FotoRicordo

di Pseudonimo Letty
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** FotoRicordo (parte prima) ***
Capitolo 2: *** Storia in punta di piedi ***
Capitolo 3: *** FotoRicordo (parte seconda) ***



Capitolo 1
*** FotoRicordo (parte prima) ***


Disclaimer: i personaggi presenti in questa storia, ad eccezione della madre di Olivia, appartengono all'universo Disneyano.

La madre di Olivia è un personaggio liberamente inventato dalla sottoscritta  :)

 

Fotoricordo


CAPITOLO 1: FotoRicordo (parte prima)


E allora eccomi qui, adesso resto per un po' da sola

Io per il mondo oggi non ci sono

E voglio restare con me stessa a pensare

Se solo adesso mi fermo, ancora mi sembra di sognare… 

 

“Ma dove sarà finita…” farfuglio mentre scosto da uno scaffale strani e ingombranti oggetti. Con il tempo la polvere si è agglomerata in piccoli batuffoli che adesso finiscono sul mio viso.

“Et-ciù!!” starnutisco per poi passarmi un dito sotto al naso.

“Devo sbrigarmi a trovarla, altrimenti non farò in tempo a portarla alla mamma” penso ad alta voce.

Quello che sto cercando è una cosa molto importante per me, e non rinuncerò a trovarla nemmeno sotto minaccia.

Purtroppo, sullo scaffale all’altezza della mia faccia non c’è niente di somigliante a una scatola.

“Mmm… Riflettiamo… Dove potrebbe essere finita?… Eccola là!” esulto, alzando la testa e scorgendo sullo ripiano più alto uno spigolo di cartone.

Su una delle facce, come unica decorazione, è disegnato un cuore con all’interno una scritta: Io e Olivia

Sorrido rallegrata di aver ritrovato ciò che considero il mio tesoro più prezioso.

Afferro la scaletta per raggiungere lo scaffale dove si trova la scatola e, arrivata in cima all’ultimo scalino, riesco ad afferrarla con la punta delle dita.

Velocemente scendo dalla scala traballante e mi siedo a terra, incurante del fatto che il mio vestito verde si sporcherà ed apro il coperchio impolverato.

Fotografie ingiallite e rovinate dal tempo sono stipate alla rinfusa.

Ognuna con una sua storia, un suo tempo.

Le prime foto visibili sono recenti: raffigurano soprattutto mio padre e me.

Ce n’è una in cui facciamo un pic-nic assieme; ricordo bene quel giorno: avevamo pochi soldi e riuscimmo a comprare solo un tramezzino che dividemmo a metà, come se fossimo stati due amici. Un’altra foto ritrae me, a sedici anni, mentre ricevo l’attestato del triennio del liceo.

In un’altra invece ci sono io, una piccola topolina dodicenne, mentre, durante la recita scolastica, vesto i panni di una ninfa greca.

 

Dopo aver tolto in fretta le foto più recenti, trovo invece quelle leggermente più vecchie. Alcune già presentano segni evidenti di ingiallimento.

Tutte queste foto risalgono al periodo in cui andavo alla scuola elementare, ai tempi in cui mio padre venne rapito da Rattigan… Un ricordo molto spiacevole e allo stesso tempo molto lieto di cui ho memoria.

Tra una miriade di scatti in cui sono stata immortalata assieme ai miei compagni di classe, ad un tratto scorgo anche un inserto di giornale; quando lo dispiego, il viso di Basil mi fissa sorridente. Accanto a lui, incollata alla sua vita, c’è una topolina di 9 anni, anche lei con la stessa espressione felice in volto.

Rido silenziosamente, ricordando il topo più scaltro di tutto il mondo e ciò che ha significato per me.

 

Ma le foto più vecchie, quelle davvero preziose per me, risalgono a quando ero molto piccola. In fondo alla scatola, le fotografie sono ingiallite da tanti anni e sono fragili al tatto. Delicatamente, scosto tutte le foto, osservandole come se fosse l’ultima occasione che mi resta per imprimere nella mente ogni dettaglio o faccia. Ognuna di esse raffigurano mio padre, quando era ancora giovane, e un’altra persona a me cara: mia madre.


Cerco, su ogni volto, un ricordo

Sembra che il tempo non sia mai trascorso

E un brivido chiude lo stomaco.

Rimango incredula e so che le emozioni non muoiono mai…

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Capitolo 2
*** Storia in punta di piedi ***


CAPITOLO 2: Storia in punta di piedi


Jennifer White, era questo il nome di mia madre prima che si sposasse.

