Perché il matrimonio è una cosa seria, Weasley!

di Lady Rea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un buon motivo per sposare Pansy Parkinson ***
Capitolo 2: *** Uscita di Sicurezza ***
Capitolo 3: *** Il Famoso Momento Giusto ***



Capitolo 1
*** Un buon motivo per sposare Pansy Parkinson ***


Perché il matrimonio è una cosa seria, Weasley!





[Un buon motivo per sposare Pansy Parkinson]






Ronald Weasley non era mai stato un grande seduttore e non poteva certo vantarsi di avere una personalità magnetica.
Ogni benedetto giorno inciampava nelle pantofole che lasciava la sera prima sotto il letto, quando era nervoso tendeva a balbettare, talvolta si esibiva in lunghe e deleterie sbronze tristi che finivano sul divano di casa Potter.
Ai suoi occhi, non sembrava avesse molte carte da offrire a una donna.
Soprattutto a quella donna.

C'era sempre stato qualcosa di irraggiungibile in Pansy Parkinson.
Quell'aria snob con la quale guardava il mondo, il silenzio teso che infrangeva con battute pungenti e gesti inaspettati, Ron ancora portava i segni delle schegge di un vaso che si era frantumato a qualche centimetro dal suo orecchio, la allontanavano dal mondo terreno.
 Eppure, sapeva di essere legato a quella ragazza Serpeverde da un filo ben più robusto della casualità o follia di un momento, per cui quando la vide comparire nel bel mezzo dell'ingresso con le guance arrossate per lo sforzo della smaterializzazione che trafficava alla ricerca di chissà cosa in quella minuscola borsa che doveva contenere almeno un centinaio di oggetti, comprese che quello era il famoso “Momento Giusto”.


-Ronald! Ma è buonissimo!- esclamò sorseggiando il vino che le aveva appena versato. Ron sorrise soddisfatto, sapeva di essersi umiliato a chiedere consigli sull'enologia a Percy, ma lui ci sapeva fare nell'ambito dei ricevimenti pomposi e nello stile di vita elitario.
-Grazie, il merito è tutto di Percy.-
Il sorriso di Pansy si allargò fino all'inverosimile, risultando quasi di plastica. -Potevi almeno farmi vivere nell'ignoranza. Lo so benissimo che Percy è il tuo consulente ufficiale.- disse continuando a far girare e fissare incantata il liquido. -Ma apprezzo lo sforzo.- concluse avvicinandosi per dare un bacio a una guancia barbuta. Ron le passò un braccio intorno a una spalla e la fissò, leggermente intontito dall'alcool e dalle varie emozioni che provava.
Come poteva eccitarsi per un semplice bacio sulla guancia?
Dopo quasi due anni?
Non era normale, no?
Si accostò a lei e la baciò con la sua solita genuina irruenza. Pansy si scostò un secondo per appoggiare i bicchieri sul tavolino e poi rispose con il solito ardore sensuale. Se c'era una sola che tutti, ma proprio tutti, gli invidiavano era l'incredibile intesa sessuale che avevano. Era difficile che Pansy s'imbarazzasse, spesso e volentieri prendeva l'iniziativa nei posti più bizzarri. La loro voglia irrefrenabile aveva conosciuto ogni superficie dei loro appartamenti, il capannone degli attrezzi della Tana, il boschetto intorno alla dimora dei Parkinson, il Ministero della Magia con i suoi antri bui e decine di bagni di locali e ristoranti. Grazie a lei e a quella passione selvaggia che non scemava mai, aveva imparato ad amare e a non vergognarsene, con gli anni il suo volto era passato dal color vinaccia a un rossore più controllato.
Si fermò improvvisamente ricordandosi per quale motivo aveva sfoderato il vino pregiato e aveva recitato la parte dell'uomo di mondo.

Fermò quelle lunghe dita che stavano tentando di sbottonare i suoi pantaloni e si risedette cercando di sedersi e di recuperare il controllo.
-Pansy … Devo chiederti una cosa importante.- cominciò guardando un punto fisso lontano.
La ragazza aveva aggrottato la fronte e lo guardava perplessa. Agguantò il bicchiere, lo riempì velocemente e pregò che non stesse per lasciarla, non ora che sembrava aver recuperato un briciolo di serenità ed equilibrio mentale.


