Hush. -Quindi sei tutto mio?

di SusieAndIris_21
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Ciao, io sono Kurt. (Cap. 1) ***
Capitolo 3: *** -Moe's Arcade. Non é il tuo genere di locale. (Cap.2) ***
Capitolo 4: *** -Scommetto che ti sta seguendo. (Cap. 3) ***
Capitolo 5: *** Maglione verde. (Cap. 4) ''Non siamo.. compatibili'' ***
Capitolo 6: *** Borderline. (Cap. 5) ***
Capitolo 7: *** Softball (Cap. 6) ***
Capitolo 8: *** Parco divertimenti Delphic. (Cap. 7) ***
Capitolo 9: *** Arcangelo. (Cap. 8) ***
Capitolo 10: *** -Tacos? (Cap. 9) ***
Capitolo 11: *** Presenza familiare. (Cap. 10) ***
Capitolo 12: *** Jeff. (Cap. 11) ***
Capitolo 13: *** Al quasi-sicuro (Cap. 12) ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


 

Prologo

Valle della Loira, Francia.

Novembre 1565

 

Quando scoppiò il temporale, Hunter si trovava in compagnia della figlia di un fattore sulla sponda erbosa della Loira. Aveva lasciato il suo castrone libero di

vagare per il prato, quindi poteva fare affidamento solo sulle proprie gambe per tornare al castello. Staccò la fibbia d'argento da uno stivale, la mise in mano alla ragazza, poi la guardò scappar via, mentre il fango le inzaccherava l'orlo della gonna. Quindi si tirò su gli stivali con forza e si avviò verso casa.

La pioggia iniziò a scrosciare sulla buia campagna che circondava il castello di Langeais, ma Hunter superò agevolmente le tombe interrate e i tumuli del cimitero;

persino nella nebbia più fitta non avrebbe esitato a ritrovare la strada di casa.

Quella notte, però, sebbene non ci fosse un filo di nebbia, la violenza del temporale era sufficiente a confondere le idee.

Con la coda dell'occhio Hunter vide qualcosa che si muoveva alla sua sinistra e alzò di scatto la testa.

Quello che a prima vista era sembrato un grande angelo in cima a un monumento poco distante si levò in tutta la sua altezza.

Non era di pietra, né di marmo. Il ragazzo aveva braccia e gambe, petto e piedi nudi. Pesanti calzoni da contadino erano mollemente legati sui fianchi. Saltò giù dal monumento, e alcuni ricci gli scivolarono sul viso.

La mano di Hunter si mosse lentamente verso l'elsa della spada.

- Chi va là?

Il ragazzo accennò un sorriso.

Non prenderti gioco del duca di Langeais – lo ammonì Hunter.

- Ho chiesto il tuo nome. Dimmelo.

-Duca? -. Il ragazzo si appoggiò a un salice ritorto. -Oppure bastardo?

Hunter sfoderò la spada. - Rimangiati quella parola!

Mio padre era il duca di Langeais. E adesso il duca sono io - strillò, maledicendosi perché quella protesta era suonata goffa e infantile.

Il ragazzo scosse pigramente la testa.

-Tuo padre non era il vecchio duca.

Quell'insinuazione fece ribollire il sangue a Hunter, che sollevò la spada e domandò: - E il tuo, di padre?

Non conosceva ancora tutti i suoi vassalli, ma stava imparando. Il cognome del ragazzo gli sarebbe rimasto impresso nella memoria.

- Te lo chiederò un'altra volta - aggiunse, asciugandosi con la mano il viso bagnato di

pioggia.

 -Chi sei?

Il ragazzo mosse un passo verso di lui e contemporaneamente allontanò da sé la punta della lama.

All'improvviso sembrò più vecchio di quanto Hunter avesse pensato, forse di un paio d'anni.

- Sono della schiatta del diavolo - rispose.

Hunter avverti una stretta di paura allo stomaco. -Tu sei pazzo - replicò a denti stretti.

-Sparisci dalla mia vista.

E all'improvviso il terreno sotto i suoi piedi tremò.

Fuochi oro e rossi gli esplosero dietro le palpebre. Si ritrovò piegato in due, le unghie conficcate nelle cosce.

Ansimante, alzò lo sguardo sul ragazzo, tentando di

trovare un senso in quello che gli stava capitando.

La sua mente vacillava, come se ne avesse perso il controllo.

Il ragazzo si abbassò per poterlo guardare negli occhi.

-Ascoltami attentamente. Ho bisogno di una cosa e non me ne andrò finché non l'avrò ottenuta. Hai capito?

Digrignando i denti, Hunter scosse la testa per dichiarare la sua incredulità, il suo rifiuto. Gli avrebbe volentieri sputato in faccia, ma la lingua disobbedì al comando.

Il ragazzo lo afferrò per le mani e Hunter urlò a causa del forte calore che emanavano.

- Devi giurarmi fedeltà - disse il ragazzo.

- Inginocchiati.

Hunter ordinò alla sua gola di emettete una risata, ottenendo solo uno scoppio di tosse. Il suo ginocchio destro si piegò, come se fosse stato colpito da dietro, sebbene non ci tosse nessuno alle sue spalle, e all'improvviso si ritrovò nel fango.

Rotolò su un fianco, scosso dai conati.

- Giura - ripetè il ragazzo.

Quel calore insopportabile salì dalle mani al collo di Hunter il quale dovette impiegare tutte le sue forze solo per riuscire a stringere i pugni. Rise di se stesso,

ma non c'era allegria nella sua risata.

Non aveva idea di come ci riuscisse, ma era sicuro che fosse quel ragazzo a farlo sentire debole, nauseato, malato.

E non poteva ribellarsi.

Così decise di dire quel che doveva, ma in cuor suo giurò che avrebbe ucciso il ragazzo per quell'umiliazione.

- Signore, vi giuro fedeltà – sibilò Hunter .

Il ragazzo lo tirò su.

-Fatti trovare qui all'inizio del mese ebraico di Cheshvan. Nei giorni compresi tra la luna

nuova e la luna piena avrò bisogno dei tuoi servigi.

- Due settimane? –

La voce di Hunter tremava per la rabbia. - Io sono il duca di Langeais!

-Tu sei un Nephilim - disse il ragazzo stiracchiando un sorriso.

Hunter aveva un'imprecazione sulla punta della lingua, ma decise d'ingoiarla.

-Cos'hai detto? – chiese invece con un tono gelido, corico di veleno.

-Tu appartieni alla razza biblica dei Nephilim. Il tuo vero padre era un angelo caduto. Tu sei mortale solo per metà.

Gli occhi ambrati del ragazzo sostennero lo sguardo di Hunter.

-E per metà sei un angelo caduto.

Da un angolo recondito della memoria di Hunter riaffiorò la voce dell'istitutore che gli leggeva la Bibbia e gli spiegava della razza deviante nata dall'unione tra gli angeli caduti e le donne mortali.

Una razza spaventosa e potente.

Hunter fu scosso da un brivido, che non era solo disgusto.

-Chi sei tu?

Per tutta risposta, il ragazzo si voltò e andò via.

Hunter avrebbe voluto seguirlo, ma non riuscì a ordinare alle gambe di muoversi. Però, anche se inginocchiato a terra e con gli occhi pieni di pioggia, riuscì a notare due grosse cicatrici sulla schiena del ragazzo.

Formavano una V rovesciata.

-Tu sei... caduto? - gridò.

-Ti sono state strappare le ali, vero?

Il ragazzo, angelo o chiunque fosse, non si voltò, ma Hunter non aveva bisogno di conferme.

-Questo servigio che devo renderti- urlò.

-Esigo sapere di che cosa si tratta!

Nell'aria umida del cimitero risuonò una risata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma ccciao!

Io sono Iris, una tra le due ragazze a cui appartiene questo account, quella italo-americana.

Allora, se avete letto i magnifici libri della saga ''Hush Hush'' di Becca avrete di sicuro visto che questa non è altro che la stessa storia, però modificata nei personaggi. 

Essendo fan di Glee, e una Klainer shipper incallita ho deciso di sconvolgere un pò il romanzo di Becca e inserirci i miei amori.. La storia è quella originale, solo che in questo racconto ci ritroveremo in Ohio e i personaggi originali sono spariti!

Ora ci sono solo i personaggi di Glee. Faccio un pò riferimento a tutti, Mercedes, Rachel, Quinn, Hunter, Sebastian, Sam, la coach Bestie, Burt... ma i protagonisti sono i miei amorucci, un'adorabile e cuccioloso Kurt e un misterioso e molto badboy Blaine.

Se avete letto il libro e non gradite una versione diversa, siete pregati di non continuare a leggere.

Questo è solo il piccolo prologo, e visto che i miei cuccioli Kurt e Blaine escono nel primo capitolo.. domani lo pubblico anche, YAAAAY.

 

Ringrazio il mio amoruccio Susie, che mi ha anche betato la storia.

E' vero sono italo-americana, ma il mio italiano è un pò arrugginito, quindi lei mi da una mano.

 

Bacio, aspetto vostri commenti, anche, soprattutto su questa idea di sconvolgere interamente un libro (che amo da morire).

-Iris, la pazza che pubblica alle 2 di notte. ;D

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Capitolo 2
*** Ciao, io sono Kurt. (Cap. 1) ***


 

1. -Ciao, io sono Kurt.

Lima, Ohio

Oggi

 

 

 

Entrai nell'aula di biologia e rimasi a bocca aperta.

Attaccati non si sa come alla lavagna, c'erano una Barbie e un Ken. Le braccia erano state sistemate in modo che le mani si toccassero, ed erano nudi, a parte delle foglie finte piazzate nei punti strategici.

Sopra le loro teste, scritto con un gessetto rosa, si leggeva:

BENVENUTI A RIPRODUZIONE UMANA (SESSO).

Accanto a me, Mercedes-Vee Jones bisbigliò: -Ecco perchè la scuola vieta l'utilizzo dei cellulari con la fotocamera. Una foto così nell'e-zine basterebbe a convincere il Ministero dell'Istruzione a tagliare biologia. Il che renderebbe quest'ora disponibile per qualcosa di davvero produttivo, tipo prendere lezioni privare da ragazzi carini.

- Sei strana, Mercedes. Avrei scommesso che aspettassi questo corso da tutto il semestre.

Lei abbassò le ciglia e sorrise maliziosa. -Questo corso non può insegnarmi niente che non sappia già.

- Ma come? Vee non sta per Vergine?

- Abbassa la voce - disse. Mi fece l'occhiolino un secondo prima che la campanella suonasse spedendoci ai nostri posti, uno accanto all'altra.

 

La coach Beiste afferrò il fischietto che gli penzolava dal collo e ci soffiò dentro. -Squadra, ai posti! – La coach considerava l'insegnamento della biologia in seconda superiore un'attività marginale rispetto al suo lavoro di allenatore di football all'università, e lo sapevamo tutti.

- Voi ragazzi potreste non aver notato che il sesso è più di un giretto di un quarto d'ora sul sedile posteriore dell'auto. In effetti, è scienza. E che cos'è la scienza?-

- Noiosa - gridò qualcuno dalle ultime file.

- L'unica materia in cui faccio schifo - disse qualcun altro.

Gli occhi della coach passarono in rassegna la prima fila e si fermarono su di me. -Kurt?

- Lo studio di qualcosa - risposi.

Si avvicinò e piantò l'indice sul mio banco. -Che altro?

-La conoscenza acquisita attraverso la sperimentazione e l'osservazione. - Perfetto. Sembrava stessi facendo un provino per l'audiolibro del nostro testo scolastico.

-Dillo con parole tue.

Mi toccai il labbro superiore con la punta della lingua e cercai un'alternativa. -La scienza è indagine.

- La scienza è indagine - ripeté la coach, sfregandosi le mani. -La scienza ci obbliga a trasformarci in spie.

Detta così, sembrava quasi divertente, ma io avevo trascorso abbastanza tempo nella classe della coach per illudermi.

-Una buona indagine richiede molta pratica - continuò.

-Anche il sesso - commentò qualcuno dal fondo. Ci furono delle risatine, ma isolate perché l'allenatore aveva già puntato un indice ammonitore contro il colpevole.

-Quello non farà parte dei compiti a casa di oggi–  disse la coach prima di rivolgere di nuovo la sua attenzione su di me. -Kurt, sei seduto accanto a Mercedes dall'inizio dell'anno.

Annuii, ma avevo una brutta sensazione riguardo a dove sarebbe andato a parare quel discorso. – Lavorate entrambe all'e-zine della scuola -. Annuii ancora. -Scommetto che sapete molte cose l'uno dell'altra.

Mercedes mi diede un calcetto sotto il banco. Sapevo quello che stava pensando: la nostra insegnante non aveva la più pallida idea di quanto sapessimo uno dell'altra.

E non si parla dei segreti seppelliti nelle pagine dei rispettivi diari.

Mercedes è la mia gemella diversa/opposta.

Lei è una brunetta con gli occhi color arancio come quelli di una tigre, la pelle non molto scura pur essendo una ragazza di colore, e molte curve. Io ho gli occhi di diverse sfumature che richiamano l’azzurro e il verde, con una massa di capelli castani che se non vengono sottoposti alla loro cura settimanale con diversi tipi di balsamo … Beh non lo dico neanche, sarebbe un disastro. E poi per riuscire a fissare il ciuffo? Dio solo sa quanto tempo e quanta pazienza ci vuole. E sono tutto gambe, come uno sgabello da bar. Ah, per non parlare della mia pelle pallida come il colore della luna.

Eppure c'é un filo invisibile che ci unisce, ed entrambi siamo pronti a giurare che questo legame esisteva molto tempo prima della nostra nascita ed esisterà per tutta la nostra vita.

La coach si rivolse alla classe. -In realtà, scommetto che ciascuno di voi conosce abbastanza bene la persona seduta accanto. E c'è una ragione che vi ha spinto a scegliere quei posti, no? La consuetudine. Purtroppo i migliori detective rifuggono la consuetudine. Impigrisce l'istinto investigativo. Ecco perché, oggi, cambieremo i posti a sedere.-

Aprii la bocca per protestare, ma Mercedes mi batté sul tempo.

-Che senso ha? Siamo ad aprile, manca poco alla fine dell'anno. Non può farci una cosa simile proprio adesso.

La coach accennò un sorriso. -lo posso fare una cosa simile anche l'ultimo giorno del semestre. E se non superi il mio corso, l'anno prossimo ti ritroverai di nuovo qui, dove cose simili accadranno ancora, e ancora, e ancora.

Mercedes gli lanciò un'occhiataccia. È famosa per quella sua occhiata, talmente tagliente che quasi si può sentirla sibilare. Apparentemente immune dallo sguardo assassino della mia amica, la coach ci spiegò cosa aveva in mente.

-Tutti quelli seduti sul lato sinistro del banco, la vostra sinistra, avanzino di un posto. Quelli della prima fila, si, anche tu Mercedes, si spostino all'ultima.

Rivolsi alla mia amica un cenno di saluto, mentre lei sbatteva il quaderno nello zaino e chiudeva di scatto la zip. Poi mi voltai lentamente, ispezionando la stanza.

Conoscevo il nome di tutti i miei compagni, tranne uno.

Quello che si era trasferito. Sapevo solo che era un gay dichiarato come me, grazie a Mercedes ovviamente.

Il coach non lo chiamava mai e lui sembrava apprezzare. Sedeva pigramente nel banco dietro il mio, gli occhi di un colore indecifrabile( miele? ambra? No, non saprei dirlo) puntati come al solito davanti a sé. Per un attimo faticai a credere che fosse sempre stato seduto li, giorno dopo giorno, a fissare il vuoto.

Di sicuro stava pensando a qualcosa, ma l'istinto mi diceva che non avrei voluto sapere che cosa. 

Posò il suo libro di biologia sul banco e scivolò su quella che era stata la sedia di Mercedes.

Sorrisi. -Ciao, io sono Kurt.

Il suo sguardo mi passò da parte a parte e gli angoli delle labbra si sollevarono.

Il mio cuore perse un battito.

E in quella pausa, una sensazione di tristezza, come un'ombra fredda, mi scivolò addosso.

L'istante dopo la sensazione era sparita, mentre io lo stavo ancora osservando e il suo sorriso non era diventato più amichevole.

Era un sorriso che prometteva guai.

Mi concentrai sulla lavagna. Barbie e Ken ricambiarono il mio sguardo, stranamente allegri.

La coach disse: -La riproduzione umana può essere un argomento spinoso...

- Ahia - fece un coro di studenti.

- Richiede maturità. E come per tutte le scienze, il metodo migliore e quello investigativo. Durante il resto dell'ora esercitate questa tecnica cercando di scoprire quanto più possibile sul vostro nuovo compagno. Domani porterete una relazione con le vostre scoperte e, credetemi, controllerò che corrispondano alla verità. Questa è biologia, non letteratura, quindi non romanzate le risposte. Voglio vedere una vera collaborazione e un vero lavoro di squadra.- E nella frase c'era l'implicito avvertimento a non azzardarsi a fare altrimenti.

Restai seduto immobile.

La palla era nella meta campo del mio nuovo compagno. Avergli sorriso non si era rivelata una buona mossa.

Arricciai il naso, cercando di capire che cosa mi ricordasse il suo odore.

Non sigarette.

Qualcosa di più intenso, nauseante.

Sigari.

Notai l'orologio sul muro e iniziai a tamburellare con la matita al ritmo dei secondi. Sospirai, il gomito piantato sul banco, il mento poggiato al pugno.

Grandioso.

A quella velocità non avrei fatto in tempo a scoprire un bel niente.

Tenevo gli occhi fissi davanti a me, però potevo sentire il fruscio della sua penna. Stava scrivendo, e io volevo sapere cosa.

Dieci minuti di convivenza sullo stesso banco non lo autorizzavano a ipotizzare niente sul mio conto.

Con la coda dell'occhio, vidi parecchie frasi sul suo foglio, e la lista si allungava.

- Che cosa stai scrivendo? - chiesi.

- Parla la mia lingua - disse mentre scriveva quella frase, ogni movimento della mano fluido e pigro allo stesso tempo.

Mi avvicinai il più possibile, tentando di leggere dell'altro, ma lui piegò il foglio a metà coprendo la lista.

- Che cosa hai scritto? - ripetei.

Lui allungò la mano per prendere il mio foglio bianco e lo fece scivolare verso di sé, quindi lo appallottolò e, prima che riuscissi a protestare, lo lanciò nel cestino dei rifiuti dietro la cattedra.

Canestro.

Rimasi un attimo a fissare il cestino, metà allibita e metà arrabbiata. Poi aprii di scatto il taccuino alla prima pagina bianca e, matita alla mano, chiesi: -Come ti chiami?

Alzai gli occhi in tempo per cogliere un altro sguardo gelido.

Sembrava volermi avvertire che non avrebbe tollerato altre domande sul suo conto.

- Come ti chiami? - ripetei, sperando che quel tono esitante nella mia voce fosse solo immaginazione.

- Chiamami Blaine. Dico sul serio. Chiamami.-

Lo disse ammiccando, così mi convinsi che volesse prendermi in giro.

- Che cosa fai nel tempo libero? - chiesi.

-Non ho tempo libero.

- Senti, suppongo che prenderemo un voto per questo compito, quindi mi fai il favore?

Si appoggiò alla spalliera della sedia, le mani incrociate dietro la testa. - Che tipo di favore?

Ero sicuro che fosse un'allusione, quindi cercai disperatamente qualcosa a cui appigliarmi per cambiare argomento.

- Tempo libero... - ripete invece lui, pensieroso. – Faccio fotografie.

Scrissi sul foglio Fotografia.

- Non ho finito - disse. -Ne ho una bella collezione di un cronista dell'e-zine che crede sia giusto mangiare biologico, scrive poesie in gran segreto e rabbrividisce al pensiero di dover scegliere tra Stanford, Yale e...qual è quell'altra grossa università che inizia per H?

Lo fissai per un momento, scioccato da quanto maledettamente ci avesse preso. E non mi sembrava che avesse tirato a indovinare.

Lo sapeva.

E lo volevo sapere come facesse a saperlo.

E volevo saperlo ora.

-Alla fine non andrai a nessuna delle tre.

-Ah, no? - chiesi senza riflettere.

Agganciò la parte inferiore della mia sedia con le dita e mi trascinò più vicino a lui. Indeciso se spostarmi di scatto e mostrarmi spaventato, oppure ignorarlo e fingermi annoiato, scesi la seconda opzione.

-Anche se otterresti degli ottimi risultati in tutte e tre le università, le snobbi perché le consideri lo stereotipo del successo. Sputare sentenze è il tuo terzo difetto.

-E il secondo?- dissi in preda a una rabbia gelida.

Chi era questo tizio? A che razza di gioco malato stava giocando?

-Non ti fidi di nessuno. No, aspetta, mi spiego meglio. Ti fidi, ma solo delle persone sbagliate.

- E il primo?

- Tieni la vita al guinzaglio.

- E questo che vorrebbe dire?

- Hai paura di quello che non puoi controllare.

Mi si rizzarono i capelli sulla nuca e la temperatura della stanza sembrò precipitare.

In circostanze normali, mi sarei alzato, sarei andato dalla coach e avrei preteso di cambiare posto.

In quella circostanza, però, non sopportavo che quel Blaine pensasse di avermi intimidito o spaventato.

Provai un bisogno irrazionale di difendermi e decisi, in quel preciso momento, di non dargliela vinta.

- Dormi nudo? - chiese.

La bocca minacciò di spalancarsi, ma riuscii a rallentare la caduta della mascella.

- Sei l'ultima persona alla quale lo direi.

- Mai stato da uno strizzacervelli?

- No - mentii. Per la verità ero in terapia dalla psicologa della scuola, la dottoressa Berry, Rachel Berry.

Non era una mia scelta e non mi piaceva parlarne.        

- Mai fatto niente di illegale?

- No -. Superare occasionalmente i limiti di velocità non contava. Non con lui. -Perché non mi fai delle domande normali? Tipo... il mio genere di musica preferito?

- Non chiedo quello che posso indovinare.

- Tu non conosci la mia musica preferita.

- Musica classica. Barocca. In te è tutto questione di ordine, controllo. Scommetto che suoni... il pianoforte? -. Lo disse come se l'idea gli fosse venuta in mente dal nulla.

- Sbagliato -. Altra bugia. Stavolta però fui attraversato da un brivido.

Chi era quel ragazzo? Che altro sapeva?

- Quello cos'è? - chiese Blaine dandomi un colpetto con la penna all'interno del polso. Istintivamente, mi scostai.

- Una voglia.

- Sembra una cicatrice. Hai tentato il suicidio, Kurt? –

I nostri sguardi si incrociarono e io capii che si stava divertendo. E notai anche che i suoi occhi erano davvero carini.. - Genitori sposati o divorziati?

- Vivo con mio padre.

- Dov'è tua madre?

- È morta l'anno scorso.

- Come?

Sussultai, non riuscii a impedirlo. - Uccisa. Queste però sono faccende private, se non ti dispiace.

Ci fu un momento di silenzio e lo sguardo di Blaine sembrò ammorbidirsi.

- Dev'essere dura -. Sembrava sincero.

La campanella suonò e Blaine si alzò, diretto alla porta.

- Ehi! - gridai, ma lui non si voltò. - Scusa!- Era già oltre la soglia. - Blaine! Non ho scritto niente su di te.-

Si voltò, tornò indietro, mi prese la mano e ci scrisse sopra qualcosa prima che avessi il tempo di pensare.

Poi guardai i sette numeri rossi che avevo sul palmo della mano.

Volevo dirgli che non c'era possibilità che il suo telefono squillasse quella sera. Volevo dirgli che era colpa sua, che aveva usato tutto il tempo per le sue domande.

Volevo dirgli un sacco di cose, invece riuscii a dire solo:

- Stasera ho da fare.

- Anch'io -. Sorrise e sparì.

Rimasi immobile a elaborare i fatti.

 Aveva usato di proposito tutto il tempo a disposizione?

Così non avrei avuto tempo di domandargli niente?

Credeva davvero che un bel sorriso avrebbe sistemato le cose?

Si, lo credeva eccome.

- Guarda che non ti chiamo! - gli gridai dietro. – Sul serio!

- Hai finito l'articolo da consegnare domani?- Era Mercedes. Si fermò dietro di me e scrisse degli appunti sul taccuino che si portava sempre dietro.

-Credo che il mio riguarderà l'ingiustizia della disposizione dei posti. Sono capitata accanto a una ragazza che mi ha raccontato di avere appena finito il trattamento contro i pidocchi. Credo si chiami Sugar. Bah..

- Il mio nuovo compagno - dissi, indicando il corridoio in direzione di Blaine.

Notai il suo modo di camminare: irritante, sicuro di sé (e con un bel culo). Il tipo di andatura che assoceresti a una maglietta scolorita e un cappello da cow-boy.

Blaine non indossava né l'una ne l'altro. Era il tipo da Levi's neri, maglietta nera e stivali neri.

- Il ripetente, gay, che è arrivato quest'anno? Credo che non abbia studiato molto al primo giro. E nemmeno al secondo -. Mercedes mi rivolse uno sguardo complice. Ed enfatizzò la parola ‘gay’ - Ma il terzo giro ha un certo fascino.

- Mi mette i brividi. Sa che musica ascolto. Senza il minimo indizio, ha detto «classica, barocca» Cercai di imitare la sua voce bassa. Inutilmente.

- Magari ha tirato a indovinare e ha avuto fortuna.

- Sapeva... altre cose.

- Tipo?

Più di quanto avrei voluto. - Per esempio come farmi innervosire - sospirai. -Vado a dire alla coach che rivoglio i vecchi posti.-

- Accomodati. Potrebbe essere un'idea per il mio prossimo articolo: Studente del secondo anno si ribella. Oppure, meglio ancora: Scacco matto alla nuova disposizione. Mmm, mi piace.

A fine giornata, quello ad avere ricevuto scacco matto ero io.

La coach aveva respinto il mio appello, quindi, a quanto pareva, dovevo sorbirmi Blaine.

Per il momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma ccciao!

Eccomi ancora qui con il primo capitolo. Vediamo comparire Blaine (un misterioso Blaine cazzuto) e Kurt, e ovviamente la migliore amica di Kurt chi poteva essere se non la bella Mercedes?

Qui troverete una coach Beiste diversa da quella descritta in Glee, qui non è affatto la donna dolce che ha avuto il suo primo bacio a 40 anni e non fatica a parlare del sesso (come se non si era capito... )

E poi abbiamo accennato anche a Rachel, che non è la petulante ragazza  ma una psicologa. E nominiamo Sugar, mi dispiace che sia tu quella dei pidocchi, ma qualcuno doveva esserlo..

 

Ehmmmm, che altro dire?

Grazie a tutti quelli che hanno già inserito la storia nelle seguite, spero di non deludervi.

 

Ci vediamo al prossimo capitolo!!

Aspetto con ansia i vostri commenti!

 

-Iris ;D

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Capitolo 3
*** -Moe's Arcade. Non é il tuo genere di locale. (Cap.2) ***


Iris: Questo capitolo è completamente dedicato al mio ragazzo.

Ci siamo conosciuti in una sala da biliardo, non molto romantico, ma è stato magico.. 

 

2.  -Moe's Arcade. Non é il tuo genere di locale.

 

 

Mio padre e io viviamo in una fattoria del diciottesimo secolo piena di spifferi.

È l'unica casa da queste parti e l'abitazione più vicina si trova a circa un chilometro di distanza.

A volte mi chiedo se chi ha costruito casa nostra si sia reso conto che, fra tutti gli appezzamenti di terra disponibili, era andato a scegliersi quello piazzato al centro di una misteriosa condizione atmosferica che sembra risucchiare tutta la nebbia per risputarla nel nostro giardino.

In quel momento, infatti, la casa era coperta da un velo spettrale che ricordava un raduno di spiriti erranti.

Trascorsi la sera appollaiata su uno degli sgabelli della cucina, in compagnia dei compiti di algebra e di Santana, la nostra donna di servizio.

Mio padre lavora per la Casa d'aste Hugo Renaldi; coordina le aste immobiliari, antiquarie e automobilistiche della costa orientale e quella settimana si trovava nella parte settentrionale dello stato di New York. Il suo lavoro lo portava a viaggiare molto e lui pagava Santana perché cucinasse e pulisse, io però ero sicuro che tra le sue mansioni ce ne fosse anche una scritta in piccolo: tenermi d'occhio.

- Com'è andata a scuola? - chiese Santana con un leggero accento spagnolo. China sul lavello, strofinava una pirofila per staccare i resti delle lasagne.

- Ho un nuovo compagno di banco a biologia.

- E una cosa bella o brutta?

- Prima ero seduto con Mercedes.

- Bah! -. Santana si accanì sulla pirofila e la parte superiore del braccio prese a ballonzolarle. - Allora è una cosa brutta.

Annuii sospirando.

- Dimmi di questo nuovo compagno, che tipo è?

- È non molto alto, bruno e irritante -. E impenetrabile in un modo che mette i brividi. Gli occhi di Blaine erano due sfere di un colore indecifrabile che  assorbivano tutto e non rivelavano nulla.

Non che io volessi saperne di più.

Quello che avevo visto in superficie non mi era piaciuto, quindi dubitavo potesse piacermi ciò che si celava in profondità.

Peccato non fosse del tutto vero. In effetti, parecchio di quello che avevo visto mi era piaciuto.

I muscoli lunghi e asciutti delle braccia, le spalle larghe e aperte e il sorriso, allegro e seducente allo stesso tempo, per non parlare di quel culo…

Ero in conflitto con me stesso, perché cercavo di ignorare qualcosa che in realtà trovavo irresistibile.

 

 

Alle nove, Santana terminò il suo turno. Uscì e chiuse a chiave.

Come al solito, accesi e spensi le luci della veranda due volte: il saluto le arrivò anche attraverso quel mare di nebbia, perché mi rispose con un colpo di clacson.

Ero solo.

Passai in rassegna i sentimenti che mi agitavano.

Non avevo fame.

Non ero stanco.

In realtà non mi sentivo neanche tanto solo.

Ero solo un po' agitato per via del compito di scienze. Avevo detto a Blaine che non l'avrei chiamato e fino a sei ore prima lo pensavo davvero.

Adesso però riflettevo sul fatto che non volevo prendere un brutto voto.

Biologia era la materia che mi dava più problemi. I miei voti oscillavano pericolosamente il che, secondo me, faceva la differenza tra una futura borsa di

studio a copertura totale e una a copertura parziale.

Andai in cucina a prendere il telefono e mi guardai la mano per vedere cos'era rimasto dei sette numeri.

In fondo, speravo che Blaine non rispondesse. Se non l'avessi trovato o non avesse voluto collaborare, avrei potuto tornare alla carica con la coach per la disposizione dei posti.

Fiducioso, composi il numero.

Blaine rispose al terzo squillo. - Che c'è?

In tono asciutto, dissi: - Volevo sapere se possiamo vederci stasera. So che hai detto di essere occupato, ma...

