Requiescat in pace

di Nymeria90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Respira ... ***
Capitolo 2: *** Tutti gli uomini devono morire ***
Capitolo 3: *** Fratelli d'armi ***
Capitolo 4: *** Io ti troverò ***
Capitolo 5: *** Perché combatti? ***
Capitolo 6: *** Ti conosco, ma non so chi sei ***
Capitolo 7: *** Normandy ***
Capitolo 8: *** Non c'è Shepard senza Vakarian ***
Capitolo 9: *** Archangel ***
Capitolo 10: *** Lo Spettro di un uomo morto ***
Capitolo 11: *** Quello che potresti diventare ***
Capitolo 12: *** Il fantasma di un uomo vivo ***
Capitolo 13: *** Destro-confessioni ***
Capitolo 14: *** Ritrovarsi ***
Capitolo 15: *** Ti ho cercato in tutta la galassia ***
Capitolo 16: *** Come ai vecchi tempi ***
Capitolo 17: *** Onora tua madre ... ***
Capitolo 18: *** … e rispetta tuo padre ***
Capitolo 19: *** Cicatrici ***
Capitolo 20: *** Requiescat in pace ***
Capitolo 21: *** Ricominciare ***
Capitolo 22: *** Nessuna promessa ***
Capitolo 23: *** Tempo scaduto ***
Capitolo 24: *** Che ne sarà di noi? ***
Capitolo 25: *** Lo spettacolo deve continuare ***
Capitolo 26: *** Vendetta, gloria e amore ***
Capitolo 27: *** Vittoria o morte ***
Capitolo 28: *** Ricordati l'onore ***
Capitolo 29: *** Ci vediamo in un'altra vita ***



Capitolo 1
*** Respira ... ***


Da qualche parte nello spazio, 2185
 
Qualcosa di nuovo s’insinuò nella sua coscienza: la consapevolezza di essere … vivo?
Respira …
Non voleva farlo, aveva paura di farlo, l’ultima volta aveva inghiottito solo il vuoto e gli spasmi dei suoi polmoni morenti erano il solo ricordo che gli era rimasto.
Non ricordava nemmeno il suo nome, non sapeva più cosa fosse al di fuori dei suoi pensieri … ricordava solo il dolore di quell’ultimo, impotente respiro.
Respira …
Sensazioni distorte gli invasero la coscienza, una cacofonia di percezioni a cui non riusciva a dare né un nome né una spiegazione ma ne era infastidito … perché strapparlo a quel delizioso oblio in cui aveva vagato fino a quel momento?
Dannazione soldato, questo è un ordine: RESPIRA!
Sentì il corpo reagire a quell’ordine urlato nella mente … sì, aveva un corpo, poteva sentirlo adesso, nudo e tremante, la schiena inarcata nel tentativo di contenere l’espandersi di quei polmoni che bramavano aria, aria e ancora aria e finalmente potevano averla.
Dei suoni ovattati gli sfiorarono la coscienza … voci concitate che si accavallavano l’una sull’altra, sorprese e spaventate da … da lui?
Una sferzata di luce rischiarò le tenebre in cui era precipitato, spazzando via il ricordo dell’oblio e del suo dolce tepore, i suoi occhi stanchi percepirono indistinte sagome affannarsi attorno al suo corpo … quel corpo che respirava di nuovo.
Tentò di muoversi, di afferrare l’aria intorno a sé, ma qualcosa glielo impedì:
– Shepard, cerca di non muoverti. Resta immobile, cerca di calmarti.- gli ordinò una voce preoccupata.
Un’altra voce rispose alla prima, dicendo cose che non capiva … non gli interessava.
Doveva … doveva respirare, quella era l’unica cosa importante.
Le persone attorno a lui si mossero, agitate, le voci si fecero più acute e un rumore ripetitivo, penetrante risuonò nella sua mente, insopportabile, terrificante!
Doveva smettere, SMETTERE!
Una calma innaturale lo avvolse di nuovo, sentì le tenebre farsi più vicine, terribili e bellissime, avrebbe voluto lottare contro di esse, ma era così stanco, così stanco …
Un volto di donna comparve davanti ai suoi occhi, capelli neri e occhi azzurri, sembrava … sollevata.
- C’è mancato poco, lo abbiamo quasi perso …- disse una voce maschile, sgradevole.
La donna chiuse gli occhi, voltò la testa, le sue parole si persero in un borbottio indistinto … lentamente le tenebre tornarono ad avvolgerlo. Ma qualcosa era cambiato.
Ora sapeva chi era.
Si chiamava Alexander Shepard ed era vivo.
Di nuovo.



 

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Capitolo 2
*** Tutti gli uomini devono morire ***


Normandy SR1, 2183
 
Porta tutti alle navette di emergenza.- ordinò Shepard lanciandole l’estintore.
Ashley lo prese al volo – Joker è ancora in cabina di pilotaggio, non vuole andarsene!- si voltò lanciandogli un’occhiata risoluta attraverso la visiera del casco – E anch’io non me ne vado.-
- Tu guida l’equipaggio alle navette di evacuazione. Penso io a Joker.- Shepard aveva pronunciato quelle parole senza nemmeno voltarsi, aggrappato alla paratia della nave per evitare di essere sbalzato a terra dai tremori delle esplosioni.
- Shepard!-
A quel punto si era voltato, l’espressione celata dal casco, ma Ashley poteva immaginare le sue labbra piegate in un beffardo sorriso di sfida, quasi a dirle: io posso farlo.
- Ashley va’!- s’infilò nello squarcio della parete che l’avrebbe condotto al corridoio della mensa e poi su fino alla cabina di pilotaggio – Subito!-
Per tutta la vita Ashley Williams era stata un soldato prima che un essere umano e la prima regola che un soldato impara è che gli ordini non si discutono.
Per la prima volta ebbe la tentazione di infrangere quella prima, sacra regola.
Ma non lo fece. Perché si fidava di lui, perché sapeva che se la sarebbe cavata anche quella volta, come sempre, perché Alexander Shepard non poteva morire così, senza avere la possibilità di combattere.
- Sissignore! – scandì, obbediente come ogni bravo soldato..
Lui si spinse attraverso lo squarcio e Ashley tremò, non più soldato, di nuovo donna – Fa’ attenzione …- sussurrò.
Avrebbe sfidato la morte per l’ennesima volta, perché ne era attratto come la falena dalla fiamma; e forse, in cuor suo, sperava che la morte si dimostrasse finalmente più abile di lui.
Ashley si trovava a combattere una battaglia impari: tra lei e la sfida della morte, Shepard avrebbe sempre scelto la seconda. E così lo lasciò andare, inghiottito da quella nave fiera e testarda come il suo comandante.
Ashley ritornò ad essere un soldato, chiamò gli ultimi membri dell’equipaggio che erano rimasti indietro, li spinse nella capsula di salvataggio, si voltò per aiutare l’ultima, Monica, l’ingegnere dai capelli rasati e gli occhi grandi, ma un’esplosione la travolse e quando finalmente il suo corpo straziato ricadde in terra non c’era più vita nei suoi occhi scuri.
Ashley serrò la mascella e salì sulla capsula - Via!- urlò, premendo il pulsante per l’espulsione e lo spazio li inghiottì.
Una mano con tre dita le afferrò il braccio, costringendola a voltarsi; malgrado la maschera che le copriva perennemente il viso Tali’Zorah nar Rayya era per lei un libro aperto. E anche ora, dietro il vetro oscurato del casco, riusciva a percepire la paura e l’angoscia che pervadevano la giovane Quarian.
– Shepard dov’è?-
- Joker è rimasto nella cabina di pilotaggio.- spiegò con voce incolore, felice che il casco la celasse alla vista dei suoi compagni – È andato a prenderlo.-
- Bosh’tet.- esclamò la Quarian lasciandola andare – Come può Joker non accorgersi che la Normandy è perduta?-
Fu Liara a rispondere, i grandi occhi umidi di lacrime – La Normandy è tutta la sua vita …- una condizione che condividevano tutti. La Normandy era diventata la loro casa e stava bruciando.
Ashley si slacciò il casco, sfilandolo con un gesto secco … si sentiva soffocare in quello stupido secchio.
L’altoparlante della capsula sfrigolò e la voce di Joker li avvolse.
- Posso ancora salvarla, comandante.-
- La Normandy è perduta!- lo sentirono ribattere, marziale, come sempre, ma dietro la patina del rigore trasudava un dolore che nessuno, nemmeno Joker, poteva ignorare – Affondare con la nave non cambierà le cose.-
Dopo un breve silenzio l’irriverente pilota sospirò – Sì d’accordo, aiutami a rialzarmi, … MERDA!- tutti nella navetta s’irrigidirono – Stanno tornando per un altro attacco.-
Il casco le sfuggì di mano, rimbalzando con un tonfo sordo sul pavimento della navetta.
Gli altoparlanti sfrigolarono mentre l’orribile rumore di lamiere contorte riempiva la capsula silenziosa.
Attraverso i gemiti della nave morente udirono la voce indistinta di Joker, poi un’esplosione – Shepard!-
Infine il silenzio.
La capsula tremò mentre l’onda d’urto dell’esplosione li investiva, Garrus fece vagare lo sguardo su di loro, smarrito – Era … era la Normandy?-
Ashley si alzò di scatto, strappò l’auricolare dal casco e lo premette contro l’orecchio – Comandante! – chiamò nel silenzio assordante che la circondava – Shepard rispondi …-
Un respiro rotto, affannato, ruppe il silenzio, un roco ansimo che fece accapponare loro la pelle … e le scaglie.
- Shepard?-
- Sono qui Ash …- giungeva lontana e soffocata la sua voce, quasi persa nell’infinito che li circondava.
Ashley si lasciò sfuggire un lungo, tremulo sospiro – Cos’è successo, Shepard?-
Un rantolo breve, contratto – Joker è … è salvo … io … l’aria sta per finire. La tuta è danneggiata.-
Ashley barcollò – Dove sei, Shepard?-
Liara la guardava con occhi spalancati, le mani strette sulle protezioni del sedile, un altro rantolo soffocato riempì la cabina – Nello spazio …- non c’era paura nella voce di Shepard, non c’era mai stata.
Ashley si girò di scatto picchiando contro le pareti della navicella – Dobbiamo tornare indietro, dobbiamo andare a prenderlo!- urlò a tutti e a nessuno.
Le capsule di salvataggio non avevano pilota, non avevano comandi, rimanevano in orbita finché qualcuno non giungeva a salvarli.
Non potevano tornare indietro.
Nessuno ebbe il coraggio di dirlo.
- Ash …-
La donna si fermò, il petto scosso dall’affanno, i pugni ancora premuti sulla paratie – Sono qui …-
- Parlami Ashley … non voglio … non voglio morire da solo …-
Ashley serrò le palpebre mentre le lacrime cominciavano a bagnarle il viso
– Non dire così Shepard, non farlo … tu non morirai … tu non puoi morire …-
Una risata ansimante riempì la cabina – Ti sbagli: io posso fare tutto, ricordi? Buona fortuna, ragazzi.- la sua voce era sempre più debole, quasi delirante -È stato un onore.-
- Alex, no! – Ashley si lasciò scivolare lungo la paratia – Tu non puoi morire!-
Lo sentì sorridere mentre precipitava verso la morte – Ash …-
Un ultimo rantolo di straziante agonia poi più nulla.
Ashley scattò in piedi – Shepard!- urlò con quanto fiato aveva in corpo, picchiò i pugni sulle paratie fino a farli sanguinare – Dobbiamo tornare indietro, dobbiamo …-
Qualcuno la afferrò da dietro, allontanandola dalla parete striata di sangue, tentò di divincolarsi ma il suo carceriere era troppo forte e lei troppo debole.
- Dobbiamo tornare a prenderlo …- gemette.
Attraverso gli occhi velati di lacrime vide Liara singhiozzare piano mentre Tali le accarezzava la testa, pietrificata nel suo sedile.
- È morto, capo. - mormorò Wrex contro il suo orecchio, fu solo allora che capì che era lui a tenerla ferma, le tozze braccia strette sul suo petto; attraverso la corazza poteva sentire i cuori del Krogan battere forte, troppo forte persino per uno della sua razza.
I suoi occhi si posarono su Garrus che sedeva immobile di fronte a lei, i loro sguardi si incrociarono … Ashley si era sempre chiesta se i Turian potessero piangere, ora aveva la risposta.
- Shepard è morto.-

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Capitolo 3
*** Fratelli d'armi ***


http://www.youtube.com/watch?v=jhdFe3evXpk

Akuze, 2183

 
Akuze non era un pianeta ospitale, più di dieci anni prima l’Alleanza aveva tentato di trasformarlo in una sua colonia e aveva inviato diverse squadre di esplorazione sul pianeta. Cinquanta marines in tutto, cinque squadre, di cui una comandata dall’allora sergente Shepard; la sfortuna, il caso o la malvagità umana avevano deciso che proprio quel pianeta e quegli uomini divenissero l’atroce esperimento di un gruppo di folli che pretendevano di combattere per il bene dell’umanità. Per curiosità o per gioco si erano messi in testa di testare la resistenza umana di fronte all’imponderabilità aliena. Loro sapevano cosa si celava nel sottosuolo di quel pianeta, ed erano rimasti a guardare, davanti ai loro schermi, con un datapad in mano, i mostri vermiformi di Akuze sbranare i soldati dell’Alleanza.*
Sei anni dopo quell’indicibile massacro una nuova tomba era stata aperta nel piccolo cimitero di Akuze, una tomba destinata anch’essa ad ospitare una bara vuota. Era stata la madre di Shepard, il capitano Hannah Shepard, a volere che il figlio venisse seppellito in quel luogo, a fianco dei compagni che non era riuscito a salvare. Quella richiesta era stata la sua unica reazione alla notizia della morte del figlio, poi si era trincerata dietro un muro di gelida indifferenza, comportandosi come se la cosa non la riguardasse.
Quel giorno, al funerale, lei non c’era.
Le esequie del comandante Shepard si erano tenute in gran segreto, lontano dai riflettori, per timore di trasformare l’eroe in martire e spingere la galassia a interrogarsi sulle circostanze della sua morte. Shepard era morto e forse era meglio così per tutti; l’Alleanza e il Consiglio potevano tornare a nascondere la testa sotto la sabbia, fingendo che andava tutto bene, senza che uno Spettro un po’ troppo onesto e testardo continuasse ad urlargli contro che le cose, bene, non andavano.
Gli alti papaveri dell’Alleanza avevano pronunciato parole sontuose, ricordando il coraggio, la generosità e la grandezza del defunto comandante, il Consigliere Udina, unico rappresentante del Consiglio, era persino riuscito a commuoversi, ma tutti quei discorsi e le lacrime erano vuoti come la bara che era stata calata nella tomba. L’Alleanza e il Consiglio non avevano trovato il tempo e il denaro per cercare i resti dell’uomo che aveva salvato la galassia solo pochi mesi prima; l’uomo che aveva sacrificato intere flotte per salvare anche loro.
Quando la terra aveva ricoperto la tomba vuota e tutti gli ipocriti se ne erano andati, sollevati per aver compiuto quell’ennesima formalità, erano rimasti solo loro, gli unici che piangevano davvero il comandante scomparso: i superstiti della Normandy.
Ashley Williams strinse i pugni contro i fianchi mentre osservava il gruppo di persone che, a capo chino, si allontanava dal piccolo cimitero: Shepard valeva soltanto quello? Una bara vuota e poche, banali, parole pronunciate da un uomo che disprezzava?
Ma, d’altronde, di che si stupiva?
Shepard era sempre stato un personaggio scomodo, un soldato duro e puro che mal tollerava i giochetti dei politici; diceva quello che voleva, quando voleva e a chi voleva, senza preoccuparsi di gerarchie, protocolli o quant’altro. Con la nomina a Spettro la patata bollente era passata al Consiglio e adesso che era morto …
Ashley non dubitava che molti avessero tirato un sospiro di sollievo a quella notizia. Avevano fatto lo stesso con suo nonno, un uomo che aveva preferito salvare i suoi uomini a scapito del suo onore, e che per questo era stato riportato sulla Terra in catene.
- Che cosa stiamo facendo?- Ashley stentò a riconoscere la voce di Liara, la giovane Asari non aveva mai avuto un tono così duro e aspro. C’era dolore in quella voce, ma soprattutto rabbia.
- Stiamo dicendo addio al comandante, dottoressa.- replicò Ashley, gelida.
Avevano combattuto per l’amore di Shepard e, se anche alla fine Ashley ne era uscita vincente, provava ancora astio e gelosia nei confronti dell’Asari.
- Ma non sappiamo nemmeno se è morto!- sbottò Liara, furiosa – Shepard potrebbe essere ancora vivo! Potrebbe avere bisogno di noi!-
Una cortina di gelo calò sul cimitero, i membri della Normandy s’irrigidirono, tesi come prima di una grande battaglia.
Ashley alzò lentamente lo sguardo sull’Asari; Liara era visibilmente sconvolta, i grandi occhi azzurri spalancati, il respiro affannoso; in altre circostanze l’avrebbe capita, forse addirittura consolata, ma in quel momento sentì solo il sangue salirle alla testa.
- Lo abbiamo sentito morire, Liara! Di cos’altro hai bisogno?-
Le labbra dell’Asari tremarono – Del suo corpo … voglio un corpo da seppellire, Ashley. Noi …- Liara si coprì il volto con le mani, il corpo scosso dai singhiozzi, incapace di trattenere un dolore troppo grande - … noi lo abbiamo abbandonato.-
Tali le fu subito accanto, le passò un braccio dietro le spalle, stringendo forte la giovane Asari; Ashley digrignò i denti cercando di reprimere i singhiozzi che le salivano al petto: non avrebbe pianto. Lui non avrebbe voluto che lo facesse.
Fu allora che Anderson intervenne per la prima volta e la sua voce profonda s’insinuò nei loro cuori, obbligando ognuno di loro ad ascoltare, anche se non volevano farlo:  - Shepard è morto, Liara. Non c’è niente che tu possa fare. Ovunque sia, Alexander Shepard può finalmente riposare in pace. -
Come la 212, come Kaidan e Pressly
Liara alzò il viso striato di lacrime, la sua bocca assunse una piega ostinata, l’energia oscura vorticava attorno ai suoi pugni serrati – Io lo troverò e lo seppellirò, solo allora Shepard riposerà in pace. -
Voltò loro le spalle e se ne andò.
- Liara …- Tali esitò, stropicciandosi nervosamente le mani; dietro il vetro oscurato del casco Ashley poteva immaginare i suoi occhi spostarsi confusi dall’una all’altra.
- Andate.- mormorò Ashley – Non ha più senso rimanere qui.-
Uno dopo l’altro i membri della Normandy si allontanarono, in silenzio; Joker le lanciò un’occhiata vuota, spenta e zoppicò via, Garrus le si avvicinò – Ash io …-
Lo zittì con un cenno – Lo so, Garrus. Lo so …-
Il Turian sospirò, guardò Wrex che scosse il suo grosso testone da rettile e si allontanarono insieme, come vecchi amici. Shepard aveva compiuto grandi cose, salvato molte vite, ma la sua vera grandezza si palesava nella semplicità con cui aveva cambiato le loro vite: Garrus e Wrex ne erano l’esempio lampante. Il Turian e il Krogan, il vigilante e il mercenario, la storia dei loro popoli, gli ideali che li guidavano, ogni loro singola cellula li costringeva ad odiarsi eppure, sulla Normandy, sotto il comando di Shepard, non solo avevano combattuto insieme come alleati, ma avevano imparato a rispettarsi, a fidarsi ed infine a prendersi cura l’uno dell’altro.
- Quando sono salita sulla Normandy non mi fidava degli alieni, li consideravo come animali. Eravamo soldati, venivamo da mondi diversi, lottavamo per motivi diversi, eravamo divisi, diffidenti, impauriti.- confidò all’unica persona rimasta: Anderson – Shepard mi ha mostrato quanto mi sbagliavo. Ora li considero parte della mia famiglia, morirei per loro, per ognuno di loro.- si strinse le braccia intorno al corpo, improvvisamente infreddolita – Ma perderò anche loro, ognuno se ne andrà per la sua strada e alla fine sarà come se non ci fossimo mai incontrati, come se la Normandy e Shepard non fossero mai esistiti.-
Lasciò vagare lo sguardo sulla desolazione che li circondava: Akuze era un luogo terribile in cui vivere e morire. Improvvisamente fu felice che il corpo di Shepard non si trovasse lì, il suo comandante non meritava una tomba come quella.
Ovunque tu sia, amore mio, mi auguro che tu possa vedere le stelle e vagare tra di esse …
- Io credo che Shepard e la Normandy abbiano cambiato le nostre vite per sempre, e nessuno dimenticherà mai il tempo trascorso insieme.- Anderson le strinse delicatamente la spalla, fingendo di non vedere le lacrime che, non più trattenute, le scivolavano silenziose lungo le guance – Ma è tempo di guardare avanti, capo. Sei un soldato eccezionale, una superstite: l’Alleanza ha bisogno di te e tu di lei.-
“I Williams hanno l’Alleanza nel sangue, signore.”
Shepard aveva sorriso a quelle parole e le aveva rivolto un sguardo strano che all’epoca non aveva saputo interpretare: “Un tempo ce l’avevo anch’io.”
Guardando Akuze e la lunga fila di tombe davanti a lei, Ashley capì che quello sguardo e quelle parole erano intrise di amarezza. Shepard aveva dato tutto all’Alleanza, e alla fine lo avevano lasciato solo, come aveva fatto il Consiglio, come stava per fare lei.
Sfiorò con le dita il nome di Shepard inciso nella pietra; era una vera incisione, non un ologramma digitalizzato che si sarebbe spento quando loro se ne fossero andati: era reale, esisteva.
Anderson si accucciò accanto a lei – Sono delle belle parole.-
- Sono i versi di una canzone.- rispose – Dopo Virmire, dopo che Kaidan era morto, eravamo tutti sconvolti, svuotati. Ricordo che Shepard ci redarguì duramente: “Le lacrime non fermeranno Saren ” ci disse “Kaidan è morto per darci una possibilità: non sprechiamola”.- scosse il capo, sorridendo con amarezza – Pensai che fosse un vero stronzo: come poteva essere così freddo, così cinico? –
- Doveva mantenervi lucidi.- mormorò Anderson – Non poteva permettere che la disperazione vi portasse via. Ma ti posso assicurare che anche lui avrebbe voluto piangere.-
Ash evitò d’incrociare il suo sguardo, sapeva che avrebbe visto lacrime negli occhi dell’ammiraglio – Lo so. Quella notte non riuscivo a dormire così andai nella mensa e lo trovai lì, dove sedeva Kaidan di solito. C’era una piccola radiolina appoggiata sul bancone che suonava quella canzone: fu l’unica volta che lo vidi piangere. – strinse i pugni per fermare il tremito delle mani
– Tornai nel mio alloggio senza farmi vedere, ma non dimenticai le parole di quella canzone.-
Anderson si alzò e le strinse lievemente la spalle - È perfetta.- mormorò con voce roca prima di andarsene, lasciandola sola.
Ashley sospirò ed estrasse dalla tasca una fotografia in una cornicetta metallica. L’aveva fatta sviluppare alla vecchia maniera, su carta. Sapeva che Shepard avrebbe preferito così.
Il tenente Alenko, il capo Williams e il Comandante Shepard sorridevano davanti alla Normandy nell’hangar della Cittadella. “Lo zoccolo duro dell’Alleanza.” li aveva presi in giro Garrus scattando quella fotografia.
E alla fine era rimasta solo lei. L’unica superstite. Ancora una volta.
Si alzò, voltando le spalle alla lapide e alla fotografia, accompagnata dalle parole di un’antica canzone che sembrava essere stata scritta apposta per loro.
 
These mist covered mountains                   Queste montagne coperte di nebbia
Are home now for me                                    Sono una casa ora per me
But my home is the lowlands                      Ma la mia casa è la pianura
And always will be                                       E sempre lo sarà
 
Some day you’ll return to                           Un giorno tornerete
Your valleys and your farms                      Alle vostre valli e alle fattorie
And you? I no longer burn                         E tu? Io non brucerò più
To be brothers in arms                               Per essere fratelli d’armi
 
Through these field of destruction          Attraverso questi campi di distruzione
Baptisme of fire                                          Battesimi di fuoco
I’ve witnessed your soffering                  Ho visto la vostra sofferenza
As the battles raged higher                    Mentre le battaglie si facevano più dure
 
And though we were hurt so bad          E anche se abbiamo sofferto molto
In the fear and alarm                               Nella paura e nell’ansia
You did not desert me                            Non mi avete mai abbandonato
My brothers in arms                                Miei fratelli d’armi
 
 
There’s so many different worlds         Ci sono così tanti mondi diversi
So many different suns                          Così tanti soli diversi
And we have just one world                 E abbiamo un solo mondo
But we live in different ones                 Ma ognuno vive in uno diverso
 
Now the sun’s gone to hell                 Ora il sole è andato all’inferno
And moon’s riding high                       E la luna sta salendo alta
Let me bid you farwel                          Lasciate che vi dica addio
Every man has to die                          Ogni uomo deve morire
 
But it’s written in the star light          Ma è scritto nelle stelle
And every line on your palm           E in ogni linea del vostro palmo
We’re fools to make war                  Siamo folli a fare la guerra
On our brothers in arms.*                Ai nostri fratelli d’arme.

 


* Non ho trovato da nessuna parte una descrizione dettagliata della battaglia di Akuze, perciò il numero di soldati coinvolti e il grado di Shepard, così come il suo ruolo, sono stati aggiunti a mia totale discrezione. Se qualcuno dovesse avere informazioni più precise non esiti a segnalarmelo.
*Dire Straits “Brothers in Arms”

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Capitolo 4
*** Io ti troverò ***


Akuze, 2183
 
Liara si appoggiò al parapetto del terrazzo e osservò l’alba sorgere su quel pianeta desertico che era Akuze. Nel giro di poche ore la temperatura sarebbe salita oltre i 40° e il vento avrebbe cominciato a soffiare, torrido e inclemente, sollevando nugoli di sabbia.
Per certi versi quel pianeta le ricordava Therum, ma lì, almeno, non c’erano fiumi di lava e vulcani pronti ad eruttare. Akuze sarebbe potuto diventare un pianeta vivibile anche se non sarebbe mai stato ospitale.
Ma le cose erano andate com’erano andate e su Akuze gravava una fama malsana, un’aura maledetta.
L’unico insediamento era il piccolo spazioporto in cui erano atterrati e il cimitero che ricordava il prezzo che l’umanità aveva pagato per essersi spinta troppo oltre, troppo presto. L’albergo in cui avevano dormito era semplice e spartano, creato apposta per i, rari, viaggiatori che facevano scalo sul pianeta o per i familiari che venivano a rendere omaggio ai loro morti. Ma ormai anche le loro visite si stavano facendo sempre più rade e, col tempo, anche quell’ultima traccia di vita umana sarebbe scomparsa e Akuze avrebbe finalmente avuto la sua definitiva vittoria. Liara sapeva bene che su quel pianeta non avrebbe mai rimesso piede. Shepard non era lì e, se anche un giorno avesse ritrovato il suo corpo, non era quello in luogo in cui l’avrebbe seppellito. Il suo comandante non meritava una tomba come quella.
Tali, appoggiata al parapetto accanto a lei, sembrava condividere simili pensieri – Se mai dovessi ritrovarlo, non portarlo qui.-
Liara strinse le labbra: dunque non mi aiuterai a cercarlo. Trattenne quelle parole in gola, desiderosa di ritardare il più possibile una conversazione che, lo sapeva, sarebbe stata dolorosa; avrebbe aspettato che tutti fossero presenti prima di comunicare la sua decisione di partire alla ricerca del comandante, anche a costo di perdere i suoi più cari amici.
I suoi soli amici.
- È nato e cresciuto nello spazio.- mormorò – Merita un posto tra le stelle.-
- No.- Tali alzò il volto verso il cielo e, in controluce, Liara poté scorgere il profilo del suo viso simile, almeno nella forma, a quello di Asari e Umani.
– So cosa si prova a vagare nello spazio, senza meta, senza radici …all’inizio sembra perfetto, vedere un posto nuovo ogni giorno, lasciarsi alle spalle le cose brutte, ma alla fine del viaggio desideri solo ritornare a casa, sul pianeta natale. -
Terra … Liara non c’era mai stata e quando aveva chiesto a Shepard di parlarle del suo pianeta natale lui aveva scosso le spalle ed eluso la domanda rispondendole che c’era stato una volta soltanto. Ma durante la missione sulla Luna, quando avevano dovuto affrontare l’IV impazzita, Shepard era rimasto immobile per minuti interi ad osservare lo splendore della Terra. Le nubi bianche che l’avvolgevano come un candido velo, il blu profondo degli oceani, il delicato verdeggiare delle terre emerse … ricordava di averlo sentito mormorare, dimentico del comunicatore nel suo casco: “ … è così perfetta”.
Le sue riflessioni furono interrotte dall’arrivo degli altri che, in silenzio, si appoggiarono alla balconata accanto a loro.
Garrus, Wrex, Ashley, Joker … sarebbe stato perfetto se solo Kaidan e Shepard fossero stati lì con loro …
- Che cosa faremo adesso?- domandò Garrus con l’aria di uno che conosce perfettamente la risposta a quella domanda. La sapevano tutti.
Liara chiuse gli occhi e si preparò a sganciare la bomba – Io andrò a cercare Shepard. Chi viene con me?-
L’atmosfera cambiò immediatamente, come era successo al funerale, e una cortina di gelo si posò su di loro creando un muro impenetrabile tra lei e gli altri.
- Liara, lo sai bene che è una follia …- cominciò Garrus tentando di essere ragionevole.
- Perché?- lo interruppe lei allontanandosi dalla ringhiera – Lo so che è morto, lo so benissimo.- sibilò: non avrebbe sopportato di sentirselo dire un’altra volta, come se quella semplice affermazione chiudesse la questione. – È proprio questo il punto: Shepard è morto. È nostro dovere scoprire perché!- allargò le braccia, furibonda come non era mai stata, gli altri la guardavano sorpresi e intimiditi, non si erano aspettati tanta rabbia da lei e questo la faceva infuriare ancora di più: perché loro non provavano la stessa cosa? Perché Ashley non partiva lancia in resta, desiderosa di vendicare l’uomo che diceva di amare, l’uomo che l’aveva scelta al posto suo?
- Nessuno di voi si chiede chi è stato? Non erano Geth, lo sappiamo bene! Come hanno fatto a trovare la Normandy con i sistemi di occultamento attivati? Dannazione hanno squarciato la corazza come burro! – picchiò il pugno contro il palmo aperto – Se non volete farlo per Shepard, fatelo per la sicurezza galattica! La missione non è finita, i Razziatori sono ancora là fuori e hanno ucciso Shepard perché sapevano che lui era una dannata minaccia!-
Gli altri rimasero in silenzio, guardandosi l’un l’altro, alla fine fu Joker a parlare – E cosa vuoi che facciamo Liara? Non abbiamo risorse né una nave. Siamo soli. L’Alleanza e il Consiglio ci hanno già dato il benservito. Chi ci aiuterà? Le Asari?- fece un sorrisino di scherno – Forse i Turian?- guardò Garrus che abbassò la testa – O vorresti chiedere ai Quarian o ai Krogan?-
Liara non desistette – L’ammiraglio Anderson …-
- L’ammiraglio Anderson ha già altri problemi.- la interruppe Ashley, tagliente – Forse hai dimenticato che l’Umanità ha un’intera flotta da ricostruire. Mi sembra che abbiamo già sacrificato abbastanza per la galassia. Per quel che mi riguarda le ho dato tutto quello che avevo da dare.- i suoi occhi corsero al piccolo cimitero e sul suo volto si dipinse un’espressione dura, ostinata, la stessa che aveva il giorno in cui si erano conosciute – Io sono un soldato dell’Alleanza.- affermò come se, in quella frase, si riassumesse tutto.
Ed era effettivamente così.
Liara strinse i pugni – E tu Garrus?-
Il Turian si mosse a disagio – Joker ha ragione. Non possiamo fare niente, Liara, non così. Tornerò alla Cittadella, nell’SSC, e presenterò la mia candidatura come Spettro, allora, solo allora, potrò fare qualcosa.-
- E nel frattempo, Garrus? Mentre tu compili scartoffie cosa credi che accadrà?-
Garrus si strofinò la fronte con la sua mano di tre dita – Non lo so, ma Shepard avrebbe voluto così. Non possiamo vagare nello spazio senza una direzione, dobbiamo impegnarci per fare qualcosa di concreto ed io lo farò in questo modo. La missione è finita, Liara.-
- Non è finita!- urlò. Tali tremava e probabilmente stava piangendo. Non le importava. Perché non capivano? – Noi sappiamo che i Razziatori non sono stati sconfitti, sappiamo che stanno per arrivare!-
- Ma non possiamo farci niente!- ruggì Wrex parlando per la prima volta – Dobbiamo preparare la nostra gente, dobbiamo diventare più forti così da poterli distruggere quando arriveranno. Per questo tornerò su Tuchanka, perché quando i Razziatori arriveranno la galassia avrà bisogno che i Krogan le salvino di nuovo il culo. –
Suo malgrado Liara fece un passo indietro, aveva sperato di convincerne almeno uno, ma sembrava che non volessero capire, che la morte di Shepard avesse cancellato tutti i momenti passati insieme, le battaglie affrontate, i discorsi fatti nella penombra della sala briefing.
- Tali?- era la sua ultima speranza, ma conosceva già la risposta.
Tali si tormentò le piccole mani da hacker – Liara io vorrei … davvero …- il tremito della sua voce le ricordò che era solo una ragazzina incontrata mentre compiva il suo viaggio per diventare adulta - … ma devo tornare alla flottiglia … devo finire il mio pellegrinaggio, consegnare i dati …- la sua disperazione era sincera, autentica, se avesse potuto Tali sarebbe partita con lei, ma semplicemente non era pronta a compiere un simile sacrificio. Fu l’unica che Liara non biasimò per il suo rifiuto. – Capisco.- mormorò, lanciò un’occhiata a Joker che distolse lo sguardo. Entrambi stavano pensando la stessa cosa: Shepard era morto a causa sua. Ma Liara non era ancora arrivata al punto da rinfacciargli una cosa simile.
- Dammi una nave da pilotare, Liara, e sono con te, in caso contrario, mi dispiace, ma non ti servirei a niente.-
Liara abbassò le spalle, sconfitta – No, non ho una nave. -
Raccolse la borsa con le poche cose che si era portata dietro, se la mise in spalla e, senza guardarli, si voltò – Addio.-
Si allontanò, leggermente curva, Tali fu l’unica a venirle dietro e abbracciarla forte, coi singhiozzi che la scuotevano tutta; Liara la strinse con sincero affetto ma incapace di piangere. Si sentiva svuotata, in cento anni non aveva mai provato un dolore così devastante, nemmeno dopo la morte di sua madre. Perdere la Normandy, Shepard e ora anche il resto dell’equipaggio era più di quanto potesse sopportare.
- Ci terremo in contatto, vero?- balbettò Tali quando si separarono – Mi scriverai?-
- Certo.- mentì.
Le rivolse un debole sorriso e si allontanò, da sola, com’era sempre stata.
Per Liara T’Soni la missione non era ancora finita.

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Capitolo 5
*** Perché combatti? ***


Stazione spaziale, 2185
 
Il suo secondo risveglio non era stato meno traumatico del primo: in una stazione sconosciuta, sotto attacco, con una certa Miranda che gli diceva cosa fare e dove andare.
Non aveva avuto tempo per pensare, per riflettere sui dolori che sentiva alle articolazioni, il volto che gli tirava, le mani che formicolavano. Era scattato in piedi come una molla, i muscoli che rispondevano tonici e forti ad ogni ordine, la pistola salda nella mano, i poteri biotici così amplificati da lasciarlo senza fiato. Non era mai stato così forte, così letale, preciso, inarrestabile.
Dov’era stato? Cosa gli avevano fatto? Chi era lui?
Miranda lo chiamava Shepard e lui ricordava quel nome, ma l’uomo che lo portava non era mai stato capace di manipolare in quel modo l’energia oscura, non era mai stato in grado di “teletrasportarsi” contro il nemico. L’uomo che portava quel nome un tempo aveva avuto paura di morire. Lui non l’aveva.
Poi Miranda aveva smesso di parlare e lui aveva proseguito, abbattendo quei cosi metallici che, mentre gli sparavano addosso, lo invitavano molto garbatamente a deporre le armi. Non erano Geth, com’è che li aveva chiamati Miranda? Mech …
Lungo la strada verso l’uscita si era imbattuto in un soldato, un biotico discretamente potente, che sembrava uscito fuori da un olofilm di fantascienza con la tutina aderente e i modi marziali. Quell’uomo, Jacob, gli aveva detto cose che lui si rifiutava di comprendere: la Normandy distrutta, lui morto e risorto. Qualcuno aveva recuperato il suo cadavere e sempre quel qualcuno, per motivi a lui ignoti, lo aveva riportato in vita: progetto Lazarus, creato apposta per lui. Due anni. Erano trascorsi due anni e il suo equipaggio era finito chissà dove.
Dopo quelle notizie abbattere i Mech era diventato ancora più semplice.
Ma c’era dell’altro oltre la sua morte e resurrezione.
Alla fine Jacob si era deciso a dirgli per chi lavorava, il gruppo a cui apparteneva il simbolo che portava cucito sul petto, coloro i quali avevano speso tanti soldi e tanto tempo per riportarlo in vita: Cerberus.
Il suo primo istinto era stato quello di alzare la pistola e sparare a bruciapelo contro Jacob, senza rimpianti. In altre circostanze, probabilmente, l’avrebbe fatto.
Cerberus: un gruppo di terroristi xenofobi che giocavano con la scienza come un bambino gioca con una pistola carica. Durante i suoi viaggi per la galassia era incappato nei loro atroci esperimenti ma, soprattutto, ne era stato vittima.
Akuze era colpa loro.
Ma quel giorno decise di lasciare al biotico di fronte a lui il beneficio del dubbio. La curiosità ebbe il sopravvento sull’odio: perché lo avevano riportato in vita?
Secondo Jacob l’unico in grado di dargli quella risposta era l’Uomo Misterioso, l’unica testa di Cerberus.
La loro fuga dalla stazione era finita nel più assurdo dei modi, avevano trovato Miranda ed eliminato il responsabile dell’attacco. La donna che lo aveva risvegliato e guidato si era rivelata essere la stessa che aveva visto al suo primo risveglio, quando la vita era tornata prepotente nel corpo ricostruito e potenziato. Un corpo che non riusciva più a chiamare suo.
Domande, test, ricordi. Sì, lui era il comandante Shepard: lo spaziale, il superstite, l’eroe. Ricordava tutto.
La navetta era atterrata in un’altra stazione e lì aveva infine incontrato l’uomo responsabile di quello che era diventato.
L’Uomo Misterioso si nascondeva dietro un’interfaccia olografica, lontano anni luce e Shepard non poteva biasimare la sua prudenza. Sapeva bene che non avrebbe concesso a quell’uomo il beneficio del dubbio.
Ma per quanto disprezzasse tutto ciò che egli rappresentava, non poté fare a meno di ascoltare le sue parole: qualcuno stava rapendo i coloni umani e quel qualcuno, forse, lavorava per i Razziatori. Shepard era stato riportato in vita per quello: combattere e distruggere la più grande minaccia che l’umanità e l’intera galassia avevano mai dovuto affrontare.
Accettò con riserva le parole dell’Uomo Misterioso, gli disse che aveva bisogno di prove per credere alla sua storia, suscitando l’approvazione dell’uomo che aveva di fronte: una colonia umana, Freedom Progress, era appena stata attaccata, Shepard avrebbe avuto il compito d’indagare e poi, se le prove trovate lo avessero convinto, sarebbe stato reclutato per la missione.
Il suo primo istinto fu di dirgli di no: era già morto per l’umanità. Era stanco di combattere, stanco di veder morire le persone, stanco di dover prendere decisioni estreme per salvare il culo a della gente a cui non gliene sarebbe fregato niente. Lui era morto e, per quel poco che ricordava, era stato felice di esserlo. Finalmente in pace, finalmente libero. Ed ecco che qualcuno lo riportava in vita solo perché aveva bisogno di lui, perché lui era forte mentre tutti gi altri erano deboli, perché era maledettamente speciale.
No! Non combatto più!
Avrebbe voluto urlarlo, gridarlo, ma non riuscì a farlo e per un istante ritornò bambino, ritto davanti al portellone di una nave, il braccio alzato per salutare il padre che partiva per una missione dalla quale non sarebbe mai tornato*.
“Perché lo fai papà?” gli aveva chiesto “Perché combatti?”
Suo padre si era chinato, gli aveva arruffato i capelli, regalandogli uno dei suoi rari sorrisi “ Che uomo sarei se non cercassi di rendere migliore il mondo?”
Molti anni dopo, nel 2185, su una stazione spaziale di Cerberus, davanti all’uomo che aveva distrutto la sua vita, il defunto comandante Shepard strinse i pugni ed accettò ancora una volta di rendere migliore il mondo.




