Scusa se ho aspettato la pioggia

di Vanderbilt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Please don't stop the rain ***
Capitolo 2: *** I've been losing so much time ***
Capitolo 3: *** All the right moves ***
Capitolo 4: *** Never say never ***
Capitolo 5: *** There's a side to you that I never knew ***
Capitolo 6: *** Nobody said it was easy ***
Capitolo 7: *** Stop and stare ***
Capitolo 8: *** Breakaway ***
Capitolo 9: *** I can't be here ***
Capitolo 10: *** Jealousy ***
Capitolo 11: *** Something happened for the first time ***
Capitolo 12: *** Wake up ***
Capitolo 13: *** A special day ***
Capitolo 14: *** 'Cause... ***
Capitolo 15: *** That's my home ***
Capitolo 16: *** Disagreements ***
Capitolo 17: *** I love you ***
Capitolo 18: *** I think I love you better now ***
Capitolo 19: *** Breath of life ***
Capitolo 20: *** Little talks ***
Capitolo 21: *** I don't want to miss a thing ***
Capitolo 22: *** We still have everything... always ***



Capitolo 1
*** Please don't stop the rain ***


Please don't stop the rain

And if it’s going to be a rainy day
There’s nothing we can do to make it change
We can pray for sunny weather
But that won’t stop the rain
You’re feeling like you’ve got no place to run
I can be your shelter til it’s done
We can make this last forever
So please don’t stop the rain
Let it fall, let it fall, let it fall

James Morrison, Please don't stop the rain

Oggi iniziava il primo giorno di scuola.
Questa mattina mi ero svegliata con molte aspettative per il nuovo anno che stava per iniziare. Certo, lo so che non è il 31 dicembre, ma comunque un nuovo anno scolastico segna l'inizio di una nuova fase della tua vita: nuove ansie, nuove conoscenze e nuovi scontri sono all'ordine del giorno, e mai uguali ai precedenti.
Ho passato l'estate a casa dei miei nonni nello Utah, avevo conosciuto i loro vicini che avevano un figlio molto carino e gentile. In poco tempo mi ero infatuata di questo ragazzo dagli occhi chiari, capelli castani, semplice, cordiale e sempre di buon umore. Il mio interesse era stato ricambiato e infatti siamo stati insieme per tutta la durata delle mie vacanze lì. Il nostro rapporto era perfetto, ma sia io che lui non ce la siamo sentiti di portare avanti una relazione a distanza.
Da quando sono tornata, poco più di una settimana, sento la sua mancanza. Mi mancano le nostre passeggiate e le chiacchierate sulle nostre passioni, di ciò che ci piaceva e al contrario di ciò che abbiamo sempre odiato. Ci siamo sentiti praticamente ogni giorno dalla mia partenza, eppure sentivo già quanto il rapporto si stesse raffreddando.
La cosa che forse mi manca di più nella mia vita è l'amore con la A maiuscola. E' vero, mi sono infatuata di un ragazzo adorabile, ma non era scattato il colpo di fulmine a prima vista. Non ho mai provato quella passione che senti crescere dentro e quella scintilla che scatta quando due sguardi si incrociano. Forse il tempo è stato talmente poco che non sono riuscita ad innamorarmi, eppure nel profondo del mio cuore ho sempre saputo che lui non era il ragazzo adatto a me.
Il mio obiettivo era trovare un ragazzo che, per la prima volta, mi facesse battere il cuore a mille, volevo vivere una storia d'amore perfetta, ma non perfetta per gli altri, perfetta per me, perché so bene che ogni storia va vissuta. Da fuori sembrano tutte uguali con i soliti gesti eclatanti, ma se la vivi sai cosa si prova, cosa significa sentirsi amata. E' un po' come quando leggiamo in un libro una storia d'amore, subito ci innamoriamo del protagonista; ma chi lo dice che, una volta che lo stesso ragazzo e le stesse circostanze capitino a noi, sarebbe la nostra favola? Nessuno, non si può prevedere.

Dopo essermi lavata e vestita, scesi al piano di sotto per salutare i miei genitori. Come al solito erano in cucina a battibeccare, non c'era giorno che scendendo non sentissi i loro litigi su cose talmente stupide che, a volte, mi chiedevo come facessero a sopportarsi a vicenda. La risposta l'avevo sempre quando mio padre usciva di casa per andare al lavoro e prima si scambiava tenere effusioni con mia madre, a volte erano talmente sdolcinati da farmi venire il diabete! Li invidiavo anche, ovvio, chi non avrebbe voluto un amore solido come il loro?
«Mamma, questa mattina cosa ha combinato papà?», chiesi a Renèe.
Ogni mattina mia madre trovava un pretesto per punzecchiarlo. Era così che manteneva vivace il loro rapporto, mio padre senza di lei era un tale musone!
«Oh Bella, come mai già sveglia? Di solito ti servono le cannonate per farti alzare dal letto! Comunque, tuo padre insiste dicendo che ieri sera al meteo hanno previsto una giornata piovosa. Io sono certa che non è così. Diglielo anche tu che non è vero! Sai che non sbaglio mai!».
Renèe era così, non mi lasciava nemmeno il tempo di rispondere, partiva con la sua arringa e in questo mi ricordava Alice Cullen, una delle mie pazze migliori amiche. L'altra era Rosalie Hale, gemella di Jasper, il fidanzato di Alice.
«Mamma mi dispiace contraddirti, ma papà ha ragione, hanno previsto pioggia nel pomeriggio». Tralasciai volontariamente il fatto che lei avesse sempre ragione. Se fosse iniziata una discussione su questo argomento lei sarebbe arrivata ad elencare ogni minima cosa su cui ha avuto ragione in passato.
Nel frattempo Charlie rideva sotto i baffi vedendo il broncio di sua moglie. Lei odiava dare ragione a lui.
«Bene, coalizzatevi contro di me, ma sono certa che non pioverà, quindi non porterò l'ombrello quando uscirò, e di certo non tirerò fuori il tuo, mio caro Charlie!». Ogni volta che si trovava in una situazione simile usciva fuori il suo sadismo: piuttosto avrebbe fatto prendere un malanno a papà, ma l'ombrello l'avrebbe nascosto!
Mentre loro riprendevano a litigare guardai l'orologio rosso della cucina. Erano già le otto e mezza e la scuola iniziava alle dieci. Avevo tutto il tempo di andare al bar e fare colazione con le mie amiche, un'abitudine che avevo da quando era iniziato il liceo. Ci incontravamo sempre in un bar vicino la scuola, il proprietario ci conosceva da molto, eravamo delle clienti fedeli.
«Mamma, papà io devo andare, Alice e Rose mi aspettano e sapete che odiano i ritardi. Ci vediamo oggi, torno verso l'ora di pranzo», dissi prendendo la giacchetta nera all'ingresso, la borsa e le chiavi della macchina.
«Okay tesoro, non and...».
«Si, lo so già, non andare veloce in macchina e bla, bla, bla... Me lo ripetete ogni volta che tocco la macchina!», interruppi mia madre nel bel mezzo delle sue solite raccomandazioni.
«Su Bella, lo sai che è leggermente apprensiva». Ovviamente mio padre doveva intervenire a sua difesa, minimizzando la cosa con quel "leggermente apprensiva". Altro che apprensiva, se non arrivavo a casa per l'orario previsto mi faceva sessanta chiamate, e se per caso non rispondevo era capace a contattare l'ospedale e la polizia della città per sapere se per caso c'era stato un incidente in zona!
Era meglio non rispondere nemmeno a mio padre, tanto rigiravano sempre la storia a loro favore!
«Sì, sì certo. Io vado, ciao!». E così uscii da quella conversazione.
Salì in macchina e accessi l'autoradio, alzando il volume a stecca, stavano trasmettendo una canzone che in quel periodo adoravo: 'Set fire to the rain'.
Arrivata a destinazione posteggiai di fianco le macchine delle mie amiche. Entrambe mi aspettavano appoggiate alla BMW nera di Rose. Sembravano immerse in una fitta conversazione, a tal punto che, quando arrivai, mi rivolsero solo un cenno di saluto con la mano. Scesi dall'auto e le raggiunsi.
«Ciao Bella! Tesoro come stai bene vestita così! I tre mesi nello Utah ti sono serviti, sembri più riposata!», ecco cosa dicevo a proposito della somiglianza tra mia madre ed Alice. «Stavo dicendo a Rose che dobbiamo andare a fare shopping per la tua festa di compleanno, anzi no, per la tua "non festa" visto che hai già festeggiato dai tuoi nonni con il tuo nuovo ragazzo!». Alice finì di parlare incenerendomi con lo sguardo.
«Oddio Alice, quanto ancora dobbiamo discutere di questa faccenda? Lo sai che non ho mai amato le feste di compleanno. Ho preferito festeggiare con i miei nonni e Jason. E poi non mettere su quell'aria offesa Alice! Rose non si è arrabbiata quando le ho rivelato i miei progetti. Vi ho già detto che se volete possiamo festeggiare noi tre, vi ho lasciato anche la scelta se andare a fare shopping oppure ristorante e cinema», dissi guardando Alice che pian piano si addolcì...
«Il discorso non finisce qui, ma ora entriamo che sto morendo di fame e poi ci devi raccontare di questo Jason»
... ma non troppo.
Alice non si arrenderà mai, finché non gliela darò vinta, ma questa volta non succederà.
«Ora dopo la tua calorosa accoglienza posso salutare Rose come si deve?». Abbracciai Rose e la salutai con due baci sulle guancie.
Alice era ancora imbronciata, ma una volta che l'abbracciai si addolcì del tutto e fece uscire il suo lato esuberante.
Mentre entravamo nel bar, iniziai a raccontare la mia estate, descrivendo i favolosi paesaggi. Sapevo bene la parte che interessava loro...
«Sì, sì puoi saltare questa parte, a noi interessa la tua storia con Jason!». Rose interruppe le mie descrizioni con voce frettolosa.
...Infatti Jason era il motivo principale per il quale ci eravamo viste un'ora prima dell'inizio delle lezioni.
«Be', lui è un ragazzo davvero straordinario, dolce, gentile e simpatico».
«Ma?», disse Rose
«Ci deve essere per forza un ma?», risposi in tono innocente.
«C'è sempre un ma se inizi con quel tono di voce rassegnato!», mi disse Alice.
«Non c'è nessun ma! Solo non è scoccata la scintilla. Appena l'ho visto ho subito pensato che fosse un ragazzo molto bello e affascinante, ma purtroppo non sono riuscita ad andare oltre una semplice infatuazione», ammisi.
E' vero un ma nel mio discorso c'era, eppure non me ne resi conto, finché non lo dissi ad alta voce.
«Forse sono semplicemente io che non vado bene e mi faccio troppi problemi», aggiunsi subito dopo.
«Oh tesoro! Non devi buttarti giù così! Non sminuirti, io sono sicura che troverai il ragazzo adatto a te, magari prima di quanto pensi!», annuii poco convinta a Rose.
Volevo davvero credere alle sue parole, eppure dentro di me continuavo a pensare che ero io che non andavo bene. Come avevo fatto a non innamorarmi di un ragazzo come Jason? Quel ragazzo era perfetto. Non per me, sussurrò una vocina nella mia testa.
Durante la nostra chiacchierata ordinammo tre brioches alla crema di latte e panna, due caffè e un tè.
Loro mi raccontarono le ultime novità su Savannah e mi parlarono di Emmett, fratello di Alice.
«...così l'ho visto che usciva dal pub con una bionda tinta dal seno rifatto! Ma come fa ad uscire con ragazze così?! Lo detesto! Non posso più stare dieci minuti in sua presenza, senza aver la voglia di urlargli di tutto e strozzarlo! E poi dico io, una bionda tinta? Ma come fa...». Rose era inarrestabile. Non riusciva a smettere di parlare di Emm e delle sue conquiste.
Io ed Alice ci scambiammo un'occhiata di complicità. Entrambe sapevamo che Rose nutriva un certo interesse per Emmett da anni, ormai. Emmett sembrava ricambiare, eppure mai una volta si era fatto avanti. Quando si trovavano nella stessa stanza somigliavano a mia madre e mio padre, sempre a punzecchiarsi.
«Rose, abbiamo capito che il comportamento di mio fratello ti infastidisce! Ora la domanda che ti vorrei porre è un'altra: perché non hai mai cercato di farti avanti con lui?». Alice sapeva quali tasti toccare.
Era l'ora che Rose ammettesse il suo interesse!
«Emmett non mi interessa minimamente!», esclamò Rose irritata. Era da un anno che cercavamo di farle dire la verità sui suoi sentimenti, ma lei testarda non voleva ammetterlo!
«Oh certo, come no! Rose apri gli occhi una buona volta! Noi siamo tue amiche, non ti giudicheremo mai!». Dopo la mia frase abbassò lo sguardo e fissò la sua tazza di caffè.
«Io... ragazze, lo so! Mi fido di voi! Ma se lo ammetterò anche con voi sarà tutto reale, se lo penso solo nella mia testa sembra ancora un incubo, o un sogno, a seconda dei punti di vista».
Nn avevo mai visto Rose così afflitta. Non si dava mai per vinta, aveva un carattere forte e battagliero e di certo cose del genere non l'abbattevano, la rinforzavano e basta. Invece, quando l'argomento era Emmett le cose precipitavano. Diventava fragile e insicura, caratteristiche che non le si addicevano.
Non sapevo che dirle per tirarla su di morale. Guardai Alice e lei capì che toccava a lei intervenire.
«Rose, non hai mai fatto nulla per fargli capire il tuo interesse. Sono sicura che lui ti ricambi in pieno, devi solo dargli un segno, un incoraggiamento». Alice era fantastica nel dare consigli.
«Lo pensi davvero Alice?», disse Rose in un sussurro.
«Certo che lo pensa! E anch'io sono della sua stessa opinione!». Dovevo pur dare manforte ad Alice, no?
«Okay ragazze, oggi inizierò a tirare fuori il mio lato seducente con Emmett, se questo non funzionerà troverò mille altri modi per farlo capitolare!». Ammiravo il carattere battagliero di Rose.
«Bene», guardai l'ora; «sono le nove e quaranta, dovremmo avviarci verso la scuola». Non mi andava di arrivare in ritardo il primo giorno di scuola.
Pagammo, uscimmo dal bar e ognuna di noi prese le rispettive macchine.
Una volta arrivate nel parcheggio della scuola, trovammo Jazz, Emm ed Edward, anche lui fratello di Alice ed Emmett, ad aspettarci.
Alice si catapultò da Jasper, mentre io e Rose ci avvicinammo lentamente. Emmett fissava Rose in maniera decisamente strana, sembrava che stesse cercando di capire qualcosa di fondamentale. Dal canto suo lei stava guardando tutto tranne lui. Forse durante il breve tragitto in macchina Rose aveva cambiato idea?
Arrivate dal gruppetto salutammo i tre ragazzi. Edward non era mai di molte parole, anzi con me era spesso distaccato e sfuggente. Era un ragazzo molto chiuso, se ne stava spesso sulle sue.
Emmett salutò calorosamente Rose, era stato molto più espansivo delle altre volte. Forse gli era mancata dopo il mese che i gemelli avevano passato in California? Dal suo viso sembrava proprio di sì.
Rose felice del suo abbraccio gli baciò una guancia facendolo arrossire.
Le cose stavano decisamente migliorando... tranne per la pioggia che iniziò a scendere!
Alice e Rose aprirono i loro orribili ombrelli rosa con i pois, coprendo Jazz ed Emm, mentre io rimasi sotto l'acqua. Edward aprì proprio in quel momento un ombrello nero, ma sinceramente non riuscivo ad avvicinarmi e a ripararmi sotto il suo ombrello, quello sguardo freddo che mi rivolgeva ogni volta mi intimoriva un po'.
Ovviamente il mio desiderio non venne esaudito, Alice come al solito doveva mettersi in mezzo!
«Insomma Edward, non vedi che Bella si sta bagnando tutta? Coprila con quel cavolo di ombrello!», sgridò suo fratello.
Alzai lo sguardo su di lui e vidi che mi fissava intensamente; poi si avvicinò e mi riparò con il suo ombrello. Mi sembrò anche di sentirlo borbottare qualcosa sul fatto che l'avrebbe fatto comunque, ma non ci feci caso.
Non ero mai stata così vicino a lui. Di solito si allontanava appena mi avvicinavo. Il suo odore era piacevole, fresco. I nostri corpi erano a contatto, la mia parte destra toccava la sua parte sinistra.
«Vieni, ti accompagno fino all'entrata», mi disse con la sua voce profonda e melodiosa. Mi era sempre piaciuta la sua voce, non che avessi avuto molte opportunità di sentirlo parlare.
Visto che gli altri non ci calcolavano minimamente, immersi com'erano nei loro discorsi, mi incamminai con Edward verso la scuola, senza salutarli.
Mentre camminavamo lo guardai realmente per la prima volta.
I suoi lineamenti erano perfetti, gli occhi erano semplicemente di un colore irresistibile, un verde talmente intenso da non aver mai visto un paio di occhi simili. I capelli ribelli erano di un insolito color rame. Probabilmente sentì il mio sguardo puntato su di lui, così si girò a guardarmi ed io diventai bordò.
Mi schiarii la voce e tentai di dire qualcosa.
«Grazie per avermi accompagnato». Cosa più banale non potevo dirla!
«Prego, ora devo andare, ci si vede in giro», e così uscì di scena dirigendosi chissà dove visto che l'entrata della scuola era alle mie spalle, e lui stava andando dalla parte opposta.
Ecco di cosa parlavo quando ho detto che è distaccato con me. Ci conoscevamo da una vita e, mai una volta, eravamo andati oltre le solite frasi di buona educazione.

Le lezioni passarono in fretta, in un batter d'occhio arrivò la pausa pranzo.
All'interno della scuola avevo un po' di amici. Certo, quelli veri erano pochi. Tutti siamo circondati da persone false ed io non ero un’ eccezione.
Solitamente a mensa sedevo in un tavolo con Alice e il suo fidanzato, Rose, Emmett e a volte le sue conquiste, più Angela e Ben, l'ultima coppia che si era unita al gruppo. E poi c'era Edward, anche se sedeva al nostro tavolo era come se non ci fosse, non parlava mai e non rideva neanche alle battute. Era così solitario, misterioso; spesso mi chiedevo il perché di quel suo comportamento.
«Ehi ragazzi! Come va?», chiesi appena presi posto nel tavolo, affianco ad Edward. Notai subito la presenza di una nuova ragazza accanto ad Emmett, e Rose che fulminava entrambi con i suoi occhi color ghiaccio. «Emm non mi presenti la tua amica?». Ovviamente Rose non condivise questo mio atto di gentilezza, mi riservò uno sguardo molto triste, al quale risposi con uno di scuse.
«Oh certo. Questa è Melany, Melany lei è Bella».
La ragazza mi salutò e mi diede la mano, che ovviamente accettai. Non mi sembrava la solita oca che Emmett aveva l'abitudine di frequentare.
Purtroppo dovetti ricredermi in fretta.
Io, Alice e Rose stavamo parlando di libri, durante la conversazione Melany si intromise dicendo che leggere era noioso. Rose partì all'attacco, non poteva farsi sfuggire l'occasione di lanciare frecciatine alla nuova conquista di Emmett.
«E cosa ti piace fare? Andare a farti la manicure?», disse lanciando un'occhiata alla mano perfettamente curata di Melany.
Melany non si lasciò intimorire dal tono di voce di Rose, particolarmente acido. «Non mi pare che la tua mano non sia curata».
«Sai, io ho anche altri interessi! Tu invece preferisci frequentare i bagni della High School?». Il riferimento di Rose era chiaro, le aveva appena dato della ragazza facile.
«Ma come ti permetti finta bionda?! Io sono una ragazza molto più seria di te!». Melany ribattè con una voce starnazzante.
«Finta bionda io?! Tu lo sei! Ti si vede anche la ricrescita scura! E poi quelle lenti azzurre, dove credi di andare? Si vede benissimo dal modo in cui sbatti continuamente le ciglia! E poi scusa, non eri tu quella che un quarto d'ora fa è entrata da quella porta», e indicò l'ingresso della mensa; «con i capelli tutti scompigliati accompagnata da Emmett, che tra l'altro», disse girandosi verso il diretto interessato: «ha ancora la cerniera dei jeans abbassata!».
Tutto il tavolo ammutolì per questo improvviso sfogo di Rose, non era mai successo che si lasciasse andare così tanto, doveva essere proprio al limite!
Melany non ebbe il coraggio di parlare e diventò rossa per l'umiliazione, mentre Emmett chiuse la cerniera dei jeans scuri e dopo aver fissato intensamente Rosalie abbassò gli occhi tristemente come se si sentisse in colpa.
Rose dopo nemmeno cinque minuti si alzò e se ne andò. Avevo notato il suo sguardo ferito e vederla così mi faceva salire una rabbia nera contro Emmett. Perché non si accorgeva della situazione? Rose non era certamente invisibile, era una ragazza talmente bella, alta con un fisico praticamente perfetto, occhi azzurro ghiaccio e lunghi capelli biondi. Insomma era difficile che qualche uomo riuscisse a resisterle.
«Emmett sei proprio un imbecille! Apri gli occhi prima che sia troppo tardi!», disse Alice.
Dopo che Emmett rimase a bocca aperta per la frase della sorella, io e lei ce ne andammo. Dovevamo raggiungere Rose, aveva bisogno del nostro conforto.
Così uscimmo da quella mensa affollata e di quel colore verde acido orribile. Vedemmo Rose correre sui suoi tacchi altissimi. Mi chiedevo sempre come facesse a correre più velocemente di me anche quando avevo le scarpe basse.
«Rose, aspettaci!». Continuavamo a gridare per i corridoi, ma lei non si fermò, rallentò solo il passo in modo da permetterci di raggiungerla.
Io ed Alice ci mettemmo ai suoi lati, io a destra e lei a sinistra, in modo tale da stringerla in un abbraccio consolatore, mentre camminavamo. Io le accarezzavo la schiena, mentre Alice l'aveva presa per il braccio e le teneva la mano.
«Ragazze, secondo voi ho sbagliato?», ci chiese Rose.
Io ed Alice scuotemmo subito la testa.
«Non hai sbagliato tesoro! Solo nessuno si aspettava una reazione simile da parte tua. Mio fratello è solo un povero sciocco! Non capisce nulla riguardo ai sentimenti!». Alice era davvero arrabbiata con Emmett per il modo in cui stava facendo soffrire Rose.
«Lo so! Ma non so più cosa fare! Non ho più voglia di stare dietro a qualcuno che non mi vede come vorrei!».
«Cosa intendi dire?», chiesi, non avevo idea di dove volesse andare a parare.
«Ho deciso di lasciarlo perdere. Mi troverò un ragazzo che finalmente mi vede e su cui posso sprecare tutte le mie energie se ne vale la pena. Sto soffrendo troppo e non lo amo ancora, pensate se me ne dovessi innamorare in una situazione così disastrosa, le mie pene sarebbero moltiplicate!», mi rispose Rose decisa. Il suo tono di voce iniziava ad essere il solito: deciso.
«Come ti comporterai con lui?». La risposta alla domanda di Alice premeva anche a me, volevo sapere cosa avrebbe fatto con Emmett.
«Sono stanca dei nostri litigi, anche se mi diverto a volte mi pesano. Farò finta di nulla e torneremo ad essere gli amici che eravamo un tempo», rispose Rose.
«Un tempo?! Quando mai siete stati semplici amici? Se voi due non vi punzecchiate non siete contenti!». Rose sorrise, un sorriso vero, non come quelli dell'intera mattinata, più finti del seno di Kate Hudson!
«Okay Bella, hai ragione. Questo vuol dire che cambierò del tutto comportamento. Cercherò di essere più distaccata e fredda. Dovrebbe funzionare, voi che dite?!».
Rose sembrava così sicura di ciò, che sia io che Alice non dicemmo nulla, ci limitammo a spingerla nel bagno delle femmine per aiutarla a ricomporsi, quegli occhi dovevano tornare normali, non rossi e gonfi!
«Sapete cosa vi dico? Che oggi pomeriggio andremo a fare shopping! Vedrai Rose, cambieremo il tuo guardaroba e da domani le cose cambieranno!», disse Alice tutta entusiasta della sua idea secondo lei geniale.
Io e Rose ci scambiammo uno sguardo rassegnato. Rose era l'ultima persona che aveva bisogno di rinnovare il guardaroba. Ma nessuno osava mai controbattere quando Alice si accendeva di entusiasmo, nessuno sarebbe uscito vivo da una sua arringa, aveva sempre ragione lei!

Buonasera a tutti! Sono tornata con un'altra long. Ormai sono diventata una persecuzione, lo so!
Questa long ho iniziato a scriverla a giugno, nel frattempo sono un po' migliorata nella scrittura, ma comunque non ho modificato il capitolo, un po' per la mancanza di tempo, un po' perchè non avrei saputo come modificarlo. La storia è nata grazie a SerenaEsse, tante volte volevo abbandonarla, ma lei mi ha sempre spronata a continuarla. Spero che la storia piacerà a qualcuno, mi piacerebbe sapere le vostre opinioni, consigli, tutto! Essendo la prima long che ho scritto qualche insicurezza c'è, non ero sicura nemmeno di postarla, ma alla fine mi sono detta: "perchè non provare?".
Bene, non voglio annoiarvi più di tanto. Ho già dei capitoli pronti, quindi posterò con regolarità. Premetto che non sarà una storia lunga, massimo quindici capitoli (di cui sette sono già scritti).
Ho deciso di postare ogni lunedì, non so ancora se ogni settimana o ogni due, comunque il giorno sarà questo.

Il capitolo è betato da SerenaEsse, grazie tesoro!
Ultima cosa! Ho creato un contest con SerenaEsse, Il nastro rosso, per chi fosse interessato, noi vi aspettiamo ;)
Ora dire che posso andare XD Non so perchè le note mi vengono sempre così lunghe XD
A presto!
Kiss :***

A presto! 

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Capitolo 2
*** I've been losing so much time ***


I've been losing so much time

 

All of the things
That I want to say
Just aren’t coming out right
I'mm tripping on words
You got my head spinning
I don’t know where to go from here

Lifehouse, You And Me

I giorni passarono in fretta tra scuola, compiti e uscite con le mie amiche. Rose, esattamente due settimane dopo la sfuriata in mensa, iniziò a uscire con un ragazzo del nostro stesso anno, ma di un altro liceo. Ce lo fece conoscere pochi giorni dopo e sia io che Alice rimanemmo sorprese da David; era un ragazzo tutto il contrario di ciò che era Emmett. David era molto posato e quasi impostato nei suoi comportamenti, mentre Emm era sempre imprevedibile e seguiva una teoria di vita tutta sua: divertirsi sempre e comunque, questo era il suo motto.

Se non avessi mai conosciuto Emmett e non sapessi quanto fosse perfetto per Rosalie, David sarebbe stato un valido sostituto. Ma così mi sembrava che quest'ultimo frenasse Rose nel suo carattere allegro e giocoso, che usciva troppo di rado con persone a lei estranee.

Nel frattempo i miei genitori decisero di passare un weekend in compagnia dei loro amici, i genitori dei Cullen e degli Hale.

Mi feci una doccia veloce e mi vestii abbastanza pesantemente. Una temperatura del genere non si vedeva da anni a Savannah. Qui il clima era sempre caldo, raramente le temperatura scendevano sotto i quindici gradi, come stava succedendo in quel periodo.

Quando scesi in cucina per fare colazione trovai tutto apparecchiato e un biglietto affianco ad un croissant con su scritto: "Tesoro, siamo partiti all'alba, fai colazione e fila da Rose! Ti chiamiamo in giornata. Mamma e papà".

Bene, ultimamente li vedevo poco e niente. Tra gli orari da sceriffo di papà, il lavoro da commessa di mamma e le mie uscite con Alice e Rose dopo la scuola, era già tanto se a cena riuscivamo a incontrarci e cenare insieme.

Non persi altro tempo e alle nove e trenta uscii di casa e salii in macchina, la mia bellissima Audi A3 bianca con i vetri neri. Arrivai a casa di Rose in meno di mezz'ora e notai che nel vialetto erano già presenti le macchine dei fratelli Cullen.

Posteggiai e andai a suonare alla porta, dove mi aprì Edward.

«Ciao, entra pure, gli altri sono in giardino». Edward era sempre così educato e gentile, eppure usava quel tono di voce formale.

Si mise di lato e mi lasciò passare chiudendo la porta dietro di me.

«Grazie. Cosa stanno facendo? Sì, sarà anche una bella giornata, ma stare in giardino non è il massimo con questa temperatura», esclamai. Fuori ci saranno stati dieci gradi! Cosa del tutto nuova a Savannah.

«Ti sorprenderà scoprire che in realtà si sta bene fuori. Rosalie ed Alice sono entrate in versione lucertole». Era la prima volta che mi diceva una frase così lunga. Stavamo facendo progressi!

Lo guardai e non potei fare a meno di pensare quanto fosse bello. Un ragazzo diverso, mi aveva sempre intrigato per questo.

Mi sorrise leggermente vedendo che lo fissavo e poi iniziò a camminare verso il giardino. Io lasciai subito per terra il mio borsone e lo seguii fuori.

Varcammo insieme la porta scorrevole in vetro e rimasi scioccata nel constatare che era presente anche David. Non mi accorsi nemmeno di essermi fermata, finchè Edward non mi sussurrò nell'orecchio con quella voce sensuale: «Io ho avuto la tua stessa reazione, manca poco ed Emmett darà in escandescenza. É un po' che è fermo in quella posizione e fissa David come se volesse ammazzarlo per avergli rubato Rosalie». Rimasi stupefatta dalle parole di Edward.

«E tu come...?», chiesi sorpresa.

«Come ho fatto ad accorgermi della situazione? Sarò anche taciturno, ma gli occhi ce li ho anch'io». Mi sembrò di scorgere un po' di sofferenza nella voce di Edward.

«Scusa, non volevo insinuare nulla, solo pensavo che tranne me, Alice e Jazz nessun altro sapesse della situazione intricata in cui si trovano», dissi come se volessi discolparmi da qualcosa.

Questo scambio di battute si svolse tramite sussurri, e quando mi girai verso Edward trovai il suo viso vicinissimo al mio. Subito entrambi ci allontanammo imbarazzati ed io mi schiarii la voce per farmi notare dagli altri.

Si girarono tutti verso di noi e mi salutarono allegri, tranne Emmett che aveva una voce da funerale.

La mattinata passò così, nel giardino stupendo di Rose e Jazz, con prato inglese, piscina, comode poltroncine e un dondolo, parlando del più e del meno e rilassandoci.

All'ora di pranzo David tornò a casa sua e mentre Rose lo accompagnò alla porta, tirammo un sospiro di sollievo.

Emmett non aveva parlato per tutta la mattinata, lanciando qualche frecciatina verso la nuova coppietta e facendo lo scontroso. L'aria che si respirava era insostenibile.

«Emmett si può sapere cosa ti prende? Se continui così anche nel pomeriggio puoi tornartene pure a casa tua!». Rose appena tornò iniziò a sbraitare contro il povero Emmett.

«Non mi prende un bel nulla! Il weekend è per noi e tu inviti quel damerino da quattro soldi! Potevate anche andare da un'altra parte per sbaciucchiarvi e stare appiccicati come delle cozze allo scoglio!». Emm tirò fuori il suo risentimento per la mattinata.

Rose si avvicinò a lui puntandogli un dito nel petto e gridò ancora di più.

«Io faccio quello che voglio con il mio ragazzo hai capito?! Si da il caso che non facessi nulla di così diverso da quello che stava facendo tua sorella! Ma come diavolo sei diventato? Non ti riconosco più!», rispose Rose.

«Sono io che non ti riconosco più Rose! Da un giorno all'altro hai iniziato ad ignorarmi e starmi il più lontano possibile! Non mi rivolgi la parola se non sei obbligata! Sei arrabbiata con me da più di due mesi, eppure non ho fatto nulla!», urlò Emmett alzandosi dalla sdraio. La sovrastò in altezza di almeno venti centimetri, e Rose era alta un metro e settantacinque!

Nessuno dei presenti osò intromettersi, non avevamo nemmeno il coraggio di andarcene. Conoscendoli saremmo dovuti intervenire per mettere fine al litigio, altrimenti potevano continuare a discutere per tutta la giornata!

«Ti sei mai chiesto il perchè? Sei mai venuto a chiedermi qualcosa?! Ora non fare la persona che si sente ferita!», disse Rose inviperita.

«Certo che mi sento ferito! Mi sono chiesto centinaia di volte cosa avesse rotto il nostro rapporto, ma non ho mai trovato una risposta. Ti credevo un'amica e invece ti sei rivelata tutt'altro!». Emmett stava entrando nel nocciolo della questione. A questo punto spettava a Rose decidere se rivelargli la verità o chiudere qui il discorso.

«Un'amica?! Quando mai il nostro rapporto è stato da normalissimi amici? Due amici si baciano secondo te?!». A questa rivelazione rimanemmo a bocca aperta. Rose non aveva mai raccontato nulla su questo bacio!

«Cosa?! Vi siete baciati?! Quando? Come? Dove? E perchè io non ne so nulla?». Alice partì con la sua sfilza di domande. Solo Jazz, al suo fianco, riuscì a zittirla, anche se, comunque, entrambi non la calcolarono minimamente.

Edward era di fronte a me e avevo notato quanto tutto questo lo avesse lasciato impassibile, fino alla scoperta del bacio! Questo aveva sconvolto anche lui.

«Rose ne avevamo già parlato prima che tu partissi. Non mi sembrava che la cosa ti avesse sconvolto tanto. Ti ho chiesto scusa mille volte per la mia aventatezza di questa estate! É questo che ti ha fatto comportare così nei miei confronti? Se è così mi dispiace. Vorrei che tornasse tutto come prima!», disse Emmett animato da un forte fervore.

E così il bacio era avvenuto durante la mia vacanza nello Utah?!

Seguimmo lo scambio di battute come se fosse stata una soap opera. Volevo con tutta me stessa che finalmente risolvessero i loro problemi e questo weekend poteva aiutarli.

«Non capisci?! Niente può tornare come prima! Qualcosa nel nostro rapporto si è rotto! Il nostro equilibrio è svanito quando abbiamo varcato quella soglia!», disse Rose.

Entrambi avevano abbassato il tono di voce e Rose era indietreggiata di qualche passo, trovandosi vicino al bordo della piscina. Ancora qualche passo e sarebbe caduta in acqua.

«Non puoi dire una cosa del genere Rose! Non sopporto più questa situazione che si è venuta a creare tra noi, voglio, anzi pretendo, di risolvere i nostri conflitti», esclamò Emmett amareggiato.

«Emmett perchè non vuoi capire? Non si può risolvere nulla, come te lo devo dire? Non riesco e non voglio! Non mi sentirei più a mio agio con te. Ora mi va bene il nostro rapporto ridotto al minimo. Sto meglio io!». Rose era davvero esasperata. Continuò a gesticolare e la sua voce si incrinò sempre di più. Non aspettò la risposta di Emmett, aprì la portafinestra e rientrò in casa a passo sostenuto, lasciando lui sconvolto e senza parole.

Erano arrivati ad un bivio, o prendevano una strada, che li avrebbe resi felici, oppure l'altra, quella che li avrebbe segnati per sempre. A questo punto non potevano tornare indietro.

Per tutto il pomeriggio ognuno si fece gli affari propri. Il litigio avvenuto all'ora di pranzo aveva sconvolto un po' tutti. Rose ed Emmett si erano chiusi nelle camere da letto. Jazz ed Alice erano usciti ed io ero rimasta in sala a guardare la tv. Edward, invece, era sparito. Verso le diciotto decisi di spegnere la tv, dov'era iniziato il programma di Oprah Winfrey, e andai a prendere una boccata d'aria nel meraviglioso giardino della villa. Avevo tutta l'intenzione di sedermi sul dondolo e rilassarmi, ma appena arrivai lo trovai occupato.

Edward stava leggendo un libro; aveva la fronte corrugata e ogni tanto rilasciava un piccolo sospiro. Non si era accorto della mia presenza e ne approfittai per leggere il titolo del libro.

«Acqua agli elefanti, scelta interessante». Al suono della mia voce sobbalzò e mi guardò dritto negli occhi.

I suoi occhi erano di un verde intenso, non acquoso come solitamente erano gli occhi di quel colore.

«L'hai letto anche tu?», mi chiese dolcemente.

«Sì, è uno dei miei libri preferiti. L'ho appena prestato ad Alice, anche se dubito che lo leggerà», dissi sorridendo.

«Allora questo deve essere il tuo libro. L'ho visto in camera di Alice e mi ha incuriosito. Ho iniziato a leggerlo ieri sera ed è difficile staccarsi da questa lettura. Posso tenerlo finchè non lo finirò?», mi chiese.

Edward ed io stavamo facendo progressi. Le nostre conversazioni erano sempre più lunghe.

«Certo! Appena lo finisci voglio assolutamente sapere cosa ne pensi», gli dissi contenta di aver trovato qualcosa in comune con lui.

«Ci sto! Vuoi sederti?», mi chiese battendo la mano nel posto vuoto affianco a lui.

«Se non ti disturbo», dissi titubante.

«Figurati! Mi fa piacere un po' di compagnia».

Okay, ero davvero sorpresa. Da quando Edward voleva la mia compagnia?

«Ehi, non guardarmi così! Mi fai sentire come un antipatico, scortese che vuole sempre stare da solo!», disse mentre mi avvicinai e presi posto al suo fianco. Lui dolcemente allargò la coperta con la quale si stava coprendo dal freddo e la posò su di me.

In effetti il suo discorso non faceva una piega, ma che cavolo! Mi ha sempre ignorata e trattata come una semplice conoscente!

«Però, ammetterai tu stesso che con me non sei mai stato molto espansivo», le parole mi uscirono di bocca prima che potessi fermarle; «Insomma, sei sempre stato così scostante, a volte mi sono chiesta se ero io il problema», conclusi tristemente.

«No, Bella, non pensare mai più una cosa del genere! Non c'è niente che non vada bene in te, credimi». Il suo tono si fece improvvisamente accalorato, pieno di sentimenti repressi. «Io... non riesco molto ad aprirmi con gli altri... posso essere considerato un asociale, ma chi mi conosce veramente sa che sono semplicemente chiuso e abbastanza timido». Abbassò gli occhi, ma io continuai a fissare il suo viso.

«Tu non dai modo agli altri di conoscerti, nemmeno a me. In fondo ci conosciamo da quando eravamo nella culla», dissi semplicemente come se fosse una constatazione.

In qualche modo le parole dovettero smuovere qualcosa in lui, perchè mi strinsi leggermente al suo fianco per il freddo, si girò completamente verso di me, poggiando un braccio dietro la mia schiena, e mi fece una proposta che mi lasciò spiazzata.

«Lo so, Bella, mi dispiace e a volte vorrei tanto poter tornare indietro, ma non si può. Ora possiamo... posso... provare a recuperare. Potremo iniziare a conoscerci e a diventare amici», mi disse timidamente.

A questa sua proposta i miei occhi si illuminarono come i suoi. Per la seconda volta pronunciò il mio diminutivo e lo fece in modo così musicale e perfetto da farmi venire i brividi!

Ero felice di poter iniziare ad instaurare un vero rapporto con Edward. Era sempre stato un sassolino nella scarpa il fatto che avessi legato con tutti nel nostro gruppo tranne che con lui, senza mai capirne il perchè poi!

«Mi piacerebbe molto Edward!». Quasi urlai la risposta alla sua proposta, tanta era la gioia che sentivo dentro di me.

Lo abbracciai di slancio, mi resi conto dopo della mia avventatezza, ma quando stavo per tirarmi indietro, Edward ricambiò allacciando le braccia intorno a me. Mi sentivo così bene, così a mio agio con lui. Prima d'ora non lo avrei mai pensasto possibile, eppure avevo le braccia strette intorno al suo collo e le sue intorno alla mia vita.

Rimanemmo per un po' di minuti stretti nel nostro abbraccio e poi ci staccammo lentamente. Non c'era imbarazzo tra noi.

«Sono molto espansiva e ti ci dovrai abituare», gli dissi sorridendo e lui fece lo stesso.

«No problem!». E si mise a ridere.

In effetti la situazione era alquanto strana e insolita, ma non sarei tornata indietro per nulla al mondo!

«Ora, visto che dobbiamo recuperare un po' di anni, direi di iniziare a parlare a macchinetta». Volevo sapere tutto di lui!

Parlammo per ore di tutto ciò che ci passava per la mente, senza mai essere in imbarazzo. Mi piaceva il suo modo di fare, come gesticolava quando qualcosa lo innervosiva, il suo sguardo intenso e come puntava i suoi occhi verdi nei miei castani. Quando mi guardava sentivo nascere in me emozioni nuove, mai provate prima d'ora e non sapevo come gestirle.

Il contatto fisico tra noi non era un problema, eravamo sciolti, se ci sfioravamo scattava una scossa elettrica tra noi, eppure eravamo così presi dalla conversazione da non farci caso, o almeno non cercavamo di cadere in silenzi imbarazzanti.

La nostra chiaccherata venne interrotta da Alice e Jasper, i quali vennero a chiamarci per preparare la cena, o meglio Alice mi venne a chiamare per cucinare, visto che lì tranne me e Rose, la quale però cucinava solo dolci, nessuno sapeva muoversi tra i fornelli. Questo era quello che pensai finchè Alice non fece riferimento anche ad Edward per la preparazione della cena.

«Ed, non provare a proporre nuovamente la pasta al forno, è da tre giorni che insisti nel cucinarla!», disse Alice rivolta a suo fratello. Al che io mi girai verso di lui e chiesi spiegazioni.

«Tu sai cucinare?», chiesi ad Edward meravigliata.

«Sì, ho dovuto imparare da mia madre, quando i nostri genitori partono per dei convegni sulla medicina tocca a me cucinare», mi rispose imbarazzato grattandosi la nuca. «Te li immagini Emmett ed Alice ai fornelli? Saprebbero solo combinare dei guai, rischiando così di incendiare la cucina!», proseguì.

All'ultima esclamazione di Edward scoppiai a ridere, soprattutto quando Alice si offese e cercò di trovare delle scuse per la sua incapacità in cucina.

«Questo significa che stasera sarete voi due i cuochi di casa Hale!», ci disse Jasper, contento di non dover fare nulla. Non che ne fosse capace!

«Okay, allora entriamo e vediamo cosa cucinare stasera. Emm e Rose sono ancora chiusi nelle loro stanze?», chiesi alla coppietta felice.

Edward di certo non poteva saperlo visto che era stato tutto il tempo con me.

«Sì, non sono ancora usciti da quelle maledette stanze! Dovremo andare a chiamarli, non è che potete andare voi?», domandò Jasper. Okay, Jazz se ne stava approfittando! Prima l'obbligo di cucinare e poi di andare a chiamare quei due, che erano imbestialiti!

«Ma scusate un attimo! Voi due non dovete fare nulla, mentre noi in teoria dovremmo cucinare! Perchè non andare voi a chiamarli?», rispose Edward agitato. Bravo Edward, ero totalmente dalla sua parte!

«Perchè noi... Ehm... Dovremmo andare a buttare la spazzatura!», esclamò Alice. Scusa peggiore non la poteva trovare!

«Ma quale spazzatura Alice?! Non trovare scuse! Voi andate a chiamare gli altri due della banda, senza fare storie!», dissi muovendo la mano per farle capire che la mia posizione era irremovibile.

«Okay», rispose Alice sbuffando. «Penso che potremo fare questo sforzo per una volta!». Prese Jasper per mano ed entrammo tutti in casa.

Edward ed io ci dirigemmo in cucina per aspettare gli altri e decidere cosa cucinare, mentre Jazz ed Alice presero la direzione opposta alla nostra verso le scale, per salire e chiamare Rose ed Emm.

La cucina degli Hale era molto bella, su tonalità color crema, con la penisola in marmo nero; molto diversa da quella di casa mia, dove la mania di Renèe per i colori aveva surclassato la sobrietà di Charlie, comprando una cucina orribile, con sportelli giallini, ante verdi e tavolo rosso, un vero obrobio. Io stessa avevo detto a mia madre che quella cucina accecava gli occhi e di cambiarla, ma lei insistette dicendo che era bellissima e che metteva allegria.

Nel frattempo Edward si sedette su uno sgabbello posto vicina alla penisola e io mi misi seduta al suo fianco.

Aspettammo gli altri in religioso silenzio, ognuno perso nei propri pensieri.

Dopo neanche cinque minuti la combricola entrò in cucina. Rose ed Emmett non erano il massimo della compagnia con quei visi bui, ma almeno non litigavano più.

«Allora ragazzi, cosa vorreste mangiare stasera? Edward ed io saremo i vostri cuochi», dissi cercando di essere il più allegra possibile. La serata sarebbe stata al quanto complicata se quei due non si fossero rivolti la parola.

«Sono già le venti, quindi direi qualcosa di semplice e veloce», rispose Rosalie.

«Si, sono d'accordo con Rose», aggiunse Emmett fissandola intensamente. Stava cercando di attaccare bottone con lei, purtroppo anche lui sapeva quanto poteva essere testarda, infatti non si smentì nemmeno stavolta. Fece finta di non aver sentito le sue parole e si guardò le unghie con fare snob.

«Alice? Jasper? Voi che dite?», chiese Edward agli unici che non avevano ancora aperto bocca da quando erano entrati in cucina.

«Per noi va bene tutto, vero amore?», disse Alice rivolta verso Jazz, il quale annuì subito.

«Bene, allora tutti fuori dalla cucina, qui dobbiamo starci solo io e lui», indicai Edward; «Appena sarà pronto vi chiameremo noi, fate ciò che volete basta che sparite da qui».

Rimasti soli mi rimboccai le maniche, legai i capelli e mi voltai verso l'altro cuoco.

Lui mi guardò, come in attesa che dicessi qualcosa.

«Cosa vogliamo cucinare?», chiesi avvicinandomi a lui di qualche passo.

«Pizza? É semplice e veloce», mi rispose.

«Sì, direi che si può fare. Tu controlla se ci sono gli ingredienti, io intanto cerco la teglia».

Edward aprì il frigo, tirò fuori uova, lievito e acqua, poi aprì uno sportello senza trovare quello che cercava, ne aprì un altro e trovò la farina e la latta di pomodoro. Io trovai la teglia, altri utensili e li portai tutti sul tavolo, dove Edward aveva appoggiato il resto.

Iniziammo a impastare sempre in silenzio, un silenzio che si stava trasformando in imbarazzo.

Sapevo bene che, visto il suo carattere, Edward non avrebbe mai iniziato una conversazione. Ciò spettava a me.

«Allora... Hai già deciso in che college andare?», domandai. Era la prima cosa che mi era venuta in mente!

«No, non ancora, tu?», mi rispose.

«Mmh no, ho solo le idee abbastanza chiare su chi voglio diventare».

Come tutte le bambine, anche io sognavo di diventare veterinaria e prendermi cura degli animali. Questo sogno ben presto si trasformò in vera e propria passione verso quelle creature che non avevano voce e non potevano difendersi dai mal trattamenti di persone che potevano essere definiti solo dei mostri.

All'inizio del mio percorso scolastico a questa passione se ne affiancò un'altra: le lingue. Ascoltavo i genitori dei miei compagni stranieri sgridarli nella loro lingua madre e fantasticavo sul significato delle parole. Iniziai ad impegnarmi nello studio del francese e dello spagnolo, poi pochi anni fa cominciai ad interessarmi alla lingua italiana, molto difficile per noi americani da imparare, per questo presi lezioni private da una madre lingua.

I professori vedendo questa mia attitudine per le lingue a inizio anno mi dissero di pensare ad una possibile iscrizione nel college di lingue orientali del Carolina, con possibile sbocco in un lavoro di traduttrice o mediatrice.

«Ovvero?», mi chiese a sua volta Edward, continuando a cercare di stendere l'impasto della pizza sulla teglia.

«Mi piacerebbe diventare traduttrice o etologa e studiare i comportamenti degli animali, nonchè prendermene cura. Anche tu hai le idee abbastanza chiare?», domandai. Mentre parlai mi misi al suo fianco per aiutarlo a stendere la pizza, purtroppo con scarsi risultati.

«Sì, vorrei diventare assistente sociale», mi rispose lui.

«Cosa?!», esclamai forse troppo poco educatamente. «Scusa, io non voglio insinuare nulla, è solo che mi hai sorpreso. É un lavoro particolare per un uomo, voglio dire pensavo volessi diventare cardiochirurgo come tuo padre, oppure architetto come tua madre».

«Un giorno ti dirò il perchè di questa mia scelta», disse calmo, ma con una sfumatura triste in quella voce melodiosa.

Non volevo forzarlo a parlare, quindi cambiai totalmente argomento e indirizzai la conversazione su un campo neutro.

«Questo impasto non vuole proprio saperne di stendersi!», dissi allegra.

«Già», disse ridendo. «Sembra gomma! Forse abbiamo messo troppo olio nella teglia», suppose.

Lui cercò di tirare la pizza da una parte e io dall'altra, eppure non riuscimmo a farla rimanere attaccata ai bordi.

Era noto a tutti che la pazienza non era una caratteristica che mi apparteneva. Infatti, dopo neanche tre minuti mi stufai e sbuffando tolsi le mani dalla teglia schizzando Edward di olio.

Lui alzò lo sguardo sorpreso e fece lo stesso con me, non rendendosi conto che non era mia intenzione sporcarlo.

«Ti assicuro che non volevo!», dissi agitata, muovendo le mani davanti a me. Edward non era del mio stesso parere visto che aveva immerso le mani nel sacco di farina.

«Neanche io!», mi rispose sorridendo.

«E allora come ci è arrivata la tua mano nella farina?», gli domandai indietreggiando dal bancone, scontrandomi però con uno sgabbello. Ero in trappola.

«Posso assicurarti che non lo so!», disse facendo il finto tonto.

«Ti prego Ed!». La mia frase arrivò troppo tardi ed io mi ritrovai la faccia bianca, con la farina persino in bocca visto che stavo parlando. La sputacchiai e mi avvicinai a mia volta al sacco di farina.

«Se la metti così, che guerra sia!», dissi riempiendo di farina i suoi capelli ed il suo viso.

Quando osservai bene in che condizioni era scoppiai a ridere, subito seguita da lui. La nostra complicità era così bella e naturale, non avevamo bisogno di sforzarci per stare bene insieme.

Probabilmente furono le nostre risate ad attirare gli altri in cucina, che appena notarono la situazione iniziarono a lamentarsi di avere fame. Che egoisti!

«Visto che vi lamentate tanto potevate cucinare voi, oppure prendere ed andare fuori a cena!». Forse esagerai, anzi togliendo il forse esagerai davvero, ma dovevano sempre lamentarsi per tutto?! Non esistevano solo loro!

«Bella non mi sembra il caso di innervosirsi così! Abbiamo semplicemente detto di aver fame!».

«Lascia stare Alice, è solo irritata perchè abbiamo interrotto il suo momento con Edward! Non vale la pena innervosirsi così». Rose aveva ragione, ci aveva azzeccato, eppure poteva risparmiarselo! Doveva per forza dirlo davanti a tutti? Be', se pensava di imbarazzarmi si sbagliava di grosso!

«Sì, allora?!». Tutti rimasero ammutoliti dalla mia risposta, in primis Edward. Nessuno osò controbattere alla mia risposta. In compenso io ed Edward continuammo a preparare la pizza e alla fine nel silenzio più assoluto, interrotto solo da qualche commento mio e di Edward, finimmo di cucinare tutto quanto.

La tensione man mano lasciò il posto alle risate e tutti noi ci rilassammo. La serata passo tra giochi da tavola e tv, il tutto accompagnato dalle nostre chiaccherate. Fu una serata piacevole, nessuno osò tirare fuori argomenti di litigio e verso le due andammo a dormire.

Il primo giorno era stato duro in quella casa, tra la litigata di Emmett e Rose e il mio scoppio di nervosismo in cucina, ma nulla aveva intralciato il nostro proseguimento di serata.

 

  


Buon pomeriggio a tutti! Allora, come state? Lo studio, o il lavoro, ruba tempo? Per quanto mi riguarda sì, e molto, anche se per ora ho studiato davvero poco, siamo ancora agli inizi.

Innanzitutto grazie mille a tutte le persone che hanno recensito lo scorso capitolo, apprezzo davvero il tempo che sprecate per lasciare una recensione a questa storiella. Non so perchè, ma una delle parti che preferisco della pubblicazione è proprio avere un contatto con voi e rispondere alle recensioni.

Quindi, grazie mille! Non posso fare altro se non sperare che qualcuno abbia sempre voglia di seguire la storia e recensirla, mi fa piacere anche sentire qualcuno che non ha mai recensite, siete sempre i benvenuti ;)

Okay, dopo la mia parentesi passo a dire due cosine sul capitolo. Chi mi conosce sa che a volte divento logorroica, ma alla fine dimentico sempre qualcosa, che disastro che sono XD

Il titolo "I've been losing so much time (Ho perso così tanto tempo)" è riferito ad entrambe le coppie che più emergono in questo capitolo: Emmett e Rose, Edward e Bella. Anche se per motivi completamente diversi, tutti hanno perso tempo, può essere considerato prezioso o solo un modo per arrivare al traguardo.

Per il resto non ho molto da dire, aspetto i vostri pareri e se c'è qualcosa che non ho spiegato bene sarò felice di rispondere alle vostre domande.

Il capitolo non è betato, perdonate i miei erroracci, in tutta sincerità non l'ho nemmeno ricontrollato, ma appena SerenaEsse ha il tempo di betarlo lo sostituisco a questo.

Ho creato insieme a Serena un contest, se volete passarci ci fa molto piacere: Il nastro rosso.

Per chi segue Rules of attraction non ho idea di quando posterò il prossimo capitolo, ma spero in settimana di postare, massimo la prossima avrete il capitolo.

Prossimo capitolo: lunedì! Se vi fa piacere dalla prossima volta metterò uno spoiler del capitolo successivo.

Ultima cosa, mi è stato fatto notare che i capitoli sono troppo lunghi (massimo arrivo alle otto/nove pagine di word), volete che taglio i capitoli?

Dopo questo sproloquio che non avrà letto nessuno la pianto e me ne vado. Aspetto i vostri commenti!

Kiss :***

Ps conoscevate la canzone? Vi piace?

 

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Capitolo 3
*** All the right moves ***


All the right moves

La più grande felicità nella vita è la convinzione di essere amati per quello che siamo, o meglio, nonostante quello che siamo. Herman Hess

Mi svegliai con il sole che filtrava dalle finestre, formando una scia di colori nella stanza riflessi sullo specchio di fronte al letto. Mi girai per controllare la sveglia posta sul comodino e notai che era abbastanza presto vista l'ora in cui mi ero addormentata. Erano esattamente le nove e cinquanta e probabilmente dormivano ancora tutti.

Mi alzai, mi preparai e uscii dalla stanza. Nel corridoio incontrai Edward, a quanto pare non ero l'unica ad essemi già svegliata.

«Ciao Ed!». Lo baciai sulla guancia e lo vidi arrossire leggermente, come era tenero!

«Ciao Bella».

«Su andiamo a fare colazione, sto morendo di fame». Gli presi la mano e lo trascinai giù in cucina senza dargli il tempo di opporsi o parlare.

Mi piaceva il contatto con la sua pelle liscia e calda. La sua mano copriva interamente la mia, che sembrava scomparire dentro la sua. Sembrava un po' imbarazzato dal mio atteggiamento, ma non mi parve infastidito, altrimenti avrebbe scansato la mia mano.

Arrivati in cucina trovammo tutti seduti intorno all'isola e rimasi stupita del fatto che fossero già svegli. Edward sembrava ancora più in imbarazzo dalla nostra apparizione insieme e dal nostro atteggiamento, e mi strinse più forte la mano.

«Era l'ora che vi svegliaste! Stavamo aspettando solo voi due! Abbiamo deciso di passare tutta la giornata insieme e quindi dobbiamo decidere cosa fare». Alice era già su di giri e si notava dal suo parlare a macchinetta.

«Be', io pensavo che fosse ancora presto vista l'ora in cui siamo andati a letto». Perchè la mia risposta suonava tanto come una giustificazione?

«Bella non trovare scuse! Stanotte avevamo ribadito di non alzarci troppo tardi per passare una bella giornata fuori!». Rose era ancora sul piede di guerra, dopo la mia risposta di ieri sera in cucina? Dal suo tono iroso sembrò proprio così.

«Me ne sono scordata». Mi grattai la nuca imbarazzata dalla mia dimenticanza.

Mi accomodai vicino ad Emmett e mi accorsi che non avevo ancora lasciato la mano di Edward. Notando il mio sguardo fisso sulle nostre mani intrecciate, Edward, sfilò la sua delicatamente dalla mia presa, accomodandosi anche lui vicino alla sorella.

Jasper mi servì una tazza di tè e mi disse di prendere pure quello che desideravo dal vassoio. Iniziai a mangiare una brioche alla crema e ascoltai attentamente le idee che tutti stavano tirando fuori per la giornata. Edward non aprì bocca proprio come me, ma per lui non era una cosa insolita. Era piuttosto taciturno e interveniva raramente nei discorsi altrui, a meno che non si chiedesse specificamente la sua opinione. Ho sempre pensato che si trovasse a disagio con tutti noi, ma più lo osservavo e più mi rendevo conto che non era così, semplicemente era chiuso verso il mondo esterno e finora non si era ancora aperto con nessuno.

«...Bella?». Emmett mi chiamò, ma non riuscii a capire l'intera frase presa com'ero dai miei pensieri.

«Scusa Emm, non stavo seguendo il discorso». Lui mi guardò e rise sotto i baffi, come se sapesse esattamente che non avevo capito un tubo di tutto ciò che stavano dicendo e lo avesse fatto di proposito ad interpellarmi.

«Cosa ne pensi se passassimo la giornata al parco?». Rose mi ripetè la domanda gentilmente.

«Non lo so, ci andiamo spesso. Non possiamo fare qualcosa di diverso?». Il mio tono lamentoso fece alzare gli occhi al cielo alle due ragazze di fronte a me, mentre Emmett come al solito prese tutto come un gioco e rise, di cosa poi non lo scoprii mai.

«Io sono d'accordo con Bella. Potremo fare una gita al mare». Tutti rimasero sorpresi dall'affermazione di Edward, io, invece, gli sorrisi raggiante per il suo appoggio.

«Bell'idea fratello! Non sarebbe male cambiare un po'. Io voglio fare il bagno!». Emmett accolse con entusiasmo la proposta di Edward e anche gli altri diedero il loro consenso.

Anche se eravamo nel mese di novembre a Savannah, grazie all'Oceano Atlantico, il clima prevedeva sempre sole e caldo per la maggior parte dell'anno. Difficilmente le temperature erano fredde, quindi un bel bagno ci poteva stare per chi volesse.

«Dobbiamo preparare tutto in fretta e partire, ci aspettano qualche ora di macchina se vogliamo andare alla solita spiaggia». Alice iniziò a dare disposizioni su come dovessimo organizzarci. Quella ragazza era un vero e proprio vulcano! Nessuno si mosse dalla tavola, tutti dovevamo finire di fare colazione e lei si innervosì. Jasper cercò di calmarla sussurrandole qualcosa all'orecchio qualcosa e questo non passò inosservato ad Emmett che intervenne con le sue solite battutine maliziose.

Edward di fronte a me scosse il capo esasperato da Emmett ed Alice, poi notando che lo stavo fissando mi sorrise e abbassò il capo.

«... i costumi, da mangiare e...». Edward interruppe la lista della sorella aggrottando la fronte in un espressione concentrata.

«Alice, allora dobbiamo passare da casa quasi tutti». Non capivo la frase di Edward, ma poi mi si accesse una lampadina e capii che nella lista di Alice molte cose erano impossibili se prima non avessimo fatto un cambio di vestiti, visto che eravamo tutti a casa di Rose e Jazz per il weekend.

«E perchè mai?». Alice era sempre la solita, partiva in quarta senza mettere la prima, la seconda e la terza! Tutto per lei era come un fulmine a ciel sereno, progettava alla velocità della luce senza pensare a nulla.

«Siamo ancora a casa Hale se te ne fossi dimenticata, Alice, quindi non abbiamo le cose per il mare, compresi i costumi». Edward si comportò come se avesse di fronte una bambina a cui dovette spiegare per bene le cose. Mi fece ridere e cercai di cammuffare la risata dietro a un colpo di tosse. Non passò inosservato ad Alice che mi lanciò un'occhiataccia.

«Ci ho già pensato e a voi maschietti presterà qualcosa Jazz, mentre a me e a Bella presta qualcosa Rose».

«Sorellina, vorrei ricordarti che io sono il doppio di Jazz! Come pensi che potrebbe starmi un suo costume?!» . In effetti Emmett non aveva tutti i torti. Lui aveva una corporatura imponente e dei muscoli invidiabili. Anche se Jazz non era mingherlino e lui stesso era messo bene, non poteva competere con il fisico di Emmtt. Solo ad Edward poteva andare un costume di Jazz.

«Non mi interessa, Emmett! Te lo farai stare, non voglio perdere altro tempo!». Alice a volte era davvero una dittatrice.

«Ma Alice non mi enterà manco dalle gambe!», si lamentò Emm sbuffando. La piccola di casa dava sempre ordini ai fratelli, i quali per non farla arrabbiare acconsentivano sempre, anche perchè era la loro unica sorellina.

«Emmy, ti prego, perderemo troppo tempo se dovessimo andare a casa», gli disse Alice con gli occhi da cuccioli ai quali nessuno sapeva resistere.

«Ma Alice...». Venne interrotto da una voce femminile, che da un po' era rimasta muta.

«Lascia perdere, ti darò un costume di papà». Rose per la prima volta dal pomeriggio precedente rivolse la parola ad Emmett e in tutta la cucina calò un silenzio carico di sorpresa.

Il signor Hale era un uomo molto robusto e alto, sicuramente poteva andargli un suo costume, anche se non potevo immaginare di che genere potesse essere, sicuramente non adatto ad un ragazzo.

Emmett rispose un impacciato okay e tutti andammo a prendere le nostre cose nelle rispettive camere.

Quando tornai di sotto trovai Alice che cercava di mettere di tutto in un cestino da pic-nic troppo piccolo o già troppo pieno. Andai a darle una mano e riempimmo altri due cesti insieme a Rose. I ragazzi, invece, cercarono di caricare tutto l'occorrente nella macchina di Edward, una Volvo XC60 molto spaziosa. Avevamo deciso di andare con due macchina: quella di Edward e quella di Jasper.

«Allora come ci organizziamo nelle macchine?», chiese Jasper, consapevole che nella sua macchina ci sarebbero stati lui ed Alice e nell'altra Edward, quindi la domanda era rivolta più a Rose ed Emm e infine a me.

«Io vado con Edward», dissi consapevole che a questo punto Emm e Rose erano costretti a stare in macchina insieme, visto che in quella di Edward non ci stava più nessuno da quanto era stata caricata..

Edward rimase sorpreso dalla mia voglia di andare con lui, ma non si oppose. Mi infilai subito in macchina e partimmo, lasciando gli altri indietro.

«Non voglio immaginare nemmeno quante maledizione ti starà tirando Rose per questo tiro mancino», mi disse Edward. Io rimasi un attimo zitta per riflettere sulle sue parole non trovando un senso.

«Perchè?», chiesi abbastanza confusa.

«Sì, per averla costretta ad andare in macchina con Emmett. Lui di sicuro ne sarà felice e ti ringrazierà». Edward aveva frainteso il perchè io volessi andare con lui in macchina, non avevo pensato minimamente a Rose ed Emm, la mia non era una trappola per loro.

«Io non l'ho fatto per loro due, avevo semplicemente voglia di stare in tua compagnia». Vidi Edward sgranare gli occhi continuando a fissare con attenzione la strada.

Per un po' nessuno parlò ed io lo osservai guidare. Osservai il modo in cui cambiava marcia con decisione e come scalava. Osservai il modo in cui fletteva la gamba sinistra per schiacciare la frizione e come muoveva il braccio sempre sinistro per tenere il volante.

Il nostro silenzio da piacevole si fece imbarazzante ed Edward mi chiese se volessi ascoltare un po' di musica. Alla mia riposta affermativa accese la radio, sintonizzata su una stazione che dava sempre canzoni di successo. La stazione trasmise una canzone che ascoltavo spesso ultimamente Paradise e mi misi a canticchiarla a bassa voce. Mi accorsi che anche Edward stava facendo lo stesso e quindi ci mettemmo a cantare insieme a sguarcia gola. Lui era molto intonato, mentre io sembrava che volessi solo rompere i vetri dell'auto. Il canto non era una dote che possedevo, anche se mi piaceva molto.

Dopo Paradise dei Coldplay fu il turno di All the right moves dei One Republic e anche qui cantammo ridendo delle mie note stonate o dei pezzi che non sapevamo e cercavamo di inventare. Quando ormai non avevamo più fiato abbassai la radio per poter parlare e soprattutto sentire Edward, visto che la musica era davvero altissima e spacca timpani.

«Non sapevo avessimo gli stessi gusti anche in fatto di musica oltre che di libri. Chissà quante altre cose ci accomunano!». Ero entusiasta di avere così tante cose in comune con lui. La nostra chiaccherata del pomeriggio prima ci aveva fatti conoscere meglio, ma c'erano ancora molte cose che volevo sapere di lui e piano piano, senza fretta, sarei riuscita a scavalcare quel muro che si intravedeva intorno a lui.

«Neanche io l'avrei mai detto. Forse una cosa che non sai è che mi piace anche la musica classica, non tutta ma solo alcuni autori che si avvicinano di più al mio stile».

«Al tuo stile?».

«Già, io suono il pianoforte e qualche volta la chitarra».

«Uaoh! Davvero?! Un giorno mi farai sentire qualcosa?».

«Non lo so, io non ho mai suonato in presenza di nessuno tranne Esme. É stata lei ad insegnarmi». Era imbarazzato al pensiero di esporsi così tanto in un momento in cui era più vulnerabile? Probabile visto il disagio che percepii nella sua voce. Decisi di non assillarlo.

«Da quanto tempo suoni? Probabilmente Esme ti avrà messo le mani sui testi ancora prima di imparare a camminare», scherzai sapendo l'adorazione di Esme per la musica classica e per il suo pianoforte ereditato dalla madre. Edward, invece, non capì la mia battuta e si intristì stringendo la mano posizionata sul volante e indurendo la liena delle labbra.

«Siamo arrivati». Scese dall'auto senza attendere una mia risposta e io subito scesi chiudendo la portiera e andando dal suo lato dell'auto.

Lo presi per un braccio facendolo voltare dalla mia parte e vidi i suoi occhi pieni di dolore. Non capii cosa mi spinse ad abbracciarlo, ma, comunque, lo feci ed Edward dopo un attimo di esitazione mi strinse a sé.

«Non volevo toccare un argomento delicato, scusami Edward». Mi sentivo in colpa per il suo stato e quelle scuse sussurrate nel suo orecchio valevano molto per me.

«Non devi scusarti Bella, non hai assolutamente detto qualcosa di sbagliato e non hai toccato nessun argomento delicato. Sono sceso perchè... ehm avevo un crampo alla gamba». Edward pensava davvero che mi bevessi una simile scusa? Lasciai correre e iniziammo a scaricare le cose dall'auto.

Nel frattempo arrivarono anche gli altri e insieme andammo in spiaggia. Non era molto affollata, c'era solo qualche famiglia qua e là. La spiaggia era molto grande e noi ci posizionammo vicino alla riva.

Due sedie sdraio erano entrate subito in possesso di Alice e Rose, mentre le altre due furono posizionate vicine ma rimasero vuote.

Era già ora di pranzo, ma Emmett insistette per fare un bagno, dicendo che avevamo fatto colazione tardi.

Dopo aver sistemato tutto Emmett fu il primo a vestirsi velocemente e correre in acqua. Il suo costume alla fine era normalissimo, azzurro senza nessun segno che ricordasse un costume da signore.

Jasper seguì Emmett a ruota e quindi rimanemmo solo io, Edward, Alice e Rose.

Rose aveva prestato un costume a me ed Alice. Alice aveva dovuto stringere parecchio i nodi che tenevano su il costume visto che era più piccola di statura rispetto a Rose, mentre io me la cavai abbastanza bene, tranne per il pezzo di sopra che stringeva leggermente sul seno. Non sapevo di avere una taglia in più rispetto a Rose!

Edward si tolse la maglietta a maniche corte bianca, i jeans che indossava e rimasi letteralmente a bocca aperta. La sua carnagione chiara risplendeva sotto il sole. Il colore candido della sua pelle contrastava con il costume nero di Jazz, che era leggermente stretto e strizzava il suo didietro in un modo a dir poco indecente. Visto che mi dava le spalle riuscii a scannerizzare anche la schiena e il modo in cui i suoi muscoli si flettevano quando si stiracchiò. Era assolutamente una visione! Non mi sarei mai aspettata che Edward avesse un fisico così ben proporzionato e allenato. Sicuramente vederlo in costume non era un bene per la mia mente, le immagini che mi scorrevano davanti agli occhi erano molto proibite.

Alice e Rose si misero a ridacchiare interrompendo i miei filmini a luci rosse. Mi girai a guardarle e le trovai intente a fissarmi, allora capii il perchè delle loro risatine. Arrossii peggio di un peperone e mi svestii in fretta per raggiungere i ragazzi in acqua e scappare da quelle due vipere, che sicuramente mi avrebbero fatto il terzo grado.

«Vado a fare il bagno, venite anche voi?», chiesi in generale.

«Oh no, noi stiamo qui, vai tranquilla con Edward», disse Rose in modo malizioso. Quella ragazza era più tremenda di Alice quando ci si metteva!

«Edward ti va di venire?». Mi rivolsi a lui cercando di non fissarlo troppo con l'alta probabilità che mi sarei incantata a fissarlo.

«Sì, certo».

Edward ed io andammo verso riva fianco a fianco. Una volta in acqua non raggiungemmo Jasper ed Emmett che stavano facendo gli stupidi al largo.

La nostra nuotata fu tranquilla, perlomeno all'inizio. Notai più volte Edward fissarmi attentamente, ma non ci feci molto caso e non cercai di capire la causa del suo sguardo.

Ad un certo punto persi Edward di vista e sentii la sua mano tirare la mia caviglia verso il fondo. Dalla sorpresa non feci in tempo a chiudere la bocca e una volta in superficie sputai tutta l'acqua che avevo ingoiato. Edward si mise a ridere e il suo sorrise illuminò tutto. Non mi arrabbiai e mi buttai addosso a lui per ripagarlo della stessa moneta, ma Edward era come una roccia, non riuscivo a farlo affogare.

«Perchè non... riesco a buttarti sott'acqua?!». Cercai di spingerlo per le spalle con tutte le mie forze, ma l'unica cosa che ottenni fu l'aumento della sua risata.

«Sei un po' debole, Bella». Le sue prese in giro mi fecero intestardire ancora di più.

Feci finta di allontanarmi da lui lasciandolo lì a prendermi in giro. Mi immersi sott'acqua e aggirando di parecchio il suo corpo riemersi alle sue spalle senza essere vista. Si guardava intorno, ma non riuscì a vedermi risalire. Prima che si voltasse mi buttai sulle sue spalle con tutto il corpo e per la sorpresa riuscii a farlo atterrare di pancia nell'acqua. L'unica pecca fu che lui avvolse le sue braccia attorno alle mie gambe spingendomi sotto con lui. Riemerse con me aggrappata alla sua schiena ed entrambi scoppiammo a ridere come due bambini.

«Sei riuscita ad affogarmi solo perchè mi hai colto di sorpresa!», mi disse Edward scrollando la testa e riversando tutte le gocce d'acqua sul mio viso.

«Sì, certo, trova mille scuse! Intanto ci sono riuscita e non importa come...».

«Bella! Edward! Avanti, venite che mangiamo!». Alice era sul bagnoasciuga che urlava a sguarcia gola per farsi sentire da noi due che eravamo parecchio distanti dalla spiaggia.

«Mi sa proprio che ci tocca andare prima che entri lei stessa in acqua per riportarci a riva». Edward però non si mosse.

«Sì, dobbiamo proprio andare», risposi.

«Bella?», mi chiamò Edward.

«Sì?».

«Ehm, dovremo andare...». Strinse la presa sulle mie gambe per farmi capire di scendere, ma io ero troppo comoda lì dov'ero.

«Sono molto stanca dopo averti affogato, ho speso tutte le mie energie». La mia voce melodrammatica lo fece scoppiare a ridere e mi resi conto che non avevo mai visto Edward ridere così tanto come quel giorno.

«E va bene signorina Swan, la porterà fino al suo asciugamano», mi disse divertito dalla situazione.

Mi aggrappai forte a lui e posai il mento sulla sua spalla, mentre lui avanzava nell'acqua. Quando iniziò a toccare coi piedi posò di nuovo le mani sulle mie gambe, che avevo stretto alla sua vita. Mi tenne saldamente mentre mi riportò dagli altri. Una volta sulla spiaggia cercai di scendere.

