Di giorno,questa è la mia città.Di notte,questa città è mia.

di VexDominil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una scelta è sempre una scelta. Anche se presa per le decisioni sbagliate ***
Capitolo 2: *** Oggi dev'essere giovedì. Non sono mai riusciti a capirli, i giovedì. ***
Capitolo 3: *** Ti porti addosso una croce pesante: hai un cuore testardo che non è cambiato ***
Capitolo 4: *** Nessun giorno è uguale all'altro, ogni mattina porta con sé un particolare miracolo, il proprio momento magico, nel quale i vecchi universi vengono distrutti e si creano nuove stelle. ***
Capitolo 5: *** Così perso, di nuovo confuso, mi sento così di poco valore, così usato, infedele. ***
Capitolo 6: *** Non l'amore, non i soldi, non la fede, non la fama, non la giustizia... datemi solo la Verità. ***
Capitolo 7: *** Comunicare. È la prima cosa che impariamo davvero nella vita. ***
Capitolo 8: *** Quanto più alto è il valore d'un fine nella nostra coscienza, con tanto maggior energia noi ci sforziamo di tradurlo in realtà. ***
Capitolo 9: *** Cuius testiculos habes, habeas cardia et cerebellum. ***
Capitolo 10: *** L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire. ***
Capitolo 11: *** Un orgoglio violento con degli ideali violenti ***
Capitolo 12: *** Lovely dear ***
Capitolo 13: *** Abbiamo ricevuto dalla nostra famiglia le idee di cui viviamo così come la malattia di cui morremo. ***
Capitolo 14: *** L'essere umano più miserabile del mondo è quello in cui la sola cosa abituale è l'indecisione. ***
Capitolo 15: *** Le decisioni son le situazioni ad imporle agli uomini piuttosto che gli uomini alle situazioni. ***
Capitolo 16: *** Il dubbio e la paura ***
Capitolo 17: *** Il mio mistero è chiuso in me ***
Capitolo 18: *** Amami anche se io non... ***
Capitolo 19: *** Riportare tutte le cose al loro posto ***
Capitolo 20: *** Una paura disperata scorre nel mio sangue ***
Capitolo 21: *** Ma non si trattava di una lite ***
Capitolo 22: *** E il conflitto è inevitabile ***
Capitolo 23: *** Una musa più efficacemente ispiratrice ***
Capitolo 24: *** Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle. ***
Capitolo 25: *** la menzogna davanti a se stessi, data per verità, rovina tutta la vita di un uomo. ***
Capitolo 26: *** Interludio: La sola realtà umana ***
Capitolo 27: *** E così finisce col credere di poter sopportare qualunque cosa. ***
Capitolo 28: *** Un ritorno volontario allo stato selvaggio ***
Capitolo 29: *** la fiducia nella propria volontà e nelle proprie decisioni. ***
Capitolo 30: *** Vivere insieme è un'arte. ***
Capitolo 31: *** Ancore della vita. ***
Capitolo 32: *** Il gioco costringe alla parità ***
Capitolo 33: *** Irreversibile ***
Capitolo 34: *** Take a bite of my heart tonight ***
Capitolo 35: *** Drifting away ***
Capitolo 36: *** Would you fight them? ***
Capitolo 37: *** Congratulations, you were all alone ***



Capitolo 1
*** Una scelta è sempre una scelta. Anche se presa per le decisioni sbagliate ***


Una scelta è sempre una scelta. Anche se presa per le decisioni sbagliate.
La sera era calda e una brezza leggera correva tra la città,mentre il sole regalava il suo ultimo abbraccio di luce.
Il problema di quella città,Egris, era la presenza di una compatta rete di grattacieli e di palazzi alti che non faceva filtrare il sole e che toglieva subito qualsiasi bagliore, rendendo il luogo buio e strano,per chi non fosse abituato all'improvviso black-out che sembrava coglierlo.
Ma Temi usciva sicura dall'ospedale in cui lavorava da qualche tempo per andarsene in un bar e sbronzarsi.
Aveva avuto, come al solito, troppo gente da cui estrarre coltelli, proiettili o oggetti contundenti in generale o da portare all'obitorio, dove si doveva sorbire le ghignate dei vari medici che con sufficienza le ordinavano di portare quel medicinale, bendare quella ferita, assistere quel paziente e in generale di sgobbare al posto loro.
Perché loro erano medici, non specializzandi come lei, e avevano dei doveri importanti che consistevano nell'arruffianarsi i pazienti, nel sedurre qualsiasi essere vivente abbastanza carino ai loro occhi e nel occuparsi dei casi più interessanti.
Temi aveva perso il conto di quante volte avrebbe voluto seguire una malattia rara e quelli l'avevano liquidata dicendo che non aveva abbastanza esperienza.
Di quel passo non ne avrebbe fatta mai ma finalmente il suo traguardo era vicino e forse sarebbe riuscita a diventare un medico, anche se stava diventando sempre più pesante e le serviva sul serio un momento di pausa dal suo lavoro.
Così quando entrò nella sua bettola preferita si diresse subito al bancone e ordinò un Sex at the Beach, tanto per cominciare. Aveva appena preso il bicchiere quando una voce le giunse all'orecchie, suo malgrado:"Non ti sei nemmeno tolta il camice, Temmy."
La sua migliore amica l'aveva trovata e come sempre si preoccupava, anche se Temi voleva sola sprofondare nelle onde senza nome della frenesia speranzosa che le faceva dimenticare tutto.
Ma Fran la pensava diversamente: doveva crearsi una vita sociale, non un destino da alcolista.
Così la tormentava affinché, appena uscita da quel manicomio del suo lavoro, se ne andasse a casa e si rendesse irresistibile.
Purtroppo Temi era così stravolta che entrava nel primo bar o  bettola disgustosa che trovava e cercava di ubriacarsi spendendo il meno possibile.
Però il camice, che avrebbe potuto essere usato come arma chimica visto che era pieno di germi di chissà quante persone diverse, avrebbe potuto anche toglierselo. E sciogliersi i capelli, solo per non sembrare come una di quelle disperate delle fiction sui medici.
Temi emise un basso gemito e si voltò verso Fran: non sopportava che l'altra fosse sempre naturalmente in ordine e lei no.
"Lo saresti anche tu se ti curassi di più e uscissi a fare compere una volta ogni tanto, invece che dormire tutto il tuo giorno libero."
Ecco una cosa irritante: le leggeva nel pensiero. Continuamente.
"Smettila di ubriacarti e vieni qui che cerco di sistemarti, altrimenti potresti sembrare una che cerca di trovarsi un buon partito."
"Ah ah ah. Lasciami stare, voglio solo scivolare in un mondo di elefantini rosa che danzano il fox-trot."
"Così il giorno dopo non riusciresti nemmeno a rispondere al telefono e mi manderesti un messaggio per avvertirmi del tuo desiderio di morire? Ti sveglieresti meglio se al mattino ti trovassi un bel uomo nel letto."
"Lo sai che non ne avrei il tempo e non mi piace trovarmi estranei in casa."
"Sei fortunata che sto per essere abbordata da quel tizio carino laggiù, altrimenti ti darei una sturata di orecchie da farti sposare il primo barbone che passa."
Così Fran sparì tra la folla e lasciò Temi con il suo drink in mano e di cattivo umore, tanto di decidere di andarsene a casa, alias un buco con il suo letto e qualche sua cosuccia. Almeno non le toccava più abitare con una coinquilina con cui non andava d'accordo o che non si occupava dell'appartamento.
Perciò bevve in un sorso, senza sentirne il sapore, pagò e uscì barcollando, più per la fatica di essere stata tante ore in piedi che per l'alcool, avviandosi nelle strade buie.
La bellezza e la pericolosità di Egris era la sua tranquillità e la sua oscurità che celavano le macchie degli abitanti. Era una città ideale per i crimini e a volte Temi si chiedeva se, a parte lei, ci fosse qualcuno che non avesse compiuto dei delitti. Era una città testarda e violenta, un sepolcro imbiancato, con quei bei edifici che nascondevano con la loro ombra tutto ciò che succedeva.
Sfortunatamente, Temi si era dimenticata tutto questo, troppo presa dai suoi pensieri, così quando si trovò quasi a sbattere con una sagoma scura, si pentì di non essere rimasta a ubriacarsi.


Angolo dell'autrice fuori di melone come un pinguino in Iraq:
Ciao a tutti!
Questo è il mio delirio mentale e se siete giunti fin qui vi meritate un "Chapeau!" di cuore da parte mia!;D
Scherzi a parte,spero che vi piaccia,che recensiate e che continuate a seguire questo povero sgorbio.
Adieu!
Vex

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Capitolo 2
*** Oggi dev'essere giovedì. Non sono mai riusciti a capirli, i giovedì. ***


"Oggi dev'essere giovedì. Non sono mai riusciti a capirli, i giovedì."(Guida galattica per gli autostoppisti)


In seguito Temi serbò nella sua mente a lungo il ricordo della serata senza poter dimenticare nulla, poi al contrario lo richiamò più volte per ricordarsi come era finita lì e il motivo.

Di certo non fu facile accettare tutto ciò, soprattutto per la sua velocità.

Era appena uscita dal locale e si era avviata per una stradicciola quando si imbatté in qualcuno che la costrinse contro un muro, premendole un cilindro metallico alla gola, sussurandole di stare calma. Tenendola stretta con il suo peso,iniziò a frugarle nelle tasche, alla ricerca di un portafoglio.

Temi era terrorizzata,non avrebbe potuto muoversi nemmeno se fosse stata libera, il suo cervello non faceva altro che lanciarle allarmi, ma le sue membra sembravano aver già accettato la morte.

Quando si sentì aprire i pantaloni,il suo petto iniziò una corsa disperata e sgranò gli occhi al buio,come se fosse stata una talpa in cerca di qualche bagliore.

Si ricordò di tutte quelle ragazze che aveva visto entrare all'ospedale piangendo con il volto terreo, tenute strette da amici o parenti, quasi il loro corpo, dopo l'aggressione subita, fosse diventato troppo pesante per essere sostenuto da solo.

Queste erano quelle fortunate.

Altre volte aveva visto le ecografie di altre vittime che l'avevano obbligata a correre in bagno a vomitare. Il pensiero di fare parte di questa triste schiera era insopportabile.

La sua coscienza aveva deciso di rifugiarsi nell'oscurità per non assistere al suo annientamento e tutto ciò che provava le sembrava così irreale da non poter essere vissuto, da non stare capitando a lei.

Poi si sentì libera dal peso e crollò a terra:il suo aggressore era stato distratto da qualcuno che aveva cercato di liberarla. I gesti si fecero confusi: la ragazza vide solo dei gran movimenti,udì delle imprecazioni, dei lamenti e uno sparo. Per un attimo il suo aggressore si voltò verso di lei e un lampo illuminò tutto: Temi riuscì a vedere l'uomo che aveva cercato di aiutarla franare al suolo con la stessa lentezza e impetuosità di una montagna. Poi tutto tornò scuro e l'assassino scappò via nel labirinto della città. Temi strisciò verso il caduto e gli toccò tremante il collo: era freddo.

Era un quasi - medico, sapeva che non si sarebbe potuto  fare nulla per lui. Eppure frugò comunque nelle sue tasche,come qualche tempo prima (secondi?Minuti?Ore?) le era successo,anche se c'era una differenza: Temi voleva solo sapere il nome del suo salvatore.

Finalmente lo trovò e, continuando a tremare,lo aprì e cercò qualche documento: John Ferson.

Non sembrava molto abbiente, anzi, il classico padre di famiglia  un po' stempiato e stanco che per togliersi da casa andava al bar. Eppure aveva avuto un coraggio che molti altri non avrebbero mai avuto.

Rimise tutto a posto, cercando di cancellare le sue impronte. Non voleva essere accusata di aver ucciso per derubare qualcuno, quando la prima vittima era proprio lei!

Iniziò a piangere per la tensione, l'ansia, la paura che le arrivava come se fosse stata la merce di un camion rotto. Non poteva crederci che le fosse capitato qualcosa del genere, che si trova solo nei romanzi e nei film per dare un tono un po' più tragico.

Eppure era proprio a lei che ciò era successo. Era assolutamente straniante e mentre le lacrime le lavavano la faccia, si sentiva sia dentro che fuori dal suo corpo e da quella situazione.

Si alzò barcollando in strada e cercò il suo portafoglio. Mentre si stava chinando a raccoglierlo, notò un anello che non apparteneva né a lei né al povero morto che giaceva lì a pochi passi, quindi l'unico possibile possessore doveva essere l'assassino. Si mise in tasca anche quello poi aiutandosi con il muro,si diresse alla prima cabina telefonica che vide, continuando a piangere lasciandosi bagnare da quella pioggia battente che aveva iniziato a scendere dopo il lampo.

 Temi era molto indecisa e continuava a essere terrorizzata, così decise che per il momento le sarebbe bastata una telefonata anonima alla polizia,per raccogliere quel poveraccio in mezzo alla strada.

Mentre aspettava che la linea si liberasse, si rigirava in mano l'anello, come se fosse l'ultima cosa al mondo che la tenesse viva. Ne studiò ogni curva e respinse l'istinto atavico di provarselo, ma non lo vide realmente. Quando qualcuno rispose dall'altra parte, non riuscendo a staccare la parole di "Pronto,centralediPoliziadiEgris,inchecosapossoservirla?", lei raccolse un respirò e lo informò che c'era un cadavere in via Beccaris, poi mise giù appena l'altro chiese il suo nome.

A quel punto decise di tornarsene a casa,dopo essersi chiusa i pantaloni, anche se finì la notte in un cassonetto: le gambe non la reggevano più.

Era riuscita ad allontanarsi, era quasi a metà strada però nemmeno la promessa di un letto caldo o di una doccia la sostennero più in là. Così, sempre appoggiata al muro riuscì a intravedere nell'oscurità un cassonetto mezzo aperto e ci andò dentro,rannicchiandosi e coprendosi con il tettuccio.

Temi vide l'alba da una posizione davvero insolita: barboni, lucciole e gentaglia varia sfilarono sotto i suoi occhi, come una torma di anime uscite dall'inferno. Si trascinavano lenti oppure guardinghi cercando di rintanarsi nei loro covi il prima possibile. Erano stati sorpresi dalla pioggia e non erano riusciti a tornarci, rischiando di fare una brutta fine a causa delle lotte tra bande e i vari accordi tra criminali influenti.

Qualcuno sbirciò anche dentro al cassonetto ma, vedendolo occupato e non volendo incappare in qualche problema,si  allontanò in fretta. La legge della criminalità era più dura della stessa giustizia e non c'era pietà per chi si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, cosicché tutti erano sempre altrove e l'indifferenza era diventata la chiave della sopravivenza.

Temi osservava tutto con occhi sgranati da una fessura e quando la processione finì, uscì dal cassonetto che l'aveva ospitata e si accorse di dover recarsi più velocemente possibile a casa:era completamente zuppa, piena di fango e puzzava atrocemente.

Non poteva aspettarsi di meno,dopo aver passato la notte con una pioggia battente in mezzo alla spazzatura.


Angolo dell'autrice:
sto cercando di fare la seria,perciò niente cose strane.Oggi.
Il mio sgorbio notturno continua ed è settimanale!:D
Ok,non proprio,visto che la prossima settimana sarò a Malta *balla la conga*!
Però tranquillizzatevi, miei venticinque lettori(Manzoni influisce un po' troppo su di me), sto già scrivendo il quarto capitolo e il terzo è molto più lungo di questo,una miseria di 800 e passa parole.
Adieu!

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Capitolo 3
*** Ti porti addosso una croce pesante: hai un cuore testardo che non è cambiato ***


"Ti porti addosso una croce pesante 
hai un cuore testardo che non è cambiato".
Temi aveva passato la mattinata sotto il getto della doccia, cercando inutilmente di lavare tutto lo sporco interiore che le era colato addosso con la forza inarrestabile della lava dopo quella notte.
Aveva sfregato e sfregato con gesti spasmodici, ma nella sua pelle continuava a vedere dei segni rossi che le ricordavano il tentativo di stupro o lo sparo e i suoi nei le parevano la testimonianza del fatto che era ormai irrimediabilmente macchiata dall'anima nera di Egris.
L'acqua che vorticava nello scarico sembrava deriderla per la sua purezza rovinata mentre mostrava la sua, integra.
Il profumo del bagnoschiuma le ricordava in continuazione l'afrore del cassonetto e del suo aggressore, il cui odore era davvero stordente e ora si trovava sui suoi vestiti. "Li brucerò tutti, mi farò un guardaroba nuovo, Fran sarà contenta!" Si vedeva che ormai delirava tra lo shock e il mancato sonno.
Finalmente uscì dalla doccia e si infilò tutti gli abiti più pesanti che riuscì a trovare: il freddo della notte sembrava aver sostituito le sue ossa e cercava di renderla interamente sua.
Non volle andare in camera da letto, ma si rincantucciò su una poltroncina nel salotto, il più possibile vicina all'entrata e al telefono, nel caso fosse entrato qualcuno. Aveva acceso tutte le luci in tutte le camere, non c'era uno spazio buio da nessuna parte, eppure continuava a vedere negli oggetti le scene a cui aveva assistito la sera prima. Era un orrore continuo e infinito. Su di lei ben presto calò il sonno, benché tenesse gli occhi sbarrati, il suo cervello aveva capito che la sua parte cosciente non avrebbe retto ancora per molto e che aveva bisogno di riposare.
Quando si svegliò erano passate cinque ore e in automatico, ancora con la testa annebbiata, si diresse in cucina a mangiare qualcosa: non si era accorta di avere così fame, anzi, avrebbe continuato a credere di non poter avere appetito mai più. Purtroppo per la sua linea, il corpo non era d'accordo.
Temi era tormentata: si rendeva conto di essere una testimone importante, avrebbe dovuto andare dalla polizia. Inoltre, poteva andare in prigione: aveva sottratto un oggetto dalla scena di un crimine.
Ecco, non riusciva a non pensare all'anello e a John Ferson, emerito sconosciuto che l'aveva difesa.
Aveva cercato su Facebook e c'era una foto dell'uomo abbracciato alla moglie. Ebbe un moto di compassione: non si sarebbero visti mai più ed era colpa sua. Perché non era rimasta in quel benedetto locale?
"Poveretta! Chissà come starà adesso! Devo farlo per la sua famiglia, almeno."
Però, quel gingillo... L'aveva guardato sotto una luce più forte di quella del vicolo e aveva notato che era piuttosto particolare: era composto da tre fasce di metalli diversi, con l'incisione di un' omega.
Le puzzava di guai da un chilometro: nessuno incide gli anelli, a parte le ragazzine adolescenti che se li regalano tra loro. E perché solo una lettera?
Se lo rimise in tasca e decise di uscire di casa.
Era già pomeriggio inoltrato e la luce era davvero molto forte, così si diresse verso via Beccaris.
Quello che vide la sconvolse, o meglio, quello che non vide: la via era tranquilla come sempre, c'era il solito flusso di gente e tutto era perfettamente normale.
Non c'era il nastro della polizia, ispettori, niente sangue.
Nulla.
E questo poteva voler dire due cose: l'assassino era tornato indietro e aveva ripulito tutto o la polizia era corrotta e lo aveva coperto.
La sua sicurezza nella giustizia di Egris si stava sbriciolando come un wafer. Se la polizia era dalla parte dei malvagi, chi avrebbe difeso i deboli?
Ok, era una visione piuttosto semplicistica e infantile, ma il problema rimaneva: chi avrebbe dovuto sbattere in prigione chi era protetto dalle bande, se le forze dell'ordine avevano degli accordi con quest'ultime?
"Batman. Spiderman. Superman. Solo che non abito a Gotham, che io sappia. Anche se di certo sono piuttosto oscure entrambe. Servirebbe davvero un supereroe. O qualcuno che ci salvi da questo baratro."
La scena a cui aveva assistito poche ore prima l'aveva segnata e non si era mai accorta sul serio di quanto la povertà e la criminalità dilagassero.
Aveva sempre pensato a queste cose con superficialità, credendo che ci fossero ovunque e che lei non potesse fare più di quanto già facesse, ammazzandosi per curare gli altri. O forse si era assuefatta alla violenza che vedeva ogni giorno da non farci più caso e non preoccupandosi di curare i carnefici quanto le vittime.
Da una parte giustificava questo comportamento, soprattutto perché se ci avesse pensato in continuazione sarebbe impazzita per l'impotenza. Ma dall'altra si chiedeva come avesse fatto a non accorgersi mai di nulla, nemmeno avesse avuto dei paraocchi.
Il cellulare suonò, strappandola ai suoi pensieri. Era Fran, probabilmente preoccupata di non aver avuto sue notizie per tutto il giorno.
"Pronto?" La voce agitatissima della sua amica le risuonò nell'orecchio e le invase la testa.
"Come stai? Sai che è scomparso il fratello di una mia collega, proprio ieri, sembra vicino al bar dove ci trovavamo ieri! Stanno chiedendo a tutti, ma sembra essere stato risucchiato da qualche altra parte! Dopo averti persa di vista mi sono preoccupata moltissimo!"
"Oh, mi dispiace... com'è che si chiama?" "Lei di cognome fa Ferson, credo che lui si chiami John, Jack... qualcosa del genere. Perché? Non te lo sei portato a letto e ora ti prega di poter rimanere?"
Cercava di sdrammatizzare, ma Temi sentiva che era stata davvero in ansia per lei e che ora lo era per la sua collega.
Era davvero molto tranquillizzante sapere che c'erano delle persone a cui importava degli altri, pur non avendoli mai visti.
"Fran! Mi sopravvaluti... magari è all'ospedale, si sarà sentito male, e non avendolo mai visto, magari se in una di quelle cartelle che mi mettono sempre sottomano ci fosse il suo nome, potrei telefonarti e tranquillizzare la tua collega, nel caso non fosse stata avvertita. Però è davvero tremendo non sapere se una persona è viva o morta. Se almeno fosse un cadavere se ne farebbero tutti una ragione. Invece non si sa nulla e si continua a sperare..." "Come sei cupa oggi. Sbronza triste?"
"No, dopo che ti sei gettata sul tipo me ne sono andata a casa. A proposito, com'è andata?"
"Come tutte le avventure del venerdì sera."
"Ti ha scaricato subito dopo?"
"E' scappato come un ladro."
Temi era triste per Fran: era la sua migliore amica e aveva del tempo per cercare qualcuno di sicuro migliore di un qualsiasi avventore di un bar non troppo pulito o alla moda. Non come lei, a cui il lavoro succhiava l'anima e chissà cos'altro.
Da quanto tempo non aveva un ragazzo fisso? Non se lo ricordava più.
"Mi dispiace. Se non riesci a trovare un ragazzo tu che sei bellissima, spiritosa e affascinante, io che sono la sciattezza e lo stacanovismo fatti persona che dovrei fare?"
Odiava sentire triste Fran perché aveva un carattere stellare e riusciva a illuminare tutti con la sua presenza. Ovvio che qualche volta si comportava da stronza, ma era umana e cercava sempre di rimediare ai danni fatti. Temi non capiva proprio come mai l'altra dovesse essere così sfortunata nelle questioni amorose: voleva davvero trovarle un uomo che la capisse e la trattasse come meritava, assecondandola nelle sue passioni e nei suoi innumerevoli hobby.
"Guarda che così mi commuovi! Però stavo pensando di provare a fare una pausa, a non cercare sempre di ammaliare tutti."
"Non ce la faresti: è nella tua anima. Tu sei fatta così, ti viene naturale. E poi, se io sono un ranocchio, ci serve almeno una sirenetta, che dici, per stare in tema con le favole?"
"Dico che sei adorabile e che è ora della manicure. Ciao!"
Fran chiuse il telefono di scatto.
Lei sapeva che ora avrebbe messo nel lettore dvd "Il profumo del mosto selvatico e avrebbe pianto dall'inizio alla fine. Purtroppo non poteva fare nulla per lei e, se così riusciva a sfogarsi, era meglio che trovarla con le vene tagliate.
Temi continuò a passeggiare intorno alla sua bettola preferita, in cerca di segni di aggressione o altro, ma non ne trovò. "Magari la polizia è intervenuta subito e ha già raccolto tutte le prove."
Lo sperava sul serio.
Decise di recarsi al commissariato e di carpire quante più informazioni possibili
Quando entrò e vide tutte quelle giacche blu scuro davanti a sé fu presa da un attimo di panico.
"E ora che dico? Cosa invento? Non posso farcela, non posso. E se mi mettono in prigione? Nessun ospedale mi darà un impiego!"
Temi era chiaramente sconvolta e stava iniziando a sragionare quando udì la voce del centralinista, diversa da quella sentita la notte prima ma con la stessa intonazione, che rispondeva al telefono come se stesse risparmiando sull'ossigeno.
Stranamente questo fatto la calmò un po', come se avesse trovato un vecchio amico in una compagnia di sconosciuti. Raddrizzò le spalle e fece un gran respiro: doveva trovare un agente che seguisse il caso della scomparsa di Ferson.
Per sua fortuna, lui trovò lei.
"Posso aiutarla?"
Lei sobbalzò e si chiese se fosse troppo tardi per scappare e rincantucciarsi in un angolo fino alla fine dei suoi giorni.
L'agente le sorrise, capendo di averla spaventata, le indicò una scrivania e le fece segno di sedersi su una sedia.
Lei gli spiegò di essere Karen Ferson, cugina dello scomparso, e di essere lì per informare la famiglia di possibili sviluppi, pregando tra sé che non fossero appena andati via da lì dei famigliari della vittima.
L'uomo la guardò con empatia e rammarico.
Purtroppo, come le disse lui, non erano ancora passate quarant'otto ore e in teoria John non era ancora scomparso. Tuttavia, per le insistenze della moglie che affermava che lui non spariva mai, avevano fatto qualche giro nelle vie vicino al locale, ma non c'erano tracce di lotta e altri indizi per supporre un omicidio o altro.
"Forse è stata la pioggia a lavare via i segni, ma, non avendo nulla in mano, non posso né escludere né ammettere nessuna possibilità. Cerchi di rincuorare la famiglia. Forse ieri sera era troppo ubriaco per tornare a casa, è andato a casa di un amico a riprendersi e ora si vergogna un po' del suo comportamento e della preoccupazione che ha creato."
Temi ringraziò l'agente e se ne andò.
Era molto turbata e scura in volto. Non avrebbe voluto mentire al poliziotto sulla sua identità ma non poteva certamente dirgli che voleva delle informazioni su una persona che non conosceva.
Probabilmente era la prima cosa davvero illegale che avesse mai fatto .
Sperò che nessuno lo scoprisse mai.
Ripensando a ciò che aveva imparato quella mattina, non si accorse di essere tornata in via Beccaris.
Quando se ne accorse, aggrottò la fronte: allora dov'era finito il morto? Chi l'aveva preso?
"Sarà meglio che non mi faccia vedere qui in giro per un po': chissà che non rincontri l'aggressore."
Tornata a casa, dopo aver chiuso la porta a doppia mandata e averci messo contro una sedia, cercò l'anello nella tasca e lo riguardò da ogni parte e da ogni angolazione possibile.
Purtroppo l'oggetto non voleva collaborare e non le svelava nessuno dei suoi segreti.
Era sempre lì, con quella lettera greca di cui non capiva l'utilità: forse l'iniziale di un nome? Di una società? Di una setta satanica?
Non lo sapeva e in quel momento era troppo stanca a causa di quella strana giornata per pensarci.
Però, prima di mettersi a letto, cercò di disegnare l'identikit del suo assalitore e, non soddisfatta del suo disegno, scrisse la sua descrizione, per non dimenticarsi nulla.
Magari il giorno dopo avrebbe raccontato tutto al poliziotto gentile. Ma ora stava scivolando nel suo privato spazio nero e non aveva intenzione di fare resistenza.

Angolo dell'autrice abbronzatissima sotto i raggi del sole:
Ciao a tutti!
Come vedete, sono tornata viva da Malta e con un bel capitolo tutto per voi!
Certo che voglio proprio male ai miei personaggi!
In più devo dare un nome ai capitoli: se avete proposte ditele!:)
Spero che vi piaccia e che recensiate :)
Devo ringraziare Acquamarine_ per l'aiuto che mi dà revisionando i capitoli prima della pubblicazione e che si sorbisce tutte le mie lagne, preoccupazioni e insicurezze! :D
Se non ci fosse, bisognerebbe inventarla!
Adieu!
Vex

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Capitolo 4
*** Nessun giorno è uguale all'altro, ogni mattina porta con sé un particolare miracolo, il proprio momento magico, nel quale i vecchi universi vengono distrutti e si creano nuove stelle. ***


Nessun giorno è uguale all'altro, ogni mattina porta con sé un particolare miracolo, il proprio momento magico, nel quale i vecchi universi vengono distrutti e si creano nuove stelle. (Paulo Coelho)

Quando la sveglia suonò, per una volta tanto, fu subito azzittita da un braccio lesto e non come al solito da materia organica molle che sembrava più zombie che viva.

Questo perché Temi non aveva dormito affatto bene, agitandosi e avendo degli incubi spaventosi. Così alla fine aveva deciso che tanto valeva stare a letto sveglia, godendosi il tepore.

Quando si alzò quasi sussultò spaventandosi a morte per il disegno fatto il giorno prima: non si ricordava che fosse così realistico. "E così brutto".

Mise quello e la descrizione in una busta di plastica e la nascose dentro uno dei suoi tomi di medicina, i pochi ornamenti della casa, insieme alle sedie e i centrini di sua nonna.

Questa, non si sa per quale motivo, aveva deciso di fare una produzione industriale di pizzi e altre cose da regalare poi in giro, cioè alle sue nipoti, figlie e nuore varie.

Il problema era che nessuna di loro amava quelle cose, pur essendo ben fatte, così di solito risolvevano la questione facendo un bel falò a Capodanno.

Solo Temi li teneva, pur trovandoli orribili, per senso di colpa e perché appena cercava di buttarli si ricordava la faccia di sua nonna, trepidante e tutta illuminata, mentre le porgeva la sua parte di centrini.

Così continuava a tenerli e loro giacevano sempre lì, ammuffiti.

"Ecco perché non potrei mai portarmi a casa un uomo. Macché un uomo, nemmeno l'idraulico."

Questo era il suo pensiero, quando posava su di loro lo sguardo.

Sfregandosi gli occhi, aggrottò il naso per il disordine e la polvere. Con tutto quello che era successo si era dimenticata di pulire e odiava essere così immersa nei ricordi della sera prima. Occhieggiò con odio anche la pila di vestiti che si ergevano, coprendola alla vista, da una sedia. Quando arrivò in cucina in due passi e mezzo, notò gli schizzi sui fornelli, i piatti erano sistemati uno sull'altro in modo precario nel lavandino e in generale sembrava che la casa fosse stata lì a riposare per qualche anno e poi fosse stata shakerata per benino.

Fran, se avesse visto ciò, l'avrebbe uccisa e dopo sarebbe svenuta.

Non aveva tempo per questi pensieri oziosi, così, dopo aver mangiato dei cereali con del latte quasi scaduto ed aver rovistato nell'armadio per trovare qualcosa di pulito, se ne andò in ospedale, con un bellissimo camice stropicciato e già usato a rovescio. Non aveva proprio la testa, in quel momento, per cercare di comportarsi normalmente.

Con il senno di poi, considerò che avrebbe dovuto capire che non era l'outfit migliore per lavorare, con quegli odiosi che non perdevano un'occasione di ridere degli altri.

Quando entrò nella hall, subito tutte le teste degli impiegati si voltarono verso di lei, come azionate da un meccanismo incredibile, e due infermieri le cercarono di spiegare che l'ospizio per i poveri era una strada più in là.

"Ma io sono un dottore!" Non si accorse di aver gridato fino a quando notò tutti avevano ripreso le loro attività, solo con la testa più incassata sulle spalle.

Ma non aveva tempo per questo, anche se si imbarazzò moltissimo, perché quei due la stavano squadrando come se stessero decidendo se internarla o no. Così tirò fuori il tesserino e glielo mostrò.

"Mhhh...Qui c'è scritto specializzando..."Temi li guardò con odio puro: non sopportava quelli che specificavano che lei non era ancora un medico vero e proprio.

"Lo sarò prestò." Ringhiò piano.

"Continua a sperarci. Se ti preoccupi della tua igiene come ti occupi dei pazienti, allora auguri!"

I due si allontanarono ridendo. Se prima la ragazza voleva solo rintanarsi nello spogliatoio il prima possibile, ora voleva una bella voragine con scritto il suo nome, cognome e indirizzo.

Finalmente Norge, un'infermiera con cui faceva comunella, la raggiunse e la prese subito sottobraccio, allontanandola da lì.

"Ma che credi di fare, conciata così? Cerchi di vincere il concorso di "Travestiti da barbone"? " A questo punto Temi storse il naso: lei li aveva visti, sul serio e non pensava che fosse giusto criticare qualcuno per la vita che conduceva. Ma se l'altra se ne accorse, non lo mostrò. "E cos'hai fatto ai capelli? Sembra che ti sia nata una nuova stella in testa! Senti, io ti timbro il cartellino, ma vai nello sgabuzzino del primo piano e ti cambi velocemente. Sei fortunata che cominci da lì la ronda."

"Ma è lontano, buio e sporco! E il mio turno inizia a momenti."

L'infermiera, con un gesto deciso della mano, la zittì.

"Non mi interessa, ma se vuoi perdere il lavoro e il tuo periodo di praticantato, fa pure. Se ti vede il grande capo vestita così... Già non sei molto ben vista in generale, con questo gli altri spareranno su di te alla massima potenza, dicendo che mini la rispettabilità dell'ospedale e cavolate varie."

Si guardarono un momento negli occhi: Temi sapeva che era tutto vero.

L'altra non scherzava affatto e si vedeva che ci teneva a lei.

Così annuì leggermente, si sfilò dalla tasca la tessera, gliela consegnò e fece per andarsene.

Norge la fermò ancora e, quando lei si voltò, le lanciò una cosa piatta e circolare.

Temi se la rigirò in mano perplessa.

"E questo cos'è? Una bomba?"

L'altra rise.

"No, è il rimedio per i tuoi capelli. Si chiama spazzola!"

Detto ciò, iniziò a correre verso il suo corridoio, mentre lei si rifugiò nello sgabuzzino, scuotendo la testa.

Dopo qualche minuto, era vestita più decentemente, anche se era di cattivissimo umore.

Odiava quel posto: era minuscolo, con la puzza dei detersivi e le scope che le continuavano a cadere in testa.

In più era buio e ogni ombra sembrava qualcosa di schifoso, quel giorno più che mai, mentre magari era solo un secchio.

Decisamente non era il suo posto preferito.

In realtà non aveva un posto preferito nell'ospedale: i corridoi erano gremiti di persone, le stanze piene di ammalati e non c'era mai un attimo di pace.

Le piaceva esercitare la sua professione, ma ad un certo punto non riusciva più a sopportare l'ennesima inutile lamentela del paziente sui suoi compagni di stanza o a doverne annunciare la morte, la malattia incurabile, la cattiva riuscita di una cura.

Certe volte avrebbe voluto fare un mestiere diverso: aveva un cuore troppo tenero.

Ringraziava sempre il cielo di non aver scelto pediatria, altrimenti si sarebbe suicidata dopo tre giorni: come avrebbe fatto ad annunciare ai genitori di un neonato che quest'ultimo aveva la sindrome di Patau?

Molte sue compagne di università l'avevano studiata, ma alcune, dopo aver capito che i bambini non sono solo putti viventi che ridacchiano e giocano, ma qualche volta esseri arrabbiatissimi che non fanno altro che piangere e stare male, avevano lasciato, dedicandosi ad altro, affermando che "L'unico bambino che sopporto è un bambino ancora nella placenta."

Lei non era molto d'accordo: conosceva altre persone che erano ugualmente odiabili, ed erano tutte adulte. Quelle ridevano e dicevano che se fosse stato per curarli sarebbe stato perfetto, ma fingersi contente di essere sommerse da valanghe di pannolini di figli non loro andava oltre la loro capacità di faccia di bronzo.

Temi di solito storceva il naso, ma non aggiungeva altro.

Lei, lo sapevano tutti, si prendeva troppo cura di alcuni pazienti, pur riuscendo a essere distaccata con altri.

Di solito quest'ultimi erano quelli che le rompevano l'anima fino allo sfinimento con stupidaggini di varia sorta o che cercavano di strapparle vita morte e miracoli, resurrezione inclusa.

A lei non dispiaceva fare due chiacchiere ogni tanto, capiva che potessero sentirsi soli e annoiati, ma se avesse dovuto dedicare 10 minuti a ognuno, sarebbe tornata a casa nel giorno del mai.

E c'erano altre persone di cui occuparsi.

In generale però, quando accadeva qualcosa di brutto a un suo ammalato, pur essendosi lamentato troppe volte perché non c'era la tv via cavo, era molto triste per lui e se ne doleva come se fosse effettivamente colpa sua.

Come per il signor T.




Angolo dell'autrice disperata perchè non trova il quinto capitolo:
Ciao a tutti!
Curiosi di sapere chi sia il signor T, vero?:D
Mi dispiace, ma dovrete aspettare la prossima settimana, anche se potete fare delle congetture: non sono razzista, rispondo a tutti!;)
Se pensate che il nome dell'infermiera sia strano, ebbene è così: magari farò qualcosa per spiegare perchè si chiama così nella storia, ma nella realtà è un caso.
Ringrazio chi segure, legge, preferisce e commenta questo sgorbio, ma un grazie speciale va a Acquamarine_ che mi aiuta sempre un sacco!
Spero che vi stiate divertendo a leggere della povera Temi, che recensiate e che stiate passando una buon'estate!
Adieu!:)
Vex

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Capitolo 5
*** Così perso, di nuovo confuso, mi sento così di poco valore, così usato, infedele. ***


Perché mi sento così pazzo
Mi sento così arrabbiato
Mi sento così insensibile
Così perso, di nuovo confuso
Mi sento così di poco valore
Così usato, infedele
(Box Car Racer I Feel So)

Il signor T era la prima persona che le era capitata già in gravissime condizioni.

Aveva avuto un infarto e prima di questo molti altri.

A Temi, leggendo la sua cartella clinica, era spuntata un'enorme ruga di disappunto, tanto che l'anziano le aveva chiesto se avesse appena fatto una chirurgia plastica e non servisse a lei, piuttosto, un medico, visto che la faccia stava colando via.

Il signor T non era un uomo gentile, la ragazza se n'era resa conto subito.

In più faceva i capricci, era brusco, non faceva altro che lamentarsi di tutto e tutti, ma il suo passatempo preferito era criticarla.

"Dorme o cosa? La chiamo da tre anni! Cosa stava facendo, un torneo di poker?"

"Questa schifezza non la mangio, la dia ai porci. Per caso l'ha cucinata lei?"

"Questa stanza puzza! Quand'è stata l'ultima sua doccia?"

"Mia figlia, mica come lei. A confronto sembrereste la principessa e la povera. Si occuperebbe di me meglio che una certa specializzanda, ne sono certo. E poi ne sa ovviamente di più, anche se non ci vuole mica molto."

A parte le varie insinuazioni sulla sua igiene personale e la sua abilità culinaria, quello che le dava più fastidio era il fatto che non si rendesse conto che lei non era la sua schiavetta personale e che si stava impegnando al massimo per lui. Come per tutti i suoi pazienti.

Di certo non era per pigrizia che tardava ad arrivare se chiamata, ma per i numerosi ammalati che cercava di curare e che, di certo, non si comportavano come il signor T.

"Ok, non voglio una medaglia al valore, è il mio mestiere, l'ho scelto io. E potrei cambiarlo da un momento all'altro, diventando tipo assassina a pagamento, se mi andasse. Ma non sopporto che i miei sforzi non vengono riconosciuti!"

Questo era il suo pensiero costante, quando entrava in quella camera e il vecchio le sbraitava contro.

E poi, questa favolosa figlia. Lei l'aveva vista una sola volta. In tre mesi di ricovero.

Non poteva negare che fosse molto curata e magari fosse più intelligente e una cuoca migliore di lei, ma di certo, se avesse dovuto occuparsene lei di persona, l' avrebbe sbattuto nel primo ospizio per poi lavarsene le mani per sempre.

Ma questo non lo disse mai. Non era così crudele. Un'altra delle cose che la infastidivano era la sua disobbedienza. Non prendeva le medicine, anzi, fingeva di ingoiarle e poi le sputava.

Una volta che lo aveva scoperto, quello, invece di avere la buona creanza di mostrarsi pentito, se l'era presa con lei, come se fosse colpa di Temi se lo aveva visto fare il suo giochetto.

Ormai andava al lavoro sempre più stressata e irrigidita che mai, perché sapeva che avrebbe dovuto occuparsi di quel maledetto vecchio che odiava, ricambiata ampiamente. Da metà del secondo mese, lo vide sempre più incattivito e sentì la sua tosse, che lei credeva parte del brontolio continuo, peggiorare.

Ebbe un brutto presentimento, così lo costrinse a fare degli esami, che lui non volle assolutamente fare e che lo fecero inveire sempre di più contro di lei.

Gli esiti non furono affatto buoni: si scoprì che aveva un tumore ai polmoni grosso come una noce di cocco.

Ovviamente non si poteva fare nulla per lui.

Ne parlò con dei medici specializzati e le consigliarono delle medicine per fermare almeno il dolore.

Curarlo non si poteva e tanto valeva che quel poco che gli rimaneva della sua vita fosse tranquillo.

Temi pensò di informare lei stessa la famiglia, avendolo curato, perciò telefonò alla super figlia.

"Pronto?"

"Ospedale statale di Egris. La vorrei informare delle condizioni di suo padre."

"E' guarito?"

A Temi sembrò di sentire una nota di delusione, paura e allarme, ma pensò di esserselo sognata.

"No, purtroppo. Ha un tumore ai polmoni e le sue condizione stanno peggiorando di giorno in giorno. Non vivrà a lungo. Mi dispiace."

"Ah."

La ragazza sentì solo questo e dopo un silenzio assoluto, così pensò che fosse caduta la linea.

Non poteva commentare la sempre più prossima dipartita del padre con un monosillabico e privo di espressione "Ah".

"Pronto, mi sente?"

"Sì, sì. Benissimo. Se lo doveva aspettare, in fondo: ha fumato tutta la vita e mica una sigaretta alla settimana.

Casa sua sembrava una fumeria d'oppio per il fumo e la puzza."

Si vede che poteva, visto che la sua voce era sempre uguale, liscia come la neve.

"Quindi la volevamo solo avvertire, nel caso che lei lo volesse vedere prima della sua scomparsa."

"Certamente! Qual è l'orario di visite?"

Temi la informò e si stupì alquanto di questo slancio di affetto filiale.

Ma poi la vide andare da suo padre con in mano dei fogli. E la mano della donna che sorreggeva quella del vecchio, come per aiutarlo a scrivere.

"Brutta puttana."

Temi si girò di scatto, spaventatissima per colpa di quel sibilo malefico, ma si tranquillizzò: era solo Norge, apparsa come al solito all'improvviso.

"Quanto scommetti che quello è un testamento?"

"Nulla, perché so che hai ragione. Che miseria."

"In realtà gli sta sol bene avere una figlia così. Dopo tutto, ti tratta da cani e anche peggio. Non sai quante volte ho avuto la tentazione di dargli il dosaggio sbagliato. Se avessi saputo che era così malato, lo avrei fatto sul serio. Almeno si sarebbe spento prima. E ora te ne dovrai occupare a tempo indeterminato."

"Ma se gli rimane poco da vivere!"

"I medici dicono tutti così. Ma scusa, tu non ti ricordi di quella tizia, quella con il cagnolino? Anche lei aveva un tumore ma, non si sa come, è guarita, e i suoi figli le stavano già vendendo la casa! Dimmi tu, se non ho ragione."

Temi abbassò il capo.

E' vero: i tumori sono inaffidabili, compaiono e scompaiono senza motivo.

Però le dispiaceva per il signor T: di certo la figlia avrebbe sperperato tutti i soldi senza nemmeno fare un pensierino al suo povero padre.

In quel momento capì che non poteva farlo morire da solo, come un cane, anche se si odiavano e lei avrebbe avuto dei motivi validi per ballare sulla sua tomba.

Fortunatamente per i suoi buoni propositi, il paziente si fece sempre più debole e si impegnava di più per tenere gli occhi aperti che per insultarla.

Qualche volta Temi gli portava del cibo dall'esterno, tanto stava già morendo, non gli avrebbe fatto di certo peggio un gelato o un pezzo di pizza. La fissava sempre male e sembrava sempre che stesse per sbottare con un "Mi vuole avvelenare, per caso?", però si vedeva che stava cercando di difendere la sua fama e non voleva essere compianto da lei. Sapeva di stare per morire. Stava lì con lui e passava più volte in quella stanza per vedere le sue condizioni, tant'è che il compagno di stanza del signor T le chiese scherzoso se si fosse innamorata di lui. Lei gli fece solo un sorriso tirato.

Quando era peggiorato rapidamente, alla fine del secondo mese, tanto da dover essere nutrito via vena, Temi era stata preoccupatissima di perderlo, come se fosse un suo famigliare a cui era molto legata, mentre era solo un paziente rompiscatole all'ennesima potenza.

Così un giorno, avendolo visto più tempo addormentato che sveglio, aveva deciso di rimanere lì quell'ultima notte.

Perché lei lo aveva intuito, il signor T non avrebbe mai visto altro che quelle tristi pareti e i suoi macchinari che stentavano a tenerlo in vita ancora.

A fine turno, invece di andare a casa, si era messa su una sedia nella camera del suo paziente, dicendo al compagno di stanza che aveva avuto il compito di tenerlo sotto osservazione, solo quella notte.

L'uomo aveva scosso la testa e le aveva detto di divertirsi, con il suo ragazzo.

L'altro allora si era svegliato e aveva brontolato contro di lui, lei e il mondo intero, ma si notava che era molto sottotono e che il brontolio era una pallida imitazione delle sue catilinarie, famose in tutto l'ospedale.

Il quasi medico e l'altro malato si erano guardati e si era verificato un caso di lettura del pensiero: tutti e due sapevano che domani sarebbe stato più freddo del marmo.

Però Temi restò lì, lesse un po', sia silenziosamente che ad alta voce, quando vedeva che il signor T era sveglio e lo serviva in tutte le maniere possibile e immaginabili.

L'altro paziente si era rassegnato alla nottata insonne e ascoltava volentieri la lettura.

Sembrava simpatico e non le aveva mai detto nulla di male. Ormai divideva così i pazienti: quelli gentili e quelli rompiscatole.

Lei si chiese da quale malattia fosse stato colpito, era entrato nello stesso periodo dell'altro, ma non se n'era mai occupata. "O preoccupata." Pensava, ma di certo non aveva avuto un periodo facile. Ora stava finendo, però non nel modo in cui avrebbe voluto lei. Nel mondo perfetto lui, dopo essere stato curato, sarebbe uscito dall'ospedale con le sue gambe e subito dopo, mentre attraversava la strada, sarebbe stato investito da un autobus. Morto stecchito, avrebbero scritto nel suo referto.

Purtroppo non era stato così e si sentiva troppo in colpa: avrebbe dovuto fare quegli esami prima, avrebbe dovuto capirlo dalle dita e dai denti che era un fumatore, avrebbe dovuto dire alla figlia di venirlo a trovare più spesso, avrebbe dovuto essere più gentile...

Troppi condizionali. Non lo era stata, non aveva fatto queste cose e ormai era tutto inutile pensarci su in questo modo.

Il signor T era morto alle quattro meno un quarto e le sue ultime parole erano state "Stupida ragazzotta."

Di certo la malattia e la vicina morte non avevano cambiato il suo savoir-faire.

Temi si diede della stupida: cosa pensava di fare, rimanendo tutta la notte sveglia a vegliare un vecchiardo di quel genere? Voleva un'assoluzione da cosa?

L'altro paziente la guardò mentre completava la scheda di dipartita e la guardava stendere un lenzuolo sul corpo, poi andò in bagno, portandosi dietro le sue flebo. Fra poco lo avrebbe portato in obitorio e avrebbe telefonato alla figlia. "Almeno qualcuno sarà contento." Questo pensiero amaro le fece male e si chiese se qualcuno avrebbe provato la stessa cosa per la sua morte.

Mentre era così sconsolata e portata al suicidio, entrò Norge, la prese per le spalle e la scosse.

"Che cavolo stai facendo qui ora?" Era senza dubbio inferocita: chissà cosa avrebbe pensato la gente se un medico si fosse trattenuto tutta la notte, come sembrava, nella camera di un paziente. Favoritismi o, peggio, avvelenamento.

"E'... è... è morto." Temi era shockata dalla comparsa dell'infermiera.

"Chi, quel vecchio bavoso fumatore rompiballe? Finalmente!"

Norge era molto decisa e di certo non compativa nessuno che non se lo meritasse secondo i suoi personalissimi canoni.

"Scusa, non sei contenta? Te lo sei tolto di torno e, anche se avesse continuato a vivere, sarebbe stata una sofferenza continua per lui."

"Ma è morto!" Temi era isterica: non capiva come l'altra potesse essere così cinica e indifferente. Il signor T era morto e lei gioiva!

L'infermiera la guardò malissimo e con tutta tranquillità continuò a parlare.

"E allora? Sai quanta gente muore qui in ospedale? Un mucchio! E se dovessi fare queste scenate come te ogni volta che un mio paziente spira, sarei la regina di Broadway, stanne certa! Ora, portalo via, dagli l'estrema unzione o quel che vuoi, poi dimenticatelo. Non è nemmeno colpa tua se era un vecchiaccio fumatore del piffero che non faceva altro che trattarti male. Adesso obbediscimi."

La guardò con un luccichio duro negli occhi. All'infermiera piaceva Temi, non aveva ancora quell'alterigia dei medici ed era tenera. Troppo per quel posto.

Una piccola luce di comprensione iniziò a inondare il delirio mentale di Temi. L'altra aveva ragione: non era umanamente possibile essere tristi e addolorati per tutti e c'erano persone che lo meritavano di più che il signor T. Docile, chinò la testa e mormorò un assenso.

Norge, sempre battagliera come al solito, fece un cenno brusco e la aiutò a mettere il cadavere nella barella, poi continuò il suo giro, dandole un frettoloso e forte abbraccio. Temi si avviò verso l'obitorio e iniziò a richiamare alla mente tutti i soprusi e le microespressioni di dolore del dipartito e si ritrovò a pensare che stava meglio di sicuro dove si trovava ora, dove certo lo avrebbero servito come voleva o gli avrebbero dato una lezione come si deve. Quando tornò nella camera del signor T l'altro paziente la salutò sorridendo. Lei si sedette su un angolo del letto e gli chiese cosa avesse. "Leucemia." rispose semplicemente.

Temi lasciò la stanza perché stava iniziando il suo turno, presa dai suoi pensieri, e non ci ritornò più. Quando tempo dopo ci passò accanto, vide delle infermiere rifare il letto di quel tizio e capì che era morto anche lui. Le si strinse il cuore in una morsa sconosciuta, perché non conosceva nemmeno il cognome di quel paziente.

Da quel giorno Norge e lei divennero molto amiche, perché non si possono fare certi discorsi senza diventarlo e senza provare un senso di protezione e gratitudine una verso l'altra.

Dall'esperienza e dal tempo Temi capì di non poter sopravvivere nell'ospedale se non avesse considerato i suoi pazienti un po' meno umani e simili a lei, ma degni delle migliori cure che lei potesse dare loro.

Solo che il suo cuore non aveva ancora appreso bene la lezione e tendeva a dimenticarsene, ferendosi in continuazione.




Angolo dell'autrice che ha avuto dei giorni da incubo e che in questo momento è serissima.
Ciao a tutti!
Come vi sembra questo capitolo?
Si capisce di più la personalità di Temi?
Avete fatto delle ipotesi sul nome del signor T?
La risposta è... che è quella lettera è l'iniziale di θάνατος, morte in greco antico. In quello moderno non so.
Questo capitolo è stato postato in fretta, così è probabile che ci siano errori, sviste e varie, soprattutto con i termini medici. Segnalatemeli pure!
L'html l'ho dovuto fare a forza di copia&incolla, perciò perdonate la mia povera anima dannata anche per questo.
Continuate a seguirmi e commentate: rispondo ancora a tutti!;D
Vex

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Capitolo 6
*** Non l'amore, non i soldi, non la fede, non la fama, non la giustizia... datemi solo la Verità. ***


 

Non l'amore, non i soldi, non la fede, non la fama, non la giustizia... datemi solo la Verità

(Schopenhauer)

Anche solo per i vestiti orribili che si era messa, Temi capì che la giornata non sarebbe filata via come un fuso. "Come se lo facesse mai!" Purtroppo soprattutto quel giorno perché più cercava di concentrarsi più le tornava in mente il quasi stupro e le informazioni che aveva ottenuto.
Un sacco di medici le chiesero se fosse lei quella comparsa quella mattina in camice spiegazzato e sporco e lei mentì spudoratamente, imbarazzandosi da morire. Sembrava essere la nuova barzelletta dell'ospedale e, pur scherzando, due malati le avevano chiesto che fosse loro cambiato medico, poiché non sopportavano il suo look. Lei rise a denti strettissimi, tanto da sembrare un criceto estatico. O sotto acidi.
Comunque, la giornata peggiorò moltissimo quando un medico le chiese di occuparsi con la massima discrezione di un paziente speciale. "Massima discrezione" e "speciale" avevano acceso una luce nella mente di Temi che diceva: "Attenzione! E' un vip/riccone/potente che si è fatto la bua mentre il suo medico personale è in vacanza alle Hawaii/Canarie/Narnia/Arcadia e danno a te il compito di accudirlo come una servetta perché sei una quasi medico e per lui, povero caro, vogliono solo il meglio, perciò niente assistenza infermieristica!"
Con il senno di poi, la ragazza si chiese se le luci potessero parlare o vedere il futuro.
Ma ora non c'era tempo per quel pensiero ozioso e si diresse nella camera 47,al secondo piano.
Aveva un brutto presentimento, tuttavia sapeva che erano solo stupidaggini: era una donna di scienza, mica noccioline.
Purtroppo, dopo la piega degli eventi, decise che avrebbe fatto meglio a diventare astrologa: almeno nessun evento l'avrebbe più stupita.
Aprì la porta, ma la socchiuse subito, perché il vip/pezzo grosso/potente sdraiato su un letto stava parlando animatamente al cellulare con qualcuno. E di certo non chiacchieravano di violette e cerbiatti volanti.
Bussò e sentì gridare un irritatissimo "Avanti!". L'uomo chiuse la telefonata tagliando corto, visto che forse il suo interlocutore misterioso era molto restio a lasciarlo andare. Lei gli chiese sorridendo come stesse e diede una sbirciata alla sua cartella medica: cirrosi epatica.
"Questo qui ci ha dato dentro con l'alcool. Guarda che pancia da birra che ha."
Di certo il signor Tommy Busco non era un figurino, ma un gran bel vitellone di quelli robusti.
Sembrava un produttore di Hollywood: aveva pure la coda di cavallo e i capelli radi sulla fronte!
Gli mancava solo una camicia a stampa Hawaiana, sostituita in questo caso da un camice azzurrino.
"Busco, Busco, Busco... l'ho già sentito questo nome e non mi ispira fiducia. Dovevo dormire di più, stanotte, almeno mi ricorderei altre cose, oltre al mio nome!"
Ben conscia che non avrebbe potuto farlo comunque, si avvicinò, controllò la flebo e si preparò a sorbire le lamentele del paziente. Stranamente non ne fece, anzi, chiacchierò un po' e cercò di fare il cascamorto con lei, visto che solo a vedere una bella figliuola come lei si guariva di colpo, secondo il suo parere.
Temi ridacchiò, ben conscia di non essere tutta questa miss mondo, e si assicurò che fosse comodo, invitandolo a chiedere qualunque cosa potesse aver bisogno. Fu in quel momento che notò QUELLO.
Mentre lui sventolava le mani per dare più enfasi al suo immaginario spalancare le finestre, i suoi occhi notarono uno scintillio di tre metalli diversi che ormai conosceva bene, con la sua bella letterina greca incisa sopra. Le sue mani corsero alla tasca del camice, dove teneva l'anello del suo assalitore, che ora le scottava addosso.
Il simbolo di una banda, ma certo! Un segno di riconoscimento, di appartenenza. Qualcosa di così pacchiano da rimanere senza attenzione, perché troppo visibile.
E lei aveva un complice del potenziale stupratore davanti, con cui aveva scherzato e a cui aveva dato la propria disponibiltà.
Si odiò all'istante: non poteva dimenticare John Ferson dopo due giorni!
Il paziente, notando il cambiamento di temperatura nella stanza, le chiese se andasse tutto bene.
Lei gli ripose di stare solo ammirando il suo anello e gli chiese dove l'avesse comprato, perché voleva fare un regalo al suo fidanzato, poiché questo fantomatico ragazzo amava quelle cose.
"Eh, questo mica si trova dappertutto, cocca! Prendigli piuttosto un abbonamento allo stadio!" Le fece l'occhiolino e sorrise. Quella confidenza, quel tono bonario e manipolatore la nauseavano, così inventò di dover badare ad altro pazienti e uscì di corsa.
"Non si trova dappertutto, cocca! E' praticamente un'ammissione che si stato fatto per uno scopo ben preciso e che ce ne siano pochi in circolazione, fatti su misura. Ecco perché mi ricordava qualcosa il suo cognome! E' una delle famiglie che contano qui. Suo fratello non aveva passato dei guai recentemente con la giustizia?"
Scosse la testa.
No, non doveva farsi prendere dalle fantasia.
L'anello poteva essere di una confraternita, del gruppo di golf, poteva essere stato trovato nel sacchetto delle patatine, poteva essere di qualunque cosa.
No, per la sua testa, per quanto ci provasse, quell'anello indicava solo che era stata quasi vittima di uno appartenente alla banda dei Busco, di certo in giro per gli affari suoi.
Improvvisamente si sentì salire una gran rabbia: come mai quella gente non poteva mantenere delle brave persone invece che dei pregiudicati? Sarebbe stato meglio per tutti. Soprattutto per lei. Era quasi riuscita a non pensare al tentato stupro quella mattina, impegnata com'era tra un paziente e l'altro, ma sembrava quasi perseguitarla.
Uscì dal corridoio, cercando un'uscita per prendere una boccata d'aria e ossigenare il cervello che le rimaneva.
Incontrò Norge che guardò interrogativa la sua corsa folle e, per non farla preoccupare, le sussurrò al volo che aveva la pausa sigaretta.
All'infermiera non scappò che Temi non fumava e, dopo essersi sommariamente occupata di un paziente che non voleva rimanere a letto, la inseguì.
La trovò sulle scale antincendio, mentre guardava pericolosamente giù.
Temi aveva paura dell'altezza, ma affacciarsi per vedere il suolo era una delle cose che la tranquillizzava, come se la terra dicesse: "Può succedere di tutto, ma io sarò sempre qui pronta per il tuo doloroso abbraccio."
Norge sapeva che quella posizione era un'avvisaglia di un evento spiacevole per l'amica; infatti, qualche giorno dopo la morte del signor T, l'aveva trovata nella stessa posizione e si era spaventata da morire, poiché credeva che si stesse per buttare, tanto si stava sporgendo.
Anche lei temeva le altezze ma non trovava affatto rassicurante fissarle.
Così, con piccoli passi, le si avvicinò da dietro, ben attenta ad appoggiarsi a qualsiasi cosa, per non avere la terribile sensazione di vertigine, e afferrò le sue spalle come se fossero state le uniche cose stabili rimaste al mondo.
Temi, che era sovrappensiero, al contatto, si spaventò a morte e si irrigidì.
Solo quando sentì l'altra maledire tutto il pantheon nordico, le scappò un sorriso e si voltò.
Norge era livida e infuriata con lei, perché la costringeva a venire in luoghi che odiava e a preoccuparsi di lei.
Lei cercò di tranquillizzarla e finse solo di aver dovuto dare una brutta notizia a un paziente.
L'altra era davvero dubbiosa: era capitato altre volte, erano in un ospedale, dopotutto, ma mai la specializzanda si era comportato in questo modo, mentendole spudoratamente.
Di solito la cercava e le piangeva addosso, macchiandole il camice di mascara, quindi questo cambiamento la impensierì, soprattutto perché la vedeva abbastanza calma.
"Che si sia rafforzata? O che stia perdendo la sua spiccata sensibilità? Riuscirà a diventare un medico tipo Dottor House? Non mi piace. C'è qualcosa di sbagliato in tutto questo, eppure non sembra così diversa dal solito. Gli occhi... solo sono strani. Normalmente dovrebbero quantomeno essere un po' lucidi, invece sono più asciutti del deserto. Sembra che sia separata dalla realtà. Forse ha solo dei pensieri in testa e neppure una brutta notizia riesce a scalfirla, in questo momento. Basta che non scoppi a piangere davanti al Grande Capo."
Norge non riusciva a capacitarsi, ma si limitò a farle una ramanzina sul mentirle e sullo scappare via nei corridoi.
Temi sorrise per farle capire che andava tutto bene e tornò dentro.
Si costrinse a tornare da Busco, altrimenti avrebbe potuto perdere il lavoro se quello si fosse lamentato del trattamento.
Mentre stava per aprire la porta, sentì delle parole smozzicate e appoggiò l'orecchio alla parete legnosa, fermando la mano sulla maniglia, dopo aver controllato chi ci fosse in giro.
Fino a poco tempo prima, precisamente due giorni, non l'avrebbe fatto, anzi: si sarebbe allontanata per discrezione. Ora invece sta ficcanasando come il peggiore dei detective televisivi.
Busco aveva ricevuto una telefonata anche prima, e, sebbene all'inizio le fosse sembrata d'affari assolutamente innocui, ora era certa che stesse dando indicazioni criptate per rapine, furti, ricatti e altri crimini.
Trattenne il respiro: cosa le sarebbe potuto accadere se avesse udito qualcosa che non avrebbe dovuto?
"Be', nulla, se tengo tutto per me." Questo suo primo pensiero fu spazzato via dall'indignazione e dal suo senso del dovere.
Non avrebbe mai potuto tener nascosto una cosa del genere. Ci ripensò: lei non aveva ancora denunciato il tentato stupro e aveva trafugato un oggetto dalla scena del crimine.
Le venne il magone, pensando a cosa sarebbe successo se lei avesse telefonato alla polizia non anonimamente, non toccando nulla e stando sul posto.
"Magari ora Ferson sarebbe in una bara, compianto da tutto il parentado e la famiglia si sarebbe data un po' pace. E io sarei stata forse odiata dalla vedova per essere stata così stupida? Sarei andata anch'io a dare l'ultimo saluto a uno sconosciuto che mi ha salvato la vita?"
Accantonò questi pensieri, per il momento non andava bene fare autocoscienza, e decise che dopo sarebbe andata a confessarsi, benché non mettesse piede da anni in una chiesa.
Era una donna di scienza, mica noccioline, ma ora voleva solo il supporto di uno sconosciuto a cui confidare i propri oscuri segreti.

 

 

 

 

 

Angolo dell'autrice che crede di aver fatto un bel casino.

 

Ciao a tutti i miei lettori e alle mie lettrici!

 

In questo capitolo ci sono vari interrrogativi che mi appresto a risolvere:

 

perchè Tommy Busco è nella stanza 47?

 

Perchè si chiama così?

 

Che cos'è la cirrosi epatica?

 

Che cosa c'entrano i cerbiatti volanti?

 

 

 

Il 47 ha questo significato: Equilibrio precario in ogni cosa. La Morte che parla. La cecità. La sordità. Incostanza, mutevolezza.

 

Poi il caro Tommy in realtà è ispirato a  Tommaso Buscetta, un mafioso italiano.

 

Lui soffre di una malattia del fegato, come si nota dal pensiero di Temi sul pancione da birra.

 

I cerbiatti volanti sono un omaggio a Vergilio, tanto per farlo rivoltare un po' nella tomba.

 

Sono malvagia, lo so.:D

 

Quindi vedete, cari lettori, che non scrivo (tutto) a caso ma molte hanno un significato nascosto.

 

Spero che vi sia piaciuto, che recensiate e che continuaste a seguire questo sgorbio!

 

Adieu!

 

Vex

 

 

 

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Capitolo 7
*** Comunicare. È la prima cosa che impariamo davvero nella vita. ***


Capitolo settimo
La cosa buffa è che più noi cresciamo, impariamo le parole e cominciamo a parlare e più diventa difficile sapere cosa dire, o peggio ottenere quello che davvero vogliamo. (Grey's Anatomy)
 
Si scosse da quei pensieri sentendo un'altra voce all'interno della stanza: allora non era una telefonata!
"Deve essere qualcosa di davvero grosso se ne parlano di persona! Chissà cosa staranno progettando... E se sentissi qualcosa? La polizia è esclusa. Potrei andare in prigione io stessa, figurarsi denunciare qualcuno di così potente. Pur facendolo, avrebbero i migliori avvocati della città e io avrei violato la privacy di un mio paziente. Mi sbatterebbero fuori dall'ospedale e addio carriera medica."
Tese l'orecchio e cercò di captare qualcosa.
Sentiva snocciolare numeri a macchinetta, ma, a meno che non stessero ripetendo le tabelline, le sembravano dati e percentuali delle loro attività.
Finalmente, riuscì a comprendere qualcosa, forse perché credevano di essere al sicuro o perché i toni si erano scaldati.
"Questa cosa non me la doveva fare! Il 65%, che cavolo! Non riesco a immaginare di dovergli dare qualcosa mentre non ha fatto nulla per noi!"
"Eppure dobbiamo, cocco mio! Senza di lui siamo carta straccia! Vedi la cosa in questo modo: se siamo tra i primi che abbassano la testa e sono fedeli, avremo dei privilegi. Mentre se ti ribelli... beh, ti rotolerà la capoccia via mentre i tuoi nemici se la rideranno."
"Non è possibile! Lo so che sei dalla sua parte, sono venuto per questo, ma volevo un accordo, non minacce velate! In più da un malato. Potrei farti molto male, sai? E la cosa divertente è che sarebbe solo un incidente, un malessere improvviso."
La voce di Busco si inasprì immediatamente: non sembrava più un produttore di Hollywood pacioccone e ben in carne, ma un uomo d'affari rigido e spietato.
"Nemmeno tu sei in condizioni di minacciarmi, Sal. Tutti sanno che sei venuto qui e di certo non si faranno ingannare dalle apparenze. Inoltre, mi sottovaluti se pensi che io creda al tuo tentativo di convincere a fare come vuoi. Conosciamo entrambi le regole e non converrebbe a nessuno dei due la "scomparsa" dell'altro."
Qui Tommy fece una lunga pausa, Temi pensò che stesse lanciando un'occhiataccia al misterioso "Sal".
"E' inutile che resisti: è il progresso e insieme la consuetudine. Sai quanta gente ho appoggiato, in questi anni, che è salita e scesa nella scala dell'importanza? Eppure io sono qui, con un potere maggiore di vent'anni fa. Fai come ti ho consigliato: mettiti sotto di lui e aspetta. Fra poco ti accorgerai che abbiamo ribaltato le posizioni. Questo tale che è spuntato fuori ora, fra un mese sarà spaventato e bisognoso del nostro aiuto, perché, nel frattempo, tutti avranno capito i suoi punti deboli e cercheranno di toglierselo di mezzo, soprattutto per questi assurdi interessi che chiede. Allora  io e te faremo zona sicura intorno a lui e, una volta passata la tempesta, gli chiederemo il conto che dovrà accettare, nel bene e nel male, perché sarà in debito con noi e lo potremo manipolare a nostro piacimento. Ti ho già spiegato queste cose molte volte, ma sei troppo testardo e superbo per capirle. Non so che te ne farai dell'orgoglio, quando ti troverai in una pozza di sangue. Allora,  sei con me o no? Posso darti altro tempo, ma sbrigati. Ora vai, l'orario di visite dovrebbe essere quasi finito e devo vedere altra gente."
Temi sentì dei passi andare verso la porta e sgranò gli occhi: doveva cambiare posizione, altrimenti sarebbe stata scoperta e avrebbe passato un brutto quarto d'ora. La maniglia si stava già abbassando, quando sentì Buscò richiamare Sal e dirgli: "Ricordati che se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi."
La ragazza fece in tempo a fingere di cercare qualcosa in un armadietto in modo da non destare sospetti mentre il visitatore usciva. Dalla discussione appena sentita e dall'andatura dell'uomo, Temi dedusse che aveva un grosso problema che lo schiacciava.
Lei continuò a pensare alla conversazione origliata per tutto il giorno, senza capire come usarla.
In più non aveva afferrato bene alcuni concetti.
"Cambiare affinché tutto rimanga com'è? Che sedativi gli ho dato? E chi è Sal? Perché gli ha dato questi consigli? Potrebbe essere un suo parente o un suo allievo. Mi piacerebbe sapere chi è quel misterioso tizio di cui hanno parlato. Appoggiarlo per manipolarlo? Mi sta scoppiando la testa. Alla fine scoprirò che era una cosa tipo"Vai a fare la spesa e non farti fregare dal macellaio" in  qualche slang particolare. Voglio solo andarmene a casa."
Il suo turno era finito e le restava di trascinarsi a casa per morire nel suo letto e resuscitare solo la mattina dopo.
Solo quando girò la chiave nella serratura della sua porta si ricordò di dover pulire una casa che, pur essendo davvero minuscola, era infestata da ogni genere di sporcizia esistente sulla Terra.
Anche quella sera avrebbe rischiato la vita, ma in modo diverso: per avvelenamento o soffocamento dovuto a sostanze nocive. "Magari" considerò tra sé "c'è anche qualche scoria radioattiva, se ci guardo bene."
 
Fran, elegante come sempre nel suo vestito grigio perla, mentre usciva dal palazzo della sua compagnia di computer si guardò intorno, apparentemente per un taxi. In realtà aspettava una Lexus chiara all'angolo della strada.
Quando la scorse cercò di raggiungerla velocemente senza dare nell'occhio e senza sembrare troppo affannata.
Si ripeteva di stare calma e di essere sicura di sé come al solito, ma non le era mai piaciuta quella situazione: perché a volte non potevano far finta di essere clienti e basta, invece di simulare una scena del Padrino?
Tanto sapeva già cosa le avrebbero chiesto: se non doveva rendere più sicuri dei file doveva rintracciare carte di credito, cellulari e altro di elettronico.
"Di certo la compagnia non è disprezzabile" si disse quando entrò nell'auto e vide che oltre all'autista, sul sedile posteriore, accanto a dove si sarebbe seduta lei, c'era un uomo decisamente affascinante che le sorrise e le porse la mano, dopo che chiuse la portiera e si sedette, presentandosi.
"Saverio Hawkers, ma tutti mi chiamano Sal. E lei dev'essere Françoise Quells. In tutti questi compiti monotoni del mio capo raramente, se non mai, ho avuto l'occasione di conoscere qualcuno di così affascinante e mi dicono, anche se ben presto lo verificherò di persona, di molto professionale e perspicace. E' un connubio indubbiamente interessante per la società per cui lavoro. E per me."
Fran sapeva che quello che stava facendo era male, malissimo, ma non poteva di certo rifiutare un invito così galante a... riparare PC come al solito. Con Sal che le guardava da sopra le spalle cosa stesse facendo e semmai stesse cercando di leggere o copiare o comunque rendere pubblici i segreti e le informazioni contenute nei documenti che stava crittografando abilmente. Insomma, tutto come al solito. Se non che...
"Accidenti, Sal, non so cosa farò ora senza la tua voce. Mi ci sposerò, anzi, meglio, TI sposerò. Omioddio, non puoi venire così vicino, non adesso, insomma! Vuoi che protegga questi file o che ti faccia rotolare sul tappeto, decidi! Sto andando in fibrillazione... Perché non ti allontani e tieni quella boccuccia chiusa? Perché... cosa stai dicendo?" Persa nel suo monologo interiore e nel tentativo di calmarsi, non si era resa conto che Saverio le stava facendo delle domande a proposito del suo lavoro. Si diede della stupida: per prima cosa non poteva perdersi dietro un bel faccino che faceva parte della malavita  e, inoltre,  stava lavorando e non voleva provare sulla propria pelle cosa riservavano i Busco a quelli che compivano sbagli.
Mentre parlavano, Fran imparò molte cose su di lui, come, per esempio, che era solo uno degli amministratori di quella società. Naturalmente non le aveva detto specificamente di cosa si occupasse l'azienda, ma era sottinteso che lei sapesse e, anche se non lo sapeva consciamente, aveva cercato di tranquillizzarla sulla propria posizione, perché gli piaceva: la trovava elegante e professionale, pur non capendo nulla di computer e quindi non potendo giudicare il suo operato. Ma già il fatto che non staccasse gli occhi dallo schermo e non facesse la smorfiosa come altre con cui aveva lavorato era un segno a suo favore. Lui era libero e lei pure, non aveva visto nessuna fede, però non poteva invitarla su due piedi ad uscire, visto che non si conoscevano affatto e forse non si sarebbero visti mai più. Inoltre era meglio per entrambi: nessuno poteva sapere quando e in che misura il pericolo di essere ucciso, mutilato e rapito per i segreti che custodiva avrebbe bussato alla sua porta. "Niente alcol, niente droga, niente distrazioni. Se rispetto queste tre regole ho una buona probabilità di rimanere intero come oggi." Questo era il suo pensiero dominante, ma un dubbio si insinuò nella sua testa: stava vivendo o si teneva solo in vita?
Fran, d'altra parte, cercava di fare un buon lavoro, ma le immagini di loro due che uscivano, si sposavano e facevano una famiglia continuavano a girarle nella mente. Odiava essere così sognatrice e forse per quello amava la tecnologia: non c'era spazio per la fantasia e tutto era preciso al millimetro.
Il problema principale era che lui era impelagato con una famiglia della malavita in modo diretto, perché sicuramente sapeva di come i fratelli Busco usavano l'azienda e lei, pur lavorando saltuariamente per loro, non voleva impelagarsi in una qualsiasi relazione con un loro sottoposto.
"Tutti in realtà sono legati alla malavita, ma non posso pensare a lui come a un normale impiegato: è troppo vicino ai Busco perché ne venga fuori qualcosa di buono.  Ammettiamo che abbiamo una relazione: se  scoppiasse una guerra tra le famiglie? Se qualcuno si vendicasse dei Busco su di me o su di lui? Non saremmo mai al sicuro sul serio. Di certo non potrei chiedergli di lasciare il suo lavoro: è in una posizione importante e sono certa che sia a conoscenza di segreti pericolosi, non lo lascerebbero mai andare.
Perché quando trovo un uomo fatto come si deve e con un carattere fantastico, almeno in apparenza, è in contatto con la malavita?!?"
Ritornata alla realtà grazie a una nuova domanda di Sal, si rese conto di essere davvero disperata e di aver bisogno di uscire e telefonare a Temi, che non si aspettava  una chiamata da parte di una Fran depressa da morire perché le piaceva un tipo che non avrebbe visto mai più e che era praticamente l'uomo dei suoi sogni.
All'altro capo della cornetta Temi si chiese se la sua amica non si fosse di nuovo addormentata mentre si guardava "Le pagine della nostra vita", e se lo fosse sognato, con lei come protagonista, come era già successo.
 
