Perché il matrimonio è una cosa seria, Weasley! di Lady Rea (/viewuser.php?uid=282003)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un buon motivo per sposare Pansy Parkinson ***
Capitolo 2: *** Uscita di Sicurezza ***
Capitolo 3: *** Il Famoso Momento Giusto ***
Capitolo 1 *** Un buon motivo per sposare Pansy Parkinson ***
Perché il matrimonio
è una cosa seria, Weasley!
[Un buon motivo per sposare Pansy Parkinson]
Ronald
Weasley non era mai stato un grande seduttore e non poteva certo
vantarsi di avere una personalità magnetica.
Ogni
benedetto giorno inciampava nelle pantofole che lasciava la sera prima
sotto il letto, quando era nervoso tendeva a balbettare, talvolta si
esibiva in lunghe e deleterie sbronze tristi che finivano sul divano di
casa Potter.
Ai
suoi occhi, non sembrava avesse molte carte da offrire a una donna.
Soprattutto
a quella donna.
C'era
sempre stato qualcosa di irraggiungibile in Pansy Parkinson.
Quell'aria
snob con la quale guardava il mondo, il silenzio teso che infrangeva
con battute pungenti e gesti inaspettati, Ron ancora portava i segni delle schegge di un
vaso che si era frantumato a qualche centimetro dal suo orecchio, la
allontanavano dal mondo terreno.
Eppure, sapeva di essere legato a quella ragazza Serpeverde
da un filo ben più robusto della casualità o
follia di un momento, per cui quando la vide comparire nel bel mezzo
dell'ingresso con le guance arrossate per lo sforzo della
smaterializzazione che trafficava alla ricerca di chissà
cosa in quella minuscola borsa che doveva contenere almeno un centinaio
di oggetti, comprese che quello era il famoso “Momento Giusto”.
-Ronald!
Ma è buonissimo!- esclamò sorseggiando il vino
che le aveva appena versato. Ron sorrise soddisfatto, sapeva di essersi
umiliato a chiedere consigli sull'enologia a Percy, ma lui ci sapeva
fare nell'ambito dei ricevimenti pomposi e nello stile di vita
elitario.
-Grazie,
il merito è tutto di Percy.-
Il
sorriso di Pansy si allargò fino all'inverosimile,
risultando quasi di plastica. -Potevi almeno farmi vivere
nell'ignoranza. Lo so benissimo che Percy è il tuo
consulente ufficiale.- disse continuando a far girare e fissare
incantata il liquido. -Ma apprezzo lo sforzo.- concluse avvicinandosi
per dare un bacio a una guancia barbuta. Ron le passò un
braccio intorno a una spalla e la fissò, leggermente
intontito dall'alcool e dalle varie emozioni che provava.
Come
poteva eccitarsi per un semplice bacio sulla guancia?
Dopo
quasi due anni?
Non
era normale, no?
Si
accostò a lei e la baciò con la sua solita
genuina irruenza. Pansy si scostò un secondo per appoggiare
i bicchieri sul tavolino e poi rispose con il solito ardore sensuale. Se
c'era una sola che tutti, ma
proprio tutti, gli invidiavano era l'incredibile intesa
sessuale che avevano. Era difficile che Pansy s'imbarazzasse, spesso e
volentieri prendeva l'iniziativa nei posti più bizzarri. La
loro voglia irrefrenabile aveva conosciuto ogni superficie dei loro
appartamenti, il capannone degli attrezzi della Tana, il boschetto
intorno alla dimora dei Parkinson, il Ministero della Magia con i suoi
antri bui e decine di bagni di locali e ristoranti. Grazie a lei e a
quella passione selvaggia che non scemava mai, aveva imparato ad amare
e a non vergognarsene, con gli anni il suo volto era passato dal color
vinaccia a un rossore più controllato.
Si fermò improvvisamente ricordandosi per quale motivo aveva
sfoderato il vino pregiato e aveva recitato la parte dell'uomo di
mondo.
Fermò
quelle lunghe dita che stavano tentando di sbottonare i suoi pantaloni
e si risedette cercando di sedersi e di recuperare il controllo.
-Pansy
… Devo chiederti una cosa importante.- cominciò
guardando un punto fisso lontano.
La
ragazza aveva aggrottato la fronte e lo guardava perplessa.