- Kurt -. Blaine pronunciò il mio nome come se lo trovasse divertente. Una specie di barzelletta.

- Credevo non avresti chiamato. Davvero.

Odiavo rimangiarmi la parola e odiavo il fatto che lo sottolineasse. Odiavo la coach e i suoi compiti assurdi.

Aprii la bocca, sperando che ne uscisse qualcosa di intelligente. - Allora? Possiamo vederci o no?

- A quanto pare non posso.

- Non puoi o non vuoi?

- Sono nel bel mezzo di una partita a biliardo.- Il tono della voce tradì un sorriso. - Una partita molto importante.

Dal rumore di fondo, capii che stava dicendo la verità, per lo meno riguardo alla partita. Se poi fosse più importante del compito... be', quello era da dimostrare.

- Dove sei?

- Moe's Arcade. Non é il tuo genere di locale.

- Allora facciamo un'intervista telefonica. Ho qui un elenco di domande che...

Riattaccò.                

Restai a fissare il telefono incredulo, strappai un foglio bianco dal taccuino e scrissi  Stronzo.

Nella riga sotto aggiunsi: Fuma il sigaro. Morirà di cancro ai polmoni. Si spera presto. Forma fisica eccellente.

Cancellai l'ultima osservazione fino a renderla illeggibile.

L'orologio del microonde segnava le 21.05. A quel punto capii di avere due possibilità. Potevo inventarmi di sana pianta l'intervista con Blaine oppure prendere la macchina

e andare alla sala giochi.

La prima opzione avrebbe potuto essere allettante, se solo fossi riuscito a mettere a tacere la voce della coach che continuava a ripetere che avrebbe controllato la veridicità di tutte le risposte. E comunque quel poco che sapevo di Blaine non bastava per un'intervista, nemmeno fasulla.

E la seconda opzione? Neanche a parlarne.

Non riuscendo a decidere, alla fine chiamai mio padre.

Parte del nostro accordo riguardo al suo lavoro e al fatto che viaggi tanto prevede che io mi comporti in maniera responsabile e non sia il tipo di figlio che ha bisogno di essere controllato a vista.

Io amavo la mia libertà e non volevo fare nulla che lo costringesse a trovarsi un lavoro

pagato peggio, ma più vicino a casa, solo per potermi controllare.

Al quarto squillo, attaccò la segreteria.

- Sono io - dissi. - Volevo solo sapere come stai. Ho ancora dei compiti di biologia da fare e poi vado a dormire. Chiamami domani all'ora di pranzo, se vuoi. Ti voglio bene.-

Dopo aver riattaccato, trovai un quarto di dollaro nel cassetto della cucina.

Meglio lasciare le decisioni complicate al fato. - Testa, vado - dissi al profilo di George

Washington. - Croce, resto -.

Lanciai in aria la moneta, l'afferrai e la misi sul dorso della mano. Poi presi coraggio e diedi una sbirciatina. I battiti del mio cuore accelerarono, ma feci finta di non capire perché.

- La responsabilità non è più mia - dichiarai.

Deciso a chiudere la questione il prima possibile, presi al volo una cartina attaccata al frigo, affettai le chiavi, saltai sul mio suv e uscii in retromarcia dal garage.

Sarà anche stata una bella macchina, ma il marrone della carrozzeria non mi faceva impazzire e neanche la ruggine che si faceva strada sul parafango posteriore o

i sedili di pelle bianca screpolati.

La Moe's Arcade si rivelò più lontano del previsto: il locale si trovava a mezz'ora di viaggio.

Con la cartina ancora aperta sul volante, accostai e mi fermai nel parcheggio di un

grosso edificio di mattoni con l'insegna al neon: Moe's Arcade - sala giochi, paintball e biliardo. I muri erano rivestiti di graffiti e la strada davanti all'entrata coperta di mozziconi. Proprio il tipo di locale frequentato da studenti delle più prestigiose università e cittadini modello.

Cercai di mantenere un'aria sicura e disinvolta, ma ero un po' nervoso. Controllai di aver chiuso tutte le portiere dell'auto e mi decisi a entrare.

Mi misi in fila per superare le sbarre. Non appena il gruppo davanti a me ebbe pagato, mi infilai dentro, verso il labirinto di luci lampeggianti e suoni assordanti.

- Credi di poter entrare gratis? - gridò una voce arrochita dal fumo.

Mi voltai e lanciai uno sguardo ammiccante al cassiere, tatuato dalla testa ai piedi.

- Non sono qui per giocare, cerco una persona.

- Vuoi passare? Paga - grugnì lui appoggiando la mano aperta al banco. Attaccata con il nastro adesivo c'era la tabella con le tariffe; avrei dovuto pagare quindici dollari. In contanti.

Ovviamente non li avevo ma, anche se li avessi avuti, non li avrei sprecati per pochi minuti passati a intervistare Blaine. Fui preso da un attacco di rabbia per la storia dei posti in classe e, soprattutto, per il fatto di aver dovuto arrivare fin li. Dovevo solo trovare Blaine, poi saremmo usciti a compilare il questionario. Non avevo fatto tutta quella strada per niente.

- Se non torno tra due minuti, pago i quindici dollari - dissi. Senza riflettere o fare appello a quel briciolo di pazienza che mi era rimasta, feci una cosa assolutamente incredibile per me: mi abbassai e passai sotto le sbarre.

Non contento, iniziai a correre per tutta la sala giochi cercando Blaine. Non potevo credere a quello che stavo facendo, eppure, come in preda a un effetto valanga, continuavo ad acquistare velocità.

Volevo assolutamente trovare Blaine e uscire.

Il cassiere mi segui urlando: - Ehi! Ehi, tu!

 

 

Blaine non era al pianterreno, così mi precipitai di sotto, seguendo i cartelli che indicavano la sala da biliardo. In fondo alle scale vidi diversi tavoli da poker, tutti

occupati e illuminati da fioche lampade. Il soffitto era basso e coperto da uno strato di fumo, denso come la nebbia che avvolgeva casa mia.

Nascosti tra i tavoli da poker e il bar, vidi una fila di tavoli da biliardo. Blaine era allungato su quello più lontano da me e tentava un difficile tiro di sponda.

- Blaine! - gridai.

Lo chiamai proprio nell'istante in cui stava tirando. La stecca colpì il panno.

Blaine sollevò la testa e mi lanciò uno sguardo a metà tra lo stupito e l'incuriosito.

Nel frattempo il cassiere mi aveva raggiunto e mi afferrò per una spalla. - Di sopra. Subito.-

Le labbra di Blaine si piegarono in un mezzo sorriso, difficile dire se beffardo o amichevole. - Lui è con me.

Sembrò funzionare, perché il cassiere allentò la presa.

Prima che cambiasse idea, mi tolsi la sua mano di dosso e mi insinuai tra i tavoli. All'inizio deciso, ma poi, mano a mano che mi avvicinavo a lui, la mia sicurezza

iniziò a vacillare.

Mi ero accorto che in lui c'era qualcosa di diverso. Non avrei saputo dire cosa, ma lo avvertivo come una scossa elettrica.

Era più ostile?

Era più sicuro di sé.

Più libero di essere se stesso. E quegli occhi mi stavano addosso, come due calamite attirate da ogni mio movimento.

Deglutii, cercando di ignorare lo strano tip tap che ballava il mio stomaco. Non avrei saputo spiegare che cosa non andasse in lui, ma qualcosa c'era.

Qualcosa di sbagliato.

Qualcosa di poco... sicuro.

- Mi dispiace per prima - disse avvicinandosi. – Il telefono non prende bene qui sotto.-

Sì, come no.

Con un cenno del capo, ordinò agli altri di andarsene.

Segui un attimo di pesante silenzio, poi i suoi compagni si mossero. Uno di loro, passando, mi urtò la spalla; feci un passo indietro per non perdere l'equilibrio e alzai gli

occhi in tempo per intercettare gli sguardi glaciali degli altri due giocatori che si allontanavano.

Grandioso. Non era colpa mia se dovevo fare il compito con Blaine.

- Palla 8? - gli chiesi, sollevando le sopracciglia e cercando di sembrare a mio agio. Forse aveva ragione lui: non era il mio genere di posto. Questo però non voleva dire che me la sarei data a gambe. - Quant'è la posta?

Sorrise. E quella volta ero assolutamente sicura che mi prendesse in giro. - Non giochiamo per soldi.-

Posai la cartella sul bordo del tavolo. - Peccato. Avrei scommesso tutto quello che ho contro di te -. Tirai fuori il mio compito con le prime due righe già compilate.

-Solo qualche domanda veloce e me ne vado.

- Stronzo? - lesse Blaine a voce alta, appoggiato alla stecca. - Cancro ai polmoni? Cosa dovrebbe essere, una profezia?-

Sventolai il compito. - Sto solo ipotizzando che tu dia il tuo contributo all'atmosfera. Quanti sigari fumi in una sera? Uno? Due?-

- Io non fumo -. Sembrava sincero, ma non gli crederti.

- Mmm - dissi posando il foglio tra la palla 8 e quella viola. Senza volerlo, mentre scrivevo Sigari, senza dubbio nella terza riga, urtai la viola.

-Stai mandando all'aria la partita - disse Blaine senza smettere di sorridere.

I suoi occhi catturarono i miei e non potei fare a meno di ricambiare il sorriso, ma solo per un attimo. – Spero che fossi in vantaggio, allora. Il tuo sogno più grande? -.

Ero orgoglioso di quella domanda, perche sapevo che l'avrebbe messo in difficoltà. Non mi poteva rispondere soprappensiero.

- Baciarti.

- Non è divertente - dissi, sostenendo il suo sguardo e ringraziando me stesso per non aver balbettato.

- No, ma ti ha fatto arrossire.

Impassibile, almeno in apparenza, mi sedetti sulla sponda del tavolo, accavallai le gambe e usai il ginocchio come appoggio.

- Lavori?

- Faccio l'aiuto cameriere al Borderline, il miglior messicano della città.

- Religione?

Non sembrò sorpreso dalla domanda, ma neanche felicissimo di sentirsela fare.

- Credevo avessi detto solo qualche domanda veloce. Sono già quattro.

- Religione? - ripetei.

Blaine si accarezzò pensieroso la mascella. - Più che religione... setta.

- Appartieni a una setta? -. Mi resi conto troppo tardi di aver usato un tono sorpreso, e non avrei dovuto.

- A quanto pare, ho bisogno di un sacrificio. Avevo programmato di attirare il ragazzo in questione dopo aver conquistato la sua fiducia, quindi se ora sei pronto...

Dalla mia faccia sparì ogni traccia di sorriso. – Guarda che non mi impressioni.

- Non ho nemmeno iniziato a provarci.

Scesi dal tavolo e lo affrontai. Era un pò più alto di me.

- Mercedes mi ha detto che sei più grande di noi. Quante volte hai ripetuto il secondo anno di biologia? Una? Due?-

- Mercedes non è il mio portavoce.

- Stai negando di essere stato bocciato?

- Sto dicendo di non essere andato a scuola l'anno scorso - rispose in tono provocatorio, ma il risultato fu quello di farmi intestardire.

- Hai saltato la scuola?

Blaine appoggiò la stecca sul tavolo e con l'indice fece segno di avvicinarmi. Non mi mossi. - Vuoi sapere un segreto? - sussurrò.

- Non ero mai andato a scuola prima. Un altro segreto? Non è noiosa come credevo.-

Bugiardo.

Per legge, tutti dovevano andare a scuola.

Mentiva per farmi innervosire.

- Credi che stia mentendo - disse con un gran sorriso.

- Non sei mai andato a scuola? Mai? Se è vero e hai ragione, ma non lo credo, allora cos'è che ti ha fatto cambiare idea quest'anno?

-Tu.

Per un attimo cedetti all'istinto che mi suggeriva di avere paura, poi dissi a me stesso che era esattamente quello che voleva. Per quello non mi diedi per vinto e cercai invece di sembrare seccato.

Mi ci volle comunque un attimo per riacquistare coraggio e ribattere: - Bella risposta.

Doveva aver fatto un passo avanti, perché improvvisamente i nostri corpi si trovavano separati soltanto da un sottile velo d'aria.

- I tuoi occhi, Kurt. Occhi molto particolari, di ghiaccio con velature verdi, sorprendentemente irresistibili.- Piegò la testa di lato, come per studiarmi da un'angolazione diversa. - E quella bocca meravigliosamente carnosa.

Allarmato non tanto dal commento quanto dal fatto che una parte di me fosse stata colpita da quelle parole, arretrai. – Ora basta. Me ne vado.

Non appena pronunciai quelle parole, però, seppi che non erano sincere. Sentivo il bisogno di aggiungere qualcos'altro. Passai al vaglio i pensieri che mi agitavano la mente, cercando di capire che cosa dirgli.

Perché mi prendeva in giro in quel modo, e perchè si comportava come se avessi fatto qualcosa per meritarlo?

- Sembra che tu sappia molto su di me - dichiarai alla fine.

- Più di quanto dovresti. E che sappia esattamente cosa dire per mettermi a disagio. È facile.-

Fui assalito dalla rabbia. - Allora ammetti di farlo apposta?

- Cosa?

- Provocarmi.

- Dillo ancora. Provocarmi. Quando lo dici le tue labbra diventano provocanti.

-Abbiamo finito. Puoi tornare alla tua partita.- Afferrai la stecca che aveva poggiato sul tavolo e gliela porsi, ma lui non la prese.

-Non mi piace stare seduto accanto a te - dissi. - Non mi piace studiare con te. Non mi piace quel tuo sorrisetto malizioso.- Avevo la mascella contratta, il che mi succedeva ogni volta che mentivo.

Mi chiesi se lo stessi facendo anche in quel momento.

In quel caso, avrei voluto prendermi a calci. - Non mi piaci - conclusi cercando di essere il più convincente possibile, quindi gli puntai la stecca contro il petto.

- Sono contento che la coach ci abbia messo insieme – replicò lui. Notai una leggera ironia nel modo in cui pronunciava la parola coach, ma non riuscii a trovare nessun significato recondito.

Raccolse la stecca.

- Sto facendo in modo di cambiare le cose - ribattei.

A giudicare dal sorriso che sfoderò, trovava la mia frase molto divertente. Allungò una mano verso di me e, prima che riuscissi a spostarmi, mi sfilò qualcosa dai capelli.

- Un pezzetto di carta - spiegò. Con un movimento elegante lo lasciò cadere a terra. Fu allora che notai un segno sulla parte interna del polso.

 All'inizio pensai a un tatuaggio e invece, guardando meglio, mi accorsi che era una voglia rossiccia leggermente in rilievo, simile a una goccia di vernice.

- Posizione infelice per una voglia - dissi, parecchio infastidito dal fatto di averne una praticamente nello stesso punto.

Blaine si tirò giù la manica con noncuranza. – Preferiresti che fosse in un posto più intimo?

- Non la preferirei da nessuna parte -. Incerto sull'effetto che la frase avesse sortito, la riformulai. - Non mi importa che tu ce l'abbia o no -. Terzo tentativo. – Non m'importa niente della tua voglia. Punto.

- Altre domande? - chiese. - Commenti?

-No.

- Allora ci vediamo in classe.

Pensai di dirgli che non mi avrebbe rivisto mai più, ma non era il caso di rimangiarsi la parola due volte nello stesso giorno.

 

 

Quella notte fui svegliato da un rumore. Rimasi immobile, la faccia schiacciata sul cuscino, tutti i sensi all'erta.

Il lavoro di mio padre lo portava fuori città almeno una volta al mese, quindi ero abituato a dormire da solo.

Eppure, erano mesi che credevo di sentire un rumore di passi: partiva dall'ingresso e si avvicinava alla mia stanza.

Veramente non mi sentivo mai solo. Subito dopo la morte di mia madre, a cui avevano sparato a Westerville mentre comprava il regalo di compleanno per mio padre, una strana presenza era entrata nella mia vita. Era come se qualcuno orbitasse intorno al mio mondo e mi tenesse d'occhio da lontano.

All'inizio la presenza fantasma mi aveva spaventato, ma poi, vedendo che non succedeva niente di brutto, la mia ansia si era attenuata.

Avevo iniziato a chiedermi se le sensazioni che provavo facessero parte di un disegno cosmico.

Forse lo spirito di mia madre era nelle vicinanze. Di solito quel pensiero mi dava conforto, invece quella sera era diverso.

Avvertivo una presenza fredda come ghiaccio.

Girai un po' la testa e vidi una forma indistinta allungarsi sul pavimento. Mi misi a sedere di scatto e guardai verso la finestra, dalla quale penetrava un pallido raggio di luna.

Niente.

Mi strinsi al cuscino e dissi a me stesso che si trattava di una nuvola di passaggio, oppure di un sacchetto trasportato dal vento.

Tuttavia, ci vollero parecchi minuti perché il cuore riprendesse il suo battito normale.

Quando trovai il coraggio di alzarmi dal letto e di guardare fuori, il cortile su cui affacciava la mia finestra era tranquillo e silenzioso.

L'unico rumore proveniva dai rami dell'albero che strisciavano sul muro di casa e dal mio cuore che martellava nel petto. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma ccciao!!

Sono ancora io con un' altro capitolo.

Il nostro piccolo Kurt sta iniziando a capire di provare qualcosa per Blaine, ma non vuole ammetterlo..

Nel capitolo c'è Santana che fa la donna di servizio.. Really? Ho davvero scritto questo? Ho messo la bellissima ''Girl on fire'' a fare la domestica?

Ok, vi do il permesso di uccidermi.

 

Un anticipo dal prossimo capitolo?

Parleremo di misteri, di un (forse) incidente, di un (forse) pedinamento.. beh capirete poi di cosa parlo.

''- Cosa sai di lui?        

- Niente. E non voglio sapere niente.

 

- Oh, ma dai. Tu adori i misteri e credi che ce ne sia uno migliore di questo?''

 

Beh, che dire? Grazie a tutti quelli che stanno aggiungendo la storia alle 'seguite' e alle 'preferite'.

Aspetto i vostri commenti!! 

-Iris ;D

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Capitolo 4
*** -Scommetto che ti sta seguendo. (Cap. 3) ***


Iris: Questo capitolo è dedicato completamente alla mia Susie.

Perchè ogni volta che lo leggiamo, ridiamo come matte, senza un valido motivo. O forse si.

 

 

3 -Scommetto che ti sta seguendo.

 

 

La coach Beiste spiegava con voce monotona qualcosa alla lavagna, ma la mia mente era lontana mille miglia dalle complessità della scienza.

Ero occupato a formulare i motivi per cui Blaine e io non avremmo più dovuto studiare insieme e, a mano a mano che li individuavo, li trascrivevo sul retro di un vecchio questionario. Alla fine dell'ora sarei andato dalla coach per esporgli le mie le ragioni.

Non collabora ai compiti assegnati, avevo scritto.

Mostra poco interesse per il lavoro di squadra.

Tuttavia, erano le cose non presenti nell'elenco a infastidirmi di più. Trovavo strano che Blaine avesse una voglia proprio in quel punto del polso e l'ombra alla mia finestra, la notte prima, mi aveva spaventato.

All'inizio non avevo nemmeno sospettato che fosse stato Blaine a spiarmi, ma con il passare del tempo avevo trovato sempre più difficile ignorare la coincidenza che qualcuno mi spiasse dalla finestra poche ore dopo averlo incontrato.

Blaine mi spiava.

Quel pensiero fece correre la mano alla tasca anteriore dello zaino. Trovai un flacone. Lo aprii facendo uscire due pastiglie ricostituenti a base di ferro che mandai giù senz'acqua.

Si bloccarono un attimo in gola e poi andarono giù. Con la coda dell'occhio, vidi Blaine che mi guardava con aria interrogativa.

Presi in considerazione l'idea di spiegargli che ero anemico e che dovevo assumere ferro tutti i giorni, soprattutto quand'ero stressato, ma poi ci ripensai.

L'anemia non è pericolosa, sempre che si prendano dosi regolari di ferro. Non ero così paranoico da pensare che Blaine volesse farmi del male, ma le mie condizioni di salute erano comunque una debolezza e preferivo tenerla segreta.

- Kurt?

La coach era in piedi e la mano tesa indicava che stava aspettando qualcosa: la mia risposta. Sentii le guance diventare bollenti.

- Può ripetere la domanda? - chiesi. La classe ridacchiò.

Leggermente irritata, la coach disse: - Quali caratteristiche ti attraggono in un potenziale partner?

- Potenziale partner?

- Coraggio, non abbiamo tutto il pomeriggio.- Sentii la risatina di Mercedes alle mie spalle.

La voce mi si strozzò in gola. - Vuole che le elenchi le caratteristiche di un...

- ..Potenziale partner, si, sarebbe d'aiuto.-

Senza volerlo, lanciai un'occhiata di traverso a Blaine.

Era appoggiato alla spalliera della sedia, quasi stravaccato, e mi studiava soddisfatto. Sfoggiò il suo sorriso da canaglia e a fior di labbra disse: - Stiamo aspettando.

Appoggiai le mani sul banco, cercando di sembrare più tranquillo di quanto fossi. - Non ci ho mai pensato.

- Bene, allora pensaci, e alla svelta.

- Potrebbe chiedere prima a qualcun altro?

La coach fece un gesto impaziente alla mia sinistra.

- Blaine, tocca a te.

Diversamente da me. Blaine parlò con sicurezza. Ed era leggermente rivolto dalla mia parte, le ginocchia a pochi centimetri dalle mie.

- Intelligente. Attraente. Vulnerabile.

La coach scrisse gli aggettivi alla lavagna. - Vulnerabile?- ripetè. - In che senso?-

Mercedes intervenne. - Tutto questo c'entra qualcosa con il capitolo che stiamo studiando? Perché ho controllato il libro e da nessuna parte si legge di caratteristiche che ci attirano in un partner.-

La coach smise di scrivere. - Tutti gli animali del pianeta attirano i partner a scopo riproduttivo. Le rane gonfiano il corpo, i gorilla si battono il petto. Hai mai visto un maschio di aragosta alzarsi sulle zampe e aprire e chiudere le chele per attirare l'attenzione della femmina? L'attrazione è il primo elemento della riproduzione in tutte le specie animali, inclusa quella umana. Perché non ci fornisce il suo elenco, signorina Jones?-

Mercedes alzò la mano con le cinque dita aperte ed enumerò le sue preferenze, abbassando un dito alla volta. - Bellissimo, ricco, comprensivo, estremamente protettivo e appena un po' pericoloso.

Blaine sorrise. - Il problema dell'attrazione umana è che non si sa se sarà ricambiata.

- Eccellente osservazione - disse la coach.

- Gli umani sono vulnerabili - proseguì Blaine – perché possono essere feriti -. In quel momento, il ginocchio di Blaine urtò il mio. Mi scansai, imponendomi di non pensare a cosa avesse voluto alludere con quel gesto.

La coach annuì. - La complessità dell'attrazione e della riproduzione umana è una delle caratteristiche che ci differenziano dalle altre specie.

Mi sembrò che Blaine sbuffasse; era un suono talmente lieve, però, che non potevo esserne certo.

- Fin dalla notte dei tempi, le donne sono state attirate da compagni con spiccate caratteristiche legate alla sopravvivenza, come l'intelligenza e la forza fisica, perché uomini con queste qualità hanno più probabilità di portare a casa la cena a fine giornata.- La coach sollevò il pollice e sogghignò. - Cena equivale a sopravvivenza, squadra.

Nessuno rise.

- Allo stesso modo, - proseguì - gli uomini sono attratti dalla bellezza perché è indice di salute e giovinezza e non ha senso accoppiarsi con una donna malaticcia incapace di crescere dei figli.- Si spinse gli occhiali sul naso e ridacchiò.

- Ê una teoria cosi sessista! - protestò Mercedes. - Mi parli di qualcosa che riguardi le donne,le persone del ventunesimo secolo. Lo sa che viviamo in una società dove gay, lesbiche e bisessuali sono all’ordine del giorno?-

- Purtroppo lo so. Se esamina la riproduzione dal punto di vista scientifico, signorina Jones, vedrà che i figli sono la chiave della sopravvivenza della nostra specie. E più figli facciamo, maggiore sarà il nostro contributo al pool genetico.

- A quanto pare siamo finalmente arrivati all'argomento di oggi. Il sesso - disse la mia amica, sicuramente alzando gli occhi al cielo, e sussurrò ‘’omofobo’’.

- Non ancora - dichiarò la coach. - Prima del sesso viene l'attrazione e dopo l'attrazione viene il linguaggio del corpo. Bisogna comunicare a un potenziale compagno «sono interessata» ma con meno parole.-

Poi il suo dito indice puntò qualcosa vicino a me.

- Allora, Blaine. Diciamo che sei a una festa, la stanza è piena di ragazze. Bionde, castane, rosse e brune. Alcune sono loquaci, altre sembrano timide. Hai trovato una ragazza che corrisponde al tuo profilo: attraente, intelligente e vulnerabile. Come le fai capire che sei interessato a lei?-

- Sa che sono gay e non sono attratto dalle ragazze, vero?

-Si, ma è la stessa cosa con i ragazzi, no?

-Un po’. Comunque, mi avvicino e gli parlo.

- Bene. Ora viene la parte più difficile: come fai a sapere se lei/lui ne tuo caso è interessato a te o vuole che te ne vada?-

- Lo studio - rispose Blaine. - Cerco di capire a che cosa sta pensando e quali emozioni prova. Non verrà certo a dirmelo, quindi devo fare attenzione. Si avvicina? Mi fissa negli occhi e poi distoglie lo sguardo? Si morde le labbra e gioca con i capelli come sta facendo Kurt adesso?-

Nell'aula risuonò una risata collettiva. Le mani mi ricaddero sulle ginocchia.

- È interessato - dichiarò Blaine rifilandomi un altro colpetto con il ginocchio. A quel punto, avvampai.

- Bene! Molto bene! - esclamò la coach, soddisfatta che tutta la classe fosse così attenta.

I vasi sanguigni del viso di Kurt si dilatano e la pelle si riscalda - disse Blaine. - Sa di essere sotto esame. Gli piace ricevere attenzioni, ma non sa come gestirle.

- Non sto arrossendo.

- È nervoso - continuò Blaine. - Si accarezza il braccio per allontanare l'attenzione dal viso e spostarla sul corpo o sulla pelle perchè sono i suoi punti forti.

Mi sentii soffocare. «Sta scherzando» pensai. «No. È pazzo.» Non ci sapevo fare con i matti, e si vedeva. Di sicuro ero rimasto tutto il tempo a fissarlo a bocca aperta. Se volevo illudermi di poter gestire il rapporto con lui, dovevo cambiare approccio.

Aprii le mani sul banco, alzai il mento e assunsi l'aria di uno a cui e rimasto un briciolo di dignità. - Tutto questo è ridicolo.

Blaine stese il braccio e lo appoggiò allo schienale della mia sedia. Avevo la strana sensazione che si trattasse di un gesto alto stesso tempo allusivo e minaccioso, rivolto esclusivamente a me, quasi non si rendesse conto né gli importasse di come avrebbe reagito la classe. E in effetti i nostri compagni risero, ma lui sembrò non sentirli. Mi guardava negli occhi e io mi convinsi che volesse ritagliare un piccolo mondo privato solo nostro, impenetrabile per chiunque altro.

Sulle sue labbra lessi la parola "vulnerabile".

Usai le caviglie per agganciare le gambe della sedia e mi spostai di scatto. Sentii il suo braccio cadere dalla spalliera.

Non ero vulnerabile.

- Ed ecco a voi - disse a un tratto la coach - la biologia in azione!

- Adesso possiamo parlare di sesso per favore? -chiese Mercedes.

- Domani. Intanto leggete il capitolo sette e preparatevi perché discuteremo per prima cosa di quello.

 

 

La campanella suonò e Blaine si alzò facendo strisciare la sedia. - E stato divertente, dobbiamo rifarlo -. Prima che riuscissi a dire qualcosa di meglio di «No, grazie» lui era sparito fuori dalla porta.

- Voglio presentare una petizione per far licenziare la coach - disse Mercedes avvicinandoti al mio banco. - Cos'era la lezione di oggi? Pornografia annacquata?

Praticamente ha messo te e Blaine su un tavolo da laboratorio, nudi e in posizione orizzontale a commettere il Fattaccio.-

La fulminai con un'occhiata che diceva «Ti sembra che abbia voglia di una replica?».

- Okay, okay - disse Mercedes facendo un passo indietro.

- Devo parlare con la coach. Ci vediamo davanti al tuo armadietto tra dieci minuti.

-Va bene.

Mi avviai alla cattedra.

La coach era curva su un libro di schemi di basket. A uno sguardo distratto, con tutte quelle X e O, si poteva pensare che stesse giocando a tris.

- Ciao Kurt - disse senza alzare lo sguardo. - Cosa posso fare per te?

- Sono qui per informarla che la nuova disposizione dei posti e questo tipo di lezione mi mettono a disagio.

La coach si appoggiò alla sedia, le mani incrociale dietro la testa. - Mi piace la disposizione dei posti. Quasi quanto mi piace questo nuovo schema; lo utilizzerò nella partita di sabato.-

Tirai fuori una copia del codice di etici professionale e dei diritti degli studenti e ce l'appoggiai sopra.

- Secondo il codice applicato in questa scuola, nessuno studente dovrebbe sentirsi minacciato all'interno degli edifici scolastici.

- Ti senti minacciato?

- Mi sento a disagio. E vorrei proporle una soluzione.- Visto che non ero stato interrotto, presi un bel respiro e continuai. - Farò da tutor a qualsiasi studente di una qualsiasi delle sue classi di scienze... se mi rimette vicino a Mercedes.

- Blaine avrebbe bisogno di un tutor.

Strinsi i denti. - Così torniamo al punto di partenza.

- Hai visto come partecipava alla discussione oggi? Non gli ho mai sentito dire una parola per tutto l'anno, poi lo metto accanto a te e... tombola! I suoi voti miglioreranno di sicuro.

- Quelli di Mercedes peggioreranno.

- Il che accade quando non si possono copiare le risposte del compagno di banco - disse in modo asciutto.

- Il problema di Mercedes e che non si applica. Gli farò da tutor.

- Niente da fare -. Diede un'occhiata all'orologio e aggiunse: - Faccio tardi a una riunione. Abbiamo finito?-

Cercai disperatamente di aggrapparmi a qualcosa, ma avevo esaurito tutti gli argomenti.

- Lasciamo passare qualche altra settimana. Oh, e guarda che dicevo sul serio riguardo a Blaine. Vorrei che fossi il suo tutor. Ci conto Kurt.- non aspettò la risposta.

Fischiettando il ritornello di Jeopardy, uscì.

 

 

 

Infreddolito, tirai su la lampo del giaccone sotto un cielo di un cupo blu inchiostro. Erano le sette di sera e insieme a Mercedes ero diretto al parcheggio del cinema dove avevamo visto Il Sacrificio. Recensire film per l'e-zine era compito mio e, dal momento che avevo già visto tutti i film in programmazione, avevamo dovuto accontentarci di un horror.