* Del padre di Shepard non ho mai letto né sentito niente, perciò mi sono permessa d’inventare di sana pianta.

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Capitolo 6
*** Ti conosco, ma non so chi sei ***


Freedom Progress, 2185
 
Tali‘Zorah vas Neema nar Rayya aveva una missione: trovare e salvare un membro della flotta migrante, Veetor, che la sfortuna e il caso avevano portato su una colonia umana devastata. Anche se “devastata” non era il termine più corretto per descrivere il destino di Freedom Progress.
Non c’erano macerie, corpi o pallottole nei muri: tutto era intatto, perfettamente in ordine, perfettamente normale, ma non c’era più nessuno. Gli edifici erano vuoti, le strade deserte e il silenzio terrificante.
Una colonia fantasma, una città priva di abitanti.
Ma i Quarian sapevano che Veetor era lì, da qualche parte, ferito e terrorizzato, avevano ricevuto il suo segnale di soccorso, giunto attraverso i canali criptati della flotta.
Ciò che i Quarian non sapevano era che Veetor aveva riprogrammato i Mech di sicurezza della colonia che ora sparavano a vista su qualsiasi cosa si muovesse: anche su coloro che avrebbero dovuto salvarlo.
La squadra da sbarco era stata colta alla sprovvista da quel fuoco amico, erano riusciti a neutralizzare il comitato d’accoglienza ma un paio di soldati erano rimasti feriti nello scontro. Tali si stava occupando di loro, al sicuro nel salotto di qualcuno, quando la porta alle sue spalle si aprì.
I Quarian imbracciarono subito le armi, puntandole contro i nuovi venuti: tre commando Umani.
Tali scattò in piedi – Fermi, non sparate!- urlò, a tutti e a nessuno.
Due degli Umani, un uomo e una donna, portavano il simbolo di Cerberus cucito sul petto, il terzo, un uomo col volto coperto dal casco, indossava una corazza N7. Quella semplice sigla le fece riaffiorare alla mente ricordi che si era illusa di aver dimenticato.
- Abbassate le armi!- tuonò il soldato N7 e la sua voce la catapultò indietro nel tempo …
Non può essere …
Attraverso il visore del casco colse il barlume di un paio di occhi azzurri.
- Ma tu sei … Shepard?- che assurdità. Shepard era morto due anni prima.
Ma invece di scoppiare a ridere l’uomo abbassò la pistola – Tali?-
I Quarian continuarono a puntare le armi sui nuovi arrivati e lei rimase immobile, imbambolata, incapace di parlare, persino di respirare.
Che cosa stava succedendo? Chi era quell’uomo che aveva la corazza, la voce, gli occhi di un uomo morto?
L’N7 si tolse il casco, rivelando un volto deturpato dalle cicatrici che lasciavano filtrare un bagliore rossastro, innaturale, attraverso gli squarci sulle guance e la fronte. Un bagliore che corrompeva la purezza di quegli occhi azzurri. Ma Tali conosceva quel viso che nemmeno le terribili cicatrici potevano imbruttire. Un volto duro, risoluto, fiero.
Di fronte a lei c’era il comandante Shepard … oppure no?
- Chi sei?-
L’uomo fece cenno ai suoi di abbassare le armi – Due anni fa ti ho dato dei dati sui Geth che ti avrebbero permesso di concludere il tuo pellegrinaggio, Tali’Zorah.-
Sentì le lacrime scivolarle silenziose lungo le guance, fu felice che il casco le nascondesse alla vista dei presenti – Abbassate le armi. È Shepard.-
- Che cosa ci fa il tuo vecchio comandante con Cerberus?- domandò quell’idiota di Prazza, rinfoderando con riluttanza le armi.
Ci fu uno scambio di battute tra lui e i due Umani che accompagnavano il comandante, ma Tali non sentì le loro parole. I suoi occhi erano fissi in quelli di Shepard, e sapeva che lui poteva vederla, malgrado il casco e la penombra.
Avrebbe voluto corrergli incontro, abbracciarlo, sentirlo vivo sotto le sue dita. Ma una parte di lei temeva di attraversare un fantasma oppure di stringere le dita su un pezzo di carne morta, fredda, tenuto in vita da un ammasso di circuiti. Erano proprio quegli occhi a spaventarla, con quel bagliore rosso, inumano.
Se gli avesse appoggiato una mano sul petto cos’avrebbe sentito?
Lui non disse niente, non sorrise, non si mosse, si limitò a fissarla con quegli occhi così poco umani, quasi a dirle che nemmeno lui sapeva cosa fosse.
Vivo o morto? Uomo o macchina?
Tali percepì distintamente che Shepard non aveva una risposta a quelle domande, che lui per primo dubitava della sua natura.
Quando il suo vecchio comandante parlò, fu per avere degli aggiornamenti sulla missione, per capire cosa ci facessero i Quarian sul pianeta e quali fossero i motivi della loro ostilità contro Cerberus.
E Tali si scoprì a rispondergli come se nulla fosse, come se lui non fosse mai morto, come se lo conoscesse appena.
Ripresero da dove si erano interrotti, unendo le loro forze contro i droni attivati da Veetor. E mentre Prazza e la sua squadra venivano fatti a pezzi, Tali osservò l’essere che vestiva i panni di Shepard scatenare tutta la sua furia biotica contro le estreme difese della colonia. Guardandolo Tali ne ebbe paura.
Ricordava il comandante Shepard in azione, era una forza della natura, un biotico eccezionale, ma non l’aveva mai terrorizzata in quel modo, non si era mai mostrato così sprezzante del pericolo, della vita. Combatteva come se fosse stato creato con l’unico scopo di distruggere e uccidere.
E quando ormai si era convinta che di fronte a lei stava un cyborg con le sembianze e i ricordi del vecchio comandante, il vero Shepard riaffiorò sotto quel viso deturpato e gli occhi persero quella venatura rossa che l’aveva tanto spaventata.
Shepard trattò Veetor con quella gentilezza e delicatezza che l’aveva spinta a seguirlo fin negli angoli più oscuri della galassia. La donna di Cerberus era pronta a portarselo via, in seno a un’organizzazione dalla quale il ferito e delirante Quarian non sarebbe mai uscito vivo, ma Shepard non glielo permise. Lo protesse con la sensata fermezza che lo aveva sempre caratterizzato e chiese con garbo di poter avere i dati del factotum di Veetor prima di lasciarlo alle cure dei suoi compagni Quarian.
Congedandosi rivolse a Tali uno sguardo curioso – Non sei obbligata a prendere Veetor e andartene.- le disse con gentilezza e le cicatrici parvero rimpicciolire, restituendo al suo volto l’aspetto di sempre – Puoi venire con me, come ai vecchi tempi.-
Era chiaro che lui stesso fosse consapevole dell’inevitabilità del suo rifiuto, ma quelle parole la commossero: dopo tutti quegli anni lui non l’aveva dimenticata.
- Non posso Shepard. Ho una missione, è importante.-
Lui si rimise il casco, forse per dissimulare un’ involontaria smorfia di amarezza – Capisco. Buona fortuna Tali, spero di rivederti.-
Si allontanò senza aspettare una risposta, lasciandola con troppe domande.
Dov’era stato? Com’era sopravvissuto? Perché era con Cerberus?
Ma di una cosa ora era certa: Shepard era tornato.
- Keelah se'lai, comandante.-

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Capitolo 7
*** Normandy ***


Stazione spaziale, 2185
 
Rivedere Tali, scoprire che era viva, in salute, forse addirittura felice lo fece sentire strano … forse perché non era più con lui. Non era più la ragazzina in pellegrinaggio con la smania di salvare la galassia, era una donna assennata e fiera, rispettata dai suoi uomini e con una missione da completare. Una missione che non le aveva dato lui.
Per Shepard erano passati solo pochi mesi dalla distruzione della Normandy, per tutti gli altri erano passati più di due anni.
Erano andati avanti, ognuno con la propria vita, e lui era rimasto indietro.
La sua mente corse ad Ashley ma subito ricacciò indietro quei ricordi ingombranti, che gli facevano tremare le mani. Non voleva pensare a lei. Non ancora.
Su Freedom Progress aveva scoperto che i timori dell’Uomo Misterioso erano fondati, i coloni erano stati rapiti da una razza aliena chiamata “Collettori”. In quei due anni avevano rapito migliaia di esseri umani, indisturbati, ignorati. Se lavorassero o meno per i Razziatori non era ancora certo, ma andavano fermati in un caso o nell’altro, e lui solo poteva farlo. Lui e Cerberus. Un accostamento che gli dava i brividi, ma quale altra scelta aveva, che cos’altro poteva fare?
L’Alleanza, il Consiglio, la sua vecchia squadra non c’erano, c’era solo Cerberus e il compromesso più atroce che mai aveva dovuto accettare.
Si strofinò le dita sulla fronte “Che uomo sarei se non cercassi di migliorare il mondo?”
Si era arruolato nell’Alleanza per fare proprio quello, per rendere il mondo migliore, come aveva fatto suo padre prima di lui. E come suo padre era morto. Ora gli veniva concessa una seconda occasione per fare l’unica cosa che gli riuscisse bene: combattere e morire.
Dire all’Uomo Misterioso che avrebbe lavorato con lui (non per lui) fu meno traumatico del previsto: non esplosero stelle né collassarono portali, perse solo un frammento della sua anima.
Il leader di Cerberus gli confermò l’irraggiungibilità della sua squadra, si erano sparsi per la galassia come le foglie di un albero strappate dal vento, e si sentì un fallito per non aver saputo realizzare qualcosa che sopravvivesse alla sua morte.
Quando l’Uomo Misterioso gli disse che aveva trovato un pilota che gli sarebbe piaciuto non diede peso alle sue parole, non voleva un qualsiasi pilota di Cerberus al comando di una qualsiasi nave di Cerberus per quanto eccezionali potessero essere. Lui voleva Joker e la Normandy, ma non c’era niente che potesse fare per riaverli indietro.
- Ehi comandante, è bello rivederti.-
Per un istante credette di essere impazzito: Joker era appena comparso davanti a lui come un genio uscito da una lampada. Rimase paralizzato, giusto il tempo necessario per rendersi conto che l’uomo che aveva di fronte era reale ed era lì per lui.
Allargò le braccia, sorridendo per la prima volta da quando si era risvegliato. Le cicatrici sul volto pizzicarono un po’, ma era troppo felice per curarsene.
- Joker! Non pensavo di rivederti!-
Il tenente timoniere Jeff Moreau, esitò un istante, stupito quanto lui (probabilmente più di lui, dopotutto non capita tutti i giorni di vedere un fantasma), ma si riprese discretamente in fretta - Non dirlo a me comandante.- replicò con la solita irriverenza - Io ti ho visto morire!-
Shepard ridacchiò, seguendolo su per le scale - Sono stato fortunato e mi hanno attaccato ad un sacco di tubi. - si fermarono davanti ad una grande vetrata, gli bastò intravedere il suo riflesso nel vetro per perdere la voglia di ridere - Dunque adesso lavori per Cerberus?-
Joker si strinse nelle spalle - Non sono poi tanto male, ti hanno riportato in vita, mi lasciano pilotare e poi c’è questo … - indicò oltre il vetro dove improvvisamente cominciarono ad accendersi delle luci - … l’ho saputo solo stamattina.-
Davanti ai loro occhi comparve una nave. La sua nave: la fregata più bella mai costruita, la sorella gemella della Normandy SR1. La nave che aveva di fronte era più grande dell’originale e sulla fiancata era dipinto il simbolo di Cerberus, ma per il resto era identica: Cerberus aveva saputo ricostruire la nave più avanzata della galassia.
Shepard sentì il cuore mancare un battito mentre ammirava lo splendore della nave che aveva di fronte, quella nave che mai aveva pensato di poter rivedere e, per un istante, dimenticò persino il suo odio per Cerberus.
- Bé …- mormorò con voce impastata, incapace di dire altro -… dovremmo darle un nome. –
Joker lo guardò con un sorriso che andava da un orecchio all’altro e, guardandolo, seppe che c’era un unico nome per quella nave: la Normandy era tornata.

Normandy SR2, 2185
 
Dunque è questo l’effetto che fa …
Camminare per i corridoi della sua nave sapendo che era la Normandy senza esserlo davvero, gli fece intuire cos’avessero provato Tali, Joker e la dottoressa Chakwas nel rivederlo.
La Normandy era morta con lui, nei cieli di un pianeta ghiacciato, eppure eccola lì, sotto i suoi piedi, riportata alla vita per salvare la galassia ancora una volta. Era tutto uguale a prima eppure ogni cosa era diversa.
Toccando le paratie della Normandy sentiva lo stesso senso di famigliare estraneità che provava toccando la propria pelle. Era una sensazione indescrivibile, un non essere che gli faceva venire le vertigini.
L’idea che nei circuiti della Normandy fosse installata un’Intelligenza Artificiale lo atterriva come lo era stato scoprire fino a che punto il suo stesso corpo era stato potenziato. Ora poteva addirittura usufruire di impianti cibernetici che rendevano la sua trama cutanea più resistente ai colpi, le sue ossa più dure, la sua vista più acuta, i suoi poteri biotici più letali.
Lo avevano trasformato in un superuomo, in qualcosa che lui non aveva mai chiesto di essere, in qualcosa che gli faceva paura. E alla sua nave era stata addirittura data una voce e un’intelligenza.
Evidentemente all’Uomo Misterioso piaceva giocare a fare Dio.
Alzò gli occhi sul suo riflesso nello specchio, a restituirgli lo sguardo c’era un uomo che non gli piaceva affatto; le cicatrici, la barba mal rasata, le occhiaie bluastre e gli occhi dai riflessi rossastri lo spingevano a pensare che ben poco dell’uomo che era stato fosse tornato dall’Aldilà.
E così anche Cerberus ha creato il suo mostro di Frankenstein.
Si scrollò di dosso quei cupi pensieri ed entrò nell’ascensore, sforzandosi di apparire il più umano possibile: aveva una missione da compiere, un equipaggio da arruolare e nessuno l’avrebbe seguito se non si fosse mostrato migliore dei nemici che dovevano combattere. Nessuno avrebbe seguito un cyborg in una missione suicida ma chiunque, anche un bambino, avrebbe seguito Shepard. Forse era proprio per quel motivo che l’Uomo Misterioso gli aveva dato quel volto e quei ricordi.
Miranda e IDA avrebbero potuto chiarirgli immediatamente qualsiasi dubbio sulla sua reale natura (uomo o macchina?) ma erano entrambe, in modo diverso, creature di Cerberus e gli avrebbero detto esattamente quello che lui voleva sentirsi dire: “Sei il vero comandante Shepard.”
Per quanto desiderasse sentire quelle parole non era detto che corrispondessero alla verità.
Solo il tempo gli avrebbe rivelato chi fosse veramente.
Attraversò la sala tattica con passo sicuro, rivolgendo cenni di saluto all’equipaggio di Cerberus che, nonostante tutti i suoi pregiudizi, gli era parso affidabile e competente. Raggiunse Joker nella cabina di pilotaggio e, per un istante, gli parve di scorgere Nihlus ritto su quello stesso ponte e Kaidan Alenko seduto al posto del copilota … sembrava rimasto tutto uguale.
No, era un’altra vita. Un’altra Normandy.
Nihlus e Kaidan erano morti, lui era morto e la Normandy era stata distrutta. Non doveva dimenticarlo.
Il sedile di Joker girò e il pilota gli rivolse un sorriso radioso – Non posso crederci comandante, è la mia bambina! Meglio che nuova!- esclamò, raggiante, blaterando anche qualcosa a proposito di sedili in pelle.
- Questa copia non voleva essere perfetta, signor Moreau.- intervenne IDA con la sua voce artificiosamente sensuale – Sono state apportate diverse migliorie.-
Joker osservò disgustato la proiezione olografica dell’IA posta al suo fianco
– Ed ecco l’inconveniente, comandante. Adoravo la Normandy quand’era bella e tranquilla, adesso c’è questa cosa di cui non voglio nemmeno parlare.-
Shepard incrociò le braccia al petto con aria di rimprovero – Qui non c’è niente che appartenga alla vera Normandy, Joker. Non lasciarti ingannare.-
Per un attimo Jeff parve quasi compatirlo – Ci siamo noi, comandante. Devo accontentarmi, gli ultimi due anni sono stati uno schifo.-
Aveva un’aria così afflitta che Shepard non poté trattenere un sorriso – Non dirlo a me: sono morto.-
Joker rise e fece per voltarsi ma Shepard lo trattenne – Che mi dici del vecchio equipaggio? Ho sentito che la maggior parte è sopravvissuta.-
Joker sospirò – Sì, Pressly non ce l’ha fatta. Tutti gli altri hanno preso strade diverse. All’Alleanza non importava nulla, forse perché non apprezzava i non-Umani del tuo equipaggio.- lo guardò da sotto in su, un po’ incerto – Eravamo la tua squadra, comandante … Con la Normandy distrutta e tu disperso, non c’era più molto a tenerci insieme.-
Aveva immaginato che le cose fossero andate esattamente così, che la sua squadra si fosse sciolta semplicemente perché nulla li teneva insieme, ma sentirselo confermare in quel modo, sapere che era successo davvero, fu una pugnalata in pieno petto.
Incassò il colpo, stoicamente, come avrebbe fatto con una pugnalata vera.
– Per ora è tutto.-
Joker voltò il sedile, apparentemente ignaro dell’effetto che le sue parole avevano avuto sul comandante – Ci vediamo, comandante.-
Shepard si avviò verso la mappa galattica, ignorò deliberatamente Kelly Chambers e i suoi sorrisini, e fissò la grande proiezione olografica della galassia.
“Non c’era più molto a tenerci insieme.”
Quanto vuote gli suonarono quella parole ...
Perché non avevano portato avanti la sua causa? Perché non avevano cercato i responsabili della sua morte?
Ashley … come poteva essersi rassegnata in quel modo? Non riusciva a credere che avesse accettato passivamente la sua morte senza cercare risposte né giustizia … se le parti fossero state invertite, se lei fosse morta in quel modo, lui … lui avrebbe ribaltato la galassia. E lo avrebbe fatto per qualunque altro membro dell’equipaggio.
E invece erano tornati alle loro vite, senza porsi domande, senza cercare risposte …
Strinse con forza la sbarra metallica davanti a lui: che senso aveva piangersi addosso?
Le cose erano andate com’erano andate e non poteva cambiarle.
Impostò la rotta verso Omega e andò a preparare le armi.
I suoi compagni erano andati avanti, era tempo che lo facesse anche lui.

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Capitolo 8
*** Non c'è Shepard senza Vakarian ***


Omega, 2185
 
Archangel inghiottì la pastiglia di stimolante e guardò mestamente il contenitore vuoto: erano due giorni che quelle pastiglie lo tenevano in piedi, a sparare, senza dormire né mangiare, ora che erano finite le cose si sarebbero messe male davvero.
Non gli importava di morire, non dopo quello che aveva visto, quello che aveva perso, ma non poteva sopportare l’idea di morire senza aver prima ucciso quel bastardo di Tarak. E poi c’era Sidonis … il Turian prese accuratamente la mira e fece saltare la testa ad un incursore degli Eclipse.
Doveva rimanere concentrato, vigile. Non poteva lasciarsi distrarre dal pensiero di Tarak e Sidonis, e da quello che avevano fatto alla squadra, ai suoi uomini …
Giurò a se stesso che sarebbe sopravvissuto: i suoi uomini meritavano vendetta, giustizia.
Aggiustò il visore e concentrò l’attenzione sull’avamposto nemico, i mercenari erano in agitazione: stavano tramando qualcosa.
Immaginò che finalmente si fossero decisi a tentare il tutto per tutto, avrebbero attaccato insieme, contando sul numero e la forza bruta.
Un piano che aveva buone probabilità di riuscire; se fosse stato in condizioni ottimali forse avrebbe retto il colpo … quel pensiero lo riportò su un pianeta lontano, quando portava un nome diverso e combatteva una battaglia più grande di lui, ricordò le parole di un eccentrico capitano Salarin: “Quest’oggi noi reggeremo il colpo.”
Scacciò quei ricordi che minacciavano d’inabissarlo definitivamente. Appartenevano ad un’altra vita e avevano il sapore di altre morti, di altre sconfitte.
Guardò attraverso il mirino, alla ricerca di un bersaglio e fu allora che capì di essere spacciato: stava cominciando ad avere le allucinazioni. Per un istante nell’inquadratura del mirino era comparso il volto di un uomo morto.
Scosse violentemente il capo e chiuse gli occhi, contò fino a tre, poi si rimise in posizione, il bulbo oculare incollato al mirino.
Individuò il bagliore di un biotico, mirò in quella direzione imprecando a denti stretti (i biotici erano i nemici che temeva di più: troppo imprevedibili, troppo instabili), portò il dito sul grilletto dì addio alla tua testa, bastardo … Il biotico voltò il capo e fissò dritto nel mirino: il proiettile lo mancò di due spanne buone.
Archangel si riparò dietro il parapetto, le mani che tremavano in maniera incontrollata com’è possibile? Lui è morto, è MORTO!
E allora chi diavolo era il biotico sul ponte che avanzava allo scoperto, quasi sfidandolo?
Il pavimento tremò sotto di lui, passi pesanti raggiunsero la porta sigillata: i mercenari erano entrati, volevano sfondare la porta.
Ma che importanza aveva? Lui … lui non ci capiva più niente …
Udì il rumore degli spari, i mercenari fuori dalla porta urlarono.
- Sta con Archangel!- tentò di urlare qualcuno, prima che le sue parole si perdessero in un gorgoglio incomprensibile.
Spiriti … che sia davvero lui?
Si sentì attraversare da una scarica di energia che parve quasi riportarlo in vita, si rimise in posizione e cominciò ad abbattere i mercenari rimasti sul ponte … alle sue spalle le porte si aprirono.
Come ha fatto a sbloccarle così in fretta?
- Archangel?-
Quella voce … la sua voce!
- Andiamo …- sibilò a denti stretti, rivolto al mercenario nascosto dietro una cassa, sul ponte. Che cosa stava aspettando per farsi ammazzare? Tanto non aveva scampo …
Infine l’uomo sporse leggermente la testa, nessun altro cecchino sarebbe mai riuscito a colpirlo, ma nessun altro cecchino era Archangel.
Quando la testa dell’uomo non fu più che un ricordo, Archangel si concesse il lusso di abbassare il fucile e girarsi verso i nuovi venuti.
Registrò rapidamente la presenza di un Salarian e di una femmina umana, ma tutta la sua attenzione si fissò sull’uomo al centro, un soldato dell’Alleanza, un N7 a capo scoperto: era lui dannazione!
La sua voce, il suo volto … non sembrava invecchiato di un giorno anche se le cicatrici rossastre che gli deturpavano il viso erano impressionanti e gli occhi … gli occhi erano davvero diversi.
Garrus Vakarian si sedette sul bordo del tavolo, appoggiò il fucile su una spalla e si tolse il casco – Shepard.- gli sembrava di non parlare da mille anni – Credevo fossi morto.-
Il sorriso che comparve sul volto dell’uomo fugò ogni suo dubbio: le cicatrici rimpicciolirono, il baluginio rosso degli occhi scomparve e si ritrovò di fronte il suo vecchio comandante, l’eroe della Cittadella.
- Garrus!- esclamò spalancando le braccia – Cosa diavolo ci fai qui?-
Le mandibole del Turian ebbero un fremito – Per lo più cerco di non farmi ammazzare.-
Una miriade di domande si affollarono nella sua mente, mentre osservava il suo vecchio comandante muoversi per la stanza come se niente fosse.
Si comportava come se fosse tutto normale, come se gli ultimi due anni non fossero mai trascorsi, come se la sua morte non fosse mai avvenuta …
Le preoccupazioni di Shepard sembravano tutte legate al qui ed ora e, a pensarci bene, forse aveva ragione.
Lasciò da parte tutti gli interrogativi, accettando con sollievo l’aiuto del suo vecchio comandante e dei suoi due compagni, un Salarian iperattivo e una biotica dall’aria altezzosa. Dovevano pensare a salvarsi la pelle, dopo ci sarebbe stato tempo per parlare …
Eliminarono gli Eclipse e il Branco Sanguinario come se fosse stata la cosa più semplice del mondo, ma le cose si complicarono quando i Sole Blu decisero di scendere in campo.
Tarak era un bastardo tenace.
Garrus non vide il razzo, proprio non lo vide. La detonazione lo fece saltare in aria, disgregò i suoi scudi e si aprì un varco nella corazza, senza sapere come né perché si ritrovò a boccheggiare sul pavimento, semisvenuto, con un solo pensiero in testa: chi li vendicherà, adesso?
Cercò di parlare, di dire a Shepard di lasciarlo perdere, di pensare solo a Tarak, ma il solo suono che emise fu un gorgoglio indistinto che minacciò di soffocarlo … si rifiutava di morire, non prima di aver vendicato i suoi uomini, non prima di aver trovato le risposte che cercava.
Shepard si chinò su di lui, visibilmente agitato, gli occhi di nuovo rossi, le cicatrici talmente marcate da renderlo irriconoscibile. Sentì il medi-gel entrare in circolo, dando sollievo al suo corpo martoriato, ma sapeva bene che non sarebbe bastato.
Prima di perdere conoscenza fissò il suo vecchio amico e non riuscì a impedirsi di rimproverarlo: dove sei stato, comandante? Avevo bisogno di te, Shepard e tu non c’eri. Non c’eri.

Normandy SR2, 2185
 
Avrebbe dovuto immaginarlo che il vigilante suicida di Omega era Garrus. Chi altri se non quel pazzo Turian avrebbe potuto fare incazzare le tre maggiori bande mercenarie della galassia?
Avrebbe dovuto prendere provvedimenti, essere più cauto, elaborare un piano migliore … ma era stato troppo lento, troppo imprudente e alla fine Garrus ci aveva quasi rimesso la pelle.
Shepard si appoggiò all’entrata dell’infermeria, chiedendosi se era il caso di entrare o meno. Mordin e la dottoressa Chakwas erano chiusi lì dentro da ore ormai, lasciandolo senza notizie. Non sapeva nemmeno se per Garrus ci fosse una qualche speranza.
Non sono ritornato in vita per vederlo morire tra le mie braccia.
Cerberus era stato in grado di resuscitare un morto! Possibile che ci volesse così tanto per curare un Turian colpito da un razzo?
- Comandante Shepard, consiglio di riposare.- IDA interruppe i suoi pensieri.
Sembrava sinceramente preoccupata, ma era un’IA e le IA non provano sentimenti, li simulano soltanto.
- Sto bene.- replicò, gelido.
- I tuoi parametri vitali dicono il contrario.-
I miei parametri vitali … non riuscì a trattenere una smorfia sarcastica … come se ci fosse ancora qualcosa di vivo in me.
Ignorò l’IA e rimase a fissare la porta finché, finalmente, la dottoressa Chakwas non uscì.
Sembrava sfinita ma tranquilla, vedendolo si bloccò sulla porta e lo fissò con un misto di stupore e orrore. In effetti non doveva avere un bell’aspetto: non si era tolto la corazza, che grondava ancora del sangue di Garrus e dei mercenari che aveva ammazzato e, dal modo in cui sentiva il viso tirare, immaginò che le cicatrici fossero particolarmente evidenti, rosse e pulsanti, come sempre accadeva quando si trovava sotto pressione. Era come se il suo corpo si plasmasse attorno al suo stato d’animo.
- Se la caverà.- annunciò la Chakwas anticipando la sua domanda.
Senza più la tensione a sostenerlo Shepard si sentì improvvisamente schiacciato dal peso di quella giornata infernale, barcollò leggermente e si appoggiò alla parete per non crollare miseramente a terra.
Se la caverà ripeté nella sua testa, come un mantra.
- Sono preoccupata per te, comandante.- l’espressione della donna confermava le sue parole.
- Sto bene.- replicò come aveva fatto con IDA, ma più gentilmente.
- Forse il tuo corpo può sopportare tutto questo, ma non sono sicura che possa farlo anche la tua mente.- la Chakwas sospirò – Mangia qualcosa e vai a letto, comandante. Garrus starà bene.-
Suo malgrado Shepard annuì, barcollò fino alla mensa e chiese a Rupert di portargli qualcosa di commestibile nella cabina, prese una birra ed entrò nell’ascensore, mentre la testa cominciava a pulsargli dolorosamente.
In quei giorni non si era risparmiato e il soggiorno su Omega era stato particolarmente faticoso, scoprire che Archangel era Garrus era stato un duro colpo, rischiare di perderlo lo aveva praticamente annientato.
Miranda e Jacob erano dei validi compagni, Mordin e Zaeed erano estremamente capaci, ma ancora non riusciva a fidarsi di loro: due agenti di Cerberus, uno scienziato pazzo dal passato discutibile e un mercenario leale solo ai soldi. Aveva bisogno di Garrus. Un bisogno morboso, vitale, voleva qualcuno di cui fidarsi ciecamente, qualcuno che gli avrebbe coperto le spalle sempre, incondizionatamente, qualcuno con cui condividere la responsabilità di una missione tanto importante.
Le porte dell’ascensore si aprirono e Shepard entrò nella sua cabina, gettando un’occhiata distratta all’acquario vuoto e al modellino della Normandy appeso nella bacheca, si tolse l’armatura con una smorfia di dolore. Con stupore notò che era stato colpito al braccio. Nulla di grave, una ferita di striscio, ne aveva collezionate parecchie nel corso degli anni, ma rimase per alcuni istanti a fissare il sangue denso, rosso, che usciva da quel graffio sull’avambraccio.
Sangue … ho ancora sangue …
C’era ancora qualcosa di umano in lui, dopotutto …
Si spogliò ed entrò nella doccia, assaporando la sensazione dell’acqua calda sulla pelle, che mondava il suo corpo dal sudiciume di cui era stato impregnato fino a quel momento.
Gli sarebbe piaciuto poter lavare allo stesso modo la sua anima.
Sospirò appoggiandosi alla parete, anche se lavorava per Cerberus, si disse, stava facendo qualcosa di buono, stava salvando vite umane e ora che Garrus era di nuovo al suo fianco, forse le cose sarebbero andate meglio, forse, finalmente, sarebbe riuscito a riposare …
Ricordò lo sguardo che Garrus gli aveva rivolto prima di sprofondare nell’incoscienza: dolore, rabbia … rimprovero.
Shepard chiuse l’acqua di scatto, trovandosi improvvisamente a tremare: sei davvero sicuro che lui voglia ancora combattere per te, Shepard?
Tali non l’aveva fatto.

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Capitolo 9
*** Archangel ***


Normandy SR2, batteria primaria, 2185
 
Garrus studiò con aria critica il fucile che aveva in mano: aveva appena montato lo stabilizzatore al posto del dissipatore di calore. Un errore che non avrebbe compiuto nemmeno una recluta idiota dell’Alleanza, eppure ecco che Garrus Vakarian che amava definirsi il miglior calibratore della galassia, e probabilmente lo era, si trovava tra le mani un fucile che avrebbe fatto vergognare qualsiasi Turian degno di quel nome. Decisamente non era giornata.
Strofinò le bende che gli coprivano il lato destro del viso: forse il colpo alla testa era stato più devastante di quanto la dottoressa Chakwas gli avesse fatto credere. Ma sapeva bene che non era quella la spiegazione: il suo fisico stava reagendo bene alle cure di Mordin e della dottoressa, i suoi progressi erano stati straordinari, inaspettati. Erano le condizioni della sua mente a preoccuparlo: gli eventi di Omega l’avevano completamente sconvolto e poi Shepard aveva pensato bene di fare la sua riapparizione. Lui, la Normandy, Joker e tutti i ricordi che si portavano appresso …
Aveva accettato di far parte della missione quasi per abitudine: non poteva dire di no a Shepard. Soprattutto non dopo che gli aveva salvato la pelle. Ma c’erano molte cose che non capiva e lo preoccupavano.
Cerberus non gli piaceva, il fatto che fossero degli xenofobi terroristi sarebbe stato sufficiente per dar loro la caccia, ma non era questo a turbarlo, poteva mettere da parte il suo disgusto per l’organizzazione, almeno per un po’, si fidava ancora del giudizio di Shepard … Shepard … era lui il perno attorno a cui ruotava tutto quanto: rivederlo gli aveva procurato una gioia immensa, ma anche una malcelata sensazione di orrore. C’era qualcosa di profondamente sbagliato nel suo ritorno dal mondo dei morti. Cerberus aveva compiuto molte azioni immorali: esperimenti coi Racni, coi mutanti e gli schiavi del Thorian … ma resuscitare un morto era più che immorale era … era immondo.
Stavano giocando con cose che non potevano comprendere, con un potere che non avrebbero dovuto avere.
Per gli Spiriti Liara, che cos’hai fatto?
Non aveva più avuto notizie dell’Asari da quella, tragica, discussione su Akuze, ma sapeva che dietro alla ricomparsa del comandante Shepard c’era lei. Lei che aveva giurato di ritrovarlo.
E alla fine Shepard era tornato, ma a quale prezzo?
Apparentemente non sembrava cambiato, uguale in tutto e per tutto all’uomo che aveva seguito ciecamente due anni prima, ma bastava incrociare il suo sguardo per capire che poco, molto poco, era rimasto di quell’uomo.
L’uomo che, due anni prima, aveva avuto la pessima idea di morire, lasciandoli soli in una galassia dove sembrava non esserci posto per quelli come loro.
Garrus era tornato sulla Cittadella, seriamente intenzionato a diventare uno Spettro, ma quel mondo, fatto di corruzione, intrighi, menzogne gli faceva ribrezzo. La gente moriva per strada e nessuno, né gli agenti dell’SSC né, tantomeno, gli Spettri facevano qualcosa per evitarlo. Non era nella natura di Garrus rimanere a guardare. E così se ne era andato, pellegrino in una galassia dove non c’era spazio per lealtà, coraggio, dedizione, in una galassia dove una persona che faceva la cosa giusta era considerata alla stregua di un male da epurare. Dove poteva andare quel Turian che non era un buon Turian?
Non poteva tornare su Palaven, dove ad attenderlo c’era solo un esercito di soldati perfetti che obbedivano ciecamente a un ideale che non si ponevano nemmeno il problema di condividere. Lui voleva tornare sulla Normandy, ma la Normandy non c’era più. Era affondata con il suo comandante.
E tutti loro, fratelli d’armi, compagni di mille avventure, si erano sparsi nella galassia, incapaci di rimanere insieme, schiacciati da una colpa troppo grande: essere sopravvissuti all’uomo che, in un modo o nell’altro, aveva dato un senso alle loro vite. Prima d’incontrare Shepard non erano niente, alla sua morte erano tornati ad essere niente. Solo pulviscolo gettato al vento.
Ma sulla Normandy Garrus aveva scoperto il proprio valore, l’importanza di combattere per una giusta causa.
La rabbia, il destino e un mercantile sgangherato l’avevano infine portato su Omega e lì era diventato Archangel, un giustiziere, come quelli dei fumetti.
A cosa serviva salvare la galassia dai Razziatori se non si riusciva a salvare la galassia da se stessa? Shepard non aveva dato la sua vita per vedere l’universo sprofondare nella corruzione e nel sopruso. L’equipaggio della Normandy non aveva rischiato tutto per salvare mercenari e trafficanti di sabbia rossa.
Giusto e Sbagliato, Bianco e Nero, Bene e Male. Nessun compromesso. Archangel non sapeva che farsene del grigio e la sua missione era diventata quella di portare un po’ di giustizia a chi, di giustizia, non ne aveva mai avuta. E altri si erano uniti alla sua causa, aveva formato una squadra, si era costruito una nuova famiglia che tramandasse i valori di quella che aveva perduto. Quante volte aveva pensato, sperato, che Shepard potesse vederlo ed essere fiero di lui?
Ma alla fine, miseramente, aveva fallito. Tradito da un uomo che considerava un fratello. Di fronte ai corpi straziati dei suoi compagni Archangel si era sentito svuotato. Aveva avuto la presunzione di voler cambiare la galassia, ma la galassia non voleva cambiare, la gente avrebbe continuato a morire per niente e non c’era nulla, nulla che lui potesse fare.
Shepard e Archangel non erano che alberi solitari che si ergevano di fronte alla tempesta, nella vana presunzione di poterla fermare, e alla fine, l’uno dopo l’altro erano stati sradicati. Per la prima volta aveva accettato l’inevitabilità del suo fallimento, convinto com’era di aver soltanto condiviso il destino dell’uomo che era stato il suo mentore. Si era rassegnato all’idea di morire per una giusta causa e l’aveva trovato … accettabile.
Poi lui era tornato.
Feroce, duro, sprezzante. Così diverso dall’uomo che aveva guadagnato il suo rispetto molti anni prima, l’uomo che era morto anche per lui.
Perché sei morto, Shepard? avrebbe voluto chiedergli Perché torni solo adesso? Io avevo bisogno di te prima, quando i miei ideali vacillavano, le mie speranze si dissolvevano, i miei uomini morivano. Non so che farmene, ora, del tuo ritorno.
Si era sentito preso in giro: tutti i suoi sforzi per voltare pagina, per crearsi una vita nuova, sua, erano svaniti, spazzati via dal sorriso strafottente di un uomo morto che pretendeva che nulla fosse cambiato, che si comportava come se nulla fosse cambiato, come se lui stesso non fosse completamente diverso dall’uomo che era stato.
Ma la verità aveva un sapore amaro: Shepard se ne era andato e loro avevano dovuto arrangiarsi. Che significato aveva, adesso, proprio adesso, il suo ritorno?
Se era per tornare, Shepard, non te ne saresti dovuto andare.
Erano pensieri irrazionali, stupidi, egoisti: Shepard non aveva scelto di morire né di tornare, e fargliene una colpa era profondamente sbagliato ma Garrus, semplicemente, se ne infischiava. Era arrabbiato con lui perché lo aveva illuso di essere fallibile, con la sua morte si era dimostrato debole e fragile: umano. Non era un superuomo, non era infallibile, invincibile, perfetto: Shepard poteva sbagliare, poteva morire. E Garrus nel suo fallimento si era sentito meno solo; dopotutto, si era detto, forse nemmeno Shepard avrebbe potuto fare meglio di lui.
E invece mi sbagliavo. Come sempre. Ma c’è una cosa che non capisco, Shepard: se sei in grado di sconfiggere persino la morte perché ci hai messo due anni a tornare, maledetto bastardo?
Non gli avrebbe voltato le spalle, non era da lui, ma qualcosa tra loro era cambiato, la loro amicizia era spezzata, se irrimediabilmente solo il tempo avrebbe saputo dirlo.
Lo sfrigolio dell’interfono lo fece sobbalzare, interrompendo il flusso di pensieri che suo malgrado non riusciva ad arginare.
La voce di Shepard si diffuse nel suo rifugio – Preparati, Garrus. Tra dieci minuti attracchiamo.-
Il Turian non si curò di rispondere, Shepard aveva la pessima abitudine di chiudere le comunicazioni senza aspettare una risposta.
Bé, almeno questo non è cambiato. Una ben magra consolazione.
 