-Cosa?-
Scosse la testa e strizzò gli occhi.
Aveva provato veramente ad ascoltarlo, ma alcune volte esagerava con discorsi che partivano in modo semplice e finivano con lui che le faceva la telecronaca di una partita di Quidditch di trent'anni fa. E poi l'alcool, quel vellutato vino rosso, le aveva dato alla testa, quegli elfi danese ci sapevano veramente fare, si appuntò mentalmente il nome dell'etichetta pronta a fiondarsi in una drogheria magica e fare rifornimento se le cose fossero andate così male, dato il viso concentrato di Ronald.
Ron alzò gli occhi al cielo e le strappò il bicchiere dalle dita.
S'inginocchiò davanti a lei e le afferrò lentamente una mano.
Come al solito si era dilungato, ingarbugliandosi in un discorso senza senso che lo aveva persino confuso, colpa di quel succo di uva che aveva ingurgitato praticamente a stomaco vuoto.

-Pansy … Io …  Miseriaccia, sembro uno scemo! … Pansy Parkinson, vuoi sposarmi?- scandì bene le ultime parole e sorrise orgoglioso di aver recuperato il coraggio dei Grifondoro per portare a termine la personale ed intima missione.
Era quello il “Momento Giusto” di cui parlavano le riviste, le sue colleghe, sua sorella e persino Hermione!
Pansy avrebbe sicuramente riconosciuto la sua bravura nel trovare quel benedetto “Momento Giusto”.
Il viso della ragazza subì una paralisi fulminante che le bloccò le labbra in una strana smorfia che poteva anche sembrare un sorriso visto dall'angolazione in cui si trovava Ron, ma la risposta non era assolutamente in linea con la sua apparente espressione.

-No!-






***


Questa è una raccolta di momenti dell'improbabile coppia Pansy Parkinson e Ronald Weasley.
E' ambientata diversi anni dopo la Seconda Guerra Magica.
Spero vi piaccia,
Buona Navigazione.



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Capitolo 2
*** Uscita di Sicurezza ***



[Uscita di Sicurezza]



-No!-

L'aria fresca e pungente della notte l'avevano prima confusa e poi inebriata.
Aveva lasciato la borsa nel soggiorno disordinato di Ron, ma aveva fatto in tempo ad afferrare la giacca e a smaterializzarsi improvvisamente, sotto gli occhi confusi del fidanzato.
Era riuscita a saltare sui tacchi e a crearsi un'uscita di sicurezza d'emergenza, la cosa stranamente le sembrava straordinaria. Solitamente, davanti alle sorprese rimaneva attonita e confusa, ma stavolta era riuscita a scappare a gambe levate a trovare rifugio nella notte caotica della Londra Babbana.
Si fermò improvvisamente ed appoggiò la mano contro un muro per poi chinarsi a vomitare.


-Straordinario!- pensò mentre tentava di riacquistare un certo contegno e magari una dignità, ignorando gli sguardi perplessi dei passanti.
C'erano molte cose che amava di Ronald Weasley, aveva faticato ad ammetterlo all'inizio, ma quel sentimento che provava non era casuale o bizzarro, era nato perché fondamentalmente Ron era la “Persona Giusta”. Era l'unico che coglieva la sua ironia, che accettava i suoi strani scatti di rabbia, che sapeva con un solo gesto appianare le sue paure.
Ma i suoi dubbi e i suoi timori non potevano scomparire con un simile gesto.
Non per lei.
Non dopo tutto quello che aveva visto e vissuto durante la Seconda Guerra.
Si fermò ad osservare il Tamigi scorrere lentamente e luccicare sotto i raggi di una Luna insolitamente chiara e splendente. Oh, quanto le sarebbe piaciuto gettarsi e farsi trascinare dalla corrente, verso il fondo e rimanere lì, per anni o secoli, a rimuginare all'infinito su tutto e niente. Sarebbe stata una fine migliore di quella, che anni addietro, aveva sperato.
Ma qualcosa, glielo impedì nuovamente.
La parte più razionale di sé riprese il controllo e schiarì quella nebbia di domande e pensieri che spesso la tramortivano e la portavano a pensare di compiere gesti eclatanti, a cercare in continuazione uscite di sicurezza, ma ora il suo unico pensiero era di gettarsi fra le fresche coperti del suo letto.