- È il film più assurdo che abbia mai visto - brontolò lei.

- Diamoci una regola: non vedremo più niente che si avvicini anche lontanamente a un horror.

Ah, per me andava benissimo. Vedere fino alla fine un film su un molestatore, sapendo che qualcuno aveva passato la notte scorsa appostato dietro la mia finestra, mi aveva fatto diventare un po' paranoico.

- Ci pensi? - riprese Mercedes. - Passare tutta la vita senza sapere che l'unica ragione della propria esistenza e essere usata come sacrificio umano?-

Rabbrividimmo.

- E quella storia dell'altare? - continuò. Io avrei più volentieri parlato del ciclo di vita dei funghi piuttosto che di quel film, ma la mia amica sembrava ignorarlo.

- Perché il cattivo arroventa la pietra prima di legarci sopra la ragazza? Quando ho sentito la carne sfrigolare...

- Okay! - la fermai, praticamente urlando. – Adesso dove andiamo?

- Posso dire solo un'ultima cosa? Se mai qualcuno mi baciasse in quel modo, mi verrebbero i conati di vomito.

La parola ripugnante non esprime fino in fondo quello che faceva con la bocca. - Era solo trucco, vero? Nessuno ha davvero una bocca come quella.-

- Devo fare la recensione entro mezzanotte - la interruppi.

- Ah, già. Allora andiamo in biblioteca? -. Mercedes aprì le portiere della sua Dodge Neon del 1995. - Sei molto antipatico, sai?

Scivolai sul sedile del passeggero. - Colpa del film -. Colpa del guardone che c'era alla mia finestra la notte prima.

- Non intendo solo stasera. Ho notato - disse, mentre le sue labbra prendevano una piega maliziosa - che negli ultimi due giorni, per l'esattezza dopo la lezione di biologia, sei stato stranamente intrattabile per almeno mezz'ora.

Facile anche questa.

-Colpa di Blaine.

Mercedes sistemò lo specchietto retrovisore per potersi guardare i denti. Ci passò sopra la lingua e rivolse a se stessa un sorriso. - Devo ammetterlo, il suo lato oscuro mi attira.-

Non avrei mai voluto ammetterlo, ma Mercedes non era la sola.

Anch'io mi sentivo attratta da Blaine come mai prima d'ora.

Tra noi esisteva un misterioso magnetismo. Vicino a lui mi sentivo sull'orlo di un precipizio con l'impressione che, da un momento all'altro, lui potesse spingermi giù.

- Sentirtelo dire mi fa... - mi fermai a riflettere su che cosa, di preciso, la nostra comune attrazione verso Blaine mi ispirasse. Niente di piacevole.

- Non pensi che sia bellissimo? Dimmelo, - intervenne Mercedes, gli piaceva Blaine, anche se era gay, lei non se ne faceva di certo un problema, se l’occasione glielo avrebbe permesso, lei ci avrebbe provato - e io ti prometto che non pronuncerò mai più il suo nome. -

Accesi la radio. Sicuramente c'era qualcosa di meglio da fare che rovinarci la serata invitando Blaine a uscire con noi, anche solo in forma incorporea.

Stare seduto accanto a lui per un'ora tutti i giorni, cinque giorni la settimana, era già molto più di quanto riuscissi a reggere. Non avrebbe avuto anche le mie serate.

- Allora? - mi incalzò Mercedes.

- Sarà anche bello, ma io sarei l'ultima persona ad accorgermene. Mi spiace, ma il mio giudizio è viziato.

- In che senso?

- Nel senso che non riesco a vedere oltre il suo carattere e anche la bellezza più incredibile non riuscirebbe a compensarlo.-

- Non è solo una questione di bellezza. É... un tipo deciso. Sexy.-

Alzai gli occhi al ciclo.

Un'automobile ci tagliò la strada costringendo Mercedes a inchiodare suonando il clacson. - Che c'è? Non sei d'accordo oppure il tipo bello e dannato non è il tuo genere?

- Non ho un tipo - risposi. - E non sto facendo il difficile.

Mercedes rise. - Tesoro, tu sei più che difficile: sei incontentabile.

- Impossibile.

-L'elenco dei ragazzi della scuola di cui potresti innamorarti, non solo perché non ci sono molti gay, ma è piccolo come uno dei microrganismi della coach.

- Non è vero.- Replicai senza riflettere. Eppure, persino alle mie orecchie quella frase suonava falsa.

Stavo dicendo la verità?

Non avevo mai provato interesse per nessuno.

Ero strano?

- I ragazzi non c'entrano, c'entra... l'amore. Non mi sono mai innamorato.

- Qui non si parla d'amore, - obiettò Mercedes - ma di divertimento.

Sollevai le sopracciglia, perplessa. - Baciare un tipo che non conosco... di cui non m'importa... è divertente?

- Non sei stato attento a biologia, eh? Non stiamo parlando solo di baci.

- Oh - esclamai.

- Vuoi sapere chi sarebbe davvero giusto?

- Giusto?

- Giusto - ripetè con un sorrisetto sfacciato.

-Non ci tengo a saperlo.

- Il tuo partner.

- Partner ha una connotazione positiva - protestai. - Quindi, Blaine non è il mio partner.

Mercedes si infilò in un posteggio vicino all'entrata della biblioteca spense il motore. - Hai mai immaginato di baciarlo? L'hai mai guardato di nascosto sognando di saltargli addosso e premere le tue labbra sulle sue?.- La fissai, sperando di apparire adeguatamente inorridito.

- Perché, tu si?

La mia amica si limitò a sogghignare.

Cercai di immaginare la reazione di Blaine. Nonostante lo conoscessi così poco, potevo quasi toccare l'avversione che provava nei confronti di Mercedes, non solo perché era gay, ma a quanto pare Mercedes non gli andava a genio.

- Non è abbastanza per te, ed è gay - dissi entrando nella biblioteca.

- Attento, così non fai che spingermi verso di lui. E poi mi divertirei a convertirlo.-

 

 

Scegliemmo un tavolo al pianterreno, vicino al settore narrativa per adulti.

Aprii il computer portatile e scrissi: Il sacrificio, due stelle e mezzo.

Due e mezzo probabilmente era un voto un po' basso, ma avevo un sacco di cose per la testa e non mi sentivo particolarmente imparziale.

Mercedes aprì una confezione di mele disidratate. - Ne vuoi un po'?

- Grazie, non ho fame.

Sbirciò dentro il sacchetto. - Se non le mangi tu, dovrò farlo io. E non ne ho proprio voglia.-

Mercedes stava seguendo la dieta dei colori: tre frutti rossi al giorno, due blu, una manciata di verdi...

Tirò fuori una fettina di mela e la esaminò attentamente.

- Colore? - chiesi.

- Verdina. Credo.

 

 

In quel momento Quinn Fadray, l'unica studentessa del secondo anno nella storia del  McKinley High a essere diventata cheerleader in una squadra universitaria, si sedette al nostro tavolo.

I capelli biondo tiziano erano raccolti in due codini bassi e la pelle del viso era, come sempre, nascosta sotto mezza boccetta di fondotinta. La prova? Non c'era una sola lentiggine in vista e io non vedevo le lentiggini di Quinn dalla seconda media, anno in cui aveva scoperto i prodotti Mary Kay.

Tra la fine della gonna e l'inizio della biancheria intima, sempre che la indossasse, c'erano al massimo due centimetri.

- Ciao Tagliaforte - disse a Mercedes.

- Ciao Mezzosgorbio - rispose lei.

- Mia madre sta cercando delle modelle per questo fine settimana. La paga è nove dollari l'ora. Pensavo potesse interessarti.

La madre dì Quinn gestisce un negozio di abbigliamento. Durante il fine settimana paga la figlia e il resto delle cheerleader per stare in vetrina in mutande e reggiseno.

- Non riesce a trovare modelle per le taglie forti – disse Quinn.

- Hai del cibo tra i denti - replicò Mercedes. - Proprio fra gli incisivi. Sembra cioccolato... probabilmente del lassativo che prendi continuamente.

Quinn si passò la lingua sui denti e schizzò via. Si allontanò sculettando, mentre Mercedes si metteva due dita in bocca e faceva finta di vomitare.

- Le è andata bene che siamo in biblioteca – ringhiò Mercedes. - Deve sperare di non incrociarmi in un vicolo buio. È la tua ultima possibilità: ne vuoi?-

- No, grazie.

Mercedes andò a buttare via le mele. Qualche minuto dopo tornò con un romanzo rosa; si sedette accanto a me e, mostrandomi la copertina, disse: - Un giorno queste qui saremo noi. Avvinghiati a cow-boy mezzi svestiti. Chissà cosa si prova a baciare labbra cotte dal sole e incrostate di fango.

- Mmm... fantastico - mormorai, continuando a scrivere.

- A proposito di fantastico - esclamò con un tono inaspettatamente alto. - C'è il tuo tipo.-

Smisi di scrivere, sbirciai da sopra il computer e il cuore perse un battito.

Blaine era dall'altra parte della stanza, in fila per restituire un libro. Come se avesse avvertito il mio sguardo, si voltò.

Ci fissammo per uno, due, tre secondi. Distolsi lo sguardo per primo, ma non senza avere ricevuto un sorriso.

Il cuore continuava a fare i capricci, per quanto mi imponessi di riprenderne il controllo. Non avrei lasciato che accadesse, non con Blaine, non finché fossi stato nel pieno possesso delle mie facoltà mentali.

- Andiamo - dissi a Mercedes. Chiusi il portatile e lo infilai nella custodia. Cercai di ficcare i libri nello zaino, ma alcuni caddero a terra.

- Sto cercando di leggere il titolo del libro che ha in mano... - stava dicendo Mercedes. - Aspetta... "Il manuale del molestatore".

- Figurati se sta restituendo davvero un libro con quel titolo! - esclamai, ma non ne ero affatto sicuro.

- Mah, quello oppure "Come sprizzare sensualità senza neanche volerlo".

- Shh! - sibilai.

- Calmati, non può sentirci. Sta parlando con la bibliotecaria -. Controllai che fosse vero, solo per rendermi conto che, se fossimo andati via in quel momento, probabilmente l'avremmo incontrato all'uscita. E allora avrei dovuto dirgli qualcosa. Mi rimisi a sedere e cominciai a rovistare nelle tasche aspettando che Blaine se ne andasse.

- Non ti fa venire i brividi? Lui è qui proprio nello stesso momento in cui ci siamo noi - disse Blaine.

- A te si?

- Credo che ti segua.

- Ê una coincidenza -. Be', non era proprio così. Se avessi dovuto compilare una lista con i posti in cui mi sarei aspettato di trovare Blaine di sera, la biblioteca pubblica non sarebbe stata tra i primi dieci.

Neanche tra i primi cento. Che cosa ci faceva lì?

Dopo l'esperienza dello sconosciuto alla finestra, quella domanda assumeva un tono davvero inquietante. Non l'avevo raccontato a Mercedes perchè speravo che il ricordo

si sarebbe rimpicciolito fino a sparire, come se non fosse mai accaduto. Punto.

- Blaine! -. Mercedes si era voltata verso di lui e sussurrava: - Vuoi molestare Kurt?

Le tappai la bocca con la mano. - Smettila. Dico davvero - le intimai.

- Scommetto che ti sta seguendo - insistette lei dopo essersi liberata dalla mia mano. - Scommetto che l'ha già fatto in passato e che ha un'ingiunzione restrittiva. Dovremmo intrufolarci in segreteria, sicuramente è tutto scritto nel suo fascicolo.-

- Non ci intrufoleremo da nessuna parte.

- Potrei creare un diversivo. Sono brava con i diversivi. Nessuno ti vedrebbe entrare, agiremmo da perfette spie.

- Noi non siamo spie.

- Conosci il suo cognome? - chiese Mercedes. -No.

- Cosa sai di lui?        

- Niente. E non voglio sapere niente.

- Oh, ma dai. Tu adori i misteri e credi che ce ne sia uno migliore di questo?

- I misteri migliori richiedono un cadavere e noi non abbiamo un cadavere.

- Non ancora! - strillò Mercedes.

Presi due pastiglie di ferro dalla boccetta che avevo nello zaino e le ingoiai in un colpo solo.

 

 

 

 

L'auto di Mercedes entrò sobbalzando nel vialetto di casa sua subito dopo le nove e trenta. Lei spense il motore, tolse le chiavi e me le consegnò.

- Non mi accompagni a casa? - chiesi. Fiato sprecato, tanto conoscevo già la risposta.

- C'è nebbia.

- Nebbia a banchi. Come quelli che mi rovinano la vita.-

Mercedes sorrise. - Accidenti, ce l'hai sempre in mente! Ti capisco, intendiamoci. Per quanto mi riguarda, spero di sognarlo stanotte.-

Che schifo.

- La nebbia è sempre più fitta a casa tua – prosegui Mercedes. - E con il buio mi manda fuori di testa.-

Afferrai le chiavi. - Tante grazie.

- Guarda che non è colpa mia. Di' a tuo padre di trasferirsi. Raccontagli di questo nuovo club chiamato civiltà al quale dovreste iscrivervi.-

- Quindi suppongo di doverti passare a prendere per andare a scuola?-

- Sette e mezza andrebbe bene. Ti offro la colazione.

- E che sia buona.

- Sii gentile con la mia bimba -. Diede un colpetto affettuoso al cruscotto della macchina. - Ma non troppo, non deve pensare che qualcuno possa trattarla meglio di me.-

 

 

 

Durante il viaggio, lasciai i pensieri liberi di vagare in zona Blaine.

Mercedes aveva ragione: c'era qualcosa di incredibilmente seducente in lui e... qualcosa che metteva i brividi.

Più ci pensavo, più mi convincevo che c'era qualcosa in lui di... guasto. Il fatto che gli piacesse infastidirmi non significava nulla, però c'era differenza fra darmi noia in classe e, presumibilmente, seguirmi in biblioteca. In pochi si prenderebbero tanto disturbo senza un'ottima ragione per farlo.

 

 

 

Ero a metà strada quando iniziò a piovere. Con un occhio alla strada e l'altro ai comandi sul volante, cercai di localizzare la leva dei tergicristalli.

Le luci dei lampioni tremolarono e mi domandai se non fosse in arrivo un temporale. Qui il tempo cambia continuamente e un acquazzone poteva trasformarsi all'improvviso in un'alluvione.

Accelerai.

Le luci vacillarono di nuovo. Avvertii un formicolio alla nuca e mi si rizzarono i peli sulle braccia. Il mio sesto senso era in stato di massima allerta. Mi chiesi se qualcuno mi stesse seguendo, ma non c'erano fari nello specchietto retrovisore. Niente automobili nemmeno davanti.

Ero solo.

Non era un pensiero confortante, così spinsi sul pedale dell'acceleratore.

Finalmente trovai i tergicristalli, ma nemmeno alla massima velocità riuscivano ad avere la meglio sulla pioggia.

A uno stop rallentai fino a fermarmi, controllai che la strada fosse libera e mi immisi nell'incrocio.

Sentii l'impatto prima ancora di accorgermi della sagoma nera che atterrava sul cofano.

Urlai e pigiai il freno.

La sagoma colpi di schianto il parabrezza con un boato di vetri in frantumi.

D'impulso sterzai a destra.

La Neon slittò e girò su se stessa attraversando l'incrocio.

La sagoma rotolò attraverso il cofano e cadde a terra.

Aggrappato al volante, le nocche bianche, trattenevo il respiro. Sollevai i piedi dai pedali e l'automobile, con un sobbalzo, si spense.

Acquattato a qualche metro da me, mi osservava.

Non sembrava affatto... ferito.

Era vestito di nero, tanto da fondersi con la notte, senza lasciar intuire niente del suo aspetto. Non riuscivo a distinguere i lineamenti del volto, poi mi resi conto che

indossava un passamontagna.

Si alzò in piedi, percorse la distanza che ci separava e batté le mani sul finestrino.

I nostri sguardi s'incontrarono attraverso i fori del passamontagna.

E, per un istante, mi sembrò che nei suoi occhi balenasse un sorriso pericoloso.

Diede un altra botta al vetro, che vibrò.

Misi in moto sforzandomi di sincronizzare i movimenti: inserire la prima, schiacciare l'acceleratore e sollevare lentamente il pedale della frizione. Il motore andò su di giri, ma l'auto sobbalzò di nuovo e si spense.

Girai ancora la chiave nel quadro, ma venni distratto da uno sgradevole cigolio metallico.

Vidi con orrore che la portiera si apriva.

Stava cercando di... strapparla.

Ingranai la prima. Le scarpe scivolarono sui pedali. Il motore ruggì, la lancetta del contagiri si impennò.

Un'esplosione di vetri accompagnò il suo pugno attraverso il finestrino.

La mano si mosse a tentoni sulla mia spalla, mi afferrò il braccio.

Urlai, schiacciai il pedale dell'acceleratore e mollai la frizione.

La Neon si mosse, odore di gomma bruciata. Aggrappato al mio braccio, lui corse accanto all'auto per diversi metri prima di lasciare la presa.

Spinta dall'adrenalina mi allontanai a tutta velocità.

Controllai nello specchietto che non mi stesse seguendo, le labbra serrate per non scoppiare a piangere.

 

 

 

 

 

Ma Cccciaoo!

Eccoci con un'altro capitolo. Avete visto? Qui fa la sua apparizione Quinn. Mentre il nostro Kurt è sempre più attratto da Blaine ma si ostina a credere il contrario.

Vi ricordate che nello scorso capitolo vi dissi che ora avremmo parlato di un (forse) pedinamento e di un (forse) incidente? Beh, l'incidente c0è stato ma per il ''forse''..... capirete poi cosa intendo.

Chi mai sarà la persona che il nostro Kurt ha investito?

LUI. Siamo sicuri che è un lui?  Hehehehe *ghigno malizioso*

VI DO IL PERMESSO DI ODIARMI.

 

Grazie a tutti quelli che stanno aggiungendo la storia alle 'seguite' e alle 'preferite'.

Aspetto i vostri commenti!!

-Iris ;D

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Capitolo 5
*** Maglione verde. (Cap. 4) ''Non siamo.. compatibili'' ***


4 -Maglione Verde.

       Non siamo... compatibili.

 

 

 

 

 

Sfrecciai dritto senza vedere davvero dove andavo, superai casa mia, quindi feci inversione e tornai indietro verso il centro. Chiamai Mercedes.

- E’ successa una cosa... io... lui... non c'era... la Neon...

- Stai dando i numeri. Che c'è?

Mi asciugai il naso con il dorso della mano.

Tremavo.

 -È sbucato dal nulla.

-Chi?

Cercai di raccogliere i pensieri e incanalarli in un flusso di parole. - Mi è comparso davanti!

- Cavoli. Cavoli, cavoli, cavoli. Hai investito un cervo? Ti sei fatto male? Bambi come sta? -. Poi emise un suono a metà tra un ululato e un gemito. - La Neon?

Aprii la bocca, ma Mercedes mi interruppe.

- Non pensarci, sono assicurata. Dimmi solo che la mia bimba non è tutta coperta di brandelli di cervo. Niente brandelli di cervo, vero?

Qualsiasi risposta stessi per dare a Mercedes svanì.

La mente galoppava veloce.

Un cervo.

Forse avrei potuto raccontare che avevo investito un cervo.

Volevo confidarmi con Mercedes, ma allo stesso tempo non volevo passare per pazzo. Come spiegarle di aver visto il tipo che avevo appena investito alzarsi in piedi e iniziate a strappare la portiera dell'auto?

Abbassai il colletto fino alla spalla e controllai: non si vedevano segni rossi nel punto in cui mi aveva afferrato.

Tornai in me con un sussulto.

Davvero stavo prendendo in considerazione l'idea di negare l'accaduto?

Io ero sicuro di quello che avevo visto, non l'avevo immaginato.

- Oh, cavolo - disse Mercedes. - Non hai risposto. È incastrato tra i fanali, vero? Te ne vai in giro con un cervo incastrato nel cofano a mo' di spazzaneve.

- Posso dormire da te? - Volevo solo togliermi dalla strada, dal buio. Improvvisamente, mi resi conto che per arrivare da Mercedes dovevo ripassare da quell'incrocio, e mi mancò l'aria.

- Vieni pure, ti aspetto - disse Mercedes. - Sono in camera mia.

Con le mani salde sul volante, avanzai nella pioggia pregando di trovare verde all'incrocio.

Fui esaudito e passai a tavoletta, lo sguardo fisso davanti a me, se si escludono le continue occhiate ai lati della strada.

Del tizio con il passa-montagna nessuna traccia.

 

Dieci minuti dopo parcheggiavo davanti a casa di Mercedes. Il danno alla portiera era notevole, tanto che per uscire dovetti prenderla a calci. Poi corsi fino alla porta d'ingresso, mi rifugiai dentro e scesi in fretta le scale che portavano al seminterrato.

Mercedes era seduta sul letto a gambe incrociate, con il portatile sulle ginocchia e gli auricolari collegati all'iPod. -Che faccio, vado a vederli subito i danni o è meglio rimandare a dopo una buona notte di sonno? - gridò, perché ascoltava musica a tutto volume.

- Forse e meglio rimandare.

Mercedes chiuse di scatto il portatile e si tolse gli auricolari. -No, togliamoci il pensiero.-

 

Una volta fuori casa, restai imbambolato a fissare la Neon. La serata non era calda, ma nemmeno tanto fredda da giustificare la pelle d'oca.

 

Niente finestrino frantumato.

Niente portiera scardinata.

 

- C'è qualcosa che non va... - dissi, ma Mercedes non stava ascoltando, troppo impegnata a esaminare ogni centimetro della sua auto.

Feci qualche passo avanti e toccai il finestrino.

Il vetro era intatto.

Chiusi gli occhi e, quando li riaprii, il finestrino era ancora senza un graffio.

Feci il giro dell'auto. Avevo quasi terminato quando, all'improvviso, mi fermai.

Il parabrezza era scheggiato proprio nel centro.

- Sei sicura che non fosse uno scoiattolo? - disse Mercedes.

Ripensai agli occhi dietro il passamontagna.

Erano incolore, non riuscivo bene a distinguerne il colore, ma potrei giurare di aver visto qualcosa simile al miele..

Miele.

Ambra come... quelli di Blaine.

- Guardami, sto piangendo di gioia- Sdraiata sul cofano, le braccia aperte come ad abbracciarlo, strillava: - Solo una minuscola incrinatura!

Sfoderai un bel sorriso, anche se avevo lo stomaco sottosopra. Solo cinque minuti prima il finestrino era in frantumi e la portiera divelta. In quel momento, invece, sembrava impossibile.

Anzi no, sembrava folle.

Io però avevo visto il pugno sfondare il finestrino, avevo sentito le sue dita affondarmi nella spalla.

O no?

 

Più cercavo di rievocare l'incidente, meno riuscivo a ricordare. Frammenti di informazioni mancanti ostacolavano il flusso della memoria.

I dettagli svanivano.

Era alto o basso?

Magro o robusto?

Aveva detto qualcosa?

Non riuscivo a ricordare. Era quella la cosa più spaventosa.

 

 

 

La mattina seguente, Mercedes e io uscimmo di casa alle sette e un quarto. A bordo della Neon praticamente perfetta, raggiungemmo il Lima Bean per una colazione a base di cappuccino.

Le mani strette intorno alla tazza bollente, cercavo di sciogliere il gelo che sentivo dentro. Sapevo di aver fatto la doccia, di aver indossato una camicia e un cardigan che avevo rimasto da Mercedes per i nostri pigiama party e di essermi anche passato un po' di crema idratante, ma mi ricordavo a malapena di averlo fatto.

- Non voltarti – disse Mercedes - ma maglione verde continua a guardare da questa parte e sembra apprezzare le gambe che nascondi dentro i jeans... Oh! Mi ha appena salutata. Non sto scherzando. Un breve saluto militare, con due dita. Che carino!-

Non stavo ascoltando.

Per tutta la notte, avevo rivisto nella testa l'incidente della sera prima, mandando in fumo ogni tentativo di dormire. Avevo le idee confuse, gli occhi secchi, le palpebre pesanti e non riuscivo a concentrarmi.

- Il tipo con i capelli corti sembra un tipo normale, mentre il suo amico ha l'aria dell'incorreggibile cattivo ragazzo - continuò Mercedes. - Sembra voler dire: "Statemi alla larga". Dimmi che non somiglia al figlio di Dracula. Dimmi che mi sto facendo prendere dall'immaginazione.-

Alzai gli occhi quel tanto che bastava per guardare il tizio senza che se ne accorgesse. Viso bello e delicato.

Capelli biondo che gli ricadevano sulle spalle. Occhi color cromo. Non aveva un filo di barba e indossava una giacca impeccabile sopra il maglione e un paio di jeans scuri firmati. Dissi: - Ti stai facendo prendere dall'immaginazione.-

- Ma non hai visto gli occhi infossati, l'attaccatura dei capelli a punta, il fisico alto e allampanato? Potrebbe addirittura essere abbastanza alto per me.-

Mercedes e alta quasi un metro e ottanta, ma ha la fissa dei tacchi alti. E ha anche la fissa di non voler uscire con ragazzi più bassi di lei.

- Okay, cosa c'è che non va? - chiese Mercedes. - Hai chiuso le comunicazioni. Non è per il parabrezza scheggiato, giusto? È perché hai investito un animale? Ma può capitare a tutti. Certo, se tuo padre traslocasse dalla landa desolata, le possibilità si ridurrebbero di molto.-

Avrei raccontato a Mercedes quello che era davvero successo. Presto. Avevo solo bisogno di riordinare i dettagli. Il problema era che non riuscivo a capire come.

I miei ricordi erano sfocati, come se una gomma avesse cancellato la mia memoria lasciando un vuoto.

Ripensandoci, ricordavo solo la pioggia che veniva giù a cascata sui finestrini, rendendo tutto confuso.

Avevo davvero investito un cervo?

- Mmm, vediamo un po' - disse Mercedes. - Maglione verde si sta alzando. Quello si che è un corpo che conosce bene la palestra. E sta decisamente venendo verso di noi, con gli occhi puntati sulla preda: tu.

In un batter d'occhio fummo raggiunti da una voce profonda e cortese: - Ciao.

Mercedes e io alzammo lo sguardo nello stesso momento.

Maglione verde era proprio dietro il nostro tavolo, i pollici nelle tasche dei jeans. Aveva gli occhi castani. I capelli corti, biondi erano spettinati ad arte.

- Ciao a te - disse la mia amica. - Io sono Mercedes e lui è Kurt Hummel.

Le rivolsi un'occhiataccia. Non avevo gradito il fatto che avesse aggiunto il mio cognome: sentivo che aveva violato un tacito contratto tra amici, per non dire tra migliori amici, riguardo alla conoscenza di ragazzi nuovi. Feci un tiepido cenno di saluto e portai la tazza alle labbra, scottandomi la lingua.

Lui trascinò una sedia dal tavolo accanto e si sedette a cavalcioni, le braccia appoggiate alla spalliera. Poi mi porse la mano e disse: - Sono Jeff Sterling-.

La strinsi sentendomi un po' troppo formale. - Lui è Jules - aggiunse, indicando con il mento il suo amico.

La definizione di Mercedes era notevolmente sottostimata.

Dall'alto della sua più che considerevole statura, il ragazzo prese posto accanto a lei, facendo sembrare minuscola la sedia.

- Credo che potresti essere il ragazzo più alto che abbia mai visto - stava dicendo Mercedes.

- Sono un metro e ottantacinque.

Jeff si schiarì la voce. – Gradite qualcosa da mangiare?

- Io sono a posto - dissi, mostrando la tazza. - Ho già ordinato.

Mercedes mi diede un calcio sotto il tavolo. - Lui prende una ciambella con la crema. Facciamo due.

- Addio dieta? - chiesi alla mia amica.

- Guarda che il baccello di vaniglia è un frutto. Un frutto marrone.

- È un legume.

- Sicura? No.

Jules chiuse gli occhi e si massaggiò con due dita la base del naso. Sembrava entusiasta di sedere insieme a noi quasi quanto lo ero io di stare con loro.

Jeff si alzò per andare al bancone e io lo seguii con lo sguardo. Frequentava sicuramente la scuola superiore, ma non l'avevo mai visto.

Me lo sarei ricordato. Aveva un carattere affascinante, estroverso, che non passava inosservato. Se non fossi stato così sottosopra per l'incidente, avrei potuto davvero provare interesse per lui. Come amico... magari qualcosa di più.

- Vivi da queste parti? - chiese Mercedes a Jules.

- Mmm.

- A che scuola vai?

- Dalton Accademy.- Lo disse con una punta di superiorità.

- Mai sentita.

- Scuola privata. Westerville. Le lezioni iniziano alle nove.

Sollevò la manica e diede un'occhiata all'orologio.

Mercedes tuffò la punta del dito nella schiuma del latte e poi lo leccò via. - É costosa?

Jules la guardò in faccia per la prima volta e spalancò gli occhi.

- Sei ricco? Scommetto di si - insistè Mercedes.

Jules guardò la mia amica come se lei gli avesse appena schiacciato una mosca in fronte e spostò indietro la sedia per allontanarsi da noi.

Nel frattempo, Jeff era tornato con una scatola che conteneva sei ciambelle.

- Due con la crema per voi - disse, spingendo la scatola verso di me - e quattro con la glassa per me. Ho pensato di fare il pieno adesso, perché non so se ci sono caffetterie più vicine al Mckinley.

Per poco Mercedes non sputò tutto il latte. - Tu vai al MKS?

-Da oggi. Mi sono appena trasferito dalla Dalton.

-Kurt e io andiamo al MKS - disse Mercedes. - Spero ti renderai conto della fortuna che hai avuto. Qualsiasi cosa volessi sapere, tipo chi invitare alla Festa di Primavera, chiedi pure. Kurt e io non abbiamo ricevuto nessun invito... finora.

 Decisi che era arrivato il momento di lasciarsi. Jules era visibilmente annoiato e infastidito, e stare in sua compagnia non migliorava il mio stato d'animo, già abbastanza inquieto.

Guardai in modo plateale l'orologio del cellulare e dissi:

- Siamo in ritardo, Mercedes. Dobbiamo studiare per il compito in classe di biologia. Jeff e Jules, è stato un piacere conoscervi.

- Ma biologia è venerdì - disse Mercedes.

Riuscii a nascondere l'imbarazzo e feci un bel sorriso. -Giusto. Volevo dire che io ho il compito in classe d'inglese. Sull'opera di... Geoffrey Chaucer -. Stavo mentendo, lo sapevano tutti.

A una piccola parte di me dispiacque essere stato cosi scortese, soprattutto perché Jeff non aveva fatto niente per meritarselo. Io però non volevo restare un minuto di più. Volevo andare avanti e lasciarmi alle spalle la notte precedente. Forse l'amnesia non era un male, dopotutto.

Prima dimenticavo l'incidente, prima sarei tornato alla mia vita di sempre.

- Auguri per il tuo primo giorno di scuola, magari ci vediamo a pranzo - dissi a Jeff. Quindi afferrai Mercedes per un braccio e la trascinai fuori.