Agguantò il bicchiere, lo riempì velocemente e
pregò che non stesse per lasciarla, non ora che sembrava
aver recuperato un briciolo di serenità ed equilibrio
mentale.
-Cosa?-
Scosse
la testa e strizzò gli occhi.
Aveva
provato veramente ad ascoltarlo, ma alcune volte esagerava con discorsi
che partivano in modo semplice e finivano con lui che le faceva la
telecronaca di una partita di Quidditch di trent'anni fa. E poi
l'alcool, quel vellutato vino rosso, le aveva dato alla testa, quegli
elfi danese ci sapevano veramente fare, si appuntò
mentalmente il nome dell'etichetta pronta a fiondarsi in una drogheria
magica e fare rifornimento se le cose fossero andate così
male, dato il viso concentrato di Ronald.
Ron
alzò gli occhi al cielo e le strappò il bicchiere
dalle dita.
S'inginocchiò davanti a lei e le afferrò
lentamente una mano.
Come al solito si era dilungato, ingarbugliandosi in un discorso senza
senso che lo aveva persino confuso, colpa di quel succo di uva che
aveva ingurgitato praticamente a stomaco vuoto.
-Pansy
… Io … Miseriaccia, sembro uno scemo!
… Pansy Parkinson, vuoi sposarmi?- scandì bene le
ultime parole e sorrise orgoglioso di aver recuperato il coraggio dei
Grifondoro per portare a termine la personale ed intima missione.
Era
quello il “Momento
Giusto” di cui parlavano le riviste, le sue
colleghe, sua sorella e persino Hermione!
Pansy
avrebbe sicuramente riconosciuto la sua bravura nel trovare quel
benedetto “Momento
Giusto”.
Il
viso della ragazza subì una paralisi fulminante che le
bloccò le labbra in una strana smorfia che poteva anche
sembrare un sorriso visto dall'angolazione in cui si trovava Ron, ma la
risposta non era assolutamente in linea con la sua apparente
espressione.
-No!-
***
Questa
è una raccolta di momenti dell'improbabile coppia Pansy
Parkinson e Ronald Weasley.
E' ambientata diversi anni dopo la Seconda Guerra
Magica.
Spero vi piaccia,
Buona Navigazione.
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Capitolo 2 *** Uscita di Sicurezza ***
[Uscita
di Sicurezza]
-No!-
L'aria fresca e pungente della notte l'avevano prima confusa e poi
inebriata.
Aveva lasciato la borsa nel soggiorno disordinato di Ron, ma aveva
fatto in tempo ad afferrare la giacca e a smaterializzarsi
improvvisamente, sotto gli occhi confusi del fidanzato.
Era riuscita a saltare sui tacchi e a crearsi un'uscita di sicurezza
d'emergenza, la cosa stranamente le sembrava straordinaria.
Solitamente, davanti alle sorprese rimaneva attonita e confusa, ma
stavolta era riuscita a scappare a gambe levate a trovare rifugio nella
notte caotica della Londra Babbana.
Si fermò improvvisamente ed appoggiò la mano
contro un muro per poi chinarsi a vomitare.
-Straordinario!-
pensò mentre tentava di riacquistare un certo contegno e
magari una dignità, ignorando gli sguardi perplessi dei
passanti.
C'erano molte cose che amava di Ronald Weasley, aveva faticato ad
ammetterlo all'inizio, ma quel sentimento che provava non era casuale o
bizzarro, era nato perché fondamentalmente Ron era la
“Persona Giusta”.
Era l'unico che coglieva la sua ironia, che accettava i suoi strani
scatti di rabbia, che sapeva con un solo gesto appianare le sue paure.
Ma i suoi dubbi e i suoi timori non potevano scomparire con un simile
gesto.
Non per lei.
Non dopo tutto quello che aveva visto e vissuto durante la Seconda
Guerra.
Si fermò ad osservare il Tamigi scorrere lentamente e
luccicare sotto i raggi di una Luna insolitamente chiara e splendente.
Oh, quanto le sarebbe piaciuto gettarsi e farsi trascinare dalla
corrente, verso il fondo e rimanere lì, per anni o secoli, a
rimuginare all'infinito su tutto e niente. Sarebbe stata una fine
migliore di quella, che anni addietro, aveva sperato.
Ma qualcosa, glielo impedì nuovamente.
