Per sempre

di redeagle86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dolore ***
Capitolo 2: *** Bianco come la neve ***
Capitolo 3: *** Una giornata con la morte ***
Capitolo 4: *** Soltanto parole ***
Capitolo 5: *** Una serata burrascosa ***
Capitolo 6: *** Non siamo innamorati! ***
Capitolo 7: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 8: *** Biglietto d'addio ***
Capitolo 9: *** Un amico speciale ***
Capitolo 10: *** L'Angelo di Natale ***
Capitolo 11: *** Una notizia inattesa ***
Capitolo 12: *** Ricordando Kei ***
Capitolo 13: *** Annuncio importante ***
Capitolo 14: *** L'auto nera ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Dolore ***


PER SEMPRE

Cap. I. Dolore

La sua morte improvvisa sconvolse tutti. Colti nel pieno delle festività natalizie, quella notizia li travolse come un treno in corsa. Quella stessa corsa della macchina che lo aveva strappato ai suoi cari.

In cuor loro avevano sempre sospettato che non sarebbe morto in modo banale e scontato: era sempre stato troppo diverso dai comuni mortali per morire di vecchiaia. Ma non per questo si aspettavano che la morte lo portasse via a soli diciassette anni, proprio sotto Natale.

Alcuni urlarono, prendendo a calci ogni cosa; in molti piansero; altri si chiusero nel silenzio.

Il tutto mentre le luci e un allegro Merry Christmas riempivano l’atmosfera di Tokio, coprendo la voce del giornalista che diffondeva la comunicazione nel mondo.

-Il beyblade è in lutto: ieri sera, nella città di Tokio, ha perso la vita il campione Kei Hiwatari. Erede diciassettenne dell’impero Hiwatari e blader di fama mondiale, il ragazzo è stato investito da un’automobile mentre si trovava in compagnia della sua fidanzata, Hilary Tachibana. Inutili i soccorsi: il giovane è deceduto sul colpo. I funerali si svolgeranno domani mattina alle ore dieci…

Voglio chiedere scusa a chi seguiva questa ff e se l’è vista sparire sotto gli occhi. Problemi con l’HTML (Un gigantesco grazie a Isi e alla sua pazienza nell’insegnarmi!!) mi hanno costretto a toglierla per sistemarla. Ora riappare…spero possiate perdonarmi.

Un bacione

Redeagle86

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Capitolo 2
*** Bianco come la neve ***


Cap. II. Bianco come la neve

 

Le campane del monastero avevano suonato a morto per tutto il giorno come aveva ordinato. E per tutto il giorno le avevano accompagnate, alternandosi, quelle delle chiese di San Pietroburgo.

Rinchiuso nella sua stanza, Yuri Ivanov stava finendo di preparare la valigia: quella sera stessa sarebbe partito con il primo volo per il Giappone.

Kei…ancora non riusciva a crederci. Si erano sentiti solo pochi giorni prima per scambiarsi gli auguri di Natale…

 

-Yuri…Yuri…apri, ti prego!

Il capitano della Neo Borg socchiuse gli occhi, gettandoli sulla sveglia: le 5.00! Nemmeno il sole in Russia si svegliava a quell’ora: perché avrebbe dovuto farlo lui?!

Sperava solo che Boris avesse un valido motivo per giustificare quel risveglio… Si alzò, avviandosi a passi incerti verso la porta, la voce ancora impastata di sonno.

-Arrivo, Boris…- Cercò a tentoni la maniglia, continuando a sbadigliare. Ma il volto che si trovò di fronte fece sparire in lui ogni traccia di sonnolenza: gli occhi gonfi e rossi, lo sguardo stravolto. Cos’era successo di così grave?

-Yuri…è morto…- Il blader non capiva. Prendendolo per le spalle, lo costrinse a guardarlo in faccia e a dargli una spiegazione.

-Chi, Boris? Chi è morto?

Per qualche inspiegabile ragione, l’ansia aveva cominciato a farsi strada. Temeva la risposta dell’amico, la temeva come non aveva mai temuto nient’altro nella sua vita.

-Kei…

Non fu più di un sussurro, ma a Yuri parve una scossa. Staccò le mani da Boris, lasciandosi poi cadere sfatto sul letto. Non era possibile…si erano sentiti da poco…come poteva essere morto?

-Come…

-Un’auto…l’ha investito…ieri sera…- balbettò l’altro tra i singhiozzi.

-Fai suonare le campane. Voglio sentirle per tutto il giorno.

Boris uscì, sia per eseguire l’ordine che per permettergli di sfogare il suo dolore.

 

A diciotto ore di distanza non aveva ancora esaurito le sue lacrime. Aveva prenotato il volo, fatto la valigia e telefonato a Takao: una voce rotta dal pianto gli aveva risposto all’altro capo del filo, una voce che non pareva nemmeno quella del campione del mondo. La morte di Kei aveva appianato tutto: qualsiasi contrasto o divergenza ci potessero essere stati, scomparvero in quei pochi minuti di conversazione.

Il giovane Hiwatari non era stato un modello di onestà, simpatia o solarità, ma era stato il suo compagno: insieme a lui avevano scalato le classifiche dei tornei russi, insieme a lui aveva partecipato al campionato.

Non meritava una fine del genere.

Sentendo bussare alla porta, si asciugò gli occhi con la manica della giacca.

-Avanti.

-Yuri…- Anche Sergey era distrutto: lui e il giapponese non erano mai riusciti ad andare d’accordo, ma quella notizia lo aveva sconvolto. –Io, Boris ed Ivan…vorremmo venire con te…Kei era anche…uno di noi.

-Va bene. Siete già pronti?

-Si.

-Allora andiamo.

Quando aprirono le porte, si trovarono ai piedi dei mazzi di fiori: ancora gigli, rose, crisantemi. Tutti bianchi come neve. I ragazzi ne avevano portati dentro a decine durante tutto il giorno: era l’ultimo saluto della Russia al suo campione.

-Mi scusi, signor Ivanov.

Yuri si volse verso un ragazzetto, avvolto in un cappotto enorme.

-Le volevo chiedere se poteva portare anche le nostre condoglianze.

Un sorriso triste comparve sulle labbra del blader, che abbassò lo sguardo accarezzando la testa del bambino.

-Lo farò, non preoccuparti. Non dimenticherò il lutto del mio paese.

Il piccolo accennò un saluto, avviandosi poi verso casa. Yuri lo seguì con gli occhi, finché non scomparve nella nebbia.

Per molti quello non sarebbe stato un felice Natale.

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Capitolo 3
*** Una giornata con la morte ***


Cap. III. Una giornata con la morte

 

Non riusciva a cancellare quell’immagine dalla sua mente. Riviveva quei secondi ogni istante della sua vita.

Lei che arriva al semaforo, aspettando che scatti il verde; lui che attende all’altro lato della strada. Bello come un dio, completamente ignaro del freddo, che affrontava con una giacca leggera e l’immancabile sciarpa bianca. Quel suo sorriso; quegli occhi d’ametista.

Il semaforo che diventa verde, lei che avanza. E quell’auto…quell’auto nera che sfreccia ignorando il rosso del suo semaforo. La voce di Kei che urla il suo nome.

-Hilary!

Il resto era successo talmente in fretta da non rendersene nemmeno conto: una spinta e Hilary si era trovata a rotolare sul marciapiede senza capire cosa fosse accaduto. Poi aveva guardato la strada e il suo cuore aveva smesso di battere: c’era lui a terra, c’era del sangue…

Gli corse accanto, ma non poteva fare più nulla: gli occhi di Kei, quegli occhi viola in cui amava perdersi, si erano chiusi per sempre.

Quel bastardo alla guida non si era neanche fermato: era andato dritto per la sua via senza voltarsi.

Teneva fra le braccia il corpo senza vita del suo amore, chiedendo aiuto: una piccola folla si era radunata attorno a loro, ma nessuno poteva riportarlo in vita. L’aveva perso…per sempre.

Sdraiata sul letto, Hilary Tachibana, guardava con aria spenta il soffitto: se c’era un Dio sopra di lei, quanto aveva deciso di farla soffrire? La morte di suo padre, la partenza di Simon, il secondo matrimonio di sua madre… Quanto male aveva fatto per meritare anche questo dolore?

 Era una sofferenza che le esplodeva dentro, partendo dal cuore e arrivando in ogni punto del suo corpo. Kei, il suo Kei, non c’era più.

Aveva dato la sua vita per salvarla, ma lei ora desiderava solo morire.

 

Guardandosi allo specchio, Takao Kinomiya finì di abbottonarsi la camicia. Sentiva le voci dei ragazzi nell’ingresso che cercavano di allontanare i giornalisti: non capivano che volevano essere lasciati soli con il loro lutto? Erano stufi di parlare con quelle persone, stufi delle loro domande, stufi della loro mancanza di rispetto.

Andavano ad un funerale, al funerale del loro amico, non ad un party esclusivo.

Eppure quegli imbecilli non riuscivano a farselo entrare in testa: essere un pluricampione mondiale aveva i suoi lati negativi. E stavano emergendo tutti in quell’occasione.

-Kei…pazzo di un mezzosangue…- sussurrò, guardando la fotografia sopra al tavolo. Due anni prima gli aveva chiesto quanto amasse Hilary e il ragazzo dagli occhi viola gli aveva risposto:

-Darei la vita per lei.

Ed era andata proprio così: era finito sotto quell’auto per salvare l’amore della sua vita.

Se solo ripensava a quella telefonata…

 

Max e Rei stavano discutendo sulla disposizione degli addobbi, mentre il prof urlava loro che erano blader e non decoratori d’interni. Takao, avvolto in un groviglio di cavi, stava controllando le luci, quando il telefono iniziò a squillare.

-Maledizione, sempre nei momenti giusti- imprecò. Emergendo dai fili, gridò in direzione della cornetta: -Arrivo!

Trascinandosi appresso le luci dell’albero, il campione raggiunse finalmente l’apparecchio.

-Venire voi a rispondere mai, vero?- inveì verso la sala. –Casa Kinomiya, chi parla?

Mentre aspettava una risposta, agitò un piede per liberarsi dalle sue “catene”. Ma dall’altra parte del filo non c’era che silenzio.

-Pronto?

Stava già pensando ad uno scherzo, quando sentì un singhiozzo.

-Takao…

Conosceva quella voce: era una voce che non avrebbe mai più voluto sentire in quello stato. L’aveva giurato a sé stesso due anni prima.

-Hila, sei tu?

-Takao…

Sì, era proprio lei. E stava piangendo. Cominciò a preoccuparsi: Hilary non era il tipo che si metteva a piangere per delle sciocchezze. E a quell’ora avrebbe dovuto essere con Kei.

-Hilary, cos’è successo? Ti prego, parla!

-Kei…

Se non altro, aveva cambiato nome. Cosa aveva combinato stavolta quel ragazzo? Doveva essere qualcosa di grave, se Hilary piangeva a quel modo.

-Hila, cosa c’è? Hilary!

-Oh, Takao…lui…lui è…è morto…- balbettò, prima di scoppiare in lacrime.

Fu come ricevere una coltellata dritta al cuore. Morto? No, non era vero. Non era che un incubo da cui presto si sarebbe svegliato.

-Hilary…che stai dicendo? È uno scherzo, vero?- Ma lei continuò a piangere e Takao abbassò lo sguardo, nascondendo gli occhi sotto la frangia scura. Strinse le labbra fra i denti, ricacciando indietro le lacrime. –Dove sei, Hila?

-A Tokio…in ospedale…

-Aspettami lì…non fare cretinate, mi raccomando.

Quando rientrò nella sala, cadde il silenzio: i volti dei suoi amici si voltarono verso di lui, fermo sulla porta, il viso ancora celato dai capelli.

-Smontate tutto- sibilò. –Non abbiamo più niente da festeggiare.

-Ma, Takao…la settimana prossima è Natale- intervenne Max.

-No, non c’è proprio un bel niente.

-Takao, cos’hai?- Nonno Jey gli venne incontro dal corridoio.

-Chi era al telefono? È forse successo qualcosa?- Rei, il suo caro compagno di squadra: pareva avere un sesto senso per quelle cose, specie se riguardavano il suo migliore amico.

-Perdonami se ti spezzo il cuore- pensò. –Ha chiamato Hilary dall’ospedale…

-L’ospedale?!- ripeterono tutti all’unisono.

-Si tratta di Kei…è morto.

 

Prese dall’armadio la giacca nera e gettò un’occhiata al foglio con il discorso funebre: lo rilesse velocemente, per poi appallottolarlo e buttarlo nel cestino. Kei preferiva le cose oneste e sincere, non le frasi preparate a tavolino.

Si diresse verso la stanza degli ospiti dove dormiva Hilary, ancora sotto l’effetto dei tranquillanti: soffriva da morire, come se le avessero strappato una parte di lei. E Takao temeva che fosse una ferita impossibile da rimarginare.

L’avevano sollevata da ogni responsabilità: Takao aveva organizzato il funerale, parlato con la stampa e contattato il presidente Daitenji, in vacanza ai Tropici.

Max e Rei si erano occupati della scelta della cassa, della lapide e dei fiori: tutte rose, i fiori preferiti di Kei.