«Bella se continui ad agitarti ho come il presentimento che cadremo entrambi nella sabbia».

«Io volevo solo scendere, non vorrei pesare troppo».

«Sei leggerissima, stai tranquilla. E poi la sabbia brucia e non poco», mi disse dolcemente. Come ringraziamento gli lasciai un bacio sul collo e lo sentii rabbrividire e stringere la presa su di me.

Una volta sul mio asciugamano mi fece scendere delicatamente dalle sue spalle ed entrambi ci sedemmo lì.

Nessuno fece battute strane, nemmeno Emmett, anzi, con mio sommo stupore, si fece scappare una situazione tanto ghiotta.

«Ho preparato dei panini!», disse Alice tutta felice, mentre noi iniziammo ad agitarci sapendo che Alice non sapeva mettere insieme nemmeno prosciutto e formaggio in un panino.

«Ehm, amore mio, che ne dici se li rifacciamo secondo i gusti di tutti? Almeno ognuno si sceglie ciò che vuole». Jasper cercò di farci uscire da quel guaio associato ad Alice e cucina.

«Ma io ci ho messo così tanto a farli e poi conosco i gusti di tutti e so che a tutti piacciono questi panini». Non avevamo scampo, dovevamo mangiarli.

«Sì, okay, allora iniziamo a mangiare ho una fame da lupi!». Emmett aveva sempre fame, in ogni momento della giornata!

Alice questa volta non aveva combinato casini con il cibo. Tutto era squisito e le facemmo anche i complimenti facendola gongolare come una matta.

Nessuno fece il bagno dopo. Alice e Rose entrarono in versione lucertole, mentre Emmett si addormentò come un bambino piccolo dopo aver osservato per mezzora Rose.

Edward chiuse gli occhi e si rilassò, la stessa cosa fece Jazz, ma sapevo che nessuno dei due dormiva. Io mi annoiavo a morte. Non avevo nulla da fare, nemmeno un libro da leggere. Era questo che odiavo del mare, i periodi di stallo tra una cosa e l'altra: detestavo non far nulla!

Toccai il braccio di Edward e lo scossi leggermente per fargli aprire gli occhi: «Mi sto annoiando, che ne dici di una partita a carte? Le ho viste nella borsa di Alice».

«Sì, certo. Però mettiamoci sotto l'ombrellone, mi sento tutta la pelle bruciare». Guardai meglio la sua pelle e notai che in vari punti era molto rosso, se non avesse messo a breve una crema sarebbe andato a casa con una bella scottatura.

«Edward, devi metterti una crema, assolutamente! Stai diventando peggio di me e già io ho la pelle irritata dal sole!». Fece una smorfia alla parole crema, ma non volevo sentire ragione, quindi una volta sotto l'ombrellone presi la crema di sua sorella e iniziai a spalmarla sul suo addome arrossato, l'unica parte del corpo dove probabilmente il sole aveva picchiato di più.

Edward non disse una parole, chiuse gli occhi e iniziò a godersi il mio massaggio rilassato. Quando finii chiamai anche Jazz, nel caso volesse unirsi a noi, ma declinò l'invito e andò da Alice, prendendola in braccio per sedersi sotto di lei.

«A cosa vuoi giocare? Scala quaranta o macchiavelli?», chiesi ad Edward.

«Macchiavelli, anche se ho come l'impressione che ci metteremo un'eternità per chiudere una partita», dissi sorridendo.

Edward mischiò le carte e ne distribuì tredici sia a me che a lui. Il gioco iniziò e ben presto mi accorsi di essere in svantaggio con almeno venti carte in mano senza la possibilità di scendere.

Dopo tre partite ci stancammo di quel gioco. Gli altri si erano svegliati: Jazz ed Alice si stavano coccolando sulla sdraio; Rose ed Emm erano in silenzio e osservavano pensierosi il paesaggio circostante.

Era già pomeriggio inoltrato, ma nessuno se la sentiva di rientrare.

«Che ne dite di un falò sulla spiaggia? Ho già portato tutto l'occorrente nel caso si fosse presentata un occasione simile». Alice non sbagliava mai un colpo! Era sempre un passo davanti a tutti, mi chiedevo spesso come facesse.

«Io ci sto!», dissi entusiasta di passare altro tempo con tutti loro.

«Anche per me va bene», disse Rose alzandosi dalla sdraio per sgranchirsi le gambe.

Per Emmett e Jasper era ovvio che avrebbero risposto di sì, visto che per entrambi c'era una ragazza specifica per cui restare.

«Okay». Edward era stato di poche parole come al solito e quindi mi girai a vedere se era infastidito, ma lo trovai con un sorriso leggero sulle labbra.

«Forse dovremo avvisare a casa. I nostri genitori torneranno stasera». Emmett aveva ragione, nessuno aveva pensato a fare loro una telefonata da ieri.

«Mmm sì, chiamerò mia madre tra poco». Ultimamente i rapporti con i miei genitori si erano un po' raffreddati, non li vedevo praticamente mai.

«Io chiamo mamma tra poco, oppure puoi chiamarli tu Eddy», disse Alice.

«No, puoi chiamarli pure tu», gli rispose il fratello.

Ognuno fece le proprie chiamate, tutte brevi tranne quelle ai signori Cullen, i quali avevano insistito per parlare con Edward, che tutto imbarazzato rispose loro.

Avevo fatto caso all'atteggiamento di Esme e Carlisle nei confronti di Edward, era come se avessero un riguardo speciale per lui, ma né a Emm né ad Alice questa cosa pesava. Erano molto legati ad Edward, in modo molto speciale e tutto loro. Non gli facevano pressione anche se a volte si chiudeva in se stesso.

«Allora che ne dite di un bagno? Divertiamoci un po', su! Dopo inizieremo ad accendere il fuoco e cuocere le cose!».

«Emmett, la penso esattamente come te! Andiamo tutti in acqua!».

Urlando e ridendo ci buttammo tutti nell'oceano. Scherzammo e ridemmo per un lasso di tempo abbastanza lungo da vedere la luce del sole svanire piano piano.

La tensione tra Emm e Rose era notevolmente calata e non si fecero problemi a scherzare tra loro.

«Non so voi, ma io sto congelando», dissi con i denti che battevano. Eravamo abbastanza distanti dalla riva e non vedevo l'ora di coprirmi con qualcosa.

«Bella, hai le labbra viola! Devi uscire subito dall'acqua prima di sentirti male!». Edward era molto preoccupato. Nuotò verso di me e mi abbracciò per riscaldarmi. «Ragazzi noi andiamo. Vi aspettiamo fuori». Tenendomi stretta Edward iniziò a nuotare.

Una volta usciti dall'acqua mi avvolse nel suo telo da mare, sfregandomi le braccia e rimproverandomi dolcemente: «Bella, ma perchè non sei uscita prima?!».

«Edward va tutto bene. É solo un po' di freddo». Cercai di sminuire la cosa, ma non funzionò molto. Non lo avevo mai visto così preoccupato.

«Devi subito vestirti. Appena accenderemo il fuoco ti riscalderai maggiormente». Edward era così dolce con me. Lo era stato per tutto il giorno.

Arrivarono anche gli altri e le ragazze non erano messe tanto meglio rispetto a me. I ragazzi accesero subito il fuoco e noi ci mettemmo intorno con i palmi aperti su quella fonte calda molto piacevole in quel momento. Mi sentivo molto un pinguino.

«Alice, ma quante cose hai messo dentro questa borsa frigo? Hai per caso svaligiato tutto il frigorifero di casa Hale?», disse Emmett rivolto a sua sorella.

«Ho solo portato l'indispensabile. Sapendo quanto mangi non si può mica stare a contare le cose!». In effetti Emmett mangiava per tre!

«Devo mantenere il mio fisico possente», disse Emmett flettendo il braccio per far vedere i suoi muscoli. Tutti non riuscimmo a trattenerci dal ridere. Era il buffone del gruppo!

«Allora potresti iniziare a cuocere la carne, abbiamo tutti fame». Alice e suo fratello erano terribili, si punzecchiavano di continuo!

Questa volta furono i ragazzi a far tutto, servendoci anche le portate di carne. La serata era piacevole. C'era una leggera brezza fresca, ormai era notte e la luna che si rifletteva sull'oceano di fronte a noi. Era uno spettacolo incantevole.

Il sonno si fece sentire verso le undici. La giornata era stata molto piena, ma anche stancante. Gli occhi mi si chiudevano e guardando gli altri mi accorsi di essere l'unica che stava per addormentarsi.

«Bella, hai sonno?», mi chiese Edward.

«Sì, abbastanza», dissi a bassa voce sbadigliando.

«Forse è meglio se ci ritiriamo, che ne dici? Gli altri possono tornare dopo».

«No, non voglio rovinarti la serata, ci stiamo divertendo molto!». Non volevo che Edward se ne andasse solo a causa mia!

«Bella, per me non ci sono problemi. Inizio ad essere stanco anche io». Sapevo che la sua era una bugia, ma apprezzai molto il suo interessamento ed accettai di farmi riaccompagnare a casa.

«Bella è stanca. Noi andiamo, ma voi potete restare, basta che poi Jazz accompagni Alice ed Emmett a casa».

«Certo Edward, non preoccuparti ci penso io a loro. 'Notte ragazzi», ci disse Jasper.

Salutai tutti abbracciandoli e ringraziandoli per il fantastico weekend e poi andammo alla macchina. Ero davvero stravolta, non riuscivo a tenere nemmeno più gli occhi aperti.

«... Bella? Ehi, Bella?», sentii la voce di Edward chiamare il mio nome e due mani scuotermi delicatamente. Aprii prima un occhio e poi l'altro e vidi dietro a lui casa mia.

«Edward scusa, devo essermi addormentata. Non sono stata una buona compagnia, mi dispiace». Cercai di scusarmi, ma lui sorrise e scosse la testa.

«Non dirlo nemmeno per scherzo. Eri davvero stanca». Ad un tratto però mi si accese una lampadina in testa vedendo di nuovo la mia porta di casa.

«Edward, come mai mi hai riportato a casa? Ho la macchina dagli Hale e domani mattina...».

Edward mi interruppe: «Bella non saresti stata in grado di guidare. Se vuoi domani mattina ti passo a prendere io e ti porto a casa Hale, così puoi prendere la macchina».

«Grazie Edward, sei gentilissimo». Sorrisi e uscii dalla macchina con lui che mi teneva aperta la portiera. «Allora a domani. 'Notte Edward. » Lo abbracciai sentendo il suo profumo mischiato all'odore dell'oceano.

«Sogni d'oro Bella», mi sussurrò Edward nell'orecchio.

 

Ciao ragazze/i! Come state? Sì, sono un po' in ritardo, ma avevo promesso di pubblicare di lunedì e infatti eccomi qui.
Questo capitolo può essere visto da diversi punti di vista, succede tutto e niente. Per molti versi mi sembnra un capitolo quasi stupido, non mi convince e non so nemmeno il perchè. Spero vi possa piacere. Mi piacerebbe sapere le vostre opinioni, come sempre del resto!
Edward è un personaggio che deve ancora uscire fuori, ma penso che pian piano qualcosa di lui stia uscendo allo scoperto. Voi cosa ne pensate? E Bella?
Capitolo non betato!
Spoiler prossimo capitolo:

«Un'altra cosa in comune», gli sussurrai avvicinandomi a lui. Edward capì che mi riferivo alla conversazione avuta il giorno prima in macchina e mi sorrise complice.

«Cosa avete detto?», ci domandò Alice curiosa alternando lo sguardo tra me e suo fratello.

«Nulla», rispose prontamente Edward dirigendo la conversazione sulla squisita colazione che ci stava servendo la cameriera.

[...]

«E' buonissimo, ma resto della mia opinione: la brioches al mattino è la miglior delizia!». Questa volta fui io ad avvicinare alla bocca di Edward la brioches alla crema e fu lui a dare un morso. Osservai come la sua bocca sensuale addentasse la brioche e come masticasse e deglutisse in modo perfetto. Sembravo quasi una maniaca che osservava la fonte della sua ossessione.
 
BuonaBuonaBuona serata a  

 A lunedì prossimo!ABuona serata!
Kiss :***

 

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Capitolo 4
*** Never say never ***


NEVER SAY NEVER

Some things we don't talk about
better do without
and just hold a smile
falling in and out of love
a scene their proud of
together all the while
The Fray, Never say never

 

 

La sveglia suonò alle sette in punto. Irritata la spensi concedendomi i fatidici cinque minuti a letto, che, ovviamente, ogni mattina, si trasformavano misteriosamente in ritardi mostruosi. Si sarebbe verificata la stessa cosa quella mattina se non fosse stato per l'immagine di Edward che attraversò la mia mente confusa dal sonno. Doveva passare a prendermi!

Mi alzai di scatto fiondandomi in bagno. Per la prima volta non persi tempo facendo tutto velocemente, compreso dare una forma ai miei capelli boccolosi. Mi vestii velocemente, ma con cura. Indossai dei jeans stretti, una maglia blu scura abbinata a degli stivali e a una borsa scamosciata dello stesso colore. Non persi tempo con accessori e cose varie, prendendo al volo gli occhiali e correndo al piano di sotto.

I miei genitori stavano facendo colazione e per la prima volta in tutta la mia vita li sorpresi in silenzio, senza divertenti litigi o semplici chiacchere. Aggrottai la fronte preoccupata del loro comportamento e li osservai attentamente non trovando nulla di diverso in loro, tranne una sorta di freddezza che mi fece venire i brividi.

Non mi senitorono entrare in cucina e per non spaventarli tossii falsamente prima di salutarli allegramente.

«Tesoro non ti abbiano sentita arrivare ieri sera e questa mattina ci siamo preoccupati non vedendo la tua macchina nel vialetto. Sono venuta a controllare un'ora fa e dormivi profondamente», mi spiegò mia madre alzandosi per abbracciarmi. Era ben due giorni che non li vedevo e mi parve che qualcosa fosse cambiato. Forse non nel weekend, forse prima, fatto sta che da un po' di tempo li intravedevo di sfuggita a causa del loro lavoro e del tempo che mi impegnava la scuola.

«Sì, ieri sera ero davvero stanchissima, quindi Edward si è offerto di riaccompagnarmi a casa. Ho lasciato la macchina da Rose e Jazz, la vado a prendere ora». Salutai anche mio padre, impegnato a leggere il giornale con la sua fidata tazza di caffè in mano.

«Mam...». Venni intterrotta dal suono del campanello. Corsi verso la porta agitata e prima di aprirla mi guardai allo specchio posto al fianco del tavolino d'ingresso. Controllai che nulla fosse fuori posto e poi aprii la porta con un sorriso enorme sapendo già chi avrei trovato in veranda.

«Buongiorno, Bella!», disse un allegro Edward.

«Edward!». Mi allungai per abbracciarlo brevemente e baciarlo sulla guancia. Mi accarezzò leggermente i capelli prima che mi staccassi dall'abbraccio e mi sorrise. I suoi occhi erano accessi da una luce abbagliante. Il verde splendeva illuminando tutto ciò su cui si posavano i suoi occhi.

«Sei pronta?», mi chiese dolcemente. Annuii prendendo la borsa e urlando un "buona giornata" ai miei genitori, ricevendo in cambio un semplice "ciao". Sì, qui c'era qualcosa che non andava.

Chiusi la porta e con Edward mi avvicinai alla sua macchina. Mi aprì la portiera e la richiuse una volta entrata.

«Allora, passato una buona nottata?». Cercai un modo per fare conversazione prima di arrivare a villa Hale.

«Sì, anche se ho dovuto aspettare il ritorno a casa di Emmett ed Alice. Quando sono arrivato c'erano solo i nostri genitori», mi spiegò sereno. «Tu? Hai ripreso subito sonno quando ti ho lasciato sotto casa?».

«Oh sì, appena ho toccato il letto è stato come andare in paradiso», scherzai facendo ridere anche lui per la mia battuta alquanto stupida.

Arrivammo a casa Hale troppo presto per i miei gusti. Appena scesi vidi Jasper e Rose uscire di casa.

«Ehi, Rose, Jazz! Come mai così mattinieri?». Era abbastanza presto per i soliti orari di noi alunni pigri.

«Bella!». Rose mi abbracciò, anzi stritolò. «Sapevo che saresti passata, quindi ho deciso di venire in macchina con te. Jazz andrà con Edward. Ho già avvisato Alice e faremo colazione tutti insieme». Era la prima volta che i ragazzi accettavano di venire al nostro solito bar la mattina, prima di entrare a scuola.

«Perfetto, allora conviene muoverci prima che Alice inizi a tartassare tutti noi di chiamate. Sapete com'è fatta, sempre puntuale e odia i ritardatari», dissi ridendo. Alice è unica per tanti motivi, ma la sua pazzia era uno dei lati che più amavo di lei.

In macchina Rose mi parlò dei passi avanti che aveva fatto con Emmett. Ora riuscivano a parlare senza litigare o lanciare frecciatine provocatorie all'altro. Mi raccontò anche che nel pomeriggio si sarebbe vista con David, il suo ragazzo.

«Eccovi finalmente! Ma dove vi eravate cacciati? Sono ben dieci minuti che vi aspettiamo! Emm ha fame e voleva fare colazione senza di voi, meno male che l'ho minacciato che se toccava cibo gli avrei mozzato le mani!». Ed ecco il buongiorno di Alice appena arrivammo al tavolo del bar, dove Emmett era stravaccato su una sedia ancora con gli occhi mezzi chiusi, mentre Alice picchiettava con le dita sul tavolo, segno di nervosismo ed irritazione.

«Amore, non siamo poi così in ritardo, appena cinque minuti!». Alice fulminò Jazz che tentava di fare ammenda. Poi, però, si avvicinò tutta sorridente per baciarlo.

«Allora ordiniamo? Ho fame!», si lamentò Emmett come al solito.

«Certo piccolo...». Edward lo prese in giro e io mi aggregai alla sua risata. Era simpatico, peccato non facesse spesso parte delle conversazioni, mi sarei divertita molto di più.

«Ma guarda, il piccolo di casa fa del sarcasmo? Mica è colpa mia se voi ci avete messo un'eternità ad arrivare! Mi sono venuti i crampi allo stomaco!».

Arrivò subito una cameriera a prendere le nostre ordinazioni e mi sorpresi del fatto che Edward non bevesse il caffè come tutti gli altri, ma preferisse qualcosa di leggero esattamente come me.

«Un'altra cosa in comune», gli sussurrai avvicinandomi a lui. Edward capì che mi riferivo alla conversazione avuta il giorno prima in macchina e mi sorrise complice.

«Cosa avete detto?», ci domandò Alice curiosa, alternando lo sguardo tra me e suo fratello.

«Nulla», rispose prontamente Edward, dopodiché diresse la conversazione sulla squisita colazione che ci stava servendo la cameriera.

Alice non era convinta dalla risposta di Edward, ci scrutò attentamente, ma con una scrollata di spalle decise di lasciar perdere e spostò lo sguardo da me a Edward a Jasper.

«Mmh... Adoro le brioches», dissi dando un morso a quel meraviglioso dolce che avevo in mano.

«Io preferisco i cupecakes». Edward leccò la glassa sopra al dolcetto che teneva in mano e poi lo avvicinò alla mia bocca per farmelo assaggiare. Aveva uno sguardo un po' ansioso, pensava forse che mi facesse schifo?

Diedi un morso al cupecakes guardando Edward fisso negli occhi. Rimase sorpreso dal fatto che morsi il dolce esattamente nel punto in cui lo stesso poco prima aveva fatto la stessa cosa.

«É buonissimo, ma resto della mia opinione: la brioches al mattino è la miglior delizia!». Questa volta fui io ad avvicinare alla bocca di Edward la mia brioches alla crema e fu lui a dare un morso. Osservai come la sua bocca sensuale addentasse la brioche e come masticasse e deglutisse in modo perfetto. Sembravo quasi una maniaca che osservava la fonte della sua ossessione.

«E io rimango della mia: meglio il cupecakes».

Mi girai verso il mio tè e notai gli altri fissarci sconcertati. Non fecero domande e questo l'apprezzai molto.

Finita la colazione andammo a scuola e la mattinata sembrò non finire mai. Cinque ore di lezioni noiose e di professori talmente pesanti da farti odiare anche la tua materia preferita. La pausa pranzo sembrava lontanissima e per di più non incontrai nessuno dei miei amici per fare due chiacchere tra una lezione e l'altra.

La pausa pranzo era sempre più lontana per me, ma alla fine qualcuno ascoltò le mie preghiere: la campanella suonò e io uscii di corsa dalla lezione di storia americana.

Nel corridoio incontrai Emmett ed insieme andammo alla mensa. Al nostro tavolo non c'era ancora nessuno, quindi prendemmo il pranzo e ci sedemmo ad aspettarli.

I ragazzi iniziarono ad entrare, tutti tranne i nostri amici. Dopo un po' entrò Rose, la quale si diresse subito al bancone per cercare qualcosa in quell'ammasso di mangiare immangiabile. Mi voltai a guardare Emmett seduto al mio fianco e notai come fosse incantato dalla figura di Rosalie. Ci mancava la bava alla bocca ed era perfetto.

«Emmett, perchè non ti sei mai fatto avanti con lei?». Rimase sorpreso dalla mia domanda e con fatica staccò gli occhi da Rose per guardami.

«Non lo so nemmeno io», disse sospirando. «Forse la paura di un rifiuto può aver influito, o semplicemente il fatto di non volere che le cose cambiassero tra noi. Nella nostra cerchia Jasper ed Alice hanno avuto il coraggio di buttarsi e provare con il rischio di rovinare anche la loro amicizia; a loro è andata bene, ma io non sono come Jazz! Faccio cazzate anche senza volerlo, i rischi per me erano maggiori. Quando mi sono accorto di aver esitato per un tempo ben più lungo di quanto mi aspettassi era troppo tardi». La voce di Emmett era spenta ed il suo viso triste e malinconico mentre fissava Rose. Non ebbi modo di confortarlo perchè Rose si avvicinò svelta, quindi posai una mano sulla sua e la strinsi leggermente, ricevendo in cambio un sorriso di ringraziamento.

«Questa mattinata è stata tremendamente noiosa», disse Rose poggiando il vassoio con il cibo sul tavolo e sedendosi vicino ad Emmett.

«Almeno non sono l'unica a pensarlo», borbottai rigirando la forchetta nella pasta senza nessuna intenzione di mangiarla, sembrava colla!

Arrivarono anche Edward, Alice e Jazz e tra tutti l'unica ad essere allegra e piena di energia era Alice.

«Cosa sono quei musi lunghi! Su con la vita!».

«Certo, Alice, è facile per te, non sei mica tu quella che domani ha tre compiti in classe più una probabile interrogazione!».

«Ti sbagli Bella, anche io sono nelle tue stesse condizioni». Allora come faceva ad essere così di buon umore?!

«Siamo tutti pieni di verifiche», disse Edward, mentre posava i gomiti sul tavolo.

«Allora io propongo di studiare tutti insieme!».

«Io appoggio Jazz», disse Emmett. «Almeno ci sarà qualcuno che mi darà una mano in chimica.»

«Mi dispiace ragazzi, ma io non posso», disse Rosalie scocciata. Probabilmente anche lei ci teneva a ripassare insieme a noi.

«Perchè?», chiese Emmett confuso.

«Ho un appuntamento», rispose Rose senza specificare con chi, anche se dalla faccia che fece Emmett probabilmente lo intuì.

Intervenne Edward per stemperare la tensione tra i due, prima che scoppiasse un altro litigio. «Dove studiamo? Potete sempre venire a casa nostra, oggi non ci sarà nessuno.»

«Bene, ci vediamo nel parcheggio alla fine delle lezioni», confermò Alice correndo via al suono della campana, che segnava la fine della pausa pranzo.

Oddio, ora mi aspettavano ancora due ore di lezioni! Non potevo farcela!

«Che lezione hai ora?», mi domandò Edward al mio fianco. Stavamo percorrendo il corridoio diretti nelle rispettive aule. Sentivo tra noi una sorta di elettricità e ogni volta che per caso i nostri corpi si sfioravano un brivido percorreva il mio corpo. «Bella?» Oh giusto, la domanda!

«Ho inglese, tu?», risposi con la testa fra le nuvole. Eravamo quasi arrivati alla mia aula.

«Anch'io», disse entrando insieme a me. Ci sedemmo vicini aspettando che la professoressa, quella che più detestavo, entrasse e iniziasse quella benedetta lezione.

La lezione passò con strani sguardi che ci scambiavamo Edward ed io. A volte beccavo lui che mi fissava intensamente, altre volte era il contrario, fatto sta che per tutte le due ore di lezione non smettemmo un attimo di fissarci imbarazzati, a disagio ed in altri casi semplicemente sguardi e sorrisi complici.

A casa Cullen studiammo abbastanza da ritenerci tutti preparati per il giorno dopo. La situazione nell'ultima ora era abbastanza strana: Alice e Jazz continuavano a baciarsi e coccolarsi, tagliando fuori tutto il resto; Emmett continuava a fissare la porta nella speranza che Rose arrivasse dopo il suo appuntamento con David; mentre Edward ed io continuavamo a ripetere correggendoci a vicenza. Sì, eravamo i più noiosi.

«Che ne dite di una pausa? Esme ha lasciato una torta al cioccolato preparata da lei», disse Edward. Dopodiché si alzò e andò a prendere la torta. Tornò con dei piattini e delle bibite, poi portò la torta.

«Ma che bravo padrone di casa!». Mi piaceva prenderlo in giro, anche se lui la maggior parte delle volte sorrideva e basta.

«Ah mia madre è la dea della cucina!», confermò Emmett prendendo già il secondo pezzo di torta.

«Hai ragione Emm, mia madre, invece, non sa nemmeno cucinare un po' di pasta!», dissi mordendo la torta.

«Sapete cosa vi dico?», disse Alice. «Sono stufa di studiare, molliamo tutto e facciamo altro!».

«Ma se tu e Jazz è da più di un'ora che non fate nulla e state lì ad amoreggiare!».

«Dettagli, Emmett, dettagli!». Alice era davvero pazzesca, doveva sempre averla vinta!

«Okay, allora propongo...». Nessuno seppe mai cosa volesse dire Edward, perchè qualcuno si mise a bussare insistentemente alla porta principale di casa Cullen.

Il desiderio di Emmett si avverrò, alla porta, infatti, si trovava una Rose abbastanza agitata con gli occhi gelidi che avrebbero fatto sentire a disagio anche un cieco.

«Ehi, che succede? Non dovevi stare tutto il pomeriggio con David?», le chiese suo fratello Jazz. Rose al nome del suo ragazzo fissò il pavimento, sfuggendo agli sguardi di tutti.

Alice ed io ci scambiammo uno sguardo d'intesa. Entrambe avevamo intuito che era successo qualcosa tra David e lei. Ma, conoscendo Rose, non avrebbe mai parlato davanti ad Emmett e Jazz. Il primo a causa dei loro problemi e il secondo perchè, da fratello protettivo, avrebbe tentato di correre da David e ammazzarlo, se fosse successo qualcosa a sua sorella.

«Ora noi tre ragazze ce ne andiamo nella mia camera per parlare un po', voi state pure qui e vi avviso, se osate origliare i nostri discorsi nessuno vi salverà dalla mia furia. Chiaro?», domandò Alice. I ragazzi annuirono, anche se tutti sapevamo che la frase era rivolta solo ad Emm e Jazz, Edward non avrebbe mai fatto una cosa simile!

«Rose, aspetta! É successo qualcosa?», chiese Emmett quando eravamo già a metà scala diretti verso la camera di Alice.

Rosalie lo fissò in silenzio e poi scosse il capo continuando a salire dietro di noi.

La camera di Alice era enorme. Al centro della stanza contro il muro c'era il letto; ai due lati due porte conducevano una al bagno e l'altra alla cabina armadio. Sul lato sinistro del letto c'era una piccola libreria, Alice non amava leggere se non riviste, come confermavano gli scaffali, e libri sulla moda. Di fronte al letto il televisore al led dava alla stanza uno stile moderno e fresco.

Ci sdraiammo tutte e tre sul letto, come facevamo da piccole durante i pigiama party, e fissammo il soffitto in silenzio.

Rose dopo una manciata di minuti si decise a parlare: «David mi ha lasciata».

«Che cosa?!».

«Oh mio dio, Rose, mi dispiace!».

Io ed Alice esclamammo all'unisono le due frasi e ovviamente fu Alice quella meno delicata tra le due.

«All'inizio ho avuto la tua stessa reazione Alice», iniziò a raccontare Rosalie a bassa voce. «Le cose tra noi andavano così bene, certo, non eravamo innamorati, ma il rapporto stava prendendo una piega diversa, più seria. Non sono così sconvolta da volermi ingozzare di gelato, però è comunque una cosa che mi ferisce, mi chiedo dove ho fatto di male e cosa c'è di sbagliato in me da non riuscire a tenermi nemmeno un ragazzo!». Sia Alice che io non volevamo interrompere lo sfogo di Rose, finalmente si stava aprendo dopo mesi di silenzi e risposte evasive. Attendevamo dopo ogni sua pausa, senza pressarla o intrommeterci, sapendo bene che aveva bisogno di tempo e di chiarire le idee prima di parlarci.

Rose era sdraiata nel mezzo e quindi Alice ed io le prendemmo le rispettive mani stringendole fortemente, per darle un minimo di conforto. Sapevo che non stava soffrendo a causa di un amore perduto, ma semplicemente per una persona a cui ti affezioni e che sai non rivedrai più se non per sbaglio. Era comunque una perdita e questo la faceva soffrire, in più ora stavano uscendo fuori tutti i suoi dubbi e i suoi sentimenti repressi, la voglia di avere qualcuno al suo fianco, un qualcuno di cui conosceva già il nome, ma che riteneva impossibile.

«Siamo andati a Johnson Square, ci siamo seduti su una delle due fontane e abbiamo inziato a parlare del più o del meno. Avevo notato qualcosa di strano in lui, si toccava i capelli in modo nervoso, osservava in giro, tutto tranne che me! A quel punto gli ho chiesto cosa c'era che non andava e lui ha iniziato il solito discorso: "non sei tu, sono io...". Fino ad arrivare al punto in cui mi ha confessato che ha conosciuto un'altra ragazza ed è stato un colpo di fulmine, che non vuole prendermi in giro per questo è stato sincero fin dall'inizio. Insomma le solite cazzate!». Rose sfilò le mani dalle nostre e si mise a sedere, appoggiando la schiena contro la tastiera del letto. La osservai e mi sembrò così fragile da non sembrare nemmeno lei, ma solo la copia sbiadita della Rose combattiva e forte che avevamo imparato a conoscere ed apprezzare.

Purtroppo la mancanza di tatto di Alice colpì ancora, con un colpo perfetto e dritto nell'animo confuso di Rose: «Se non amavi David dov'è il problema? Certo, c'è pur sempre stato un tradimento e non va preso alla leggera in nessun caso, nemmeno se non si prova amore verso la persona che ti ha tradito, ma ti conosco e tu non sei così, non reagisci mai così! C'è qualcosa che non ci vuoi dire?».

Lei non rispose, rimase in silenzio a fissare assorta il copriletto blu del letto. Questo significava solo che nelle parole di Alice si nascondeva la verità.

«Sai che non ti giudicheremo mai, vero tesoro?», dissi sapendo bene che prima o poi si sarebbe aperta con noi, almeno questa volta.

«Sentir parlare David della ragazza di cui si è preso una bella sbandata, mi ha reso conscia più che mai di quello che io ho perso senza nemmeno lottare». La persona a cui si riferiva era senz'altro Emmett. Quei due erano dei veri testoni, entrambi convinti di aver perso, ma aver perso cosa? In amore non si può mai perdere, al massimo rimanere feriti, perdere il momento giusto, ma non si può parlare di un sentimento così forte in termini di competizioni. So che l'intento di Rose non era questo, ma c'era comunque qualcosa di fastidioso nel sentire una frase del genere, soprattutto conoscendo la situazione da vicino.

«Tesoro, tu non hai perso nulla! Hai lasciato che le cose accadessero come una spettatrice passiva!». Il mio tono di voce poteva risultare accusatorio, ma la mia voleva essere una semplice constatazione di come avevano agito senza far nulla perchè le cose cambiassero!

«Guarda me e Jazz! Anche noi eravamo nella stessa vostra situazione, ma non abbiamo lasciato che il nostro sentimento andasse in fumo per delle paure del tutto legittime, ma del tutto irrilevanti in confronto a ciò che potevate avere!».

«Alice, sveglia! Non tutti sono come voi due! Siete la coppia perfetta, tutta amore e niente paure! Avete deciso di rischiare, ma entrambi sapevate che i sentimenti erano ricambiati dall'altra parte, quindi è stato un ruschio solo per la vostra amicizia, non per la paura di un rifiuto!».

«Ed è qui che sbagli ancora! Voi non avete fatto nulla, nulla Rose! Come potevi sapere se avresti preso un bel due di picche?», disse Alice infervorata da quelle supposizioni del tutto errate che Rose ormai si era ficcata in testa.

«E poi ora cosa ti è rimasto? Solo il dubbio di poter vivere a quest'ora una relazione stupenda con il ragazzo di cui sei infatuata da troppo tempo!», continuai io cogliendo al volo l'opportunità di insistere sull'argomento, nella vana speranza che si decidesse a cambiare modo di vedere le cose tra lei e quel povero ragazzo disperato che era diventato Emmett negli ultimi tempi.

«Non lo so, ragazze, forse avete ragione, ma...».

«No, Rose! Nessun ma! Ti ricordi la chiaccherata che abbiamo fatto al bar il primo giorno di scuola? Lì eri decisa a conquistare Emmett, a provarci almeno! Dov'è finita quella ragazza forte e battagliera che sa quello che vuole?! Questa non sei tu, Rose, non ti abbatti per nulla! Ritrova lo spirito di quel giorno e prova ora, finchè sei in tempo. Non lasciare che la paura ti impedisca di scoprire se puoi vivere l'amore che hai sempre sognato!». Rose ed Alice mi guardarono sbalordite per la mia arringa e si lanciarono sul mio povero corpo abbracciandomi, anzi stritolandomi con le loro braccia sottili.

«E questo ci riporta a te mia cara Bella!», disse Rose maliziosamente staccandosi dall'abbraccio. Tutte e tre ci sedemmo a gambe incrociate sul letto, formando un cerchio.

«Non so a cosa ti riferisci», dissi facendo finta di nulla ed esibendo l'espressione più innocente che riuscissi a fare.

«Bella, non attacca con noi! Avanti parla, parla, parla!». Certo che Alice alle volte era davvero una macchinetta senza la possibilità di spegnerla!

«Se vi riferite a Edward...».

«Ma certo che ci riferiamo a quello! Non pensare che il vostro avvicinamento sia passato inosservato a tutti noi! Abbiamo solo preferito non interferire e cercare di non creare imbarazzi inutili», affermò Alice fissandomi con i suoi occhi azzurri, identici a quelli di Emmett.

«Vi ringrazio per non essere stati invadenti. Il fatto è che non c'è nulla da analizzare o cercare qualcosa dietro alla nostra amicizia. Ci siamo avvicinati è vero, abbiamo scoperto di avere interessi comuni e andare molto d'accordo. Questo è quanto vi dirò per ora», risposi cercando di non approfondire le spiegazioni, sapendo che entrambe non mi avrebbero fatto pressioni.

«Rispettiamo la vostra provacy, ma ti chiedo solo una cosa da sorella di Edward e non da tua amica: non farlo soffrire, la sua vita è già stata abbastanza complicata e dolorosa così». Trovai strana da parte di Alice un affermazione simile, ma annuii e non chiesi nulla preferendo cambiare argomento.

Non volevo cercare una definizione al rapporto attuale tra Edward e me. Era tutto così strano, che definirlo avrebbe sminuito la nostra amicizia, o come la si voglia chiamare.

Parlammo per ben due ore di tutto ciò che avevamo tralasciato di raccontarci da quando lo studio aveva assorbito quasi tutto il nostro tempo. Nessuna delle tre si accorse dell'ora che si era fatta, finchè i ragazzi non vennero a bussare alla porta, confermando che erano quasi le sette di sera.

«Io devo correre a casa! É tardissimo e forse per la prima volta dopo mesi riuscirò a cenare con i miei», affermai alzandomi dal letto di Alice seguita dalle altre. Scendemmo le scale dirette in salone dove avevo lasciato le mie cose.

Nel frattempo Jasper ed Emmett tempestarono di domanda una povera Rose, che esasperata confessò una volta per tutte di non stare più insieme a David. Le cose non furono così semplici da essere accantonate, perchè i due testoni volevano sapere i particolari e se avessero dovuto minacciarlo di starle lontano. Si concluse tutto con una risata da parte di Rose, che non disse nulla a quei due impiccioni, anche se il loro atteggiamento aveva il solo fine di proteggerla.

«Desidero solo andare a casa», disse Rose sedendosi sul divano bianco. «Ho voglia di farmi un bel bagno caldo e rilassarmi davanti a un bel film. Il problema è che non ho la macchina, stamattina sono venuta a scuola con Bella».

«Sorellina non c'è problema, ti accompagno a casa, andiamo». Il lunedì sera era la serata di Jazz ed Alice: uscivano, andavano al cinema, a cena fuori... insomma era la loro serata.

«No, Jazz! Mi farò accompagnare da Bella, puoi stare pure qui con Alice, non voglio rovinare la serata a nessuno».

Prima che potessi confermare di riportarla a casa io si intromisi Emmett: «Posso portarti io se non ti crea problemi».

«No, certo che no se non ne crea a te!», rispose Rose imbarazzata torcendosi le mani a disagio. Probabilmente non si aspettava una presa di parola da parte sua.

«Perfetto! Allora possiamo andare!», disse Emmett entusiasto prendendo le chiavi della macchina e il portafoglio dal ripiano posto vicino all'ingresso.

«Okay. Ragazze ci vediamo domani, ciao Edward!». Rose uscii insieme ad un Emmett euforico che non salutò nemmeno preso dal momento.

 

  Ebbene sì, oggi sarò di poche parole, strano vero? XD
Il capitolo non l'ho ricontrollato, non ho messo il set e sono di fretta, tutto questo perchè sto male, stasera ho un diciottesimo e il tempo fa pena... peggio di così! Scusate lo sfogo, torniamo a noi!
Innanzitutto vorrei dedicare il capitolo a LindaWinchesterCullen che ieri è diventata maggiorenne, ancora auguri tesoro!
Poi, ringrazio le persone che leggono e che mi supportano con le loro recensioni favolose *-* Le leggo tutte e vi rispondo con sincero affetto, le adoro *-* Ringrazio anche chi legge, ho notato che in molti condividete il capitolo su facebook =)
Ricordo il contest creato da me e SerenaEsse: Il nastro rosso, che scade il primo novembre, ricordatevi di inviare le os, thanks ;)
Ultima cosa, anzi penultima, e poi mi dileguo!
Il capitolo contiene qualche piccolo indizio qua e là sulla storia, sui personaggi e sulle relazioni tra essi. Non succede qualcosa di eclatante tra Edward e Bella, ma penso che sia importante il loro ulteriore avvicinamento. Voi cosa ne pensate?

 

 

Io adoro The Fray, voi? Vorrei specificare che ogni citazione o pezzi di canone che metto sono inerenti al capitolo, nulla è a caso ;)
Spoiler prossimo capitolo!

«Sì, e... a proposito di questo, vorrei chiederti una cosa. Ieri è uscito al cinema il film, e mi chiedevo se ti andasse di andarlo a vedere, con me. Ovviamente puoi rifiutare, non sei obbligata ad accettare!», mi propose tutto agitato. Mi fissava dritto negli occhi e dentro riuscivo a leggerci timore, ma anche speranza. Pensava davvero che avrei mai rifiutato?!

«Sarei felicissima di venire al cinema con te», risposi emozionata.

«Oh, bene. Allora ti passo a prendere stasera alle otto», e si dileguò, fuggendo come se fosse in ritardo a lezione, il che era impossibile visto che le lezioni iniziavano esattamente tra un quarto d'ora.

A lunedì prossimo!

Kiss

Jessica

Ps Per l'altra mia storia, Rules of attraction, aggiornerò massimo due settimane! Scusate il ritardo! 



 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** There's a side to you that I never knew ***


There’s a side to you that I never knew

If this ain’t love, then what is?
I’m willing to take the risk

So petrified, I’m so scared to step into this ride,
What if I lose my heart and fail

Adele, He won't go

Quella mattina venni svegliata dal suono del cellulare, che mi avvisava di un nuovo messaggio. La sveglia non era ancora suonata, quindi ero ancora più irritata dal fatto di essere stata svegliata ingiustamente.

Non avevo la forza né la voglia di alzarmi per vedere chi aveva disturbato il mio sonno. Diedi una rapida occhiata alla sveglia, con gli occhi ancora assonnati e mezzi chiusi. Erano esattamente le sei e cinquanta. Alle sette sarebbe suonata la sveglia, quindi la persona che aveva osato mandarmi un messaggio mi aveva rubato dieci minuti di sonno!

Ormai sveglia mi alzai, andai verso la scrivania, dove c'era il mio cellulare, e poi tornai a sdraiarmi supina sul letto caldo.

Mi sfregai gli occhi e sbadigliando aprii il messaggio: "Buongiorno! Il sole splende già e noi dobbiamo vederci almeno un quarto d'ora prima al nostro bar! Ho delle news da raccontare! Baci, Rose."

Chissà cos'era successo di nuovo. Ultimamente Rose aveva avuto una vita parecchio incasinata tra David, Emmett e la fine della sua relazione. Ieri era parecchio giù di tono, ma a quanto pare quella mattina si era svegliata con il piede giusto.

Mollai il telefono sul letto e fissai il soffitto. Stavo per addormentarmi e questo non andava per niente bene! Avrei fatto tardi all'appuntamente e, dal messaggio, si capiva quanto Rose ci tenesse.

Irritata per il brusco risveglio mi alzai e mi preparai lentamente. Scesi al piano di sotto prima del previsto e non trovai nessuno dei miei genitori intenti a preparare la colazione o a leggere il giornale. Trovai, semplicemente, la cucina vuota. Strano, non succedeva mai. Probabilmente erano già al lavoro. Sì, sicuramente, non avevo nulla di cui preoccuparmi.

Una volta in macchina partii a razzo verso il bar. Stranamente arrivai per prima ed aspettai Alice e Rose in macchina, dove spensi la radio e mi rilassai. Odiavo fare tutto di corsa la mattina, mi metteva di malumore e diventavo parecchio irritabile!

Toc.Toc.Toc.

«..lla?», sentii in lontananza delle voci confuse. Aprii un occhio e poi l'altro e mi accorsi di essermi appisolata in macchina. Guardai il finestrino al mio lato destro e vidi le faccie di Alice e Rose guardarmi preoccupate, con i pugni protesi per riprendere a bussare contro il vetro.

Aprii la portiera della macchina ed uscii ancora leggermente frastornata dal pisolino.

«Bella, finalmente! E' da mezz'ora che ti chiamiamo!», disse Alice con la sua solita voce acuta.

«Alice...», la rimproverò Rose. Non capii il perchè, ma dall'espressione e dallo sbuffo scocciato di Alice, mi si accese una lampadina.

«Okay, forse non da mezz'ora...», ritrattò Alice. Io non riuscivo a capire nulla, ero mezza addormentata e faticavo a stare dietro ai loro discorsi. Forse una bella tazza di caffè faceva al caso mio.

«Alice! Sei davvero impossibile! Bella», iniziò Rose; «eravamo appena arrivate. Sei uno straccio stamattina, forse sarebbe meglio entrare e fare colazione, potrebbe aiutarti un po' di caffè».

«Sì, lo penso anch'io», risposi sbadigliando per l'ennesima volta.

«Allora, quali news devi raccontarci?», chiesi rivolgendomi a Rose, che alla mia domanda diventò rossa e le brillarono gli occhi.

«Ieri sera, come sapete, Emm mi ha accompagnata a casa...», iniziò interrompendosi per avere un nostro cenno d'assenso. «Una volta arrivati... Oh, è così difficile! La farò breve, l'ho invitato a cena, Jazz era con te», indicò Alice; «mamma e papà non c'erano, quindi ho pensato fosse una buona idea, e si è rivelata ottima! E' stata una serata magnifica! E' stato molto dolce e carino, non mi ha fatto domande su David e si è comportato da vero gentiluomo. Abbiamo cenato e guardato un film». La sua voce tremava leggermente per l'emozione. I suoi occhi esprimevano una dolcezza ed un amore infinito. Ero talmente felice per lei che la notizia riuscii a risvegliarmi del tutto, dove il caffè aveva fallito.

«Sono così entusiasta! Tu e mio fratello insieme, finalmente!». Alice, ovviamente, correva già con la fantasia, ancora prima che realmente i due si mettessero insieme lei aveva progettato la loro vita di coppia.

«Alice, non correre troppo! Non abbiamo ancora chiarito nulla, né discusso della serata», la ammonì Rosalie, ma il suo ottimismo non ne fu scalfito e continuò ad elencare una serie di motivi per cui le cose si erano già sistemate, senza bisogno di ulteriori chiarimenti.

Intervenni io, per salvare Rose dalle sue grinfie e placare un attimo gli animi. Non volevo certo smorzare l'entusiasmo di nessuno, solo far restare con i piedi per terra la piccola Cullen.

«Alice, calmati! Devono vedersela tra loro. Ora facciamo colazione e filiamo a scuola, dove sono certa troverai un Jasper super coccoloso dopo la serata di ieri sera». Rose mi rivolse un sorriso di gratitudine, mentre ad Alice brillarono gli occhi nel sentire nominare il suo amore. Ogni giorno, ma in particolare dopo le loro serate, erano talmente dolci da far soffrire chiunque li guardasse troppo a lungo, tutti sarebbero stati invidiosi di un amore così profondo.

Arrivate a scuola trovammo i ragazzi intenti a parlare di fianco alla macchina di Edward. Ci avvicinammo e, dopo aver salutato Jasper ed Emmett, abbracciai Edward, il quale ricambiò la mia stretta rivolgendomi un sorriso a dir poco radioso. La sua vicinanza mi faceva sentire bene, mi trasmetteva serenità ed ansia insieme, strana combinazione, no?! Be', questo era l'effetto che mi faceva la sua presenza, oltre ad avere il potere di farmi perdere il contatto con il mondo.

«Buongiorno, Bella», disse con la sua voce melodiosa, leggermente roca e bassa.

«Ed», lo salutai sorridendo. «Allora, hai finito di leggere Wather for elephants?», chiesi interessata alla sua opinione al riguardo.

«Sì, e... a proposito di questo, vorrei chiederti una cosa. Ieri è uscito al cinema il film e mi chiedevo se ti andasse di andarlo a vedere... con me. Ovviamente puoi rifiutare, non sei obbligata ad accettare!», mi propose tutto agitato. Mi fissò dritto negli occhi e dentro riuscì a leggerci timore, ma anche speranza. Pensava davvero che avrei mai rifiutato?!

«Sarei felicissima di venire al cinema con te», risposi emozionata.

«Oh, bene. Allora ti passo a prendere stasera alle otto», e si dileguò, fuggendo come se fosse in ritardo a lezione, il che era impossibile visto che le lezioni iniziavano esattamente tra un quarto d'ora.

Forse si era pentito della proposta appena fatta, oppure, mi suggerì una vocina nella mia testa, era semplicemente imbarazzato dopo aver chiesto un appuntamento ad una ragazza. Un attimo: appuntamento?! O dio, non ci avevo proprio pensato! Sì, era un appuntamento! Cosa mi sarei messa? Dovevo vestirmi in modo casual o mettere qualcosa di carino e adatto ad un primo appuntamento?

La testa mi scoppiava per i pensieri troppo confusi. L'unica soluzione era stare calma, non iniziare a vaneggiare e, sopratutto, mantenere i nervi saldi. Si trattava di Edward, un ragazzo semplice, un po' chiuso, ma estremamente dolce e gentile, oltre che bellissimo per me.

Dovevo pensare solo a lui e tutto il resto sarebbe scomparso, compresi i viaggi mentali confusi e aggrovigliati tra loro. Edward, Edward, Edward... Vestito... Edward... Scarpe... Okay, non stava funzionando! Sentivo lo stomaco stringersi in una morsa, l'ansia mi stava uccidendo! Forse potevo chiedere aiuto alle ragazze... No, meglio di no, volevo rimanesse una cosa intima tra me ed Edward. Sapevo che era stupido pensarlo, forse Emmett lo sapeva già essendo suo fratello, forse anche Alice... No, Alice no, altrimenti mi avrebbe già fatto il terzo grado. Era meglio tenere tutto per me.

Era da esattamente due ore che provavo vestiti. Avevo tirato fuori tutto ciò che c'era nel mio armadio. Erano ancora le sette, ma un'ora era poca visto che in due non ero riuscita a fare nulla, tranne una doccia. Dovevo ancora stirarmi i capelli, truccarmi e scegliere qualcosa da indossare. Non ce l'avrei mai fatta! Okay, pensai, inanzitutto penserò a trucco e capelli, poi all'abbigliamento.

Mi stirai i capelli con cura, passando la piastra per tre volte nello stesso punto, cosa abbastanza inutile visto che i miei capelli naturali erano solo leggermente ondulati, con qualche boccolo che si arricciava alla fine del capello. Mi truccai leggermente, senza strafare, solo un po' di ombretto beige illuminante, phard e rossetto rosa pallido, per risaltare il colore delle labbra.

Mancava solo il vestito. Non sapevo assolutamente cosa indossare! Andare sul classico con un jeans e una maglietta carina, oppure un vestito non troppo appariscente?! Questo era il dilemma!

Provai, per l'ultima volta, un vestito nero, corto fino a metà coscia, con una scollatura non esagerata. Aderiva al mio corpo sottolineando i miei punti forti, come il seno e le gambe magre, ma senza risultare volgare. Non sapevo se era adatto ad un semplice cinema, non era esagerato o altro, ma forse un paio di pantaloni e una camicietta sarebbero stati più adatti. Mi guardai allo specchio, girandomi in tutte le angolazioni possibili e alla fine decretai il mio consenso, poteva andare bene se abbinato a semplici decoltè in pelle nera. Un look adatto ad un primo appuntamento, ma non esagerato da farmi apparire fuori posto.

Bene, decretai, mancano cinque minuti alle venti e io sono pronta.

Presi la borsa ed un giacchettino leggere e scesi in salotto ad aspettare l'arrivo di Edward. Avevo già avvisato i miei genitori che sarei uscita quella sera, infatti loro erano ancora in cucina a finire di cenare, mentre io avevo mangiato un panino al volo, vista la mia lunghissima preparazione.

Appena mi misi comoda sul divano qualcuno, Edward supposi, suonò alla porta. Urlai un "buona serata, non aspettatemi svegli" ai miei genitori e, prima di sentire la loro risposta, mi catapultai verso la porta d'ingresso, la aprii e mi trovai davanti il viso sorridente di Edward. Lo osservai bene, squadrandolo dalla testa ai piedi. Stava benissimo in un paio di jeans un po' stretti; ero felice di constatare che non ero l'unica ad essere vestita con più cura del solito.

Alzai lo sguardo incantandomi davanti ai suoi occhi verdi, che brillavano sempre di una luce propria, così misteriosi e allo stesso tempo affascinanti ed accecanti. Nessuno nella sua famiglia aveva un simile colore di occhi. Notai il suo sguardo mutare, diventare preoccupato e leggermente confuso, non ne capii il motivo, finchè non mi resi conto di essermi imbambolata a guardarlo, anzi mangiarlo con gli occhi, facendo la figura della tonta.

Mi sentivo in imbarazzo, nessuno dei due apriva bocca e per la prima volta nella mia vita non sapevo cosa fare e come interagire. E, sempre per la prima volta, mi sorprese prendendo lui stesso la situazione in mano. Si avvicinò a me di qualche passo, abbastanza da sentire il suo profumo avvolgermi come una coperta calda in inverno.

Si chinò su di me, posando le sue labbra calde sulla mia guancia, sicuramente arrossata, e sussurrò dolcemente contro la mia pelle: «Buonasera Bella, sei davvero meravigliosa questa sera, non che tu non lo sia sempre». Trattenni il fiato, incantata dalle sue parole. Inspirai bruscamente rimanendo sempre immobile come una statua, mi sentivo una perfetta cretina a non riuscire ad articolare nemmeno una parola. Non mi riconoscevo più! Incantata da un ragazzo e senza parole, roba da matti!

Cercai di riemergere dal mio abisso privo di parole e azioni.

Sorrisi più tranquilla e serena, iniziando a riprendere possesso delle mie facoltà mentali.

«Sei bellissimo», gli sussurrai, puntando di nuovo il mio sguardo nel suo. Al mio complimento arrossì leggermente, sfiorandosi la nuca con la mano destra. Era dolcissimo quando la sua timidezza riusciva a prevalere sul resto.

«Grazie. Vogliamo andare?», mi chiese gentilmente e nel suo modo dolce mi porse la mano invitandomi ad afferrarla. La presi senza remore e mi avviai con lui alla macchina. Da vero gentiluomo qual'era, mi aprì la portiera della sua macchina.

Eravamo piuttosto silenziosi, ma a volte le parole non servivano e tra noi era così, ci capivamo al volo e parlare poteva risultare superfluo e rovinare quell'atmosfera magica che si stava creando.

Tuttavia, la mia loquacità dovette farsi sentire e non rimasi zitta se non per un minuto scarso. Appena Edward si mise in careggiata, presi a fargli un sacco di domande sulla serata, alle quali lui rispose sempre gentilmente e con infinita pazienza.

«In che cinema andiamo?», iniziai. Purtroppo, quando ero leggermente nervosa o ansiosa, la mia logorrea iniziava a venire fuori e nessuno riusciva più a fermarmi. Be', nessuno fino a questo momento!

«Andiamo al cinema tra River e Bay Sts., non ricordo il nome», mi rispose continuando a guardare la strada e cambiando marcia, iniziando a scalare a causa del semaforo rosso.

«Edward», lo chiamai prima di continuare a parlare. Dovevo tirare fuori quella specie di blocco allo stomaco che sentivo, finchè non tiravo tutto fuori non sarei riuscita a rilassarmi. Edward si voltò per esortarmi a finire la frase, poi ripartì al verde del semaforo. «Alice ed Emmett sanno che stasera saremmo usciti insieme?».

«Sì, mi dispiace, non sapevo se volessi tenere tra noi la cosa, ma prima di uscire di casa entrambi hanno iniziato con i loro interrogatori e non sono riuscito a mentire loro, ho detto semplicemente la verità».

«Okay, non c'è assolutamente nessun problema, volevo solo sapere come stavano le cose nel caso domani Alice iniziasse con le sue domande a trabocchetto», dissi felice che Edward non avesse nascosto la nostra uscita. Questo doveva pur significare qualcosa!

«A che ora inizia il film?», chiesi nuovamente. Edward irruppe con una risata divertita, gli angoli della sua bocca si alzarono mostrando la schiera di denti bianchi e perfetti, le sue labbra formarono una linea quasi dritta e io mi incantai ad osservarne il movimento.

«Bella», mi chiamò; «come mai sei così loquace e ansiosa stasera? Sono sempre io, non è cambiato nulla tra noi». Quel "cambiato nulla" non lo disse con convinzione, anzi, si può dire che dal suo tono di voce la frase risultava più come: "sì, le cose stanno cambiando, ma perchè sei così spaventata? Puoi rompere questa cosa quando vuoi".

«Sì, lo so, sono solo un po' agitata. Scusa, non voglio rovinare la serata», sussurrai fissando fuori dal finestrino la strada che scorreva.

«Non potresti mai rovinare nulla, Bella, nemmeno se lo volessi», parlò così a bassa voce che per un attimo pensai non avesse aperto bocca, ma poi mi diedi della stupida da sola: lui aveva parlato eccome!

Non seppi cosa rispondere e quindi lasciai correre, senza soffermarmi più di tanto sulla sua affermazione.

«Non mi hai ancora detto che cosa pensi del libro. Suppongo che ti sia piaciuto visto che mi hai proposto di andare a vedere il film», iniziai nel tentativo di avviare una conversazione lontano da terriori minati.

«Già, è un bel libro, non esattamente il mio genere, ma coinvolgente e con un tema interessante. Sai, il circo non mi è mai piaciuto, tutti quegli animali chiusi in gabbie e addestrati fino allo sfinimento... No, non è un tema che mi si addice, ma ho trovato comunque interessante la collocazione della storia, l'ambiente e i personaggi», rispose. Ero totalmente d'accordo con lui sulla questione dei circhi, per questo l'unico che mi andava a genio era il Cirque du soleil, perchè non usavano animali, facevano semplicemente spettacolo con acrobazie e via dicendo. Avevano organizzato uno spettacolo persino in onore di Micheal Jackson.

«Concordo sul circo, ma nonostante tutto ho adorato quel libro! Jacob mi ha conquistata e da anziano mi ha fatto una pena indescrivibile, abbandonato dai figli e dai nipoti in una casa di cura! Qualcuno poteva pur occuparsi di lui, ma hanno preferito sbarazzarsene!».

«Vedo che la sua sorte ti è stata molto a cuore», affermò Edward.

«Assolutamente!», confermai.

Continuammo a parlare del libro fino a quando non arrivammo nei pressi del cinema. Edward parcheggiò la macchina vicino all'entrata e subito scese dalla macchina per correre dalla mia parte e aprirmi la portiera. Era un gesto così galante e romantico, esattamente come nei film o nei romanzi rosa, dove il perfetto gentlemen è pieno d'attenzioni, solo che qui eravamo nella vita reale e non avrei potuto chiedere di meglio.

Nonostante i miei continui lamenti, Edward insistette per pagare i biglietti e mi mise a tacere dicendo che lui stesso mi aveva invitato e che una donna non doveva mai pagare un appuntamento in presenza di un uomo! Io mi arresi ed entrammo in sala. Non c'erano molte persone a quell'ora in un giorno feriale, il cinema era piuttosto vuoto e ognuno era isolato dall'altro, concedendo così a tutti la tanto agognata privacy.

Edward ed io ci accomodammo nelle ultime file, la pubblicità era già iniziata e così anche le luci erano calate.

In un momento del film mi ritrovai a piangere, un vero fiume in piena ed Edward cercò di consolarmi. Mi prese una mano tra le sue e passò un braccio intorno alle mie spalle. Appoggiai la testa sulla sua spalla e pian piano mi calmai.

«E' così orribile quello che le hanno fatto», bisbigliai per non disturbare la visione del film a qualcuno.

«Lo so, Bella», confermò al mio orecchio. Il suo soffio caldo mi fece venire i brividi. La vicinanza con il suo corpo aveva uno strano effetto su di me. Mi sentivo la testa leggera, come dopo una sbronza, non che mi sia mai sbronzata, ma così dicono.

Finì il film che io ero ancora aggrappata ad Edward, praticamente gli ero quasi in braccio e la nostra posizione dava sicuramente da pensare, chi ci avesse visto avrebbe pensato che fossimo una coppia di innamorati. Quando realizzai cosa avevo pensato ne fui segretamente compiaciuta, desideravo che pensassero questo vedendo me ed Edward insieme.

Lentamente ci staccammo l'uno dall'altra e un po' imbarazzati raccogliemmo le nostre cose e ci avviamo verso l'uscita, ma, appena varcata la soglia della porticina di emergenza che portava direttamente fuori dal cinema, Edward mi prese per mano, intrecciando le sue dita alle mie. Rafforzai la presa debole di Edward, probabilmente dovuta ad un mio possibile rifiuto.

Fu Edward a rompere il silenzio che si era creato: «Che ne dici se andassimo a fare una passeggiata a Johnson Square?», propose Edward. Nel corso della serata avevo notato quanto fosse deciso e sicuro di sé, non si comportava come il ragazzo chiuso e distaccato che avevo imparato ad apprezzare e conoscere, ma come una versione di se stesso più forte.

«Certo», accettai entusiasta di poter passare altro tempo in sua compagnia.

Il Johnson Square non era altro che una delle più belle piazze di Savannah, molto isolata alla sera. Al centro si trovavano due fontane in marmo bianco magnifiche, che riuscivano a dare un minimo di isolamento alle coppie che alla sera facevano una capatina in piazza. Inoltre, durante la primavera, la piazza si riempiva di magnifiche azalee che riuscivano a donare un fascino particolare al luogo; peccato che non fosse primavera.

Per arrivare alla piazza prendemmo la macchina, visto che era abbastanza distante da dove eravamo noi. Ma, mentre stavamo per raggiungere Johnson Square ebbi un'idea improvvisa: «Edward, gira qui a destra, subito! Veloce, altrimenti dobbiamo rifare il giro!», gridai in fretta. Edward eseguii i miei ordini confuso, ma appena riconobbe la strada sorrise allegramente della mia pazza idea.

«E così il Talmadge Bridge, eh? Lo sai che è uno dei posti più romantici della città, vero?», mi punzecchiò maliziosamente ed io risi.

«Lì si ha un'ottima veduta dell'intera città, è uno dei posti che preferisco in assoluto di Savannah», ammisi. Mi piaceva venire qui, fin da bambina ammiravo dal ponte il fiume che attraversa la città, di sera rimanevo ipnotizzata dai colori che si formavano e che le luci riuscivano a creare. Il Talmadge Bridge era in assoluto il ponte più bello che ci fosse in tutta la Georgia.

Mano per la mano ci avviammo verso il ponte. Non c'era nessuno quella sera, eravamo soli, nessun rumore a turbare la nostra magia.

«Bella», mi chiamò Edward. Tirò leggermente la mia mano per farmi fermare e si mise di fronte a me. In questa posizione era come se fossi bloccata tra lui e il muretto del ponte, anche se teoricamente non mi stava schiacciando con il suo corpo. Mi prese entrambe le mani tra le sue, posizionandole lungo i nostri fianchi. Infine riprese a parlare, con una nota più dolce e appassionata nella voce: «Non voglio rovinare questa serata, ma sento il bisogno di parlare chiaro», sospirò come per prendere coraggio e poi proseguì: «questa serata significa molto per me. Non ti ho inviatato al cinema perchè avevamo letto entrambi il libro, ma perchè lo volevo, lo volevo davvero». Non c'era bisogno che proseguisse, avevo capito perfettamente ciò che lui voleva dirmi con quelle parole. Non voleva pensassi che si trattasse di un'uscita qualunque tra amici e a me andava più che bene, nemmeno io lo avevo pensato, neanche per un secondo.

C'era forse bisogno che io rispondessi? No, certo che no, il mio sguardo valeva più di mille parole. Dal suo sorriso capii che aveva inteso ciò che volevo esprimere senza parlare. Mi aveva capita e non c'era cosa più bella nel capirsi senza aprire bocca.

Sempre sorridendo si avvicinò di un passo, facendo combaciare perfettamente i nostri corpi e premendo dolcemente il suo sul mio. Mollò la presa su una mia mano, mentre le nostre mani destre unite si contorsero dietro alla mia schiena, senza procurarmi nemmeno un lieve fastidio. La sua mano libera si infilò tra i miei capelli, accarezzandoli gentilemente, prima di scendere senza fretta sul mio bacino e, sempre senza fretta, avvicinò il suo viso al mio. Sapevo cosa stava per succedere, i suoi occhi erano un chiaro avvertimento, ma non avevo intenzione di fermarlo per nessun motivo al mondo, anzi avvicinai di colpo il mio viso al suo ed Edward capii e non si fermò.

Le sue labbra si appoggiarono delicatamente sulle mie, premendo maggiormente quando infilai la mia mano libera alla base della sua nuca, tormentando i suoi capelli ribelli. Al tatto erano così morbidi e setosi, immaginai di non abbandonare mai più quella folta chioma ramata.

Il bacio divenne più acceso, degno di essere chiamato tale. La sua lingua che rincorreva la mia, il suo corpo che ora premeva più deciso sul mio, tanto da farmi arretrare e appoggiare al muretto del ponte. Tutto era perfetto, il luogo, lui, un bacio indimenticabile sotto tutti i punti di vista. Non avrei mai scordato questa fantastica serata.

Le nostre labbra si muovevano in sincronio, come se non fosse il nostro primo bacio. Era qualcosa di così emozionante, indescrivibile a parole. Quello che Edward riusciva a trasmettermi con un semplice bacio, non era stato capace di farmelo provare nessuno, nonostante avessero avuto molto più tempo a disposizione. Questa era la prova che il tempo era sempre relativo in una relazione, di qualsiasi tipo. Potevi fidanzarti, sposarti dopo tre mesi e stare insieme tutta la vita, come farlo dopo dieci anni e durare un mese.

Edward riusciva a scombussolarmi dentro, a farmi vibrare con uno sguardo, a infuocarmi con un bacio e a farsi amare con una carezza. Tutto perdeva d'importanza se confrontato con questo momento, perchè non esisteva momento più perfetto di questo.

Il bacio si era trasformato da dolce a passionale. Dopo svariati minuti che nessuno dei due staccò le labbra dall'altro, alternando baci innocenti a veri e propri colpi di fiamme, riuscimmo a separare le nostre labbra. Edward poggiò la fronte contro la mia, chiudendo gli occhi per godersi il momento, lo imitai, ma non riuscii a tenere gli occhi chiusi per più di due secondi, avevo bisogno di vederlo e sapere che tutto ciò che stavo provando era reale. Riuscii a godere della visione di Edward con gli occhi chiusi e le labbra socchiuse, era uno spettacolo unico.

«Non so se hai notato il punto esatto dove ci siamo fermati», mi disse Edward riaprendo gli occhi e facendomi girare verso il fiume a cui davo le spalle.

Una volta girata non riuscii a contenere un esclamazione di sorpresa: «Uaoh! E'... è semplicemente fantastico!». Ciò che mi ritrovai ad osservare affascinata non era altro che Savannah completamente illuminata. Mille luci formavano quella città a cui ero particolarmente affezionata. Tutto era colorato e si rifletteva sul fiume che percorreva la città da un lato. La luna rifletteva sull'acqua contornata da quelle luci e lo spettacolo che creava era semplicemente magico.

Edward mi abbracciò da dietro, stringendo le sua braccia intorno alla mia pancia. Il suo mento sulla mia spalla e la sua bocca vicino al mio collo, dove sentivo il suo respiro solleticarmi l'orecchio, mi fecero venire la pelle d'oca. Per un attimo mi abbandonai a quelle sensazioni, ma sentendolo parlare mi ripresi subito.

«Un luogo perfetto per un bacio perfetto», sussurrò.

«Concordo», risposi rapita dalla sua voce. La mia tremava leggermente, ero emozionata e si sentiva.

«Il mio primo bacio... non l'avevo immaginato così, ha superato le mie aspettative», mi confidò. Mi fece sciogliere come neve al sole e strinsi le mie braccia intorno al suo collo.

«Ne sono felice», dissi emozionata per quella confessione. Era così dolce e romantico!

«Tutto questo grazie a te».

«Oh no, io non ho fatto nulla, è il luogo che è magico», scherzai imbarazzata.

«Sbagli, non è il posto, sei tu che sei magica. Il bacio era perfetto solo perchè è stato condiviso con te, non sarebbe stato lo stesso, Bella, lo so», confermò deciso e terribilmente dolce. Mi sarei potuta innamorare di Edward senza neanche rendermene conto. E questo, in parte, mi spaventava.

 

 

Salve! Allora, come state? Tutti contenti per il ponte? Io sì, e molto anche! Una pausa dallo studio mi serviva, altrimenti a dicembre non ci sarei arrivata sana e salva xD

Come sempre ringrazio le fantastiche persone che mi seguono, in particolare chi recensisce ogni capitolo, apprezzo molto che mi seguiate così, mi piace parlare con voi in ogni recensione!

Partiamo dal commento alla canzone, come al solito... Ogni pezzo che metto, lo ribadisco, non è preso a caso, ma è sempre significativo per il capitolo e se li leggete noterete che sono veri e propri spoiler.

Forse il loro primo appuntamento potrà sembrare affrettato, ma a mio parere la loro relazione è molto diversa, si sta sviluppando velocemente, ma con maturità, quindi mi è venuto spontaneo scrivere questo capitolo. Eh già, chi pensava che si trattasse di Emmett e Rose è rimasto fregato, sono contenta che questo primo appuntamento risulterà una sorpresa per tutti (okay, quasi tutti, lo so che tu lo hai già letto ù.ù).

Ovviamente mi dimenticherò come al solito di scrivere qualcosa, ma per oggi le note saranno più corte del solito.

SPOILER:

«Amo fissare il cielo di notte», confessai a bassa voce per non spezzare l'atmosfera surreale che si era creata.

«Devo confessare che ha il suo fascino, ma se lo si guarda con una ragazza altrettanto fantastica perde un po' della sua magia», mi lusingò. Arrossii imbarazzata e felice del suo complimento. Non ero una di quelle ragazze che dovevano essere costantemente lodate, ma sapevo accettare un complimento di buon grado, senza fare la ragazza troppo modesta. Un complimento non lo rifiutavo per nulla al mondo, dopotutto ero una ragazza e la vanità era sempre presente, anche se in minor dose.

A lunedì!

Kiss :***

Jessica
 

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Capitolo 6
*** Nobody said it was easy ***


Nobody said it was easy

Come up to meet you, tell you I’m sorry,
You don’t know how lovely you are.
I had to find you, tell you I need you,
Tell you I set you apart.

Coldplay, The scientist

La sera precedente era stato difficile staccarmi da Edward. Avevo passato la serata più intesa e bella forse della mia intera vita. Dopo il nostro bacio siamo tornati alla macchina e lì è stato difficile trattenersi, finendo con il baciarci ancora e ancora. Il risultato era stato tornare a casa all'una passate, visto che una volta davanti il mio vialetto, ci eravamo nuovamente persi a parlare. Non potevo farci nulla, Edward era come una calamita per me e lo stesso ero io per lui.

Una volta a letto ripensai al tempo passato con lui e il sonno come arrivava fuggiva via per lasciarmi sognare ad occhi aperti. Era possibile all'improvviso concetrare perennemente i propri pensieri su un ragazzo? Per me sì, non potei rispondere diversamente.

Alla mattina era stata una fatica enorme riuscire a svegliarmi e trascinarmi al bar, dove Alice e Rose mi stavano aspettando per la colazione. A scuola, essendo arrivate in ritardo, non ero riuscita a vedere Edward e questo mi infastidii non poco. Poiché non lo vidi per l'intera mattinata, attesi con ansia la pausa pranzo.

Suonata l'ultima campanella fuggii letteralmente dalla classe, schivando all'impazzata i ragazzi in corridoio per arrivare in sala mensa. Contro ogni mia previsione lo trovai già al nostro tavolo e appena mi vide mi fece segno di raggiungerlo. La mensa era ancora vuota e nonostante la mia corsa non capii come Edward riuscì ad arrivare prima di me.

«Bella!», mi salutò Edward alzandosi. «Ho preso il pranzo anche per te». La sua gentilezza mi fece quasi commuovere, non ero abituata ad essere trattata con i guanti come lui faceva con me.

Si avvicinò con il chiaro intento di baciarmi una guancia, ma io all'ultimo mi girai di scatto e feci scontrare le nostre labbra. Rimase un attimo sorpreso da quel bacio a stampo.

«Edward», salutai a mia volta. Ci sedemmo fianco a fianco, aspettando l'arrivo degli altri per mangiare.

«Sei riuscita a dormire qualche ora? Mi sembri un po' stanca», mi disse Edward. La sua domanda aveva una nota scherzosa e provocatrice, non me l'ero di certo immaginata visto il suo sorriso malizioso. Era divertente vederlo così spensierato e mi faceva un enorme piacere sapere che con me era aperto ed allegro.

«Diciamo che qualcuno ha occupato i miei pensieri e il sonno come veniva se ne andava», dissi stuzzicadolo.

Edward mise un braccio sulla mia sedia e si appoggiò allo schienale, poi avvicinò il suo viso al mio abbassando il tono di voce: «Se può consolarti è stato lo stesso per me...».

L'arrivo degli altri pose fine alla nostra chiaccherata.

La pausa pranzo passò tra occhiate e ammiccamenti miei e di Edward. Nessuno sembrò fare caso a noi e l'unica cosa che notai per tutta l'ora furono gli strani sorrisi che si rivolgevano Emmett e Rose, i quali si erano avvicinati molto negli ultimi due giorni.

Io ed Alice stavamo uscendo dalla scuola, le lezioni erano finite e tutti gli studenti erano impazienti di tornare a casa. Tutti tranne me.

«Bella, Alice! Ehi, aspettate un attimo!», Rose gridò nel parcheggio i nostri nomi finché non la sentimmo e ci fermammo accanto alle nostre macchine, dove solitamente aspettavamo i ragazzi.

«O dio, è più di cinque minuti che cerco di raggiungervi! Siete mezze sorde?!». Rose aveva il fiatone per la corsa e riuscì a parlare a scatti. «Fatemi riprendere fiato, devo parlarvi».