-Se lo aspettava?- domandò la neo-psicologa Joan McCormac.
-Cosa?- ringhiò Pansy passandosi una mano sugli occhi arrossati.
-La dichiarazione? E' arrivata dopo due anni, se non sbaglio. Era così impreparata?- chiese prendendo appunti su un delicato blocco appoggiato fra le sue gambe scheletriche.
-Io … Non ho mai pensato al matrimonio … Al matrimonio libero.- rispose Pansy spalancando gli occhi assonnati. Balzò in piedi e cominciò a camminare lungo il grande studio, i tacchi risuonavano precisi e secchi come la sua camminata che aveva destato l'interesse della psicologa.
-E a che matrimonio aveva pensato lei?-
Pansy si prese qualche minuto per pensare, si fermò ad osservare la grigia Londra di una mattina qualunque e senza girarsi cominciò a parlare.
-Mio padre era un uomo moderno rispetto agli altri Purosangue. Lui mi aveva dato due scelte. Al compimento dei diciassette anni avrei dovuto ufficializzare il fidanzamento con Malfoy o Nott. Quando ero più piccola l'idea di sposare Malfoy mi aveva entusiasmato moltissimo, era quello che desideravo allora : bello da far male, oscuro quanto basta, ricco a sufficienza e mondano. Immaginavo una vita fantastica, divisa fra i bellissimi figli che avremmo avuto, la cura di quell'immensa casa e qualche partita agli scacchi con la suocera. Ma … Crescendo … Le cose sono semplicemente cambiate.-
Joan McCormac si umettò le labbra e smise di prendere appunti.
-Per quanto riguarda Nott? Ha mai pensato a una vita con lui?-
Pansy scosse la testa.
-Quando capì che Malfoy … che Draco non era il ragazzo che avevo immaginato, ne presi subito le distanze. Secondo mio padre è lì che avrei dovuto sfoderare le arti della seduzione e provare a Nott che sarei stata una buona moglie.- Pansy ridacchiò a lungo prima di riprendere il discorso. -Ma quando sono andata a trovarlo nel suo angolino in Biblioteca, l'ho trovato che intratteneva un'intensa lezione di anatomia con la signorina Bones. Mi era quasi venuto un infarto, ma ero sollevata.-
-E perché?-
-Perché qualche minuto prima avevo capito che il mio cuore è sempre appartenuto, in un modo o nell'altro, a Ronald.-
-Come mai rifiutarlo?-
Pansy le sorrise appena, con estrema lentezza prese la sciarpa e la giacca e ricominciò a vestirsi.
-E' semplice, dottoressa. Io non sono la donna adatta a lui.-


Quando chiuse la porta e se ne andò, la giovane dottoressa in psicologia rimase a lungo ferma, immobile, a riflettere.
Non era solita immedesimarsi nella vita dei pazienti, credeva che il metodo giusto presupponesse una certa distanza fra le due figure, ma come poteva rimanere fredda di fronte a un caso così singolare?
La prima volta che l'elegante Pansy Parkinson aveva varcato la soglia del suo studio, aveva pensato a uno scherzo.
Sembrava una donna borghese degli anni cinquanta con quella gonna a ruota, i tacchi bassi, l'acconciatura rigida e il rossetto scarlatto che esaltava la forma sensuale delle labbra.
Come poteva una donna del genere avere problemi?
Eppure, ascoltandola e studiandola nei mesi successivi, aveva compreso fin dove l'animo umano si spingeva quando era ossessionata dalle apparenze. Pansy Parkinson non era una ragazza innocente, ma nemmeno una donna corrotta, era solo una giovane che aveva vissuto un'infanzia violenta e severa, un'adolescenza frivola e spezzata troppo presto, in costante attesa dell'ennesima catastrofe. Apprensiva e pessimista patologica, era convinta di non meritarsi amore ed affetto da nessuno.
Per questo aveva rifiutato quella dichiarazione e quel ragazzo, per quella sua idea che niente arrivava per caso e gratuitamente nella vita e non voleva più pagarne le conseguenze.
Joan McCormac appoggiò il blocco e la penna sulla scrivania e diede un veloce sguardo sui suoi appunti con una sola idea nella testa, quella di rendere Pansy Parkinson un caso risolto.
Avrebbe bloccato ogni sua uscita di sicurezza.





