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La sua morte improvvisa sconvolse tutti. Colti nel pieno delle
festività natalizie, quella notizia li travolse come un treno in corsa. Quella
stessa corsa della macchina che lo aveva strappato ai suoi cari.
In cuor loro avevano sempre sospettato che non sarebbe morto in
modo banale e scontato: era sempre stato troppo diverso dai comuni mortali per
morire di vecchiaia. Ma non per questo si aspettavano che la morte lo portasse
via a soli diciassette anni, proprio sotto Natale.
Alcuni urlarono, prendendo a calci ogni cosa; in molti piansero;
altri si chiusero nel silenzio.
Il tutto mentre le luci e un allegro Merry Christmas riempivano
l’atmosfera di Tokio, coprendo la voce del giornalista che diffondeva la
comunicazione nel mondo.
-Il
beyblade è in lutto: ieri sera, nella città di Tokio, ha perso la vita il
campione Kei Hiwatari. Erede diciassettenne dell’impero Hiwatari e blader di
fama mondiale, il ragazzo è stato investito da un’automobile mentre si trovava
in compagnia della sua fidanzata, Hilary Tachibana. Inutili i soccorsi: il
giovane è deceduto sul colpo. I funerali si svolgeranno domani mattina alle ore
dieci…
Voglio chiedere scusa a chi seguiva questa ff e se l’è vista
sparire sotto gli occhi. Problemi con l’HTML (Un gigantesco grazie a Isi e alla
sua pazienza nell’insegnarmi!!) mi hanno costretto a toglierla per sistemarla. Ora
riappare…spero possiate perdonarmi.
Le campane del monastero avevano suonato a morto per tutto il
giorno come aveva ordinato. E per tutto il giorno le avevano accompagnate,
alternandosi, quelle delle chiese di San Pietroburgo.
Rinchiuso nella sua stanza, Yuri Ivanov stava finendo di
preparare la valigia: quella sera stessa sarebbe partito con il primo volo per
il Giappone.
Kei…ancora non riusciva a crederci. Si erano sentiti solo pochi
giorni prima per scambiarsi gli auguri di Natale…
“-Yuri…Yuri…apri, ti prego!
Il capitano della Neo Borg socchiuse gli occhi, gettandoli sulla
sveglia: le 5.00! Nemmeno il sole in Russia si svegliava a quell’ora: perché
avrebbe dovuto farlo lui?!
Sperava solo che Boris avesse un valido motivo per giustificare
quel risveglio… Si alzò, avviandosi a passi incerti verso la porta, la voce
ancora impastata di sonno.
-Arrivo, Boris…- Cercò a tentoni la maniglia, continuando a
sbadigliare. Ma il volto che si trovò di fronte fece sparire in lui ogni
traccia di sonnolenza: gli occhi gonfi e rossi, lo sguardo stravolto. Cos’era
successo di così grave?
-Yuri…è morto…- Il blader non capiva. Prendendolo per le spalle,
lo costrinse a guardarlo in faccia e a dargli una spiegazione.
-Chi, Boris? Chi è morto?
Per qualche inspiegabile ragione, l’ansia aveva cominciato a
farsi strada. Temeva la risposta dell’amico, la temeva come non aveva mai
temuto nient’altro nella sua vita.
-Kei…
Non fu più di un sussurro, ma a Yuri parve una scossa. Staccò le
mani da Boris, lasciandosi poi cadere sfatto sul letto. Non era possibile…si
erano sentiti da poco…come poteva essere morto?
-Come…
-Un’auto…l’ha investito…ieri sera…- balbettò l’altro tra i
singhiozzi.
-Fai suonare le campane. Voglio sentirle per tutto il giorno.
Boris uscì, sia per eseguire l’ordine che per permettergli di
sfogare il suo dolore.”
A diciotto ore di distanza non aveva ancora esaurito le sue
lacrime. Aveva prenotato il volo, fatto la valigia e telefonato a Takao: una
voce rotta dal pianto gli aveva risposto all’altro capo del filo, una voce che
non pareva nemmeno quella del campione del mondo. La morte di Kei aveva
appianato tutto: qualsiasi contrasto o divergenza ci potessero essere stati,
scomparvero in quei pochi minuti di conversazione.
Il giovane Hiwatari non era stato un modello di onestà, simpatia
o solarità, ma era stato il suo compagno: insieme a lui avevano scalato le
classifiche dei tornei russi, insieme a lui aveva partecipato al campionato.
Non meritava una fine del genere.
Sentendo bussare alla porta, si asciugò gli occhi con la manica
della giacca.
-Avanti.
-Yuri…- Anche Sergey era distrutto: lui e il giapponese non
erano mai riusciti ad andare d’accordo, ma quella notizia lo aveva sconvolto.
–Io, Boris ed Ivan…vorremmo venire con te…Kei era anche…uno di noi.
-Va bene. Siete già pronti?
-Si.
-Allora andiamo.
Quando aprirono le porte, si trovarono ai piedi dei mazzi di
fiori: ancora gigli, rose, crisantemi. Tutti bianchi come neve. I ragazzi ne
avevano portati dentro a decine durante tutto il giorno: era l’ultimo saluto
della Russia al suo campione.
-Mi scusi, signor Ivanov.
Yuri si volse verso un ragazzetto, avvolto in un cappotto
enorme.
-Le volevo chiedere se poteva portare anche le nostre
condoglianze.
Un sorriso triste comparve sulle labbra del blader, che abbassò
lo sguardo accarezzando la testa del bambino.
-Lo farò, non preoccuparti. Non dimenticherò il lutto del mio
paese.
Il piccolo accennò un saluto, avviandosi poi verso casa. Yuri lo
seguì con gli occhi, finché non scomparve nella nebbia.
Per molti quello non sarebbe stato un felice Natale.
Non riusciva a cancellare quell’immagine dalla sua mente.
Riviveva quei secondi ogni istante della sua vita.
Lei che arriva al semaforo, aspettando che scatti il verde; lui
che attende all’altro lato della strada. Bello come un dio, completamente
ignaro del freddo, che affrontava con una giacca leggera e l’immancabile sciarpa
bianca. Quel suo sorriso; quegli occhi d’ametista.
Il semaforo che diventa verde, lei che avanza. E
quell’auto…quell’auto nera che sfreccia ignorando il rosso del suo semaforo. La
voce di Kei che urla il suo nome.
-Hilary!
Il resto era successo talmente in fretta da non rendersene
nemmeno conto: una spinta e Hilary si era trovata a rotolare sul marciapiede
senza capire cosa fosse accaduto. Poi aveva guardato la strada e il suo cuore
aveva smesso di battere: c’era lui a terra, c’era del sangue…
Gli corse accanto, ma non poteva fare più nulla: gli occhi di
Kei, quegli occhi viola in cui amava perdersi, si erano chiusi per sempre.
Quel bastardo alla guida non si era neanche fermato: era andato
dritto per la sua via senza voltarsi.
Teneva fra le braccia il corpo senza vita del suo amore,
chiedendo aiuto: una piccola folla si era radunata attorno a loro, ma nessuno
poteva riportarlo in vita. L’aveva perso…per sempre.
Sdraiata sul letto, Hilary Tachibana, guardava con aria spenta
il soffitto: se c’era un Dio sopra di lei, quanto aveva deciso di farla
soffrire? La morte di suo padre, la partenza di Simon, il secondo matrimonio di
sua madre… Quanto male aveva fatto per meritare anche questo dolore?
Era una sofferenza che
le esplodeva dentro, partendo dal cuore e arrivando in ogni punto del suo
corpo. Kei, il suo Kei, non c’era più.
Aveva dato la sua vita per salvarla, ma lei ora desiderava solo
morire.
Guardandosi allo specchio, Takao Kinomiya finì di abbottonarsi
la camicia. Sentiva le voci dei ragazzi nell’ingresso che cercavano di
allontanare i giornalisti: non capivano che volevano essere lasciati soli con
il loro lutto? Erano stufi di parlare con quelle persone, stufi delle loro
domande, stufi della loro mancanza di rispetto.
Andavano ad un funerale, al funerale del loro amico, non ad un
party esclusivo.
Eppure quegli imbecilli non riuscivano a farselo entrare in
testa: essere un pluricampione mondiale aveva i suoi lati negativi. E stavano
emergendo tutti in quell’occasione.
-Kei…pazzo di un mezzosangue…- sussurrò, guardando la fotografia
sopra al tavolo. Due anni prima gli aveva chiesto quanto amasse Hilary e il
ragazzo dagli occhi viola gli aveva risposto:
-Darei la vita per lei.
Ed era andata proprio così: era finito sotto quell’auto per
salvare l’amore della sua vita.
Se solo ripensava a quella telefonata…
“Max e Rei stavano discutendo sulla disposizione degli
addobbi, mentre il prof urlava loro che erano blader e non decoratori
d’interni. Takao, avvolto in un groviglio di cavi, stava controllando le luci,
quando il telefono iniziò a squillare.
-Maledizione, sempre nei momenti giusti- imprecò. Emergendo dai
fili, gridò in direzione della cornetta: -Arrivo!
Trascinandosi appresso le luci dell’albero, il campione
raggiunse finalmente l’apparecchio.
-Venire voi a rispondere mai, vero?- inveì verso la sala. –Casa
Kinomiya, chi parla?
Mentre aspettava una risposta, agitò un piede per liberarsi
dalle sue “catene”. Ma dall’altra parte del filo non c’era che silenzio.
-Pronto?
Stava già pensando ad uno scherzo, quando sentì un singhiozzo.
-Takao…
Conosceva quella voce: era una voce che non avrebbe mai più
voluto sentire in quello stato. L’aveva giurato a sé stesso due anni prima.
-Hila, sei tu?
-Takao…
Sì, era proprio lei. E stava piangendo. Cominciò a preoccuparsi:
Hilary non era il tipo che si metteva a piangere per delle sciocchezze. E a
quell’ora avrebbe dovuto essere con Kei.
-Hilary, cos’è successo? Ti prego,
parla!
-Kei…
Se non altro, aveva cambiato nome. Cosa aveva combinato stavolta
quel ragazzo? Doveva essere qualcosa di grave, se Hilary piangeva a quel modo.
-Hila, cosa c’è? Hilary!
-Oh, Takao…lui…lui è…è morto…- balbettò, prima di scoppiare in
lacrime.
Fu come ricevere una coltellata dritta al cuore. Morto? No, non
era vero. Non era che un incubo da cui presto si sarebbe svegliato.
-Hilary…che stai dicendo? È uno scherzo, vero?- Ma lei continuò
a piangere e Takao abbassò lo sguardo, nascondendo gli occhi sotto la frangia
scura. Strinse le labbra fra i denti, ricacciando indietro le lacrime. –Dove
sei, Hila?
-A Tokio…in ospedale…
-Aspettami lì…non fare cretinate, mi raccomando.
Quando rientrò nella sala, cadde il silenzio: i volti dei suoi
amici si voltarono verso di lui, fermo sulla porta, il viso ancora celato dai
capelli.
-Smontate tutto- sibilò. –Non abbiamo più niente da festeggiare.
-Ma, Takao…la settimana prossima è Natale- intervenne Max.
-No, non c’è proprio un bel niente.
-Takao, cos’hai?- Nonno Jey gli venne incontro dal corridoio.
-Chi era al telefono? È forse successo qualcosa?- Rei, il suo
caro compagno di squadra: pareva avere un sesto senso per quelle cose, specie
se riguardavano il suo migliore amico.
-Perdonami se ti spezzo il cuore- pensò. –Ha chiamato Hilary
dall’ospedale…
-L’ospedale?!- ripeterono tutti all’unisono.
-Si tratta di Kei…è morto.”
Prese dall’armadio la giacca nera e gettò un’occhiata al foglio
con il discorso funebre: lo rilesse velocemente, per poi appallottolarlo e
buttarlo nel cestino. Kei preferiva le cose oneste e sincere, non le frasi
preparate a tavolino.
Si diresse verso la stanza degli ospiti dove dormiva Hilary,
ancora sotto l’effetto dei tranquillanti: soffriva da morire, come se le
avessero strappato una parte di lei. E Takao temeva che fosse una ferita
impossibile da rimarginare.
L’avevano sollevata da ogni responsabilità: Takao aveva
organizzato il funerale, parlato con la stampa e contattato il presidente
Daitenji, in vacanza ai Tropici.
Max e Rei si erano occupati della scelta della cassa, della
lapide e dei fiori: tutte rose, i fiori preferiti di Kei.
Ma se i due ragazzi ogni tanto si facevano ancora prendere dalla
disperazione, il loro capitano stringeva i denti e tirava avanti: non poteva
crollare anche lui, non ancora.
Avrebbe sfogato il suo dolore una volta finito il funerale.
-Sei pronto, Takao?
Uno sfatto Max si era affacciato alla porta: gli occhioni
azzurri sembravano ancora più grandi su quel viso pallido e scarno, reso ancora
più bianco dal completo nero.
-Sì, devo solo chiamare Hilary. Se ne sono andati i giornalisti?
-Purtroppo no. Rei li sta trattenendo, ma noi dovremo uscire dal
retro se non vogliamo incontrarli.