 

 

 

Le lezioni erano quasi finite, restava solo l'ora di biologia e, dopo una breve sosta all'armadietto per prendere i libri che mi servivano e lasciare gli altri, mi diressi in classe. Mercedes e io arrivammo prima di Blaine, così lei prese possesso della sua sedia vuota, dopodiché frugò nello zaino e tirò fuori una confezione di caramelle gommose.

- Un frutto rosso in arrivo - disse porgendomi il pacchetto.

- Fammi indovinare... la cannella è un frutto?

- Non hai neanche pranzato - insistè Mercedes, accigliata.

- Non ho fame.

- Bugiardo, tu hai sempre fame. E’ per Blaine? Non sei davvero preoccupato che ti stia perseguitando, vero? Guarda che in biblioteca scherzavo.-

Mi massaggiai le tempie. Bastava sentire il suo nome, e il dolore sordo annidato dietro gli occhi aumentava. – Blaine e l'ultimo dei miei pensieri - risposi, anche se non era del tutto vero.

- Il mio posto, se non ti dispiace.- Mercedes e io alzammo lo sguardo.

Nonostante il tono piuttosto gentile. Blaine non staccò gli occhi dalla mia amica, mentre lei si alzava buttandosi lo zaino in spalla. Evidentemente per lui non stava facendo abbastanza in fretta, perché le indicò l'uscita con un ampio gesto della mano.

-Bello come sempre - mi disse mentre si sedeva. Si appoggiò allo schienale e allungò le gambe davanti a sé.

Ovviamente sapevo che era alto, ma non mi ero mai chiesto quanto tosse alto. Adesso, osservando quanto fossero lunghe le sue gambe, pensai che potesse arrivare al metro e ottantadue, forse anche ottantacinque.

- Grazie - risposi senza riflettere. Un istante dopo avrei voluto mordermi la lingua. «Grazie»? Di tutte le cose che avrei potuto dire, quella era la peggiore. Non volevo che Blaine pensasse che mi piacessero i suoi complimenti.

Perché non era cosi... quasi mai, almeno. Non ci voleva un grande intuito per capire che Blaine significava guai, e io ne avevo già fin troppi. Forse, se l'avessi ignorato, alla fine mi avrebbe ignorato anche lui e saremmo rimasti seduti in silenzio come il resto della classe.

- E hai anche un buon profumo - aggiunse.

- Si chiama doccia.-  Avevo lo sguardo fisso davanti a me.

Vedendo che non replicava, mi voltai e dissi: - Sapone. Shampoo. Acqua calda.

- Nudi. Conosco la procedura.

Aprii bocca per cambiare discorso, ma venni messo a tacere dalla campanella.

- Via i libri - disse la coach da dietro la cattedra. - Ora vi distribuirò un questionano di preparazione al compito in classe di venerdì -. Si fermò davanti a me per distribuire i fogli. - Voglio quindici minuti di silenzio mentre rispondete alle domande. Poi parleremo del capitolo sette. Buona fortuna.-

Mi concentrai sulle prime domande, scrivendo meccanicamente perché conoscevo le risposte a memoria. Se non altro, il questionario mi teneva occupata la testa e metteva in attesa l'incidente della notte prima e la vocina che, nel subconscio, dubitava della mia sanità mentale. Mi fermai un attimo per muovere la mano alla quale era venuto un crampo, quando sentii che Blaine si piegava verso di me.

- Sembri stanco. Nottataccia? - sussurrò.

- Ti ho visto in biblioteca.- Tenevo la matita ben salda sul foglio, come se davvero mi interessasse scrivere.

-La parte migliore della serata.

-Mi stavi seguendo?

Rovesciò la testa indietro e rise sommessamente.

Provai un altro approccio. - Cosa ci facevi li?

- Prendevo un libro.

Mi sentii addosso lo sguardo della coach, così mi rimisi al lavoro. Dopo aver risposto a una seconda serie di domande, diedi una rapida occhiata a sinistra. Con mia grande sorpresa, vidi che Blaine mi guardava.

E mi sorrideva.

Il cuore fece una capriola.

Quel sorriso insolitamente attraente mi aveva colto di sorpresa. Con mio grande disappunto, mi cadde la matita dalle mani, rimbalzò sul banco e cadde a terra. Blaine si chinò a raccoglierla e me la porse, tenendola sul palmo della mano. La presi, facendo molta attenzione a non sfiorargli la pelle.

- Dopo la biblioteca - bisbigliai - dove sei stato?

- Perché?

- Mi hai seguito?

- Sembri un po' nervoso, Kurt. Cos'è successo? -.

Aggrottò le sopracciglia, ma io capii che quella preoccupazione era tutta scena, perché nei suoi occhi brillava un luccichio di scherno.

- Mi segui?

- Perché dovrei farlo?

- Rispondi alla domanda.

- Kurt -. Il richiamo della coach tentò di riportarmi al compito, ma io non potevo fare a meno di ipotizzare la risposta di Blaine.

Eppure,una parte di me desiderava solo allontanarsi da lui.

Dall'altra parte dell'aula.

Dall'altra parte dell'universo.

Poi la coach fischiò. - Tempo scaduto, fare passare i compiti. Per venerdì, aspettatevi delle domande simili. Allora... - si sfregò le mani, e quel rumore secco mi diede i brividi - passiamo alla lezione di oggi. Signorina Jones, vuole cimentarsi lei con l'argomento del giorno?

- Sesso! - annunciò Mercedes.

Smisi di ascoltare.

Blaine mi stava seguendo?

Era suo il volto che si nascondeva dietro il passamontagna, ammesso che davvero ci fosse un volto dietro a un

passamontagna?

Che cosa voleva?

In preda a un freddo improvviso, mi strinsi le braccia attorno al corpo.

Volevo che la mia vita tornasse com'era prima che Blaine ci piombasse dentro.

Alla fine dell'ora, riuscii a fermarlo prima che uscisse.

- Possiamo parlare?

Era già in piedi, quindi si sedette sul bordo del banco.

- Che cosa c'è?

- So che non vuoi stare seduto accanto a me più di quanto io non voglia stare seduto accanto a te. Forse, se gli parli, la coach potrebbe valutare la possibilità di cambiarci di posto. Basta spiegargli il problema...

- Il problema?

- Che non siamo... compatibili.

Lui si accarezzò la mascella, un gesto calcolato al quale mi ero abituata nonostante lo conoscessi da così poco tempo.

- Davvero?

- Non mi sembra la scoperta del secolo.

- Quando la coach mi ha chiesto ciò che mi attira in un partner, ho parlato di te.

- E tu rimangiati tutto.

- Intelligente. Attraente. Vulnerabile. Non sei d'accordo?

Il suo unico scopo era quello di infastidirmi, e saperlo non faceva che irritarmi di più. - Hai intenzione di chiedere alla coach di cambiarci di posto o no?

- No. Cominci a piacermi.

Cos'avrei dovuto rispondere? Ovviamente stava cercando di provocare una reazione da parte mia. Il che non era difficile, visto che non riuscivo mai a capire quando scherzava e quando era sincero.

Comunque cercai di rispondere con voce calma e composta.

- Credo che ti troveresti molto meglio con qualcun altro. E credo che tu lo sappia -. Sorrisi, teso ma educato.

- Potrei rischiare di finire accanto a Mercedes -. Anche il suo sorriso era educato. - E non ho intenzione di sfidare la sorte.

 

Mercedes scelse proprio quel momento per comparire dietro di noi. Il suo sguardo guizzava dall'uno all'altra. - Interrompo qualcosa?

- No - risposi, tirando con forza la chiusura dello zaino. - Stavo chiedendo a Blaine dei compiti per domani. Non mi ricordo quali pagine ha assegnato la coach.

- I compiti sono scritti sulla lavagna, come sempre - disse Mercedes. - Difficile non vederli.-

Blaine rise come se stesse seguendo un proprio pensiero, molto divertente. Ancora una volta, desiderai poter sapere che cosa gli passasse per la testa, perché ero sicuro che avesse a che fare con me. - Devi dirmi altro, Kurt? - chiese.

- No - risposi. - Ci vediamo domani.

- Non vedo l'ora.-  E mi fece l'occhiolino.

 

Appena Blaine fu fuori portata d'orecchio, Mercedes mi prese per un braccio. - Buone notizie. Anderson. È il suo cognome, l'ho letto sul registro.

- E il motivo per cui stai sorridendo e che...

- Lo sanno tutti che gli studenti sono obbligati a registrare in infermeria i farmaci prescritti dal medico -.

Nel dirlo, toccò la tasca anteriore del mio zaino, dove tenevo le pastiglie di ferro.

- Come tutti sanno che l'infermeria è vantaggiosamente situata all'interno della segreteria, dove, guarda caso, vengono archiviati i fascicoli degli studenti.

Con lo sguardo che brillava, Mercedes mi trascinò verso la porta.

- È ora di mettere in pratica il metodo investigativo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma Cccccciao!

Ditemi che non sono l'unica che ama Mercedes in versione spia.

Ha fatto la sua apparizione Jeff, YAY..

E io AMO Blaine sempre di più....

 

Grazie a tutti quelli che stanno aggiungendo la storia alle 'seguite' e alle 'preferite'.

Aspetto i vostri commenti!

Sto iniziando ad avere dei dubbi, è vero che siamo solo all'inizio, ma la storia vi sta piacendo?

 

-Iris ;D

 

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Capitolo 6
*** Borderline. (Cap. 5) ***


5. Borderline

Era vuoto… Niente.

 

 

 

 

-Posso aiutarti?

Mi costrinsi a sorridere alla segretaria, sperando dì non apparire disonesto quanto in realtà mi sentivo. - Mi hanno prescritto un farmaco da prendere tutti i giorni e la mia amica...-

La voce mi rimase impigliata in quella parola e mi chiesi se, dopo quel giorno, avrei mai più avuto voglia di chiamare di nuovo Mercedes "la mia amica".

-...La mia amica mi ha informato che sono tenuto a registrarlo in infermeria. Sa dirmi se è vero?-. Non potevo credere di essere lì per fare qualcosa di illegale.

 

Ultimamente mi ero comportato in modo molto strano.

Prima avevo raggiunto Blaine in una losca sala giochi a un'ora in cui di solito stavo già sotto le coperte, adesso stavo per ficcare il naso nel suo fascicolo personale.

Cosa c'era che non andava in me?

No, cosa c'era che non andava in Blaine, visto che quando entrava in scena lui, io diventavo incapace di prendere una decisione sensata?

 

- Oh. - disse solennemente la segretaria. – Bisogna registrare tutti i farmaci. L'infermeria e da quella parte, terza porta a sinistra, dì fronte all'archivio studenti -.

Indicò il corridoio dietro di sé e aggiunse: - Se l'infermiera non c'è, accomodati pure e aspetta, dovrebbe tornare a momenti.-

Le rifilai un altro sorriso.

Mentre mi avviavo lungo il corridoio, mi fermai diverse volte a guardarmi alle spalle. Nessuno.

Sentii un telefono squillare in segreteria, ma sembrava provenire da un mondo a parte, lontano dal corridoio buio che stavo attraversando.

Ero solo, libero di fare quel che volevo.

Mi fermai davanti alla terza porta a sinistra. Feci un bel respiro e bussai, anche se era ovvio che la stanza fosse vuota perché la luce era spenta.

Spinsi la porta, che dopo un attimo di resistenza si aprì cigolando su una stanzetta rivestita di piastrelle bianche e consumate.

Rimasi un istante sulla soglia, in fondo sperando di veder comparire l'infermiera ed essere costretto a registrare le mie medicine e andarmene. Gettai una rapida occhiata dall'altra parte del corridoio, alla porta con la targhetta ‘archivio studenti’.

Anche quella stanza era al buio.

Concentrai la mia attenzione sul pensiero che mi tormentava. Blaine sosteneva di non essere andato a scuola l’anno precedente. Io ero quasi sicuro che stesse mentendo ma, se non era cosi, Blaine avrebbe avuto un fascicolo? Ci sarebbe stato almeno l'indirizzo di casa, riflettei. E il certificato delle vaccinazioni, e sicuramente i voti dello scorso semestre. Una possibile sospensione di colpo sembrava un prezzo troppo alto da pagare in cambio di una sbirciatina all'elenco delle sue vaccinazioni.

 

Mi appoggiai al muro e controllai l'orologio. Mercedes mi aveva detto di aspettare il suo segnale e che sarebbe stato impossibile non notarlo.

Grandioso.

Il Telefono della segreteria squillò di nuovo e la segretaria ripose.

Mordicchiandomi il labbro, lanciai un'altra occhiata alla porta dell'archivio, c'erano buone possibilità che fosse chiusa a chiave.

Probabilmente i fascicoli degli studenti erano considerati riservati. In quel caso, non aveva importanza quale diversivo Mercedes si fosse inventata: se la porta era chiusa a chiave, non sarei riuscito a entrare.

Spostai lo zaino sull'altra spalla. Passò un altro minuto e presi in considerazione l'idea di andar via...

 

D'altro canto, però, se Mercedes avesse avuto ragione e Blaine mi stesse seguendo, o spiando? In fondo ero suo tutor a biologia e frequentandolo avrei potuto correre dei rischi.

Dovevo proteggermi... giusto?

Se la porta fosse stata aperta e i fascicoli fossero stati archiviati in ordine alfabetico, avrei trovato in fretta quello di Blaine. Aggiungendo un'altra manciata di secondi per cercare eventuali segnali di pericolo, avrei potuto entrare e uscire dalla stanza in meno di un minuto.

Come non esserci mai stato.

 

All'improvviso mi resi conto che la segreteria era immersa in un silenzio insolito. E di colpo Mercedes svoltò l'angolo e venne verso di me strisciando lungo la parete, guardandosi furtiva alle spalle. Sembrava la spia di un film in bianco e nero.

- Tutto sotto controllo - sussurrò.

- Cos'è successo alla segretaria?

- Ha dovuto lasciare l'ufficio per qualche minuto.

- Ha dovuto? Che cosa le hai fatto?

- Niente, per questa volta- Grazie al cielo.

- Ho annunciato un allarme bomba dal telefono qui fuori- ammise Mercedes. - La segretaria ha chiamato la polizia ed è corsa ad avvisare il preside.

-Mercedes!

Lei batté un dito sul polso. - Il tempo passa. E noi non vogliamo farci trovare qui dalla polizia, quando arriva.

-Ma davvero?

Fissammo per un secondo la porta dell'archivio, poi Mercedes disse:

- Spostati - e mi spinse da parte.

Si coprì la mano con la manica del maglione, quindi colpì il vetro della porta.

Niente.

- Era solo una prova - disse. Indietreggiò per riprovarci, ma io l'afferrai per un braccio.

- Forse è aperta -. Girai la maniglia e la porta si aprì.

- Cosi però non è divertente - protestò Mercedes.

Punti di vista.

- Tu vai dentro, io sto di guardia - mi istruì Mercedes. – Se tutto va come previsto, ci vediamo tra un'ora al Borderline, quel messicano che non è molto distante da qui-. Quindi si acquattò di nuovo contro il muro e tornò indietro.

 

Prima che la coscienza potesse convincermi a non farlo, entrai. Chiusi la porta e mi ci appoggiai con la schiena.

Feci un respiro profondo e corsi verso gli schedari.

Facendo scorrere il dito sui cassetti, trovai quello contrassegnato dalle lettere A-B-C. Tirai forte e lo schedario si aprì con un rumore metallico. Le etichette dei fascicoli erano scritte a mano, e mi chiesi se il McKinley High fosse l'ultima scuola del paese a non usare il computer.

I miei occhi si fermarono sul nome Anderson.

Estrassi il fascicolo e lo tenni in mano un attimo, cercando di convincermi che non era poi cosi sbagliato.

C'erano informazioni riservate?

Be', come compagno di banco di Blaine, avevo il diritto di conoscerle.

 

Fuori, il corridoio si riempì di voci.

Aprii la cartelletta con un movimento maldestro e sussultai.

Non aveva alcun senso.

 

Le voci si avvicinavano.

Ficcai il fascicolo in un posto a caso e spinsi il cassetto.

Poi mi voltai e mi paralizzai.

Dall'altra parte del vetro, il preside si fermò con un piede a mezz'aria e gli occhi fissi su di me.

Di qualsiasi argomento stesse discutendo con gli altri, verosimilmente dei grandi giocatori entrati a far parte del corpo docente della scuola, si fermò. - Scusate un attimo - gli sentii dire.

Il gruppo continuò a correre verso l'uscita senza di lui.

Aprì la porta. - Gli studenti non sono autorizzati a entrare qui.

- Mi scusi tanto, sto cercando l'infermeria. La segretaria ha detto terza porta a destra, ma credo di aver contato male... – dissi con l'aria smarrita e le mani alzate. - Mi sono perso.

 

Prima che avesse il tempo di rispondere, aprii lo zaino. – Devo registrare queste. Pastiglie di ferro, sono anemico - spiegai.

Mi studiò per un momento, la fronte corrugata. Stava soppesando le due possibilità: restare e occuparsi di me, oppure occuparsi dell'allarme bomba. Mosse di scatto il mento in direzione della porta. - Esci immediatamente dall'edificio.

Tenne la porta spalancata, mentre io mi chinavo per passare sorto il suo braccio. Ogni traccia di sorriso era sparita dalla mia faccia.

 

 

Un'ora dopo m'infilavo nel ristorante messicano. Sul muro accanto a me erano appesi un cactus di ceramica e un coyote imbalsamato. Un uomo con un sombrero, che lo faceva apparire più largo che alto, girava per il locale strimpellando la chitarra e riuscì a farmi una serenata mentre la cameriera mi porgeva il menù.

 

Aggrottai la fronte. Sulla copertina del menu lessi il nome del ristorante.

Borderline.

Non avevo mai mangiato li prima di allora, eppure mi suonava familiare.

Mercedes comparve dietro di me e si lasciò cadere nel posto di fronte, mentre un cameriere la seguiva a ruota.

-Quattro chimichangas, doppia razione di panna acida, un contorno di nachos e uno di fagioli neri - gli disse senza neanche consultare il menù.

- Un burrito - dissi io.

- Conti separati?

- Io non pago per lei, lui - dicemmo io e Mercedes all'unisono.

- Quattro chimichangas. Non vedo l'ora di sentire cos'hanno a che fare con la frutta - dissi quando il cameriere si fu allontanato.

- Non cominciare. Sto morendo di fame, non mangio dall'ora di pranzo -. Fece una brevissima pausa e aggiunse: - Non devi contare le caramelle, perché io non le considero. -

Mercedes è una bruna voluttuosa incredibilmente sexy in modo del tutto non banale. Ci sono stati momenti in cui ho pensato che se fossi stata una ragazza, sarei stato geloso, molto. L'unica cosa mia che avrebbe potuto competere con lei sono le gambe, e forse il metabolismo. Sicuramente non i capelli.

- È meglio che si sbrighi a portare le patatine – brontolò Mercedes. - Mi verrà l'orticaria se non mangio qualcosa di salato entro quarantacinque secondi.

- Nella salsa ci sono i pomodori - le feci notare. – Che sono rossi. E l'avocado è un frutto, credo.

Si illuminò. - E poi ordineremo dei daiquiri analcolici. Alla fragola.-

Mercedes aveva ragione.

Quella dieta era facile.

- Torno subito - disse, scivolando fuori dalla panca. – Ho le mie cose. E dopo, voglio le notizie esclusive.-

Mentre l'aspettavo, mi ritrovai a osservare un aiuto cameriere.

Passava lo straccio su un tavolo a pochi metri da me e c'era qualcosa di familiare nel modo in cui si muoveva, nel modo in cui la camicia gli ricadeva sulla schiena ben disegnata.

Quasi sospettasse di essere osservato, si raddrizzò e si voltò, fissandomi negli occhi. In quell'istante capii che cosa c'era di familiare in lui.

 

Blaine.

 

Non riuscivo a crederci. Mi sarei dato una sberla sulla fronte perché lui me l'aveva anche detto: lavorava al Borderline.

 

Si asciugò le mani sul grembiule e sì avvicinò. Sembrava divertito dal mio imbarazzo. Mi guardai intorno, cercando una via di fuga, sapendo che potevo solo sprofondare li dov'ero.

- Bene, bene - disse. - Cinque giorni la settimana non ti bastano? Vuoi regalarmi anche una serata?-

- Chiedo scusa per la sfortunata coincidenza.-

Blaine scivolò al posto di Mercedes e appoggiò le braccia davanti a sé. Erano talmente lunghe da oltrepassare la metà del tavolo. Prese il mio bicchiere e se lo rigirò tra le mani.

- Quel posto è occupato - annunciai. Visto che non rispondeva, mi ripresi il bicchiere e bevvi un sorso d'acqua, inghiottendo per sbaglio un cubetto di ghiaccio che andò giù con un bruciore spaventoso. - Non dovresti lavorare invece di familiarizzare con i clienti? - dissi mentre mi strozzavo.

Sorrise. - Che fai domenica sera?

Sbuffai. Ma non avevo intenzione di farlo. - Mi stai chiedendo di uscire?

- Stai diventando sicuro di te. Mi piace, angelo.

- Quello che ti piace non mi interessa. Non esco con te. Non da soli -. Avrei voluto prendermi a calci per aver provato un fremito alla sola idea di quel che avrebbe potuto succedere in una serata con Blaine, da solo.

Anche perchè, molto probabilmente, lui non voleva davvero un appuntamento. Molto probabilmente mi stava punzecchiando per ragioni note solo a lui. - Aspetta un secondo, mi hai appena chiamato angelo?

- E se fosse?

- Non mi piace.

Sorrise. - Allora è deciso. Angelo.

Si sporse verso di me, avvicinò una mano al mio viso e mi sfiorò l'angolo delle labbra con il pollice.

Mi tirai indietro. Troppo tardi, però.

Strofinò il pollice, su cui era rimasta una traccia di burro cacao, sull'indice. - Staresti meglio senza. Non ne hai bisogno, le tue labbra sono perfette e morbide così.-

E lui cosa cazzo ne sapeva?

Cercai di ricordare di cosa stessimo parlando, ma soprattutto cercai di non mostrare quello che aveva provocato il contatto con la sua mano. Gettai indietro un ciuffo di capelli ribelli e ripresi il filo del discorso. - Comunque, non ho il permesso di uscire se il giorno dopo c'è scuola.-

- Peccato. C'è una festa sulla costa. Pensavo che potessimo andarci -.

Sembrava sincero.

Non riuscivo a capirlo.

Per niente.

La sensazione che avevo provato qualche minuto prima fremeva ancora nel mio corpo, così bevvi un lungo sorso di acqua gelata, sperando di farla sbollire. Restare da solo con Blaine sarebbe stato intrigante, e pericoloso. Non avrei saputo dire esattamente in che modo, ma mi fidavo del mio istinto.

Simulai uno sbadiglio. - Be', come ho già detto lunedì c'è scuola -. Nella speranza di convincere più me che lui, aggiunsi: - Se questa festa ti interessa davvero, posso garantirti che non ci sarò.

«Ecco» pensai. «Il caso è chiuso.»

 

E poi, senza che la frase transitasse per un secondo nella mia mente, dissi: - E comunque, perché vuoi uscire con me?

Fino a quell'istante, mi ero ripetuto fino allo sfinimento che non mi importava cosa Blaine pensasse di me.

In quell'istante, invece, capii che avevo mentito. Sarebbe diventata la mia ossessione? Pazienza.

Ero tanto affascinato da Blaine che sarei andato con lui ovunque.

- Voglio stare solo con te - rispose Blaine. Ce n'era abbastanza per tornare sulle difensive.

- Senti, Blaine. Non voglio essere scortese, ma...

- Certo che lo vuoi.

- Hai iniziato tu! -. Fantastico. Una reazione molto matura. - Non posso venire alla festa. Fine della storia.

- Perché non puoi o perché non vuoi restare solo con me?

- Tutt'e due - mi lasciai sfuggire.

- Hai paura di tutti i ragazzi... o solo di me?

Alzai gli occhi al cielo, come a dire: «Non ho intenzione di rispondere a una domanda cosi stupida».

- Ti metto a disagio? -. Aveva un'espressione neutra, che però nascondeva un sorrisetto.

Si, era esattamente quello l'effetto che mi faceva. Oltre a eliminare ogni pensiero razionale dalla mia mente.

- Mi dispiace - dissi. - Di cosa stavamo parlando?

- Di te.

- Di me?

- Della tua vita.

Risi, indeciso su come proseguire la conversazione.

- Se stiamo parlando di me... e dell'altro- che poi non era affatto ‘’l’altro’’ essendo omosessuale- sesso... Mercedes mi ha già fatto un bel discorsetto. Non ho bisogno di sentirlo due volte.

- E che cosa ti ha detto la vecchia e saggia Mercedes?

Non riuscivo a tenere ferme le mani, cosi le feci scivolare sotto il tavolo. - Non riesco davvero a capire perché sei tanto interessato...-

Lui scosse leggermente il capo. - Interessato? Stiamo parlando di te. Sono affascinato -. Sorrise, un sorriso fantastico. Il cuore iniziò a galopparmi nel petto.

- Credo che dovresti tornare al lavoro - dissi.

- Per quel che vale, mi piace l'idea che non ci sia nemmeno un ragazzo, in tutta la scuola, all'altezza delle tue aspettative.

- Avevo dimenticato che, per quanto riguarda le mie aspettative, tu sei un'autorità - lo punzecchiai.

Mi guardò in un modo che mi fece sentire trasparente.

- Tu non sei diffidente, Kurt, e neanche timido. Hai solo bisogno di un'ottima ragione per scomodarti a conoscere qualcuno.-

- Non voglio più parlare di me.

- Tu credi di aver capito tutto di tutti.

- Non è vero - obiettai. - Per esempio, be', di te non so molto...-

- Non sei pronto per conoscermi.

Non era una frase detta con leggerezza. Il suo tono era affilato come un rasoio.

- Ho guardato nel tuo fascicolo.

 

Le mie parole rimasero sospese in aria un momento prima che gli occhi di Blaine tornassero a fissare i miei. -Sono abbastanza sicuro che sia illegale - disse.

- Era vuoto. Niente. Neanche un certificato medico.

Non fece nemmeno finta di sembrare sorpreso. Sì mise comodo, gli occhi scintillanti. - E me lo stai dicendo perché hai paura che diffonda qualche malattia? Tipo il morbillo o gli orecchioni?-

- Te lo sto dicendo perché voglio che tu sappia che ho capito che c'è qualcosa in te che non va. Non sei riuscito a imbrogliare tutti. Scoprirò che cosa hai in mente. Ti scoprirò, sul serio.-

- Non vedo l'ora.

Arrossii, cogliendo troppo tardi il doppio senso. Alzai gli occhi oltre la testa di Blaine e vidi Mercedes che si avvicinava, zigzagando tra i tavoli.

- Sta tornando Mercedes, devi andartene. Rimase seduto a scrutarmi, assorto.

- Perché mi guardi in quel modo? - lo sfidai.

Si piegò in avanti, pronto ad alzarsi. - Perché non sei affatto come credevo.-

- Neanche tu - ribattei. - Tu sei molto peggio.

 

 

 

 

 

 

 

Ma Ccccciao!

Beh, in realtà non ho davvero qualcosa da dirvi, apparte il fatto che spero che la storia vi stia piacendo.

Che aspetto con ansia i vostri commenti, domande, dubbi, perplessità.

E che ringrazio tutti quelli che hanno aggiunto la storia ai 'preferiti' e alle 'seguite'.

Spero di non deludervi.

 

-Iris ;D

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Capitolo 7
*** Softball (Cap. 6) ***


6. Softball

...direttamente alla mia mente?

 

 

 

 

La mattina dopo, con mia grande sorpresa, vidi arrivare Jeff per la prima ora di educazione fisica, proprio al suono dell'ultima campanella. Indossava un paio di bermuda, una felpa della Nike e un paio di scarpe da basket dall'aria nuova e costosa. Consegnò un foglietto alla professoressa Sylvester e mi cercò con lo sguardo,quindi mi fece un cenno con la mano e mi raggiunse sulle gradinate.

- Mi chiedevo quando ci saremmo incontrati di nuovo - disse. - La segreteria si è accorta che negli ultimi due anni non ho frequentato educazione fisica: nelle scuole private non è obbligatoria. Ora stanno cercando di capire come farmi recuperare gli anni persi e comprimere quattro anni d'insegnamento nei prossimi due. Quindi, eccomi qua: educazione fisica alla prima e alla quarta ora, tutti i giorni.-

- Non mi hai ancora detto perchè ti sei trasferito qui.

- Ho perso la borsa di studio e i miei non possono permettersi la retta.

La professoressa Sylvester soffiò nel fischietto.

- Intuisco che il fischietto voglia dire qualcosa - mi disse Jeff.

- Dieci giri di palestra, senza cagliare gli angoli -. Mi alzai dalle gradinare. - Sei uno sportivo?

Jeff scattò in piedi e si mise a saltellare, tirando dei pugni all'aria. Terminò con un montante che si fermò a un pelo dal mio mento. Ridendo, rispose: - Sportivo? Fino al midollo.

- Allora apprezzerai l'idea di divertimento della prof.

Jeff e io corremmo i dieci giri insieme, poi uscimmo.

 

 

Una nebbia spettrale mi bloccò il respiro, facendomi quasi soffocare. Dal cielo scendevano gocce di pioggia, provenienti da un temporale che cercava disperatamente di piombare sulla città.

Guardai speranzosa le porte della palestra, anche se sapevo che era inutile: la professoressa Sylvester era un osso duro.

- Ho bisogno di due capitani per la partita di softball -gridò.

- Forza, muovetevi, fatemi vedere qualche mano alzata! É meglio che vi offriate volontari, altrimenti le squadre le faccio io e sapete che non sempre agisco lealmente.-

Jeff alzò la mano.

- Bene - gli disse lei. - Vieni qui, alla casa base. E che ne pensate di... Quinn Fabray come capitano della squadra rossa?

Quinn fulminò Jeff con lo sguardo. - Fatti sotto.

- Jeff, a te la prima scelta - lo invitò la prof.

Con la mano poggiata sul mento, Jeff esaminò la classe, come se stesse valutando le nostre capacità di battitori e ricevitori al primo sguardo. - Kurt - disse.

Quinn gettò indietro la testa e rise. - Grazie - sibilò a Jeff, sfoderando un sorriso tossico che, per ragioni a me imperscrutabili, incantava l'altro sesso.

- Per cosa?

- Per averci servito la partita su un piatto d'argento -. Quinn puntò il dito verso di me. - Ci sono almeno un centinaio di ottimi motivi che spiegano perché io sono una cheerleader e Kurt no. Innanzi tutto la coordinazione.

Le lanciai uno sguardo di fuoco, insisteva a prendesi gioco di me, dio come faceva a non capire che io ero gay ma che non mi piaceva affatto indossare una gonnellina e sculettare per incitare il tifo ad una squadra di cui non sapevo neanche il nome?