Ma se i due ragazzi ogni tanto si facevano ancora prendere dalla disperazione, il loro capitano stringeva i denti e tirava avanti: non poteva crollare anche lui, non ancora.

Avrebbe sfogato il suo dolore una volta finito il funerale.

-Sei pronto, Takao?

Uno sfatto Max si era affacciato alla porta: gli occhioni azzurri sembravano ancora più grandi su quel viso pallido e scarno, reso ancora più bianco dal completo nero.

-Sì, devo solo chiamare Hilary. Se ne sono andati i giornalisti?

-Purtroppo no. Rei li sta trattenendo, ma noi dovremo uscire dal retro se non vogliamo incontrarli.

-Cose da pazzi…- mormorò in risposta, bussando alla porta.

 

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Capitolo 4
*** Soltanto parole ***


Cap. IV. Soltanto parole

 

C’era tantissima gente, venuta da ogni parte del mondo: Max vide i suoi genitori e gli All Starz; Rei i Baiuzu; Takao riconobbe con un po’ di preoccupazione Brooklyn; Hilary notò Yuri e il resto della Neo Borg. Il colorito pallido del russo contrastava con la giacca nera, che lo rendeva ancora più smorto.

Un anno fa, in quel periodo, lei e Kei stavano partendo per la Russia dove avevano trascorso delle splendide vacanze di Natale. In quell’occasione aveva conosciuto meglio il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, scoprendolo completamente diverso da come lo credeva.

Ma c’erano anche gli European Dream, la Bartez Scuola, Mr X e i suoi compagni, Antonio, Julia, Raul, Yuuya…

-Una massa di corvi neri sulla neve bianca: forse è questo che penserà Kei guardandoci. Anzi, conoscendolo, è più probabile che dirà: “Cosa ci fa il mio bel cigno fra quelle cornacchie?”- esordì Takao, gettando un’occhiata a Hilary. Piangeva disperata, appoggiata a nonno Jey che la cullava come una figlia. –Mi dispiace, non dirò quello che molti di voi si aspettano: la sua scomparsa mi ha lasciato a pezzi. Sono state inventate tante parole per descrivere questo stato d’animo: distrutto, spezzato, dilaniato, lacerato…ma sono soltanto parole: in qualsiasi lingua le si pronunci, non corrispondono appieno a ciò che sento in questo momento. Parlo di me, ma so di parlare anche per Max, per Rei, per Yuri…per tutti coloro che gli sono stati vicini. Kei è stato un amico, un rivale, un compagno, un fratello…è dura accettare il fatto che di lui non resti altro che una foto su un pezzo di marmo bianco. Io forse non sono una persona colta, ma sono sincero: leggo il dolore nei vostri occhi, lo stesso dolore che ho nel cuore. L’ho stimato come blader e oggi lo stimo ancora di più come persona. Una volta mi disse che avrebbe dato la vita per la persona che amava: non erano parole al vento, come le mie, erano parole che non si perdono nel tempo.- Stringendo i denti, Takao proseguì. –Non ha esitato un solo istante a gettarsi sotto l’auto per salvare la sua fidanzata. Domani, forse, avrete dimenticato il novanta per cento del mio discorso, ma spero che il gesto e il ricordo di Kei rimangano vivi nei vostri cuori, come lo rimarranno nei nostri.- Si voltò, lanciando una rosa bianca nella fossa. –Addio, Kei Hiwatari. Non avrò mai più un rivale e un amico come te.

 

Hilary si portò accanto ai ragazzi per ricevere le condoglianze dei presenti. E fu in quel momento che vide, in lontana in fondo alla folla, una persona che non si aspettava di trovare lì: Hito Hiwatari, il nonno di Kei. Ma fu solo un attimo; quando guardò di nuovo in quella direzione, non c’era più nessuno.

Fu Yuri il primo a stringerle la mano.

-Mi sarebbe piaciuto rincontrarvi in una situazione più lieta. Vi porto le condoglianze della Neo Borg e del nostro paese: la Russia intera piange la morte di Kei.

-Grazie, Yuri.

-Se vi servisse qualcosa, ricordatevi che non siamo così lontani come sembra.

I suoi compagni annuirono, posando un mazzo di gigli bianchi sulla tomba dell’amico.

-Avremmo voluto portare tutti quelli che ci sono stati consegnati al monastero, ma erano veramente troppi. La mia terra perde un campione; noi un amico e un compagno.

Si allontanò, le mani chiuse nelle tasche e gli occhi bassi, seguito dagli altri.

Fu poi la volta di Brooklyn e successe ciò che Takao temeva: lo sguardo di Hilary divenne di fuoco. Non riusciva a perdonarlo, era più forte di lei.

-C’è odio nei tuoi occhi, Hilary, e mi dispiace. Kei mi ha insegnato cosa vuol dire essere un blader.

-L’hai quasi ucciso, Brooklyn!

-Calmati, Hila- la rattenne Rei.

-Hai ragione, ma non mi sarei mai perdonato se fosse accaduto.- Sistemò anche lui il suo mazzo di fiori. –Capisco il tuo rancore ma credimi: ammiravo il tuo fidanzato. Era il miglior blader che io avessi mai incontrato e ancora oggi non ho trovato qualcuno alla sua altezza.

 

Alla fine la tomba era cosparsa di fiori.

-Avremmo voluto conoscerlo meglio- pronunciarono in molti. –Ma la sua scomparsa lascerà un vuoto incredibile nel mondo del beyblade.

Un vuoto…non sembrava il termine giusto. Voragine, abisso, cratere…suonavano già più vicine al vero.

L’unico a non parlare fu Yuuya: abbracciò stretta Hilary, lasciando poi un solo fiore, più rosso del sangue. La dolcezza di quel ragazzino colpì non poco la giovane: era stato il solo ad agire d’impulso, senza inutili frasi fatte.

Erano rimasti soli: quattro ragazzini davanti alla fine del loro amico d’infanzia.

Dranzer emerse dalla tasca di Takao.

-Perdonami, amico: so benissimo che soffri quanto noi. Questo sarà il tuo ultimo lancio.

Il bey iniziò a ruotare intorno alla terra smossa: aveva passato la vita insieme a Kei. Sarebbero stati uniti anche nella morte. Il bit-power si illuminò, liberando l’Aquila Rossa ed il suo grido. Era un urlo di pura disperazione che lacerò ciò che restava dei loro animi.

Takao, forte fino a quell’istante, crollò a terra in un pianto liberatorio.

-KEI!! NON È GIUSTO…NON È GIUSTO!!! KEI!!

Max e Rei abbassarono lo sguardo, mentre Hilary fissava l’Aquila Rossa: Kei le aveva detto che era la divinità del sole e della primavera. Ora sembrava desiderare la morte almeno quanto lei.

Il suo verso ruppe ancora una volta il silenzio, poi l’animale sacro scomparve nella terra, ricongiungendosi al suo custode. Dranzer si fermò immediatamente.

Fu l’americano a fare un passo avanti, raccogliendolo e appoggiandolo davanti alla lapide.

-Addio, amico mio. Sarai sempre tu il migliore.

 

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Capitolo 5
*** Una serata burrascosa ***


Cap. V. Una serata burrascosa

 

Erano già passate due ore eppure nessuno di loro si era ancora cambiato. Come se non riuscissero o non volessero staccarsi da quel momento. Seduta sul balcone Hilary cercava di digerire quegli ultimi giorni.

Aveva ancora la sua voce nelle orecchie.

-Hilary!

L’ultima cosa che aveva pronunciato prima di morire: il suo nome.

Tutti i ragazzi del gruppo la chiamavano Hila, ma lui no. Lui l’aveva sempre chiamata Hilary.

-È più bello- diceva. –E poi un nome è una cosa importante.

Lui ne sapeva qualcosa: il suo gli aveva permesso di fare un milione di cose senza preoccuparsi della legalità. Kei era fatto così: non esistevano regole per quel ragazzo. Lo amava anche per questo. Lo amava ancora. Forse lo avrebbe amato per sempre.

Proprio come quella sera di due anni fa…

 

Pioveva, e come al solito aveva lasciato a casa l’ombrello. Per fortuna, la fermata dell’autobus non era lontana. Salutò la signora Aikenara e corse sotto l’acqua.

Aveva fatto tardi anche questa volta: quella doppia vita la stava distruggendo. Di giorno andava a scuola e durante il pomeriggio faceva la baby-sitter ai pestiferi figli della signora Aikenara: due insopportabili bambini che avrebbe volentieri affogato.

Ma i soldi di quel lavoro le servivano: la storia di sua madre con quel tipo diventava più seria ad ogni uscita. Presto quell’insopportabile uomo sarebbe diventato il suo patrigno: ancora quattro anni di risparmi e sopportazioni e poi finalmente se ne sarebbe andata.

Arrivò alla fermata giusto in tempo per vedere il pulmino partire.

-Maledizione…una splendida giornata…- canticchiò.

Quella pioggia del cavolo non accennava minimamente a smettere e lei si stava infradiciando. Si schiacciò contro una parete, riparandosi leggermente, e infilò le mani in tasca.

-No…- esclamò. –Non questo…le chiavi no…

E invece sì: aveva proprio dimenticato le chiavi di casa. Guardò l’ora: le 19.00. Sua madre non era sicuramente a casa: quella mattina le aveva comunicato che sarebbe uscita alle 18.00.

-Complimenti, Hilary. E ora dove vai?

Prese il cellulare e cominciò a far passare i nomi in rubrica. Takao! Ma certo, il suo amico l’avrebbe sicuramente ospitata. Compose il numero e rimase ad aspettare.

-Rispondi…rispondi…

-Salve a tutti, sono io. Come chi? Il vostro grande, stupendo, bellissimo…

-…pallone gonfiato?

-…Takao…In questo momento non so…

Interruppe il messaggio della segreteria, imprecando contro quelle macchinette. Aveva freddo e i vestiti bagnati le si appiccicavano addosso. Anche la testa cominciava a girarle e non faceva altro che starnutire.

-Vuoi vedere che mi sono beccata anche l’influenza?!

-Ehi, ragazzina…

Un uomo, dall’altra parte della strada, la stava chiamando.

-E questo chi è?- pensò.

-Guarda che non ci sono altri autobus…

-Cosa?!- Che giornata fantastica. Non poteva certo restare lì in eterno, spiaccicata contro il muro. Non era mica la piccola fiammiferaia.

-Oggi non me ne va dritta una- si disse. –Tra il votaccio in matematica, i bambini isterici e l’autobus, cosa può succedere ancora?

Un rumore sopra la sua testa la fece pentire di quelle parole: la grondaia della casa stava cedendo e lei fra pochi secondi avrebbe fatto un bagno. Chiuse istintivamente gli occhi, portandosi le mani sulla testa: sentì il ferro cadere e l’acqua infrangersi su una superficie. Ma lei non era più bagnata di prima.

Riaprì gli occhi, trovandosene davanti un paio viola.

-Sono arrivato appena in tempo, a quanto pare.

Kei Hiwatari, il ragazzo più bello e ricco di tutto il Giappone. Sfortunatamente anche il più acido e asociale. Aveva avuto modo di conoscerlo durante gli allenamenti dei Bladebreakers: schivo, freddo e silenzioso, pareva più un lupo solitario che un blader. Eppure Takao gli era molto legato

E in quel momento la stava riparando con il suo ombrello.

-Ke…Kei…cosa ci fai qui?

-Passavo da queste parti e ti ho vista in difficoltà. Hai perso l’autobus?

-Sì…- mormorò. Di colpo il suo campo visivo si oscurò e le forze le vennero meno: ma non si riprese a terra, bensì fra le braccia forti e sicure di Kei. Il suo cuore iniziò a battere a mille: un anno, quasi, che lo conosceva e non gli era mai stata così vicina.

-Hilary, sei fradicia e…ma tu scotti!- La sua voce divenne risoluta. –Vieni, ti porto a casa.

-Non ho le chiavi e…non c’è nessuno.

-Da Takao, allora. No, è a cena con i ragazzi.

-Lascia stare, Kei. Me la caverò…

-Stai scherzando, spero. Ora ti porto a casa mia.- Ignorando le proteste, le diede in mano l’ombrello e la prese in braccio.

-Kei, non c’è bisogno…

-Hai la febbre, Hilary- ribatté lui. –I tuoi piuttosto, staranno in pensiero.

-No, non credo proprio.

La conversazione terminò lì. Hilary si sentiva al sicuro nella stretta del giovane: avvertiva i suoi muscoli sotto la maglia, i battiti regolari del suo cuore. Dopo tanto tempo, intuì di potersi di nuovo affidare completamente ad una persona.

-Siamo quasi arrivati- la rassicurò. Non aveva mai visto la casa di Kei, anche se ne aveva sentito parlare: in tutta Tokio non c’era un’anima che non conoscesse Villa Hiwatari, la residenza della famiglia più potente della città. Takao le aveva detto che vi abitava con suo nonno, l’unico parente che gli restasse al mondo, ma che fra i due non correva buon sangue.

-Aggrappati al collo mentre cerco le chiavi.

Mettendo da parte i suoi pensieri gli strinse le braccia attorno al collo, sentendo i suoi capelli morbidi sfiorarle il viso. Una strana sensazione di calore le avvolse il cuore, una sorta di pace interiore. Il desiderio di non lasciarlo.