«Certo Rose, abbiamo tutto il tempo», rispose Alice con la fronte corrugata.

«Oh, no! Non abbiamo tutto il tempo, quando arriveranno i ragazzi non potrò parlare!», disse Rosalie.

«Perché?», chiesi perplessa. Nel frattempo mi guardai intorno alla ricerca della chioma ramata di Edward, non vedevo l'ora di rivederlo!

«Mi state facendo innervosire con tutte le vostre domande e vi assicuro che lo sono già di mio!», esclamò Rose irritata.

«Okay, allora parla e basta!», rispose a tono Alice, anche lei irritata per l'attesa che ci stava propinando Rosalie.

«Emmett si è dichiarato!», urlò facendo voltare verso di noi alcuni ragazzi poco distanti dalle nostre macchine.

«O mio dio! Davvero? E tu cosa gli hai risposto? E bravo il mio fratellone!». Alice era partita in quarta con le domanda.

«Ehm... a dir la verità non gli ho ancora risposto», disse Rosalie sospirando colpevole. «Abbiamo chiarito i nostri malintesi e poi lui mi ha rivelato i suoi sentimenti».

«Cosa ti ha detto esplicitamente? Voglio sapere le sue parole esatte!».

«Alice!», la ripresi fulminandola con gli occhi. «Sono affari loro! Non dobbiamo impicciarci!».

«Eddai Bella, anche tu vuoi sapere come sono andate le cose!», cercò di convincermi, mentre Rose guardava divertita il nostro scambio di battute.

Scossi il capo e alzai gli occhi al cielo, esasperata dal suo comportamento da perfetta pettegola.

«Avanti ragazze, non litigate. Emmett mi ha solo detto che sono nei suoi pensieri, gli piaccio, niente di più. Io gli ho risposto che ho bisogno di tempo, intanto potremo iniziare a frequentarci», svelò Rose per la felicità di Alice.

Da lontano vidi arrivare Edward e un sorriso spontaneo si aprì sul mio volto. Edward ricambiò il mio sorriso abbagliandomi completamente.

«Stanno arrivando i ragazzi», avvisai distratta.

Alice si avventò subito sul povero Jasper e si estraniarono completamente da noi. Emmett e Rose presero a parlare, allontanandosi leggermente per avere la loro privacy.

«Ti va di andare a farci un giro?», propose Edward con tono leggermente incerto, forse timoroso di ricevere un rifiuto.

«Certo! Solo che non posso stare via molto, domani ho un test di biologia e non ho ancora aperto il libro», dissi triste di poter passare poco tempo con lui.

«Se vuoi posso aiutarti, me la cavo piuttosto bene in biologia», mi propose. Io non avrei di certo rifiutato un aiuto simile, sopratutto dal momento che odiavo l'argomento che avrei dovuto studiare.

«Accetto più che volentieri. Dove andiamo? Che ne dici di Madison Square?», domandai conscia che molto probabilmente in sua compagnia lo studio sarebbe passato in secondo piano.

«Perfetto, lì nessuno ci disturberà», rispose Edward pensieroso.

«Andiamo con la mia macchina? Almeno Emmett non si lamenterà per essere stato lasciato a piedi», dissi scherzando, ma sapendo benissimo che Emmett ne era capace.

«Okay», esclamò Edward ridendo.

«Su Bella, non è difficile! Ci sono sedici incroci, con un rapporto fenotipico...». Edward stava cercando di farmi entrare in testa la seconda legge di Mendel, ma non riuscivo a ricordarmi tutti gli incroci se non a memoria. Edward continuava a dirmi che dovevo ragionarci e non spararli a caso.

«Ed, non ce la farò mai! Mendel non aveva nulla da fare che studiare le piante di pisello?», mi lamentai sbuffando sonoramente. Edward rise dei miei continui tentativi di smettere di studiare e mi propose un accordo: l'avrei ripetuta un'ultima volta bene e poi avremo smesso di studiare. Feci come mi aveva chiesto e finalmente mi rilassai contro il petto di Edward, il quale era appoggiato ad un albero.

«Vedi che alla fine ce l'hai fatta?! Non ci voleva tanto, no?», mi disse stringendomi contro il suo petto.

«Hai ragione. In questo momento ho in mente altro, sai per imparare meglio, lo studio è importante, non è così?!». La mia voce somigliava di più a quella di una gatta morta, ma non ci badai. Mi girai verso di lui e mi sedetti sulle su gambe, avvicinandomi per baciarlo.

Ogni volta che posavo le mie labbra sulle sue qualcosa esplodeva: fuochi d'artificio? Forse.

Persi la cognizione del tempo a furia di baci e coccole. Fu Edward a rendersi conto che era l'ora di rientrare a casa.

«Bella, sono già le sei, forse sarebbe il caso di iniziare a raccogliere le nostre cose», propose scostandosi leggermente da me. Si alzò e mi tese la mano per aiutarmi.

«L'idea di rientrare a casa non mi entusiasma particolarmente», constatai tristemente. Era da qualche mese che il rapporto tra i miei genitori era in qualche modo cambiato, non sapevo definire come, fatto sta che loro non erano più gli stessi.

«Come mai?», mi chiese Edward, interessato al mio cambio d'umore.

«A casa c'è un po' di tensione, non so perché, ma si avverte», risposi prendendo per mano Edward.

Apprezzai molto che Edward non volesse in qualche modo consolarmi o dire la solita frase "andrà tutto bene".

Il viaggio in macchina fu breve. Una volta sotto casa Cullen spensi un attimo la macchina per salutarlo.

«Ci vediamo domani, Bella». Edward si avvicinò e mi diede il bacio più dolce che ci fossimo mai scambiati dalla sera prima.

«A domani», risposi imbambolata a guardarlo mentre scendeva dall'auto. Una volta fuori mi fece un cenno con la mano al quale risposi con un sorriso a trentadue denti.

Una volta arrivata a casa mi accolsero con un freddo bentornata le urla dei miei genitori. In tutta la mia vita non li avevo mai sentiti urlare in questo modo.

Dall'ingresso sentivo esattamente cosa stava dicendo mia madre. Entrambi non si accorsero del mio arrivo e io silenziosamente mi avvicinai alla cucina per sentire meglio.

«Sono stufa, Charlie! Stufa dei tuoi continui...».

«Tu?! Sono io che non sopporto più questa situazione, Renèe!».

Continuarono così per dieci minuti buoni, scaricando le colpe l'una sull'altro. Ad un certo punto, stufa di quella situazione, mi schiarii la voce ed entrambi bloccarono la loro litigata volgendo lo sguardo alla porta della cucina. Quando incrociarono il mio sbiancarono rimanendo senza parole. Renèe fu la prima a riprendersi dallo shock di essere stati beccati a litigare dalla loro unica figlia.

«Tesoro, hai fatto tardi oggi. Mi hai fatto preoccupare». Oh, certo! Ma se le avevo mandato anche un messaggio per avvertirla che sarei rientrata per cena?!

«La cena sarà pronta a minuti, Bella. Intanto potresti andare a cambiarti e a rinfrescarti un po'», mi propose mio padre. Era lui il cuoco di casa, anche se non particolarmente bravo, diciamo che io ero l'unica su cui si potesse fare realmente affidamento in fatto di cucina.

«Sì, scendo tra poco». Confusa uscii dalla cucina e salii al piano di sopra.

La cena fu un disastro, regnava il silenzio e l'unico rumore che si sentiva erano procurati da forchette e piatti. Non mi ero mai trovata così a disagio con i miei genitori. Odiavo quell'inutile tensione. Nessuno parlava, nessuno faceva domande e nessuno commentava il cibo, nulla di nulla, il vuoto!

Finii il più presto possibile di mangiare, augurai la buonanotte e salii di corsa nella mia stanza, chiudendomi dentro il mio rifugio sicuro.

Presi il cellulare per controllare se ci fossero messaggi o chiamate perse e vidi la bustina bianca lampeggiare, segno che mi era arrivato un sms.

"Ciao Bella, domani sera ti va se andiamo a fare un giro? Ti avverto già, non ho in mente nulla, vorrei solo passare una piacevole serata in tua compagnia. Edward"

O mio dio! Edward! Era proprio lui! Non riuscivo a crederci, era stato così dolce!

Risposi subito al messaggio, accettando con entusiasmo la sua proposta. Non vedevo l'ora di passare del tempo con lui, soli.

Finalmente la serata della nostra uscita arrivò. Edward mi aveva detto di vestirmi comoda. Non sapevo cosa avesse in mente, era stato evasivo a tutte le mie domande.

Avevo indossato dei jeans attillati e una maglietta a maniche corte. Mi sarei portata dietro una giacchetta nel caso la temperatura si abbassasse.

Mentre scendevo le scale che portavano al piano di sotto, riflettei sui miei genitori. Dalla litigata di ieri sera non avevamo più parlato, loro si evitavano e io evitavo loro e il maluomore che si rifletteva su di me.

Lasciai un post-it in cucina per far sapere che uscivo e attesi Edward in veranda. Arrivò puntuale come sempre e senza farlo scendere salii in macchina, salutandolo con un bacio.

«Allora, dove mi porti?», iniziai con le mie domande ed Edward rise per la mia impazienza.

«Al mare», rispose senza deviare la mia attenzione su altri argomenti, come era capitato oggi.

«Al mare?», ripetei scettica, fissandolo curiosamente.

«Esatto. So che sono già le ventuno e domani c'è scuola, cercherò di non farti tardare molto». Era sempre premuroso, come se io venissi sempre prima in ogni suo gesto o pensiero.

«Stamattina sapevi già la meta?», chiesi sospettosa. Edward trattenne a stento un sorriso e non passò inosservato sotto il mio occhio vigile.

«Forse», rispose cercando poi di spostare la conversazione su altro.

«Sì o no?», ribadii risoluta e attesi una risposta concreta.

«Ieri sera ci ho pensato a lungo e alla fine ho deciso che andare sulla spiaggia sarebbe stato un programma perfetto», spiegò imbarazzato evitando il mio sguardo e fissando intensamente la strada.

Io mi districai dalla cintura di sicurezza per avvicinarmi e lasciargli un bacio sul collo: «Grazie, sei davvero adorabile».

«Siamo quasi arrivati». Edward non era abituato ai complimenti e me ne accorsi dal momento che diventò rosso e virò la conversazione in un territorio neutro.

Una volta scesi dalla macchina Edward prese una coperta dal bagagliaio e, prendendomi per mano, mi guidò lungo un piccolo sentiero che portava ad una spiaggia piccola ed isolata.

Ogni volta che la mia pelle entrava in contatto con quella di Edward un leggero tremore si propagava nel mio corpo. La sua pelle era liscia, senza imperfezioni ed era piacevole la sua stretta salda.

Edward sembrava perfettamente a suo agio con ogni gesto che mi rivolgeva e la sua sicurezza aumentava la mia di pari passo.

La spiaggietta era davvero perfetta. Isolata dagli scogli e con una sabbia talmente fine che accarezzava i piedi. La luna illuminava l'oceano e il punto dove Edward stese la coperta, non troppo vicina all'acqua per non avere sorprese indesiderate.

Si stese e mi tirò giù con sè. Scoppiammo a ridere divertiti dalla situazione e felici di essere lì insieme, di fronte ad un simile spettacolo.

Edward si stese supino, con un braccio piegato sotto la sua testa e l'altro ad avvolgermi. Io mi stesi su un fianco appoggiandomi al suo corpo e posai la testa sul suo torace, sentendo il battito regolare del suo cuore.

«Amo fissare il cielo di notte», confessai a bassa voce per non spezzare l'atmosfera surreale che si era creata.

«Devo confessare che ha il suo fascino, ma se lo si guarda con una ragazza altrettanto fantastica perde un po' della sua magia», mi lusingò. Arrossii imbarazzata e felice del suo complimento. Non ero una di quelle ragazze che dovevano essere costantemente lodate, ma sapevo accettare un complimento di buon grado, senza fare troppo modesta. Un complimento non lo rifiutavo per nulla al mondo, dopotutto ero una donna e la vanità era sempre presente, anche se in minor dose.

«Sai», iniziò Edward; «mentre stavo uscendo di casa ho incontrato Emmett, era talmente allegro che gli ho chiesto cosa fosse successo di così straordinario da renderlo di buon umore. Era un po' che non lo vedevo così, ultimamente era sempre giù di tono».

«Oh! Avanti Ed! Non farti cavare le parole di bocca!», lo ripresi. Aveva il bruttissimo vizio di dire le cose a metà ed era irritante stare sulle spine.

«Rose gli ha detto che potrebbero provare a stare insieme», mi rivelò finalmente.

«Ah, non ci ha messo molto Rose a cambiare idea». Risi di gusto constatando che in un solo giorno era capitolata alle moine di Emmett.

Ero felice per loro, insieme erano perfetti, una vera e propria coppiata vincente. Anche loro avevano avuto i loro problemi, ma alla fine tutto li aveva portati a questo punto e potevano finalmente amarsi liberamente.

«Emmett era così felice che penso abbia rivoltato la casa con la sua esuberanza, se poi ci aggiungiamo Alice...».

«... il casino è assicurato», finii al suo posto.

«Sì, suppongo si possa dire anche così», disse Edward ridendo. La sua risata era contagiosa, una vera delizia per le orecchie.

«Edward», lo chiamai dopo un attimo di esitazione. «Dalla sera del nostro appuntamento ho un piccolo dubbio. Tu hai parlato con tua sorella o tuo fratello del... nostro rapporto?».

«No, a dir la verità non mi confido molto con loro, ma penso abbiano capito qualcosa. A volte tirano qualche battutina o cercano di incastrarmi con le loro frasi contorte», mi rispose. Prima che potessi replicare continuò a parlare: «Però, Bella, voglio che sia chiara una cosa, noi non ci stiamo nascondendo da nulla, non dobbiamo farlo».

«È proprio questo il punto, non voglio fare le cose in segreto, perché non c'è nulla di male se noi...». Lo squillo insistente del mio cellulare interruppe ciò che volevo esprimere, era tutto il giorno che ci pensavo!

Afferrai il cellulare irritata e, senza guardare il nome sullo schermo, risposi: «Pronto?», ringhiai.

«Ciao Bella, è forse un brutto momento?», rispose la voce all'altro capo del telefono esitante.

«Jason! No, figurati! Da quanto tempo non ci sentiamo?! Come stai?». Ero felicissima di risentire Jason, era da un po' che le nostre chiamate si erano ridotte, da una al giorno a massimo una alla settimana.

«Io bene, tu? Come va la scuola? Sai, qui ci manchi molto, quando pensi di tornare?», mi chiese con la vocetta da bambino imbrociato che usava per convincermi a fare qualcosa. Ormai lo conoscevo come le mie tasche!

«Tutto bene», guardai Edward e mi corressi; «anzi, benissimo. Per ora non ho in mente un viaggio nello Utah, ti farò sapere nel caso dovessi venire».

Sentii i muscoli di Edward tendersi e lo guardai per capire se ci fosse qualcosa che non andava, ma il suo viso era una maschera composta, nulla fuori posto, nemmeno una traccia di emozione.

«Peccato, mi avrebbe fatto piacere rivederti».

«Anche a me Jason, anche a me. Prometto di venire prima dell'estate», promisi solennemente. «Ora ti devo lasciare, ci sentiamo Jason».

«Sì, 'notte Bella», mi salutò dolcemente per poi riattaccare.

Non mi sembrava educato restare al telefono con lui quando ero in compagnia di Edward.

«Era Jason, il vicino dei miei nonni dello Utah», spiegai. Non sapevo perché sentivo il bisogno di giustificarmi, in fondo non avevo fatto nulla di male.

«Mmm... È tardi Bella, forse ci conviene rientrare». Edward non mi convinse molto, ma lasciai perdere visto che era davvero l'ora di rientrare.

Fu piuttosto silenzioso per tutto il viaggio di ritorno, non che non lo fosse spesso, ma questo era un silenzio diverso, di certo non rilassante. Questo fu quello che pensai, finché Edward non mi salutò calorosamente come sempre. A quel punto pensai di essermi immaginata tutto.

 

Ciao! Come state? La vostra regione è stata colpita dall'alluvione? La mia purtroppo sì, essendo della Liguria qui le cose sono state molto tragiche.

Come sempre ecomi qui con l'aggiornamento del lunedì!

Ringrazio come sempre le persone che recensiscono e mi danno sempre una loro opinione, vi adoro, davvero *-* Vorrei elencarvi tutte *-* Mi siete di grande sostegno, siete fantastiche dalla prima all'ultima *-*

Devo essere sincera, volevo prendermi due settimane di pausa dall'aggiornamento del lunedì, per portarmi avanto con la storia e per scrivere il nuovo capitolo di Rules of attraction (purtroppo con questa sono molto indietro ç.ç), ma visto che grazia a SerenaEsse sto andando avanti con i capitoli, non ci sarà alcun blocco di aggiornamento.

Bene, passando al capitolo volevo specificare che sin dall'inizio della storia tutto ciò che ho messo riguardo Savannah è vero, mi sono informata e ho fatto le mie ricerche, quindi ogni piazza e luogo esiste davvero. Certo, nello scorso capitolo, il posto dove Edward e Bella si scambiano il loro prima bacio esiste, c'è, ma non so realmente se si vedono tutte le luci della città, da come viene descritto si presuppone di sì.

Un'altra cosa che vorrei fosse chiara, così di evitano fraintendimenti xD, sta nel rapporto di Edward e Bella: non stanno insieme, nessuno dei due ha dichiarato di essere innamorato dell'altro, stanno semplicemente vivendo un rapporto nuovo, maturo, dove non c'è bisogno di dirsi "vuoi essere la mia ragazza?", perché se due persone sono abbastanza mature e con la testa sulle spalle non si vedono con altre persone quando sai che c'è già qualcuno nella tua vita. Questo ovviamnete riguarda loro, non voglio puntare il dito contro nessuno ;)

Premetto che in questa storia non ci saranno triangoli amorosi, oppure uno lascia l'altro, sarà una storia spero diversa. Ovviamente la mia consulente personale mi dirà se la direzione che prendo sarà sbagliata, vero Serena? xD

Ultima cosa! Io e SerenaEsse abbiamo aperto un nuovo contest sempre su Twilight, il tema questa volta è il Natale: Luci di Natale. Spero nella vostra partecipazione ;)

Ora vi lascio lo spoiler, non so come mai le nute sono sempre così lunghe xD

«Ehi, Bella!», mi salutò Edward. Non riuscii a rispondere, i singhiozzi mi stavano soffocando. «Bella?». Edward chiamò il mio nome preoccupato per il mio silenzio.

«Edward», dissi piangendo con voce roca. Non continuai, non sapevo cosa dire, semplicemente avevo bisogno di sentire la sua voce.

«Bella, cosa succede? Mi stai facendo preoccupare! Sei ferita? Stai male?».

Tranquille, non fatevi prendere dallo sconforto, nessun incidente in vista xD

A lunedì!

Kiss :*

Jessica

 

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Capitolo 7
*** Stop and stare ***


STOP AND STARE

Stop and stare
You start to wonder why you’re here not there
And you’d give anything to get what’s fair
But fair ain’t what you really need
Oh, you don’t need

One Republic, Stop and Stare

I giorni passarono in fretta. Le mie giornate erano scandite da Edward e dallo studio. Non avevo tempo per altro, anche perché Edward era in grado di assorbire tutte le mie ultime energie, ovviamente in senso positivo.

Tutti erano a conoscenza che io ed Edward ci frequantavamo. Non avevamo intenzione di nasconderci, anche se i primi tempi facevamo di tutto per isolarci dagli altri. Poi abbiamo iniziato ad avere un equilibrio e da lì è stato facile, tutto in discesa.

Edward era tutto ciò che avevo sempre sognato: galante, gentile, dolce, simpatico... Insomma, tutti pregi che io cercavo in un ragazzo. Certo, anche lui aveva i suoi difetti, esattamente come me. Quali? Be', li sto ancora cercando. Io sapevo di essere abbastanza possessiva, testarda e a volte logorroica, eppure Edward riusciva sempre a sopportarmi senza lamentarsi mai. Potevo trovare un ragazzo migliore di lui? No, assolutamente no.

Alice e Rose mi avevano fatto notare più volte quanto la mia possessività fosse fuori luogo nella maggior parte dei casi. Ma non potevo farci nulla, avevo il terrore di perderlo e non me lo potevo permettere, non ora che avevo trovato colui che mi completava e mi faceva sentire a casa ovunque, perché era lui stesso ad esserlo: il mio rifugio perfetto.

Edward non si lamentava mai per questo mio difetto, anzi mi rassicurava e a volte cercava di smorzare la tensione con battute sul suo essere scostante con gli altri, assicurandomi che nessuno avrebbe avuto voglia di avvicinarsi ad un tipo così cupo. Soffrivo per lui quando si definiva così, non riuscivo ad accettare che si denigrasse, perché sapevo quanto fosse fantastico e speciale. E ciò mi riportava alla mia possessività, che cercavo in tutti i modi di nascondere.

I nostri amici erano felicissimi del nostro rapporto. Sia io che Edward non avevamo mai cercato di definirci in qualche modo, dopotutto era davvero importante mettere in una determinata categoria il nostro rapporto? Io non penso, semplicemente perché sarebbe impossibile definire la nostra relazione. Siamo una coppia di ragazzi che si frequantano? Fidanzati? Innamorati? Per me, noi eravamo tutto ciò, senza bisogno di classificarci o dichiararci il nostro amore a gran voce. C'era, si sentiva, ma nessuno di noi due aveva mai provato a dirlo all'altro. Perché dirlo a parole, quando si poteva percepire in ogni gesto e in ogni bacio? Quando entrambi saremo stati pronti e sicuri avremo espresso il nostro amore anche a parole, ne ero certa.

Eravamo giovani, ne ero consapevole, le cose potevano cambiare da un momento all'altro, eppure io ero assolutamente convinta che il nostro rapporto fosse speciale. Sì, tutti lo dicono quando si innamorano, ma io sapevo che per me, per noi era diverso, più intenso.

I nostri genitori, ormai, erano a conoscenza di tutto. Esme e Carlisle ne erano rimasti entusiasti, sopratutto la madre di Edward, la quale mi aveva ringraziato più volte di aver fatto uscire una parte di Edward nascosta e di averlo reso più aperto. Mi aveva confusa il suo comportamento, sembrava sempre che volesse aggiungere qualcosa, ma poi si bloccava ad ogni occhiata di suo marito. Mia madre e mio padre non erano stati meno felici dei signori Cullen, ma non aveano mostrato molto interesse, presi com'erano dall'evitarsi dopo un'altra litigata.

Edward non ci aveva fatto molto caso, ma una volta chiusi nella mia camera mi ero scusata per loro. Poi, eravamo rimasti tutto il pomeriggio a baciarci e parlare sul mio letto. Non mi stancavo mai dei nostri assalimenti reciproci. Ogni volta scoprivo una nuova sensazione e un nuovo modo in cui Edward faceva reagire il mio corpo. Con un bacio riusciva a trasportarmi in un'altra dimensione, fatta di lui e basta. Il mio caro Edward ci sapeva fare, riusciva a sconvolgermi sfiorandomi solamente.

Era il 24 dicembre e io mi trovavo in giro a fare compere con Alice e Rose. Non avevo ancora fatto shopping natalizio e quindi ero in ritardo con tutti i regali. Alice e Rose non erano messe meglio di me, prese dai loro fidanzati avevo trascurato tutto il resto, esattamente come me. Era scandaloso ritrovarsi l'ultimo giorno a fare spese.

«Oh, ma perché è così difficile trovare il regalo perfetto per il mio Jazz?!», ci disse Alice esasperata dal non riuscire a trovare nulla di particolare da regalare al suo fidanzato.

Io non ero di certo esasperata come lei, ma c'ero quasi. Non riuscivo a trovare nulla per Edward, l'unico che mi mancava nella mia lista dei regali.

L'unica ad essersi sbrigata velocemente nel trovare qualcosa di appropiato ad Emmett, era stata Rose. Da furba gli aveva preso un gioco per la play e in più, come regalo speciale e privato, si era comprata una mise provocante. Ero certa che Emmett avrebbe apprezzato particolarmente il secondo regalo.

«Jazz non è complicato Alice, mio fratello si accontenta di tutto», la rassicurò Rose.

«Lo so Rose, ma non posso regalargli sempre le stesse cose», rispose Alice pensierosa e rassegnata all'idea di entrare nel prossimo negozio di abbigliamento. «Tu, Bella? Cosa regalerai a mio fratello?», mi chiese Alice.

«Non ne ho assolutamente idea. Edward è complicato...», lasciai la frase in sospeso.

Girammo un altro po' tra negozi ed Alice ebbe la fortuna di trovare un regalo per Jasper che le andasse a genio. Io fui l'unica a non riuscire ad avere uno stralcio di idea, finché non passammo davanti ad un negozio di incisioni.

«Ragazze devo entrare qui dentro, subito!», dissi emozionata e felice di aver trovato il regalo perfetto. Entrai nel negozio senza aspettare e mi feci subito servire da una signora molto gentile.

Una volta uscita dal negozio ero di nuovo di buon umore.

«Allora Bella, come va tra te ed Edward?», mi chiese Rose sorseggiando la sua bevanda. Dopo tutta la mattinata in giro a fare shopping, avevamo deciso di prenderci una pausa e mangiare qualcosa in un bar sulla strada.

«Va tutto alla grande», risposi sorridendo. Se ripensavo a noi due insieme non sapevo fare altro che essere di buon umore.

«Sono molto contenta per voi Bella, Edward è cambiato molto da quanto state insieme», mi rivelò Alice rivolgendomi un sorriso di ringraziamento.

«Non non stiamo insieme, Alice!», la rimproverai bonariamente. Ogni volta mi o ci tirava queste frecciatine per sapere esattamente a che punto la nostra storia stava maturando.

«O dio, come siete noiosi! È chiaro a tutti che siete una coppia, anche se non vi siete detti la solita frase di rito non cambia nulla: voi due state insieme!», esclamò Alice scocciata delle mie continue correzioni. Pensandoci bene non potei darle torto, perché tutto ciò che aveva detto Alice era vero. Non ci eravamo chiesti come i ragazzini: "vuoi essere la mia ragazza/o"?, ma ciò non toglieva il fatto che lo fossimo realmente. Ci comportavamo da tali, quindi noi eravamo una coppia.

«Hai ragione, Alice», ammisi debolmente. «Ma parliamo un po' di te, mia cara Rosalie», finii con il dirottare la conversazione su un'altra neo-coppia.

«Non c'è molto da dire, è tutto perfetto», ci rivelò con gli occhi luccicanti. Chissà se anche io assumevo la stessa espressione quando parlavo di me e di Edward. Probabilmente sì.

«Tutto perfetto?», chiesi maliziosamente per indispettire Alice, la quale non voleva sentir parlare dei suoi fratelli sotto determinati punti di vista.

Rosalie mi resse il gioco, anticipando Alice: «Oh sì, è davvero dot...».

«Ma insomma Rose! Che diavolo stai dicendo?! Non parlare di certe cose con me presente!», strepitò Alice con le guance in fiamme. «E tu, piccola canaglia», mi indicò Alice; «me lo fai sempre apposta! Vorrei vedere se le parti fossero invertite!». Il broncio di Alice mi fece leggermente pentire di averla stuzzicata, ma appena Rose si intromise il mio senso di colpa sparì in un lampo.

«A me non fa nessun effetto se parli di Jasper...», disse Rose ridendo. Mi unii alla sua risata ed Alice si imbronciò ancora di più, ma dopo qualche minuto si fece trascinare anche lei, contagiata dalle nostre risate.

«Sapete», iniziai con voce malinconica. «Mi sono mancati questi momenti, è da un po' di tempo che non passavamo una giornata insieme».

Entrambe mi guardarono sorridendo e confermarono.

«D'ora in avanti dobbiamo cercare di ritagliarci un po' di tempo per noi. Non è giusto farci assorbire completamente dai nostri ometti!», disse Alice decisa.

«Giusto, torneremo alle abitudini di un tempo, anche se meno frequenti!», confermò Rose.

Ero felice di averle ritrovate. Alla fine eravamo sempre noi...

Il mio cellulare squillò, mentre stavamo finendo i nostro panini. Velocemente presi il telefono, convinta che fosse Edward, invece si trattava di mia madre.

Perplessa risposi alla chiamata: «Pronto, mamma?».

«Ciao Bella, io e tuo padre avremo bisogno di parlarti urgentemente. Potresti venire a casa?», mi chiese agitata.

«È successo qualcosa?», domandai preoccupata. Vidi Rose ed Alice osservarmi confuse.

«Oh no, tesoro, stai tranquilla. Noi ti aspettiamo, fai con calma. A dopo». Richiuse la telefonata prima che io potessi replicare.

«Ragazze, devo tornare a casa», spiegai alle mie amiche.

«C'è qualcosa che non va?», mi chiesero.

«Non lo so», risposi agitata e pensierosa. Qualcosa immaginavo già, ma sperai con tutta me stessa di sbagliarmi.

«Mamma, papà, sono a casa!», urlai dalla porta d'ingresso.

«Siamo in sala!», urlò di rimando mio padre. Arrivai da loro e li trovai seduti sul divano tranquilli, ma ben distanti l'uno dall'altra.

«Allora, di cosa volevate parlarmi?», chiesi sedendomi sulla poltrona di fronte a loro.

«Bella, c'è una cosa che devi sapere su me e tua madre», inizio mio padre in tono pacato. «Siamo in un periodo difficile del nostro rapporto e... abbiamo deciso di prenderci una pausa». Mio padre era stato rapido e indolore. Non sapevo cosa dire. Li vedevo fissarmi preoccupati e ansiosi di una mia reazione, ma l'unica cosa che fui in grado di fare fu abbassare gli occhi e fissare il pavimento.

«Tesoro, sappiamo che può essere difficile, ma abbiamo pensato che fosse meglio non nasconderti nulla», mi disse mia madre con voce tremante. Doveva essere un momento difficile per entrambi, dopo tutti questi anni di matrimonio... Io mi sentivo come anestetizzata dal dolore. Non sapevo cosa dire o fare, in un attimo il mondo mi era crollato addosso. Vero, ultimamente avevo intuito qualcosa, ma da lì all'avere una conferma di acqua sotto i ponti ne passava!

«Abbiamo deciso di separarci per un po', solo per capire dov'è il problema e cercare di risolverlo. Andrò ad abitare per un po' da un'altra parte», continuò mio padre. Ed eccola lì la stangata che abbattè il mio muro.

Pensare a mio padre che se ne andava di casa, segnando così la distruzione del nostro nucleo familiare era impossibile da reggere. Avevo sempre preso il loro amore come esempio e in quel momento, dal nulla, le mie convinzioni venivano spazzate via con un colpo di vento. Non potevo accettarlo, no!

Nella mia mente vorticavano mille pensieri confusi. Mi alzai di botto dal divano, dirigendomi verso le scale. Gli occhi mi bruciavano, ma non volevo piangere davanti a loro.

Sentii mia madre cercare di chiamarmi, ma per fortuna fu mio padre a fermarla e dirle che avevo solo bisogno di tempo. Tempo. No, non avevo bisogno di tempo, non io, loro forse, ma io no.

Piangendo mi buttai sul letto. Soffocai i singhiozzi nel cuscino e cercai con le mani tremanti il cellulare dentro la mia borsa. In quel momento avevo bisogno di una persona. Solo lui sarebbe stato in grado di aiutarmi. Edward.

«Ehi, Bella!», mi salutò Edward. Non riuscii a rispondere, i singhiozzi mi stavano soffocando. «Bella?». Edward chiamò il mio nome preoccupato per il mio silenzio.

«Edward», dissi piangendo con voce roca. Non continuai, non sapevo cosa dire, semplicemente avevo bisogno di sentire la sua voce.

«Bella, cosa succede? Mi stai facendo preoccupare! Sei ferita? Stai male?».

L'agitazione di Edward mi scosse leggermente dal mio torpore, tanto da riuscire ad articolare una frase sensata: «No, non mi è successo nulla, ma... Edward... potresti venire?». La mia più che una richiesta assomigliava ad una preghiera, intervallata dal mio pianto disperato.

Edward riattaccò senza dire nulla, strana reazione da parte sua, ma non ebbi nemmeno il tempo di pensarci, perché, esattamente dieci minuti dopo, stava aprendo la porta della mia camera.

Mi buttai su di lui, senza dargli il tempo di venire verso di me. Lui mi accolse a braccia aperte stringendomi contro il suo corpo. Affondai il viso nel suo petto e ripresi a piangere più forte di prima. Ora avevo il mio angelo custode e sapevo che lui mi avrebbe consolata e protetta, sempre.

Sentii delle mani percorrere la mia schiena con lentezza, fino ad arrivare ai miei capelli. Mi rilassai ancora di più sotto quelle carezze e piano aprii gli occhi.

La stanza era avvolta nella penombra del tardo pomeriggio. Sospirai e pensai che, finalmente, quella giornata orribile stava per volgere al termine.

Edward notò che mi ero svegliata e mi alzò delicatamente il mento. Mi guardò negli occhi e mi accorsi che i suoi erano cupi e preoccupati. Probabilmente non aveva ancora capito il perché del mio crollo emotivo. Come dargli torto? L'avevo assalito una volta entrato in camera, senza lasciare il tempo a nessuno dei due di aprire bocca; era stato lui a trascinarmi a letto, facendomi stendere e coccolandomi teneramente, come un padre avrebbe fatto con suo figlia.

Ripensai a mio padre e alla sua imminente uscita da quella casa. Non lo accettai, nemmeno per un secondo pensai ad una eventuale possibilità.

Per anni i miei genitori erano stati l'esempio che seguii, vedere tutti i miei punti fermi frantumarsi era sconvolgente. La vita riserva continue sorprese. Prendi il bivio sbagliato e ti ritrovi in una strada chiusa, prendi quello giusto non sai mai come andrà a finire.

«Bella, te la senti di dirmi cosa è successo? Non riesco a vederti in questo stato», mi chiese Edward sofferente. Mi strinsi ancora di più contro il suo petto, affondando il viso nella sua maglia, umida a causa delle mie lacrime.

« Io... mi dispiace averti fatto preoccupare, non era mia intenzione. Non ho pensato molto a cosa stavo facendo che avevo già il telefono in mano e stavo componento il tuo numero...».

«Ehi, calma», mi interruppe Edward. Continuò ad accarezzarmii capelli e parlò con voce calma e pacata, ma con un filo di tensione: «Non si tratta di questo Bella, anzi, sono felicissimo di sapere che la prima persona a cui hai pensato sono stato io. Vorrei solo sapere perché sei in questo stato, non mi interessa altro. Ma se non sei ancora pronta per raccontarlo possiamo rimanere qui, così, finché lo vorrai».

La dolcezza e la premura di Edward non aveva limiti. Era un ragazzo così speciale, dolce e sensibile. Mai, mai, mai una volta che avesse detto qualcosa fuori posto.

«I miei genitori sono in crisi», sputai fuori in un sussurro appena udibile. Edward rilasso i suoi muscoli tesi e mi lasciò un bacio tra i capelli. Non disse nulla per confortarmi, il suo comportamento rivelò tutto quello di non detto. Le parole erano superflue, non avevo bisogno in quel momento di sentire le solite parole: 'andrà tutto bene, torneranno insieme'.

«Come hanno fatto ad arrivare a questo punto? Com'è potuto succedere? Loro sono... erano sempre stati così complici, innamorati...». Calde lacrime scesero dai miei occhi già gonfi.

Edward mi tirò più vicino a lui, appoggiai la testa nell'incavo del suo collo e ascoltai le sue parole rassicuranti, il suo respiro e mi lasciai avvolgere dal suo odore: sapeva di amore e di casa.

«Purtroppo succede, non sempre le cose vanno come noi vorremmo. Succede un imprevisto, qualcosa che infrange i nostri piani. La vita non si può programmare, bisogna sempre accettare ciò che si presenta sulla nostra strada e comportarci come meglio crediamo. L'amore non è una sicurezza, può finire, oppure possono esserci momenti in cui il sentimento non basta. Anche le persone più innamorate di questo mondo possono avere dei momenti no, piccoli incidenti in un cammino così lungo può capitare. Forse i tuoi genitori hanno solo bisogno di un po' di tempo per loro, o forse è successo qualcosa... l'importante è che tu non ti fai trascinare giù con loro. Sembra brutta detta così, ma è la verità. Questi sono problemi che devono risolvere loro, tu non hai nulla a che vedere con tutto questo e non devi sentirti in colpa o altro. Vivi la tua vita, i tuoi genitori ci saranno sempre per te, questo non cambia i tuoi rapporti con loro. Chiaro?».

Lui aveva già capito cosa mi stava succedendo, ancora prima che lo capissi io stessa. Sì, mi sentivo in colpa; appena mi dissero cosa stava succedendo tra loro pensai a qualche mio errore che li aveva portati a ciò. Come si può non colpevolizzarsi? Quando vedi che in casa tua, dove vivi tu, qualcosa non funziona non era mai colpa di una sola persona. Ma aveva ragione Edward, io non c'entravo nulla.

Mi sarei scusata con mamma e papà. Non mi ero comportata bene, anzi quel pomeriggio ero fuggita via senza dire nulla. Per nessuno sarebbe stato facile, ma io dovevo loro il mio appoggio e conforto.

«Chiaro?», mi ripeté Edward. Annuii e un leggero sorrise tornò sulle mie labbra. Edward...

«Grazie», sussurrai riconoscente. Aver intrapreso questo rapporto con lui era la cosa migliore che mi fosse mai capitata in tutta la mia breve vita.

«Non voglio sentirti dire una cosa del genere. Non c'è nulla per cui tu debba ringraziarmi. Grazie a te di esistere», mi rispose baciandomi dolcemente. Il sapore salato delle lacrime rese il bacio in qualche modo disperato.

«In questo periodo mi sono sentita particolarmente sola a casa. Sei tu che riempi le mie giornati, ormai», gli rivelai con tono casuale, come se la mia non fosse una confessione in piena regola. Non ebbi modo di constatare quanto le mie parole avessero confuso o emozionato Edward, lui non me ne diede il tempo.

«Lo stesso vale per me Bella, lo stesso vale per me». Seppi subito che si riferì solo alla seconda parte della mia frase. Per lui era impossibile sentirsi solo in famiglia.

Per un po' nessuno dei due aprì bocca. Il silenzio era rilassante, proprio quello che mi servì dopo una simile giornata.

«Bella...», mi chiamò Edward.

«Mmm». Il mio monosillabo parlò per me.

«Devo andare ora, ma ti prometto che torno nel giro di qualche ora».

«No, Edward, ti prego, resta ancora un po'», lo supplicai. Non volevo stare sola.

«Bella, tranquilla, torno. Non scappo sai?», mi disse sorridendo sornione. «Inoltre dovresti chiarire con i tuoi genitori, quando ho chiesto loro di salire erano molto preoccupati».

Era proprio questo che desideravo evitare: parlare con loro. Non ero pronta.

«Non posso».

«Sì che puoi. Io conto su di te, so che puoi farcela, sei forte Bella». Non volevo deludere Edward.

«Okay, farò un tentativo, ma non ti assicuro nulla», lo misi in guardia.

«È già qualcosa». Sorrise prima di abbassarsi su di me e baciarmi in modo sensuale e approfondito. Un bacio diverso dal precedente, più malizioso e passionale, un gioco di lingue e tutto quello che ci era consentito fare in quel momento. Fu Edward a staccarsi per primo, mi lasciò un ultimo bacio a stampo e poi uscì dalla camera.

Sospirai per la quinta volta in quelle ore e decisi di andare in bagno e vedere in che stato ero.

Mi sorpresi che lo specchio non si fosse rotto o venato, ero un mostro! Il trucco era colato formando linee nere sulle mie guancie. Gli occhi, oltre che simili ad un panda, erano rossi quanto quelli di un vampiro che aveva appena fatto uno spuntino sostanzioso.

Dopo essermi lavata la faccia scesi al piano di sotto alla ricerca dei miei genitori per chiarire. Li trovai presi da una fitta conversazione, che magicamente finì al mio arrivo.

Non parlammo molto, tutti e tre eravamo tesi e in imbarazzo. Non c'era molto da dire, feci capire ai miei genitori che era tutta una loro decisone e che, in ogni caso, per me sarebbero rimasti tali senza nessuna differenziazione. Non sentii la necessità di andare oltre, non mi sembrò ancora il caso.

Mi misi davanti la televisione e accesi un canale a caso. Per tutto il tempo in cui andò in onda America's got talent, non feci altro che pensare a Edward e a quanto fossi fortunata.

Il nostro rapporto cresceva di giorno in giorno. Mai una volta ero stata delusa da un suo comportamento o una sua parola. Era tutto perfetto, fin troppo e avevo una dannata paura che da un momento all'altro qualcosa potesse rompere il nostro equilibrio. Non avevamo vincoli, ma era come se li avessimo. Mi sentivo parte integrante di lui, la sua ragazza, e anche se non ne avevamo mai discusso non c'era niente fuori posto, andava bene così, senza parole ma con i fatti a dimostrare tutto.

Sentii il campanello suonare e mi fiondai verso la porta, convinta che fosse Edward. Aveva detto che qualche ora e sarebbe tornato da me.

«Allora, quanto ti ho fatto aspettare?», mi chiese subito. Io rimasi incantata dai suoi occhi e dal modo in cui le sue labbra si muovevano.

«Non molto», risposi maliziosamente avvicinandomi per baciarlo. Trovai un ostacolo, qualcosa di duro e rettangolare spingeva contro la mia pancia. Abbassai lo suardo e vidi una scatola abbastanza grossa nelle mani di Edward.

Il mio sguardo confuso lo fece ridere.

«Regalo di Natale anticipato», mi spiegò sorridente. Alla parola regalo i miei occhi si illuminarono.

Lo feci entrare e sedere sul divano. Vidi che teneva con troppa attenzione la scatola e la mia curiosità salì alle stelle.

«Premetto una cosa, il regalo avevo intenzione di dartelo domani, ma visto che oggi sei particolarmente giù di morale ho deciso di anticipare. Non sarà un giorno a fare la differenza. Avanti, aprilo».

Presi tremante la scatola, sentii un peso non indifferente passare sulle mie ginocchia e mi accorsi che qualcosa all'interno traballava.

Slacciai un fiocchetto azzurro e tirai su il coperchio della scatola. Non seppi mai che faccia feci una volta visto il contenuto della scatola, so solo che qualcosa si aprì nel mio cuore per fare spazio a quella tenera creatura beige con un fiocco enorme attaccato al collo.

Un tenero cucciolo di appena tre mesi, vista la statura, era rannicchiato impaurito nella scatola. Lo presi subito in braccio, accarezzandolo con delicatezza, come se fosse un oggetto fragile.

«Edward», pronunciai emozionata. Non sapevo come continuare.

«Ricordo la nostra chiaccherata a casa Hale. Mi avevi detto di aver sempre voluto un cane, ma che non avevi mai avuto l'opportunità di averne uno. Ora ce l'hai».

«È in assoluto il regalo più bello che potessi ricevere. Grazie, grazie, grazie!». Spostai il cane da un lato e mi buttai addosso a Edward, lo abbracciai stritolandolo nella mia morsa.

Lui ricambiò, ma il piccolo cane con fiocco rosso si intromise tra noi bisognoso di attenzioni.

«Dovrei sgridarti per aver messo questa creaturina nella scatole, non si fa Edward! Poteva morire soffocato!», lo sgridai dolcemente.

«Bella, lo avevo appena messo nella scatola per farti una sorpresa! E poi se guardi attentamente la scatole ha dei fori dal lato dove la stavo tenendo io, non mi crederai capace di chiudere un cane in una scatola, spero!», mi rispose indignato dalle mie accuse. Scoppiai a ridere, subito seguita da lui. Mi ero accorta eccome dei buchi, ma inizialmente non ci avevo prestato la dovuta attenzione. Era solo un mio modo per stuzzicarlo un po'.

«Ora dovremo trovargli un nome a questo birbante», constatai. Non ero mai stata brava nei nomi, infatto ogni animale che avevo avuto non poteva dire di aver avuto un nome decente.

«Abbiamo tempo per questo, ora inizierei con qualcosa da mangiare, a quanto pare ha fame». Edward aveva ragione, il cucciolo stava mordicchiando la mia mano come se fosse cibo.

«Vada per la pappa, ma dopo dovrai impegnarti anche tu per trovare un nome adeguato a questa peste».

«Agli ordini capo», rispose.

 

Buonasera ragazze! Ecco il solito aggiornamento del lunedì ^^ Sono puntuale, eh? ;) Non so perché, ma è da qualche minuto che sono sicura di essermi scordata qualcosa per questo capitolo, boh xD

Nello scorso capitolo ho scoperto che molti che seguono la mia storia sono della Liguria, non pensavo sapete? E' stata una bella sorpresa =)

Grazie a tutte per aver recensito, le persone che mi seguono sono aumentate e non posso che esserne felice *-* Ovviamente quando vi fate sentire mi rendete ancora più entusiasta =D

Dunque, in questo capitolo si è svelato un piccolo mistero, che però già dallo scorso capitolo qualcuno aveva intuito: i genitori di Bella sono in crisi. Per alcuni la reazione di Bella potrà sembrare esagerata, ma quando la base solida della tua vita si distrugge ognuno reagisce in modo differente, c'è chi si dispera, chi la prende con indifferenza... Voi cosa ne pensate?

Il regalo di Edward lo adoro *-* Io amo gli animali, ne ho avuti e continuo ad averli, sono cresciuta con i miei nonni che avevano non so quanti gatti *-* Il vostro animale preferito?

La canzone vi piace?

Okay, le note devono finire, non sono nemmeno sicura che tutte le leggiate xD

Spoiler

«Ma che bravo attore...».

«... e che adulatore», finì lui per me. Assolutamente, era un adulatore nato, ma nel senso buono del termine. La sua risata fu contagiosa, come sempre del resto.

«Non mi hai ancora salutato come si deve». Sfiorai con il naso la sua guancia calda e leggermente ispida. Avvicinai le mie labbra alle sue senza toccarle e aspettai che parlasse.

A lunedì!

Kiss :***

Jess

Ps Ci di voi va al cinema mercoledì o comunque entro la settimana? =D

 

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Capitolo 8
*** Breakaway ***


BREAKAWAY

Make a wish, take a chance,
Make a change, and break away
Out of the darkness and into the sun
But I won't forget all the ones that I love

Kelly Clarkson, Breakaway

 

Il giorno di Natale iniziò nei migliori dei modi. Quel piccolo battufolo che la sera prima mi aveva regalato Edward, ancora senza nome, aveva dormito accoccolato su di me. Per tutta la notte il suo tenero peso schiacciò la mia pancia senza avere il permesso di muovermi di un millimetro per non svegliarlo.

La sera precedente, io ed Edward, non eravamo arrivati a nessuna conclusione per quanto riguardava il nome di quel birbante. Edward non era di certo di grande aiuto, aveva proposto nomi indecenti. Dal mio canto, invece, non riuscì a farmi venire in mente nemmeno un nome che significasse qualcosa per noi. Magari che... Rain, questo poteva benissimo essere il suo nome! Era semplicemente perfetto, perché tra me ed Edward iniziò tutto quel famoso giorno piovoso, un evento raro per Savannah.

Mi alzai lentamente e presi in braccio Rain, che subito iniziò a scondinzolare contento per quelle attenzioni. Dovevo subito dargli da mangiare, erano già le nove e sicuramente aveva una grande fame, proprio come la padrona! Prima, però, dovevo fare una cosa importante: chiamare Edward.

Avanti, Edward, rispondi! Continuai a ripetere mentalmente questa frase finché la sua voce assonata non rispose al telefono: «Pronto?».

«Edward, auguri! Volevo essere la prima a dirtelo, quindi scusa per l'ora, immagino non fossi esattamente sveglio», risposi prontamente con voce colpevole.

«Bella, ciao! Auguri anche a te! Non mi hai svegliato... be' sì, comunque mi fa piacere, quindi non scusarti».

«Ho trovato un nome per il cane: Rain lo trovo perfetto!», esclamai entusiasta mentre rovistavo nell'armadio in cerca del vestito che avrei indossato quel giorno.

«Sì, sei stata brava anche senza di me».

«Ammettilo, sei negato con i nomi! Appena sveglia ho avuto un lampo di genio!». Rise e sbadigliò nello stesso istante, sentii chiaramente il suono del suo sbadiglio e decisi di lasciarlo andare per far sì che dormisse ancora un po'.

«Non importa davvero, tanto a breve sarebbe venuta Alice a svegliarmi, quindi meglio il tuo risveglio, molto più dolce, te lo posso assicurare. Mi dispiace che oggi non potremo stare insieme, dubito che le nostre famiglie abbiano in mente un pranzo breve», mi disse scoraggiato al pensiero di un'intera giornata separata.

«Dispiace anche a me. Non immagini neppure quanto», confermai sedendomi sul letto e fissando il pavimento. Ormai ero abituata a vedere Edward tutti i giorni, pensare di non riuscire a vederlo durante una festa così importante mi scoraggiava.

«Vuol dire che domani passeremo la giornata insieme, solo noi due», affermò sicuro di sé.

«Cosa ti fa credere che io accetterò? Forse sarò impegnata, chi lo sa», lo stuzzicai allegramente, usando un tono serio e composto.

«Sentiamo, con chi saresti impegnata domani?», rispose stando al gioco.

«Vediamo... è difficile, dovrei descriverti il tipo per farti capire meglio». Mi sdraiai nuovamente sul letto e mentre con una mano accarezzai Rain, con l'altra tenni saldo il cellulare.

«Hai campo libero, descrivi ciò che vuoi».

«Questo ragazzo ha i capelli perennemente disordinati...», iniziai. Per immaginarlo in tutto il suo splendore chiusi gli occhi e richiamai la sua figura nella mia mente.

«La ragazza che vorrei vedere io, invece, ha dei capelli fantastici, morbidi e di un luminoso castano».

«E chi ha detto che i capelli di questo fantomatico ragazzo non siano fantastici? Lo sono, eccome se lo sono!», risposi continuando a immaginarmelo sdraiato nel letto mentre mezzo addormentato cercava di rimare lucido per parlare con me. «Poi ha gli occhi di un verde straordinario, ogni volta mi incantano e mi sembra sempre di vederli più luminosi ogni giorno che passa», azzardai conscia che la mia frase nascondeva molto di più di quel che volessi rivelare o sentirmi dire.

«Ed è così, credimi», disse abbandonando le frasi ipotetiche. «Ogni giorno che passa mi rendi sempre più felice. Non riesco più a immaginare un giorno senza di te».

Sentii le mie guancie bagnate e mi passai una mano sul viso. Piangevo. Mi ero commossa per le dolci parole di Edward. Significavano molto di più di ciò che mi aveva detto. Era come un ti amo inespresso e valeva tanto, troppo.

«È banale dire che anche per me è così. Sai che lo è, ma sai anche che non lo sto dicendo ora perché sei stato tu il primo a confessarmelo. Ieri è stata solo la conferma di quanto tu sia speciale», confermai con voce tremante. Respirai profondamente nel tentativo di calmarmi e frenare le lacrime.

«Vorrei essere lì con te». La sua voce sofferente mi colpì come un pugno nello stomaco. Eravamo davvero arrivati a questo punto? Qualche ora di distanza ed era un patimento per entrambi.

Questo è amore, Bella, mi disse una vocina nella mia testa. Sì, era così. Doveva essere così!

«Vorrei averti qui con me», risposi con lo stesso tono.

«Questa giornata passerà in fretta, vedrai».

«Lo spero», sussurrai.

 

La chiamata con Edward si era prolungata, quindi mi ritrovai in ritardo. Dopo aver sfamato me e Rain, dovetti sbrigarmi a prepararmi per il pranzo a casa dei parenti. Mamma e papà avevano deciso di non festeggiare a casa nostra, molto strano visto che ogni anno era un rito, ma forse vista la loro crisi non se la sentivano.

Per Natale mi ero comprata un nuovo vestito, rosso e frizzante. Ormai era una tradizione mia e delle due pazze: Alice e Rose; ogni anno per Natale e Capodanno compravamo abiti e intimo nuovi, era come una scaramanzia per augurarci buon anno nuovo.

Il pranzo dai miei zii passò molto lentamente, sembrava non finire più. Per fortuna avevo avuto la scusa ogni mezzora di dover portare fuori Rain, che essendo un cucciolo non riusciva a stare fermo e non aveva imparato ancora le regole di cosa non si può fare in una casa. Dovevo lavorarci su.

Mi scambiai anche qualche messaggio con Alice, Rose ed Edward. Le prime due erano entusiaste per i loro pranzi di Natale, invece Edward era del mio stesso avviso, ma solo perchè gli mancavo. Che doce quel ragazzo. Potevo trovare qualcuno migliore di lui? No, non era umanamente possibile, perché lui era il meglio del meglio.

Mentre mi rilassai sul portico di casa dei miei zii i miei genitori mi chiamarono per tornare a casa. Rain, da bravo cucciolo scansafatiche, era stanco, quindi dovetti prenderlo in braccio. Salutai calorosamente i miei zii e notai le occhiate a dir poco compassionevoli che tutti i miei parenti mi lanciarono. A quanto sembrava la pausa che i miei genitori avevano deciso di prendersi, era già sulle orecchie di tutti i parenti.

I discorsi tra i miei genitori ormai erano inesistenti e, ovviamente, questo si rifletteva anche su di me, come un raggio di sole su un orologio.

Come poteva rompersi un amore così solido? Quali erano le implicazioni che facevano sì non risolvessero i loro problemi? Perché un rapporto doveva finire anche quando c'era ancora amore? Erano domande a cui non sapevo dare una risposta.

Negli occhi di Renèe e Charlie c'era ancora quell'amore che li legava e rendeva così speciali. Non potevo sapere cosa ci fosse dietro al loro distacco, non erano affari miei, eppure la mia curiosità e la mia voglia di dare un senso a tutto ciò, mi spingeva a studiarli per cercare di carpire la verità.

Una vita senza amore non è degna di essere vissuta. Ma una vita con un amore perso? Cosa si diceva di quello? Nulla, perché i consigli e le frasi fatti servono solo a sognare, non a farti vedere con chiarezza le cose. Le decisioni, le scelte, tutto si riduce alla persona. Non si poteva cercare di capire attraverso meccanismi preesistenti. Ogni cosa aveva una sua struttura. Stessa cosa per i miei genitori; la loro storia era diversa, non poteva confrontarla ad altre per capire, dovevo solo rimanere nella mia ignoranza sulla questione. L'ignoranza a volte era meglio del sapere stesso.

Così mi ritrovai nella stessa posizione di quella mattina, sdraiata nel letto con il piccolo Rain che giocherellava con la manica della mia maglia.

Perchè la vita doveva essere così difficile? Decisioni, scelte sbagliate e tutto ti riportava alla partenza. Io non avevo fatto scelte, eppure ne subivo le conseguenze. Era giusto così? Forse ero troppo egoista, pensavo solo alla mia situazione, invece di pensare a quanto fossero incasinati Renèe e Charlie.

O dio, pensai, ho dimenticato di chiamare i miei nonni!

Era davvero una nipote ingrata! Loro erano e chilometri e chilometri di distanza da Savannah, nello Utah, ignari di tutto quello che stava succedendo e ignorati anche dalla loro unica nipote. Ecco come farmi venire i sensi di colpa.

Presi svelta il cellulare e composi il loro numero di casa. Al terzo squillo rispose la voce allegra di mia nonna Janice: «Pronto?».

«Ciao nonna, scusa se non ho chiamato prima. Buona natale!», risposi prontamente.

«Tesoro della nonna, come stai cara? Tutto bene?», mi chiese preoccupata. Il suo tono nascondeva qualcosa, era troppo ansiosa.

«Sì, sì, tutto bene. Il nonno? Come sta? Salutamelo e fai gli auguri anche lui».

«Sì, cara, sta benissimo. Non vede l'ora di vederti, come me del resto. Quando vieni a trovare i tuoi nonni? Ci manchi molto, cara».

«O nonna, anche voi mi mancate! Purtroppo non so quando riuscirò a fare un salto, forse ad aprile, ma non vi assicuro nulla, quest'anno ho gli esami». Mi dispiaceva vederli così poco. Adoravo passare il tempo in loro compagnia, la loro casa mi aveva sempre donato un senso di tranquillità e benessere. Oddio, quanto mi sarebbe piaciuto passare un po' di tempo con loro.

«Cara, perché non passi qualche giorno di queste vacanze qui con noi? Ti farebbe bene staccare un po' da lì e allontanarti da quella casa. Non deve essere facile per nessuno questo periodo». Nonna cercò di tentarmi e in parte ci riuscì. Fu solo il pensiero di Edward a farmi desistere dall'accettare subito.

«E così lo sapete anche voi», dissi con voce tremante. Non era il mio argomento preferito, non al momento almeno. «Mi piacerebbe venire molto da voi, ma potrei stare solo pochi giorni e poi...».

«Tesoro, avanti, vieni qui qualche giorno, non che farti bene. Passeremo il capodanno insieme e poi partirai in tempo per l'inizio della scuola». Nonna non voleva una risposta negativa, non mi fece nemmeno finire la frase con la paura che potessi trovare qualche valida ragione per non partire. Una valida ragione ce l'hai già, mi suggerì una vocina fastidiosa.

«Nonna, non so se è una buona idea, ora ho anche un cane e non posso abbandonarlo a casa da solo. Non mi sembra il caso di lasciarlo a mamma e papà, sai quanto in questo periodo non siano proprio presenti», dissi con voce convincente.

«Piccola, non c'è problema, porta anche lui!». Janice non si arrendeva mai.

«Non posso far fare un viaggio così lungo ad un cucciolo, mi sentirei male al posto suo!».

«Bella, non farla così tragica! Avanti, vieni a trovare i tuoi nonni, che sono sempre qui soli, senza la loro nipote preferita...».

«L'unica nipote», precisai sorridendo. Solo sentirli mi metteva di buon umore, non volevo nemmeno immaginare quanto potessi stare bene qualche giorno con loro. «E va bene», mi arresi contenta all'idea di andare a trovarli. «Ora guardo su internet a che ora c'è il primo volo e poi vi richiamo».

«Perfetto, cara, vado subito ad avvisare Jason!».

«Nonna», l'ammonii seriamente decisa a stroncare subito le sue manie di fare da cupido. Era sempre stata una grande tifosa della mia storia con Jason, ma ora c'era Edward, qualcuno che lei non conosceva ancora, ma che presto avrebbe conosciuto. Ero certa che la sua adorazione per Edward sarebbe stata al pari della mia.

«E va bene, non farò nulla questa volta!».

«Spero manterrai la parola, perché si da il caso che io mi veda con qualcuno di importante».

«O mio dio, la mia nipotina è cresciuta! E dimmi, com'è? Ti tratta bene? Mi raccomando, ricordati di portare qualche sua foto, sai che sono curiosa e poi tuo nonno vuole vedere bene chi frequenta sua nipote». Sentii in sottofondo la voce di mio nonno John lamentarsi e chiedere di più su questo fantomatico ragazzo che usciva con sua nipote. Adoravo la gelosia di mio nonno, maggiore di quella di mio padre, ma d'altra parte tale padre tale figlio.

«Certo nonna, porterò tutto. Ora vado, controllo gli orari e poi vi richiamo».

Ci salutammo e chiusi la chiamata. Guardai gli orari su internet e poi richiamai i miei nonni. Alle cinque del mattino avevo il volo, quindi contavo di arrivare a Logan, dove vivevano loro, all'ora di pranzo.

Dopodiché iniziai a preparare la valigia, infilandoci dentro tutto ciò che avevo di pesante. Dopo solo un'ora finii e chiamai Edward. Lui era l'unico scoglio per il quale non volevo partire.

 

«Edward, domani mattina parto», dissi appena rispose. Non c'era bisogno dei soliti convenevoli. Ma la sensibilità la lasciai da un'altra parte.

«Come?», mi chiese confuso. E, be', aveva ragione!

«Ho sentito i miei nonni e mi hanno chiesto di andare da loro per qualche giorno. All'inizio non volevo partire, non volevo allontanarmi da te, ma loro ci tengono molto e anche io vorrei rivederli e passare un po' di tempo lontana da qui. Mi dispiace molto, domani dovevamo passare la giornata insieme e...», presi a parlare senza più fermarmi e fu lui e interrompere il flusso di parole innarrestabili.

«Ehi, Bella, calmati. Non devi preoccuparti. Fai bene a partire, non è un buon periodo per te e forse la vicinanza dei tuoi nonni ti farà più che bene».

«Cosa ho fatto di buono nella vita per meritarmi un ragazzo come te?»

«Non so nulla di speciale», si screditò.

«Accidenti, tu sei speciale! Lo sei, eccome, se lo sei!», esclamai marcando su ogni singola parola. Doveva capire una volta per tutte quanto valeva.

«Sono io quello fortunato ad averti, mia Bella». Edward riusciva a farmi sciogliere con meno di dieci parole. Come avrei voluto che venisse con me a Logan, ma non potevo chiedergli una cosa simile, significava passare le vacanze lontano dai suoi cari e non volevo provarlo di un simile evento.

Parlammo fino alle otto di sera, dopodiché, entrambi chiamati dai rispettivi genitori, dovemmo chiudere la chiamata, con grande dispiacere. La mattina seguente sarei partita e non avevamo la possibilità di vederci.

A cena comunicai ai miei genitori che sarei andata qualche giorno dai nonni, si mostrarono in parte sollevati dalla mia partenza e in parte dispiaciuti di non poter passare il resto delle vacanze tutti insieme. Ero sicura che i giorni di ferie che si era preso mio padre gli servivano a traslocare da un'altra parte, quindi era meglio non fossi presente in quel momento. Inoltre non dover fingere da parte loro un minimo di dialogo per l'armonia familiare risparmiava molte energie e loro e a me che cercavo continuamente di intavolare una conversazione, quasi sempre stroncata dopo due frasi.

Insomma, era tutto un gran casino in quella casa!

Dopo cena decisi di portare fuori Rain, ormai era diventato un passatempo in meno di un giorno, una scusa per non stare in casa.

Salii in camera a prendere una giacchetta e poi uscii di casa con quella piccola palla di pelo. Scesi i tre scalini del portico totalmente al buio e vidi una sagoma nel vialetto muoversi nella mia direzione. Mi spaventai e iniziai a risalire all'indietro i gradini, ma appena l'ombra fu sotto il lampione mi rilassai all'istante e corsi nella sua direzione. Lo abbracciai di slancio, appoggiai il viso sulla sua spalla e sentii le sue mani accarezzarmi dolcemente la schiena. Era lì, era venuto per me.

«Edward», sussurrai sul suo collo. Lo sentii rabbrividire e mi congratulai con me stessa delle sensazioni che riuscivo a trasmettergli.

«Bella», rispose con lo stesso tono che usai poco prima.

«Cosa ci fai qui? Non che non sia felice della tua presenza, ma mi hai fatto prendere un colpo poco fa» domandai curiosa di sentire la sua risposta.

«Non posso fare una sorpresa alla ragazza più meravigliosa del pianeta che domani parte e mi abbandona in questo posto triste e desolato?», rispose con tono melodrammatico.

«Ma che bravo attore...».

«... e che adulatore», finì lui per me. Assolutamente, era un adulatore nato, ma nel senso buono del termine. La sua risata fu contagiosa, come sempre del resto.

«Non mi hai ancora salutato come si deve». Sfiorai con il naso la sua guancia calda e leggermente ispida. Avvicinai le mie labbra alle sue senza toccarle e aspettai che parlasse.

«E come dovrei salutarti secondo te?», mi sfidò non muovendo di un centimetro il viso.

«Dolcemente», e sfiorai le sue labbra. «Passionalmente», e morsi leggermente il suo labbro inferiore. «Oppure così», sussurrai prima di baciarlo come si deve, senza più sfioramenti o morsi innocenti. Un vero bacio, con tanto di ardore e passione, dolcezza e amore, un connubio perfetto di sentimento.

Sfiorò la mia lingua con la sua e piano si fece più deciso, esplorando la mia bocca e attaccando il suo corpo al mio. Mi strinse a sé con decisione, senza lasciare nemmeno uno spiraglio tra i nostri corpi.

Sentivo crescere in me il desiderio di stare con Edward, fisicamente. Brividi caldi e freddi percorrevano il mio corpo ormai assuefatto dal suo odore. Non riuscivo a staccarmi da lui né volevo farlo.

La sua dolcezza e delicatezza si fece sentire in ogni singolo momento. Un bacio tenero e delicato, speciale perché aveva il retrogusto di momentaneo abbandono. Non volevo pensare che da lì a poco non lo avrei rivisto per giorni interi. Già in quel momento un solo giorno pesava come un macigno.

Interruppe il bacio, ma lasciò le sue labbra appoggiate alle mie. Respiravano l'uno il respiro dell'altro e ciò poteva significare solo intimità.

«Porterai anche Rain con te?», mi chiese Edward in un dolce sussurro. Appena parlò le sue labbra si mossero sulle mie. No, Bella, mi ammonii, resisti, non fare la pervertita! Non puoi stare sempre attaccata alle sue labbra!

«No, no, non me la sento di fargli fare un viaggio simile. Non so ancora cosa fare, lasciarlo ai miei non se ne parla...».

«Lo tengo io», mi disse Edward mentre gentilmente mi accarezzava il collo.

«Cosa?», chiesi frastornata dalle sue carezze seduttive.

«Non ho alcun problema nel prendermi cura di Rain», confermò.

Alzai il viso e fissai i suoi occhi verde smeraldo. Gli lasciai un bacio a stampo e poi mi allontanai di qualche centimetro per parlargli: «Sei il ragazzo perfetto».

«Me lo dicono in tanti, sì», scherzò con il suo tono ironico.

«Dico davvero», rimarcai decisa a fargli capire quanto fosse importante per me che capisse cosa volevo dirgli.

«Lo so», sussurrò dolcemente prima di baciarmi di nuovo. I suoi baci erano i momenti della giornata che più preferivo.

Buonasera! Premetto che ho mal di testa, mi bruciano gli occhi e quindi non ho nemmeno riletto il capitolo, quindi perdonate eventuali errori, ci penserò domani a correggerlo.

Dunque, questo e il prossimo capitolo sono gli ultimi che ho scritto, dopodiché niente più capitoli pronti e dovrò cercare di stare al passo con gli aggiornamenti del lunedì. Il capitolo non mi piace, per niente, sono insicura, ho pensato anche di riscriverlo, ma alla fine non avrei avuto nulla da postare oggi, quindi eccolo qui, spero solo non faccia così pena come penso.

Ringrazio come sempre le persone che recensiscono ogni capitolo, mi fate sempre felicissima *-* Ovviamente grazie anche a chi legge, chi mi ha inserito tra gli autori preferiti, etc...

Benvenuti ai nuovi arrivati, mi fa sempre piacere leggere nuovi parere ;)

Bene, ultima domanda e mi dileguo! Avete visto Breaking Dawn? *-* Come vi è sembrato? Io sì, posso solo dire che è meraviglioso *-* Non voglio fare spoiler per chi deve ancora vederlo ;)

Niente spoiler questa volta, scusatemi, ma proprio non ce la faccio a leggere il capitolo successivo e cercare la parte giusta ç.ç Metterò uno spoiler in settimana sul mio profilo di facebook, se volete aggiunegrmi sono Vanderbit Efp.

A lunedì!

Kiss :***

Jess 

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Capitolo 9
*** I can't be here ***


  

I can’t be here

So I’ll taste every moment
And live it out loud
I know this is the time,
This is the time to be
More than a name
Or a face in the crowd
I know this is the time
This is the time of my life

David Cook, The time of my life

Edward aveva insistito molto per accompagnarmi all'aeroporto. Il volo era previsto per le cinque del mattino, quindi alle quattro dovevo essere lì per fare il check-in.

Non mi erano mai piaciuti i saluti prima delle partenze. Sapevano così tanto di addii. Il mio era un semplice "a presto", perché dopo pochi giorni era previsto il mio ritorno.

Fatto sta che Edward era passato a prendermi da casa alle tre e mezza di notte, tutto assonnato e dolcissimo con gli occhi rossi, ma sempre brillanti grazie al loro meraviglioso colore.

«Mi dispiace non passare il capodanno insieme», dissi dispiaciuta per la mia partenza. Mi strinsi ancora di più a lui, poggiando il capo sulla sua spalla. Eravamo seduti di fronte ai tabelloni in attesa della chiamata per il mio volo. C'era anche Rain con noi, visto che in seguito doveva andare a casa con Edward, che si era gentilmente offerto di tenerlo mentre ero via.

«Anche a me, credimi. Però possiamo sempre recuperare in seguito», mi rispose maliziosamente. In quel periodo, il suo carattere allegro e solare stava uscendo sempre di più allo scoperto.

«Altroché», confermai con il suo stesso tono.

Dopo qualche minuto chiamarono il mio volo e fui costretta ad alzarmi e dirigermi verso l'imbarco. Edward mi accompagnò fino a dove poté e una volta al confine tra le due soglie mi fermai anche io per salutarlo.

«A presto», sussurrai fissando i suoi occhi verdi. Mi accarezzò una guancia sorridendo dolcemente e non potei evitare di farmi venire gli occhi lucidi al solo pensiero di non vederlo per giorni.

«A presto», ripeté avvicinando il suo viso al mio. Socchiusi gli occhi, attesi che finalmente le sue labbra toccassero le mie e a quel punto furono fuochi d'artificio.

Lasciai cadere il borsone che tenevo in mano e alzai le braccia per avvolgere il suo collo. Immersi le mani nei suoi capelli, lui mi strinse a sé e trascinò i miei fianchi verso il suo bacino. La sua bocca si posò sulla mia con irruenza, la sua lingua si mosse decisa, come mai prima di quel mattino. Era un bacio nuovo per noi, più passionale e in qualche modo maturo.

Quando sentì il mio corpo rispondere al suo, affondò ancora di più la lingua nella mia bocca, come un disperato nel deserto cerca l'acqua, così lui cercò il mio sapore. Il suo era forte e delicato allo stesso tempo, esattamente come era lui: menta e miele.

Edward infilò una mano nei miei capelli, tirandoli leggermente, quindi piegai la testa di lato, lasciando a lui maggior accesso alla mia bocca. Non smise un attimo di accarezzare i miei fianchi e i capelli.

Tutto fu interrotto da Rain che si mise ad abbaiare, probabilmente annoiato nello stare fermo. Dopotutto era ancora un cucciolo.

Ci staccammo con il fiatone ed io rimasi in uno stato di trance, fissai annebbiata il viso di Edward senza vederlo davvero.

«Io devo... sì, andare...». Non riuscii ad esprimere un pensiero coerente, non ancora così vicino ad Edward e non con il chiaro remake in mente del bacio.

«Sì, sì, sarebbe meglio che tu andassi, prima di perdere il volo», disse Edward con il fiatone, eco del mio.

«Già... sì, allora... ciao Edward», sospirai e il suo nome uscii triste e malinconico.

«Questi giorni voleranno». Cercò di tirarmi su di morale, senza gran successo. «Non voglio vederti andare via con quel viso triste», disse accarezzandomi la guancia rossa a causa della forte emozione di prima. «Avanti, fammi un sorriso», mi chiese dolcemente e non potei rifiutare una simile richiesta. «E questo lo chiami un sorriso», disse punzecchiando le mie guancie.

«Di meglio non riesco a fare in questo momento», ammisi triste.

«Bene, allora non ti muoverai di qui fino a quando non riuscirai a sorridere sinceramente».

«Edward...», mi lamentai come una bambina piccola.

Alla fine fui costretta a sorridere, anzi mi fece ridere lui con una battuta che riuscimmo a capire solo noi due.

Mi abbassai per recuperare la valigia e con la gamba sinistra, incastrata tra le sue, lo sfiorai leggermente e mi accorsi della sua eccitazione. Si rese conto che non passò inosservato e diventò rosso fuoco per poi spostare lo sguardo su Rain, appollaiato vicino a lui.

Chi se ne frega, pensai e mollai nuovamente il borsone per terra per buttarmi in braccio a Edward, che sorpreso mi sorresse dal sedere. Questa volta fui io a baciarlo, ma non fu un bacio passionale, ma solo dolce, di quelli che solo a guardarli fanno salire il diabete. Mi aggrappai a lui come se fosse la mia ancora di salvezza e sì, lui era diventato proprio quello per me, il mio porto sicuro, dove sapevo che potevo rifugiarmi in qualunque momento. Tenne un braccio sotto il mio sedere per non farmi cadere e con l'altro si ancorò alla mia vita.

Entrambi muovemmo le labbra lentamente e delicatamente, le nostre lingue si sfiorarono timide e fui sicura che una tale sincronia nascondeva molto di più di ciò che si notava dall'esterno. Eravamo talmente ben assortiti, con una tale empatia che dare una definizione a tutto ciò era quasi impossibile. Sospirai sulle sue labbra, aprii lentamente gli occhi e fissai quelle pozze verdi smeraldo che ammaliavano chiunque vi posasse lo sguardo.