-Cose da pazzi…- mormorò in risposta, bussando alla porta.
C’era tantissima gente, venuta da ogni parte del mondo: Max vide
i suoi genitori e gli All Starz; Rei i Baiuzu; Takao riconobbe con un po’ di
preoccupazione Brooklyn; Hilary notò Yuri e il resto della Neo Borg. Il
colorito pallido del russo contrastava con la giacca nera, che lo rendeva
ancora più smorto.
Un anno fa, in quel periodo, lei e Kei stavano partendo per la
Russia dove avevano trascorso delle splendide vacanze di Natale. In
quell’occasione aveva conosciuto meglio il ragazzo dagli occhi di ghiaccio,
scoprendolo completamente diverso da come lo credeva.
Ma c’erano anche gli European Dream, la Bartez Scuola, Mr X e i
suoi compagni, Antonio, Julia, Raul, Yuuya…
-Una massa di corvi neri sulla neve bianca: forse è questo che
penserà Kei guardandoci. Anzi, conoscendolo, è più probabile che dirà: “Cosa ci
fa il mio bel cigno fra quelle cornacchie?”- esordì Takao, gettando un’occhiata
a Hilary. Piangeva disperata, appoggiata a nonno Jey che la cullava come una
figlia. –Mi dispiace, non dirò quello che molti di voi si aspettano: la sua
scomparsa mi ha lasciato a pezzi. Sono state inventate tante parole per descrivere
questo stato d’animo: distrutto, spezzato, dilaniato, lacerato…ma sono soltanto
parole: in qualsiasi lingua le si pronunci, non corrispondono appieno a ciò che
sento in questo momento. Parlo di me, ma so di parlare anche per Max, per Rei,
per Yuri…per tutti coloro che gli sono stati vicini. Kei è stato un amico, un
rivale, un compagno, un fratello…è dura accettare il fatto che di lui non resti
altro che una foto su un pezzo di marmo bianco. Io forse non sono una persona
colta, ma sono sincero: leggo il dolore nei vostri occhi, lo stesso dolore che
ho nel cuore. L’ho stimato come blader e oggi lo stimo ancora di più come
persona. Una volta mi disse che avrebbe dato la vita per la persona che amava:
non erano parole al vento, come le mie, erano parole che non si perdono nel
tempo.- Stringendo i denti, Takao proseguì. –Non ha esitato un solo istante a
gettarsi sotto l’auto per salvare la sua fidanzata. Domani, forse, avrete
dimenticato il novanta per cento del mio discorso, ma spero che il gesto e il
ricordo di Kei rimangano vivi nei vostri cuori, come lo rimarranno nei nostri.-
Si voltò, lanciando una rosa bianca nella fossa. –Addio, Kei Hiwatari. Non avrò
mai più un rivale e un amico come te.
Hilary si portò accanto ai ragazzi per ricevere le condoglianze
dei presenti. E fu in quel momento che vide, in lontana in fondo alla folla,
una persona che non si aspettava di trovare lì: Hito Hiwatari, il nonno di Kei.
Ma fu solo un attimo; quando guardò di nuovo in quella direzione, non c’era più
nessuno.
Fu Yuri il primo a stringerle la mano.
-Mi sarebbe piaciuto rincontrarvi in una situazione più lieta.
Vi porto le condoglianze della Neo Borg e del nostro paese: la Russia intera
piange la morte di Kei.
-Grazie, Yuri.
-Se vi servisse qualcosa, ricordatevi che non siamo così lontani
come sembra.
I suoi compagni annuirono, posando un mazzo di gigli bianchi
sulla tomba dell’amico.
-Avremmo voluto portare tutti quelli che ci sono stati
consegnati al monastero, ma erano veramente troppi. La mia terra perde un
campione; noi un amico e un compagno.
Si allontanò, le mani chiuse nelle tasche e gli occhi bassi,
seguito dagli altri.
Fu poi la volta di Brooklyn e successe ciò che Takao temeva: lo
sguardo di Hilary divenne di fuoco. Non riusciva a perdonarlo, era più forte di
lei.
-C’è odio nei tuoi occhi, Hilary, e mi dispiace. Kei mi ha
insegnato cosa vuol dire essere un blader.
-L’hai quasi ucciso, Brooklyn!
-Calmati, Hila- la rattenne Rei.
-Hai ragione, ma non mi sarei mai perdonato se fosse accaduto.-
Sistemò anche lui il suo mazzo di fiori. –Capisco il tuo rancore ma credimi:
ammiravo il tuo fidanzato. Era il miglior blader che io avessi mai incontrato e
ancora oggi non ho trovato qualcuno alla sua altezza.
Alla fine la tomba era cosparsa di fiori.
-Avremmo voluto conoscerlo meglio- pronunciarono in molti. –Ma
la sua scomparsa lascerà un vuoto incredibile nel mondo del beyblade.
Un vuoto…non sembrava il termine giusto. Voragine, abisso,
cratere…suonavano già più vicine al vero.
L’unico a non parlare fu Yuuya: abbracciò stretta Hilary,
lasciando poi un solo fiore, più rosso del sangue. La dolcezza di quel
ragazzino colpì non poco la giovane: era stato il solo ad agire d’impulso,
senza inutili frasi fatte.
Erano rimasti soli: quattro ragazzini davanti alla fine del loro
amico d’infanzia.
Dranzer emerse dalla tasca di Takao.
-Perdonami, amico: so benissimo che soffri quanto noi. Questo
sarà il tuo ultimo lancio.
Il bey iniziò a ruotare intorno alla terra smossa: aveva passato
la vita insieme a Kei. Sarebbero stati uniti anche nella morte. Il bit-power si
illuminò, liberando l’Aquila Rossa ed il suo grido. Era un urlo di pura
disperazione che lacerò ciò che restava dei loro animi.
Takao, forte fino a quell’istante, crollò a terra in un pianto
liberatorio.
-KEI!! NON È GIUSTO…NON È GIUSTO!!! KEI!!
Max e Rei abbassarono lo sguardo, mentre Hilary fissava l’Aquila
Rossa: Kei le aveva detto che era la divinità del sole e della primavera. Ora
sembrava desiderare la morte almeno quanto lei.
Il suo verso ruppe ancora una volta il silenzio, poi l’animale
sacro scomparve nella terra, ricongiungendosi al suo custode. Dranzer si fermò
immediatamente.
Fu l’americano a fare un passo avanti, raccogliendolo e
appoggiandolo davanti alla lapide.
Erano già passate due ore eppure nessuno di loro si era ancora
cambiato. Come se non riuscissero o non volessero staccarsi da quel momento.
Seduta sul balcone Hilary cercava di digerire quegli ultimi giorni.
Aveva ancora la sua voce nelle orecchie.
-Hilary!
L’ultima cosa che aveva pronunciato prima di morire: il suo
nome.
Tutti i ragazzi del gruppo la chiamavano Hila, ma lui no. Lui
l’aveva sempre chiamata Hilary.
-È più bello- diceva. –E poi un nome è una cosa importante.
Lui ne sapeva qualcosa: il suo gli aveva permesso di fare un
milione di cose senza preoccuparsi della legalità. Kei era fatto così: non
esistevano regole per quel ragazzo. Lo amava anche per questo. Lo amava ancora.
Forse lo avrebbe amato per sempre.
Proprio come quella sera di due anni fa…
“Pioveva, e come al solito aveva lasciato a casa l’ombrello.
Per fortuna, la fermata dell’autobus non era lontana. Salutò la signora
Aikenara e corse sotto l’acqua.
Aveva fatto tardi anche questa volta: quella doppia vita la
stava distruggendo. Di giorno andava a scuola e durante il pomeriggio faceva la
baby-sitter ai pestiferi figli della signora Aikenara: due insopportabili
bambini che avrebbe volentieri affogato.
Ma i soldi di quel lavoro le servivano: la storia di sua madre
con quel tipo diventava più seria ad ogni uscita. Presto quell’insopportabile
uomo sarebbe diventato il suo patrigno: ancora quattro anni di risparmi e
sopportazioni e poi finalmente se ne sarebbe andata.
Arrivò alla fermata giusto in tempo per vedere il pulmino
partire.
-Maledizione…una splendida giornata…- canticchiò.
Quella pioggia del cavolo non accennava minimamente a smettere e
lei si stava infradiciando. Si schiacciò contro una parete, riparandosi
leggermente, e infilò le mani in tasca.
-No…- esclamò. –Non questo…le chiavi no…
E invece sì: aveva proprio dimenticato le chiavi di casa. Guardò
l’ora: le 19.00. Sua madre non era sicuramente a casa: quella mattina le aveva
comunicato che sarebbe uscita alle 18.00.
-Complimenti, Hilary. E ora dove vai?
Prese il cellulare e cominciò a far passare i nomi in rubrica.
Takao! Ma certo, il suo amico l’avrebbe sicuramente ospitata. Compose il numero
e rimase ad aspettare.
-Rispondi…rispondi…
-Salve a tutti, sono io. Come chi? Il vostro grande, stupendo,
bellissimo…
-…pallone gonfiato?
-…Takao…In questo momento non so…
Interruppe il messaggio della segreteria, imprecando contro
quelle macchinette. Aveva freddo e i vestiti bagnati le si appiccicavano
addosso. Anche la testa cominciava a girarle e non faceva altro che starnutire.
-Vuoi vedere che mi sono beccata anche l’influenza?!
-Ehi, ragazzina…
Un uomo, dall’altra parte della strada, la stava chiamando.
-E questo chi è?- pensò.
-Guarda che non ci sono altri autobus…
-Cosa?!- Che giornata fantastica. Non poteva certo restare lì in
eterno, spiaccicata contro il muro. Non era mica la piccola fiammiferaia.
-Oggi non me ne va dritta una- si disse. –Tra il votaccio in
matematica, i bambini isterici e l’autobus, cosa può succedere ancora?
Un rumore sopra la sua testa la fece pentire di quelle parole:
la grondaia della casa stava cedendo e lei fra pochi secondi avrebbe fatto un
bagno. Chiuse istintivamente gli occhi, portandosi le mani sulla testa: sentì
il ferro cadere e l’acqua infrangersi su una superficie. Ma lei non era più bagnata
di prima.
Riaprì gli occhi, trovandosene davanti un paio viola.
-Sono arrivato appena in tempo, a quanto pare.
Kei Hiwatari, il ragazzo più bello e ricco di tutto il Giappone.
Sfortunatamente anche il più acido e asociale. Aveva avuto modo di conoscerlo
durante gli allenamenti dei Bladebreakers: schivo, freddo e silenzioso, pareva
più un lupo solitario che un blader. Eppure Takao gli era molto legato
E in quel momento la stava riparando con il suo ombrello.
-Ke…Kei…cosa ci fai qui?
-Passavo da queste parti e ti ho vista in difficoltà. Hai perso
l’autobus?
-Sì…- mormorò. Di colpo il suo campo visivo si oscurò e le forze
le vennero meno: ma non si riprese a terra, bensì fra le braccia forti e sicure
di Kei. Il suo cuore iniziò a battere a mille: un anno, quasi, che lo conosceva
e non gli era mai stata così vicina.
-Hilary, sei fradicia e…ma tu scotti!- La sua voce divenne
risoluta. –Vieni, ti porto a casa.
-Non ho le chiavi e…non c’è nessuno.
-Da Takao, allora. No, è a cena con i ragazzi.
-Lascia stare, Kei. Me la caverò…
-Stai scherzando, spero. Ora ti porto a casa mia.- Ignorando le
proteste, le diede in mano l’ombrello e la prese in braccio.
-Kei, non c’è bisogno…
-Hai la febbre, Hilary- ribatté lui. –I tuoi piuttosto, staranno
in pensiero.
-No, non credo proprio.
La conversazione terminò lì. Hilary si sentiva al sicuro nella
stretta del giovane: avvertiva i suoi muscoli sotto la maglia, i battiti
regolari del suo cuore. Dopo tanto tempo, intuì di potersi di nuovo affidare
completamente ad una persona.
-Siamo quasi arrivati- la rassicurò. Non aveva mai visto la casa
di Kei, anche se ne aveva sentito parlare: in tutta Tokio non c’era un’anima
che non conoscesse Villa Hiwatari, la residenza della famiglia più potente
della città. Takao le aveva detto che vi abitava con suo nonno, l’unico parente
che gli restasse al mondo, ma che fra i due non correva buon sangue.
-Aggrappati al collo mentre cerco le chiavi.
Mettendo da parte i suoi pensieri gli strinse le braccia attorno
al collo, sentendo i suoi capelli morbidi sfiorarle il viso. Una strana
sensazione di calore le avvolse il cuore, una sorta di pace interiore. Il
desiderio di non lasciarlo.
Un pensiero pericoloso…
La adagiò su una sedia, parlando con un tono che non permetteva
repliche.
-Ora ti vai a fare una doccia calda. Intanto io ti preparo dei
vestiti asciutti e un’aspirina.
-Perché è così gentile con me?- si chiese la ragazza,
lasciandosi accarezzare dall’acqua bollente. –Che batta un cuore sotto quel
ghiaccio?