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Capitolo 10
*** Lo Spettro di un uomo morto ***


Cittadella, 2185
 
Sbarcare sulla Cittadella sancì il suo definitivo ritorno.
Alexander Shepard era vivo ed era tornato.
Aveva rimandato quel momento il più a lungo possibile, prima su Omega e poi su quello strano pianeta da cui aveva recuperato un Krogan in una vasca.
Quando aveva ricevuto il messaggio di Anderson l’aveva ignorato, poi si era ritrovato sveglio, in mezzo alla notte, a fissare quelle poche righe che lampeggiavano sullo schermo arancione del suo terminale.
Doveva molto ad Anderson, aveva creduto in lui quando nessun altro sembrava disposto a farlo, arrivando addirittura a rischiare la corte marziale per aiutarlo. Non meritava il suo silenzio.
E poi … poi c’era Ashley. Aveva provato a contattarla, ma l’Uomo Misterioso non gli aveva mentito quando gli aveva detto che era irraggiungibile.
Be’ irraggiungibile per qualcuno che non fosse dell’Alleanza.
L’idea di non far più parte dell’Alleanza lo faceva sentire strano, sperduto. Aveva passato tutta la vita nell’Alleanza, ce l’aveva nel sangue, come Ash. Da quando aveva memoria il suo sogno era sempre stato quello di diventare un N7, come suo padre, ma aveva perduto molte cose, troppe, lungo la strada per realizzarlo.
Akuze aveva spezzato qualcosa in lui, gli aveva strappato l’innocenza dei suoi ventitre anni catapultandolo in un mondo fatto di morte e disperazione. Al suo ritorno dall’inferno aveva ottenuto tutto quello che aveva sempre sognato: medaglie, riconoscimenti, il grado di comandante ed era diventato un N7, scoprendo che non gliene importava niente. Su Akuze aveva perso tutto, per cosa? Una targhetta sulla corazza?
Quando era salito sulla Normandy come Primo Ufficiale era un uomo senza scopo, spezzato. Non gliene importava più niente dell’Alleanza e delle ambizioni dell’umanità. Erano state proprio quelle ambizioni a distruggere la sua squadra, la sua gente.
Ma sulla Normandy aveva trovato ciò che aveva smesso di cercare: un nuovo inizio. Il suo compito non era più quello di sopravvivere ma di salvare e lo aveva fatto, grazie ad una squadra eccezionale che gli aveva mostrato il valore di una battaglia giusta, necessaria: Kaidan era morto per una ragione, per salvare la galassia dalla schiavitù e dall’annientamento, mentre i suoi compagni su Akuze erano morti per … per niente. O meglio, erano morti per soddisfare la curiosità di un gruppo di scienziati.
Gli stessi per cui stava lavorando adesso.
Non gli importava di tradire l’Alleanza, la sua famiglia o i suoi ideali, lo stava facendo per una buona causa, per salvare delle vite … ma persino quella giustificazione impallidiva di fronte ai morti di Akuze. Per molti anni aveva convissuto con la sindrome del sopravvissuto, Akuze era stata difficile da superare ma c’era riuscito, grazie ad Anderson, alla Normandy, ad Ash e poi … poi era morto. Punto, fine della storia, capitolo chiuso.
E invece non gli era stata concessa nessuna fine, nessuno riposo.
Era stato riportato in vita … lui, lui solo, lui che era sopravvissuto a così tanti morti, che aveva fallito così tante volte … non sarebbe dovuto accadere, era un abominio; l’ennesimo abominio di Cerberus.
Se fosse ritornato all’Alleanza, se avesse consegnato se stesso e la Normandy, sarebbe stato un duro colpo per Cerberus e l’Uomo Misterioso, forse avrebbe avuto l’occasione di portare un po’ di giustizia ai morti di Akuze e di avere un po’ di vendetta per sé. Una prospettiva allettante che lo teneva sveglio di notte, fino al momento in cui rivedeva le case vuote di Freedom Progress, i filmati in cui i Collettori trascinavano via i coloni, risentiva il terrore nella voce di Veetor e la speranza in quella dell’ingegnere Goldstein che confidava in lui per salvare il fratello rapito su Ferris Fields …
E alla fine si era reso conto che non era lui a tradire l’Alleanza, ma era l’Alleanza, con la sua inazione, la sua indifferenza, a tradire lui e tutta l’umanità. Vendetta e giustizia avrebbero aspettato, adesso era tempo di pensare ai vivi e a chi poteva essere ancora salvato.
Sperò che Anderson potesse capirlo, e perdonarlo.
Si fermò davanti alla porta dell’ufficio del Consigliere Umano, a disagio.
Non sapeva che cosa sarebbe successo una volta varcata quella soglia.
Garrus dovette percepire i suoi timori perché gli appoggiò brevemente una mano sulla spalla, sussurrando – Comunque vadano le cose noi siamo con te.-
Grunt grugnì la sua approvazione.
Shepard inspirò profondamente ed entrò.
 
Anderson stava discutendo con i Consiglieri, o meglio con le loro proiezioni olografiche, quando la porta si aprì e Shepard fece la sua apparizione.
La voce gli morì in gola.
Aveva saputo del suo ritorno, ovviamente, nulla rimaneva a lungo segreto nella galassia e Shepard non era noto per la sua discrezione.
Si era preparato, ma vederselo comparire di fronte con la sua corazza N7 e il sorrisino strafottente, accompagnato da Garrus e da un Krogan enorme, lo spiazzò. Sembrava che qualcuno avesse fermato il tempo e premuto il tasto recall, portandolo indietro di due anni. Rivederlo gli fece capire quanto gli fosse mancato.
- Shepard …- sorrise – Eccoti …-
Shepard parve esitare per una frazione di secondo, poi gli tese la mano
– Anderson … sono felice di rivederla!-
Un saluto semplice, banale ma di una sincerità disarmante che rischiò di commuoverlo. Strinse la mano del suo vecchio sottoufficiale ed entrambi cercarono di dissimulare dietro un sorriso gli occhi un po’ troppo lucidi.
Il Consigliere Asari si schiarì la voce e il nastro riprese a girare.
I Consiglieri non si persero in convenevoli, né si mostrarono particolarmente colpiti dal ritorno di un loro Spettro morto anzi, fu chiaro sin da subito che consideravano la resurrezione del Comandante Shepard una vera seccatura.
Una seccatura che per di più lavorava per Cerberus, un dettaglio che persino Anderson aveva difficoltà a digerire. Ma considerata la storia di Shepard, la sua personalità, non ebbe difficoltà a concedergli il beneficio del dubbio.
Le colonie stavano sparendo davvero e né l’Alleanza né, tantomeno, il Consiglio stavano facendo qualcosa al riguardo.
Il tono, più che le parole, di Shepard trasudava diffidenza, addirittura odio, verso Cerberus ma vi era anche l’incrollabile certezza di non poter agire altrimenti.
Dietro i rapimenti si celavano i Collettori e Shepard, come Cerberus, aveva buone ragioni di credere che lavorassero per i Razziatori.
A quella parola i Consiglieri reagirono come se gli avesse puntato contro una pistola carica. Anderson si preparò al peggio: il Consiglio aveva passato gli ultimi due anni a negare l’esistenza dei Razziatori, in pratica smentendo tutte le affermazioni di Shepard.
- Questa teoria dei Razziatori dimostra quanto fragile sia il suo stato mentale.- sibilò altezzosamente il Consigliere Turian, come se avesse di fronte un povero pazzo e non l’uomo che l’aveva salvato – Lei è stato manipolato, da Cerberus e, prima ancora, da Saren. I Razziatori sono soltanto un mito, un mito che lei insiste a perpetrare.-
Qualcosa nel volto di Shepard mutò radicalmente, Anderson scorse delle cicatrici vermiglie sul suo viso, che non aveva notato prima, e negli occhi azzurri del comandante baluginò un’inquietante luce rossa.
Anderson si fece avanti, redarguendo pesantemente il Consigliere Turian, ricordandogli il prezzo che Shepard aveva pagato per la sua salvezza. Il Turian non sembrò minimamente colpito, ma la Consigliera Asari tentò di mitigare i toni, offrendo a Shepard un compromesso che assomigliava di più a un invito a togliersi dai piedi: poteva riavere il suo grado di Spettro, come riconoscimento personale, ma gli fece anche capire che il Consiglio non gradiva la sua presenza.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso.
- Sapete cosa vi dico?- ringhiò Shepard puntando minacciosamente il dito contro Consiglieri – Prendete la vostra offerta e ficcatevela nel culo. Combatterò e vincerò senza.-
Anderson trattenne il respiro, incredulo: aveva davvero detto quello che aveva sentito?
La reazione del Consiglio fu una risposta più che esauriente: minacciarono pesanti conseguenze e chiusero la comunicazione. Anderson fu grato per quella decisione, Shepard era schiumante di rabbia e protrarre la conversazione avrebbe solo reso drammatica una situazione già tragica.
Almeno Udina non era presente.
La porta dell’ufficio si aprì con un leggero sibilo e il Consigliere Umano fece il suo ingresso.
In futuro Anderson avrebbe tentato invano di dimenticare i minuti che seguirono, Shepard sembrava aver perso qualsiasi tipo di freno e quella che un tempo era stata una malcelata antipatia per il politico più influente dell’umanità, si manifestò in un aperto disprezzo.
Addio alla mia vacanza su Thessia.
Gli ci sarebbero volute settimane, se non mesi, per rimediare alla catastrofe diplomatica che Shepard aveva realizzato in pochi minuti.
Udina se ne andò infuriato, urlando ad Anderson che era licenziato, prospettiva allettante ma inverosimile, la sua importanza nell’ambiente politico era cresciuta di pari passo con la sua popolarità. Se Udina l’avesse licenziato la stampa di mezza galassia avrebbe voluto saperne il perché … col rischio che “l’affaire Shepard” divenisse di dominio pubblico.
Fu quello che disse a Shepard quando il comandante, finalmente rinsavito, si scusò per i guai che gli aveva procurato. Non se la sentì di biasimarlo, aveva detto esattamente quello che lui pensava da due anni e, dopo tutto quello che aveva passato, forse meritava di sfogarsi un po’. La morte ha lo strano vizio di rivedere le priorità di una persona.
Dopo essersi assicurato che i suoi compagni non se la fossero data a gambe, Garrus sembrava aver perso la parola mentre il Krogan fissava il comandante con un’intensità che rasentava la venerazione, Shepard si affacciò sul terrazzo che dominava il Presidium, l’espressione di nuovo rilassata anche se velata di malinconia.
Gli chiese degli ultimi due anni, dei lavori sulla Cittadella e della guerra contro i Geth, infine, con ostentata indifferenza, gli chiese di Ashley.
Anderson studiò attentamente la sua espressione, vi lesse ansia, timore, preoccupazione e qualcosa che assomigliava all’amarezza. Poco del ragazzino trepidante che si era arruolato nell’Alleanza molti anni prima era rimasto nell’uomo che gli stava di fronte. Quell’uomo lo riempiva di malinconia, e non era stata la morte a cambiarlo, almeno non la sua.
Ricordava di aver pensato le stesse cose quando l’aveva visto salire sulla Normandy per la prima volta e di nuovo durante la sua nomina a Spettro.
Quanto potrai ancora sopportare prima di spezzarti?
Ashley poteva essere la sua salvezza o la sua rovina.
- Williams è in missione per l’Alleanza. Il suo fascicolo è riservato Shepard, non posso dirti altro, mi dispiace.-
Il comandante sospirò, deluso e sollevato insieme – Capisco.- gli strinse vigorosamente la mano – Arrivederci Anderson. Buona fortuna.-
- La mia porta è sempre aperta, Shepard, ma promettimi una cosa: fai attenzione, non mi fido di Cerberus e non dovresti farlo nemmeno tu.-
Shepard gli rivolse un mezzo sorriso, quasi a dire che tutta la faccenda non lo riguardava, e si avviò verso la porta.
- Shepard …- il comandante si fermò - … hai avuto notizie di tua madre?-
Gli occhi azzurri di Shepard incontrarono i suoi, freddi come il ghiaccio – Avrei dovuto?-
Se ne andò senza aspettare una risposta.
Anderson rimase fermo sulla soglia a riflettere su quanto fosse terribile negare a un uomo la pace dell’eterno riposo.

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Capitolo 11
*** Quello che potresti diventare ***


Normandy SR2, 2185
 
Jack, Soggetto Zero, l’ennesimo esperimento di Cerberus, un altro mostro di Frankenstein alla ricerca del suo creatore, costretta a collaborare con i suoi peggiori nemici.
Guardandola aveva capito cosa sarebbe potuto diventare: un concentrato di rabbia, odio e dolore, che aveva come unico scopo quello di sopravvivere per un motivo inconoscibile. Jack era una creatura senza scopo, senza passato né futuro eppure continuava a lottare, strenuamente, per sopravvivere, per vivere una vita che non valeva niente.
Perché lo faceva?
Shepard fece scorrere il fascicolo: una sterminata lista di violenze, torture, esperimenti. Quella donna aveva subito di tutto, fatto di tutto, in molti al suo posto si sarebbero infilati una pistola in bocca e avrebbero premuto il grilletto, ponendo fine a una vita di tormento, ma Jack sembrava immune al fascino del suicidio, come se in fondo sapesse di poter essere qualcos’altro, come se si rifiutasse di credere che la sua vita fosse solo quello.
Forse era stato il destino a farli incontrare: lui poteva darle uno scopo e lei la forza di lottare.
Spense il terminale ed uscì dalla cabina, intenzionato a raggiungere il ponte macchine e la biotica che ne aveva fatto la sua dimora.
Probabilmente avrebbe accolto la sua visita con un “vaffanculo” ma non si sarebbe fatto scoraggiare da qualche parola scontrosa.
Erano due persone completamente diverse, la loro vita si era sviluppata agli antipodi eppure ad unirli c’era la disperazione di chi non è padrone della propria esistenza.
Lui, il biotico privilegiato, cresciuto in seno all’Alleanza, abituato ad essere considerato “speciale”. Aveva sempre considerato i suoi poteri come un dono, qualcosa di cui andare fiero; sua madre aveva nutrito grandi progetti per lui, lo aveva educato nel mito del superuomo: invincibile, infallibile.
Lei, la bambina – oggetto, fenomeno da baraccone, cavia da laboratorio; nessuno l’aveva mai considerata speciale, solo diversa. I suoi poteri non erano mai stati un dono, ma una maledizione. I medici avevano nutrito grandi progetti per lei, trasformandola in una biotica dai poteri spaventosi.
Le porte dell’ascensore si aprirono, distogliendolo dai suoi pensieri, con passo sicuro scese al livello inferiore, ignorando il ronzio delle voci di Gabby e Ken provenienti dal nucleo motore.
Trovò Jack seduta sulla branda, immersa nella lettura dei file di Cerberus che le aveva fornito. Stava cercando nomi, date, luoghi, stava cercando il suo Frankenstein e il laboratorio che l’aveva creata e poi … poi farà quello che deve fare.
Si sedette su una cassa di fronte a lei, Jack lo ignorò, ma irrigidì impercettibilmente i muscoli. Non si fidava di lui, e come biasimarla? Indossava una divisa di Cerberus, comandava una nave di Cerberus e metà del suo equipaggio faceva parte di Cerberus.
Shepard appoggiò la nuca alla parete e rimase a fissarla, cullato dal ronzio dei motori.
Nessuno l’avrebbe mai definita “bella”. Chiunque la guardasse vedeva solo un corpo magro, coperto di tatuaggi, una testa rasata e un volto duro, rabbioso, pesantemente truccato: lo stereotipo perfetto della pazza biotica. Ma quello era il Soggetto Zero, non Jack.
Chi fosse realmente Jack era quello che Shepard voleva scoprire.
- Si può sapere cosa vuoi?- sbottò la biotica, buttando il datapad sulla branda sfatta.
Shepard si strinse nelle spalle – A dirti la verità non lo so. Credo di volere delle risposte, ma non so ancora quali siano le domande.-
Dall’espressione di Jack si capì che lo considerava un povero pazzo – Be’ allora torna quando le avrai.-
Shepard non si mosse – Cerberus è tuo nemico, eppure sei qui: perché?-
- Sei stato proprio tu a farmi notare che non avevo altra scelta.-
- Tu dici?- si sporse verso di lei, le braccia appoggiate sulle ginocchia – Potevi morire … non è tanto difficile, credimi.-
Jack si ritrasse sulla branda, sulla difensiva – La morte non è un’opzione, Shepard, non per me. -
Shepard si accigliò – Davvero? Preferiresti tornare sulla Purgatory a farti violentare? O nei laboratori di Cerberus come cavia?-
Una smorfia rabbiosa deformò i lineamenti di Jack – Vattene.-
La ignorò – Che cosa ti ha dato questa vita, Jack? Perché ti ostini a vivere?-
Quella donna che non aveva niente si aggrappava alla vita come un bimbo al collo di una madre e lui che invece aveva avuto tutto era morto senza battere ciglio, con sollievo. Che cosa c’era di così speciale nella vita umana? Quella cosa che Jack si ostinava a rincorrere e che lui non riusciva nemmeno scorgere …
Jack gli rivolse un’occhiata disgustata – Mi hanno tolto tutto Shepard, tutto tranne una cosa. Per quanto squallida, sporca, insulsa possa apparirti la mia vita è tutto ciò che ho e non lascerò che me la portino via.- alzò il mento, sfidandolo – Ma tu che ne sai? Tu sei nato privilegiato, o sbaglio? Un ragazzino viziato che ha sempre avuto tutto e, come se non bastasse, alla fine ti hanno dato anche una nuova vita e una nuova nave.-
Shepard abbassò lo sguardo e si alzò – Hai ragione. Mi hanno dato una nuova nave, una nuova missione, una nuova vita. - appoggiò il palmo sulla paratia di quella nave che non era la Normandy – Ma non l’ho mai chiesto Jack. -
Lei non rispose, non ce n’era bisogno.

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Capitolo 12
*** Il fantasma di un uomo vivo ***


Horizon, 2185
 
I coloni sopravvissuti si aggiravano per le case deserte come fantasmi, incapaci di credere a quello che era successo. I Collettori avevano portato via le loro famiglie, gli amici, i colleghi … metà colonia era stata inghiottita dalla nave dei Collettori, condannata ad un destino incerto, inconoscibile, probabilmente terribile. Chi era rimasto non si dava pace: volevano lottare, combattere, inseguire i Collettori e riprendersi la loro gente ma … non potevano farlo. Le loro speranze viaggiavano sulle ali di una nave distrutta, il destino della loro gente era nelle mani di un uomo morto, dovevano la salvezza ad un’organizzazione terroristica.
Ashley Williams si prese la testa tra le mani, cercando di trovare un senso agli avvenimenti di quel giorno, sapeva di essere scampata ad un destino orribile per pura fortuna. Lui l’aveva salvata per l’ennesima volta, come su Eden Prime e Virmire.
Era stanca di sopravvivere sempre, aveva assistito a troppe morti, perso troppi amici …
Le era stato affidato il compito di proteggere Horizon e invece aveva fallito, di nuovo, come su Eden Prime. E oggi come allora lui era arrivato per rimediare ai suoi errori, per fare quello che lei, apparentemente, non era in grado di fare.
Digrignò i denti pensando a quanto le cose apparissero semplici e scontate quando era lui a farle. Ogni suo gesto trasudava superiorità: il modo in cui teneva il fucile, l‘arroganza nel gettarsi nella mischia, l’indifferenza verso i nemici che gli sparavano contro … sembrava che lo facesse apposta, per mostrarle quanto fosse migliore di lei.
Affondò le dita nei capelli scuri, piantando le unghie nella cute, con rabbia, odio, disperazione.
Due anni! L’aveva pianto per due anni! Ed era tornato come se niente fosse, con quel suo sorrisino beffardo e la baldanza del supereroe. Sembrava appena ritornato da una vacanza e lei si era sentita come una conoscente incontrata per caso.
Erano mesi che su extranet giravano voci del suo ritorno, non aveva voluto crederci, aveva preferito pensare che fosse morto piuttosto che vivo e … e con Cerberus. Pensava che se lui fosse davvero tornato allora l’avrebbe contattata, anche se era ai confini della galassia, in missione top secret. Non sarebbe stato semplice, certo, ma non era stato proprio lui a dirle che poteva fare qualunque cosa? I protocolli riservati dell’Alleanza non erano certo in grado di fermare un N7, uno Spettro che sfuggiva persino alla morte …
“Sono passati due anni Ash, tu eri andata avanti, non volevo riaprire vecchie ferite …”
Stronzate! Era meglio ignorarla forse? Lasciarla macerare nel dubbio che forse era vivo e che probabilmente si era dimenticato di lei?
Meritava di sapere che era vivo, che stava con Cerberus, meritava una spiegazione e invece era stata messa di fronte all’evidenza, con la pretesa che l’accettasse senza fiatare solo perché lui era Shepard e lei lo amava.
Se tu mi avessi contattata Shepard, se mi avessi mandato un messaggio, se mi avessi detto che eri vivo e che mi amavi … non mi sarebbe importato di Cerberus e dell’Alleanza, avrei mollato tutto e sarei venuta via con te … ma non lo hai fatto e adesso pretendi che io ti perdoni, che ti capisca?
No, non lei, non poteva farlo.
Shepard, il suo Shepard era morto, e l’uomo che era tornato era solo uno sconosciuto con indosso il suo volto.
Alex non avrebbe mai lavorato per Cerberus, non l’avrebbe ignorata come aveva fatto lui
Si lasciò scivolare lungo la parete della stanza e, per la prima volta da quando Shepard era morto, pianse.
Pianse per la 212, per Kaidan (cos’avresti fatto al mio posto, tenente?) e per Pressly. Pianse per Lilith, Richard e David, pianse per ogni colono di Horizon, anche quelli che l’avevano sempre osteggiata. Pianse Alexander e la sua morte, pianse Shepard e il suo ritorno. E pianse per l’artigliere capo Ashley Williams che forse aveva compiuto l’ennesimo, terribile sbaglio.
 
2185, Normandy SR2
 
Shepard si rigirò il bicchiere tra le dita, fissando con aria assente il liquido trasparente al suo interno, a stento ricordava l’ultima volta che si era preso una bella sbronza, non ne aveva mai avuto il tempo.
Ma questa volta intendeva recuperare il tempo perduto, una giovinezza sprecata nel compiere il proprio dovere.
“Dovere” era stato il mantra della sua infanzia, la guida della sua adolescenza … non si era mai tirato indietro, mai una volta aveva obiettato un ordine dicendo: “No signore, non posso farlo.”
Eppure nessuno sembrava ricordarsene, il suo ritorno aveva ormai fatto il giro della galassia, le reti informative galattiche sembravano non parlare d’altro, Umani, Asari, Salarian, Turian, Volus … tutti non facevano altro che discutere del ritorno del grande Comandante Shepard e del suo tradimento.
L’uomo che aveva salvato la Cittadella da Saren e dai Geth era diventato un traditore al servizio di Cerberus e non c’era nessuno che si ponesse il problema di capire perché. Era passato dalla parte dei cattivi e tutto il resto non aveva più importanza.
Poteva sopportare le critiche dell’opinione pubblica, di giornalisti e politici, non gli era mai importato granché. Riusciva a farsi scivolare addosso persino le accuse dell’Alleanza, aveva perso il rispetto per loro molti anni prima. Ma le parole di Ashley, la delusione nel suo sguardo, la freddezza con cui l’aveva accolto lo avevano ferito più profondamente di quanto gli piacesse ammettere. Era chiaro che lei avrebbe preferito saperlo ancora morto piuttosto che vivo e con Cerberus.
Vuotò il bicchiere in un sorso.
Sul momento non gli era importato molto, aveva cose più importanti a cui pensare: i coloni rapiti, la forza dei Collettori, il loro morboso interesse per lui.
Ma dopo aver pianificato la successiva missione, fatto sterili congetture con IDA e Mordin sulla natura dei Collettori e la stanchezza aveva preso il sopravvento sull’adrenalina si era ritrovato a pensare ad Ashley e alle sue parole.
Lo accusava di aver tradito l’Alleanza, di aver tradito lei … il toro che dà del cornuto al bue.
Durante il giorno poteva fingere di essere ancora il Comandante Shepard, l’uomo che non vacillava mai, che faceva sempre la cosa giusta, o almeno era convinto di farla, che non tornava mai indietro sui suoi passi. Ma quando la Normandy diventava silenziosa e le luci si spegnevano tornava ad essere Alexander, il ragazzino ingenuo e sognatore che la vita aveva trasformato in un uomo disilluso e cinico. Un uomo che dubitava continuamente delle scelte fatte dal Comandante Shepard.
Se avessi sacrificato il Consiglio, salvato Kaidan, ucciso la regina Racni ora le cose sarebbero diverse?
Si riempì nuovamente il bicchiere. Non si pentiva delle scelte compiute, tranne forse di aver scelto Udina come Consigliere al posto di Anderson, ma non era certo che fossero state giuste.
Svuotò il bicchiere: forse la risposta si trovava sul fondo della bottiglia.
- Ah eccoti …- Kasumi si sedette accanto a lui, non l’aveva sentita entrare, ma d’altronde era la ladra più abile della galassia.
- Mi stavi cercando?- domandò versandosi un altro drink.
Kasumi prese un bicchiere dal ripiano e lo posò accanto al suo, invitandolo a riempirlo – Kelly è preoccupata per te.- bevve un sorso e storse il naso – Che roba è?-
- Vodka.- svuotò il bicchiere e tornò a riempirlo – Kelly non ha motivo di essere preoccupata, sto bene.-
Kasumi soppesò la bottiglia mezza vuota – Hai una strana concezione dello “star bene.” Ma chi sono io per giudicare?- appoggiò la bottiglia e bevve un altro sorso – No, decisamente non mi piace. Non ti facevo tipo da vodka Shep.-
Shepard le rivolse un mezzo sorriso mentre si riempiva il bicchiere per la quarta volta; cominciava a vedere doppio e, finalmente, i cattivi pensieri si stavano offuscando come la sua mente – E sarei tipo da cosa?-
Kasumi si strinse nelle spalle spingendo il suo bicchiere verso di lui – Qualcosa di più raffinato: un whiskey costoso ad esempio. – lo squadrò con aria critica mentre svuotava in rapida successione i due bicchieri – Perché non ti attacchi direttamente alla bottiglia, visto che hai intenzione di finirla?-
Riempì entrambi i bicchieri, spargendo una buona dose di vodka sul bancone: che spreco – Forse perché mi fa sentire meno squallido.- biascicò con voce impastata – Fu mio padre a insegnarmi a bere vodka: liscia, da vero russo, non quei surrogati che bevono i ragazzini in discoteca.-
Kasumi appoggiò il mento sulle nocche riservandogli un’occhiata curiosa. Non si era mai chiesta le origini etniche di Shepard, in realtà non sapeva nemmeno il suo nome di battesimo. Per lei era solo il “Comandante”, l’uomo che l’aveva ingaggiata, anche se col tempo aveva imparato ad apprezzarne il carattere.
- “Shepard” non mi suona molto russo come nome. -
- Perché è il cognome di mia madre.- si asciugò la bocca – I miei genitori non si sono mai sposati; immagino che mi abbiano chiamato così perché Alexander Andrej Dolgorukov sarebbe risultato un po’ troppo lungo.- si rigirò il bicchiere tra le mani – O forse perché mia madre disprezzava le origini russe di mio padre.- si strinse nelle spalle e buttò giù la vodka.
Nel XXII secolo i tratti somatici degli umani si erano bene o male omogeneizzati, era difficile individuare le origini etniche di un singolo individuo e ben pochi si curavano di farlo. Dopo la creazione dell’Alleanza, la conquista dello spazio e la scoperta di altre specie gli umani erano diventati più uniti. Esistevano ancora le nazioni, ma difficilmente qualcuno si definiva cinese, piuttosto che francese o indiano; al massimo si era spaziali, coloni o terrestri. Kasumi era una delle poche persone a cui piaceva ricordare la propria appartenenza nazionale. Le piaceva definirsi “giapponese” non per motivi nazionalisti o razzisti, semplicemente perché amava il suo paese, la sua cultura, il suo popolo; nella vastità della galassia quella piccola isola era il suo porto sicuro, il solo luogo in cui non aveva paura di mostrare il viso. Era casa.
Osservando il volto di Shepard, imporporato dall’alcool, non ebbe difficoltà ad immaginarselo nella piazza Rossa di Mosca, con un colbacco in testa e un libro di Tolstoj in mano.
- Alexander Andrej … due nomi importanti.-
Shepard annuì e bevve – In onore di due grandi uomini: Alessandro Magno e Andrej Bolkonskij*. Uno reale e l’altro frutto della mente di uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. –
Kasumi si versò un bicchiere di latte di soja, di certo non si poteva dire che il bar della Normandy fosse sfornito: malgrado tutti i suoi difetti Cerberus era davvero generoso con il suo equipaggio.
- Ti si addicono.- asserì, convinta.
Shepard le rivolse un’occhiata appannata, afferrò la bottiglia e grugnì indispettito trovandola vuota – Davvero? Non credo, loro erano uomini d’onore, io sono solo un mercenario che combatte perché non sa fare altro.- scosse il capo fissandosi le mani – No, non sono affatto come loro.-
Kasumi allungò una mano e strinse quelle del comandante – Tu ispiri le persone Shepard, le rendi migliori. Come loro. Prima di salire su questa nave ero solo una ladra, forse la migliore, ma niente di più. Una criminale, come ce ne sono tanti.- era sincera come non lo era da molto tempo, con lui certo, ma soprattutto con se stessa – Tu mi stai dando la possibilità di fare la differenza, di combattere per altri e non solo per me stessa e questo vale per tutti. Noi siamo i rifiuti della galassia, non abbiamo nessuno e nessuno ci ha mai dato niente. Siamo stati traditi, rifiutati, sfruttati, abbandonati, alla stregua di oggetti, di strumenti da utilizzare e poi gettare via. Ma tu sei diverso, Shep.- gli occhi azzurri del comandante erano lucidi, forse era l’alcool o forse qualcos’altro – Tu ci fai sentire importanti, speciali. Non ti limiti a dare ordini ma ci ascolti, accetti le nostre critiche, i consigli, trattandoci da pari a pari anche se avresti moltissimi motivi per considerarti superiore a noi. Siamo pronti a dare la vita per te e so che tu saresti disposto a farlo per ognuno di noi. La galassia avrebbe bisogno di più persone come te.- abbassò lo sguardo, imbarazzata, non era da lei fare un discorso così profondo.
– Sono morto vestendo i panni di un grande eroe, ammirato e osannato da mezza galassia … ricordo poco della mia morte …- la voce di Shepard era dura, amara - … ma so per certo di aver pensato: “Va bene così, ho scritto il mio nome nella storia, vivrò in eterno.” Al mio ritorno ho scoperto che non soltanto la galassia mi aveva dimenticato dopo soli due anni, ma l’avevano fatto anche la mia famiglia, gli amici, la donna che amavo. Tutto ciò per cui avevo combattuto, ciò per cui ero morto, non contava più niente.- picchiò il pugno sul tavolo facendola sobbalzare – Il Consiglio ha fatto di me un folle, l’Alleanza mi ha completamente ignorato e i miei amici, il mio equipaggio, si sono dispersi ai quattro venti lasciando che le mie battaglie, i miei ideali morissero con me e ora qualcuno ha pure il coraggio di chiamarmi traditore. –
Rimase in silenzio a lungo a rimuginare su quelle parole. L’alcool non aveva cancellato i pensieri cattivi anzi, li aveva resi insopportabili.
- Ma sai qual è la verità? Forse hanno ragione. Non m’interessa più niente di questa galassia. Non combatto né per lei, né per il Consiglio o l’Alleanza, né tantomeno per Cerberus. Io combatto per voi.- si sporse verso di lei, sollevandole il mento con le dita, obbligandola a guardarlo –  La galassia ci chiama reietti, traditori, criminali? Che lo faccia, noi andremo avanti lo stesso. La salveremo suo malgrado perché siamo migliori di lei, perché combattiamo quando tutti gli altri fuggono e se questa battaglia chiederà la mia vita la darò volentieri: per voi. Siete la mia squadra, avete il mio rispetto e la mia devozione. –
Kasumi sentì il cuore accelerare i battiti, quelle parole la facevano sentire … potente. Si alzò, prima di fare qualcosa di cui potersi pentire; Shepard non era il suo uomo ideale ma non poteva negare che fosse decisamente attraente. Poi il comandante vacillò mentre tutto l’alcool ingerito cominciava a fare effetto.
- Andiamo Shep. - mormorò aiutandolo ad alzarsi – Sei completamente ubriaco.-
Shepard protestò debolmente, inciampò un paio di volte e alla fine decise che forse la ladra aveva ragione. Si lasciò trascinare fino all’ascensore, ridacchiando con aria saputa di cose che solo lui poteva conoscere.
- Hai bisogno di una mano, Kasumi?-
- Grazie Garrus, aiutami a portarlo nella sua cabina.-
Insieme riuscirono a trascinare un bofonchiante e ridacchiante Shepard nell’ascensore (“cos’è quella faccia Garrus? Sembra che ti abbia colpito un razzo …”) e infine nella sua cabina dove cadde a peso morto sul letto.
- Per gli Spiriti, non l’avevo mai visto in questo stato.-
- Considerato quello che ha bevuto sta alla grande.-
Si avviarono verso l’ascensore – Garrus …- Shepard si era puntellato sui gomiti, in un ultimo sprazzo di lucidità – … mi dispiace …-
Garrus esitò, confuso – Per cosa?-
- Per essere morto.-

 


* Principe Andrej Bolkonskij, uno dei personaggio di “Guerra e Pace” scritto da Lev Tolstoj.