La parte più razionale di sé riprese il controllo
e schiarì quella nebbia di domande e pensieri che spesso la
tramortivano e la portavano a pensare di compiere gesti eclatanti, a
cercare in continuazione uscite di sicurezza, ma ora il suo unico
pensiero era di gettarsi fra le fresche coperti del suo letto.
-Se lo aspettava?- domandò la neo-psicologa Joan McCormac.
-Cosa?- ringhiò Pansy passandosi una mano sugli occhi
arrossati.
-La dichiarazione? E' arrivata dopo due anni, se non sbaglio. Era
così impreparata?- chiese prendendo appunti su un delicato
blocco appoggiato fra le sue gambe scheletriche.
-Io … Non ho mai pensato al matrimonio … Al
matrimonio libero.- rispose Pansy spalancando gli occhi assonnati.
Balzò in piedi e cominciò a camminare lungo il
grande studio, i tacchi risuonavano precisi e secchi come la sua
camminata che aveva destato l'interesse della psicologa.
-E a che matrimonio aveva pensato lei?-
Pansy si prese qualche minuto per pensare, si fermò ad
osservare la grigia Londra di una mattina qualunque e senza girarsi
cominciò a parlare.
-Mio padre era un uomo moderno rispetto agli altri Purosangue. Lui mi
aveva dato due scelte. Al compimento dei diciassette anni avrei dovuto
ufficializzare il fidanzamento con Malfoy o Nott. Quando ero
più piccola l'idea di sposare Malfoy mi aveva entusiasmato
moltissimo, era quello che desideravo allora : bello da far male,
oscuro quanto basta, ricco a sufficienza e mondano. Immaginavo una vita
fantastica, divisa fra i bellissimi figli che avremmo avuto, la cura di
quell'immensa casa e qualche partita agli scacchi con la suocera. Ma
… Crescendo … Le cose sono semplicemente
cambiate.-
Joan McCormac si umettò le labbra e smise di prendere
appunti.
-Per quanto riguarda Nott? Ha mai pensato a una vita con lui?-
Pansy scosse la testa.
-Quando capì che Malfoy … che Draco non era il
ragazzo che avevo immaginato, ne presi subito le distanze. Secondo mio
padre è lì che avrei dovuto sfoderare le arti
della seduzione e provare a Nott che sarei stata una buona moglie.-
Pansy ridacchiò a lungo prima di riprendere il discorso. -Ma
quando sono andata a trovarlo nel suo angolino in Biblioteca, l'ho
trovato che intratteneva un'intensa lezione di anatomia con la
signorina Bones. Mi era quasi venuto un infarto, ma ero sollevata.-
-E perché?-
-Perché qualche minuto prima avevo capito che il mio cuore
è sempre appartenuto, in un modo o nell'altro, a Ronald.-
-Come mai rifiutarlo?-
Pansy le sorrise appena, con estrema lentezza prese la sciarpa e la
giacca e ricominciò a vestirsi.
-E' semplice, dottoressa. Io non sono la donna adatta a lui.-
Quando chiuse la porta e se ne andò, la giovane dottoressa
in psicologia rimase a lungo ferma, immobile, a riflettere.
Non era solita immedesimarsi nella vita dei pazienti, credeva che il
metodo giusto presupponesse una certa distanza fra le due figure, ma
come poteva rimanere fredda di fronte a un caso così
singolare?
La prima volta che l'elegante Pansy Parkinson aveva varcato la soglia
del suo studio, aveva pensato a uno scherzo.
Sembrava una donna borghese degli anni cinquanta con quella gonna a
ruota, i tacchi bassi, l'acconciatura rigida e il rossetto scarlatto
che esaltava la forma sensuale delle labbra.
Come poteva una donna del genere avere problemi?
Eppure, ascoltandola e studiandola nei mesi successivi, aveva compreso
fin dove l'animo umano si spingeva quando era ossessionata dalle
apparenze. Pansy Parkinson non era una ragazza innocente, ma nemmeno
una donna corrotta, era solo una giovane che aveva vissuto un'infanzia
violenta e severa, un'adolescenza frivola e spezzata troppo presto, in
costante attesa dell'ennesima catastrofe. Apprensiva e pessimista
patologica, era convinta di non meritarsi amore ed affetto da nessuno.
Per questo aveva rifiutato quella dichiarazione e quel ragazzo, per
quella sua idea che niente arrivava per caso e gratuitamente nella vita
e non voleva più pagarne le conseguenze.
Joan McCormac appoggiò il blocco e la penna sulla scrivania
e diede un veloce sguardo sui suoi appunti con una sola idea nella
testa, quella di rendere Pansy Parkinson un caso risolto.
Avrebbe bloccato ogni
sua uscita di sicurezza.
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Capitolo 3 *** Il Famoso Momento Giusto ***
[Il Famoso Momento Giusto]
Aveva sentito la necessità di fare un passo avanti nella
fragile relazione che aveva con Pansy, pochi giorni prima di quella
sfortunata sera, quando andò a cenare nella piccola ma
accogliente villetta di periferia dove Audrey Schumann e suo fratello
Percy si erano appena trasferiti.
Era sempre stato strano vedere il fratello più serio e
composto, comportarsi come qualsiasi innamorato. Nonostante Audrey non
fosse una grande cuoca, era riuscita a ricreare il famoso pasticcio di
carne di sua madre e per tutta la sera avevano chiacchiarato
amabilmente dei più disparati argomenti. Ogni qualvolta
Percy si dilungava nella spiegazione di procedimenti amministrazioni o
nelle prossime discussioni del Consiglio dei Ministri, Audrey lo
fissava o gli dava un dolce colpetto al braccio e allegramente cambiava
argomento per non tediarlo ulteriormente.
Li aveva visto baciarsi mentre sistemavano i piatti nel lavello della
cucina e sorridersi in un modo così intimo che da subito li
invidiò.
Da quando Percy si era dichiarato e Audrey aveva deciso di abbandonare
l'Inghilterra per mettere su famiglia, la loro relazione, da prima mal
vista in famiglia, ora era diventata solida ed ammirata da tutti.
Un'Auror straniero, una donna d'azione e d'impulsi e un burocrate,
amante delle parole e dei libri. Una strana coppia che gli aveva aperto
un scenario possibile. Lui e Pansy erano esattamamente come Percy e
Audrey, diversi ed opposti eppure legati.
La storia del Momento
Giusto lo colpì allora.
-Quando vi sposerete?- domandò Ron versandosi della birra
tedesca e gustandola con fare esperto.
Percy rifiutò il bicchiere e si sedette sulla poltrona
accanto al fuoco con il giornale in mano, un brutto vizio che Audrey
gli rimproverava in continuazione.
-Presto immagino.- rispose Percy sbuffando. -Ovviamente io sono
contrario alle cerimonie in grande, ma mamma sembra avere altre
opinioni.-
-Mamma è mamma. Lo sai come andranno a finire queste cose
quando c'è di mezzo lei.- Percy fece una strana smorfia e
posò con millimetrica precisione il giornale sulle
ginocchia.
-Audrey adora l'idea di andarcene in Germania per una cerimonia civile
e poi fare un ricevimento alla Tana, ma siamo dell'idea che sia meglio
lasciarla intromettersi.-
Ron notò lo sguardo serio e la leggera tensione nella voce
del fratello, intuì che nonostante fossero passati ben tre
anni dalla fine della guerra e dalla morte di Fred, ne era ancora
profondamente turbato. Era tornato lentamente e quasi sempre restio a
parlare e confidarsi con qualcuno. Con la loro madre, Percy osservava
un estremo mutismo e profondo senso di colpa che gli impediva di
ristabilire quella connessione speciale che ogni madre ha con il
proprio figlio. Era chiaro che dietro il suo ritorno e la ripresa delle
frequentazioni e delle relazioni con tutti gli amici di famiglia, c'era
Audrey, che con il suo sorriso mesto e un po' malincolico, con la sua
grazia e bellezza era riuscita ad fare breccia a tutti i cuori dei
Weasley. In lei c'era quella fermezza morale e quella forza che Percy
stava ritrovando in fondo alla sua anima grifondoro.
Per questi e per altri mille motivi, invidiò pronfondamente
quella tranquillità domestica, quell'armonia e la certezza
di avere un porto sicuro e l'appoggio di una persona sempre e comunque.
Quella sera desiderò disperatamente di tornare in una
piccola casa di periferia, essere invistito dalle grida di bambini o
dalla risata di Pansy, d'inciampare nei suoi tacchi lasciati
nell'ingresso o vederla versarsi del vino mentre lui le massaggiava la
schiena.
Piccole cose, nulla di che.
Era solo il Momento
Giusto.
