Una goccia di splendore

di Alkimia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo episodio ***
Capitolo 2: *** Secondo episodio ***
Capitolo 3: *** Terzo episodio ***
Capitolo 4: *** Quarto episodio ***
Capitolo 5: *** Quinto episodio ***
Capitolo 6: *** Sesto episodio ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Primo episodio ***


Preamboli di dubbia utilità:
Nella mitologia norrena, Snotra era una delle divinità maggiori (gli Æsir) residenti ad Asgard, il suo nome viene associato alla schiera di divinità benevole e protettive ed era nota per la sua saggezza, per la sua attitudine a comprendere le cose e per il suo nobile aspetto (tra l'altro, wikipedia docet, snotr significa appunto “assennato”).
Considerando che la versione “marveliana” di Asgard è parecchio riveduta e corretta, la mia fantasia perversa ha fatto del personaggio di Snotra una sorta di studiosa, istitutrice dei figli di Odino.
La storia (fino a eventuale nuovo ordine del mio musO ispiratore... perché lui è un maschio, ma è una lunga storia) è composta da sei capitoli/episodi più un eventuale epilogo sul quale io e Loki ancora dobbiamo metterci d'accordo. Ogni capitolo è collegato a una citazione di una canzone di Fabrizio De Andrè perché ognuno ha i suoi vezzi... 
“Io sono la regina dei refusi”. Citazione pseudo-colta. Per quanto spesso io rilegga le cose prima di postarle, mi sfugge sempre qualcosa. Sorry.
Pareri, critiche, commenti, suggerimenti sono sempre bene accetti.
Buona lettura.

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UNA GOCCIA DI SPLENDORE


1° Episodio

“E neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro”

Le stelle erano al loro posto, inesorabili.
Snotra non aveva mai trovato particolarmente confortante il silenzio e l’immobilità delle notti di Asgard né amava l’inattività e la mancanza di illuminazione. Le sue notti erano fatte di lunghe ore scandite dal tremolio delle fiamme e dalla loro luce dorata che le permetteva di leggere le pagine dei suoi libri o di scrivere i suoi appunti e vergare le sue memorie.
Quella notte però non riusciva a rimanere concentrata. Aveva letto tre volte l’inizio di un capitolo ma la sua mente rimaneva impermeabile alle parole impresse sulla carta.
Richiuse il pesante volume che teneva poggiato in grembo e si avvolse una ciocca di capelli attorno all’indice, con un gesto distratto. Da un po’ di tempo aveva cominciato a notare che il rosso dei suoi capelli era diventato meno scintillante. In tutti i Nove Regni gli individui nascono, crescono, invecchiano, si disse, perché mai ad Asgard avrebbe dovuto essere diverso? Anche ad Asgard il tempo scorre, per quanto lentamente; anche ad Asgard le persone muoiono.
Il pensiero le incupì lo sguardo e la donna si ritrovò a fissare la lingua di cielo visibile tra le tende di seta dorata, una stringa di nero chiazzato di stelle. L’aria portava l’odore della pioggia e anche qualcos’altro: presentimenti funesti che Snotra cercava inutilmente di ignorare.
Da quanti giorni il figlio di Odino era partito? Il tempo aveva preso a scorrere ad un ritmo strano e lei aveva perso il conto dei tramonti trascorsi da quando Thor aveva lasciato il palazzo per tornare su Midgard e riportare indietro Loki.
Loki era vivo.
Doveva restare un segreto, secondo il volere del Padre degli Dei, ma non c’era quasi nulla che riuscisse a rimanerle celato tra quelle pareti dorate e quella di mantenere un segreto era un’abilità che a Thor era sempre mancata. Era stato lui, infatti, ad andare da lei e chiederle se c’era un modo per tornare su Midgard, se nella biblioteca del palazzo c’era qualche testo che spiegasse come viaggiare attraverso i Nove Regni senza l’ausilio del Bifrost. Quando gli aveva chiesto il motivo di questa domanda formulata con evidente apprensione, il figlio di Odino non era stato in grado di mentirle.
«Devo tornare sulla Terra. Loki si trova lì ed è mio dovere riportarlo a casa».
Snotra si era lasciata sfuggire un moto di stupore e si era portata la mano al petto sentendo il cuore pulsarle al ritmo di un'emozione alla quale non sapeva dare un nome.
«Dunque, lo hai perdonato?» aveva chiesto semplicemente, dopo qualche istante di silenzio. Non era l’unica domanda che le si era affacciata nella mente dopo quella rivelazione, ma era l’unica la cui risposta le importasse davvero.
«Ho provato a… comprenderlo»
«E ci sei riuscito?»
«Non lo so. Ma è mio fratello».
Credi che lui abbia perdonato te?
Il coraggio di dare voce a quest'altra domanda però le era mancato. Snotra aveva semplicemente posato una mano sul braccio di Thor e gli aveva rivolto un mezzo sorriso triste. Esisteva un modo per lasciare Asgard anche ora che il Bifrost era distrutto; se in passato Thor fosse stato un alunno un po’ più diligente lo avrebbe saputo, come lo sapeva suo fratello.
Snotra si scoprì incapace di restare seduta alla sua scrivania e decise di recarsi alla biblioteca del palazzo per riporre il libro che non era riuscita a leggere.
La biblioteca era diventata il suo regno incontrastato e lei aveva fatto dello studio e della cura degli infiniti testi del palazzo la sua ragione di vita, fin da quando aveva smesso di essere la precettrice dei figli di Odino che il tempo voleva troppo cresciuti per aver ancora bisogno di insegnamenti.
Il tempo sa essere un tale mentitore, alle volte.
Aveva appena posato il volume sullo scaffale, allineandolo ordinatamente con gli altri, quando sentì il rombo lontano di un tuono. La notte si arrese alla tempesta e Snotra seppe che Thor era tornato e quasi certamente non era tornato da solo. Il principe non era quel genere di persona disposta ad arrendersi.
La donna si appoggiò con le spalle alla fiancata di un alto scaffale, il cuore le martellava nel petto e lei sentì evaporare il suo consueto buon senso. Sarebbe stato saggio tornare nelle sue stanze e fingere di non sapere, come avrebbe voluto il Padre degli dei, e invece si ritrovò a camminare verso i gradini che conducevano al pianterreno, lungo l'angusto corridoio che portava a un'entrata secondaria del palazzo riservata alle guardie.
Il rumore della pioggia e l'aria umida entravano dalla porta che qualcuno aveva lasciato aperta. Nella penombra, Snotra scorse il profilo di una guardia in piedi accanto al battente e si nascose dietro a una colonna, restando a fissare impietrita la scena di Loki che attraversava la soglia, seguendo con indolenza Thor e Odino, i polsi incatenati, lo sguardo fiammeggiante sul viso pallido in parte nascosto da un'ingombrante arnese che gli teneva chiusa la bocca. I loro abiti gocciolavano sul pavimento lucido e lei sentì una lama di dolore attraversarle il petto.
Loki era vivo, ancora una volta i fratelli che lei aveva istruito e visto crescere non si erano uccisi a vicenda, ma nel tetro spettacolo che scorreva silenzioso davanti ai suoi occhi, la donna non trovò nulla che la facesse sentire sollevata.
Odino mormorò alcuni ordini alle guardie che si erano recate con lui in cortile e queste si allontanarono, assieme a Loki e a Thor, lungo parte opposta del corridoio.
Se non altro, al dio degli inganni era stata risparmiata la pubblica umiliazione di essere trascinato in ceppi davanti a tutto il popolo della Patria Eterna.
La donna osservò il re di Asgard fermarsi a metà del corridoio e sospirare; fu un sospiro colmo di pena che di certo non aveva allentato di un solo grammo il peso che il sovrano doveva avere nel petto.
«Snotra». La voce di Odino fece quasi eco, suonando tanto stanca quanto autoritaria.
Lei uscì dal suo nascondiglio, incapace di staccarsi dalla colonna, convinta che le gambe non l'avrebbero sostenuta. Forse avrebbe dovuto chiedere perdono per quella sortita, ma ritenne più sensato non dire niente, anche perché lo sguardo velato del suo re le aveva come portato via la voce.
«Potevi risparmiarti questo spettacolo penoso» mormorò Odino, quasi inespressivo, senza alcuna nota di rimprovero.
«Prima o poi avrei visto o saputo, mio re» replicò lei, chinando il capo con fare umile.  
Il Padre degli dei fece vagare lo sguardo sul soffitto istoriato, come se cercasse di scorgere nella penombra i tratti delle rune incise sulle pareti, inseguendo pensieri densi come le nuvole che si erano addensate nel cielo. Dopo lunghi istanti di silenzio, si avvicinò alla donna e le posò una mano sulla spalla.
Snotra osservò la luce sbiadita proveniente dai bracieri posti troppo lontano calcare i chiaroscuri sul viso del re e all'improvviso fu consapevole di quanto lui fosse vecchio e stanco.
«Hai portato un gran fardello per molto tempo, mi fa quasi orrore pensare che sia stato vano» disse Odino, poi all'improvviso le sue labbra si incresparono in un sorriso privo di allegria, più simile a una smorfia di pena.
«Non era un fardello, mio re, era una promessa... e non sono stata in grado di mantenerla».
«Rammenti la notte in cui Loki fu portato via da Jotunheim?».
«Era una notte assai simile a questa, mio re. Era una notte di buio e pioggia».

***

Era una notte di buio e pioggia. Ma prima della pioggia c'era stata la neve.
L'aria sembrava avere il sentore del metallo, Snotra ne inspirava grandi boccate cercando di imprimersi nella mente l'odore della guerra, come se abituarsi a quel senso di minaccia incombente potesse farla abituare anche alla paura.
Il vento gelido soffiava contro il tessuto teso della tenda, producendo secchi schiocchi che impedivano ai pensieri di restare concentrati su qualcosa di costruttivo.
L'esercito di Asgard, troppo numeroso per poter attraversare il Bifrost dopo ogni battaglia, si era accampato in una vallata ai margini di un enorme lago ghiacciato, a poche ore di marcia dal cuore della Capitale di Jotunheim le cui alte torri di pietra scura svettavano verso un cielo lontanissimo fatto di nubi argentee e stelle cieche.
Lei era solo una fanciulla ma Lord Alcuin, il suo maestro, aveva preteso che lo accompagnasse e, dopo lunghe settimane di guerra, lei ancora non sapeva se definirlo un bene o un male.
Lord Alcuin, il primo studioso della corte di Asgard, era vecchio e aveva bisogno di assistenza, di qualcuno che trasportasse i volumi che si era caparbiamente trascinato dietro e che lo aiutasse a sistemare le pagine e pagine di appunti che scriveva per redigere le cronache della Campagna di Jotunheim, la guerra di Odino contro il popolo di Laufey, re dei Giganti di Ghiaccio, che aveva sfidato l'autorità del Padre degli dei minacciando il benessere di Midgard.
Una folata di vento fece alzare il telo che chiudeva l'accesso alla tenda, lasciandolo a sventolare come una bandiera e lasciando che la neve turbinasse all'interno.
«Maledizione».
Snotra imprecò. Su Jotunheim la neve non cadeva in soffici fiocchi, era come se volesse lapidare la terra, annegarla, distruggerla. La giovane gettò una coperta sui libri impilati sul tavolino addossato ad una parete di tela, cercando di proteggere i volumi dai cristalli di ghiaccio che stavano piovendo dentro il riparo.
Dall'apertura irrimediabilmente spalancata, Snotra scorse un lembo di cupo paesaggio dove il bianco della neve combatteva una battaglia persa in partenza contro il nero del cielo. Poco dopo sentì lo scricchiolio di passi che si avvicinavano goffi, incespicando sul suolo ghiacciato.
«Mio signore!» esclamò la giovane, scorgendo la malferma figura di Lord Alcuin arrancare verso la loro tenda. «Venite dentro, vi prenderà un malanno».
Snotra non amava particolarmente il suo maestro – che la trattava come una sciocca buona solo a trasportare pesi e ad annuire ai suoi lunghi e tediosi discorsi, ma il fatto che un uomo anziano se ne andasse in giro da solo, nell'infinita tormenta di neve che Jotunheim offriva ad ogni tramonto, le sembrava un vero e proprio oltraggio al buon senso. Con un sospiro rassegnato, corse fuori dalla tenda e prese Lord Alcuin sottobraccio, trascinandolo dentro e passando i minuti seguenti a combattere contro il vento nel tentativo di chiudere l'entrata.
Aveva appena fissato il telo a un picchetto per tenerlo fermo, con le dita intirizzite e doloranti per il freddo, quando si sentì un tremendo boato, come se il cielo stesso fosse crollato sotto il peso delle nuvole.  
Il fragore di quel suono la fece rabbrividire più del vento gelido. Lord Alcuin alle sue spalle si tolse il cappuccio della pesante mantella, e mosse a vuoto le labbra sotto i lunghi baffi candidi prima di trovare la forza di parlare.
«Apri questa tenda, ragazza» biascicò, con la voce ancora un po' incrinata per lo spavento.
Malgrado l'ordine ricevuto, Snotra restò immobile a fissare il nulla davanti a sé, fino a quando un grido di mille bocche non fece vibrare l'intero accampamento.
Ci attaccano. Siamo perduti.
La giovane si voltò, guardandosi attorno con aria febbrile. Solo dopo avrebbe realizzato qual'era stato davvero il suo pensiero di quei tremendi minuti: se fosse accaduta qualche disgrazia, avrebbe dovuto portare in salvo Alcuin o i libri del palazzo di Asgard con le annotazioni per le Cronache della guerra?
Alla fine, si costrinse a trovare la forza d'animo per scostare il telo che chiudeva la tenda e che lei aveva così faticosamente risistemato. Una folata di aria gelida la investì con violenza, spingendole in viso un nugolo di cristalli di ghiaccio, tanto che la ragazza temette che le avrebbero ferito il viso.
La neve era fitta come nebbia solida e solo dopo molti sforzi lei riuscì a mettere a fuoco lo spettacolo che si presentava all'orizzonte.
Una delle torri del palazzo di Jotunheim era crollata. Il cuore del regno dei Giganti era stato spezzato: avevano vinto.

Nel giro di pochi minuti, il grande accampamento divenne una distesa di fuochi. I soldati già si preparavano per una notte di festeggiamenti e la neve aveva lasciato il posto da una pioggia fitta e gelata, così pungente da sembrare una cascata di dardi.
Snotra ascoltava nel silenzio della sua tenda quella pioggia innaturale martellare contro il tessuto impermeabile. Non era sicura che fosse un buon segno e comunque l'esercito che aveva combattuto quell'ultima battaglia ancora non faceva ritorno.
Eppure, canzoni allegre si levavano tra lo scoppiettio delle fiamme – di quelle che erano riusciti ad accendere malgrado il temporale.
Snotra si sporse oltre l'uscio del suo rifugio, bagnandosi i capelli rossi come quelle stesse fiamme che danzavano nei bracieri sotto le tettoie improvvisate.
L'improvviso nitrito di un cavallo a pochi metri da lei la fece sobbalzare. La giovane si riparò gli occhi con una mano, cercando di vedere meglio oltre la cortina di acqua che scorreva a catinelle. Il destriero emerse dal nulla, come se fosse fatto della stessa ombra insidiosa che avvolgeva ogni angolo di Jotunheim, con in sella un soldato dal mantello di velluto dorato appesantito dalla pioggia e premuto contro la schiena. Solo quando l'uomo smontò dalla sella e le si avvicinò, lei si rese conto che si trattava di un alto graduato dell'esercito di Asgard, sicuramente un generale.
«Dov'è Lord Alcuin?» le domandò bruscamente.
«Nella tenda».
Senza aggiungere altro, il generale entrò nel riparo, con il mantello gocciolante che gli rimaneva attaccato alle spalle e il dorato dell'armatura nascosto da macchie di sangue e fango. Snotra, ormai fradicia, lo seguì.
«Gli ordini erano di parlare con voi, se fosse accaduto qualcosa» disse il nuovo arrivato guardando Lord Alcuin. Da fuori arrivavano acuti i nitriti di protesta del cavallo lasciato in balia del temporale.
«La guerra è vinta, ma il Padre degli dei risulta disperso. Gli ultimi che l'hanno visto, riferiscono che era ferito forse gravemente» asserì lapidario il militare.
Lord Alcuin scattò in piedi. Era molto anziano, di corporatura esile, indebolito dalle troppe primavere che aveva vissuto, ma la forza della disperazione rese quel suo gesto particolarmente scattante e fluido. Un'ombra di panico gli attraversò lo sguardo velato da vecchio. Era un uomo pieno di sé e del tutto privo di umiltà, ma era pur sempre uno dei più fidati consiglieri a palazzo, un sapiente di Asgard, e amava il suo re con tutta la devozione di cui un cuore sarebbe stato capace.
Snotra non sapeva se provare più pena per il suo anziano maestro o se temere per quel re che non aveva mai visto, se non raramente da lontano, nei corridoio della reggia dove viveva da sei mesi come apprendesti dello studioso.
«Organizzate delle ricerche sul campo di battaglia, con uomini fidati. Non date la notizia fino a quando non avrete trovato qualcosa» ordinò Lord Alcuin in tono pratico. Snotra ignorava se fosse mai stato un soldato, di certo aveva letto molte cronache belliche e in ogni caso, per quanto fosse  presuntuoso, non era uno stupido.
Il generale fece un rapido cenno di assenso e uscì. Lord Alcuin si lasciò cadere sulla sedia e nascose il viso nel palmo della sua grande mano rugosa.
Snotra restò in piedi a rabbrividire per le vesti e i capelli fradici, pensando a cosa sarebbe accaduto se Odino non fosse stato ritrovato o se fosse stato trovato morto. Il suo unico figlio, Thor, era un bambino ancora in fasce e sua moglie, la regina Frigga, sarebbe riuscita a preservare il trono e la pace del regno nell'attesa che il principe crescesse?
La fanciulla si morse il labbro. Erano pensieri sciocchi e sconsiderati, se li avesse espressi ad alta voce forse avrebbero potuto accusarla di tradimento, ma le settimane trascorse a pochi passi da un campo di battaglia avevano smorzato in lei la fiamma della speranza che dovrebbe ardere maestosa nel cuore di ogni giovane.
Snotra si avvolse i capelli in un panno e si sedette in terra, accanto a Lord Alcuin, posandogli gentilmente una mano candida e liscia su quella che lui teneva appoggiata al ginocchio, con il dorso percorso da vene azzurrine e screziato da piccole macchie. Poteva anche non amarlo come una discepola avrebbe dovuto amare il suo maestro, ma ora provava una gran pena per lui, una pena che sarebbe divenuta le pena di tutti loro se il re non fosse tornato.
Seduta in quella posizione scomoda, con il freddo che le penetrava fin dentro le ossa, Snotra si preparò a una lunga attesa, fatta di incertezza e apprensione.

I minuti e forse le ore a seguire furono uno stillicidio di tempo che scorreva lento. Il suono della pioggia era ipnotico e rendeva i pensieri una massa di immagini aggrovigliate nella mente della ragazza che ormai non sentiva più nemmeno il freddo.
Prima di quel momento, Snotra non aveva mai davvero riflettuto su quanto fosse aleatorio il benessere del mondo in cui viveva; tutto poggiava su un trono e sulle spalle di chi vi era seduto. Essere re doveva significare una tale condanna...
Il corso delle sue riflessioni fu interrotto dallo scalpiccio degli zoccoli di alcuni cavalli fuori dalla tenda. Lord Alcuin si alzò e si diresse verso l'uscita con la rigidità di un condannato a morte che sale al patibolo. Snotra lo seguì con il cuore in tumulto.
Il maestro scambiò con il generale parole che la fanciulla non fu in grado di udire, entrambi si allontanarono verso una zona dell'accampamento e lei li seguì per un tratto di strada fangosa, mentre l'acqua torbida delle pozzanghere le inzaccherava l'orlo della veste di lana.
«Tornatene nella tenda, ragazza» le abbaiò contro Lord Alcuin. «Di certe faccende una donna meno sa e meglio è».
Snotra strinse i pugni, irritata. Non pretendeva di entrare nel merito di faccende riguardanti la guerra o la politica, ma era una donna che si apprestava a diventare una studiosa, il sapere sarebbe stato la sua vita e troppo spesso quel maestro bigotto le aveva negato la possibilità di conoscere, anche se poi non si era fatto scrupoli a condurla con sé su Jotunheim. Ma non era quello il momento di recriminare, né lei sentiva di averne la forza. Strinse stizzita i pugni, afferrando i lembi della veste per sollevarla e affrettare il passo mentre tornava nella tenda.
I fuochi e le canzoni continuavano a levarsi verso quel cielo ostile da ogni angolo dell'accampamento.
Snotra si sentì esausta, di colpo. La tensione non si era ancora allentata e i pensieri pieni di incertezza e timore continuavano ad agitarsi nella sua mente, eppure si sentiva come se ogni fibra del suo essere si fosse spenta di colpo. Quando sollevò il telo per entrare nella tenda, le sembrò enormemente pesante. Si trascinò dentro senza rendersi conto delle lacrime che le erano salite agli occhi.
Forse fu per la stanchezza che il grido di spavento non le arrivò mai alle labbra.
Dentro la tenda c'era qualcuno, una figura imponente, in piedi accanto al tavolino dei libri. Uno scampolo di raziocino filtrò attraverso la nebbia dello sgomento e la giovane riuscì a mettere a fuoco Gungnir, la lancia di Odino che il visitatore stava usando come sostegno.
«Mio re...» mormorò Snotra, troppo sorpresa per decidere se fosse opportuno inginocchiarsi in quella situazione tanto inusuale.
La risposta che giunse dal silenzio all'interno della tenda fu il vagito di un bambino. Per un istante la giovane fu convinta di averlo solo sognato.
Odino mosse qualche passo in avanti, continuando a puntellarsi sull'asta della sua lancia. Si avvicinò al cono di luce proiettato da una lampada e la fanciulla poté vedere il foro sanguinante sul volto del re di Asgard, dove prima c'era il suo occhio destro.
Snotra aveva visto molti feriti in quei giorni e il sangue e la carne martoriata avevano quasi smesso di farle ribrezzo, ma quello sfregio sul volto del Padre degli dei le fece tremare il cuore: neanche i re sono invincibili, neanche loro possono essere sempre al sicuro.
Fu solo dopo un lungo istante che lo sguardo della ragazza cadde sul bambino, un maschio, che il re teneva nella piega del braccio. Sembrava che il piccolo stesse piangendo, ma senza lacrime e senza singhiozzi, semplicemente sembrava soffrire ed essere consapevole di quella sofferenza più di quanto fosse naturale per un neonato.
«Sei l'allieva di Lord Alcuin» disse Odino all'improvviso, la sua voce era stanca e sarebbero trascorsi secoli prima che Snotra lo sentisse di nuovo parlare con quel tono fiaccato dagli eventi.
La fanciulla spostò più volte lo sguardo tra il bambino e il volto deturpato del dio, chiedendosi da quale parte cominciare a sentirsi sconvolta.
«Padre degli dei... vi stanno cercando...» farfugliò, pur essendo consapevole di quanto la cosa fosse irrilevante in quell'esatto momento e di quanto quell'informazione dovesse essere superflua.
«Ne sono certo» replicò Odino fissandola con l'unico occhio rimastogli. Quello sguardo trapassava come una lama. «Qual'è il tuo nome?».
«Snotra, mio re».
Il Padre degli dei indicò il bambino con un cenno del mento e la ragazza si avvicinò per prenderlo in braccio, osservando che il piccolo era del tutto privo di vestiti o coperte. Snotra si chiese come fosse possibile che un esserino dall'aria tanto fragile sopravvivesse in quel freddo ostile restando completamente nudo.
I Giganti di Ghiaccio non indossano vesti...
Un fremito di paura fece tremare le gambe della ragazza quando la consapevolezza della scoperta si accese nella sua mente.
Odino sembrò averle letto nel pensiero.
«È il figlio di Laufey ed è un innocente» dichiarò lasciandosi cadere seduto sulla sedia di Lord Alcuin. «Lo avevano abbandonato al margine della città. Voglio che sia condotto ad Asgard».
Il bambino spinse istintivamente il capo verso il petto di Snotra, forse sperando di essere allattato, ma da dove la sua pelle era entrata in contatto con il tessuto bagnato di fredda pioggia degli abiti di lei aveva cominciato a spandersi un alone bluastro. Dopo qualche secondo, il piccolo cominciò a piangere con singhiozzi striduli.
La fanciulla era combattuta tra l'orrore e la pietà. Ma se il suo re aveva deciso di mostrare misericordia per quella creatura, chi era lei per decidere diversamente?
«Mio re, ad Asgard nessuno lo accetterà» rispose in tono pratico.
«Ad Asgard nessuno lo saprà» replicò Odino e Snotra seppe che quelle parole contenevano un ordine preciso, pesante come una condanna. «Ma tu devi fare qualcosa per me».
«Cosa, mio re?». Oltre a portare per sempre il fardello di un simile segreto?
«La regina si trova sola ai confini di Asgard, in ritiro per pregare i nostri avi per la buona riuscita della guerra. Darò ordine ad Heimdall di aprire il Bifrost per te, tu andrai da mia moglie e le porterai il bambino».
La giovane spalancò la bocca per lo stupore.
«Intendete dire...». Non avrebbe dovuto indugiare o discutere le decisioni del suo sovrano, ma quello che Odino le stava chiedendo le sembrava inconcepibile.
«Intendo dire che il bambino verrà allevato da me e dalla regina. L'erede di Laufey cresciuto come un principe di Asgard: un domani potrebbe essere la sola speranza di un'unione pacifica con Jotunheim».
Snotra deglutì, il bambino si lamentava e scalciava debolmente tra le sue braccia.
«Padre degli dei, la vostra saggezza vi pone al di là di qualsiasi critica» disse, imponendosi di mantenere un atteggiamento contegnoso, sperando che i suoi occhi e la sua espressione non tradissero il suo sconcerto. «Ma se davvero è questo ciò che auspicate per il futuro di questa creatura, un domani dovrete rendergliene conto, almeno con lui dovrete farlo. E quando accadrà...»
«Quando accadrà ci amerà come una famiglia e sarà in grado di capire, in nome di quell'amore» replicò secco Odino. «Era destinato a morte certa, ora avrà una vita, un padre, una madre e un fratello».
Snotra comprese che una sola parola in più l'avrebbe spinta oltre il limite del confronto che il suo sovrano era disposto a tollerare. Non erano le azioni di Odino ad essere sbagliate, quanto il loro movente, ma la giovane non poté fare altro che sperare nella lungimiranza del Padre degli dei e accordargli la sua fiducia. E se anche non fosse stata disposta a farlo, questo non l'avrebbe assolta dallo svolgere il compito che Odino le aveva appena affidato.
«La regina,» mormorò la giovane appoggiando il bambino su una branda, «si chiederà che nome dargli».
Odino si alzò dalla sedia e si trascinò fino al giaciglio dove Snotra era intenta ad avvolgere il piccolo in una mantella, prima di mettersi a cercare vestiti asciutti per se stessa.
C'era una tenerezza sincera nello sguardo che il Padre degli dei stava ora rivolgendo a quel figlio che aveva deciso di adottare. Allungò una mano verso di lui e il bambino gli strinse debolmente l'indice tra le dita sottili.
«Loki» disse, come se fosse stata una folgorazione improvvisa.  

Odino lasciò la tenda di Snotra dopo qualche minuto, per tornare dai suoi soldati e rassicurarli, unendosi ai festeggiamenti per la vittoria. Lei si cambiò i vesti bagnati, mentre il bambino, Loki, si divincolava debolmente sul materasso della branda, anche lui troppo provato per continuare a piangere.  
La sua pelle aveva conservato in parte quell'alone bluastro e i suoi occhi erano arrossati in modo innaturale. E i suoi occhi sembravano così dannatamente imploranti. Imploravano per la fame e per il calore, per delle braccia che lo stringessero.
Snotra si avvicinò alla branda e restò in piedi a scrutare l'esserino sul materasso; ebbe di nuovo la sensazione che lui fosse in qualche modo consapevole di quello che aveva attorno. Gli sfiorò un piedino che si dibatteva tra le pieghe delle coltri di pelliccia e lì dove la sua mano era passata a sfiorargli la pelle, l'alone bluastro sparì per lasciare posto a un normale colorito roseo e perfetto come quello di qualsiasi bambino.
«Da quanto tempo ti avevano lasciato solo a morire?» chiese Snotra in un filo di voce, mentre gli occhi del piccolo si fissavano nei suoi.
Era sciocco e forse anche rischioso indugiare e trattenersi lì quando aveva ordini precisi, impartiti direttamente dal Padre degli dei, ma l'intero accampamento era troppo impegnato a festeggiare la vittoria e a celebrare Odino per ricordarsi di lei o ritrovarsi anche solo per sbaglio a passare nell'angolo remoto del campo in cui era piantata la sua tenda. Indugiare, comunque, non le avrebbe reso quel compito più gradito né avrebbe allentato la morsa che le attanagliava il petto. Fare ciò che le era stato ordinato continuava in qualche modo a sembrarle un tradimento. Un tradimento verso quello che era sempre stato il suo mondo, o un tradimento verso la creatura che ora aveva davanti agli occhi.
Snotra amava la conoscenza. La conoscenza è l'esatto opposto della menzogna.
«E tu sei contaminato» disse, stupendosi della freddezza della sua voce, preoccupandosi per un istante che il bambino potesse accorgersene. «Sei contaminato dalla solitudine e dall'abbandono. Quanto amore occorrerà per cambiare le cose?».
Alla fine, la fanciulla distolse lo sguardo e chiuse gli occhi, prendendo piccoli respiri per cercare di mantenersi lucida. Avvolse il bambino in una coperta e si gettò una mantella sulle spalle.
Fuori dalla tenda il vento ululava acuto, come se Jotunheim stesse piangendo la propria disfatta.
Quando Snotra uscì all'aperto e la pioggia le sferzò il viso, si chiese se anche il sangue dei Giganti di Ghiaccio fosse gelido.
«Che i miei avi m'assistano» mormorò prima che la luce del portale del Bifrost le invadesse lo sguardo.

Dietro le sue palpebre c'era solo bianco. La luce sembrava esserle entrata dentro gli occhi, fino a consumarli. Non fu il suo sguardo a dirle che era a casa, fu l'odore nell'aria, che non sapeva più di metallo e acqua stagnante, fu il calore che la sorprese di colpo, rendendole quasi insopportabile il peso della mantella sulle spalle.
Snotra cercò faticosamente di mettere a fuoco l'immagine della grande cupola dorata attorno a sé e fece appena in tempo a vedere Heimdall sollevare dalla fessura di metallo la lama della grande spada che azionava il Bifrost.
Senza dire una parola e senza degnarla di uno sguardo, il Guardiano del regno si voltò e tornò al suo posto, all'ingresso della cupola, immobile come una statua.
La fanciulla si accorse che Loki si era addormentato tra le sue braccia, sopraffatto dalla stanchezza e dalla fame. Pensò che quando si sarebbe svegliato avrebbe dovuto nutrirlo o non sarebbe sopravvissuto al viaggio verso i confini del regno.
«Un cavallo ti attende alle porte della città» disse la voce cavernosa di Heimdall, distante e profonda come se giungesse da un altro luogo.
I suoi passi disegnavano una fugace scia opalescente sulla superficie luminosa del ponte dell'arcobaleno. Davanti ai suoi occhi Asgard si ergeva maestosa nel suo immutato e opulento splendore, con le torri che svettavano verso un cielo terso, di un azzurro luminoso come una stola di raso perfettamente stirata. Snotra abbassò lo sguardo su Loki e non fu sorpresa di accorgersi che la sua pelle aveva adesso un colore perfettamente normale, un rosa appena un po' troppo pallido; forse da grande sarebbe stato un bellissimo principe. Quel pensiero la fece sospirare e lei si impose di continuare ad attraversare il ponte, fino all'enorme cancello dorato che segnava l'ingresso della Patria Eterna.
Come aveva detto il Guardiano, c'era un cavallo ad attenderla una volta varcato il cancello.
Snotra alzò gli occhi al cielo e fu allora che si accorse dei due corvi che volavano in circolo sopra la sua testa, due macchie nere che si muovevano rapide contro l'azzurro del cielo.
Non era mai stata particolarmente brava a cavalcare e viaggiare fino ai confini di Asgard con un neonato in braccio le sembrava un'impresa impossibile. Sbuffò e si tolse la mantella che ripiegò a triangolo. Con estrema cura, avvolse Loki nella parte di stoffa più larga e legò le due estremità più sottili al pomello della sella, pregando che reggesse.
Il bambino durante tutta quella manovra, aprì un paio di volte gli occhi ed emise qualche basso lamento, prima di scivolare di nuovo nel sonno.
«Che ne sarà di tutta questa faccenda solo le Norne lo sanno...» borbottò Snotra, dando un leggero colpo di talloni nel fianco del cavallo.
Attraversò indisturbata gli ampi viali lastricati che convergevano tutti nel piazzale dinnanzi al palazzo del re. La superficie dorata della costruzione rifletteva un'immagine distorta e sbiadita della città che si stendeva ai suoi piedi in un dedalo di palazzi, torri e giardini pensili. Asgard era perfettamente uguale a come l'aveva lasciata il giorno in cui aveva seguito Lord Alcuin e l'esercito di Odino su Jotunheim, eppure adesso Snotra guardava la sua terra con occhi diversi; ora che la guerra le aveva insegnato come tutto fosse fragile e precario, anche l'incolumità del re, anche il cuore del re. Asgard le sembrava assai più simile al riflesso distorto contro la facciata dorata della reggia che non all'immagine reale che offriva di sé agli occhi dei suoi abitanti.
Snotra spronò il cavallo, con estrema cautela, preoccupata che l'animale cominciasse a muoversi troppo velocemente e mettesse a repentaglio il suo equilibrio e quello del piccolo che viaggiava con lei. Il destriero trottò placido attraverso una via laterale che costeggiava il palazzo, in pochi minuti se lo lasciarono alle spalle anche se la sua ombra incombeva sulla ragnatela di stradine secondarie che costituivano i quartieri meno belli della città.
La giovane aveva lasciato Jotunheim e le sue lunghe notti, ora che vedeva il sole cominciare a tramontare nel cielo della sua città si sentiva quasi turbata dall'idea del buio. Non le piaceva, non le era mai piaciuto, quando calava la sera e tutto rallentava fino a fermarsi nel riposo della notte. E lei aveva ancora della strada da fare.
Approfittò delle ultime ore di luce per fermarsi e cercare un posto in cui comprare del latte.
Non conosceva quella zona della città, la zona meno ricca. Anche se la sua famiglia non era particolarmente benestante, era comunque di nobile levatura e negli ultimi anni la giovane aveva visto solo templi, biblioteche e case di studiosi più nobili e ricchi di lei. E aveva incontrato tanta gente che aveva nascosto a malapena la propria perplessità – e in alcuni casi il proprio disappunto – davanti all'idea che una giovane donna di buona famiglia avesse deciso di dedicarsi allo studio invece di cercare un marito o tentare di entrare a corte come dama di compagnia.
«Questo posto pullula di persone stupide, Loki» mormorò Snotra, scendendo di sella e slegando il bambino dal groviglio con il quale lo teneva assicurato alla sella. «Essere intelligenti è molto faticoso alle volte, ma è anche più divertente».
Legò le briglie del cavallo a un palo in una piccola piazza doveva aveva scorto una bottega di generi alimentari. I due corvi planarono verso il basso e si andarono ad appollaiare sull'estremità di quello stesso palo.
Nella bottega, Snotra comprò una mezza misura di latte che si fece mettere in un piccolo otre, e un pezzo di pane per sé. Tornò dove aveva lasciato il cavallo e cominciò a versare il latte a piccolissimi sorsi tra le labbra schiuse di Loki che beveva avidamente, tendendosi sempre di più verso il collo dell'otre.
«Non posso andare più veloce di così, esserino ingordo» borbottò la ragazza. «Finirei per farti soffocare».
Il piccolo lasciò cadere all'indietro la testa e di nuovo i suoi occhi si fissarono in quelli di Snotra. Erano occhi dal colore indefinito, come quelli di tutti i neonati. Ogni cosa in lui ora era anonimo e indefinito, come per tutti i bambini molto piccoli, e guardandolo la fanciulla cominciò a sperare che la decisione di Odino fosse stata assai più saggia e sensata di quanto le era apparso in un primo momento. Perché mai Loki non avrebbe dovuto essere come tutti gli altri? Perché mai l'amore di una famiglia non avrebbe potuto preservarlo da ogni male?
Snotra gettò via l'otre ormai vuoto, e cullò per qualche minuto il piccolo tra le braccia. Ora che era al caldo e nutrito, il bambino fece anche qualcosa di assai simile a un sorriso. Forse era una smorfia senza senso, come quelle dei bambini durante i loro primi mesi di vita, ma a Snotra sembrò davvero un sorriso e le parve bello come un miracolo.
Tenendo Loki stretto contro il suo petto, la giovane cominciò a sbocconcellare distrattamente il pezzo di pane che aveva comprato per sé, assaporando il silenzio che ascoltava più che il sapore di ciò che stava masticando.
Asgard non era un posto rumoroso. Era un luogo ordinato e piano di luce, l'antitesi del caos, un faro di speranza e un'oasi di pace in mezzo al continuo rumore dell'universo.
La guerra era finita, i nemici erano stati battuti, piegati, sconfitti. Era tornato il silenzio e l'ordine. E tutto sarebbe rimasto immutato per secoli, forse per sempre.
La mente di Snotra si strinse attorno a quegli improvvisi pensieri piacevoli, come la schiena di un gatto sotto la mano del padrone che lo accarezza in risposta alle sue fusa.
Fu il gracchiare improvviso dei corvi a riportarla alla realtà. A farle spalancare gli occhi e a rammentarle che era lì per eseguire gli ordini del suo re, ordini che la turbavano, ordini che non condivideva...
Spezzò ciò che era rimasto del suo pane e lo gettò ai piedi del palo, dove i corvi volarono a beccarlo con voracità.
Mentre fissava impensierita i due uccelli che si contendevano le ultime briciole, le arrivò alle narici un odore acido e sgradevole e Snotra si ritrovò a sobbalzare sgranando gli occhi nel vedere il rigurgito di latte che colava sulla sua spalla. Loki continua a fare le sue smorfiette simili a sorrisi.
«Oh, ti prego...» borbottò lei arricciando il naso. «Pensavo che fossimo amici e invece ti comporti da piccolo furfante».
Cercò di pulire alla meno peggio quel disastro, pensando all'imbarazzo di quando avrebbe dovuto incontrare la regina, poi tornò in sella e proseguì il suo viaggio.
Man mano che si allontanava dal cuore della città le strade si facevano più strette, meno trafficate e più polverose.
Il tramonto era già trascorso da un po'. Snotra arrivò a un bivio sul sentiero si fermò a fissare la biforcazione segnata tra l'erba, indecisa da quale parte andare.
I corvi gracchiarono con forza e fecero un rapido giro a mezz'aria. La fanciulla osservò un piccola piuma nera staccarsi del loro manto e volteggiare leggera nel vuoto prima di sparire, portata via da una folata di vento. I due uccelli le planarono a un palmo dal naso, facendo innervosire il cavallo che pesò nervosamente gli zoccoli contro il terreno, poi volarono verso destra continuando a gracchiare sempre più forte.
«Ho capito!» esclamò Snotra stizzita, battendo una mano sul collo del cavallo cercando di calmarlo. Quando l'animale smise di scuotere la testa e di pestare gli zoccoli, lei tirò gentilmente le briglie e lo guidò verso la diramazione del sentiero che proseguiva verso destra.

I due corvi continuarono a mostrare a Snotra la via, fino a condurla a una costruzione che si ergeva al centro di una radura. Come molti degli edifici di Asgard, aveva la facciata di metallo dorato, anche se il fatto che fosse immersa nella boscaglia rendeva quella superficie meno lucida. Era una grande palazzina, ma assai più bassa delle costruzioni che si ergevano in città e a differenza della città, il bosco non era affatto silenzioso, ma non c'era nulla di sgradevole nella sinfonia di suoni che quel luogo spandeva nell'aria, quel misto di foglie che frusciavano nel vento e frinire di grilli e versi lontani di rapaci notturni che cominciavano la loro caccia.
La fanciulla si sentì quasi in pace, fino a quando il bambino legato alla sella non cominciò ad agitarsi, ricordandole il motivo della sua presenza lì.
I corvi si appollaiarono sull'arcata del portone, dove la luce di una grande luna faceva scintillare i solchi delle rune incise sul metallo.
Snotra smontò di sella e lasciò il cavallo legato accanto a un albero. L'animale si mise placidamente a mangiare l'erba che cresceva nello spiazzo davanti alla palazzina.
«Benvenuto a casa, Loki» mormorò la giovane, prendendo tra le braccia il piccolo e dirigendosi spedita verso l'ingresso della costruzione.
Aprì il pesante portone e si ritrovò in un atrio buio, illuminato a malapena da un paio di vecchie lampade ad olio fissate alle pareti. Quella costruzione doveva essere antica, aveva anche l'odore delle cose antiche, come quello dei vecchi libri nella biblioteca della reggia, con il loro sentore dolciastro e quasi impercettibile.
I corvi entrarono da una finestra aperta e volarono in cerchio nell'atrio vuoto per poi lanciarsi in picchiata verso una scalinata che conduceva di sopra. Mentre saliva i gradini, Snotra si rese conto di quanto era spossata da quel viaggio, di come la stanchezza ora riusciva ad avere la meglio su qualsiasi pensiero. Non pensava più alla tremenda peculiarità della sua missione, né a tutto quanto concerneva il bambino che aveva tra le braccia, anche se sapeva, nel profondo, che il ricordo di quella notte non le avrebbe mai più permesso di dormire.
Il piccolo palazzo era deserto. La regina aveva scelto di ritirarsi davvero totalmente dal mondo e questo era un bene per i piani di Odino: in nessun'altra maniera si sarebbe potuto ingannare un intero regno sui natali di Loki.
Ingannare un intero regno...
Quelle parole avevano ripreso a farle eco nella mente, attraverso la nebbia della stanchezza.
Snotra cercò di dimenticarle o le sarebbe mancato il coraggio di continuare a camminare lungo quel corridoio per consegnare definitivamente quel bambino alla sua nuova famiglia.
Perché?
Strinse Loki un po' più forte a sé. Avrebbe potuto decidere di non fare come Odino aveva comandato, avrebbe potuto decidere di crescerlo lei quel bambino e crescerlo nella verità. Le menzogne generano solo problemi, lo aveva sempre saputo. Una menzogna di quella portata avrebbe generato disastri enormi...
Ma se avesse detto la verità sulle origini di Loki, probabilmente lo avrebbero ucciso – e forse avrebbero ucciso anche lei per insubordinazione, oppure l'avrebbero bandita, come prevedeva la legge per coloro che disobbedivano agli ordini diretti del re. E se anche non avessero ucciso Loki, lo aveva detto lei stessa: ad Asgard nessuno lo avrebbe mai accettato. Sarebbe stato condannato comunque all'infelicità, ad essere un reietto, a vivere in mezzo al popolo che aveva ucciso i suoi progenitori.
Snotra sentì il peso di tutte quelle riflessioni piegarle le gambe e si ritrovò a cadere con le spalle contro il muro come unico sostegno. Le pareti del corridoio vorticarono davanti ai suoi occhi e lei sentì solo il verso stridulo dei corvi di Odino che le martellava graffiante nelle orecchie. Per un attimo ebbe l'impressione che gli uccelli le stessero per volare addosso, forse le avrebbero cavato la lingua per costringerla per sempre al silenzio, forse le avrebbero strappato anche gli occhi per impedirle di scrivere la verità.
La verità...
Una verità pesante come il granito di cui era fatta la torre crollata del palazzo di Jotunheim. La vita e forse la felicità di Loki valevano la dannazione di una giovane anima? Valevano una tale menzogna?...
Snotra sentì qualcosa che le si posava sul viso, ma non era un artiglio di corvo, era una mano che le stava accarezzando la guancia. La fanciulla aprì gli occhi di colpo e vide il viso della regina chino su di lei.
«Stai bene, fanciulla?» le chiese.
Frigga aveva grandi occhi scuri, occhi di madre, toccati dalla dolcezza e dalla pietà.
Snotra sussultò, cercando di rimettersi in piedi e assumere un contegno adatto alla circostanza.
«Mia regina...» mormorò, al culmine dell'imbarazzo, accennando una riverenza.
«Siamo lontane dalla corte e siamo sole» disse Frigga in tono quasi divertito. «I convenevoli e le formalità non occorrono».
La regina tese le braccia per lasciare che Snotra le desse il bambino.
«Sapete già tutto, mia regina?» chiese la giovane, timidamente. Frigga annuì e, per quanto ne fosse curiosa, la ragazza pensò che il modo in cui Odino comunicava con sua moglie non la riguardasse affatto.
La regina guardava Loki già come una madre. Aveva sempre avuto cuore, o almeno questo era ciò che Snotra aveva capito dai racconti delle dame di corte, ma sembrava che dalla nascita del principe Thor la sua bontà e la sua dolcezza fossero aumentate. Forse è questo che fanno i figli ad una donna, pensò la fanciulla, la rendono migliore, la riempiono di bontà.
Un pianto di bambino squarciò il silenzio. La giovane alzò la testa di scatto, quasi turbata da quel suono.
Il pianto dei bambini piccoli avrebbero dovuto essere sempre uguale, o così Snotra aveva sempre pensato, ma quegli strilli non somigliavano affatto a quelli di Loki.
«Thor» sospirò la regina, alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo ma un istante dopo il suo volto si atteggiò in un sorriso.
Snotra restò ferma in mezzo al corridoio, come imbambolata. Ovviamente Frigga poteva rinunciare a qualsiasi cosa in quel suo ritiro di preghiera, ma non poteva lasciare a palazzo un figlio tanto piccolo. La giovane ebbe l'impressione che la regina si trovasse lì anche per la sua stessa sicurezza e per quella del principe: se Asgard avesse perso la guerra, se la Patria Eterna fosse stata invasa e il palazzo violato, loro sarebbero stati fuori pericolo.
«Vieni pure» mormorò Frigga allontanandosi verso una grande porta celata da un drappo color porpora. «Non mi hai detto il tuo nome».
«Snotra, mia regina» si affrettò a dire la ragazza, seguendo la sovrana oltre la porta.
Si ritrovarono in una stanza dall'arredamento semplice ed essenziale: un letto, uno scrittoio, una cassapanca e, naturalmente una culla.
Frigga si sporse all'interno della culla e mormorò qualche parola dolce che fece calmare il pianto del bambino che riposava al suo interno. Poi fece cenno a Snotra di appoggiare Loki sul letto e armeggiò con qualcosa riposto nella cassapanca.
La regina porse alla fanciulla una minuscola veste da bambino e lei se la rigirò tra le mani un po' imbarazzata. Aveva avuto fratelli minori, ma c'era sempre stata qualche balia a prendersi cura di loro e lei non aveva idea di come si facesse indossare quella roba a un neonato.
Frigga sembrò comprendere la sua difficoltà e le tolse il piccolo indumento dalle mani.
«Guarda» le disse sorridendo. Ma non stava sorridendo a lei, stava sorridendo a Loki e Snotra ne fu sollevata.
Dei gesti lenti e delicati con cui la regina vestì il bambino Snotra non avrebbe ricordato molto, in quel momento era troppo presa dai suoi pensieri. Quando riemerse dalle sue riflessioni si rese solo conto del fatto che adesso Loki era avvolto in una casacca di velluto appena troppo grande per lui e che non aveva più niente che sembrasse sofferente.
Ormai è fatta...
Ormai tutto sembrava essere stabilito e non c'era modo di tornare indietro.
Snotra sentì il gelo venefico dell'angoscia salirle dallo stomaco alla testa mentre si chiedeva come sarebbe stato il futuro di quel bambino. Si accorse che non era più in grado di sopportare la vista di Loki e si voltò per non permettere alla regina di scorgere l'emozioni che le scorrevano sul viso. Si avvicinò alla culla sistemata a pochi passi dal letto e si sporse per osservare il bambino adagiato tra le lenzuola morbide.
Il principe Thor era un bel bambino, già grande per avere un anno di età, con un ciuffo di sottili capelli dorati come il grano maturo e due occhi azzurri uguali a quelli di suo padre. Le sorrise quando la vide china su di lui, scoprendo gengive rosa sulle quali stavano per spuntare i dentini.
Istintivamente, Snotra ricambiò quel sorriso e allungò una mano per accarezzare la guancia paffuta con la nocca del dito.
«Dovrebbero dormire» osservò Frigga. «E tu, mia giovane Snotra, dovresti mangiare qualcosa e riposare».
La ragazza sentiva lo stomaco chiuso, ma le parve scortese rifiutare l'invito della regina. Eppure quando si voltò verso di lei e la vide con Loki in braccio, pronta a metterlo nella culla accanto a Thor, le venne quasi l'impulso di strapparglielo via. Celò il pugno serrato per il nervosismo tra le pieghe della veste e respirò lentamente per un istante.
«Permettete, mia regina?» disse, tendendo le mani verso il bambino.
Frigga annuì,
«Certo. Lo hai portato tu qui, hai il diritto di salutarlo come credi».
Ci sarebbero stati giorni, in un futuro lontano, in cui Snotra avrebbe davvero desiderato che quel saluto dato a Loki quella notte fosse stato un addio.
La regina si allontanò e restò ad attendere la sua visitatrice sulla soglia della porta. La fanciulla adagiò il bambino nella culla, accanto a Thor che per un attimo fissò incuriosito quell'ospite inatteso prima che la sua bocca sdentata si aprisse in un sorriso infantile ed emettesse un pigolio che a Snotra piacque interpretare come una risata di contentezza.
«Sì, mio piccolo principe, hai un fratello, fai bene ad esserne contento» mormorò la giovane accarezzando con la punta del dito la manina paffuta di Thor che stropicciava l'orlo del lenzuolo. Poi si chinò a un palmo dal faccino di Loki, cercando di nuovo lo sguardo di quegli occhi dal colore indefinito.
«Stanotte ho sacrificato la verità e la mia anima per il tuo futuro, Loki. E ti giuro che farò tutto quanto è in mio potere perché questo futuro sia il più radioso che un individuo possa ottenere».
Il bambino fece uno sbadiglio e chiuse più volte gli occhi, come se volesse dormire, ma prima di addormentarsi gettò all'indietro la testa calva come a volersi tendere verso Snotra. Lei gli posò un bacio sulla fronte liscia e pallida poi se ne andò.


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Note:
La citazione a inizio capitolo è dal brano “Un matto”.
Per essere precisi, il titolo stesso della fanfiction è una citazione di De Andrè, dal brano “Smisurata preghiera”.
Lord Alcuin è pura improvvisazione (il nome l'ho spudoratamente copiato da “Il dardo e la rosa”).
Ho sempre pensato che ci fosse una spiegazione plausibile per il fatto che nessuno sapesse che Loki non era figlio naturale di Odino e Frigga, a meno che gli asgardiani residenti nel palazzo non pensassero che il secondogenito del re fosse stato portato dalla cicogna. Qui ho provato a dare una mia versione di come potevano essere andate le cose. Va da sé che la differenza di età tra Loki e Thor dovrebbe essere, a rigor di logica, abbastanza esigua per giustificare il fatto che nemmeno lui si sia mai chiesto da dove sia spuntato fuori il fratellino (va bene che nella versione filmica Thor non brilla per intelligenza, ma c'è un limite a tutto...).  
I corvi di Odino, il mito vuole che li mandasse in giro a osservare gli avvenimenti per poi farsi riferire. Qui mi piace immaginare che siano lì non tanto per “controllare” quanto per “vegliare” sul piccolo viaggio di Snotra.

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Capitolo 2
*** Secondo episodio ***


2° Episodio

"Si accontenta di cause leggere
la guerra del cuore,
il lamento di un cane abbattuto
da un'ombra di passo,
si soddisfa di brevi agonie
sulla strada di casa
uno scoppio di sangue,
un'assenza apparecchiata per cena..."


L'alba arrivò all'improvviso, un rigagnolo dorato all'orizzonte che si faceva largo nel cielo, spingendo da parte le nuvole che avevano tenuto sotto assedio Asgard durante la notte.
Snotra aveva passato molte ore davanti alla porta chiusa di un balcone, ad ascoltare la pioggia abbattersi sulla città. La sola idea di restare chiusa tra le mura del palazzo le faceva girare la testa, c'era troppo silenzio lì dentro e il silenzio portava troppi pensieri. E nel silenzio viaggiavano le voci e le malignità e le insinuazioni.
Al riposo non vi era più abituata da tempo e anche se così non fosse stato, in nessun modo sarebbe riuscita a dormire, non quella notte, non dopo quello che aveva visto.
Nella sua mente risuonava il tintinnio tetro delle catene ai polsi di Loki, una nenia di pena e sconfitta che solo il suono della pioggia riusciva a toglierle dalla testa.
Ma adesso era quasi giorno e la pioggia era cessata.
Passi felpati giunsero alle sue spalle e Snotra ebbe quasi paura di voltarsi, ma non c'era niente che potesse fare per evitare di affrontare i fantasmi che l'avevano perseguitata per tutta la vita, i fantasmi generati da quella menzogna che le sussurravano all'orecchio gelide parole di scherno e che lei era riuscita a zittire per un arco di tempo abbastanza vasto da concedersi l'illusione che fossero andati via.
Maledizione, quanto era stata cieca!
I passi appartenevano a una giovane ancella che attendeva composta che lei si voltasse e la degnasse della sua attenzione.
«Il Padre degli dei vi informa che avete piena libertà di far visita al prigioniero» disse l'ancella.
Prigioniero...
Era stato Odino a usare quel termine o si era trattato dell'interpretazione della messaggera? Non aveva importanza, qualsiasi termine o titolo non avrebbe cambiato lo stato delle cose.
Se Snotra fosse stata faccia a faccia con il suo re, avrebbe ammesso che non era affatto certa di aver voglia di far visita a Loki.
L'ancella fece una rapida riverenza, si voltò e fece per allontanarsi, ma esitò e tornò a rivolgersi a Snotra come se le fosse tornata in mente una parte del messaggio che aveva dimenticato di riferire.
«Il Padre degli dei ha detto che tale concessione è accordata solo a voi» aggiunse, prima di lasciare la stanza.
La donna si passò una mano sul viso e sorrise nervosamente al proprio riflesso sbiadito sul vetro del balcone. Con il tempo Odino aveva sviluppato uno strano senso del pudore nel darle ordini, ma non mancava di esercitare il suo diritto di sovrano per quanto spesso lo facesse parafrasando e non dandole mai comandi diretti.
Era comunque abbastanza ovvio che la concessione fosse accordata solo a lei. Chi altri avrebbe voluto un simile privilegio? Chi altri avrebbe avuto qualcosa da dire a Loki?
«Come se io avessi davvero qualcosa da dirgli, poi...» mormorò la donna tra sé e sé.
Ad ogni modo, ormai la notizia del suo ritorno a palazzo doveva aver cominciato a circolare. Quella notte stessa forse l'evento era giunto alle orecchie di qualcuno e aveva finito per tenere sveglio tutto il palazzo, impegnandolo in un atroce passaparola.
Snotra si chiese se adesso la corte di Asgard non fosse persino un po' spaventata da lui, dal principe che era stato a un passo dall'assassinare il proprio fratello, dal dio che aveva cospirato e ingannato e ucciso riuscendo quasi a piegare Midgard per impossessarsene. Ma i giusti, o coloro che si credono tali, provano comunque un senso di benessere nel guardare un criminale attraverso la grata della sua cella, si sentono fieri delle proprie sicurezze pensando che quelle sbarre bastino a tracciare il confine netto tra il bene e il male.
Era questo ciò che Loki era diventato, un criminale?
Snotra tornò nella sua camera e si lavò il viso in un catino di acqua fredda. Non volle ancelle a pettinarle i capelli o ad aiutarla a vestirsi, non avrebbe voluto nessuno per tutto il giorno e forse anche per l'indomani, e per il giorno dopo ancora. Avrebbe voluto semplicemente venire dimenticata, per una volta. In gioventù aveva temuto così tanto di essere lasciata in disparte, di venire ignorata, e adesso non desiderava altro.
Odiò i suoi stessi pensieri, ma non poteva rinnegarli né zittirli.
Si sedette davanti allo specchio e si spazzolò lentamente i capelli rossi. Li intrecciò e li sciolse più volte fino a quando non fu soddisfatta del risultato, fino a quando la treccia non ricadde diritta dalla nuca lungo la schiena.
Odino le aveva ordinato alla sua velata maniera di andare da Loki, ma non aveva detto di farlo subito e, in un primo momento, rimandare le sembrò persino una buona idea, prendersi tempo per riordinare i pensieri. Ma non c'era alcun pensiero che riuscisse a sollevarsi e a prendere forma nella sua mente, ogni riflessione volteggiava impalpabile e sottile come una bolla di sapone per poi dissolversi, inghiottita dalle mille cose che Snotra non sapeva o non comprendeva.
Una pessima posizione per la dea della saggezza.
No, non si trattava di ciò che non conosceva o che non capiva; si trattava di ciò che provava, delle emozioni e dei sentimenti che la legavano a quel principe caduto in disgrazia, che si era trascinato verso il fondo con le sue stesse mani, illudendosi di star scalando le vette per la gloria.
Con un gesto stizzito, la donna stese il braccio sul piano del mobile da toeletta che aveva davanti a sé, gettando all'aria spazzole e fermagli e piccole ampolle di profumo o unguenti. Si prese la testa tra le mani e si rese conto che l'angoscia che le faceva martellare le tempie era ben al di là delle lacrime.
Perché mai Odino voleva che lei andasse da Loki? Lei si era occupata della sua istruzione e di quella di Thor, e se il risultato del suo lavoro era stata la rovina e la corruzione dell'anima di quel giovane principe allora sarebbe stato assai meglio tenerla lontana da lui.
Il sole filtrava tra le tende, gettando lame di luce dorata nella stanza. Troppa luce, troppo dorato, troppo splendore...
Snotra pensò che se fosse riuscita a piangere forse si sarebbe sentita meglio, ma evidentemente tutti quegli anni di studio, il lungo tempo trascorso ad affinare le sue abilità intellettive come se fossero armi, l'avevano inaridita.
Il sole ormai era alto in cielo e sembrava volerle dire che aveva già rimandato abbastanza.
Uscì dalla camera per trovarsi di fronte una guardia che l'avrebbe scortata dovunque avessero rinchiuso Loki.
La guardia le porse una piccola chiave argentata,
«Nell'eventualità in cui lo riterreste opportuno, Lady Snotra» le mormorò.
Lei fissò il piccolo oggetto poggiato sul palmo della mano. Dunque non gli avevano tolto quella specie di museruola, perché era certa che fosse a quello che serviva la chiave.
Quando Snotra se la lasciò scivolare nella tasca dell'abito si accorse di avere con sé anche una piccola scatola metallica che neanche ricordava di aver preso. Ne tastò i contorni e riconobbe che si trattava di un unguento lenitivo che si usava per le screpolature della pelle o per le piccole ferite.
La voglia di piangere si condensò in un groppo ad altezza della gola, ma le lacrime non giunsero mai ai suoi sottili occhi verdi. Per questo Odino aveva voluto che fosse lei la sola ad andare da Loki, perché lo amava quanto la sua famiglia, ma lui riteneva che la sua famiglia lo avesse tradito e derubato di ciò che gli spettava; contro di lei invece non aveva accuse tanto gravi da muovere.
La legge avrebbe certamente trovato una punizione tremenda ed esemplare per il tradimento di Loki, ma il re non era crudele e meno che mai lo sarebbe stato con colui che ai suoi occhi era ancora suo figlio, per questo gli aveva concesso una cella al primo livello dei sotterranei, dove le prigioni beneficiavano ancora di una fila di piccole finestre triangolari. Per questo gli aveva concesso la visita di colei che era stata sua maestra e sua amica. Per tutto questo ora Snotra non avrebbe dovuto sentirsi così, con quel malessere che aumentava man mano che si avvicinava alle prigioni, eppure non poté fare a meno di ricordarsi ciò che aveva pensato la notte in cui aveva condotto Loki ad Asgard, alla consapevolezza che era affiorata prepotente in lei dopo aver lasciato il palazzo in cui la regina si era trasferita durante la guerra su Jotunheim: lui sarebbe stato sempre la sua spina nel fianco.
E nonostante tutto, lo aveva amato. Cercò di ricordarsene mentre il suo sguardo si abituava alla penombra di quel luogo immobile.
La cella aveva grate quadrate con gli angoli ornati da spunzoni di metallo, uguali a quelle in fondo alla sala delle armi che celavano il Distruttore. E al pari di quelle, le sbarre si sarebbero dissolte al passaggio dell'unica persona che poteva avere accesso a quella cella.
Snotra si tenne a distanza per qualche istante, fissando la scena davanti a sé. Per un attimo le sembrò di essere in un sogno, di vedere quelle cose da lontano, come se non fosse davvero presente.
La cella era quadrata e spoglia, con un letto e una superficie pensile che poteva essere usata come tavolo. Dalla finestra triangolare filtrava la smagliante luce del sole che lei aveva visto nella sua stanza e che proiettava una strana forma concava sul pavimento ai piedi del letto, in mezzo alle ombre di quell'angusto spazio.
Loki era seduto sul margine del materasso, la schiena rigidamente appoggiata alla testata di metallo e le gambe ripiegate come se cercasse di non farsi sfiorare dalla luce. Il suo sguardo era cupo e assente, tanto che in un primo momento nemmeno si accorse della donna che lo stava fissando  qualche metro più in là.
Facendo appello a tutto il suo sangue freddo, Snotra colmò la distanza che la separava e attraversò le sbarre che scomparirono attorno al suo profilo per permetterle il passaggio, per poi richiudersi immediatamente con un sottile suono metallico.
Loki alzò lentamente la testa e posò lo sguardo su di lei. La osservò pensieroso solo per un istante e  Snotra capì: si aspettava o lei o il boia; o l'ultimo scampolo di grazia da parte di Odino o la definitiva inflessibilità della legge. Lei era la mano che suo padre gli stava tendendo, e se Loki ne fu contento non lo diede a vedere.
Snotra infilò una mano nella tasca, cercando la chiave per togliergli il bavaglio, ma quando le sue dita ne sfiorarono il profilo piatto cambiò idea. Non aveva alcuna voglia di starlo a sentire, qualsiasi cosa le avesse detto, il solo suono della sua voce avrebbe potuto farla a pezzi e lei lo sapeva. Quello che aveva davanti agli occhi era già abbastanza per farla sentire spezzata, incrinata come uno specchio che rifletteva un'immagine distorta di quelle che erano state le sue aspettative e le sue speranze. Quei piccoli tagli arrossati sul viso di Loki, quei lividi lasciati dai ceppi sui suoi polsi erano più di quanto potesse sopportare.
Pensò che estraniarsi, riuscire a trasformare l'angoscia in lucida freddezza l'avrebbe aiutata a gestire quella situazione, ma cosa c'era esattamente da gestire se non era nemmeno in grado di trovare la forza di ascoltare la sua voce? Se non riusciva nemmeno a parlargli?
Estrasse dalla tasca il vasetto con l'unguento e vi intinse la punta del dito. Loki ritrasse quando lei allungò la mano per toccarlo, ma Snotra sbuffò e gli afferrò bruscamente la nuca con l'altra mano, stringendo i capelli per costringerlo a tenere ferma la testa. Le dita tremarono quando toccò la pelle tumefatta sulla fronte, alla radice del naso e sulle guance, avrebbe voluto premere su quei lividi e far sanguinare di nuovo quei tagli, come se sentisse la necessità di fargli provare una minima parte del dolore che lui aveva causato a tutti loro.
Eri un bambino così dolce...
Le sembrò una cosa infinitamente sciocca da dire e preferì tenerla per sé. Si chiese se fosse altrettanto sciocco sperare che ci fosse ancora qualcosa di quel bambino dentro il giovane uomo teso sotto le sue dita, che la fissava come un cane rabbioso.
Istintivamente il pugno nel quale gli stringeva i capelli si aprì e le sue dita scorsero sulla nuca in una carezza. Ritrasse la mano dopo qualche secondo, trattenendo un sospiro e solo in quel momento si rese conto di non aver aperto bocca. Non solo non riusciva a sentirlo parlare, ma non riusciva nemmeno a rivolgergli la parola eppure doveva sforzarsi, sapeva che se non lo avesse fatto in quel momento non ne sarebbe mai più stata in grado; aveva davanti a sé il ragazzo che aveva cresciuto eppure le sembrava un estraneo. Parlarsi in quel momento sarebbe stato come parlarsi per la prima volta e Snotra cercò di ricordare quando era successo, come, perché...
«Era il giorno di un funerale». Le parole le sfuggirono dalle labbra mentre si voltava per richiudere il vasetto dell'unguento. Non sapeva perché lo aveva detto, ma Loki doveva aver compreso, infatti quando tornò a guardare verso di lui lo vide annuire con un'espressione imperscrutabile.
«Era il giorno di un funerale e tu mi chiedesti se ero triste».

***

«Sei triste, Lady Snotra?».
La giovane donna, in equilibrio precario sull'ultimo gradino della scala di legno, guardò giù e vide il volto il crucciato in un broncio enfatico, tipico dei bambini che vogliono darsi un'aria da grandi per fare colpo su qualche adulto.
Il principe Loki aveva un viso affilato, dai tratti sottili che nei suoi primi anni sembravano talvolta quelli di una bambina.
«Lo sono, naturalmente» rispose lei, estraendo dallo scaffale più alto una pergamena impolverata e scendendo cautamente dalla scala, reggendosi l'orlo della veste per non inciampare.
Non le aveva mai rivolto la parola prima di quel momento, non ce n'era mai stata occasione in effetti. Era il piccolo Thor ad essere entrato stranamente in confidenza con lei, adorava farsi raccontare della guerra contro i Giganti di Ghiaccio e preferiva chiederlo alla giovane apprendista che non all'arcigno Lord Alcuin, e per quanto noioso fosse ripetere all'infinito sempre le stesse storie, a Snotra piaceva vedere il viso del bambino illuminarsi di entusiasmo quando un qualche particolare lo colpiva particolarmente. Thor non si era mai reso conto di quanto la immalinconisse raccontare della campagna di Jotunheim, ma era piccolo ed era normale che prestasse più attenzione ai propri desideri che non ai sentimenti degli altri.
Loki invece non aveva quella stessa esuberanza, non chiedeva mai a nessuno di parlare, restava timidamente ad aspettare che suo fratello lo raggiungesse per giocare e insieme sparivano da qualche parte nei giardini del palazzo dove fingevano di essere i guerrieri che avevano fatto cadere Jotunheim o che avevano sedato le rivolte di Nornheim.
Come mai quella mattina Loki avesse deciso di andare da lei e addirittura porle una domanda personale, Snotra non fu mai in grado di capirlo.
Lo aveva osservato in tutti quegli anni, la promessa che gli aveva fatto quando era ancora in fasce – e che lui certamente non era in grado di ricordare – l'aveva portata a tenerlo d'occhio seppure con discrezione. Conosceva quel bambino quasi quanto sua madre ed era sollevata dall'essersi resa conto che, dopo tutti i timori e le preoccupazioni, Loki non era diverso dagli altri. Certo, era più delicato di Thor, quasi gracile al confronto con il fratello, e aveva un'indole introversa e solitaria, ma era un ragazzino sveglio, con una pazienza e una posatezza inusuale per la sua età che sembrava essere fatta apposta per bilanciare il carattere irruento ed esuberante di Thor.
Lo aveva osservato in silenzio e nell'ombra, e nel silenzio e nell'ombra aveva imparato ad amarlo. Per questo, quella mattina, fu contenta di trovarlo lì, contro ogni sua aspettativa. E per giunta stranamente disposto al dialogo.
Purtroppo, il piccolo principe non avrebbe potuto scegliere momento peggiore per mettere da parte la sua timidezza e cercare di scambiare qualche parola. Snotra aveva un importante compito da assolvere e il tempo stringeva.
Lord Alcuin era morto durante la notte del giorno prima. Era stata una morte nel sonno, dolce e serena, ma la cosa non aveva mancato di portare scompiglio la mattina successiva e il giorno del funerale. Odino aveva disposto che gli venissero tributati tutti gli onori di cui un così leale suddito e un tale esimio intellettuale era degno, per questo si stava organizzando un funerale in pompa magna e lei, la discepola del vecchio studioso, aveva il compito di redigere il discorso commemorativo che sarebbe stato letto durante la cerimonia funebre.
La morte di Lord Alcuin l'aveva scossa. Non era mai riuscita ad amare fino in fondo il suo maestro, ad essergli devota; era risentita nei suoi confronti perché lui la trattava come l'avevano sempre trattata la maggior parte delle altre persone con cui si era confrontata in quegli anni, come una donna che in quanto tale era irrimediabilmente fuori posto nel ruolo di studiosa. Tuttavia il vecchio sapiente si era adoperato per trasmetterle la sua conoscenza, come ci si aspettava che facesse e l'aveva coinvolta in un monumentale lavoro di catalogazione della biblioteca del palazzo che la sua morte aveva lasciato incompiuto. Per quanto spesso Snotra si era sentita irritata dall'aria di sufficienza con cui il vecchio la trattava, quella mattina aveva avvertito un enorme senso di vuoto: pur con tutti i suoi difetti, Lord Alcuin aveva tentato di farle da guida e adesso lei avrebbe dovuto proseguire da sola lungo un sentiero che non aveva imparato ancora del tutto a dipanare.
Per di più, ora che il suo maestro era scomparso, chi avrebbe preso il suo posto? Chiunque fosse stato, non era certo che accettasse di continuare a tenerla con sé come allieva e probabilmente lei avrebbe dovuto lasciare il palazzo e abbandonare incompiuto il duro lavoro a cui si era dedicata in quegli anni.
La domanda del principe Loki era quanto mai superflua. Era triste, molto molto triste.
Aveva scritto il discorso commemorativo per Lord Alcuin e le era sembrato bello chiuderlo con una citazione di un poema che il vecchio maestro amava molto, ma rileggendolo per l'ennesima volta la mattina del funerale, le era venuto il dubbio che la citazione non fosse corretta, così si era ritrovata a cercare l'unica copia del poema presente nella biblioteca, abbandonata sullo scaffale più alto, in un angolo polveroso.
«Io non penso di essere triste» aggiunse Loki, seguendola mentre lei si dirigeva verso uno scrittoio dove poter dispiegare la pergamena. «Lord Alcuin non mi era simpatico. Pensi che sia sbagliato?».
Snotra si fermò in mezzo a un corridoio formato da due file di scaffali e guardò il suo giovane interlocutore.
«Hai tutto il diritto di non trovare Lord Alcuin simpatico e di non disperarti per la sua scomparsa, ma la pietà verso i morti è un sentimento giusto, che chiunque sia dotato di umanità dovrebbe tener presente» gli rispose con un mezzo sorriso.   
Loki corrugò leggermente le sopracciglia scure e sottili, come se stesse cercando di afferrare il senso di quanto gli era stato appena detto.
«Era un maestro noioso» concluse, arricciando le labbra.
In un'altra circostanza, Snotra avrebbe riso e annuito ma si sorprese a pensare come la scomparsa di qualcuno metta in risalto i suoi pregi più che i suoi difetti e il commento di Loki le parve assai fuori luogo, anche per un bambino.
«Il tempo ti insegnerà ad apprezzare certe cose» gli disse con voce atona. «Ora devo chiederti di lasciarmi, per favore. Devo ultimare il mio discorso per il funerale».
«Lo hai scritto tu? Sarà un discorso molto bello».
Bambino ruffiano...
«Ti ringrazio per la fiducia, Loki».
Snotra osservò il giovane principe voltarsi e lasciare la biblioteca. Restò ferma qualche istante a guardare nella direzione verso la quale si era allontanato, chiedendosi se in realtà non ci fossero aspetti di quel bambino che le erano sfuggiti, se non ci fosse qualcosa di sgradevole che non aveva ancora rilevato. Scosse la testa e si disse che la malinconia stava proiettando nella sua testa ansie che non avevano alcuna ragion d'essere.

I funerali erano un evento raro ad Asgard. L'aura di potere ed energia che avvolgeva la Patria Eterna rendeva il suo popolo resistente al tempo, più di quanto avvenisse per altre razze che abitavano l'universo, eppure tutti meritano riposo, anche gli dei.
La cerimonia fu celebrata nella sala del trono, dove molta gente si era riunita per porgere al vecchio sapiente l'estremo saluto. Snotra, i capelli rossi raccolti in una retina di velo scuro, cercò di non pensare a quanta gente ci fosse mentre saliva su un piccolo podio e leggeva il suo discorso commemorativo cercando di non guardare davanti a sé la miriade di occhi che la fissava.
Il pomeriggio scemò nel silenzio composto con cui la folla lasciò l'immenso salone dove le luci smorzate delle lampade riflettevano ombre cupe sulle superfici lucide.
Snotra avvertì nell'aria una cappa di pesantezza appiccicosa, come dopo una breve pioggia in un giorno arso dalla calura estiva. La cortina di lacrime che le aveva velato gli occhi non le impedì di osservare assorta le guardie che accerchiarono il carro che avrebbe portato via il feretro. La giovane donna si accorse di essere rimasta sola nella sala, accanto a una colonna, eppure non si mosse, quasi temendo che il suono dei suoi passi avrebbe fatto eco in mezzo al vuoto che sentiva essersi impadronito di lei.
Solo dopo lunghi minuti si costrinse ad andare via.
«Lady Snotra, debbo parlarti». La voce della regina la colse alla sprovvista, a metà di un corridoio.
La giovane non ricordava quando a palazzo avevano cominciato a chiamarla ''lady''; era un titolo che le spettava di diritto ma quando era giunta lì, agli occhi di tutti era poco più di una bambina con strane aspirazioni che a molti sembravano solo i capricci di un cuore troppo giovane che non ha ancora compreso quale dev'essere il suo posto nel mondo.
Snotra si voltò incontrando lo sguardo di Frigga, i cui modi gentili imponevano obbedienza tanto quanto il fare deciso e autoritario di suo marito.
«Mia regina». La giovane accennò una compita riverenza e attese che la sovrana le spiegasse il motivo della sua presenza.
«Mi rendo conto che il momento non è dei più adatti. Abbiamo appena salutato il tuo maestro, il nostro prezioso Lord Alcuin, e parlare già di chi sarà il suo successore forse ti sembrerà indelicato» asserì Frigga.
Snotra non riuscì a trattenersi dal corrugare la fronte,
«In tutta onestà, mia regina, è così» ammise, cercando di non far trasparire troppo palesemente il proprio fastidio. Le sembrava assurdo che si stesse discutendo in quel preciso momento di chi avrebbe sostituito Lord Alcuin e di chi, quindi, l'avrebbe forse mandata via.
La regina si sporse verso di lei e le afferrò una mano.
«Vorremmo che fossi tu» dichiarò. «Io e il re, vorremmo che facessi da maestra ai nostri figli, e che ti occupassi della biblioteca e di tutto ciò a cui era dedito Lord Alcuin, prima di lasciarci».
Snotra sgranò gli occhi, attonita e imbarazzata.
«Mia regina, sono troppo giovane...» farfugliò, sentendosi persino un po' sciocca. «E poi, la scomparsa del mio maestro mi ha reso quanto mai chiara la profondità di tutte le mie lacune».
E poi Lord Alcuin è stato appena seppellito, e...
«È per i miei figli» replica Frigga. «Sono più che sicura che saresti un'insegnate perfetta, io mi fido del tuo cuore, Lady Snotra, che sarà di certo capace di colmare ogni lacuna, ammesso che tu ne abbia davvero».
«Mia regina, mi state ampiamente sopravvalutando».
Snotra osservò che Frigga non le aveva lasciato la mano. Si rese conto che alla sovrana non importava altro che lei accettasse di fare da istitutrice ai principi e forse era corsa a parlargliene perché pensava che lei si decidesse a lasciare presto il palazzo ora che Lord Alcuin era morto. E si rese anche conto, come era accaduto in passato, che non si può rispondere di no alla richiesta di un sovrano. Nemmeno alla richiesta più assurda o controversa...
Chiuse gli occhi e da un angolo della sua mente cominciò a soffiare il vento gelido che frustava la desolazione di Jotunheim la notte in cui portò via Loki.
«Ma è un grande onore quello che mi fate, e io non posso che accettare, sperando di non deludervi mai» concluse la ragazza, mettendo insieme un minimo di forza d'animo per abbozzare un sorriso assai poco convincente.

Passò una settimana dal funerale prima che Snotra cominciasse a ricoprire ufficialmente il suo nuovo incarico.
La mattina della sua prima lezione ai due principi, si sentiva stranamente nervosa. Raggiunse la sala in cui i due bambini la stavano aspettando e prima di entrare prese un bel respiro, cercando di scacciare via dal suo viso ogni traccia di incertezza.
L'attitudine all'insegnamento è un dono. Lord Alcuin ne era ampiamente sprovvisto e lei era quasi certa di non essere da meno.
La sala era un 'ampia stanza con al centro un grande tavolo ovale posto davanti a una vetrata ad arco dalla quale entrava la luce del mattino. Sul piano del tavolo, decorato con intagli geometrici, erano impilati in ordine libri e fogli.
Loki e Thor sedevano su un lato. Avevano trascorso una settimana senza le loro lezioni giornaliere e, a giudicare dalle loro faccine distratte e assonnate, non stavano certo morendo dalla voglia di rimettersi a studiare.
Loki se ne stava con il mento appoggiato ai palmi delle mani e i gomiti puntellati sul piano del tavolo. Thor sedeva scomposto, facendo dondolare avanti e indietro la sedia che produceva un fastidioso scricchiolio ritmico.
«Thor, smettila per favore» intimò Snotra pazientemente, «potresti cadere».
«Tanto anche se si rompe la testa è vuota...» borbottò Loki, accigliato.
Thor smise di dondolarsi e si voltò a guardare il fratello, come se fosse indeciso sull'interpretazione da dare alle sue parole. Alla fine si risolse a fargli una linguaccia e si voltò dall'altro lato con aria offesa.
«Ehi, cosa sono questi bisticci?» borbottò Snotra.
«È stata colpa tua, se tu non ti fossi messo a urlare nostro padre non ci avrebbe scoperti» mormorò Thor a bassa voce, forse credendo che solo suo fratello avrebbe potuto udirlo.
«Non è stata mia l'idea di quel gioco stupido» protestò Loki.
«Ma tu non hai detto di no»
«Perché tu sei una cocciuta testa vuota»
«E tu sei una femminucc...»
«Basta!» Snotra alzò la voce per farsi udire al di sopra del loro litigioso scambio di battute. «Qual'è il problema? Avanti, sentiamo».
Thor e Loki si scambiarono un'occhiataccia, poi guardarono verso la loro nuova maestra e cominciarono a parlare a raffica, accavallando le voci.
«Non avevamo il permesso di giocare...» cominciò il fratello minore.
«Non è che non potevamo giocare, solo non dovevamo fare rumore...» replicò il maggiore, quasi urlando per sopraffare la voce dell'altro.
Snotra sgranò gli occhi. Aveva pensato che occuparsi dell'istruzione di due bambini fosse difficile, ma non pensava di dover fare i conti anche con quel genere di situazione e si sentì quanto mai inadatta e desiderosa di girare sui tacchi e tornarsene al confortante silenzio della biblioteca del palazzo.
«Non capisco se continuate a gracchiare come due cornacchie che si beccano a vicenda» esclamò, cercando di mostrarsi ferma e paziente, anche se aveva una gran voglia di afferrare i due principi per i capelli e sbattere le loro teste l'una contro l'altra fino a quando non  si fossero ricordati di essere fratelli.
«Il fatto è questo, Lady Snotra» disse Thor alzandosi in piedi, mentre Loki si gettava contro lo schienale della sedia a braccia conserte, con aria contrariata. «Nostro padre ci aveva detto di non fare giochi rumorosi in questi giorni per rispettare il lutto per la morte di Lord Alcuin. Io volevo solo fare una gara di corsa in giardino, che non si fa rumore, ma Loki è inciampato e si è messo a piagnucolare, così nostra madre lo ha scoperto e lo ha detto a nostro padre e lui ci ha messi in punizione».
«Io gli avevo detto di non andare a correre in giardino, non l'ho certo fatto di proposito a cadere» replicò Loki mentre distoglieva lo sguardo e una sfumatura di rossore gli coloriva le guance pallide. «E se l'idea è stata di Thor non capisco perché nostro padre ha dovuto mettere in castigo anche me!».
Il giovane principe sembrava prossimo al pianto per quanto era arrabbiato.
Snotra fece cenno a Thor di rimettersi seduto e si avvicinò al tavolo. Per un attimo, uno stormo di uccelli attraversò in volo il riquadro di cielo incorniciato dalla vetrata e lei si sentì stupidamente invidiosa della loro libertà. Oh, certo, c'erano forme di prigionia assai peggiori, però era incredibile quanto lo sguardo dei due principi la facesse sentire spalle al muro. Guardò i loro occhi, entrambi azzurri; molti a palazzo dicevano che avevano ereditato gli occhi del re e nessuno aveva mai notato che il colore degli occhi di Loki era diverso, più chiaro, quasi innaturale. È sorprendente quanto la gente riesca a vedere solo ciò che vuole.
«Avete entrambi disobbedito, non importa di chi sia stata l'idea» sentenziò la giovane donna, cercando di non mostrarsi troppo severa. «La prossima volta, Thor, faresti meglio a non interpretare gli ordini di tuo padre secondo convenienza. E tu, Loki, quando tuo fratello ha una cattiva idea non devi assecondarlo, devi farglielo notare».
I due bambini annuirono automaticamente.
«Però resta il fatto che adesso nostra madre non ci lascia uscire» borbottò Thor dopo qualche secondo.
«Sì, sono giorni che stiamo chiusi in camera» gli fece eco Loki.
Snotra sorrise,
«Oh, è questo il problema? Molto bene. Prendete quei libri e quei fogli, su!»
«Lady Snotra?»
«È una bellissima giornata, bambini. Andiamo a fare lezione in giardino».

Il tempo di quella prima lezione Snotra preferì impiegarlo a cercare di capire quanto i due giovani principi avessero assimilato delle lezioni di Lord Alcuni. Fece loro molte domande, cercando persino di metterli in difficoltà e alla fine poté dirsi soddisfatta di quanto aveva verificato. I due bambini avevano imparato bene, e la loro istruzione era degna dei due potenziali eredi al trono di Asgard. Entrambi facevano a gara a chi dava la risposta migliore, a chi si esprimeva meglio nell'esporre un concetto, anche se entrambi finivano spesso per confondersi; Thor perché si distraeva con estrema facilità e Loki perché si preoccupava troppo di commettere qualche errore.
Alla fine, Snotra sorrise incoraggiante ai sue piccoli allievi.
«Lord Alcuin è stato un bravo maestro» dichiarò.
«Lord Alcuin non ci aveva mai portato a fare lezione in giardino» rispose Thor.
«Questo perché temeva che tu ti distraessi ad ogni moscerino che vedevi passare» osservò la donna con fare bonario.
Il giovane principe incassò il colpo con una smorfia e Loki ridacchiò sommessamente.
Una guardia li raggiunse dopo qualche minuto, salutando Snotra con sussiego.
«Devo portare il principe Thor alla palestra per i suoi allenamenti» annunciò.
La donna guardò i due fratelli seduti sul bordo della fontana,
«Oh, certo. La lezione è finita per oggi, vai pure Thor» disse.
Il primogenito di Odino scattò in piedi con aria contenta,
«Grazie, Lady Sotra» mormorò educatamente, prendendo a correre lungo il sentiero lastricato che portava al palazzo, lasciandosi alle spalle la guardia che faceva fatica a tenere il suo passo agile di bambino.
Snotra lo guardò sgambettare via, quasi temendo che cadesse, ma Thor saltò agile una piccola aiuola e sparì tra gli alti fusti degli alberi. La giovane donna sentì su di sé lo sguardo di Loki e si voltò verso di lui.
Il bambino era rimasto seduto sul bordo della fontana, agitando pigramente le gambe esili a penzoloni. Tamburellava le dita sulla copertina del libro che aveva sulle ginocchia e teneva lo sguardo fisso su Snotra, tanto che lei provò uno strano disagio e si sentì in dovere di dire qualcosa.
«Tu non vai ad allenarti?» gli chiese.
Loki scosse la testa in un cenno negativo,
«No, hanno detto che sono troppo minuto e che è bene aspettare ancora un po' prima di cominciare l'addestramento da guerriero» rispose scrollando le spalle, sconsolato.
Snotra sentì una strana tenerezza invaderle il petto, come quando le capitava di osservare il piccolo Loki da lontano, solo che adesso quella sensazione le arrivava amplificata dalla sua vicinanza. Si era sempre sentita in dovere di dover fare qualcosa per quel ragazzino, era stata lei la prima ad abbracciarlo, a scaldarlo, a vestirlo, a nutrirlo... ancora prima della donna che lo aveva scelto come figlio, e questo la faceva sentire legata intimamente a quel piccolo principe dall'aria delicata. Era un sentimento strano, che a volte persino la spaventava.
Eppure, prima di quella mattina non aveva mai potuto fare davvero qualcosa per Loki.
Si mise a sedere accanto a lui e gli sorrise, non come la maestra che vuole lusingarlo o come il genitore che vuole rabbonirlo, era una sorriso complice, quasi da amica.
«E a te dispiace così tanto non poterti allenare con Thor?» domandò.
Loki smise di tamburellare con le dita contro il libro, tese le mani e le sue unghie si conficcarono nella rilegatura morbida sul dorso del volume.
«Sì, mi dispiace, se inizio più tardi non diventerò mai bravo come lui» borbottò con un tono cupo che davvero suonava insolito sulle labbra di un bambino. Era così insolito da essere doloroso e Snotra sentì di nuovo farle eco nella testa il vento di Jotunheim e sentì il suo alito freddo avvolgerla come la stretta di un nemico.
«Loki, non tutti nascono per avere i medesimi talenti» gli disse infine.
Il bambino sollevò la testa di scatto, con una strana scintilla di interesse nello sguardo.
«E che talenti dovrebbe mai avere un principe, oltre a saper combattere?» chiese tendendosi verso di lei, come se da quella risposta dipendesse la sua stessa vita.
«L'intelletto, tanto per cominciare» rispose la donna ridendo per un secondo prima di tornare seria. «È un dote che tu mi sembri avere a sufficienza, anche se talvolta la usi per fini sbagliati, mi pare»
«Che vuol dire? Quando la uso per fini sbagliati?»
«Quando menti»
«Io non... mento».
Snotra inclinò il viso di lato e lanciò al bambino un'occhiata furba, di bonario rimprovero,
«Loki» disse scandendo lentamente le parole di quel nome, assaporandolo tra sé e sé, ricordando quanto le fosse caro.
Lui sospirò e distolse lo sguardo me lei continuò a parlare.
«Quando prima hai detto che non sei caduto di proposito, era una menzogna bella e buona... anzi, neanche tanto buona. Sei caduto e hai urlato perché volevi che scoprissero il gioco che stavi facendo con Thor, perché volevi che lo rimproverassero?»
«Non volevo che lo rimproverassero, è che tutti pensano che sia così in gamba e non lo è... non quanto credono gli altri, intendo».
Snotra cercò di mascherare l'espressione dolorosamente sbigottita che stava per comparirle in volto. Loki era invidioso di suo fratello, lo era sul serio, non nel modo sciocco ed effimero con cui lo sono di solito i bambini.
La donna si alzò in piedi e diede le spalle al piccolo, cercando di mascherare il suo turbamento.
«Mio padre ci ha puniti entrambi, però Thor continua a fare le cose che gli piacciono, come gli allenamenti per diventare guerriero. Io invece devo starmene chiuso in camera» aggiunse il principe, in tono petulante.
Snotra tornò a voltarsi e appoggiò le mani sulle spalle di Loki, scuotendolo leggermente.
«Ascoltami bene» gli intimò. «Se un giorno Thor si trovasse a combattere per te, lo farebbe senza indugio. Allo stesso modo, tu devi usare la tua intelligenza per aiutarlo, non per danneggiarlo».
Il bambino sembrò spaventato nell'udire quelle parole, sgranò gli occhi e poi di colpo la sua espressione di fece triste e allarmata.
«Non voglio danneggiarlo!» esclamò, mentre una lacrima si andava formando tra le ciglia. «Però nessuno ci vede mai per quello che siamo, agli occhi di tutti lui è troppo grande e io troppo piccolo».
«Non è rendendo più piccoli gli altri che si dimostra la propria grandezza, Loki» replicò Snotra, poi si sforzò di sorridere e gli batté una mano sulla spalla. «Andiamo, vieni con me».
«Dove?» chiese lui titubante.
Lei non rispose, gli fece solo cenno di seguirlo e si incamminò verso il palazzo.

Snotra condusse Loki nella biblioteca.
Il bambino cominciò a camminare lentamente tra gli alti scaffali di libri, proseguendo con il naso all'insù e, di tanto in tanto, inciampando in qualche sgabello che non faceva in tempo a vedere tanto era concentrato nel guardarsi attorno.
La donna si mise a cercare qualcosa in un vecchio baule, senza perdere di vista il piccolo principe che proseguiva la sua muta esplorazione. Alla fine trovò quello che stava cercando.
«Tieni» disse porgendo a Loki un vecchio volume che lui prese con curiosità. «Quando ti annoierai a stare chiuso in camera, invece che rimuginare su Thor, mettiti a leggere, un libro è sempre un'ottima compagnia»
Il titolo diceva 'Tradizioni dei Nove Regni'.
«Però, Lady Snotra, perché dovrei conoscere queste cose? Parla degli altri Nove Regni, ma noi di Asgard non siamo più... non siamo migliori, ecco?» chiese il bambino, la domanda suonava del tutto ingenua.
«Tanto migliori che non dovremmo neanche saperne di più sul conto degli altri popoli?» gli chiese con un sorriso furbo. «La conoscenza, il sapere è un'arma molto potente, Loki, più potente di qualsiasi cosa un guerriero possa imparare a maneggiare e a differenza della forza fisica e dell'attitudine al combattimento è una cosa che chiunque può coltivare, se ne ha la voglia, non importa quanto sia... piccolo».
Il sorriso sul volto di Loki divenne luminoso come un raggio di sole e Snotra lo ricambiò con calore.
«Grazie Lady Snotra» mormorò il bambino.
Lei lo guardò con un'espressione molto seria e accorata,
«Loki, devi promettermi che non sarai più invidioso di Thor, non è un sentimento che si conviene a un fratello. Anzi, credo che sia un sentimento sbagliato sempre, a prescindere. E devi promettermi che non gli farai più dispetti. Me lo giuri?».
Il giovane principe si strinse al petto il libro che le aveva dato la sua maestra e assunse un'espressione enfaticamente pensosa, come se stesse valutando se dare o meno una risposta affermativa alla domanda.
«Promesso» concesse, infine.
«Molto bene, e adesso torna in camera, prima che tuo padre decida di mettere in castigo anche me».
Loki esitò un attimo e sorrise divertito.
«Non mi chiedi se ho mentito quando ho detto che promettevo?»
«Loki!».
Era solo la battuta di un bambino, un modo di giocare con le parole, ma per un attimo Snotra ebbe l'impressione di aver scorto una scintilla di malizia in fondo a quegli occhi color del ghiaccio. La sua mente incespicò nel tentare di mettere assieme un monito che suonasse serio e definitivo, ma non ne fu in grado perché all'improvviso Loki le andò incontro e l'abbracciò, cingendole la vita e posandole il viso sul petto.
Era una stretta piena di entusiasmo e calore e Snotra non seppe spiegarsi come mai sentì per un attimo una strana e aliena sensazione di gelo. Ma la tenerezza che aveva sempre provato per quel bambino e il tormento per il segreto che aveva celato in nome della sua salvezza ebbero la meglio e lei si ritrovò a ricambiare la stretta di Loki con un braccio, mentre con la mano libera gli passava un'affettuosa carezza tra i capelli corvini.
    


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La canzone da cui è presa la citazione si intitola Desamistade.

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Capitolo 3
*** Terzo episodio ***


Ehm, ehm...
*tira via le ragnatele e i batuffoli di lanuggine*
No, non avevo dimenticato questa storia anche se l'ho lasciata per tutto questo tempo a macerare nell'oblio. In molti di voi mi hanno chiesto delle sorti di questa fanfiction in privato e vi ringrazio, perché è stato uno dei motivi che mi ha spinto a non dimenticarla – non che ne avessi intenzione, comunque.

Mi scuso per il tremenderrimo ritardo con cui aggiorno e tutto quello che posso fare per farmi perdonare è promettervi che per il prossimo aggiornamento non ci vorranno mesi (^_^'')

*******



3° Episodio

''Saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura,
nei sentieri nascosti in un palmo di mano,
segreti che fanno paura...''

Loki si alzò in piedi. La sua ombra sembrò incombere su Snotra come se lui fosse capace di modellare il buio che si era drappeggiato attorno.
Il cuore della donna mancò un battito.
Lui prese a camminare per l'angusto spazio della cella. Snotra seguì i movimenti del giovane principe con la coda dell'occhio: il suo passo era stanco, strascicato e le catene che ancora gli tenevano i polsi tintinnavano nel silenzio vuoto della prigione.
La luce del sole che filtrava dalla finestrella triangolare si era fatta leggermente più calda e intensa, una lama di pulviscolo dorato che attraversava la stanza chiusa e che non bastava a sfoltirne le ombre.
Loki si fermò di fronte al letto sul quale la donna era rimasta seduta, si appoggiò con le spalle al muro in una posa che voleva sembrare indolente, beffarda, e la fissò.
Snotra cercò di rimanere insensibile al peso di quello sguardo, al colore di quegli occhi così simile ai riflessi azzurrini del ghiaccio perenne del mondo da cui Loki proveniva.
Non era uno sguardo che faceva domande, gli occhi del principe caduto parlavano e basta. Le dicevano che lei aveva fallito, le dicevano che era come tutti gli altri. Avevano parole dure che affondavano come lame, e ogni parola era corroborata da un fiotto di sangue che la donna sentiva fuggirle via dal cuore.
Non era mai stata una guerriera, le lunghe settimane della sua gioventù trascorse al campo di battaglia durante la campagna di Jotunheim non facevano di lei una combattente, una donna d'azione e mai, prima di quel momento, Snotra si era trovata a riflettere su quanto coraggio possedesse, se fosse in quantità necessaria ad alzarsi e lasciare quella cella, lasciare Loki al suo destino fingendo di poter dimenticare. Si chiese se fosse più coraggioso voltargli le spalle o togliergli quella museruola e starlo ad ascoltare.
Quando la sua mano scivolò nella tasca a cercare la piccola chiave argentata, si disse che non occorre alcun coraggio per gettarsi da un precipizio, che basta solo una scintilla di pazzia e lei era stata folle tutta la vita, folle nel credere che Loki potesse salvarsi, che il ghiaccio e il vento freddo di Jotunheim non avessero scritto sulla sua pelle un destino già segnato e pieno di dolore. Il dolore che avrebbe inflitto agli altri, il dolore che continuava a infliggere a se stesso, il dolore che lei aveva finto di non vedere e aveva seguitato a ignorare con la stolida convinzione di poter contribuire a sconfiggerlo in nome di una promessa fatta sulla culla di un bambino in fasce.
Loki guardò con una punta di divertito interesse la chiave che Snotra reggeva tra le dita.
Quando la donna infilò la chiave nella piccola fessura sul retro della museruola, questa si staccò e cadde sul pavimento con un tonfo metallico che le sembrò talmente forte da scuotere le intere fondamenta del palazzo e da procurarle un leggero tremore che sperò di nascondere, ritraendosi immediatamente da Loki.
«Sei invecchiata, lady Snotra»
«Sì, è vero».
La voce del principe caduto, arrochita dalle lunghe ore di silenzio, sembrava provenire da molto lontano.
La museruola aveva lasciato un alone livido sulle guance del dio e dei piccoli solchi sul contorno delle labbra, come i segni di una cucitura, come la sua bocca non fosse altro che una cicatrice stralabrata, un taglio infetto e purulento da cui non poteva sgorgare altro che sangue misto a veleno.
Snotra ebbe la sensazione di un pugno allo stomaco. Si portò con quanta più compostezza poteva una mano al ventre e cercò di non piegarsi su se stessa. Le girava la testa e il peso degli occhi di Loki non le sembra più così sopportabile.
Loki, il dio dell'inganno, capace di trasformare il suo tradimento e la sua caduta nella colpa e nella condanna di tutti coloro che lo avevano amato, con la stessa capacità con cui la sua magia creava illusioni e trasformava una fiamma in una colomba.
Di certo, il Padre degli dei lo aveva privato dei suoi poteri nell'istante stesso in cui aveva messo piede sul suolo di Asgard, ma certi sortilegi, certe capacità erano l'essenza stessa di Loki, facevano parte della sua persona tanto quanto il nero corvino dei capelli o le mani affusolate.
Snotra realizzò che erano trascorsi lunghi istanti di silenzio, troppo lunghi. Si accorse di non avere nulla da dire e questo le parve una sconfitta che Loki non mancò di farle notare.
«Nemmeno una parola dalla mia maestra?» domandò canzonatorio. «Nessun rimprovero? Nessuna domanda per soddisfare una mente curiosa come la tua?».
«Non sono mai stata quel genere di maestra, puoi forse negarlo?» replicò lei, meravigliandosi della calma che riusciva ad ostentare, riuscendo a imprimere alla voce persino un po' di ilarità.
«Già, non lo sei mai stata. Tu sei il secondino mosso a pietà che porta una coperta calda al prigioniero dopo che tutti gli altri lo hanno maltrattato fino allo sfinimento».
Lo aveva amato moltissimo. Il dolore che le provocarono quelle parole le fece capire che lo amava ancora, che da questo punto di vista nulla era cambiato e nemmeno il peggior crimine che lui avrebbe potuto perpetuare avrebbe fatto vacillare la solidità di quell'effetto.
«Pietà...» borbottò a mezza voce, con un sorriso di amaro sarcasmo, come se quella parola le suonasse come uno scherzo di cattivo gusto. Scosse la testa, poi tornò a guardare il suo interlocutore. «Menti, stai cercando di insultarmi o è davvero così che ti sei sentito in tutti questi anni: un prigioniero maltrattato fino allo sfinimento?».
Ora fu il turno di Loki di sorridere amaramente e scuotere la testa. Guardò oltre la sua spalla, forse alla lama di luce che spaccava a metà il buio.
«Le mie azioni non sono state mosse da sogni e fatti immaginari. Se così fosse, sarei folle e allora davvero fareste bene ad avere paura» replicò il dio dell'inganno. E parlava con quel suo tono formalmente cortese, con la sua algida calma e il suo contegno regale. Parlava come se, in fin dei conti, non fosse accaduto niente perché forse per lui era sempre stato così che dovevano andare le cose, perché forse tutta la sua vita era stata vissuta in funzione di quel momento, e il fatto che fosse stato sconfitto era solo un imprevisto che non aveva saputo prevedere. Un imprevisto al quale già meditava di porre rimedio.
Snotra non sapeva cosa rispondergli, se non che quasi certamente uno di loro due era pazzo davvero.
«Tu sapevi, lady Snotra, quello che il Padre degli dei ha tenuto celato all'intero regno? Ha tessuto una menzogna immane per tutta la mia vita, e poi chiamano me il dio dell'inganno. Tu sapevi?» domandò Loki. Ora la sua voce suonava incrinata, aveva agitato le mani parlando e il tintinnio delle catene era suonato come una tempesta, amplificato dalla totale assenza di altri rumori.
Snotra abbassò lo sguardo.
«Tu sapevi» sentenziò Loki. C'era una nota di disappunto e stupore nella sua voce.
Quando la donna tornò a guardarlo, si accorse che l'espressione del giovane principe era quanto meno perplessa: una crepa nella sua corazza di ghiaccio.
Loki si staccò dal muro, alzò lo sguardo al soffitto e per lunghi secondi sembrò risucchiato dai suoi stessi pensieri. I suoi occhi si muovevano febbrili come se stessero tentando di contemplare ora un ricordo vagamente felice e ora uno triste; come se le reminiscenze danzassero davanti a lui vorticosamente, simili a fanciulle ad un ballo mentre gli spettatori cercano inutilmente di distinguere i loro volti che si confondono nella rapidità dei movimenti.
Il dio dell'inganno tornò a voltarsi verso di lei, con uno scatto repentino, come un assetato che allunga la mano verso una caraffa di acqua fresca.  
«Eppure, non mi hai mai considerato da meno di Thor...» sussurrò.
Era solo questo il punto? Ah, ma di certo doveva essere un punto focale, doveva essere il punto per Loki, il fulcro della questione, l'origine di ogni cosa.
«Non sei mai stato da meno di Thor. Se solo fossi stato in grado di capirlo, Loki...».
Snotra sentì il pianto farsi una massa dentro il suo petto, come una valanga di neve pronta a travolgere ogni cosa. Ma sapeva che non poteva concedersi di piangere ora, non davanti a Loki.
Lei e il principe si scambiarono una lunga occhiata, poi la donna dondolò appena la testa in un cenno rassegnato; si voltò e lasciò la cella. Le sbarre si dissolsero al suo passaggio per poi ricomparire dietro di lei con quel suono metallico, poi non ci fu altro rumore se non il fruscio delle vesti e il battito del proprio cuore che Snotra sentiva pulsarle nelle tempie.
Il corridoio era vuoto, buio come una tomba e la donna lo percorse con passi resi rapidi dalla marea di penose emozioni che la stavano sommergendo, offuscandole la ragione.
All'ingresso delle segrete, le guardie la scrutarono cercando di capire se fosse tutto a posto.
Il prigioniero era dove doveva essere. Il criminale giaceva sconfitto e incatenato come meritava. Nessuno doveva preoccuparsi che l'ordine delle cose venisse turbato, del resto era solo questo che importava a tutti loro, il loro prezioso ordine, quel mantenere intatto il dorato delle superfici.
Ritornata al pianterreno, Snotra affrettò ancora di più il passo. Non incontrò nessuno nella grande galleria; un vento dal sapore estivo agitava i tendaggi di raso, facendoli gonfiare ad ogni folata.
La donna si mosse di lato, come attirata da quella brezza, dalle promesse di sole e calore che prometteva, come se potesse soffiarle via il gelo che sentiva paralizzarla fin dentro le viscere. Spostò con gesti nervosi una tenda che si rifiutava di aprirsi e si ritrovò su una lunga balconata che percorreva quasi per intero un lato del palazzo.
Si appoggiò alla balaustra con i palmi delle mani, come se temesse di poter rovinare a terra da un momento all'altro. Guardò Asgard, esageratamente bella sotto quel sole; guardò l'orizzonte seminascosto dalle costruzioni della città, oltre il mare opalescente che sprofondava tra le stelle.
Le sembrò impossibile che ombre tanto grandi potessero allungarsi sulla Patria Eterna, minacciare la sicurezza e la felicità dei suoi abitanti.
Il cielo terso e assolato di quella tarda mattinata le riportò alla mente un ricordo che le fece esplodere il pianto nel petto, e lei si trovò, piegata in avanti contro il parapetto a piangere lacrime che il vento estivo non era in grado di asciugare.

***

Snotra camminava per la grande galleria che portava alla biblioteca.
Era una di quelle giornate in cui chiunque, anche il più triste degli individui, avrebbe potuto pensare che nell'universo c'è solo bellezza. Il sole era caldo e un vento piacevole accarezzava la città portando ora l'odore dell'erba dei campi a nord, ora l'aroma del mare che si stendeva a perdita d'occhio alle porte di Asgard.
Rettangoli di luce si riflettevano sul pavimento, intervallati dalle strisce di ombra proiettata dalle colonne che reggevano l'alto soffitto istoriato.
Snotra lanciò un'occhiata da entrambi i lati del corridoio: non c'era nessuno. Sorrise e strinse un po' più forte i libri che aveva tra le mani, poi cominciò a percorrere il corridoio saltando, in modo da atterrare solo sulle strisce più chiare, dove la luce del sole filtrava tra il colonnato.
Si sentiva allegra. Gli ultimi anni erano stati pieni di soddisfazioni e il destino le aveva regalato la vita che aveva sempre sognato.
Inoltre, era la precettrice dei figli del re e i suoi due allievi le davano continue soddisfazioni.
La chiamavano la dea della saggezza. Titolo quanto mai altisonante e pieno di responsabilità per una donna ancora piuttosto giovane.
Alle volte si chiedeva se in futuro il destino le avrebbe fatto scontare tanta buona sorte.
Piroetta dopo piroetta, aveva quasi raggiunto l'ingresso della biblioteca, quando si aprì una porta e la figura maestosa di Odino comparve alla fine del corridoio proprio quando Snotra aveva fatto l'ultimo balzo un po' più lungo degli altri.
La giovane donna atterrò a un palmo dal suo re. Sentì il rossore coprirle il viso con la stessa rapidità di una fiamma su una superficie cosparsa di pece, e proprio come il fuoco con la pece si sentì bruciare tanto che c'era da meravigliarsi che non le uscisse fumo dalle orecchie.
Saltellare per i corridoi del palazzo come un infante: una condotta non particolarmente adatta alla dea della saggezza e nemmeno a una semplice donna che svolgesse il ruolo di precettrice dei due potenziali eredi al trono.
«Mio re...» farfugliò con la voce stridula per l'imbarazzo. Un'altra vampata di rossore le fece sentire le guance sul punto di fondersi. «M... magnifica giornata, non trovate?».  
Odino sorrise bonario. Il dorato delle sue vesti sembrava attirare tutta la luce proveniente dall'esterno.
«Lady Snotra, giornata magnifica davvero, specie per una cavalcata» disse il sovrano. «Ti unirai a noi questo pomeriggio, voglio sperare».
Era più che un semplice invito. Snotra aveva imparato a cogliere il tono di comando anche nelle richieste più affabili del Padre degli dei poiché il sovrano le portava un grande rispetto e sembrava incapace di darle ordini in modo secco e diretto. In cuor suo, Snotra gli era grata per questa sorta di trattamento di favore.
Odino aveva un enorme riguardo per il sapere e la conoscenza e quindi per coloro che ne erano i depositari nel suo regno. Per questo spesso, quando i suoi figli erano ancora bambini, li prendeva con sé e li portava nella galleria dei trofei, nel cuore del palazzo, dove raccontava loro le molte vicende della storia dei Nove Regni. Ad ogni storia corrispondeva un insegnamento, e gli insegnamenti di un padre erano assai più validi di qualsiasi lezione Snotra avrebbe mai potuto impartire ai due giovani principi.
«Sarò molto lieta di unirmi a voi, maestà» asserì la donna, con un sorriso cordiale. «Ehm... unirmi a cosa, comunque?»
«A una cavalcata, come avevo accennato. Oggi porterò i miei figli a visitare un campo di addestramento dell'Accademia d'armi. Dovresti venire, anche se nei miei ricordi l'equitazione non è la tua dote migliore».
La donna rispose con un sorriso tirato e un rapido cenno di assenso.
In tutti quegli anni, Odino non aveva mai fatto neppure lontanamente menzione al segreto che lei condivideva con i due sovrani, non si era mai lasciato scappare neppure la più vaga allusione alla cosa, tanto che il ricordo di ciò che era stato aveva quasi smesso di tormentarla quando era da sola. Tanto che a volte poteva fingere che non fosse mai successo, che non aveva fatto ritorno da Jotunheim in gran segreto, portando con sé un bambino che aveva dovuto scortare a cavallo fino ai confini del regno, sotto lo sguardo vigile dei corvi di Odino.
I ricordi di quella lunga e scomoda cavalcata, il peso di quell'atto che era allo stesso tempo un atto di tradimento e di misericordia, erano stati offuscati dalla speranza che il presente rinnovava giorno dopo giorno, che tutto sommato Loki fosse felice, che fosse a tutti gli effetti figlio del re e della regina di Asgard e, come tale, destinato a grandi cose.
Snotra trattenne un sospiro, accennò un inchino con fare ossequioso e si voltò per raggiungere la biblioteca.
Si chiuse pesantemente la grande porta di ottone alle spalle, come a voler lasciare dietro di sé i pensieri che per un attimo l'avevano turbata.
Non c'era ragione di essere preoccupata. Loki era al sicuro da quel passato che, in qualche misura, nemmeno lo riguardava e lei aveva prestato fede alla sua promessa, aveva fatto tutto quanto era in suo potere per aiutarlo, perché lui avesse la vita serena che meritava; ormai lui era un ragazzo venuto fuori dall'infanzia, attento a ciò che avrebbe potuto diventare in futuro e ancora indeciso sul tipo di strada da scegliere, con l'insicurezza tipica di ogni giovane. Del resto, il risultato degli sforzi di Snotra non era privo di imperfezioni, ma queste erano da imputarsi al carattere del giovane principe, Loki era così desideroso di mostrarsi capace e degno agli occhi della sua famiglia, Loki era... era lì, seduto allo scrittoio più distante dall'ingresso, in fondo al labirinto di scaffali e vani straripanti di antiche pergamene. Era seduto da solo, davanti a un enorme libro con i margini delle pagine ingialliti e rovinati; doveva essere uno di quei volumi dimenticati a cui nemmeno Snotra metteva mai mano, uno di quelli molto molto vecchi, che minacciavano di cadere a pezzi al solo guardarli.
Tuttavia, Loki non stava guardando le pagine. Guardava lei, ancora ferma a ridosso della porta. Da quella distanza, la donna non riusciva a distinguere l'espressione negli occhi chiari del giovane principe, ma dopo qualche secondo lo vide accennare un sorriso.
Snotra lo raggiunse e ricambiò il sorriso. Quando fu vicino a lui e allo scrittoio, Loki balzò in piedi e mosse un passo.
«Che ci fai chiuso qui dentro, con un sole simile?» domandò la donna, scuotendo il capo.
«Tutto questo sole mi fa venire mal di testa» borbottò il ragazzo, come se lo imbarazzasse doverlo ammettere.
Certo che il sole gli faceva male, pensò Snotra, cercando di non far trasparire il suo turbamento. Per quanto potesse credere che certi ricordi fossero sopiti, in realtà erano disseminati ovunque ed era fin troppo facile riportarli alla luce, alle voste bastava davvero solo un raggio di sole.
«Verrai con noi, oggi?» le chiese poi Loki.
«Sì. Sei stato tu a chiedere a tuo padre di coinvolgermi in questa... gita, quindi?»
«Pensavo che con te ad accompagnarci sarebbe stata meno noiosa».
Loki sorrise con quel suo strano ghigno sghembo. Snotra si chiese come fosse possibile che il sorriso di quel ragazzo apparisse allo stesso tempo così innocente eppure tanto artificioso. Pensò che fosse perché ormai Loki stava crescendo, il suo viso aveva perso i tratti ancora un po' morbidi e arrotondati dell'infanzia – paffuto non lo era mai stato, comunque – e aveva assunto lineamenti affilati e decisi, gli zigomi pronunciati, il naso diritto, le labbra sottili che avevano perso la pienezza e la dolcezza che erano state tipiche del bambino; i suoi capelli erano diventati più scuri, di quel nero lucido d'inchiostro così diverso dal biondo dorato o ramato degli asgardiani e che sembravano gridare a gran voce la sua diversità.
Giorno dopo giorno, Loki assomigliava sempre di più all'uomo che sarebbe diventato; diverso dal resto della sua gente, eppure in lui c'erano già i segni evidenti di una regalità e di una bellezza dissimile da quella che caratterizzava gli altri asgardiani, ma proprio per questo ancora più capace di risaltare agli occhi di chi avrebbe saputo guardare; una goccia di splendore che non tutti sarebbero stati in grado di afferrare.
«Cosa stavi leggendo?» domandò Snotra, allungando uno sguardo oltre la spalla di Loki per cercare di riconoscere il libro poggiato sullo scrittoio.
«Niente di importante». Lui si voltò bruscamente e chiuse il volume con un tonfo, lo prese e se lo strinse al petto per evitare che la donna ne potesse riconoscere la copertina o il titolo.
«Lo sai che non mi piace quando menti». Snotra si accigliò.
La sua espressione severa sembrò colpire il ragazzo.
«Oh, in realtà vorrebbe essere una sorpresa, per te. Vedrai, sarai fiera di me».
La donna avrebbe voluto replicare che era già fiera di lui, ma il rumore di vetri infranti le impedì di parlare. Lei e Loki sobbalzarono e si voltarono nella direzione da cui era provenuto il rumore.
Una freccia aveva colpito la finestra ed era volata dentro, rompendo il vetro e atterrando sul pavimento.
Il giovane principe assunse un cipiglio da guerriero coraggioso – poco ci mancò che gonfiasse il petto per apparire più grande di quanto non fosse – e si avvicinò alla finestra, facendo cenno alla sua maestra di restare indietro. Quando guardò di sotto, nel cortile interno su cui affacciava la biblioteca, vide Thor guardare verso l'alto con aria mortificata, reggendo in mano un arco. Alle sue spalle, il suo istruttore aveva ancora le mani premute sul viso per lo spavento e sbirciava tra le dita, preoccupato di ciò che avrebbe potuto vedere.
«Siamo sotto assedio?» chiese Snotra scherzosamente, per cercare di mitigare un po' la tensione del momento e lo spavento collettivo.
«Snotra, fratello... state bene?» gridò Thor dabbasso. «Non volevo colpire la finestra, mi... mi dispiace».
«Noi stiamo bene. La finestra un po' meno» scherzò Loki, con un mezzo sorriso, poi raccolse la freccia e la gettò oltre il davanzale. Suo fratello l'afferrò al volo.
«Torna pure ad allenarti, Thor. Ma se io fossi nel tuo addestratore, ti farei esercitare al tiro con l'arco in un luogo più distante dalle finestre del palazzo»
«Avete ragione, lady Snotra, perdonate...» sospirò l'istruttore, ancora un po' scosso.
Snotra guardò i due che si allontanavano verso il fondo del cortile, avvolti dal sole prepotente di quella tarda mattinata.
Anche il principe Thor era cresciuto, era molto più alto di Loki e più robusto. Il suo viso era meno spigoloso, e appariva più dolce grazie ai suoi occhi, azzurri come il cielo d'estate e altrettanto luminosi, a differenza di quelli del fratello, che erano glaciali anche quando rideva. Thor aveva conservato qualcosa di infantile nel suo aspetto, malgrado le braccia che si erano fatte forti e muscolose e le mani grandi che sembravano fatte appositamente per impugnare ogni tipo di arma, il suo viso non aveva perso del tutto quelle rotondità tipiche dei volti dei bambini, anche se le sue guance cominciavano ad essere ricoperte di una sottile peluria dorata. Anche per Thor era evidente che da grande sarebbe diventato bellissimo, di quella bellezza che avrebbe fatto voltare tutte le fanciulle al suo passaggio e che probabilmente lo avrebbe riempito di corteggiatrici più o meno interessanti. Quel tipo di bellezza che però avrebbe potuto apparire tanto abbagliante quanto scontata a occhi meno superficiali.
«Il tiro con l'arco non è una disciplina adatta a Thor» mormorò Loki. Snotra si voltò a guardarlo e vide che stringeva ancora al petto il suo libro.
Era vero, Thor non aveva la pazienza necessaria a tendere l'arco, prendere la mira e assicurarsi di tenere la mano perfettamente salda al momento di scoccare, né era in grado di regolare in modo adeguato la sua straordinaria forza. L'ultima volta che Snotra aveva ricevuto un abbraccio dal figlio di Odino, le erano rimasti i lividi per giorni... e Thor era un giovanotto affettuoso che amava dispensare abbracci, una caratteristica che invece Loki aveva perso quando si era lasciato alle spalle gli anni dell'infanzia, malgrado non mancasse mai di ricordare alla sua maestra quanto le volesse bene in altri modi – come prometterle una sorpresa e dirle che l'avrebbe resa fiera di lui.
«No, il tiro con l'arco non è la sua miglior attitudine» convenne Snotra. «Ma sarebbe sciocco lasciare che smetta di tentare».
Loki annuì con poca convinzione. «Preferisco impiegare il mio tempo per cose in cui sono certo di aver successo, a che serve sforzarsi per niente?»
«Ad essere certi di aver provato e aver dato il meglio, immagino. Dobbiamo sempre lasciare a noi stessi la possibilità di sorprenderci, dovresti ricordartelo invece di preoccuparti così tanto di sorprendere gli altri».
Se Loki aveva colto il velato suggerimento, non lo diede a vedere.
«Sono un arciere migliore di Thor, anche se ho impiegato più tempo di lui a riuscire a tendere l'arco» disse, voltandosi per andare a riporre il libro su uno scaffale.
Per un attimo, Snotra fu tentata di guardare dove il giovane principe avrebbe lasciato il libro, per ritrovarlo quando lui se ne fosse andato e riuscire così a scoprire che cosa stesse studiando così in segreto, ma si disse che sarebbe stata prova di grande mancanza di fiducia e andava contro tutte le lezioni sull'onestà che aveva cercato di impartire ai suoi due giovani allievi. E poi, il ragazzo aveva detto che era una sorpresa.  
«Sì, sei un arciere migliore di Thor, lo so. E questo cosa c'entra?» domandò la donna, alzando la voce per farsi sentire oltre la fila di scaffali dietro i quali Loki era sparito.
«Nulla. Mi chiedevo se lo sapesse anche nostro padre» rispose lui, rispuntando dal lato opposto a quello da cui si era allontanato.
«Non commettere l'errore di pensare che tuo padre non tenga il suo sguardo ben puntato su di te» lo ammonì lei.
Loki sorrise di nuovo in quel suo modo così bello e così ambiguo.
«No, certo che no» concluse.
Anche lui stava diventando bravo con le armi. Tempo prima, Odino gli aveva fatto dono di alcuni pugnali dalla forma elegante e il manico scuro con intarsi di ossidiana; lui forse non aveva la forza fisica necessaria a brandire una grande spada o armi pesanti, ma era diventato bravissimo a maneggiare quelle piccole lame, e a differenza di Thor aveva grande pazienza, un'ottima capacità di concentrazione e una mano molto ferma per questo era anche un eccellente tiratore. Aveva i movimenti fluidi di un felino e quando lanciava i pugnali questi saettavano in direzione del bersaglio con la stessa micidiale precisione delle onde di luce che si sprigionavano dalla lancia di Odino.
Loki era un guerriero ma, come in molte altre cose, lo era a modo suo, nella misura in cui decideva di esserlo, secondo regole che lui stesso sceglieva.
Un giorno Snotra, o forse suo padre, gli avrebbe impartito una lezione sul fatto che un guerriero – come anche un re o qualsiasi individuo ricopra una posizione di responsabilità – non può pensare di agire sempre e solo secondo le sue regole, che sono gli eserciti a vincere le battaglie, non i singoli uomini, che sono i popoli a fare i regni e non il cerchio dorato di una corona. Ma Loki era solo un ragazzo e forse crescendo avrebbe imparato da solo tutto ciò di cui necessitava.

I cavalli li attendevano nel cortile.
C'erano due bellissimi purosangue dal pelo fulvo che erano stati sellati per i due principi e una giumenta con una criniera liscia, quasi argentea, destinata a Snotra.
Le tre bestie, che nulla avevano da invidiare ai migliori rappresentati della loro specie, se ne stavano in disparte, a una rispettosa distanza dal cavallo di Odino, il leggendario destriero a otto zampe dal pelo nero. Una creatura maestosa che si diceva fosse in grado di correre anche tra le stelle.
Snotra aveva avuto ben poche occasioni di ammirare il destriero del Padre degli dei, per un attimo fu quasi tentata di avvicinarsi a lui e provare ad accarezzargli il muso, ma come se l'animale le avesse letto nella mente, si voltò a guardarla in modo quasi minaccioso, e la donna indietreggiò, avvicinandosi agli altri cavalli, con i loro grandi occhi liquidi e neri che li facevano apparire assai meno spaventosi.
«Non avevo mai visto una donna vestita da uomo» esclamò alle sue spalle la voce del giovane Thor.
Snotra lo guardò perplessa poi abbassò gli occhi facendo un breve inventario del suo abbigliamento. Indossava dei calzoni sotto la lunga casacca di velluto.
«Non sono vestita da uomo» protestò, ridacchiando.
«Hai una concezione ben curiosa delle donne, fratello» borbottò Loki.
«Meglio averne una concezione curiosa che non averne affatto una» replicò il figlio di Odino con un'occhiata canzonatoria.
Il volto pallido di Loki divenne così rosso che Snotra non riuscì a trattenere una leggera risata. Quando rise, Loki alzò di scatto lo sguardo su di lei, ed era uno sguardo ferito.
Così suscettibile, mio giovane principe?
Decise di ignorare l'accaduto e fece cenno ai ragazzi di montare in sella. «Vostro padre sta arrivando, è meglio che ci trovi pronti a partire».
Odino li raggiunse dopo qualche minuto, un mantello di fili d'oro drappeggiato sulle spalle. Il sovrano sembrava essere di buon umore: la compagnia dei suoi figli, al di fuori delle formalità del palazzo, gli era sempre cosa gradita e Snotra si sentì quasi un'intrusa in quel momento di intimità familiare, né le era chiaro come mai Loki avesse chiesto a suo padre di portarla con loro.
Per un attimo le sovvenne un'idea che subito però le sembrò esagerata, impossibile: che lui si sentisse a disagio quando era con Thor e suo padre?
Pensò che avrebbe potuto chiederglielo, ma si ricordò che era una cosa sciocca e insensata e che non c'era motivo di turbare Loki con un simile quesito. Perché mai avrebbe dovuto sentirsi a disagio? Davvero avvertiva di essere in qualche modo più profondo diverso da loro, da suo fratello?
Snotra osservò i due giovani portare i cavalli nella scia del poderoso destriero del re.
Sì, i due principi di Asgard apparivano estremamente diversi, anche nell'abbigliamento, per il quale si ostinavano a scegliere sempre gli stessi colori – il blu e il rosso per Thor, il verde e il nero per Loki – ma questo succede spesso anche tra figli nati dagli stessi genitori.
Snotra deglutì. Loki le voleva bene e si fidava di lei, invidiava la forza di Thor ed era ansioso di dimostrare di essere bravo almeno quanto lui in tutto ciò che riteneva importante, ma se avesse provato qualcosa di così disturbante gliene avrebbe certamente parlato e lei sarebbe riuscita a rassicurarlo.
Non c'è assolutamente niente che non va in te, mio caro ragazzo...
Spronarono i cavalli.
Gli zoccoli del destriero di Odino facevano quasi tremare la terra, sollevando schizzi di rena e ghiaia dal pavimento del cortile. Era come rincorrere la scia di un tuono.
E Snotra aveva decisamente dimenticato com'era stare in sella.
Quando le guardie aprirono una delle porte del palazzo, i cavalli videro davanti a loro solo un'immensa prateria e si lanciarono al galoppo senza che ci fosse bisogno di spronarli.
La donna strinse nervosamente le redini e diede un piccolo strattone, pregando che l'animale rallentasse, ma così non fu; la giumenta continuò a correre e lei sentì il calore dello sforzo emanare dal pelo argenteo.
Percorsero a velocità folle una distanza che non fu in grado di calcolare e solo quando i cavalli cominciarono ad essere stanchi si decisero a rallentare. Allora Snotra si voltò e si accorse che la città non era altro che un'increspatura dorata all'orizzonte, con il profilo del palazzo del re che svettava come la pennellata imprecisa di un pittore.
«Hai un brutto colorito, Snotra» disse Thor, avvicinandosi e scrutandola a metà tra il divertito e il preoccupato. «Da quanto tempo non cavalcavi?».
«Da troppo tempo, evidentemente».
«Possiamo fermarci per qualche minuto, se vuoi» intervenne Loki.
Snotra guardò davanti a sé, la sagoma di Odino si stagliava sulla cima di una salita coperta di morbida erba. Se fosse caduta di sella almeno non sarebbe stata una caduta troppo dolorosa, pensò, soprattutto finché il suo cavallo non si fosse di nuovo messo a correre all'impazzata.
«Vostro padre ci aspetta» replicò la donna con stoicismo. «Non si fa aspettare un re».
 