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Capitolo 13
*** Destro-confessioni ***


 
Normandy SR2, 2185 
 
Tali’Zorah sistemò le sue poche cose sul ponte macchine, vicino al nucleo motore, il luogo più rumoroso della nave e il solo in cui riuscisse a riposare davvero. Anche la nuova Normandy era silenziosa, quasi più della vecchia.
Per un osservatore superficiale la SR2 era identica alla sua sorella defunta, ma per Tali le differenze erano enormi.
Il nucleo motore era tre volte quello della vecchia Normady e decisamente più potente, suo malgrado dovette ammettere che Cerberus sapeva come si costruivano le navi. Ma non era solo la tecnologia che guidava la Normandy ad essere cambiata, col tempo si sarebbe abituata agli spazi più ampi, alla luminosità abbagliante del nucleo, forse, mettendo da parte parecchi pregiudizi, avrebbe persino accettato la presenza di un’IA; no, il vero trauma erano stati propri i rumori. O meglio, la loro mancanza.
La SR1 aveva una voce tutta sua: il sibilo leggermente ovattato dei freni iperluce, l’impercettibile fruscio del sistema di occultamento, il leggero fischio delle ali quando si penetrava nell’atmosfera di un pianeta e poi gli scricchiolii delle paratie, il flebile ronzio dei motori, i cigolii di protesta del Mako ogni volta che Garrus armeggiava con il cannone, gli sbuffi di Wrex che puliva la corazza, gli scatti secchi delle armi che Ash smontava e rimontava con cura maniacale. La SR2 invece era vuota, silenziosa, ogni stanza isolata acusticamente, come se i rumori fossero qualcosa da cacciare, combattere.
Quel silenzio la terrorizzava, sprofondandola in una sensazione di solitudine che non aveva mai provato, come se nell’intera galassia non fosse rimasta che lei, sospesa in quella bolla senza tempo. E allora guardava i due ingegneri di Cerberus che lavoravano in silenzio accanto a lei, scambiandosi ogni tanto qualche parola sussurrata, ma senza osare rivolgerle la parola, e si pentiva di averli così duramente respinti quando avevano tentato di fare amicizia con lei. In realtà sembravano abbastanza simpatici, ma si era ripromessa di non dare confidenza all’equipaggio di Cerberus. Le mancava la vecchia guardia, i continui battibecchi con Pressly e le stimolanti discussioni tecniche con Adams. Ma, soprattutto, le mancavano le visite di Shepard.
Sulla SR1 il comandante scendeva spesso a trovarla, facendole un sacco di domande sui Quarian: sulla loro politica, i pellegrinaggi, la flotta, la guerra con i Geth. Sembrava sinceramente interessato e lei era felice e orgogliosa di poter parlare liberamente della sua gente, senza dover continuamente giustificare le loro azioni. Al contrario di molti altri Shepard non aveva mai considerato i Quarian come “i mendicanti della galassia” e aveva sempre trattato lei e la sua gente con rispetto, senza alcun tipo di paternalismo.
Non si era fatto problemi ad esporre le sue perplessità riguardo alla guerra contro i Geth ma non aveva mai preteso di giudicarli.
Tali adorava quelle conversazioni, aveva imparato molto dai lineari ragionamenti di Shepard, le aveva aperto gli occhi su molte cose e si era resa conto che la maggior parte dei problemi dei Quarian potevano essere risolti con una piccola dose di buon senso.
Ma quei tempi erano ormai lontani e, come la sua nave, anche il comandante sembrava più distante, freddo. Da quando era salita a bordo non era mai sceso a trovarla e quando si incrociavano a mensa o nella sala tattica limitava le sue conversazioni a questioni di ordinaria amministrazione. All’inizio si era detta che fosse semplicemente troppo occupato per venire a parlarle, ma poi aveva scoperto che quella freddezza, ai limiti dell’ostilità, era riservata esclusivamente a lei e a Garrus. Dopo ogni missione faceva un giro tra l’equipaggio, raccogliendo sensazioni, opinioni, assicurandosi che andasse tutto bene, che tutti fossero a proprio agio, ma sembrava evitare di proposito qualsiasi contatto che non fosse accidentale con lei e Garrus.
Tali lasciò perdere l’equazione su cui stava lavorando, non riusciva concentrarsi.
- Tutto bene Tali’Zorah?-
Quell’IA le dava decisamente sui nervi – Sì, benissimo.- replicò, gelida.
L’IA non rispose e Tali si domandò se non fosse stata un po’ troppo brusca, era stata gentile, dopotutto, ad interessarsi a lei.
Non riusciva a credere di star facendo un simile ragionamento a proposito di un’IA, ma dopotutto aveva accettato di sua spontanea volontà di fare parte della missione e forse doveva cominciare ad essere un po’ più accomodante col resto dell’equipaggio, non c’era da stupirsi se gli altri la evitavano. Il giorno prima aveva persino maltrattato Garrus.
Sospirò – Scusami IDA, sono solo un po’ nervosa, questo motore mi sta facendo impazzire.-
- Sono sicura che gli ingegneri Donnely e Daniels saranno felici di darti una mano, oppure posso pensarci io. – replicò prontamente l’IA, senza mostrare traccia di risentimento. Ammesso che sappia cosa sia.
- Non mi piace l’idea di delegare tutto a te.- replicò con una vena polemica.
- Non è mia intenzione sostituire il personale organico, Tali. Questa nave ha bisogno dell’apporto di tutti per funzionare alla perfezione, io sono qui solo per aiutare.- il tono di IDA era sempre lo stesso, ma Tali captò una lieve nota di stanchezza, come se l’IA fosse ormai stufa di dover ripetere sempre la stessa cosa.
Tali si stropicciò le mani, leggermente imbarazzata – Be’ questo motore può aspettare. Garrus è alla batteria primaria?-
- Corretto.-
- Grazie IDA.-
Spense il terminale e uscì dalla sala macchine, rivolgendo un cenno di saluto ai due ingegneri che le risposero leggermente titubanti; prima o poi si sarebbe dovuta scusare anche con loro, dopotutto non le avevano fatto nulla di male, tranne cercare di essere gentili.
Dal ponte inferiore la raggiunse un brusio di voci, si fermò, perplessa, chiedendosi chi potesse essere tanto folle da cercare di socializzare con Jack. Incuriosita scese silenziosamente le scale cercando di cogliere brandelli di conversazione.
- Questa nave è una meraviglia, potresti diventare un pirata e vivere come un re. -
Tali sbirciò dalla scala, Jack era accovacciata su una cassa, come un animale pronto a scattare, vedeva solo la schiena dell’uomo con cui stava parlando, ma non c’erano dubbi che fosse Shepard.
- E io potrei aiutarti …-
Lo Shepard che conosceva non avrebbe apprezzato una simile proposta, liquidandola con poche, gelide, parole …
- Saresti il mio primo ufficiale?- probabilmente le aveva persino sorriso. Quella di Jack era stata un provocazione e lui era stato al gioco, ma qualcosa nel suo tono le suggerì che trovava l’idea di mandare tutto al diavolo terribilmente allettante. Il nuovo Shepard assomigliava a Jack molto più di quanto le piacesse pensare, eppure avrebbe dovuto immaginarlo. La prima cosa che aveva pensato quando lo aveva rivisto in azione era stata che aveva la furia di animale. Come Jack.
Risalì le scale in fretta per sfuggire a quella conversazione che le metteva paura. Jack faceva quei discorsi perché era una pazza violenta … ma Shepard?
Raggiunse la batteria primaria quasi senza accorgersene, totalmente assorta nei suoi pensieri, e per poco non inciampò su Garrus, steso sotto uno dei cannoni della Normandy, immerso in chissà quale calibratura.
- Ehi, attenta a dove metti le zampe, Quarian.- la canzonò il Turian sbirciando da sotto il cannone – Un minuto e sono da te, devo finire questa calibratura.-
Tali si accoccolò su una delle casse di munizioni che ingombravano la stanza ed attese che Garrus finisse. Il tintinnio degli attrezzi la rilassò, sembrava di essere tornati ai vecchi tempi, quando le cose erano, paradossalmente, meno complicate.
- Cosa ne pensi dell’equipaggio, Garrus?- domandò, con noncuranza.
Garrus grugnì – Questo maledetto bullone …- ansimò, poi ci fu un sibilo e un verso soddisfatto. Il Turian emerse dalla sua occupazione, la corazza macchiata d’olio – Sono tutti degli ottimi elementi. Kasumi è davvero in gamba, Grunt … be’ si descrive da solo; e l’equipaggio di Cerberus è competente. Miranda non è il massimo della simpatia ma bisogna ammettere che sa il fatto suo.-
Tali sospirò – Ti fidi di loro?-
Garrus si sedette accanto a lei, le mascelle che si aprivano e chiudevano ritmicamente, come sempre quando era nervoso o a disagio – L’ultima volta che mi sono fidato di qualcuno non è andata bene … ma Shepard sembra fidarsi e non ho motivo di dubitare di lui.-
Tali si stropicciò le mani – Shepard sembra fidarsi di tutti tranne che di noi …-
Gli occhi azzurri di Garrus la studiarono attentamente per qualche secondo
– Allora l’hai notato … non siamo più ai “bei vecchi tempi”. E non sono sicuro di preferire questo nuovo Shepard al vecchio.-
- Questo non spiega la sua diffidenza. – mormorò Tali – Ci ha chiesto lui di tornare eppure ci sono delle volte in cui mi sembra di essere un’intrusa. Mi sento come se non ci fosse posto per noi su questa nave. –
Garrus sospirò – Joker mi ha detto che vi siete incontrati su Freedom Progress e che non ti sei unita a lui.-
Non voleva essere un’accusa, ma alle orecchie della Quarian fu esattamente così che suonarono le sue parole – Ero in missione per la flotta, Garrus!- replicò, mettendosi sulla difensiva – Non potevo mollare tutto e andare via con lui, con Cerberus!-
Garrus alzò le mani – Non ti stavo accusando Tali. Io sono salito su questa nave perché non avevo altra scelta …- indicò la benda che ancora gli copriva il lato destro del volto – Non ero nemmeno cosciente e una volta ripreso cos’altro potevo fare? Non avevo molte alternative e mi sono ritrovato a collaborare con Shepard più per caso che per … altro.-
In quella parola erano contenuti numerosi significati e solo in quel momento Tali cominciò a capire. Erano saliti su quella nave come tutti gli altri: per salvarsi la vita o per mancanza di alternative. Avevano accettato di seguire Shepard per … per caso. L’unica differenza era che loro non erano come tutti gli altri: erano l’equipaggio della vecchia Normandy, i fratelli d’armi di Shepard.
Tali si portò le mani al viso, incontrando la familiare durezza del casco che la separava dal mondo – Lui si aspettava che alla notizia del suo ritorno fossimo noi a cercarlo, pensava che saremmo tornati da lui …-
Garrus annuì – Già, invece tu lo hai respinto, mentre io … io non avevo scelta. E poi c’è stata Horizon.-
Garrus si alzò, prese il suo fucile di precisione e cominciò a smontarlo, colto da un’urgenza improvvisa, le mascelle che si aprivano e chiudevano nervosamente.
- Cos’è successo su Horizon?- domandò timidamente Tali – Joker mi ha accennato qualcosa ma …-
- Ma non era lì. - rispose seccamente Garrus trafficando con il condensatore del fucile.
Tali attese, osservando attentamente ogni sua mossa, perfettamente consapevole che la sua mente non era lì, sulla Normandy, ma lontana anni luce.
- La missione è stata dura Tali, davvero dura. Una volta Kaidan mi descrisse lo sbarco su Eden Prime e … credo che Horizon sia stato peggio. – alzò brevemente lo sguardo su di lei – Quando dovrai affrontare i Collettori capirai. Abbiamo salvato mezza colonia, ma gli altri …- scosse il capo - … non oso immaginare cosa stiano subendo. Conosci Shepard: lui vuole salvare sempre tutti.-
Tali annuì: in questo non era cambiato. Considerava ogni morte innocente come un fallimento personale.
- Poi è arrivata Ashley.- Garrus lasciò perdere il fucile, troppo nervoso per continuare a lavorare – Non è stato un incontro piacevole. La conosci, no?-
Non c’era bisogno di un racconto dettagliato per sapere come avesse reagito Ash, era una delle persone più impulsive che conoscesse, quasi quanto un Krogan.
- Quando ha avuto la conferma che lavoravamo con Cerberus è partita come un varren in calore, gli ha persino dato del traditore.- le mandibole di Garrus schioccarono.
- E lui?-
- Niente. Freddo come un pezzo di ghiaccio. È stato …- Garrus si rigirò il mirino tra le dita - … inquietante. Per la prima volta ho dubitato della sua …-
- … umanità.- Tali conosceva bene quella sensazione. Spesso mentre erano in missione si chiedeva dove finisse l’uomo e cominciasse la macchina. Come su Freedom Progress.
- Garrus …- aveva paura di fare quella domanda, ma la tormentava da troppo tempo - … tu credi che sia davvero lui? Insomma chi ci dice che non sia … una macchina?-
Garrus le rivolse uno sguardo indecifrabile, a metà tra il rimprovero e la comprensione – Devo ammettere che, dopo Horizon, per un attimo ci ho pensato. Prima non si sarebbe mai comportato così, di certo non con Ash.  Poi però la sera ho visto Kasumi che lo trascinava verso l’ascensore, completamente ubriaco …-
Tali sussultò: Shepard ubriaco? Non riusciva proprio a figurarselo.
Garrus le rivolse il suo sorriso da Turian, tutto denti  e mandibole – Non l’avevo mai visto così: rideva e straparlava come un ubriaco qualsiasi, come una persona qualsiasi. Ho rivisto in lui l’uomo che avevo giurato di seguire due anni fa. - sospirò – L’abbiamo messo a letto e mentre ce ne stavamo andando mi ha detto …- c’era qualcosa che non aveva mai sentito nella voce di Garrus: dolore, rimorso, colpa - … mi ha detto che gli dispiaceva di essere morto. –
Tali s’irrigidì, indecisa sul significato da attribuire a quelle parole.
- Io, te, Ash … tutti quanti abbiamo fatto della sua morte la sua colpa. E l’ha capito, forse addirittura prima che ce ne rendessimo conto noi stessi.- Garrus sospirò - Su Omega quando è riapparso ero felice certo, ma anche profondamente deluso. Mi sono sentito tradito, come se la colpa di questi due anni d’inferno fosse sua, come se morendo ci avesse abbandonato.- scosse il capo – Ieri sera mi sono reso conto di quanto meschini fossero quei pensieri. Per la prima volta da quando lo conosciamo è lui ad avere un disperato bisogno di noi, Tali, di tutti noi, ma …- si rimise ad armeggiare con il fucile forse per mascherare il tremito delle sue mani- … ma noi non ci siamo. Lo abbiamo abbandonato.-
Tali sentì la vergogna imporporarle le guance: aveva ragione.
Tutti i suoi dubbi, i cattivi pensieri, le apparvero in tutta la loro folgorante meschinità. In tutto quel tempo aveva pensato solo ai suoi problemi, ai suoi sentimenti, senza chiedersi che cosa stesse passando lui. Lui che era morto e risorto.
- Credi che dovremmo parlargli?-
Garrus scosse il capo – Quando sarà pronto verrà lui.-
Si alzò e guardò riconoscente il Turian, felice che fosse lì con lei. In quei due anni le era mancato davvero tanto, più di tutti gli altri. C’era un motivo, dopotutto, se gli abitanti di Omega l’avevano soprannominato “Archangel”.
- Meglio che vada, ho un motore da sistemare. Grazie Garrus.-
Il Turian non alzò la testa, di nuovo concentrato sul lavoro – E io ho un sacco di calibrature arretrate. Ci vediamo in giro, Tali’Zorah.- mentre la Quarian usciva alzò la testa, l’espressione tesa - … Tali?-
Lei si fermò sulla porta, sorpresa.
- Hai più sentito Liara?-
Le mani della Quarian si intrecciarono nervosamente – No, ma Miranda mi ha detto che è su Illium, a Nos Astra. Siamo diretti lì.-
Garrus si appoggiò alla parete, colpito da un’improvvisa spossatezza. Liara doveva molte spiegazioni, a tutti quanti.
- Che gli Spiriti ci proteggano: non sarà piacevole.-
Tali annuì – Keelah se’lai, Garrus.- 

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Capitolo 14
*** Ritrovarsi ***


Illium, 2185 
 
Sbarcare su Illium fu un piacevole cambiamento. Nos Astra era una grande metropoli, piena di vita, luminosa e pulita. Una rarità nei Sistemi Terminus, il “Far West” della galassia. Ma Garrus non mentiva quando diceva che non era diversa da Omega. La criminalità e la violenza avevano solo volti più belli e modi più raffinati di esprimersi. Shepard si affacciò al terrazzo panoramico che sovrastava la città, Nos Astra accoglieva i visitatori facendo sfoggio di tutta la sua sfavillante bellezza. Le Asari sapevano bene come affascinare le persone.
Shepard si concesse un momento per riflettere sulla prossima mossa: aveva bisogno di informazioni per trovare l’assassino e la justicar, due candidati per la missione, e IDA gli aveva anche suggerito chi potesse avere tali informazioni. La dottoressa Liara T’Soni era diventata un’importante informatrice e avrebbe potuto aiutarlo, ma la prospettiva d’incontrarla lo metteva a disagio.
Come si sarebbe comportata? Con la rabbia di Ash o l’indifferenza di Tali e Garrus? Avrebbe accettato di seguirlo? E lui era ancora sicuro di volerla nella squadra?
All’inizio rivolgersi al suo vecchio equipaggio gli era sembrato naturale come respirare, ricordava ancora quello che aveva detto a Jacob il giorno del suo risveglio: “Era la mia squadra. Se sapessero che sono ancora in vita verrebbero a cercarmi.”
Non era accaduto.
Scrollò le spalle e si allontanò dalla ringhiera – Andiamo a cercare Liara.-
Non gli sfuggì lo sguardo che si scambiarono Tali e Garrus, erano preoccupati, e come poteva dargli torto? Lo era anche lui.
Non fu difficile trovare il suo ufficio, apparentemente la timida e introversa archeologa che aveva conosciuto due anni prima si era trasformata in una donna di successo, rispettata e stimata da tutti.
Faticava a far coincidere le descrizioni della nuova Liara con l’ingenua Asari che ricordava. Si chiese cosa l’avesse spinta a cambiare così tanto.
Quando entrò nell’ufficio rimase spiazzato. Eppure Nyxeris, la segretaria, era stata chiara: Liara era diventata molto potente e sicura di se’.
Ad essere onesti Shepard non le aveva creduto. Liara era Liara e su di lei avrebbe messo la mano sul fuoco.
A differenza della maggior parte delle Asari, ben consapevoli della loro avvenenza, Liara non aveva mai ostentato la sua innata bellezza. Aveva conquistato il cuore di tutti con la sua ingenua goffaggine e la spiccata intelligenza. Ma non c’era niente di goffo nell’Asari che si ritrovò di fronte, fasciata di uno splendido vestito che metteva in risalto le sue forme e la delicata sfumatura blu della sua pelle. Quell’Asari sensuale e pericolosa non poteva essere Liara. Lei non era così. Shepard non voleva che fosse così.
Stava parlando al terminale, con l’interfaccia olografica di un uomo visibilmente spaventato, dava le spalle alla porta e non si era accorta del loro ingresso.
- Hai mai affrontato un’unità di commando Asari? – domandò con un tono che era minaccioso e annoiato insieme - Pochi umani sono sopravvissuti per raccontarlo. Sarò molto chiara: pagami o verrò a scuoiarti … con il potere della mente.- chiuse la comunicazione senza aspettare una risposta. Un modo di fare che ricordò a Shepard Aria T’Loak, la spietata e incontrastata regina di Omega.
Liara si voltò, alzò lo sguardo e sussultò. I grandi occhi azzurri si spalancarono e l’Asari dovette sorreggersi alla scrivania per non crollare. Per un istante Shepard rivide l’archeologa impaurita che aveva salvato su Therum.
- Shepard! – ansimò - Nyxeris di’ a tutti che sono occupata.- la segretaria annuì e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Liara fece il giro della scrivania e allungò una mano tremante, come se avesse paura di toccarlo e scoprire che era solo un fantasma.
Tutte le riserve di Shepard si sciolsero, non gli importava come fosse vestita o si comportasse: l’aveva ritrovata ed era bello poterla rivedere.
Fece un passo avanti, sorrise e l’abbracciò.
- Oh Shepard …-
Sentì il corpo magro dell’Asari tremare tra le sue braccia e odiò l’armatura che gli impediva di sentire il calore e la delicatezza del suo tocco.
Dio quanto mi sei mancata …
Lui e Liara condividevano qualcosa che andava oltre l’amore o l’amicizia. Per ben due volte, durante la caccia a Saren, avevano unito le loro menti, per permettere a Liara di accedere alle visioni che la sonda Prothean gli aveva trasmesso e Shepard sapeva che nulla avrebbe mai potuto eguagliare quell’esperienza. Le loro menti si erano toccate, unite, intrecciate, aveva sentito lo spirito di Liara sfiorare il suo, una carezza fresca e delicata, come la brezza in primavera. Si era sentito misero, meschino di fronte alla purezza di quello spirito luminoso, aveva sentito la necessità di nascondersi, fuggire, vergognandosi della sua anima corrotta e lurida, ma lei non glielo aveva permesso. Si era immersa nei suoi pensieri con la leggerezza di una farfalla, libera da qualsiasi giudizio, non c’erano state condanne né compatimenti, aveva portato luce laddove sembrava esserci posto solo per le tenebre. E in quella cacofonia di luci, emozioni, vibrazioni lui l’aveva amata. Non come un uomo ama una donna, ma come un cieco ama la luce che si fa strada per la prima volta nei suoi occhi.
Nell’intera galassia non c’era nessuno che lo conoscesse meglio di Liara. Lei lo amava, incondizionatamente, di questo Shepard era perfettamente consapevole, ma l’idea di averla fisicamente, carnalmente, era per lui inconcepibile, blasfema. Liara era la sua musa, il suo nirvana e non poteva essere nient’altro.
Per quanto potesse amarla non era Ashley … chiuse gli occhi: no, non voleva pensare a lei.
- Le mie fonti dicevano che eri ancora in vita, ma non ci ho mai creduto.- mormorò Liara separandosi da lui, la voce roca, gli occhi lucidi - È un piacere rivederti.-
Shepard le accarezzò il viso, maledicendo i guanti della corazza che gli impedivano di toccare la sua pelle.
- Anche per me …-
Liara gli sorrise prima di rivolgere la sua attenzione a Garrus e Tali che erano rimasti in disparte, visibilmente imbarazzati. Shepard non poté fare a meno di percepire una certa tensione tra i suoi vecchi compagni, soprattutto fra Liara e Garrus; c’era un muro a spararli. Un muro di cose non dette, di liti irrisolte. Lo stesso che lui si era costruito attorno, giorno dopo giorno.
Nel silenzio imbarazzato che seguì fu chiaro a tutti che quel muro doveva essere abbattuto, ma che nessuno osava fare il primo passo.
Ognuno di loro stava nascondendo qualcosa a tutti gli altri.
Shepard ruppe il silenzio chiedendo a Liara informazioni sulle persone che stavano cercando e lei rispose quasi con sollievo, senza mostrarsi troppo stupita alla notizia che lui lavorasse per Cerberus: sapeva più cose di quanto volesse ammettere e il suo lavoro contro l’Ombra celava ben più di una personale vendetta.
Quando la salutò, con la promessa di aiutarla contro l’Ombra, Shepard era ben consapevole di aver solo rimandato un discorso che avrebbe potuto distruggere per sempre la loro amicizia, ma sapeva anche che non farlo l’avrebbe distrutta di certo.
Il giorno della verità era vicino, ma non era quello il giorno. Quel giorno c’era solo la gioia di essersi ritrovati.

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Capitolo 15
*** Ti ho cercato in tutta la galassia ***


Illium, Nos Astra, 2185
 
Liara si sdraiò sul letto, sfinita: era stata una lunga giornata. Con l’aiuto di Shepard aveva scoperto che Nyxeris era la spia dell’Ombra a cui dava la caccia e alla fine aveva dovuto ucciderla. Le era dispiaciuto, ma neanche troppo e questo le faceva paura. Si stava trasformando in una persona che non le piaceva affatto. Quei due anni l’avevano cambiata tanto, troppo. La mattina, guardandosi allo specchio, stentava a riconoscersi … che fine aveva fatto l’archeologa ingenua di Therum? A volte si domandava se non fosse rimasta sulla Normandy anche lei, insieme a Shepard … Shepard …
Alla fine sei tornato …
Era tornato certo, ma a che prezzo?
Qualche ora prima aveva parlato con Tali, in videochiamata, la sua vecchia amica Quarian sembrava sinceramente preoccupata. Shepard era cambiato, le aveva detto, aveva perso la sua … umanità.
Prima di salire sulla Normandy l’Asari non conosceva il significato di quella parola, l’aveva scoperto a poco a poco, missione dopo missione e Shepard era stato il suo mentore. Su Noveria aveva permesso a sua madre di morire con dignità e poi aveva salvato la regina Racni, rifiutandosi di compiere un genocidio in nome della paura. Su Feros aveva rischiato tutto per salvare la colonia, anche se le autorità l’avevano definita “sacrificabile”. Le sue azioni erano sufficienti per indurla ad ammirarlo, ma dopo aver unito le loro menti aveva scoperto di amarlo. Immergendosi nei suoi pensieri aveva avvertito dolore, solitudine, rabbia ma anche speranza e fiducia … fiducia in una galassia che sembrava votata all’autodistruzione. Lui voleva cambiare il mondo, e l’avrebbe fatto.
Liara sospirò, rigirandosi tra le mani la foto della Normandy che teneva appoggiata sul comodino; se doveva credere a Tali alla fine era stato il mondo a cambiare lui. E in parte la colpa era anche sua.
Era stata lei a riportarlo indietro, a consegnare il suo corpo a Cerberus e adesso, ripensandoci, si chiedeva se non avesse commesso un terribile sbaglio: Shepard era un uomo spezzato, tradito, il Drell che l’aveva accompagnata nella missione, Feron, era morto o prigioniero e lei … lei aveva perso la sua innocenza, la sua purezza. Era diventata un’assassina, come tanti altri.
Rimise a posto la fotografia, si rintanò sotto le coperte e spense la luce, pregando la Dea perché le concedesse un sonno senza sogni.
Avrebbe dovuto saperlo che gli dèi non ascoltano.
 
Sistemi Terminus, 2183
 
All’Afterlife chi cerca qualcosa spesso lo trova: droga, sesso, informazioni e, talvolta, la morte.
Quella sera Liara T’Soni cercava informazioni. Informazioni su un uomo morto. Ma evidentemente aveva scelto l’informatore sbagliato, l’Elcor che aveva contattato era inutile quanto noioso e dopo averle detto che non era il servizio informazioni del bar aveva iniziato a dilungarsi sulle incomprese doti di ballo degli Elcor.
- Che meraviglia gli Elcor …- lo interruppe una voce sarcastica - … hanno la stessa espressività dei vostri alberi e, se non dichiarassero il tono di ciò che dicono, sarebbe proprio come parlare a una pianta.-
Nonostante il cappuccio che gli celava il viso Liara non ebbe difficoltà a riconoscere la specie dello sconosciuto: un Drell, il loro timbro vocale era inconfondibile, mistico e gutturale.
- Ah non saprei, io …- il viso dell’Asari s’illuminò – Aspetta. Tu! Tu devi dirmi qualcosa riguardo il comandante ...-
Non era l’Elcor il suo informatore, ma il Drell!
- No. Non qui.- la interruppe lui, facendole cenno di abbassare la voce – Usciamo.- si allontanò senza preoccuparsi che lo seguisse.
Liara esitò per un istante: non era saggio seguire uno sconosciuto per i vicoli di Omega, ma d’altronde era arrivata fin lì … non era una sprovveduta, aveva fatto parte dell’equipaggio di Shepard, lo aveva aiutato a sconfiggere uno Spettro rinnegato e un Razziatore! E poi aveva i suoi poteri biotici …
Pagò il drink e seguì il Drell fuori dal locale.
- Non è per nulla sicuro andare in giro per Omega a fare domande, anche se sei uno di queste parti.- la informò il Drell quando lo raggiunse – Non è stato facile trovare le informazioni che cerchi, nemmeno per me.-  
Imboccò una strada deserta e Liara lo seguì, titubante – Dove mi stai portando? Cosa sai di …- il Drell la spinse di lato in una rientranza buia, soffocando il suo gridolino sorpreso con una mano.
- Spiacente Liara …- si scusò, liberandola - … ma ci stavano seguendo.- abbassò il cappuccio rivelando il volto squamoso. I Drell non erano molto diversi da Asari e Umani, i tratti del viso li ricordavano molto, ma le somiglianze finivano lì. Dopotutto erano rettili. – Sono Feron, e hai indovinato: so dove si trova il comandante Shepard. Ma quello che devo dirti non ti piacerà.-
Liara si appoggiò al muro, lo sguardo basso -È morto?- non voleva crederci, lui non poteva essere morto.
- Sì … o quasi.- gli occhi neri del Drell la fissarono, indecifrabili – Difficile spiegarlo. Il suo corpo è stato recuperato in una capsula di stasi. Se non è morto di certo non è nemmeno vivo …- il suo tono si addolcì – So che hai fatto parecchia strada … mi dispiace essere ambasciatore di cattive notizie.-
Liara si raddrizzò, incrociando le braccia al petto – Devo … devo vederlo con i miei occhi, Feron.- solo così avrebbe accettato la sua morte. Non poteva semplicemente rassegnarsi all’idea come avevano fatto gli altri, non lei.
Feron sospirò – Liara … tu non sei l’unica a cercare Shepard. Ti suggerisco di lasciare riposare i morti in pace. -
Liara strinse i pugni, sentendo l’energia biotica pulsarle contro le tempie
– Immagino che le mie parole non siano state tradotte bene in lingua Drell.- lo guardò con aria minacciosa - Ho detto che devo vedere Shepard.-
Se un essere umano l’avesse sentita in quel momento probabilmente le avrebbe ricordato un vecchio adagio: “attenta a quello che desideri: potresti essere accontentata.”
La sua gita su Omega era finita in una trappola dei Sole blu, lei e Feron non avrebbero avuto scampo se non fossero incappati in un pericoloso quanto improbabile alleato: Miranda Lawson, agente di Cerberus.
La donna e i suoi uomini li avevano salvati dai mercenari dichiarando di avere il loro stesso scopo: trovare il comandante Shepard.
- Shepard è morto.- era la prima volta che Liara pronunciava quelle parole, ma doveva imparare ad accettare l’evidenza. Feron era stato chiaro e lei doveva iniziare a farsene una ragione. Voleva ancora trovarlo, certo, ma non più per salvarlo, per dirgli addio e voltare finalmente pagina.
- Così si dice, ma già in passato Shepard è sopravvissuto contro ogni probabilità.- la donna fece un passo avanti, facendo prova di una sicurezza invidiabile – Mi chiamo Miranda, rappresento qualcuno che desidera incontrarti. Lavora con noi … e forse riusciremo a riportare indietro Shepard.-
Contro ogni logica, ogni buon senso, Liara le aveva creduto.
E così si era ritrovata di fronte all’Uomo Misterioso.
- Perché Cerberus lo sta cercando?- gli domandò a bruciapelo, dopo una breve presentazione.
- Shepard è unico, uno dei migliori esemplari della nostra specie, un simbolo per tutta l’umanità. Vivo o morto che sia vogliamo che torni in mani umane.-
- Non capisco. Se Shepard è morto cosa ve ne fate di un cadavere?-
Gli occhi dell’Uomo Misterioso brillarono, inquietanti – In quanto Asari non mi aspetto che tu capisca le nostre tradizioni. Ma i nostri motivi non contano.-
Vigliaccamente aveva accettato quella spiegazione, il suo desiderio di ritrovare Shepard, la speranza di riportarlo in vita e risolvere tutto era così forte da impedirle di pensare. Se Shepard fosse tornato allora tutto … tutto sarebbe ritornato come prima. Avrebbe riavuto uno scopo, un posto dove stare, i suoi amici: era disposta a pagare qualsiasi prezzo pur di farlo tornare.
L’Uomo Misterioso le disse che c’erano altri sulle tracce di Shepard: l’Ombra e i suoi clienti, una specie chiamata “Collettori”.
Cosa volessero dal corpo di Shepard era un mistero, ma non potevano permettere che cadesse nelle loro mani e Liara si dichiarò d’accordo.
Quando l’Uomo Misterioso le chiese se potevano contare su di lei, Liara non esitò – Voi no …- rispose – Ma Shepard sì. -
Anche con le risorse di Cerberus e l’aiuto di Feron ritrovare Shepard si era rivelato difficile e molto pericoloso; il Drell le era stato più d’impiccio che d’aiuto e la sua lealtà era alquanto dubbia, ma Liara non poteva permettersi di fare la schizzinosa. Se voleva ritrovare Shepard, salvarlo, Feron era la sua unica possibilità. E alla fine su Alingon, in una base dell’Ombra, il Drell aveva scelto da che parte stare. Si era sacrificato per lei, permettendole di strappare dalle grinfie dei Collettori il corpo del Comandante.
Liara era riuscita a fuggire, con Shepard, ma Feron … Feron, la spia dell’Ombra al soldo di Cerberus, era rimasto indietro.
- Vai Liara, vai!- le aveva urlato, sanguinante, mentre soccombeva sotto i colpi di Tazzik, il mostruoso Salarian che lavorava per l’Ombra – Salva Shepard!-
- Feron!- ma aveva ragione. I Collettori stavano già convergendo su di lei, se voleva salvare Shepard doveva andarsene e abbandonare Feron: una vita per una vita.
Aveva messo in moto la navetta ed era partita, abbandonando un amico alla morte. Un’altra volta.
Come da accordo era tornata da Cerberus dove aveva consegnato Shepard, senza fermarsi un istante a pensare su quello che gli avrebbero fatto.
Solo quando si ritrovò dietro un vetro ad osservare una sala operatoria ingombra di macchinari di ultima generazione, si chiese se avesse fatto la cosa giusta. I resti del comandante Shepard erano stesi sul tavolo operatorio, uno spettacolo raccapricciante. L’eroe della Cittadella era irriconoscibile, un ammasso di carne, tubi, ossa esposte e attorno a lui, come insetti famelici, si aggiravano scienziati e medici che toccavano quel corpo con una freddezza ributtante.
È il comandante Shepard! avrebbe voluto urlare Non merita questo! Merita rispetto! Copritelo, per la Dea … non dovreste vederlo così, nessuno dovrebbe!
Che cosa aveva fatto?
Shepard non avrebbe mai voluto questo, non avrebbe mai accettato che il suo corpo venisse profanato in quel modo.
L’hai tradito Liara, nel modo peggiore …
Una mano si posò sulla sua spalla facendola sussultare – Sei stata brava, Liara, abbiamo fatto bene a fidarci di te …- disse Miranda con la sua solita freddezza, Liara dubitava che quella donna avesse un cuore - A quanto pare Shepard aveva ottimi amici, vorrei solo poterti dare notizie migliori …- Liara voltò le spalle alla sala operatoria: non poteva più guardare - … ma forse non riusciremo a ricomporre Shepard. Il suo corpo è in condizioni peggiori del previsto. Nella capsula c’erano dei sistemi di conservazione ma non erano niente di che.-
Liara si strinse la braccia intorno al corpo cercando di ricacciare indietro quel senso di gelo che minacciava di sopraffarla – Allora non vedo il perché di tanto lavoro, Miranda. Non conosco le tradizioni umane ma credo sia giusto lasciare che i morti riposino in pace. Non è per questo che ho riportato indietro Shepard. Questa è quasi una cosa che … che …-
- … che avrebbero fatto i Collettori, Liara?- la voce di Miranda non tradì alcuna emozione, solo gelida professionalità – Non sappiamo cosa avrebbero fatto loro, anche se speriamo di scoprire qualcosa dalle informazioni che ci hai fornito. E forse non è grave come pensi.-
Liara alzò gli occhi su di lei, non sapeva più cosa volesse sentirsi dire. Se Cerberus avesse fallito il sacrificio di Feron sarebbe stato inutile ma l’alternativa …
Che cosa ti ho fatto, Shepard?
- Il capo è più ottimista riguardo le condizioni di Shepard.- continuò Miranda – Siamo disposti ad impiegare ogni risorsa, ma ci vorrà ancora parecchio tempo, sempre che funzioni. Non conviene stare qui ad aspettare.-
No, non sarebbe rimasta. Non voleva assistere né al fallimento né alla riuscita del Progetto Lazarus. Comunque andassero le cose lei era colpevole e se Shepard fosse tornato l’avrebbe odiata. Non poteva sopportare di rimanere lì, ad assistere alla profanazione di quell’uomo che aveva amato con tutta se stessa. Non poteva più fare niente per Shepard, volente o nolente doveva accettare le tragiche conseguenze delle sua azioni, ma poteva ancora fare qualcosa per Feron, poteva redimere almeno quella colpa: l’avrebbe cercato e salvato. Ad ogni costo.
La storia si ripeteva e lei non aveva imparato niente.*
 
Illium, Nos Astra, 2185
 
Liara si svegliò di colpo, madida di sudore. Nell’ultimo anno era riuscita a mettere da parte quei ricordi, aveva cercato di dimenticare Cerberus e Miranda, aveva smesso di porsi delle domande sul destino di Shepard.
Ma rivederlo vivo, abbracciarlo, risentire la sua voce, il suo odore …
Alla fine ci era riuscita, lo aveva salvato: non importava altro.
Le parole di Tali le risuonarono nella mente: è diverso Liara, Garrus cerca di minimizzare ma io lo sento … lui è … Keelah non riesco a descriverlo. Ho paura Liara, ho paura di lui, per lui. Quello che Cerberus ha fatto è … è abominevole.
- No!- Liara picchiò il pugno sul letto, sentendo l’energia oscura riempirle le vene come una droga.
Lo avevano riportato indietro, lo avevano salvato! E allora perché si sentiva così male? Perché non aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi e ammettere, con orgoglio, che era stato merito suo?
La luce bluastra che vorticava attorno al suo corpo si spense lentamente, mentre l’Asari si lasciava cadere sul letto. La verità era che si vergognava, profondamente. Era stata così egoista … non era riuscita ad accettare la sua morte e poi non aveva avuto il coraggio di affrontare il suo ritorno, lo aveva abbandonato nelle mani di Cerberus, gli stessi che avevano distrutto la vita di Shepard molti anni prima.
Salvare Feron era diventata un’ossessione ma ancora una volta non era stato l’altruismo a guidarla, ma l’esatto contrario. Liara T’Soni era alla disperata ricerca di un po’ di redenzione.
Si alzò di scatto e accese il terminale, le sue dita corsero veloci sulla tastiera, come guidate da una volontà propria.
 
Shepard,
 
Ho bisogno di parlarti. Vieni nel mio ufficio appena puoi.
Porta Garrus e Tali.
 
Liara
 
L’avrebbe odiata ma almeno sarebbe stata finalmente libera. Era giunto il momento di dire la verità.

 


* Gli eventi e i dialoghi qui riportati sono narrati nella serie di quattro fumetti dal titolo: “Mass Effect Redemption”.