Quando conobbe mio padre erano entrambi appena diciottenni. Fu un amore sbocciato a prima vista, sotto i riflettori di un palcoscenico dove lei  era ballerina e mio padre spettatore.

“Tua madre era davvero bella quando ballava; si muoveva con la leggiadria di un angelo” mi raccontava papà quando ero più piccola, gli occhi brillanti come stelle, quasi incapaci di trattenere le lacrime.

Mamma faceva la ballerina, ma il suo più grande sogno era scrivere romanzi. Quando morì, io avevo solo quattro anni, ma ricordo perfettamente ogni attimo vissuto accanto a lei.

 

Aveva un viso angelico, contornato da lunghi capelli castani chiari che, sotto i raggi del sole, assumevano la colorazione dell’oro. Era bella come un angelo ed era anche molto dolce.

Sembrava fragile a vedersi, ma in realtà era forte come un leone ed era molto coraggiosa.

Ricordo che, da piccola, mi portava sempre assieme a sé durante le prove di danza. Ricordo che venne acclamata quando interpretò “Lo schiaccianoci”, e fu allo stesso tempo straordinaria nelle vesti della triste Giselle. Non importava quale ruolo le venisse assegnato, lei riusciva a immergersi completamente in qualsiasi parte e riusciva a commuovere chiunque la vedesse.

 

Tutto andava a meraviglia: i miei genitori erano innamorati, mia madre era una donna straordinaria ed io non chiedevo nient’altro che una vita felice, semplice, assieme a loro… Ma un giorno, tornando a casa dopo una passeggiata con papà …

Aprii per prima la porta di casa, e ciò che vidi, mi fece perdere un battito al cuore…

La mia mamma era distesa a terra, come se fosse addormentata. Preoccupata, corsi verso di lei.

“Mamma! Mamma! Perché sei per terra! Ti prego svegliati!” gridai, ma le mie parole non la fecero affatto destare. Papà la prese tra le sue, vedevo chiaramente la paura che si faceva largo sul suo viso.

“Presto Olivia, in cucina, sul tavolino, c’è una bottiglia viola. Prendila e portala in camera” mi disse serio, ma con una punta di voce tremante. Io senza fiatare corsi in cucina a prendere quella strana bottiglia.

Arrivata in camera, papà la aprì e ne mise l’apertura sotto il naso della mamma. La vidi muoversi di nuovo, come riportata in vita.

“C-Che… Che cosa è successo? Dove mi trovo?” chiese a fatica, con voce assonnata. Io scoppia in lacrime, ormai incapace di trattenere lo spavento che mi aveva provocato vederla in quello stato.

“Oh, mammina! Ho avuto tanta paura!” dissi tra i singhiozzi, tuffando il viso nella gonna del suo vestito. Lei mi carezzò le orecchie e i capelli.

“Piccola mia, scusami” disse dolcemente, con la voce ancora leggermente affaticata. Io la guardai negli occhi, ancora con la vista annebbiata dalle lacrime.

“Non lo farai più vero mamma? Promettimi che non ti addormenterai più sul pavimento, mamma” supplicai piangendo. Lei all’inizio rimase leggermente sorpresa dalle mie parole, poi sorrise radiosa. Io sorrisi tranquillizzata, come se quel sorriso avesse cancellato quel brutto episodio dalla mia testa per sempre.

Pochi giorni dopo arrivò il dottore. Mentre visitava mia madre, io, a malincuore, fui costretta a restare fuori dalla stanza. Passati venti minuti ero ancora nella mia stanza, in preda alla curiosità di sapere cosa le fosse accaduto. Volevo sapere se la mia mamma stava bene.

Molto silenziosamente, mi avviai verso la stanza dei miei genitori e, arrivata davanti alla porta, mi accostai con l’orecchio per origliare. Molte parole non le capivo a quel tempo; erano termini che usavano i medici e gli adulti in generale: Asma, perdita dei sensi… e poi c’era quella parola: Polmonite. Il dottore la ripeteva costantemente, ma io non capivo cosa significasse, sentivo solo che non mi piaceva affatto come veniva pronunciata.

Prima che il dottore uscisse, io ero tornata da un paio di minuti nella mia stanza. Ero piena di domande che non avrei mai potuto fare a papà. Ma volevo sapere… Cos’era la polmonite? Era una cosa brutta? Cosa sarebbe successo alla mamma?

Senza accorgermene mi addormentai quasi subito.

 

Nei giorni successivi non successe niente. Anzi. Mamma sembrava tornata quella di sempre, la solita donna dolce e sempre col sorriso sulla faccia. Era più pallida del solito, ma non diedi peso a quel piccolo cambiamento. Nei giorni successivi, alla mamma venne affidato il ruolo di Odette nel famoso “Lago dei cigni”. Il suo ultimo ruolo…

Cominciò a impegnarsi come non l’avevo mai vista fare. Era testarda e non voleva fallire in quella rappresentazione… ma c’era qualcosa che non andava, lo sentivo. La mia mamma stava piano piano ammalandosi, eppure non voleva rinunciare alla danza.

 

Ogni giorno stava fino a tardi in teatro a provare e riprovare i balletti. Quando tornava a casa era sempre distrutta e non passò molto tempo che cominciò a tossire di nuovo. Ciò nonostante, aveva sempre un sorriso gentile da regalare a me ogni sera, confortandomi.

 

Il giorno della rappresentazione non la vidi per tutto il giorno. Papà diceva che era dovuta andare a teatro la mattina presto e che l’avrei vista direttamente a teatro.

Difatti, rividi la mamma solamente sul palcoscenico. Ricordo ancora tutto così chiaramente: portava un tutù bianco e i bellissimi capelli castani le erano stati sapientemente raccolti in uno chignon.

“Wow! Papà hai visto la mamma? Sembra una principessa!” dissi entusiasta. Papà sorrise dolcemente alle mie parole, ma nei suoi occhi vidi una vena di tristezza. Non feci domande e non riparlai fino alla fine dello spettacolo.

Quella sera avevamo comperato io e papà un grosso mazzo di violette, i fiori preferiti della mamma, e quando lo spettacolo finì, ci dirigemmo verso il camerino della prima ballerina.

Impaziente, bussai alla porta, ma nessuno rispose dall’interno. Bussai di nuovo più forte.

“Mamma! Siamo noi!” dissi sorridendo, ma nessuno aprì la porta. Preoccupato quanto me, papà diede una spallata alla porta, aprendola del tutto…

Mamma era a terra, come settimane prima. Io trattenni il respiro dalla paura.

“Mamma! Mamma!” gridai, piangendo e scuotendole debolmente la spalla, senza ricevere risposta. Era pallidissima in volto e questo mi fece ancora più paura.

 

In meno di un’ora, venne trasportata in ospedale. Io e papà la seguimmo assieme ai dottori accorsi ad aiutarla. Li vedevo scuotere tutti la testa, seri, quasi irati. Ripetevano che era impossibile curarla.

“Dottore! Riuscirà a guarire la mia mamma??” domandai a uno di loro piangendo, supplicandolo di rispondere affermativamente. Lui rimase serio e, chinandosi sulla mia piccola statura, mi tasto la testa.

“Mi dispiace piccolina, ma la tua mamma si è indebolita troppo, e neppure io posso fare qualcosa” ammise triste. Io scuotevo la testa, tra i singhiozzi e le lacrime. Non potevo pensare che la mamma sarebbe morta.

“Olivia, la mamma vuole vederti” disse mio padre, uscendo dalla stanza in cui era entrato a parlare con lei pochi minuti prima.

Quando entrai, la trovai distesa su un letto.

“Vieni piccola mia” disse dolcemente con un filo di voce.

“Ascoltami Olivia… Mi resta poco tempo. Promettimi che quando non ci sarò più, andrai d’accordo con papà” disse affaticandosi un po’. Io annuii silenziosa, tirando su col naso.

“Mamma, non voglio che tu vada via” dissi abbracciandola. Lei a quelle parole sorrise.

“Io non vado via. Ricordati bambina, che sarò sempre con te, qui, dentro al tuo cuoricino” disse puntandomi l’indice sul petto. Io mi sforzai di sorridere.

“Ecco, è questo che voglio da te. Sorridi sempre piccola mia, non essere triste per me, e ricordati che ti voglio bene e te ne vorrò sempre” finì abbracciandomi. Quella fu l’unica volta in cui la vidi versare lacrime.

Mi si strinse il cuore quando la vidi nascondere il viso. Non volevo vederla soffrire così. Ma sapevo in cuor mio che non potevo fare nulla, cosa avrei potuto fare per salvarla?