-Hilary, tutto bene? Ti ho lasciato i vestiti qua fuori!-
esclamò Kei dall’altra stanza.
Certo che quella villa era minuscola…
-Un momento…questa non è la villa…dove cavolo sono?!
Un improvviso panico si impossessò di lei: in fondo non sapeva
niente di Kei, se non che a soli quindici anni aveva alle spalle un’esistenza
travagliata fatta di bande, tradimenti, voltafaccia…
Takao sarebbe andato in capo al mondo per quell’iceberg. Ma lei
poteva fidarsi?”
Ancora adesso, quando ci ripensava, si dava della pazza. Era
entrata in una casa con un ragazzo che conosceva a malapena…le sarebbe potuto
succedere di tutto. Forse era stata l’incoscienza dei suoi quattordici anni,
oppure la febbre che non le permetteva di pensare lucidamente. Oppure aveva
disperatamente bisogno di fidarsi di qualcuno: cinque anni prima si era
affidata alla madre e questa aveva rovinato tutto sposando un altro uomo.
Distruggendo la memoria di suo padre.
Kei era stato il solo di cui si fosse di nuovo fidata, seppur
con qualche riserva. Riserva mentale, ovviamente.
Perché quella sera di due anni fa, a dispetto di ciò che pensava
o credeva di pensare, Hilary Tachibana donò il suo cuore a Kei Hiwatari. Un
dono che gli sarebbe rimasto per sempre.
“Seduto davanti al caminetto, Kei stava smontando Dranzer, il
suo inseparabile beyblade. Ma alzò immediatamente gli occhi al rumore dei passi
di lei.
-Istinti e riflessi felini- ricordò Hilary.
-Come ti senti?
-Un po’ meglio, grazie. Almeno mi reggo in piedi…più o meno-
terminò, appoggiandosi alla parete.
Il ragazzo le si avvicinò, suscitando il suo turbamento: che
cosa voleva? Le poggiò una mano sulla fronte: era morbida e vellutata,
nonostante alcune cicatrici lasciate dalle lame del bey.
Che strano: aveva sempre pensato fossero ruvide almeno quanto il
suo carattere. Poi notò i suoi occhi, di un viola acceso: non si era mai
fermata a guardarli attentamente. Le erano sempre sembrati freddi e distanti,
un muro invalicabile dietro cui il blader nascondeva i suoi sentimenti.
Invece erano vivi e lucenti, due incredibili ametiste in cui
specchiarsi per ore…
-Piantala, Hilary- si ordinò.
-Siediti, prima di cadere. La febbre è scesa, ma non mi sembra
il caso di strafare. Vuoi mangiare qualcosa?
-No, grazie.
-Per fortuna non somigli a Takao- disse, tornando ad occuparsi
di Dranzer.
Prendendo posto sulla poltrona, si accoccolò nel caldo maglione
nero che le aveva dato, non sapendo bene come prendere la sua ultima frase: una
battuta era uscita dalla bocca di Kei Hiwatari?! Pareva impossibile. Davvero
non riusciva a comprenderlo: quel tipo aveva talmente tante sfaccettature da
rendere impossibile qualsiasi definizione. Ma doveva ammettere che questo
faceva parte del suo fascino.
Certo, non era difficile immaginare perché le ragazze gli
morissero dietro: Kei era veramente carino. Alto, in forma smagliante e avvolto
da un alone di mistero: il classico bello e dannato. Chi non avrebbe perso la
testa per lui?
-Già…No, Hilary, non ti starai…no, non puoi…no…devo trovare
qualcosa da dire. Ma cosa?! La casa! Sì, parla della casa- discusse
mentalmente. –Carina questa casa.
-Grazie.
-Ci vivi da solo?
-Sì.
-Non mi aiuti certo a fare conversazione. Monosillabico fino al
midollo- rifletté. –Chissà perché quando hai parlato di casa l’ho collegata
subito alla villa…
Dranzer cadde a terra e Hilary intuì di aver toccato un tasto dolente.
Doveva scusarsi…subito.
-Perdonami. Non avrei dovuto nominarla.
-No, non fa niente. È vero, una volta abitavo lì: era quella
casa mia. Ma dopo il campionato ho tagliato i rapporti con mio nonno e ho
cercato una nuova abitazione.- Con un sorriso amaro aggiunse: -Non immagini
quante porte apra un cognome e un conto in banca ad otto cifre.
I riflessi del fuoco donavano un po’ di colore alla sua
carnagione pallida, ma, nonostante l’espressione sprezzante, Hilary vide una
leggera tristezza nei suoi occhi: dopotutto Hito Hiwatari era l’unico brandello
di quella che una volta era la sua famiglia. Un po’ come sua madre per lei:
dopo la morte di suo padre e la partenza di Simon, soltanto sua madre poteva
dirsi la sua famiglia. Quella madre degenera che ora se la spassava con
un’ameba dal cervello di tellina.
-Hilary, tutto a posto?
Si era distratta di nuovo. Stava per rispondere, quando uno
sbadiglio le giunse improvvisamente, strappando a Kei un sorriso sincero.
-Ti ho annoiata, vero?
Le guance di lei avvamparono: era ancora più bello quando
sorrideva.
-Vai a dormire. La camera è
quella- continuò, indicandole una porta.
-Non posso approfittare ancora della tua gentilezza, Kei. Il
divano andrà benissimo.
-Non preoccuparti. Io non dormo mai molto, ma tu ne hai bisogno.
Buonanotte.
“Quando Hilary si svegliò, lanciò un urlo talmente forte che
Kei, per poco, non si ritrovò attaccato al lampadario per lo spavento.
-Hilary! Che c’è?!
-Cosa c’è?! Che ci facevi qui appiccicato?!
-Cosa?! Guarda che sei stata tu ieri sera ad abbracciarmi!
-Io non avrei mai fatto una cosa del genere!
-Ah, no?!- ribatté, prendendole i polsi. Le grida si
interruppero bruscamente. Si specchiarono l’uno negli occhi dell’altra. I loro
visi si trovarono vicini. Troppo vicini.
-Kei! Sei in casa?
-Accidenti, è Rei- imprecò Kei, lasciandola andare. –Cosa
penserà trovandoci così?! Ho chiuso la porta, ieri sera, vero?
-Kei, quante volte ti ho detto di non dimenticare la porta a…-
La frase morì in gola al cinese, quando questi entrò nella camera. Prima guardò
la ragazza nel letto, poi l’amico e infine di nuovo lei, riconoscendola.
–Hilary?!
-Rei, non è come sembra- tentò di spiegare Kei.
Ma un sorriso sarcastico era apparso sulle labbra di Rei.
-Ho l’impressione che dovrò mettermi comodo perché sarà una
storia molto lunga.
-Rei, se questa faccenda esce da qui, giuro che ti uccido con le
mie mani.
-Che ne dite di discuterne davanti a una bella colazione?”
Rei era seduto sui gradini d’ingresso di casa Kinomiya. Aveva
appena perso il suo migliore amico. Tutti si aspettavano un gesto, una lacrima,
una parola. Invece, durante tutto il funerale, era stato di ghiaccio: udiva i
mormorii delle persone, ma non gli importava. Non sarebbe stata una scenata
plateale a riportare in vita Kei. Preferiva piangerlo in solitudine.
Nessuno di quelli che gli parlavano alle spalle capiva cosa
stava provando. Si sentiva perso: Kei era il suo punto di riferimento, il suo
confidente, il suo amico più caro.
E il miglior blader esistente.
Guardò Driger: ogni lancio gli avrebbe ricordato le battaglie
con Dranzer. Ogni cosa gli avrebbe rievocato il viso di Kei.
Perfino fare colazione…
“-Poi sono andata a dormire- concluse Hilary, stringendo fra
le mani una tazza di the fumante. –E quando mi sono alzata lui era attaccato a
me!
-E secondo te sono stato io a mettermi le tue braccia attorno
alla mia vita?!
Rei se la rideva della grossa: non aveva mai visto Kei così
infuriato da abbandonare perfino il suo sangue freddo. Hilary deteneva un
record: era riuscita a sbrinare il grande Hiwatari.
-Ho anch’io la mia versione dei fatti, se permetti.
-Prego, ascoltiamola. Non vediamo l’ora.
-Eri andata a dormire già da un paio d’ore quando sono venuto a
controllare se stavi bene. Appena ti ho messo la mano sulla fronte…bhe…l’hai
presa e non la mollavi più- iniziò Kei, arrossendo. –Cosa dovevo fare?
Strattonarla con il rischio di svegliarti? Mi sono seduto in parte ad aspettare
e mi sono addormentato. E stamattina, quando mi hai sfasciato i timpani, mi
stavi abbracciando!
-È una sporca bugia!
-Non è vero.
-Non hai testimoni. Chi mi assicura che non stai raccontando
balle?
-Non ho…bell’ingrata che sei! Dopo che ti ho soccorsa è questo
il ringraziamento?
-Io non ti devo niente, carino. Nessuno ti ha chiesto niente!
-Perfetto, la prossima volta cambio strada.
-Sarò lieta di fare altrettanto!- urlò, alzandosi. –Ti odio, Kei
Hiwatari: sei la persona più egocentrica, insensibile, falsa ed egoista che io
conosca!
E se ne era andata sbattendo la porta.
-Peccato- pensò il blader moro. –Sarei stato delle ore ad
ascoltarli bisticciare come marito e moglie. E poi è interessante veder
sciogliersi il gelido Kei.
-Ma ti rendi conto?
-Bel caratterino, non c’è che dire. Quasi quanto il tuo.
-Già…Ehi, mi prendi per il culo?
-Sì e no- replicò Rei, finendo la colazione. –Quella ragazza ti
piace.
Aveva scandito per bene le parole, inchiodandole ad una ad una
nel cervello dell’amico.
-Non è vero. Figurati se mi piace una come quella. Pazza
isterica.
-Kei…è riuscita a farti perdere le staffe.
-E che significa, grande genio?
-Che ne sei innamorato.
-Tu sei pazzo- lo liquidò l’altro.
-Pensala come vuoi, ma rispondi alla mia domanda: perché di
solito non dormi mai, mentre stanotte, accanto a lei, hai dormito come un ghiro?-
chiese il ragazzo.
-A volte arrivo davvero a detestarti, Rei- mugugnò Kei,
sprofondando nel divano. Poggiando i piedi sul tavolino davanti a sé, prese a
fissare Dranzer. –Cosa sai della sua famiglia?
-La famiglia di chi, scusa?
-Di Hilary. Di chi altro stiamo parlando?
-Non saprei. Com’è che ti interessa?
-Conosco la faccia che ha fatto quando le ho parlato di
avvertire a casa: è la faccia di una persona che ha chiuso il cuore ai
sentimenti per via di una delusione...o di un’educazione sbagliata. O per
evitare di fare i conti con la propria anima.
-Non parla molto di queste cose: so che ha un fratello più
grande e che suo padre è morto un paio di anni fa- spiegò. –Credo le sia
rimasta solo sua madre qui in città. Come a te tuo nonno.
Lo sguardo omicida del blader dai capelli argentei lo costrinse
a rimangiarsi quell’ultima affermazione. Dimenticava spesso che quello era un
territorio minato.
-Bhe, comunque a te non importa della vita di Hilary, no?
-Già…-concluse Kei stancamente.”
La giacca nera, buttata malamente sulla sedia, lo guardava dal
suo angolo con aria minacciosa.
Non riusciva a smettere di pensare a quel grido: era stato come
se gli strappassero il cuore. I bit-power non erano solo animali sacri: erano i
loro compagni, i loro più fidati amici. Lo aveva sempre sostenuto.
Affacciandosi alla finestra, Takao intravide Max girare per il
giardino, Rei seduto sui gradini e Hilary…
Non l’aveva nominata durante il discorso e in cuor suo sperò che
non se la fosse presa: tutti loro soffrivano per la morte di Kei, ma nessuno
poteva comprendere veramente il dolore di Hilary.
Con sfumature ed ombre diverse, ma il dolore che provavano loro
tre era simile: avevano perso un amico, un compagno, un rivale.
Lei aveva perso la persona più importante della sua vita. Gli
faceva male vederla così, ma non sapeva cosa dire per consolarla: ogni frase,
ogni gesto gli sembravano fuori luogo e finiva per restare in silenzio, a
distanza.
Una volta avrebbe trovato immediatamente le parole giuste…
“-Cosa?!- Takao scoppiò a ridere come un matto.
-Takao, piantala! Non c’è proprio niente da ridere…
-Scusa, Hila, ma è difficile immaginare Kei in piena crisi di
nervi: è sempre così freddo.
-Bell’amico che sei. Io ho vissuto un’esperienza terribile e tu
mi ridi in faccia.
-Terribile…non esagerare, Hila. In fondo ti ha soccorsa e
curata. Non mi sembra il caso di farne una tragedia- proseguì lui. –Preferivi
che ti lasciasse lì con la febbre?
-No, però…è così urtante!- esclamò, incrociando le braccia ed
avvolgendosi nel maglione.
Anche Takao, come Rei, sopportava lo sfogo dell’amica con altri
pensieri per la testa. Gli dispiaceva aver perso il loro litigio e sperava in
un secondo round.