Un pensiero pericoloso…

La adagiò su una sedia, parlando con un tono che non permetteva repliche.

-Ora ti vai a fare una doccia calda. Intanto io ti preparo dei vestiti asciutti e un’aspirina.

-Perché è così gentile con me?- si chiese la ragazza, lasciandosi accarezzare dall’acqua bollente. –Che batta un cuore sotto quel ghiaccio?

-Hilary, tutto bene? Ti ho lasciato i vestiti qua fuori!- esclamò Kei dall’altra stanza.

Certo che quella villa era minuscola…

-Un momento…questa non è la villa…dove cavolo sono?!

Un improvviso panico si impossessò di lei: in fondo non sapeva niente di Kei, se non che a soli quindici anni aveva alle spalle un’esistenza travagliata fatta di bande, tradimenti, voltafaccia…

Takao sarebbe andato in capo al mondo per quell’iceberg. Ma lei poteva fidarsi?

 

Ancora adesso, quando ci ripensava, si dava della pazza. Era entrata in una casa con un ragazzo che conosceva a malapena…le sarebbe potuto succedere di tutto. Forse era stata l’incoscienza dei suoi quattordici anni, oppure la febbre che non le permetteva di pensare lucidamente. Oppure aveva disperatamente bisogno di fidarsi di qualcuno: cinque anni prima si era affidata alla madre e questa aveva rovinato tutto sposando un altro uomo. Distruggendo la memoria di suo padre.

Kei era stato il solo di cui si fosse di nuovo fidata, seppur con qualche riserva. Riserva mentale, ovviamente.

Perché quella sera di due anni fa, a dispetto di ciò che pensava o credeva di pensare, Hilary Tachibana donò il suo cuore a Kei Hiwatari. Un dono che gli sarebbe rimasto per sempre.

 

Seduto davanti al caminetto, Kei stava smontando Dranzer, il suo inseparabile beyblade. Ma alzò immediatamente gli occhi al rumore dei passi di lei.

-Istinti e riflessi felini- ricordò Hilary.

-Come ti senti?

-Un po’ meglio, grazie. Almeno mi reggo in piedi…più o meno- terminò, appoggiandosi alla parete.

Il ragazzo le si avvicinò, suscitando il suo turbamento: che cosa voleva? Le poggiò una mano sulla fronte: era morbida e vellutata, nonostante alcune cicatrici lasciate dalle lame del bey.

Che strano: aveva sempre pensato fossero ruvide almeno quanto il suo carattere. Poi notò i suoi occhi, di un viola acceso: non si era mai fermata a guardarli attentamente. Le erano sempre sembrati freddi e distanti, un muro invalicabile dietro cui il blader nascondeva i suoi sentimenti.

Invece erano vivi e lucenti, due incredibili ametiste in cui specchiarsi per ore…

-Piantala, Hilary- si ordinò.

-Siediti, prima di cadere. La febbre è scesa, ma non mi sembra il caso di strafare. Vuoi mangiare qualcosa?

-No, grazie.

-Per fortuna non somigli a Takao- disse, tornando ad occuparsi di Dranzer.

Prendendo posto sulla poltrona, si accoccolò nel caldo maglione nero che le aveva dato, non sapendo bene come prendere la sua ultima frase: una battuta era uscita dalla bocca di Kei Hiwatari?! Pareva impossibile. Davvero non riusciva a comprenderlo: quel tipo aveva talmente tante sfaccettature da rendere impossibile qualsiasi definizione. Ma doveva ammettere che questo faceva parte del suo fascino.

Certo, non era difficile immaginare perché le ragazze gli morissero dietro: Kei era veramente carino. Alto, in forma smagliante e avvolto da un alone di mistero: il classico bello e dannato. Chi non avrebbe perso la testa per lui?

-Già…No, Hilary, non ti starai…no, non puoi…no…devo trovare qualcosa da dire. Ma cosa?! La casa! Sì, parla della casa- discusse mentalmente. –Carina questa casa.

-Grazie.

-Ci vivi da solo?

-Sì.

-Non mi aiuti certo a fare conversazione. Monosillabico fino al midollo- rifletté. –Chissà perché quando hai parlato di casa l’ho collegata subito alla villa…

Dranzer cadde a terra e Hilary intuì di aver toccato un tasto dolente. Doveva scusarsi…subito.

-Perdonami. Non avrei dovuto nominarla.

-No, non fa niente. È vero, una volta abitavo lì: era quella casa mia. Ma dopo il campionato ho tagliato i rapporti con mio nonno e ho cercato una nuova abitazione.- Con un sorriso amaro aggiunse: -Non immagini quante porte apra un cognome e un conto in banca ad otto cifre.

I riflessi del fuoco donavano un po’ di colore alla sua carnagione pallida, ma, nonostante l’espressione sprezzante, Hilary vide una leggera tristezza nei suoi occhi: dopotutto Hito Hiwatari era l’unico brandello di quella che una volta era la sua famiglia. Un po’ come sua madre per lei: dopo la morte di suo padre e la partenza di Simon, soltanto sua madre poteva dirsi la sua famiglia. Quella madre degenera che ora se la spassava con un’ameba dal cervello di tellina.

-Hilary, tutto a posto?

Si era distratta di nuovo. Stava per rispondere, quando uno sbadiglio le giunse improvvisamente, strappando a Kei un sorriso sincero.

-Ti ho annoiata, vero?

Le guance di lei avvamparono: era ancora più bello quando sorrideva.

-Vai a dormire. La camera è quella- continuò, indicandole una porta.

-Non posso approfittare ancora della tua gentilezza, Kei. Il divano andrà benissimo.

-Non preoccuparti. Io non dormo mai molto, ma tu ne hai bisogno. Buonanotte.

-Grazie. Buonanotte anche a te.

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Capitolo 6
*** Non siamo innamorati! ***


Cap. VI. Non siamo innamorati!

 

Quando Hilary si svegliò, lanciò un urlo talmente forte che Kei, per poco, non si ritrovò attaccato al lampadario per lo spavento.

-Hilary! Che c’è?!

-Cosa c’è?! Che ci facevi qui appiccicato?!

-Cosa?! Guarda che sei stata tu ieri sera ad abbracciarmi!

-Io non avrei mai fatto una cosa del genere!

-Ah, no?!- ribatté, prendendole i polsi. Le grida si interruppero bruscamente. Si specchiarono l’uno negli occhi dell’altra. I loro visi si trovarono vicini. Troppo vicini.

-Kei! Sei in casa?

-Accidenti, è Rei- imprecò Kei, lasciandola andare. –Cosa penserà trovandoci così?! Ho chiuso la porta, ieri sera, vero?

-Kei, quante volte ti ho detto di non dimenticare la porta a…- La frase morì in gola al cinese, quando questi entrò nella camera. Prima guardò la ragazza nel letto, poi l’amico e infine di nuovo lei, riconoscendola. –Hilary?!

-Rei, non è come sembra- tentò di spiegare Kei.

Ma un sorriso sarcastico era apparso sulle labbra di Rei.

-Ho l’impressione che dovrò mettermi comodo perché sarà una storia molto lunga.

-Rei, se questa faccenda esce da qui, giuro che ti uccido con le mie mani.

-Che ne dite di discuterne davanti a una bella colazione?

 

Rei era seduto sui gradini d’ingresso di casa Kinomiya. Aveva appena perso il suo migliore amico. Tutti si aspettavano un gesto, una lacrima, una parola. Invece, durante tutto il funerale, era stato di ghiaccio: udiva i mormorii delle persone, ma non gli importava. Non sarebbe stata una scenata plateale a riportare in vita Kei. Preferiva piangerlo in solitudine.

Nessuno di quelli che gli parlavano alle spalle capiva cosa stava provando. Si sentiva perso: Kei era il suo punto di riferimento, il suo confidente, il suo amico più caro.

E il miglior blader esistente.

Guardò Driger: ogni lancio gli avrebbe ricordato le battaglie con Dranzer. Ogni cosa gli avrebbe rievocato il viso di Kei.

Perfino fare colazione…

 

-Poi sono andata a dormire- concluse Hilary, stringendo fra le mani una tazza di the fumante. –E quando mi sono alzata lui era attaccato a me!

-E secondo te sono stato io a mettermi le tue braccia attorno alla mia vita?!

Rei se la rideva della grossa: non aveva mai visto Kei così infuriato da abbandonare perfino il suo sangue freddo. Hilary deteneva un record: era riuscita a sbrinare il grande Hiwatari.

-Ho anch’io la mia versione dei fatti, se permetti.

-Prego, ascoltiamola. Non vediamo l’ora.

-Eri andata a dormire già da un paio d’ore quando sono venuto a controllare se stavi bene. Appena ti ho messo la mano sulla fronte…bhe…l’hai presa e non la mollavi più- iniziò Kei, arrossendo. –Cosa dovevo fare? Strattonarla con il rischio di svegliarti? Mi sono seduto in parte ad aspettare e mi sono addormentato. E stamattina, quando mi hai sfasciato i timpani, mi stavi abbracciando!

-È una sporca bugia!

-Non è vero.

-Non hai testimoni. Chi mi assicura che non stai raccontando balle?

-Non ho…bell’ingrata che sei! Dopo che ti ho soccorsa è questo il ringraziamento?

-Io non ti devo niente, carino. Nessuno ti ha chiesto niente!

-Perfetto, la prossima volta cambio strada.

-Sarò lieta di fare altrettanto!- urlò, alzandosi. –Ti odio, Kei Hiwatari: sei la persona più egocentrica, insensibile, falsa ed egoista che io conosca!

E se ne era andata sbattendo la porta.

-Peccato- pensò il blader moro. –Sarei stato delle ore ad ascoltarli bisticciare come marito e moglie. E poi è interessante veder sciogliersi il gelido Kei.

-Ma ti rendi conto?

-Bel caratterino, non c’è che dire. Quasi quanto il tuo.

-Già…Ehi, mi prendi per il culo?

-Sì e no- replicò Rei, finendo la colazione. –Quella ragazza ti piace.

Aveva scandito per bene le parole, inchiodandole ad una ad una nel cervello dell’amico.

-Non è vero. Figurati se mi piace una come quella. Pazza isterica.

-Kei…è riuscita a farti perdere le staffe.

-E che significa, grande genio?

-Che ne sei innamorato.

-Tu sei pazzo- lo liquidò l’altro.

-Pensala come vuoi, ma rispondi alla mia domanda: perché di solito non dormi mai, mentre stanotte, accanto a lei, hai dormito come un ghiro?- chiese il ragazzo.

-Stanchezza?- buttò lì poco convinto.

-Stammi bene, Kei- ribatté Rei, facendo per andarsene. –Tu neghi l’evidenza.

-Non sono innamorato di Hilary!

-Nooooo, della sua gemella cattiva.

-A volte arrivo davvero a detestarti, Rei- mugugnò Kei, sprofondando nel divano. Poggiando i piedi sul tavolino davanti a sé, prese a fissare Dranzer. –Cosa sai della sua famiglia?

-La famiglia di chi, scusa?

-Di Hilary. Di chi altro stiamo parlando?

-Non saprei. Com’è che ti interessa?

-Conosco la faccia che ha fatto quando le ho parlato di avvertire a casa: è la faccia di una persona che ha chiuso il cuore ai sentimenti per via di una delusione...o di un’educazione sbagliata. O per evitare di fare i conti con la propria anima.

-Non parla molto di queste cose: so che ha un fratello più grande e che suo padre è morto un paio di anni fa- spiegò. –Credo le sia rimasta solo sua madre qui in città. Come a te tuo nonno.

Lo sguardo omicida del blader dai capelli argentei lo costrinse a rimangiarsi quell’ultima affermazione. Dimenticava spesso che quello era un territorio minato.

-Bhe, comunque a te non importa della vita di Hilary, no?

-Già…-concluse Kei stancamente.

 

La giacca nera, buttata malamente sulla sedia, lo guardava dal suo angolo con aria minacciosa.

Non riusciva a smettere di pensare a quel grido: era stato come se gli strappassero il cuore. I bit-power non erano solo animali sacri: erano i loro compagni, i loro più fidati amici. Lo aveva sempre sostenuto.

Affacciandosi alla finestra, Takao intravide Max girare per il giardino, Rei seduto sui gradini e Hilary…

Non l’aveva nominata durante il discorso e in cuor suo sperò che non se la fosse presa: tutti loro soffrivano per la morte di Kei, ma nessuno poteva comprendere veramente il dolore di Hilary.

Con sfumature ed ombre diverse, ma il dolore che provavano loro tre era simile: avevano perso un amico, un compagno, un rivale.

Lei aveva perso la persona più importante della sua vita. Gli faceva male vederla così, ma non sapeva cosa dire per consolarla: ogni frase, ogni gesto gli sembravano fuori luogo e finiva per restare in silenzio, a distanza.

Una volta avrebbe trovato immediatamente le parole giuste…

 

-Cosa?!- Takao scoppiò a ridere come un matto.

-Takao, piantala! Non c’è proprio niente da ridere…

-Scusa, Hila, ma è difficile immaginare Kei in piena crisi di nervi: è sempre così freddo.

-Bell’amico che sei. Io ho vissuto un’esperienza terribile e tu mi ridi in faccia.