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Capitolo 16
*** Come ai vecchi tempi ***


Illium, Nos Astra, 2185 
 
Shepard non era sicuro di voler sentire quello che Liara aveva da dirgli. Per quanto breve il suo messaggio era stato fin troppo chiaro: era tempo di affrontare la realtà, scoprire come erano andate veramente le cose. Stava per avere le risposte che cercava ma non era sicuro che gli sarebbero piaciute. Garrus e Tali erano nervosi almeno quanto lui.
Qualunque cosa succederà nulla sarà mai più come prima.
Col passare del tempo era diventato fin troppo chiaro: i bei vecchi tempi non sarebbero più tornati. A volte si domandava se l’Uomo Misterioso non avesse ragione: vivere lontano da tutti, da tutto, solo, ma libero.
Liara entrò nell’ufficio, pallida e stanca, come se non avesse chiuso occhi per tutta la notte – Scusate il ritardo.-
Tentò di sorridere ma il risultato fu una patetica smorfia.
- Perché ci hai fatto venire qui?-
Liara sussultò ma Shepard era stanco dei giochetti, aveva aspettato troppo, sopportato troppo.
- Shepard io …- Liara evitò il suo sguardo - … non so nemmeno da che parte cominciare.-
Shepard picchiò il pugno sul tavolo, alzandosi di scatto. Le due donne sussultarono, spaventate, mentre Garrus si limitò ad abbassare lo sguardo come se non si fosse aspettato altro.
- Perché non cominci dall’inizio, Liara?- si voltò verso gli altri, furioso, sul volto sentì il familiare formicolio delle cicatrici che si riaprivano – Perché non mi spiegate il motivo che vi ha spinti ad abbandonare la missione?-
I suoi compagni si scambiarono sguardi sorpresi – Tu … tu eri morto Shepard …- cercò di difendersi Tali, come se quello spiegasse tutto.
- Grazie per avermelo ricordato, Tali, rischiavo di dimenticarlo. – la Quarian si fece piccola piccola e Garrus le mise una mano sulla spalla, come per proteggerla. Quel gesto lo fece infuriare ancora di più.
- I Razziatori non erano i miei nemici, erano i nostri nemici! Sapete quanto me che quella sulla Cittadella è stata solo una battaglia, i mostri sono ancora là fuori e minacciano l’intera galassia. Questa non è la mia guerra, è la nostra guerra!- urlò, furibondo. Attorno ai suoi pugni l’energia oscura vorticava minacciosamente, Shepard si costrinse a calmarsi, voltando loro le spalle
– Voi avete abbandonato la missione e non c’è giustificazione per questo.- si appoggiò al vetro - Quando decisi di rimanere sulla Normandy, ero consapevole dei rischi, sapevo che difficilmente l’avrei scampata. Ma era un rischio accettabile, perché sapevo che c’eravate voi a combattere i Razziatori, ero certo che avreste dato la caccia ai bastardi che avevano distrutto la nostra nave e ucciso l'equipaggio. Ero convinto che i miei ideali non sarebbero morti con me. - picchiò il palmo aperto contro il vetro – Che idiota.-
- Shepard …- la voce di Garrus tremava - … tu non c’eri, non sai come sono andate le cose. Il Consiglio e l’Alleanza ci hanno dato il ben servito, eravamo soli: non potevamo fare niente. E ognuno ha cercato di cavarsela come poteva.-
Shepard si girò facendo sfoggio del suo sorriso più sprezzante – Ho visto come te la sei cavata su Omega, vero, Archangel? A cosa è servita la tua bravata? Che cosa hai dimostrato?-
Le mandibole del Turian si aprirono pericolosamente – Io mi sono occupato della gente, Shepard, delle persone reali. Di quelli che tu e le tue grandi missioni avete sempre dimenticato.-
La mascella di Shepard scricchiolò – E quando arriveranno i Razziatori, Garrus, a cosa ti sarà servito?-
Il Turian non si scompose, resse il suo sguardo, con fierezza – A ricordarmi per che cosa combatto, Shepard. Era questo il tuo ideale: aiutare la gente. E noi lo abbiamo fatto, nell’unico modo che conoscevamo. Mi dispiace se per te non è abbastanza, ma non mi pento.-
Shepard appoggiò la schiena contro il vetro, improvvisamente stanco. Titubante Tali si avvicinò – Shepard, l’hai visto anche tu: la galassia non è pronta ad accettare l’esistenza dei Razziatori. Abbiamo provato ad aprire gli occhi al Consiglio, ai nostri governi ma … non hanno voluto ascoltare, ci hanno messo da parte, isolati. Siamo stati ridicolizzati, diffamati, ci hanno chiamato pazzi, visionari e ci siamo resi conto che insistere non serviva a niente, anzi … peggiorava solo le cose. Rischiavamo di distruggere tutto quello che avevi fatto.-
Shepard si passò una mano sul viso e guardò Liara che era rimasta in disparte, immobile e silenziosa – Era questo che non riusciva a dirmi?-
- No.- intervenne Tali – Lei la pensava come te. Non voleva arrendersi …- la Quarian abbassò il capo - … mi dispiace Liara, per averti lasciata sola.-
Shepard capiva le motivazioni degli altri, ma fu felice che almeno Liara avesse seguito il suo cuore. Le rivolse un’occhiata riconoscente ma, inaspettatamente, lei si alzò, voltando loro le spalle.
- Liara?-
- Shepard io … io non l’ho fatto per i Razziatori, l’ho fatto per te.- le spalle dell’Asari sussultarono – Non accettavo l’idea che tu fossi morto.-
Shepard si avvicinò a lei, la prese per le spalle, abbracciandola – Liara …-
- No!- Liara si scansò e lo guardò, in lacrime – Sono stata io, Shepard: ho trovato il tuo corpo e l’ho consegnato a Cerberus.-
Shepard fece un passo indietro, incredulo.
Non poteva essere vero, non lei …
Tali e Garrus si guadarono, allarmati.
- Shepard ti prego, lasciami spiegare …-
Shepard si allontanò da lei, disgustato – Tu? Proprio tu … come, come hai potuto?- si appoggiò alla scrivania, sconvolto.
- Io … io volevo solo ritrovarti, seppellirti … poi ho scoperto che ti cercavano anche i Collettori e Cerberus si è offerto di aiutarmi … non potevo permettere che finissi in mano ai Collettori!-
Shepard strinse i pugni, senza preoccuparsi di tenere sotto controllo l’energia oscura che aveva ripreso a vorticare attorno alle sue nocche – E che cosa ti fa pensare che avrei preferito Cerberus a loro?-
Liara guardò gli altri, spaventata, alla ricerca di un aiuto che non potevano darle – Io … loro mi dissero che volevano onorare le tradizioni umane …-
Shepard cercò di controllare la rabbia ma ogni secondo che passava diventava sempre più difficile – Eri ingenua Liara, ma non così tanto.- le braccia gli tremavano dallo sforzo di trattenere i poteri biotici. – Tu sapevi cosa avrebbero cercato di farmi …-
- Io pensavo che …- si strinse le braccia al petto - … pensavo che fosse la cosa giusta da fare.-
Shepard voltò il capo verso di lei, sapeva quale fosse il suo aspetto, l’aveva intravisto nel riflesso della vetrata: l’energia oscura vorticava intorno al suo corpo, incorniciando un volto deturpato da cicatrici rossastre sul quale brillavano occhi simili a tizzoni ardenti. Se il diavolo avesse posseduto un viso sarebbe stato quello.
- Guardami Liara e dimmi se hai fatto la cosa giusta.-
Liara soffocò un grido con la mano, persino Tali e Garrus, che l’avevano già visto in quello stato, indietreggiarono, sconvolti: la sua squadra, i suoi amici, avevano paura di lui.
La rabbia evaporò di colpo e Shepard si ritrovò in ginocchio, ansimante – Che cosa sono, Liara?- le rivolse uno sguardo di supplica – Ti prego, dimmi cosa sono …-
- Shepard …- Liara gli fu subito accanto e lo abbracciò, singhiozzando contro la sua spalla – Sei tu, Shepard, sei tu. –
Lui si strinse a lei con la forza della disperazione, avrebbe voluto odiarla, ma non ci riusciva. Se su Akuze qualcuno gli avesse dato l’opportunità di riportare in vita una persona morta lui …
- Mi dispiace Shepard io … io volevo solo riaverti.-
Shepard affondò il volto nel suo collo, vergognandosi per le lacrime che stava versando – Lo so Liara, lo so.-
Sentì la mano di Tali posarsi sulla sua spalla – Noi saremo con te Shepard. Sempre.-
Shepard si alzò, aiutando Liara a fare lo stesso, guardò la Quarian e sorrise, sentendo le cicatrici farsi più piccole e gli occhi tornare normali – Mi dispiace di aver dubitato di voi.-
Tali si strinse a lui, appoggiando la testa contro il suo petto – Non c’è niente da perdonare.-
Garrus gli assestò una sonora pacca sulle spalle – Bentornato, comandante.-
Shepard si schiarì la voce, si staccò delicatamente da Tali e sistemò i vestiti stazzonati – Bene, direi di stendere un velo pietoso sull’episodio. Speriamo che con Wrex sia sufficiente una stretta di mano: non credo che potrei reggere la vista di un Krogan che mi piange sulla spalla.-
Risero tutti, sollevati. Dopotutto, forse, le cose si sarebbero rimesse a posto.
Come ai vecchi tempi. 

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Capitolo 17
*** Onora tua madre ... ***


Normandy SR2, 2185
 
Per la prima volta dopo molto tempo Shepard poteva dirsi ottimista. Samara e Thane si erano rivelati due ottime aggiunte per la squadra, la loro esperienza in battaglia era straordinaria ed erano diventati entrambi un punto di riferimento per tutti gli altri. Erano esattamente quello di cui l’equipaggio aveva bisogno: due mentori, ognuno a modo suo. Dopo il loro ingresso in squadra Shepard si era sentito più tranquillo: se anche gli fosse accaduto qualcosa, sapeva che la justicar e l’assassino sarebbero stati in grado di tenere unita la squadra e fare quello che andava fatto. Non che gli altri non fossero affidabili, be’ su Jack e Grunt aveva qualche dubbio, ma non erano in grado di sopportare il peso del comando. Il vecchio Garrus probabilmente sarebbe stato un suo degno sostituto, ma gli eventi di Omega erano ancora troppo recenti, il Turian aveva perso buona parte della fiducia in se stesso e un uomo che non crede in sé non è in grado di ispirare gli altri. Miranda sarebbe stata più che felice di assumere il ruolo di leader ma non era esattamente la persona più popolare della nave. Gli altri la rispettavano ma, ad eccezione di Jacob, non l’avrebbero mai seguita in battaglia. Zaeed aveva le capacità ma in quanto a volontà lasciava molto a desiderare … e gli altri erano semplicemente inadatti al comando. Alcuni erano troppo giovani e inesperti, altri troppo impulsivi, Mordin sapeva comandare una squadra, ma era uno scienziato, e Tali aveva dimostrato più volte di non avere abbastanza autorità. L’arrivo di Samara e Thane gli aveva tolto un notevole peso dalle spalle e adesso persino lui riusciva a vedere la luce in fondo al tunnel: forse, forse, avevano una speranza di uscirne vivi.
Inoltre era stato un sollievo chiarire finalmente le cose con Tali e Garrus, avevano ritrovato la complicità dei vecchi tempi e finalmente erano ritornati ad essere una squadra, una squadra vincente.
Ma c’era un’ultima cosa da fare per lasciarsi definitivamente alle spalle il trauma della resurrezione e non poteva fingere di essere entusiasta all’idea.
Fissò il terminale con aria risentita, come se quell’oggetto inanimato fosse la causa di tutte le sue sventure.
Il messaggio di sua madre era arrivato più di un mese prima: non l’aveva nemmeno aperto, sapeva che lei glielo aveva mandato per formalità, per adempiere al suo dovere di madre di fronte a quel Dio che pregava tutte le sere. Per quello che lo riguardava il suo dovere era solo nei confronti di se stesso e della sua squadra. Di sua madre come delle sue vuote parole non aveva alcun bisogno.
Se finalmente si era deciso a leggere quel messaggio era stato per via di Thane. Il Drell gli aveva parlato di suo figlio, dei suoi errori, del suo rammarico per averlo abbandonato e, per la prima volta, Shepard si era chiesto se anche sua madre, in fondo, provasse le stesse cose.
Hannah Shepard non era stata un genitore molto diverso da Thane. Come il Drell anche lei, semplicemente, era sparita dalla sua vita.
Scorse in fretta le parole sul terminale: come volevasi dimostrare.
Sembrava di leggere una lettera indirizzata ad un ufficiale qualsiasi, forse il tono era vagamente confidenziale, ma per il resto …
Affettuosa come sempre, mamma.
Buttò giù due righe, dicendole che sarebbe rimasto sulla Cittadella per alcuni giorni e che avrebbe gradito incontrarla.
Spedì il messaggio e spense il terminale, senza confidare troppo in una risposta.
 
Cittadella, 2185
 
Il capitano Hannah Shepard si sedette a un tavolo del Dark Star sulla Cittadella. Si sentiva a disagio in abiti civili, raramente si concedeva il lusso di prendere una pausa. Era un ufficiale dell’Alleanza, con una nave da comandare, non aveva tempo da perdere in sciocchezze come cene al ristorante o bevute al bar. Del resto non le erano rimaste molte persone con cui condividere tali frivolezze.
Ordinò un calice di vino terrestre e rimase in attesa del figliol prodigo. Non sapeva bene cosa aspettarsi da quell’incontro, non vedeva Alexander da … da quasi otto anni. Precisamente dal suo ritorno da Akuze.
Lo aveva contattato dopo la sua nomina a Spettro per chiedergli di aiutare un vecchio amico e poi non l’aveva più sentito. Era stata tentata di chiamarlo dopo l’assalto alla Cittadella, voleva dirgli che era fiera di lui, che gli voleva bene e che le dispiaceva per … tutto. Ma le era mancato il coraggio e poi, poi non c’era più stato tempo: Alexander era morto. Era morto odiandola.
Aveva pregato Dio di concederle un’altra occasione, una sola, e Lui, nella sua misericordia, l’aveva ascoltata.
Alexander era tornato e le era stata concessa quella possibilità per cui aveva tanto pregato, solo che … non sapeva come fare. Cosa poteva dire al figlio morto che non vedeva da otto anni? Gli aveva mandato quella lettera senza nutrire troppe speranze e infatti lui non le aveva risposto. Poi, inaspettatamente, due giorni prima le era arrivato quello strano messaggio … e adesso eccola lì, agitata come una liceale al primo appuntamento.
- Il suo vino, signora.-
Ringraziò la cameriera e prese il calice.
Mentre sorseggiava il vino guardò distrattamente verso il bancone e notò un uomo che la fissava con aria accigliata. Era giovane, sulla trentina, con l’aria da duro e i capelli tagliati corti. Indossava una divisa grigia, non dell’Alleanza, e sul braccio si leggeva la scritta SR2.
Perse la presa sul bicchiere che cadde in terra con un fragore di cocci rotti, inzuppandole le scarpe di vino. – Dio mio …-
- Signora, si sente bene?- la cameriera che era accorsa per pulire il disastro la guardava con espressione preoccupata. Probabilmente era più pallida dello straccio che teneva in mano.
- Sì …- sussurrò - … mi scusi.-
Si alzò, ignorando l’espressione perplessa della cameriera e si avvicinò all’uomo al bancone che aveva guardato la scena con aria indifferente.
- Alexander … sei, sei davvero tu?- mormorò, esitante.
Ricordava un ragazzo allegro, coi riccioli scuri e gli occhi vispi. L’uomo che aveva di fronte era molto diverso dal figlio che aveva lasciato otto anni prima.
Lui annuì – Anch’io ti ricordavo diversa, mamma.- tentò di sorridere – Mi piace quello che hai fatto ai capelli.-
Hannah arrossì, toccandosi goffamente la crocchia in cui, come ogni mattina, aveva raccolto i capelli – Sono diventata troppo vecchia per lasciarli sciolti.- spiegò, imbarazzata.
Il volto di Alex si aprì in un vero sorriso che le fece mancare un battito: ecco, quello era il figlio che ricordava.
- Non sei vecchia mamma, anzi, mi stavo giusto chiedendo chi fosse quello schianto seduto al tavolino.-
Risero di gusto, più per scaricare la tensione che per reale divertimento. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che si erano visti … non si ricordavano più come si facesse ad essere madre e figlio.
- Vuoi bere qualcosa?- domandò lui, impacciato.
- Preferirei camminare un po’, se non ti dispiace.-
Alex annuì e le fece strada fuori dal locale. Camminavano a debita distanza, attenti a non toccarsi. Non erano mai stati una famiglia particolarmente espansiva e dopo tutti quegli anni persino una stretta di mano sembrava un confidenza eccessiva.
- Come va sulla Kilimangiaro? L’equipaggio sta bene?-
Hannah annuì, felice di quella domanda che permetteva loro di rompere un po’ il ghiaccio – Sono tutti tuoi grandi ammiratori.- sorrise – Kevin mi ha chiesto di chiederti un autografo prima di metterci a litigare.-
Alex ridacchiò – Noto che Kevin ha buona memoria. Leslie come sta? Ancora in servizio?-
- No, è in pensione. Ora fa il contadino da qualche parte nei Sistemi Terminus.-
L’espressione di suo figlio si fece tesa – Nei Sistemi Terminus hai detto?-
- Non ti preoccupare, è su Fehl Prime, la colonia è ben protetta, c’è un' intera squadra di marines di stanza laggiù.-
Alex si accigliò – Come mai?-
- Erano diventati un obiettivo del Branco Sanguinario, sai per via delle case farmaceutiche, così Hackett ha deciso di lasciarci un presidio armato, come deterrente.- lo rassicurò.*
Alex scosse il capo – Dì a Leslie di farsi una vacanza su Thessia o sulla Terra con tutta la famiglia. I Sistemi Terminus non sono sicuri di questi tempi.-
- I Sistemi Terminus non sono mai sicuri, Alexander. Leslie sapeva bene quali fossero i rischi quando si è trasferito lì.-
Alex la prese per un braccio e la spinse a lato della strada – Le colonie continuano a sparire, mamma e non si tratta di pirateria.- l’avvertì a bassa voce - Questa minaccia non può essere fermata da un pugno di marines e due torrette: dì a Leslie di fare i bagagli e andarsene.-
Hannah scosse il capo – Se l’Alleanza non ritiene che ci sia pericolo io non …-
- Quelli dell’Alleanza sono troppo impegnati a leccare il culo al Consiglio!- sbottò a voce alta, attirando più di uno sguardo, fece una smorfia e riprese a camminare – La minaccia è reale, ma sono troppo presi dalla politica per fare qualcosa. E mentre loro decidono chi deve fare cosa la nostra gente muore.-
- Meglio Cerberus allora?- sbottò lei, incapace di trattenersi: non aveva mai tollerato le critiche all’Alleanza.
L’espressione di suo figlio s’indurì – Io non posso permettermi il lusso di fare l’idealista, mamma. –
- Qui non si tratta d’ideali, Alexander!- proruppe – Ma di combattere per dei terroristi! Se tuo padre fosse qui …-
- Se mio padre fosse qui …- l’aggredì lui girandosi di scatto - … manderebbe al diavolo l’Alleanza e combatterebbe con me. -
Hannah scosse il capo e gli voltò le spalle. Avevano raggiunto gli hangar d’attracco e, poco lontano, faceva bella mostra di sé la Normandy SR2 con un bel simbolo di Cerberus stampato sulla fiancata. Quella vista le fece rivoltare lo stomaco.
- Dopo tutto quello che Cerberus ti ha fatto, come puoi combattere per loro?- gli chiese, a bruciapelo, affrontandolo a braccia conserte.
Un baluginio rosso attraversò gli occhi di suo figlio e lui voltò il capo, come per nascondersi – Lo so meglio di te cosa mi ha fatto Cerberus. Non ho dimenticato Akuze. Non mi aspetto che tu capisca …- incrociò le braccia al petto sempre evitando il suo sguardo - … ma ti prego, non giudicarmi.-
- Guardami, Alexander.-
Lui obbedì, riluttante. Hannah studiò attentamente i suoi occhi ma non vide niente di strano, erano del solito azzurro, come quelli di suo padre.
- Che cosa ti è successo?-
- Sono morto, mamma.- le rivolse un sorriso sarcastico – Forse non l’hai saputo.-
Hannah si appoggiò al parapetto, improvvisamente stanca, mai come in quel momento sentiva la mancanza del suo Boris. Da quando era morto il suo rapporto con Alex non aveva fatto che peggiorare, sembravano incapaci di parlare senza litigare, senza dirsi cose terribili … come quella tragica sera di tanti anni prima.
- Alexander tu non sai come …-
- No, non lo so. - la interruppe lui, gelido – E sinceramente non mi interessa. Hai portato quello che ti ho chiesto?-
Hannah annuì, asciugandosi velocemente le lacrime con una mano tremante.
Prese una busta dalla tasca e gliela porse – Perché adesso?-
Suo figlio prese la busta con circospezione, come se avesse paura che gli esplodesse in mano – Perché adesso posso affrontare quello che c’è dentro.- se la infilò in tasca – Grazie, ora devo andare.- lanciò una breve occhiata alla nave attraccata alle sue spalle – Ti inviterei a salire ma immagino che non sia il caso. -
- No, direi di no.- rispose lei, adottando quel tono distaccato che le veniva così bene.
- Bene, allora è tutto credo … ah, hai qualcosa su cui scrivere?-
Sorpresa si frugò nelle tasche e gli porse un penna e un taccuino, Alex ci scribacchiò sopra qualcosa e glielo restituì – Per Kevin. Ci vediamo, capitano.-
Si sfiorò la fronte con le dita e si allontanò.
Hannah lo guardò allontanarsi, con il taccuino in mano e l’espressione inebetita – Alex …- lo chiamò con voce flebile ma lui, ormai lontano, non la sentì.
Il capitano Hannah Shepard rimase ferma sulla banchina dell’agglomerato Zakera chiedendosi se non avesse appena perso l’ultima possibilità che aveva per chiedere perdono a suo figlio.**

 


* I dettagli su Fehl Prime li ho presi dall’Action Movie “Paragon Lost” che racconta la battaglia di James Vega contro i Collettori. I disegni non sono un granché e la storia presenta diverse contraddizioni col gioco però si lascia guardare.

**
Mi scuso con i lettori, mi sono accorta solo dopo la pubblicazione che c’era stato un errore nel processo copia-incolla, era rimasta fuori una parte del testo.  Ho provveduto a correggere l’errore, chiedo ancora scusa …

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Capitolo 18
*** … e rispetta tuo padre ***


Normandy SR2, 2185 

Jack, Jacqueline, Soggetto Zero … Mi spiace ma per me sarà sempre “signora”, ci tengo al mio simpatico ammiraglio!- esclamò Joker alzando le mani in segno di resa.
Jack annuì, compiaciuta – Sarà bene che te lo ricordi, Moreau, o ti spalmo su tutte le pareti.- con un semplice gesto del polso sollevò la saliera che fluttuò dolcemente fino a lei.
- Dovresti evitare di utilizzare i tuoi poteri biotici per tutto, Jack.-  osservò pacatamente Samara, servendosi un’altra razione di calamari fritti.
La biotica umana rispose con un’alzata di spalle mentre Kasumi osservava scettica il piatto dell’Asari – Non è un po’ cannibalesco? Insomma …- mosse le dita simulando dei tentacoli ma smise subito non appena si ritrovò lo sguardo gelido dell’Asari puntato contro - … niente, lascia perdere.-
- Garrus mi passeresti un po’ di destro-formaggio per favore?-
Erano rari i momenti in cui l’intero equipaggio si ritrovava riunito, la cena era uno di quelli e col tempo era diventato una sorta di rituale. Persino Joker accettava di affidare i comandi della Normandy a IDA per raggiungere gli altri in mensa. Quella sera Shepard trovò particolarmente piacevole il brusio di voci che lo accolse quando uscì dall’ascensore: era bello tornare a casa.
- Ehi Shepard, ti ho tenuto da parte un po’ di bacon!- lo accolse Zaeed indicando il piatto accanto a lui.
Il comandante ringraziò e prese il piatto.
- Non mangi con noi, comandante?- chiese la dottoressa Chakwas studiandolo con occhi clinico.
Shepard le sorrise mentre prendeva una birra dal frigo – Non c’è bisogno che mi sorvegli dottoressa: mangio abbastanza. Questa sera ho delle cose da sbrigare, ceno nel mio alloggio.-
La dottoressa non sembrava convinta – Ti ricordo che i biotici hanno bisogno del doppio …-
- Lo so!- sbuffò il comandante, aggiunse una porzione di calamari al suo piatto e glielo mostrò – Contenta doc?-
- Può andare.-
Shepard alzò gli occhi al cielo e si diresse verso l’ascensore – Buonanotte ragazzi. Jacob, Mordin vi voglio in forma per domani, perciò non fate tardi.-
- Ehi comandante.- lo richiamò Jeff – Com’è andata con tua madre?-
Shepard si strinse nelle spalle – Benone: non mi ha arrestato. – entrò nell’ascensore – ‘Notte Jeff. -
- ‘Notte comandante.-
- E così Shepard ha davvero una madre.- commentò Zaeed rilassandosi sulla sedia – E io che pensavo fosse un bastardo nato da una cagna. Che tipa è?-
Jeff ridacchiò – Una tipa che sbatterebbe le tue chiappe al fresco, Massani. Hai mai sentito parlare del capitano Hannah Shepard?-
- Eccome.- ringhiò il mercenario – La troia mi ha rovinato il lavoro un paio di volte. Non credevo fossero parenti.-
- Vacci piano, Massani.- intervenne Jacob, piccato – Stai parlando della madre del comandante, se ti sentisse …-
- Oh non credo gli importerebbe molto.- commentò Jeff – I loro rapporti non sono dei migliori.-
Kasumi si sporse in avanti con l’aria della cospiratrice – Ah sì? Perché?-
Jeff lanciò un’occhiata esitante alla dottoressa – Non conosco la storia, ma tutti sanno che il capitano Shepard è una stronza dal cuore di pietra …-
La Chakwas sbuffò – Sbaglio o sei un filo prevenuto, Joker?-
- Be’ di certo non ho dimenticato lo scherzetto che mi ha fatto sulla Kilimangiaro.-
- Sentiamo.- lo incitò Miranda.
Jeff si strinse nelle spalle – Prima di essere assegnato alla Normandy avevo fatto domanda per pilotare la Kilimangiaro. Superai tutti i test, ovviamente, ma poi scoprii che il capitano, la Shepard appunto, aveva respinto la mia candidatura. Cito testualmente: “non vorrei dover raccogliere i cocci del mio pilota dopo la prima virata brusca.”- fece una smorfia – Fine della storia.-
Miranda bevve un sorso di vino – Non per sminuire il tuo trauma Jeff, ma mi sembra un po’ poco per etichettare qualcuno come una “stronza dal cuore di pietra”.-
- Cosa c’è cheerleader, ti senti chiamata in causa?-
Con sollievo di tutti Miranda non raccolse la provocazione di Jack.
- Il capitano Shepard è un osso duro, su questo non ci piove.- commentò la Chakwas – Ma sa come tenere in riga una nave. Dubito che sulla Kilimangiaro avresti avuto molte occasioni di fare lo spiritoso, Jeff. -
- Lieto che suo figlio la pensi diversamente.-
- E del padre di Shepard che mi dite?- interloquì Kasumi - Dolgorukov se non sbaglio …-
Jacob si sporse sul tavolo – Dolgorukov? Stai parlando del maggiore Boris Dolgorukov?-
Kasumi si strinse nelle spalle ma la Chakwas annuì – Proprio lui.-
Jacob fischiò, ammirato.
- Perché?- domandò Tali – Chi è?-
- Solo uno dei più grandi soldati dell’Alleanza.- spiegò Jeff facendo sfoggio di un tono inaspettatamente rispettoso.
- Eroe della guerra del Primo Contatto, medaglia al valore, N7 ...- snocciolò Jacob con riverenza -… in tutta l’Alleanza solo Anderson può vantare una carriera migliore.-
- Non sapevo che il padre di Shepard avesse combattuto contro di noi.- mormorò Garrus – Non me ne ha mai parlato.-
- E quando mai Shepard ci ha parlato della sua famiglia?- intervenne Joker.
- Comportamento anomalo: Umani tendono a vantarsi di imprese famigliari.- trillò Mordin in tono professionale, lanciò un’occhiata a Grunt che stava addentando una bistecca sanguinolenta – Quasi quanto Krogan.-
Il Krogan picchiò il pugno sul tavolo – E ci credo! Io sono nato dai geni dei signori della guerra Shiagur …-
- Sì sì lo sappiamo, lucertolone.- Jack incrociò le braccia al petto – E così, guarda caso, il figlio di due eroi dell’Alleanza è diventato il primo Spettro Umano … che coincidenza …-
Miranda si accigliò – Stai forse insinuando che non l’abbia meritato? –
- Frena i bollori, cheerleader, nessuno ha detto questo. Le capacità di Shepard sono fuori discussione, ma bisogna ammettere che è partito avvantaggiato …-
- Tu non hai idea di quello che ha dovuto passare Shepard per essere quello che è, Jack. - intervenne la dottoressa – E credo che nessuno di noi ce l’abbia.-
La biotica sbuffò, per nulla convinta, ma non aggiunse altro.
- Perché non abbiamo mai sentito parlare di questo maggiore Dolgorukov?- domandò Tali, cercando di smorzare un po’ i toni – Insomma Anderson è conosciuto in tutta la galassia.-
La Chakwas bevve un sorso di vino – È morto da parecchi anni ormai. Shepard doveva avere sei o sette anni. L’Alleanza era in piena espansione, colonizzavamo un pianeta dopo l’altro: gli ultimi arrivati e ci credevamo già i padroni della galassia.- scosse il capo con un sospiro – E così la nostra smania di conquista ci portò a colonizzare un pianeta, Watson, che faceva gola anche ad altri: i Batarian.-
- Sì, mi ricordo di quell’episodio.- mormorò Samara intrecciando le mani sul tavolo – L’Egemonia decise di far schiantare una nave carica di esplosivi sulla capitale del pianeta: avrebbero evitato la guerra simulando un incidente o, alla peggio, avrebbero dato la colpa ai terroristi.-
- Ancora non usavano gli asteroidi?- domandò Jeff, sarcastico.
- Non volevano distruggere il pianeta, solo dare una lezione agli Umani e magari indurli ad andarsene.- spiegò la Justicar con la sua solita calma.
- L’Alleanza disponeva di poche navi nel settore, quando la Shanghai arrivò sul posto il cargo Batarian aveva già penetrato l’atmosfera del pianeta. Abbatterlo dall’orbita era fuori questione, i detriti avrebbero comunque devastato la città.- continuò la dottoressa con voce flebile – Così decisero di inviare una squadra d’infiltrazione sulla nave, per tentare di riavviare i motori e dirottarla. Dolgorukov e la sua squadra riuscirono a prendere il controllo del cargo, ma i sistemi della nave erano compromessi, poteva essere manovrata, ma non fermata. Il maggiore decise di farla schiantare in mare ma qualcuno doveva rimanere a bordo.- sospirò, sfregandosi gli occhi. Anche dopo molti anni quella storia la faceva sentire incredibilmente stanca.- Dolgorukov fece evacuare la sua squadra e completò la missione salvando la città e centomila vite innocenti.-
Le sue parole vennero accolte da un rispettoso silenzio.
- Un gesto coraggioso.- commentò infine Thane – Questo spiega molte cose di Shepard.-
Garrus annuì, scambiando una rapida occhiata con Joker: entrambi stavano ripensando alla Normandy SR1.
Samara rivolse alla dottoressa uno dei suoi sguardi penetranti – Tu eri di stanza sulla Shanghai, vero?-
- Sì, il mio primo incarico.- si alzò con un sospiro – Credo che andrò a dormire, e dovreste farlo anche voi. Buonanotte ragazzi.-
- Dottoressa.-
Uno dopo l’altro i membri dell’equipaggio della Normandy SR2 si ritirarono tutti, sentendosi un po’ più vicini al loro comandante. Dietro le gesta, la corazza e i poteri biotici si celava soltanto un essere umano.
Un motivo in più per combattere e morire per lui.
 
Normandy SR2, 2185
 
Shepard si sedette sul divano, la birra in una mano e la busta che gli aveva dato sua madre nell’altra. In quel rettangolo di carta arancione c’erano i cocci della sua vecchia vita, frammenti di memoria che non aveva avuto il coraggio di buttare ma nemmeno di tenere. Così li aveva imbustati e affidati a sua madre, convinto che l’ostilità che nutriva per lei lo avrebbe tenuto lontano da quei cimeli per sempre … si era sbagliato.
Molte cose erano cambiate in otto anni, lui per primo, e la morte gli aveva dato una nuova prospettiva da cui guardare: aveva passato anni cercando di dimenticare, di ricostruirsi una vita, ma se cerchi di ricucire una ferita infetta finisci solo per avvelenare tutto il resto.
Giocherellò con il bordo della busta, indugiò un attimo e poi la buttò sul tavolino, alzandosi di scatto, le mani sudate.
Si aggirò nervosamente per la cabina, diede da mangiare ai pesci, cambiò l’acqua al criceto, controllò il terminale constatando infastidito che non c’era nessun nuovo messaggio.
Lanciò un’occhiata apprensiva alla busta che, abbandonata sul tavolino, sembrava quasi deriderlo: “hai paura di me, comandante?”
- C’è qualcosa per me IDA?-
- Per la terza volta comandante: niente da segnalare.- rispose l’IA vagamente esasperata – Se dovessi avere bisogno di lei glielo farò sapere. Promesso.-
Mi sta prendendo in giro?
- Grazie IDA.-
Lanciò un’altra occhiata alla busta: “sì sono sempre qui.”
Finì la birra in un sorso e fece scrocchiare le nocche – Ok stronza, a noi due.-
Si sedette sul divano, afferrò quella maledetta busta e la strappò con un gesto secco. Gli sfuggì un risolino: era teso come un artificiere alla sua prima bomba.
Svuotò il contenuto della busta e un sorriso triste gli salì alle labbra alla vista di tutti quei cimeli. Con mano tremante sollevò il modellino della Shanghai, la nave di suo padre. Ricordava la prima volta che l’aveva vista, attraccata sulla stazione Arcturus, suo padre l’aveva sollevato tra le braccia per permettergli di vederla bene: “Un giorno, Andrej, anche tu comanderai una nave come questa e la amerai con ogni fibra del tuo essere.” gli aveva sussurrato all’orecchio, in russo. Suo padre gli parlava sempre in russo.
Involontariamente il suo sguardo corse lungo le paratie della Normandy, fissò l’infinito oceano stellato che sfilava sopra la sua testa, attraverso la grande vetrata che si apriva sul soffitto. La SR1 era sempre stata la nave di Anderson, non l’aveva mai sentita completamente sua … poi era salito sulla SR2: era stato un colpo di fulmine, ma non aveva voluto ammetterlo nemmeno con se stesso. All’inizio si era imposto di odiarla: un nave di Cerberus, costruita da Cerberus, si rifiutava di considerarla sua. Ma alla fine si era dovuto arrendere: amava la Normandy, la amava con ogni fibra del suo essere. E come poteva non farlo? Lei che era morta e risorta con lui.
Non era una nave di Cerberus: era la sua nave.
- Avevi ragione, papà …- mormorò in un russo stentato, arrugginito, che non usava da quando aveva sette anni, da quando aveva smesso di essere Andrej ed era diventato Alexander.
Accarezzò le ali della Shanghai con la punta delle dita. Si rivede bambino, ritto sul molo della stazione, in trepidante attesa: dopo sei mesi nello spazio la Shanghai stava ritornando in porto. Suo madre era dietro di lui, una mano sulla spalla, splendida nella divisa dell’Alleanza, i capelli neri sciolti sulla schiena.
E poi era apparsa, elegante e silenziosa, con i motori che mandavano tenui barbigli azzurri, la fusoliera leggermente ammaccata. Gli era sembrato che ci mettesse una vita ad attraccare poi, finalmente, i boccaporti si erano aperti e l’equipaggio aveva cominciato ad uscire …
Shepard inspirò profondamente e raccolse un altro dei cimeli contenuti nella busta, era il gagliardetto di suo padre, quello che portava cucito sull’uniforme: Maggiore Dolgorukov, N7. Sotto la scritta faceva bella mostra di sé la bandiera russa incorniciata dalla stemma dell’Alleanza.
Quando l’equipaggio della Shanghai era sceso a terra per riabbracciare le famiglie in trepidante attesa, non si era accorto degli sguardi tristi che gli avevano rivolto i compagni di suo padre, non aveva notato il tremito sempre più forte nelle mani di sua madre. Era solo infastidito: perché scendevano tutti tranne lui? Quanto ancora voleva farlo aspettare?
Alla fine era sceso anche il comandante Anderson, il Primo Ufficiale, il migliore amico di suo padre. Tra le mani teneva qualcosa che sembrava una bandiera ripiegata con sopra un cappello, Andrej lo aveva salutato con entusiasmo: era contento di rivederlo.
Anderson gli aveva rivolto uno strano sorriso, gli aveva appoggiato una mano sulla testa e aveva guardato sua madre "Mi dispiace, Hannah." le aveva detto porgendole la bandiera e il cappello.
Sul ponte era scesa una quiete angosciante, tutti guardavano sua madre che prendeva la bandiera con mani tremanti.
Il tenente Hannah Shepard non aveva pianto, non aveva detto una parola, si era stretta il cappello al petto ed era rimasta immobile, pietrificata.
Anderson si era chinato su di lui che ancora non capiva: perché suo padre non arrivava? Perché Anderson era così strano e gli altri li stavano fissando?
" Ehi campione." Anderson aveva tentato di sorridere, senza riuscirci, poi aveva preso qualcosa dalla tasca e glielo aveva porto " Questo è per te, me lo ha dato il tuo papà, voleva che lo avessi tu."
Si era ritrovato un pezzo di stoffa strappato tra le mani, il gagliardetto di suo padre, ricordò che lo portava cucito sull’uniforme, vicino alla spalla. Perché l’aveva strappato per darlo a lui? Aveva accarezzato il nome di suo padre, poi aveva guardato Anderson senza capire "Sì, ma lui dov’è?" aveva cercato di sbirciare oltre le sue spalle … perché avevano chiuso il boccaporto? Suo padre era ancora a bordo!
Sua madre si era inginocchiata accanto a lui, gli aveva cinto le spalle, coi capelli che gli solleticavano il collo "Devi essere forte, Alexander. Papà non tornerà."
Shepard appoggiò la testa contro lo schienale, cercando inutilmente di ricacciare indietro le lacrime che gli erano salite agli occhi.
Da quel giorno non aveva fatto altro che essere forte.
Scosse la testa e si raddrizzò, fissando gli ultimi due oggetti che erano rimasti sul tavolo; in mano teneva i ricordi di Andrej, sul tavolo c’erano quelli di Alexander.
Appoggiò con cura religiosa il modellino e il gagliardetto, e raccolse la fotografia. Suo malgrado si ritrovò a sorridere: con quel taglio di capelli sembrava proprio un imbecille.
Dieci volti sorridenti lo fissavano dalla foto: la sua prima squadra, i “ragazzi dell’Alleanza.”
Jake, Abigale, Nadine, Habib, Dario, C.J., Tiger, Jin e … e Sasha. Sì, li ricordava tutti.
Chiuse gli occhi e mise da parte la fotografia.
Non oggi.
L’ultimo oggetto era ancora lì, sul tavolino, in attesa di raccontare la sua storia. Ma era una storia che non poteva ancora affrontare. Lo rimise nella busta, in fretta, assieme alla fotografia. Andò in bagno, si sciacquò velocemente la faccia e uscì.
Quella notte di dormire non se ne parlava proprio: chissà, forse IDA aveva bisogno di lui in sala tattica.*
 

 


* Potrebbero esserci molti errori “storici” in questo capitolo. La scelta della nave è del tutto casuale, ho scritto il primo nome che mi è venuto in mente e non so se Anderson potrebbe effettivamente avervi militato come Primo Ufficiale. Ho sempre visto in Anderson una figura paterna per Shepard perciò mi è sembrato naturale affidargli questo ruolo. Diciamo che mi sono presa qualche piccola licenza …

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Capitolo 19
*** Cicatrici ***