-Guarda che i vestiti in cui stai coccolandoti sono suoi- le
fece notare, ricominciando a ridere vedendola diventare paonazza.
-È…è solo perché non sono ancora passata da casa a cambiarmi…
-D’accordo, d’accordo, Hila. Ora smetto, te lo giuro- continuò
Takao. –Vuoi sapere come la penso?
-Non lo so.
-Bhe, te lo dirò lo stesso: ti sei presa una bella cotta per
Kei.
-Che cosa?! Ma sei impazzito?! Io…per quello…ti ha dato di volta
il cervello?
-Ti conosco, Hilary. Non ti infurieresti così se non fosse una
persona a cui tieni.
-Tu-stai-farneticando. Non sono innamorata di Kei!!
-Davvero? Allora dimmi a cosa stai pensando.
-Come…- balbettò, tornando ad arrossire. –Io…io…non saprei…
-Vedi? Stai pensando a lui. E a ieri sera.
-Non è vero. Sono sciocchezze.
-Perché lo neghi? Cosa c’è di male se sei innamorata? Nonostante
le apparenze, Kei è un bravo ragazzo.
Ma lei non rispose: persa nei suoi pensieri, guardava oltre il
vetro della finestra. Takao ebbe un rapido flashback: un’altra figura, nella
medesima posizione, con la stessa espressione. Due occhi viola lontani e
distanti. Kei.
Kei aveva la stessa faccia prima del campionato, prima di
scoprire il passato. E l’aveva ancora quando veniva nominato suo nonno.
-Senti, non parliamone più. Io ho fame: mi fai compagnia?
-No, andrò a casa: dovrò già giustificare un sacco di cose.
-Buona fortuna, allora. Ci vediamo oggi pomeriggio, no?
-Grazie per avermi ospitata in questi due giorni. Non so cosa
avrei fatto senza un amico come te.
-Puoi restare quanto vuoi, lo sai.
-Sì, ma devo affrontare il mondo esterno: non posso rinchiudermi
qui per sempre.
-Sei sicura? Dopotutto il funerale è stato solo la settimana
scorsa: non ti sembra presto?
-No, voglio anche passare a casa di Kei.- Si asciugò gli occhi,
pronunciando il suo nome. –Non preoccuparti per me: non sono debole.
-Vuoi che ti accompagni uno di noi?
-No.- Lo abbracciò forte: era come un fratello per lei. –Ciao,
Takao. Salutami Rei e Max e ringraziali per tutto quello che hanno fatto.
-Ciao, Hilary.
Non incontrò giornalisti lungo la via: non si erano più visti
dopo l’appello del presidente Daitenji. Aveva detto di lasciare in pace i
Bladebreakers, di smetterla di tormentarli con le loro domande. E ,
stranamente, avevano ubbidito.
Quando Hilary entrò nel vialetto di casa, tirò un lungo respiro:
era la prova più dura da superare. Lì dentro, dove la sua “famiglia” avrebbe
dovuto starle vicino, il suo dolore era del tutto ignorato.
-Ti sei decisa a tornare, finalmente. Pensavamo già di togliere
il tuo nome dalla cassetta della posta.
Un uomo di mezz’età le venne incontro: occhi bruni, più freddi
di un blocco di ghiaccio, pochi capelli e il nulla dentro la scatola cranica.
John Irachami, il suo patrigno. La persona più simile ad un’ameba su tutto il
pianeta. Forse un giorno qualcuno sarebbe venuto per studiarlo.
-Ehi, ragazzina, sto parlando con te.
Hilary lo ignorò, passando oltre, ma John la prese per un
braccio, costringendola a voltarsi: lo sguardo le cadde istintivamente sulla
guancia, dove spiccava la cicatrice. Quella che gli aveva lasciato Dranzer lo
scorso anno.
Kei detestava usare il bey come un’arma, ma non avrebbe mai
permesso a quell’uomo di alzare ancora le mani sulla ragazza. Aveva reagito
d’istinto, senza valutare i rischi di quel gesto.
Ora quel segno risaltava netto sulla sua pelle, come la follia
nei suoi occhi.
-Non hai più il tuo ragazzino a difenderti.
-So difendermi da sola- esclamò, affibbiandogli un calcio negli
stinchi e sgusciando nella sua camera. Dietro il riparo della porta, udì le
imprecazioni di John, la voce di sua madre chiedergli cosa fosse accaduto. Ma
non si fermò ad ascoltare la risposta. Prese la valigia dal mobile,
riempiendola di vestiti, oggetti cari e lacrime: aveva sperato che le cose
potessero cambiare, ma con quell’essere era impossibile. Non poteva restare in
quella casa un secondo di più.
-Hilary, tesoro…
Ci mancava solo questo.
-Hilary, posso parlarti? Io capisco come ti senti…
-Non credo proprio, visto che ti sei consolata in fretta dopo la
morte di papà.
-Hila…
-Io non smetterò mai di amare Kei! MAI!
Uscì dalla stanza con la valigia, scontrandosi con sua madre che
si limitò a guardarla.
-Hai tradito la memoria di papà, sostituendolo con un altro. Io
non commetterò mai questo affronto alla memoria di Kei.
Solo una volta fuori tornò a respirare normalmente. L’aria
fredda sulle guance bagnate la fece rabbrividire ma si sentì viva e libera.
Si sarebbe trasferita a casa di Kei, almeno finché Hito non
l’avesse venduta: forse avrebbe potuto ricomprarla lei, anche se dubitava di
avere abbastanza denaro.
Appena videro Takao seduto sotto il portico a guardare il cielo,
Max e Rei intuirono immediatamente che qualcosa non andava.
-Ciao, Takao.
-Ciao, ragazzi.
-Come sta Hilary?
-È tornata a casa. Mi ha detto di ringraziarvi.
-Sei preoccupato per lei?- Rei era così: arrivava subito al
nocciolo della questione.
-Ho paura che possa fare qualche sciocchezza: in fondo Kei era
la persona più importante della sua vita.
-Hila non è stupida, né debole. E soprattutto sa benissimo che
Kei non vorrebbe questo.
-Tu credi veramente che se fosse successo il contrario, se fosse
morta Hilary, Kei se ne sarebbe stato buono buono a continuare la sua vita?
-Non lo so, Takao. Ma non è standole addosso che la proteggerai.
-Rei ha ragione. Comprendiamo perfettamente come ti senti: anche
noi siamo in pensiero, però non puoi soffocarla con le tue attenzioni- confermò
Max, sedendosi accanto all’amico. –Possiamo solo starle vicino, confortarla nei
momenti di disperazione…esserle amici; come un tempo: non vuole la nostra
pietà, ma la nostra amicizia.
-Non è facile.
-Lo so, ma è l’unica cosa che Kei ci abbia mai chiesto in tanti
anni.
-Kei…- Le lacrime rigarono le guance del blader, che ancora non
riusciva a superare la sua scomparsa. –Perché…perché te ne sei andato? Perché
quella macchina ti ha investito?
Max gli passò un braccio attorno alle spalle, lasciandolo
sfogare: era dura per tutti andare avanti, guardarsi intorno e trovare solo
cose che parlavano di lui. Non c’era un solo angolo di quel luogo che non
ricordasse loro Kei.
-Io esco un secondo- disse di colpo Rei, allontanandosi di
corsa.
Hilary abbassò la maniglia: nonostante le prediche, Kei non
chiudeva mai a chiave la porta. Non che qualche malintenzionato avesse il
coraggio di entrare: appena leggevano Hiwatari sul campanello, diventavano di
colpo onesti.
Appoggiando a terra la valigia, respirò quella sensazione di
pace che le invadeva l’anima: quella era casa sua. Era il luogo dove abitavano
i suoi ricordi, i ricordi di un tempo che sembrava trascorso da secoli.
I ricordi di lei e Kei. Felici. Insieme.
La foto della loro vacanza in Russia la guardava dal mobile,
accanto a quella dell’estate al mare con i ragazzi: il suo sorriso, i suoi
occhi viola pieni d’amore per lei, il suo viso angelico. Chi non lo conosceva
bene, non lo avrebbe mai considerato un angelo. Ma per Hilary era questo: il
suo angelo custode, sempre pronto a salvarla. Sempre.
Le sue guance vennero attraversate dalle lacrime: perché? Perché
proprio a loro?
Si gettò sul letto, stringendo le lenzuola tra i pugni serrati:
voleva piangere tutte le sue lacrime, piangere fino alla fine dei suoi giorni,
fino ad esaurire le forze.
Perché si era gettato? Perché aveva voluto fare l’eroe?
Conosceva benissimo la risposta, ma si ostinava a domandarselo,
come se una soluzione avesse potuto restituirle Kei. In verità, però, non
esisteva un perché: aveva seguito il cuore, non era stato un gesto razionale.
Probabilmente non ci aveva neanche pensato.
Sollevò il
volto dal lenzuolo, incontrando lo sguardo del peluche sul cuscino: rammentava
perfettamente il giorno in cui l’aveva comprato…
“Le dispiaceva aver detto quelle parole a Kei: era stato un
momento di rabbia, non le pensava veramente. Era passato un mese da quella sera
e i due non si erano più guardati.
Era una situazione insostenibile e lei aveva torto marcio:
doveva scusarsi con il blader. Il prima possibile.
Stava tornando a casa da scuola con le amiche quando lo vide
nella vetrina del negozio: sì, era lui, era il regalo perfetto. Si bloccò
davanti al vetro, ignorando i richiami delle compagne.
Doveva averlo, anche se questo significava togliere qualcosa ai
suoi sudati risparmi: ma non c’era prezzo troppo alto per riavere l’amicizia di
Kei.
(Due mesi dopo)
Il pacchetto era ancora lì sulla sua scrivania: non aveva
trovato la forza per chiedergli perdono, facendo la pace con il ragazzo. Non
che le occasioni le fossero mancate: gli amici erano arrivati a tentativi
disperati pur di riappacificarli.
Ma era stato inutile: lui si buttava anima e corpo nel beyblade,
mentre lei non faceva altro che studiare e lavorare.
Fino a che, una mattina, Hilary si imbatté nel giovane che
usciva da casa Kinomiya. Si guardarono negli occhi e per un attimo sembrarono
sul punto di aprire i loro cuori.
Invece entrambi presero la loro strada, rompendo la magia: la
ragazza sparì oltre il cancello e Kei salì sull’auto che lo attendeva.
-Non sapevo che vi sareste allenati anche oggi. Dove sono gli
altri?- chiese a Takao.
-Non c’è nessuno, Hila.
-Ho visto Kei e ho pensato…
-No, è venuto a salutarmi prima di partire.
Hilary si alzò di scatto, incapace di trattenere le emozioni.
-Parte? Dove, quando?
-Va in Russia. Il suo volo decollerà tra quindici minuti.
-Ma…perché?
-Preferisce tornare laggiù, almeno per un po’ di tempo. Si
addestrerà con la Neo Borg.
-Sì, ma…così, all’improvviso?
-Hila, perché la cosa ti sconvolge tanto?
-Io…io…- tentennò.
Takao sorrise, appoggiando Dragoon sul tavolo.
-Senti, se corri c’è un autobus che passa dall’aeroporto fra due
minuti. Fai ancora in tempo a sa…
Il ragazzo si interruppe, sentendola partire di corsa. Era
l’ultima occasione: la sua parte l’aveva fatta.
Ora bastava che quei due mettessero da parte quel dannato
orgoglio che abbondava in entrambi.
Aveva maledetto ogni automobilista e ogni vecchina che scendeva
o saliva sul pulmino.
Con un occhio puntato sull’orologio, Hilary scese volando
dall’autobus, entrando nell’aeroporto: si guardò disperatamente intorno, nella
vana speranza di trovarlo.
Poi osservò il tabellone: l’aereo per San Pietroburgo era
partito da un minuto. Per uno stupidissimo minuto non ce l’aveva fatta: quei
voli erano sempre in ritardo. Sempre. Tranne quando le serviva che lo fossero.
Si sedette su una sedia, abbassando lo sguardo e stringendo i
pugni: non poteva piangere per lui, avrebbe significato che era…
Che ne era innamorata. Mentre Kei pensava che lei lo odiasse…
Che stupida era stata e ora ne pagava le conseguenze: aveva
perso l’occasione più importante, l’ultima.
Prese il cellulare e chiamò Takao.
-Pronto?
-Ciao…
-Hila? Cosa c’è?
-Sono arrivata tardi…è partito…per sempre- Le lacrime le
impedirono di proseguire.
-Hila…
La ragazza non si accorse della figura che le veniva incontro,
finché questa non le porse un fazzoletto.
-Grazie…
-Con chi stai parlando?- le chiese Takao.
-Prego.
-Con uno che…- Quella voce. No, non era possibile. O forse sì?
Potevano accadere i miracoli?
Alzando lo sguardo, ebbe la sua risposta.
-Kei! Cosa…cosa ci fai qui? Io credevo che stessi parte…
-Non ho potuto.
-Non hai potuto? Perché?- domandò, dimenticando il cellulare
sulla sedia.