 
Note dell'autrice che ieri ha assistito a un allegro sbaciucchiamento di due ore durante il Radio Bruno estate
Ciao a tutti!
Come va? Il caldo si fa sentire anche da voi?
In questo capitolo ritroviamo l'adorabile Fran alle prese con una cotta pazzesca per un ceffo non molto affidabile, il nostro conoscente Sal.
A me mancava la ragazza, devo dirla tutta: è un gran personaggio e mi dispiaceva che non avesse una parte un po' più consistente dell'amica della protagonista.
Per chi segue/legge/si annoia davanti allo schermo e non lo sa, ho aggiunto un pezzo al capitolo 5 perché adoro Norge e non potevo farle fare la figura dell'insensibile infermiera.
Archiviato questo caso, ecco le note/curiosità/stupidaggini varie che allietano il mio racconto:
il cognome di Sal, Hawkers, significa Falconieri, in omaggio a quel capolavoro de "Il Gattopardo"; infatti Tancredi di Falconieri è il nipote del protagonista ed è lui che dice quella famosa frase che ho inserito anch'io di straforo:" Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi."
Non mi ricordo se è esattamente quella, ma il concetto c'è e YOLO.
Sempre dallo stesso libro viene il cognome di Fran, Quells: in teoria, con un cambiamento di vocale, sarebbe  Sedara,  cognome di altri due personaggi, Angelica e Don Calogero.
Ogni capitolo distruggo un'opera letteraria, ve ne siete accorti?:D
Ok, ho finito: ci si rivede il prossimo giovedì!;D
Grazie a quelli che mi seguono, mi leggono e commentano, ma soprattutto voglio ringraziare Acquamarine_  che corregge questo capolavoro e sopporta le mie insicurezze e amastuki Yuky che recensisce sempre e ci tiene a dire che questo non é uno sgorbio!;D
Sono adorabili!<3
Adieu
Vex

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Capitolo 8
*** Quanto più alto è il valore d'un fine nella nostra coscienza, con tanto maggior energia noi ci sforziamo di tradurlo in realtà. ***


Quanto più alto è il valore d'un fine nella nostra coscienza, con tanto maggior energia noi ci sforziamo di tradurlo in realtà. Georg Kerschensteiner
 

Sfortunatamente per Temi, Busco non ricevette nessun'altro nei giorni seguenti mentre c'era lei da quelle parti. Così non poté sapere null'altro sulla malavita cittadina e si sentì persa quando Tommy fu dimesso dall'ospedale: sentiva di aver abbandonato la sua missione e di aver tradito Ferson, il suo salvatore.Non aveva chiesto altre notizie a Fran della sua famiglia, ma, da come la notizia della scomparsa dell'uomo aveva prima riempito tutti i notiziari per poi cadere nel dimenticatoio, aveva capito che non c'erano novità e questo l'aveva spronata a fare la piccola investigatrice ficcanaso. Ora, però, non sapeva più cosa fare e non aveva idea di come andare avanti: la solita vita non andava più bene ma al momento non poteva essere cambiata.Sentiva di aver vissuto sempre in una gabbia  e di essere improvvisamente cresciuta talmente tanto da sentire le sbarre inciderle la pelle.
Era impossibile per lei continuare così e, in più, rivoleva la sua routine.
Temi era una creatura assolutamente abitudinaria: le bastava compiere la stessa azione per due giorni di seguito per creare una nuova consuetudine.
Ne aveva creata un'altra nel periodo in ospedale di Busco, fatto di camminate silenziose, aperture improvvise di porte e di origliate fallite. Insomma, stava facendo il proprio apprendistato da spia e si stava convincendo di essere a un passo dallo scoperchiare la polveriera della malavita cittadina e salvare Egris, ma tutto era andato a scatafascio quando lui se n'era andato e lei si era resa conto di essere solo una patetica specializzanda esaltata da troppi polizieschi.
Il fatto che non si autodefinisse quasi - medico come al solito era indice di grave abbassamento di autostima e di depressione.
Tutta quell'adrenalina che aveva in circolo da quando aveva conosciuto Busco aveva smesso di girare nel suo sangue e l'aveva costretta ad affrontare la realtà, mettendola con le spalle al muro come aveva fatto qualcun'altro poco tempo prima.
Tutti stavano notando l'improvviso cambiamento di Temi: c'era stato un periodo in cui era cupamente determinata e a tratti aveva uno scintillio negli occhi psicopatico, mentre in questo era smorta, come se fosse stata trasformata in automa. Tutto il suo corpo esprimeva questa sua condizione, dai capelli che le pendevano come corde di campane mezze marcite dalle spalle parallele ormai al bacino, ai piedi che non tamburellavano più sul pavimento quando era seduta.
Ma più di tutto era il suo comportamento che era completamente cambiato: il suo lavoro sembrava non interessarle affatto e aveva rischiato più volte che il capo si accorgesse delle sue mancanze nei confronti dei pazienti. Per fortuna c'era Norge a proteggerla ma Temi era stata avvertita non molto sottilmente che la prossima volta che avesse ignorato un ordine o una richiesta sarebbe stata vittima della sua ira funesta. Oltre al fatto di essere licenziata in tronco seduta stante.
Però lei aveva annuito imbambolata e le aveva chiesto se potesse tornare a fare il suo giro.
L'infermiera l'aveva lasciata andare frustrata.
Perché non si sfogava con lei? Che problemi aveva? Cosa era cambiato nella sua vita improvvisamente?
Norge non sapeva spiegarsi e pregava il pantheon nordico, il suo preferito per le imprecazioni, di darle una risposta immediatamente o li avrebbe cercati personalmente per dargli una bella scossa.
I poveretti dovettero essere stati così spaventati dalla richiesta da farle tornare in mente cosa era successo il giorno in cui aveva notato per la prima volta lo strano comportamento di Temi.
Ora era certa che c'entrasse Tommy Busco ma non sapeva come collocarlo: le faceva solo ribrezzo pensare a una possibile liaison tra lui e la sua amica e non si azzardava a fare altre ipotesi.
Temi odiava mentire a Norge, in fondo era una sua amica e la sua alleata preferita, tuttavia preferiva non dirle nulla perché, conoscendola, avrebbe chiamato la mafia russa in aiuto e si sarebbe messa a cercare personalmente il suo aggressore fuori da ogni bettola di Egris.
Qualche volta la terrorizzava e di certo aveva dei comportamenti strani, come quando parlava al telefono: ogni volta si rattrappiva tutta e parlava a bassissima voce, come per difendere i segreti che le stavano venendo confidati proprio in quel momento.
La prima volta che aveva assistito a quella scena le era sembrata davvero inquietante e non smetteva mai di chiedersi a chi telefonasse.
Non credeva affatto che avesse una relazione perché di certo se ne sarebbe vantata a lungo per tutto l'ospedale e non esisteva nessuno che potesse tener testa all'infermiera, a meno, forse, che fosse un vichingone biondo suo antenato. E anche in quel caso Temi aveva qualche dubbio.
La sua mente, distratta da questo "mistero", si mise in moto con una serie di ipotesi sconclusionate.
Il problema di quel periodo era la sua ricerca perenne di delitti e intrighi che distorcevano la sua percezione di realtà: ogni persona con un particolare inspiegabile a prima vista diventava protagonista di un crimine o di una storia affascinante e coinvolgente.
Qualche complicazione sorse quando i pazienti, stanchi di tutte le domande che non sembravano pertinenti alla loro malattia, si lamentarono un po' con i medici di quella specializzanda  impicciona con gli occhi spiritati.
Ovviamente questo portò a una ramanzina e Temi si sentì senza speranza più che mai.
"Sul serio, di questo passo non riuscirò mai a diventare una professionista e di certo non scoprirò mai che fine ha fatto Ferson."
Questo pensiero le ricordò la conversazione origliata e la sua decisione di andare in chiesa a confessarsi.
Lei ci era andata e l'entrata le aveva ricordato  i suoi giovanili innumerevoli inginocchiamenti, messe e  preghiere grazie all'odore di chiuso e d'incenso.
Come quasi tutte le chiese che aveva visitato, era buia e le dorature delle cornici e dei quadri si intravedevano appena, quasi a suggerire la misticità del luogo.
Fermandosi sulla soglia per abituarsi al cambiamento di ambiente, aveva subito scorto il confessionale e si era chiesta se quello che stava facendo avrebbe cambiato la sua situazione di stallo.
Senza pensarci un attimo di più si diresse verso le panche più vicine alla piccola costruzione in legno che al momento ospitava il parroco e un credente, di cui vedeva le lucide scarpe di cuoio attraverso la pesante tenda che proteggeva i suoi segreti.
Aspettò per poco tempo e finalmente poté fare ciò che si era prefissata.
Almeno lo credeva, perché la ragazza a malapena riuscì a dire la classica forma:" Mio signore, perdonami perché ho peccato". Il pensiero improvviso di stare per raccontare tutto e quindi rendere reali il tentato stupro e la conversazione tra i due malavitosi la fece stare malissimo e scappò via dal luogo incespicando sulle mattonelle del pavimento.
Questo significava venire a patti con qualcosa che non voleva riconoscere. Per questo motivo in quel periodo, pur avendo quasi subito una violenza terribile,  era riuscita a continuare la sua vita in modo abbastanza normale e tranquillo, perché si era illuso che fosse tutto un gioco o un sogno. Insomma, tutta una finta senza conseguenze per la sua psiche e per la sua incolumità.
Fuori da lì aveva preso un lungo respirò e si era chinata sulle ginocchia, arrabbiandosi con se stessa: dov'era finito il suo autocontrollo? Come aveva potuto sperare di scoprire qualcosa di più sulla sparizione di Ferson se non riusciva a controllare la sua mente?
Odiava con tutta forza questo suo comportamento, soprattutto perché se non era riuscita a vuotare il sacco con uno sconosciuto tenuto al segreto confessionale, come l'avrebbe detto alla polizia o, peggio, alle sue amiche?
Non era ancora pronta e lo sapeva, ma così facendo avrebbe aiutato a nascondere la verità sul possessore dell'anello che ora indossava al medio della sinistra.
Non sapeva come c'era finito, forse, a forza di osservarlo e di spostarlo in ogni abito che indossava avente tasche, il suo inconscio aveva deciso che lì era più comodo e di sicuro nessuno ci avrebbe mai fatto caso.
Purtroppo si sbagliava.
 
 
 
Angolo dell'autrice che ama The last Cop e ieri è andata in brodo di giuggiole
Ciao a tutti!
Come state?
Stranamente, io muoio dal caldo. Una cosa davvero incredibile, più unica che rara. :)
Comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, come la storia in generale, e che recensiate, perchè sapere cosa ne pensate di tutto ciò mi farebbe davvero piacere. ;D
Una piccola nota: sapete perchè Temi si mette PROPRIO in quel dito e in quella mano l'anello?
No?
E' palesemente ovvio che io non faccio nulla per nulla e questo è il significato:
mano sinistra: interiorità, Il dito medio, accostato alla divinità Saturno, è il dito posto al centro della mano e per questo motivo rappresenta l'armonia, il senso di giusto e sbagliato, la legge, la giustizia, la ricerca della verità, la correttezza, l'analisi di sé.
Scegliere il dito medio simboleggia quindi l'abilità di sapere distinguere fra giusto e sbagliato, oltre all'autorità per determinarlo. Indossare un anello al dito medio può anche rappresentare una tendenza all'introspezione e alla riservatezza.
Chi opta per questo dito è una persona seria, riflessiva, incline ai pensieri profondi, che a volte può mettere in soggezione coloro che gli stanno intorno.
Se volete altre notizie: http://dieta-e-bellezza.myblog.it/archive/2011/12/14/significato-anelli-dita-mani-personalita.html
Adieu!;D
Vex

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Capitolo 9
*** Cuius testiculos habes, habeas cardia et cerebellum. ***


Quando tieni stretta la loro attenzione, cuori e menti seguiranno.Terry Pratchett
 
Saverio si guardò attorno ammirato: il luogo dove si trovava non era la classica topaia dello spacciatore o del piccolo delinquente con cui aveva rapporti, nemmeno l'opulente e trash, almeno a suo modesto parere, villa di Tommy Busco che ormai gli era più famigliare della propria faccia.
"Almeno questo pezzente ha un minimo di gusto. E non spende tutti i NOSTRI soldi guadagnati in dorature e stupidaggini varie. Ma potrei sbagliarmi e magari se aprissi la porta giusta ci troverei un covo di prostitute o  un bagno con i rubinetti placcati d'oro. In questo caso sarebbe davvero interessante sbandierare agli altri capi come il nostro carissimo boss viva di rendita grazie allo sforzo di tutti noi. "
Saverio disprezzava in modo devastante il nuovo signore della malavita, ma a lui non era piaciuto nemmeno quello prima e di certo non avrebbe apprezzato quello dopo.
Gli andavano a genio solo dopo essere stati detronizzati, cioè ammazzati, il più delle volte e servivano solo per fare da confronto alla situazione attuale.
Nessuno era mai sul serio fedele al boss di turno, anche se non pretendeva troppo o durava a lungo: tanto un giro di giostra dopo sarebbe caduto. Ci poteva essere la paura, l'odio e la ribellione di quelli troppo stupidi e avidi, ma vera fedeltà non si vedeva mai da quelle parti. A parte per i vari gruppi: di solito erano famiglie intere ma c'erano piccole bande composte da persone con nessun legame di sangue tra loro. Non tutti erano come i Busco: non si poteva facilmente avere la stessa influenza e lo stesso potere di quelli che avevano almeno quattro generazioni di banchieri, politici, costruttori e proprietari terrieri.
Tommy Busco gli sfiorò il braccio per richiamarlo alla realtà: stavano per essere ammessi all'augusta presenza del capo dei capi.
Sal si preparò mentalmente ad entrare nella sala e mosse un po' le spalle mentre ripassava quello che non doveva fare al colloquio, come insultare, mancare di rispetto, perdere la calma. Se li ripeteva sempre come un mantra prima di qualsiasi incontro e magari, se la fortuna era con lui, nessuno lo avrebbe interpellato. Tanto era solo un amministratore di Busco. Tanto era solo il suo braccio destro. Tanto era solo una presenza necessaria ma non doverosa.
Di certo non avrebbe destato nessuna curiosità in Ebneye Raza: era solamente uno dei tanti segretari che quelli davvero importanti si portavano dietro.
In realtà Saverio era molto curioso di vedere questo personaggio misterioso che voleva prendere i loro guadagni come se fossero piovuti dal cielo; infatti, a parte Tommy e pochi altri fortunati, gli altri del gruppo non lo avevano mai visto.
In teoria quell'incontro era per incontrare i capi delle varie bande, in realtà era stato pianificato per ottenere la loro fedeltà.
Saverio strinse l'orlo della sua giacca grigia per il nervoso: non era la prima volta e non sarebbe stata l'ultima  che Busco lo portava con sé alle riunioni di quel tipo, ma si sentiva sempre un oggetto di scena al pari del fermacravatte d'oro con le iniziali che il suo capo indossava in quel momento.
Quest'ultimo appariva molto rilassato e sembrava quasi stesse partecipando a un allegro barbecue piuttosto che stando per entrare nella tana del lupo.
Tutto il suo corpo indicava potere e sicurezza, dalla punta delle scarpe di cuoio al panama bianco che gli ornava il capo. Non era mai stato un tipo discreto, almeno nell'abbigliamento e quel giorno sfoggiava un buon completo arancione a righe sottili nere, distanziate una dall'altra un centimetro buono. La cravatta aveva dei disegnini che in quel momento non voleva analizzare.
Insomma, tutto il contrario del sobrio guardaroba da beccamorto di tutti gli altri invitati alla festa.
Finalmente una guardia del corpo aprì le porte che dividevano le due stanze e tutti affluirono nell'altra.
Saverio si sentì stranito: che razza di mente aveva uno che arredava in modo elegante la propria sala d'aspetto per lasciare austero e mezzo vuoto lo studio? Sempre che quelle quattro mura bianche lo fossero.
Era di grandezza media, abbastanza capiente per contenere la maggior parte dei capi di tutta la città, comprese quelle più piccole, ma conteneva in fondo solo una scrivania di legno chiaro con una sedia dietro e almeno un centinaio di quelle pieghevoli davanti.
Il primo pensiero di Sal fu:"Sembra una cazzo di sagra."
Anche tutti gli altri storsero il naso di fronte a quella sistemazione: in fondo alcuni di loro facevano il bello e il cattivo tempo a Egris e non volevano stare seduti su quei cosi come gli ultimi dei miserabili.
Ciò nonostante ci fu quasi una zuffa per accaparrarsi i posti davanti mentre lui guardava la scena attonito e Busco ne uscì vincitore, riuscendo ad ottenere ben due sedie di fronte alla scrivania.
Quello che Saverio non si aspettava era che Tommy lo invitasse a sedersi poiché aveva immaginato che lo riservasse a un alleato o comunque a qualcun altro. Forse aveva sentito puzza di guai e lo voleva vicino per essere protetto.
Quanto alle sue sensazioni, non era affatto tranquillo: tutto quello che aveva pensato su Raza si era dimostrato sbagliato e non si capacitava ancora di quel cambio improvviso e brutale di arredamento.
Quando si furono tutti sistemati ai loro posti, bisticciando come comari che volevano aggiudicarsi la fila migliore in chiesa, entrò quello che, se non lo era già, sarebbe diventato il loro capo.
Saverio lo fissò accigliato mentre questo li salutava e si sedeva alla scrivania: il tratto più marcato di Ebneye era l'indefinibilità.
Occhi, capelli, vestiti, età: non si riusciva a distinguere i colori di quell'uomo e a tratti, se lo si guardava con la coda dell'occhio, sembrava scomparire nel muro.
Sal cercò maggiori dettagli del carattere di Raza nei dettagli del suo abbigliamento, ma, a parte un po' di trascuratezza e pieghe, non risultò nulla. Non sembrava nemmeno portare una pistola, anche se quello era piuttosto comprensibile: erano tutti nella sua villa e lì fuori probabilmente c'era uno squadrone di guardie armate. Per non contare le telecamere e i trucchetti nascosti installati di sicuro negli angoli.
Pur guardandosi in giro cercando di non dare nell'occhio, lui non vide nessuna trappola e questo, ragionò lui, poteva significare solo due cose: o era tutto nascosto in modo magistrale o l'altro non aveva installato nulla, basandosi ciecamente sul proprio potere.
Saverio sperava la seconda: il nuovo capo non gli piaceva affatto.
La riunione fu, stranamente, calmissima e a tono contenuto, niente a vedere con le solite litigate furiose a cui era abituato.
Ebneye era segaligno e allampanato, con i tratti del volto affilati e pronunciati, e aveva una voce che, pur bassa, metteva in soggezione, aiutata dal pesante sarcasmo che aveva già fatto delle vittime tra i capi.
Sal lo ammirò per questo, ma si rendeva conto che si stava già facendo dei nemici: a quelli non piaceva passare per stupidi.
Insomma, stava tutto procedendo tranquillamente quando uno capo delle bande più piccole, la Loony, si alzò improvvisamente in piedi, dopo essere stato schernito da Raza, e gli gridò: "Fai tanto il pezzo grosso, ma tanto sei solo la nostra marionetta: quando ci stuferemo, ti taglieremo i fili! E col cazzo che verserò 55% delle mie entrate a te, coglione!"
Tutta la sala, che si era voltata per ascoltare, gelò sul posto quando Ebneye si alzò dalla sedia strascicandola e si avviò verso colui che aveva parlato, rispondendo nel frattempo:"Prima di tutto, è il 65%, è inutile che cerchi di fare la cresta. Poi chi dice che non sia il contrario, in realtà? Voi siete a casa mia, seduti su pezzi di legno di infima qualità, mentre nelle vostre ville avete tutte le sedie più confortevoli mai create. Ti sei chiesto perché, quando vi ho chiamato qui, siete venuti in frotte? E non credo proprio che qualcuno mi taglierà i "fili", al massimo tutto il contrario."
A quel punto era arrivato vicino al suo interlocutore e gli sorrideva dolcemente.
L'altro lo fissava angosciato, sicuro che sarebbe accaduto qualcosa di sgradevole. Saverio stesso si rese conto di stare trattenendo il fiato, in apprensione: cosa avrebbe fatto ora?
L'intera assemblea sfiorò per tranquillizzarsi le armi nascoste dagli strati di tessuto ma nessuno era davvero calmo: anche Busco era teso e aveva i palmi delle mani tesi fino all'inverosimile.
Si sentiva nettamente l'elettricità della stanza convogliarsi in un unico punto sopra la testa di Ebneye.
Qualcuno, in seguito, giurò di aver visto un piccolo fulmine brillare.
Tutto tremava di aspettativa, persino la scrivania cigolò, quasi non riuscisse a sopportare un altro attimo di quella situazione terribilmente statica.
Raza riuscì però a stupirli tutti: tornò alla sua scrivania continuando a parlare mentre guardava davanti a sé:" Siete tutti in mio potere, che lo sappiate o no. So tutto di voi e la conoscenza è potere."
A quel punto era in piedi dietro il mobile e si stava allungando verso la platea che lo guardava ancora perplessa. Il tono era leggermente più alto e Saverio si accorse che molti si stavano incassando nelle spalle. "Sembrano bambini sgridati dalla maestra."
"So il vostro secondo nome, so da chi vostra figlia compra le canne, so dove vostra mogli compra il pane, so addirittura quante volte vostro figlio si masturba.
So delle vostre amanti, so delle vostre scommesse sui cavalli, so quanti capelli vi rimangano in testa, so quanto alcol bevete, quanto cibo mangiate, quante volte vi grattate...  So. So. So. E questo è solo un assaggio su quello che conosco su di voi e sull'intera la città. Quindi, fate due conti e pensate alla vostra incolumità, al vostro potere e alla vostra ricchezza. Posso distruggere l'abitante di Egris più onesto con due parole: pensate a quante ne userei per voi."
Soddisfatto per quel discorso, Ebneye esibì un sorrisetto sardonico e li invitò a uscire.
Lentamente tutti si alzarono, shockati da quell'orazione e con un senso di minaccia ben presente intorno a loro. Nessuno si fermò a chiacchierare con gli altri, ma filarono tutti via alle automobili.
Saverio non aveva mai visto Tommy Busco così preoccupato da non chiedergli cosa ne pensasse.
Capì che si prospettavano tempi duri per tutti loro.
Il giorno dopo girò la notizia che il capo della Loony era scomparso. Un brivido percorse le schiene di tutti i criminali della città, ma un po', dal resoconto della riunione, se l'aspettavano.
Due settimane dopo, Saverio ricevette la telefonata del capo di un'altra banda che voleva assolutamente parlare con Busco perché un barbone senz'occhi che affermava di essere appartenente alla Loony cercava di essere ammesso alla sua presenza. Si seppe che tutta quella banda si era volatilizzata, tranne per quel essere umano in fin di vita e con le orbite vuote.
Nel pomeriggio sei dei capi più importanti ricevettero un enorme pacco.
Quando lo aprirono ci trovarono un cadavere quasi irriconoscibile, sanguinolento e ridotto quasi ad un unico blocco di carne, indistinguibile, e un biglietto firmato E.R.:" Cuius testiculos habes, habeas cardia et cerebellum. Quando tieni stretta la loro attenzione, cuori e menti seguiranno. "
Saverio, appena lo vide, corse in bagno a vomitare l'anima e  capì che tutti avevano sottovalutato Ebneye: non era di certo una persona comune, che si potesse manipolare, e la città di Egris avrebbe di sicuro assaggiato ben presto la pasta di quell'uomo.
"In un modo orribile di certo. Condito con sangue, viscere e cervella."
Era tremendo per Saverio, ma dovette ammetterlo: aveva paura di quello che avrebbe riservato il futuro.
Pensava che stando così vicino ai Busco il terrore della morte non lo toccasse: ora invece capiva di essersi sbagliato di grosso. Non avrebbe mai voluto sapere cosa gli avrebbe fatto Ebneye se non gli fosse stato simpatico.
 
 
 
 
 
Angolo dell'autrice che non sa se essere fiera o no di questo capitolo:
Ciao a tutti!:)
In questo capitolo, una volta tanto, c'è un po' d'azione!
Ok, è anche parecchio violenta ma ci voleva, che ne dite?
L'unica nota riguarda questo nuovo personaggio, Ebneye Raza:
è un misto di tutti i capi malavitosi e no di cui ho letto.
Per chi intende, è un po' Lord Vetinari di Terry Pratchett e un po' Capa Barsavi de "Gli inganni di Locke Lamora". Pure il cognome è il nome di un altro Capa dello stesso libro.
Il nome è mio ed è orribile, lo so, ma per aver premuto dei tasti sulla tastiera a casaccio non  credo si potesse ottenere di meglio.
Grazie a chi recensisce, a chi segue e a chi legge questo "capolavoro", ma un ringraziamento particolare va a Acquamarine_ perchè se non ci fosse, sarei sommersa dai miei stessi errori.:D
Adieu!
Vex

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Capitolo 10
*** L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire. ***


L'unica gioia al mondo è cominciare. È bello vivere perché vivere è cominciare, sempre, ad ogni istante. Quando manca questo senso – prigione, malattia, abitudine, stupidità, – si vorrebbe morire. Pavese


Temi aveva notato che Norge era parecchio irrequieta in quel periodo e, pur avendo provato a chiedere la ragione, non aveva ancora capito il motivo di questo cambiamento d'umore.
 In realtà erano entrambe parecchio strane e per motivi più simili di quanto avessero mai immaginato, visto che entrambi i loro mondi erano stati sconvolti e loro cercavano di rimettere insieme i pezzi della vita quotidiana.
 Di certo non era il miglior momento per altri cambiamenti, a parer loro, ma il destino non aveva ancora finito la sua opera e non avrebbe smesso che qualche anno più tardi, decina d'anni in meno o in più.
 L'ospedale aveva deciso che servivano nuovi medici e ne aveva assunti tre, in attesa che gli specializzandi si decidessero a passare al livello superiore.
 I primi due non erano male, insomma, visto il livello di amabilità in generale erano nella media, per Norge.
 Il terzo, che Thor lo prendesse a martellate, era insopportabile, sempre per il giudizio dell'infermiera.
 Non riuscivano a stare nella stessa stanza senza che uno facesse una battuta sarcastica sull'altro o iniziassero a litigare.
 Temi se la rideva allegramente delle querele dell'amica e scuotendo la testa affermava che la loro non era antipatia, solo tensione sessuale repressa.
 Quando l'aveva detto la prima volta Norge si era gonfiata improvvisamente e non le aveva rivolto la parola per tre giorni di seguito fissandola però minacciosa. Il quarto l'aveva invitata a bere qualcosa dopo il lavoro in un bar e Temi c'era andata, salvo scoprire che l'aspettava un appuntamento al buio con l'uomo più maleducato e zozzo del pianeta.
 Quando tornò dalla serata completamente orripilata, si disse che dall'altra si sarebbe dovuta aspettare un tiro mancino di quel tipo.
 Per fortuna Norge si era ritenuta soddisfatta della vendetta e Temi non voleva una faida, così si era risolta la questione e ora la specializzanda poteva dire quelle tre parole senza conseguenze, a parte una bieca occhiata o un intero discorso sul perché non era possibile che ci fosse altro tra lei e Luke Asi che non fosse bieco odio.
 Temi non capiva il motivo di tutta questa avversione e pensava che a iniziare e a portare avanti tutto fosse stata la sua amica.
 A lei non disturbava per niente quel medico, per quel poco che lo conosceva non le sembrava male.
 Certo, Norge aveva avuto molti più contatti con lui, mentre lei ci aveva parlato tre volte, forse, e per due secondi al massimo.
 "Probabilmente quello che non le va giù è il suo successo con gli altri: non ho ancora sentito nessuno, a parte lei, parlare male di lui e in questo ambiente è una cosa più unica che rara. Poi il fatto che sia un medico è allergia pura per lei. Adesso che ci penso bene non è nemmeno brutto d'aspetto... Sì, di certo è TSR. Non c'è altra spiegazione."
 In realtà Temi benediceva quella distrazione così frivola dai suoi pensieri piuttosto depressi e dalle telefonate pressanti di sua nonna.
 Eh sì, la sferruzzatrice folle si era decisa a fare da mezzana per qualsiasi parente scompagnato e così tramava nell'ombra per convincere tutti che "In uno è bene, in due (almeno) è meglio!".
 Perciò costringeva suo fratello sordo ad accompagnarla alla balera e a ballare con tutte le sue amiche.
 Il problema più grosso era che non sapeva quando fermarsi e succedeva che, nell'imbarazzo generale, continuasse a danzare imperterrito. Ma lui era solo la punta dell'iceberg e l'arzilla vecchietta sarebbe riuscita ad aprire un'agenzia matrimoniale se le avessero concesso il prestito.
 La sua cieca determinazione però non dava molti frutti, soprattutto perché i suoi "clienti" avevano allegramente passato almeno i settanta e non volevano risposarsi, per la vedovanza o il ricordo di un matrimonio fallito.
 Sua cugina Benny aveva creduto di salvarsi affermando di essere lesbica, pensando che la nonna avesse una mente ristretta; invece si era vista presentare alla sua porta una serie di ragazze che dicevano di essere lì per quell'appuntamento che la vecchietta così simpatica aveva offerto loro.
 Era rimasta basita.
 Nessuno era riuscito a credere che lei fosse andata in un bar gay e che avesse convinto quelle persone ad andare a suonare alla porta di sua nipote –perché altrimenti come avrebbe potuto sapere le loro preferenze sessuali? e le avesse convinte ad andare a suonare alla porta di sua nipote.
 Purtroppo per Temi, era il suo momento e sapeva quanto poco contassero per la sua congiunta i "no" che le ripeteva alle sue proposte: era quasi certa che non mancasse molto all'arrivo di uno sconosciuto convinto di avere un appuntamento con lei.
 Quello che non si aspettava era che fosse proprio Luke, incamiciato e incravattato.

 Luke Asi non si sarebbe mai aspettato di essere assunto così velocemente nell'ospedale di Egris, eppure, appena tornato dal suo periodo nell'associazione di medici volontari a cui aveva preso parte cinque anni prima, non aveva faticato ad ottenere il lavoro.
 Era proprio arrivato al momento giusto nel posto giusto, grazie al caso, che lui non mancava mai di ringraziare profusamente.
 Infatti, essendo stato a lungo all'estero, non aveva una casa a cui tornare ed aveva avuto l'imbarazzo della scelta su dove trasferirsi. Così, aveva deciso di andare a verso nord e di vedere un po' quelle città.
 Ne aveva passate molte, pensando che fossero troppo piccole o con un ospedale insufficiente.
 Poi era approdato a Egris e non aveva trovato nulla da ridire, ma mancava l'ultimo sigillo per restare lì.
 In realtà era una stupidaggine, ma per uno che basava sul caso la propria vita non lo era affatto.
 Questa "firma finale" consisteva nel chiudere gli occhi un secondo e aprirli per vedere chi fosse uscito dall'ospedale: se era un uomo era no, una donna sì.
 Così, anche per quella decisione, usò il suo metodo e quando guardò si ritrovò a fissare una ragazza piuttosto bassa e con una gran chioma riccia.
 "Bene bene, preparati Egris: mi sa proprio che mi fermerò qui un po'!"
 Quello che non sapeva era che si sarebbe ritrovato a lavorare insieme con quella che aveva deciso la sua sorte.
 La loro conoscenza insinuò in lui il dubbio che il suo metodo non fosse molto affidabile ma, con ottimismo, credeva che le cose si sarebbero appianate.
 Se doveva dirla tutta, a Luke non dispiaceva lavorare in quella città, con l'equipe medica si trovava bene, a parte con quell'assatanata di Norge, e non era impegnato come nell'impiego precedente: il massimo del pericolo era tagliarsi con un bisturi.
 Luke, ripensando al periodo precedente, scosse la testa, cercando di togliersi di mente quelle immagini: ne aveva avuto abbastanza di sangue e pericolo. Era stato bello per l'esperienza umana e utile per quella lavorativa, ma non voleva ritrovarsi mai più in un simile inferno.
 Fedele al metodo "Chiodo schiaccia chiodo", iniziò a chiedersi come mai l'infermiera scattante provasse una grande antipatia per lui, tanto per tenersi la mente occupata.
 "Non mi sembra che sia invidia per il mio ruolo. Non credo nemmeno di trattarla male. Forse... Dev'essere quello! Ma come è possibile che se la sia presa con me perché non sono riuscito a contenere lo stupore per il suo nome così particolare? In effetti in questo ospedale ce ne sono di nomi strani... Come quella Temi, la sua amica... Però se uno si chiama così ci fa anche l'abitudine a certe cose. Poveretta, chiamarsi Norvegia!
 E di cose strane ne ho sentite, ma questa è una delle migliori!"
 Non riusciva a non sorridere divertito per il ricordo della faccia che l'infermiera aveva fatto quando le aveva chiesto se era un nome d'arte. Assolutamente impagabile.
 E se lo fosse stato sul serio, avrebbe dovuto sceglierne uno che la rispecchiasse di più: non era per nulla gelida e imperturbabile come quello stato.
 "Sì, è per questo che se l'è presa, ma, accidenti, nemmeno se fosse una bambina potrebbe comportarsi così!"
 Era davvero intemperante e aveva continuato a stuzzicarelo a ogni loro incontro nei corridoi. Sfortunatamente, non si sa bene come, essendo l'ospedale piuttosto grande, tutte le volte che mettevano il naso fuori dalla porta, e nemmeno quello in qualche occasione, si trovavano.
 Luke non si aspettava che la ragazza che aveva avuto un ruolo decisivo nella sua scelta fosse la stessa che gliela facesse rimpiangere, almeno un po'.
 "Ma qui sono tutti strani. Come questa vecchietta qui... Che mi sta fissando. Perché lo sta facendo? Sono in un normalissimo bar per l'aperitivo. Forse si vede che non sono indigeno. Si sta avvicinando. Spero solo che non mi attacchi una pezza gigantesca o magari mi freghi il portafoglio. Già non è un inizio perfetto, ci vorrebbe solo un furto."
 Grazie alla sua buona stella, Luke non stava incontrando una vecchietta con intenti poco chiari qualsiasi, ma LA vecchietta con scopo macchinosi per eccellenza: la nonna di Temi, Gytha Sthazii.
 Ebbene sì, la cara dolce anziana che si era stufata di fare la calzetta chiusa in casa e aveva deciso di provare la carriera di sensale, con lo sgomento e il terrore di tutti i parenti, lo aveva puntato per una delle sue nipotine.
 Questa decisione era nata dopo l'ascolto prolungato di una posta del cuore radiofonica che Gytha considerava meno che spazzatura, dall'alto della sua anzianità e della sua conoscenza del mondo.
 In più la cosa aveva un gran vantaggio: non si divertiva così tanto da mezzo secolo, e questo era tutto da dire.
 Poi stava all'aria aperta, in mezzo ai giovani e poteva comunque ricamare in autobus, mentre aspettava le sue vittime o comunque nei buchi di tempo.
 Ora che aveva visto quel giovanotto al bar aveva capito che lui sarebbe stato un membro perfetto per la sua famiglia, così distinto e allegro.
 In più era da solo e dalla sua postazione non vedeva uno straccio di anello.
 Sì, poteva abbordarlo.
 Il barista, alla vista di Gytha che si dirigeva verso il nuovo avventore e gli parlava, scosse la testa e sperò che tutto si risolvesse per il meglio, cioè con la fuga a gambe levate della vittima.
 Purtroppo per lui, Luke e la nonnina si trovarono molto simpatici e parlarono per una discreta oretta, al termine della quale lei lo aveva convinto a presentarsi all'indirizzo di sua nipote Temi, per la sua professione di medico.
 All'inizio lui si era stupito di questa coincidenza, ma aveva pensato che fosse un nome piuttosto comune lì a Egris.
 Capì che si sbagliava quando vide spuntare dalla porta a cui aveva appena bussato un viso conosciuto: sì, era proprio lei, la specializzanda amica di Norge. Non poté fare a meno di ridere per il caso che li muoveva tutti come avatar di un gioco elettronico.
 "Lei non è stata avvertita dalla nonnina, visto com'è conciata. Dev'essere una di quelle domeniche casa-tv-gelato che non mi godo da un bel po'. Penso che non mi rivolgerà più la parola dopo averle visto il pigiama."
 Ma si sbagliava visto che Temi, dopo aver ascoltato le sue spiegazioni, gli chiese qualche minuto per cambiarsi e uscire: tanto era già lì, sarebbe stato un peccato sprecare un'occasione per conoscersi meglio e fare amicizia.
 In più avrebbe dovuto raccontare qualcosa a sua nonna e cosa meglio della pura verità?




Angolo dell'autrice che amalenottiestive:
Ciao a tutti!
Devo dire di non essere stata molto convinta di questo capitolo soprattutto visto il tenore di quello precedente, ma l'adorabile Acquamarine_  ha completamente negato la mia tesi e spero che sia lo stesso per voi.
Allora, abbiamo incontrato due nuovi (circa) personaggi: Luke Asi e Gytha Sthazii.
Il primo ha davvero un grande charme, secondo me, e credo lo abbia a causa del suo nome: Luke è Loki cambiato un po' e Asi sarebbe la denominazione data agli dei norreni, tipo Odino, Thor e compagnia bella. Ecco perchè penso che la sua presenza porterà un sacco di guai, oltre quelli che ha già creato!
La nonnina... In realtà è il prototipo di nonna che vorrei diventare ed è chiaramente ispirata a Gytha Ogg di Terry Pratchett. Solo un po' meno ubriacono, per il momento. Sthazii invece deriva da Publio Aurelio Stazio, un detective dell'Antica Roma di cui mi sono innamorata follemente. E' il protagonista di una serie di libri della Comastri Montanari.
Ultima cosa: "attaccare una pezza" è un modo di dire che indica la situazione in cui un'altra persona inizia a parlare con un'altra e non la lascia più.
Ok, non è la miglior spiegazione del mondo, ma credo si capisca.:)
Spero che recensiate e che vi piaccia ciò che scrivo.:D
Adieu!:)
Vex

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Capitolo 11
*** Un orgoglio violento con degli ideali violenti ***


"Era stata sempre violenta, in tutto il suo essere. Una bellezza violenta, una lingua violenta, una passione violenta, un dolore violento, un travolgimento violento, un orgoglio violento con degli ideali violenti."
 
 
Norge era furiosa e, diversamente da come si potrebbe immaginare, non lo era perché Temi era diventata amica di quel medico che odiava ma per l'anello che portava.
All'inizio non ci aveva fatto caso ma era stata incuriosita da questo particolare visto che la specializzanda non portava anelli e doveva avere le mani libere da intralci vari e aveva tremato quando aveva capito cos'era.
"Non può essere stata mandata per controllarmi, no. Sono sempre stata fuori dagli affari e non avrebbe senso. Non parlo con i miei genitori da Natale e quello è stato solo un incontro da famiglia normale.
No.
Però... era sconvolta quando è andato via Busco: che le avesse dato degli ordini o delle notizie sgradevoli?
In effetti mi sono sempre chiesta come mai non lo avessero affidato a un medico più esperto, anche se lo controllava solo.
Non dovrei pensare queste cose, è mia amica, ma se fosse tutto una bella recita?
Non posso fidarmi in questo periodo, soprattutto. Magari il nuovo capo vuole che tutti coloro che sono legati alla malavita, pur non facendone parte direttamente, siano sotto il suo controllo, per evitare fughe di notizie.
Se va tutto bene, ovviamente.
Non vorrei pensare all'opzione opposta, ma... tutti sanno cos'ha fatto quel pazzoide alla riunione.
Non vorrei essere nel suo mirino. Anche se adesso che ci penso, quasi certamente non me ne renderei conto poiché sarei già morta due secondi dopo.
Mi ero staccata dalla mia famiglia per evitare questo genere di cose e ora imparo che la mia migliore amica in realtà è una spia o un'assassina al soldo dei Busco!"
L'infermiera era furiosa un po' con se stessa per essersi lasciata infinocchiare e per avere una paura assurda di non sapere cosa aspettarsi alla prossima chiacchierata con Temi.
"Magari aspetta solo di incontrarmi in un posto isolato e poi, ZAC!, ciao ciao Norge.
Com'è possibile che lei sia una della malavita? Non sarebbe capace di nuocere a una mosca.
Almeno, questo era quello che pensavo prima di vedere l'anello.
 Ma non lo porta da tanto, perciò...
Oh, no. Magari ha appena portato a compimento una missione importante.
 O lo sta per fare. Non credo che il vecchio Tommy dia i suoi anelli a tutti gli scagnozzi che ha, altrimenti gli ci vorrebbe una fabbrica per produrli tutti. Quindi è importante o lo diventerà."
Era così sovrappensiero mentre faceva il giro dei suoi pazienti che non si accorse di un'ombra scura che la stava seguendo, che scivolava sui muri con un'eleganza implacabile e che osservava tutto.
Quella allungò una mano verso di lei e...
"Ehi, tutto bene?"
Norge sobbalzò e ringraziò di lavorare in ospedale: in caso di infarto sarebbe già stata sul posto.
E come si permetteva quello di toccarla?
"Benissimo, dottor Asi. Grazie."
Pur essendo una frase dal contenuto innocuo, era stata pronunciata con  un tono tagliente che aveva volutamente calcato sulla erre e aveva indugiato sulla zeta.
Insomma, più che un ringraziamento sembrava un ringhio seguito dal suono di un accoltellamento.
Per nulla infastidito da questo, Luke non poté trattenersi dallo sfiorarsi il collo inconsciamente.
Poi illuminò la stanza con il chiarore dei suoi denti e se ne andò fischiettando verso il suo prossimo paziente, mentre l'infermiera, palesemente scocciata, si chiedeva che cavolo quello avesse da sorridere mentre lei cercava di rendergli la giornata peggiore della sua.
Dopo qualche ora Norge si decise: non era mai stata una codarda e odiava aspettare che le cose scendessero dall'alto.
Come se fosse mai accaduto.
In più il dubbio di sbagliare e di stare allontanando un'amica non le piaceva affatto: tutta quell'aura di incertezza le faceva male al cuore e voleva sapere.
Tuttavia non sopportava il pensiero del dopo: cosa sarebbe successo quando l'avrebbe smascherata?
Anzi: cosa LE sarebbe successo?
"E' inutile. Odio pensare a queste cose. dirò di più: in questo periodo odio proprio pensare in generale.
Però sono curiosa di sapere in che modo abbia ottenuto quell'anello, la santarellina piagnucolosa.
Dev'essere una tosta, se tengo la teoria dell'assassina/spia.
Ma non riesco quasi a credere che lei faccia il doppiogioco o che lavori per la malavita.
Suvvia, probabilmente non ha fatto chirurgia perché odia tenere un coltello in mano."
Nonostante cercasse di prenderla sul ridicolo, Norge aveva paura.
Aveva provato di allontanarsi dalle "frequentazioni" della sua famiglia, prendendo una strada completamente diversa e ora tutti i suoi sforzi sarebbero potuti andare in fumo con lei.
In realtà non sapeva perché avrebbe dovuto avere tutta quell'attenzione, visto che lei faceva solo il suo lavoro e la sua famiglia non era molto importante nella malavita.
In più non credeva affatto che si fosse messa contro il nuovo capo: di sicuro erano indignati e terrorizzati come tutti gli altri, ma non avrebbero mai cercato di spodestare o tener testa a un capo normale, figurarsi a Ebneye Raza.
Era vero che Norge non sapesse affatto degli affari famigliari, ma comunque era informata a proposito della situazione generale, per evitare certi posti o certe mosse.
Quello che era successo alla riunione le era stato riferito subito, così come dei "pacchi regalo" del nuovo capo.
In città tutti pensavano che fosse stato un crimine della malavita, anche se non sapevano né il movente né il colpevole.
La polizia aveva archiviato il caso di scomparsa di tutta la banda Loony, visto che di certo i capi più importanti non avevano mostrato i cadaveri ai loro nemici naturali: li avevano sotterrati o nascosti in qualche luogo strano.
 Qualcuno di poco schizzinoso aveva messo il suo nella fabbrica di alimenti per animali e, una volta tanto, quelli avevano sovvertito la piramide alimentare.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              
Per questo era così all'erta e odiava pensare di essere coinvolta in quelle cose: pur essendone a tutti gli effetti uscita, la malavita aveva l'odiosa abitudine di tornare a trovarla in continuazione e le era venuto un colpo quando Busco era stato ricoverato nel suo ospedale.
Fortunatamente era solo per una malattia al fegato e non l'aveva dovuto incontrare, altrimenti l'avrebbe riconosciuta di sicuro e, tra una chiacchiera e un complimento, l'avrebbe obbligata a fare da corriere in memoria del sodalizio tra le loro famiglie.
Le balzò nella mente il ricordo di trecento barbecue a cui aveva partecipato, giocando, spettegolando e mangiando con i figli di tutti gli alleati dei Busco, senza il pensiero di ciò che tramavano i genitori alle loro spalle.
Sospirò: con quella scelta aveva perso molti amici e di certo non avrebbe mai avuto un lavoro particolarmente prestigioso.
"Non diventerò mai caposala a ventotto'anni come mio cugino, me ne farò una ragione. Però non voglio raccomandazioni o favori in generale, visto che di solito si pagano piuttosto cari."
Persa nella sua mente, non si era accorta che Temi fosse arrivata lì finchè non le aveva sventolato davanti agl'occhi una mano.
"Tutto bene?"
La domanda era stata posta con un tono così sinceramente preoccupato che Norge avampò di vergogna per i suoi pensieri poco carini sull'amica ma si riscosse quando il suo sguardò si posò sulla mano sinistra della specializzanda.
La rabbia prese a bollire ancora dentro di lei e, con un' espressione simile a quella che Catone doveva avere mentre parlava di Cartagine,  le rispose che la sua salute era perfetta e le diede appuntamento fra due ore per parlare più tranquillamente.
 Il volto di Temi si accartocciò un po' come una foglia in autunno ma annuì decisa, prima di scappare verso i suoi pazienti.
Certe volte Norge le faceva una paura bestiale.
Sperò solo che non si trattasse ancora di Asi che trovava davvero simpatico e molto utile per qualsiasi evenienza.
Dopo che le dottoresse l'avevano vista varie volte parlare con lui, avevano cercato di carpire in tutti i modi delle informazioni sul quel medico così affascinante, quindi ora barattava stupidaggini con pazienti e sentiva finalmente di stare per realizzarsi, pur con la colpa che le azzannava le caviglie.
Poi Luke era così carino con lei da insegnarle qualcosa, ogni tanto, al contrario degli altri.
Temi si ripromise di aiutare in qualsiasi modo il suo nuovo amico, soprattutto con Norge in agguato.
"Quella ragazza è diabolica.
Non vorrei mai irritarla sul SERIO.
Sarebbe più che capace di assoldare un assassino. No, farebbe tutto con le sue mani, è più probabile.
 Però è una mia amica e le voglio bene. Mi preoccupa molto il suo umore: è così scostante e crederei che mi stia evitando, se non mi avesse dato appuntamento per vederci alla pausa. Spero solo che sia solo un periodo o la sua antipatia per Luke."
Dopo che entrambe le ragazze si macerarono nei dubbi, riuscirono a incontrarsi nel cortile interno dell'ospedale.
Norge era lì da qualche minuto e aveva in mano una sigaretta, con la fronte aggrottata e una smorfia di concentrazione nel volto.
Di solito fumava quando era tranquilla e in pace con il mondo, cioè quasi mai, mentre se l'accendeva senza mettersela in bocca in periodi di grande crisi.
Le piaceva vedere il fumo salire nel cielo in mille volute e scomparire nel cielo stinto di Egris, diventando così parte delle nuvole.
Qualche volta avrebbe voluto andarsene portata via dal vento ma si riscuoteva e si avviava nei corridoi dell'ospedale, sicura che sarebbe caduto a pezzi se non ci fosse stata lei.
In realtà odiava fumare, sapendo ciò che causava, ma continuava a farlo raramente, forse per ricordare la sua vecchia vita.
Comunque, vedere Norge con una sigaretta era sempre sinonimo di guai, poichè era matematicamente certo che si sarebbe arrabbiata per avere rovinato il momento magico o per aver interrotto i suoi pensieri di risoluzione dei problemi.
Per questo motivo Temi le si avvicinò pian piano e con voce tremante la salutò.
Norge lasciò cadere la sigaretta e la schiacciò sotto i piedi prima di voltarsi velocemente.
Non l'aveva sentita arrivare e questo fatto, per la sua mente sotto stress, significava che la sua amica, la sua confidente, colei che aveva salvato svariate volte, l'aveva tradita.
Prima che l'altra potesse rendersene conto, la bloccò contro un muro con le mani sopra la testa e le ringhiò sopra il viso: "Perchè ti hanno mandato qui? Cosa vogliono da me? Raza ha deciso di farmi fuori e Busco, come un cane fedele, sta obbedendo? Rispondimi o te ne farò pentire!"
Temi era davvero impaurita e non si capacitava di queste novità: perchè Norge la stava minacciando? Chi era Raza? Perchè conosceva Busco?
"Non so chi sia questo Raza e non mi ha mandato nessuno! Norge, mi conosci da qualche anno, ormai, sai che non farei male a nessuno! Per favore, smettila che mi stai spaventando! Se è uno scherzo di cattivo gusto per Asi fa davvero schifo!" Aveva le lacrime agli occhi e cercava di liberarsi un po' le mani, senza riuscirci.
L'altra rise in modo sinistro e secco: "Non prendermi in giro! Non so più chi sei ma so che di certo non sei la mia amica! Non faresti male a una mosca? E questo cos'è, se non il riconoscimento delle tue doti come malavitosa?"
Norge la sbattè di nuovo contro il muro e, impossessatasi della mano sinistra dell'altra, gliela sventolò sotto il naso, chiedendole ripetutamente cosa fosse allora quell'anello, se non il simbolo dei Busco.
Temi sbiancò e iniziò a tremare violentemente, sia per la situazione attuale che per il ricordo dello stupro. Nondimeno cercò di darle una risposta convincente: lo vedeva nel bagliore degli occhi dell'infermiera che sarebbe finita male se non l'avesse convinta.
"L'ho trovato per terra, credimi! Non avevo idea di cosa fosse finchè non l'ho visto addosso a Busco! Ti prego, ragiona! Sono io, Temi! La specializzanda ingenua e sentimentale che aiuti sempre! Per favore, usa la testa!"
Ormai era al limite: cosa aveva fatto per meritarsi tutto ciò?
Norge, ovviamente non le credette: chi si metterebbe mai un anello sapendolo un segno della malavita?
E chi lo lascerebbe per strada, soprattutto?
Si stava iniziando a surriscaldare e questo non andava per niente bene.
Aveva un coltellino a serramanico nei pantaloni, come sempre per autodifesa nel caso ci fosse stato bisogno, e con tutti i cadaveri che giravano nell'ospedale coperto da lenzuoli, non sarebbe stato difficile portare fuori il corpo di Temi.
Presa da questi pensieri, si risvegliò quando sentì la ragazza piangere e raccontare tra i singhiozzi: "Ok, non è che proprio l'ho trovato per caso... Stavo tornando a casa da una bettola, quando in un vincolo.."
Non resistendo più, la specializzanda si aggrappò a Norge e, dato libera uscita alle lacrime, le riportò tutto quello che era successo  quella sera terribile.
L'infermiera rimase immobile, poi ricambiò la stretta, cercando di calmare l'amica sussurandole parole tranquillizzanti all'orecchio.
Temi non poteva essere un'assassina, era stato stupido solo pensarlo.
"Un pulcino nella stoppa, tenero ma totalmente incapace di cavarsela da solo.
Per fortuna che ci sono io, anche se stavolta non l'ho potuta aiutare! 7
Perchè non si è confidata prima?
 Avrei dato la caccia a quel bastardo e, a quest'ora, sarebbe tutto risolto.
E' davvero coraggiosa e non mi sarei mai aspettata che, con un trauma del genere, riuscisse a continuare la sua vita di sempre. Nessuno ha mai sospettato di nulla e nemmeno io ho capito.
E' lei che è stata troppo brava o io sono una pessima amica?
Di sicuro la seconda: stavo progettando l'occultamento del suo cadavere, per Vidar!
Ripensandoci, riesce a stare sulle sue gambe, anche se non sembra."
Dopo un po' la specializzanda si decise a chiedere una cosa che la stava opprimendo da molto:
"Norge, come sai tutte queste cose della malavita?"
L'infermiera gelò sul posto: Temi era ingenua ma non fessa, a quanto pareva.
Però decise di fidarsi, anche perchè le doveva qualcosa: le aveva fatto male sia fisicamente che psicologicamente, mettendo in dubbio la loro amicizia e costringendola a ripensare a dei brutti momenti.
Così titubante, iniziò a confessare tutto: "Ecco, devi sapere che la mia famiglia ha stretti contatti con i Busco ed è tipo una loro sottoposta. Loro  hanno dato ai miei famigliari un territorio dove esercitare e, visto che sono tra quelli più fedeli, siamo stati spesso loro ospiti a cene, feste, vacanze e cose varie. Io mi sono staccata da tutto questo anni fa ma sono ancora al corrente di parecchie cose, per proteggermi.
Mi dispiace per quello che ti ho fatto, ma ultimamente la malavita è in sobbuglio e non mi sento al sicuro, per niente. Sono terrorizzata che qualcuno mi uccida o mi tiri dentro a qualche lotta tra bande. Appena ho notato il tuo anello ho creduto che il nuovo capo della malavita, Raza, avesse ordinato ai Busco di farmi fuori per evitare un possibile tradimento. Ti prego, toglitelo. Non sai a quello che stai facendo. Se qualcun'altro se ne accorgesse, se non è già capitato, potresti trovarti in grossi guai. La città intera è un petardo con la miccia corta: una scintilla e veniamo tutti travolti."
Ma Temi non l'ascoltava più: Norge era di una famiglia malavitosa?
Legata ai Busco come il suo assalitore?
Si staccò dalla sua amica e si allontanò all'indietro di qualche passo, fissandola spiritata.
"Dove sono finita? Qualcuno mi dica che sono finita in un altro universo, uguale ma contrario al mio. Non è possibile! E io che credevo di conoscerla!"
Norge cercò di avvicinarsi, notando il bagliore disperato negli occhi dell'altra, che si allontanò di un altro passo.
"Temi..." La sua voce era davvero così flebile o c'era solo un forte vento, che disperdeva le parole?
"Non avvicinarti! Come puoi essere così? La malavita! Ti rendi conto? Come puoi..." Prese un grosso respiro. "Basta, non voglio più saperne di te! Mi vendicherò di certo su di loro, ma ringrazia che, per la nostra ormai defunta amicizia, non ti succederà nulla. Non parlarmi mai più. Fammi un favore, anzi: crepa. Mi sono stufata di tutti questi segreti di cui io non so nulla. Basta! Voglio reagire e farla pagare a tutti quelli che stanno cercando di rovinarmi. Addio!"
Temi rientrò nell'ospedale e non si girò nemmeno quando Norge cerò di trattenerla dicendole che non poteva farcela contro i Busco, che era pericoloso, che non era giusto quello che aveva fatto.
L'infermiera scivolò sul muro e si raggomitolò, completamente ignorata e piena di un dolore sordo.
Perchè le aveva rivelato quelle cose?!?
Per una come Temi, così amante della giustizia, era stato come sventolare un drappo rosso davanti a un toro.
"Il peggio è che si autodistruggerà: i Busco non si faranno mai fregare da lei, figurarsi ammazzare.
Non ha nemmeno un piano ed è troppo piena di rabbia ora. Non ce la farà mai, soprattuto con Raza in giro. Sono tutti tesi al massimo e non riuscirà ad avvicinarsi di un millimetro al suo obbiettivo.
Perchè mi sono cacciata in questo pasticcio?
Se avessi tenuto le mie ossessioni dentro la mia testa e agito in modo razionale, non sarei a questo punto ora. Ormai Temi è perduta, per sempre. Nessuno riuscirà a fermarla, mai più."




Angolo dell'autrice che augura a tutti buon Ferragosto:
Ciao a tutti!
In questo capitolo se ne vedono delle belle, che ne dite?
Non so bene nemmeno io se la frase a inizio capitolo sia riferita a Norge o a Temi... Voi che ne pensate?
Stavolta c'è solo una curiosità: Vidar è una divinità norrena legata alla vendetta, per questo l'infermiera lo cita in quel preciso momento.
Ringrazio chi recensisce, chi legge, chi segue, ma riservo un enorme ringraziamento ad Acquamarine_ per la sua pazienza nel correggere tutta la storia:
sei mitica!;D
Spero che vi sia piaciuto e che continuiate a seguire le avventure di Temi!;D
Adieu!
Vex

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Capitolo 12
*** Lovely dear ***


Most people looked at him with terror and with fear
But to Moscow chicks he was such a lovely dear

(rasputin, Boney M)


Temi aveva rimuginato tutta la settimana su quello che aveva detto Luke ed era giunta alla conclusione che, forse, prendersela con Norge non avrebbe cambiato la situazione in cui versava.
In fondo l’altra aveva scelto di vivere fuori dall’influenza della malavita come la sua famiglia e doveva ammettere che a suo malgrado la ammirava per questo.
Capiva anche la scelta di non rivelare nulla sul suo passato, cosa più che giusta, ma si sentiva comunque tradita: continuava a pensare che avrebbe sopportato benissimo la notizia se gliel’avesse riferita qualche mese prima.
Più o meno aveva deciso di perdonarla, anche se era ancora arrabbiata con lei e ferita, ma stranamente non era quella la cosa più difficile: lo era farsi accettare da Norge ancora.
Sapeva che l’infermiera era per il motto “Leale e fedele SEMPRE” e odiava chiunque lo trasgredisse.
Quel “chiunque” comprendeva anche lei.
“Probabilmente ora si sente offesa e ferita, come se avessi sbattuto IO lei contro un muro urlando come una pazza di confessare di essere una della malavita e di stare cercando di ucciderla.”
Temi fece il muso un’altra volta. 
Per il momento era meglio che stessero ognuna nel suo brodo.
Non potevano accettare di avere torto e di doversi scusare, così continuavano ad evitarsi.
Norge aveva notato che forse l’altra stava iniziando ad ammorbidirsi, poiché non le lanciava più occhiate assassine, ma capiva che il momento non era ancora giunta e stava alla larga. Di certo non voleva dare spettacolo al lavoro con una litigata stratosferica, solo per aver sbagliato a leggere i segnali.
In più non le dispiaceva passare del tempo con altre persone, ovviamente quasi tutte nel rame dell’infermieristica: l’ospedale al completo sapeva quanto lei non riuscisse a sopportare l’autorità e di come si infiammasse velocemente appena aveva il sentore che qualcuno cercasse di fare il saputello.
Aveva ricevute moltissime lavate di capo ovunque, ma proprio non riusciva a trattenersi.
Era nata incendiaria, non sarebbe di certo morta pompiere.

Fran stava ticchettando sui tasti del computer da mezz’ora, in attesa che quel programma si azionasse da solo, visto che non aveva voglia di stare lì a sopportare le bizze né di quel pezzo di metallo né della persona che si era recata lì e la stava fissando da altrettanto tempo.
Voleva solo dire alle sue dipendenti che usciva e andare via, a centellinare un cappuccino per l’eternità, guardando i passanti, parlando con chi fosse capitato a tiro. 
Insomma, qualsiasi luogo, ma non quello. Non in compagnia di quella ragazzetta tremenda che aveva avuto non si sa quale problema al suo adoratissimo pc e in quel momento esaminava con il fiato sospeso ogni sua mossa, nemmeno si trattasse di un’operazione a cuore aperto, lasciandosi scappare sospiri e gridolini, oltre a un mare di raccomandazioni su come il suo piccoletto dovesse essere trattato.
Non le sopportava proprio, quel tipo di clienti era peggio che avere la scabbia e lo scorbuto assieme.
Poi il solo fatto di aver accettato lei stesso quell’incarico, mentre normalmente l’avrebbe tranquillamente passato ad uno dei sottoposti, la faceva sentire strana, quasi come se si obbligasse a restare con la mente occupata, per distrarsi dai suoi pensieri. Finalmente il programma era pronto e funzionava a meraviglia, così, piuttosto ansiosa di liberarsi di quella presenza irritante, le fece pure uno sconto, ottenendo l’effetto contrario: l’altra squittì felice e giurò di tornare ogni volta che avesse avuto un problema. 
Poi, con somma gioia di tutti, se ne andò saltellando per la propria strada. 
Fran si massaggiò le tempie doloranti e si decise ad accendere il suo computer, per mettere in ordine l’azienda, ma venne distratta da una strana apparizione: un uomo vestito con un completo scuro era entrato sorridendo e salutando tutti come se lavorasse lì o fosse un cliente affezionato, ma si stava dirigendo verso il suo ufficio con troppa sicurezza e nonchalance.
La ragazza fece velocemente qualche ipotesi di chi potesse essere, ma si convinse che c’entrasse con la malavita: solo loro potevano comportarsi in un certo modo.
Il fatto del sorriso e del calore umano lo identificavano senza dubbio come uno degli sgherri di Tommy Busco. 
Se è vero che i cani e i padroni finiscono per assomigliarsi, è vero che i sottoposti tendono a comportarsi come i capi. 
Se Tommy era un produttore cinematografico bonaccione fuori e uno squalo dentro, anche i suoi erano così: alcuni sembravano essere usciti direttamente da “Il boss delle torte” ma sapevano usare di certo meglio una pistola che un mattarello, malgrado la mole.
Non li aveva mai visti tutti, anche perché dovevano essercene un centinaio almeno al servizio di quella famiglia, una delle più importanti di Egris, ma le pareva di averlo già visto di recente.
“Forse l’ultima volta, con Saverio… Non so, sembrano tutti uguali dopo cento viaggi nella stessa Lexus argentata. Di certo non ho fatto caso a lui, come all’autista. Chissà cosa vorrà? Di solito mi mandano un’e-mail in cui richiedono la mia assistenza, niente di strano o di sospetto. Ci dev’essere qualcosa di grosso. Un virus ha rapinato il conto in banca della famiglia? Magari degli hacker si sono impossessati di segreti importanti e ora la famiglia vuole distruggermi perché crede che io li abbia aiutati. No, non devo farmi paranoie assurde… Ma che dico? Perché è qui? Non c’è mai nulla di buono in una visita personale da parte della malavita. Di solito finisce con qualche arto in meno.”
Un brivido partì dal cervelletto, saltellando come acqua sulle rocce lungo la spina dorsale, per poi fermarsi prima delle anche, quando lo sgherro bussò alla porta del suo ufficio con un sorriso raggelante.
Al contrario di Norge, coraggiosa al limite dell’impavido, e di Temi, che per una giusta causa dimenticava di esistere e pensava di essere immortale e invincibile, potendo perciò rischiare di tutto, Fran era piuttosto timorosa e teneva alla propria incolumità, così, prima di invitarlo ad entrare, prese il pesante fermacarte sulla sua scrivania e se lo nascose in una mano, che mise sotto il piano della scrivania.
L’uomo la salutò allegro e sorridente, chiedendole i soliti convenevoli: “Come va il lavoro? Il fidanzato non ce l’ha mica ancora? Come, una così bella ragazza? Tutta casa e lavoro, ci scommetto.” e simili.
Per la ragazza queste domande innocue, in realtà, erano solo per distrarla e per mettere a segno l’assassinio.
Così rispose quasi a monosillabi, tremando appena con gli occhi piuttosto fissi alla porta.
Le venne quasi un coccolone quando lui si avvicinò confidenziale, facendole segno di fare altrettanto.
Circospetta, lo fece, cercando con lo sguardo una pistola, un coltello o qualcos’altro che potesse farle del male.
Non ne vide, ma quello che l’altro disse dopo la stupì molto.
“Senta, so che è inusuale, ma… qui c’è una busta che mi ha dato il capo in persona per lei.”
Con un groppo in gola, prese ciò che lui le porgeva e lentamente l’aprì: la sua paura si trasformò in confusione e sorpresa.
Era l’invito per una grigliata informale dai Busco. Non aveva mai ricevuto nulla del genere in tre anni che lavorava per loro: cos’era cambiato? Si stavano fidando così tanto di lei da renderla parte della loro cerchia? O era tutta una copertura e la volevano usare per dei piani criminosi?
In più era necessario pensare che era rischioso essere così intimi di certa gente e lei non voleva affatto pensare a cosa le sarebbe capitato se avesse sbagliato in qualsiasi cosa.
Lui le sorrise strappandola ai suoi pensieri preoccupati e allegro le disse che ci sarebbero stati proprio gli amici dei Busco, non le sanguisughe.
“Insomma, stia tranquilla: è una normalissima grigliata all’aperto con bella gente. Ci sarò anch’io.” Le strizzò l’occhio, orgoglioso.
Fran non riusciva a capire tutto quell’interessamento improvviso nei suoi confronti, così, incapace di trattenersi, chiese spiegazioni.
Lui la guardò un po’ sbigottito: “Ma come, non si ricorda di avere incontrato Sal? E’ lui che, quando ha organizzato l’evento, ha consigliato ai Busco di invitarla, in quanto ha dei modi affascinanti e una spiccata personalità, oltre che la migliore e più giovane esperta di informatica al loro servizio. Sembra che questa descrizione abbia colpito molto Tommy e, se devo dire la verità, anche me: nessuno ha mai sentito parlare lui in questo modo di qualcuno.”
Lei era molto scombussolata: aveva appena ricevuto una risposta che le aveva fatto nascere più domande di prima, che però non avrebbe potuto soddisfare in modo altrettanto veloce.
Ringraziò l’uomo e confermò la sua presenza alla festa, quasi in automatico. Poi in pratica lo buttò fuori dal suo ufficio.
Ora non le sarebbero bastate centinaia di ragazzine petulanti con pc rotti a bastonate per calmare i suoi poveri nervi tesi e le paranoie che affollavano la sua testa.

Saverio si domandava da qualche giorno se fosse stata una buona mossa invitare quella ragazza che da qualche tempo occupava la sua mente a quel barbecue informale che i Busco amavano tenere quasi ogni settimana d’estate in una delle loro proprietà in campagna.
Era davvero strano che, in un periodo del genere, con un capo della malavita pericoloso e imprevedibile come un unicorno con i denti a sciabola e i normali doveri da braccio destro di Busco, riuscisse non solo a respirare, ma anche a pensare a Françoise Quells, nata ventisette anni prima, il 2 novembre.
Non era proprio un chiodo fisso, perché doveva pensare alle propria e altrui incolumità e ciò lo teneva occupato, ma appena riusciva a stare un attimo fermo in pace, ecco saltare fuori il suo ricordo. A volte era quasi un flash, poiché, mentre lavorava, scorgeva un lampo argenteo, che gli ricordava l’abito della ragazza e la Lexus. 
Ormai non andava più nel garage dei Busco per scegliere un’auto per l’assurda paura di rivedere quella macchina.
Non riusciva a sopportare tutto questo: aveva di meglio di cui preoccuparsi e di cui temere.
“Ultimamente ho il terrore di troppe cose: e lei, e sbagliare con le aziende, e trovare la mia testa fissata su una picca per ordine di Raza… Devo fare qualcosa per rimediare: non potrò uccidere il capo dei capi né prevedere il futuro per accertarmi di prendere le decisioni giuste, ma posso rincontrare Françoise e vedere che lei non è abbastanza da mettermi in tale soggezione.”
Era davvero molto convinto di questo discorso che fece tra sé, ma, dopo che consigliò a Tommy di invitarla, stupendo addirittura se stesso per le qualità che non credeva di aver notato in lei, si trovò stranamente elettrizzato a contare i giorni che mancavano alla festa.
“E’ solo per rendermi conto di quanti preparativi ancora mi mancano…” 
Quando si rese conto di quello che aveva appena pensato, si disperò un po’. Fino a poco tempo fa non avrebbe fatto orazioni o cercato scuse per sé, ora sembrava che avesse uno sdoppiamento di personalità: da una parte c’era l’uomo tutto di un pezzo, sicuro delle sue azioni, e dall’altra un esserino che confuso cercava di tranquillizzarsi tremante.
Ora doveva solo decidere chi essere tra i due e , francamente, era una scelta piuttosto facile: non poteva farsi mettere sotto da qualcuno che aveva visto una volta e non cercava di fargli del male.
Scosse la testa e si buttò a capofitto della contabilità di alcune aziende alimentari dei Busco: aveva troppo da fare per avere certe distrazioni, soprattutto se voleva rimanere vivo.
Per questo doveva riuscire a calmarsi una buona volta e tornare ad essere una macchina efficiente come era sempre stato.

Ebneye Raza guardò fuori dalla finestra del suo palazzo con uno dei suoi potenti binocoli che usava per spiare in sicurezza la città: era troppo pericoloso avvicinarsi alle vetrate, per un possibile sparo.
Però non voleva separarsi da quell’innocuo passatempo e si era organizzato.
Gran parte del tempo che non passava alla scrivania a lavorare per la malavita, perché è questo che faceva, lo trascorreva con gli occhi attaccati a una lente, che gli mostrava gli abitanti di Egris, le loro misere vite e le tristi storie che nascondevano.
Sapeva che tutti ora si stavano ingegnando per toglierlo di mezzo nel modo più doloroso e veloce possibile, ma intendeva durare per molto tempo, non dando loto questa piccola soddisfazione, rendendo allegro però se stesso, in quanto affascinato dal lavorio delle menti dei suoi piccoli ingenui sottoposti.
“Come se fossi ignaro che i libri in camera mia hanno le pagine avvelenate o che il dentifricio ormai è per metà composto da sperma e urina. 
Il bello è che questi aspiranti omicidi e burloni sono prevedibili e non lo capiscono, come non possono immaginare che io usi un altro dentifricio nascosto in una crepa del muro o che i libri che leggo sono unicamente quelli che sono in soffitta, polverosi e così puzzolenti per la muffa da rendere poco invitante il solo avvicinamento.
E’ talmente ovvio che loro facciano questo genere di cose da rendermi quasi noioso la posizione di capo della malavita. Ma devo stare attento: c’è sempre qualcosa che sfugge e potrebbe arrivarmi tra la testa e le spalle, rendendomi impossibile il soggiorno sulla terra.
Basta pensare a Cesare o a Caligola.
Ma chi sono io dei due?
Lo stratega o il pazzo assassino?”
Scosse la testa ridacchiando tra sé: se fosse stato un altro, tipo Tommy Busco o tutta la città al gran completo, avrebbe scelto senza esitazione la seconda.
La riunione aveva avuto l’aspetto sperato, ma non quanto la “consegna”.
In realtà Ebneye trovava un po’ volgare quella teatralità eccessiva, ma con gente del genere era necessaria quanto respirare.
“Se non sei eccessivo non ti prendono sul serio. E’ solo spettacolo nello spettacolo delle loro vite. Ognuno di noi è un personaggio di un’opera, secondo i caratteri generali: il furbo, l’avaro, la vecchia, la sgualdrina… Abbiamo un ruolo da rispettare e, inconsciamente, lo facciamo. Non possiamo farne a meno, poiché è la nostra essenza.
Senza saremmo solo ombre su uno schermo bianco, destinate a sparire con l’arrivo della notte.
Capita che a volte qualcuno si accorga di questo meccanismo e lo usi per il proprio vantaggio.
Inutile dire che io sono uno di questi: interpreto la mia parte a meraviglia.
Non si vedrà mai a Egris un capo mafioso pari a me. 
Non lo renderò possibile.”
Intanto, in lontananza, la città brillava grazie ai raggi del sole che stava tramontando.
Sembrava quasi una pietra preziosa e Raza aveva tutta l’intenzione di conquistarsela.


Angolo dell'autrice che stavolta non sa proprio che dire:
Ciao a tutti!
Ringrazio subito chi segue e recensisce questa storia: siete fantastici! ;D
Ma soprattutto acquamarine_ che mi aiuta sempre molto e non posso esprimere quanto riconoscenza abbia nei suoi confronti. :)
In questo capitolo ci sono parecchi punti di vista e qualche personaggio che non vediamo da un po', come Fran: a voi è mancata?
A me sì: penso sempre che dovrebbe avere più spazio, ma l'ispirazione è tiranna e finisce sempre che mi dedico ad altri.
Temi è ancora presa dai suoi pensieri su fare pace o no con Norge e forse risulta troppo pesante, però è così di suo e non cambierà mai.
Di note e varie ci sono solo una citazione cambiata della canzone "Happy Hour" del mitico Liga, che i ben informati avranno individuato di certo e che è...
"Nasci da pompiere e muori da incendiario" e che la ragazza in ansia per il pc è una parodia di me stessa e di molta gente che conosco: chi non ha mai temuto il peggio per lo scrigno dei segreti e il portale delle meraviglie di internet che è il computer?
Credo che Saverio non sia venuto molto bene, ma è difficile cercare di scrivere a proposito di un uomo malavitoso innamorato, perciò cercate di capirmi e se avete suggerimenti non esitate a darmeli!
Prometto che cercherò di farne buon uso. ;D
Adieu!:)
Vex

 

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Capitolo 13
*** Abbiamo ricevuto dalla nostra famiglia le idee di cui viviamo così come la malattia di cui morremo. ***


Abbiamo ricevuto dalla nostra famiglia le idee di cui viviamo così come la malattia di cui morremo. (Marcel Proust)


Era ormai una settimana che Temi ignorava palesemente Norge, che faceva la finta tonta, e passava tutto il suo tempo con Luke. Le capitava perfino di ridere più rumorosamente quando la vedeva parlare e, pur odiandosi per questo suo comportamento tremendamente stupido da commedia romantica, la specializzanda desiderava vedere soffrire la sua ex amica almeno quanto lei alla scoperta del suo legame con la malavita. Un'altra cosa che non poteva sopportare era di essersi fidata a tal punto di lei da raccontarle del tentativo di stupro e ora, quasi ad  autopunirsi per lo sbaglio commesso, non riusciva più a dormire a causa degli incubi che le invadevano la testa.
Per queste cose si sentiva un po' mentalmente instabile e voleva solo far chiarezza nella sua mente.
Mentre Temi aspettava il momento propizio per farlo, però, Luke la costrinse.
Per lui, la specializzanda era un'amica che in poco tempo aveva preso sempre più importanza, grazie ad alcune caratteristiche, come il sempre presente bisogno di aiuto e la grande ingenuità unite con una sfrontatezza imprevedibile e un'intelligenza impensabile, da farsi considerare una specie di sorella minore mai avuta.
"E se l'avessi avuta, non mi comporterei così. Forse è, in un certo senso, che l'ho "scelta", in qualità di amica, perciò potremmo scaricarci da un momento all'altro e non vederci mai più, mentre se fossimo parenti saremmo costretti a vederci o a sentirci. E' solo piacere dello stare insieme e di trovare un'anima diversa che accetta ma non condivide o comprende tutta la sfera della mente e del cuore altrui. Un giorno, quando questa eccezionale, straordinaria, connessione sarà interrotta, rabbrividiremo al pensiero di aver passato così tempo insieme ma ricorderemo con affetto il sentimento che ci univa.
Ecco, più o meno la cosa dovrebbe essere questa, senza voler filosofeggiare troppo in lungo e in largo."
Si sentiva meglio, ma non riusciva a capire la totale e crudele indifferenza nei confronti di Norge.
Era successo qualcosa che non sembrava la solite lite tra donne risolvibile con una sessione di shopping, cinema e gelato. Una rottura così enorme da rendere crudele pure Temi e dire che ce ne voleva.
Cosa poteva aver scatenato tutto ciò?
"Che Norge si sia portata a letto il tizio che le piace? Mhh, no. Probabilmente Temi riuscirebbe a organizzare il loro matrimonio con somma gioia. Dev'essere qualcosa di terribile. Forse l' infermiera ha sparlato di lei? No, non ci sono proprio. Soffrirebbe in silenzio, conoscendola. Non capisco, però è brutto che un'amicizia del genere sia rovinata in questo modo. Devo parlare con Temi per avere spiegazioni. Norge mi mangia vivo solo se mi permetto di chiederle come sta, perciò è meglio che non chieda a lei."
Decise che l'avrebbe stanata all'ora di pranzo, in modo da avere il tempo per parlare senza essere interrotti.
Mentre completava il suo giro e salutava le sue colleghe man mano che le incontrava, pensò che la vita fosse davvero buffa. Qualche mese fa non avrebbe mai pensato che le sue uniche preoccupazioni sarebbero state quelle di non scivolare sul pavimento lucido dell'ospedale, di ripararsi dall'assedio delle ammiratrici e di occuparsi dei suoi amici.
I pazienti erano sempre al centro dei suoi pensieri e questo non era cambiato, benché qualche volta trovasse davvero irritanti le loro lamentele. Ma era più facili curarli lì piuttosto che in una tenda sperduta chissà dove e le attrezzature erano fantastiche, quelle che aveva sognato durante tutto il periodo di volontariato.
Così rassicuranti, efficienti e bianche in quella armature di plastica, sembravano quasi cavalieri pronti a salvare la loro dama, legata a loro per mezzo di cavi e tubi.
E lui, ovviamente, si immaginava come il re che li comandava e li mandava a combattere per il bene della popolazione.
Ecco un'altra cosa che adorava del nuovo lavoro: aveva tempo di fantasticare e di perdersi nei suoi pensieri mentre controllava le flebo e adorava stare sulla sua nuvola personale, a veleggiare tranquillo in giro per un posto civile, senza la minaccia costante di pazzoidi muniti di fucili o la disperazione di non avere abbastanza medicinali.
Qualche volta, nell'appartamento in cui abitava, dopo aver chiuso la porta a doppia mandata prima di infilarsi nel letto, pensava che la sua vita stava prendendo una buona piega, visto che aveva abbastanza soldi, una casa niente male e l'ospedale aveva tutto ciò di cui aveva bisogno e poteva fare a meno di lui.
Non rimpiangeva affatto i tempo in cui stava sveglio tutta la notte ad aspettare che una nuova disgrazia si abbattesse su di lui, che fosse un altro malato o un gruppo di guerriglieri pronti ad uccidere tutti per qualche assurda ragione.
Nei primi tempi a Egris, capitava che si svegliasse di soprassalto e respirasse quasi a voler prendere tutto l'ossigeno presente nella stanza, con un terrore sordo che gli rimbombava nelle orecchie.
Credeva sempre che fosse un sogno e che si sarebbe risvegliato in una tenda con un fucile puntato nell'orecchio, ma alla fine la tranquillità aveva preso il sopravvento e dormiva beatamente come non riusciva a fare da molto tempo.
Per questo aveva notato le occhiaie scure di Temi che contribuivano  a rendere ancora più certa la sua appartenenza ai panda e, insieme alla freddezza riservata a Norge, aveva deciso di parlarle.
Intanto che aspettava il momento propizio, cercava altre ipotesi plausibili per il comportamento dell'amica.
"Credo di poter escludere che un tale abbia messo scompiglio tra di loro: l'infermiera poco glaciale avrebbe messo subito in chiaro le cose mentre la specializzanda si sarebbe rassegnata.
Non è che... No, non ci posso credere." Se qualcuno avesse visto l'espressione che ora era impressa nel volto di Luke, nascosto in quel momento da una cartella clinica, avrebbe pensato che il paziente in questione avesse tutte le peggiori malattie contemporaneamente.
Invece, per sua fortuna, il signor Le Fiddi stava abbastanza bene, aveva solo una contusione nella zona del capo. Asi non credeva di aver pensato sul serio a QUELLA possibilità: che Norge e Temi fossero di più di ciò che sembravano. In parole povere, stavano insieme?
L'affascinante medico sentì distintamente, anche se sapeva che non era in nessun modo possibile, il suo cervello sciogliersi e trasformarsi in marshmallow arcobaleno.
Si trattenne dal ridere istericamente e dal dare di matto solo perché era in mezzo ai pazienti e gli serviva sul serio quel lavoro.
"No, la mia mente non è impazzita nel periodo in cui facevo volontariato in quel posto maledetto da tutti gli dei e lo fa ora? Però... potrebbe essere un' opzione. Ce la vedo Norge che tradisce Temi. O loro due che litigano per chi cucina e mette in ordine la casa. O per il film da vedere. L'infermiera mi sembra una da "Red", mentre l'altra sembra più da "La dura verità". Va a finire che le due amichette del cuore hanno oltrepassato la linea tra amicizia e amore... Basta, devo smetterla di sogghignare come un maniaco. I pazienti mi stanno osservando decisamente allarmati." In effetti, tutti coloro che erano presenti nella stanza lo stava guardando piuttosto straniti per l'espressione da scienziato matto e molti avevano artigliato le loro coperte, pronti a vendere cara la pelle. Per fortuna riuscì a tranquillizzare tutti sfoggiando un bel sorriso, di quelli che chiamava "Sono così adorabile, non puoi non perdonarmi". Poi corse nel primo sgabuzzino che trovò per ridere sguaiatamente e istericamente.
Ok, stava diventando pazzo: la sua testa non poteva stare senza pericoli in agguato, ma doveva stare concentrato: mancava poco all'incontro con Temi e questo scoop lo allettava un sacco: erano davvero iniziati i tempi in cui si poteva preoccupare di cose così futili e lui adorava ciò, vivere così alla leggera si confaceva alla parte della sua anima che aveva dovuto sopprimere per un bel po' di anni. Ora che l'aveva liberata si sentiva molto meglio e sollevato dalle poche preoccupazioni che lo opprimevano.
Inspirando un po' uscì dallo sgabuzzino a passo di nuvola e sorrise a tutti i suoi pazienti come la loro fata madrina personale.
 