Arrivato alla quinta birra scolata in pochi secondi, si
calmò.
Il divano di Harry era troppo comodo per alzarsi, così
tirò fuori la bacchetta e fece scomparire la lattina. I
proprietari del divano lo guardavano assonnati e confusi.
-Harry, tu non puoi capire.-disse Ron per l'ennesima volta. -Lei ha
fatto una faccia schifata come se stessi vomitando decine di lumache ed
è fuggita via. Ha lasciato persino quella dannata borsa!-
esclamò improvvisamente arrabbiato.
Ginny sospirò e sussurrò al fidanzato. -E adesso
che facciamo? Continuerà così per
chissà quanto tempo.- strappò dalle mani del
fratello la sesta birra e la gettò nel cestino della cucina.
Harry si accertò che la ragazza chiudesse la porta e si
avvicinò all'amico, sbuffando e recuperando con
un'incantesimo la sesta lattina.
-Bevi, bevi. E' la stessa cosa che ho fatto io quando Ginny ha
rifiutato di rimettersi con me, dopo la guerra. Aveva deciso che mi
avrebbe punito e l'ha fatto.- raccontò Harry a bassa voce.
-Ricordo. Ma io sono nella merda fino al collo, miseriaccia! Non ha
avuto il coraggio di dirmi di no ed è scappata.-
sussurrò Ron con voce impastato dall'alcool e da strane
sensazioni. -Cazzo!-
Harry sorrise appena e posò una mano sulla spalla del suo
quasi cognato, ma fratello da molto più tempo. -Se
c'è una cosa che i Serpeverde fanno in continuazione
è riflettere. Forse l'hai presa alla sprovvista e
più che dirti di no, era troppo scioccata per pensare e si
è data alla fuga. E' una Serpeverde, Ron, le hai mai fatto
capire che il Momento Giusto stava arrivando?- domandò Harry
curioso.
Ron aggrottò la fronte e cercò di capire. -Mi
stai dicendo che dovrei aspettare? E per quanto?-
-Finché lei non si farà viva. Se vuoi possiamo
controllare domani a lavoro, tanto dobbiamo comunque andare al San
Mungo, no?-
Ron annuì e ringraziò l'amico mentre si scolava
quello che rimaneva della lattina.
-Sei un amico, Harry.-
-Cerco solo di fare del mio meglio!- esclamò il Prescelto e
gli fece l'occhiolino.
Si smaterializzò con qualche difficoltà e si
accorse di essere al pianerottolo sbagliato.
Brillo e stanco si trascinò sulle scale malconce del suo
palazzo ed aprì la porta scura dell'appartamento quindici
con un colpo di bacchetta.
Si tolse la giacca e per qualche strano motivo non riuscì ad
appenderla e la lasciò a terra di conseguenza.
Inciampò su un paio di tacchi abbandonati proprio davanti
all'entrata al soggiorno e lì trovò
un'inaspettata sorpresa.
-Dobbiamo parlare, Weasley.-
-Pansy!- trillò lui avvicinandosi. Solo quando si sedette
sul divano notò gli occhi gonfi di pianto, le labbra secche
e i capelli arruffati. Lei non aveva mai i capelli arruffati e la cosa
lo sconvolse.
-Certo … Dobbiamo parlare.- improvvisamente il sonno lo
stava trascinando nel mondo oscuro di Morfeo. Pansy alzò il
sopracciglio mentre fissava lui che sbadigliava e tentava di
abbracciarla goffamente, in preda da quella che doveva essere una
fulminea e strana sbronza.
-In queste condizioni non sei proprio in grado di parlare.-
-No!Sto benissimo, perché dubiti delle mie condizioni?-
gracchiò Ronald allontanandosi improvvisamente arrabbiato.
-Perché il matrimonio è una cosa seria, Weasley!-
sbottò Pansy alzandosi in piedi e andando a recuperare i
tacchi e la borsa, si stava mettendo la giacca quando la mano di Ron le
afferrò gentilmente il braccio e lasciò che il
cappotto le scivolasse dalle spalle.
-Puoi … Puoi rimenere a dormire qui, se vuoi.- propose lui.
-E' tardissimo e domani dobbiamo entrambi andare a lavoro.
Dormirò anche sul divano se vuoi.-
Pansy scosse la testa pensierosa. -Non c'è bisogno di
dormire sul divano, Ron.- rispose lei dolcemente.
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