-Una voce dentro di me mi ha detto che se fossi partito senza
parlarti, sarei stato il più grande idiota di questo mondo…
-Kei, io…
Il ragazzo le mise un dito davanti alle labbra, fermandola.
-Hilary, mi dispiace per quello che è successo. E oggi, se non
ti avessi rivista…
-Basta.- Fu il suo turno di interromperlo. –Ma quanto parli
oggi?!
Gli passò le braccia attorno al collo, cercando le sue labbra.
Un bacio disperato, desiderato, dolcissimo. Lo sentì lasciarsi andare, dopo il
primo momento di stupore, cingendola in vita e ricambiando il suo bacio.
Quando Hilary si separò, lo abbracciò forte, come se non lo
vedesse da centinaia di anni. Pianse ancora, tra le sue braccia, al sicuro,
come un porto nella tempesta.
-Ti amo, Hilary.
Le dita di lei si chiusero intorno alla sua maglietta, tenendolo
ancora più stretto a sé.
-Ti amo anch’io.
-Finalmente, ci voleva così tanto?!
La giovane sgranò gli occhi, interrompendo quell’intimità: aveva
scordato Takao! Si avventò sul telefono, mentre Kei la guardava sorridendo e
scuotendo la testa.
-Siamo rovinati- mormorò.
-Takao…hai sentito tutto, vero?
-Ogni sillaba, tesoro. E mi fa molto piacere.
-Cosa?
-Sono felice per voi due, no?! Cosa credevi?
-Che fossi felice per non aver perso nemmeno una parola.
-Questo è ovvio. Ho anche preso degli appunti per non sbagliare
quando riferirò la scena agli altri.
-Perché non ti segni in che modo potrei ucciderti quando
torno?!- replicò Kei.
-Cavoli, Kei, come sei permaloso!
-E tu sei un impiccione.
-Lo so, amico. Ci sentiamo.
-Takao, no, Takao, aspetta!
Ma l’amico aveva già riagganciato. Kei restituì il cellulare ad
Hilary.
-Li sentirò a stare in Russia…- sussurrò abbattuto. Poi sorrise
di nuovo, prendendo per mano la ragazza. –Ma non mi importa, perché tu sei la
cosa più bella che mi sia capitata.
-Kei…- iniziò. Improvvisamente si ricordò del regalo. –Vieni a
casa mia un attimo: devo darti una cosa.
-Come…- balbettò lui, arrossendo.
-Coraggio!
-Entra pure, non c’è nessuno.
La titubanza di Kei la fece sorridere: possibile che un tale
iceberg fosse così impaurito da lei?
-Ehi, non ti facevo così timido- lo sorprese. –Tieni, questo è
per te. L’avevo comprato per fare la pace…ora è un regalo per il viaggio, un
portafortuna.
Il giovane aprì il pacchetto, tirandone fuori un peluche: era un
aquilotto con delle striature rossastre. Somigliava vagamente all’Aquila Rossa.
-È un aquila…mi sei venuto in mente quando l’ho vista…
Le braccia di lui la avvolsero e Hilary si ritrovò contro il suo
petto: sentì i battiti accelerati del suo cuore, i muscoli scolpiti da anni di
allenamenti e la forza delle sue emozioni.
-Grazie, lo terrò sempre con me.
-Torna presto, Kei.
Si alzò sulle punte per baciarlo: era felice. Felice come non lo
era mai stata.”
Strinse a sé il peluche, avvertendolo improvvisamente
scricchiolare. Osservandolo attentamente si accorse di una cerniera nascosta:
cosa vi aveva infilato Kei?
Un foglio di carta sbucò dall’apertura. C’era scritto “PER IL
MIO AMORE”.
20.6.2005
“Cara Hilary,
spero di esserti accanto quando leggerai queste parole.
In caso contrario, prendilo come il mio testamento. Sì, lo so:
questi discorsi non ti piacciono, ma devo farli.
Per noi.
Lo scontro con Brooklyn di quattro mesi fa mi ha permesso di
riflettere sulla mia vita, su quanto sia fragile. Tu sai quanto io ti ami, da
quanto conto i giorni che mi separano dal mio diciottesimo compleanno, data in
cui finalmente potrò sposarti e dividere con te tutto ciò che possiedo.
Ma se mi accadesse qualcosa prima di allora, ricordati che tu
sei Hilary Hiwatari, la mia consorte, l’unica persona con cui voglia
trascorrere l’esistenza.
La casa e il conto in banca sono intestate anche a tuo nome:
avrei dovuto parlartene, lo so, ma ti saresti arrabbiata. Mi avevano sempre
detto che non sono i soldi a fare la felicità, ma non ci avevo mai creduto: io
ci vivevo in mezzo da sempre e avevo fatto ogni cosa volessi.
Ma non era quella la vera felicità: quella l’ho conosciuta solo
quando mi sono innamorato di te.
Mi hai dato tanto in questi anni, molto più di quanto mi
meritassi…voglio ricompensarti in qualche modo: regalarti il sogno di poter
studiar medicina e di riprendere a ballare.
Non ho mai avuto dubbi sui tuoi sentimenti: ami me, non il mio
denaro. E io invece credo di non essere mai riuscito a farti capire quanto sei
importante per me: sei la mia luce, il mio tesoro, la sola persona per cui
darei la vita.
Se ti sarò vicino, ora cominceremo a litigare, per poi riderci
sopra; ma se così non fosse, asciuga le lacrime e continua a vivere: tu sei una
ragazza forte. Non sei mai dipesa da me.
E comunque, qualsiasi cosa accada, io sarò con te.
Restò con quel foglio in mano per un tempo indefinito, incapace
di fare qualsiasi cosa non fosse piangere.
Aveva sempre saputo che lo scontro con Brooklyn aveva lasciato
un segno profondo in Kei: dopo un’adolescenza fatta di pericoli e rischi
affrontati con leggerezza, l’incontro con la morte gli aveva aperto gli occhi
sulla precarietà della vita umana.
Ma non si sarebbe mai immaginata questo: non voleva quel denaro,
non l’aveva mai voluto. Kei non le doveva niente. Ogni secondo della loro
storia era stato un regalo…
Sdraiandosi sul letto, pensò che lì era iniziato tutto tre anni
prima; su quel letto dove poteva sentire ancora il suo profumo, dove avevano
consumato il loro amore.
Perché la vita era così ingiusta? Perché il destino aveva
giocato loro quel brutto scherzo? Perché le aveva strappato il suo unico amore?
Rei passò una mano sulla lapide, pulendola dalla neve. Era
assurdo: il suo migliore amico era morto…e lui non riusciva ancora a crederci:
lo rivedeva ragazzino, quando insieme avevano girato il mondo, oppure quando
stava appoggiato al muro della casa di Takao. Era difficile convincersi che non
l’avrebbe più rivisto, che mai più si sarebbero sfidati…
-Kei.
Le lacrime di Takao lo avevano scosso: il suo capitano era stato
forte fino al funerale, ma dopo aveva continuato a piangere ogni volta che
nominava il compagno. Erano stati sempre rivali, sempre a tentare di superarsi
a vicenda, sempre a cercare l’occasione per battersi. Sconfiggere Takao: era
questo il grande sogno di Kei. Un sogno destinato a restare irrealizzato.
-Rei, ciao.
Il cinese si volse, incontrando la sagoma di Hilary.
-Ciao Hilary. Come stai?
-Non bene, se vuoi la verità- rispose lei, appoggiando un fiore
rosso sulla tomba e accarezzando la foto con dita tremanti. –Anzi, non potrei
stare peggio.
-Lo capisco. Io devo venire qui per essere certo che sia
successo davvero.
Notò il fiore. Un giacinto. I giacinti porpora indicavano una
supplica di perdono. In cuor suo si interrogò sul motivo. Perdono per cosa? Per
non riuscire a superare la sua morte?
-Ti va di fare due passi?- gli propose.
-Sì.
Camminarono a lungo, senza dirsi una parola. Entrambi avevano le
loro ferite chiuse nel cuore, ferite che non volevano far venire a galla.
-Rei, tu eri il suo migliore amico: sapevi tutto di lui.
-Bhe, mi sarebbe piaciuto che Kei si fosse confidato con me,
come io con lui. Anche se spesso i suoi occhi parlavano al suo posto- ribatté
il ragazzo. –Perché questa domanda?
-Sono stata a casa sua- continuò, porgendogli un foglio. –E ho
trovato questo.
-No, Hila, non posso leggerlo. È una cosa fra voi due.
-Ti prego: io non so cosa fare.
A Villa Hiwatari, intanto, un uomo chiuse a chiave una porta:
nessuno sarebbe più tornato in quella stanza.
-Alfred, hai sigillato la palestra?- chiese.
-Cero, signore.
-Prendi le chiavi e rinchiudile in cassaforte.
-Come desidera.
Una volta solo si sostenne alla porta: erano appena riusciti a
chiarirsi dopo tre anni…
-Kei…
Rei restituì la lettera alla giovane.
-Cosa ne pensi?
-Che era un sentimentale, nonostante non volesse ammetterlo-
rispose lui.
-Non intendevo questo…
-Lo so. Hilary, sono le ultime volontà di Kei…
-Io non voglio quei soldi, Rei. Dimmi la verità: tu lo sapevi?
-No, non sapevo niente di queste sue disposizioni, ma me lo
aspettavo: tutti abbiamo temuto di perderlo quando ha affrontato Brooklyn.
Immaginavo che anche lui ci pensasse ancora. Specialmente per te.
-Te lo ripeto: non voglio quei soldi. Potrei ridarli a suo
nonno…
-Vai a dare l’acqua al mare, Hila?
-Erano di Kei e quindi di suo nonno, anche se credo che
preferisse bruciarli piuttosto che darli a Hito.
-Già, visto il loro bel rapporto- commentò il ragazzo.
-Che tipo è?
-È difficile da dire: certamente è un uomo autoritario e dalla
disciplina rigida. Basta vedere com’è venuto su Kei: freddo, solitario,
introverso…
-Sì, ma cosa è successo esattamente per causare la rottura dei
loro rapporti?
-Quattro anni fa, quando siamo andati in Russia, Kei ha
ritrovato il suo passato: ha scoperto di essere stato usato da suo nonno fin da
bambino, di essere stato trasformato in un cacciatore di bit- power, di aver
vissuto nella menzogna- raccontò l’amico. –Così si ribellò e decise di non
avere più niente a che fare con quell’uomo. Si sentiva tradito, deluso,
pugnalato alle spalle dai suoi affetti.
-Ora capisco perché litigavamo ogni volta che lo nominavo: lo
avevo pregato di parlargli, di convincerlo a trascorrere il Natale con noi. Ero
sicura che un giorno si sarebbe pentito per non aver riallacciato quel
legame…ero anche riuscita a convincerlo a tornare alla Villa…
-Kei era un gran testardo orgoglioso.
-Allora, mi dai un consiglio?
-Ho l’impressione che la tua sia una scusa. No, non
fraintendermi: capisco i tuoi desideri, ma credo che tu voglia incontrare Hito
anche per altre ragioni.
Hilary restò in silenzio, abbassando il viso.
-Kei aveva ragione: sai leggere le cose nelle sfumature della
voce. L’ho visto al funerale, Rei: questo qualcosa vuol dire. Forse che era
pentito, o addirittura che soffriva per la sua morte.
-Hilary…non è per essere pessimista, ma non ti ostinare a
cercare il buono dove non c’è.
-L’ho trovato anche in Kei- disse.
-Non avevi bisogno di cercare a lungo. Ma con Hito potrebbe
essere solo tempo perso.
-Ci voglio provare, Rei. Sento di aver bisogno di sapere, di
confrontarmi con lui. Anche per Kei.
Rei sospirò rassegnato. Per certi versi lei e Kei erano simili:
entrambi dei grandissimi testardi. Se riuscivano a cacciarsi in testa qualcosa
non c’era verso di far cambiare loro idea.
-Va bene, ma lascia almeno passare le feste. E soprattutto non
dirlo a Takao: ho idea che non approverebbe affatto questa decisione.
La giovane si volse sorridente. Poi, di colpo, perse i sensi.
Hilary emerse da un sonno pesante, senza sogni. Sentiva delle
voci attorno a sé, voci che la chiamavano. Aprì lentamente gli occhi e venne
investita dalla luce. Non era la sua stanza, e nemmeno la casa di Kei.
Sembrava più quella di Takao…
-Hilary!- La voce squillante dell’amico suonava ansiosa e
preoccupata.
-Takao…ragazzi…
Le stavano tutti e tre intorno, con delle facce da funerale.
Cos’era successo? Ricordava di aver parlato con Rei e di aver passeggiato con
lui…Ma poi? Come aveva fatto ad arrivare lì?
-Ti sei svegliata, finalmente. Mi hai fatto prendere un colpo-
intervenne il cinese.
-Rei, ma cosa…
-Sei svenuta all’improvviso, mentre camminavamo. Non sapevo cosa
fare, così ti ho portata a casa di Takao.
-Facendo venire un infarto a tutti.
-Un infarto?! A me sono saliti vent’anni in una volta sola-
convenne Max. –Se guardate bene ho già dei capelli bianchi.