Norge odiava quella situazione ma non avrebbe mai fatto il primo passo: che colpa ne aveva lei di essere nata in una famiglia del genere? Per Temi era facile parlare, visto che la sua famiglia era arrivata a Egris quando lei aveva iniziato l'università, così non aveva ancora fatto in tempo a essere legata dalla malavita in modo evidente. "E' vero che i miei genitori sono sottoposti diretti ai Busco, ma di certo tutta la popolazione di questa città lavora per quelli come loro, anche se non lo sa o non lo vuole sapere. Temi si crede una effigie perfetta di giustizia solo perché lavora per lo stato, ma l'ospedale è stato costruito grazie a un prestito concesso da Tommy e suo fratello e nelle più alte cariche ci sono annidati i vari sostenitori, quando non proprio i capi della malavita o i parenti. Poi lei dovrebbe ammirarmi per quello che sono riuscita a fare: togliersi da un giro del genere è praticamente quasi impossibile, anche perché nessuno lo vuole fare mai. Potrei essere un medico del comitato ora, se avessi seguito la via prestabilita, mentre sono solo un'infermiera come tante! Sul serio, deve abbassare la cresta! E cosa crede di fare contro i Busco? Quella ragazza è un pericolo SOPRATTUTTO per se stessa e scommetto che non durerà mai oltre i due giorni, se continua a essere così violenta e chiacchierona nei suoi propositi di vendetta. Io non dirò nulla, perché è stata una mia cara amica e, di certo, non riuscirà mai a portare a termine qualcosa di questo genere: si renderà conto prima di iniziare solo a pensare di poter fare qualcosa contro i Busco di essere nettamente in svantaggio e che vendicarsi significa picchiar duro, cosa che non sa fare."
Scosse la testa: doveva smettere di pensare a Temi e in più sapeva di starsi illudendo.
L'altra era davvero caparbia e avrebbe affrontato qualsiasi cosa per fare ciò che riteneva giusto o seguire i suoi stupidi valori.  Forse solo l'ipotesi di compiere un omicidio o un reato grave avrebbe potuto frenarla, ma aveva i suoi dubbi.
Non era più la specializzanda quasi bambina che era entrata qualche anno prima, sperduta e fiduciosa, ora
era diventata una donna adulta, capace e forte interiormente, in grado di ferire chi amava.
Sospirò piano mentre cambiava una benda a un paziente e, istintivamente, si strinse il polso nascosto dal pesante bracciale: quel gesto le dava contemporaneamente nausea per il ricordo e forza per il successo ottenuto. Ci stava pensando spesso a quelle cose del suo passato, da quando ne aveva parlato con Temi cercava di capire di più di sé. Ad esempio era strano che lei, abituata dall'infanzia a lottare e ad usare varie armi senza pietà conto chiunque, si fosse auto lesionata per dei pazienti che probabilmente avevano finito il tempo a loro disposizione.  Non capiva come fosse possibile ciò, ma sapeva di essere complicata. Glielo avevano sempre detto tutti, perfino Tommy Busco, quando avevano entrambi dieci anni in meno.
Ricordava che spesso si teneva in un angolo del giardino della casa dei suoi genitori, una di quelle modello sogno americano con la staccionata bianca e i due giardini perfettamente curati davanti e dietro, e fissava accigliata un punto qualsiasi per ore. Gli altri bambini all'inizio l'avevano presa in giro per questo, ma quando ne aveva atterrati due o tre di quelli più grossi, iniziarono ad ammirarla e, quando le capitava di comportarsi così, le giravano intorno in punta di piedi, parlando a voce bassissima, per non disturbarla.
Sorrise al ricordo: sembrava un piccolo capo e spesso gli adulti circostanti lo avevano affermato, accompagnando sorrisi e buffetti con frasi tipo: " Ci scommetto che diventerai la prossima nostra leader!" o "Che colpo stai preparando, impadronirti di Egris?".
Lei ci aveva sempre creduto fiera di sé, poi era andata all'università e lì aveva capito, grazie a tutte le persone che aveva incontrato, che l'attività lavorativa della sua famiglia non era normale e che era dalla parte sbagliata.
Quella del male.
Aveva sempre reputato normale chiedere di più quando prestava qualcosa, minacciare se necessario, pur non facendo mai queste cose.
I suoi le avevano detto che dovevano essere fatte solo con i nemici e lei non ne aveva: era una specie di roccia con amici tutti fatti nell'infanzia e con famiglie come la sua. Così, frequentando le stesse persone provenienti dallo stesso identico background, come un' elite, non aveva capito per almeno tredici anni cosa comportasse sul serio lavorare con i Busco, cosa che aveva desiderato fin dall'infanzia.
Aveva iniziato il liceo classico e solo nel suo anno ne conosceva dieci, con cui passava  la ricreazione e progettava scherzi.
"In realtà più che stupidaggini per ridere erano proprio vendette."Rabbrividì al ricordo di quelli più riusciti e cattivi. Pensando a come era in quel periodo, si immaginò come una piccola leader malavitosa, con delle idee per passare i pomeriggi noiosi a spese di qualcun'altro. Non si erano mai davvero messi nei guai né fatto cose stupide come rubare in un negozio o dare fuoco a un barbone, ma ricordava di aver fatto sparire più volte i compiti del compagno che, per lei o qualcuno del gruppo, aveva mancato di rispetto o di aver spalmato della colla industriale sul sellino di bici e motorini.
Interruppe il filo dei ricordi per osservare Temi che la fissava maligna mentre passava nel corridoio dell'ospedale in cui stava transitando anche lei.
Inghiottì un bozzo di saliva, con un misto di tristezza, rabbia, rimpianto e vendetta.
"Forse si sentono così i genitori quando i figli spiccano il volo? E' doloroso, da una parte voglio che torni a essere mia amica, dall'altra non voglio vedere più la sua faccia nemmeno in fotografia, per tutte le cattiverie che mi ha detto. Almeno ha tolto quell'anello sciagurato dal dito. Finché si tiene a distanza e continua con il suo orribile comportamento, mi va bene."
 
Fortunatamente per Luke, che stava morendo tra l'ilarità e la curiosità, arrivò la tanto attesa pausa pranzo e riuscì ad abbrancare Temi prima di tutti gli altri e a portarsela via, alimentando una folata di commenti più o meno maliziosi.
La specializzanda aggrottò la fronte, cercando di capire lo strano comportamento del medico, ma con tutta la sua fervida immaginazione non riuscì a indovinare la domanda che subito dopo Asi le fece: " Tu e Norge avete rotto la vostra relazione?"
La ragazza ci mise un attimo a mettere a fuoco il senso di ciò che l'amico aveva appena detto e quando capì cosa intendeva, non poté fare a meno di inorridire: lei e... Norge?!? In quel senso?!?
Cercò di auto convincersi che Luke le stesse facendo uno scherzo, ma la sua espressione così speranzosa di una notizia succulenta la costrinse ad affrontare la dura realtà: lui ci credeva davvero.
Così non poté fare a meno di urlargli contro, chiedendogli se avesse mandato il cervello a fare una gara di ippica.
"Io e Norge non potremmo stare insieme nemmeno tra un miliardo di anni! A parte il fatto di essere entrambe etero, l'ho vista sbavare su Tom Hiddleston quando siamo andate a vedere "The Avengers", non riusciamo nemmeno a essere amiche, figurarsi avere una storia! Ti immagini lei che mi chiama "tesoro" o qualche altro nomignolo del genere?  E perché avremmo dovuto nasconderlo? Ok che l'ospedale non incoraggia le relazioni sentimentali ma nessuna delle due l'avrebbe finto un'amicizia solo per salvaguardare le apparenze. Comunque, come mai queste idee balzane?"
Questo piccolo discorso aveva spossato Temi, rendendole le guance rosse e la voce roca.
In più era stanca di dover avere notizie di quel genere sempre quando doveva pranzare ed era parecchio stressata da tutto: voleva solo che venisse sabato per dormire in pace tutto il giorno.
Luke era rimasto senza parole per la propria stupidità: aveva ragione lei!
Cosa andava a pensare? Si era fatto troppi film mentali.
Doveva trovarsi un hobby.
Sperava solo di non averla offesa e in sua difesa addusse che sembrava strano che, d'un tratto, quelle due, super amiche in qualsiasi circostanza, non si parlassero più. Anzi, che la specializzanda guardasse l'infermiera in cagnesco.
Temi sospirò: capiva la sua preoccupazione, ma da questo a pensare che fra loro ci fosse del tenero... NO.
"Hai mai avuto un amico di cui credevi di sapere tutto e di cui ti fidavi ciecamente, di cui tu abbia poi scoperto molte cose che non puoi sopportare né tantomeno condividere? Ecco, è successo lo stesso. Credevo che fosse una brava persona, magari dura, invece ho scoperto che in un qualche modo mi ha ferito, anche se non direttamente."
Il medico aveva capito bene cosa era accaduto a Temi: aveva scoperto che la persona che aveva idealizzato non poteva stare al passo con la sua idea e, in più, aveva tradito la sua fiducia.
"Ti capisco perfettamente, ma non puoi perdonarla? Di certo è pentita del suo errore, vorrà rimediare ed essere tua amica di nuovo. Poi non fare certi discorsi oscuri che non capisco."
"Non potrà mai rimediare, dovrebbe nascere di nuovo per farlo." Lui non aveva mai visto la specializzanda così caparbia e dura, ma iniziava a intendere qualcosa...
"E' per la sua famiglia, è vero? Senti, io non so cosa tu abbia contro i suoi, ma di certo non ha scelto lei dove nascere e probabilmente non li sopporta nel tuo stesso modo. Sii ragionevole."
La ragazza lo guardò dubbiosa, ma Luke sapeva di aver fatto centro e di aver fatto una breccia nell'odio che ora lei portava per Norge.
Nonostante tutto, Temi non avrebbe mai rivelato nessuno dei segreti della sua vecchia amica, soprattutto quello, che doveva essere il più importante di tutti.
La vide mordersi il labbro inferiore, rendendolo da quasi trasparente, visto il gonfiore inesistente del contorno della bocca, a rosso cupo. Sorrise e tornarono insieme dagli altri, mentre le stringeva con un braccio le spalle in modo protettivo.
Aveva paura che crollasse giù, ne aveva la netta impressione, come molti altri in momenti diversi. E lui non poteva permettere a quegli occhi scuri di fissare il pavimento per sempre in quel modo liquido così inquietante. Era la sua famiglia a Egris e nell'ospedale, non poteva lasciarsi abbandonare.




Angolo dell'autrice che pubblica appena in tempo per rispettare la data:
Ciao a tutti!
Sono stata tre giorni a Torino e ho rischiato di fare tardi, ma eccomi qui per la vostra gioia!:)
Nulla di che in questo capitolo, a parte la visibile pazzia di Luke.
Sono solo io che lo ritengo adorabile o c'è qualcun'altro?
So che non dovrei dirlo in qualità di attrice, ma... è affascinante.
Vabbè, grazie per tutto, recensite, continuate a seguirmi e a presto!:)
Adieu!
Vex

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Capitolo 14
*** L'essere umano più miserabile del mondo è quello in cui la sola cosa abituale è l'indecisione. ***


Il telefono è un'infernale invenzione che elimina putroppo parte dei vantaggi inerenti alla saggia abitudine di tenere a distanza le persone sgradevoli. (Ambrose Bierce)


Gytha trovava sua nipote Temi un po’ lagnosa qualche volta, più concentrata a pensare che a vivere.
Tutto il contrario di lei.
Mentre ascoltava il suo sfogo, cercava di ricordare chi fosse suo nonno.
Impresa assai difficile, avendo superato la settantina e avendo avuto più di un marito, ma riuscì lo stesso a ricordarsi di Aldo.
Doveva essere di certo lui, tutto intellettuale e depresso. Era il suo periodo altolocato, quando andava alle feste in case dorate e piene di specchi. Meglio ora.
La conversazione assomigliava sempre di più a un monologo, così, per cambiare discorso, le chiese di quel giovanotto così simpatico che le aveva fatto incontrare.
Temi rimase un po’ basita da quell’improvvisa domanda, ma si riprese il tempo necessario per impedire alla sua cara nonnina di farsi dei gran viaggi mentali, che sarebbero culminati con il loro matrimonio in campagna con tutti i parenti riuniti e Gytha che affermava di averli fatti conoscere e che, per questo, avrebbero dovuto chiamare una figlia come lei.
“Nonna, tra Luke e me non c’è proprio nulla, siamo solo amici. E poi lo conoscevo già da qualche giorno, visto che siamo colleghi. E’ simpatico e carino, te lo concedo, ma non è il mio tipo.”
L’altra la fissò a lungo severamente e le fece la fatidica domanda: “Non è che sei come la Benny, vero? Li vorrei un paio di bis nipotini, sai. “
Temi, sbalordita, negò tutto e promise almeno un figlio.
La nonna si rilassò e chiocciò soddisfatta, fiera di poter assicurare una discendenza alla sua famiglia.
Non è che le importasse molto dei gusti dei suoi nipoti, ma la sua amica Natalia si vantava in lungo e in largo del fidanzato della nipote e lei non poteva essere da meno, proprio no.
Ora bastava convincere Temi e quel medico affascinante di essere pazzamente innamorati e poi sbatterlo in faccia a quell’altra là che sarebbe crepata di invidia. Gongolò tra sé.
“Chissà perché ultimamente mi credono tutti lesbica: cos’è, un’epidemia? Non esco con un uomo in modo romantico da una vita, ma è solo perché non conosco nessuno di decente e sono molto impegnata!”
Frustrata, provò a far tornare la conversazione sul binario di prima, cioè la recente rottura dell’amicizia con Norge.
Temi ne aveva parlato con Gytha perché, dall’alto della sua sbandierata conoscenza, di certo sapeva cosa avrebbe dovuto fare, ora.
La nonna però la sorprese.
“Bambina mia, non ti devi domandare se fai bene o no a fare pace con Norge, che è una ragazza squisita” lei adorava l’infermiera, così decisa e scattante, complementare alla nipote, “ma se riesci a vivere la tua vita senza di lei. Avrebbe lo stesso gusto? Ti piacerebbe? Chi se ne frega se ha sbagliato lei o se l’hai fatto tu, certe questioni non finiscono mai ed è inutile parlarne. L’unica cosa che ti deve interessare è se lei ci sarà o meno quando si farà tutto buio intorno a te. Se credi di sì, bene, perdonala. Altrimenti, sei stata fortunata a liberartene.”
Le fece una carezza sopra la testa sorridendo e si alzò per preparare il tè.
Temi, lasciata nel salotto con i propri pensieri, non era capace di decidere
Sapeva che Norge avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, ma non riusciva proprio a capacitarsi che le avesse nascosto un segreto così grande.
“Sono pronta a lasciarmi tutto alle spalle o no? Certo, all’ospedale c’è anche Luke, ma mi manca lei.
Mi manca farmi consolare, mi manca il pantheon delle divinità nordiche su cui fa affidamento, mi manca la sua praticità.
Potrei continuare all’infinito, ma è la verità: questi anni non sono stati una passeggiata e lei è stata il mio pilastro.
Sarei potuta crollare mille volte, eppure il mio apprendistato è quasi finito e sto per essere un medico, grazie a lei.
Forse se non avesse avuto quella famiglia non sarebbe diventata come è oggi e non saremmo nemmeno amiche.
In fondo so solo che i suoi parenti sono nella malavita, al contrario di lei.
Posso giudicare qualcuno per la sua provenienza? Non credo proprio.
Però anche lei ha bisogno di me, in un certo senso: deve avere qualcuno da proteggere, è la sua natura.
Per questo è infermiera e non medico. La seconda occupazione è troppo impersonale.
Norge sotto sotto ama far star bene la gente, aiutarla, ascoltare le loro lamentele.
E’ una mamma chioccia per natura, in fondo alla sua anima.
Però non me la sento ancora di parlarle. Devo pensarci ancora su, non è una decisione facile.”
Quasi in automatico prese la tazza che Gytha le porgeva e iniziò a mescolare il suo tè, continuando a pensare alla questione, senza badare troppo ai pettegolezzi che le venivano riferiti a proposito di questo o quell’altra della famiglia.

Quel giorno non sarebbe passato senza sorprese nemmeno per Norge, visto che ricevette una telefonata decisamente inaspettata e parecchio sgradevole.
Era all’ospedale, per il suo turno e stava cambiando settore quando il suo cercapersone squillò inaspettatamente.
Scocciatissima, lo cercò nelle tasche immense del camice e sperò che nessuno la vedesse: non erano ben viste le chiamate personali e non voleva prendersi una lavata di capo solo per quello.
“Pronto?”
“Ehilà, sorellina! Come stai? Lavori come al solito così tanto che ci stiamo chiedendo se dobbiamo romperci una gamba per vederti!”
La voce la ghiacciò immediatamente: che cosa voleva Hillar, suo fratello?
Cercò di restare calma e sperò che non fosse successo nulla di grave: lui era molto simile a lei, una gran testa calda , e ora come ora avrebbe potuto essere sospeso a testa in giù sullo stagno dei coccodrilli di Raza, sempre se l’avesse avuto, come stare per sposarsi con una graziosa ragazza.
Non si poteva mai sapere con lui.
“Ciao, Ruotsi. Tutto ok, e tu? Passa subito al sodo: cosa è successo adesso?”
La ragazza sapeva di dover essere ferma con lui, altrimenti su chissà cosa si sarebbe portata la conversazione, impedendole di sapere il vero motivo della telefonata.
“Sempre sospettosa, eh? Non cambierai mai!” Norge immaginò che stesse sorridendo divertito e strinse le labbra per contenersi: odiava sprecare tempo in quel modo.
“No e nemmeno tu. Sai che sto lavorando. Taglia corto.”
“Ok, ok, ma ci sarebbero un po’ di persone che vorrebbero salutarti…”
La conversazione si interruppe un paio di secondi, giusto in tempo perché un cellulare venisse passato di mano, fino a…
“Ma ciao tesoro! Mangi abbastanza? Come va il lavoro?
Sempre infermiera, giusto?
Chissà poi come mai non sei diventata medico… Tutti che ti immaginavano già tipo “E.R.” con un camice candido e tu: “Faccio l’infermiera!”… Che caratterino! Salutami Christine, tua cugina: lavora anche lei lì, no? Dovrai pure incontrarla qualche volta…”
Sua madre. Un flusso ininterrotto di parole vane, ricordi, recriminazioni e raccomandazioni.
“Sto bene, tutto ok. Evito a più non posso mia cugina, perciò mi sa che dovrai salutarmela tu. Devo lavorare, perciò rispondimi: come mai mi avete chiamato? Spero non sia successo nulla di grave…”
A quel punto invece la speranza era proprio questa: di poter infilarsi un vestito nero, di andare al funerale di uno qualsiasi dei parenti e dimenticarsi della sua famiglia per un altro anno, almeno.
“Oh, te lo racconteremo poi, adesso c’è tuo padre. Riguardati!”
Con quest’ultimo avviso, la voce cambiò, assumendo tonalità più profonde e sicure.
“Ciao, Norge.”
L’infermiera si bloccò sul posto: era da molto che non si parlavano sul serio. Da quando aveva deciso di tagliare i ponti con la sua famiglia, che invece remava contro, almeno all’inizio.
Aveva anche dovuto cambiare numero, altrimenti avrebbe ricevuto migliaia di telefonate da tutti sulla faccenda: l’avrebbero implorata, minacciata e sgridata, perciò aveva deciso di non voler sentire nessuno, per quel periodo.
Poi aveva deciso, per le emergenze, lo aveva messo ben in chiaro, di darlo a Sebastian, con il divieto assoluto di riferirlo agli altri.
Lui aveva obbedito, ma ora a lei toccava sorbirsi tutte le sue conquiste e le sue “mirabolanti” avventure.
Di solito alle tre di notte.
Fortunatamente le raccontava solo stupidaggini e non quello che faceva davvero per il conto di Busco.
Si riprese in fretta e cercò di essere sicura di sé, per mostrare di essere capace di reggersi senza un appoggio.
“Ciao. Che succede? Spiegami tutto questo can-can, in fretta. Sto lavorando e non mi va di udire altri starnazzamenti per mezz’ora.”
“Succede che sabato hai un impegno. Con noi e i Busco, più amici vari. Un barbecue.
Non è un invito, se te lo stai chiedendo.
Vieni.
Punto.
Dobbiamo rafforzare la nostra alleanza ed è meglio se siamo al completo.”
Norge iniziava a capirci qualcosa, ma non riusciva a crederci: suo padre temeva così tanto Raza da volere tutti vicini, tipo testuggine romana?
Non era possibile!
Il padre di cui aveva il massimo rispetto, almeno da bambina, che era il più serio tra tutti coloro che circondavano i Busco, quello che le aveva insegnato tutto sulla malavita?
“Cosa sta succedendo? Cosa ha fatto che non è apparso sui giornali?”
Era superfluo nominare il soggetto della frase.
“Nulla, ma è meglio: se siamo divisi siamo più facili da colpire.”
Ecco la verità: erano tutti terrorizzati che Raza li colpisse e cercavano di mostrarsi forti, in modo da suggerirgli di lasciarli stare, per il suo stesso bene.
“Non credo che questo lo fermerebbe: non sembra essere facile impaurirlo e di certo questa tattica non lo farà.” Questo era ciò che pensava Norge e aveva ragione.
“Ok, ci sarò. Ma questo non significa che inizierò a fare traffico di medicinali o a medicarvi di nascosto se vi colpite durante una rapina.”
Lei sapeva di non poter rifiutare e la cosa la imbestialiva non poco: non avere scelta era orribile, per lei.
Ma questo nuovo odio per la sua famiglia le suggerì un’idea a dir poco esplosiva, stupida e pazza.
“Posso portare qualcuno?”
Il suo sorriso soddisfatto era fortunatamente nascosto, altrimenti suo padre avrebbe pensato due volte prima di darle il permesso.

Tommy Busco guardava con apprensione il telefono fisso che aveva sulla sua scrivania.
Era davvero un oggetto vecchio stampo, con la rotella al posto dei tasti, ma, in quell’era di telefonini, così impersonali e rimpiazzabili, gli dava un un po’ di sicurezza.
Aspettava con ansia una qualsiasi telefonata, dalla polizia o da un suo alleato aveva poca importanza.
Non vedeva alcuni suoi collaboratori da tre giorni e nemmeno una loro notizia era giunta.
Non era che tenesse a loro come persone, ma non poteva permettersi di perdere nessuno, con un periodo del genere, pieno di insicurezze e pugnalate alle spalle, ed era sempre comunque meglio avere un paio di scagnozzi in più che in meno.
Ora come ora si pentiva di aver favorito l’ascesa di Raza, pur sembrandogli il migliore tra i candidati: che colpa ne aveva lui se Sal continuava a fare stragi dei capi dopo solo qualche mese?
Quello di prima non era affatto male. Era normale, se ciò si può dire di un malavitoso riuscito ad arrivare al vertice del potere.
“Con questo non ci riuscirà. E’… strano per essere così potente. Anche Saverio se n’è accorto: la riunione era solo la punta dell’iceberg.
Mi sa che è la reincarnazione di Machiavelli e nessuno ci ha avvertito.”
Sospirò pesantemente, vedendo entrare il suo fidato braccio destro.
In quel periodo aveva notato che Sal era più distratto e più attento contemporaneamente, un evento assai insolito.
Sembrava che si lasciasse andare e cercasse di recuperare il tempo perso a intervalli regolari, in un tira e molla infinito che sembrava stancarlo alquanto.
Da una parte odiava non riuscire a leggere dentro il suo pupillo, ma dall’altra non voleva perdere tempo con stupide faccende.
Inoltre non era più da un pezzo un bambino e doveva cavarsela da solo: se l’altro avesse combinato qualche disastro con Raza, non avrebbe pensato due volte a consegnarglielo.
Era il suo erede naturale, ma non per questo avrebbe messo in pericolo l’intera organizzazione per lui.
“Allora, tutto pronto per sabato?”
Era davvero incredibile quanto Saverio si desse da fare per ogni minuscola occasione: per quel barbecue si era impegnato così tanto che avrebbe potuto essere invitato il Re Sole in persona e non avrebbe avuto nulla da rimproverargli.
“E’ strano che ci tenga così tanto: di solito non si incarica di comprare la carne lui stesso o di preparare la disposizione dei tavoli, che non abbiamo mai fatto. Non so se sia preoccupato per i possibili scontri, cosa del tutto impossibile visto che ci saranno solo nostri amici, o per qualcos’altro…”
La risposta affermativa e sussiegosa dell’altro gli fece voglia di indagare un po’: era certo che lui gli nascondesse qualcosa…
“Mhh… Ma sei sicuro che Giovanni non stia meglio vicino alla Quells piuttosto che a quella decrepita della Moir? Ok che è un’amica di mia moglie, ma lui ama la carne giovane, con quelle vecchie al massimo ci fa il brodo…”
La battuta cadde nel silenzio più assoluto.
Busco si ricompose velocemente, notando che intorno al suo sottoposto c’era una leggera aura di minaccia e tensione.
Davvero molto particolare.
“C’è qualcosa che vuoi dirmi, Sal?”
Sperò che la sua voce cadesse bene, affinché lui rivelasse qualcosa a proposito di quella ragazza: era ovvio che lei c’entrasse qualcosa e in modo romantico, ma doveva capire a che punto erano e se poteva aiutarlo.
In fondo era quasi un figlio.
L’altro negò spudoratamente e informò Tommy a proposito delle condizioni di alcune aziende, mentre si interrogava con che coraggio avrebbe mai chiesto aiuto per una cosa del genere al suo capo: la sua dignità si sarebbe estinta per sempre!
“Accidenti, non sono un adolescente alle prime armi che prega il padre per un consiglio!
Se fallirò o riuscirò sarà solo per merito mio. E la prima opzione non è possibile.
Ho preparato tutto con cura maniacale in modo da essere nel mio territorio naturale e da riuscire a smettere di essere così euforico e distratto in continuazione.
Sabato saprò se sono ancora padrone di me stesso.”
Mentre stava per andarsene, lasciando Busco in apprensione per i suoi sgherri, fece dietro-front schioccando le dita: “Scusami, mi sono appena ricordato: gli scomparsi sono appena tornati. Erano solo finiti in prigione per una notte dopo due giorni di festa, droga e alcol. I tuoi amici della polizia non li hanno riconosciuti, d’altronde quelli sono nuovi ed erano pure incensurati. Che idioti.” Scosse la testa.
“Ci sarà bisogno di avvisare gli altri che questi non sono i metodi adatti per sconfiggere la paura o per essere allegri e che non si ammette un comportamento del genere, qui.”
Saverio uscì velocemente, chiudendo lieve la porta.
Busco rimase sorpreso: da quando lui riceveva ordini? E da quando l’altro si preoccupava di cose del genere?
Non erano gravi, anzi, solo stupidate dettate dall’inesperienza, di solito passavano quasi inosservate all’altro, impegnato com’era.
“Vuoi vedere che ci tiene davvero a fare bella figura?”

Temi era andata all’ospedale per il suo turno e si trascinava tra un malato e l’altro reprimendo uno sbadiglio: con il turno di notte che le capitava di quando in quando non riusciva a cancellare completamente le occhiaie ormai permanenti.
Per fortuna era tutto tranquillo e doveva solo controllare i pazienti, oltre che correre al pronto soccorso ogni cinque minuti per assistere e aiutare i medici.
Per questo reputò strano che le squillasse il cellulare: chi l’avrebbe chiamata a quell’ora, al lavoro?
Guardò il numero e restò di stucco: Norge? Come mai?
“Norge?”
“Sì, scusa, so che sei al lavoro, che l’orario è tardo perché non sapevo decidermi, che non ci siamo ancora riappacificate e che non ci parliamo da un po’, ma ho una domanda,…”
Questo torrente di parole l’aveva un po’ scombussolata e rispose di sì, incuriosita dalla situazione.
Norge prese un grosso respiro, come se non fosse davvero convinta di quello che stava per fare.
“Sei libera questo sabato?”

Angolo dell'autrice che ha fatto l'esame di latino:
Ciao a tutti!
In questo capitolo c'è il trionfale ritorno della nonna di Temi, Gytha!:)
E' troppo simpatica per essere solo una comparsa, però ho già troppi personaggi a cui pensare, al momento.
Finalmente è arrivata anche la famiglia di Norge e spero che la telefonata abbia fatto un po' capire il carattere dei componenti.
Norge e Temi si stanno per riappacificare? O succederà un disastro?
Lo si scoprirà nel prossimo capitolo, che ho già scritto, chiamato: il BARBECUE.
Ok, magari non proprio così però è dannatamente lungo...
Ho superato le 5000 parole abbondantemente, così forse lo dividerò a metà.
Le curiosità sono solo a proposito del fratello di Norge.
Ho deciso di chiamarlo Hillar perchè significa felice, allegro e me lo immagino proprio così.
Il soprannome datogli dalla sorella, Ruotsi, è Svezia in finlandese.
Non chiedetemi perchè, ma per me è normale che lei, avendo il nome di uno stato, ne dia uno anche a lui.
Lo so, guardo troppo Hetalia.
Peronatemi le stupidaggini.
Spero che vi sia piaciuto, che recensiate e continuate a seguire la mia storia.
Come al solito ringrazio tutti i lettori e soprattutto Acquamarine_ che mi incoraggia e mi aiuta sempre moltissimo.
Adieu!:D
Vex

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Capitolo 15
*** Le decisioni son le situazioni ad imporle agli uomini piuttosto che gli uomini alle situazioni. ***


 Le decisioni sono le situazioni ad imporle agli uomini piuttosto che gli uomini alle situazioni. Tito Livio.



Quella proposta era al limite dell'assurdo, ma Temi aveva provato un gran desiderio di accettarla.
L'era sembrato quasi di dover solo allungare una mano per raggiungere ciò che desiderava, ma aveva voluto rifletterci bene, pur sapendo che non avrebbe cambiato la sua decisione.
Voleva accettarla, era ciò che desiderava di più, eppure provava un certo timore sottile, che si insinuava nella sua euforia.
Era stata inquieta.
"Ti sei decisa o no?"
Norge l'aveva guardata ostentando impazienza e noia, mentre in realtà stava trepidando per la risposta.
Da un po' si stavano avvicinando, ma erano ancora in una fase di dubbio.
Non sapevano se fosse cambiato tutto o nulla tra di loro e, pur non evitandosi più, cercavano di non confrontarsi o di restare da sole, per non sentirsi autorizzate a rivendicare la parte della ragione.
Temi si era morsa il labbro, tentennando: aveva voluto davvero andarci, ma... C'era sempre stato qualcosa che l'aveva frenata dall'accettare e dal mettersi il cuore in pace.
"E' il fatto che, se dicessi di sì, cambierebbero molte cose e sarei costretta da me stessa a fare qualcosa di cui potrei pentirmi. Ok, in pratica succede che se vado a questo barbecue, vedrò i Busco, mi monterà una rabbia immensa e cercherò di indagare sul misterioso proprietario dell'anello."
La ragazza era rimasta scioccata quando l'infermiera le aveva fatto l'invito, facendosi promettere però che, in caso di risposta positiva, si sarebbe comportata in modo adatto.
"Sono tempi difficili" le aveva detto, guardandola nei suoi occhi scuri, seria più che mai "e qualsiasi gesto avventato diventa sospetto."
Ora, seduta nell'automobile di Norge, in un leggero vestitino azzurro, guardava davanti a sé, cercando di darsi coraggio mentre tormentava le sue mani.
"Allora, possiamo uscire da qui o vuoi altri venti minuti per deciderti?"
L'infermiera iniziava a stufarsi di tutto ciò e voleva solo arrivare a questo benedetto barbecue.
Erano ferme davanti alla villa dei Busco da un po' e la tensione dell'amica stava iniziando a soffocare anche lei.
"Sono pronta."
Con questa frase secca, Temi uscì e si fermò davanti al cancello, spaesata.
Dov'era l'entrata?
L'altra ridacchiò scuotendo la testa per l'ingenua spavalderia della specializzanda, poi le indicò la casa vicina, per quanto potesse esserlo, essendoci almeno qualche centinaio di metri che le separava, per citofonare, avvisando della loro presenza i proprietari dell'abitazione.
Temi guardò stranita tutto il procedimento, chiedendosi con vergogna se l'amica fosse impazzita, ma rimase davvero sorpresa quando il cancello iniziò a scivolare di lato e vennero accolta da una signora sulla cinquantina, con i capelli rossi tinti,con indosso una giacca bianca e gli immensi occhiali da sole sulla testa.
Aveva uno strano modo di parlare, con le vocali chiuse.
Sembrava davvero felice di vederle, soprattutto Norge, che un po' imbarazzata aveva ricambiato l'abbraccio.
Le aveva poi condotte dietro l'abitazione, in un giardino immenso, dov'erano riunite almeno una cinquantina di persone che le salutarono festose.
Temi capì che metà di quelle dovevano essere imparentate con l'infermiera, visto che lei aveva stretto con forza gli occhi e assunto un'espressione sofferente.
Lei non sapeva bene se avesse preso la decisione giusta, perché solo ora si rendeva conto che era circondata da sconosciuti e che la sua unica ancora le sarebbe stata sottratta subito.
"Vorrà dire che dovrò socializzare."
A questo pensiero le corse un brivido lungo la schiena.
 
Fran si guardò attorno guardinga e finalmente si decise a seguire quella strana signora: le sembrava davvero particolare ricevere tutto quel calore da una persona che non aveva mai visto prima.
In realtà, a parte lo sgherro che aveva portato l'invito e Saverio non conosceva nessuno.
Pure il famigerato Busco non l'aveva mai conosciuta di persona, pur sapendo tutto di lei.
Si lisciò con una mano la gonna del vestito bianco e si chiese per l'ennesima volta se avesse fatto bene a venire.
In testa aveva due voci contrastanti e ciò le creava solo una grande confusione: da una parte voleva rivedere Sal, dall'altra era arcisicura che ci fosse sotto un imbroglio.
Ma ora era arrivata al gruppo degli invitati e la signora, di certo la padrona di casa, la stava presentando orgogliosa, nemmeno fosse stata una nipote.
Tutti le sorrisero salutandola e iniziarono a parlarle in contemporanea, rendendola incapace di capire un discorso completo che fosse uno.
Sballottata di qua e di là tra le persone, si ritrovò ad ascoltare le virtù del salice piangente, gli ultimi pettegolezzi sulla moglie del sindaco e il consiglio vincente su chi puntare alla prossima corsa di cavalli all'ippodromo.
Le sembrava di aver perso la memoria, cosicché tutti sapevano chi era, ma lei non conosceva nessuno e cercava di fare finta di nulla, annuendo, sorridendo imbarazzata e chiedendosi come mai non era rimasta a casa.
In più aveva il terrore di urtare la sensibilità di qualche ospite, se non addirittura dei padroni di casa; paura giustificata dal fatto che, anche se le facce non le erano famigliari, molti dei presenti di certo si muovevano tra le file del potere, non importava quale.
Riuscì finalmente a districarsi grazie all'uomo dell'invito, che le sorrise bonario, facendole capire che comprendeva.
"Sa, a volte sono un po' troppo entusiasti ed estroversi con i nuovi arrivati. Soprattutto però sono incuriositi da lei. E' stato strano per tutti che Sal la ammettesse a questa festa: di solito è terribilmente pignolo e continua a ripetere che ci sono già troppi pescicani in questa vasca senza aggiungercene di nuovi. Si tiri su di morale e cerchi di divertirsi. Se le fa piacere saperlo, non è l'unica che è nuova a questo e se ne sta in disparte, anche se ora sembra essersi affiliata ai Sisu. L'hanno invitata loro, mi pare."
Mentre quello corrugava la fronte cercando di capirne il motivo, Fran sbiancava dopo aver messo a fuoco per bene la ragazza che le era stata indicata.
"Temi? Che cosa ci fa qui? Come fa a conoscere una famiglia del genere?"
Un po' preoccupata che l'altra potesse vederla, visto che non sapeva del lavoro che le veniva dato dai malviventi di quel calibro, si allontanò circospetta, in modo da mettere più gente possibile tra loro.
Quella festa si stava rivelando parecchio impegnativa.
 
Temi si stava abbastanza divertendo: appena era stata portata da Norge dalla sua famiglia, era stata immediatamente conquistata da Hillar.
Era un giovane uomo, di qualche anno più vecchio della sorella, con le caratteristiche tipiche della loro famiglia, pelle e capelli chiari, con un naso schiacciato, visto che i componenti erano tutti uguali, più o meno, anche se la sua amica era più bassa della media della famiglia. Era stato il primo che si era presentato, scanzonato e sorridente, quasi l'aspettasse per darle un benvenuto più normale di quello dato dalla signora Busco.
In realtà lui era davvero curioso dell'ospite della sorella, soprattutto perché Norge non avrebbe mai portato nessuno, normalmente. Ma anche Hillar sapeva che quelli erano tempi strani.
Era stato piacevolmente colpito da questa ragazza che all'inizio lo aveva guardato tremendamente sospettosa, per poi sciogliersi in una risata dopo che lui aveva fatto una battuta.
Sembrava una combattiva, sotto tutta quella gentilezza e allegria.
Meglio di sua sorella, che irruenta non si sarebbe fermata per nessuno.
Una era un soldato, l'altra un assassino.
Norge li aveva osservati seria e lui temeva che non fosse molto contenta, ma ignorava il motivo. E non gli importava molto, in fondo.
"La madre potrebbe benissimo far coppia con la mia, anche se è palesemente più fintamente sofisticata. Parla davvero molto e dev'esserci qualcosa di strano che sta succedendo, perché mentre mi parla con la sua voce chioccia guarda sempre sopra la mia spalla. Il trucco mi pare eccessivo; quel rossetto color prugna mi fa un po' senso, a dirla tutta. E 'sti "cara" qui, "tesoro" là mi danno sui nervi. Il padre è davvero un santo a sopportarla!
Però anche lui è particolare: sta zitto e osserva tutto, poi ti spiazza con un'osservazione caustica.
Mi piace. Non è affatto stupido e non sembra nemmeno tanto un malavitoso, quanto un vecchio professore in pensione. Mentre Hillar..."
Qui si interruppe il pensiero  di Temi, mentre la signora Sisu le stava spiegando come tenere in ordine i capelli ricci.
Lei li aveva lisci e non le interessava molto, ma era educata e non conosceva altri per cui dire con molta eleganza e un sorriso: "Mi scusi, ma devo proprio andare a salutare Tizio... Sa, non ci vediamo da un po' e i suoi sono amici di famiglia... Capisce, vero?"
La sua attenzione era stata attirata da un uomo, che aveva di certo passato i trent'anni, che di certo non assomigliava a Busco in quanto stile di vita, presentandosi con due spalle larghe e un completo scuro, troppo serio per un evento del genere, che lo avvolgeva senza un inghippo, che si dirigeva verso di lei fissandola.
A questo punto Temi riconobbe Sal, quello della famosa conversazione origliata e trattenne il fiato, certa che ora l'avrebbe isolata dal gruppo per infilarle una pallottola in testa.
Maledì Norge che l'aveva infilata in questa trappola e si preparò a combattere con le unghie e con i denti, anche se con il vestito prestatole dall'infermiera sarebbe stato parecchio difficile.
Lui invece, serio e forse teso?, si fermò davanti a lei e si presentò.
In realtà tutto questo era una pura formalità, visto che sapeva tutto di lei, pur ricordando a stento di averl intravista nel periodo in cui Tommy era all'ospedale.
Era pulita e non aveva aderenze a nessuna famiglia.
In più doveva controllare che fosse idonea alla festa, cioè che fosse una persona decente, vestita bene e che non saltasse all'improvviso sul tavolo dichiarando di essere il re del mondo.
"E' un po' scontrosa, ma in generale ok. L'abito mi sembra di averlo già visto, forse addosso alla figlia dei Sisu, che mi sta fissando davvero male. Che problema ha? Sa che non la mangerò e che se è stata costretta a partecipare, come immagino visto che non la vedo da molto tempo, è per un bisogno assolutamente necessario. E dovrebbe ringraziarmi, perché le ho permesso di portare l'amichetta del cuore.
E' sempre stata un'ingrata, c'era da aspettarselo: poteva essere ai vertici, invece preferisce ammuffire nei batteri altrui!
Lasciando così il fratello leggero ad occuparsi degli affari con il padre, che preferisce coltivare violette.
Era la preferita, avrebbe occupato il mio posto se fosse rimasta nel giro. Dovrei ringraziarla, allora. Ma odio il fatto che abbia abbandonato i Busco.
Non avrebbero dovuto permetterglielo."
Salutò tutti gli altri freddamente, riservando una dose di ghiaccio maggiore per Norge con un solo cenno del capo, a cui lei rispose con un sopracciglio alzato come a dirgli: "Dal fango sei venuto su, al fango tornerai. Non sei nulla, valgo ancora più io che mi sono ritirata prima ancora di avere tra le mani un affare che tu, suddetto braccio destro di Busco."
Una snob patetica, per Saverio.
Però era davvero elegante e quel vestito puzzava di sartoria così tanto che si poteva quasi scorgere sull'etichetta non il marchio del negozio, ma il nome della proprietaria.
Odiava ammetterlo, ma le stava alla perfezione e la faceva sembrare più eterea, più dolce e incantevole di quanto fosse in realtà.
Di certo teneva i piedi ben piantati per terra e non viaggiava con la fantasia da quando era piccola, se lo aveva mai fatto, poi il suo viso, alterato da una smorfia che non  riusciva a trattenere, aveva degli zigomi troppo marcati per poter assomigliare del tutto a una ninfa.
Vederla lo aveva messo di cattivo umore, ma per amore del dovere continuò la conversazione con quella ragazza rabbuiata e che parlava poco e piano, un po' meno di un fruscio di carta.
Era sorpreso che Norge, con un carattere come il suo, si fosse dannata per avere accanto a sé quella cosina che sembrava più uno scoiattolo che una persona vera, più depressa che viva.
L'aveva vista in varie occasioni essere aperta, spontanea, era ovvio che ciò accadeva quando lui si eclissava, e aveva sentito la sua risata echeggiare libera nelle stanze senza timore che qualcosa potesse frenarla, sicurezza acquisita dal fatto di appartenere ad una delle famiglie più fidate per i Busco, e non riusciva a capire cosa avessero in comune, a parte il luogo di lavoro.
Ma non gli interessava, così come qualsiasi altra cosa riguardante quella ragazza spregevole.
Finalmente raggiunse il suo obiettivo: avvisare la specializzanda su come si sarebbe dovuta comportare da allora, anche se non avesse partecipato mai più a una festa dei Busco.
"Cosa che succederà, visto che vieterò l'ingresso sia a lei che all'infermiera. Mi stanno rovinando tutto il piano, anche se sapevo che avrei dovuto incontrarla. Il mio umore sta peggiorando a vista d'occhio e a questo punto potrei perdere la pazienza facilmente, soprattutto con Sisu senior che mi guarda con disprezzo e Hillar, che nome da effeminato, che si fuma una sigaretta in pace ostentando una sicurezza arrogante, come se nessuno sapesse che le loro occupazioni hanno subito un crollo da quando è entrato in affari con il padre. Vecchio bacucco. Cretino." Sapeva di stare dicendo delle cose false, ma non li sopportava proprio, con tutta la loro boria.
Però si trattenne: la sopportazione è una delle doti più utili per i bracci destri di qualsiasi genere.
Comunque Temi annuì seria e promise che non avrebbe mai rivelato nulla e che non avrebbe disturbato in qualsiasi maniera gli altri ospiti in altre circostanze.
Soddisfatto e infastidito, Saverio si congedò da quel buco di sentimenti orribili e andò incontro a quella persona che desiderava vedere da un po' di tempo in una situazione normale.
Non sapeva che Temi, durante il suo giuramento, aveva incrociato le dita, nascoste dalla gonna dell'abito.
 
Per fortuna la folla si era calmata e ora Fran si godeva le chiacchiere interessanti di alcune persone che non l'avevano trattata come un oggetto raro esposto in un museo dopo essere scomparso per tremila anni.
Era sempre all'erta e sperava di non incrociare Temi per tutto il tempo della festa.
Non voleva che sapesse dei suoi accordi con Busco perché si vergognava di ammettere queste cose, perché anche lei in realtà la pensava così di fronte alla sua rigidissima in fatto di regole amica, troppo fissata su cosa è giusto e sbagliato.
Ma un conto è pensare liberi nella propria testa, un altro essere costretti dalle circostanze.
"Come se lei non avesse mai fatto nulla di vietato!" Sbuffò piano, però si sentì ingiusta: in verità era proprio così.
L'aveva conosciuta da piccola, a causa della scuola.
Erano diventate compagne di banco perché erano state quasi costrette dai loro compagni: Temi era quella appena arrivata in un quartiere dove si conoscevano tutti da una vita e le loro madri non avevano mai finito di sparlare fino a quel momento su tutto quello che riguardasse la sua famiglia, trasferitasi in blocco ad Egris da qualche posto non troppo esotico per venire scusati dalle loro eccentriche abitudini, mentre Fran era quella senza madre, francese di origini , che viveva in una villa quasi vuota in cui si diceva fosse morto un poeta locale in una vasca da bagno, mentre scriveva una lettera al suo grande amore non corrisposto ( in realtà era solo scivolato lavandosi e, svenendo per il colpo alla testa, era annegato), che era troppo lontana e chic per quel quartiere.
Il padre ce l'aveva mandata perché era la scuola più vicina che faceva il tempo pieno e, non potendo o volendo occuparsi di lei da solo, l'aveva scelta.
Babysitters o i nonni erano fuori questioni: non sopportava le prime, i secondi erano oggetto di alcuni racconti favoleggianti della piccola.
Erano esseri che non si erano mai visti di persona, ma che erano sempre presenti nelle foto, negli oggetti della madre che lei trovava nelle stanze chiuse della villa.
Fran era incuriosita da Temi, quella bambina con i capelli arruffati che sorrideva a tutti benchè avesse due denti da latte mancanti senza avere il coraggio di parlare e le strane abitudini come andare a casa a pranzo, mentre tutti stavano a scuola per mangiare nella mensa o di avere sempre lo stesso ciondolo con un occhio come quello degli egizi. Poteva essere attaccato a un bracciale, a una collana, allo zaino o all'astuccio, ma c'era.
Bastava solo guardare bene e si sarebbe trovato.
I bambini dicevano che era una strega, mentre lei non riusciva a crederci: qualcuno di misterioso e particolare, come nella favole, finalmente!
Alla fine divennero così amiche che nemmeno il fatto che Temi fosse una normalissima bambina e che la villa non fosse piena di strane e orribile cose influirono minimamente.
Ma se l'altra aveva un difetto, era quello di essere eccessivamente giusta: se considerava che non sarebbe stato bene fare una certa cosa non l'avrebbe mai fatta.
E questo le tagliava le gambe con gli altri amici, sempre pronti a proporre di infilarsi in una piscina altrui o a sfondarsi di sostanze senza motivo e lei un po' si vergognava che fosse così rigida, nel suo infinito desiderio di piacere agli altri, perché alla fine le toccava sempre aspettare fuori con lei, sentendo le risate degli altri.
Una volta da adolescente, durante un pomeriggio ozioso, aveva chiesto a Temi se le avrebbe mai ucciso per salvarla.
L'altra si era fatta pensierosa e corrucciata. Dopo un lungo silenzio ed un'evidente lotta interiore molto sofferta, le diede la sua risposta: "Sì, anche se dopo mi suiciderei: togliere la vita a un essere umano non è punibile nemmeno con il carcere. Lo farei perché bisogna sempre proteggere gli amici, ma non riuscirei più a guardare qualcuno negli occhi o me stessa nello specchio. Uno che uccide è ovviamente capace di ogni cosa e io non lo sono."
Per questo ora incrociava le dita e si faceva piccina tutte le volte che Temi voltava la testa.
"Per fortuna che è di spalle." si ripeteva.
Non voleva lasciare la festa, anche se ciò avrebbe reso tutto più facile.
Le piaceva, si sentiva in mezzo a persone intelligenti e brillanti, soprattutto ora che erano diventati più discreti, anche se troppo pieni di attenzioni per risultare senza secondi fini.
Non aveva appena finito di analizzare il problema di Temi, cercando una soluzione, che un altro si presentava alla sua attenzione: Saverio si stava avvicinando e non sapeva bene cosa pensare.
Da una parte era da molto che sperava di incontrarlo, dall'altra non voleva essere ancora più stretta nella malavita.
"Non so che preoccupazioni mi faccia, visto che ci siamo incontrati una volta sola. Di certo mi ha fatto una buona impressione, ma nient'altro. Non so nemmeno se io gli piaccia. L'invito a questa festa è stato così inaspettato da farmi cadere nella spirale dei sogni romantici senza senso, ma ora... Voglio solo sapere cosa accadrà."
 
Saverio si stava dando coraggio, cercando di essere calmo e allegro, mentre si sentiva strano, con quei vestiti così diversi, che aveva ordinato per l'occasione.
Poiché voleva sempre lo stesso modello con delle variazioni minime per la lunghezza dei polsini e alle velleità dettate dalla moda, in fondo non poteva, in quanto braccio destro dei Busco, fare la figura del bifolco, il proprietario della sua sartoria preferita gli aveva chiesto stupito se stava per sposarsi.
Si era trattenuto dal dargli una rispostaccia solo per la vergogna di sembrare un adolescente alle prese con il primo appuntamento, come in effetti si sentiva.
Era da un bel po' che non faceva qualcosa del genere e non gli piaceva le sensazioni contrastanti che provava al momento.
In realtà era più un esperimento che altro: voleva sapere se lei era come se la ricordava.
"Magari mi sono distratto e mi è apparsa in un alone dorato mentre è peggio della signora Sisu."
Tentava di convincere la sua mente dubbiosa.
Ma quando vide che Françoise aveva puntato gli occhi su i suoi, un po' curiosa e basta, capì che avrebbe dovuto imparare a comportarsi in un modo nuovo.
Lei non ci provava, non faceva battute per chi avesse avuto orecchie per intendere, non cercava di affascinarlo, non aveva doppi fini.
Sembrava essere lì solo per sbaglio quasi ed era proprio così: non c'entrava niente con tutti gli altri che la viziavano per avere i favori di lui.
Probabilmente era questo che a Saverio piaceva di lei: abituato a un mondo in cui un favore si pagava, trovava davvero strano qualsiasi cosa riguardante la ragazza.
Avrebbe voluto esserci alla consegna dell'invito solo per vedere le sue reazioni, ma riusciva a immaginare la sua grande sorpresa, i dubbi che le si affollavano nella mente e il suo volto mentre accettava di venire.
Finalmente era arrivato davanti a Françoise, solo, mentre gli altri si erano eclissati, ma guardavano di nascosto lo spettacolo che si prospettava succoso.
 
Temi si era stancata di stare in compagnia degli Hoppipolla, soprattutto perchè Norge sembrava sul punto di estrarre dalla borsetta una pistola e uccidere tutti e Hiller era andato a chiaccherare con altra gente, così, con la scusa di andare a prendere da bere, si era allontanata dal gruppone e cercava di mettere insieme in modo coerente le informazioni che aveva appena ricevuto.
"Sal è Saverio, quello dell'ospedale. Non mi sembrava molto contento della presenza di Norge e lei ricambiava questo sentimento in pieno.
Vabbè che lei oggi è strana forte: non mi ha perso di vista un secondo, pareva la mia guardia del corpo e dire che continuano a cercarla in tanti!
Dev'essere molto popolare, qui.
Forse, da quel che mi ha detto, è perchè sono stupiti di vederla dopo un ritiro dalle scene così plateale.
Però quel tipo chi si credeva di essere: è palesamente ovvio che non vado a raccontare in giro gli affari dei Busco, anche solo la marca dei loro fazzoletti di carta preferiti! Ci tengo alla pelle."
Mentre gironzolava nel giardino ammirando le rose fece un cenno di saluto a Tommy Busco che si stava occupando del barbecue e che l'aveva riconosciuta, chiedendole, tra i fumi della carne,  come stesse.
Lei rispose e gli promise di mangiare al più presto qualcosa per dirgli la sua opinione al riguardo.
Non ci avrebbe mai creduto nessuno se l'avesse raccontato: uno dei personaggi più imprtanti della malavita che cuoce salsiccie?
L'avrebbero accusata di bere troppo.
Continuò a passeggiare sorseggiando il suo calice di champagne e osservando in giro.
Non aveva visto il tizio dell'aggressione, nella folla e ciò la riempiva di frustrazione.
Era nella tana del lupo per stanarlo e scopriva che era andato in ferie!
Non le era servito a nulla farsi carina e preoccuparsi da morire se l'assassino l'avrebbe riconosciuta o no.
Di cattivo umore, notò un uomo di un' età imprecisabile, anche se non più giovane, alto e magro, con un completo che aveva visto giorni migliori di un nero pallido.
La cosa che più la colpì fu la sua calma arrogante con cui annoiato guardava le persone e il suo ghigno era un po' inquietante.
Sembrava un becchino o un avvoltoio in un campo di battaglia.
Tutta quell'aurea di stranezza l'attirò e, senza pensare a chi potesse essere, attaccò bottone.
 
Norge non sopportava più la sua "famiglia" allargata da un bel pezzo, con tutta quella ipocrisia e con delle buffonate peggiori di quelle ci dovevano essere al tempo del Re Sole.
Aveva ricevuto così tante insistenti richieste di andare a trovare quello, di fare un pranzo con l'altra, che, se avesse accettato sul serio, avrebbe avuto impegnati tutti i giorni di un intero anno.
"Vogliono tutti un pezzo di me, come se fossi un animale raro. "Venghino signori e signore, a vedere colei che abbandonò un posto di prestigio assicurato con quello di infermiera all'ospedale cittadino!"
Li sento, tutte le malelingue che si scambiano, tutti i velati riferimenti alla mia condizione.
Li odio.
Mia madre è quasi peggio di loro, con quello zucchero finto che usa per imboccarli.
Vuole una condizione migliore, è come una balena a dieta: capace di ingoiare un continente.
Mio padre sembra fuori luogo e lo si scambierebbe per una statua, se non infilasse qualche parola sarcastica nella cascata di parole della moglie, che prontamente lo ignora o lo bacchetta per i suoi pensieri "così cattivi".
Come se lei non stesse spettegolando su qualsiasi cosa respiri."
Norge scosse la testa, mentre ascoltava per la milionesima volta la madre lamentarsi per il fatto che lei non aveva ancora trovato un "qualcuno."
Mentre faceva quel movimento con la testa notò  una cosa che le fece agghiacciare il sangue nelle vene:
Temi era in compagnia di Raza.
QUEL Raza.
E non lo sapeva di certo.
L'infermiera credeva di averlo identificato solo grazie alla descrizione che le aveva fatto il fratello e, con la paura e la rabbia che le stringeva le vene, chiese al padre sottovoce di guardare in fondo al giardino a destra, dov'era Temi.
Lui obbedì alla strana richiesta e sbiancò
Le sue sopracciglia si mossero spasmodicamente su e giù mentre gli occhi si dilatarono.
Nonostate ciò, mantenne la calma e indicò la stessa cosa ai suoi alleati vicini.
Le reazioni furono più o meno le stesse e ben presto la specializzanda, ignare dell'identità del suo interlocutore e del fatto che la stavano fissando tutti, avrebbe subito un interrogatorio con i fiocchi.
 
Saverio stava amabilmente parlando con Françoise, con tutta l'ansia sparita, e si infuriò quando qualcuno lo informò dello strano fenomeno che stava accadendo.
All'inizio aveva pensato di scuoiare il malcapitato ma si ricredette quando vide la scena: cosa ci faceva Raza lì?
Tutto il metodo che aveva studiato per far entrare solo gli ospiti desiderati era stato abilmente raggirato e doveva essergli sfuggito anche qualcosa sulla ragazza-scoiattolo perchè il capo della malavita non si sarebbe mai abbassato a parlare con una sconsciuta qualsiasi.
"Appena si congedano, la acchiappo e la metto in cantina, che è sempre pronta per un interrogatorio vecchio stile.
So già che Busco mi ucciderà per le mie distrazioni, ma voglio assolutamente sapere tutto di quella Temi. Chissà cosa avrà di speciale!"
 
Temi aveva appena salutato Ebneye e si era ritrovata a essere fissata da tutti gli invitati.
Perfino Busco aveva lasciato la sua postazione al barbecue.
Chiedendosi cos'avesse fatto di sbagliato, cercò appiglio in Norge, ma anche lei la guardava molto male.
Sembrava parecchio furiosa.
Si voltò per Raza, ma lui, dopo un sorrisetto di scherno alla folla, si era già dileguato.
Terrorizzata, fu praticamente investita e trascinata da Saverio che iniziò a chiedere in modo odioso a proposito di ciò di cui avevano parlato lei e Raza.
Lei cercò di difendersi.
"Mi ha chiesto solo di cosa pensassi della malavita. Ma chi è sto Raza?"
Era l'emblema dell'innocenza ma il braccio destro non le credeva.
"Cosa gli hai risposto?"
Stava praticamente ringhiando: quella sventata avrebbe potuto fargli uccidere tutti con una risposta sbagliata!
"Che la trovo molto utile all'economia, in quanto fa girare il denaro e dà lavoro a molta gente."
Fran, nascosta, assisteva a tutto e rabbrividiva pensando a quello che sarebbe potuto accadere all'amica: come mai riusciva sempre a cacciarsi nei guai?
"Sul serio?" La voce di Sal era un distillato di sarcasmo.
Ma Temi non  si stava facendo intimidire e rispose sdegnosa.
"Cosìaltro avrei dovuto dire? Sto per diventare medico, mica un boss di un'azienda! Che vuoi che ne sappia io dell'economia? E poi chiedetelo a lui, se volete una conferma! Vorrei anche sapere perchè è così importante che cosa ho detto, fatto e respirato."
Con questo suo fare coraggioso e irriverente nei confronti di qualcuno che avrebbe potuto spezzarla in due, si attirò molte simpatie, compresa quella di Busco, che disse di crederle e ordinò che fosse lasciata stare: doveva essere successo come raccontava lei.
In fondo lei era un nessuno, cosa ci aveva trovato di interessante Ebneye?
Di certo era stato solo un atto dimostrativo e lei non c'entrava nulla con quell'uomo.
Poi esortò tutti a dimenticare lo spiacevole avvenimento e a godersi il pranzo.
Lentamente obbedirono.
Temi fu agguantata da Norge che la condusse verso l'uscita.
Incapace di comprendere, le chiese che cosa stesse succedendo e chi fosse quel tipo.
L'infermiera, furiosa per aver cacciato l'altra nel pericolo, le rispose succintamente che stavano andando via e che il "tipo" non era altro che il capo dei capi.
Lei sgranò gli occhi per la sorpresa e si profuse in mille scuse, ma proprio non poteva immaginarlo: non era mai apparso nei giornali e nessuno l'aveva avvertita della sua presenza.
"Perchè non doveva venire."
La smorfia di Norge la indusse a tacere, ma si mostrò terribilmente contrita per tutto il tragitto e l'altra non potè non perdonarla.
Peccato che avesse mentito.
Non esattamente in realtà: aveva solo omesso tre quarti della conversazione.
Sapeva chi era quell'uomo, si era presentato, e l'aveva spaventata molto, quando aveva provato di sapere troppe cose sul suo conto.
Ma quello che l'aveva lasciata basita era stata la sua propista.
"So chi ha tentato di stuprarti e ha ucciso Ferson. Lavora per me e te lo farò trovare."
A quel punto lei aveva sgranato gli occhi e aveva parlato con voce tremante.
"Come? Non è possibile."
Lui le aveva sorriso quasi paterno.
"Ciò che è precluso a molti, a me è permesso.
Accetta di fare quel che ti dirò e sarà tutto tuo, che voglia vederlo morto o in pregione, sarai solo tu a decidere."
Si vedeva che negli occhi di Temi c'era un scintilla di allarme e confusione, ma sorprese se stessa, chiedendogli cosa avrebbe dovuto fare.
"Nulla di che, nessun omicidio o furto. Ti farò sapere volta per volta, se accetti."
Lei strinse gli occhi: non poteva fidarsi, era illegare di sicuro ciò che le stava proponendo, ma era stanca di aspettare di incotrare il malvivente e voleva vendicarsi.
In più come poteva essere potente quanto Busco?
"Perchè dovrei accettare? Chi mi dice che non sia una trappola per verificare la mia lealtà e che Tommy non mi verrà a cercare, quando il suo uomo sarà nelle mie mani?"
"Perchè io sono il capo di Busco e perchè l'anello che hai trovato, sì so che ce l'hai tu, è un'imitazioni: il simbolo grecè è diverso.
Quello originale ha una teta, il tuo ha un chi, perciò chi cerchi o ha cercato di farsi passare come uno della sua banda o cerca di farlo fuori in modo indiretto, dando le sue colpe a lui."
Questo l'aveva freddata: non avrebbe mai immaginato che fosse così complicato.
Nella sua immaginazione lei trovava quel tipo, lo consegnava alla polizia e viveva felice e contenta per il resto dei suoi giorni.
Invece era il contrario: doveva fare un patto con il diavolo e la sua morale era così ripugnata che cercava di allontanarla da lui.
Non poteva accettare, non doveva: era in gioco la sua integrità.
Con che coraggio aveva litigato con Norge sul suo antico legame con la malavita, se ora avrebbe accettato addirittura di essere il factotum del peggiore fra quelli?
Scosse la testa: non voleva decidere.
Voleva sapere e non essere in colpa.
Ma ciò, come ci insegna la Bibbia, non è possibile, così sorprese ancora se stessa.
"Accetto."
La smorfia di dolore che aveva fece sorridere tristemente Raza: sapeva quanto ciò l'aveva ferita, la conosceva da un po', essendosi informato su quella new entry al party dei Busco.
Gli altri avevano ragioni per essere lì, mentre lei aveva solo un'amicizia con la figlia traditrice dei Susi.
Era diversa, non aveva contatti con la malavita ed era una semplice specializzanda che presto sarebbe diventata medico.
Era perfetta, non rintracciabile e abbastanza innocente per quello che l'aveva destinata a fare.
"Bene. Ti arriverà presto un foglietto. Mi raccomando..."
"Non dire nulla a nessuno. Non sono stupida."
L'aveva interrotto.
Non si immaginava che avesse questo coraggio: conosceva gente che si sarebbe tagliata la lingua piuttosto che farlo.
"No che non lo sei. Ma ti sommergeranno di domande e volevo solo avvertirti.
Sembri già a tuo agio in queste situazioni."
Aveva insinuato che lei non era come voleva credere di essere, pura e immacolata er la giustizia fino ad allora e lei lo aveva disprezzato: era stata quasi obbligata ad accettare, non voleva anche sorbirsi degli affronti velati.
"Non lo sono e non lo sarò mai. Faccio solo questo per avere giustizia."
"Certo, come tutti, no?"
Non ne poteva più di quella conversazione e per fortuna Raza la interruppe: il suo compito era stato portato a termine e non poteva più restare, con gli occhi di tutti puntati.
Avrebbe osservato nascosto con tutta calma come la sua piccola factotum avrebbe passato la sua prima prova.




Angolo dell'autrice che è impazzita per Shadowhunters:
Ciao a tutti!
Avete già iniziato la scuola ? Io lo farò il 17!:)
In questo capitolo si conosce un nuovo personaggio, Hillar, che amo alla follia.:D
Il suo nome è stato scelto perchè significa felice.
Il cognome della famiglia della nostra infermiera preferista significa in finlandese "Testardaggine e perseveranza insieme" ed è una delle qualità dei finlandesi, appunto.
La proposta di Raza vi ha colpito più o meno del fatto che Temi ha accattato?
Chissà cosa succederà e cosa vorrà il capo dei capi da una specializzanda qualsiasi?
Lo si saprà nei prossimi capitoli!:)
Ringrazio chi segue, legge e recensisce questa storia, siete fantastici!;D
Il mio grazie più grande però va ad Acquamarine_ che corregge ciò che scrivo e mi sprona sempre a continuare!;D
Adieu!:)
Vex

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Capitolo 16
*** Il dubbio e la paura ***


Il dubbio e la paura portano al fallimento. Quando pensi negativamente il tuo atteggiamento ti porta al fallimento. I pensieri si cristallizzano in abitudini e le abitudini si solidificano nelle circostanze. (Bryan Adams)


Fran era rimasta sveglia tutta notte per la preoccupazione e il presentimento che qualcosa di grosso sarebbe accaduto presto.
Avrebbe voluto morire quando tutti avevano osservato Temi parlare con quel tipo.
Lei non lo conosceva ma, da quanto aveva sentito, il suo potere era inversamente proporzionale alla sua popolarità e i malavitosi al gran completo avevano un terrore folle di lui.
"Se quelli sono così spaventati e hanno mezza città nelle loro mani, io quanto in pena dovrei stare per Temi?
Perché ha parlato solo con lei?
E' stato davvero un atto puramente dimostrativo e la mia amica era la prima a portata di mano che non lo conoscesse o c'è di più?
Perché è andata  a quella dannata festa?
Perché Norge ce l'ha portata?"
Inquieta fissava il soffitto e ripensava a quello che era successo, cercando un nesso tra gli eventi, ma non ne trovò nemmeno uno, così il giorno dopo pensò che l'unico che potesse conoscere qualcosa a riguardo fosse Saverio. Temi era esclusa a priori, di sicuro quello che aveva raccontato era accaduto e non avrebbe avuto senso il nascondere qualcosa.
Lei non c'entrava nulla con la malavita.
In realtà odiava un po' questa cosa e certe volte si ritrovarla a fissarla mentre parlavano per scorgere una scintilla di colpevolezza, in modo da riuscire a capire che anche lei era imbrigliata in qualche famiglia e poter discutere sulla questione in modo più ampio.
Invece era sempre la stessa granitica Temi che, quando si entrava nell'argomento, liquidava tutto dicendo che nessuna delle due avrebbe potuto lavorare con certa gentaglia.
Odiava mentirle, ma come avrebbe potuto sopportare lo sguardo di disprezzo dell'amica?
In più era inutile informarla di ciò, vista l'estrema segretezza che vigeva sugli accordi tra Fran e i Busco.
Però a volta desiderava avere qualcuno con cui parlare in modo completamente onesto: alla specializzanda non aveva potuto nemmeno dire come aveva incontrato Saverio.
Non avrebbe mai capito.
Mentre però era al lavoro, si chiese se non fosse meglio lasciar perdere tutta la faccenda e continuare con la vita di sempre: era una scelta possibile, anche se pavida.
"In fondo cosa potrebbe fare Saverio per saperne di più e proteggere Temi?
Sempre che accetti.
Ci siamo parlati due volte, non siamo esattamente amici per la pelle."
Storse le labbra, cercando di ignorare una voce nella sua testa che, flebilmente, le diceva di star cercando scuse per non alzare il telefono e aiutare Temi.
In fondo lei era sempre stata una seguace e odiava pensare di dover (forse) andare contro le regole della massa: in realtà nessuno le aveva mai detto di poter chiedere qualcosa ai malavitosi per i quali lavorava.
Certo, la pagavano bene, ma non credeva di essere in grado di pretendere dei favori.
"Poi chissà cosa vorranno in cambio! Non me la sento, sul serio."
Però sapeva che era solo vigliaccheria, come suo solito.
Non sarebbe mai riuscita a sconfiggerla.
 
Temi dormì a casa di Norge quella notte e riuscì a tornare nella sua dopo innumerevoli rimbrotti, preghiere e minacce.
L'infermiera non si sentiva sicura che fosse giusto lasciarla andare da sola all'aperto, in modo che chiunque avrebbe potuto ucciderla o rapirla.
Sapeva, grazie alle lamentele di Hillar che aveva cercato invano di imboscarsi con una ragazza incontrata lì, che in seguito alla sceneggiata di Raza tutti erano stati sull'attenti e la festa si era completamente rovinata.
"Si saranno sentiti minacciati e la loro fiducia nei Busco come baluardo inespugnabile anche per il capo supremo sarà crollata come la neve durante una bufera.
Me lo aspettavo: se qualcuno non fermerà quel pazzo scatenato fra poco, i capi crolleranno tutti, e sarà ognuno per sé.
Forse vuole proprio questo: una bella guerra tutti contro tutti.
Se è così è un dannato genio.
Ma che cosa voleva da Temi?
Non me lo spiego proprio: che fosse un esibizionista si sapeva, ma concentrare l'attenzione di ogni persona presente, e poi, ovviamente, di qualsiasi malavitoso su una singola ragazza pulita fin sotto le piante dei piedi è strano.
Magari è proprio questo: ci sta tenendo con le menti occupate così da mettere in atto il suo piano segreto,
Devo chiamare Hillar, devo proteggere la mia amica.
Tutta la città la starà cercando, a questo punto."
Così aveva telefonato a suo fratello e, con un tono che non ammetteva repliche, aveva cercato di costringerlo a mettere qualcuno alle costole della specializzanda.
Lui aveva riso seccamente.
"E tu cosa mi dai in cambio?"
L'infermiera odiava quando si comportava in questo modo: era un bastardo e lo sapeva, ma non gli importava.
Voleva solo rifarsi su di lei per tutto quello che aveva dovuto fare al suo posto.
Lui odiava essere un malavitoso, non tanto per il potere, il denaro e la facilità del lavoro, ma per l'essere costretto a diventarlo.
A diventare come suo padre, l'uomo che non doveva cedere mai, che aveva il controllo di tutto, che teneva in mano tutti.
Così almeno era convinto quando era piccolo, ora sapeva come andavano le cose, vedeva le occhiaie del padre e il fatto che fosse stato ignorato con un misero gesto della mano di Busco, quel piccolo botolo pieno di pulci, mentre cercava di avvertire tutti sul pericolo che avrebbe potuto rappresentare Raza, faceva apparire ancora più meschino il loro ruolo.
"Siamo i servi dei servi e godiamo anche degli avanzi che ci lanciano.
 Dovremmo essere liberi di controllare il nostro territorio come ci pare, non inchinarci fino a leccare la terra come se fosse una concessione scesa dal cielo: la mia famiglia lavora lì da molto tempo, ci appartiene!
Ma quanto vorrei non dovermi preoccupare di queste cose!" Emise uno sbuffo appena percettibile, mentre aspettava la risposta di Norge.
Sua sorella.
Le voleva bene, la odiava, la invidiava, la irrideva.
Troppi sentimenti per la stessa persona.
Aveva sperato di poter trascorrere la vita tranquillamente come suo sottoposto, invece quella aveva agito di testa e cancellato tutto il suo passato.
Lasciando lui in balia di un padre che non lo considerava abbastanza e di una madre per cui, al contrario, era ancora il cucciolo di casa.
E di una decisione che in realtà era solo una formalità: prendere le redini dell'azienda di famiglia?
Si era sentito soffocato da tutto, pur sapendo come si sarebbe risolto tutto: lui non era Norge, non riusciva ad andare contro le aspettative, figurarsi stare in una casa piena di malumore per tutta l'università e trasferirsi altrove, grazie a un lavoro che, per lui, era uno schifo.
"E' delicato" questo era ciò che ripeteva sempre sua madre, ma sapeva che in realtà non voleva rimboccarsi le maniche sul serio e invidiava chi lo faceva, come la sorella e Saverio.
Ecco, lui avrebbe potuto essere il suo eroe, il suo punto di riferimento, ma non era accaduto.
Lo stimava prima di conoscerlo, ne sentiva le azioni quasi impossibili confidando che tanto si sarebbe sempre salvato e aveva gioito come un bambino prima di entrare in un luna Park quando i suoi genitori lo avevano invitato a cena, insieme a Busco.
Non aveva detto una parola per tutto il tempo, troppo eccitato per parlargli e chiedere di essere suo amico, finché, mentre fumavano, gli aveva offerto una sigaretta e chiesto cosa ne pensasse del loro metodo di lavoro.
Era il suo momento, di certo avrebbe apprezzato il suo lavoro, togliendo a tutti quelle stupide fisse come "Norge farebbe così!", "Tua sorella non si sarebbe lamentata.", "Lei sì che capiva al volo."
L'altro non l'aveva nemmeno guardato, come d'altronde da tutta la sera grazie alla barriera dei capelli, "Troppo lunghi!" si era lamentata sua madre sussurrando, e, rifiutando ciò che gli porgeva a favore di una perfettamente uguale che teneva nella giacca, a bassa voce aveva detto che erano troppo antiquati e che probabilmente sarebbero stati rimpiazzati presto.
La sigaretta integra era caduta di mano ad Hillar ed era rimasta a terra per molto tempo, mentre cercava stupefatto gli occhi dell'interlocutore che aveva appena fatto a pezzi il suo orgoglio, con la bocca lievemente aperta per dire qualcosa, insultarlo, gridargli che non gli interessava la sua opinione, e fu lì che iniziò a odiare Sal, come famigliarmente era chiamato da tutti.
Tutto ciò che prima rappresentava, serietà, lavoro sodo, divenne improvvisamente inviso nel modo più aperto da Hillar, tanto da acquistarsi la nomea di "ragazzo piuma", di certo non riferito al suo peso.
Si diceva che, mentre Saverio stesse tutte le notti a studiare sui libri di economia poiché non aveva fatto l'università e non voleva essere ignorante, lui, laureatosi con il massimo dei voti in Economia e Commercio e in Scienze Politiche, fosse sempre fuori nelle discoteche più costose, circondato da un gruppo di parassiti che si nutrivano dei suoi soldi. In un certo senso era vero, usciva spesso, ma nessuno sapeva che passava ore a esaminare tutte le azioni economiche compiute dalle varie famiglie, cercando di escogitare un metodo per tenere a galla l'azienda.
Se all'inizio non dava i suoi frutti, ora il diagramma segnalava un visibile crescendo nelle entrate.
Eppure nessuno lo aveva considerato, come sempre.
L'unico che aveva avuto un po' d'interesse era stato proprio il suo ormai celeberrimo nemico, Saverio, che aveva odiato quella mente geniale in quell'idiota sempre troppo allegro per essere un bravo capo.
"Cosa vuoi in cambio?"
Hillar ghignò: la sorellina aveva ceduto, finalmente.
"Ora chi è il migliore, Ruotsi?"
Il pensiero di esserlo lo rallegrò di colpo e dovette trattenersi dal fare qualche balletto stupido.
Adesso però bisognava pensare a che favore chiedere per tenere sotto controllo Temi, cosa che gli era stata già ordinata da Busco: magari lei non aveva nulla da nascondere, ma, avendo goduto dell'attenzione di quello schifoso di Raza, sarebbe stata osservata con il microscopio da tutti i malavitosi.
Sorrise malizioso, rimpiangendo di non poter vedere e farsi osservare mentre parlava con la sorella.
"Sai, ci sarebbe proprio bisogno di una spogliarellista, per il compleanno di Saverio, che è domani..."
La voce insinuante e carezzevole aveva il potere di rendere la sorella molto irata nei suoi confronti.
Norge tentava di reprimere l'istinto di scagliare il telefono sul primo che fosse passato e di uscire a cercare Hillar per fracassargli la testa, fregandosene altamente del taglio costosissimo che faceva impazzire tutte le ragazze.
"Devo stare calma. CALMA. Non risolverei nulla insultandolo: riderebbe e l'accordo sfumerebbe.
Perché si deve comportare ancora così?
Non cresce mai questo stupido?
E poi perché Saverio?
Noi tre ci odiamo a vicenda, in pratica. Magari io e mio fratello non sempre, ma per il resto è così.
Di certo vuole metterci nel sacco entrambi. Che piccolo bastardo."
Ma non poteva fare altrimenti e, in virtù della sua amicizia con Temi, accettò a denti stretti.
Hillar quasi non poteva crederci: aveva detto di sì! Gongolò.
"Come sei generosa, Nor! La tua amica te ne sarà parecchio grata, non trovi? A proposito, mi potresti dare il suo num..."
Aveva riattaccato.
Lui, sempre sorridendo, fece spallucce e si sfregò le mani.
"Non si può proprio dire nulla a mia sorella! Tanto l'avrò comunque e sono troppo soddisfatto per prendermela. Ora, andiamo a vedere dove abita Temi."
 
Ecco, proprio lei, la ragazza d'oro del momento, era andata un attimo a casa per prendere qualche indumento, visto che l'infermiera le aveva fatto promettere di dormire ancora da lei per qualche giorno, in attesa che le acque si calmassero.
Lei aveva accettato, però non era preoccupata quanto lei: stranamente Raza le aveva infuso sicurezza, quasi fosse diventata intoccabile.
Il problema era che quasi sicuramente era il contrario: ora sarebbe stata cercata da tutti i malavitosi della città.
Aveva già sentito Norge litigare con il padre al telefono perché lui pretendeva di interrogarla.
Le dispiaceva mentirle e metterla nei guai con la sua famiglia, ma non poteva dirle nulla.
L'avrebbe odiata, come lei stava facendo in questo momento, e se ne sarebbe giustamente andata.
Provava disgusto di sé per voler trattenere qualcuno con delle bugie.
Quel tipo non le aveva ancora chiesto nulla e già le stava stravolgendo la vita.
"Perché non sono rimasta a farmi annoiare dalla signora Sisu?
Perché ho accettato? Sono davvero così vendicativa?
Sembra di sì, visto che sono arciconvinta di andare avanti per vedere dove sboccherà questa strada.
Però non potrò tornare indietro."
Mentre passeggiava sul marciapiede vide una macchina che viaggiava parallela a lei, lentamente,  e rabbrividì. Anche senza saperlo, capiva che la stavano seguendo.
Quando si fermò davanti al suo palazzo, cercando di calmarsi, fece quasi un salto quando sentì un colpetto sulla spalla.
Terrorizzata si girò e vide un uomo vestito di scuro che le chiedeva se aveva cinque minuti da dedicargli.
Senza via di uscita non riusciva a muoversi e aspettava solo il momento in cui lui le avrebbe fatto del male.
Tutta la sicurezza era sparita e aveva già iniziato a maledire qualsiasi essere vivente nello spazio di cinquecento metri.
Ma non accadde nulla, perché li raggiunse correndo qualcun'altro, con un abito di sartoria blu scuro, i capelli biondi che sembravano accarezzati dal vento e un sorriso da pubblicità di un dentifricio.
Hillar Susi.
Salutò il tipo losco e iniziò a parlargli, chiedendo come stesse.
Questo basito da questa improvvisa comparsa quasi non rispose e lo fissò parecchio male quando gli disse: "Senti Ben, sappiamo entrambi perché siamo qui e ti esporrò la situazione brevemente: lei è sotto la nostra protezione, se qualunque altro accamperà pretese, la disturberà o altro se la vedrà con i Busco, chiaro? E ora dillo a tutti quelli che incontri. Lei è nostra, capito? E comprati un cappello nuovo: questo ti fa sembrare basso."
Ben strisciò via senza dire nulla, mentre Hillar fece l'occhiolino alla ragazza sorridendole.
 
