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La
luce della luna filtrava attraverso le fronde degli alberi, che gettavano
inquietanti ombre sul suolo rendendo l’atmosfera sinistra.
Killian correva,
nonostante il fiatone e le gambe che gli dolevano ma che andavano avanti per
inerzia. Procedeva senza indugio; la vista ormai si era abituata all’oscurità.
Non
doveva farsi catturare, non voleva tornare lì, tra quei ragazzini tristi e
soli. Voleva fuggire.
Udì
dietro di sé delle voci concitate e dei passi pesanti farsi sempre più vicini,
ma non vi badò. Li avrebbe seminati, perché non aveva intenzione di trascorrere
su quell’isola un minuto di più.
Rischiò
di inciampare nella radice di albero ma si riprese in fretta, ignorando la
fitta di dolore che avvertì immediatamente alla caviglia.
La
vegetazione iniziò a diradarsi e Killian tirò
mentalmente un sospiro di sollievo: a breve avrebbe scorto la spiaggia, si
sarebbe precipitato verso una scialuppa e avrebbe remato con tutte le proprie
forze per allontanarsi il più possibile da lì. Con un po’ di fortuna sperava di
giungere ad un’isola distante qualche miglia, di cui aveva sentito parlare da
uno dei ragazzini che erano con lui.
Killian aveva fatto
male i propri calcoli, tuttavia.
Non
giunse sulla spiaggia, bensì su una scogliera che terminava a strapiombo sul
mare.
Rallentò
fino a fermarsi e, mentre riprendeva un po’ di fiato, si avvicinò con cautela
all’orlo del precipizio. Guardò in basso e con sollievo constatò che non c’era
la Roccia del Teschio. Era lontano dalla Laguna delle Sirene, per fortuna.
Forse aveva ancora qualche possibilità di farcela. Ad occhio e croce calcolò di
doversi trovare a circa una quindicina di metri sul livello del mare.
Sentì
le voci dietro di sé farsi più vicine, e per un attimo fu preso dal panico.
Doveva agire in fretta, prima che lo catturassero.
Doveva
buttarsi là sotto.
–
Eccolo! – urlò Felix, sbucando fuori dalla boscaglia. – Prendetelo! – ordinò
dunque ai due ragazzi che erano con lui.
Non
c’era tempo da perdere.
Killian fece un
respiro profondo e si buttò nel vuoto, trattenendo il fiato. Sperò con tutte le
proprie forze di riuscire a cavarsela, ma soprattutto si augurò che nessuna
sirena stesse nuotando là sotto e che tutte fossero alla Laguna. Aveva infatti
sentito parecchie storie su di loro, e tutte avevano un finale orribile, se non
addirittura macabro.
Cercò
però di non badare troppo a cosa avrebbe trovato là sotto.
Qualunque
sorte sarebbe stata migliore che tornare tra le grinfie di Peter Pan.
Ariel
sapeva di essersi allontanata troppo, così come sapeva bene che si sarebbe
cacciata in guai seri se suo padre, re Tritone, avesse scoperto che era
sgattaiolata fuori dalla propria stanza quando invece avrebbe dovuto dormire.
Era
stufa, però, di essere trattata come una bambina. Ormai aveva sedici anni,
diamine! Suo padre avrebbe dovuto rendersene conto, prima o poi, ma era
accecato dalla paura che potesse accaderle qualcosa di brutto, come era
successo a sua madre, uccisa da una sirena della Laguna quando lei era ancora
una bambina. Quell’evento aveva indotto re Tritone a proibire ad ogni abitante
di Atlantica di avvicinarsi all’isola che non c’è, e quel divieto aveva forza
maggiore nei confronti della sua unica figlia, che però cercava di eluderlo non
appena ne aveva la possibilità.
Come
tante altre volte, quella notte Ariel stava nuotando in tutta tranquillità nei
pressi dell’isola che non c’è, stando bene attenta a tenersi alla larga dalla
Laguna, quando ad un tratto notò un ragazzino precipitare in mare proprio
davanti ai suoi occhi.
Non
ci mise molto a capire che doveva essere uno di quei ragazzini che Peter Pan
teneva prigionieri su quell’isola per chissà quale motivo. I loro pianti
risuonavano ogni notte per tutta Neverland.
Si
affrettò a raggiungerlo, muovendo velocemente la coda su e giù. Lo vide
mulinare con frenesia braccia e gambe per contrastare quella forza invisibile
che lo tirava sempre più sul fondo, e decise di aiutarlo.
Non
poteva permettere che le sirene della Laguna, quelle cattive che ammaliavano
pirati e marinai per attirarli a sé ed annegarli, mettessero le grinfie su di
lui. Era solo un ragazzino, poteva benissimo avere la sua età.
Non
appena si avvicinò e lui la scorse, lo vide sgranare gli occhi per la paura e
quando lo afferrò lo sentì divincolarsi.
–
Fermo! – gli ordinò. – Non voglio farti del male, voglio solo aiutarti a
tornare in superficie! Da solo non ce la farai mai – tentò allora di
rassicurarlo.
Il
ragazzino però non parve udirla e continuò a dimenarsi cercando di sfuggire
alla sua presa, diventando sempre più paonazzo.
–
Così sprechi solo forze! – lo rimproverò Ariel, prima di sgusciare dietro di
lui per afferrarlo con entrambe le braccia in modo da immobilizzarlo.
Assicurata la presa, agitò la coda più veloce che poté e lo portò in
superficie.
–
Lasciami! – le intimò il ragazzino, boccheggiando.
Ariel
lo ignorò e lo portò verso la parete rocciosa che costituiva lo strapiombo da
cui Killian si era lanciato, ma lei non poteva
saperlo.
–
Non riportarmi da Peter Pan, meschina di una sirena! Affogami, piuttosto!
A
quelle parole, Ariel fu davvero tentata di fermarsi e immergergli la testa
sott’acqua per annegarlo o per lo meno zittirlo, ma così facendo non avrebbe
fatto altro che alimentare i pregiudizi di cui era vittima, per cui lasciò
perdere. Del resto le uniche sirene con cui il ragazzino aveva avuto a che fare
erano quelle della Laguna, ed era naturale che avesse una visione distorta di
tutta la loro specie.
Nuotando,
Ariel giunse in un punto in cui la parete rocciosa erosa dall’acqua presentava
un’insenatura, e depose il ragazzino su uno scoglio presente all’interno di
essa. Killian si issò immediatamente a sedere,
fissando Ariel con espressione confusa.
–
Stai bene? – gli domandò quest’ultima, restando in acqua per non spaventarlo
ulteriormente.
Killian annuì,
restando in silenzio, mentre si concedeva qualche istante per osservare la
sirena. Aveva lunghi capelli rossi che si aprivano attorno a lei a ventaglio,
mentre mulinava leggermente la coda per restare a galla. Da quel poco che
riuscì a intravedere attraverso l’acqua, poté constatare che la coda era verde
smeraldo, proprio come i suoi occhi. I tratti del viso erano ancora per certi
versi fanciulleschi, mentre per altri erano quasi adulti, per cui ne dedusse
che la sirena doveva avere all’incirca la sua età, cioè quindici anni. In realtà
ne aveva uno in più, ma lui non poteva saperlo.
–
Fuggivi da Peter Pan? – domandò Ariel, per trovare conferma dei propri
sospetti.
–
Sì, ma ormai è tutto inutile. Dovevo allontanarmi da qui, non tornarci! I
Ragazzi Sperduti non ci metteranno molto a ritrovarmi, scommetto che saranno
già sulle mie tracce – borbottò Killian, rassegnato.
–
A nuoto non avresti fatto molta strada – ribatté Ariel sulla difensiva. Dopo
averlo salvato si aspettava un minimo di gratitudine, non tutto quell’astio.
Capiva che era spaventato e che si era fatto un’idea sbagliata riguardo alla
sua specie, ma credeva di avergli dimostrato fin troppo bene che si sbagliava.
Salvarlo non era stato sufficiente?
–
Lo so! È per questo che volevo rubare una delle scialuppe attraccate sulla
spiaggia, ma sono finito dal lato sbagliato dell’isola – si giustificò lui. –
Forse il mio destino è restare qui per sempre – decretò, rassegnato.
Ariel
sapeva già che se suo padre fosse venuto a sapere quel che stava per fare avrebbe
rischiato grosso, ma non le importava. Non ne poteva più di tutti i divieti che
le imponeva, anche se diceva di farlo per il suo bene.
–
Forse no – ribatté dunque. – Fuggendo con una scialuppa saresti stato braccato
dalle sirene della Laguna. Sai meglio di me che sorvegliano l’isola e annegano
chiunque osi avvicinarsi o fuggire.
–
Tu non sei una di loro? – chiese Killian, confuso.
Aveva capito che quella sirena era diversa da quelle con cui aveva avuto a che
fare, ma pensava che vivesse comunque nella Laguna insieme alle altre.
–
No, per mia fortuna – rispose Ariel in tono risentito. – Non dovrei nemmeno
essere qui, ad essere sincera.
–
E dove dovresti essere?
–
A casa, nel regno di Atlantica – rispose Ariel. – È lì che abito, insieme ad
altre sirene e tritoni. Non siamo malvagi come le sirene della Laguna –
proseguì dunque, marcando l’ultima frase con profondo disgusto. Non riusciva a
perdonare quello che era successo a sua madre a causa loro.
–
Come mai sei qui, allora? – domandò il ragazzino, inarcando un sopracciglio.
Ariel
non rispose. Non aveva nessuna voglia di parlargli dei divieti che il padre le
imponeva, né voleva spiegare ad uno sconosciuto la strana e sinistra attrattiva
che l’isola che non c’è esercitava nei propri confronti da quando sua madre era
stata uccisa. Non avrebbe capito, perché nemmeno lei capiva. Non sapeva infatti
che l’isola avesse il potere di attrarre a sé chiunque si sentisse solo e
abbandonato.
–
Posso aiutarti a fuggire, se vuoi – decretò quindi, intenzionata a cambiare
discorso.
–
E come, in sella ad un delfino? – ribatté Killian
sarcastico. Non riusciva a capire come quella sirena avrebbe potuto aiutarlo. E
se fosse stato tutto un inganno? Se quella ragazza fosse stata una sirena della
Laguna, nonostante affermasse il contrario? Probabilmente voleva soltanto
ingannarlo e ricondurlo da Peter Pan.
Ariel
gli schizzò addosso dell’acqua, stizzita. Ormai quello stupido doveva aver
capito che lei non era malvagia, quindi perché continuava ad essere prevenuto
nei propri confronti?
–
Arrangiati, allora! – sbottò. – Fuggi a nuoto, se è questo che vuoi!
Fece
per andarsene, ma Killian la chiamò. – Aspetta! – le
disse, rendendosi conto di essersi comportato da villano. – Non volevo essere
scortese, è solo che tutto questo mi sembra strano. Voi sirene siete abili con
gli inganni, e dunque…
–
Loro sono così – lo interruppe Ariel.
– Non noi. Non io. Voglio davvero aiutarti, se me lo permetti – gli propose
dunque, ritrovando la calma.
–
La tua offerta è ancora valida, allora? – domandò Killian,
per avere una conferma. Si era reso conto di non aver molte alternative, oltre
a quella sirena. Sperò che potesse davvero aiutarlo e si augurò che non fosse
tutto un inganno architettato da una mente malvagia come quella delle sirene
della Laguna.
–
Certo che lo è – rispose Ariel senza esitazioni.
–
Posso chiederti perché vuoi aiutarmi? – chiese dunque il ragazzino, per fugare
ogni dubbio.
–
Perché l’isola non è un bel posto in cui vivere. Sei stato coraggioso a fuggire
ed è giusto che tu completi l’opera – rispose Ariel, senza esitazioni. – Non so
cosa accada di preciso, ma so che Peter Pan vi porta qui con l’inganno e poi vi
impedisce di fuggire, ed è un’ingiustizia.
–
Oh… Grazie, allora – disse Killian,
con un sorriso. – E grazie anche per avermi salvato, prima. Come ti chiami? –
chiese poi, curioso.
–
Ariel. E tu?
–
Killian. Killian Jones.
–
Da dove vieni? – domandò Ariel, curiosa. Per la prima volta aveva l’opportunità
di parlare con qualcuno che non faceva parte del suo mondo, e ne era felice,
anche si rendeva conto che quella curiosità era fuori luogo, in un momento come
quello.
–
Dalla Foresta Incantata – rispose Killian.
Ariel
spalancò la bocca, meravigliata; aveva sempre sentito parlare di quel mondo e
aveva sempre desiderato andarci, ma sapeva che non le era possibile. – Ed è lì
che vuoi tornare? – chiese dunque, lasciando da parte la voglia di pregare Killian di descriverle il luogo da cui proveniva.
Il
ragazzino annuì, e Ariel gli si fece più vicina, stringendo qualcosa nella mano
destra. Killian osservò meglio e poté vedere che la
ragazza indossava un ciondolo che prima non aveva notato, ed era proprio ciò
che ora stava stringendo.
–
Questa collana mi dà particolari poteri – gli spiegò, aprendo la mano per
mostragli una conchiglia con incastonata una gemma viola. – Ogni sirena ne ha
una fin dalla nascita, forse l’avrai vista indosso anche alle sirene della
Laguna, ma non importa. Mi sto perdendo in chiacchiere. Quel che conta è che
con questa collana posso creare un portale che ti faccia ritornare a casa, dalla
tua famiglia.
–
Io non ho una famiglia – ribatté Killian, cupo.
Nonostante fosse passato ormai molto tempo, ricordava fin troppo bene il vuoto
che aveva avvertito quando si era reso conto che suo padre lo aveva
abbandonato, fuggendo durante la notte, mentre lui dormiva ignaro di tutto.
Aveva vagato disperato per tutto il villaggio, cercando ogni minima traccia che
il padre poteva aver lasciato dietro di sé, ma non aveva trovato nulla, così
aveva iniziato a girovagare senza meta, finché non si era ritrovato in un bosco
ed era calata la notte.
Quella
stessa notte un’ombra lo aveva raggiunto e gli aveva promesso meraviglie,
descrivendogli un luogo in cui tutti i bambini e i ragazzini abbandonati come
lui potevano essere felici, senza crescere mai. Killian
aveva seguito l’ombra senza esitazioni, ma se ne era poi pentito amaramente e
si era ripromesso di fuggire non appena ne avesse avuto l’occasione.
Ed
eccola lì. Ora la possibilità concreta di andarsene da quel luogo maledetto era
di fronte a lui, incarnata in quella sirena di nome Ariel. Non l’avrebbe mai
dimenticata.
–
Mi dispiace – disse la sirena, rammaricata, interrompendo il flusso dei
pensieri di Killian. – Vuoi tornare lo stesso nella
Foresta Incantata? O preferisci qualche altro mondo?
–
No, no. Voglio tornare a casa, non importa se sarò solo – ribatté Killian, senza esitazioni. Voleva allontanarsi da lì e
tornare in luoghi a lui familiari in cui avrebbe potuto iniziare una nuova
vita.
–
Bene – decretò Ariel. – Allora concentrati intensamente e tieni bene a mente il
luogo a cui vuoi fare ritorno – gli ordinò dunque. – Io creerò un portale
proprio dietro di te, così potrai andartene – gli spiegò. – Sei pronto?
–
Quando vuoi – disse Killian. – Grazie ancora per il
tuo aiuto, Ariel. Non lo dimenticherò.
–
Non ce n’è bisogno – si schermì Ariel con un’alzata di spalle. – Nessuno merita
di restare su quest’isola, te l’ho già detto – decretò, dopodiché strinse con
la mano sinistra il ciondolo che portava al collo, il quale si illuminò
improvvisamente di una luce violacea, mentre portava l’altra mano davanti a sé.
Disegnò un arco immaginario e subito dietro Killian
si aprì un portale che rifulgeva di una luce azzurrina.
–
Va’, Killian! – lo esortò Ariel.
Il
ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Rivolse ad Ariel un ultimo sorriso
riconoscente, si concentrò pensando alla meta che voleva raggiungere ed entrò
nel portale, che subito si richiuse dietro di lui.
Ariel
rimase a fissare la parete rocciosa per qualche istante, ritrovandosi ad
invidiare Killian. Anche lei avrebbe tanto voluto
viaggiare attraverso i mondi esistenti, ma suo padre glielo aveva severamente
proibito, aggiungendo quel divieto alla lunga lista di ciò che non le era
permesso fare. A differenza delle altre proibizioni, però, quella era
impossibile da eludere: se fosse andata in un altro mondo, la sua assenza non
sarebbe passata inosservata perché il tempo, a Neverland,
aveva leggi tutte sue. Quella che per lei sarebbe stata una fuga di qualche
ora, a suo padre sarebbe apparsa molto più lunga.
Ariel
sospirò, rassegnata. Non aveva molte alternative se non continuare la sua vita
di sempre. Si rituffò in acqua, affrettandosi a ritornare a casa.
Non
voleva certo che il padre scoprisse dove era stata e ciò che aveva fatto.
Note
Salve
a tutti!
Eccomi
qui con questa storia che avevo in mente già da un po’, ma ho preferito
aspettare che finisse la seconda stagione per avere qualche informazione in più
su Hook e sull’isola che non c’è.
Prima
di chiarire un paio di cosette, vorrei dedicare questa storia a Lilyhachi,
per ringraziarla di avermi supportato in questa pazzia. Ne approfitto anche per
dirvi di passare dalla sua storia ‘The littlemermaid’, se avete voglia di leggere una Hook/Ariel.
Passiamo
ora ad alcune precisazioni:
-
Come avrete notato, in questa storia sono presenti sia il termine ‘Neverland’ che il termine ‘isola che non c’è’. Non si
tratta di un errore; con il primo intendo il mondo in cui si trovano l’isola
che non c’è e Atlantica, fra le altre cose. Questo perché in inglese ‘land’ ha il significato più generico di ‘terra’.
-
L’idea della collana che dota Ariel di particolari poteri l’ho presa dal
trailer di ‘Once upon a time
in Wonderland’, notando la collana di Cirus, il genio
di cui Alice si innamora. Non so se quella collana sia soltanto sua, se gli dia
qualche potere particolare, se sia una caratteristica di tutti i geni… Non lo so. xD Io ho voluto
trasporla su Ariel e su tutte le sirene, spero di non aver fatto una cavolata.
-
Forse alcuni avranno storto il naso nel vedere Uncino come Bimbo Sperduto, ma
ho voluto renderlo così dopo alcune mie riflessioni. Quando, dopo la morte di Milah, va a Neverland ne parla a
Spugna come se già la conoscesse; io ne ho tratto spunto e la mia mente ha
elaborato questa teoria.
-
Ho preferito il termine ‘Ragazzi Sperduti’ a quello di ‘Bimbi Sperduti’ perché
da quello che ho visto nella 2x22 non mi sembrano teneri e simpatici come
quelli del film Disney. La parola ‘bimbi’ personalmente mi evoca qualcosa di puccioso, per cui ho preferito sostituirla.
Credo
sia tutto.
Spero
che il prologo vi sia piaciuto e che mi facciate sapere cosa ne pensare^^
Non
so quando aggiornerò, indicativamente spero ogni due settimane, dato che la
tanto temuta sessione estiva incombe e devo darci dentro con esami e tesi, se
voglio laurearmi entro dicembre.
Ariel
seguiva suo padre in silenzio. Sapeva di averla combinata grossa, questa volta.
Quando
aveva eluso la sorveglianza di Sebastian, il tritone consigliere di suo padre
incaricato di farle da balia durante le sue nuotate fuori dal palazzo di
Atlantica, non avrebbe mai immaginato di imbattersi in una sirena della Laguna,
che l’aveva colta di sorpresa e imprigionata, grazie ai poteri della sua
collana, con l’intenzione di portarla alla Roccia del Teschio. Non si era allontanata
troppo da Atlantica, per cui ne aveva dedotto che doveva essere stata la sirena
della Laguna ad aver superato troppo i propri confini.
Per
fortuna l’intervento di re Tritone era stato tempestivo. Allertato da
Sebastian, le aveva raggiunte poco prima che arrivassero alla Laguna e, grazie
al proprio tridente, aveva indotto la sirena alla fuga, minacciandola di morte
se mai si fosse avvicinata di nuovo ad Atlantica.
Ariel
all’inizio era stata grata dell’aiuto, ma poi si era resa conto di essere in un
mare di guai, nel vero senso della parola. Avrebbe anche potuto cavarsela da
sola, se suo padre non fosse arrivato, e così facendo avrebbe evitato la
strigliata imminente. Avrebbe escogitato un modo per salvarsi e per sfuggire
dalle grinfie di quella perfida sirena. Ne sarebbe stata in grado, ne era
convinta.
–
Mi dispiace, papà – sussurrò Ariel ad occhi bassi, toccandogli il braccio per
attirare la sua attenzione.
Re
Tritone si scansò come se fosse stato scottato e si fermò. Ariel fece
altrettanto, alzando pian piano lo sguardo.
–
Mi hai deluso, Ariel – decretò re Tritone, amareggiato. – Ormai sei adulta e
pensavo che avessi capito il perché dei miei divieti. Li ho sempre posti per il
tuo bene. Eppure ti ostini a trasgredirli.
–
Lo so, ma… – tentò di ribattere Ariel, ma venne
subito interrotta dal padre, che la contraddisse dicendo: – No, non lo sai!
Altrimenti oggi non saresti fuggita da Sebastian, cacciandoti nei guai!
–
Sono fuggita perché non avevo bisogno di una balia! – ribatté Ariel, stufa di
essere trattata come una bambina. Suo padre diceva di considerarla ormai
un’adulta, ma coi fatti continuava a contraddirsi. – Se mi avessi permesso di
uscire dal palazzo da sola, come ti avevo chiesto, non mi sarei allontanata!
–
Lo avresti fatto comunque, invece! – tuonò re Tritone, cedendo il passo all’ira
che fino a quel momento aveva cercato di trattenere. – Lo hai sempre fatto, ma
ogni volta ti è andata bene! Per fortuna Sebastian mi ha subito avvertito! Se
quella sirena ti avesse portato al loro covo saresti stata spacciata. Proprio
come tua madre.
Ariel
abbassò di nuovo lo sguardo. Sapeva che suo padre aveva ragione. Aveva
rischiato grosso, ma non ne poteva più di sottostare a tutti quei divieti e di
vivere nella paura costante che dovesse succederle qualcosa di brutto. Voleva vivere, anche se avrebbe significato
correre dei rischi.
–
So che temi che io faccia la sua stessa fine, papà – tentò allora, in tono
conciliante. Forse se avesse spiegato al padre cosa le passava per la testa,
avrebbe capito. – Ma…
–
Ma cosa? – gridò lui, per niente intenzionato ad ascoltare le fandonie della
figlia. – Oggi hai rischiato di fare la sua stessa fine, se non fossi
intervenuto io. Non te ne sei accorta? Oggi hai dimostrato di essere una
stupida incosciente che non sa badare a se stessa! E visto che le cose stanno
così, d’ora in avanti sarò ancora più severo nei tuoi confronti. Intesi?
Ariel
avrebbe voluto urlare, dimostrargli che si sbagliava e che sapeva badare a se
stessa. Avrebbe voluto riversargli addosso tutto il malcontento e la
frustrazione accumulati in quegli anni, ma sapeva che così facendo avrebbe solo
peggiorato le cose e non avrebbe ottenuto nulla. Suo padre non l’avrebbe
capita, non l’avrebbe mai fatto. E quella ne era stata l’ennesima
dimostrazione.
Si
limitò dunque ad abbassare docilmente il capo e ad annuire, mordendosi il
labbro inferiore per trattenere le lacrime di rabbia e delusione che
minacciavano di manifestarsi da un momento all’altro (1).
–
Torniamo a palazzo, ora – ordinò re Tritone, prima di riprendere a nuotare. Per
lui il discorso era chiuso.
Ariel
lo seguì, mentre la sua mente cercava già di elaborare una soluzione definitiva
a quella situazione che ormai durava da troppo tempo.
La
soluzione a tutti i suoi problemi si palesò nella mente di Ariel quella notte,
mentre rimuginando continuava a rigirarsi nel letto, insonne.
Doveva
fuggire da lì, era l’unico modo.
Non
semplicemente da Atlantica, ma da Neverland.
Decise
di agire immediatamente; non poteva aspettare.
Dove
andare, però?
Erano
molti i mondi di cui aveva sentito parlare e di cui era a conoscenza.
Il
mirabolante Paese delle Meraviglie? La bizzarra terra di Oz?
Quel tetro mondo senza magia noto semplicemente come Terra?
Nessuno
di quei luoghi l’allettava particolarmente, se non…
Che stupida! Come aveva fatto a non pensarci prima? Aveva dimenticato la
Foresta Incantata! Tra tutti, era il luogo che la affascinava di più e che sapeva
fosse più simile a Neverland, quindi avrebbe avuto
meno difficoltà ad ambientarsi.
Quando
ancora era una bambina, la madre, che prima di sposare suo padre aveva
viaggiato molto attraverso i vari mondi, le aveva parlato di quel luogo e di
quanto fosse il suo preferito, fra tutti quelli che aveva esplorato. Era stato
grazie a lei che Ariel aveva iniziato a fantasticare riguardo quel mondo.
Le
tornò alla mente quando, anni prima, aveva aiutato Killian
a ritornare lì, a casa. Chissà, forse avrebbe potuto cercarlo e farsi dare una
mano. Le doveva un favore dopotutto, e sperava che l’avrebbe aiutata. Prima
però doveva diventare umana…
Scosse
la testa. Non era quello il momento di pensare a cosa fare.
Doveva
agire.
Afferrò
con la mano destra la propria collana, si rivolse al muro, chiuse gli occhi e
si concentrò, mentre con la sinistra creava un portale su di esso.
Riaprì
gli occhi e si trovò di fronte ad un cerchio blu che rifulgeva di luce
azzurrina. Senza esitazioni e con il cuore che batteva a mille vi nuotò dentro,
decisa a fuggire per non tornare mai più.
Finalmente
avrebbe potuto essere libera e vivere, serena e senza costrizioni.
Foresta
Incantata
Erano
passati due mesi da quando Ariel era fuggita da Atlantica.
Due
lunghi mesi in cui aveva osservato da lontano il mondo in superficie, girando i
mari in lungo e in largo nella speranza di trovare un modo per diventare umana,
perché solo così avrebbe potuto esplorare quel luogo che tanto l’aveva
affascinata e che continuava a farlo.
In
quei due mesi aveva osservato la vita sulla terra, pur mantenendosi a debita
distanza, perché anche nella Foresta Incantata le sirene non avevano una buona
reputazione. In particolare, si vociferava di una sirena crudele che viveva in
un certo lago di Nostos, le cui acque avevano
proprietà rigenerative, e che uccideva con l’inganno chiunque osasse
avvicinarsi. Di coloro che erano andati a prendere dell’acqua da lì, infatti,
nessuno aveva mai fatto ritorno.
Per
non correre pericoli, Ariel osservava il mondo da lontano, nascosta dove
capitava, desiderando ardentemente di farne parte. L’unico modo, però, era
diventare umana ottenendo un paio di gambe.
Un
giorno, durante una delle sue escursioni in superficie, nascosta dietro una
scialuppa ormeggiata in un porticciolo di un villaggio, udì un gruppo di
marinai parlare di una certa Strega del Mare che viveva nelle profondità degli
abissi.
In
quello stesso momento, Ariel decise che l’avrebbe trovata e che le avrebbe
chiesto aiuto.
La
magia era la sua unica speranza.
Adagiata
ad uno scoglio, in piena notte, Ariel teneva in mano quella boccetta da un
tempo interminabile, scrutandone attentamente il contenuto, incerta sul da
farsi. Se avesse bevuto quella pozione, la sua vita sarebbe cambiata per
sempre, in modo drastico. Non avrebbe potuto più tornare indietro.
Quel
filtro magico l’avrebbe resa umana, stando a ciò che le aveva assicurato la
Strega del Mare.
E
l’aveva pagato caro.
–La magia ha sempre un prezzo – le aveva detto
la Strega del Mare. (2)
Ariel
aveva dovuto cedere la propria voce, in cambio.
A
quel pensiero, stappò la boccetta con un gesto deciso e ne bevve il contenuto
tutto d’un fiato. Dopo qualche istante, avvertì un dolore lancinante alla coda,
come se una spada invisibile stesse cercando di dividerla a metà.
Aprì
la bocca per urlare ma non ne uscì alcun suono, proprio come nei suoi peggiori
incubi. Quello che le stava accadendo, però, era reale.
Gettò
uno sguardo alla coda e notò che davvero si stava dividendo in due. Sussultò.
La Strega del Mare non le aveva parlato di tutto quella sofferenza.
Il
dolore divenne più forte e la costrinse ad inarcare la schiena all’indietro.
Strinse le mani a pugno, ma la sinistra conteneva ancora la boccetta della
pozione, che si frantumò in mille pezzi che la ferirono e le causarono ancora
più dolore.
Iniziò
a piangere, e man mano la vista le si annebbiò. Credeva fosse per via delle
lacrime, ma in realtà la causa era dovuta al fatto che il dolore le stava
facendo perdere i sensi.
Poco
dopo, infatti, svenne.
Si
risvegliò qualche ora dopo, quando le prime luci dell’alba filtrarono attraverso
le sue palpebre chiuse e i gabbiani iniziarono a gracidare.
Aprì
gli occhi e respirò a pieni polmoni, lieta di non avvertire più alcun dolore.
Si rizzò a sedere e guardò in basso laddove prima c’era la sua coda e vide che
ora facevano mostra di sé un paio di gambe lunghe e slanciate.
Sorrise
fra sé e sé: ce l’aveva fatta.
Mosse
le gambe su e giù, prima insieme e poi separatamente. Funzionavano. Ora doveva
solo mettersi in piedi e camminare.
Piegò
le gambe e spostò il peso sui piedi, alzando lentamente il resto del corpo.
Quando fu in piedi commise l’errore di guardare in basso e perse l’equilibrio.
Portò le mani in avanti per attutire l’urto e non appena toccò terra avvertì un
dolore penetrante alla mano sinistra. Solo allora ricordò di aver frantumato
con essa la boccetta che conteneva la pozione, la sera prima. La guardò e notò
che era sporca di sangue rappreso misto a sangue fresco che sgorgava dalle
ferite che si erano appena riaperte.
Dato
che una mano era inutilizzabile, puntò i gomiti e si mise gattoni, per poi
alzarsi ancora in piedi, questa volta più lentamente.
Non
guardò più in basso, ma cercò di fissare l’orizzonte, mulinando le braccia per
mantenere l’equilibrio.
Dopo
altre due cadute, ce la fece. Riuscì a rimanere in piedi in equilibrio, con le
braccia distese lungo i fianchi. Avrebbe urlato di gioia, se avesse potuto.
Non
le restava che imparare a camminare, ora.
Lentamente
spostò la gamba destra davanti a sé, come tante volte aveva visto fare agli
umani. Per un attimo perse l’equilibrio, ma agitando le braccia lo riacquistò.
Portò anche la gamba sinistra vicino alla destra, ma nel farlo si sbilanciò un
po’ troppo e cadde all’indietro.
Sospirò.
Non
avrebbe mai creduto che camminare sarebbe risultato un’impresa così ardua.
Ariel
vagava in quel bosco da almeno un paio d’ore.
Dopo
numerosi tentativi era riuscita a muovere qualche passo senza rovinare a terra,
per cui dalla spiaggia si era spostata nel bosco limitrofo, senza avere la
minima idea di dove andare.
Vicino
alla spiaggia c’era un villaggio, ma aveva deciso di starvi alla larga. Era
infatti nuda dalla testa ai piedi; indossava solo la propria collana e prima di
interagire con qualsiasi umano avrebbe dovuto recuperare degli abiti, perciò
aveva deciso di perlustrare il bosco alla ricerca di qualcosa con cui coprirsi.
Non
aveva trovato nulla, ovviamente, se non una moltitudine di alberi e arbusti.
Era
stanca e le dolevano le gambe e le piante dei piedi: non era abituata a vagare
a lungo servendosi di essi. Con la coda era sempre stato tutto più facile, e un
po’ si ritrovò già a rimpiangerla.
Scosse
la testa.
La
vita da sirena non era stata più molto felice da quando sua madre era morta, e
anche allora Neverland non era mai stato un bel mondo
in cui vivere. Atlantica era solo una gabbia dorata in cui la vita scorreva
tranquilla e senza troppi scossoni, ma era solo una goccia di luce in un oceano
di oscurità.
E
per Ariel non era abbastanza, non più.
Era
certa che nella Foresta Incantata avrebbe finalmente trovato la felicità che
aspettava, la vita che desiderava, la libertà che aveva sempre agognato.
Forte
di quei pensieri, che le infusero coraggio, proseguì.
I
piedi pulsavano, e ogni parte del corpo era piena di graffi causati dai rami e
dai rovi che aveva incontrato lungo la strada, ma non le importava.
Continuò
a camminare verso un futuro che le appariva incerto ma pieno di speranze,
finché non udì dei rumori attutiti dalla lontananza.
Subito
si fermò e si mise in allerta, guardandosi intorno. Temendo di incontrare
qualcuno, coprì le proprie nudità alla bell’è meglio con i lunghi capelli
rossi.
Poi,
tutto accadde in un attimo.
Udì
l’abbaiare di un cane farsi sempre più vicino e sussultò, ma non fece in tempo
a chiedersi cosa stesse succedendo che un qualcosa di lungo e sottile scagliato
a tutta velocità la colpì alla coscia destra, conficcandosi nelle sue carni.
Cadde
in ginocchio e spalancò la bocca per il dolore, ma da essa non uscì alcun
suono.
Strinse
le mani a pugno, cercando di fare lunghi respiri profondi. Per prima cosa,
infatti, doveva calmarsi, dopodiché avrebbe estratto quell’aggeggio dalla sua
gamba, in qualche modo. O almeno ci avrebbe provato.
Non
fece in tempo a pensare sul da farsi, che dalla boscaglia emerse minaccioso il
muso di un cane, il quale non appena la vide mutò espressione e si mise ad
uggiolare e scodinzolare felice, muovendo tutto il cespuglio in cui era
rintanato. Ne uscì e le si avvicinò impaziente, iniziando a leccarle il volto.
Nonostante
il dolore, Ariel sorrise per quell’improvvisa dimostrazione di affetto.
–
Max! cos’abbiamo trovato? – avvertì domandare da una voce che si faceva sempre
più vicina. (3)
Udendola,
il cane si allontanò da Ariel di qualche centimetro e iniziò ad abbaiare per
farsi localizzare. La ragazza si fece immediatamente scudo con i capelli,
pudica.
Poco
dopo dalla boscaglia emerse un ragazzo dai capelli corvini, gli occhi blu
zaffiro e il fisico temprato. Indossava una tenuta da caccia e nella mano
sinistra reggeva un arco, mentre la faretra era portata di traverso sulla
schiena. Con ogni probabilità doveva essere il padrone del cane, nonché il
responsabile della ferita di Ariel. Non appena vide la freccia conficcata nella
coscia della ragazza, infatti, sbiancò.
–
Per tutto l’oro del regno! – esclamò. – Voi siete una fanciulla! E io vi ho
ferita, ne sono mortificato! – iniziò a blaterare, visibilmente agitato. –
Permettetemi di aiutarvi – si offrì dunque, gettando a terra l’arco. – Vi
porterò al mio castello, dove riceverete ogni cura necessaria. Sono il principe
Eric e dispongo dei migliori medici di corte, che metterò a vostra disposizione
– decretò, prima di avvicinarsi ad Ariel per inginocchiarsi ed esaminare la
ferita.
Ariel
indietreggiò, confusa e spaventata.
–
Non abbiate timore, non voglio farvi del male – tentò di tranquillizzarla Eric,
abbozzando un sorriso. – Non più, almeno.
Ariel
continuava a non capire. Perché mai un umano l’aveva ferita e ora si offriva di
aiutarla? Lo guardò negli occhi e vi lesse un sincero dispiacere per ciò che le
aveva fatto, per cui decise di fidarsi e gli permise di vagliare la ferita.
–
Per fortuna non sembra nulla di irreparabile – constatò Eric, con un sospiro di
sollievo. – Vi fa male?
Ariel
annuì con forza. La ferita pulsava e da essa sgorgava un rivolo di sangue.
–
Ce la fate ad alzarvi in piedi, con il mio aiuto?
Ariel
si strinse nelle spalle, non sapendo se ne fosse in grado o meno.
–
Cosa significa? – domandò Eric, confuso.
Ariel
ripeté di nuovo il gesto, causando ancora più perplessità nel proprio
interlocutore, che continuava a non capire, finché non ebbe un’illuminazione. –
Potete parlare? – chiese infine.
Ariel
scosse la testa, abbassando lo sguardo.
–
Siete muta?
Ariel
annuì, portandosi involontariamente una mano alla gola.
Eric
si sentì ancora più in colpa per ciò che le aveva fatto, pur non avendone
intenzione. Mai avrebbe immaginato di imbattersi in una ragazza, durante la
caccia. Quella parte di bosco rientrava nelle sue proprietà e nessun sentiero
correva lì vicino, quindi non c’era mai stato alcun rischio di incontrare
qualcuno, né tantomeno di ferirlo.
–
Come vi chiamate? – domandò, sperando di ottenere in qualche modo una risposta.
Ariel
alzò lo sguardo e con una mano gli fece segno di guardarle le labbra, dopodiché
scandì lentamente il proprio nome.
–
Mary? – chiese conferma Eric.
Ariel
scosse la testa e ripeté l’operazione.
–
Arwen? – ritentò il ragazzo.
Ariel
scosse di nuovo la testa e ci riprovò.
–
Ariel? – chiese infine Eric, questa volta indovinando.
Ariel
sorrise ed annuì con vigore. Eric ricambiò il sorriso e la guardò di nuovo,
accorgendosi solo in quel momento che era nuda, per cui si alzò in piedi e si
tolse subito il mantello, per poi chinarsi e drappeggiarglielo sulle spalle,
avvolgendola completamente ma stando bene attento a non toccare la freccia.
–
Mettetemi le braccia intorno al collo, Ariel – le ordinò dunque, con dolcezza.
Ariel
ubbidì ed Eric la sollevò tra le proprie braccia. Avvertì una nuova fitta di
dolore ed ebbe un capogiro. Mentre Eric la portava verso il proprio cavallo, la
stanchezza e il dolore ebbero la meglio e Ariel percepì le palpebre farsi
sempre più pesanti e la vista annebbiarsi, sentendo le forze abbandonarla.
Note
(1)Lo so che
Ariel è una sirena ed è in acqua salata, quindi in teoria non sarebbe in grado
di piangere, ma concedetemi questa licenza poetica. Mi sono basata sul film
Disney, in cui Ariel piange disperata dopo che suo padre le distrugge il suo
‘rifugio’.
Tutta questa
scena è un po’ un mix tra ‘La Sirenetta’ e‘Il Re Leone’, come spero si sia notato. Ho ripreso, a grandi linee, la
scena in cui Simba e Nala scappano da Zazu e vanno al cimitero degli elefanti dove si imbattono
nelle iene e vengono poi salvati da Mufasa.
(2)Frase ripresa,
ovviamente, da Tremotino. Non ho inserito direttamente lui perché all’epoca dei
fatti, stando ai miei calcoli, non è ancora diventato l’Oscuro. Quindi mi sono
rifatta alla fiaba originale di Andersen, dove la Strega del Mare non è
malvagia come Ursula, ma chiede comunque ad Ariel la voce in cambio delle
gambe.
(3)Per questa
scena mi sono rifatta un po’ al cartone Disney, quando Eric trova Ariel sulla
spiaggia, ma l’ho modificata molto. Spero sia piaciuta comunque^^
Ciao
a tutti! Eccomi qui con il primo capitolo, un po’ noiosetto,
a dire la verità.
Mi
serviva per introdurre meglio la figura di Ariel e per mostrare il suo passato
prima di incontrare di nuovo Hook, quando questo
torna a Neverland.
Inizialmente
questo passato doveva rientrare in un unico capitolo, ma le cose stavano
andando per le lunghe e così ho deciso di spezzarlo in due, per rendere più
agevole la lettura.
Spero
vi sia piaciuto :) Fatemi sapere cosa ne pensate, sia nel bene che nel male :)
Ringrazio
chi ha recensito il prologo, chi mi ha inserito nelle tre categorie e i lettori
silenziosi.^^
Quando
si risvegliò, Ariel si sentì riposata, pur avvertendo un generale
indolenzimento delle membra, specialmente alle gambe.
Aprì
gli occhi e si guardò intorno: si trovava in un letto a baldacchino situato in
un ambiente chiuso e circolare, probabilmente una torre. Sbatté le palpebre,
confusa, chiedendosi cosa ci facesse lì.
All’improvviso,
poi, rammentò.
Ricordò
di essere diventata umana grazie alla pozione datale dalla Strega del Mare e di
essere stata ferita per errore da un ragazzo che poi l’aveva soccorsa,
offrendosi di portarla al suo castello. Doveva aver perso i sensi durante il
trasporto, evidentemente.
Alzò
un poco le coperte e notò che qualcuno l’aveva vestita con una camicia da notte
e bendata con delle garze di lino laddove era ferita, compresa la mano
sinistra.
Si
mise a sedere, scostò del tutto le coperte e alzò un lembo dell’indumento fino
a scoprire la gamba ferita, fasciata con cura. La tastò con delicatezza e
avvertì una fitta di dolore laddove si era conficcata la freccia, sebbene lieve
rispetto rispetto a quando era stata ferita. Pulsava
ancora, ma era sopportabile.
Dopo
aver constatato di stare meglio si tirò di nuovo le coperte addosso e si
appoggiò con la schiena alla testiera del letto, sospirando di sollievo.
Nel
mentre udì una porta spalancarsi e vide comparire Eric, che non appena la notò
sveglia sorrise risollevato prima di prendere posto ad una sedia che si trovava
accanto al letto.
–
Come state? – le domandò con gentilezza.
Ariel
si strinse nelle spalle, non sapendo cosa rispondere. Stava meglio, ma nemmeno
era in ottima forma. Si sentiva ancora molto debole.
–
So di avervelo già detto, ma sono davvero mortificato per ciò che vi ho fatto –
si scusò Eric, di nuovo. – Ero a caccia, e in quella zona del bosco non bazzica
mai nessuno se non animali selvatici… Appena ho visto
un movimento nella boscaglia ho scoccato la freccia senza esitazione. Mi
dispiace.
Ariel
gli posò una mano sulle sue per confortarlo. Certo, il giorno prima non era
stata felice di ricevere una freccia proprio nelle sue gambe nuove di zecca, ma
Eric non aveva fatto apposta, e le dispiaceva vederlo così afflitto.
–
Potete rimanere qui finché non vi sarete ristabilita – decretò poi il ragazzo,
racchiudendo la mano di Ariel fra le proprie. Lei le trovò sorprendentemente
calde, grandi e rassicuranti. – Avete un posto dove tornare o dove andare,
dopo? – domandò.
Ariel
abbassò lo sguardo sconsolata e scosse la testa. Non aveva alcun posto dove
andare. Certo, quando aveva deciso di andare nella Foresta Incantata aveva
pensato di rivolgersi a Killian, una volta lì,ma ora che si trovava in quel mondo si era
resa conto che si trattava di un’impresa folle. La Foresta Incantata era una
terra sterminata che comprendeva una moltitudine di continenti, regni, isole e
villaggi, al contrario di Neverland che contava sì e
no una mezza dozzina di isole e il solo regno di Atlantica. Trovare Killian sarebbe stato impossibile e lei non aveva indizi da
cui partire, per cui ci aveva rinunciato. Inoltre non aveva idea di quando
tempo potesse essere trascorso lì, in quel mondo, da quando lo aveva aiutato a
scappare da Peter Pan. Stando alle bizzarre leggi temporali di Neverland, nella Foresta Incantata potevano essere
trascorsi più o meno dei quattro anni che lei aveva atteso prima di fuggire.
–
Potete rimanere qui fin quando volete allora – decretò Eric, riscuotendola da
quei pensieri.
Ariel
fu colpita da quelle parole e dalla gentilezza e buon cuore che mostravano.
Alzò lo sguardo e lo volse verso Eric, colma di gratitudine. Sorrise
riconoscente. Nonostante l’avesse ferita, fu felice che la propria strada si
fosse intrecciata con quella di lui e che ora le avesse offerto un posto dove
stare. Poteva iniziare una nuova vita, finalmente, come aveva sempre
desiderato.
–
Vi lascio riposare, ora – disse Eric, prima di alzarsi e lasciare andare la
mano di Ariel, che per chissà quale motivo ne fu dispiaciuta. – Non appena
starete meglio vi mostrerò il regno – le promise sorridendo dolcemente, prima
di sparire oltre la soglia.
Ariel
si sdraiò di nuovo e si girò su di un fianco, in modo da poter guardare fuori
dalla finestra. Sospirò.
Si
sentiva frastornata, senza un’apparente ragione.
Dovevano
ancora essere i postumi della ferita.
Ci
vollero circa due settimane perché Ariel si rimettesse in sesto del tutto e si
ambientasse nel grande castello di Eric. L’edificio si affacciava da un lato
direttamente sul mare e sulla spiaggia da cui Ariel era venuta, mentre i
restanti lati davano sul bosco in cui era stata ferita. Dall’ingresso del
castello si dipartiva poi un sentiero che conduceva ad un villaggio.
In
quei giorni di convalescenza Eric rimase sempre al fianco di Ariel, per quanto
gli impegni di corte gli permettessero. Quando fu in grado di camminare, seppur
zoppicando un po’, le fece fare il giro del castello e le presentò tutti gli
abitanti, i servitori e gli attendenti. Oltre a lui infatti vi vivevano Grimsby, il consigliere reale, e Charlotte, la governante.
La madre di Eric era morta quando lui era ancora un bambino e il padre l’aveva
raggiunta qualche mese prima; da allora lui era diventato il legittimo sovrano,
anche se ancora rifiutava di farsi chiamare re. A soli venticinque anni non se
ne sentiva all’altezza, aveva confidato ad Ariel, ed era molto grato della
presenza di Grimsby al proprio fianco, dato che
sapeva sempre consigliarlo con saggezza. Eric aveva anche un fratello minore,
Oscar (1), che però in quel momento si trovava a combattere la Guerra degli
Orchi (2). Essendo il figlio cadetto, il padre l’aveva infatti indirizzato alla
carriera militare.
Eric
le raccontò e le confidò tutto, specialmente su di sé. Non aveva nessun altro
con cui parlare e si sentiva molto solo. Certo, Grimsby
era il suo consigliere, ma non il suo confidente, e aveva sempre mantenuto
chiaro quel confine. Se mai si fosse confidato con lui, inoltre, dubitava che
avrebbe capito.
Ariel
invece, pur essendo muta, sembrava comprenderlo. Ogni volta che lui le
confidava qualcosa, lei lo guardava con quei grandi occhi verdi ed espressivi e
gli stringeva le mani tra le proprie, per confortarlo, e lui sentiva che lei gli era vicino e non lo
giudicava. La presenza di quella ragazza gli offriva un conforto che nessun
altro al castello era in grado di dargli.
Non
appena il medico di corte gli comunicò che la ferita alla gamba di Ariel si era
quasi completamente rimarginata, Eric decise di portarla a visitare il proprio
modesto regno. Per un giorno delegò a Grimsby tutte
le proprie responsabilità, prese le redini e fece accomodare Ariel in una
carrozza aperta, così che durante il tragitto potesse godere del panorama. La
ragazza restò a bocca spalancata per tutto il tempo, guardandosi attorno come
se vedesse il mondo per la prima volta. E in effetti era davvero così, ma Eric
non poteva saperlo. (3)
Tutti
quei profumi, quelle sensazioni, quei colori erano nuovi per lei. Mai come in
quel momento fu felice di aver corso il rischio di lasciare Atlantica per quel
mondo sconosciuto eppure così bello e felice. Nel regno di Eric, infatti, i
sudditi erano sereni e non vivevano nella paura, nonostante anche l’intera
Foresta Incantata fosse piena di pericoli. La Guerra degli Orchi ne era un
chiaro esempio; molti uomini erano stati mandati a combattere contro quegli
esseri giganteschi e crudeli che terrorizzavano interi regni e villaggi. Eric
le raccontò ciò che a sua volta aveva udito da suo fratello Oscar, che li
combatteva in prima linea e che in battaglia aveva rischiato di perdere
l’occhio sinistro, ma fortunatamente se l’era cavata solo con una cicatrice.
Nonostante
questa nota negativa, però, il regno di Eric era florido e felice e lui era
molto amato. Ariel poteva constatarlo con i propri occhi: al passaggio della
loro carrozza tutti si voltavano e si inchinavano con un sorriso ed Eric
ricambiava agitando la mano con altrettanta allegria.
Ad
Atlantica non era così, per Ariel e suo padre. L’amore dei loro sudditi era
guidato più dal terrore che non da un affetto sincero. In nome della sicurezza
e del bene comune, i sudditi accettavano tutte le restrizioni imposte da re
Tritone che così li manteneva in vita e fuori pericolo, e per questo lo
rispettavano.
A
quei pensieri, Ariel si incupì. Da quando se n’era andata, era la prima volta
che rimuginava su Atlantica e su suo padre. Ormai doveva essere sicuramente
venuto a conoscenza della sua fuga. Come aveva reagito? Aveva incolpato le
sirene della Laguna e mosso guerra contro di loro? L’aveva fatta cercare in
lungo e in largo per tutta Neverland? Si era
infuriato, oppure era semplicemente deluso e dispiaciuto?
Ariel
scosse la testa, con un sospiro.
Ormai
quelli non erano più problemi che la riguardavano. Aveva voltato completamente
le spalle a Neverland e non sarebbe mai più tornata
in quel posto orribile che le aveva portato via la madre e vent’anni di vita,
passati a sopravvivere.
Voleva
vivere, e ora poteva finalmente farlo.
Il
giorno dopo Eric la portò a fare un giro in barca, in un laghetto poco distante
dal castello e dal villaggio. (4) Stava ormai per calare la sera, ma Eric non
aveva voluto sentire ragioni. Era stato impegnato tutto il giorno a concedere
udienza ai sudditi e non vedeva l’ora di poter uscire dalla stanza del trono
per trascorrere del tempo con Ariel. Quella ragazza infatti lo rendeva sereno e
di buon umore come ormai non si sentiva più dalla morte di suo padre.
Ariel,
chiusa nel castello tutto il giorno, aveva accettato di buon grado la proposta
di Eric ed ora si trovava lì, seduta su una barca in mezzo a un lago mentre lui
remava tranquillo.
–
Vi piace? – chiese Eric, sperando di aver avuto una buona idea.
Ariel
annuì, felice di essere di nuovo vicina al proprio elemento naturale. L’unica
cosa che le mancava della sua vita da sirena era proprio l’acqua e con essa le
nuotate.
–
È la prima volta che torno qui da quando… da quando
mio padre è morto – disse Eric, con un sospiro. – Quando ero bambino venivamo
spesso qui. Mio padre, Oscar ed io… Ci portava in
barca ogni volta che poteva e io ero felice. A volte facevo persino il bagno!
Poi sia io che mio fratello siamo cresciuti e i giri in barca si sono
trasformati in passeggiate in riva al lago in cui mio padre metteva me e Oscar
al corrente degli affari del regno. È stato qui che mio padre ha comunicato a
mio fratello la sua partenza per la guerra. Poi si è ammalato e beh… Qualche tempo dopo è morto – proseguì, dopodiché
sospirò di nuovo e fissò lo sguardo verso un punto indefinito in riva al lago,
perso nei propri ricordi.
Ariel
per dargli conforto gli posò una mano sulla sua, stretta a pugno mentre reggeva
uno dei due remi.
Quel
gesto era diventato ormai consueto, nei suoi confronti. Non era la prima volta
che lui si confidava con lei e a quel modo, ma era la prima occasione in cui lo
vedeva così malinconico ed era anche il primo momento in cui sentiva di capirlo
davvero. Quante volte aveva avuto lo stesso sguardo di Eric, ripensando a sua
madre?
Oh,
quanto avrebbe voluto confortarlo a parole, dirgli che con il tempo il dolore
si sarebbe alleviato e i ricordi sarebbero stati fonte di nostalgica gioia e
non più di disperato dolore!
Eppure
poteva limitarsi a stringergli la mano, e doveva. Di più non le era permesso,
dato il rango di Eric.
Certo,
anche lei era una principessa, ma lui non poteva saperlo e lei non aveva modo
di dimostrarlo, così doveva imporsi delle limitazioni. Già con quel gesto aveva
temuto più volte di osare troppo, ma per fortuna non era stato così.
Eric
smise di remare e racchiuse la mano di Ariel tra le proprie.
–
Grazie – le disse, semplicemente. – Non siete in grado di parlare, ma sembrate
capirmi e confortarmi meglio di chiunque altro.
Ariel
gli sorrise, grata di quelle parole e lieta di essergli in qualche modo d’aiuto.
–
Sono quasi contento di avervi ferito, sapete? – proseguì Eric, ormai in clima
confidenziale.
Ariel
inarcò un sopracciglio, un po’ confusa. Come poteva essere contento di averla
ferita? Non le era mai sembrato uno di quegli uomini assetati di sangue e di
violenza. Che si fosse sbagliata?
–
No, no! Nonfraintendermi! – si
giustificò Eric, interpretando la sua espressione; stando a stretto contatto
con lei ormai aveva imparato a capirla. Nemmeno si rese conto di avere iniziato
a dargli del tu, preso com’era dal momento. Ariel invece lo notò e se ne
rallegrò. – Intendo dire che sono quasi contento di averti ferito perché così
ho potuto incontrarti, conoscerti. Sei la mia prima fonte di felicità da quando
mio padre è morto. Da allora è stato tutto doloroso e faticoso. Il funerale,
tutte le responsabilità che mi sono ritrovato addosso, la Guerra degli Orchi… Solo andando a caccia riuscivo a ritrovare un po’ di
pace, in mezzo ai boschi. E così ho trovato te. Da quando sei al castello ho
ritrovato un po’ di serenità, e te ne sono infinitamente grato, Ariel.
La
ragazza fu colpita da quella confessione. Nessuno le aveva mai dato così tanta
importanza, prima di allora.
Ad
essere onesta, anche lei era contenta di aver incrociato la propria strada con
quella di Eric. Con lui si sentiva al sicuro e poteva finalmente conoscere quel
mondo che da sempre aveva popolato le su fantasie. Con Eric poteva imparare a
vivere.
Con
gli occhi lucidi gli sorrise e posò anche l’altra mano su quelle di lui, il cui
volto iniziò a farsi sempre più vicino al proprio.
Non
appena comprese le sue intenzioni, il cuore di Ariel iniziò a battere forte
mentre un intenso rossore le pervase le gote. Si umettò le labbra e chiuse gli
occhi, in attesa di quel bacio che si era scoperta desiderosa di ricevere. Si era
innamorata di Eric e se ne rendeva conto solo in quel momento. Era stato tutto
così semplice e naturale che era venuto da sé, senza il minimo sforzo.
Quel
bacio tuttavia non arrivò.
Quando
Eric fu a pochi millimetri dalle labbra di Ariel, così vicino che lei poteva
sentire il suo respiro sul viso, vennero interrotti.
–
Principe Eric! – urlò Charlotte dalla riva del lago, sbracciandosi con foga.
Ariel
aprì gli occhi ed Eric le rivolse un sorriso permeato di scuse e imbarazzo,
prima di voltarsi verso la governante.
–
Charlotte! – gridò di rimando. – Che succede?
–
Dovete tornare immediatamente al castello! Vostro fratello è tornato!
Nei
giorni che seguirono, Ariel vide Eric ben poche volte e mai da solo.
Riusciva
a vederlo solo durante i pasti e in quei momenti era sempre troppo impegnato a
parlare fitto fitto con Oscar e Grimsby,
oppure era di umore così tetro che non voleva dar retta a nessuno e teneva gli
occhi bassi sul piatto.
Ariel
ne soffriva.
I
momenti passati con Eric le mancavano e le sue giornate diventarono vuote. Trascorreva
il tempo in attesa che Eric bussasse alla sua porta e la invitasse a fare una
passeggiata o si sedesse accanto a lei di fronte al camino della sua stanza. Le
mancava tutto di lui, a cominciare dal suo sorriso. Da quando suo fratello era
tornato, infatti, Eric non sorrideva più e l’atmosfera al castello era
diventata cupa.
Oscar
non piaceva ad Ariel.
Nel
conoscerlo rimase impressionata negativamente da quel ragazzo dall’aria così
austera e lo sguardo così minaccioso, reso ancora più tale dalla cicatrice che
recava alla parte sinistra del viso. Dalle parole di Eric lo aveva immaginato
proprio come lui, solo di due anni più giovane, ma si era sbagliata. Non sapeva
come fosse prima di partire per la guerra, ma questa lo aveva reso duro e
scontroso, sempre guardingo.
Era
tornato a casa in licenza (5) per qualche tempo per riprendersi dall’ennesima
ferita riportata sul campo di battaglia. Durante un assalto si era infatti
fratturato il braccio sinistro e, anche se non era quello con cui impugnava la
spada, gli era stato concesso un permesso per tornare in forma e ritrovare un
po’ di pace, prima di tornare a combattere.
Ad
Ariel dispiaceva per lui e per quello che doveva aver passato sul campo di
battaglia, ma continuava a sentirsi inquieta quando si trovava nella stessa
stanza con lui. Sperava soltanto che la sua convalescenza finisse presto, dato
che il suo arrivo aveva cambiato tutto.
Era
diventata soltanto un’ospite insignificante, seppur trattata con il massimo riguardo.
Si
sentiva di nuovo sola e in gabbia.
Ariel
si trovava in biblioteca, quando gli equilibri si destabilizzarono. Ormai passava
lì parecchio tempo, dato che si annoiava e la lettura sembrava l’unica attività
in grado di darle un po’ di conforto.
Era
seduta accanto alla finestra a leggere un libro di miti e leggende, quando
Oscar la raggiunse. Non appena sentì i suoi passi alzò lo sguardo.
–
È richiesta la tua presenza nella sala del trono – le comunicò il ragazzo,
sprezzante. – Ti consiglierei di cambiarti d’abito e mettere qualcosa di più
elegante. Abbiamo un ospite illustre.
Ariel
annuì, chiuse il libro e si alzò dalla sedia, rammaricandosi di non avere più l’uso
della parola. Oscar la trattava sempre con aria di sufficienza e lei non lo
tollerava, ma non poteva fare altro che subire. Se avesse potuto parlare gli
avrebbe risposto a tono senza pensarci due volte, e invece poteva solo
limitarsi a lanciargli occhiatacce nella speranza di riuscire a trasmettergli
almeno una parte dell’antipatia che provava nei suoi confronti.
Si
diresse in quella che era la propria stanza e si cambiò. Durante i primi giorni
di convalescenza Eric le aveva fatto confezionare degli abiti dal sarto di
corte, per cui non avrebbe avuto problemi a trovare qualcosa di adatto.
Indossò
un abito verde con corte maniche a sbuffo e un’ampia gonna. Il corpetto era
stretto e decorato da perline color argento alle quali Ariel coordinò un
fermaglio che mise tra i capelli, dopo averli spazzolati con cura. Si diede un’ultima
occhiata allo specchio e si ritenne soddisfatta, per cui uscì dalla stanza e si
diresse alla sala del trono, chiedendosi chi mai fosse l’ospite illustre a cui
Oscar aveva accennato.
Non
avrebbe tardato molto a scoprirlo.
Quando
entrò, trovò al centro della stanza un piccolo manipolo di gente e si avvicinò
con cautela, a testa bassa in segno di rispetto.
Vide
Oscar che sorrideva soddisfatto accanto a Grimsby e
un altro uomo che lei non aveva mai visto; poco distante c’era Eric, serio e
pensieroso come mai lo aveva visto. Di fronte a lui stava una donna giovane e
bella, riccamente vestita. Indossava una corona, per cui doveva essere anch’ella
una nobile.
Ariel
sentì una morsa invisibile stringerle la bocca dello stomaco, quasi ad
avvertirla che sarebbe successo qualcosa di poco piacevole.
Per
un attimo pensò di tornare nella propria stanza, dato che ancora nessuno si era
accorto di lei, ma fu questione di un attimo.
–
Ariel, eccovi! – esclamò Oscar con un sorriso felino non appena la vide. –
Avvicinatevi – la esortò e lei fu costretta a raggiungere lui e tutti gli
altri. Nell’incedere incrociò lo sguardo di Eric, che divenne subito triste e
colpevole.
–
Principessa Elizabeth. Lord Norringhton. (6) – esordì
Oscar, dedicandosi alle due persone che la sirena non conosceva. – Vi presento
Ariel, la sventurata fanciulla che mio fratello ha portato al castello e
accolto con tanto buon cuore. È muta, poverina – fece dunque, prima di
rivolgersi a lei. – Ariel, vi presento Lord Norringhton
e la principessa Elizabeth, provenienti dal reame confinante al nostro. La principessa
diventerà presto parte della nostra famiglia, dato che è la promessa sposa di
Eric.
Il
cuore di Ariel mancò un battito a quelle parole. La promessa sposa di Eric? Era
forse uno scherzo?
Abbassò
lo sguardo e fece un piccolo inchino in segno di educazione, ma in realtà lo
fece per nascondere il proprio volto agli sguardi di tutti, dato che temeva di
tradire qualche emozione che sarebbe risultata inopportuna. Temeva di scoppiare
a piangere da un momento all’altro.
Per
la prima volta da quando era arrivata nella Foresta Incantata, desiderò non
averlo mai fatto.
Oscar
era soddisfatto.
Tutto
stava andando come previsto.
Eric
avrebbe sposato Elizabeth, annettendo il suo reame al loro, e lui l’avrebbe
gestito in qualità di vassallo evitando così di tornare tra gli orrori e le
devastazioni della Guerra degli Orchi. Sarebbe sopravvissuto e avrebbe avuto
anche lui una fetta di ciò che gli spettava di diritto.
Certo,
avrebbe preferito essere più che un semplice vassallo, ma per il momento andava
bene così. Col tempo sarebbe diventato re, strappando il titolo a suo fratello,
ma era ancora presto per farlo.
L’obiettivo
primario era non tornare più a combattere e così facendo si sarebbe anche
tenuto alla larga dalle accuse di diserzione e codardia. Non voleva fare certo
la fine di quel povero idiota che pur di non andare in battaglia si era
azzoppato da solo! (7)
Era
contento dei risultati ottenuti fino a quel momento. Era anche riuscito ad
eliminare quell’ostacolo imprevisto di nome Ariel.
Aveva
notato subito che tra lei ed Eric era nato qualcosa, da come si guardavano ogni
volta a tavola, ma per fortuna era riuscito a tenerli lontani.
Era
stato arduo convincere Eric ad onorare il fidanzamento che suo padre aveva
contratto con il padre Elizabeth anni prima, ma appellandosi alla memoria del
defunto genitore ci era riuscito e aveva organizzato l’incontro con la
principessa e il suo consigliere.
Grazie
alla propria astuzia e ad un pizzico di meschinità, Oscar era però riuscito nei
propri intenti, e aveva perfino instillato nel fratello dei dubbi riguardo i
sentimenti che Ariel nutriva per lui. Gli aveva fatto intendere che forse aveva
scambiato della semplice gratitudine per qualcosa di più, e il resto era venuto
da sé, quando gli aveva rammentato il fidanzamento.
Ora
non gli restava che spingere Eric ad organizzare il matrimonio e convincere
Ariel ad andarsene.
Note
(1)Oscar. Sì, è
un personaggio delle fiabe. Per capire chi è, togliete la o iniziale del suo
nome e il gioco è fatto. Ovviamente l’ho umanizzato, avrete poi modo di capire
perché.
(2)È la stessa
Guerra degli Orchi combattuta da Tremotino, sì. E siamo in questo periodo,
quando anche lui è al fronte, come abbiamo visto nei flashback della 2x14.
(3)Scena
ricalcata pari pari dal cartone della Disney.
(4)Anche questa
scena è ripresa dal cartone della Disney, ma un po’ modificata. Qui non c’era
bisogno di nessun sottofondo musicale orchestrato da Sebastian. xD
(5)Mah, spero di
non aver fatto una cavolata inserendo la licenza nel mondo delle fiabe. xD Non sapevo però come fare altrimenti, per cui
concedetemi questa licenza poetica e scusate il gioco di parole.
(6)Nomi ripresi
pari pari da ‘Pirati dei Caraibi’. È anche questo un
film Disney, no? xD
(7)Sì, è proprio
Tremotino.
Eccomi
qui anche con questo secondo capitolo. Chiedo scusa per averci messo tanto, ma
come avevo già accennato sono nel bel mezzo della sessione estiva e sono
sommersa di cose da studiare. La voglia è sempre meno ma mi tocca, e il tempo
per scrivere è poco.
Vi
dico però che il terzo capitolo è già pronto, devo solo copiarlo a pc e rivedere alcune cose, quindi spero di metterci meno
tempo per pubblicare rispetto a questo.
Che
altro?
Spero
vi sia piaciuto. Speravo di concludere qui la vicenda di Ariel nella Foresta
Incantata, ma mi sono lasciata prendere un po’ troppo (e mi sono affezionata ai
personaggi xD) e mi sa che durerà un po’ di più,
anche perché così ho occasione di mostrarvela meglio e di far sì che non sia un
personaggio buttato lì a caso per saltare addosso a Killian.
xD Spero che non sia un problema. Killian,
comunque, arriverà. A tempo debito; vi anticipo che nel prossimo capitolo farà
una piccola apparizione, ma piccola, per poi avere un ruolo più consistente nel
quarto.
E
basta, chiudo qui perché mi sono dilungata troppo e devo studiare, dato che
lunedì ho un esame.
Ringrazio
ancora chi ha recensito, chi ha letto soltanto e chi mi ha inserita nelle tre
categorie.^^
Rimase
tutto il tempo con gli occhi bassi sul proprio piatto, senza toccare
praticamente cibo e cercando di pensare a tutto tranne che a ciò che Oscar le
aveva detto nella sala del trono. Eppure non riusciva a farne a meno.
Come
aveva potuto essere così stupida?
Come
aveva potuto innamorarsi di un uomo già promesso ad un’altra donna?
Ma
soprattutto, perché Eric non gliene aveva mai parlato?
Era
quest’ultima la domanda peggiore, la più dolorosa. Eric l’aveva ingannata e le
aveva taciuto tutto, per chissà quale motivo. Forse per lui era stato tutto
gioco, un piacevole passatempo per sfuggire alle noie delle faccende di corte e
per consolarsi dal recente lutto. Forse Ariel aveva rappresentato per lui la
novità in una vita monotona.
Una
morsa le attanagliava lo stomaco e le mani le tremavano lievemente; tutto ciò
che desiderava era soltanto che la cena si concludesse al più presto, in modo
da potersi congedare e trovare rifugio nella propria stanza. Avrebbe persino
evitato di prendere parte a quella farsa, ma temeva che la sua assenza avrebbe
destato qualche sospetto, per cui aveva preferito stringere i denti e attenersi
all’etichetta. Essendo una principessa era stata educata a celare le proprie
emozioni in pubblico, e quello era il momento di mettere in pratica quegli
insegnamenti.
Per
la prima volta da quando era umana, fu grata di essere muta, perché ciò la
esonerava dal prendere parte a quella conversazione che non si era interrotta
un attimo da che si erano seduti a tavola, ma alla quale lei non aveva dato per
niente retta. Continuava a chiedersi cosa diamine ci facesse lì, in quel luogo
che per un attimo aveva sentito familiare ma che ora le appariva più estraneo
che mai.
Cosa
ne sarebbe stato di lei, dopo il matrimonio di Eric ed Elizabeth?
Quella
domanda continuava a ronzarle nella testa senza che lei potesse trovare una
risposta.
Tenendo
gli occhi bassi, non si accorse di non essere l’unica a non avere appetito,
quella sera. Anche Eric ed Elizabeth non toccarono cibo. L’unico a mangiare con
gusto fu Oscar, soddisfatto per il raggiungimento dei propri obiettivi.
Dopo
cena si offrì di accompagnare Ariel fino alla propria stanza, e la ragazza a
malincuore accettò. Poco dopo udì Grimsby proporre a Norringhton una visita del castello, per cui non ci mise
molto a capire che tutto era stato architettato in modo da lasciare soli i due
promessi sposi. Avvertì una fitta di gelosia mista a dispiacere, ma non poteva
fare nulla a riguardo.
Oscar
le porse il braccio e lei riluttante lo afferrò, avviandosi con lui su per le
scale.
–
A breve ci sarà festa grande in tutto il regno e anche nel reame vicino –
iniziò lui. – Personalmente, non vedo l’ora. Amo le feste.
Ariel
proprio non capiva dove volesse andare a parare. Forse voleva soltanto rigirare
il dito nella piaga. Dubitava che quel pomeriggio Oscar non avesse notato
l’espressione di dispiacere e delusione dipintasi sul suo viso non appena le
aveva presentato Elizabeth. Ariel aveva il sospetto che lui sapesse.
Fece
un sorriso di circostanza e Oscar lo prese come un incoraggiamento a
proseguire.
–
Mi sono accorto di come guardate mio fratello, Ariel – arrivò al dunque. –
Quindi dubito che la notizia del suo matrimonio vi rallegri.
Ariel
si bloccò di colpo e sfilò immediatamente il braccio da quello di lui. Strinse
le mani a pugno e ridusse gli occhi a due fessure, sentendo l’ira montare in
lei. Come diavolo osava quell’infame? Chi gli dava il diritto di rivolgersi a
lei a quel modo, come se si conoscessero da anni e lui fosse il suo più intimo
confidente?
–
Vi ho offesa in qualche modo? – domandò Oscar, rammaricato. – Non era mia
intenzione. Non penavo di dire nulla di nuovo. Del resto, tutti a castello ne
parlano.
Ariel
sgranò gli occhi, sorpresa. Credeva di essere stata brava a celare i propri
sentimenti di fronte a tutti gli altri, ma si sbagliava.
–
Non lo sapevate? È da quando sono tornato qui che tutti mormorano di voi. Tutti
si chiedono da dove venite, perché siete muta, ma soprattutto tutti hanno
notato quello che provate per mio fratello – spiegò Oscar, stando bene attendo
a celare la propria soddisfazione. Aveva colpito nel segno. – Chissà ora cosa
diranno, dato l’imminente matrimonio di Eric.
Ariel
incrociò le braccia al petto e abbassò lo sguardo, pensierosa. Sarebbe
diventata lo zimbello di tutto il regno; tutti si sarebbero presi gioco di lei,
la povera sventurata ferita dal principe e poi innamoratasi di lui, già
promesso ad un’altra donna. Persino Eric se ne sarebbe burlato, probabilmente.
–
Forse sono solo chiacchiere, no? – domandò Oscar, destandola da quei pensieri.
– Si sa, alla gente piace rumoreggiare e novità come voi danno molto di cui
parlare. Il più delle volte si parla a vanvera, mi sbaglio?
Ariel
diede un’alzata di spalle e annuì, come a dargli ragione. Forse fargli credere
che la gente si sbagliasse avrebbe funzionato. Per quanto potesse esprimersi,
gli avrebbe fatto capire che quelle sul suo conto erano solo chiacchiere, anche
se non era così.
Oscar
porse di nuovo il proprio braccio ad Ariel, che dovette accettare. Per il resto
del tragitto lui restò in silenzio, ed Ariel gliene fu grata. Non appena arrivò
davanti alla porta della propria stanza si congedò e quando Oscar, dopo averle
augurato la buonanotte, si allontanò, vi si fiondò dentro e chiuse a chiave.
Non
voleva essere disturbata da nessuno.
Finalmente
era sola e poteva dare sfogo a tutto il proprio malessere. Si buttò sul letto e
pianse, lasciando uscire senza freni tutte quelle lacrime che tratteneva da
quel pomeriggio.
Eric
si sarebbe sposato a breve e tutto il regno si sarebbe burlato di lei, se già
non lo stava facendo.
Doveva
andarsene da lì, ma non sapeva come fare.
Avrebbe
usato la sua collana, ma ora che era umana era troppo debole per farlo. Una
volta, durante la convalescenza, aveva infatti provato ad usarla per guarire le
proprie ferite un po’ più in fretta, ma subito le era venuto un capogiro ed era
stata sul punto di svenire. Ne aveva dedotto che non essendo più una sirena, e
quindi un essere magico, le sue energie erano notevolmente diminuite e non
poteva più utilizzare la collana a suo piacimento.
Se
avesse provato ad usarla per fuggire da lì, le conseguenze sarebbero state
terribili.
Non
le restava altro da fare che prendere tempo per trovare un modo per andarsene e
lasciarsi tutto alle spalle, ma non sapeva da dove partire.
Sospirò.
Non
poteva incolpare altri che se stessa per quella situazione. Se avesse obbedito
a suo padre, se fosse rimasta ad Atlantica nulla di tutto quello sarebbe
successo. Avrebbe continuato a vivere la sua vita monotona e colma di divieti,
ma per lo meno il suo cuore sarebbe rimasto al sicuro.
Quando
si fu calmata un po’ e le lacrime iniziarono a scorrere più lentamente, si alzò
dal letto e si spogliò, per poi infilare una camicia da notte. Guardò fuori
dalla finestra e vide che la luna era già alta in cielo; chissà quanto tempo
era trascorso da quando si era buttata sul letto in lacrime.
Si
coricò, già conscia del fatto che non avrebbe chiuso occhio. Si rigirò nel
letto per diverso tempo, prima di udire qualcuno bussare alla porta. Si rizzò a
sedere, confusa: chi mai poteva essere, a quell’ora?
Si
alzò dal letto e si infilò una vestaglia, per rendersi presentabile, poi andò
ad aprire la porta.
Si
trovò davanti una figura incappucciata, che subito la spinse da parte, entrò
nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, girando la chiave a due mandate.
Ariel non capì di chi si trattava finché questi non si tolse il cappuccio.
Spalancò la bocca per lo stupore e la coprì con una mano, sconvolta.
Davanti
a lei si trovava Eric.
Che
diavolo ci faceva lì? Perché aveva bussato alla sua porta nel bel mezzo della
notte, e in tutta segretezza?
–
Ariel – esordì lui. – So che questa è un’ora improponibile per venire a
trovarti, ma avevo bisogno di parlarti.
La
ragazza gli diede le spalle, sperando che quel gesto fosse abbastanza
eloquente. Non aveva la minima voglia di starlo a sentire, perché già
immaginava cosa voleva dirle. Le avrebbe parlato del suo imminente matrimonio
con Elizabeth, le avrebbe detto che gli dispiaceva che lei si fosse fatta
illusioni riguardo al loro rapporto, dopo quella volta in barca, e le avrebbe
consigliato di andarsene, probabilmente. Ariel voleva soltanto essere lasciata
in pace, sola con la propria delusione.
Eric
tuttavia non lo capì. Avanzò di qualche passo e la aggirò, fino a pararsi
davanti a lei e metterle le mani sulle spalle per arrestare ogni tentativo di
voltarsi di nuovo; questa volta Ariel abbassò lo sguardo, per impedirsi di
guardare Eric negli occhi. Sapeva che così facendo avrebbe ceduto, e doveva
saperlo anche lui, perché poco dopo le afferrò il mento tra pollice e indice e
le alzò il visofinché non fu
all’altezza del proprio.
–
Ascoltami, ti prego – la implorò con voce sofferta. Alla luce del fuoco che
scoppiettava nel camino, notò che i suoi occhi erano venati di rosso e che
profonde occhiaie le solcavano il viso. – Hai pianto? – domandò dunque
sorridendo dolcemente.
A
quel sorriso, Ariel montò su tutte le furie, scambiandolo per derisione mista a
compatimento. Quell’idiota forse godeva nel vederla soffrire a causa sua? Con
decisione, si divincolò dalla sua stretta e indietreggiò. Quando fu a debita
distanza, fece un gesto con la mano per invitarlo a parlare, dato che era ormai
evidente che non se ne sarebbe andato da lì fino a che non avesse raggiunto il
proprio scopo, dopodiché incrociò le braccia al petto e si mise in ascolto,
cercando di nascondere la propria sofferenza.
–
Non volevo che venissi a conoscenza del mio matrimonio a quel modo – iniziò il
discorso Eric, avanzando di un passo. – Ad essere sincero, non volevo proprio
che lo sapessi.
L’attenzione
di Ariel si destò immediatamente. Non sapeva se alimentare quella piccola
speranza che stava iniziando a crescere dentro di sé o se restare con i piedi
ben piantati per terra. Senza rendersene conto, fece anch’ella un passo avanti.
–
Elizabeth ed io siamo stati promessi sposi fin da bambini. I nostri padri
all’epoca decisero che una nostra unione futura avrebbe giovato ad entrambi i
regni, ma non avevano fatto i conti con il fatto che una volta cresciuti
avremmo potuto cambiare idea – proseguì Eric. Il cuore di Ariel iniziò a
battere all’impazzata. Che ci fosse ancora qualche possibilità? – Torno proprio
ora da una lunga chiacchierata con Elizabeth. Come me, non è troppo entusiasta
della nostra unione. Mi ha rivelato di essere innamorata di un fabbro, nel suo
regno, un certo Will Turner (1), e questo rende tutto più semplice.
Eric
avanzò fino a che non fu di nuovo vicino ad Ariel, distante da lei solo pochi
centimetri. La ragazza sperava di aver udito bene, di aver colto il giusto
significato celato dietro le parole di Eric. Il principe le posò di nuovo le
mani sulle spalle, prima di concludere il proprio monologo.
–
Elizabeth ed io abbiamo mandato a monte il fidanzamento. Spero di aver fatto la
scelta giusta – rivelò, in un sussurro. Prese un respiro profondo, prima di
proseguire. – Non avrei mai potuto sposarmi con Elizabeth. Non quando il mio
cuore appartiene a te, Ariel. Io ti amo – disse infine, prima di premere le
proprie labbra su quelle della ragazza, che per facilitargli le cose si alzò in
punta di piedi e gli strinse le braccia al collo, ancora incredula. Davvero
Eric le aveva appena dichiarato il proprio amore?
Non
appena le loro labbra si toccarono, da esse scaturì una forza invisibile, che
si espanse tramite una lieve brezza per tutta la stanza e anche oltre.
Avvertendola, i due si separarono, a malincuore.
–
Che cosa è stato? – domandò Eric, confuso.
Ariel
si strinse nelle spalle, scuotendo la testa. – Non ne ho idea – le uscì
spontaneo, e subito comprese. Sgranò gli occhi, esterrefatta, e si portò le
mani davanti alla bocca.
–
La mia voce! – esclamò, euforica. – Posso parlare di nuovo! E…
Oh, è fantastico! È tutto merito tuo, Eric!
Gli
buttò le braccia al collo, felice. – Anche io ti amo – gli sussurrò
all’orecchio. – Ed è proprio questo che mi ha restituito la voce. È stato il
bacio del vero amore, la magia più potente di tutte! Mi ha restituito ciò che
la Strega del Mare mi ha tolto. (2) Grazie, Eric – disse tutto d’un fiato. Non
le sembrava vero; poteva parlare di nuovo. Era stata in silenzio così a lungo
che iniziò a mormorare frasi sconnesse e non si premurò di spiegare tutto ad
Eric, che infatti la guardava un po’ spaesato.
–
La… la Strega del Mare? – biascicò, continuando a
stringere Ariel tra le proprie braccia.
–
Sì, è stata lei a darmi le gambe in cambio della mia voce, ma ora l’ho riavuta!
Sono così felice, Eric! – continuò Ariel, estasiata, separandosi da lui quel
tanto che bastava per guardarlo negli occhi pur continuando a godere del suo
abbraccio. Non appena lo fece, però, si rese conto della sua espressione
confusa. – Oh, ma tu non puoi saperlo! – esclamò, rendendosene conto
all’improvviso. – Devo spiegarti tutto! Ora posso farlo, e ne abbiamo tutto il
tempo – disse dunque, con un sorriso di pura felicità. Guardò Eric negli occhi
con amore e gratitudine e gli accarezzò una guancia, prima di separarsi del
tutto da lui. Lo prese per mano e lo condusse verso il camino, dove era situate
due poltrone in legno rivestite di velluto e un tavolino.
–
Siediti – lo esortò. – Abbiamo molto di cui parlare.
Eric
prese posto sulla poltrona ed Ariel fece altrettanto su quella posta di fronte
a lui.
–
Partiamo dall’inizio – esordì. – Tu mi hai conosciuta qui, nel tuo regno, nella
Foresta Incantata. Io però non appartengo a questo mondo. Sono…
O meglio, ero una sirena e vivevo ad Atlantica.
–
Atlantica? – ripeté Eric, boccheggiando. – Ero convinto che si trattasse solo
di una leggenda! – esclamò. Sapeva dell’esistenza di sirene anche nella Foresta
Incantata; aveva sentito molto parlare di quella che infestava il lago di Nostos e numerose erano le storie di marinai attirati nel
fondo degli abissi da quelle misteriose creature. Aveva sentito parlare anche
di Atlantica, ma era stato in termini molto vaghi e circondati da un alone di
mistero e leggenda. – Si trova a Neverland, giusto?
–
Sì, esatto. Vedo che ne hai sentito parlare, ma non si tratta di una leggenda.
Purtroppo è tutto reale. Cos’altro sai? – domandò Ariel.
–
Ben poco – rispose Eric. – So solo che a Neverland
c’è l’isola che non c’è, dove i bambini non crescono mai. So anche che lì si
trova un certo Peter Pan, ma non ricordo altro.
–
Quello che sai è giusto, ma non è tutto. Neverland è
un posto orribile e terrificante. Il tempo lì scorre diversamente rispetto agli
altri mondi, ma sull’isola che non c’è è come se si fosse fermato. I bambini
che mettono piede lì non crescono mai, è vero, ma non possono nemmeno più
andarsene da lì. Peter Pan li tiene prigionieri, non so perché. Nessuno lo sa –
spiegò Ariel. – Neverland è piena di pericoli. È per
questo che sono fuggita. Mio padre era molto protettivo, vista la situazione.
Mi imponeva un sacco di divieti, e io non ne potevo più. Volevo vivere, vedere
il mondo… Il tuo
mondo, che mi ha sempre affascinata.
–
E così sei venuta qui – dedusse Eric. – Come hai fatto?
–
Con questa. È magica – rispose Ariel, mostrandogli la collana che portava al
collo. – Ogni sirena ne ha una. Ci permette di fare molte cose, tra cui
viaggiare tra i vari mondi.
–
E una volta qui sei andata dalla Strega del Mare che hai nominato poco prima?
Per farti dare un paio di gambe? – domandò Eric, mettendo insieme i cocci.
Cominciava a capire. Si era sempre chiesto da dove Ariel venisse, cosa l’avesse
fatta incappare nel proprio destino, come mai non avesse nessuno e alcun posto
dove tornare. Ora tutto aveva un senso.
–
Esatto. Sono andata dalla Strega del Mare che in cambio della mia voce mi ha
dato una pozione che mi ha resa umana – rispose Ariel, lieta che Eric avesse
capito tutto e che le credesse. Per un attimo aveva pensato che una volta
saputa la verità le avrebbe dato della bugiarda e non l’avrebbe più voluta
accanto. – Ho bevuto la pozione e poco dopo sono stata colpita dalla tua freccia
– concluse infine.
–
Devi averne passate davvero tante – constatò Eric, ricordando l’aria smarrita e
patita che Ariel aveva quando l’aveva conosciuta.
–
Un po’ – ammise la ragazza. – Rifarei tutto, però. Tutto, se questo mi portasse
nuovamente da te. Oggi il mio cuore si è spezzato, quando ti ho visto con
Elizabeth. Poco fa però si è ricomposto ed è tornato a battere. Quando ti sei
dichiarato e mi hai baciata… È stato il momento più
bello di sempre. Mi sono sentita a casa, completa, protetta…
e felice. Con te ho capito davvero cosa significa vivere – dichiarò poi. Si
sentì una stupida per quello che aveva pensato dopo il suo colloquio con Oscar,
per aver anche solo preso in considerazione l’idea di andarsene da lì. Era
quella la sua casa, ora, accanto ad Eric.
Si
sporse verso il principe e lo baciò di nuovo. Questa volta fu diverso, nessun
incantesimo li interruppe e perciò poterono lasciarsi andare ai propri
sentimenti.
Eric
attirò Ariel a sé e la fece sedere sulle proprie ginocchia, continuando a
baciarla. La ragazza gli strinse le braccia al collo, pervasa da sensazioni mai
provate prima. Piccole scosse le partivano dal centro del petto, giungendo
formicolando fino alle dita delle mani. Era felice, sentiva di aver trovato il
proprio posto e la vita che aveva sempre sognato.
Poco
dopo, dovettero separarsi per riprendere fiato.
–
Ci sarà lo stesso un matrimonio, a breve – soffiò Eric a pochi centimetri dalle
sue labbra. – Sposami, Ariel – le propose dunque, accarezzandole una guancia.
–
Oh, sì! Sarò felice di sposarti! – esclamò Ariel, entusiasta, prima di baciarlo
nuovamente.
Il
giorno dopo, Oscar fu convocato dal fratello, e si presentò da lui raggiante.
Presto
le sua macchinazioni avrebbe dato frutto, se lo sentiva.
–
Eric, fratello mio! – lo salutò con un ampio sorriso non appena lo vide. – Mi
hai fatto chiamare, vero?
–
Oscar! – ricambiò il saluto Eric, con un sorriso altrettanto caloroso ma di
pura gioia. – Sì, ti ho fatto chiamare. Sono felice che tu sia arrivato subito;
vorrei che tu fossi il primo ad avere la lieta notizia – introdusse dunque il
discorso.
Oscar
gongolò. – Lieta notizia? Oh, ma non ce n’è bisogno. Lo so già. O vuoi forse
dirmi che tu ed Elizabeth avete già deciso un data? E dimmi, sarà prima che io
riparta per la guerra, vero? Sai, ci tengo ad esserci. E poi…
–
Oh, ehm… Non è come credi tu – lo interruppe Eric, un
po’ imbarazzato da tutto quell’entusiasmo da parte di Oscar. – Ci sarà presto
un matrimonio, e prima che tu parta, perché anche io tengo molto alla tua
presenza. Solo, la sposa non sarà
Elizabeth. Mi sposerò con Ariel, Oscar.
–
Come, scusa? – sibilò quest’ultimo, decisamente sorpreso. Sentì immediatamente
l’ira montare in lui. Quella sgualdrina! Chissà come diavolo lo aveva convinto!
La sera prima era così felice di aver messo in moto gli eventi che aveva tanto
programmato, ma nel giro di una notte tutto era andato in fumo.
–
Sì, vedi… Le cose sono cambiate. Ieri sera, dopo
cena, ho parlato a lungo con Elizabeth, e non era troppo entusiasta all’idea di
sposarsi – spiegò Eric.
–
Ma eravate promessi! Nostro padre… – tentò di
ribattere Oscar, ma Eric alzò una mano per interromperlo. Sapeva già cosa stava
per dire il fratello.
–
Nostro padre mi promise ad Elizabeth quando ancora ero un bambino e il regno
era in difficoltà. La situazione è cambiata, adesso. E sono certo che se nostro
padre fosse ancora vivo sarebbe felice di sapere che mi sposo per amore e non
per alleanze politiche – decretò Eric, in un tono che non ammetteva repliche.
Fu
solo allora che Oscar si rese conto che ormai suo fratello era perfettamente
calato nel proprio ruolo di sovrano e aveva acquisito l’autorità che tanto
aveva ammirato nel padre. Non poteva più manipolarlo, Eric era in grado di
prendere le proprie decisioni da solo senza farsi influenzare e lo aveva
dimostrato bene.
–
Credo che tu abbia ragione – assentì dunque Oscar, abbassando lo sguardo. –
Congratulazioni – si complimentò, fingendo un sorriso felice, mentre il suo
cervello era già di nuovo in moto.
Avrebbe
trovato un altro modo per non tornare in guerra.
–
Dove siamo diretti, capitano? – domandò Killian a
Barbanera, sul ponte di poppa. (3)
Era
entrato a far parte della sua ciurma dieci anni prima, poco dopo essere fuggito
da Neverland. (4) Avendo viaggiato molto con il padre
fin da bambino, era avvezzo ad una vita piena d’avventure e quindi aveva deciso
di proseguire per quella strada. Si era imbarcato come mozzo sulla Queen Anne’sRevenge senza troppi ripensamenti, e da allora non se
ne era mai pentito.
Barbanera
gli aveva insegnato molto, con la sua dura disciplina. Aveva sempre rigato
dritto, per paura di ricevere un colpo di pistola alle gambe, dato che
Barbanera era solito punire a quel modo chiunque facesse qualcosa di sbagliato.
Era
solito anche mettere alla prova la propria ciurma, e Killian
se l’era sempre cavata egregiamente. Una volta, quando avevano fatto rifornimento,
Barbanera aveva riempito la stiva con fuoco e zolfo, per creare un’atmosfera
infernale densa di fumo e vedere chi resistesse più a lungo senza scendere
dalla nave. L’ultimo ad abbandonarla era stato lui, ma Killian
l’aveva preceduto solo di qualche minuto e questo gli era valso la nomina di
nostromo.
–
Stiamo facendo rotta verso Sunnydale (5), un regno
qui vicino, in riva al mare – rispose Barbanera. – Alla locanda in cui siamo
stati ieri notte ho sentito dire che il principe si sposa. E sai questo cosa
significa? Cibo, birra e vino in abbondanza per tutti e per giorni e giorni, il
tutto corredato da feste e danze. Si sa, i reali quando si sposano fanno le
cose in grande.
Killian sorrise, soffi
sfatto. – Ottima rotta, capitano. Ai festeggiamenti per i matrimoni le donne
diventano più disinibite – approvò, sorridendo malizioso. – E una volta là,
quando tutto sarà finito, potrò avere la mia parte di bottino come stabilito?
(6)
–
Oh certo. Mantengo sempre la parola data – lo rassicurò il capitano, dandogli
una sonora pacca sulla spalla. – Se vuoi ripensarci, però…
–
No – lo interruppe Killian. – È tempo che io prenda
la mia strada, capitano. Voglio una nave e una ciurma tutta mia, e ormai penso
di essere in grado di gestirle.
–
Certo è comprensibile – disse Barbanera,
sfoderando uno dei suoi rari sorrisi. – Sarà dura trovare un sostituto valido
quanto te. Sei in gamba, ragazzo. Sarai un ottimo capitano – concluse infine,
prima di allontanarsi. Barbanera non era un uomo che si prodigava in
complimenti, per cui le sporadiche volte in cui ciò avveniva preferiva sbrigare
in fretta la situazione.
Killian sorrise,
riconoscente. Sfoderò il cannocchiale, per scrutare l’orizzonte.
Intravide
la costa e sorrise di nuovo, con malizia. Di lì a poco si sarebbe divertito,
con tutti quei festeggiamenti.
Il
giorno del matrimonio trascorse molto in fretta, senza che Ariel se ne rendesse
conto. La preparazione, la cerimonia, il ricevimento…
Tutto le scivolò addosso senza che lei se ne accorgesse. Era talmente felice
che le sembrava di vivere in un sogno.
Avrebbe
trascorso una vita intera accanto ad Eric, ancora stentava a crederci.
Era
scappata da casa per vivere e aveva trovato l’amore e una nuova dimora; non poteva
chiedere di meglio.
Eric
era l’unico a sapere la verità sul suo conto. Ariel gli aveva espressamente
chiesto di mantenere il segreto riguardo le proprie origini e così lui aveva
fatto. Si era limitato ad annunciare il matrimonio e aveva giustificato il
ritorno della voce di Ariel con un sortilegio spezzato. Era una mezza verità,
dopotutto.
Ariel
non se la sentiva infatti di rivelare di essere una sirena, perché temeva che
qualcuno potesse farle del male e soprattutto non voleva essere vittima di
pregiudizi. Quando aveva rinunciato alla propria coda lo aveva fatto per vivere
una vita normale e non certo per temere di nuovo che qualcuno le facesse del
male per via di ciò che era.
Con
Eric al suo fianco non voleva temere nulla.
Note
(1)Come accennavo
già nello scorso capitolo, ho voluto inserire anche elementi di film Disney non
d’animazione. Will ed Elizabeth sono uno dei miei tanti OTP e ho voluto
omaggiarli anche qui.
(2)Dato che non
avevo la più pallida idea di come far tornare la voce ad Ariel, ho deciso di
optare per il bacio del Vero Amore. Spero di non aver fatto una cavolata. xD
(3)Su Wikipedia ho letto che Uncino, prima di diventare capitano,
è stato nostromo di Barbanera. Avendo già inserito alcuni personaggi di ‘Pirati
dei Caraibi’, mi sono detta: “Perché no?”, e così eccolo qui. Tutto quello che
trovate di seguito su Barbanera, è ispirato a ciò che ho letto su Wikipedia.
(4)Per Killian sono passati dieci anni, a differenza di Ariel, per
la quale ne sono passati quattro. Come ho già detto, a Neverland
il tempo scorre diversamente rispetto agli altri mondi, ma ci tengo a
precisarlo. xDKillian dunque
ha venticinque anni, mentre Ariel ne ha venti.
(5)Ripreso pari pari da “Buffy l’Ammazzavampiri”. Io sono una frana a dare nomi ai luoghi,
me ne rendo conto, e quando posso lo evito. Qui non potevo xD
Non sapevo cosa inventarmi e così ho pensato alla mia serie tv preferita…et voilà! So che è un’idea
del cavolo, ma il nome comparirà solo qui xD
(6)Per quello che
ne so di pirateria, ogni membro della ciurma aveva diritto alla propria parte
di bottino, se decideva di andarsene. Io ho voluto immaginare che Killian ad un certo punto abbia stabilito di prendere la
propria strada, diventando poi il capitano della Jolly Roger che abbiamo visto
nella 2x04. Secondo me in quella puntata era capitano già da un po’ e credo
avesse circa ventisette/ventotto anni.
Ciao a tutti!
Eccomi qui
anche con questo terzo capitolo. Originariamente era un po’ più lungo, ma ho
voluto tralasciare l’ultima parte per inserirla nel prossimo, dove Killian finalmente avrà un ruolo abbastanza fondamentale.
Qui avete potuto vedere cosa gli è successo dal suo ritorno nella Foresta
Incantata e come avrete intuito presto il suo destino si incrocerà di nuovo con
quello di Ariel.
Inizialmente avevo pensato di riunirli a Neverland,
ma poi la storia mi ha trascinato verso questa direzione. Spero vi piaccia :)
Il prossimo
capitolo arriverà di sicuro dopo il 28, dato che oggi parto e torno quel
giorno. In vacanza dubito di aver tempo per scrivere, ma porterò dietro carta e
penna, non si sa mai xD
Fatemi sapere
cosa ne pensate :)
Ringrazio di
cuore chi ha letto e commentato lo scorso capitolo, ma anche i lettori
silenziosi e coloro che hanno inserito la mia storia in una delle tre
categorie.
I
festeggiamenti per il matrimonio di Eric e Ariel durarono per una settimana in
tutto il regno.
Al
termine di essi, Oscar agì. Finiti i festeggiamenti, il sovrano e la sua
consorte avrebbero visitato i regni limitrofi e lui sarebbe tornato al fronte,
ma non poteva permetterlo.
Aveva
avuto modo di osservare le abitudini dei neosposi, in quei giorni, e di
pianificare tutto alla perfezione.
Dopo
cena finse di accusare un malessere e si congedò.
Andò
nella loro stanza, si nascose dietro una tenda e attese.
Un
paio d’ore dopo, Eric entrò. Era solo. Ariel doveva essersi trattenuta un po’
più a lungo in biblioteca, come sempre. Dopo cena, infatti, era abitudine
andare lì a conversare davanti al camino, mentre la ragazza soleva leggere a
lume di candela, rintanata in una poltrona accanto alla finestra.
Oscar
doveva agire in fretta, prima che Ariel raggiungesse il marito.
Uscì
dal proprio nascondiglio e si portò furtivamente alle spalle di Eric, che,
avvertendo una presenza dietro di sé, si voltò.
–
Oscar! – esclamò sorpreso. – Che ci fai qui? Credevo stessi…
Eric
non finì mai quella frase.
Oscar
lo pugnalò al ventre una, due, tre, molte volte.
Eric
boccheggiò e si accasciò a terra, le ginocchia che gli cedevano e le mani sulle
ferite, in un inconscio e inutile tentativo di fermare tutto quel sangue che
stava scorrendo e che gli tinse la camicia di rosso.
Oscar
lasciò cadere il pugnale a terra e guardò il fratello esalare gli ultimi
respiri, il volto che non tradiva la minima emozione. Aveva visto troppe
persone morire sul campo di battaglia e spesso aveva dovuto mettere fine alla
vita di uomini sofferenti, per rimanerne scosso.
Eric,
steso a terra nel proprio sangue, aprì la bocca per dire qualcosa, ma ne
uscirono solo un gorgoglio e un rivolo di sangue. Ebbe qualche spasmo, prima
che i suoi occhi diventassero vitrei e la sua testa ricadesse di lato. Ogni
traccia di vita in lui era svanita.
–
Sarò re… (1) – sussurrò Oscar, lieto che il suo fato
fosse compiuto. Non sarebbe più tornato a combattere e avrebbe avuto quel che
meritava.
Con
un sorriso spietato lasciò la porta semiaperta e vi si nascose dietro, in
attesa che la seconda parte del piano si compisse.
Non
dovette aspettare molto. Ariel entrò nella stanza con passo leggiadro e si
bloccò non appena vide il corpo esanime di Eric. Inorridì.
–
No! – sussultò, portandosi una mano alla bocca. – No! No, no, no, no! – ripeté,
aumentando man mano il tono di voce, finché non iniziò a strillare
istericamente. Scossa dai singhiozzi, si inginocchiò a terrà accanto ad Eric e
poggiò la sua testa sul proprio grembo, per cullarlo. Continuava ad urlare il
suo nome, disperata.
Senza
fare rumore, Oscar uscì dalla stanza e si allontanò un poco, per poi tornare
indietro.
–
Ariel! – esclamò sulla soglia, fingendosi affannato. Aveva pensato ad ogni
minimo dettaglio. La ragazza alzò lo sguardo verso di lui, il volto rigato di
lacrime. – Ti ho sentita urlare, che cosa…? – iniziò
per poi bloccarsi. – Che cosa è successo? – domandò. Si guardò intorno finché
non vide il pugnale poco distante dal corpo del fratello. Lo indicò,
inorridito. – Tu! Sei stata tu! – la accusò.
Ariel
lo guardò confusa. Non capiva. – No – si difese, senza troppa convinzione. – Quando…quando… – tentò di dire,
ma i singhiozzi le impedivano di formulare frasi troppo lunghe. – Era già così
– disse semplicemente.
–
Questo sarà qualcun altro a stabilirlo! – ribatté Oscar, ormai perfettamente
calato nella parte. – Hai ucciso mio fratello, maledetta! Sarai sottoposta a
processo e condannata a morte! E…
Ariel
all’improvviso capì. Quel discorso era troppo impostato per essere spontaneo.
Sembrava studiato a tavolino, così come il tempestivo arrivo di Oscar. Non
aveva urlato così forte, eppure lui era accorso subito. Come se già sapesse. –
No – lo interruppe. – Sei stato tu – sentenziò con voce spenta.
Oscar
sospirò con fare teatrale. – Ci sei arrivata subito, eh? – ribatté, grattandosi
la testa. – Peccato che nessuno ti crederà. È la tua parola contro la mia – la
compatì dunque. – Guardie! – urlò infine, ritenendo concluso il suo piano. –
Guardie! – ripeté, in tono più forte e perentorio.
Ariel
non ebbe tempo per pensare. Non poteva permettere di essere catturata e di
essere incolpata di quell’orribile delitto. Si alzò in piedi e senza riflettere
corse verso la finestra, la aprì e vi si gettò fuori senza indugio.
La
torre in cui si trovava la loro stanza era nel lato del castello che dava sul
mare, per cui non correva rischi di sfracellarsi al suolo. Finì in acqua nel
giro di qualche secondo e il mare si richiuse sopra di lei. Mulinò le braccia e
le gambe per andare in superficie, facendosi guidare dalla luce della luna, e
una volta fuori respirò a pieni polmoni.
Iniziò
a nuotare verso riva e il contatto con l’acqua, il suo elemento naturale, la
fece tornare lucida.
Doveva
allontanarsi dal castello il più possibile.
Eric
era morto, e ora Ariel era ricercata in tutto il regno, ritenuta responsabile
della sua dipartita.
Si
nascondeva ormai da giorni, al riparo dei boschi che si trovavano tra il
castello e il villaggio. Aveva trovato una piccola caverna e l’aveva resa il
suo rifugio.
Se
ne stava lì giorno e notte, rannicchiata su se stessa, lo sguardo perso nel
vuoto e il volto solcato di tanto in tanto da qualche lacrima. Si muoveva da lì
solo per andare ad assetarsi ad un fiume poco distante e cercare qualche frutto
con cui nutrirsi, anche se per lo più restava a digiuno. Non aveva più le forze
nemmeno per mangiare, ormai.
Non
riusciva a pensare ad altro se non al corpo esanime di Eric steso in una pozza
di sangue, gli abiti color cremisi e gli occhi vitrei che mai più l’avrebbero
guardata con amore.
Aveva
trovato la felicità per poi perderla subito, e tutto a causa di Oscar.
Ariel
continuava a chiedersi perché mai quest’ultimo aveva ucciso suo fratello,
sangue del suo sangue. Cosa diavolo doveva essergli passato per la testa per
indurlo a compiere un simile gesto? Perché aveva ucciso l’unico membro
superstite della sua famiglia, per poi incolpare lei e farla franca?
Dopo
tante riflessioni, Ariel aveva immaginato che Oscar avesse agito per brama di
potere e gelosia, per poter finalmente mettere le mani su quel trono che di
diritto spettava a Eric. Il desiderio di potere rendeva gli uomini in grado di
fare qualsiasi cosa pur di ottenerlo.
Non
sapeva cosa fare, come comportarsi, come reagire.
Il
dolore la stava dilaniando.
Aveva
già perso sua madre per la crudeltà di un altro individuo, ed ora aveva perso
anche la persona amata. Si sentiva lacerata in mille pezzi e non sapeva come
raccogliere i cocci. Da dove avrebbe potuto partire, del resto?
Col
tempo iniziò a farsi strada in lei il desiderio di tornare a casa, ma per farlo
doveva prima tornare ad essere una sirena, in modo da poter usare la collana
senza il timore di incappare in sconosciuti effetti collaterali. Ora che aveva
sperimentato di nuovo la crudeltà del mondo e degli esseri umani, ora che aveva
capito che non solo a Neverland accadevano atrocità,
voleva tornare da suo padre e chiedergli scusa per essere fuggita. Voleva
tornare da lui e rifugiarsi tra le sue braccia per sentirsi capita e protetta.
Ora comprendeva tutte quelle limitazioni che suo padre le aveva sempre imposto,
ora capiva a cosa spingeva il dolore provocato dalla perdita della persona
amata.
Per
tornare sirena, però, avrebbe dovuto recarsi di nuovo dalla strega del mare.
Sicuramente lei avrebbe trovato un modo, ma Ariel non aveva idea di come
raggiungerla senza farsi scoprire da qualcuno.
Oscar
doveva aver messo tutta la guardia reale alle sue calcagna, ne era certa.
Killian vagava per i
boschi guardingo, alla ricerca della fuggitiva di cui tanto si parlava nel reame.
La
cercava da giorni, fin da quando aveva letto il suo nome su uno dei manifesti
affissi in tutto il regno, dai vicoli del villaggio agli alberi che
costeggiavano la strada che da esso portava al castello. (2)
Era
in una locanda, quando una guardia era entrata e aveva distribuito in giro
qualche manifesto, chiedendo se qualcuno avesse avvistato l’assassina. Quando
era arrivato il suo turno aveva dato un’occhiata distratta al ritratto di quella
ragazza dicendo di non averla mai vista, né di avere la minima idea di dove
fosse. Quando la guardia se n’era andata aveva strappato di mano un manifesto
da un ubriacone, curioso di sapere quale fosse la ricompensa. Se fosse stata
cospicua, avrebbe potuto mettersi sulle sue tracce per consegnarla alla
giustizia e guadagnare così altro denaro da aggiungere al proprio bottino.
Nel
momento in cui aveva letto il nome della ragazza, la sorpresa era stata tale
che per poco non si era strozzato con la birra che stava sorseggiando.
Ariel
era lì!
Era
lei la principessa venuta da lontano che il principe Eric aveva sposato, prima
di essere brutalmente assassinato. Una volta saputo chi fosse, Killian dubitava che Ariel fosse colpevole di
quell’omicidio, per cui si era messo in testa di cercarla e di aiutarla, per
poter ricambiare così il favore che tanti anni prima lei gli aveva fatto
aiutandolo a fuggire. Non poteva credere che la ragazzina che lo aveva aiutato
a scappare da Neverland si fosse trasformata in una spietata
assassina bramosa di potere.
Qualunque
cosa fosse successa per indurre il nuovo sovrano ad accusarla dell’omicidio del
precedente, Killian era intenzionato a scoprirlo.
Assetato,
si diresse al fiume per trovare un po’ di ristoro. Non appena uscì dal fitto
della boscaglia, intravide una figura accovacciata sulla riva, intenta ad
abbeverarsi. La riconobbe subito dalla macchia rossa che erano i suoi capelli.
Finalmente,
dopo giorni, l’aveva trovata. Un sorriso spontaneo gli comparve sulle labbra,
nel pensare che di lì a poco avrebbe incontrato di nuovo la sua benefattrice.
Iniziò
ad avvicinarsi.
–
Ariel! – urlò per attirare la sua attenzione.
Fu
una pessima mossa.
La
ragazza si alzò e iniziò a correre senza nemmeno vedere chi l’avesse chiamata.
Probabilmente pensava che fosse qualcuno degli uomini che Oscar aveva
sguinzagliato per cercarla e non poteva certo biasimarla per questo. Cominciò a
correre anche Killian, e in breve tempo la raggiunse.
–
Fermati! – le intimò. – Non voglio farti del male! Sono…
–
Non mi importa chi tu sia! – lo interruppe lei, cercando di correre più veloce
per seminarlo. Killian fece altrettanto per
raggiungerla, la superò e le si parò davanti. Ariel andò a sbattere contro di
lui ed entrambi persero l’equilibrio, sbilanciandosi. Killian
la afferrò per le braccia nel tentativo di restare in piedi, ma lei tentò di
divincolarsi e così caddero a terra tutti e due, lei sotto e lui sopra.
–
Atterrata! – esclamò lui con un sorriso malizioso. (3)
–
Ti ha mandato Oscar, non è così? – domandò Ariel, la voce colma di disprezzo e
il viso contratto in un’espressione diffidente. La sirena dolce e gentile che Killian ricordava era cresciuta. Le parti ora risultavano
invertite, rispetto al loro primo incontro.
–
No! – si difese lui. – Non mi riconosci?
–
Dovrei? – chiese lei. – Non ti ho mai visto al castello – si giustificò.
Probabilmente quell’uomo che la sovrastava era un sicario che Oscar aveva
assoldato per ucciderla, dato che non indossava l’armatura tipica delle
guardie. Era vestito in modo piuttosto stravagante, a dirla tutta, proprio come
i pirati che aveva visto a Neverland e al porto.
–
Non ci siamo conosciuti al castello, infatti – ribatté lui. – Ci siamo
incontrati a Neverland, tanti anni fa. Sono…
–
Killian?! – concluse Ariel per lui, sorpresa e
sollevata. C’era solo una persona della Foresta Incantata che aveva potuto
conoscere nel proprio mondo, ed era lui.
–
Già. Vedo che ci sei arrivata, finalmente, per cui posso anche smettere di
tenerti inchiodata a terra. Non che la cosa mi dispiaccia, ma di solito quando
mi trovo in questa posizione preferisco dedicarmi ad attività più divertenti
(4) – disse Killian, prima di rialzarsi e porgere la
mano ad Ariel, che dopo averlo guardato in tralice la afferrò.
–
Che cosa ci fai qui? – gli chiese, ancora un po’ frastornata da quell’incontro
del tutto inaspettato. – E quanti anni sono passati, per te? Sei molto diverso
da come ti ricordavo – aggiunse dunque, prima di osservarlo attentamente. Era
cambiato; era cresciuto molto in altezza e il viso aveva perso ogni traccia di
fanciullezza, assumendo i tratti spigolosi tipici dell’età adulta. Il pizzetto
e la barba un po’ incolta gli davano poi un aspetto vissuto, per cui Ariel ne
aveva dedotto che per lui dovevano essere passati molti anni dall’ultima volta
che si erano visti, più di quanti ne fossero passati per lei. Non che la cosa
la stupisse; ci aveva già pensato, ma trovarsi davanti al fatto compiuto aveva
tutto un altro effetto.
–
Per rispondere alla tua prima domanda, sono qui per aiutarti – iniziò Killian. – Per quanto riguarda la seconda, beh… Per me sono trascorsi dieci anni. Sì, sono diverso; lo
prendo come un complimento. Anche tu però non scherzi, sai? Quelle gambe ti
donano.
–
Perché vorresti aiutarmi? – domandò Ariel, anche se in fondo conosceva già la
risposta.
–
Perché sei ricercata in tutto il regno, Ariel – rispose Killian,
roteando gli occhi. Frugò in una tasca, ne estrasse un foglietto ripiegato in
malo modo e lo porse alla ragazza, che lo accettò con aria confusa.
–
Cos’è?
–
Una sorpresa. Aprilo e vedrai.
Ariel
spiegò il foglio e un’ondata di ira la invase. Su di esso era rappresentato un
suo ritratto, accompagnato dalla didascalia ‘ricercata’ e da una cifra esosa
promessa come ricompensa a chiunque l’avesse consegnata al nuovo sovrano.
–
Quel maledetto! – sbottò, accartocciando il foglio tra le mani e gettandolo nel
fiume, dove venne trascinato via dalla corrente. Aveva immaginato che Oscar
avesse mandato le guardie a cercarla, ma mai avrebbe creduto che le avrebbe
messo contro il regno intero rendendola una fuorilegge agli occhi di tutti i
sudditi.
–
Vorresti spiegarmi perché sei ricercata in tutto il regno? – chiese Killian, aggrottando un sopracciglio. Ariel fece per aprire
bocca, ma lui la interruppe ancora prima che proferisse verbo. – No, aspetta –
disse. – So che sei ritenuta responsabile della morte del sovrano precedente.
Ma non l’hai ucciso tu, vero?
Ariel
abbassò lo sguardo, avvertendo improvvisamente freddo. – No – sussurrò. – Non
avrei mai potuto. Lo amavo – proseguì, con voce flebile. La vista le si
annebbiò per via delle lacrime imminenti e si strinse le braccia attorno al
corpo, quasi per impedire a quei pochi pezzi di sé che ancora restavano uniti
di disfarsi, di frantumarsi del tutto.
A
Killian dispiacque vederla in quello stato. Certo,
all’inizio l’aveva vista combattiva e ben determinata a non finire nelle sue
grinfie, ma quando le aveva rivelato la propria identità tutte le sue difese
erano crollate e si era mostrata la ragazza distrutta dal dolore che era.
Doveva essere terribile perdere la persona amata; per quanto si sforzasse, il
pirata non riusciva a immedesimarsi nella sirena. Poteva solo avere l’idea di
una pallida di eco di ciò che lei doveva provare.
Killian mosse un
passo verso Ariel e l’abbracciò, per trasmetterle un po’ di conforto. La
ragazza si aggrappò immediatamente a lui, abbandonò il capo sul suo petto e si
lasciò andare, le spalle scosse da violenti singhiozzi. Dopo giorni, poteva
godere del conforto di una persona, poteva sfogare il proprio dolore con
qualcuno che non fosse se stessa, poteva farsi aiutare. Fu liberatorio.
Killian non disse
nulla, perché ogni parola sarebbe risultata superflua. Si limitò a stringere
Ariel tra le proprie braccia, cullandola e accarezzandole la schiena finché non
si fu calmata.
–
Sei la prima persona che vedo da quando è successo – disse Ariel, quasi come
per giustificarsi, quando si separò da lui. – Scusa se ho reagito così.
–
Non devi giustificarti – decretò Killian,
comprensivo. – Non so come siano andate di preciso le cose, ma se sei ridotta
così devono essere state orribili, e mi dispiace. Anni fa tu mi hai aiutato a
fuggire da Neverland, e se non fosse stato per te io
sarei ancora un ragazzino tre le grinfie di Peter Pan. Ti devo tutto, e voglio
aiutarti. Di qualunque cosa tu abbia bisogno, non esitare a farmelo presente.
Ariel
ascoltò quelle parole molto attentamente. Killian
voleva aiutarla. Non era più sola. La possibilità di tornare a casa iniziava a
prendere forma e farsi concreta.
–
In effetti una cosa ci sarebbe – azzardò dunque.
–
Qualunque cosa – la esortò lui.
–
Tutto ciò che ora desidero è un po’ di pace. Devi aiutarmi a tornare a casa. Ad
Atlantica – disse Ariel. Abbassò lo sguardo, in attesa della reazione di Killian.
–
Non credo di poterlo fare – ribatté lui con un sospiro. Era sorpreso da quella
richiesta. Personalmente, per trovare pace si sarebbe recato ovunque tranne che
a Neverland, per cui non capiva cosa stesse passando
per la mente di Ariel. – Ho dei limiti, e non posso viaggiare tra i mondi – le
spiegò, anche se lo riteneva superfluo, ma evidentemente la sirena sembrava non
ricordare che lui fosse umano. – Non puoi usare quella? – domandò dunque,
notando che Ariel indossava ancora la collana con cui lo aveva aiutato a fuggire.
La indicò con un cenno del capo.
–
L’avrei già fatto se potessi – rispose Ariel con un sospiro.– Ora che sono umana sono troppo debole per
usarla anche solo per guarire, non oso immaginare cosa accadrebbe se la usassi
per tornare a Neverland. Devo tornare sirena, prima –
gli spiegò quindi.
–
Non posso aiutarti nemmeno a tornare sirena, Ariel – disse Killian.
– Sono un pirata, non una fata. Né un mago – aggiunse dunque con lieve ironia.
–
Questo lo vedo – lo liquidò Ariel. – Solo colei che mi ha reso umana può
invertire il processo, credo. Devo tornare dalla strega del mare. Fino a prima
che tu mi trovassi non sapevo come fare senza rischiare di essere catturata, ma
ora…
–
Ora hai me – si pavoneggiò Killian, sorridendo con
eccessiva modestia.
Ariel
alzò gli occhi al cielo. – Puoi aiutarmi a tornare da lei? – gli chiese dunque,
per esserne sicura.
–
Certo, sarà un gioco da ragazzi – rispose Killian con
un’alzata di spalle.
–
Bene, allora andiamo! – decretò Ariel, dandogli le spalle per poi avanzare verso
il bosco.
Killian la raggiunse
e la bloccò per un braccio. – Dove credi di andare? – le domandò, inarcando un
sopracciglio.
–
Dalla Strega del Mare! – rispose la ragazza, senza la minima esitazione. –
Credevo che fossimo d’accordo.
–
No, non puoi ancora – la contraddisse Killian, con
tono paziente, come se avesse di fronte a sé un bambino. – Prima devi
camuffarti, per cui ora mi mostri un posto sicuro dove nasconderti, dopodiché
io andrò al villaggio a procurarti un travestimento, tornerò da te e solo allora
potremo andare dalla strega di cui parli. Se lo facessimo ora ti
riconoscerebbero subito e ti arresterebbero – le spiegò dunque, cercando di
essere il più chiaro possibile.
Ariel
sospirò, dandosi della stupida per non averci pensato ed essersi dimostrata per
l’ennesima volta un’ingenua. Fu grata di avere Killian
al proprio fianco: sarebbe stato un’ottima guida in quel mondo che per lei era
tornato ad essere estraneo e pieno di pericoli.
Ariel
continuava a rigirarsi quell’oggetto tra le mani, confusa e indecisa sul da
farsi. O meglio, sapeva cosa avrebbe dovuto fare, ma non credeva di esserne in
grado. Ce l’aveva fatta a tornare dalla strega del mare, ma il risultato
ottenuto non era quello sperato. Anche questa volta la magia le chiedeva un
prezzo, e molto alto.
Con
un sospirò, infilò l’oggetto nella cintura che indossava, e afferrò i remi
della scialuppa che lei e Killian avevano noleggiato
per poi dirigersi a riva, dove il pirata l’attendeva. Ariel aveva infatti preferito
recarsi dalla strega da sola.
Quando
Killian la vide tornare indietro a bordo della
scialuppa rimase sorpreso. Si aspettava infatti che Ariel arrivasse a nuoto, di
nuovo sirena.
–
Qualcosa è andato storto? – le chiese andandole incontro per aiutarla a
trascinare la scialuppa a riva.
–
Non esattamente – rispose Ariel, sedendosi sulla spiaggia.
Killian la imitò e
attese che lei si spiegasse. La ragazza, con aria pensosa, estrasse dalla
cintura un pugnale e glielo mostrò. – Mi ha dato questo – gli disse. (5)
–
Perché?
–
Perché la magia ha sempre un prezzo – recitò Ariel, ricordando le parole che la
strega le aveva detto. – Per tornare sirena devo uccidere un umano e bagnarmi i
piedi con il suo sangue, per poi tuffarmi in acqua. Solo così potrò riavere la
mia coda.
–
Dev’esserci un altro modo – disse Killian,
preoccupato. L’animo di Ariel non avrebbe mai potuto sopportare ciò che l’uccisione
di una persona comportava. Egli stesso l’aveva sperimentato sulla propria
pelle; nella vita da pirata aveva ucciso molti uomini e le espressioni di
alcuni di essi mentre esalavano l’ultimo respiro ancora lo tormentavano la
notte, prima di coricarsi. Dopo tutto quello che Ariel aveva passato, sarebbe
stato troppo. Sarebbe stato il colpo di grazia, avrebbe rischiato di impazzire.
–
No, purtroppo non c’è – dovette contraddirlo Ariel.
–
Lo farò io, allora – si offrì Killian. Pensò
amaramente che una morte in più sulla coscienza non sarebbe stata un grande
peso, per lui. Era comunque destinato all’inferno.
–
No, non puoi – lo contraddisse di nuovo Ariel. – La strega del mare è stata
molto chiara a riguardo. Devo essere io a farlo, deve essere mia la mano che
con quel pugnale metterà fine alla vita di qualcuno – gli riferì a malincuore. –
Ci ho pensato a lungo. Ci ho messo tanto a tornare a riva perché ho riflettuto
molto sul da farsi. Una soluzione ci sarebbe.
–
E quale sarebbe? – domandò Killian, in tono grave. Temeva
ciò che stava per udire.
–
Se proprio devo uccidere un umano, lo farò – decretò Ariel con fermezza. – Lo farò
– ripeté, per convincersene. – Lo farò, ma alle mie condizioni – precisò.
Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, poi li riaprì. – Ucciderò Oscar.
Pagherà per ciò che ha fatto – sibilò, lo sguardo fisso sull’orizzonte e la
destra stretta attorno al pugnale, così forte che le nocche erano bianche.
Killian le posò una
mano su una spalla. Quella furia vendicativa era comprensibile, e si stupì che
Ariel non l’avesse dimostrata in precedenza. Gli aveva raccontato tutto; di
come aveva conosciuto Eric, di come se n’era innamorata, di come era stata
felice di sposarlo e di come Oscar glielo avesse portato via. La morte era
indissolubilmente legata alla vita, certo, ma nel caso di Ariel c’era qualcuno
da incolpare per la perdita della persona amata, ed era giusto che rispondesse
delle proprie azioni.
–
Ti aiuterò – si offrì.
–
Ci serve un piano – stabilì Ariel, voltandosi verso di lui. Una forte e folle
determinazione riluceva nel suo sguardo.
Sarebbe
arrivata fino in fondo.
Note
(1)Frase
ovviamente tratta dall’omonima canzone che Scar canta
ne “Il Re Leone”. So che è superfluo specificare, ma dato che la frase non è
mia è giusto mettere i credits. xD
Insomma, spero che le ragioni di Oscar siano chiare. Per crearlo mi sono appunto
ispirata a Scar, quindi posso aver dato alcune cose
per scontate. Se così fosse, non esitate a farmelo presente!^^
(2)Idea ripresa
dai manifesti di Biancaneve che Regina ha diffuso per tutto il regno.
(3)Sì, beh, anche
questa frase è ripresa da “Il re leone”. Mi sono detta: se Oscar è Scar ed Eric è Mufasa, Ariel
potrebbe essere Simba. E insomma, dopo la morte di Mufasa
Simba fugge e viene ritrovato da Nala, no? Diciamo
che ora capisco come si divertono gli autori di Ouat
a creare rimandi xD
(4)Frase, un po’
rielaborata, che Hook pronuncia ad Emma nella 2x09, “Queen
ofHearts”.
(5)Se avete
presente la fiaba originale ‘La sirenetta’ di Andersen avrete già capito di
cosa si tratta. In ogni caso, nelle righe successive è spiegato a cosa serve il
pugnale, ed è tutto ripreso da Andersen.
Ciao
a tutti!
Ed
eccomi anche con il quarto capitolo. :) Speravo di pubblicarlo un po’ prima, ma
ormai ho capito che con i miei ritmi riuscirò ad aggiornare ogni dieci giorni
se non due settimane, per cui cercate di perdonarmi. Mi faccio sempre mille problemi,
ho paura di scrivere cavolate e cose di questo tipo, per cui ogni riga è un
parto xD
Ma
passiamo ad altro. Spero che vi sia piaciuto. Come avete visto Oscar ha messo
in atto il suo piano malvagio e ha incolpato Ariel, che è fuggita e si è
riunita a Killian.
Killian, oh Killian. Beh, forse è un po’ OOC. Me ne rendo conto. Però
mi sono detta che in fondo non è ancora quello che tutti conosciamo; ancora non
ha incontrato Milah, né l’ha vista morire. Per questo
ho immaginato come potesse essere e il risultato è questo. Spero risulti
gradito.^^
Ringrazio
molto chi ha recensito lo scorso capitolo, i lettori silenziosi e coloro che mi
hanno inserita nelle tre categorie.
–
Ariel, per l’ultima volta… – tentò di farla ragionare Killian,
inutilmente. Erano seduti al tavolo di una locanda, al villaggio.
–
Hai detto di volermi aiutare? Allora fallo! – sbottò la ragazza, spazientita,
con una strana luce negli occhi.
Killian sospirò. – Ci
sto provando – borbottò. Era più difficile di quanto pensasse. – Tu però sei
cocciuta quanto un mulo, se non di più.
–
Per forza! – sibilò Ariel. – Dobbiamo elaborare un piano e tu cosa fai? Pensi
solo a bere! – proseguì la ragazza con disprezzo, indicando con un cenno del
capo il boccale di birra di Killian.
Il
pirata sbuffò. – A differenza tua, io penso ancora a soddisfare le mie funzioni
vitali – le spiegò, indicando con la mano il piatto, ormai vuoto, che aveva
ordinato insieme alla birra. – Ritieniti fortunata che al momento non abbia
altri bisogni – ammiccò, umettandosi il labbro superiore con la lingua. Sperava
di sdrammatizzare, ma si sbagliava.
Per
Ariel era troppo. – Io me ne vado – decretò, quindi si alzò dal tavolo e si diresse
verso l’uscita. Killian ingollò in un sorso solo la
birra rimasta nel boccale, lasciò qualche moneta sul tavolo e la seguì,
rassegnato. Non capiva tutta quell’impazienza da parte della ragazza. Da quando
avevano lasciato la spiaggia , due giorni prima, era su di giri e non pensava
ad altro che come ottenere la propria vendetta.
Una
volta fuori dalla locanda, la bloccò per un braccio.
–
Lasciami! – gli intimò Ariel, voltandosi verso di lui.
–
No – ribatté semplicemente Killian. – Da sola non
andresti da nessuna parte – decretò. – O meglio, arriveresti al castello, non
ne dubito, ma una volta lì verresti catturata, finiresti in prigione e poi
decapitata. O impiccata, non so quali siano le preferenze di Oscar in merito.
Ariel
abbassò lo sguardo. Sapeva che Killian aveva ragione,
ma non riusciva nemmeno a starsene lì con le mani in mano a guardarlo mangiare
e sorridere suadente alle cameriere, mentre lei si arrovellava per trovare un
modo per introdursi al castello e uccidere Oscar.
–
E allora cosa proponi di fare? – gli domandò, cercando di essere ragionevole.
–
Di tornare dentro e discuterne con calma – rispose Killian.
– La vendetta è un piatto che va consumato freddo, Ariel. Non puoi prendere
decisioni così avventate, quando la posta in gioco è alta.
–
Io là dentro non ci torno – sbuffò la ragazza, incrociando le braccia. Quell’ambiente
era troppo caotico per i suoi gusti.
Killian alzò gli
occhi al cielo. Sopportarla stava diventando sempre più difficile. – Va bene –
le accordò. – Andiamo sulla spiaggia, allora. O al porto, dove preferisci.
–
Sulla spiaggia – decretò Ariel, prima di avviarsi a passo spedito. Sperava che
il rumore del mare la calmasse e l’aiutasse a riflettere, così da elaborare un
piano impeccabile. Voleva soltanto tornare a casa e lasciarsi quella brutta
esperienza alle spalle, dimenticando tutto. Non appena arrivò a destinazione si
sedette sulla sabbia e attese che Killian facesse
altrettanto.
–
A dispetto di quel che credi, mentre mi rifocillavo ho riflettuto molto –
esordì quest’ultimo. Ariel divenne tutt’orecchie. – Un modo per introdursi
agevolmente nel castello ci sarebbe, ma non sono sicuro che ti piacerà.
Ariel
inarcò un sopracciglio. – Spiegati meglio – lo esortò.
–
Come ben sai, una grossa taglia pende sulla tua testa – fece col dire Killian, ma Ariel lo interruppe.
–
Lo so, lo so. Altrimenti non sarei in giro conciata a questo modo – borbottò.
Il pirata infatti le aveva dato dei vestiti da uomo con cui camuffarsi e un
cappello per nascondere i capelli e fingersi così un suo compare. (1) – Taglia
corto e dimmi a cosa hai pensato – gli intimò.
–
Semplice: ci introdurremo nel castello fingendo che io ti abbia catturata e che
ti porti lì per esigere la ricompensa promessa – dichiarò Killian,
per poi attendere la reazione di Ariel.
–
Oh – commentò la ragazza. – Era questo che intendevi quando hai detto che non
avrei gradito? E perché mai? – chiese dunque, dubbiosa.
–
Già, ma non devi temere – la rassicurò.
–
Perché, cosa dovrei temere? – domandò Ariel, perplessa.
Killian avrebbe
voluto prendersi la testa tra le mani ma si trattenne. – Sono un pirata, nel
caso in cui tu non lo avessi notato. Noi pirati amiamo i tesori e le
ricompense, e temevo che tu avresti pensato che la mia sarebbe stata tutta una
messa in scena per intascarmi i soldi e andarmene, lasciandoti tra le grinfie
di Oscar – le spiegò.
–
Perché avrei dovuto pensarlo? Stai vaneggiando, forse? – domandò Ariel con voce
stridula. – Io mi fido di te, Killian – dichiarò
senza la minima esitazione.
Killian la guardò,
per un attimo spaesato. Erano anni che nessuno gli rivolgeva parole di quel
tipo. Erano anni che nessuno metteva la propria vita nelle sue mani a quel
modo, e quasi ne fu sorpreso. In quei dieci anni passati nella ciurma di
Barbanera aveva imparato che, tra pirati, la fiducia era merce rara. Nessuno
avrebbe esitato a tradirlo per un proprio tornaconto personale. Esisteva
rispetto reciproco, sì, ma non fiducia, e ormai aveva imparato a ragionare a
quel modo e a partire prevenuto nei confronti di chiunque. (2)
Non
aveva minimamente pensato di tradire Ariel per intascarsi i soldi della
ricompensa, certo, ma avrebbe messo la mano sul fuoco nel dire che lei l’avesse
pensato. Era ormai abituato al fatto che la gente pensasse male di lui per il
semplice fatto che era un pirata, ma non aveva fatto i conti con la purezza di
cuore di Ariel, la quale non aveva dubitato delle sue intenzioni nemmeno per un
istante.
–
Beh, grazie – borbottò, un po’ in imbarazzo. – Torniamo al dunque – decretò quindi,
riportando il discorso entro argomenti più consoni. – Appurato che non hai
nulla in contrario, farò finta di averti catturata e chiederò ai soldati di
farmi entrare al castello e di farmi parlare direttamente con il re. Tu sarai
incappucciata, di modo che nessuno ti riconoscerà. Quando saremo certi di
essere soli con Oscar…
–
Lo ucciderò – concluse per lui Ariel. – Gli taglierò la gola da parte a parte e
gli darò ciò che si merita – precisò, determinata.
–
So di avertelo già chiesto – disse Killian. – Ma sei
sicura di volerlo fare?
Ariel
annuì, risoluta. – Posso farti una domanda? – le chiese allora il pirata,
pensando che fosse arrivato il momento giusto per togliersi quella curiosità.
–
Certo.
–
Perché ci tieni così tanto a tornare a Neverland?
Sappiamo entrambi che non è un posto esattamente idillico. È vero, non conosco
Atlantica, ma so quanto basta per dire che non sono certo che per te sia la
cosa migliore tornare là – proruppe dunque, dando voce a quell’interrogativo
che lo tormentava da quando si era ricongiunto ad Ariel.
Quest’ultima
sospirò. – Non ho altro posto dove andare, Killian –
gli rispose, in tutta semplicità. Ogni traccia di odio e impazienza era sparita
dalla sua voce, che ora era solo rassegnata e colma di tristezza. – Per quanto
non sia un paradiso, Neverland è casa mia. Regna il
terrore, me ne rendo conto. Perfino ad Atlantica. Mio padre l’ha resa un’oasi
felice in mezzo a tanto orrore e si vive perennemente nel terrore, ma è pur
sempre casa mia. Lì ho le mie radici, lì c’è quel che resta della mia famiglia… Lì forse potrò trovare un po’ di pace e
dimenticare tutto. Non so come verrò accolta da mio padre, ma è là che devo
tornare – si sfogò dunque, lo sguardo rivolto all’orizzonte e la voce carica di
commozione.
Killian comprese
quelle parole, a modo suo. Anch’egli del resto quando Ariel lo aveva aiutato a
fuggire da Neverland era tornato al proprio
villaggio, alle proprie radici, nonostante fosse solo. La sirena a differenza
sua aveva qualcuno da cui tornare, aveva un padre che nonostante i suoi timori
l’avrebbe accolta a braccia aperte, ne era certo. Era sempre stato protettivo
con lei perché le voleva bene, e vederla tornare lo avrebbe riempito di gioia.
Re Tritone non era come suo padre, che lo aveva abbandonato senza farsi troppi
scrupoli. Quand’era tornato nella Foresta Incantata, Killian
aveva pensato per un breve attimo di mettersi sulle sue tracce, solo per
chiedergli perché lo aveva fatto, ma poi aveva capito che non ne valeva la
pena. Non sapeva nemmeno quanto tempo fosse trascorso da che aveva seguito
l’ombra fino a Neverland, per cui suo padre poteva
essere benissimo morto o finito chissà dove, magari in qualche prigione di
qualche regno sperduto nei meandri della Foresta Incsantata.
A Killian non importava. Era stato abbandonato e
aveva intrapreso la propria strada senza voltarsi indietro.
–
Ci sarebbe un’altra soluzione – proferì, senza nemmeno rendersene conto,
nonostante in quei giorni ci avesse pensato a lungo.
–
E quale sarebbe? – domandò Ariel, incerta. Si voltò verso Killian,
in attesa di una sua risposta.
–
Potresti venire con me – propose quest’ultimo, voltandosi anch’egli verso la
ragazza. – Ricordo ancora la tua espressione affascinata quando, da ragazzini,
ti dissi che venivo dalla Foresta Incantata. So che quello che hai vissuto qui
fin’ora non ha rispecchiato le tue aspettative, ma credimi quando ti dico che qui
è molto meglio che a Neverland. Ho intenzione di
comprare una nave e formare una mia ciurma, per solcare i mari alla ricerca di
tesori e di avventure. Tu potresti farne parte, Ariel, se solo lo volessi.
La
sirena emise una risatina. – Non lo so, Killian. Non
mi sembra per niente una buona idea – ribatté. – Cosa sarei in grado di fare
nella tua ciurma? Assolutamente niente! Mi terresti con te solo per pietà, e
non è quello che voglio. Non voglio essere compatita per quello che mi è
successo, perché è stata tutta colpa mia. Se non fossi scappata di casa a
quest’ora sarei ancora una sirena…
–
Infelice – concluse per lei il pirata. – Sei scappata di casa alla ricerca di
avventura, Ariel. Io posso darti quello che cercavi e che, in fondo, cerchi
ancora – tentò di persuaderla.
–
No, ti sbagli – lo contraddisse lei. – Tutto quello che ora cerco è un po’ di
pace.
–
E la vendetta dove la lasci? – la provocò Killian. –
Non ti sembra bizzarro che per trovare la pace che cerchi tu debba prima
uccidere Oscar? Il rimorso per quello che hai fatto non ti abbandonerà mai,
Ariel.
–
E tu che ne sai? – sbottò la ragazza, alzandosi in piedi. – Cosa ne sai di
vendetta, tu? Cosa ne sai di cosa essa comporti? Non credo proprio che mi
pentirò dell’assassinio di Oscar, perché non è una persona innocente. È
malvagio, e merita di morire. Dalla sua morte ne verrà fuori qualcosa di buono,
quindi darò anche un senso ad essa. Non lo uccido per un mio capriccio, ma
perché devo farlo – sibilò, gli occhi
ridotti a due fessure. – È l’unico modo che ho per dimenticare tutto, lo
capisci?
–
Ariel, per favore, calmati – le intimò Killian,
alzandosi a sua volta. – Non ti sto imponendo di venire con me, ti chiedo solo
di pensarci – le spiegò. – Hai ragione, di vendetta non ne so nulla. Credo che
se la persona che amo mi venisse strappata via per colpa di qualcuno, quel
qualcuno avrebbe vita breve, ma non posso saperlo. Tu però non sei come me.
Onestamente parlando, non credo che tu saresti in grado di uccidere Oscar, né
tantomeno un altro essere umano. Puoi essere risoluta quanto vuoi, ma il tuo è
un animo buono e non ti libereresti più del fardello che un assassinio
comporta.
–
È l’unico modo, Killian – ripeté Ariel, con gli occhi
lucidi e la voce carica di amarezza. – Imparerò a sopportare il fardello di cui
parli, se così facendo potrò tornare ad essere ciò che sono – concluse in un
sussurro, mentre le lacrime iniziavano a rigarle la guance.
Killian le mise le
mani sulle spalle e l’attirò a sé, per confortarla. Ariel si aggrappò alla sua
camicia e iniziò a singhiozzare, disperata. – Aiutami, Killian
– lo implorò. – Aiutami – continuava a ripetere, tra un singhiozzo e l’altro.
È quello che
sto cercando di fare,
pensò il pirata, tra sé e sé. Ma tu non
me lo permetti.
–
Sei pronta? – domandò Killian ad Ariel, due giorni
dopo.
La
ragazza annuì, risoluta, poi gli diede le spalle e congiunse i polsi dietro la
schiena, per farseli legare. – Non stringere troppo – si raccomandò.
–
Non stringo mai troppo, quando si tratta di una bella fanciulla – la rassicurò
il pirata, in tono malizioso. – Puoi fidarti.
–
Ti preferivo da ragazzino, sai? Quando fai queste battute sei insopportabile! –
ribatté Ariel, trattenendo a stento una risatina.
–
Non lo pensi davvero – confutò Killian, mentre finiva
di legarle i polsi. Le pose poi un mantello sulle spalle, glielo legò sotto il
mento e le tirò il cappuccio sopra la testa, in modo da celare la sua identità.
– Sai che lo faccio per tirarti su il morale – aggiunse, serio, non appena ebbe
finito.
–
Sì, lo so – disse Ariel, sentendosi un po’ in imbarazzo, con le mani legate a
quel modo. Avendole libere si sarebbe stretta le braccia al petto, ma così non
poteva fare nulla e questo la faceva sentire impacciata. – Grazie per quello
che stai facendo per me – dichiarò, abbozzando un sorriso.
–
Nulla in confronto a quello che hai fatto aiutandomi a fuggire – la liquidò Killian con un’alzata di spalle. – Quello che stiamo per
fare per noi pirati è di ordinaria amministrazione. Potrebbe anche piacerti. E
in tal caso, sappi che non mi dispiacerebbe avere una sirena a bordo, se
dovessi cambiare idea – concluse, incrociando le braccia al petto. Non si
rassegnava al fatto che Ariel fosse così determinata a tornare a Neverland. Non poteva vederla rinunciare alla propria vita
a quel modo.
–
Forse perché la mia collana ti farebbe comodo? – lo provocò la ragazza. – Ti
ringrazio per aver rinnovato la tua offerta ma no, non cambio idea.
–
Magari, in futuro…
–
Magari cosa?
–
Beh, se tutto fila liscio tornerai sirena e sarai di nuovo in grado di viaggiare
tra i mondi a tuo piacimento. Se a Neverland ti
tornasse voglia di fuggire, se ti venisse di nuovo sete di avventure, la mia
proposta resta sempre valida. Anche in futuro – dichiarò Killian,
senza esitazioni.
–
Lo terrò presente – promise Ariel, con un sorriso. – Ora andiamo – lo esortò
dunque, indicando con un cenno del capo l’imboccatura della caverna in cui si
erano rifugiati in attesa del tramonto.
–
Un’ultima cosa – fece Killian. Estrasse dalla tasca
un fazzoletto e la imbavagliò. A malincuore, Ariel aveva dovuto accettare anche
quel dettaglio, perché il pirata voleva rendere più credibile la sua finta
cattura.
Era
da poco calata la sera, quando si incamminarono verso il castello di Oscar.
Avevano concordato che agire di notte era la soluzione migliore, così la fuga
sarebbe risultata più agevole, con il buio come complice. A pochi passi dal
ponte levatoio, furono notati dalle due sentinelle poste a guardia
dell’ingresso.
–
Chi è là? – gridò una di esse, sull’attenti.
–
Un semplice cittadino che reca una sorpresa per il nostro sovrano – rispose Killian senza la minima esitazione. Come Ariel aveva
indossato un mantello che celava le proprie vesti da pirata.
–
E di che sorpresa si tratta? – domandò l’altra sentinella, perplessa.
Killian sbuffò,
mentre avanzava tenendo Ariel per un gomito. – Se te lo dicessi, che sorpresa
sarebbe? – chiese a sua volta.
–
Non siamo qui a perdere tempo in giochetti – ribatté la prima sentinella che si
era rivolta loro. – Cosa ti porta a quest’ora qui al castello? E questa volta
voglio una risposta chiara.
–
E va bene – borbottò Killian. Aveva previsto delle
rimostranze da parte delle guardie, per cui non era troppo sorpreso. – Ho
bisogno di un’urgente udienza con il re, in privato.
–
E perché mai dovrebbe accordartela? – chiese la seconda sentinella, beffarda.
–
Oh beh – finse di riflettere Killian, portandosi un
dito sotto il mento. – Credo che il nostro re sarà ben felice di accogliermi
non appena gli direte che ho catturato l’assassina del suo amato fratello.
Ariel
ebbe un tremito, a quelle parole e Killian lo notò.
Strinse la presa che aveva sul suo braccio, un po’ per trasmetterle conforto,
un po’ per avvertirla di non fare passi falsi.
–
Che cosa? Hai catturato…lei? – domandò la prima sentinella, sorpresa.
–
Vedere per credere – annuì Killian, per poi abbassare
il cappuccio che celava il viso di Ariel. Le bocche delle due guardie si
spalancarono per lo stupore.
–
È proprio lei. Il re ne sarà felice – constatò la seconda sentinella, prima di
scomparire dietro i battenti del portone d’ingresso del castello. Tornò qualche
minuto dopo, con l’ordine di scortarli fino alle stanze di Oscar.
–Il sovrano si era coricato da poco – spiegò
la sentinella. – Preferisce riceverti nelle proprie stanze, che non nella sala
del trono. È troppo impaziente per rendersi presentabile, così ha detto –
concluse dunque. Ariel dovette trattenersi dal sorridere a quell’inaspettato
colpo di fortuna. La camera da letto di Oscar era proprio come la sua e come
quella di Eric: l’unica finestra presente dava sul mare, per cui avrebbe
offerto una facile via di fuga, una volta realizzata la propria vendetta. Il
cuore iniziò a batterle forte nel petto, al pensiero che fosse così a portata
di mano.
–Quale onore – commentò Killian,
perfettamente calato nella propria parte di aguzzino.
Poco
dopo i tre giunsero davanti ad una porta chiusa. La sentinella bussò.
–Avanti – disse la voce profonda di Oscar, e
così la sentinella aprì la porta ed entrò, seguita da Killian
e Ariel. Oscar era seduto davanti al camino, illuminato dalla sola luce del
fuoco che scoppiettava e crepitava all’interno di esso. Era ancora più
inquietante, visto così, e la sua cicatrice sembrava ancora più sinistra,
illuminata solamente dal fuoco. Ariel ebbe un brivido nel rivedere dopo tempo
quel volto tanto odiato che le aveva causato grande dolore e che continuava a
popolare i propri incubi.
–
Lasciaci pure – disse il sovrano, rivolto alla sentinella, che subito
scomparve, chiudendosi la porta dietro di sé.
–
Mio prode suddito – esordì Oscar, alzandosi dalla poltrona di broccato su cui
era seduto. Indossava una ricca vestaglia di seta rossa con i bordi ricamati in
oro. Ariel constatò che doveva essersi abituato in fretta al nuovo ruolo di
sovrano e che il lusso non gli era così avulso come lo era a Eric. Al pensiero
dell’amato, gli occhi le si velarono di lacrime, ma le ricacciò indietro. Non
era quello il momento di lasciarsi andare allo sconforto. Doveva agire.
–
Non sai che piacere ho provato quando la mia guardia ti ha annunciato –
proseguì Oscar. – Era da tempo che attendevo una così lieta notizia. Il regno
ora può dormire sonni tranquilli, e anche io. Finalmente questa criminale sarà
assicurata alla giustizia, dopo aver ucciso il mio amato fratello – dichiarò
con voce carica di dolore. Se Killian non avesse
saputo come realmente erano andate le cose, avrebbe davvero creduto che quel
dolore fosse autentico. Oscar era un abile ingannatore, doveva ammetterlo. – Ti
ringrazio dal più profondo del mio cuore, mio prode suddito – concluse infine
Oscar, accennando un inchino.
–
Ho fatto solo il mio dovere, sire – si schernì Killian,
inchinandosi a sua volta. – Questa farabutta merita di pagare per ciò che ha
fatto – aggiunse, per rendersi più credibile.
–
E pagherà, puoi starne certo – lo rassicurò Oscar, prima di voltarsi verso
Ariel per guardarla con odio misto a soddisfazione. La ragazza fu grata di
essere imbavagliata, perché altrimenti avrebbe rischiato di riversargli addosso
tutto il disprezzo che provava per lui e probabilmente di tradirsi, rivelando
qualcosa che non avrebbe dovuto.
Povero illuso, pensò. Chissà se ghignerai ancora, quando vedrai
cosa ho in serbo per te.
–
È giusto che paghi anche io, però – decretò Oscar. – Meriti la ricompensa
promessa, mio fedele… Posso sapere il tuo nome?
–
Jack. Jack Sparrow (3) – improvvisò Killian, senza la minima esitazione. Oscar era un abile
affabulatore, ma lui era un altrettanto ottimo ingannatore e attore. Non poteva
rivelargli la propria vera identità, perché nel caso in cui qualcosa fosse
andato storto sarebbe stato più facilmente perseguibile.
–
Bene, Jack. Avrai ciò che ti spetta – dichiarò Oscar, prima di dirigersi ad un
forziere che si trovava nel lato opposto della stanza. Nel farlo, diede le
spalle ad Ariel e Killian, che si scambiarono
un’occhiata complice. In un attimo e senza fare rumore, Killian
estrasse dalla propria cintura il pugnale che la strega del mare aveva dato ad
Ariel e tagliò la corda che le legava i polsi. La ragazza, libera di poter di
nuovo muovere le mani a suo piacimento, si tolse di bocca il bavaglio con la
mano sinistra, mentre con la destra strappò letteralmente di mano a Killian il pugnale.
–
Eccoti le monete d’oro promesse – disse Oscar, estraendo dal forziere un pesante
sacchetto di cuoio che doveva tenere pronto da tempo. Si voltò, sorridendo, ma
il sorriso svanì non appena vide Ariel libera e armata. Per la sorpresa, il
sacchetto gli cadde di mano, finendo a terra con un tonfo che fece tintinnare
le monete al suo interno.
–
Sarai tu ad avere quello che ti spetta, maledetto – sibilò Ariel, impugnando la
lama così strenuamente che le nocche le divennero bianche. Avanzò lentamente,
insieme a Killian, che nel frattempo aveva sguainato
la propria spada, mentre Oscar restava immobile.
–
Cosa credi di fare? – domandò quest’ultimo, beffardo. Avanzò di qualche passo. Dopo
la sorpresa iniziale, si era ripreso in fretta, mostrando la spavalderia e la
malvagità che gli erano proprie. – Ti ripresenti qui insieme alla tua nuova
conquista per fare cosa?
–
Per ucciderti – ringhiò Ariel a denti stretti, con gli occhi ridotti a due
fessure.
–
Oh, certo – fece Oscar, con una risatina. – Sei venuta a reclamare il mio
trono, vero? Se mi uccidi diventi la legittima erede, in quanto moglie di Eric.
Che a quanto pare hai già dimenticato in fretta, o sbaglio?
Ariel
sentì l’ira montare in lei. Come osava Oscar fare quelle insinuazioni? – Sta’
zitto! – gli intimò, avanzando ancora di qualche passo finché non fu a meno di
mezzo metro da lui. – Non sei degno di pronunciare il nome di Eric, dopo quello
che gli hai fatto – sibilò.
–
Se l’è cercata, mia cara – ribatté Oscar, con noncuranza. – Se avesse sposato
Elizabeth come pattuito anni fa da nostro padre, nulla di tutto questo sarebbe
successo. Si sarebbe trasferito nel castello di lei ed io sarei rimasto qui in
qualità di vassallo, senza tornare in guerra. E lui sarebbe ancora vivo. Ma no,
lui ha voluto seguire il suo cuore, l’idiota. L’amore è debolezza (4) e l’ha
portato alla sua fine – proseguì con tono neutro, mostrando di non essere
minimamente pentito di ciò che aveva fatto. Fu quella la molla che fece
scattare tutto.
–
Ora! – ordinò Ariel a Killian, e il pirata con un
agile scatto si portò dietro a Oscar. Raccolse il sacchetto pieno di monete e
se lo legò alla cintura, perché del resto era pur sempre un pirata, dopodiché
afferrò le braccia di Oscar e lo immobilizzò. La ragazza alzò il pugnale
all’altezza del suo viso per tagliargli la gola e nel mentre lo guardò negli
occhi.
Ebbe
un sussulto.
Erano
dello stesso identico colore di quelli di Eric, seppure freddi come il ghiaccio
e animati da una luce di malvagità e crudeltà.
Quel
pensiero le riportò alla mente il marito e la portò a domandarsi cosa mai
avrebbe pensato Eric, vedendola in quel momento. Gli occhi le si inumidirono.
Lui non avrebbe mai voluto che lei si trasformasse in un’assassina abbassandosi
così al livello di Oscar e rivelandosi poi non tanto meglio di lui. Eric
avrebbe voluto che lei si lasciasse alle spalle quel dolore e tornasse a
vivere. Era quello che anche Ariel voleva, certo, ma il modo in cui stava
cercando di ottenerlo era profondamente sbagliato. Se ne rese conto solo in
quel momento.
Killian notò l’esitazione
della ragazza e chiuse gli occhi. Alla fine le cose erano andate come aveva
temuto fin dall’inizio: Ariel non si era rivelata in grado di togliere la vita
ad un altro essere umano. Da una parte ne fu lieto, ma dall’altra i suoi sensi
si misero all’erta. Ora erano nella tana del nemico, e fuggire non sarebbe
stato facile.
Ariel
abbassò il pugnale con mano tremante, e Oscar approfittò di quel momento per
liberarsi. Tirò una testata all’indietro, centrando in pieno il viso di Killian, che mollò la presa e indietreggiò barcollando,
mentre con una mano si teneva il naso, che aveva iniziato a sanguinare.
–
Tu non sei come me, Ariel. L’ho capito fin da subito. Sei fatta della stessa
pasta di Eric – disse Oscar con un sospiro. Le afferrò il polso della mano con
cui teneva il pugnale e strinse fino a farle mollare la presa, facendola urlare
di dolore. – Tornando qui con l’intenzione di uccidermi hai commesso un grave
errore. Davvero credevi di farcela?
Ariel
distolse lo sguardo da quello di lui e guardò Killian.
– Scappa – gli intimò. – Scappa, ormai non c’è più nulla da fare per me –
dichiarò, in un sussurro.
–
Sì, scappa – rincarò la dose Oscar. – Finché sei in tempo, è ovvio – aggiunse,
prima di urlare a gran voce per chiamare le guardie.
Killian non sapeva
cosa fare. Avrebbe tanto voluto ingaggiare una lotta con Oscar, che così
avrebbe lasciato andare Ariel, e metterlo fuori gioco per poi fuggire insieme
alla ragazza, ma ormai il farabutto aveva chiamato le guardie, che sarebbero
accorse a momenti. Così facendo avrebbe rischiato di finire tra le loro grinfie
insieme ad Ariel, e a quel punto sarebbero stati spacciati entrambi. Lui invece
aveva una possibilità di salvezza e doveva coglierla. A malincuore, si mise a
correre verso la finestra. Era chiusa.
Si
voltò verso Ariel e Oscar e vide che in quell’esatto momento la porta si
apriva. Non c’era più tempo da perdere. Aprì la finestra.
–
Tornerò a prenderti – decretò prima di gettarsi , rivolto ad Ariel, che però
non lo udì a causa del frastuono provocato dall’arrivo delle guardie.
Cadde
in mare nel giro di pochi istanti, con un tonfo.
Note
(1)Mise ripresa
da Elizabeth ne “La maledizione del forziere fantasma”, quando scappa da PortRoyal per andare a Tortuga a
cercare Jack.
(2)Questa parte è
molto ricalcata da “Pirati dei Caraibi”, specialmente dal terzo film, dove tutti
tradiscono tutti per perseguire i propri obiettivi e non si capisce più un tubo
(tant’è che quando ho visto il film per la seconda volta ho dovuto farmi uno
schema con tutte le varie alleanze, per raccapezzarmi un po’). Insomma, i
pirati non hanno una gran bella reputazione, nell’immaginario collettivo, e ho
voluto trasporre questa cosa anche qui.
(3)Sì, beh, ormai
avrete capito che sono fan di “Pirati dei caraibi”. xD
Anche questa volta ho attinto da questo magnifico fandom,
come avrete notato, ma lo faccio presente perché non è di mia invenzione.
Ovviamente Killian non poteva rivelare la propria
identità a Oscar, così non sapendo che falso nome attribuirgli ho pensato al
caro Jack Sparrow, che per certi versi mi ricorda
molto il nostro Hook.
(4)Frase
pronunciata da Cora nella 2x09, “Queen ofhearts”. Non ricordo se diceva
questa frase per la prima volta in questa puntata, ma io la ricordo riferita ad
essa. xD
Ed
eccomi qui con il quinto capitolo, dopo tanto tempo. A dire la verità era già
pronto da una settimana, ma ho preferito aspettare il mio ritorno per
aggiornare, così nei giorni di vacanza che mi restavano mi sono portata un po’
avanti con gli altri capitoli. Salvo imprevisti, ora gli aggiornamenti
dovrebbero essere un po’ più regolari, o almeno spero.
Dopo
questa nota tecnica, passiamo al capitolo. Spero che vi sia piaciuto. È un po’
ricco di eventi e forse mi sono spinta un po’ oltre per quanto riguarda la
caratterizzazione di Killian, ma mentre scrivevo mi è
sfuggito di mano e il risultato è questo.
Per
quanto riguarda Ariel… Alla fine non è riuscita ad
uccidere Oscar. Probabilmente ve lo aspettavate, probabilmente no, ma in ogni
caso la mia idea era questa fin dall’inizio. Volevo che Ariel provasse quello
che ha provato Biancaneve nella 2x15, ma che intraprendesse una strada diversa.
Non so, spero di essere riuscita a convincervi e di non aver fatto una scelta
campata per aria.
Come
sempre, ringrazio chi mi ha recensita, chi ha letto soltanto e chi mi ha
inserita nelle storie preferite/seguite/ricordate.^^
A
presto, il prossimo capitolo è già pronto e va solo rivisto, quindi tra una
settimana esatta dovrei riuscire a pubblicarlo.
La
cella in cui Oscar l’aveva fatta portare era senza finestre, buia e umida, e
Ariel non faceva altro che tremare, avvolta in una coperta che aveva trovato
ripiegata sulla brandina che doveva fungere da letto. Era lì da qualche ora
eppure le sembrava che fossero trascorsi secoli, mentre attendeva il compiersi
del proprio destino.
Ormai
non c’era più nient’altro da fare.
Quell’attimo
di esitazione nell’uccidere Oscar aveva ribaltato le carte in tavola, facendole
perdere la partita. Non sarebbe tornata mai più sirena, ma le andava bene così.
Non era giusto che per farlo dovesse uccidere un altro essere umano, che per
riavere la propria vita di un tempo dovesse mettere fine a quella di Oscar, per
quanto meschino egli fosse e per quanto lo meritasse. Ariel però non era
nessuno per ergersi a giudice della vita di un uomo, né voleva trasformarsi in
una spietata assassina come Oscar, che uccideva a suo piacimento per perseguire
i propri scopi. Bagnandosi i piedi del suo sangue, sarebbe diventata tale e
quale a lui, ma soprattutto non sarebbe stata più tanto diversa dalle sirene al
servizio di Peter Pan, a Neverland. Se fosse tornata
ad Atlantica da sirena e suo padre avesse saputo quel che aveva fatto per
riottenere la propria coda, dubitava che l’avrebbe accolta a braccia aperte.
Non era così che l’aveva educata insieme a sua madre.
Ariel
era stata così accecata dal rancore e dalla vendetta da aver dimenticato per un
attimo quella che era davvero. Oscar aveva ragione quando le aveva detto che
lei non era come lui, eppure era stata ad un passo dal diventarlo.
Sospirò,
rannicchiandosi ancora di più contro il freddo muro dietro di lei.
Non
era pentita di come erano andate le cose.
Le
dispiaceva soltanto di non essere riuscita a fuggire e di non aver valutato più
a fondo la proposta che Killian le aveva fatto, di
solcare i mari insieme a lui come membro della sua ciurma e dimenticare tutto.
Non era una cattiva idea, ma lei lo aveva capito troppo tardi. Era stata troppo
accecata dal dolore e dal rancore per prendere davvero in considerazione
quell’ipotesi.
Si
chiese cosa stesse facendo Killian in quel momento,
se stesse bene, se fosse riuscito a fuggire. Le aveva detto che per un pirata
come lui quelle imprese erano all’ordine del giorno, per cui doveva essersela
cavata. Ariel lo sperava vivamente. Si rammaricava di averlo coinvolto nei
propri guai e se gli fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
La
pesante porta di legno che chiudeva la sua cella si aprì con uno scatto,
interrompendo quei pensieri. Oscar in persona fece la sua comparsa, recando un
vassoio contenente una ciotola fumante e dell’acqua.
–
Vostra Maestà in persona mi porta da mangiare? – domandò Ariel, fingendosi
sorpresa. – Quale onore! – commentò quindi con ironia, mentre Oscar le
appoggiava il vassoio sulla branda e tornava indietro per chiudere la porta,
nel timore che la ragazza potesse fuggire.
Ariel
si alzò e andò a sedersi sulla branda, prese fra le mani la ciotola ancora
fumante e iniziò a sorbire la zuppa che essa conteneva, nel tentativo di
scaldare un po’ le membra. Oscar, immobile alla porta, la osservava con
espressione neutra.
–
Spero che tu abbia trovato confortevole l’alloggio a te destinato – disse
ironico, non appena Ariel ebbe finito di nutrirsi.
–
Non c’è male, sì – stette al gioco la ragazza. – So che puoi fare di meglio,
però – lo provocò dunque, incrociando le braccia. Sperava di estorcergli
qualche informazione riguardo il proprio destino, usando le sue stesse armi.
–
In effetti sì, e sono qui proprio per questo – ammise Oscar. – Ho riflettuto
molto, questa notte – esordì. – Vedi, la tua incursione è stata completamente
inaspettata. Insieme a quel delinquente, poi. Devo ammettere che ci sai fare,
con gli uomini. Prima mio fratello, poi lui… Sei
ammaliante, non c’è che dire – constatò, prima di interrompersi per studiare
una possibile reazione di Ariel, che però non reagì alla provocazione. –
Davvero eri venuta con l’intenzione di uccidermi? – domandò infine, in tono
serio, inclinando lievemente la testa di lato.
–
Sì – rispose Ariel, concisa. Non capiva dove quel farabutto volesse andare a
parare.
–
Come pensavo – borbottò Oscar, tra sé e sé. – Per quanto tu non sia riuscita
nella tua impresa, trovo ammirevole il fatto che tu abbia voluto cimentarti in
essa. Non ti credevo così determinata. Posso sapere cosa ti ha fatta vacillare
nei tuoi propositi?
Ariel
rimase in silenzio. Temeva che se avesse aperto bocca, tutto il dolore che
ancora sentiva per la morte di Eric sarebbe esploso come un fiume in piena, e
non poteva permetterlo. Non poteva mostrare a Oscar come l’aveva ridotta,
uccidendo l’uomo che amava.
–
Oh, beh… Non mi aspettavo che rispondessi – constatò
Oscar, interpretando il suo silenzio. – Avrai avuto i tuoi buoni motivi, ma non
è questo il punto. Devo ammettere che ieri mi sono sbagliato, quando ti ho
detto che non sei come me – disse dunque, muovendo un passo verso di lei. Ariel
era confusa, ma aveva messo tutti i propri sensi all’erta, intuendo che qualcosa
stava per cambiare. Gli occhi di Oscar erano animati da una luce strana, quasi
di bramosia. – Nel tentativo di uccidermi, hai dimostrato che il tuo animo è
incline all’oscurità. È così che si comincia. È così che ci si fa ammaliare dal
potere e dal male, è così che si capisce che è l’unica via per ottenere quel
che si vuole.
Ariel
strinse ancora di più le braccia al petto, nell’inconscio tentativo di
proteggersi da quell’individuo malvagio al quale si trovava di fronte.
–
Arriva al punto, Oscar – gli intimò dunque, con durezza. Non ne poteva più di
tutti quei giri di parole.
–
Certo, certo – convenne lui, stranamente condiscendente. – Mi sto perdendo in
chiacchiere. Sono venuto qui di persona per offrirti una via di fuga, Ariel.
La
ragazza lo guardò stranita, cercando di mantenere un contegno. Aveva udito
bene? Che diavolo stava succedendo? Oscar per caso durante la notte si era
redento e aveva deciso di ammettere i propri crimini davanti a tutto il regno,
ritirando le accuse nei suoi confronti? Ne dubitava.
–
Prego? – domandò dunque, perplessa.
–
Oh mia cara, sei confusa, non è vero? – rise Oscar. Ariel rabbrividì senza una
ragione precisa. – Un po’ lo sono anch’io, devo confessarlo. Ti ho sempre
trovato bella, ma ti ho sempre vista come un ostacolo ai miei obiettivi. Ieri
invece ti sei rivelata per quella che sei, per quella che potresti essere al
mio fianco. È per questo che voglio offrirti una possibilità: ritirerò le
accuse nei tuoi confronti, se accetti di governare al mio fianco, come mia regina.
Ariel
sentì l’ira montare in sé, così intensa che dovette serrare le mani a pugno.
–
Come osi? – sibilò, alzandosi in piedi per tenere testa a Oscar. – Hai ucciso
tuo fratello, l’uomo che io amavo e ora mi fai questa proposta? Sei proprio
senza coscienza e senza cuore come pensavo. Io non sono così, non sono come te!
Nel tentativo di ucciderti ho rischiato di diventarlo, non lo nego, ma mi sono
fermata. Vuoi sapere perché? Me l’hai chiesto prima ma non ho risposto. Lo farò
ora, anche se dubito capirai. Ho esitato perché mi sono fermata a pensare che cosa
avrebbe detto Eric, nel vedermi con un pugnale puntato contro di te. Ho esitato
perché mi sono resa conto che non volevo diventare un’assassina come te, che
hai ucciso sangue del tuo sangue solo per impadronirti di un trono. Avevi
ragione, ieri, nel dirmi che non sono come te. Ed è per questo che rifiuto la
tua via di fuga. Preferisco morire piuttosto che essere la tua regina – proferì
dunque, scandendo bene l’ultima frase. Voleva che quel concetto fosse chiaro.
Voleva che tutto il discorso che aveva appena pronunciato si marchiasse a fuoco
nella mente di Oscar, che quelle parole lo perseguitassero negli anni a venire,
finché non si sarebbe trovato in punto di morte. Si stupì lei stessa della
veemenza delle proprie parole, nate dalla consapevolezza di avere dei principi
a cui per un attimo aveva rischiato di venir meno.
–
Preferisci morire? – ripeté Oscar, a denti stretti. – Sarai accontentata.L’alternativa alla mia proposta è proprio la
morte. Sarai decapitata domattina, all’alba, e tutto il popolo sarà invitato
alla tua esecuzione. Sarò io stesso il tuo boia – stabilì infine, prima di
uscire dalla cella e chiudere la porta a chiave.
Ariel
fremeva ancora per l’ira e l’indignazione. Chiuse gli occhi e prese un respiro
profondo, per calmarsi e ragionare a mente lucida. Dopo qualche minuto li
riaprì e si mise a sedere sulla brandina, che scricchiolò sotto il suo peso.
Oscar
aveva intenzione di giustiziarla l’indomani.
Era
quello il fatto principale su cui concentrarsi. Non poteva permetterlo, non
poteva dargliela vinta così, non poteva dargli l’occasione di vantarsi dei
propri crimini, facendoli passare per legittimi.
Doveva
fuggire.
E
un modo c’era.
Estrasse
la propria collana da sotto la camicia che indossava e prese un respiro
profondo. Non sapeva a quali effetti collaterali sarebbe andata incontro, ma
valeva la pena tentare se l’alternativa era la morte per mano di
quell’assassino senza cuore.
Si
alzò in piedi e si avvicinò al muro che le stava di fronte.
Strinse
la collana con la mano sinistra e chiuse gli occhi, visualizzando la meta,
pensando a casa. Un sorriso le sorse spontaneo sulle labbra, all’immagine del
palazzo di Atlantica.
Riaprì
gli occhi e con la mano destra disegnò un arco, sul muro. L’ultimo tratto le
risultò faticoso, dovette stringere i denti per riuscire a concludere. Sentì
che le gambe le cedevano e la vista le si annebbiava, mentre la testa iniziava
a girarle vorticosamente. Sperò con tutta se stessa che la collana funzionasse,
che i suoi sforzi non fossero stati vani e poco dopo il portale che aveva
creato iniziò a rilucere d’azzurro.
Con
le ultime forze che le rimanevano in corpo mosse un passo verso esso e si
lasciò cadere dentro, mentre gli occhi le chiudevano, facendola sprofondare in
un nero abisso senza fine.
Killian era riuscito
ad introdursi nel castello giocando d’astuzia.
Era
solo e una strategia d’assalto sarebbe stata deleteria, facendolo finire in
cella con Ariel, quando invece lui doveva tirarla fuori di lì.
Dopo
essere fuggito, si era nascosto nei boschi e aveva atteso a lungo, nel
tentativo di escogitare un piano. Aveva provato a riposare, ma non era riuscito
a dormire se non per poche ore, talmente era preoccupato. Doveva agire il prima
possibile, non poteva lasciare Ariel troppo a lungo tra le grinfie di quel
farabutto.
Stava
pensando alla soluzione migliore, quando aveva avvertito dei rumori in
lontananza e si era arrampicato su un albero per avere una visuale migliore.
Un
uomo a cavallo, vestito come le guardie del castello di Oscar, stava
pattugliando il bosco, probabilmente sulle sue tracce. In quel momento il piano
perfetto gli era apparso alla mente come un fulmine a ciel sereno, così aveva
affrontato la guardia, aveva avuto la meglio e aveva indossato la sua armatura
per poi tornare al castello di Oscar e potervi entrare senza difficoltà.
Sospirò,
sperando di riuscire a trarre Ariel in salvo.
Era
felice che la ragazza avesse deciso di risparmiare la vita a Oscar, ma avrebbe
preferito che prendesse quella decisione in un altro momento e che questa non
avesse comportato la sua cattura.
Se
fosse riuscito nella propria impresa, l’avrebbe accolta nel proprio equipaggio,
volente o nolente che ella fosse. Non poteva tornare a Neverland,
da umana, e Killian non l’avrebbe lasciata sola nella
Foresta Incantata esposta a tutti i pericoli che essa nascondeva. Le avrebbe
offerto la possibilità di ricominciare da capo e di vivere una vita avventurosa.
Scosse
la testa; era inutile pensare a cosa sarebbe successo dopo, doveva concentrarsi
sul proprio compito.
Origliando
i discorsi degli abitanti del castello era venuto a sapere che la ragazza era
stata portata nelle segrete, in attesa della propria esecuzione, che sarebbe
avvenuta il giorno dopo. Killian fu grato del fatto
di aver agito così tempestivamente; se avesse aspettato oltre Ariel sarebbe
morta e lui non se lo sarebbe mai perdonato.
Stava
aspettando il momento più propizio, quando Oscar sarebbe rimasto da solo e lui
avrebbe potuto assalirlo e intimargli di liberare Ariel.
All’inizio
aveva pensato di farlo egli stesso, recandosi alle prigioni e forzando la porta
della cella in cui la ragazza era rinchiusa, ma così facendo avrebbe creato
troppo trambusto e rischiato di fallire. Sarebbe stato più opportuno minacciare
Oscar e farsi accompagnare personalmente da lui alla cella per poi tramortirlo
una volta liberata Ariel e scortarla fuori dal castello, ancora travestito da
guardia, con la scusa che il sovrano volesse metterla alla gogna nella piazza
del villaggio, prima dell’esecuzione.
Con
fare sicuro, per non destare sospetti, si diresse nella camera di Oscar.
Ricordava il percorso fatto la sera prima, per cui non fu troppo difficile.
Avrebbe atteso che il sovrano si recasse lì per qualsiasi motivo, e poi avrebbe
agito. Entrò nella stanza e si tolse l’elmo, il cui peso era divenuto
opprimente e insopportabile.
Dopo
un lasso di tempo che non avrebbe saputo definire, Oscar entrò nella stanza, e Killian gli fu subito addosso. Lo atterrò e gli fu sulla
schiena, immobilizzandogli le braccia, per impedirgli ogni tentativo di fuga o
di ribellione.
–
Non dire una parola – gli intimò. – Non osare chiamare le guardie o ti spezzo
l’osso del collo prima che tu possa finire la frase.
–
Sparrow – bofonchiò Oscar, mentre tentava di
guardarlo con la coda dell’occhio.
–
Ora io mi sposterò da qui e tu ti alzerai in piedi e ascolterai ciò che ho da
dirti – proferì Killian. – Senza dimenticare il mio
suggerimento di poco fa, ovviamente.
Il
pirata si alzò e attese che Oscar facesse altrettanto, senza però smettere di
puntargli contro la spada che aveva estratto dal fodero non appena si era
rimesso in piedi. Il sovrano alzò le mani in segno di resa, ma con
un’espressione trionfante dipinta in viso. Forse aveva ancora qualche asso
nella manica, anche se Killian non immaginava quale
potesse essere.
–
Ti ascolto – lo invitò a parlare Oscar.
–
Puoi immaginare perché io sia qui, ma te lo spiegherò comunque. Tu ora mi
condurrai da Ariel e la libererai, oppure ti ucciderò. Se vuoi collaborare sarà
tutto più facile e ti sarà risparmiata la vita, se non vuoi, ti ucciderò e farò
da solo. Sarà tutto un po’ più complicato, ma non sono uno che si perde d’animo
– disse Killian, puntando la spada alla gola
dell’uomo che gli stava di fronte per rendere più chiaro il concetto.
Oscar
scoppiò a ridere, di gusto.
–
Credo che la comunicazione sia importante, in un rapporto – decretò, sibillino.
–
Non capisco – borbottò Killian.
–
Certo che non capisci – constatò Oscar, con sorriso trionfante. – Arrivi tardi
per la tua amica, Sparrow.
Killian s’incupì. Che
Ariel fosse già morta? Possibile che Oscar non fosse stato in grado di
attendere fino all’indomani e l’avesse giustiziata con le proprie mani senza
nessun pubblico ad assistere?
–
L’hai uccisa? – domandò dunque, per fugare ogni dubbio.
–
Sfortunatamente no – rispose Oscar, schioccando la lingua per il disappunto. – Ariel
è fuggita. È un mistero; non capisco come abbia fatto. La cella in cui l’ho
fatta rinchiudere era senza finestre e la porta non reca segni di forzatura.
–
Come sarebbe a dire? – chiese Killian, cercando di
ignorare il sospetto che stava iniziando a farsi strada nella propria mente.
–
È svanita nel nulla. Letteralmente. Avrà usato la magia – spiegò Oscar, con
un’alzata di spalle. – Torno proprio ora dalla sua cella, e l’ho trovata vuota.
Killian chiuse gli
occhi, mentre l’ira montava in lui. Ariel aveva usato la collana per fuggire,
non c’era altra spiegazione. Probabilmente era morta, e la colpa era tutta di
Oscar, di quel farabutto che gli stava di fronte e che aveva rovinato la vita a
colei che tanti anni prima lo aveva salvato.
Con
un movimento fulmineo abbassò la spada e trafisse Oscar proprio al centro dello
stomaco. Questi sgranò gli occhi per la sorpresa, prima di digrignare il volto
in una smorfia di dolore.
–
Maledetto! – esclamò, non appena Killian estrasse la
spada dalle sue carni.
–
Oh, non credo proprio – ribatté il pirata, guardandolo accasciarsi a terra. –
Contrariamente ad Ariel, io non sono
poi tanto diverso da te. Lei si è
fatta degli scrupoli che tu non meritavi – disse, muovendo un passo verso
Oscar, che ora gli dava le spalle e con una mano si stava trascinando verso il
camino, mentre con l’altra si teneva la ferita. Lo raggiunse e con un calcio lo
ribaltò, costringendolo a guardarlo negli occhi.
–
Ti darò quel che ti meriti, Oscar – sibilò, prima di conficcargli la punta
della spada nella gola, per mettere fine una volta per tutte alle sue
affabulazioni.
Attese
che il farabutto esalasse l’ultimo respiro, senza la minima traccia di rimorso.
Non appena fu certo della sua morte, rinfoderò la spada, infilò di nuovo l’elmo
e si allontanò da quella stanza indisturbato.
Aveva
fatto giustizia.
Aveva
saldato il debito con Ariel, rendendosi responsabile della morte di colui che
l’aveva spinta ai propri limiti e che indirettamente l’aveva spinta ad
uccidersi, utilizzando la propria collana.
Mentre
si allontanava dal castello, tuttavia, una domanda lo tormentava.
Perché Ariel
non aveva atteso che lui tornasse a salvarla?
Quando
Ariel riaprì gli occhi si ritrovò nella propria stanza, e per un attimo credette di aver fatto soltanto un brutto sogno, che in
realtà fosse trascorsa solo una notte dall’ultimo litigio con suo padre e che
tutto quello che aveva passato fosse solo frutto della propria fervida
immaginazione. Tuttavia, quando si mise a sedere sul proprio giaciglio, notò di
avere ancora le gambe, e comprese che purtroppo era tutto reale.
Sospirò
e si guardò intorno, notando che il proprio letto si trovava sotto una bolla d’aria,
la quale le permetteva di respirare in tutta tranquillità pur essendo sott’acqua.
Era
viva.
Era
sopravvissuta, a dispetto di ogni aspettativa. Un po’ se ne rammaricava, perché
la morte avrebbe posto fine alle proprie sofferenze, ma d’altro canto era grata
di essere viva, di essere di nuovo a Neverland, a
casa, dove forse avrebbe trovato pace. Era quello che aveva voluto fin da
quando Eric era morto.
–
Oh, grazie a Nettuno! – esclamò una voce ben nota, entrando nella stanza.
Ariel
sorrise nel vedere il padre prendere posto accanto al letto, cercando di
reprimere il ricordo di quando non molto tempo prima si era trovata in una
situazione simile e al suo risveglio aveva trovato Eric ad accoglierla.
–
Temevo che non ti saresti più svegliata – disse re Tritone, portando una mano
all’interno della bolla d’aria per stringere la mano della figlia. – Hai
dormito per giorni interi. Eri molto debole.
Ariel
ricambiò la stretta del padre con vigore, mentre gli occhi le si inumidivano.
Nonostante tutto, l’aveva accolta di nuovo tra le proprie braccia e accudita,
senza nemmeno sapere cosa le fosse successo.
–
Papà, io… - tentò di dire, ma venne sopraffatta dai
singhiozzi. Si coprì il volto con le mani e poco dopo sentì il rassicurante
abbraccio del padre avvolgerla per placare quella manifestazione di dolore e vi
si abbandonò completamente. – Mi dispiace – fu solo in grado di dire.
–
Tranquilla, figlia mia – la rassicurò re Tritone. – Non so cosa sia successo,
né perché tu sia tornata qui su un paio di gambe, ma l’importante è che ora tu
sia di nuovo a casa. Del resto parleremo quando te la sentirai – stabilì
dunque, continuando a stringerla tra le proprie braccia.
Ariel
annuì e continuò a piangere, sfogando tutto il proprio dolore, finché la
stanchezza la vinse e cadde di nuovo addormentata.
Re
Tritone la adagiò delicatamente sul letto e uscì dalla stanza.
Quando
fu sulla soglia si voltò e guardò la figlia dormire, con un sorriso affettuoso.
Era felice di rivederla, era stato tanto in pensiero per lei. Quando, il giorno
dopo la loro discussione era andato in camera sua a cercarla e l’aveva trovata
vuota, era stato preso dal panico e aveva temuto il peggio. Aveva subito
mandato Sebastian a cercarla insieme ad altri tritoni, per giorni, finché non
gli era apparso chiaro che la figlia era fuggita non solo da Atlantica ma da Neverland. Forse era stato troppo severo con lei e così
facendo l’aveva indotta ad abbandonarlo.
Ora,
però, Ariel era tornata. Da umana, certo, ma era lì. (1)
Qualche
ora dopo, Ariel si svegliò di nuovo e si mise a sedere. Si voltò e trovò suo
padre nella stanza, che le sorrideva.
–
Come ti senti? – le chiese, con una nota di preoccupazione nella voce.
–
Debole – rispose Ariel. – Ma almeno sono viva. Non credevo di farcela –
aggiunse, stringendosi nelle spalle.
–
Hai corso un grande rischio, infatti – la rimproverò bonariamente re Tritone. –
Sei stata molto fortunata. Ti ho vista apparire dal nulla nella sala del trono,
priva di sensi, e subito mi sono precipitato a soccorrerti, usando la magia del
mio tridente – le spiegò. – Posso sapere dove sei stata in questi giorni? –
domandò dunque, in tono delicato. – E perché sei riapparsa qui in forma umana?
Ariel
sospirò. Era arrivato il momento di dire la verità a suo padre, di rivivere per
l’ennesima volta tutto quello che aveva passato.
–
È una storia un po’ lunga – esordì. – E non credo che ti piacerà – aggiunse in
un sussurro, prima di abbassare lo sguardo e prendere un respiro profondo,
dopodiché gli spiegò tutto, dall’inizio alla fine. Versò molte lacrime, e con
esse sfogò molto dolore.
Gli
raccontò persino di Killian, rivelandogli così anche
ciò che aveva fatto quattro anni prima, aiutandolo a fuggire. Si sorprese nel
vedere il padre sorridere. Non la rimproverò, se non per il fatto di essersi
avventurata in territorio ostile; la lodò invece per ciò che aveva fatto per
quel ragazzino. Come lei, era convinto che nessun bambino meritasse di crescere
sull’Isola che non c’è tra le grinfie di Peter Pan.
Quando
gli raccontò di Eric e di Oscar rimase in silenzio, limitandosi a stringerle la
mano per darle conforto o ad asciugarle le lacrime col pollice.
–
Sono fiero di te, Ariel – dichiarò, non appena la ragazza ebbe terminato il
proprio racconto. – Sono fiero di come hai esitato di fronte all’uccisione di
un essere umano, di come hai rinunciato a tornare sirena pur di non macchiarti
di un orribile crimine – espresse meglio il concetto, con un sorriso. – Mi dispiace
per tutto quello che hai passato.
–
Non… non sei arrabbiato con me? – chiese Ariel,
esitante.
–
No. Quando non ti ho più trovata ho temuto di averti persa per sempre, come ho
perso tua madre. La rabbia che permeava il nostro ultimo incontro è presto
scomparsa, sostituita dalla preoccupazione. Sono solo felice che tu sia di
nuovo qui a palazzo – rispose re Tritone, con un sorriso.
–
Anche se sono umana e sono costretta a restare sotto questa bolla d’aria?
–
Oh, a quello possiamo rimediare – suggerì re Tritone, impugnando con la mano
destra il tridente che fino a poco prima giaceva accanto alla propria coda.
–
Puoi farmi tornare sirena? – chiese Ariel, speranzosa. Non aveva pensato a
quell’eventualità. Sapeva che il tridente del padre era dotato di grandi
poteri, ma non le era mai stato permesso chiedere troppo a riguardo e quindi
ignorava le reali capacità dell’oggetto.
–
Non proprio – ammise re Tritone. – La magia della Strega del Mare è una magia
oscura, e io posso fare ben poco contro essa. Annullare l’effetto della sua
pozione richiede un atto altrettanto oscuro (2); ecco perché quando sei tornata
da lei ti ha dato quel pugnale dicendoti di uccidere un essere umano. Con il
mio tridente non posso invertire del tutto l’incantesimo, ma qualcosa posso
fare – spiegò.
–
E cioè?
–
Posso far sì che tu sia una sirena ogni volta che sei in acqua. Non appena ne
sarai fuori, però, sarai umana. Avrai una doppia natura: sarai sia umana che
sirena. È tutto quello che posso fare – le chiarì.
–
Va bene – annuì Ariel, convinta. – Va bene – ripeté.
Le
sarebbe bastato per avere la tranquillità e la pace che cercava.
Note:
(1)Sì, lo so,
forse vi starete chiedendo: “Ma dov’è finito il padre severo del primo
capitolo?”. La risposta è semplice: per questa parte mi sono rifatta molto al
cartone animato Disney. Anche lì, nonostante Ariel sia scappata di casa contravvenendo
ai suoi ordini e si sia rivolta ad Ursula, verso la fine re Tritone non esita a
sacrificarsi al posto della figlia, quando questa dopo aver smascherato Ursula
torna sirena.
(2)Qui mi sono
ispirata a Harry Potter, quando
Silente spiega a Harry che per creare gli Horcrux è
necessario compiere un atto oscuro.
Eccomi
qui con il sesto capitolo.
Chiedo
scusa per il ritardo, ma ieri non sono riuscita a pubblicare perché ho avuto
una giornata bella piena. Organizzare una grigliata in montagna all’ultimo
momento richiede concentrazione, per cui non ho avuto tempo per rivedere il
capitolo e pubblicare.
Insomma,
che ve ne pare?^^
Lo
so, probabilmente mi starete odiando perché ho di nuovo diviso le strade di
Ariel e Killian, ma non temete. Nel prossimo capitolo
torneranno ad incrociarsi.
Oscar
è uscito di scena ed è tornato re Tritone; spero che il modo in cui le due cose
sono avvenute sia piaciuto, anche se temo di incorrere nelle ire delle fan di
Oscar xD
Come
sempre ringrazio chi ha recensito, chi legge soltanto e chi mi ha inserita
nelle tre categorie.^^
Spero
di riuscire a pubblicare il nuovo capitolo tra una settimana; sono già a buon
punto ma avendo ripreso a studiare sono un po’ titubante.
Dopo
due anni, si era decisa a rimettere piede nella Foresta Incantata per cercare Killian e ringraziarlo per tutto ciò che aveva fatto per
lei. Immaginava dovesse essere abbastanza in pena per la sua sorte, per cui
andarlo a trovare di persona era il minimo. Probabilmente, non a torto, la
credeva morta, o comunque prigioniera. Del resto per lei era passato molto
tempo, ma per lui doveva esserne trascorso molto di più. Forse si era anche
dimenticato di lei.
–
Quando tornerai? – le domandò re Tritone, con tono apprensivo.
–
Non lo so – rispose Ariel, stringendosi nelle spalle. – Sai che il tempo scorre
diversamente, là.
–
E tu sai che non intendevo questo – ribatté re Tritone, con un sorriso
affettuoso.
–
Oh, quello – disse Ariel, capendo al volo.
In
quegli ultimi due anni, lei e suo padre si erano avvicinati molto, ricostruendo
da capo il loro rapporto.
Re
Tritone aveva realizzato di essere stato troppo apprensivo e protettivo nei
confronti della figlia, e così le aveva concesso tutta la libertà che da adulta
ormai meritava. Ariel aveva apprezzato e aveva colto l’occasione per avanzare
delle richieste: la vicenda nella Foresta Incantata le aveva fatto capire di
essere troppo ingenua ed indifesa, e di conseguenza aveva stabilito di dover
imparare a badare a se stessa. Aveva chiesto aiuto al padre per quanto
riguardava gestire al meglio i propri poteri di sirena, mentre per ciò che concerneva
le abilità da affinare da umana si era rivolta agli indiani, altri abitanti di Neverland con cui suo padre, prima della morte della madre,
aveva stretto un alleanza per difendersi da Peter Pan. Per amore della figlia,
re Tritone era tornato in superficie dopo tanti anni e aveva rinnovato quel
patto. Finalmente aveva compreso che era inutile nascondersi, e pian piano
stava tornando alla vita a cui per paura aveva rinunciato dopo la perdita della
moglie.
–
Già, quello – confermò re Tritone, interrompendo le riflessioni di Ariel. – Se
hai rivalutato la proposta di quel pirata, non ti biasimo – dichiarò dunque,
stringendo per un attimo la mano della figlia.
Ariel
sorrise con affetto. Quella frase significava molto, per lei, e le dimostrava
ancora una volta quanto suo padre fosse cambiato.
–
Non lo so ancora, ad essere onesta. Prenderò una decisione quando tornerò là,
credo – disse dunque. In quei due anni, infatti, aveva pensato più volte alla
proposta che Killian le aveva fatto. Se avesse potuto
tornare indietro nel tempo, l’avrebbe accettata. Ciò però non era possibile e
da un lato lei ne era felice, perché altrimenti non avrebbe potuto
riavvicinarsi alla propria famiglia e tornare sirena, anche se non in modo
definitivo. D’altro canto, però, ora che iniziava a riprendersi, aveva capito
che quel mondo che l’aveva fatta soffrire poteva avere in serbo altre sorprese,
forse piacevoli, se esplorato con la dovuta cautela.
–
Capisco. Qualsiasi decisione prenderai, sarò qui ad aspettarti – decretò re
Tritone. – Ora va’ – la esortò dunque, dandole una lieve pacca sulle spalle.
Ariel
annuì, diede un ultimo abbraccio al padre e si allontanò.
Foresta
Incantata
Ariel
sapeva come muoversi, questa volta, così come era certa che per trovare Killian avrebbe dovuto iniziare dalle locande e dai porti.
Impiegò qualche tempo per rintracciarlo, ma alla fine vi riuscì.
Lo
trovò a Tortuga (1), il covo di pirati per eccellenza di tutta la Foresta
Incantata. Tortuga era una piccola isola in cui si trovava un grande porto e un
piccolo villaggio costituito per lo più da locande e da bordelli. C’era anche
una grande piazza in cui ogni giorno si teneva un mercato nel quale era
possibile acquistare di tutto, dai viveri alle armi.
A
Tortuga, infatti, i pirati si recavano principalmente per fare rifornimento di
cibo, di birra e di donne.
Non
appena si avvicinò all’isola a nuoto, Ariel restò a bocca aperta.
Il
porto era pieno di navi e illuminato grazie a una serie di torce poste sulle
banchine, e un gran vociare giungeva alle sue orecchie. Con cautela nuotò fino
alla banchina che aveva meno navi ormeggiate ad essa e vi si issò sopra. Subito
la coda lasciò il posto alle gambe, e immediatamente Ariel usò la propria
collana per eliminare ogni traccia di acqua dal proprio corpo e per coprire le
proprie nudità con degli abiti. Nessuno avrebbe dovuto scoprire la sua vera
natura.
Si
alzò in piedi e si diresse verso il villaggio, con la speranza di trovare Killian. L’ultimo marinaio con cui aveva parlato, qualche
ora prima, le aveva detto senza esitazioni che lo avrebbe trovato su quell’isola,
dove era diretto per fare rifornimento.
Vedendo
tutta quella moltitudine di persone e di locande, la speranza di Ariel per un
attimo vacillò. Si passò una mano tra i capelli, mordendosi un labbro. Da dove
poteva partire?
Con
un sospiro rassegnato entrò in una locanda alla propria destra.
Quasi
un’ora dopo, quando ormai aveva perso le speranze e stava iniziando a prendere
in considerazione l’eventualità di perlustrare anche i bordelli, lo trovò. Un
sorriso le nacque spontaneo sulle labbra, vedendolo seduto ad un tavolo con un
boccale di birra in una mano e dei dadi nell’altra, circondato da una serie di
uomini che dovevano costituire la sua ciurma.
Ariel
si avvicinò al tavolo e si schiarì la voce per attirare l’attenzione, ma il
frastuono era così forte che nessuno la udì.
–
Killian Jones! – urlò dunque a gran voce, augurandosi
di avere più successo.
Sentendosi
chiamato in causa e disturbato, Killian alzò lo
sguardo con espressione annoiata, che subito mutò in una smorfia sorpresa, non
appena riconobbe la figura che era in piedi vicino al proprio tavolo.
–
Ariel?! – esclamò, con un sorriso. Non riusciva a credere ai propri occhi.
–
Già, in persona – confermò la ragazza. Killian scolò
in un solo sorso la birra che restava nel boccale, posò i dadi sul tavolo e si
alzò dalla panca, per poi raggiungerla. Non appena le fu di fronte, Ariel gli gettò
le braccia al collo, felice di rivederlo.
–
Ti… Ti credevo morta – le confessò il pirata,
ricambiando l’abbraccio, che poi sciolse quel tanto che bastava per riuscire a
parlare pur tenendola stretta a sé. Aveva bisogni di sentire che era reale, che
non era frutto della sua fantasia. – Aspetta un attimo, però…
– borbottò dunque, inarcando un sopracciglio. – Sei davvero tu oppure ho bevuto
un po’ troppo e ho le allucinazioni? – domandò in tono divertito.
Ariel
scoppiò a ridere di gusto. – Mi sembri abbastanza sobrio per fare battute
quindi no, non hai bevuto troppo – rispose, dandogli un pizzicotto per fugare
ogni dubbio. Fece per dire qualcos’altro, ma dovette interrompersi.
–
Tu! – l’apostrofò infatti una donna, afferrandola per un braccio per separarla
da Killian. Ariel la guardò perplessa, senza capire
il motivo dell’intromissione. Era tanto bella quanto fuori di sé; i lunghi
capelli scuri e mossi incorniciavano un volto i cui occhi azzurri emanavano
lampi d’ira e la bocca era corrucciata in una smorfia di disappunto. – E tu! –
aggiunse, avvicinandosi pericolosamente a quest’ultimo. – Me ne vado per pochi
minuti e ti trovo tra le braccia di una prostituta? – strillò, furiosa.
–
Come… come osi? – tuonò Ariel, sentendosi chiamata in
causa. La donna si voltò verso di lei e la guardò come se fosse un insetto
fastidioso. Le persone intorno a loro e la ciurma di Killian
si fecero più attente, pregustando una rissa. A Tortuga eventi di quel genere
erano all’ordine del giorno, ma restavano comunque una grande fonte di
divertimento. – Ho forse l’aria di una prostituta, io? – proseguì, avvicinandosi, con gli occhi ridotti a due fessure.
– Tra le due semmai sei tu quella con la scollatura più generosa e…
–
Basta, basta, fermatevi! – s’intromise Killian. –
Credo sia il caso di chiarire qualche equivoco – stabilì, deciso.
L’attenzione
dei presenti scemò; il divertimento era finito ancora prima di iniziare.
Ariel
incrociò le braccia in attesa, e la donna fece altrettanto.
–
Milah, lei è Ariel. Te ne avevo parlato, ricordi? È la
sirena che mi ha salvato da Neverland – disse Killian, rivolgendosi per primo alla donna, che subito
rilassò le membra, comprendendo. – E Ariel, lei è Milah,
la mia compagna – aggiunse rivolto alla sirena, che subito spalancò gli occhi e
arrossì, sorpresa e imbarazzata.
–
Oh, io…Mi… Mi dispiace,
non avevo idea che… Oh! Scusa! Scusate! – borbottò
Ariel, torturandosi le mani.
–
No, sono io a doverti chiedere scusa – ribatté Milah,
altrettanto in imbarazzo. – Ho dato per scontato che fossi quel genere di donna
perché… Beh, quando si tratta di Killian
la maggior parte delle volte è così, specie qui a Tortuga. Si è lasciato dietro
un sacco di cuori infranti.
Il
pirata inarcò un sopracciglio, mentre Milah gli si
fece vicina e Ariel scoppiò a ridere, portandosi una mano alla bocca.
–
Chissà perché, ma la cosa non mi sorprende – disse poi, incrociando le braccia.
Ricordava bene gli sguardi seducenti e le battute allusive che lanciava alle
cameriere, quelle poche volte in cui erano andati in qualche locanda a
rifocillarsi durante la sua ultima avventura nella Foresta Incantata. – Per lo
meno ora si è messo la testa a posto – aggiunse poi, con un sorriso.
Era
sorpresa di vedere Killian accanto ad una donna; era
da sempre convinta che i pirati fossero degli spiriti liberi, sprezzanti verso
ogni tipo di legame affettivo, specie verso l’amore. Raramente aveva sentito
parlare di donne accolte a bordo di una nave e i pochi casi in cui i pirati
facevano eccezione era perché si trattava di un grande amore o di una
situazione particolare.
Come la mia, pensò Ariel,
richiamando alla mente la proposta di Killian di due
anni prima.
–
Sì, beh, sai… L’incontro con Milah
è stato inaspettato (2) – disse quest’ultimo, interrompendo le sue riflessioni.
Passò un braccio attorno alle spalle della donna, che subito si strinse a lui.
Ariel
abbassò lo sguardo, sentendosi di troppo, e avvertendo gli angoli degli occhi
pizzicare.
Non
aveva messo in conto quell’eventualità.
Non
credeva che persino la manifestazione d’affetto più innocente le avrebbe fatto
tornare alla mente Eric e le avrebbe fatto sentire ancora di più la mancanza
delle sue braccia che la stringevano, della sua voce, del suo profumo,
semplicemente di tutta la sua persona.
Continuava
a fare male anche a distanza di tutto quel tempo.
Finché
teneva la mente impegnata riusciva a non pensarci, a vivere la propria vita
come se nulla fosse accaduto, a sopravvivere. Quando però vedeva due persone
qualsiasi innamorate, ciò che aveva perso le tornava alla mente con prepotenza,
rimarcando tutto il dolore provato. Aveva sperato che forse, vivendo una vita
avventurosa a bordo della nave di Killian, non
avrebbe più avuto occasioni di vedere persone innamorate e felici e quindi
avrebbe dimenticato davvero tutto, ma si sbagliava.
Era
stata una stupida a pensare che la ferita che si portava dentro potesse
rimarginarsi a quel modo. Era ancora viva e pulsante, al centro del suo petto,
e in quel momento aveva ripreso a stillare sangue.
Killian era
decisamente sorpreso dall’inaspettata visita di Ariel. Per un attimo aveva
davvero creduto che fosse un’allucinazione, ma quando poco aveva sfoderato il
suo bel caratterino davanti a Milah aveva avuto la
certezza che fosse lei.
Un
grande senso di sollievo lo aveva pervaso, nel vederla viva e vegeta.
Nel
tempo trascorso dalla notte in cui aveva ucciso Oscar, infatti, non aveva
potuto fare a meno di sentirsi in colpa.
Se
solo avesse insistito di più nel farla desistere, non avrebbero mai messo in
atto quel piano.
Se
solo avesse immobilizzato Oscar con più fermezza, questi non si sarebbe mai
liberato dalla sua stretta e avrebbe potuto tramortirlo o ucciderlo per poi
fuggire insieme alla sirena.
Se
solo fosse arrivato al castello un po’ prima, avrebbe potuto salvare Ariel
senza costringerla a usare la collana per farlo.
Col
tempo i sensi di colpa si erano un po’ alleviati, ma quella sera avevano
cessato di esistere ed erano stati sostituiti dall’interrogativo che per anni
lo aveva tormentato.
Perché
Ariel non aveva aspettato che arrivasse in suo soccorso?
Scosse
la testa, confuso.
Dopo
tutto quel tempo ancora non sapeva rispondere.
Avrebbe
posto la domanda alla diretta interessata, non appena gli si fosse presentata
l’occasione.
Ariel
rimase per un po’ nella locanda, seduta di fronte a Killian
e Milah. Giocò a dadi con il resto della ciurma e
bevve persino un boccale di birra, che le diede l’allegria e il coraggio necessari
ad affrontare una serata di quel tipo, che per lei era una novità.
Quando
ormai era notte fonda, il capitano si alzò dalla panca e annunciò il proprio
ritorno alla nave. Milah e alcuni membri
dell’equipaggio lo seguirono, e altrettanto fece Ariel, dato che Killian ci teneva a mostrarle la propria imbarcazione.
–
Questa è la tua nave? – domandò Ariel, non appena giunsero a destinazione.
Da
quel che poteva vedere grazie alla luce delle torce poste sul molo, si trovava
di fronte ad una grande e maestosa imbarcazione che non aveva nulla da
invidiare alle altre che erano ormeggiate lì vicino.
–
Già. Ti presento la Jolly Roger –
rispose Killian, con gli occhi che gli brillavano. –
Ti piace?
–
Altroché, è bellissima! – esclamò Ariel.
–
E mi permette anche di viaggiare attraverso i vari mondi, sai? È fatta di un
legno magico che può attraversare qualsiasi portale – spiegò Killian, entusiasta. Doveva essere davvero orgoglioso della
propria nave.
–
Wow, ma è fantastico! – esclamò Ariel, altrettanto estasiata. – Chissà quanti
mondi avrai visitato… – aggiunse, con una nota d’invidia.
–
Molti – disse Milah, con un sorriso. – Grazie a
questa nave abbiamo visto molti luoghi – aggiunse, prima di congedarsi dal
capitano dicendogli che lo avrebbe aspettato in cabina. Killian
sorrise, prima di darle un fugace bacio sulle labbra e rivolgerle una sguardo
carico di aspettative.
–
Perché sei qui? – domandò Killian ad Ariel qualche
istante dopo, non appena furono soli. Finalmente poteva parlarle liberamente ed
essere sicuro di avere risposte sincere. Da quello che aveva potuto vedere alla
locanda, la ragazza si sentiva un po’ in soggezione in mezzo a tanta gente.
–
Volevo ringraziarti per quello che hai fatto per me, tempo fa. E dirti che ora
sto bene – rispose Ariel.
–
E lo fai dopo cinque anni? – chiese il pirata, inarcando un sopracciglio.
Ariel
si morse un labbro. Non poteva dirgli che aveva quasi riconsiderato la sua
proposta di unirsi alla sua ciurma ma che aveva cambiato idea non appena aveva
conosciuto quella donna, Milah. Non poteva dirgli che
quando li aveva visti così innamorati il dolore per la morte di Eric era
riaffiorato, insieme alla nostalgia che aveva di lui.
–
Per me è passato meno tempo – disse dunque, nel tentativo di guadagnare tempo.
– Due anni.
–
È comunque tanto.
All’improvviso
le venne un’idea. Aveva portato un dono per Killian,
e lo avrebbe usato.
–
Ho avuto un po’ da fare – si difese dunque. – Raccogliere i cocci non è stato facile… E nemmeno trovare questo – proseguì, estraendo di
tasca un fagiolo magico (3). – È stata dura convincere mio padre a darmene uno.
Da quando mia madre è morta ha smesso di commerciare fagioli con i giganti e
quei pochi che ci sono rimasti li tiene sotto chiave.
Killian osservò
rapito il fagiolo che Ariel teneva nel palmo della mano destra. – Questi… Questi sono rari, qui – fu soltanto in grado di
dire. I fagioli facevano gola a molti e tra i pirati erano oggetto di vere e
proprie cacce al tesoro.
–
Lo so – convenne Ariel. – È per questo che voglio fartene dono. Per
ringraziarti di tutto quello che hai fatto per me – aggiunse. Non gli disse che
lo aveva portato con sé come garanzia, che glielo avrebbe offerto come merce di
scambio nel caso in cui si fosse mostrato titubante nell’accoglierla nella sua
ciurma, né che glielo avrebbe dato comunque come dono per ringraziarlo. – Tieni
– lo esortò dunque, con un movimento del capo. Se lo era meritato.
Killian le prese il
fagiolo di mano e lo mise in tasca.
–
Grazie, Ariel – disse. – Il tuo è un dono molto gradito. Ne farò buon uso.
La
ragazza si strinse nelle spalle, un po’ in imbarazzo.
–
Ti trovo bene – gli disse quindi. – Hai una bella nave, una ciurma numerosa… E una bella donna al tuo fianco.
–
Già, Milah – convenne Killian,
con un sorriso spontaneo. – È straordinaria. Piena di voglia di vivere, di sete
d’avventura… Sono io quello fortunato ad averla
incontrata, nonostante lei sostenga il contrario.
–
Davvero? – domandò Ariel, aggrottando le sopracciglia e domandandosi perché mai
una donna dovesse ritenersi fortunata a incontrare un pirata. Normalmente stavano
bene attente a rimanere alla larga da una qualsiasi ciurma di avventurieri.
–
Sì, beh… Diciamo che l’ho salvata da una vita che le
non sentiva più sua – rispose Killian. – Quando l’ho
incontrata era molto infelice – aggiunse, rammentando lo sguardo triste di Milah, quando l’aveva vista per la prima volta. Non appena
aveva iniziato a raccontarle le proprie avventure, però, quello sguardo spento
si era accesso di curiosità e meraviglia. Sorridere era stato il passo
successivo, e quando Killian aveva visto
quell’espressione di gioia sul viso di Milah aveva
pensato che non ci fosse cosa più bella al mondo. – Era sposata con un uomo che
nonamava – concluse, incrociando le
braccia. Quel codardo non era stato nemmeno in grado di tirare fuori gli
attributi per tenere la moglie al proprio fianco, quando l’indomani si era
recato sulla sua nave per reclamarla. Era stato solo in grado di implorarlo con
voce piagnucolante. Milah meritava di meglio.
–
Oh! – esclamò Ariel, realizzando ciò che aveva appena udito. – Quindi vuoi dire
che tu… che tu l’hai rapita da suo marito? – domandò,
con una nota di incredulità nella propria voce.
–
Io non l’ho rapita! – esclamò Killian, piccato. – Milah mi ha seguito di sua spontanea volontà! – si difese. Perché
tutti credevano che la decisione fosse stata solo sua?
–
Va bene, va bene – borbottò Ariel. – Ti credo, non c’è bisogno di scaldarsi
tanto.
Killian inarcò un
sopracciglio, poi scoppiò in una risatina, scuotendo la testa.
–
Anche io ti trovo bene – disse dunque, per cambiare discorso.
È tutta una
facciata,
avrebbe voluto rispondergli Ariel ricordando quanto poco fosse bastato per
farle venire le lacrime agli occhi, poco prima.
–
È stata dura – disse invece, con un’alzata di spalle. E lo è ancora.
–
Sei tornata a Neverland, vero? – chiese Killian. – Hai usato la tua collana, dopo che Oscar ti ha
catturata?
–
Sì, e per poco non sono morta – rispose Ariel, abbassando lo sguardo. Non
avrebbe mai dimenticato come le forze l’avevano man mano abbandonata.
–
Posso farti una domanda? – osò domandare il pirata, credendo che fosse giunto
il momento giusto.
–
Certo.
Killian prese un
respiro profondo. Dopo tanto tempo, il momento della verità era finalmente
giunto.
–
Perché non hai aspettato che io venissi a liberarti? – chiese infine, con una
nota di tristezza nella voce.
Ariel
strabuzzò gli occhi, confusa.
–
Che diavolo stai dicendo, Killian?
–
Mi riferisco alla notte in cui sei stata catturata. Quando mi hai detto di
scappare, io ti ho detto, anzi, diciamo pure che ti ho promesso che sarei
tornato a salvarti – spiegò il pirata, per fugare ogni dubbio. – Sono tornato
il giorno dopo e Oscar mi ha detto che eri svanita nel nulla. Perché non mi hai
aspettato, Ariel?
Ariel
batté le palpebre più volte, esterrefatta. Davvero Killian
era tornato al castello di Oscar? Davvero si era cacciato in una situazione
pericolosa solo per salvarla? Perché lo aveva fatto? E perché lei non lo aveva
udito mentre le prometteva che sarebbe tornato?
–
Io… Io non ne avevo idea – si giustificò, con
rammarico. – Quando sono arrivate le guardie c’è stato un sacco di frastuono, e
quando tu sei scappato non ho sentito nulla. Mi dispiace – argomentò,
rammentando quella notte che volentieri avrebbe preferito dimenticare. – Ti
avrei aspettato, altrimenti – decretò infine, con un sorriso permeato di
malinconia.
In
un solo attimo tutta la sua vita era cambiata.
In
un solo attimo, il fato le aveva giocato un brutto scherzo, portandola a
prendere la difficile decisione di salvarsi la vita mettendola in gioco usando
la propria collana.
Inevitabilmente
finì per chiedersi cosa sarebbe successo, se così non fosse stato.
Avrebbe
aspettato Killian, lui l’avrebbe liberata e lei
probabilmente si sarebbe unita alla sua ciurma.
Forse ora ci
saresti tu al posto di Milah, le sussurrò
un’infida vocina nella propria mente.
Ariel
scosse la testa.
Dubitava
che tra lei e Killian ci sarebbe mai stato un tale
esito, nemmeno nel caso in cui lei non fosse tornata a Neverland.
Non che non lo trovasse affascinante, ma il ricordo di Eric sarebbe stato
ancora troppo doloroso per permetterle di aprire di nuovo il proprio cuore,
proprio come lo era ancora in quel momento.
Aveva
infatti paura di soffrire, di sentirsi di nuovo lacerata e senza speranze, e
quando era tornata a Neverland aveva promesso a se
stessa che non si sarebbe mai più legata ad un uomo. Si sentiva come se il
cuore le fosse stato strappato dal petto e dubitava che le sarebbe stato
rimesso a posto. Nessuno sarebbe stato in grado di farlo, probabilmente.
–
È acqua passata, ormai – sentenziò Killian, con
un’alzata di spalle, interrompendo quei pensieri. Dopo tutto quel tempo aveva
ricevuto risposta alla sua domanda e ne era rimasto un po’ deluso. Tutto si
sarebbe aspettato tranne che Ariel non avesse udito la sua promessa. Ora capiva
perché aveva usato la collana e si rammaricava di non aver agito abbastanza in
fretta per poterla salvare. Il passato però non si poteva cambiare. Ormai era
andata così. – Hai trovato quello che cercavi? – domandò dunque.
–
Sì, più o meno – rispose Ariel. – Mio padre mi ha accolta senza remore e mi ha
perdonata per essere scappata. Ci siamo avvicinati molto e mi è stato d’aiuto.
–
Tuo… tuo padre? – la interruppe Killian,
perplesso. – Come hai fatto a metterti in contatto con lui da umana? – domandò dunque,
rendendosi anche conto che non era la prima volta che Ariel nominava suo padre.
Prima, però, era stato troppo distratto dal fagiolo magico per rendersene
conto.
–
Oh già – borbottò la sirenza. Aveva omesso la parte
più importante. – Quando sono fuggita dal castello di Oscar con la mia collana
sono apparsa priva di sensi nella sala del trono del mio palazzo, e mio padre
mi ha guarita e accudita. Non appena mi sono svegliata, poi, mi ha fatto
tornare di nuovo sirena, anche se non è riuscito a contrastare del tutto
l’incantesimo della strega del mare – spiegò quindi, cercando di essere breve
per non annoiare il pirata.
–
Ecco perché ora hai le gambe – constatò Killian.
–
Già. Finché sono in acqua resto sirena; non appena metto piede a terra divento
umana – sintetizzò. – Ho una doppia natura, ora.
–
Credo di capire perché tu non ti sia fatta viva fino ad ora – confessò Killian, con un risatina. Non doveva essere stato facile
abituarsi a tutte quelle novità.
–
Non è il solo motivo – rivelò la sirena, un po’ titubante. – Avevo anche un po’
paura, data la mia ultima esperienza in questo mondo. Sai, credevo che…
–
Oscar – completò per lei il pirata, pronunciando quell’unico nome che
riassumeva tutti i timori che Ariel doveva provare.
Ariel
annuì.
–
Che ne è stato di lui? – chiese dunque. Aveva paura che dopo tutto quel tempo
non l’avesse dimenticata, che fosse ancora ricercata, e che se avesse messo
piede nella Foresta Incantata sarebbe stata di nuovo catturata.
–
È morto – rispose Killian, atono. – L’ho ucciso io
quando sono tornato al castello a salvarti – rivelò senza la minima traccia di
rammarico.
–
Co… come? – balbettò Ariel, faticando a realizzare
ciò che aveva appena udito. – Perché l’hai fatto? – fu solo in grado di
chiedere.
–
Per tanti motivi – rispose Killian, con un’alzata di
spalle. – Primo: sono un pirata. Secondo: se lo avessi risparmiato mi avrebbe
ucciso o fatto catturare. Terzo: se lo meritava – elencò, in tono quasi
annoiato. Non era minimamente pentito di quel che aveva fatto. – Vuoi che
continui?
–
No – disse Ariel, secca.
Si
avvicinò al parapetto della nave e vi si appoggiò, dando le spalle a Killian. Non riusciva a credere alle proprie orecchie.
Killian aveva ucciso
Oscar?
Oscar
era morto e non era più una minaccia per lei?
Nonostante
fosse sconvolta da ciò che Killian aveva fatto, non
poté fare a meno di sentirsi sollevata. In quei giorni in cui aveva vagato per
la Foresta Incantata in cerca del pirata era stata molto guardinga e ben
attenta a stare alla larga da Sunnydale. Aveva
cercato anche di non dare troppo nell’occhio per timore che Oscar in qualche
modo venisse a sapere del suo ritorno e si mettesse di nuovo sulle sue tracce.
Era
tutto finito, ora.
Non
aveva più nulla da temere da quell’uomo.
Si
voltò di nuovo verso Killian.
–
Non nego di sentirmi più sicura, ora – disse in un sussuro.
– Però…
–
Però cosa, Ariel? – la interruppe il pirata, in tono irato. – Non starai per
farmi una predica, vero? – ringhiò, avvicinandosi a lei.
Ariel
abbassò lo sguardo, non sapendo cosa dire.
–
Non voglio farti nessuna predica – disse poi, guardandolo negli occhi. – Però, ecco… Non spettava a te ucciderlo. Non spettava a te dargli
quello che si meritava.
–
E a chi spettava? A te? Hai avuto la tua occasione e l’hai sprecata, lo sai
meglio di me – sbottò Killian, ormai spazientito.
–
Hai ragione, l’ho sprecata – disse Ariel, pacata. Non era andata a cercarlo per
fare discussioni. – Non me ne pento, però. Sono felice di non essere
un’assassina.
Killian si calmò,
anch’egli per niente desideroso di diatribe. Era felice di vedere Ariel viva,
ed era tutto ciò che importava.
–
Anche io ne sono felice. Non avresti mai sopportato quel fardello – convenne
dunque, addolcendo i toni.
–
Lo so – constatò Ariel con un sospiro. Ancora stentava a credere a cosa si era
creduta capace di fare, due anni prima, a quanto fosse stata vicina a cedere
all’oscurità. Sperava di non doversi trovare mai più in una situazione del
genere. – Grazie ancora per quello che hai fatto per me tempo fa – ribadì dunque.
– Ora è tempo che me ne vada – decretò infine. Non c’era più nulla che la
trattenesse in quel mondo, ormai. L’idea di rivalutare la proposta di Killian si era rivelata effimera ed era scemata non appena
aveva capito che in quel modo non sarebbe fuggita dal proprio dolore, che continuava
a perseguitarla come una maledizione.
–
Di già? – chiese il pirata, non nascondendo una note di delusione
–
Quello per cui sono venuta qui l’ho fatto – replicò Ariel con un’alzata di
spalle. – Sono felice che tu stia bene e che sia felice accanto a Milah.
–
Spero che un giorno anche tu possa essere di nuovo felice – le augurò Killian, prima di allargare le braccia in un muto invito.
Ariel
restò in silenzio e si fece avanti per abbracciarlo. Dubitava che avrebbe
sperimentato di nuovo la felicità che l’amore poteva offrire, ma non lo disse
ad alta voce.
Rimase
stretta a Killian per pochi secondi, senza dire una
parola, dopodiché si separò da lui e, sempre in silenzio, scese dalla Jolly
Roger.
Mentre
la guardava allontanarsi, Killian si domandò se
l’avrebbe mai rivista.
Note
(1)Ennesimo
riferimento a “Pirati dei Caraibi”. È un pozzo infinito a cui attingere, quel
film.
(2)Per Ariel sono
passati due anni, per Killian cinque. Milah è da poco nella sua ciurma, diciamo qualche mese. Da
quello che ho dedotto io dalla 2x04 con il mio scarso spirito d’osservazione, Bae (per quel poco che appare) aveva circa cinque anni,
massimo sei. Parlando di Oscar, nei capitoli precedenti, avevo fatto
riferimento a Tremotino che si era azzoppato da solo per non combattere, fatto
avvenuto un po’ prima che Oscar attuasse il suo piano contro Eric. Ecco perché
ho fatto passare cinque anni per Killian e due per
Ariel (ho immaginato che un anno a Neverland
equivalga a due e mezzo nella Foresta Incantata).
(3)È lo stesso
fagiolo che vediamo nella 2x04. Quando Spugna parla con Tremotino, ricordo che
dice che il fagiolo ancora non è suo, ma può procurarselo, per cui ho
immaginato che fosse già nelle mani del pirata e che glielo avesse dato Ariel.Per il resto non ci viene mostrato come
Spugna viene catturato da Uncino, per cui può essere benissimo che nel
procurarsi il fagiolo si sia lasciato sfuggire che era per l’oscuro e che Milah abbia avuto l’intuizione di usarlo come merce di
scambio per salvare la vita di Killian.
Ed
eccoci qui anche con il settimo capitolo, dove Killian
ed Ariel si sono riuniti per però separarsi di nuovo. Non temete, però; saranno
presto riuniti.^^
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto; a me personalmente non convince molto la parte
finale, ma non sapevo come renderla altrimenti. Forse ho messo un po’ troppa
carne al fuoco. xD
Ringrazio
come sempre chi mi segue, legge e recensisce; siete dolcissime e mi date sempre
la forza e lo sprono necessari a scrivere :)
Peter
Pan aveva infatti mandato i Ragazzi Sperduti a perlustrarne ogni angolo in
cerca di un ragazzino che era sfuggito dalle grinfie della sua ombra ancora
prima di mettere piedi sull’isola che non c’è. (1)
Persino
le sirene al suo servizio erano state messe all’erta e avevano varcato i
confini di Atlantica per fare domande a re Tritone, che le aveva subito
cacciate via senza battere ciglio. Ariel aveva tirato un sospiro di sollievo,
quando le aveva viste allontanarsi.
Anche
gli indiani erano stati messi al corrente del fatto dai Ragazzi Sperduti e non
appena Ariel si era recata da loro come ogni settimana, il capotribù Powhatan e sua figlia Pocahontas l’avevano informata
dell’accaduto. (2)
Quando
quella settimana Ariel si recò al villaggio degli indiani, lo trovò in tumulto.
Subito si chiese perché, ma presto ebbe una risposta.
Pocahontas
le si fece incontro per accoglierla, non appena la vide.
–
Ariel, finalmente! – la salutò con un sorriso.
–
Pocahontas! – la salutò la sirena, di rimando. – Che succede? – domandò,
indicando con un cenno del capo un gruppo di indiani che parlottavano tra loro.
–
Ancora non hai saputo? – chiese a sua volta Pocahontas, sorpresa. – Tutta Neverland ne parla.
–
Uhm, no… Non credo che la notizia sia giunta ad
Atlantica – ribatté Ariel, stringendosi nelle spalle. Vivendo in un regno in
fondo al mare, lei, suo padre e i loro sudditi erano sempre gli ultimi a sapere
le cose.
–
Forse perché è successo da poco – ipotizzò Pocahontas. – Pare che abbiano
trovato il ragazzino scomparso – rivelò dunque, in tono preoccupato.
–
Oh, no! – esclamò Ariel, portandosi una mano alla bocca. – E io che speravo fosse
fuggito da Neverland o per lo meno avesse trovato un
posto sicuro in cui stare!
–
Lo speravo anche io – disse Pocahontas, in un sussurro. Ogni volta che qualcuno
parlava di Peter Pan si rabbuiava, dato che da bambina ella stessa era stata
rapita dai Ragazzi Sperduti per poi essere lasciata andare dopo qualche giorno
non appena il loro capo aveva appurato che per lui era inutile. (3) Pocahontas
non parlava mai di quella terribile esperienza che aveva vissuto, ma provava
una certa empatia ogni volta che sentiva parlare dei bambini e dei ragazzini
dell’isola che non c’è.
–
Dove l’hanno trovato? – volle informarsi Ariel.
–
È stato consegnato loro da un pirata, uno che è arrivato qui a Neverland poco prima che il ragazzino scomparisse – rispose
Pocahontas. – Ènoto a tutti con il nome
di Capitan Uncino.
–
È qui da poco? Non ne sapevo nulla. Chiunque sia, è stato davvero crudele –
ribatté Ariel, con una smorfia di disgusto.
Chiunque
approdava a Neverland capiva in fretta come andavano
le cose, specie dai lamenti dei bambini che ogni notte provenivano dall’isola
che non c’è, per cui quell’Uncino non poteva non sapere a cosa quel ragazzino
sarebbe andato incontro, se consegnato a Peter Pan. Doveva essere un pirata
della peggior specie, se non si era fatto alcuno scrupolo.
–
Sono d’accordo – convenne Pocahontas, risoluta. All’improvviso parve ricordarsi
di qualcosa e sgranò gli occhi. – Oh, giusto! – esclamò. – John ti aspetta
nella radura, come sempre. Mi ha mandata a dirtelo.
–
Grazie. Ci vediamo dopo, allora! – si congedò quindi Ariel, incamminandosi
verso il luogo d’incontro.
John
era il compagno di Pocahontas da molto tempo. Non era un indiano, ma proveniva e
da Pandora (4), una delle poche isole di Neverland
oltre all’isola che non c’è, sulla quale si trovava un villaggio abbastanza
considerevole e popolato. Come Pocahontas e come ogni ragazzino nato a Neverland, era stato rapito da Peter Pan per poi essere
rilasciato. Durante la sua prigionia lui e Pocahontas si erano conosciuti e
avevano tratto conforto l’uno dalla presenza dell’altra. Una volta liberati,
avevano continuato a tenersi in contatto e a incontrarsi di tanto in tanto,
finché non era sbocciato l’amore. Da allora John si era trasferito nel
villaggio di Pocahontas e insieme erano felici.
Quando
Ariel era tornata a Neverland e aveva espresso il
desiderio di impararsi a difendere affinando le proprie capacità da umana, John
si era offerto di aiutarla e le aveva insegnato ad usare la spada e a
combattere a mani nude. Ormai Ariel aveva imparato tutto quello che c’era da
sapere, ma continuava ad incontrare John una volta alla settimana per non
perdere smalto e tenersi in forma, per essere sempre pronta ad ogni evenienza. Neverland era piena di pericoli e non voleva farsi cogliere
impreparata.
Doveva
molto a John.
Grazie
a lui non era più la ragazza indifesa che anni prima era approdata nella
Foresta Incantata senza avere idea di quello a cui stava andando incontro.
La
sirena sorrise, pensando a tutto ciò che aveva imparato.
–
Allora ci vediamo da Flounder’s,
questa sera? – domandò John ad Ariel, mentre stavano tornando al villaggio
degli indiani.
Flounder’s era una
locanda di Pandora nella quale ogni tanto Ariel si recava insieme a John quando
questi non riusciva più a sopportare la mancanza di un buon boccale di birra.
Col tempo anche Ariel aveva ceduto al vizio e quindi lo accompagnava
volentieri. Inoltre era diventata molto amica di Leonard, il figlio dei
proprietari, i Flounder, che avevano dato il nome alla taverna.
–
Va bene, sai che non dico mai di no – acconsentì Ariel di buon grado. – Civediamo più tardi, allora. Saluta Pocahontas
da parte mia! – si congedò dunque, non appena dalla boscaglia iniziò ad
intravedersi il villaggio degli indiani. John avrebbe proseguito per il
sentiero, mentre lei avrebbe compiuto una deviazione per giungere al fiume e
seguirne il percorso fino al mare, per poi tornare ad Atlantica.
–
Buonasera, ragazzi! – li accolse Leonard con un caloroso sorriso, non appena
Ariel e John entrarono nella locanda. – Tre birre, mamma! – urlò dunque verso
il bancone, mentre prendeva posto ad un tavolo insieme ai due amici.
–
Non dovresti darle una mano? – domandò Ariel, perplessa. – È più affollato del
solito, stasera.
–
Lo so, ma non c’è bisogno di me – rispose Leonard con un’alzata di spalle. La
locanda era gestita soltanto dai due genitori; il padre cucinava e la madre
prendeva le ordinazioni e serviva ai tavoli, insieme ad un’altra cameriera.
Leonard di solito le aiutava, ma non amava particolarmente svolgere quelle
mansioni, così non appena poteva ne faceva a meno. Ogni volta che Ariel e John
andavano alla locanda, gli fornivano una scusa perfetta.
–
Se lo dici tu…
–
Come mai tutta questa gente? – chiese John.
–
Uncino – rispose Leonard, sintetico. – Si è portato appresso tutta la sua
ciurma, viene spesso qui – spiegò, indicando con un cenno del capo un lungo
tavolo all’altra estremità della locanda.
Subito
Ariel e John si voltarono verso quel tavolo affollato da cui proveniva gran
parte del chiasso presente nella locanda. Nel medesimo istante arrivò la
cameriera con le loro ordinazioni.
–
Chi è Uncino, tra quelli? – chiese Ariel, curiosa. Voleva vedere di persona che
razza di uomo fosse, per aver consegnato quello sventurato ai Ragazzi Sperduti.
–
Quello con un Uncino al posto della mano – le rispose Leonard con aria di
sufficienza. – Altrimenti perché mai dovrebbe chiamarsi Capitan Uncino?
–
La grande fantasia dei pirati – borbottò John, prima di sorseggiare un po’ di
birra. Non era un amante della categoria, e cercava di stare loro alla larga.
Ariel
prese tra le mani il proprio boccale e se lo portò alle labbra. – Me lo
sapresti indicare? – insistette, dopo aver ingollato qualche sorso.
–
È quello seduto a capotavola – la accontentò Leonard.
Ariel
bevve un altro sorso di birra e fingendo noncuranza volse lo sguardo dove
l’amico le aveva indicato. Per la sorpresa strabuzzò gli occhi e, mentre
deglutiva, la birra le andò di traverso, facendole mancare il respiro. Iniziò a
tossire e quasi contemporaneamente Leonard e John presero a batterle delle
pacche sulla schiena, per aiutarla a riprendersi.
–
Che diavolo ti prende? – le domandò John, guardandola come se fosse impazzita
tutto ad un tratto.
Ariel
si asciugò gli occhi, umidi per via dell’incidente di poco prima, con il dorso
della mano.
–
Uncino! – esclamò. – È Killian! – aggiunse, prima di
voltarsi di nuovo verso la lunga tavolata di pirati per assicurarsi di non
avere le traveggole.
L’uomo
a capotavola però era proprio Killian, e non era
cambiato molto dall’ultima volta in cui lo aveva visto, a parte la presenza
dell’uncino che aveva sostituito la sua mano sinistra. Sedeva a capotavola con
aria cupa e con una bottiglia di rum ormai quasi vuota stretta nella mano sana.
La sua ciurma rideva e scherzava, mantenendo l’atmosfera allegra, ma lui
sembrava non farci caso.
Ariel
guardò meglio e notò che era solo, senza Milah al
proprio fianco. Probabilmente era rimasta sulla nave, dubitava che una donna
potesse divertirsi, in mezzo a tutti quegli uomini mezzi ubriachi.
Subito
una serie di interrogativi si fecero strada nella mente della sirena.
Perché
Killian era tornato a Neverland
dopo esservi fuggito da ragazzino? Cos’era successo alla sua mano? Se era lì da
un po’, perché non era venuto a cercarla? Ma soprattutto, perché aveva
consegnato quel ragazzino a Peter Pan, sapendo benissimo a cosa sarebbe andato
incontro? Ariel era convinta che Killian, il Killian che conosceva, non lo avrebbe mai fatto e lo
avrebbe piuttosto aiutato a fuggire.
–
E che ci fa qui? – domandò Leonard, facendo tornare Ariel alla realtà.
–
È quello che mi chiedo anche io – borbottò la sirena in un sussurro. – Quando
anni fa gli dissi che volevo tornare qui tentò di farmi cambiare idea –
aggiunse.
Sia
John che Leonard erano al corrente della sua disavventura nella Foresta
Incantata, dato che, insieme a Pocahontas e a re Tritone, erano le sole persone
con le quali Ariel si confidava. Le erano stati tutti molto d’aiuto
nell’imparare a riprendere in mano la propria vita e a convivere con il ricordo
di Eric senza lasciarsi sopraffare da esso.
–
Perché non vai a parlargli? – propose John, con un’alzata di spalle. – Almeno
lo scopri.
–
Se non mi ha fatto sapere di essere qui un motivo ci sarà – rispose Ariel. –
Dubito abbia voglia di parlarmi – ipotizzò, con una nota di tristezza nella
voce, anche se non ne capiva il motivo.
–
Magari avrà avuto altro da fare – disse Leonard, giocherellando con il manico
del boccale di birra.
–
Già, come consegnare ragazzini a Peter Pan? – sbottò John, che come Pocahontas era
molto suscettibile all’argomento.
–
Non mi spiego perché abbia fatto una cosa del genere, proprio lui! – concordò
Ariel, tormentandosi una ciocca di capelli. – Dovrebbe sapere meglio di tutti
cosa accade sull’isola che non c’è, diamine! Deve esserci una spiegazione per
quello che ha fatto, non può essere stato così senza cuore! – tentò di
difenderlo, stentando ancora a credere a ciò che aveva udito quella mattina da
Pocahontas. – Vado a parlargli – decretò infine, stufa di arrovellarsi tra quei
dubbi. A quel punto poco le importava che Killian non
fosse venuto a cercarla.
Trangugiò
in un solo sorso la birra rimasta nel proprio boccale, per darsi coraggio,
anche se forse in quel caso ci sarebbe voluto qualcosa di più forte.
–
Buona fortuna – le augurò Leonard, dopo che si fu alzata dalla panca.
Ariel
prese un respiro profondo e si avvicinò al tavolo di Killian.
Inevitabilmente ripensò a quella sera di tre anni prima, a Tortuga, in cui si
era ritrovata in una situazione simile. Scosse la testa, scacciando il ricordo
di quella sera.
A
pochi passi dalla meta, venne bloccata per un braccio da un ragazzo biondo e
muscoloso, che la fissò incuriosito, con un po’ troppo allegro. Forse aveva
alzato un po’ troppo il gomito come il resto della ciurma. Ariel lo guardò in
tralice, preparandosi a liberarsi di lui. Aveva un volto noto, tuttavia.
–
Ci conosciamo? – le chiese, con un’espressione esageratamente concentrata.
Probabilmente stava pensando a dove potesse averla già vista o semplicemente a
qualche frase per fare colpo.
–
Io non credo – cercò di liquidarlo Ariel, prima di strattonare il braccio
imprigionato per liberarsi dalla stretta del ragazzo, che si rivelò più ferrea
di quanto sembrasse.
–
Hai un’aria familiare, invece – insistette il ragazzo. Poco dopo nei suoi occhi
passò un lampo di consapevolezza. – Ma certo! Ti ho vista anni fa, a Tortuga! –
esclamò, lasciando andare il braccio di Ariel, che subito prese a
massaggiarselo e si tranquillizzò. Quel ragazzo era un membro della ciurma di Killian, ma non riusciva a ricordarne il nome.
–
Capitano! – urlò, per attirare la sua attenzione.
–
Sì, Hercules (5)? – sbottò Killian, senza nemmeno
alzare lo sguardo.
–
Guardate un po’ chi c’è! – lo esortò il ragazzo, convinto di fare un favore al
proprio capitano.
Con
evidente disappunto, Killian alzò lo sguardo e
incontrò quello di Ariel, che abbozzò un timido sorriso.
–
Ariel – constatò, atono. – Dovevo immaginare che prima o poi ti avrei incontrata.
Non pensavo sarebbe successo qui… in una taverna –
decretò, con voce roca e strascicata. Doveva aver bevuto parecchio.
Si
alzò in piedi e la raggiunse con andatura un po’ barcollante. Non appena le fu
di fronte, Ariel avvertì una forte puzza di rum, il che confermò i suoi
sospetti.
–
Killian – lo salutò, storcendo il naso.
–
Andiamo a fare una passeggiata? – propose il pirata.
Ariel
acconsentì, pur dubitando che quella sera i propri interrogativi avrebbero
trovato una risposta. Killian doveva essere
sconvolto, per aver bevuto così tanto. Non lo aveva mai visto ridotto a quel
modo. Dovette ammettere però che conosceva poco, di lui. Non poteva dire di
aver trascorso con lui abbastanza tempo per conoscere ogni aspetto della sua
personalità.
–
Aspettami fuori – gli disse, prima di andare da Leonard e John.
–
Allora? – le chiese quest’ultimo.
–
Allora per me la serata si conclude qui. Vado a fare una passeggiata con lui,
così magari gli faccio smaltire la sbornia e riesco a capire perché ha consegnato
quel ragazzino a Peter Pan – spiegò Ariel rassegnata. Non era certa di voler
stare a sentire ciò che Killian le avrebbe detto. Non
era sicura che le avrebbe fatto piacere. Frugò in tasca alla ricerca di un paio
di monete e le lasciò sul tavolo, per pagare la propria birra.
–
Fa’ attenzione – le suggerì John, che con lei era sempre premuroso come un
fratello maggiore.
–
Già, non ha una bella reputazione, qui – gli fece eco Leonard, altrettanto
apprensivo.
–
Tranquilli, non credo mi farà del male – cercò di rassicurarli Ariel, ma quelle
parole non convinsero nemmeno lei. Non era più certa di nulla su Killian, ormai. Quello che era venuta a sapere di lui aveva
instillato in lei molti dubbi. – Ci vediamo presto – si congedò dunque, prima
di uscire dalla taverna.
Trovò
Killian poco distante dall’ingresso, appoggiato al
muro con un lato del corpo, mentre ammiccava ad una ragazza in abiti piuttosto
succinti e dalla professione facilmente intuibile. Fece per posarle la mano
sana su un fianco, ma subito Ariel si avvicinò a lui e lo afferrò per un
braccio, trascinandolo via e ricevendo un’occhiataccia da parte della ragazza.
Lo portò fino alla spiaggia, dove finalmente si fermò e gli lasciò andare il
braccio.
–
Che diavolo ti prende? – gli chiese, con uno strillo acuto. – Cosa pensi che
direbbe Milah se sapesse…
–
Milah è morta! – la interruppe Killian,
stringendole un braccio con la mano sana. – Non nominarla più! – tuonò, irato,
prima di lasciarla andare e darle le spalle.
Ariel
spalancò la bocca per la sorpresa, portandovi una mano davanti, e subito
comprese.
Milah era morta. E Killian era distrutto.
Lo
capiva perfettamente, poteva sentire ancora il dolore del suo cuore lacerato
dalla perdita di Eric, ricordava benissimo e ancora provava quella sensazione
di vuoto interiore ed esteriore nel non trovare più la persona amata al proprio
fianco.
–
Mi… mi dispiace – fu solo in grado di dire. Ogni
parola sarebbe stata vuota e futile e avrebbe rischiato di far infuriare Killian ancora di più. Si avvicinò a lui finché non gli fu
di fronte. Lo guardò in viso e lo vide contratto in una smorfia di dolore che
ormai conosceva fin troppo bene.
Sospirò.
Si
sentiva impotente, sapeva che non c’era nulla che poteva fare per aiutarlo a
lenire quel dolore, così fece l’unica cosa che avrebbe potuto dargli un po’ di
conforto. Gli buttò le braccia al collo e lo strinse a sé, per fargli capire
che lei gli era vicina, che sapeva cosa stava provando, che per quanto le
sarebbe stato possibile lo avrebbe aiutato e gli sarebbe stata accanto.
Poco
dopo avvertì le braccia di Killian stringerle la vita
e lo sentì farsi più vicino, abbandonandosi a quell’abbraccio silenzioso e
carico di significati.
La
cabina di Killian era la stanza più grande della
Jolly Rogers, essendo l’alloggio del capitano.
Durante
la sua unica visita, Ariel non aveva avuto modo di scendere sottocoperta, per
cui non sapeva cosa aspettarsi. Rimase perciò piacevolmente sorpresa nel
trovarsi in un ambiente essenziale ma confortevole; l’arredo della cabina di Killian constava di un letto a baldacchino ad un’estremità
della stanza, vicino ad un oblò, e una semplice scrivania all’altra estremità,
sulla quale si trovavano diverse mappe e carte nautiche e un taccuino,
probabilmente il diario di bordo.
Ariel
si appoggiò alla scrivania, e Killian rimase in
piedi.
Era
stato lui a chiederle di accompagnarlo alla nave, dopo una lunga e silenziosa
passeggiata sulla spiaggia che gli era servita per riacquistare lucidità.
Non
vedeva Ariel da quasi otto anni e anche se per lei ne erano passati di meno
doveva ammettere di averla trovata cambiata. Di certo mai si sarebbe aspettato
di trovarla in una locanda, tanto per cominciare. Da quel poco che aveva avuto
modo di constatare, l’aveva vista muoversi con più sicurezza. Non era più la
ragazzina spaventata con cui aveva avuto a che fare nella Foresta Incantata, ed
era un bene.
Sapeva
che prima o poi l’avrebbe rivista, essendo a Neverland,
ma non si sarebbe mai aspettato che avvenisse a quel modo. Da quando era
tornato lì, il suo unico pensiero era stato quello di trovare un modo per
vendicarsi del Coccodrillo, per uccidere quell’essere immondo che aveva strappato
il cuore a Milah per sbriciolarlo senza pietà davanti
ai suoi occhi. Quel codardo aveva acquisito potere e ora si celava dietro esso,
ed era diventato praticamente indistruttibile.
Eppure,
una soluzione per annientarlo c’era, e Killian
l’aveva trovato in un modo che mai avrebbe immaginato. Quel ragazzino che aveva
ripescato dalle nere acque di Neverland si era
rivelato essere proprio il figlio del Coccodrillo, dell’Oscuro Signore, e gli
aveva rivelato il suo punto debole, il pugnale da cui tutto il suo potere
traeva origine.
Quel
ragazzino però era anche il figlio di Milah, Baelfire,
quel figlio che lei aveva abbandonato e a cui non aveva smesso di pensare un
solo giorno, arrivando al punto di chiedere a Killian
di tornare indietro per lui, per prenderlo con loro sulla Jolly Roger, non
appena fosse stato un po’ più grande, per vivere insieme come una famiglia.
Per
lui Killian era stato quasi sul punto di rinunciare
ai propri propositi di vendetta, a metterli da parte per cercare di essere una figura
paterna, ma Bae aveva preferito andarsene dalla Jolly
Roger, una volta scoperta la verità. Era stato come perdere Milah
una seconda volta, quando quel ragazzino che le somigliava così tanto aveva
rifiutato la sua proposta di restare sulla nave e solcare i mari insieme come
una famiglia, come lei avrebbe voluto.
Ariel
tossicchiò per attirare la sua attenzione, e Killian
si riscosse da quei pensieri.
–
Killian, hai sentito cosa ti ho detto? – gli domandò
la sirena, in tono dolce.
–
No, ero distratto – ammise il pirata. Era stato talmente preso dalle proprie
elucubrazioni da non aver udito nulla.
Ariel
sorrise, comprensiva.
–
Ti ho chiesto perché sei tornato qui, a Neverland –
disse, titubante. – Quando io volevo tornare qui hai insistito tanto per farmi
cambiare idea, perciò questo è l’ultimo posto in cui avrei pensato di rivederti.
–
Mi serviva tempo – le rivelò Killian, certo che Ariel
avrebbe capito. Aveva vissuto la stessa situazione in cui versava lui e
anch’ella era stata sul punto di vendicarsi contro colui che le aveva portato
via la persona amata.
–
Tempo per cosa?
–
Per vendicarmi dell’assassino di Milah – rispose il
pirata, con voce carica di rancore.
–
È… è stata uccisa? – domandò Ariel, sussultando. I
pezzi intricati di quel mosaico stavano iniziando a prendere forma, man mano
che parlava con Killian. – Chi mai ha potuto fare una
cosa del genere?
–
Suo marito, il Coccodrillo – ringhiò il pirata a denti stretti, stringendo a
pugno la mano sana e portandosela sotto il mento.
–
Lo stesso codardo da cui lei è scappata? – chiese Ariel, inclinando la testa di
lato e sperando di non essere troppo indiscreta.
–
Sì, lo stesso codardo che ora è diventato Signore Oscuro ed è praticamente
immortale. L’ha uccisa strappandole il cuore e sbriciolandolo davanti ai miei
occhi, poi mi ha tagliato la mano – rispose Killian,
mostrando il suo uncino con rabbia. – Io però ho trovato il suo punto debole.
Il pugnale che gli ha dato quel potere è l’unico strumento in grado di
controllarlo e di ucciderlo – proseguì, con un sorriso malvagio dipinto sulle
labbra.
Ariel
sussultò per la seconda volta nel giro di poco tempo.
Killian era davvero
cambiato, dall’ultima volta in cui l’aveva incontrato. L’aveva visto così pieno
d’amore per Milah e ora era così saturo d’odio per la
morte di quest’ultima da non volere altro che vendetta. Poteva capire la
situazione in cui versava, ma sapeva che così si stava solo incamminando verso
il sentiero senza ritorno dell’autodistruzione. Aveva sentito parlare dell’immenso
potere del Signore Oscuro, ed era certa che fosse un nemico molto pericoloso da
affrontare. Killian non ne sarebbe uscito vivo, se lo
avesse fatto.
–
Killian, io non credo che affrontare il Signore
Oscuro in persona sia una buona idea – tentò dunque di farlo ragionare. – È
temuto in tutti i mondi e il suo potere è inimmaginabile e…
–
È per questo che ho bisogno di quel pugnale – la interruppe Killian.
–
Sì, ma una volta che lo avrai cosa succederà?
–
Lo ucciderò. Affonderò il pugnale nelle sue carni e lo guarderò morire senza
pietà, come lui ha fatto con Milah. È ciò che merita
– rispose Killian, lo sguardo perso in un punto
indefinito dietro le spalle di Ariel e la mente impegnata a pregustare quel
momento, immaginando anche il più insignificante e minimo dettaglio.
–
A quel punto diventeresti tu il nuovo
Signore Oscuro, ci hai pensato? – proseguì Ariel, senza battere ciglio.
Killian si riscosse e
tornò a focalizzare il suo sguardo sulla ragazza.
No,
non aveva preso in considerazione quell’eventualità, ma non gli importava.
Tutto quello che voleva era la morte del Coccodrillo, quello che sarebbe
successo dopo per lui non aveva il minimo significato.
–
Non mi importa – decretò quindi. – Sì, probabilmente lo diventerei, ma il
Coccodrillo sarebbe morto e io avrei raggiunto il mio scopo – sentenziò.
–
Dopo vivresti con un vuoto incolmabile dentro – disse Ariel con un sospiro. –
Nemmeno il potere che acquisiresti sarebbe in grado di colmarlo. La vendetta è
una fine, Killian, non un inizio. (6)
–
E tu che ne sai? – sbottò l’uomo, avvicinandosi di un passo, con fare minaccioso.
– Cosa ne sai di cosa succede dopo? Non mi pare che tu sia andata fino in fondo
con Oscar, o sbaglio?
Ariel
incassò il colpo senza battere ciglio, anche se sentì gli occhi inumidirsi.
Deglutì per ricacciare indietro le lacrime e cercò di ignorare il dolore che le
parole di Killian le avevano causato.
–
Hai ragione, non sono andata fino in fondo – convenne, incrociando le braccia.
– Ed è stato un bene. Tu stesso mi hai detto che non avrei mai potuto convivere
con un fardello del genere, se avessi ucciso Oscar. Io volevo solo un po’ di
pace e quello era il modo sbagliato per trovarla. Nemmeno ora posso dire di
averla trovata, perché ci sono giorni in cui pensare a Eric fa ancora male come
il momento esatto in cui l’ho visto senza vita nella nostra stanza, ma ho
imparato a conviverci – proseguì, avanzando di qualche passo fino a che non fu
a meno di mezzo metro da Killian. – È difficile, è
una strada tutta in salita e a volte la meta ti sembra così irraggiungibile che
vorresti lasciarti andare e cadere in basso, nel baratro del tuo dolore, e
restare lì per sempre. La vendetta è la strada più facile (7) per fuggire a
tutto questo, ma è anche quella più sbagliata. Non sempre c’è rimedio –
concluse infine, nella speranza di aver smosso qualcosa in lui. Gli aveva
parlato a cuore aperto, pronunciando ad alta voce parole che fino a quel
momento erano rimaste soltanto nei propri pensieri.
Non
voleva che Killian si distruggesse così, non dopo
tutto quello che aveva fatto per lei. Doveva fare tutto ciò che era in suo
potere per fermarlo, glielo doveva.
–
Hai finito con la predica? – sbottò Killian, irritato.
– Ormai ho deciso: scuoierò il Coccodrillo. Devo solo trovare il modo di
tornare nella Foresta Incantata – rimarcò dunque, dando voce al dubbio che lo
attanagliava fin dal momento in cui Bae gli aveva
rivelato del pugnale. Quell’oggetto era nella Foresta Incantata, ma lui non
aveva idea di come tornarvi. In quel momento, però, con Ariel a pochi passi da
lui, ebbe un’illuminazione. – Tu puoi aiutarmi, vero? – le domandò dunque, senza
troppi preamboli.
Ariel
rimase spiazzata e per un attimo non seppe cosa dire. Avvertì una strana
sensazione al centro del petto, al pensiero che Killian
voleva già andarsene da Neverland, ma non avrebbe
saputo spiegare il perché.
–
Non… non lo so – rispose.
–
Hai altri fagioli? – chiese Killian, un po’
spazientito.
–
Purtroppo no – rispose Ariel con un sospiro. – Li abbiamo finiti tutti.
–
Come sarebbe a dire? – tuonò Killian, vedendo
allontanarsi la possibilità concreta di ottenere vendetta farsi ancora più
evanescente. – Mi avevi detto che tuo padre ne aveva un po’!
–
Già, ne aveva – confermò Ariel. – Da quando sono tornata qui, però, abbiamo
deciso di non voler più vivere nell’ombra e nella paura di Peter Pan. Ci siamo
riconquistati l’oceano, uscendo dai confini di Atlantica in cui siamo stati
relegati per anni. Abbiamo rinnovato vecchie alleanze e ne abbiamo strette di
nuove, e i fagioli sono stati utilizzati come dono nella maggior parte dei casi
– gli spiegò, con semplicità.
–
E la tua collana? – domandò allora Killian, indicando
con un cenno del capo il ciondolo che le pendeva sul petto. – Può riportare me,
la mia nave e la mia ciurma nella Foresta Incantata?
–
Singolarmente sì, posso creare dei portali per ognuno di voi e farvi tornare là
– rispose Ariel. – La nave però deve rimanere qui. Non posso creare dei portali
così grandi. Va oltre le mie capacità, così come far passare contemporaneamente
più persone attraverso un portale. O meglio, potrei farlo, ma poi finireste in
un limbo eterno e senza fine, destinati a vagare tra i mondi per l’eternità (8).
Viaggiare tra i vari mondi ha regole molto ferree, a meno che tu non abbia dei
fagioli – spiegò, stringendosi nelle spalle. Suo padre le aveva ripetuto quei
precetti fin da quando era bambina, per non farle correre pericoli.
Killian strinse la
mano sana a pugno. Era di nuovo punto e a capo.
Ariel
voleva chiedergli perché avesse consegnato quel ragazzino a Peter Pan, ma non
osò. Per quella sera aveva già chiesto troppo, temeva che spingendosi oltre
avrebbe fatto infuriare Killian, che già era
abbastanza teso.
–
Non me ne faccio nulla di portali di piccoli dimensioni – sbottò il pirata. –
Devo tornare nella Foresta Incantata con la mia nave e la mia ciurma. Devo
trovare un modo – borbottò tra sé e sé. – Mi aiuterai? – domandò infine,
alzando lo sguardo verso Ariel.
La
sirena lo osservò, titubante. Nei suoi occhi vi era una ferma determinazione
che mai gli aveva visto in viso, nemmeno nella notte in cui da ragazzino lo
aveva aiutato a fuggire da Neverland.
Non
sapeva cosa rispondergli, non sapeva se voleva aiutarlo a tornare nella Foresta
Incantata per vendicarsi del Signore Oscuro. Stava per aprire bocca e
dirglielo, quando un’idea le balenò in mente.
Avrebbe
potuto aiutarlo per prendere tempo. Trovare un modo per andarsene da Neverland come diceva lui avrebbe richiesto molto tempo, e
lei avrebbe potuto cercare di fargli cambiare idea, di farlo desistere da quei
propositi autodistruttivi di vendetta.
–
Sì, ti aiuterò – decretò dunque, con fermezza.
O almeno, ci
proverò, ma non nel modo in cui credi, pensò invece, con la speranza di
riuscire nei propri intenti.
Note:
(1)Come avrete
capito, si tratta di Bae. Per Ariel sono passati solo
tre anni da quando è tornata a Neverland dopo la sua
ultima visita a Killian, ma nella Foresta Incantata
ne sono passati quasi otto, perciò in questo lasso di tempo Tremotino è
diventato l’Oscuro, Bae è fuggito da lui, Milah è stata uccisa e Killian ha
perso la mano sinistra.
(2)Ho fuso gli
indiani dell’isola che non c’è con quelli di ‘Pocahontas’, quindi Powhatan è anche Toroinpiedi e
Pocahontas è anche Giglio Tigrato. Lo dico qui per fugare ogni dubbio. Ho
optato per questa scelta sia perché non volevo inserire troppi personaggi, sia
per adeguarmi all’abitudine del telefilm di unire più personaggi in uno (anche
se non arriverò mai ai livelli di Tremotino xD).
(3)Un po’ come è
successo con Wendy nella 2x21.
(4)Vi ho già
parlato della mia totale incapacità di inventare i nomi dei luoghi, vero? Anche
questa ho ripresto da altro, cioè dal film Avatar
e da quel pozzo infinito che è la mitologia classica.
(5)È l’Hercules
del cartone Disney, anche se con qualche lieve modifica.
(6)Frase, ripresa
dalla 2x20 “The Evil Queen”, che Uncino dice a
Regina. Ho immaginato che gliel’avesse detta Ariel.
(7)Anche qui ho
ripreso una frase dal telefilm, precisamente dalla 2x22 e da Biancaneve quando
si riferisce dell’uccisione di Cora.
(8)Quest’ultima
frase è ripresa da “Pirati dei Caraibi – Ai confini del mondo”, quando dopo
aver recuperato Jack e la Perla Nera dal mondo dei morti i nostri prodi devono
tornare nel nostro mondo. Per le regole dei viaggi tra i mondi, poi, mi sono
rifatta un po’ anche alla puntata di Ouat “Il
cappellaio matto”, dove Jefferson dice a Regina che il numero di persone che
entrano nel Cappello deve essere lo stesso di quelle che ne usciranno. Ho immaginato
dunque che i viaggi tra i vari mondi siano regolati da leggi di questo tipo, e
questo è il risultato; spero di non aver creato confusione!
Eccomi
qui con il nuovo capitolo, con cui spero di essermi fatta perdonare per i
dolori che vi ho fatto patire in quello passato.
Ariel
e Killian si sono incontrati di nuovo, ma lui è
decisamente cambiato rispetto all’uomo che la sirena conosceva. Cosa succederà,
ora?
Il
giorno dopo la conversazione con Killian, Ariel si
recò nuovamente all’isola degli indiani per mettere al corrente John di quel
poco che aveva scoperto. E in più, anche se non ne capiva il motivo e non
voleva ammetterlo a se stessa, aveva bisogno di parlare con qualcuno.
Non
appena si avvicinò al villaggio, Pocahontas la scorse e le venne incontro,
seguita dall’amato.
–
Ariel, va tutto bene? – domandò subito, allarmata. Non era mai successo,
infatti, che la sirena venisse al villaggio per due giorni di seguito, per cui
ne dedusse che doveva essere accaduto qualcosa.
Ariel
annuì, con un sorriso forzato dipinto sulle labbra.
In
realtà non andava affatto bene; quella notte non aveva chiuso occhio.
–
Ti vedo turbata – constatò John, corrugando la fronte. – Vieni, andiamo nella
nostra tenda – propose dunque, prima di farle strada verso la dimora che lui e
Pocahontas condividevano.
La
tenda della ragazza era una delle più grandi del villaggio, essendo ella la
figlia del capo degli indiani, ed era dunque spaziosa e confortevole.
L’ambiente interno era diviso in due da un telo, che celava agli occhi dei
visitatori il giaciglio di John e Pocahontas, separando così la zona notte
dalla zona giorno, che constava di un focolare grazie al quale poter cucinare e
riscaldarsi e di un paio di tronchi disposti uno di fronte all’altro per essere
usati come panche. Pocahontas fece cenno ad Ariel di sedersi su uno di essi,
dopodiché lei e John si posizionarono di fronte a lei.
–
Com’è andata ieri sera? – domandò John, intuendo subito il motivo del
turbamento della sirena.
Ariel
sospirò e si strinse nelle spalle. Non avrebbe saputo rispondere a quella
domanda, era ancora un po’ scossa. Per quel poco che aveva dormito, era stata
tormentata da incubi che da tempo credeva superati e che la conversazione con
il pirata aveva riportato a galla.
–
John mi ha detto che hai rivisto Killian – disse
Pocahontas.
–
Già – confermò Ariel. – Ed è il chiacchierato Uncino di cui mi parlavi ieri –
rivelò. – Non lo avrei mai creduto capace di consegnare un ragazzino a Peter Pan,
mai – disse in tono lugubre, ancora incredula.
–
Sei riuscita a scoprire perché lo ha fatto? – chiese John.
–
No, purtroppo – rispose Ariel, tormentandosi il labbro inferiore con i denti. Ripensare
alla conversazione avuta con Killian la sera prima la
confuse ancora di più. Aveva rimuginato tutta notte su ciò che lui le aveva
detto e sull’aiuto che le aveva chiesto, e tutto ciò che ne aveva ricavato,
oltre agli incubi, era stata una nottata insonne a rigirarsi nel letto.
–
Cerca di scoprirlo al più presto, però – si sentì in dovere di consigliarle
John.
–
Perché? – domandò Ariel, perplessa. Non voleva che le si mettesse fretta, temeva
che accelerando le cose Killian l’avrebbe allontanata
e si sarebbe chiuso ancora di più in se stesso e nei propri propositi di
vendetta.
–
Perché sarebbe meglio sapere se ci si può fidare di lui – rispose Pocahontas. –
Sta dalla nostra parte o da quella di Peter Pan? – incalzò dunque.
Ariel
non aveva preso in considerazione quell’eventualità. Rifiutava di credere che Killian fosse sceso a patti con il suo vecchio aguzzino pur
di restare a Neverland in tutta tranquillità, non
poteva credere che per la propria incolumità avesse potuto sacrificare un
innocente ragazzino. Tuttavia non poteva metterci la mano sul fuoco, e lo
constatò tristemente.
–
Non lo so – disse con un sospiro. – So perché è qui, però – aggiunse. – Aveva
bisogno di tempo. L’Oscuro Signore ha ucciso la sua amata e lui vuole
vendicarsi. Ha trovato un modo ma ora deve tornare nella Foresta Incantata –
spiegò brevemente. – E ha chiesto il mio aiuto – concluse infine, abbassando lo
sguardo.
–
Ha chiesto cosa?! – tuonò John, incredulo. C’era qualcosa che non quadrava, in
quella situazione. Non tutto gli tornava.
–
E tu hai accettato? – domandò Pocahontas, portandosi una mano alla bocca,
preoccupata. Sentiva che l’amica si stava cacciando in bel guaio, ed era suo
dovere farla ragionare.
Ariel
annuì, continuando a tenere gli occhi bassi.
–
Tu sei impazzita! – la rimproverò John. – Dovresti stargli alla larga, e non
dargli il tuo aiuto! Uncino non è l’uomo che conoscevi, non sai di cosa è
capace ora!
–
E invece lo so – ribatté Ariel, alzando di scatto la testa. – So bene che non è
più il Killian che conoscevo, che ormai è accecato
dalla vendetta da non vedere nient’altro che se stesso. Me ne sono resa conto
fin troppo bene – sbottò. – Per questo gli ho detto che lo avrei aiutato, ma
ciò non significa che lo farò. Vorrei anche tenerlo d’occhio, per capire, come
dici tu, se ci si può fidare di lui. E poi voglio aiutarlo, sì, ma a rinunciare
alla vendetta. Così si fa solo del male.
–
E come vorresti fare? – domandò Pocahontas, in tono dolce. Iniziava a capire,
ma non era certa che Ariel stesse facendo altrettanto.
–
Non ne ho idea – borbottò Ariel, prendendosi la testa tra le mani e confermando
i sospetti dell’amica.
Pocahontas
si voltò verso John e gli rivolse un’occhiata eloquente, che l’uomo comprese al
volo.
–
Devo andare – decretò quindi, alzandosi in piedi.
–
Ah, sì? – fece Ariel.
–
Sì, io, ehm… Devo andare a caccia! – disse John,
avanzando verso l’entrata della tenda. – Tu resta pure, Ariel. Ci vediamo la
prossima settimana alla radura, va bene? – aggiunse.
Ariel
ebbe appena il tempo di annuire prima che John scomparisse dalla sua vista.
–
Sei sicura che vada tutto bene? – chiese Pocahontas, con una nota di
preoccupazione nella voce.
–
Non proprio – rispose la sirena, sincera. – Stanotte non ho chiuso occhio –
rivelò, sentendosi più libera di parlare, ora che John era uscito dalla tenda.
Quando si trattava dell’incolumità delle persone che gli stavano a cuore,
infatti, diventava estremamente protettivo e poco ragionevole, un po’ come era
re Tritone prima che lei scappasse di casa. Pocahontas, da sola, l’avrebbe
capita meglio.
–
Come mai?
–
Vorrei saperlo anche io – borbottò Ariel, con un sospiro. – Sono confusa, non
so cosa pensare. Da una parte sono felice di aver incontrato di nuovo Killian, ma dall’altra non mi fa per niente piacere vedere
come è diventato o sapere che ha consegnato quel ragazzino a Peter Pan –
proseguì, esternando i propri sentimenti. – Non lo riconosco più, e ho paura di
quello che credo sia diventato.
–
Puoi scoprirlo solo passando del tempo con lui – suggerì Pocahontas. – Puoi
capire meglio le sue motivazioni e vedere se c’è ancora speranza per lui, se
puoi fidarti e se puoi allontanarlo dai suoi propositi di vendetta.
–
Io devo allontanarlo da quei
propositi – sbottò Ariel, determinata. – Non posso permettere che…
–
E perché? – la interruppe Pocahontas. – Perché ci tieni così tanto? – precisò,
sperando così di smuovere qualcosa nell’animo della sirena.
–
Perché mi è stato vicino in una situazione analoga e voglio ricambiare il
favore. Non può gettare via la sua vita così, ad avvelenarsi di odio e a non
volere altro che vendetta. Non è giusto – rispose Ariel, senza la minima
esitazione.
–
Allora aiutalo, ma sii cauta – le consigliò Pocahontas. – Non farti trascinare
in qualcosa che è più grande di te, non combattere una battaglia che non è la
tua.
–
Non posso abbandonarlo in un momento del genere – la contraddisse Ariel, quasi
rassegnata.
Pocahontas
allora comprese più a fondo ed ebbe la conferma di un sospetto che già da tempo
aleggiava nella sua mente, fin da quando la sirena le aveva parlato del pirata
per la prima volta, tanti anni prima.
Ariel
era innamorata di Killian, ma rifiutava di ammetterlo
a se stessa.
Quell’amore
era lampante da come le si illuminavano gli occhi ogni volta che lo nominava,
da come sorrideva quando parlava di lui ma anche da come si era incupita di
ritorno dal suo secondo viaggio nella Foresta Incantata, quando lo aveva
trovato insieme a Milah. Aveva detto di essere triste
perché vederli insieme le aveva fatto tornare alla mente il ricordo di Eric, e
forse era anche vero, ma la realtà era che per Ariel era stato un duro colpo
trovare Killian felice accanto ad un'altra persona. E
ora rivederlo e scoprirlo cambiato rispetto all’uomo che conosceva le aveva
causato un altro sconvolgimento emotivo non indifferente, che non voleva
ammettere a se stessa per proteggersi, per difendersi dal dolore che temeva che
un nuovo amore le avrebbe causato. Si stava imponendo di aiutarlo e di salvarlo
dall’oscurità in cui era precipitato non tanto per un debito che sentiva di
avere nei suoi confronti, ma perché lo amava, e stava celando quell’amore
dietro altri sentimenti, dietro una questione di riconoscenza.
Pocahontas
sorrise tristemente e si domandò se Ariel se ne sarebbe resa conto, prima o poi,
prima che fosse troppo tardi.
Due
giorni dopo Ariel si recò sulla Jolly Roger, dietro richiesta di Killian.
La
sera in cui l’aveva incontrato alla taverna, dopo la lunga conversazione che
avevano avuto nella sua cabina, aveva fatto apparire una conchiglia grazie alla
propria collana e gliel’aveva donata dicendogli che qualora avesse avuto
bisogno di lei gli sarebbe bastato sfregarla e questa avrebbe prodotto un suono
udibile a lei soltanto, così che lei sarebbe accorsa non appena possibile. (1)
Fu
sorpresa, una volta salita sulla nave, di trovarvi a bordo Leonard.
–
Che diavolo ci fai qui? – gli chiese, incredula.
Il
ragazzo si schiarì la voce, con un sorriso soddisfatto, prima di annunciare
orgoglioso: – Sono appena entrato a far parte della ciurma di Capitan Uncino!
Ariel
abbassò il capo e scosse la testa, coprendosi gli occhi con una mano.
–
Non ci posso credere! – esclamò poi. – Non eri tu l’altra sera a dirmi di stare
attenta perché non ha una bella fama? E ora ti trovo qui sulla sua nave? –
domandò, con un sopracciglio inarcato.
–
Sì, ero io – confermò Leonard. – Ero io prima di litigare con mia madre ed
essere cacciato di casa – aggiunse, abbassando lo sguardo. – Quindi eccomi qui
come mozzo – concluse, facendo cenno al secchio appoggiato vicino ai suoi piedi
e alla radazza (2) che teneva tra le mani.
–
Oh, no! – esclamò Ariel, prima di posare una mano sulla spalla dell’amico per
confortarlo. – Mi dispiace. Che cosa è successo? – volle informarsi.
–
Una delle nostre solite discussioni che però è degenerata – rispose l’amico. –
Si è lamentata che non l’aiuto abbastanza con la locanda e io preso dall’ira le
ho detto che non è il futuro che voglio, così lei si è infuriata ancora di più
e mi ha cacciato di casa, perciò ho voluto tentare la fortuna imbarcandomi su
questa nave – spiegò, non troppo dispiaciuto.
–
E sei pentito? – chiese la sirena, preoccupata. Non era sicura che la vita da
pirata facesse per il ragazzo.
–
No, per ora no. Mi piace la vita di mare, e quando il capitano tornerà nella
Foresta Incantata avrò occasione di vedere quel mondo – rispose Leonard,
entusiasta. Ariel rivide un po’ di se stessa, in lui, quando anni prima era
scappata di casa. Sperò con tutte le proprie forze che all’amico andasse
meglio, eppure si rabbuiò perché ciò avrebbe comportato la partenza di Killian da Neverland.
Di
nuovo, quel pensiero la intristì e non ne comprese il reale motivo.
Distrattamente portò i capelli tutti da un lato della nuca e li strizzò,
liberandoli dall’acqua accumulata mentre nuotava verso la nave.
–
Grazie tante, eh! – sbottò Leonard. – Avevo appena pulito, ora mi toccherà
farlo di nuovo!
–
Scusa! – esclamò Ariel, mortificata. – Se vuoi faccio io – si offrì dunque, e
fece per farsi dare la radazza.
–
Flounder, non startene lì con le mani in mano! – tuonò Hercules, minaccioso,
dalla coffa dell’albero maestro. – Continua a fare il tuo lavoro e non
rifilarlo agli ospiti del capitano! – rincarò la dose. – A proposito, Ariel,
Uncino ti aspetta nella sua cabina – disse infine, prima di tornare alle
proprie mansioni.
–
Vedo che ti trattano bene – constatò Ariel ironica, trattenendo a stento una
risata.
–
In confronto a come trattano Spugna, direi di sì – ribatté Flounder con
un’alzata di spalle. – Ora va’, non voglio beccarmi un’altra ramanzina per
colpa tua – la congedò dunque, prima di rimettersi all’opera.
Ariel
scese sottocoperta e si diresse alla cabina di Killian.
Trovando la porta chiusa, bussò.
–
Avanti! – la invitò la voce del pirata, così Ariel abbassò la maniglia ed entrò
nella stanza.
Trovò
Killian seduto alla scrivania intento a studiare con
attenzione delle mappe contenute in un libro. Non appena udì il rumore della
porta che si richiudeva, alzò lo sguardo verso Ariel e le rivolse un sorriso,
poi con uno scatto chiuse il libro e appoggiò i piedi sulla scrivania.
–
Ariel, finalmente! – esclamò. – Temevo che l’aggeggio che mi hai dato non
funzionasse – aggiunse, facendo un cenno col capo alla conchiglia che Ariel gli
aveva dato, posata sulla scrivania.
–
Funziona perfettamente – lo contraddisse Ariel. – Mi sono solo trattenuta un
po’ sul ponte con Leonard.
–
Ah, Flounder! – annuì il pirata. – Lo conosci?
–
Sì, siamo amici da tempo – rispose Ariel, con un sorriso. – Perché mi hai
cercata? – domandò poi, con una nota di incertezza nella voce. In quei due
giorni la situazione non era migliorata molto; i dubbi e le preoccupazioni
avevano continuato a tormentarla e a portarla a chiedersi se stava facendo la
cosa giusta.
–
Perché ti ho chiesto aiuto e tu hai accettato di darmelo – ribatté Killian con un’alzata di spalle, come se fosse la cosa più
ovvia del mondo.
Ariel
sentì le viscere attorcigliarsi e non riuscì a capire perché.
–
Hai già in mente qualcosa? – domandò, cauta, cercando di combattere quella
strana sensazione.
–
No – rispose Killian, rabbuiandosi. – Ed è per questo
che sei qui.
–
Non ho altro da aggiungere a quello che ti ho detto due giorni fa – ribatté
Ariel. – Non abbiamo più fagioli e la mia collana è inutile, per quello che hai
in mente tu – ripeté, per essere chiara. – Credo che tu mi abbia cercata
inutilmente.
–
Non ti vengono in mente altri modi per andarsene da qui?
–
Ora come ora no – rispose la sirena, tormentandosi una ciocca dei capelli
ancora umidi. – Non con una nave, almeno. L’unica nave che può viaggiare tra i
mondi senza aver bisogno dei fagioli è l’Olandese Volante (3) – aggiunse poi.
–
Già, l’Olandese – convenne Killian. – Ad essere
onesto, però, non mi va né di impossessarmi dell’Olandese, né di fare patti con
Calypso come Davy Jones. Sarei legato a lei e non
potrei compiere la mia vendetta – scartò dunque l’ipotesi, incrociando le
braccia.
Tutti
conoscevano l’Olandese Volante, in tutti i reami e in tutti i mondi. Si
trattava di una nave fantasma che vagava per gli oceani alla ricerca delle
anime la cui morte era avvenuta in mare o era legata ad esso, per poi
traghettarle nell’Ade (4), ovvero il mondo dei morti. Il capitano
dell’Olandese, Davy Jones, aveva stretto un patto con
la ninfa dei mari del pianeta terra, Calypso, che in cambio dell’immortalità
gli aveva affidato quel compito a cui non poteva contravvenire, pena la morte e
l’eterno oblio.
Al
pensiero dell’Olandese Volante, Killian si incupì e
non poté fare a meno di chiedersi se Davy Jones
avesse guidato verso l’Ade anche l’anima di Milah.
Ebbe
una stretta al cuore, nel ricordare il momento in cui il corpo dell’amata era
stato gettato in mare, ormai senza vita. Tutto per colpa del Coccodrillo, che
in un attimo aveva distrutto tutto ciò che di bello c’era nella sua vita.
Strinse
la mano a pugno, irato. Quell’essere immondo avrebbe avuto ciò che si meritava.
–
Forse non sarebbe un male – lo contraddisse Ariel. – Essere legato a Calypso ti
salverebbe da un destino ben peggiore – decretò, con la speranza di fargli pian
piano cambiare idea. Fare allusioni poteva essere un inizio, o almeno credeva.
–
Non riuscirai a farmi desistere con queste fandonie, Ariel – ribatté Killian, scuotendo la testa. – Sono ben determinato a
compiere la mia vendetta, e nessun’altro mi fermerà – aggiunse, ricordando per
un breve istante il momento in cui era stato sul punto di rinunciare a tutto
per Bae, per quella parte di Milah
che viveva ancora in lui.
–
Nessun’altro? – ripeté Ariel, confusa. – Vuoi dirmi che qualcuno ci ha già
provato?
Uncino
sospirò e annuì. – Non intenzionalmente – precisò, ricordando le dure parole
del ragazzino prima che questi venisse consegnato a Felix e ai Ragazzi
Sperduti.
–
E chi è stato così importante da smuovere qualcosa nel tuo animo accecato dalla
vendetta? – domandò Ariel, inarcando un sopracciglio e temendo per un attimo
che si trattasse di una donna. Quel timore le causò un vuoto all’altezza dello
stomaco, ma non vi badò e lo imputò al fatto che era la prima volta che saliva
sulla Jolly Roger mentre questa era in mare aperto, in navigazione. Forse
soffriva di mal di mare, ma preferì tenere per sé quel sospetto. Killian l’avrebbe derisa senza ombra di dubbio. Quando mai
qualcuno aveva sentito parlare di una sirena con il mal di mare?
Ariel
si avvicinò alla scrivania e si sedette sul bordo, sperando di alleviare un po’
quel fastidio, dopodiché guardò Killian, in attesa di
una risposta che tardava ad arrivare.
–
Baelfire, è stato Baelfire – disse, cupo, dopo qualche istante.
–
Sarebbe a dire? – chiese Ariel, a cui quel nome non ricordava niente.
–
Il figlio di Milah… e del Coccodrillo – spiegò
Uncino, con una smorfia di rabbia nel pronunciare il soprannome che aveva
affibbiato al proprio acerrimo nemico. – L’ho trovato qui poco dopo il mio
arrivo e l’ho accolto sulla mia nave.
–
Vuoi dirmi che il ragazzino che Peter Pan e i Ragazzi Sperduti hanno cercato
per settimane era qui, sulla tua nave? – giunse a quella conclusione Ariel,
lieta che il discorso fosse stato introdotto da Killian
e non da lei, ma turbata dal fatto che il pirata avesse consegnato a Peter Pan
il figlio di Milah, l’unica persona che ancora lo
legava a lei. Era diventato peggio di quanto credesse. Se al posto di Uncino e
Baelfire ci fossero stati lei e un ipotetico figlio di Eric, Ariel avrebbe
fatto di tutto per proteggerlo e tenerlo con sé.
–
Sì, è stato lui a dirmi del pugnale – rispose il pirata.
–
Quindi l’hai soltanto usato per i tuoi loschi scopi? – tuonò Ariel disgustata,
cominciando a capire. Uncino doveva aver accolto Baelfire sulla Jolly Roger una
volta scoperta la sua identità per usarlo contro suo padre, per poi consegnarlo
ai Ragazzi Sperduti una volta saputo del pugnale e raggiunto il suo scopo. All’improvviso
ebbe voglia di scendere dalla nave, di tornare tra le profondità degli abissi
di Neverland e restare lì, senza più emergere. Un sospetto
si fece strada nei suoi pensieri: che Killian volesse
usare anche lei, esattamente come aveva fatto con quel ragazzino?
–
No, non l’ho usato! – negò Killian, con la voce
carica di rabbia mista a dolore. – All’inizio l’idea era quella, non lo nego,
ma poi… Mi ci sono affezionato. Somigliava così tanto
a Milah, aveva la sua stessa voglia di vivere e il
suo stesso sorriso… Lei voleva tornare a prenderlo,
non appena fosse stato un po’ più grande. Dopo averlo salvato e dopo aver
scoperto la sua identità ho iniziato a pensare che fosse stato un segno del
destino, che il Fato l’avesse messo sulla mia rotta per rendere possibile la
volontà di Milah – rivelò dunque Killian,
in tono malinconico. – Bae però non era dello stesso
avviso. Dopo aver scoperto che ero il pirata che a detta di suo padre aveva
ucciso sua madre non ha voluto sentire ragioni. Ha voluto andarsene dalla mia
nave – concluse infine.
–
E così tu l’hai consegnato a Peter Pan – comprese Ariel, con amarezza. Killian era davvero cambiato, fin troppo. – Come hai
potuto? Sai meglio di me cosa succede su quell’isola e l’hai consegnato ai
Ragazzi Sperduti! Perché?
–
Non capisci? Perché era un ostacolo tra me e la mia vendetta! – sbottò Uncino,
irato. A furia di ripeterselo stava iniziando a convincersene. Baelfire era diventato
per lui una debolezza, e se n’era reso conto nel momento in cui gli aveva
promesso che avrebbe rinunciato alla propria vendetta, che per lui avrebbe
potuto cambiare, che avrebbe potuto fargli da padre. Pur di non abbandonarlo
era stato pronto a rimettere in gioco la propria vita, a ricominciare da zero. Bae però l’aveva respinto e gli aveva ricordato che il
sentiero della vendetta era un cammino solitario e senza ritorno. Ormai l’aveva
intrapreso da tempo e non poteva più tornare indietro.
–
Sei diventato proprio senza cuore – rincarò la dose Ariel, disgustata. – Cosa
direbbe Milah se sapesse che hai lasciato suo figlio tra le grinfie di Peter Pan?
Ci hai pensato?
Killian pestò un
pugno sulla scrivania e la sirena sobbalzò, spaventata.
Milah non ne sarebbe
stata felice, Uncino lo sapeva. Erano ben altri i suoi progetti per Baelfire,
ma quello era prima che il Coccodrillo la uccidesse senza pietà. Ora i piani
erano cambiati, Killian non voleva altro che
vendetta, eppure il pensiero di aver lasciato Bae in
mano ai Ragazzi Sperduti e Peter Pan continuava a tormentarlo. Il ragazzino era
per lui un ostacolo, certo, ma avrebbe potuto sbarazzarsene in un altro modo.
Aprì
un cassetto della scrivania e ne estrasse una bottiglia di rum. Prese il tappo
tra i denti, lo strappò via e lo sputò lontano, mancando Ariel per un soffio.
Avvicinò la bottiglia alle labbra e bevve un lungo sorso di rum, che subito gli
bruciò la gola e gli riscaldò le membra. Aveva bisogno di quella sensazione
ottenebrante. In quegli ultimi tempi era l’unico modo che aveva per convivere
con se stesso.
–
Non ne sarebbe felice, no – ammise, prima di trangugiare altro rum.
Ariel
non sapeva cosa dire, né tantomeno cosa fare. La sua intenzione di aiutarlo
stava iniziando a vacillare, ma non poteva arrendersi. Sarebbe stata più dura
di quanto pensasse, ma l’avrebbe distolto da quei propositi di vendetta.
Un’idea le balenò in mente, improvvisa.
–
E se lo liberassimo? – propose dunque, sperando che quella missione potesse
aiutare Killian a ragionare con maggior lucidità e a
fare pace almeno un po’ con i propri demoni interiori. Inoltre, per un po’, l’avrebbe
distolto dal pensiero di andarsene da Neverland.
Uncino
alzò lo sguardo, perplesso. – Ti ha dato di volta il cervello? – domandò,
inarcando un sopracciglio. – Tu non hai idea di cosa significhi andare
sull’isola che non c’è!
–
Con l’astuzia ci siamo intrufolati nel castello di Oscar, potremmo fare lo
stesso sull’isola! – ribatté Ariel, mentre l’idea cominciava a prendere forma
nella sua mente. Non sarebbe stata un’impresa facile, ma non era di certo
impossibile. Del resto Killian era fuggito da lì,
tanti anni prima.
–
Certo, perché no? Del resto è andata benissimo, quella volta. Tu sei stata
catturata e io sono scappato – la contraddisse Killian,
ironico, prima di avvicinare di nuovo la bottiglia alle labbra.
–
Sono stata catturata perché ho esitato – precisò Ariel, incrociando le braccia.
– Questo volta avremmo un obiettivo sicuro e non ci sarebbero incertezze da
parte mia, te lo assicuro – tentò allora di convincerlo.
Killian bevve un
altro sorso di rum e si grattò il mento con l’uncino, pensieroso.
Ariel
non aveva avuto una brutta idea, doveva ammetterlo.
Per
quanto continuasse a ripetersi di aver fatto bene a consegnare Bae ai Ragazzi Sperduti, non riusciva a darsi pace per
averlo fatto. Il ricordo della propria prigionia ancora lo tormentava, e da
quando aveva condannato Bae allo stesso destino era
peggiorato. Si chiedeva costantemente se il ragazzo stesse bene, se avesse
capito come andavano le cose, se avesse tentato di fuggire, se fosse ancora
vivo. Se l’avesse aiutato, se l’avesse liberato, forse avrebbe potuto non
pensarci più e concentrarsi soltanto sulla propria vendetta e su come trovare
un modo per tornare nella Foresta Incantata.
–
Potremmo pensarci – disse dunque il capitano. – Potremmo escogitare un piano,
ma dovremo farlo con la massima cura.
–
Certamente – convenne Ariel, felice che la propria idea fosse stata accolta
nonostante le rimostranze iniziali. – Non possiamo permetterci il minimo errore,
questa volta.
–
Già – disse Killian, posando la bottiglia di rum
sulla scrivania. – Bae non merita di restare tra le
grinfie di Peter Pan – si lasciò sfuggire, con un sospiro. – Sono stato uno
sciocco a consegnarglielo – si rimproverò, passandosi la mano sulla fronte.
–
Liberandolo puoi rimediare – tentò di consolarlo Ariel. Le si stringeva il
cuore, ogni volta che lo vedeva così afflitto e tormentato. – E potrai
riaccoglierlo sulla tua nave.
–
No, mi ha fatto capire chiaro e tondo di non volerci più stare, qui – ribatté il
pirata, per niente entusiasta dell’idea. Riavere Bae
a bordo avrebbe significato rinunciare per sempre a scuoiare il Coccodrillo, e
non poteva permetterlo. Non gli sarebbe dispiaciuto realizzare il sogno di Milah, ma non poteva avere sia Baelfire che il Coccodrillo.
–
Può darsi che la prigionia gli abbia fatto cambiare idea – suggerì Ariel, con
una nota di speranza nella voce. Forse quel ragazzino avrebbe fatto ragionare
Uncino e lo avrebbe fatto tornare il pirata di un tempo, il pirata che l’aveva
aiutata anni prima senza la minima esitazione e che aveva fatto di tutto per
mantenere il suo animo puro e immacolato.
–
Ne dubito – la contraddisse Killian, guardandola
negli occhi. – Lo liberemo e tu con la tua collana lo farai andare dove vuole,
in un altro mondo. Prima di venire qui a Neverland
era sulla Terra, il mondo senza magia. Viveva con una famiglia, i Darling. Ha
detto che sono l’unica famiglia che abbia mai avuto, ed era da loro che voleva
tornare prima che lo consegnassi a Peter Pan. Io però ero così ferito e così
irato che non ho pensato di rivolgermi a te per esaudire il suo desiderio, non
ci ho proprio pensato. Ho preferito barattarlo ai Ragazzi Sperduti in cambio di
un po’ di tranquillità. Ora però posso permettergli di tornare dai Darling,
grazie a te, e lo farò – decretò deciso. Avrebbe dato a Baelfire ciò che voleva
e gli avrebbe permesso di vivere una vita senza magia, lontano da quel mondo
che per lui era stato soltanto causa di dolore.
–
Va bene – assentì Ariel, portandosi inconsciamente una mano al collo, dove il
suo ciondolo faceva mostra di sé. – Lo farò tornare sulla Terra, se è questo
che vuole.
–
Grazie – disse Killian, con un debole sorriso.
Ariel
ebbe un tuffo al cuore. Forse il suo obiettivo di distogliere il capitano dalla
vendetta iniziava a farsi più vicino.
Una
furiosa tempesta stava mettendo a repentaglio l’incolumità della Jolly Roger e del
suo equipaggio, quella notte. Pioveva a dirotto e il cielo era scuro e carico
di nubi, illuminato soltanto dai lampi dei tuoni che con il loro rombare
facevano sobbalzare gli abitanti di tutta Neverland.
Ariel
nuotava con foga, in superficie. Cercava di raggiungere la nave con tutte le
proprie forze, ma le violente onde continuavano a respingerla indietro ad ogni
bracciata, rendendo vani i propri sforzi.
Era
in pena per Killian e Leonard, in balìa della
tempesta sulla Jolly Roger, che oscillava avanti e indietro, anch’essa sballottata
di qua e di là dalla furia delle onde, come lei.
Dopo
un tempo che le parve interminabile riuscì a raggiungere la nave e vi si issò
sopra con l’aiuto di una cima che pendeva provvidenziale dal parapetto.
–
Che diavolo ci fai qui? – le domandò Leonard non appena la vide, urlando per
farsi sentire al di sopra di tutto il frastuono. – Scappa, questa nave nonè posto per te! – le suggerì poi, senza
attendere una risposta.
Ariel
non vi badò e, lieta che l’amico stesse bene, si guardò intorno alla ricerca di
Killian. Era buio e la pioggia batteva con insistenza
sul suo viso, così che le gocce d’acqua le impregnavano le ciglia e le annebbiavano
la vista. Un lampo rischiarò il cielo, seguito poco dopo da un tuono, e la
sirena poté individuare il capitano, ritto al timone, che stringeva con forza
tra la mano e l’uncino, nel tentativo di governare la nave.
–
Killian! – urlò Ariel, correndogli incontro.
–
Vattene da qui! – la accolse in malo modo il capitano, continuando a stringere
il timone, il viso contratto in una smorfia di fatica.
–
Sono qui per aiutarti! – ribatté la sirena, incurante.
Killian la ignorò e
poco dopo ordinò a Spugna di sostituirlo al timone, dato che era il membro dell’equipaggio
più vicino a lui. Minaccioso si diresse verso Ariel e la afferrò per un braccio
senza troppa delicatezza, per poi portarla sottocoperta. Lì il fragore della
tempesta giungeva come un rumore ovattato, lontano. Quella sorta di quiete era
rotta soltanto dalle onde che si infrangevano contro la carena della nave e
dalla pioggia che batteva sul ponte, che per loro costituiva il soffitto.
–
Perché ci tieni così tanto, eh? – ringhiò Killian,
strattonandola. – Perché hai fatto dell’aiutarmi una missione così importante?
Ariel
sussultò, spaventata. Cosa diavolo gli prendeva?
–
Rispondi! – le intimò il pirata, con gli occhi che emanavano lampi d’ira e le
labbra corrucciate.
Il
cuore iniziò a battere forte nel petto della sirena, mentre la paura le
attanagliava le viscere. Non aveva mai visto Killian
in quello stato, e non sapeva cosa fare.
La
Jolly Roger oscillò improvvisamente verso tribordo e Uncino perse l’equilibrio,
cadendo a terra e trascinando Ariel con sé. I due si ritrovarono così distesi l’una
sopra l’altro, e inevitabilmente Ariel ripensò a tanti anni prima, quando Killian l’aveva trovata in riva al fiume a Sunnydale, dopo che era fuggita dal castello di Oscar.
Dovette
farlo anche il pirata, perché la rabbia che aveva contratto il suo viso fino a
poco prima svanì e sulle sua labbra prese forma un sorriso.
–
Atterrato – sussurrò con dolcezza, lasciando la presa sul braccio di Ariel per
stringerle i fianchi con l’intenzione di non farla più muovere da lì.
Ariel
arrossì, rendendosi conto solo in quel momento della situazione in cui si
trovava. Il cuore iniziò a batterle ancora più forte, questa volta non per la
paura, e aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne uscì alcun suono.
La
Jolly Roger oscillò di nuovo e Killian ne approfittò
per ribaltare le posizioni.
–
Atterrata – disse di nuovo, con una risatina, prima di avvicinare il viso a
quello di Ariel, che, guidata dall’istinto, gli allacciò le braccia al collo.
A
quel gesto, Killian annullò completamente la distanza
tra lui e Ariel e la baciò, premendo le proprie labbra sulle sue, con foga. La sirena
chiuse gli occhi e si abbandonò a quel bacio, che sorprendentemente aveva
desiderato a lungo, ma fino a quel momento non aveva mai voluto ammetterlo a se
stessa.
Si
udì un tonfo e Ariel riaprì gli occhi, trovandosi per un attimo spaesata.
Sbatté
le palpebre più volte e focalizzò la propria camera. Si guardò attorno meglio e
notò di essere a terra, accanto al proprio letto. Il tonfo che aveva udito poco
prima doveva averlo causato lei nella caduta.
E la caduta mi
ha svegliato,
pensò, di nuovo lucida.
Era
solo un sogno.
Con
un sospirò si issò di nuovo sul letto e si sdraiò, con la speranza di poter
riordinare le idee.
Aveva
sognato un bacio da parte di Killian, e chissà che
altro sarebbe successo se non si fosse svegliata. A quel pensiero arrossì immediatamente
e chiuse gli occhi per poi fare un respiro profondo. Espirò e riaprì gli occhi,
mettendosi a sedere.
Quel
sogno aveva un solo significato, ed era piuttosto chiaro, così chiaro da fare
luce anche su tutto ciò che provava da quando il pirata era tornato a Neverland e anche quando pensava a lui ogni volta.
Ariel
era innamorata di Killian, e se ne rendeva conto solo
in quel momento. (5)
Iniziò
a chiedersi da quanto tempo quei sentimenti albergassero in lei, ma non riuscì
a trovare una risposta.
Si
coprì il volto con le mani ed iniziò a piangere, scossa dai singhiozzi.
Una
sola parola echeggiava nella sua mente, tormentandola.
Perché?
Note
(1)Diciamo che lo
spunto per il funzionamento della conchiglia l’ho avuto unendo la lampada del
genio di Aladino e i fischietti ad ultrasuoni che si usano per addestrare i
delfini.
(2)Santa Wikipedia dice che la radazza era una sorta di antenato
dell’attuale mocio e che veniva usata dai marinai
proprio per pulire i ponti delle navi.
(3)Altro riferimento
a Pirati dei Caraibi, da cui ho rielaborato un po’ la vicenda di Davy Jones e Calypso/TiaDalma.
(4)L’Ade è
proprio l’Ade della mitologia pagana, alla quale ho voluto ricollegarmi anche
per via dell’inserimento di Hercules.
(5)Per l’episodio
del sogno rivelatore, mi sono ispirata di nuovo a Buffy. Mi stavo arrovellando su
come far sì che Ariel si rendesse conto dei sentimenti che prova per Killian, ormai palesi a chiunque, quando all’improvviso mi
è tornata in mente la scena in cui Spike si rende conto di essere innamorato di
Buffy, ovvero quando sogna di baciarla e poi si sveglia
sconvolto, alla fine della 5x04.
Ed
eccomi qui con il nono capitolo, finalmente. Scusate il leggero ritardo, ma è
stato un po’ un parto, più che altro perché non sapevo come introdurre la
proposta di Ariel di liberare Bae né tanto meno come
descrivere il momento della rivelazione senza apparire scontata, anche se mi sa
che lo sono apparsa comunque. xD
Finalmente,
come avrete visto, Ariel ammette a se stessa i sentimenti che prova per Killian. E lui? Che succederà ora? Come si comporterà la
sirena, forte di questa consapevolezza?
Sì,
lo so, vi tengo sulle spine! xD
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto^^
Ringrazio
come sempre chi legge, chi recensisce e chi mi ha inserita nelle
preferite/seguite/ricordate.
Ci
vollero settimane per mettere a punto un piano efficace per trarre Baelfire in
salvo.
Durante
questo lasso di tempo Ariel e Killian trascorsero
molto tempo insieme, lavorando gomito a gomito nella cabina di lui, chini sulla
scrivania a studiare la mappa dell’isola che non c’è che il capitano aveva
tracciato sulla base dei propri ricordi e di alcune perlustrazioni a largo di
essa.
Anche
John e Flounder vennero coinvolti nell’elaborazione di quel piano, seppure il
primo avesse avuto delle rimostranze a riguardo, all’inizio. Quando Ariel si
era rivolta lui e gli aveva chiesto di intensificare i loro allenamenti
portandoli a tre volte la settimana, il ragazzo si era insospettito e aveva
capito subito che c’era sotto qualcosa, così aveva fatto il terzo grado alla
sirena, che si era trovata costretta a rivelargli l’intenzione di liberare
Baelfire. Immediatamente John si era infuriato e l’aveva rimproverata,
dicendole che non capiva come mai tenesse così tanto a quel pirata e non gli
stesse alla larga, onde evitare di cacciarsi in affari che non le competevano e
che le avrebbero causato solo guai.
Ariel
si era infuriata a sua volta, tenendo per sé il vero motivo per cui teneva
tanto a Killian poiché non era ancora pronta a
parlarne con qualcuno, e lei e John avevano finito per litigare. Qualche giorno
dopo però quest’ultimo le aveva chiesto scusa e aveva accettato di aiutarla,
ponendo come condizione il fatto di farsi includere anch’egli in quella
pericolosa missione. Essendo stato prigioniero di Peter Pan conosceva l’isola e
Felix, per cui poteva tornare utile.
Vedendo
John reso complice, anche Flounder aveva insistito per farsi coinvolgere nell’elaborazione
del piano, adducendo come motivazioni le stesse dell’amico.
Infine
anche Hercules e Spugna erano stati convocati da Killian,
il primo perché era il membro dell’equipaggio fisicamente più forte, perciò il
suo aiuto risultava fondamentale, e il secondo perché, nonostante fosse a bordo
della Jolly Roger da poco, era l’unico con cui il capitano si confidava e dal
quale accettava consigli. (1)
L’unica
assente era Pocahontas, alla quale la sola idea di tornare sull’isola che non
c’è metteva i brividi, e perciò aveva preferito restarne fuori. Riteneva nobili
i propositi di Ariel e la volontà di John di aiutarla, ma non se la sentiva di
fare altrettanto perché la sua paura l’avrebbe solo resa d’intralcio, e non
voleva compromettere l’intera riuscita della missione.
In
quelle settimane Ariel imparò a gestire i propri sentimenti nei confronti di Killian e a celarli, o almeno ci provò.
Era
grata del fatto che più persone fossero state coinvolte nel salvataggio di Bae, perché così i momenti da trascorrere da sola con il
capitano erano ben pochi e dunque le possibilità di tradirsi con qualche frase
equivoca notevolmente ridotte.
Le
rare volte in cui lei e Killian restavano da soli,
infatti, le immagini del sogno rivelatore che l’aveva messa di fronte alla realtà
si affacciavano vivide nella sua mente e la facevano arrossire e balbettare,
così che doveva trovare al più presto una scusa e fuggire.
Quando
invece insieme a lei c’erano anche John, Leonard, Hercules e Spugna riusciva a
pensare più lucidamente, concentrandosi solo sul trovare un modo per approdare
sull’isola che non c’è e salvare Baelfire.
Aveva
paura dei sentimenti che provava per Killian, così
come temeva che lui li venisse a scoprire in qualche modo. L’avrebbe di sicuro
rifiutata, se così fosse stato, e l’avrebbe allontanata da lui, e quella era
un’eventualità a cui Ariel non voleva nemmeno pensare, perché inevitabilmente
le ricordava che l’intenzione del pirata era quella di andarsene da Neverland, lontano da lei. Il solo pensiero le causava un
vuoto all’altezza dello stomaco e le mozzava il respiro in gola. Non era pronta
a perderlo di nuovo, per l’ennesima volta da quando lo conosceva, specie ora
che si era resa conto di ciò che provava per lui.
Doveva
fargli cambiare idea, doveva distoglierlo da ogni proposito di vendetta prima
che tornasse nella Foresta Incantata, prima che si mettesse sulle tracce del
Signore Oscuro, prima che firmasse con le proprie mani la sua condanna a morte.
Trascorrendo
del tempo con lui aveva imparato a conoscerlo meglio, anche se ancora non aveva
trovato la giusta chiave per farlo ragionare e farlo desistere. Ancora non
aveva idea di come aiutarlo, e non era certa che lui glielo avrebbe permesso,
se avesse saputo.
Doveva
essere molto cauta.
–
Forse ho la soluzione! – esclamò John, un giorno, mentre insieme agli altri
compagni stava studiando la mappa dell’isola, nella cabina di Uncino. – Stiamo
sbagliando approccio, cercando di introdurci di soppiatto sull’isola che non
c’è. Verremmo scoperti subito e catturati, come continuo a dire dall’inizio.
–
E come continuo a dire io, se così fosse i Ragazzi Sperduti ci porterebbero dai
Bimbi Sperduti (2), tra questi troveremmo Bae e poi
fuggiremmo – ribatté Hercules, con tono annoiato. – Non ci metterei molto a
forzare qualsiasi prigione in cui ci mettessero – aggiunse, con un’alzata di
spalle.
Hercules
proveniva infatti da un tempo molto lontano, quando ancora sulla Terra
prosperava la civiltà greca con il suo sapere e la sua arte, e gli uomini si
affidavano a quelle che nei secoli a venire sarebbero state definite divinità
pagane. Hercules era il figlio del capo di questi dei, Zeus, che pur essendo
sposato con Era, si era concesso parecchie libertà con diverse donne mortali, e
tra queste vi era stata anche Alcmena, sua madre.
Hercules era dunque un semidio, e in quanto tale era dotato di una forza
sovrumana che presto lo aveva reso celebre in tutta la Grecia, ma inviso ad
Era, la quale non poteva sopportare che il frutto del tradimento di Zeus fosse
così amato dal popolo, perciò aveva fatto del distruggerlo il suo scopo
principale e lo aveva messo alla prova ben dodici volte, con dodici imprese
estenuanti e a volte rischiose. Hercules le aveva intraprese tutte senza
remore, ma Era non era soddisfatta e aveva ancora in mente la peggiore di
tutte: ucciderlo. Zeus, non appena lo aveva scoperto, si era recato dal figlio
e gli aveva offerto una via di fuga: se solo avesse voluto, lo avrebbe mandato
in un altro mondo, dove sarebbe stato al sicuro dalle ire della matrigna e dove
avrebbe potuto dimostrare il proprio valore. Hercules aveva accettato e si era
ritrovato nella Foresta Incantata, dove poi si era imbarcato sulla nave di Killian, rimasto colpito dalla forza sovraumana che aveva
dimostrato aiutandolo in una rissa da taverna. (3)
–
Sì, ma come Killian, John e Leonard hanno ribadito
più volte la prigione è magica – lo contraddisse Ariel, roteando gli occhi. –
La tua forza bruta non servirebbe a nulla, temo.
–
Sono un semidio – volle precisare Hercules. – Riuscirei a liberarci da
qualsiasi prigione.
–
Ho già detto che è troppo pericoloso farsi catturare, quindi smettiamola di
riconsiderare questa eventualità – mise fine al battibecco Uncino. – Siamo ad
un punto morto. A furia di fissare questa maledetta cartina ci stiamo facendo
sanguinare gli occhi – sbottò, passandosi la mano sul viso, esausto.
–
Stiamo sbagliando approccio, è quello che stavo dicendo – sbuffò John,
risentito. – Se solo mi ascoltaste…
–
Ci servirebbe la magia! – s’intromise Spugna, illuminandosi. Ricevette
un’occhiataccia da John all’istante, ma non vi badò. – Con essa potremmo
affrontare i Ragazzi Sperduti senza paura e liberare Baelfire.
–
E dove la trovi la magia, sentiamo? – lo sbeffeggiò Leonard, inarcando un
sopracciglio. – Hai della polvere di fata a portata di mano, per caso?
–
No, io… no – rispose Spugna, abbassando lo sguardo.
–
Tu no, Spugna, ma io so chi ne ha! – esclamò Killian,
colto da un improvviso lampo di ispirazione. – Trilli, il braccio destro di
Peter Pan! Lei è una fata! (4)
–
Che diavolo c’entra Trilli, ora? – domandò Ariel, perplessa. – Che diavolo vuoi
fare, rapirla e rubarle la polvere di fata per imparare a volare e andare così
sull’isola? Mi sembra un’idea un po’ infantile.
–
No, certo che no! – ribatté Killian, risentito. –
Però potrebbe tornarci utile, in qualche modo.
–
Già – fu d’accordo John. – Ascoltatemi, questa volta – intimò dunque, prima di
prendere un respiro profondo. – Prima che Hercules e Spugna mi interrompessero,
stavo per dire che sbagliamo a pensare che dobbiamo essere noi ad andare da
Peter Pan. Stavo per dire che possiamo fare in modo che sia lui a cercare noi,
e proporgli un accordo, uno scambio. Non sapevo come fare, finché non avete
nominato Trilli. Tutti sappiamo che è il suo braccio destro e che è lei che qui
a Neverland prende i bambini – si interruppe per
riprendere fiato e vide che tutti pendevano dalle sue labbra. – Non ci resta
che aspettare che vada in cerca del prossimo bambino e rapirla, per poi
proporre a Peter Pan uno scambio: riavrà la sua fatina in cambio di Baelfire –
dichiarò dunque. – Che ve ne pare?
–
Devo ammettere che hai avuto un’ottima idea, Smith – approvò Killian, con un sorriso soddisfatto. Finalmente avevano un
piano, un punto da cui partire. Bae sarebbe stato
libero e lui avrebbe potuto trovare un modo per ottenere la propria vendetta. –
Mettiamoci al lavoro.
Trilli
agiva sempre di notte, come l’ombra di Peter Pan. Laddove questa cercava bambini
da rapire negli altri mondi, la fata si occupava di Neverland.
Nessuno sapeva perché Peter Pan si affannasse tanto a cercare quei bambini,
nemmeno chi era stato sull’isola. Tutti ricordavano di aver ricevuto una rapida
occhiata da un Ragazzo Sperduto con un foglio di pergamena in mano, e dopo che
questi aveva scosso la testa erano stati portati al quartier generale di Peter
Pan, al centro dell’isola.
Ariel
sperava che la cattura di Trilli andasse a buon fine.
John,
tornato a Pandora per qualche tempo, aveva trovato un bambino di sette anni che
ancora non era stato portato sull’isola che non c’è, ed era solo questione di giorni
prima che ciò avvenisse. Tutti i bambini nati a Neverland
dovevano subire quella sorte, prima o poi.
Ogni
notte John, Ariel, Killian, Leonard, Spugna ed
Hercules montavano di guardia nei pressi della casa del bambino, alternandosi a
gruppi di due. John si era procurato una pozione che sarebbe stata in grado di
immobilizzare la fata (5), se scagliata contro di lei.
Killian era di guardia
con Spugna, la notte in cui finalmente la pozione venne utilizzata.
–
C’è una cosa che non capisco, capitano – esordì Spugna, rompendo il silenzio
che si era instaurato fin dall’inizio del turno di vedetta.
–
Dimmi, Spugna – lo incoraggiò Killian con voce
rassegnata. Ormai non si stupiva più di come il compagno ragionava e degli
improbabili quesiti che gli si affacciavano alla mente. – Sono tutto orecchie.
–
Se è vero che qui a Neverland il tempo non scorre,
perché il bambino che dorme in quella casa cresce? – domandò il marinaio,
titubante. Temeva che il tempo sarebbe trascorso anche per lui, facendolo
invecchiare. – È da un po’ che me lo chiedo.
–
Solo chi nasce qui a Neverland cresce, Spugna –
rispose Killian, sollevato che il dubbio del marinaio
fosse così semplice. – Chi arriva qui da un altro mondo non invecchia. Il tempo
si ferma, per quelli come noi, e non lascia segni del suo passaggio, se non nel
nostro animo, s’intende.
–
Oh, e quindi… – feceper chiedere di nuovo Spugna, ma la domanda gli morì sulle labbra non
appena da lontano udì l’inquietante suono di una campanellina
che tintinnava.
–
È lei? – chiese dunque il marinaio bisbigliando, e il capitano annuì.
Killian e Spugna si
misero all’erta; era giunto il momento.
Trilli
arrivò, e man mano che si avvicinava lo scampanellio che le sue ali producevano
sbattendo divenne più forte. Quel rumore era sinonimo di sventura, a Neverland, e tutti lo conoscevano e lo temevano.
Non
appena la fata comparve nel raggio di vista del capitano, questi le scagliò
contro la pozione e Trilli si immobilizzò ancor prima di entrare dalla finestra
della casa.
–
Che diavolo…? – tentò di dire la fata, ma subito
Spugna la afferrò e la mise in una gabbia all’interno della quale non era
possibile fare magie, così che la piccola prigioniera non avrebbe più potuto
fuggire. Killian aveva sempre usato quella gabbia
ogni qualvolta doveva catturare una creatura magica da barattare al mercato di
Tortuga, e ogni volta si era rivelata efficace. Sperava che lo fosse ancora,
anche contro la magia di Trilli. Neverland era
imprevedibile in ogni suo aspetto, compresi i suoi abitanti magici e le loro
abilità.
–
Chi siete voi? – domandò quest’ultima, infuriata, dopo che Spugna ebbe
consegnato la gabbia a Killian.
–
Capitan Uncino – rispose quest’ultimo, mostrandole l’oggetto che sostituiva la
sua mano sinistra. – Non avete sentito parlare di me, mia piccola fatina? –
domandò poi, con una nota derisoria nella voce.
–
No, e non mi interessa niente di voi! – ribatté Trilli. – Non appena Peter Pan
scoprirà che mi avete imprigionata…
–
Oh, non temete – la interruppe Killian. – Lo scoprirà
presto, molto presto – le promise. – Stiamo andando proprio da lui – decretò,
prima di dirigersi con Spugna alla nave, ormeggiata al porto.
Quando
Ariel salì a bordo della Jolly Roger trovò tutto l’equipaggio in subbuglio.
Killian l’aveva chiamata
grazie alla conchiglia, così lei si era svegliata di soprassalto e subito era
accorsa da lui.
–
Che succede? – domandò, non appena fu sul ponte, dove il capitano l’attendeva.
–
Vieni, te lo mostro – rispose Killian, con un sorriso
soddisfatto. Le passò un braccio attorno alle spalle e la condusse nella sua
cabina. Ariel a quel tocco si sentì avvampare e sperò che Killian
non lo notasse.
Non
appena furono nella cabina, il capitano si separò da lei per dirigersi alla
scrivania, e la sirena poté tirare un sospiro di sollievo. Quei contatti fisici
naturali e occasionali la scombussolavano sempre e le facevano venire il
batticuore.
–
Guarda, l’abbiamo presa! – annunciò Killian
trionfante, sollevando per qualche istante una gabbia dorata nella quale
riluceva una figura alata di piccole dimensioni.
–
È lei? Trilli? – domandò Ariel, incredula. Si avvicinò e osservò meglio la
prigioniera: i capelli biondi erano raccolti in una piccola crocchia, e l’esile
corporatura era fasciata in un abito verde dai bordi neri. Dalla schiena le
spuntavano un paio di ali grigie che risplendevano di una luce argentata grazie
alla polvere di fata presente su di esse. L’espressione era visibilmente
imbronciata e infastidita, il che era comprensibile, vista la situazione.
–
Me l’aspettavo più minacciosa – commentò Ariel, con un sopracciglio inarcato. –
E più… grande.
–
Attenta a come parli, tu! – ribatté la fatina, piccata. – Non appena sarò
libera aumenterò le mie dimensioni e ve la farò pagare a tutti, dal primo
all’ultimo!
–
State già contribuendo abbastanza così – borbottò Killian,
annoiato. Da quando era tornato a bordo della nave, Trilli non aveva fatto
altro che ricoprirlo di insulti e minacce, lamentandosi della propria cattura.
Avrebbe tanto voluto imbavagliarla, ma temeva che, se avesse aperto la gabbia
per farlo, la fata sarebbe fuggita, ora che l’effetto della pozione
immobilizzante era svanito. – Torniamo sul ponte – decretò poi rivolto ad
Ariel, che subito lo seguì. Non voleva ricevere un’altra dose di improperi.
–
Non vedo l’ora di sbarazzarmene – rivelò, non appena ebbe ripreso posto al
timone.
–
Da quel poco che ho visto, è fastidiosa – gli fece eco Ariel. Si aspettava che
il braccio destro di Peter Pan fosse più temibile, eppure aveva l’aria di
un’innocua fatina come tante altre. Peccato che invece, per via delle azioni
malvagie che compiva, fosse una fata del tutto fuori dal comune.
–
Stiamo andando verso l’isola, ora? – domandò poi, pur sapendo già la risposta.
Secondo il piano stabilito, una volta catturata Trilli, la tappa successiva
sarebbe stata infatti l’isola che non c’è.
–
Sì, esatto – confermò Killian. – Spero solo che le
sirene non ci attacchino – aggiunse poi, con espressione preoccupata. Le sirene
al servizio di Peter Pan erano appunto solite assalire chiunque osasse avvicinarsi
all’isola che non c’è e trascinarlo con loro in fondo al mare, nei più profondi
abissi.
–
Non succederà – cercò di tranquillizzarlo Ariel. – Il nostro arrivo è
inaspettato, e a quest’ora della notte sono solite godersi la luce della luna
sugli scogli della laguna, che…
–
Che si trova dall’altra parte dell’isola, lo so – concluse per lei Killian. Loro sarebbero approdati dal lato opposto, sulla
spiaggia in cui i Ragazzi Sperduti erano soliti accogliere i bambini rapiti da
Trilli e dall’ombra. – Avevo solo bisogno di sentirmelo dire – dichiarò. – Non
mi fido delle sirene.
Quella
frase per Ariel fu un colpo al cuore. Abbassò lo sguardo per celare il
turbamento che aveva provocato nel suo animo, ma Killian
dovette accorgersene lo stesso perché si affrettò ad aggiungere: – Oh, beh… Tu sei un’eccezione, ovviamente.
Ariel
era preziosa per lui e non le sarebbe mai stato abbastanza grato per l’aiuto
che gli aveva fornito da ragazzino e per quello che nonostante tutto continuava
a fornirgli. A volte ammetteva di essere un po’ troppo burbero nei suoi
confronti, ma spesso non se ne rendeva nemmeno conto se non a cose fatte, come
in quel momento.
–
Certo – confermò Ariel, con un sorriso spento. – John è qui? – domandò dunque,
nel tentativo di andarsene. Non voleva restare con Killian
a lungo, non le andava di stare a sentire altre frasi contro la propria specie.
Certo, le sirene al servizio di Peter Pan erano decisamente temibili, ma non c’era
bisogno di generalizzare così. Da lui si sarebbe aspettata un atteggiamento
diverso, credeva di avergli ormai provato le proprie buone intenzioni da tempo.
–
Sì, è sottocoperta insieme a Flounder – rispose Killian.
–
Vado a svegliarli, nel probabile caso in cui dormano – si offrì dunque la
sirena. – Devono essere più che svegli, per ciò che ci aspetta – aggiunse,
prima di scendere sottocoperta dai due amici.
La
parte finale del piano prevedeva infatti che lei, Leonard e John andassero con
una scialuppa sulla spiaggia dell’isola che non c’è, recando con loro Trilli,
per proporre a Peter Pan uno scambio. Hercules, Spugna e Killian
li avrebbero seguiti da lontano, su un’altra scialuppa, e sarebbero rimasti al
largo quel tanto che bastava per tenerli sotto’occhio e poter intervenire nel
caso in cui qualcosa fosse andato storto. Killian
aveva deciso così perché era certo che se Bae lo
avesse visto non sarebbe mai venuto con lui.
Avrebbe
scoperto del suo coinvolgimento solo una volta lontano dall’isola che non c’è,
quando ormai non avrebbe più potuto fuggire.
Killian sospirò,
mentre osservava Ariel allontanarsi.
Il
loro piano sarebbe riusciuto?
John
era al centro della scialuppa, intento a remare, e Leonard lo aiutava.
Ariel
era seduta a prua e teneva tra le mani la gabbia di Trilli, sforzandosi di
restare calma.
Regnava
il silenzio più assoluto, sulla barca. L’unico rumore che si udiva era il
pianto dei Bimbi Sperduti, che si faceva più acuto man mano che la scialuppa si
avvicinava all’isola che non c’è.
–
Che cosa credete di fare? – domandò Trilli, sprezzante. – Credete davvero che
il vostro piano funzionerà?
–
Sta’ zitta! – sibilò Ariel, dando uno strattone alla gabbia. I propri timori
riguardo la riuscita del piano erano già fin troppi, non aveva bisogno che la
fata rincarasse la dose.
–
Sto solo cercando di darvi un ultimo avvertimento – proseguì Trilli,
indisturbata. – Se mi lasciate andare ora, avrete ancora qualche possibilità di
salvezza. Liberatemi e tornate alla vostra nave, e faremo finta che non sia
successo niente – suggerì, aggrappandosi con le mani alle sbarre della gabbia.
–
Se ti liberassimo ora, il nostro piano andrebbe in fumo – le tenne testa Ariel,
con gli occhi ridotti a due fessure. Non vedeva l’ora di sbarazzarsi di quella
fata insolente.
–
Questo è vero, ma avreste salva la vita.
–
L’avremo salva comunque – s’intromise John, senza troppe cerimonie. – Quindi
sta’ zitta – le intimò dunque, stanco di sentirla blaterare.
Poco
dopo, la scialuppa giunse sulla spiaggia, e i tre scesero.
Subito
furono accolti dai Ragazzi Sperduti, che non appena li videro uscirono dai loro
nascondigli e li circondarono.
–
Chi è così stolto da venire qui senza il permesso di Peter Pan? – domandò
quello che tra essi doveva essere il capo, Felix, riconoscibile da una
cicatrice che gli segnava il volto scavato.
–
Non importa chi siamo, ma cosa vogliamo – rispose John. – Siamo qui per
proporre uno scambio.
–
Uno scambio? – chiese una voce, lontana. Nell’udirla, i Ragazzi Sperduti si
fecero da parte per fare largo a colui che aveva formulato la domanda, ovvero
un ragazzo biondo che indossava un cappello verde sormontato da una piuma
rossa.
–
Peter Pan – sussurrò Leonard, mentre un brivido gli corse lungo la schiena, al
ricordo della prigionia che aveva vissuto anni prima.
Ariel
lo osservò, per la prima volta in tutta la sua vita. Aveva tanto sentito
parlare di Peter Pan e di quanto fosse malvagio e temibile, e quindi si era
fatta un’idea ben precisa di chi avrebbe dovuto affrontare. Averlo di fronte,
però, era tutta un’altra cosa: sembrava un ragazzo come tutti gli altri,
esattamente come quelli che erano al suo servizio, e proprio per questo
incuteva più timore. Se era riuscito a guadagnarsi il loro rispetto, un motivo
doveva esserci.
–
Sì, in persona – confermò il ragazzo, con un mezzo sorriso freddo come il
ghiaccio. – Che genere di scambio avete in mente?
–
Ti ridaremo la tua fatina – esordì Ariel, mostrando la gabbia in cui Trilli era
tenuta prigioniera. – In cambio però vogliamo uno dei tuoi Bimbi Sperduti –
decretò infine, con voce ferma. Aveva paura, ma doveva mantenere una parvenza
di sicurezza che non sentiva.
–
Avete rapito Trilli? – tuonò Peter Pan, spostando lo sguardo sulla gabbia,
mentre l’ira deformava il suo viso in una smorfia terribile. – Come avete
osato?
–
E tu come osi rapire tutti quei bambini? – ribatté John, avanzando di qualche
passo. – Come osi strapparli alle loro famiglie per portarli qui, dove il
terrore regna sovrano?
–
Non ho certo intenzione di rispondere – sibilò Peter Pan. – Non capireste, e
non sono così stupido da sbandierare a tutti i miei obiettivi.
–
Rispondi a questa domanda, allora – s’inserì Leonard. – Rivuoi la tua
fastidiosa fatina oppure no?
–
Certo che la rivoglio, lei è preziosa per me! – rispose Peter Pan, le mani
strette a pugno.
–
Bene, allora libera Baelfire – decretò Ariel, risoluta.
–
Siete qui per Bae, avrei dovuto capirlo – disse Peter
Pan, con uno schiocco di lingua. – Quel ragazzino non è ciò che cerco ma è
comunque speciale, non è così?
–
Liberalo – gli intimò John, stufo di quelle chiacchiere inutili. Peter Pan era
abile, con i trabocchetti verbali. Ad Ariel quella caratteristica ricordò un po’
Oscar, ma si impose di non pensarci. Non doveva agitarsi inutilmente ricordando
il proprio passato.
–
Va bene, va bene – annuì Peter Pan, alzando le braccia rassegnato. – Felix, vai
a prendere il ragazzino – ordinò dunque, e subito il ragazzo sparì oltre la
boscaglia.
–
Liberatemi, ora! – esclamò Trilli, parlando per la prima volta da quando erano
approdati sull’isola. Il timore reverenziale che nutriva nei confronti di Peter
Pan doveva essere molto forte, se non aveva osato intromettersi nel discorso
prima di quel momento.
–
No – ribatté John, in tono secco. – Ti liberemo solo quando saremo tornati al
sicuro, insieme a Baelfire.
–
Che cosa?! – tuonarono Trilli e Peter Pan, in coro.
–
Non siamo stupidi, Pan – lo informò John. – Se liberassimo Trilli ora, tu ci
cattureresti. O peggio. La libereremo solo quando saremo al sicuro, così potrà
tornare da te.
–
Sai volare, del resto – disse Leonard con un’alzata di spalle, rivolto a
Trilli.
–
Siete più furbi di quanto pensassi – dovette ammettere Peter Pan, incrociando
le braccia al petto. – E sia: Trilli sarà libera quando voi sarete al sicuro –
concesse dunque, con un sibilo. – Sappiate che non finisce qui, però – decretò
infine, in tono di minaccia, che tuttavia ricordava una promessa.
Tutto
era andato secondo i piani, per fortuna.
Baelfire
era ora al sicuro sulla scialuppa, insieme ad Ariel, John e Leonard. La sirena
era seduta accanto a lui, che aveva un’aria decisamente spaventata e triste.
Doveva averne passate proprio tante.
Quando
Felix lo aveva consegnato a loro, sul suo volto si era dipinta un’espressione
di puro terrore, ma poi John lo aveva tranquillizzato dicendogli che non
volevano fargli alcun male. Evidentemente doveva aver pensato che quello fosse
solo il passaggio da un aguzzino all’altro.
Non
appena la scialuppa giunse in prossimità della Jolly Roger, Trilli fu liberata
e volò verso l’isola che non c’è senza nemmeno voltarsi indietro.
–
No! – esclamò Bae, riconoscendo la nave e agitandosi.
– Io non ci torno lì sopra, non ci torno da lui! Vi ha assoldati per liberarmi
e costringermi a tornare con lui, vero? – proseguì, con voce carica di
risentimento.
–
No, non è come credi – tentò di calmarlo Ariel. – Non siamo stati assoldati per
liberarti, ma abbiamo collaborato con lui per elaborare un piano efficace. Lui…
–
Non mi interessa! – la interruppe Baelfire, alzandosi in piedi. La scialuppa
iniziò ad oscillare pericolosamente, e Ariel lo afferrò per un braccio,
tirandolo nuovamente accanto a sé. Se fossero caduti in acqua, lei si sarebbe
trasformata in sirena, e il risultato sarebbe stato quello di spaventare Bae ancora di più.
–
Aspetta di salire sulla nave e sentire quello che ha da dirti, prima di dire
che non ti interessa – gli suggerì. – Credo che la sua proposta non ti
dispiacerà.
–
Io non voglio stare con lui su questa nave, ha ucciso mia madre! E vuole uccidere
mio padre! Ha rovinato la mia famiglia e non si fermerà finché non avrà finito!
– proruppe il ragazzino, pieno di rancore, che la permanenza sull’isola che non
c’è doveva aver aumentato.
Ariel
non voleva intromettersi in questioni che riguardano lui e Killian,
per cui preferì non dirgli nulla riguardo l’intenzione del pirata di aiutarlo a
tornare dai Darling grazie a lei e alla sua collana.
–
Per favore, ascoltalo. Non vuole farti del male – gli disse dunque. – Se così
fosse, io non glielo permetterò – dichiarò dunque, sperando di guadagnarsi la
sua fiducia.
–
Va bene – assentì infine Baelfire, rassegnato, dopo aver riflettuto qualche
istante. Non aveva nulla da perdere, del resto.
Poco
dopo la scialuppa giunse accanto alla carena della Jolly Roger e venne calata
una scala di corda intrecciata. Il ragazzino si issò sopra per primo, seguito
da Ariel e John. Flounder restò sulla scialuppa per permettere di fissarla con
delle cime per poi issarla a bordo.
–
Ce l’avete fatta! – esclamò Hercules, contento di rivederli. Insieme a Killian e Spugna era tornato da poco sulla nave, lieto che
il loro intervento non fosse stato necessario.
–
Perché l’hai fatto, pirata? – domandò Baelfire con gli occhi ridotti a due
fessure, rivolto al capitano, che si era fatto avanti per accertarsi che i
compagni fossero giunti sulla nave sani e salvi.
–
Nella mia cabina, ora – decretò Killian, risoluto. Per
un attimo era stato felice di rivedere Bae, di
constatare che stava bene ed era stato quasi tentato, di nuovo, di mettere da
parte la propria vendetta per lui, di dimostrargli che si sbagliava a
giudicarlo così malvagio, ma lo sguardo d’odio che il ragazzino gli aveva
rivolto non appena lo aveva visto lo aveva fatto tornare sui propri passi.
–
Solo se viene anche lei – gli tenne testa il ragazzino, facendo cenno ad Ariel.
–
Va bene – assentì Killian, prima di scendere
sottocoperta, seguito da Bae e dalla sirena.
–
Mi dispiace averti consegnato a Peter Pan – disse il capitano, non appena fu
nella propria cabina. Nonostante tutto, ci teneva che Bae
lo sapesse, che non lo considerasse senza cuore così come aveva fatto dal
giorno in cui aveva scoperto la verità riguardo lui e Milah.
–
Non mi importa – sibilò Bae. – Spero che tu non mi
abbia liberato per propormi di nuovo di restare qui, su questa nave – aggiunse,
in tono duro.
Ariel
restò in disparte, osservando come l’isola che non c’è togliesse ai bambini e
ai ragazzini ogni traccia di innocenza, facendoli crescere in fretta e
bruscamente, rendendoli diffidenti e duri verso chiunque. Ricordava bene la
sera in cui aveva salvato Killian e il modo in cui
lui all’inizio si era rivolto a lei, e notò delle somiglianze nel comportamento
che Bae aveva in quel momento. Il ragazzino, inoltre,
aveva già i suoi motivi per essere duro con Killian,
la permanenza sull’isola non aveva potuto che aumentarli.
–
Non mi aspettavo tu avessi cambiato idea – ribatté Killian,
in tono altrettanto duro. In realtà un po’ ci aveva sperato, ma aveva preferito
non farsi troppe illusioni, e di certo non avrebbe mostrato a Bae il proprio dispiacere.
–
E allora perché sono qui?
–
Perché posso farti tornare dai Darling, se vuoi – rispose Killian.
Quelle parole gli costavano fatica; sapere Bae in un
altro mondo sarebbe stata dura, ma per lo meno sarebbe rimasto al sicuro,
lontano dalla magia che tanto odiava. – Mentre tu eri sull’isola, ho trovato un
modo – aggiunse, facendo un cenno ad Ariel.
–
Io posso aiutarti, Bae – s’intromise allora la
sirena. – Posso creare un portale che ti permetta di tornare nel mondo da cui
sei venuto.
–
Davvero? – domandò Bae, cauto. Avrebbe potuto tornare
dai Darling? Non c’era cosa che desiderava di più al mondo. Gli unici pensieri
felici che lo avevano aiutato a sopportare la prigionia sull’isola che non c’è
erano legati ai Darling, a Londra, a Wendy, a coloro
che l’avevano accolto senza remore e lo avevano fatto sentire parte integrante
della loro famiglia.
–
Sì, con questa collana posso creare un portale – confermò Ariel, mostrandogli
il gioiello.
–
Fallo, allora! – la esortò Bae, impaziente davanti
all’idea di poter riabbracciare Wendy, Michael e John.
Ancora stentava a crederci, ma voleva approfittarne. Non voleva che Uncino
cambiasse idea e lo tenesse prigioniero sulla Jolly Roger.
Ariel
si voltò verso Killian in cerca di una conferma, e
lui annuì.
–
Devo avvertirti, però – disse la sirena. – Qui il tempo scorre diversamente
rispetto agli altri mondi. E dato che sei stato qui, invecchierai più
lentamente rispetto agli altri abitanti del mondo in cui vuoi andare. (6)
–
Non mi importa, voglio tornare dai Darling – decretò Bae,
senza esitazioni, con il cuore che batteva a mille.
–
Bene, allora chiudi gli occhi e focalizza la sua mente su quel luogo – disse
Ariel, stringendo la collana in una mano mentre con l’altra creava un portale
su una delle pareti della cabina di Killian.
–
Apri gli occhi, ora – disse, non appena terminò di creare il portale, che
iniziò a rilucere d’azzurro. – Puoi andare – lo invitò dunque. – Tieni però
bene a mente la tua destinazione – lo avvertì infine.
–
Addio, Bae – lo salutò Killian,
rivolgendogli un ultimo sguardo carico di un affetto che mai sarebbe stato
completamente ricambiato, funestato dalla presenza del Coccodrillo. Quell’essere
aveva il potere di rovinare la vita di Killian anche
indirettamente, grazie alle bugie con cui aveva riempito la testa di quel
ragazzino.
–
Addio, capitan Uncino – si congedò Bae, dopo aver
rivolto un cenno di saluto ad Ariel. – Grazie – mormorò dunque, con la voce
carica d’emozione, prima di chiudere gli occhi ed entrare nel portale, che
subito si richiuse dietro di lui.
–
È finita – disse Killian, con un sospiro.
–
Ti dispiace che sia andato via? – indagò Ariel, cauta. Ormai aveva capito che
con alcuni argomenti doveva usare molta delicatezza.
–
Un po’ sì – ammise il pirata, con una scrollata di spalle. Gli dispiaceva aver
detto addio a Bae, al figlio di Milah,
a quel ragazzino a cui non avrebbe mai creduto di affezionarsi così. Gli
mancava, eppure sapeva che farlo tornare dai Darling era stata la cosa più
giusta da fare. Bae sarebbe stato felice, e lui non
avrebbe più avuto debolezze. – Però ora che è al sicuro posso concentrarmi
meglio sulla mia vendetta. Bae era solo un ostacolo –
aggiunse, in tono duro. Dicendolo ad alta voce, forse, se ne sarebbe convinto.
–
Vuoi ancora vendicarti di Tremotino? – domandò la sirena, con un sospiro. –
Speravo che…
–
Speranze vane, non rinuncio alla mia vendetta! – la interruppe Killian, tuonando. – Ora che Baelfire è tornato dai
Darling, posso di nuovo pensare ad un modo che mi permetta di andarmene da Neverland. Non c’è più nulla che mi trattenga, qui –
decretò.
Ariel
deglutì a fatica, a quelle parole. L’animo di Killian
era troppo intaccato dalla vendetta perché riuscisse a guardarsi intorno in
modo obiettivo, e ciò la feriva. Se solo avesse aperto gli occhi, si sarebbe
reso conto che avrebbe potuto rimanere a Neverland e
ricominciare da zero, accanto a lei. Per quanto Peter Pan incutesse timore
ovunque, c’era la possibilità di vivere una vita felice e tranquilla, bastava volerlo.
Invece era cieco, come lei lo era stata quando aveva desiderato vendicarsi di
Oscar, e se nemmeno Bae era stato in grado di farlo
ragionare, nient’altro sarebbe valso a fargli cambiare idea.
–
Proprio nulla? – le uscì spontaneo, in tono carico di dolore e dispiacere. Rendersi
conto di quanto Killian fosse perduto faceva male e
la faceva sentire impotente.
Killian alzò lo
sguardo, sorpreso. – Perché, cosa dovrebbe esserci? – chiese, sorpreso.
Ariel
fu colta da quella consapevolezza come un lampo.
Forse
un modo per far desistere Killian dai proprio
propositi di vendetta c’era!
Era
una possibilità che non aveva mai preso in considerazione fino a quel momento,
per paura, eppure doveva tentare, doveva agire. Non c’era nulla da perdere,
nient’altro che potesse fare per lui, e tanto valeva tentare. Forse lui non
avrebbe trovato pace, ma probabilmente l’avrebbe trovata lei.
Ariel
si fece avanti e lo baciò. Premette le proprie labbra sulle sue e chiuse gli
occhi, per poi posargli le mani sulle spalle. Era certa che da un momento
all’altro Killian l’avrebbe rifiutata, che l’avrebbe
bruscamente spinta via per poi cacciarla dalla sua nave e dalla sua vita,
perciò voleva godersi ogni istante di quel bacio che tanto aveva agognato e che
mai avrebbe pensato di potergli dare. Voleva solo dare un po’ di pace al
proprio animo tormentato, capire se per Killian c’era
ancora qualche speranza di tornare quello di un tempo, se nel suo cuore c’era
ancora spazio per qualche sentimento nobile.
Qualche
istante dopo, accadde qualcosa che la sorprese. Avvertì le braccia del capitano
avvolgerla, per avvicinarla di più a sé, e la mano sana premerle sulla nuca per
invitarla reclinare la testa e approfondire il bacio, cosa che Ariel non esitò
a fare, schiudendo le labbra e dando così facile accesso alla lingua del pirata
che immediatamente si fuse con la propria.
Poco
dopo, senza smettere di baciarla, Killian sollevò
Ariel da terra e la portò verso il letto, dove la fece stendere.
Forse c’è
ancora speranza, per lui, pensò Ariel, felice, prima di lasciarsi andare
completamente alla passione, lasciando dietro sé ogni traccia di lucidità.
Note
(1)Così mi è
parso di capire dalla 2x11 a Storybrooke e dalla 2x22 a Neverland.
(2)Ho voluto fare
questa distinzione; i Ragazzi Sperduti sono Felix e compagnia bella, ovvero i
tizi al servizio di Peter Pan, mentre i Bimbi Sperduti sono i bambini che Peter
Pan rapisce.
(3)Ho rielaborato
un po’ il mito di Eracle, in modo da poterlo incastrare con i personaggi delle
fiabe. Sì, probabilmente ho calcato un po’ la mano, lo ammetto, ma mi piaceva
l’idea di collegare il mondo delle fiabe con i miti pagani. xD
(4)So che Trilli
comparirà nella terza stagione, ma così come Peter Pan, non mi atterrò agli
spoiler rilasciati finora, perché ho plottato questa
storia dopo la 2x22 e dunque sapevo poco o nulla di quello che gli autori
avevano intenzione di fare con Neverland e con questi
personaggi.
(5)Un po’ come
con Regina quando viene catturata da Biancaneve e il Principe nella 2x10.
(6)Tentativo di
spiegare come Bae abbia potuto tornare dai Darling
per poi incontrare Emma indisturbato, quando invece avrebbe dovuto essere già
anziano, se non addirittura morto. xD
Finalmente
eccomi qui con il decimo capitolo, che spero vi sia piaciuto.
Ho
un po’ di dubbi a riguardo, come sempre, specie riguardo al salvataggio di Bae, ma non sapevo come fare altrimenti.
Finalmente
Ariel e Killian si sono dati una mossa, e spero non
mi odierete per aver interrotto tutto sul più bello, ma non mi ritengo in grado
di scrivere scene rosse e perciò ho preferito evitare.
Che
succederà, ora? Cambieranno le cose? Killian
rinuncerà alla sua vendetta, per Ariel? Prova qualcosa per lei, o è solo un
passatempo?
Riflettete,
gente, riflettete…
Colgo
inoltre l’occasione per dirvi che d’ora in poi i ritmi di pubblicazione saranno
un po’ rallentati, dato che domani riprendo i corsi all’università e in più ho
iniziato a lavorare sulla tesi, quindi riesco a scrivere solo di sera, se non
sono troppo stanca. Per aggiornamenti, spoiler, curiosità e altro vi rimando al
gruppo face book che ho creato per le mie storie nel fandom
di Ouat: https://www.facebook.com/groups/329640027182871/
Ringrazio
infine chi ha recensito lo scorso capitolo, i lettori silenziosi e chi mi ha
aggiunta alle seguite/preferite/ricordate.
Una leggera
brezza marina le scompigliava i capelli, e in lontananza si udivano le grida
dei gabbiani, che si confondevano col frangersi delle onde sulla battigia.
Ariel
passeggiava in riva al mare, lasciando che le onde le bagnassero i piedi e la
brezza le scompigliasse i capelli. Non le importava nulla, era semplicemente
felice. Un senso di pace la pervadeva, ed era tutto merito della persona che
passeggiava al suo fianco, tenendole la mano.
Ariel si voltò
alla sua sinistra e sorrise, felice come non era da tempo.
– Perché
sorridi? – le chiese l’uomo al suo fianco, inclinando la testa di lato.
– Non lo so,
quando sono con te mi viene spontaneo – rispose Ariel con un’alzata di spalle.
Si fermò e si mise di fronte a lui, senza smettere di tenergli la mano. Temeva
che se l’avesse lasciato andare non lo avrebbe mai più rivisto, e le era
mancato così tanto che a volte temeva di non sopportare tutta quella nostalgia.
– Sicura che
sia merito mio? – le domandò Eric, con una nota di tristezza nella voce.
– Certo che è
merito tuo! – ribatté Ariel, posandogli la mano libera su una spalle. – Io ti
amo, non dubitarne mai! – decretò, prima di alzarsi in punta di piedi e posare
le proprie labbra su quelle del principe, che subito la strinse a sé e ricambiò
il bacio con fervore.
Ariel chiuse
gli occhi e gli allacciò le braccia al collo, assaporando ogni momento tra le
braccia del marito. Aveva la sensazione che fossero stati separati per anni,
che le fosse stato bruscamente portato via, eppure era certa che si fossero
sposati soltanto il giorno prima.
Quando riaprì
gli occhi, ebbe un sussulto.
– Che c’è,
Ariel? – le domandò Killian, con un sorriso
malizioso. Era lui a stringerla tra le braccia in modo possessivo, ora, non più
Eric.
– Lui dov’è? –
domandò Ariel, in preda al panico.
– Lui chi? –
chiese a sua volta Killian, confuso, senza però
smettere di tenerla stretta a sé.
Ariel si
separò dal pirata e iniziò a guardarsi intorno alla ricerca di Eric, disperata.
Sentì un urlo dietro di sé e si voltò subito, preoccupata.
Ciò che vide
la sconvolse: Eric era steso a terra in una pozza di sangue e una figura era
china su di lui.
– Oscar,
maledetto! – urlò Ariel, iniziando a correre verso l’amato, ma non riuscì ad
avvicinarsi nemmeno di un millimetro. Era come se una forza invisibile la
trattenesse per l’orlo della gonna, impedendole di avanzare.
– Hai già
dimenticato? – sussurrò Eric, con l’ultimo fiato che gli restava in gola.
Chiuse gli occhi e reclinò la testa di lato, ed Ariel seppe che era morto.
– No, no! –
urlò la sirena, continuando a correre senza risultato verso il capezzale
dell’amato.
– È morto,
ormai – decretò la figura vestita di nero china su di lui, e quella voce fece
arrestare Ariel dalla sua vana corsa. Com’era possibile? Credeva fosse Oscar,
l’assassino di Eric. Eppure avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.
Il sangue le si
gelò nelle vene e un brivido le corse lungo la schiena, mentre le lacrime
scorrevano sul suo viso.
– Killian – sussurrò a fatica. – Come hai potuto?
In tutta
risposta, il pirata alzò lo sguardo verso di lei e le rivolse un sorriso
sinistro, mostrandole l’uncino ricoperto di sangue.
– Io non ho
fatto proprio niente – decretò con noncuranza. – Sei tu che l’hai ucciso.
Ariel urlò.
Ariel
aprì gli occhi all’improvviso, il cuore che batteva all’impazzata.
Sbatté
le palpebre più volte per orientarsi nel buio da cui era circondata e tentò di
calmarsi.
Era
stato solo un sogno, un incubo a dirla tutta.
Quando
i suoi occhi si abituarono al buio, si rese conto di non trovarsi nella propria
stanza ad Atlantica ma nella cabina di Killian, nel
suo letto.
Sospirò.
Che
cosa aveva fatto?
Tentò
di mettersi a sedere, ma il braccio di Killian che la
stringeva possessivamente nel sonno glielo impedì, perciò lo afferrò con
entrambe le mani e provò a sollevarlo, invano.
–
Resta qui – le intimò il pirata, mugugnando. Doveva averlo svegliato
involontariamente.
Ariel,
che fino a quel momento gli aveva dato le spalle, si girò su un fianco fino a
guardarlo in viso e notò che aveva gli occhi aperti. Era sveglio, come aveva
sospettato.
–
Stai bene? – domandò Killian con voce roca, notando
il turbamento dipinto sul suo volto e avvertendo il suo respiro ancora
leggermente affannato.
Ariel
annuì, poco convinta. – Ho fatto un brutto sogno – disse, ancora turbata dalle
immagini di quell’incubo ma soprattutto dal ricordo di Eric. No, non doveva
pensarci. Non era quello il momento, non era giusto. Per riordinare i propri
pensieri aveva bisogno di restare da sola. E inoltre lì, tra le braccia del
pirata, sembrava tutto solo un lontano ricordo. Per quanto fosse assurdo, si
sentiva al sicuro.
–
Cosa hai sognato? – volle informarsi Killian,
passandole una mano tra i capelli.
–
Non lo ricordo – mentì Ariel, con un mezzo sorriso. Avvertì un grande vuoto
all’altezza del petto, all’improvviso, e un brivido le corse lungo la schiena.
Le venne spontaneo stringersi ancora di più a Killian,
che non esitò ad accoglierla. Di nuovo avvertì una sensazione rassicurante, e
si lasciò cullare da lui, cercando di concentrarsi soltanto su ciò che stava
provando in quel momento senza lasciarsi tormentare dai fantasmi del passato.
–
Stai bene? – le chiese di nuovo Killian, preoccupato.
Ariel
annuì, senza dire una parola.
Ora sì, pensò, senza
dirlo ad alta voce. Si chiese solo per quanto quella sensazione sarebbe durata.
Quando
qualche ora dopo la luce dell’alba filtrò attraverso l’oblò della cabina, Ariel
si svegliò.
Killian dormiva
ancora, e nel sonno si era mosso fino a trovarsi quasi sul bordo del letto,
lasciandola scivolare via dalla confortevole stretta delle sue braccia.
Ariel
si odiò per ciò che stava per fare, ma non aveva altra scelta.
In
silenzio, si alzò dal letto e senza fare il minimo rumore si rivestì, per poi
dirigersi in punta di piedi alla porta della cabina per uscire da lì. Gettò un
ultimo sguardo a Killian per accertarsi che non
stesse dormendo e ciò che vide le mozzò il fiato in gola. Scosse la testa e
aprì la porta con delicatezza e con altrettanta cura la richiuse, dopodiché, essendosi
accertata che i membri dell’equipaggio fossero tutti sottocoperta, andò sul
ponte e da lì si tuffò in mare senza la minima esitazione.
Subito
le gambe lasciarono posto alla coda, e a contatto con il proprio elemento
naturale, Ariel si sentì libera di pensare lucidamente.
Aveva
bisogno di stare da sola.
Quando
arrivò a palazzo, ad Atlantica, trovò sveglie solo le guardie, che la
lasciarono passare indisturbata, ormai avvezzi alle ore piccole della sirena.
Si rifugiò nella propria stanza e si stese sul letto, rendendosi conto solo in
quell’istante di avere il volto rigato di lacrime.
Che
cosa aveva fatto?
Come
aveva potuto dimenticare Eric?
In
quelle settimane passate accanto a Killian ad
elaborare un piano per liberare Bae, il pensiero del
marito defunto non l’aveva più sfiorata nemmeno per un secondo, e lei non ci
aveva neanche fatto caso. Si era lasciata andare a quel nuovo, tormentato amore
dimenticando completamente Eric e aprendo il proprio cuore ad un pirata
donnaiolo, convinta di non avere speranze, si era concessa ad un uomo che non
la amava, ad un uomo che in nome del vero amore che gli era stato strappato via
invocava solo vendetta.
Si
sentiva tremendamente in colpa, ed era la sola responsabile di tutto ciò che
stava provando.
Non
avrebbe mai dovuto accordare il proprio aiuto a Killian,
quando lo aveva incontrato di nuovo a Neverland.
Avrebbe
dovuto restare con John e Leonard, senza degnare Uncino della minima
attenzione.
Non
si sarebbe cacciata in quel guaio, così.
Quando
Killian aprì gli occhi fu sorpreso di trovarsi solo.
Ricordava
con chiarezza ciò che era successo la sera prima, la sorpresa iniziale che
aveva provato quando le labbra di Ariel si erano posate sulle sue, sorpresa
subito sostituita da un desiderio da tempo sopito che solo lei era stata in
grado di risvegliare, tra tutte le donne con cui era stato dopo la morte di Milah.
Incredibilmente,
per quella notte era riuscito a mettere da parte ogni pensiero di vendetta,
sentendosi semplicemente vivo e concentrandosi sulla donna che stringeva tra le
braccia. Era come se il suo cuore avesse iniziato a pulsare di nuovo dopo
essere rimasto a lungo in uno stato di torpore.
Era
una strana sensazione.
Senza
rendersene conto, aveva permesso ad Ariel di avvicinarsi a lui e distoglierlo
dal proprio obiettivo primario, proprio come aveva fatto Bae.
Killian si mise a
sedere sul letto, con un sospiro.
Perché
aveva permesso ad Ariel di avvicinarsi a lui a quel modo? Perché non l’aveva
respinta?
La
sirena era diversa dalle altre donne, questo lo sapeva.
Non
era la prima con cui era stato dopo la morte di Milah,
eppure era stata la prima a cui aveva concesso di dormire con lui nel letto che
aveva condiviso con l’amata, la prima con cui era stato completamente sobrio e
la prima che aveva cullato tra le proprie braccia nel sonno, la prima che aveva
desiderato di trovare al proprio fianco al risveglio.
C’era
stato un momento, quando ancora era un ragazzino appena entrato a far parte
della ciurma di Barbanera, in cui aveva pensato di esserne innamorato. Ogni
notte si addormentava pensando a quella dolce sirena che lo aveva tratto in
salvo da Neverland e lo aveva aiutato a fuggire, e
sognava di incontrarla di nuovo, un giorno, e di solcare i mari insieme a lei.
Poi
però era cresciuto e quella sciocca fantasia era stata relegata in un angolo
della sua mente, sostituita dalla voglia di vedere il mondo e di avere una
ciurma tutta sua. Aveva confuso per altro quella che era semplice gratitudine verso
colei che lo aveva salvato e quando il desiderio di rivederla si era avverato,
lo aveva fatto in un modo completamente inaspettato e il suo unico scopo era
stato quello di aiutarla e saldare il debito che riteneva di avere nei suoi
confronti, per cui c’era stato poco tempo per fermarsi a pensare a quell’amore
adolescenziale sopito e ormai dimenticato.
Ariel
poi era tornata a Neverland e lui aveva conosciuto Milah e aveva viaggiato con lei, innamorandosene. Aveva
incontrato Ariel a Tortuga, ma era stato soltanto felice di vederla, null’altro
si era celato dietro a quell’incontro.
O
almeno così credeva.
Col
senno di poi, capì finalmente che Ariel era tornata nella Foresta Incantata per
cercarlo, probabilmente doveva aver ripensato alla proposta che le aveva fatto
di solcare i mari con lui, ma lo aveva fatto troppo tardi e si era tirata
indietro, limitandosi a consegnargli il fagiolo magico con cui era tornato a Neverland dopo la morte di Milah.
E
ora a Neverland quei sentimenti da ragazzino stavano
tornando a galla, e Killian sapeva che non avrebbero
portato nulla di buono. In quel periodo trascorso con Ariel il ricordo di Milah era svanito quasi del tutto, sebbene l’intenzione di
vendicarla fosse sempre ben presente nella propria mente, come l’obiettivo primario
da perseguire e l’unica ragione che gli permettesse di andare avanti.
Poteva
gestire la vendetta, ma non il dolore. Né tantomeno l’amore.
Scosse
la testa e si alzò dal letto, iniziando a rivestirsi.
Non
era il momento di essere svenevole, specie quando Ariel era fuggita di
soppiatto mentre lui dormiva. Qualunque cosa stesse iniziando a provare per la
sirena, era meglio non pensarci.
Aveva
una vendetta da perseguire.
Allora
perché dovette fare di tutto per trattenersi dall’usare la conchiglia che Ariel
gli aveva dato per contattarla?
Perché
desiderava averla di nuovo accanto a sé?
Dopo
essersi calmata un po’, Ariel si recò da Pocahontas, al villaggio degli indiani.
Era da settimane che non la vedeva, da quando aveva iniziato ad elaborare il
piano per liberare Baelfire.
Subito
l’amica, come sempre lungimirante, notò il suo turbamento e le propose di
accompagnarla nei boschi a raccogliere provviste per il villaggio. Ariel gliene
fu grata perché così ebbe modo di tenere la mente impegnata e di concentrarsi
su altro che non fosse ciò che era successo con Killian,
almeno fino a che Pocahontas non dichiarò che avevano raccolto cibo a
sufficienza e che quindi potevano prendersi una pausa. La portò in una radura e
si distese a terra, sull’erba, invitandola a fare altrettanto.
Ariel,
un po’ perplessa, la imitò.
–
Stare in mezzo alla natura è rilassante e mi aiuta a pensare, quando ho un
problema – sentenziò Pocahontas, enigmatica.
–
Si vede tanto che ho qualcosa che non va, vero? – domandò Ariel con un sospiro,
giocherellando con un ciuffo d’erba che pendeva accanto al suo viso.
–
Sì, negli ultimi tempi ti vedo spesso pensierosa – rispose Pocahontas,
puntellandosi su un gomito per guardare l’amica. – Ha a che vedere con capitan
Uncino, vero? – chiese dunque.
–
Già – ammise Ariel, issandosi di poco e sorreggendosi su entrambi i gomiti per
restare supina.
–
Quando John è tornato alla tenda, questa notte, mi ha detto che sei entrata
nella sua cabina e non ne sei più uscita – disse Pocahontas, ricordando il
sollievo che aveva provato nel rivedere l’amato tornare da lei incolume. Subito
aveva voluto informarsi riguardo l’esito della missione, e quando John le aveva
detto di Ariel si era un po’ preoccupata.
La
sirena arrossì immediatamente, a quelle parole. Se John aveva notato la sua
assenza, anche il resto della ciurma doveva averlo fatto, e quel pensiero la
riempì di vergogna.
–
Uhm, sì – borbottò, imbarazzata. – Ho aiutato Baelfire ad andarsene da Neverland, con la mia collana – spiegò, cercando di
ignorare i battiti accelerati del proprio cuore e di non richiamare alla mente
ciò che era successo quella notte.
–
Ci è voluto così tanto tempo? – chiese Pocahontas, inarcando un sopracciglio. –
Avete discusso?
Ariel
si mise a sedere e si circondò le ginocchia con le braccia, posandovi sopra il
mento e sentendosi improvvisamente vulnerabile.
–
No, in realtà… Non esattamente. Oh, io… – balbettò. Chiuse gli occhi e prese un respiro
profondo. – L’ho baciato, Pocahontas. Ho baciato Killian
– ammise infine, ad alta voce. – E ho trascorso la notte con lui – concluse,
prendendosi la testa tra le mani.
Pocahontas
si mise a sedere, decisamente sorpresa. In quelle settimane che Ariel aveva trascorso
con Uncino sulla Jolly Roger, doveva essersi resa conto dei sentimenti che
provava per lui, ammettendoli a se stessa. Non avrebbe mai pensato, però, che
la situazione si fosse evoluta a tal punto.
–
Sei pentita? – domandò dunque, notando le spalle dell’amica scosse da
singhiozzi.
–
Non… Non lo so! – fu la risposta soffocata di Ariel,
che continuava a tenere il volto nascosto, con la fronte appoggiata alle
braccia.
Pocahontas
le posò una mano sulla spalla, triste nel vederla ridotta così. Voleva vedere
Ariel felice e non in preda a quel dolore che la stava dilaniando dall’interno.
Cosa aveva fatto Uncino per ridurla così?
–
Ariel, che ti succede? – le domandò con dolcezza, accarezzandole i capelli.
A
quel tocco Ariel alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi dell’amica.
–
L’ho dimenticato – ammise, in tono colpevole. – Eric – precisò, per togliere
ogni dubbio. Se persino lei aveva
trascurato l’amore che l’aveva legata al marito, di sicuro dovevano averlo
fatto anche le persone che le erano rimaste accanto per tutti quegli anni. –
L’ho dimenticato. Da quando Killian è tornato, io… Non ho più pensato a lui. E l’ho realizzato soltanto
ora, soltanto dopo aver trascorso la notte con Killian.
L’ho dimenticato.
Udendo
quelle parole, Pocahontas comprese.
Era
quello il problema, Eric. Non Uncino, come aveva pensato all’inizio. Ariel
temeva di aver tradito la sua memoria, aprendo il proprio cuore ad un nuovo
amore.
–
Non l’hai dimenticato – la contraddisse. – Lui sarà sempre una parte di te, e
lo sai. Sei soltanto andata avanti, ed è legittimo dopo tutti gli anni che sono
passati. Ne hai tutto il diritto.
–
Non è legittimo, Pocahontas, non lo è per niente! – urlò Ariel, disperata. –
Eric era il mio vero amore, ha spezzato il sortilegio della strega del mare… Il vero amore non si sostituisce così! C’è chi in una
vita intera non ne sperimenta nemmeno un briciolo, chi lo cerca senza sosta e… E io l’ho dimenticato.
–
No, non devi pensarla così. Non l’hai dimenticato, e quello che stai dicendo
ora ne è la dimostrazione lampante. Non ti crucceresti così, se l’avessi
dimenticato davvero.
–
Se così fosse non mi sarei innamorata di Killian. Da
quando è tornato qui a Neverland, io…
–
Sei andata avanti – concluse per lei Pocahontas, ripetendo il concetto espresso
in precedenza. – Ti sei lasciata andare e hai aperto il tuo cuore. Non è una
colpa. Non devi viverla come una
colpa.
–
Non la vivrei così se… se non fosse che ho aperto il
mio cuore alla persona sbagliata – confessò Ariel, scossa da nuovi singhiozzi.
Era quello il vero dubbio che l’attanagliava, che la dilaniava e che le
provocava disgusto per se stessa.
–
Lui… ti ha cacciata via? – domandò Pocahontas, cauta,
trovando conferma dei sospetti avuti all’inizio. C’era da aspettarselo, del
resto, da un uomo del genere. Era un pirata, prima che un uomo.
–
No. Sono stata io ad andarmene – rispose Ariel, passandosi una manica del
vestito sul viso per asciugare le lacrime. – Prima che lui si svegliasse,
questa mattina.
–
Oh! – disse Pocahontas, sorpresa. Sorprendentemente Uncino non aveva alcuna
colpa. – Hai avuto paura, ed è normale. Però non puoi dire di aver aperto il
tuo cuore alla persona sbagliata, se non sei certa di quello che Killian prova – spezzò dunque una lancia in suo favore.
–
Lui è ancora innamorato di Milah – decretò Ariel, con
un vuoto all’altezza dello stomaco. – Lui… – tentò di
dire, ma dovette fermarsi per fare un respiro profondo. – Lui è tornato qui per
lei, per trovare un modo per vendicare la sua morte. Stava per rinunciare alla
vendetta soltanto in nome di Baelfire, del figlio di Milah.
Tutto riconduce sempre a lei – disse, la voce condita da una nota di
disperazione mista a rabbia. – Io sono solo un passatempo – constatò con
amarezza, stringendo le mani a pugno.
–
Come puoi dirlo? Come puoi esserne certa?
–
Beh, è semplice – rispose Ariel con un’alzata di spalle. – C’è una cosa che ho
notato – esordì con voce tremante. – Sul suo braccio destro Killian
ha un tatuaggio con il nome di Milah (1) – rivelò
dunque, con un groppo in gola. Prima di uscire dalla sua cabina, quella
mattina, quando aveva gettato un’ultima occhiata al letto per accertarsi che Killian dormisse aveva notato quel tatuaggio. Subito aveva
sentito lo stomaco preso da una morsa gelida ed invisibile, quando aveva
realizzato che Killian recava il nome di Milah impresso sulla pelle.
Era
tutto sbagliato.
Entrambi
avevano perso l’amore e quella perdita aveva condizionato le loro vite, che per
quel motivo non avrebbero potuto intrecciarsi, non in senso romantico per lo
meno.
–
Cosa farai ora? – le domandò Pocahontas interrompendo il flusso di quei
pensieri. Era preoccupata per Ariel, ma al tempo stesso si sentiva impotente
perché non poteva fare nulla per aiutarla. Ogni parola di conforto sarebbe
stata vana. Poteva solo ascoltarla.
–
Non lo so. Proprio non lo so – sospirò Ariel, ancora più confusa.
Ci
volle suo padre, re Tritone, per farla ragionare e farle chiarire le idee.
Quando
tornò ad Atlantica, dopo aver parlato con Pocahontas, Ariel si rifugiò ancora
nella propria stanza, alla porta della quale venne a bussare poco dopo re
Tritone.
–
Avanti – lo invitò ad entrare Ariel, seduta sul letto a rigirarsi tra le mani
l’anello che Eric le aveva messo al dito il giorno del matrimonio, e che da
quando era tornata a Neverland custodiva in una
conchiglia che fungeva da portagioie.
–
Ariel, figlia mia – la salutò re Tritone con un sorriso affettuoso. – Le
guardie mi hanno detto che sei appena tornata – disse, prendendo posto
all’estremità del letto opposta rispetto a quella su sui sedeva Ariel. – È raro
vederti a palazzo, negli ultimi tempi.
–
Già, sono stata un po’ impegnata – borbottò Ariel con un’alzata di spalle,
tenendo lo sguardo fisso su quel cerchietto che reggeva tra pollice e indice
della mano sinistra.
–
Oso troppo chiedendoti in che faccende fossi impegnata? – azzardò re Tritone,
cauto. Gli era bastata un’occhiata per capire che era successo qualcosa alla
figlia.
–
Dipende – rispose Ariel, atona. – Se te lo dico prometti di non montare su
tutte le furie? – tastò il terreno, alzando lo sguardo verso il padre, che la
stava fissando con sguardo severo, tradito però da una leggera incurvatura
degli angoli delle labbra verso l’alto.
–
Prometto – disse dunque.
–
Killian, il pirata che mi ha aiutata quando ero nella
Foresta Incantata, è tornato a Neverland – esordì.
Era la prima volta che parlava a quattr’occhi con suo padre, da quando il
pirata era tornato a far parte della propria vita. – Per fartela breve, in
questo periodo l’ho aiutato a liberare un ragazzino dalla prigionia di Peter
Pan, e ieri abbiamo concluso la missione con successo – riassunse, omettendo
volutamente la parte in cui aveva accordato il suo aiuto a Killian
per aiutarlo a tornare nella Foresta Incantata. Faceva male pensare che prima o
poi avrebbe dovuto dirgli addio.
Re
Tritone sospirò. – Lo hai fatto di nuovo? – domandò, rassegnato.
Ariel
annuì, tornando a guardare l’anello.
–
Ormai sei adulta, e sai meglio di me i rischi che hai corso – decretò re
Tritone, rassegnato. – Con Peter Pan non si scherza. Avresti potuto chiedere il
mio aiuto, anzi, avresti dovuto.
–
No, papà, non volevo coinvolgerti. Gli equilibri tra Atlantica e Peter Pan sono
già fin troppo delicati così, se ti avessi coinvolto sarebbe stato peggio –
ribatté Ariel, decisa. Non che non ci avesse pensato. Re Tritone e il suo
tridente dalla loro parte sarebbero stati un valido aiuto, ma temeva le
ripercussioni che ci sarebbero state, con un suo coinvolgimento.