Andai a piazzarmi accanto a Jeff sventolando una maglia blu.

- Kurt e io siamo amici -. Jeff era calmo, quasi freddo.

Si trattava di un'affermazione esagerata, ma non avevo intenzione di correggerlo. Quinn aveva l'aria di una a cui avevano appena tirato una secchiata d'acqua ghiacciata e la cosa mi piaceva da matti.

- Perché non hai conosciuto di meglio. Me, per esempio- Quinn si rigirò una ciocca di capelli tra le dita poi aggiunse:

- Quinn Fabray. Saprai tutto dì me molto presto -. E poi, a meno che non si trattasse di un tic nervoso, gli fece l'occhiolino.

Jeff non mosse un muscolo e il mio indice di gradimento nei suoi confronti sfrecciò verso l'alto.

Conoscevo ragazzi che per molto meno sarebbero caduti in ginocchio supplicandola di rivolgergli la parola, probabilmente era gay, quella volta in caffetteria non fui in grado di scoprirlo, scappai trascinandomi Mercedes immediatamente.

- Vogliamo rimanere qui tutta la mattina e aspettare che arrivi la pioggia, oppure ci mettiamo al lavoro? – chiese la professoressa Sylvester.

 

 

Una volta formate le squadre. Jeff ci condusse in panchina e stabili l'ordine di battuta. Mi diede una mazza, mi calcò la maschera in testa e disse: - Tu sei il primo, Hummel. Ci serve una battuta valida.

Feci roteare la mazza, tanto per prendere confidenza, e per un pelo non lo colpii. - Ma io ero in vena di un fuori campo -replicai.

- Faremo anche quelli -. Mi accompagnò fino alla casa base.

- Fai un passo verso la palla che arriva e colpisci.

 

Misi la mazza in equilibrio sulla spalla e pensai che forse avrei dovuto fare più attenzione ai campionati.

Okay, forse avrei dovuto almeno guardarli. La maschera mi scivolò sugli occhi e cosi la tirai su, cercando di calcolare la grandezza del diamante, confuso sotto spaventose volute di nebbia.

Quinn prese posto sulla pedana del lanciatore.

Teneva la palla davanti a se, e notai che teneva il dito medio alzato; guarda caso, nella mia direzione. Ci deliziò con un altro dei suoi sorrisi tossici e lanciò.

Presi la palla di striscio spedendola nella terra battuta, dal lato sbagliato della linea di foul.

- Strike! - gridò la professoressa Sylvester dalla sua postazione, tra la prima e la seconda base.

Jeff urlò dalla panchina: - Questa era a effetto, e parecchio. Lanciagliene una pulita! -. Ci misi un attimo per capire che stava parlando a Quinn e non a me.

 

La palla si staccò di nuovo dalla mano di Quinn, tracciando un arco nel cielo cupo. La mancai completamente.

- Secondo strike -. La voce di Anthony Amodio arrivò attraverso la maschera da ricevitore.

 

Cercai di ucciderlo con lo sguardo.

 

Scesi dalla base e feci roteare ancora la mazza. Quasi non mi accorsi che Jeff mi aveva raggiunto e stava dietro di me. Mi mise le braccia intorno al corpo e sistemò le mani sulla mazza, accanto alle mie.

- Guarda, ti faccio vedere - mi sussurrò all'orecchio. - Così. Rilassati. Ora ruota i fianchi... è tutta una questione di fianchi.

 

Mi sentii avvampare sotto gli occhi dell'intera classe.

 

- Credo di aver capito, grazie.

- Ehi, andate a farlo da un'altra parte! - ci gridò Quinn visibilmente delusa, a quanto pare aveva messo gli occhi sul mio nuovo biondo amico.

 

Tutti i giocatori risero.

 

- Se tu facessi un lancio decente, - replicò Jeff – lui colpirebbe la palla.

- Il mio lancio non ha niente che non va.

- Neanche la sua battuta -. Jeff abbassò la voce e si rivolse solo a me. - Smetti di guardarla appena lei lancia la palla. I suoi tiri non sono puliti, quindi devi concentrarti solo sulla palla.

- State tenendo fermo il gioco - gridò la professoressa.

 

Proprio in quell'istante, qualcosa nel parcheggio attirò la mia attenzione. Mi sembrò di aver sentito chiamare il mio nome.

Mi voltai, anche se sapevo che il mio nome non era stato pronunciato a voce alta, ma bisbigliato nella mia mente.

 

«Kurt.»

 

 

Blaine indossava un cappellino da baseball blu sbiadito ed era appoggiato alla recinzione. Niente giacca, nonostante il tempo. Vestito di nero da capo a piedi. Mi guardava con occhi opachi e inaccessibili.

 

Nascondevano qualcosa, ne ero sicuro.

 

Poi un'altra serie di parole si insinuò nella mia mente.

 

«Lezioni di softball? Ottima... presa.»

 

Feci un bel respiro per ritrovare la calma e mi convinsi di averle solo immaginate. Perché l'alternativa era prendere in considerazione il fatto che Blaine potesse insinuarsi nella mia mente.

 

Il che era impossibile.

 

Assolutamente impossibile.

 

A meno che non stessi delirando, il che mi spaventava ancora più dell'idea che Blaine, dopo aver sovvertito le normali regole della comunicazione, fosse in grado di parlare con me quando gli pareva e senza nemmeno aprire bocca.

 

- Hummel! Attento al gioco!

Sbattei le palpebre, risvegliandomi di scatto appena in tempo per vedere la palla che sfrecciava in aria verso di me. Mi mossi, ma poi sentii nella testa altre due parole.

«Non... ancora.»

Mi fermai, aspettando che la palla si avvicinasse.

Disegnò una parabola in aria e, non appena iniziò a scendere, mi mossi verso la base e mulinai le braccia con tutta la forza che avevo.

Poi si sentì un rumore fortissimo e la mazza vibrò nelle mie mani.

La palla filò verso Quinn che cadde sul sedere, quindi s'infilò tra l'interbase e la seconda base per rimbalzare nel campo esterno.

- Corri! - mi gridò la squadra dalla panchina. - Corri, Kurt!

 

Corsi.

 

Molla la mazza! - urlarono.

La gettai da una parte.

- Fermati in prima base!

Non lo feci.

Pestando un angolo della prima base, le girai intorno e scattai verso la seconda. L'esterno sinistro aveva già raccolto la palla ed era nella pozione giusta per lanciare in seconda ed eliminarmi. Io abbassai la testa, mi aiutai nella corsa muovendo energicamente le braccia e cercai di ricordarmi come facevano i giocatori professionisti che vedevo in Tv a toccare la base in scivolata.

Di testa?

Di piedi?

Con una capriola, magari?

La palla partì in direzione del difensore della seconda base, filando come un razzo al margine del mio campo visivo. Dalla panchina, un coro eccitato continuava a urlare: - Scivola! - ma io non avevo ancora deciso se toccare la base con i piedi o con le mani.

 

Il difensore della seconda base intercettò la palla. Mi tuffai a terra, a braccia tese. Dal nulla, mi trovai in faccia il guantone, con il suo forte odore di pelle. Mi accasciai al suolo, la bocca piena di polvere.

- È fuori! - gridò la professoressa.

Rotolai da una parte e feci l'inventario dei danni.

Avevo una strana sensazione di bruciore alle cosce, un misto di caldo e freddo; mi tirai su i pantaloni della tuta e mi trovai davanti una scena che descrivere come il campo di battaglia di due parti selvatici era un eufemismo.

Zoppicando, raggiunsi la panchina e mi accasciai.

- Forte - disse Jeff.

- L'acrobazia o la gamba distrutta? -. Piegai il ginocchio contro il petto e, delicatamente, cercai di togliere quanto più terriccio possibile.

Jeff si piegò di lato e mi soffiò sul ginocchio. Il grosso della polvere volò via.

Seguì un momento di silenzio.

- Riesci a camminare? - chiese.

Mi alzai in piedi e gli feci vedere che, nonostante la gamba fosse piena di graffi e terriccio, era a posto.

- Posso accompagnarti in infermeria, se vuoi- Per farti disinfettare - disse.

- Sto bene, davvero -. Diedi un'occhiata alla recinzione, nel punto in cui avevo visto Blaine.

 

Non c'era più.

 

- Era il tuo ragazzo quello che guardava dalla recinzione? -chiese Jeff. Fui sorpreso che avesse notato Blaine, visto che gli dava le spalle. - No - risposi. - È soltanto un amico, anzi, veramente neanche quello. È il mio compagno di banco a biologia.

- Sei arrossito.

- Sarà stato il vento.

 

La voce di Blaine mi risuonava ancora in testa.

II cuore prese a battermi più forte, ma, cosa ancora più strana, mi si era gelato il sangue nelle vene.

Blaine aveva parlato direttamente alla mia mente?

 

C'era un legame inspiegabile fra noi che permetteva che ciò accadesse?

Oppure stavo diventando pazzo?

In ogni caso, non avevo convinto Jeff. - Sei sicuro che non ci sia niente tra di voi? Non voglio correre dietro a un ragazzo non disponibile.

- Niente -. Non permetterò che ci sia niente.

 

Un momento. Cos'aveva detto Jeff?

Allora avevo ragione? Era gay?

 

- Scusa? - dissi.

Lui sorrise. - Sabato sera riapre il parco divertimenti ''Delphic'' e Jules e io stavamo pensando di andarci. Il tempo non dovrebbe essere brutto. Tu e Mercedes avete voglia di venire?

 

Mi presi un attimo per riflettere sul suo invito.

Ero abbastanza sicuro che, se avessi rifiutato, Mercedes mi avrebbe ucciso. Inoltre, uscire con Jeff poteva essere un buon sistema per sfuggire alla sgradevole attrazione esercitata da Blaine.

 

- Sembra un bel programma - risposi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma ccciao!

Che ne dite, Kurt sta impazzendo? ...... Forse.

Il gay-radar di Kurt funziona a tratti, ma qualcosa l'aveva sospettato, Jeff è gay e ci vuole provare con lui.. Come andrà a finire tra i due? E Blaine?

Vi lascio con dubbi, domande e perplessità che se vorrete espormi, sarò ben felice di rispondervi.. 

Grazie a quelli che stanno inserendo la storia tra i 'preferiti' e le 'seguite' e grazie a chi ha recensito e a chi lo farà.. Spero di non deludervi.

-Iris ;D

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Capitolo 8
*** Parco divertimenti Delphic. (Cap. 7) ***


7. Parco divertimenti ‘Delphic’.

I miei... pensieri. Come fai?

 

 

 

Era sabato sera, Santana e io eravamo in cucina.

Dopo aver infilato una pirofila nel forno, stava esaminando un elenco di cose da fare che mio padre aveva lasciato attaccato al frigo.

- Ha chiamato tuo padre. Non assicura di riuscire a essere a casa prima di domenica sera - disse mentre strofinava il lavello della cucina con un vigore tale da farmi venire male al gomito solo a guardarla. - Ha lasciato un messaggio in segreteria. Vuole sentirti. L'hai chiamato tutte le sere prima di andare a dormire?-

 

Ero seduto su uno sgabello e stavo mangiando un panino imburrato. Avevo appena addentato un boccone enorme e ora Santana mi guardava come se volesse una risposta. Subito.

- Mmm... mmm – mugugnai facendo sì con la testa.

- Oggi è arrivata una lettera dalla scuola -. Indicò con il mento la posta accatastata sul piano di lavoro. – Come mai?

Mi strinsi nelle spalle con aria innocente e risposi: - Non ne ho idea -. Invece ce l'avevo eccome.

 

 

Dodici mesi prima avevo aperto la porta di casa e mi ero trovato di fronte la polizia. «Abbiamo cattive notizie» avevano detto. Il funerale di mia madre era stato la settimana dopo. Da allora, ogni lunedì pomeriggio, mi ero presentato nello studio della dottoressa Berry, la psicologa della scuola, all'orario stabilito.

Avevo saltato le ultime due sedute e, se non avessi fatto ammenda entro quella settimana, sarei stato nei guai.

Probabilmente si trattava di una lettera di richiamo.

 

- Hai programmi per stasera? Tu e Mercedes avete in mente qualcosa, magari di vedere un film qui a casa?

- Forse. Senti, Santana, posso pulirlo io il lavello. Più tardi. Vieni a sederti con me e prendi metà panino.

 

Lo chignon nero di Santana cominciava a subire le conseguenze dello strofinamento, iniziando a franare. - Domani vado a una conferenza - disse. – A Westerville. Parlerà la dottoressa Melissa Sanchez; dice che bisogna pensare a noi stesse come a delle noi stesse sexy. Gli ormoni sono medicine formidabili. E se non gli diciamo noi che cosa vogliamo, loro ci si ritorcono contro -. Santana si voltò e mi puntò contro il flacone del detergente. - Ora io mi sveglio la mattina, prendo il rossetto e scrivo sullo specchio «Sono sexy. Gli uomini mi vogliono. Quarantacinque sono i nuovi venticinque».

- E funziona? - chiesi, sforzandomi di non sorridere.

- Sta funzionando - rispose seria Santana.

Mi leccai il burro dalle dita. - Quindi passerai il fine settimana a reinventare il tuo lato sexy.

- Tutte le donne hanno bisogno di reinventarsi il lato sexy. Mi piace. Mia figlia è stata dal chirurgo plastico. Dice che l'ha fatto per se stessa, ma quale donna si rifà le tette per se stessa? Sono un tale peso! Se l'è rifatte per un uomo. Spero che tu non faccia mai cose stupide per un ragazzo, Kurt - mi minacciò agitando il dito.

- Credimi, San, non ci sono ragazzi nella mia vita-.

Okay, forse ce n'erano un paio appostati all'orizzonte, che mi ronzavano attorno da lontano, ma visto che non conoscevo bene nessuno dei due, e uno mi spaventava a morte, mi sembrava più sicuro chiudere gli occhi e far finta che non esistessero.

- Questa è una cosa buona e una cosa cattiva - sentenziò Santana. - Se trovi il ragazzo sbagliato, trovi guai. Se trovi il ragazzo giusto trovi l'amore -. Poi si abbandonò ai ricordi e la sua voce si addolcì.

- Quando ero giovane, in Spagna, ho dovuto scegliere tra due ragazzi. Uno era un ragazzo molto cattivo. L'altro era il mio Henry e siamo felicemente sposati da venti anni.

Era arrivato il momento di cambiare argomento. – Come sta, mmm... il tuo figlioccio... Lionel?

Mi scrutò. - Ti interessa il piccolo Lionel?

- Noooo.

- Posso indagare...

- No, San, davvero. Grazie, ma in questo periodo penso solo ai miei voti. Voglio andare in un ottimo college.

- Semmai in futuro...

- Te lo farò sapere.

 

Finii il panino con il chiacchierio monotono di Santana in sottofondo, intervenendo con alcuni cenni del capo o degli "a-ah" ogni volti che smetteva di parlare facendomi capire di aspettarsi una risposta.

In realtà, stavo riflettendo su quanta voglia avessi davvero di incontrare Jeff quella sera.

All'inizio era sembrata un'idea grandiosa.

Più ci pensavo, però, più dubbi si insinuavano nella mia mente.

Innanzitutto, conoscevo Jeff solo da un paio di giorni.

Non sapevo come l'avrebbe presa mio padre.

Si stava facendo tardi e Delphic era almeno a mezz'ora di strada. E durante il fine settimana quel posto aveva fama di essere un delirio.

 

Squillò il telefono e sul display comparve il numero di Mercedes.

- Facciamo qualcosa stasera? - chiese.

Aprii la bocca, soppesando bene la risposta. Una volta detto a Mercedes dell'invito di Jeff, non si poteva più tornare indietro.

Lei cacciò un urlo. - Oh cavoli! Oh cavoli, cavoli, cavoli! Ho rovesciato lo smalto per le unghie sul divano. Aspetta, vado a prendere un fazzoletto. Lo smalto è idrosolubile? -Tornò dopo pochi minuti. - Credo di aver rovinato il divano. Dobbiamo uscire stasera, non voglio esserci quando scopriranno la mia ultima opera d'arte involontaria.

 

Nel frattempo, Santana si era spostata in bagno. Non avevo proprio voglia di passare la serata ascoltando i suoi brontolii sui rubinetti, così presi una decisione. - Che ne pensi del Delphic? Jeff e Jules ci vanno e hanno chiesto se li raggiungiamo.

- E me lo dici solo adesso? Queste sono informazioni fondamentali! Vengo a prenderti tra quindici minuti -Dopodiché, silenzio.

 

 

Andai di sopra e indossai un pesante maglione di cachemire bianco con uno scollo a V che faceva intravedere una piccola porzione di pelle candida come il latte, un paio di jeans scuri e dei mocassini blu. Mi sistemai i capelli alzando un ciuffo con della lacca biologica e... voilà!

Poi andai verso l'armadio, aprii il primo cassettino a destra, frugai e li trovai...

Due ciondoli, uno era di mia madre: due bellissime ali bianche con una catena d'argento; e uno era mio: erano due ali, una bianca e una nera, intrecciate tra loro. Le comprammo insieme, tre anni prima, mentre passeggiavamo per la città ci fermammo davanti a una gioielleria, li vedemmo e ce ne innamorammo subito, decidemmo che dovevano essere nostri e così li comprammo.. Non aspettammo neanche che la commessa li incartasse, li indossamo immediatamente, e quando lei chiuse il gancio della mia collana, mi sussurrò qualcosa all'orecchio, un qualcosa che ricordo ancora perfettamente:

''Gli angeli non hanno un involucro materiale come noi, ma sono occhi che vedono, mani che toccano, cuori che amano..''

Ricordo di averla abbracciata forte e di avergli ripetuto durante tutto il tragitto per casa ''Grazie mamma'' e ''ti voglio bene''.

Riposi quello di mia madre al suo posto e misi intorno al collo il mio ciondolo. Poi feci un passo indietro per controllare l'effetto nello specchio: una via di mezzo tra il disinvolto e il quasi sexy.

 

 

Quindici minuti dopo, puntualissima, l'auto di Mercedes entrava sobbalzando nel vialetto; un secondo dopo, la mia amica si attaccò al clacson.

Io impiegavo dieci minuti a percorrere il tragitto tra le nostre case, e di solito facevo attenzione al limite di velocità. Mercedes capiva la parola velocità, mentre limite non faceva parte del suo vocabolario. Il che spiegava come mai fosse già lì.

 

- Vado al Delphic con Mercedes - gridai in direzione del bagno. - Se chiama mio padre, ti spiace riferirgli il messaggio?

Santana caracollò fuori dalla stanza. - Fino al Delphic? Così tardi?

- Divertiti alla conferenza! - dissi, scappando via prima che lei riuscisse a protestare o a telefonare a mio padre.

 

Mercedes aveva raccolto i capelli in una coda, dalla quale sfuggivano dei grossi riccioli. Due cerchi dorati alle orecchie. Rossetto color ciliegia. Mascara nero.

- Ma come fai? - le chiesi. - Hai avuto al massimo cinque minuti per prepararti.

- Sempre pronta! - esclamò Mercedes con un gran sorriso.

- Sono il sogno di ogni boy scout -. Quindi mi squadrò da capo a piedi.

- Che c'è? - dissi.

- Dobbiamo uscire con dei ragazzi, stasera.

- Per quanto ne so, si.

- Ai ragazzi piacciono le ragazze e i ragazzi che sembrano...tali.

Sollevai le sopracciglia. - Perché, io cosa sembro?

- Sembri uno che è uscito dalla doccia convinto di aver fatto tutto il necessario per apparire presentabile. Non fraintendermi, non sei male ma...Beh lasciamo stare.. Tieni -. Infilò la mano nella borsa. -Il burro cacao alla fragola, che ami tanto ma te lo do solo se mi giuri di non avere malattie contagiose. Oh e se vuoi ho anche il correttore.-

- Non ho nessuna malattia!

- Tanto per essere sicura.

- Comunque, no grazie.

Mercedes restò a bocca aperta, un po' per gioco e un po' sul serio. - Cosa?

- Non credi che le mie labbra siano già perfettamente morbide così?

In tutta onestà, non ero sicuro di quello che stessi dicendo, magari un po’ di correttore e il burro cacao … Dio, perché Blaine mi aveva messo quell'idea in testa?

Tentai di giustificarmi dicendo a me stesso che né la mia dignità né il mio orgoglio erano a rischio.

Mi avevano dato un suggerimento e io, essendo di mente aperta, avevo provato a seguirlo. Quel che non volevo ammettere era che, per sperimentarlo, avevo scelto apposta una sera in cui non avrei incontrato Blaine.

 

 

 

Mezz'ora dopo, Mercedes superò i cancelli del Delphic.

Fummo costretti a lasciare l'auto in fondo al parcheggio, perché c'era sempre un sacco di gente il primo fine settimana di apertura.

Il Delphic non è famoso per il clima mite. Infatti, non appena Mercedes e io ci incamminammo verso la cassa, prese a soffiare un vento basso, che incollava le buste di popcorn e le carte di caramelle alle caviglie. Gli alberi avevano perso le foglie da tempo ormai, e i rami incombevano su di noi come braccia disarticolate.

Durante l'estate al Delphic c'era di tutto: feste in maschera, chiromanti, musicisti gitani e uno spettacolo con fenomeni da baraccone. Non riuscivo mai a capire se quelle stranezze umane fossero vere o trucchi da illusionista.

- Un biglietto, per favore - dissi alla donna alla cassa. Lei prese il denaro e fece scivolare un braccialetto sotto lo sportello. Poi sorrise, mostrando dei denti da vampiro di plastica imbrattati di rossetto.

- Buon divertimento - mormorò. - E non dimenticate di provare il nostro otto volante completamente rimodernato- Batté sul lato della finestra, indicando una pila di cartine del parco e un volantino pubblicitario.

Presi una copia di entrambi e mi avviai avanti. Il volantino diceva:

PARCO DIVERTIMENTI DELPHIC!

ULTIMA ATTRAZIONE:

L'ARCANGELO RIMODERNATO E RINNOVATO!

PROVATE L'EBBREZZA DI

UN VOLO A 30 METRI D'ALTEZZA.

 

Mercedes lesse il volantino e per poco non mi perforò il braccio con le unghie. - Dobbiamo farlo assolutamente! - strillò.

- Per ultimo - dissi, sperando che, dopo aver fatto il giro di tutte le altre attrazioni, si sarebbe dimenticata di quella.

Da anni ormai non avevo più paura dell'altezza, forse perche l'avevo sempre saggiamente evitata. Non ero certo che fosse arrivato il momento di scoprire se il tempo aveva guarito quella debolezza.

 

Dopo l'autoscontro, un giro sul Tappeto Volante e diverse bancarelle di giochi vari, Mercedes e io decidemmo che era ora di cercare Jeff e Jules.

- Mmm - disse Mercedes, guardando da una parte e dall'altra del vialetto che girava intorno al parco. Restammo in silenzio per un momento, quindi proposi: - La sala giochi.

-Ottima idea.

Avevamo appena oltrepassato la soglia della sala giochi quando lo vidi.

Non Jeff, né Jules.

 

Blaine.

 

Alzò lo sguardo dal videogame con cui stava giocando. Lo stesso cappellino da baseball che indossava durante la mia partita di softball gli schermava parte del viso, ma io ero sicuro di aver visto un sorriso.

Sembrava amichevole, ma poi mi ricordai di come era entrato nei miei pensieri e mi si gelò il sangue.

Sperai che Mercedes non l'avesse visto. Così la guidai tra la folla in modo che Blaine restasse fuori dal suo campo visivo.

L'ultima cosa di cui avevo bisogno era che si impuntasse per andare da lui a fare conversazione.

- Eccoli là! - disse Mercedes agitando il braccio. - Jules! Jeff! Siamo qui!

- Buonasera - disse Jeff, facendosi largo tra la folla. Jules lo seguiva, entusiasta come un bambino trascinato dal dottore. - Posso offrirvi una Coca?

- Grazie - disse Mercedes guardando Jules. - Per me una Diet.

Con la scusa di dover andare in bagno, Jules si eclissò.

Cinque minuti dopo, Jeff era tornato. Dopo averci offerto le bibite, si fregò le mani e abbracciò la sala con lo sguardo. - Da dove cominciamo?

- E Jules? - chiese Mercedes.

- Ci troverà.

- Carambole! - proposi immediatamente. Quel gioco si trovava dall'altra parte della sala: più eravamo lontani da Blaine, meglio era.

Continuavo a ripetermi che era li per caso, ma il mio istinto non era d'accordo.

- Oh, guarda! - intervenne Mercedes. - Un tavolo da biliardino! Jules e io contro voi due. Chi perde paga la pizza.

- D'accordo - disse Jeff.

Non avrei avuto nulla contro il biliardino, se solo il tavolo non fosse stato a pochi passi dai videogame e da Blaine.

Mi imposi di ignorarlo. Bastava dargli le spalle, e non mi sarei nemmeno accorto che era lì. E magari nemmeno Mercedes se ne sarebbe accorta.

- Ehi, Kurt, ma quello non è Blaine? - disse invece.

- Mmm? - feci con aria innocente. Allora lo indicò. - Là. È lui, no?

- Ne dubito. Allora Jeff e io siamo i bianchi?

- Blaine è il compagno di banco di Kurt a biologia – spiegò Mercedes a Jeff. Mi strizzò l'occhio, ma appena Jeff la guardò sfoggiò un'espressione da perfetta innocentina.

Scossi il capo, piano ma in modo deciso, per trasmetterle un messaggio silenzioso: «Smettila».

- Continua a guardare da questa parte - sussurrò invece Mercedes.

Poi si piegò verso di me, che stavo dall'altra parte del tavolo, facendo finta di volermi parlare in privato, ma tenendo un tono di voce abbastanza alto da farsi sentire da tutti, e disse: - Si starà chiedendo cosa ci fai qui con... - e fece un breve cenno del capo in direzione di Jeff.

Chiusi gli occhi e immaginai me stesso mentre sbattevo la testa contro il muro.

- Blaine ha fatto capire molto chiaramente di voler essere molto più di un compagno di classe per Kurt – continuò Mercedes. - E chi potrebbe dargli torto?

- Davvero? - disse Jeff, guardandomi come se la cosa non lo sorprendesse affatto. Notai che veniva più vicino.

Mercedes mi scoccò un sorriso trionfale che significava: «Ringraziami dopo».

- Non e così - obiettai. – E’...

- Molto peggio - insistette Mercedes. - Kurt sospetta che lo stia molestando. È sul punto di avvertire la polizia.

- Vogliamo giocare? - dissi a voce alta e lanciai la pallina al centro del tavolo.

Nessuno ci fece caso.

- Vuoi che parli con lui? - mi chiese Jeff. - Gli spiego che non siamo in cerca di guai, che sei qui con me e che se ha qualche problema possiamo discuterne.

La direzione che stava prendendo la conversazione non mi piaceva per niente. - Che cosa è successo a Jules? - dissi. - È via da un po'.

- Già, sarà caduto nel gabinetto - brontolò Mercedes.

- Fammi parlare con Blaine - insisté Jeff.

Anche se apprezzavo il fatto che si preoccupasse per me, non mi piaceva l'idea che Jeff avesse una discussione con Blaine.

Il mio compagno di banco era un'incognita: indefinibile, inquietante e oscuro.

Chi poteva sapere di che cosa sarebbe stato capace? Jeff era troppo gentile per essere mandato allo sbaraglio in quel modo.

- Non mi fa paura - riprese, quasi avesse ascoltato i miei pensieri.

Evidentemente su quel punto Jeff e io non eravamo d'accordo.

- E' una pessima idea - obiettai.

- È un'ottima idea - si intromise Mercedes. - Blaine potrebbe diventare... violento. Ti ricordi l'ultima volta?

«L'ultima volta?» le dissi a fior di labbra.

Non avevo idea del perché Mercedes si stesse comportando così. Forse era solo la sua abitudine a drammatizzare tutto. Purtroppo, però, la sua idea di dramma coincideva con la mia idea di umiliazione.

- Senza offesa, ma questo tizio mi sembra un verme. Vado a parlargli, solo due minuti - decise Jeff, e andò.

 

- No! - esclamai, afferrandolo per la manica. - Lui... ehm... potrebbe diventare di nuovo violento. Lascia che me la sbrighi io -. Lanciai uno sguardo furioso a Mercedes.

- Sei sicuro? - chiese Jeff. - Lo faccio senza problemi.

- Credo sia meglio che ci pensi io.

 

Mi asciugai i palmi delle mani sui jeans e, dopo aver fatto un bel respiro per calmarmi, iniziai a colmare la distanza tra me e Blaine. Non avevo idea di cosa gli avrei detto una volta li. Speravo di cavarmela con un rapido saluto, per poi tornare indietro.

Avrei rassicurato Jeff e Mercedes che la situazione era sotto controllo.

 

Blaine era vestito come sempre: camicia nera, jeans neri e una sottile collana d'argento. Aveva le maniche arrotolate fino ai gomiti e ogni volta che spingeva i pulsanti si vedevano i muscoli degli avambracci al lavoro.

Era alto, magro e forte e non mi sarei sorpreso se sotto i vestiti avesse delle cicatrici, ricordo di risse e di altre imprudenze.

Non che volessi guardare sotto i suoi vestiti...

 

Arrivato alla postazione di Blaine, battei la mano contro la fiancata del videogioco per attirare la sua attenzione. Con il tono di voce più calmo possibile, dissi: - Pac-Man? O Donkey Kong? -. In effetti no, sembrava un gioco militare e violento.

Il suo volto fu illuminato da un sorriso. - Baseball. Che ne dici di metterti dietro di me e darmi delle dritte?

Sullo schermo esplosero una serie di bombe incendiarie e dei corpi urlanti volarono per aria.

Non era baseball.

- Come si chiama? - chiese Blaine, muovendo impercettibilmente la testa verso il biliardino.

- Jeff. Senti, devo fare in fretta, mi stanno aspettando.

- L'ho già visto prima?

- È nuovo, si è appena trasferito.

- È a scuola solo da una settimana e ha già fatto amicizia? Che ragazzo fortunato -. Mi guardò di sottecchi. - Potrebbe avere un lato oscuro e pericoloso di cui non sappiamo niente.

- Sembra la mia specialità.

Aspettai che cogliesse l'allusione, invece disse soltanto: -Giochiamo? -. Indicò con il mento il fondo della sala.

Attraverso la folla, riuscii a scorgere dei tavoli da biliardo.

- Kurt! - gridò Mercedes. - Vieni qua. Jeff mi sta massacrando!

- Non posso - dissi a Blaine.

- Se vinco, - continuò Blaine, come se non avesse alcuna intenzione di accettare un rifiuto - dici a Jeff che ci sono stati dei cambiamenti e che per stasera non sei più libero.

Non riuscii a tacere: era davvero troppo arrogante! - E se vincessi io?

Il suo sguardo mi sfiorò da capo a piedi. - Non credo che dovremmo preoccuparci di questo.

Prima che riuscissi a fermarmi, gli diedi un pugno sul braccio.