L'accampamento sorgeva in una gola tra due dolci colline, oltre uno sterminato campo di grano.
La città era lontana e Snotra si sentì come in un altro mondo. Lasciava così di rado il palazzo e in tutti quegli anni, dalla morte di Lord Alcuin, non aveva mai lasciato la capitale del regno.
Certo, Asgard era il luogo più bello di tutti Nove Regni, opulenta e superba, simbolo di ordine e potenza, la degna dimora di una stirpe di dei che da sempre proteggeva l'armonia dell'universo. Eppure in quel momento le parve che nulla potesse competere con lo spettacolo del cielo terso che faceva da cupola a quel mare d'erba, al bosco che si scorgeva in lontananza, dove gli alberi e le piante erano cresciuti senza alcun ordine preciso, dove la natura non aveva nulla da dimostrare.
Il campo dell'Accademia delle armi, dove i più promettenti guerrieri del regno venivano mandati a completare il loro addestramento, era circondato da palizzate di metallo opaco alte almeno tre metri. Una porta semicircolare fu aperta per permettere al sovrano e al suo piccolo corteo di entrare all'interno.
Le palizzate delimitavano un'area molto vasta, per metà occupata da file ordinate di robuste tende e padiglioni. Nell'altra metà c'erano grandi spazi aperti, intervallati da colonne o bacheche alle quali erano appese spade e pugnali o faretre piene di frecce.
A Snotra non sfuggì l'esclamazione di entusiasmo che Thor non era stato in grado di trattenere. Loki invece si guardava attorno incuriosito, ma non sembrava particolarmente colpito da ciò che stava osservando.
Gli ufficiali avevano chiamato a raccolta tutti i giovani cadetti che si erano disposti in quattro file, in ordine di età. Quando Odino smontò da cavallo, tutti loro si inginocchiarono nello stesso istante e per un attimo rimasero immobili, il capo chino, come se nemmeno respirassero.
Snotra sentì Loki accanto a lei trattenere il fiato.
Odino allargò le braccia e posò le mani sulle spalle dell'ufficiale più alto in grado, in testa alla colonna. I giovani guerrieri si alzarono tutti contemporaneamente, con un unico movimento agile, in un leggero fruscio di stoffa e tintinnio di lame.
«Mio re, miei principi, siate i benvenuti» salutò l'ufficiale. «Mia lady, benvenuta anche a voi».
La donna rispose con un sorriso formale al saluto del militare e ascoltò distrattamente Odino parlare con lui e gli altri responsabili del campo. Accanto a lei, Thor e Loki parlavano tra loro a bassa voce, commentando ogni particolare del campo di addestramento.
«Non sarebbe male trascorrere un paio di mesi in questo posto, eh fratello?» bisbigliò Thor, entusiasta.
«Non sarebbe male. Ma avranno una biblioteca da campo?» replicò il più giovane.
«Cosa te ne fai di un libro se puoi avere una spada?»
«Thor, questa potrei rammentarla in futuro» interloquì Snotra.
Il giovane biondo aggrottò la fronte,
«Io voglio essere un guerriero» borbottò con un cipiglio quasi infantile. «In questo i libri non possono aiutarmi... cioè... sono, ehm, interessanti, ma le mie aspirazioni vanno al di là, ecco».
La donna sospirò pesantemente,
«E come credi di fare, se un giorno sarai re, quando ti necessiterà la conoscenza oltre che la forza?» lo sfidò.
Thor ristette, si guardò le punte dei piedi, in evidente disagio, poi sollevò lo sguardo sorridendo beffardo. «Per quello avrò sempre Loki a darmi una mano!» esclamò, dando una pacca sulla spalla del fratello. Corse via prima che Snotra avesse tempo di replicare, raggiungendo suo padre che era diversi metri più avanti, insieme agli ufficiali che gli stavano parlando dell'organizzazione del campo e delle reclute più promettenti.
«Che idiota borioso» sibilò Loki, guardando il fratello correre via.
«Loki!». Snotra cercò di non gridare troppo forte, ma non poté fare a meno di mostrarsi scandalizzata.
«Lo hai sentito anche tu, no?» replicò il principe, sulla difensiva.
«Sì, l'ho sentito. Quello che non gli ho mai sentito sulle labbra però sono insulti rivolti a te»
«Io non dico cose stupide. Perché dovrei meritarmi degli insulti?».
«Thor non è stupido, è solo concentrato su certe cose invece che su altre». Snotra passò una mano tra i capelli corvini del ragazzo e sembrò che Loki facesse uno sforzo immane per non sottrarsi a quella carezza. «Crescerà e il fatto che tu sia più acuto e più maturo non ti dà il diritto di denigrarlo, non è un comportamento né giusto né saggio».
Lui arricciò il naso. «Sono... più acuto e più maturo?».
«Sì, ma non essere così vanesio» concluse Snotra con una smorfia canzonatoria. Loki sorrise. «E adesso raggiungiamo tuo padre e tuo fratello».
La visita all'accampamento si protrasse più di quanto previsto. Odino ebbe la cortesia di parlare personalmente con ogni recluta, spronando i giovani a dare del loro meglio, perché anche in tempi di pace come quelli, è utile mantenere alta la guardia.
Dopo aver visto tutto quanto c'era da vedere, il re si intrattenne nel padiglione degli ufficiali a parlare con loro delle truppe di stanza negli altri regni e delle notizie che giungevano dai luoghi al di là dei confini di Asgard. Volle che Loki e Thor fossero presenti e ascoltassero, e così anche Snotra si trattenne con loro, ma la sua mente non era lì; i suoi pensieri erano tornati alla campagna di Jotunheim, alle sconfinate distese di ghiaccio e roccia, al cielo immerso nel buio di una notte senza fondo. Sentì persino il freddo serpeggiarle oltre i vestiti, lambirle la pelle.
«Stai tremando, Snotra» sussurrò Thor, seduto accanto a lei.
La donna scosse la testa e tentò di sorridere,
«Non ero più abituata a trascorrere tanto tempo all'aperto».
Il figlio di Odino le prese la mano come per trasmetterle un po' del suo calore. Era sempre caldo, come il sole di quella bella giornata, e come quel sole sembrava portare con sé promesse di gloria e grandezza.
Sì, sarebbe cresciuto e avrebbe imparato ad essere saggio e avveduto, come si addice a un uomo del suo rango.
Odino stava ancora parlando con gli ufficiali e Snotra aveva del tutto perso il filo del discorso, quando dall'esterno si levò un coro di grida.
I responsabili del campo si scambiarono occhiate basite. Dopo tanto tempo passato a insegnare rigore e disciplina ai loro allievi ecco che accadeva un imprevisto proprio durante la visita del sovrano.
Snotra pensò, non senza una certa irriverenza, che le piacevano gli imprevisti e che forse quella gita avrebbe smesso di essere noiosa.
«Vi porgo le mie più umili scuse, mio re» disse l'ufficiale più alto in grado, alzandosi con movimenti rigidi. «Con il vostro permesso, vado ad assicurarmi che sia tutto a posto. Voi continuate pure, il discorso è troppo interessante per essere interrotto dagli schiamazzi di un paio di ragazzi».
Quando l'ufficiale uscì dalla tenda, le grida ripresero e nel giro di pochi secondi divennero un unico coro di voci, un suono inarticolato nel quale non si riusciva a distinguere una sola parola.
«Ha l'aria di essere una questione più interessante dei nostri discorsi» commentò Odino. Snotra riuscì a cogliere una leggera nota di ironia nella sua voce, ma gli altri ufficiali che erano con lui trasalirono e i loro volti sbiancarono di colpo.
Thor e Loki si scambiarono una rapida occhiata e si affrettarono a seguire il re fuori dal padiglione.
A prima vista, sembrava esserci stata una specie di rissa. Un ragazzo dall'armatura di cuoio lavorato stava in piedi davanti al primo ufficiale con il naso rotto, ridotto a una chiazza sanguinolenta, schiumante di rabbia. Alle sua spalle si era radunato l'intero accampamento che ne stava palesemente prendendo le parti. Dall'altro lato, c'era un altro ragazzo, di corporatura più piccola, completamente coperto di fango, con un brutto taglio sul palmo della mano, sorretto da un giovane corpulento con una gran massa di capelli rossi.
Odino non sembrò gradire lo spettacolo. Si accigliò e spostò più volte lo sguardo tra i due ragazzi – tra il ragazzo sanguinante e lo scricciolo ricoperto di fango.
«E questi incidenti accadono spesso?» domandò torvo agli ufficiali.
«No, mio re, affatto. Ma ci premureremo immediatamente di allontanare chi ha causato questo increscioso episodio» disse l'ufficiale, guardando ostile la recluta coperta di fango come se desse per scontato che fosse colpa sua, anche se, a quanto sembrava, nessuno aveva ancora interrogato i giovani sull'accaduto.
«Non sono stata io!» strillò questa, sussultando e disseminando ovunque schizzi di fanghiglia grigia.  Strinse i pugni e dalla mano ferita caddero grandi gocce scarlatte che si persero nell'erba.
Stata?...
«Come osi, Sif?» esclamò l'ufficiale, incollerito. «Aggredisci un tuo compagno e ora hai anche la sfrontatezza di mentire dinnanzi al Padre degli dei! Ti ho accettata tra le mie reclute per l'amicizia che mi lega a tuo padre, ma sapevo fin dall'inizio che questo non è posto per una ragazzina».
La giovane di nome Sif si passò il dorso della mano sul volto, cercando di tirare via un po' di sudiciume. Non servì a molto.
L'idea che una giovane fanciulla avesse scelto la vita da soldato era interessante, almeno quanto era odioso il fatto che venisse palesemente sfavorita dai suoi superiori che evidentemente non aspettavano altro che una scusa per mandarla via.
«Volstagg!» disse l'ufficiale, al ragazzone dai capelli rossi che continuava a sorreggere Sif. «accompagnala nei suoi alloggi e assicurati che si ripulisca e faccia i bagagli».
Lui esitò, guardando la compagna con un misto di pietà e comprensione.
«Sei forse diventato sordo, ragazzo?».
«Agli ordini, signore...» borbottò Volstagg, con uno sguardo polemico che contraddiceva la formalità delle sue parole. Appoggiò le grosse mani sulle spalle esili della ragazza, incurante del fango, e la strattonò con quanta più delicatezza poté – non molta, ad ogni modo, pur con tutta la buona volontà la delicatezza non sembrava appartenergli.   
«Aspettate!».
Nello stupore generale, Thor fece un passo avanti.
Snotra incrociò per un istante lo sguardo di Odino e capì che il Padre degli dei era curioso di vedere cosa aveva da dire suo figlio e come avrebbe gestito quella questione, tanto quanto lo era lei.
Per un attimo il giovane principe parve intimidito dall'aver attirato su di sé l'attenzione di tutti, ma fu solo un attimo. Subito dopo assunse un cipiglio serio e autoritario e si voltò verso gli ufficiali,
«Non avete lasciato che la ragazza spiegasse le sue ragioni. Lui ha il naso rotto ma anche lei è ferita oltre che... ehm, sudicia» disse.
Snotra vide il lampo di un sorriso fiero passare rapidamente sul volto del re. Pretendere giustizia anche per una causa poco rilevante era senz'altro una dote che un futuro sovrano avrebbe dovuto possedere.
Gli ufficiali zittirono. Erano già pieni di collera e vergogna per l'increscioso episodio avvenuto sotto gli occhi del loro re, non si sarebbero messi anche a contraddire il principe di Asgard.
Sif fece un cenno di gratitudine alla volta di Thor,
«Mi stavo allenando da sola al lancio del giavellotto, vicino al ponte sulla pozza di fango quando lui è venuto a importunarmi» spiegò in tono monocorde. Certo, una giovane in un accampamento di reclute non è una buona idea, ma non per le ragioni che volevano far valere gli ufficiali.
«L'ho allontanato con una spinta e lui ha sguainato la spada. Gli ho detto di metterla giù e quando ho alzato le mani mi ha tagliata. Non ci ho visto più, e gli ho tirato un pugno con la mano sana, lui mi ha spinta e sono finita nella pozza».
«Bugiarda!» esclamò il ragazzo, tamponandosi il naso. «Mi ha aggredito, io non le ho fatto niente».
«E il taglio sulla sua mano, come lo spieghi?» chiese Thor.
«Mi ha aggredito, dovevo pur difendermi»
«Sta mentendo» disse un'altra voce. La piccola folla di reclute si aprì per lasciar passare due ragazzi che dovevano essere più o meno coetanei di Thor e Loki. «Noi non sappiamo com'è cominciata, ma abbia visto che è stato lui a ferirla per primo».
«Sif era disarmata quando lui ha sguainato la spada».
Dai ragazzi radunati fuori al padiglione si levò un borbottio sommesso. Sif e i suoi difensori erano in netta minoranza, avevano tutti contro, ma avevano la giustizia dalla loro parte.
Odino alzò un braccio e il parlottio cessò di colpo. «Quindi, Thor?».
«Questa la voglio proprio sentire...» sussurrò Loki all'orecchio di Snotra.
La situazione non era facile come sembrava. Anche appurato che Sif fosse nel giusto, aveva comunque attirato su di sé il malanimo di quasi tutto il campo, era evidente che lì non era benvoluta né dai suoi compagni né dagli ufficiali addestratori e con quell'episodio aveva compromesso ancora di più la sua posizione. La fanciulla aveva il destino segnato comunque, se non ora, avrebbero trovato in futuro un altra scusa per cacciarla via, senza contare che i ragazzi che si erano schierati dalla sua parte ne avrebbero comunque risentito perché il resto delle reclute li avrebbe considerati come dei traditori.
Scegli bene, mio giovane principe...
Snotra teneva gli occhi fissi su Thor e quasi poteva sentire il suo cervello agitarsi nel tentativo di trovare una soluzione.
«È vero, un campo di addestramento forse non è un posto adatto a una fanciulla» esordì il figlio di Odino.
«Cos...». Sif tentò di protestare, ma Volstagg le lanciò una gomitata per zittirla.
«Specie per una fanciulla che dimostra un tale valore» proseguì Thor. «Io penso che lady Sif si meriti qualcosa di più, così come pure i suoi compagni che si sono comportati in modo onorevole nei suoi riguardi. C'è posto per loro, al palazzo di mio padre».
Un mormorio attonito scosse la folla di reclute. Forse la benevolenza di Thor era stata un po' eccessiva, ma aveva trovato comunque una valida soluzione al problema.
Odino sembrava soddisfatto.
«Non avrebbe fatto meglio a chiedere in dono un cucciolo?» scherzò Loki, parlando a bassa voce perché solo Snotra potesse sentire.
«Si è assicurato dei compagni che molto probabilmente gli saranno fedeli» rispose lei. «È stato incredibilmente astuto»
«Vuoi dire per uno come lui?».
Snotra non ebbe tempo di replicare, perché Thor si avvicinò a lei e a Loki e li guardò come in cerca di approvazione.
«Credo che tuo padre sia molto fiero di te» gli disse lei.
«Ma spero che io resterò sempre il tuo compagno di giochi preferito» aggiunse Loki.
Thor gli rivolse un sorriso affettuoso, «Sempre, fratello».

Snotra si offrì di prendersi cura della ragazza. Portò Sif in una tenda, l'aiutò a lavarsi via il fango e le medicò il taglio alla mano.
Da sotto quello strato di sporcizia melmosa emerse una fanciulla con un viso bellissimo, illuminato da grandi occhi verdi. Da grande sarebbe stata il genere di donna capace di sedurre anche principi e re, era sorprendente che invece avesse scelto la vita guerriera.
«Mi trovate strana, lady Snotra?» domandò Sif portandosi al petto la mano fasciata da una garza di lino.
«Certo che no. Sai, ho scelto anche io una strada che non tutti ritengono adatta a una donna...»
«Oh, quindi non siete un'ancella?».
Snotra fece una smorfia. «Un'ancella?!».
Sif arrossì e distolse lo sguardo, mordendosi il labbro. «Perdonate...» farfugliò imbarazzata. «Pensavo foste... me evidentemente no... cioè, che cosa fate?».
«Curo la biblioteca del palazzo di Asgard, dove è depositato tutto il nostro sapere e la nostra storia. E sono la maestra dei figli di Odino... il che fa di me una specie di eroe da leggenda, suppongo».
La fanciulla rise. Aveva una risata allegra e argentina, da ragazza; in lei c'era qualcosa che la risolutezza del suo carattere e la disciplina militare non erano stati in grado di cancellare, qualcosa che emergeva nettamente nella bellezza del suo volto quando sorrideva.
«Il principe Thor è stato generoso nei miei riguardi e verso Fandral, Hogun e Volstagg» ammise Sif.
«Thor ha un cuore bellissimo». Il cuore di un re.
Snotra lasciò la ragazza ai suoi preparativi per l'indomani, quando lei e gli altri tre giovani guerrieri sarebbero partiti per raggiungere la città.
L'idea della cavalcata che l'attendeva al ritorno non era abbastanza inquietante da guastarle l'umore, ma avrebbe preferito addormentarsi e risvegliarsi l'indomani già a palazzo.

Raggiunsero la capitale che era già sera.
Le stelle sospese sopra le costruzioni dorate sembravano una miriade di fiamme. In notti come quelle, il cielo sembrava davvero incendiarsi di luce.
Loki e Thor lasciarono i cavalli alle cure degli stallieri e corsero a cercare la regina, per raccontarle i fatti avvenuti durante la visita all'accampamento.
Odino li guardò sparire oltre la soglia del palazzo e restò per qualche secondo immobile, fermo in mezzo al cortile.
«Fa quasi paura vederli crescere» mormorò.
«Farebbe paura se non fossero i degni figli di un grande re, maestà» rispose Snotra, con un sorriso.
«Sono anche i degni allievi di un'ottima maestra»
«Voi mi lusingate, mio re...»
«Lascia queste formalità ad altri, Snotra, la corte è piena di amanti della cortesia e dell'etichetta. Io ti sono grato per quello che stai facendo per i miei figli». Odino strinse le labbra ed esitò, ma infine aggiunse: «Soprattutto per Loki».
Lei scrutò il viso del sovrano nella penombra della sera. Il Padre degli dei non si poteva ancora definire vecchio, ma il tempo aveva lasciato segni evidenti sul volto nobile e fiero.
Snotra avrebbe voluto chiedergli se quello che si stava facendo per Loki fosse abbastanza, ma non ebbe il coraggio di insinuare un tale dubbio nella mente del suo re. Del resto, il tempo era dalla loro parte: se c'era ancora qualcosa da fare per Loki, avrebbero potuto farla in futuro, appena se ne fosse presentata l'occasione.
Non era una combattente, era vero, ma quella era la sua personale battaglia.
La donna si ritirò nelle sue stanze senza nemmeno cenare. La lunga giornata l'aveva sfiancata e il viaggio a cavallo le aveva lasciato in dono una scia di dolore sordo in fondo alla schiena e lungo le gambe.
Si fece preparare un bagno caldo per cercare di distendersi.
Il vapore profumato che si levava in spire leggere dalla vasca appannava le pareti a specchio della stanza da bagno. Snotra prese un gran respiro e lasciò che i pensieri si dissolvessero come la condensa sulle superfici lucide.
Raggomitolata nell'acqua che si andava via via raffreddando, con i lunghi capelli rossi sparsi come un mantello sulle spalle puntellate di lentiggini, la donna assaporò per una buona mezz'ora il piacere del silenzio, quando anche la mente si svuota e non resta altro che un piacevole limbo di tranquillità.
Indossò una veste da camera e si chiuse nelle sue stanze. Si accorse di non essere nemmeno in grado di leggere e decise di mettersi a letto.
Con il viso poggiato di lato sul guanciale, guardava il rettangolo di cielo stellato incorniciato dalla finestra. Lo fissò fino a quando l'arabesco di luci non si confuse in un'unica massa indistinta di bianco e nero e le palpebre le si fecero pesanti.
Forse aveva appena preso sonno quando delle bussate decise alla porta la fecero destare di colpo. Forse il rumore l'aveva strappata alle grinfie di qualche strano sogno molesto e agitato.
«Snotra?». La voce di Loki.
La donna si stropicciò il viso con le mani e rammentò: lui le aveva promesso una sorpresa.
Si alzò in fretta e si avvolse in una vestaglia verde, come il colore del mantello che Loki amava portare.
Il ragazzo era sulla soglia della porta, gli occhi accesi da una scintilla di entusiasmo quasi vorace.
Le prese la mano e la condusse con sé. Snotra non fece domande, sarebbero state superflue e inutili e poi, lei si fidava di Loki.
Il palazzo dormiva, avvolto nel silenzio e protetto dal buio grazie alla luce delle stelle, la stessa luce che permetteva a Snotra e Loki di vedere dove mettevano i piedi mentre attraversavano corridoi e scale e saloni deserti.
L'intera città dormiva, quieta e al sicuro sotto il suo cielo.
Il giovane principe portò la sua maestra fino alla biblioteca. Dentro era tutto buio, ad eccezione di alcune candele accese in un candelabro a quattro braccia; le loro fiammelle creavano una bolla di luce dorata che illuminava a malapena uno scrittorio e una sedia.
Loki usò una candela per accendere un paio di lampade, illuminando un intero corridoio formato da due file parallele di scaffali alti quasi fino al soffitto, poi fece cenno a Snotra di sedersi.
Lei si sistemò su una delle sedie accanto agli scrittoi e rivolse al suo allievo un sorriso incoraggiante.
«Sto aspettando» lo spronò. Si accorse che l'attesa e la curiosità l'avevano davvero resa impaziente.
Loki si allontanò di qualche passo e in mezzo alla luce tremula delle fiamme sembrò un attore su un palcoscenico. Tolse una candela dall'alloggio del candelabro, tenendola con cautela tra due dita per non scottarsi con la cera calda che colava.
Un brutto presentimento attraversò la mente di Snotra e lei strinse le palpebre. Cosa voleva fare il ragazzo?
Loki chiuse il pugno attorno alla fiamma.
Lei trattenne il respiro, augurandosi di aver capito male, ma quando il giovane aprì la mano e le mostrò la fiammella che gli danzava sospesa sul suo palmo senza bruciarlo, si rese conto che aveva capito fin troppo bene.
«Loki...»
«Aspetta».
Il principe agitò l'altra mano sulla piccola lingua di fuoco che si appiattì e poi si allargò, cambiò forma e colore. Quando lui allontanò le mani, c'era una colomba dal piumaggio bianchissimo poggiata sui suoi palmi. Loki le diede una piccola spinta e la colomba volò diritta verso Snotra, andandosi a posare nella conca delle braccia che teneva incrociate in grembo.
Il ragazzo sorrideva compiaciuto e soddisfatto, aspettando la reazione entusiasta della sua maestra.
Ma la donna era sconvolta.
La magia faceva parte di Asgard, era la forza al di sopra di tutto e tutti che teneva in vita Yggdrasil, fino alle sue radici dove dimoravano le Norne. Ma che qualcuno decidesse di farne un'arte e di usarla come strumento era un'altra cosa, qualcosa di presuntuoso e persino meschino, per certi versi. La magia apparteneva all'universo, gli individui che lo popolavano non dovevano affidarsi a un tale strumento perché ne avevano a disposizione altri... armi per combattere e non trucchi da codardi, medicine per guarire e non incantesimi con cui ingannare il destino, la volontà e i talenti per perseguire i propri fini e non le scorciatoie offerte dalla magia.
E Loki aveva tutto questo, aveva delle personali abilità guerriere, e aveva tutto il talento e la forza d'animo di cui un individuo può necessitare per nutrire le proprie aspirazioni.
«Loki... come ti è venuta in mente una cosa simile, perché non me ne hai parlato?» domandò Snotra sentendo la colomba agitarsi tra le sue mani nel tentativo di sbattere le ali e spiccare il volo.
Il giovane principe contrasse il viso in un'espressione contrariata. «Volevo riuscirci da solo, doveva essere una sorpresa... pensavo che saresti stata contenta di me».
Snotra deglutì e scosse il capo. «Io sono contenta di te, come lo è la tua famiglia...»
«Non è vero! Non sono contenti di me come lo sono di Thor! Io... volevo solo avere qualcosa di speciale»
«Ma tu sei speciale, Loki! Proprio per questo non ti serve la magia, è un insulto a te stesso, alle tue doti e alla tua intelligenza perdere tempo con questo genere di cose quando hai mille altre possibilità di riuscire in ciò che desideri».
Il respiro del ragazzo si era fatto affannoso come se cercasse di trattenersi dallo scoppiare a piangere o mettersi a gridare.
«Non ho mille possibilità, ne ho molte poche. Questa è quella che ho scelto, è una mia scelta!»
«È la scelta sbagliata!». Ora fu Snotra a gridare; la colomba le volò via dalle mani e percorse il poco spazio che separava la donna dal suo interlocutore. Loki l'afferrò, stringendola nervosamente; l'animale lanciò un pigolio i protesta.
«Pensavo che saresti stata contenta» ripeté lui, gli occhi arrossati da lacrime di frustrazione. «Pensavo che tu... che tu fossi diversa da tutti loro».
Loro? Loro cosa, chi?...
Per gli inferi, cosa stava accadendo?
Snotra non si era mai sentita così confusa. La rabbia di Loki era come un terremoto che aveva fatto crollare ogni cosa, spostato i profili delle montagne, delle sue certezze e delle sue speranze.
Forse la sua reazione era stata troppo aggressiva, pensò, forse se avesse cercato di essere un po' mano diretta, di non mostrarsi subito così sconvolta... forse, forse...
Non c'era forse che tenesse, non sarebbe cambiato niente; Loki non stava chiedendo alcun consiglio  o parere, desiderava solo un'approvazione incondizionata. Un'approvazione che Snotra non poteva concedergli e in qualunque modo gli avesse fatto notare il suo errore e perché era tale, sarebbe stato lo stesso...
«Loki, ascolta, ti prego». Avrebbe voluto fare un altro tentativo, se non altro per calmarlo, perché non poteva sopportare di vederlo così sconvolto.
Lui fece una passo all'indietro. La rabbia e il disappunto sparirono dal suo viso, scivolando via come una maschera, e lasciarono il posto a un'espressione gelida che non esprimeva alcuna emozione.
Dopo averle rivolto un ultimo sguardo indecifrabile, Loki si voltò e corse via.
«Aspetta!» gridò Snotra. La sua voce si spanse nel silenzio della biblioteca, perdendosi nel buio.
La donna corse dietro al ragazzo, tenendo sollevato l'orlo della veste e sentendo il dolore dei muscoli tesi per la cavalcata accendersi di nuovo. Corse goffamente fuori dalla biblioteca, lungo la galleria, incapace di raggiungerlo. Loki sparì tra le ombre della notte.
Snotra chiamò il suo nome, ma lui non si fermò, non tornò indietro.
A un certo punto, il piede della donna impattò contro qualcosa lasciato sul pavimento e lei quasi inciampò. A quel punto capì che era inutile continuare a inseguire Loki e restò ferma ai piedi di una scala, con il fiato corto. Abbassò lo sguardo per cercare di capire contro cosa era andata a urtare.
La colomba era abbandonata accanto al primo gradino, le ali aperte e il petto squarciato, macchie di sangue scarlatto imbrattavano il candore delle piume.
Snotra si chinò, sfiorò con la punta delle dita la curva di un'ala e in quel momento seppe che la sua battaglia era perduta, che il destino l'aveva sconfitta.   








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Note:

Il film non è che dica granché su Asgard in generale, né mostra molto del regno di Odino per questo io mi sono presa la libertà di fare a modo mio e sì, nella mia testa, ad Asgard hanno un'accademia militare e nella mia testa Babbo Orbo (che comunque non è un personaggio che amo particolarmente) assolve i suoi compiti di sovrano anche andando a far visita alle varie maestranze del Regno, tra cui appunto, i tizi dell'Accademia...
Odino il cavallo a otto zampe ce l'ha pure nel film, lo si vede nella scena in cui va a recuperare Thor&Co. su Jotunheim.
Non ho un bestiario asgardiano a portata di mano XD ma se hanno cavalli credo sia plausibile che ci possano essere anche le colombe.
A proposito di colombe... NESSUN ANIMALE È STATO MALTRATTATO PER SCRIVERE QUESTA FANFICTION.

La citazione iniziale è dal brano Khorakhanè

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Capitolo 4
*** Quarto episodio ***


4° Episodio

''Quanti cavalli hai tu seduto alla porta,
tu che sfiori il cielo col tuo dito più corto,
la notte non ha bisogno,
la notte fa benissimo a meno del tuo concerto.
Ti offenderesti
se qualcuno ti chiamasse un tentativo?''

Asgard era un'esplosione di luce, un fuoco alimentato dal sole. Uno spettacolo bello da far male, come una pianta velenosa.
Snotra strizzò gli occhi, le lacrime avevano reso le ciglia cispose, appiccicaticce, dovette strofinarle con la punta delle dita per schiarirsi la vista.
La luce sembrava qualcosa di enorme, di solido, che la teneva inchiodata.
Se avesse potuto parlare con Thor, lo avrebbe implorato di scatenare una tempesta, di spegnere quell'enorme bagliore con il grigio acciaio delle nuvole.
Chiuse gli occhi e si accorse di non avere altre lacrime da piangere.
Una folata di vento portò l'odore lontano del mare e un vago sentore di metallo. E sembrò parlare con la voce di Loki: tu sapevi. Un'affermazione che aveva il tono impietoso dell'accusa, che di colpo l'aveva spogliata di ogni riflesso positivo, che l'aveva resa uguale agli altri agli occhi del... prigioniero.
Lei sapeva. Lei aveva mentito, come tutti.
Era una consapevolezza che ribaltava la prospettiva in modo vertiginoso, creava un senso di vuoto sotto i suoi piedi e ora Snotra si chiedeva con quale coraggio Asgard potesse additare Loki come ''il traditore''. Le sue colpe erano riflesse nelle loro, in un contorto gioco di specchi, un labirintico sentiero fatto di ombre e peccati, di omissioni e di perdoni mai concessi.
La loro colpa non era sapere, era non aver fatto nulla mentre la mente di Loki si andava sgretolando sotto il peso di una diversità percepita ma mai compresa del tutto, fino alla rivelazione di Odino. E in quei giorni Snotra non era lì a palazzo, non aveva potuto vedere quello che stava accadendo, né fare nulla.
La donna cercò di ricomporsi. Non c'era altro da fare al momento se non attendere l'evolversi dei fatti, ma le erano bastate poche occhiate a Loki in quella cella per capire che era giunto oltre un punto di non ritorno, compromesso per sempre. E lei neppure sapeva cosa era accaduto davvero al dio degli inganni dopo la sua caduta dal Bifrost, né aveva avuto modo di domandarlo.
A lui non lo avrebbe potuto chiedere di certo, non poteva fidarsi della risposta. E poi...
Codarda!
E poi aveva idea che fosse qualcosa di terribile e non voleva ascoltare.
Forse Thor e Odino conoscevano la risposta, una risposta comunque parziale, imprecisa, ma era sempre meglio di niente; e loro sarebbero stati cauti e gentili nel raccontare.
Codarda!
Snotra cercò di scacciare quella voce dalla sua testa, cercò di zittire l'eco del vento che le ripeteva le parole di Loki. Prese un lungo respiro nel tentativo di calmarsi e tornò dentro, il volto impassibile in un'espressione neutra e indecifrabile.
Il palazzo aveva cominciato a popolarsi. La corte degli Æsir riempiva i corridoi e le gallerie; in molti si erano riversati sulle terrazze per godere di quel sole straordinario. Nessuno si voltò verso di lei, mentre Snotra tornava verso le proprie stanze, eppure la dea della saggezza riuscì comunque a percepire stralci di conversazione. Il nome di Loki rimbalzava di bocca in bocca, come una maledizione; persino nella sala del banchetto, attorno alla tavola imbandita, le risate erano meno squillanti.
La strada che mancava per raggiungere le sue stanze le sembrò infinita. Snotra mise un piede avanti all'altro, in quell'atmosfera stranamente glaciale che contrastava in maniera quasi dolorosa con il sole e il caldo dei riflessi sulle superfici dorate.
Quando finalmente imboccò il corridoio dove affacciavano i suoi alloggi, le sembrò di essersi lasciata alle spalle il rumore del chiacchiericcio della corte e avvertì persino una lieve frescura in mezzo all'ombra silenziosa e confortante del corridoio.
«Lady Snotra!». Non lo aveva visto subito; Thor spuntò dietro a un angolo, aveva ancora indosso il mantello, il morbido tessuto color porpora ondeggiava nella scia dei suoi passi. Il Mjolnir era ancora stretto nel suo pugno, così saldamente che le nocche della mano erano sbiancate nella furia della presa.
La donna lo guardò avvicinarsi. Avrebbe voluto dirgli che era tutto finito, che poteva posare le armi, smettere i panni del guerriero, che adesso era a casa, erano tutti a casa.
Il dio del tuono le prese le mani nelle sue e Snotra non capì se voleva offrirle sostegno o chiedergliene un po'. Il volto del principe era sempre stato un libro aperto ai suoi occhi, ma ora l'emozione che gli aleggiava nello sguardo le sembrava indecifrabile.
Rabbia? Pena?
Stanchezza, quella di sicuro. Anche lui doveva aver trascorso la notte insonne.
«Dunque, vuoi raccontarmi cosa è accaduto su Midgard?» gli chiese Snotra, in tono gentile.
Thor annuì, stranamente assorto. Offrì il braccio alla donna e insieme si diressero verso uno dei salotti lasciati vuoti dalla corte che ora occupava il pianterreno.
Braci consumate si stavano spegnendo dove prima c'era un grande fuoco, forse rimasto acceso durante la notte. Snotra guardò la loro luce fioca pulsare di un bagliore rosso e pensò al sangue, quasi ne sentì l'odore, salato e ferruginoso.
Scacciò dalla sua mente l'immagine delle chiazze scarlatte tra le piume bianche della colomba, era un orrore che apparteneva al passato, e si voltò verso Thor.
«Racconta» chiese. E non voleva sapere solo di Loki, e il principe non parlò solo del mostro ma anche degli eroi, di soldati leggendari e uomini di metallo e di uomini dal cuore grande da poter contenere una rabbia immensa, e di sicari con il coraggio di riscattare la propria coscienza. Parlò di un foro enorme in mezzo al cielo, un foro che bruciava della furia della guerra e della follia, del male che viene da lontano.
Thor allentò la presa delle dita; il Mjolnir cadde sul pavimento con un sordo tonfo metallico che aprì la strada a un silenzio denso come il buio.  
«Ho parlato con lui» disse Snotra, quando l'assenza di rumore si fece troppo pesante e troppo pregna di pensieri.
Thor si voltò lentamente, nascondendo lo sguardo.
Lo stai odiando e te ne vergogni? Si chiese la donna.
«Dobbiamo... arrenderci?». Una domanda scomoda, quella del dio del tuono, una domanda vigliacca. Snotra pensò che fosse quasi sleale mettere lei in condizioni di trovare una risposta e probabilmente confermare una verità già piuttosto evidente.
«Attenderemo il giudizio di Padre Tutto» si limitò a rispondere. No, non sarebbero state le sue parole a condannare Loki: lei aveva promesso, tanti anni prima, a cospetto delle ombre e dello sguardo innocente di un bambino in fasce.
Le braci al centro della stanza erano ancora mezze accese, sembravano ancora sangue che pulsava via da un cuore.
«Quando è accaduto, Snotra?» chiese Thor, chinando il capo afflitto. «Ci hai visti crescere, lo saprai, saprai quando è cominciata. Io ero troppo preso dalla mia boria giovanile, ma tu...».
Snotra scosse il capo. Thor era troppo preso dalla sua boria giovanile per accorgersi che l'animo di Loki stava diventando guasto, e lei? Era semplicemente accecata dall'amore e dalla speranza? Lei forse aveva sempre saputo, aveva sempre sentito che Loki era in bilico, e piuttosto che tendergli una mano per trascinarlo via dal bordo del precipizio, aveva cercato di fargli credere che non esisteva alcun baratro. Anche se in quel momento, nei suoi ricordi, si fece strada un'immagine precisa, un fatto lontano a cui nessuno aveva dato troppo peso.
Aveva a che fare con una notte stellata e una festa da ballo, come una favola scritta nel modo sbagliato.

***

L'aria aveva un piacevole odore di erba appena tagliata.
Snotra osservò distrattamente il crocchio di ancelle ridere a voce fin troppo alta e scambiarsi sguardi da congiura.
Il giardino era in fiore e lei si era sistemata all'ombra di un albero a leggere un libro.
Pensò che quelle giovani dovessero annoiarsi davvero molto, altrimenti non c'era spiegazione per la rete di pettegolezzi che erano riuscite a mettere in piedi sulle storie che riguardavano la scelte delle varie dame di corte per il ballo.
Perché doveva esserci un ballo quella sera, ed era previsto che le donne del palazzo sfoggiassero tutta la loro divina e opulenta bellezza.
Questa faccenda degli abiti da festa era diventata una vera e propria disputa, combattuta silenziosamente nel chiuso delle stanze.
Se si annoiavano le ancelle, tanto da farne un argomento di conversazione, Snotra non poteva immaginare quanto dovessero annoiarsi le donne per aver deciso di farsi la guerra a suon di metrature di tessuti pregiati, pizzi e gioielli.
Girava persino voce che alcuni grandi lord della Patria Eterna volessero cogliere l'occasione per presentare a corte le loro figlie in età da marito. Lei sapeva che era ben più di una voce.
Snotra sorrise al pensiero: questo voleva dire che i due eredi di Odino, i suoi due allievi scapestrati, erano davvero diventati adulti?   
Sì, lo erano diventati e da tempo, solo che lei preferiva non pensarci.
Thor e Loki erano due magnifici giovani uomini, ognuno a suo modo, come lei aveva sempre sospettato sarebbero stati.
Anche se con il passare del tempo era accaduto ciò che lei temeva maggiormente: le luci attorno al figlio di Odino si erano fatte più brillanti e le ombre attorno a Loki erano divenute più fitte.
Il più giovane dei suoi principi aveva fatto le sue scelte, aveva cominciato a percorrere la sua strada e Snotra non poteva fare niente per intervenire, non sarebbe stato giusto; lei era solo la sua maestra, poteva dargli indicazioni e consigli ma non era suo compito mettergli il guinzaglio.
Il bivio aveva cominciato ad aprirsi davanti a Loki quella notte di tanto tempo prima... la donna ricordava l'episodio con la chiarezza con cui si ricorda un incubo che ha turbato il sonno, come qualcosa che resta in qualche modo inafferrabile eppure presente, concreto.
Loki, la fiamma che diventa una colomba, la colomba col il petto squarciato e le ali candide chiazzate di sangue.
Snotra non aveva potuto tacere sull'episodio, aveva informato il re e lui aveva deciso di non negare a suo figlio quel diletto, se lo riteneva opportuno, perché per quanto invisa a molti, la magia era comunque una pratica che sarebbe tornata utile prima o poi, la stessa Asgard affondava le sue radici in qualcosa di più grande e più mistico di semplici pilastri di metallo e cielo tra i rami di Yggdrasil.
Certo, lei lo sapeva, e di certo non poteva permettersi di confutare una decisione presa dal Padre degli dei, tuttavia era convinta che il punto della questione non fosse la legittimità delle arti magiche, quanto i motivi che avevano spinto Loki a interessarsene, a studiare da solo, lavorando sodo nell'ombra, in segreto.
Loki era in cerca di una scappatoia, Snotra non sapeva bene per quale ragione, ma sapeva che era sbagliato e che questo avrebbe finito solo per renderlo inviso agli occhi degli altri che già difficilmente avevano la pazienza di guardare oltre il muro di introversia che circondava il più giovane dei due eredi al trono.
Asgard non sapeva attendere, non aveva la solerzia di dissipare le ombre, preferiva le luci. E Loki non apparteneva ad Asgard, per questo lui e il mondo che lo aveva sempre circondato restavano sempre distanti, inconciliabili; si tenevano sospesi sul filo del rasoio che quasi c'era da temere che un solo passo falso si sarebbe rivelato letale.
Snotra chiuse il libro con un gesto repentino. Le spesse pagine di pergamena produssero un tonfo che zittì di colpo il chiacchiericcio querulo delle ancelle.
«Perdonate, lady Snotra, non volevamo disturbarvi» disse una di loro, mortificata – o almeno, fingendo di esserlo.
La donna sbatté le palpebre quando il sole che filtrava attraverso la tettoia di edera e fiori le ferì la vista.
«Non importa» sospirò.
Si alzò, sistemandosi il libro sotto al braccio e raggiunse il palazzo.
Sorpassò tre dame di corte che la salutarono con un sorriso formale e realizzò di non aver ancora pensato al suo vestito per il ballo. A dirla tutta, non aveva neppure davvero pensato di andarci né era stata invitata ufficialmente: ricopriva una carica importante alla corte di Odino e poteva godere della stima dei sovrani e dell'affetto dei principi, ma non apparteneva alla nobiltà più blasonata.
In verità, neppure le importava del ballo, quasi avrebbe preferito non ricevere alcun invito formale così da poter avere una scusa pronta nel caso, all'indomani dell'evento, qualcuno avesse fatto notare la sua assenza.
Si chiese se le era mai importato davvero di cose del genere, se nel suo cuore non fosse rimasta una pallida luce della ragazza che, dietro al suo amore per la conoscenza, aveva nutrito come ogni fanciulla sogni romantici e speranze radiose, scintillii troppo fiochi perché l'ombra di altre scelte e di altre passioni potesse lasciarli brillare troppo a lungo.
Aveva forse dei rimpianti? No, non era ancora così vecchia per il rimpianto. Certamente un giorno lo sarebbe stata, sarebbe venuto il tempo di interrogarsi a proposito delle sue scelte, di chiedersi come sarebbe stata la sua esistenza se avesse intrapreso una strada diversa, ma non ancora.
Era ancora felice di essere ciò che era, nonostante tutto.
Entrò nella biblioteca. Il silenzio polveroso di quel luogo le era ancora troppo caro per dar voce a qualsiasi rimpianto.
«Tu da dove vieni?» domandò guardando il dorso del libro che aveva con sé. «Oh, giusto, terzo scaffale a sinistra...».
Canticchiò tra sé e sé un motivetto da ballo e cercò la collocazione esatta del volume. Quando voltò l'angolo dello scaffale vide una figura in movimento e sobbalzò per la sorpresa, con un singulto spaventato.
«Oh, lady Snotra, vi prego, perdonatemi!» squittì l'intrusa con voce sottile.
La donna la guardò: giovane minuta, capelli biondi raccolti in una treccia, un bel viso delicato. Sigyn, figlia di una famiglia di origine antichissima; lei e i suoi genitori erano giunti a corte il giorno prima e, come altri nobili, erano stati invitati a restare a palazzo fino al ballo.
Snotra aveva sentito che il lord suo padre era tra quelli che avevano condotto la figlia a palazzo perché venisse presa in considerazione come futura moglie di uno dei figli di Odino. Uno qualsiasi, non era importante quale dei due, l'ambizione del vecchio lord non lasciava posto ad alcun tipo di reticenza.
Snotra guardò la fanciulla. Di norma non le piaceva che qualcuno si intrufolasse nella biblioteca mentre lei non c'era, ma Sigyn aveva un'aria così mortificata che la donna non ebbe cuore di rimproverarla.
«Cercavate qualcosa in particolare, lady Sigyn? Posso aiutarvi?».
La ragazza sembrò stupita dal fatto che lei rammentasse il suo nome e Snotra trattenne a stento un sorrisetto compiaciuto.
Lo studio allena la memoria, mia giovane ospite.
«Avevo sentito parlare della biblioteca del palazzo, ero curiosa. La porta era aperta e pensavo voi foste dentro»
«Vi interessano i libri?».
Sigyn corrugò la fronte e assunse un'aria pensierosa, come se stesse cercando di scegliere accuratamente le parole giuste.
«Sono un'interessante distrazione. La vita al palazzo di mio padre è piuttosto... tranquilla» concluse.
Oh, allora la noia non era un problema che affliggeva solo le donne della capitale.
Snotra fece un vago cenno affermativo e stava per invitare la giovane a trattenersi lì tutto il tempo che desiderava quando un rumore concitato di passi ruppe il silenzio della biblioteca.
Attese qualche istante ascoltando solo lo scalpiccio di piedi che correvano sul pavimento lucido. Il ritmo di quella corsa non era affatto cambiato nel corso degli anni.
«Thor!» esclamò in tono irritato, ancora prima che il principe comparisse.
«Snotra! Come facevi a sapere che ero io? Oh, non importa...». Il figlio di Odino giunse trafelato da dietro a uno scaffale. Aveva gli occhi che gli brillavano di gioia e orgoglio.
Era sempre stato alto per la sua età, anche da bambino, ma adesso sembrava davvero un gigante. Un gigante con il viso da ragazzo e gli occhi buoni.
«Thor, non farmi vergognare di essere stata la tua maestra, ti prego, comportati a dovere» borbottò Snotra.
Il principe non sembrò afferrare e la donna gli indicò la ragazza alle sue spalle con un'occhiata severa. Thor nemmeno si era accorto che c'era qualcun altro nella biblioteca: doveva essere davvero emozionato per qualche ragione, quando qualcosa lo colpiva a tal punto perdeva totalmente la capacità di concentrarsi sulle cose più evidenti. Come tutti i guerrieri nati per essere tali, aveva la fermezza del soldato che sferra il colpo contro il nemico che ha davanti, un nemico alla volta, un colpo alla volta, incurante dell'intera battaglia attorno a sé.
Thor si inclinò di lato per guardare la ragazza quasi nascosta dietro la sua maestra. Le buone maniere gli imposero di dedicarle l'attenzione necessaria a salutarla formalmente e a sorriderle in modo cordiale per quanto sbrigativo.
Sigyn ricambiò con uguale cortesia ma, fissandola di sottecchi, Snotra si accorse che la fanciulla non sembrava affatto impressionata dal figlio di Odino e questa era di certo una novità. Per qualche ragione Sigyn non doveva trovare Thor abbastanza attraente – nonostante fosse straordinariamente bello – né abbastanza interessante – nonostante fosse il figlio primogenito del re – e questo fece provare a Snotra una simpatia immediata per lei, la rendeva meno scontata ai suoi occhi di tutte le altre ragazze che aveva visto in giro.
«Snotra!». Thor si era già dimenticato della loro graziosa ospite; si gettò sulla donna, stringendola in un abbraccio da fermarle il cuore.
«A cosa è... dovuto tanto entusiasmo?» chiese lei, ansimando nella presa troppo stretta delle braccia del principe.
«Thor, per le Norne, lasciala respirare».
Snotra intravide il volto di Loki spuntare oltre la fila di scaffali. I suoi passi non facevano rumore.
Thor la sciolse dall'abbraccio e lei si sentì come se fosse risalita a galla dopo un tuffo che l'aveva spinta troppo in profondità.
La donna vide Loki sorridere, ma non stava sorridendo a lei quanto alla fanciulla alle sue spalle, spettatrice casuale di rocambolesche dimostrazioni d'affetto e entusiasmo. Ed era il sorriso che Snotra conosceva, un'increspatura perfetta sul tessuto di una maschera senza volto, un sorriso tanto bello quanto costruito.
«Lady Sigyn» disse Loki con squisita cortesia, accennando un lieve inchino. «Penserete di essere in un circo, ormai...».
Ah, questo è interessante. Pensò Snotra con una punta di divertimento. Un leggero rossore era salito a coprire le guance della ragazza. E quando era accaduto che Loki aveva imparato il suo nome? Beh, non aveva importanza, la lusinga celata in quel saluto era piuttosto evidente, ma era sincera? Questo era notevolmente più importante.
«No, affatto, è bello scoprire che i principi di Asgard sono tutt'altro che formalità e bei vestiti».
Formalità e bei vestiti? Snotra avrebbe voluto ridere. Lanciò a Loki uno sguardo interrogativo, ma lui rispose con un'occhiata del tutto calma e neutrale.
Dopo la notte della fiamma tramutatasi in colomba, per qualche attimo Snotra aveva pensato di aver perso Loki, di aver smarrito il suo affetto, ma così non era stato. O almeno, questo era quello che dicevano le apparenze.
Il giorno dopo c'era stato qualche momento di imbarazzo in cui, tra loro due, le parole avevano faticato a prendere forma. Poi, semplicemente, Loki le aveva detto che non era importante quello che era accaduto, che non poteva certamente aspettarsi che le persone che gli volevano bene – oh, quindi sai, lo sai che ti voglio bene! - accettassero sempre e comunque le sue scelte, che andava bene così, che non c'era motivo di perpetuare ostilità o silenzi imbarazzati solo perché lei non approvava la sua decisione.
Quel discorso era stata una freccia avvelenata scoccata con micidiale precisione contro il suo petto. Era lei che gli aveva insegnato ad usare le parole, era lei che gli aveva suggerito le astuzie della retorica e quindi poteva vedere cosa si celava dietro il tono neutrale e studiato con cui Loki aveva fatto quel piccolo discorso.
Ti sei messa contro di me, mi hai deluso. Era questo che voleva dirle in realtà. E se io non posso avere il tuo appoggio incondizionato, tu non puoi avere tutto lo spazio che c'è nel mio cuore.  
Snotra era consapevole dell'iniquità di quel ricatto, dell'insensatezza delle accuse di Loki, ma allo stesso tempo sapeva di non avere scelta se non accettare il nuovo stato delle cose, poiché l'altra opzione era perderlo del tutto, era mettersi davvero contro di lui e la sola idea le sembrava folle. Era lui che pareva sempre intenzionato a vivere tutto come se fosse una disputa, ma questo atteggiamento non le apparteneva e di certo sarebbe stato inadatto alla dea della saggezza.
Dall'esterno nulla sembrava cambiato tra loro due, ma Snotra sapeva cosa c'era dietro la superficie dei sorrisi che Loki le rivolgeva, delle lunghe ore che ancora trascorrevano a parlare di libri e materie di studio. Una volta lei gli camminava accanto su una strada polverosa e difficile, ma retta; adesso i loro passi si muovevano scivolosi sulla crosta di ghiaccio di un lago gelato che da un momento all'altro avrebbe potuto cedere.
Era una precarietà che faceva male, che quasi la spaventava, ma Snotra si aspettava che, diventando adulto, Loki avrebbe compreso e che le cose sarebbero cambiate.
Lui era già un uomo ormai e nessun cambiamento era davvero avvenuto, ma Snotra non aveva ancora perso la speranza. Lei lo conosceva, lo aveva cresciuto, poteva ancora portare un po' di luce per aiutarlo a dissipare le ombre, se solo lui glielo avesse concesso. Lei aveva fatto una promessa, ed era più che decisa a mantenerla: Loki poteva mettere tra loro tutta la fredda distanza che desiderava, ma niente l'avrebbe mai davvero allontanata dall'adempiere a quel giuramento.
«Ho una notizia!». L'esclamazione entusiasta di Thor si intromise bruscamente in quel flusso di pensieri dolorosi e non bastò ad addolcirli.
«Oh, certo, stavamo parlando di te» disse Snotra con un mezzo sorriso.
«Come al solito» intervenne Loki, sarcastico.
Thor era impaziente, sembrava che la notizia dovesse essere una sorpresa ma non vedeva l'ora di rivelarla.
«Ho detto a mio padre che non avremmo cominciato senza di te» disse. «Cioè, tu devi esserci, sei la mia maestra preferita»
«Forse perché sono l'unica che ti abbia sopportato...».
Thor non ascoltò quella battuta, si era già voltato per dirigersi verso l'uscita della biblioteca. Sembrava davvero emanare luce, come se la sua gioia si fosse intrecciata al tessuto del suo abito.
Snotra si accostò a Loki e lui la prese sottobraccio. «Si sposa?» gli domandò perplessa, con un filo di voce. A giudicare dalla marea di giovani donne riversatesi a palazzo in quei giorni, non era un'ipotesi tanto improbabile.
«Hai per caso sentito i pianti straziati di tutte le fanciulle di Asgard?» rispose lui, scuotendo la testa.
«E allora, cosa?»
«Nostro padre gli ha fatto un regalo»
«Ah. E cosa gli avrà regalato?»
«Oh, vedrai...».
In quel momento Snotra si voltò, ricordandosi di Sigyn. La giovane si era allontanata di qualche passo, con cauta discrezione, e si era messa a sfogliare dei libri fingendo di non esistere.
La donna scambiò uno sguardo con Loki.
«Lady Sigyn, dovete perdonarci» disse lui con misurata umiltà. «Mio fratello tende ad essere sempre un po' prevaricatore e io non posso fare a meno di dargli corda, specie quando è così felice. Non era nostra intenzione essere scortesi».
La fanciulla spalancò gli occhi,
«Non dovete scusarvi, principe. Io sono solo un'ospite».
Snotra si chiese di nuovo come e quando Loki avesse imparato il nome di quella ragazza. Lui aveva certo un ottima memoria, una mente allenata alla conoscenza, come la sua, ma fin da quando la corte si era riempita di ospiti giunti da ogni dove per il ballo, non era sembrato particolarmente interessato alle frotte di giovani donne messe in mostra dalle loro famiglie. Se rammentava proprio quella fanciulla in particolare tra tutte le altre, allora doveva esserci un motivo.
«Possiamo andare?!». La voce di Thor arrivò come un tuono dall'uscio della grande porta. Quel povero ragazzo ormai doveva essere ustionato dall'impazienza, tanto stava friggendo.
«Lady Sigyn, unitevi a noi, immagino sarete curiosa quanto lo sono io» propose Snotra con un sorriso.
«Oh, voi siete molto gentile signora, ma io... non sono affari miei, davvero»
«Non c'è bisogno di fare tutte queste cerimonie. Sono sicura che anche ai nostri due amabili principi farà piacere, dico bene, Loki?».
Snotra rivolse al ragazzo un sorriso complice, ma quando incontrò il suo sguardo lo vide raggelarsi, quasi poté vedere un'ombra di irritazione, forse persino di rabbia, rimescolare l'azzurro glaciale dei suoi occhi.
Cosa diamine stava accadendo? Pensava che a Loki piacesse la fanciulla, pensava di fargli piacere invitandola! Da quando era diventata così poco abile a capire le situazioni, a capire lui?  
L'espressione cupa di Loki mutò presto in un sorriso amichevole rivolto a lady Sigyn. Per occhi non avvezzi a conoscere quel volto sarebbe stato quasi impossibile notare la rabbia frustrata dell'attimo prima. Ma Snotra l'aveva notata e ne era rimasta ferita: sapeva che le cose tra lei e il giovane principe erano cambiate, da tanto tempo, ma in quel momento lui gli parve un muro cosparso di rostri e schegge di vetro, impenetrabile e impossibile da scalare, che poteva ferire chiunque si azzardasse anche solo a sfiorarlo.
Loki offrì il braccio a lady Sigyn con impeccabile cavalleria, Snotra li seguì in silenzio e insieme si accodarono a Thor che sembrava fare una gran fatica a mantenere un'andatura normale, senza mettersi a correre verso la loro destinazione – qualsiasi essa fosse.
«I sotterranei?» chiese Snotra dopo qualche minuto, riconoscendo la scala di pietra spoglia che conduceva alla cripta del palazzo di Odino.
L'ingresso a quella particolare area sotterranea era solitamente vietato se non ai membri della famiglia reale e a poche guardie scelte appositamente per sorvegliare il tesoro del re: reliquie e oggetti preziosi rinvenuti durante le tante guerre che Asgard aveva combattuto per assicurare giustizia e sicurezza in ogni angolo dei Nove Regni.
La porta della cripta del tesoro aveva due battenti dorati, coperti di rune e arabeschi. Erano molti i segreti che circondavano quel luogo, probabilmente c'erano antichi incantesimi di difesa incisi tra quelle decorazioni.
Fuori dalla porta, nelle tenue luce di pochi bracieri accesi, c'erano i compagni di Thor.
A palazzo avevano cominciato a chiamarli ''Lady Sif e i tre guerrieri'' e a Snotra sembrava che quella denominazione fosse una sorta di sciocco sberleffo ai danni della giovane asgardiana, come a voler ribadire che lei, in quanto donna, non poteva essere una guerriera, che sarebbe sempre stata diversa dai guerrieri veri e propri.
I compagni di Thor salutarono Snotra e lady Sigyn, poi le porte si aprirono verso l'interno e tutti insieme scesero i gradini della ripida scalinata che conduceva a un corridoio di colonne avvolto in una luce plumbea.
La poca illuminazione proveniva da un alone bianco e lattiginoso dietro ad una grata sul fondo della cripta. Snotra sapeva cosa c'era lì dietro, glielo aveva detto lord Alcuin molto tempo prima: il Distruttore, il micidiale colosso di metallo e fuoco che obbediva alla voce del re.
La donna sentì lady Sigyn trasalire accanto a lei e vide le dita sottili della fanciulla stringersi attorno al braccio di Loki.
I loro passi producevano un'eco attutita. Quel posto avrebbe dovuto parlare di gloria, ma era silenzioso perché c'è molta meno gloria di quanto si pensi nei trofei di guerra, il sangue non fa alcun rumore quando scorre. Quel silenzio sembrava quasi un monito e, nel suo cuore, Snotra sperò che chiunque posasse lo sguardo su quel corridoio fosse in grado di ascoltarlo.
La pietra sembrava emanare un freddo innaturale e l'aria della cripta era umida e pesante. In parte ciò era dovuto al buio perenne in cui quel luogo era sprofondato, per ragioni di sicurezza, in parte alla presenza di una delle reliquie posta su una colonna proprio davanti alla grata che celava il Distruttore.
Lo scrigno degli Antichi Inverni, gioiello della corona di Jotunheim, brillava di una pallida luce azzurra, fredda come il riflesso del ghiaccio sotto la luna.
Forse gli altri astanti non avvertivano la stessa sensazione perché non avevano alcun ricordo legato a quell'oggetto, ma Snotra sentiva artigli gelidi spandersi da quella luminescenza bluastra, dita fatte di freddo e di ricordi e pensieri taglienti come il vento della piana di Jotunheim che si allungavano verso di lei come per ghermirla, come per gettarle nel cuore un vecchio terrore che lei credeva sopito.
Lo sguardo della donna si posò su Loki che non sembrava aver minimamente notato l'influenza dell'oggetto. Era stato molte volte in quella cripta ad ascoltare i racconti di suo padre e nulla era mai accaduto; anzi, in quel particolare momento sembrava persino annoiato e, all'occhio attento di Snotra, ancora irritato. Era perché lo imbarazzava che lei capisse il suo interesse per Sigyn?
Loki aveva davvero interesse per quella fanciulla? Certo, perché non avrebbe dovuto, era graziosa e le era sembrata una ragazza intelligente.
Snotra guardò i due giovani principi. Si chiese se avessero già conosciuto l'amore di una donna. Forse, forse sì... ai suoi occhi era impossibile non amarli.
Il Padre degli dei, affiancato da due guardie, era in piedi accanto a una bassa colonna coperta da una stola di raso. Guardò Thor con sommo affetto, con una fierezza che gli illuminava il viso anche in quella fitta penombra che sapeva di gelo e di antico.
Quello avrebbe dovuto essere un momento privato, tra padre e figlio, ma il giovane principe non aveva resistito alla tentazione di invitare i suoi amici più cari ad assistere a quel trionfo personale – perché era certo di questo che si trattava.
Snotra sorrise di tenerezza. Thor era forte e buono, ma la saggezza e l'arguzia ancora non gli appartenevano. Ciò che gli apparteneva invece era la smania della battaglia e lei sapeva che presto il figlio di Odino avrebbe assaggiato anche lui il furore della guerra. E Loki lo avrebbe seguito e lei avrebbe atteso il loro ritorno assieme alla regina, sulla terrazza più alta del palazzo, aspettando di veder comparire il lampo opalescente del Bifrost che annunciava il ritorno a casa dei due principi e dei loro valorosi amici. Sarebbero stati giorni densi come piombo fuso, lenti e soffocanti, ma loro avrebbero fatto ritorno, fianco a fianco, per portare altra gloria alla corona di Asgard e un nuovo orgoglio nel petto della regina.
Sì, quel momento sarebbe giunto presto, le parole di Odino non fecero che confermarlo.
«Ti avevo promesso un dono, Thor, per quando saresti stato pronto per la battaglia» disse il re, solenne anche con la voce velata d'affetto.
Gli sguardi dei presenti erano tutti calamitati dal drappo e dal misterioso dono che celava. Tutti, tranne quello di Loki: lui guardava Thor, come se cercasse sul suo viso la prova di qualcosa che Snotra non sapeva definire, come se si aspettasse che da un momento all'altro lui inciampasse nei suoi stessi piedi.
Una delle due guardie sollevò il drappo. L'aria sembrò fermarsi per un istante e diventare stupore.
«Il Martello Mjolnir» dichiarò Odino. «Forgiato dal cuore di una stella morente dalla maestria dei nani fabbri di Svartalfheim. Se riuscirai a sollevarlo, sarà tuo».
«Un dono assai saggio». Snotra sentì la voce di Loki bassa al suo orecchio. Quando gli era arrivato alle spalle?
Si voltò verso di lui e annuì. Sì, era un dono saggio e pregno di significato, un significato che Loki non aveva fatto alcuna fatica a comprendere: un martello può distruggere, ma serve anche per edificare. La lotta a volte si rivela necessaria, ma non deve mai ridursi a mera violenza o dimostrazione di forza, deve piuttosto servire a scopi più alti e non deve mai essere perpetuata per fini egoistici.
Snotra si promise che ne avrebbe parlato con Thor alla prima occasione. Era davvero importante che lui comprendesse e che non deludesse suo padre, e lei era pur sempre la sua maestra.
Thor avanzò verso la colonna e strinse una mano attorno all'impugnatura del martello. La testa era un enorme blocco di un materiale che sembrava a metà tra una pietra e un metallo raro, opaco e compatto. Il manico era avvolto in un nastro di cuoio invecchiato e sembrava morbido al tatto, come per facilitarne l'impugnatura. Dall'estremità del manico pendeva una fibbia e Snotra ricordò il potere enorme di quell'oggetto, la facoltà di richiamare a sé la potenza del fulmine e del tuono, la capacità di essere maneggiato solo da colui che è designato come suo possessore.
Thor sembrava nervoso. Il solo pensiero che non riuscisse a sollevare il Mjolnir riempiva di pena il cuore della sua maestra e Snotra strinse i pugni così forte da conficcarsi le unghie nei palmi.
Avvertì una mano serrarsi nervosamente attorno alla sua: Sif. Se non fosse stata del tutto presa dall'agitazione del momento, avrebbe avuto anche tempo di stupirsi di quel gesto.
Aveva trascorso del tempo assieme ai nuovi amici di Thor quando giunsero a palazzo dal campo di addestramento dell'Accademia militare, aveva fatto da maestra anche a loro e tentato di infilare in quelle teste boriose nozioni utili che non avessero a che fare con armi o regole efficaci per gli scontri corpo a corpo. Forse qualche cosa l'avevano imparata davvero...
Aveva passato del tempo con quei ragazzi, aiutando a medicarli quando si facevano male durante l'addestramento o facendo il tifo per loro durante gare e tornei, e anche se non li aveva visti crescere come invece era stato per Thor e Loki, si era molto legata a quei quattro giovani.
E la sua era stata la mano che Sif aveva cercato, in quell'impeto di agitazione. No, forse non c'era nulla di cui stupirsi.
Il cuore di Sif apparteneva a Thor, questo lo sapevano tutti tranne il diretto interessato.
La donna si chiese se la bella guerriera avrebbe partecipato al ballo. Avrebbe davvero dovuto andarci!
Snotra ricambiò la stretta della ragazza e intrecciò le dita alle sue. La mano di Thor si chiuse attorno all'impugnatura del Mjolnir.
Nel silenzio e nella penombra, si sentì nettamente un sottile stridore elettrico; contorte linee di luce percorsero la superficie del martello. Thor tirò il braccio verso di sé, il Mjolnir si lasciò sollevare senza alcuna reticenza, come se fosse fatto di pezza.
Un fulmine, uno squarcio di luce bianchissima e incandescente, si sollevò dall'arma volando fino al soffitto, colpendolo in uno sbuffo di scintille e fumo, lasciando un alone di bruciato sulla pietra.
Tutti guardarono la scena ammirati. Lady Sigyn aveva lasciato il braccio di Loki e si era portata le mani alla bocca, celando una smorfia di stupore e apprezzamento.
Il Mjolnir, l'arma leggendaria forgiata dai nani e rimasta dormiente per secoli, ora aveva trovato un proprietario, il solo con il diritto e il potere di impugnarla.

Il tramonto era uno squarcio violetto nel cielo, lì dove Asgard precipitava nel mare e le grandi lune cominciavano già a specchiarsi tra le acque lucide.
Loki accarezzava distrattamente le foglie vellutate di una pianta ornamentale cresciuta in una fioriera della balconata. Sotto di lui la città cominciava ad accendere i fuochi per prepararsi al calare del buio.
Snotra restò a guardarlo per qualche secondo, osservando silenziosa la sua figura slanciata contro il cielo che si andava scurendo. Non era tanto più basso di Thor, ma non gli assomigliava, in niente, come se neppure fossero cresciuti sotto lo stesso tetto, e questo aveva poco a che fare con le loro diverse discendenze.
Il giovane inclinò leggermente la testa, per farle sapere che aveva notato la sua presenza.
«Pensavo di riuscire a prenderti alle spalle» scherzò lei.
«Nessuno può prendermi alle spalle». La risposta suonò seriosa, fin troppo, ma quando Loki si voltò a guardare la sua maestra aveva un accenno di sorriso sul volto.
E a lei parve così bello, quella goccia di splendore che continuava a scorrere sulla sua strada. Se solo avesse avuto la pazienza di dirigersi verso il fiume, invece di puntare sempre al cielo!
Snotra gli si avvicinò e lo abbracciò con fare materno, appoggiandogli la guancia sulla spalla.
«Sono stata sciocca, oggi» ammise con un sospiro.
Sentì la risata come un leggero sussulto nel petto di Loki.
«Asgard sprofonderà in mare il giorno in cui tu farai qualcosa di sciocco» le rispose.
«Non avrei dovuto invitare lady Sigyn a venire con noi, ma non sapevo con esattezza a cosa avremmo assistito»
«Credo che lo spettacolo le sia piaciuto».
Snotra si sciolse dall'abbraccio per poter guardare meglio in viso il suo interlocutore. Gli lanciò un'occhiata bonaria di rimprovero.
«Non fare il soldatino algido con me...» borbottò. «Sei interessato a quella ragazza ed è stato sciocco da parte mia portarla ad assistere a un momento di gloria che riguardava esclusivamente tuo fratello».
Loki inarcò un sopracciglio.
«Sono interessato a quella ragazza? Sul serio?» disse, enfatizzando il tono dubbioso.
«Sì che lo sei. Dimmi: di quante altre fanciulle ricordi il nome?»
«Non mi interessano le ragazze, ma sarebbe triste stroncare sul nascere qualsiasi speranza mia madre possa nutrire»
«Loki!»
«Cosa c'è? È la verità».
Sì, avrebbe potuto essere vero. Ma avrebbe anche potuto essere un modo come un altro per evitare di addentrarsi in un discorso che non desiderava affrontare con lei.
«Beh, se vuoi che tua madre non disperi, ad ogni modo, devi invitare lady Sigyn a ballare questa sera» concluse la donna, facendogli una smorfia.
Loki scrollò le spalle. «Potrebbe disperarsi lei, allora».
I due si guardarono in viso e risero. Per un attimo a Snotra sembrò di essere tornata indietro nel tempo, prima di quella maledetta colomba, a quando lei poteva leggere Loki come un libro aperto, a quando lui si confidava e aveva fiducia in lei.
«Sono contento per Thor, è rimasto molto soddisfatto. E anche mio padre» disse lui, dopo qualche istante di silenzio.
Thor... avrebbe davvero dovuto parlare con lui, quanto prima. Dopo il ballo magari.
«Il Mjolnir...» mormorò Loki lo sguardo gli si fece di colpo distante e freddo. «Non pensavo che Padre lo avrebbe fatto davvero. Non ora, almeno...».
«Di cosa stiamo parlando?» chiese Snotra, l'apprensione nella voce la faceva respirare in modo strano.
Loki si riscosse, il suo sguardo tornò presente e guardò la sua maestra con una punta di stupore e persino di commiserazione. Povera sciocca, sembravano dire i suoi occhi.
«Odino ha scelto il suo erede, quella di oggi era una prova, no? Se Thor è degno di sollevare il Mjolnir allora è senz'altro degno di portare la corona» concluse il principe, la voce priva di qualsiasi emozione, come se stesse facendo una semplice constatazione sul tempo.
Snotra poté quasi percepire il movimento della maschera che calava su quel bel viso nobile. E non era tanto l'idea della maschera a turbarla, quanto il fatto che non potesse in alcun modo comprendere ciò che Loki riusciva a celare al di sotto, non più.
«Io non credo... Thor di certo non è pronto e voi due siete entrambi troppo giovani» disse lei semplicemente.
«Sì, può darsi».
Le ombre erano calate su Asgard. Ombre dense cariche della frescura della sera, il cielo era una vastità trapuntata di stelle. Una notte perfetta per festeggiare.
«Dobbiamo andare a prepararci, immagino» disse Loki, appoggiando la mano sul braccio della donna e tirandole un leggero buffo, come per ridestarla.
«Dobbiamo? Quel ballo non è posto per me» replicò con un sorriso, tentando di dimenticare la maschera e le preoccupazioni e il freddo che aveva sentito aleggiare nella voce del principe.
«Non vorrai lasciarmi da solo tra le grinfie di padri ansiosi di farmi conoscere le loro figlie? Sarebbe imperdonabile».
Imperdonabile. Cos'altro è imperdonabile ai tuoi occhi, mio caro principe?
«Verrò. Più tardi. Ammesso che trovi un abito adatto» concluse Snotra. «Tu intanto, invita lady Sigyn a ballare!».  
Loki le rivolse uno dei suoi sorrisi taglienti e dolci allo stesso tempo. Lei sentì che la stava ancora guardando mentre si allontanava.
 
Snotra tornò nelle sue stanze. Davvero non aveva voglia di presenziare a quel ballo e davvero non aveva ricevuto alcun invito formale – evidentemente perché era scontato che lei ci fosse, e l'invito di Loki poteva comunque bastare – ma in qualche modo quella giornata le era parsa così densa e assurda che pensò che un'altra anomalia non avrebbe fatto alcuna differenza.
Si preparò al meglio, indossando i pochi gioielli che possedeva e chiedendo ad un'ancella di prepararle il suo abito migliore e acconciarle i capelli in modo decoroso.
Non le piacevano le acconciature elaborate, quel loro tirare sulla nuca e ai lati del capo le faceva venire mal di testa.
Quando fu pronta, attese comunque a lungo prima di raggiungere il salone dove era stata allestita la festa.
Rimase per molto tempo seduta su una sedia accanto allo scrittoio a pensare. Pensò a Thor e a Loki, a quello che lui le aveva detto sul terrazzo a proposito della scelta di Odino. Pensò fino a quando i pensieri non si dissolsero in una nebbia di stanchezza e le parve che tutto dentro la sua testa fosse diventato silenzioso.
Man mano che si avvicinava alla sala, sentiva la musica crescere e il chiacchiericcio farsi più fitto.
Nessuno fece caso a lei quando entrò da una delle porte laterali. Solo la regina Frigga, seduta su una poltrona e accerchiata da dame di corte le rivolse un sorriso caloroso e un cenno di saluto.
La luce era così accecante da far sembrare bianca ogni cosa. Nell'aria l'odore di incensi profumati si mischiava all'aroma del vino e all'odore di erba che il vento lasciava salire dal giardino del palazzo.
La sala era enorme, ma sembrava stringersi tante erano le persone che la occupavano.
«Lady Snotra, ballate?». La richiesta la colse di sorpresa. Fandral le aveva sbarrato la strada e ora la fissava tendendole la mano.
«Sei molto gentile a chiederlo, ma no, caro, grazie»
«Siete sicura?».
Snotra guardò la pista, dame e cavalieri lanciati in una danza armoniosa sotto la luce di una miriade di candele. Un gruppo di musici suonava un motivo allegro dall'alto di una balconata semicircolare.
«Mai stata più sicura in vita mia!» esclamò, sgranando gli occhi.
No, decisamente quel posto non faceva al caso suo.
«Sareste l'unica donna con la quale non ha ballato» intervenne Volstagg, dopo aver inghiottito un frutto – probabilmente con tutto il nocciolo. «Se non lo teniamo d'occhio avrà l'ardire di chiedere un ballo anche alla regina».
Snotra guardò i tre guerrieri ridacchiando.
«Dov'è Sif?» domandò poi, notando la sua assenza.
«Non è voluta venire» rispose Hogun con il suo cipiglio torvo.
«E perché mai? Sono uscita dal guscio persino io per questa follia del ballo!»
«Le sue parole sono state qualcosa di tipo: non mi mischierò a quel branco di oche solo per dar loro un'altra occasione di sbeffeggiarmi» spiegò Fandral mimando la voce dell'amica con un improbabile falsetto.
Snotra sospirò. «Andate a prenderla! Portatela qui, ditele che la voglio a questa festa prima di subito e che chiunque osi sbeffeggiarla oltre a essere oca è anche invidiosa».
I tre giovani guerrieri fissarono la donna con aria perplessa.
«Non lo sto chiedendo, lo sto ordinando». Non era propriamente nella posizione di dare ordini a quei ragazzi, ma non aveva importanza. Sif aveva lo stesso diritto di partecipare a quella festa di qualsiasi altra giovane asgardiana presente nella sala.
Fandral, Volstagg e Hogun si affrettarono a lasciare la festa per andare a prendere Sif e Snotra si guardò attorno, cercando con lo sguardo Thor e Loki, ma non li trovò in quella bolgia di volti ridenti, fino a quando non fu il figlio di Odino a trovare lei.
Thor le si affiancò e le concesse un galante baciamano.
«Sei straordinariamente bella stasera» le disse, sorridendo e porgendole un calice di vino. «Mi sorprende che nessuno ti abbia chiesto di ballare»
«Non devi adularmi, non hai più l'età perché io possa tormentarti con lo studio quindi non hai bisogno di rabbonirmi» scherzò lei.
«No, sul serio, dovresti farla più spesso questa cosa» insistette Thor, indicando con un vago gesticolare la sua acconciatura.
Snotra scosse il capo e ridacchiò. Sperò che Thor le chiedesse dov'erano i suoi compagni e se aveva visto Sif, ma il giovane principe sembrava più interessato alle occhiate maliarde delle fanciulle sparse per la sala.
La donna gli prese la mano e strinse con fermezza. «Thor...».
«Sì?».
Sii saggio, ti prego, fallo per il bene di tutti. Sii saggio stasera, sii saggio in futuro.
Aveva questa e molte altre cose da dirgli, ma quello non era il momento adatto. Si limitò a sorridergli.
«Nulla. Domani...»
«Domani cosa?»
«Domani spero che tu abbia un po' di tempo per parlare con la tua vecchia maestra... ma non voglio angustiarti ora, va' a divertirti»
«Sarebbe ignobile da parte mia non trovare tempo per la mia meravigliosa maestra!».
Snotra sorrise, intenerita. Si sollevò sulle punte per riuscire a raggiungere la guancia del principe e gli diede un bacio, poi lo spinse via verso il centro della sala.
Lui si voltò un attimo verso di lei prima di sparire tra la folla rumorosa.
«Oggi sono stato sgarbato» disse, alzando la voce per farsi sentire al di sopra del chiacchiericcio e della musica. «Forse è opportuno che mi faccia perdonare».
Snotra lo guardò, bevendo un altro sorso di vino da calice. Comprese in ritardo il senso di quelle parole e si augurò di aver capito male.
Dall'altro lato della sala, lady Sigyn, appena arrivata, stava per sparire in mezzo a un crocchio di ragazze.
No, Thor... non lo fare... non lei.
Strinse il calice tra le dita così forte che quasi credette di sentire lo stridore del vetro prima che andasse in frantumi. Sapeva che non c'era una vera e propria ragione per essere preoccupata all'idea che Thor danzasse con la fanciulla, eppure era certa che era meglio se non fosse accaduto, era meglio se...
Loki.
Loki arrivò qualche minuto dopo. Si mosse a ridosso del muro, quasi avesse timore di venire sfiorato dalla folla o di confondersi con essa. Congedò con rapidi gesti della mano i domestici che  gli si avvicinavano porgendo vassoi di cibo e coppe di vino.
Snotra lo vide fermasi accanto alla parete, nel cono d'ombra proiettato da una colonna. Lo vide incrociare le braccia sul petto con fare quasi indolente e passare la sala in rassegna con lo sguardo. E infine, vide i suoi occhi fissarsi in un punto, proprio lì, dove Thor e Sigyn stavano ballando assieme.
Snotra si fece largo a fatica tra la gente festante che parlottava e rideva, e camminava senza badare a dove mettesse i piedi.
«Loki...»
«Snotra, sei venuta dunque. I miei complimenti, sei splendida».
Parole pronunciate in tono del tutto neutrale, pronunciate da dietro quella sua dannata maschera di normalità e tranquilla cortesia. La donna agitò la mano come se volesse scacciare via quelle idiozie cerimoniose come si scaccia un insetto molesto.
«Loki»
«Cosa c'è?»
«Thor voleva scusarsi con lady Sigyn per stamattina».
Il giovane principe annuì distrattamente, come per una cosa di poco conto. «Mi sembra opportuno».
«Non... non farlo, ti prego. Ti prego» sospirò lei, le sembrò di star singhiozzando.
«Fare cosa?»
«Questo atteggiamento, questa freddezza nei confronti di ciò che ti accade attorno e questa maledettissima e insensata competizione con tuo fratello!». Snotra non riuscì a trattenersi dall'alzare la voce e dall'afferrare un lembo della casacca di seta verde che lui indossava. Avrebbe voluto strappare la stoffa di quell'abito per concedersi l'illusione di star strappando via quella sua orrenda maschera.
Ma Loki sorrise, di un sorriso glaciale e privo di allegria.
«Non sono in competizione con Thor» dichiarò. «Sarebbe sciocco, se fossimo in competizione lui avrebbe già vinto».
Con un gesto brusco, il principe si ritrasse dalla presa di Snotra e si allontanò. Lei non riuscì a fare altro se non fissarlo mentre spariva tra la folla, evitando i passanti e ignorando quei pochi che provavano a rivolgergli la parola.
Lo seguì con lo sguardo fino a quando non divenne una macchia indistinta in mezzo alla miriade di persone, un puntino di ombra in mezzo allo sfavillio di luce.
E lei si sentì prossima al pianto, sconfitta ancora una volta, come la notte della colomba, come forse era sempre stata: combatteva davvero una battaglia persa in partenza e non c'era niente che potesse fare per cambiare lo stato delle cose.
Si appoggiò con le spalle al muro; i pensieri che era riuscita a zittire meno di un'ora prima ora le si riversarono di nuovo nella testa, più dolorosi, più rumorosi, una cacofonia di ricordi, affanni, speranze disilluse che riusciva a sovrastare anche il frastuono del ballo, che rendeva le luci meno scintillanti ai suoi occhi. O forse era perché ora i suoi occhi erano piani di lacrime.
Le lacrime non traboccarono mai oltre le ciglia. Si asciugarono e le lasciarono lo sguardo velato e stanco.
«Lady Snotra...». Da quanto tempo era lì, all'ombra della colonna, come se si stesse nascondendo?
Si passò una mano sul viso e guardò Sigyn che si era fermata davanti a lei.
«Oh, lady Sigyn, perdonate... ero assorta» si affrettò a dire. Sentì una ciocca di capelli cominciare a cedere e tentare di liberarsi dalla presa dell'acconciatura.
«Scusate, ma stavo cercando Loki. L'ho visto arrivare, ma ero impegnata con il principe Thor» spiegò la ragazza, come se volesse giustificarsi. «È stato gentile da parte sua invitarmi a danzare, ma... io speravo... mi piacerebbe avere occasione di parlare con il principe Loki, sapete dov'è?».
Troppo tardi, dolce fanciulla.
«Loki non c'è» rispose semplicemente la donna.
Sigyn fece vagare lo sguardo verso un punto indistinto e arrossì.
«Domani immagino che mio padre vorrà lasciare il palazzo. Abbiamo approfittato fin troppo della generosa ospitalità di sua maestà» disse dopo qualche istante. «Mi piacerebbe poter parlare con Loki, prima di partire... sapete se arriverà?».
Snotra sorrise, era un sorriso triste e dolce, come la curva dello stelo di un fiore che sta per appassire.
«Loki è andato via».  
È. Andato. Via.






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Note:
Li faranno i balli di gala su Asgard? Non lo so, nella mia testa la corte di Odino è molto simile a una corte medioevale avvolta in carta stagnola dorata. (preso paura che mettessi Loki a ballare con qualcuno, eh? XD)
Nella graphic novel “Le fatiche di Loki” si parla della forgiatura del martello da parte dei nani fabbri di Svartalfheim, su commissione di Loki stesso. Nel film il martello è già nella cripta nel falshback di Thor e Loki bambini, ho voluto lasciare comunque il riferimento ai nani per il tocco “favolistico” che dà.
Sigyn si è letteralmente autoinvitata al ballo e nella storia, non era previsto che scrivessi di lei e Loki in questa raccolta, un po' perché questo episodio non lo avevo affatto immaginato così, un po' perché non mi sono mai fatta un'idea davvero mia del personaggio di Sigyn dato che il mio interesse per lei è nato con Hymeneal di Eleuthera, storia che rimane (assai meritatamente, secondo me) la più popolare del fandom.

Io voglio bene a Sif. Anche Snotra vuole bene a Sif. Non c'è un perché, è così e basta.

Nella storia che ho in mente devono succedere ancora un paio di cose e non so se staranno tutte in un solo capitolo o se dovrò dividere in due diversi episodi, quindi il prossimo potrebbe essere l'ultimo o il penultimo capitolo. Vi farò sapere.
Intanto, grazie a chiunque abbia letto, e soprattutto a chiunque non si sia lasciato scoraggiare dali aggiornamenti lentissimi.

La citazione iniziale è del brano Oceano.

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Capitolo 5
*** Quinto episodio ***


5° Episodio

“Quello che non ho è di farla franca,
quello che non ho è quel che non mi manca.
Quello che non ho sono le tue parole
per guadagnarmi il cielo, per conquistarmi il sole”


I giorni si erano susseguiti nella parvenza di una normalità forzata.

Per timore di turbare la suscettibilità dei sovrani, nessuno faceva mai menzione dell'accaduto ma tutti ormai sapevano che c'era un prigioniero nelle segrete del palazzo e che questo prigioniero era Loki, il secondogenito di Odino, miracolosamente tornato dalla morte.
Il nome del dio degli inganni non veniva mai pronunciato, il suo stesso ricordo sembrava essere ammantato di una paura superstiziosa, come fosse un fantasma che se invocato avrebbe attirato sciagura su tutta Asgard.
Malgrado non fosse mai stata divulgata la verità sulla distruzione del Bifrost e sull'incidente a cui era seguita la scomparsa di Loki, la corte degli Æsir sapeva che non c'era da aspettarsi nulla di buono da lui e dal suo ritrovamento – altrimenti perché Odino, invece di rinchiuderlo in una cella, non lo aveva accolto a braccia aperte e non aveva dato una festa per celebrare il suo ritorno? Cos'era accaduto a Loki nel lungo periodo in cui lo avevano creduto morto?
Anche Snotra si era imposta di continuare normalmente con la sua vita di sempre. Teneva in ordine la biblioteca, aiutava i membri della corte nelle loro ricerche e i più giovani nei loro studi, presenziava ai consigli di corte e a tutti gli eventi ufficiali. Fingeva che non fosse accaduto nulla, fingeva di aver dimenticato il volto di Loki per metà coperto da quel bavaglio metallico, i suoi capelli scuri cresciuti in disordine, i lividi e i tagli sul suo viso. Fingeva di essere come gli altri, di non avere a cuore la sorte del principe tornato dalla morte.
Ma di notte, nel silenzio e nel buio della propria stanza, le sembrava di sentire il respiro di Loki fare eco nella cella vuota, i colpi sordi delle sue mani che battevano contro le pareti spoglie, le sembrava di vedere i suoi occhi troppo azzurri scrutare febbrili l'unica apertura alla ricerca di uno spiraglio di luna.
Era certa che Loki non facesse nulla di tutto ciò, che neppure se lo avessero torturato fino all'anima avrebbe mai ceduto alla disperazione... Loki aveva già ceduto alla disperazione, in che altro modo potevano altrimenti spiegarsi le sue azioni? Semplicemente non avrebbe dato a nessuno la soddisfazione di vedere la sua pena. Loki era capace di soffrire in silenzio, come un fiore reciso, abile a morire petalo dopo petalo senza emettere il minimo suono.
Snotra sapeva che i respiri spezzati e i gemiti e i pugni contro le pareti erano solo spiragli dei suoi incubi ad occhi aperti, così come sapeva che se avesse preso sonno quegli incubi sarebbero diventati ancora più mostruosi, popolati da colombe morte e feste da ballo senza allegria, e ombre, ombre altissime, e lame di ghiaccio e neve così fitta da far mancare il fiato.
Notte dopo notte, la donna era diventata sempre meno capace di distinguere gli incubi dalla realtà.
Doveva essere trascorsa una settimana dal ritorno di Loki quando quella notte priva di stelle Snotra si alzò dal letto, con il cuore che le pulsava dolorosamente facendole sentire il sangue rombarle nelle orecchie.
Era davvero come un incubo troppo intrecciato alla realtà, le sue percezioni erano distorte, il buio sembrava far stringere le pareti attorno a lei, e nel buio la donna si mosse, come una sonnambula, perfettamente consapevole della direzione che stava percorrendo, anche se non poteva vederla.
Attraversò la sua stanza da letto e l'anticamera, i piedi nudi che non facevano alcun rumore sul pavimento dorato e freddo, uscì nel corridoio e intravide scorci della città addormentata tra le tende smosse dalla brezza notturna.
Faceva freddo lungo quelle scale e lei sentì il crespo della pelle d'oca sulle braccia lasciate nude dalla veste da camera.
«Lady Snotra?...». La guardia all'ingresso del corridoio delle celle la fissò con un misto di perplessità e imbarazzo.
Quasi certamente sembrava una folle in preda al delirio in quel momento.
«Devo vedere il prigioniero» asserì. Doveva, davvero, non era un desiderio nato da un capriccio, era una vera e propria necessità.
«Non ho ricevuto ordini al riguardo» replicò la guardia. «E voi... vi sentite bene?».
La scosse il capo in uno scatto stizzito. «Hai forse ricevuto ordini che vietano espressamente che io lo veda?» esclamò, ignorando la domanda sul suo – evidentemente precario – stato di salute.
«Io non... no, non ho...» la guardia cominciò a farfugliare sempre più in imbarazzo. «Forse dovrei... attendere il parere del Padre degli dei».
Snotra annuì. «Certo, va' pure a svegliarlo, io attendo qui».
La guardia strinse nervosamente le mani attorno alla lancia, forse chiedendosi fin dove potesse spingersi per fermarla e pensando che nessuna minaccia sarebbe stata credibile.
Alla fine si fece da parte per lasciarla passare.
«Se accade qualcosa, la responsabilità è solo vostra» borbottò alle sue spalle.
«Non sai quanto è vero» rispose lei.
Il buio del corridoio sembrava un'enorme ragnatela e Snotra aveva l'impressione di rimanervi sempre più impigliata passo dopo passo.
Dalla cella di Loki non giungeva alcun rumore. Neppure il suo regolare del respiro durante il sonno.
Loki era come lei, non era uno a cui piacesse dormire, che apprezzasse l'immobilità e il riposo.  
La luce della luna combatteva faticosamente una battaglia persa in partenza contro tutta quella oscurità, riducendosi a una sottile striscia argentea sospesa dalla piccola finestra a un punto imprecisato del pavimento.
Loki era una sagoma nera, seduta diritta come un fuso su una sedia nell'angolo.
«Il sonno dei giusti non arriva al tuo letto, Snotra?». Loki era una voce irridente e un po' arrochita che sembrava emanare dal buio stesso.
«Nemmeno al tuo, a quanto vedo».
La donna sfiorò la spessa grata, ma le sbarre non si dissolsero per lasciarla passare e si trovò a tastare la loro solida consistenza, il metallo freddo e un po' ruvido impossibile da smuovere.
Si chinò per mettersi a sedere a terra, con le spalle poggiate contro il muro nel quale affondava il ferro della grata e il capo chinato su una sbarra orizzontale.
«Che ci fai qui?» chiese Loki con voce atona.
«Ho supposto che non ci fosse nessun altro sveglio con cui parlare».
Attimo di silenzio. Al buio i silenzi sono più fitti, più definitivi.
Dopo qualche istante Snotra sentì il respiro di Loki contro la sua tempia. Si era avvicinato alla grata e si era chinato accanto a lei senza emettere il minimo rumore. La voce del principe caduto a un palmo dal suo orecchio la fece sussultare.
«Una volta mi dicesti che non sarebbe mai cambiato niente» sibilò Loki nell'oscurità. Era a pochi centimetri da lei, ma la donna non poteva vederlo. «Non sentirti in dovere di perpetuare anche quest'altra menzogna».
Snotra si scostò dalla grata con il fiato corto per lo spavento di quella vicinanza improvvisa.
«Non muovere accuse che non merito, Loki» protestò, indignata. «Se pensi che ferirmi sia un modo come un altro di vendicarti, puoi anche smettere, sono già ferita abbastanza. Lo siamo tutti».
«Mi sarà di grande consolazione quando Odino mi farà tagliare la testa» sputò lui con astio.
Avrebbe voluto dirgli che il re non avrebbe mai fatto nulla del genere, ma di colpo non ne fu così sicura. Di certo i crimini di cui il dio dell'inganno si era macchiato non sarebbero rimasti impuniti.
«Cosa ti è accaduto?» chiese semplicemente.
«Thor non te lo ha raccontato? O forse ti riferisci a tutte quelle cose che hai finto di non vedere in tutti gli anni in cui mi hai fatto da maestra, in cui mi hai mentito?»
«Mi riferisco a quello che è successo dopo che sei caduto dal Bifrost».
La risata di Loki fu un rantolo febbrile e acuto, tanto che Snotra fu grata che l'oscurità le impedisse di vederlo in viso in quel momento.
«Non risponderti e lasciarti alla tua curiosità: questa sì che sarebbe una vendetta!» esclamò il dio, tra le risate.
Snotra serrò le palpebre, imponendosi di restare ferma dov'era, come davanti a un animale che ringhia e che ti inseguirebbe se tu provassi a scappare.
La risata scemò nel silenzio e dopo qualche istante, la donna sentì il rumore di Loki che si spostava, mettendosi seduto proprio accanto a lei, nella medesima posizione, come se fosse il suo riflesso contorto su uno specchio invisibile. Ora c'era solo la grata a separarli e nello spazio tra le sbarre le loro mani poggiate sul pavimento si sfioravano. Erano entrambe gelate.
Nel buio freddo di un infinito incubo a occhi aperti, Loki cominciò a raccontare.
Le parlò del vuoto in cui era precipitato, della consistenza di quel vuoto che ti entra dentro mentre lotti per respirare e ti fa sentire sul punto di implodere. Le raccontò di essere precipitato all'infinito, i muscoli tesi aspettando il dolore dell'impatto che non arrivava mai.
Alla fine era giunto nella più buia desolazione della galassia e lì aveva incontrato qualcuno che lo aveva accolto, accolto per scelta e non per insulsi secondi fini diplomatici – o almeno, Loki sembrava assolutamente convinto di ciò, sembrava aver assoluto bisogno di esserne convinto.
«Si chiama Thanos. Mi ha fatto da maestro. È stato un grande maestro» disse il dio, poi si interruppe, la sua voce esitò un istante. «Certo, non come te» concesse infine.
Poi parlò delle molte cose che Thanos gli aveva mostrato, mondi, stelle, soli... fino a quando i suoi sogni non erano diventati così grandi da togliergli il sonno e invadere ogni anfratto della sua anima, fino a quando nella sua mente non era rimasto più nient'altro se non un'accecante luce azzurra.
«Il Tesseract, ce ne parlasti una volta... la gemma più preziosa della corona di Asgard, nascosta su Midgard perché era troppo potente e il suo potere era così sconfinato da poter corrompere anche il cuore indomito del più potente degli dei».
Loki picchiettò le dita contro il pavimento e sospirò. Doveva essere stata una liberazione per lui poter raccontare ciò che gli era accaduto. Raccontarlo e basta, non gli serviva altro, non voleva alcuna assoluzione.
«Ciò che è seguito te lo avrà raccontato Thor» concluse. «Midgard e quei fenomeni da baraccone dei suoi paladini...».
Snotra tacque mentre cercava di assimilare il racconto del principe caduto. Era stato Thanos di Titano a insegnargli l'odio? Avrebbe voluto chiederglielo, era certa che quando si erano verificati i fatti tremendi che avevano portato alla distruzione del Bifrost, l'anima di Loki non fosse corrotta sino a quel segno.
«Hai scelto Midgard solo perché era lì che si trovava il Tessercat?» domandò invece.
«Oh, adesso vuoi che ti parli di Thor»
«Tu lo amavi, Loki. Lo hai sempre amato... posso essermi sbagliata su molte cose, ma non su questa»
«Se lo dici tu...».
Snotra si aggrappò alla grata, stringendo i pugni attorno alle sbarre così forte che si tagliò un palmo contro un'imperfezione del metallo.
«Non riuscirai a ingannarmi su questo, Loki! Anche quando hai complottato contro di lui, non hai mai davvero attentato alla sua vita»
«No, infatti. Non ho mai voluto ucciderlo, non voglio la sua morte ma la sua distruzione. Le due cose non devono necessariamente coincidere».
La ferma convinzione e la calma con cui il dio aveva pronunciato quell'affermazione fece sentire Snotra come se tutto il sangue le fosse fuggito via dal cuore. Si staccò dalla grata e si lasciò cadere sul pavimento, sentendosi debole, svuotata.
«E quella volta... quella volta su Nornheim?» domandò con un filo di voce e le parole che si spezzavano in singhiozzi privi di lacrime.
«Oh, quella volta, la nebbia, giusto» cantilenò Loki, divertito. «Decidi tu cosa pensare di quell'episodio, io ho risposto già a troppe domande queste notte».

***

Alla fine era successo. Una volta, due, tante... troppe per un cuore solo.
I figli di Odino erano partiti a combattere le battaglie per la gloria di Asgard e per la giustizia dei Nove Regni.
Alla fine, i figli di Odino erano diventati uomini.
Snotra non aveva potuto fare altro che rivolgergli parole incoraggianti prima di ogni partenza, vederli stemperare la tensione scambiandosi battute sarcastiche sulla forma dei loro elmi o sul colore dei mantelli, come se fossero ancora ragazzi con niente di gravoso di cui preoccuparsi.
Lo spazio per lei nelle giornate dei due principi era sempre più esiguo e mentre loro erano via, restava semplicemente alle spalle della regina, condividendo con Frigga l'attesa sempre troppo lunga del loro ritorno.
In questo, pensava, non era dissimile da tutte le altre donne della Patria Eterna che imparavano a dare un nome alle stelle, notte dopo notte, aspettando di veder comparire il bagliore del Bifrost che annunciava il rientro delle truppe.
Snotra aveva studiato le stelle di ogni cielo, non aveva nomi da inventare per loro.
«A cosa pensi?». La voce di Frigga suonò gentile, come sempre.
Erano sedute attorno a un tavolo rotondo, su una terrazza. Ancelle solerti servivano vino aromatico in piccole coppe di bronzo.
Penso che la campagna di Nornheim stia durando troppo a lungo.
«Al nuovo catalogo della biblioteca che sto tentando di redigere» rispose Snotra, riscuotendosi.
Non era sua abitudine mentire alla sovrana, ma non voleva turbarla né cominciare alcuna discussione penosa.
Ma era vero, la campagna di Nornheim stava durando anche troppo, più del solito. Un re tiranno e malvoluto non voleva saperne di deporre la corona, malgrado gli ordini di Odino, e l'esercito di Asgard era dovuto intervenire per liberare il popolo dalla morsa di quel sovrano iniquo.
Thor e Loki erano partiti, assieme a Lady Sif e i Tre Guerrieri e a un grande contingente di soldati valorosi.
Le stelle avevano lasciato il posto a molte albe e molti tramonti si erano inanellati sul filo del tempo, ma di loro non giungevano ancora notizie.
«Ai tempi delle grandi guerre combattute dal Padre degli dei, il saggio di palazzo seguiva l'esercito per redigere la cronaca delle battaglie in modo da mantenere vivo il ricordo delle nostre vittorie» commentò Frigga, rigirandosi la coppa di vino tra le mani senza vuotarla.
Snotra accennò un sorriso triste. «Poi il tempo ha insegnato che le guerre non sono atti da celebrare, in nessun caso» replicò.
Il tempo era passato e le cose erano cambiate. Asgard era progredita: nella sua eterna immobilità, quel mondo era andato avanti. Il rincorrersi folle delle stagioni aveva trasformato gli dei in leggende, le leggende in echi lontanissimi, sussurrati a stento in mezzo al continuo respiro elettrico dell'universo, quasi lavati via dalla memoria degli umani che un tempo li avevano temuti e venerati. Le grandi guerre appartenevano al passato, come le grandi minacce e i grandi pericoli. Quelli che un tempo erano atti eroici e grandiosi ora erano favole e la pace e l'equilibrio erano diventati i nuovi valori da difendere.
Il tempo dei mostri era finito.
Ogni battaglia combattuta, ogni goccia di sangue versata, ogni lacrima era, agli occhi di Odino, una sconfitta. Ma in tutti i Nove Regni sempre ci sarebbe stato bisogno del male per stabilire l'equilibrio, un equilibrio precario che si stava ancora delineando nel drappeggio di luci e ombre dell'infinito nascere e morire delle stelle. A chi sarebbe toccato il compito di regolare con il male l'asse della bilancia? Chi era destinato, in futuro, ad aprire di nuovo la porta ai mostri? Solo le Norne forse conoscevano la risposta, e le tre streghe erano gelose del loro sapere.
«Tu ami i miei figli quanto me». Frigga parlò ancora, mentre un soffio di vento faceva frusciare la stoffa delle tende e il tessuto damascato della tovaglia. «Immagino sia giusto che tu sappia...».
Snotra guardò per un attimo il proprio riflesso cupo e sbiadito nel cerchio del bicchiere. Doveva essere davvero cupa e sbiadita quanto la sua immagine sulla superficie del vino, altrettanto facile da far dissolvere.   
Il pizzicare di agitazione e curiosità le fece contrarre il cuore nel petto.
«Sapere cosa, mia regina?».
Frigga si alzò dalla sedia con un unico movimento fluido ed elegante. C'era qualcosa nel portamento della regina, nei suoi gesti precisi e compiti, che ricordava Loki. Forse, alla fine di tutto, non era così estraneo a quel mondo come gli eventi suggerivano. Lui e Thor erano impegnati nelle stesse guerre, fianco a fianco, come fratelli.
Snotra pensò che queste sono cose che non si possono cancellare, né possono ritenersi soggette all'interpretazione o al caso.
O forse lei vedeva solo ciò che voleva vedere. Era un dubbio che l'aveva tormentata tutta la vita, ma non era quello il momento di pensarci.
Frigga si allontanò verso la balaustra di muratura e scrutò il cielo immobile per qualche istante.
«Odino ha scelto colui che sarà il suo successore» annunciò.
Snotra ebbe un tremito; aveva ancora la coppa tra le mani e il vino dondolò nel recipiente facendo accartocciare il suo riflesso.
«Ma non ha voluto condividere la sua scelta neppure con me. Tu cosa pensi?».
Snotra sentì un gran bisogno di bere d'un fiato il vino che aveva nel bicchiere e vuotarne un altro e un altro ancora, ma non lo fece.
«Penso che Thor e Loki siano entrambi, per motivi diversi, ancora inadatti a diventare re» ammise. Le sue stesse parole le suonarono come uno schiaffo in pieno viso. «Tuttavia, il Padre degli dei e saggio ed è ancora con noi per guidare il futuro sovrano di Asgard» aggiunse con un accenno di sorriso.
Frigga annuì, la fronte corrugata dai pensieri le si distese.
«Immagino sia tardi persino per noi» disse poco dopo, ostentando una certa tranquillità.
Snotra si alzò, obbediente, lisciandosi la stoffa dell'abito. Non sapeva quanto tardi fosse, ma era certa che non avrebbe chiuso occhio quella notte.
Odino aveva scelto il suo erede. Perché? Come mai così presto?
C'è sempre un disegno, in ogni decisione che il Padre degli dei prende, tentò di ricordarsi. Ma ora quel disegno le appariva solo un insieme di linee contorte. Che fosse tutto deciso per mettere alla prova i due principi? O, più semplicemente, forse in cuor suo, il re di Asgard aveva sempre saputo a quale dei suoi figli avrebbe lasciato il regno.
Snotra camminava verso le sue stanze, tormentandosi l'orlo delle maniche a losanga, pensando alle reazioni che sarebbero seguite all'annuncio della decisione di Odino. Pensando alle reazioni dei due principi, soprattutto, di quello scelto per salire al trono e di quello destinato a rimanere per sempre in disparte. Come aveva detto a Frigga, nessuno dei due era pronto, né per salire al trono né per sopportare di rinunciarvi.
«Lady Snotra!» la voce trafelata di una guardia spezzò il silenzio quieto della notte. «Il Bifrost si è attivato, stanno tornando!».
La donna prese un lungo respiro e non poté fare a meno di sorridere mentre si voltava a guardare il messaggero. «Un meraviglioso tempismo!» esclamò.

Il lampo di luce trafisse il cielo di Asgard, cadendo perpendicolare sull'orizzonte al limitare della città. Fu come un'alba improvvisa che destò l'intera capitale.
Non c'era più posto per il sonno, il mattino sarebbe stato atteso a suon di canzoni.
Snotra scese le scale, saltando i gradini due a due, rischiando di inciampare nei diversi strati di gonne e sottovesti, ma quasi ridendo ogni volta che era sul punto di perdere l'equilibrio.
Nella sala d'ingresso del palazzo vide le guardie schierate per accogliere i principi tornati dalla battaglia e i loro valorosi compagni. Si aspettava di scorgere un corteo di soldati, con Thor e Loki in testa, ma mentre si avvicinava alle grandi porte spalancate si accorse quasi subito che qualcosa non andava.
Non giungevano grida di esultanza dal gruppo di soldati che avevano appena varcato la soglia. Né la voce di Thor né quella di Loki si era alzata al di sopra del silenzio della sala, un silenzio che ora sembrava gelido e carico di preoccupazione.
Snotra si avvicinò a grandi passi. La visuale di ciò che stava accadendo dinnanzi all'ingresso le era preclusa dalle file di guardie schierate.
Quando fu abbastanza vicina fece appena in tempo a udire la voce di Odino lanciare un ordine con tono palesemente turbato. «Portatelo nella Camera della Guarigione, ORA!».
Il cuore di Snotra sembrò arrestarsi, come trafitto da una freccia che aveva viaggiato sul campo di battaglia, oltre il Bifrost, nella scia delle truppe che erano tornate.
Chi era stato ferito così gravemente da dover essere condotto con tanta fretta nella Camera della Guarigione? Uno dei due principi, di certo, a giudicare dalla reazione del re.
Una voce, un respiro venefico e maligno si fece strada nei suoi pensieri.
Quale dei due preferiresti sapere in salvo? Domandò la voce, impietosa, irridente. Il figlio di Odino dal cuore puro o il tuo allievo prediletto con l'anima piena di ombre che fingi di non vedere? Se dovessi scegliere la vita di uno solo, chi sceglieresti?
Quei pensieri erano privi di logica, inopportuni e decisamente non le appartenevano. Forse era colpa del vino che aveva bevuto poco prima, forse era l'agitazione a renderla così poco lucida. E poi, lei le conosceva le ombre dell'anima di Loki, le conosceva bene...
Chi sceglieresti, dall'alto della tua insensata saggezza?
Snotra scosse il capo stizzita per mandare via quella voce e si fece largo tra le guardie allineate davanti alla porta, spingendole via bruscamente.
«Loki!» esclamò. Quel nome sembrò accartocciarsi alle sue orecchie, come una pergamena gettata nel fuoco.
Loki era in piedi sotto la grande arcata del portone principale, un braccio stretto attorno alle spalle della regina, il volto pallido atteggiato in un'espressione contrita sotto l'elmo con le sporgenze appuntite. Sulla stoffa verde che spuntava dalle placche dell'armatura c'erano macchie scure di sangue rappreso, sangue non suo.
Il principe si voltò verso di lei, gli occhi chiari velati, si staccò delicatamente dalla regina tese le braccia verso la sua maestra.
Snotra affondò il viso nel suo petto, inspirando l'odore della guerra: sangue, terreno e sudore.
«Cosa è accaduto a Thor?» chiese, disperata.
Loki le accarezzò una guancia, tergendole una lacrima con il palmo della mano. Aprì la bocca come per parlare, ma le parole faticavano a prendere forma sulle sue labbra.
La donna seguì con lo sguardo dei soldati trascinare una barella di fortuna verso la Camera della Guarigione; Sif camminò nella loro scia per qualche metro assieme a Odino e Frigga, poi il re voltò l'angolo, allontanando con un gesto imperioso la giovane guerriera che rimase in piedi a guardare Thor ferito che scompariva dalla sua vista nella penombra di un corridoio.
«Io... io forse dovrei andare con loro» farfugliò Loki, ritrovando finalmente la voce. Sembrava così stravolto e confuso che per un attimo Snotra pensò che il suo abbraccio fosse l'unica cosa che gli impediva di rovinare al suolo. «Se Thor non... se non dovesse farcela...».
«Non dirlo neppure. È forte, ce la farà» esclamò lei, prendendogli il viso tra le mani.
Sif era ancora impietrita all'imbocco del corridoio. La donna si chiese se non fosse il caso di andare da lei, ma non aveva il coraggio di separarsi da Loki.
Lo amava così tanto che per un attimo si chiese se i pensieri di poco prima non fossero stati più sensati di quanto era disposta ad ammettere. Si disse che no, non avrebbe provato più pena se ci fosse stato lui su quella barella al posto di Thor, ma non riusciva a trovare un solo modo per dimostrare questa verità a se stessa.
Un'altra lacrima capitolò oltre le ciglia.
Fandral, Volstagg e Hogun si avvicinarono con passo stanco e strascicato.
«Noi gli dobbiamo la vita...» mormorò Fandral, stringendo nervosamente l'elsa della sua spada, come se ancora non si fosse abituato all'idea di essere a casa, di essere al sicuro.
«È grazie a Thor che siamo vivi, è stato lui a portarci in salvo in quella pianura» aggiunse Hogun.
Loki guardò i suoi compagni senza dire nulla.
«E anche quella cosa... quel fumo, non è stata una brutta idea» commentò Volstagg con un cenno di approvazione alla volta del principe. «Anche se...».
«Ho fatto ciò che dovevo» rispose Loki, laconico, poi abbassò lo sguardo sul pavimento e i suoi occhi si rabbuiarono. «Eppure non abbastanza» disse infine, in un soffio di voce appena percettibile.
Si stava colpevolizzando per non essere riuscito a proteggere Thor? Snotra stava per dirgli che era una cosa ridicola e che non doveva prendersi alcuna responsabilità per l'accaduto, ma per un attimo scorse un moto di rabbia sul viso provato del principe.
Lui strinse un po' più forte Snotra tra le braccia e la guardò, e lei si sentì tremendamente piccola e inadeguata.
«Se dovesse accadere qualcosa a Thor» mormorò Loki, guardandola negli occhi, come a volersi assicurare che lei capisse perfettamente le sue parole, «non potrei mai perdonarmelo».
Dunque davvero si sentiva responsabile? Lei non capiva, ancora una volta i pensieri e i sentimenti di quel giovane uomo erano come serpi, inafferrabili e troppo veloci, capaci di sgusciarle via dalle mani e dalla mente ancora prima che lei riuscisse a comprendere.
«Non devi sentirti in colpa. E Thor starà bene» concluse la donna. «Ora va' da tua madre e tuo padre, sono certa che ti vorranno avere vicino».
Loki annuì debolmente, strinse per un attimo le dita attorno a quelle della sua vecchia maestra e si allontanò. Si fermò un istante accanto a Sif, a guardarla con un'espressione che Snotra non riuscì a interpretare, poi sparì anche lui verso il fondo del corridoio.
«Voi state bene, siete feriti?» domandò la donna, osservando i quattro giovani asgardiani alla ricerca di qualche danno. La guerra era ancora nei loro occhi, sui loro visi contratti.
Fandral scosse la testa. «Solo graffi e niente che un bagno caldo non possa sistemare».
«Ma Thor ce la farà, come avete detto, vero lady Snotra?» incalzò Volstagg.
Lei sentì su di sé lo sguardo di Sif, occhi verdi che pungevano come aghi di pino. Annuì con convinzione: anche se così non fosse stato, non c'era motivo di farli disperare. Più li guardava e più non le sembravano affatto dissimili dai giovani ragazzi ancora un po' ingenui e inesperti che erano giunti a palazzo tanto tempo prima per diventare i compagni d'armi dei figli di Odino. Solo che ora tornavano da una battaglia, quei ragazzi avevano sentito ardere i fuochi della guerra, avevano rischiato le loro vite e ne avevano spezzate altre... anche Thor e Loki, avevano combattuto e ucciso. A Snotra sembrava un pensiero così surreale, l'idea del sangue sulle mani dei suoi due allievi che aveva conosciuto fin dalla culla. Pensò a ciò che le aveva detto la regina Frigga, al fatto che presto Odino avrebbe proclamato il suo successore, pensò che non ci può essere alcuna innocenza nel potere e sotto al peso di una corona.
In qualche modo, l'idea che uno dei due principi salisse al trono, le sembrava sgradevole, come se fosse una condanna terribile e non un onore, una conquista o un diritto di sangue.
Era un pensiero sciocco, se ne rendeva conto. Asgard e l'importanza del suo ruolo nel destino dei Nove Regni poggiavano sulla solidità di quel trono e di quella corona, sulla giustizia e la saggezza del re, e forse c'era un che di criminoso nel soffermarsi a pensare per più di un attimo a uno scenario diverso, nell'attribuire a quella corona un valore che fosse meno alto di quanto era.
Snotra si massaggiò per un attimo la fronte e si disse che no aveva alcuna importanza indugiare in quel tipo di riflessioni. Uno dei due figli di Odino sarebbe asceso al trono e così avrebbero fatto i suoi figli e i figli dei suoi figli, perché quella era la natura delle cose.
Uno dei due figli di Odino...
Odino ha un figlio soltanto.
No. Gli eredi del re erano due, entrambi cresciuti con lo stesso diritto su quel trono.
Ma tu chi dei due preferiresti? Quale sceglieresti?
Di nuovo la voce, malefica, insistente, come il calore venefico di una febbre nelle vene. Snotra provò un tremendo senso di vertigine e barcollò, appoggiandosi al muro.    
Quale dei due ami di più?
«Lady Snotra, vi sentite bene?». Sif le posò una mano sulla spalla e la scosse gentilmente.
Si sentì ridicola: non era lei che stava tornando da una battaglia durata troppo a lungo. O forse la sua era una battaglia che durava da tutta una vita, da quella tremenda notte nevosa su Jotunheim.
«Sono solo un po' scossa» rispose Snotra, riprendendosi e tentando di sorridere. «Comincio a essere vecchia per tutte queste emozioni in una sola sera».
Cominciava a essere vecchia, cominciava a essere stanca. Una vita di segreti e di timori, di tentativi di mantenere una promessa tradita già in partenza, l'avevano consumata dentro, svuotata, resa codarda dal vivere costantemente nella paura che qualcosa andasse troppo storto perché lei potesse porvi rimedio.
Accompagnò i quattro guerrieri al piano superiore e si assicurò che la servitù si prendesse cura di loro, poi tornò nelle sue stanze ad attendere il mattino, sperando che l'alba portasse con sé buone notizie sulla salute di Thor.
Ma l'alba giunse troppo lentamente e in silenzio. Asgard aveva cantato, durante la notte, senza che la notizia del ferimento del principe Thor si diffondesse, Odino non aveva voluto privare la gente dei festeggiamenti, allarmando inutilmente il popolo.
Snotra sentiva la notte pesarle nello sguardo, gli occhi pizzicavano per la stanchezza e la luce del sole che cominciava a farsi sempre più decisa li faceva quasi lacrimare.
Voleva vedere Thor, andare a rincuorare la regina, magari. Certamente Frigga era rimasta al capezzale del figlio tutta la notte e doveva aver bisogno di riposo.  
La Camera della Guarigione era un'ampia stanza ovale chiusa da porte con intarsi di madreperla e priva di finestre per conservare all'interno delle pareti una fresca penombra e un totale e immobile silenzio.
Sif, vestiti puliti e capelli sciolti sulle spalle, era seduta a terra accanto alla porta e puliva con un panno il suo scudo, con gesti nervosi e meccanici. Da quanto tempo era lì?
«Dicono che si riprenderà» esclamò la giovane guerriera, vedendo Snotra avvicinarsi. «Come avevate detto voi».
«Avere sempre ragione è uno dei miei difetti migliori» scherzò la donna, lieta di apprendere buone notizie sulla salute di Thor. Persino Sif si concesse una mezza risatina.
«Avete... parlato con Loki, lady Snotra?» domandò poi la ragazza, decidendosi finalmente a mettere via lo scudo d'argento.
«No, non ne ho avuto occasione dopo il vostro rientro. C'è qualcosa in particolare di cui dovrei sapere?».
A Snotra non sfuggì il velo di rossore che salì a coprire le guance di Sif. La guerriera distolse lo sguardo e fissò il disegno di una runa sul pavimento.
«Abbiamo avuto una lite, io e Loki, prima del nostro ritorno, per la nebbia. Non so se ho fatto bene a prendermela con lui, ero preoccupata per Thor e lui... alle volte sa essere così... non si capisce che diamine gli passi per la testa!».
Snotra si accorse di essersi morsa le labbra a sangue, si passò una mano sul viso e spostò più volte lo sguardo tra la porta chiusa e la giovane seduta a terra. Non avrebbe neppure dovuto fermarsi a parlare con lei, avrebbe dovuto essere lì per vedere Thor!
Sospirò pesantemente e scosse la testa, poi si mise a sedere in terra, accanto a Sif.  
Adesso che Loki era un uomo e che le ombre delle quali si era circondato erano visibili a tutti, lei sapeva che tutto ciò che aveva sempre fatto per lui, ogni suo tentativo era solo un enorme fallimento. Il destino di Loki era scritto nel suo sangue, in quella carnagione troppo pallida e in quegli occhi troppo azzurri che gridavano una storia che lei e Odino inutilmente avevano tentato di tacere. Forse Loki non avrebbe mai scoperto le sue vere origini, ma ormai era evidente che la consapevolezza di essere in qualche modo diverso gli apparteneva, lo sentiva come lo sentivano tutti gli altri asgardiani; non aveva importanza quante volte avrebbe combattuto accanto a Thor, quante volte avrebbe aiutato lui e i suoi compagni, tutti avrebbero sempre percepito nel giovane principe una distanza incolmabile e, per alcuni forse, persino spaventosa.
Tutte le volte che Snotra aveva tentato di raccontarsi il contrario – come la notte appena trascorsa – aveva mentito, perpetuato quella menzogna, lucidandola a specchio per farla apparire simile alla verità. Ma la migliore imitazione di una verità resta pur sempre una bugia.  
«Sono certa che Loki si sarà già dimenticato del vostro diverbio, lui...» azzardò Snotra.
Lo sguardo di Sif si indurì. «Ma io non lo dimentico» borbottò, accigliata. «Thor ha lottato come una furia per portarci in salvo, è per questo che ha riportato così tante ferite. Quando credevamo di avercela fatta, sono arrivate altre truppe dei ribelli e Loki ha usato la magia per far calare una nebbia che ci nascondesse alla vista dei nemici»
«Non capisco, qual'è il problema?»
«Thor era ferito, era rimasto indietro! Con quella nebbia abbiamo rischiato di perderlo, se lo avessimo perso, sarebbe morto, vulnerabile com'era. Ma a questo Loki non ha pensato».
Snotra sentì la testa pensante, forse era solo colpa della stanchezza, ma i pensieri cominciavano ad addensarsi nella sua mente e a farsi di piombo. Grandi masse di idee e preoccupazioni e ipotesi, troppo enormi per poter essere elaborate.
Sentì parole trattenute nel respiro si Sif, cose che la giovane guerriera non osava dire. Si massaggiò le tempie, cercando qualcosa di appropriato da replicare, ma c'era una sola domanda che adesso le martellava il capo come pioggia battente.
«Credi che Loki lo abbia fatto di proposito?». Lo chiese chiudendo gli occhi, non voleva vedere il volto di Sif per paura di leggerle negli occhi pensieri che non era in grado di sopportare.
«Io... credo che abbia sbagliato, e non mi piace il modo stolido con cui si rifiuta di ammetterlo. Come possiamo fidarci di lui se commette simili errori?» concluse la guerriera, aggrottando le sopracciglia.
Osservazione maledettamente giusta.
«Gli parlerò» promise Snotra.
«E credete servirà?»
«Ho cresciuto io quei ragazzi, li conosco, so come trattare Loki». Ora la voce della donna suonava piccata, con una nota di testardaggine fin troppo infantile.
Sif la guardò senza dire niente. Quello sguardo e quel suo silenzio furono più eloquenti di qualsiasi parola.
La migliore imitazione di una verità resta pur sempre una bugia.  
Snotra si lasciò la giovane alle spalle e sgusciò nella stanza con enorme cautela. La penombra e il fresco dell'ambiente la travolsero come un'improvvisa folata di vento. Il silenzio della Camera della Guarigione sembrava consistente come una lastra di vetro e sembrava far mancare l'aria.
Frigga era seduta sul bordo del grande letto, sistemato come un altare al centro della stanza. Quel luogo non le era estraneo, visto che passava lunghe giornate al capezzale di Odino, magari proprio in quella stessa posizione, ogni volta che il re cadeva nel Sonno degli dei.
Snotra credeva di essere pronta a sopportare quella vista, ma il tremore che la colse diceva il contrario.
Thor, figlio di Odino.
Dio del tuono.
Guerriero implacabile.
L'unico in grado di impugnare il Mjolnir.
In tutti i Nove Regni si tessevano storie su di lui, su Midgard i vecchi miti erano resisti al tempo e il suo nome era famoso più di quello di qualsiasi altro dio tra gli Æsir.
In quella stanza troppo buia e troppo silenziosa, Thor era solo un ragazzo ferito, un bellissimo giovane uomo addormentato sotto una cupola di luce dorata.
Frigga teneva una mano appoggiata su quella del figlio e ne scrutava il viso, concentrata come se da un momento all'altro lui avrebbe potuto apparire gli occhi e sorprenderla con un solo sguardo, come  se fosse appena venuto al mondo.
Snotra pensò che la regina neppure si fosse accorta di lei, poi Frigga parlò, in un sussurro morbido, senza distogliere lo sguardo dal volto di suo figlio.
«Dicono sia solo questione di tempo» asserì con un sorriso stanco. «Come se non avessi aspettato abbastanza per riabbracciarlo».
La donna si sentì a disagio, quasi un'intrusa in quella stanza. Si chiese se non avesse fatto male, se non avesse osato troppo intromettendosi in quella bolla di silenzio e pena credendo di poter essere utile. Restò a qualche metro di distanza dal letto, immobilizzata da uno strano pudore che non credeva avrebbe provato. Non era forse parte di quella famiglia? No, non lo era. Ne condivideva le gioie e i dolori e i segreti, ma questo non bastava.
Spiò con circospezione il corpo di Thor. Le lenzuola lo coprivano fino alla vita, i solchi rosa di troppe cicatrici gli coprivano il petto nudo. La luce dorata stava curando quei tagli e presto forse non ne sarebbe rimasta più traccia; Snotra si chiese quanto tremende dovessero apparire quelle ferite la notte passata, prima che il processo di guarigione cominciasse.
«La consapevolezza di poterlo riabbracciare vi aiuterà a sopportare meglio l'attesa, mia regina» mormorò Snotra.
«Dicono sia stato valoroso»
«Lo è stato di certo»
«Odino dice che le guerre sono finite, che ora più che mai si adopererà per mantenere la pace e per evitare i conflitti» aggiunse Frigga dopo qualche secondo, la voce e lo sguardo che tradivano la grandezza della sua speranza.
Snotra non aveva parole da aggiungere, avrebbe voluto cercarne ma fu interrotta dal rumore sordo della porta che veniva aperta e poi richiusa con cautela.
Un servitore era entrato ed era rimasto rispettosamente sulla soglia, attendendo che la sovrana si decidesse a notarlo. Frigga lo guardò per un istante senza dire niente, ma di certo c'era un motivo valido se si era azzardato ad interrompere la sua veglia.
«Il Padre degli dei chiede la vostra presenza, mia regina» squittì l'uomo, in evidente imbarazzo.
«Non può attendere?»
«Mi ha detto di dirvi che ha chiesto di voi».
Le richieste di un re non sono mai richieste, sono ordini. Anche per la sua consorte.
Frigga sospirò, angustiata. Snotra le sia avvicinò,
«Resterò io con vostro figlio, mia signora» le disse. «Non sarà solo, se dovesse svegliarsi mentre conferite col re».
La sovrana esitò ancora qualche secondo, prima di alzarsi. «Mio marito comincia a manifestare l'impazienza delle persone non più giovani» commentò, scuotendo il capo.
Era per questo che il re di Asgard aveva deciso di lasciare il trono a uno dei suoi figli? Perché sentiva che stava invecchiando?
Snotra sentì il suono leggero dei passi di Frigga che lasciava la stanza e la porta che veniva richiusa piano. Quando restò sola, si accorse di non riuscire a fissare l'immagine del ragazzo ferito, della cupola di luce e denso pulviscolo dorato che gettava riflessi innaturali sulla pelle del giovane principe ancora rovinata da lividi e tagli.
Camminò in circolo attorno al grande letto, fissando ora il fuoco delle lanterne, ora il suo stesso riflesso opaco sul pavimento. Solo dopo lunghi, interminabili minuti, si costrinse a fermarsi accanto al bordo del materasso e a guardare il volto di Thor.
Sembrava quasi una scultura commemorativa su un sarcofago, come nelle usanze di popoli antichi che il tempo aveva cancellato. Un brutto paragone da fare.
Eppure la donna ammirò per un attimo l'espressione seria, solenne, del viso immobile; i capelli biondi e i lineamenti nobili e decisi sotto la barba da guerriero che da qualche tempo il figlio di Odino si era lasciato crescere.
Thor era fatto per essere un re. La rivelazione si accese nei pensieri di Snotra come una cometa. Ora se ne rendeva conto, non poteva essere che lui. Certo, non era pronto, ma era scritto nel suo destino a chiare lettere, un destino che lei aveva avuto davanti agli occhi tutta la vita, una fiamma che si era accesa e che si era espansa, che un giorno sarebbe diventata un incendio, un solo maestoso e bellissimo nel cielo di Asgard e di tutti i Nove Regni.
Non era una questione di legami di sangue e di discendenze, era una questione di cuore e anima, e l'idea fece salire alla gola di Snotra un gemito di commozione.
Si piegò in avanti, chinandosi in ginocchio accanto al letto e allungò una mano verso il polso di Thor. Quando attraversò la cupola di luce sentì una sensazione di calore umido ma curiosamente la pelle del principe era fresca.
Mi dispiace, Thor, pensò, per quello che ti è accaduto e se ho mai avuto dubbi su di te o se ti ho messo in disparte, ma tuo fratello aveva bisogno di me, ha ancora bisogno di me, di te, del bene di tutti noi... ma non ho mai amato uno di voi due più dell'altro...
Ora capiva l'impazienza di Frigga, anche lei adesso era ansiosa che il principe si svegliasse, si sentì come se avesse moltissime cose da dirgli, anche se non sapeva bene cosa.
«È angosciante vederlo in questo stato». La voce di Loki spezzò bruscamente il silenzio.
Snotra si voltò con un sussulto, chiedendosi quando era entrato, da quanto tempo fosse lì, com'era possibile che non lo avesse udito arrivare.
Lo guardò dal basso. Era alto quasi quanto suo fratello, da bambino aveva una corporatura esile quanto quella di una fanciulla, adesso aveva un fisico asciutto, un viso magro e affilato eppure riusciva ad apparire maestoso non meno degli altri membri della famiglia reale.
Loki forse non era destinato ad essere un re, ma era comunque cresciuto come tale.
Lo sguardo del principe assunse una sfumatura strana mentre abbassava gli occhi sulla sua maestra, come a volerla biasimare per quella posa così poco consona: non sei un'ancella o una sguattera, sembrava volerle dire, che ci fai in ginocchio?
Loki le tese la mano e Snotra restò a fissare per un istante il palmo aperto verso di lei. Una mano bianca dalle dita affusolate, una mano che difficilmente si sarebbe potuta immaginare coperta di sangue. La donna l'afferrò e lasciò che lui l'aiutasse a rialzarsi; osservò immobile il principe guardare il fratello in silenzio, con la mascella contratta e lo sguardo imperscrutabile.
Le parole scambiate con Sif poco prima le parvero frasi lontane di una favola. Forse Loki era stato maldestro e precipitoso nell'usare la magia della nebbia per coprire la loro fuga, nel non pensare al rischio per Thor, ma mai, in nessun universo possibile, il suo errore sarebbe stato intenzionale, per nulla al mondo lui avrebbe messo a rischio la vita di suo fratello.
Snotra se lo ripeté più volte, mentre la sua mano si sollevava nell'impulso di accarezzare la guancia di Loki, il solco appena accennato di occhiaie livide. Ma qualcosa fermò quell'impulso.
La migliore imitazione di una verità resta pur sempre una bugia.
Il dubbio aveva il sapore del sangue in bocca, come in una terribile malattia, ed era altrettanto stomachevole e persistente.
Dubbio? E da quando?
La mano di Snotra si sollevò sulla sua stessa tempia, per sistemarsi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Da sempre...
La donna deglutì e fece un lungo respiro per schiarirsi la gola. Gli occhi di Loki erano ancora fissi su Thor.
«Spero che tu e Sif vi siate chiariti» mormorò Snotra con finta leggerezza. Quello non era né il luogo né il momento, ma se voleva mettere Loki con le spalle al muro e prenderlo alla sprovvista, difficilmente avrebbe avuto un'altra occasione.
Se lui si sentì davvero preso alla sprovvista, non lo diede a vedere. La maschera di gelo e imperturbabilità ora era ben calata sul suo bel viso e sembrava impenetrabile.
«È corsa a piagnucolare da te perché non ha il coraggio di affrontarmi?». Loki non si diede neppure la pena di spostare lo sguardo.
«Forse pensa che io abbia la strana abilità di capirti, che sciocchezza».
Qualcosa, forse fastidio, forse malinconia, trapelò dalla superficie uniforme della maschera, attraverso gli occhi azzurro ghiaccio. Loki voltò piano il capo verso la sua interlocutrice e, incredibilmente, sorrise. Lo stesso identico sorriso di quando era fanciullo, quella curva perfetta a metà tra la più candida innocenza e la più contorta malizia, come l'espressione peculiare di un attore che ha passato tanto tempo davanti allo specchio nel tentativo di perfezionare quella singola espressione per la sua battuta ad effetto. Occhi, sorriso, maschere... un labirinto in cui era impossibile rintracciare la sincerità ed era altrettanto impossibile dare per scontato che non ve ne fosse traccia.
Dubbio, pesante come una tempesta sopra le sue spalle: Snotra ebbe quasi la sensazione di venir spinta contro il pavimento.
«Il tuo discernimento è impossibile da offuscare» sentenziò Loki. «Quindi, dimmi, cosa crede lady Sif? Che io abbia di proposito fatto qualcosa per nuocere a Thor?»
«È quello che hai fatto?»
«Siamo tornati tutti sani e salvi perché io ho fatto in modo che riuscissimo a fuggire. Thor si riavrà a breve. Dove sarebbe la mia mancanza?».
Lucido, inflessibile. La sua voce non si era incrinata neppure un secondo per la rabbia di essere stato anche solo lontanamente sospettato di una colpa tanto grave come quella che Sif aveva insinuato.
Lucido, inflessibile, freddo. Fin troppo lucido.
Le reazioni più istintive sono quelle più genuine e sincere. Ma Loki non aveva avuto altra reazione se non quella di proporre un ragionamento logico, perfettamente misurato e inappuntabile.
Logica, non istinto. Lucidità, non rabbia.
La migliore imitazione di una verità resta pur sempre una bugia.
Snotra serrò i pugni in un moto di quella che per un attimo le parve paura. Loki era sempre stato così, del resto, fin da bambino, non aveva mai ecceduto con reazioni rabbiose, non era da lui alzare la voce per farsi ascoltare o pestare i piedi o piangere. Tranne che per quell'unica volta... il ricordo investì la sua mente tanto da far addensare le ombre della stanza: piume candide imbrattate di sangue, l'innocenza screziata di macchie scarlatte come il talamo di una vergine. E quella rabbia, quella notte, era stata vera, sincera viscerale.
Come poteva Snotra essere certa che non ci fosse altra rabbia dentro il cuore di Loki? Come poteva essere sicura che non ci sarebbero state altre conseguenze... altro sangue?
Come poteva aver ignorato queste domande così a lungo?
Ma forse era tutta colpa della stanchezza e dell'agitazione, colpa del tempo, dei troppi anni trascorsi che le avevano reso i pensieri sempre meno lucidi, che avevano instillato in lei sentimenti e idee distorte che si erano ammassate deformando il meccanismo della sua mente.
E al di là di ogni paura e di ogni dolore, restava tuttavia una certezza inconfutabile. Amava Loki con tutta se stessa, era un affetto enorme e solido, come granito, immutabile e impossibile da appannare o da scalfire. I dubbi su di lui non facevano altro che renderlo più forte: più credeva che Loki stesse smarrendo la via, più si sentiva in dovere di amarlo e aiutarlo.
Forse era per questo che sembrava preferirlo a Thor, ma non era una preferenza, semplicemente lei era consapevole del fatto che Loki necessitava di più attenzioni e cure perché era più fragile e anche più pericoloso, per se stesso almeno, se non per gli altri.
E adesso muovergli accuse impossibili da provare non sarebbe servito a nulla. Snotra sentì di nuovo il peso del dubbio quasi come una sferzata imprimersi dentro di lei e bruciare, e di nuovo sentì che, per adesso, quello era un peso che doveva portare da sola.
«Di certo Thor non avrebbe avuto alcuna remora a sacrificarsi per voi» concluse la donna. «Ma io non sono più giovane e ho bisogno di sapervi al sicuro, entrambi».
Loki fece un vago cenno di assenso. «Nostro padre ha detto che non ci saranno più guerre. Ha parlato di una nuova era, sai cosa significa?».
Sì, Snotra lo sapeva. Si limitò ad annuire.
«Non cambierà nulla, vero? Qualche che sia la decisione di Padre Tutto, non cambierà nulla?» domandò Loki dopo qualche secondo.
La donna alzò il capo per guardarlo in viso. Le sembrò che fosse di nuovo il bambino che cercava in lei la conferma della propria bravura, che cercava nel suo sguardo la luce per dissipare le ombre e le insicurezze che lo tenevano frenato, che gli facevano male.
Snotra scosse la testa, una ciocca di capelli rossi le scivolò davanti agli occhi. Alcune cose erano già cambiate, per sempre, altre non sarebbero cambiate mai.
Si sforzò di sorridere, grata tra sé e sé per l'espressione che ora aleggiava sul volto di Loki, che le rimandava solo i ricordi migliori del loro passato. Il peso del dubbio si fece un po' meno vessante.
«Casa, famiglia, affetto non sono cose che una corona può cambiare, mio giovane principe» concluse.
«Snotra...». Loki lanciò uno sguardo in direzione del letto.
La cupola di luce dorata si stava dissolvendo, sbiadiva secondo dopo secondo, si assottigliava portando via con sé quel riverbero innaturale dalla pelle di Thor ora del tutto priva di cicatrici.
Il figlio di Odino aprì gli occhi e voltò piano la testa sul guanciale.
«Voi due, sempre a ciarlare!» esclamò con una punta di sarcasmo, la voce impastata e fioca.
Loki e Snotra lo fissarono muti e immobili per un istante.
«Oh, sta' zitto, torna a dormire!» lo rimbeccò la donna cercando di essere ironica, ma la voce le si spezzava per la contentezza e le parole uscirono a scatti.
Un attimo dopo era già saltata sul materasso, le braccia al collo di Thor. Il battito del cuore accelerato per l'entusiasmo copriva ogni cosa, ogni pensiero ombroso di poco prima.
«Non sarete stati in ansia per me?» chiese il principe, inarcando un sopracciglio.
«Neppure per un istante» rispose Loki, enfatizzando un'espressione di superiorità.
I due fratelli si guardarono in viso con un'intensità che sembrava rendere l'aria più rarefatta, e un attimo dopo stavano ridendo.
Snotra spostò lo sguardo tra i due giovani uomini, le loro bocche schiuse per la risata leggera, i loro occhi sereni. Come poteva essere una menzogna, un inganno tutto ciò?
La migliore imitazione di una verità resta pur sempre una bugia.
No, no, no! Non quei sorrisi, non quegli sguardi. C'era amore in quegli occhi, un amore forgiato da anni trascorsi assieme, pur con tutti i conflitti dati da caratteri differenti, pur con tutte le incomprensioni, pur con lo spettro di una diversità evidente che aleggiava su Loki come una condanna. Era amore, ed era vero, e come ogni amore era nonostante tutto.
Snotra baciò la fronte di Thor, annunciò che sarebbe andata ad avvisare il re e la regina e lasciò la stanza.
Dalla porta socchiusa arrivavano le voci dei due fratelli che commentavano con foga alcuni eventi della battaglia. Voci che suonavano per lei come il primo vento d'estate dopo il lungo inverno.
Snotra sorrise mentre imboccava le scale.  









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Note:

Snotra sorride ed è la quiete prima della tempesta. La “tempesta” in questione la conosciamo tutti: è quello che poi succede nel film. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, e prometto che non impiegherò anni a scriverlo. :D

Il riferimento a Nornheim e tutto quello che ci ruota attorno viene da una scena eliminata presente nel dvd, è famosissima nel fandom, ma per chi non la conoscesse: QUI CON TANTO DI SOTTOTITOLI (tra l'altro odio che sia stata tagliata, perché diceva molto del rapporto preesistente tra Loki e Thor e lasciava anche pensare che, in condizioni di – quasi – normalità, Loki fosse persino un tipetto gradevole).
La storia del re tiranno di Nornehim, il motivo per cui Thor&Co. sono andati a combattere lì, viene dalla mia serie di fanfiction nel fandom di The Avengers, ma questa storia e quella serie non sono in nessun modo collegate.
Nel mio headcanon c'è tutto un mondo di roba sul rapporto tra Loki e Sif, forse un giorno ne scriverò, per ora diciamo solo che tra qualche particolare seminato nel film e l'episodio mitologico del taglio dei capelli non posso fare a meno di pensare che tra loro i rapporti siano burrascosi.

Per domande e curiosità: Profilo Ask

La citazione iniziale è dal brano Quello che non ho.

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Capitolo 6
*** Sesto episodio ***


Sesto episodio

"... state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un'altra volta:
per quanto voi vi crediate assolti,
siete per sempre coinvolti."


«Di cosa parlano le nostre storie, lady Snotra?».
Snotra era sempre stata brava con i ricordi, possedeva la naturalezza del talento per la conoscenza.
Dalla notte in cui Loki era tornato, prigioniero nella propria casa che non era più tale, i ricordi della sua lunga vita al servizio della famiglia di Odino si erano manifestati con la prepotenza di una valanga, aprendo squarci sanguinanti sulla sua anima. La donna si era sentita come se fosse l'imputata ad un processo dove la sua stessa mente era giudice, difensore e carnefice.
I suoi ricordi non l'avevano né assolta né condannata, infine, così come Loki le aveva mosso delle accuse e le aveva ritrattate nel semplice gesto di sedersi accanto a lei e raccontare ciò che gli era accaduto mentre Asgard lo aveva creduto morto.
Loki, una voce graffiante nel buio della cella, la domanda e la risposta ad ogni cosa e nessuna soluzione al rompicapo che era stato per tutta la vita della sua maestra.
Quel loro colloquio aveva ancora un sapore onirico nei ricordi di Snotra, e non valeva tutti i suoi sogni e tutti i suoi incubi. Le restava solo la sensazione del suo viso premuto contro le sbarre e delle sue labbra posate sulla fronte di Loki nell'estrema tacita promessa di un affetto che nessun crimine e nessuna ombra avrebbe mai potuto spegnere.
Le restava quello e la consapevolezza di non avere più lacrime da versare.
Non sapeva neppure se a Loki importasse, se gli era mai importato.
Sì, certo che sì.
La biblioteca sembrava un cantiere in costruzione. Con l'intento – fallito – di svuotarsi la mente, la dea della saggezza si era dedicata a un monumentale lavoro per risistemare i volumi e le pergamene. Casse di documenti antichi erano disposte in disordine contro le pareti, libri dalle copertine lucenti erano impilati sul pavimento o sugli scrittoi più lontani dall'ingresso.
Snotra pensava a come sarebbe stato tutto più ordinato e pulito quando avrebbe finito, ma per adesso quel caos precario non faceva altro che ricordarle che, in qualche modo, il suo mondo stava andando in pezzi.
«Di cosa parlano le nostre storie, lady Snotra?».
La bambina, una tra i tanti suoi allievi, era la figlia di un alto ufficiale della guardia di Odino. Una bambina bellissima, con fluenti riccioli biondi e occhi grigi, come i più splendidi figli di Asgard.  
La piccola teneva la mano posata su un grosso volume che odorava di polvere e troppo tempo trascorso. I bordi di pelle della rilegatura erano lisi e in qualche punto la decorazione dorata si era scrostata, interrompendo la regolarità del disegno geometrico sul frontespizio.
Snotra avrebbe riconosciuto quel volume tra mille e le parve un caso quasi doloroso che la bambina fosse incappata proprio in quel libro, proprio quella mattina: le cronache della Campagna di Jotunheim, redatte da lord Alcuin, il suo maestro, tanto e tanto tempo prima, nel freddo e nel buio di una tenda al margine di un accampamento di soldati.
«Di cosa parlano le nostre storie, lady Snotra?».
La piccola allieva ripeté la domanda con cortese insistenza, con la caparbietà tipica dei bambini. A Snotra sembrò di rivedere un giovanissimo principe Thor, sempre affamato di racconti di eroi e battaglie.
«Parlano di guerra» le rispose, con voce atona.
«E le storie di Midgard, sono diverse?».
Midgard. Se ne parlava parecchio in quei giorni, da quando era stato annunciato che ci sarebbe stato un processo per stabilire la condanna per il principe Loki, per i suoi crimini contro il mondo degli uomini che adesso, agli occhi degli asgardiani, appariva come una terra esotica e lontana, anche se molti di loro l'avevano ignorata per secoli.
Il giorno del processo era quello.
«Di cosa parlano le storie di Midgard?» insistette la bambina.
Snotra sorrise tristemente. «Spesso parlano d'amore».
La piccola annuì, in un dondolio di onde dorate. La maestra la congedò con una carezza sul capo e ascoltò i suoi passi trotterellare via e poi lasciare il posto a un silenzio enorme, impossibile da riempire.
Snotra restò seduta tra i suoi libri, cercando di concentrarsi sull'idea di quando quel posto sarebbe tornato in ordine. Pensò che quello poteva essere il suo ultimo lavoro, prima di chiedere al re il permesso di ritirarsi a vita privata nella casa che un tempo era appartenuta a suo padre, al di là dei campi fuori le mura dorate della capitale. Lontano, via da lì...
Pensò che non aveva più nulla da fare lì a palazzo e che quello che aveva fatto non era stato davvero nulla di speciale. La solidità di quel pensiero la colse di sorpresa: nella caduta di un singolo individuo c'era la caduta di tutto ciò in cui lei aveva creduto e questo perché lei, la saggia e brillante Snotra, non aveva saputo tenere fede a una promessa.
Aveva fatto tutto il possibile per riuscirci, pensò. E forse era vero, ma non bastava a darle la pace che aveva perso nello stesso istante in cui aveva varcato i cancelli di Asgard tenendo tra le braccia un bambino affamato al quale si era tentato di imporre un destino non suo.
Forse, se avesse lasciato per sempre quel luogo, i ricordi sarebbero sbiaditi e avrebbero fatto meno male.
Sì, la casa della sua famiglia era davvero abbastanza lontano da lì, si disse, un attimo prima di ricordare che nessun luogo sarebbe mai stato abbastanza lontano.
Ma intanto, quello era il giorno del processo. E anche se ora progettava di fuggire dalla sua stessa vita pur di attutire il dolore, non era codarda al punto da mancare a quell'evento.
Attese, nel silenzio e nella troppa luce che filtrava dalle finestre, che giungesse l'ora prestabilita. Attese circondata dai suoi ricordi, come se fossero colombe trattenute in una gabbia prima di lasciare che prendessero il volo. Colombe, o forse avvoltoi...  
Alla fine, semplicemente, lasciò la biblioteca e si diresse verso la sala del trono.
«Thor vi cercava, lady Snotra». Sif la raggiunse quando stava per entrare nella sala gremita.
Lo so, lo posso immaginare, ma non volevo che mi trovasse.
«Vi chiederei se state bene, ma immagino sia una domanda sciocca» mormorò la giovane guerriera, titubante. Sembrava volesse abbracciarla o prenderle la mano o offrirle un qualsiasi tipo di conforto ma forse si rendeva conto che il suo stato d'animo in quel momento andava ben oltre qualsiasi tentativo di consolazione.
«Nessuno voleva che si arrivasse a tanto» disse ancora Sif.
Snotra provò una rabbia dolorosa che le vibrò dentro, in un battito troppo forte del suo cuore stanco. «Nessuno ha fatto niente per evitarlo» commentò laconica. Era un'accusa a tutti e a nessuno allo stesso tempo.
La sala del trono era gremita, un mare di volti e occhi puntati nella medesima direzione.
Il ricordo che si affacciò nella mente di Snotra a quello spettacolo fu il più doloroso di tutti. Più del volto di Loki deluso e arrabbiato la notte in cui le aveva mostrato la magia, più dei suoi occhi indignati e furiosi la sera del ballo in cui lady Sigyn aveva danzato con Thor, più di lui bambino che cercava risposte che non sarebbero mai arrivate. Il ricordo del giorno in cui ogni barriera che tratteneva Loki dal cadere era definitivamente crollata. Il giorno in cui il giovane principe aveva scelto la sua strada e aveva cominciato a percorrerla.
Lo scenario che ora la donna aveva davanti a sé era come un'immagine speculare di quella stessa sala del trono, altrettanto gremita di gente dall'aria impaziente, con quel medesimo sole caldo e la brezza che faceva ondeggiare le tende. Ma in quel ricordo la gente non era così silenziosa e tesa, era felice ed esultante, e non attendeva un traditore, ma un re...

***

Snotra non riusciva a stare ferma.
Quella mattina si era vestita con cura, aveva indossato persino i propri gioielli, cosa che non faceva quasi mai. Si era lasciata pettinare dalle ancelle ma aveva proibito loro di acconciarle i capelli in qualche modo astruso: non voleva mal di testa quella giornata, quel vago senso di vertigine che aveva per l'agitazione e l'euforia era già bastevole, insieme a quella sensazione di vuoto nello stomaco che aveva identificato come pura e semplice felicità. Aveva lasciato i capelli sciolti, con un fermaglio a forma di libellula su un lato. Aveva approvato la propria immagine allo specchio – si era costretta ad ammettere che era il meglio che riuscisse a fare – e aveva lasciato le sue stanze.
A metà del corridoio era tornata indietro e si era tolta il fermaglio e cambiato gli orecchini, indossandone un paio di più vistosi.
Non capiva molto di quel genere di cose e la vanità non era mai stata una sua caratteristica, sapeva solo che in certi frangenti un paio di orecchini vistosi sono meglio, per principio.
Il palazzo di Asgard era deserto: tutti erano accorsi alla sala del trono già da ore. La corte degli Æsir e tutti i cittadini della capitale che l'enorme sala poteva contenere, erano disposti in due grandi ali di folla lungo la passerella dorata che immetteva nella stanza dall'entrata principale e l'attraversava tutta fino al rialzo del trono di Odino, in cima a due serie di gradini semicircolari. Oltre il colonnato, su una balconata a perdita d'occhio, c'era ancora altra gente, un mare di volti accesi di curiosità.
Il brusio delle tante voci raccolte in quell'unico luogo sembrava spingersi fino alla torre più alta del palazzo. Snotra si soffermò ad ascoltarlo, lo sentì vibrare dentro di sé come una musica piacevole.
Aveva atteso quel giorno con trepidazione e solo ora si rendeva conto di quanto trovasse emozionante quello che stava per accadere.
Quello era il giorno in cui Thor sarebbe diventato re.
Mentre raggiungeva la sala dove si sarebbe tenuta l'incoronazione, ricordi caldi come raggi di sole le scorrevano nella mente. Ricordava ogni cosa dell'infanzia e della fanciullezza di Thor, la sua ingenuità che celava un cuore grande come una delle lune di Asgard, la sua fierezza e il suo animo battagliero. Per certi versi, il figlio di Odino non aveva ancora perduto del tutto quell'ingenuità da ragazzo e troppo spesso il suo carattere fiero rivelava un orgoglio testardo e persino una certa arroganza, ma lei era certa che il tempo avrebbe temperato quei difetti con l'esperienza e la saggezza, e con il peso della responsabilità di portare una corona.
Da questo punto di vista, Snotra seguitava a pensare che salire al trono fosse una condanna, che ci fosse qualcosa di assai sgradevole nell'essere re, ma quel giorno era stato tanto sospirato e appariva troppo perfetto perché le sue remore la turbassero davvero. Thor aveva la sua famiglia a spalleggiarlo e aveva lei, avrebbe imparato ad essere un buon re e sarebbe certamente diventato un grande re, questo lei lo sapeva, se lo sentiva dentro, anche se aveva impiegato tempo a comprenderlo.
In prossimità della sala, Snotra si imbatté in Sif e i suoi tre compagni. Thor aveva voluto che loro fossero sui gradini del trono, accanto alla sua famiglia. Aveva rivolto a lei lo stesso invito, ma la donna aveva detto che preferiva guardare da lontano.
Lei era una donna matura, apparteneva al passato, quello era il momento della gioventù che accettava l'onere di scrivere il futuro di Asgard e quindi di tutti i Nove Regni.
Sarebbe rimasta in disparte, ma non avrebbe mai staccato gli occhi da Thor. Non lo aveva mai fatto, del resto, né con lui né con suo fratello.
«Dov'è Thor, lo avete visto?» chiese ai quattro guerrieri che si erano fermati a salutarla.
«No, lady Snotra. Cominciamo a pensare che se la sia data a gambe» rispose Fandral, sorridendo sornione.
«Non sarebbe così assurdo, avete visto quanta gente c'è?» gli fece eco Volstagg, lanciando un'occhiata stranita in direzione della sala del trono.
«Non era questo che voleva? Essere acclamato e adulato da tutta la città?». Sif finse un'aria di sopportazione.
Snotra scosse il capo, divertita. Era in piedi, in mezzo all'ampio corridoio, spostando il peso da un piede all'altro, come una bambina irrequieta e il tempo sembrava essersi cristallizzato nell'impazienza dell'attesa.
«Credo sia nell'anticamera, ad ogni modo» interloquì Hogun, con il suo consueto cipiglio serioso. Fandral aveva detto che si aspettava di vederlo sorridere almeno in quell'occasione, ma non era successo.
Certo, la giornata era ancora lunga. Molte cose potevano ancora accadere.
Sif si avvicinò alla donna e le strinse una mano attorno al braccio. Gli occhi verdi della bella asgardiana tradivano una gioia luminosa come le stelle.
«Il vostro posto era accanto a noi» mormorò la giovane guerriera. «E sono certa che Thor voglia vedervi: vi deve così tanto».
«E io devo tanto a lui e alla sua famiglia, ma parlare di debiti in simili circostanze mi sembra così sciocco».
Era sciocco, sì. Lei non aveva mai fatto nulla di più di quanto il suo cuore le aveva suggerito e in cambio aveva ricevuto altrettanto affetto, non erano cose sulle quali si poteva ragionare o far di conto.
Snotra fece una carezza sul braccio di Sif accanto a lei e sorrise ai Tre Guerrieri. «Raggiungete la sala del trono, io vado a vedere se trovo Thor... e Loki, qualcuno ha visto Loki?».
I quattro giovani si scambiarono una rapida occhiata e scossero il capo.
«È tutta la mattina che manca, ieri sera non era neppure al banchetto» osservò Hogun, inespressivo.
«Starà rimuginando su qualche modo di rovinare la festa» aggiunse Fandral, sarcastico.
Sì, Loki non amava feste e banchetti, vi partecipava per quel minimo che il suo rango e la buona educazione richiedevano, ma di certo tutti sapevano che non avrebbe davvero guastato la festa di Thor.
Il giorno prima Snotra lo aveva trovato in biblioteca, intento a leggere le Cronache della campagna di Jotunheim, redatte da Lord Alcuin. Quando aveva riconosciuto il volume che Loki teneva in grembo, aveva sussultato: il vento freddo di quella notte era ancora nei suoi pensieri a gridare accuse mai del tutto taciute o smentite. La voce dei suoi ricordi e delle sue colpe sembrò riacquistare potenza come non accadeva da molto tempo.
Loki aveva poi chiuso il libro e le aveva rivolto un mezzo sorriso cordiale. Avevano parlato dell'indomani, di quanto entrambi fossero felici per Thor, e Snotra aveva scorto negli occhi del principe cadetto un'euforia e un senso di attesa che non potevano non essere sinceri. Loki attendeva quel giorno con la stessa trepidazione con cui lo attendeva chiunque altro avesse a cuore Thor e questo era bastato a zittire l'eco dei ricordi scomodi e dei sensi di colpa di cui la donna non era mai riuscita a liberarsi.
Tutti erano felici. Il cuore della dea della saggezza non poteva desiderare altro.
Raggiunse l'anticamera, una delle gallerie laterali alla sala del trono, e fu investita da un servitore che camminava a grandi passi nervosi, allontanandosi dalla stanza.
«Oh, scusate lady Snotra, vi chiedo infinitamente scusa...» balbettò l'uomo, mortificato.
Lei gli rivolse un sorriso gentile, ma notò la sua aria alterata.
«Niente di grave... almeno credo» commentò, guardandolo con più attenzione e rendendosi conto di quanto apparisse spaventato.  
Il domestico annuì, e si allontanò stringendo sottobraccio un vassoio d'argento. Da lontano Snotra lo sentì mormorare qualcosa a proposito del fatto che odiava i serpenti.
Quella giornata doveva aver stravolto tutti, pensò la dea.
La galleria era in penombra, illuminata solo dal fuoco di un enorme braciere di pietra che lasciava le ombre addensarsi contro le tende alle pareti.
Sul fondo del colonnato, Snotra scorse Loki e Thor che parlavano a bassa voce, e di istinto si bloccò, dietro al basamento del braciere, pensando che non era il caso di intromettersi in quel loro momento privato.
Non riusciva a sentire cosa si stessero dicendo, ma vide che sorridevano.
Una guardia arrivò per portare al figlio di Odino il suo elmo. Thor se lo rigirò tra le mani con espressione tesa e abbassò lo sguardo, come se tutte le sue certezze avessero cominciato a vacillare sotto l'enorme eloquenza di ciò che stava per accadere.
Loki mormorò qualcosa, sorrise e Thor sorrise con lui, ritrovando il suo solito sguardo limpido ancora tanto simile a quello di un semplice ragazzo.
I due principi si voltarono l'uno in direzione dell'altro. C'era una dolcezza inattesa ora sul volto di Loki e Snotra sentì gli occhi pizzicarle di commozione.
Thor posò una mano sulla guancia del fratello. I due si scambiarono ancora qualche parola, poi si voltarono verso l'apertura che conduceva alla sala del trono e Snotra non riuscì più a scorgerne l'espressione. Loki si avviò davanti a Thor, il mantello verde drappeggiato sulle spalle; il figlio di Odino attese qualche secondo, in una posa rigida, il capo sollevato a scrutare il cielo che si vedeva oltre la balconata lontana.
Snotra si fece avanti e il principe si voltò, attirato dal rumore di passi. Lei gli sorrise, raggiante.
«Potrebbero cominciare senza di te, se seguiti ad esitare» lo canzonò.
Thor ridacchiò sommessamente e scosse il capo. Nella luce incerta della sala, la sua vecchia maestra ebbe persino l'impressione che lui fosse arrossito e che voleva cercare di nasconderlo, chinandosi a prenderle la mano e portandosela alle labbra per imprimervi un leggero bacio, un ossequio tanto formale quanto spontaneo.
«A te posso dirlo: ho visto la sala, là fuori è spaventoso» ammise alla fine il figlio di Odino. «Se fosse pieno di pentapalmi sarei più a mio agio».
«Puoi sempre immaginare che siano davvero tutti dei pentapalmi...»
«Qualche vecchio lord in effetti rassomiglia a un pentapalmo»
«Thor!».
Snotra rise e gli batté un buffetto sul braccio. Thor picchiettò le dita contro il fondo dell'elmo,
«Sarò re, Snotra... è bello. Ma mi fa impressione l'idea che la gente debba inginocchiarsi al mio cospetto» mormorò.
«La devozione della gente è qualcosa che un re deve sapersi guadagnare» rispose lei, togliendogli l'elmo dalle mani e sistemandoglielo sul capo. «Ora va' e rendimi fiera di inginocchiarmi al tuo cospetto, mio principe».
Thor annuì, sorridendo. «E tu resta dove posso vederti... che se dovessi esagerare è bene che la mia maestra mi faccia un cenno per ricondurmi all'ordine».
«Sì, immagino ce ne sarà bisogno! Vai, non è questo il giorno per far spazientire tuo padre».
Thor deglutì, ingoiando un mare di parole e l'ultimo scampolo di nervosismo, poi si voltò per raggiungere la sala del trono.
Snotra si affrettò a raggiungere un'altra entrata. Camminò rasente al muro, alle spalle della moltitudine radunatasi al cospetto di Odino. Scorse le figure in piedi sulle scale che portavano allo scranno reale, i volti dei quattro guerrieri e di Frigga e Loki atteggiati in un'espressione seria e solenne. Il re sedeva apparentemente tranquillo, scrutando con aria indecifrabile la folla di presenti.
La donna si sistemò accanto ai piedi della scalinata, di fianco ad una colonna, alle spalle di Volstagg che se ne stava impettito sul penultimo gradino.
Il boato che si alzò dalle centinaia di bocche sembrò vibrare fin dentro le fondamenta. Thor era lo sbuffo rosso del suo mantello dal lato opposto dell'immensa sala, piccole lame di luce si riflettevano sulla superficie color platino dell'elmo alato.
Snotra lo seguì con lo sguardo mentre percorreva ad ampie falcate la passerella, nessuna traccia di insicurezza o timore era leggibile sul suo viso, era rimasta solo la serenità di chi si appresta ad andare in contro al proprio destino, con un pizzico di boriosa incoscienza.
Thor fece volteggiare a mezz'aria il Mjolnir e le acclamazioni dei presenti esplosero in un ruggito di entusiasmo.
Snotra guardò davanti a sé e incontrò gli occhi di Loki. Ogni traccia della dolcezza e del calore che gli aveva animato lo sguardo mentre parlava con Thor poco prima era scomparsa, come se fosse l'ennesima maschera e come se quello fosse ora, finalmente, il suo vero volto. Un volto atteggiato in una rigida espressione di muta furia. In mezzo al frastuono delle grida di incitamento, a Snotra sembrò sentire un grido rabbioso che si alzava prepotente dalla testa di Loki, salendo dal fondo delle sue viscere.
Non poteva essere vero... Snotra pensò che era stata solo una sua impressione, perché un attimo dopo il volto di Loki tornò normale e imperscrutabile e lei non ebbe più tempo di pensare a lui perché fu assorbita da quello che stava accadendo attorno a loro.
Le acclamazioni cessarono di colpo e divennero una compita cascata di applausi quando Thor giunse ai piedi del trono, si inginocchiò al cospetto di Odino e si scoprì il capo ostentando un'umiltà non del tutto genuina, liberandosi dell'elmo. Il Padre degli dei si alzò e ogni rumore si spense di colpo; nel silenzio si udì distintamente il sordo tonfo metallico del Mjolnir che veniva appoggiato contro il pavimento.
Thor fece vagare per un attimo lo sguardo sui suoi amici, si soffermò un'istante a guardare Snotra alle spalle di Volstagg, poi spostò il capo in direzione di sua madre e le strizzò l'occhio. Frigga trattenne una risata e scosse impercettibilmente la testa per ricordagli di mantenere il giusto contegno.
Poi il Padre degli dei batté l'estremità della lancia sul pavimento e per un attimo l'intero universo parve fermarsi per ascoltare le sue parole.
«Thor, figlio di Odino, mio erede, mio primogenito...».
A Snotra non sfuggì il lieve tremore nella voce del re, la vibrazione dell'orgoglio e della gioia, di un affetto che il sovrano difficilmente manifestava in pubblico.
Il discorso di Odino fu lungo e solenne e lei quasi non riuscì a seguirlo per intero, perché la commozione le confondeva i pensieri. Lacrime le velarono gli occhi, rendendo la sala e l'ambiente attorno una macchia indistinta di dorato e ritagli di cielo.
«... giuri di sorvegliare i Nove Regni?» chiese infine il Padre degli dei, pronunciando la formula di rito.
«Lo giuro»
«E giuri di preservare la pace?»
«Lo giuro»
«E giuri di mettere da parte qualunque ambizione egoista e di prodigarti per il bene dei Regni?». Odino pronunciò quest'ultima richiesta con particolare enfasi, e con particolare enfasi Thor rispose.
«Lo giuro!» esclamò il dio del tuono quasi in un ruggito, sollevando il Mjolnir nel pugno.
«In questo giorno...». Odino riprese la formula. Ad ogni sua parola il cuore di Snotra batteva un po' più forte, ogni suo battito era un passo in più verso il futuro. «... io, Odino, Padre degli dei...».
Il cuore le era arrivato alla gola, tanto da farle mancare il respiro. La donna deglutì e inspirò profondamente. Tutte le sue emozioni le martellavano nelle tempie. Probabilmente, alla fine di quella cerimonia, si sarebbe sentita sfiancata come dopo una tremenda corsa, ma sarebbe stata una stanchezza piacevole.
Thor sembrava assorbire le parole di suo padre e illuminarsi sempre di più, come una stella che attira verso di sì l'energia dell'intera galassia.
«... ti proclamo...».
Sì, che l'esplodesse pure il cuore nel petto! Tutto era come doveva essere e lei era felice, la sua vita sarebbe potuta finire in quell'istante e non le sarebbe importato.
Ma il cuore di Snotra parve bloccarsi, si contrasse dolorosamente in un istante di silenzio troppo prolungato, l'istante di silenzio che avrebbe dovuto contenere l'ultima parola che separava Thor dal trono di Asgard.
Il sorriso del principe si spense, sfumando rapidamente in un'espressione attonita.
Quella parola non giunse mai. Ne giunsero altre, tremende e pronunciate con una visibile nota di sgomento nella voce di Odino.
«I giganti di ghiaccio» esclamò, deglutendo e serrando il pugno attorno all'asta della sua lancia. La lama di Gungnir emanò un riflesso plumbeo, lo stesso che sembrava passare nello sguardo del re.
Un brusio spaventato cominciò a serpeggiare tra la folla e parve come se si stesse innalzando un muro di paura, l'eco di un terrore antico fece vibrare l'aria. Snotra si sentì raggelare.
Il dorato della sala e il calore dei fuochi scomparve, risucchiato dalla violenza del ricordo. Con la sua mente, la donna era lì, nella pianura di Jotunheim, sotto la pioggia di cristalli di ghiaccio, le braccia strette attorno a un neonato che piangeva per la fame.
Indietreggiò, piegata dal peso di quelle emozioni tremende che troppo in fretta si erano sostituite alla gioia della cerimonia; indietreggiò fino a quando non andò a urtare contro il muro, vi appoggiò le spalle e tentò di calmarsi.
Guardò verso il trono. Si accorse che le guardie stavano facendo uscire i presenti, e sembrava un'impresa impossibile riuscire a sgombrare tutta quella folla, specie ora che cominciava a essere intontita dalla sorpresa e dalla paura. Sui gradini c'erano Thor e Loki, stretti attorno a Odino.
Loki era di spalle e Snotra non poté vederlo in viso.
Non era davvero importante, pensò, gli Jotun non sapevano di Loki e lui non sapeva di essere uno di loro. Lui non era uno di loro! Lei lo aveva portato via da quel mondo e dal suo gelo, tantissimo tempo fa!
«Lady Snotra!» esclamò Fandral con voce concitata, afferrandola per un braccio. «Abbiamo ricevuto ordine di scortare voi e la regina via di qui e di farvi da guardia».
Lei notò il balugino della lama che il guerriero aveva sfoderato, come se fosse un riflesso lontano di un lampo all'orizzonte. Odino e i suoi figli già non c'erano più.
«Non vi dovete preoccupare, lo Sterminatore avrà già provveduto agli intrusi, questa è solo una misura cautelativa» aggiunse Fandral, credendo forse che il suo sguardo smarrito fosse dovuto alla paura dei Giganti.
La dea della saggezza non disse niente e si lasciò condurre via senza neppure badare a dove stavano andando, trascinando meccanicamente un piede avanti all'altro nella direzione in cui il guerriero la pilotava. Solo quando si ritrovò chiusa in una stanza riccamente arredata, seduta di fronte a Frigga riuscì a riaversi.
«Non c'è nulla da temere, vero?» domandò la regina con un sospiro.
«No, mia signora» rispose lei, meccanicamente.
«Un'intrusione... con un tempismo odiosamente perfetto. Thor sarà furioso e deluso»
«La sua incoronazione è solo rimandata, immagino. Potremo continuare la cerimonia domani».
Frigga annuì e si passò una mano sul viso. «Naturalmente. Ma oggi sembrava tutto così perfetto».
Snotra stirò con i palmi delle mani le pieghe sul tessuto della gonna di broccato. Ora che ci faceva caso, sentiva anche male ai lobi delle orecchie per quei tremendi orecchini. Come l'era venuto in mente di indossarli?
La regina aveva ragione, l'intrusione dei giganti di ghiaccio aveva avuto davvero un pessimo tempismo, come se...
La donna sentì un groppo alla gola.
come se qualcuno l'avesse programmata.
Era un'idea sciocca. Se qualcuno avesse complottato un simile tradimento, Heimdall lo avrebbe scoperto, e nessuno può giungere su Asgard senza l'ausilio del Bifrost.
Snotra si massaggiò le tempie. Questo non era del tutto vero, lo sapeva, lei stessa aveva insegnato a Thor e a Loki...
Loki.
No. questo era sciocco e insensato. Loki poteva anche conoscere le vie che legavano Asgard agli altri mondi, ma di certo non possedeva l'energia oscura sufficiente ad aprirle. Il talento magico di Loki era vasto, ma non arrivava a tanto, se così fosse stato, lo avrebbero saputo. L'idea che lui avesse finto di essere meno potente di quanto era in realtà era stupida, oltre che estremamente macchinosa. A Loki piaceva veder riconosciuti i propri meriti, gli piaceva dar sfoggio delle sua abilità, e comunque, non aveva alcuna ragione per introdurre giganti di ghiaccio su Asgard.
Snotra si prese la testa tra le mani. Perché mai stava pensando a Loki in quei termini? Poteva aver nutrito dei dubbi su di lui, sul fatto che la sua rivalità con Thor lo avesse reso più maldisposto di quanto fosse opportuno, ma questo era ingiusto. Del resto, il più giovane dei due principi era un uomo adulto adesso, ed era ovvio ritenere che certi problemi si fossero risolti ormai naturalmente, con il tempo.
Il silenzio e l'inattività le parvero insopportabili in quel frangente, la confondevano, la portavano a farsi domande prive di logica. Quando la porta della stanza si aprì e comparve Sif con un mezzo sorriso incoraggiante, Snotra si sentì grata che fosse tutto finito.
«Gli intrusi sono stati eliminati» annunciò la guerriera. «Erano un numero assai esiguo, si erano introdotti nella cripta per rubare lo Scrigno degli Antichi Inverni, pare. Il pericolo è cessato, comunque».
Frigga annuì e ricambiò con gentilezza il sorriso di Sif. «Immagino che il re avrà bisogno di me, ora» disse congedandosi, e avviandosi frettolosamente fuori dalla stanza.
Snotra scambiò con Sif una lunga occhiata eloquente.
«Thor si starà strappando i capelli, come una femminuccia isterica» disse la bella asgardiana, tentando di dissimulare quanto le stava a cuore la situazione.
«Di certo è un peccato per tutto il vino che era stato fatto arrivare per i festeggiamenti. E per il banchetto...» osservò Volstagg, con estrema convinzione.
«Dobbiamo solo pazientare. Forse domani questa situazione sarà chiarita e Thor potrà essere incoronato» concluse Snotra. Salutò i quattro guerrieri e lasciò anche lei la stanza.

Ora il mal di testa era pressante, una massa di dolore al centro del cranio. Il pizzichio ai lobi delle orecchie era diventato troppo fastidioso e la dea della saggezza si tolse gli orecchini con un gesto brusco, reprimendo a stento l'impulso di lanciarli contro una colonna della galleria.
Dal fondo del corridoio, scorse Loki andarle in contro e ne fu quasi sollevata.
Stava andando da lei, voleva parlarle, aveva bisogno del suo sostegno forse, di certo voleva fare qualcosa di buono per quella spiacevole situazione che si era venuta a creare.
L'aria angustiata del principe fece sentire Snotra tremendamente in colpa per aver anche solo minimamente sospettato di lui.
«Thor ha... ha combinato un disastro! Io stento a crederlo!» esclamò Loki.
Snotra lo fissò basita. Sembrava davvero turbato per suo fratello.
«Ha fatto infuriare nostro padre» spiegò il principe, massaggiandosi la fronte. «E ora credo che lui non sia più tanto in animo di proclamarlo re. A volte mi chiedo cos'abbia in testa, mio fratello. Sa essere veramente stolto nel momento e nel modo meno opportuno!».
La donna spalancò la bocca in un'espressione stupita. Quelle parole le stavano facendo male: possibile che alla fine Thor si fosse rivelato così deludente?
«Loki, pensavo di averti insegnato molto tempo fa che è ingiusto inveire contro tuo fratello» osservò lei in tono bonario, cercando di alleggerire un po' la situazione.
«Sì, hai ragione... è che sono in pena per lui. Ha insistito con nostro padre per andare su Jotunheim e vendicarsi della sortita dei Giganti di Ghiaccio; Odino è andato su tutte le furie, hanno avuto una brutta discussione e io... davvero, questo giorno doveva essere perfetto e felice, e invece...».
Snotra posò una mano sulla spalla del giovane uomo. «Parlerò con Thor...»
«No, lo farò io» disse Loki, e parve quasi spaventato. Era giusto, naturale, che fosse turbato per la sorte di suo fratello e per la tensione tra lui e il re; come poteva essere altrimenti? Loki amava davvero Thor, di questo lei era certa.  
«Cosa ti preoccupa, caro?» gli chiese.
«Temo che possa fare una sciocchezza, contravvenire agli ordini di Padre e andare comunque su Jotunheim. Cosa pensi che accadrebbe, se succedesse una cosa simile?».
Lo sguardo di Loki era velato e pregno di impazienza.
«La punizione per chi disobbedisce agli ordini diretti del re è l'esilio, nella migliore delle ipotesi, lo sai bene» asserì Snotra.
Lui scosse il capo e si massaggiò la nuca. Non era da lui quell'atteggiamento così scomposto, e da tanto tempo sembrava aver sviluppato l'abilità di mostrarsi impermeabile a qualsiasi emozione, in molti dicevano che era troppo insensibile, quasi spietato, sempre pronto a godere delle disgrazie altrui. Ora Snotra poteva rendersi conto con sollievo che non era affatto così.
«Quindi non pensi che nostro padre adotterebbe misure più... drastiche?» domandò.
«L'esilio mi sembra abbastanza». Perché diamine ne stavano parlando?
«Sì... sì, è abbastanza». Loki mormorò a voce così bassa che sembrò solo un pensiero sfuggitogli per sbaglio dalla testa.
«Ma sono supposizioni sciocche» si affrettò a precisare la donna. «Thor non farebbe mai niente di tanto grave».
Il principe scosse il capo e mise insieme un sorriso cupo. «No, certo che no».
In quel momento si udì il rombo di un tuono in lontananza e il rumore della porta della sala del banchetto che veniva aperta di colpo. Il ruggito furioso di Thor risuonò per tutto il piano.
Loki e Snotra si scambiarono uno sguardo allarmato.
«Vado a parlargli!» esclamò frettolosamente il principe. La donna lo guardò allontanarsi, quasi correndo, verso la sala dove si sarebbero tenuti i festeggiamenti per l'incoronazione.
Chissà per quanto tempo quell'evento sarebbe stato ancora rimandato.  

Snotra tornò nelle proprie stanze e si cambiò d'abito, indossando qualcosa di più comodo. Pensò che quella sarebbe stata una lunga giornata e si rammaricò ancora una volta che non fosse più la giornata che tutti avevano atteso.
Sperò che prima o poi Thor venisse a parlare con lei.
«Verrà?...» domandò al proprio riflesso nello specchio davanti al quale era seduta.
Lo sperava davvero, ma sapeva che il principe ormai si riteneva al di là dei suoi consigli e sapeva anche che era naturale, che i suoi due giovani allievi non sarebbero rimasti né giovani né suoi allievi per sempre. Era una consapevolezza agrodolce, forse simile a quella che comincia a serpeggiare nei cuori delle madri il giorno in cui si accorgono che i figli non necessitano più di essere tenuti per mano.
«Arrivo tardi» disse ad alta voce, scambiando con se stessa un sorriso di autocommiserazione. «Quei due hanno smesso di tenermi per mano molto tempo fa...».
Eppure, ora che il tempo stava iniziando a chiedere il suo tributo al suo volto di donna, ancora una volta Snotra si ritrovò a pensare che non aveva alcun rimorso per la vita che aveva scelto. Se pure alcune sue azioni passate le avevano tolto il sonno molte notti e la tranquillità per molti giorni, non riteneva di doversi pentire di ciò che aveva scelto di diventare.
Era una questione sulla quale si era interrogata più volte nel corso dei lunghi anni che si erano rincorsi sotto il cielo della Patria Eterna. Ogni volta si era data sempre la stessa risposta, ed era qualcosa che almeno in parte poteva farla sentire in pace.
Qualcuno bussò alla sua porta, un'ancella entrò per avvisarla che c'era un messaggero per lei che l'attendeva al piano inferiore.
Snotra non aveva idea di chi potesse averle inviato un messaggio, né come mai qualcuno si fosse preso il disturbo di giungere a palazzo appositamente per lei in una simile giornata.

Il messaggero aveva tutta l'aria di essere un contadino, se ne stava in piedi, rigido e composto come se cercasse di occupare il minor spazio possibile, in fondo alla grande scala che saliva dall'atrio principale della casa di Odino, guardandosi attorno con aria frastornata e sorpresa.
Doveva venire da molto lontano se l'atmosfera della reggia lo aveva tanto colpito.
L'uomo fece un goffo inchino e si torse nervosamente le mani, schiarendosi la voce.
«Lady Snotra, ehm... io vengo da parte di vostro padre...» disse, sforzandosi di mantenere la voce ferma.
Certo. Veniva da veramente lontano, dunque. Le terre della famiglia di Snotra erano parecchio distanti dalla capitale, erano più che altro un piccolo appezzamento di campagna per una famiglia dal piccolo nome, seppure appartenente all'antica nobiltà fin dall'inizio dei tempi.
«È accaduto qualcosa di grave?» domandò la donna, preoccupata. Quella giornata non poteva che peggiorare, pensò, ma il suo interlocutore scosse la testa.
«No, signora. Giungo a portarvi una lieta notizia: vostro fratello convolerà a nozze a breve. La vostra famiglia richiede la vostra presenza»
«Oh. Quale dei miei fratelli?»
«Il primogenito maschio, naturalmente».
Naturalmente, certo. Nelle missive che suo padre le spediva regolarmente non veniva fatta alcuna menzione della cosa. Snotra sperò che non fosse un matrimonio arrangiato in tutta fretta per qualche astruso gioco di dote ed eredità o, peggio, per rimediare a qualche errore poco cavalleresco che suo fratello aveva potuto commettere.
La donna sospirò. Era sempre un piacere poter tornare a casa e riabbracciare la sua famiglia, anche se non viveva nella casa di suo padre da quando era poco più che fanciulla, da quando aveva cominciato la sua vita da studiosa, approdando a palazzo come allieva di Lord Alcuin. Ma non era sicura che quello fosse il momento migliore per lasciare la capitale.
«Dovrò chiedere al re il permesso di partire» disse. Stava per aggiungere che non era del tutto certa che Odino le avrebbe accordato il permesso di lasciare il palazzo, poi si ricordò che non aveva alcun ruolo nei disastri di quella giornata e che Thor aveva preferito scaricare la sua rabbia sulle suppellettili della sala del banchetto piuttosto che cercare il suo supporto e che sì, non toccava a lei farlo ragionare o sollevargli il morale, era un compito di cui si era – giustamente – fatto carico Loki e di sicuro un fratello vi avrebbe potuto adempiere meglio di una vecchia maestra.
Quando Snotra raggiunse il salotto privato del Padre degli dei e chiese alla guardia di turno di annunciarla al sovrano, si sentì persino in colpa al pensiero di dover disturbare Odino per una simile faccenda, in un tale frangente. E a lei i matrimoni neppure piacevano.
Dalla finestra vide l'azzurro del cielo di Asgard scurirsi appena per il passaggio di qualche nuvola portata dal vento. E poi, all'improvviso, il lampo di luce opalescente del Bifrost accendersi come un lampo foriero di tempesta.
Perché il Ponte dell'Arcobaleno era stato aperto? Forse che Thor aveva deciso di disobbedire a suo padre e recarsi su Jotunheim? No, era impossibile. Loki aveva detto che se ne sarebbe occupato e Loki era sempre capace di convincere Thor, in qualche maniera, a volte con un'abilità manipolatoria fin troppo acuta, ma il minore dei due fratelli era anche quello più posato e riflessivo, era normale che si adoperasse per far ragionare il primogenito.
Forse il passaggio era stato aperto per consentire a qualche ospite giunto per l'incoronazione di far ritorno a casa.
Quando le fu dato il permesso di entrare, Snotra trovò Odino seduto scomposto su una grande poltrona, il braccio mollemente a penzoloni oltre il bracciolo intarsiato, con la mano che reggeva una coppa di vino mezza vuota. La preoccupazione in lui ora era ben evidente, come se fosse stata dipinta in ogni ruga del suo nobile viso. Ma non era solo preoccupazione, era anche stanchezza, un senso di spossatezza che doveva venire da dentro.  
Il re era invecchiato davvero, pensò Snotra con una punta di malinconia.
«Lady Snotra, cosa posso fare per te?» domandò Odino con voce appena impastata, come se fino a un attimo prima fosse stato assopito.
«Mi duole disturbarvi per una simile facezia, maestà, ma è appena giunto a palazzo un messaggero da parte della mia famiglia» spiegò lei. In passato aveva creduto che quella di arrossire davanti al suo re fosse una cosa che non le sarebbe mai più capitata, ma si sbagliava. «Mio fratello, il primo figlio maschio di mio padre, si sposa ed è richiesta la mia presenza. Sono venuta a chiedervi il permesso di poter lasciare il palazzo».
Il Padre degli dei annuì, aggrottando le sopracciglia.
«Ma, mio signore, se ritenete che debba restare...».
Odino la zittì con un cenno e posò la coppa di vino sul tavolino accanto alla poltrona. «Vorrei che ci fosse qualcosa da fare, per mio figlio, intendo» borbottò. «Ma credo che, a me tanto quanto che a lui, non resti che attendere che metta più giudizio. È quel tipo di attesa che a un padre piace pensare abbia fine... io l'ho pensato con troppo ottimismo e troppo prematuramente».
Snotra si mosse il labbro e abbassò lo sguardo. Era certa di stare ancora arrossendo.
«Il principe Thor ha cuore, mio re, e non è stolto. Forse, semplicemente, le sue lezioni ancora non sono finite, ma non dovete rammaricarvi al pensiero di non avergli insegnato a sufficienza... o suppongo che quello debba essere un mio, di rammarico».
Odino accennò un sorriso e fece un vago gesto con la mano, come per invitare Snotra a cancellare quel pensiero.
«Mi dicevi che devi partire, per un... uhm, matrimonio. Sei libera di andare, naturalmente» concesse infine, con un cenno di assenso.
«Vi ringrazio, mio re».
Snotra accennò una riverenza e uscì dalla stanza. Mentre si allontanava lungo il corridoio, vide una guardia correre trafelata verso il salotto del re e picchiare frettolosamente alla porta.
La donna si bloccò, voltandosi a guardare la scena, chiedendosi cosa fosse successo ancora, ma il messaggero mandato da suo padre le si avvicinò timidamente.
«Dobbiamo partire prima che faccia sera, mia lady, altrimenti dovremo rimandare la partenza a domattina e non faremmo in tempo a giungere per le nozze» osservò.
«Come mai un matrimonio così precipitoso, si può sapere?».
L'uomo si torse di nuovo le mani, mortificato. «Non lo so, non mi è stato detto... sono solo un messaggero, signora...».
Snotra imprecò tra sé e sé e tornò nelle sue stanze dove un paio di ancelle l'aiutarono a preparare i bagagli.
Avrebbe voluto salutare Loki e Thor prima di lasciare il palazzo, ma quando chiese dove fossero nessuno seppe cosa rispondere e il tramonto cominciava a incombere nel cielo per cui non poté fare altro che salire sulla carrozza che il re le aveva fatto mettere a disposizione, assieme a una piccola scorta, e partire alla volta delle terre di suo padre.
Il sole stava calando all'orizzonte del mare, alla fine del Ponte dell'Arcobaleno e le ombre si stavano incupendo ai margini della strada.
Snotra si sporse dal finestrino della vettura per guardare il palazzo del re, già lontano, stagliarsi in fondo al sentiero e riflettere in tetri bagliori la luce del giorno che si andava spegnendo.
Quell'immagine le fece salire dal cuore alla testa strani pensieri, paure fumose e inafferrabili, senza volto né nome. Si lasciò cadere sul sedile, sentendo il cuore martellarle nel petto, provò a pensare che era solo colpa della tremenda giornata che aveva vissuto, delle troppe emozioni contrastanti che si erano susseguite troppo repentinamente. Arrivò quasi a convincersene, ma il suo cuore non volle saperne di riprendere un ritmo meno agitato.
Quando, due giorni dopo, Snotra giunse alla casa di suo padre scoprì che non c'era alcun matrimonio e quando si voltò per indicare il contadino messaggero che era venuto a prenderla, questo era sparito.  
E allora, la dea della saggezza comprese. E capì di essere stata stolta e cieca fino all'ultimo istante.






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Note:

Spero che la ripresa (il più preciso possibile) delle scene del film non vi abbia annoiato. La scena prima dell'incoronazione è la stessa che ho citato e linkato nel precedente capitolo.
Io, che sono fondamentalmente stupida, l'ho presa molto a cuore la cosa e ho tirato fuori questa
Sì, quando tutto questo sarà finito dovranno internarmi.

Naturalmente la storia non finisce così. C'è un epilogo tutto ambientato al “presente” a cui manca l'ultima pagina e che pubblicherò appena sopporterò l'idea di mettere il punto di conclusione a questa storia che, per varie ragioni, ho amato tantissimo scrivere e mi “pesa” l'idea che sia finita.
Intanto, grazie a tutti quelli che hanno letto e commentato **

Per domande, curiosità and so on: Profilo Ask

Il brano da cui è tratta la citazione è Nella mia ora di libertà.

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Prima di lasciarvi all'epilogo, devo assolutamente mostrarvi il regalo che ho ricevuto da Callie_Stephanides, un TRAILER stupendo di Una goccia di splendore, troppo geniale e troppo bello per non essere condiviso. Colgo l'occasione per ringraziarla ancora una volta per questa sorpresona **

E colgo anche l'occasione per ringraziare Lady Loki76 per aver segnalato la storia per l'inserimento tra le scelte.



Epilogo


Il processo aveva avuto fine.
Loki era stato condotto al cospetto del re. Condotto non era proprio il termine adatto: era entrato nella sala del trono sulle sue gambe, lo sguardo sollevato, altezzoso, il volto pallido e segnato ma impassibile, quasi calmo.
La sua figura sembrava aver assorbito ogni briciola di rumore e nel silenzio gelido che era calato nella sala, si era potuto udire distintamente il tintinnio ritmico delle catene ai polsi del principe caduto. C'era persino qualcosa di lugubre in quella scena.
Odino aveva parlato. Per tutto il tempo il volto di Loki non era stato attraversato da nessuna emozione. Il re gli aveva chiesto cosa avesse da dire, la risposta dell'imputato era stato il più totale e freddo silenzio. La folla radunata sembrava incapace anche solo di respirare.
Se il piano di Loki era quello di far spazientire il Padre degli dei, poteva dirsi riuscito. Odino non aveva avuto alcuna reazione particolare, ma Snotra aveva sentito la rabbia sgomenta e rassegnata vibrare con sempre maggiore intensità nella sua voce.
Non occorreva il dono della preveggenza per indovinare il verdetto.
Odino disse che la sentenza non sarebbe stata ancora pronunciata perché i crimini di Loki erano tali e tanti che stabilire una punizione adeguata era un'impresa straordinariamente difficile.
L'esilio era una soluzione impraticabile.
La morte era una soluzione troppo semplice.
Snotra aveva guardato Loki lasciare la sala; le guardie che lo scortavano si trattenevano dal toccarlo, come se scottasse, i volti dei presenti erano tutti tesi, preoccupati, e lei, ancora una volta aveva paura per lui e non di lui, proprio come quella volta, quando era giunta nelle terre della sua famiglia e aveva scoperto che quello del messaggero giunto con la notizia del matrimonio era stato tutto un inganno, anzi, solo una piccola parte di un inganno ancora più grande.
Era tornata di corsa al palazzo, senza avere alcuna risposta da dare alle richieste di spiegazioni di suo padre e dei suoi fratelli.
Sapeva cosa stava per accadere, cosa forse era già accaduto. Aveva cavalcato ininterrottamente, ignorando il dolore del suo corpo disabituato a un simile sforzo ed era già alle porte della capitale quando aveva sentito il boato, la luce dell'esplosione che aveva fatto impallidire il cielo.
Quando finalmente era arrivata al palazzo di Odino tutto era già finito. Loki non c'era più, e lei lo aveva pianto chiedendosi se il principe che aveva tanto amato fosse mai esistito davvero.
Di tutti i suoi ricordi, quello era il più confuso. Non ne aveva un'immagine precisa conservata in memoria, tutto ciò che ricordava era l'enorme bolla di luce sprigionatasi dal Bifrost mandato in pezzi e il silenzio totale che era seguito sotto le stelle di Asgard e nei suoi pensieri per molti giorni a venire.
Quel silenzio assomigliava a quello che ora riempiva la sala, proprio come quella volta, era ciò che Loki si era lasciato alle spalle, andandosene.
Snotra vide il prigioniero sparire dietro gli enormi battenti dorati e guardò verso il rialzo dove era sistemato il trono. Thor si stava occupando di portare via la regina che si aggrappava al suo braccio come se non avesse nient'altro al mondo; Odino era in piedi, davanti al seggio regale, le dita serrate al manico di Gungnir tanto forte da far sbiancare le nocche e uno sguardo velato rivolto a... a lei. Il re la stava guardando con insistenza, quasi come se fosse dimentico della fola radunata nella sala.
Quando Odino si voltò per lasciare il luogo dove era avvenuto il processo, fece un impercettibile segno alla volta di Snotra e lei capì che voleva vederla.
Mentre raggiungeva la saletta privata che Odino teneva per sé, la donna si domandò cosa altro avesse da chiederle, cosa altro si aspettava che potesse fare. Fu un pensiero rabbioso, pieno di sorda disperazione. La bocca le si riempì di amaro al pensiero che forse era normale che fosse così, lei c'era stata all'inizio, era giusto che ci fosse anche alla fine.
Entrò nella stanza senza farsi annunciare, sapeva che non ce n'era bisogno.
Trovò Odino in piedi, sul balcone. Ora le sembrava più piccolo, stagliato immobile contro la città che splendeva nel sole di quella mattina. Il riverbero d'oro e stelle sulle facciate degli edifici aveva un riflesso freddo, crudele.
Questa è Asgard, luce e oblio e silenzio. Aggrappata al suo stesso essere, senza possibilità di resa.
Snotra si fermò sulla soglia del terrazzo.
Il re cominciò a parlare con una voce che sembrava lontanissima.
«Sono andato lontano, stanotte» esordì. «Ho usato il potere del Tesseract per giungere dove nessuno si spinge mai: fino alle radici di Yggdrasil, dove dimorano le Norne. Le ho interrogate, su noi e su Loki...».
«Mio re...». Snotra deglutì. La paura non le era estranea, ma non ne aveva mai provata tanta come in quel momento. Non era certa di voler ascoltare cosa avesse da dire Odino, ma non poteva tirarsi indietro.
«Le tre vegliarde mi hanno detto cose tremende, dopo tutta la fatica che ho fatto per convincerle a rivelarmi qualche stralcio di futuro. Questa non è la fine di Loki, lui ha un destino da compiere e qualsiasi decisione io prenda ciò non può cambiare».
È per questo che conoscere il futuro è così orribile, credeva Snotra: abbandonarsi all'idea che è tutto scritto significa deporre le armi e attendere che il tempo consumi noi, o i nostri nemici, o ciò che amiamo senza provare a lottare, senza assumersi la responsabilità di scegliere. Ma l'animo degli individui è fatto per la battaglia, per questo le storie di Asgard erano sempre state storie di guerra, per rammentare agli dei, nella loro scintillante immortalità, che non conta ciò che è scritto, ma ciò che ognuno sceglie di vivere, il modo in cui decide di agire, in attesa che il destino si compia.
Le storie degli umani invece erano storie d'amore perché loro sanno resistere al fato meglio degli dei, perché la loro vita effimera li rende affamati e li rende bisognosi di combattere per qualcosa che vada al di là della guerra in sé per sé.
Gli umani cercano un senso. Gli dei hanno la presunzione di conoscerlo già.
Snotra aveva sempre disprezzato l'idea di conoscere il destino, la trovava una cosa da deboli e da codardi, ma capiva la necessità che aveva spinto Odino a interrogare le Norne.
«Quale destino spetta a Loki, mio re?» domandò.
«L'oscurità. Egli sarà il Male, ciò contro cui noi dovremmo sempre lottare, ciò che in tutti i Nove Regni ognuno dovrà sempre temere... la pace che ho tanto anelato non può esistere, lady Snotra, sarebbe un universo privo di equilibrio. Loki deve fare ciò che è nato per fare: portare caos, renderci infelici...»
«... ed essere infelice a sua volta» concluse la donna, cupa.
«Qualsiasi prigione io possa costruirgli attorno, riuscirà a violarla e a liberarsi. Qualsiasi catena io gli imponga prima o poi radunerà la rabbia sufficiente a spezzarla e con quella rabbia progetterà nuovi inganni e nuovi tradimenti» aggiunse Odino.
Snotra scosse il capo. «C'è del buono in Loki, mio re, l'ho avuto davanti tutta la vita...».
«Oh certo, Loki ha un cuore e conosce l'amore, altrimenti non sarebbe in grado di provare sentimenti così totali e devastanti».
«Perché state dicendo a me tutte queste cose, mio signore?».
Odino aprì la bocca, come per parlare, ma dalle sue labbra schiuse non emerse alcun suono. Restò a fissare la sua interlocutrice con uno sguardo pieno di amara tenerezza e lei non capì se provava pena e affetto per lei, per ciò che l'aveva costretta ad ascoltare, o se, dopo tutto quel tempo, era il suo modo di chiederle scusa, di essere pentito per non averla ascoltata tanto tempo prima.
«Perché voglio che tu sappia che, qualsiasi cosa accada, non hai alcuna colpa. Il destino di Loki era già scritto» asserì il Padre degli dei, ma la donna capì che c'era dell'altro, qualcosa che non le diceva. «E comunque vada, sappi che mi rincresce».
Snotra sentì quelle parole bruciarle dentro. Annuì, trattenendo un gemito di pena e angoscia e si inchinò rigidamente prima di voltarsi e lasciare la stanza.

Quello che le aveva detto Odino l'aveva fatta pensare.
Snotra si ritrovò seduta al davanzale della sua finestra a chiedersi come fosse possibile ciò che le Norne avevano predetto. L'anima di Loki era irrimediabilmente compromessa, ma lei era certa che il male assoluto fosse un'altra cosa.
Più ci pensava e più tutto il malessere e la disperazione si attenuavano, la morsa dentro al suo petto si allentava a lasciare qualche spiraglio di speranza uscire a far luce.
Il destino che le Norne avevano stabilito per Loki era troppo enorme per avverarsi. Doveva di sicuro esserci qualcosa che non tornava, del resto lei lo sapeva che le tre streghe non parlavano mai con chiarezza, non svelavano mai del tutto i segreti che il tempo tesseva sotto le stelle.
Forse, semplicemente, le Norne avevano taciuto una cosa tanto logica che non era neppure necessario menzionare: Loki poteva essere salvato, perché il cuore che aveva non lo rendeva solo capace di provare un odio così definitivo e una rabbia così cieca, ma preservava anche tutto quello che di buono c'era mai stato in lui.
Si prese la testa tra le mani, i suoi pensieri scivolavano via con così tanta fretta da bruciare, come le dita di qualcuno che precipita stretto ad una corda.
Precipitare...
Per un attimo Snotra sentì il grido di Loki aprirsi come una ferita nella sua testa, lo vide cadere nel buio insieme ai frammenti del Bifrost appena distrutto.
Thor le aveva detto, sconvolto e impietrito, che suo fratello non aveva urlato quando aveva lasciato andare la presa.
Quando Loki aveva intessuto la trama del suo primo tradimento, l'aveva fatta allontanare dal palazzo con l'inganno, forse perché pensava che lei potesse svelare i suoi piani, forse perché gli sarebbe mancato il coraggio di andare fino in fondo sentendo su di sé lo sguardo della sua maestra. E questo voleva dire che Loki non solo aveva un cuore, ma aveva anche una coscienza.
Quella volta lei non c'era e non aveva potuto fermarlo. Adesso... adesso era lì, e lui era ancora capace di parlarle, di sedersi accanto a lei e smettere di mentire almeno per qualche minuto.
Finché c'era lei, Loki non sarebbe mai stato perduto.
Se ci fosse stata lei, non sarebbe mai caduto da quel ponte!
Erano pensieri gonfi di un orgoglio e di una caparbietà tipici di un cuore troppo vecchio, forse, la presunzione di poter risolvere tutto è qualcosa che appartiene solo a chi pensa di aver vissuto tanto a lungo da conoscere i dettagli di ogni ombra.
Erano pensieri disperati, ma Snotra si disse che ciò che aveva imparato a conoscere, ciò che ricordava e ciò che poteva fare con il suo cuore e con le sue parole era tutto quanto avesse come arma, e che quella era la sua battaglia perché quello era l'amore più importante che avesse avuto.
Perché quella era stata la promessa della sua gioventù come un matrimonio o come il voto di una sacerdotessa.

Attese la notte, o fu la notte ad attendere lei.
Stavolta le parve che il buio fosse meno fitto, mentre scendeva le scale che portavano ai sotterranei.  
Il cuore di Snotra traboccava di speranza, dell'entusiasmo che accompagna le novità, anche se non c'era niente di nuovo in quello che si era proposta di fare. Voleva salvare Loki, strappargli il male dal cuore, parola dopo parola, giorno dopo giorno, verità dopo verità. Non importava quanto tempo ci avrebbe impiegato, quanto veleno le sarebbe toccato mandare giù.
All'ingresso del corridoio delle prigioni non c'era nessuna guardia. Questo era strano, pensò la donna. Quando provò a chiamare qualcuno e le rispose solo la sua eco attutita, cominciò a pensare che fosse preoccupante.
L'ansia aveva dita gelide che afferravano da dentro e irrigidivano i muscoli e il cuore, tanto da rendere ogni battito un po' più doloroso.
Snotra si stropicciò il viso e sentì il freddo sulle sue guance come se stesse accarezzando carne morta.
La prigione di Loki era vuota.
Che lo avessero spostato? Che Odino avesse scelto un luogo dove rinchiuderlo per fargli scontare la sua pena?
Il dubbio cominciò a gettare ombre sulla speranza. Di nuovo.
Era sempre stato il suo più grande errore, limitarsi a vedere solo ciò che voleva vedere, ciò che la faceva stare in pace o che almeno attutisse l'eco del vento gelido che la inseguiva in tutti i suoi incubi.
Snotra si aggrappò a quel che restava della speranza. Era ciò che aveva sempre fatto, ora se ne rendeva conto, e lo aveva fatto per così tanto tempo che non poteva comportarsi altrimenti.
Un comportamento inappropriato alla dea della saggezza. Non importa...
Titoli e riconoscimenti non le interessavano più, sarebbe stata ben lieta di sacrificare tutto il suo buon senso pur di mantenere accesa quella speranza. Avrebbe ravvivato quel fuoco fino a quando tutto il giacchio non fosse stato sciolto dagli occhi di Loki. Era la sua promessa ed era ancora in tempo per mantenerla.
Si voltò e salì di corsa le scale. Raggiunse l'atrio del palazzo con il respiro affannato e una goccia di sudore che colava dalla tempia come una lacrima.
Il portone si aprì di colpo lasciando entrare una folata di aria notturna e il nitrito dei cavalli che le guardie stavano radunando.
«Svegliate il Padre degli dei!» tuonò un ufficiale. «Allertate tutti, il prigioniero è scappato, dev'essere fuggito a cavallo!».
Nessuno fece caso a lei, Snotra era poco più di un'ombra appoggiata con le spalle a una colonna alta come una montagna.
Fissò il frenetico via vai di soldati, il baluginio delle loro armi e il frusciare dei loro mantelli. In pochi minuti, l'atrio si riempì di guardie e la servitù fu chiamata per accendere i fuochi nei bracieri.
I cavalli partirono al galoppo sulle tracce del fuggitivo.
Stava succedendo tutto ad una velocità folle.
Snotra sentì un violento senso di nausea e la stanza le vorticò attorno. Pensò a Loki da solo nella notte, braccato dai soldati. Come sperava di potersi nascondere?
Loki. Da solo.
La donna alzò di istinto lo sguardo verso la grande scalinata che portava ai piani superiori. C'era un solo posto in cui Loki si sarebbe sentito nascosto e al riparo, e lui era astuto, tanto da sapere che scappare a cavallo era un'opzione impraticabile, lo avrebbero seguito e lo avrebbero raggiunto, lo avrebbero trovato sempre e lui sarebbe stato ancora una volta solo contro tutti.
Nessuno però avrebbe pensato che il prigioniero poteva essere ancora lì, dentro al palazzo, magari ad attendere che le guardie fossero abbastanza lontane e impegnate a cercarlo altrove per poi sparire davvero.
Snotra avrebbe chiamato le guardie, doveva farlo, doveva portarle da Loki e permettere che lo riportassero in cella. Ma non adesso.
Sgusciò via senza che nessuno la notasse. Man mano che saliva le scale, il trambusto proveniente dall'atrio si attutiva ma più il silenzio aumentava più i suoi pensieri si facevano nebbiosi.
Raggiunse il piano dove si trovava la biblioteca.
Nel buio, gli scaffali sembravano muri neri che spuntavano dal nulla, come alberi in mezzo alla nebbia.
La donna avanzò con cautela tra i libri ammucchiati sul pavimento che attendevano di essere risistemati. Scorse Loki in piedi alla finestra, che scrutava il cortile con sguardo privo di emozione.
Lei era certa che l'avesse sentita arrivare – nessuno riusciva mai a prenderlo alle spalle – ma non si mosse fino a quando non gli si piazzò di fronte.  
«Qual è il piano?» gli chiese, semplicemente.
Loki si strinse nelle spalle. La donna si accorse solo in quel momento di quanto gli fossero cresciuti i capelli e si ricordò degli abiti smessi che aveva quella mattina durante il processo... qualcosa non tornava.
«Appena avranno smesso di agitarsi come formiche, raggiungerò il Tesseract, non posso portarlo con me, ma posso sempre usarlo per lasciare questo dannato posto» disse lui, incrociando le braccia sul petto.
«Non te lo lascerò fare» replicò Snotra.
Ma in quel momento vide, nella fioca luce che filtrava da fuori, lo scintillio di una placca dorata sul petto del suo interlocutore. Loki indossava di nuovo i suoi abiti consueti, le insegne del suo rango, e questo significava che non era più privo di poteri.
Com'è possibile?
Le parole di Odino le risuonarono nella mente.
«Qualsiasi prigione io possa costruirgli attorno, riuscirà a violarla e a liberarsi».
Il destino che lei aveva tanto temuto per Loki si stava dunque avverando?
«Non te lo lascerò fare» ripeté, allungano una mano ad afferrargli il braccio.
Sentì Loki muoversi piano e prenderle la mano, non era più freddo, ma lei sì. Il palmo del principe chiuso attorno alle sue dita sembrava scottare.
«Ancora non capisci, Snotra?» mormorò. «Quello che vuoi non ha alcuna rilevanza. Neppure quello che voglio io ce l'ha»
«Davvero? Che cosa vorresti?»
«Salvarmi»
«Ma tu sei salvo, Loki! Sei a casa, può ancora tornare tutto come prima... può...».
Il principe le lasciò andare la mano e le premette quel palmo sulla bocca.
«Sta' zitta! Mi sono spinto troppo oltre... è così che deve essere, ora lo so, è così che è sempre stato. È ciò che mi ha salvato allora, dalla morte su Jotunheim: non fu Odino con la sua pomposa misericordia, fu il fato che aveva progetti per me»
«Il tuo futuro non deve essere questo!» gridò lei, liberandosi dalla stretta del dio dell'inganno. Immaginava le Norne ridere nel loro buio con bocche sdentate e raggrinzite. «Questo è solo ciò che tu stai scegliendo, ora, in questo preciso momento ed è la scelta sbagliata».
Snotra sentì il sorriso di Loki, non lo vide ma lo sentì: una curva crudele che faceva diventare il suo bel viso una maschera spaventosa. Vide quel viso chinarsi sul suo fino ad essere visibile nel sottile raggio di luna che entrava dalla finestra e il sorriso scomparire, lasciare il posto a un'espressione triste.
Loki le baciò la fronte, trattenne le labbra premute sulla sua pelle per qualche lungo secondo.
«Meritavi una vita più felice...» soffiò contro la sua tempia.
Snotra non capì subito, ma all'improvviso sentì le mani del principe attorno al suo viso farsi davvero incandescenti.
Loki, non farlo...
Il pensiero spazzato via da un calore insopportabile e poi da un freddo tremendo.
Dolore e confusione.
Snotra si sentì sbalzare in aria e urtare violentemente contro il muro. L'ultima cosa che sentì fu il sentore del sangue dentro la bocca quando ricadde sul pavimento, poi la penombra della biblioteca si sommò al buio più totale e lei perse i sensi.

La donna riemerse lentamente dall'incoscienza. Le sembrò che il mondo attorno a lei vibrasse come un giunco mosso dal vento, che tremasse nella brezza prima di tornare diritto e stabile.
Per un istante si concesse l'idea di aver sognato, poi dal buio affiorarono le sagome squadrate degli scaffali della biblioteca e lei sentì il pavimento freddo e duro sotto di sé.
Quanto tempo era rimasta lì a terra? Cosa era accaduto nel frattempo?
Tese le orecchie ma c'era solo silenzio. E nel silenzio la voce di Odino che ripeteva ciò che gli avevano detto le Norne; pensieri troppo grandi per essere zittiti dalla sua testa dolorante per l'impatto.
Era stato Loki a farle questo, si disse tastandosi la testa dove gli doleva maggiormente.
Loki la conosceva, sapeva che non lo avrebbe mai lasciato andare. Loki pensava che lei non potesse salvarlo... forse perché era vero. Ma se non poteva salvarlo, poteva almeno provare a fermarlo, impedirgli di lasciare Asgard per diventare il mostro che le Norne avevano predetto.
Snotra si rimise in piedi e corse barcollando fuori dalla biblioteca. Le mura dorate e le sete dei tendaggi vorticavano ancora sotto la sua vista, ma lei seguitava a mettere in fila i passi, sempre più in fretta sorretta dal peso immane di quella promessa fatta sulla culla al cospetto di due bambini in fasce.
La promessa. Ancora quella promessa. Sempre.
Il Tessercat... Loki aveva detto che voleva usarlo per lasciare il palazzo.
La preziosissima gemma si trovava in una delle torri del palazzo, pronta all'uso per viaggiare nell'universo. Thor aveva detto che gli sarebbe servita per tornare su Midgard nel caso in cui i suoi compagni difensori del pianeta avrebbero avuto bisogno del suo aiuto e che l'avrebbe usata per riabbracciare la mortale di cui si era innamorato, non appena a palazzo – e nel suo cuore – fosse tornata la tranquillità.
Era quello che Thor meritava: la pace che duramente aveva imparato ad apprezzare e a rispettare. Era quello che tutti meritavano.
Salire le scale della torre le sembrò come arrampicarsi sul fianco di una montagna. Mentre arrancava lungo i gradini, Snotra pensò che stava certamente facendo una sciocchezza a dirigersi lì da sola, ma quando aveva ripreso i sensi in biblioteca non sapeva quanto tempo aveva passato da svenuta ed era preoccupata che se si fosse messa a cercare qualcuno sarebbe stato troppo tardi. Metà delle guardie di palazzo dovevano essere fuori a cercare Loki, probabilmente con loro c'erano anche Odino e Thor, e i quattro guerrieri.
Le strade di Asgard dovevano ardere di rabbia e paura sotto il cielo nero pece di quella notte senza fine.
Snotra raggiunse la cima della torre. Davanti alla porta della sala che ospitava il Tesseract c'era una guardia riversa sul pavimento. Le si gelò il sangue a quella vista.
Si chinò sul soldato e gli tastò il collo, sotto la punta delle dita sentì il battito delle sue pulsazioni e tirò un sospiro di sollievo, poi si rimise in piedi e aprì la porta della sala.
All'interno la stanza era di forma circolare, seguiva perfettamente il perimetro delle torri della casa di Odino e alle pareti c'erano finestre lunghe e sottili, fessure prive di imposte che affacciavano sulla via principale della città sprofondata nel silenzio dell'abbraccio notturno.
Al centro della sala c'era una bassa colonna di marmo bianchissimo e lucido. Il Tessercat splendeva  in cima alla colonna, emanando un bagliore azzurrino che si mescolava alle venature del marmo.
Nella luce di poche candele lasciate accese accanto alle pareti, la bolla di luce che si sprigionava dalla gemma sembrava gelida ma grande come un incendio.
Loki era in piedi davanti alla colonna.
Snotra pensò che se avesse aperto un varco usando quello straordinario cubo, lei avrebbe potuto lanciarsi alle sue spalle.
«Loki, ti prego, ascoltami».
Il principe restò immobile come una statua, i suoi occhi freddi e distanti.
«Non posso credere che tu abbia dimenticato tutti gli anni trascorsi in questa casa, non posso credere che tutto quello che resta nei tuoi ricordi sia infelicità... io sono stata felice di averti avuto nella mia vita, di essermi potuta occupare di te, di averti voluto bene. Questo non conta niente per te?».
Ancora una volta, la sola risposta che Snotra ottenne fu silenzio e immobilità. Loki sembrava sbiadito nel riverbero di luce azzurra che emanava dal Tesseract, non sembrava neppure che respirasse.
La donna mosse un passo verso di lui e fece per allungare la mano. E capì.
Quello non era Loki, era solo un inganno. Lui doveva aver sentito i passi avvicinarsi e pensando che si trattasse di una guardia era ricorso a quel trucco.
Quando la donna si guardò attorno per cercare con attenzione dietro gli arazzi che pendevano dal soffitto fino al pavimento sentì un suono attutito di passi dietro di sé, il cuore le si contrasse in un singulto di spavento e si voltò di colpo.
Fece un tempo a vedere la guardia alle sue spalle, reggersi malferma sulle gambe e impugnare la lancia. Fece in tempo a vedere l'ombra emergere dall'arazzo e il baluginio di una lama piccola e argentata: i pugnali dal manico di ossidiana che Odino aveva donato a Loki molto tempo prima; li aveva ancora, sapeva certamente ancora usarli con estrema maestria.
Il volto velato di sudore della guardia si fece teso e il soldato allungò una mano verso la donna, spingendola di lato per gettarla in terra.
Snotra barcollò di lato, ma la spinta della guardia ancora provata non era stata abbastanza forte e lei non cadde, puntò i piedi sul pavimento e tornò diritta, il volto contratto del soldato davanti a sé, l'ombra e la lama alle sue spalle.
Una lama rivolta altrove secondo un calcolo sbagliato che prevedeva che lei fosse sul pavimento subito dopo il lancio.
Una lama talmente affilata da non fare neppure male mentre le affondava tra le scapole. Tanto che quando Snotra sentì la voce di Loki urlare neppure capì perché.
I secondi si dilatarono nel silenzio perfetto che precede il tuono.
Snotra si vide come in un sogno cadere di fianco sul pavimento e sopra di sé vide l'aria incresparsi per una potente vibrazione di energia che colpì la guardia in pieno petto e la fece volare con violenza fuori dalla stanza. Tutto scorse a rallentatore e i suoni si fecero ovattati, suoni di passi rapidi che si avvicinavano.
Snotra vide Loki chinarsi a terra accanto a lei nel momento in cui sentì qualcosa di caldo colarle sulla schiena e solo allora diventò consapevole della lama affondata tra le sue spalle.
Loki cadde sulle ginocchia.
«No!» ringhiò con gli occhi azzurri velati di sconcerto. Era uno sconcerto sincero, era un dolore umano e, in un certo senso stupendo. Ora non c'era alcuna maschera sul suo bellissimo viso.
Ora il dolore si era trasformato in una scia di freddo che aveva preso a serpeggiarle dalla ferita fin dentro le viscere. Loki le sollevò con cautela la testa e se la poggiò sulla coscia.
«No... io, non volevo questo... non tu!».
«Loki...». Snotra cercò di parlare, ma il freddo le congelava le parole e i respiri in gola e il calore dell'affetto a stento riusciva a sciogliere quel ghiaccio che ora aveva il sapore del sangue contro la sua lingua.

«Di cosa parlano le nostre storie, lady Snotra?»
«Parlano di guerra»...

Avrebbe voluto stringere con più forza le dita attorno alla mano di Loki che ora era posata sulla sua guancia.
«Loki... perdonami...».
La bocca del principe si mosse tentando di afferrare parole che il dolore cercava di strappargli via.
«No, tu perdonami. Non volevo questo... non doveva accadere... io...».
Sorridere tristemente al suo adorato giovane principe almeno non richiedeva troppo sforzo. Le immagini cominciavano a sbiadire attorno a lei, ma gli occhi del ragazzo brillavano dietro la cortina di lacrime.
Quelle lacrime erano come il suo tocco sulla pelle congestionata di lui neonato, condotto da Odino nella sua tenda; lì dove posava le mani, il blu freddo degli Jotun spariva e lasciava il posto a una carnagione rosa e perfetta. Allo stesso modo, quelle lacrime disfacevano il gelo che anno dopo anno, eternità dopo eternità, Loki aveva addensato dentro di sé e nei suoi occhi.
«Avevo promesso... non ce l'ho fatta... però tu...».
Due lacrime, da due occhi diversi. Caddero sul pavimento quasi nello stesso punto.

«E le storie di Midgard, sono diverse?»

«Spesso parlano d'amore».

Snotra sentì il cuore rallentare e le sembrò strano, con tutto l'affetto che aveva portato dentro, che ancora portava avrebbe dovuto essere un meccanismo inattaccabile. Ebbe paura, non della sua morte, ma dell'idea che ciò che restava della coscienza di Loki morisse con lei, con l'ultimo battito.
Ora lo sentiva, in mezzo al gelo che le precludeva ogni altra sensazione, sentiva il sangue scorrere via, ma non lavava dalla sua anima la speranza.
«... tu combatti, perché io ti ho sempre amato».

L'amore e la speranza non sono emozioni sagge, sono quanto di più folle e sconsiderato esista.
Eppure morire con l'amore sulle labbra e la speranza tra le dita sembrò una bella morte alla dea della saggezza.


"E l'anima d'improvviso prese il volo
ma non mi sento di sognare con loro,
no, non mi riesce di sognare con loro."




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Note:

Che dire? La stesura di questa storia, per quanto sia stata frammentaria e incostante, mi ha preso moltissimo e alla fine mi ha svuotata. Thor e Loki sono personaggi che amo molto, entrambi... un po' come Snotra, li amo della stessa quantità di amore, ma per motivi differenti. Tra i due film che abbiamo visto e quello che arriverà, ci sono molte idee che mi si sono accese in testa, tante cose da dire sui due principi di Asgard, e con questa storia più che altro ho voluto fare un po' il punto.

Snotra. Parliamone... non è scontato che io ami i miei OC, ma Snotra l'ho davvero adorata tanto da commuovermi io stessa per la sua morte che non ho potuto evitare perché la sua vita finiva lì, lei lo aveva già capito. Non che volessi farle fare l'eroina ma le parole di Odino sono state per lei la goccia che fa traboccare un vaso stracolmo.

Eppure non è detto che io non scriva più di lei in futuro, che non ci siano altri ricordi da raccontare o che non verrà citata in altri racconti. Ma l'arco narrativo di Una goccia di splendore finisce qui, perché questa è la sua storia e io amato scriverla... di solito mi diverto a scrivere, questa volta il divertimento è un concetto riduttivo, ho davvero amato raccontare tutto questo.

La citazione finale è dal brano Un malato di cuore.

Per tutto il resto... grazie di cuore a chi ha letto, commento, seguito, preferito. E pazientato, soprattutto, visto il ritmo irregolare e a volte tremendo degli aggiornamenti.

Alla prossima lettura :)

Luciana

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