«Non devi», sussurrai nel suo orecchio. Volevo fargli capire che non doveva imbarazzarsi, la sua era una reazione normale e ne fui io stessa compiaciuta.

«Tieni», mi disse Edward mentre mi porgeva il suo iPod. «Ieri hai rotto il tuo e non sai stare senza ascoltare musica in un viaggio così lungo». Oddio, che dolce, pensai sognante mentre prendevo l'oggetto.

«Grazie». Il mio entusiasmo era palpabile e non si trattava solo della possibilità di ascoltare un po' di buona musica per tutto il viaggio, ma del pensiero che aveva avuto, del fatto che se n'era ricordato. Per me era importantissimo.

Il nostro saluto fu così, passionale e dolce, senza promesse, perché non c'era nulla da mantenere. Sarei tornata.

Il viaggio in aereo passò lentamente, tra musica e una sana dormita. Guardai anche un pezzo di film che trasmettevano dal piccolo televisore posto nello schienale del sedile di fronte al mio, ma subito mi annoiai e quindi passai ad altro. Lessi anche, o almeno ci provai, ma il sonno ebbe la meglio.

Atterrai dopo qualche ora e all'uscita trovai una sorpresa ad attendermi impaziente, appoggiato alla sua auto blu notte.

«Jason», urlai per farmi sentire. Trascinai il mio borsone e la mia valigia fino alla sua auto, poi mollai tutto e lo abbracciai di slancio. Quanto mi era mancato, era uno degli amici più cari che avevo.

«Ehi, la mia piccola Bella. Allora, hai fatto stragi di cuori in aereo?», mi prese in giro.

«E tu sei sempre il solito stupido», lo ammonii con un buffetto sulla guancia. «Vuoi dirmi cosa ci fai qui?», chiesi interessata dalla sua comparsa in aeroporto.

«Non è forse ovvio? Sono venuto a prenderti», rispose alzando un sopracciglio.

Lo guardai male, cercai di attuare il mio sguardo peggiore con il risultato di farlo ridere e basta.

«Okay, i tuoi nonni mi hanno chiamato per dirmi che saresti tornata e io mi sono offerto di venire a prenderti».

«Non dovevi disturbarti, sarei potuta tornare anche in taxi», affermai salendo in macchina.

«Sì, ma così non avremmo avuto l'opportunità di parlare un po'».

Mi concessi qualche minuto per osservare Jason. Era da qualche mese che non ci vedevamo, ma non era cambiato per nulla, sia nei modi di fare che nel suo aspetto. Vestiva sempre in modo un po' trasandato, con quell'aria da bello e impossibile per cui tutte le ragazze impazzivano. I suo capelli erano sempre castani, ma leggermente più corti di qualche tempo fa. Gli occhi chiari erano ugualmente intensi, di un azzurro talmente chiaro da sembrare color ghiaccio. Insomma, era il tipico ragazzo che ti giravi a guardare per strada e non solo per la sua bellezza, quella poteva colpire come lasciare indifferenti, ma proprio per il suo atteggiamento solare, per l'impressione che dava di sé a chi lo fissava per più di qualche minuto, da duro, eppure con quello sguardo quasi innocente. Una combinazione così strana era possibile? Secondo la mia impressione di Jason sì, secondo altri lui era solo un ragazzo che dava mostra di sé e della sua virilità. Io lo conoscevo e potevo dire che quelle persone si sbagliavano.

La nostra relazione poteva definirsi breve, eppure in quel lasso di tempo avevamo condiviso molto, lui mi aveva dato molto. Che poi nulla avesse funzionato, purtroppo non era stata colpa di nessuno, semplicemente eravamo destinati ad altre persone.

«Non devi avvisare i tuoi genitori e i tuoi amici?», mi chiese mentre guidava concentrato in mezzo al traffico cittadino.

«Cosa?», domandai una volta che riemersi dal mio mondo. Mi capitava sempre più spesso di perdere il contatto con la realtà, soprattutto in presenza di qualcuno in particolare.

«Dicevo, che forse sarebbe meglio se chiamassi a casa per far sapere che sei arrivata».

«Oh, sì, hai ragione. Me ne stavo quasi per dimenticare», risposi.

Presi il cellulare e mandai un messaggio ai miei genitori, non avevo voglia di chiamare, sapevo che Charlie stava portando via la sua roba da casa, quel giorno era dedicato al suo trasloco. Poi inoltrai la chiamata ad Edward, sperando di non disturbarlo.

«Bella! Ciao cognatina! Com'è andato il viaggio? Sei arrivata? Ora come farai ad andare a casa dei tuoi nonni? Qualcuno è...». Alice prese a parlare a macchinetta e non seppi più dove interromeprla.

«Alice!», urlai per sovrastare la sua voce e notai Jason strabuzzare gli occhi e darmi una rapida occhiata come per dire che ero una pazza. Be', lui non sapeva con chi avevo a che fare!

«Sì?», rispose calma, dopo aver esaurito la sua marea di domande.

«Mi sono persa al ciao», affermai sconsolata di avere un robot per amica.

«Oddio, Bella! Come devo fare con te? Forse posso perdonarti, dopo tutte quelle ore di volo non sarai molto recettiva». Con lei era sempre la solita situazione, altro che ore di volo! Lasciai correre e risposi a qualche sua domanda prima di chiederle come mai mi aveva risposto lei al telefono di Edward, avevo anche ricontrollato lo schermo del telefono e no, non avevo sbagliato numero.

«Edward sta dando da mangiare a Rain, ha molto a cuore quel cane, lo tratta come se fossi tu. Questo è un complimento, ovviamente!». Certo, un complimento per Rain, non per me. Non volevo essere fraintesa, ero felicissima di sapere che Edward aveva una particolare intesa con il cucciolo.

«Potresti passarmelo?», chiesi gentilmente a quella squilibrata che mi ritrovavo come amica. Adoravo Alice, era una delle persone più importanti della mia vita, ma a volte mi faceva uscire letteralmente di testa con tutti i suoi discorsi e le sue continue domande.

Fissai il paesaggio che scorreva veloce, dimenticai per un attimo tutti i miei problemi a casa e mi concentrai solo sul cielo azzurro, il sole che creava giochi di luce sulle piante colorate e infine chiusi gli occhi. Inspirai ed espirai l'aria di quel luogo che in qualche modo consideravno una seconda casa. Amavo Logan. Da sempre.

«Ehi, Bella!», mi chiamò Edward entuasiasta.

«Edward», il suo nome uscì misto ad un sospiro. «Sono arrivata, volevo solo dirtelo», confessai timidamente. Gli avrebbe fatto piacere sapere che ero atterrata, per questo non avevo esitato a chiamarlo. La verità era anche che volevo risentire la sua voce, sentire il mio nome uscire dalle sue labbra che poche ore prime erano impegnate con le mie. Dio, che bacio era stato! Sarebbe passato nella storia della nostra relazione, già lo sapevo.

«Come andrai a casa dei tuoi nonni?», mi chiese interessato.

«Jason mi ha fatto una sorpresa, è venuto a prendermi in aeroporto».

«Ah», rispose secco senza aggiungere una singola parola. Cosa significava quel "ah"? Era infastidito dalla presenza di Jason? Era geloso? Non potevo non ammettere che una simile eventualità mi avrebbe fatto piacere, sarebbe stata una conferma ulteriore di quei sentimenti sempre più difficili da reprimere.

«Ehm, già, non me l'aspettavo nemmeno io», dissi tanto per fargli capire che davvero non ne sapevo nulla.

«Ora sarà meglio che ti lasci, devo portare fuori Rain». Certo, perché non poteva portarsi fuori il cellulare, vero?

«Okay», risposi sconcertata dal suo atteggiamento. Sperai non si trattasse di altro se non gelosia, altrimenti non riuscivo a capire il perché del suo comportamento. «Ci sentiamo più tardi?», chiesi timorosa e sperai in una sua risposta affermativa.

«Certo, piccola», mi rispose dolcemente prima di chiudere la chiamata. Io rimasi ad ascoltare il cellulare muto, ancora sconvolta, ma felice di sentirmi chiamare da Edward con un soprannome diverso dal solito "Bella".

«E così nella tua vita c'è un nuovo uomo», affermò Jason con un tono di voce alquanto strano, un misto tra irritazione e tranquillità.

«Già», confermai senza sbottonarmi più di tanto. Sì, lui era un mio amico, ma era anche stato il mio ragazzo e non sapevo che un argomento simile potesse infastidirlo in qualche modo. Dopotutto il detto che di qualunque persona sia stata tua in passato ne sarai sempre geloso, non era detto a caso, funzionava sempre e in qualunque situazione analoga.

«E... com'è...».

«... Edward».

«Com'è Edward?», mi chiese. Lo guardai attentamente per vedere se fosse davvero interessato a sapere che persona era il ragazzo con cui uscivo e lo trovai sincero.

«Lui è... fantastico, davvero. Non c'è nulla in lui che cambierei, perché non sarebbe lo stesso altrimenti. E' dolce, romantico, gentile, premuroso.... tutto, tutto quello che io cercavo in un ragazzo è racchiuso in lui», risposi sognante. Per me lui era la perfezione fatta a persone, ovviamente per altri poteva non essere così, ero io che vivevo tutto in prima persona, quindi le emozioni che vivevo non poteva saperle nessuno.

«Uaoh, hai appena descritto l'uomo perfetto», disse con un pizzico di sarcasmo.

«Non sto dicendo che non ha difetti... be', è la verità, per ora non ha difetti! Ma le cose che ogni persona vive in una relazione è diverso. Magari un'altra ragazza nella mia stessa situazione ti avrebbe risposto altro, perché è normale non essere tutti dello stesso parere. Nessuno vive l'amore allo stesso modo. Ogni rapporto è speciale per chi lo vive, non per le persone che lo osservano da fuori».

«E così sei innamorata?». Lo guardai confusa, non avevo accennato ai sentimenti che provavo per Edward. «Hai appena detto che ognuno vive l'amore a modo suo, quindi tu sei innamorata di Edward».

«Io... io non lo so, non so con sicurezza cosa si prova in amore, sarebbe una cosa nuova per me». Mi torturai le mani, come una contorsionista. L'argomento mi metteva in agitazione e farlo con un uomo barra ex ragazzo non era il massimo, avrei preferito Alice e Rose in quel momento.

«L'amore non si pò descrivere, per tutti è diverso. Lo devi sentire dentro».

«Parli come un vero esperto. Ti sei forse innamorato?», chiesi dispettosa cercando invano di indirizzare la conversazione su di lui.

«No, non penso di esserlo mai stato veramente. Solo una volta ci andai vicino, molto vicino», disse lanciandomi uno strano sguardo malinconico. Preferii non approfondire la sua ultima affermazione e lui ripartì con le domande.

«Forse... forse sì, lo sono. Insomma, quando mi bacia sento come se cadessi in uno stato di trance! E poi tra noi c'è feeling, se non lo vedo per qualche ora mi manca e al solo pensiero di non vederlo per giorni mentre sarò qui mi sento strana, come se non fossi realmente qui, non tutta almeno».

«E questo tu non lo chiami amore?», mi chiese nuovamente Jason.

«Sì, forse sì, lo chiamo proprio amore», confermai mordendomi le labbra e guardando fuori dal finestrino.

Non potevo continuare a negare in eterno di essermi innamorata di quel fantastico ragazzo dagli occhi verdi. E poi, perché negare? Non c'era di nulla di male, di sbagliato in tutto ciò.

Lo amavo, pensai ancora stordita da quella constatazione. Nel mio subconscio non lo negavo più, era inutile, ormai tutto era evidente. Tutto.

L'amore non si poteva descrivere, era soggettivo perché ognuno amava a modo proprio.

Ciò che c'era tra me ed Edward lo potevamo sapere solo noi due. Nessuno di esterno poteva dire cosa entrambi provavamo verso l'altro. Era tutto così intenso, nuovo e magico. Proprio ciò che avveo sempre sognato, che ogni ragazza desidera.

Da piccole ci si immagina principesse che vengono salvate dal principe azzurro. Da adulte si spera di trovarlo. Eppure era così difficile, non tutte ne avevano l'opportunità. Lo potevi cercare una vita e non trovarlo, morire con la consapevolezza di non aver mai amato intensamente e profondamente, di non aver trovato l'anima gemella. Oppure potevi essere fortunata come me, che a soli diciotto anni avevo trovato ciò che alcune donne cercano per una vita intera: l'amore con la A maiuscola.

Edward... prima o poi dovevo parlarne con lui, ma in quel momento non avrei fatto pressioni, mi sarei goduta il momento, il sapore dell'amore che provavo per lui. Dopotutto non si ama per essere ricambiati, si ama a prescindere se l'altra persona nutre un sentimento per te. E lo stesso era per me: amavo Edward anche se non ero sicura dei suoi sentimenti. Eppure non ne facevo un dramma, ora andava tutto bene così, senza causare danni io stessa.

Sospirai felice di quella nuova consapevolezza e quando riaprii gli occhi, dopo essermi rilassata qualche minuto, trovai il viso di Jason a pochi centimentri dal mio fissarmi intensamente.

«O mio dio! Guarda la strada! Non voglio fare un incidente perché tu sei troppo impegnato a studiarmi!», esclamai inorridita. Mi tirai su di colpo dalla mia posizione accovacciata e strabuzzai gli occhi nel notare che eravamo fermi.

Jason scoppiò a ridere, mi prese in giro per buona parte del resto del viaggio, scimiottandomi e affermando che esistevano anche i semafori.

«Okay, ora puoi anche piantarla», dissi irritata dalle sue continue risate.

«Va bene, non ti scaldare Miss Assenza». Ma che bel nomigniolo, pensai scoraggiata dal suo lato da bamboccio giocherellone. In questo era tale e quale ad Emmett.

«Simpatico», lo presi in giro.

«Sì, me lo dicono in tante. Per questo ho così successo tra le donne», si pavoneggiò.

«Certo, basta crederlo».

«Non sei della mia stessa opinione? Andiamo, anche tu questa estate sei caduta prigioniera del mio fascino da seduttore», disse convinto della sua tesi.

«Se davvero fossi stato solo come ti mostri al genere femminile non ti avrei calcolato, nemmeno morta! Invece, per tua fortuna, conosco altri lati di te più piacevoli». Ecco come lo feci scendere dal piedistallo nel giro di due secondi.

Rimase muto a rimuginare sulla mia affermazione e poi espose il suo sconcerto: «Davvero?».

«Sì», confermai.

«Anche per questo la nostra storia non ha funzionato?», domandò. Era un argomento che non avevamo mai toccato.

«No, e lo sai anche tu», risposi conscia che le sue domande non erano terminate.

«Allora perché?», ritentò. «Me lo sono chiesto spesso».

«Jason», iniziai. «Era evidente che mancava quella scintilla, quel qualcosa in più che può mantenere vivo un rapporto anche a distanza».

«Lo so, ma appena ci lasciammo pensai che forse non avevamo dato tempo alla nostra relazione di crescere e maturare».

«No, non si tratta di questo e lo sai bene. Il tempo non conta, se deve succedere, se la scintilla deve scoccare, lo fa subito e non aspetta chissà quale evento».

«Hai ragione, solo che a volte mi sento solo. Sono circondato da persone eppure sono solo. Nessuna ragazza è come te, non riescono a capirmi come fai tu e questo mi manca», confessò. Non mi aveva mai detto nulla di simile. Aveva mille amici, una famiglia che lo amava. Non credevo possibile una cosa del genere da parte sua.

«Non sapevo ti sentissi così», affermai.

«Oh no, forse l'ho fatta più tragica di quanto non è. Intendevo dire che anche io vorrei trovare qualcuno come tu hai trovato Edward. Una simile intesa, l'amore che si scorge nei tuoi occhi quando parli di lui... Vorrei anche io tutto questo». Ma perché aveva quella vena drammatica ad esagerare sempre la portata dei suoi discorsi?!

«La troverai Jason, succederà anche a te prima o poi, devi solo non perdere la speranza».

Mi ringraziò con una lieve stretta di mano e finalmente arrivammo a casa dei miei nonni. Entrambi erano seduti nel portico di casa ad aspettarmi. Scesi di corsa dall'auto e andai a salutarli calorosamente. Mi erano mancati così tanto!

«Ah, la mia piccola Bella è cresciuta», disse mio nonno con fare drammatico, mentre mi abbracciò calorosamente.

«Oh no, ti prego nonno, non anche tu! Ci ha già pensato Jason», risposi esasperata dalla malinconia che ogni volta mostrava mio nonno nel vedermi, e solo per farmi sentire in colpa di non andare a trovarli più spesso!

«Andiamo John, levati di mezzo, anche io voglio salutare mia nipote!», esclamò mia nonna irritata. «Tesoro, ma quanto sei dimagrita! Mangi a casa?!». Janice mi strappò dalle grinfie del marito per strapazzarmi anche lei.

«Nonna», l'ammonii dolcemente. Era sempre la solita anche lei, ma dopotutto i nonni sono sempre così, si preoccupano esageratamente dei nipoti e ingrandiscono la portata di ogni cosa.

Dopo i saluti e gli abbracci entrammo in casa e Jason se ne andò per lasciarmi un po' di tempo con loro.

«Avanti cara, non farci attendere oltre! Tira fuori le foto del tuo ragazzo, su!», mi disse mia nonna. Era così impaziente di iniziare a spettegolare un po' sulla mia vita a Savannah che non stava più nella pelle.

Mostrai la foto di Edward e subito le si illuminarono gli occhi. Mio nonno non era interessato a tutto ciò e andò a guardare la televisione in soggiorno.

«Cara, ma che bel giovanotto! Te li sai scegliere bene! Mia nipote ha buon gusto», rimuginò mentre fissava la foto da diverse angolature, come se potesse cambiare l'immagine.

«Grazie, nonna», risposi mentre bevevo una tazza di tè caldo.

Passammo qualche ora a parlare di Edward, fino a quando non si ritenne soddisfatta di aver saputo ogni più piccolo dettaglio. Mi ritirai per disfare le valigie e una volta finito mi guardai intorno. Per la rpima volta dal mio arrivo mi accorsi quanto sarebbe stato difficile il mio ritorno a Savannah, non avrei più ritrovato qualcuno a casa.

  

Buonasera a tutti! Oggi è lunedì e quindi eccomi qui =)
Questo capitolo riconduce tutto al primo. Quando Bella parla di aver torvato l'amore con la A maiuscola, era ciò che cercava sin dall'inizio. Il motivo per cui aveva lasciato Jason, perché sapeva che lui non era il suo vero amore, colui che l'avrebbe completata. Sono felice che il nome del cane vi sia piaciuto, anche questo riconduce tutto al primo loro approccio, appunto sotto la pioggia. Tutte, o quasi, eravate convinte che Edward avrebbe fatto una sorpresa a Bella, la sorpresa c'è stata, ma non penso come la intendevate voi xD Ma chissà, c'è ancora un capitolo e mezzo che tratta di Logan... Vorrei precisare che il bacio a inizio capitolo è stato difficile da scrivere, dovevo attenermi al ranting, ma allo stesso tempo desideravo che si vedesse il loro trasporto anche fisico, quindi ho preso ispirazione dalle fantastiche storie di SerenaEsse: Alice, dove mi stai trascinando e Burlesque. Non sarà un bacio bello come i suoi, ma ci ho messo tutto il mio impegno e spero vi possa piacere. Non so, anche questo capitolo non mi convince, ultimamente nessun capitolo mi va a genio, ma spero voi li apprezziate.

Poi volevo dirvi che ho dovuto dividere il capitolo in due parti, altrimenti sarebbero state 13 pagine e forse il capitolo sarebbe risultato pesante xD

Come sempre ringrazio tutte le persone che mi seguono e che commentano ogni capitolo, vi adoro *-* Alla fine di questa storia dovrò trovare il modo per ringraziarvi tutte quante!

Infine vi ricordo che potete trovarmi su facebook! Mi fa piacere parlare con voi, anche qui su efp via MP come succede con molte di voi =)

Bene, ora me ne vado che ho già rotto fin troppo xD Spoiler:

«Quindi tu non saresti geloso?», chiesi scon un tono sfacciato e leggermente malizioso.

«No, no, figurati», cercò di sminuire la cosa, ma il suo tono era falso quanto una moneta da tre euro.

«Davvero? Nemmeno un po'? Sicuro?», ritentai provocandolo sempre di più.

«Tsé, ma certo che... okay, forse proverei un leggero fastidio», restò sempre sul vago e la mia indecisione a questo punto era se continuare a provocarlo per farlo confessare o far finta di nulla.

A lunedì!

Kiss :*

Jess
Ps ascoltate la canzone, io l'adoro *-*

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Capitolo 10
*** Jealousy ***


Jealousy

Una persona emerge su una parola e precipita su una sillaba.

Don DeLillo, Cosmopolis

 

Erano già tre giorni che ero a Logan e iniziavo a sentire la mancanza della mia vita al di fuori di questa città.

Dopo aver passato l'intero pranzo e primo pomeriggio a parlare con mia nonna di Edward e della mia vita a Savannah, salii nella mia camera per riposarmi un po' e stare da sola qualche ora.

La stanza era sempre la stessa: pareti viola chiaro e spoglie, tranne per qualche mia foto che nonna aveva avuto la grande idea di appendere; il letto era lo stesso, una piazza e mezzo a baldacchino, che i miei nonni avevano sostituito quando si erano accorti che stavo crescendo e il lettino di quando ero piccola non bastava più. Quella camera aveva sempre avuto il pregio di tranquillizzarmi e farmi sentire protetta, forse perché in parte era così, i miei nonni mi avevano fatta sentire sempre amata e al sicuro, anche quando la lontananza da casa e dai miei genitori iniziava a pesare. Da piccola scendevo sempre a fare colazione con loro, mi svegliavo presto e facevo tutto di corsa per arrivare puntuale e vedere mia nonna che cucinava. Era un'ottima cuoca e io avevo imparato tutto da lei.

Mi stesi sul letto e fissai inerme il soffitto senza vederlo realmente. Non sapevo cosa fare, la voglia di leggere mi era passata, volevo solo smettere di pensare per qualche minuto, sgomberare la mente e sognare di essere in altro luogo, con qualcuno che desideravo.

Ero tornata qui per staccare dalla situazione che si era creata in casa, eppure non stava funzionando molto. Certo, erano passati pochi giorni dal mio arrivo, ma anelavo con tutta me stessa Edward. Mi mancava molto, troppo forse. Mi sentivo incompleta, come se qualcosa fosse rimasta con lui, a casa.

Sentii il cellulare squillare e velocemente risposi senza guardare il nome: «Pronto?».

«Bella», mi chiamò Edward. «Ti disturbo? Forse sei fuori con Jason...», sputò fuori il suo nome con una nota di fastidio. Avevo notato nei giorni scorsi, quando mi chiamava, come mi chiedesse sempre se ero in sua compagnia. La prima sera, dopo la nostra breve chiamata al mio arrivo, mi chiamò chiedendomi se ero rientrata a casa dei miei nonni. La domanda mi aveva lasciata un po' perplessa e dopo aver risposto di sì, lui specificò se ero in compagnia di Jason. Da lì avevo capito che provava una sorta di avversione per lui, forse era geloso, anzi lo ero sicuramente visto il modo in cui pronunciava il suo nome e l'interessamento di quanto tempo io passassi con Jason.

«No, Edward», risposi ridendo tra me e me. «Sono in camera mia. Oggi non sono proprio uscita e non ho visto Jason». Lo sentii sospirare sollevato e mi venne da ridere per questa sua gelosia. Mi faceva così piacere sapere che ci teneva e che alla fine mi considerasse sua.

«Ah, be', sì, immagino che anche lui avrà da fare...». Decisi di stuzzicarlo un po', giusto per rallegrare a entrambi questa giornata noiosa.

«Sai, mi ha chiesto di uscire questa sera», confessai titubante.

«Cosa?! E... e tu? Cosa gli hai risposto?», la sua voce risuonò preoccupata e timorosa di una mia risposta.

«Nulla, non gli ho ancora dato una conferma». Risultai falsa anche alle mie orecchie, ma Edward non si accorse di nulla.

«E cosa intendi fare? Ci uscirai? Voglio dire, sarete voi due soli? Soli, intendo proprio tu e lui e...», iniziò a perdersi nel suo discorso e impacciato non seppe più come uscire dalla sua stessa trappola.

«Edward», bloccai il suo flusso di parole. «Non intendo uscire con Jason né con nessun altro», confermai.

«Meno male», si lasciò sfuggire. «No, aspetta, voglio dire se tu vuoi uscire con lui puoi farlo, nessuno te lo vieta, assolutamente!», ritrattò tutto per paura di essersi esposto. Ormai ero sicura della sua gelosia.

«Quindi tu non saresti geloso?», chiesi scon un tono sfacciato e leggermente malizioso.

«No, no, figurati», cercò di sminuire la cosa, ma il suo tono era falso quanto una moneta da tre euro.

«Davvero? Nemmeno un po'? Sicuro?», ritentai provocandolo sempre di più.

«Tsé, ma certo che... okay, forse proverei un leggero fastidio», restò sempre sul vago e la mia indecisione a questo punto era se continuare a provocarlo per farlo confessare o far finta di nulla.

«Mi piace questo tuo leggero fastidio», risposi vagamente consapevole di far uscire pian piano quello che realmente sentivo. Non ero pronta a dirgli che lo amavo, non era il momento giusto, sentivo che tra noi c'era ancora qualcosa di non detto. Eppure a volte sentivo la necessità di fargli capire quanto ci tenesse, anche se sapevo che lo aveva già intuito da solo. Edward era un ragazzo attento e perspicace.

«Chissà perché lo sospettavo», disse sicuro di sé.

«E come? Sentiamo, avanti», lo sfidai apertamente, certa che non si sarebbe fatto sfuggire questa provocazione.

«Innazitutto ormai credo proprio di conoscerti, poi so come funziona il genere femminile, non dimenticare che ho una sorella alquanto... pazza e maniaca di farmi conoscere il codice di voi donne», disse con tono di superiorità.

«E così pensi di essere una specie di libro umano riguardo la conoscenza del genere femminile?».

«Mmm, mmm», il suo assenso in qualche modo mi irritò.

«Quindi... conosci tutto, tutto?», chiesi. Non sapevo nemmeno io dove andare a parare con questa domanda. Okay, lo sapevo, ma non volevo ammetterlo nemmeno a me stessa.

«Bella, non ti seguo più. Che cosa intendi?». Il suo tono perplesso mi fece capire che la mia domanda era abbastanza confusa.

«No, nulla, lascia perdere», dissi per togliermi dall'imbarazzo che io stessa stavo creando.

«Bella, se c'è qualcosa che vuoi dirmi...», lasciò la frase in sospeso nel tentativo di farmi aprire con lui.

«Ehm, no, davvero Edward, lascia perdere... non è importante». Sentii le mie guancie bruciare e farfugliai parole sconnesse.

«Okay», mi rispose confuso. «Ora devo andare Bella, Rain richiede il suo pasto pomeridiano».

«Edward», lo chiamai prima che entrambi chiudessimo la telefonata. «Mi manchi».

«Anche tu Bella, mi manchi molto, troppo se pensiamo che sei via solo da pochi giorni...». Sentii il suo sospiro infrangersi contro il cellulare e mi si formò un nodo in gola al pensieri di tutti i chilometri che ci separavano.

«Manca ancora una settimana», dichiarai con voce spezzata. Gli occhi iniziarono a bruciarmi e gocce salate sgorgarono dai miei occhi. Mi tappai la bocca con la mano, nel tentativo di non far sentire i miei singhiozzi a Edward.

«Bella, ti prego, non fare così, mi strazia l'anima sapere che sei lì da sola in queste condizioni», mi implorò Edward. Il mio pianto aumentò alle sue parole dolci. «Pagherei oro per essere lì con te e se in questo momento mi confermi che hai bisogno di me, giuro che prendo il primo aereo per Logan».

Non risposi, troppo impegnata a calmarmi e frenare i miei singhiozzi. Restammo così, in silenzio per parecchi minuti, ascoltando ognuno il respiro dell'altro che si infrangeva contro il cellulare.

«Non voglio farti volare fino a qui per dei capricci», affermai con la voce più risoluta che riuscissi ad avere in quel momento.

«Non li reputo capricci. Sei in un momento difficile e forse non è stata una buona idea partire da sola».

«Edward, va bene così, davvero, ormai devo assurmermi le mie responsabilità. So che tu ci sarai sempre, ma non posso sempre appoggiarmi su di te». Io stessa mentre dissi quell'ultima frase non credetti nemmeno ad una singola parola. La mia voce era monotona, sconsolata e sapevo che in quel momento della mia vita, per ogni cosa avrei avuto bisogno di Edward, perché lui era come il mio ossigeno personale, la mia anima terrena.

«Sai che io ci sarà sempre», confessò Edward.

«Sì, e io per te. Ti... ti voglio bene, Edward». Non erano le parole che sentivo di volergli dire in quel momento, ma non riuscii a tirare fuori quella magica parolina e poi per telefono... No, dovevamo essere faccia a faccia.

«Sei la persona più importante della mia vita, Bella».

 

Era quasi ora di cena quando Jason venne a bussare a casa dei miei nonni. Non mi aspettavo una sua visita e quindi mi sorpresi non poco dela sua comparsa.

A quanto pare Edward non sbagliò poi molto nel chiedermi se quella sera sarei uscita con Jason.

«Ehi, Jasy! Che ci fai qui?», gli chiesi sorridendo. Lo invitai a sedersi sul divano con me e rimasi a dir poco stupita quando si avvicinò oltre lo spazio invisibile e prestabilito che volevo mantenere.

«Usciamo. Stasera. Tu ed io», esclamò entusiasto del suo programma.

«No», risposi chiara e concisa.

«Come?», chiese stupito. I suoi occhi si allargarono per la sorpresa e mi fissò come se fossi pazza.

«Ho detto di no», ripetei più lentamente.

«Sono quattro sere che sei qui e ancora non siamo usciti una volta. Andiamo, non puoi rimanere rinchiusa in questa casa fino alla tua partenza!».

«Sì che posso. Sono venuta qui per rilassarmi e staccare da casa mia, non per divertirmi, altrimenti me ne sarei stata bella tranquilla a casa, con i miei amici ed Edward».

«Edward, Edward... ma esiste solo lui per te? Il fatto che tu sia innamorata di questo ragazzo non vuol dire che devi abbandonare i tuoi vecchi amici, ovvero io!». Sbuffai infastidita per queste sue assurde supposizioni. Lui che ne sapevo di tutto ciò che stavo passando a casa?! Non gli avevo raccontato quasi nulla, tranne la quasi separazione dei miei. Comunque non ero scesa nei dettagli. Inoltre che male c'era se preferivo passare il tempo con Edward, uscire e divertirmi con lui piuttosto che con altri?!

«Andiamo, non fare il bambino! Non ho voglia di uscire per una serata folle, non sono dell'umore giusto».

«Perfetto! Vieni qui una volta all'anno e l'unica volta in cui possiamo vederci, parlare e uscire un po' tu fai la reclusa! Quando sarà la prossima volta che potremo passare una serata tra amici? Mai!». Mi fece sentire in colpa. Non volevo che pensasse non mi importasse più di lui e della nostra amicizia, ma purtroppo quella era la realtà, non volevo divertirmi, desideravo solo stare a casa con i miei nonni, almeno fino alla partenza.

Forse, in parte, questa mia presa di posizione era dovuta anche alla gelosia di Edward. La mia realtà era stata stravolta, distrutta in un soffio di parole e l'unica persona in grado di aiutarmi era stato proprio Edward. Lui meritava il mio rispetto e non volevo metterlo in una situazione di disagio. Come l'avrebbe presa se fossi uscita con Jason, se solo ne avessi avuto voglia? Sicuramente non avrebbe detto nulla, ma ci sarebbe rimasto male e ferirlo era l'ultima cosa che desideravo.

No, non potevo per una serie di motivi. Jason era mio amico, ma non come poteva esserlo Jasper o Emmett, con loro il rapporto era diverso più fraterno, invece, Jason era il mio ex ragazzo, con cui avevo condiviso molte cose, tra cui un'intimità ancora preclusa a me ed Edward.

Jason si alzò dal divano, furibondo per il mio rifiuto, ma anche demoralizzato. Mi limitai a fissarlo negli occhi per fargli capire chiaramente la mia posizione. Voleva comportarsi come un bambino capriccioso? Bene, poteva pure continuare su questa linea, ma da me non avrebbe ottenuto un sì.

«Mi dispiace», dichiarò Jason in modo più tranquillo. Si inginocchiò vicino al divano, per essere alla mia stessa altezza. «Pensavo solo che una volta tornata avremo passato del tempo insieme come in passato».

«Lo so, ma ora le cose sono cambiate Jasy...», lasciai la frase in sospeso e lui capì. Mi sorrise tristemente e si tirò su dalla sua posizione accovacciata.

«Sì, vedo. Le persone cambiano e quando non siamo testimoni della loro vita che scorre c'è qualcosa che si interrompe».

«Immagino sia così», confermai a disagio. «Comunque ti voglio bene e te ne vorrò sempre, solo che non posso più comportarmi come una diciassettenne sola e un po' immatura. Si cresce, si impara e si capiscono troppe cose per ignorarle. Il nostro è un bel rapporto, eppure andava bene quando non c'erano altre persone di mezzo. Adesso c'è Edward, lui conta troppo per me». Non sapevo dove andare a parare per fargli capire quello che intendevo. Per me era chiaro, lui era un ragazzo con cui avevo un trascorso e anche se era ancora un mio amico, in un momento come quello, dove Edward era assente e ancora le cose tra noi non erano del tutto chiare e dette, non potevo permettermi di fare un passo falso, un errore che non avrei più potuto riparare.

«Sei una persona speciale, Bella», mi disse Jason sorridendo più allegramente, segno che aveva compreso. «Edward è un ragazzo fortunato», continuò mentre si avviava verso la porta.

«Sono io ad essere stata baciata dalla fortuna», sussurrai conscia che non mi poteva più sentire.

 

Dopo il chiarimento con Jason rimase sul divano per una buona mezzora e meditai su tutto quello che mi era successo in quei mesi.

Iniziai l'anno con il chiaro desiderio di trovare l'amore, il ragazzo che mi facesse battere il cuore. Poi, quel primo giorno di scuola successe un evento fuori dagli schemi per Savannah, una fitta pioggia calò sulla città e io mi ritrovai senza uno straccio d'ombrello. E fu lì, sotto la pioggia, che per la prima volta vidi Edward diversamente, non il solito ragazzo chiuso, taciturno ed estremamente carino, ma per l'uomo che stava diventando, bello e affascinante. In lui, poi, c'era molto di più del solo aspetto fisico, era dolce e sensibile, così se stesso.

Dal quel giorno il nostro avvicinamento fu progressivo, ma abbastanza veloce. La svolta fu proprio il weekend a casa Hale. Parlammo, ci confrontammo e da lì qualcosa sbocciò. Amore, passione, affinità? Chi lo sa, nemmeno ora riesco a darmi una spiegazione logica a ciò che successe, perché quando ci sono di mezzo dei sentimenti, non ci può essere solo razionalità.

Il giorno che mi accorsi quanto le cose erano cambiate? Sicuramente fu quando Edward mi chiese di andare al cinema insieme, il nostro primo appuntamento con tanto di bacio. E, accidenti, Edward sapeva baciare bene! Le cose presero una piega diversa, nostra. Non ci furono scambi di promesse, non ci furono dichiarazioni, ma in cuor nostro qualcosa ci aveva già legati l'uno all'altra. A cosa serviva mettere una definizione ad un rapporto che, comunque, per noi era esclusivo? A niente, era solo una parola con al quale ci saremmo definiti di fronte alle persone che ce lo avrebbero chiesto, sminuendo quanto grande fosse la nostra relazione. Non potevamo definirci fidanzati, perché quella parole aveva un valore diverso, non come veniva usato quotidianamente per dire semplicemente che due ragazzi si stavano frequentando. Appunto, noi eravamo semplici ragazzi alle prese con qualcosa di inesplorato, ma che avevamo reso speciale.

La vita era qualcosa di così veloce, come un lampo che illumina le notti di pioggia. Vivere era una cosa che pochi sapevano fare, tutti eravamo solo in grado di sopravvivere. Ma poi si trova ciò per cui tutti sono sempre andati avanti, uno scopo che si rivela diverso per ognuno, ma così importante da arrancare e arrampicarsi con le unghie sugli specchi purché non ci venga tolta. Eppure alla fine di ogni cosa, per cosa si viveva? L'amore poteva distruggere, come nel caso dei miei genitori. Però bisognava almeno provarci, perché lasciare tutto al caso? Eravamo noi stessi a decidere dove andare, quale obiettivo raggiungere e se per alcuni il problema non si poneva per me esisteva, potevo toccarlo con mano ora che lo avevo trovato: il mio obiettivo nella vita era Edward, il suo amore, in poche parole lui.

Non riuscivo a descrivere il nostro rapporto a parole, mi sembrava di renderlo banale e...

«Bella, cara», mi chiamò nonna Janice. Mi riscossi dai miei pensieri e la guardai sbattendo gli occhi.

«Sì?». Mi stiracchiai e sentii le ossa scricchiolare a causa della posizione tenuta per troppo tempo.

«Eri incantata da dieci minuti, fissavi il televisore senza vederlo davvero», mi disse sedendosi sul divano. Mi guardò materna e mi accarezzò le gambe stese al suo fianco. «Non abbiamo ancora parlato di ciò che è successo tra Renèe e Charlie. Non voglio spingerti a parlarne se non vuoi, ma sappi che noi ci siamo». La guardai in silenzio, sentendo nuovamente quelle dannate lacrime scivolare lente sulle mie guance.

«Nonna, non so nemmeno io cosa sia successo. Un giorno era tutto perfetto e il giorno dopo tutto distrutto». Mia nonna si avvicinò e mi avvolse nel suo abbraccio materno. Il suo odore fresco e pulito non era cambiato, era sempre un misto tra i suoi fiori preferiti: i tulipani e le rose.

«Ricorda che non c'è mai qualcosa di perfetto. Tutti hanno dei problemi e forse a loro serve solo un po' di tempo per cercare di capire dove hanno sbagliato». Continuò ad accarezzarmi i capelli sciolti e piano piano mi rilassai.

Sorrisi tra le lacrime e risposi: «È la stessa cosa che continua a ripetermi Edward».

«Quel ragazzo deve essere molto saggio», confermò mia nonna cercando di tirarmi su di morale.

«È molto più di questo, lui è... perfetto», risposi sognante e al suo pensiero le lacrime svanirono, sostituite da un sorriso sincero.

«Oh, ma questo lo so già! Dalle foto si vede già tutto». Mi staccai scioccata da mia nonna, non era solita dire cose simili su un ragazzo che mi piaceva. «Non guardarmi con quell'aria sorpresa, ormai so che stai crescendo e se questo ragazzo ti fa felice va bene anche a me. Certo, forse è meglio non insistere su questo argomento con tuo nonno. A volte sa essere così petulante e bigotto», esclamò lamentandosi infine di nonno John. In effetti lui era proprio così.

«Ora vado a preparare la cena, hai preferenze cara?», mi chiese dolcemente mentre lasciava un'ultima carezza sui miei capelli e si alzava dal divano.

«No, no, va bene tutto».

«Perfetto, allora ho una sorpresa per te!». Si diresse verso la cucina, ma prima di varcare la soglia della stanza di girò e mi fissò seriamente: «Bella, voglio che ti sia chiara una cosa, tu non c'entri nulla nella separazione dei tuoi genitori. È una cosa tra loro e non devi farti coinvolgere più di quanto tu non lo sia già». Annuii convinta che le sue parole fossero giuste e vere.

Quella sera prima di andare a letto mi arrivò un messaggio di Edward, che lessi avidamente e che mi fece venire gli occhi lucidi.

Mi manchi, Bella, tanto, ma so che tra poco ci rivedremo e questo mi solleva.

Sai che i chilometri che ci separano non contano, perché per me è come se fossero impronte portate via dall'oceano.

Cosa sono pochi giorni di distanza quando abbiamo una vita davanti per viverci? Nulla, nulla in confronto a ciò che abbiamo vissuto in questi pochi mesi e che ancora vivremo.

La vita è fatta di rischi, aspettative... io so dove voglio andare e sono pronto.

La vita è fatta di sogni, Bella.

Buonanotte, piccola.

Edward

 

Buonasera! Come state? Sì, vi sembrerà strano vedere questa storia aggiornata stasera, ma purtroppo domani ho una giornata da incubo e l'aggiornamento rischiava di slittare a martedì, quindi ho anticipato ;)

Ho un'altra notizia da darvi: il prossimo aggiornamento sarà il 19 dicembre, questo significa che lunedì 12 niente aggiornamento. So che ci sono molte ragazze che sono rimaste indietro con la storia, in questo modo dò l'opportunità anche a loro di mettersi in pari ;)

Non ho spoiler per il prossimo capitolo, visto che non è ancora finito, ma:

1) appena termino il capitolo lo metterò su Facebook, che ricordo il mio contatto è Vanderbit Efp;

2) questo capitolo contiene già spoiler per il prossimo capitolo e capitoli futuri, quindi leggete con attenzione anche le più piccole frasi che sembrano insignificanti ;)

Poi... ah sì, molte di voi odiano Jason, quindi potete anche formare un club contro di lui, le iscrizioni sono aperte ahah xD Non fateci caso, è la mia scemenza notturna che parla ù.ù

In molti si aspettavano l'arrivo di Edward in questo capitolo, mi dispiace deludervi ma purtroppo non è ancora arrivato, ma ricordate che anche il prossimo sarà ambientato a Logan, quindi non perdete le speranze!

Il prossimo capitolo darà una svolta decisiva alla storia, Edward e Bella butteranno giù un'altra barriera del loro rapporto.

Grazie mille alle ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e benvenuta a Vanessa, che da pazza mi ha recensito tutti i capitoli *-* Ringrazio anche le persone che leggono e che ad ogni capitolo mi inseriscono nelle liste; aumentate sempre di più e questo non può che farmi piacere. È una soddisfazione constatare che la storia piace e più vado avanti più persone di aggiungono! Siete meravigliose, tutte! Non so se c'è anche qualche uomo, in tal caso mi scuso ;)

Bene, buona serata a tutti!

Kiss

Jess :*

Ps in settimana aggiorno Rules of attraction, promesso ;)

 

  

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Capitolo 11
*** Something happened for the first time ***


Something happened for the first time

'Cause the possibility
that you would ever feel the same way
About me
It’s just too much, just too much

All I ever think about is you
You got me hypnotized, so mesmerized
Do you ever think
When you’re all alone
All that we can be
Where this thing can go
Am I crazy or falling in love
Has it ever cross you mind
When were hangin, spending time girl,
Are we just friends
Is there more, is there more
See it’s a chance we’ve gotta take
'Cause I believe that we can make this into
Something that will last, last forever, forever

David Archuleta, Crush

Il mio rientro a casa era previsto per il tre gennaio, un giorno prima che iniziassero le lezioni. Il capodanno sarebbe stata l'unica festa lontano da casa e se l'anno precedente una situazione simile non mi sarebbe pesata per ovvi motivi, quell'anno sentivo un macigno dentro al pensiero di non poter festeggiare con Edward.

Il nostro primo capodanno insieme, ma separati, buffo il destino, no? Forse ero io che la facevo più grossa di quello che realmente era, ma ci tenevo così tanto a trascorrere quel giorno con lui!

Ci eravamo sentiti spesso nei giorni precedenti, avevamo parlato anche di questo, ma lui insisteva nel dire che non importava, potevamo recuperare al mio ritorno. Eppure io sentivo come la sua voce fosse triste mentre mi spiegava quanto questa festa non contasse. Anche lui desiderava passare il capodanno con me.

Decisi di chiamarlo e nel giro di qualche secondo avevo già il telefono attaccato all'orecchio.

Il telefono continuò a mandare quei segnali fastidiosi a chiamata inoltrata, ma senza nessuna risposta. Quando stavo per arrendermi e abbassare il telefono qualcuno rispose, anche se non la persona che desideravo sentire in quel momento.

«Tu!», esclamò Alice con la sua solita voce squillante. «Sei un'amica ingrata! Non ti fai più sentire tranne che per qualche messaggio sforzato! Io e Rose non contiamo più nulla, ingrata di un'amica!».

Alice non aveva tutti i torti, ultimamente mi facevo sentire poco e niente, ero stata assorbita da un chiodo fisso che possedeva anche un nome.

«Lo so, mi dispiace Alice, ma ultimamente...».

«Sì, abbiamo capito Bella, stai tranquilla, non voleva essere un rimprovero tesoro. Abbiamo notato che ciò di cui hai bisogno è mio fratello, per questo non ti siamo state addosso». Potevo desiderare delle amche che non fossero loro? No, assolutamente no.

«A proposito, che fine ha fatto?», chiesi interessata.

«E' sotto la doccia» e con questo la mia fantasia volò libera di viaggiare per cieli inesplorati.

«Ah, ehm, sì, forse è meglio se richiamo dopo», specificai. «Allora, cosa avete intenzione di fare stasera?». Durante la serata di capodanno Alice era solita organizzare qualche festa, dove invitava tutti i suoi amici e conoscenti, a volte anche persone che conosceva da soli due ore, ma lei era fatta così.

«Quest'anno abbiamo deciso di non organizzare nessuna festa. Passeremo la serata a casa di Rose e Jazz, visto che i loro genitori partono oggi per la montagna», mi spiegò Alice.

Stranita da questa loro decisione chiesi spiegazioni. Da cinque anni Alice non si perdeva nemmeno un capodanno per organizzare la festa dell'anno, come la defineva lei.

«Be', tu non ci sei, Edward si rifiuta di partecipare a qualunque cosa, quindi abbiamo...».

«Cosa?! Edward non vuole fare nulla?», esclamai scioccata.

«Già, ha detto che vista la tua assenza lui non è in vena di festeggiamenti. Quindi starà qui a casa da solo, anche i miei genitori partono con gli Hale», chiarì Alice confusa nel constatare che non ne sapevo nulla.

«Accidenti! Lo sapevo! Edward continua a ripetermi che non importa se non passeremo il capodanno insieme e ora vengo a scoprire che...».

«Bella», mi interruppe Alice. «Calmati! Mio fratello ha semplicemente voglia di stare per i fatti suoi, sai com'è fatto, anche se venisse con noi non si divertirebbe con il pensiero di te a Logan».

«Sì, ma ci tengo che Edward passi un bel capodanno. Anche io vorrei passarlo con lui, non sai con quanta intensità vorrei che fosse possibile», dissi conscia di quanto Alice potesse comprendermi.

«Non è la fine del mondo, avrete modo di recuperare».

«Non sarà mai lo stesso», ribadii.

La telefonata con Alice si concluse abbastanza velocemente. Edward era ancora sotto la doccia, quindi non ebbi l'opportunità di parlargli. Continuavo a ripensare alla notte di capodanno, che sarebbe stata esattamente il giorno dopo. Ventiquattro ore separavano la serata che tutto il mondo attendeva con ansia. Perché non potevo passarlo con l'unica persona con la quale volevo iniziare il nuovo anno? Alla mia partenza non avevo riflettuto su una simile possibilità e in quel momento mi sentii sciocca, in quanto era il primo pensiero che mi sarebbe dovuto venire in mente.

Ad un tratto ebbi l'illuminazione, il lampo di genio, sicuramente un genio incompreso visto che potevo pensare prima ad una simile eventualità.

Mandai un messaggio ad Alice per informarla del mio piano e iniziai a mobilitarmi per far sì che tutto fosse perfetto. Controllai sul mio Pc portatile i voli disponibili che collegassero Savannah e Logan, non erano molti i voli previsti per quella giornata. Spulciai tra le varie compagnie aeree disponibili e trovai un volo alle tre di quel pomeriggio. Prenotai, dopodiché corsi dai miei nonni per avvisarli del cambio di programma. Sarebbero stati entusiasti della mia idea, poiché nei giorni passati ero stata più uno zombie che una ragazza in vacanza dai suoi nonni preferiti. Qualcosa che mi rendeva felice, non poteva che far gioire anche loro.

Sistemai la mia stanza, feci la valigia e misi in ordine la mia borsa, sempre piena di tutto e di più. Controllai l'orologio e mi accorsi che era già l'una di pomeriggio. Il volo era previsto esattamente per le quattro, ma alle due era meglio se mi iniziassi ad avviare all'aeroporto.

Il viaggio in macchina fu tranquillo. I miei nonni avevano deciso di accompagnarmi per passare almeno le ultime due ore insieme. Avevo inviato un messaggio a Jason per informarlo della mia partenza anticipata e la sua risposta era stata un po' fredda, distaccata e assolutamente non da lui. Ma non avevo tempo per questo, non ora, non quando il mio unico pensiero era che tra poche ore avrei rivisto Edward.

Ero in ansia, in trepidazione ed emozionata per questa sorpresa che gli avrei fatto. Di certo non si aspettava un mio ritorno, tanto meno questa sera. Avremo passato il capodanno insieme, solo noi due.

«Isabella», mi chiamò mio nonno. Eravamo seduti su delle sedie scomodisse in attesa che chiamassero il mio volo. Mi girai a guardarlo e aspettai che continuasse a parlare. «Non farci aspettare più quattro mesi per vederti». Alle sue parole sorrisi commossa. Mio nonno non era solito esternare così palesemente la mia mancanza, ma ogni volta che capitava era di una dolcezza assurda.

Mi alzai per abbracciarlo e gli sussurrai all'oreccio: «Tornerò presto, nonno. Promesso».

«Possibilmente con il tuo fidanzato. Vorremo conoscerlo anche noi», aggiunese mia nonna. Cavolo, meno male che si lamentava sempre di quanto il suo udito non funzionasse più tanto bene! Ci sentiva meglio di me!

«Ve l'ho promesso e lo porterò. Inoltre, Edward, ne sarebbe entusasta».

I passeggeri per il volo GH342 con destinazione Savannah, Georgia sono pregati di recarsi all'imbarco... chiamarono il mio volo e fui costretta a salutare i miei nonni. La malinconia mi riempì il cuore. Il tempo in loro compagnia non era mai abbastanza. Ma, dopotutto, quando mai bastavano i giorni passati con le persone che più ami?

In aereo mi misi a riflettere su svariate cose. In primis non avevo ancora dato il mio regalo di Natale a Edward. Dopo tutto quello che era successo quel giorno, mi scordai totalmente di questo particolare. Avrei rimediato una volta arrivata, visto che tenevo il suo regalo in borsa.

Ripensai alla serata che avrei trascorso con lui. Non so quante volte ci avevo pensato da quando presi la decisione di tornare a casa. Sicuramente sarei arrivata ad un orario decente, almeno speravo. Potevamo passare l'intera serata insieme. Nulla ci avrebbe impedito di festeggiare a modo nostro.

Dopo poco mi addormentai e mi risvegliai quando l'aereo stava per atterrare. Feci tutto il più velocemente possibile per uscire dall'aeroporto.

Non avevo detto ai miei genitori che sarei tornata, altrimenti mi avrebbero costretta ad andare prima da loro. Con i miei nonni avevo stretto un patto: loro non avrebbero detto nulla del mio ritorno, ma in compenso era d'obbligo una mia futura visita non molto distante da quella appena compiuta.

Quindi mi ritrovai da sola per tornare a casa. Alice era già a casa Hale e non mi sembrava il caso di chiamarla, anche perché erano già le venti.

Mi guardai intorno, constatando quanto l'aeroporto fosse deserto a quell'ora, tranne che per qualche ritardatario come me. Bene, almeno non ero l'unica.

Fermai un taxi, l'autista mi aiutò a caricare la mia unica valigia, dopodiché partimmo. La destinazione era ovvia: casa Cullen.

Fissai il paesaggio scorrere attraverso il finestrino dell'auto. Il cielo era buio e la strada scorreva veloce. Le case erano tutte illuminate, probabilmente tutti stavano festeggiando.

Tutto a un tratto iniziò a cadere qualche goccia d'acqua. La pioggia scese sempre più forte, lo scroscio continuo mi fece ripensare al mio primo avvicinamento a Edward.

Edward... più mi avvicinavo a casa sua, più sentivo montare l'adrenalina. L'avrei rivisto! Dopo quasi una settimana lo avrei visto, abbracciato e baciato! Oddio, non potevo crederci, mi sembrava un sogno ad occhi aperti!

Il taxi si fermò sotto casa di Edward esattamente quaranta minuti dopo. Erano già le nove passate e sperai con tutta me stessa di non disturbarlo.

Pagai la corsa, scaricai la valigia e mi ritrovai sotto l'acqua. In pochi attimi, il tempo che ci misi a percorrere il vialetto fino alla porta, mi bagnai come un pulcino. Aprii la porta silenziosamente, visto che Alice mi aveva già avvertita che me l'avrebbe lasciata aperta per fare una sorpresa a Edward. Trascinai la valigia fino alle scale e la lasciai lì.

La casa era silenziosa e buia, a tentoni salii al piano di sopra e poi ancora di un piano, fino alla camera di Edward. Il corridoio era un vero suicidio per me, orientarmi al buio in una casa che non conoscevo non era il massimo. Finalmente arrivai davanti alla camera di Edward e rimasi ferma a pensare cosa fare: aprire sbattendo la porta e gridare sorpresa o entrare silenziosamente sperando che stia facendo dell'altro, così da non accorgersì della mia presenza?

Scelsi la seconda opzione e nonostante le mie scarpe facessero un rumore assurdo a causa di tutta l'acqua che mi era entrata dentro, cercai di essere il meno rumorosa possibile. Aprii lentamente la porta, molto lentamente, sembrava quasi ci volesse un'eternità. Una volta che ebbi davanti la visuale completa della stanza mi accorsi che era stato tutto inutile, Edward era sdraiato sul letto con le cuffie alle orecchie, mentre Rain sedeva accanto a lui addormentato.

Lo fissai incantata, ammirai i suoi lineamenti e i suoi capelli disordinati. Lo elogiai mentalmente con tanti di quei termini che nemmeno l'Oxford English Dictionary ne conteneva così numerosi!

Mi avvicinai, conscia ormai che non poteva sentirmi. Mi abbassai sul suo viso e lo baciai mentre lui spalancò gli occhi. Probabilmente aveva capito di non essere solo nella stanza. Mentre staccai le labbra dalle sue, mi specchiai in quegli occhi verdi che tanto mi erano mancati. Nel suo sguardo rividi tutto ciò che eravamo e un unico pensiero si fece strada: non me ne sarei più andata senza di lui, semplicemente non potevo.

«Edw...ahhh», pronunciai il suo nome misto ad un urlo quando lui mi tirò a se facendomi ricadere sul letto, più precisamente su di lui.

«Bella», sussurrò con un misto tra dolcezza e sorpresa. Sapevo che non avrebbe mai immaginato che sarei arrivata proprio la sera di capodanno. «Ero... ero preoccupato, ti ho chiamato dieci volta oggi e non ho ricevuto nemmeno una risposta, un messaggio...».

«Sì, lo so. Mi dispiace averti fatto preoccupare, ma volevo farti una sorpresa e poi ero in volo, quindi in qualunque modo non sarei riuscita a rispondere. Scusa», bisbigliai con voce infantile.

Il suo sorriso fu tutto ciò di cui avevo bisogno come conferma: la sorpresa era stata più che gradita.

«Non ti aspettavo, oh no, proprio no. Ma è il più bel augurio che mi potessi fare».

Avvicinò il suo naso al mio, sfiorandolo dolcemente; arricciai il naso e risi seguita subito da lui. Con lentezza eliminò le distanze tra le nostre labbra e passò la sua lingua sulle mie labbra socchiuse. Un brivido si propagò lungo la mia schiena e accese il mio corpo freddo e bagnato.

Le sue mani percorsero il profilo della mia maglia appiccicata alla mia pelle; sollevò leggermente l'orlo alla base della mia schiena e questa volta il brivido che sentii fu dettato dal contrasto con la sua mano calda. Stavo letteralmente gelando! Non mi azzardai a esternare questa mia condizione e rovinare questo fantastico momento. Avrei sopportato di tutto pur di rimanere sempre così, tra le sue braccia protettive.

Dopo aver accarezzato le mie labbra con le sue, la sua lingua si insinuò nella fessura della mia bocca. Dischiusi le labbra in sincronio con le sue e con le dite accarezzai il profilo del suo viso.

Crebbe in me una nuova sensazione, un eccitazione sconosciuta e bruciante. Vampate di fuoco attraversarono il mio corpo. Qualcosa di profondo si stava risvegliando, desiderio fisico e di contatto con la persona che più amavo al mondo.

Innavvertitamente mi mossi sopra il suo corpo, strisciando in alto più vicina al suo viso. Qualcosa di duro si scontrò con la mia coscia e interiormente si fece largo anche un moto di orgoglio e soddisfazione nel constatare che Edward mi voleva almeno quanto io desideravo lui.

Altri brividi sia di freddo che di eccitazione attraversarono il mio corpo e a questo punto Edward capì solo che ero diventata un pezzo di ghiaccio.

Si tirò su con me in braccio a lui. Seduti sul letto ci fissammo in silenzio con un leggero sorriso imbarazzato sulle labbra rosse a causa dei baci. Tracciò il profilo della mia bocca e apparve il suo sorriso sghembo che tanto amavo.

«Sarà meglio che tu vada ad asciugarti e toglierti questi vestiti bagnati di dosso», mi consigliò dolcemente. Il suo respiro caldo soffiò sul mio viso e respirai a pieni polmoniil suo profumo di menta.

«Non voglio spostarmi da qui, sto così bene», mi lamentai poggiando il capo sulla sua spalla. Circondai il suo busto con le mie esili braccia e sentii Edward ricambiare il mio abbraccio stringendomi forte a lui.

Questo, pensai, è odore di casa.

«Tra qualche minuto non cambierà nulla, solo che tu sarai asciutta e non rischierai di ammalarti. A quel punto potremo stare così su questo letto per tutte le ore che desideri».

Mi accorsi solo in quel momento di star bagnando anche Edward, il quale non si lamentò nemmeno per un secondo.

«Oddio, Edward!», esclamai alzandomi dal letto. «Sei tutto bagnato anche tu!». La sua maglietta bianca era diventata quasi del tutto trasparente e sì, i miei pensieri da puri e casti iniziarono a essere rossi e indecenti.

«Bella, calmati, non è successo nulla». Si alzò anche lui e mi accompagnò nel suo bagno adiacente alla porta della camera. Mi fece entrare e mi mostrò tutto l'occorrente per asciugarmi.

«Io vado giù a prenderti la valigia, così hai qulcosa di asciutto da metterti». Annuii e lui richiuse la porta dietro di sé.

Mi guardai allo specchio e mi accorsi di essere davvero un mostro. Altro che sopresa a Edward, più che altro un incubo! Sembravo uno spaventapasseri!

Accartocciai i vestiti bagnati all'interno della vasca, comprese le scarpe. Per fortuna l'intimo era salvo. Poi con due asciugamani cercai di tamponarmi il corpo e con un altro mi avvolsi per fermare i brividi.

I capelli erano in condizioni penose, ingestibili era dir poco. Una massa informe di capelli disordinati e bagnati, una delle cose che più mi infastidivano! Cercai di districare almeno i nodi, poi accesi il phon e iniziai ad asciugarli. Nel frattempo canticchiai una canzoncina sottovoce e proprio in quel momento la porta si spalancò e un Edward a dir poco imbarazzato fece capolineo dalla porta. Si blocco nel notare la mia quasi nudità e i suoi occhi diventarono due orbite alquanto luminose.

«Ehm, sì, io ti ho portato la...la valigia. Scusa... me ne vado, sì...».

«Edward», lo chiamai prima che se ne andasse. «Resta», lo supplicai. Mi era mancato troppo e ora che eravamo di nuovo insieme non volevo sprecare neanche un minuto lontano da lui.

Lui era titubante, non riusciva a dire di sì, eppure non voleva nemmeno andarsene. Bel dilemma, mio caro Edward! Io non ero imbarazzata dalla sua presenza, alla fine era come quella giornata al mare... no, okay, le cose erano cambiate eccome tra noi, c'era attrazione, passione, un sentimento. Ma, comunque, non mi sentivo in soggezione coperta solo dal'intimo e da un asciugamano. Era strano, per me era sempre stato un cruccio pensare di farmi vedere mezza nuda dal ragazzo che mi piaceva, anche al mare mi sentivo intimidita, eppure in questo momento mi sembrava la cosa più naturale del mondo. Eravamo noi due, solo io ed Edward e non c'era bisogno che alcun cruccio si mettesse sulla nostra strada.

«Lascia almeno che ti aiuti», mi disse Edward ponendosi dietro di me e prendendomi il phon dalle mani. Lo osservai dallo specchio posto di fronte a noi, incantata nel vederlo così concentrato per qualcosa. Le sue mani erano delicate, mi sfioravano dolcemente i capelli massaggiando la cute. Mi rilassai sotto le sue cure e appoggiai la schiena al suo petto. Rimasi ad osservarlo e quando spense il phon mi risvegliai dal mio stato di trance.

Non ci muovemmo dalla nostra posizione. Edward posò il phon su un mobiletto posto al nostro fianco e poi mi abbraccio da dietro, incrociando le sue mani con mie. La sua testa si poggiò sulla mia spalla e i suoi morbidi capelli accarezzarono la mia guancia. Il ritratto che osservai allo specchio era straordinariamente perfetto. Lui lo era, l'atomosfera, in poche parole tutto. Nulla sfuggiva a quel magnifico quadretto.

Lo sentii respirare il profumo della mia pelle e un attimo dopo i suoi magnifici occhi mi incantarono attraverso lo specchio. I nostri sguardi comunicarono per noi.

«Sei... troppo», disse indicando il mio corpo coperto solo dall'asciugamani. Mi sentii lusingata da questa sua osservazione, desiderata, soprattutto per il tono che uso, di semplice ammirazione e devozione.

Mi strinse ancora di più a sé e io mi girai nel suo abbraccio. Finalmente lo guardai fissa negli occhi, ammirai il suo sorriso non più attraverso lo specchio.

Mi alzai sulle punte e lo baciai. Baciai quelle meravigliose e morbide labbra dalla linea sottile. Mi lasciai andare contro di lui, i nostri corpi si modellarono come ingredienti della stessa torta. Dopotutto alcuni ingredienti erano fatti per amalgamarsi, così si creava qualcosa di delizioso e perfetto. Noi eravamo esattamente così.

Le sue braccia che come sempre mi avvolgevano, creavano una gabbia dorata e protettiva dalla quale mai e poi mai sarei voluta fuggire. Il suo corpo premette contro il mio, facendo sì che mi appoggiassi allla porta del bagno. La situazione ci stava sfuggendo di mano troppo in fretta.

Quando i nostri polmoni chiesero a gran voce un po' di ossigeno, il bacio si interruppe in modo delicato. Edward poggiò la sua fronte contro la mia e il suo respiro accelerato si infranse sul mio viso.

«Penso... penso che dovresti metterti qualcosa addosso prima che la situazione degeneri», mi confesso Edward con voce bassa e roca.

«Sì, sì, credo sarebbe meglio andare in camera». Ovviamente la mia frase era ambigua, poteva essere interpretata in diversi modo, ma per una volta volevo non essere capita visto che io stessa non sapevo cosa volevo.

Edward avvolse le mie spalle con il suo braccio e andammo nella sua stanza. Lì trovai la mia valigia e mi diressi decisa ad aprirla e trovare almeno una tuta o un piagiama. Peccato che avveo totalmente dimenticato che la mia valigia era sprivvista sia di un pigiama che di una tuta. Entrambe le cose erano sempre a casa di mia nonna, in modo tale che ogni volta non dovessi viaggiare con mille valigie. Dopo anni che usavo sempre lo stesso metodo ero riuscita a dimenticarmene, questo rendeva bene il concetto di quanto Edward mi distraesse e mi facesse stare continuamente sulle nuvole.

«Ehm, Edward, non è che avresti qualcosa da prestarmi? Non mi va d mettermi nuovamente jeans e maglietta, preferirei qualcosa di comodo», chiesi timidamente sedendomi sul bordo del letto matrimoniale.

«Certo», rispose prontamente. Si diresse verso l'armadio e ci frugò dentro alla ricerca di qualcosa. Tirò fuori una maglia e un paio di pantaloni chiari e me li diede.

«Credo che i pantaloni non mi servano. Questa maglia è tre volte più grossa di me». Mi infilai la maglia e tirai via l'asciugamano da sotto. Poi guardai la lunghezza della maglia e capii che avevo detto una grandissima cavolata. La mia maglia mi copriva a malapena mezza coscia, molto meno dell'asciugamani.

«Non vedo differenza tra prima e ora», confessò Edward con il pomo d'adamo che continuava a fare su e giù. Il suo tono roco mi fece intuire il vero significato di quella frase e sorrisi maliziosa.

Eliminai la distanza tra noi, ponendomi di fronte a lui e poggiai la mano destra all'altezza del suo cuore. «Non dirmi che ti dispiace», gli sussurrai all'orecchio. «Ogni uomo è sempre felice di vedere la sua donna mezza nuda nella sua camera da letto». Non credetti alle mie orecchie, quella frase da dove era uscita? Non era da me, oh, no, non era proprio da me! Dalla mia parte avevo solo la giustificazione che resistere a Edward diventava sempre più difficile, l'attrazione di certo era un elemento che scatenava questo mio lato malizioso, che non era nemmeno a conoscenza di possedere.

«Nessuno si è lamentato», mi rispose con il mio stesso suono. Ecco, rimasi stupita anche di questa sua uscita. Forse era il caso di andare dall'otorino.

«Quindi approfitterai di una povera ragazza innocente?».

«Tu, innocente?! Mi provochi, tesoro, continuamente. E per questa serata ho sopportato abbastanza». Dopo ciò si tuffò sulla mia bocca.

Fu un bacio diverso, cosapevole che qualcosa bolleva in pentola, passionale e da brividi. Quando qualcosa ti scombussola e ti lascia spessata, con giramenti di testa, vuoti allo stomaco... era così che mi fece sentire Edward. Un miscuglio di emozioni indescrivibili, peggio delle montagne russe con doppio giro della morte. Quelle ti lasciavano solo paura e sensazioni di panico. Edward riusciva a trasmettermi tutto e in una volta sola, con un semplice tocco o uno sguardo troppo intenso.

Nel frattempo le sue mani salirono sotto la maglia che indossavo, lente, troppo lente raggiunsero il mio addome. La scia di brividi caldi che lasciò fu sufficiente per attivare tutti i miei sensi paralizzati dalla sorpresa.

Inesorabilmente ci avvicinammo al letto, Edward si sedette trascinandomi con sé e io piegai le ginocchia ai lati delle sue gambe. Abbandonò la mia bocca, baciò il mio collo e arrivò fino alla mia spalla. Sospirai di piacere, gemetti ad un suo morso sulla piega del mio collo. Le mie mani corsero cerso i bordi della sua maglia e finalmente tirai via quel pezzo di stoffa.

Solo in quel momento, accarezzando il suo petto scoperto, i suoi capelli, guardando i suoi occhi lucidi, mi accorsi quanto desideravo quello che stava per capitare. Non me ne ero mai resa del tutto conto, almeno non fino a quella sera.

Edward fece serpeggiare le sue mani fra la mia chioma castana. Sentii il suo cuore battere all'unisono con il mio e i miei occhi si inumidirono per l'emozione. Ancora a cavalcioni su di lui lo spinsi per le spalle, facendo in modo che si distendesse sul letto. Le nostre gambe e i nostri petti furono subito a contatto. La mia maglia si alzò, scoprendo interamente le mie coscie ed Edward non si fece sfuggire l'occasione di accarezzarmi interamente. Le sue mani calde bruciavano a contatto con la mia pelle altrettanto bollente, quindi com'era possibile sentire ancora più caldo?

«Bella», mi chiamò Edward con il respiro affannato. «Sei sic...».

«Non provare a finire la frase... non ci provare!», lo minacciai. Non volevo rovinasse questo momento con inutili paranoie, per quanto fosse dolce e sensibile.

A quel punto lasciò ogni freno e liberò la sua passione. Capovolse la situazione, la mia schiena aderì al materasso e in breve mi ritrovai le labbra molto, molto impegnate. Baci lenti, baci veloci, un'alternanza che non perdeva mai il ritmo.

Passai le dite sui passanti della sua cintura e lo tirai ancora più vicino, facendo posare interamente il suo corpo sul mio. Slacciai i suoi jeans senza abbassarli. Aspettai una sua mossa, un qualunque segno che non intendeva fermarsi e lo ebbi esattamente un secondo dopo, quando eliminò la mia maglia. Finalmente le nostre pelli potevano entrare in contatto senza nessun intralcio. Nuove sensazioni si fecero sentire. Il calore della sua pelle accaldò la mia.

Mani che accarezzavano ogni lato dei nostri corpi, baci infuocati... Tutto era perfetto in questa serata piovosa.

«E'... è la mia prima volta», mi rivelò timidamente. Rimasi un attimo sconcertata da questa sua rivelazione, non mi sarei mai aspettata che un ragazzo come lui fosse ancora vergine. Era troppo bello, dolce, gentile... era tutto!

«Anche per me», lo rassicurai dolcemente, accarezzando il profilo del suo viso, tracciando una linea immaginaria dai suoi zigomi fino alle labbra dischiuse dalla sorpresa.

«Davvero?», chiese bisbigliando sul mio collo.

«Mmm, mmm», assentii accarezzando poi i suoi morbidi capelli. Certo, ero vergine, anche se con Jason avevo avuto determinate esperienze, ma questo non mi sembrava il caso di dirlo a Edward, non in un momento simile.

Dopo la mia conferma riprese a baciarmi, poi si stacco osservando per la prima volta il mio corpo coperto dall'intimo. Le mie guancie ero fiamme ardenti; ero imbarazzata dalla sua attenta e dettagliata scannerizzazione.

«Sei stupenda, davvero meravigliosa», mi disse Edward passando le dite leggere sul mio corpo.

«Anche tu», risposi con voce tremante. «Sai sempre cosa dire, la frase giusta, la parola perfetta... Come fai ad essere così... così incredibile?». La mia domanda retorica lo lasciò sorpreso, emozionato e di certo compiaciuto di quel che pensavo su di lui.

«Tu mi rendi così, Bella, tu e solo tu». Si tuffò sulle mie labbra, nuovamente, ormai troppo gonfie per i nostri baci.

Eliminai con qualche difficoltà i suoi inutili pantaloni e finalmente solo i nostri intimi ci dividevano da quel passo così importante che avremmo fatto insieme per la prima volta. Questo rendeva tutto ancora più speciale, la scoperta di condividere un'esperienza troppo importante per essere dimenticata.

La passione ci divorò. In poco tempo sparì tutto ciò che divideva i nostri corpi dall'entrare completamente in contatto. L'imbarazzo non fu d'intralcio, entrambi ci godemmo il momento senza pensare al resto. C'eravamo solo noi due. Il resto del mondo era invisibile.

Quando finalmente Edward entrò in me, sentii tutte le barriere tra noi cedere e andare in frantumi. Fu delicato, dolce, attento ai miei bisogni senza che dovessi dire mezza parola, lui era sempre un passo avanti a me. La dolcezza che mise nell'atto di rendermi finalmente una donna, mi fece salire le lacrime agli occhi. Una tale condivisione sarebbe rimasta per sempre dentro di me. Non avrei mai dimenticato lui, non avrei mai potuto scordare il mio primo vero amore. Ormai una parte di me era sua, se non tutta e si sa, quando un uomo riesce a catturare un pezzo di te non c'è nulla da fare, non lo riavrai più indietro, qualunque cosa succeda.

Spossato poso il suo dolce viso sul mio petto, come un bambino in cerca d'affetto dalla propria madre. Lo strinsi a me con tutta la forza che mi rimaneva. Accarezzai i suoi capelli e lo sentii rilassarsi sempre di più. Ci addormentammo così, con la pioggia che batteva forte, con l'orologio che segnava le undici di sera.

Anche questa volta, la pioggia aveva fatto la sua apparizione ad un altro evento che segnò il nostro rapporto.

 

Buonasera a tutti! Come state? Avete già fatto i regali di Natale? A me ne manca uno >_<

Capitolo appena finito, se ci sono errori ditemelo, non l'ho ricontrollato, sono troppo stanca ç.ç Forse è un po' troppo lungo, se per caso risulta troppo pesante non abbiate timori a dirmelo, la prossima volta accorcio un po' ;) Ah, ricordate che la serata non è finita qui, oh, no, ci saranno ancora delle sorpres ;)

E a quanto pare il club anti-Jason ha avuto un enorme successo! E chi se lo aspettava?! No, okay, lo immaginavo xD Bene, ora potete iniziare a coalizzarvi ahah xD

Tutte convinte che Edward avrebbe raggiunto Bella a Logan, invece ta-dan! Sorpresa! Bella è andata da lui! Ho cercato di confondere le idee a molte di voi, sono stata perfida >_< Ma io ho ribadito più volte, fin dall'inizio, che ho cercato di rendere questa storia diversa. Quindi per una volta è stata la donna a raggiungere l'uomo. Dopotutto Edward se lo merita, no? ;) Spero che nessuno sia rimasta delusa da questa piega.