- Attento - sussurrò. - Potrebbero pensare che stiamo flirtando.

 

Avevo voglia di prendermi a calci, perché era esattamente quello che stavamo tacendo. Però non era colpa mia.

Quando mi trovavo vicino a lui, i miei desideri diventavano contrastanti.

Una parte di me voleva scappare via urlando «Al fuoco!», mentre una parte più coraggiosa era tentata di vedere fin dove poteva avvicinarsi senza bruciarsi.

- Una partita di biliardo - mi tentò.

- Sono qui con altre persone.

- Tu vai al biliardo, a loro ci penso io.

Incrociai le braccia, sperando di apparire duro e un po' esasperato, sapendo che non mi sentivo così, neanche un po'. -Che intenzioni hai? Vuoi fare a botte con Jeff?

- Se è necessario...

Ero quasi sicuro che stesse scherzando.

Quasi.

- Hanno appena liberato un tavolo. Corri -. «Ti... sfido.»

Mi irrigidii. - Come fai?

Blaine non si affrettò a negare e io sentii una fitta di panico.

Allora era vero.

Sapeva esattamente quello che stava facendo. Avevo le mani sudate.

- Come fai?

Mi rivolte un sorriso complice. - Fare cosa?

- Non provarci - lo avvisai. - Non fare finta di non aver capito.

Appoggiò una spalla al videogioco e mi fissò. – Allora spiegami che cosa starei facendo.

- I miei... pensieri.

- Che cos'hanno che non va?

- Piantala, Blaine.

Sì guardò intorno. - Non vorrai insinuare di... parlarti nella mente? Sarebbe una follia, te ne rendi conto?

Deglutii.

Poi dissi, con il tono di voce più calmo che riuscii a trovare: - Tu mi spaventi e non credo mi faccia bene stare con te.

- Potrei farti cambiare idea.

-Kuuuuurt! - urlò Mercedes sopra il frastuono di voci e suoni.

- Vediamoci all'Arcangelo - disse Blaine.

Feci un passo indietro. - No - risposi.

Blaine mi girò intorno e si piazzò dietro di me, mentre un brivido mi correva lungo la schiena. - Ti aspetto – mi sussurrò all'orecchio. E scivolò fuori dalla sala giochi. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma ccciao!!

Eccoci qui con un nuovo capitolo..

Mmmmh spero che non ci siano troppo errori grammaticali, ma vi giuro che ho fatto del mio meglio!! Volevo postarlo ieri, ma ero ancora su di giri (in realtà lo sono anche ora, sto saltellando e urlando come una pazza mentre bacio la nostra foto e il suo autografo e credetemi non sono un bello spettacolo) per il mio incontro con Darren a NY.. 

Come ogni volta, se avete dubbi, domande, perplessità da espormi, io sono qui e sarò felice di rispondervi :D

 

Ora vorrei farvi vedere una cosa. Se vi interessa.

Questo è il ciondolo della madre di Kurt:  http://arredoeconvivio.com/wp-content/uploads/2012/12/ali-CIONDOLO022.jpg  mentre questo qui è quello di Kurt:  http://galerie.alittlemarket.com/galerie/product/462529/bijoux-per-uomo-ciondolo-maschile-ali-d-angelo-2990777-img-2977-99b11_570x0.jpg .. Quello di Kurt l'ho regalato al mio ragazzo e l'altro, lui l'ha regalato a me (si, è per questo che ve li ho fatti vedere) !!

Ora scappo via prima che mi lanciate dei pomodori! Grazie a tutti quelli che hanno recensito, a chi lo farà, a chi a già inserito la storia tra i 'preferiti' e le 'seguite' e a chi lo farà.. Grazie davvero.

Al prossimo aggiornamento (che non tarderà, promesso!)..

-Iris ;D

 

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Capitolo 9
*** Arcangelo. (Cap. 8) ***


8. Arcangelo

- Credo di essere più ...un angelo custode.

 

 

 

Tornai indietro completamente frastornato. 

Jeff era chino sul tavolo da gioco, concentrato. Mercedes strillava e rideva. Di Jules neanche l'ombra.

Mercedes alzò gli occhi dalla partita.

- Be', cos'è successo? Che ti ha detto?

- Niente. Gli ho chiesto di lasciarci in pace e se n'è andato.- risposi con voce inespressiva.

- Non sembrava arrabbiato quando se ne è andato - commentò Jeff. - Qualsiasi cosa tu gli abbia detto, ha funzionato.

- Peccato - disse Mercedes. - Speravo in qualche emozione forte.

- Siamo pronti per giocare? - esclamò Jeff. - Ho fame di pizza conquistata a caro prezzo.

- Sì, se Jules si degna di tornare - disse Mercedes. - Forse non gli piacciamo. Continua a sparire, mi sembra un chiaro segnale non verbale.

- Stai scherzando? Jules vi adora - replicò Jeff con troppo entusiasmo. - Fa solo un po' fatica a scaldarsi con chi non conosce. Vado a cercarlo, non muovetevi.-

Appena restammo soli, mi rivolsi a Mercedes. - Lo sai che sto per ucciderti, vero?

Lei alzò le mani. - Ti stavo facendo un favore. Jeff è pazzo di te. Dopo che te ne sei andato, gli ho detto che ci sono almeno cinque ragazzi che ti chiamano ogni sera. Avresti dovuto vedere la sua faccia.-

Mi sfuggì un gemito. Dio Mercedes! Come facevo a spiegarle che Jeff era l'ultimo dei miei problemi in quel momento? Che la mia testa era invasa dalla sua voce, da poche semplici parole ''Vediamoci all'arcangelo'' ?

- È la legge della domanda e dell'offerta - si affrettò ad aggingere Mercedes. - Ehi, chi l'avrebbe mai detto che economia ci sarebbe tornata utile?- rispose al mio ennesimo sguardo minaccioso.

Guardai verso l'ingresso della sala giochi. - Ho bisogno di qualcosa.

- Hai bisogno di Jeff.

- No, di zucchero. Parecchio. Zucchero filato -. Quello di cui avevo bisogno era una gomma abbastanza grossa per cancellare dalla mia vita tutte le prove dell'esistenza di Blaine. 

Soprattutto quelle riguardo alla telepatia.

Rabbrividii. Come faceva?

E perchè proprio con me?

A meno che... non fosse tutto frutto della mia immaginazione. Come l'incidente in macchina.

- Anch'io avrei bisogno di un po' di zucchero - disse Mercedes.- C'è un venditore all'ingresso. Io resto qui, così Jules ed Jeff non pensano che siamo scappati, tu vai a prendere qualcosa di dolce.-

 

 

Trovai il venditore di zucchero filato, ma non comprai niente perché qualcosa aveva catturato la mia attenzione.

 

Poco distante, l'Arcangelo si stagliava oltre le cime degli alberi. Un serpente di piccoli vagoni sfrecciava sulle rotaie illuminate, scendendo in picchiata fuori dal mio campo visivo. Mi chiesi perché mai Blaine volesse incontrarmi li.

E avvertii una fitta allo stomaco: avrei dovuto prenderla come una risposta, invece, nonostante le mie migliori intenzioni, mi trovai a superare il chiosco dei dolciumi, diretto all'Arcangelo.

 

Mi mischiai alla folla, gli occhi fissi sulle rotaie che si avvitavano nel cielo. Il vento era cambiato, da freddo era diventato gelido, ma non era quella la ragione per cui mi sentivo sempre più a disagio.

Di nuovo quella sensazione.

La raggelante, terrificante sensazione di essere osservato.

Guardai a destra, a sinistra: niente di anormale.

Ruotai di 180 gradi. E lì, qualche metro indietro, vidi un piccolo spiazzo alberato e una figura incappucciata che si voltò sparendo nell'oscurità.

 

Con il cuore che batteva più veloce, superai un gruppo di visitatori e mi allontanai. Mi guardai alle spalle.

Nessuno sembrava seguirmi.

Mi voltai, deciso a mettere molti metri fra me e quella visione terrorizzante, e andai a sbattere contro qualcuno.

- Scusi - mormorai, cercando di non perdere l'equilibrio.

Blaine mi sorrise - È difficile resistermi.

Lo guardai sorpreso. - Lasciami in pace -. Cercai di scansarmi, ma lui mi prese per il gomito.

- Che succede? Sembri sul punto di vomitare.

- Sei tu che mi fai quest'effetto - dissi bruscamente. Avevo voglia di dargli un calcio negli stinchi.

- Prendi qualcosa da bere -. Tenendomi per il braccio, mi trascinò verso un chiosco che vendeva la limonata.

Puntai i piedi. - Vuoi davvero aiutarmi? Stammi lontano.

Lui mi spostò una ciocca di capelli dal viso. - Adoro i tuoi capelli. Adoro quando sono fuori controllo, quando non restano alzati in quel ciuffo maledettamente perfetto con diverse sfumature di marrone, è come vedere una parte di te che dovrebbe uscire allo scoperto più spesso.

Mi ravviai i capelli furiosamente, cercando di alzare il ciuffo. Poi però mi resi conto che davo l'idea di volermi rendere più presentabile per lui e sbottai:

- Devo andare, Mercedes mi sta aspettando -. Quindi aggiunsi, sfinito:

- Immagino che ci vedremo lunedì, in classe.

- Vieni sull'Arcangelo con me.

Guardai su. I vagoni sfrecciavano rimbombando. Dal punto più alto delle rotaie gli strilli dei passeggeri echeggiavano fino a noi.

I sedili sono da due -. Le sue labbra si sollevarono in un sorriso provocante, e nel suo tono di voce, pacato e basso, avrei potuto giurare di aver sentito una sfumatura di malizia.

- No -. Neanche per sogno.

- Se continui a scappare, non scoprirai mai che cosa sta succedendo davvero.

Quel commento avrebbe dovuto bastare per farmi scappare. Ma non fu così.

Sembrava che Blaine sapesse esattamente casa dire, e quando, per solleticare la mia curiosità.

- Cosa sta succedendo? - chiesi.

- C'è un solo modo per scoprirlo.

- Non posso. Soffro di vertigini e Mercedes mi sta aspettando -. Solo che, all'improvviso, il pensiero di raggiungere quell'altezza, e il vuoto sotto di noi, non mi spaventava.

 

Non più.

 

Sapere che sarei stato con Blaine, incredibilmente, mi faceva sentire al sicuro. Maledetto Blaine...maledetti i miei sentimenti in contrasto!

- Se riesci a fare un giro intero senza urlare, dirò alla coach che voglio tornare al mio vecchio posto.

- Ci ho già provato, non cambierà idea.

- Potrei essere più convincente di te.

La presi come una sfida. - Io non urlo - dichiarai. - Non al luna park -. Non per te.

 

 

Tenendo il passo con Blaine, andai a mettermi in coda per l'Arcangelo. Le urla aumentavano e si affievolivano a mano a mano che i vagoni salivano nel cielo notturno.

- Non ti ho mai visto prima, qui - disse Blaine.

- Tu ci vieni spesso? -. Mentalmente, presi nota di non fare più gite al Delphic durante il fine settimana.

- Sono legato a questo posto da una lunga storia.

I vagoni si svuotarono e un nuovo gruppo di persone a caccia di brividi salì a bordo; la coda avanzava.

- Fammi indovinare - dissi. - L'anno scorso, quando saltavi la scuola, venivi qui.

Ero sarcastico, ma Blaine non rispose a tono: - Stai cercando di fare luce sul mio passato. Io invece vorrei che rimanesse buio.-

- Perché, cosa c'è che non va nel tuo passato?

- Non credo sia questo il momento di parlarne. Il mio passato potrebbe spaventarti.

«Troppo tardi » pensai.

 

Blaine si avvicinò e le nostre braccia si toccarono, un contatto leggero che mi fece venire la pelle d'oca e mandò un brivido nel mio basso ventre. – Dovrei confessare cose non adatte al proprio frivolo compagno di banco.-

 

Fui avvolto dal vento gelido. Quando inspirai, mi sembrò di riempirmi di ghiaccio. Comunque, niente in confronto alla sensazione che mi avevano trasmesso le sue parole.

 

Blaine indicò la rampa d'accesso con un cenno. - Ci siamo.

Spinsi il cancello girevole. Gli unici posti rimasti liberi erano i primi e gli ultimi del treno. Blaine si diresse verso i primi.

Quelle montagne russe non mi infondevano alcuna fiducia, non importa con quanto scrupolo fossero state rimodernate.

Erano di legno, esposto da più di un secolo alle intemperie. E i disegni sulle fiancate erano ancora meno rassicuranti.

 

Il vagone scelto da Blaine ne aveva quattro.

Il primo rappresentava un gruppo di demoni cornuti che strappavano le ali ad un angelo urlante.

Il successivo mostrava l'angelo ormai privo di ali seduto su una lapide, dalla quale osservava dei bambini che giocavano in lontananza.

Nel terzo, l'angelo senza ali si era avvicinato ai bambini e con la mano ne chiamava una dagli occhi verdi.

Nell'ultimo disegno, l'angelo fluttuava attraverso il corpo della bambina come un fantasma. Gli occhi della piccola erano diventati neri, il sorriso era sparito dalle sue labbra e le erano spuntate le corna.

Sopra tutto era dipinto uno spicchio di luna.

 

Distolsi lo sguardo e mi convinsi che fosse il vento a farmi tremare le gambe. Così mi sedetti accanto a Blaine.

- Il tuo passato non mi spaventerebbe - dichiarai mentre mi agganciavo la cintura di sicurezza. - Immagino potrebbe farmi inorridire.

- Farti inorridire - ripete lui. Il tono della sua voce mi fece pensare che avesse accettato quell'implicita accusa.

Strano, perché non era da Blaine essere accondiscendente.

 

I vagoni arretrarono un po' per poi balzare in avanti. In un modo tutt'altro che fluido, iniziammo a salire. L'aria era satura di odore di sudore, ruggine e ... di Blaine che era così vicino che riuscivo a sentire anche il suo, di odore. Un leggero sentore di menta.

- Sembri pallido - disse, piegandosi verso di me per farsi sentire al di sopra del clangore delle rotaie.

Mi sentivo pallido, ma non lo ammisi.

 

In cima alla salita il trenino si fermò un istante. La vista spaziava per chilometri: si vedeva la campagna scura fondersi con lo scintillio dei quartieri periferici. Lassù non soffiava un alito di vento, tanto che l'aria umida rimaneva attaccata alla pelle.

Senza volerlo, mi voltai verso Blaine e il fatto di saperlo li accanto a me mi rassicurò. Lui mi rivolse un bel sorriso caldo e ben disteso.

- Paura, angelo?

 

II trenino si mosse in avanti, e immediatamente mi afferrai alla sbarra davanti ai sedili. Mi scappò un sorriso incerto.

Il vagone andava diabolicamente veloce, io volavo con i capelli al vento. Curvando di scatto ora a sinistra ora a destra, il treno sferragliava sulle rotate.

Mi sentivo gli organi interni galleggiare e ondeggiare. Guardai in basso, cercando di concentrarmi su qualcosa che non si muovesse.

 

Fu allora che mi accorsi che la mia cintura di sicurezza si era sganciata.

Cercai di gridarlo a Blaine, ma la mia voce fu inghiottita dalla furia del vento. Sentii un vuoto allo stomaco e lasciai la sbarra con una mano per cercare di riallacciarmi la cintura. Il vagone piegò a sinistra.

Andai a sbattere addosso a Blaine, così forte da farmi male alla spalla. Il trenino puntò a velocità folle verso l'alto. Sentii che si sollevava dalle rotaie, evidentemente non erano fissate bene.

Poi si lanciò giù.

Le luci piazzate lungo le rotaie mi accecavano. Non riuscivo a vedere da che parte avrebbe girato il treno dopo quella discesa a picco.

 

Il vagone scartò a destra. Fui assalito dal panico, e poi successe.

 

 

La spalla sinistra sbatté violentemente contro la porta, che si spalancò. Fui scaraventato fuori dal vagone mentre il treno proseguiva la sua corsa senza di me.

Rotolai sulle rotaie, mentre disperatamente cercavo di trovare un appiglio a cui aggrapparmi. Le mie mani non trovarono nulla e così caddi nel vuoto, nella notte buia.

La terra si avvicinava velocemente e aprii la bocca per urlare.

 

Quello che accadde subito dopo fu che ..... il treno si fermò alla piattaforma di partenza con uno stridio di freni.

Blaine mi stringeva così forte che le braccia mi facevano male. - Quello si che era un urlo! - disse con un gran sorriso.

Stordito, lo guardai coprirsi l'orecchio con la mano come se il mio urlo gli stesse ancora rimbombando nella testa.

Non capivo che cosa fosse accaduto, e mi ritrovai a fissare il suo braccio nel punto in cui le mie unghie avevano lasciato dei segni rossi.

Poi i miei occhi si spostarono sulla cintura di sicurezza.

Era chiusa.

- La cintura... - mormorai. - Pensavo...

- Cosa pensavi? - chiese Blaine. Sembrava sinceramente interessato.

- Pensavo... sono volato fuori dal vagone. Pensavo che sarei morto... davvero.

- Credo che lo scopo sia questo.

Mi tremavano le braccia. Le ginocchia non riuscivano a reggere il mio peso.

- Temo che rimarremo vicini di banco - disse Blaine. Mi sembrò di sentire una sfumatura trionfale nella sua voce, ma ero troppo stordito per discutere.

- Arcangelo - mormorai, voltandomi a guardare il treno, che nel frattempo aveva ricominciato a salire.

- Significa angelo di alto rango - rispose Blaine decisamente compiaciuto. - E più in alto si sta, più dolorosa è la caduta.

 

Aprii la bocca per ribadire quanto fossi sicuro di essere caduto dal vagone, anche se solo per un istante, e che forze che non riuscivo a spiegare mi avevano riportato in salvo, con la cintura allacciata.

Invece dissi: - Credo di essere più... un angelo custode.- riferendomi involontariamente al fatto che per Blaine io fossi 'angelo' (il suo angelo) e .... al fatto che mi sembrava di essere appena riuscito a farmi beffa della morte, senza sapere come esserci riuscito.

Blaine fece un altro sorrisetto compiaciuto e disse: - Vieni, ti riporto alla sala giochi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma  ccciao!

Lo so, avevo promesso di fare prima ma... beh non sapevo che avrei fatto un'incidente sul motorino insieme al mio ragazzo.... quindi mi perdonate?

Allora, anche in questo capitolo c'è un -come li chiamo io- quasi incidente.. Ricordate quello della macchina?

Bene, non preoccupatevi ben presto avrete la risposta a tutto ciò, a come Blaine faccia a parlare nella mente di Kurt, al perchè Jules è sempre così sfuggente, e a tante altre cose.. Presto, non preoccupatevi.

Per il momento spero che nel capitolo non ci siano tanti errori e che, dovete sapere che amo la suspanse e a rimanervi con il fiato a mezz'aria e quindi spero che il capitolo.. non sia troppo deludente concluso in questo modo... ma non ho avuto la forza e il tempo di ricontrollarlo.. voglio stare vicino al mio ragazzo, che beh si è fatto più male di me.

Ora andiamo con il solito rituale dei ringraziamenti:

Grazie a quelli che hanno inserito la storia nelle 'seguite' (siete aumentatii e lo apprezzo tanto perchè significa che sto facendo un buon lavoro) e nei 'preferiti' e a chi lo farà,

grazie a quelli che hanno già recensito e a chi lo farà,

grazie a te, Susie, che mi sei vicina in questo brutto momento, sappi che sei la mia migliore amica e ti amo da morire, ok?

grazie anche a chi legge solamente.. GRAZIE DAVVERO.

Beh, ci vediamo al prossimo aggiornamento,

-Iris ;D

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Capitolo 10
*** -Tacos? (Cap. 9) ***


9. Tacos?

… Pensi di essere pronto per la chimica?

 

 

 

Facendomi largo tra la folla, superai la cassa della sala giochi, le toilettes e raggiunsi il biliardino.  Mercedes non c'era e nemmeno Jeff o Jules.

- A quanto pare sono andati via - disse Blaine. Mi sembrò di scorgere un lampo divertito nei suoi occhi, ma, ancora una volta, con lui avrebbe anche potuto trattarsi di tutt'altro. - A quanto pare hai bisogno di un passaggio.

- Mercedes non mi lascerebbe mai qui - ribattei, mettendomi in punta di piedi per cercare di guardare al di sopra della gente. - Staranno giocando a ping-pong.

Iniziai a cercarli muovendomi lentamente nella calca, con Blaine dietro che continuava a tamburellare le dita sulla lattina. Si era offerto di comprare qualcosa da bere anche a me, ma, considerato il mio stato, non ero affatto sicuro di riuscire a tenerla in mano.

Ai tavoli da ping-pong non c'era traccia di Mercedes né di Jeff.

Mi sentii arrossire. Dov'era Mercedes?

Blaine mi porse la bibita. - Sicuro di non voler bere qualcosa?

Guardai la lattina e poi Blaine.

Il sangue mi ribolliva al pensiero di posare la bocca dov'era stata la sua, ma non dovevo dirglielo per forza.

Scavai nella tracolla e tirai fuori il cellulare. Lo schermo era spento e rifiutava di accendersi. Non capivo come la batteria potesse essere a terra, visto che l'avevo ricaricata prima di uscire.

Continuai a premere il tasto di accensione, ma senza ottenere nulla.

- La mia offerta è sempre valida - disse Blaine.

Pensai che sarei stato più al sicuro se mi fossi fatto dare un passaggio da uno sconosciuto. Ero ancora scosso da quello che era successo sull'Arcangelo e, nonostante tentassi disperatamente di togliermela dalla testa, l'immagine della mia caduta continuava a perseguitarmi.

 

Stavo precipitando... e poi la corsa era finita.

Era stata la cosa più terrificante che mi fosse mai capitata. E il fatto ancora più terrificante era il dubbio che me ne fossi accorto solo io. Nessuno oltre a me, nemmeno Blaine, che mi sedeva proprio accanto.

Mi diedi una sberla sulla fronte. - L'auto! Probabilmente mi sta aspettando li!

 

 

Trenta minuti dopo avevo perlustrato l'intero parcheggio.

Nessuna traccia della Neon.

Non riuscivo a crederci: Mercedes se n'era andata senza di me. Forse aveva avuto un'emergenza, ma non c'era modo di saperlo, visto che non potevo controllare i messaggi sul cellulare. Cercai di tenere a freno le emozioni, ma se davvero mi aveva abbandonato li, tutta la collera che mi ribolliva dentro prima o poi sarebbe esplosa.

- Hai esaurito tutte le alternative? - chiese Blaine.

Mi morsi il labbro, sforzandomi di pensare se ne esistessero altre.

No. Comunque non ero sicuro di voler accettare la sua offerta.

Nei giorni normali, Blaine trasudava pericolo. Quella sera era un potente mix di pericolo, minaccia e mistero.

Alla fine, mi lasciai sfuggire un sospiro e pregai di non aver preso la decisione sbagliata.

 

- Portami dritto a casa - dissi. Sembrava più una domanda che un ordine.

- Se è questo che vuoi.

 

 

Stavo per chiedere a Blaine se sull'Arcangelo aveva notato qualcosa di strano, ma mi fermai. Avevo troppa paura della risposta.

E se non fossi affatto caduto?

Se avessi immaginato tutto?

Magari vedevo cose che non succedevano davvero.

Prima il tizio con il passamontagna, ora questo.

Ero abbastanza certo del fatto che Blaine mi parlasse nella mente, ma tutto il resto?

Di quello non ero affatto sicuro.

 

Blaine si diresse verso un altro punto del parcheggio. Una scintillante motocicletta nera lo aspettava, appoggiata al cavalletto. Montò in sella e mi indicò il posto dietro di lui con un cenno. - Salta su.

- Wow. Bella moto - dissi, ma era una bugia. Aveva l'aria di una lucida, nera trappola mortale. Non ero mai stato su una moto prima di allora. Mai. E non ero sicuro di voler cambiare le cose proprio quella notte.

- Mi piace la sensazione del vento sulla faccia - continuai, sperando che la mia aria spavalda mascherasse il terrore di andare a più di cento chilometri l'ora senza niente tra me e l'asfalto.

Mi diede l'unico casco che aveva. Nero, come la visiera.

Lo presi, mi misi a cavalcioni sulla moto rendendomi improvvisamente conto di quanto mi sentissi instabile. Mi infilai il casco sui miei adorabili capelli e me lo agganciai sotto il mento.

- È difficile da guidare? - chiesi. Quello che volevo dire in realtà era « È sicura?».

- No - disse Blaine, rispondendo a tutt'e due le domande.

Rise sommessamente e aggiunse: - Sei teso, rilassati.

 

Uscì dal parcheggio e l'accelerazione improvvisa mi fece sobbalzare. Avevo afferrato la sua camicia, convinto che bastasse il tessuto sottile che avevo tra le dita per mantenere l'equilibrio.

Invece no.

Fui costretto ad abbracciarlo.

 

In autostrada, Blaine diede gas e io mi strinsi a lui con le cosce. Era stato un movimento involontario e sperai di essermene accorto solo io.

 

Arrivati a casa mia. Blaine si infilò con cautela nel vialetto d'ingresso immerso nella nebbia, spense il motore e smontò, io mi sfilai il casco, lo posai con cautela in equilibrio sulla sella e aprii la bocca per dire qualcosa del tipo «Grazie del passaggio, ci vediamo lunedi».

Invece le parole mi morirono sulle labbra, perchè Blaine iniziò a salire i gradini della veranda.

Che cosa aveva in mente?

Accompagnarmi fino alla porta d'ingresso?

Improbabile. Allora cosa?

L'attimo dopo era davanti alla porta. Confuso e sempre più preoccupato, lo vidi estrarre dalla tasca un mazzo di chiavi dall'aria molto familiare e poi inserirne una nella serratura.

Tirai giù la tracolla dalla spalla e aprii lo scomparto in cui tenevo le chiavi di casa.

Non c'erano.

- Ridammele -. Ero semplicemente sconvolto dal fatto di non riuscire a capire come fossero finite nelle sue mani.

- Ti sono cadute nella sala giochi mentre cercavi il telefono -disse.

- Non m'interessa dove mi sono cadute. Ridammele.

Blaine alzò le mani, come a dichiararsi innocente, e si allontanò dalla porta. Poi si appoggiò al muro con una spalla e mi guardò mentre mi avvicinavo alla serratura.

Cercai di girare la chiave, ma non si muoveva.

- L'hai incastrata! - protestai, e presi a scuotere la porta.

Poi feci un passo indietro. - Avanti, provaci. È bloccata.

Con uno schiocco secco, girò la chiave. La mano appoggiata sulla maniglia, sollevò le sopracciglia come a dire: «Posso?».

Deglutii, cercando di nascondere quanto fossi ingolosito e insieme allarmato dalla proposta. 

-Non c'è nessuno da sorprendere in casa.

- Sei solo per tutta la notte?

Mi resi immediatamente conto che forse non era stata la cosa più furba da dire. - Sta arrivando Santana - mentii.

Era quasi mezzanotte, Santana se n'era andata da un pezzo.

- Santana?

- La nostra donna di servizio. E’ una donna sulla quarantina, forte. Molto forte.

Cercai di oltrepassarlo, ma non ci riuscii.

- Sembra tremenda - disse lui mentre sfilava la chiave dalla serratura e me la porgeva.

- Riesce a pulire un gabinetto dentro e fuori in meno di un minuto. È più che tremenda -. Piano piano, girai intorno a lui. Avevo intenzione di chiudergli la porta in faccia, ma quando mi voltai Blaine era sull'uscio, puntellato con le braccia agli stipiti.

- Non mi inviti a entrare?

Lo guardai sorpreso.

Invitarlo a entrare?

In casa mia? Ma ero solo...

- È tardi - continuò. I suoi occhi, accesi e caparbi, catturarono i miei. - Sarai affamato.

- No. Sì. Voglio dire, si ma...

E all'improvviso, era dentro.

Feci tre passi indietro, lui richiuse la porta con il piede. – Ti piace la cucina messicana? - chiese.

- Vorrei... -. «Vorrei sapere cosa stai facendo in casa mia!»

- Tacos?

- Tacos? - gli feci eco.

Sembrava si stesse divertendo. - Pomodoro, lattuga, formaggio.

- So cosa sono i tacos!

Prima che riuscissi a fermarlo, si avviò a grandi passi lungo il corridoio. Lo percorse tutto e girò a sinistra, entrando in cucina.

Andò al lavello, aprì il rubinetto e si insaponò fino ai gomiti. Facendo come fosse a casa sua si diresse alla dispensa, poi diede un'occhiata nel frigo e tirò fuori la salsa, il formaggio, la lattuga e un pomodoro, quindi frugò nei cassetti e prese un coltello.

 

Stavo per avere un attacco di panico alla vista di Blaine con un coltello in mano, poi qualcos'altro catturò la mia attenzione. Avanzai d'un passo e diedi un'occhiata alla mia immagine riflessa su una padella.

I miei capelli!

Il casco me li aveva schiacciati tutti, ora sembravano semplicemente un’albicocca sfracellata sull’asfalto. Mi misi la mano sulla bocca.

Blaine sorrise. – Le tue sfumature nei capelli sono naturali? Il marrone, il rosso, l’oro ,il biondo, il castano..

Lo fissai. - lo non ho i capelli di tutti questi colori.

- Mi spiace darti questa notizia, ma si, li hai.

- Sono solo castani e forse con qualche sfumatura biondo scuro-. Forse avevo dei sottilissimi, impercettibili, quasi invisibili riflessi ramati, o di uno degli altri colori che aveva nominato Blaine ma i miei capelli erano castani. - È la luce - dissi.

- Si, forse dipende dalle lampadine -. Sorrise e su una guancia comparve una fossetta.

- Torno subito - dissi, correndo fuori dalla cucina.

Andai di sopra e ripresi il controllo dei capelli alzandoli nuovamente con la spazzola e passando un po di lacca biologica. Una volta risolto quel problema, feci un quadro della situazione. Non ero per niente tranquillo all'idea di Blaine che gironzolava per casa armato dì coltello. E mio padre mi avrebbe ucciso se avesse saputo che l'avevo fatto entrare quando non c'era Santana.

- Posso prenotarmi per un'altra volta? - chiesi due minuti dopo, trovandolo ancora al lavoro in cucina. Mi portai la mano alla pancia per fargli capire che mi faceva male. - Ho un po' di nausea. Credo sia stata la moto.

Lui smise di tagliuzzare le verdure e alzò gli occhi. – Ho quasi finito.

Notai che aveva cambiato coltello. Questo aveva la lama più grossa e più affilata.

Come se avesse potuto guardare i miei pensieri attraverso una finestra aperta, alzò il coltello e lo esaminò.

La lama scintillò sotto la luce. Mi si strinse lo stomaco.

- Metti giù il coltello - gli ordinai con voce calma.

Blaine fece scorrere lo sguardo da me al coltello e viceversa. Poi lo posò davanti a sé. - Non voglio farti del male, Kurt.