Hilary si alzò a sedere, sorridendo a quello scambio di battute
fra i suoi amici.
-Mi dispiace avervi fatto preoccupare.
-Hilary, ti sei ripresa.
-Nonno Jei…
-Ti ho portato un po’ di the caldo- continuò l’uomo. –Attenta
perché scotta. Come ti senti?
-Meglio, grazie. Sarà stata un po’ di debolezza.
-Mangi come un passerotto, tesoro…è ovvio che ti succeda.
-Hai ragione, nonno.
-Takao, non hai qualcosa per lei?
Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo: se avesse avuto per le
mani un’ascia, l’avrebbe abbattuta sul nonno senza ripensamenti.
-Cosa c’è Takao?- domandò Hilary, sorpresa dal repentino cambio
d’umore del blader.
-Forse questo non è il momento più adatto- tentennò, alzandosi e
portandosi verso il mobile. –Ho dimenticato di restituirti la borsa di Kei…è
successo tutto così in fretta…non ci ho più pensato…
La appoggiò in parte al letto con evidente imbarazzo: non alzò
lo sguardo su di lei.
-Grazie.
-Di niente. Ora ti lasciamo sola, così puoi riposare ancora un
po’. Ciao- proseguì, dandole un bacio sulla fronte. –Riguardati, d’accordo?
-Certo.
Una volta usciti tutti, la giovane buttò un occhio sulla borsa.
Aveva dimenticato che Kei si era trasferito da Takao per allenarsi con la
squadra in vista di un importante torneo.
Qualcosa attirò la sua attenzione, qualcosa di rosso e
luccicante all’interno della sacca.
La prese in mano, scoprendo un pacchetto rigido, incartato in un
foglio rosso decorato con fiocchi di neve. Il bigliettino sul nastro argento
diceva: “PER HILARY DA KEI”.
Non ci credeva: quel sentimentalone del suo fidanzato le aveva
comprato un regalo di Natale…non era da lui.
Non che il ragazzo non le avesse mai regalato nulla, ma era
solito farlo fuori dalle occasioni banali. L’unica eccezione riguardava il suo
compleanno: solo in quella circostanza Kei si abbandonava al consumismo e le
acquistava un dono come gli altri.
Che cosa aveva visto per perdere le sue abituali tradizioni?
Scartando il pacchetto, le si riempirono gli occhi di lacrime:
le aveva comprato proprio quello…
L’angelo di Natale.
“Era il pomeriggio del 13 dicembre. Kei era passato a
prenderla a casa come al solito e stavano passeggiando per la città illuminata.
Quell’atmosfera le scaldava il cuore, soprattutto perché la osservava
abbracciata al suo ragazzo.
La neve era scesa copiosa durante tutta la mattina e solo ora
concedeva ai passanti una momentanea tregua: chiusa nel suo piumino, Hilary
invidiava il giovane, abituato a convivere con il freddo a tal punto da non
sentirlo nemmeno.
-Tutto bene, amore?
-Sì, perché?
-Sei così silenziosa. Non sembri tu.
-Cosa vorresti insinuare? Che parlo troppo?
-No, solo che non è da te restare così a lungo in silenzio.
Stava per rispondergli con una battutaccia, quando i suoi occhi
incontrarono un oggetto in una vetrina. Si sciolse dall’abbraccio di Kei,
incollandosi al vetro: era proprio lui.
-Cos’hai visto, Hilary?
-L’angelo di Natale.
-Come?
-Guarda quell’angioletto di ceramica. Quand’ero bambina mio
padre me ne regalò uno identico per Natale: sarebbe dovuto partire di lì a poco
per un viaggio ed io ero molto triste. Così mi disse che quella statuetta era i
suoi occhi: mi avrebbe osservata e lo avrebbe informato della mia salute, dei
miei progressi a scuola e nella danza, se ero triste o se ero felice- raccontò.
–In questo modo, dovunque si fosse trovato, sarebbe stato sempre accanto a me.
-Ne parli al passato…cosa gli è successo?
-John lo ha fatto cadere la prima volta che entrato in casa- si
rabbuiò Hilary. -È stato un segno del destino: mia madre aveva sostituito papà,
e quell’uomo aveva distrutto l’ultimo ricordo di lui.
-No, non ci è riuscito. Tu lo conservi nel cuore, no?
Erano quelle le occasioni in cui Kei mostrava il suo lato più
dolce, in cui lei capiva perché lo amava.
-Hai ragione.”
-Kei…inguaribile romantico…- sussurrò, riponendo l’angelo nella
sua scatola.
Nella borsa c’erano poi i suoi vestiti, i pezzi di ricambio di
Dranzer e il suo portafoglio da cui uscì una foto. Era un po’ scolorita, ma
Hilary riconobbe il suo fidanzato da bambino, insieme a tre persone: una doveva
essere sua madre, l’altra suo padre e poi suo nonno. Doveva risalire a molti
anni prima: Kei non aveva più di un paio d’anni.
Non parlava mai della sua famiglia: le uniche volte in cui
l’aveva fatto era stato a denti stretti e con evidente disagio. I genitori non
li ricordava, se non a tratti e con immagini sfocate e distorte: la ragazza
sapeva che erano morti, ma non le aveva mai detto come.
E per quanto riguardava suo nonno…bhe, era un argomento da
evitare. C’erano state tremende discussioni fra loro prima di riuscire a
convincere Kei almeno a parlargli. Purtroppo non aveva avuto il tempo di farlo.
Kei era morto la sera del 14 dicembre…
-Nonno, io non volevo dargliela così!
-Tu non avresti mai trovato il coraggio di farlo- ribatté
l’uomo. –Non puoi continuare così, Takao.
-Non ti seguo.
-Le stai addosso come una chioccia con i pulcini: non supererà
il momento con te lì appiccicato a proteggerla. L’amore è anche questo: è il
dolore, la sofferenza, il coraggio. Non è solo condividere con un’altra persona
dei momenti felici.
-Hilary è una sorella per me. Non sopporto di vederla star male.
-Tutti noi le vogliamo bene, Takao- continuò Max. –Ed è proprio
per questo che la lasciamo prendere le sue decisioni, le sue scelte…anche
quando sbaglia.
Rei rimase in silenzio: l’americano aveva centrato il bersaglio
al primo colpo. Anche se non sapeva niente delle intenzioni di Hilary.
Sperò che la ragazza cambiasse idea, anche se era impossibile.
Dubitava che il piccolo e refrattario cuore di pietra di Hito potesse sciogliersi
come neve al sole.
Dicembre e le sue festività non erano che un ricordo lasciato
alle spalle. Hilary l’aveva trascorso da sola, nella casa di Kei, nonostante in
molti si fossero dati da fare per invitarla: i ragazzi, Yuri, Mao, Emily,
Olivier…
Ma aveva rifiutato tutti gli inviti: un po’ perché non voleva
vedere la pietà sui loro volti, e un po’ perché non si sentiva più sicura di sé
stessa. Ultimamente non faceva altro che svenire e vomitare: all’inizio lo
aveva attribuito al dolore, allo shock per la morte di Kei…ora, però,
cominciava a preoccuparsi. Che diavolo le stava succedendo?
-Cosa voleva Hilary?- domandò Takao a Rei, appena questi rientrò
nella sala.
Grande era stata la sorpresa del capitano dei Bladebreakers
quando aveva risposto al telefono e la ragazza gli aveva chiesto di passarle il
blader cinese.
-Signore, e adesso cosa gli racconto?!- pensò.
Non poteva certo dirgli la intenzioni di Hilary; non poteva
rivelargli che quel pomeriggio l’amica si sarebbe recata a Villa Hiwatari per
conoscere Hito. Takao sarebbe andato in escandescenza.
Già, ma allora cosa poteva inventarsi?
-Solo scusarsi per essermi svenuta fra le braccia…- incespicò
lui.
-È successo un po’ di tempo fa. Ci stava pensando ancora?
-Non aveva più avuto l’opportunità di farlo.- Era penoso: si
vedeva lontano un miglio che stava raccontando una balla.
Ma Takao parve non accorgersene, oppure preferì sorvolare e
lasciargli i suoi segreti.
Max, invece, non fu altrettanto indulgente: squadrò il compagno,
ipotizzando cosa mai stesse nascondendo.
Una storia con la giovane? Da escludere: Rei era innamorato di
Mao, e in qualsiasi caso non si sarebbe mai messo con la ragazza dell’amico
defunto. Che Hilary stesse male? Bhe, non era a cento, ma perché dirlo solo a
lui? No, anche questo era da scartare.
Odiava quella situazione: doveva assolutamente convincere Rei a
parlare, anche se era più difficile che scassinare Fort Knox.
Villa Hiwatari si ergeva imponente oltre il cancello, dopo metri
e metri di parco.
Era diversa dall’ultima volta che l’aveva vista, molti anni
prima: i rampicanti crescevano senza controllo, la ruggine stava attaccando
rapidamente il ferro battuto ed ogni cosa era lasciata all’abbandono. Tutto era
triste e tetro.
Un’atmosfera strana aleggiava su quel luogo: non si sarebbe
stupita se un fantasma le fosse passato davanti al naso. L’ambiente era
l’ideale.
Si appoggiò all’anta e per poco non cadde a terra: il cancello
si era aperto al solo tocco della mano.
Era strano: Kei le aveva sempre detto che suo nonno teneva molto
alle apparenze e soprattutto che la Villa era sigillata come un bunker.
In quel momento non corrispondeva proprio all’idea che si era
fatta.
Attraversò il viale, spazzato di fresco dalla neve, accertandosi
ad ogni passo della decadenza di quel luogo: non era Villa Hiwatari, almeno non
quella di un tempo.
Anche la porta non oppose resistenza e in un attimo si ritrovò
nell’atrio. Era un po’ violazione di domicilio, ma di fronte a quello che
voleva scoprire, cos’era un piccolissimo reato?
Si stava giusto guardando intorno, cercando di raccapezzarsi,
quando una voce le ghiacciò il sangue nelle vene.
-Cosa cerchi, ragazzina?
Hilary volse lentamente la testa alla sua sinistra e lo vide, in
cima alle scale: Hito Hiwatari, l’uomo più ricco e potente del Giappone,
l’ultimo sopravvissuto della sua dinastia.
La giovane mosse un passo, poi crollò al suolo svenuta.
Non aveva più i riflessi e i sensi di una trentina d’anni prima,
ma era certo di aver sentito il cigolio leggero della porta d’ingresso. Ma chi
avrebbe potuto entrare? I ladri non si derubano fra loro, Alfred era in casa e
lui non attendeva nessuno.
Avviandosi verso le scale, Hito Hiwatari si appoggiò al bastone:
la sua salute era notevolmente peggiorata in quell’ultimo periodo ed era sicuro
che non gli restasse molto da vivere. La morte di Kei era stata l’ultima
goccia: il suo cuore non avrebbe retto ad altri dolori.
Quando notò la fanciulla nell’atrio, gli ci volle un attimo per
riconoscerla: era l’amica dei Bladebreakers e…
La fidanzata di Kei.
Si era sempre chiesto come avesse fatto quel mucchietto di ossa
a domare il grande Kei Hiwatari: doveva essere una vera forza della natura se
aveva trionfato dove sia lui che Borgof avevano fallito.
-Cosa cerchi, ragazzina?
Per poco non si sentì male nel vederla accartocciarsi a terra
come un castello di carte.
-Afred! Alfred!
-Ha chiamato, signore?- rispose un uomo.
-Presto! Portala in camera e poi chiama un’ambulanza!
-Subito, signore.
Per la seconda volta in poco tempo, Hilary si risvegliò in un
letto non suo. Cominciava a diventare un vizio.
Avvertiva un borbottio sommesso, provenire dalla stanza a
fianco: riconobbe la voce di Hito, ma non quelle delle altre persone.
-Come sta, dottore? È qualcosa di grave?
Dottore?! No, era svenuta di nuovo: che figura del cavolo…
-No, signor Hiwatari. Nel suo stato qualche svenimento è
normale.
-Bhe, il dolore per la morte di Kei è stato grande…
-Non mi riferivo a questo: quella ragazza è incinta. Ad occhio e
croce di cinque settimane.
-Come?!
-Mi scusi, io credevo che lei sapesse…
Hilary spalancò gli occhi, rizzandosi a sedere: incinta?
Ecco perché la nausea e gli svenimenti…Si portò una mano al
ventre: un bambino, un esserino che era lei e Kei insieme. Era incredibile,
meraviglioso, drammatico e terribile allo stesso tempo.
Un figlio. Un figlio dal ragazzo che aveva amato con tutta sé
stessa. Un figlio che sarebbe stato il frutto del loro amore. Un figlio che non
avrebbe mai conosciuto suo padre.
Si sentì schiacciare da tutti quei pensieri: cosa doveva fare?
Doveva tenerlo? Bhe, su questo di dubbi ne aveva pochi: era una parte di Kei,
del suo Kei. Non poteva certo gettarlo come un sacco della spazzatura.
Ma sarebbe riuscita a crescere un bambino da sola? Certo, Takao
e gli altri ne sarebbero andati matti: desideravano un nipotino che corresse
per casa chiamandoli zii.