Poi, ecco che arrivo al pezzo forte! La loro prima volta! Dite la verità, dagli spoiler che vi ho inviato (eh sì, sono una donna di parola, ho inviato a tuuuutti lo spoiler ù.ù) avreste mai immaginato un simile evento? Siate sincere!

Allora, piaciuta la sorpresa? Deluse, entusiste? Dovevano aspettare? Boh, per me va benissimo così, me la sono sempre immaginto esattamente in questa sequenza di eventi la loro prima volta... Da qui le cose inizieranno a cambiare, o meglio matureranno ancora di più e verranno fuori altri segreti nascosti ;)

E voiiiii siete fantastiche!!! Cioè 19 recensioni?! Appena le ho viste mi è venuto un colpo, grazie mille a tutte *-* Io vi adoro davvero *-* Il capitolo lo dedico interamente a voi! E' anche più lungo del solito ;)

Avviso importante: il prossimo aggiornamento sarà lunedì 9 gennaio! Ho deciso di non aggiornare sotto le vacanze di Natale, ma da gennaio riprenderò con i soliti aggiornamenti settimanali, promesso ;)

Okay, ora me ne vado xD Auguri di Natale a tutti e felice anno nuovo!!! Passate un buon Natale, mangiate fino a fare indigestione e... aprite i regali il 25, non prima come a volte faccio io perché sono rimasta una bambina di due anni >_<

Kiss :*

Jess

Ps: al momento ho attiva un'altra storia sempre in questo fandom: Rules of attraction. Vi lascio la trama e magari se vi va fateci un salto ;)

Pensa alla carriera e mai all'amore, lei è Isabella Swan, venticinquenne con una carriera promettente nel mondo di Hollywood. Il suo sogno è sempre stato quello di seguire le orme del padre, il suo mentore, e ora che ne ha la possibilità non vuole che nulla intralci il suo progetto.
Ma i progetti possono sempre cambiare o fallire, oppure offrono sorpresa inaspettata. Quale tra queste opzioni sarà la strada di Bella? Tutte e tre? Forse...
Edward è un uomo dalle mille risorse, farà di tutto per ottenere ciò che vuole. Lotterà per l'impossibile che si trasformerà in possibile.
Nella vita per cosa vale la pena vivere? Isabella scoprirà la risposta.

"L'unica ragione per cui la vita vale la pena di essere vissuta è l'amore."

Tratto dal quarto capitolo:

«Che dire, fattelo passare! Ciao, principe del deserto!». Feci la mia uscita trionfale, che fu rovinata sempre da Edward, che mi seguì fino alla mia macchina.

«Principe del deserto? E questa da dove ti è uscita? Sai, non sei molto originale con i nomi se devi copiare la metafora del mio», affermò deciso mentre infilai in macchina la mia roba e feci salire Muffin, che tranquillo si rannicchiò sul sedile destro. Mi appoggiai alla portiera chiusa e incrociai le braccia al petto, dopodiché assunsi la mia espressione più temeraria, con tanto di sopracciglio sinistro alzato.

«Che dire, ho notato che sembri sempre... a secco». Mi congratulai mentalmente per questa trovata a mio parere geniale. Chissà se ci sarebbe arrivato da solo.

 

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Capitolo 12
*** Wake up ***


Wake Up

 

Le nostre impronte non sbiadiscono dalle vite che tocchiamo.

Remember me

La vita è fatta di sogni, desideri irraggiungibili. Eppure, a volte, si poteva raggiungere la meta desiderata, quella lontana anni luce che mai e poi mai ci saremmo sognati di poter toccare con mano. Una prova tangibile, indelebile e magnifica, per me era Edward.

Amare significava molte cose e nella vita mai e poi mai si poteva capire tutto ciò che una semplice parola contiene. Ogni volta che si prova a dare una definizione si sbaglia, perché non ci sono parole adatte per descrivere qualcosa di così stravolgente, intenso e ampio. Era impossibile contenere l'amore, delineare limiti invisibili varcabili in ogni istante.

Ciò che avevo condiviso con Edward era qualcosa di troppo grande, intenso, emozionante e... vero. Non potevo descrivere ciò che era successo. Non potevo e basta.

Mi risvegliai da uno stato di intorpidimento. Sentii i miei muscoli protestare per i miei movimenti scoordinati, quindi mi rilassai cercando di fare mente locale su quanto era successo. Una serie di flashback mi annebbiò la vista e un sorriso ebete prese forma sul mio viso. Ricollegai tutto: la dolcezza di Edward, le sue dolci parole sussurrate al mio orecchio, la sua delicatezza e infine il nostro amore, i nostri corpi fusi in una sola anima.

Edward... sospirai e aprii gli occhi. Sentii un dolce peso sulla parte destra del mio corpo; mi voltai e vidi il viso rilassato e sereno di Edward poggiato sulla mia spalla. Un suo braccio avvolgeva il mio addome e le nostre mani erano intrecciate. Le gambe erano un groviglio indistricabile.

Lo osservai attraverso il buio della stanza, illuminata tenuemente dalla luna. La linea delle sue labbra era rilassata e morbida. Avevo una precisa idea di ciò che erano capaci di fare quelle labbra. Con una mano accarezzai delicatamente i suoi capelli ancora più disordinati e mi beai della loro morbidezza. Scesi sul profilo del suo viso fino alla gola, infine arrivai alla spalla scoperta dal lenzuolo. La sua pelle era liscia e setosa, morbida e fresca come quella di un bambino, ma tesa sopra i muscoli del braccio e della schiena.

Cercai di voltarmi per scoprire che ore erano, ma era difficile fare qualsiasi movimento cercando di non svegliare Edward. Piano riuscii a sfuggire alla presa della sua mano e allungai il braccio per cliccare sul comodino la luce della sveglia. Erano le undici in punto. Eravamo ancora in tempo per festeggiare mezzanotte a modo nostro.

Piano, senza svegliarlo, mi girai su un lato, posizionando il mio viso all'altezza del suo. Lasciai una scia di baci sul suo viso, scesi sul collo e poi, quando iniziò a mugugnare, mi fiondai sulle sue labbra. Dopo qualche secondo prese il mio ritmo e ricambiò il bacio con rinnovata passione.

Lo vidi aprire i suoi fantastici occhi verdi, rossi a causa delle poche ore di sonno. Mi sorrise felice ed emozionato, esattamente come mi sentivo io.

Mi fece appoggiare la testa nell'incavo della sua spalla, accarezzando il mio braccio con movimenti circolari. Nessuno di noi due parlò per diversi minuti, assaporando semplicemente quell'oasi di pace e amore che si era creata.

«E' stata la notte... la serata più bella della mia vita. Grazie di esistere», mi confidò con voce leggermente tremante.

A causa dell'emozione mi si formò un groppo un gola, difficile da sciogliere. Cercai di recuperare l'uso della voce e dopo vari tentativi in cui sembravo una gallina strozzata, riuscii ad esprimere quello che pensavo: «Sei speciale e unico. Non so come abbiamo fatto ad arrivare fino a qui, chi dei due ha fatto il primo passo, ma non importa. L'unica cosa che conta è essere qui insieme e non smetterò mai e poi mai di sperare che sarà sempre così». Una frase equivoca. Sì, non avevo detto apertamente di amarlo, ma insomma più chiara di così... Non me la sentivo di rivelare apertamente quello che sentivo con due semplici parole. Non era il momento giusto, lo sentivo. Okay, quale momento migliore di questo? Dopo aver fatto l'amore, dopo un risveglio così perfetto e dopo le dolci parole di Edward... Ma no, nel profondo del mio cuore sapevo che c'era un momento ancora più perfetto di questa che ci aspettava dietro l'angolo.

«E' quasi mezzanotte», mi disse bisbigliando.

«Mmm, mmm». Ero così rilassata e in pace con il mondo da non riuscire a pensare ad altro. Poi, nel bel mezzo di quel leggere stato di coma, si fece largo un pensieri ben preciso: il regalo di Edward.

Mi scostai da lui e velocemente andai verso la mia borsa. Misi a tacere le sue proteste alzando semplicemente una mano. Tirai fuori il pacchetto e tornai verso il letto sorridente e felice. Mi buttai sul letto e tornai al caldo sotto le coperte, vicino al suo corpo.

«Questo è il tuo regalo di Natale, in netto ritardo». Gli consegnai la busta e lui lo prese sorpreso.

«Bella, sai che non dovevi...».

Interruppi la sua scenata posando un dito sulle sue labbra: «Ssst, aprilo!».

Scuotendo la testa aprì il regalo e la sua espressione da sconsolata passo a scioccata: «Tu... grazie, Bella, grazie!». Si girò e mi baciò con tanta intensità da farmi mancare parecchie boccate d'ossigeno.

Il regalo era abbastanza semplice, niente di troppo vistoso, ma perfetto per lui. Appena avevo notato il negozio di incisioni ero stata colta da un'illuminazione. Avevo cercato di riassemblare in un unico regalo tutte le passioni che avevamo in comune, musica e lettura in particolare. Così avevo acquistato il libro che ci aveva permesso di entrare in contatto la prima volta: Wather for elephants, poi lo avevo fatto rilegare in pelle facendo incidere nella copertina due frasi particolari. Infine, nella rilegatura in pelle avevo richiesto una particolare tasca nel retro del libro e ci avevo infilato un cd con diverse canzoni, dalla musica classica al rock.

«Il segreto dell'esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per cosa si vive. F. Dostoevskij», lesse con intensità e sguardo concentrato, esattamente lo sguardo che assumeva quando leggeva un libro interessante.

«Avanti», lo esortai. «Leggi l'altra!».

«Perché non esistono due individui perfettamente uguali, ci sarà una sola determinata donna che corrisponderà nel modo più perfetto ad un determinato uomo. A. Schopenhauer». Appena finì di leggere distese gli angoli della bocca, con quella piccola pieghetta che si formava al lato della sua guancia quando usava il suo sorriso sghembo.

Posò il libro sul letto e mi abbracciò stretta. I nostri corpi erano come fusi in uno solo, tanto eravamo attaccati. La pelle di Edward bruciava a contatto con la mia, sentivo ogni punto del nostro corpo toccarsi e rimanere pelle a pelle.

«So che tu sei la mia perfetta metà. Nessuno potrà mai prendere il tuo posto nel mio cuore. Nessuno», mi confidò Edward.

Lacrime di commozione scesero dai miei occhi, rigando le guance. Lui asciugò le mie lacrime con le labbra, lasciando dolci baci sul mio viso. Mi cullò dolcemente tra le sue braccia fino a quando non mi calmai.

«Come facevi a sapere che ero a casa e non con gli altri?». Edward spezzò il silenzio e io alzai il viso per guardarlo negli occhi.

«Questa mattina ti ho chiamato e mi ha risposto Alice».

«E questo spiega tutto», disse ironico. Sapeva anche lui che Alice non riusciva a stare zitta nemmeno un minuto, così mi aveva raccontato tutto quello che mi premeva sapere.

«Per fortuna ho avuto l'occasione di parlare con lui, altrimenti ora non saremmo qui», dissi leggermente offesa da come era rimasto scocciato dalla parlantina di sua sorella.

«Vuoi dire che è stata lei a suggerirti di prendere il primo volo e venire qui?», mi chiese scioccato. Mi irritai ancora di più e mi scostai dal suo corpo, allontanandomi quanto bastava per rimanere lucida.

«No, non è stata una sua idea! Ho scelto io di tornare, ma a quanto pare non è stata la scelta giusta visto come stai reagendo!», esclamai arrabbiata e delusa dal suo comportamento.

«Cosa?! Bella, stai fraintendendo tutto! Come puoi pensare che questa non sia stata la sorpresa più bella e piacevole della mia vita?!».

«Viste le tue parole...», buttai lì senza guardarlo negli occhi. Mi si formò un groppo in gola al pensiero che non mi volesse lì.

«Era solo scioccato dal fatto che mia sorella avesse messo il suo zampino riguardo la tua partenza! So quanto ci tenevi a passare del tempo con i tuoi nonni e non voglio mai che tu sia costretta a sacrificare qualcosa per me!», dichiarò Edward, facendo sì che rimanessi a bocca aperta.

Non risposi, non ce la feci, rimasi lì immobile a fissarlo. Mi tirò per le braccia addossandomi al suo corpo e io stetti lì, beandomi del suo respiro caldo che mi solleticava l'orecchio e del suo petto nudo a contatto con il mio.

«Bella, Bella, Bella... ma come devo fare con te? Non so nemmeno come esprimere la mia felicità nell'averti qui, ora. Ma allo stesso tempo pensare il viaggio che hai fatto fino a qui in una serata del genere non mi entusiasma. Ho sempre paura che possa succederti qualcosa. Poi, come se non bastasse, hai passato meno tempo a Logan e per un bel po' non riuscirai a vedere i tuoi nonni... Jason», sputò l'ultimo nome con irritazione malcelata.

«Jason? Ora che c'entra lui?», chiesi sconcertata dalla presenza del suo nome in un simile discorso.

«Nulla». Restò vago e non aggiunse nulla di più.

«Sei geloso!», lo incriminai contenta. Mi piaceva la sua gelosia e un pizzico di quella possessività che lo caratterizzava, ma che non veniva mai fuori.

«Puf, e di chi? Tu sei qui, con me e lui è a chilometri di distanza! Non sono più geloso».

«Certo, come no!».

«Non mi credi?», mi chiese Edward. Strinse gli occhi non spostando lo sguardo dal mio viso.

«Mmm, fammici pensare... no!», esclamai inarcando un sopracciglio e fissandolo con moto di sfida.

«Tzé, e questa sarebbe la tua fiducia in me?!», domandò facendo il finto offeso. Vedevo benissimo che sorrideva sotto i baffi.

Mi cadde l'occhio sulla sveglia e urlando spinsi Edward sul letto. Lui mi tirò giù con sé e ridemmo come dei matti. Aveva notato anche lui l'ora, mancavano esattamente due minuti alla mezzanotte.

«Pazza», mi sussurrò all'orecchio. La sua voce bassa e un po' roca era troppo sensuale e io... okay, dovevo ammettere che mi risultava leggermente difficile riuscire a resistergli. Non che dovessi farlo, in fondo era il mio ragazzo alla mia mercé.

«Una pazza che ti piace, però», gli risposi mordicchiando il lobo del suo orecchio.

«Una pazza che mi piace», confermò.

«Meno cinquanta secondi», affermai entusiasta. Ero in attesa del primo giorno dell'anno insieme a Edward. Per la prima volta.

«Vuoi fare il conto alla rovescia? No, perché ci siamo scordati di prendere una bottiglia di champagne».

«A me basta un tuo bacio. Poi sai il detto...», bisbiglia in tono... sì, lo ammetto, volevo risultare un po' sensuale!

«No, quale detto?». Fece il finto tonto, ma sapevo benissimo che aveva inteso alla perfezione.

Buttai un occhio sulla sveglia e poi lo baciai. Rispose immediatamente, facendo aumentare gradualmente il bacio, da semplice sfioramento di labbra diventò un bacio urgente, tenero e struggente insieme.

Si staccò leggermente dalle mie labbra e mi sussurrò: «Buon anno, Bella».

«Buon anno», ripetei come un mantra.

 

Passammo tutta la notte ad amarci e parlare di tutto ciò che in quei pochi giorni ci eravamo persi l'uno dell'altra.

Ogni volta che facevo l'amore con Edward era meglio della precedente, assolutamente magnifica e priva di qualsiasi imbarazzo. Eravamo a nostro agio e non sentivamo il bisogno di creare inutili disagi.

Ci eravamo addormentati stremati verso le sei del mattino, dopo una sostanziosa colazione. Per la prima volta dormimmo insieme. La nostra posizione era alquanto strana, un intreccio di braccia e gambe difficile da districare. Abbracciati, con le nostre mani intrecciate come gambe e braccia, riuscimmo a rilassarci ed addormentarci subito. Sentirlo vicino a me anche nel sonno era qualcosa di meraviglioso.

Ancora nel dormiveglia sentii qualcosa di leggero sul mio viso. Mugugnai infastidita dall'interruzione del mio magnifico sonno, fatto esaltanti vestiti bianchi e scarpette altrettanto bianche.

Quel fastidio aumentò di intensità e, solo quando sentii una leggera pressione sulle mie labbra, capii e sorrisi.

«Buongiorno, pulce», mi sussurrò Edward. Ancora con gli occhi chiusi avvolsi le mie braccia intorno al suo collo e lo tirai a me, inspirando il suo profumo inebriante.

Aspetta un attimo, pensai, pulce?!

Sbarrai gli occhi e lo trucidai con lo sguardo. Se proprio voleva darmi un soprannome che ne scegliesse uno adatto e carino, non quel... quel pulce!

«Che c'è?», chiese confuso.

«Pulce?!», ringhiai stringendo gli occhi in due fessure minacciose.

«Non ti piace? Comunque sei così piccola, che riesci ad intrufolarti da tutte le parti. Appena mi sono svegliato ti ho trovato praticamente sotto di me. Ho rischiato di farti male!», si lamentò sempre con quel sorrisino sul viso che diceva chiaramente: "ti prendo in giro e con gran furbizia".

«Non era meglio un altro soprannome? Tipo...».

«Tipo?», ribattè Edward.

«E che ne so... scricciolo!».

«Ma anche no! Che soprannome è?!».

«Perché pulce è meglio?!».

Il nostro botta e risposta fu concluso dallo stesso Edward e dal suo bacio per mettermi a tacere. Accidenti, sapeva bene come farmi dimenticare tutto ciò su cui ero testardamente concentrata! Giocava sporco!

«Okay, niente più pulce, mia dolce scorbutica», concluse Edward. Non mi lasciò rispondere nemmeno stavolta, mettendomi a tacere nuovamente con un bacio.

«Devo dire che questo tuo metodo per fermare le mie proteste mi piace», confessai prima di usare la sua stessa tattica.

Dopo esserci impegnati a far tacere l'altro con molto impegno, restammo a letto rilassati e in pace con il mondo.

«Questo risveglio mi è piaciuto particolarmente», affermò Edward. «Peccato che da domani si tornerà alla normalità».

Mi rattristai subito a quell'ovvia conclusione. Non potevamo restare solo noi due in quella casa per chissà quanto tempo. Nel giro di qualche ora saremo tornati al mondo reale, senza più questa magica bolla di intimità. Quanto avrei voluto passare altro tempo con lui in questo modo, dove il mondo era escluso e lasciato fuori.

«Ehi, Bella», mi chiamò, alzandomi il viso verso il suo. «Non voglio vederti triste. Vedrai che riusciremo a ritagliarci il nostro spazio e poi abbiamo ancora tutto il giorno da sfruttare come vogliamo», concluse maliziosamente. Ma prima che potessi rispondere alla sua provocazione, il suo cellulare squillò.

Irritato quanto me dall'interruzione, rispose: «Sì?».

Lo osservai cercando di capire chi fosse e lo vidi sospirare esasperato. Avvicinò il telefono al mio orecchio e sentii l'altra voce: Alice.

«Lo so, Alice, ora siamo qui», rispose Edward a chissà quale domanda di sua sorella. Mi guardò e alzò gli occhi al cielo. Risi silenziosamente e aspettai.

«Devo prima chiedere a Bella, aspetta un attimo». Mise una mano sul cellulare e mi disse che Alice voleva passare una giornata tutti insieme. Annuii felice di rivederli tutti e dopo poco la chiamata si concluse.

«A che ora ci dobbiamo vedere?», chiesi a Edward.

«Alle tre a Riverfront Plaza, dopodiché vorrebbe fare una passeggiata lungo Bull Street e poi decideremo cosa fare». Mi piaceva il programma della giornata, per ovvi motivi: primo avevamo ancora un po' di ore da passare noi due da soli, secondo la giornata con gli altri sarebbe stata piacevole e divertente, come tutte le nostre uscite.

«Quindi abbiamo ancora un po' di ore da passare soli soletti», dissi facendo scorrere la mia mano per tutto il petto nudo di Edward. Lui afferrò la mia mano, staccandola dal suo corpo e mi spinse supina sul letto, alzando entrambe le mie mani sopra la mia testa.

«Prima mangiamo, non voglio farti morire di fame, altrimenti con chi mi diverto dopo?», confessò Edward. Oltre alla sua battutine avvertii la sua preoccupazione per ogni cosa che mi riguardasse, come sempre.

«Ci sto. Mi fai alzare?», domandai vedendo che non aveva nessuna intenzione di spostarsi dal mio corpo.

«Farò di meglio», rispose prendendomi in braccio e trascinandomi in bagno.

«Questo sì che è un servizio completo», lo stuzzicai piacevolmente colpita dalla sicurezza che aveva dimostrato fin dalla sera precedente.

Mi tenne in braccio tutto il tempo, non mi posò nemmeno per aprire l'acqua della doccia. Entrammo insieme e una volta sotto il getto caldo dell'acqua mi lasciò posare i piedi per terra, tenendomi sempre stretta a sé con un braccio intorno alla mia vita.

L'acqua inscurì i suoi capelli, appiccicandoli alla fronte. Vidi lo scorrere delle scie d'acqua sulla sua pelle e un desiderio profondo e primitivo emerse da dentro di me. Portai le mie mani sul suo corpo, accarezzando ogni centimetro mi fosse possibile esplorare. Sospirò di piacere ad ogni mio tocco e mi sentii soddisfatta della nostra intesa anche fisica. Eravamo perfetti sotto tutti i punti di vista.

Mi tirò indietro i lunghi capelli appesantiti e quasi neri. Accarezzò e vezzeggiò il mio corpo come il più fragile dei cristalli, pronto ad andare in frantumi con un semplice tocco. Mi fece sentire amata e desiderata. Mi fece sentire una donna.

Buonasera! Allora, come state? Come avete passato le vancanze? Tutto bene? Oddio, mi sento una macchinetta xD

Dunque non so in quanti leggono sempre le note, ma io spero sempre tutti xD Volevo dirvi due o tre cose sul capitolo, ma prima di tutto vi avviso che il prossimo aggiornamento sarà per lunedì 23! Purtroppo sono piena di prove per gli esami e per non trascurare nessuna storia ho deciso di non aggiornare tutte le settimane, almeno per questo mese.

Molte di voi si saranno chieste come mai quelle due magiche paroline non sono ancora state pronunciate. Be', fin dall'inizio ho avuto un momento ben preciso in mente e anche se gli eventi man mano sono stati leggermente stravolti, qualcosa si è aggiunto strada facendo, continuerò a seguire la linea della storia, perché trovo che debba essere coerente con ciò che avevo in mente. Ma non disperate, quel momento arriverà e sarà davvero magico (almeno per me ahah). Però anche se non è stato detto nessun "Ti amo" le loro parole sono lo stesso molto chiare =)

Non so che regalo vi aspettavate e non lo sapevo nemmeno io, mentre scrivevo il capitolo ho cercato di cllegare un po' di cose che avessero un significato per entrambi. È una cosa un po' diversa e spero vi piacerà per la sua semplicità ;) Le citazioni del regalo non sono messe a caso, ma scelte con infinita cura =)

Per chi me l'ha chiesto ecco che riappare Rain! Non era sparito, era scappato epr non fare il guardone ahah xD

L'argomento Jason è come una spina nel fianco >_< E' stato nuovamente accennato perché sarà importante per far uscire una paura di Edward, che poi scopriremo... Non è nominato per qualche triangolo amoroso o altro, lui come eprsona alla fine non c'entra nulla, è solo un simbolo che rappresenta qualcosa... Non posso dire altro xD

Tutte le vie nominate e le cose che ci sono a Savannah non sono inventate, prima dis crivere la storia mi sono documentata per bene =)

A chi piace il soprannome che Edward usa per Bella? xD

Okay, ora vi lascio in pace xD Scrivo sempre note lunghissime O.O

Grazie mille alle stupende persone che mi seguono ad ogni capitolo, le vostre recensioni sono fantastiche e mi fate super felice ogni singola volta con le vostre parole *-* Grazie!!!!

Kiss :***

Jess

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Capitolo 13
*** A special day ***


A special day

 

Look at the stars
Look how they shine for you

You know, you know I love you so
You know I love you so

Coldplay, Yellow

 

 

Dopo una doccia fantastica, la migliore della mia vita, mangiammo qualcosa. Cucinò Edward, il mio uomo tutto fare.

Ci perdemmo in altre effusioni con il risultato di essere in ritardo all'appuntamento con Alice. Era inutile, perdevamo la cognizione del tempo; ma quando si stava bene con qualcuno era così.

Presi Rain in braccio e ci avviammo in macchina, pronti a passare un pazzo pomeriggio insieme a Jazz, Aly, Rose ed Emm. Chissà come stava andando tra Rosalie ed Emmett...

«Tu fratello come si sta comportando?», chiesi sospettosa a Edward.

«Intendi con Rosalie?», domandò a sua volta. Annuii e aspettai la conferma che tutto filava liscio, altrimenti entro la serata Edward si sarebbe ritrovato senza un fratello. Tenevo troppo a Rose per vederla soffrire di nuovo.

«Tra loro penso vada tutto alla grande. Emm è sempre euforico e gira per casa cantando e urlando», mi informò Edward.

«Non mi sei di grande aiuto. So benissimo che Emmett durante le feste perde ogni freno», mi lamentai. Uffa, era possibile che lui non sapesse mai nulla di concreto? Avrei dovuto chiedere ad Alice ieri mattina!

«Tra poco li vedrai con i tuoi occhi, che problema c'è?», mi chiese confuso.

«Il problema è che dovrò preparare un piano all'ultimo secondo se qualcosa non quadra! Invece se tu fossi stato attento avrei avuto più tempo per pensare a qualcosa!», esclamai come se fosse una cosa ovvia.

«Oddio, sei tremenda, non vorrei mai averti come nemico», mi prese in giro ridendo fino quasi ad avere le lacrime.

Non seppi se offendermi o ridere con lui.

Ero curiosa di vedere quanto le cose tra Rose ed Emm fossero cambiate. Insomma in un rapporto appena nato, un po' di giorni potevano fare la differenza. Io ed Edward nel giro di poco eravamo passati dal parlarci agli appuntamenti! Ciò significava che in amore non c'erano misure del tempo. Poi il nostro rapporto aveva subito un ulteriore passo in avanti grazie alla nottata appena trascorsa. Solo a pensarci mi venivano gli occhi lucidi dall'emozione e riuscivo a rivedere ogni ricordo chiaro nella mia mente. Immagini di noi due sul letto, sotto la doccia, le sue mani che mi toccavano, le sue labbra che marchiavano il mio corpo. Ogni singolo particolare non andava dimenticato e avrei ripensato a quella notte milioni di volte per non dimenticarla. Anche se dimenticare era impossibile.

Sospirai estasiata e continuai ad accarezzare il pelo morbido di Rain, che se ne stava beatamente seduto sulle mie gambe.

«Che c'è?», mi chiese dolcemente. Edward era in grado di accorgersi di ogni minimo particolare che mi riguardasse. Il minimo cambiamento, un'occhiata leggermente diversa e lui era in grado di capire.

«Nulla», risposi allegra. Fissai lo scorrere delle strade fuori dal finestrino: le persone camminavano lente, ancora mezze addormentate a causa della nottata di festeggiamenti, mentre i bambini erano vivaci come sempre e correvano felici da ogni parte. La città si stava risvegliando. Capodanno era passato, ormai.

«Conosco quell'espressione sognante. Non starai ideando un piano nel caso mio fratello si fosse comportato da coglione!», disse scherzando, ma sapevo che voleva sapere a cosa stavo pensando.

«Pensavo alla nostra notte», affermai senza smettere di sognare ad occhi aperti.

Sentii una leggera carezza sulla mia guancia. Mi girai a guardarlo e vidi la sua mano ritrarsi. Fissava la strada concentrato, ma anche sul suo viso era comparso il mio stesso sorriso. Un sorriso di chi la sapeva lunga.

«Edward?», lo chiamai.

«Sì?».

«Non ti dimenticherò mai, succeda quel che succeda. Anche se tu un giorno dovessi decidere di lasciarmi, io...», iniziai a blaterare senza senso. Non sapevo nemmeno cosa volessi fargli capire, sapevo solo che per me era importante che lui capisse quanto tutto ciò era stato come un marchio a fuoco nel mio cuore.

«Io non ti lascerò mai. E succeda quel che succeda tu rimarrai sempre e per sempre la mia prima e unica ragazza. Quello che abbiamo condiviso... non si può descrivere. Posso solo dirti che ti ho sentita». Lacrime di gioia fecero capolineo. Non mi ero nemmeno accorta che aveva accostato per potermi guardare negli occhi. Non mi ero accorta di nulla se non di lui e delle sue parole. Mi buttai sulle sue labbra, baciandolo in modo disperato, come se potesse essere la mia ultima occasione di sentire il suo sapore. L'ardore che lui ci mise mi fece chiaramente capire che non ero l'unica a pensarla così.

 

Arrivammo al Riverfront Plaza in ritardo. Tra la nostra doccia che da breve si era trasformata in un bagno da due ore; tra la nostra sosta in macchina... be', arrivare in orario era stato impossibile.

Tutti erano all'imbocco del lungo viale ad aspettarci. Appena li vidi non riuscii a resistere, mi fiondai fuori dall'auto con Rain in braccio e corsi a salutare tutti. Stritolai Alice e Rose in un abbraccio e poi mi lasciai avvolgere dalle braccia di Jazz ed Emmett. Con il mio scatto di euforia, Alice si era persino scordata di rimproverarci per il ritardo. Questo dovevo ricordarmelo per la prossima volta in cui si sarebbe presentata la stessa situazione.

Una volta finiti i saluti andammo a fare una passeggiata lungo Bull Street, dove le ragazze decisero di sequestrarmi per gli ultimi aggiornamenti. Quindi noi tre camminammo parecchi metri avanti ai ragazzi, anche loro impegnati in una fitta conversazione.

«Allora, Bella, cos'hai da raccontarci?», mi chiese Rosalie, maliziosamente.

«Prima raccontami tu come vanno le cose con Emmett, poi passeremo a me», suggerii. Avevo notato gli sguardi tra loro, le mani unite e tutto il resto, quindi doveva essere tutto a posto.

«Okay, ma non credere di scamparla!», partì Rosalie. «Dunque... da dove posso iniziare? Dopo la nostra giornata di shopping, Emmett ha deciso definitivamente di dare una svolta al nostro rapporto. Prima andavamo molto più cauti, soprattutto per tutto ciò che avevamo già passato. Ma il giorno di Natale mi ha fatto una sorpresa, è venuto a prendermi e mi ha portata in un luogo molto romantico, dove, finalmente, mi ha rivelato di essere innamorato di me da sempre».

«Oh, Rose! E' stato così dolce! Dovevi vederlo, Bella, girava per casa tutto agitato e faceva una tenerezza, sembrava un orsacchiotto impaurito. Aveva la tremenda paura che Rose non provasse lo stesso per lui», mi rivelò Alice, intenerita dall'atteggiamento del fratello.

Sorrisi entusiasta, sapevo che Emmett era così sotto quello spesso strato di don giovanni!

«Sono così felice per voi, Rose», affermai abbracciando la mia amica.

«Ora è tutto perfetto, ci amiamo e non ci sono più ostacoli tra noi», disse con aria sognante. Si vedeva quanto era felice, irradiava contentezza da tutti i pori e se lo meritava. Dopo aver sofferto così tanto, meritava di essere amata dall'uomo che desiderava.

«Tu, Alice? Con Jasper tutto bene?», chiesi interessata anche alla sua relazione. Dopotutto dove stava scritto che solo perché loro due erano innamorati da tanti anni e stavano insieme da altrettanti, non potevano avere problemi?

«Sì, va tutto alla grande», rispose poco convinta.

«Avanti Alice, che succede?», la esortò Rose a parlare.

«La scelta del college non sarà facile», affermò con sguardo triste. «Non ne abbiamo ancora parlato, ma non credo faremo la stessa scelta».

Per un attimo pensai anche a me e a Edward, nemmeno noi avevamo mai accennato al discorso e... No, mi imposi, non devi pensarci ora, non ora!

«Alice, sta tranquilla, forse ti stai facendo troppi film in testa, che alla fine verranno smontati nel giro di qualche secondo. Lascia perdere, finché non ne parlate non farti problemi», le consigliai stringedole le spalla.

«Avete ragione, ragazze!», rispose acquistando la sua solita allegria e spensieratezza, che la caratterizzavano.

«Ed ora passiamo a te, mia cara Bella! Pensavi di averla scampata?», mi sgridò Rose. Erano molto curiose di sapere cosa stava succedendo tra me ed Edward, ma anche della mia situazione familiare e del mio soggiorno a Logan.

Raccontai a grandi linee l'attuale situazione a casa mia, senza soffermarmi troppo per non essere invasa nuovamente dall'angoscia e dalla tristezza. Poi passai al mio soggiorno a Logan, parlai di Jason e del nostro quasi scontro, fino alla mia partenza per passare il capodanno con Edward. Appena accennai al fatto di essere rimasta a dormire a casa Cullen, partirono con urletti di gioia e abbracci di gruppo. Vidi Edward fissarci da lontano, confuso e stranito dal nostro comportamento. Arrossii al pensiero che avesse capito cosa avevo appena accennato e un po' anche per il fatto che le ragazze lo stavano per urlare a tutto il mondo. Continuavano a ripetere che anche io finalmente avevo scoperto le gioie del sesso, eccettera.

Alcune persone si girarono a guardarci e io sempre più imbarazzata cercai di fermarle, zittendo i loro gridolini.

«Com'è stato?», mi domandò Rosalie. Mi morsi il labbro indecisa se rispondere o glissare la domanda.

«Perfetto», ammisi senza dilungarmi troppo. Continuammo a camminare lungo Bull street, attraversammo Johnson Square, con le sue due grandi fontane contornate dalla vegetazione, fino ad arrivare a Madison Square.

«E mio fratello?», chiese un Alice fin troppo interessata.

«Oddio, Alice! Non vuoi saperlo davvero!», la rimproverai. Ma quale sana di mente voleva conoscere le prestazioni sessuali del fratello?!

«Oh, cielo, certo che no! Bella, cavolo, mica voglio i particolari, vorrei solo sapere se è stato dolce e tenero con te!». Oh, meno male. Tirari mentalmente un sospiro di sollievo.

«Be', Edward non è mio fratello, quindi voglio saperlo», mi disse Rose.

«Non te lo dirò manco morta! Sono cose... private! Posso solo dire che Edward è stato sensazionale, sotto ogni aspetto», confermai maliziosa. Alla fine era solo la verità, Edward era veramente perfetto in ogni dove.

«Ti prego risparmiami i pregi di mio fratello, bleah», disse una Alice schifata. Mi fece ridere e Rose si unì a me.

«Comunque, Bella, con le tue amiche queste cose puoi dirle! Se volete posso dirvi anche di Emmett e vi posso giurare che è...».

«Stop, stop! E' mio fratello anche lui, accidenti!», una Alice ancora più schifata di prima fermò lo sproliquio di Rose, la quale si mise ancora più a ridere. Si divertiva molto a stuzzicare Alice.

«Che ti devo dire, Alice, hai troppi fratelli!», le rispose Rose, continuando a prenderla in giro.

 

Dopo un'oretta di discorsi tra donne, lasciammo che i ragazzi ci raggiungessero e insieme decidemmo di andare al cinema e poi a cena fuori.

Ognuna di noi era a stretto contatto con il proprio fidanzato. Edward mi posò un braccio sulle spalle e io intrecciai la mia mano alla sua. Parlammo e ci divertimmo spensierati, come mai prima d'ora.

Il mio unico pensiero oscuro era il ritorno a casa, dove non avrei più trovato mio padre. Per un attimo mi rabbuiai e mi ricordai che loro non erano ancora a conoscenza del mio rientro a Savannah. In serata avrei fatto loro una sorpresa.

Ci fu una discussione per il film da vedere. Rose ed Alice erano impuntate su un nuovo film con il loro idolo Chris Evans, dal titolo Sex list. Jasper ed Emmett insistevano con il nuovo film su Sherlock Holmes. Io ed Edward semplicemente non dicemmo nulla, per noi andava bene tutto, uno valeva l'altro.

«Bella, ci serve il tuo appoggio», mi pregò Rose. Alzai le spalle per levarmi da tutto e loro usarono l'ultima carta a disposizione.

«Bene, vorrà dire che finché non verremo a vedere questo film, starai a stecchetto e ti avviso già da ora che il film c'è ancora per due giorni nelle sale, quindi penso che non riusciremo a venirlo a vedere», disse Alice, malefica fino al midollo.

«Stessa cosa vale per te, Emm. Apri bene le orecchie!». Rose applicò le stesse misure restrittive al suo fidanzato. I ragazzi si lamentarono, trovando la soluzione di guardarlo in streaming, a casa. Mentre, a detta loro, Sherlock non poteva non essere visto al cinema!

«Spero non diventerai sadica come loro», mi sussurrò Edward all'orecchio. Aveva paura di andare in bianco qualche volta?

«Per tua fortuna abbiamo metodi diversi per far sì che tu faccia esattamente quello che voglio io», bisbigliai di rimando.

«Bene, non credo di riuscire a resisterti d'ora in poi».

«Felice di saperlo», gli dissi dandogli un bacio sulla guancia appoggiata alla mia.

 

Alla fine vinsero le ragazze. Il film era carino, piacevole, ma non di certo da cinema. Però, alla fine, anche Emm e Jazz risero piacevolmente colpiti dal film. Niente di troppo sublime, ma perfetto per passare una serata tra amici e farsi quattro risate.

Alla fine andammo a cena, anche perché tutti avevamo lo stomaco vuoto dall'ora di pranzo e, come al solito, Emmett si stava lamentando per il mancato spuntino pomeridiano.

«Com'è andata a Logan?», mi chiese Jazz.

Ingoiai il pezzo di pizza e risposi: «Bene, cioè poteva andare meglio».

«Cos'è successo?», si intromise Emmett, curioso come sempre di qualche scoop.

«Nulla, solo un piccolo diverbio con Jason».

«Il tuo ex?», rincarnò la dose. Le sue battutine non promettevano nulla di buono. Edward, nel frattempo, si era irrigidito e lo avvertivo dalla tensione della sua gamba vicino alla mia.

«Già, ma non è stato nulla. Abbiamo subito risolto», dissi con un'alzata di spalle, che stava a significare che la cosa era di poco conto. Non era del tutto vero, ma non volevo creare disagi.

«Interessante. Cosa ne pensi, Ed?», chiese Emm al fratello. Lo fulminai con un'occhiata e lui sorrise biricchino, come i bambini che vengono scoperti a fare una marachella.

«Cosa dovrei pensare?», grugnì Edward, iniziando con il solito pessimo umore ogni volta che si accennava a Jason.

«Bah, io sarei geloso se qualche ex si avvicinasse a più di un metro dalla mia Rose». E dalla suddetta ricevette un calcio negli stinchi. Lui la guardò come un cucciolo con gli occhi dolci, pronto a farsi perdonare, ma ricevette solo un altro calcio, questa volta da me.

Edward non rispose e si chiuse in se stesso, cosa che era solito fare quando qualcosa lo infastidiva. Era così, non reagiva, semplicemente chiudeva fuori il mondo. Sentii Alice sussurrare ad Emmett quanto fosse cretino, ma nessuno si degnò di intervenite, fortunatamente.

Il resto della serata proseguì senza ulteriori punzecchiamenti di Emmett verso il fratello. Aveva notato anche lui quanto Edward fosse turbato.

A fine serata ognuno tornò a casa. Edward mi accompagnò a casa mia e durante il viaggio in macchina sciolse la sua tensione, facendomi entrare nel suo mondo, senza tagliarmi fuori. In poco tempo tutto tornò come prima e ne fui felice. Non volevo rovinare la fantastica giornata passata insieme.

Nel vialetto di casa mia, Edward scaricò le mie valigie, poi si sedette nel portabagagli aperto. Mi attirò a sé, abbracciandomi stretta. Lasciai il guinzaglio di Rain - tanto ormai eravamo a casa -, così da avere le mani libere per toccare Edward.

«Non voglio che pensi a ciò che ha detto tuo fratello. Jason non conta nulla», gli dissi aprendo finalmente l'argomento che lo aveva tormentato per gran parte della cena.

«Lo so e mi fido di te. Non si tratta di questo». Mi fece sedere sulle sue gambe e gli circondai il collo con le braccia, tenendo il mio viso di fronte al suo, per guardarlo bene negli occhi.

Ogni vicinanza con Edward era un fuoco d'articifio, bruciante di desiderio represso. Il contatto tra i nostri corpi era cambiato, dopo la notte precedente. Eravamo consapevoli del corpo dell'altro, ma soprattutto non c'erano più limiti, tutto era concesso.

«Allora qual è il problema?», gli chiesi interessata a risolvere ogni cosa con lui.

«Ho il terrore di perderti. Ora che ti ho trovata, che so cosa si prova a stare con te, so che non ne potrei più fare a meno. Sei come una droga per me, la peggiore, dalla quale non ci si può disintossicare, ma solo morire per una dose mancata», mi confessò timido. Abbassò lo sguardo per la sua dichiarazione, ma io ero troppo felice per pensare a qualunque cosa che non fossero le sue parole.

«E' lo stesso che provo io, la stessa paura», gli rivelai. Vidi il suo sguardo accendersi e mi baciò con tenerezza. Un bacio dolce, che mano a mano prendeva sfumature sempre più passionali. Le nostre mani si muovevano sull'altro possessive e consapevoli che ogni parte del corpo dell'altro era di nsotra proprietà. Lui era mio.

 

Buonasera!!! Stasera sono in ritardo, di solito posto prima...

Bene, questa volta sarò abbastanza breve - sì, "abbastanza" preoccupa un po' xD.

1) Il prossimo aggiornamento sarà lunedì 13 febbraio! Sì, è tra qualche settimana, ma purtroppo non ho molto tempo e prossima settimana parto per cinque giorni.

2) Finalmente avete scoperto ciò che anticipavo nello scorso capitolo. Jason è una figura marginale, non importante e qui è spuntato fuori solo per far uscire una paura di Edward, che altrimenti senza una spintarella non avrebbe mai detto a Bella cosa lo preoccupa... Quindi ricordatevi che nessun trinagolo sarà presente in questa storia.

Per il resto non ho altro da aggiungere, il capitolo parla da sé e ad essere sincera non ne sono per nulla convinta >.< Manca qualcosa, ma non capisco di cosa si tratti ç.ç

Grazie mille a tutte le persone che recensiscono ogni capitolo, è davvero importante sapere i vostri pareri e le vostre impressioni, anche perché, sì, la storia è già ben delineata nella mia mente, ma se qualcosa non è chiaro o non ha va mi fa piacere se me lo fate notare, così io provvedo a sistemare tutto! Grazie anche a Alice_Nekkina_Pattinson, che in tre giorni ha recensito tutte le mie storie *-*

Solo in questi giorni ho guardato le liste dei preferiti, etc, non pensavo foste così tanti! Grazie mille *-*

Aspetto i vostri pareri, scatenatevi!!!

Kiss :***

Jess

 

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Capitolo 14
*** 'Cause... ***


'Cause...

Every time I close my eyes I can touch the colors around me
Suddenly I realize everything I thought was impossible is here

Cider Sky, Northern Lights

 

 

Era ben dieci minuti che fissavo la porta di casa. Non mi muovevo, non fiatavo, non spostavo lo sguardo da quel pezzo di compensato scuro che mi divideva dalla triste constatazione che per la prima volta nella mia vita qualcosa era cambiato per davvero.

Non mi ero mai ritrovata di fronte ad una simile situazione. Nella mia vita tutto era sempre stato uguale, ogni cosa aveva seguito il suo corso senza mai cambiare rotta. Forse ero sempre stata circondata da troppa felicità, ottimismo senza mai conoscere realmente i problemi veri, quelli che tutta la gente vive ogni ogni giorno. Avevo vissuto in una campana di vetro dove guardando attraverso quel velo trasparente, tutto era colorato, allegro e spensierato. Una visione del mondo che solo un'ingenua può avere e quell'ingenua ero stata io, colei che si professava con i piedi per terra, sempre con la testa fuori dalle nuvole. Come avevo fatto a non rendermi conto di molte cose era un mistero e sarebbe rimasto tale per molto, troppo tempo. Da adulta avrei capito altrettanto cose.

Quindi qual era stato il mio ruolo in tutto questo? Cosa avevo sbagliato? Era impossibile non aver avuto voce in capitolo, perché in quella casa ci vivevo anch'io. Porbabilmente concretamente non avevo fatto nulla, era inutile addossarmi colpe che non avevo, eppure non potevo neanche farne a meno. Quando un rapporto così vicino a te si spezza, i dubbi di aver in qualche modo influenzato una simile scelta, sorge spontaneo senza neanche rendersene conto.

Non volevo entrare in quella casa, la mia casa. Avevo il terrore di vederla interamente svuotata, di non sentire più dentro di me che quella era realmente la mia casa, il luogo dove ogni giorno desideravo tornare, dove mi sentivo protetta e amata dalla mia famiglia. Eppure dovevo farlo, superare questo panico che mi aveva invasa e varcare la soglia.

Edward era andato via da almeno mezzora. Lui aspettava sempre che entrassi in casa, per assicurarsi sempre che fossi davvero arrivata, ma questa volta con la scusa di riacchiappare Rain lo avevo convinto ad andare via. Avevo bisogno di stare da sola qualche minuto e soprattutto di affrontare una volta per tutte quest'ansia annidata nello stomaco. Non era giusto appoggiarmi sempre a Edward, anche se sapevo che per lui non ero un peso, dovevo anche cavarmela da sola.

Okay, conto fino a dieci e poi entro, mi dissi per la terza volta nell'arco di due minuti.

Afferrai il trolley con una mano e presi Rain in braccio, così mi avvicinai alla porta fino ad arrivare ad aprirla. Girai molto lentamente le chiavi nella toppa, troppo lentamente.

Una volta spalancata la porta avertii la sensazione che nulla era cambiato. Tutto era al suo posto e non vuoto come mi aspettavo. Avanzai ancora incerta e confusa nel constatare che la giacca di mio padre era ancora appesa vicino all'ingresso.

Lasciai il trolley di lato e mi diressi versi la cucina, sempre con Rain in braccio. La luce era accesa e avvicinandomi sentii delle chiacchere infittirsi sempre di più man mano che mi avvicinavo.

Appena varcai la porta della cucina rimasi scioccata. In quel momento mi sentivo tanto un personaggio dei cartoni animati, con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata senza emettere suoni.

«Cosa...». Dalle mie labbra fuoriuscì una mezza parola mangiata e in questo modo i miei genitori si resero conto della mia presenza. Entrambi si voltarono verso di me sorpresi almeno quanto lo ero stata io qualche secondo prima.

«Bella, tesoro!», esclamò mia madre, alzandosi e vendomi incontro per salutarmi. Mi abbracciò brevemente vista la presenza di Rain tra le mie braccia. Lo stesso fece mio padre, ancora scioccato dal mio improvviso arrivo.

«Non ti aspettavamo prima del quattro gennaio! E' successo qualcosa a...», iniziò a farfugliare Charlie.

«No, no, papà, i nonni stanno benissimo, sono semplicemente rientrata prima del previsto», confermai senza troppi giri di parole.

«Se lo avessimo saputo ti saremmo venuti a prendere in aeroporto!». Mio padre annì in conferma alle parole di Renèe.

Non mi chiesero ulteriori spiegazioni, anche se vedevo mia madre fremere per saperne di più. Dopotutto la curiosità è donna...

«Sì, be', è stata una scelta presa sul momento e non ho avuto il tempo per organizzarmi bene», buttai lì come spiegazione senza aggiungere nulla che potesse compromettere il mio alibi di capodanno. Secondo loro ero ancora a Logan, mentre in realtà ero a casa Cullen, con Edward.

Per un tempo che mi sembrò infinito non volò una mosca. Tutto intorno a me taceva, compresi i miei genitori che sembravano due ragazzini colti a baciarsi in uno sgabuzzino. Attesi che uno dei due si decidesse a parlare e non avevo assolutamente intenzione di schiodarmi da lì finché non avessi avuto una spiegazione di quello che stava succedendo.

Mia madre scambiò una rapida occhiata con suo marito e poi tornò a fissarmi. I suoi occhi azzurri saettavano tra me e Rain, senza soffermarsi troppo su di me. Leggevo nei suoi occhi una sorta di imbarazzo misto a entusiasmo. Che strana combinazione...

Alla fine mio padre si decise a prendere parola: «Bella, penso sarai sopresa di trovarmi ancora qui. Insomma a quest'ora era previsto il mio trasferimento definitivo a Pl...».

«Charlie, vai al sodo!», lo rimbeccò mia madre.

Solitamente era lei quella che raccontava vita, morte e miracoli per arrivare ad una sola, piccola ed insignificante spiegazione. Che questa volta fosse mio padre, uomo di pochi giri di parole, ad adottare lo stesso metodo di sua moglie mi preoccupava molto.

«Sì, okay... Abbiamo deciso di riprovare a recuperare il nostro rapporto. Forse il trasferimento era una decisione avventata», concluse mio padre.

Assimilai le sue parole con calma, assaporando ogni singola sillaba e finalmente, dopo giorni, mi sentii nuovamente felice e circondata da quella bolla di serenità e amore che si era creata dopo il mio avvicinamento a Edward.

Mi misi a saltellare con Rain in braccio, saettando tra Renèe e Charlie, abbracciandoli ed emettendo urletti striduli di felicità. Loro risero felici del mio entusiasmo e la loro risata mi seguì fino alla mia stanza, dove posai la valigia e Rain, quel piccolo birbante che si era appisolato. Iniziava anche a pesare e tenerlo in braccio per un'ora mi aveva reso le braccia doloranti, ma per lui questo ed altro!

Ero indecisa se disfare la valigia o buttarmi sul letto e ascoltare la musica mentre leggevo. Scelsi un compromesso, avrei svuotato la valigia mentre l'ultimo cd dei Coldplay risuonava nelle mie orecchie a tutto volume.




Mentre mettevo in ordine e buttavo da un lato i vestiti sporchi, continuai a cantare a sguarciagola e ridere spensierata. Finalmente tutto era andato per il meglio e la breve vacanza a Logan si era rivelata un ottimo affare. Chissà se ci fossi stata se loro avrebbero risolto i loro problemi.

Non vedevo l'ora di chiamare Edward e dirgli tutto quanto. Lui mi era stato vicino nei miei giorni bui, sapeva cosa provavo e quanto avevo sofferto, quindi sarebbe stato felice della notizia.

Purtroppo finii troppo tardi di mettere a posto, quindi la chiamata che desideravo così tanto fare a Edward era impossibile. Non avevo intenzione di svegliarlo, la notte precedente avevamo dormito troppo poco e si vedeva lontano un miglio quanto era stravolto.

Presi il cellulare e trovai un messaggio non letto. Era Edward. Lo aprii con gli occhi che già mi luccicavano e trovai le parole più profonde e romantiche che avessi mai sentito:

Isabella, non mi ritengo un poeta, né tanto meno bravo con qualsiasi parola che ti faccia capire quello che realmente sento.

Forse le parole non servono.

Senti come mi batte il cuore quando sono vicino a te.

Sento come smette di battere quando mi sei lontana, perché resta con te.

Come posso farti capire che si importante?

Ho l'assurdo terrore di perderti, di vederti scomparire e non voglio e non posso pensarci. Mi autodistruggo così.

Voglio solo pensare a noi. Noi due insieme, sempre.

La scorsa notte è stata la più bella della mia vita e volevo ripetertelo.

Non scorderò te, il tuo viso, il sapore della tua pelle... Non dimenticherò nulla, perché sarebbe come scordare il mio nome.

E il proprio nome non si scorda, non si confonde.

Dormi, mia Bella.

Edward

 

 

Sentii gli occhi inumidirsi per le sue parole. Come poteva ritenersi un incapace ad esprimere i suoi sentimenti?! Le sue parole erano così perfette... così nostre.

Gli risposi immediatamente, anche se avrebbe visto il messaggio l'indomani:

Se tu non ritieni le tue parole perfette, le mie cosa dovrebebro essere? Frasi sconnesse e senza senso!

Non devi farmi capire nulla, non devi.

Non devi perché lo so.

Non devi perché lo sento.

Credi nel destino? Io sì, ci credo da quando ho conosciuto te, il tuo vero essere e non quello che gli altri vedono.

Ho paura anch'io. Ho il folle terrore che prima o poi tutta questa straordinaria relazione venga speccata da qualcosa. E non voglio. Dio, se non voglio!

Voglio rivivere altre mille notti come quella che abbiamo trascorso insieme.

Altre mille.

Potrei mai dimenticare te?! Sarebbe come lobotomizzare il mio cervello!

Notte, Edward.

Ti sognerò... spero come la notte scorsa! Trovo i sogni senza veli sicuramenti più emozionanti e difficili da scordare ;)

Ps. Domani ho una buona notizia da darti ;)

 

Inviai il messaggio e poi decisi di andare a dormire. La nottata con Edward aveva prosciugato anche le mie energie, non solo le sue.


 

Dormii dodici ore di fila, recuperando così il sonno perso. Ero nuovamente carica!

Sentii qualcosa vibrare sotto la mia pancia e infastidita allungai la mano e presi l'oggetto incriminato. Con gli occhi ancora appannati cercai di capirci qualcosa in quel telefono. La luce era troppo forte e contrastava con il buio della stanza dovuto alle tapparelle ancora chiuse. Gli occhi mi bruciarono per un istante, poi mi abituai e vidi una chiamata persa di Edward e un'altra di Alice. I due fratelli si erano messi d'accordo per chiamare alla stessa ora? Due minuti di differenza tra le due chiamate, roba da pazzi!

Cliccai sullo schermo touch il numero di Edward e attesi in ascolto. Dopo cinque squilli non rispose e riattaccai, componendo subito dopo il numero di Alice. Lei, al contrario del fratello, dopo un solo squillo, accettò la chiamata e la sua voce squillante mi perforò un timpano.

«Alice, ti prego, non urlare!», dissi irritata. Appena sveglia non era il massimo sentire urli e cose varie, faceva sì che la giornata iniziasse già male.

«Ma Bella, non sto urlando! Semplicemente ho alzato leggermente il tono di voce», esclamò sorpresa. Ma non si fece abbattere e riprese a parlare a macchinetta: «Comunque ti ho chiamato per dirti se avevi voglia di andare in centro. Tutti insieme, ovviamente».

«Aly, nuovamente shopping?», le risposi esasperata.

«Nooo, stai scherzando? Tsé, non ci avevo nemmeno pensato». La sua indignazione era finta quanto una banconota da tre euro.

Non mi feci ingannare: «Quindi nel caso decidessi di venire, non entreremo neanche in un negozio?».

Mi piaceva fare un po' di shopping, ma ogni tanto; quella di Alice, invece, era una malattia!

«Be', insomma, ora non esageriamo, se passeremo davanti ad una vetrina che mi chiama a gran voce non posso non ascoltare quel richiamo!», confermò Alice.

«Certo, la tua sindrome alla Becky Bloomwood peggiora ogni giorno di più!», rincarnai la dose.

Nel frattempo spostai il muso di Rain che continuava a leccarmi la guancia. Mi stiracchiai per bene e poi mi alzai con il mio cucciolo in braccio. Quanto era tenero, ormai era la mia compagnia quotidiana! Edward non poteva farmi regalo migliore!

«Oddio, come sei pignola! E poi quella donna è un mito, peccato solo che sia un personaggio inventato, altrimenti saremmo diventate grandi amiche!».

Evitai di risponderle e confermai che quel pomeriggio ci sarei stata.

«Edward?», chiesi interessanta.

Intanto scesi le scale diretta in cucina per dar da mangiare a Rain, che ormai stava diventando cicciottello. Forse un giorno sarei stata costretta a metterlo a dieta se avessi continuato così!

«Non lo so. Quindi ci vediamo alle tre da...».

«Come fai a non saperlo?! Vivete nella stessa casa!», interruppi Alice e le sue precisazioni. Mi premeva sapere che fine avesse fatto il mio ragazzo.

«Secondo te sto a controllare i miei fratelli?! Chiamalo e indaga tu!», mi rispose Alice alquanto scocciata.

«Ci ho già provato, ma non risponde!», dissi ansiosa.

«Stai tranquilla, sarà nella sua camera ad aspettare una tua chiamata, come sempre!». Me la immaginai alzare gli occhi al cielo e sorrisi.

«Hai ragione, scusa. Allora ci vediamo dopo!».

Dopo il suo saluto riattaccai con l'intenzione di telefonare di nuovo a Edward, ma non ce ne fu bisogno, perché, appena chiusi la telefonata con Alice, mi arrivò subito la sua chiamata.

«Edward!», esclamai entusiasta di risentire la sua voce. Poche ore e già sentivo la sua mancanza peggio di molti giorni fa. Probabilmente era dovuto al fatto che il nostro rapporto si era fatto ancora più intimo e stretto. Ormai avevamo un legame indistricabile.

«Ehi, Bella», mi disse dolcemente. Il suono del mio nome pronunciato dalla sua bocca era la cosa più dolce che avessi mai sentito. «Come stai? Ho appena letto il tuo messaggio, sono curioso di sapere questa notizia!».

«Te la dirò appena ci vedremo! A proposito, Alice mi ha già avvisata dei programmi di oggi. Tu che ne pensi?», chiesi nel caso lui non volesse andare in centro. Pur di stare insieme a lui sarei andata anche in una topaia, a patto che lui fosse con me.

«Sì, mi ha già detto tutto. Per me va bene, cioè se va bene anche a te! In caso contrario non è un problema, potremo fare dell'altro, sempre che tu voglia vedermi e...», partì a razzo e dovetti richiamarlo più volte per interrompere i suoi crucci.

«Edward», sussurrai dolcemente, «per me va bene tutto se tu sei con me. Non mi interessa altro».

«E dove potrei mai essere, Bella?», rispose bisbigliando anche lui. Il suo tono era un misto tra incredulità e tenerezza. Un mix letale se pronunciato con la sua voce.


 

Era possibile che non riuscissi ad allontanare il pensiero di me ed Edward in atteggiamenti intimi, le sue mani sul mio corpo, il suo respiro caldo sulla mia pelle nuda...

«Bella?», mi chiamò Edward.

«Sì?», risposi frastornata dai miei pensieri a luci rosse.

«Cos'hai? Sembri distratta e sei diventata rossa, le tue guancie sembra stiano per prendere fuoco!», scherzò Edward.

«No, no, nulla. Perché? No, non è successo nulla!», mi ingarbugliai sulle parole e ripetei tre volte le stesse cose.

Sviai il mio sguardo dal suo e continuammo a camminare lungo le vie del centro. Il suo braccio mi teneva ancorata al suo fianco e così a stretto contatto con il suo corpo i miei pensieri non potevano di certo migliorare, anzi...

Ad un certo punto il mio sguardo dovette parlare per me, perché il suo fece lo stesso. Mi parlò, mi comunicò che aveva compreso ciò che mi stava succedendo.

«Che ne dici di allontanarci da qui?», mi propose Edward. I suoi occhi infuocati erano il riflesso dei miei. Anuii senza aggiungere altro.

«Ehi, ragazzi», richiamò Alice, Jazz, Emm e Rose che stavano camminando parecchi metri davanti a noi. Si girarono in contemporanea ed Edward disse loro che stavamo per andarcene. Emmett ci guardò maliziosamente ed ammiccò, noi lo ignorammo e ci allontanammo da loro.

«Dove andiamo?».

«Non lo so, potremo fare un giro in macchina», mi rispose Edward, dirigendosi velocemente verso la sua auto. Attaccata al suo fianco dovetti quasi correre per mantenere il suo passo.

Risi maliziosamente e finalmente mi sentii libera di parlare: «Cos'è tutta questa fretta?». Mi rivolse uno sguardo a dir poco minaccioso, in modo giocoso.

«No, scusa, non eri tu quello che fino a poco fa voleva andare da Sturbucks a prendere un muffin al cioccolato?», rincarnai la dose e lui si indispettì.

«Scusami tanto se non volevo sembrare un maniaco», disse in tono lamentoso. Mi sembrava un bambino bisognoso di coccole con quel cipiglio confuso.

«Troppo tardi per pensarci».

«A me pare che i ruoli siano invertiti!», ribattè Edward aprendomi la portiera dell'auto.

Appena salì anche lui mi avvicinai lentamente: «Tu dici?». Lo baciai senza dargli il tempo di rispondere e lui ricambiò con trasporto, intrufolando una mano tra i miei capelli e l'altra sotto la mia maglia.

«Non qui», sussurrò sulle mie labbra. Il suo respiro caldo si infranse contro il mio e si mischiò. Assaporai quella vicinanza dopo quasi un giorno senza quel contatto così intimo.

«Allora sarà meglio muoverci», risposi senza allontanarmi di un millimetro.

«Lo penso anche io», confermò con voce roca.

Accese l'auto e si diresse verso una zona boscosa di Savannah, dove sicuramente non avremo incontrato scocciatori a quest'ora del pomeriggio. Il sole stava iniziando a tramontare e le strade sterrate erano ormai deserte.

Accostò da un lato, in uno spiazzo nascosto tra gli alberi. Senza dargli il tempo di sistemarsi mi misi comoda su di lui, poggiando la schiena al volante, ma ben attenta a non premere il clacson.

«Questo è il posto giusto», bisbigliai ad un centimetro dal suo collo. Lo baciai risalendo sulla sua mascella e sentii le sue mani contrarsi sui miei fianchi.

«Tutti... i posti sono... giusti con te», disse tra gli ansiti.

Le sue mani bollenti risalirono lungo la mia spina dorsale, provocandomi brividi di piacere. Slacciai la sua camicia in fretta e furia e subito mi resi conto della differenza tra questa momento e due notti fa. Ora c'era fretta, voglia di riassaporarsi e rivivere quei momenti perfetti che erano stati la base della notte di capodanno.

E il momento perfetto arrivò. Arrivò ripetutamente, accompagnato dalle dolci parole di Edward. Ci eravamo appartenuti ancora e di nuovo era stata la sensazione più perfetta del mondo.

In quei momenti tutto era al suo posto. Tutto significava qualcosa. Tutto era amore.




Nei giorni seguenti fui il ritratto della felicità. Non smisi mai di sorridere e, infatti, a volte i crampi alla mandibola si facero sentire, eppure non riuscii a farne a meno per almeno tre giorni.

Edward era entusiasta di vedermi così allegra e contagiai anche lui con il mio buon umore. Le cose tra noi andavano a gonfie vele, forse troppo. Pensai che prima o poi qualcuno avrebbe rotto la mia bolla di serenità, ma non volevo pensarci. Ero troppo ottmista in quei giorni.

In quel momento avevo tutto. In quel momento.

 

 

Buonasera! Stasera sono in ritardissimo, ho fatto i salti mortali per finire ora questo capitolo, ma ci tenevo a postare oggi visto che ve lo avevo promesso!

Leggete per favore!

La scorsa settimana è stata impegnativa, orribile perché ho subìto una perdita e non pensavo di riuscire a scrivere. Ieri sera ho deciso di provare e tirare giù qualche riga del capitolo, perché voi mi sostenete continuamente e vi ringrazio davvero per l'affetto che mi dimostrare, l'apprezzo davvero molto *-*, e non mi sembrava giusto e corretto farvi attendere altro tempo. Così mi sono messa d'impegno questa sera e ho cercato di terminarlo! Mi dispiace, ma il capitolo non l'ho ricontrollato, sono le 23 e gli occhi mi si chiudono. Provvederò domani!

Ad essere sincera ho anche pensato di sospendere la storia e forse ci penserò seriamente in questi giorni. E' una decisione che non mi sarei mai aspettata di prendere in considerazione... In caso la sospenderò vi farò sapere sicuramente! Per ora guardo un po' come vanno le cose. Mi dispiace per voi e tutte le persone che ogni volta recensiscono e ho imparato ad adorare indiscutibilmente ogni vostra parola. Siete in tante ormai a seguire la storia e non vorrei proprio sospenderla...

Forse è un capitolo affrettato, orribile e senza senso. Non lo so nemmeno io, in questo momento non sono né dell'umore giusto per tentare di migliorarlo, né di riscriverlo. Spero con il prossimo di fare meglio! Eh, lo so, lo dico ogni volta >.< Ma ultimamente penso di scrivere peggio di prima ç.ç

Piccola nota: Becky Bloomwood è la protagonista della saga I love shopping della Kinsella. La protagonista soffre di shopping compulsivo e ogni volta che passa davanti ad un negozio di qualsiasi genere, sente come un richiamo a comprare. Alice è esattamente così, anche se non soffre ancora di quella sindrome xD

Ora mi ritiro ed aspetto le vostre meravigliose parole! Grazie come sempre a chi mi lascia un suo pensiero, a chi mi ha aggiunto nelle seguite, nei preferiti, nelle ricordate e negli autori preferiti <3 Oddio, sembra un elenco della spesa xD Grazie anche a Veronica per il suggerimento della canzone!

Prossimo aggiornamento lunedì 27! In caso dovesse saltare ve lo farò sapere in largo anticipo!

A presto!

Kiss :***

Jess 

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Capitolo 15
*** That's my home ***


That's my home

Don’t lose it all in the blur of the stars!
Seeing is deceiving, dreaming is believing,
It’s okay not to be okay…
Sometimes it’s hard, to follow your heart.
Tears don’t mean you’re losing, everybody’s bruising.

Jessie J, Who you are

 

 

Tutto stava andando bene. Troppo bene.

Quella mattina mi svegliai con il sorriso sulle labbra che moriva pian piano che i minuti della giornata avanzano veloci come un fulmine. Mentre feci colazione avvertii qualcosa di diverso: nell'aria c'era l'odore di cambiamento in arrivo. Quella strana sensazione non mi abbandonò per tutta la giornata e, alla fine, non mi sbagliai. Tutto cambiò. Tutto peggiorò. Tutto non si aggiustò come credetti.

 

La mattinata iniziò già male, quando entrata in macchina mi accorsi di aver scordato di fare benzina il giorno prima. Nocciolo della questione: ero a secco.

Come diavolo avevo fatto a scordarmi di andare da quel maledetto distributore?! Solo io potevo essere così sbadata da dimenticare una cosa di simile importanza. Il fatto era che ormai da due settimane vivevo con la testa perennemente tra le nuvole. Tra i miei genitori le cose si erano sistemate. Edward ed io... lui era perfetto, noi lo eravamo. Lo amavo ogni giorno di più. Non c'era nulla fuori posto nella mia vita.

A quel punto l'unica soluzione era chiamare Edward e farmi passare a prendere. Chissaà come mai, ma l'idea di andare in auto con lui mi eccitava...

Questo perché stai ripensando a quel famoso pomeriggio di due settimane prima, quando vi siete imboscati nei boschi di Savannah, suggerì una vocetta fastidiosa.

Okay, potevo anche ammetterlo, ma non era solo per quello! Andare in macchina con lui significava passare più tempo insieme, tutto qua.

Certo, continua a cercare di convincerti, sussurrò nuovamente.

O dio, era un incubo! Ma da quando ero diventata così pervertita? Mi dovevo controllare e alla svelta, prima che Edward arrivasse a prendermi.

Lo chiamai e nel frattempo mi sedetti sugli scalini del portico di casa. Se fossi rientrata, Rain non avrebbe preso bene una mia seconda uscita e avrebbe combinato qualche guaio in casa, sebbene fosse uscito meno di mezzora fa.

«Buongiorno, Bella!», la sua voce dolce rilassò i miei nervi già molto provati.

«Edward», lo salutai mestamentente; «ho un piccolo problema».

«Cos'è successo?», mi disse subito preoccupato. A volte mi rendevo conto che era davvero pessimista. Non che nel mio caso non avesse ragione, succedeva sempre qualcosa di spiacevole quando usavo quel tono al telefono.

«Nulla di grave, ho solo scordato di far benzina», risposi imbronciata. Appoggiai la testa all'asse di legno che recintava il portico e mi rilassai leggermente. Mi sentivo così strana quel giorno...

«Cristo, mi hai fatto preoccupare!». L'avevo già detto che era ansioso e si faceva prendere subito dal panico quando lo chiamavo? «Ti passo a prendere tra... un quarto d'ora».

«Tranquillo, fai con calma».

«Ti porto una tanica di benzina?», domandò dolcemente. Sentii in sottofondo la battuta di Emmett e la sua risata tuonante quando comprese ciò che mi era successo.

«No, ci penserà mio padre», che dovevo ancora avvertire, ma quelli erano dettagli. «Ringrazia Emmett, lui sa sempre come tirare su il morale alle persone», dissi scocciata. Sì, quel giorno ero particolarmente capricciosa, come una bambina di cinque anni. Cosa c'era che non andava?! Giornata maledetta!

«Stai tranquilla, non è successo nulla, Bella», cercò di confortarmi Edward. Sospirai e riattaccai.

Due settimane di completo paradiso e ora mi sembrava così tanto Paradiso amaro. Non è che George Clooney mi aveva contagiata con il suo inferno personale?! Giurai a me stessa di non rivedere quel film per molto tempo, se non mai più. Ieri sera l'avevo visto con Edward e a quanto pare mi aveva portato sfiga, visto com'era iniziata la mattinata. Superstiziosa? Sì!




Edward arrivò prima del previsto. Corsi verso la macchina felice di rivederlo e, una volta dentro, lo abbracciai stile koala.

«Ehi», mi sussurrò Edward con il viso tra i capelli. «Che succede?».

«Non lo so, George Clooney mi ha portato iella!», risposi sempre più convinta della mia teoria.

Edward iniziò a ridere e la sua presa in giro mi indispettii alquanto. Mi rimisi seduta composta e incrociai le braccia al petto. Sindrome premestruale. Purtroppo quel giorno le avevo tutte. Ciclo, nervosismo, rabbia per chissà cosa e tensione, soprattutto quest'ultima e non capivo nemmeno perché.

«Andiamo, non ti arrabbiare! Me lo dai il bacio del buongiorno?», mi chiese suadente. Tsé se pensava di farmi cedere con due moine aveva... Mi ritrovai con le labbra molto impegnate nel giro di due secondi, senza avere il tempo di respingere i suo tentativi di farmi cedere. Con un gemito mi abbandonai a lui e a quelle labbra meravigliose. Come potevo respingere un simile essere?! Era impossibile!

«Edward», lo richiamai.

«Mmm». Era così impegnato a coccolarmi e baciarmi che non sicuramente la sua risposta era stato una risposta istintiva.

«Faremo tardi se non ci sbrighiamo», tentai cercando di convincere entrambi. Sarei stata ore in quella macchina a baciarlo.

«Entreremo un'ora dopo».

«Ci siamo già giocati questa carta ieri e siamo solo a martedì». Dio, com'era difficile fare la persona responsabile. In quel momento l'unico mio pensiera era di fuggire solo io e lui, saltare la scuola e andare in un parco, stenderci sotto il sole e continuare a baciarci all'infinito.

«Lo so», rispose staccandosi da me e cercando di mantenere la calma. I nostri respiri affannati e il groviglio che erano i nostri corpi parlavano per noi. «Andiamo», acconsentì controvoglia.


 

Le lezioni proseguirono lente e noiose come al solito. Chi aveva inventato questo sistema scolastico era un imbecille! Perché non cercare di invogliare gli studenti ad andare a scuola con un altro umore e non depressi e incapaci di farsi coinvolgere da qualsiasi cosa succedesse all'interno di quell'istituto? Lo studio era importante, sì, ma non necessariamente doveva essere legato ad un'istituzione. L'esempio più grandi ai giorni nostri era stato Steve Jobs, quell'uomo era un genio eppure non avevo preso la laurea. Quindi l'assurda concezione che solo chi sonseguiva un corso di studi era una persona colta, era alquanto fastidioso e da ipocriti. C'erano così tanti imbecilli laureati al mondo...

Se ne avessi avuto il potere, appena entrata al liceo avrei rivoluzionato ogni cosa! Invece eravamo costretti a sottostare ad un rigido protocollo gerarchico, dove il potere era nelle mani dei professori e del preside: loro dettavano legge. C'era solo la professoressa di letteratura ingelse e storia americana che adoravo, gli altri potevano anche sparire dalla scuola e io avrei solo gioito.

E quella dannata e assurda mattinata, le lezioni mi sembravano ancora peggio del solito!

Il professore di bilogia, attuale lezione che seguivo, aveva una voce nasale, con i suoi occhiali da talpa era l'individuo più irritante che avessi mai conosciuto, sempre a urlare a qualche studente e a rimproverare gli alunni chiedevano precisazioni su un argomento. Come poteva una persona simile fare il professore? Erano persone come lui che ti facevano perdere la voglia di andare a scuola!