–
Se la missione è andata bene perché sei così giù di morale, allora? – domandò l’uomo,
inclinando la testa di lato.
Ariel
sospirò. Non poteva mentirgli, lo avrebbe capito subito.
–
Sono un po’ confusa – mormorò, agitando leggermente la coda oltre il bordo del
letto.
–
La tua confusione ha a che fare con quel Killian? –
indagò re Tritone, iniziando a capire. Tutto tornava.
–
E tu come lo sai? – scattò Ariel, alzando subito lo sguardo.
–
Si vede che gli sei molto affezionata, Ariel. Da come sei sparita negli ultimi
tempi. Dal modo in cui nei parli, da come ti si illuminano gli occhi quando
pronunci il suo nome. Ti conosco bene ed è facile per me notare queste cose –
le spiegò re Tritone, con un sorriso comprensivo.
–
Oh, papà! – esclamò Ariel, prima di gettarsi su di lui con uno slancio e
buttargli le braccia al collo. Aveva bisogno di conforto, di essere abbracciata
da suo padre come quando da bambina si faceva male e nuotava da lui e dalla
madre in cerca d’aiuto.
Re
Tritone la abbracciò e la tenne stretta per qualche istante, prima di scostarla
e farle cenno di sedersi accanto a lui. Le prese una mano tra le proprie e nel
farlo notò che nell’altra reggeva un oggetto luccicante che riconobbe subito.
Era l’anello di nozze, e subito comprese la vera ragione della sua confusione.
–
Credi che non sia giusto nei confronti di Eric, non è così? – le domandò
dunque, indicando con lo sguardo l’anello.
Ariel
annuì, mordendosi il labbro inferiore per impedirsi di piangere.
–
L’ho dimenticato, papà – sussurrò.
–
Non è vero! – esclamò re Tritone. – Non l’hai dimenticato, lui resterà sempre
nel tuo cuore e nei tuoi ricordi – aggiunse, stringendole con forza la mano che
teneva tra le sue. – Non devi sentirti in colpa!
–
Sì, invece, lui era il mio vero amore! – sbottò Ariel, liberando la mano da
quella stretta e incrociando le braccia al petto.
Re
Tritone scoppiò in una risata amara. – Certe volte sei così ingenua, Ariel! – affermò,
addolcendosi. – Quanti anni hai, venticinque? E credi già di sapere tutto sul
vero amore… Non è così, bambina mia. Il vero amore è
la magia più potente di tutte e proprio per questo è anche la più complessa e
imprevedibile. Non chiuderti nella convinzione che Eric fosse il tuo unico e
vero amore, così pecchi di presunzione. Non c’è solo un unico vero amore, nella
vita delle persone.
–
Stai dicendo che devo accontentarmi? – domandò Ariel, perplessa. Credeva che
suo padre l’avrebbe capita meglio di chiunque altro, dato che dopo la morte di
sua madre non era più stato con un donna.
–
No, al contrario. Sto dicendo che hai ancora tutta una vita davanti, una vita
in cui puoi di nuovo incontrare l’amore. E chissà, potrebbe essere anche vero
amore, ma non puoi saperlo se non ti dai delle possibilità. Il vero amore non è
facile, va costruito giorno dopo giorno e richiede molti sacrifici. È unico
perché ogni storia d’amore ha delle peculiarità che le sono proprie, ma non per
questo motivo una persona può incontrarlo una sola volta nella vita – rispose
re Tritone, con un sorriso. Sua figlia doveva sapere la verità, non era giusto
che si tediasse così. – Non capita a tutti di innamorarsi di nuovo, dopo aver
perso una persona amata. A te è successo, e non devi sprecare questa occasione.
(2)
Ariel
alzò lo sguardo, iniziando a sentire un senso di sollievo che si irradiava dal
centro del petto a tutto il proprio corpo. Che suo padre avesse ragione? Che le
avesse detto ciò che del resto aveva sempre saputo? Che davvero le fosse
concessa una seconda occasione per amare qualcuno ed essere felice?
Quell’ultima
domanda però la fece riflettere ulteriormente: amare Killian
non significava essere felice, e questo lo sapeva bene. Sarebbe stato doloroso,
e l’amore sarebbe stato solo da parte sua. Sarebbe bastato?
–
Non è detto che questa sia un’occasione, papà – sospirò Ariel. – Dubito che
questa sia la mia possibilità per essere felice.
–
Perché, non sei corrisposta? – indagò re Tritone.
–
Non credo proprio – sussurrò Ariel, rassegnata. L’immagine del tatuaggio di Killian era ancora vivida nella sua mente, rossa come il
cuore pulsante che raffigurava. E quel cuore recava un nome che non era il suo.
–
Ne sei certa?
–
In un certo senso sì…
–
Ti ha rifiutata? – domandò re Tritone, apprensivo. Voleva che sua figlia fosse
di nuovo felice, non che soffrisse.
–
No, non ancora per lo meno.
–
E allora che aspetti a parlargli? Solo così potrai capire se ne vale la pena –
si sentì in dovere di consigliarle re Tritone, posandole una mano su una
spalla.
Ariel
fece un respiro profondo, più calma rispetto a quando era iniziata la
conversazione. Suo padre aveva ragione su molte cose, ma soprattutto su una.
Cosa
stava aspettando?
Ariel
rivide Killian quella sera, da Flounder’s.
Quando
quella mattina John l’aveva vista tornare all’accampamento con Pocahontas,
infatti, le era corso incontro e l’aveva invitata alla locanda a festeggiare la
buona riuscita della loro missione con il resto della ciurma, e a malincuore
Ariel aveva detto che ci avrebbe pensato. In realtà era più propensa verso il
no, ma dopo aver parlato con suo padre aveva cambiato idea.
Poteva
essere una buona occasione per mettere le cose in chiaro con Killian e capire cosa provasse per lei, per cui si era
fatta coraggio e aveva nuotato fino alla superficie, fino a Pandora.
Il
momento della verità era arrivato, finalmente avrebbe potuto capire se valesse
la pena aprire di nuovo il proprio cuore oppure se avesse dovuto attendere
ancora un po’.
Col
cuore che batteva all’impazzata e una lieve morsa allo stomaco uscì dall’acqua
e si diresse da Flounder’s, ignara di ciò che
l’attendeva.
Killian la ignorò,
quando entrò nella locanda.
Ariel
doveva aspettarselo, del resto. Era fuggita senza dirgli una parola e
probabilmente lui doveva essersi conto di aver commesso un grave errore. O
forse quella freddezza era il trattamento abituale che riservava alle donne con
cui trascorreva la notte.
Con
un sospiro, prese una sedia e la mise accanto alla sua, che si trovava a
capotavola.
–
Ciao – lo salutò poi, con un mezzo sorriso.
Killian la osservò
come se fosse un insetto fastidioso, dopodiché distolse lo sguardo,
impassibile.
–
Non credevo saresti venuta – andò subito al dunque, prima di bere un lungo
sorso di birra.
–
John ha insistito – si giustificò Ariel con un’alzata di spalle, facendo un
cenno di saluto all’amico che in tutta risposta levò il boccale di birra verso
di lei, prima di berne il contenuto. – E poi volevo parlarti – aggiunse poi la
sirena, posando una mano sul braccio di Killian, che
si scostò immediatamente e scoppiò a ridere, sprezzante.
–
Hai una bella faccia tosta – decretò, scuotendo la testa. – Avanti, sono
tutt’orecchie – la incitò, con un gesto della mano.
–
Possiamo uscire? Andare in un posto in cui possiamo restare da soli,
tranquilli? – domandò Ariel. Non voleva che tutta la ciurma assistesse alla
propria umiliazione.
Killian sospirò, con
lentezza calcolata finì di bere la propria birra e senza dire una parola si
alzò, dirigendosi verso l’uscita. Una volta fuori dalla locanda si diresse alla
Jolly Roger e Ariel lo seguì, ripetendo per l’ennesima volta nella propria
testa il discorso che aveva preparato quel giorno, dopo aver parlato con suo
padre. Aveva pensato e ripensato più volte a cosa dirgli, a un punto di
partenza in base al quale impostare il proprio monologo, alle parole più
indicate per esprimere ciò che provava.
–
Parla – la esortò Killian incrociando le braccia e
appoggiandosi al parapetto della nave con la parte bassa della schiena. La
sirena in quel momento comprese che a nulla sarebbero valsi tutti i discorsi a
cui aveva pensato. Dimenticò tutto e si lasciò andare all’improvvisazione.
–
Mi dispiace per essere fuggita via a quel modo, questa mattina – sputò il rospo
Ariel, guardandolo negli occhi con sincero dispiacere. – Ero spaventata.
–
Faccio molti effetti alle donne, ma mai nessuna si è definita spaventata dopo
una notte passata con me – commentò Killian, fingendo
di riflettere. – E nemmeno tu lo sembravi, anzi. Tutt’altro. Gridavi, è vero,
ma non certo di paura – decretò dunque con un sorriso di scherno.
Ariel
arrossì e aprì la bocca per ribattere, ma ciò che ne uscì fu solo un balbettio
sconnesso. – Gradirei che tu evitassi questo tipo di commenti – riuscì poi a
borbottare, avvertendo oltre all’imbarazzo una fitta di gelosia al pensiero che
Killian fosse stato con altre donne, oltre a lei. L’aveva
immaginato, certo, ma sentirselo dire faceva tutto un altro effetto.
–
Va bene, va bene – accordò il pirata, alzando le braccia in segno di resa. Dal
suo viso però non scomparve l’espressione divertita che aveva assunto da quando
Ariel era arrossita. – Va’ avanti, ti ascolto.
–
Ricordi quando mi sono svegliata, durante la notte? – domandò la sirena. Killian annuì, finalmente serio, e lei allora proseguì: – Ti
ho mentito quando ti ho detto di non ricordare l’incubo che ho fatto.
–
È stato quello a spaventarti? – chiese Killian
corrugando la fronte.
–
Sì, io… Ho sognato Eric. Eravamo insieme e poi veniva
ucciso da qualcuno. Credevo fosse Oscar, ma in realtà eri tu – spiegò
brevemente Ariel. Non voleva soffermarsi troppo a pensare su quel sogno, temeva
che così facendo si sarebbe fatta di nuovo assalire dai dubbi che l’avevano
attanagliata quella mattina, e non era quello di cui aveva bisogno in quel momento.
– Ho avuto paura. Ho realizzato di aver dimenticato Eric, di provare per te un
sentimento così forte da offuscare quello che ho vissuto in precedenza con lui… Ero confusa, e pensavo che non fosse giusto.
–
Perché non me ne hai parlato? – sbottò Killian. Quella
notte, quando Ariel si era svegliata, aveva intuito che c’era qualcosa che non
andava, ma mai sarebbe andato a pensare che si sentisse in colpa nei confronti
del marito defunto. Credeva che ormai l’avesse superata.
–
Perché ho paura! – esclamò Ariel, alzando la voce. – Ho paura! – ripeté, come
se il fatto stesso di ammetterlo potesse darle forza. – Ho paura che voltare
pagina sia un errore, ho paura di soffrire di nuovo! Ho paura di perderti! –
urlò. Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi. – Ma soprattutto ho paura
di ciò che provi tu. Ho paura di essere per te solo un passatempo – sussurrò,
abbassando lo sguardo. L’aveva detto, l’aveva ammesso finalmente ad alta voce.
–
Ariel, se tu fossi un passatempo non ti avrei permesso di dormire al mio
fianco, questa notte – ribatté Killian, scuotendo la
testa e alzando gli occhi al cielo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
–
E cosa sono, allora? – chiese Ariel, la testa inclinata da un lato e i denti a
torturare il labbro inferiore.
–
Onestamente? Non lo so – rispose Killian, con
un’alzata di spalle. – Non fraintendermi! – si affrettò a dire, notando gli
occhi di Ariel che si inumidivano. – Il nostro non è un rapporto superficiale. Non
sei un passatempo, ci conosciamo da anni, mi hai aiutato a fuggire da qui… Sei una persona importante nella mia vita.
–
Però? – domandò Ariel, aspettandosi il peggio.
–
Però sai bene che in questo momento il mio obiettivo è un solo – rispose Killian, ben determinato a portare a termine la propria
vendetta. Solo allora avrebbe potuto voltare pagina e ricominciare da capo,
magari con Ariel al suo fianco.
–
Già, la vendetta –annuì Ariel, con un sorriso amaro. – Sei ancora intenzionato
a perseguirla, vero?
–
Solo così potrò lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare da capo – disse Killian, esprimendo ad alta voce ciò che aveva pensato poco
prima. L’unico modo per esorcizzare il proprio passato era scuoiare il
Coccodrillo.
–
Lo faresti sul sangue di Tremotino – decretò Ariel, avanzando di un passo.
–
Imparerei a conviverci – ribatté il pirata, sicuro.
Calò
un silenzio, tra loro. Per qualche minuto non proferirono parola, ognuno
immerso nei propri pensieri.
Ariel
da un lato era più tranquilla, felice di sapere che Killian
tenesse a lei, anche se ancora non le aveva detto in che modo. Il fantasma
della vendetta che il pirata si sentiva in dovere di perseguire aleggiava tra
loro, rendendoli distanti e ponendo degli ostacoli difficili da superare, se
non impossibili.
–
Vuoi ancora aiutarmi? – domandò Killian, inarcando un
sopracciglio. Non avrebbe cambiato idea, non si sarebbe dato pace finché il
Coccodrillo non fosse morto, infilzato dal suo uncino. Al tempo stesso però non
voleva separarsi da Ariel.
–
Sì – rispose Ariel con un sospiro. – Non riesco a starti lontana, purtroppo –
aggiunse, con una risata amara, avanzando di un altro passo. Sapeva che non
sarebbe mai riuscita ad abbandonarlo, finché lui fosse rimasto a Neverland. Anche se avesse deciso di punto in bianco di non
aiutarlo più, di lasciarlo da solo con la propria vendetta, sapeva che avrebbe
dovuto lottare con se stessa con tutte le proprie forze per stargli lontano.
Non ne sarebbe stata in grado, lo sapeva, prima o poi si sarebbe arresa e
sarebbe tornata sulla Jolly Roger, pronta a offrirgli di nuovo il suo aiuto.
–
Sei importante per me, Ariel – dichiarò Killian, serio,
raggiungendola e circondandole la vita con le braccia.
–
Non quanto la tua vendetta, però – sussurrò Ariel, con gli occhi lucidi. Gli
posò le mani sul petto e gli rivolse un sorriso triste. – È il tuo unico
pensiero, ormai.
–
Se così fosse ti caccerei via e non ti chiederei di aiutarmi – ribatté Killian, quasi divertito dall’ingenuità della sirena.
–
Mi vuoi al tuo fianco dunque? – domandò quest’ultima, titubante. Sapeva che
quello era il massimo che poteva ottenere, e non intendeva lasciarselo
sfuggire. In lei era ancora viva la speranza di poterlo di poterlo distogliere
dal proprio obiettivo, dopotutto. Col tempo forse ce l’avrebbe fatta.
–
Sì, ti voglio al mio fianco – soffiò sulle sue labbra Killian,
prima di annullare completamente la distanza che restava tra il suo viso e
quello di Ariel, baciandola con passione, esprimendo a fatti quello che non era
riuscito a dire a parole.
–
Non so come andrà a finire, ma ti voglio al mio fianco – ribadì poco dopo, separandosi
dalle labbra della sirena giusto il tempo necessario e dire quella frase.
A
quelle parole, Ariel sorrise, felice. Con quella conversazione aveva ottenuto
molto di più di quello che si era aspettata all’inizio. Credeva che Killian l’avrebbe cacciata, che le avrebbe detto che quello
che era successo tra loro era stato solo un errore, ed era felice di essersi
sbagliata.
Nonostante
fosse ancora accecato dalla vendetta, Killian la
voleva al proprio fianco, ed era ciò che più contava.
Al
resto ci avrebbero pensato giorno per giorno.
E
notte per notte.
Note
(1)È il tatuaggio
che vediamo nella 2x06. Ho preferito che Ariel lo notasse solo in questo
momento perché, aehm, durante la notte era distratta
da altro, diciamo.
(2)Nelle parole
di re Tritone sul vero amore ho fatto un po’ un mix di ciò che fino ad ora
hanno detto a riguardo nella serie tv, condito da alcune mie personali teorie.
Spero di non essere risultata troppo fluff. xD
Eccomi
qui, finalmente.
Ariel
ha fatto chiarezza tra i propri sentimenti, e finalmente lei e Killian sono arrivati ad un dunque. Certo, non è proprio
una cosa ben definita, ma è già qualcosa, visto e considerato che Killian è ancora ben intenzionato a uccidere Tremotino.
Per
quanto riguarda il prossimo capitolo, non so quando riuscirò a scrivere e
pubblicare, perché sarà bello corposo. Avevo un’idea, all’inizio, ma poi con la
terza stagione ho cambiato un po’ le carte in tavola, e quindi devo fare un
avviso: è possibile che dal prossimo capitolo in poi compaiano SPOILER della
terza stagione. Nulla di eclatante, ne trarrò solo qualche dettaglio su Neverland, Peter Pan e i Bimbi Sperduti che prima non
potevo sapere. Quindi, se non volete rovinarvi nulla della nuova stagione,
tornate a leggere quando l’avrete vista. ^^
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, ad ogni modo. Come sempre non ne sono
convinta, ma sarete voi a giudicare.
Ringrazio
di cuore chi legge, chi recensisce e chi mi ha inserita in una delle tre
categorie. Siete fantastiche e mi spronate a continuare! :)
L'alba
sorprese Killian e Ariel stretti l'una all'altro, da
poco addormentati. Avevano trascorso l'intera notte a fare l'amore senza
esserne mai sazi, a baciarsi di continuo come se da quei baci dipendesse la
loro stessa sopravvivenza, a scoprirsi, con la paura che tutto potesse finire
da un momento all'altro.
Entrambi
erano consapevoli che era solo questione di tempo, del resto. Sapevano bene che
quello era solo un idillio momentaneo, destinato a concludersi ben presto.
Certo,
qualcosa tra loro era cambiato, ma quel qualcosa non bastava a definire il
rapporto che li legava, non era sufficiente a placare l'animo di Ariel dalla
paura di soffrire di nuovo né quello di Killian dalla
sete di vendetta. Il pirata sarebbe tornato nella Foresta Incantata non appena
avessero trovato un modo per farlo, e la sirena voleva fare tesoro di ogni
attimo trascorso insieme a lui.
Fu Ariel
la prima ad aprire gli occhi, nel momento in cui i raggi del sole che
penetravano nella cabina attraverso l'oblò la raggiunsero con il loro tepore.
Il suo capo era adagiato sul petto del pirata, che ancora dormiva. Sorrise fra
sé e sé e si strinse ancora di più a lui, per poi chiudere di nuovo gli occhi.
Avrebbe
tanto desiderato svegliarsi così ogni mattina, per il resto della propria vita:
tra le braccia dell'uomo che amava, pervasa da quel piacevole languore dovuto
alla notte di passione appena trascorsa. Sapeva bene però che prima o poi Killian avrebbe levato l'ancora da Neverland
e lei non avrebbe avuto la certezza di rivederlo. Non poteva sapere se la sete
di vendetta di Killian sarebbe stata soddisfatta o se
sarebbe morto nell'impresa, e questo la tormentava. La tediava anche solo
sapere che se fosse sopravvissuto Killian non sarebbe
stato più lo stesso, una volta raggiunto il proprio obiettivo. Sarebbe stato un
uomo cambiato. Sarebbe stato in grado di amarla? Sarebbe stata, lei, in grado di amarlo sapendo ciò che
aveva fatto per raggiungere la vendetta e la pace tanto agognate?
Le sfuggì
un sospiro e riaprì gli occhi, senza capire perché lo sconforto l'avesse
assalita di nuovo.
La sera
prima era stata così felice di sapere che Killian la
voleva al proprio fianco, pur non essendosi esposto più di tanto, ed ora che si
era svegliata accanto a lui si lasciava di nuovo pervadere da quei cupi
pensieri relativi alla sua sete di vendetta?
Tutto
quel rancore che Uncino provava nei confronti del Signore Oscuro si stava
riversando anche in lei, la stava contagiando in un modo diverso da come aveva fatto
con il pirata, ma ugualmente la stava accecando e non le permetteva di godersi
appieno quello che stava vivendo. Quei brevi momenti di gioia erano funestati
dalla presenza invisibile eppure così pregnante della vendetta.
Ariel si
mordicchiò un labbro e distrattamente iniziò a disegnare con le dita dei cerchi
immaginari sul petto di Killian, il quale all'inizio
mugugnò nel sonno, poi ridacchiò e infine le afferrò il polso con la mano sana.
– Mi fai
il solletico – dichiarò, prima di portarsi le dita della sirena alle labbra e
baciarle una per una. Non lo disse ad alta voce, ma era contento di essersi
svegliato e aver trovato Ariel accanto a sé. Una parte di lui temeva infatti
che lei se ne fosse andata proprio come aveva fatto la mattina precedente, ma
nel constatare che quella paura era infondata si sentì sollevato, anche se non preferiva
tenere quel pensiero per sé. Si era già esposto molto la sera prima, e non
poteva permettere ad Ariel di avvicinarsi a lui come aveva fatto con Baelfire.
Nel
momento stesso in cui quelle parole presero forma nella sua mente, tuttavia, si
rese conto che erano sbagliate. Era ormai troppo tardi per tenere Ariel a
distanza, siccome la sera prima le aveva detto di volerla al proprio fianco.
E non lo
aveva fatto a sproposito.
Sentiva
di non poter fare a meno della sua presenza, che lo rendeva così vivo. Anche
quella notte, come la precedente, aveva provato sensazioni che credeva perdute
da tempo, aveva stretto Ariel tra le proprie braccia come se fosse l’unica cosa
sensata da fare, e in quei momenti aveva pensato solo a lei e a nient’altro. La
sete di vendetta alla quale si aggrappava per dare un senso alle proprie
giornate era diventata una pallida ombra lontana e per un attimo era stata
sostituta da una sete di altro tipo, da un sete che avrebbe potuto essere
definita di vita, di amore, di serenità. Si era unito ad Ariel e per un istante
aveva creduto che quella sarebbe stata la soluzione a tutti i propri mali, ma
così non poteva essere.
L’unico
modo per lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare da capo era uccidere Tremotino, e lo sapeva bene. In quel modo il Coccodrillo
non avrebbe più tormentato i suoi incubi e sarebbe stato solo un terribile
ricordo del passato.
Con un sospiro
carico di preoccupazione intrecciò le proprie dita a quelle della sirena,
ignaro che nella mente di lei albergassero pensieri altrettanto angoscianti.
Non poteva sapere che i propri demoni erano diventati anche i suoi, che il loro
legame si fosse tramutato in qualcosa di così profondo da portarli a
condividerli, seppure in modo diverso l’una dall’altro.
– Non
volevo svegliarti – si scusò Ariel, puntellandosi su un gomito per poter
guardare Killian negli occhi.
– Oh, non
preoccuparti – la liquidò Killian stringendosi nelle
spalle. – È stato un risveglio piacevole – ammiccò dunque, facendole
l’occhiolino. Certo, nella sua mente e nel suo cuore gravavano cupe angosce, ma
la gioia che aveva provato nell’aprire gli occhi e ritrovarsi la sirena tra le
braccia era stata autentica.
Ariel
sorrise, le gote leggermente imporporate. Killian
sapeva essere dolce, qualche volta, come quando la notte precedente l’aveva
cullata tra le proprie braccia dopo quel terribile incubo che aveva messo a
nudo tutte le sue paure. Quando il pirata le mostrava quel volto gentile,
quell’aspetto che nell’uomo con cui aveva trascorso del tempo nella Foresta
Incantata era stato predominante, la sirena capiva perché si fosse innamorata
di lui senza nemmeno rendersene conto, in modo quasi naturale. Capiva anche, tuttavia,
che quel suo lato veniva a galla sempre più raramente rispetto al passato e se
ne rammaricava, ma sperava di riuscire a farlo emergere con più frequenza, nel
lasso di tempo che avrebbe avuto a disposizione.
Gli diede
un fugace bacio sulle labbra e fece per alzarsi dal letto, ma Killian glielo impedì. Con un rapido movimento strinse più
forte le dita di Ariel tra le sue e fece leva su di esse per attirarla di nuovo
verso il letto e su di sé, dopodiché invertì le posizioni e la sovrastò con il
proprio corpo così da immobilizzarla.
– Dove
credi di andare? – le sussurrò all’orecchio, prima di iniziare a mordicchiarne
il lobo. Non voleva separarsi da lei, non ancora. Il giorno prima non aveva
potuto godere della sua compagnia e dunque ora che ne aveva la possibilità
voleva restare ancora un po’ con lei.
– A
palazzo – rispose Ariel per poi cercare le labbra di Killian
e unirle alle proprie in un lungo bacio.
– Ne sei
sicura? – domandò il pirata con voce roca, non appena si separarono per
riprendere fiato.
Ariel
annuì, leggermente ansimante. – È da lì che voglio iniziare ad aiutarti –
dichiarò con voce velata di malinconia. Distolse lo sguardo nel tentativo di
nascondere il dolore che quasi sicuramente doveva averlo offuscato, poiché il
solo pensiero che di lì a poco avrebbe dovuto dire addio a Killian,
forse per sempre, la intristiva.
Il pirata
tuttavia dovette notarlo, poiché le posò un delicato bacio prima sulla fronte e
poi sulle labbra. – Puoi anche farne a meno, per oggi – decretò quindi con
dolcezza, per quanto gli costasse fatica.
Era a Neverland ormai da mesi ed era venuto lì per guadagnare
tempo nella lotta contro una creatura immortale. Ora che sapeva come
sconfiggerla, doveva solo trovare un modo per tornare nella Foresta Incantata;
un giorno in più non avrebbe certo fatto la differenza. Si disse che lo faceva
per il bene di Ariel, ma in realtà lo faceva anche per se stesso, per quanto
gli costasse ammetterlo.
– Dici
davvero? – chiese conferma la sirena, titubante. Riportò il proprio sguardo sul
viso di Killian fino a incontrare i suoi occhi
azzurri messi in risalto dal contrasto con l’eye-liner nero e vide che era
sincero, così le venne spontaneo sorridere.
Forse
c’era ancora qualche speranza. Forse la vendetta non aveva ancora corroso
completamente il suo animo, non fino in fondo almeno. Doveva solo trovare il
modo di fare breccia in quel poco di incontaminato che ancora restava.
Killian annuì e
Ariel gli gettò le braccia al collo per attirarlo ancora più vicino a sé;
intuite le sue intenzioni, lui colmò la seppur breve distanza che li separava e
premette le proprie labbra sulla bocca di lei.
– E
perché potrei farne a meno, oggi? – domandò poco dopo Ariel, allacciando le
proprie gambe alla parte bassa della schiena di Killian.
– Te lo
dico dopo – la tenne sulle spine quest’ultimo, con tono malizioso.
La sirena
ridacchiò, per poi abbandonarsi completamente tra le braccia del pirata.
Qualche
ora dopo, quando il sole ormai era alto in cielo, Killian
si destò. Qualcuno aveva bussato alla porta della sua cabina, e in maniera
piuttosto insistente.
Il
capitano diede un rapido sguardo ad Ariel e vide che dormiva ancora,
un’espressione beata dipinta sul volto. Stando dunque bene attento a non svegliarla,
si alzò dal letto e recuperò dal pavimento i pantaloni che la sera prima si era
tolto senza troppe remore. Se li infilò ed andò alla porta della cabina, chiusa
a chiave, per poi aprirla quel tanto che bastava per vedere chi avesse bussato.
– Spugna
– constatò, schioccando la lingua.
–
Capitano – lo salutò il marinaio, con un sorriso imbarazzato. – Avete visto che
bella giornata? Mi chiedevo…
– Perché
hai bussato? – lo interruppe Killian, che voleva
arrivare dritto al punto.
– Perché… Uhm, perché volevo assicurarmi che voi steste bene.
Nessun membro dell’equipaggio vi ha più visto da ieri sera e…
Ormai è pomeriggio, e…
– Sì, sì,
Spugna, sto bene – lo liquidò il capitano, con un gesto dell’uncino. – C’è dell’altro?
– Ehm, sì
– borbottò Spugna. – Come ho detto ormai è pomeriggio, e sono venuto a
svegliarvi. La ciurma è di nuovo sobria e attende ordini, capitano.
– Oh,
certo – annuì Killian. Sotto un certo punto di vista,
Spugna aveva fatto bene a recarsi nella sua cabina. Gli aveva risparmiato un
viaggio sopracoperta. – Di’ a Hercules di prepararmi una scialuppa. Tra un’ora
mi servirà per fare un giro di perlustrazione. Sarò di ritorno entro domattina.
Fino ad allora… Beh, fino ad allora rimanete
ormeggiati a Pandora e date una bella sistemata alla nave – decretò dunque,
dato che la Jolly Roger era stata un po’ trascurata, in quelle ultime settimane
che aveva dedicato al salvataggio di Bae.
–
Riferirò, allora – affermò Spugna, e prima che potesse aggiungere altro Killian gli rivolse un sorriso sbrigativo e chiuse la porta
della cabina.
Tornò
verso il letto e vi si sedette sopra, accanto a dove era sdraiata Ariel. La
sirena continuava a dormire, beata, e a Killian venne
spontaneo sorridere nel vederla così tranquilla. Ricordava bene quando, diversi
anni prima nella Foresta Incantata, gli aveva confessato di non desiderare
altro che un po’ di pace.
Si chiese
se in quegli anni che avevano trascorso separati lei avesse trovato quella
tranquillità che tanto agognava e fu naturale domandarsi se lui con il suo
arrivo non avesse distrutto quell’equilibrio che la sirena aveva tanto
faticosamente trovato, se la sua presenza non fosse troppo destabilizzante, se
non dannosa.
Sospirò,
a quei pensieri.
Finché
non avesse ottenuto la propria vendetta, non avrebbe potuto offrire ad Ariel la
vita che desiderava. Provava per lei dei sentimenti forti, ma non abbastanza
potenti da offuscare il desiderio di rivalsa nei confronti del Coccodrillo. Doveva ucciderlo, lo doveva a se stesso e
lo doveva a Milah, al suo primo amore che gli era
stato portato via in modo così brutale.
Chinò il
proprio viso su quello di Ariel e le depositò un lieve bacio sulle labbra, poi
le posò la mano sana su una spalla e la scosse con dolcezza, nel tentativo di
svegliarla. Quasi subito la sirena aprì gli occhi con uno sbadiglio e si
stiracchiò, ancora intorpidita.
– Ben
svegliata – la salutò Killian, divertito.
Ariel
sorrise e si mise a sedere, coprendosi con il lenzuolo stropicciato come meglio
poté. – Devi tornare sopracoperta? – gli domandò, la testa inclinata di lato.
– Ad
essere onesto preferirei tornare sottocoperta
– rispose Killian, leccandosi le labbra allusivo.
Ariel arrossì e distolse lo sguardo, con una risatina imbarazzata. – Però non
farò né l’una né l’altra cosa – proseguì il pirata, per poi alzarsi dal letto e
recuperare dal pavimento la propria camicia. – Vestiti, ti porto in un posto –
le ordinò infine, prima di porgerle i suoi vestiti.
– Dove? –
tentò di indagare Ariel, sorpresa, mentre si rivestiva.
– È un
segreto – eluse la domanda Killian, facendole
l’occhiolino, per poi andare alla porta della cabina. – Ti aspetto sul ponte –
disse dunque, sull’uscio.
Ariel
sospirò. Quel pirata non smetteva mai di meravigliarla.
Quando
Ariel poco dopo emerse da sottocoperta e salì sul ponte, trovò Killian vicino a una scialuppa, intento a parlare con
Hercules. Fece per raggiungerlo, ma Leonard le si parò davanti, bloccandole la
strada.
– Tu! –
la apostrofò, in un tono misto tra l’incredulo e il rimprovero. – Cosa ci fai
qui? Da dove arrivi? Non dovresti essere in fondo al mar?
Ariel
arrossì e gli rivolse un sorriso imbarazzato, per poi distogliere lo sguardo
senza proferire verbo. Sarebbe stato inutile confermare ciò che di sicuro
doveva apparire ovvio.
– Oh –
disse semplicemente Leonard. – E così tu e il capitano…
– tentò di chiedere poi, lasciando la frase in sospeso.
– Già –
borbottò Ariel, tormentandosi una ciocca di capelli. – Più o meno – aggiunse
poi in tono cupo, per ricordare a se stessa che del resto quel che c’era tra
lei e Killian non aveva ancora una definizione ben
precisa. Non per entrambi, per lo meno.
– Più o
meno?! – ripeté Leonard, incredulo. – Ariel, sei appena uscita dalla sua cabina
dopo essere sparita con lui da ieri sera. Ora, sarò ancora l’ultimo arrivato
della ciurma, ma ho trascorso su questa nave tanto tempo quanto basta per comprendere
certe dinamiche e credo che la tua definizione sia un po’ riduttiva! – asserì poi
il ragazzo, convinto, e probabilmente avrebbe aggiunto dell’altro se il
capitano non gli avesse urlato di smetterla di smetterla di importunare Ariel
per andare ad aiutare Spugna con le vele.
– Agli
ordini, capitano! – obbedì dunque, rivolto a Uncino, dopodiché si volse di
nuovo verso Ariel. – Il dovere mi chiama, ma sappi che questa conversazione non
finisce qui! – decretò, prima di darle le spalle e raggiungere Spugna con poche
ampie falcate.
Perplessa
e imbarazzata, Ariel si diresse verso Killian e lo
raggiunse nel momento esatto in cui Hercules si congedò da lui. Nel passarle
davanti, il ragazzo le fece l’occhiolino, sorridendo malizioso, e l’imbarazzo
della sirena non fece che aumentare. Perché i membri della ciurma erano così
allusivi, e sotto un certo punto di vista persino infantili?
Pirati!, pensò Ariel con una nota di disappunto.
Poco dopo
lei e Killian salirono a bordo della scialuppa
preparata da Hercules e si allontanarono dalla Jolly Roger.
– Dove
stiamo andando? – domandò di nuovo Ariel, nella speranza di ottenere una
risposta.
–
Arrenditi, non ho proprio intenzione di dirtelo – ribatté Killian,
scuotendo la testa con un sorriso furbo.
Ariel
sbuffò e si sistemò meglio sulla scialuppa, mentre Killian
remava. Non poté fare a meno di ricordare quando tanti anni prima si era
trovata in una situazione pressoché identica con Eric, e un sorriso malinconico
le si dipinse in viso.
Mai
avrebbe creduto di potersi innamorare di nuovo, né tantomeno di un uomo come Killian Jones. Ancora non riusciva a capacitarsi di provare
di nuovo quelle sensazioni, e temeva che non ci sarebbe più riuscita, specie
quando il pirata sarebbe partito da Neverland da un
momento all’altro.
Di nuovo
la paura di perdere Killian nello stesso modo in cui
aveva perso Eric le attanagliò le viscere in una morsa dolorosa che quasi le
mozzò il respiro.
Eric era
stato assassinato dal fratello all’improvviso, pur conducendo una vita
tranquilla. Cosa ne sarebbe stato di Killian, un
pirata che aveva intenzione di sfidare l’Oscuro Signore in persona?
Ariel non
riusciva a fare a meno di chiederselo, nonostante sapesse che era inutile
farlo, perché gli scenari che le si prospettavano davanti erano davvero
desolanti.
Nel
frattempo, circumnavigando Pandora, Killian aveva
remato fino ad una piccola spiaggia situata in un’insenatura raggiungibile solo
via mare, a nuoto o tramite barca.
– Dove
siamo? – domandò Ariel, un po’ spiazzata, non appena scesero dalla scialuppa,
per poi trascinarla a riva. Fino a quel momento aveva creduto che Killian l’avrebbe portata in un luogo diverso dell’isola, da
qualcuno che avrebbe potuto aiutarli nella loro impresa. Non si aspettava certo
una spiaggia così appartata, circondata solo da alti scogli.
– In un
posto in cui negli ultimi tempi sono venuto spesso ma dal quale manco da un po’
– rispose enigmatico il pirata, con un sorriso malinconico. – Sono venuto qui
molte volte… con Bae. Qui
gli ho insegnato a orientarsi con le stelle (1) – spiegò quindi, la voce carica
di dolore e rammarico. Non poté fare a meno di ricordare l’entusiasmo che il
ragazzino aveva mostrato la prima volta che erano andati lì e come i suoi occhi
si erano illuminati, in quel modo che tanto gli ricordava Milah.
– Ti
manca, vero? – chiese Ariel, stringendogli la mano sana tra le proprie.
– Molto.
Più di quanto vorrei – rispose Killian in tono amaro,
volgendo lo sguardo all’orizzonte e restando in silenzio per qualche istante. –
Non è per parlare di lui che ti ho portato qui, però – riprese dunque, tornando
a rivolgere lo sguardo ad Ariel. Baelfire ormai era
uscito dalla sua vita ed era tornato dai Darling, e per lui era meglio così. Quella
famiglia gli avrebbe offerto molto più di quanto avrebbe potuto dargli lui, e Bae sarebbe stato finalmente felice. – Ieri sera mi hai
colto un po’ alla sprovvista, e non sono riuscito a dire tutto ciò che avrei
voluto, perciò siamo qui per poter continuare la conversazione in un posto
tranquillo.
–
Continuare la conversazione? – ripeté Ariel, poco convinta. – E perché mai
dovremmo? Sei stato fin troppo chiaro. Hai la tua vendetta da perseguire ma al
contempo mi vuoi al tuo fianco. Bisogna vedere un po’ come riuscire a
conciliare entrambe le cose, ma che altro c’è da aggiungere? – riassunse poi in
breve, lasciando andare la mano di Killian e
incrociando le braccia al petto, sulla difensiva. Che il pirata avesse cambiato
idea e la considerasse solo una distrazione? Era questo che voleva dirle?
– C’è
altro da dire, in effetti. Da precisare – ribatté il capitano. – Ti ho detto di
non sapere cosa provo per te, ma non è del tutto vero. Qualcosa so, Ariel.
Quando sono con te, quando ti ho accanto, quando sei tra le mie braccia…Io… Ritrovo un po’ di
serenità, e dopo Baelfire non lo credevo più
possibile. E…
–E allora lascia perdere la vendetta! – lo
interruppe Ariel con enfasi, il cuore che le batteva all’impazzata, dopo quella
confessione. Non credeva di essere così importante per lui. Certo, la sera
prima le aveva detto che non era un semplice passatempo, ma non immaginava
sentimenti di tale portata. Le parole che il pirata aveva appena detto celavano
un profondo significato. I sentimenti che entrambi provavano l’uno per l’altra
erano più simili di quanto pensasse. – Lasciala perdere e inizia una nuova
vita, con me! Potremmo essere felici, Killian, se
solo tu lo volessi.
– Non è
così semplice! – la contraddisse il pirata, alzando la voce. – Vorrei iniziare
una nuova vita, e vorrei farlo con te, ma prima devo uccidere il Coccodrillo!
Solo allora, sapendolo morto, potrei tirare un sospiro di sollievo e tornare da
te!
Killian doveva
scuoiare quel maledetto Coccodrillo per poter essere tranquillo, lo doveva a se
stesso ma ancora prima lo doveva a Milah. Lei aveva
rinunciato a tutto per seguirlo sulla Jolly Roger, per trascorrere insieme a
lui una vita vera e piena di avventure. Vendicarla era il minimo che potesse
fare, solo così sarebbe poi stato in grado di lasciarla andare e di ricordarla con
serenità senza avvertire quel senso di colpa opprimente che gli mozzava il
respiro.
Si
sentiva responsabile della sua morte, e solo vendicandola avrebbe potuto
alleviare quella sensazione.
Ariel
incrociò le braccia, frustrata.
Di nuovo Tremotino, di nuovo la vendetta. Di nuovo Milah. Davvero per Killian
l’unico modo per dimenticarla era uccidere l’uomo che l’aveva assassinata? La
sirena sospirò. Non era l’odio la soluzione ai suoi problemi, ma non sapeva più
come farglielo intendere.
– Certo,
avrei dovuto capirlo fin da subito. Cosa spreco fiato a fare? Di certo non
riuscirò a dissuaderti – borbottò, rassegnata. Fece una pausa e prese un
respiro profondo, conscia del peso delle parole che avrebbe pronunciato di lì a
poco. – Se proprio non riesci a rinunciare alla tua dannata vendetta,
permettimi almeno di venire con te nella Foresta Incantata – disse dunque
risoluta, puntando le mani sui fianchi e guardando Killian
dritto negli occhi. La sola idea di vederlo partire da Neverland
per quella missione suicida le spezzava il cuore e la riempiva d’ansia, perciò
seguirlo era l’unica soluzione possibile.
– Cosa? –
domandò Killian a denti stretti, non credendo alle
proprie orecchie. Una morsa gli serrò lo stomaco, e fu sorpreso nel constatare
quella sensazione di terrore.
– Voglio
venire con te nella Foresta Incantata – ripeté Ariel, determinata.
– Non se
ne parla nemmeno! – si rifiutò il capitano, senza battere ciglio. Se il
Coccodrillo avesse scoperto di Ariel e saputo che per lui rappresentava la
possibilità di avere di nuovo un lieto fine, la vita della sirena sarebbe stata
in pericolo. Avrebbe rischiato di incorrere nello stesso destino che era
toccato a Milah, e lui non poteva né voleva
permetterlo. Sarebbe stata più al sicuro a Neverland,
dove Tremotino non poteva raggiungerla e dove non
sarebbe mai venuto a conoscenza della sua esistenza.
Ariel
montò su tutte le furie. – Come sarebbe a dire?! – strillò, gli occhi ridotti a
due fessure. Perché Killian continuava ad
allontanarla a quel modo? – Sei stato tu a chiedere il mio aiuto e lo avrai,
fino in fondo. Verrò con te, così potrò saldare il mio debito nei tuoi
confronti per quello che hai fatto per me anni fa e…
– Non ce
n’è bisogno – la interruppe il capitano. – Quel debito, anche se di tale non si
tratta, sarà saldato quando avrai trovato un modo per farmi andare via da qui.
Non c’è bisogno che tu mi segua, sarebbe troppo pericoloso – statuì poi, nella
speranza che Ariel capisse. A volte sapeva essere davvero ostinata. Non poteva
permetterle di venire con lui, non poteva esporla così a quel pericolo, non
poteva farla diventare la sua debolezza. Doveva dimostrarsi invulnerabile, di
fronte a Tremotino. Non voleva dargli altre occasioni
di ferirlo e di rovinargli la vita.
– Credi
che non lo sappia? Ma so badare a me stessa, ormai! Come avrai notato non sono
più quella ragazza incauta e maldestra di tanti anni fa, io…
– Tu di
fronte all’Oscuro saresti in pericolo, in ogni caso. Non lo conosci, non hai
idea di cosa è capace. Ucciderlo è una cosa che devo fare da solo, non voglio
che né tu né alcun membro della mia ciurma veniate feriti o peggio. È una
questione tra me e lui, e nessun altro deve essere coinvolto – tagliò corto Killian, brutalmente, prima di voltarle le spalle e
iniziare a perlustrare la spiaggia alla ricerca di qualche pezzo di legno con
cui preparare un falò. Di lì a poco infatti il sole sarebbe scomparso oltre l’orizzonte
e sarebbe calata la notte.
Ariel si
passò una mano tra i capelli, mentre rimuginava sulle parole che aveva appena
udito, e comprese.
Killian non
voleva che nessun altro perisse per mano dell’Oscuro, facendo la stessa fine di
Milah.
Non
voleva che lei facesse quella fine.
Non voleva
perderla.
Le paure
del pirata non erano poi così diverse dalle proprie.
Perché
però lui non parlava chiaro? Perché non le rivelava i suoi dubbi e i suoi
timori? Perché si teneva tutto dentro, costruendo così una barriera
impenetrabile? Perché non le permetteva di stargli accanto in modo completo?
Perché permetteva alla vendetta di offuscare completamente il suo giudizio e di
allontanarlo da lei, che avrebbe potuto aiutarlo a lasciarsi tutto alle spalle?
Ariel non
capiva, e forse non ne sarebbe mai stata in grado. Forse lei e Killian non erano fatti per stare insieme, forse quello non
era il momento più adatto, forse la loro occasione si era presentata anni prima
nella Foresta Incantata e lei l’aveva sprecata, scatenando tutti gli eventi che
li avevano portati a quel punto, su quella spiaggia, separati da una distanza
fisica di pochi metri e dalla vendetta.
Eppure Ariel
non riusciva a stargli lontano, dentro di sé sentiva una forza che la spingeva
verso di lui, qualunque cosa succedesse.
Lentamente
raggiunse il capitano, che nel frattempo aveva acceso un fuoco e si era seduto
accanto a esso. Si inginocchiò di fronte a lui e gli prese il volto tra le
mani. – Capisco che tu non voglia coinvolgermi, Killian
– esordì, in tono calmo. Infervorarsi di nuovo era inutile, non avrebbe portato
a nulla se non altre discussioni che li avrebbero ulteriormente allontanati. –
È solo che… Non posso rimanere qui sapendo che tu sarai là,
in pericolo. Non credo di potercela fare – rivelò dunque, con un sospiro.
Killian le
sorrise dolcemente, inclinando la testa di lato, dopodiché poggiò la mano su
una delle sue, accarezzandola. – Sarò di ritorno ben prima che tu te ne
accorga, Ariel – le garantì in tono solenne, guardandola negli occhi. Voleva tranquillizzarla,
o almeno provarci. – Qui il tempo scorre diversamente, lo sai.
– E se
non tornassi? – domandò Ariel, esprimendo ad alta voce i propri timori. – Te
l’ho già detto e lo ripeto, Killian, io… Io non voglio perderti – proseguì poi, con voce
incrinata. Al solo pensiero di non poterlo vedere mai più, la disperazione si
era impadronita di lei, e non era riuscita a porvi freno.
– Tornerò
– promise Killian, prima di portare la mano sana
dietro la nuca di Ariel. Glielo doveva. Meritavano di avere un’occasione di
tutto rispetto, una volta che lui avesse ottenuto la propria vendetta. – Ho un
ottimo motivo per farlo. È per dirti questo che ti ho portata qui – le rivelò
infine, per poi avvicinarla a sé facendo pressione sulla nuca e baciarla,
ponendo così fine a quella discussione e a qualsiasi obiezione che la sirena
avrebbe potuto muovergli.
Tutto
ormai era deciso, almeno da parte sua. Avrebbe ucciso Tremotino e poi sarebbe
tornato da Ariel per rimettere insieme quegli aguzzi frammenti in cui il suo
cuore era ridotto e guarirlo, smettendo di farlo sanguinare.
Ariel chiuse
gli occhi e si abbandonò a quel bacio. Non appena le proprie labbra si unirono
a quelle di Killian tutto quello che si erano detti
perse importanza, tutti i pensieri e le preoccupazioni che la opprimevano
sparirono per essere sostituiti da una sensazione di completezza che avrebbe
desiderato provare ogni istante che trascorreva insieme al pirata, e non
soltanto quando i sentimenti prevalevano su tutto il resto.
Note
(1)Piccolo
riferimento privo di spoiler alla 3x16. Chi l’ha vista capirà, non dico altro
per non incorrere in spoiler.
Buonasera a
tutti!
Sì, sono
ancora viva.
Sì, ho ripreso
questa storia.
Sì, vi chiedo
scusa per aver fatto passare secoli dall’ultimo aggiornamento.
A mia discolpa,
come alcuni lettori già sanno, posso dire che tra Dicembre e fine Gennaio sono
stata impegnata a sostenere l’ultimo esame della laurea triennale e a finire di
scrivere la tesi.
Il capitolo 12
era già pronto, mi mancava solo un ultima scena, ed era completamente diverso
da quello che ho pubblicato ora. Il problema è che, dopo che miracolosamente
avevo appena trasferito la tesi dal mio fidato e ormai compianto netbook alla chiavetta usb per portarla a stampare, il pc ha fatto ciao e mi ha lasciato. Essendo molto in aria,
in quel periodo, su chiavetta avevo solo la tesi. I racconti e, peggio ancora,
tutti gli appunti del primo semestre sono rimasti sul pc
e non è stato più possibile recuperarli perché l’hard disk si era fottuto.
La laurea ha
portato con sé quello che ora è il mio amato portatile, ma sinceramente mi
sentivo un po’ frustata a dover riscrivere il capitolo 12, per cui ci ho messo
un po’ e ho fatto molte inversioni di rotta.
Alla fine ne è
uscito questo, un capitolo completamente diverso da quello originario e diciamo
un po’ di stallo, di passaggio, ma dovevo chiarire alcune cose rimaste sospese
nel precedente capitolo. Come avrete capito la situazione tra Ariel e Killian è ancora tesa, tra loro c’è la vendetta. Gestire Uncino
ancora pieno di rancore ma al contempo alle prese con i sentimento che prova
per Ariel non è semplice, il rischio di finire OOC è sempre in agguato e temo
che questo capitolo ne sia la prova. Spero però che risulti comunque credibile.
Spero anche
che il capitolo, nonostante il clamoroso ritardo, vi sia piaciuto e che abbiate
voglia di lasciarmi un commento per sapere cosa ne pensate.
L’ultima
speranza è infine quella di aggiornare presto, ma vi avviso già che sono in
piena sessione estiva e ho un sacco di esami della laurea magistrale da dare,
perciò i tempi saranno un po’ dilatati. Ma non temete, ormai mi sono messa in
testa di concludere questa storia e lo farò, anche se probabilmente ci metterò
secoli. Spero siate pazienti.