-Kei…amore mio…perché non sei qui con me?
Una lacrima rotolò lungo la guancia: lo rivedeva a terra, nel
sangue, morto per salvarla. Anzi, salvarli.
E Hito? Cosa avrebbe pensato? L’avrebbe considerato suo nipote o
se ne sarebbe lavato le mani?
Non che si aspettasse qualcosa da lui: non era andata lì per
quel motivo.
La porta si aprì di colpo, e l’oggetto dei suoi pensieri entrò
nella camera.
-Scusami, non intendevo spaventarti. Non sono più abituato ad
avere altre persone in casa. Ti senti meglio?
-Sì, grazie. Mi perdoni per esserle piombata in casa come una
ladra, non so cosa mi sia preso…
-Forse il dolore ne chiama a sé altri.
Quella frase venne pronunciata con una tale spontaneità che
Hilary fu costretta ad alzare lo sguardo, fissandolo negli occhi: erano grigi,
non viola, ma avevano la stessa profondità di quelli di Kei.
-Io sono Hilary Tachibana…
-Lo so chi sei. Sei la ragazza che ha portato via il cuore di
Kei.
Le guance di lei arrossirono leggermente.
-L’ho vista al funerale. Perché non è venuto davanti, a
porgergli un ultimo saluto?
-La gente non l’avrebbe tollerato. Non dopo ciò che gli avevo
fatto: sarebbe sembrato un gesto ipocrita.
-Io non l’avrei pensato. Comunque, sono venuta per ridarle
questo.
-Il conto in banca di Kei? Perché?- L’uomo era stupito da quel
gesto: quindi non era il denaro a interessarle.
-Suo nipote voleva che li tenessi, ma quei soldi non mi
appartengono: io amavo lui, non il suo denaro.
-È assurdo e incredibile. Noi Hiwatari siamo dei bastardi per
natura…nasciamo con mire di conquista, con sete di potere. Ma per fortuna del
mondo, ci imbattiamo sempre in donne dall’animo nobile e dal carattere forte,
capaci di metterci le briglie- aggiunse con un sorriso. –Mia moglie Angeline,
mia nuora Nadja e ora tu: in amore siamo sempre fortunati. Un po’ meno nella
vita.
-Che intende dire?
-Angeline è morta poco dopo la nascita di nostro figlio, Nadja e
Sosuke sono morti in un incidente e Kei…bhe, lo sai anche tu com’è finita.
Alla ragazza non sfuggì il luccichio nei suoi occhi.
-Quei soldi ti appartengono, Hilary: Kei li ha intestati a tuo
nome. E oltretutto, ciò che mi hai restituito non ha un prezzo.
-Non capisco…
-Tu mi hai ridato Kei.
-Cosa?
-È stato qui, la mattina di quel terribile giorno: non lo vedevo
da anni.
-Kei…ha parlato…con lei?
-Sì, e solo per merito tuo. Era abbastanza contrariato: diciamo
che era palese quello che pensava. Però manteneva la sua determinazione: si
batteva per te, per qualcosa a cui tu tenevi. Volevi che i nostri rapporti si
riallacciassero, vero?
-Io so cosa vuole dire perdere la propria famiglia: guardarsi
alle spalle e non riconoscere più le persone come famigliari. Lei era tutto ciò
che gli restava: l’aveva deluso e questo lo aveva ferito- raccontò lei. –Ma
sapevo che in fondo al cuore le voleva ancora bene: non volevo che un giorno si
pentisse di essersi allontanato da lei, quando magari era troppo tardi per
rimediare.
-Più o meno ha usato queste parole. Ha aggiunto che il passato
non si poteva cancellare e che non sarebbe mai riuscito a dimenticare i traumi
dell’infanzia. Ma che, in fondo, forse senza di me non avrebbe mai scoperto il
beyblade e il suo Dranzer. “Qualcosa te lo devo, nonno” ha detto.
Ecco perché quella sera aveva voluto incontrarla.
“Ti devo parlare assolutamente, non posso aspettare domani”
le aveva rivelato con fare misterioso.
Ma non ci era mai riuscito: quella macchina aveva sepolto con
lui la discussione fatta la mattina.
Hilary si alzò dal letto, portandosi accanto all’uomo e
stringendogli una mano con un sorriso radioso.
-Kei era un gran testardo. È stata dura per lui mettere da parte
l’orgoglio e tornare qui, ma non l’ha fatto solo per me: io ho insistito, gli
ho dato l’occasione…in realtà credo non aspettasse altro.
-Sei una brava ragazza, Hilary. Benvenuta in famiglia.
-Come?
-Fai parte degli Hiwatari, sempre che tu lo desideri.
La fanciulla non riuscì a trattenersi: gli saltò al collo,
abbracciandolo con sincero slancio. Hito rimase perplesso: Kei, suo nipote, non
si era mai comportato così. Il massimo a cui arrivava era una stretta di mano:
il passato era una brutta bestia, difficile da cancellare.
-Grazie…
-Di niente, bambina. Immagino fosse il desiderio di Kei.
-Ora devo andare, ma tornerò a trovarla.
Aveva già una mano sulla maniglia, quando Hito le raccomandò:
-Stai tranquilla e non affaticarti troppo, va bene?
Non aveva trovato il coraggio per parlare della gravidanza e,
sinceramente, la giovane gliene fu grata: nemmeno lei sapeva esattamente come
affrontare quell’argomento. Avrebbe già dovuto trovare le parole per informare
i ragazzi e non era assolutamente una cosa facile.
Però quell’affermazione le scaldò il cuore: quell’uomo
somigliava molto al suo Kei. Entrambi parevano di ghiaccio e privi di
sentimenti, ma sotto la scorza si nascondevano delle persone stupende.
-Certo, non si preoccupi.
Era felice. Talmente felice da non accorgersi nemmeno dell’auto
nera parcheggiata fuori dalla Villa.
Trovò Rei ad attenderla sulla porta di casa: era abbastanza
agitato e nervoso.
-Ciao, Rei.
-Hilary! Sei tutta
intera, vero?- le chiese allarmato.
-Sì, certo. Sono andata dal nonno di Kei, non dall’uomo nero.
-La differenza è minima.
-Ti sbagli, Rei- continuò lei, aprendo la porta e facendogli
strada.
-Comunque non sono qui solo per sapere com’è andata.- Sbatté sul
tavolo un giornale, visibilmente scocciato. –Guarda se si può essere più
imbecilli di così: non è passato ancora un mese dalla sua morte.
Una foto di loro due campeggiava in prima pagina: qualcuno l’aveva
scattata il giorno in cui era svenuta nel parco.
Certo, quello scatto era abbastanza compromettente: sicuramente
non era stato difficile per il giornalista ricamarci sopra una storia. “IL
NUOVO AMORE DI HILARY TACHIBANA” diceva il titolo. L’articolo poi proseguiva
raccontando qualcosa di Rei e di una fantomatica relazione fra il blader cinese
e la fidanzata di Kei Hiwatari.
-Tutta robaccia- commentò, restituendoglielo.
-Dillo a Takao: quando lo ha visto si è attaccato al telefono
urlando di voler denunciare il giornalista, la testata…
-Sei preoccupato che possa capitare nelle mani di Mao?
Il rossore che imporporò il viso dell’amico fece sorridere
Hilary.
-No…- mormorò. –Non ci crederebbe mai. Però non hanno il diritto
di scrivere queste scemenze.
-È il loro lavoro, Rei. Vuoi un caffè, un the, qualcosa?
-Un the, grazie. Cosa facciamo?
-Niente.
-Niente?
-Niente. Credi che, ad esempio, la tua visita non generi
scandalo? Non possiamo farci nulla, se non ignorarli e proseguire la nostra
vita. Io so di avere la coscienza a posto, con me stessa e con Kei: non c’è
altro che mi importi. Kei mi metteva spesso sotto al naso articoli simili e ci
ridevamo sopra come matti: diceva che si attaccavano alla sua vita privata come
mosche al miele.
-Immagine divertente e azzeccata. Bhe, ora non sto più nella
pelle: raccontami cos’è successo alla Villa…
Max era finalmente riuscito a staccare il suo capitano dal
telefono. Stufo di sentirlo inveire contro chiunque lavorasse in quella casa
editrice, lo aveva preso di forza, trascinandolo in palestra e cacciandogli in
mano la spada da kendo.
-TIENI E SFOGATI!
Era chiuso lì dentro da ore: l’americano stava per andare a
controllarlo, quando vide Dragoon accostarsi a Draciel. Si volse verso l’amico.
-Ti sei calmato un po’?
-Sì. Senza di te sarei già in tribunale…
-No, probabilmente ti avrebbero già pestato.
-Sono stato eccessivo, vero?
-Abbastanza- rispose il biondino.
-Evviva la sincerità.
-Bhe, è la verità: mi sembravi un pazzo appena scappato dal
manicomio.
-Dov’è finito Rei?
-È andato da Hilary: non voleva che lo scoprisse in qualche
altro modo.
Takao annuì, richiamando il suo bey: guardando il Drago Azzurro
non riuscì a non pensare che quei due nascondessero qualcosa. Non credeva al
fatto che avessero una storia, ma di certo c’era sotto un mistero. Forse non
era niente di grave, eppure…
Sospirando, ripose Dragoon in tasca: non aveva senso farsi
rodere dalla gelosia. Avrebbero parlato prima o poi. Come sempre.
Sistemando una foto sul cassettone, il maggiordomo di Villa
Hiwatari ripensò alla sua vita in quella casa. Quelle pareti ne avevano viste
di cose, molte più di quelle che aveva visto lui nei suoi lunghi anni di
servizio in quella famiglia.
Ricordava il signor Sosuke: era solo un bambino quando Alfred
venne assunto, un simpatico monello dai capelli argentei e gli occhi grigio
fumo. Com’era cresciuto in fretta: in un istante era passato dai giochi
infantili alle domande di nozze. Quando presentò al padre Nadja, aveva solo
diciotto anni: una ragazza russa alta, bionda e con un paio di incredibili
occhi viola. La dolcezza di quella giovane entrò subito nel cuore del signor
Hiwatari.
La gioia del matrimonio venne allietata poco dopo dalla nascita
di Kei…poveretto, aveva solamente tre anni quando perse entrambi i genitori. In
viaggio per una ricerca sui bit-power, i coniugi erano rimasti coinvolti in un
terribile incidente.
Il signor Hiwatari non si era più ripreso da quel colpo: riversò
sul nipote tutto il suo odio per quelle creature, fondando la Borg e
trasformando Kei nel più micidiale dei cacciatori.
Ma il passato non lascia mai impuniti i nostri torti: la verità
colpì Kei come una pugnalata tra le scapole, costringendolo ad abbandonare per
sempre la Villa e suo nonno.
Fino a quel giorno…
“Per poco non gli prese un infarto nel vedere la figura ferma
nel vano della porta. Tre anni erano trascorsi, tre lunghissimi anni. Eppure il
tempo non l’aveva cambiato molto.
-Signorino Kei…
-Alfred, non ti aspettavi di rivedermi, vero?
-Mi sembra un miracolo. Lei…lei è tornato…
-Non esagerare. Per ora sono qui soltanto per parlare con lui.
-Davvero, signorino?
-Quante volte ti dovrò ripetere che odio sentirmi chiamare
così?- domandò il giovane con fare scherzoso.
-Ancora una, credo. Vado ad annunciarla.
-No, lascia stare. Preferisco fargli una sorpresa.”
Anche Hito stava rivivendo quel giorno. Seduto nella sua
poltrona preferita, sfogliava un album di fotografie, tuffandosi nei ricordi…
“-Alfred, cosa c’è?- chiese, sentendo la porta aprirsi.
-Buongiorno, nonno.
Quella voce lo obbligò ad alzare gli occhi di scatto dal
giornale, posandoli sul ragazzo che gli stava di fronte. Era proprio lui…dopo
tre anni…dopo la Russia. Nel suo sguardo leggeva l’astio, invariato nonostante
il tempo trascorso.
-Kei…ciao…
-Non sono venuto fin qui di mia iniziativa, voglio che tu lo
sappia.
-Mi fa comunque piacere. Ti trovo bene.
-Non posso lamentarmi.- Con un gesto nervoso, si passò la mano
fra i capelli. –Non è da me girare intorno agli argomenti, quindi…Hilary ha
insistito perché almeno provassi a parlare con te. E io non voglio deluderla.
La frecciata arrivò dritta al destinatario, che non fece una
piega.
-Perciò sono pronto: voglio sapere la verità. Perché mi hai
fatto diventare un cacciatore?
Aveva atteso tre anni quella domanda: in Russia, il nipote gli
aveva voltato le spalle, ferito, senza volere spiegazioni. Ne aveva abbastanza
di quello che aveva scoperto, abbastanza per decidere di ribellarsi.
Alla fine del racconto, il fuoco del rancore bruciava ancora nei
suoi occhi viola. Gli occhi di Nadja.
-E questo è tutto.
-Grazie. Finalmente so chi sono.