La lezione finì cinque minuti prima del previsto e io corsi in mensa per staccare da quelle ore caratterizzate da lezioni infinite.

A poco a poco il flusso di studenti invase la mensa e attesi impaziente l'arrivo dei miei amici, con solo una mela e una bottiglietta di Coca Cola in mano. Avevo lo stomaco chiuso dall'ansia assurda che mi aveva invasa da quando era suonata la sveglia.

Finalmente arrivò Edward, seguito da Emm, Rose ed Alice. Si sedettero al mio fianco e io partii con la domanda sbagliata: «Come mai Jazz deve ancora arrivare?».

Tutti mi guardarono con occhi sgranati e cercarono di coprire la mia domanda iniziando a parlare del tempo meravoglioso, del sole accecante...

Aggrottai la fronte perplessa e cercai spiegazioni. Che cosa stava succedendo?!

Appena esaurirono l'argomento, Alice prese la palla al balzo e si intromise furibonda: «Te lo dico io dov'è quello stolto ipocrita!».

«Sono sempre pronto a spezzare qualche ossa, sorellina!», le disse Emmett. Suo fratello cercava solo di tranquillizzarla, ma lei era una bomba a orologeria, quando iniziava la sua arringa nessuno era in grado di fermarla...

«Ehi, Aly, calmati», le disse Edward in tono dolce e tranquillo.

... o così credevo.

Alice sorrise al fratello con il volto illuminato da un amore che tra loro non avevo ancora notato. Sapevo che lei aveva un particolare debole per il fratello introverso e timido, ma non mi ero mai ritrovata davanti alla dimostrazione effettiva di ciò. Con questo non volevo dire che non amava anche Emmett, erano entrambi suoi fratelli e li adorava nello stesso modo, eppure per Edward provava un affetto quasi materno, era così accorta nei suoi confronti...

«Comunque, Bella, ti dicevo che quello stolto, ingrato, imbecille del mio tra un po' ex-ragazzo se non si...», iniziò Alice.

«Alice», la ammonì Rosalie. Dopotutto era sempre di suo fratello che la sua amica parlava in termini a dir poco esagerati.

Dal suo canto la piccoletta di casa Cullen non si fece intimidire e dopo un sonoro sbuffo riprese a parlare: «Nel corso di chimica c'è un ragazzo che mi ha dato il suo numero. Ovviamente io non gli ho dato corda, ma mentre uscivo dall'aula costui ha ribadito se una sera mi andava di chiamarlo e metterci d'accordo per andare a bere qualcosa. La parte divertente è che Jasper mi stava aspettando proprio fuori dall'aula, quindi ha sentito tutto e si è irritato con me! Con me, ti rendi conto?!».

«Non capisco», le rivelai sincera. Non riuscivo a collegare i pezzi. Se un ragazzo aveva dato il suo numero ad Alice, dov'era il problema? Non era stata lei a chiedere qualcosa.

Giocherellai con la mela e le diedi un morso, mentre con l'altra mano tormentavo le dita di Edward. Apprezzavo ogni singolo contatto tra noi, ogni più piccolo avvicinamento mi faceva stare bene e mi infondeva un senso di protezione e pace essenziali.

«Quello stupido pensa che io gli abbia nascosto che Mike, il mio compagno di corso, ci abbia provato altre volte. Ora fa l'offeso e il diffidente», piagnucolò Aly. Si vedeva che era una cosa che la faceva soffrire immensamente. Jasper ed Alice non litigavano mai, erano sempre la coppia tutto amore e niente rancore. Insomma, tutto il contrario di Emmett e Rose, i quali molto spesso litigavano per questioni inutili e non si parlavano per giorni.

«Dove si trova?», chiesi sorpresa di non vederlo comunque al fianco della sua ragazza a tenere il muso.

«Non lo so! Dopo aver sputato sentenze si è voltato e se n'è andato. Comportamento maturo, vero?».

«Forse si è solo sentito minacciato da Mike», lo difese Rose.

«Allora quante volte avremmo dovuto litigare per le cheerleader con cui segue il corso di economia?! Ma no, mi sono sempre fidata!», le rispose Alice. Aveva gli occhi lucidi, ma non avrei saputo dire se per rabbia e per la delusione.

«Dovresti parlare con lui», le suggerii accarezzandole la mano in segno di comprensione.

«Almeno sapessi doe si è cacciato», pronunciò debolmente.

«Non può essersi allontanato, tra venti minuti riprendono le lezioni. Fossi in te controllerei in cortile», le consigliò Edward.

Alice sorrise al fratello e fuggì via senza voltarsi indietro.


 

«Dio, un'altra ora di diritto e avrei seriamente meditato di alzare la mano e urlare di tutto alla professoressa Jhonson! Ma come ad essere così pesante quella donna?! Tra lei e il professore di biologia non so chi è peggio!», esordii una volta entrata nella macchina di Edward. Ci trovavamo nel parcheggio della scuola e finalmente le lezioni erano terminate.

«I professori dovrebbrero prendere esempio da Mr Keating», scherzò Edward. Lo fulminai con lo sguardo e lui alzò le mani in segno di resa. «Perché sei così nervosa oggi?».

«Non lo so», sussurrai colpevole; lui stava solo cercando di buttare l'intera faccenda sul comico e io ero solo in grado di rendermi antipatica e indisposta a qualsiasi suo tentativo di rallegrare la mia pessima giornata.

«Cosa ti va di fare oggi?», domandò inizando a uscire dal parcheggio.

«Devo passare in libreria per ritirare die libri che ho ordinato».

Guardai la strada scorrere veloce al nostro fianco e mi domandai se Alice e Jasper avevano risolto il loro problema.

«In quale libreria?».

«Su Riverfront Plaza», risposi meccanicamente. «Hai visto Alice e Jasper?».

«No, ma credo Alice sia riuscita a trovarlo, perché è arrivata in ritardo a educazione fisica e sorrideva entusiasta come sempre». Giusto, seguivano quella lezione insieme.

Arrivammo in libreria verso le cinque di pomeriggio e subito andai al bancone dove si potevano ritirare le prenotazioni. Adoravo quella libreria, era così confortevole e a pensarci bene affermare una cosa simile era un atto di coraggio. Di certo non era una libreria piccola, con una commessa e tre libri in croce. Questa era enorme, di cinque piani ed era impossibile non riuscire a trovare qualcosa, anche se non vendeva solo libri, ma anche DVD e CD, oltre che strumenti musicali. Pensare che da poco avevano messo anche un bar al primo piano! L'adoravo e ogni volta mi perdevo tra gli scaffali a leggere tutte le trame dei libri che mi colpivano.

Sospirai estasiata da quel posto che per me era come il paradiso e notai con la cosa dell'occhio Edward rilassato e a suo agio. Anche lui amava leggere e, infatti, avevamo preso l'abitudine di scambiarci i libri e parlare per ore di quello che più ci aveva coinvolti. A volte riuscivamo a trovare il pelo nell'uovo di un romanzo di cui inizialmente eravamo entusiasti. Ci capitava anche di scontrarci quando non eravamo d'accordo, a volte proteggevamo i personaggi come se fossero entità reali.

«Che cosa hai ordinato?», mi chiese Edward. Le nostre mani intrecciate dondolavano mentre attendevamo il commesso che mi stava cercando la prenotazione.

«Amore, zucchero e cannella, e Il meglio di me», risposi distratta dalle copertine delle nuove uscite. Alcune erano stupende, elaborate e intriganti, altre erano orrende e inguardabili, immagini piatte di nessuna valenza attrattiva.

«Interessanti», commentò Edward. Posò un braccio sulle mie spalle e io mi rilassai contro di lui. Era tesa e stanca, una combinazione vincente.

In cassa instette per pagare lui, dire che avevo combattuto era una bugia, alla fine vinceva sempre lui non appena sfoderava quel suo sorriso che dedicava solo a me e mi guardava con i suoi meravigliosi occhi verdi. Avevo già detto che adoravo gli occhi verdi?



 

«Domani ti passo a prendere», mi disse Edward non appena spense la macchina.

Eravamo sotto casa mia e la giornata era arrivata quasi al termine. Fissai il cielo buio e poi voltai la testa verso le finestre di casa mia. Le luci erano accese. Strano, solitamente ero io la prima a tornare a casa.

«No, tranquillo, stasera vado a fare benzina», lo rassicurai. Non volevo farlo alzare prima per passare a prendermi quando avrei potuto benissimo andare a scuola da sola.

«Non è un problema e poi dopo la scuola voglio portarti in un posto», mi disse facendo l'occhiolino. Sorrisi e mi sporsi a baciarlo.

«Scusami se a volte sono così intrattabile», sussurrai sulle sue labbra. Era stata una giornata strana e non mi ero di certo comportata bene con Edward, risultanto capricciosa e assente.

«Capitano le giornate no», mi rassicurò accarezzandomi una guancia con il dorso della mano. Mi accoccolai su di lui e restammo per parecchi minuti in silenzio, abbracciati e basta.

A volte non servivano baci, sesso o altro, a volte l'unica cosa di cui avevamo bisogno era sentire che quella persona c'era, che era al nostro fianco fisicamente e mentalmente per confortarti e farti sentire meglio quando ne avevi bisogno. E di lui ne avevo sempre.



 

«Sono a casa!», urlai appena aprii la porta. Rain mi corse subito incontro con quel pelo arruffato e le zampette corte. Era diventato così cicciottello da risultare sempre tenero e coccoloso, anche quando combinava guai e bisognava sgridarlo, lui ti guardava con quegli occhietti dolci che dire una sola parola contro di lui sembrava un crimine.

«Bella», mi chiamò mia madre. Mi diressi in sala, da dove proveniva la voce, ma una volta varcata la soglia della stanza pensai di trovarmi in un incubo. Un brutto e fottuto incubo.

Avevo davanti agli occhi la stessa e identica situazione di due mesi fa. Mio padre e mia madre seduti sul divano con una faccia che presagiva solo dolore.

«Ci dispiace», disse subito mio padre, non appena mi sedetti con il mio cucciolo in braccio.

«Di cosa?», chiesi tremante e impaurita.

«Ci abbiamo provato davvero, tesoro, ma abbiamo preso delle decisioni sbagliate. La cosa che più ci fa soffrire è averti illusa in queste due settimane», espose mia madre con voce sofferente. I suoi occhi erano lucidi, lo specchio dei miei.

«Spiegati meglio». Non seppi mai dove trovai la voce e la forza per ascoltare ancora le loro parole. Fatto sta che restai seduta lì, finché non ebbero finito e poi come un'automa mi alzai e me ne andai nella mia stanza.

Renèe e Charlie avevano capito che la loro scelta di darsi una seconda possibilità era sbagliata. Non erano ancora pronti per continuare la loro vita insieme. Non in quel momento o forse mai.

Continuavo a restare all'oscuro del perché dopo vent'anni di matrimonio fosse arrivata una simile crisi tra loro, da non riuscire nemmeno a risolverla senza bisogno che mio padre se ne andasse via di casa. E non volevo saperlo.

L'unica mia certezza era che questa volta non ci sarebbe stato nessun viaggio, nessun ritorno a sorpresa e, soprattutto, mio padre non sarebbe rimasto con noi.

L'unica mia certezza era Edward.

Quella sera non dormii, non chiusi gli occhi nemmeno per un istante, fissando il soffitto senza vedere il bianco, ma stavo osservando la mia vita. La mia famiglia che si stava sgretolando sotto i miei piedi.

Mi alzai ancora prima che la sveglia suonasse e mi preparai ad iniziare una nuova vita con mia madre.

 

Cosa rimaneva della mia famiglia? Il nulla. Un vuoto era tutto ciò che era rimasto in quella casa, eppure sarebbe sempre rimasta tale. Nel bene e nel male avevo passato la mia vita lì, i miei momenti felici e quelli dolorosi. Non avrei mai cambiato la mia famiglia, anche se si era spezzata come un fragile rametto. Probabilmente non era così solida come credevo. Probabilmente avevo riposto troppa fiducia nella seconda possibilità che si erano concessi.

La domanda che continuai a pormi per tutta la notte fu semplice e complessa: come sarà domani? E l'indomani ebbi la risposta: ancora peggio di oggi.

 

Buonasera! Eccomi qui come avevo promesso! Sono sempre di parola, chi lo avrebbe mai detto? xD

Questa sera cercherò di rubarvi meno tempo possibile, ma tanto so che alla fine non sarà così, quindi dovrei solo smettere di scrivere questa frase e passare subito a quello che mi preme dirvi >.<

Grazie mille a tutte le persone che mi hanno capita e mi hanno dato il loro sostegno, siete davvero fantastiche, dalla prima all'ultima! Proprio per voi ho deciso di non sospendere la storia, perché non sarebbe giusto farvi attendere chissà quanto per un capitolo dopo che siete così dolci e meravigliose nel recensire sempre! Quindi se la storia va avanti è per voi ;)

In questi giorni ho conosciuto molte persone su FB che seguono questa storia e vi ringrazio davvero molto per le vostre parole! Ricordo a tutti che il contatto FB è Vanderbit Efp, se volete aggiungermi ;) Per chi non usa il nickname del sito ditemi chi siete, così vi riconosco =)

In questi periodo mi sembra di non saper più scrivere questa storia e questo mi deprime alquanto, quindi se anche voi notate qualcosa che non va o il fatto che io non riesca a trasmettere nulla ditemelo senza problemi! Non mi offendo di certo, ci mancherebbe altro!

Ora passiamo al capitolo! Cosa ne pensate? Voi avevate risposto molto fiducia nella seconda chance che si erano dati i genitori di Bella, ma io nelle recensioni ho cercato di mettervi la pulce nell'orecchio ;) Sono stata perfida con molte di voi ahah xD Comunque vorrei spendere due parole per loro: succede che due persone non riescano a proseguire il loro rapporto anche dopo una seconda possibilità, non ho voluto mettere le ragioni della loro separazione lasciando a voi il compito di immaginare qualsiasi fattore scatenante.

Per quanto riguarda i libri che Bella compra esistono davvero, Amore, zucchero e cannella è un romanzo di Amy Bratley, mente Il meglio di me è l'ultimo romanzo di Nicholas Sparks.

Mr J. Keating è il professore rivoluzionario de L'attimo fuggente.

Steve Jobs non penso ci sia bisogno di spiegazione e nemmeno per il film Paradiso Amaro, visto che è spiegato nel capitolo.

Bene, ho finito con le mie perle ahah xD Non penso ci sia altro da aggiungere, per il resto risponderò volentieri alle vostre recensioni.

Prossimo capitolo lunedì 19.

Una curiosità: le canzoni che metto le ascoltate qualche volta? =)

Ancora una domandina xD Chi ha preso il dvd di BD?

Un abbraccio a tutti e grazie mille del vostro sostegno e delle vostre parole *-*

Kiss :***

Jess

Ps il capitolo non l'ho ancora ricontrollato tutto, perdonate eventuali errori, ma l'ho terminato adesso e non ho il tempo di correggerlo ç.ç 

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Capitolo 16
*** Disagreements ***


Disagreements

I am here still waiting though I still have my doubts
I am damaged at best, like you’ve already figured out

Lifehouse, Broken

 

Erano passati tre giorni dal nuovo chiarimento che i miei mi diedero circa la loro situazione sentimentale. Mio padre era andato via questa mattina con due valigie e dubitavo fortemente che sarebbe tornato in serata. Come facevo a non saperlo? Facile, mi ero comportata peggio dei conigli. Negli ultimi giorni ero uscita presto per andare a scuola e con questa scusa avevo evitato sia la colazione in famiglia, sia le domande che sicuramente avevano da pormi, ma ancor di più le mille questioni che affollavano la mia testa.

Eppure non ero pronta ad affrontare tutto in una volta. Mi serviva tempo. Solo tempo. Dopotutto il tempo guarisce ogni ferita, no? E poi mi sarei abituata alla nuova situazione, con calma e la giusta dose di serenità.

In quel momento, però, avevo bisogno solo di una cosa, o meglio persona: Edward, colui che riusciva sempre ad allontanare le mie paure e i miei dubbi.

Passeggiavo tranquilla per le vie di Savannah, con Rain al guinzaglio e il cellulare nella mano libera. Mia nonna mi aveva chiamata circa un'ora fa e ancora non riusciva a smettere di raccontarmi le ultime news di Logan, i pasticci che combinava nonno John in cucina quando cercava solo di preparare del caffè e infine la nuova fidanzata di Jason. Appena sentii questa notizia bloccai nonna con un'esclamazione di stupore.

Era molto che non sentivo Jason, dalla mia partenza da Logan, eppure mi sarei aspettata un messaggio o una chiamata, dopotutto ero la sua migliore amica e anche se ci eravamo allontanati negli ultimi mesi, al mio arrivo in città, ne avevamo parlato. Jason desiderava trovare una ragazza con cui costruire un rapporto serio, innamorarsi per la prima volta e fare tutte quelle esperienze che solo con una relazione stabile sono possibili. Rimasi delusa da questa totale esclusione dalla sua vita, ma la verità stava in mezzo: anche io lo avevo tagliato fuori dall'inizio del mio rapporto con Edward e a casa dei miei nonni gli avevo fatto capire chiaramente quanto il nostro rapporto dovesse distanziarsi e raffreddarsi un po'.

«Nonna, ora devo andare, salutami il nonno; ti telefono presto! Ciao!», chiusi la telefonata in fretta e furia e composi velocemente il numero di Jason.

Non avevo nessun diritto di immischiarmi nella vita del mio amico, così richiusi la telefonata. Ripensai alle nostre lunghe chiaccherate al telefono e solo allora mi resi conto di quante cose erano cambiate. Mi mancava lui e i nostri discorsi assurdi, ma era giusto così, non potevo tenere lui legato con una corda a distanza, avevo Edward ed entrambi meritavano il mio totale rispetto. Jason aveva bisogno di staccarsi un po' da me e dall'idea che prima o poi il nostro rapporto avrebbe ripreso vita, infatti una volta successo aveva trovato una ragazza.

Accidenti, la curiosità mi stava uccidendo! Dovevo resistere, almeno finché non si fosse fatto sentire lui, poi potevo fare l'impicciona e sapere se la ragazza meritava il mio amico.

Immersa nei miei pensieri svoltai l'angolo che portava dritto a casa Cullen. Proseguii fino alla loro abitazione e una volta lì bussai delicatamente alla porta di legno bianca.

E chi mi aprì? La piccola Cullen sempre frizzante e piena di energia, seguita a ruota dal fratello maggiore.

«Bella, che combini? Ti fai le vasche per Savannah? Ma cavolo, quanto vi assomigliate voi due?!», iniziò Emmett con voce tonante. Continuò a farfugliare mentre si avviava in cucina e io fissai perplessa Alice, la quale cercava di trattenere le risate.

«Che succede?», chiesi stranita dal loro atteggiamento.

«Edward è andato a farsi una passeggiata per le strade di Savannah», mi spiegò Alice. Mi superò e si avviò in direzione di Emmett. La seguii e finalmente riassemblai la frase farfugliata di Emmett.

«Ah», affermai stranita. «Quando torna?».

«E chi lo sa, è uscito più di un'ora fa, probabilmente per pranzo sarà a casa», mi rispose Emmett ficcandosi in bocca un pezzo di torta alla crema fatta da Esme.

«Io esco, ho appuntamento con Jazz», annunciò Alice.

«Avete risolto?», chiesi mentre slacciavo il guinzaglio a Rain, il quale si mise subito ai piedi di Emmett, in cerca di coccole.

Emmett dopo due fuse di Rain li diede un pezzo di torta e quest'ultimo tutto contento tornò da me. Quel cane sapeva come comprare le persone per del cibo! Così piccolo e già aveva capito come funzionavano le cose in casa Cullen e Swan.

«Tzé», Alice mosse la mano come per schiacciare una mosca e proseguì: «Era solo un'insensata gelosia, ma ne ho ricavato ben due mazzi di tulipani per farsi perdonare, quindi va bene così». I tulipani erano i fiori preferiti di Alice e Jazz sapeva che con lei non si scherzava, nel caso non si fosse fatto perdonare per bene erano guai per lui, Alice avrebbe portato all'esasperazione l'intera questione.

«In realtà, Bella, devo andare anch'io, Rose mi aspetta in centro», mi disse Emmett in tono di scuse.

Mi sentivo un'intrusa in casa loro. Non avevo minimamente pensato che Edward potesse non esserci.

«Non c'è problema, ero passata solo per Edward e...».

«Bella, non devi andartene! Noi usciamo ma tu fai come se fossi a casa tua, Edward prima o poi tornerà e sono sicura che gli farà piacere trovarti qui», mi interruppe Alice con un sorrisetto sulle labbra.

«No, no, ci mancherebbe altro, i tuoi genitori...».

E questa volta fu Emmett ad interrompermi: «Non torneranno fino a domani, sono andati a Jasper».

Mi avevano incastrato, non potevo far altro che attendere il ritorno di Edward. Cosa che certamente mi faceva piacere.

Mi avviai all'ingresso insieme a loro e li salutai mentre uscivano. Mi sentivo tanto Esme... Che cosa strana. Dopodiché andai in camera di Edward, seguiva dalle zampette minuscole di Rain, che cercavano di saltare i gradini. Ad un certo punto lo presi in braccio e salii fino al secondo piano, dove si trovava la camera di Edward. Entrai nella sua stanza e notai come tutto fosse sempre in ordine. Di solito i maschi erano dei veri casinisti, invece lui aveva una camera perfetta, molto più della mia.

Posai la mia borsa per terra e mi avvicinai alla vetrata che ricopriva una parete intera. Fissai fuori assorta nei miei pensieri.

Erano giorni difficili, mi sentivo suscettibile a tutto e mi ero chiusa in me stessa. Edward era l'unico che mi comprendeva e riusciva sempre a liberare la mia mente da qualsiasi pensiero. Eppure io cosa facevo per lui? Nulla, riuscivo solo ad esasperarlo con le mie continue angoscie. Dovevo fare qualcosa per tornare quella di prima... Eppure sapevo benissimo che quando c'era un cambiamento non si tornava più indietro. Era impossibile.

Un suono sconosciuto si fece strada tra i miei pensieri. Mi girai e vidi Rain che cercava di mangiucchiare una scarpa di Edward. Oddio. Oh mio dio! Ma che cavolo stava facendo?! Oh, no, no, no, le scarpe di Edward no!

Mi catapultai su Rain e cercai di strappargli la scarpa, ma la sua presa era troppo forte. Certo, lui prendeva tutto come un gioco e continuava ad alzare il suo didietro e scondinzolare, ma io stavo per avere un infarto!

Tentai un'altra tecnica e feci finta di dargli l'altra scarpa ancora intatta; come da copione lasciò la scarpa maciullata e cercò di saltare ed acchiappare l'altra.

«Rain, basta! Cuccia, forza!», lo sgridai. Lui abbassò le orecchie e si sedette. Mi guardava con quegli occhioni tristi che sarei andata lì a strapazzarlo, ma non potevo altrimenti non avrebbe mai imparato. Edward mi sgridava sempre per la mia mancanza di polso.

Osservai per bene la scarpa e mi venne un altro infarto quando girandola notai la suola di gomma completamente aperta. C'era un buco talmente grosso da sembrare un cratere! Dovevo nascondere queste scarpe e alla svelta. Magari sotto il letto... no, no, lui era troppo ordinato. Poi mi venne un illuminazione: dentro l'armadio, nell'anta che lui non apriva mai perché conteneva le cose di quando era piccolo. Sì, lì poteva andare bene.

Non seppi nemmeno io perché infangai il pasticcio di Rain, mi sentivo così in colpa! Temevo che Edward si arrabbiasse, forse erano le sue scarpe preferite.

Appena terminai l'operazione -mi sentivo una criminale- mi rifugiai nel suo letto. Mi slacciai le scarpe e presi Rain con me. Avevo il terrore che si dedicasse alle mie scarpe e quelle sì che erano le mie preferite!

Nell'attesa mi addormentai profondamente. Appena riemersi dallo stato di incoscienza avvertii subito che ero appoggiata a qualcosa di troppo caldo per essere una coperta. Tastai meglio con la mano e riconobbi il torace di Edward. Sorrisi e sentii le sue labbra posarsi sulle mie. Aprii un occhio e poi l'altro osservando il mio ragazzo dedicarmi un sorriso che solo io avevo il privilegio di vedere.

«Da quanto sei tornato?», chiesi con voce roca. Buttai un occhio alle mie spalle, dove la vetrata mostrava solo le tende tirate da Edward, sicuramente per non svegliarmi con la luce accecante del sole.

«Due ore più o meno», rispose con nonchalance.

Spalancai gli occhi: «Non potevi svegliarmi?», dissi in tono lamentoso.

«Mi dispiaceva, in questi giorni non hai praticamente chiuso occhio».

Mi tirai su per baciarlo e subito dopo mi riaccomodai tra le sue braccia. Disegnai ghirigori immaginari sul suo collo e chiusi gli occhi rilassandomi.

«Dove sei stato stamattina?».

«E' un interrogatorio?», mi chiese Edward. Intuii dal suono della sua voce che stesse sorridendo.

«Tu rispondi», ribattei scherzosamente punzecchiandogli un braccio.

«Sono andato a fare un giro, avevo bisogno di schiarirmi le idee». Questa sua frase mi preoccupò non poco.

«Su cosa?», chiesi di getto, timorosa della sua risposta. «Se posso saperlo», ritrattai a bassa voce.

«Ho... delle cose in sospeso, ecco».

Capii che non voleva dirmi altro e ne rimasi indispettita, per non dire irritata. In un rapporto si condivide tutto, no? Quindi perché non rivelarmi le "cose in sospeso"?

Mi irrigidii e lo intuì lui stesso, perché allentò la presa sulle mie braccia. Mi divincolai e seppi benissimo che in quel momento il mio atteggiamento somigliava molto a quello di una bambina capricciosa.

Assunsi la sua stessa posizione semi-seduta, appoggiando la schiena alla tastiera del letto matrimoniale.

«Bella», sussurrò tra i miei capelli. Mi avvicinò a sé circondando il mio busto e io mi adattai completamente a lui.

Come potevo arrabbiarmi con Edward se ogni suo gesto mi faceva sciogliere? Sentire il suo corpo a contatto con il mio mi dava i brividi. Sospirai e le sue carezze piacevoli furono il punto di non ritorno. Somigliava a Rain in questo, sapeva dove andare a parare per ottenere ciò che voleva e nel caso di Edward era chiaro come l'oro che desiderava la mia completa attenzione, senza che nessuna irritazione si mettesse tra noi due. Dopo solo due minuti mi chiesi: che irritazione?

«Stamattina mio padre è andato via», sussurrai in quel surreale silenzio.

Eravamo sotto le coperte, stretti l'uno all'altro con le lente carezze di Edward che salivano e scendeva lungo la mia spina dorsale.

«Per questo sei venuta?».

«No. Be', sì, anche, volevo passare un po' di tempo con te».

«Mi dispiace non esserci stato quando avevi bisogno di me», si scusò con voce sommessa.

«Non pensarlo nemmeno per scherzo. Sono piombata qui senza neanche avvisarti!».

«Tu non devi mai chiamarmi per venire. Vieni e basta, queste sono le più belle sorprese della giornata: vederti, qui, per me», scandì Edward. Mi sentii riscaldare il cuore dalle sue parole e mi morsi il labbro.

Quanto volevano uscire dalle mie labbra quelle due paroline! Non era il momento. Non ancora, Bella, non ora.

«Mi fa piacere sentirlo», dissi stringendomi ancora di più a lui.

«Quindi...», riprese lui.

«Sì, è andato. Non ce l'ho fatta e sono uscita di casa prima del previsto».

«Bella, devi capire che nulla è cambiato. Sono sempre loro, i tuoi genitori».

«Lo so, accidenti, lo so! Solo che ora non riesco a conversare con loro e fare finta di nulla! Non so nulla del perché si stanno separando, nulla!».

«Forse neanche loro sono pronti ad ammetterlo alla propria figlia».

«Certo», affermai sarcastica.

«Cerca di capirli, Bella». Edward cominciava seriamente ad innervosirmi, molto più di quanto non fosse successo prima.

«E chi capisce me, eh?», dissi arrabbiata dal modo in cui Edward cercava di calmare le acque.

«Calmati», mi ammonì Edward. «Alla fine non sei tu quella che continua a fuggire in loro presenza? Affrontali e sicuramente avrai le risposte che cerchi».

Facile per lui, mica si trovava nella mia situazione. Ero io quella che non voleva sentire una volta per tutte che il suo ideale di famiglia perfetta era andato distrutto. Perché, continuavo a ripetermi, dopotutto non esistono cose perfette, soprattutto quando di mezzo c'erano delle persone, ed era un concetto con non mi era mai entrato in testa.

«Non riesco a parlare con loro, capisci?», urlai esasperata.

«No, non ci riesco e sai perché?», la sua domanda retorica mi colpì per la rabbia con cui la pronunciò. «Sei tu che ti stai causando tutti questi problemi, tu e solo tu! Vuoi capire che la vita continua? Tutti sbagliano, Bella, anche i tuoi genitori e non puoi continuare ad incolparli per qualcosa che alla fine riguarda principalmente loro! Non hanno smesso di comportarsi da genitori, non hanno smesso di amarti!».

Le sue parole mi colpirono come uno schiaffo in pieno viso. Era vero. Tutto ciò che aveva detto era la pura e semplice realtà, eppure in quel momento, con la rabbia che montava per il suo remarmi contro, non mi concessi il lusso di dargli ragione. Rifiutai le sue parole e come in ogni litigio la miglior arma era attaccare.

«Tu non puoi capire! La tua famiglia è la perfezione! Non ti sei svegliato un giorno e non ha visto tutti i valori in cui credevi fermamente spazzati via!».

«Io non posso capire, eh? Tu non sai nulla, Bella, nulla! Io capisco meglio di chiunque altro! E smettila, smettila di portare avanti questa storia dei valori spezzati! Mica nascono dal nulla, quelli li porti avanti una vita se sono assorbiti dentro di te!», mi urlò Edward di rimando. Ci eravamo distanziati, io da un alto e lui dall'altro. Continuavamo a fissarci negli occhi e osservavamo come la rabbia trasparisse in ogni nostro gesto. «Hai mai pensato di rivelare una volta per tutte cosa realmente ti infastidisse e ti facesse soffrire della separazione dei tuoi genitori?!».

«E immagino che tu l'abbia capito prima di me, o sbaglio?», risposi sarcasticamente.

«Sì, l'ho capito perché tu per me sei un libro aperto!».

«Saresti così gentile da illustrarmi la tua teoria?».

«Devi capirlo tu stessa!», mi disse di rimando.

«A quanto pare non ci arrivo! Avanti, dimmi la tua opinione!», la mia voce era un misto tra indignazione per neanche io sapevo cosa e rabbia, potente quando le lingue di fuoco che uscivano dai nostri occhi.

«Non sai a chi dare la colpa, Bella», mi spiegò calmo, come se pochi minuti prima non mi avesse urlato contro.

«Scusa?», chiesi confusa.

«Non sai da che parte stare. Non sai se ha ragione tua madre o tuo padre e non vuoi parlare con loro finché non prenderai una posizione. Ma lasciatelo dire: stai sbagliando. Non dovrebbero esserci parti in situazioni del genere. Non c'è uno sconfitto e non c'è un vincitore: ci sono due persone distrutte, con colpe da dividere. Quando un rapporto finisce non è mai colpa solo di una persona», mi spiegò Edward con tutta la calma di cui era capace in quel momento.

Le sue parole... le sue parole... Non doveva essere così. Mi rifiutai di crederlo.

Risi istericamente: «Tu stai scherzando».

La sua espressione seria mi diede conferma delle sue parole e io non seppi più che fare. Mi alzai in fretta e furia e indossai i miei abiti sparsi per la camera.

Edward non fece nulla per fermarmi, non disse nemmeno una parola. Presi Rain che abbaiava a causa dei nostri toni accessi e non mi voltai indietro. Con le lacrime agli occhi mi diressi verso casa.

Avevamo litigato. Edward ed io per la prima volta avevamo litigato e non era una discussione qualsiasi.

Era colpa mia, questo continuai a ripetermi fino a che non fui a casa. E per una volta ringraziai che non ci fosse nessuno.

Per tutta la sera non lo sentii. Le sue parole mi avevano così ferita che chiamarlo io stessa era fuori discussione. Mi ritrovai a domandarmi se davvero pensava ciò che mi aveva sputato addosso con rabbia. Riflettendoci le sue parole non erano lontane dalla realtà, per nulla.

Ero stata esagerata? Sì.

Presa solo dai miei problemi? Sì.

Lo avevo afferrato e mi ero stretta a lui come un'ancora di salvezza senza affrontare davvero i miei genitori? Sì.

Mi ero mai interessata a lui in tutto ciò? No.

Avevo provato a parlargli di ciò che realmente provavo? No.

Mi ero aperta con lui del tutto? No. No, no e ancora no.

Gli sbagli si commettono. Volente e nolente si fanno e non si può più tornare indietro. Questa era la fregatura: sapere di non poter cambiare le cose e desiderare con tutta me stessa eliminare quel qualcosa che mi faceva sentire in colpa e mi dilaniava l'anima.

Buonasera a tutti ;) Come state? Passato un buon weekend? Non so voi, ma per me il lunedì è un trauma vero e proprio!

Passiamo al capitolo! Alcune di voi erano preoccupate per Jason e invece ecco qui risolo il vostro dubbio: si è fidanzato, si sta innamorando e questo è il suo lieto fine ;) Nessun triangolo come vedete, cosa che avevo già detto varie volte =) Poooi... In molte avete criticato l'atteggiamento di Bella e ovviamente io non potevo sbilanciarmi, ma ecco che scoprite cosa c'era dietro. Il suo comportamento stava diventando esagerato, nel senso che ancora non capisce realmente che la vita continua, nulla si perde, ma c'era bisogno che Edward glielo sbattesse in faccia per farle aprire gli occhi, se li ha aperti, ovvio... Non dico altro su di lei, so che ognuno ha una sua opinione e mi piacerebbe sapere che ne pensate ;) In questo capitolo Edward è esploso tanto quanto Bella, dopotutto lei ha riversato tutto su di lui e non se lo meritava viste le circostanze... Jasper è una città che esiste davvero ;) Nel prossimo capitolo ci saranno due colpi di scena importanti! Questo è già uno spoiler, eh ù.ù

Grazie mille a tutti quelli che mi seguono e recensisco ogni capitolo *-* Vi adoroooo *-* Non mi sarei mai aspettata un simile successo per questa storiella *-* Devo tutto a voi <3 Un benvenuto anche a KStewLover (che in questo periodo invidio per-tu-sai-cosa ù.ù), Folletto85, mary91_1 e Charlotte Stewart, che si sono letti la storia tutto d'un fiato e hanno anche recensito *-*

Prossimo aggiornamento: 9 aprile. Vi ricordo che lo spoiler come al solito lo metterò su fb, il mio contatto è Vanderbit Efp.

Per chi segue Rules of attraction, in settimana dovrebbe arrivare il nuovo capitolo. Okay, non so da quanto lo dico, ma questa volta prometto solennemente di impegnarmi a postarlo ù.ù

A presto!

Kiss :***

Jess

 

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Capitolo 17
*** I love you ***


I love you

The tension is here
Between who you are and who you could be
Between how it is and how it should be

Switchfoot, I dare to move

 

 

Non aver individuato perché i miei genitori si erano separati e di chi fosse la colpa mi stava logorando dal profondo ed Edward aveva ragione. Questo era il mio problema. E ancora di più l'idea che uno dei due avesse tradito l'altro. Il tradimento era la cosa che più aborrivo e contro cui puntavo il dito in maniera inequivocabile. Perché tradire? Non si poteva semplicemente lasciare la persone senza colpe e distruzioni? Mantenere la dignità della persona amata non era così importante dopo che l'amore svaniva?

Dovevo risolvere questa situazione e poi potevo andare da Edward e chiarire, scusarmi per il mio comportamento. Dirgli che aveva ragione su tutto. Dirgli che l'amavo e che nulla avrebbe intaccato ciò. Dovevo fargli sapere che avevo capito che mi ero comportata da immatura e il merito era solo suo.

Avevo compreso il mio malessere.

La mia rabbia fondamentalmente era un sentimento così umano. Ogni individuo solitamente dà la colpa a qualcuno per un qualsiasi problema e quando non si trova il capo espiatorio non si riesce ad andare avanti. Era troppo difficile per ognuno capire e assumersi le proprie responsabilità. Scaricare le colpa era nella nostra natura e nessuno poteva giudare per questo. Tutti lo facevano.

Dopotutto il primo a esplicare questa tesi fu proprio Heider, con la teoria dell'attribuzione. Quell'uomo aveva capito tutto già nel novecento e io nel ventunesimo secolo non avevo capito nulla fino a che qualcuno non mi aveva aperto gli occhi.

Persi la cognizione del tempo. Fu la notte più lunga della mia vita, passata con gli occhi fissi nel buio totale e con la mano destra ad accarezzare il morbido pelo di Rain. La mia mente era come bloccata ad un stadio preoccupante, continuavo a vedere la litigata con Edward come una persona estranea ai fatti che ascoltava passivamente e registrava le parole di lui.

La situazione con i miei genitori era sicuramente da risolvere e anche se Edward in quel momento aveva la priorità, prima di chiarirci dovevo io stessa risolvere i miei problemi e sconfiggere i miei demoni.

Sperai solo che Edward non ce l'avesse con me. La sua scomparsa e l'assenza di chiamate o messaggi mi preoccupava, non era da lui, da noi, eppure io avevo fatto la stessa identica cosa e non ero arrabbiata con lui, non più se mai lo fossi stata realmente.

All'inizio era subentrata la delusione per le parole che mi aveva rivolto. Me lo sarei aspettata da tutti, ma non da lui, benché probabilmente sarebbe stato uno dei pochi se non l'unico a riuscire a farmi aprire gli occhi. Quindi, alla fine, riuscii ad accettare la dura realtà delle mie azioni e presi coscienza dei danni che stavo causando. Mi erano servite un bel po' di ore per somatizzare tutto, ma in quel momento ero pronta.

Feci la doccia più veloce della mia vita e non spesi troppo tempo nemmeno per scegliere i vestiti, un paio di jeans, una maglietta non troppo leggera e il mio inseparabile giacchettino, dopodiché fui pronta. Non badai alle scarpe che misi, né tanto meno alla borsa dentro la quale infilai lo stretto necessario per uscire di casa. Ero di fretta.

Scesi al piano di sotto e trovai mia madre intenta a fare le pulizie di casa. Appena mi vide sorrise tristemente e spense l'aspirapolvere.

Prima che potesse dire qualsiasi cosa attaccai a parlare stile Alice, ovvero un registratore senza possbilità di spegnerlo: «Mi dispiace per come mi sono comportata con te e papà, vorrei ci fosse anche lui per scusarmi, ma passerò al suo nuovo indirizzo appena finiremo di parlare», presi un profondo respiro e ripartii: «Non sapevo come comportarmi e sì, sono stata peggio di una bambina tenendovi i musi e cercando di evitarvi, solo che non sapevo cosa dire, da che parte stare - so che detta così è orribile -, ma cercavo un capo espiatorio e non riuscivo a trovarlo. Non ho scusanti, lo so, poiché non sono stata d'aiuto quando ne avevate più bisogno, però voglio rimediare ora, comportandomi come la figlia che sono sempre stata, senza colpi di testa, matura e responsabile». Appena finii presi un grosso respiro e mi venne in mente quando solitamente era Alice a parlare così. Mi chiesi come faceva ogni volta, io mi sentivo senza fiato e con un gran mal di testa temporaneo per la mancanza di ossigeno.

Guardai in direzione di mia madre, ancora ferma in mezzo alla sala intenta ad osservarmi con un sorriso dolce e materno. Restai di fronte a lei anch'io, senza azzardare nessun movimento e aspettando un suo segno.

«Vieni qui, tesoro», mi disse allargando le braccia in un chiaro invito che mai avrei rifiutato.

La mamma era sempre la mamma, senza di lei non sarei diventata quello che ero. Era lei quella che mi confortava nei momento bui, quando cadevo e mi facevo male c'era sempre lei. Con papà era diverso, sarebbe sempre stato diverso, il rapporto che mi legava a lui non era altrettanto forte, nonostante gli volessi un gran bene. L'istinto materno era un qualcosa che sopraffaceva tutto il resto e un figlio lo avvertiva. Non importava nulla se per un periodo breve o lungo che sia una madre non poteva stare accanto al figlio, l'amore materno avrebbe sempre vinto, perché era qualcosa di estremamente tangibile e ti faceva sentire amata, al sicuro e protetta da qualsiasi male. Era ciò che mi accadeva continuamente, anche quando partivo per andare dai miei nonni, in vacanza con gli amici, sapevo comuqnue che una volta tornata a casa c'era un amore che avrebbe prevalso e non sarei stata mai sola al mondo.

L'abbraccio di mia madre valeva più di qualsiasi frase non detta. Mi aveva perdonata.

«Immagino che questo cambiamento sia dovuto a...», iniziò mia madre cercando di indagare.

La interruppi: «Edward».

«Santo ragazzo, gli farò una statua, ovviamente anche per sopportarti tutti i giorni», scherzò con il suo tono sarcastico e melodrammatico insieme.

«Purtroppo penso proprio tu abbia ragione», confermai preoccupata della situazione in cui mi trovavo con il mio ragazzo.

«Vuoi parlarne?», mi chiese accarezzandomi i capelli.

«Non c'è molto da dire. Mi sono comportata da perfetta cretina egoista! Non ho pensato a come mi stavo comportando, troppo presa dai miei problemi e così ho scaricato tutto addosso a lui rischiando solo di perderlo e basta!», sputai senza riuscire a trattenermi.

«Meno male che non c'era nulla da dire», disse mia madre a bassa voce. Mi buttai sul divano buttando la testa indietro e chiudendo gli occhi.

«Vedrai che risolverai le cose con lui. Quel ragazzo ti adora, anzi adorare forse è dir poco».

«Tu credi?», chiesi speranzosa.

«Sì, quindi smettila di piangerti addosso e vai da tuo padre, così dopo potrai correre da Edward».

Balzai su e dopo aver ringraziato mia madre uscii sotto la pioggia. Quel giorno il tempo era triste, sembrava piangesse delle mia sventure.

Appena superai il portico sentii il guaito di Rain, arrabbiato con me per essere stato lasciato a casa. Bene, ora anche lui ce l'aveva con me, risolvevo un casino e ne facevo un altro. Mi sarei dovuta presentare a casa con un magnifico giochino e un osso, così mi avrebbe perdonata senza tenere i musi.

Guidai con attenzione, seguendo le istruzioni per trovare la nuova casa di Charlie. Non fui molto fortunata, presi una strada sbagliata e dovetti rifare il giro, ma alla terza volta beccai le case a schiera che mi aveva descritto mia madre. Cercai il civico giusto e posteggiai la macchina nel cortiletto adiacente. La macchina di mio padre era lì, non avevo pensato al fatto che potesse non essere in casa.

Bussai alla porta e presi un profondo respiro. La porta si aprii e il viso di mio padre fece capolineo dalla fessura. Appena mi vide spalancò la porta e mi abbraccio velocemente.

«Che sorpresa, Bella! Non aspettavo una tua visita. Vieni, tesoro, accomodati pure. Non guardare il disordire, devo ancora sistemare tutto». Avanzai dietro di lui diretti in cucina.

La casa era spaziosa e grande abbastanza per due persone. La cucina era attrezzata dello stretto necessario, mentre l'entrata e la sala erano ancora spoglie, tranne per un divano e un mobiletto, insieme a una marea di scatole piene.

«Se vuoi ti aiuto a svuotare la roba, mentre parliamo», mi offrii. Mi pareva una buona idea rendermi utile, anche se era strano mettere a posto la roba di mio padre in un'altra casa.

«Oh, okay», mi rispose cercando di nascondere la sorpresa.

Ci mettemmo per terra e iniziammo a tirar fuori roba su roba. Non ricordavo ne avesse così tanta, altrimenti la mia offerta sarebbe slittata a un giorno in cui chiarire con Edward non mi premeva!

Dopo qualche discorso sulle solite cose, presi coraggio e iniziai a parlare: «Sono venuta per scusarmi, papà. Ho già parlato con mamma e farò lo stesso discorso a te». Charlie assunse la sua miglior espressione da persona comprensiva e rispettò i miei tempi. Ripresi a parlare e ripetei le stesse cose che avevo detto a Renèe.

«Sono felice che tu ti sia resa conto della reale situazione in cui ci troviamo. Non ci sono drammi o situazioni impossibile da risolvere, Bella. Non è un crimine e non devi cercare nessun colpevole. Forse la colpa è stata nostra, non ti abbiamo dato spiegazioni e questo ti ha portato a conclusioni affrettate e sbagliate». Le sue parole non suonarono come rimproveri e mi sentii sollevata e compresa.

«Non sono affari miei», dissi riguardo le spiegazioni che credeva dovessero darmi.

«Lo sono, invece. Anche tu fai parte della famiglia e quando succede qualcosa tra me e tua madre non possiamo essere così presuntuosi da pensare che non coinvolga te. Voglio solo che tu sappia una cosa findamentale: tra me e Renèe ci sono state solo incomprensioni, la routine ci ha portati a tirare avanti il nostro rapporto senza mantenerlo vivo e così un matrimonio non va di certo avanti. Le colpe sono di entrambi, questo è certo, non c'è uno dei due che ha fatto peggio o meglio. I rapporti finiscono, ma ciò che lega due persone mai, Bella. L'amore e una figlia ci hanno legati per molto tempo e tu continui a tenerci uniti, che lo vogliamo o no». Sgranai gli occhi e per la prima volta compresi tutto. Capii realmente ciò che aveva distrutto la serenità familiare e li compresi. Una volta per tutte li compresi davvero. «Tua madre è sempre stata più brava di me con le parole, quindi se vuoi sapere qualcosa in più chiedi a lei», finì.

«Grazie, papà». Lo abbracciai e sentii che il nostro legame si era rafforzato. Avevamo condiviso qualcosa, si era aperto con me ed era una cosa insolita.

«Ti voglio bene, tesoro, non dimenticarlo mai».

 

Quando uscii da casa di Charlie mi sentii molto meglio. Avevo risolto con i miei genitori e ora mancava solo una tappa alla mia giornata all'insegna delle ammissioni.

La pioggia batteva frenetica sul carrozzeria della mia auto. Accesi il motore e partii verso casa Cullen, ultima tappa per quel giorno. Arrivata di fronte alla villa notai l'assenza della macchina di Edward. Non volevo disturbare Esme e Carlisle, quindi pensai di informarmi prima di piombare sulla loro soglia di casa. Poco importava che ero già lì. Sicuramente una persona poteva aiutarmi.

«Pronto?», rispose una voce squillante.

«Alice, sono Bella».

«Sì, so chi sei, ho visto il numero sul display! Ti pare io sia così sbadata?».

Tralasciai volutamente la sua domanda e passai ad altro: «Edward è in casa?».

«Oh, sì, grazie per l'interessamento amica mia, sto bene anch'io! E tu?», mi disse sarcastica. Odiava quando la chiamavo eclissando i convenevoli.

«Alice», la pregai sconfitta dalla sua parlantina vivace.

«Per questa volta chiuderò un occhio, comunque no, non è a casa e prima che tu me lo chieda non so dove sia, non l'ho nemmeno visto uscire».

«Nessuna idea?», chiesi conferma.

«No, mi dispiace. Al massimo avrei detto che era con te, ma vista questa chiamata e la tua auto sul vialetto di casa mia...».

«Scusa il disturbo, Alice, ti richiamo più tardi». Misi giù la chiamata e appoggiai la testa al volante, sconfitta.

Ero così certa che lo avrei trovato a casa che non mi ero nemmeno posta il problema. Con questo tempo i posti in cui cercarlo si riducevano molto e poi non era uno che teneva particolarmente a certi luoghi.

Non sapevo cosa fare e dove andare. Erano da poco passate le due del pomeriggio, il cielo era sempre più nero e di certo la pioggia non diminuiva. Cercarlo era quasi inutile.

Feci un giro con la macchina intorno al quartiere e poi mi diressi nell'unico luogo che in quel momento mi sarebbe stato d'aiuto. La radio che trasmetteva Run di Leona Lewis, la melodia si intonava perfettamente alla tristezza che sentivo dentro. Mi misi a cantare pochi versi "To think I might not see those eyes. Makes it so hard not to cry", dove mi ritrovai a pensare a Edward in modo molto più concreto. Se non mi avesse perdonata? Se fosse stato stufo di avere accanto a sé una ragazza che sapeva solo piangersi addosso? Non ero sempre stata così, ma negli ultimi tempi era la giusta definizione per il mio comportamento.

Arrivai nei pressi di Talmadge Bridge e mille ricordi mi assalirono. Era proprio su quel ponte che io ed Edward ci eravamo scambiati il nostro primo bacio dopo il primo appuntamento.

Il ponte si trovava ai confini della città, sopra il fiume più famoso del posto che attraversava tutta Savannah. Proprio come mi disse Edward quel giorno, era un posto molto romantico ed era diventato un po' il nostro luogo.

In mezzo a tutta quella pioggia vidi una figura sfocata sul punto. Scesi dall'auto senza ombrello e mi avviai verso quella figura che riconoscevo molto bene. La pioggia creava uno sciabordio che rendeva difficile avvertire i miei passi che avanzavano verso di lui.

Quando fui a pochi passi da lui lo chiamai e finalmente si girò. Lo stupore non era l'unica emozione che vidi nascere sul suo viso stupendo. I suoi vestiti erano appiccicati alla sua pelle e i capelli sembre scompigliati erano appiatiti dalla pioggia. Anche sconvolto restava il più bel ragazzo che avessi mai visto.

«Ti ho cercato», gli dissi mentre l'acqua inzuppava anche me.

«Anch'io», mi rispose.

Nessuno dei due si mosse, restammo lì sotto la pioggia a fissarci. Nei nostri sguardi non c'era rabbia, irritazione o qualunque sentimento riportasse a galla del risentimento riguardo il litigio.

«Volevo diriti che mi dispiace per come mi sono comportata negli ultimi giorni. Sono stata egoista ed egocentrica, ho pensato solo a me stessa scaricandoti addosso tutta la mia rabbia e la mia confusione. Non dovevo farlo e...».

Edward mi interruppe secco: «No, no, non devi scusarti! Ho sbagliato, Bella, sono stato duro con te e con il periodo che stai passando non era giusto che esplodessi così. Avrei dovuto mantenere la calma».

«Se fossi stato dolce e accondiscendente sicuramente non ti avrei ascoltato. Mi hai aiutata, Edward, e spero tu possa perdonarmi», dissi in preda al panico. Non volevo perderlo per nessuna ragione al mondo.

«Non c'è nulla che io debba perdonarti», mi rispose avanzando verso di me. C'era ancora una cosa che dovevo dirgli.

«Ho chiarito con i miei genitori, ho seguito i tuoi consigli e ora so come sono andate le cose», affermai facendo qualche passo nella sua direzione. Pochi metri ci dividevano.

«Lo so». Prima che potessi domandargli come proseguì: «Sono venuto a casa tua per scusarmi e tua madre mi ha detto che eri andata da Charlie e mi ha ringraziato per averti fatta tornare la ragazza speciale che sei. Ma tu sei sempre speciale, anche nei tuoi momento bui».

Percorsi i pochi metri che ci dividevano e gli saltai letteralmente addosso, nascondendo il viso nel suo collo. Lacrime di gioia scesero dai miei occhi e lo strinsi a me come se fosse la mia ancora di salvezza, che alla fine era ciò che realmente rappresentava, oltre che...

«Ti amo, Edward», dissi di getto.

... All'amore della mia vita.

Lui mi strinse ancora di più a sé e uscii dal mio nascondiglio per guardarlo negli occhi. Il verde smeraldo era più intenso e sembrava brillare, anche se con questa pioggia era difficile confermarlo.

Mi baciò senza aspettare. Risucchiò le mie labbra in un vortice e ci stringemmo ancora di più nel nostro abbraccio.

Non mi aspettavo che lui ricambiasse i miei sentimenti, poteva prendersi il tempo che voleva. Eppure una fitta di delusione mi colpì prepotente. Cosa provava per me?

Il baciò finì, ma i nostri corpi rimasero allacciati. L'acqua si era infiltrata ovunque e iniziai a sentire brividi di freddo aggiungersi a quelli che Edward mi trasmetteva.

Mi tirò su il mento per guardarmi negli occhi e affogai in lui.

«Bella», iniziò accarezzando la mia guancia bagnata, «Ti amo anch'io».

E in quel momento esplosi di felicità. Urlai forse, non mi ricordai nulla di quegli attimi in cui tutto andò al suo posto. Avevo certezze in mano e un amore infinito.

Edward mi fece appoggiare i piedi per terra, ma mi tenne stretta a lui, accarezzando il mio corpo con le mani e con lo sguardo.

Ci baciammo ancora, ma poi Edward si riprese e fissandomi dritto negli occhi mi disse due semplici parole: «Dobbiamo parlare».

Il suo tono serio mi mandò nel panico, lui se ne rese conto e mi misi un dito sulle labbra per fermare le mie supposizioni: «Non c'entra con noi due, amore, ma c'è qualcosa sul mio passato che dovresti sapere».

«Okay», dissi sollevata, ma comunque intimorita da ciò che poteva rivelarmi.

C'era sempre stato qualcosa che Edward nascondeva su di lui, eppure io non avevo mai posto domande e metterlo alle strette non era la scelta giusta. Avevo semplicemente atteso che lui si aprissi e il momento era arrivato.

Lo abbracciai cercando di trasmettergli un po' di conforto e poi ci dirigemmo verso le nostre auto, mano nella mano.

 

Buonasera e buon lunedì! Come state? Passate bene le vacanze?

Ho ricontrollato il capitolo molto velocemente, quindi perdonate la marea di errori, ho mal di testa e i sintomi di una stupenda influenza, che bello -.-'

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Inizialmente doveva contenere anche qualcosa su Edward (sì, esattamente ciò che pensate voi), ma poi ho tagliato e quindi passa al prossimo capitolo. Forse la dichiarazione dei loro sentimenti non ha colpito particolarmente, ma a me diciamo che piace per la sua semplicità, senza troppe cerimonie. Fatemi sapere voi ;)

Il riferimento a Heider è molto semplificato ovviamente.

Ringrazio tutte le persone che continuano a seguirmi e un ringraziamento speciale per coloro che spendono del tempo per lasciarmi una recensione *-*

Prossimo capitolo lunedì 30. Mi dispiace davvero per questi aggiornamenti distanziati, ma purtroppo non posso fare altro, sicuramente più avanti, se la storia non sarà già finita, riprenderò ad aggiornare regolarmente ogni settimana.

Lunedì scorso ho pubblicato una os, se vi fa piacere darci un'occhiata questo è il link diretto Problemi di coppia =)

A presto ;)

Kiss :***

Jess 

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Capitolo 18
*** I think I love you better now ***


I think I love you better now

E non c'è bisogno di sapere solo che la tua vita ha un significato. Ha sempre un senso, che duri cent'anni o cento secondi, ogni vita e ogni morte cambia il mondo a modo suo.

Remember me

 

Da una decina di minuti Edward ed io eravamo chiusi nella sua auto in religioso silenzio, ascoltando lo sciabordio dell'acqua che picchiava sulla macchina. Al di là del parabrezza non si vedeva nulla, tranne una fitta nebbia causata dal temporale. Le gocce d'acqua scendevano veloci dal vetro e guardarle sembrava la miglior attrazione del momento.

Avevo concesso a Edward tutto il tempo di cui necessitava per iniziare ad aprirsi con me per la prima volta, ma l'attesa era a dir poco snervante ed io non ero mai stata una ragazza paziente.

Ad un tratto, immersa nei miei pensieri, lo sentii schiarirsi la voce e voltare la testa verso la mia direzione. Smisi di osservare la pioggia e mi voltai con il busto verso di lui fissando i miei occhi nei suoi, in un contatto visivo che diceva tutto. Ero lì per lui e ci sarei sempre stata.

«E' difficile», ammise. Sapevo che si riferiva a come iniziare a raccontarmi una parte della sua vita che evidentemente lo faceva ancora soffrire.

«Lo so e non c'è fretta», lo confortai posando una mano sulla sua appoggiata al cambio. Me la strinse di rimando e intrecciamo le nostre dita.

«Non ho mai raccontato a nessuno la mia storia, l'inizio della mia vita. Nessuno si è mai posto il problema di sapere perché fossi così chiuso e riservato, hanno sempre dato per scontato che qualcosa non andasse in me», iniziò con sguardo malinconico.

Pareva quasi non vedermi realmente, il suo sguardo iniziava ad essere lontano e cercai di riportarlo da me, iniziando ad accarezzarli lentamente la mano intrappolata nella mia con movimenti lenti e leggeri sfioramenti. Si accorse del mio tentativo e mi fece un mezzo sorriso.

«Io non l'ho mai fatto», gli dissi dolcemente.

Mi sorrise sinceramente e in parte più sereno, senza quell'ombra scura che era calata sul suo viso e mi rispose: «Perché credi che mi sia innamorato di te? Non a caso e non per la tua bellezza».

Il suo tono scherzoso mi fece sorride internamente, ma feci finta di essere imbronciata: «Oh, ma grazie».

I suoi occhi si illuminarono, sembrava ridessero per lui. Allungò una mano verso i miei capelli bagnati e me li spostò dal collo; avvicinandosi a me soffio a un centimetro dal mio viso: «Sei andata al di là delle apparenze, hai scavato dentro di me e per questo ti sarò sempre grato. Ti rivelerò un segreto...».

«Un altro?», chiesi impaziente. Sapevo che non si trattava ancora di lui.

«A quanto pare è la giornata delle rivelazioni», ammiccò e poi riprese: «Prima che iniziassimo realmente a conoscerci e parlare, ti avevo osservato spesso negli ultimi tempi. Avevo imparato ad apprezzarti non più come amica dei miei fratelli o come mia conoscente, ogni volta che guardavo desideravo sapere sempre qualcosa in più su di te. Non eravamo mai stati particolarmente vicini, nonostante ci frequentassimo assiduamente in compagnia degli altri».

«Non sono mai riuscita a darmi una spiegazione sensata al riguardo, ho ipotizzato di non starti particolarmente simpatica, ma poi notavo che non si trattava solo di me», affermai desiderosa di conoscere cosa pensava di me prima della nsotra relazione.

«Non potevi fare errore più grande, amore. Non si trattava di te o chiunque altro, non mi sentivo pronto ad affezionarmi a persone estranee alla mia famiglia. Per non parlaare dle fatto che essere timido ed introverso aveva fatto parte di me da sempre, un lato del mio carattere che non si può cambiare», mi spiegò pazientemente continuando a guardarmi negli occhi.

«Eppure con me l'hai fatto, ti sei aperto, ti sei fidato di me». Sospirò alle mie parole e mi fece avvicinare a lui, tanto da essergli quasi addosso.

«Sapevo che potevo farlo, chiamalo sesto senso o semplice intuito».

«Preferirei chiamarlo destino», scherzai riconoscendo però un fondo di verità.

«Così suona meglio, lo ammetto. Comunque è vero, con te ho aperto tutte le porte di cui disponevo e solo per il semplice fatto che conoscevo il tuo animo. Sei sempre stata fedele ai tuoi amici, una ragazza posata, ma anche divertente e incredibilmente bella ai miei occhi», mi confessò.

«E questo quando lo hai capito?», domandai curiosa.

«L'esatto momento non saprei dirtelo, forse quando sei tornata da Logan dopo le vacanze estive tutto mi era parso più chiaro. Non posso dire di essermi innamorato di te allora, non è paragonabile a ciò che sento ora, ma ero affascinato da te, infatuato anche».

Gli occhi mi si fecero lucidi alle sue parole. Non era mai stato così aperto come in quel momento. Stava aprendo il suo cuore per me soltanto.

«E poi iniziò tutto», dissi conscia di come si erano sviluppate in fretta le cose.

«Esatto e penso di non essere mai stato così felice in tutta la mia vita».

Di slancio lo abbracciai affondando il viso nel suo collo ancora bagnato dalla pioggia. Mi abbracciò a sua volta restando in quella posizione scomoda, con il freno a mano che segnava la mia coscia e le marce puntate contro il mio ginocchio. Eppure neanche mi accorsi del resto se non che ero nelle braccia di Edward e null'altro contava.

«Lo stesso vale per me», sussurrai vicino al suo orecchio.

Le sue mani incorniciarono il mio viso, allontanandomi leggermente da lui. I suoi occhi penetrarono nei miei, le sue mani girarono in circolo dal mio collo alla mia cute e io di riflesso chiusi gli occhi mugugnando qualcosa di incomprensibile persino alle mie orecchie. Sentii le labbra di Edward posarsi sulle mie come il più fragile dei cristalli; di riflesso aprii la bocca inalando il suo respiro. Ci baciammo lentamente, passionalmente e poi di nuovo con estrema calma. Edward mi stringeva a sé, mi accarezzava riscaldando la mia pelle fredda.

Il bacio finì con dolcezza, piccoli baci a stampo si erano protratti per un tempo indefinibile, finché entrambi non fummo soddisfatti ed inebriati di gioia e amore.

«Ti amo tanto, Bella, così tanto che sarebbe impossibile definire ciò che provo con il giusto termine. Due parole non bastano, tu rappresenti molto più di questo: amore, felicità sono solo componenti che fanno parte di un vocabolario troppo ampio che non contiene nemmeno la metà dei termini adatti e non basterebbe una vita intera per dirteli».

Lacrime salate formarono una scia sulle mie guance rosse per l'emozione. Il cuore batteva a ritmi impossibili, un tum tum continuo che non aveva pause, esattamente come non l'aveva il mio amore per lui.

L'unica fortuna era la mia posizione, ero seduta e anche se le gambe tremavano non creavano danni.

«Non potevi dirmi parole più belle», bisbigliai tra le lacrime tremando sia per il freddo che per i brividi dettati dal suo discorso.

«Stai tremando, forse è meglio se ti porto a casa», mi disse preoccupato sfregando le mani sulle mie braccia.

«No, no, stai tranquillo, voglio stare qui e ascoltarti». Il riferimento a ciò che ancora doveva dirmi era chiaro.

«Okay, allora farò in fretta così non ti ammalerai», mi sgridò imitando un padre preoccupato con tanto di indice che sventolava davanti al mio viso.

«Edward», lo ammonii. Cercava di perdere tempo e se da una parte ero pienamente cosciente che ne aveva bisogno, dall'altra per quanto desiderassi concederglielo stavo per scoppiare.

«Sai dove sono nati Alice ed Emmett, no?», mi domandò.

Annuii di riflesso: «Certo, siete nati qui a Savannah». Ero confusa, non capivo cosa c'entrasse il luogo di nascita dei suoi fratelli.

«No, loro sono nati qui, non io», mi spiegò.

«Edward, non... non capisco. Tu sei il fratello gemello di Alice».

«No, Bella, non ho mai detto di esserlo. E' stata una supposizione delle eprsone vicine a noi nel corso degli anni».

«Dove sei nato?», chiesi con delicatezza. Non volevo sembrare invadente.

«A New York City», mi rispose.

«Allora quanti anni hai?», domandai un po' spaventata nell'iniziare a capire che non conoscevo praticamente nulla di lui se non ciò che avevamo passato insieme negli ultimi mesi. Come avevo potuto essere così cieca?! Gli indizi erano lì davanti a me!

«Oh, no, no, Bella, ascolta non iniziare a viaggiare di fantasia, ti ho sempre detto la verità, ho diciotto anni».

Sospirai di sollievo, ma ancora non mi bastava questa spiegazione striminzita, quindi gli feci un'altra domanda: «Alice ed Emmett non sono i tuoi fratelli?».

«Sì, lo sono». Forse si riferiva al fatto che per lui lo erano.

«Non capisco, Edward, davvero».

«E' complicato, lo so, e lo è anche per me parlarne, è la prima volta che racconto qualcosa di così intimo a qualcuno».

«Sei stato adottato?», sganciai la bomba.

«Dipende da che prospettiva la si guarda, ma no, non sono stato adottato». Okay, la confusione era ancora lì impaziente di essere sventrata.

«Allora come fai ad avere la stessa età di Alice ed essere nato a New York? Forse Esme è rimasta subito incinta dopo aver partorito e...».

«Bella, Esme non è la mia madre biologica», affermò interrompendo i mie sproliqui.

«Come può... Ma allora neanche Carlisle è il tuo padre biologico».

«Carlisle è mio padre a tutti gli effetti, solo Esme è mia madre sotto tutti i punti di vista tranne che da uno biologico».

«Carlisle aveva due donne?», strillai sorpresa. Carlisle era l'uomo più posato e serio che avessi mai conosciuto. Amava Esme più della sua stessa vita e non riuscivo a immaginare un suo tradimento, eppure i fatti parlavano chiari.

«In un certo senso sì, ma allo stesso tempo no», mi rispose di nuovo evasivo.

«Edward, ti prego», lo implorai di essere chiaro una volta per tutte.

«Carlisle non tradì sua moglie Esme, almeno non sul piano ufficiale, anche se con il cuore rimase sempre legato a sua moglie anche dopo la loro rottura».

«Si erano lasciati?», chiesi incredula.

«Già, subito dopo la nascita di Emmett e...».

«Non posso crederci», ribattei incredula. Edward mi rivolse un'occhiataccia per essere stato nuovamente interrotto. «Okay, scusa», borbottai.

«Dicevo, subito dopo la nascita di Emmett subentrò una crisi tra i miei genitori, dovuta anche alle continue intromissioni da parte dei genitori di Esme. I due non riuscirono a far fronte alle continue pressioni, Carlisle era esasperato e dopo la nascita del figlio la situazione peggiorò, tant'è vero che decisero di lasciarsi. Carlisle andò a New York per lavoro, lasciando a Savannah Esme ed Emmett. Per quest'ultimo continuò a venire in questa città almeno una volta al mese.

«A New York conobbe una donna, Elizabeth Masen, vedova da poco meno di due anni. I due iniziarono a frequentarsi e videro nell'altro una consolazione al dolore che li affliggeva. Carlisle era ancora innamorato di Esme e sapeva nel profondo del cuore che nessun'altra donna avrebbe mai preso il suo posto. Stessa cosa per Elizabeth, la quale non riusciva a dimenticare il marito morto durante un'imboscata notturna in guerra a Sierra Leone, Edward Masen per l'appunto. In tutta sincerità non so esattamente come sono andate le cose tra loro, a me è sempre stata raccontata una versione dei fatti. Comunque Elizabeth rimase incinta praticamente subito, ma sia lei che Carlisle sapevano che non sarebbero durati insieme, tra loro c'era un affetto sconfinato ma nulla che potesse anche solo lontanamente definirsi amore.

«Carlisle non scappò dalle proprie responsabilità. Rimase vicino ad Elizabeth nonostante la loro relazione fosse terminata dopo la scoperta che lei era incinta. Nel frattempo mio padre si riavvicinò ad Esme e prima della mia nascita tornarono insieme. Rimasi con mia madre, ma non ci furono mai rancori tra Carlisle ed Elizabeth». Il suo sguardo era fisso oltre il finestrino alla sua sinistra. Dall'inizio del racconto non aveva staccato gli occhi dalla pioggia che cadeva e formava pozzanghere sulla strada. Sentivo la tensione nel suo corpo accostato al mio. Il suo tono era stato fin troppo distaccato per cercare di mantenere una certa freddezza e non farsi coinvolgere. Non aveva ancora finito di raccontare la sua storia e io rimasi lì ad attendere che si riprendesse, confortandolo come meglio potevo. Qualcosa di ancora non detto lo faceva soffrire molto.

«Quando Carlisle tornò a casa, qui a Savannah, non nascose nulla ad Esme. I due si chiarirono, non ho idea di come fosse la loro vita i primi tempi, fatto sta che nel mio stesso anno di nascita nacque Alice», si interruppe un secondo e sorrise nel nominare la sorella, poi proseguì: «Mio padre veniva spesso a farmi visita a New York, una volta portò anche la sua famiglia e tutto procedeva tranquillamente. Poi all'età di due anni mia madre morì e io rimasi... solo. Carlisle corse da me, gestì tutto lui credo e dopo due settimane mi portò con sé a Savannah.

«Fu difficile ambientarmi, avere a che fare con nuove persone, non avevo visto molto Alice, Emmett ed Esme, ma entrare in sintonia non fu poi così difficile vista la mia età. Purtroppo il peggio fu capire che mia madre non sarebbe mai tornata a prendermi da mio padre. Per quanto volessi bene a Carlisle, da sempre avevo vissuto con Elizabeth e lei era la mia figura di riferimento, mia madre, il mio tutto». Si voltò ad osservarmi e vedendo i suoi occhi lucidi lo strinsi con tutte le mie forse, scavalcando e mettendomi a cavalcioni su di lui; gli strinsi il viso e lo feci appoggiare al mio petto. Lo consolai come una madre, gli trasmisi il mio amore come un'amante e lo coccolai come una fidanzata.

Pensai a ciò che avevo appena sentito e non risucivo a capacitarmi di quanto quel bambino di due anni avesse sofferto. Aveva perso una delle figure più importanti di tutta la vita di ogni essere vivente. Una madre era insostituibile, sempre e comunque e non importava ciò che si diceva, una morte anche a due anni era un trauma.

«Come andò dopo i primi tempi?», gli chiesi desiderosa che si sfogasse una volta per tutte. Ero sicura che determinate cose non venissero discusse nemmeno a casa Cullen; a volte aprirsi con la tua famiglia era troppo difficile e doloroso, ne sapevo qualcosa.

«Migliorò tutto; Esme era come la madre che avevo perduto, mi trattava al pari dei suoi figli e mi amava allo stesso modo; Alice ed Emmett erano così piccoli che capivano la situazione quanto me; infine Carlisle restò sempre il padre che avevo conosciuto e a cui volevo bene, solo più presente vista la convivenza nella stessa casa. Sono stato fortunato, ho avuto un'infanzia felice e una famiglia che amo e che ricambia», mi rispose con tono più leggero.

«Esme è davvero una donna fantastica», confermai.

«Non so cos'avrei fatto senza lei».

«Penso proprio sia lo stesso. Sei sempre al centro dei suoi pensieri, molto più dei tuoi fratelli e con questo non voglio dire che non vi ama allo stesso modo, ma per lei tu sei... speciale», esplicai per non essere fraintesa.

«Lo ripetono tutti a casa», mi disse sorridente e per nulla infastidito da quella constatazione.

«Ora comprendo anche molti suoi atteggiamenti», riflettei ad alta voce.

«E' molto protettiva», la giustificò. Risi e nello stesso istante mi venne in mente una domanda che non sapevo se porgli.

«Avanti, spara», afferò alzando il viso dal suo rifugio. Lo guardai attenta cercando di capire a cosa si riferisse e se avevo parlato ad alta voce. «Ti sei irrigidita tutto ad un tratto, ho capito che vuoi sapere qualcosa».

«Non posso più nasconderti nulla», mi lamentai muovendomi sopra di lui irritata.

«Direi che ormai è la stessa cosa per me», ribattè.

«Touché». Mi rivolse uno sguardo alla "sputa il rospo qui ed ora" e parlai: «Com'era tua madre? Cioè, Elizabeth...».

«Non ricordo molto, anzi quasi nulla. Quel poco che non ho dimenticato si pensa sia a causa del trauma che subii, per un bambino di due anni trasferirsi e abbandonare tutto era un cambiamento che non si poteva scordare. Ricordo la sua allegria, la sua voce che cantava continuamente a tutte le ore, adorava la musica, poi i suoi occhi, il riflesso del mio. Il resto è più o meno confuso, mio padre mi raccontò spesso di come mi guardasse Elizabeth, come se fossi la sua unica ragione di vita, rivedeva in me Edward, suo marito, anche se non gli somigliavo visto che non era mio padre biologicamente. Eppure per lei ero il figlio di suo marito, quel figlio che era stato negato a Edward».

«Tua madre doveva amare davvero molto suo marito», affermai più per riflesso che per conferma.

«Probabilmente mi parlò molto di lui», concordò.

«Com'è morta?».

«Morì in un incidente stradale, banale anche, se non fosse caduta all'indietro non sarebbe morta, ma prese il marciapiede in morì sul colpo. Per una botta nel punto sbagliato, capisci? Due centimetri più su e sarebbe uscita dall'ospedale con qualche punto in testa!», la sua rabbia era evidente per la fine della madre. Mi maledii per la domanda stupida e indelicata che gli avevo fatto.

«Non avevi nessun parente a New York?», chiesi nuovamente. Ero un continuo far domande, ma non riuscivo a fermarmi, volevo finalmente conoscere la sua vita al cento per cento.