-Terribile…non esagerare, Hila. In fondo ti ha soccorsa e curata. Non mi sembra il caso di farne una tragedia- proseguì lui. –Preferivi che ti lasciasse lì con la febbre?

-No, però…è così urtante!- esclamò, incrociando le braccia ed avvolgendosi nel maglione.

Anche Takao, come Rei, sopportava lo sfogo dell’amica con altri pensieri per la testa. Gli dispiaceva aver perso il loro litigio e sperava in un secondo round.

-Guarda che i vestiti in cui stai coccolandoti sono suoi- le fece notare, ricominciando a ridere vedendola diventare paonazza.

-È…è solo perché non sono ancora passata da casa a cambiarmi…

-D’accordo, d’accordo, Hila. Ora smetto, te lo giuro- continuò Takao. –Vuoi sapere come la penso?

-Non lo so.

-Bhe, te lo dirò lo stesso: ti sei presa una bella cotta per Kei.

-Che cosa?! Ma sei impazzito?! Io…per quello…ti ha dato di volta il cervello?

-Ti conosco, Hilary. Non ti infurieresti così se non fosse una persona a cui tieni.

-Tu-stai-farneticando. Non sono innamorata di Kei!!

-Davvero? Allora dimmi a cosa stai pensando.

-Come…- balbettò, tornando ad arrossire. –Io…io…non saprei…

-Vedi? Stai pensando a lui. E a ieri sera.

-Non è vero. Sono sciocchezze.

-Perché lo neghi? Cosa c’è di male se sei innamorata? Nonostante le apparenze, Kei è un bravo ragazzo.

Ma lei non rispose: persa nei suoi pensieri, guardava oltre il vetro della finestra. Takao ebbe un rapido flashback: un’altra figura, nella medesima posizione, con la stessa espressione. Due occhi viola lontani e distanti. Kei.

Kei aveva la stessa faccia prima del campionato, prima di scoprire il passato. E l’aveva ancora quando veniva nominato suo nonno.

-Senti, non parliamone più. Io ho fame: mi fai compagnia?

-No, andrò a casa: dovrò già giustificare un sacco di cose.

-Buona fortuna, allora. Ci vediamo oggi pomeriggio, no?

-Sì. Ciao, Takao.

 

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Capitolo 7
*** Ritorno a casa ***


Cap. VII. Ritorno a casa

 

-Takao.

-Dimmi, Hila.

-Grazie per avermi ospitata in questi due giorni. Non so cosa avrei fatto senza un amico come te.

-Puoi restare quanto vuoi, lo sai.

-Sì, ma devo affrontare il mondo esterno: non posso rinchiudermi qui per sempre.

-Sei sicura? Dopotutto il funerale è stato solo la settimana scorsa: non ti sembra presto?

-No, voglio anche passare a casa di Kei.- Si asciugò gli occhi, pronunciando il suo nome. –Non preoccuparti per me: non sono debole.

-Vuoi che ti accompagni uno di noi?

-No.- Lo abbracciò forte: era come un fratello per lei. –Ciao, Takao. Salutami Rei e Max e ringraziali per tutto quello che hanno fatto.

-Ciao, Hilary.

 

Non incontrò giornalisti lungo la via: non si erano più visti dopo l’appello del presidente Daitenji. Aveva detto di lasciare in pace i Bladebreakers, di smetterla di tormentarli con le loro domande. E , stranamente, avevano ubbidito.

Quando Hilary entrò nel vialetto di casa, tirò un lungo respiro: era la prova più dura da superare. Lì dentro, dove la sua “famiglia” avrebbe dovuto starle vicino, il suo dolore era del tutto ignorato.

-Ti sei decisa a tornare, finalmente. Pensavamo già di togliere il tuo nome dalla cassetta della posta.

Un uomo di mezz’età le venne incontro: occhi bruni, più freddi di un blocco di ghiaccio, pochi capelli e il nulla dentro la scatola cranica. John Irachami, il suo patrigno. La persona più simile ad un’ameba su tutto il pianeta. Forse un giorno qualcuno sarebbe venuto per studiarlo.

-Ehi, ragazzina, sto parlando con te.

Hilary lo ignorò, passando oltre, ma John la prese per un braccio, costringendola a voltarsi: lo sguardo le cadde istintivamente sulla guancia, dove spiccava la cicatrice. Quella che gli aveva lasciato Dranzer lo scorso anno.

Kei detestava usare il bey come un’arma, ma non avrebbe mai permesso a quell’uomo di alzare ancora le mani sulla ragazza. Aveva reagito d’istinto, senza valutare i rischi di quel gesto.

Ora quel segno risaltava netto sulla sua pelle, come la follia nei suoi occhi.

-Non hai più il tuo ragazzino a difenderti.

-So difendermi da sola- esclamò, affibbiandogli un calcio negli stinchi e sgusciando nella sua camera. Dietro il riparo della porta, udì le imprecazioni di John, la voce di sua madre chiedergli cosa fosse accaduto. Ma non si fermò ad ascoltare la risposta. Prese la valigia dal mobile, riempiendola di vestiti, oggetti cari e lacrime: aveva sperato che le cose potessero cambiare, ma con quell’essere era impossibile. Non poteva restare in quella casa un secondo di più.

-Hilary, tesoro…

Ci mancava solo questo.

-Hilary, posso parlarti? Io capisco come ti senti…

-Non credo proprio, visto che ti sei consolata in fretta dopo la morte di papà.

-Hila…

-Io non smetterò mai di amare Kei! MAI!

Uscì dalla stanza con la valigia, scontrandosi con sua madre che si limitò a guardarla.

-Hai tradito la memoria di papà, sostituendolo con un altro. Io non commetterò mai questo affronto alla memoria di Kei.

Solo una volta fuori tornò a respirare normalmente. L’aria fredda sulle guance bagnate la fece rabbrividire ma si sentì viva e libera.

Si sarebbe trasferita a casa di Kei, almeno finché Hito non l’avesse venduta: forse avrebbe potuto ricomprarla lei, anche se dubitava di avere abbastanza denaro.

 

Appena videro Takao seduto sotto il portico a guardare il cielo, Max e Rei intuirono immediatamente che qualcosa non andava.

-Ciao, Takao.

-Ciao, ragazzi.

-Come sta Hilary?

-È tornata a casa. Mi ha detto di ringraziarvi.

-Sei preoccupato per lei?- Rei era così: arrivava subito al nocciolo della questione.

-Ho paura che possa fare qualche sciocchezza: in fondo Kei era la persona più importante della sua vita.

-Hila non è stupida, né debole. E soprattutto sa benissimo che Kei non vorrebbe questo.

-Tu credi veramente che se fosse successo il contrario, se fosse morta Hilary, Kei se ne sarebbe stato buono buono a continuare la sua vita?

-Non lo so, Takao. Ma non è standole addosso che la proteggerai.

-Rei ha ragione. Comprendiamo perfettamente come ti senti: anche noi siamo in pensiero, però non puoi soffocarla con le tue attenzioni- confermò Max, sedendosi accanto all’amico. –Possiamo solo starle vicino, confortarla nei momenti di disperazione…esserle amici; come un tempo: non vuole la nostra pietà, ma la nostra amicizia.

-Non è facile.

-Lo so, ma è l’unica cosa che Kei ci abbia mai chiesto in tanti anni.

-Kei…- Le lacrime rigarono le guance del blader, che ancora non riusciva a superare la sua scomparsa. –Perché…perché te ne sei andato? Perché quella macchina ti ha investito?

Max gli passò un braccio attorno alle spalle, lasciandolo sfogare: era dura per tutti andare avanti, guardarsi intorno e trovare solo cose che parlavano di lui. Non c’era un solo angolo di quel luogo che non ricordasse loro Kei.

-Io esco un secondo- disse di colpo Rei, allontanandosi di corsa.

 

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Capitolo 8
*** Biglietto d'addio ***


Cap. VIII. Biglietto d’addio

 

Hilary abbassò la maniglia: nonostante le prediche, Kei non chiudeva mai a chiave la porta. Non che qualche malintenzionato avesse il coraggio di entrare: appena leggevano Hiwatari sul campanello, diventavano di colpo onesti.

Appoggiando a terra la valigia, respirò quella sensazione di pace che le invadeva l’anima: quella era casa sua. Era il luogo dove abitavano i suoi ricordi, i ricordi di un tempo che sembrava trascorso da secoli.

I ricordi di lei e Kei. Felici. Insieme.

La foto della loro vacanza in Russia la guardava dal mobile, accanto a quella dell’estate al mare con i ragazzi: il suo sorriso, i suoi occhi viola pieni d’amore per lei, il suo viso angelico. Chi non lo conosceva bene, non lo avrebbe mai considerato un angelo. Ma per Hilary era questo: il suo angelo custode, sempre pronto a salvarla. Sempre.

Le sue guance vennero attraversate dalle lacrime: perché? Perché proprio a loro?

Si gettò sul letto, stringendo le lenzuola tra i pugni serrati: voleva piangere tutte le sue lacrime, piangere fino alla fine dei suoi giorni, fino ad esaurire le forze.

Perché si era gettato? Perché aveva voluto fare l’eroe?

Conosceva benissimo la risposta, ma si ostinava a domandarselo, come se una soluzione avesse potuto restituirle Kei. In verità, però, non esisteva un perché: aveva seguito il cuore, non era stato un gesto razionale. Probabilmente non ci aveva neanche pensato.

 Sollevò il volto dal lenzuolo, incontrando lo sguardo del peluche sul cuscino: rammentava perfettamente il giorno in cui l’aveva comprato…

 

Le dispiaceva aver detto quelle parole a Kei: era stato un momento di rabbia, non le pensava veramente. Era passato un mese da quella sera e i due non si erano più guardati.

Era una situazione insostenibile e lei aveva torto marcio: doveva scusarsi con il blader. Il prima possibile.

Stava tornando a casa da scuola con le amiche quando lo vide nella vetrina del negozio: sì, era lui, era il regalo perfetto. Si bloccò davanti al vetro, ignorando i richiami delle compagne.

Doveva averlo, anche se questo significava togliere qualcosa ai suoi sudati risparmi: ma non c’era prezzo troppo alto per riavere l’amicizia di Kei.

 

(Due mesi dopo)

 

Il pacchetto era ancora lì sulla sua scrivania: non aveva trovato la forza per chiedergli perdono, facendo la pace con il ragazzo. Non che le occasioni le fossero mancate: gli amici erano arrivati a tentativi disperati pur di riappacificarli.

Ma era stato inutile: lui si buttava anima e corpo nel beyblade, mentre lei non faceva altro che studiare e lavorare.

Fino a che, una mattina, Hilary si imbatté nel giovane che usciva da casa Kinomiya. Si guardarono negli occhi e per un attimo sembrarono sul punto di aprire i loro cuori.

Invece entrambi presero la loro strada, rompendo la magia: la ragazza sparì oltre il cancello e Kei salì sull’auto che lo attendeva.

-Non sapevo che vi sareste allenati anche oggi. Dove sono gli altri?- chiese a Takao.

-Non c’è nessuno, Hila.

-Ho visto Kei e ho pensato…

-No, è venuto a salutarmi prima di partire.

Hilary si alzò di scatto, incapace di trattenere le emozioni.

-Parte? Dove, quando?

-Va in Russia. Il suo volo decollerà tra quindici minuti.

-Ma…perché?

-Preferisce tornare laggiù, almeno per un po’ di tempo. Si addestrerà con la Neo Borg.

-Sì, ma…così, all’improvviso?

-Hila, perché la cosa ti sconvolge tanto?

-Io…io…- tentennò.

Takao sorrise, appoggiando Dragoon sul tavolo.

-Senti, se corri c’è un autobus che passa dall’aeroporto fra due minuti. Fai ancora in tempo a sa…

Il ragazzo si interruppe, sentendola partire di corsa. Era l’ultima occasione: la sua parte l’aveva fatta.

Ora bastava che quei due mettessero da parte quel dannato orgoglio che abbondava in entrambi.

 

Aveva maledetto ogni automobilista e ogni vecchina che scendeva o saliva sul pulmino.

Con un occhio puntato sull’orologio, Hilary scese volando dall’autobus, entrando nell’aeroporto: si guardò disperatamente intorno, nella vana speranza di trovarlo.

Poi osservò il tabellone: l’aereo per San Pietroburgo era partito da un minuto. Per uno stupidissimo minuto non ce l’aveva fatta: quei voli erano sempre in ritardo. Sempre. Tranne quando le serviva che lo fossero.

Si sedette su una sedia, abbassando lo sguardo e stringendo i pugni: non poteva piangere per lui, avrebbe significato che era…

Che ne era innamorata. Mentre Kei pensava che lei lo odiasse…

Che stupida era stata e ora ne pagava le conseguenze: aveva perso l’occasione più importante, l’ultima.

Prese il cellulare e chiamò Takao.

-Pronto?

-Ciao…

-Hila? Cosa c’è?

-Sono arrivata tardi…è partito…per sempre- Le lacrime le impedirono di proseguire.

-Hila…

La ragazza non si accorse della figura che le veniva incontro, finché questa non le porse un fazzoletto.

-Grazie…

-Con chi stai parlando?- le chiese Takao.

-Prego.