-Kei, io…
-Nonno, il tempo non si può cancellare, non riuscirò mai a
dimenticare l’addestramento della Borg e tutto quello che ho passato a causa di
ciò che sono: ho tradito i miei migliori amici, ho rischiato di perdere
l’Aquila Rossa…- Distolse lo sguardo, lasciandolo scorrere sul paesaggio oltre
il vetro della finestra. –Ma qualcosa te lo devo: senza di te, forse, non avrei
mai scoperto il beyblade e non avrei avuto un compagno come Dranzer.
-Tu mi odi, non è vero?
-No, forse non ti ho mai odiato. In un modo o nell’altro mi hai
cresciuto e ti sei preso cura di me: non riuscirei mai ad odiarti.
-Ora che conosci la verità, sparirai per altri tre anni?
-Hilary mi ha detto di invitarti a passare il Natale con noi.
Lei ci tiene molto a questa storia della famiglia: non vuole che mi penta di
aver rotto con te nel momento in cui magari è troppo tardi per rimediare.
-Quando parli di lei mi ricordi tuo padre.
-Come?
-Gli si illuminava il viso quando nominava tua madre; esattamente
come te quando pronunci il nome di Hilary.
Un lieve rossore colorò le gote di Kei, che si voltò,
imbarazzato da quell’attimo di sentimentalismo.
Seduta nel portico di casa Kinomiya, Hilary si concesse un
sospiro: era trascorsa una settimana da quando aveva saputo di essere incinta.
Era arrivato il momento di parlarne anche agli altri. A un mese dalla morte di
Kei.
-Hila, non credo tu sia venuta per stare qui sui gradini- la
interruppe Takao, sedendosi accanto all’amica.
-Infatti. Ho convocato anche altre persone: devo dirvi una cosa
e voglio che ci siate tutti.
-È una buona o una cattiva notizia?
-Per me all’inizio era sconvolgente, ma giorno dopo giorno mi
sembra sempre più meravigliosa.
-Mi devo preoccupare?
-No, per una volta accontento i tuoi desideri.
Quella frase lo lasciò senza parole: cosa significava? Non ebbe
però il tempo di ribattere perché una lussuosissima automobile parcheggiò
proprio davanti al suo cancello. Stava per dire qualcosa quando vide scendere
una persona la cui sola vista gli gelava il sangue nel corpo.
Ma ciò che lo sconvolse di più fu il vedere Hilary andare
incontro all’uomo e fargli strada.
-Da questa parte, signor Hiwatari.
-Hilary!- tuonò Takao, facendola sussultare. –Non credi di
dovermi una spiegazione?
-Entri in casa. La raggiungo subito.
Si portò di fronte al ragazzo, pronta a ricevere una predica, ad
essere investita dal fiume di parole con cui l’amico l’avrebbe travolta.
-Che ci fa quell’uomo a casa mia? Kei si starà rivoltando nella
tomba all’idea che…
-Lui e suo nonno si erano chiariti. Se gli porti del rancore
vedi di fartelo passare. Per me, per la nostra amicizia…
Gli accarezzò una guancia, lasciando che poi lui la abbracciasse
stretta.
-E io che credevo mi avessi rimpiazzato con un nuovo migliore
amico…era questo che tu e Rei stavate nascondendo.
-Ti saresti opposto se te ne avessi parlato. È una brava
persona, Takao, te lo giuro.
-Non voglio mettere in dubbio il tuo giudizio, Hila, ma mi ci
vorrà ben più di una giornata per fidarmi di lui.
-Lo capisco. Mi basta solo che tu non faccia scenate.
-Non preoccuparti.
-Comunque non è di questo che vi devo parlare- concluse,
sparendo in casa. Takao si era già voltato quando lei riapparve esclamando: -E
poi tu sarai sempre il mio migliore amico, gelosone.
Tutti erano riuniti nel salotto di Takao: i Bladebreakers e
nonno Jei tenevano gli occhi puntati sulla fanciulla e su Hito. I ricordi della
Russia erano ancora vivi in ognuno di loro, ma rimangiavano ogni commento per
amore dell’amica.
-Amici miei, devo fare un annuncio. Devo ammettere che questo
giorno lo avevo sempre immaginato diverso, soprattutto con Kei accanto a me: ma
la vita non è mai come uno la progetta.- Si portò una mano sul cuore: il suo
ragazzo le era comunque vicino, lo sentiva. Se chiudeva gli occhi poteva quasi
avvertire la sua presenza. –Aspetto un bambino.
Il silenzio scese sulla sala: non sapevano bene cosa dire o
semplicemente dovevano assimilare la notizia.
Fu Takao a rompere quel momento, correndo ad abbracciarla.
-Avrò un nipotino!- gridò.
Subito dopo anche gli altri la strinsero fra le braccia,
entusiasti di quella novità. Quante volte avevano preso in giro Kei, domandandogli
di regalare loro un piccolo o una piccola blader che avrebbe gironzolato per
casa chiamandoli zii. E il ragazzo rispondeva:
-Chiedetelo a Hilary.
-Bisogna andare a festeggiare: vi invito tutti a cena!
-Se qui c’è qualcuno che invita, quella sono io- li interruppe
Hilary.
-O io- proseguì Hito. –Potrete ordinare tutto ciò che volete.
-Tutto?
-Lei non conosce Takao, altrimenti non avrebbe detto questo-
spiegò Max.
Hilary accennò un saluto a Rei, l’unico a non essere preso dalla
discussione sulla cena, poi uscì diretta verso il cimitero.
L’uomo nell’auto nera seguiva tutti i suoi movimenti, come un
felino in attesa di attaccare la preda.
Quella sciocca doveva imparare a stare al suo posto.
-Amore mio.
Accarezzò la sua foto, sistemando un mazzo di fiori rossi e
sorridendo fra le lacrime.
Era già trascorso un mese. Le mancava da morire, non c’era un
solo istante in cui non desiderasse riaverlo al fianco: una parte di lei aveva
accettato la sua morte, consapevole che il suo spirito l’avrebbe protetta sempre.
Era l’altra metà che ancora non si rassegnava, che soffriva al
solo pronunciare il suo nome.
-Tuo figlio crescerà forte come te, lo proteggerò e gli darò
tutto l’amore di cui sono capace. Te lo prometto.
-E noi gli insegneremo a lanciare il bey- esclamarono alle sue
spalle.
-Ragazzi!
-Sapevamo di trovarti qui- continuò Takao. Aveva in mano un
mazzo di rose bianche. –A volte ho quasi l’impressione che sia ancora in mezzo
a noi.
È capire quali ponti attraversare e quali
bruciare
(Anonimo)
Erano quasi arrivati all’incrocio, quel maledetto incrocio in
cui, un mese prima, Kei aveva perso la vita.
Hilary salutò gli amici, dandosi appuntamento al ristorante, poi
attraversò.
E l’auto nera apparve, come un incubo tornato dall’aldilà.
La ragazza venne prepotentemente sbalzata nel passato.
Il semaforo, l’automobile, una voce che grida il suo nome.
-Hilary!- La voce di Takao…
Ma non c’era Kei pronto a lanciarsi per salvarla.
Spinse sull’acceleratore, puntando dritto sulla mocciosa.
-Come te la cavi senza il tuo ragazzino?- mormorò, stringendo le
mani sul volante.
Pochi secondi e avrebbe regolato i conti.
Un grido ruppe ogni pensiero. L’Aquila Rossa si frappose fra
Hilary e il folle sull’auto, costringendo quest’ultimo ad una brusca sterzata.
La vettura salì sul marciapiede, ormai fuori da ogni controllo, schiantandosi
poi contro un muretto.
Le persone non avevano visto niente di ciò che era accaduto, non
sapevano perché avesse sbandato.
Ma i quattro ragazzi non staccarono gli occhi dall’animale sacro
che, così come era apparso, scomparve nel nulla, lasciando nell’aria un profumo
di nostalgica malinconia e l’eco di una voce.
Io sarò con te. Per sempre.
-Kei…
L’aveva salvata di nuovo, l’avrebbe difesa sempre.
Quando la polizia arrivò sul luogo si era già radunata una
piccola folla. L’uomo alla guida venne fatto scendere e arrestato.
Ma Hilary li bloccò: lei conosceva quell’individuo e ora,
sopraffatta dal disprezzo, voleva una risposta.
-Perché, John?
Il suo patrigno: lui aveva ucciso Kei e aveva tentato di fare lo
stesso con lei.
-Per i soldi, per cosa sennò?- fu la sua affermazione.
Soldi…era una valida ragione per uccidere? I soldi valevano una
vita umana? Non riusciva a capire cosa la trattenesse dal dargli uno schiaffo.
-Tutto il denaro di questo mondo non vale la vita di una
persona. Fai talmente schifo che non meriti nemmeno di essere picchiato.
E con quella frase bruciò i ponti che ancora la legavano al
passato e alla sua famiglia.
so che sei nei guai con la scelta del padrino. Non ti propongo
la mia candidatura, anche se non nego che mi farebbe piacere. Questo è un
suggerimento.
C’è una persona che ancora non è riuscita a fare pace con il
fantasma di Kei e so che, se tu la scegliessi, la faresti immensamente felice.
Immagino tu abbia capito di chi sto parlando…”
Quando lesse l’e-mail di Yuri rimase di sasso: quel russo
riusciva regolarmente a sorprenderla.
Da giorni si torturava con la lista dei candidati: Takao, Rei,
Yuri, Max, Yuuya, Hito, nonno Jei…
Temeva che scegliendo uno, un altro si sarebbe certamente
offeso: perché non poteva farlo fare a tutti?
Il pianto di suo figlio la distolse dal computer: spesso si
chiedeva come facesse un esserino così piccolo ad urlare così tanto.
-Cosa c’è, tesoro?- chiese, prendendolo in braccio.
Andrei Hiwatari la guardò con i suoi grandi occhi viola,
calmandosi all’istante. Assomigliava molto a Kei: gli occhi, gli zigomi, il
taglio delle labbra erano quelli del ragazzo. Ma aveva i capelli castani come
la mamma.
Avrebbe compiuto tre mesi il giorno del battesimo: cullandolo
dolcemente, ripensò al nome scritto da Yuri.
Sicuramente sarebbe stato un padrino d’effetto.
-Max, tu sai chi sarà il padrino?- domandò Takao.
-Credevo lo sapessi tu. Rei?
-Ne so quanto voi.
-Hilary, non puoi almeno darci un suggerimento?
La ragazza, radiosa, prese tra le braccia Andrei, negando con il
capo.
-No. Sarà una sorpresa.
-Certo che somiglia davvero a Kei- disse Mao, guardando il
bambino. –Oh, Hilary come ti invidio.
-Rei, hai sentito la tua fidanzata?- lo schernì Max.
-Tesoro, guarda che lo penso anch’io- lo gelò Mariam.
Le tre giovani scoppiarono a ridere, osservando le facce
terrorizzate dei due blader.
-Sta arrivando un’auto.
Una vettura bianco immacolata si fermò davanti alla chiesa. Il
ragazzo che ne scese salutò tutti con un sorriso, prima di avvicinarsi alla
novella mamma.
-Ciao, Yuri.
-Ciao, Hilary. Così è questo
il mio nipotino giapponese…- continuò il russo. -È bellissimo: somiglia ad
entrambi.
-Vuoi prenderlo in braccio?
-Meglio più tardi. Il padrino non mi perdonerebbe- proseguì in
tono scherzoso. Si volse poi verso l’auto. –Allora, scendete o vi devo tirare
fuori con la forza?
-Arriviamo. Voi avviatevi, intanto- risposero i compagni.
I giovani entrarono in chiesa, Yuri e Hilary per ultimi.
-Non lo ammette, ma si vede che è felice. Non ha parlato
d’altro.
-Certamente non è un padrino che passa inosservato.
Subito dopo arrivarono Boris e Ivan che si sedettero accanto al
capitano. Mancava solo il padrino.
Il suo ingresso suscitò la sorpresa di tutti: era imbarazzato,
ma allo stesso tempo gli si leggeva sul viso una sorta di fierezza.
-Hilary…io volevo ringraziarti…non ho potuto farlo prima…
-Non c’è bisogno di dire nulla. Sono certa che anche Kei avrebbe
fatto questa scelta. Andrei, ecco il tuo padrino.
Gli posò fra le braccia il bambino: era così piccolo fra quelle
mani enormi.
-Ho paura di farlo cadere.
-Stai tranquillo, Sergey. Rilassati.
Faceva uno strano effetto vedere quel colosso biondo con una
creaturina minuscola. Andrei aprì i suoi occhi viola, posandoli sul blader e
facendolo sudare freddo.
-Ora piange, ne sono certo. Ora si mette a strillare- pensò.
Invece il piccolo sorrise. In quel momento Sergey capì di
essersi irrimediabilmente innamorato del suo protetto e fu immensamente grato
ad Hilary: non era mai andato d’accordo con Kei, ma credeva di avere tutta la
vita davanti per cercare di rimediare. Invece Kei era morto, portandosi via
ogni occasione di chiarirsi: fare da padrino a suo figlio era un modo per
placare i fantasmi del passato.
I raggi del sole entrarono a tagli dalla vetrata e ad Hilary,
per un secondo, parve di scorgere la figura del suo amato.