«Sì, c'erano i miei nonni materni e diciamo che ormai ero come un nipote acquisito per i genitori del marito di mia madre. Alla morte di quest'ultimi lasciarono un testamento che attribuiva tutto il loro patrimonio al sottoscritto, non avevo altri figli tranne Edward e videro da sempre in me uno facente parte della loro famiglia, amavano molto mia madre e se fosse rimasta in vita tutto sarebbe andato a lei. Per quanto riguarda i miei nonni materni, Alfred e Louise Douglas, morirono tre anni fa, uno a distanza dall'altro di pochi mesi».

«Sei sempre stato circondato da tanto amore, Edward», lo consolai. Certamente nessuno aveva potuto sostituire Elizabeth, ma era importante che lui capisse quanto amore avesse sempre ricevuto.

«Sono stato fortunato, amore, lo so, non per tutti è così».

«Sai che ti amerò sempre, vero? Qualunque cosa succeda, qualunque sia il nostro destino ti amerò e ci sarò per te in eterno se necessario», gli dissi con la voce che mi tremava per l'emozione.

«E tu sai che nulla ci potrà mai dividere? Supereremo ogni cosa insieme, tutto ciò che il destino metterà sulla nostra strada per ostacolarci non ci disintegrerà mai. Ti amo, amore mio, sopra ogni cosa».

Tra lacrime, dolore, parole bisbigliate e baci il nostro rapporto aveva fatto un passo avanti. Il nostro amore era cresciuto grazie alla fiducia reciproca e non contavano tutti gli ostacoli che avremmo dovuto superare, perché eravamo insieme, ci amavamo e il nostro sogno era appena cominciato.

 

Buonaseraaaaa, come state? Aprile doveva chiudere con una gironata di pioggia, ovviamente .-., spero che da voi il tempo sia migliore! Quanti di voi sono già andati al mare?

In pratica ieri sera mi sono ricordata che oggi dovevo postare questa storia, ma ero così presa a leggere ff che ho rimandato la stesura del cpaitolo a oggi, rpecisamente mi ci sono messa intorno alle quattro, ma con la forza di volontà sapevo di dovercela fare ù.ù

Basta chiacchere e passo velocemente al capitolo che tutti voi attendevate da... be' dal primo o secondo capitolo? xD Ve ne ho fatti attendere 17, ma alla fine tutto è stato svelato! E così vi ho fregati fanciulli ù.ù Nessuno mi ha mai chiesto l'età dei fratelli Cullen; per i fratelli Hale avevo specificato che fossero gemelli, mentre per i Cullen non ho mai detto nulla ;) Tutti o quasi avevate supposto che Edward fosse adottato e diciamo che il lavoro che vorrebbe fare in futuro lo avete preso come un chiaro indizio e sì, poteva esserlo benissimo. Inizialmente la mia idea era proprio questa, ma successivamente ho avuto una chiara illuminazione sul personaggio di Edward e ho pensato fosse esattamente come lo avevo sempre immaginato, così ho modificato leggermente l'idea di partenza.

Tengo particolarmente a questo capitolo, ho cercato in tutti i modi di non trattare l'argomento "passato di Edward" con leggerezza e spero di esserci riuscita. Cosa vi aspettavate dal suo passato? Deluse per la piega che ha preso la storia? Non commento e aspetto i vostri pareri *-* Spero vi farete sentire in tanti per questo capitolo :*

Grazie mille alle fantastiche ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, siete le miglior lettrici che ogni autrice di efp vorrebbe avere *-* Mi seguite sempre, mi incoraggiate e riempite di complimenti, grazie davvero *-*

Nel capitolo ho fatto riferimento alla guerra in Sierra Leone, per chi non ne fosse a conoscenza vi consiglio di cercare qualcosa sul web, una situazione di cui non si parla mai!

Prossimo aggiornamento lunedì 21. Per chi fosse interessato mi trova anche su FB, troverete il link sul mio profilo efp.

Kiss :***

Jess

Ps qualcuno è andato a vedere Hunger Games? C'è qualche fan della saga qui?

 

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Capitolo 19
*** Breath of life ***


Questa volta penso che due parole a inizio capitolo siano doverosa, poi ci risentiamo sotto.

Scusatemi tantissimo per questa lunghissima attesa, davvero non posso giustificarmi in nessun modo e mi dispiace anche di non aver messo nessun avviso.

Nello scorso capitolo Edward aveva rivelato a Bella il suo passato, volevo ricordarvelo visto che sono passati parecchi mesi. Scusate ancora!

 

Breath of life

 

It’s a long way and it’s come from paper

And I always say, We should be together

Breath of life, Florence and the machine

 

 

Il giorno precedente era stato importante per me ed Edward. Finalmente si era aperto con me, confidandomi il suo passato e ciò che si teneva dentro da molto tempo. Una barriera enorme era stata abbattuta, ora comprendevo meglio il suo carattere. Lo amavo ancora di più, sempre di più ogni giorno che passavamo insieme. Vivere il nostro amore mi portava a rivalutare il mondo intero, mi sentivo così aperta e piena di fiducia verso gli altri.

Mai avevo trovato parole più veritiere di quelle che mia nonna mi diceva spesso in passato: “Amare cambia qualsiasi prospettiva della vita, ti modifica, ti migliora e ti fa sentire così bene che ogni cosa intorno a te ti sembra fantastica. L'amore cambia le persone, chi in meglio e chi in peggio”. Speravo di essere cambiata in meglio.

Altro segno che l'amore mi aveva cambiata: mi ero alzata prima della sveglia e di solito dormivo più io che il letto. Il perché era inutile domandarselo, il mio perché aveva dei capelli fantastici, due occhi verdi che illuminavano le mie giornate e una bocca da dichiarare illegale. Edward, sospirai aprendo gli occhi.

Sentii un pizzicore agli occhi che immediatamente attribuii alla luce che filtrava dalle finestre. Li sfregai con le mani e mi sedetti sul letto, portando giù le gambe. Mi schiarii la voce e la sentii secca.

Mi sento strana, pensai mentre mi dirigevo verso il bagno adiacente alla mia camera. Accessi la luce e quasi urlai per lo spavento che mi presi appena il mio viso si riflesse nello specchio: i miei occhi lucidi erano circondati da occhiaie violacee, la mia pelle era ancora più bianca e per finire i capelli con nodi che sembravano gomitoli di lana.

Presi una spazzola e cercai di sbrogliare i miei capelli incasinati, poi mi buttai sotto la doccia rabbrividendo al contatto con l'acqua calda. Avevo così freddo e la gola iniziava a raschiare.

Uscii velocemente dalla doccia e mi asciugai bene prima di scendere a fare colazione. In cucina incontrai mia madre alle prese con delle padelle e lei era negata in cucina, quindi il disastro era assicurato.

«Buongiorno, mamma». Parlare mi aveva fatto ancora più male, la gola bruciava ancora di più e cercai di schiarirmi la voce con un colpo di tosse peggiorando solo la situazione. Accidenti alla poggia presa ieri! Anche se ne era valsa decisamente la pena.

«Tesoro, ti senti bene? Hai il viso troppo pallido anche per i tuoi canoni». Grazie, mamma, così sì che tiri su di morale tua figlia.

«Mi brucia la gola», dissi con voce roca.

«E si sente, tesoro. Oggi stai a casa e riposati». Prese un croissant dal microonde e me lo posò sul piatto di fronte a me.

«No! No, vado a scuola», quasi urlai.

«Cos'è questa voglia improvvisa di andare a lezione? Pensavo fosse meglio, almeno non peggiorerai la tua situazione e al posto di stare a casa uno o due giorni dovrai stare l'intera settimana». Sbuffai alle sue parole e addentai la brioche alla crema. Masticare fu tremendo, non riuscivo ad ingoiare nulla e cercai di mandare giù il boccone con qualche sorso di tè.

Mia madre si avvicinò, mi toccò la fronte e inorridita esclamò: «Non pensare neanche di uscire di casa in queste condizioni, la tua fronte scotta, minimo avrai 38° di febbre».

«Ma...», cercai di ribattere.

«Bella», mi ammonì.

«Okay, per oggi starò a casa».

«Non ho mai sentito nessun genitore convincere il proprio figlio a stare a casa. Chissà perché poi tutta questa voglia di andare in quella “prigione”, come la definisci sempre tu», ammiccò facendomi avvampare ancora di più.

«Dovresti essere felice che tua figlia vola a scuola senza protestare», la rimproverai come se i nostri ruoli fossero invertiti.

«Se tu non andassi a scuola solo per Edward, potrei anche esserne entusiasta di non dover faticare per convincerti a non fare assenze ingiustificate». Dritta al punto, pensai giù di morale al solo pensiero di passare una giornata, o forse anche di più, lontano da Edward.

Finii la colazione con la gola in fiamme, mi sembrava di avere una lama conficcata nella gola, e presi il cellulare per inviare un messaggio a Rose, Alice ed Edward. Alle prime scrissi semplicemente che mi ero beccata l'influenza e quindi non andavo a scuola, al secondo scrissi pressapoco le stesse cose, ma circondato tutto da un “Ti amo, mi manchi”.

«Tesoro, io vado al lavoro, se ti serve qualcosa chiama me o tuo padre. A stasera».

«Sì, buon lavoro», grugnii depressa.

Mi allontanai dalla cucina strisciando i piedi, percorsi il corridoio e salii in camera a prendere un libro. Unica cosa positiva del restare a casa era poter finalmente finire un libro che per mancanza di tempo mi portavo dietro da due settimane.

Ero totalmente immersa nelle ultime vicende di Stephanie Plum, la cacciatrice di taglia più famose del mondo cartaceo, quando sentii suonare il campanello. Mi alzai controvoglia, rimpiangendo all'istante il letto caldo che ormai aveva la forma del mio corpo, e scesi al piano di sotto.

Sicuramente si tratta di mio padre, era sempre stato più ansioso di mia madre riguardo a malattie passeggere, per lui ogni male era una tragedia che poteva comportare una corsa al pronto soccorso. Tralasciando quando era malato lui, poi, una maledizione caduta dal cielo; ogni secondo della giornata ti chiamava per dirti che stava malissimo, mai stato così male a detta sua. Ci mancava davvero poco che ogni maledetta volta chiamasse l'avvocato per fare un testamento e ogni volta a ripetergli che poteva benissimo farlo da solo, non serviva di certo un avvocato. Mah, gli uomini dovevano sempre fare di tutto la vicenda più tragica mai capitata loro.

Per fortuna il mio Edward non era così, almeno speravo, malato non lo avevo ancora assistito e... forse era arrivato il momento visto che aperta la porta me lo ritrovai di fronte, sulla soglia di casa mia con un sacchetto in mano e sulla spalla la sua tracolla nera contente libri scolastici e i suoi effetti personali.

Non mi lasciò neanche il tempo di aprire bocca: mi spinse dentro chiudendosi la porta alle spalle. Lo guardai interdetta alzando un sopracciglio.

Lui sorrise imbarazzato: «Non volevo prendessi freddo visto che sei malata».

Scossi la testa per la sua dolcezza e le sue premure abbracciandolo subito dopo. Mi alzai sulle punte e premetti la testa contro la sua spalla, baciandogli il collo. Rabbrividii a contatto con la sua pelle e chiusi gli occhi per un secondo.

«Devo dedurre tu sia contenta della mia visita», mi sussurrò all'orecchio circondandomi con le sue braccia. Le sue mani aperte contro la mia schiena mi spingevano contro il petto e la mia mano posata sul suo cuore strinse la sua maglia da sotto il giubbotto aperto.

«Molto contenta. E' da quando sono scesa per la colazione che mi stavo disperando, mi mancavi e sapere che sarei dovuta rimanere a casa mi ha lasciata con l'amaro in bocca... oltre che con la gola in fiamme», borbottai contro la sua giacca. «Devo ammettere, però, che appena sei entrato mi sei sembrato un fuggitivo». Risi insieme a lui e ci spostammo sul divano per stare più comodi.

«Bella, che cosa stai leggendo?».

«Stephanie ammazza sette», confessai.

«Quella saga ti fa male, amore, ogni volta che leggi un libro della Evanovich pensi sempre al peggio». Socchiuse gli occhi verde smeraldo e poi scoppiò a ridere.

«Smettila di prendermi in giro», mi lamentai incrociando le gambe sotto il sedere.

«Non lo farei mai!».

«Bugiardo. E poi li leggi anche tu, confessa!».

«Solo perché mi hai costretto, amore, solo per questo».

«Potevi sempre non leggere il secondo, poi il terzo e via dicendo».

«Mi hai messo in trappola». Sorrisi vincente.

«A proposito, almeno tu non dovresti essere a scuola?», gli domandai ormai conscia della risposta.

«Non volevo lasciarti a casa da sola una giornata intera. Saltare qualche giorno di scuola non è di certo un male, anzi prendiamola come vacanza meritata dal quel covo di matti».

Lo travolsi euforica, stringendo il suo collo con le mie braccia sottili: «Lo sai che ti amo, vero?».

«Anch'io, Bella, anch'io e non immagini neanche quanto». Restammo abbracciati per un tempo indefinito, io con il viso immerso nel suo collo e lui con il naso sprofondato nel mio collo. Le sue braccia erano una gabbia dorata intorno a me dalla quale mai sarei voluta scappare.

 

«Devi infilarti a letto, forza andiamo». Edward mi fece alzare dal divano per farmi tornare in camera. Non ne ero entusiasta, preferivo restare lì, su quel divano con lui, ma forse sotto le coperte mi sarei sentita meglio e questi continui brividi di freddo mi avrebbero lasciata in pace.

«Rimani qui?», gli chiesi una volta al calduccio.

«Dove vuoi che vada, Bella? Sono venuto per stare qui con te».

Gli feci posto sul letto da una piazza e mezzo battendo una mano sullo spazio libero: «Allora sdraiati, su».

«Bella, non penso sarebbe una buona idea».

«E' vero, che scema, rischio di attaccarti l'influenza!»

«Non si tratta di questo, amore, ma hai bisogno di riposare e dormire per recuperare le forze e con me in quel letto non penso sarebbe possibile». Solo dopo capii realmente, la mia mente era annebbiata dall'abbiocco che mi stava travolgendo.

«Ti prego», biascicai socchiudendo gli occhi.

Edward si arrese alle mie suppliche dopo un solo battito di ciglia, si sfilò le scarpe, la felpa e si accomodò al mio fianco. Non mi avvicinai per paura di attaccargli qualche germe, ma lui non era della mia stessa opinione: passo un braccio sotto il mio corpo e mi fece appoggiare a lui, con la testa sulla sua spalla. Lo circondai con un braccio e sospirai contenta. Sentivo i miei occhi sempre più pesanti e il mio respiro sempre più lento e regolare; i movimenti circolari della mano di Edward sulla mia schiena e sui miei capelli contribuirono solo a farmi rilassare più di quanto già non fossi.

Riemersi dal mondo dei sogni con un leggero mal di testa e la gola che bruciava leggermente meno rispetto al risveglio di quella mattina. Socchiusi gli occhi e vidi Edward che teneva con la mano libera il libro di Janet Evanovich, quello che leggevo poche ore fa. Restai ad osservarlo immobile, - ogni mio minimo movimento avrebbe potuto avvertirlo visto che mi trovavo ancora distesa sulla parte destra del suo corpo e un suo braccio mi circondava-, i suoi occhi seguivano le lettere stampate su quella carta color panna, gli angoli della sua bocca si sollevavano spesso per qualche battuta divertente di Stephanie, Joe o Rangers, ma cercava di trattenere le risate per non svegliarmi. Era così bello con quell'espressione rilassata e divertita sul volto, quando i suoi occhi si spalancavano dalla sorpresa assumeva l'innocenza tipica un bambino che scopre per la prima volta qualcosa.

Non riuscii a trattenermi e alzai la mano per accarezzare il suo viso, partendo dalla mano. Sentendo il contatto improvviso sobbalzò e girò di scatto il viso verso di me inondandomi con la luce dei suoi occhi.

«Ciao». La mia voce arrochita era a dir poco spaventosa; mi schiarii la gola e riprovai facendo uscire una parola capibile dalle mie labbra.

«Ehi», disse carezzandomi i capelli. Posò il libro sul mio comodino e si voltò interamente verso la sottoscritta. «Ti senti meglio?».

Grugnii in segno di disapprovazione. «Mi è venuto mal di testa, anche se il mal di gola è diminuito notevolmente».

«Dopo pranzo prendi una tazza di caffè e vedrai che passa subito».

«Almeno non mi è venuto il raffreddore, posso ritenermi fortunata, no?».

«Ieri siamo stati troppo sotto la pioggia, ma vedrai che domani sarai quasi guarita. Vuoi mangiare qualcosa?», mi chiese in modalità papà apprensivo.

«Me lo preparerà lei in persona, chef?», lo stuzzicai.

«Se vuole, mademoiselle, non per altro mi definiscono il secondo Gordon Ramsey», disse in tono serio.

«E io che desideravo un chocolatier français». Mi dipinsi in viso una maschera di delusione.

«Posso essere tutto quello che vuole: dottore, chef, chocolatier, Magic Mike. Lei chieda e avrà».

«Desidero la quarta opzione», dissi maliziosa.

«Chissà perché ci avrei scommesso».

«Siano lodate le mosse di Mike!», esclamai sognante.

«Anch'io se avessi fatto lo spogliarellista e fossi un ballerino di break dance farei quelle mosse», si lamentò.

Feci finta di annusare l'aria: «Cos'è quest'odore?».

Edward mi imitò sconcertato. «Io non sento nulla».

«Ma sì! Annusa meglio!».

«Forse Rain ha fatto qualche disastro nella stanza».

La mia mano colpì la mia fronte e con espressione desolata dissi: «Ma certo, ora ho capito!».

«Di che si tratta?», chiese curioso.

Mi tirai su e mi avvicinai alla porta, prima di voltarmi e confessare: «Gelosia, amore, la tua. La stanza è impregnata dal profumo della tua gelosia».

Continuai a ridere per la sua faccia scioccata fino alla cucina. Arrivò dietro a me, con Rain al seguito che pretendeva di pranzare.

Cercai di trattenere le risate per non innervosirlo ancora di più, ma fu tutto inutile.

«No, ma prego, continua come se non ci fossi».

«E dai, amore, dovevo farti una foto, aveva una faccia troppo buffa!». Mi ricomposi nascondendo le risate sotto formai di colpi di tosse resi più credibili dal mal di gola.

«Non sono geloso di un attore!».

«Ah, no?», chiesi interessata alla sua risposta. Intanto misi a riscaldare la carne bollita per Rain e lo presi in braccio per coccolarlo, anche se ormai stava diventando troppo pesante.

«Mi infastidisce solo che la mia ragazza debba fissarsi con le "mosse" di quello!».

«No, infatti questa non si chiama gelosia, hai ragione». Ero così seria che quasi non si accorse della presa in giro. Purtroppo non riuscivo a contenere la mia felicità.

«Per punizione il tuo tutto fare personale si mette a riposo e si rifiuta di cucinare».

Inorridita feci la faccia più sconvolta che mi riusciva al momento: «E ora come farò? Dovrò rimanere a digiuno, non pranzare e non potrò recuperare le energie visto che sono così debole...».

«Okay, ragazza melodrammatica, cosa desideri?», mi chiese ridendo. Si avvicinò al frigo, che fissavo da dieci minuti, e iniziò a rovistarci dentro.

«Anche se sono malata mi rifiuto di mangiare un po' di brodo! Il mal di gola sta passando, quindi...».

«Pollo?», mi domandò. Storsi la bocca, non mi piaceva molto il pollo.

«Vedrai che come te lo cucinerò io non ti sembrerà neanche carne bianca!».

«Mi fido, amore», mi avvicinai e gli sfiorai leggermente le labbra. Fino a quel momento lo avevo allontanato per paura di trasmettergli l'influenza, ma non riuscivo a stare staccata da Edward, in particolare se lo avevo a due passi di distanza.

Sbuffò scontento del mio repentino allontanamento e si mise a cucinare il pollo alla marsala, evitando l'ingrediente principale: il marsala, questo a causa della mia gola già ridotta in fiamme che si stavano abbassando.

Il pollo era una rivelazione! Mai mangiato così buono e saporito. Lo aveva impanato nella farina e fatto friggere con del burro fuso all'olio, dopodiché lo aveva insaporito con il brodo granulare. Una vera delizia.

«Non sapevo fossi così bravo, da oggi sei il mio chef».

«Il secondo della lista è spuntato, meno male». Fece finta di asciugarsi il sudore inesistente e pensai a quanto oggi fosse diverso: più libero, spensierato e se stesso di quanto non fosse mai stato prima.

 

Ci spostammo nuovamente in salotto, sdraiandoci sul divano. Ero tra le braccia di Edward, con la schiena appoggiata per metà al suo petto e per metà al divano. Rain, ai nostri piedi, giocherellava con un suo giochino producendo quel suono fastidioso che erano all'interno; sembrava un fischio strozzato.

Era il momento giusto per dire a Edward una cosa che mi premeva dal giorno prima.

«Edward?», richiamai la sua attenzione rivolta ad accarezzarmi.

«Mmh», mugugnò.

«Ieri... è stato importante anche per me». Le mie erano semplici parole che volevano dire quanto aveva contato per me la sua confessione. Non avevo scordato quanto gli fosse costato aprirsi e di certo non potevo dimenticare l'influenza che aveva avuto su di noi: il nostro rapporto era cresciuto, il nostro amore si era rafforzato e ora nulla poteva mettersi tra noi.

«Lo so, amore». Non c'era bisogno di dire altro.

Si avvicinò per baciarmi e non lo respinsi, mi feci travolgere dal suo profumo, dal suo sapere e dalle sue mani che ansiose vagavano sul mio corpo. Mi attaccai ai suoi capelli, ne sentivo la consistenza morbida e desideravo non togliere più le mie mani da lì. Un'altra scese lungo la sua mascella decisa e poi sempre più giù, verso il suo collo e sulla sua maglietta, fino ad arrivare all'orlo. Intrufolai la mia mano gelata per sentire la sua pelle caldissima, che a contatto con la mia si riempì di brividi.

Edward non stette fermo, capovolse le nostre posizioni e mi ritrovai intrappolata tra lui e il divano. Non che mi lamentassi, lungi da me dire una sola parola contraria a quella passione esplosa all'improvviso.

«Malata o no non riesco a resisterti». Gli strinsi le braccia ai lati della mia testa, scivolai con una lenta carezza giù lungo la schiena coperta dalla maglietta sottile.

«Fammi un balletto alla Magic Mike e non resisterò neanch'io», dissi più per stuzzicarlo.

Smise di baciarmi il collo e portò il suo viso all'altezza del mio. «So fare anche di meglio».

«Dimostramelo». Sorrisi mordendomi il labbro inferiore subito dopo catturato da suoi denti.

«Vediamo se riuscirai a seguire i ritmi di Magic Edward, ti assicuro che sono più forsennati di Mike».

Mantenne la parola data. Edward diventò pura magia, meglio di qualsiasi altro spettacolo mai visto e non c'entrava nulla con balletti o tanga, era semplicemente lui: passionale, disinvolto, emozionato, che mi faceva toccare il cielo.

Anche se malata cercai di non pensare al mal di testa, leggermente diminuito grazie al caffè, e indirizzai tutte le mie attenzioni su di lui.

Ben presto non ci furono barriere tra noi, pelle contro pelle; il calore che si infondeva dai nostri corpi riscaldavano la stanza.

«C'è qualcosa di più bello di questo? Fare l'amore con te, sapere che sei mia e solo... mia», confessò Edward con voce spezzata dall'emozione e dal desiderio. I miei occhi divennero ancora più lucidi.

«Perché, esiste qualcosa di più bello di te? Sei così... fantastico, perfetto. Devo aver fatto qualcosa di... davvero grandioso... in un'altra vita». La mia voce era un susseguirsi di gemiti misti a quello che sentivo di dover dire a Edward.

Mi sembrava che le nostre mani non bastassero, erano troppo ansiose di toccare, esplorare... donare. Mi strinsi alle sue spalle, mentre lui mi tirava indietro la testa per accedere al mio collo, mordicchiandolo come una caramella gommosa. Scese verso il petto e le mie mani affondarono completamente nella pelle morbida della sua schiena.

«Sento che non c'è momento più... perfetto e speciale di questo. Sento che non riuscirò a contenere tutto il mio amore per te», bisbigliò contro la mia pancia.

«Ed io... sento... di stare per impazzire», riuscii a dire.

«Ti amo, Isabella Swan», mi sussurrò poco prima di venire.

«Ed io amo te, Edward Cullen».

 

Si narra spesso di quanto l'amore sia difficile, di quanto sia impossibile prevederlo e capirne tappe e approdi. La difficoltà, però, stava nelle persone, nei loro modi di creare relazioni e rapportarsi con gli altri. Bastava costruire qualcosa di solido, duraturo, con principi morali veritieri e tutto diventava più forte; la felicità creava un alone intorno alle persone in questione. Ciò non rendeva l'amore, di qualsiasi tipo, facile - cosa c'era di semplice nella vita? -, ma rendeva le difficoltà superabili e non insormontabili e impossibili.

Io, avevo trovato anche la mia meta, il mio sbarco sicuro: Edward. Era lui che rendeva tutto più bello, più semplice e complesso allo stesso tempo.

 

 

 

 

E ora ci risentiamo anche qui ;) Oggi è ufficialmente un anno che la storia è sul sito! Non ci posso ancora credere! Da una parte mi dico: sono ancora al capitolo diciannove dopo tutti questi mesi?! La storia doveva già essere conclusa se non fosse stato per tutti questi mesi in cui non ho postato, quindi mea culpa!

Ribadisco quanto mi dispiaccia non aver postato prima. Spero vivamente mi seguirete di nuovo, non ho mai ritardato così tanto e lo sapete, ma ho avuto un po' da fare e l'estate ha portato solo pigrizia con sé ç.ç Volevo postare settimana scorsa, ma poi mia nonna è stata operata quindi il tempo è volato e alla fine ho deciso di aspettare qualche giorno è postare per l'anniversario della storia (sono matta, lo so).

Una curiosità che volevo dirvi e che ho trovato moooolto strana: mentre scrivevo di Bella con il mal di gola mi è venuto anche a me, nello stesso momento -.-' Cioè, ma solo a me possono capitare 'ste cose! Almeno avessi un Edward che viene a farmi da dottore/infermiere, ma neanche questo -.-'

Questo capitolo inizialmente doveva essere mooolto più lungo, ma la mia consigliera personale mi ha detto, giustamente, che il prossimo discorso c'entrava poco e quindi ho stoppato qui. Fatemi sapere cosa pensate del capitolo e della storia, era parecchio tempo che non scrivevo di loro. Quindi grazie in anticipo a coloro che mi daranno un loro parere!

La storia sta per finire, mancano massimo sette capitoli, anche se conto di finirla in cinque, ma dipende da quale finale sceglierò, ne ho in mente due. D'ora in avanti ritornerò con i soliti aggiornamenti e le date prefissate!

Prossimo capitolo: 22 ottobre.

Gruppo Fb creato con una mia amica, Annie, dove parliamo di libri e musica oltre che delle nostre storie, vi aspettiamo :***

Piccolo spoiler del prossimo capitolo (doveroso dopo tutto il tempo che vi ho fatti attendere ç.ç): Si parlerà di università, di decisioni e chi intraprenderà questo percorso (eh già, avete capito bene, non tutti sceglieranno di andare al college).

Per tutti gli spoiler, appena scriverò il capitolo, ci vediamo nel gruppo ;)

 

A presto!

Kiss

Jess

 

Ps vi prego, ditemi che non sono l'unica matta che scrive sempre le note prima del capitolo o mentre lo sta scrivendo! Per una volta vorrei scriverle dopo, ma ho il timore di dimenticare qualcosa -.-'

Pps chi ha seguito la maratona Twilight su Italia 1?

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Capitolo 20
*** Little talks ***


Little talks

Let the sky fall, when it crumbles
We will stand tall
Or face it all together
At skyfall

Skyfall, Adele

 

Dopo giorni di tortura, obbligata a stare a letto a causa della febbre, ero pronta per tornare alla vita di tutti i giorni. Quel giorno sarei dovuta andare a fare colazione a casa di mio padre, poi mi sarei vista con Edward.

Erano già le otto e dovevo ancora farmi la doccia, la ceretta, cambiare lo smalto alle unghie, al momento azzurre, e infine volare da Charlie. Sicuramente prima delle dieci non sarei uscita di casa, solo per la doccia ci mettevo quasi un'ora. Sì, i miei tempi di preparazione erano più lunghi della torta più elaborata esistente sul commercio.

Per una volta cercai di sbrigarmi con depilazione e doccia, rimandando la cura delle mie unghie al giorno dopo.

Dio, che dolori ogni santa volta!, imprecai. Ma perché noi donne dovevamo soffrire così?

La depilazione era sicuramente l'unica cosa che odiavo dell'essere donna, dando ovviamente per scontati quei cinque, o otto nel mio caso, giorni mensili.

Una buona volta dovevo decidermi a trovarmi un lavoro solo per fare la depilazione laser. In quel caso sì che sarebbero soldi spesi bene e non avrei più avuto problemi. Strappai l'ultima striscia e guardai la mia gamba ricoperta di brividi. Da sempre mi faceva questo effetto.

Dopo essermi persa in discorsi futili dettati dall'irritazione per la ceretta, riuscii a fare la doccia senza perdermi nei miei pensieri sotto l'acqua calda. Era proprio vero che un bagno caldo portava ispirazione e schiariva le idee.

Scelsi dei vestiti non troppo pesanti, anche perché ormai la stagione più fredda era passata e comunque a Savannah non scendeva mai il gelo. Una camicia a quadri grigia e nera, jeans stretti, ballerine, giacchetta nera ed ero pronta.

Chiamai mio padre dicendogli che stavo arrivando, salutai mamma e presi Rain.

Entrai in auto e notai con soddisfazione che erano appena le nove e mezza. Era successo un miracolo! Stavo per partire quando mi ricordai improvvisamente di aver scordato di truccarmi, almeno una base per non sembrare cadaverica. Per fortuna portavo in borsa sempre lo stretto necessario, quindi tirai fuori la BB cream, blush color pesca e riposi tutto nella trousse. Al resto avrei pensato prima di vedere Edward.

Rain per tutto il viaggio scondinzolò felice dell'uscita mattutina dopo giorni chiuso in casa con me; per mostrare il suo entusiasmo vagò per l'auto senza fermarsi un attimo. Per fortuna almeno lui era contento, io stavo già sbadigliando dopo essermi abituata per una settimana a svegliarmi minimo alle dieci.

 

Bussai alla porta della nuova abitazione color mandarino, orribile, di mio padre e lo chiamai per palesare la mia presenza: «Papà!». Sentii un «arrivo» appena accennato. Dopo pochi secondi la porta di aprì e mi ritrovai stretta dalle braccia di Charlie. Erano giorni che non ci vedevamo, troppi visto com'eravamo abituati prima vivendo insieme.

«Amore, come stai? Sei un po' pallida». Grazie, papà, dopo che mi sono data da fare per evitare di mostrare il mio colorito post malattia.

«Mi sento molto meglio, papà». Mi trascinò in casa e slegai Rain che iniziò a girovagare qua e là nella casa a lui sconosciuta.

Il tavolo in cucina era già apparecchiato e ricco di brioches, pancakes e tortine alla frutta, le mie preferite. Ci accomodammo e iniziammo a mangiare in silenzio, ognuno perso nei suoi pensieri.

«Allora, come va con Edward? Ti tratta bene, il ragazzo?». L'ultima domanda suonò vagamente minacciosa, almeno alle mie orecchie. Risi sotto i baffi ricordando i velati avvertimenti che mio padre fece a Edward, pensando che solo il mio ragazzo era riuscito a capirli. Purtroppo per lui conoscevo troppo bene il suo lato di papà super protettivo.

«Mi vizia troppo. Penso proprio che se non inizierà a dirmi di no a qualcosa finirò per approfittarmene». Elogiare il proprio ragazzo davanti al proprio padre era sempre il miglior metodo per far accettare al papà l'uomo che era entrato nella vita della figlia. Ma con Charlie non funzionava proprio così.

«E gli converrà continuare così», borbottò a mezza voce. Risi e finì la mini brioche con crema pasticcera. Ne passai anche un piccolo pezzo a quel cucciolo che mi guardava con occhi tristi per farmi pena.

Parlammo ancora un po' della scuola e degli esami, finché non mi suonò il telefono.

«Pronto?», risposi senza neanche guardare di chi si trattava.

«Bella, amica ingrata!». Risi del suo tono scocciato.

«Ciao anche a te, Alice».

«Sei sparita! Hai abbandonato le tue amiche per... per mio fratello!». Edward la sentì e la sua frase rimbombò nel telefonino di Alice: «E che fratello! Ammettilo, sorellina».

«Salutalo!», esclamai subito.

«La tua ragazza, non più amica mia e di Rose, ti saluta con tanto di voce da angelo sceso dal cielo», urlò per farsi sentire dal fratello; sicuramente ognuno era nella propria camera, che erano adiacenti l'una all'altra.

«Mi stai dando dell'angelo caduto?», esclamai fintamente scioccata.

«Ah, magari trovare uno come Patch. Sai che fortuna?». Alice aveva del tutto evaso la mia domanda puntando sul protagonista della saga Hush Hush che avevamo letto sia io che Rose, sotto suggerimento di Alice. Edward domandò stranito: «Chi è Patch?».

Attesi la risposta di Alice: «Un angelo. Non puoi capire, Edward!». Dal suo tono di voce immaginai i suoi occhi luccicare come nei cartoni giapponesi.

Edward interpretò la frase di Alice come "un ragazzo magnifico esistente".

«Alice, non lo istigare, poi diventa matto per capire di chi parliamo».

«Questo è il bello», mi rispose Alice furbamente.

«Chissà che sarà mai 'sto qui», disse Edward irritato.

Non ce la feci più a trattenermi e risi a più non posso. A volte diventava sciocco a causa della sua gelosia, ma era una delle caratteristiche che più amavo di lui.

«Fratello, non capiresti neanche se te lo spiegassi e non ne ho neanche voglia. Se vuoi chiedi a Bella, lei ti darà una descrizione esaustiva di ogni sua piccola caratteristica, partendo con un “meraviglioso” per finire con “figo”». Alice si divertiva sempre a istigare la gelosia di Edward, ma in questo caso mi suonava più come una ripicca per averla leggermente esclusa negli ultimi giorni, vivendo nella bolla di sapone che comprendeva solo me e Edward... e Rain, ovvio.

«Alice, quando ti ci metti sei tremenda».

Lei rise e rispose un semplice «lo so, tesoro».

Edward iniziò a borbottare indispettito e geloso, mentre Alice lo zittiva con due parole.

«Comunque, Bella, ti ho chiamato perché vista la tua recente assenza in tutto ciò che facevamo da amiche, con Rose, sei obbligata stasera a venire con noi a ballare. Lo pretendo!». Non mi andava molto di andare in discoteca, preferivo di gran lunga serate più tranquille con Edward e miei amici, ma non potevo rifiutare ancora. Alice aveva ragione e volevo far capire loro che non avevo dimenticato le mie amicizie solo perché non ero più single, come spesso succedeva. Dovevano continuare a sapere che per loro c'ero sempre e non le avrei abbandonate mai e poi mai. L'amicizia era troppo importante, qualcosa da custodire con cura, un tipo di amore eterno e quasi sempre a lieto fine. Alice e Rose erano parte di me, esattamente come in Grey's Anatomy tra Meredhit e Christina.

«Okay», risposi concisa.

«Okay?», disse un'incredula Alice. «Ero certa di dover stare ore a convincerti, corromperti dicendo che sarebbero venuti anche i ragazzi!».

Non badai molto a quello che mi disse, la mia mente si fissò sul punto “vengono i ragazzi”.

«Quindi ci sarà anche Edward? Ha già detto di sì?».

«No, stava aspettando la tua decisione, sai com'è... ah, certo che lo sai, siete uguali», concluse sarcasticamente.

«Alice, non fare così! Sai benissimo che non sono il tipo che si scatena nei locali».

«Lo so, tesoro, ma stasera farai un eccezione e infiammerai la pista». Certo, lei mi prendeva in giro, ma in fondo sapevo che avrebbe provato a non farmi uscire dalla pista per almeno quattro ore.

«Devo andare, Aly, tra poco devo vedermi con tuo fratello. Ci sentiamo più tardi per organizzarci meglio. Un bacio».

Chiusi la telefonata subito dopo la sua conferma e mi voltai verso il salottino, dove mio padre stava guardando la replica di una partita di baseball.

 

Uscii da casa di Charlie alle undici e mezza e inviai un messaggio a Edward con il luogo dell'incontro:

 

Ci vediamo in piazza, vicino alla statua di John Wesley.

Mi manchi <3

 

La risposta di Edward non si fece attendere:

 

Okay, a tra poco.

Mi manchi anche tu, amore.

 

A volte mi rendevo conto che eravamo più dolci di una meringata, il ché era tutto dire. Ma ora andava bene così, essere dolci da diabete, romantici da far alzare un sopracciglio alle persone scettiche che sottovalutavano l'amore tra ragazzi. Andava bene a noi, ci faceva stare bene. Era questo che contava più di ogni altra cosa.

 

La piazza dove stavo aspettando Edward non era altro che un piccolo parco, con qualche panchina in pietra e un po' di verde disseminato intorno. Niente di entusiasmante e di solito era il posto giusto per incontrare tutte le pettegole della città.

Edward arrivò a manca dieci a mezzogiorno e subito Rain gli corse incontro come un bambino con il proprio padre. Edward prontamente lo prese in braccio e iniziò a coccolarlo, carezzando il suo pelo morbido e arruffato.

Mi alzai dalla panchina e feci una piccola corsetta verso di loro. Subito mi impossessai della bocca di Edward, baciando le sue labbra sottili e morbide. Lui approfondì il bacio passando il braccio libero dietro la mia schiena per avvicinarmi a lui.

«Un saluto caloroso», bisbigliò Edward sulle mie labbra dischiuse.

«Visto il ragazzo che mi ritrovo è tutto meritato», gli risposi con tanto di occhiolino.

Rise divertito per poi tornare subito serio. Posò Rain a terra e poi mi prese per mano. Iniziammo a camminare e lui espose il suo cruccio: «Bella, ma chi è Patch?».

Cercai di mostrarmi seria, ma dentro stavo morendo dal ridere. «Un ragazzo affascinante e con un caratterino niente male». Corrugò la fronte cercando di capire di chi si trattasse.

«L'ho mai incontrato per caso? Già dal nome è tutto un programma», disse scocciato.

«Impossibile, non lo ha mai visto nessuno realmente». Calcai sull'ultima parole per fargli capire che effettivamente non esisteva se non nella fantasia di noi lettrici fissate con la saga sugli angeli caduti.

Stette un po' in silenzio rimuginando sulle mie parole e infine esplose: «Tu ed Alice... Voi e la vostra fissazione per i protagonisti maschili! Mi avete fatto diventare matto per cercare di capire chi fosse!».

Risi tenendomi la pancia dai crampi. Non potevo credere ci fosse cascato con entrambi i piedi. Solitamente intuiva si trattasse di qualche libro letto ultimamente, eppure ogni volta io ed Alice ci divertivamo a prenderlo in giro. Più Alice che la sottoscritta.

«Andiamo, non te la prendere», riuscii a dire tra le risa.

«Devo imparare a non cadere nei vostri tranelli e non credere a tutte le vostre meravigliose descrizioni».

«Guarda che io ed Alice non mentivamo su quell'aspetto, se davvero esistesse...», sospirai estasiata ricordando Patch ed esagerai nell'esalazione dell'estasi per infastidirlo ancora.

«Certo, certo, come volete voi. Ma tu ammetterai che tra me e lui non c'è paragone!». Attraversammo la strada per uscire dal piccolo parco, camminando di fianco alle vetrine di negozi di ogni genere. Savannah non era la capitale della moda, ovvio, ma riuscivi comunque a trovare ogni cosa desiderassi.

«Non c'è neanche da chiederlo», confessai.

«Che ne dici di pranzare alla Pink House Restourant in Reynolds Square? È qui vicino e so che ti piace la loro cucina tipica della Georgia. Senza contare che sto morendo di fame».

Gli diedi un bacio sull'angolo della bocca, con un po' di fatica vista la differenza di altezza, e annuii in risposta. Era uno dei pochi locali dove i cani erano ben accetti, per questo mi andava ancora di più a genio.

 

Una volta seduti al tavolo la mia attenzione venne catturata dal menù in pelle rossa. Iniziai a leggere e indecisa mi torturai il labbro. Oltre ad essere specializzati in cucina tipica locale, servivano anche piatti italiani visto che la nonna del proprietario era di origini siciliane.

«Hai scelto?». Edward mi riscosse dai miei pensieri tormentati sulla cucina italiana. Alzai il viso dal menù e lo guardai scuotendo la testa.

«Tu?», gli chiesi conoscendo però la sua passione per la cucina italiana.

«Penne con salsa ai peperoni e prosciutto cotto», disse soddisfatto della sua scelta.

«Non li ho mai assaggiati». Lessi dal menù gli ingredienti e decisi che avrei imitato Edward. «Li prendo anch'io!».

«Secondo?», mi domandò nuovamente.

«Pollo al marsala con patatine fritte». E questa volta Edward non seguì il mio esempio e non mi imitò, preferendo una composizione di torte salate. Tanto sapevo benissimo che avremmo diviso tutto a metà, esattamente come facevamo per i dolci.

«Quindi stasera si va a ballare?».

«A quanto pare Alice ci ha incastrato». La mia smorfia dovette esprimere molto più delle mie semplici parole.

«Non sarà così male passare una serata insieme», cercò di convincermi.

«E tu perché hai accettato? Non ne vai matto, esattamente come me».

«Sei stata un ottimo incentivo quando Alice ha fatto la sua proposta».

«Allora mi sento lusingata». Mi piacevano questo momenti tra noi, semplici, fatti da flirt come due ragazzi appena conosciuti.

Non ebbe il tempo di rispondermi che arrivò una cameriera gentile e simpatica, che scherzò sul fatto che Rain stesse aspettando le sue ordinazioni. Rain doveva sempre farsi riconoscere e far pena anche quando non ce n'era bisogno, ma con quegli occhietti da angelo era impossibile ignorarlo.

Mentre Edward ordinava per entrambi mi incantai a guardare ogni suo più piccolo particolare, come capitava spesso. Dai suoi occhi, dalle sue labbra che si muovevano mentre parlava per finire con i due piccoli nei alla base del collo, che spesso finivo per baciare e ribaciare. Ogni suo più piccolo difetto mi sembrava la perfezione ed era questo l'amore: amare anche i difetti della persona al tuo fianco e saperli accettare. Troppo spesso le persone si lasciavano per qualche imperfezione, solo scusanti alla fine, e tutto perché al giorno d'oggi quasi nessuno sapeva amare senza risorse, saper condividere ogni cosa e riuscire a trovare un punto d'incontro. La via più facile era sempre accantonare i problemi o mollare prima del dovuto.

Edward schioccò le dita davanti ai miei occhi per farmi tornare alla realtà che mi circondava.

«Dicevamo?», riprese bevendo un sorso di acqua.

«Della discoteca e degli imbrogli di tua sorella», gli ricordai.

«Ah, sì, giusto. Sono più sereno sapendo che ci siamo anche noi con voi ragazze».

Alzai un sopracciglio scettica. «Ovvero...», lasciai la frase in sospeso apposta.

«E va bene... Ovvero che sarò lì a controllarti». Strinsi gli occhi a due fessure quasi invisibili.

«Non ti fidi di me!». La mia irritazione stava salendo di molti gradi.

«No! No, Bella, non pensarlo neanche! Io non mi fido degli altri! So come sono fatti i ragazzi, troppo bene, alcuni non si fanno scrupoli a insistere con delle ragazze anche se dicono no o lasciar perdere in partenza quando non viene rivolta a loro neanche un'occhiata».

«Ciò non toglie che non ti fidi di me. Saprei benissimo respingere un ragazzo!».

«So che non capiterebbe nulla. Dannazione se lo so! Ma solo il pensiero che qualcuno ci provi con te, che si avvicini senza che io sia presente mi manda in bestia». Si passò una mano tra i capelli stringendo alcune ciocche disperato.

Gli presi una mano per fargli alzare gli occhi e guardarmi: «Non sarei comunque andata senza di te». Ciò non significava che senza il mio ragazzo non mi sarei mossa di casa, semplicemente non mi importava andare in giro per locali senza di lui.

Il nostro attimo intimo fu interrotto ancora una volta dalla cameriera che ci portò sia i primi che i secondi. Già che c'era poteva portare pure il dolce, pensai sarcasticamente.

Il primo lo divorammo nel giro di qualche minuto, affamati e presi di gusto dal nuovo piatto. Il secondo, come previsto, lo dividemmo, imboccandoci un po' l'un l'altro.

«Questa ti piace di sicuro: frittata di zucca», mi disse Edward avvicinando la forchetta alla mia bocca. Masticai il boccone e sentii il gusto dolce, ma non troppo, della zucca e feci l'okay a Edward con il pollice, in segno di apprezzamento.

«Sì, ma quella con le zucchine e i peperoni rimane la mia preferita. Senti il pollo col burro» e a mia volta avvicinai il boccone alle sue labbra.

Il secondo fu terminato con più calma e dopo una decina di minuti venne un cameriere per i dolci. Non avevo scelto nulla, mi sarei affidata a Edward.

«Pudding col cioccolato al latte e un tiramisù». Mi guardò per una conferma e io sorrisi.

Il dolce fu speciale come il resto dei piatti, anzi forse ancora di più. Il pudding aveva un cuore di cioccolato sciolto che fuoriusciva appena lo tagliavi. Il tiramisù, invece, aveva una crema soffice e perfetta che mi fece venir voglia di mangiarne altre tre porzioni.

Alla fine Edward non volle sentire ragioni e come sempre pagò il pranzo, mentre io aspettavo fuori con Rain che stranamente era stato un angelo per tutta l'ora.

Nel frattempo mi squillò il telefono e stranita lo presi dalla tasca per vedere chi era: Mamma.

«Pronto, mamma!».

«Ciao tesoro. Hai pranzato? Io sono ancora al lavoro e volevo dirti che stasera non ci sarò, ho trovato un'offerta sui voli e vado a Logan, a trovare i tuoi nonni».

«Oh, okay. Quando rientri?», domandai perplessa. Quel viaggio improvvisato mi sembrava alquanto strano.

«Rientro lunedì mattina, tanto al lavoro ho il turno di pomeriggio. Non ti dispiace stare da sola? Altrimenti puoi andare da tuo padre, ne sarà contento». Charlie sarebbe stato entusiasta, ma io avevo ben altri programmi.

«Mamma, ti dispiacerebbe se invitassi Edward da noi?», chiesi nervosa. I genitori non erano mai felici di lasciarti passare il weekend da sola, in casa, con il tuo ragazzo. Eppure sapevano benissimo che era una precauzione inutile. Diciamoci pure la verità, se volevamo stare insieme intimamente una proibizione non sarebbe servita mai a nulla.

«No, fai pure, Bella».

«A che ora parti?».

«Tra tre ore, non penso ci vedremo, tesoro. Fai la brava, ci sentiamo appena arrivo a Logan».

«Certo, a più tardi. Buon viaggio».

Chiusi la chiamata ancora più stranita, ma accantonai tutto elettrizzata di passare due giorni interi con Edward.

Uscì dal ristorante e dal mio sorriso enorme intuì avessi ricevuto qualche buona notizia, avendo ancora il cellulare in mano.

«Renèe va a Logan e torna lunedì, quindi potresti venire da me in questi giorni!».

Edward mi sorrise di rimando e annuì immediatamente. «Era da capodanno che aspettavo di passare qualche giorno con te, solo noi due».

Si avvicinò ulteriormente, eliminando i due passi che ci dividevano, per prendere il mio viso tra le mani e baciarmi come non aveva ancora fatto in quella mattinata.

Sentii l'eccitazione correre sulla nostra pelle a contatto, come una scarica elettrica. I nostri profumi si mischiarono, come le nostre lingue. Lo afferrai per il colletto della giacca per avvicinarlo in un modo impossibile.

«Sarò un weekend fantastico», affermò Edward tenendomi stretta al suo fianco e avanzando tra i ciottoli della stradina che portava fuori dalla Pink House.

«Andiamo al Corner Book Store? Voglio vedere se è arrivato qualcosa di nuovo». Il negozio si trovava lungo la via del ristorante, quindi era di strada in tutti i casi. Non trovare scusa, Bella!

«Tradotto nella tua lingua significa: “voglio vedere se c'è qualcosa da comprare”».

«Antipatico», sbuffai avanzando verso il mio paradiso personale, dopo Edward.

Edward prese Rain in braccio per evitare che combinasse qualche guaio tra i libri, visto che a casa me ne aveva rosicchiati già due.

Nella sezione novità c'era qualsiasi genere narrativo. Nella mischia vidi un libro con una copertina semplice, recava una sola scritta: College americani. Le ampie scelte.

Non so se quel momento lo presi come un segno del destino o come una spinta per parlarne con Edward, fatto sta che lo riposi subito a posto senza farmi vedere e cambiai corsia di libri con lui al seguito.

Per tutto il tempo in cui restammo in libreria rimasi distratta. Edward cercava di coinvolgermi, farmi leggere nuove trame di libri che scovava qua e là, ma io non gli prestai la dovuta attenzione. Per la prima volta da che ho memoria, uscii dalla libreria senza neanche un misero libro in mano.

Edward mi guardò stranito, confuso dal mio comportamento anomalo. Feci finta di nulla e continuammo a camminare chiaccherando del più e del meno, finché il mio cellulare non vibrò nella tasca della giacca. Lo tirai fuori per leggere il mittente e il messaggio.

 

Prima tappa: The Six Pence

Seconda tappa: Riverboat

Ci vediamo alle ventuno di fronte al pub.

Puntuali, ricordalo a mio fratello! Non perdetevi in smancerie. La notte è nostraaaa *-*

Alice :*

 

Alice era davvero pazza e dopo aver letto il messaggio ne ero sempre più convinta.

«È tua sorella, dice di vederci alle nove al The Six Pence, poi andremo al Riverboat», comunicai a Edward rimettendo il cellulare nel taschino.

Sbuffò e alzò gli occhi al cielo: «Non poteva scegliere una discoteca più... tranquilla?!».

«Perché», iniziai, «ne esiste davvero una?».

Fece una smorfia in risposta senza commentare. La questione era indigesta ad entrambi, ma avremmo passato una bella serata con i nostri amici e solo questo contava.

«Che ne dici di passare a prendere la mia roba da casa mia?», mi domandò Edward tirando leggermente la mia mano come per richiamare la mia attenzione. Ero parecchio distratta, lo ammettevo, non mi ero neanche resa conto che fossimo arrivati vicino alle nostre auto.

«Sì, sì, ma io prima devo lasciare la macchina a casa». Era inutile girare con due auto.

«Ti vengo dietro», rispose per poi darmi un bacio e aprirmi la portiera dell'auto, precedentemente sbloccata dalla sottoscritta.

 

A casa Cullen prendemmo tutto il necessario, compresi i libri per lunedì, visto che si sarebbe fermato anche domenica sera.

Esme non fece storie e lasciò andare il figlio volentieri. Notavo quanto amasse Edward, come se fosse suo figlio al cento per cento e, sì, alla fine era proprio così. Contava chi cresceva un figlio, chi gli dava amore, quello era il vero genitore. Anche se in questo caso le cose erano più complesse, Elizabeth, la madre biologica di Edward, non lo aveva lasciato per una sua scelta.

Il viaggio di ritorno in macchina fu silenzioso quanto l'andata, la musica diffusa dalla radio copriva quel senso di disagio che entrambi sentivamo. Dal mio canto si trattava del tarlo del college, impossibile da dimenticare, ed ero troppo codarda per tirare fuori l'argomento. Nel caso di Edward, invece, sicuramente era una conseguenza del mio comportamento immotivato.

Davanti a casa mia aprii la porta con la testa bassa e appena lui la richiuse alle nostre spalle sospirò pesantemente, chiaro segno che stava per esprimere il suo sconcerto.

«Bella, cosa c'è che non va? Ho detto o fatto qualcosa che ti ha infastidita?», mi chiese disperato. Scossi il capo sorridendo tristemente e lo presi per mano, portandolo sul divano.

«In libreria... ho visto un libro...», buttai lì torturando le dita della sua mano destra; continuavo a toccarle, intrecciarle con le mie, giocare con l'indice come i bambini.

«Lo so, ho visto che l'hai posato subito». Alzai di scatto la testa sgranando gli occhi ed esalai un semplice «ah». Quindi non ero stata molto discreta. Sai che novità, commentò una vocina malefica.

«Amore, il problema è questo? Il college?», chiese per avere una conferma. Annuii senza dire nulla. Iniziò a ridermi in faccia e mi offesi per quanto prese poco seriamente la questione.

Mollai la sua mano di scatto e mi allontanai mettendo poca distanza tra noi. Rain abbaiò in cerca di attenzioni, ma non ero in vena neanche di dargli una semplice carezza.

Edward notò il mio disappunto e smise di colpo di ridere. Riprese una mia mano tra le sue e, anche se cercai di ritirarla, vinse la sua forza maschile. Maledetti maschi e la loro forza. Dovevo iniziare a bere uova crude.

«Amore, amore, amore, ma non ricordi il discorso che abbiamo fatto mesi fa a casa Hale?».

«No», sussurrai paurosa della risposta.

«Allora te lo ripeto: non ho preferenze di college, non me ne può fregar di meno dove studierò, l'importante è che ci sia il corso di laurea che intendo seguire».

«Tu... davvero?», domandai incredula.

«Assolutamente». Sorrise in quel suo modo speciale e io non ce la feci a resistergli, gli saltai addosso spingendolo di schiena sul divano. Gli baciai tutto il viso sotto le sue proteste, molto deboli.

In quel momento mi resi conto che tutte le mie assurdità erano, appunto, tali: assurde. Mi ero fatta mille viaggi in cui prevedevo un distacco totale da lui, lo sgretolamento del nostro rapporto e, invece, il problema non esisteva. Avremo fatto lo stesso college, saremo stati insieme.

La mia felicità non poteva essere contenuta, in quel momento. Fummo presi dalla passione, dal desiderio di dimostrare quanto eravamo uniti e più contenti che mai. Un altro cruccio si era infranto senza troppe cerimonie.

La mia maglia volò per la stanza e seguì subito la sua. Edward si tirò su a sedere con me a cavalcioni. Torturai i suoi capelli, le sue labbra e lui non fu da meno: il mio collo diventò una cosa sola con la sua bocca, poi con la sua mano. I mie capelli seguirono il suo esempio, attorcigliati alle sue lunghe dita da pianista.

Togliere i pantaloni fu un po' troppo complicato per entrambi, tanto che alla fine lui fu costretto ad alzare entrambi, per poi ricadere all'indietro, ma questa volta con lui sopra di me.

Ben presto non ci furono più risate, ma solo parole sussurrate per non spezzare la magia del momento.

Segnai la schiena di Edward con le mie unghie, mi aggrappai a lui con tutte le mie forze. Sentivo il bisogno di essere una cosa sola con lui, di condividere in quel momento ogni cosa.

Mi avvicinò a lui posizionando un braccio dietro il mio bacino e poi, finalmente, stremati ci lasciammo andare.

 

Rilassata me ne stavo sopra di lui, con la testa incastrata tra il suo collo e la sua scapola. Accarezzavo il suo petto ricoperto da un leggero strato di peli biondi, rilassata, come se fossi in un'altra dimensione.

«Perché non mi hai detto subito qual era il problema, Bella?».

Ad occhi chiusi, ancora in fase di trance, risposi: «Non volevo rovinare la serata a nessuno, intristendo entrambi nel caso le nostre scelte fossero state diverse. E tu perché non ne ha fatto parola?».

«Non pensavo fosse il college, il problema. Credevo fosse ovvio che ti avrei seguito ovunque, visto che non ho preferenze».

«Neanch'io ne ho, non mi sono mai posta il problema. Certo, ci sono alcuni campus che attirano la mia attenzione, ma non è importante dove studiare, purché sia felice».

«Allora sceglieremo insieme un luogo che vada bene ad entrambi».

«È anche per questo che ti amo», confessai lasciandogli un bacio sul collo.

«Io, invece, ti amo a prescindere da tutto», bisbigliò al mio orecchio, stringendomi ancora di più a sé.

Fu facile addormentarmi tra le sue braccia, cullata dal suo respiro regolare e dal battito del suo cuore. Quando mi svegliai era sera, alzai lo sguardo verso la televisione per vedere l'ora e notai che erano già le sette e mezza. Avevo meno di un'ora e mezza per prepararmi!

«Edward», lo chiamai notando fosse già sveglio.

«Ehi, dormigliona», disse dolcemente. Lasciò un leggero bacio sulle mie labbra e si tirò su con me addosso.

«Potevi anche svegliarmi», mi lamentai sbadigliando.

«Così stasera saresti crollata a mezzanotte», mi prese in giro. Gli feci una linguaccia e mi alzai in piedi.

«Andiamo a fare la doccia». Al mio invito Edward mi guardò malizioso e intuì i suoi pensieri. «Non ci pensare neanche, se arriviamo in ritardo Alice tira giù tutti i santi!».

Alzò le mani in segno di resa: «Come vuoi, mi rifarò più tardi» e mi schiacciò l'occhiolino con quei fantastici occhi verdi.

 

Alle otto e mezza eravamo stranamente già pronti per uscire. Edward indossava dei semplici jeans con una camicia nera e sopra una giacca di pelle, mentre io avevo optato per un paio di stivali in pelle, alti e un vestito nero con una cintura dorata in vita, e sopra ci avevo abbinato una delle mie solite giacchette nere con dei risvolti in pelle.

«Oddio, Edward, guarda che occhi da cucciolo che fa! Non lo abbiamo mai lasciato solo per così tante ore!». Ero accovacciata vicino al divano, dove sostava un Rain addolorato per la nostra uscita senza di lui. Solitamente in casa c'era sempre qualcuno e massimo stava due ore da solo.

«Andiamo, Bella, farà un po' di guardia, mica spariamo per un giorno intero!». Cercava solo di farmi ragione.

«È che... Okay, va bene. Rain, mamma e papà arrivano presto, fai il bravo, amore». Diedi un'ultima arruffata al suo pelo e uscimmo di casa.

«Visto che non era così difficile?».

«Se lo dici tu», borbottai contrariata.

«Perché, preferivi portarlo dai miei genitori?». Inizialmente non avevo compreso il suo tono ironico.

«Questa sì che è una buona idea!», esclamai contenta già pronta a tornare in casa.

«Bella, stavo scherzando!», confessò prendendomi in giro.

«Che simpatico!».

Il nostro siparietto si concluse arrivati al pub. Il The Six Pence era un tipico pub inglese, con all'esterno l'accogliente cabina rossa tipica dell'Inghilterra. Adoravo quel posto solo per l'atmosfera così calda e londinese. Infatti non a caso all'esterno era appesa una bandiera inglese che sventolava fiera nella notte.

Fuori dal locale c'erano già le due coppiette ad aspettarci. Erano tutti bellissimi. Emmett e Jasper erano più o meno vestiti come Edward, togliendo la giacca di pelle, mentre Alice e Rose erano l'uno opposta all'altra e, quindi, inevitabilmente, anche a me.

Alice indossava dei pantaloncini con dei brillantini che luccicavano nella notte, intonati al top e a delle decoltè blu. Rose, invece, aveva una gonna stretta a vita alta, con una canotta floreale dai toni rossi e argentati, il tutto completato con stivaletti rossi.

Erano bellissime e Jazz ed Emm lo sapevano molto bene da come se le tenevano strette, un po' come faceva Edward in quel preciso istante.

«Alice, Rose!», le chiamai a gran voce staccandomi da Edward per abbracciarle.

«Bella!», urlarono stritolandomi insieme. Noi donne eravamo sempre così, ci sprecavamo in convenevoli, baci e abbracci, mentre agli uomini bastava una stretta di mano, una pacca sulla spalla o un semplice saluto con tanto di soprannome.

«Ehi, Bellina, ti vedo sciupata, mio fratello ti consuma troppo?», disse Emmett per poi mettersi a ridere da solo.

Lo fulminai con lo sguardo, accompagnata da Edward che gli tirò un pugno scherzoso su un braccio. «In realtà avevo l'influenza».

«Se, se, tutte scuse per restare a casa con il mio fratellino» e ammiccò. Sorrisi esasperata, con lui non vincevi mai.

«Non starlo a sentire, Bella, la malattia ti dona», cercò di consolarmi Jasper senza riuscirci poi molto.

«Meglio entrare!». Alice richiamò tutti all'ordine e da bravi soldatini facemmo il nostro ingresso al TSP.

Era impossibile trovare il pub mezzo vuoto in qualunque serata, figuriamoci al sabato. Aspettammo che un gruppo se ne andasse, dopodiché prendemmo posto in un tavolo vicino alle vetrate, dove si poteva osservare la strada piena di gente. Era una delle vie più trafficate, sempre colma di vita.

«Da quanto non passiamo una serata simile? Manco la ricordo più». Emmett aveva ragione e un po' era stata colpa mia e di Edward, della nostra voglia di starcene per i fatti nostri nelle serate di fine settimana.

«Mmh, la serata al cinema? Forse», suggerì Rose al suo ragazzo.

«E quella la chiami uscita simile a questa? Nah, stasera ci si diverte!».

«Ben detto, fratello!», gli diede manforte Alice.

«Gli unici prevenuti siamo noi», dissi a Edward. Lui alzò le spalle e intrecciò le nostre mani sotto il tavolo.

«Probabilmente il Riverboat sarà pienissimo, ci sono degli universitari argentini in erasmus presso l'università della città. E si sa cosa dicono dei ragazzi argentini...», buttò lì Rose.

«No, cosa?», chiese Jazz ingenuo. Noi ragazze cercammo di trattenere i sorrisi che stavano nascendo spontanei sulle nostre labbra.

«Caliente», suggerì Alice.

«Con le single», cercò di confermare Edward.

«No, amore, con tutti», lo stuzzicai.

«Direi proprio di no!». Emmett iniziava a riscaldarsi. Era nota a tutti la sua gelosia sopra le righe. Be', certo, con una come Rose al proprio fianco non si poteva fare a meno di esserlo.

«Oh, ne prevedo delle belle», urlò Alice ridendo come una pazza.

E, infatti, le previsioni di Alice si rivelarono fondate. Entrati nel locale decidemmo di prendere il tavolo per posare le giacche e avere un posto dove sederci in mezzo a quella folla scatenata. La musica assordante iniziò a rimbombare nella mia cassa toracica e le luci blu e viola vorticavano per la sala, lasciando spazi di penombra e altri di piena luce.

«Andiamo a ballare!», gridò Rose per farsi sentire sopra le note di Fun, We are young.

Mi voltai verso Edward, ma si era già seduto con Jazz ed Emm, quindi mi attaccai alla mano di Rose, già attaccata ad Alice, per non perderci nella folla, e avanzammo verso la pista, scontrandoci con ragazzi scatenati che muovevano le braccia come impazziti.

«Non riesco a capire quali sono gli argentini», gridò Alice nelle nostre orecchie.

«Non ne ho idea, ma... penso lo scopriremo presto!». Guardammo Rose dubbiose fino a quando non capimmo appieno le sue parole: due ragazzi si stavano avvicinando a noi ballando. Ci allontanammo leggermente da loro, iniziando a ballare fra noi, formando un cerchio ristretto. Loro non si diedero per vinti e cercarono di ballare con noi, finché Rose non si infuriò con lo sconosciuto dai capelli neri che appoggiò le mani sulle sue braccia. Rose le scansò per poi urlargli in faccio un «no» che ancora risuonava nelle mie orecchie.

I ragazzi riprovarono a parlare con Rose, la quale scosse la testa non rivelando il suo nome, al ché uno provò la sua ultima chance tirando fuori un preservativo e facendo schifare tutte e tre per la volgarità. Dalle nostre facce capirono che non avevano possibilità e se ne andarono a scocciare altre ragazze di fianco a noi. Le compativo.

I ragazzi sapevano essere così insistenti da risultare fastidiosi e invadenti come mosche.

Dopo tre balli, sentii qualcuno afferrarmi da dietro. Riconobbi subito quelle mani che solo poche ore prima erano sul mio corpo, sotto strati e strati di vestiti; mi voltai e incontrai il viso di Edward chinato su di me.

«Finalmente ti sei deciso», urlai al suo orecchio.

«Non potevo di certo lasciarti in mezzo a questo branco di ragazzi in cerca di compagnia. Purtroppo conosco il sesso maschile meglio di voi e proprio per questo non mi fido!».

Voltai leggermente il viso e notai Alice e Rose ballare con i rispettivi ragazzi, a poca distanza da noi.

Continuai a muovermi insieme a Edward, che di sicuro era un ballerino migliore di me e poi diciamoci pure la verità: per i maschi era più facile, non dovevano fare grandi mosse, bastava si muovessero un po', mentre noi ragazze se ci muovevamo con determinate mosse potevamo risultare volgari, come tante altre in pista che sembrava volessero fare degli spogliarelli.

Dietro a Edward una coppia stava ballando e sembrava che da un momento all'altro si dovessero strappare i vestiti di dosso. Probabilmente agli occhi degli altri anche noi potevamo dare la stessa impressione, ma ai nostri occhi eravamo solo dei ragazzi che ballavano, con i corpi stretti tra loro e gli sguardi intrecciati che comunicavano tutta la passione e l'eccitazione del momento, e, anche se la voglia di far sparire i vestiti esisteva, rimanevano al loro posto, senza alzate provocanti di magliette come troppo spesso accadeva nelle piste da ballo. Quindi tutto era molto soggettivo per sprecarsi in giudizi.

Edward mi afferrò la mano facendomi voltare e appoggiare la schiena contro il suo petto. Ci muovevamo in modo sincronizzato, con i bacini che si scontravano e le mani intrecciate sulla mia pancia. Questi erano i momenti perfetti, quelli da custodire per sempre nel nostro cuore per ricordarli nei giorni più bui: sapere di avere avuto attimi che valgono la pena essere ricordati per tutta la vita, attimi di totale sintonia dove tutto il resto scompariva e rimanevamo solo noi due, circondati dal nostro amore.

Dopo altri due balli, impegnati per lo più a baciarci muovendoci al ritmo della musica, ci ritrovammo entrambi con il fiatone e i miei piedi iniziavano a chiedere pietà per il tacco tredici in cui li avevo costretti.

«Vado a prendere qualcosa da bere», gridò Edward a me e agli altri. Jasper ed Emmett si aggregarono a lui, mentre noi ragazze andammo a sederci al tavolo.

«Stanotte è davvero impossibile ballare in pista, troppa gente e ogni tre per due ti ritrovi spintonata o con qualche cretino che ti pesta i piedi», si infervorò Alice. Essendo anche la più piccola delle tre come statura, era più facile che non venisse vista e gli capitasse qualche gomitata puntata nella schiena.

«Giuro che se torno in pista e mi ritrovo quella con quel vestitino leopardato terribile di nuovo dietro di me, la uccido! Ogni punto in cui ci spostavamo io ed Emmett c'era anche lei!», le diede man forte Rosalie.

L'unica che non aveva fatto caso a nulla ero io?!

«Dai, pensavo fosse peggio, invece mi sto divertendo!», dissi ad entrambe.

«Solo perché non riuscite a staccarvi un attimo, peggio di due cozze allo scoglio», borbottò Alice in riferimento a me ed Edward.

Stavo per ribattere quando qualcuno picchiettò sulla mia spalla. Mi voltai e di fronte a me sostava un ragazzo alto, capelli scuri e vestito in modo casual. Lo fissai scocciata per essere stata disturbata.

«Ciao, lo vedi quel ragazzo seduto a quel tavolo?», colui che stava parlando mi indicò un ragazzo dai capelli ricci seduto da solo che si guardava intorno.

«Sì», risposi stranita.

«Vedi, so che è brutto, ma ha un bel sorriso», iniziò per poi urlare al suo amico un «sorridi, Dan!». Dopodiché riprese a prestarmi la sua attenzione non desiderata: «E le stiamo cercando una ragazza».

La mia irritazione per il modo in cui descrisse un suo amico mi indispose verso di lui in maniera irrecuperabile.

«Di certo me no. Gira che qualcuna la trovi» e mi rigirai a parlare con Rose ed Alice che guardavano il nuovo arrivato come uno strano soggetto a tre teste.

«Ma dai, almeno fammi un sorriso!», ritentò con quel suo tono da saputello arrogante.

Questa volta mi girai con gli occhi che lanciavano saette e in maniera maleducata risposi: «ARIA!».

«Mio dio, che antipatica. Magari le tue amiche sono interessate». Non si diede per vinto.

«Senti, siamo tutte fidanzate quindi gira al largo!», dissi per l'ultima volta. Dietro di lui vidi arrivare i nostri ragazzi con una faccia abbastanza incazzata, in particolare Edward che velocizzò il passo.

«C'è qualche problema?». Il suo tono era aggressivo, mai lo avevo sentito rivolgersi a qualcuno in quel modo.

Il ragazzo lo guardò e notò dietro di lui Jasper e soprattutto Emmett, o per meglio dire la sua stazza.

«No, se ne stava tornando dai suoi amici», risposi al posto del ragazzo guardandolo intensamente per fargli capire di levare le tende. Il ragazzo senza nome nel giro di qualche secondo era già scomparso, dimenticandosi anche del suo amico al tavolo da solo che lo aspettava.

«Non posso proprio allontanarmi, eh», disse Edward irritato passandomi la bevanda, un analcolico. Ero sempre stata astemia.

«Tra poco ce ne torniamo a casa», gli sussurrai maliziosa avvicinandomi a lui.

«Ecco, questo programma mi piace di più. Andiamo?». Felice si alzò in piedi pronto ad uscire dal locale.

«Dove vorresti andare, fratello?», pronunciò Alice con voce minacciosa.

«Ehm... Bella è molto stanca, è la prima sera che esce dopo una settimana di febbre alta...», cercò di giustificarsi Edward, senza riuscirci un granché.

Io feci finta di mostrarmi d'accordo con Edward con un colpo di tosse finto. «Effettivamente non vorrei mi tornasse mal di gola».

«Faremo finta di crederci», ammiccò Emmett al fratello.

«Allora un ultimo ballo tra donne e poi ti lasciamo andare», mi ricattò Rosalie.

«Ma io devo andare al bagno», si lamentò Alice.

«Bene, facciamo due tappe, voi aspettateci qui», si rivolse infine ai ragazzi.

Loro annuirono e noi ci dirigemmo verso il bagno delle donne. Appena entrammo nel corridoio che conduceva ai bagni, notammo la coda infinita per entrare.

Per fortuna Alice doveva solo ritoccarsi un po' il trucco, sbavato leggermente agli angoli degli occhi, quindi ci mettemmo davanti agli specchi e intanto parlammo.

«Martedì ho un incontro per il corso alla casa di moda di cui vi parlavo», annunciò Alice facendoci pronunciare gridi di gioia. Finalmente aveva l'opportunità di far conoscere la sua creatività a qualcuno che poteva aiutarla nel suo sogno.

«Sì, ma... se mi prenderanno dovrò iniziare quest'estate e, se fino a settembre andrà tutto bene, mi prenderanno fissa nel settore design». Il suo tono triste non combaciava con la notizia stupenda che ci stava dando. Era sempre stato il suo sogno, non era interessata all'università, voleva solo creare ciò che da anni le passava per la mente. E di certo solo perché facevi l'università non significava che era intelligente o chissà chi, c'erano grandi personaggi che erano riusciti a realizzarsi senza bisogno di un foglio di carta e Steve Jobs era uno di quelli.

«Alice, dov'è il problema?», chiesi.

«Jasper vuole studiare economia e probabilmente non farà l'università a Savannah». I suoi occhi divennero subito lucidi al pensiero di doversi separare da Jazz dopo sei anni di relazione in cui erano sempre stati insieme, nonostante alti e bassi.

«Questo non significa che il vostro rapporto sia destinato a finire». Rose aveva ragione, ma capivo Alice perché quel pomeriggio avevo avuto le sue stesse paure ed era stato tremendo pensare di non poter avere accanto Edward in ogni momento.

«Dovresti parlarne con Jazz, è lo stesso problema che abbiamo affrontato oggi io e tuo fratello. Anch'io avevo i tuoi stessi timori e mi sentivo soffocare». Alice tirò su col naso e annuì non del tutto convinta dalle mie parole.

«Cosa avete deciso?». Mi dispiaceva risponderle ora, di certo lo avrebbe saputo comunque prima o poi, ma in un momento in cui si sentiva così fragile mi sembrava di cattivo gusto sbattergli in faccia la mia felicità. Sorrisi per farle capire che avevamo risolto e lei non chiese nulla: aveva già capito tutto.

«E voi, Rose?», volle sapere Alice.

«Non abbiamo ancora affrontato il discorso, ma sono fiduciosa, Emmett non desidera nessun college in particolare».

Alice aggrottò la fronte e disse quelle semplici parole che sgretolarono le convinzioni di Rose: «Ha sempre detto di non volersi allontanare da qui».

«Oh, non... non è un problema». Rose cercò di nascondere il suo turbamento, ma non ci riuscì con noi che la conoscevamo così bene. Lei desiderava allontanarsi da Savannah, le era sempre stata stretta e sicuramente non avrebbe scelto un college a due chilometri da casa.

«Non roviniamoci la serata, andiamo a fare l'ultimo ballo!». Le trascinai in pista, ma entrambe avevano la testa da un'altra parte. Sperai per loro che risolvessero presto, restare con i dubbi e i timori di perdere qualcuno che si amava con tutto il cuore ti straziava, dilaniava ogni tua certezza e consumava la relazione prima del tempo.

E la serata non poteva non concludersi con l'ultimo ragazzo argentino che cercava di fare colpo. Le mie amiche non lo calcolarono proprio e anch'io cercai di fare del mio meglio, ma vista l'allegria che sprizzavo da tutti i pori all'idea di stare due giorni interi con Edward, il ragazzo mi fraintese.

«Stai bene?», urlò in un angloamericano stentato. Scossi la testa non capendo subito la domanda. «Non stai bene?!», mi richiese sconvolto.

«Ah, sì, tutto bene!», cercai di non mostrarmi acida come lo ero stata in tutta la serata con gli sconosciuti.

Lui se ne approfittò e cerco di ballare, infilandosi tra me ed Alice.

«Sono fidanzata!», gli urlai in un orecchio per farmi sentire bene.

«Com'è che a Savannah siete tutte fidanzate?!», si irritò.

Alzai le spalle. «Eh, sì».

«Mi sa tanto di bugia, comunque okay, ciao!» e se ne andò nero dalla rabbia. Almeno aveva capito l'antifona.

Finita la canzone tornammo al tavolo e dopo i saluti, un «ci sentiamo domani», io ed Edward eravamo pronti per uscire dal locale.

«Finalmente, non ce la facevo più!». Come ti capisco, amore.

«Le mie orecchie continuano a fischiare», mi lamentai massaggiandole.

«Andiamo a casa», mi disse stringendomi al suo fianco e passando un braccio intorno alla mia vita. Mi appoggiai a lui stanca e mi lasciai trascinare.

Il percorso in macchina fu breve e in men che non si dica fummo a letto, stravolti dalla lunga serata.

«Alice è preoccupata che il suo rapporto con Jasper sia in pericolo, sai l'università...», buttai lì prima di addormentarmi.

«Lo so, amore, spero risolvano presto, mi dispiace vedere mia sorella così triste, non è da lei».

«Sono contenta che noi non abbiamo questo problema», sussurrai sentendo le palpebre sempre più pesanti.

«Noi ci ritroveremo sempre, risolveremo tutto, qualsiasi cosa ci intralcerà non causerà mai danni permanenti. Ti amo troppo per far sì che questo succeda». Delle lacrime di felicità scesero dai miei occhi chiusi e a tentoni cercai la sua mano stringendola forte.

«Sempre. Ti amo». In risposta il suo bacio appena accennato mi accompagnò nel mondo dei sogni, stretta a lui e con il suo sapore sulle labbra.

 

 

 

Miei cari, eccomi (cori di noooo, che sfigaaa)! Sono tornata con un ritardo di... mmh, non contiamo i giorni okay? Diciamo due settimane, datemele per buone xD

Questo è uno dei capitoli più lunghi che io abbia mai scritto, ben quindici pagine con qualche accortezza da parte mia per non farle diventare venti xD Spero così non vi annoi, ho cercato di renderlo un po' più divertente rispetto al solito, non so se ci sono riuscita ç.ç Comunque, passo a fare due commenti sul capitolo:

  1. Il problema dell'università è stato risolto solo per Edward e Bella, Alice e Jazz, come Rose ed Emm, devono ancora affrontare il problema, ma avverto già da ora che non ci sarà nessun capitolo interamente dedicato a loro, se ne parlerà nel prossimo capitolo sempre con protagonisti Ed e Bella.

  2. Tutti i riferimenti ai locali, alle strade, ai parchi di Savannah, sono reali, non ho inventato nulla. E' più di un anno, da quando ho iniziato la storia che mi documento per non scrivere cavolate colossali xD

  3. Patch è il protagonista di una saga della Fitzpatrick che vi consiglio vivamente. Non potete non adorarlo!

  4. La serata in discoteca mi è venuta in mente sabato scorso, mentre anch'io mi davo alla pazza gioia e mentre mi capitavano delle scene a dir poco imbarazzanti, ho pensato “Questo devo assolutamente scriverlo nel capitolo!”. Non penso di essere normale xD Infatti, tutte le scene descritte nella parte finale del capitolo, riguardanti la discoteca, sono verissime, compresi i ragazzi in erasmus xD Solo che io non avevo un Edward Cullen al mio fianco (ç_______ç), eravamo tutte donne ù.ù

Spero il capitolo vi sia piaciuto, di risentirvi presto tutte e ringrazio come sempre chi mi segue, legge 'ste schifezze e chi mi lascia un commentino. Grazie davvero, ragazze!

La storia sta giungendo al termine, i capitoli si accorciano e ora siamo a quota – 2, so che avevo detto 5 o 6 il capitolo scorso, ma ho tagliato delle parti visto che i prossimi capitoli saranno corposi quanto questo. Ho stravolto la mia idea iniziale per quanto riguarda gli ultimi capitoli, lo ammetto, ma non disperate, sono per il lieto fine!

Ho già in mente altre trame da sviluppare e qualcosa di già pronto da postare, ma mi rifiuto finché non finisco almeno una delle due long che ho in corso (probabilmente non frega nulla a nessuno, ma mentre sto scrivendo queste note sono in modalità logorroica ahah xD).

Prossimo capitolo arriverà a breve, massimo due settimane! Vi ricordo il gruppo per gli spoiler e molto altro!

 

Chi sta seguendo la promozione di BD II? Avete visto quanto sono belli? *-* Kris sta spaccando di brutto *-*

Quanti di voi hanno già prenotato i biglietti? -3 ragazze!

 

Ora vi lascio, queste note sono infinite, me ne rendo conto e spero qualcuno le legga xD

A presto :***

Jess

 

Ps appena concluso “Scusa...”, riprendo Rules in mano ;)

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Capitolo 21
*** I don't want to miss a thing ***


I don't want to miss a thing

 

My bed sheets feel empty, when you're not home
Your heart beat, helps me sleep, your breath soothes my soul.
Baby your all I've ever needed.

I love you, more than I knew I could ever love somebody.
I got it all so deep, I can barely even breath. If I need a shelter from the storm.

Nikki Reed&Paul McDonald, All I've ever needed

 

Finalmente gli esami erano terminati.

L'ansia, il terrore di fare brutte figure davanti alla commissione, era evaporato nel giro di un secondo quando mi ero seduta per l'ultima verifica orale della mia carriera scolastica liceale. Una volta che iniziavi a parlare non ti accorgevi del tempo che passava, almeno questo era capitato a me, troppo concentrata sulle domande e sulle spiegazioni esaustive da dare per poter stare attenta all'orologio che tenevo al polso. L'unica cosa certa era che grazie al cielo era finito tutto ed io mi stavo alzando da quella sedia come fluttuando tanto mi sentivo leggera. Ringraziai i professori, firmai e dopo la solita domanda di rito «cosa farai dopo?» ero corsa fuori dalla stanza, dove mi stava aspettando Edward a braccia aperte.

Gli corsi incontro e gli saltai letteralmente addosso, avvolgendo il suo collo con le mie braccia e i suoi fianchi con le gambe. Ero tipo un koala attaccato ad un ramo, stretto con tutte le sue forze.

«Non ci credo, oddio, non posso crederci! Ho finito, Ed. Finito!», gli urlai ad un centimetro dall'orecchio, facendolo diventare sordo, probabilmente.

Lui rise del mio entusiasmo e mi strinse talmente forte che non respirai per alcuni minuti.

«Te lo avevo detto che dopo ti saresti sentita talmente leggera da non riuscire neanche a credere che è davvero terminato questo supplizio», mi disse ridendo. Lui aveva terminato gli esami due giorni prima, ma non aveva ancora festeggiato preferendo aspettarmi. Ero l'ultima della lista, mancavo solo io all'appello nella nostra cerchia di amici.

«Non ho ancora metabolizzato bene. Non dovrò più seguire tutti gli orari di lezioni, farmi venire l'ansia per interrogazioni e verifiche... Il college sarà tutta un'altra vita e non vedo l'ora di iniziarla», risposi baciandolo dolcemente. Strinsi i suoi capelli tra le dita e quando il bacio iniziò a farsi troppo spinto rallentai il ritmo e scesi dalle sue braccia per non dare spettacolo.

«Stasera si festeggia, amore», mi bisbigliò ad un orecchio.

«E come?», chiesi maliziosamente. I programmi erano già abbastanza chiari, eppure ero curiosa di sapere se lui stesso aveva organizzato qualcosa.

«Casa libera. Genitori in viaggio. Ti dico solo questo», replicò facendomi l'occhiolino per poi prendermi per mano. Camminammo verso l'auto mentre io continuai a bombardarlo di domande.

«Quanto staranno via?».

«Pochi giorni, volevano lasciarci il via libera per festeggiare il diploma».

«Ma gli altri che faranno?», chiesi ancora.

«Festeggiamo tutti insieme e poi ognuno con la propria metà», rise per la mia espressione estasiata. «Deduco dalla tua faccia che la serata ti fa molto piacere».

«Non sai quanto», bisbigliai più a me stessa che a lui.

Negli ultimi due mesi il ritmo era stato sfiancante. Lo studio aveva occupato quasi tutto il nostro tempo disponibile, quindi ci eravamo visti meno del solito e quelle poche volte non impiegavamo il tempo in qualcosa di sempre piacevole, troppo spesso studiavamo insieme o preparavamo la tesina finale.

Le ore spese a coccolarci, fare l'amore, o semplicemente parlare senza pensieri nella mente, erano stati praticamente nulli ed ora era tempo di recuperare. Avevamo l'estate davanti e poi avremmo iniziato il college insieme, la Savannah State University.

Entrammo in macchina e subito Rain, rimasto tutto il tempo con Edward in attesa che finissi l'esame, mi saltò in braccio. Purtroppo non si rendeva conto che ormai era talmente cresciuto che pesava abbastanza e non era un peso piuma sulle mie povere gambe.

«Prima sarà meglio passare da casa mia, mi serve un cambio».

«Ma se lo hai anche da me», affermò confuso.

«Edward, è una serata speciale, mi servono delle cose!», lo sgridai. Pretendeva che mi aggirassi per casa con un paio di pantaloncini e una canotta, con i nostri amici in giro, mentre festeggiavamo? No, e poi per quella serata avevo comprato qualcosa di speciale per il dopo.

 

Venti minuti dopo l'auto di Edward si fermò nel vialetto di casa mia e io scesi lasciando Rain in macchina per fare presto. Mentre avanzavo nel vialetto notai la macchina di mia madre posteggiata e stranita entrai in casa. Forse voleva aspettarmi per sapere com'era andata.

«Mamma!», la chiamai subito.

«Tesoro, sono in cucina!».

Appena entrai esultai in un urlo liberatorio e corsi ad abbracciarla esclamando una serie di «ce l'ho fatta» e «non mi sembra vero».

«Sapevo sarebbe andato tutto bene, sei troppo intelligente, tesoro». Le affermazioni tipiche di ogni madre, eppure ogni figlio ci credeva sempre, anche se era una consuetudine ed era ovvio che un genitore guarda con gli occhi dell'amore ogni minima cosa di un figlio lodando ogni sua vittoria o sconfitta.

L'inclinazione triste nella voce di mia madre mi fece scostare da lei sospettosa. Osservai il suo viso e solo allora notai l'espressione tesa e preoccupata che aveva.

«È... È successo qualcosa?», chiesi esitante.

«Siediti, Bella», mi consigliò mia madre.

«Mi stai facendo preoccupare, mamma», dissi mentre mi accomodavo su una sedia.

«C'è qualcosa che ti ho tenuto nascosto negli ultimi mesi. Prima di dirti tutto voglio solo farti comprendere che l'ho fatto per te e per farti passare gli esami nel migliore dei modi, senza preoccupazioni». Annuii tesa.

«Due mesi fa,sono andata a Logan dai nonni, se ben ricordi. Non ti dissi la verità su quella visita, Bella».

«Cosa intendi? Mi hai mentito?», domandai tesa. Odiavo le bugie, di qualunque entità, e difficilmente perdonavo.

«No... Anzi, sì. Sono partita perché il nonno aveva fatto degli esami per un malessere che avvertiva nell'ultimo mese e i risultati non sono stati dei migliori. Sono andata giù per parlare con il medico che lo segue». Guardai fuori dalla finestra della cucina per evitare il suo sguardo e riflettei sulle sue parole.

«Sta male?», chiesi con un filo di voce.

«Non ancora, Bella».

«Cosa significa “non ancora”?! Raccontami tutto!». Iniziavo ad innervosirmi.

«Il medico non era sicuro dei risultati, bisognava fare altre analisi e chiarire meglio il malessere. Solo due settimane fa sono arrivati i risultati della biopsia. La diagnosi è quella che aveva ipotizzato il dottore: dei linfonodi sospetti si erano ingrossati troppo e ora sono sfociati in tumori al primo stadio, sono curabili attraverso chemioterapia».

«O mio dio. Il nonno... oddio». Ero senza parole, inerme. Cosa potevo dire? C'erano frasi giuste da usare in questi casi? Una doccia fredda in pieno inverno, con zero gradi, sarebbe stata più gradita e mai così improvvisa come la notizia appena ricevuta.

Non ci si poteva mai preparare di fronte a una possibile morte. Una persona che ami sta male e tu non sai come reagire, pensai intensamente. Ti sentivi così impotente e desiderosa di trovare qualsiasi cosa pur di far stare meglio coloro che erano il centro del tuo mondo.

«Non devi preoccuparti, tesoro, il nonno ha un cuore forte e i medici sono molto positivi su di lui».

«Quando dovrà iniziare la terapia?».

«Il prima possibile, forse già tra meno di un mese. È meglio prenderlo in tempo».

«Verranno qui per le cure, vero?». Era logico per loro stare qui con noi, dove potevamo dar loro una mano. Per mamma era impossibile spostarsi a causa del lavoro.

«No, hanno deciso di stare giù e cavarsela da soli. Ho tentato di prendere un'aspettativa dal lavoro, ma non mi è possibile in questo periodo», disse tristemente scuotendo il capo.

«Ma non posso restare a Logan, mamma, devi convincerli!», esclamai inorridita al pensiero dei miei nonni da soli tra ospedali, probabili ricoveri e possibili crisi durante la cura. Non potevano restare soli.

«Ci ho provato, Bella, ma non vogliono sentire ragioni. Il nonno desidera stare a casa sua, in mezzo alle cose che conosce da tutta la vita e non se la sente di cambiare abitazione e medici, non ora». Compresi le sue parole, ma nel mio cuore non riuscivo ad accettarle.

«Partirò io, allora». La mia decisione fu una sorpresa sia per mia madre che per me stessa. Avevo deciso sul momento, senza programmare nulla.

«Non me la sento di dirti di no, ma come farai per l'università? Non credo riuscirai a iniziarla come avevi previsto», cercò di farmi ragionare. Non voleva prendessi decisioni di cui poi mi sarei pentita.

«Rimanderò di qualche semestre, l'intero anno se necessario», dissi convinta.

«Pensaci su, almeno per questa notte, Bella», mi implorò mia madre.

«Okay, ci penserò, ma non credo cambierò idea».

«Lo so, sei così testarda», sussurrò accarezzandomi i capelli in modo delicato.

Dopodiché il mio pensiero corse a Edward, che mi stava aspettando lì fuori. «Edward», esclamai ad alta voce.

«Come farai con lui?», mi chiese.

«Non... Non ne ho idea», e sconfortata misi la testa tra le mie braccia appoggiate al tavolo. «Questa sera festeggeremo i diplomi, anche se la consegna sarà tra qualche giorno».

«Non aspettare molto per dirglielo», mi consigliò.

«Stasera festeggeremo insieme agli altri, poi mi fermo a dormire a casa Cullen», la avvisai. «Gli parlerò al più presto», conclusi con un peso sul cuore. Non sapevo come avrebbe reagito al nostro allontanamento, benché fossi certa che avrebbe compreso le mie motivazioni.

Salutai mia madre che stava per uscire per poi salire di sopra e preparare la borsa da portarmi a casa di Edward. Feci veloce e non badai molto a ciò che misi dentro, la mia testa era tra le nuvole, non capivo nulla di ciò che mi circondava.

Prima di aprire la portiera dell'auto, decisi che avrei parlato con Edward il giorno dopo, non volevo rovinare l'ultima serata serena che potevamo passare tutti insieme.

 

Durante la serata mi rilassai leggermente, cercando di sgombrare la mente per non far capire a Edward e alle mie amiche che qualcosa non andava. Edward mi aveva guardato stranito parecchie volte, benché non mi avesse chiesto ancora nulla di concreto.

I nostri festeggiamenti erano iniziati abbuffandoci di salatini, preparati nei giorni scorsi da Esme, dopodiché avevamo ordinato le pizze e proprio in quel momento eravamo seduti sul pavimento di sala Cullen, ad aprire le varie pizze e smistarle.

«Bleah, amore, ma come fai a mangiare una pizza simile?», esclamò Rose passando la pizza al suo ragazzo.

Emmett la prese leccandosi le labbra e dando subito un morso alla prima fetta prima di posare il cartone ai suoi piedi. «Non sai cosa ti perdi, amore. Bacon, patatine e uova, un po' come la colazione», esclamò con la bocca piena.

«Non sapevo mangiassi patatine a colazione, fratello», lo prese in giro Edward, seduto al mio fianco.

«Non sapete apprezzare le pizze innovative», replicò Emmett sbuffando.

«Meno male», aggiunse Alice per dar man forte al suo fratello prediletto. Quei due avevano un rapporto ineguagliabile, sempre a darsi forza e aiuto l'uno con l'altro, anche se questo significava prendere in giro il fratello maggiore.

«Che ne dite di uscire dopo? Possiamo fare un giro per il centro...», suggerì Jasper morsicando la sua pizza con la salsiccia e i peperoni.

Tutti concordarono, l'unica che rimase in silenzio fui io, me ne accorsi solo quando Edward mi richiamò: «Bella? A te va bene?». Il suo sguardo confuso e attento mi diceva che i miei tentativi di mostrarmi felice e spensierata come qualche ora fa non stavano funzionando.

«Sì, sì, certo», risposi sorridendo indistintamente.

Continuammo la cena scherzando e ricordando gli episodi più esilaranti al liceo. Emmett deteneva il record per figure imbarazzanti con i professori, infatti fu lui il centro dei racconti.

«Ricordate quella volta in cui domandò al professore se poteva andare al bagno? E il professore, quando gli chiese perché, lui rispose...»

«Per ora uso il bagno solo per un motivo», concluse Emm il racconto della sorella.

Tutti ridemmo con le lacrime agli occhi rievocando altre sue marachelle. Era sempre stato vivace da bambino e nel crescere non era cambiato, solo ora Rose riusciva a contenere i suoi eccessi.

Ad un certo punto Alice si alzò in piedi dichiarando che era l'ora di uscire. «Prima devo preparare la valigia. Rose, Bella, aiutatemi!».

«Devi partire, Alice?», chiese Edward confuso.

«Uff, Ed, ti ho già detto che passo la notte da Jazz!».

«E la valigia a cosa ti serve?», domandò ancora.

«Sveglia, fratello! Tornerò a casa quando rientreranno gli Hale, mamma e papà!».

Edward lasciò perdere, evitando di far notare alla sorella che si trattava di soli due giorni. Alice quando stava fuori casa doveva portarsi tutto quello che riteneva utile, anche se voleva dire valigie piene di cose che non avrebbe utilizzato.

Salimmo in camera di Alice e subito mi sedetti comoda sul letto. Quando si trattava della piccola Cullen almeno mezzora non ci si muoveva.

Rose si mise vicino a me, ma partecipò attivamente alle scelte di Alice, consigliandole cosa portarsi dietro.

«Ma ragazze, ci pensate? Abbiamo ufficialmente superato gli esami e ora non ci aspetta altro se non due mesi di vacanze!».

Rimasi zitta, non esultai come probabilmente avrei fatto prima della chiacchierata con mia madre. I miei pensieri erano rivolti altrove, divisi in due parti nettamente separate eppure unite da un filo sottile.

Rose ed Alice mi guardarono dubbiose di fronte al mio silenzio, quindi sorrisi a loro beneficio senza entusiasmo, benché impressi sulla mia bocca un minimo di falsità per risultare credibile.

«Ma, Alice, tu devi iniziare il corso di moda tra ben tre settimane», dissi stranita. Due mesi fa l'avevano accettata nel corso estivo ed era entusiasta di iniziarlo. Non parlava d'altro da quando aveva ricevuto la bellissima notizia.

«Be', sì, ma sono comunque a Savannah per seguire il corso, quindi è come se fossi in vacanza anch'io con voi».

«Il tuo futuro capo ti ha già detto in che sede inizierai a lavorare a settembre?», chiese Rose. Voleva sicuramente sapere che avrebbe seguito Jasper.

«Non c'è ancora nulla di sicuro», la ammonì Alice. «Il mio futuro capo ha detto che prima controllerà quanto apprenderò al corso».

«Sai benissimo che sarai la migliore, Alice, hai la moda nel sangue», la incoraggiai.

«Nel caso mi assuma ha detto che ho libera scelta di decidere le sedi in cui iniziare. Il settore design c'è in tutte le sue aziende, ovviamente», disse in tono casuale.

«E...?», la incoraggio Rose.

«In tal caso sceglierò di seguire Jasper a Jacksonville», finì ammiccando.

Jasper aveva deciso di seguire i corsi di economia alla Jacksonville University ed Alice non ci aveva pensato due volte a informarsi se era possibile iniziare a lavorare nella sede della città del suo ragazzo. Alice era una ragazza sicura di sé, aveva fede nelle sue capacità, ma non per questo mancava di umiltà, aveva i piedi ben saldi a terra. Sapeva che sarebbe arrivata esattamente dove sperava, eppure aspettava di averne la prova concreta in mano.

Per quanto riguardava Emmett e Rose avevano trovato un compromesso per non allontanarsi e rischiare di frantumare il loro rapporto, ma allo stesso tempo realizzare i propri sogni senza limitare gli obiettivi per amore. La loro scelta era ricaduta su Charleston, abbastanza vicino a Savannah per Emmett, ma anche abbastanza lontana per Rose, la quale si era sempre sentita oppressa dalla nostra città. Tuttavia avevo come il presentimento che la scelta di Rose era decisamente indirizzata su New York o Los Angeles, città l'opposto di Savannah. Per amore avevano limitato le loro scelte, ma non troppo, e questo sicuramente sarebbe andato a loro vantaggio. Erano una di quelle coppie che avevano bisogno di viversi ogni giorno, un allontanamento sarebbe stato troppo per loro, avrebbe distrutto ciò che con tante difficoltà avevano costruito. Esattamente come poteva capitare a me ed Edward.

Scossi la testa per eliminare quell'ultimo pensiero dalla mia mente e mi concentrai sui discorsi delle mie amiche solo quando ritrovai due paia di occhi puntati su di me.

«Sì...?», risposi incerta a qualsiasi domanda mi avevano appena posto.

«Ti abbiamo chiesto cosa avete deciso tu ed Edward», ribadì Alice.

«A proposito di cosa?». Stavo decisamente precipitando dalle nuvole.

«Bella, ma cosa ti succede oggi?», mi chiese Rose. Vedevo i loro visi preoccupati, ansiosi di sapere il perché del mio strano comportamento.

«Nulla», risposi in fretta.

«Bella, ci conosciamo da una vita, no? Non pensi che ormai ti leggiamo meglio dei tuoi genitori?», disse ironicamente Alice. Annuii d'accordo con lei senza però rispondere.

Me ne stavo lì, seduta su quel letto a guardare le mie amiche che si preoccupavano per me senza sapere cosa dire o fare. Era così... bloccata, preoccupata che la relazione con Edward potesse subire grossi cambiamenti, addolorata per la malattia di mio nonno. Nessuno di questi pensieri uscì dalle mie labbra serrate, scossi solo la testa per far capire loro che non era il momento giusto per parlarne e capirono, mi capirono come solo le tue migliori amiche sapevano fare, offrendomi il loro supporto benché non avessero idea per cosa me lo stessero concedendo.

«Non oggi», risposi dopo qualche minuto.

«Okay, allora puoi dirci cosa hai deciso di fare con mio fratello? Prenderete una casa in affitto oppure starete nei dormitori?».

«Oh», esclamai colpita dalla domanda. Altro argomenti che dovevo affrontare con Edward al più presto. «Abbiamo deciso di affittare un appartamentino insieme, almeno risparmiamo sulla retta del college». Avevamo già trovato un monolocale adatto a noi due, dovevamo solo mandare la conferma che l'avremmo presa. Saremmo stati a un'ora di distanza da qui.

«Siete stati gli unici a non volervi allontanare da Savannah», affermò Rose.

«Abbiamo molte cose per cui essere legati a questa città», risposi distante perdendo nei ricordi di tutto ciò che di bello mi aveva portato quel posto. Lo consideravo magico, aveva il profumo di casa e non desideravo stare in nessun altro posto.

 

Passammo la serata a girovagare per le vie di Savannah, a ridere, mangiare gelato e dolciumi nei vari posti che incontravamo strada facendo. Mi lasciai andare liberando parzialmente la mente incasinata da tutti gli eventi della giornata. Edward a volte mi lanciava occhiate sospettose, come se sapesse che qualcosa mi turbava, ma non mi disse nulla finché non arrivammo a casa sua. La nottata era volata e alle quattro del mattino non mi sentivo pronta per intraprendere una conversazione così importante, quindi lasciai correre e finimmo la nottata di pazzia nel migliore dei modi. Inconsciamente assaporai l'amore con lui come se avesse retrogusti amari e avvertii una sorta di tenerezza particolarmente toccante per come mi toccò e mi parlò per tutto il tempo dell'amplesso.

«Ti amo, amore, sempre, profondamente, intensamente. Qualunque cosa succeda. Nulla potrà mai ostacolare questo», ribadì indicando i nostri corpi uniti in uno solo.

Le lacrime fecero capolinea e mi annebbiarono gli occhi già offuscati dal desiderio.

«Ti amo anch'io, più di quanto riesca a dimostrare, e...».

«Shh», mi zittì posando un dito sulle mie labbra dischiuse. «Va bene così, lascia che sia così». E poi, con grande dolcezza asciugò le mie lacrime con le sue labbra calde e rosse per via dei nostri baci.

 

Mi svegliai sotto le carezze delicate di Edward. La sua mano viaggiava sulla mia spina dorsale, causandomi brividi in tutto il corpo, per poi posarsi con la leggerezza di una farfalla sul mio braccio appoggiato al suo petto.

Mugugnai qualcosa di incomprensibile per fargli capire che ero sveglia, senza muovermi di un millimetro.

«Amo svegliarmi con te. Se possibile la mattina sei ancora più bella. E pensare che avremo tanti altri giorni così, tutti i giorni a venire da agosto in poi», mi sussurrò facendomi svegliare del tutto. Le sue parole avevano accesso una lampadina nella mia testa e non di certo una lampadina luminosa, ma tetra con una luce nulla.

Mi sedetti staccandomi dal corpo di Edward con grande fatica. Agitata mi passai una mano tra i capelli mentre con l'altra mi tenevo il lenzuolo a coprirmi il seno in un atto di pudicizia insensato.

Edward bloccò la mia mano che agitata si muoveva tra i miei capelli e appoggiandosi contro la testata del letto mi tirò a sé, facendo combaciare la mia schiena con il suo petto. Appoggiai la testa nell'incavo del suo collo, tutto un tratto esausta.

«C'è qualcosa di cui dobbiamo parlare, Edward». La mia voce suonava disperata e questo fece irrigidire il suo copro. Avvertii la tensione nelle sue braccia avvolte attorno al mio corpo e cercai di farlo rilassare accarezzando la sua mascella.

«Sapevo che qualcosa ti turbava. Ieri, dopo aver parlato con tua madre, un'ombra è calata sui tuoi occhi. Eri così felice di aver finito gli esami, ma dopo sei diventata...triste».

«Mia madre mi ha rivelato qualcosa che mi teneva nascosto per non distogliere la mia attenzione dagli esami. Non c'era nulla di certo fino a due giorni fa». Raccontai della malattia di mio nonno, del perché Renée era andata a Logan da loro mesi fa e infine accennai alla mia decisione di partire per stare vicino a mio nonno e dare una mano.

«Mi dispiace tanto, amore. Comprendo la tua scelta, non ti chiederei mai di non andare dai tuoi nonni». Inconsciamente dovevo sapere che non mi avrebbe mai proposto una cosa simile, ma le mie paure erano altre.

«Lo so, amore, lo so», risposi baciandolo brevemente.

«Ed è altrettanto ovvio che non posso lasciarti sola in questo periodo, quindi verrò con te a Logan. Mi troverò qualcosa da fare! Potremmo iniziare il college lì e rimanerci. In fondo non avevamo un college predestinato,che sognavamo fin da bambini».

«No! No, Edward, no! Togliti dalla testa una simile idea!», esclamai furiosa.

«Cosa?», mi chiese confuso dal mio scatto d'ira.

Mi sedetti di fronte a lui e fissandolo negli occhi gli feci capire esattamente cosa intendevo. «Non ti permetterò di sprecare mesi dietro a me, a Logan! La tua vita è qui, devi iniziare l'università. Non so quando potrò tornare a casa, capisci?!».

«L'unica cosa chiara è che non vuoi che venga con te!», disse irritato.

«NO! Non voglio impedirti di realizzare i tuoi sogni!», urlai tra le lacrime.

«Perché non vuoi capire ciò che è palese?! Il mio sogno sei tu, eri tu, ed è questo che non può cambiare! Non mi interessa perdere i primi semestri, il primo anno, non se questo significa supportarti in un periodo difficile della tua vita!». Le sue mani si chiusero intorno al mio viso, avvicinandomi a lui e catturando i miei occhi, incantandoli con il suo sguardo altrettanto triste.

Scossi la testa afferrando a mia volta il suo viso. «Non posso permettertelo, mi dispiace! Non sai quanto aneli te, sempre, ma non riuscirei a reggere il peso del tuo futuro sulle mie spalle».

«È una mia scelta, Bella, mia e di nessun altro».

«È una scelta di entrambi. In una relazione si decide in due».

«La mia scelta rimane questa, non cambio idea, non questa volta». Volevo offrirgli una via d'uscita, non doveva rinunciare ai suoi desideri per me. Non quando i prossimi mesi erano così incerti. Era tutto una forse, non avevo nulla di sicuro tra le mani. Potevo stare mesi a Logan, come un giorno. E lui doveva proseguire la sua vita.

«Neanch'io», affermò sicuro.

«Ti prego», sussurrai tra le lacrime. «Voglio che tu rimanga qui. Aspettami e arriverò prima che uno dei due senta la mancanza dell'altro». Sapevo che quest'ultima era una bugia, avrei sentito la sua mancanza ogni singola ora di ogni singolo giorno, ma era giusto così.

«Balle», sputò con la mascella contratta.

«Non starò via per sempre, rientrerò, solo non so quando. E questo non è l'unico problema. Laggiù dovrò dedicare tutto il mio tempo ai miei nonni. Non avrò tempo per altro».

«Pensare di lasciarti affrontare un momento così doloroso lontano da me, da noi, mi fa stare male, Bella».

Lo abbracciai di slancio, vedendo nei suoi occhi la consapevolezza che aveva capito il mio punto di vista. «Lo stesso sarà per me, lo sappiamo entrambi. Ma mi sentirò meglio sapendo che tu inizierai il college com'era nei nostri progetti».

«I progetti cambiano», ribadì. Non risposi, mi feci cullare dalle sue braccia e dal suo respiro che si infrangeva contro il mio collo.

Le mie paure non si erano certo eclissate, anzi erano lì, a farsi beffa di me, più prepotenti che mai.

 

Il giorno della partenza arrivò senza che me ne accorgessi. Avevo sfruttato i miei ultimi giorni stando con Edward, passando insieme ogni minuto che ci era concesso.

Mi sembrava di rivivere tutto come se qualcuno avesse schiacciato il tasto replay. Di nuovo avevo preferito che fosse solo Edward ad accompagnarmi all'aeroporto, salutando i nostri amici e i miei genitori con la festicciola che avevano organizzato in mio onore, per darmi un saluto più sentito che mai. Alice, Jazz, Rose ed Emm probabilmente li avrei rivisti tra molti mesi, se non il prossimo anno visto che a breve sarebbero partiti per i rispettivi college. Mi sarebbero mancati, ma mai quanto Edward.

In quel momento, in aeroporto, mi sembrava di tornare a mesi fa, quando per le vacanze natalizie avevo deciso di passare un po' di tempo con i miei nonni. L'unica differenza era che questa volta nessuno sapeva con precisione il mio ritorno, compresa la sottoscritta.

Avevo deciso di portare Rain con me, Edward non avrebbe potuto badarci da solo al college, benché avesse deciso di affittare comunque l'appartamento che avevamo trovato insieme. Non avevo capito subito il suo gesto, finché non mi disse che mi aspettava e per questo voleva mantenere il monolocale, così quando fossi tornata avremo avuto già il nostro posto. Era stato dolce, ma tremendamente triste pensarlo lì, a vivere da solo in attesa di me, che non ero stata in grado di dargli nessuna conferma.

Ed ora eccoci lì, in quel desolato aeroporto che stava diventando il posto che più odiavo. Non volevo piangere, non volevo che l'ultimo momento che passavano insieme per chissà quanto tempo fosse con me in un mare di lacrime. Eppure ciò che mi ero ripromessa di fare non ero stata in grado di portarlo a termine; più ci avvicinavamo al terminal più le mie lacrime aumentavano.

«Ehi, non piangere», bisbigliò asciugandomi le lacrime.

«Non ci riesco», bisbigliai a mia volta affondando il viso nella sua maglietta bianca.

Mai come in quel momento mi ero sentita fragile. È temporaneo, continuavo a urlare nella mia mente, ma il mio cuore vedeva questa lontananza infinita.

Edward aveva lottato fino all'ultimo giorno cercando di convincermi a lasciare che partisse con me. Avevo stretto i denti e non glielo avevo concesso. L'amore non era anche altruismo? Voglia che l'altro si realizzasse?

Chiamarono il mio volo e capii che era l'ora di andare.

«Ti amo, ti amo, ti amo. Non dimenticarlo nei prossimi mesi», gli dissi impaurita da qualcosa che ancora lui non sapeva.

«Non penso possa succedere. E tu non scordarti che ti aspetto, sono qui, qualsiasi misura di tempo tu avessi bisogno. Non andrò avanti senza di te, quando tornerai mi ritroverai allo stesso punto, solo, in tua attesa per poter proseguire il nostro cammino». Annuii e lo baciai, non c'era bisogno di altre parole, la necessità che avevo in quel preciso istante era solo di sentirlo con me, in me. Il calore delle sue labbra, il suo sapore, il suo respiro... Tutto doveva entrarmi dentro e rimanerci per i prossimi mesi, come se in quel momento avessi esalato il mio ultimo respiro e fossi entrata in apnea.

Mi circondò la vita con un braccio, attirandomi a sé, mentre io stringevo il suo collo con le mie fragili braccia.

Non era un addio, era un «a presto».

 

I mesi passavano, vuoti, segnati dalla mancanza di Edward e dal dolore di vedere mio nonno sempre più emaciato a causa delle cure a cui era sottoposto. Odiavo notare quanto poco il male fosse regredito nonostante i due mesi di chemioterapia. Avevo parlato con il medico curante di mio nonno e mi aveva detto che se entro un mese il tumore non fosse regredito il necessario, avrebbe preso misure più estreme combinando chemioterapia e radioterapia insieme. Già una di queste cure demolivano la persona su tutti i fronti, ma insieme erano pressoché distruttive per un uomo di ottant'anni, quindi speravo con tutto il cuore che il mese successivo sarebbe stato meglio.

Ogni giorno era la stessa routine: mi alzavo, portavo fuori Rain e poi accompagnavo i miei nonni all'ospedale per la chemioterapia. Era distruttivo vedere una persona che si ama trasformarsi nella sua ombra, perdere quello sguardo brillante e pieno di vita per trasformarsi in esausto e privo di voglia di andare avanti. Non sapevo a cosa andavo incontro venendo ad assistere mio nonno in un male che colpiva così tante persone eppure che mi era stato distante in tutta la mia breve esistenza. Lo avevo scoperto lì, guardando una persona cara diventare sempre più debole, perdere le forze, e sentirsi incapaci di fare qualcosa, persino alleviare minimamente le sue pene.

Un mese dopo arrivò la prima bella notizia da troppo tempo. Il male stava regredendo molto più velocemente di quanto ci aspettassimo e quindi le misure estreme non sarebbero state prese.

Eravamo a inizio ottobre e la mancanza di Edward si faceva sentire con sempre più insistenza. Ci sentivamo spesso, quasi ogni giorno, quando ci era possibile e le mie paura si erano fatte sempre più vive.

Temevo che si scordasse del nostro amore, che la vita universitaria affrontata da solo lo cambiasse e che facesse nuove conoscenze... femminili. Erano mesi che non ci vedevamo, lui spesso insisteva nel voler venire a trovarmi, ma poi subentrava sempre qualche imprevisto.

Mi fidavo di Edward più di chiunque altro, ma le paure erano irrazionali e non potevo controllarle. In mesi di lontananza ci si poteva accorgere di milioni di cose, magari l'assenza di qualcosa nel nostro rapporto, o la voglia di libertà...

Poi riemergevo da questi pensieri cupi e ritornavo alla ragione: mancavo a Edward, mi amava e le mie paure non dovevano farmi impazzire.

Quella sera scesi a cena dopo una lunga doccia calda e iniziai ad aiutare mia nonna ad apparecchiare.

«Tesoro, perché stasera non esci un po' con Jason e la sua ragazza? Sono settimane che cerca di convincerti ad uscire un po' da questa casa, sembri segregata con noi», scherzò mia nonna per convincermi ad accettare l'invito.

«Non ne ho molta voglia, scusa, nonna», risposi sorridendo tristemente.

«Jason non accetterà un altro rifiuto!».

«Invece dovrà», mi intestardii. La mia serata prevedeva una lunga telefonata con Edward.

«Vedremo», dichiarò la nonna. E infatti quella sera non riuscii ad averla vinta con loro due alleati e Jason riuscì a trascinarmi in un pub in compagnia della sua ragazza di nome Tracy. Li guardavo, innamorati e spensierati, e la solitudine si fece più prepotente che mai. Avevo bisogno di sentire l'unica persona al mondo che in quel momento volevo avere vicino.

«Scusate, torno subito», dissi loro uscendo dal pub per chiamare Edward senza tutto quel frastuono.

Attesi in linea. Andiamo, rispondi, pregai silenziosamente. Il cellulare squillò invano e riprovai a chiamarlo con lo stesso risultato precedente: non rispondeva.

Sentii il mio viso bagnato e portai una mano sulle guance capendo di aver iniziato a piangere appena uscita dal locale.

Stavo male. Mi sentivo sola. Vedevo mio nonno lottare e stare male, non avevo nessuno con cui parlarne qui tranne Jason, il quale vedevo molto poco per via del suo lavoro. Le mie amiche erano lontane e avevano già i loro problemi. I miei genitori non potevano sapere quanto fosse pesante quella mia scelta, oppure mi avrebbero chiesto di tornare a casa. Non sapevo con chi confidarmi e in parte non ne avevo neanche la forza. Tendevo ad evitare di caricare Edward delle mie paure, era lontano e non volevo capisse quanto soffrivo silenziosamente. Tutto mi stava consumando da dentro.

Prima di addormentarmi decisi di inviargli un messaggio. Si vociferava che nel dormiveglia si riusciva a tirare fuori il meglio di sé, mille pensieri che poi scomparivano una volta catturati dalle braccia di Morfeo.

 

Non so neanch'io perché risulta più facile scrivere qualcosa piuttosto che dirla a voce, eppure è così. Ho provato a chiamarti, ma non hai risposto, probabilmente a causa del fuso orario, così ho deciso di provare a scriverti, a dirti come realmente stanno le cose, perché sì, Edward, in questi mesi ho mentito a me stessa, ho mentito a te, a tutti. La realtà è che non sto bene, nulla va bene.

Ho così tanti timori, mille paura che si affollano nella mia mente e che non riesco a scacciare.

Quando ho deciso di venire a Logan non credevo sarebbe stata così dura. Tanto meno quando ho insistito per farti restare a Savannah, com'era giusto.

Nonno sta male e io sono qui a guardare una delle persone che amo di più soffrire senza poter muovere un dito. Non ero, anzi, non sono pronta a tutto questo. Non sono pronta a guardare in faccia la morte, non sono pronta a guardare mio nonno incamminarsi verso la fine senza poter fare nulla. Su cosa posso riversare la mia rabbia per questa ingiustizia? Perché lo è, è ingiusta la morte, è ingiusto che sia toccato a mio nonno. Non riesco ad accettarlo. Ma, alla fine, la vita è mai giusta? Non c'è nulla di giusto in tutto questo, nella mia vita, ora.

Tu, la mia ancora di salvezza, non sei qui e non so se riuscirò ad andare avanti, non riuscirò a reggere ancora molto a tutta questa pressione. Non te ne sto facendo una colpa, so che volevi esserci, ma è stato meglio così, tu dovevi andare al college. Eppure ho paura, una terribile ansia che mi attanaglia lo stomaco. Continuo a pensare che siamo lontani, che tu stai vivendo esperienze che ti cambiano da dentro, anche se non te ne accorgi, e io non sono con te. Ho una fottuta paura di perderti. Cosa farei senza di te? Nulla, perché senza te non sono nulla. Ho così bisogno di te, di sentirti al mio fianco, di baciarti e fare l'amore con te tutto il giorno. Mi sento sola e persa. Questi sono stati i mesi più lunghi della mia vita e pensare che ne verranno ancora altri, più duri di questi, non mi aiuta.

Ti amo, Edward, e ho paura che prima o poi scomparirai. Il mio amore sarà abbastanza per te? Ti farà superare questi mesi di lontananza? Ma forse sarebbe meglio che questa domanda me la facessi io: sono in grado di sopportare ancora mesi lontano da te? Non credo di farcela, anzi ne sono certa.

Ti starai chiedendo perché ti dico tutto questo ora e non so neanch'io che risposta darti. Avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno e... sei tu, l'unico che mi fa stare meglio, per cui una parola mi fa salire in paradiso. Ho bisogno della tua speranza, che tu mi dica che nulla è perduto. Ho solo bisogno... di te, nient'altro.

Ho paura che qualcuno possa allontanarti da me. Ho paura che la tua vita cambi senza io che io abbia ricavato uno spazio tutto mio. Ho paura che incontrerai qualcuno che può starti fisicamente affianco in questo momento in cui la tua vita è cambiata, che ti supporti come io non sono in grado di fare da qui. Ho paura di perdere te, in tutto e per tutto. Non sopravviverei, Edward, non riuscirei ad andare avanti con la mia vita senza il tuo amore, senza la tua presenza fissa.

Forse sono egoista a dirti queste cose, ora, dopo che io stessa ho lottato così tanto per tenerti lontano da qui. Però mi sento così sola, smarrita, terrorizzata dalle lancette che corrono veloci e segnano il tempo in cui siamo lontani, che porta con sé un peso sempre maggiore da sostenere.

Dove dirtelo, dovevo smettere di mentire. Hai il diritto di sapere che io sono sincera con te. E questa è la verità Edward: non sto bene, senza di te sento l'abisso che si è aperto mesi fa divorarmi sempre di più senza che io abbia nulla per aggrapparmi e uscirne.

Ti amo e mi manchi.

 

Dopodiché inviai il messaggio e mi addormentai tra le lacrime, stravolta e svuotata di ogni parola. Forse avevo sbagliato a sfogarmi con Edward e caricarlo di tutti i miei problemi e le mie paura.

 

Il giorno dopo arrivò in fretta e la notizia che non avrei mai voluto sentire mi raggiunse fino a Logan. Una telefonata. Bastava una telefonata per fare delle scelte e prendere coscienza della tua vita e dei tuoi bisogni.



 

Hi, guys ;)

Precisazioni: il titolo è preso dalla famosa canzone degli Aerosmith, anch'essa canzone molto azzeccata per il capitolo.

Sì, sono di nuovo in ritardo e mi dispiace molto, so che ogni volta mi metto a scusarmi, ma la sessione di esami mi ha portato via più tempo del previsto.

Questo è il penultimo capitolo, il prossimo è già in fase di scrittura, quindi posterò presto per portare avanti l'altra mia storia e scriverne magari di nuove ;)

Detto questo, non uccidetemi per questo capitolo ç.ç Ho stravolto tutto prima dell'epilogo, ma l'ho pensato così e non ho voluto cambiarlo ora.

Ho notato che le visite e le recensioni sono calate, mi dispiace tanto visto che questa storia è volta al termine e proprio gli ultimi capitoli sono calati. Mi sono chiesta dove avessi sbagliato o se avessi fatto passi indietro confronto all'inizio... Forse i miei continui ritardi hanno contribuito xD

Coooomunque, grazie a tutti quelli che continuano a leggere questa storiella <3 Un ringraziamento particolare a Tea che mi è stata di grande aiuto con i suoi consigli e l prezioso aiuto nella stesura del messaggio di Bella <3

Non dico più nulla sul capitolo, altrimenti scrivo altre note lunghe quanto il capitolo xD

Gruppo Fb gestito con un'amica, dove non parliamo solo delle nostre storie ;)

A prestissimo :*

Jess

Ps Lu, hai visto? ù.ù Ancora interi e “insieme”! ù.ù

Pps finisco ora di rispondere alle scorse recensioni, grazie ancora <3

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Capitolo 22
*** We still have everything... always ***


We still have everything

... Always

 

I'll be your dream
I'll be your wish I'll be your fantasy
I'll be your hope I'll be your love
Be everything that you need
I'll love you more with every breath
Truly, madly, deeply do
I will be strong I will be faithful
'cause I'm counting on
A new beginning
A reason for living
A deeper meaning, yeah
Truly Madley Deeply, Savage Garden

 

 

Inutile parlare della nottata che passai dopo aver inviato il messaggio a Edward. Quando mi misi a letto ero esausta, le lacrime continuavano a scendere senza freni e dopo solo cinque ore di sonno agitato, mi svegliai con un mal di testa atroce e gli occhi gonfi a causa del pianto. La mia gola era secca e inghiottii mezza bottiglietta d'acqua, che solitamente tenevo sul comodino per abitudine.

Mi tirai su lentamente, appoggiandomi alla tastiera del letto e passandomi una mano tra i capelli leggermente annodati. Sospirai esausta e svuotata da ogni emozione disperata. Non ce la facevo più, questa era la semplice verità.

La prima cosa che feci fu prendere il cellulare in mano e controllare se Edward mi aveva risposto prima di andare a lezione, visto il fuso orario. Nulla. Nada. Nothing.

Accarezzai il pelo di Rain e restai in silenzio, ascoltando il mio respiro leggermente veloce. La forza per alzarmi dal letto mi aveva del tutto abbandonata. Mille domande e paranoie mi frullavano in testa. Perché non aveva risposto? Era così impegnato da non avere il tempo di rispondere alla sua ragazza? O forse si era stancato di noi? Non avevo risposte. E faceva dannatamente male.

Mentre allontanavo il telefono dalle mie mani come se scottasse vibrò, segno che c'era una chiamata in attesa. Guardai il nome che compariva e aggrottai la fronte.

«Pronto, Alice?».

«Oh, ciao, Bella. Scusa, forse non è il momento adatto...», iniziò la mia amica con voce tesa.

«No, no, nessun problema, ora va benissimo. È successo qualcosa?», domandai preoccupata. Il mio pensiero corse subito a Edward. Non lo sentivo dal pomeriggio prima.

«Edward, lui è irraggiungibile e ci chiedevamo se lo avessi sentito nelle ultime ore». Appena pronunciò il suo nome i miei sensi si misero allerta.

«Come sarebbe a dire? Non riuscite a rintracciarlo?!», urlai terrorizzata che fosse successo qualcosa.

«No, purtroppo da ieri pomeriggio nessuno di noi l'ha sentito. Abbiamo provato a chiamare al suo appartamento, ma nulla neanche lì. Mia madre ha appena provato a chiamare al college e questa mattina non si è presentato alle lezioni. Siamo preoccupati, Bella. Pensavamo che avesse parlato almeno con te, invece nulla, sembra scomparso».

«O mio dio, Alice, dio santo! E se gli fosse successo qualcosa? Magari si è sentito male in casa, oppure...», cominciai a tirare fuori teorie assurde, che io in primis mi rendevo conto quanto suonavano ridicole appena uscivano dalla mia bocca.

«Ehi, Bella, calmati! Probabilmente non è nulla di grave, magari ha perso il telefono o è impegnato con lo studio». Sentivo Alice che cercava di convincere entrambe con le sue teorie e intanto pensavo a dove poteva essere.

Sì, forse eravamo tutti troppo apprensivi, in fondo nessuno lo sentiva da circa quattordici ore, non una tragedia, ma Edward era sempre raggiungibile, non spariva mai così, telefonava sempre. Sempre.

Cercai di trovare la lucidità che serviva in quel momento. Inizia seriamente a capire quali fossero le mie priorità in quell'istante e di certo non comprendevano oziare e struggermi di dolore. Dovevo tornare a casa, subito, anche se solo per un giorno. Edward era in cima alla lista delle priorità in quel momento.

«Okay, Alice, tranquilla, ora cercherò di chiamarlo e... Torno a casa».

«No! Non ci provare, Bella, i tuoi nonni hanno bisogno di te lì. Sono certa che abbiamo tirato su un casino per nulla. Ti chiamo io appena riusciamo a sentirlo. Ora papà va a vedere all'appartamento e... Aspetta in linea, ho un'altra chiamata». Attessi qualche minuto con il telefono muto premuto contro l'orecchio e intanto iniziai a organizzarmi mentalmente.

«Bella? Ci sei?», mi richiamò Alice.

«Sì, sì».

«Edward non è sparito», disse allegramente.

«Era lui?», chiesi speranzosa.

«Ehm, no, ma tranquilla, è tutto okay, come al solito ci eravamo preoccupati troppo!».

«E dov'era? Perché non rispondeva?», chiesi sospettosa. La voce di Alice si era fatta troppo allegra e sentivo che mi stava nascondendo qualcosa, la conoscevo come le mie tasche.

«Uh, ma è tardissimo! Devo andare al lavoro, ne riparliamo più tardi, okay? Ciao, tesoro, buona giornata!».

«Alice! Non provare a riatt-». Sentii il tu-tu insistente del cellulare e fissai scioccata l'aggeggio che avevo tra le mani. Mi aveva buttato giù il telefono! Oh, ma l'avrebbe pagata cara, eccome!

Provai a chiamare Edward, ma il cellulare squillò a vuoto. Edward non rispondeva. Eppure aveva chiamato qualcuno della sua famiglia poco fa, perché non rispondeva proprio a me? Che cos'era successo? Perché Alice mi aveva appena mentito per poi riattaccare senza darmi una spiegazione? Mi nascondeva qualcosa e lo avevo percepito appena aveva ricevuto la chiamata misteriosa.

Dio, non riuscivo a vivere con queste insicurezze, dovevo andare a Savannah e vedere con i miei occhi cosa stava succedendo!

Guardai fuori dalla finestra, appoggiai la fronte al vetro freddo che a contatto con il mio respiro si appannò subito. La pioggia scendeva fitta con delle raffiche di vento che facevano ondeggiare i rami degli alberi. Non era certo la giornata adatta per volare, ma non importava. Nulla aveva più importanza.

Mi collegai al sito della compagnia aerea Virgin e cercai il primo volo disponibile. Presi una borsa ampia e ci misi il necessario per un giorno, il resto lo avrei preso passando da casa mia.

Scesi a dare la notizia ai miei nonni e li trovai entrambi sul divano; nonna stava facendo una puntura contro il dolore a mio nonno, il quale appena mi vide mi sorrise facendomi segno di avvicinarmi.

«Ciao, tesoro», mi salutò mio nonno con una strizzatina alla mano. Mi sedetti accanto a lui appoggiando la mia testa sulla sua spalla.

«Cosa succede, Bella?», mi chiese mia nonna sempre attenta ai miei stati d'animo.

«Torno a casa per un giorno, sono preoccupata per Edward, non risponde al telefono e... Ho bisogno di vederlo», risposi tristemente.

«Bambina mia, ti abbiamo detto tante volte che era meglio tornassi a casa, qui le cose stanno migliorando», mi rimproverò dolcemente il nonno. Sì, era vero, insistevano spesso perché riprendessi in mano la mia vita a Savannah, ma non erano ancora pronti e io non volevo lasciare mio nonno in condizioni precarie.

Osservai il suo viso solcato da leggere rughe. Ultimamente aveva ripreso più colorito e aveva smesso di perdere peso, ma i suoi occhi segnati, la debolezza a cui era soggetto continuamente facevano capire che la malattia non era ancora sparita.

Scossi il capo per far capire loro che non volevo sentire ragioni. I primi mesi erano stati duri, durissimi. Nonno peggiorava e io lo guardavo impotente mentre la malattia me lo stava strappando dalle braccia. Ma dopo le notizie positive del dottore stavo riacquistando le speranze, anche se continuava a essere dura stare senza Edward, ero contenta che mio nonno si stesse riprendendo lentamente. Questo era quello che mi continuavo a ripetere per tirare avanti, non contemplavo un dirottamento. Nonno non doveva peggiorare, non lo concepivo.

Mia nonna sospirò sapendo che non c'era verso di farmi cambiare idea. «A che ora hai il volo? Non hai ancora prenotato?», mi chiese tutto ad un tratto ansiosa per l'imminente viaggio.

«A mezzogiorno, comprerò il biglietto là così mi faranno un prezzo stracciato». Solitamente le compagnie aeree mettevano a disposizione gli ultimi posti dell'aereo un'ora prima della partenza a prezzi molto convenienti. Dov'era la truffa? Non sempre si era sicuri che c'erano posti disponibili. Un rischio che per questo volo non avrei corso visto che le richieste di posti per Savannah erano poche.

«Sarò di ritorno massimo domani sera, così mercoledì possiamo andare in ospedale per la terapia», continuai informandoli dei miei progetti.

Era presto, erano solo le sei e mezza del mattino. Le lancette dell'orologio scorrevano lente mentre le fissavo insistentemente. Presi il cellulare dalla tasca e riprovai a chiamare Edward. Ancora libero, ancora nessuna risposta.

«Vado... vado un attimo di sopra», sussurrai ai miei nonni prima che si accorgessero delle lacrime che avevano iniziato a solcare le mie guance. Corsi a perdifiato sbattendo la porta della camera per poi appoggiarmi contro.

Ero così emotiva... Non ricordavo un momento della mia vita in cui piansi così tanto. La mia mente continuava a ripetere il nome di Edward incessantemente. L'ora del volo si avvicinava e la mia voglia di vederlo aumentava in modo incontenibile.

Stetti in quella posizione, a fissare il vuoto di fronte a me per un tempo infinito, poi Rain iniziò a sentire il bisogno di uscire dalla camera e mi decisi ad essere almeno una buona madre. Presi il cellulare dal pavimento e scendemmo al piano di sotto.

«Nonna, porto Rain a fare un giro!», gridai quasi dalla porta di casa.

«Va bene, ma copriti altrimenti prenderai un malanno con questo tempo».

«Okay!».

Quando aprii la porta di casa sgranai gli occhi e per poco non mi prese un infarto. Davanti a me, sulla soglia di cosa, si stagliava la figura di Edward con il pugno alzato pronto a bussare.

Rimasi immobile, incredula. Era reale quello che stavo guardando? Era lui? «Edward», dissi con un filo di voce. Lui fece un passo avanti, gocciolante d'acqua piovana e mi prese tra le braccia.

Appena mi avvolse con il suo corpo sospirai di soddisfazione, come se dopo una lunga apnea sott'acqua potessi di nuovo respirare a pieni polmoni.

«Amore», mi sussurrò stringendomi sempre più forte. «Mi sei mancata troppo, non ce la facevo più a resistere senza di te». E, finalmente, le sue labbra si posarono sulle mie. Dopo mesi assaporai di nuovo il piacere delle nostre labbra che si muovevano all'unisono, inizialmente timidamente e poi sempre con maggior confidenza e intimità. Era il momento perfetto, uno di quegli attimi che ricorderai sempre e custodirai nel tuo cuore con gelosia perché non sempre capitano. La perfezione esisteva e stava nei piccoli gesti, nei momenti in cui tutto è al posto giusto: qui risiede l'eccellenza, non nelle persone. Nessuno di noi era perfetto né lo sarebbe mai stato.

 

Pov's Edward

 

Finalmente era di nuovo tra le mie braccia, potevo toccarla realmente, sentire la sua voce a due centimetri di distanza e non più attraverso uno stupido oggetto tecnologico, - per quanto fossero stati la mia salvezza qualunque tipo di aggeggio che mi aveva fatto restare in contatto con lei.

Erano stati mesi infiniti, sembrava non ci fosse mai una fine alla nostra lontananza. Come avevo potuto lasciare che partisse senza di me? Una domanda che mi ripetevo ogni singolo giorno da cinque mesi. Se potessi tornare indietro, la seguirei a Logan, senza "se" o "ma".

Erano passati realmente centoventitré giorni senza di lei? Senza la sua allegria, le sue ossessioni, il suo amore?

Ad interrompere i miei pensieri ci pensò la nonna di Bella, Janice: «Non vorrei interrompere questo momento magico, ma, Bella, che ne dici di far accomodare Edward ed aiutarlo con i bagagli? Ho come l'impressione che si fermerà un po' con noi», finì ammiccando nella mia direzione e in risposta le feci un sorriso imbarazzato. Sì, la mia intenzione era proprio quella: fermarmi finché anche Bella intendeva rimanere.

«Io... Ehm, sì, sì, certo, nonna. Lo aiuto a...». Bella era imbarazzata e io la guardai dubbioso non capendo il motivo.

«So che tuo nonno non apprezzerà, sai che ti crede ancora la sua bambina, ma vi do il permesso», rispose Janice ai dubbi della nipote.

Bella ringraziò sua nonna abbracciandola e mi trascinò al piano di sopra. La seguii perplesso stringendole la mano.

«Non penso di aver capito quanto è appena successo», dissi confuso.

Aprì una porta in fondo al corridoio del secondo piano e mi fece entrare sorridendo e continuando a tirarmi fino al centro della stanza. Allargò le braccio e disse: «Questa è la mia stanza. Nonna ci ha concesso di stare insieme».

Tutto ad un tratto il discorso di pochi minuti prima fu chiaro: Bella era imbarazzata nel chiedere a sua nonna se potessi rimanere in camera con lei.

«Uaoh, è fantastico!». Mollai la valigia e la abbracciai facendo combaciare ogni parte del nostro corpo. Lei ricambiò con eguale intensità ed entrambi sospirammo nel sentirci di nuovo bene, a casa.

C'erano molte cose in sospeso, dovevamo parlare, ma in quel momento tutto era perfetto così e il tempo di certo non ci mancava.

Sentimmo Janice chiamarci e scendemmo dopo pochi istanti.

«C'è Jason al telefono, cara», disse Janice. Io storsi la bocca appena pronunciò il nome del fantomatico amico di Bella che non avevo mai avuto il piacere di conoscere. Sapevo che ormai era impegnato, ma la gelosia era implacabile, non ti lasciava respirare neanche un secondo. Dovevo conoscerlo, magari solo allora il mio lato possessivo si sarebbe placato.

Seguii Bella fino al telefono e mi sedetti sul divano trascinandola sopra le mie gambe.

«Ehi, Jason», lo salutò Bella allegramente. Non sentii la risposta per quanto mi concentrassi; captai qualche parola qua e là, ma riuscii a seguire il filo del discorso grazie alle risposte di Bella. Il ragazzo la voleva invitare di nuovo fuori insieme alla sua ragazza.

Appena riappese, Bella mi chiese un parere: «Allora, ti va di uscire stasera? Jason c'è rimasto male perché ieri sera sono voluta andare via prima e vorrebbe recuperare».

«Certo, tutto quello che vuoi», le risposi pendendo dalle sue labbra. Adoravo quando arricciava il naso perché qualcosa la faceva sentire in colpa e quegli occhioni che si ingrandivano per far capire che ci teneva.

«Vedrai, Jason ti piacerà!», continuò con entusiasmo. Si vedeva che ci teneva a farmi conoscere il suo migliore amico, me ne aveva parlato spesso nelle precedenti telefonate e insisteva nel dire che saremmo stati ottimi amici.

«Non ci conterei così tanto», sussurrai.

«Cosa?», mi chiese Bella non avendo sentito bene.

«Nulla, nulla», feci il finto tonto.

Dubitavo che sarei mai stato amico per la pelle con l'ex della ragazza che amavo più di me stesso. Per quanto tra loro ci fosse stato un semplice flirt durato un'estate, ero pur sempre irrazionalmente geloso.

La giornata passò velocemente, conobbi John, il nonno di Bella; sistemai la mia roba nella nostra camera e telefonai ai miei genitori per informarli della mia decisione. Insomma, fu una giornata di assestamenti intervallati dai baci con Bella, dalle nostre chiacchere sui fatti più disparati e da qualche carezza.

La famosa uscita con Jason e la sua ragazza era arrivata ed io ero impaziente di conoscerlo.

«Bella, non dobbiamo andare ad un galà, va bene tutto ciò che metti di solito», la esortai ad uscire dal bagno. Dopo altri minuti finalmente uscì e rimasi incantato dalla sua bellezza, come sempre. Era la ragazza più bella che avessi mai visto, a mio parere, e ogni volta mi faceva lo stesso identico effetto: passione, sorpresa e un senso di possessione mai provato prima.

«Sei bellissima, amore», mi complimentai andandole incontro e afferrando una sua mano per tirarla contro di me.

«L'attesa è valsa a qualcosa, quindi?», mi chiese maliziosamente.

Scherzosamente le feci fare una giravolta per osservarla con occhio critico, e lei rise illuminando la stanza.

«Direi di sì», sussurrai sulle sue labbra.

Il vestito blu notte le cadeva addosso sottolineando le sue curve fino a metà coscia, i tacchi neri contornavano il tutto slanciando la sua figura. Sapeva che avevo un debole quando indossava scarpe alte, anche se mi chiedevo spesso quale tortura fosse per le donne indossarle, quindi apprezzavo ancora di più quando lo faceva per me.

Le porsi il suo cappotto blu con i bottoni dorati e andammo incontro a Jason.

Sicuramente non mi aspettavo un ragazzo tanto diverso da quello che mi ritrovai davanti. Dovevo ammetterlo, con la gelosia che mi rodeva lo stomaco: Jason era un ragazzo simpatico, alla mano e mi ci trovai subito bene, anche se con qualche riserva visto che il cruccio che lui avesse baciato la mia ragazza un anno prima restava.

«Ieri sera la nostra Bella non era per niente di compagnia, questa serata me la doveva e sono felice di averti conosciuto, Edward», disse Jason durante la serata.

«Anch'io, Jason, ho sentito parlare di te e finalmente so chi sei».

«Certamente non quanto io ho sentito parlare di te, Edward! Non passava giorno che sentissi Bella e non mi parlasse di te. Stavo per arrivare a sognarti di notte», mi svelò ridendo. Sorrisi guardando Bella rossa per l'imbarazzo e la strinsi al mio fianco accarezzandole una guancia.

«Jason, se magari la smettessi di metterla a disagio!», lo rimproverò la sua ragazza, Lucy.

«Bella a disagio? Ma, amore, non è da lei», si lamentò Jason. Quel ragazzo aveva un pizzico di Emmett in sé.

«Be', a quanto pare ora sì», gli rispose Lucy. Lui fissò Bella e poi me, studiando le sue guance bollenti.

«E così quando c'è Edward diventi timida, Bella. Non lo avrei mai detto», e scoppiò a ridere per qualcosa a me sconosciuto.

«Jason ha bevuto troppa birra», mi sussurrò la mia ragazza. Sorrisi e lasciai Jason tenere banco durante la serata. Raccontò anneddoti divertenti di Bella e lo ascoltai avido di sapere anche il più piccolo particolare di cui non ero a conoscenza.
Verso mezzanotte decidemmo di terminare la nostra serata insieme e Bella insistette per guidare dicendomi che desiderava mostrarmi un luogo di cui mi aveva parlato tempo addietro.

Logan era una città piena di verde, la tipica cittadina americana dell'Ohio, piena di fattorie, quindi non feci molto caso alla stradina sterrata che imboccò Bella. Alla fine si rivelò il percorso per arrivare ad un vecchio fienile quasi abbandonato.

«Appartiene a degli amici dei miei nonni, ormai sono anziani e non ci vengono più spesso», mi spiegò scendendo dall'auto. La seguii ed entrammo nel fienile, composto da un'unico ampio vano con agli angoli mucchi di fieno.

«Nelle mie precedenti visite a Logan venivo spesso qui; ora è raro, non ho più motivi per stare ore sdraiata sul fieno a sognare. Ho tutto quel che ho sempre sognato», continuò guardandomi intensamente solo alla fine.

«Di certo la realtà ha superato le mie aspettative», dichiarai avvicinandomi a lei lentamente. La tirai a me e ci stendemmo su un mucchio di fieno.

Era arrivato il momento di scoprire le carte.

Sospirai stringendola al mio fianco e le sussurrai all'orecchio due semplici parole che la fecero irrigidire: «Dobbiamo parlare». Le uniche parole al mondo in grado di farti tornare in mente tutti i tuoi errori, anche quelli dimenticati, e farti preoccupare oltre l'immaginabile.

«Grazie», mi rispose con la bocca premuta contro il mio petto.

«Non devi». Sapevo bene che si riferiva alla mia presenza lì e non aveva nulla di cui ringrazirmi. «Sono egoista, Bella». Scostò il viso dal mio petto per guardarmi e aggrottò le sopracciglia in segno di disagio.

«Non ho mai conosciuto una persona più altruista, sensibile e comprensivo di te, Edward. Ti sei catapultato qui dopo un mio messaggio disperato, dopo che io ti avevo detto di stare bene, dopo che sempre io ti ho quasi costretto a vivere la tua esperienza al college. Non ti merito, ma sto facendo di tutto per far sì che non sia più così». La sua voce era appassionata, ferma e più alta del solito mentre pronunciava quelle frasi che mi arrivarono dritte al cuore. Rimasi così stupito dal suo discorso che per un attimo fui a corto di parole.

«Bella, amore, sono venuto qui anche per me stesso, in questo sono egoista! Sono qui perché non potevo più sopportare la tua mancanza, perché i mesi passati senza di te mi sono sembrati anni! Il college era solo una distrazione in attesa del tuo ritorno! Come potevo godermi un'esperienza che dovevamo fare insieme?! E, per chiarire una volta per tutte questo malinteso, sappi che avevo già prenotato l'aereo prima della tua chiamata, infatti ieri sera non ti ho risposto perché ero in aeroporto. Non eri l'unica a stare male, anch'io non avevo più la voglia di andare avanti senza di te. Credimi, Bella, ormai siamo talmente legati che ciò che ti ferisce di conseguenza annienta me. Ti amo così intensamente...Ti amo, Bella, ti amo e basta, senza se o perché».

Continuai a fissare i suoi occhi lucidi fino a toccare le sue labbra con le mie. Assaporai le gocce salate che colavano sulle sue guance e poi tornai sulle sue labbra rosee. Accarezzai la sua schiena lentamente finché la mia mano non salì fino alla sua nuca. Mi persi in lei, nel suo profumo, nel suo sapore... Ogni volta era come se mi estraniassi da tutto tranne lei, la mia Bella. Cosa mi importava del resto se lei era insieme a me?

L'amore rende sordi e ciechi, ti mostra il mondo sotto altre spoglie, ti cambia dentro a volte in bene altre in peggio, ma ti modifica e lo fa in modo così permanente da farti scordare la tua vita prima di quell'amore folle.

«Ti amo anch'io, Edward. Ti amo così tanto che ogni volta mi sembra di bruciare da tutto quel che sento, ne sono sopraffatta e non desidero altro che sentirmi sempre così, colma del mio amore per te, felice del tuo amore per me», bisbigliò ad un centimentro dalle mie labbra per poi riprendere a baciarmi.

Il mio amore per Bella era stato per così tanto tempo platonico, che ogni giorno mi sembrava di vivere in un sogno. Non desideravo risvegliarmi. Volevo continuare a sognare ad occhi aperti, immaginarmi sempre al fianco della donna che avevo conquistato e che era perfetta per me. Ogni cosa di noi combaciava alla perfezione.

 

Il nonno di Bella, John, si rimise in sesto, sconfisse la malattia e noi tornammo a casa per il Georgia Day, il 12 febbraio, la festa della fondazione della colonia che durava ben una settimana. Riprendemmo in mano la nostra vita, andammo a vivere nel nostro appartamento, che avevo temporaneamente subaffittato durante i mesi che avevo passato a Logan con Bella, e ci prendemmo qualche mese libero per ambientarci, goderci la reciproca compagnia prima che iniziasse il nostro primo semestre al college. Iniziammo la nostra vita insieme, fatta di alti e bassi certo, ma pur sempre nostra.

 

L'amore è universale, ma ogni coppia è unica.

 

Buonasera, ragazze! Lo so, vi ho fatto aspettare trooooppo per questo capitolo, ma non voleva uscire, più mi ci mettevo più mi risultava orribile ç.ç Non so se il risultato finale è migliore, spero possa piacervi la conclusione della storia, sono molto molto insicura sul capitolo ç.ç

Prima di passare a "la storia è finita..." faccio qualche piccolo appunto sulla storia e su questi ultimi due capitoli. E' l'ultimo capitolo, sopportate le mie luuunghissime note, please ç.ç

Molte di voi non hanno capito il comportamento di Bella nel capitolo precedente e vorrei solo farvi vedere le cose in un'altra prospettiva: se voi foste state al suo posto, sareste state così egoiste da precludere la possibilità a Edward di fare un'esperienza così importante come il college? Lo avreste voluto con voi, pur sapendo che non poteva fare nulla,né andare al college a Logan visto che in USA le iscrizioni al college, le domande, etc, si fanno mesi e mesi prima ancora quando si è all'ultimo anno di liceo? Io non credo, perché se si ama davvero si cerca di dare ogni possibilità alla persona amata. Un po' come ha fatto Edward in New Moon lasciando Bella. Ora non sto dicendo che sia giusto o sbagliato, ma solo che sono opzioni, spero di essermi spiegata xD Dopodiché devo anche dire che io sono dell'opinione che i problemi si affrontano insieme, questa è stata una situazione particolare che non riguardava la loro relazione quanto terzi soggetti, quindi è stata tutta una prova che è finita comunque con loro due che hanno bisogno del sostegno l'uno dell'altra.

Tutte eravate preoccupate che finisse male, ma dico io, ormai non mi conoscete un po'?! Io non sono in grado di scrivere qualcosa senza lieto fine, ad oggi xD Forse più avanti, non ne ho idea xD

Il titolo della storia non penso abbia bisogno di spiegazioni, tutti gli eventi importanti hanno come filo conduttore la pioggia, quindi ecco il titolo che collega tutto.

E con molta tristezza questa storia è conclusa. Sono incredula io stessa, è la prima long a cui metto la parola fine e... non so bene come sentirmi: da un lato sono sollevata, è stata la prima long che ho scritto e vederla finita è una soddisfazione, ma d'altra parte è dura staccarsi da personaggi che mi sono portata dietro per un anno e mezzo! Voglio ringrazire tutti voi che mi avete sostenuta, non mi avete abbandonata dopo mesi che non aggiornavo (be' qualcuno sì xD), questo capitolo lo dedico a tutte voi, ragazze! Grazie di cuore, in particolare a chi mi ha sempre recensito sprecando qualche minuto del loro tempo per dirmi cosa ne pensavano! Non faccio nomi perché ho paura di dimenticarne qualcuno ahah, ma voi sapete chi siete <3

Spero di riceverne ancora per quest'ultimo capitolo, risponderò a tutte, promesso <3

Non so se vi interessa, ma ve lo dico comunque LOL Ora che ho terminato "Scusa..." porterò avanti Rules e anche questa vedrà la parola fine, ve lo assicuro. Nel frattempo porterò avanti altri progetti, pubblicherò ancora in questa sezione; non sono ancora pronta ad abbandonare Edward e Bella, forse non lo sarò mai.

Spero di risentirvi tutte in altre mie storie perché siete state tutte di grande supporto! Ancora grazie e... see you soon <3

Vi ricordo il gruppo fb, il mio profilo lo trovate qui su efp.

Jess

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