 

Restai in ospedale a dormire, accanto al letto di mamma, per tutta la notte. La mattina, all’alba mi svegliai e la trovai a guardarmi sorridendo. Sorrisi a mai volta e lei disse: “Buongiorno amore”, per poi chiudere gli occhi. Furono le sue ultime parole.

Quando arrivò papà, anche lui pianse come il dottore e gli infermieri. Io ero triste, ma non versai nessuna lacrima. Sapevo che alla mamma non sarebbe piaciuto tutto ciò.

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Capitolo 3
*** FotoRicordo (parte seconda) ***


 CAPITOLO 3: FotoRicordo (parte seconda)

 

Sono passati più di dieci anni dalla morte della mia mamma, ma anche se non la posso vedere, sento costantemente la sua presenza; come se lei avesse mantenuto la promessa di restarmi vicino

Una foto coi miei attrae il mio sguardo in quello scatolone…


Ora in mano ho la foto che cercavo: la foto della mia famiglia, della nostra famiglia, Mamma. Avevo due anni, ma il ricordo è ancora vivo in me.

La foto che ho in mano raffigura i miei genitori, comodamente seduti su una tovaglia a quadretti tipica dei pic-nic; mia madre mi tiene sulle ginocchia, mentre papà ha in mano un piatto con una fetta di torta. Ricordo chiaramente quel giorno, forse è uno dei più dolci che ricordi.

Eravamo andati a fare un pic-nic per festeggiare il compleanno della sottoscritta e, per l’occasione, mamma aveva preparato una torta ai mirtilli, la mia preferita. La foto venne scattata da un passante.

Stringo al petto quel cimelio, un tesoro prezioso che mi porterò per sempre nel cuore…

 

Ancora eccole qui tra mille foto impolverate

vedo così le mie emozioni immortalate

troppi ricordi, momenti incancellabili

mentre una lacrima disegna un solco tra i miei brividi…

 

Sento qualcuno chiamarmi dalle scale. È mio padre.

“Olivia! Dai sbrigati, andiamo a fare visita alla mamma” dice facendo capolino dalla porta. In questi anni è leggermente invecchiato: sul muso gli sono comparse alcune rughe e i capelli e i baffi sono diventati bianchi come la neve. Sorrido annuendo, nascondendo la foto tra le pieghe del vestito.

“Va bene papà. Dammi cinque minuti e sono pronta” dico per poi andare in camera mia.

Velocemente, mi cambio d’abito, indossando un vestito viola scuro ed esco di casa, dove papà mi aspetta impaziente, davanti alla carrozza aperta.

 

Dopo cinque minuti, arriviamo davanti al cimitero. Entrando, noto vicino ad una tomba una bambina di sette anni e una donna molto anziana.

“Chissà qual è la loro storia… Chissà cosa ha portato quel defunto alla morte…” penso …

 

Siamo arrivati; davanti a noi c’è una lapide di pietra chiara. Sopra c’è scritto:


Jennifer White Flaversham 

Un angelo in punta di piedi

 

“Ciao mamma…” dico sottovoce, sorridendo. Dalla borsetta, tiro fuori la foto e la infilo nella cornice posta sulla lapide.

“Ci manchi tanto sai?” dico, come se lei potesse rispondermi; senza accorgermene, una lacrima mi scende sulla guancia. La tristezza è tanta, forse troppa. Papà mi abbraccia, infondendomi sicurezza.

“Coraggio, Olivia cara. Non vorrai che mamma ti veda piangere adesso? Ricorda che hai vent’ anni” sorride. Io a mia volta sorrido, asciugandomi il viso col dorso della mano.

“Hai ragione papà… Dopotutto, mamma vorrebbe vederci sorridere, sia me che te” dico, carezzando la fredda pietra.

Restiamo in silenzio, non vogliamo rompere questa dolce pace.

“Sai, alla mamma le sarebbe piaciuto che tu ballassi come lei” dice papà, rompendo dopo alcuni minuti il silenzio.

“Sai bene che, pur piacendomi molto la danza classica, non ho tempo … Devo lavorare, lo sai” dico scuotendo la testa. Papà sospira sorridendomi.

“eeh già… è ora di andare, Detective Flaversham” dice inchinandosi. Io rido silenziosa, mi fa sempre ridere quando mi chiama così…

Usciti dal cimitero, non posso fare a meno di guardare il cielo e sorridere. Ora sorrido dopo tanto tempo… sorrido alla mia mamma e alla vita.

 

E non so se sorridere, io non so cosa può succedere

 So che voglio vivere, fermando il tempo e guardarlo in un fotoricordo...

 

FINE

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