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Capitolo 3
*** Il Famoso Momento Giusto ***




[Il Famoso Momento Giusto]





Aveva sentito la necessità di fare un passo avanti nella fragile relazione che aveva con Pansy, pochi giorni prima di quella sfortunata sera, quando andò a cenare nella piccola ma accogliente villetta di periferia dove Audrey Schumann e suo fratello Percy si erano appena trasferiti.
Era sempre stato strano vedere il fratello più serio e composto, comportarsi come qualsiasi innamorato. Nonostante Audrey non fosse una grande cuoca, era riuscita a ricreare il famoso pasticcio di carne di sua madre e per tutta la sera avevano chiacchiarato amabilmente dei più disparati argomenti. Ogni qualvolta Percy si dilungava nella spiegazione di procedimenti amministrazioni o nelle prossime discussioni del Consiglio dei Ministri, Audrey lo fissava o gli dava un dolce colpetto al braccio e allegramente cambiava argomento per non tediarlo ulteriormente.
Li aveva visto baciarsi mentre sistemavano i piatti nel lavello della cucina e sorridersi in un modo così intimo che da subito li invidiò.
Da quando Percy si era dichiarato e Audrey aveva deciso di abbandonare l'Inghilterra per mettere su famiglia, la loro relazione, da prima mal vista in famiglia, ora era diventata solida ed ammirata da tutti. Un'Auror straniero, una donna d'azione e d'impulsi e un burocrate, amante delle parole e dei libri. Una strana coppia che gli aveva aperto un scenario possibile. Lui e Pansy erano esattamamente come Percy e Audrey, diversi ed opposti eppure legati.
La storia del Momento Giusto lo colpì allora.



-Quando vi sposerete?- domandò Ron versandosi della birra tedesca e gustandola con fare esperto.
Percy rifiutò il bicchiere e si sedette sulla poltrona accanto al fuoco con il giornale in mano, un brutto vizio che Audrey gli rimproverava in continuazione.
-Presto immagino.- rispose Percy sbuffando. -Ovviamente io sono contrario alle cerimonie in grande, ma mamma sembra avere altre opinioni.-
-Mamma è mamma. Lo sai come andranno a finire queste cose quando c'è di mezzo lei.- Percy fece una strana smorfia e posò con millimetrica precisione il giornale sulle ginocchia.
-Audrey adora l'idea di andarcene in Germania per una cerimonia civile e poi fare un ricevimento alla Tana, ma siamo dell'idea che sia meglio lasciarla intromettersi.-
Ron notò lo sguardo serio e la leggera tensione nella voce del fratello, intuì che nonostante fossero passati ben tre anni dalla fine della guerra e dalla morte di Fred, ne era ancora profondamente turbato. Era tornato lentamente e quasi sempre restio a parlare e confidarsi con qualcuno. Con la loro madre, Percy osservava un estremo mutismo e profondo senso di colpa che gli impediva di ristabilire quella connessione speciale che ogni madre ha con il proprio figlio. Era chiaro che dietro il suo ritorno e la ripresa delle frequentazioni e delle relazioni con tutti gli amici di famiglia, c'era Audrey, che con il suo sorriso mesto e un po' malincolico, con la sua grazia e bellezza era riuscita ad fare breccia a tutti i cuori dei Weasley. In lei c'era quella fermezza morale e quella forza che Percy stava ritrovando in fondo alla sua anima grifondoro.
Per questi e per altri mille motivi, invidiò pronfondamente quella tranquillità domestica, quell'armonia e la certezza di avere un porto sicuro e l'appoggio di una persona sempre e comunque. Quella sera desiderò disperatamente di tornare in una piccola casa di periferia, essere invistito dalle grida di bambini o dalla risata di Pansy, d'inciampare nei suoi tacchi lasciati nell'ingresso o vederla versarsi del vino mentre lui le massaggiava la schiena.
Piccole cose, nulla di che.
Era solo il Momento Giusto.



Arrivato alla quinta birra scolata in pochi secondi, si calmò.
Il divano di Harry era troppo comodo per alzarsi, così tirò fuori la bacchetta e fece scomparire la lattina. I proprietari del divano lo guardavano assonnati e confusi.
-Harry, tu non puoi capire.-disse Ron per l'ennesima volta. -Lei ha fatto una faccia schifata come se stessi vomitando decine di lumache ed è fuggita via. Ha lasciato persino quella dannata borsa!- esclamò improvvisamente arrabbiato.
Ginny sospirò e sussurrò al fidanzato. -E adesso che facciamo? Continuerà così per chissà quanto tempo.- strappò dalle mani del fratello la sesta birra e la gettò nel cestino della cucina.
Harry si accertò che la ragazza chiudesse la porta e si avvicinò all'amico, sbuffando e recuperando con un'incantesimo la sesta lattina.
-Bevi, bevi. E' la stessa cosa che ho fatto io quando Ginny ha rifiutato di rimettersi con me, dopo la guerra. Aveva deciso che mi avrebbe punito e l'ha fatto.- raccontò Harry a bassa voce.
-Ricordo. Ma io sono nella merda fino al collo, miseriaccia! Non ha avuto il coraggio di dirmi di no ed è scappata.- sussurrò Ron con voce impastato dall'alcool e da strane sensazioni. -Cazzo!-
Harry sorrise appena e posò una mano sulla spalla del suo quasi cognato, ma fratello da molto più tempo. -Se c'è una cosa che i Serpeverde fanno in continuazione è riflettere. Forse l'hai presa alla sprovvista e più che dirti di no, era troppo scioccata per pensare e si è data alla fuga. E' una Serpeverde, Ron, le hai mai fatto capire che il Momento Giusto stava arrivando?- domandò Harry curioso.
Ron aggrottò la fronte e cercò di capire. -Mi stai dicendo che dovrei aspettare? E per quanto?-
-Finché lei non si farà viva. Se vuoi possiamo controllare domani a lavoro, tanto dobbiamo comunque andare al San Mungo, no?-
Ron annuì e ringraziò l'amico mentre si scolava quello che rimaneva della lattina.
-Sei un amico, Harry.-
-Cerco solo di fare del mio meglio!- esclamò il Prescelto e gli fece l'occhiolino.



Si smaterializzò con qualche difficoltà e si accorse di essere al pianerottolo sbagliato.
Brillo e stanco si trascinò sulle scale malconce del suo palazzo ed aprì la porta scura dell'appartamento quindici con un colpo di bacchetta.
Si tolse la giacca e per qualche strano motivo non riuscì ad appenderla e la lasciò a terra di conseguenza. Inciampò su un paio di tacchi abbandonati proprio davanti all'entrata al soggiorno e lì trovò un'inaspettata sorpresa.
-Dobbiamo parlare, Weasley.-
-Pansy!- trillò lui avvicinandosi. Solo quando si sedette sul divano notò gli occhi gonfi di pianto, le labbra secche e i capelli arruffati. Lei non aveva mai i capelli arruffati e la cosa lo sconvolse.
-Certo … Dobbiamo parlare.- improvvisamente il sonno lo stava trascinando nel mondo oscuro di Morfeo. Pansy alzò il sopracciglio mentre fissava lui che sbadigliava e tentava di abbracciarla goffamente, in preda da quella che doveva essere una fulminea e strana sbronza.
-In queste condizioni non sei proprio in grado di parlare.-
-No!Sto benissimo, perché dubiti delle mie condizioni?- gracchiò Ronald allontanandosi improvvisamente arrabbiato.
-Perché il matrimonio è una cosa seria, Weasley!- sbottò Pansy alzandosi in piedi e andando a recuperare i tacchi e la borsa, si stava mettendo la giacca quando la mano di Ron le afferrò gentilmente il braccio e lasciò che il cappotto le scivolasse dalle spalle.
-Puoi … Puoi rimenere a dormire qui, se vuoi.- propose lui. -E' tardissimo e domani dobbiamo entrambi andare a lavoro. Dormirò anche sul divano se vuoi.-
Pansy scosse la testa pensierosa. -Non c'è bisogno di dormire sul divano, Ron.- rispose lei dolcemente.






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