Does the noise in my heart bother you?

di aerosmjth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Awakening ***
Capitolo 2: *** The Grind - why am I in love with you? ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Awakening ***


Come ogni sera dopo i concerti, la band si divideva, chi con una groupie, chi a spasso, chi a farsi di qualcosa.

A Steven però, quella sera non andava.

Non gli andava di andare in giro, tantomeno gli andavano la droga e il sesso, il che era strano.

Era così da alcune settimane, era come se non volesse nulla e allo stesso tempo cercasse qualcosa. In realtà, sapeva di essersi avvicinato ancora di più a Joe, e ne era entusiasta, forse più del normale. Era come se il tempo con lui passasse in maniera diversa, migliore, e a questo proposito, decise di rimanere con lui e i fans dopo il concerto.

Si avvicinò a lui.

“Hey, perché non restiamo un po’ qui? firmiamo autografi, facciamo qualcosa.”
“Come mai hai così tanta voglia di firmare roba, signor Tyler?”
Joe rise un po’.

“Non so, forse mi piace vedere il mio bellissimo nome ovunque.”
Steven sorrise come per provocarlo.

“Okay, tanto io non andavo da nessuna parte. I toxic twins restano qui con voi, signori!”


Passò mezz’ora e tra le tante persone, arrivò anche una fan che chiese se poteva fare una foto con Joe.

“certo.”

Si fecero la foto mentre Steven, pensieroso, li guardava.

Sentiva che qualcosa lo urtava, ma non sapeva bene cosa. 
O meglio, aveva un sospetto, ma cercava di non pensarci, era una di quelle idee assurde, a cui pensi per un attimo e ne rimani turbato, giurando a te stesso di non pensarci mai più. 

Improvvisamente però, sentì il bisogno di andarsene.

“Senti Joe, se vuoi tu resta qui. Io non mi sento bene, ho bisogno di aria ” disse alzandosi. 
“Divertiti.”

“Hey, così non vale. Eri tu che avevi proposto questa cosa, e non mi fido a far andare in giro una solitaria testa di cazzo come te così tardi di notte, chissà che combini”

Joe salutò i fans e si scusò per l’interruzione improvvisa, dicendo che a causa dell’ora e del malore di Steven dovevano proprio andare.

Allontanatisi ormai dalla folla, Joe lo seguì per un po’, senza dire nulla. 
Ma dopo una decina di minuti di assoluto silenzio, decise di capire meglio cos’aveva. Steven era di spalle e camminava spedito, aveva un’aria leggermente stizzita, ma forse era solo un’impressione.

“Dove si va?”
“Non lo so. In realtà, se non te ne sei accorto, non ti ho chiesto di seguirmi.”
“E questo che cazzo c’entra?”
“C’entra che non devi rompermi i coglioni!”
Joe vedendosi trattato in quel modo all’improvviso, ebbe uno scatto di rabbia e afferrò Steven per la spalla, obbligandolo a girarsi.

“Cosa c’è? Parla, prima che perda la pazienza.”
La mano che aveva afferrato la spalla di Steven ora stringeva la sua maglia e lo tirava contro Joe, che avvicinava il proprio viso al suo, guardandolo con sempre più rabbia.
 

In quel momento Steven non c’era.
Mentalmente, intendo.

Era come se fosse cristallizzato. Era stato così concentrato sul proprio nervosismo da non pensare minimamente al fatto che avrebbe scatenato una reazione negativa in Joe, non aveva immaginato che l’avrebbe trascinato verso di sé, distruggendolo con gli occhi.

In quel momento era confuso, spaventato, ma in un certo senso felice.
Maledettamente felice.
Avrebbe voluto che finisse tutto in un secondo, ma anche che non finisse mai.

Nel giro di pochi attimi i brividi si fecero sempre più forti, il battito cardiaco accellerato, la mente offuscata, l’espressione vacua.

“Ti prego lasciami.”
Rispose con un fil di voce.

Joe era ancora offeso, ma quella reazione l’aveva disorientato. 
Era come se capisse che era tutto perfettamente giustificato da qualcosa, ma non sapeva cosa, eppure gli bastava.

“Va bene.”
Disse, guardando Steven con aria perplessa.

“Grazie… e scusa. Ho un forte mal di testa e ciò mi rende acido.”
Disse Steven, ancora più di là che di qua, con un tono da pessimo attore, lo sguardo perso nel vuoto e quei dannati brividi che lo tormentavano ancora.

“Non ci credo, non può essere così, sono fottuto.”

Disse tra sé.