"Dov'è che devi andare? Al Polo Nord? A Sciattolandia? Non hai dei vestiti, delle maglie scollate, qualcosa che faccia dire a un uomo "Accidenti, sono morto e sono in paradiso."? No perché sembri un po' mia nonna Hilda e un po' un pupazzo di neve raffreddato."
Temi non sapeva se scoppiare a ridere o se essere offesa: stava riempiendo un borsone con qualche indumento per andare al lavoro, sperando di rimanere da Norge solo una settimana, ma Hillar non la stava aiutando affatto.
Criticava qualsiasi cosa, dall'appartamento ai piatti che teneva in cucina.
L'unica cosa che sembrava piacergli era la montagna di centrini fatti a mano, che gli ricordavano sua nonna.
In realtà quasi tutta la casa di Temi gliela ricordava.
Mentre osservava tutto, in realtà per esaminare se ci fossero state tracce di qualcosa di sospetto, pensava se anche Norge avesse dovuto vivere in un posto del genere all'inizio della sua carriera o se ci vivesse ancora.
Non aveva mai visto dove abitava e sinceramente gli mancava un po' ficcare il naso negli affari della sorella.
Adesso lo stava facendo, ma quella pausa di qualche anno non gli era piaciuta per niente: non gli bastavano le telefonate per esserle vicino.
"Niente. Niente. Niente. Ma questa ragazza, a parte dormire, lavorare e mangiare fa qualcosa? Non c'è dell'intimo sexy, preservativi zero, solo libri pesanti e vestiti orribili.
Credevo che lei e mia sorella si dessero alla pazza gioia, invece... Diagramma piatto. Bisogna rimediare."
Temi sapeva che lui lavorava per la malavita ma le stava davvero simpatico: era pieno di vita e non stava zitto un secondo.
D'altra parte sapeva che non era venuto lì per una visita di piacere e in realtà stava cercando qualcosa.
"Ma non ci sarà. Almeno lo spero. Non credo che Raza sia così stupido da mandarmi qualcosa il giorno dopo avermi agganciata. Con tutti i malavitosi che saranno entrati qua dentro sarebbe stato un suicidio."
Quando fu pronta, lui si offrì di accompagnarla a posare la sua valigia e ad andare al lavoro con la sua auto.
Lei aveva accettato, ma non aveva pensato di montare su un coupé arancione metallizzato, con il tettuccio scoperto e i sedili in pelle con il monogramma del ragazzo ricamato in oro.
Non riusciva a crederci che poteva esistere qualcosa di così pacchiano e sbarrò gli occhi, decidendo all'istante di non salirci per nulla al mondo.
Hillar la guardò mentre lei fissava la sua bellissima automobile con disgusto e un po' di paura senza capirci nulla.
"Allora sali o aspetti la quinta stagione?"
"Non ci salgo in quell'obbrobrio. Da dove l'hai tirata fuori?"
"Obbrobrio lo dici poi a qualcun altro. E' la mia adorata piccolina e nessuna la insulta. Dai, salta su."
"No."
"Senti, mi piacerebbe stare qui tutto il giorno a dire "Si" e "No" con te, ma devi andare a lavorare, altrimenti come vuoi diventare medico? Commentando malignamente le macchine altrui?"
Il suo sguardo era pieno di ironia e sicurezza: sapeva di aver giocato la carta giusta per convincerla.
Temi sospirò pesantemente e si decise a fare come diceva lui: la sua vita era peggiorata abbastanza, non voleva perdere anche il lavoro.
"Ok. Ma se vedo qualcuno che conosco mi abbasso. E non provare a parcheggiare davanti all'ospedale con questa pacchianata!"
 
"Come mai non torna? A quest'ora sarebbe dovuta essere qui da almeno cinque minuti."
Norge camminava avanti e indietro per la stanza, di cattivo umore perché era preoccupata per Temi e perché, aspettando ancora un po', avrebbe fatto tardi a lavoro.
Stufa, decise di chiamarla.
"Ehi, dove sei?"
"Sto arrivando..."
Norge sentiva il vento e una voce maschile che non riusciva né ad identificare né a capire.
Però ascoltò distintamente la ragazza esclamare, sbigottita: "Come non stiamo andando a casa sua? Perché?"
Una domanda pulsava insistentemente nella testa dell'infermiera: con chi cavolo era la sua amica?
Finalmente fu tutto silenzioso e Temi le disse che l'avrebbe richiamata tra poco e che era al sicuro, con suo fratello.
Dopo che ebbero riattaccato, lei si chiese per qualche minuto di quale fratello parlasse: non le risultava che l'altra ne avesse uno.
Poi tutto si fece chiaro e aggiunse un nuovo insulto nella lunga lista di quelli che aveva attribuito a Hillar.
Intanto, nell'auto che si era fermata sul ciglio della strada, lui e Temi affrontavano la seguente discussione:
"Com'è che non andiamo da Norge?" Lei aveva lo sguardo irritato: come si permetteva quello di scarrozzarla in giro senza dire nulla sulla destinazione reale?
"Ti sembra che io possa lasciarti da mia sorella? Non saresti al sicuro ed è stata lei a chiedermi espressamente che lo fossi."
"Senti, lo so che fai tutto questo per Busco, non indorare la pillola. Per me è ok venire controllata da te, non ho nulla da nascondere, anche se odio che qualcuno frughi nei miei affari privati."
Hillar era davvero curioso di quella ragazza che accettava passivamente di essere spiata e che sembrava così sicura di avere una vita irreprensibile.
"Beh, in realtà non che tu abbia dei gran segreti da nascondere.
Escludo a priori un fidanzato o un amante, di droga non c'era l'ombra, non rubi perché non c'era nulla di valore in casa e posso escludere anche l'omicidio, per la mancanza di tracce di sangue. Perciò vieni ad abitare a casa mia, così ti insegnerò cosa sono il divertimento e la vita vera. Preparati a partecipare ai migliori party della città!"
L'idea di addestrare una novizia lo solleticava molto, soprattutto perché lei era così diversa da essere un piacevole diversivo alle sue amicizie sigaro&biliardo.
Temi gonfiò le guance, stizzita: quello la stava umiliando sul serio!
Però aveva ragione e trasferendosi in casa sua per un breve periodo avrebbe evitato il problema di essere sempre osservata, perché era quello che sarebbe successo. Ciò nonostante tentò un'ultima difesa.
"Ma dovrò continuare a pagare l'affitto pur non abitando più lì!"
"No cara, sei fortunata: quell'edificio è proprietà dei Busco e loro ti hanno gentilmente concesso di non pagare nulla finché starai da me."
"Di certo però, quando tornerò lì, vorranno tutto subito con gli interessi quel che gli dovrò!"
"Senti, non succederà, perché pagherei io. Ho talmente tanti soldi da non sapere cosa farne e pagare l'affitto di quel luogo pulcioso non intaccherà di certo le mie finanze in nessun modo! Te lo prometto, credimi."
Era stata sconfitta, lo sapeva: si fidava di lui e in ogni caso avrebbe messo da parte ogni mese quello che di solito usava per pagare, in modo da poter restituire tutto.
"Ok, ma mi accompagni tu in ospedale."
"Eh certo, come ci vuoi andare, a piedi? Ci metteresti almeno mezz'ora dalla mia villa a quel luogo così allegro e felice. Ti dirò di più: ti ci porterò sempre, se vuoi."
L'immagine di quella macchina oscena vicina a lei per almeno mezz'ora al giorno e di Hillar che transitava vicino a Norge, rendendola altamente infiammabile, la distolse dall'accettare.
"No no, non disturbarti: prenderò l'autobus."
Era davvero così terrorizzante essere in compagnia di uno come lui?
Non riusciva a capire, ma non avrebbe accettato quel rifiuto, anche se finse di farlo e telefonò a Norge per avvertirla di tutto quello che era stato deciso.
Si beccò una fiumana di insulti a tema mitologico norreno, tipo "Che anche tu rimanga incinto di un cavallo a otto zampe come Loki!" e una bellissima minaccia di morte molto pittoresca e particolareggiata.
Finalmente riuscì a infilare mezza parola e a spiegare tutto, assicurandola che Temi era d'accordo e che se avesse cambiato idea sarebbe stata la prima a saperlo.
Prima di attaccare però Norge lo avvertì, gelida e tranquilla, uno strano mix per lei, visto il suo carattere e tutto ciò che aveva detto prima: "So tutto. Me ne devi una, Roitsu."
Lei, mentre aspettava la telefonata, non era rimasta con le mani in mano e aveva chiamato sua madre, chiedendole in modo molto casuale se fosse stato ordinato a qualcuno dai Busco di controllare Temi ed era risultato che questo "grande onore", come lo definiva la signora Sisu, era toccata proprio al suo amato fratello.
A quel punto aveva schiumato di rabbia, poi si era calmata e aveva pensato al modo per vendicarsi e le era ritornato in mente quel vecchio metodo che suo padre aveva inventato, stanco di dover sempre risolvere le stupide diatribe tra fratelli: il "Me ne devi uno."
Sapeva di essere stata spesso molto più crudele del necessario e che Hillar di certo non se n'era dimenticato, così aveva deciso di farlo stare un po' sulla corda, in attesa del favore terribile che gli avrebbe chiesto.
Infatti era successo proprio così: lui, a sentire quella frase, aveva iniziato a sudar freddo e a pensare ciò che gli sarebbe potuto accadere, oltre a pentirsi di aver cercato di tirarle quel brutto scherzo, ma per fortuna arrivarono alla villa e altre preoccupazioni presero il sopravvento.
Fece entrare Temi, che osservava stupefatta qualsiasi cosa: lui doveva  essere un gran ladro, poiché di certo solo i vasi di fiori in giardino sarebbero stati stimati una vagonata di soldi!
La casa era davvero troppo grande per una famiglia di quattro persone, figurarsi per una sola e lei si chiese come avrebbe fatto a non perdersi in tutti quei corridoi chilometrici.
Finalmente arrivarono alla sua camera, come l'aveva chiamata Hillar: a differenza delle stanze in cui era passata, era molto più semplice e meno minimalista, con un letto di legno con le lenzuola rosa pastello, una scrivania scura e un gigantesco armadio con una toilette vecchio stile bianca di fronte.
Stupefatta per le dimensione, corse ad aprirlo e ci trovò molti abiti di fogge e colori assolutamente diversi tra loro.
Sbalordita, chiese al padrone di casa se non avesse sbagliato stanza e quella fosse occupata da qualcun altro.
Lui fece una risatina.
"No, in realtà quelli sono tutti gli abiti che le mie ex hanno dimenticato qui. Probabilmente volevano che glieli riportassi per avere un altro aggancio con me, ma non l'ho mai fatto e forse l'imbarazzo era troppo e non volevano presentarsi alla mia porta per reclamarmi.
Comunque, li ho trasferiti qui perché mi sembrava che tu avessi dei vestiti inguardabili, poiché alla festa ne avevi uno di mia sorella e prima di venirti a prendere ho pensato che avresti potuto indossarne qualcuno, se sono della tua taglia. Ora che vivi con me non puoi vestirti come una studentessa squattrinata!"
"Il problema è che lo sono, più o meno. E devo andare a lavorare, non a fare una sfilata, perciò metterò a posto stasera, quando tornerò: sono quasi in ritardo pazzesco e tu continui a blaterare!"
Lui la guardò stranito: da quando in quando una ragazza non cadeva in un delirio mistico alla vista di vestiti delle migliori marche gratis?
"Questa è strana forte. E' una stakanovista? Non lo sembrava prima. Magari è solo una maschera, un muro per condurre la sua vita normalmente, perché si sentirebbe diversa con questi. Ah, ma appena la porterò a ballare..."
In realtà lei amava quei vestiti, ma sapeva riconoscere un tentativo di corruzione quando ne vedeva uno.
Anche se una parte di lei chiedeva perché avesse rifiutato: per essere già compromessa, si meritava qualcosa di bello...
Ma scacciò questo pensiero: non si era venduta, aveva agito solo per la giustizia, oliando un po' gli ingranaggi.
 
Norge li aspettava davanti all'ospedale con una sigaretta in mano, mentre andava avanti e indietro vicino all'entrata.
Era così concentrata che non si accorse di Luke finché non le fu praticamente addosso.
"Che ci fai qui?"
"Potrei farti la stessa domanda, infermiera Norge: dentro ti stanno aspettando e tu sei ancora qui, senza nemmeno aver timbrato il cartellino!"
"Sto aspettando Temi." I cerchi di fumo ipnotizzarono un po' Luke, ammirato per quella capacità.
"Siete di nuovo amiche? Ottimo per voi. Ma è meglio che tu vada a lavorare: la aspetterò io e le darò il tuo messaggio, se è questo il motivo per qui sei ancora qui."
Poco convinta ma molto sollevata, anche se non l'avrebbe mai ammesso, lei schiacciò sotto il piede la cicca ed entrò finalmente nell'ospedale, ringraziandolo a bassissima voce.
"Quindi dovrò solo aspettarla, eh? Bene. Se devo fare così poco per ingraziarmi quella bisbetica, perché non ci ho pensato prima?"
Mentre spensieratamente provava a immaginare dove si trovasse Temi, quella arrivò a bordo di una fantastica auto scoperta arancione con alla sua sinistra un uomo che sembrava sbucato fuori da una pubblicità per gli yacht, tutto così formale con un sorriso splendente.
Ma si insospettì: che fosse il suo ragazzo?
"Se lo è perché non mi ha detto nulla? Mi racconta che litiga con Norge, spiegandone a grandi linee il motivo, poi mi nasconde un uomo nella sua vita? Come l'ha trovato uno così? Sembrano troppo diversi, lei sembra un po' sciatto confrontata a lui."
Mentre si chiedeva questo, Temi uscì arrossendo dall'auto e corse nell'ospedale, salutando velocemente i due.
Ma Hillar fece circa lo stesso, andando incontro a quel medico che aveva appena fatto in tempo a dirle di Norge, e si presentò.
"Sei il ragazzo di Temi?"
La domanda lo aveva colpito e non sapeva se interpretarla come gelosia o curiosità, perciò cercò di essere evasivo.
"E se anche fosse?"
Poteva sembrare irriverente, ma Luke sentì un'immediata simpatia per lui, forse a causa del suo comportamento e della sua auto.
"Nessun problema, anche se sareste una ben strana coppia. Comunque, quanti cavalli ha quella macchina?"
In breve accadde quella magia che riesca a far sì che due persone, totalmente estranee una all'altra, si ritrovino ad avere molto su cui conversare e che per questo diventino immediatamente amiche.
Questo fu un gran brutto colpo sia per Norge, che vide i suoi conoscenti più odiati formare un'alleanza, sia per Temi che si prese quasi tutti i giorni un colpo uscendo dall'ospedale, poiché lì trovava sempre un coupé arancione metallizzato che l'aspettava, con il proprietario che la chiamava sbracciandosi.
Decisamente Hillar amava mettere in imbarazzo la gente.
 
Fran sentì bussare alla porta del suo ufficio e rimase senza fiato quando vide entrare Saverio, scuro in volto e deciso.
Non sembrava affatto quello che aveva conosciuto alla festa e lei si chiese distrattamente se fosse stata solo una maschera o se la situazione richiedesse quella.
Lui cercò di essere gentile, ma lei continuò a sentirsi usata per tutto il colloquio che era iniziato con un "Per favore, dimmi tutto ciò che sai su Temi. So che siete amiche. E' in grande pericolo e tu potresti aiutarla."
Mentre rispondeva a tutte le domande del caso, non riuscì a non sentirsi delusa e amareggiata: era davvero lui che voleva o l'immagine che si era fatta nella sua testa?






Angolo dell'autrice che dovrebbe studiare Catullo:
Ciao a tutti
Dopo la festa le cose si fanno più interessanti: come sopravviveranno Hillar e Temi?
Norge ucciderà il fratello?
Fran e Sal avranno mai un appuntamento?
La terribile macchina giallo tornerà all'attacco?
Al prossimo capito!
Ringrazio tutti quelli che leggono e soprattutto a Aquamarine_!
Sei grandiosa!;D
Adieu!
Vex

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Capitolo 17
*** Il mio mistero è chiuso in me ***


Ma il mio mistero è chiuso in me,
il nome mio nessun saprà!
No, no, sulla tua bocca lo dirò quando la luce splenderà! (Turandot)




La vita nella villa di Hillar era stravagante e Temi non riusciva mai a capire come mai avesse bisogno di così tante stanze per una persona sola, tutte perfettamente arredate.
Era stato un problema per lei orientarsi, soprattutto perché il padrone di casa, per rendere ciò difficile, aveva fatto in modo che i corridoi fossero completamente identici, con gli stessi quadri e della stessa lunghezza. Anche le stanze vi si affacciavano erano pressoché identiche, così anche lui si perdeva ogni tanto.
Temi alla fine si era dotata della cartina della casa e aveva attaccato in un angolo del battiscopa in ogni stanza un pezzetto di scotch di colore diverso che poi aveva segnato lì.
Poi c'era la mattina, quando lei si ritrovava a dover buttare giù dal letto un addormentassimo Hillar  e a continuare ad incitarlo per vestirsi e portarla al lavoro.
Di solito si vergognava di farlo, così cercava di rimandare fino all'impossibile, sperando che per una volta non uccidesse la sveglia continuando a dormire beato, ma non accadeva mai.
Come quella mattina.
Temi, vestita di tutto punto, pulita, pettinata e sazia, si avvicinò alla porta di Hillar lentamente, maledicendo lui per le nottatacce che faceva e se stessa per la vergogna: che le costava andare nella sua camera e svegliarlo?
Ma nonostante tutto il coraggio che cercava di  radunare, bussò delicatamente sulla superficie di legno, senza ricevere risposta. Con un sospirò e abbassò la maniglia, per poi entrare nell'oscurità.
La stanza era in perenne confusione  e manifestava l'indole del padrone, come tutto ciò che ci circonda e che usiamo quotidianamente.
Però non sembrava affatto quello di un ormai  a tutti gli effetti membro della malavita o un uomo facoltoso, ma di uno studente universitario per i libri mezzi aperti e sottolineati sulla scrivania, il portatile ancora collegato, i fogli sparsi.
Però la sua ricchezza si intravedeva in mille piccoli particolari: le lenzuola erano di seta, il legno presente nella stanza era solo quercia, il PC era l'ultimo uscito in circolazione e l'enorme armadio che quasi capeggiava un'intera parete era pieno di abiti ben stirati costosissimi per tutte le occasioni.
Quello era l'unica cosa ordinata in modo maniacale: tutti i suoi vestiti, una volta usati, o erano messi a lavare o riposti con cura. Non se ne vedeva mai in giro.
Cercando di fare meno rumore possibile la ragazza si avvicinò al letto di Hillar che dormiva con gli occhi coperti dai capelli a bocca aperta con un filo di bava.
A vederlo così lei si sentì teneramente divertita e stava quasi per tirare fuori il suo fazzoletto dalla tasca per pulirlo quando capì perché odiava svegliarlo: era un gesto troppo intimo e familiare per loro.
"Non mi ricordo di averlo mai fatto con altri e al massimo io sono stata destata dal sonno da mia madre o da qualche ex ragazzo. Insomma, io sono solo in sua custodia e lui è il mio autista alla fine dei conti."
Si morse le labbra: in teoria sarebbe dovuto essere così, in realtà erano diventati amici.
Già si erano piaciuti quando si conoscevano a malapena, ora che dividevano la casa era una chiacchierata continua, una risata dopo l'altra, anche se c'erano dei momento difficili perché non si capivano.
Come quando Temi insisteva per cucinare o per pulire la propria stanza dicendo di essere un'ospite e di non voler usufruire dei domestici  stipendiati da Hillar perché temeva di essere solo di peso.
Lui ormai si era rotto la testa a forza di spiegarle che comunque avrebbero dovuto pulire tutto comunque, ma non gli dispiaceva stazionare in cucina ad aspettare che la cena fosse pronta.
In realtà lei cercava sempre di stare in quella stanza perché nel suo appartamento c'era il posto a malapena per il frigo e il forno e non riusciva a sfogare la sua indole artistica come in quel mostro enorme di acciaio dotato di tutti gli accessori possibili ed immaginabili.
Finalmente si decise a punzecchiargli una spalla con un dito, prima un colpetto unico e timido, poi vari e insistenti: con Hillar ci volevano le maniere forti.
Allora lui si voltò verso di lei mugolando qualcosa e aprì a malapena gli occhi su di lei dicendo piano in mezzo ad uno sbadiglio e l'altro: "Mi piace la tua maglia oggi... Ti sei decisa a farmi fare bella figura o è morto qualcuno?"
Lei strabuzzò gli occhi: com'era possibile che potesse vedere ciò che indossava con pochissima luce che entrava dalla porta e con la vista praticamente oscurata dal sonno?
"Morirai tu se non ti dai una mossa a svegliarti! Guarda che ore sono!"
Si allontanò per aprire la tapparella, mentre l'altro si sfregava gli occhi e gettava uno sguardo sulla sveglia, saltando  subito in piedi per l'agitazione: era davvero parecchio tardi!
"Perché non mi hai detto nulla prima?"
"Perché non la smetti di spegnere la sveglia mentre dormi? A quest'ora saremo già in auto e sei mezzo nudo come sempre! E non provare a metterti quella camicia orribile color pistacchio marcio: è quasi più imbarazzante del tuo coupè!"
Temi uscì dalla stanza per permettergli di cambiarsi e se ne andò verso il garage ad aspettarlo.
Hillar smozzicò qualche imprecazione verso gli dei di Norge e un mezzo insulto per la sua coinquilina mentre si infilava i pantaloni: quando mai quella ne capiva a proposito della moda?
Preparatosi in tempo record, andò a scegliere l'auto.
La cambiavano in modo casuale ogni giorno, nel caso fosse stata manomessa: non si era  mai abbastanza prudenti a scarrozzare in giro un pacco conteso da tutti e Hillar ci teneva ad assolvere bene al suo compito.
"E a non saltare in aria, ovviamente."
Alzarsi così presto dopo aver passato la notte sveglio era un dramma, ma lo sarebbe stato di più se a Temi fosse successo qualcosa.
 
Norge era sempre molto in pena per la sua amica perchè non si fidava del fratello che, oltre ad essere un imprudente, un playboy e un egocentrico, faceva parte della malavita cittadina.
Sospettava che aspettasse solo il momento adatto per bloccate Temi su una sedia in una stanza chiusa a chiave ed interrogarla fino allo sfinimento su cosa le aveva detto Raza.
In realtà era per questo motivo che Busco l'aveva affidata ad Hillar ma confidava che lo facesse in modo più sottile,  avendo circa la stessa età.
Però non  aveva pensato che lui l'avrebbe fatta trasferire a casa sua o che sarebbe uscito allo scoperto.
Tommy credeva che avrebbe intavolato qualche conversazione "casuale" con lei e sarebbe riuscito a sapere se avesse mentito o meno a proposito di Raza, visto che si erano conosciuti alla festa e la sorella di Hillar era una grande amica di quella Temi.
Non era che lui non ci avesse provato, a entrare nell'argomento e a chiedere qualche cosa in più, ma a parte la stessa cosa che ripeteva in continuazione con un tono stufo e monotono non aveva saputo di più, anche se il suo sesto senso gli diceva che ci doveva essere qualcosa in più.
"Era parecchio strana quando parlavano. C'è stato un momento in cui sembrava essere davvero spaventata e lo era anche quando era stata sommersa dalle domande di Saverio. Però dopo ha tirato fuori le unghie ed è riuscita a controbattere con forza. E' stato uno strano cambiamento tutto all'improvviso, come se volesse proteggersi.  Inoltre è particolare a volte: la vedo fissare fuori dalla finestra, frugarsi in continuazione nelle tasche e mettere in ordine le sue carte in modo ossessivo.
Le sfoglia tutti i giorni e le guarda come se volesse trovarci qualcosa.
Forse è solo una psicopatica."
Il tentativo di rincuorarsi non era andato a buon fine per Hillar, mentre passava la sua giornata nel bar di fronte all'ospedale a lavorare e a tenere sotto controllo la zona.
Probabilmente ormai la cameriera credeva che fosse uno scrittore vecchio stampo, mentre in realtà si applicava per ampliare l'azienda famigliare.
Aveva detto a suo padre di odiare la situazione e di non vedere l'ora di liberarsi di lei ma ciò che pensava era molto diverso: adorava poter fare tutto da solo con calma, senza l'ombra opprimente del genitore.
In più Luke lo raggiungeva quand'era in pausa e facevano due chiacchere a proposito dei motori e delle due ragazze.
Non entrava mai nell'edificio, anche perchè non avrebbe potuto controllarla sempre, mentre Norge la poteva incrociare ogni dieci minuti al massimo.
I problemi, se si potevano chiamare così, erano relativi ai colleghi di Temi, che non capivano chi fosse per lei quel ragazzo che la veniva sempre a prendere in auto costose.
Alcuni all'inizio pensavano che fosse un fratello, ma non ne aveva mai parlato e lui assomigliava più all'infermiera, così erano passati a considerarlo il suo ragazzo.
Ma alcune pettegole non riuscivano a credere che lei si fosse riuscita ad accalappiare uno del genere e gliel'avevano pure chiesto.
Lei, lì per lì, non aveva saputo cosa rispondere perch aveva pensato che sarebbe stato davvero strano dire: "No, guarda, è solo un tipo che mi ospita a casa sua per controllarmi meglio per conto della malavita."
L'avrebbero accusata di prenderle in giro, così era arrossita per la vergogna e aveva balbettato: "Mhh, n-n-no, non so, forse, sono occupata, devo andare!"
Era corsa via, cercando di mettere più distanza fra lei e quelle ragazze, e le aveva evitate tutto il giorno.
Loro si erano limitate a fissarsi sbalordite e a dire sbalordite: "E come ha fatto?"
Quando finalmente uscì dall'ospedale per andare nel bar dove Hillar la aspettava, fece un sospiro di sollievo e si avviò contenta.
Ma le venne quasi un colpo quando lo vide chiaccherare amabilmente con sua nonna che la guardava con un sorriso enorme e gli occhi più splendenti di mille stelle e rischiò quasi di morire per combustione spontanea quando il suo coinquilino si voltò a guardarla, le sorrise ed esclamò: "Ecco la mia ragazza, Temi!" baciandole l'angolo della bocca.
 
Qualche ora prima, durante la pausa di Luke, il medico aveva notato una vecchina di sua conoscenza che si era avvicinata ai due ragazzi, intavolando discorso con loro.
Come tutti gli altri, anche Hillar era rimasto affascinato da Gytha e continuò a parlare con lei anche quando Asi se ne andò, ridacchiando e scuotendo la testa. "Ti lascio con la tua nuova conquista!" gli aveva sussurrato, prima di scomparire.
Fu tutto molto insolito quando lei, dopo aver appurato in modo molto sottile che lavoro facesse, gli propose di incontrare sua nipote Temi, che era una specializzanda dell'ospedale di fronte.
Hillar quasi boccheggiò: quel nome era parecchio insolito e non credeva che ci fosse un'omonima con lo stesso lavoro della sua coinquilina.
Fu così che goffamente ammise di abitare con lei, per sottrarsi a quel imbarazzante incontro a cui sarebbe stato costretto altrimenti.
"Ma guardi che la conosco già, condividiamo la casa!"
Gli occhi di Gytha si assottigliarono: che intendeva dire quel ragazzo?
Sua nipote non poteva essere andata a convivere con qualcuno senza dire nulla.
"Da quanto?"
Lui aveva deglutito sonoramente per il terrore e la sensazione di sentirsi in trappola, così cercò di inventarsi qualcosa.
"D-d-da qualche giorno... Si è rotto un tubo e casa sua è mezza allagata..."
La fronte di Gytha si rilassò e sorrise benevola al ragazzo.
"Oh, che pensiero gentile... E da quanto state insieme?"
Di fronte all'improvviso cambiamento Hillar decise che la famiglia di Temi avesse qualche tara genetica e un brivido gli percorse la schiena.
Stava quasi per dire che erano solo amici, ma poi riflettè: chi non avrebbe trovato sospetto che Temi si rifugiasse in casa di uno che conosceva da poco invece che dalla sua famiglia o dalle sue amiche.
Così mentì, cercando di sembrare sicuro di sè.
"Circa due settimane, più o meno. Ma sono innamoratissimo di lei e non è per nulla un dispiacere dividere la mia abitazione con lei. Anzi..." Le fece l'occhiolino, complice. "Spero che ci resti a tempo indeterminato con un bel anello all'anulare!"
La vecchietta scoppiava di felicità e non riuscì a trattenere una risatina, palesemente stupita della fortuna di sua nipote: un ragazzo del genere e con la testa a posto era proprio introvabile!
Quando glielo disse, Hillar cercò di non scoppiarle a ridere in faccia pensando alle espressioni che avrebbero fatto suo padre o Norge sentendo quell'affermazione.
Per questo motivo appena aveva visto Temi aveva cercato di comportarsi come un fidanzato modello e mentre l'abbracciava le aveva chiesto di tenerle il gioco.
Lei rimase shockata per tutta la conversazione rimanente, dando come contributo alla conversazione solo dei cenni con la testa, mentre nella sua mente passavano tutte le conseguenza che avrebbe dovuto affrontare d'ora in poi: cene, visite, chiaccherate con sua madre a proposito di figli e matrimoni, i complimenti di tutti, le battutine insopportabili...
"Un incubo, insomma."
 
Tommy Busco aveva notato che Saverio era più irritabile del solito e sembrava quasi sparire a volte.
Quando dovevano parlare di Temi o di Raza semplicemente era introvabile e non poteva nemmeno dargli una lavata di capo, visto che di solito affermava di essere andato a risolvere i problemi della sua azienda.
Cosa che effettivamente faceva.
"Ultimamente ci sono sempre più questioni di cui occuparsi, alleati che si nascondono o che pretendono più sicurezza, in più il Principe, com'è chiamato ora, è sempre più difficile da agguantare. Sembra quasi un fantasma. Non lascia impronte perchè indossa sempre dei guanti, il suo spazzolino è pieno di schifezze provenienti da altre persone facilmente individuabili e non c'è nemmeno un atomo che possa appartenergli. E' completamente rasato, quindi niente capelli. Beve solo dalla sua fiaschetta che porta sempre con sè e lava lui stesso i piatti e le forchette con i quali mangia. In più il suo nome è palesemente falso e non esisteva fino a tre anni fa, cioè quando l'ho conosciuto. Non esiste quell'uomo. Semplicemente è un'illusione, quella che mi sta mandando in rovina. Che mette in dubbio il mio potere. Che mi fa temere per la mia incolumità e per il mio futuro in una sola volta. Forse la malavita sta morendo?"
Busco scosse la testa: cosa andava a pensare? Da quando era così disperato?
"No. E' impossibile: potrebbe rinsecchirsi fino a scomparire quasi,ma risorgerebbe con un altro nome. Certe cose non moriranno mai."
Tutta questa riflessione l'aveva messo di cattivo umore, così chiamò con decisione il suo fido braccio destro: voleva risolvere quelle questioni una volta per tutte e non ammetteva sparizioni, questa volta.
"Di fantasmi ne ho anche troppi." Rabbrividì, mentre un sospiro di vento gli accarezzava seducente il collo.
 
Dopo che trascorsero tutto il tragitto a discutere sulla questione,Temi si trovò d'accordo con Hillar: tutti avrebbero trovato strano che due estranei convivessero e che uno dei due accompagnasse sempre l'altro al lavoro, ma non lo sarebbe stato se quei due si fossero dichiarati innamorati.
Perciò conveniva a entrambi, avendo parenti troppo disposti ad accoppiarli con qualsiasi essere vivente sulla terra.
In più finalmente Hillar si sarebbe liberato di tutte quelle fastidiose ex ragazze che continuavano a tormentarlo, continuando però a vederne altre senza che potessero avanzare delle pretese, perchè lui sarebbe stato impegnato con un'altra, e tutti avrebbero pensato che avesse messo la testa a posto, per una volta per tutte, accanto a una persona deliziosa e seria come Temi.
 Il problema era Norge: era estremamente protettiva con la specializzanda, soprattutto ora, e avrebbe creduto che il fratello cercasse solo di illuderla e farle del male.
 Lui era seriamente tentato di nasconderglielo, ma il bello della sua finta ragazza era che era un pelo più furba di lui.
"Ma se facciamo come dici tu, alla fine lo scoprirà e ti staccherà la testa a morsi."
L'osservazione era così giusta che Hillar impallidì e riuscì a rispondere con un cenno, troppo turbato dalla visione che lei gli aveva proposto.
Perchè sapeva che l'avrebbe fatto.
"Glielo diciamo subito, specificando che non c'è nessun legame, che se tu vorrai uscire con altre sei liberissimo di farlo e lo stesso per me. E' solo una farsa per rendere credibile tutta la strana faccenda. Vedrai che capirà."
Gli sorrise incoraggiante.
"Ma quando mai potrò uscire con una ragazza, se devo starle attaccata? Forse, se la portassi ad una festa, riuscirei a concludere qualcosa, anche se non mi convince come idea. Alle ragazze piace essere le uniche e se vedono che con lei sembro mamma oca non mi degneranno di uno sguardo. E se fosse solo un modo per distrarmi e incontrare Raza? Devo stare più attento a questi innocenti proposte."
Senza fiatare uscirono dalla macchina e, una volta pronti per la cena, telefonarono a Norge.
Il risultato iniziale non era come aveva previsto Temi, troppo ottimista come il solito, e Hillar si ritrovò a sentire tutte le ingiurie che da anni la sorella gli aveva riservato per un'occasione del genere.
"Ma che cosa fai? Lo so che sei sempre stato invidioso di me, è inutile! Vuoi rubarmi addirittura le amiche, complimenti! Non avevo detto che me ne dovevi già una?!"
Lui era stufo di quella giornata, di quegli insulti, di sua sorella, di tutte le complicazioni che uscivano fuori in continuazione.
Non voleva darne la colpa completamente a Temi, ma se non ci fosse stata lei questa situazione non si sarebbe mai presentata.
Era stanco e quando lo era dimostrava un lato che di solito non mostrava, quello che avrebbe potuto renderlo un capo malavitoso perfetto. Busco avrebbe apprezzato molto la risposta che diede a Norge, con voce gelida e piena di scherno, con una vena di rabbia repressa.
La ragazza lo guardò tremante e preoccupata: dal colore strani della faccia del coinquilino e dalle sue espressioni aveva intuito che Norge lo stesse strapazzando molto e le dispiaceva di averlo ficcato in questo guaio.
"Allora te ne dovrò due, no? Smettila di starnazzare in questo modo, non è colpa mia se tu sei ossessiva. Temi è d'accordo, io pure, dobbiamo avere il tuo benestare? Di certo no, nemmeno se fossi la donna più potente della terra! E vedi di trovarti qualcuno o darti al faidate: sei semplicemente isterica!"
Le sbattè in faccia il telefono.
Lei rimase di sasso per qualche secondo, mentre ripeteva tra sè cosa le aveva detto Hillar e arrossì di botto prima che un'ira portentosa la invadesse: oh sì se suo fratello gliel'avrebbe pagata!
Intanto, in cucina Temi lo fissava sconvolta, poi scoppiò a ridere istericamente, intimamente contenta della vittoria.
"Lei hai detto, le hai detto che... che... si deve dare al faidate... sul serio?!?"
Stava lacrimando, tanto trovava divertente la cosa.
Lui la guardò un po' imbarazzato per aver realizzato la cosa poi sorrise orgoglioso: aveva finalmente sconfitto la sorella!
Seguì ben presto la specializzanda nel vortice delle risate, pensando a che faccia avesse fatto Norge a quelle parole, lei che era così pudica su certe questioni!
 
Saverio girava spesso per quella zona della città e non poteva dire di farlo casualmente.
C'era Françoise e questo bastava per farla diventare la meta ideale delle sue passeggiate.
Non sapeva bene cosa sentisse al riguardo per colpa degli ultimi sviluppi: sapere che lei in qualche modo, grazie a Temi, quella stupida odiosa, fosse coinvolta nella malavita in modo diverso da quello che pensava, lo disturbava.
Aveva sempre pensato a lei come ad un'anima pura, amabile, che avrebbe potuto servire con devozione come un poeta dello Stil Novo, e ora l'aveva stordito il fatto che avrebbe potuto avere contatti con il diavolo in persona.
Per questa bellissima similitudine dovette ringraziare ringhiando il maledetto Hillar, che una volta aveva insinuato malefico in presenza di molta gente e parecchie ragazze che lui non sapesse nulla di letteratura, trattandolo come un bifolco, e, per smentirlo, aveva passato una settimana a studiare tutte le correnti di quella materia.
Non riusciva a capire come aveva fatto a crederla così lontana da questo genere di cose; in fondo tutti nella città erano legati alla malavita e lei lavorava per il conto dei Busco, quindi non era proprio un'estranea a certe cose.
Comunque non sapeva come comportarsi e sapeva di non aver fatto una buona impressione a Françoise l'ultima volta che l'aveva incontrata.
"Sarò stato troppo rude ma è così che faccio il mio lavoro e non era una visita di piacere. Non potevo fare sconti perchè lei è così... particolare. Dovevo sapere di più su Temi e mi infastidisce il fatto che siamo amiche: cosa ci trovano in lei? E' così ambigua: prima tutta gelida e chiusa, poi focosa e impulsiva, pronta a difendersi con tutte le sue forze. Non mi piace. E ancora meno che sia stata affidata a quell'idiota: non caverà un ragno dal buco. Certi lavori non dovrebbero lasciarglieli fare."
Scosse la testa, maligno. Odiava quel ragazzo, come tutta la famiglia di Norge.
Continuò a pensare a come fare per riavvicinarla e non si accorse quasi di essere quasi inciampato su Françoise, chinatasi a raccogliere un foglio sul marciapiede.
Per fortuna riuscì ad evitarla e la salutò cortesemente, senza però spostarsi.
Era imbarazzato e desiderava andarsene ma al contempo ambiva a godersi più a lungo possibile la sua compagnia.
Lei lo osservò un po' stranita, chiedendosi cosa si aspettasse, poi gli chiese, per fare conversazione, se fosse arrivato lì per caso o avesse bisogno di una mano con il computer.
Lui si guardò in giro spaesato e si accorse di essere praticamente di fronte all'ufficio di Françoise.
Arrossì di colpo, era davvero strano, e fece qualcosa che stupì entrambi.
Si scusò.
"Sono venuto per scusarmi con lei per il mio comportamento di qualche giorno fa. Potrei essere sembrato molto irrispettoso e ficcanaso, ma glielo giuro, sono solo preoccupato per lei e la sua amica. Potreste avere delle ripercussioni per una stupida chiaccherata e sono stato ingaggiato per tenere sotto controllo la situazione."
Imbarazzato per quelle parole che gli erano uscite dalla bocca senza il suo permesso, si guardò le scarpe per molto tempo, incapace di alzare lo sguardo o di muoversi.
Si sentiva un dannato ragazzino che si era appena dichiarato alla più bella della scuola. Doveva smetterla di comportarsi in questo modo indegno.
Françoise era sbalordita: un uomo del genere che si scusava? Doveva aver ucciso il suo orgoglio a mazzate.
Le piaceva il fatto che lui avesse cercato di essere empatico con lei e che fosse preoccupato.
Gongolò interiormente: non l'era affatto sfuggito che aveva ammesso la sua preoccupazione prima per lei, poi per la causa di tutti i guai, alias Temi.
Era però in ansia per lei, sapendo cosa poteva intendere la malavita dicendo di mettere "al sicuro" qualcuno.
"Apprezzo moltissimo cosa ha fatto e sono sicura che è stato un compito gravoso. Ora so che lei è dalla mia parte. Ma... La mia amica? E' al sicuro, vero? Non le succederà nulla?"
L'immagine della ragazza, così in pena per quello scoiattolino rabbioso, lo colpì e si costrinse a rassicurarla con le migliori parole, anche se non era convinto che Temi fosse in salvo, affidata a quel pazzo scatenato di Hillar.
"Certo che lo è, si tranquillizzi. Pensi che lavora sempre all'ospedale e continua la sua vita di sempre, allegra come non mai. E' controllata, certo, ma nessuno lede la sua libertà o cerca di farle del male."
Questo discorso tolse un peso dal cuore a Françoise, che si era pentita fino ad allora della sua vigliaccheria, e si consolò pensando che, anche se non faceva nulla per aiutare qualcuno, non voleva dire che non sarebbe stato aiutato dalle circostanze.
Sollevò lo sguardo pieno di ringraziamento e fiducia su Saverio e gli sorrise in modo così grazioso che lui non poté continuare la sua crociata contro la sua dignità e il rispetto di sé.
"Senta, se non ha impegni..."
"Sì?" Lei si sentiva come se stesse per ricevere il vestito e le scarpette per andare al ballo dalla madrina fatata di turno, piena di aspettativa e meraviglia.
"Vorrebbe cenare con me? In modo che l'incidente sia chiuso definitivamente."
Lui annuì un paio di volte: era di certo per quello che la stava invitando a cena, era solo educazione!
"Certo, mi andrebbe proprio. Ma che ne dice se la smettiamo con il lei? Già al barbecue è stato davvero pesante e non mi va di usarlo con qualcuno che spero di conoscere più in profondità. Andiamo?"
Françoise poteva essere una vigliacca, una sognatrice e un'ingenua ma sapeva ancora flirtare e ammaliare il prossimo come la migliore delle incantatrici.
 
Intanto, a casa di Hillar, si svolgeva un'altra lite, perchè lui amava che delle urla femminili ostili gli straziassero le orecchi, come no.
"Che ho fatto per meritarmi questo? Ok, forse ho qualcosina in mente, ma no. Due liti in un giorno solo con delle ragazze che sono più arpie che altro non riesco a sopportarle. Voglio andarmene dove nessuno mi conosce."
"La Siberia è un posto molto abitato?"
Temi guardò stranita quell'idiota del suo coinquilino, che non si era accorto di averlo detto a voce alta.
Che ne sapeva lei della Siberia e cosa c'entrava con la festa a cui voleva constringerla a partecipare indossando anche forse un abito indegno?
"Non lo so e non mi interessa. Stai concentrato.
Non posso andare.
 Non mi va di uscire, anche se il giorno dopo non lavoro.
Ci saranno delle persone troppo diverse da me, tutti brillantini e champagne.
Non sono così."
Lo guardava un po' triste e molto ferma sulle sue posizioni, così qualcosa iniziò a lavorare nella mente di Hillar.
"Perchè non ti senti all'altezza?"
La calma che si era impadronita di Temi scomparve: come osava quello dire che non era abbastanza?
"Non è affatto vero! So di essere pari a chiunque, se non addirittura superiore a certa gentaglia!"
Gli scoccò un'occhiata di fuoco che lui ignorò intenerito.
"Allora vieni. Tanto lo sai che dobbiamo stare attaccati e, visto che sono sempre a tua disposizione, e lo sai che è vero, potresti almeno farmi questo piacere e accompagnarmi. Non dovrai nemmeno fingere di essere la mia ragazza, è solo gente del bel mondo che non sa nemmeno di esser viva e non gliene frega nulla se stiamo insieme o altro, e ti divertirai, te lo prometto. In più è una specie di regalo per il nostro "fidanzamento" e dobbiamo festeggiare questa geniale trovata." Le fece l'occhiolino incoraggiante.
Lei lo guardava dubbiosa ma si sentiva in debito e si convinse ad accettare; in fondo lui aveva ragione e lei si era comportata in modo eccessivo.
Tutta colpa di Raza, come al solito.
"Ok. Ma il vestito lo scelgo io." Non poteva mica dargli carta bianca per tutto, no?
Hillar rabbrividì prima di negare.
"Non ci provare: questa è casa mia, queste sono le mie regole. Se no puoi andartene."
Doveva avere il polso fermo, altrimenti quella si sarebbe presentata vestita da mascotte, poco ma sicuro.
Ma Temi non cedette: sapeva che l'altro stava bluffando.
Non avrebbe potuto lasciarla andare, in fondo era il suo compito controllarla.
"Perfetto. Dico addio a te e alle tue orribili auto. Statemi bene."
Sapeva di essere plateale mentre si avviava dritta come un fuso verso camera sua pronta a fare in bagagli.
Quando lui vide che faceva sul serio, la rincorse e con il fiatone la pregò di aspettarlo.
"Ehi, fermati... Uffa se sei noiosa. Possiamo accordarci, però." Lei gli sorrise smagliante e lui capì di essere stato palesemente ingannato: odiava dargliela vinta, ma era lei che teneva il coltello dalla parte del manico, al momento.






Angolo dell'autrice che si sta già lamentando per la scuola:
Ciao a tutti!
In questo capitolo c'è un bel po' di cagnara per questa nuova fantomatica e fiammeggiante coppia!
Voi che ne dite?
Io li vedo bene insieme ma ci sono in mezzo Norge, Raza, la famiglia Sisu, la malavita in generale e di certo anche gli stessi Hillar e Temi, quindi chissà!;D
Saverio è tremendo, non riuscirò mai a gestirlo in maniera decente e il prossimo capitolo sarà anche peggio!
Però è così carinio quando è con Françoise, ci fa dimenticare addirittura di essere il braccio destro di Busco. Eh, l'amour!:)
Di curiosità non ce ne sono molte, solo un riferimento che di sicuro avrete notato: il Principe, soprannome di Raza, è il titolo di un libro di Machiavelli, che conoscete tutti.
Come al solito ringrazio coloro che leggono e seguono questa storia, in particolare l'adorabile Acquamarine_ che lavora anche troppo per me!:D
Adieu!:)
Vex

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Capitolo 18
*** Amami anche se io non... ***


Angolo dell'autrice che per una volta dice qualcosa di importante:
Ciao a tutti!
E' importante che leggiate questo prima di tutto il resto.
Questo capitolo presenta un lieve accenno di omosessualità, ma non è nulla di che.
Però io lo dico lo stesso, nel caso qualcuno si venga a lamentare perchè ho offeso la sua sensibilità eccetera.
A me non ha mai dato problemi e spero che non ne dia nemmeno a voi, però ho pensato che fosse meglio mettere le cose in chiaro da subito.
Finita questa parte, una sola domanda, prima dei ringraziamenti e cose varie: come interpretate il sogno di Saverio?
Ok, l'unica "curiosità"sono il drink che è fatto di liquore alla menta e Jack Daniels's.
Spero che continuate a seguire la mia storia e, perchè no, a recensirla.:D
Ringrazio i miei lettori e Acquamarine_ per il suo fantastico lavoro!


Amami, anche se io non ti amo. | Amami, anche se non merito l'amore. | Amami, anche se io non so amare | e amami anche se non esiste l'amore. (La nave dei folli)



La musica le scorreva nelle arterie come il sangue, il ritmo aveva preso il posto del suo battito e le luci lampeggianti le mostravano solo quello che era degno di essere visto, in realtà davvero poco, poiché era tutto sudore, movimenti scomposti e pelle malamente coperta da indecenti indumenti colorati.
Lei si fermò un attimo in mezzo alla pista, respirando con la bocca per il gran caldo e dando un' occhiata veloce al complesso, e per l'ennesima volta si chiese perché fosse andata lì.
Masticò infastidita qualche parola, come "Hillar", "amici" e "calmarsi".
Non si preoccupò di essere sentita ed etichettata come pazza: il frastuono copriva tutto e molti erano già ubriachi, quindi il suo comportamento sarebbe stato visto con un po' di divertimento e basta.
Si diresse verso il bar, decisa a bere qualcosa per sentirsi ancora di più parte di quella massa ondeggiante senza cervello, senza inibizioni e senza passato.
Voleva omologarsi una volta tanto, sapere di non essere giudicata, di essere uguale, di non dover combattere, di non dover scegliere.
Solo una totale mancanza di coscienza di sé. Sorrise amaramente.
Era venuta lì per quello, no?
Distrarsi.
Assaporò la parola sulla lingua: era seducente e insinuava il pensiero di follie che si sarebbero ben presto dimenticate.
E in quel momento riuscì a farcela, a diventare quella che era e aveva sepolto secoli fa. Almeno così le era sembrato, mentre ora era così facile.
Era tutta una questione di testa e di atmosfera. Doveva smettere di combattere, per una notte.
Basta essere la solita preoccupata e ragionevole, largo a quella senza problemi e pronta a divertirsi.
Le scarpe dai tacchi chilometrici che era stata costretta a portare la ostacolarono un po' mentre camminava e le sfiorò il pensiero che ben presto lo avrebbero fatto molto di più, ma fu solo un battito di ciglia.
Non le interessava perché togliersele sarebbe stata forse l'ennesima follia che avrebbe potuto compiere quella sera.
Arrivata finalmente al bancone illuminato da neon azzurrini si specchiò nelle bottiglie costose in bella mostra, cercando di vedere se il trucco le stesse colando. Fortunatamente quello non si era spalmato su tutta la faccia, ma con disappunto notò di essere parecchio pallida e fece una piccola smorfia, placandosi poi con il pensiero che fosse tutta colpa di quell'illuminazione artificiale così orribile.
Da quanto tempo non si preoccupava di queste cose?
Sorrise seducente al barman, un giovanotto aitante dai corti capelli castani e con una maglietta che metteva in risalto la sua massa muscolare.
Lui la guardò di sottecchi e la servì immediatamente, nonostante la calca che cercava di assediare quel piccolo spazio.
Lei cercò di non esultare troppo mentalmente; in fondo era abituata a questi favoritismi, li aveva accantonati solo per un periodo e non avrebbe fatto fatica a giudicarli come sempre dovuti.
Sbatté le palpebre mentre sussurrava, o meglio, ficcava la lingua, direttamente nell'orecchio dell'altro: "Un Jack e Menta, per favore."
Quando finalmente le arrivò il bicchiere, dopo aver seguito con gli occhi tutte le mosse del ragazzo minuziosamente, sospirò appena soddisfatta e lo avvicinò alla tempia solo un attimo, per contrastare quel calore assurdo che invadeva quel posto.
La pelle le brillava appena per il sudore e le luci colorate davano nuovi riflessi ai suoi capelli.
Poi lo svuotò tutto d'un fiato, leccandosi le labbra soddisfatta, compiacendosi delle occhiate sbalordite di tutti quelli che la stavano osservando.
Sorrise maliziosa, forse un po' beota.
"Ora il mio alito sa di fresco. Potrei fare la pubblicità per una gomma da masticare, tanto so di buono."
Posò il bicchiere e ancheggiando si allontanò, compiaciuta di sé, della sua attrattiva.
Poi accadde che qualcuno inciampò e versò il suo cocktail sul suo vestitino nero, scusandosi in seguito mentre ridacchiava ubriaco o strafatto.
Norge, che non era mai stata brilla, smaltì all'istante tutto l'alcol che aveva in corpo e si infuriò contro se stessa, le circostanze e la sua famiglia.
"Perché sono venuta qui? Sul serio, stavolta voglio una ragione plausibile per avere un ombelico al gusto di frutta esotica.
Non posso ingannarmi ancora, non posso fingere di avere quindici anni e di volermi divertire con i miei amici in mezzo a gente che trovo compatibile con il mio stile di vita.
Non è più così, non ho più quella leggerezza o stoltezza, non sono egocentrica e menefreghista a tal punto.
Sono diversa io, sono un'infermiera, non la reginetta della futura malavita.
Non ho motivo per stare qui, tranne un'improvvisa nostalgia dei vecchi tempi, il tentativo di dimostrare a mio fratello di sapermi divertire e il voler dimenticarmi di tutto: non appartengo a questo posto, come in realtà non appartengo alla mia vita attuale e questo mi confonde.
Credevo di sapere come comportarmi, invece con tutta la situazione attuale non capisco nulla.
E una serata in discoteca offerta dai miei vecchi amici contornata con un possibile coma etilico non mi aiuterà affatto."
Strizzandosi un poco il vestito, andò a recuperare i suoi effetti personali e uscì dal quel posto.
L'aria gelida della notte la rinfrescò, come una consolazione, mentre camminava tra una maledizione e l'altra alla ricerca di un taxi.

Saverio si stava decisamente godendo la serata e la compagnia: Françoise era così intelligente ed appassionata nel parlare che adorava ascoltarla.
Aveva un modo di discutere sulle cose che gli piaceva molto: difendeva le sue posizioni, ma non in modo cieco e irrazionale, non lasciando spazio alle idee dell'altro e ad un possibile incontro.
Molto diversa dai malavitosi da cui era circondato; ricordava ancora con un po' di ribrezzo quando, ad una riunione parecchio agitata, un capo aveva esclamato di essere l'unica persona decente in mezzo a un branco di insipidi idioti che non avrebbero saputo dove fosse la furbizia pur avendola fra le gambe. Era stato davvero molto imbarazzante, soprattutto per la rissa che era seguita.
O da lei.
Rivederla dopo tutto questo tempo gli aveva fatto una strana impressione, come sempre.
La odiava, ma allo stesso tempo ne era attratto alla follia.
Sapeva che era solo chimica, non c'era mai stato un sentimento piacevole tra loro e non ci sarebbe mai stato.
Per questo erano stati uno lo sfogo dell'altra, quando Norge aveva sui quindici-sedici anni e lui una ventina.
Si insultavano, litigavano e improvvisamente si trovavano mezzi svestiti attaccati a un muro, se non c'era un'altra superficie disponibile.
Niente coccole, chiacchierate post sesso o baci al di fuori degli amplessi.
Non aveva mai capito quando era cominciato tutto quanto, forse nello stesso istante in cui se l'era trovata davanti seduta sulla sedia di Busco, mentre lo aspettava perché voleva parlargli.
Forse dovevano discutere una sua promozione, anche se era ancora molto lontano da essere il suo braccio destro.
Sorpreso che una ragazzina avesse potuto entrare nel palazzo senza che le guardie la bloccassero e spaventato per questa gravissima falla nella sicurezza, l'aveva raggiunta e le aveva intimato di andarsene.
Lei lo aveva guardato con aria di sufficienza e non gli aveva risposto, ostentando un'aria parecchio snob.
Molto infastidito aveva ripetuto la richiesta, chiedendosi cosa avrebbe detto Busco se fosse entrato in quel momento e avesse visto l'intrusa.
"Perché dovrei andarmene, cosa mi fai se non obbedisco?"
Lo stava provocando di proposito, lo si vedeva dalla luce sconsiderata che le brillava negli occhi e dal sorriso appena accennato.
Lui sapeva di dover stare calmo ma non riusciva a sopportarla, sentendosi anche un po' ridicolo per non riuscire a far valere la sua autorità su una ragazzina.
"Vattene subito, altrimenti ti porto di peso fuori tendendoti per i pantaloni."
La minaccia non era molto realistica, in fondo lei non era propria una bambina di cinque anni e farsi qualche piano di scale con lei urlante, perché di sicuro lo avrebbe fatto, non sarebbe stata una passeggiata.
"Provaci."
La voce stavolta era senza inflessione e la sua espressione era concentrata, lui non sapeva se era un invito o altro.
Ma voleva darle una lezione, solo spaventarla , nulla di che, soprattutto perché aveva messo i piedi sulla scrivania di Busco e lui non poteva sopportarlo: come osava mancare di rispetto a un grande uomo come lui?
Si avventò contro di lei di lato, ma venne colpito sugli zigomi da tutti i suppellettili inutili che addobbavano il tavolo mossi dalle gambe della ragazzina che stava ghignando apertamente.
Non gli aveva fatto molto male, ma lo aveva sorpreso e l'attimo in cui lui si riprendeva lei lo usò per scendere dalla poltrona e mettersi in posizione di combattimento.
Tra un tentato strangolamento, una gomitata e qualche pugno, Busco aveva aperto la porta e aveva trovato Sal che bloccava con forza il braccio dell'altra dietro la schiena mentre lei stava per farlo cadere grazie a una gamba posizionata dietro quella del ragazzo, pronta a staccarla da terra, togliendogli così all'improvviso un sostegno.
La lotta fu interrotta dalla voce divertita di Busco: "Norge! La mia ragazza preferita! Perché non mi hai avvertito di essere già qui? Ti aspettavo, ma credevo saresti arrivata più tardi."
Lei si illuminò tutta quando si accorse di chi fosse entrato e, grazie un po' alla sua esperienza e al fatto che Saverio fosse distratto, si liberò dalla presa e corse ad abbracciare l'uomo: "Zio Tommy!".
Il futuro braccio destro era un po' stupito di questo improvviso cambiamento e stava cercando di capire qualcosa: due secondi prima stava lottando con una ragazzina che ora era la nipote del suo capo?
Per fortuna quest'ultimo dissipò i suoi dubbi.
"Norge, questo con cui ti stavi azzuffando fino a qualche tempo fa è Saverio. E' una persona molto interessante, farà carriera in fretta."
Dall'occhiata che lei gli aveva rivolto non sembrava affatto convinta.
"E questa è la figlia di uno dei miei soci più affidabile. E' un peperino e sarà un ottimo braccio destro, una volta cresciuta."
Tommy sorrise in modo pacioso e fece una specie di ramanzina alla ragazzina, vietandole giocosamente di lottare contro i suoi dipendenti.
"Altrimenti rimango senza." Lo udì sussurrare.
Saverio si irrigidì: odiava ammetterlo, ma quella gli aveva dato del filo da torcere.
"Non sarà molto forte, ma è agile e veloce. Cosa significa che diventerà il secondo di Busco?!"
Quella frase gli aveva lasciato l'amaro in bocca e aveva deciso che le avrebbe messo i bastoni nelle ruote.
Era arrivato fin lì per il potere e non sarebbe stato sorpassato da una che andava ancora a scuola senza lottare nel modo più duro e sporco possibile.
Cosa che avrebbe scoperto decisamente inutile perché, pur facendo dei gran avanzamenti di carriera, non sarebbe mai arrivato a quella posizione se Norge non avesse voluto staccarsi dalla malavita: Tommy non scherzava quando diceva di averglielo riservato.
I due non si erano trovato simpatici e non si sa come riuscivano sempre a trovarsi in posti insoliti per litigare, all'inizio era solo quello.
Con il fatto che poi lui si era fatto amico qualcuno della compagnia della ragazzina si vedevano spessissimo e c'era sempre un clima di aperta ostilità, tanto che ormai i loro amici, appena i due incrociavano lo sguardo, sospiravano, rassegnati a un'altra sfuriata terribile.
Poi una volta era successo che durante una lite, mentre erano soli, per tapparle la bocca una volta per tutte, l'aveva baciata con rabbia e le gli aveva risposto con pari forza, per poi separarsi e correre a casa, perché era in ritardo.
Non era scappata per l'emozione o per la sensazione di stare facendo qualcosa di sbagliato. Lei sapeva di non provare nulla per lui e non vedeva cosa ci fosse di male: aveva solo sedici anni e voleva sperimentare, sbagliando anche.
Lui non la vedeva diversa, forse meglio, senza però era: era di una bellezza particolare già allora, bellicosa e velenosa, pronta a servirsene per ferire. I suoi occhi non erano mai oscurati da qualcosa che fosse diverso dal disprezzo che aveva per lui, anche in mezzo al piacere.
Non era mai morbida, ma tesa e dura, sembrava sempre pronta a staccargli la testa se non l'avesse soddisfatta o se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Si sentiva sotto esame in continuazione, era lei che aveva il potere, anche se odiava ammetterlo e provava a contrastarla.
Non era una ragazzina come tutte le altre, il titolo di reginetta della futura malavita non le era stato attribuito per caso o per scherzo. Avrebbero potuto imparare molto, l'uno dall'altro.
Quando avevano rotto quel rapporto che non era tale, nessuno ne aveva sofferto, si odiavano sempre nella stessa maniera di quando si erano incontrati: erano cresciuti entrambi e, pur non pentendosi, non riuscivano più a condividere nulla, nemmeno quel "gioco" da giovani tigri.
Nonostante non ci fosse nulla fra loro, Saverio sentiva sempre un'attrazione per lei incolmabile, era l'unica in fondo che gli avesse tenuto testa innumerevoli volte, battendolo spesso.
Questo si era trasferito su Hillar, quando lo aveva visto per la prima volta dopo molto da quello che era successo con sua sorella.
Non lo aveva mai incrociato prima, avendo quello studiato all'estero spesso e volentieri e frequentato numerosissime compagnie, a differenza di Norge, fissa sempre con la solita, e quando notò che i fratelli si assomigliavano in una maniera impressionante, quasi gli caddero gli occhi per l'emozione.
Non aveva mai pensato di provare qualcosa del genere, ma il volto così desideroso di piacergli, la sua timidezza così candida e la sua dolcezza che traspariva dalla superficie con la forza di volontà e l'astuzia gli avevano dato la speranza di aver trovato qualcuno simile a Norge che però avrebbe potuto amare.
"Sarebbe più facile farlo."
Questo pensiero lo aveva lasciato spiazzato e aveva cercato di non guardarlo per tutta la sera, pur sapendo di essere al centro della curiosità di Hillar.
Era forse più bello di Norge, con quei capelli biondi perfettamente scomposti dalla mani di un abile parrucchiere, gli occhi così schivi e magnetici, che continuavano a sbirciarlo per poi fuggire lontano per l'imbarazzo, di un azzurro così incantevole da desiderare di rinchiuderlo in una stanza solo per essere l'unico privilegiato a vederlo, di sicuro più adorabile e gentile.
Aveva anche lui i suoi difetti, un sopracciglio più alto dell'altro che gli donava un'espressione perennemente sarcastica e l'apparire piuttosto goffo nei suoi vestiti, che sembravano appartenere ad un altro.
Ma non gli interessava, era affascinato anche da quelli e non riusciva a capire di poter provare queste sensazioni. L'unica cosa certa è che lo trovava bello. Solo questo. Una parola che solo i bambini usano ormai.
Bello. Non figo, affascinante, stupendo. Qualcosa di assolutamente innocente, di quasi magico nella sua unicità.
Era quasi impazzito quando gli aveva offerto una sigaretta e gli aveva chiesto qualcosa sulla sua azienda, non ricordava, non lo aveva ascoltato, desideroso e terrorizzato insieme.
"Ma di cosa?" Questa domanda pigolava sempre più lontana nella sua testa, assediata da ciò che provava.
Era così vicino che aveva potuto sentire addirittura il suo profumo, un misto di paglia e melone, che gli catturò l'olfatto, prima timido, poi spregiudicato .
Era davvero troppo, non poteva seguire il suo naso, non avrebbe mai permesso di mettersi così in ridicolo, e tutta la stanza gli era sembrata troppo stretta e soffocante. Riusciva chiaramente a vedere le spire del profumo di Hillar vorticargli intorno, stringendolo sempre più stretto e tentando di sottometterlo con deliziose promesse di cose sconosciute.
Lui aveva quasi detto sì, completamente inerme di fronte a quel profilo così bello e al sentimento che pareva suscitare dentro di lui. Era completamente impreparato a questo tipo di invasione: Norge era più tipo da sfondamento e il bello era che il fratello sembrava non accorgersi di nulla, così speranzoso con una sigaretta in mano già accesa e il pacchetto pieno nell'altra.
"Cosa vuole da me questo?" La domanda era nata così spontanea da fargli paura, ma la sua natura sospettosa stava venendo alla luce e questa situazione gli sembrava senza via di uscita, oltre che nuova. Non aveva un piano prestabilito e questo lo spaventava.
Tentando di calmarsi, dovevano aver messo qualcosa nel cibo, ne era certo, aveva rifiutato l'offerta e ne aveva presa una dal taschino, poiché nell'altra poteva esserci qualcosa di strano e non voleva rischiare.
O forse non voleva correre il pericolo di uno sfioramento casuale.
Quella famiglia gli faceva uno strano effetto, lo intossicava.
Ma doveva smettere di pensare in modo così strano e rispondere qualcosa di sensato, cancellando tutte le emozioni che stava provando.
Non voleva desiderarlo, anche solo per conoscerlo meglio, non voleva avere nessun rapporto con lui.
In realtà aveva una paura folla: Hillar, più della sorella, lo aveva quasi stregato e non poteva permetterselo.
La sua integrità stava andando a pezzi, non riusciva a controllarsi.
Aveva risposto qualcosa di sgarbato, cercando di non incrociare il suo sguardo, altrimenti sarebbe stata la fine: si sarebbe perso in quel mare immenso.
Quando l'altro si era allontanato ferito, lui aveva avuto l'impulso di avvicinarlo un'altra volta per svelare la sua menzogna e il suo tormento interiore, ma si era fermato, schifato di sé: era così debole?
Non era il problema di provare qualcosa per un altro uomo, praticamente a Egris si diceva che non potevi essere pienamente risvegliato sessualmente se non avevi mai sentito qualcosa del genere per il tuo stesso sesso, ma il fatto di provare una sensazione così totalizzante e assolutamente pura, estranea alla sua normale gamma emotiva.
Se con Norge l'unico desiderio era di passare una bella oretta in esercizi ginnici, perché era quello alla fine, con Hillar erano molti di più e troppo strani per lui, come guardarlo dormire alla luce del mattino, mentre un raggio di sole entrava appena dalla finestra, o sorridergli ricambiato, sorprendendosi sempre per l'aura di perfetta felicità che lo avvolgeva sempre.
Nulla di che, ma troppo da ragazzina alla prima cotta imbottita di troppi film romantici.
Non gli piaceva la situazione, non conosceva la soluzione a questo ed era un altro problema. Si sentiva intrappolato in una massa di fili e credeva di muoversi in essa come un orso con i pattini su un lago ghiacciato.
"Una frana, insomma."
Nei giorni seguenti aveva cercato di non pensarci, di continuare come sempre, ma i sogni lo avevano tormentato per almeno tre settimane da quell'incontro.
Era sempre lo stesso e lo lasciavano stranito e un po' impaurito.
Si trovava in un letto e una figura dai capelli dorati gli dormiva di fianco, girata di spalle, coperta dalle lenzuola.
Lentamente si girava, come se si fosse appena svegliata e riconosceva il viso di Hillar, che gli sorrideva placidamente soddisfatto, trattenendosi appena dallo sbadigliare, e gli dava il buongiorno.
Lui non riusciva a crederci, troppo sorpreso e felice, e cercava di ricordarsi cosa potesse essere successo la sera prima, ma ecco che notava, grazie ai movimenti dell'altro che avevano spostato la stoffa che lo copriva, che aveva un corpo da donna e non di una qualsiasi: quello di Norge.
Lo riconosceva, l'aveva visto mille volte.
A quel punto una grande ansia e paura si impossessavano di lui e si svegliava madido di sudore e boccheggiante, cercando di ignorare la vistosa erezione.
Era tutto così vivido e, pur sapendo come sarebbe andata a finire ogni volta, si illudeva che il lenzuolo non nascondesse quel mostruoso ermafrodito incestuoso.
"Mi andrebbe bene anche se ci fosse Norge o uno sconosciuto, ma non quella cosa. E' tremenda."
Ogni volta che il pensiero si faceva più insistente, scuoteva la testa e rabbrividiva: non voleva doversene preoccupare anche nella realtà.
Finalmente, all'improvviso, il sogno smise.
Ne sentì quasi la mancanza, solo per la prima parte, però.
Era stupito anche di questo cambiamento improvviso: lui non stava con Hillar e la sua vita non era affatto diversa da prima.
Rinunciò a ragionarci sopra.
Sapeva di avere allontanato da sé Hillar per quell'idiozia che non ricordava nemmeno di aver detto e aveva notato l'odio che all'improvviso sembrava nutrire per lui.
Non gli risparmiava le battutine, i confronti e le ironie, come se fosse stato troppo stupido per capire.
Avrebbe dovuto capire che si trattava solo di una specie di ripicca infantile, ma era troppo concentrato a cercare la sua chioma bionda tra la folla e a nascondersi ogni volta che la vedeva vicina.
Hillar non sopportava di aver nutrito così tante speranze in qualcuno che poi l'avesse deluso profondamente come lui.
Voleva solo un mentore, era mentalmente pronto a ricevere qualche critica, ma non la condanna a morte che poi non era mai stata effettuata. Voleva essere il suo discepolo, ma l'altro lo aveva spregiato troppo per desiderarlo ancora come fratello maggiore così bramato. La rabbia lo aveva cambiato, portando alla luce il suo lato più cattivo, desideroso di ferirlo e di scavargli la fossa.
Saverio aveva preso atto della situazione senza scavare più a fondo e, trovandosi forse più a suo agio, aveva ricambiato tutti i dispetti molto allegramente.
Non era proprio odio quello che provava lui, ma quando iniziò la competizione tra i due, si appassionò febbrilmente per impressionarlo, non sapendo che l'altro stava facendo lo stesso inconsciamente: quanto lui studiava per fare bella figura, tanto Hillar si divertiva con cani e porci ovunque.
Gli faceva male questa distanza inseparabile, ma non vedeva come poterla colmare.
Parlare faccia a faccia era fuori questione, non ci pensava nemmeno, e, in fondo, quel baraccone era un modo per stare in contatto.
Ormai la faccenda era troppo avanti e aveva perso la speranza di poter sistemare le cose.
Aveva iniziato a odiare la famiglia Susi, perché nessuno di loro voleva lui come braccio destro di Busco, non lo sopportavano, soprattutto il padre.
Sal aveva sempre sospettato che quello sapesse qualcosa di Norge e lui, da come lo guardava sprezzante, o forse era solo snob e non riusciva a concepire come Tommy si potesse fidare di uno come lui, venuto dal nulla.
Questo sentimento si sparse su tutta la famiglia, su Norge c'era già in abbondanza, ma su Hillar era qualcosa più simile a una gelosia rabbiosa, a un desiderio marcito.
Era un "Perché non mi saluti? Perché mi attacchi in continuazione? Perché ti butti via? Perché non posso stringerti e ridarti tutta la dolcezza che hai perso per questa rabbia?"
Si era rassegnato alla situazione e continuava la sua vita tranquillo, perdendo un battito ad ogni persona bionda che incrociava.
Infine aveva preso ad odiarlo indifferentemente da tutti gli altri componenti della sua famiglia, scordandosi qualsiasi cosa che non fosse la sua debolezza davanti a lui.
Amava vederlo fallire, in una sorte di gara idiota che non aveva senso di esistere, e si illudeva sempre che lui fosse peggiore nell'assolvere i suoi compiti.
Non sapeva che in realtà, facendo così, attirava su di sè l'attenzione di Hillar, anche se in modo negativo, e che questo cercare di essere il primo era un modo per dimostrare le sue qualità e la sua forza.
Poi aveva incontrato Françoise e lei non lo odiava, almeno lui sperava così.
Lei era diversa, così scura da rendere l'aria intorno a sé più brillante.
Lei era seduta lì di fronte, che parlava e gesticolava, piena di passione e allegria.
Saverio si godette il momento con un sorriso sulle labbra.

Temi aveva cercato di ignorare quel biglietto che sembrava bruciarle nella tasca dei pantaloni, ma la sua coscienza le aveva ordinato di aprirlo e di fare quello che c'era scritto.
Probabilmente faceva così perchè l'aveva palesamente ignorata al momento dell'accordo con Raza.
"Che coscienza suscettibile. In teoria non dovrei nemmeno più averla, con il fatto di essere passata al lato oscuro. Eppure è sempre lì a tormentarmi, a ricordarmi gli sbagli e le piccolezze. Non riesco mai a passare oltre a qualsiasi cosa."
Cercava di sdrammatizzare mentre si sentiva morire per l'ansia e la paura di venire scoperta da Hillar in qualche modo.
Non sapeva perchè, visto che era solo il suo guardiano al soldo di Busco e non erano davvero amici, anche se lo stava dimenticando.
Si sentiva un po' in colpa ad abusare della sua ospitalità e non le piaceva nascondergli qualcosa, ma non poteva andare da lui e dire semplicemente: "Ti ho mentito, Raza ed io abbiamo un patto, ma non è nulla di che, tranquillo. Dovrò solo fare quello che vuole lui poi mi darà il nome del mio quasi stupratore. Come ho già affermato, è tutto molto calmo."
Fece una smorfia al pensiero di una scena del genere; di certo lui le avrebbe puntato almeno una pistola alla fronte se avesse scoperto la questione.
"E me lo meriterei davvero. Sto confondendo la giustizia con la vendetta? Sono così spregevole da accettare qualunque cosa pur di guardare in faccia un'altra volta l'aggressore? E' una curiosità malsana?" Strinse le labbra, cercando di capire.
Il problema era che lei non si riconosceva più: un giorno era la normale Temi, che odiava la malavita e la teneva lontana da sè, quello dopo era la ragazza-fattorino del capo dei capi.
Cos'era cambiato? Quando? Cosa doveva fare ora?
La specializzanda non lo sapeva, ma aveva deciso di aprire quel maledetto foglietto di carta.
Non aveva dubbi che fosse di Raza: in controluce aveva visto alcune lettere e lo aveva trovato subito, mentre cercava qualcosa in una tasca.
In più lei non era ragazza da ricevere misteriosi biglietti da anonimi.
"Sono proprio messa bene: l'unico che mi degna di un po' di attenzione è Ebneye Raza! Ho pescato davvero bene!"
In fondo lei non voleva qualcuno che la obbligasse a vestirsi bene e che le parlasse tutto il tempo delle sue occupazioni: per quello c'era Hillar, che la criticava e la riempiva di chiacchiere abbastanza.
Le mani le tramavano leggermente mentre nel bagno dell'ospedale dove si era appartata apriva il messaggio che già da subito le aveva causato dei guai: da quando l'aveva ricevuto, ossia il giorno prima, era diventata intollerante, poco paziente e schiva. Ne avevano fatto le spese un po' tutti e lei si odiava per non potersi controllare dal ferire gli altri. Non le piaceva affatto che Raza avesse tutto quel potere sul suo comportamento, si sentiva ancora di più nella tela di un ragno, pronta per essere inghiottita.
Riusciva quasi a sentire i fili appiccicaticci stringerle la pelle, senza lasciarle vie di scampo.
Rabbrividì e si arrabbiò di nuovo con se stessa: la sua mente stava facendo di tutto per evitarle lo spiacevole momento che sarebbe di certo arrivato alla lettura del testo e se avesse continuato così ci sarebbe stata tutto il giorno in bagno!
Stizzita aprì gli occhi e si sforzò di leggere le parole, ma appena il cervello recepì il messaggio, si fecero confuse e un gemito strozzato le uscì dalla gola, mentre si accasciava sulla porta del bagno.
Fissò il soffitto senza vederlo per indeterminabili secondi con la bocca aperta, cercando di fare mente locale su cosa le veniva chiesto, ma l'unica cosa che le appariva chiara nella sua testa era che sarebbe stato un suicidio, solo quello. Un suicidio.
"E' impossibile, come farò mai?"
Ma non poteva ribellarsi. O forse non voleva?
Avrebbe risolto la questione più tardi.
Era ancora sotto schock quando buttò il tanto temuto oggetto a sciogliersi nel water e tirò l'acqua, tornando a lavorare in automatico, come un androide.
Non aveva bisogna di nulla per ricordarsi quello che avrebbe dovuto fare.
"Riporta Norge nella malavita."