Normandy SR2, 2185
 
Jack si distese sulla branda chiudendo gli occhi: finalmente, dopo tanti anni, Pragia non esisteva più.
Non ci sarebbe mai più tornata, quella struttura impregnata di orrore non l’avrebbe mai più minacciata: ora era solo un cratere fumante, nulla di più.
Forse era il momento di ricominciare.
Addio, Soggetto Zero.
Sentì dei passi familiari che scendevano le scale, si sorprese a sorridere: lo stava aspettando. Non sapeva nemmeno lei perché, ma aveva voglia di vederlo. Di recente Shepard scendeva sempre più spesso a farle visita, per motivi che lei non riusciva realmente a comprendere; all’inizio pensava che volesse farsi solo una scopata, ma quando si era fatta avanti lui l’aveva spiazzata, respingendola.
“Non voglio scoparti, Jack, voglio conoscerti.”
Assurdo: tutti volevano solo scoparla, nessuno si era mai preso la briga di conoscerla.
Tutti, tranne lui.
- Come stai, Jack?-
Era cambiato dalla prima volta che l’aveva visto, non solo le cicatrici si erano finalmente rimarginate, ma sembrava più sereno, quasi in pace. Anche se spesso fingeva solo di esserlo. Jack ancora non riusciva a capire perché fosse così tormentato, certo aveva perso il padre in giovane età e la madre era una stronza ma … andiamo, nella galassia c’erano storie assai peggiori.
No, c’era qualcos’altro sotto, ma non era sicura di volerlo sapere, aveva già abbastanza problemi di suo.
- Non puoi capire, Shepard.- mormorò fissando il soffitto con sguardo vacuo – Non sai cosa significa essere perseguitati dall’orrore, sono cose che ti segnano, nel profondo.-
Lui non rispose, rimase in silenzio così a lungo che Jack pensò fosse andato via; ma quando alzò la testa vide che era ancora lì, appoggiato alle condutture, il viso in ombra.
Jack ebbe la netta sensazione di aver detto la cosa sbagliata, col tono sbagliato, nel momento peggiore. Sapeva poco o niente della storia di Shepard, Tali le aveva raccontato qualcosa delle precedente missione, quella contro Saren, ma non aveva voluto approfondire più di tanto. Shepard aveva vinto, aveva salvato la Cittadella, non c'era nient'altro da sapere. Tutto il resto non aveva importanza, non per lei … almeno fino a quel momento.
“Tu non hai idea di quello che ha dovuto passare Shepard per essere quello che è, Jack.”
- Non pensavo tu potessi mostrare pietà, ma hai risparmiato Aresh.- Jack sussultò, si era aspettata che Shepard dicesse molte cose, ma non quello.
La biotica rimase in silenzio per un istante, osservando attentamente l’espressione del comandante – Era prigioniero del suo passato, lo riviveva ogni giorno.- mormorò infine, soppesando bene le parole, le parve di scorgere un guizzo rossastro negli occhi di Shepard, come accadeva sempre quando il comandante era turbato o, più spesso, arrabbiato – Tu mi hai fatto capire che potevo diventare come lui e non ne ho la minima intenzione. Sono migliore di lui, non voglio che un cratere mi tormenti per il resto della mia vita. - concluse tornando a sdraiarsi, fiera di quelle parole.
- È così semplice, Jack? Ci si può davvero liberare del passato?- la voce di Shepard era talmente flebile che quasi non la udì, soffocata dal ronzio dei motori.
Era una domanda che si era posta tante volte, ma finalmente aveva trovato la risposta – Io ho passato il peggio, Shepard. Sono rimasta imprigionata su Pragia per tutta la vita, ma oggi so di essere finalmente libera. E lo devo a te.-
- No, Jack. Lo devi solo a te stessa. Sono fiero di te.-
Jack si morse il labbro, con forza: nessuno le aveva mai detto una cosa simile.
- Cosa c’è di così terribile nel tuo passato, Shepard?-
Sentì i suoi passi avvicinarsi – Cosa sai di me, Jack?-
La biotica si sollevò sulle braccia – So che sei l’unica persona che io abbia mai rispettato. Non mi serve altro.-
Shepard le rivolse uno strano sorriso, poi, senza essere invitato, si sedette accanto a lei. Se chiunque altro avesse osato fare una cosa simile si sarebbe ritrovato spalmato su tutte le pareti. Ma Shepard era Shepard e poteva permettersi anche quello.
- Nel mio passato, Jack, c’è Cerberus.-
Jack sobbalzò: non era la risposta che si aspettava.
Si rintanò contro la parete, accigliandosi – Che cosa vuoi dire?-
Shepard allungò una mano verso di lei che, istintivamente, si ritrasse; lui scosse il capo e le porse il palmo – Non voglio farti del male.-
La biotica allungò la mano verso di lui, diffidente … la mano di Shepard era calda, un po’ ruvida per via dei calli che aveva sulle dita e sul palmo: era la mano di un soldato. Era la prima volta che lo toccava, si sentì … strana.
Le dita di Shepard corsero lungo il suo polso, poi su fin nell’incavo del gomito, seguendo una delle tante cicatrici che si era sforzata di coprire con i tatuaggi. Ma i disegni non potevano nascondere tutto.
- Dicono che ogni cicatrice racconti una storia.- mormorò Shepard, le sue dita abbandonarono l’avambraccio di Jack e salirono a sfiorarle il collo, deturpato anch’esso come ogni parte del suo giovane corpo. Jack rabbrividì, non si era accorta che fosse così vicino; per la prima volta notò le rughe appena accennate che gli segnavano gli occhi. Le piacque quella piccola imperfezione.
- Ma tu hai troppe storie da raccontare …-
- Alcune me le sono fatte io. -  gli confidò abbassando lo sguardo – Per sfuggire ai loro aghi o durante le convulsioni dovute al veleno dei divoratori che mi iniettavano nelle vene…- un lampo rosso attraversò gli occhi del comandante, non se ne curò, ci era abituata – Altre … altre raccontano storie che appartengono solo a me. -
Le dita di Shepard continuarono la loro esplorazione, le sfiorarono le spalle, la nuca, lo sterno … nessuno l’aveva mai toccata così. Non con una tale dolcezza, mai con così tanto rispetto.
- Cosa penseresti se un giorno ti svegliassi e scoprissi che tutte le tue cicatrici sono sparite? Che qualcuno ha cancellato il passato dal tuo corpo?-
La mano di Shepard indugiò sul suo petto, appena sopra il seno, dove c’erano i segni, indelebili, lasciati dall’elettroshock.
- Sarebbe …- chiuse gli occhi, incapace di sostenere il suo sguardo … era vicino, troppo vicino - … sarebbe inaccettabile.-
- Un tempo avevo molte cicatrici, il retaggio di molte battaglie, ognuna raccontava una storia diversa, speciale. Ma ce n’era una in particolare che significava tutto per me …- Shepard le sollevò la mano, posandola sul suo viso, sulle labbra, Jack spalancò gli occhi, tentando di sottrarre la mano a quel contatto, ma lui la trattenne - … era proprio qui Jack, partiva dalla guancia e arrivava al mento. Era terribile a vedersi come terribile era la storia che raccontava. Spesso, guardandomi allo specchio ho pregato che sparisse. In effetti avrei potuto farla togliere in qualsiasi momento, ma farlo sarebbe stato come … come dimenticare e dimenticare sarebbe stato come tradire. – le lasciò andare la mano ma lei non si mosse – Dovevo a Cerberus quella cicatrice ed è stato Cerberus a togliermela, quando mi hanno ricostruito. Come se cancellando i segni che mi hanno lasciato, potessero cancellare ciò che mi hanno fatto, come se io potessi dimenticare … e sai qual è la cosa più terribile, Jack?- chiuse gli occhi – Io sto dimenticando …-
- Allora torna indietro, Shepard.- sussurrò lei di rimando, con una sicurezza che non sapeva di avere – Ricorda e fattene una ragione.-
Lui spalancò gli occhi, di un azzurro intenso, doloroso. Erano occhi che avevano visto troppo, vissuto troppo, occhi che chiedevano perdono e conforto.
Abbassò le dita e lo baciò. Un bacio leggero, esitante, solo un contatto di labbra: temeva di fare la cosa sbagliata.
Shepard esitò, sorpreso, poi le sue braccia si strinsero attorno al suo corpo, le mani calde premute contro la sua schiena. Non c’era tenerezza nel bacio che le restituì, solo bisogno.
Sentì il corpo di Shepard vibrare contro il suo, ogni muscolo teso allo spasmo, come se in quel bacio risiedesse tutta la sua salvezza. E lei rispose, con forza, aggrappandosi ai suoi vestiti, l’energia oscura che guizzava sopra la sua pelle fondendosi con quella di lui, immergendoli in un bagliore bluastro, pulsante come il loro desiderio.
La branda cigolò mentre Shepard si sdraiava sopra di lei, una mano sulla sua schiena, l’altra dietro la nuca, le labbra premute sulle sue …
- No.- il comandante si alzò, di scatto, come se si fosse scottato. Il bagliore bluastro si spense e lui le diede le spalle, sconvolto – Perdonami, Jack … io …-
- Che cazzo ti prende, Shepard?- sbottò lei, confusa.
- Tutto questo è sbagliato, Jack. - appoggiò la testa contro la parete – Io … io amo un’altra donna.-
Jack piegò le labbra in una smorfia dura – Si tratta solo di sesso, Shepard, non ti sto chiedendo di sposarmi.-
Lui colpì la parete con il palmo della mano, girandosi a guardarla con rabbia – Piantala, Jack. Piantala di trasformare tutto in merda!-
Si alzò dalla branda, furiosa - Non lo è?-
- Io provo qualcosa per te, Jack.- ammise lui, ignorando la sua espressione bellicosa – Mi piace parlare con te, stare con te … ma ti farei solo del male.-
Lei incrociò le braccia al petto, sfidandolo – Credi di sapere cosa sia il dolore, comandante? Non c’è più niente che possa farmi del male.-
Lui scosse il capo - È proprio questo il punto Jack: io so fin troppo bene cosa sia il dolore. Finiremmo col distruggerci.- si avvicinò, esitante.
Se mi tocchi un’altra volta giuro che ti ammazzo!
Ma quando lui tese le mano e le sfiorò una guancia lei non fece niente, rimase immobile, col cuore che le scoppiava nel petto – Tu hai bisogno di qualcuno che ti insegni a sorridere di nuovo … sei bellissima quando sorridi.- appoggiò la fronte sulla sua e chiuse gli occhi – Ma io non ne sono in grado: so solo uccidere.-
Voleva odiarlo, voleva disperatamente odiarlo, ma non ci riuscì. Sapeva benissimo cosa stava provando Shepard in quel momento: era in piedi di fronte al precipizio che l’aveva tenuta prigioniera per anni.
- Tu mi hai dato speranza, Shepard. Speranza per un futuro migliore … permettimi di aiutarti, come hai fatto con me. -
Shepard la guardò a lungo, in silenzio, poi si allontanò da lei e premette sul pulsante dell’interfono.
- Joker?- chiamò.
La voce del pilota si diffuse nel ponte macchine – Sì, comandante?-
- Imposta una nuova rotta …- Shepard la fissò con lo sguardo duro che aveva sul campo di battaglia – Devo andare su Akuze.-
La risposta del pilota arrivò dopo una breve esitazione – Subito comandante.-*

 


* Anche in questo capitolo mi sono presa una piccola licenza: la cicatrice sul viso. Il volto di Alexander è quello standard perciò in ME1 non ha nessuna cicatrice dettaglio che invece si può aggiungere nella personalizzazione del viso. Diciamo che la cicatrice è quello che differenzia il “mio” Alexander Shepard da John Shepard, non l’ho potuto fare nel gioco perciò lo faccio qui.

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Capitolo 20
*** Requiescat in pace ***


Akuze, 2185 Requiescat in pace
 
Comandante, non credo che sia una buona idea …- tentò di dissuaderlo Joker dopo aver attraccato nel piccolo spazioporto di Akuze.
Lo sguardo gelido di Shepard bastò a zittirlo – Se l’equipaggio vuole sgranchirsi le gambe nello spazioporto che faccia pure, ma non li voglio tra i piedi.-
Non c’era bisogno di chiedere dove sarebbe andato lui.
Era vestito in abiti civili, con il giubbotto in pelle e i pantaloni scuri, ma il rigonfiamento della giacca denunciava la presenza della pistola. L’Alleanza aveva classificato il pianeta come “sicuro”, ma lui non sarebbe tornato su quel sasso senza un’arma carica a portata di mano.
Jack lo raggiunse con la sua solita baldanza, il fucile a pompa agganciato alla cintura.
Jeff la squadrò con aria critica – Il comandante ha appena detto …-
- Lei viene con me. – lo zittì nuovamente Shepard facendo cenno a Jack di seguirlo.
Quando furono usciti Joker comunicò all’equipaggio che avevano il pomeriggio libero, poi aprì una comunicazione privata con la batteria primaria
- Ehi Garrus, tu gli hai detto qualcosa?-
- No, pensavo l’avessi fatto tu.-
- Forse Tali …-
- Negativo, Jeff.- rispose prontamente la Quarian che, evidentemente, si trovava con Garrus – Nessuno di noi gli ha detto niente, nemmeno la dottoressa. Non sapevamo come fare.-
- Bene.- Joker si lasciò andare sul sedile di pelle, rassegnato – Quando tornerà ci farà il culo. -
 
Cosa sarebbe questo posto?- domandò Jack mentre attraversavano lo spazioporto.
L’area era praticamente deserta, fatta eccezione per alcuni tecnici e il personale di servizio. La loro nave era la prima ad atterrare da settimane.
Anche se la curiosità doveva essere grande nessuno osò interpellarli: la fama di Cerberus era arrivata fin lì e nemmeno al più zelante degli impiegati sarebbe venuto in mente di chiedere a un gruppo terroristico il motivo della sua visita.
Shepard si fermò davanti all’interfaccia olografica che, su modello di Avina, fungeva da ufficio informativo.
- Mi serve un taxi per il memoriale.-
Jack si accigliò, ma non disse niente.
- Subito, comandante. La informo che la temperatura esterna è di 43° centigradi, consiglio di non attardarsi negli spazi aperti.-
Non ne aveva la minima intenzione.
Il taxi li condusse fino al cimitero, una vasta radura costellata di lapidi bianche, sormontata da una cupola di vetro, costruita per proteggere i vivi dalle difficili condizioni atmosferiche. Akuze era un pianeta abitabile, certo, ma non per questo ospitale.
 
- Che merda è questo posto? E vogliono pure farci una colonia? Chi è il malato di mente che verrebbe ad abitare in ‘sto posto infame?-
- Si vede che non sei mai stato a Jump Zero, C.J., questo posto è un paradiso al confronto.-
- Mi spiace contraddirti Abigale, ma io credo invece che sia l’inferno.-
 
La navetta toccò terra e scesero entrambi, nell’aria torrida del pianeta. Sembrava di essere in un forno.
- Che razza di posto è questo?- sbraitò Jack con lo stesso tono di C.J.
- Benvenuta su Akuze, Jack, la chiave di volta della colonizzazione umana.-
Jack si guardò intorno, sconcertata. I suoi occhi vagarono sulla sabbia nerastra, sottile, punteggiata da radi arbusti contorti che, coraggiosi, cercavano di sopravvivere sotto il sole inclemente e il vento torrido. In lontananza si scorgevano vaghe colline sassose, nere e minacciose. Dietro di loro c’era solo lo spazioporto, più simile a un miraggio che a una costruzione umana, e davanti si apriva il memoriale, protetto dalla sua bolla di vetro. In mezzo, nel nulla, c’erano solo loro.
- Se il direttore della Purgatory avesse saputo di questo posto si sarebbe evitato un bel po’ di fastidi.-
Shepard le fece strada all’interno della cupola, sembrava di entrare in un altro mondo. La temperatura era perfetta, sui 23° centigradi, le lapidi erano disposte in bella fila su un ampio prato verde, perfettamente curato, qua e là gli alberi rompevano la monotonia di quel paesaggio costruito con perfezione geometrica. Il perfetto esempio di un cimitero americano, un luogo di eterno riposo, di eterna pace. Che buffonata: Akuze era un pianeta terribile su cui morire. Nessuno di quegli uomini avrebbe voluto essere sepolto lì, ma all’Alleanza piacevano i gesti plateali, le grandi opere costruite sul nulla.
- L’intera colonia avrebbe dovuto svilupparsi in questo modo.- spiegò Shepard, indicando il verde che li circondava – L’Alleanza voleva fare colpo sul Consiglio dimostrando che l’umanità era in grado di rendere fertile persino un deserto. Che imbecilli …-
Jack si guardò in giro, a disagio, non le piaceva quel posto, le dava i brividi
– Perché mi hai portata qui?-
- Benvenuti nel cimitero di Akuze. Questo luogo è stato costruito in memoria dei valorosi soldati dell’Alleanza che nel 2177 …- l’interfaccia olografica si era accesa da sola, al loro ingresso, Shepard la spense immediatamente con un gesto secco. Non aveva bisogno che quello stupido marchingegno gli narrasse con voce artefatta gli eventi che avevano portato alla costruzione di quel memoriale. Conosceva fin troppo bene la storia.
Jack gli strinse il braccio – Che cos’è successo qui, Shepard?-
Shepard le fece cenno di seguirlo e, mentre sfilavano davanti alle lapidi bianche, cominciò a raccontare: - L’Alleanza voleva questo pianeta, per motivi d’immagine, come ti ho detto, ma soprattutto perché si trattava di un punto strategico. Molte rotte commerciali passano da questo sistema, soprattutto gestite da Asari e Volus, all’epoca non c’erano molti avamposti, tranne una piccola colonia Volus su un pianeta remoto. Akuze aveva le carte in regola per diventare uno snodo importante.- Shepard mise una mano in tasca e le sue dita si chiusero su una piccola catenella, strinse forte finché non sentì le maglie metalliche entrargli nella carne – L’Alleanza acquistò i diritti di colonizzazione, ma questo pianeta era ancora inesplorato e potenzialmente pericoloso. L’intelligence aveva ricevuto strane letture dalla superficie: secondo loro si trattava di un covo di mercenari. Così l’Alleanza decise di mandare dei commando sul pianeta, per fare pulizia e sancirne la definitiva conquista: cinquanta marines sarebbero dovuti bastare.-
Jack guardò la distesa di lapidi – Quante tombe ci sono qui?-
- Quarantanove.-
 
- Cinquanta persone per conquistare questo pianeta del cazzo? Ma non hanno proprio niente di meglio da fare quelli del comando?-
- Chiudi quella bocca C.J. -
- Se no cosa fai, capo? Mi spari?-
- No, ma potrei mandarti di pattuglia cinque minuti prima della partenza … e dimenticarmi di te.-
- Stronzo.-
- Farò finta di non aver sentito.-
 
- Shepard?- Jack lo guardava preoccupata – Sicuro di star bene?-
Shepard annuì e riprese a camminare. Non era sicuro che tornare lì fosse stata una buona idea.
- Tu eri qui, non è così? Sei l’unico sopravvissuto …-
 
- Via, via, via! Per la puttana Dario vieni via di lì!-
- Ce l’ho nel mirino capo! Dammi cinque secondi e il bastardo si beccherà un razzo nel culo!-
- Dario ce n’è un altro! Questo è un ordine, cazzo, vieni via!-
- Fanculo …-
- DARIO!-
- Dario è andato, capo, è andato … non possiamo restare qui!-
 
Si passò una mano sul viso, cercando di asciugare il sudore che gli imperlava la fronte – Le coordinate dell’intelligence avrebbero dovuto portarci a un covo del Branco Sanguinario. Ma quando arrivammo non c’era nessun covo, niente di niente … poi la terra cominciò a tremare e …- fece un gesto vago, scuotendo il capo - … eravamo finiti in un nido di Divoratori.-
Persino Jack, lei che aveva passato il peggio e ne era uscita viva, ebbe un tremito. Finire in un nido di Divoratori era la cosa peggiore che potesse capitare, a chiunque.
- Ci attaccarono in tre. Non avevamo mai visto niente del genere, non sapevamo come affrontarli. Le nostre armi gli facevano il solletico e i colpi del nostro unico blindato servirono solo a farli infuriare.-
 
- Che cosa facciamo, Shepard? Che cosa cazzo facciamo adesso?-
- Non perdere la calma Abigale, resta concentrata. Jin, la radio funziona?-
- No, signore, quelle dannate colline bloccano le comunicazioni.-
- ATTENTI!-
- E quello cosa cazzo era?-
- Il blindato, l’hanno lanciato in aria come un giocattolo …-
 
Si fermò davanti all’ultima fila di lapidi, quella dei ragazzi della “33”, la sua “33”.
S’inginocchiò davanti alle tombe, estrasse la catenella dalla tasca, ancora avvolta attorno alle sue nocche. La medaglietta si riflesse sulla lapide bianca di Dario Cortese, l’italo australiano con la passione per gli esplosivi. Era stato il primo della sua squadra a cadere, ma il suo dannato razzo aveva aperto un bel buco in quel maledetto verme.
- Erano la mia squadra.- mormorò – Li ho visti morire uno dopo l’altro, tutti e nove. –
 
- È finita, Shepard! È finita. Devi lasciarmi andare.-
 
Nella fotografia sulla lapide Jake sembrava un ragazzino, con le lentiggini e lo sguardo ingenuo. Una recluta sputata fuori dall’Accademia con il massimo dei voti, una mente brillante: nessun sistema elettronico poteva resistergli.
Aveva appena finito di riavviare i cannoni del Mako quando il Divoratore si era avventato sul veicolo. Jake era riuscito ad aggrapparsi al bordo del precipizio creato dal Divoratore e Shepard era corso ad aiutarlo; ma alla fine era stato costretto a lasciarlo andare. Non era riuscito a salvarlo.,
- Abigale era una biotica.- disse indicando la lapide accanto a Jake – Una forza della natura, testarda come un mulo. Diceva che dopo l’addestramento a Jump Zero niente avrebbe più potuto farle paura.- contrasse il volto – È morta urlando tra le mie braccia, cercando di tenersi dentro le budella.-
Jack gli strinse con forza la spalla – Non sei obbligato, Shepard …-
Scosse il capo. Era andato lì per ricordare: doveva farlo.
- Le vedi tutte queste tombe?- indicò la radura – Molte sono vuote. Ricordo ancora le loro urla mentre venivano trascinati nelle buche … Jake, Dario, Tiger … i loro corpi non sono mai stati ritrovati. Gli altri …- fece una smorfia: ricordava fin troppo bene cos’era successo agli altri.
Sfiorò con la punta delle dita la foto di Jin, il cinese dai modi garbati, sempre gentile, educato senza mai essere ossequioso. C.J. non gliene lasciava mai passare una, secondo lui aveva una cotta per Shepard.
E alla fine era morto per salvarlo. Se Jin non si fosse messo in mezzo, Shepard sarebbe morto su Akuze e non ci sarebbe stato nessun “Comandante”, nessun eroe della Cittadella. La galassia doveva molto a quell’incursore cinese dai denti un po’ storti e l’aria affabile, Shepard gli doveva tutto.
 
- Non abbiamo più tempo. Bisogna salire su quelle stramaledette colline!-
- Ci hanno già provato, Alex! Quelli della 16 e della 124 … hai visto che fine hanno fatto! Se quella cosa si accorge di noi, siamo fottuti.-
- Rispettiamo il piano: due salgono con le radio e, se sarà necessario, gli altri faranno da esca. -
- Per le esche non mi preoccuperei, capo. Quei coglioni lo stanno già facendo senza che nessuno glielo chieda.-
 – Bisogna solo sperare che sopravvivano abbastanza a lungo.-
- Stai diventando orribilmente cinico, capo.-
- Habib … te la senti di occuparti di una delle radio?-
- Agli ordini, capo. –
- Chi prende l’altra radio?-
- Andrò io.-
- Nadine, sei impazzita?-
- Sono la scelta più ovvia, Tiger. Tu sei ferito, C.J. farebbe esplodere la radio, senza offesa, e corro più veloce di Sasha.-
- Sono io la scelta più ovvia, Nadine. Tocca a me.-
- Alex rifletti: sei il nostro comandante, non possiamo rischiare di …-
- Dovrei nascondermi mentre altri rischiano la vita per me?-
- Sasha ha ragione: se noi dovessimo fallire, comandante, ci sarà bisogno di un altro piano. Ci sarà bisogno di te. Il tuo posto è con il gruppo e i tuoi poteri biotici saranno più utili qui che lassù. È una mia scelta, Alex.-
- È una follia, Shepard. Non darle retta …-
- Va bene, ma state attenti. Non guardatevi indietro: qualunque cosa accada, qualunque cosa sentiate continuate a salire.-
 - Oui, chef.-
 
Sospirò affondando le dita nell’erba umida, fresca – Le colline impedivano le comunicazioni. Nadine e Habib tentarono di scalarle per mandare un segnale, contavamo sul fatto che i Divoratori si concentrassero su di noi e l’altra squadra superstite. Per un po’ sembrò funzionare, poi quei coglioni della decima squadra persero la testa, tentarono di riparare verso le colline e ovviamente i Divoratori li puntarono.- digrignò i denti al ricordo, non solo quegli idioti si erano fatti ammazzare, ma avevano fatto ammazzare anche i suoi – Nadine fu la prima a cadere, colpita da uno dei loro sputi. Habib riuscì ad arrivare a metà collina prima che franasse sotto i suoi piedi.-
 
- NADINE!-
 – È troppo tardi, Tiger, nessun diversivo la riporterà in vita! Se spari siamo morti tutti.-
- Tu, maledetto figlio di puttana! È morta per colpa tua, dovevi esserci tu al posto suo!-
-  Non c’era alternativa, Tiger! Lo sai anche tu, Nadine era la scelta migliore.-
- Non t’immischiare, Sasha!-
- Tiger ascolta …-
- Stai zitto, bastardo! Ci hai trascinato tu in questo casino … il tuo primo comando: complimenti Shepard, hai perso quasi tutti.-
- Piantala, coglione. Almeno noi siamo ancora vivi, hai visto che fine hanno fatto gli altri? Tu cos’avresti fatto?-
- Lascialo andare C.J. Hai ragione, amico mio: non ho fatto abbastanza. Ma giuro sulla mia vita che vi porterò fuori da qui. -
- E come pensi di fare? Quei figli di puttana sono ovunque.-
 - Ogni volta che cessano gli spari si ritirano.  Non credo che siano intelligenti, reagiscono al rumore. Nadine ce l’avrebbe fatta se non fosse stato per quei tre idioti. Siamo rimasti solo noi adesso … se siamo cauti, se non facciamo rumore forse non si accorgeranno di noi.-
- Alex, le radio sono andate.-
- Quella di Nadine lampeggia ancora: è intatta.-
 
- Ancora non sapevamo che i Divoratori percepiscono anche le più piccole vibrazioni. Non potevamo saperlo.- Jack era inginocchiata accanto a lui, immobile, il viso contratto – Sentirono i nostri passi. Il tempo di prendere la radio di Nadine e ci erano già addosso. Tiger decise di rimanere indietro per coprirci la fuga, quando lo presero strappò la linguetta alle granate e si fece esplodere.- si coprì il volto con le mani – Nemmeno adesso riuscirei a correre più in fretta. Salire su quella collina fu come scalare una montagna …-
 
- C.J.!-
-Ci penso io a lui, Sasha! Tu stai bene?-
- Sì … sì, sto bene.-
- Allora continua a salire, non ti fermare.-
- Alex …-
- Dannazione, Sasha, devi chiamare l’Alleanza o saremo morti comunque!-
- Capo …-
- Sono qui C.J., non vado da nessuna parte senza di te.-
 - La gamba capo, credo che sia rotta …-
- Non ti preoccupare, caporale, andrà tutto bene. Devi solo stringere i denti, manca poco.- l
- No, no: fermo! Cazzo mettimi giù, Shepard! Non ce la faccio, fa troppo male.-
- Va bene, non ti preoccupare. Sasha è quasi in cima, tra poco le navette saranno qui, ci porteranno via. Ti fidi di me, vero?-
- Ok capo, mi fido … però voglio una cazzo di licenza quando ce ne siamo andati via da qui.-
- Promesso caporale, farò in modo che ti paghino una vacanza su Thessia. Un mese intero circondato da bellezze blu, che ne dici C.J.?-
- Sarebbe il massimo capo … capo?-
- Che c’è?-
- Credo che uno di quei maledetti cosi sia ancora vivo: qualcosa di grosso si muove laggiù. Qualcosa di molto grosso.-
 - Figlio di puttana! Andiamo C.J. devi alzarti, dobbiamo andare più in alto.-
- Con questa gamba non vado da nessuna parte, capo.-
- Non dire stronzate: sei un soldato, sei stato addestrato per questo!-
- L’hai detto: sono un soldato. So benissimo che per me è finita. Ho fatto un cazzata e sono caduto, come un recluta il primo giorno di addestramento.-
- Non voglio un fottuto eroe morto!-
- Lasciami fare il figo prima di morire, capo, non rovinare tutto. Il bastardo è messo male. Io non scommetterei su di lui se fossi in te.E adesso muovi il culo Shepard, ci penso io al maledetto verme. Tu devi pensare a Sasha: portala via di qui.-
- Non chiedermi di lasciarti qui …-
- Ogni uomo ha il suo destino: questo è il mio. Ora vattene maledizione, prima che cominci ad avere paura! Vattene!-
 
- Era giusto così, Shepard. Non potevi salvarlo.-
- Forse …- Shepard fissò il volto sorridente di C.J. che lo fissava dalla lapide con la sua aria da ragazzaccio - … la verità è che non ci ho nemmeno provato. L’ho abbandonato, come ho fatto con tutti gli altri.-
 
- Sasha!-
- Sono … sono qui Alex …-
- Oh mio Dio ….-
- Il veleno … non mi ero nemmeno accorta che era ancora vivo. Quelle … cose … sono tutte morte?-
- Sì, ma io … ho perso tutti, non sono riuscito …-
- Shh … non è colpa tua, Alex tu … oddio le gambe … non sento più le gambe!-
- Sasha, no! Devi resistere piccola …-
- Ho contattato il comando … tra poco saranno qui …-
- Lo so. Sei stata bravissima, piccola. Vedrai che andrà tutto bene, ci porteranno via di qui e ti cureranno, starai benissimo …-
- Alex … sei ferito …-
- Non è niente, solo un graffio. Me la caverò, e anche tu. Ti porterò via di qui, ti ho promesso che l’avrei fatto … non posso fallire anche con te.-
- Non è stata colpa tua, nessuno avrebbe potuto fare di meglio … io … io ti sciolgo dalla tua promessa Alex …-
- Non farlo Sasha, tu sopravvivrai, ce ne andremo da qui ...-
- Tu vuoi sempre salvare tutti … ma ci sono cose che nemmeno tu puoi fare … non … non piangere Alex …-
- Io … Stanno arrivando le navette! Le senti, piccola? Presto starai bene … Sasha … Sasha?-
- Ti amo Alex …-
- Ti amo anch’io piccola, devi solo resistere … Sasha ti prego … SASHA!-
 
Quando le navette erano arrivate era ormai troppo tardi. Era rimasto solo lui.
Sasha era morta tra le sue braccia, le gambe completamente corrose dal veleno dei Divoratori. Erano morti tutti, tranne lui.
Per otto anni aveva tentato di dimenticare quel terribile giorno, col tempo il dolore era sbiadito e con esso anche il ricordo dei loro volti.
Sasha, la sua Sasha, come aveva potuto dimenticata? Si era imposto di non pensare a lei, al verde dei suoi occhi e al profumo della sua pelle … le aveva voltato le spalle come un vigliacco. Le aveva voltate a tutti loro.
Si portò alle labbra la medaglietta che aveva in mano: specialista Sasha Red.
- Avevi ragione tu, piccola. Ho lasciato che Akuze mi distruggesse …-
La sua “33” era morta, non c’era rimedio a questo, poteva solo accettarlo e onorare il loro ricordo. Nel suo dolore li aveva traditi nel modo più orrendo: dimenticandoli.
Guardò la foto di Sasha senza più tremare: era morta, ma lui aveva il potere di farla vivere per sempre, ricordandosi di lei.
La mano di Jack si posò sulla sua spalla, esitante, e lui la strinse senza sentirsi colpevole. Gli era stata donata un’altra vita, un’altra possibilità, sprecarla sarebbe stato un insulto verso chi quella possibilità non l’aveva avuta.
- Mi dispiace, Shepard.-
Shepard si alzò e le sorrise - È tutto ok, Jack. Loro sono in pace adesso, e forse, un giorno, lo sarò anch’io. - si rigirò la medaglietta tra le dita e se la mise al collo, accanto alla sua, la vecchia medaglietta che Liara aveva recuperato dal suo cadavere in un tempo che sembrava ormai lontano.
Appoggiò una mano sulla lapide bianca e mormorò: - Requiescat in pace, amore mio.-

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Capitolo 21
*** Ricominciare ***


Akuze, 2185 
 
Jack si allontanò: c’erano dei momenti che appartenevano ad una persona soltanto. Shepard aveva bisogno di un po’ d’intimità per dire addio alla donna che aveva amato e alla squadra che aveva perduto.
Camminò lungo la fila di lapidi bianche, dedicate a uomini e donne morti senza un motivo. Le date di nascita erano tutte diverse, quelle di morte tutte la stessa: 23 settembre 2177.
Si strinse le braccia attorno al corpo: non provava facilmente repulsione, la disperazione della galassia l’aveva sempre lasciata indifferente, persino su Horizon era rimasta impassibile. Ma quel racconto aveva risvegliato in lei sensazioni che non credeva di poter provare, forse perché la disperazione di Shepard era così autentica, il suo senso di colpa così profondo, da farla sentire triste per qualcuno che non fosse se stessa. Forse, dopotutto, non era l’unica ad aver passato il peggio.
Mentre camminava notò una tomba leggermente scostata dalle altre, solitaria, come se facesse parte di quel luogo senza appartenervi veramente.
La lapide era in pietra, grigia, non bianca, leggermente bitorzoluta: era un sasso su cui era stato inciso il nome di un uomo morto.
Jack si chiese il perché di quella scelta, sembrava quasi dire che non avrebbe dovuto trovarsi lì, in cui nulla era reale se non l’irreversibilità della morte.
Si avvicinò alla tomba con uno strano presentimento: chiunque vi fosse sepolto non era una persona qualunque.
 
Comandante Alexander Andrej Shepard
20 luglio 2154 – 7 settembre 2183
 
Jack rimase immobile, chiuse gli occhi e li riaprì: ma l’incisione non mutò, il nome scolpito nella pietra rimase lo stesso. Era davanti alla tomba del comandante Shepard.
- Shepard.- chiamò senza distogliere lo sguardo dalla lapide - Credo di aver trovato una cosa che dovresti vedere.-
Quando lesse il suo epitaffio il viso del comandante non tradì alcuna emozione, come se quella tomba non appartenesse a lui.
- Buffo.- disse infine – Non avrei mai pensato di visitare il mio sepolcro.-
Jack gli lanciò un’occhiata indagatrice – Che effetto fa?-
- Mi sembra di avere di fronte la tomba di un vecchio amico.- sussurrò quasi con affetto, il capo chinato di lato, gli occhi socchiusi – Un amico che cercavo da molto tempo senza sapere dove fosse, ma con la certezza che qualcosa di brutto gli fosse accaduto. – si accucciò di fronte alla tomba, come aveva fatto con le altre: era l’omaggio di un uomo vivo ad un uomo morto.
- Con mio padre morì Andrej, qui, su Akuze, persi Alexander e con la Normandy SR1 anche il grande comandante Shepard cessò di esistere. Di fronte a questa tomba mi domando: chi è l’uomo che Cerberus ha riportato in vita? Il ragazzino russo che guardava la Terra con desiderio? O l’americano spaccone che viveva nel mito di suo padre? Oppure l’eroico comandante che combatteva come se non ci fosse un domani?- Shepard scrollò le spalle come se non si aspettasse una risposta – Questa lapide è stata posta in onore di un uomo che forse non è mai esistito, un uomo che credeva di avere tutte le risposte, che conosceva solo il bianco o il nero. Un uomo che non avrebbe mai lavorato per Cerberus.-
- Cosa c’entra Cerberus con questa storia? –
La mascella di Shepard si contrasse – Oltre a me c’è un altro superstite. Un uomo che fino a due anni fa l’intera galassia credeva morto. C’è anche la sua tomba, qui da qualche parte: caporale Toombs.- fece vagare lo sguardo tra le lapidi – La sua squadra fu una delle prime ad essere attaccate, il suo corpo non venne mai ritrovato ma come lui ce n’erano tanti, così nessuno lo cercò. Due anni fa, mentre la Normandy era in orbita attorno a un pianeta remoto, captammo una richiesta di soccorso: uno scienziato braccato da un assassino. Arrivammo giusto in tempo: trovammo lo scienziato in ginocchio, con una pistola puntata alla testa. L’uomo che impugnava la pistola era Toombs.- scrollò le spalle – Mi disse che quello scienziato faceva parte di un’organizzazione umana chiamata Cerberus e che, assieme ai suoi colleghi, era responsabile di quanto avvenuto su Akuze. Il segnale che ci aveva condotti nel nido dei Divoratori era stato piazzato da Cerberus. Mentre noi ci facevamo massacrare loro ci osservavano, ci studiavano, come … come gladiatori in un circo.-
Jack strinse i pugni: Cerberus.
- Toombs era stato catturato prima dell’attacco, per tutti quegli anni era stato una delle tante cavie di Cerberus. Come te.- non c’era rabbia o odio nella voce di Shepard, solo un’infinita tristezza e una stanchezza inestinguibile – Dopo la fuga aveva iniziato a dare la caccia ai sui aguzzini, quello scienziato era solo l’ultimo di una lunga serie.-
- Spero tu abbia ucciso quell’uomo. -
Shepard contemplò con aria assente il suo epitaffio – We are fools to make war on our brothers in arms.- raccolse la fotografia appoggiata ai piedi della lapide e tolse delicatamente la polvere che la ricopriva – Ero un soldato, non un assassino: lo arrestai.-
Jack si accucciò accanto a lui, pensierosa; un tempo uccidere era stata la sua unica soluzione, ma lei non era più il Soggetto Zero. Su Pragia aveva imparato a provare pietà, aveva capito la differenza tra giustizia e vendetta: Aresh, nella sua follia, meritava giustizia, ma Cerberus e l’Uomo Misterioso non meritavano altro che vendetta, per loro, solo per loro, sarebbe tornata ad essere il Soggetto Zero.
- Quell’uomo li aveva uccisi i tuoi fratelli d’armi. –
Shepard sospirò – Se gli avessi sparato in testa, a bruciapelo, lui avrebbe vinto e io perso. Avrei dimostrato di essere un animale e nient’altro.- abbassò lo sguardo sulla foto – Io ero migliore di così: ero il comandante Shepard.-
Capiva il significato di quelle parole, ma era stata guidata dall’odio per troppo tempo, dubitava che le cose sarebbero mai cambiate.
- E adesso che cosa sei, Shepard?-
Lo sguardo del comandante vagò smarrito tra le lapidi, poi sfiorò la fotografia che teneva in mano e infine si posò su di lei. Jack tremò: aveva visto quello sguardo molte volte, allo specchio.
- Non lo so, Jack. Non lo so. - si morse le labbra, nervoso – Pensavo che ritornare qui, costringermi a ricordare, ad accettare, potesse finalmente darmi pace ma … ma finché lavorerò per Cerberus non conoscerò pace. Tela Vasir* aveva ragione: dopo quello che Cerberus ha fatto alla mia squadra come posso lavorare per loro e giudicare le azioni degli altri?-
- Se tu lavorassi per Cerberus, Shepard, io non sarei qui.- Jack tormentò un filo d’erba: stentava a ricordare l’ultima volta che aveva toccato un prato vero, forse non l’aveva mai fatto.
- Me lo ripeto ogni notte Jack, ma sappiamo entrambi che l’Uomo Misterioso mi tiene in pugno: se lo mando al diavolo condanno l’umanità e forse l’intera galassia, se continuo a combattere con lui condanno la mia anima. Qualunque sia la mia scelta lui vince e io perdo.-
Jack tenne gli occhi bassi – Al tuo posto io salverei me stessa.-
Con delicatezza Shepard la costrinse a guardarlo – Allora perché sei ancora qui? Non sei su una nave in fiamme e hai distrutto il luogo dei tuoi incubi: sei libera ma hai scelto di restare, stai sacrificando te stessa per salvare l’umanità.- le asciugò una lacrima con il pollice. Assurdo: lei non piangeva mai – Sei la persona più coraggiosa che io abbia mai incontrato, Jack. Ti devo molto, più di quanto tu possa immaginare.-
Jack voltò il capo, vergognandosi per le lacrime che non riusciva più a trattenere. Le lacrime erano per i deboli, e lei non era debole.
- Fanculo, Shepard.- ringhiò.
Lo sentì ridacchiare e alzarsi – Andiamo, Jacqueline. Siamo stati qui fin troppo a lungo.-
Trattenne l’istinto di spaccargli la faccia, giusto per dimostrargli che non si era rammollita e si alzò, ignorando deliberatamente la sua mano tesa.
Mentre lui si allontanava il suo sguardo indugiò sull’epitaffio: Comandante Alexander Andrej Shepard.
- Sai, credo che Alexander fosse un po’ troppo boy scout per i miei gusti mentre il comandante Shepard mi sa di pallone gonfiato.- Shepard si fermò a guardarla, le braccia incrociate al petto e un sorriso appena accennato sulle labbra – Però credo che Andrej potrebbe starmi simpatico. Che ne dici di provare ad essere lui?-
Shepard scosse il capo ma il suo volto si aprì in un vero sorriso, da ragazzino, le tese una mano – Ci potrei provare, Jackie.-
Jack rise, spiccò una corsa e gli prese la mano – Chiamami in quel modo davanti agli altri e ti spalmo su tutte le pareti … Andrej.-
- Spalmato è male?-
- Ci puoi giurare, bellezza.-
Risero entrambi, come ragazzini al primo appuntamento. Forse, dopotutto, anche loro potevano ricominciare.

 


*Per chi non avesse giocato il DLC “Ombra”, Tela Vasir è uno Spettro Asari al servizio dell’Ombra.