Ora non poteva più negarlo a se stesso.
Ma, nonostante ciò,
avrebbe preferito morire che dirlo al resto del mondo.

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Capitolo 2
*** The Grind - why am I in love with you? ***


Dopo l’accaduto, Steven aveva lasciato Joe da solo, dicendo che doveva assolutamente andare in albergo a dormire, e che voleva andarci senza nessuno ad accompagnarlo.

Così, Joe rimase lì, su un marciapiede deserto, al buio.

L’unica luce che riusciva a distinguere in quella città addormentata era quella delle stelle e di qualche lampione malandato, e gli piaceva.
A volte è gradevole stare da soli, aiuta a riflettere in pace e lui lo sapeva.

Sentiva però che qualcosa nella sua testa, o nel suo petto, cercava di smuoversi, di resuscitare, di dirgli “svegliati, sono qui”.
Si sentiva così da quando Steven l’aveva pregato di lasciargli la maglia.
Non capiva cosa volesse dire quello sguardo perso, vuoto e allo stesso tempo traboccante di pensieri ed emozioni contrastanti.
Ma, forse più di qualsiasi altra volta, aveva visto lo Steven fragile, spaventato, stordito e non il solito ragazzo esuberante e fuori da qualsiasi regola con cui era abituato ad avere a che fare ogni giorno.

In quel momento gli era sembrato un bambino che si era appena conto di essersi perso.

E questo gli aveva provocato una sensazione strana, una specie di pizzicore dentro, era come se davanti a quel comportamento avesse quasi avuto l’istinto di… proteggerlo?

Questa teoria lo scombussolava. Perché mai provare un senso di protezione verso di lui? Erano entrambi uomini adulti, che sapevano quello che volevano e sapevano affrontare le conseguenze… o almeno, ne era quasi sicuro.

Questo pensiero continuava a girargli in testa. Continuava a pensare a Steven, alla sua espressione, alle sue parole, al suo essere completamente indifeso, anche solo per un attimo, e sentiva che il pizzicore diventava un bruciore al centro del petto, un mezzo dolore per… non averlo stretto a sé.

Queste sensazioni diventavano sempre più fastidiose, insensate, sconfortanti.

"No! Che cazzo mi viene in mente? Devo essere impazzito. Dovrei smetterla di pensare cose così strane."

Si morse forte il labbro inferiore, guardando la strada. Preferiva concentrarsi sul dolore, piuttosto che su quanto si sentisse idiota in quel momento.
Forse si era perso anche lui, adesso.




La mattina seguente, ricevette un messaggio da Steven.
"Oggi non posso venire in studio. Sono ammalato, avverti anche gli altri. Mi dispiace."


"Ammalato? Come sarebbe a dire che si è ammalato? Questa non ci voleva, tra due settimane abbiamo un’altra serie di concerti, se non cominciamo subito a provare finiremo col non iniziare mai."


Nonostante tutto, chiamò anche se con un po’ di malavoglia Joey, spiegandogli la situazione e dicendogli di avvertire anche Tom e Brad.

"E così, dato che Steven è malato, si potrebbe dire che ho la giornata libera. Il punto è che ora non so cosa fare."


Si sedette sul bordo del letto, guardando a terra.
"E se… andassi a vedere come sta? solo cinque minuti. Non lo dirò a nessuno."

Gli sembrava imbarazzante far sapere a tutti che andava a fare il premuroso con Steven, nonostante fosse ovvio a chiunque che era uno dei suoi migliori amici.

Ad ogni modo, decise di tagliare corto coi pensieri, si vestì in fretta ed uscì.


Intanto, Steven era ancora a letto. Non aveva la febbre, o il mal di gola, o qualsiasi altra cosa che si potesse definire “malattia”, se non sempre gli stessi pensieri che gli affollavano la mente, ossessionandolo.
Era stata una notte terribile. Non aveva fatto altro che pensare a quanto fosse successo e non aveva dormito se non per due ore, sognando… lui. 
Sempre la solita scena, sempre lui che lo afferrava per la maglia, ma non per rabbia, per tenerlo con sé. E Steven, nel sogno, non si ritraeva. 

Aveva voglia di piangere. Si coprì la faccia con uno dei cuscini accanto a lui, non voleva crederci, non poteva, tutto questo non era reale e neanche le sue lacrime sarebbero dovute divenire realtà.
A un certo punto, qualcuno bussò alla porta. Pensò fosse una delle solite cameriere, non gli importava molto se lo avessero visto solo con una coperta addosso e con un cuscino piantato in faccia quasi a volersi soffocare. In quel momento non gli importava nulla di nessuno.

"Avanti."

"Stai bene?"
Una voce familiare. Troppo familiare.
No, non poteva essere lui, probabilmente era solo un’allucinazione, stava impazzendo e questa era la prova, o almeno così sperava.
Sentì il cuore cominciare a battere sempre più veloce e per l’agitazione iniziò a sentirlo pulsare nelle orecchie.

Prese fiato e cercò di rispondere con voce ferma.

"Che ci fai qui? Non ti ho chiesto di venire."


"Beh, scusa se non ti ho lasciato a crepare in solitudine, mi comporterò meglio la prossima volta. E comunque mi hai appena fatto scoprire che mi innervosisce parlare con un tizio con il cuscino in faccia. Potresti toglierlo o ti fa sentire più affascinante?"


Steven si tolse il cuscino dal viso, anche se sentiva l’assoluto bisogno di nascondersi, di sparire dal mondo, di scappare.
Non guardò Joe negli occhi, si limitò a guardarsi attorno con aria stanca e, nonostante cercasse di nasconderlo, sofferente.

Joe a quella visione si sentì di nuovo perso, combattuto, confuso, più della notte prima.
Ai pensieri e desideri di quella notte se ne aggiunsero altri, più assurdi, più preoccupanti, più… contro il suo volere razionale.

Continuò a guardarlo in silenzio per qualche secondo. Non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, ma neanche aveva il coraggio di guardare più in basso del suo collo. Aveva una paura tremenda, paura di non controllarsi più, di fare qualcosa che non voleva veramente fare, di andare contro tutto il rapporto d’amicizia che aveva avuto con Steven fino a quel momento.
Quasi senza accorgersene, si sedette accanto a lui, sul letto.
Steven si girò verso di lui. Che stava succedendo? Non lo sapeva più.
Il suo cuore continuava a correre, ma la sua mente si era fermata.
Era troppo distrutto per pensare ed era rimasto lì, ormai arreso.
Quello che si stava creando in lui diventava ogni minuto più forte e non aveva più forza di combatterlo. Succeda quel che succeda, a lui non importava più. Era un condannato pronto a morire.
 

"Hai ancora mal di testa?"
Disse Joe, cercando di avere un comportamento normale, anche se ormai si sentiva completamente ipnotizzato. Faceva fatica a pensare, era sul punto di perdere la ragione, gli sembrava tutto così irreale.

"No…"
Si era smascherato da solo. Ma che importanza aveva? Era tutto perduto. Non gli importava cos’avrebbe pensato Joe, e neanche si accorgeva di come lo stava guardando. Tutto ciò che vedeva e sentiva era il proprio dolore emotivo crescere sempre di più.

"Ma allora, Steven?…"

"Non lo so. Non capisco più niente, cazzo. Lasciami in pace, sono un povero idiota, vai via."
 

Steven era sul punto di piangere. Non riusciva a nascondere nulla al suo migliore amico, neanche un segreto così grande, neanche volendo. Non si era rivelato, ma era quasi come se l’avesse fatto e il nodo alla gola si faceva sempre più doloroso.

Joe lo vide con gli occhi lucidi. In quel momento fu come se qualcuno gli avesse dato un pugno al cuore, e la voglia di difenderlo da tutto… quel maledetto desiderio, gli fece perdere il controllo definitivamente.

Si abbassò sul volto di Steven, e istintivamente lo baciò.
Gli passò una mano sui capelli mentre con l’altra cercava le sue braccia, il suo petto e infine afferrargli con forza il fianco, quasi graffiandolo.

Steven che fino a quel momento aveva “subito” tutto passivamente, ricambiando il bacio senza opporre resistenza, fu come risvegliato dal bruciore al fianco e la sua parte razionale ricominciò a farsi sentire.
Spinse via Joe mettendogli una mano sul petto, facendolo così staccare.

"Che cazzo stiamo facendo?…"


Joe si rimise seduto a schiena diritta, quasi tremando.

"Oh Cristo… non lo so, non lo so. Perdonami…"

Steven però, nonostante si sforzasse di far vincere la parte razionale, non ci riuscì.
Si alzò di scatto e afferrando Joe per la nuca lo baciò di nuovo, con più forza di prima. 
Non si era mai sentito così libero, felice, vivo.

"No, smettila…"

Joe lo prese per le spalle, allontanandolo.

Sentiva di aver fatto il più grosso errore della sua vita.
Si alzò, sconcertato.

"Me ne vado."

Così dicendo chiuse la porta, sperando di averci chiuso dentro anche tutto quello che provava per lui.

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