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Capitolo 19
*** Riportare tutte le cose al loro posto ***


Giustizia è riportare tutte le cose al loro senso. (Oreste Benzi)


Temi stava aspettando il momento opportuno per portare a termine la sua missione.
No, in realtà, al momento, era inguaiata in qualcosa che non sapeva nemmeno se definire "vestito" e cercava di mimetizzarsi con il muro, mentre vedeva tutti gli altri ballare o tuffarsi in piscina.
Si stavano tutti divertendo, o almeno quella era l'impressione.
Lei sospettava che alla base di tutta questa allegria ci fosse una dose massiccia di droga e alcol.
Per non parlare delle varie possibilità di sesso che di certo sarebbero apparse di lì a poco.
Non capiva nemmeno come fosse potuto accaderle di andare alla festa di uno dei più famosi golden boys, ma sapeva che essere la coinquilina/finta fidanzata di Hillar dava dei privilegi, anche se lei li avrebbe volentieri regalati al primo che fosse passato.
In realtà lei non voleva essere in quel luogo e odiava partecipare a feste di quel genere.
"Diciamo pure tutti i tipi. Però glielo devo ad Hillar: è così gentile e non mi fa mancare nulla, in più lo so che non dev'essere uno spasso starmi dietro tipo mamma oca. Poveretto, gli mancheranno i suoi amici e le sue abitudini e mi dispiace essere un ostacolo alla sua vita. Ma questo posto non mi piace e mi sento inquieta, circondata da tutte queste persone che non conosco. Potrebbero esserci dei malavitosi, degli assassini, dei drogati assassini malavitosi..."
Si accasciò contro il muro, prendendosi il volto tra le mani, badando a non rovinarsi il trucco eccessivamente.
Se Hillar l'avesse vista anche solo con un po' di rossetto in meno l'avrebbe messa alla gogna fono alla fine dei secoli.
"Chi voglio ingannare? Non è da me tutto questo. Non sono miei il vestito, le scarpe, il trucco... Forse nemmeno i capelli! E odio stare qui come se il muro non riuscisse a star su senza di me mentre l'unico che conosco chissà dov'è! La faceva davvero facile quando ha detto che mi sarei ambientata a meraviglia! Forse intendeva le proposte e le battute a sfondo sessuale che mi hanno tributato: di certo quelle, perché altro non mi hanno detto."
Era infastidita ed arrabbiata, ma sapeva che non era del tutto colpa di Hillar.
Non sapeva ancora come fare per convincere Norge a tornare nella malavita e il bello era che non era molto convinta nemmeno di volerlo fare.
Però non poteva tirarsi via così dal patto con Raza. O forse sì?
"Proprio. Cosa faccio, gli mando un bigliettino con scritto "Mi dispiace, ma non posso farlo."? Quello mi farebbe fuori e riuscirebbe comunque a portare Norge dalla sua parte! Ma perché vuole questo? Non credo che lei abbia molta importanza e non so nemmeno se mi sta solo mettendo alla prova.
Perché mi sono ficcata in questo pasticcio?!"
Quest'ultima era la domanda che si poneva più spesso ultimamente e non aveva che una risposta, anche se Temi non avrebbe voluto ammetterlo: era ossessionata dalla sua aggressione, pur pensando di aver superato la cosa, perché non riusciva a capacitarsi che fosse successa proprio a lei.
Non avendo mai fatto nulla che si potesse considerare rischioso ed avendo sempre condotto una vita piuttosto tranquilla, aveva sempre pensato a livello incosciente che certe cose capitassero solo agli altri, non di certo a una specializzanda con la testa sulle spalle!
Quel fatto aveva sconvolto tutte le sue credenze e lei ora ci doveva porre rimedio: cosa meglio di indagare di più sulla faccenda?
In più non bisogna dimenticarsi che lei si sentiva ancora in debito con il suo salvatore, morto a causa sua, se così si può dire.
Le ricerche erano state abbandonate da tempo, bollandolo come scomparso.
Nei telegiornali non si sentiva da un pezzo una notizia su di lui e di certo non se ne sarebbe sentita per molto altro tempo.
Temi si era sentita impotente, triste e forse era anche per quello che aveva accettato il patto con Ebneye: in fondo la giustizia si poteva nascondere sotto molte facce, basti pensare a Robin Hood, no?
Dall'altra parte della festa, abbarbicato a una ragazza che non conosceva nemmeno di vista, Hillar cercava una scusa per togliersi di mezzo e andare a cercare Temi.
Ormai l'orario era tardo e in più non voleva ritrovarsi un assassino sulle sue tracce perché magari a lei era successo qualcosa. Era da un po' che non la vedeva, ma all'inizio non si era preoccupato, troppo impegnato a respirare quell'aria piena di indifferenza, libertinaggio e piume ed ad abituarsi alla frenesia e alla semplicità di tutto quello che era il suo mondo.
Il posto era bellissimo e, grazie a una giornata straordinariamente calda, il proprietario aveva deciso di fare la festa in piscina. Girovagavano persone di tutti i generi e i tipi, ma ognuno era stravagante e conosciuto a modo suo. Non era un segreto che molti, per esserlo, si riempissero di polverine colorate e ne giravano parecchie anche lì, ma Hillar si era sempre tenuto a distanza da quella roba.
Aveva visto nella folla moltissimi conoscenti e aveva attaccato bottone con loro però, dopo le prima battute, si era sentito un po' fuori posto, come se fosse cambiato, in quelle poche settimane di lontananza, ed era stato allora che era stato abbordato da quella ragazza che aveva appena mollato di brutto. Ma ora doveva ritornare nelle sue vesti di tutore e quella ragazza che continuava a mettergli la lingua in bocca non gli era utile affatto.
Non era stata per niente male pur mancandole qualcosa. Era solamente una fotocopia di altre mille che aveva avuto e gli era venuta noia di quel posto, così, all'improvviso.
E il bello era che aveva conciato allo stesso modo Temi. Non sapeva perché, ma prima di portarla alla festa le aveva offerto un giro completo dall'estetista e dalla parrucchiera e l'aveva convinta a indossare un vestito e delle scarpe che contrastavano completamente con lei.
Quando l'aveva vista, aveva pensato che fosse splendida e aveva approvato con un sorriso lei che si specchiava non troppo convinta dell'abbigliamento, mentre ora sperava solo che non assomigliasse a tutte le altre partecipanti alla festa. E che non si fosse cacciata nei guai, soprattutto. Le aveva fatto un discorsetto su ciò che avrebbe dovuto evitare e si era sentito più vecchio di almeno vent'anni quando le aveva visto fare una smorfia e lei gli aveva risposto di non essere così scavezzacollo come cercava di farla passare lui. In fondo era quasi un medico, avrebbe dovuto sapere come badare a se stessa, no? Lui tremava al pensiero che questa piccola infrazione alle regole venisse scoperta, come un po' tutto il resto: era stato ovviamente costretto a raccontare che Temi viveva a casa sua come fidanzata a suo padre e a Busco, ma era riuscito ad omettere il fatto che lei sapeva cosa voleva sul serio e che erano diventati amici. All'allusione che qualche forma di sentimento potesse offuscare la sua lealtà aveva risposto con ferocia, ribadendo che il suo legame con la famiglia era più forte del resto. Tommy sembrava essere soddisfatto, mentre suo padre gli aveva lanciato una lunga occhiata insospettita e lui aveva dovuto mandare giù a forza il groppo che gli si era formato in gola. Non era vero quello che aveva affermato: non sarebbe riuscito mai a fare del male a Temi e di certo la famiglia non occupava un tale posto nella sua vita, al momento. Prima sì, ma perché era sempre circondata dalla malavita e non aveva mai voluto cercare qualcosa di diverso. Anche le feste come quelle erano state un modo per gestire lo stress e per sentirsi senza inibizioni ma ora non riusciva a sopportare più quell'eccesso e quel dover essere per forza qualcuno.
Odiava essere per forza lui, essere considerato sempre in base alla sua posizione nella malavita o alla sua fama. Voleva un po' di anonimato e forse riusciva a capire come mai Norge avesse abbandonato tutto. Non era mai lontano dall'opinione pubblica ed era stancante dover bilanciare ogni gesto. Per Hillar fu come un'illuminazione: lui non voleva questo! Gli piaceva abbastanza il suo lavoro, anche se avere sempre suo padre alle calcagna non era l'ideale nemmeno per un orso polare affamato, ma odiava il resto: perché doveva inchinarsi? Perché doveva importargli di essere invitato a cena o no da un altro malavitoso? Perché doveva credere di essere qualcosa in più che un semplice sottoposto solo perché conosceva Busco da sempre?
A lui piaceva stare con la sua coinquilina a vedere film o a commentare CSI, lo faceva sentire uno come tanti e l'anonimato gli piaceva.
Non aveva mai voluto emergere e per colpa delle circostanze era stato costretto a farlo.
Scosse la testa: non avrebbe dovuto fare questi pensieri, e cercò di concentrarsi su Temi. Chissà dov'era finita quella ragazza! Ripensando a lei si sentì strano: non capiva come potesse essere finita in questo pasticcio. "Perché Norge l'ha portata con sé? Lei la proteggerebbe a costo della vita (altrui) eppure l'ha condotta alla tana del lupo. Voglio saperne il motivo: non credo proprio che siano venute insieme al barbecue perché mia sorella aveva paura a presentarsi da sola.
Forse avevo la chiave davanti al naso e non me ne sono mai accorto. "Interruppe anche questa serie di intuizioni quando vide Temi, accovacciata contro un muro, con i capelli scuri che le coprivano il viso. L'affiancò e le chiese se si stesse divertendo. Ricevette come risposta un mugugno che doveva significare circa questo: "Da morire, ti ringrazio per avermi donato questa consolazione alla mia squallida vita. Non andiamocene mai più, ti scongiuro: non potrei mai sopportare questa perdita! "Lui sorrise: il suo sarcasmo era davvero pessimo. "Mi dispiace, mademoiselle, ma ora dobbiamo andare: non vorrà mica che la carrozza si trasformi in zucca prima di arrivare à la maison?"
Lei si era alzata e finalmente lui aveva visto il suo viso: tutto il trucco si era spalmato e sembrava che fosse pronta per una battaglia.
Questo fatto lo colpì e il suo sorriso si allargò: Temi non avrebbe mai potuto essere come le altre partecipanti alla festa, la sua unicità, anche se non la si notava subito, le brillava dall'interno. Cominciava a capire perché Norge ci tenesse così tanto a lei: riusciva a essere pura e al contempo normalissima. "Avrebbe successo se fondasse una setta: tutti vorremmo essere salvati da lei. Non si può resistere alla sua personalità, viene voglia di proteggerla e di affidarsi a lei contemporaneamente. Forse anche di annullarsi. "Ma non la pensò così quando, tornati a casa, lei gli rivoltò le orecchia a forza di accusarlo di aver girato mezza Egris conciata come una matta.

Busco osservava il fuoco nel suo studio e aspettava le ultima novità prima di tornare a casa. Sapeva già che ci sarebbe stata una nuova riunione con Raza prima della fine della settimana e che, per questo motivo, sarebbe stato ricoperto di telefonate. "Uomini che prima governavano i loro sottoposti con sicurezza tremano e si accalcano alla mia porta, uomini che non avrebbero esitato un attimo a uccidere il loro più caro amico per avere più potere annichiliscono e si nascondono. Uomini che ho sempre ritenuto guide da seguire si riuniscono come branchi di pecore tremolanti in attesa del giudizio di un lupo travestito da essere umano.
Come abbiamo potuto lasciar accadere questo?
Quando è successo? Dove eravamo? Forse è vero che prima della violenza diretta tra una carnefice e la sua vittima c'è una landa dove molti agiscono e creano quella situazione.
In fondo è il nostro mestiere.
Avremmo dovuto accorgercene di stare andando verso la burrasca e di non avere nessuna scialuppa di salvataggio.
Ora siamo in balia delle onde e non possiamo nemmeno raccomandare l'anima a Dio." Prese il suo bicchiere sfaccettato pieno di liquido scuro e bevve senza voglia. Non gli interessava poi molto vedere come sarebbe finita la faccenda: sapeva che probabilmente non ne avrebbe mai visto il termine.

Raza osservava le stelle con il suo amato telescopio e si interrogava a proposito del loro comportamento: sapeva che obbedivano a delle leggi ben precise ma alcune avevano una condotta a dir poco isterica. "Come le persone, raramente. Voglio proprio vedere come si comporterà quella Temi. Non ho dubbi che porterà a termine il suo compito, ma spererei quasi di vedermela qui, attaccata al campanello, a chiedere spiegazioni e a rifiutare tutto. Bisogna solo vedere se la sua amicizia è più forte del suo egoismo e scommetterei sul secondo, più che sulla prima. Norge tornerà alla malavita e tutto il mazzo sarà scombinato: le vecchie ferite si riapriranno a breve ed è ciò che desidero."


Angolo dell'autrice che ha dimenticato un giorno ma ok:
Ciao a tutti!:)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che continuate a leggere e a recensire la mia storia!:)
In realtà non ho molto da dire, a parte ringraziarvi tutti come sempre!:)
Adieu!:)
Vex

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Capitolo 20
*** Una paura disperata scorre nel mio sangue ***


sono sempre stato spensierato come un bambino
e c'è una parte di me che continua a credere
che la mia anima si alzerà in volo
al di sopra degli alberi
ma una paura disperata scorre nel mio sangue
(To lose my life, White Lies)





Temi non sapeva come comportarsi e a questa incertezza nell'agire si accompagnava una grave insicurezza interiore: non aveva mai odiato tanto se stessa come in quel momento.
Non poteva tradire Norge ed Hillar, ma la sua curiosità la stava uccidendo.
In fondo sapeva che questione di tempo prima che acconsentisse alla richiesta di Raza.
Non sopportava esserne così conscia e quasi provava ad ignorare quella sensazione di consapevolezza, ma sapeva che era del tutto inutile: lo avrebbe fatto e basta, la situazione era più forte di lei.
Ma da quando era diventata una tale menefreghista?
Aveva sempre pensato di non esserlo, eppure non aveva dovuto fare molto per mandare in pezzi questa considerazione.
Sia Hillar che Norge le stavano talmente vicino che si vergognava anche solo di guardarli negli occhi quando parlavano e aveva pure provato a non riferire loro che sarebbe rimasta specializzanda per poco tempo ancora, cinque mesi al massimo, ma sapeva che sarebbero stati informati presto lo stesso e si sarebbero sentiti feriti, cosa che in quel momento lei non poteva sopportare.
Quando aveva saputo la notizia era rimasta congelata, ma non per l'entusiasmo o la gioia: per la stranezza di quell'evento.
Aveva sudato così tanto per arrivarci che ormai si stava dimenticando il suo scopo e andava avanti per mera forza d'abitudine.
Ma aveva finto un sorrisino freddo e aveva annunciato la notizia a tutti i suoi amici che avevano reagito congratulandosi con lei e esultando come pazzi.
Quando Hillar l'aveva abbracciata per la gioia, lei non aveva ricambiato la stretta, sentendosi così sporca nei suoi confronti che gli occhi si erano riempiti di lacrime, che aveva scacciato a forza.
Non si meritava tutto ciò, lo sapeva.
Non si meritava i suoi amici, anche quelli che lo erano inventati per ordine di un qualche capo malavitoso, non si meritava di essere promossa nel suo lavoro quando la sua coscienza stava morendo, non si meritava che la vita in genere le sorridesse proprio adesso mentre tutte le sue certezze andavano in pezzi e lei non poteva godersi quei momenti perché era troppo occupata a cercare di rimettere a posto la sua mente.
Insomma, lo sapeva: era spacciata, troppo schiacciata tra se stessa e il mondo per resistere a lungo ferma.
Doveva agire in qualche modo.
 
Norge odiava aver cambiato turno, soprattutto perché ciò non le permetteva di controllare Temi e si beccava comunque Luke da sopportare.
Non si sa come ma quello, come ormai lo chiamava lei, era sempre nei suoi pressi.
Sapeva benissimo che era un ospedale e che avevano lo stesso turno, ma non le piaceva per niente incontrarlo in continuazione.
Non le piaceva perché si era aperta troppo con lui e ora non sapeva come comportarsi e cosa si sarebbe aspettato da lei.
Di certo, se avrebbe preteso di diventare il suo confidente o qualcosa del genere, gli avrebbe sputato in faccia senza troppe cerimonie!
Ok, stava diventando preoccupante  e capiva di essere sotto stress da molto e che stava ormai friggendo di sapere la prossima mossa di Raza, perché sentiva che Temi sarebbe stata coinvolta.
Lei non voleva questo, desiderava solo che la sua amica stesse al sicuro, anche a casa di Hillar se per questo, ma si rendeva conto che questo era impossibile al momento: la specializzanda aveva gli occhi di tutta la malavita puntati addosso e questo non sarebbe stato un buon segno nemmeno in tempo di tranquillità.
Bramava ardentemente proteggere Temi,  ma non conosceva il modo.
"Sono solo un'infermiera, cosa posso fare contro Busco e gli altri? Certo, sono indubbiamente forte e intelligente, ma loro sono troppi e con degli assi nelle maniche che non posso nemmeno indovinare."
Era la prima volta che Norge si sentiva talmente impotente da non poter fare nulla.
Anche in precedenza si era sentita così, ma aveva poi reputato come buona soluzione, anche se non ottimale, il trasferimento momentaneo di Temi dal fratello e si era illusa di avere sotto controllo la situazione.
Non aveva il controllo proprio su nulla, ecco com'era la realtà.
 
Luke vedeva l''infermiera bionda sempre più tesa e non riusciva a smettere di pensare a cosa gli aveva detto.
"Confessato suona meglio. Però non me lo sarei mai aspettato proprio e ora sembra più in imbarazzo che mai. Ogni volta che le passo davanti fa una smorfia come a dire:"Ma 'sto qui non è ancora morto in maniera orrenda e veloce?". I pazienti si chiederanno cosa le ho fatto di male. E, a dir il vero, lo faccio anch'io. Pensavo che avrebbe tenuto il suo comportamento da bodyguard ringhiosa di Temi come sempre, invece è strana. Mah, queste ragazze hanno sempre qualcosa!"
Anche se la frase era piuttosto vera, vista la situazione della specializzanda e dell'infermiera, era stata usata per mettere a tacere i pensieri troppo personali che stavano inondando il suo cervello in quel momento.
In realtà lui desiderava aiutare Norge, pur non sapendo in che modo, e sperava che lei gli chiedesse una mano, in virtù della confidenza appena nata.
Non sarebbe accaduto mai, lo sapeva, ma la sua natura così altruista lo spingeva comunque verso quell'obiettivo e cercava di non metterla a disagio.
Voleva che si fidasse di lui, sembrava sempre così sola e, forse per la troppa pressione, sempre più accartocciata su se stessa, pur essendo dritta come un fuso.
"Una regina preoccupata per il suo regno morente, ecco cos'è. Non sa le cause ma ne soffre tremendamente perché è parte di lei."
 
Hillar tamburellava nervosamente con il piede sinistro sul pavimento, seduto di fianco al padre, mentre aspettavano, sempre sulle stesse sedie da fiera, il grande bastardo.
Il nuovo soprannome si era affermato dopo che tutti avevano saputo il motivo della riunione: la ridistribuzione dei territori.
Inutile parlare dello scompiglio che la notizia aveva creato.
Hillar stesso non aveva visto suo padre più arrabbiato o Tommy più nervoso.
Mettere mano alle zone di ogni banda era come mettere una mano nel cassetto dei coltelli di notte con la luce spenta.
O come ballare il tango in un campo minato.
Significava avere tutti contro, perché i malavitosi erano animali abitudinari e si aspettavano di lasciare il posto che avevano ricevuto dai loro antenati ai loro nipoti.
Nessuno avrebbe gioito particolarmente anche se avesse avuto uno spazio maggiore e più fruttuoso, sia perché era praticamente impossibile sia perché voleva dire avere il proprietario precedente contro.
E di solito non erano scaramucce.
Pochi altri ci avevano provato ma o avevano capito subito l'antifona o l'avevano capito dopo, quando si erano trovati circondati da legno di abete.
I capi malavitosi odiavano spendere troppo in bare: se l'avessero fatto sarebbero finiti presto in bancarotta.
Comunque, Hillar era preoccupato.
Non tanto per quella nefasta riunione, quanto per le possibili conseguenze.
I Susi erano abbastanza conosciuti ma non potenti e di certo Busco non li avrebbe protetti molto, era troppo impegnato a proteggersi.
Se fossero capitati male sarebbero stati schiacciati da altri più potenti e non sopportava di pensare a cosa sarebbe successo a Norge in quel caso.
Ecco, proprio lei.
Sapeva di essere stato parecchio duro durante la loro lite telefonica, ma era davvero spossato da tutti gli avvenimenti e, andiamo, lei se lo meritava, almeno un po'.
Nonostante ciò sapeva di dover pensare anche alla salvezza della sorella: se fosse successo qualcosa, lei sarebbe stata la prima a subire il fio, perché era troppo staccata dalla famiglia e non protetta.
Di certo quella non aveva neppure un'arma per proteggersi.
L'avrebbero attaccata per colpirli tutti e lui non voleva che ciò accadesse.
Suo padre non gliel'avrebbe mai perdonato e nemmeno lui l'avrebbe fatto.
In realtà, dietro a tutto questo sentimento di amore fraterno, c'era la dura logica dell'egoismo: era lui a sentirsi debole.
Stava desiderando come mai prima d'ora che la sorella tornasse e prendesse le redini della famiglia, l'avrebbe saputo fare alla perfezione, ne era certa.
Lui sarebbe rimasto a casa a fare i compiti e a giocare con Temi mentre Norge avrebbe comandato senza pietà nelle riunioni di staff, più simile a una valchiria furibonda che alla dolce bambina di nove anni che giocava con le figlie degli alleati di Busco.
In più avrebbe dato filo da torcere a Saverio e questo lo divertiva enormemente.
Dare una dura lezione a quel bellimbusto era una delle cose che desiderava di più dalla vita.
E il bello era che gli era seduto pure davanti.
Si stava frenando a stento dal punzecchiargli la nuca con la punta della penna, ma sapeva che l'altro avrebbe tirato fuori la pistola e l'avrebbe freddato in men che non si dica.
Decisamente non un buon modo per iniziare la spinosa questione e il suo comportamento sarebbe stato davvero troppo infantile per quell'occasione.
Finalmente giunse Raza e tutti si alzarono in piedi, tanti piccoli soldatini macchinosi contro di lui.
Ebneye sentiva quasi il profumo dell'ira e della paura a stento trattenute e si costrinse a non aprire le finestre: tutti i capi malavitosi dovevano aver sentito il bisogno di una nuotatina tranquillizzante nel proprio profumo preferito che, a giudicare dall'afrore, doveva essere anche quello più forte e stravagante.
Li salutò con un secco gesto del capo e si sedette al proprio posto. Continuava a trovare divertente costringere le persone più abbienti della città a sedersi nelle sedie più umili in circolazione.
Forse apprezzava particolarmente il paradosso.
Ora doveva concentrarsi, se voleva che tutto funzionasse.
Aprì le labbra e li sconvolse.
Così, semplicemente.
Aveva sempre apprezzato il potere della parola e si beava di come qualcosa di così fragile, più simile a uno sbuffo di anima che a un soffio di vento, potesse cambiare le sorti del mondo.
O di una città come Egris, dove quattrocentomila abitanti si incontravano, si uccidevano, si sposavano o semplicemente si ignoravano.
Una città con un forte carisma, che lo aveva attratto e conquistato.
Non si poteva non apprezzare Egris, con tutte quelle persone in movimento, i palazzi così alti e decadenti, la luce del giorno che scompariva improvvisamente, anche se ci si pentiva in seguito.
Era una città infida e lui voleva essere il suo re bastardo.
 
La ragazza era lì, lo sapevano tutti.
In quell'edificio che assomigliava più a una fortezza che a un ospedale, solitamente più protetta di una cassa di vino risalente alla Rivoluzione Francese, più succulenta e tenera di una bistecca al sangue in quel momento.
Hillar non c'era, chiamato anche lui a partecipare alla riunione, e lo stolto doveva aver pensato che il pericolo fosse passato e che la sicurezza potesse passare in secondo piano.
Purtroppo i capi non avevano saziato la loro curiosità per quella ragazza e, fidandosi poco per loro natura, credevano che lei fosse in qualche modo una specie di tramite o di spia di Raza.
La bramavano, volevano sapere tutto, studiare ciò che nascondeva, arrivare a scuoiarla se necessario.
E quella era l'occasione propizia.
Era come se la conchiglia avesse sputato la perla e lei fosse alla portata di tutti.
Nessuno avrebbe perso quel momento per nulla al mondo.
 
Temi era debilitata, quel turno era davvero impegnativo e non vedeva l'ora di andarsene a casa.
Purtroppo era solo a metà del suo lavoro e scommetteva che il restante tempo sarebbe stato peggio.
Si stava godendo una breve pausa  quando la sua attenzione fu attirata da un uomo che la fissava di sottecchi.
Incuriosita si avvicinò, credendo che avesse bisogno di qualcosa. Magari aveva una malattia imbarazzante e si vergognava.
Il pensiero che potesse essere una trappola non l'aveva nemmeno sfiorata, anzi, si era dimenticata, tutta presa dai suoi problemi, del perché potesse essere una preda ambita.
Però gli altri no e per questo motivo si ritrovò in un corridoio buio con una pistola puntata alla testa mentre l'aggressore la incalzava di domande.
Lei era davvero spaesata e spaventata, non capiva come tutto era potuto cambiare velocemente e temeva per la sua vita.
Sapeva di non poter rispondere alle domande di quell'uomo, ma se non l'avesse fatto sarebbe finita comunque male.
Più tempo passava a negare di sapere qualunque cosa su Raza più l'altro si innervosiva e la sua voce diventava rabbiosa.
Ormai era presa dalla disperazione e la situazione le ricordava così tanto il tentato stupro che iniziò a tremare violente e le parole si accavallavano una sull'altra, sempre nella stessa filastrocca rotta da sospiri e palpitazioni.
La vista le si appannò un po', mentre le cedevano le gambe e solo la stretta dell'uomo le impediva di accasciarsi a terra.
La sua mente era completamente in confusione, non riusciva a pensare a nulla e la coscienza l'aveva abbandonata tempo fa, la vigliacca.
Strinse con forza gli occhi e buttò fuori tutta l'aria che le premeva nei polmoni,  prima di cercare di riacchiapparla sempre più velocemente.
Provò a riaprire le palpebre senza riuscirci, mentre sentiva il metallo della canna della pistola farsi più caldo e la voce dell'aggressore sempre più strana e lontana.
L'ultimo pensiero coerente fu di stare per svenire e ringraziò il cielo di questa via di uscita, mentre borbottava per l'ultima volta di non sapere nulla.
L'uomo, vedendo che quella non rispondeva più e che si reggeva completamente a lui, pensò che ci fosse qualcosa che non andasse bene e cercò di svegliarla senza risultato.
Gli occhi erano chiusi e non reagiva a nessuno dei suoi colpetti o delle sue parole.
Era semplicemente abbandonata all'ambiente esterno.
Impaurito per la situazione e per quello che gli sarebbe successo se il suo capo avesse scoperto ciò che aveva fatto, senza contare a quello che gli avrebbero fatto i Busco, la posò per terra e scappò via, confondendosi nella massa di persone.
 
Temi si risvegliò dopo qualche minuto, sentendosi la testa pesante e il cuore che correva troppo veloce.
Ebbe solo un minuto di spaesamento, prima di ricordarsi tutto e di essere assalita di nuovo dalla paura.
Ma nell'oscurità non si celava nessun nemico, così almeno le sembrava.
Faticosamente si rialzò, appoggiandosi con le mani al muro. Sentiva ancora il piccolo bacio gelido che la pistola le aveva dato sulla tempia, quasi ad augurarle la buonanotte.
Si avviò verso i corridoi affollati, pronta a fingere, mentre i suoi passi si allontanavano strascicati.
Non si era mai sentita più fragile di così.
Non lo sopportava, non voleva affidarsi così tanto a Hillar ed essere completamente indifesa nel caso lui se ne andasse.
Perché sapeva che l'avrebbe lasciata, un giorno.
Era solo un protettore momentaneo, incaricato di difenderla solo perché serviva a uno scopo, anche se non ben precisato al momento.
Norge, al contrario, sarebbe stata sempre vicino a lei, come Galvano ad Artù.
Non l'avrebbe mai tradita per una sgualdrina di nome Ginevra, lo sapeva.
Si sarebbe sacrificata per lei e Temi avrebbe fatto lo stesso.
Non era più semplice amicizia, ma storghe, appartenenza.
Però doveva comunque trovare un modo per proteggersi da sola, non poteva appoggiarsi sempre agli altri.




Angolo dell'autrice che ha fatto una fatica boia a concludere il capitolo:
ciao a tutti!;)
La scuola non mi dà tregua e anche il resto, a dir il vero.
Sono in ritardo di quasi due giorni, ma è ok, visto che pensavo addirittura di non riuscire a pubblicare nulla questa settimana!
Sono davvero molto cattiva con Temi: nei primi capitoli il tentato stupro, ora questo...
Quand'è che mi si rivolterà contro? Mah!:D
Ringrazio tutti coloro che leggono questa storia e chi recensisce, siete tutti magnifici!;)
Alla prossima settimana!
Adieu!;)
Vex

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Capitolo 21
*** Ma non si trattava di una lite ***



L’ho chiamata lite, ma non si trattava di una lite. Era semplicemente il riconoscimento dell’abisso che in realtà ci divideva.
(Lev Tolstoy)




"Ti è successo COSA?!?"
Norge era terribilmente seria e preoccupata, i suoi lineamenti erano stravolti,  i suoi occhi terribili e infuocati. Strinse così forte la lattina di aranciata che teneva in mano da far quasi traboccare il liquido.
Molte persone, nel bar vicino all'ospedale, dove si trovavano le due ragazze, si voltarono spaventate per poi fissare con profonda compassione la poveretta, dopo aver accertato di non essere loro le vittime di quell'ira funesta.
Temi si fece piccina piccina e non riuscì quasi a mantenere il contatto visivo.
Le aveva raccontato tutto, come aveva fatto con Hillar, ma ora se ne pentiva.
Purtroppo sapeva che lei voleva proteggerla e che si sarebbe sentita ancora più in colpa se non le avesse detto nulla e l'avesse scoperta da sé.
Però doveva dire che almeno nelle reazioni i due fratelli si assomigliavano: lui aveva iniziato a girare per la cucina, fuori di sé per la rabbia mentre diceva a nessuno in particolare cose come :" Non è possibile, c''era un patto!", "Come si sono permessi?!? Non vale più la protezione dei Busco?" e "Oh se la pagheranno! Pranzerò con il loro cadavere, lo so!"
Poi l'aveva guardata dritto negli occhi e le aveva detto pieno d'ira che d'ora in poi le avrebbe insegnato come difendersi. Non poteva essere sempre con lei e avrebbe potuto capitarle di peggio.
"E' ora che tu impari a sparare."
A questo annuncio il rimanente colore sulle guance di Temi era scomparso e aveva sgranato gli occhi.
"Usare una pistola? Ma sei impazzito? Se non ho fatto chirurgia per paura dei bisturi! Poi dovrei pure tenerla sempre accanto a me e non mi va proprio di metterla nel camice. E se mi partisse un colpo? Se qualcuno la vedesse? Devi essere pazzo, non c'è altra risposta!"
"Allora cosa faremo? Credevo che i capi si fossero un po' dimenticati di te, invece no! E hanno scelto proprio il giorno in cui non c'ero, dannazione!, per farti del male! Se non fossi svenuta quello di certo non ti avrebbe creduto e ti avrebbe conciata per le feste!"
Lei capiva che Hillar fosse preoccupato, ma vederlo così fuori dai gangheri non le piaceva per niente e nemmeno che prendesse delle decisioni per lei. Ok che ormai era coinvolta nella malavita, ma non avrebbe mai impugnato una pistola. Assolutamente no.
Per questo rispose così: "Senti, non conosco bene la situazione, però non imparerò. Argomento chiuso. Non voglio farlo. Se pensi che badare a me sia troppo impegnativo, lasciami al mio destino. Tanto, prima o poi, metteranno le loro mani su di me e tu stai solo cercando di rallentare questo processo.."
Prese un grosso respiro, sotto lo sguardo allibito dell'altro, che non si aspettava tanta fermezza da lei.
Ora però veniva la parte difficile, quella che faceva male. Ma doveva concludere il discorso, non poteva evitarlo.
"Inoltre, non esiste nessun noi.
Non siamo amici, tu sei quello che mi controlla da parte di Busco e io sono colei che si è cacciata nei guai per aver parlato con l'uomo sbagliato a una festa a cui non doveva partecipare. Nient'altro.
Devi ricordartelo. "
Finito questo, aveva lasciato la stanza e se n'era andata in camera sua, enormemente triste per averlo ferito.
Ma era l'unico modo.
Sapeva che allearsi con Raza avrebbe messo in pericolo tanti altri e voleva allontanarli prima che si facessero male.
 
Norge, tornata a casa, non riusciva ancora a crederci che avessero osato tanto e malediva il fratello per non aver protetto l'amica.
Non gli parlava dalla famosa telefonata, ma era ormai evidente che lui non riusciva ad assolvere al suo compito. Gli voleva bene ma non voleva perderla per la sua inadeguatezza.
Così, le venne un pensiero, strisciante e ammaliante, che accolse benevolmente, anche se in precedenza aveva scacciato con veemenza.
Un sorrisino pericolo le squarciò il viso.
Com'era il detto?
"Ci vuole un ladro per prendere un ladro", giusto?
Allora, per proteggere Temi dai malavitosi, sarebbe diventata una di loro.
Suo padre sarebbe stato contento.
Suo fratello un po' meno.
 
Luke sentiva che dietro quell'invito al bar di Hillar ci fosse dietro qualcosa in più che il semplice bisogno di una chiacchierata tra uomini.
Lui sospettava che non doveva essere facile vivere con una ragazza, anche se non era la sua ragazza, e avere come sorella Norge.
Doveva sentirsi schiacciato, soprattutto perché quelle due di certo si alleavano fra loro, quando ne sentivano il bisogno.
Purtroppo erano solo supposizioni, visto che aveva solo un fratello, più grande di cinque anni, e non erano mai stati legati.
Nemmeno con quell'affetto strano che c'era tra i fratelli Sisu.
Finalmente Hillar arrivò e fece sobbalzare Luke che era sovrappensiero.
Non l'aveva mai viso tanto scuro in volto e sembrava davvero di cattivo umore.
Aggrottò le sopracciglia: avrebbe voluto parlare di ciò che l'affliggeva o solo dimenticarlo per qualche tempo?
Era molto indeciso ma l'altro lo prevenne.
"Ho litigato con Temi. In realtà è più lei che l'ha fatto con me."
Luke era incredulo: la specializzanda? Cosa aveva fatto Hillar per farla diventare tipo Hulk?
Poi non aveva ancora capito come mai vivessero insieme; insomma, era palese che non stessero insieme ma nessuno dei due gli aveva spiegato il motivo della loro coabitazione.
Ad un tratto la faccenda gli sembrò parecchio strana, sospetta.
Ma Luke si fidava di entrambi e con ingenuità si scrollò di dosso quell'interrogativo così pesante, che minava a rivedere tutte le sue posizioni.
Ora doveva aiutare un amico e non si sarebbe di certo tirato indietro.
"Raccontami cos'è successo."
Ecco, la domanda che temeva di più ma voleva sfogarsi e non poteva chiudere così il discorso, l'altro sarebbe andato dritto da Temi per saperlo.
Fece un lungo respiro e si mise una mano nei capelli biondi, che avevano davvero bisogno delle forbici di un barbiere: ecco cosa sacrificava per stare dietro a quella palla al piede recalcitrante!
Non voleva darle la colpa, ma non ce la faceva davvero più e sperava solo che la notizia non giungesse troppo presto alle orecchie del padre.
Non avrebbe retto anche un colloquio con lui che avrebbe rinfacciato di non essere Norge.
"Chissà se lei lo sa? Di certo, quelle due sono pappa e ciccia e quel che succede a una lo sa anche l'altra! Dannate ragazze!"
Luke lo continuava a guardare più incuriosito che mai e decise di cominciare: sapeva che sarebbe stato un lungo racconto
"Ecco, è successo che Temi è stata aggredita e io, dopo averlo saputo, le ho consigliato di prendere un'arma. Insomma, Egris è pericolosa e imparare a sparare con una pistola piccola piccola non le farebbe male..."
 
Busco era seduto alla scrivania e si massaggiava le tempie.
Era furioso e preoccupato.
Come avevano osato quei bastardi attaccare una sua protetta?!
Ok che non rendeva assolutamente nulla e avrebbe fatto meglio ad eliminarla, molti problemi sarebbero scomparsi, ma la sua autorità era ancora piuttosto forte, o almeno lo sperava.
"Non va bene per niente. Raza sta distruggendo il mio impero e tutti gli altri ci godono e ne approfittano. Con il fatto che ha dato un territorio piuttosto grande ai Sisu invece che farmi dividere il mio spazio come preferisco, mi ha umiliato profondamente!
In pratica ha dato la stessa importanza a me e a un mio sottoposto! E' fidato, ma non va bene.
I Sisu non devono acquistare potere, se non l'acquisto anch'io.
Ci dev'essere qualcosa sotto, forse Hillar sa qualcosa, magari la ragazzetta ha confessato e si è tenuto tutto per sé, diventando alleato del Re Bastardo.
Non mi sono mai fidato di lui e, se salta fuori che ho ragione, lo ucciderò con le mie mani!
Perché Norge non è a capo dell'azienda? Con lei non avrei mai corso un pericolo simile, era perfetta, perché ha lasciato tutto?
Al momento la preferirei persino a Sal.
Non sta attento, è svagato e non c'è mai. In questo momento così critico non posso avere perditempo, dovrò richiamarlo presto alle sue mansioni.
Perché doveva prendersi una cotta proprio ora?"
Fissava il fuoco e si perdeva dietro i suoi pensieri
Il suo impero era in declino e lui non poteva far altro.
 
Gytha prese in mano la cornetta del telefono e strizzando un po' gli occhi per vedere il cartoncino iniziò a pigiare i tasti.
Quando finì, aspettò qualche squillo poi la voce della sua nipote preferita, addirittura un Sisu! Brava ragazza!, le entrò nell'orecchio, domandandole chi fosse.
Sembrava un po' sfatta, ma l'altra riusciva a malapena a contenere il suo entusiasmo, così non ci fece nemmeno troppo caso.
"Temi! Nipotina adorata! Tua madre, appena saputa la notizia, ha fatto i salti di gioia! Vi vuole entrambi al pranzo di domenica e ci sarà tutta la famiglia al completo! E' l'occasione perfetta per rendere pubblica una certa cosetta..."
Sperava di essere stata abbastanza insinuante, ma l'altra era sempre parecchio distratta e poteva non capire perfino allusioni molto pesanti.
Infatti le sembrò davvero confusa quando le chiese cosa intendesse.
Il suo stupore non si poteva contenere e rispose immediatamente: "Ma come cara? Il tuo imminente matrimonio con Hillar! Gran bravo ragazzo, comunque.
Non te l'ha ancora chiesto?
Mi ha detto che era pazzo di te e che ti avrebbe presto impalmata!
Magari sei tu che non hai colto gli accenni che ti ha fatto!
Ah, gli uomini!
Quando ti devono portare a letto sono diretti come frecce, quando si tratta di chiederti la mano la fanno più lunga e tortuosa di un labirinto!
Prova a cercare un po' in  giro... Forse troverai una scatolina nel cassetto delle calze o delle mutande!
Su, non essere timida! Non posso credere che tu non l'abbia già fatto, curiosa come sei!
Si vede proprio che hai preso da me.
Sai, mio marito Bert ci ha messo tre anni per chiedermi di sposarlo e avevamo già un figlio, pensa un po'! E teneva l'anello nel barattolo della farina di riso, visto che nessuno la usava mai, da almeno due!
Pensa! Il tuo, dopo due settimane, è già così convinto, ma devi dargli una spintarella, sono così insicuri a volte e magari credono di non avere il coraggio e boiate simili. Allora, ci sei ancora o no? Non ti sento più."
Temi era piuttosto frastornata: di cosa diavolo stava parlando sua nonna? Anzi, che le aveva raccontato Hillar?
Addirittura impalmarla! Ma era pazzo sul serio, allora!
Quando poi si sarebbero separati, lei avrebbe piantato un caos allucinante e non voleva proprio sapere cosa avrebbe preparato lei.
Però il pranzo di famiglia non si sarebbe proprio potuto evitare: era da troppo che non vedeva i suoi e sbattere davanti agli occhi di tutti i parenti quel gran bel ragazzo che era Hillar oggettivamente era una grande tentazione.
Solo che aveva appena litigato con lui e di certo non avrebbe acconsentito a fare da trofeo. E avrebbe avuto ragione.
Forse poteva convincere la nonna a farla  venire sola, ma come idea era parecchio rischiosa.
Decise di provarci comunque.
"Nonna, ecco, vedi... Io e lui non stiamo attraversando un periodo molto buono..."
Fu subito interrotta. Ora si sarebbe compiuta l'Apocalisse.
Si chiese se dovesse pregare per la propria anima, ma lasciò perdere visto che la Gytha aveva già battuto il record di parole dette in un giorno al telefono.
Ma il contenuto era parecchio diverso da quello che si sarebbe aspettato.
La voce dell'altra era parecchio chioccia e la cosa la preoccupò.
"Oh cara, accade a volte di litigare quando si abita assieme... Sai, ognuno vuole i propri spazi e nessuno sa in che misura concederli.
Sono sicura che farete presto pace, di certo prima di questa domenica e verrai insieme a lui, niente scuse.
E' un ordine, non un invito, in realtà."
Il tono dell'anziana si era fatta secco e metallico.
Un dubbio affiorò dalla mente di Temi: non era da lei comportarsi in questo modo, di solito preferiva convincere le persone con la sua testardaggine e la sua apparente amabilità.
Che fosse perché...
"Nonna, viene Bruna per caso?"
"E se anche fosse? Se voglio vedere la mia nipotina preferita con il suo fidanzato può anche non essere perché c'è quell'essere immondo! Cosa credi?"
Temi fece un sorriso sottile: ci andava a quel pranzo con Hillar.
Anche solo per fargli vedere la rissa che si sarebbe scatenata fra le due anziane sorelle.
 
Quando ebbe finito il racconto e il suo scotch, aspettò con calma la reazione di Luke.
Sapeva di avergli più o meno raccontato tutta la verità, con qualche omissione necessaria e sperava di non averlo troppo sconvolto.
In fondo per lui era più che normale consigliare di prendere una pistola per autodifesa e naturalmente le avrebbe fatto fare tutto in regola. Circa.
Il medico non aveva ancora toccato il suo bicchiere e se ne stava seduto un po' stranito dall'immagine di Temi con un'arma da fuoco in mano.
Si riscosse presto e cercò di dire qualcosa di adatto; in fondo era amico di entrambi e non sapeva bene in che relazione fosse con Norge, ma credeva che sarebbe stata contenta anche lei se li avesse fatti riappacificare.
"Mhhh. Non sono molto d'accordo nel dare a Temi qualcosa di più affilato di un coltello spuntato, ma capisco il motivo dell'idea.
Però credo che tu la stia sottovalutando: è molto più forte di quanto pensi.
Un esempio è quello che ti ha detto: abitate insieme solo perché uno la sta stalkerando, no?
Credo che la vostra amicizia sia cresciuta molto in fretta e non nel modo che pensava, così ora è spaventata a morte.
Devi cercare di capirla: è in casa di un estraneo e c'è qualcuno che sta cercando di farle del male; in più ha appena subito un tentato scippo.
E' in confusione e devi starle accanto, ma lasciarle anche i suoi spazi.
Non so come spiegarti bene."
Luke aggrottò la fronte: come faceva a rendere facile quel concetto?
"Hai presente quando cercano di addomesticare un animale selvaggio, no?
Ecco, con Temi è tutto il contrario. Lei si fida subito, ma dopo ci ripensa e si ritrae.
Dovresti cercare di ritirarla fuori, guadagnandoti il suo rispetto e il suo affetto.
Comunque sei messo bene: lei non litiga mai on nessuno, a parte Norge.
Devi piacerle davvero molto. Come persona, intendo."
Si era affrettato a concludere così perché non voleva dare l'impressione che Temi si fosse confidata con lui e gli avesse detto di provare qualcosa in più per Hillar.
Quest'ultimo lo guardò concentrato e decise che quel medico venuto da chissà dove aveva ragione su tutto, nonostante il castello di bugie che gli impedivano di vedere chiaramente.
Ma il problema restava: doveva salvaguardarla e la situazione era ancora più complicata.
Magari avrebbe potuto convincerla a prendere almeno un coltellino.
"Luke, grazie mille. Sei un grande amico e di sicuro avresti avuto meglio da fare che ascoltare le mie lamentele. Quindi, voglio ricambiarti il favore. Come va con Norge? E' da un po' che non la sento e credo che stia facendo impazzire tutti. La mia dolce sanguinosa sorellina."
Il medico arrossì un po', non seppe bene se per l'alcol appena ingerito o altro, ma doveva ammettere che non era sempre così facile gestirla.
"Questo per quanto riguarda l'ambito lavorativo. Ma per quello della vita normale?"
Il sopracciglio di Hillar era così allusivamente alzato che Luke, dopo aver preso un altro sorso di bourbon, quasi gli sputò in faccia.
Cosa stava pensando quell'idiota?
Lui e... Norge?
Doveva essere pazzo.
"C-c-che ambito di vita normale? La conosco perchè è amica di Temi e lavoriamo insieme. Anzi, devo dire che non ha perso un'occasione per lanciarmi qualche frecciatina velenosa, ma punto. L'unica volta che abbiamo parlato sul serio..."
Qui si interruppe un attimo: Hillar sembrava più che mai una vecchia comare affamata di notizie.
Non poteva sopportare il suo sguardo pieno di malizia ancora per molto.
"Smettila. Sembri un avvoltoio su un animale morente, sei inquietante. Comunque, mi stai facendo perdere il filo, sei felice? L'unica volta in cui abbiamo parlato, anzi, che lei ha parlato con me, l'argomento ha vertito solamente su di te. Spero che il tuo ego sia soddisfatto ora."
Il tramonto era vicino e la luce accarezzava impudente le gote di Luke, facendole sembrare ancora più vermiglie, cosa che Hillar non notò affatto, troppo concentrato sulle ultime parole dell'amico.
"Norge gli ha parlato di me? Ma se non mi sopporta affatto! E perché con il medico che non conosce poi così tanto bene?"
Forse aveva la risposta al quesito, ma prima doveva indagare su una cosa.
"Hai detto che è stata molto fantasiosa nelle sue battutine acide?"
L'altro lo guardò un po' pensieroso e annuì.
Il volto del giovane malavitoso si illuminò e appoggiò con forza il bicchiere che teneva in mano sul piano di legno.
Il medico trovava parecchio preoccupante questo strano cambiamento e il sorriso che quasi gli andava da una tempia all'altra, così si ritrasse un po', mentre lui spiegava concitato che era un buon segno, un ottimo segno, addirittura.
"Non capisci? Lei ti avrebbe ignorato, normalmente. E' tremendamente selettiva e non fa facilmente amicizia. E' una dura, lei. Ma si vede che l'hai colpita, in qualche modo strano e sconosciuto, e, sapendo che siete, diciamo, sullo stesso piano e non saresti corso da lei per farti consolare come alle volta fa Temi, ha iniziato a cercare di abbassare la tua autostima. O forse, se tutto ciò è iniziato dopo la nascita della tua amicizia con la specializzanda, dev'essere una specie di rivalità."
Luke era molto dispiaciuto di dover sciupare l'entusiasmo dell'amico, ma le cose non stavano assolutamente in quel modo.
"Mi dispiace, ma credo che sia iniziato tutto quando le ho chiesto se il suo fosse un nome d'arte. Avresti dovuto vedere la sue espressione!"
Hillar sbarrò gli occhi e si mise a ridere, insieme al medico: povera Norge!
"Sei troppo forte! Ma ti batto! Una volta, stavamo litigando al telefono e per chiudere la discussione le ho detto di darsi al fai-da-te!"
Hillar stava quasi stramazzando a terra, mentre Luke gli chiedeva stranito se fosse proprio quello che intendeva.
"Eh certo! Non mi parla da allora! Devo averla shockata, povera stella!"
 
Anche il padre dei due fratelli Sisu era preoccupato per quello che sarebbe accaduto a tutta la sua famiglia.
Sapeva che stava cadendo a pezzi, un frammento alla volta: Norge se n'era andata, Hillar era troppo preso da quella ragazzetta insulsa che affermava di proteggere, sua moglie era stanca di essere una signora della malavita perfetta e lui era solamente troppo vecchio per quei giochi.
In più ora Raza, quel maledetto, gli dava una concessione enorme.
Di norma sarebbe stato entusiasta, ma il problema era il donatore: avrebbe dovuto essere Busco.
Invece quello se n'era bellamente infischiato delle regole non scritte e aveva deciso di gestire come meglio gli pareva i territori che aveva assegnato ai capi.
Sapeva che ora ci sarebbero state delle tensioni e in parte ce n'era già.
Quando Hillar, infuriato perché avevano osato toccare la sua protetta, si era visto rispondere da Tommy di non avere tempo né voglia per gestire simili sciocchezze, il padre aveva capito che tutti si aspettavano solo che diventassero dei capi anche loro. Non più sottoposti.
E anche Busco pareva aspettarselo, visto il gelo con cui li trattava.
Non voleva quella onorificenza, era già abbastanza delicato affrontare i problemi odierni senza avere altre preoccupazioni.
Lui non aveva mai avuto ambizioni di quel tipo, gli piaceva abbastanza Busco ed era stato sempre fedele.
Era quella ragazza che stava mescolando le carte in tavola, lo sapeva.
Non capiva in che modo, ma era lo strumento di Raza e di certo avrebbero dovuto eliminarla subito, invece che mandare suo figlio a farle da tata.
In realtà non aveva niente contro di lei, non la conosceva e se era così amica di Norge doveva avere delle gran qualità, ma odiava come stesse allontanando Hillar da lui.
Non lo vedeva quasi più ed era sempre stufo marcio quando gli chiedeva di passare del tempo insieme, a mettere in ordine i conti dell'azienda.
Trovava ogni scusa per andarsene presto, usando come scusa quella della protezione.
E il bello era che Temi era stata aggredita comunque.
Non era capace di quel lavoro, lo sapeva: gli avevano dato troppo spazio ed aveva fallito.
Per fortuna non era successo nulla di grave materialmente, ma era stato un brutto colpo per tutti.
Norge avrebbe saputo come tornare nelle grazie di Busco e rimettere tutto a posto.
"Però non è qui. E' in ospedale a fare l'infermiera. Dove ho sbagliato? Perché non ci aiuta? Una volta la famiglia era la priorità, ora tutti inseguono i loro miraggi personali. Dove andremo a finire?"
Aveva bisogno di una buona notizia, anche sua moglie, che aveva assistito alla riunione con Busco, seduta composta e silenziosa come non mai, le guance esangui e le mani torte sotto la tavola.
Sospirò, triste per lei.
Il telefono squillò varie volte, insistente e fastidioso.
Lui aggrottò la fronte: chi era lo screanzato che interrompeva i suoi pensieri?
"Pronto?"
La voce non poteva essere più seccata.
L'autore della telefonata si chiese se stava facendo la cosa giusta, poi si inumidì le labbra e rispose.
"Ciao, sono Norge."
Lui era davvero preoccupato: che le fosse successo qualcosa? Lei non telefonava mai.
Ma non riusciva a contenere la piccola gioia che nasceva dal sentire la sua voce, così cara alle sue orecchie.
"Vorrei dirti che... Ci ho pensato e non mi piace la situazione in cui verte la nostra famiglia.
Non credo che Hillar sia in grado di continuare il suo compito e temo per lui.
Quindi torno, per un periodo limitato, ovviamente. Superata questa maretta, tutto come prima."
Norge poteva sapere solamente lei quanta fosse stata difficile questa conversazione.
La decisione era stata semplice, ma dire a qualcun altro di questi progetti le aveva fatto venire mille stupidi dubbi, prontamente zittiti.
"E  questo, immagino, è per la tua amica."
Suo padre non perdeva un colpo e amava sapere sempre il perché delle cose.
Non lo avrebbe ingannato, lo rispettava ancora abbastanza per non farlo.
Rispose con un secco sì, poi, sentendosi in dovere di aggiungere qualcosa, spiegò di star facendo quello che le era stato insegnato: proteggere la famiglia e gli amici.
Non se lo sarebbe mai scordata, anche in un centinaio di anni.
 
Quando Hillar tornò a casa, si stupì che tutte le luci fossero spente. Sembrava davvero strano che non ci fosse nessuno.
Temi sarebbe dovuta tornare da ore, il suo turno, per quel giorno, l'aveva già fatto.
C'era qualcosa che non quadrava e non gli piaceva per niente.
Cercando di fare meno rumore possibile, si guardò intorno e decise di visitare ogni stanza della casa per scoprire eventuali visitatori inaspettati.
Doveva ammettere che non si aspettava già un'altra offensiva, soprattutto dopo la litigata con Busco, ma la notizia doveva essere volata e tutti cercavano di approfittarsene, come al solito.
Mentre stava davanti a una porta, fermo, pronto ad aprirla, udì un cigolio: allora c'era davvero qualcuno!
Teso per il pericolo e la possibilità che a Temi stesse capitando qualcosa, aprì di scatto l'uscio, mentre tirava fuori la pistola che portava sempre con sé.
Quello che non si aspettava era una ragazza mora, che lavorava come specializzanda nell'ospedale di Egris, gli saltasse addosso abbracciandolo e tremando come una foglia mentre gli chiedeva insistentemente dove fosse stato.
Stupefatto, appoggiò l'arma su una mensola e circondò con le braccia la vita di Temi, rassicurandola e raccontandole dell'incontro con Luke.
Lei alzò lo sguardo poi lo spinse via, iniziando una paternale con i fiocchi.
"Si deve essere spaventata davvero molto se mi sta accusando di averla fatta preoccupare sparendo all'improvviso e non tornando entro un orario decente.
Forse non ha ancora superato lo shock dell'aggressione e teme una nuova minaccia. Sì, devo regalarle una pistola, qualcosa di piccolo e maneggevole. Facile da usare. Mhhh... Ora però è meglio pensare a come calmarla. E' isterica."
"E tu che ci facevi dietro la porta al buio?"
La faccia strafottente e la domanda di Hillar l'avevano gelata.
Temi cosa ci faceva?
Non poteva ammettere di aver paura, l'avrebbe presa in giro e l'avrebbe costretta a prendere un'arma.
"Volevo vedere se eri un bravo protettore o no! Magari non te ne saresti nemmeno accorto e come faccio io ad essere sicura di potermi fidare di te?"
La scusa era così patetica che lui sorrise, ricordando anche le parole di Luke: lo stava allontanando, mettendolo alla prova per testare le sue qualità.
Fece una risata liberatoria e la prese sottobraccio, affabile.
"Allora, ho passato la prova?"
Temi fece una smorfia: non voleva alimentare il suo gigantesco ego, ma non poteva mentire.
Sapeva che si sentiva già abbastanza in colpa per colpa dell'aggressione e le dispiaceva anche per il modo in cui l'aveva trattato prima.
"Mhhh... Abbastanza. Puoi migliorare."
L'altro alzò gli occhi al cielo, sbuffando divertito: era proprio buffa!
"Visto che, diciamo, ho passato l'esame, vorresti venire a cena con me per festeggiare?"
Era una domanda insolita: loro cenavano insieme sempre, ma non erano mai usciti, a parte per la festa.
Si liberò dal suo braccio, fissandolo seria negli occhi.
Non sarebbe stato troppo pericoloso?
"Sei sicuro?"
Questo fece scomparire il divertimento dalla faccia del ragazzo.
Era ora di ammettere qualcosa.
E lei era davvero troppo intelligente per il suo bene.
"No, non lo sono. Ultimamente non lo sono mai, penso di fare tutto sbagliato con te. Ma se non è servito tenere un profilo riservato, tanto vale fare la bella vita in giro per locali, non credi?"
Le fece l'occhiolino e attese, pieno di aspettativa.
Aveva voglia di fare qualcosa di diverso, con lei.
 
Raza poteva dirsi soddisfatto.
La riunione aveva irritato e messo uno contro l'altro tutti i capi della malavita.
In più nutriva grandi speranze per Hillar Susi.
Aveva una gran testa, il ragazzo, anche se nascosta da strati di infantilità, rabbia adolescenziale e distrazione.
Temi aveva un buon influsso su di lui e sembravano andare d'accordo.
Ghignò lieve: questo sviluppo era interessante, soprattutto perché aspettava con ansia di vedere come lei avrebbe gestito la situazione che, con il tempo, sarebbe diventata sempre più insostenibile.
Non era fatta per mentire, ma stava facendo un buon lavoro: Norge era appena passata dall'ospedale alla malavita e il prossimo compito sarebbe stato ancora più succulento.
Era stata un'ottima scelta.




Angolo dell'autrice che sta progettando di sbronzarsi follemente per Halloween:
Ciao a tutti!:)
In questo capitolo davvero lungo e con vari punti di vista, finalmente Temi tira fuori le unghie, per poi sdilinquirsi a random.
Io continuo a non capirla, questa ragazza.
Devo dire di aver apprezzato parecchio Luke imbrazzato, nella mia immaginazione è così carino!*.*
Ok, basta fangirlare sui miei stessi personaggi.
Spero che abbiate apprezzato la parentesi con la nonna di Temi e il padre di Norge e Hillar.
A proposito, il nome della sorella con cui probabilmente Gytha lotterà è quello della sorella di mia nonna, che non si sa perchè a caso ha smesso di parlarle.
Bah, capirle queste vecchiette!
Per il resto, mi auguro solo che vi sia piaciuto il capitolo e recensite, mi raccomando!;)
Adieu!;)
Vex

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Capitolo 22
*** E il conflitto è inevitabile ***


Da quando esiste il mondo e il tempo, sempre si ripete sulla terra il caso di due fratelli rivali. Uno dei due, il più vecchio, è più saggio, più forte, più vicino al mondo e alla vita reale e a tutto ciò che unisce e muove la maggior parte della gente, un uomo cui tutto riesce facile, che sa in ogni momento cosa occorre o non occorre fare e cosa si può o non si può pretendere dagli altri e da se stesso. L'altro invece incarna proprio il tipo opposto: un uomo dalla vita breve, disgraziato, che sbaglia ad ogni passo, un uomo le cui aspirazioni vanno sempre oltre ciò che è lecito. Questi, in conflitto con il fratello maggiore – e il conflitto è inevitabile – perde già fin dal principio la partita. (Ivo Andrić)

Saverio entrò fischiettando piano nella sala dell'assemblea, ma il sorriso, insieme al sangue, gli si gelò quando posò lo sguardo sul lato del tavolo occupato dai Sisu che, simili alla Santa Trinità, sfoggiavano un'identica espressione di noia e serietà, comprendevano, da destra a sinistra, Norge, suo padre ed Hillar. Erano talmente uguali fra loro da far pensare a tre statue con lo stesso soggetto, solo declinato in maniera diversa.
Lui salutò tutti e prese posto, mentre cercava di non far vedere il suo stupore: che diavolo ci faceva Norge lì?

Anche Hillar, qualche minuto prima, se l'era domandato, quando aveva capito chi era quella ragazza bionda seduta vicino al padre: non gli risultava che alla riunione sarebbero state presenti delle donne, non essendoci nessun sottoposto dei Busco di gentil sesso.
Eppure li aveva salutati entrambi con noncuranza, come se si fossero messi d'accordo il giorno prima e si aspettasse la presenza della sorella.
Però, appena l'occhio del signor Sisu era stato rapito da qualche altra cosa, lui si era sporto indietro, allungando il braccio e toccando lievemente la spalla di Norge, per richiamare la sua attenzione.
Poi aveva mosso solo le labbra mentre le domandava il motivo della sua presenza lì.
Lei gli aveva sorriso trionfalmente e sempre in labiale gli aveva risposto: “Me ne devi una, non te lo ricordi, Roitsu?”
Quella bastarda di certo si era preparata la risposta e, sapendo che ovviamente le avrebbe rivolto quella domanda, aveva assaporato quel momento come il frutto più dolce e succoso mai esistito!
In quel momento Hillar non desiderava altro che lei scomparisse per sempre: sapeva che, se lei era lì, era perché nessuno credeva nelle sue capacità e quell'aggressione a Temi ne era stata la conferma.
Capiva perfettamente la logica e anche il motivo che aveva spinto la sorella a compiere quel passo con evidente gioia, mentre prima lo aborriva con tutta se stessa.
Di certo voleva che Temi stesse al sicuro, ma più di tutto era il sentimento di rivalsa per la sua telefonata che la infiammavano.

Saverio camminava tra le vie della città cercando di calmarsi, ma l'unico modo per farlo sarebbe stata la polverizzazione assoluta del clan Sisu, nessun escluso.
Appena aveva visto Norge aveva saputo che qualcosa non andava: la sua famiglia doveva essere davvero spaventata per averla convinta a fare qualcosa del genere.
In realtà lo era più lui.
Lo sguardo di lei era stato quasi annoiato mortalmente mentre lui illustrava la situazione, come se avesse già deciso la sua sorte da tempo e non la toccasse minimamente.
In più i suoi indumenti non l'avevano per nulla aiutato, poiché tutti i sottoposti erano stati ammaliati da quella visione femminile bionda con una camicia viola sbottonata quanto basta e i grandi occhi dipinti di un color prugna quasi nero. Assomigliava in tutto e per tutto a una divinità guerriera, una Morrigan: perfino i capelli biondi sciolti risplendevano di bagliori metallici, quasi a riprendere la lucentezza dell'onnipresente braccialetto, quasi fossero il riflesso di antiche armature.
E tutto il discorso per la sua riammissione che aveva fatto Busco!
L'irritazione gli era salita a mille mentre il suo capo esprimeva in mille frasi il suo affetto per Norge, le qualità che aveva sempre visto, il dolore per la sua decisione di tranciare i rapporti e “Oh, quanto ci è mancata! Ma ora per fortuna è di nuovo tra noi e non oso esprimere la mia contentezza!”.
Quanto lo aveva odiato in quel momento: gli sembrava troppo di interpretare l'altro fratello nella parabola del figliol prodigo. Sapeva che non avrebbero mai ammazzato il vitello grasso, per lui che si sobbarcava tutto il lavoro! Sperava di contare qualcosa: evidentemente non era così.
Ma c'erano problemi più urgenti.
Norge era riuscita a sistemare tutto tra i suoi e i Busco, affermando la loro inferiorità nei confronti di Tommy e cedendo parte del territorio, che era troppo grande per loro, all'amministrazione del loro capo, con i relativi profitti, chiaramente.
Poi aveva fatto una proposta che aveva fatto sbalordire lui e indignare Hillar: un colloquio fra Temi e i maggiori esponenti della malavita.
Saverio non si aspettava una mossa del genere: ma lei non era amica di quella là? Non desiderava proteggerla con tutta se stessa e parti di qualcun altro?
Forse stava giocando a un livello superiore e lui non se ne accorgeva: lei era più pericolosa di una serpe!
Già il fatto che avesse partecipato alla riunione aveva uno specifico significato: il vecchio Sisu aveva in pratica affermato che lei fosse una di loro e che come tale bisognasse trattarla.
E lei si sapeva comportare come loro, sapeva ammaliarli con uno sguardo e ricevere il loro rispetto come nessun altro avrebbe potuto fare, con una naturalezza tale da sembrare quasi casuale.
Scosse la testa: ora doveva pensare ad altro che lo spaventava molto di più di una possibile monarchia di Sisu: il suo appuntamento con Françoise.
Erano usciti insieme altre volte, ma questa era speciale perché, nel mezzo di una limonata niente male che gli aveva ottenebrato i sensi, le aveva propostoun pranzo a casa sua.
Questo significava un punto di svolta perché di solito si incontravano “per caso” e quindi si trovavano “per caso” a mangiare insieme nello stesso ristorante.
Temeva e desiderava che succedesse qualcosa di più durante quel pranzo, ma non sarebbe riuscito a sopportare di essere ritenuto ridicolo da lei. Gli piaceva davvero molto ma non sapeva come comportarsi a quell'evento imminente che lo stava mandando in paranoia.

Hillar era stato sorpreso dell'invito al pranzo di famiglia di Temi, soprattutto per gli ultimi discorsi che lei gli aveva fatto, ma non si pentiva di esserci andato: si stava divertendo da morire.
Tutti erano così candidi e curiosi nei suoi confronti, e sembravano trovare adorabile il fatto che la sua finta fidanzata si vergognasse da morire a ogni sua invenzione sul come-quando-perchè si erano messi insieme. E poi c'era tutta questa fantastica confusione che lo divertiva da morire! C'erano mille quadretti diversi tra loro: una parte Gytha si difendeva dall'accusa scherzosa ma non troppo di Bruna, la sorella, di essere una facile; dall'altra la cugina di Temi, la famigerata Terry, baciava con grande gusto la sua ragazza, perché sì, alla fine aveva chinato la testa e aveva accettato di uscire con una di quelle ragazze che le si presentavano alla porta e aveva capito di aver cercato sempre nel posto sbagliato; da un'altra parte ancora Temi, la sua adorabile ragazza, si era sciolta un po' e rimproverava scherzosamente suo cugino. E questo mentre erano ancora in piedi ad aspettare di sedersi per mangiare.
Suo padre avrebbe arricciato il naso e avrebbe descritto quell'amorevole caos come degno del peggior mercato mai visto.
Sua madre avrebbe sorriso leggera e poi avrebbe criticato tutto dietro le spalle.
Ma era un amorevole caos perché loro amavano Temi e lei li ricambiava pienamente, anche se con un po' di vergogna per le menzogne che rifilava impunemente.
Hillar si fece a un tratto triste: le cene della sua famiglia non erano mai state così, erano rigide e formali fino all'eccesso.
All'improvviso sentì due braccia sottili e forti cingere la sua vita e si ritrovò Temi abbarbicata addosso che lo fissava sorridendo comprensiva. Quella ragazza gli scaldava l'anima, c'era poco da dire. Le fece un sorriso di rimando e la strinse a sé, mentre tutti si bevevano adoranti quella scena zuccherata.

Temi era contenta di aver rivisto la sua famiglia ma era anche un po' imbarazzata per il loro comportamento: erano stati rumorosi e inopportuni e sperava che ci non avesse infastidito troppo Hillar, che non era abituato a certe cose.
Infatti, prima di iniziare a pranzare, lo aveva visto lontano, preso da un dolore tutto suo e di slancio lo aveva abbracciato: voleva che lui comprendesse di non essere solo in quella masnada di matti.
Voleva bene ai suoi parenti, ma sapevano essere eccessivi e li conosceva troppo bene per immaginarli senza macchia come invece aveva fatto Hillar.
“La nonna se l'è presa a morte con sua sorella quando le ha dato della sgualdrina davanti al mio finto fidanzato e ha fatto di tutto per vincere a carte contro di lei, barando in maniera oscena. E mio cugino dovrebbe smettere di provarci con la ragazza di Terry: è lesbica, non cambierà sponda per lui!
Mio padre poi dovrebbe solo stare zitto, invece di criticare suo nipote perché lascia sempre il bambino agli altri: alla sua età passavo il mio tempo tra scuola e la casa di mia nonna, non li vedevo quasi mai! Si sono sempre preoccupati per me, ma non c'erano spesso.”
Tirò un lungo sospiro: erano davvero sfiancanti, tutti quanti.
“E la più ipocrita di tutti sono io, che li critico e poi mi vado ad alleare con il capo odiato della malavita.”
Hillar le sembrava strano, non aveva parlato della riunione urgente a cui era andato quella mattina, ma l'espressione felice che aveva occupato il suo viso mentre erano a pranzo era scomparso completamente.
Lui non riusciva ancora a credere che Norge avesse proposto una cosa simile: tanto sarebbe valso a spingerla contro un branco di lupi affamati con uno stuzzicadente come arma!
Come poteva non capire che Temi aveva bisogno di tempo per riprendere la sua vita normalmente?
Di certo era stata segnata da quell'aggressione, anche se non lo dava a vedere, lui lo sentiva sotto la pelle.
E ora aveva il compito di dirle cosa il destino, o meglio la sua amica, avesse intenzione di fare con lei.
Ne sarebbe uscita una terribile discussione, lo immaginava.

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Capitolo 23
*** Una musa più efficacemente ispiratrice ***


La malizia è una musa più efficacemente ispiratrice che non l'amicizia. (Giovanni Papini)


Hillar sentiva che troppi eventi strani erano accaduti senza che lui prestasse loro la minima attenzione.
Una delle prime domande che gli erano sorte, e a cui non aveva mai cercato la risposta, riguardava la presenza di Temi al barbecue.
Che cosa aveva pensato Norge quando l'aveva invitata? Perché l'aveva fatto?
Quando suo padre l'aveva avvertito, aveva creduto che sua sorella fosse intenzionata a fare coming out di fronte a tutti, vero o falso che fosse.
Di sicuro molti avrebbero avuto un infarto a quella notizia e a lei era sempre piaciuto andare controcorrente.
Ma non era successo nulla di questo.
Poi gli era sembrato strano anche il comportamento della specializzanda alla notizia di un prossimo colloquio con tutti i capi della città: si era mantenuta tranquilla, seria, senza una sola espressione sul volto, e aveva acconsentito quiescente.
Lui, che si era aspettato una scenata disperata con i fiocchi, era rimasto stupito: Hillar sarebbe stato terrorizzato e arrabbiato, al suo posto, soprattutto credendo di avere Norge dalla propria parte.
Invece Temi aveva chiesto solo se la sua amica fosse tornata nella malavita e non aveva commentato quando aveva ricevuto una risposta positiva, che era suonata come la pietra tombale che sigilla un corpo alla terra.
Inoltre, tutto il barbecue gli era sembrato completamente sbagliato. Già solo il fatto di riunirsi come conigli spaventati per essere sicuri della fedeltà di ognuno era stato rischioso: una bomba o un blitz avrebbero liberato la città di molti personaggi potenti e scomodi, poi i vari ospiti estranei che senza motivo erano lì sarebbero potuti essere ancora più pericolosi, bastava pensare solo a quanti segreti avrebbero potuto riferire.
Hillar aggrottò la fronte mentre passeggiava nelle vie circostanti all'ospedale, mentre Temi era guardata a vista dai suoi più fedeli ragazzi: il vicino colloquio la rendevano ancora più desiderabile, per chi avesse voluto delle informazioni prima degli altri e non poteva accadere.
Lui si ricordava poco degli altri invitati, li conosceva quasi tutti, ma gli tornava in mente la fibrillazione dlle varie signore e signorine della malavita a proposito di una donna e un viso abbronzato contornato da capelli scuri circondato da altri.
Sua madre gli aveva fatto di certo una testa così a proposito di quel gossip succulento di certo, ma lui aveva sviluppato la tendenza a ignorarla completamente e ora se ne pentiva.
Non voleva chiederle nulla perché gli sarebbe toccato ascoltare una paternale lamentosa di due ore e in più ora gli sembrava una sfida a se stesso: doveva ricordarsi chi fosse.

Temi aveva provato un sacco di emozioni diverse alla notizia del prossimo colloquio, che incombeva inesorabilmente sulla sua testa. Aveva però fatto finta di nulla, mostrandosi sicura di sé e solo un grande autocontrollo le aveva evitato di chiedere, come una bambina, a Hillar se sarebbe stato presente anche lui.
Temeva di tradirsi e di mettere nei guai il suo coinquilino e Norge, che era tornata a casa.
Per questo non sapeva bene cosa provare: da una parte si sentiva riprovevole e indegna di qualsiasi cosa, anche se non aveva indotto l'altra direttamente a questa scelta, ma dall'altra una vergognosa soddisfazione le riempiva la gola. Si stava avvicinando sempre di più al suo obiettivo.
Ora però tremava al pensiero del prossimo compito di Raza, che taceva da molto tempo: che avesse cambiato idea? Che stesse tessendo una tela ancora peggiore?
Scosse la testa, cercando di stare attenta a quello che le diceva un paziente: non poteva distrarsi proprio ora, ne andava della sua carriera e della sua vita.

Norge non si sentiva così soddisfatta e fiera di sé da molto tempo: tutto stava tornando al suo posto: Temi sarebbe stata lasciata in pace, Hillar si sarebbe arreso alla sua evidente superiorità e avrebbe pagato molto duramente la ribellione che aveva tentato, Saverio sarebbe stato riconosciuto come il parassita inutile e orgoglioso che era e lei... beh, ci avrebbe pensato.
Tornare alla sua vecchia vita era molto più facile di quanto si aspettasse, visto che tutti sembravano desiderarlo e conoscere circa la maggior parte delle persone da quando ea bambina era stato indubbiamente un vantaggio.
E come pendevano dalle sue labbra! Non riusciva ancora a capire come mai nessuno ci avesse pensato prima!
Il livello medio di intelligenza doveva essersi abbassato fortemente da quando era andata via, anche se aveva sentito altre idee interessanti da qualcuno dei rari giovani non imparentati con lei presenti alla riunione.
Norge sorrise tra sé: aveva ricevuto più di un complimento per l'ottimo discorso e più di una richiesta di uscire per parlare diffusamente di questa o quell'altra problematica: sapeva riconoscere una scusa per un appuntamento, quando la sentiva.
Ma aveva rifiutato tutti con gran garbo e un sorriso fascinoso, chiamando in causa la mancanza di tempo, tra l'ospedale e la malavita.
Non erano brutti o stupidi, solo che, se ne avesse accettato anche solo uno, fingendo di credere a ciò che raccontavano, sarebbe stata sommersa da un quintale di pettegolezzi sulla sua vita privata e lei non aveva voglia di smentirle.
Non aveva una relazione fissa da molto tempo, grazie al suo carattere forte e alla situazione "particolare" della sua famiglia, che non invogliava di certo a presentare qualcuno a casa.
Sapeva già come si sarebbero comportati tutti, anche se non avesse dovuto nascondere la loro appartenenza alla malavita: sua madre avrebbe riempito di domande il malcapitato sul lavoro, la famiglia e sulla vita in generale, da quando era nato fino a quel giorno, Hillar avrebbe ridacchiato senza ritegno facendogli le condoglianze perché "Non sai chi ti sei messo in casa!", ecco cosa gli avrebbe detto, poi gli avrebbe chiesto i particolari sconci, mentre suo padre lo avrebbe fissato in silenzio, manifestando la propria disapprovazione con un impenetrabile muro tra lui e gli altri commensali.
E lei?
Norge sarebbe rimasta immersa nella sua vergogna, cercando però di non far peggiorare tutto, inutilmente.
Scosse la testa al pensiero di un'improbabile cena con i suoi e un suo ragazzo ipotetico: sarebbe stato un disastro ed era meglio stare così, da sola.
O meglio, con avventure senza importanza, che le piacevano di più: nessun obbligo nei confronti altrui e nessuna preoccupazione.
Era però da tempo che non aveva nemmeno quelle e, anche se non le dispiaceva, non era molto contenta che l'unico contatto fisico per lei si limitasse a qualche sfioramento casuale con i pazienti e agli abbracci di Temi, sempre più infrequenti, tra l'altro.
In più era una botta di autostima immensa: le piaceva e sapeva di farlo bene.
Le mancava fare sesso.
Arricciò il naso e ridacchiò divertita: solo in momenti delicati come quello poteva pensare a qualcosa di talmente triviale-.
Ma era giovane, stava vincendo e l'adrenalina le solleticava le narici. In più nessuno le aveva mai detto di chiudersi in convento e di certo non era sua intenzione farlo.
Voleva compiere qualcosa di diverso e sapeva esattamente cosa.
Doveva solo trovare...
"Ehi Sisu, questo paziente ha bisogno di un clistere."
Lei si voltò immediatamente e guardò colui che aveva parlato prima sconcertata, poiché non si era accorta di nulla ed era sovrappensiero, poi stranamente soddisfatta, cosa che preoccupò molto Luke più del suo silenzio e del compiere ciò che le aveva chiesto senza ribattere nulla.
Norge aveva semplicemente preso una decisione.

Saverio aveva un appuntamento con Françoise ma pensava di rimandarlo, a causa del nervosismo e della rabbia compressa da almeno tre ore nel suo fegato.
Busco, da quando c'era stata quella riunione, non faceva altro che parlare di Norge e di quanto fosse bello averla di nuovo con loro, mentre Sal annuiva e sorrideva a denti stretti.
La situazione, per lui, non era delle migliori: il suo capo aveva sempre avuto un debole per quella peste, sperando che fosse solo affetto e non altro, e quella aveva dimostrato di nuovo di essere ancora molto preziosa per tutti quanti.
E il fatto che un sacco di gente venisse da lui a chiedere di lei un giorno si e l'altro pure non lo aiutava affatto.
Anche pensare che quello fosse solo un periodo temporaneo non lo aiutava più, poiché sapeva com'era fatta Norge: non avrebbe di certo mollato ora, mentre era sicura di mietere un successo dietro l'altro.
Sarebbe solo mancato un confronto tra lei e Raza, per complicare le cose.
Sapeva che sarebbe successo presto, Ebneye probabilmente aveva spie ovunque e la notizia di quel colloquio maledetto era già volata da un angolo all'altro della città.
Busco aveva già deciso chi invitare, per evitare guerre fra bande in un momento così critico, ma molte piccole famiglie non sarebbero state ammesse: non c'era bisogno di altra concorrenza, soprattutto con il pericolo pressante rappresentato dai Sisu.
Il padre era ancora al potere ed era sottomesso più che mai alla famiglia, ma Norge ed Hillar non si sarebbero accontentato di poco, potendo avere molto.
Magari lei si sarebbe accontentata di appropriarsi del suo ruolo, ma il fratello mal sopportava le loro imposizioni e voleva brillare per conto suo; inoltre viveva appiccicato a Temi e lei non aveva assicurato il suo silenzio a nessuno: poteva aver mentito già dall'inizio per togliersi da quella posizione tragica e poi, sedotta dalle moine di Hillar, aver vuotato il sacco.
Forse i Sisu stavano solo fingendo di accontentarli mentre tramavano e si accordavano con gli altri, vendendo informazioni al miglio offerente!
Doveva essere così, che significava, altrimenti, tutta quella generosità esibita alla riunione?
Saverio prese la testa fra le mani e cercò di darsi una calmata: non doveva permettere loro di infiltrarsi nella sua mente e di confondere i pensieri.
Doveva restare lucido e vedere Françoise, quel delizioso essere lontano da tutti i maneggi di quella gentaglia da cui era circondato, lo avrebbe aiutato di certo.

Hillar era quasi sicuro di ricordarsi chi fosse la ragazza misteriosa quando, svoltato un angolo, vide la suddetta e Saverio baciarsi mentre si stringevano appassionatamente.
Fece immediatamente un passo indietro, nascondendosi nell'angolo, senza fiato, stupito di quel che aveva appena spiato involontariamente.
Le guance gli si arrossarono un po', per la vergogna di aver assistito a un momento così intimo, ma poi un leggero e malefico sorriso gli apparve in volto: ecco con chi se la spassava, il grande Sal!
La sua presunta freddezza sentimentale era stata argomento di innumerevoli chiacchiere tra i salotti malavitosi e anche lui non faceva eccezione, avendo dato vita a parecchie invitanti teorie sullo stato del braccio destro di Busco.
Un piano malefico gli si delineò nella mente, frutto di anni di odio represso e desiderio di prevaricazione: oh sì, Saverio avrebbe dovuto aspettarsi il peggio, ora. Lo avrebbe distrutto, se avesse provato a toccare Temi, a quel dannato colloquio.
Lui in teoria non ci sarebbe dovuto andare, ma si era ripromesso di farlo perché non avrebbe lasciato sola la sua amica in mezzo a quel covo di lupi.

Raza era assai divertito dalla frustrazione e dal desiderio di rivalsa dei suoi baldi giovanotti preferiti.
Era stato necessario, ma anche tremendamente perverso, rimettere Norge in campo: la sua ambizione, unita a quella del fratello avrebbe potuto dare grandi frutti, ma anche solo come elemento per infastidire Saverio non era male.
D'altronde Hillar non si sarebbe mai alleato con la ragazza, a meno che non fosse costretto da Temi.
Ecco, lei si era rivelata un cavallo di Troia interessante e, soprattutto, insospettabile.
Certo, la lotta interiore era evidente, ma, se era quasi certo di vederla crollare, dopo l'aggressione, era stato piacevolmente colpito dal suo impegno a stringere i denti ed andare avanti.
Quella ragazza aveva una volontà da non sottovalutare: sembrava indifesa verso il mondo, ma avrebbe potuto tenerlo in pugno.
Di certo le avrebbe aperto la porta della sua casa, quando avesse bussato.
Intanto, una piccola foto infilata in una tasca non poteva fare male, giusto?
A volte si chiedeva se lui stesse cambiando la città o se la città stesse cambiando lui.
Scosse le spalle: non gli importava.
L'unica cosa importante era compiere lo scopo prefisso e tutto stava andando a gonfie vele.

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Capitolo 24
*** Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle. ***


Oggi si soffre e si fa soffrire, si uccide e si muore, si compiono cose meravigliose e cose orrende, non già per salvare la propria anima, ma per salvare la propria pelle. Si crede di lottare e di soffrire per la propria anima, ma in realtà si lotta e si soffre per la propria pelle. Tutto il resto non conta. (Curzio Malaparte)


L'odore di pelle trattata era penetrante, ma non copriva del tutto i profumi degli uomini presenti nella stanza, anche se Temi non riusciva a sentire altro, a causa dell'agitazione e del fatto che in pratica una poltrona rivestita con quel materiale stava cercando di risucchiarla lentamente.
Un'ora o due prima Norge era venuta a prenderla e l'aveva preparato come credeva fosse più adatto a un incontro del genere: quello era il grande giorno e tutto doveva essere curato nei minimi particolari.
I capelli le scendevano naturalmente lisci sulla schiena senza coprirle il volto e il trucco era molto leggero, quasi inesistente.
Per essere una che sembrava un maschiaccio la maggior parte del tempo, Norge se ne intendeva moltissimo di cosmesi e aveva criticato metà dei prodotti contenuti del beauty-case dell'amica, salvo buttarne la metà.
Le proteste della specializzanda non erano servite a nulla, l'altra non le aveva dato retta, spalleggiata dalle risate del fratello che aveva osservato la scena a distanza di sicurezza, appoggiato allo stipite della porta della camera da letto di Temi.
Quel essere spregevole aveva anche dato dei suggerimenti in merito all'abbigliamento, ma a quel punto era stato cacciato a calci perché le sue idee convergevano con quelle delle due ragazze in merito alla quantità di pelle da mostrare: in pratica Hillar scommetteva un occhio della testa che se Temi si fosse presentata con una scollatura da capogiro sarebbe stata lasciata in pace alla velocità della luce, avendo attirato le simpatie lubriche di tutti i vegliardi presenti.
Quando avevano sentito questo ragionamento, Norge si era girata di scatto verso di lui e l'aveva fulminato con lo sguardo, ringhiando che i capi malavitosi erano delle persone per bene e che certe cose non funzionavano con loro, mentre la diretta interessata era arrossita fino a raggiungere tonalità mai viste e aveva nascosto il viso tra le mani, che le era anche costato un rimprovero dell'infermiera per la possibilità di rovinare il lavoro fatto.
Alla fine si erano decise per un look sobrio e adeguato all'occasione e alla sua posizione sociale.
Nulla di troppo costoso o raffinato, ma formale e femminile.
Alla fine di tutto i due fratelli l'avevano accompagnata insieme con la macchina più scura e lucida di un buco nero e avevano cercato di non farle sentire la tensione, con scarsi risultati tranne un morso per Hillar e un braccio torto per Norge: quei due sembravano dei bambini pestiferi insieme.
Da soli erano sopportabili, anche divertente e affascinanti, ma quando erano presenti entrambi non perdevano un'occasione che fosse una per beccarsi tra di loro.
Poi l'avevano consegnata a Saverio, che li aspettava all'entrata e tutta la gravità della situazione era caduta sulle spalle di Temi come una cascata di pietre: la preparazione poteva essere sembrata un gioco, ma ora doveva essere lucida e concentrata, non sbagliare nulla e soprattutto riuscire a convincere ogni persona presente lì dentro di essere un'innocente ragazza ingiustamente vessata.
Ora era lì e aspettava la prima domanda, mentre attorno tutti gli occhi erano puntati su di lei con un po' di superiorità e noia.
L'avevano giudicata subito da quando era entrata, grazie a Norge.
Non si aspettavano nulla più di una semplice ragazza che stava facendo il suo tirocinio e questo le aveva fatto montare una rabbia devastante nel suo animo: come osavano giudicarla così poco, quando lavorava segretamente per il loro capo e li stava ingannando tutti in maniere diverse?
Era molto tentata di dire la verità e farsi così saltar le cervella, ma si trattenne e mantenne un'espressione umile e timida.
Doveva fingere di trovarsi a un colloquio con dei poliziotti, così come Hillar sarebbe stato costretto a raccontarle, se loro due non fossero stati complici in altre faccende.
Sentiva un po' strano il fatto di star ingannando delle persone che credevano di starla ingannando; in effetti era piuttosto stravagante come la vita scorreva.

Hillar non si trovava lì e si sentiva male per questo, ma aveva lasciato Temi nelle mani capaci, anche se non l'avrebbe mai ammesso, di sua sorella: lui doveva fare qualcos'altro.
Non aveva raccontato a nessuno di Saverio e della ragazza misteriosa, ma aveva raccolto el informazioni come elettroni in un orbitale e finalmente aveva l'ottetto: tutto era completo e il destino necessitava di una spintarella; come la porta di un certo negozio di informatica, tra l'altro...
Il piano lo eccitava a dismisura, ma si sentiva sgonfiato quando pensava che la sua amica stava affrontando qualcosa di così pericoloso da sola, visto che a Norge non era stato concesso di partecipare al colloquio, come a tutti gli altri sottoposti, e si doveva accontentare di vedere tutto da una telecamera, gentile concessione del custode.
Ma d'altra parte Temi non aveva richiesto la sua presenza e probabilmente l'avrebbe solo distratta.
"Ma che sto dicendo? Lei mi vuole con sé, glielo si leggeva negli occhi, ma non me l'ha chiesto perché... Perché sì, vuole fare la bambina grande."
Questa situazione lo stava irritando a dismisura e si necessitava di un po' di menefreghismo e egocentrismo.
"Basta, lei è adulta, si è cacciata in questo caos da sola e deve imparare che non sempre ci sono gli altri su cui contare, deve saper contare solo su se stessa: io ho altri obblighi e di certo questa missione è importante: Saverio merita di essere ribaltato dal suo piedistallo, altroché. E io ho tutta l'intenzione di dargli un forte scossone."
Così, dimenticandosi di Temi e di tutto ciò che la riguardava, si diresse a passo sicuro verso quel negozio, con un sorriso affascinante e una battuta divertente tra i denti.

L'interrogatorio era semplice, ovviamente cercavano di ingannarla, ma lei si difendeva abilmente, come l'adorabile normalissima ragazza che era.
Norge però non capiva come mai Hillar non fosse restato, dopo tutta la sua apprensione che era quasi riuscito a passarle.
Lei stava in una saletta gelida, con altri dieci persone almeno, a fissare uno schermo grosso come un'unghia fino a farsi venire gli occhi gonfi e non riusciva a fare a meno di esultare interiormente a ogni trucchetto svelato dalla sua amica.
Intanto, di fianco a lei, Sal rivolgeva tutta la sua attenzione a quella scena, come più o meno gli altri; lei ne conosceva alcuni, aveva visto anche qualche vecchia amica che aveva scalato la piramide e aspettava solo il momento giusto per prendere le redini della famiglia, ma alcuni la nauseavano, con la loro noia e i commenti a sfondo sessuale.
Sulla propria scollatura ne continuava a sentire a bizzeffe, ma, quando aveva sentito qualcuno lamentarsi perché l'accusata non si era presentata in intimo, aveva sentito il bisogno di sfogarsi sulla pelle altrui.
Quando il tizio si era rincantucciato in angolo giurando vendetta con voce lamentosa mentre nessuno lo considerava e tutti gli occhi erano puntati su una calmissima infermiera che, un po' sporca e in disordine, si risiedeva con grazia come se non fosse accaduto nulla, il silenzio era stato così pesante da poter essere usato come zaino di scuola e la consapevolezza della propria inadeguatezza aveva fulminato le menti di tutti nello stesso istante; Norge, accortasi di ciò, li guardò uno per uno e poi, con aria di sufficienza sancì la sua superiorità: "Sono tornata, e sono cazzi per voi. Ecco tutto."
L'unico che non si era scomposto più di tanto era stato Saverio, poiché era troppo occupato a controllare la situazione che vedeva nello schermo e conosceva troppo bene il comportamento di Norge per non aspettarsi un'azione del genere: gli anni lontani dalla malavita non l'avevano di certo ammorbidita su alcune questioni.
Lei aveva sempre giurato di non essere come la madre, la perfetta signora malavitosa, e di conquistare il potere da sola, alla luce del sole, senza un matrimonio.
Quindi era femminista fino al midollo e non sopportava che qualcuno facesse delle battutacce del genere in sua presenza, soprattutto sulla sua amica e sugli abiti che aveva scelto personalmente.
Era ovvio che l'avrebbe fatto, solo che alcuni non se la ricordavano o il tempo passato tra l'addio e il ritorno aveva mitigato tutti i ricordi.
Un breve sorriso si disegnò sul voltò di Sal: lei era l'unica che avrebbe potuto dargli del filo da torcere, a differenza di tutti gli altri presenti nella sala, che avevano cercato più o meno di farselo amico o di detronizzarlo.
Ma non si erano mai avvicinati a lui come Norge, che continuava a non perdere un colpo: solo quello che era appena accaduto le aveva fatto guadagnare il rispetto e la paura di tutti i sottoposti e l'aveva imposta come terribile ostacolo per loro stessi e i loro boss.
Chiunque poteva immaginare che lei, avendo le qualità e lo spirito adatti, avrebbe ottenuto più potere di tutti quanti e che presto avrebbe fatto un salto di qualità.
Saverio temeva e incrociava le dita solo per questo: lei non doveva diventare il braccio destro di Busco, mai.
Sarebbe morto piuttosto che permetterglielo.

Anche per Fran quella mattinata era stata strana, soprattutto per l'incontro con uno sconosciuto uomo di notevole bellezza al bar vicino al suo negozio di informatica.
Era andata lì come sempre a fare colazione e stava leggendo "Cent'anni di solitudine", libro caldamente consigliato da Temi, quando lui, dal tavolino di fianco, le aveva chiesto se preferiva Ursula o Remedios la bella.
Lei aveva alzato gli occhi, un po' stupita di questa interruzione stravagante e si era ritrovata davanti un ragazzo con i capelli biondi spettinati ad arte, con un filo di barba volutamente non fatta, e un sorriso affascinante che riecheggiava nelle immensità azzurre dei suoi occhi.
Lo aveva guardato con un po' di sospetto e lui aveva riso di gusto, assicurandole di non essere un pervertito e di non star flirtando con lei, ma che aveva attaccato bottone solo perché era rimasto piacevolmente colpito dal fatto che stesse leggendo un grande classico invece di un Harmony. come aveva osservato fare da molte altre ragazze.
Poi aveva fatto un commento intelligente e Fran aveva sorriso, prima di gettarsi in una conversazione serrata su tutto quello che passava per la mente dei due.
Lei era rimasta davvero felice di parlare così a ruota libera, cosa che non faceva da molto tempo, né con Temi né con Saverio.
La prima era sempre assente, svagata, sembrava sul punto di andarsene via senza salutarla, trasportata da una folata di vento, mentre il secondo era pragmatico e concentrato sul presente in modo totalizzante.
Sapeva sempre dov'era e lei, un po' sognatrice e un po' decisa, non riusciva a mettersi completamente sulla sua onda.
Non che non lo capisse, ma alcuni argomenti erano tabù: il problema era che riguardavano tutti il suo lavoro e lui viveva per il suo lavoro.
Non aveva hobby, di cui lei era a conoscenza, che non riguardassero la sua carriera; solo per sbaglio aveva imparato che andava al poligono a sparare, quando usciva dall'ufficio.
E Fran non ci teneva particolarmente a conoscere i modi per uccidere qualcuno in meno di venti secondi.
Sal non era né stupido né ignorante, ma non apprezzava i voli di fantasia: tutto doveva essere discusso per un certo motivo. Non faceva nulla per nulla, era la sua natura.
In fondo lo amava anche per questo.
Quindi quel ragazzo dal nome stravagante era stato una piacevole scoperta e non le era affatto dispiaciuto quando, dopo un'ora dal saluto al bar, se l'era trovato in ufficio con un portatile rotto e un'aria davvero sorpresa che rispecchiava la sua.
"Ma che ci fai qui?"
"Sono la proprietaria, piuttosto dovrei chiedertelo io: mi stai seguendo per caso?"
Hillar aveva avuto un principio di sudore freddo, ma la brutta sensazione era sparita quando lei era scoppiata a ridere e aveva confessato di scherzare, mentre tutte le impiegate pensavano di essere pronte per il paradiso, dopo una visione del genere, anche se non era valido che intorno alla loro datrice di lavoro gravitassero degli uomini uno più bello dell'altro.
Saverio era affascinante, ma questo aveva qualcosa che gli scorreva sottopelle, una specie di gioia a malapena contenuta: non sarebbe mai invecchiato del tutto, sarebbe sempre rimasto fresco come un ghiacciaio in Alaska.
Hillar rimase lì per un'altra oretta e si godette la compagnia della ragazza di Saverio, prima di fissare un altro incontro per riprendersi il computer e facendo aleggiare una promessa non troppo vaga di un pranzo, per continuare la conversazione.
Uscì fischiettando e lanciando un sorriso ammiccante alle impiegate: il pesce aveva abboccato, toccava a lui decidere quando tirarlo su e banchettare con le sue carni.
Gli occhi splendettero un attimo freddi, glaciali: assomigliava in tutto e per tutto a un capo della malavita, con l'espressione sprezzante e il completo elegante.
L'unica cosa che rimaneva da fare era andare a prendere Temi e Norge, sperando di non trovare troppo cadaveri in giro.
Solo quando raggiunse l'edificio si accorse di essere stato agitato fino a quel momento per la sua amica, ma scosse la testa: era solo perché la sua complice avrebbe potuto far saltare la loro copertura e lui non voleva che ciò accadesse.
Norge ci avrebbe banchettato per giorni allegramene, ne era sicuro.

Il colloquio era stato tranquillo, era rimasta calma e aveva finto rispetto misto a paura, combinazione che i capi malavitosi dovevano trovare deliziosa, vista la faccia soddisfatta di tutti quanti.
Aveva finto così tanto da crederci anche lei alla sua innocenza, ma poi si era ricordata che faceva tutto quello perché era colpevole fino al midollo e qualcuno lo sospettava.
Ciò nonostante, era stato faticoso e aveva tremato appena un po' quando non aveva visto né Norge né Hillar entrare con lei. Avrebbe tanto voluto averli vicino, guardare di sottecchi le loro espressioni ma forse era stato meglio così: avrebbe potuto tradirsi e sarebbe tutto andato a rotoli.
Quando uscì dalla stanza, dopo aver strinto le mani a tutti, sorridendo timidamente, si ritrovò davanti a Norge, un po' strapazzata: l'ombretto le si era sparso sin sulle tempie, dando un'aria da alieno da video musicale, gli occhi le luccicavano febbrili e lo smalto cadeva a pezzi. E non parliamo dei suoi capelli: se prima erano in una treccia ordinata, ora sembravano la coda di un gatto fulminato.
Cos'era successo nelle due ore in cui erano state separate?
Guardò dietro le sue spalle e vide alcune persone che andavano incontro ai capi e che gettavano occhiate malevole a entrambe, ma soprattutto all'infermiera.
Uno non era conciato nemmeno molto bene e si teneva molto lontano dalle due.
Lei la guardò preoccupata ma l'altra, sfoggiando un sorrisetto vittorioso, le intimò di sbrigarsi ad uscire: Hillar le stava aspettando.

Il figlio maggiore dei Sisu aveva ricevuto dei messaggi un po' inquietanti da parte dei subordinati degli altri capi, in cui maledivano e descrivevano la sorella come una tigre selvaggia. Qualcuno aveva anche postato la foto di uno di quelli picchiato a sangue, probabilmente dal felino sopraccitato.
Lui sbuffò divertito.
"Che lagne, sono proprio tutti dei mollaccioni. Se fossero stati nostri fratelli riterebbero ciò solo una ragazza e anche leggera. Io ho imparato a evitare, più o meno, di finire in certe situazioni, soprattutto con Norge ed era un po' ovvio che lei si volesse sfogare e marcare il territorio: la volevano, no?
Ora se la beccano tutta, senza filtri.
Ci sarà da divertirsi, immagino, alle prossime riunione e vedremo se gli altri vorranno ancora affermare che noi siamo di seconda categoria."
Dopo questo pensiero, vide le due ragazze uscire tranquille e scese per aprir loro le portiere. Una volta sulla via dell'ospedale, giacché Norge si doveva recare lì per lavorare mentre Temi ci sarebbe andata verso sera, la sorella prese la parola: "Domenica siete a pranzo dai nostri genitori. Visto che fingete di essere fidanzati, ecco le vostre grane che arrivano. Hanno creduto bene di invitare Temi perché, se steste insieme davvero, sarebbe strano che lei li abbia visti solo una volta e che non abbia visitato mai la casa famigliare."
Lascio a voi immaginare la reazione di entrambi gli interessati mentre Norge scendeva dall'auto leggera come la neve e spariva all'interno dell'ospedale senza pensieri.
Ma il pensiero di Hillar che continuava a rimbalzargli nella mente fu: "E come faccio con mio padre? La ucciderà di certo, trattandola a pesci in faccia, come fa sempre! E farà lo stesso con me! Oddio, ora che si fa?"
Purtroppo una rottura di relazione così veloce non si sarebbe potuta attuare e i due finti innamorati sospirarono all'unisono, prima di accettare la realtà: sarebbero andati, avrebbero visto la situazione e avrebbero cercato di vincere.
Era l'unica possibilità: se potevano fingere davanti a loro di essere innamorati, avrebbero potuto conquistare il mondo senza che nessuno lo sospettasse.

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Capitolo 25
*** la menzogna davanti a se stessi, data per verità, rovina tutta la vita di un uomo. ***


Per quanto ci si sia inoltrati per la via della menzogna, è sempre meglio fermarsi che continuare a percorrerla. La menzogna davanti agli altri è solo svantaggiosa: ogni questione viene sempre risolta in modo più diretto e più rapido con la verità che non con la menzogna. La menzogna davanti agli altri non fa che confondere le cose e allontanarne la soluzione, ma la menzogna davanti a se stessi, data per verità, rovina tutta la vita di un uomo. (Lev Tolstoj)


Temi era tormentata da un incubo ricorrente: si trovava ancora al colloquio con i capi della malavita, ma quella volta sapevano tutto e la accusavano di mentire, mentre lei terrorizzata negava con forza, poi i loro colli si allungavano a dismisura e si trasformavano in serpenti che si avventavano contro di lei che era congelata, sentiva addirittura il freddo bruciarla dall'interno e cristallizzarsi dietro agli occhi, e continuava a gridare insensatamente la sua falsa innocenza a un pubblico a cui non importava affatto con una bocca oscenamente aperta e calda da liquefarle i denti.
Ma continuava a urlare, urlare e urlare lo stesso...
Quando si svegliava, fradicia di sudore e con la mente ancora confusa dal cambiamento di ambiente, si strappava le coperte di dosso e controllava ogni angolo della stanza, nel caso ci fossero stati degli aggressori nascosti.
Poi, cercando di fare meno rumore possibile, apriva uno dei suoi manuali enormi di medicina e cercava il disegno fatto da lei e la foto che le aveva mandato Raza del suo quasi stupratore.
Non aveva detto niente di tutto ciò a nessuno dei suoi amici, alla famiglia nemmeno a parlarne.
Ci mancava solo di coinvolgere altra gente nella sua ragnatela.
Però stava iniziando a comprendere davvero in che guaio si fosse cacciata: non era un gioco e non sarebbe potuta tornare candida come una colomba, tantomeno togliersi da quella situazione quando lo avrebbe desiderato.
A meno che non si facesse fuori, uscire dal labirinto al momento era impossibile: era proprio al centro.
E il Minotauro la stava cercando.
Per la prima volta considerò come buna l'idea di una pistola: stava giocando a livello agonistico ed essere indifesa contro gente ben intenzionata e capace di usare delle armi da fuoco non la faceva impazzire di gioia.
Però era anche spaventata di questo pensiero e di avere qualcosa di così pericoloso tra le mani: se ci avesse fatto l'abitudine? Se non fosse più riuscita a considerare strano premere un grilletto e colpire qualcuno?
La sua coscienza mandava ancora segnali di vita, ma Temi non era poi così sicura di volerla ascoltare: semplicemente i suoi nervi stavano collassando, a forza di non dormire ed essere tesi fino all'inverosimile, per paura che non ombra potesse colpirla quando era accecata dal sole.

Anche Hillar era teso, ma per altri questioni.
Sembrava che il colloquio fosse andato bene e che Temi sarebbe stata lasciata in pace, così non si preoccupava molto per lei, ma la riunione al gran completo con Raza lo preoccupava enormemente, soprattutto per la presenza di sua sorella, perché certamente sarebbe venuta.
Non voleva che lei o tutta la famiglia si beccassero un proiettile in testa solo perché quella sconsiderata aveva tenuto testa al capo dei capi. Era purtroppo molto possibile che succedesse.
E oltre a questo cera la cena di presentazione dei suoi a Temi, se fosse riuscito a sopravvivere.
E Norge continuava a girare con un sorrisino troppo inquietante per essere vero: avrebbe pagato oro per sapere cosa aveva in testa. Di certo uno scherzo a suo danno.
Ma il piano ai danni di Saverio stava procedendo a meraviglia e sentiva l'ammirazione di Françoise come una doccia rigenerante, quando le cose si facevano troppo dure.
L'unico peccato era che non ne aveva ancora parlato con nessuno, così la sua vanità era un po' assetata, ma nulla di che: quando avrebbe dato la stretta finale, tutto il mondo l'avrebbe applaudito.
Oltretutto Temi ne sarebbe rimasta disgustata per l'uso di un'innocente in una vendetta personale e non ne avrebbe parlato con Norge nemmeno fra un milione di anni: forse lei non avrebbe messo in discussione i suoi metodi, ma avrebbe cercato di rovinare tutto.
Meglio aspettare un po', non si dice forse che l'attesa aumenta il piacere?
Era così concentrato su di sé che non vedeva null'altro che la propria esistenza. Tutto il resto era sfumato in una nebbia trasparente e poco interessante
Sentiva solo la sua voce, assaporava unicamente il suo sapore e guardava esclusivamente la sua figura.

Luke si trovava in una posizione particolare, a voler essere eufemistici. Anche con il poco raziocinio che gli rimaneva, la paura soffocante e la sgradita eccitazione che lo immobilizzavano e non scordiamoci del sorriso lascivamente inquietante dell'infermiera più imprevedibile di tutto il reame corrotto del Re Bastardo, sapeva che probabilmente era una delle poche persone che avrebbe potuto vantare un'esperienza del genere, se proprio non si avesse avuto nulla di meglio da fare.
Ma in quel momento non pensava nulla, era più concentrato sulla realtà, anche se non avrebbe comunque potuto fare altrimenti.
Respirava sempre più veloce e il calore dell'inferno sembrava salire dal pavimento: che l'orrido portone si fosse aperto e che avesse rilasciato tutti i suoi demoni?
Probabile, vista la presenza del più terribile di loro in quel luogo.
Però era tutto così veloce e strano e portentoso che non...
Ricordava a malapena Norge che lo guardava stranamente e che lo agguantava trascinandolo via. Al resto cercava di non pensarci, impresa altamente difficile, visto che stava accadendo tutto proprio ora. Aveva ancora i suoi occhi blu, resi scuri dalla determinazione, addosso e voleva solo immaginare l'espressione soddisfatta e vincente della ragazza. Ma quella bastarda non l'avrebbe lasciato stare facilmente, non ora che era alla sua mercé...
Lui voleva che smettesse ma anche che non finisse mai e ciò lo mandava in confusione: perché non riusciva né a reagire né a decidersi?
I suo conflitti interiori vennero presto dispersi da un'emozione devastante, che gli rapì perfino la coscienza di sé per qualche secondo, tempo in cui si accasciò per terra, vide per un secondo la faccia di Norge sorridente in modo odioso vicino a lui, doveva essersi piegata, e sentì i suoi passi allontanarsi in una perfetta armonia di ticchettii.
Un po' a corto di forze, si appoggiò al muro per alzarsi e si sforzò di relegare tutto in un angolo della mente, promettendosi di ripensarci più tardi, a mente fresca, ma conosceva abbastanza se stesso per sapere che non sarebbe mai accaduto: avrebbe solo cercato di dimenticare la stranezza di quella giornata in fretta, come molti altri capitoli della sua vita.

Fran canticchiava tra sé da un bel po' di giorni, ormai: era davvero molto contenta di incontrare Hillar per caso quasi tutti i giorni, visto che entrambi lavoravano nella stessa zona.
Lui le aveva detto che aveva cambiato occupazione da poco e che faceva l'avvocato in uno studio non molto famoso.
Di solito alle dieci della mattina faceva entrambi una pausa e si ritrovavano al bar del loro primo incontro, prendendo sempre le stesse cose. Era quasi un rituale, a farci caso.
Saverio non sapeva nulla di quest'amicizia e probabilmente imputava l'umore sempre positivo della sua ragazza al fatto che finalmente la loro relazione si era consolidata in qualcosa di più.
Era successo qualche giorno dopo il colloquio con Temi, che ancora non lo convinceva del tutto, ed era stato terribile per entrambi, almeno all'inizio, perché lui l'aveva invitata a pranzare a casa sua. Questa innocente questione era molto complessa in quanto non sapevano come comportarsi: si sarebbe concluso con una pomiciata come al solito o sarebbe successo qualcosa? E sei lei non si fosse vestita appropriatamente? E se lui si fosse bloccato?
Per fortuna, appena lei era arrivata con un abito quasi da sera e lui aveva messo in tavola un pranzo degno di un ristorante a cinque stelle, entrambi erano scoppiati a ridere per la loro stupida agitazione ed era stato tutto molto tranquillo, adorabile nella sua normalità. Non era quasi mai successo ed era stato qualcosa da custodire, per entrambi.
In quel momento a Fran era sembrato quasi che Saverio non fosse quel che era, e che lei cercava sempre di dimenticare, e si era creata una sintonia davvero unica e delicata come il cristallo dei bicchieri.
Ciononostante qualsiasi cosa fosse successa quel giorno era scomparsa ed entrambi erano tornati quelli di prima: Saverio sempre nel presente e lei in posizione instabile nel tempo.
Con un terzo tra loro.

La signora Sisu si versò per l'ennesima volta il liquore bruno nel bicchiere e ne osservò annoiata lo scorrere lento e appiccicoso.
Suo marito continuava a parlare infervorato di Norge, la sua piccola cara, e ne lodava tutti gli aspetti possibili e immaginabili.
Pur legate da un legame piuttosto forte, forse quello più forte in assoluto, lei e sua figlia non si erano mai capite. Anzi, Norge non aveva mai cercato il suo affetto o la sua presenza.
Preferiva fare tutto da sola o al massimo con suo padre.
Amava troppo l'indipendenza per ascoltarla e la considerava meno di zero.
Di certo non sospettava per nulla quanto fosse stato difficile vivere con suo padre e tutta la malavita, perché non erano mai solo loro quattro in casa.
La presenza strisciante di quella robaccia le aveva sempre condizionato la vita e ormai continuava a vivere per inerzia: nemmeno la morte l'affascinava più.
Continuò a sorridere vacuamente e rivolse un fuggevole pensiero al figlio, rovinato come lei.

Temi stava lavorando nell'ospedale da poco quando si accorse di un Luke strisciante a velocità supersonica verso l'uscita seguito da Norge che camminava tranquilla e soddisfatta, come se il mondo le appartenesse e non avesse nulla a che fare con lo strano comportamento del medico.
Guardò in modo interrogativo l'infermiera ma quella scrollò le spalle e continuò per la sua strada, finché il corridoio non fece una svolta e la ingoiò.
La ragazza si domandò da quanto tempo non avesse una conversazione con Luke.
"Troppo. Qui sta succedendo qualcosa e Norge non me lo dirà mai, sospetto. Di certo sta facendo qualcosa ai danni del medico. Questa storia non mi piace affatto."
Ma per il momento non poteva far nulla, a parte continuare il suo lavoro e rimuginare sui suoi guai, oltre che su quelli degli altri.

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Capitolo 26
*** Interludio: La sola realtà umana ***


Il passato, è la sola realtà umana. Tutto ciò che è, è passato. (Anatole France)

Saverio stava camminando per la città, diretto verso un incontro con qualche associato dei Busco quando si fermò davanti a un vecchio negozio chiuso e fatiscente, le cui serrande erano ormai tenute insieme solo dalla ruggine.
Guardò l'insegna scolorita e macilenta e sentì un piccolo colpo alla base della gola, un sorta di soffocamento leggero.
Conosceva quel posto, ci aveva passato molto tempo nella sua vita precedente, quando ancora non era un malavitoso di alto calibro.
Era l'emporio di sua madre.
Poi, emporio era anche troppo: era un negozietto sbilenco in cui quelli del quartiere potevano comprare quello che serviva, ma non c'era di certo molta scelta e il valore delle merci era parecchio ridotto.
In verità si vendevano più che altro giornali e chiacchiere: sua madre aveva dovuto addirittura togliere la panca davanti al negozio, perché gli anziani avventori riuscivano a passarci lì seduti anche tutto il giorno, commentando il comportamento di quello o la gonna di questa.
Ricordava ancora l'odore insopportabile del sudore e della plastica che lo obbligavano a tapparsi il naso con le piccole mani da bambino e la fatica che pesava come la pressione di mille litri d'acqua sulla testa era il tratto comune di tutti i clienti, smunti e allungati, come piante cresciute nell'oscurità.
I sogni di sua madre, così giovane e rovinata, dai capelli coperti da uno straccio colorato, il sorriso forzato e le mani ruvide, si erano infranti in quella più misera stanzuccia, pesci dorati arenati sulla spiaggia a causa di una tempesta indifferente, mentre cercava di campare con un figlio senza padre, scomparso chissà dove, inghiottito da uno squalo mentre salpava per raggiungerli dopo aver fatto fortuna in Oriente, schiacciato dal peso dei quattrini che purtroppo non aveva potuto consegnare loro, strangolato da migliaia di cravatte di seta che si erano avventate su di lui spinte da una divinità gelosa.
In realtà non gli era mai interessato sapere che fine avesse fatto, ma continuava ad accontentare sua madre fingendo di credere a quelle storie, ma solo fino a un certo punto, poi la rabbia, la realtà avevano preso il sopravvento su di lui e le aveva urlato migliaia di volte la verità, finché non se ne era andata per sempre, cadendo da una scala.
I sogni, erano quelli che l'avevano tenuta in vita, solo quello: non il negozio sull'orlo del baratro o il figlio sempre veloce a correre nelle vie insieme ad altri ragazzi ormai rimasti nella polvere o mischiati ad essa.
I suoi sogni, che non si erano mai avverati, avevano spinto Saverio sulla sua strada: lui non sarebbe finito in quel modo, non avrebbe mai rinunciato a nulla e ovviamente non sarebbe marcito anonimamente per uno stupido incidente.
Tutti si sarebbero ricordati di lui e non sarebbe morto senza un bagno di sangue, lacrime e odore di polvere da sparo.
Lui era uno dei pochi che aveva fatto qualcosa della sua banda, ma di certo l'aveva portata a un livello superiore, senza mai esserne nominalmente il capo: c'era troppo gente che gli avrebbe fatto le scarpe se solo lo fosse diventato, ma come consigliere e picchiatore qual era nessuno si sarebbe sognato di toccarlo.
Era fiero di sé, almeno credeva di doverlo essere, ma si era accorto di una cosa: non riusciva più a desiderare nulla, niente lo attirava.
Era nella condizione di poter avere tutto con un cenno della testa, eppure...
Passò solamente un dito e non si stupì affatto quando vide che aveva cambiato colore.
Se lo pulì in un fazzoletto di seta estratto dall'impeccabile giacca di velluto verde scuro e riprese a camminare incurante, verso il suo appuntamento: aveva già perso troppo tempo in compagnia di fantasmi polverosi.

Norge era ferma davanti a un albero spoglio e continuava a cercare di non sentire nulla, ma niente.
Non riusciva a non provare nulla, il suo animo traboccava di rabbia, passione, gioia, soddisfazione e tristezza.
Non sarebbe mai riuscita a comprendere Kapziel.
Era il più allegro di tutti loro e il più spericolato perché era completamente disconnesso da ogni cosa: non provava nulla, ma non gli piaceva, tormentato dal ricordo delle antiche emozioni provate.
Era arrivato e se ne era andato prima di Sal, pochi se ne ricordavano ancora.
Lei si ricordava di aver riso una volta accusandolo di avere l'anima cava e il suo sorriso che era solo un movimento di muscoli si sovrapponeva ancora ai quelli degli adolescenti che vedeva.
In realtà non erano particolarmente amici, ma lei era incuriosita da questo personaggio così singolare e così magnifico nella sua fragilità che lo rendeva il più forte.
Le piaceva il suo assoluto non coinvolgimento nel mondo che era così parte di lei da non poterne farne a meno: a volte sembrava che Kapziel non fosse nemmeno lì accanto a lei, ma in un'altra dimensione in cui non le era permesso di entrare.
Avrebbe voluto anche lei essere così distaccata, ma non riusciva a non prendere parte alla vita che la circondava.
Si era schiantato contro quell'albero mentre gareggiava con qualcuno che era scomparso nella notte senza fermarsi. La sua automobile aveva riportato solo qualche danno ma lui era morto sul colpo, sorridendo.
Quel sorriso le aveva fatto impressione: era troppo naturale e le sembrava alimentasse la credenza che lui, in realtà, si fosse suicidato.
Aveva molte espresso come non si sentiva e tutti conoscevano la sua ossessione: lui desiderava provare ancora qualcosa in modo terribile a volte.
Riusciva a compiere atti terrificanti e opere meravigliose con la stessa disposizione d'animo, senza accorgersi, senza distinguere bene e male.
Forse era maledetto.
Forse un angelo caduto.
Forse vivere senza sentirlo era peggio della morte o della dannazione eterna.
Quando aveva visto la foto che si passavano i suoi amici come se fosse una figurina da collezione aveva dovuto frenare le lacrime e l'aveva strappata di mano a quei bifolchi, ordinando una cerimonia funebre solo loro per un caro amico "che finalmente è arrivato a destinazione. Un calice per chi non c'è più."
E anche quel giorno versò un po' del contenuto della fiaschetta estratta dalla giacca prima di berne un sorso, poi guardò la foto grande quasi come il suo palmo tutta stropicciata, mezza distrutta dal tempo e dalla polvere.
Lui aveva marchiato la sua vita come non aveva fatto con gli altri: una settimana dopo i suoi amici gozzovigliavano come e più di prima, per dimenticare che la morte aveva osato toccare uno dio come loro, eterno e bellissimo. Sesso droga alcol.
Lei li aveva osservati schifandoli e aveva deciso di non essere mai più come loro: in pratica, era lì iniziato il divario con la malavita.
"Buon trentesimo compleanno, amico."



Temi non doveva mai voltarsi indietro per guardare il suo passato, ne era sempre letteralmente circondata: sua nonna, i suoi genitori, i suoi cugini... Pure se stessa in vari anni di vita, grazie alle foto ospitate in casa di tutti loro, la vegliava e le mostrava i suoi cambiamenti.
Ora però non riconosceva più nulla, era confuso, credeva di essere caduta nella tana del coniglio e di essersi persa.
I suoi famigliari erano bislacchi e minacciosi, la realtà ondeggiava sotto i suoi occhi e doveva cercare di resistere a un fascinoso tentatore che le porgeva una mano per condurla chissà dove, magari in un luogo pieno di sorprese e di tranelli.
Insomma, la struttura del suo mondo era andata in pezzi, le sue illusioni cadute e ora lei restava solo in una sala da ballo vuota, piena di fronzoli e distrutta da una festa che era stata fatta anni prima.
Non poteva chiedere aiuto, solo iniziare a stringere patti e a tessere le sue bugie come la paglia della figlia del mugnaio.
Doveva rendersene conto: nessuno ormai la conosceva più, credevano tutti alla sua facciata, mentre nemmeno lo specchio rimandava l'immagine di prima.
Gli occhi erano più freddi e scuri, fosse per la sua anima, e la bocca era una linea di coltello, una ferita aperta che malvolentieri faceva vedere il suo interno rifulgente.
Non sarebbe stato piacevole conoscere la nuova lei.
O forse era lei che non si era mai conosciuta?


Luke non raccontava mai quello che gli era successo negli anni precedenti di volontariato in zone di guerra.
Stare tranquillo ad Egris lo aveva fatto sentire meglio, gli incubi non erano più tornati, ma a volte sentiva delle voci al limite del suo campo uditivo e saltava al minimo rumore secco.
Alcuni giorni erano così e aveva imparato a sopportarlo.
Ultimamente però c'era una specie di corrente che gli accarezzava la pelle sinuosa e piena di forza nascosta e un profumo di fango e umidità lo avvolgeva e lui cercava di non farci caso, con scarsa riuscita.
Sembrava quasi che il luogo che aveva lasciato fosse venuto a reclamarlo con prepotenza, imponendogli di tornare, mentre lui cercava con tutte le sue forze di stare lucido e ricordarsi che nulla era reale.
Ma il sangue che vedeva era reale o no? Suo o di qualcun altro? Chi stava gridando? Perché la vegetazione era sempre più vischiosa e spessa, voleva ingurgitarlo, non lasciar altro di Luke che qualche ciuffo di capelli scuri, ma lui doveva continuare, anche se c'era qualcuno che lo bloccava, si doveva muovere, sentiva del fumo, dei pianti e... Un colpo di pistola!
"Dottor Asi!"
Luke aprì gli occhi al massimo e credette di essere impazzito: che ci faceva in una brandina dentro un edificio, in compagnia di una preoccupata ma non troppo infermiera?
Dov'era la foresta? Dov'erano le persone da salvare e quelle da cui scappare?
Era completamente stranito e se ne accorse anche l'altra persona.
"Si stava agitando come un forsennato lanciando piccole grida e mi ha dato anche una bella botta, tant'è che l'è caduta la stilografica dal taschino. Ecco, la prenda, e fili subito nel reparto E: hanno bisogno di lei."
La realtà lo riassorbì poco a poco, ma il sogno era ancora forte e lo teneva nelle sue spire crudeli: non avrebbe mai dimenticato il giorno di quel terribile massacro e la sua inutilità, mai.
L'unica cosa che aveva potuto fare era stata scappare per chiamare degli aiuti mai giunti, mentre l'odore della carne bruciata gli intossicava il cervello: gente che lui aveva conosciuto e curato ora era ridotta a spezzatino.
In quel assurdo momento riusciva solo a pensare che la carne del maiale, se spaventato prima di morire, era più dura e se succedesse lo stesso per gli esseri umani.
Dopo aveva vagato due giorni in nessun posto, strisciando, piangendo, vomitando, ferendosi di proposito e cercando sempre qualcosa con cui dimenticare tutto senza successo: l'alcol gli faceva schifo, le droghe in pratica le somministrava lui e altro non gli veniva in mente.
Era stato trovato e sedato per una settimana, poi l'avevano rimandato a lavorare come sempre: non potevano permettersi nemmeno un medico in meno, in quel momento.
E lui aveva lavorato come prima, aveva compiuto le sue mansioni impeccabilmente e aveva fatto le sue ore piccole.
Poi, finito il periodo, seduto davanti alla struttura aveva pensato al suo futuro e non aveva avuto la minima idea.
Così aveva deciso: "Se vedo un uomo, resto, una donna, vado via e l'ultima cosa che vedranno di me sarà il mio sedere che diventa sempre più piccolo, come quello di una formica."
Tanto non aveva null'altro che la propria pellaccia, poteva permettersi tutto.

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Capitolo 27
*** E così finisce col credere di poter sopportare qualunque cosa. ***


L'uomo fa molto più di ciò che può o deve sopportare. E così finisce col credere di poter sopportare qualunque cosa. E questo è il terribile. Che possa sopportare qualunque cosa, qualunque cosa. (William Faulkner)



Luke era a casa da solo e stava riflettendo sull'ultima chiacchierata che aveva fatto con Hillar, secoli prima.
 Lo stava innervosendo da morire la sottile (non così tanto) allusione a qualsivoglia relazione tra lui e Norge.
 E questo non faceva altro che rompergli i nervi ancora di più
 Non capiva come mai se la stessa prendendo tanto.
 Hillar era lui e ovviamente amava fare delle affermazioni per stupire o far vergognare gli altri.
 Ma chissà come mai non riusciva a non smettere di pensarci, come se dovesse trovarci la verità universale in quel cumulo di fanfaronate, perché, forse, un soffio di flauto nella sua testa diceva che aveva ragione il suo amico.
 Ammirava Norge, era vero, ma non la conosceva e se lei aveva fatto quella cosa, non riusciva quasi a pensarlo, figurarsi a dirlo, con lui era solo perché era l'unico essere vivente nei più vicini paraggi.
 Non aveva un debole per lui ed era solamente odiosa per carattere, non stava cercando di attirare la sua attenzione, amava solo sorprendere ed infastidire gli altri. Come suo fratello.
 "Anche perché sarebbe comunque difficile da ignorare anche se stesse sempre zitta. Con quegli occhi blu così scuri... Aspetta, cosa sto pensando?"
 Quel pensiero era apparso così improvviso che si era dovuto fermare un attimo nel suo eterno girovagare per casa.
 Doveva essere pazzo. Non c'era altra soluzione.
 O forse era l'appartamento a mandarlo fuori di testa.
 Dette uno sguardo sommario alla stanza in cui si trovava, la camera da letto, e non riuscì a fare a meno di storcere il naso.
 Sembrava uno che si era appena trasferito, mentre lui era lì da almeno sei mesi.
 I mobili erano pochi e messi alla bella e meglio, in alcune stanze c'erano chilometri di ragnatele e in tutto l'abitazione sembrava inabitata da anni.
 Scosse la testa: non ci passava quasi mai del tempo e se lo faceva dormiva o se ne andava subito dopo.
 Non aveva avuto molto tempo per renderla accogliente, ma forse c'era stata anche un po' di pigrizia da parte sua.
 Contento del diversivo, prese il portafogli, si infilò la giacca e uscì nella fredda aria di quel giorno, con una sola destinazione in mente: il negozio di arredamento più vicino.
 Sarebbe stato fiero di dove abitava.
 E in più sarebbe uscito con un mal di testa che gli avrebbe fatto dimenticare i problemi del suo non-rapporto con Norge.

 Temi stava stringendo l'orlo del camice con forza, tant'è che quello aveva ormai superato la soglia dello stropicciato ed era entrato nel frusto: era nervosissima e solo un quarto della sua preoccupazione era causato dall'incontro con i suoi finti suoceri che la credevano una stupida romantica perché nella loro versione era così innamorata di Hillar di aver accettato dopo tre giorni di vivere da lui.
 In fondo aveva mentito davanti a un numeroso gruppo di malavitosi che volevano la sua pelle per ricoprirci il divano, che ci voleva per fingere di essere la ragazza di Hillar?
 Altri due erano per una certa richiesta che doveva fare al suddetto coinquilino e il rimanente per lo strano comportamento di Luke e di Norge: che accidenti avevano quei due?
 Lui stava cercando di fare amicizia con i muri o forse studiava una cura ricavata dai calcinacci?
 Perché era da un po' che lo vedeva solo rasente a quelli e ciò non era molto comune, almeno secondo Temi.
 Norge invece sembrava Cenerentola dopo che ha fatto fuori la matrigna e si è ripresa il suo castello da sola, usando il principe come ariete per sfondare il portone: canticchiava in continuazione.
 Lei! Che al massimo, se era di buon umore, non malediva nessuno fino alle settima generazione ma solo alla quarta!
 Temi capiva che poteva essere un periodo particolarmente felice per l'amica, ma allora come mai ogni volta che passava Asi l'altra sorrideva in modo terribilmente inquietante e lui si rattrappiva ancora di più?
 Quei due erano strani, ne doveva parlare con Hillar. Lui sapeva sempre un mucchio di cose, su questioni come queste.

 Hillar stava rivoltando l'armadio della sua non-ragazza in cerca di qualcosa di adatto, ma nulla: con chi accidenti era uscito negli anni precedenti per averlo pieno solo di vestiti da soubrette?
 Perché non aveva mai chiesto un appuntamento a una contessina o a qualcuno con più gusto di una mangusta?
 "I problemi di questo genere vengono sempre fuori all'ultimo minuto, accidenti a loro!"
 E il brutto era che nemmeno lui sapeva cosa indossare al pranzo con i suoi genitori: tutto doveva essere perfetto, eppure Temi non sarebbe stata pronta che all'ultimo minuto, lui sarebbe impazzito per l'isteria e Norge avrebbe riso sotto i baffi per tutto il tempo.
 Ultimamente quella lì era più soddisfatta del solito e non voleva affatto allietare anche lui la sorella.
 Ma ora non poteva sprecare tempo a pensare a lei: aveva cose più importanti di cui preoccuparsi, ad esempio se una cravatta con le banane si addicesse alla camicia verde scuro che aveva scelto.

 Norge non sapeva come mai Hillar volesse continuare quella pagliacciata della finta ragazza e avesse accettato l'invito dei loro genitori: tanto per poco tempo ancora Temi sarebbe stata sotto la sua protezione, poi, finalmente, sarebbe potuta tornare alla sua normalissima vita da specializzanda.
 Era stata invitata anche lei a pranzo e, se la ragazza non fosse stata una sua amica carissima, di certo avrebbe spalleggiato suo padre nel cercare di mettere in imbarazzo l'ospite, sperava solo che non fosse troppo penoso per tutti: l'ultima cosa che voleva era un mega litigio con la sua famiglia.
 Non ne aveva proprio voglia, ora che tutto scorreva senza intoppo: nelle sue orecchie suonava una voce polverosa ma non per questo meno furba e potente, che aveva attraversato secoli ed era stata sentita per la prima volta da lei in un tempo lontano, quando un'insegnante declamava le qualità del teatro latino: "Per Giove, come mi riesce bene e felicemente, qualunque cosa io faccia! Nella mia mente sta riposto un piano che non lascia adito né a dubbi né a timori. Perché è stoltezza affidare una grande impresa a un animo timoroso, dato che ogni iniziativa ti riesce a seconda di come tu ti ci impegni, di quanta importanza le dai. Io ho preparato in anticipo nella mia mente le schiere, in duplice, in triplice fila, gli inganni, le perfidie, cosicché, dovunque mi scontrerò con i nemici – lo dirò fidando nel valore dei miei antenati, nella mia abilità e nella malizia delle mie frodi – io possa vincere facilmente, io possa spogliare facilmente i miei nemici con le mie perfidie."
 Sì, Pseudolo era ancora il suo eroe.

 Raza non si faceva sentire da un po', a parte l'invio della foto del primo aggressore, ma non era stato con le mano in mano; intanto il secondo stava appeso per i piedi in qualche cloaca fuori dalla portata di tutti, insieme al suo mandante.
 Sperava solo che gli altri malavitosi non se la sarebbero presa molto se avesse diviso tra loro il territorio di uno tra i più potenti capi per la sua, ahimè, misteriosa e dolorosa scomparsa. "Sì, era proprio un esempio per tutti noi e ci mancherà davvero tanto, sob, sob, sob.", ecco quello che avrebbero detto un minuto prima di accaparrarsi tutti i suoi territori e i suoi sottoposti.
 Che gentaglia, poi si lamentavano di lui!
 Da una parte era stanco della loro stupidità che cercava di intralciare il suo piano, ma dall'altra sapeva solo di dover sopportare senza cedere, perché la loro ora sarebbe venuta. Sperava solo presto.
 Temi ora era senza macchia, più o meno, visto che sarebbe stata controllata per molto tempo: tutti credevano che non nascondesse niente, ma avrebbe potuto capire alcune cose che era meglio non venissero alla luce.
 Il problema ora era tenerla in vita, quando la protezione dei Busco sarebbe caduta, lasciandola più esposta di un orfano nel '500.

 Hillar era sfrecciato a velocità straordinaria verso casa sua, dopo aver recuperato Temi dall'ospedale: non avevano nemmeno un minuto da perdere!
 Lei si era tenuta stretta al sedile, tant'è che erano rimasti i graffi sulla pelle, ma lui non se n'era accorto e aveva continuato a borbottare su questo o quell'altro particolare, prima di scoppiare in una crisi isterica perché entrambi non avevano nulla da mettersi e perché "Questa non è un'esercitazione!".
 La specializzanda l'aveva guardato, indecisa se ridere o imbottirlo di morfina, poi senza ascoltarlo e avendolo alle calcagna se n'era andata in camera sua, aveva aperto l'armadio e aveva scelto tra i vestiti che si era portata dietro dal suo appartamento, mentre Hillar cercava di fermarla e continuava a ripetere che li avrebbe bruciati tutti, un giorno o l'altro.
 Però bisognava dire che i pantaloni a sigaretta neri, abbinati con una camicia colorata e un blazer nero rubato al SUO armadio (chi le aveva dato il permesso? Era un posto sacro e lei una barbara, non sarebbe dovuta nemmeno avvicinarglisi!) erano davvero la perfezione, in pratica gridavano che a lei non importava nulla di quello che pensavano gli altri ma che le donavano un'aria, se non sofisticata, almeno decorosa.
 Poi lo aveva sbattuto fuori, si era vestita e aveva completato la sua toilette.
 Alla fine, stanca dei suoi piagnistei dietro la porta, lo aveva trascinato nella camera di lui e aveva fatto lo stesso per Hillar che, stupefatto, non capiva se si era portato a casa la ragazza sbagliata: da dove veniva tutta questa decisione?
 All'ospedale per caso avevano aperto un nuovo reparto dove innestavano un'altra personalità?
 E quell' accidenti di blazer era suo, che cavolo!
 Gli faceva davvero strano essere obbligato a seguire i consigli di moda di una che aveva lo stile di un pupazzo di neve mischiato con quello di sua nonna perché era troppo disperato per riuscire a fare un abbinamento che fosse uno.
 Capì di essere all'orlo della pazzia quando si vide rifilare dei jeans e un maglione di lana: cos'era successo, era tornato adolescente?
 "No! Non posso presentarmi così dai miei genitori, ti pare? Trova qualcos'altro!"
 Sembrava davvero un bambino capriccioso, incapace di fare la benché minima proposta.
 "Ma proprio per questi! Non li devi impressionare o altro! Quello è mio dovere, non tuo. Su, datti una mossa, altrimenti arriveremo pure in ritardo."
 Il tono di Temi non ammetteva repliche, ma l'altro non era assolutamente convinto.
 "Non capisci: anch'io devo essere impeccabile, non è un pranzo informale e saremo duramente giudicati entrambi. In più non metto cose del genere da almeno una decade e mi sentirei strano a essere così..."
 "Semplice? Comodo?"
 La voce di Hillar calò come un'aquila sulla preda: "Sciatto."
 Lei sbuffò e roteò gli occhi, prima di avventarsi contro di lui per svestirlo.
 Per la sorpresa lui la lasciò fare, il pensiero "Ma quando è diventata così intraprendente?" era più stuzzicante, ma poi cercò di allontanare la giovane ossessa con scarsi successi.
 "Ora capisco come si deve essere sentito Orfeo con le menadi!"
 La sua educazione classica lo sorprendeva sempre.
 Comunque Temi si fermò quando più o meno la metà dei vestiti del suo coinquilino giacevano a terra, un po' affaticata dalla lotta ma soddisfatta di sé, poi si rese conto di ciò che aveva fatto e di come ora era conciato Hillar e ciò la fece tornare ad essere la ragazza impacciata e pudibonda di sempre: abbassò a testa, con gli occhi impegnati a fare una radiografia al pavimento, arrossì vistosamente e mentre se ne andava borbottò qualcosa a proposito di darsi una mossa.
 Hillar alzò un sopracciglio mentre un sorriso tremendo gli sbocciava sul volto, poi iniziò lentamente a vestirsi con gli abiti scelti dalla ragazza: ne valeva la pena, solo per la scena precedente!
 "E quanto è carina Temi quando arrossisce? Da dove ha tirato fuori quella grinta? Roar, se non fossi stato preoccupato per la mia incolumità e per la mia reputazione di dandy ormai in declino mi sarei goduto ogni singolo istante! La mia ragazza è proprio piena di sorprese!"
 Questo pensiero lo fece corrucciare un attimo: perché l'idea che l'altra fosse davvero la sua fidanzata lo aveva così tanto elettrizzato?

 Hillar era proprio una delle piaghe d'Egitto, poco ma sicuro: come poteva essere un adulto così impacciato e nervoso davanti ai propri genitori da non riuscire nemmeno a guidare l'automobile?
 In realtà all'inizio ci aveva provato, ma a Temi era venuto il mal di mare per tutte quelle curve strappa budella che faceva, e allora gli aveva imposto di fermarsi e di cambiare posto: era da qualche tempo che non lo faceva, non avendo una macchina propria ed essendo piuttosto vicina all'ospedale, ma si ricordava ancora come usare un freno a mano e questo bastava.
 Veramente lei non capiva tanto il suo amico: cosa c'era di così terribile in un incontro con i suoi genitori?
 Sapeva che non era affatto come i suoi, ma era una sciocchezza paragonato a fingere davanti a tutti di essere davvero fidanzati e tutto il resto.
 Certo, lei aveva fatto molta esperienza ultimamente, ma anche lui, come malavitoso, doveva aver nascosto qualcosa in vita sua, no?

 I signori Sisu erano perfettamente composti, quasi artificiali, seduti sul divano di pelle ecologica del salotto, aspettando i loro ospitali.
 Entrambi guardavano davanti a sé annoiati e indifferenti, scambiandosi a volte qualche parola per convenienza, ma erano senza significato come tutta la loro vita assieme.
 L'estrema, a volte volgare, allegria della donna era inesistente nella sua magione mentre, al contrario, lo spirito pungente del marito degenerava, sfociando in una cattiveria eccessiva e senza motivo.
 Forse i due non si ricordavano più come mai si erano sposati o cercavano di dimenticarsene, per non essere ancora più sconsolati di quell'esistenza ogni volta più misera.
 Aspettavano e basta, magari qualcuno sarebbe arrivato, costringendoli a recitare come marionette scrostate le loro ormai trite battute.
 L'unica cosa importante era che la tavola fosse pronta.

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Capitolo 28
*** Un ritorno volontario allo stato selvaggio ***


La caccia non è una forma naturale della lotta per l'esistenza, ma un ritorno volontario allo stato selvaggio, con questa differenza: che la caccia era una occupazione naturale per l'uomo primitivo, mentre questa occupazione nell'uomo moderno civilizzato non fa che esercitare e sviluppare in lui istinti bestiali, che la coscienza riprova, e che teoricamente la nostra civiltà vorrebbe aboliti. (Lev Tolstoj)



Il labbro superiore continuava a scomparire e a ricomparire, diventando sempre più lucido, mentre gli occhi seguivano attentamente ogni suo minimo increspamento del volto, alla ricerca di verità nascoste.
 Tutto il suo atteggiamento pareva avvertirlo di non provare a fregarla, perché lei lo avrebbe saputo anche prima di lui.
 "Ha di nuovo nascosto le sue medicine, per caso?"
 Il vecchietto tremebondo scosse la testa guardandola come un bambino scoperto durante una marachella, intimorito da quella specie di valchiria, fortunatamente non immortale, al momento.
 Gli occhi di Norge si trasformarono in due orizzonti marini, per nulla rilassanti però per l'altra persona.
 "Allora come mai mentre rifacevo il letto ne sono cadute due? Se continua così non uscirà mai dall'ospedale e la sua salute non migliorerà. Ora lei deve prenderle, così starà meglio e potrà tornarsene presto a casa. E stia attento, che io la tengo d'occhio."
 Dopo avergli dato un buffetto su una spalla ossuta, come un generale in visita ai soldati feriti, si allontanò, senza guardarsi intorno.
 Luke si rilassò e prese un respiro più profondo, prima di rendersi conto di come fosse messo: da quanto tempo era che non si nascondeva in quel modo per una stupidaggine simile?
 In realtà la stupidaggine più grande era non sapere se voler essere trovato o no dall'infermiera.
 Forse l'unica da cui avrebbe dovuto scappare era Temi, visto che era più che decisa a fargli spifferare tutto.

 All'una e mezza Norge, Hillar e Temi si erano ritrovati davanti alla porta di casa Sisu, pronti a suonare il campanello e ad affrontare quello che sarebbe successo dopo.
 Erano stati accolti da un'entusiasta signora che li aveva tutti abbracciati e baciati, per poi lamentarsi della poca frequenza con cui si vedevano, del rossetto sbavato e di quanto sarebbe stato bello avere tutta la parentela riunita, mentre quasi tutti erano consci del fatto che, se fosse accaduto ciò, anche le briciole del pane sarebbero state usate come armi.
 Mentre Temi sorrideva impacciata, era arrivato il marito che, serioso e scuro, le aveva stretto la mano e le aveva chiesto se era proprio lei la ragazza di cui Hillar parlava sempre.
 Mentre il figlio si mordeva le labbra per non ridere della stupidità e della falsità della frase,("Ma quanta originalità, sul serio! No, guarda, ho portato l'amante! E non stai giocando al padre da telefilm, noo, proprio no! Ci manca solo che mi chieda come mai l'ho nascosta alla famiglia per così tanto tempo e se l'ho messa incinta!"), lei era arrossita e aveva detto che sperava di sì, aggiungendo di essere così felice di conoscere finalmente i genitori di Hillar, in particolare il padre, visto che gli aveva insegnato tutto quello che sapeva e gli aveva passato il mestiere.
 In quel momento c'era stato un attimo di terrore sottile, mentre la ragazza continuava a sorridere dolcemente e le espressioni di tutti gli altri sembravano sciogliersi.
 "L'amministratore, no?"
 L'ingenuità di Temi era troppo assurda per non sembrare vera e tutti tirarono un sospiro di sollievo, mentre lei continuava a chiacchierare su questo e quello, coinvolgendo i futuri suoceri.
 Solo quando si misero in ordine per sedersi in tavola Norge le sussurrò di non strafare, altrimenti la prossima volta avrebbe direttamente attaccato le braccia al collo del signor Sisu chiamandolo papà: "La misura è la chiave di tutto! E smettila di sembrare un elfo di Babbo Natale, per favore, tutta dolcezza e bontà!"
 Ma ridacchiava, mentre lo diceva: era un buon segno, davvero.
 Temi le sorrise furbescamente e si posizionò di fianco ad Hillar, mentre l'infermiera gli era di fronte, vicino al padre, sempre con una risata nascosta che sarebbe stata smorzata a suon di calci dal fratello più che ansioso.
 Il pranzo era stato quasi funereo, con le posate che componevano una sorda canzone stonata sulla porcellana dei piatti e le corde vocali di tutti spente.
 Il signor Sisu continuava a fissare Temi per scorgere qualche difetto o stramberia, ma, a parte una timidezza giustificata, non notava nulla di particolarmente sgradevole: come mai allora sentiva che c'era qualcosa di storto dentro di lei?
 Forse non gli piaceva reggere quella manfrina stupida, tutta colpa di Hillar, o il fatto che sotto sotto sembrava conoscere più cose di tutti gli altri.
 Aveva quasi rischiato un infarto prima e in quel momento, prima che continuasse con quella assurda vocetta da bambina e gli strappasse quello strano pensiero, aveva saputo che lei era a conoscenza di tutto.
 Poi quella consapevolezza era volata via come un corvaccio del malaugurio e lui si era rilassato, intenzionato a dimenticarla e a passare molto tempo con Norge, la sua perla.
 Non si vedevano molto ma lei stava facendo un ottimo lavoro, recuperando tutti i vecchi contatti e stringendo alleanze da ogni parte.
 Aveva un vero talento per le relazioni, soprattutto in ambito malavitoso, visto che il metodo più usato, e che lei aveva portato a un livello superiore, era qualcosa tipo: "Vedi la gente dietro di me? Sono tutti miei alleati e se non lo diventi anche tu, diverrai presto geografia."
 Hillar non era abbastanza credibile, apparentemente troppo indifferente e snob, non abbastanza deciso o amichevole.
 Comunque, anche lui era strano, diverso: sembrava sfuggirgli dalle dita.
 Cos'era che indossava? Dov'era l'uomo giacca e cravatta?
 E quello sguardo metà preoccupato metà orgoglioso da dove saltava fuori?
 Non sembrava artefatto, anzi.
 "Se si sta innamorando di lei è un bel problema. Di certo era prevedibile che accadesse, ma bisogna porci un rimedio subito: non possiamo rischiare ancora di più e quello stupido di certo non si rende conto di nulla. Ci penserò io a rimettere a posto le cose, intanto la metterò alla prova, continua a non convincermi."
 "Dimmi, quando diventerai medico?"
 Temi sussultò appena, a questa domanda: non si aspettava affatto che il signor Sisu la interpellasse.
 Rispose con calma, soppesando le parole: "Tra qualche mese, se tutto andrà bene. Altrimenti il prossimo anno."
 Gli occhi di lui si socchiusero trionfanti.
 "In che senso "Se tutto va bene"?"
 Lei deglutì e si inumidì le labbra appena.
 "C'è un test da passare e in più c'è anche una valutazione fatta da tutti i medici sul mio lavoro come specializzanda all'ospedale. Sono sicura di passare, ho studiato e mi sono impegnata tanto, ma non si sa mai. Potrebbe accadere qualsiasi cosa da qui a tre mesi."
 Poi lei guardò di sottecchi Norge, che annuì appena.
 Stava andando bene.
 Ma l'uomo non era ancora soddisfatto.
 "E non trovi che gli infermieri siano sottovalutati e sottopagati rispetto ai medici?"
 Questo era un colpo basso e si vedeva che voleva inimicarle l'altra.
 Hillar le strinse sotto il tavolo la mano, mentre guardava male il padre: non stava più fingendo, la voleva proprio mettere in difficoltà.
 Dov'era finito il "Casa mia è anche casa tua" di prima?
 "Di certo sono sottovalutati: la loro presenza è davvero molto importante e se non ci fossero i medici non potrebbero lavorare tranquillamente, senza preoccuparsi di ogni particolare del paziente che li distrarrebbero dal loro lavoro. Sottopagati, come lo sono tutti che non sono famosi e importanti: alcuni medici guadagnano milioni mentre altri come un impiegato, dipende dalla bravura e dalla loro rinomanza."
 "Ma c'è comunque molta differenza tra lo stipendio di uno e dell'altro; non dovrebbero guadagnare nello stesso modo, visto che secondo te sono così utili?"
 Lui era davvero implacabile, accidenti! Voleva costringerla a dire qualcosa di sgradevole, ma lei non l'avrebbe fatto, ne era sicura. Doveva solo stare calma e pensare prima di parlare, solo questo.
 "Per me sarebbe uguale, non ho intenzione di essere un medico per i soldi. Ho sempre voluto aiutare le persone e lo farò, se me lo concederanno. Credo però che lo scarto dipenda dalla diversa preparazione e dal diverso tempo impiegato nello studio: io e Norge abbiamo più o meno la stessa età, eppure lei lavora già da alcuni anni come professionista, mentre io sto ancora studiando.
 Lei è molto più esperta sul settore pratico, mentre io su quello teorico e i nostri campi sono differenti: lei è tenuta a sapere un po' di tutto, io ogni cosa su un argomento preciso.
 Tra le due non c'è una migliore dell'altra, perché siamo persone diverse e lo sono anche le nostre competenze. Non credo che un confronto porterebbe a qualcosa."
 Fece una piccola pausa per bere un sorso d'acqua, cercando di non stritolare lo stelo del bicchiere per l'ansia.
 Il discorso filava, non stava privilegiando nessuna delle due parti e il signor Sisu non si sarebbe potuto aggrappare a nulla.
 "Da parte mia, ammiro molto Norge, è più di una mia amica: mi ha insegnato molte cose e non solo a livello medico, ma anche umano. E' come una sorella maggiore per me e questo era così anche prima di conoscere Hillar. Sono molto felice di averla conosciuta e spero che lei sia molto fiero di sua figlia, perché altrimenti sarebbe terribile."
 Norge la guardava stupefatta, emozionata e stranita, come tutti gli altri, ma a Temi non importava: era la cosa più vera che avesse detto da un'infinità di tempo e l'emozione era forte, tanto che dovette ricacciare dietro le lacrime.
 Le voleva davvero bene.
 Hillar, ripresosi piuttosto presto, si era commosso e lentamente si era raddrizzato, aveva preso il bicchiere del vino in mano allungandolo verso l'alto e, guardando fisso l'infermiera, aveva detto chiaramente: "A Norge, la mia sorellina. Che sia felice, perché mi ha insegnato molto e sono fiero di averla nella mia famiglia. Ti voglio bene."
 Tutti fecero lo stesso e ripeterono l'augurio, solo cambiando il grado che la legava a loro.
 Di certo nessuno si sarebbe aspettato che lei, alla fine, alzasse il suo bicchiere, annunciando un altro brindisi: "A Temi, benvenuta in famiglia. Sei una di noi, ora."
 Il tintinnio dei bicchieri, il loro scintillio coprì la piccola lacrima che le era scappata dagli occhi.

 Il pranzo di famiglia era stato piuttosto al di sotto delle aspettative di Hillar, che si immaginava fiumi di lava, sparatorie e coccodrilli affamati, ma riusciva forse a capire i suoi genitori: si erano comportati decentemente perché volevano ingannare Temi e lui li aveva lasciati fare, sentendo però sempre l'ansia rimanere annidata nello stomaco, come un ragno in attesa della preda.
 Suo padre non era riuscito a contenersi del tutto e aveva provato a mettere innocuamente in difficoltà la ragazza, mentre tutti li guardavano con attenzione e in silenzio assoluto, ma Temi si era destreggiata piuttosto bene.
 Forse troppo per essere fedele al personaggio semplice che si era creata, ma questo poteva essere solo sospettato in modo vago da chi non era nei giochi; infatti aveva dovuto rifilare parecchi calci sotto la tavola alla sorella, che non riusciva a smettere di essere così compiaciuta.
 Odiava talmente il suo sorriso sfacciato che a volte gli dava i brividi pensarlo, visto che sembrava più una ferita grottesca che il simbolo della gioia e dell'allegria.
 In più quei denti scintillanti e bianchi gli ricordavano uno squalo e le notti della sua infanzia, quando una porta cigolando si apriva e un esserino malvagio sgusciava dentro, sussurrandogli all'orecchio con la sua voce infantile e sadica tutti i segreti più mostruosi dell'oscurità...
 Invece il sorriso di Temi era tutt'altra cosa e non era difficile sapere il perché: lei non provava piacere nel compiere azioni malvagie, le faceva solo perché era obbligata.
 Lei era buona, in fondo.

 "Io sono buona, sono le circostanze che mi rendono malvagia.", questo era il mantra della specializzanda, ogni mattina.
 "Altrimenti come potrei voler aiutare gli altri diventando medico? Se fossi cattiva, quanto odio questa parola, desidererei solo il mio vantaggio e non è così."
 Ma Temi sapeva che c'era qualcosa di sballato nel suo ragionamento; se fosse stato vero ciò che affermava non sarebbe mai caduta nella trappola di Raza, lo sapeva.

 Non lo aveva visto per tutto il giorno e ora lo pretendeva.
 Sentiva la sua brama scorrerle calda sotto la pelle, disegnando infiniti ghirigori concentrici che pulsavano piacevolmente al suo battito cardiaco.
 Non poteva far altro, al momento, che fare il suo lavoro e aspettare pazientemente, tenendo gli occhi aperti e cercando di non spaventarlo.
 Adorava averlo in suo potere e solo la sua sottomissione le sembrava desiderabile, ormai.
 Era così fiero e malleabile, quasi una contraddizione.
 Ma la situazione era perfetta per lei: non avrebbe mai potuto volere qualcuno di mollaccione o troppo combattivo.
 Amava giocare con la preda e, soprattutto, vincerla.
 In quel momento avrebbe però dovuto aspettare un po' per agire, visto che Luke, che le dava le spalle, sembrava impegnato di una conversazione con Temi, piuttosto agitata, a quanto pareva.
 Norge si ritrasse, continuando a osservarli: l'altra si muoveva energicamente e a scatti, sembrava stesse cercando di convincerlo a fare qualcosa.
 Doveva aver accettato, poiché le spalle gli si rilassarono di colpo e abbracciò la specializzanda, prima di separarsi da lei e continuare a camminare.
 Temi appariva pensierosa e non la vide quasi mentre camminava piuttosto velocemente e silenziosamente dietro il medico.
 Ahh, quanto adorava la sua amica, soprattutto quando si toglieva dai piedi!

 Saverio era tormentato da un dubbio e odiava questa cosa: già doveva lavorare giorno e notte per arginare Norge e il suo potere crescente, ci mancava solo la preoccupazione per la vita privata!
 Seduto alla scrivania sbuffò e chiuse gli occhi, cercando di fare chiarezza.
 Françoise era fantastica, provava qualcosa di davvero molto forte per lei ed era sicuro di essere ricambiato, ma non gli piaceva l'idea che qualcuno a caso potesse usarla per arrivare a lui.
 La ragazza sarebbe potuta essere ingannata facilmente e allora le cose si sarebbero messe male per entrambi: non voleva essere costretto a scegliere come agire in un'eventualità simile a questa.
 Qualche anno prima sarebbe stato più tranquillo, non c'era nessuna guerra o agitazione, quindi nessuno si sarebbe azzardato a giocargli un brutto scherzo, ma ora la situazione era completamente ribaltata, al minimo gesto, anche il più innocuo, i capi avrebbero tirato fuori le pistole e avrebbero fatto fuoco, e il potere dei Busco aveva subito un duro colpo, con la concessione di Raza ai Sisu, pur essendosi ripreso, aveva mostrato la propria debolezza.
 Doveva stare attento: non poteva nemmeno andare a tentativi, perché un unico passo falso avrebbe potuto farlo precipitare in un abisso.

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Capitolo 29
*** la fiducia nella propria volontà e nelle proprie decisioni. ***


L'indipendenza è la fiducia nella propria volontà e nelle proprie decisioni. (Perdutamente tua)


Temi aveva mandato un messaggio con il telefonino a Hillar di non venirla a prendere in ospedale perchè aveva dei giri da fare da sola.
 Lui, quando l'aveva ricevuto, aveva aggrottato le sopracciglia, incuriosito da quel che lei doveva assolutamente fare, ma avevano già avuto una discussione su quell'argomento e lui si era sentito come un padre con la figlia sedicenne e non era stato piacevole, soprattutto quando Temi gliel'aveva rinfacciato, aggiungendo che c'era già passata e che sapeva tutti i trucchi per riuscire a vincere quella battaglia. Lui si era rassegnato, anche perchè non era allettato dal chiuderla in una prigione dorata, soprattutto ora che le acque si erano calmate, ma aveva timore che qualcosa tramasse nell'ombra e le facesse del male.
 Così ora la aspettava con ansia a casa, per sapere cosa aveva fatto.
 Aveva anche chiamato sua sorella, ma lei era caduta dalle nuvole e solo a stento era riuscito a convincerla a non farle un interrogatorio di terzo grado.
 Aveva pensato a Luke, poi aveva scosso la testa e si era arreso all'evidenza: non era suo padre e doveva rispettare il suo volere.
 Questo non contemplava di non chiederle nulla al suo ritorno.

 Temi si era recata in comune, aveva riempito un modulo, aveva parlato con alcuni impiegati ed era tornata a casa di Hillar, perchè non era la sua, in autobus, appena prima che la luce venisse risucchiata dall'oscurità.
Sapeva che il suo coinquilino moriva divorato dalla curiosità, ma più che altro era preoccupata di quel che avrebbe pensato quando gli avrebbe annunciato il cambiamento di decisione.
 
Luke era strano, in quel periodo.
 A volte era troppo distratto, altre tremava a ogni minimo movimento, come se fosse in una giungla e si aspettasse da un momento all'altro un agguato da un tigre, ma questa era solo una piccola parte di ciò che gli stava accadendo.
 Alternava dei momenti in cui non faceva altro che chiedere e parlare di Norge, ad altri in cui, ogni volta che veniva nominata, cambiava completamente argomento di conversazione o se ne andava, semplicemente.
 Tutto l'ospedale si chiedeva il perché, ma solo quelle che erano cotte di lui fin dal suo arrivo malignavano a tal punto da parlare di una tresca tra i due e non venivano in nessun modo ascoltate, poiché ultimamente Norge metteva più paura del solito e non volevano ritrovarsi qualche siringa infilata in qualche posto non troppo comodo.
 Norge osservava tutto e sorrideva malignamente appoggiata agli stipiti delle porte.
 Dio, se sentivano i brividi di terrore lungo la schiena...

 Hillar la stava studiando, lo sentiva, ma non le dava noia: sapeva di avere il suo rispetto e gongolava per questo. Saverio non la guardava mai così.
 Certo, si concentrava su di lei, ma più che osservarla sembrava sempre decidere i pro e i contro della sua presenza e questo la stava facendo sentire sempre di più come un'ospite indesiderata.
 Poi non le sorrideva mai spontaneamente, ci doveva essere un motivo per farlo.
 Forse il suo lavoro nella malavita l'aveva indurito, ma non riusciva a togliere quella tensione continua che lo attraversava in continuazione, mentre Hillar era quasi sfacciato nella sua mollezza e spensieratezza: abbagliava i passanti con il suo sorriso, la sua risata esagerata e i gesti eccessivi.
 Anche nelle piccole cose erano diversi: il suo ragazzo continuava a usare il suo nome completo e solo quello, mentre per Hillar era "Fran" dalla seconda volta che si erano visti e questo le rubava un sorriso ogni volta, visto che lo diceva con un accento francese falso come un capello verde.
 Le piaceva davvero passare del tempo con lui, anche si era dovuta abituare ad un cambio tremendo di atmosfera, ma ormai adorava quel sole sfacciato che la rapiva dal vento sprezzante da cui era sempre avvolta.
 
Hillar aveva ascoltato tutta l'avventura di Temi sorridendo sempre di più ma non facendo nessun commento. Lei aveva appena finito e lo stava guardando storto, prima di alzare gli occhi al cielo e dire: "Va bene! Che ho fatto di buffo? O ridi così a caso?"
 Lui le aveva accarezzato la testa e aveva scosso la sua, sospirando deliziato.
 "Temi, Temi, mia adorabile piccola ingenua Temi... Credi davvero che ti avrei dato una pistola registrata a tuo nome e che ti avrei fatto fare tutta la trafila legale? Cocca, sono un malavitoso, altrimenti sarei solo un altro ragazzo bellissimo normale, quindi avrei le tue pistole, ma non in un modo che ti piacerà. Le vuoi lo stesso?"
 Temi aveva aggrottato la fronte, ma era decisa: non voleva rimanere indifesa e dover sempre appoggiarsi ad altri per la sua sicurezza.
 "Cosa intendi?"
 Lui aveva sorriso e si era passato la lingua sui denti: gli sembrava tanto una conversazione pericolosa e non vedeva l'ora di vedere come sarebbe andata avanti.
 "Intendo che nemmeno io ho il porto d'armi, eppure ho un'armeria che farebbe invidia alla polizia segreta. Sai che accadrebbe se i malavitosi l'avessero? Le prigioni sarebbero piene! Così ci limitiamo a comprarle sottobanco e a farle scomparire al momento giusto. Per la via legale ci metteresti almeno un anno, sempre che ti reputino adatta. Se sei convinta di questa decisione, lascia fare a me e ti insegnerò anche a sparare, sono il migliore. Ora, che dici?"
 Temi si morse il labbro, odiandosi per quel che aveva deciso: "Sì, sono convinta."
 Lui sgranò gli occhi e allargò il suo sorriso ancora di più, prima di stringerle delicatamente la mano e sussurrarle: "Meraviglioso. Inizieremo domani, con delle pistole di piccolo calibro."

 Luke aveva cercato di smettere di pensare a quel che succedeva ogni volta che veniva trovato in qualche luogo appartato da Norge, ma non c'era riuscito, almeno quando era solo.
 In mezzo alla confusione dell'ospedale era facile, c'erano così tante cose di cui occuparsi che non sapeva da che parte girarsi, quando era a casa, invece, non faceva altro che fissare la nuova mobilia e tutto era migliore di guardare il nuovo divano orribile.
 Soprattutto una ragazza bionda.

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Capitolo 30
*** Vivere insieme è un'arte. ***


Vivere insieme è un'arte. Thích Nhất Hạnh



 Il tempo era freddo, ma non così tanto da costringerla a indossare una sciarpa.
 Non c'era vento e il cielo era di un grigio stinto e uniforme: sembrava un canovaccio troppo usato e ormai sulla via della pattumiera.
 Aspettava fuori Luke e intanto osservava il suo fiato diventare un'evanescente macchia bianca, per passare il tempo e pensare un po'.
 Temi aveva chiesto a Hillar cosa pensasse stesse succedendo al suo amico, ma lui aveva scrollato le spalle e le aveva detto che forse era solo stressato e che comunque se c'entrava sua sorella, lui non voleva saper nulla.
 Lei non era rimasta molto convinta della risposta, così si era intestardita ed era pronta a cavare la verità dalla bocca del medico anche con delle tenaglie, se fosse stato il caso.
 Il suo coinquilino aveva alzato gli occhi al cielo, prima di decidere di volersi intromettere negli affari della sorella, poiché ogni occasione era buona per darle fastidio ed era da molto che non parlava con Luke.
 In realtà non gli era sfuggito il suo strano comportamento e, benché non fosse preoccupato come Temi, sapeva che era sempre meglio avere un alleato, quando si aveva a che fare con Norge.
 Finalmente il suo amico arrivò, aveva appena finito il turno e non era stato facile, a causa di varie emergenze e dell'infermiera che continuava a fissarlo in modo a dir poco famelico, ma sapeva che ora la specializzanda non avrebbe avuto nessun problema a spingerlo ripetutamente contro un muro per costringerlo a confessare cos'era cambiato e perché.
 Luke prese un profondo respiro, mentre entravano nel bar vicino l'ospedale e vedeva Hillar, seduto in un tavolo seminascosto che gli sorrideva e gli faceva l'occhiolino, tremendamente divertito.
 Era proprio quello che desiderava dalla vita, avere due interrogatori nello stesso giorno con la caparbietà e la malizia in persona!

 Raza aveva indetto un'altra riunione, tanto per snervare ancora di più i poveri capi malavitosi e tenerli sotto controllo.
 Era da un po' che non era in contatto con Temi, ma aspettava il momento giusto per una richiesta giusta.
 Di certo aveva fatto un ottimo lavoro con Norge e presto avrebbe voluto avere un colloquio con loro, ma di certo non nello stesso momento.
 Norge era un grosso problema, ma non per lui. Semmai per tutti gli altri.
 Non bisognava sottovalutarla nemmeno per un secondo, era forte e furba e aveva dei fantastici agganci.
 Di certo la scazzottata durante il colloquio di Temi con i capi aveva fatto il giro del mondo e tutti avevano ritenuto che fosse meglio non esserle nemici.
 Era sempre più invischiata nella questione e se la stava cavando magnificamente, al contrario di Hillar, bisognava proprio dirlo, che invece prestava minor attenzione a tutto il resto.
 Suo padre non ne sarebbe stato contento se l'avesse notato, ma i suoi occhi, come sempre, erano puntati sulla figlia e nemmeno un asteroide l'avrebbe potuto distogliere dal venerarla apertamente o quasi.
 Anche Busco si stava accorgendo del entusiasmo che la ragazza riscuoteva tra i malavitosi e aveva intenzione di servirsene al più presto: in fondo, non le aveva sempre promesso di renderla il suo braccio destro?
 Era sicuro che lei avrebbe accettato, era un'occasione davvero ghiotta e lei sembrava aver dimenticato di aver dichiarato di tornare solo per Temi, che ormai era sistemata.
 Ben presto ci sarebbe stato un Saverio scontento e frustrato, pieno di odio per l'infermiera e pronto a tutto.
 Quei due si odiavano da molto tempo, anzi, sembrava proprio che tutta la famiglia Sisu avesse un'avversione per il braccio destro di Busco, viscerale e pericolosa.
 Quella situazione era sempre più a suo favore e tutte le sue trame avrebbero avuto successo, ne era certo.

 Tommy aveva chiamato Norge per invitarla a pranzo ed era stato contento che lei avesse accettato.
 Non l'aveva vista per molto tempo, a causa del suo distacco dalla malavita, e anche ora non si incontravano spesso.
 Credeva che fosse cambiata, forse ne era un po' spaventato, ma era ancora la stessa bambina con una salopette sporca di terra che, serissima, gli annunciava di essere il suo prossimo braccio destro, perché ne aveva le qualità, mentre all'epoca a malapena sapeva allacciarsi le scarpe.
 In quel tempo ci aveva riso su, complimentandosi con i suoi genitori per il suo caratterino, molto più deciso delle altre bambine, ma aveva sempre sospettato che avesse già allora deciso cosa fare della sua vita.
 Ad alcune persone accadeva così, in un dato giorno dell'infanzia succedeva qualcosa che li segnava per sempre e indicava loro la strada da percorrere. Una scia luminosa e chiara, che eliminava tutte le altre opzioni offerte dalla vita e non li deludeva mai.
 Per Norge era stato un po' diverso, aveva cercato di combattere il suo destino, ma ora, grazie alla sua amica che gli aveva dato qualche grattacapo, era tornata dove doveva stare.
 Busco stava pensando di reintrodurla in azienda a tutti gli effetti, pur tenendo la copertura dell'ospedale che era molto utile. Gli sarebbe bastata una telefonata al direttore, un suo caro amico, per far passare inosservate tutte le assenze dell'infermiera, così da poterla avere con sé.
 "Un braccio destro fenomenale. Qualcuno di cui possa davvero fidarmi senza dovermi preoccupare se è distratta o no, perché sono assolutamente certo che lei non si lascia travolgere dalla sua interiorità mentre lavora, soprattutto grazie al mestiere d'infermiera. Mi piacerebbe sapere cosa ha passato in questi anni: era abituata a vedere i morti o comunque persone in fin di vita, ma cercare di salvarli invece che dar loro il colpo finale è molto diverso, ti deve importare, altrimenti non reggi il lavoro. Però accade anche il contrario. L'unico modo è trovare un equilibrio e, se Norge ce l'ha fatta stando tra malati e lavorando ad ore impossibili, è lei la persona che mi serve."
 Quando finalmente la donna arrivò, le sorrise stampandole un bacio sulla guancia, pieno di affetto.
 Gli dispiaceva per Saverio, ma l'altra era sempre stata tra i suoi affetti e aveva una speciale considerazione.
 Ricordava ancora con piacere che era stata una compagna di giochi dei suoi figli e che si era sempre impegnata nella famiglia, dimostrandosi una vera leader in ogni occasione.
 Sì, lei sarebbe stata al suo fianco ed era certo che alla fine i due avrebbero collaborato benissimo.
 O li avrebbe costretti a farlo.

 "Apri le gambe."
 "Non tenerlo con la punta delle dita, non ti scoppierà in mano."
 "Concentrati e non aver paura."
 "Cazzo! Riesci a premere un accidente di grilletto?!"
 Hillar iniziava a essere frustrato e non parliamo di come si sentiva Temi.
 Non riusciva a dare quel colpetto di dita, all'ultimo momento si tirava sempre indietro, abbassando l'arma e lanciando un'occhiata di scuse al ragazzo.
 Non poteva continuare così, doveva darsi una mossa o lasciar perdere tutto.
 Purtroppo la seconda opzione sembrava non sfiorarle nemmeno la mente, visto che ogni volta si rimetteva in posizione e non riusciva a sparare.
 Le tolse di mano la pistola e la costrinse a sedersi su un muretto guardandola accigliato.
 "Cosa c'è che non va? Non è difficile, posso capire che tu possa essere spaventata dal rumore o dal rinculo, ma ci sono dietro io e l'arma è a salve. Anzi, ho una domanda migliore: perché vuoi imparare a sparare? Ti sei detta terrorizzata di farlo fino a tre giorni fa poi cambi idea così. Mi pare troppo strano da parte tua."
 Lei si fissava le mani e si mordeva le labbra, cercando un conforto che non c'era.
 Il freddo le si stava infilando su per le maniche e non era affatto piacevole, come quel luogo abbandonato, dove nessuno avrebbe sentito degli spari o se ne sarebbe interessato.
 Per questo motivo Hillar l'aveva portata lì qualche ora prima.
 Sapeva che lui non avrebbe pazientato molto e che sarebbe stato meglio affrontarlo subito.
 Rilasciò una gran quantità di aria nell'atmosfera e gli dette una rapida occhiata: il suo volto non avrebbe potuto essere più deciso e duro.
 Ora non aveva più dubbi sulla parentela tra lui e la sorella: l'espressione era più o meno la stessa, anche se leggermente più dolce.
 I tratti di Norge in quei momenti sembravano intagliati con un coltellaccio e mettevano i brividi.
 "E' solo che mi sono accorta di essere un peso per voi, soprattutto per te, Hillar. Sei stato davvero gentile a ospitarmi e a non mentirmi, come ti era stato ordinato; per questo motivo, appena sarà passato un altro po' di tempo e le attenzioni dei malavitosi non saranno più concentrate su di me, tornerò a casa mia. Non provare a farmi cambiare idea, ho già deciso e sarà meglio per entrambi, così continueremo la nostra vita indipendentemente. Poi odio aver sempre paura che tu o Norge non ci siate nel caso che io venga di nuovo aggredita e nemmeno questo è giusto, poiché dovrei sapermi difendere da sola. Ecco perché voglio imparare a sparare, per essere autonoma."
 Lei sorrideva e sembrava sul punto di ridere, ma era un'allegria malata, lo si vedeva negli occhi disperati, creata per rendere leggere le parole appena proferite, ma che strideva nelle orecchie del ragazzo, rendendolo incredibilmente triste per Temi. E terribilmente strano e colpevole. Di cosa, non se lo chiedeva neppure.
 "Non si sente abbastanza, non la faccio sentire abbastanza, nessuno lo fa. Perché è così? Di certo è la ragazza più adorabile che io conosca, simpatica e con una mente aperta come un campo di grano a giugno.
 Come posso fare per renderla più sicura di sé? E' la mia coinquilina, la conosco, è fantastica, mi ha aiutato molto, come può pensare certe cose? Certo non è stato un bel periodo, ha bisogno di sfogarsi, perché si è tenuta tutto dentro? Io e Norge siamo qui per lei, la proteggeremo sempre, perché vuole allontanarsi da me?" Pensava ansiosamente, pieno di domande che lo assalivano spingendolo in un burrone di dubbi: davvero era così menefreghista? Davvero aveva dato per scontato che lei avesse dimenticato l'aggressione dopo due minuti? Perché si era scordato che tutta quella situazione, Raza, la malavita, non era il suo pane quotidiano e che lei non aveva vissuto sempre con lui, come invece era propenso a pensare.
 Ora doveva fare qualcosa per Temi, rassicurarla, poi indagare su tutto il resto.
 Il primo gesto che gli venne in mente da fare fu di abbracciarla, ma non avrebbe avuto senso, Temi era troppo sulla difensiva e probabilmente avrebbe chiesto il perché.
 "Alzati." disse brusco, cercando di non far trapelare la preoccupazione nella sua voce.
 Lei lo guardò dubbiosa ma solo dopo che la mise in posizione e stette dietro di lei le sorrise:" Vediamo di premere questo accidenti di grilletto, una buona volta."

 Lui non l'aveva consolata come si era aspettata e le era andato bene, sapeva che non le sarebbe piaciuto, non dopo aver ammesso la propria debolezza davanti a lui. Forse era troppo orgoglioso, o semplicemente aveva bisogno di sputar fuori quelle parole una volta per tutte.
 Ora che era tornata in sè ed era più rilassata, però, si era accorta che Hillar le aderiva come un guanto caldo e che il suo respiro sembrava entrarle direttamente nella bocca.
 Era... strano.
 Non le dispiaceva molto ma la distraeva e le mandava in confusione la mente, soprattutto ora che le girava ancora un poco il mento con le dita e le diceva di concentrarsi, con la punta del naso fredda contro il suo collo e i capelli che le sfioravano la guancia.
 Chissà perché le venne in mente l'imbarazzo che provava quando era costretta a svegliarlo...
 I suoi occhi saettarono in giro, cercando di cogliere qualche presenza vagamente umana, ma non c'era nulla, a parte quel cielo grigio e quella campagna dello stesso colore e si inumidì le labbra.
 Istintivamente prese a respirare più velocemente e si girò a guardando Hillar con un'espressione che lo fece ridere tremendamente, mentre si staccava da lei e iniziava a dire: "Perché hai quella facc.. Cazzo!"
 Si girò spaventato per il rumore, come Temi d'altronde, prima di iniziare a ridere in modo ancora più rumoroso e di toglierle di mano la pistola, cercando di proteggere dai pugni che gli stava rifilando la ragazza.
 "Mi hai mentito, bastardo! Avevi detto che era caricata a salve! Oddio, che spavento!"
 Lei si fermò, passandosi una mano sulla fronte con gli occhi grandi come frisbee, prima di cadere a cause delle risate che le attraversavano il corpo.
 Quei due, così divertiti in un campo di nulla, sarebbero stati davvero una strana visione se qualcuno fosse passato di lì, ma nessuno si recò in quel luogo e Temi ed Hillar poterono continuare a ridacchiare senza ritegno.

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Capitolo 31
*** Ancore della vita. ***


I figli sono per la madre ancore della sua vita. (Sofocle)


Luke aveva mentito a Temi, a Hillar e anche un po' a se stesso, dicendo che non c'era nessun problema tra lui e Norge, lei era intrattabile come al solito e lo innervosiva, basta. Solo questo.
 "Non abbiamo mica tre anni, sono in grado di sopportarla." Questa era la frase ripetuta più spesso, eppure, anche se accompagnata da un sorriso affascinante, i suoi interlocutori sembravano non apprezzarla, soprattutto la specializzanda, che aveva continuato a guardarlo sospettosa e a dire che non ne era affatto convinta.
 A quel punto lui si era ritrovato a dover cambiare discorso, cercando di essere spensierato come sempre, ma Temi non aveva indagato più a fondo solo perché era sensibile e aveva capito che non avrebbe cavato un ragno dal buco.
 Gli aveva solo sorriso e accarezzato una guancia dolcemente prima di andarsene, con quella malinconia ormai tipica di lei, quasi Ofelia di fronte alla sua pazzia.
 Hillar non aveva mai posto domande dirette, ma si capiva che mirava anche lui solo a quello e le sue battute erano più che rivelatrici.
 L'unica cosa che non capiva era perché l'amico si fosse nascosto alla vista di Temi.
 Lui l'aveva guardato con aria superiore, come se non capisse nulla, e gli aveva detto: "Luke, le ho assicurato che non mi sarei impicciato negli affari di mia sorella nemmeno morto e con un esercito alle mie spalle e comunque non mi piace dover scavare dentro alle persone amiche senza invito solo perché sono strane, ma lei è davvero testarda e non era convinta, così ti ha cercato di spremere, senza successo, oserei dire. Ma anch'io sono curioso del perché Norge è così malignamente contenta e sono spaventato da ciò, poiché sospetto che tu c'entri. E questo non è mai un bene."
 L'occhiata che gli aveva lanciato era tremendamente significativa e aveva l'intento di fargli confessare tutto come una ragazzina alla prima cotta, ma ormai Luke aveva acquisito abbastanza esperienza con i fratelli Sisu per resistere.
 Così raccontò allegramente che andava tutto bene, a parte i soliti fastidi dovuti all'infermiera, ma che nulla era cambiato dall'ultima conversazione che avevano avuto.
 "Quindi... non uscite? Nessuna tresca all'ombra dei defibrillatori? Mi deludete."
 La finta espressione di biasimo che si era costretto a portare era troppo comica per poterla sopportare a lungo, così Hillar si mise a ridacchiare, anche per la faccia assolutamente esterrefatta dell'amico.
 "E dai, un po' di leggerezza non ha mai fatto male a nessuno! Comunque, nella lista per i miei futuri cognati preferiti, tu sei al primo posto."
 Gli diede una pacca sulla spalla, si alzò, fece l'occhiolino a metà della fauna femminile e se ne andò, lasciando un Luke basito e fermamente deciso a non aver nulla a che fare con i Sisu, mai più.

 Françoise era tra le braccia di Saverio, nel suo letto, e non pensava a nulla.
 Era in una sorta di vapore sonnolento e soddisfatto che le piaceva da impazzire, come stare con il suo ragazzo.
 Non era la prima volta che facevano l'amore, ma non riusciva ad abituarsi mai a quella sensazione dolce e intossicante che l'avvolgeva.
 Lui era stupendo. No, non lo era, a volte era inquietante ed era sempre serio, ma in istanti come quelli poteva capire perché lo amasse.
 Il suo amore era ricambiato, ne era sicura, bastava osservare come si comportava con lei: poteva essere duro e inflessibile, ma quando si trattava di Françoise e dei suoi oggetti usava una delicatezza estrema, una timidezza particolare che la facevano sorridere e le colpivano il cuore.
 E quello sguardo da sotto le palpebre, timido e in cerca di approvazione, la faceva sentire sicura e adorata come una regina, e le dava la fantastica impressione che un liquido caldo le scendesse dalla gola e le si insidiasse nel petto, rendendola felice per molto tempo.
 Nessun pensiero disturbava entrambi e tutto era lontano e poco importante, come se fossero stati su una piccola imbarcazione e il languido movimento dell'acqua li cullasse.
 Saverio si svegliò, aprendo lentamente e senza voglia le palpebre, ma si lasciò scappare un sorriso tremendamente imbarazzato e vulnerabile, a cui Fran rispose con gioia.
 Lo amava così, senza saperne il perché e le andava bene così.
 Non c'era bisogno per forza di trovare un motivo per tutto.

 "E' assolutamente cotto!" Annunciò Hillar quando entrò in cucina, con Temi che lo guardava sorpresa mentre cercava un filo logico o un soggetto per la frase e di non uccidersi con il cucchiaino con cui mangiava il gelato.
 "Mhh?"
 Lui la guardò un attimo prima di alzare gli occhi al cielo come se fosse ovvio.
 "Non fare strani versi, non si addicono alla mia persona. E come mai hai attaccato la mia riserva di golosità ghiacciata con questo freddo?"
 Lei scrollò le spalle e si tolse la posata di bocca.
 Hillar socchiuse gli occhi con aria severa : le cose non stavano andando bene, quella lì stava prendendo troppo confidenza, prima rubava dal suo armadio e poi dal suo congelatore adorato!
 Ma si sarebbe vendicato, oh sì!
 "Ne avevo voglia e poi non fa così freddo! Hai comprato un pollo?"
 "Che stai dicendo?" A volte non la capiva proprio, uscite come quella lo convincevano sempre di più di essersi messo in casa una matta.
 "Hai detto che è cotto, indi per cui devi essere passato in rosticceria o qualcosa del genere e aver comprato qualcosa di già pronto. Di solito è il pollo, no? E te lo dico, lasciarlo in macchina è stata una pessima idea."
 Temi non capiva perché Hillar si fosse messo a ridere: insomma, era la cosa più logica che potesse tirar fuori da una sua affermazione senza soggetto e contesto.
 "Stavo parlando di Luke, comunque. E' incredibile che la mia terribile sorellina possa aver attratto proprio lui, visto che non si sopportano."
 Lei alzò solo un sopracciglio, impassibile, prima di parlare: " Io l'ho sempre detto che c'era della tensione sessuale repressa tra loro, ma qualcuno mi ha ascoltato? Credo proprio di no.
 Non parlare di ciò a Norge, se lui te l'ha confessato non vuol dire che devi urlarlo ai quattro venti."
 Lui fece un'espressione tra l'estremamente stupito e il terribilmente scandalizzato: "Moi? Ti stai proprio sbagliando, non ho mai pensato di farlo. Però non ti piacerebbe... dargli una mano?"
 L'espressione del ragazzo era così pateticamente invitante che Temi non si trattenne dal ridere e, alzatasi dalla sedia sulla quale si era appollaiata per gustare il gelato, gli diede un colpetto sul petto.
 "Non credo che lui ti abbia chiesto di farti gli affari suoi, quindi la risposta è... NO! Lascia che se la sbrighi da solo, sa quel che fa."
 La lunga occhiata che le dedicò le fece aggiungere un: "Beh, più di te sicuramente."

 "Ho passato cinque anni come medico volontario in un piccolo villaggio sconosciuto, circondato dalla foresta." Disse Luke con un tono assurdamente normale, mentre l'aria dei suoi polmoni cercava di riunirsi all'etere tramite la bocca.
 Norge si trattenne dal grugnire qualcosa che esprimesse il suo sconcerto, ma si lasciò sfuggire un'occhiata al vetriolo: non si sarebbe mai aspettata che una cosa simile accadesse a lei e in quel frangente.
 Ma non accennò a lasciarlo stare, come lui aveva pregato interiormente: se credeva di distrarla pensava male.
 Quando vide che Luke non continuava a parlare, pensò bene di punzecchiarlo ancora di più, spronandolo a raccontare mentre gli baciava il collo contro un muro dell'ospedale.
 Lui sbarrò gli occhi, ma non fece in tempo a rendersi conto di doversi dare una mossa che Norge gli rifilò un morso su una spalla, costringendolo a lasciarsi scappare un gemito di dolore e di sorpresa, mentre lei lo fissava ghignante.
 "Su Luke, parla ancora! Non avevi da raccontarmi?"
 Incontrò i suoi occhi e vide che il suo sguardo era assolutamente gelido e determinato.
 "Ehh, ero stato mandato, sì, in questo villaggio ed era proprio, mhh, in mezzo al nulla, ed io..."
 Era una bastarda, una gran bastarda: senza saperlo, per ripicca, o forse solo sospettandolo, stava cercando di appropriarsi sempre di più di lui, a pezzetti: prima il suo desiderio sessuale, ora il suo passato, quale sarebbe stato il prossimo?
 Il suo cuore?

 "Dobbiamo fare qualcosa per arginarlo."
 Busco non mosse un muscolo a questa dichiarazione, mentre gli altri capi borbottavano il loro consenso, senza farsi troppo sentire, nel caso ci fosse qualche spia di Raza.
 "E a cosa stai pensando, precisamente?"
 Tutti si voltarono verso di lui e iniziarono a rimuginare per conto loro, rigirandosi la domanda nella mente.
 "Non possiamo arginare il suo potere, ci ha in pugno. Sa tutto di noi e sa come agiamo." Riprese Tommy, mentre gli occhi vitrei di Saverio, in piedi dietro il suo capo, fissavano il tavolo.
 "L'unico modo è agire velocemente e in modo inaspettato. Aspettiamo pazienti, facciamogli vedere che accettiamo, seppur con riluttanza, le nuove ricchezze e i nuovi metodi che ci ha dato, che siamo in pace e che vogliamo continuare questo periodo. Poi, quando si è rilassato e abbassa la guardia, lo facciamo fuori e ne troviamo un altro, più malleabile."
 Busco finì di parlare e attese i commenti che sarebbero seguiti.
 Ognuno fece un paio di conti e si ritrovò d'accordo con il loro oratore: d'altronde era uno dei più ricchi e potenti, aveva visto e agito di conseguenza in momenti ben più difficili e, anche se potevano trovarlo odioso e borioso, non avevano bisogno di ricordare che aveva al suo fianco due altre menti non da poco, Norge e Saverio.
 Si sussurrava che lei avesse finto di abbandonare la malavita, mentre in realtà era stata nascosta e informata di tutto per essere usata come arma segreta, quando le cose fossero andate davvero male.
 Tutti si chiedevano come si sarebbe comportato Sal, poiché era nota a tutti la loro antipatia reciproca, ma entrambi sembravano essere troppo fedeli al loro capo per intromettere le loro questioni private nel lavoro.
 In realtà non si sbagliavano di molto.
 Certo, a lui era venuto un colpo quando l'aveva trovata una mattina seduta sulla sedia di Busco, come tanti anni prima, ma si era ricomposto subito, mentre Norge svelava un pallido sorriso artefatto e lo guardava con superiorità, prima di alzarsi, dirigersi verso la porta e dirgli di seguirla, mentre lo conduceva all'automobile che li avrebbe portati in giro a controllare gli affari.
 Lui aveva sbattuto un po' dubbioso le palpebre, ma si era affrettato a raggiungerla, per bloccarla sulla porta d'uscita dell'edificio.
 "Che cosa stai dicendo? Non devi andare a fare l'infermierina?"
 Sapeva che questo l'avrebbe fatta arrabbiare: odiava essere sminuita, soprattutto quando a quella parola tutti si immaginavano qualcosa degno del peggior porno mai visto.
 Lei lo guardò torva e picchiettò con forza un dito sopra il suo petto: "No, tesoro, permesso speciale. Busco mi ha detto che ci vuole entrambi come braccio destro, anche se sono sicura che alla fine io sarò l'unica ad assisterlo, quando Raza sarà molto lontano da qui. Ma per il momento dobbiamo collaborare, quindi farai come dico io."
 Norge cercò di continuare la sua marcia, ma Saverio continuò a parlare, stupefatto dalla notizia.
 Come poteva non saperne nulla di questa "collaborazione"? perchè Tommy non lo aveva avvertito?
 Si sentiva tradito e frustrato: lui si era dato completamento alla malavita, ma quella continuava ad accoglierlo e a respingerlo in continuazione, ridendo delle sue espressioni di gioia e di dolore.
 "Davvero? Non mi sembra questo il significato di "collaborare". Non ti hanno insegnato il latino, in quella scuola costosa?"
 Stava cercando di farla infuriare per poter sbollire contro di lei, ma Norge non si sarebbe fatta fregare in quel modo.
 "Guarda guarda, qualche ignorante ha deciso di far l'erudito. Purtroppo è troppo stolto per capire che si è messo contro la persona sbagliata e che riceverà il ben servito, se non farà come dico io. Non ti ricordi tutti gli altri nostri "confronti"? Come sono finiti? Faresti meglio a esercitare la memoria, di quando in quando, e potrei aiutarti io, se vuoi."
 Lui sbuffò, ma non replicò: sapevano entrambi che dovevano andare d'accordo, almeno all'inizio, altrimento avrebbero deluso Busco e nessuno dei due lo voleva.
 Il premio era lì a un passo, ma avrebbero dovuto stare spalla a spalla con il loro peggior nemico, prima.

 "Quella ragazza..."
 "Intendi Temi?"
 Hillar era in piedi nella sala dei suoi genitori e stava versando il tè nelle tazze di porcellana, mentre la madre sedeva su una sedia e guardava fuori dalla finestra.
 Capitava che lui la venisse a trovare, sapeva bene quanto fosse sola in quella casa e quanto lo amasse, ma ultimamente, tra una cosa e l'altra, il tempo era corso via e lui non era riuscito a fermarsi per farle una visita.
 La signora Sisu aveva capito, certo, come capiva da sempre che tutti andavano avanti tranne lei, ferma nello stesso giro di giostra.
 Aveva il suo circolo di amiche nella sua stessa situazione, ma sembravano adorare la loro vita e si tenevano sempre impegnate, con il giardino o con un nuovo amante.
 Lei sola fissava vacuamente il cielo senza vita nelle corte giornate invernali, con la nebbia anche nella mente, opaca e vuota.
 Si trascinava avanti e indietro, come un orologio a pendolo, continuando una recita a beneficio dei mobili e della polvere, ma senza fermarsi mai, perché ciò avrebbe significato rompere le illusioni di tutti gli altri e non era pronta, non ancora, a farlo.
 Intanto si godeva la presenza del figlio adorato e sorseggiava il liquido ambrato.
 "Sì, lei. Come sta?"
 La sua voce era pacata e lieve, un fiore di ciliegio, che non aveva nulla a che fare con quella chiassosa e volgare che usava in pubblico.
 Hillar era incuriosito dall'improvviso interessamento della madre e si chiese se lei non stesse facendo la spia per il padre, ma fu solo un lampo e si riscosse subito: non era possibile, sapeva come andava avanti la casa e di certo sapeva tenere le confidenze del suo figlio preferito.
 "Bene, grazie. E' rimasta estasiata della famiglia, soprattutto da te. Quando siamo andati via non faceva altro che lodare la tua classe, il tuo charme..." Le fece l'occhiolino, complice.
 Lei sollevò un sopracciglio, ironica, ma sorrise lo stesso: le facevano comunque piacere quei complimenti, anche se inventati al momento.
 "Quando hai intenzione di lasciarla andare?"
 Lo stava studiando, lo sapeva, ma non poté fare a meno di distogliere gli occhi da lei, almeno per un secondo.
 Finse un sorriso sornione e con leggerezza spiegò che l'avrebbe fatto appena Busco l'avesse ordinato.
 Non doveva mostrarsi troppo attaccato a Temi, altrimenti anche lo status di confessioni sarebbe stato infranto.
 "Certo, lo sai anche da te che lei non è dei nostri, non c'è bisogno che te lo ripeta."
 Era un test oppure cercava di verificare una sua teoria?
 Intanto che cercava di decidere, le porse la sua tazza, che venne appoggiata sulla finestra, in attesa che il tè si raffreddasse.
 "Ovviamente no, non sono innamorato di lei né le sono affezionato. Io sono devoto solo alla mia famiglia e a Busco."
 La voce gli sembrava uscire metallica dalla bocca, ma si sforzò di essere naturale e di mantenere l'espressione neutra.
 La madre si voltò di nuovo verso la finestra, emettendo un lieve sospiro.
 "La stagione si fa sempre più fredda, non trovi?"
 Lui si sedette accanto a lei e le prese una mano, sorridendo tristemente.

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Capitolo 32
*** Il gioco costringe alla parità ***


Soltanto nel gioco è possibile per l'uomo essere veramente libero. Il gioco costringe alla parità perché a tutti i giocatori sono state impartite le stesse istruzioni, e inoltre mette in pratica la certezza del diritto, perché un gioco può esistere soltanto nel rispetto delle regole. (Juli Zeh)


Tommy, Norge e Saverio stavano discutendo sul futuro di Temi, perché era passato un po' di tempo da quando c'era stato il famoso colloquio e non era accaduto nulla di rilevante a causa sua e non poteva nemmeno continuare ad abitare da Hillar.
 "Farla fuori sarebbe un'ottima opzione, per noi."
Sal le stava ghignando in faccia, la donna lo sapeva, ma si trattenne dal dirgli cosa pensasse davvero di lui con le mani e fece un lungo respiro, prima di rispondere rivolta al suo capo.
"E' facile e veloce, ma non è la migliore: se scomparisse, gli altri potrebbero pensare che lei sapesse di più di quel che ha detto e che noi l'abbiamo eliminata per evitare che divulgasse dei segreti, così tutti si sentirebbero traditi e ci si rivolterebbero contro, cosa non auspicabile in questo momento, in cui dobbiamo avere più alleati possibili.
Credo che l'idea di lasciarla andare vada piuttosto bene: non rivelerà nulla, d'altronde non sa nulla, e sarebbe sempre sotto il mio controllo."
"Non è che dici così perché è una tua amica? Non vorrei che il tuo giudizio sia offuscato..."
Il suo peggior nemico, mellifluo come pochi, stava cercando di screditarla, ma non avrebbe segnato un punto con un'affermazione del genere.
"Dico così perché la conosco, ma chiunque sia stato in sua compagnia per dieci minuti almeno lo saprebbe.
Non lo pensate anche voi? Che idea vi siete fatti durante il colloquio?
E' solo una specializzanda anonima, senza grandi ambizioni a parte quella di diventare medico, e non sa nulla di come gira Egris."
Le dispiaceva parlare così di lei, ma era quel che pensava di lei, naturalmente gonfiato all'eccesso.
Tommy stava annuendo, condivideva ciò che aveva detto Norge e non voleva versare sangue inutilmente, in previsione di una pioggia di liquido rosso che avrebbe invaso le strade, tra qualche tempo.
"Quindi, la lasciamo a piede libero. Sei sicura?"
Lei li guardò fermamente dritto negli occhi come ad affermare che altrimenti di certo non lo avrebbe detto, ma annuì.
Tommy si sfregò le mani, lieto di aver concluso la questione e di poter passare ad altro.
"Perfetto, allora dovrai dirlo a tuo fratello. Spero che non sarà un lavoro molto difficile liberarsi in maniera decisiva di lei, in modo che la ragazza non irrompa in casa sua mentre sta facendo qualcosa per noi."
"Non accadrà, lei non è il tipo e Hillar non è un incompetente."
Saverio fece una smorfia divertita, che sembrava dire "Ma ne sei sicura davvero?", ma non aggiunse nulla, mentre Norge, che se n'era accorta, reprimeva la sua rabbia per dopo.
Cosa credeva, quello?
Non se la stava prendendo tanto per suo fratello, ma perché stava mettendo in dubbio il suo orgoglio e il fatto di aver ragione.
Ma cosa si poteva aspettare, d'altronde, dal suo peggior nemico, che però non era nemmeno in grado di trovare un modo più raffinato di darle sui nervi?
Lei di certo avrebbe trovato un modo più sofisticato per farlo e vederlo fallire sarebbe stato così dolce!
Chissà perché al "dolce", la figura mentale di Saverio che l'implorava in ginocchio piangendo si sostituì con quella di Luke con un sorriso ironico.
Spiazzata per lo strano cambiamento, scosse la testa e si concentrò sulle altre questioni assolutamente di poco conto di cui si stavano occupando gli altri due.

Temi stava girando per casa con la pistola, fortunatamente a salve per davvero, in mano, come l'aveva obbligata a fare Hillar per abituarsi a portarla, quando sentì il telefono squillare.
Era da sola, il suo coinquilino le aveva detto di aver delle commissioni da fare, di certo cose malavitose, e lei aveva declinato l'invito ad accompagnarlo, affermando di essere stanca.
In realtà voleva superare la paura di essere aggredita e, quindi, di star sola, ma quando il suono improvviso le colpì le orecchie, l'ansia la travolse, anche se cercava di rimanere calma.
Non era molto sicura di poter rispondere, magari erano dei "colleghi" del ragazzo, perciò ci mise molto tempo per alzare la cornetta e soffiarci dentro un tenuissimo e titubante: "Pronto?"
La voce di Norge fu un tonico per le sue paure, ma solo per un breve tempo: perché aveva telefonato lì?
Voleva parlare con il fratello?
"Ciao, Temi, devo dire una cosa a te e a Hillar."
Che cosa strana!
Una notizia che interessava entrambi, quale poteva essere?
Un lampo di comprensione la colpì dritta in fronte e si sentì spersa, per un secondo soltanto, però.
La bocca le era diventata secca, faceva addirittura fatica a staccare la lingua dal palato e i denti sembravano essere cresciuti improvvisamente, tanto da dover tener la mascella aperta.
Si riprese, considerando che se lo doveva aspettare, non sarebbe nemmeno dovuta abitare lì, e che in parte aveva già fatto quel discorso con il suo coinquilino, quindi si trattava solo di fare i bagagli e partire.
"Lui non c'è, ma glielo riferirò io. Si tratta della protezione accordatami da Busco? Devo andarmene, giusto?"
Norge era un po' spiazzata, insomma, ma poteva capire che per una persona come Temi, molto attaccata alla sua quotidianità, il pensiero che qualcosa potesse turbarla era costante e che, ormai, convivere con suo fratello era la routine, quindi che se lo aspettasse.
Questo o la notizia che la volessero morta.
"Sì, è per quello che ti ho chiamata. Mi dispiace, so quanto vai d'accordo con Hillar, di certo più di me, ma sono sicura che sia meglio, per te, uscire completamente da tutta questa faccenda."
"Va bene, e quando lo farai tu?"
La voce di Temi era assolutamente neutra, piatta come un tavolo, ma aveva sollevato una questione non facile: come poteva spiegarle che la sua ambizione e il suo spirito di competizione stessero venendo appagati, cosa che era successo raramente come infermiera?
"Mhhh, ecco, non credo che lo farò. Occupo una posizione importante e devo rimanere, per evitare che tu venga rimessa in gioco, nel caso a qualcuno saltasse fuori il capriccio."
"Capisco."
Sbagliava o nella voce dell'amica c'era una sfumatura accusatoria?
Ma l'altra non le diede il tempo di interrogarsi, perché le chiese di Luke.
"Cosa quella cosa che c'è tra te e il dottor Asi?"
L'infermiera riprese un po' di colore e pensò attentamente: non poteva dirle la verità, perché Temi stravedeva per lui, anche se solo come amica, così almeno sperava per lei, perché comunque l'avrebbe condannata.
Sapeva che non le piacevano i comportamenti poco chiari e quello lo era, poco ma sicuro.
"Ma nulla, ci sto solo giocando un po', l'innervosisco e basta. Come al solito, dunque."
"Non dirmi che ce l'hai ancora con lui per la faccenda del nome."
A dir il vero, Norge non se la ricordava nemmeno più, ma si innervosì al pensiero di essere creduta così infantile.
"No, figurati. Solo che è troppo divertente farlo."
"Secondo me la questione è un'altra o, almeno, non è solo per quella: tu provi interesse per lui, non è così?"
Entrambe quasi si strozzarono per l'audacia di quelle parole, non se le sarebbero di certo aspettate, ma la stasi temporale passò in fretta.
"Non dire sciocchezze, ti ho già detto il motivo. Fra qualche tempo mi stuferò e lo lascerò in pace."
"Sono già più di sei mesi che vai avanti, quando conti di smettere?"
Temi doveva essere impazzita o forse le era andato di volta il cervello: come si permetteva di dirle quelle cose?
Erano già passati sei mesi?
Forse però aveva ragione.
No, lei non voleva darci un taglio, amava avere tutto quel potere su di lui e sentirlo gemere controvoglia il suo nome, prima di stringere le labbra fra i denti, per impedirsi di parlare.
La soddisfazione che ne ricavava era duratura e il tempo che passavano insieme davvero piacevole, soprattutto ora che lui iniziava a dare qualche segno di collaborazione.
Si trattenne dal ridacchiare e si portò una mano al viso: non poteva essere arrossita.
Quella telefonata le stava facendo uno strano effetto.
"Presto, se per te è così importante. Ci rivediamo in giro e ricorda di avvertire Hillar."
Norge non aspettò nemmeno il saluto dell'amica prima di metter giù.
Temi si ritrovò ad ascoltare un suono ripetitivo e lugubre e seppe che l'altra avrebbe fatto come desiderava, non le importava ferire i sentimenti degli altri.

Hillar era in fibrillazione e lo si notava davvero tanto: gli occhi gli luccicavano e il suo sorriso era contagioso, rivolto al mondo.
Fran sperava che quella reazione fosse dovuta a lei.
Si erano dati appuntamento come al solito al bar e lui era arrivato con una scatola sottile dentro una busta che aveva liquidato come "acquisti".
Avevano esaurito le domande di circostanze e ora lei aspettava che accadesse qualcosa, anche se non sapeva bene cosa.
Si sentiva proiettata nell'aria, gioiosa solo per il fatto di condividere il suo tempo con quell'uomo così bello e solare, mentre il pensiero di Saverio era inesistente.
Lei era fatta per il qui e ora e si sentiva completa solo con Hillar, anche lui della stessa pasta.
"Sai quando ti senti invasa dalle stelle e ne senti la pizzicante, ma non fastidiosa, luminosità all'interno e non puoi staccare gli occhi da ciò che ti circonda perché è tutto così assolutamente affascinante che non trovi nemmeno le parole per dirlo?"
Lei annuì piano, lo sguardo puntato sull'altro, che gesticolava in preda all'entusiasmo.
"Ecco, ora mi sento così, come se avessi avuto la prima buona idea della mia vita e questa rilucesse anche all'esterno.
Per la prima volta sento davvero il respiro che diventa parte di me e poi dell'etere, in un ciclo continuo, e il lavoro dei polmoni, così incessante!, è diventato il ritmo di tutto ed è stupefacente!"
Hillar si fermò, la guardò davvero dentro le pupille e si avvicinò al suo viso, improvvisamente serio.
"Questo è dovuto solo a te e mi spaventa..."
Prima di rendersene conto, Françoise stava rispondendo al bacio e la sensazione era strana, come se si stesse appropiando di qualcosa di non suo, come se lo stesse togliendo al legittimo propietario, ma era stramaledettamente piacevole e non le importava.
Al diavolo!

Hillar non aveva mentito, quando le aveva raccontato come si stesse sentendo, ma non le aveva detto la vera ragione per quella gioia e che, in parte, era contenuta nella scatola che ora stava davanti a Temi che la guardava con occhio critico.
"Che cos'è?"
"Aprila, ti ho detto." Certe volte bisognava avere davvero pazienza, con lei.
"C'è una bomba, ne sono sicura."
"Secondo te te ne regalerei una? Così faresti esplodere la mia bella casa e l'ancor più strepitoso me stesso nello stesso momento?" Il sopracciglio di Hillar stava prendendo la forma a sesto acuto permanentemente e questo infastidiva terribilmente Temi.
"Mh... Perché mi devi fare un regalo? Io non te l'ho fatto! Mi stai mettendo in imbarazzo e stai gongolando, lo vedo."
E quella dannata non aveva ancora toccato la scatola e continuava ad accusarlo, come se fosse il peggior criminale sulla terra, mentre non entrava nemmeno nella top ten di quelli di Egris!
"Aprila!"
Lei siscostò sorpresa dal bordo del tavolo e lo guardò, sorpresa del tono esasperato del ragazzo, che si sentì un po' in colpa per averla spaventata, ma poi riabbassò gli occhi verso quel regalo inaspettato.
"Non dovrei essere così sospettosa, in fondo è una delle ultime volte che lo vedrò in vita mia. Però ultimamente non mi piacciono le sorprese e di certo non il fatto che non c'è motivo per questo dono e che io non ho nulla da dargli."
Hillar la stava fissando, capendo che in realtà il suo sguardo era assente e che stava pensando.
Lui non la capiva affatto, secondo lui, in certe circostanze c'era bisogno solo di sorridere e annuire, mentre si apriva la carta, ma ciò nonostante rispettò il modo in cui aveva deciso di sprecare il suo tempo e non perse di vista nessun dei suoi muscoli facciali nemmeno per un secondo: era consapevole che la decisione sarebbe stata annunciata da lì prima che con la parola.
Finalmente Temi  gli donò un'occhiata tra il vinto e l'odio scherzoso e allungò leggera le mani sulla scatola piatta che stava sulla tavola da molto.
Con delicatezza ne saggiò il peso, commentò benevolmente la carta che la ricopriva, sapeva che a Hillar certi piccoli accorgimenti sarebbero piaciuti, e tirò con fermezza il nastro di stoffa mettendolo da parte, prima di iniziare a togliere il nastro adesivo.
Inutile dire che Hillar stava morendo dall'agitazione e che, se avesse potuto, sarebbe saltato dall'altra parte del tavolo e avrebbe strappato quella dannata carta, ma si fermò, respirando profondamente, e ammirando con quanta grazia e cura la ragazza stesse dando omaggio al suo regalo.
Finalmente un'altra scatola nera di plastica, decorata con disegni argentati, ghirigori eleganti, farfalle in volo e un piccolo teschio ghignante, apparve e il respiro del ragazzo iniziò a correre silenziosamente, mentre i suoi occhi si facevano più chiari e si sporgeva ancora di più per assaporare ogni piccolo movimento degli occhi di Temi.
"L'hai fatta tu?"
La domanda lo trovò un po' impreparato, credeva che lei avrebbe finalmente aperto del tutto il suo regalo e avrebbe prodotto un migliaio di espressioni di varia natura, ma tutte assolutamente deliziose.
"Sì, ma non è nulla di che, continua."
"Davvero? Non l'avrei mai detto. Sei bravo, mi piace molto."
La voce sottile che le usciva dalla gola non riusciva a mascherare l'ansia e quel sentimento negativo che le premeva la sua mano gelida sul petto, ma Hillar non ci fece caso, troppo eccitato e stufo di aspettare.
"Grazie, ma datti una mossa, per favore."
Sembrava un bambino e non riusciva a stare fermo con le mani, come se un po' si vergognasse e un po' non attendesse altro.
Temi decise di mettere fine a quella maneggiò con il fermaglio della scatola, che si aprì subito, facendo risplendere il suo contenuto.
La ragazza spalancò gli occhi, incredula, facendoli passare in continuazione da Hillar al suo regalo, poi abbassò con forza il coperchio e gli urlò contro: "Ma sei impazzito?! Due pistole! Ti sembra un regalo adeguato? Quanto ti sono venute a costare? Dimmelo! E smettila di ridere!"
Hillar cerco di trattenersi, anche se a volte gli uscivano delle risatine, trasformate in colpi di tosse, ma quella ragazza era in condizioni tali da poterlo colpire con forza , anche se le sue orecchie rosse e la sua voce stridula erano molto divertenti.
"Non mi sembrava una cattiva idea fornirti degli strumenti adatti e poi avresti dovuto comprarli lo stesso, ma senza porto d'armi sarebbe stato impossibile. Non pensarci nemmeno a ridarmi i soldi, vedilo come un regalo di un maestro alla propria alleva. Almeno ti piacciono?" Il suo sorriso faceva intuire che in realtà lo dava per scontato.
"Sì, ma non dovevi. Non mi piacciono queste improvvisate e mi hai spavantata a morte."
"Perché?"
Temi abbassò lo sguardo, imbarazzata e colpevole.
Sapeva che Hillar non le avrebbe mai fatto del male, ma quando si era ritrovata davanti le armi, aveva irrazionalmente pensato che fosse tutto un rituale malavitoso per ammazzarla.
Quando lo disse, lui si fece meno gioioso, rassicurandola così: "Se la malavita vuole qualcuno morto, non gli sta a fare tanti balletti intorno, lo uccide e basta."
Poi pretese che ne saggiasse il peso, affermando di averle prese maneggiabili e leggere proprio come le avrebbe volute lei, e che ne ammirasse i dettagli; infatti le due pistole di piccolo calibro erano di acciaio quasi bianco, accecante, con delle piccole decorazioni floreali impresse sui lati, e il calcio era in parte imbottito e in parte ricoperto di legno chiaro.
Lei ed Hillar passarono tutta la sera a smontarle e a rimontarle, osservando tutte le varie componenti e prendendosene cura, mentre la ragazza si dimenticava della telefonata di Norge.
Erano perfette, le adorava, ma le temeva anche.
Prima aveva la scusa di non possederle e quindi di non poter affliggere dolore, ma ora cosa le avrebbe impedito di tirarle fuori, una volta che avrebbe perduto la testa?

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Capitolo 33
*** Irreversibile ***


C'è il momento in cui ogni scelta diventa irreversibile. Marguerite Yourcenar


Era stata la cosa più assurda a cui aveva mai partecipato, ineffabile per chi non l'avesse vissuta e anche lei a volte pensava di essersela immaginata.
Ma si ricordava benissimo che aveva dovuto cacciar fuori delle ballerine, o almeno lo sembravano, con la scopa, mentre Hillar se la dormiva alla grossa sul pavimento, con un filo di bava che di certo lei non avrebbe nemmeno avuto l'istinto di pulire: che ci marcisse dentro, quel dannato!
La ruga di disappunto sul volto di Temi stava assumendo proporzioni preoccupanti e questo la portò a usare il manico della già citata scopa per svegliare quell'idiota del suo coinquilino, altro che colpetti delicati sulla schiena!
"Dovrei piantarglielo nello sterno, se lo meriterebbe! Ma poi chi mi porterebbe all'ospedale?"
Lui rotolò finendo su un fianco, stringendo gli occhi e cercando di non aprirli: già solo così si sentiva rotto e schiacciato in ogni sua parte.
Finalmente sbirciò fuori e vide vagamente fuori fuoco la sua coinquilina corrucciata con un bastone o qualcosa del genere in mano, pronta a difendere la sua proprietà o non so cosa.
"Chi ci sta invadendo, Fa Mulan?"
Questo sarebbe stato ciò che Temi avrebbe sentito, se la bocca dell'altro non fosse sembrata l'albergo di qualche scorpione brulicante che impediva l'uscita delle dentali e delle aspirate.
"Ki i inaendo, a mla?"
Questo fu quel che udì invece la ragazza, che, dopo un primo momento di smarrimento, rialzò la scopa, premeditando di dargli il colpo fatale, tanto non ce l'avrebbe fatta comunque.
Ma, visto che era buona, si limitò a dargli qualche altro colpetto e a urlargli contro di alzarsi e di ricomporsi.
Lui continuava a sbattere gli occhi senza capire cosa desiderasse quell'Erinni e si limitò a sorriderle fascinosamente, confidando che l'avrebbe lasciato stare.
Assolutamente no, era implacabile e di certo, dopo quello che le aveva fatto, combinando quel caos, non avrebbe avuto pietà di quel misero verme.
Maledetto il giorno in cui se l'era messa in casa, accidenti a lui!

Era tutto assolutamente fantastico, Temi ne sarebbe stata entusiasta, Hillar ne era certo.
Non sarebbe andata via, non ora che avrebbe visto appieno la magnificenza della sua personalità.
Mentre  si compiaceva del suo operato, senza accorgersi del disperato bisogno che sembrava avere della presenza continua e sicura di Temi nella sua vita e nella sua casa, continuava ad arrivare gente assolutamente assurda, colorata, spigliata, insomma, il meglio di quel bel mondo che aveva frequentato e che impaziente aspettava il suo ritorno.
Era da molto che loro tendevano le orecchie e cercavano di sapere dove fosse finito, cose gli impedisse di stare insieme, ma lui si scherniva, accusando il suo lavoro "impegnativo".
Sapevano tutti di cosa Hillar si occupasse, anche se nessuno lo aveva mai detto esplicitamente.
Quindi avevano accolto con gioia la prospettiva di una festa sfrenata come ai vecchi tempi in una delle zone più sicure della città, in cui festeggiare fino allo sfinimento senza il pericolo di una sorpresina della polizia, che, benché rara, poteva sempre capitare.
Hillar stava controllando che tutto fosse al suo posto e accolse con un sorriso tranquillo l'esercito di ragazze in miniabito che cercavano un po' di sballo o un buon partito, o entrambi. Ma come ogni degna festa, non potevano non essere presenti.
Ora mancava solo Temi, ma non era preoccupato: aveva incaricato la sorella di portarla lì, concendendole benignamente di prendere parte ai fastosi festeggiamenti nella sua tenuta.

"Perché mi accompagni tu? Non sapevo nemmeno avessi un'automobile!"
Norge si massaggiò la fronte, cercando di non farsi saltare i nervi per il tono più che accusatorio della sua quasi amica, se continuava di quel passo.
Per fortuna non aveva ancora ripreso il discorso a proposito di Luke, ma non avrebbe tollerato il suo giudizio, non quando lui l'aveva guardata con quel sorriso timido che era sicura di essere stata la prima a vederlo e con quegli occhi scuri così vivaci e sempre meravigliati di ciò che faceva.
"Me l'ha chiesto quel matto come un cavallo di mio fratello, sta facendo una festa e deve controllare tutto, cosa che non servirà a nulla perché riusciranno comunque a infognarsi nelle camere da letto e a lasciare uno schifo immondo. E questa macchina, beh, privilegio di essere tornata nella malavita."
Non aggiunse altro, non una parola sulla sua posizione altamente pericolante, sulla lotta eterna con Saverio.
Temi poteva anche essere stata costretta a usare metodi poco ortodossi, ma non aveva perso di certo quella spiccata moralità che le aveva fatto temere di essere respinta quando le aveva confidato i propri precedenti.
Ovviamente lei ignorava la piccola pistola che riposava nella borsetta della specializzanda, avvolta in una piccolo triangolo di stoffa colorata.
Un silenzio sostenuto le seguì per tutto il viaggio, mentre le due ragazze guardavano con inquietante attenzione il paesaggio e la strada.
Finalmente arrivarono vicino alla casa di Hillar e lasciarono l'automobile presso la strada, perché sarebbe stato impossibile entrarci, con tutta quella bolgia colorata e sguaiata che si radunava verso l'abitazione.
Gli occhi di Temi si spalancarono e rischiarono di seccarsi, poiché per lungo tempo non sbatté le palpebre, mentre la mascella le scivolava lentamente a terra.
TUTTA quella gente a casa sua?
I brividi per il disgusto e per la certezza di ciò che avrebbe dovuto fare una volta che la festa  fosse finita le graffiavano la schiena ripetutamente, distraendola da quell'attribuzione impropria che aveva appena pensato.
Così cercò aiuto negli occhi di Norge, che però sorrideva soddisfatta, mentre esclamava che suo fratello si era dato proprio da fare, ignorando palesemente lo stupore dell'amica che, come un automa, la seguì fin dentro il cancello.
Finalmente ci si divertiva!

Hillar in teoria stava accogliendo gli ospiti, in pratica aspettava fremente l'arrivo della sua coinquilina.
Che ci fosse anche quella strega di sua sorella non importava particolarmente, tanto aveva qualcuno apposta per distrarla.
Erano appena scese dalla macchina, ma le aveva già notate, in fondo non era molto difficile farlo, visto che la fama di Norge si era sparsa e nessuno la voleva intralciare anche solo di mezzo passo.
Temi sembrava assolutamente allibita e mal sopportò il gongolare del ragazzo, fissandolo in modo minaccioso.
Appena l'infermiera li lasciò soli, aveva delle conoscenze da approfondire, Hillar trascinò l'altra in camera sua, che aveva chiuso a chiave in precedenza e le indicò l'abito che stava appoggiato sul suo letto, raccomandandosi di indossarlo.
Ci mancò poco che si beccasse un ceffone.
"Ma cos'ho fatto?" Non stava piagnucolando, era solo preso alla sprovvista dalla furia semi-omicida della ragazza.
"Che cosa hai fatto? Ma sei cieco o le vedo solo io tutte queste persone?! Che intendevi fare, eh? E questo?"
Indicò il vestito, nemmeno ce ne fosse stato il bisogno, con le sue brave scarpine e i suoi onesti accessori che nulla avevano fatto di male al mondo per meritarsi una simile scenata.
"Ti sembro una bambola da vestire? Ti sembra che io abbia bisogno delle tue cose?"
Il tono era leggermente più calmo, le stringeva il cuore vedere l'aria colpevole e confusa dal ragazzo che si era ritratto inconsciamente verso la porta.
Non capiva, non ci sarebbe mai arrivato.
"Hillar... Perché hai fatto una festa e non mi hai detto nulla?"
Forse più di tutto era questo che l'aveva ferita, che l'aveva fatta sentire esclusa da quel luogo, come invece doveva essere.
Il suo appartamento l'attendeva ed entrambi lo sapevano.
Gliel'aveva annunciato subito prima di andare a letto, la sera che lui le aveva regalato le pistole.
All'inizio aveva creduto che non avesse capito bene, in fondo doveva essere parecchio assonnato, ma poi aveva sorriso debolmente reprimendo uno sbadiglio e le aveva detto che l'avrebbe aiutata a tornare a casa sua.
Quel che non sapeva era che lui aveva passato tutta la notte a rigirarsi stringendo con ferocia il cuscino e digrignando i denti: perché doveva andarsene?
Perché non poteva stare lì? E se Raza l'avesse fatto un nuovo agguato?
Doveva fare qualcosa per impedirle di lasciarlo.
E aveva avuto quella bella pensata.
"Era una sorpresa, visto che te ne vai."
Si stava scusando?
O le stava raccontando una bugia?
C'era qualcosa sotto, ne era certa, altrimenti non si sarebbe comportato da cucciolo ferito, in quel momento, ma avrebbe asserito che era lei a non sapersi divertire e che era stato troppo gentile da parte sua aver organizzato tutto.
Poi avrebbero litigato come nelle peggiori soap opera, lui l'avrebbe accusata di rubare dal suo armadio, luogo santo e inaccessibile ai non addetti, cioè Temi, lei gli avrebbe dato del megalomane, con le mani sui fianchi nella sua migliore imitazione della lavandaia, e avrebbero riso e scherzato come sempre, perché non sarebbero stati offesi dall'altra persona.
Invece non era così e non le piaceva il comportamento del ragazzo, non gli si addiceva.
"Alza lo sguardo e rispondimi, una buona volta: che ti succede? Sul serio, spiegami, perché non capisco."
Hillar la guardò sempre più corrucciato, aveva sempre considerato sopravvalutato  il dover capire forzatamente gli altri; insomma, se Qualcuno lassù l'avesse voluto, avrebbe donato a tutti la capacità di entrare nelle menti altrui, no?
In pratica, aveva una paura matta di esprimere quel che sentiva e di non trovare le parole adatte e di confonderla.
Ma tanto l'avrebbe persa anche se avesse tenuto la bocca chiusa, quindi rischiare per una volta non l'avrebbe danneggiato.
"Eh, rimani."
Cosa? Tutta quella messa in scena per dirle questo?
Il suo coinquilino doveva proprio essere partito di testa, di solito parlava finché non le cascavano le orecchie e lei non avrebbe tollerato questa risposta.
"Il motivo."
Lui si stava innervosendo: cosa voleva di più?
Non era stata bene in sua compagnia?
Non trovava la sua casa fantastica, lui il coinquilino migliore del mondo e le sue auto assolutamente strepitose?
Forse si era stufata di tutto e non aveva torto, in fondo lei aveva sempre vissuto tranquilla e non aveva un motivo forte per restare.
Temi non era più arrabbiata, probabilmente non lo era mai stata, e aspettava di sapere cosa passasse per la testa bionda di Hillar, senza farsi nessun'idea prima.
Lo guardava seria, interessata e vagamente compassionevole, con la testa reclinata di lato, senza mutare espressione: comprendeva che più tempo passava meno coraggio lui avrebbe trovato per esprimersi, ma non gli dava fretta.
La festa continuava in sottofondo, senza dar loro fastidio.
"Mi piace abitare qui con te, ci ho fatto l'abitudine, in più ti ho insegnato a sparare e non è degno di un maestro lasciare i suoi allievi gironzolare per il mondo senza averli sott'occhio un minimo. Trovo la tua compagnia fantastica, il tuo look molto meno" Le sopracciglia di Temi erano schizzate in alto sulla fronte, ma sapeva che era parte del loro copione e non commentò, "E mi incoraggi sempre e ti complimenti con me quando faccio qualcosa di giusto, anche se magari prima non eri d'accordo. Sei la persona più onesta che io abbia mai conosciuto. E mi sopporti. E non so più cosa sto dicendo, ho perso il filo, scusa."
Lui aveva abbassato gli occhi sulle sue mani, triste perché il suo discorso certamente non l'avrebbe convinta e perché si era ostacolato da solo, accidenti!
Dove aveva messo la sua sicurezza, la sua sfacciataggine solita e l'arte retorica che sfoggiava sempre?
Lei lo aveva guardata intenerita prima di abbracciarlo quasi correndo e lui se l'era trovata lì fra le sue braccia, stupito, senza nessuna reazione a parte quella di stringerla a sua volta.
Erano rimasti lì un po', poi lei aveva alzato la testa, l'aveva guardato e gli aveva chiesto se gli fosse passato.
Non aveva detto cosa, entrambi non lo sapevano.
Lui aveva scosso la testa mordendosi il labbro inferiore e Temi si era tornata ad annidare nel suo petto, senza fare domande, respirando a un'altezza appena più bassa del cuore dell'altro.
Gli aveva accarezzato la schiena quando aveva sentito i suoi piccoli singulti trattenuti, non l'aveva guardato, probabilmente si sarebbe vergognato e lei non voleva colpire il suo orgoglio, anche se sapeva che lui non stava piangendo.
Era solo dolore trattenuto a metà, dignitoso ma improprio per un grande pubblico.
Aveva fatto in modo che sentisse appieno la sua presenza e la sua intenzione ad ascoltarlo, se solo avesse voluto, ma non aveva compiuto altro, era sicura di star agendo nel migliore dei modi.
Alla fine gli aveva chiesto se fosse DAVVERO passato tutto e lui aveva detto di sì, questa volta, mentre ispirava profondamente il profumo della ragazza, impalpabile perché non usava altro che sapone.
Si era staccata, l'aveva costretto a guardarla e gli aveva sorriso rassicurante.
Quello sarebbe stato per sempre tra loro.
"Sai che devo andarmene. Dev'essere così, il nostro è stato solo tempo rubato al destino, non ci saremmo dovuti nemmeno conoscere. Ma questo periodo, eliminando tutte le interferenze esterne, è stato... bellissimo."
La parola non aveva la forza che avrebbe voluto comunicare, ma sarebbe andata bene, lui avrebbe capito.
"Ti ringrazio per essere te e avermi accolta, per essere andato fuori di testa prima del pranzo dai tuoi, per la tua orrenda automobile gialla con cui mi sei venuto a prendere la prima volta, per aver fatto vergognare al telefono Norge, per essere stato mio amico e mio insegnante, per quei momenti stupidi a tavola, per essere sempre così elegante da sembrare uscito da una rivista di moda maschile, per avermi fatto invidiare da tutte le mie colleghe, cosa che mi ha dato tremendi grattacapi, per tante altre cose che non mi ricordo e che sono troppe da elencare. Mi mancherai anche tu e tanto, per colpa tua mi volterò ogni volta che vedrò un tizio biondo per la strada."
Gli dette un colpetto sul petto, tanto per fargli intendere che scherzava.
Lui era molto emozionato e si concentrava su tutte le parole che sentiva, per ricordarsene. Nessuno gli aveva mai tributato un elogio, men che meno alla sua stupenda automobile gialla.
"E farai bene, perché ti terrò d'occhio e non è da escludere che sia io, tutti quegli affascinantissimi uomini biondi."
Eccolo tornato alla normalità, lo riconosceva adesso. Che arrogante!
"Smettila. Ti voglio bene, Hillar, ma non dirlo a Norge, potrebbe esserne gelosa."
Questa dichiarazione lo colse di sorpresa, soprattutto per l'occhiolino che gli aveva fatto dopo, e gli fece spalancare gli occhi, però le rispose subito, sorridendo dolcemente: "Ti voglio bene, Temi."
Si sorrisero a vicenda per un minuto, poi lei gli tese la mano e uscirono dalla stanza, chiudendola a chiave, completamente dimentichi del vestito e degli accessori che giacevano sul letto.

Norge si stava divertendo alla festa, insomma.
La sua idea di divertimento di solito comprendeva persone interessanti, alcool di ottima qualità e buona musica e tutte queste componenti erano presenti, ma continuava a sentirsi distaccata
Non si stava divertendo, insomma.
Le era sempre piaciuto essere al centro dell'attenzione e partecipare agli eventi mondani, ma non riusciva a fare a meno di giudicare tutto pesante e noioso, visto e rivisto trecento volte almeno.
"Le solite coppiette che si appartano, quelli che ci provano, quelli che bevono e si drogano, quelli appariscenti e quelli volgari senza un minimo di personalità. Il mondo è sempre questo e non cambia mai."
Un sorriso storto accompagnò questo pensiero.
Non le interessava chi c'era a quella dannata festa, ma chi non era presente.
Suo fratello, saggiamente, aveva dovuto ammetterlo pure lei, non lo aveva invitato, perché era sicuro che sarebbe stato come se un mortale avesse partecipato a un festino di fate.
Il risultato sarebbe stato disastroso perché lui, affascinato e inconsapevole, non avrebbe prestato attenzione agli inganni e ai tranelli e sarebbe caduto sempre più giù nella rete dei segreti che non avrebbe dovuto conoscere, impedendosi il ritorno.
Non era che considerassero Luke un ingenuo di prima categoria, ma era meglio che non sapesse nulla di chi frequentava Hillar, altrimenti avrebbe tutto quel che nascondevano e, disgustato, avrebbe lasciato cadere la chiave insanguinata come nella favola di Barbablù.
E Norge voleva essere quel che appariva ai suoi occhi, nulla di più o di meno.
Qualche giorno prima si erano ritrovati sulle scale antincendio, lei stava tenendo tra le dita una sigaretta accesa, aveva ancora addosso la tensione di uno dei vari e non infrequenti faccia a faccia con Saverio, che le faceva tingere di un giallo brillante le dita ma non i denti, mentre artigliava con l'altra mano il corrimano, le vertigini non le sarebbero mai pensato, e lui era sulla soglia, che sembrava guardare l'universo intero e il nulla più assoluto insieme. Magari erano la stessa cosa, chissà.
In quel momento c'era stata una calma irreale e d'impulso Norge si era ficcata la sigaretta in bocca, senza saperne bene il perché.
Non aveva intenzione di fare qualcosa con lui, non lì o in quel momento, ma non voleva fargli conoscere le altre sue gamme d'emozioni che andassero oltre la rabbia, il divertimento diabolico e l'amicizia per Temi.
Non voleva fargli conoscere qualcosa di intimo, punto.
Luke si era avvicinato timidamente e le aveva chiesto se ne poteva avere una.
Lei l'aveva fissato, poi si era accorta di star in pratica masticando la sua, la teneva come una matita tra i denti, e gli aveva risposto un secco no.
Dopo ciò aveva buttato per terra, calpestato la sua cicca e accartocciato il pacchetto che, reggendosi un po' traballante, aveva condotto nel cestino.
"Perché non me ne hai data una?"
"Non sai fumare."
"Nemmeno tu. La tieni sempre tra le dita."
Norge si era irrigidita: lei non fumava spesso all'ospedale, di solito mentre ci arrivava dopo una riunione con la malavita, quindi doveva averla osservata bene.
"Se lo dici tu."
"Perché non me ne hai data una? Se fossi stata egoista, come in un primo momento avevo pensato, avresti risposto solo di no e non avresti buttato via tutto."
"Non sai fumare e di certo è meglio che anche io impari."
Lo sguardo di Luke era perplesso: Norge sembrava davvero stanca e poco comunicativa, di solito invece non risparmiava sulle battute, che nell'ultimo periodo sentiva sempre meno.
Non perché non ne facesse, ora con il loro "personale" rapporto, Luke deglutì pesantemente, fioccavano, ma perché non c'era materialmente l'infermiera.
Sembrava non essere mai presente a parte quando faceva il suo agguato.
Luke aveva pensato che il suo turno e il suo settore fosse cambiato, era possibile, ma gli mancava.
Era la sua figura di riferimento e la sua torturatrice, che era più lieve.
Sembrava un controsenso, ma era così.
A lui Norge piaceva anche per quello che gli faceva, ma non esclusivamente per quello, così, una volta che era venuto a patti con se stesso, cosa molto difficile, aveva cercato di coinvolgere anche lei.
Norge doveva aver apprezzato, ma, forse, si era solo data una calmata, e ora non aveva più tutta quella furia, anche se di energia ne aveva ancora a palate.
Però Luke ricordava ancora quel momento strano, quando stavano pomiciando in uno sgabuzzino vuoto e la sua camicia era aperta, il camice chissà dove e i pantaloni erano più giù che su, in cui lui si era staccato e le aveva accarezzato il viso e i suoi occhi azzurri fissi su i suoi erano indagatori e prudenti, tanto che lo sguardo del medico era diventato tale e quale a quello di un cervo abbagliato dai fari di un'automobile.
Probabilmente non si aspettava quel gesto, ma dopo un assalto alla sua bocca che l'aveva paralizzato per un bel po', era stata più gentile, non gli aveva nemmeno chiesto di raccontare nulla!, e non aveva più detto nulla di quell'incontro.
"Cosa?"
Norge non lo guardava più, fissava il cielo e soffiava fuori il fiato, in una pessima imitazione del fumo.
L'aria era davvero molto fredda, quella notte, ma non le dispiaceva, le ricordava i primi anni della sua infanzia in Finlandia, quando i suoi genitori avevano creduto che per lei e Hillar fosse meglio stare dai nonni, che erano tornati nella loro terra d'origine quando avevano lasciato la malavita.
Era davvero piccolissima e tra le poche cose che ricordava c'era il freddo intenso, unito ai cumuli sporchi di neve ai lati delle strade.
Era strano che però le fosse tornato in mente proprio adesso, non ci pensava da molto tempo.
"A non fumare."
"Mhh. Ti ho raccontato del mio cane?"
Quando mai aveva proposto lui di parlare di qualcosa? Doveva essere ammattito, questo era quanto.
Se anche Norge era rimasta stupita, non lo diede a vedere.
"Non mi sembra, ma credo di poter immaginare la storia: te l'hanno regalato per il tuo compleanno, era proprio il cucciolo che volevi ed era così adorabile, avete vissuto incredibili avventure e grazie a lui hai conquistato la ragazza che ti piaceva."
Il tono piatto e annoiato dell'infermiera nascondeva molto bene la sua curiosità e forse la sua invidia: lei lo conosceva da poco, non avrebbe mai condiviso un gran pezzo di strada con lui e forse per questo voleva sapere tutto.
Lui scoppiò a ridere e scosse la testa: lei aveva appena illustrato la classica trama da film strappalacrime su un ragazzino e il suo cane.
"No, affatto. Era una belva senza una specifica razza, non mi ha mai dimostrato affetto un solo giorno della sua vita e, se gli stavo troppo vicino, mi mordeva. Nemmeno io lo amavo, cercavo sempre di rendergli pan per focaccia, ma non si sa come era sempre in casa e la rendeva impraticabile, passavo tutti i miei pomeriggi cercando di evitarlo.
Un giorno ho trovato camera mia completamente sottosopra, piena di impronte di terra, ossi e cimeli vari mezzi mangiucchiati. Ovviamente sapevo che mio fratello non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere e, assolutamente furioso, andai alla ricerca del cane per tutto il quartiere, chiedendo alla gente se l'avesse visto.
Tutti mi rispondevano che era passato per la via ma non si era più fatto vivo, che sapessero.
Non è più tornato e mi sono scervellato per anni per capire il suo comportamento.
Poi, qualche anno fa, ho letto che alcuni animali, come i gatti, quando sanno di stare per morire lasciano la propria casa e non tornano più.
In un certo senso ritornano alla vera natura e non fanno soffrire la loro famiglia, perché se non c'è un corpo non si può piangerlo e sembra quasi tutto solo frutto della fantasia, anche se non è così.
Gli animali sono pieni di dignità, a pensarci bene, e nessuno l'ha insegnato loro o la fa rispettare a tutti i costi.
Poi mi sono tornati in mente alcuni episodi, in cui mi aveva attaccato e mi sono reso conto che, a volte, non sempre, mi attaccava per proteggermi da altre cose, come quando non stavo attento a scendere le scale e mi ringhiava contro mentre stavo per mettere il piede in fallo.
Di certo non contavo molto per lui, ma credo che mi avesse lasciato tutte quelle cose, importanti per lui, per aiutarmi in qualche modo, come se avesse pensato che lo stupidotto, alias io, non avrebbe potuto sopravvivere senza."
Le parole erano volate via con il suo fiato bianco che diventava parte della notte e per un po' non se n'erano aggiunte altre.
Norge era stata attenta soprattutto al tono usato da Luke, ma le era piaciuta la storia che era diversa dalle altre.
"Io, da bambina, come animale domestico, avevo mio fratello Hillar. Più o meno era la stessa cosa, solo al contrario. Credo che negli anni della scuola superiore e dell'università sia andato via di casa a causa mia.
L'avevo terrorizzato a tal punto che, quando tornò definitivamente, affittò un appartamento con i soldi che aveva guadagnato o messo da parte, non so."
Forse la sua voce era orgogliosa, ma l'altro intuì che le era mancato profondamente e che il legame fraterno che li univa era molto complesso, talmente che prima o poi qualcuno avrebbe ferito profondamente l'altro e si sarebbero fatti fuori a vicenda.
"Posso immaginarlo."
Forse era stata la cosa più sbagliata da dire, perché Norge si era subito voltata verso di lui e i suoi occhi stralunati l'avevano spaventato.
"Davvero?" Un sibilo di un serpente non sarebbe stato più infido o sarcastico.
"Ti terrorizzo?"
Luke aveva aperto la bocca per dire qualcosa, ma il cambiamento di atmosfera l'aveva stordito e non faceva altro che fissarla con occhi sgranati.
Norge gli si era avvicinata ancora di più, tale e quale a una valchiria.
La luce del corridoio le illuminava malamente il viso, che per questo o il freddo, sembrava esangue, mentre i capelli i fusti di migliaia di frecce.
Poiché il medico sembrava aver perso la lingua, l'aveva superato e solo sulla soglia della porta antincendio si era fermata, voltandosi di lato.
"Era una domanda retorica."
Poi aveva continuato il suo cammino, pronta a fare il suo lavoro.
Finché lui la temeva, andava tutto bene, lei era salva.
Non si conosce mai chi incute paura e di certo non si hanno delle pretese assurde su di lui, come sapere perché è così.
Norge aveva pensato a questo mentre si versava da bere e osservava con occhi spenti la folla.
"I soliti di sempre, Hillar può anche fare tutto lo stravagante, ma il suo giro è dannatamente tutto uguale. Cambiano solo le ragazze-estate."
Le ragazza-estate, soprannominate così per il carattere di quella specifica stagione, non duravano mai a lungo, erano bellissime e predisposte alla follia festaiola. C'erano anche i rappresentati maschile di quella categoria, ma duravano ancora meno e di solito non erano molto interessanti.
Erano lì solo per divertire  e per evitare incesti nella compagnia, che, afflitta dalla noia, ci avrebbe indugiato più che volentieri.
Norge scosse la testa, mentre vedeva le solite storie trite e ritrite tornare fuori e ripetersi.
Voleva qualcosa di nuovo, di non scontato e lì di certo non l'avrebbe trovato.
Si avviò verso la sua automobile senza salutare nessuno e, quando si ritrovò sulla strada di casa, sentì di respirare liberamente.

Alla fine, la festa di Hillar era stata un successone.
Temi si era sentita fuori dal mondo, in una strana dimensione che volteggiava intorno a lei stordendola a suon di "Wow, quello sì che è stile!", solo perché aveva ancora i jeans con cui era tornata dall'ospedale, e di "Vuoi provare questo?", senza contare l'infinità di brillantini, piume e di percussioni battute in quella notte.
Lei aveva resistito finché aveva potuto, ma la stanchezza aveva preso il sopravvento anche su i suoi occhi spalancati e si era trascinata in camera sua, chiudendola a chiave.
Il rumore era continuato ancora per molto tempo, ma non ci aveva badato, sperando solo che Hillar si divertisse e che non si preoccupasse di dove fosse lei.
Il mattino dopo aveva aperto con circospezione la porta ed era rimasta agghiacciata dalle condizioni della casa.
La prima cosa che di certo si notava era la quantità abnorme di persone che sembravano aver piantato lì le tende.
Temi guardò nell'orologio più vicino l'ora: le dieci e mezza.
Non era possibile che fossero ancora lì.
La seconda cosa che si notava era la spazzatura.
In teoria non era affar suo, tanto se ne sarebbe dovuta andare fra poco, ma la vista le faceva male al cuore e lo riempiva di nervosismo, così si mise alla ricerca di Hillar, perché era ovvio che lui avrebbe contribuito più che vivacemente a pulire.
La terza cosa che si notava era il padrone di casa steso in sala sul pavimento sulla schiena, che russava allegramente.
Temi lo guardò con odio profondo, poi prese la scopa e iniziò a svegliare la gente che non abitava lì.
Alcuni se ne andarono abbastanza velocemente, anche se assonnati, ma ci fu un gruppo di ragazze che scatenarono un putiferio perché "Cioè, è troppo presto per andarcene e noi siamo stanche", "La festa ci ha spompate completamente e dobbiamo riposare" e "Non c'è nessuno che ci porta a casa e, scusa, tu chi saresti?".
La ragazza le fissò ben bene una ad una con aria critica, si appoggiò alla sua scopa, l'unica sua ancora di salvezza, e le pregò di lasciare la casa immediatamente, scandendo bene le parole però.
Queste continuarono a lamentarsi e lei perse definitivamente la pazienza.
"Cicce, c'è la fermata dell'autobus a trecento metri da qui, andateci altrimenti non c'è nessun problema per me a infilarvi dal basso questo su per la colonna vertebrale, ok?"
Loro emisero un gridolino spaventato "Che barbara!", ma finalmente alzarono i tacchi e se ne andarono.
Temi si divertì un po' a immaginarsele con quegli abiti minuscoli sedute in bus vicino a dei vecchietti, poi lasciò perdere.
Sperò che tutto quel chiasso non avesse svegliato l'addormentato, perché voleva farlo lei a suo modo.
Hillar passò quel giorno a pulire e a borbottare tutte le maledizioni di sua conoscenza, mentre Temi continuava a incoraggiarlo punzecchiandolo con la scopa, divertendosi come non mai.

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Capitolo 34
*** Take a bite of my heart tonight ***


Take a bite of my heart tonight
 Oh oh, I want some more
 Oh oh, what are you waiting' for?
 What are you waiting' for?
 Say goodbye to my heart tonight
(Animal, Neon Tree)




Temi continuava a fare incubi, anche se con meno frequenza di prima.
Forse sapere che sarebbe tornata presto a casa, che sarebbe stata fuori da tutto quel macello la rassicurava, o forse la sua mente trovava rassicurante avere due pistole cariche a portata di mano.
Comunque Hillar non ne era mai stato a conoscenza di questa cosa, perché lei pensava che fosse inutile dirlo: non avrebbe comunque potuto farci nulla ed era meglio che non si preoccupasse inutilmente per una sciocchezza del genere.
Fu per questi motivi che il ragazzo si spaventò a morte quando la sentì gridare nel bel mezzo della notte e corse da lei in pigiama con un'arma in mano.
La trovò seduta sul letto, leggermente ansimante e con gli occhi spalancati a guardare il vuoto.
Lui diede una rapida occhiata alla stanza e si rese subito conto che non c'era nessun pericolo esterno, era tutto solo nella mente della ragazza.
Si sedette sul letto e le accarezzò piano il viso, fissando i suoi occhi nei suoi, mentre Temi riprendeva piano contatto con la realtà.
"Stai bene, ora? Mi sono preoccupato molto quando ti ho sentito gridare. Per fortuna è tutto tranquillo qui. Per un attimo o creduto che..." Hillar si fermò, rendendosi conto che non era il momento adatto per fare certe considerazioni. "Vuoi un bicchiere d'acqua?"
Temi annuì piano, sbattendo lentamente le palpebre.
Lui le sorrise e si alzò, dirigendosi verso la porta.
"Ok. Torno subito, va bene?" Disse in tono rassicurante.
Temi gli fece un sorriso di riflesso, leggermente più presente di prima.
Quando bevve tutto il liquido, anche se non ne aveva molta voglia, sotto l'occhio vigile di mamma Hillar, gli disse che non si sarebbe dovuto preoccupare così per lei, non era nulla di che e, in più, gli stava facendo perdere ore di sonno.
Si vedeva che era la solita e che era rimasta solo un po' spaesata da prima, oltre che impaurita.
Di solito non erano così reali e si concentravano sempre solo su di sé.
Lui ridacchiò un momento, "Solo tu puoi considerare certe cose!", poi divenne serio: "Non sai cosa stai dicendo. Sei molto più importante di una dormita e non mi cambierà di certo la vita dormire un po' di meno. Mi sono precipitato qui perché pensavo che ti stesse succedendo qualcosa e, anche se sono contento che sia stato solo un brutto sogno, so che c'è qualcosa che ti ha fatto stare male. Quindi, se ti va, e non pensare che lo faccia perché mi sento obbligato, dimmi cosa ti ha turbato così tanto. Dicono che aiuti."
Le sorrise e aspettò con calma che lei comprendesse la verità in quelle parole.
Lui voleva davvero sapere cosa aveva sognato, gli importava.
Ma le sue aspettative furono deluse, poiché la ragazza decise di mentire.
"Mi dispiace" rispose corrucciata, "non ricordo nulla. Si vede che l'essermi svegliata di soprassalto mi ha provocato uno piccolo shock. E' meglio così, non  credi?
Non preoccuparti, sto bene ora.
Vorrei che tu tornassi a dormire, sul serio. Sei stato fin troppo gentile e di certo avrai sonno."
Temi incrociava le dita sotto le lenzuola, voleva che lui se ne andasse e che la lasciasse in pace, lei non si meritava tutte quelle gentilezze.
Soprattutto quando gli mentiva e stava per andarsene, quella era l'ultima settimana.
In realtà lei avrebbe voluto tornare nel suo appartamento subito, ma dopo la festa e quello che aveva detto Hillar si era sentita in dovere di restare, almeno per qualche altro giorno.
Tanto, probabilmente, se l'avesse fatto se lo sarebbe trovato davanti alla porta.
No, doveva chiarire bene tutto e poi la cosa si sarebbe risolta.
Lui doveva farsene una ragione, non erano amici davvero, si erano solo trovati simpatici in una situazione poco felice, ecco com'era la verità.
"Ok, fatti in là."
Temi sbarrò gli occhi: che intendeva?
"Cosa?"
Lui roteò gli occhi e sbuffò divertito.
"Fammi posto. Stanotte dormo con te."
"Ma non è possibile!"
"Temi per la mia verginità? Anch'io, in realtà. Per questo pregherò tutta la notte che tu non mi tocchi con le tue lubriche manine. Datti una mossa, non abbiamo tutta la notte."
Lei era inebetita: cosa gli era saltato in testa? Non era in vena di fare un pigiama party, se ne sarebbe dovuto tornare nel suo letto perché non era disposta a cedere.
"Hillar, no. Domani devo andare al lavoro e non voglio stare a chiacchierare con te fino al mattino. Torna a letto."
"Io ci andrei se tu mi facessi posto. Comunque, ho stranamente intenzione di dormire, solo con te accanto. Sii carina per una volta."
La faccia da cucciolo del ragazzo era troppo da sopportare anche per lei, così sospirando si fece da parte e aprì la coperta, lanciandogli un'occhiata seria.
Se Temi fosse stata un'altra ragazza, avrebbe di certo pensato che non ci fosse nulla al mondo di più desiderabile di un Hillar con un volto così dolce e tenero e un corpo assolutamente favoloso, che per sbaglio era stato scorto da lei una volta e aveva cercato di dimenticare in fretta.
Invece per lei il suo coinquilino, ancora per poco, era solo lui, con il suo carattere, le sue imperfezioni e le sue debolezze.
Lo apprezzava per tutto quel che era, altrimenti, riteneva, non sarebbe stato più vero di un bambolotto.
Il letto era molto stretto ora e la ragazza si chiese come avrebbe fatto ora a riposare, con uno attaccato.
"Ehi, c'è caldo qui! Il mio letto sembra sempre frequentato da un morto! Sei comoda?"
Temi strinse gli occhi nell'oscurità e sospirò.
Non poteva odiarlo sul serio, era stato gentile con lei e gli voleva bene, più o meno.
"Sì, ma stai fermo o mi butterai giù. Senti, facevi lo stesso con Norge?"
Non si potevano vedere, però le parole risuonarono decisamente strane nell'aria.
"In che senso?"
"Volevo solo sapere se quando avevi gli incubi andavi da lei, ma non rispondermi, non è importante."
"No, non abbiamo mai avuto quest'abitudine, visto che era lei a causarmeli, di norma."
Temi ridacchiò piano, riusciva benissimo a immaginarsi l'infanzia di quei due.
Socchiuse gli occhi e sfregò la guancia contro il cuscino, preparandosi a dormire.
"Temi?" Hillar stava giocherellando con le ciocche della ragazza, passandosele e arrotolandosele tra le dita.
"Mhh?"
"Mi piaci."
"Anche tu, ma solo se mi lasci dormire un po'."
"Davvero?"
"Perché non dovresti credermi? Ecco, non sei di certo la pera più sveglia dell'albero, e smettila di tirarmi calci, né la più buona o altro, ma mi piaci. Probabilmente è stata quella camicia disegnata da qualcuno sotto acidi a convincermi definitivamente, però potrei sbagliarmi."
"E dai, dico sul serio."
Temi sospettava che Hillar avesse messo il broncio dalla voce da bambinetto capriccioso, che di certo era stato.
"Hai dei bei capelli, mi piaci per quello. Ti fidi o ti devo dire quanto adoro la tua casa, i tuoi vestiti o il modo in cui mi regali pistole come se fossero orecchini? Se tu non mi piacessi non staresti occupando il mio letto abusivamente, adesso."
Lei voleva davvero smetterla di parlare, sentiva che da certe affermazioni non potesse nascere nulla di buono.
E come mai lui voleva essere rassicurato? O era solo una sua impressione?
"Grazie, ora ti lascio dormire. Non volevo farti sentire costretta ad apprezzarmi solo perché sei mia ospite."
Temi respirò pesantemente, poi gli prese la mano e la intrecciò con la sua.
Non si aspettava che fosse così dolce e delicato, tanto preoccupato di piacere, anche.
E questo la faceva sentire in colpa, ancora.
Lei sospettava che Hillar sapesse quanto gli riuscisse bene manipolarla, come stava facendo ora.
Sapeva di essere sempre stata quella considerata "troppo buona", ma non riusciva proprio a resistere a quel tono strascicato e lacrimevole che aveva.
"Non preoccuparti, sono solo stanca. Ma ti assicuro che sei una persona come tante altre, pur potendoti migliorare, né troppo malvagia né particolarmente santa. E va bene così."
La voce della ragazza lo stava rassicurando e gli piaceva sentire il suo calore, però aveva altre domande da farle e si fidava solo di lei a tal punto da confidarle certi suoi dubbi.
"Dovrei lasciare la malavita, è questo che intendi con il migliorarmi, vero?"
Lei si era inumidita le labbra e aveva pensato qualche secondo, prima di rispondere.
"Credo che tu sia sprecato lì, sei stretto tra tuo padre e tua sorella e cerchi costantemente di impressionarli. Ti ho visto studiare fino a tardi, non lo negare, per migliorarti e il tuo lavoro non mi sembra mai essere apprezzato.
Devi avere qualche altro talento, ne sono certa, perciò, se proprio non vuoi mollare tutto, e non me la sentirei nemmeno di consigliartelo, coltivalo fuori e non lasciarti condizionare dal giudizio della gente.
Tutti pensano che tu sia uno leggero, ma soltanto questa conversazione dimostra il contrario.
Ognuno ha la sua maschera, certo, però bisogna sapere quando è il momento di togliersela."
Lei era preoccupata che Hillar non comprendesse fino in fondo ciò che aveva intenzione di esprimergli e si sentisse insultato, cosa che non avrebbe mai voluto.
Hillar era un suo amico, dopo tutto.
Le aveva organizzato una festa d'addio, era stato il suo insegnante e non si era mai lamentato quando doveva scarrozzarla in ospedale.
Non dovevano essere legati, ma di fatto lo erano, per questo voleva che entrambi avessero il miglior ricordo di quell'amicizia nata per caso.
Si mordicchiava le labbra, attendendo la reazione del suo coinquilino e sperando che non lasciasse la sua mano.
"Non posso lasciare il mio lavoro, Temi. E' qualcosa a cui sono sempre stato destinato. Tu sei stata fortunata, sei nata in una famiglia estranea alla città e senza legami con la malavita, ma io sono stato educato per amarla e rispettarla sempre, non ho mai pensato a un'occupazione diversa da questa.
Norge ha fatto quel che ha voluto perché è sempre stata quella forte, la testa dura, io sono solo il figlio maggiore che doveva seguire le orme di tutta la stirpe e che non sarà mai ricompensato per questo perché è "semplicemente dovuto", per tutti quanti. Anche per me."
"Non lo è, altrimenti non mi avresti fatto quella domanda."
"Potrei non pensarlo, ma la mia situazione è così, te lo confermo."
"Posso chiederti una cosa che non c'entra?"
"Disse quella che aveva affermato di non voler fare un pigiama party."
"Allora non lo faccio."
"Dai, altrimenti morirò dalla curiosità e dopo saranno cavoli amari per te, altro che interrogatorio all'acqua di rose con Busco!"
"Tu non c'eri."
Quella pausa, che suonava come l'accusa di una bambina il cui padre non era venuto alla recita scolastica, pesava una tonnellata e Hillar si rattrappì un po', pensando a cosa invece aveva fatto.
Era un traditore, un ingannatore e un corruttore di ragazze più o meno innocenti.
Si sentì malissimo per qualche secondo, poi scordò tutto e si risollevò quando Temi continuò, cambiando completamente soggetto.
"Dunque, in quante relazioni sei stato mollato?"
Hillar si posò una mano sopra le fronte e iniziò a ridere.
Temi era un tesoro, un vero amore, la tenerezza che provava per lei era infinita, soprattutto in quei momenti.
Come se non fosse ovvio che cercasse solo di alleggerire la tensione e di recuperare la solita atmosfera.
"Sono troppo magnifico per essere scaricato come un carico di pesci, dovresti saperlo, cocca. Chiedimi piuttosto quante ragazze ho lasciato."
Il tono borioso da latin lover seriale aveva divertito la ragazza, che continuò a stuzzicarlo.
"Certo, certo, ci credo molto. Secondo me, invece, sei uno di quei tipi assolutamente patetici che si aggrappano con le unghie alla porta dell'ex implorandola lacrimosamente di tornare, perché da soli non ce la fanno."
"Ah ah, come sei divertente. Sto schiattando dalle risate, guarda."
"Uhuu, la reginetta del trash si è svegliata, a quanto pare."
Lui sospirò: l'ironia con Temi era completamente inutile.
"Come sei infantile." Hillar aveva usato un tono distante, ma un sorriso a malapena represso, tanto era buio, gli solcava il viso e gli faceva dolere le guance.
"Ho sentito il tuo naso arricciarsi da qui, Hillar."
"E' impossibile, stai dicendo una gran bugia e lo sai."
"Gne gne gne."
Ci fu un attimo di silenzio, mentre i loro cervelli codificavano quei suoni, strabiliati entrambi da quella inusuale risposta, poi scoppiarono a ridere fragorosamente per diversi minuti.
"Oddio, Temi, che era?"
"Non lo so!"
Tentarono di calmarsi, ma per un po' furono comunque scossi dagli spasmi.
Poi all'improvviso Temi si addormentò stanchissima e Hillar non se ne accorse finché non sentì la sua presa farsi lievemente più debole e il suo respiro più lento.
Provava una soddisfazione intensa, come se si fosse appena svegliato da un lungo sonno appagante e qualcuno gli stesse porgendo la colazione con un sorriso e una mano fresca sulla sua fronte.
Le lenzuola sembravano un po' rigide, ma non erano fastidiose, anzi, probabilmente il motivo era che erano state appena lavate.
Gli piaceva stare lì.
"E' strano stare qui al buio con te, non c'è null'altro, anche i miei impegni e i miei complotti sembrano solo strane e folli fantasie. Le uniche cose reali siamo io, tu, questo letto e il profumo di talco che non so da dove spunti.
L'oblio. 
La libertà.
Nessun desiderio insoddisfatto.
E ho comunque qualcuno che mi scalda il letto."
"Ti amo."
Un piccolo sospiro lungo come il contorno del viso di Temi, che non stava a significare una brama di qualche genere, ma la semplice espressione dell'affetto particolare che sentiva per lei, che attraverso lei provava per il mondo.
Era qualcosa di immenso e straordinario, una pace e una dolcezza gli si erano insidiate nel petto, come una borsa dell'acqua calda, e alleggerivano il suo spirito, come un'assoluzione.
Abbracciò la ragazza, affondando il naso nel colletto del pigiama e ispirando profondamente, e, dopo aver mugolato di soddisfazione, si lasciò andare al sonno.
Qualche ora dopo, Temi si districava lentamente dall'intricato disegno dei loro corpi, sbadigliava e si rendeva conto di quel che avrebbe dovuto fare.
Senza emozioni si preparò e se ne andò con tutto il suo bagaglio, lasciando la sua stanza completamente neutra, come se non ci avesse vissuto mai nessuno, senza nemmeno salutare o, almeno, svegliare il ragazzo che, non accorgendosi di nulla, continuò a dormire, spettinato e con un grosso sorriso stupido sul viso.

Anche Luke aveva avuto una notte stramba, ma aveva accolto con piacere il risveglio che, comunque, non lo aveva liberato da quel senso opprimente di ansia dovuto al terribile sogno che aveva fatto.
Si era ritrovato in un nessun luogo, dai contorni ondeggianti, ma i personaggi erano perfettamente rifiniti, anche troppo.
C'era Norge, su una chaise longue imbottita, che, fissandolo spudoratamente, stava mordendo leccandosi i baffi  qualcosa che teneva in mano, strappandolo a brandelli, mentre Hillar era seduto per terra, appoggiato al mobile e vestito di bianco, e scuoteva la testa divertito.
Poi lei gli aveva sorriso trionfante e si erano visti i denti rossi, con pezzi di carne infilati tra una fessura e l'altra, come sinistre bandiere.
Era una visione da brivido e il se stesso del sogno aveva abbassato lo sguardo, che poi era stato catturato sul suo petto.
C'era un buco.
Finalmente aveva realizzato qual'era il cibo di Norge e era stato colpito da dei conati di vomito: stava mangiando il suo maledetto cuore!
Tremante, aveva infilato una mano nel vuoto, aveva sentito solo la rigida asciuttezza delle costole che scricchiolavano appena al suo tocco e aveva deglutito pesantemente, schifato.
"Oddio, se sei esagerata. Cosa vuoi di più da questo? Hai già tutto, basta guardare quello che hai in mano!"
La smorfietta del fratello a metà tra il disgustato e il divertito non aveva fatto né caldo né freddo alla donna, che continuava a masticare imperterrita e tranquilla, senza staccare gli occhi da lui, esattamente come Hillar, che gli sorrideva sfrontato e pieno di sfida.
"Non è abbastanza." Aveva poi risposto Norge, tranquilla.
Si era ritrovato questi due individui terrificanti che gli sorridevano con condiscendenza e un pizzico di malizia e ne era stato terrorizzato, con le affermazioni sconvolgenti che aveva appena sentito.
Erano terribilmente simili e non era affatto piacevole avere come fari puntati quattro occhi azzurri che pretendevano qualcosa che non conosceva.
Infine si era svegliato di soprassalto, portandosi subito la mano sul petto e sospirando di sollievo, con la sensazione di essersi addormentato qualche secondo prima e la precisa opinione di dover far qualcosa, perché non era proprio il caso che succedesse qualcosa del genere, senza chiedersi cosa intendesse Norge con quel "Non è abbastanza.".

Raza stava pensando al prossimo passo da fare e si frenava dal farlo, perché, certo, era una buona mossa e desiderava attuarla, ma forse significava attraversare troppo la sottile riga con Temi e non voleva rompere il legame che avevano, non in quel momento.
Il tempo era quasi propizio e aveva bisogno di sistemare alcune faccende, ma lei gli serviva disperatamente e, se avesse deciso di essere andata troppo in là, di certo gli avrebbe sbattuto la porta in faccia senza pensarci due volte.
Sapeva che aveva imparato a sparare e sembrava più sicura di sé, mentre camminava e lavorava alacremente.
"Il suo esame si sta avvicinando, vuol fare bella figura. Potrebbe essere utile, questo fatto. Ma non desidererei obbligarla, minacciando di mandarle all'aria la carriera. No, lo userò solo se la situazione diventerà insostenibile.
Devo incontrarla, non posso raggiungere il mio scopo senza che ogni misera piega sia stata appianata."
In quell'ultimo periodo appariva più stanco, più preoccupato.
Il suo scopo lo stava mangiando a piccoli morsi, godendosi lo spettacolo dei suoi lamenti e del suo dolore.
Aveva una pelle tesa di un malsano giallo opaco e sembrava non sbattere mai le palpebre, ma non c'era acutezza nel suo sguardo, più che altro aveva gli occhi di un affogato.
Non aveva paura, no, ma a volte i dubbi, arrivato a un punto così critico, lo inseguivano e gli entravano dentro, per graffiargli i nervi con le loro dita adunche.
Amava molto la vita, per qualche anno ancora ne avrebbe goduto, questa era la sua speranza, ma forse non sarebbe scampato vivo da questo cataclisma che li avrebbe sommersi tutti.
Guardò fuori dalla finestra: la sua piccola, dolce, miserabile Egris era sempre lì, gli sorrideva timida come una liceale e poi lo imprigionava all'interno del suo petto, godendo del suo stupore.
"Signor Raza, è arrivata la sua ospite."
"Benissimo, le dica che la raggiungerò immediatamente nel salottino, dove si trova. Porti qualcosa da bere, non posso essere criticato anche per la mia mancanza di ospitalità."
Un sorriso tirato si mostrò sul suo viso, ironico.
Quella sarebbe stata una mattinata interessante.

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Capitolo 35
*** Drifting away ***


Cos you came at a time
When the pursuit of one true love in which to fall
Was the be all and end all

Love is only a feeling
(Drifting away)
When I'm in your arms I start believing
(It's here to stay)
But love is only a feeling
Anyway

The state of elation that this union of hearts achieved
I had seen, I had touched, I had tasted and I truly believed
That the light of my life
Would tear a hole through each cloud that scudded by
Just to beam on you and i
(Love is only a feeling, The Darkness)



Norge ci aveva pensato tanto, cercando di fare i migliore ragionamenti e di trovare dei cavilli, e ora era assolutamente certa che quella fosse la cosa migliore da fare.
"Il monopolio della prostituzione."
Suo padre la guardò preoccupato.
"E' impossibile da ottenere e significherebbe inimicarsi Gusk. In un momento del genere..."
L'aria si era fatta più densa, con quell'affermazione lasciata a metà.
Lei aveva assottigliato gli occhi, ma non si era data per vinta.
"So meglio di tutti come sia la situazione. Sono pronta a fare uno scambio. Non voglio certo appropriarmi di qualcosa che non è mio."
L'ultima frase aveva un tono sarcastico, però il signor Sisu ne aveva solo visto la presunzione ed era spaventato: aveva vissuto per anni tranquillo, assecondando gli altri e accontentandosi e non si sognava nemmeno quello che Norge stava proponendo.
"Non ti asseconderà, lo sai."
L'irritazione si stava facendo strada in lei, capiva il padre, ma non poteva solo dimenticarsi tutto e andare avanti come sempre.
Aveva un progetto, difficile ma attuabile.
Non voleva degli impedimenti anche dai suoi collaboratori.
"Io credo che con le giuste mosse e il consenso di Busco si possa fare tranquillamente. In fondo non dirà mai di no a dei guadagni extra."
"E Raza? Non penserai che ti lasci scambiare come figurine i suoi possedimenti, se si possono definire così."
La donna strinse i pugni, con gli occhi luminosi e una punta di disgusto per il genitore: perché doveva metterle i bastoni fra le ruote?
Era a tal punto annichilito dagli altri malavitosi?
"Ci parlerò io, non preoccuparti. Tanto prima o poi dovrò pur incontrarlo faccia a faccia."
Il signor Sisu si stava arrabbiando: come non faceva sua figlia a non capire il pericolo a cui stava andando incontro?
Non si poteva incontrare uno come Raza come a un tea party e discutere placidamente di bignè!
"Quel tipo ha sterminato una banda intera e ci ha mandato i cadaveri! E tu ci vuoi parlare?"
La preoccupazione trapelava nella sua voce, ma Norge capì solo che voleva limitarla e questo la indispettì moltissimo.
Era tornata solo per rimettere tutto a posto e ora volevano reprimerla, ma non l'avrebbe permesso.
"Certo e lo convincerò. Sono il braccio destro di Busco e i nostri domini sono sottoposti a lui, dopo che a Raza, e sappiamo tutti che è come se li amministrassi io per entrambi.
Tu e Hillar non avete nessuna autorità, ora come ora, sul nostro territorio.
Siete solo miei sottoposti."
Dopo avergli lanciato un'occhiata di assoluto disprezzo, la donna se ne andò, non curandosi del discorso tremendo che aveva appena fatto a suo padre, il suo maestro, il suo sostenitore per eccellenza.
Lui aveva boccheggiato per qualche secondo, incapace di comprendere le sue parole per davvero.
Come era possibile essere arrivati fino a questo punto?
Da quando la sua bambina non aveva più nessuna cura per lui?
Da quando era così assetata di potere?
Per la prima volta nella sua vita, gli venne il sospetto di aver cresciuto una serpe in seno e, stranamente, che quella non fosse Hillar.
 
Temi era perfettamente composta su una delle sedie del salotto di sua nonna, con un sorriso dolce ma non impegnato e una tazza di porcellana in mano.
Stava bene, davvero.
Quando era tornata a casa, con le braccia completamente distrutte, l'aveva trovata perfettamente pulita e con un vago odore di disinfettante.
Non aveva potuto fare a meno di scuotere la testa al pensiero che Hillar aveva addirittura assoldato qualcuno per pulirla mentre era inutilizzata, anche se prima non ci avrebbe mai scommesso.
Aveva portato i suoi bagagli in camera, li aveva disfatti e si era rimpossessata della sua abitazione.
Una piccola sensazione di disagio le aveva volteggiato intorno come una nuvoletta personale, ma non ci aveva fatto molto caso e quella si era dissolta appena era uscita per andare all'ospedale.
Le era mancato camminare da sola per le strade, guardando i piccoli negozi e ristoranti che aprivano o chiudevano a seconda dell'ora, le dava l'idea dello scorrere della vita a cui lei partecipava minimamente, chiusa in un luogo a cercare di salvare gli altri.
Non si lamentava, aveva scelto lei di farlo, ma, adesso che era tornata alla normalità, se così poteva essere chiamata, era certa di aver perso qualcosa, forse la sua freschezza nell'affrontare le difficoltà o la sua sensibilità, non lo sapeva.
Dopo che aveva ripreso confidenza con tutto, dopo aver cercato di riprendere quello che era stata prima dell'intervallo, come chiamava la permanenza a casa di Hillar, aveva semplicemente chiamato sua nonna e l'aveva avvertita che qualche giorno dopo sarebbe andata a trovarla.
Gytha era rimasta entusiasta, anche se le sembrava un po' strana la calma nella voce di Temi, e si era già preparata a ricevere LA notizia.
Quindi ora la stava guardando come un avvoltoio su un animale morente, cosa che non faceva nessun effetto alla cara nipote.
"Sono sicura che mi deve parlare del suo ragazzo, come si chiamava? Iulio? No. Ian? Nemmeno. Hillar! Sì, è quello giusto, anche se ha un nome strano. Ma un Sisu, addirittura! E convivono già! Gioia e gaudio assoluti! Poi si vede che ha raggiunto una nuova consapevolezza di sé, del suo valore e delle sue qualità, ha un'aura di sicurezza e tranquillità che prima non aveva. Mhh, questo ragazzo mi piace molto!"
Mentre la nonna gongolava tranquilla, Temi si stava ponendo il serio problema del modo in cui dirle che lei e Hillar si erano lasciati.
Ovviamente non le avrebbe mai raccontato la vera storia, ma quella era l'opzione più comoda.
Certo, era preferibile sorbirsi tutti i commenti e le rassicurazioni dei suoi parenti sul fatto che ne avrebbe trovato un altro e che valeva molto di più di lui, se ne erano accorti fin dalla prima volta che lo avevano visto, piuttosto che parlare di come si era messa in mezzo ai piani della malavita e come aveva rischiato più volte la vita.
Ma quando vide gli occhi di Gytha spalancarsi e la tazza quasi caderle di mano, non ne fu così tanto sicura.
L'assoluto stupore e la conseguente consapevolezza che si erano fatti strada dentro l'altra erano assolutamente devastanti.
Si sentiva come se un'onda le avesse asportato l'anima, lasciandola vuota con solo il lontano rimbombo a lambirla.
"Oh..."
"Nonna, stai  bene, vero?"
La ragazza si era allarmata un po', vedendo il colore terreo spandersi sul viso dell'anziana: non si sarebbe mai perdonata se fosse stata colpita da un infarto per il suo poco tatto, sapendo quanto ci tenesse l'altra che lei trovasse la sua felicità da condividere con qualcuno.
E quel qualcuno, nei pensieri di Gytha, corrispondeva perfettamente a Hillar.
Temi odiava deludere o dar dolore alla sua carissima congiunta, ma sapeva bene che era meglio così.
"Sì, non preoccuparti. Dimmi come ti senti tu, piuttosto."
Il tono era intransigente e subdolo e rese la specializzanda più scomoda nella sua bugia.
Lei le stava mentendo spudoratamente e sua nonna si dava pena per come si sentiva?
"Beh, bene. Sono stata io a lasciarlo. Non era giusto, per entrambi."
Aveva alzato appena le spalle, facendo una smorfietta a metà tra il dispiaciuto e la conoscenza dell'ineluttabilità della fine della loro "storia".
L'altra l'aveva osservata attentamente,cercando di scorgere segni di emozioni forti represse, ma, a parte un po' di malinconia e forse un lieve dolore, non trovò nulla.
Se prima aveva attribuito la maggiore compostezza e sicurezza della ragazza al fidanzato, ora comprendeva che non era affatto così e che era solo lo sbocciare, ritardatario ma splendido, della nipote.
Le si strinse un po' il cuore al pensiero di stare perdendo anche Temi, la più piccola della cucciolata.
Non avrebbe più pianto tra le sue gonne, non avrebbe più riposto tutta la sua fiducia in modo assoluto in lei e questo la rattristava, anche se si rendeva conto di essere egoista perché era conscia della sua inutilità, ora.
Temi stava diventando una giovane donna e, se avrebbe continuato su quella strada, sarebbe stata magnifica, ne era sicura.
Dopotutto, era la sua nipotina,  sangue del suo sangue, mica noccioline!
 
"Norge..."
L'infermiera spalancò gli occhi e fissò Luke, trattenendo una recriminazione in punta di lingua: non era dannatamente il momento per interromperla!
Sentiva davvero il bisogno di continuare quello che stava facendo e nulla avrebbe potuto fermarla, nemmeno un idiota che non si capiva se voleva collaborare o no!
Lei agognava solo la pace e quello era il modo più veloce di ottenerla, anche se subito dopo la costringeva a soffocare quel anelito sempre più forte, in una spirale che si allargava sempre di più.
Non era una questione di volere, quella era sorpassata ormai, ma di pretendere.
Però voleva sapere, anche se non in quel preciso momento, a metà dell'opera, fino a dove Luke le avrebbe concesso spontaneamente ciò che desiderava, perché sapeva che, pur essendosi svegliato da poco, non aveva fatto nulla che lui non bramasse.
Sentiva che la sua forza si accresceva e aveva bisogno di far sapere all'uomo quanto fosse speciale, ovviamente lei non si sarebbe mai accontentata di uno qualsiasi, e quanto le sue reazioni corporee, soprattutto quelle più assurde, come lo spasmodico desiderio di sapere sempre dove fosse o la strana acutezza nel notare alcuni suoi particolari, fossero in relazione con lui.
Pensava sempre che fosse terribilmente ovvio e, quindi, che il momento dovesse essere ammantato di una certa cappa di serietà, anche se si trovavano in uno sgabuzzino sporco di un ospedale qualsiasi a limonare come ragazzini e il suo raziocinio non funzionava più tanto bene.
I suoi nervi le mandavano dei segnali brevi sempre più veloci e ravvicinati fra loro, amava quella sensazione, e  la sua schiena formicolava per l'aspettativa, mentre le sue orecchie si facevano sempre più rosse e sembravano fremere leggermente.
Se tutto fosse stato come al solito, lei si sarebbe crogiolata un attimo, sorridendo languida anche per il tocco delicato delle mani di Luke sui suoi fianchi e il sangue che sembrava circolare più in fretta da quelle parti, poi lo avrebbe finalmente divorato, proprio come un lupo, senza nessun rimorso.
Ma il tono che lui aveva usato prima le aveva fatto scattare qualcosa in testa, un leggero prurito interiore, che ora voleva scacciare, oltre per non avere altre interruzioni.
Per questo lo teneva ben stretto e lo fissava seria, rossa in volto, rispondendo con un piccolo mugolio indispettito.
Lui la guardava, prima aveva tenuto gli occhi chiusi, e sentiva tutta la potenza della indisponente della donna, mentre la sua lingua raschiava il palato, improvvisamente a corto di pensieri lineari e saliva.
Cosa le stava per dire?
Perché l'aveva interrotta?
Non gli stava facendo alcun male, almeno così gli era sembrato qualche secondo prima.
Allora perché lo aveva fatto? Perché non se ne era stato zitto e buono come sempre?
Sbatté qualche volta le palpebre in silenzio, mentre finalmente trovava la ragione e il coraggio per dirla.
La sua voce uscì più esitante e acuta di quel che avrebbe voluto, ma si costrinse a ignorarla: qualsiasi cosa avrebbe potuto interromperlo per sempre.
"Norge. A me piace quel che facciamo, è incredibile e non me ne lamenterei mai..."
A quel punto la donna lo interruppe, gelida e metallica come sempre, prevedendo in parte quel che sarebbe stato il resto del discorso.
"Ma vuoi interrompere tutto, giusto? Non ti va più, hai trovato qualcun altro, cose del genere. Non ti preoccupare, non mi interessa. Se vuole scusarmi, dottor Asi..."
Cosa?
Lei se ne stava andando, così, senza nemmeno dargli l'opportunità di usare tutto quel coraggio che aveva racimolato?
Luke era sorpreso e terrorizzato: non poteva affatto succedere questo!
Nel suo animo cambiò tutto così rapidamente che sembrò trasfigurato, quasi un'altra persona.
Perciò fece rapidamente quei due passi che lo separavano dall'infermiera e le afferrò un polso.
"Ora stammi bene a sentire, miss So-tutto-io: ci hai preso, ma solo nella prima parte.
Il motivo per cui non voglio più avere a che fare con te in questo modo è che sono innamorato . E per soddisfare la tua curiosità, perché so che ti andresti ad informare appena uscita da questa porta, e non provare a negarlo, ti ripeto che ti conosco, quel qualcuno è una persona nevrotica, animosa e dispotica che lavora qui. Riconosci chi è?" Disse con un tono deciso che lasciava trasparire la sua irritazione e la sua rabbia.
Sì, era arrabbiato, perché si sentiva frustrato dalla mancanza di tatto della donna e voleva dire la sua, per una volta, senza che lei lo liquidasse in fretta e furia senza quasi muovere un dito.
Norge lo stava guardando seria, ma non sembrava intenzionata a rispondere.
Non sapeva cosa stava accadendo, pur pensando a qualche tipo di rivalsa da parte del medico, che sembrava sempre più sicuro di sé mentre sfoggiava un'espressione tesa e torva.
"Non parli nemmeno, vero? Me lo dovevo immaginare, non puoi farlo, perché sei troppo orgogliosa solo per renderti conto dei tuoi difetti e delle tue mancanze."
La sua voce era triste e rassegnata, come il canto di una sirena spiaggiata, che sente ancora le melodie delle sue compagne e non può far a meno di rispondere, anche se la morte le sta scivolando leggera al fianco.
"Sono innamorato di te e ora mi sento uno schifo, Norge.
Un vero schifo, un buco di schifo e se non smetto di ripetere schifo in ogni frase sono sicuro che morirò schifosamente male.
Perché non capisci, semplicemente per questo.
Lo vedo dalla tua espressione, Norge.
Non mi aspettavo comunque di essere ricambiato, ma un'altra ragazza almeno avrebbe quella faccia compassionevole da "Povero cucciolo, mi dispiace, ma è meglio se rimaniamo amici.", e così mi rassegnerei e andrei avanti con la mia vita, pensando di aver fatto comunque bene a provarci.
Tu, invece, mi stai guardando con quel lieve interesse che non si capisce mai se sia di disgusto o di tipo scientifico, molto alla "Documentario sulla natura", e sembri affermare che, oltre a non condividere una lingua, non abbiamo nemmeno una sfera sentimentale comune.
E questo fa male, è un rifiuto universale che nessuno può sostenere."
A questo punto Luke aveva abbassato lo sguardo sul pavimento e aveva mosso un po' i piedi, in imbarazzo.
Non sapeva se stesse facendo la cosa giusta, ma ormai era lì e non riusciva a trattenere quella lunga corda di parole che, appena uscita dalla bocca, gli girava intorno al collo e lo soffocava.
"Certo, noi non abbiamo condiviso un granché..."
"Sesso."
Luke non si aspettava affatto che Norge avrebbe parlato in quel momento e pensò che fosse stata solo la sua immaginazione. Ma da quando quella aveva la voce dell'infermiera?
"Cosa?"
Una speranza? Una fine?
Nessuno dei due si sarebbe mai sbilanciato su una opzione.
"Sesso. Chiamalo con il suo nome. E' stato sesso."
Lei sentiva le labbra appiccicose e si meravigliò di riuscire a parlare anche con quel chilo di sabbia che sembrava averle invaso la bocca.
Era così difficile staccare le sillabe.
Non sapeva nemmeno lei perché avesse dovuto specificarlo, ma ora la sua voce sembrava una valanga indifferente e gelida.
L'infermiera si sentiva come in un'altra stanza, mentre un suono lontano lambiva le sue orecchie senza entrare in testa.
Non voleva avere quella sensazione, ma non riusciva a non credere di stare in acqua, con la sua capacità di movimento e di pensiero pesantemente limitata in una situazione a dir poco esplosiva.
"Sesso. Certo, scusa. Dovevo immaginarlo. Non so nemmeno perché tu stia ancora qui ad ascoltare i miei sproloqui, ma sembra che io non debba aggiungere nulla. Certo, Norge, come ho potuto anche pensare di fare questa cosa, proprio non lo so.
Mi dispiace.
Ti chiedo perdono, Norge."
La stava guardando dritto negli occhi e le sue sopracciglia si muovevano convulsamente su e giù, come se fosse alle prese con un difficile ragionamento nella sua mente stravolta, mentre le sue mani cercavano di stritolarsi a vicenda o di testare il fatto di non essere ancora scomparso.
Le lettere gli si erano accavallate l'una sull'altra, piene di insicurezza e sofferenza.
"Te lo concedo."
Lei continuava a stare ferma sulle sue gambe, dritte, senza nemmeno un piccolo cedimento.
Un pianoforte in testa non gli avrebbe fatto lo stesso effetto.
Basito, aprì la bocca senza dire nulla per qualche secondo, poi iniziò a ridacchiare disperatamente, come se fosse la sua ultima risata, però i suoi occhi erano pieni solo di odio  e rammarico.
Come aveva potuto essere così stupido?
Il fuoco gli invase la bocca. Doveva parlare, altrimenti sarebbe stato divorato da dentro.
"Lapalissiano. Tu me lo concedi." Calcò bene le sillabe sulla frase, quasi a volerla colpire già solo con il suono, come lei aveva fatto con una misera frase sterile e annoiata.
"Il problema è che tu sei troppo concentrata su te stessa per prendere solo coscienza dell'esistenza altrui.
Non ti poni nemmeno il dubbio che qualcuno abbia dei pensieri o che ci sia una strana direzione, sei proprio come una retta, dritta nel tuo presente, non ti importa degli ostacoli, li attraversi direttamente."
Fino ad ora Luke aveva usato una voce rotta, pieno di sentimenti feriti, perché faceva terribilmente male sapere che la donna aveva un interesse per lui profondo come un pezzo di cartone, ma dopo divenne gelido e pieno d'odio, con il solo scopo di distruggerla.
Voleva vedere la sua sicurezza diventare crepata come un vetro colpito da un sasso.
Voleva vederla come non l'aveva vista mai.
Umana.
"Sei sola, Norge.
Davvero, lo sarai sempre.
Nessuno ti sopporta, nemmeno Temi o tuo fratello, anche se tu e lui siete fatti della stessa dannata pasta.
Quando finalmente sarai scaricata nella maniera più plateale possibile da tutti, e accadrà, io sarò lì e riderò a morte."
Fu un peccato che, a questo discorso pieno di disprezzo, Norge rispose solo con un'occhiata sufficiente e un sorrisino scettico, come a mettere in dubbio la credibilità di Luke, e se ne andò senza guardarlo due volte, mentre lui la fissava incredulo, non riuscendo assolutamente a raccapezzarsi della sua totale indifferenza.
L'unica cosa che riuscì a fare fu di prendersi la testa fra le mani e chiudere gli occhi fortissimo digrignando i denti, cercando vanamente di cacciare dalla sua mente quel rumore doloroso che la riempiva e gli distorceva i lineamenti.
Sembrava quasi che una legione di demoni avesse preso possesso di lui e stesse provando a controllarlo, mentre la sua volontà la combatteva, sempre più sofferente e debole.
Come avrebbe fatto a sopportarlo?
 
Quella mattina Hillar si era svegliato soddisfatto e felice, si era alzato e si era stirato come un gatto al sole.
Aveva spalancato gli occhi e non si era preoccupato della scomparsa di Temi, non finché si era recato in cucina.
Prima aveva ricordato quello che era successo la notte prima e si era ritrovato assurdamente allegro e speranzoso, ma in modo insensato, senza motivo.
Poi si era accorto che non si udivano altri suoni a parte i suoi e aveva messo a fuoco quel che c'era sul tavolo, apparecchiato per la colazione.
Temi aveva pensato anche a quello, che stupida ragazza.
Una pistola e un lungo foglietto rettangolare, scritto in chiara calligrafia.
Lui si inumidì le labbra, senza voler concentrarsi sul serio sulla realtà e comprenderla, perché avvertiva già da lontano il dolore che avrebbe provato e voleva allontanare quella nuvola tossica che lo stava avvolgendo.
Dette un'occhiata svogliata al foglio, in verità un assegno con quel che la ragazza doveva aver pensato, fosse il totale dell'affitto che gli doveva.
Che stupida ragazza.
Aspettò qualche secondo prima di toccare l'altro oggetto, poi si decise: tanto non sarebbe scomparso  né si sarebbe mosso.
Era una delle pistole che le aveva regalato, quella più grande.
Non riusciva a toccarla, gli tremava terribilmente la mano ogni volta che la allungava.
Dopo un po' smise di provarci, si morse il labbro inferiore e i suoi occhi si riempirono di tristezza e lacrime mai scese, mentre il suo petto aveva dei piccoli spasmi dolorosi e silenziosi, senza uscita.
Lei gli aveva lasciato qualcosa di peggiore della metà di un cuore spezzato nella maniera più educata possibile.
 
Ebneye aveva arredato splendidamente quel salotto, le dava una sensazione di buona educazione.
Era una cosa strana da pensare, ma assomigliava tremendamente a quello di sua madre, che collegava sempre alla raccomandazione un po' ansiosa di comportarsi bene in presenza delle sue amiche, che la guardavano fisse, un po' curiose e altere.
Norge aveva visto tutto ciò con la coda dell'occhio, per non dare l'impressione di ammirare l'ambiente, e si sentiva un po' stufa di tutta la sua vita, in quel momento, mentre da sola aspettava il malavitoso peggiore mai conosciuto.
Si costrinse a non pensare a Luke, non era il tempo adatto, l'avrebbe deconcentrata e basta, e le chiudeva la bocca dello stomaco quasi a strozzarla dall'interno, un dolore pungente e asfissiante, e riportò la mente al dialogo con il padre, per darsi la carica necessaria per affrontare il suo prossimo interlocutore.
Si impresse nella sua testa l'immagine di Saverio, sprezzante, in attesa di un suo insuccesso, di quel tipo che, all'incontro di Temi con i capi, aveva fatto un commento inappropriato sulla ragazza, e al suo genitore, che non la considerava abbastanza capace di reggere quella faccenda, quando aveva sopportato sempre una vita in bilico nelle difficoltà.
Quando rialzò dal pavimento lo sguardo, quello si era fatto più lucido, simile a una lama nuda, e più sveglio.
Non avrebbe mai lasciato vincere quelle persone.

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Capitolo 36
*** Would you fight them? ***


If I put my hands around your wrists, would you fight them?
If I put my fingers in your mouth, would you bite them?
So many things that I would do if I had my way with you
I can keep secrets that I know that you want me
The Bravery, Hatefuck




Luke, povero piccolo e distrutto Luke.
Non sembrava esistere più, assomigliava a una briciola sulla tovaglia che, dopo il pranzo, era stato scossa giù dal balcone.
Si vedeva che non stava bene del tutto, forse per quel tremolio che lo colpiva nei momenti più inaspettati o la scomparsa del suo sorriso perenne. O per quel bagliore stravagante che aveva negli occhi, chi lo sa.
Si era perso in se stesso e non si raccapezzava più, forse non gli importava così tanto, alla fine, di ritrovare la strada.
Era come se la sua anima si fosse appallottolata all'interno del corpo, insensibile agli stimoli esterni, concentrata solo su quel che sentiva, solo su di sé.
Stava tutto tornando a galla, mentre lui affogava.
A volte sentiva una lieve pressione allo stomaco e vedeva di sfuggita un baluginio verde bottiglia, ma quando provava a rendere la sensazione più forte, essa scompariva.
L'unica cosa che sapeva era di stare vivendo per abitudine, senza scopo altro che lavorare e crollare ogni dannata sera o qualsiasi momento in cui ritornava a casa, non aveva troppa importanza il quando.
Si stava liberando di tutti i sentimenti, le paure, le emozioni nascosti negli anni.
Di certo non gli faceva male, ma era sfiancante e doloroso.
Non ne stava facendo parola con nessuno, sarebbe stato inutile farlo.
Un certo tipo di dolore non si può mostrare a nessuno, perché è così personale che ciò renderebbe ancora più deboli e stremati coloro che ne sono affetti.
 
Norge stava accompagnando Temi a casa, in auto.
Lei normalmente non l'avrebbe usata, non era nemmeno sua, ma con gli ultimi cambiamenti aveva bisogno di spostarsi velocemente.
Poi le faceva comodo passare qualche tempo con l'amica che, con suo grande sollievo, era uscita da tutto il caos che le si era creato intorno con grande tranquillità.
"Sembra così pacifica, come se non fosse tornata da poco tempo nella sua legittima abitazione. Non mi ha ancora raccontato nulla di ciò che ha passato con mio fratello o di come si è sentita all'idea di dover abbandonare tutto. Non mi ha nemmeno chiesto come sta lui. Eppure mi pareva che avessero una buona intesa..."
Erano soli piccoli segni che le avevano indotto questo pensiero, come un'occhiata di sfuggita, modi di dire comuni o una festa di addio con tutto il bel mondo.
Non si erano parlate per tutto il tragitto, ma non si erano preoccupate: erano stanche o prese da altri pensieri, così si erano godute solo il reciproco calore.
Era ottimo, era da molto che non passavano del tempo insieme e si dovevano riabituare una all'altra.
Temi aveva un lieve sorriso ed era concentrata a guardare avanti, persa a respirare la pace che c'era.
Non la spaventava l'assoluto vuoto di casa sua né il buio che ci avrebbe trovato.
Avrebbe potuto dormire definitivamente senza sentirsi un'ospite in pericolo.
A lei piaceva la solitudine, non amava avere intorno numerose persone, perché queste si comportavano diversamente da come era abituata e a volte cambiavano del tutto.
In più non tollerava molto il rumore.
Da Hillar ce n'era sempre stato abbastanza, ma erano stati giorni splendidi al sole, con solo loro due.
Mentre si apprestava a chiudere la portiera, dopo che era scesa dalla macchina davanti al suo indirizzo, le venne un dubbio.
"E' finita?"
Norge la guardò spalancando gli occhi di colpo, poi annuì.
"Sì, è finita." Coincisa e senza nessuna fuga di emozioni.
Era solo un semplice fatto, null'altro.
Nessuna delle due sapeva se si intendesse la situazione di Temi o la relazione tra l'infermiera e Luke.
Forse entrambe le cose.
 
La signora Sisu osservava suo figlio e non lo capiva.
Certo, non lo vedeva spesso e ormai era adulto, ma aveva sempre pensato di conoscerlo come la sua borsetta preferita.
Invece, all'improvviso era diventato più emotivamente scarno e piatto, simile al padre.
Questo era ciò che più temeva.
Ma non lo sarebbe mai diventato, almeno per il guardaroba.
Le era venuto mezzo coccolone quando qualche giorno prima aveva suonato alla sua porta in maglione e jeans.
Lui, che non usciva mai se non in giacca e cravatta, per non disubbidire almeno in quello al padre, che ci aveva sempre tenuto molto a una bella presenza.
Le era apparso divinamente più giovane o mortalmente più vecchio, a seconda del riflesso della luce, e non sapeva se quello era un bene.
Lo aveva sentito così vicino da risultare distante e non aveva prestato molto attenzione alle frasi di circostanza che Hillar le aveva detto.
Quello non era suo figlio.
Il simulacro era suo, ma non il modo di parlare, il tono, gli argomenti, tutto quello che lo rendevano lui.
Il suo volto era pieno solo di disonesta astuzia e di superiorità volgare, senza il ben minimo senso di sé.
Sembrava stesse interpretando il peggior criminale da sitcom e che gli riuscisse pure bene.
Ne era stata così sconvolta da iniziare a tremare come una foglia e allora aveva capito che era arrivato il momento.
Non lo aveva cresciuto così, per diventare anche peggio del padre, non aveva nascosto alcuni dei suoi brutti voti al marito per non sapere nemmeno chi fosse diventato o non aveva ascoltato i suoi  problemi per essere disgustata da quel che vedeva.
La sua vita, che da anni era rasserenata solo da Hillar e dall'alcol, si era infranta.
Nulla le apparteneva più o aveva senso ora.
Si era preparata da tempo, quella decisione era stata posticipata solo perché aveva ancora un filo che la tratteneva, e finalmente poteva andarsene in modo onorevole.
Era sicura di aver tollerato abbastanza dalla vita.
Nessuno le avrebbe rimproverato niente, né sua figlia, più costruita che procreata, perché non era indipendente, né sua madre, morta da tempo, perché non era abbastanza composta, né sua sorella, chissà dove, perché si era lasciata ingannare dalle cornici, nemmeno dagli specchi!, invece che guardarsi intorno.
Non riusciva a sopportare il gelo che aveva attorno e tra poco non l'avrebbe dovuto sopportato più.
 
Ebneye rifletteva sul suo incontro con Norge.
La ammirava, sul serio, il fatto che fosse venuta da sola lo aveva incuriosito, ma era stato il suo piano ben congeniato ad affascinarlo.
Aveva una mente testarda e senza troppe giravolte e il rispetto che gli altri malavitosi provavano per lei era decisamente meritato.
Solo perché non se ne accorgeva ancora non li aveva del tutto in pugno.
Aveva trovato buffo che non avesse toccato nulla a parte la sua sedia, mentre a sua disposizione aveva tè e biscotti a volontà.
Lui stesso aveva mangiato e bevuto un po', per avvertirla che non c'era nessun pericolo, ma lei aveva rifiutato con nonchalance, accusando diete e altre stupidaggini che entrambi sapevano non avere nessuna importanza per lei.
Sapeva come distogliere l'attenzione dal rifiuto e rendere una persona felice della sua presenza, ma la sua determinatezza era la fredda lama nascosta tra mucchi di calde coperte.
Norge aveva subito esposto il suo progetto e gli aveva chiesto solo un piccolo permesso, perché, tanto, aveva già tutti gli altri.
Eccola la prova del suo potere!
Un cenno con la testa sarebbe stato sufficiente per mandare in porto l'operazione.
Raza aveva ascoltato interessato tutto ciò che la donna avrebbe migliorato nel giro della prostituzione e ci aveva pensato su molto.
Aveva già concesso un territorio migliore ai Sisu che, prontamente, lo avevano diviso con il loro superiore, rinunciando all'opportunità di creare un loro impero, ma questo quando alla guida c'era ancora il padre.
Ora Norge sembrava del tutto intenzionata a liberarsi di Busco e a diventare indipendente, senza tener conto di nessuno.
Questo avrebbe scatenato molti guai, prima tra tutti nella famiglia stessa dei Sisu.
Ne valeva la pena?
Ovviamente.
Un sorriso scalcagnato, da truffatore professionista, era comparso e lei aveva saputo di averlo in pugno.
Si erano guardati e avevano intravisto tutto ciò che nascondevano, paure e trame comprese.
Lui, con la pelle sottile intorno agli occhi e le mani scheletriche, non era poi tutto questo assassino deliziato dalla morte e lei, con le narici sempre inarcate, aveva un mare di preoccupazioni da dragare da sola.
Ma il sepolcro si era richiuso subito e qualche frase di circostanza aveva coperto tutto.
 
Hillar stava bene.
Non si lamentava né si dava alle feste più sfrenate, semplicemente andava a letto presto e si metteva i suoi vecchi maglioni, che aveva riscoperto comodi e pratici.
Suo padre aveva dato di matto quando l'aveva visto così mentre parlava con Busco, ma Hillar aveva fatto spallucce e, del resto, Tommy non sembrava nemmeno essersene accorto.
Invece Saverio sì, ma non gli interessava, anche se aveva ridacchiato tutto il tempo, senza cercare di nascondersi proprio del tutto.
Stava bene e tutto era tranquillo, a casa.
Cosa avrebbe dovuto volere di più?
Non c'era più nulla sul tavolo della cucina, comunque.
Qualche giorno dopo la partenza di Temi era entrato nella stanza che lei aveva occupato e si era guardato in giro.
Non aveva lasciato nulla di suo, a parte la pistola e l'assegno.
Sembrava non fosse mai vissuta lì.
Hillar sapeva per esperienza che si dimenticava sempre qualcosa quando si facevano dei traslochi, ma non c'era nemmeno una matita della ragazza.
Proprio non si capacitava, ricordava perfettamente il disordine che caratterizzava la specializzanda, i fogli sparsi sulla tavola mentre lei camminava per la stanza gesticolando e ripassando a voce alta.
Come poteva aver fatto una pulizia così totale?
Questo fatto gli dava una strana sensazione: da una parte era contento di non ritrovarsi tra i piedi dei souvenir spiacevoli, ma dall'altra gli sembrava di aver vissuto con un fantasma e non era molto tranquillo.
A volte sentiva quasi la sua presenza, si aspettava di trovarsela appoggiata alla porta che lo guardava sorridendo, ma non c'era.
Era solo la sua fantasia.
 
Françoise sorrideva mentre sorseggiava il vino che Saverio le aveva versato nel calice, ma non lo stava veramente guardando.
Stava pensando a Hillar.
Era una sensazione leggera, vagamente lussuriosa, che le regalava uno sguardo ammiccante e un'espressione gioiosa.
Con il suo ragazzo non era così.
Era come avere una zona calda e forse un po' opprimente sul petto, che l'accompagnava quasi sempre.
Amava Saverio, ma solo l'altro riusciva a essere rassicurante e insieme avventuroso.
Tremava sempre la notte, quando era sola, pensando a quel che poteva accadere a Sal o a lei, se le cose fossero andate storte.
Cercava sempre di non chiedere nulla su ciò di cui si occupava, ingenuamente credeva di poter sfuggire così ai mali che avrebbero potuto colpirli.
Hillar era un ragazzo normale, senza strani retroscena.
Era affascinante e a volte leggermente ambiguo, ma il suo sorriso era una garanzia di felicità, mentre i movimenti sempre nervosi le mettevano un'ansia che non conosceva limiti.
 
Saverio l'aveva invitata a cena, perché non voleva farle notare il suo stato di tensione perenne e la sua continua disattenzione.
Norge lo stava umiliando sempre di più e ormai sognava pure il suo sorriso sardonico.
Sapeva di star deludendo Tommy ma più cercava di porre rimedio alla situazione, più non aveva successo ed era frustrato.
Non pensava a nulla che non fosse il suo lavoro, tutto il resto era abitudine e movimenti ripetitivi.
Sapeva di provare qualcosa per la ragazza che gli stava davanti, ma tutto quel che gli veniva in mente era il tempo che stava sprecando lì invece di usarlo per studiare una strategia per mettere fuori gioco l'infermiera.
Quanto odiava il sorriso che Busco le riservava ogni volta che lei trovava un nuovo piano!
Per lui c'era stata al massimo una pacca sulla spalla ogni tanto, altre volte assolutamente nulla, solo un borbottio indistinto e delle nuove missioni.
Tommy era l'unica persona che poteva assurgere a figura semi-paterna per Saverio ma Norge era come una sorellina noiosa, la cocca di papà, che rubava tutta la sua attenzione in una specie di insana soddisfazione.

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Capitolo 37
*** Congratulations, you were all alone ***


 

I'm sorry, lover... You're sorry; I bring you down
Well, these days I try and these days I tend to lie
Kinda thought I was a mystery and then I thought I wasn't meant to be
You said yourself fantastically, "Congratulations you were all alone"
Imagine Dragons, Amsterdam




Temi si guardò intorno, un po' spaesata.

Quel bar era abbastanza accogliente e pulito, ma non aveva pretese di lusso.

Era da famiglie e ragazzi che saltavano la scuola.

Ecco, lei non l'aveva mai fatto ma una solida ossessione per i filmetti americani sulle highschool coltivata quand'era adolescente le aveva insegnato tutto quello che c'era da sapere su certe cose.

Si era seduta a un tavolo e stava aspettando che qualcuno venisse a prendere la sua ordinazione, ma era parecchio nervosa e tamburellava le dita sul tavolo, mentre si domandava perché era venuta lì.

Ma la risposta era fin troppo lapalissiana.

Lei era lì perché non si sentiva più viva da qualche settimana a questa parte.

Da quando era tornata dalla sua "pausa" aveva ripreso la sua vita di sempre, andava all'ospedale, si preoccupava, sorrideva e chiacchierava.

Non provava nulla però.

Era come essere a una mascherata perenne.

Era semplicemente vuota e a temperatura ambiente, non si smuoveva per nulla.

Quando entrava in casa con le luci spente e nessuno ad salutarla, mentre stava all'ingresso, ferma immobile, con la porta chiusa, sentiva con chiarezza di poter scomparire nell'oscurità, di sciogliersi in pulviscolo trasparente.

Certo, la sua famiglia e i suoi amici la adoravano, ma quel pensiero era una boccata d'ossigeno, un potere permettersi di considerarsi poco o nulla.

Tic tic tic, risuonavano armoniose le sue corte unghie sul tavolo di plastica dura.

La gente intorno a lei era occupata nelle sue faccende, guardava, parlava, rideva o stava semplicemente in silenzio, a pensare.

Mai così atteso e mai così temuto, il saluto giunse alle sue orecchie e lei, piena di trepidazione, sollevò gli occhi verso l'uomo che era di fronte a lei.

"Buongiorno, Temi."

"Buongiorno, signor Raza."

 

La signora Sisu una volta si chiamava Mieluisa, un solido nome finlandese.

Uno di quei bei appellativi tradizionali, portati da quasi ogni generazione precedente fino all'inizio dei secoli dei secoli, uno di quelli che durano, non quelli strani, stranieri, stravaganti, nulla a che vedere con "Luna", "Marzio" o chissà cos'altro.

I suoi genitori erano dei tradizionalisti e non volevano essere additati dai conoscenti del loro quartiere, anche se poi la donna lo sarebbe stato da tutti gli altri.

Luisa era normalissimo, tutti nella vita conoscono una Luisa, più o meno declinata, ma era quel "Mie" che si attaccava alla gola, la rendeva appiccicosa e faceva inceppare la lingua.

Una volta aveva avuto una mezza idea di iniziare a segnarsi tutte le volte in cui le persone sbagliavano a pronunciare il suo nome.

Ma ci aveva rinunciato, era solo un capriccio senza costrutto.

Mielosa.

Sua sorella, Onerva, giudicata da lei ancora più sfortunata, lo aveva detto prima con tenerezza da sorella maggiore poi con rabbia di adolescente ribelle, ma per tutti gli altri era solo un modo per prendersi gioco di lei.

Aveva iniziato a odiare quella sottospecie di suffisso che continuava a differenziarla dagli altri, che continuava a ricordarle che a casa avrebbe parlato finlandese senza pausa o che al mattino avrebbe mangiato zuppa d'avena.

Così si era rintanata sempre di più nella sua comunità, dove nessuno avrebbe potuto giudicarla, visto che c'erano dei casi peggiori, e si faceva chiamare semplicemente Luisa dalle amiche o dagli sconosciuti.

Sua sorella non la capiva, per lei era un mistero perché dovesse vergognarsi così tanto per qualcosa di così stupido,a parer suo.

"Ma Nerkki, è osceno! Mi sembra di essere una fabbrica di miele! E poi Luisa è carino. I ragazzi preferiscono uscire con una chiamata così piuttosto che con Mieluisa! Io voglio almeno un appuntamento, nella mia vita."

L'altra l'aveva guardata sbuffando e alzando gli occhi al cielo.

"Non te ne deve fregare di cosa preferiscono i maschi, Mielli. O la gente in generale, se preferisci. E' stupido pensare di poter sempre accontentar gli altri in tutto. Fa' quel che senti e non sentirti male per uno schifo di nome, nemmeno avessi ucciso qualcuno."

Tutte le conversazione tra loro due si erano svolte in questo modo, quando Mieluisa era ancora una bambina e la sorella una preadolescente non ancora incattivita dal rapporto con la madre.

Oh sì, Onerva ci aveva provato in tutti i modi a farle vedere al di là di tutto e a pensare con la propria testa, ma l'educazione rigida e la voglia insaziabile di farsi accettare avevano rovinato quella donna per tutta la vita.

Si sedeva composta, parlava con gli adulti solo se interrogata, non indicava mai nessuno, era vestita da sua madre e si preoccupava sempre del suo comportamento.

Suo padre era completamente inerme davanti alla moglie che gestiva perfettamente sia la casa che la "bottega".

Era da lei che tutti andavano, era lei che reggeva il gioco, che incontrava il loro capo o che tramava con gli altri piccoli sottoposti.

Fu lei a togliere di mezzo il loro protettore per mettere al suo posto i Busco.

Lei era nata a Egris, quando i suoi genitori si erano da poco trasferiti dalla Finlandia e lei stessa, oltre che la vecchiaia, ci aveva passato buona parte della sua vita.

Per questo motivo suo padre diceva sempre che lei profumava di neve e sua sorella sputava tra i denti che era una strega del ghiaccio.

Per sua madre era un dover riprenderla in ogni istante, farla diventare una perfetta donna della malavita in ogni suo istante.

Ogni millimetro contava, ogni minuscola piega, ogni sbadiglio scappato per sbaglio era un affronto intollerabile.

Con Onerva non era così, ma perché non la riteneva adatta, troppo selvatica e intollerante.

Quindi passavano il loro tempo a gridarsi contro, a bisbigliare frecciatine, mentre Luisa e il padre osservava con il timore dei gatti per i fuochi d'artificio.

A volte Mieluisa pensava che fosse tutta colpa dei loro nomi.

"Onerva" significava "il fieno cresciuto dopo il raccolto" e la sorella era proprio così: indomita, ribelle, senza utilità, per la madre, almeno. In realtà era stata chiamata così perché era nata dopo un aborto spontaneo della madre ed era il simbolo che qualcosa di buono finalmente era giunto.

Finché l'aveva ascoltata, Nerkki era stata la sua infermiera, quella che l'aiutava a leccarsi le ferite, poi si erano accorte di essere di vedute troppo divergenti per andare d'accordo ancora.

Mieluisa, invece, era la "fortuna" di sua madre.

Benché continuasse a considerarla non abbastanza, era l'unica tra le sue due figlie ad assomigliare pallidamente.

Quando finalmente era diventata adolescente, Luisa aveva avuto il permesso di interloquire liberamente e, non essendo abituata, aveva cercato di supplire alle sue mancanze, perché non trovava nessun argomento degno di nota, parlando a ruota libera fino allo sfinimento.

Le mancava la sicurezza di sé per potersi permettere un secondo in silenzio, tutti i suoi conoscenti la terrorizzavano, desiderava ardentemente conoscere il loro giudizio su di lei.

Poi, a una festa degli amici dei suoi genitori, aveva conosciuto il signor Sisu.

Era più piccolo di lei di qualche anno, ma la sua presenza silenziosa e i suoi commenti sarcastici la stupivano.

Lei non si era mai comportata in quel modo, era solare e ciarliera all'eccesso.

L'aveva guardato con gli occhi spalancati, mentre la sorella le dava una gomitata dietro l'altra sbuffando.

"Ma smettila, sei ridicola! Sembri che non hai mai visto un ragazzo in vita tua!"

"Ma Nerkki..."

"Ma me niente! Non ti fidare di quello lì, Mielli, è una serpe travestita. E' tanto tranquillo ma vedi come osserva e prende nota di tutto? Poi è un malavitoso, brutta specie quella."

"Ma Onerva! Anche noi siamo di quello stampo! La mamma secondo te cosa fa?"

La sorella le aveva preso le spalle e l'aveva guardata dritta negli occhi.

Luisa aveva tremato un po', mentre il naso le fremeva come quello di un coniglietto davanti al cacciatore.

"Apri le orecchie. Tutto quello che vedi è polvere e specchi illuminati dal sole. Nulla è reale o importante, ma devi guardare bene, perché so che ti piacciono le cose luccicanti.

La strega di ghiaccio non è affar mio, ma di certo io non sono del ramo e nemmeno tu.

Rapini? Ricicli denaro? Non mi sembra.

Devi definire ora chi sei, se no sarà troppo tardi.

Credimi, Mielli."

Ma lei non l'aveva sentita, aveva guardato oltre le sue spalle, verso Sisu, e si era persa ogni lettera.

Onerva l'aveva capito e l'aveva scostata in malo modo, sprezzante.

Era stata in compagnia di lui per mesi, insieme ad altri, senza quasi mai dire nulla, ammirata.

Alla fine lui le aveva chiesto di uscire e l'aveva portata a fare un picnic e lei aveva annuita silenziosamente.

Una volta sul prato, aperto il cestino, aveva aperto la bocca, per abitudine e paura, e l'aveva investito di parole.

Lui l'aveva ascoltata come se non avesse mai sentito suono umano, aveva contribuito con un paio di suoni inarticolati interessati, le aveva versato l'acqua nel bicchiere quando aveva sete, aveva sparecchiato e aveva tenuto lui il cestino mentre la riaccompagnava a casa mano nella mano.

Quando gli aveva dato l'ultima occhiata prima di chiudere la porta e lui era fermo lì dal cancello, sorridente mentre la salutava con la mano, aveva capito di essersene innamorata.

Purtroppo non erano mai andati più in là.

Finito l'idillio, la sensazione meravigliosa di un migliaio di bollicine nel petto, si erano ritrovati sposati, con due figli.

Hillar era stato l'orgoglio di suo padre finché non era sopraggiunta Norge.

Quella bimbetta era identica a lui, tranne per la superbia infinita che l'ammantava come un'aura impalpabile.

Lei aveva cercato di amarla, ma quando vedeva il bambino messo da parte o rifiutato in favore della sorella, le montava dentro una gran rabbia verso il marito e la figlia.

Li odiava quando li vedeva persi tra loro, senza considerazione per altro.

Li odiava quando vedeva il sorriso della ragazzina mentre il padre rimproverava Hillar perché non aveva dei bei voti come i suoi.

Li odiava quando vedeva nei loro sguardi la compassione per lei, per la povera donna senza ambizioni, volgare e stupida.

Quindi era diventata la sua missione coprire d'amore il figlio, incoraggiarlo e proteggerlo, e lui l'aveva fatta sentire utile e amorevole.

Poi, alla fine, lui era diventato un idiota, cosa che aveva sempre cercato di evitare, avido e senza cuore, come il padre.

Non voleva iniziare a odiare anche lui, non l'avrebbe sopportato.

Era l'unica persona cara al suo cuore che ancora le restava.

La sua vita aveva smesso di avere una direzione spirale discendente e ora seguiva una linea retta verso l'inferno più gelido.

Le ossa le si congelavano già solo al pensiero, ma ormai era tranquilla, aveva coscienza di quel che avrebbe dovuto fare e l'avrebbe fatto, senza sbavature, come avrebbe voluto sua madre.

Suo sorella aveva avuto ragione e non sapeva nemmeno dove fosse, per andare a congratularsi con lei perché era stata sempre quella più intelligente.

 

Hillar stava guardando i conti e si stava insospettendo: come mai ora guadagnavano molto di più?

Non sarebbe dovuto accadere, avendo sempre lo stesso territorio e pagando Busco come al solito.

Era da qualche tempo che le somme crescevano, ma l'inizio era stato così lento che a malapena se n'era accorto.

Doveva chiedere spiegazioni a qualcuno e aveva interpellato suo padre che, acido come non mai, aveva giurato di non averci nulla a che fare.

Dopo ciò, l'aveva mandato da sua sorella, visto che era lei il capo, ora.

Quel "lei" era stato calcato con odio e rancore, strano, se n'era accorto anche il figlio, ma pensava che Norge si fosse azzuffata con Saverio come sempre.

Magari l'avesse fatto.

"Che coosa?! Sei impazzita? Perché? Dimmelo!"

Hillar l'aveva sbattuta contro un muro e le teneva ferme le spalle, furioso e paonazzo.

"Ma cosa vuoi?! Guadagniamo un mucchio di soldi E siamo liberi dai Busco, per una buona volta!"

Lei gli aveva ringhiato contro, scoprendo i denti minacciosa.

"Ti sei montata il cervello, finiremo male! E tu, tu sei anche il suo braccio destro! Credi sul serio che ti permetterà di essere indipendente e di avere la stessa posizione? Guardaci, Norge, siamo pesci piccoli, ce la siamo sempre cavata bene così!"

Non la capiva proprio, cosa pensava di fare?

"Non basta, dobbiamo puntare più in alto, finché c'è questa possibilità. E Busco lo tengo in palmo di mano, non preoccuparti."

Tutte le possibilità di catastrofe gli apparvero davanti agli occhi, spaventandolo troppo.

Riusciva a vedere chiaramente come sarebbe finita e non aveva voglia di non vedere più chi amava, ne era terrorizzato.

Non avrebbe mai potuto fare o dire quel che voleva, se la sorella avesse continuato in quel modo.

Si allontanò da lei, rabbioso.

"Non osare trattarmi con condiscendenza, cazzo! Tu non sai gestire Busco, ci inchioderà al muro e moriremo, sei diventata troppo bramosa, non ti riconosco più! Come pensi di cavartela, scusa?

Non mollerà mai una parte degli introiti, mai!

E voglio sapere una cosa: perché vuoi di più? Non sei contenta di quel che hai? Del tuo lavoro da infermiera per cui hai lottato così tanto?"

Norge lo scrutò, quasi con la bava alla bocca, e si rese conto che il fratello non si sarebbe calmato, questa volta no.

Sapeva che lui amava la sicurezza, la tranquillità della vita in alcuni casi, ma c'era qualcosa d'altro che gli premeva, lo si poteva intuire.

Forse gliela voleva solo far pagare, forse aveva paura delle conseguenze.

Ma era troppo forte, troppo radicato perché una sana litigata lo tranquillizzasse.

"Non è per i soldi, è il potere ciò che voglio. Non ti senti stanco di essere sempre guardato dall'alto in basso da tutti? Di essere disprezzato da gente come Saverio, cazzo!,? Lui, che non ha nulla di suo ed è solo un cagnolino pure stupido?

Se sono tornata è per fare un buon lavoro, per ascendere ai posti migliori, per il guadagno, se vuoi.

Ma non è la cosa più importante. No, non lo è.

Comunque, il capo ora sono io.

Raza ha dato il suo permesso, il giro delle prostitute è mio.

E Busco non può fare nulla."

Hillar boccheggiò.

"Prostitute? Sei impazzita! Tu sfrutti quelle povere ragazze che..."

Norge lo interruppe, era troppo nervosa per sentire ancora altre baggianate.

"Non le sto sfruttando, anzi. Sto modificando completamente il settore. Non ci sono più papponi, ho rimandato a casa e ricompensato le ragazze venite qui con l'inganno, ho offerto un altro lavoro a chi lo desiderasse, ho cambiato del tutto l'ambiente, ho fissato un salario minimo e una mini tassa che ci devono pagare ogni mese, tutto quello che guadagnano è loro.

E' migliorato tanto e non mi sarei mai aspettata di sentirmi dare della lenone da mio fratello!

Credi sul serio che io avrei potuto fare qualcosa del genere?

Io provo pena per quelle ragazze e sarei contentissima se da un giorno all'altro sparisse la prostituzione dalla faccia della Terra, ma c'è e, almeno a Egris, voglio che sia qualcosa di decente, qualcosa di cui non vergognarsi."

L'aveva guardato storto e se n'era andata, stizzita.

Hillar si era asciugato le lacrime scaturite dalla tensione e si era sentito furioso con lei.

Non lo considerava minimamente nel loro business, era solo buono come contabile.

Strinse i pugni e decise che le avrebbe fatto cambiare idea, eccome.

Capitolo dopo

A Norge a volte veniva voglia di fermarsi un attimo e cercare di afferrare quella sensazione che le pizzicava lo stomaco come se fosse punzecchiato da una matita.

Una matita molto affilata, con una punta micidiale.

Non sapeva bene se fosse per lo sguardo al vetriolo che le rivolgeva sempre suo fratello o per il ringhio sottile di suo padre o per l'aria profondamente abbattuta del medico.

Ma non aveva né il tempo né la testa per indagare. Se per questo, nemmeno la voglia.

Era scortata ovunque dalle squadriglie di pensieri e di piani riguardanti la malavita e pretendevano tutta la sua attenzione, così andava avanti e ignorava ogni altra cosa.

Non poteva permettersi di essere distratta in quel momento, Saverio le stava con il fiato sul collo e assomigliava sempre di più a un cane rabbioso.

Se fosse stata un attimo più tranquilla e senza preoccupazioni, avrebbe potuto pensare di baciarlo, solo per destabilizzarlo e farsi due risate a sue spese.

Aveva una mente maligna, non poteva farci nulla.

Ma l'idea la disgustava e non aveva voglia di attuarla.

Il male che stava compiendo era abbastanza per il momento, senza aggiungere legna alle stupide scaramucce che avevano in continuazione.

Stava diventando rancore puro, di quelli che si liberano all'improvviso con una bella sparatoria, e lei, indubbiamente, era preoccupata.

Non voleva di certo renderselo nemico a tal punto, ma non era più una faccenda da un ringhio e una vendetta infantile: lo vedeva dai suoi occhi arrossati, voleva toglierla di mezzo.

Si stava frenando solo perché non era il momento giusto e l'omicidio sarebbe stato troppo facilmente imputabile a lui, ma il vento stava cambiando, grazie alla decisione di Norge di essere indipendente.

Busco non l'avrebbe più protetta, anzi, forse avrebbe pure commissionato la sua morte, se non l'avesse fatto qualcun altro.

La fronte dell'infermiera formò tante piccole pieghe morbide, mentre gli occhi venivano chiusi con forza.

Si sentiva circondata, aveva offerto il collo a troppa gente consapevolmente, però ora le sembrava di aver osato troppo, di essere insuperbita.

"Forse hanno ragione Ruotsi e mio padre. Sto volando troppo in alto, ho un'enorme possibilità di non farcela e di essere sommersa dall'ananke con tutti i miei cari."

L'ananke, la vendetta divina che colpiva tutti gli eroi delle tragedie greche.

Era seriamente ansiosa e ricontrollava ogni secondo tutte le sue mosse, passate e future, cercando punti deboli. Purtroppo nulla di questo le portava pace.

Sapeva di aver compiuto un gesto folle, ma era stato talmente grandioso che non aveva concepito l'idea di poter fallire.

Ora, invece, le si era acquattata in fondo allo stomaco e le sembrava di essere incinta di un malefico essere, che le strappava via le energie vitali.

Era spaventata, non l'avrebbe mai ammesso, e non aveva nessuno a cui affidarsi, nessuno con cui passare un po' di tempo senza doversi guardare le spalle o parlare di lavoro.

Aveva dovuto allontanare anche Temi, non se la sentiva di metterla ancora in pericolo.

Era questo il suo compito come amica, proteggere e servire chi l'avesse meritato, e la specializzanda era in una posizione troppo delicata per poterle confidare le sue angosce.

In più, che cosa avrebbe potuto fare per rimediare?

Assolutamente nulla, lo sapeva benissimo. E egoisticamente sperava sempre che fosse il contrario.

Doveva così resistere costantemente alla sensazione di rannicchiarsi da qualche parte o di abbracciare qualcuno in lacrime, borbottando parole incomprensibili su tutto.

Al momento, però, doveva limitarsi a sentire la sabbia volteggiare nel suo petto e a reprimere l'infelicità situata tra il naso e gli occhi.

Era sola, lo sapeva.

Come una lacrima su una statua di marmo.

E doveva resistere all'impulso di dire a tutti di essersi sbagliata perché aveva lottato, aveva sofferto e aveva ferito talmente tanto che il suo orgoglio si rifiutava di considerare questa eventualità.

Non poteva essersi sbagliata, la strada era quella giusta, nessuno se ne accorgeva a parte lei a colpa della sua mente ristretta e stupida. Le cose erano così, sul serio.

Era come uno strappo all'altezza dell'ombelico tutta quella pressione e tristezza, ma non poteva fare altrimenti, semplicemente.

 

Ebneye era divertito.

Di solito lo era in modo maligno e anche questa volta era così.

Nulla gli dava più soddisfazione di sorprendere la malavita e di farsi odiare ancora di più.

Tanto, tra poco li avrebbe lasciati a se stessi!

E allora sì che sarebbe stato uno spettacolo da vedere, altroché.

Purtroppo lui non ci sarebbe stato, ma l'immagine nella sua mente lo appagava comunque.

L'incontro con Temi gli aveva dato nuovo sangue, sentiva la sua curiosità di nuovo viva e pronta, sapeva anche senza vedere di avere degli occhi scintillanti e la sua ironia era ancora più irritante per quei malavitosi che lo incontravano.

Dio, se lo odiavano. Lui lo sapeva ovviamente.

Ma quel sentimento era così intenso che poteva assaporarlo sulla lingua e si poteva dire che ne fosse ormai succube.

Temi era stata davvero carina, con quelle orecchie rosse, imbarazzata e timida, ma con una forza di fondo che lo convinceva sempre di più della sua scelta.

Certo, credeva che sarebbe stato arduo vederla venire a un piccolo abboccamento con lui mediante un piccolo biglietto nella giacca, invece si era dovuto ricredere: sembrava quasi che lei lo desiderasse intensamente, tamburellava le dita sul piano del tavolo, si muoveva in continuazione, lo ascoltava interessata e non era impaurita.

No, non lo era più.

Non da lui, almeno.

Lei non si era preoccupata del possibile veleno nel cappuccino che la cameriera le aveva portato o forse non ci aveva nemmeno pensato, che potesse volerla morta.

Effettivamente aveva ragione, ma si vedeva che non era del giro, affatto: Norge aveva tenuto in mano la sua tazza di tè per anni prima di rimetterla nel piattino, senza averne bevuto nemmeno un sorso.

Di certo aveva temuto di essere avvelenata, faceva parte della malavita da molti anni e non era di certo nuova a questi trucchetti.

Temi sembrava essere troppo fiduciosa nei suoi confronti, rispetto a quel che avrebbe dovuto provare per lui: in fondo l'aveva scaraventata in mezzo ai malavitosi, l'aveva costretta a lasciare la sua casa e a mentire a tutti.

Eppure sapeva che lei non lo stava tradendo, che non aveva detto nulla della loro conversazione.

Forse aveva alimentato così tanto la sua rabbia contro il sua aggressore che non vedeva l'ora di trovarlo?

Se fosse stato effettivamente così sarebbe stato d'intralcio al suo piano.

Non poteva essere una sanguinaria, no.

L'aveva scelta perché era diversa da quelli che lo circondavano, perché l'avrebbe trasformata in una bomba ad orologeria suo malgrado, non perché sarebbe diventata una giustiziera.

Doveva accertarsene, prima di parlare di cose serie.

"Allora, come sta andando la specializzazione?"

"Sono quasi alla fine, mi manca solo un test e il giudizio dei medici."

"Ti sentirai eccitata, si sta compiendo il tuo sogno."

Lei storse il naso e la bocca, rispondendo dopo qualche secondo.

Doveva mentire? Ma non avrebbe avuto senso farlo.

"Non proprio. So che amo questo lavoro ma non mi sento felice di diventare medico. Sono piuttosto fredda e non capisco il perché. Forse è meno stravagante di quel che ho passato nell'ultimo periodo."

Era una sottile recriminazione?

Raza sorrise. Ci stava che fosse diventata un po' più intraprendente.

"Sono certo che cambierai idea. Alla lunga è stancante e deludente, la vita che hai assaggiato ti avvolge nelle sue spire e ti trascina giù come un serpente marino. Di certo le sue squame luccicano di mille colori e abbagliano, ma le sue zanne si chiudono su chiunque osi stargli vicino per troppo tempo."

La ragazza annuì e alzò le sopracciglia velocemente, quasi ad accettare l'ineluttabilità di quella frase.

"Ho bisogno che tu sia consapevole di questo, ho bisogno che tu abbia la capacità di difenderti, e non sto intendendo la pistola che ti ha regalato Sisu Junior, e ho bisogno che tu sia preparata a quel che accadrà.

Devi esserlo mentalmente e ti aiuterà anche nel tuo lavoro da medico."

Lei si stava guardando le mani e mordendo il mano, cercando di concentrarsi bene su quel che davvero Raza voleva dirle.

"Quindi... Cosa vorrebbe che io facessi?"

Era titubante, il patto era ancora valido e di certo l'altro stava esigendo il suo pagamento in anticipo.

Non era sicura di voler arrivare al suo aggressore, ma si era sentita così vuota nelle settimane passate, in una specie di trappola di vetro mentre le persone le passavano davanti.

Lei amava la tranquillità, ma non voleva essere distaccata del tutto dal mondo, come un satellite perso nello spazio infinito, come accadeva in quel periodo.

Il tempo passato con Hillar era stato esaltante, anche in quei momenti del tutto normali e calmi, e la routine l'opprimeva senza tregua, sognava inseguimenti, rumori forti e risate.

Non trovava nulla di divertente e il meglio che riusciva a produrre era una risatina acida raffazzonata e stantia.

Per questo motivo, quando aveva ricevuto il bigliettino di Raza, era scattata subito in piedi, eccitata e tremante, pronta a scattare ovunque avesse ordinato l'uomo.

Si era un po' stupita della scelta del luogo, un semplice bar, poi della conversazione: era poco più di qualche frase convenzionale.

L'altro sembrava piuttosto tranquillo, quindi non c'era nulla da temere nemmeno per lei, giusto?

Solo in quel momento le implicazioni di quell'incontro le divennero chiare: se la malavita li avesse scoperti ancora insieme, non sarebbe più bastata la scusa della casualità, non avrebbero avuto pietà di lei.

Hillar e Norge l'avrebbero odiata, perché era una bugiarda e una traditrice.

Per la consapevolezza si portò una mano alla bocca e strinse forte gli occhi: come poteva essere stata così stupida?

"Sai che al sicuro qui, vero? Sono tutti occupati in una riunione, devi ringraziare Norge per questo, e gli avventori sono tutti attori stipendiati da me. Nessuno può spiarci o riconoscerti. Tranquilla."

Le orecchie di Temi continuarono a tremare impercettibilmente, ma almeno il rossore scomparve.

"Ti sto cercando di rassicurare, perché quel che verrà fra poco sarà tremendo e tu sarai in grossi pericoli."

La sua voce era levigata e gelida, Temi lo fissò a lungo, in crisi, senza dire una parola, tutta la sua sicurezza e temerarietà scomparsa.

 

Hillar era furioso con sua sorella, sapeva che li stava mettendo tutti in pericolo ma era troppo cocciuta e testarda, interessata solamente al proprio tornaconto, per capire la portata delle sue decisioni.

Ma non era solo questo, gli rodeva che lei lo avesse escluso del tutto dalla gestione dell'azienda, relegandolo al suo compito come il più misero dei dipendenti: sapeva di valere poco agli occhi di Norge e di suo padre, ma sentirselo sbattere in faccia lo aveva ferito in profondità.

Non c'era nessuno che potesse contestare l'affermazione di sua sorella, nessuno oltre se stesso, ormai.

Ma anche il suo orgoglio, la sua autostima vacillavano, non poteva negare quel che sembrava essere l'opinione del mondo intero, interstardendosi contro tutti.

Non credeva di avere vicino qualcuno sincero e comunque consolatore nei suoi confronti, qualcuno con cui parlare liberamente e sentirsi sicuro.

Norge non si era mai preoccupata molto di lui, troppo impegnata a essere egocentrica e fiera di sé, inoltre non le avrebbe chiesto in nessun universo conosciuto una mano, piuttosto se la sarebbe tagliata.

Sua madre era fragile, camminava sul filo del rasoio da anni, così cercava sempre di essere il figlio adorato, intelligente, spiritoso, che flirtava lievemente con lei, ma a volte aveva solo voglia di urlarle contro di smetterla di continuare a mantenere la sua doppia facciata, di essere così infelice e amara, perché non era umanamente sopportabile l'aura opprimente che possedeva.

Ma non poteva, non ne aveva il cuore.

Era un malavitoso, aveva fatto cose turpi, però con sua madre non si poteva permettere di essere meno che un essere umano perfetto.

Era la sua ricompensa dalla vita, lo sapeva.

Come Norge un tempo lo era stata di suo padre, che ormai si era chiuso nel suo studio e continuava a telefonare a tutti i suoi vecchi amici, per scoprire che, sorpresa sorpresa, la figlia veniva preferita a lui da tutti.

Ne ammiravano l'intraprendenza e il coraggio, la stavano già temendo e ne tessevano le insidiose lodi.

Aveva su di sé lo sguardo di tutti, il suo nome riempiva le bocche e rotolava sulle lingue di chiunque fosse un po' informato sui fatti.

Norge, Norge, Norge...

Un nome così particolare, da odiare subito, da invidiare di nascosto per la sua originalità, da sospettare, perché di certo la persona a cui apparteneva nascondeva infidi crepacci di ghiaccio in cui morire in solitudine, senza nemmeno il vento nelle orecchie ad accompagnare il trapasso.

Norge.

Una bastarda, un condottiero senza esercito, un impietoso essere umano.

Un conquistatore libidinoso, ingordo e con il mondo sulla lingua.

Un colpetto e sarebbe andato perso nella lunghezza bianca della sua gola.

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