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Capitolo 22
*** Nessuna promessa ***


Normandy SR2, 2185
 
Si sentì un ragazzino mentre usciva dall’ascensore con una bottiglia di vino in mano e un sorriso idiota stampato sulla faccia, ma l’eccitazione si trasformò presto in panico quando vide Tali uscire dal ponte macchine, concentrata sul suo factotum.
Il suo primo istinto fu quello di fiondarsi nell’ascensore, ma per poco non andò a sbattere contro le porte ermeticamente chiuse.
- Ehi, Shepard cosa ci fai qui?- domandò Tali cadendo dalle nuvole.
Vide distintamente i suoi occhi brillanti posarsi sulla bottiglia che teneva in mano ed era certo che dietro il casco le sue labbra si stavano curvando in un sorriso malizioso.
Lavori una vita per farti una reputazione e poi …
- Io … ehm …- si guardò intorno alla ricerca d’ispirazione - … stavo … stavo andando a fare visita a Zaeed …-
- Con una bottiglia di vino?-
Si finse stupito – Bottiglia?- guardò la bottiglia come se gli fosse apparsa in mano in quel momento – Oh, questa bottiglia … era per farmi perdonare sai, l’ultima missione non è andata proprio come voleva lui …-
Tali si puntellò le mani sui fianchi – Se non ricordo male ha minacciato di spaccarti il naso con la tua stessa colonna vertebrale …-
Shepard si strinse nelle spalle – Zaeed non porta rancore …-
Tali lo fissò, in silenzio.
- Beh, forse un pochino …- le porse la bottiglia – Magari è meglio se gliela dai tu. -
Tali prese il vino – Sicuro che è per Zaeed?-
Shepard allargò le braccia – E per chi altri?-
Tali scosse il capo e lo superò, diretta all’alloggio di Zaeed, mentre passava gli sfiorò la mano – Per quello che vale, Shepard, ti auguro di essere felice.-
Shepard rimase a fissarla mentre si allontanava e poi spariva dietro le porte scorrevoli. Non riusciva ad immaginare la Normandy senza Tali, era felice che fosse lì con lui. Nonostante i dubbi, le incertezze, alla fine lei e Garrus erano i soli che gli avevano concesso davvero un’altra possibilità. Non biasimava Liara e Wrex per essere rimasti indietro, avevano un loro compito da svolgere, non meno importante del suo; era il comportamento di Ash a turbarlo, forse, un giorno, sarebbe riuscito a capirla, addirittura a perdonarla, ma quel giorno era ancora lontano.
Adesso era lì, sul ponte macchine, emozionato come un quindicenne, indeciso se bussare o meno alla porta di una donna che era l’opposto di tutte quelle che aveva amato.
Jack era … unica. Diversa da Sasha ed Ashley come il giorno e la notte, ma era riuscita laddove tutte le altre avevano fallito: nel suo dolore, nella sua follia gli aveva mostrato la via per ricordare e farsene una ragione.
Scese le scale senza più esitare, quasi di corsa: carpe diem, Andrej.
La trovò seduta sulla sua branda, persa nei suoi pensieri, le mani che pulivano meccanicamente la canna della pistola.
Si sedette accanto a lei, ringraziando Tali per avergli portato via la bottiglia: in quel momento non avrebbe saputo che farsene.
Jack lo ignorò, continuando a pulire la pistola come se lui non ci fosse.
- Ehi …-
Jack non alzò nemmeno lo sguardo – Che ci fai qui?-
- Sono passato a trovarti.-
- Mi fa piacere.- rispose, lapidaria – Ora puoi anche andare.-
Cominciò a innervosirsi: pensava che dopo Akuze le cose si fossero chiarite.
- Sono qui per parlare con te, Jack. -
Lei si alzò – Non mi interessa una stupida relazione amorosa, vanno sempre a finire male.-
Shepard le rivolse uno sguardo severo: - Non prendermi in giro, Jack. Sei tu quella che non parla chiaro.-
Era stato scorretto con lei, all’inizio, l’aveva illusa e cacciata via, ma aveva sperato che Akuze potesse aprirle gli occhi, mostrandole che non era l’unica ad essere un po’ pazza. Pensava di aver diritto anche lui a un po’ di, sana, infermità mentale.
Jack lo guardò, forse seguendo lo stesso filo dei suoi pensieri.
- Murdock.- disse infine, dopo un lungo silenzio – Un tizio che mi ha usata come tutti gli altri, per il sesso, i poteri biotici ... ci divertivamo, ma lui rovinò tutto.- gli voltò le spalle, forse per nascondere gli occhi lucidi che smentivano il cinismo delle sue stesse parole. Shepard la conosceva abbastanza bene da sapere che dietro la durezza del suo linguaggio si celava un dolore autentico, straziante.
- Restammo separati durante l’assalto a un trasporto di armi Batarian.- proseguì senza cambiare tono – Poteva scegliere: andarsene con le armi o tornare indietro per me. L’idiota mollò la roba e si slanciò dietro i quattr’occhi, io raggiunsi la navetta, ma non c’era modo che lui ne uscisse.- si strinse le braccia intorno al corpo, ma Shepard si guardò bene dall’avvicinarsi, sapeva che non l’avrebbe tollerato. Si limitò a rimanere seduto, spronandola a proseguire il racconto, con lo stesso tono cinico e distaccato che usava lei.
Jack proseguì, incapace di fermarsi, di cambiare tono. Come se avesse ripetuto quella confessione così tante volte da averla imparata a memoria.
- Dopo circa un giorno di viaggio la navetta riprodusse una registrazione che lui aveva preparato nel caso non fosse tornato indietro, se fosse morto insomma. Parlava del futuro che avremmo vissuto insieme, di come avesse intenzione di sistemarsi, di quanto …- la sua voce s’incrinò leggermente, una sfumatura quasi impercettibile - …  di quanto mi amasse e quanto gli dispiacesse non essere più al mio fianco.-
Shepard si passò una mano sulla fronte: la capiva fin troppo bene. Il lutto poteva essere superato, il dolore pian piano svaniva, ma il sapore amaro del tradimento, del proprio tradimento non andava mai via.
Sia lui che Jack avevano fatto esattamente ciò che ci si aspettava che facessero: sopravvivere a scapito di tutti gli altri.
- È come se ti sentissi in colpa per la sua morte.- disse, come se non fosse evidente, come se non sapesse esattamente ciò che provava lei.
Jack si girò, dura, irosa, bugiarda – Se l’è andata a cercare.- ancora una volta cercava di rifugiarsi dietro la corazza del Soggetto Zero, senza rendersi conto che era ormai irrimediabilmente incrinata – I sentimenti indeboliscono, tutto qui, lui lo scoprì a sue spese e succederà anche a te.-
Trattenne a stento un sorriso amaro: sai che l’ho già scoperto, Jack. Ma non m’importa, non più.
- Se ti avesse abbandonata ora non saresti qui.-
Jack fece una smorfia – E allora? Mi hai forse vista esitare? La morte è semplice, come premere un interruttore. Ma questa è una cosa più profonda.- tornò a voltargli le spalle – Alla fine ti ritrovi svuotato, come uno di quei mutanti.-
Non poteva darle torto, la morte era semplice, lo sapeva, l'aveva provato sulla sua pelle, ma dovevano forse rinunciare alle emozioni che la vita poteva donare per paura di quel dolore che, inevitabilmente, prima o poi sarebbe arrivato? Jack non era sopravvissuta tutti quegli anni in nome di una vita che non valeva niente e lui non aveva rinunciato all'eterno riposo per farsi scivolare dalle dita quella seconda occasione. Lui non voleva più pensare che la rabbia e il dolore fossero le uniche emozioni che lo spingevano ad andare avanti. Era stato felice, molto tempo prima, insieme a Sasha e non poteva credere che quella felicità fosse perduta per sempre.
La voce irosa, dura della biotica interruppe i suoi pensieri - Dovrei accettarlo e ringraziarlo di essere morto per me?-. Quella domanda non era rivolta a lui, ciononostante, nella sua mente, le rispose: sì Jack, dovresti.
Si alzò, deciso a mettere in chiaro le cose una volta per tutte: ciò che era stato era stato, non si poteva cambiare. Ma era stupido, insultante, sprecare quel presente comprato dal sangue delle persone che avevano amato.
- Non posso cambiare tutto questo, Jack. Non così in fretta.-
Lei gli rivolse un sorrisino saccente – Infatti, sapevo che non avrebbe funzionato. Ora scommetto che passerai più tempo di sopra.- concluse, tagliente.
Shepard incrociò le braccia al petto, alzando il mento, sprezzante – No, resterò qui con te.-
Jack indietreggiò, spiazzata: non si era aspettata quella risposta – Ma hai appena detto …-
- Ho detto che non posso farci niente, ma non ho detto che dobbiamo chiudere qui.-
- Che diavolo ti prende, Shepard?-
Lui si avvicinò – Sei pazza? Forse e allora? Lo sono anch’io. Tempo fa ti ho detto che ci saremmo distrutti l’un l’altro, che ci saremmo fatti del male. Lo credo ancora, anzi, ne sono convinto, ma non m’importa.- la prese per un braccio, con dolcezza, impedendole di fuggire - … guardami, Jack.- lei obbedì – Io ho bisogno di te e tu di me. Non so se o quanto durerà, non ti faccio promesse né pretendo di averne: so solo che quando sono con te non ho più paura. – si concesse un sorriso – Abbiamo passato il peggio, Jack, cos’altro può succederci?-
Lei si morse un labbro, la sentiva tremare sotto le sue dita – Io devo … devo pensarci un po’ sopra.-
Si chinò verso di lei, dandole tutto il tempo di respingerlo se avesse voluto. Non lo fece.
- Nessun problema.- soffiò contro le sue labbra – Non vado da nessuna parte, non questa volta.-
Mentre se ne andava avrebbe potuto giurare di averla vista sorridere.
Rientrò nella sua cabina decisamente sollevato, contento della scelta che aveva fatto: gli era stata donata un’altra vita e non intendeva sprecarla.
Guardò Ash, seria e bellissima, che lo fissava dalla foto sulla scrivania. L’amava e l’avrebbe amata per sempre, come aveva amato Sasha prima di lei. Ma le cose erano andate com’erano andate e non c’era più niente che li tenesse insieme. Lei aveva fatto le sue scelte, era tempo che lui facesse le sue. Cosa gli riservasse il futuro non poteva saperlo, ma sapeva per certo che nel suo presente Ashley non c’era.
Abbassò la fotografia con un gesto brusco, senza rimorsi, senza rancori.

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Capitolo 23
*** Tempo scaduto ***


Normandy SR2, 2185
 
La voragine nera s’ingrandì lentamente, pulsante e terribile, fino a inghiottire l’intero sistema Bahlak. Sulla mappa galattica non rimase che un buco nero dove un tempo c’era stato un sistema, con una sua stella, dei pianeti, una colonia, 304.942 Batarian.
Era bastato un gesto della sua mano, la leggera pressione del dito sul pulsante per distruggere tutto.
Nelle orecchie gli risuonò l’ululato delle sirene, il rombo dei propulsori, il fragore del vento, l’agghiacciante regolarità del conto alla rovescia.
Era salito sulla Normandy ed era fuggito, abbandonando un’intera colonia al suo destino. L’esatto contrario di quanto aveva fatto suo padre molti anni prima.
Provò … vergogna.
- Shepard …-
Si raddrizzò di scatto, interrompendo Garrus con un perentorio gesto della mano. Non voleva sentirsi dire che aveva fatto la cosa giusta, che non aveva altra scelta, che tanto quei Batarian sarebbero morti comunque.
Li aveva uccisi lui e quel sangue avrebbe macchiato le sue mani per il resto della sua vita. Era diventato un terrorista.
Aveva ucciso 304.942 persone.
E lo rifarei.
La sopravvivenza della galassia dipendeva da decisioni spietate e aveva appena scoperto di poterle prendere. Una scoperta che gli metteva i brividi.
- Shepard, dovresti farti vedere dalla dottoressa.-
Garrus gli si era avvicinato staccandogli di forza le mani aggrappate alla sbarra metallica della mappa galattica. Solo in quel momento Shepard si rese conto d’indossare ancora l’intera armatura, non si era nemmeno tolto il casco.
- Sto bene.- ringhiò, svincolandosi dalla presa di Garrus.
Non aveva bisogno di un baby sitter.
“Sappi una cosa prima di morire invano: il vostro tempo è scaduto, la vostra specie finirà. Preparatevi all’avvento.”
Shepard barcollò portandosi le mani alla testa: non voleva … non voleva più sentire quella voce! Aveva sacrificato un intero sistema, eppure, dentro di sé sapeva che non sarebbe servito a niente. L’araldo aveva ragione: si stava solo opponendo all’inevitabile.
- Ti porto in infermeria Shepard, tu non stai bene!- esclamò Garrus, allarmato, prendendogli il polso.
- No!- l’esplosione biotica colpì Garrus in pieno petto, mandandolo a sbattere contro la porta dell’ascensore. Kelly Chambers strillò, spaventata.
Shepard si slacciò il casco e lo buttò in terra, furibondo – Non ho bisogno di te, Garrus.- sibilò davanti alla faccia esterrefatta del Turian – Non ho bisogno di nessuno!- urlò agli stupefatti membri dell’equipaggio che avevano assistito alla scena.
Scavalcò il Turian ed entrò nell’ascensore premendo il pulsante che l’avrebbe portato nella sua cabina.
Non meritava aiuto né compassione, non sapeva che farsene di amicizia e conforto: era un dannato terrorista e come tale doveva essere trattato. Lui non era più un eroe. Forse non lo era mai stato.
Quando fu nella sua cabina si strappò la corazza di dosso, desideroso di poterla bruciare, l’uniforme sotto di essa era intrisa di sudore e sangue rappreso, non gli importava. Prese la bottiglia di vodka dal frigobar e la stappò con un gesto secco, rabbioso. Se la portò alle labbra bevendo avidamente, come se non ci fosse un domani, l’idea di prendere un bicchiere non gli sfiorò nemmeno la mente. Non c’era più il rischio di sentirsi squallido, lui era squallido.
- Comandante Shepard …-
- Taci, maledetta IA!-
IDA non disse più nulla e Shepard poté concentrarsi esclusivamente sulla sua bottiglia. Bevve finché non dimenticò il suo nome e la sua missione, bevve finché il fisico resse poi collassò semi svenuto sul letto.
 
- Più in alto Alex! Spingi più in alto!-
Sasha rideva, i capelli rossi sparsi sulle spalle, la gonna a fiori che si gonfiava lasciando scoperte le gambe affusolate proiettate verso il cielo. Giocavano come bambini nel parco giochi di una colonia remota. Forse Terranova, forse Benning … non aveva importanza. Avevano appena terminato una missione complicata e l’Alleanza aveva concesso loro una piccola licenza.
Gli altri erano andati a folleggiare in qualche bar mentre loro erano finiti chissà come in quel piccolo parco giochi a spingersi sull’altalena.
- Guarda Alex, sto volando!- Sasha sembrava una bambina, con il suo vestito a fiori e i nastri nei capelli. Si era lanciata dall’altalena con un gridolino bellicoso rotolando malamente sul prato, ridendo come una matta.
Alex l’aveva raggiunta, impedendole di alzarsi, costringendola a subire la peggiore delle torture: il solletico.
Sasha aveva riso ancora più forte, tentando di divincolarsi e colpendolo con pugni che avrebbero steso chiunque, ma non un soldato.
- Non vale usare i poteri biotici, Alex!-
- E chi lo dice?-
L’aveva attirata a sé, baciandola e scompigliandole i capelli. Se qualcuno li avesse visti sarebbero finiti nei guai, l’Alleanza non gradiva la fraternizzazione tra soldati, ma era una regola che non seguiva nessuno, di certo non loro.
- Mi manca il cinguettio degli uccelli.- aveva mormorato improvvisamente Sasha, fissando il cielo con aria malinconica – Non ci sono uccelli su questo pianeta.-
Alex si era appoggiato su un gomito, giocherellando con le ciocche rosse della sua compagna – Non ci ho mai fatto caso.- ammise.
- Sei cresciuto nello spazio. Non puoi sapere cosa vuol dire svegliarsi la mattina con gli uccelli che cantano.-
No, non lo sapeva, conosceva solo il ronzio dei motori e il debole fischio dei freni iperluce. Aveva trascorso la sua vita sulle navi spaziali, per poter essere un soldato degno dei suoi genitori.
- I soldati non hanno tempo per queste sciocchezze.- aveva decretato, imitando il tono deciso di sua madre.
Sasha aveva sorriso con la bocca, ma non con gli occhi. Gli occhi erano rimasti malinconici – E non c’è il rischio che si dimentichino di quello per cui combattono?- si era messa a sedere, abbracciandosi le ginocchia sbucciate– Non facciamo altro che saltare da un pianeta all’altro, sempre più lontano, alla ricerca di nuove sfide, di nuovi mondi … che cosa stiamo cercando, Alex?-
Lui le sorrise – Un posto tra le stelle …-
Gli occhi di Sasha brillarono – Ma la Terra è tra le stelle. Basterebbe solo alzare gli occhi al cielo … ma temo che l’umanità si renderà conto dell’importanza della Terra solo quando la perderà.-
Alex l’attirò a sé, baciandole il naso lentigginoso – Se mai dovesse accadere io la riconquisterei: per te.-
Sasha ridacchiò, ma ancora una volta i suoi grandi occhi verdi rimasero malinconici – Lo so che lo faresti, Alex. Ma mi piace illudermi che non sarà mai necessario.-
- Come fai ad amare così tanto un luogo che ti ha portato solo dolore?-
Sasha era una terrestre, nata da una puttana nei sobborghi di una città che confinava con l’inferno. La gente “normale” chiamava quelli come lei i “bambini perduti”. La maggior parte di loro non raggiungeva l’età adulta e gli altri finivano per ingrossare le file della malavita. Sasha era stata fortunata: aveva incontrato l’Alleanza lungo la strada.
- Non è stata la Terra a farmi del male, Alex. Sono stati gli uomini.- si rannicchiò contro il suo petto, alla ricerca di un po’ di quell’affetto che non le era mai stato dato – Se tu la vedessi almeno una volta, capiresti: è così perfetta.-
Alex aveva sentito il cuore accelerare i battiti: erano giorni che cercava di dirle una cosa e, finalmente, si era deciso.
“Ora o mai più”.
 – Rinunceresti a fare il soldato per tornare sulla Terra?-
Sasha si era girata, seria come non l’aveva mai vista – Sì. –
Alex aveva deglutito a vuoto, la bocca improvvisamente arida – E se ti dicessi che è quello che voglio anch’io? Mandare al diavolo l’Alleanza e farci una nuova vita, sulla Terra, a … a casa.-
Lei non sorrise ma la malinconia che velava i suoi occhi scomparve di colpo, sostituita da una luce che non aveva mai visto, una luce che era pura felicità – Cosa mi stai dicendo, Alex?-
Lui aveva allungato la mano, porgendole una piccola scatoletta di velluto, dentro c’era un semplice anello d’argento, l’unica cosa che si era potuto permettere.
- Vuoi sposarmi, Sasha?-
Improvvisamente il terreno intorno a loro si fece arido, gli alberi e l’altalena lasciarono il posto ad un paesaggio brullo, aspro, l’erba avvizzì trasformandosi in sabbia. Sasha era stesa in terra, la testa appoggiata sulle sue gambe, i capelli rossi fradici di sudore, il volto mortalmente pallido, gli occhi resi enormi dalla paura e dal dolore.
- … oddio le gambe … non sento più le gambe! - la sua mano si strinse convulsamente sulla sua, come a pregarlo di non lasciarla andare, sull’anulare spiccava un piccolo anello d’argento.
- Sasha, no! Devi resistere piccola …-
Non aveva più i nastri nei capelli né il vestito a fiori, le sue gambe affusolate non si sarebbero più proiettate verso il cielo: non erano altro che una poltiglia di carne ed ossa.
- Andrà tutto bene, piccola. Andrà tutto bene …-
- Tu menti.- era Sasha a parlare, ma la voce non era più la sua, apparteneva a qualcosa che non avrebbe dovuto esistere – Ne ho abbastanza di te, Shepard. Ti opponi all’inevitabile. È inutile lottare contro le correnti cosmiche.- gli occhi di Sasha avevano riflessi metallici, inumani, il suo volto si trasformò in una maschera orrenda.
Shepard arretrò, spaventato, mentre il volto di Sasha si trasformava in quello, duro e ossuto, del suo più acerrimo nemico: Saren Arterius. Le mandibole del Turian fremettero mentre si alzava in piedi, imponente e terribile, parlando con la voce della sua antica padrona – La vita organica è un errore, una mutazione genetica, si misura in anni e decenni, voi avvizzite e morite. Noi siamo eterni.- Saren avanzò, implacabile e Shepard non poté fare altro che arretrare, strisciando, le mani che affondavano nella sabbia, sabbia che si trasformava in fango, viscido come sangue – Dinanzi a noi siete nulla, la vostra estinzione è inevitabile. Noi siamo la fine di ogni cosa.-
Il deserto si trasformò in una foresta, fitta, impenetrabile, nei viticci degli alberi erano imprigionati degli uomini, simili ai mutanti, ma riconoscibili nei tratti dei volti. Allungavano le mani verso di lui, implorandolo.
- La radice quadrata di 910 è 30,1, la radice quadrata di 920 è 30,3 … SILENZIO PER FAVORE, FATELO SMETTERE!-
- Io sono forte quanto lei, lascia che mi unisca a te!-
- Non osare giudicarmi, non tu …-
- Hai rovinato tutto! Non sento più le voci!-
- Dovete, dovete fermarmi!- la matriarca Benezia si scagliò in avanti, bella e terribile come la ricordava – Non riesco, lo sento sussurrare nella mia mente, sento le sue dita intorno al collo …- sotto i suoi occhi stupefatti i lineamenti dell’Asari si tesero, il viso assunse le sembianze di un teschio, le mani si trasformarono in artigli protesi verso di lui – Non vedo alcuna luce bianca. Dicevano che ci sarebbe stata …-
Shepard indietreggiò – Mi dispiace, Benezia, mi dispiace …-
Nei suoi occhi morti non c’era perdono, solo odio e accusa.
- Noi non possiamo cantare in questi spazi angusti, la vostra musica è monotona …- le voci avevano cominciato a parlare tutte insieme, sovrapponendosi le une alle altre. Shepard crollò in ginocchio, premendo le mani sulle orecchie: non voleva più ascoltare.
- Volevano trasformare i nostri figli in macchine da guerra, in artigli incapaci di cantare.-
- Silenzio per favore, fatelo smettere!-
- I figli vengono divorati dalla paura se nessuno canta per loro.-
Le creature imprigionate strinsero le mani contro i viticci, guardandolo con occhi pieni di accusa. Da qualche parte attorno a lui sentiva il raspare di zampe che si avvicinavano, il ringhio di belve pronte a sbranarlo.
Una mano bluastra, morta, si strinse sulla sua spalla.
Shepard sobbalzò, buttandosi di lato. C.J. lo guadava da dietro i viticci col suo sorriso da spaccone sul volto putrescente – Cosa canterete?- domandò – Ci lascerete andare? O la nostra musica dovrà svanire un’altra volta?-
Benezia lo fissò – Avete il potere di liberarci o di restituirci al silenzio della memoria.-
La sua mano artigliata indicò un pulsante che lampeggiava accanto alla sua mano. Dall’oscurità i ringhi e i ruggiti si facevano sempre più vicini.
Le voci cominciarono a implorarlo, strazianti e terribili. Gli chiedevano di liberarli.
La mano scattò da sola, schiacciò il pulsante con un colpo secco, deciso.
Un urlo straziante riempì l’aria, Shepard crollò in ginocchio, le mani premute sulle orecchie. Tutto si fece buio e attorno a lui lampeggiò un’unica scritta: 304.942.
- No! Io volevo salvarli, volevo salvarli!-
Dalle tenebre emerse suo padre, il volto dilaniato dal fuoco, gli occhi, miracolosamente intatti, puntati contro di lui, carichi di rimprovero  – Questa può sembrarti una vittoria: il sacrificio di un sistema. Ciononostante le vostre grandiose civiltà sono destinate a crollare, i vostri leader saranno estirpati.-
Shepard incespicò all’indietro, terrorizzato: - Padre ti prego! Non avevo altra scelta …-
Suo padre allungò una mano verso di lui, il dito teso a indicarlo, come un’accusa. Shepard si buttò all’indietro, scivolò, cadde … gli sembrò di precipitare per un tempo infinito, infine si ritrovò su un letto di ospedale, nudo, coperto solo da un leggero telo bianco. Si guardò intorno, stordito: l’intera stanza era bianca, i muri, il soffitto, il pavimento. Non c’erano porte né finestre, solo lui in mezzo a quel baluginio accecante.
- Voi esistete perché lo permettiamo e vi estinguerete perché lo esigiamo.- Kaidan uscì dalla parete, la corazza a brandelli, la carne dilaniata dall’esplosione – Noi siamo legione. Il tempo del nostro ritorno sta giungendo. I nostri numeri oscureranno i cieli di ogni mondo.- Kaidan lo fissò, gli occhi morti e inespressivi – Non sfuggirete al vostro destino.-
Shepard piangeva senza ritegno, come un bambino – Chi sei? Cosa vuoi?-
Kaidan gli rivolse un sorriso abominevole – Noi semplicemente siamo.-
- BASTA!- urlò Shepard scattando in piedi, non più spaventato: furioso.
- Ti ho già uccisa una volta, maledetta, se necessario lo farò di nuovo.-
La Sovereign rise attraverso la bocca di Kaidan – E come? Tu sei morto.-
Sparì così com’era arrivato.
Shepard sentì una fitta all’addome, un dolore tremendo, atroce, che gli paralizzò le membra. Guardò in basso e vide un terribile squarcio slabbrato devastargli il ventre. Il sangue gocciolava nero e denso sul pavimento. Terrorizzato, Shepard infilò le mani nella ferita, e le sue dita incontrarono … cose che non avrebbero dovuto esserci. Pervaso da un’irrefrenabile follia cominciò a scavare, lacerando e strappando, insensibile al dolore. Afferrò le cose che gli crescevano dentro, cose a cui non sapeva dare un nome, tirò e strappò finché non cominciarono ad uscire. Il tubo di plastica gli scorse tra le dita, viscido di sangue, si ammonticchiò sul pavimento ai suoi piedi, più tirava più ne veniva fuori, come se nel suo corpo non ci fosse altro che quello, come se il suo corpo fosse stato fatto solo da quello; e il suo stesso sangue cominciò a mutare, non più rosso e denso, ma nero e oleoso, nauseabondo.
Lui non era un uomo: era una macchina.
 
Si svegliò urlando, in un bagno di sudore.
I vestiti gli aderivano al corpo come una seconda pelle. Aveva ancora la bottiglia in mano, la frantumò in terra e prese un coccio di vetro.
Pervaso dalla stessa follia del sogno si strappò i vestiti e cominciò ad aprirsi la pancia con la scheggia di vetro. Il sangue gli inondò le mani, schizzandogli il viso, il dolore avrebbe dovuto essere insopportabile, ma non sentiva niente: il terrore anestetizzava ogni cosa.
Doveva sapere! Che cos’era lui? Uomo o macchina? Doveva sapere!
Non si accorse della porta che si apriva di scatto e di Garrus, Jack e Miranda che irrompevano nella sua cabina, terrorizzati, giusto in tempo per impedirgli di tirarsi fuori le viscere dal petto.
Urlò come un invasato quando gli trattennero le mani, lanciò una scarica biotica contro Miranda e l’avrebbe uccisa se la perdita di sangue non l’avesse indebolito così tanto. Jack e Garrus riuscirono ad immobilizzarlo mentre Miranda tentava in tutti i modi d’iniettargli un sedativo.
Alla fine i suoi compagni ebbero la meglio, si lasciò andare, sfinito, contro Garrus, il corpo in preda alle convulsioni. Sentì gli occhi rovesciarsi e il mondo farsi più sfocato … mentre scivolava in quel delizioso oblio gli ritornò in mente il sapore della morte e sperò di morire davvero: non avrebbe sopportato di risvegliarsi ancora.

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Capitolo 24
*** Che ne sarà di noi? ***


Erano due giorni che la Normandy orbitava attorno al pianeta Arathot nel sistema Balhak coi sistemi di occultamento attivati e le armi pronte all’uso. 
Il comandante Shepard era partito in solitaria, per una missione di cui non aveva rivelato nulla.
- Restate in attesa, non aprite il contatto radio per nessun motivo, non disattivate i sistemi di occultamento, state alla larga dai Batarian.- aveva ordinato, lapidario, prima di partire. Poi, per due giorni, nulla.
Del comandante Shepard si erano perse le tracce.
Avevano atteso, silenziosi e nervosi, sempre più preoccupati, chiedendosi che cos’avrebbero dovuto fare se il silenzio del comandante avesse continuato a protrarsi.
Poi, all’improvviso, qualcosa era cambiato: - Rilevo attività nel settore 1-4.- aveva annunciato IDA cogliendo tutti di sorpresa.
Garrus si era precipitato nella cabina di pilotaggio, per nulla sorpreso di trovarvi anche Jack e Tali, su di giri la prima e nervosa la seconda.
- È lui?-
Jeff zittì Jack con un cenno, mentre le sue dita scorrevano rapide sui pannelli di fronte a lui.
All’improvviso il pilota si bloccò, accigliato – IDA, vedi anche tu quello che vedo io?-
Diversamente dal solito la risposta dell’IA si fece attendere per qualche secondo – Sì, signor Moreau.-
- Cosa cazzo succede, Joker?-
Il pilota deglutì – Un asteroide è appena uscito dalla sua orbita. Sembra che qualcuno lo stia dirottando.-
Tali si tormentò le mani – Colpirà il pianeta?-
- No.- la voce di Joker tremò. - È diretto verso il portale.-
Un silenzio irreale li avvolse, ognuno di loro cercava di elaborare come meglio poteva quelle informazioni.
- Che cosa succede se un asteroide colpisce un portale?- domandò infine Tali, con voce sottile.
- Succede che fa un bel botto.- sibilò Jack, gli occhi fissi sui terminali della nave.
Probabilmente durante uno dei suoi attacchi di follia aveva preso in considerazione l'idea di far esplodere un portale. Era qualcosa che il Soggetto Zero avrebbe potuto fare benissimo.
Miranda apparve sulla soglia – IDA mi ha informato. Quanto tempo abbiamo prima che impatti?-
Joker si strinse nelle spalle – Venti minuti circa …-
Miranda esitò; tecnicamente, essendo il Primo Ufficiale, spettava a lei dare gli ordini.
- Noi non ce ne andiamo.- asserì Garrus con un tono che non ammetteva repliche.
Miranda gli rivolse uno sguardo glaciale – Non era mia intenzione dare un simile ordine.- si chinò sui terminali, l’aria assorta – Apri tutti i canali di comunicazione, Joker, forse Shepard sta tentando di contattarci, e portaci in prossimità dell’asteroide. Con discrezione.-
- Subito.-
- Shepard ha detto di chiudere i contatti radio …-
- Shepard non ha parlato di un asteroide puntato contro un portale. Dobbiamo scoprire cosa succede, forse ha bisogno di noi.-
Jack incrociò le braccia al petto – Scommetto che è su quel sasso.-
Nessuno si sentì di contraddirla; non era la prima volta che Shepard si trovava a sventare un attacco terroristico di quel genere. Dirottare asteroidi era uno dei passatempi preferiti dei Batarian, ma Garrus non riusciva a spiegarsi perché l’Egemonia avrebbe dovuto colpire un suo stesso pianeta, facendo impattare un portale … era … era assurdo.
- Dovremmo avvertire la colonia.- mormorò Tali – Devono evacuare, se quell’asteroide non viene fermato moriranno tutti.-
Garrus e Miranda si guardarono.
- No.- la voce di Miranda era ferma, il suo sguardo deciso – Noi non dovremmo nemmeno essere qui. Finché non troviamo Shepard qualsiasi contatto con i Batarian è fuori discussione.-
- Ma quelle persone moriranno!-
Miranda strinse i pugni ma la sua fermezza non vacillò – E allora moriranno.-
Garrus ammirò il suo autocontrollo. Sarebbe stata una buona Turian, su questo non c’erano dubbi.
- Shepard a Normandy, Joker mi ricevi?-  sentire la voce di Shepard fu come una boccata d’ossigeno dopo una lunga apnea.
- Forte e chiaro comandante. Stiamo arrivando.- rispose Joker con un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia.
- Segnale agganciato, coordinate inserite.- specificò IDA, efficiente come sempre.
Jeff lanciò un’occhiata ai terminali e scosse il capo – Indovinate un po’ dov’è?-
Jack sbuffò e si allontanò.
 
Non tutto era andato come previsto, l’asteroide non era stato fermato e l’esplosione del portale aveva cancellato il sistema Bahlak dalle mappe galattiche.
La Normandy era riuscita a fuggire appena in tempo, pochi istanti prima che il portale venisse distrutto.
- Ho dovuto farlo.- aveva ringhiato Shepard una volta corso a bordo – I Razziatori stavano per invadere il sistema.-
Era stato lui a dirottare l’asteroide, lui a premere il pulsante che aveva ucciso centinaia di migliaia di Batarian.
Garrus guardò il suo comandante accasciarsi sulla mappa galattica, la corazza fradicia di sangue umano, si domandò come potesse tollerare il peso di quel sacrificio. Forse, semplicemente, non lo faceva.
- Shepard …- avrebbe voluto dargli conforto, sollievo, ma Shepard lo zittì con un gesto brusco, rabbioso.
- Shepard.- insistette – Dovresti farti vedere dalla dottoressa.- era preoccupato per lui, tutti lo erano. Non aveva idea di cosa gli fosse successo in quei due giorni, ma una cosa era certa: aveva combattuto, e ucciso.
Lo staccò di forza dalla mappa galattica ma il comandante lo spinse indietro, infastidito – Sto bene.-
Dietro il visore del casco gli occhi del comandante si annebbiarono, fissi su un punto lontano, concentrati su qualcosa che Garrus non poteva vedere; poi il comandante barcollò come un ubriaco, portandosi le mani alla testa, il petto che si alzava e si abbassava come dopo una lunga corsa.
No, non stava affatto bene.
Lo prese per un polso, deciso a trascinarlo in infermeria anche contro la sua volontà: non era disposto a vederlo morire un’altra volta.
-Ti porto in infermeria Shepard, tu non stai bene!-
- No!- l’esplosione biotica lo colpì in pieno petto, mandandolo a sbattere contro la porta dell’ascensore. Da qualche parte una donna strillò ma quasi non la sentì.
Shepard lo aveva appena colpito.
Shepard che aggrediva Vakarian? Era … era inconcepibile.
Cosa fai, comandante? Io e te, Shepard … io e te …
Non riuscì a parlare, sconvolto da quello che era successo.
Il casco di Shepard rotolò a pochi passi dal suo gomito - Non ho bisogno di te, Garrus.- gli ringhiò contro il suo comandante, feroce come una bestia in gabbia – Non ho bisogno di nessuno!- urlò.
Lo scavalcò come uno dei tanti nemici che aveva abbattuto e sparì nell’ascensore.
Kelly fu subito al suo fianco – Garrus … tutto bene?-
No dannazione, non c’è niente che va bene! 
Allontanò la psicologa con un brusco gesto della mano, fortunatamente capì e non insistette oltre.
Entrò nell’ascensore a testa bassa, desideroso di rintanarsi nella batteria primaria come un animale ferito.
Non riusciva a credere che Shepard l’avesse colpito intenzionalmente, dopo tanti anni passati a guardarsi reciprocamente le spalle non pensava di meritare un trattamento del genere. Non lui.
Picchiò il palmo aperto contro l’alloggiamento del cannone – Dannazione!-
- Garrus sono preoccupata per il comandante.- la voce di IDA risuonò nella stanza – Il suo comportamento è … allarmante.-
- Non m’interessa, IDA. – replicò, gelido. – Che se la cavi da solo.-
D’altronde non era quello che faceva sempre?
L’IA ebbe il buon gusto di tacere.
Cominciò a ricalibrare i sistemi di puntamento della Normandy, li aveva già controllati quella mattina, ma non poteva stare fermo a rimuginare su quanto era appena successo. Non era nel suo stile.
Non si accorse della presenza di un’altra persona finché un fucile a pompa non comparve nella sua visuale – Ehi Vakarian, ho bisogno di una delle tue magie.-
Lanciò un’occhiata distratta a Jack e tornò ai suoi calcoli – Sono impegnato. Magari un’altra volta.-
Sentì la biotica esitare poi, inaspettatamente, gli posò una mano sulla spalla - Si starà sentendo uno schifo, adesso. Peggio di te. –
Garrus alzò leggermente la testa, stava per risponderle a tono, quando la voce di IDA risuonò nella cabina e la luce dell’allarme cominciò a lampeggiare, rossa e minacciosa.
- I parametri vitali del comandante sono a livelli critici. Intervenire immediatamente.-
Scattarono entrambi verso la porta e quasi si scontrarono con Miranda che usciva dall’infermeria, visibilmente agitata – Presto, nella cabina del comandante!- ordinò raggiungendo l’ascensore di corsa.
- Cos’è quella roba?- domandò Jack guardando Miranda estrarre una siringa dalla tasca.
- Sedativo.- colpì la porta dell’ascensore con un pugno – Quest’affare non può andare più veloce?-
Jack e Garrus si scambiarono un’occhiata preoccupata: non era nello stile di Miranda perdere il controllo in quel modo.
Lo spettacolo che li attendeva nella cabina di Shepard era raccapricciante.
Il comandante era seduto sul letto, in un lago di sangue, un’espressione folle sul viso. In una mano teneva un frammento di vetro mentre l’altra era affondata nello squarcio che si era aperto sull’addome, come se … come se cercasse qualcosa.
Si avventarono su di lui, terrorizzati, cercando di fermare qualunque cosa stesse facendo. Lui urlò, minacciò, bestemmiò, folle e terribile come mai lo avevano visto. Per la prima volta ebbero davvero paura di lui.
L’esplosione biotica colpì Miranda in pieno petto, catapultandola contro la vetrinetta dei modellini. Per un attimo temettero che l’avesse uccisa.
- Le mani, Garrus! Prendigli le mani!-
Miranda si rialzò a fatica e ritornò alla carica, la siringa ben stretta in mano.
La resistenza di Shepard divenne più debole e alla fine riuscirono a sedarlo.
- In infermeria, presto!- ordinò Miranda mentre Jack tentava di fermare, invano, il sangue che usciva copioso dalla ferita.
Quando la dottoressa Chakwas vide lo squarcio che gli apriva l’addome impallidì, quando le dissero come se l’era procurato per poco non svenne. Ordinò a tutti di uscire e si chiuse nell’infermeria assieme a Mordin e Miranda. Dopo due ore non era ancora uscito nessuno.
- Si può sapere cos’è successo?- sbottò Jacob, pallido nonostante la pelle nera.
Quell’attesa li stava logorando, dopo i due interminabili giorni che avevano passato senza avere notizie del comandante nessuno sembrava in grado di reggere quell’ulteriore accumulo di tensione.
- Che cazzo vuoi che ne sappia, Jacob?- sbottò Jack – L’abbiamo trovato che si scannava da solo!-
- Vi dico io cos’è successo.- sentenziò Zaeed – È crollato. Ha avuto un esaurimento … sapeste quanti ne ho visti. Una volta un mio ricognitore si è …-
- Stai parlando di Shepard.- lo zittì Garrus a denti stretti – Non di un mercenario qualsiasi: Shepard non crolla.-
- Tecnicamente i sintomi corrispondono alla sindrome da stress post-traumatico: tracollo mentale dovuto a un forte trauma.- precisò IDA, lapidaria.
- Ci stai dicendo che potrebbe essere impazzito?- domandò Tali con voce sottile.
- Al momento non dispongo di abbastanza informazioni per elaborare un’ipotesi attendibile.-
Si guardarono l’un l’altro, preoccupati: la missione sarebbe continuata, con o senza Shepard ma …
No, non lo perderemo. Non un’altra volta. 
Garrus aveva piena fiducia in Shepard. Non sarebbe crollato, non ancora. Aveva una missione da portare a termine.
La porta dell’infermeria si aprì e Miranda uscì, esausta.
- I parametri vitali sono stabili.- li rassicurò, prevenendo la raffica di domande che rischiavano di travolgerla – Per il momento è ancora sedato, ma …- esitò.
- Su, parla!- ruggì Grunt.
Miranda sobbalzò – Rileviamo un’intensa attività cerebrale, come se il suo cervello fosse investito da un flusso continuo di dati. -
- Come Feron …- borbottò Thane parlando più a se stesso che agli altri. Notando gli sguardi perplessi dei suoi compagni il Drell si strinse nelle spalle – Durante la missione contro l’Ombra trovammo l’amico della dottoressa T’Soni, Feron appunto, collegato ad una messa a terra neurale: una particolare forma di tortura.- spiegò e, nonostante il momento drammatico, il tono pacato della sua voce riuscì a calmarli un poco. Garrus invidiò l’incredibile autocontrollo del Drell, anche nelle situazioni peggiori riusciva sempre a mantenere la calma – Ogni volta che Feron si muoveva o tentava di parlare il suo cervello veniva investito da una scarica di informazioni, con lo stesso effetto di un elettroshock. Troppe informazioni nello stesso momento posso letteralmente distruggere il cervello di qualcuno.-
Jacob si rivolse a Miranda – Credi che sia quello che sta accadendo a Shepard? Qualcuno o qualcosa gli sta imbottendo il cervello di informazioni?-
Miranda allargò le braccia, impotente – Non posso dirlo. Ma credo che su quell’asteroide la sua mente sia entrata in contatto con qualcosa di estremamente potente come …-
- … come una sonda Prothean.- concluse la dottoressa Chakwas uscendo dall’infermeria assieme a Mordin.
Garrus e Tali si guardarono, sapevano che Shepard era entrato in contatto con una sonda Prothean su Eden Prime ma all’epoca non facevano ancora parte della squadra e tutto quello che sapevano gli era stato riferito da Kaidan ed Ashley che si erano sempre tenuti sul vago.
- Ricordo che Shepard rimase ko per un bel po’ dopo essere entrato in contatto con la sonda di Eden Prime.- intervenne Joker rivolgendosi direttamente alla dottoressa – Era svenuto quando Kaidan ed Ash lo riportarono sulla nave, questa volta invece ci è salito con le sue gambe.-
- Non abbiamo avuto sue notizie per due giorni, Jeff. Chi può dirci cos’è successo?- mormorò la Chakwas.
- Hackett.- sbottò Garrus – Ha chiesto lui l’intervento di Shepard. C’è lui dietro questa maledetta missione: è tempo che ci dia delle spiegazioni.-
- Questa è una nave di Cerberus.- gli ricordò Miranda – Noi non siamo Shepard. Hackett non ci dirà niente che possa compromettere l’Alleanza.-
- Manderò personalmente un messaggio all’ammiraglio Hackett.- intervenne la dottoressa, risoluta – Nel frattempo manteniamo Shepard sotto sedativi. Ci sono cose più pericolose delle sonde Prothean in questa galassia.- il tono tetro della sua voce non sfuggì a nessuno.
Garrus e Tali si scambiarono un’altra occhiata, sapevano a cosa si riferiva la dottoressa Chakwas: i Prothean non erano gli unici in grado di infilarsi nella testa delle persone.
Gli Spiriti non vogliano che tu sia incappato in un manufatto dei Razziatori, comandante.
Ricordò lo sguardo di Shepard mentre si apriva la pancia con un pezzo di vetro: follia, pura follia.
Un brivido di terrore s’insinuò sotto le scaglie del Turian: se Shepard era stato indottrinato la galassia era perduta.