- Questo mi tranquillizza - riuscii a dire, anche se avevo la gola chiusa e secca.

Fece ruotare il coltello in modo che il manico fosse rivolto verso di me e disse: - Vieni, ti insegno a fare i tacos.

Non mi mossi. Un luccichio nei suoi occhi mi diceva che avrei dovuto avere paura di lui... e ne avevo, eccome.

Però, c'era qualcos'altro. Qualcosa di estremamente affascinante e inquietante allo stesso tempo. Quando ero accanto a lui, non mi fidavo di me stesso.

- Che ne dici di un... patto? -. Aveva chinato il viso, che ora era in ombra, e mi guardava attraverso le ciglia.

Sembrava la persona più affidabile del mondo. - Se mi aiuti a fare i tacos, io risponderò a qualcuna delle tue domande.

- Le mie domande?

- Credo che tu sappia a cosa mi riferisco.

Lo sapevo perfettamente. Mi stava invitando a dare un'occhiata nel suo mondo privato. Un mondo in cui poteva parlare con la mia mente.

Come sempre, sapeva che cosa dire e quando dirlo.

Senza proferire parola, mi avvicinai. Fece scivolare il tagliere davanti a me.

- Prima di tutto - disse, mettendosi dietro di me, facendo scontrare il suo petto con la mia schiena, con le mani sul piano di lavoro, accanto alle mie - scegli il pomodoro -. Abbassò la testa. La sua bocca era all'altezza del mio orecchio. Il suo respiro, caldo, mi solleticava la pelle. - Bene. Ora prendi il coltello.

- Lo chef sta sempre così vicino? - chiesi. Non riuscivo a decidere se la fitta di eccitazione che era appena nata nel mio basso ventre a causa della sua vicinanza mi piaceva o spaventava.

- Quando rivela i suoi segreti, si. Tieni il coltello con decisione.

- Lo sto facendo.

- Bene -. Fece un passo indietro e mi osservò, quasi cercasse eventuali imperfezioni; i suoi occhi si mossero dall'alto in basso, da destra a sinistra.

Per un lungo, snervante momento pensai di vedere un sorrisetto di approvazione. - Non si impara a cucinare - disse Blaine. - È una cosa innata: ce l'hai o non ce l'hai. E' come la chimica. Pensi di essere pronto per la chimica?-

Premetti la lama del coltello sul pomodoro, che si divise in due metà, ciascuna delle quali dondolò piano sul tagliere.

- Dimmelo tu. Sono pronto per la chimica?

Blaine emise un suono profondo che non riuscii a decifrare e, ancora una volta, sorrise.

 

 

Dopo cena, Blaine portò i piatti nel lavello - lo lavo, tu asciughi -. Frugò nei cassetti, trovò uno strofinaccio e me lo lanciò con fare scherzoso.

- Sono pronto a farti quelle domande - dissi. - Iniziamo da quella sera in biblioteca. Mi hai seguito...

La voce mi morì in gola. Blaine era appoggiato pigramente al bancone, alcuni ricci ribelli fuori dal cappellino e l'ombra di un sorriso sulle labbra. Quello che avevo in mente si dileguò e, fulmineo, mi affiorò alla mente un pensiero.

 

Volevo baciarlo. Subito.

 

Blaine sollevò le sopracciglia. - Allora?

- Mmm... niente. Assolutamente niente. Tu lavi e io asciugo.

 

 

Non ci volle molto e quando finimmo con i piatti ci ritrovammo vicini, stretti nello spazio vicino al lavello.

Blaine si mosse per togliermi lo strofinaccio dalle mani e i nostri corpi si toccarono. I nostri bacini si scontrarono e credo che lui avesse sentito la mia oramai evidente eccitazione. Nessuno dei due si mosse: restammo aggrappati al sottile filo che ci univa. Fui io a tirarmi indietro per primo.

- Hai paura? - mormorò.

- No.

- Bugiardo.

Avevo il cuore a mille. - Non ho paura di te.

- No?

Parlai senza pensare. - Forse ho solo paura che... -. Mi maledissi per avere anche solo iniziato la frase. Cos'avrei dovuto dire a quel punto? Non avrei mai ammesso che tutto in lui mi spaventava, perché così facendo gli avrei solo dato il permesso di provocarmi di più. - Forse ho solo paura che...

- Che io ti piaccia?

Sollevato dal fatto di non aver dovuto completare la frase, dissi solo: - Si -. Mi resi conto troppo tardi di ciò che avevo confessato. - Cioè no! Decisamente no. Non era questo che cercavo di dire!

Blaine rise piano.

Dio quella risata.. il cuore mi si gonfiò, giusto un po’ di più.

- Il fatto è che una parte di me non si sente per niente tranquilla accanto a te - ammisi.

- Ma?

Strinsi il ripiano dietro di me per farmi coraggio. - Ma mi attiri, anche. In un modo spaventoso.

Blaine sorrise.

- Sei proprio arrogante - dissi, e lo spinsi via con la mano.

Lui l'afferrò e se la portò al petto. Afferrò la manica del mio maglione e la tirò giù, coprendomi la mano e poi fece lo stesso con l'altra manica. Quindi, afferrò il maglione per i polsini. Mi aveva bloccato le mani. Aprii la bocca per protestare.

Mi tirò a sé e, senza preavviso, mi sollevò e mi mise a sedere sul piano di lavoro. Il mio viso era all'altezza del suo. Mi fissò con un sorriso tenebroso, seducente. Quel sorriso non fece che tormentare ancora di più la mia pulsante eccitazione. E fu allora che capii che quel momento aleggiava nelle mie fantasie ormai da giorni.

- Togliti il cappello -. Le parole mi rotolarono fuori di bocca prima che riuscissi a fermarle.

Se lo girò al contrario, con la visiera indietro.

 

Mi avvicinai.

Qualcosa dentro di me mi diceva di fermarmi, ma spinsi quella voce nell'angolo più recondito della mente.

 

Lui posò le mani sul ripiano, proprio accanto ai miei fianchi. Piegò la testa di lato e si avvicinò. Il suo odore, di terra umida, mi travolse.

Inspirai quel profumo intenso. No. Non era la cosa giusta da fare. Non quella, non con Blaine. Lui era pazzesco. In modo positivo certo, ma anche in modo negativo. Molto negativo.

- Credo che dovresti spostarti - sussurrai. – Dovresti proprio spostarti.

- Spostarmi dove? Qui? -. Posò la bocca sulla mia spalla.

- O qui? -. La appoggiò sul collo.

Il mio cervello non riusciva a elaborare alcun pensiero logico. La bocca di Blaine saliva verso la mascella, succhiando delicatamente la pelle...

- Mi si stanno addormentando le gambe - mormorai. Non era proprio una bugia, sentivo un formicolio in tutto il corpo, gambe comprese.

- Ci penso io -. Le mani di Blaine strinsero i miei fianchi.

All'improvviso, suonò il cellulare. Il suono mi fece sobbalzare e, armeggiando un po', lo tirai fuori dalla tasca.

- Ciao figliolo - disse mio padre in tono allegro.

- Posso richiamarti?

- Certo. Che succede?

Spensi il telefono. - Devi andartene - dissi a Blaine. - Subito.

Rimise a posto il cappellino. Ora l’unica parte del viso che riuscivo a vedere era la bocca, piegata in un sorriso malizioso.

- Non hai messo ne il burro cacao ne il correttore.

- Me ne sarò dimenticato.

- Fai sogni d'oro stanotte.

- Certo, non preoccuparti -. Che cosa aveva detto?

-Riguardo quella festa, domani sera...

- Ci penserò - riuscii a dire.

Blaine mi infilò un pezzetto di carta in tasca e quel contatto generò un'ondata di calore lungo le gambe, di nuovo.

- Questo è l'indirizzo. Ti aspetterò. Vieni da solo.

Un attimo dopo, sentii la porta d'ingresso chiudersi alle sue spalle.

Avvampai. «Troppo vicino» pensai.

Il fuoco non è pericoloso... a meno di non avvicinarsi troppo. Non bisogna dimenticarlo mai.

Con il fiato corto, mi appoggiai agli armadietti della cucina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma cciao ragazzi!!

Oggi non sono in vena di dire nulla, sono tormentata dal pensiero del mio ragazzo ancora malato e dalla morte di Cory. Un mix di alcol e eroina? Io non voglio crederci, perchè avrebbe dovuto farlo?

Beh, in ogni modo a me non frega un cazzo di come sia morto, io voglio ricordarlo per tutte le cose buone che ha fatto, voglio ricordare il gigante buono che faceva parte di quella famiglia che mi ha cambiato la vita, voglio ricordare quel ragazzo con cui la vita è stata ingiusta.. Ora lui si è unito agli angeli nel cielo, magari ha incontrato Michael Jackson e gli ha chiesto di insegnargli a ballare, magari d'ora in poi ogni volta che sentiremo dei tuoni, sarà lui che si sta divertendo da matti a suonare la batteria..

Lo amerò sempre.. e in questo momento i miei pensieri vanno tutti verso i suoi familiari, verso il cast... e verso Lea, sapere che lei sta male fa stare male anche me..

Bene, per quanto riguarda la ff, mi scuso per l'enorme ritardo, perdonatemi se ci sono degli errori grammaticali ma non sono riuscita a ricontrollarlo, le lacrime mi affuscano la vista.

Come sempre se avete domande, se vorrete dei chiarimenti io sono qui.

E grazie a tutti quelli che mi seguono, a quelli che mi hanno confortato per l'incidente avvenuto col mio ragazzo, grazie a chi recensisce.. Grazie anche a quelli che verranno in futuro. 

-Iris ;D

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Capitolo 11
*** Presenza familiare. (Cap. 10) ***


10. Presenza familiare.

 

…Mercedes in pericolo.

 

 

 

 

Il mio sonno fu bruscamente interrotto dallo squillo del telefono. Ancora sospeso nel mondo dei sogni, mi tirai il cuscino sulla testa per cercare di coprire il rumore. Il telefono però continuò a suonare finché non partì la segreteria. Cinque secondi dopo, riprese a squillare.

Allungai un braccio, cercai a tentoni finchè non trovai i pantaloni e armeggiai un po' per tirare fuori il cellulare dalla tasca.

- Si? - dissi sbadigliando, ancora con gli occhi chiusi.

All'altro capo, qualcuno respirava furiosamente. - Cosa ti è successo? Dove sei andato a prenderlo lo zucchero filato? E già che ci sei, perché non mi dici dove sei così posso venire li a strangolarti a mani nude?

Mi battei la mano sulla fronte, non una, ma più volte.

- Pensavo ti avessero sequestrato! - continuò Mercedes. – Pensavo ti avessero rapito e ucciso!

Al buio, cercai di trovare l'orologio. Urtaì una cornice sul comodino, e tutte le altre cornici caddero come tessere del domino.

- Sono stato trattenuto - risposi. - E quando sono tornato alla sala giochi tu non c'eri più.

- Trattenuto? Che razza di scusa è?

Misi a fuoco l'orologio. Erano appena passate le due del mattino.

- Ho preso la macchina e ti ho cercato nel parcheggio per un'ora - continuò Mercedes. - Jeff è andato in giro per il parco mostrando l'unica foto di te che avessi, quella sul cellulare. Ho provato a chiamarti un miliardo di volte. Aspetta un secondo: sei a casa? Come ci sei arrivato?-

 Mi stropicciai gli occhi. - Blaine.

- Blaine il molestatore?

- Be', non è che avessi molta scelta, no? – replicai bruscamente. - Te ne sei andata senza di me.

- Sembri nervoso. Molto nervoso. No. non è quello. Sei agitato... eccitato -. Mi sembrava di vederla spalancare gli occhi. - Ti ha baciato, non è vero?

Nessuna risposta.

- L'ha fatto! Lo sapevo! Io ho visto come ti guarda. Sapevo che sarebbe successo, l'ho sempre saputo.

Non volevo pensarci.

- Com'è stato? - insistette. - Vellutato, polposo o profondo?

- Cosa?

- E’ stato un bacetto veloce, a labbra aperte o con la lingua? Non importa, è inutile che rispondi. Blaine non è tipo da preliminari. C'era la lingua, di sicuro.

Mi coprii il viso con le mani. Blaine probabilmente pensava che non avessi alcun autocontrollo. Gli ero caduto tra le braccia, mi ero sciolto come il burro. Proprio un attimo prima di dirgli di andarsene, ero sicuro di aver emesso un suono che era una via di mezzo tra un sospiro di pura beatitudine e un gemito di piacere.

E questo spiegava il suo sorriso arrogante.

- Possiamo parlarne più tardi? - chiesi, massaggiandomi la base del naso.

- Neanche per sogno.

Sospirai. - Sono stanco morto.

- Non riesco a credere che tu voglia tenermi sulle spine.

- Spero che te ne dimentichi.

- Scordatelo.

Cercai di visualizzare i muscoli del collo che si rilassavano, per evitare che mi esplodesse il mal di testa strisciante che già sentivo arrivare. - Allora oggi andiamo a fare shopping?

- Passo a prenderti alle quattro.

- Credevo fossimo d'accordo per le cinque.

- Cambio di programma. Arrivo anche prima se riesco a sganciarmi dai miei. Mia madre è in pieno esaurimento nervoso, crede che i miei brutti voti dipendano dalle sue scarse capacità genitoriali. Pare che la soluzione consista nel passare più tempo insieme. Augurami buona fortuna.-

Chiusi di scatto il telefono e sprofondai nel letto. Ripensai al sorriso spregiudicato di Blaine e ai suoi occhi dorati scintillanti. Dopo essermi girato e rigirato nel letto per un po', mi arresi: finché avessi avuto Blaine per la testa, trovare una posizione comoda sarebbe stato impossibile.

 

Quando ero piccolo, il figlioccio di Santana, Lionel, aveva rotto un bicchiere. Tutti i pezzetti di vetro erano stati raccolti, tranne uno, e lui mi aveva sfidato a leccarlo.

Innamorarsi di Blaine era un po' come leccare quella scheggia di vetro. Sapevo che era stupido, sapevo che mi sarei tagliato. Dopo tutti quegli anni, una sola cosa non era cambiata: ero ancora attratto dal pericolo.

All'improvviso mi misi a sedere sul letto, afferrai il telefono e accesi la luce.

La batteria era completamente carica.

Sentii un brivido di inquietudine.

Il mio cellulare avrebbe dovuto essere scarico. Come avevano fatto mio padre e Mercedes a chiamarmi?

 

 

 

La pioggia picchiava sulle tende colorate dei negozi rovesciandosi sul marciapiede sottostante. Gli antichi lampioni a gas disposti a zig-zag ai lati della strada si accesero.

Con gli ombrelli che continuavano a urtarsi, Mercedes e io percorremmo il marciapiede e arrivammo alla tenda a strisce bianche e rosa di Victoria's Secret. Scrollammo gli ombrelli e li appoggiammo fuori dalla porta.

Un tuono poderoso ci fece entrare di volata nel negozio.

Battei i piedi per levare l'acqua dalle scarpe e rabbrividii per il freddo.

Al centro del negozio, diversi diffusori di essenze bruciavano su un bancone, diffondendo un odore esotico e intenso.

Una donna con un paio di pantaloni neri e una maglietta elasticizzata dello stesso colore venne verso di noi. Aveva un metro a nastro intorno al collo e prendendolo, disse:

- Volete che vi misuri...

- Metta via quel dannato metro - ordinò Mercedes. – Conosco già la mia taglia, non ho bisogno che qualcuno me la ricordi.

Sorrisi alla donna per scusarmi, e seguii Mercedes diretta ai reggiseni in liquidazione.

- Non c'è niente di cui vergognarsi nell'avere una coppa D - dissi. Presi un reggiseno in satin blu e cercai il cartellino.

- Chi ha parlato di vergognarsi? - disse Mercedes. - E perché dovrei? Le uniche sedicenni con le tette grosse come le mie sono piene di silicone e lo sanno tutti. Che motivo avrei io di vergognarmi? -. Rovistò nel cesto. - Credi che abbiano un reggiseno che mi schiacci un po' le bimbe?

- Si chiamano reggiseni sportivi e hanno un fastidioso effetto collaterale: la monotetta -.

Improvvisamente chiusi gli occhi e ripensai alla serata trascorsa insieme a Blaine. Il contatto della sua mano sui miei fianchi, le sue labbra che assaggiavano il mio collo...

 

Mercedes mi tirò addosso un paio di mutandine leopardate turchesi, prendendomi alla sprovvista - Queste mi donerebbero molto, non trovi? Solo un sedere come il mio può riempirle.

 

A cosa diavolo stavo pensando? Ero arrivato a tanto così dal baciare Blaine.

Lo stesso Blaine che sembrava insinuarsi nella mia mente.

Lo stesso che mi aveva salvato dalla caduta fatale sull'Arangelo... perchè ero sicuro che fosse successo proprio quello anche se non avevo nemmeno una spiegazione logica a riguardo. Mi chiesi se dopo aver fermato in qualche modo il tempo, non mi avesse afferrato nel momento stesso in cui cadevo.

Se riusciva a parlare ai miei pensieri, forse, ma solo forse, era in grado di fare anche altre cose.

O forse, pensai rabbrividendo, non potevo più fidarmi della mia mente.

 

Avevo ancora il pezzo di carta che Blaine mi aveva infilato in tasca, ma per nessun motivo sarei andato a quella festa. Fra noi esisteva un'attrazione, e in fondo la cosa mi piaceva. Ma il lato misterioso e inquietante di Blaine faceva passare quella cosa in secondo piano. Avevo intenzione di espellere Blaine dal mio organismo e quella volta l'avrei fatto sul serio. Sarebbe stato l'equivalente di una dieta disintossicante.

Il problema era che l'unica dieta che avessi mai sperimentato aveva sortito l'effetto contrario.

 

Una volta avevo cercato di non mangiare cioccolata per un mese intero. Neanche un morso. 

Dopo due settimane ero crollato, mangiando in una volta sola più cioccolata di quanta ne avrei mangiata in tre mesi.

 

Speravo che la mia dieta fallita non fosse un presagio di ciò che sarebbe successo se avessi cercato di evitare Blaine.

 

 

- Che stai facendo? - chiesi, rivolta a Mercedes.

- A te che sembra? Stacco l'etichetta con il prezzo da questi reggiseni in saldo per attaccarla a quelli non in saldo. Così posso prendere dei reggiseni sexy al prezzo di quelli brutti.

- Non puoi farlo! La cassiera leggerà il codice a barre e ti beccherà.

- Codice a barre? Non leggono mica il codice a barre - ribattè, ma non sembrava molto convinta.

- Si che lo fanno. Te lo giuro, croce sul cuore -. Pensai che spergiurare fosse meglio che guardare Mercedes trascinata in prigione.

Be', sembrava proprio una buona idea...

- Devi prendere queste - le dissi, lanciandole uno straccetto di seta nella speranza di distrarla.

Lei prese le mutandine. Minuscoli granchi rossi impreziosivano il tessuto. - È la cosa più disgustosa che abbia mai visto. Quel reggiseno nero che hai in mano invece mi piace, è per San vero? Per il fatto che sta cercando di riscoprire il suo lato sexy a quella convention? Beh, dovresti comprarlo. Tu vai a pagare, io finisco di guardare i saldi.

 

Annuii e andai a pagare il mio piccolo regalo per Santana. Poi andai verso lo scaffale delle creme.

Stavo annusando una boccetta di Dream Angels quando avvertii una presenza familiare vicino a me.

Era come se qualcuno mi avesse infilato una pallina di gelato nel colletto che, dalla nuca, mi stesse scivolando lungo la schiena.

Lo stesso brivido che provavo ogni volta che Blaine era nelle vicinanze.

 

Mercedes e io eravamo ancora gli unici clienti del negozio, ma attraverso la vetrina vidi una figura incappucciata indietreggiare per poi ripararsi sotto una tenda dall'altro lato della strada.

Scombussolato, rimasi immobile per un lungo minuto, finché riacquistai il controllo di me stesso e andai a cercare Mercedes.

- E’ ora di andare - dissi.

Lei stava passando in rassegna un espositore. - Wow! Guarda qui, pigiami di flanella con il cinquanta per cento di sconto. Ne ho proprio bisogno.

Con un occhio fìsso alla vetrina le dissi: - Credo che qualcuno mi stia seguendo.

Mercedes alzò di scatto la testa. - Blaine?

- No. Guarda dall'altra parte della strada.

Diede una rapida occhiata. - Non vedo nessuno.

- Nemmeno io. - Un'auto di passaggio mi copriva la vista.

- Credo che sia entrato nel negozio.

- Come fai a sapere che ti stava seguendo?

- Un brutto presentimento.

- Somigliava a qualcuno di nostra conoscenza? Per esempio... se fosse un incrocio tra Pippi Calzelunghe e la malvagia Strega dell'Ovest sapremmo che in realtà è Quinn Fabray.

- Non era lei - risposi, gli occhi ancora fissi sulla strada.

- Ieri sera, quando sono uscito dalla sala giochi per andare a prendere lo zucchero filato, ho visto qualcuno che mi spiava. Credo si tratti della stessa persona.

- Sul serio? Perché me lo dici solo adesso? Chi è?

Non ne avevo idea. Ed era questo a spaventarmi più di ogni altra cosa.

Mi rivolsi alla commessa. - C'è un'uscita secondaria? – Lei distolse lo sguardo dal cassetto che stava mettendo in ordine. - Solo per i dipendenti.

- È un uomo o una donna? - si informò Mercedes.

- Non saprei.

- Be', perché dovrebbe seguirti? Che cosa vuole?

- Spaventarmi -. Mi sembrava una spiegazione piuttosto sensata.

- E perchè?

Non sapevo neanche quello.

- Dobbiamo creare un diversivo.

- Proprio quello che stavo pensando io. E noi sappiamo quanto sono brava a creare diversivi. Dammi il tuo giubbetto di jeans e il tuo cappellino.

La fissai. - Neanche per sogno. Non sappiamo nulla di questa persona quindi non ti lascerò uscire con i miei vestiti addosso. Se fosse armata? E poi ‘Cedes non funzionerà mai, lo vedrebbe anche un cieco che non sono io.

- A volte la tua immaginazione mi fa paura e non ti preoccupare, lascia fare a me- disse Mercedes.

Dovevo ammetterlo, l'idea che fosse armata e intenzionata a uccidermi era un po' inverosimile. Però con tutte le cose orribili che stavano succedendo, non potevo rimproverarmi se avevo i nervi a pezzi e pensavo al peggio.

- Esco prima io - propose Mercedes. - Se lui mi segue, tu fai lo stesso. lo andrò verso il cimitero, sulla collina. Lo blocchiamo e ci facciamo dare delle risposte.

 

 

Un minuto dopo, Mercedes lasciò il negozio con il mio giubbetto e il mio cappellino addosso. Prese il mio ombrello rosso e lo tenne basso, in modo che le coprisse la testa.

Dal punto in cui ero, acquattato dietro l'espositore dei pigiami, vidi la figura incappucciata uscire dal negozio dall'altro lato della strada e seguire Mercedes.

Mi mossi furtivamente verso la vetrina.

Mercedes e lo sconosciuto svoltarono l'angolo e sparirono.

Io corsi verso la porta. Fuori, la pioggia si era trasformata in diluvio.

Afferrai l'ombrello di Mercedes e mi misi in marcia, passando sotto le tende in modo da ripararmi dall'acqua. Sentivo che l'orlo dei jeans si inzuppava e rimpiansi di non aver indossato gli stivali.

Davanti a me, la fila di negozi terminava ai piedi di una collina ripida ed erbosa.

Sulla cima, si scorgeva a malapena l'alta recinzione di ghisa del cimitero della città.

Aprii la portiera della Neon, sparai lo sbrinatore al massimo e accesi i tergicristalli a tutta velocità.

Uscii dal parcheggio e girai a sinistra, accelerando lungo la strada che serpeggiava sui fianchi della collina. Mi si stagliarono davanti gli alberi del cimitero, con i rami che sembravano muoversi a ogni colpo dei tergicristalli.

Le lapidi di marmo bianche sembravano lame che spuntavano dall'oscurità, mentre quelle grigie semplicemente svanivano nell'aria.

 

All'improvviso, dal nulla, comparve un oggetto rosso che andò a schiantarsi contro il parabrezza. Colpì il vetro proprio al centro, quindi schizzò via, oltre l'automobile.

Schiacciai a fondo il pedale del freno e la Neon si fermò slittando sul ciglio della strada.

Aprii la portiera e uscii a cercare l'oggetto che mi aveva colpito.

 

Segui un momento di confusione, quando la mente si trovò a elaborare i segnali forniti dalla vista. Il mio ombrello giaceva intrappolato nei cespugli, rotto. Il modo in cui era piegato faceva pensare che fosse stato scagliato con forza contro qualcosa di più robusto, e inevitabilmente avesse avuto la peggio.

 

Poi attraverso il rumore furibondo della pioggia, mi arrivò un singhiozzo soffocato.

 

- Mercedes? - chiamai.

Attraversai la strada, una mano a ripararmi gli occhi dalla pioggia, e mi guardai intorno. A pochi passi da me c'era un corpo riverso a terra.

Iniziai a correre.

- ‘Cedes! -. Mi lasciai cadere in ginocchio accanto a lei. Era sdraiata su un fianco, le ginocchia contro il petto, e si lamentava.

- Cos'è successo? Stai bene? Riesci a muoverti? -. Gettai indietro la testa, incurante delta pioggia. «Pensa!» dissi a me stesso.

Il cellulare. Nell'auto. Dovevo chiamare il 911.

- Vado a chiedere aiuto - dissi a Mercedes.

Lei gemette e mi afferrò la mano.

Mi chinai su di lei tenendola stretta, le lacrime roventi pronte a sgorgare fuori. - Cos'è successo? È stata la persona che ti seguiva? È stata lei? Cosa ti ha fatto?-

Mercedes mormorò qualcosa di incomprensibile, qualcosa di simile a «borsa». In effetti, la sua borsa non c'era.

- Tra poco starai bene - mormorai, cercando di mantenere un tono di voce calmo.

Pensieri foschi si agitavano in me, anche se cercavo di tenerli a bada. Sapevo che la colpa era della stessa persona che mi aveva spiato al Delphic e poi seguito nel mio giro di shopping, ma mi rimproveravo ugualmente per aver messo Mercedes in pericolo.

Corsi all'auto, presi il cellulare e chiamai il 911.

Cercando di evitare un tono isterico, dissi: - Ho bisogno di un'ambulanza. La mia amica è stata aggredita e derubata.

 

 

 

 

 

 

Ma ccciao!

Oddio per prima cosa voglio sapere se tra di voi c'è qualcuno che è andato al Giffoni.. Susie ci è andata e mi ha detto che Naya è stata perfetta, dolcissima e gentilissima come sempre.. Dio quanto sono gelosa!!

Io a causa dell'incidente subito col mio ragazzo sono rimasta bloccata in America e non sono potuta partire. Quindi ho bisogno di voi, voglio che mi raccontiate com'è andata!!

Bene, ora passiamo alla storia, abbiamo visto che c'è qualcuno che si ostina a seguire il nostro piccolo Kurt, presto scopriremo chi è.. e presto avremo anche una notizia diciamo ''sconvolgente'' su Jeff, forse vi porterà ad odiarlo, ma non preoccupatevi perchè sono sicura che alla fine lo amerete nuovamente...

Per quanto riguarda Mercedes, sta bene!! E.. non saprei che altro dirvi.. Se avete domande, dubbi e perplessità, IO SONO QUI.

Grazie a tutti quelli che mi seguono, che leggono e che recensiscono.. Grazie davvero.

-Iris :D

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Capitolo 12
*** Jeff. (Cap. 11) ***


11. Jeff

Sembrava il tipo attento ai dettagli...

 

 

 

Passai il lunedì in stato confusionale. Mi spostai da un'aula all'altra aspettando soltanto il suono dell'ultima campanella.

Avevo chiamato l'ospedale prima di andare a scuola. Mi avevano detto che Mercedes stava entrando in sala operatoria. Aveva il braccio sinistro fratturato e siccome l'osso non era allineato doveva essere operata.

Volevo vederla, ma non me l'avrebbero permesso fino al pomeriggio, quando, una volta esaurito l'effetto dell'anestesia l'avrebbero riportata in camera.

Era fondamentale che ascoltassi la sua versione dei fatti prima che dimenticasse i dettagli o li romanzasse.

Qualsiasi cosa ricordasse, poteva aggiungere un tassello alla storia e aiutarmi a capire chi potesse essere stato.

 

 

Mano a mano che le ore passavano, il mio interesse si spostò da Mercedes alla persona in attesa fuori dal negozio.

Chi era? Cosa voleva?

Forse il fatto che Mercedes fosse stata aggredita poco dopo che avevo visto la ‘persona’ pedinarla era solo una coincidenza inquietante, ma il mio istinto non era d'accordo.

Avrei voluto avere maggiori dettagli sul suo aspetto. Il cappuccio, i jeans e la pioggia erano riusciti a nasconderlo per bene. Per quanto ne sapevo, poteva anche trattarsi di Quinn Fabray, ma dentro di me sapevo che non era così.

 

 

Raggiunsi il mio armadietto per prendere il libro di biologia e andai in classe a seguire l'ultima lezione. La sedia di Blaine era vuota. In genere arrivava all'ultimo momento, sul filo dalla campanella... che invece suonò e suonò finché la coach prese posto alla lavagna per iniziare una lezione sull'equilibrio.

 

Mi concentrai sulla sedia vuota accanto alla mia. Una vocina in fondo alla testa mi diceva che la sua assenza poteva essere collegata a Mercedes. Era strano che mancasse proprio la mattina successiva alla sua aggressione.

E poi non riuscivo a dimenticare il brivido gelido che avevo sentito qualche istante prima di guardare fuori dal negozio e capire di essere spiato. Ogni volta che mi sentivo così, lui era nei paraggi.

Presto, però, la voce della ragione respinse ogni coinvolgimento di Blaine. Magari aveva preso il raffreddore, oppure aveva finito la benzina mentre veniva a scuola ed era rimasto bloccato a chilometri di distanza.

Oppure c'era un torneo di biliardo con una posta talmente alta da fargli preferire la sala giochi a una lezione sulla complessità del corpo umano.

 

 

Alla fine della lezione, la coach mi fermò prima che uscissi dall'aula.

- Aspetta un momento, Kurt.- Mi voltai. - Si?

Mi porse un pezzo di carta piegato a metà. – Il signor Evans mi ha chiesto di darti questo.

Presi il biglietto. – Il signor Evans? -. Non avevo nessun insegnante con quel nome.

-Il nuovo psicologo della scuola. Ha appena sostituito la signorina Berry.

Aprii il biglietto e lessi il messaggio:

 

Caro Kurt,

ho preso il posto della dottoressa Berry e da oggi sarò io il tuo psicologo.

Ho visto che hai saltato gli ultimi due appuntamenti. Per favore, passa subito da me in modo da poterci conoscere. Ho mandato una lettera a tuo padre per informarlo di questo cambiamento.

 

Un caro saluto,

Dottor Evans.

 

 

- Grazie - dissi alla coach, piegando il biglietto fino a che non divenne abbastanza piccolo da poterlo infilare in tasca.

Non c'era modo di evitarlo: dovevo andare.

 

Mi unii alla folla di studenti. Percorsi i corridoi fino alla porta chiusa dell'ufficio della dottoressa Berry, sicuramente ci sarebbe stata una nuova targhetta.

Infatti.

L'ottone lucido scintillava sul legno di quercia: Sig. S. Evans, psicologo.

Bussai e un attimo dopo la porta venne aperta dall'interno.

 

Il dottor Evans aveva la pelle chiara e perfetta, occhi blu, una bocca alquanto grande, splendidi capelli biondi e lisci. Sul naso portava un paio di occhiali bianchi.

Era vestito in modo formale, con una camicia bianca sotto un vestito di tessuto grigio.

Avrà avuto al massimo cinque anni più di me, non di più.

- Tu devi essere Kurt Hummel. Sei uguale alla foto che c'è nel tuo fascicolo – disse- e mi diede una vigorosa stretta di mano. Aveva un tono sbrigativo, ma non scortese. Pratico.

Arretrò di un passo, invitandomi a entrare.

- Posso offrirti del succo di frutta o dell'acqua? - chiese.

- Cos'è successo alla dottoressa Berry?

- Credo abbia avuto un’occasione a NY  e io tenevo d'occhio questo posto da un po', così quando si è liberato mi sono presentato di corsa. Ho studiato in Florida, ma sono cresciuto a Lima e i miei genitori abitano qui. È bello stare di nuovo vicino alla mia famiglia.-

 

Esaminai il piccolo ufficio. Dall'ultima volta che ero stato lì, poche settimane prima, aveva subito un cambiamento drastico. Le librerie che rivestivano le pareti erano piene di libri universitari tutti piuttosto simili tra loro, con le copertine rigide di un colore neutro e i caratteri in oro. La dottoressa Berry utilizzava gli scaffali per esporre le foto di famiglia, mentre non c'erano immagini della vita privata del dottor Evans.

Accanto alla finestra, era appesa la stessa felce che grazie alle cure della dottoressa era più marrone che verde. Adesso, dopo pochi giorni con lui, era tornata rigogliosa e piena di vita. Dall'altro lato della scrivania, vidi una sedia rivestita da un tessuto rosso a motivo cachemire e, nell'angolo opposto, diversi scatoloni impilati.

- Sono qui solo da venerdì - spiegò, vedendo che il mio sguardo si posava sugli scatoloni. - Sto ancora finendo di sistemare le mie cose. Accomodati.

 

Posai lo zaino e mi sedetti sulla sedia rossa. Nella piccola stanza non c'era niente che potesse fornire un indizio sulla personalità del dottor Evans. Sulla scrivania, che non poteva definirsi disordinata ma neanche scrupolosamente ordinata, erano appoggiate diverse cartellette e una tazza bianca piena di un liquido che aveva tutta l'aria di essere tè.

Non c'era traccia di profumo o di deodorante per ambienti. Il monitor del computer era spento.

 

Il dottor Evans si chinò su uno schedario sistemato dietro la scrivania, tirò fuori una cartelletta nuova e, con il pennarello nero, scrisse il mio nome sull'etichetta; quindi la posò sulla scrivania accanto a quella vecchia, costellata di chiazze di caffé lasciate dalla tazza della dottoressa Berry.

- Ho passato l'intero fine settimana a esaminare il lavoro di ci mi ha preceduto - disse. - Rimanga tra noi, ma la sua grafia mi fa venire l'emicrania, quindi li sto ricopiando tutti. Sono rimasto stupito dal fatto che non usasse il computer per gli appunti. Chi è che scrive ancora a mano al giorno d'oggi?-

Si mise comodo sulla sedia girevole, accavallò le gambe e mi sorrise. - Allora, perché non mi racconti a che punto eravate con la dottoressa Berry? Sono riuscito a stento a decifrare i suoi appunti. A quanto pare stavate parlando della tua opinione riguardo il nuovo impiego di tuo padre. Non è tanto nuovo ormai, lavora da un anno. Prima stava a casa, vero? Poi, dopo la morte di tua madre, ha iniziato un'occupazione a tempo pieno -. Diede un'occhiata a uno dei fogli del mio fascicolo. - Si tratta di una casa d'aste, giusto? Se non sbaglio, coordina le aste immobiliari da qui a NY -. Mi guardò al di sopra degli occhiali. - Questo significa che passa molto tempo lontano da casa.

- Volevamo restare nella nostra fattoria - dissi, un po' sulla difensiva. - E se avesse accettato un lavoro in zona non avremmo potuto permetterci il mutuo -. Non andavo pazzo per le sedute con la dottoressa Berry, ma ero risentito con lei per essere andata da un’altra parte e avermi abbandonato al dottor Evans. Iniziavo a farmi un'idea di lui. Sembrava il tipo attento ai dettagli e sentivo che aveva una gran voglia di scavare in ogni angolo oscuro della mia vita.

- Devi sentirti molto solo in quella casa vuota.

- Abbiamo una donna di servizio che sta con me tutti i pomeriggi fino alle nove o alle dieci di sera.

- Ma una donna di servizio non è come una madre.

Guardai la porta. E non cercai di farlo con discrezione.

- Hai un'amica del cuore? Un ragazzo? Qualcuno con cui poter parlare delle cose per le quali la donna di servizio non è... adatta? -. Immerse una bustina nella tazza, la ritirò su e bevve un sorso di tè.

- Ho un'amica del cuore -. Avevo deciso di tacere il più possibile. Meno avrei detto, meno sarei rimasto. E prima sarei arrivato da Mercedes.

Lui sollevò le sopracciglia. - Un ragazzo?- Giusto, nel fascicolo doveva esserci scritto che ero gay.

- No.

- Sei molto carino.

- Senta, - dissi, cercando di avere un tono calmo – apprezzo molto che stia cercando di aiutarmi, ma ho già fatto questa conversazione con la dottoressa Berry un anno fa, quando è morta mia madre. È come tornare indietro nel tempo, rivivere tutto daccapo. Si, è stato tragico e orribile e devo farci i conti ogni giorno, ma ora ho bisogno di andare avanti.

L'orologio appeso al muro segnava con il suo ticchettio il passare del tempo.

- Bene - disse Evans alla fine, rivolgendomi un sorriso stereotipato. - È molto utile conoscere il tuo punto di vista, Kurt. È quello che cercavo di capire sin dall'inizio. Appunterò le tue impressioni nel fascicolo. C'è altro di cui vorresti parlare?

- No -. Sorrisi, a conferma del fatto che era davvero tutto a posto.

 

Scorse alla svelta altre pagine del mio fascicolo. Non avevo idea di cosa la dottoressa Berry avesse scritto e non volevo star li a scoprirlo. Raccolsi lo zaino e mi spostai sul bordo della sedia. - Non vorrei metterle fretta, ma devo essere in un posto alle quattro.

- Oh?

Non avevo intenzione di raccontargli dell'aggressione. - Ricerca in biblioteca - mentii.

- Quale materia?

Dissi la prima cosa che mi venne in mente: - Biologia.

- A proposito, come va a scuola? Ci sono problemi?

- No.

Consultò altre pagine del mio fascicolo. - Ottimi voti - osservò.

- A quanto pare stai facendo da tutor a un compagno di biologia. Blaine Anderson -. Alzò gli occhi, come se aspettasse una conferma.

Fui sorpreso dal fatto che questo compito fosse talmente importante da essere segnalato nella mia cartella. -Finora non siamo mai riusciti a incontrarci. Incompatibilità di orari-. Mi strinsi nelle spalle, come a dire: «Che posso farci?».

 

Raccolse tutti i fogli, li sistemò e li infilò nella cartelletta nuova, quella su cui aveva scritto il mio nome. – Mi sembra corretto avvisarti che ho intenzione di chiedere alla professoressa Beiste di stabilire delle regole a questo proposito. Vorrei che gli incontri si svolgessero qui, a scuola, sotto la diretta supervisione dell'insegnante o di un altro membro del corpo docente. Non voglio che tu incontri Blaine al di fuori dei locali scolastici e soprattutto non voglio che voi due vi vediate da soli.

Fui percorso da un brivido. - Perché? Qual è il problema?

- Non posso parlarne.

L'unica ragione che mi veniva in mente era che Blaine fosse pericoloso. «Il mio passato potrebbe spaventarti» mi aveva detto.

- Grazie per avermi dedicato un po' del tuo tempo. Non ti tratterrò oltre -. Il dottor Evans mi accompagnò alla porta e, tenendola aperta mi rivolse un sorriso. Un sorriso di circostanza.

 

 

Una volta lasciato l'ufficio dello psicologo, chiamai l'ospedale.

L'intervento di Mercedes era finito, ma lei era ancora in rianimazione e non poteva ricevere visite fino alle sette. Consultai l'orologio del cellulare: mancavano tre ore. Saltai sulla mia macchina, sperando che un pomeriggio in biblioteca mi aiutasse a ingannare l'attesa.

 

 

Rimasi a fare i compiti tutto il pomeriggio e, senza che me ne rendessi conto, scese la sera. Sentii lo stomaco brontolare nel silenzio della sala e mi ricordai del distributore automatico all'ingresso.

Rimandai l'ultimo compito che mi rimaneva, ma c'era ancora una ricerca per la quale avevo bisogno delle risorse della biblioteca. A casa avevo un vecchio computer IBM con una connessione a Internet preistorica e così, quando potevo, cercavo di usare uno dei computer della biblioteca. Dovevo recensire una rappresentazione teatrale dell'Otello per l'ezine entro le nove e mi ripromisi di andare alla ricerca di cibo subito dopo aver finito.

Raccolsi tutte le mie cose e presi l'ascensore. Spinsi il pulsante di chiusura delle porte, ma non scelsi alcun piano.

Tirai fuori il cellulare e richiamai l'ospedale.

- Salve - dissi all'infermiera che aveva risposto. - La mia amica è stata operata oggi. Ho già chiamato e mi avete detto che sarebbe uscita dal reparto rianimazione questa sera. Si chiama Mercedes Jones.

Ci fu una pausa seguita dal ticchettio dei tasti del computer.

- Mi risulta che la porteranno in camera entro un'ora.

- A che ora termina l'orario di visita?

- Alle otto.

- Grazie.

Schiacciai il pulsante del terzo piano, sperando che leggere un po' di recensioni avrebbe riacceso la mia scintilla creativa.

 

Seguii il corridoio, fino alla sala multimediale.

Entrai, scelsi un computer e mi collegai a Internet. Stavo per tuffarmi nella ricerca, quando mi balenò un'idea. Dopo essermi accertato che nessuno mi stesse guardando, andai su Google e scrissi "Blaine Anderson". Magari avrei trovato un articolo che mi avrebbe aiutato a far luce sul suo passato. Magari teneva un blog.

Una volta visualizzati i risultati della ricerca, aggrottai la fronte: niente. Niente Facebook, niente MySpace, nessun blog. Come se non esistesse.

- Qual è la tua storia, Blaine? - mormorai. - Chi sei in realtà?

 

Mezz'ora e diverse recensioni dopo, avevo gli occhi appannati. Estesi la ricerca a tutti i giornali dell’ Ohio.

Comparve un link alla Crawford Country Dale, sorella gemella alla Dalton Accademy. Ci misi qualche secondo a riconoscere quel secondo nome, Dalton, era familiare: era la scuola da cui si era trasferito Jeff. D'impulso, decisi di andare a cercare anche li. Se la scuola era così d'èlite come sosteneva Jeff, avrebbe dovuto avere un giornale.

 

Cliccai sul link, feci scorrere la pagina con l'archivio e scelsi a caso il 21 marzo di quell'anno. Un attimo dopo, comparve un titolo:

STUDENTE DELLA DALTON INDAGATO PER L'OMICIDIO ALLA CRAWFORD COUNTRY DALE.

Avvicinai la sedia al tavolo, attirato dalla prospettiva di leggere qualcosa di più eccitante delle recensioni teatrali.

 

Uno studente sedicenne della Dalton Accademy, interrogato dalla polizia sull'episodio ormai conosciuto come "il caso della studentessa impiccata alla Crawford", è stato rilasciato senza nessun capo di imputazione. Dopo che il corpo della diciottenne Kjirsten Halverson era stato trovato impiccato a un albero del parco della Kinghorn Prep, la polizia aveva indagato Jeff Sterling, studente del secondo anno, che era stato visto in compagnia della vittima la notte della sua morte.

 

Ci misi un po' a elaborare le informazioni. Jeff era indagato in un caso di omicidio?

 

Kjirsten Halverson lavorava come cameriera al Blind Joe. La polizia conferma che sabato sera lei e Sterling erano stati visti passeggiare insieme nel campus. Il corpo della ragazza è stato scoperto domenica mattina e Jeff Sterling è stato rilasciato lunedì pomeriggio in seguito al ritrovamento, nell'appartamento della Halverson, di un biglietto in cui la ragazza annunciava di volersi suicidare.

 

- Trovato qualcosa di interessante?

La voce di Jeff alle mie spalle mi fece sobbalzare. Mi girai di scacco. Era appoggiato allo stipite della porta, gli occhi socchiusi, la bocca tirata. Fui percorso da una sensazione di gelo, come quando si arrossisce, ma al contrario.

Ruotai la sedia un po' a destra, cercando di piazzarmi davanti al monitor. - Sto... facendo i compiti, ho quasi finito. E tu, che fai qui? Non ti ho sentito arrivare, da quanto tempo sei li?-. Avevo un tono di voce talmente alto che potevano sentirmi tutti.

Jeff si scostò dallo stipite ed entrò.

Alla cieca, cercai di spegnere il computer mentre farfugliavo: - Sto cercando di farmi venire l'ispirazione per la recensione teatrale che devo consegnare stasera -. Stavo ancora parlando troppo velocemente. «Dov'era il pulsante?»

Jeff cercò di sbirciare alle mie spalle. – Recensioni teatrali?

Le mie dita sfiorarono un tasto e sentii il monitor che si spegneva. - Scusa, cos'hai detto che facevi qui?

- Passavo e ti ho visto. C'è qualcosa che non va? Sembri... agitato.

- Oh... un calo di zuccheri -. Raccolsi in un batter d'occhio libri e quaderni e li ficcai nello zaino. - Non tocco cibo dall'ora di pranzo.

Jeff afferrò una sedia da un tavolo vicino e la mise accanto alla mia, si sedette a cavalcioni e si piegò verso di me, invadendo il mio spazio. - Magari posso aiutarti con la recensione.

Mi scostai. - Be', è molto carino da parte tua, ma credo che per oggi possa bastare. Ho bisogno di fare una pausa e mangiare qualcosa.

- Allora mi piacerebbe offrirti la cena - disse. - Non c'è una tavola calda proprio qui dietro?

- Grazie, ma mio padre mi aspetta. È stato fuori città tutta la settimana -. Mi alzai e cercai di girargli intorno. Lui mi porse il cellulare e mi colpì all'altezza dell'ombelico.

- Chiamalo.

Abbassai lo sguardo sul telefono e cercai di trovare una scusa. - Non ho il permesso di uscire durante la settimana.

- Si chiama mentire, Kurt. Digli che hai bisogno di più tempo del previsto per fare i compiti, che hai bisogno di stare in biblioteca ancora un'ora. Non se ne accorgerà nemmeno.

La voce di Jeff aveva una punta di fastidio che non avevo mai sentito prima. Gli occhi mi fissavano con freddezza, la bocca sembrava più sottile.

- Mio padre non vuole che esca con ragazzi che non conosce - dissi.

Jeff sorrise, ma senza calore. - Sappiamo entrambi che non ti preoccupi troppo delle regole di tuo padre, visto che sabato sera eri al Delphic con me.

Con lo zaino sulla spalla, la mano afferrata saldamente alla cinghia, passai vicino a Jeff senza dire una parola.

 

Uscii dalla sala multimediale in fretta, pur sapendo che, se avesse acceso il monitor, avrebbe visto l'articolo. Ormai non potevo farci niente.

A metà corridoio mi fermai e mi arrischiai a gettare uno sguardo indietro. Attraverso le vetrate, si vedeva la sala multimediale.

Vuota.

Jeff era sparito.

Tenendo gli occhi ben aperti, tornai sui miei passi e riaccesi il computer: l'articolo sull'indagine per omicidio era ancora là. Lo stampai, lo infilai nel raccoglitore, chiusi la sessione e uscii di volata.

 

 

 

 

 

Bene, bene, bene.. Ma cccciao!!

Mi scuso per l'enorme ritardo, ma ho avuto dei problemi con il computer. E poi sono stata occupata a sclerare per TLOS2 e il mio incontro con Chris. ( Dio, quanto lo amo, ma ssshh, non ditelo al mio ragazzo, è geloso.)

Vi giuro che se mi perdonate vi regalo dei biscottiniiii.. :D

Allora, passiamo alla storia, ha fatto la sua entrata un nuovo personaggio, Sam, mmhh doveva esserci anche lui qui. Avrà un ruolo importante, in un certo senso..

E che diciamo di Jeff? Il dolce, gentile e adorabile Jeff era indagato per un'omicidio, che poi si è rivelato un suicidio, ma ne siamo davvero sicuri? Cosa è successo veramente? Beh, lo scopriremo presto insieme a Kurt.

Mi scuso ancora per il ritardo. Spero che non accada di nuovo..

Ringrazio tutti quelli che mi seguono. SIETE I MIGLIORI. E ovviamente se avede dubbi, domande o perplessità, io sono qui per rispondere, a TUTTO.

 

-Iris ;D

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Capitolo 13
*** Al quasi-sicuro (Cap. 12) ***


12. Al quasi-sicuro.

 

..erano state in qualche modo... alterate?

 

 

Sentii il cellulare vibrarmi in tasca e, dopo aver controllato che nessun bibliotecario mi stesse guardando storto, risposi. - Papà?

- Ho una bella notizia - disse. - L'asta si è conclusa prima del previsto. Sono partito con un'ora di anticipo e dovrei essere a casa tra poco. Dove sei?

- Ciao! Non ti aspettavo così presto, esco adesso dalla biblioteca. Com'era la zona a nord di New York?

- Era... lunga -. Rise, ma sembrava sfinito - Non vedo l'ora di arrivare.

Mi guardai intorno in cerca di un orologio. Prima di andare a casa volevo fermarmi in ospedale da Mercedes.

- Facciamo così - gli dissi- Devo andare a trovare Mercedes, forse arrivo un po' più tardi, ma faccio in fretta, te lo prometto.

- Certo -. Percepii un'ombra di delusone. - Ci sono novità? Stamattina ho ricevuto il messaggio in cui mi dicevi dell'operazione.

- L'operazione è finita, in questo momento la stanno portando in camera.

- Kurt -. La sua voce era carica di emozione. - Sono così contento che non sia capitato a te. Se ti succedesse qualcosa non potrei mai perdonarmelo, soprattutto da quando tua madre... -. Si interruppe. - Insomma, sono contento che entrambi stiamo bene. Salutami Mercedes. Ci vediamo dopo, ti mando tanti baci e abbracci.

- Ti voglio bene, papà.

L’ospedale dove si trovava Mercedes era un edificio di mattoni rossi a tre piani, con un vialetto coperto che conduce all'ingresso principale. Superai le porte a vetro girevoli e mi fermai all'ufficio informazioni per chiedere notizie sulla mia amica. Mi dissero che l'avevano trasferita in una stanza da circa mezz'ora e che avevo solo un quarto d'ora prima del termine dell'orario di visite.

Localizzai gli ascensori e spinsi il pulsante di salita.

Arrivato alla stanza 207, aprii la porta. – ‘Cedes? -.

Riuscii a far entrare dietro di me un grappolo di palloncini, attraversai l'anticamera e trovai Mercedes adagiata sul letto, il braccio sinistro ingessato e in trazione.

- Ciao! - esclamai, vedendo che era sveglia.

Lei emise un sospiro di piacere. - Adoro questi farmaci, sono fantastici. Aaah, divino, meglio del cappuccino. Ehi, ho fatto una rima. Divino e cappuccino. Diventerò una poetessa. Vuoi sentire un'altra poesia? Sono brava a improvvisare.

- Be'...

Entrò un'infermiera che si mise ad armeggiare con la flebo di Mercedes. - Ti senti bene? - le chiese.

- Lascia perdere la poesia - disse ‘Cedes. - Diventerò una grande cabarettista. Toc toc?

- Eh? - dissi.

L'infermiera alzò gli occhi al cielo. - Chi è?

- Nella - rispose Mercedes.

- Nella chi?

- Nell'angoscia, è morta Della.

- E diminuire i sedativi? - domandai all'infermiera.

- Troppo tardi, le ho appena dato un'altra dose. Aspetta di vedere cosa succederà tra dieci minuti - e uscì dalla stanza.

- Allora? - chiesi alla mia amica. - Qual è il verdetto?

- Il verdetto? Il mio dottore è un culone. Sembra un UmpaLumpa. Non guardarmi con la tua solita aria di rimprovero. L'ultima volta che è stato qui, mi ha fatto un balletto. E poi mangia sempre cioccolata, continuamente. Soprattutto animali di cioccolata. Sai quei coniglietti che vendono a Pasqua? L'UmpaLumpa ha cenato con uno di quelli. E a pranzo ha mangiato una gallina di cioccolato con contorno di pulcini di zucchero.

- Intendevo il verdetto... - indicai tutto l'armamentario medico da cui era circondata.

- Ah. Braccio rotto, commozione cerebrale e tagli, escoriazioni e contusioni varie. Fortunatamente, grazie ai miei riflessi pronti, sono schizzata via prima che riuscisse a farmi qualcosa di peggio. In fatto di riflessi, sono un gatto. Sono Catwoman. Invulnerabile. È riuscito a farmi male solo per via della pioggia. I gatti odiano la pioggia, ci indebolisce, è la nostra kryptonite.

- Non sai quanto mi dispiace - le dissi con sincerità. – Avrei dovuto esserci io in questo letto di ospedale.

- Per prendere tutte le mie medicine? Neanche per sogno.

- La polizia ha trovato qualche traccia?

- Nada, nisba, zero.

- Nessun testimone?

- Eravamo al cimitero nel bel mezzo del diluvio - fece notare lei. - Quasi tutta la gente normale era a casa.

Aveva ragione. La gente normale era a casa. Naturalmente ‘Cedes e io eravamo fuori... insieme al misterioso uomo mascherato che la pedinava.

- Com'è andata? - chiesi.

- Camminavo in direzione del cimitero come stabilito, quando all'improvviso ho sentito dei passi dietro di me -raccontò. - Si avvicinavano, così mi sono voltata. È successo tutto molto in fretta: ho visto il bagliore di una pistola e lui che si lanciava contro di me. Come ho detto ai poliziotti, il cervello non trasmetteva informazioni tipo «Riconoscimento visivo in corso», ma piuttosto «Oh, cavoli, qua mi fanno la festa!». Lui ha grugnito, mi ha colpito tre o quattro volte con la pistola, ha afferrato la borsa ed è scappato.

Ero più confuso che mai. - Aspetta. L'hai visto in faccia?

- Aveva gli occhi ambrati. Ma ho visto solo quelli, perché indossava un passamontagna.

 

L'accenno al passamontagna provocò un'accelerazione dei battiti del cuore. Era lo stesso tizio che era saltato sul cofano della Neon, ne ero sicuro. Non me l'ero immaginato, Mercedes ne era la prova. Ricordai come tutte le tracce dell'incidente fossero sparite: forse non avevo immaginato neanche quella parte.

Questo tizio, chiunque fosse, era reale. Ed era là fuori.

Ma se non avevo immaginato i danni subiti dall'automobile, cos'era successo davvero quella notte? Forse la mia vista, o la mia memoria, erano state in qualche modo... alterate?

 

Un attimo dopo, la mente mi si affollò di un mucchio di altre domande.

Che cosa voleva il tizio questa volta?

Sapeva che sarei andato a fare acquisti in quel negozio?

Se indossava il passamontagna, significava che l'aggressione era stata pianificata, quindi sapeva dove trovarmi. E non voleva che io lo riconoscessi.

- A chi hai detto che saremmo andati a fare shopping? – chiesi all'improvviso.

Mercedes si ficcò un cuscino dietro la nuca per stare più comoda. - A mia madre.

- Nessun altro?

- Forse l'ho accennato a Jeff.

Mi si gelò il sangue. - L'hai detto a Jeff?

- E allora?

Lei corrugò la fronte. - Sì?

- Non era un cervo, era un uomo. Un uomo con un passamontagna.

- Zitto, zitto - mormorò. - Mi stai dicendo che mi hanno aggredito per un motivo? Mi stai dicendo che questo tizio vuole qualcosa da me? No, aspetta. Vuole qualcosa da te. Indossavo il tuo giubbetto, credeva fossi tu.

Mi sentivo il corpo pesante come il piombo.

Seguì un lungo minuto di silenzio. - Sei sicuro di non aver parlato a Blaine dei nostri programmi? Perché ora che ci penso, credo che quel tizio corrispondesse proprio alla corporatura di Blaine: piuttosto alto, piuttosto magro, piuttosto forte, piuttosto sexy... a parte il fatto che mi ha aggredito.

- Gli occhi di Blaine non sono ambrati, ma verdi con riflessi dorati - le feci notare, anche se ero spiacevolmente consapevole di avere informato Blaine dei nostri progetti di shopping.

Mercedes alzò una spalla. - Magari gli occhi erano come hai detto tu, non riesco a ricordarlo. E' successo tutto davvero in fretta e poi non credo ci sia tanta differenza tra ambrati e quello che hai detto tu. Posso essere più precisa sulla pistola - disse in tono pratico. – Era puntata contro di me. Dritta contro di me.

 

Rimisi insieme un po' di tasselli. Se Blaine aveva aggredito Mercedes, significava che l'aveva vista uscire dal negozio con indosso il mio giubbetto e aveva pensato fossi io. Quando si era accorto di aver seguito la persona sbagliata, per la rabbia aveva colpito Mercedes con la pistola e si era dileguato.

L'unico problema era che non riuscivo a immaginare Blaine che faceva del male a Mercedes.

Non mi sembrava da lui. E poi, avrebbe dovuto essere ad una festa per tutta la sera.

 

- Per caso, il tuo aggressore somigliava a Jeff? - chiesi.

Guardai Mercedes mentre assorbiva la domanda. Evidentemente le medicine le rallentavano l'attività cognitiva, perché potevo sentire tutti gli ingranaggi del suo cervello al lavoro.

- Era circa dieci chili più magro e dieci centimetri più alto di Jeff.

- È tutta colpa mia - mormorai. - Non avrei mai dovuto lasciarti uscire dal negozio con il mio giubbetto e...

- So che non vorresti sentirtelo dire - mi interruppe ‘Cedes. Sembrava stesse lottando contro uno sbadiglio - ma più ci penso, più vedo somiglianze tra Blaine e il mio aggressore. Stessa corporatura, stessa falcata. Purtroppo il suo fascicolo scolastico era inesistente. Abbiamo bisogno di un indirizzo, dobbiamo studiare i suoi vicini. Ci serve una nonnina credulona che si lasci convincere a montare una webcam da puntare sulla casa di Blaine. Perché c'è qualcosa in lui che non mi convince.

- Pensi davvero che avrebbe potuto farti questo? - chiesi, ancora scettico.

Mercedes si morse il labbro. - Io credo che nasconda qualcosa. Qualcosa di grosso.

A questo non potevo ribattere.

Mercedes sprofondò ancora di più nel letto. - Sono tutta un formicolio, è una sensazione fantastica.

- Non abbiamo alcun indirizzo - dissi - però sappiamo dove lavora.

- Stai pensando quello che penso io? - chiese ‘Cedes, con un lampo di luce negli occhi.

- Considerate le esperienze precedenti, spero di no.

- Dobbiamo solo perfezionare il nostro metodo investigativo, scoprire qualcosa sul passato di Blaine e... Ehi! Scommetto che, se documentiamo la ricerca, la coach ci darà dei crediti extra.

 

Altamente improbabile. Essendo coinvolta Mercedes, le indagini avrebbero finito per prendere una piega illegale. Per non parlare del fatto che questa ricerca non avrebbe avuto niente a che fare con la biologia.

Il mezzo sorriso che Mercedes era riuscita a tirarmi fuori era svanito. Forse per lei poteva essere divertente affrontare con leggerezza la situazione, ma io ero terrorizzato. Il tizio con il passamontagna esisteva davvero e forse stava già pianificando la prossima aggressione. E forse Blaine non era estraneo a quello che stava succedendo.

Quell'uomo era saltato sulla Neon il giorno dopo che Blaine era diventato il mio nuovo compagno di banco. Era una coincidenza?

 

In quel momento, l'infermiera fece capolino nella stanza.

- Sono le otto - mi informò, battendo un dito sull'orologio.

- L'ora di visita è terminata.

- Esco subito.

 

Non appena i suoi passi si spensero in fondo al corridoio, richiusi la porta. Non volevo che qualcuno sentisse ciò che avevo da dire riguardo all'indagine per omicidio in cui era coinvolto Jeff. Però, quando tornai al letto di Mercedes, mi accorsi che la flebo aveva fatto effetto.

- Ecco che arriva... - disse con un'espressione di pura beatitudine. - L'assalto dei sedativi... da un momento all'altro... l'ondata di calore... addio sofferenza...

- ‘Cedes?

- Toc toc?

- Mercedes. è importante...

- Toc toc?

- Si tratta di JEFF...

- Toc toooc? - ripetè con tono cantilenante.

Sospirai. - Chi è?

- Nella.

- Nella chi?

- Nell'attesa di fare la nanna - e scoppio in una risata isterica.

Dal momento che era inutile insistere, dissi: - Chiamami domani, dopo che ti avranno dimessa -, Aprii lo zaino. -Quasi dimenticavo, ti ho portato i compiti. Dove vuoi che li metta?

Indicò il cestino dei rifiuti - Li va benissimo.

 

 

Parcheggiai la macchina e mi misi le chiavi in tasca. Avevo guidato sotto un cielo privo di stelle e una pioggerella sottile.

Tirai giù la porta del garage, la chiusi a chiave ed entrai in cucina. C'era la luce accesa al piano di sopra.

Un attimo dopo, mio padre corse giù dalle scale e mi gettò le braccia al collo.

- Sono così contento che tu sia al sicuro - sussurrò, stringendomi forte.

«Al quasi-sicuro» pensai.

 

 

 

 

 

 

 

 

*offre biscotti in segno di pace*

 

 

Ma ccciao!!

Perdonate il mio ritardo, ma è stato un periodo così pieno e così stressante!! E questo capitolo era solo di passaggio..

*meglio se scappo via*  Ci vediamo presto con un'altro aggiornamento.

Grazie a tutti.

Bacini e biscottini a tuttttiiii .. *sparisce*

 

-Iris ;D

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