-Con uno che…- Quella voce. No, non era possibile. O forse sì? Potevano accadere i miracoli?

Alzando lo sguardo, ebbe la sua risposta.

-Kei! Cosa…cosa ci fai qui? Io credevo che stessi parte…

-Non ho potuto.

-Non hai potuto? Perché?- domandò, dimenticando il cellulare sulla sedia.

-Una voce dentro di me mi ha detto che se fossi partito senza parlarti, sarei stato il più grande idiota di questo mondo…

-Kei, io…

Il ragazzo le mise un dito davanti alle labbra, fermandola.

-Hilary, mi dispiace per quello che è successo. E oggi, se non ti avessi rivista…

-Basta.- Fu il suo turno di interromperlo. –Ma quanto parli oggi?!

Gli passò le braccia attorno al collo, cercando le sue labbra. Un bacio disperato, desiderato, dolcissimo. Lo sentì lasciarsi andare, dopo il primo momento di stupore, cingendola in vita e ricambiando il suo bacio.

Quando Hilary si separò, lo abbracciò forte, come se non lo vedesse da centinaia di anni. Pianse ancora, tra le sue braccia, al sicuro, come un porto nella tempesta.

-Ti amo, Hilary.

Le dita di lei si chiusero intorno alla sua maglietta, tenendolo ancora più stretto a sé.

-Ti amo anch’io.

-Finalmente, ci voleva così tanto?!

La giovane sgranò gli occhi, interrompendo quell’intimità: aveva scordato Takao! Si avventò sul telefono, mentre Kei la guardava sorridendo e scuotendo la testa.

-Siamo rovinati- mormorò.

-Takao…hai sentito tutto, vero?

-Ogni sillaba, tesoro. E mi fa molto piacere.

-Cosa?

-Sono felice per voi due, no?! Cosa credevi?

-Che fossi felice per non aver perso nemmeno una parola.

-Questo è ovvio. Ho anche preso degli appunti per non sbagliare quando riferirò la scena agli altri.

-Perché non ti segni in che modo potrei ucciderti quando torno?!- replicò Kei.

-Cavoli, Kei, come sei permaloso!

-E tu sei un impiccione.

-Lo so, amico. Ci sentiamo.

-Takao, no, Takao, aspetta!

Ma l’amico aveva già riagganciato. Kei restituì il cellulare ad Hilary.

-Li sentirò a stare in Russia…- sussurrò abbattuto. Poi sorrise di nuovo, prendendo per mano la ragazza. –Ma non mi importa, perché tu sei la cosa più bella che mi sia capitata.

-Kei…- iniziò. Improvvisamente si ricordò del regalo. –Vieni a casa mia un attimo: devo darti una cosa.

-Come…- balbettò lui, arrossendo.

-Coraggio!

 

-Entra pure, non c’è nessuno.

La titubanza di Kei la fece sorridere: possibile che un tale iceberg fosse così impaurito da lei?

-Ehi, non ti facevo così timido- lo sorprese. –Tieni, questo è per te. L’avevo comprato per fare la pace…ora è un regalo per il viaggio, un portafortuna.

Il giovane aprì il pacchetto, tirandone fuori un peluche: era un aquilotto con delle striature rossastre. Somigliava vagamente all’Aquila Rossa.

-È un aquila…mi sei venuto in mente quando l’ho vista…

Le braccia di lui la avvolsero e Hilary si ritrovò contro il suo petto: sentì i battiti accelerati del suo cuore, i muscoli scolpiti da anni di allenamenti e la forza delle sue emozioni.

-Grazie, lo terrò sempre con me.

-Torna presto, Kei.

Si alzò sulle punte per baciarlo: era felice. Felice come non lo era mai stata.

 

Strinse a sé il peluche, avvertendolo improvvisamente scricchiolare. Osservandolo attentamente si accorse di una cerniera nascosta: cosa vi aveva infilato Kei?

Un foglio di carta sbucò dall’apertura. C’era scritto “PER IL MIO AMORE”.

 

20.6.2005

 

“Cara Hilary,

spero di esserti accanto quando leggerai queste parole.

In caso contrario, prendilo come il mio testamento. Sì, lo so: questi discorsi non ti piacciono, ma devo farli.

Per noi.

Lo scontro con Brooklyn di quattro mesi fa mi ha permesso di riflettere sulla mia vita, su quanto sia fragile. Tu sai quanto io ti ami, da quanto conto i giorni che mi separano dal mio diciottesimo compleanno, data in cui finalmente potrò sposarti e dividere con te tutto ciò che possiedo.

Ma se mi accadesse qualcosa prima di allora, ricordati che tu sei Hilary Hiwatari, la mia consorte, l’unica persona con cui voglia trascorrere l’esistenza.

La casa e il conto in banca sono intestate anche a tuo nome: avrei dovuto parlartene, lo so, ma ti saresti arrabbiata. Mi avevano sempre detto che non sono i soldi a fare la felicità, ma non ci avevo mai creduto: io ci vivevo in mezzo da sempre e avevo fatto ogni cosa volessi.

Ma non era quella la vera felicità: quella l’ho conosciuta solo quando mi sono innamorato di te.

Mi hai dato tanto in questi anni, molto più di quanto mi meritassi…voglio ricompensarti in qualche modo: regalarti il sogno di poter studiar medicina e di riprendere a ballare.

Non ho mai avuto dubbi sui tuoi sentimenti: ami me, non il mio denaro. E io invece credo di non essere mai riuscito a farti capire quanto sei importante per me: sei la mia luce, il mio tesoro, la sola persona per cui darei la vita.

Se ti sarò vicino, ora cominceremo a litigare, per poi riderci sopra; ma se così non fosse, asciuga le lacrime e continua a vivere: tu sei una ragazza forte. Non sei mai dipesa da me.

E comunque, qualsiasi cosa accada, io sarò con te.

Per sempre.

Kei Hiwatari

 

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Capitolo 9
*** Un amico speciale ***


Cap. IX. Un amico speciale

 

Restò con quel foglio in mano per un tempo indefinito, incapace di fare qualsiasi cosa non fosse piangere.

Aveva sempre saputo che lo scontro con Brooklyn aveva lasciato un segno profondo in Kei: dopo un’adolescenza fatta di pericoli e rischi affrontati con leggerezza, l’incontro con la morte gli aveva aperto gli occhi sulla precarietà della vita umana.

Ma non si sarebbe mai immaginata questo: non voleva quel denaro, non l’aveva mai voluto. Kei non le doveva niente. Ogni secondo della loro storia era stato un regalo…

Sdraiandosi sul letto, pensò che lì era iniziato tutto tre anni prima; su quel letto dove poteva sentire ancora il suo profumo, dove avevano consumato il loro amore.

Perché la vita era così ingiusta? Perché il destino aveva giocato loro quel brutto scherzo? Perché le aveva strappato il suo unico amore?

 

Rei passò una mano sulla lapide, pulendola dalla neve. Era assurdo: il suo migliore amico era morto…e lui non riusciva ancora a crederci: lo rivedeva ragazzino, quando insieme avevano girato il mondo, oppure quando stava appoggiato al muro della casa di Takao. Era difficile convincersi che non l’avrebbe più rivisto, che mai più si sarebbero sfidati…

-Kei.

Le lacrime di Takao lo avevano scosso: il suo capitano era stato forte fino al funerale, ma dopo aveva continuato a piangere ogni volta che nominava il compagno. Erano stati sempre rivali, sempre a tentare di superarsi a vicenda, sempre a cercare l’occasione per battersi. Sconfiggere Takao: era questo il grande sogno di Kei. Un sogno destinato a restare irrealizzato.

 -Rei, ciao.

Il cinese si volse, incontrando la sagoma di Hilary.

-Ciao Hilary. Come stai?

-Non bene, se vuoi la verità- rispose lei, appoggiando un fiore rosso sulla tomba e accarezzando la foto con dita tremanti. –Anzi, non potrei stare peggio.

-Lo capisco. Io devo venire qui per essere certo che sia successo davvero.

Notò il fiore. Un giacinto. I giacinti porpora indicavano una supplica di perdono. In cuor suo si interrogò sul motivo. Perdono per cosa? Per non riuscire a superare la sua morte?

-Ti va di fare due passi?- gli propose.

-Sì.

Camminarono a lungo, senza dirsi una parola. Entrambi avevano le loro ferite chiuse nel cuore, ferite che non volevano far venire a galla.

-Rei, tu eri il suo migliore amico: sapevi tutto di lui.

-Bhe, mi sarebbe piaciuto che Kei si fosse confidato con me, come io con lui. Anche se spesso i suoi occhi parlavano al suo posto- ribatté il ragazzo. –Perché questa domanda?

-Sono stata a casa sua- continuò, porgendogli un foglio. –E ho trovato questo.

-No, Hila, non posso leggerlo. È una cosa fra voi due.

-Ti prego: io non so cosa fare.

 

A Villa Hiwatari, intanto, un uomo chiuse a chiave una porta: nessuno sarebbe più tornato in quella stanza.

-Alfred, hai sigillato la palestra?- chiese.

-Cero, signore.

-Prendi le chiavi e rinchiudile in cassaforte.

-Come desidera.

Una volta solo si sostenne alla porta: erano appena riusciti a chiarirsi dopo tre anni…

-Kei…

 

Rei restituì la lettera alla giovane.

-Cosa ne pensi?

-Che era un sentimentale, nonostante non volesse ammetterlo- rispose lui.

-Non intendevo questo…

-Lo so. Hilary, sono le ultime volontà di Kei…

-Io non voglio quei soldi, Rei. Dimmi la verità: tu lo sapevi?

-No, non sapevo niente di queste sue disposizioni, ma me lo aspettavo: tutti abbiamo temuto di perderlo quando ha affrontato Brooklyn. Immaginavo che anche lui ci pensasse ancora. Specialmente per te.

-Te lo ripeto: non voglio quei soldi. Potrei ridarli a suo nonno…

-Vai a dare l’acqua al mare, Hila?

-Erano di Kei e quindi di suo nonno, anche se credo che preferisse bruciarli piuttosto che darli a Hito.

-Già, visto il loro bel rapporto- commentò il ragazzo.

-Che tipo è?

-È difficile da dire: certamente è un uomo autoritario e dalla disciplina rigida. Basta vedere com’è venuto su Kei: freddo, solitario, introverso…

-Sì, ma cosa è successo esattamente per causare la rottura dei loro rapporti?

-Quattro anni fa, quando siamo andati in Russia, Kei ha ritrovato il suo passato: ha scoperto di essere stato usato da suo nonno fin da bambino, di essere stato trasformato in un cacciatore di bit- power, di aver vissuto nella menzogna- raccontò l’amico. –Così si ribellò e decise di non avere più niente a che fare con quell’uomo. Si sentiva tradito, deluso, pugnalato alle spalle dai suoi affetti.

-Ora capisco perché litigavamo ogni volta che lo nominavo: lo avevo pregato di parlargli, di convincerlo a trascorrere il Natale con noi. Ero sicura che un giorno si sarebbe pentito per non aver riallacciato quel legame…ero anche riuscita a convincerlo a tornare alla Villa…

-Kei era un gran testardo orgoglioso.

-Allora, mi dai un consiglio?

-Ho l’impressione che la tua sia una scusa. No, non fraintendermi: capisco i tuoi desideri, ma credo che tu voglia incontrare Hito anche per altre ragioni.

Hilary restò in silenzio, abbassando il viso.

-Kei aveva ragione: sai leggere le cose nelle sfumature della voce. L’ho visto al funerale, Rei: questo qualcosa vuol dire. Forse che era pentito, o addirittura che soffriva per la sua morte.

-Hilary…non è per essere pessimista, ma non ti ostinare a cercare il buono dove non c’è.

-L’ho trovato anche in Kei- disse.

-Non avevi bisogno di cercare a lungo. Ma con Hito potrebbe essere solo tempo perso.

-Ci voglio provare, Rei. Sento di aver bisogno di sapere, di confrontarmi con lui. Anche per Kei.

Rei sospirò rassegnato. Per certi versi lei e Kei erano simili: entrambi dei grandissimi testardi. Se riuscivano a cacciarsi in testa qualcosa non c’era verso di far cambiare loro idea.

-Va bene, ma lascia almeno passare le feste. E soprattutto non dirlo a Takao: ho idea che non approverebbe affatto questa decisione.

La giovane si volse sorridente. Poi, di colpo, perse i sensi.

 

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Capitolo 10
*** L'Angelo di Natale ***


Cap. X. L’angelo di Natale

 

Hilary emerse da un sonno pesante, senza sogni. Sentiva delle voci attorno a sé, voci che la chiamavano. Aprì lentamente gli occhi e venne investita dalla luce. Non era la sua stanza, e nemmeno la casa di Kei.

Sembrava più quella di Takao…

-Hilary!- La voce squillante dell’amico suonava ansiosa e preoccupata.

-Takao…ragazzi…

Le stavano tutti e tre intorno, con delle facce da funerale. Cos’era successo? Ricordava di aver parlato con Rei e di aver passeggiato con lui…Ma poi? Come aveva fatto ad arrivare lì?

-Ti sei svegliata, finalmente. Mi hai fatto prendere un colpo- intervenne il cinese.

-Rei, ma cosa…

-Sei svenuta all’improvviso, mentre camminavamo. Non sapevo cosa fare, così ti ho portata a casa di Takao.

-Facendo venire un infarto a tutti.

-Un infarto?! A me sono saliti vent’anni in una volta sola- convenne Max. –Se guardate bene ho già dei capelli bianchi.

Hilary si alzò a sedere, sorridendo a quello scambio di battute fra i suoi amici.

-Mi dispiace avervi fatto preoccupare.

-Hilary, ti sei ripresa.

-Nonno Jei…

-Ti ho portato un po’ di the caldo- continuò l’uomo. –Attenta perché scotta. Come ti senti?

-Meglio, grazie. Sarà stata un po’ di debolezza.

-Mangi come un passerotto, tesoro…è ovvio che ti succeda.

-Hai ragione, nonno.

-Takao, non hai qualcosa per lei?

Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo: se avesse avuto per le mani un’ascia, l’avrebbe abbattuta sul nonno senza ripensamenti.

-Cosa c’è Takao?- domandò Hilary, sorpresa dal repentino cambio d’umore del blader.

-Forse questo non è il momento più adatto- tentennò, alzandosi e portandosi verso il mobile. –Ho dimenticato di restituirti la borsa di Kei…è successo tutto così in fretta…non ci ho più pensato…

La appoggiò in parte al letto con evidente imbarazzo: non alzò lo sguardo su di lei.

-Grazie.

-Di niente. Ora ti lasciamo sola, così puoi riposare ancora un po’. Ciao- proseguì, dandole un bacio sulla fronte. –Riguardati, d’accordo?

-Certo.

Una volta usciti tutti, la giovane buttò un occhio sulla borsa. Aveva dimenticato che Kei si era trasferito da Takao per allenarsi con la squadra in vista di un importante torneo.

Qualcosa attirò la sua attenzione, qualcosa di rosso e luccicante all’interno della sacca.

La prese in mano, scoprendo un pacchetto rigido, incartato in un foglio rosso decorato con fiocchi di neve. Il bigliettino sul nastro argento diceva: “PER HILARY DA KEI”.

Non ci credeva: quel sentimentalone del suo fidanzato le aveva comprato un regalo di Natale…non era da lui.

Non che il ragazzo non le avesse mai regalato nulla, ma era solito farlo fuori dalle occasioni banali. L’unica eccezione riguardava il suo compleanno: solo in quella circostanza Kei si abbandonava al consumismo e le acquistava un dono come gli altri.

Che cosa aveva visto per perdere le sue abituali tradizioni?

Scartando il pacchetto, le si riempirono gli occhi di lacrime: le aveva comprato proprio quello…

L’angelo di Natale.

 

Era il pomeriggio del 13 dicembre. Kei era passato a prenderla a casa come al solito e stavano passeggiando per la città illuminata. Quell’atmosfera le scaldava il cuore, soprattutto perché la osservava abbracciata al suo ragazzo.

La neve era scesa copiosa durante tutta la mattina e solo ora concedeva ai passanti una momentanea tregua: chiusa nel suo piumino, Hilary invidiava il giovane, abituato a convivere con il freddo a tal punto da non sentirlo nemmeno.

-Tutto bene, amore?

-Sì, perché?

-Sei così silenziosa. Non sembri tu.

-Cosa vorresti insinuare? Che parlo troppo?

-No, solo che non è da te restare così a lungo in silenzio.

Stava per rispondergli con una battutaccia, quando i suoi occhi incontrarono un oggetto in una vetrina. Si sciolse dall’abbraccio di Kei, incollandosi al vetro: era proprio lui.

-Cos’hai visto, Hilary?

-L’angelo di Natale.

-Come?

-Guarda quell’angioletto di ceramica. Quand’ero bambina mio padre me ne regalò uno identico per Natale: sarebbe dovuto partire di lì a poco per un viaggio ed io ero molto triste. Così mi disse che quella statuetta era i suoi occhi: mi avrebbe osservata e lo avrebbe informato della mia salute, dei miei progressi a scuola e nella danza, se ero triste o se ero felice- raccontò. –In questo modo, dovunque si fosse trovato, sarebbe stato sempre accanto a me.

-Ne parli al passato…cosa gli è successo?

-John lo ha fatto cadere la prima volta che entrato in casa- si rabbuiò Hilary. -È stato un segno del destino: mia madre aveva sostituito papà, e quell’uomo aveva distrutto l’ultimo ricordo di lui.

-No, non ci è riuscito. Tu lo conservi nel cuore, no?

Erano quelle le occasioni in cui Kei mostrava il suo lato più dolce, in cui lei capiva perché lo amava.

-Hai ragione.

 

-Kei…inguaribile romantico…- sussurrò, riponendo l’angelo nella sua scatola.

Nella borsa c’erano poi i suoi vestiti, i pezzi di ricambio di Dranzer e il suo portafoglio da cui uscì una foto. Era un po’ scolorita, ma Hilary riconobbe il suo fidanzato da bambino, insieme a tre persone: una doveva essere sua madre, l’altra suo padre e poi suo nonno. Doveva risalire a molti anni prima: Kei non aveva più di un paio d’anni.

Non parlava mai della sua famiglia: le uniche volte in cui l’aveva fatto era stato a denti stretti e con evidente disagio. I genitori non li ricordava, se non a tratti e con immagini sfocate e distorte: la ragazza sapeva che erano morti, ma non le aveva mai detto come.

E per quanto riguardava suo nonno…bhe, era un argomento da evitare. C’erano state tremende discussioni fra loro prima di riuscire a convincere Kei almeno a parlargli. Purtroppo non aveva avuto il tempo di farlo.

Kei era morto la sera del 14 dicembre…

 

-Nonno, io non volevo dargliela così!

-Tu non avresti mai trovato il coraggio di farlo- ribatté l’uomo. –Non puoi continuare così, Takao.

-Non ti seguo.

-Le stai addosso come una chioccia con i pulcini: non supererà il momento con te lì appiccicato a proteggerla. L’amore è anche questo: è il dolore, la sofferenza, il coraggio. Non è solo condividere con un’altra persona dei momenti felici.

-Hilary è una sorella per me. Non sopporto di vederla star male.

-Tutti noi le vogliamo bene, Takao- continuò Max. –Ed è proprio per questo che la lasciamo prendere le sue decisioni, le sue scelte…anche quando sbaglia.

Rei rimase in silenzio: l’americano aveva centrato il bersaglio al primo colpo. Anche se non sapeva niente delle intenzioni di Hilary.

Sperò che la ragazza cambiasse idea, anche se era impossibile. Dubitava che il piccolo e refrattario cuore di pietra di Hito potesse sciogliersi come neve al sole.

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Capitolo 11
*** Una notizia inattesa ***


Cap. XI. Una notizia inattesa

 

Dicembre e le sue festività non erano che un ricordo lasciato alle spalle. Hilary l’aveva trascorso da sola, nella casa di Kei, nonostante in molti si fossero dati da fare per invitarla: i ragazzi, Yuri, Mao, Emily, Olivier…

Ma aveva rifiutato tutti gli inviti: un po’ perché non voleva vedere la pietà sui loro volti, e un po’ perché non si sentiva più sicura di sé stessa. Ultimamente non faceva altro che svenire e vomitare: all’inizio lo aveva attribuito al dolore, allo shock per la morte di Kei…ora, però, cominciava a preoccuparsi. Che diavolo le stava succedendo?

 

-Cosa voleva Hilary?- domandò Takao a Rei, appena questi rientrò nella sala.

Grande era stata la sorpresa del capitano dei Bladebreakers quando aveva risposto al telefono e la ragazza gli aveva chiesto di passarle il blader cinese.

-Signore, e adesso cosa gli racconto?!- pensò.

Non poteva certo dirgli la intenzioni di Hilary; non poteva rivelargli che quel pomeriggio l’amica si sarebbe recata a Villa Hiwatari per conoscere Hito. Takao sarebbe andato in escandescenza.

Già, ma allora cosa poteva inventarsi?

-Solo scusarsi per essermi svenuta fra le braccia…- incespicò lui.

-È successo un po’ di tempo fa. Ci stava pensando ancora?

-Non aveva più avuto l’opportunità di farlo.- Era penoso: si vedeva lontano un miglio che stava raccontando una balla.

Ma Takao parve non accorgersene, oppure preferì sorvolare e lasciargli i suoi segreti.

Max, invece, non fu altrettanto indulgente: squadrò il compagno, ipotizzando cosa mai stesse nascondendo.

Una storia con la giovane? Da escludere: Rei era innamorato di Mao, e in qualsiasi caso non si sarebbe mai messo con la ragazza dell’amico defunto. Che Hilary stesse male? Bhe, non era a cento, ma perché dirlo solo a lui? No, anche questo era da scartare.

Odiava quella situazione: doveva assolutamente convincere Rei a parlare, anche se era più difficile che scassinare Fort Knox.

 

Villa Hiwatari si ergeva imponente oltre il cancello, dopo metri e metri di parco.

Era diversa dall’ultima volta che l’aveva vista, molti anni prima: i rampicanti crescevano senza controllo, la ruggine stava attaccando rapidamente il ferro battuto ed ogni cosa era lasciata all’abbandono. Tutto era triste e tetro.

Un’atmosfera strana aleggiava su quel luogo: non si sarebbe stupita se un fantasma le fosse passato davanti al naso. L’ambiente era l’ideale.

Si appoggiò all’anta e per poco non cadde a terra: il cancello si era aperto al solo tocco della mano.

Era strano: Kei le aveva sempre detto che suo nonno teneva molto alle apparenze e soprattutto che la Villa era sigillata come un bunker.

In quel momento non corrispondeva proprio all’idea che si era fatta.

Attraversò il viale, spazzato di fresco dalla neve, accertandosi ad ogni passo della decadenza di quel luogo: non era Villa Hiwatari, almeno non quella di un tempo.

Anche la porta non oppose resistenza e in un attimo si ritrovò nell’atrio. Era un po’ violazione di domicilio, ma di fronte a quello che voleva scoprire, cos’era un piccolissimo reato?

Si stava giusto guardando intorno, cercando di raccapezzarsi, quando una voce le ghiacciò il sangue nelle vene.

-Cosa cerchi, ragazzina?

Hilary volse lentamente la testa alla sua sinistra e lo vide, in cima alle scale: Hito Hiwatari, l’uomo più ricco e potente del Giappone, l’ultimo sopravvissuto della sua dinastia.

La giovane mosse un passo, poi crollò al suolo svenuta.

 

Non aveva più i riflessi e i sensi di una trentina d’anni prima, ma era certo di aver sentito il cigolio leggero della porta d’ingresso. Ma chi avrebbe potuto entrare? I ladri non si derubano fra loro, Alfred era in casa e lui non attendeva nessuno.

Avviandosi verso le scale, Hito Hiwatari si appoggiò al bastone: la sua salute era notevolmente peggiorata in quell’ultimo periodo ed era sicuro che non gli restasse molto da vivere. La morte di Kei era stata l’ultima goccia: il suo cuore non avrebbe retto ad altri dolori.

Quando notò la fanciulla nell’atrio, gli ci volle un attimo per riconoscerla: era l’amica dei Bladebreakers e…

La fidanzata di Kei.

Si era sempre chiesto come avesse fatto quel mucchietto di ossa a domare il grande Kei Hiwatari: doveva essere una vera forza della natura se aveva trionfato dove sia lui che Borgof avevano fallito.

-Cosa cerchi, ragazzina?

Per poco non si sentì male nel vederla accartocciarsi a terra come un castello di carte.

-Afred! Alfred!

-Ha chiamato, signore?- rispose un uomo.

-Presto! Portala in camera e poi chiama un’ambulanza!

-Subito, signore.

 

Per la seconda volta in poco tempo, Hilary si risvegliò in un letto non suo. Cominciava a diventare un vizio.

Avvertiva un borbottio sommesso, provenire dalla stanza a fianco: riconobbe la voce di Hito, ma non quelle delle altre persone.

-Come sta, dottore? È qualcosa di grave?

Dottore?! No, era svenuta di nuovo: che figura del cavolo…

-No, signor Hiwatari. Nel suo stato qualche svenimento è normale.

-Bhe, il dolore per la morte di Kei è stato grande…

-Non mi riferivo a questo: quella ragazza è incinta. Ad occhio e croce di cinque settimane.

-Come?!

-Mi scusi, io credevo che lei sapesse…

Hilary spalancò gli occhi, rizzandosi a sedere: incinta?

Ecco perché la nausea e gli svenimenti…Si portò una mano al ventre: un bambino, un esserino che era lei e Kei insieme. Era incredibile, meraviglioso, drammatico e terribile allo stesso tempo.

Un figlio. Un figlio dal ragazzo che aveva amato con tutta sé stessa. Un figlio che sarebbe stato il frutto del loro amore. Un figlio che non avrebbe mai conosciuto suo padre.

Si sentì schiacciare da tutti quei pensieri: cosa doveva fare? Doveva tenerlo? Bhe, su questo di dubbi ne aveva pochi: era una parte di Kei, del suo Kei. Non poteva certo gettarlo come un sacco della spazzatura.

Ma sarebbe riuscita a crescere un bambino da sola? Certo, Takao e gli altri ne sarebbero andati matti: desideravano un nipotino che corresse per casa chiamandoli zii.

-Kei…amore mio…perché non sei qui con me?

Una lacrima rotolò lungo la guancia: lo rivedeva a terra, nel sangue, morto per salvarla. Anzi, salvarli.

E Hito? Cosa avrebbe pensato? L’avrebbe considerato suo nipote o se ne sarebbe lavato le mani?

Non che si aspettasse qualcosa da lui: non era andata lì per quel motivo.

La porta si aprì di colpo, e l’oggetto dei suoi pensieri entrò nella camera.

-Scusami, non intendevo spaventarti. Non sono più abituato ad avere altre persone in casa. Ti senti meglio?

-Sì, grazie. Mi perdoni per esserle piombata in casa come una ladra, non so cosa mi sia preso…

-Forse il dolore ne chiama a sé altri.

Quella frase venne pronunciata con una tale spontaneità che Hilary fu costretta ad alzare lo sguardo, fissandolo negli occhi: erano grigi, non viola, ma avevano la stessa profondità di quelli di Kei.

-Io sono Hilary Tachibana…

-Lo so chi sei. Sei la ragazza che ha portato via il cuore di Kei.

Le guance di lei arrossirono leggermente.

-L’ho vista al funerale. Perché non è venuto davanti, a porgergli un ultimo saluto?

-La gente non l’avrebbe tollerato. Non dopo ciò che gli avevo fatto: sarebbe sembrato un gesto ipocrita.

-Io non l’avrei pensato. Comunque, sono venuta per ridarle questo.

-Il conto in banca di Kei? Perché?- L’uomo era stupito da quel gesto: quindi non era il denaro a interessarle.

-Suo nipote voleva che li tenessi, ma quei soldi non mi appartengono: io amavo lui, non il suo denaro.

-È assurdo e incredibile. Noi Hiwatari siamo dei bastardi per natura…nasciamo con mire di conquista, con sete di potere. Ma per fortuna del mondo, ci imbattiamo sempre in donne dall’animo nobile e dal carattere forte, capaci di metterci le briglie- aggiunse con un sorriso. –Mia moglie Angeline, mia nuora Nadja e ora tu: in amore siamo sempre fortunati. Un po’ meno nella vita.

-Che intende dire?

-Angeline è morta poco dopo la nascita di nostro figlio, Nadja e Sosuke sono morti in un incidente e Kei…bhe, lo sai anche tu com’è finita.

Alla ragazza non sfuggì il luccichio nei suoi occhi.

-Quei soldi ti appartengono, Hilary: Kei li ha intestati a tuo nome. E oltretutto, ciò che mi hai restituito non ha un prezzo.

-Non capisco…

-Tu mi hai ridato Kei.

-Cosa?

-È stato qui, la mattina di quel terribile giorno: non lo vedevo da anni.

-Kei…ha parlato…con lei?

-Sì, e solo per merito tuo. Era abbastanza contrariato: diciamo che era palese quello che pensava. Però manteneva la sua determinazione: si batteva per te, per qualcosa a cui tu tenevi. Volevi che i nostri rapporti si riallacciassero, vero?

-Io so cosa vuole dire perdere la propria famiglia: guardarsi alle spalle e non riconoscere più le persone come famigliari. Lei era tutto ciò che gli restava: l’aveva deluso e questo lo aveva ferito- raccontò lei. –Ma sapevo che in fondo al cuore le voleva ancora bene: non volevo che un giorno si pentisse di essersi allontanato da lei, quando magari era troppo tardi per rimediare.

-Più o meno ha usato queste parole. Ha aggiunto che il passato non si poteva cancellare e che non sarebbe mai riuscito a dimenticare i traumi dell’infanzia. Ma che, in fondo, forse senza di me non avrebbe mai scoperto il beyblade e il suo Dranzer. “Qualcosa te lo devo, nonno” ha detto.

Ecco perché quella sera aveva voluto incontrarla.

Ti devo parlare assolutamente, non posso aspettare domani” le aveva rivelato con fare misterioso.

Ma non ci era mai riuscito: quella macchina aveva sepolto con lui la discussione fatta la mattina.

Hilary si alzò dal letto, portandosi accanto all’uomo e stringendogli una mano con un sorriso radioso.

-Kei era un gran testardo. È stata dura per lui mettere da parte l’orgoglio e tornare qui, ma non l’ha fatto solo per me: io ho insistito, gli ho dato l’occasione…in realtà credo non aspettasse altro.

-Sei una brava ragazza, Hilary. Benvenuta in famiglia.

-Come?

-Fai parte degli Hiwatari, sempre che tu lo desideri.

La fanciulla non riuscì a trattenersi: gli saltò al collo, abbracciandolo con sincero slancio. Hito rimase perplesso: Kei, suo nipote, non si era mai comportato così. Il massimo a cui arrivava era una stretta di mano: il passato era una brutta bestia, difficile da cancellare.

-Grazie…

-Di niente, bambina. Immagino fosse il desiderio di Kei.

-Ora devo andare, ma tornerò a trovarla.

Aveva già una mano sulla maniglia, quando Hito le raccomandò:

-Stai tranquilla e non affaticarti troppo, va bene?

Non aveva trovato il coraggio per parlare della gravidanza e, sinceramente, la giovane gliene fu grata: nemmeno lei sapeva esattamente come affrontare quell’argomento. Avrebbe già dovuto trovare le parole per informare i ragazzi e non era assolutamente una cosa facile.

Però quell’affermazione le scaldò il cuore: quell’uomo somigliava molto al suo Kei. Entrambi parevano di ghiaccio e privi di sentimenti, ma sotto la scorza si nascondevano delle persone stupende.

-Certo, non si preoccupi.

Era felice. Talmente felice da non accorgersi nemmeno dell’auto nera parcheggiata fuori dalla Villa.

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Capitolo 12
*** Ricordando Kei ***


Cap. XII. Ricordando Kei

 

Trovò Rei ad attenderla sulla porta di casa: era abbastanza agitato e nervoso.

-Ciao, Rei.

-Hilary! Sei tutta intera, vero?- le chiese allarmato.

-Sì, certo. Sono andata dal nonno di Kei, non dall’uomo nero.

-La differenza è minima.

-Ti sbagli, Rei- continuò lei, aprendo la porta e facendogli strada.

-Comunque non sono qui solo per sapere com’è andata.- Sbatté sul tavolo un giornale, visibilmente scocciato. –Guarda se si può essere più imbecilli di così: non è passato ancora un mese dalla sua morte.

Una foto di loro due campeggiava in prima pagina: qualcuno l’aveva scattata il giorno in cui era svenuta nel parco.

Certo, quello scatto era abbastanza compromettente: sicuramente non era stato difficile per il giornalista ricamarci sopra una storia. “IL NUOVO AMORE DI HILARY TACHIBANA” diceva il titolo. L’articolo poi proseguiva raccontando qualcosa di Rei e di una fantomatica relazione fra il blader cinese e la fidanzata di Kei Hiwatari.

-Tutta robaccia- commentò, restituendoglielo.

-Dillo a Takao: quando lo ha visto si è attaccato al telefono urlando di voler denunciare il giornalista, la testata…

-Sei preoccupato che possa capitare nelle mani di Mao?

Il rossore che imporporò il viso dell’amico fece sorridere Hilary.

-No…- mormorò. –Non ci crederebbe mai. Però non hanno il diritto di scrivere queste scemenze.

-È il loro lavoro, Rei. Vuoi un caffè, un the, qualcosa?

-Un the, grazie. Cosa facciamo?

-Niente.

-Niente?

-Niente. Credi che, ad esempio, la tua visita non generi scandalo? Non possiamo farci nulla, se non ignorarli e proseguire la nostra vita. Io so di avere la coscienza a posto, con me stessa e con Kei: non c’è altro che mi importi. Kei mi metteva spesso sotto al naso articoli simili e ci ridevamo sopra come matti: diceva che si attaccavano alla sua vita privata come mosche al miele.

-Immagine divertente e azzeccata. Bhe, ora non sto più nella pelle: raccontami cos’è successo alla Villa…

 

Max era finalmente riuscito a staccare il suo capitano dal telefono. Stufo di sentirlo inveire contro chiunque lavorasse in quella casa editrice, lo aveva preso di forza, trascinandolo in palestra e cacciandogli in mano la spada da kendo.

-TIENI E SFOGATI!

Era chiuso lì dentro da ore: l’americano stava per andare a controllarlo, quando vide Dragoon accostarsi a Draciel. Si volse verso l’amico.

-Ti sei calmato un po’?

-Sì. Senza di te sarei già in tribunale…

-No, probabilmente ti avrebbero già pestato.

-Sono stato eccessivo, vero?
-Abbastanza- rispose il biondino.

-Evviva la sincerità.

-Bhe, è la verità: mi sembravi un pazzo appena scappato dal manicomio.

-Dov’è finito Rei?

-È andato da Hilary: non voleva che lo scoprisse in qualche altro modo.

Takao annuì, richiamando il suo bey: guardando il Drago Azzurro non riuscì a non pensare che quei due nascondessero qualcosa. Non credeva al fatto che avessero una storia, ma di certo c’era sotto un mistero. Forse non era niente di grave, eppure…

Sospirando, ripose Dragoon in tasca: non aveva senso farsi rodere dalla gelosia. Avrebbero parlato prima o poi. Come sempre.

 

Sistemando una foto sul cassettone, il maggiordomo di Villa Hiwatari ripensò alla sua vita in quella casa. Quelle pareti ne avevano viste di cose, molte più di quelle che aveva visto lui nei suoi lunghi anni di servizio in quella famiglia.

Ricordava il signor Sosuke: era solo un bambino quando Alfred venne assunto, un simpatico monello dai capelli argentei e gli occhi grigio fumo. Com’era cresciuto in fretta: in un istante era passato dai giochi infantili alle domande di nozze. Quando presentò al padre Nadja, aveva solo diciotto anni: una ragazza russa alta, bionda e con un paio di incredibili occhi viola. La dolcezza di quella giovane entrò subito nel cuore del signor Hiwatari.

La gioia del matrimonio venne allietata poco dopo dalla nascita di Kei…poveretto, aveva solamente tre anni quando perse entrambi i genitori. In viaggio per una ricerca sui bit-power, i coniugi erano rimasti coinvolti in un terribile incidente.

Il signor Hiwatari non si era più ripreso da quel colpo: riversò sul nipote tutto il suo odio per quelle creature, fondando la Borg e trasformando Kei nel più micidiale dei cacciatori.

Ma il passato non lascia mai impuniti i nostri torti: la verità colpì Kei come una pugnalata tra le scapole, costringendolo ad abbandonare per sempre la Villa e suo nonno.

Fino a quel giorno…

 

Per poco non gli prese un infarto nel vedere la figura ferma nel vano della porta. Tre anni erano trascorsi, tre lunghissimi anni. Eppure il tempo non l’aveva cambiato molto.

-Signorino Kei…

-Alfred, non ti aspettavi di rivedermi, vero?

-Mi sembra un miracolo. Lei…lei è tornato…

-Non esagerare. Per ora sono qui soltanto per parlare con lui.

-Davvero, signorino?

-Quante volte ti dovrò ripetere che odio sentirmi chiamare così?- domandò il giovane con fare scherzoso.

-Ancora una, credo. Vado ad annunciarla.

-No, lascia stare. Preferisco fargli una sorpresa.

 

Anche Hito stava rivivendo quel giorno. Seduto nella sua poltrona preferita, sfogliava un album di fotografie, tuffandosi nei ricordi…

 

-Alfred, cosa c’è?- chiese, sentendo la porta aprirsi.

-Buongiorno, nonno.

Quella voce lo obbligò ad alzare gli occhi di scatto dal giornale, posandoli sul ragazzo che gli stava di fronte. Era proprio lui…dopo tre anni…dopo la Russia. Nel suo sguardo leggeva l’astio, invariato nonostante il tempo trascorso.

-Kei…ciao…

-Non sono venuto fin qui di mia iniziativa, voglio che tu lo sappia.

-Mi fa comunque piacere. Ti trovo bene.

-Non posso lamentarmi.- Con un gesto nervoso, si passò la mano fra i capelli. –Non è da me girare intorno agli argomenti, quindi…Hilary ha insistito perché almeno provassi a parlare con te. E io non voglio deluderla.

La frecciata arrivò dritta al destinatario, che non fece una piega.

-Perciò sono pronto: voglio sapere la verità. Perché mi hai fatto diventare un cacciatore?

Aveva atteso tre anni quella domanda: in Russia, il nipote gli aveva voltato le spalle, ferito, senza volere spiegazioni. Ne aveva abbastanza di quello che aveva scoperto, abbastanza per decidere di ribellarsi.

Alla fine del racconto, il fuoco del rancore bruciava ancora nei suoi occhi viola. Gli occhi di Nadja.

-E questo è tutto.

-Grazie. Finalmente so chi sono.

-Kei, io…

-Nonno, il tempo non si può cancellare, non riuscirò mai a dimenticare l’addestramento della Borg e tutto quello che ho passato a causa di ciò che sono: ho tradito i miei migliori amici, ho rischiato di perdere l’Aquila Rossa…- Distolse lo sguardo, lasciandolo scorrere sul paesaggio oltre il vetro della finestra. –Ma qualcosa te lo devo: senza di te, forse, non avrei mai scoperto il beyblade e non avrei avuto un compagno come Dranzer.

-Tu mi odi, non è vero?

-No, forse non ti ho mai odiato. In un modo o nell’altro mi hai cresciuto e ti sei preso cura di me: non riuscirei mai ad odiarti.

-Ora che conosci la verità, sparirai per altri tre anni?

-Hilary mi ha detto di invitarti a passare il Natale con noi. Lei ci tiene molto a questa storia della famiglia: non vuole che mi penta di aver rotto con te nel momento in cui magari è troppo tardi per rimediare.

-Quando parli di lei mi ricordi tuo padre.

-Come?

-Gli si illuminava il viso quando nominava tua madre; esattamente come te quando pronunci il nome di Hilary.

Un lieve rossore colorò le gote di Kei, che si voltò, imbarazzato da quell’attimo di sentimentalismo.

-Allora…ci vediamo, nonno. A Natale, spero.

-A Natale- confermò lui.

 

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Capitolo 13
*** Annuncio importante ***


Cap. XIII. Annuncio importante

 

Seduta nel portico di casa Kinomiya, Hilary si concesse un sospiro: era trascorsa una settimana da quando aveva saputo di essere incinta. Era arrivato il momento di parlarne anche agli altri. A un mese dalla morte di Kei.

-Hila, non credo tu sia venuta per stare qui sui gradini- la interruppe Takao, sedendosi accanto all’amica.

-Infatti. Ho convocato anche altre persone: devo dirvi una cosa e voglio che ci siate tutti.

-È una buona o una cattiva notizia?

-Per me all’inizio era sconvolgente, ma giorno dopo giorno mi sembra sempre più meravigliosa.

-Mi devo preoccupare?

-No, per una volta accontento i tuoi desideri.

Quella frase lo lasciò senza parole: cosa significava? Non ebbe però il tempo di ribattere perché una lussuosissima automobile parcheggiò proprio davanti al suo cancello. Stava per dire qualcosa quando vide scendere una persona la cui sola vista gli gelava il sangue nel corpo.

Ma ciò che lo sconvolse di più fu il vedere Hilary andare incontro all’uomo e fargli strada.

-Da questa parte, signor Hiwatari.

-Hilary!- tuonò Takao, facendola sussultare. –Non credi di dovermi una spiegazione?

-Entri in casa. La raggiungo subito.

Si portò di fronte al ragazzo, pronta a ricevere una predica, ad essere investita dal fiume di parole con cui l’amico l’avrebbe travolta.

-Che ci fa quell’uomo a casa mia? Kei si starà rivoltando nella tomba all’idea che…

-Lui e suo nonno si erano chiariti. Se gli porti del rancore vedi di fartelo passare. Per me, per la nostra amicizia…

Gli accarezzò una guancia, lasciando che poi lui la abbracciasse stretta.

-E io che credevo mi avessi rimpiazzato con un nuovo migliore amico…era questo che tu e Rei stavate nascondendo.

-Ti saresti opposto se te ne avessi parlato. È una brava persona, Takao, te lo giuro.

-Non voglio mettere in dubbio il tuo giudizio, Hila, ma mi ci vorrà ben più di una giornata per fidarmi di lui.

-Lo capisco. Mi basta solo che tu non faccia scenate.

-Non preoccuparti.

-Comunque non è di questo che vi devo parlare- concluse, sparendo in casa. Takao si era già voltato quando lei riapparve esclamando: -E poi tu sarai sempre il mio migliore amico, gelosone.

 

Tutti erano riuniti nel salotto di Takao: i Bladebreakers e nonno Jei tenevano gli occhi puntati sulla fanciulla e su Hito. I ricordi della Russia erano ancora vivi in ognuno di loro, ma rimangiavano ogni commento per amore dell’amica.

-Amici miei, devo fare un annuncio. Devo ammettere che questo giorno lo avevo sempre immaginato diverso, soprattutto con Kei accanto a me: ma la vita non è mai come uno la progetta.- Si portò una mano sul cuore: il suo ragazzo le era comunque vicino, lo sentiva. Se chiudeva gli occhi poteva quasi avvertire la sua presenza. –Aspetto un bambino.

Il silenzio scese sulla sala: non sapevano bene cosa dire o semplicemente dovevano assimilare la notizia.

Fu Takao a rompere quel momento, correndo ad abbracciarla.

-Avrò un nipotino!- gridò.

Subito dopo anche gli altri la strinsero fra le braccia, entusiasti di quella novità. Quante volte avevano preso in giro Kei, domandandogli di regalare loro un piccolo o una piccola blader che avrebbe gironzolato per casa chiamandoli zii. E il ragazzo rispondeva:

-Chiedetelo a Hilary.

-Bisogna andare a festeggiare: vi invito tutti a cena!

-Se qui c’è qualcuno che invita, quella sono io- li interruppe Hilary.

-O io- proseguì Hito. –Potrete ordinare tutto ciò che volete.

-Tutto?

-Lei non conosce Takao, altrimenti non avrebbe detto questo- spiegò Max.

Hilary accennò un saluto a Rei, l’unico a non essere preso dalla discussione sulla cena, poi uscì diretta verso il cimitero.

 

L’uomo nell’auto nera seguiva tutti i suoi movimenti, come un felino in attesa di attaccare la preda.

Quella sciocca doveva imparare a stare al suo posto.

 

-Amore mio.

Accarezzò la sua foto, sistemando un mazzo di fiori rossi e sorridendo fra le lacrime.

Era già trascorso un mese. Le mancava da morire, non c’era un solo istante in cui non desiderasse riaverlo al fianco: una parte di lei aveva accettato la sua morte, consapevole che il suo spirito l’avrebbe protetta sempre.

Era l’altra metà che ancora non si rassegnava, che soffriva al solo pronunciare il suo nome.

-Tuo figlio crescerà forte come te, lo proteggerò e gli darò tutto l’amore di cui sono capace. Te lo prometto.

-E noi gli insegneremo a lanciare il bey- esclamarono alle sue spalle.

-Ragazzi!

-Sapevamo di trovarti qui- continuò Takao. Aveva in mano un mazzo di rose bianche. –A volte ho quasi l’impressione che sia ancora in mezzo a noi.

-Forse è così- replicò Max.

-Anzi, è certamente così- concluse Rei.

 

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Capitolo 14
*** L'auto nera ***


 

Cap. XIV. L’auto nera

 

La cosa più difficile nella vita

È capire quali ponti attraversare e quali bruciare

(Anonimo)

 

Erano quasi arrivati all’incrocio, quel maledetto incrocio in cui, un mese prima, Kei aveva perso la vita.

Hilary salutò gli amici, dandosi appuntamento al ristorante, poi attraversò.

E l’auto nera apparve, come un incubo tornato dall’aldilà.

 

La ragazza venne prepotentemente sbalzata nel passato.

Il semaforo, l’automobile, una voce che grida il suo nome.

-Hilary!- La voce di Takao…

Ma non c’era Kei pronto a lanciarsi per salvarla.

 

Spinse sull’acceleratore, puntando dritto sulla mocciosa.

-Come te la cavi senza il tuo ragazzino?- mormorò, stringendo le mani sul volante.

Pochi secondi e avrebbe regolato i conti.

 

Un grido ruppe ogni pensiero. L’Aquila Rossa si frappose fra Hilary e il folle sull’auto, costringendo quest’ultimo ad una brusca sterzata. La vettura salì sul marciapiede, ormai fuori da ogni controllo, schiantandosi poi contro un muretto.

Le persone non avevano visto niente di ciò che era accaduto, non sapevano perché avesse sbandato.

Ma i quattro ragazzi non staccarono gli occhi dall’animale sacro che, così come era apparso, scomparve nel nulla, lasciando nell’aria un profumo di nostalgica malinconia e l’eco di una voce.

Io sarò con te. Per sempre.

-Kei…

L’aveva salvata di nuovo, l’avrebbe difesa sempre.

 

Quando la polizia arrivò sul luogo si era già radunata una piccola folla. L’uomo alla guida venne fatto scendere e arrestato.

Ma Hilary li bloccò: lei conosceva quell’individuo e ora, sopraffatta dal disprezzo, voleva una risposta.

-Perché, John?

Il suo patrigno: lui aveva ucciso Kei e aveva tentato di fare lo stesso con lei.

-Per i soldi, per cosa sennò?- fu la sua affermazione.

Soldi…era una valida ragione per uccidere? I soldi valevano una vita umana? Non riusciva a capire cosa la trattenesse dal dargli uno schiaffo.

-Tutto il denaro di questo mondo non vale la vita di una persona. Fai talmente schifo che non meriti nemmeno di essere picchiato.

E con quella frase bruciò i ponti che ancora la legavano al passato e alla sua famiglia.

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Cap. XV. Epilogo

 

“Cara Hilary,

so che sei nei guai con la scelta del padrino. Non ti propongo la mia candidatura, anche se non nego che mi farebbe piacere. Questo è un suggerimento.

C’è una persona che ancora non è riuscita a fare pace con il fantasma di Kei e so che, se tu la scegliessi, la faresti immensamente felice.

Immagino tu abbia capito di chi sto parlando…”

 

Quando lesse l’e-mail di Yuri rimase di sasso: quel russo riusciva regolarmente a sorprenderla.

Da giorni si torturava con la lista dei candidati: Takao, Rei, Yuri, Max, Yuuya, Hito, nonno Jei…

Temeva che scegliendo uno, un altro si sarebbe certamente offeso: perché non poteva farlo fare a tutti?

Il pianto di suo figlio la distolse dal computer: spesso si chiedeva come facesse un esserino così piccolo ad urlare così tanto.

-Cosa c’è, tesoro?- chiese, prendendolo in braccio.

Andrei Hiwatari la guardò con i suoi grandi occhi viola, calmandosi all’istante. Assomigliava molto a Kei: gli occhi, gli zigomi, il taglio delle labbra erano quelli del ragazzo. Ma aveva i capelli castani come la mamma.

Avrebbe compiuto tre mesi il giorno del battesimo: cullandolo dolcemente, ripensò al nome scritto da Yuri.

Sicuramente sarebbe stato un padrino d’effetto.

 

-Max, tu sai chi sarà il padrino?- domandò Takao.

-Credevo lo sapessi tu. Rei?

-Ne so quanto voi.

-Hilary, non puoi almeno darci un suggerimento?

La ragazza, radiosa, prese tra le braccia Andrei, negando con il capo.

-No. Sarà una sorpresa.

-Certo che somiglia davvero a Kei- disse Mao, guardando il bambino. –Oh, Hilary come ti invidio.

-Rei, hai sentito la tua fidanzata?- lo schernì Max.

-Tesoro, guarda che lo penso anch’io- lo gelò Mariam.

Le tre giovani scoppiarono a ridere, osservando le facce terrorizzate dei due blader.

-Sta arrivando un’auto.

Una vettura bianco immacolata si fermò davanti alla chiesa. Il ragazzo che ne scese salutò tutti con un sorriso, prima di avvicinarsi alla novella mamma.

-Ciao, Yuri.

-Ciao, Hilary. Così è questo il mio nipotino giapponese…- continuò il russo. -È bellissimo: somiglia ad entrambi.

-Vuoi prenderlo in braccio?

-Meglio più tardi. Il padrino non mi perdonerebbe- proseguì in tono scherzoso. Si volse poi verso l’auto. –Allora, scendete o vi devo tirare fuori con la forza?

-Arriviamo. Voi avviatevi, intanto- risposero i compagni.

I giovani entrarono in chiesa, Yuri e Hilary per ultimi.

-Non lo ammette, ma si vede che è felice. Non ha parlato d’altro.

-Certamente non è un padrino che passa inosservato.

-Questo sicuramente no- rise Yuri, prendendo posto.

Subito dopo arrivarono Boris e Ivan che si sedettero accanto al capitano. Mancava solo il padrino.

Il suo ingresso suscitò la sorpresa di tutti: era imbarazzato, ma allo stesso tempo gli si leggeva sul viso una sorta di fierezza.

-Hilary…io volevo ringraziarti…non ho potuto farlo prima…

-Non c’è bisogno di dire nulla. Sono certa che anche Kei avrebbe fatto questa scelta. Andrei, ecco il tuo padrino.

Gli posò fra le braccia il bambino: era così piccolo fra quelle mani enormi.

-Ho paura di farlo cadere.

-Stai tranquillo, Sergey. Rilassati.

Faceva uno strano effetto vedere quel colosso biondo con una creaturina minuscola. Andrei aprì i suoi occhi viola, posandoli sul blader e facendolo sudare freddo.

-Ora piange, ne sono certo. Ora si mette a strillare- pensò.

Invece il piccolo sorrise. In quel momento Sergey capì di essersi irrimediabilmente innamorato del suo protetto e fu immensamente grato ad Hilary: non era mai andato d’accordo con Kei, ma credeva di avere tutta la vita davanti per cercare di rimediare. Invece Kei era morto, portandosi via ogni occasione di chiarirsi: fare da padrino a suo figlio era un modo per placare i fantasmi del passato.

I raggi del sole entrarono a tagli dalla vetrata e ad Hilary, per un secondo, parve di scorgere la figura del suo amato.

Io sarò con te.

Per sempre.

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