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Capitolo 25
*** Lo spettacolo deve continuare ***



http://www.youtube.com/watch?v=4ADh8Fs3YdU

Normandy SR2, 2185

 
La testa gli faceva un male d’inferno, come se un gruppo di Krogan avesse deciso di ballare la polka sulle sue tempie.
Aprì gli occhi con circospezione, ricordando gli spiacevoli avvenimenti che avevano accompagnato i suoi precedenti risvegli.
Con sollievo scoprì di essere nella cara vecchia infermeria della sua nave.
- Bentornato tra noi, comandante.- il volto famigliare della dottoressa Chakwas comparve nella sua visuale.
- Uh … ma quanto ho bevuto?- gracchiò: aveva una sete terribile.
Il sorriso della dottoressa era tutto fuorché naturale – Molto. Ma non è stata la vodka a metterti ko. Cosa ricordi?-
Shepard tentò di mettersi seduto ma la donna lo costrinse a rimanere sdraiato con una leggera pressione sulla spalla – Non molto.- ammise – Solo …- socchiuse gli occhi mentre immagini sfocate e angoscianti gli passavano davanti: ricordava sangue, disperazione, dolore. - … solo incubi.-
- Come dopo Eden Prime?-
Shepard tentò di alzare una mano, pesava una tonnellata, alla fine desistette – Ho sete …- mormorò.
La dottoressa gli portò un bicchiere alle labbra, aiutandolo a bere, l’acqua fredda diede sollievo alla sua gola riarsa e subito si sentì un po’ meglio, più lucido.
- Questa volta non erano i Prothean a parlarmi.- disse mentre le immagini acquistavano lentamente forma – Ma i loro assassini.-
Le labbra della dottoressa si strinsero in una linea sottile – Sei stato a contatto con un manufatto dei Razziatori per due giorni, Shepard.-
La mente e la vista cominciarono a schiarirsi e all’improvviso si rese conto del perché non riuscisse a muoversi: era legato al letto. Sospirò.
- Temete che io sia indottrinato.- non lo era. Riusciva a sentirlo, nelle ossa e nel sangue. La sua mente era stata in balia dei Razziatori per due giorni. Ricordava le loro voci aliene nella mente, l’inconcepibile vastità dei loro pensieri. Rammentava le lusinghe, le promesse e le minacce, ma, per quanto ci avessero provato, non erano riusciti a dominarlo. In tutti quegli anni la sua mente aveva vacillato più di una volta, aveva perduto le fede negli uomini e nella galassia, aveva messo in dubbio la sua stessa umanità, ma di una sola cosa era certo, una certezza più forte di qualsiasi fede, più radicata di qualsiasi verità: i Razziatori erano i suoi nemici.
Quando era entrato in contatto con la sonda Prothean, su Eden Prime, aveva provato il dolore di un intero popolo sterminato, aveva assorbito il loro odio, la rabbia, la disperazione e aveva giurato sul sangue e l’onore che mai la storia, quella storia, si sarebbe ripetuta.
I Razziatori potevano piegare al loro volere un uomo guidato solo dall’amore o dalla speranza, ma Shepard aveva rinunciato a quelle cose molto tempo prima. Si era illuso del contrario, aveva tentato, disperatamente tentato, di dimostrare a se stesso e al mondo che la sua anima era ancora pura e il suo spirito incorrotto. Ma si sbagliava.
Non erano l’amore né la speranza a guidarlo: era l’odio a spronarlo.
Lui esisteva per odiare i Razziatori e distruggerli.
Era stato questo a salvarlo dall’indottrinamento: i Razziatori potevano spegnere l’amore e soffocare l’amicizia, potevano estinguere la fede e distruggere la fratellanza, ma nulla potevano contro l’odio.
Reclinò il capo di lato sconfitto dalla durezza di quei pensieri, ma perfettamente consapevole della realtà delle cose. La morte di suo padre, Akuze, Eden Prime, Virmire, la Cittadella, la distruzione della Normandy, Horizon e infine quell’ultima, devastante missione … erano come i pezzi di un puzzle, insignificanti se presi singolarmente, ma una volta riuniti creavano l’immagine di un uomo senza più un’anima da corrompere o un cuore da distruggere.
- Li … li senti ancora, comandante?- la dottoressa Chakwas lo osservava impaurita, come se temesse un’esplosione di rabbia da un momento all’altro.
Shepard sforzò le labbra in un sorriso, cercando di mascherare l’amarezza di quella scoperta che lo rendeva forte, ma anche incredibilmente solo.
Non poteva certo condividere quei pensieri col resto dell’equipaggio.
Forse se continuava a recitare la parte dell’uomo buono alla fine sarebbe riuscito a diventarlo davvero.
- No.- sospirò – Non sento niente, dottoressa.-
- IDA sta facendo tutti gli accertamenti del caso, fino ad allora non possiamo rischiare di liberarti. – la dottoressa Chakwas gli rivolse un’occhiata penetrante - Tu sei pericoloso, Shepard.-
Si accigliò – Ho fatto del male a qualcuno?-
La dottoressa gli rivolse uno sguardo strano – Hai maltrattato un po’ Garrus e Miranda. Niente di grave. Però hai rischiato di uccidere qualcuno.-
Strinse la mani a pugno: non Jack, ti prego.
- Chi, dottoressa?-
- Te stesso, Shepard. Davvero non ricordi? Ti sei aperto la pancia con un pezzo di vetro …-
Ricordò mani insanguinate, un tubo che gli usciva dalla pancia … rabbrividì … che cos’era incubo e cosa realtà?
- Perché lo hai fatto? Sono stati loro a dirtelo? –
Shepard distolse lo sguardo – No, ho sognato di essere una macchina. Dovevo controllare.-
La dottoressa si lasciò cadere sulla seggiola accanto a lui, sfinita – Perché non sei venuto da me, comandante? Avrei potuto rispondere a tutti i tuoi dubbi.-
- Avevo paura.- ammise. Non le disse che temeva che non gli avrebbe detto la verità. Non voleva ferirla.
Stranamente la dottoressa Chakwas sorrise – Credo che questa risposta basti a fugare ogni tuo dubbio, comandante.-
Inspirò a fondo, ricordando quel primo respiro che lo aveva riportato in vita
 – Forse …-
Non era più sicuro di cosa volesse essere, una macchina poteva uccidere migliaia di persone e farsene una ragione, ma un uomo che lo faceva che cos’era se non un mostro?
- Esami conclusi, dottoressa.- intervenne IDA col suo tono professionale – Nessuna traccia di indottrinamento rilevata.-
Il viso della dottoressa si rilassò – Grazie IDA. Ecco, ora ti libero subito Shepard … mi dispiace essere arrivata a questo, ma era necessario.-
Shepard si massaggiò i polsi – Se non l’avessi fatto, dottoressa, sarei rimasto deluso.- si mise seduto, ignorando le fitte all’addome: era stato inerte per fin troppo tempo – E … IDA?-
- Sì, comandante?-
- Mi dispiace per come ti ho trattata.-
- Ho già cancellato l’episodio dai miei registri.-
Shepard ridacchiò scuotendo la testa: quell’IA era un continua fonte di sorprese. Si stava davvero affezionando a lei, ormai la considerava come un membro dell’equipaggio.
- L’ammiraglio Hackett è arrivato pochi minuti fa.- lo informò la dottoressa – Lo faccio passare?-
Non era in cima alla lista delle persone che voleva vedere ma non poteva certo dirgli di no. Le disse di farlo entrare non appena avesse finito di scrivere il rapporto.
Quando la porta si aprì sul pluridecorato ammiraglio dell’Alleanza gli sembrò di ritornare indietro nel tempo quando lo stesso uomo gli aveva fatto visita dopo i fatti di Akuze. Sembravano destinati a incontrarsi in momenti drammatici.
Non sapeva cosa pensare di Hackett, la sua carriera era di tutto rispetto, fatta di luci e d’ombre, di difficili compromessi. Un tempo aveva biasimato alcune sue scelte: troppo ambiguo, troppo accondiscendente; ma col tempo aveva imparato sulla sua pelle che per essere un buon condottiero spesso bisognava smettere di essere una brava persona. I compromessi, purtroppo, esistevano e spesso erano l’unico modo per fare la cosa giusta. Non la più semplice: quella giusta.
L’ammiraglio si avvicinò con fare circospetto, quasi guardingo – Uhm, vedo che si è ripreso.-
- Ammiraglio Hackett.-
- A quanto pare se l’è vista brutta, come si sente?-
Shepard esitò, chiedendosi quanto la Chakwas gli avesse raccontato. Sperò che avesse omesso il suo piccolo attimo di follia, non avrebbe fatto bella figura nel suo curriculum … non che dopo la collaborazione con Cerberus avesse molte possibilità di tornare nell’Alleanza.
- Bene, niente più visioni, se è questo che intende.- rispose, restando sul vago.
Hackett annuì e dopo qualche altra frase di circostanza giunse al dunque: - Si può sapere cosa diavolo è successo, comandante?-
È successo che ho salvato il culo a questa galassia. Un’altra volta.
E Dio solo sapeva quanto gli fosse costato.
Ironico pensare a Dio in quel momento, mai come sull’asteroide gli era parso evidente che non ci fosse alcun Dio di nessun tipo o colore, c’erano solo i demoni e il loro avvento.
- Le hanno riferito qualcosa su ciò che è accaduto?-
Hackett si strinse nelle spalle – So soltanto che le avevo chiesto di liberare Amanda Kenson, e ora mi ritrovo con un intero sistema spazzato via. Speravo potesse spiegarmi il filo logico che collega questi due eventi.-
Con un autocontrollo che non pensava di avere gli porse il rapporto, resistendo alla tentazione di spaccarglielo in faccia. Era stata proprio l’amicizia di Hackett per la Kenson a farlo esitare quando l’aveva avuta sotto tiro su quel dannato asteroide. Se avesse avuto il fegato di premere il grilletto forse qualche Batarian si sarebbe salvato.
Con voce neutra spiegò a Hackett quello che era accaduto. Si stupì della sua stessa freddezza; d'altronde sua madre era stata un’ottima maestra.
- E pensava che l’invasione dei Razziatori fosse una minaccia concreta?-
Forse, dopotutto, aveva sopravvalutato l’intelligenza di Hackett.
Continuò a sciorinare una sfilza di ovvietà, come le inevitabili ritorsioni dei Batarian e le paure dell’Alleanza: gli aveva affidato una missione e non riusciva a reggere il peso delle conseguenze. Non dubitava che alla fine di quell’assurda storia Hackett ne sarebbe uscito pulito come una verginella mentre lui … bè dopotutto era un terrorista al soldo di Cerberus, strage in più, strage in meno che differenza avrebbe fatto?
Scoprì che non gliene importava poi molto. Aveva fatto quello che andava fatto, punto e basta. Non era ancora così folle da sperare dell’arrivo dei Razziatori per poter dire “ve l’avevo detto”, anche se, ad essere onesti, la galassia se lo sarebbe meritato.
Quando Hackett gli disse che se fosse stato per lui gli avrebbe dato una medaglia per poco non gli scoppiò a ridere in faccia.
Una medaglia? E per cosa? Per aver ucciso 304.942 Batarian?
No, dannazione, non voglio una medaglia, voglio che facciate qualcosa, qualunque cosa! Voglio che le loro morti possano servire a salvare questa maledetta galassia!
- Prima o poi dovrà tornare sulla Terra ed affrontare le accuse.- concluse Hackett, guardandolo con malcelato timore. Probabilmente Anderson doveva avergli raccontato del suo colloquio con Udina e il Consiglio.
Non preoccuparti, Hackett, sono di nuovo un bravo ragazzo.
Fu quello che gli disse, in maniera più forbita e consona al suo ruolo, naturalmente … sua madre avrebbe apprezzato moltissimo la sua compostezza: un vero fantoccio dell’Alleanza. Ma non aveva tempo da perdere con burocrazia e diplomazia da quattro soldi. I Batarian volevano la sua testa? Bene, che se la prendessero pure, ma dopo.
Aveva una missione da compiere, delle vite da salvare, dei mostri da eliminare. Tutto il resto erano solo stronzate.
Il futuro era insignificante, lui aveva il presente di cui occuparsi e l’avrebbe fatto a bordo della sua nave, con il suo equipaggio, la sua morale.
- Pagherò per le mie colpe.- disse – Ma solo a missione compiuta.-
E su questo non si discuteva.

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Capitolo 26
*** Vendetta, gloria e amore ***


Normandy SR2, 2185 
 
Avevano preso il suo equipaggio.
I dannati Collettori erano saliti sulla sua nave e avevano rapito la sua gente.
Se volevano farlo incazzare ci erano riusciti, riusciti davvero.
Che pregassero il loro dèi, se ne avevano, che cercassero la pietà dei loro padroni sintetici perché lui non ne avrebbe avuta alcuna.
I Collettori avevano firmato la loro condanna a morte nel momento in cui avevano posato le loro sudice zampe sul ponte della sua nave.
Un sorriso sinistro si dipinse sul viso del comandante: era tempo di uccidere.
Controllò con cura i datapad e i rapporti sulle condizioni della nave e della squadra. La Normandy era stata potenziata oltre ogni aspettativa e IDA era più letale che mai. Tolti i blocchi di controllo di Cerberus l’IA era diventata devastante e imprevedibile, com’era giusto che fosse. Contro ogni aspettativa Shepard si fidava ciecamente di IDA, era un membro del suo equipaggio e gli avrebbe affidato la vita, senza esitare un solo istante.
La squadra era al massimo delle capacità. I suoi uomini erano carichi, letali e fedeli, ognuno avrebbe fatto il suo dovere e anche di più. In tutta la galassia non esistevano persone migliori.
Shepard chiuse gli occhi e si appoggiò allo schienale, le labbra leggermente piegate in un sorriso, le mani mollemente appoggiate sulle cosce. Aveva combattuto molte battaglie, subito ferite e perso molti cari amici eppure, ogni volta alla vigilia di un grande scontro, l’orrore del combattimento, dei proiettili e del sangue sfumava, per lasciar posto all’infantile fremito che prova un uomo alle porte della sua prima battaglia. Non era più veterano di mille battaglie, ma ragazzo, giovane, ingenuo, pieno di vita ed ardore, bramoso di gloria e vittoria, certo di essere invincibile, invulnerabile, sprezzante delle ferite e della morte.
Nella mente riudì la voce di suo padre, vibrante di commozione, che leggeva le parole vergate da un uomo morto secoli prima:
 
“Io non lo so che cosa accadrà poi, non posso e non voglio saperlo; ma se desidero solo questo, se voglio la gloria, se voglio esser noto agli uomini, se voglio essere amato da loro, non è colpa mia volerlo, volere soltanto questo, vivere soltanto per questo. Sì, soltanto per questo! Non lo confesserò mai; eppure, mio Dio, che cosa posso fare se io non amo che la gloria e l’amore degli uomini.”*
 
Era quella l’essenza della sua vita: la battaglia, la gloria, l’amore degli uomini. Dei suoi uomini e di tutti gli altri, di quelli che non conosceva e mai avrebbe conosciuto, di quelli morti prima di lui e di quelli che sarebbero vissuti dopo.
Si sentì inebriato da quelle sensazioni, da quel senso di onnipotenza che sapeva sarebbe durato quella notte soltanto. Il giorno dopo, nella base dei Collettori l’euforia del ragazzo avrebbe lasciato il posto alla fredda determinazione del veterano e all’amara, viscida, paura dell’uomo.
La porta si aprì con un sibilo, sottraendolo a quell’estasi che minacciava di portarlo via. Shepard si mise seduto, di nuovo lucido e rivolse a Jack uno sguardo severo, quasi a rimproverarla per averlo disturbato.
- Shepard …- esitò, timida e impacciata come non avrebbe mai immaginato potesse essere, il fastidio sfumò, lasciando posto a una tenerezza inaspettata.
- Non ti aspettavo, Jack. -
Lei si torse le mani, a disagio – Stavo pensando a te e … - sospirò -… forse hai ragione, io ho bisogno …-
Shepard si alzò, le prese una mano e con l’altra le sfiorò una guancia: era felice che fosse lì a condividere con lui l’estasi di quella notte che poteva essere l’ultima.
- È tutto a posto …- mormorò appoggiando la fronte sulla sua - … basta domande.-
Jack si strinse a lui, incredibilmente fragile, vulnerabile come non l’aveva mai vista, si stava abbandonando a lui completamente, in un atto di fede che gli mozzò il fiato: sarebbe bastato un gesto, una parola sbagliata per distruggerla.
La strinse con delicatezza e la sentì singhiozzare piano contro la sua spalla.
- Jack …- mormorò, ma lei lo zittì posandogli un dito sulle labbra.
- Posso sentire il tuo cuore, Andrej … temevo … temevo non l’avessi più.-
Sorrise – Stai diventando romantica?-
- Fan …-
La interruppe con un bacio, sentì Jack esitare, rigida e guardinga.
- Non me ne andrò, Jack. - soffiò sulla sua bocca – Non questa volta.-
E lei gli credette.
Le labbra di Jack cercarono le sue, avide, fameliche, lo baciò con lo stesso ardore di un assetato che si aggrappa a una bottiglia d’acqua.
Shepard la strinse a sé, una mano premuta contro la nuca, l’altra attorno alla vita, come se staccarsi da lei significasse perderla, come se perderla significasse morire. Fino a quel momento non si era reso conto di quanto disperato fosse il suo bisogno di lei, lei che nella sua follia gli aveva mostrato la via per risalire dal baratro che lo stava inghiottendo.
Si lasciarono cadere sul letto, abbracciati, l’energia oscura che avvolgeva i loro corpi, sfiorando la loro pelle, accarezzandoli come un brezza leggera.
Le mani di Shepard esplorarono il suo corpo, svelando ciò che i tatuaggi celavano alla vista, ma non al tatto. Trovò ogni cicatrice, immaginò le loro storie … avrebbe voluto prometterle che non ce ne sarebbero state altre, ma era una promessa che non poteva farle.
Jack tremò sotto le sue dita, sentì il sapore salato delle sue lacrime ma non le chiese perché piangeva, non ce n’era bisogno. Al suo posto avrebbe pianto anche lui.
La amò sinceramente quella notte, con la stessa ingenuità con cui aveva sognato la gloria della battaglia. Era l’amore di un ragazzo che la vita non era ancora riuscito a corrompere, che credeva nella purezza degli esseri umani e nell’inevitabile trionfo del bene sul male.
Nell’unione dei loro corpi dimenticarono ciò che aveva unito le loro anime, sotto la luce brillante delle stelle Jacqueline e Andrej si amarono, avvolti da un bozzolo di energia oscura, senza serbare ricordo di ciò che erano stati, rapiti dalla visione di ciò che avrebbero potuto essere.

 


* Lev Tolstoj: Guerra e Pace libro I.
 

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Capitolo 27
*** Vittoria o morte ***


Base dei Collettori, 2185
 
Che fosse una missione suicida l’avevano sempre saputo e nessuno parve sconvolto all’idea di non fare più ritorno. Avevano sistemato le loro cose, messo in pace la loro coscienza, vendicato i loro morti, qualunque fosse il destino che li attendeva oltre il portale di Omega 4 i membri della Normandy SR2 erano pronti ad affrontarlo.
Ma Shepard non aveva la minima intenzione di lasciarli morire. Li avrebbe portati a casa, nessuno escluso e, in nome di tutti gli dèi presenti e passati, questa volta non avrebbe fallito. Non era disposto a sacrificare nessuno. Nemmeno se stesso.
Eppure, ben presto, si rivelò un promessa difficile da mantenere.
Rischiò più volte di perdere Kasumi, intrappolata in quel maledetto condotto di ventilazione, soffocata dall’aria torrida che la investiva, ma, per una combinazione di fortuna e abilità, non accadde. La ladra era tenace, veloce, determinata e alla fine riuscì a salvarli tutti, aprendo le porte e chiudendole con precisione infallibile.
Ma la missione era appena cominciata.
Si ritrovarono in una sala enorme, spettrale, ricoperta da milioni di capsule. In ognuna di esse c’era un essere umano. Di fronte ai loro occhi esterrefatti videro i coloni di Horizon sciogliersi come ghiaccioli al sole, furono costretti ad assistere impotenti alla loro morte, ma riuscirono a salvare l’equipaggio della Normandy, un istante prima che seguissero i coloni lungo i tubi che conducevano chissà dove.
Fu con sollievo che strinse la dottoressa Chakwas tra le braccia e ammirò la sua tenacia quando la donna si rimise in piedi, forte e determinata, pronta a guidare i suoi compagni fuori da quell’incubo.
Sperò che l’inarrestabile ferocia di Zaeed bastasse a portarli in salvo sulla Normandy.
Guardò i suoi compagni, sentendosi incredibilmente fiero del loro coraggio, della gelida determinazione che lesse nei loro occhi; non c’era paura o dubbio, nessun tentennamento o esitazione: avrebbero distrutto quella base e ne sarebbero usciti vincenti.
Affidò a Garrus il comando della seconda squadra, non avrebbe potuto scegliere nessun altro, si fidava del Turian più che di se stesso. Il loro obiettivo era aggirare le forze dei Collettori e, mentre il grosso della squadra li avrebbe tenuti impegnati lungo la via più agevole, lui, Jack e Thane avrebbero affrontato gli sciami cercatori, confidando sulla protezione biotica che Samara gli avrebbe fornito. Era un piano pericoloso, ai limiti dell’impossibile, ma non per loro.
Attraversare la base dei Collettori fu come percorrere un girone dell’inferno.
Chiusi in una bolla biotica che teneva lontano quegli insetti ributtanti, dovettero affrontare e respingere orde di mutanti, esseri che un tempo erano stati uomini mentre dall’alto, come diavoli, calavano su di loro quelle creature che un tempo erano stati i Prothean.
Era quello l’affronto più grande dei Razziatori, più terribile del genocidio di intere specie, più abominevole della distruzione di pianeti e civiltà: negare ai vinti la pace dell’eterno riposo. Per 50.000 anni i Protehan erano stati ridotti in schiavitù, privati di una degna morte, di un meritato oblio. Per la prima volta Shepard fu felice di essere un portatore di morte: i Prothean meritavano una libertà troppo a lungo negata.
A cento metri dalla salvezza Samara vacillò, stremata, incapace di portare a termine un compito che forse era troppo arduo persino per una Justicar Asari.
L’Asari lo guardò con occhi colmi di terrore e per un istante, un breve, folle istante, Shepard temette che fosse tutto perduto. La paura era il nemico più letale, l’assassino più subdolo.
- Tu non ti arrenderai e non morirai.- ringhiò al suo orecchio mentre gli altri continuavano a sparare, cercando di arginare la marea di corpi morti che si riversava su di loro – Non c’è battaglia più giusta di questa: mostrami il valore di una Justicar.-
Una smorfia deformò il viso di Samara, un urlo le salì alle labbra e l’energia oscura esplose dalle sue mani, devastante e bellissima, risalì il pendio come un’onda vendicatrice, travolgendo quegli esseri che non erano niente.
La porta si aprì alle loro spalle ed essi la varcarono. Dietro di loro rimase solo il deserto.
Pochi secondi dopo si ricongiunsero con l’altra squadra, Garrus aveva fatto un ottimo lavoro portando in salvo tutti: nessuna perdita, nessun ferito. Nel cuore di ognuno cominciò a sorgere la speranza che forse ce la potevano fare davvero.
E così ci siamo. Inizia l’ultimo round.
Il round in cui si poteva vincere o perdere tutto.
Il grosso della squadra sarebbe rimasto a difesa della porta per arginare il flusso di Collettori che già si stava ammassando dietro di essa. Shepard, Jack e Thane avrebbero tentato la sorte da soli, penetrando nel cuore della base, per raggiungere il luogo in cui convergevano tutti i tubi, in cui si celavano i misteri di quel popolo che non era un popolo. Era lì che avrebbero piazzato la bomba.
Il suo discorso fu breve, conciso. I suoi uomini sapevano cosa si aspettava da loro e quale fosse la posta in palio. Se fallivano la galassia era perduta, se vincevano non ci sarebbero stati né onori né allori, ma nessuno di loro aveva mai combattuto per quello. Loro combattevano e basta.
Si congedò dai suoi compagni con un sorriso beffardo sulle labbra: vittoria o morte, com’era giusto che fosse.
 
Un Razziatore umano. Stavano costruendo un maledetto Razziatore umano.
Logico. Si chiese perché non ci avesse pensato prima. Ma forse era un bene che non riuscisse a ragionare come loro: non era una macchina, non del tutto.
Non si soffermò troppo a pensare sul come e perché, quella cosa lo disgustava profondamente. Era un essere ripugnante che andava debellato.
Estrasse la batteria che alimentava le piattaforme mobili, sarebbe bastata una piccola carica per trasformarla in una bomba a fissione, in grado di radere al suolo quella dannata struttura.
Ovviamente l’Uomo Misterioso pensò bene di fare la sua comparsa: voleva convincerlo a salvare la struttura.
Come volevasi dimostrare …non vedeva l’ora di posare le sue avide mani sulla tecnologia dei Razziatori. Quell’uomo avrebbe venduto l’anima per una briciola di potere … forse l’aveva già fatto.
Ma era folle o stupido se pensava che l’avrebbe assecondato nel suo delirio d’onnipotenza. Gli disse che distruggeva la base perché non voleva corrompere la sua morale. Stronzate, non era per quello che lo faceva.
Conosceva Cerberus e i suoi esperimenti, conosceva l’Uomo Misterioso e la sua follia e si sarebbe cavato il cuore con cucchiaio piuttosto che permettergli di mettere le mani su qualcosa di così potente. Forse la sua decisione avrebbe condannato la galassia, ma era un rischio che era disposto a correre. E se qualcuno aveva qualcosa da ridire … bé potevano sempre provare a recuperare quello che sarebbe rimasto dopo l’esplosione, ma lui di certo non li avrebbe aiutati.
Rivolse un sorriso grato a Jack quando chiuse la comunicazione in faccia all’Uomo Misterioso, armeggiò con il dispositivo d’innesco e … mi era sembrato troppo facile …
La piattaforma tremò e dalle profondità della base dei Collettori riemerse l’abominio semi-umano che si era illuso di aver eliminato.
Avevano dieci minuti per eliminare lui e i suoi rinforzi alati. Un gioco da ragazzi.
Lasciò che Jack e Thane si occupassero dei Collettori e si concentrò sul proto-Razziatore. Fu una battaglia impari.
L’abominio metallico si schiantò al suolo in un cigolio di giunti spezzati, definitivamente morto, ma nella caduta si trascinò dietro metà delle piattaforme, compresa la loro.
La piattaforma s’inclinò pericolosamente, scaraventandoli al suolo, Jack perse l’equilibrio e cominciò a scivolare, inesorabilmente, verso la morte. Shepard si slanciò dietro di lei: non le aveva dato il permesso di morire.
Allungò la mano: dove credi di andare, ragazzina?
Per due volte Jack tentò di afferrarlo, per due volte lo mancò e cadde oltre il bordo.
Shepard si gettò dietro di lei, aggrappandosi al bordo della piattaforma, artigliò l’aria con le dita e … e la prese.
Jack lo fissò, gli occhi sgranati dalla paura, lui le rivolse un debole sorriso
– Non ti lascio andare …- sussurrò.
Un altro tremito scosse la piattaforma che s’inclinò dall’altro lato, facendoli precipitare di nuovo, affiancati, senza possibilità di fermarsi. Poco distante vide Thane barcollare e cadere, precipitando insieme a loro incontro ad un destino incerto. La base dei Collettori tremò e dal soffitto piovvero pietre.
Un lampo di dolore accecante e poi il buio.
 
Jack si riebbe con un sussulto, incapace di credere di essere ancora in vita. Questa volta ci era andata vicina, davvero vicina.
Shepard l’aiutò ad alzarsi e strinse con forza la sua mano … quando era caduta si era buttato dietro di lei, non l’aveva abbandonata … non l’avrebbe dimenticato. Mai.
Liberarono Thane dalle macerie, il Drell era più robusto di quanto pensasse, si rialzò senza una smorfia, come se si fosse appena svegliato da un sonnellino ristoratore.
- Forza, andiamocene da qui.- li incitò Shepard spingendoli verso l’uscita.
Doveva mancare poco alla detonazione della bomba e il crollo di quel maledetto ammasso di ferraglia doveva aver seriamente danneggiato la struttura della base. Mentre correvano verso la salvezza rischiarono più volte di essere sepolti dalle macerie. Fortunatamente gli altri si erano già ritirati, rifugiandosi sulla Normandy. Jack sapeva che avevano i secondi contati, se fossero rimasti troppo indietro Shepard avrebbe ordinato a Joker di salpare, con o senza di loro.
Sacrificarne alcuni per salvarne molti.
Non fu necessario.
La Normandy comparve davanti ai loro occhi simile a un miraggio, Jack non si era mai accorta di quanto fosse bella. Joker si affacciò dal portellone aperto, sparando contro i loro inseguitori, ricordandogli la scena di un olofilm da quattro soldi che aveva visto anni prima, in uno dei tanti buchi sudici che chiamava “rifugio”. Per poco non scoppiò a ridere.
Raggiunse il ciglio del precipizio e spiccò il volo, saltando con malagrazia sulla Normandy, rischiando di stendere Joker nell’atterraggio. Thane atterrò con grazia accanto a lei.
Gli sorrise, forse per la prima volta, rischiando addirittura di lasciarsi andare a una risata liberatoria.
Fu in quel momento che si accorse che mancava qualcuno: dov’era Shepard?
Barcollò sentendo il sangue defluire dal volto. Joker sparava e imprecava, la base dei Collettori si accartocciava su se stessa …
Si affacciò dal portellone e lo vide. Indietro, terribilmente indietro. Non si era accorta di averlo distanziato così tanto.
- Andiamo Shepard … - sibilò a denti stretti.
Una roccia grande come metà della Normandy si staccò dal soffitto, mancando di un soffio la nave e facendo franare il terreno davanti a Shepard. Cento metri di vuoto separavano il comandante dalla sua nave.
Non ce la farà …
- Forza, comandante!- urlò Joker.
Shepard non esitò, corse fino al bordo del precipizio e saltò.
Jack lo guardò volare, come al rallentatore, e seppe all’istante che non ce l’avrebbe fatta. Il salto era troppo corto, sarebbe caduto.
E in effetti cadde.
Shepard allungò il braccio, in un disperato tentativo di appigliarsi a qualcosa e, la fortuna, un miracolo o il caso, gli fecero trovare il bordo del portellone.
Jack si buttò in avanti, afferrandolo e mentre IDA faceva virare la Normandy portandoli lontano e Joker continuava a sparare, il comandante Shepard si issò a bordo della sua nave.
Missione compiuta, nessuna perdita.

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Capitolo 28
*** Ricordati l'onore ***


Normandy SR2, 2185 
 
Scese nella stiva con passo leggero, rilassato. Era da tempo che non si sentiva così bene, libero da qualsiasi fardello.
Non solo i Collettori erano stati sconfitti e sterminati, ma non aveva perso nessuno, l’equipaggio era in salvo e la sua squadra incolume. Era la prima volta che riusciva a riportare tutti a casa. La guerra non era finita, i Razziatori stavano arrivando, ma solo per quel giorno non gli importava: erano sopravvissuti tutti, niente era più importante di quello.
Rimase fermo sulla soglia dell’hangar navette, guardando i suoi uomini indaffarati nelle ultime riparazioni. Sorrise vedendo Legion e Tali lavorare tranquilli, fianco a fianco. Se qualcuno gli avesse detto che un giorno avrebbe visto un Geth e una Quarian discutere tranquillamente di circuiti elettrici e complicati schemi elettrotecnici lo avrebbe preso per pazzo. Ma evidentemente quella galassia era ancora in grado di riservargli delle sorprese. Delle belle sorprese.
Nemmeno gli schemi sui Razziatori che Joker gli mise in mano riuscirono a scalfire il suo buon umore: che arrivino pure, li ricacceremo indietro.
Si schiarì la voce attirando l’attenzione di tutti.
- Tra poco usciremo dal portale di Omega 4, e la missione sarà conclusa.- si concesse il tempo di guardarli tutti, uno ad uno – Sono fiero di voi, di ognuno di voi. La galassia e l’umanità vi devono molto, io vi devo tutto. Avete combattuto al mio fianco quando nessun altro voleva farlo, avete creduto in me quando io stesso non ne sembravo capace, avete affrontato l’ignoto senza esitare, correndo rischi terribili anche se sapevate che non avreste avuto niente in cambio.- i suoi compagni si guardarono l’un l’altro, imbarazzati e fieri, colti alla sprovvista da un simile discorso – Kasumi, Samara, Garrus … voi avete rischiato più di tutti e non avete esitato, nemmeno per un istante. Senza il vostro coraggio saremmo stati perduti.-
Gli altri annuirono e rivolsero ai tre interessati sguardi grati, commossi.
- Se volevi adularci, comandante, ci sei riuscito.- commentò Garrus con una baldanza che non riusciva a nascondere l’imbarazzo.
Shepard sorrise – Non montarti la testa Vakarian: non ho intenzione di cederti la mia cabina.-
- E chi la vuole? Non c’è neanche un cannone da calibrare.-
Il comandante scosse il capo, divertito e chiese un attimo di silenzio – Detto questo ho un importante annuncio da fare.-
- Un mese di licenza per tutti?- domandò, speranzoso, Joker.
- E cosa te ne faresti, Moreau? I tuoi soli interessi sono la Normandy e i film porno …-
- Potrei pilotare la Normandy guardando film porno …-
- Non lo fai già?-
Jeff allargò le braccia, sconfitto.
- Avete finito?- domandò il comandante, incrociando le braccia al petto – Jeff non ci è andato molto lontano … però non si tratta propriamente di una licenza.- sospirò – Come ben sapete la mia collaborazione con Cerberus è finita.- guardò Jacob e Miranda che ascoltavano, tranquilli – E spero che questo non crei problemi nella squadra …-
I due agenti di Cerberus si guardarono e sorrisero – Tu sei il nostro comandante, Shepard.- disse Miranda raddrizzando le spalle, gli occhi fissi nei suoi – Comunque vadano le cose saremo al tuo fianco, come tu sei stato al nostro.-
- Siamo con te, signore.- rincarò Jacob mettendosi sull’attenti.
Shepard annuì – Vi sono grato per la vostra lealtà, ma potrebbe costarvi più di quanto pensiate: non potete seguirmi nel luogo in cui sono diretto.- abbassò lo sguardo per non vedere le loro espressioni stupite – Nessuno di voi può farlo.-
- Cosa stai dicendo, Shepard?-
Rivolse a Jack un’occhiata colpevole: non l’avrebbe presa bene. – Ho promesso ad Hackett che avrei pagato per i miei crimini. Ho intenzione di consegnarmi all’Alleanza per essere processato.-
- Tu non hai commesso alcun crimine.- asserì Samara senza la minima esitazione e se lo diceva una justicar bisognava crederle.
Shepard sospirò – Non secondo il tuo codice, Samara, ma io rispondo a un codice diverso: ho ucciso degli innocenti e ho tradito l’Alleanza, su questo non ci sono dubbi.-
- Hai smesso di essere un soldato dell’Alleanza nel momento in cui sei morto, comandante.-
- Tali, se la flottiglia ti avesse ingiustamente esiliato, tu avresti smesso di servirla?-
La Quarian si stropicciò le mani – No, comandante.-
Shepard si passò una mano sul viso – Io non voglio che pensiate che vi sto abbandonando.- guardò Garrus e sorrise tristemente – Non lo farei mai. Ma ho giurato di difendere la mia gente, la mia patria, e con le mie azioni l’ho messa in pericolo.- si portò la mano al petto dove c’era la sua medaglietta e quella di Sasha – Se i Batarian dovessero attaccare la Terra o delle colonie umane come rappresaglia nei miei confronti non potrei mai perdonarmelo. