”. Sembrava così dispiaciuta, nel dovergli dire una cosa del genere, da spezzare il cuore a Blaine.
 
“Già!” concordò a quel punto Mercedes. “Dovrebbe essere qualcosa più del tipo ‘The hills’ sound makes my heart pound as I go oh oh oh”.
“Ne ho avuto abbastanza, me ne vado.”
Una porta sbatté.
“Artie, ti prego!”
“Quella roba di prima suonava troppo ghetto anche per te, Mercedes”.
“Ah sì? Trova qualcosa di meglio allora, Barbra!”
“Sicuro!”
E all’improvviso tutti cominciarono a urlare e cantare e Mercedes sembrava davvero sul punto di picchiare Rachel, mentre Blaine sentiva la testa girare vorticosamente in una tale confusione. Ma questa gente è sempre così? Dio, come fa una persona a essere così rumorosa? , pensò. La rigida severità della sua famiglia e i giorni pacifici passati nel suo liceo, la Dalton Academy, non gli erano mai sembrati tanto distanti: la sua educazione l’aveva votato al silenzio. Alla calma. E non aveva mai, mai prima di allora incontrato qualcuno come le persone che lo circondavano in quel momento, e che stavano andando avanti a litigare come se si trattasse di vita o di morte.
 
All’improvviso un’idea gli balenò nella mente, e suonava così perfetta, così giusta che Blaine sentiva il bisogno di esprimerla a tutti i costi.
Era uno scrittore di canzoni, dopotutto.
“Le colline-“ cominciò, ma nessuno sembrava ascoltarlo. “Le colline-“ tentò ancora una volta, agitando le braccia per ricevere più attenzione, ma Mercedes, Rachel e Tina andavano avanti a urlare e urlare e urlare-
The hills are alive with the sound of music!” proruppe, compiacendosi tra sé e sé. La sua voce, resa chiara e perfetta dagli anni passati a essere il leader del glee club del suo liceo, non era stata minimamente intaccata dagli ultimi mesi di inattività.
Di colpo la stanza piombò miracolosamente nel silenzio. Tina, Mercedes e Rachel si voltarono contemporaneamente verso di lui, scioccate, prima di guardarsi tra di loro senza essere capaci di dire una parola.
La porta di quella soffitta sgangherata si spalancò all’improvviso e Artie, che era uscito infuriato durante la discussione, entrò di nuovo nella stanza, con gli occhi che brillano d’entusiasmo. “The hills are alive with the sound of music. Lo adoro! Lo adoro!” dichiarò, il sorriso che andava da un orecchio all’altro, agitando il copione che teneva ancora in mano.
Ma è rimasto fuori dalla porta ad origliare?
The hills...”
Are alive...”
“With the sound of music!”cantarono in sequenza le tre ragazze, come se volessero testare sulle proprie labbra le parole appena composte da Blaine, mentre Tina accompagnava la melodia con il piano.
“Ci sta a meraviglia!” esclamò subito dopo.
Il viso di Blaine si illuminò con un sorriso, mentre il petto gli si gonfiava d’orgoglio. “With songs they have sung for a thousand years” cantò ancora, scendendo dalla scala e guardando la ragazza dritto negli occhi, per poi far scorrere lo sguardo sui suoi nuovi amici. Il suo sorriso era pieno d’aspettativa, mentre li osservava attendendo un qualche tipo di feedback. Artie abbassò la testa, alzando al contempo entrambe le mani ben aperte, come a volersi inchinare di fronte al talento di Blaine. “Geniale. Geniale! Bel lavoro” lo lodò, prima di cominciare ad applaudire. Le donne si unirono a lui subito dopo, e Blaine fece un rapido inchino di fronte al suo pubblico alzando una mano in un mano come a essere modesto.
“Voi due dovreste scrivere la musica insieme” suggerì Artie, rivolto verso Tina. La ragazza annuì convinta, prima di girarsi verso il ragazzo in questione.
“Lo faresti, Blaine?”
 
 
Lo faresti, Blaine?
 
Scrivere la musica insieme.
 
Ci sta a meraviglia!
 
Geniale. Geniale!
 
Lo faresti, Blaine?
 
 
Queste parole cominciarono a riecheggiargli in testa come una melodia confusa, che non sapeva come fermare. Lo faresti, Blaine? Sì, l’avrebbe fatto volentieri. Decisamente volentieri.
Sì, sì, sì, lo voglio! Dai, Blaine, puoi dirlo. È una semplice parola, sì. Non è difficile.
Eppure nemmeno un fiato sembrava uscire dalle sue labbra. Era immobile, paralizzato da quella possibilità che gli si prospettava davanti. Prendere parte ad un’opera teatrale, una vera opera teatrale, realizzare il suo sogno e così facilmente, così in fretta. Quella stella dorata che era la sua meta, che prima sembrava così surreale, sfocata, irraggiungibile, gli era piombata tra le braccia all’improvviso.
E Blaine non riusciva a rendersene conto.
Muoviti insomma, dillo!
 
“Oh, beh, non saprei-
“Artie, Ryerson non accetterà mai una cosa simile! Voglio dire, hai mai scritto uno spettacolo prima d’ora, Blaine?”
 
Una frase. Una semplice frase, appena emessa dalle labbra di Mercedes, e il mondo crollò proprio sul castello di nuvole di Blaine, distrutto prima ancora di essere abitato da qualche certezza.
Dannazione.
“No” rispose, con la voce flebile. Sembrava quasi che le lacrime di frustrazione, formatesi d’improvviso agli angoli dei suoi occhi, premessero per uscire.
Addio, sogni di successo. Addio, futuro glorioso…
“Insomma, Mercedes!” protestò Rachel, con un gesto stizzito delle braccia. Come se si fossero letti nel pensiero, le ragazze ed Artie si riunirono in cerchio, escludendolo, e Rachel continuò a parlare, forte abbastanza perché Blaine sentisse. “The hills are alive with the sound of music. Non capite, è perfetto! Buona quasi quanto la mia versione, direi. Con Blaine a scrivere i testi, potremmo produrre lo show bohemién e rivoluzionario che abbiamo sempre sognato!”
“Pensavo che il maggiore spettacolo bohemién e rivoluzionario della nostra generazione fosse Rent”.
“Naturalmente, Tina, ma noi potremmo fare qualcosa di meglio, grazie al talento di Blaine e al mio – soprattutto il mio, ovviamente”.
La speranza ricominciò a germogliare nella landa desolata in cui si era trasformato il cuore di Blaine. Tese le orecchie, pronto a percepire anche il minimo sussurro. Eppure, nonostante le parole della compagna, Mercedes ancora non sembrava convinta. “Ma come facciamo a convincere Sandy, sorella? Non accetterà mai di finanziare uno spettacolo scritto da qualcuno che non sia un professionista!”
Rachel scosse la testa con un sorriso rassegnato, appoggiandole la mano su una spalla. “Credimi, Sandy accetterà qualsiasi cosa sia fatta da un bel ragazzo, e Blaine è decisamente carino abbastanza per convincerlo. E comun-
Rachel era sul punto di continuare la frase, ma si fermò all’improvviso, come se avesse realizzato qualcosa che ancora non aveva pensato. I suoi occhi si spalancarono, mentre sussurrava un singolo nome.   
 
“Kurt.”
   
   
“Prego?!” squittì Mercedes, la voce resa più alta di almeno un’ottava dalla sorpresa.
“È perfetto!” gridò Rachel, prima di proseguire a spiegare il suo piano, “Vestiremo Blaine come un uomo di classe e fingeremo che sia un famoso compositore inglese! Quando Kurt sentirà i suoi testi poetici ma al contempo moderni, sarà talmente colpito da un talento così grande che insisterà con Sandy per far scrivere a lui lo spettacolo!”
“Rachel, la cosa non mi convince. Voglio dire, Blaine nemmeno suona inglese-
“Oh, smettetela! Il ragazzo ha talento” intervenne Artie, spostandosi accanto a Blaine e piazzandogli una mano dritta sul didetro. Blaine sbiancò, spalancando gli occhi e sbattendo le palpebre nervosamente. Il disagio era talmente evidente sul suo viso che le ragazze cominciarono a ridere fragorosamente, mentre il sangue gli affiorava alle guance.
“Non c’è nulla da ridere. Mi piace il talento, tutto qui”, sbottò invece Artie subito dopo, offeso. Spostò velocemente la mano, appoggiandola di nuovo sulla sedia, e fece un’alzata di spalle, “Più in alto non ci arrivo, sai com’è”.
 
“Rachel, andiamo, non sappiamo nemmeno se sia gay!”
 
Blaine fissò gli occhi su Mercedes, sbigottito. Ma che diavolo di problema aveva, quel-
Un attimo, cosa?!
Per quale assurdo motivo dovrebbero sapere se sono gay?!
 
“Oh”, rispose Rachel, con un gesto noncurante della mano, “non c’è bisogno che lo sia! Fingerà, tutto qui. Dobbiamo semplicemente riuscire a farlo entrare senza problemi al Moulin Rose.”
 
A sentire quel nome, Blaine sentì il proprio cuore arrestarsi all’improvviso, saltargli in gola, sprofondargli nello stomaco e poi tornargli in petto con un balzo. Ora era tutto più chiaro.
 
Il Moulin Rose.

Ne aveva sentito parlare per la prima volta da un suo amico, Sebastian Smythe, che l’aveva definito “il locale più alla moda di tutta la Grande Mela”. Stando alle sue ricerche via internet e a quello che aveva sentito dire allo Scandals, però, quello non era un nightclub qualunque.
 
Dedicato al popolo della notte, nascosto tra le luci basse dei corridoi e l’aria densa della pista da ballo, stava sospeso un traffico molto più losco.
 
Il Moulin Rose era un bordello.
Un bordello per gay.
 
Un luogo in cui giovani uomini vendevano i loro corpi a ricchi esseri umani lussuriosi e senza cuore, che avevano ancora il coraggio di definirsi “gentiluomini” nonostante non fossero altro che animali, bestie in cerca di carne da divorare.
Un posto del genere… in cui uomini venivano dati in cambio di denaro… Blaine non riusciva nemmeno a prendere in considerazione l’idea di andare in un luogo del genere. Semplicemente, non poteva. La fama, la gloria, persino i suoi sogni… tutto perdeva importanza, a questo punto.  Non voleva avere nulla a che fare con un posto del genere. Non voleva che il suo spettacolo fosse finanziato con il ricavo di un traffico di corpi.
 
“Non posso scrivere lo spettacolo!” esclamò, voltandosi dall’altra parte senza il coraggio di guardare quel gruppo di ragazzi negli occhi, e incrociando le braccia nervosamente.
Subito Rachel gli appoggiò una mano sulla spalla, con delicatezza. “Perché no?” gli domandò, con la voce tinta di un tono preoccupato.
Dannazione, pensò Blaine. Era ovvio che gli avrebbero fatto domande. Doveva inventarsi qualcosa, una scusa, e doveva farlo in fretta. “Io non-“ balbettò, senza sapere cosa dire, che fosse abbastanza convincente per far desistere tutti quanti da qualsiasi tentativo di fargli cambiare idea, “Non so nemmeno se sono in grado di scrivere qualcosa del genere!”
Che cosa?!”
Blaine si morse il labbro, facendo scorrere gli occhi sui visi dei suoi nuovi amici, confuso dallo shock che poteva leggere nei loro occhi. Non gli sembrava di aver detto qualcosa di così stupido; era alle prime armi e senza alcuna esperienza, l’insicurezza era decisamente normale.
All’improvviso si trovò circondato: ognuno di quei ragazzi – persino Mercedes, che sembrava così scettica – era attorno a lui, a fissarlo con insistenza. Blaine si sentiva soffocare. “Credi nella bellezza?” domandò Artie, con lo sguardo confuso.
“Sì” Blaine rispose immediatamente, senza pensare.
“Nella libertà?” fu la domanda di Mercedes. Se credeva nella libertà? Si era trasferito dalla villa più grande di Lima in un appartamentino polveroso e semi distrutto di New York, per inseguire la sua.
“Naturalmen-
“Nella verità?”
“Sì!”
“Nell’amore?”
 
Blaine piantò i suoi occhi di miele in quelli di Rachel, che aveva appena parlato; dal suo sguardo, si sarebbe pensato che avesse visto qualcosa di tanto meraviglioso da non poter essere descritto a parole.
“L’amore? L’amore?” domandò, senza smettere di guardarla, “più di ogni cosa, io credo nell’amore. L’amore è come l’ossigeno. L’amore è una cosa meravigliosa; l’amore ci innalza, tutto ciò di cui hai bisogno è l’amore!” esclama.
Un sorriso tanto bello da splendere illuminava il viso di Blaine, mentre i suoi occhi scintillavano per la gioia. Amore. Amore. Il semplice suono della parola era abbastanza per innalzare il suo cuore, su fino al cielo, mentre il suo cuore cominciava a battere sempre più velocemente.
Come aveva potuto essere così sciocco? Permettere a qualche ridicolo preconcetto di portarlo su un’altra strada che non fosse il suo sogno? Non gli importava del nightclub, dei ragazzi che ci lavoravano, del suono del disprezzo di suo padre che riecheggiava in un angolo della sua mente. Questa era la sua occasione, forse l’unica possibilità che aveva di inseguire il suo sogno e realizzarlo, e nulla lo avrebbe fermato. Nemmeno un bordello.
 
“Non prenderci in giro! Questo spettacolo è già nel tuo cuore e tu stai morendo dal bisogno di buttarlo fuori!” dichiarò Artie, chiudendo la conversazione con un ampio sorriso.
L’uomo si girò poi verso un mobiletto, da cui tirò fuori una bottiglia di una bevanda verde che Blaine non riusciva a riconoscere, e che versò in un bicchiere, prima di tenderlo verso di lui con un cenno di incoraggiamento della testa.
Il giovane non poteva che essere dubbioso, mentre accettava il bicchiere e beveva un sorso di quello strano liquore sotto gli sguardi inquisitivi di un intero gruppo di persone.
 
Dio, se bruciava.
 
Non l’aveva nemmeno sorseggiato decentemente e la sua bocca, la sua lingua e la sua gola già stavano bruciando.
La sensazione non gli piaceva affatto.
Ma non riusciva a sopportare l’idea di deludere i suoi amici e le loro aspettative, quindi sorrise, alzò il bicchiere, e gridò con quanto fiato aveva in gola, “Buono!”
 
Rachel, Artie, Mercedes e Tina scoppiano a ridere e cominciano a festeggiare, bevendo e cantando come se fossero già ubriachi.
Nel frattempo, Santana si svegliò, alzandosi lentamente e massaggiandosi la testa con una mano, con uno sguardo confuso.
“Che diavolo sta succeden-
“Qui, Santana, bevi un po’”, dice Rachel con un sorriso gentile, passandole il liquore verde.
Santana piantò gli occhi sulla bottiglia. “Oh. Alcol”, ghignò, leccandosi le labbra e prendendo in mano la bottiglia, “Beh, non ho idea di cosa diamine stia succedendo qui dentro, ma mi piace. Alla salute!”
 
Il viso di Blaine si aprì in un sorriso, mentre svuotava il bicchiere un’altra volta, e sentiva la sua testa diventare sempre più leggera.

Decisamente, piaceva anche a lui.
 
 
Quando Blaine aprì gli occhi, non aveva idea di dove si trovasse, né come ci fosse arrivato. Sollevò la testa, lentamente, e tentò di sedersi. Doveva sorreggersi la testa con una mano, perché improvvisamente pesava tonnellate, e la stanza girava attorno a lui e da quando in qua aveva quattro gambe?
Cercò di scuotere la testa, per rischiarare i propri pensieri, ma la sensazione non fece altro che peggiorare. Sembrava che migliaia di coltelli lo stessero trapassando da parte a parte, proprio dove si trovavano i suoi occhi e le sue tempie – sempre che si trovassero davvero lì.
Nel momento in cui capì che stava per vomitare, arrancò pesantemente verso quello che aveva tutta l’aria di essere un cestino, e buttò fuori probabilmente tutto ciò che aveva mai mangiato in vita propria.
Strisciò di nuovo sul pavimento, afferrando il cestino e pulendo visi la bocca – da qualche parte nella sua mente terribilmente confusa, realizzò che era fatto di stoffa.
Grugnì, con il tono di un animale morente, cercando di capire cos’era successo prima che si addormentasse o svenisse o cosa diavolo era successo la sera precedente.
Stava tentando di scrivere una canzone d’amore, e una donna svenuta era caduta dal soffitto, mentre un’altra donna continuava a parlare e parlare e parlare e poi stavano facendo le prove per uno spettacolo. Di questo si ricordava perfettamente.
Ricorda anche che tutti avevano cominciato a parlare e che lui aveva cantato e accettato di scrivere lo spettacolo.
Poi tutto diventava nero e verde e viola nella sua testa, e non riusciva a ricordare nulla.
Con un gemito infantile vomitò ancora, mentre le cose cominciavano lentamente a diventare più chiare – per lo meno, adesso riusciva a pensare in maniera logica.
La paura prese piede nella sua mente, mentre cercava di capire cosa fosse successo.
Mi hanno drogato? Mi-mi hanno fatto qualcosa di male? Oh mio Dio, e se mi hanno violato?!
 
Quasi per miracolo riuscì a sedersi dritto, e si guardò intorno. Artie era caduto dalla sedia a rotelle e in quel momento giaceva sul pavimento, con gli occhiali a qualche metro di distanza dal suo viso. Mercedes e Tina stavano dormendo sul divano, le loro teste una contro l’altra, circondate da bottiglie vuote. Rachel era stesa sulle loro gambe.
Che diamine è successo?!
 
Sentì passi avvicinarsi a lui – passi? Quelli non erano passi. I passi non avrebbero dovuto essere così rumorosi. Quello doveva essere un martello che sbatteva sulla sua testa, o qualcosa del genere.
Alzò lo sguardo: dall’alto, Santana lo squadrava, con un bicchiere d’acqua in mano e un ghigno sul viso.
“Quello era il cappello preferito di Mercedes. Ti ucciderà nel momento stesso in cui aprirà gli occhi”, lo informa, lanciando uno sguardo al presunto cestino. In quel momento, Blaine realizzò che quello non era affatto un secchio, ma un cappello.
Oddio.
Sono fregato.
 
“Tieni”, disse, passandogli il bicchiere. Blaine lo fissava come se fosse uscito direttamente dal paradiso, e ripagò la donna con un sorriso pieno di gratitudine.
“è la prima volta che ti ubriachi, eh?” domandò lei, mentre sorseggiava l’acqua con la reverenza che avrebbe riservato a un nettare divino.
Oh. Tutto qui. Mi sono ubriacato. Non è poi così strano.
Annuì, sospriando di sollievo, e restituendole il bicchere vuoto. Si sentiva decisamente meglio.
 
Fu in quell momento che le labbra di Santana si piegarono in un sorriso inquietante. Blaine sapeva che avrebbe dovuto essere spaventato, ma del resto sentiva che una ragazza che era stata così gentile con lui non avrebbe potuto mai fare nulla di cattivo.
“Quindi… Sei un bravo baciatore, lo sai, ragazzino?” affermó, con nonchalance, appoggiando il bicchiere su un comodino accanto a lei. Blaine rischió di strozzarsi con la sua stessa saliva, mentre squittiva un “Eh?!”
 
In effetti, Blaine ricordava di aver baciato qualcuno, e anche abbastanza pesantemente; il ricordo, sfocato dalla nebbia dell’alcol, gli era appena affiorato alla mente.
Lei fece un’alzata di spalle. “Eh già, bel faccino. Mi hai baciato. E sarebbe stato anche piuttosto eccitante se non avessi baciato lo Storpio Strambo subito dopo”.
“Che?!”
Blaine spalancò gli occhi in maniera quasi ridicola, mentre la sua bocca si spalancava senza che lui potesse controllarla.
Non poteva essere, non poteva aver limonato con Artie.
Era letteralmente impossibile.
Sicuramente Santana stava scherzando.
“Sto scherzando!” Santana non riusciva a trattenersi ancora, e scoppiò in una risata fragorosa.
Oh, grazie a Di-
“Stai tranquillo, hai baciato solo Artie, e per lunghissimi, sgradevoli minuti, per di più. Sgradevoli quasi quanto quelli tra Gayberry e suo marito, devo dire.”
Blaine la fissava, senza riuscire a proferire parola, con la mente vuota ed il cuore fermo in petto.
Non aveva idea di chi fosse questa Gaybarry, ma in quel momento non gli importava, perché stava per morire. In quel momento, si sarebbe lanciato dalla finestra e si sarebbe ucciso.
 
“Hey, Cucciolo il Nano, non riesci nemmeno a distinguere uno scherzo dalla verità? Ti stavo solo prendendo in giro, per la miseria, non ve l’insegnano l’umorismo giù nella Contea?” sospirò, tendendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.
Blaine era così sollevato che le sue parole non lo sfioravno minimamente. Si sente ancora abbastanza sottosopra, ma va decisamente meglio, e sapere che non ha baciato Artie né nessun altro lo rassicura non poco sugli eventi della notte precedente.
Probabilmente avrò sfogato il mio bisogno di amore su un cuscino, o qualcosa del genere.
“In realtà, Cucciolo, ti sei fatto Rachel la notte scorsa, e questa volta non sto scherzando. Non scherzerei mai riguardo al baciare quell’essere… Anche solo il pensiero mi fa venire da vomitare.”
Il viso di Santana era una maschera di disgusto, ma non gli importava minimamente, in quel momento: sentiva semplicemente il bisogno di sbattere la testa contro al muro fino a perdere i sensi di nuovo, perché questa donna lo stava facendo impazzire.

Del resto, sapeva che non poteva fare assolutamente nulla a riguardo.
“Blaine”, sospirò, scuotendo la testa con rassegnazione.
“Come prego?”
“Il mio nome è Blaine”, affermò.
“Oh no, non lo è, nanetto. È decisamente Cucciolo. Beh, vuoi qualcosa da mangiare?” chiese, con un gigantesco ghigno a illuminarle il viso.
Blaine si lasciò sfuggire l’ennesimo sospiro rassegnato, e annuì. “Sì, grazie”.
 
Per qualche motivo, aveva la sensazione che a partire da quell giorno, Santana non l’avrebbe mai più chiamato con il suo vero nome.







E rieccomi qui, ragazzi.
Mai fidarsi di me, davvero. Mai.
Se volete sentire un po' di giustificazioni, ho avuto l'esame a cui pensare, e subito dopo sono partita, quindi ho avuto tutto il tempo di mettermi a scrivere solo oggi... Beh, meglio tardi che mai, no? 
Per voi che avete il buon cuore di seguirmi nonostante tutto... Vi amo tanto <3 
Non ho molto da dire (se non che adoro i dialoghi con Santana. Mi godo da morire a scrivere le sue scene, giuro), quindi vi saluto <3
Lasciatemi una recensioncina! E seguitemi sulla mia pagina facebook, IvyTheMoonBlossom - EFP, per rimanere sempre aggiornati!

Alla prossima.
Un bacio a tutti coloro che leggono, 

Ivy

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Capitolo 3
*** Occhi umidi e mulini rosa. ***


“Rachel, non sono per niente tranquillo”.
 
Blaine si morse il labbro, fissando preoccupato il gigantesco mulino color rosa acceso che si stagliava di fronte a lui. Era per metà nascosto da un edificio rettangolare, ed era così enorme che Blaine si stava chiedendo come di preciso non avesse fatto a notarlo subito, considerando che si trovava esattamente di fronte alla finestra principale del suo appartamento, dall’altra parte della strada. Probabilmente, alla luce del sole e con i neon spenti, non spicca tanto come adesso, ma è un mulino rosa, per la miseria! Non esattamente una cosa che si vede tutti i giorni.
 
Mercedes, Rachel e Santana proseguirono verso l’edificio, davanti a lui, senza accorgersi che l’ansia l’aveva paralizzato dalla testa ai piedi. Eccolo lì, pronto a entrare nel Moulin Rose.
Che per caso, era un nightclub per gay.
Oh, e sfortunatamente, anche un bordello.
Si sentì assalire da una prepotente sensazione di nausea, mentre la testa gli girava vorticosamente. “Rachel, io me ne vado. Non ce la faccio”, mormorò, a testa bassa, con la segreta speranza che il terreno gli suggerisse una via di fuga improvvisa, magari aprendosi sotto i suoi piedi per inghiottirlo.
La donna gli strinse leggermente la spalla, per rassicurarlo, con un sorriso ampio. “Non essere sciocco, Blaine! Sei anche gay, quindi che problema c’è?”
 
Oh, certo.
In effetti, che problema c’è?
Perché dovrebbe esserci un problema?
 
La ragazza però, sembrò mal interpretare il suo silenzio, a cui rispose con un improvviso cambio di tono. “Perchései gay, vero? Non mi hai detto una bugia questa mattina solo per scaricarmi, giusto? Perché anche se ti ho detto che sono già felicemente fidanzata, ho anche io il mio orgoglio e i miei sentimenti, e fare una cosa del genere sarebbe estremamente maleducato da parte tua”, sibilò, fulminandolo con uno sguardo omicida.
 
“Oh no, no, assolutamente!” esclamò, fissando gli occhi spalancati nei suoi, scuotendo la testa per rafforzare le sue parole e al contempo alzando le mani come per proteggersi dalla furia della donna, “Non farei mai una cosa del genere! Rachel, non si tratta di essere gay o meno, il problema è che-“
Avanti, Cucciolo!” disse Santana, a dir poco favolosa fasciata dal suo vestito rosso fuoco. Gli diede una pacca sulla spalla, tanto forte da farlo barcollare, “Non dirmi che sei spaventato! Fai l’uomo!” ghignò.
“Mi spiace, Santana”, ribatté infastidito, incrociando le braccia e ricominciando a camminare verso l’entrata del locale, “ma stiamo per entrare in un bordello. Credo che chiunque sarebbe preoccupato”.
 
Blaine proseguì per alcuni istanti, prima di accorgersi che la donna, al contrario di Rachel e Mercedes, non lo stava seguendo. Si guardò indietro, corrugando le sopracciglia per la confusione.
Santana stava lì, immobile, stringendo i pugni tanto forte che le sue mani stavano tremando. Rabbia, disgusto e un altro sentimento a cui Blaine non riusciva a dare un nome bruciavano nei suoi occhi, fiamme che danzavano una danza mortale.
Se non fosse stato certo che lei semplicemente non era il tipo da fare una cosa simile, avrebbe giurato che quel luccichio agli angoli dei suoi occhi erano lacrime.

“Questonon è un bordello.”
 
La sua voce era un ringhio vibrante d’ira.
Prima che Blaine potesse anche solo aprire la bocca per scusarsi – di cosa avrebbe dovuto scusarsi, del resto? – Santana li stava superando quasi di corsa, entrando nel locale come una furia, sbattendo la porta con una terribile violenza.
 
Blaine sbatté le palpebre velocemente, fissando la porta senza riuscire a capire.
 
Che diavolo è successo?
 
“Ma cosa le è preso?” domandò, passandosi una mano tra i ricci scuri, in preda alla confusione.
Rachel si mise una mano sul fianco, alzando l’indice dell’altra, “Beh, il fatto è che-“
“Diavolo, Rachel, cuciti quella bocca!” proruppe Mercedes all’improvviso, rimproverandola aspramente con lo sguardo.
“Mercedes, ha il diritto di sapere-“
“Lo saprà quando lei vorrà dirglielo! Non sono fatti tuoi, Rachel, non ci arrivi?” A questo punto si girò verso Blaine, prima che Rachel potesse ribattere e cominciare l’ennesima discussione accesa, e il suo sguardo si raddolcì, così come la sua voce, “Blaine, ricorda, mai nominare la parola con la ‘b’ davanti a Santana. È un tema delicato, per lei”.
 
“È un tema delicato per tutti noi”.
 
Nel dire quelle parole, la voce di Rachel si era fatta debole quanto un sussurro. Sotto lo sguardo scioccato di Blaine, un velo di lacrime coprì i suoi occhi, ma si rifiutò di lasciarle andare.
Aveva pianto fin troppo, ormai, per questa cosa – era tempo di smettere.
Anche se il suo cuore sembrava sul punto di spezzarsi, anche se sentiva la propria anima stretta da una morsa tanto soffocante da mozzarle il respiro in gola, anche se il suo unico desiderio era punirsi, soffrire per essere così dannatamente impotente, era tempo di essere forte, sorridere, e comportarsi come se tutto sarebbe andato bene.
Doveva farlo per ognuno di loro.
 
Blaine sentì il proprio cuore frantumarsi in milioni di piccoli frammenti.
Dio, era stato così stupido.
Si rendeva conto che quella frase era stata abbastanza offensiva, ma non pensava che l’avrebbero presa così sul personale-
Immediatamente, il senso di tutto questo balenò nella sua mente, rapido, accecante, sconvolgente come un fulmine. Kurt – questo meraviglioso, incredibile, fantastico Kurt, come le ragazze lo avevano descritto – era un amico dei suoi amici.
E lavorava qui.
E Blaine aveva appena chiamato quel luogo un dannatissimo bordello.
Si sentiva così stupido. Come aveva potuto essere così stupido?
Abbassò la testa, in preda alla vergogna, senza il coraggio di guardare le ragazze di fronte a lui.
 
Non volevo fare del male a nessuno.
 
“Mi dispiace. Sono stato stupido”, borbottò, continuando a fissare il terreno, senza sapere cos’altro dire.
“Non potevi saperlo”. La mano di Mercedes raggiunse la sua, e lo strinse dolcemente, “Ma una cosa la devi sapere. Questo non è uno di quei luoghi orribili, Blaine. È vero, alcuni dei ragazzi e delle ragazze che lavorano qui vendono i propri corpi… Ma sono solo pochi. E non è certo qualcosa che viene gestito dal gestore. È una loro scelta”.
 
Come?
 
Come avrebbe potuto qualcuno scegliere di fare una cosa del genere?
Come avrebbe potuto qualcuno – un essere umano, una persona – decidere di essere trattato come se non avesse avuto emozioni, come se fosse stato solo un corpo, carne da toccare e di cui abusare?
 
Blaine si tenne quelle domande per sé. Sapeva che avrebbe ferito i sentimenti di quelle donne, e non voleva farlo, non di nuovo. Quindi piegò gli angoli delle labbra a formare un piccolo sorriso, e annuì leggermente. “Me ne ricorderò”.
Il momento dopo, Mercedes lo stava stritolando in uno degli abbracci più stretti che aveva mai ricevuto.
“Quindi!” grida Rachel, battendo le mani una volta sola per ottenere attenzioni, “siete pronti?” domandò, con un ampio sorriso.
“Andiamo!” rispose immediatamente lui, con vivacità, come se la semplice idea lo mandasse su di giri, fingendo un entusiasmo che non sentiva affatto dentro di sé.
Blaine sapeva di star mentendo. Sapeva che non era pronto per entrare in un posto del genere, sapeva che si sarebbe sentito a disagio e non si sentiva affatto tranquillo riguardo a ciò che stava per fare.
Ma se mentire era abbastanza per far sorgere un sorriso tanto luminoso sui volti di quelle due ragazze, quelle donne che l’avevano accettato nella loro famiglia sin dal primo momento in cui l’avevano visto… Era disposto a farlo milioni di volte.
 
Appena Blaine oltrepassò una delle entrate in vetro, si trovò nel posto più strano che avesse mai visto.
Innanzitutto, ogni cosa era rosa. Disgustosamente rosa. Le pareti erano rosa, i tavoli erano rosa, era rosa il bancone dietro il quale un uomo con una maglietta rosa stava servendo un cocktail rosa, perfino le porte dei bagni erano rosa.
Si guardò intorno, e un brivido corse lungo la sua schiena quando si accorse che centinaia di bambole di porcellana lo stavano osservando dall’alto di mensole rosa.
Non riusciva a collegare la stranezza di quello scenario con tutte le persone che erano nella stanza, chiacchierando in piccoli gruppi, seduti ai tavoli, o ondeggiando lentamente a ritmo della musica che stava suonando dolcemente, come se facesse da sfondo alla scenografia. Non si capacitava di come qualcuno riuscisse anche solo ad apprezzare un posto simile.
 
Si avvicinò all’orecchio di Rachel, furtivamente. “Questo posto non mi sembra così pieno,” sussurrò, “Voglio dire, pensavo che-“
“Blaine”, lo interruppe subito la donna, fissandolo stupita, sbattendo le palpebre velocemente, “non dirmi che pensavi che questo fosse il locale”.
Le labbra di Blaine si piegarono in un piccolo sorriso confuso. “Ehm… sì?”
“Blaine, per favore!” Rachel scosse la testa, senza credere a una sola parola, “Questa è solo l’entrata, ovviamente”.
“L’entrata?”
La bocca di Blaine si spalancò in maniera ridicola.
Seriamente?
L’entrata di questo posto ha un bar e tavoli e persone che ballano?
Cos- eh?
“Vieni con me”. Lo afferrò per un braccio, fece un cenno a Mercedes che li aveva lasciati indietro per andare a chiacchierare con il barista, e lo condusse attraverso una porta che non aveva notato prima.
Erano fuori, adesso, in un largo cortile interno. Blaine notò che c’erano persone anche lì, che lanciavano sguardi alla notte senza stelle di New York, o semplicemente si godevano la fresca, morbida brezza serale, stesi sull’erba o seduti sulle panchine ai lati del giardino.
Non riusciva a capire il senso di una cosa del genere. Perché un locale avrebbe dovuto avere un cortile?
Come se gli avesse letto nel pensiero, Rachel rispose la sua tacita domanda. “Beh- questo è il giardino interno del Moulin Rose. Noi lo usiamo quando dentro fa troppo caldo, oppure quando ci sono troppe persone per stare dentro”, spiegò, spalancando le braccia come se volesse mostrargli meglio il luogo.
 
Le sue parole lo confusero – non solo perché ehi, come cavolo è possibile che ci siano così tante persone dentro che bisogna stare fuori?, ma per il “noi” che aveva usato. Suonava così… intimo. Come se conoscesse quel luogo più di casa propria.
“Venite qui spesso, vero?” domandò, guardandosi attorno con curiosità.
“Certo che sì, non essere sciocco”, rispose lei, con un sorriso canzonatorio, “veniamo qui ogni sera per vedere Kurt che si esibisce, ricordi? Oh, e anche Brittany”.
 
Promemoria: chiedi chi è Brittany, pensò, e sperò di ricordarsene davvero: non poteva far quella domanda in quel momento, perché c’era una questione ben più importante da discutere.
“Scusami, Rachel, ma davvero non riesco a capire”, disse, girandosi per guardarla negli occhi, “tu e Kurt siete migliori amici, giusto? Quindi perché- perché devo fare tutto questo? Perché devo venire qui e incontrare Kurt e cantare davanti a lui e convincerlo, quando tu potresti semplicemente, sai, farlo tu? Non penso che vi deluderebbe tutti, o no?”
Rachel sembrò riflettere per un istante. “Beh, nonostante Kurt apprezzi molto il mio talento – e come non potrebbe? – non fa altrettanto con le mie idee. Ha questo strano pregiudizio nei confronti delle cose che propongo, del tutto immotivato perché, come hai potuto sperimentare tu stesso, le mie idee sono solitamente – o meglio, sempre – estremamente intriganti e stimolanti”.
“Sì, d’accordo, ma” tentò di spiegare cosa intendesse, probabilmente a vuoto, considerando che Rachel sembrava rifiutarsi di capire, “anche se la musica è mia, comunque le idee non lo sono. Voglio dire, cosa cambierebbe se le cantassi tu? Sarebbero altrettanto buone, credo”, aggiunge rapidamente.
“Beh, ecco…” borbottò Rachel, mordendosi il labbro come colta da un nervosismo improvviso e, per Blaine, inspiegabile, spostando lo sguardo rapidamente come se qualcuno o qualcosa potesse dare la risposta alla sua domanda, “perché…”
“Perché vogliamo farti incontrare Kurt e divertirci!” grida Mercedes, comparendo improvvisamente a fianco di Blaine e prendendolo per un braccio, “avanti, andiamo!”
 
Un sospirò di sollievo sfuggì alle labbra di Rachel, mentre cominciarono a camminare verso il locale.
Ancora una volta, Mercedes aveva evitato il disastro.
Mi dispiace, Blaine,pensò la ragazza, mentre un sorriso di gioia tornava sulle sue labbra, ti prometto che scoprirai tutto, solo- ora non è il momento giusto.
 
Nel frattempo, Blaine stava in silenzio, e milioni di pensieri gli attraversavano la mente come lampi di luce. Tutto questo era decisamente strano. La reazione di Santana, l’espressione di chi sta per lasciarsi sfuggire un segreto di Rachel, l’intervento di Mercedes… stavano chiaramente nascondendo qualcosa, perfino Blaine, che solitamente era piuttosto lento a capire questo genere di cose, l’aveva notato.
Ma qual’era, il segreto che si stagliava oscuro alle spalle del Moulin Rose?
I suoi nuovi amici sembravano delle brave persone, nonostante fossero rumorose, strambe e litigassero parecchio.
Blaine non riusciva a capire cosa stesse succedendo attorno a lui, e il pensiero di non avere il controllo della situazione lo infastidiva.
 
Quando arrivarono di fronte a una gigantesca porta di un rosa scuro, Rachel gli rivolse un ampio sorriso.
“Sei pronto?” domandò, per la seconda volta quella sera.
Blaine prese un respiro profondo, e annuì. Eccoci qui, pensò.
“Se lo sei…” dichiarò Rachel appoggiando una mano sulla maniglia, circondata da un’aura di solennità, “La preghiamo di seguirci, signore, nel luogo più stupefacente e meraviglioso che abbia mai visto. Le diamo il benvenuto, nel Moulin Rose”.
 
E aprì la porta.




Ed ecco qui il terzo capitolo! 
Nel prossimo... comparirà per la prima volta il nostro Kurt <3 E sarà meraviglioso, ve lo giuro! 
Lasciate tante tante recensioni per farmi sentire apprezzata AHAH <3
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Un bacio a tutti <3

Ivy

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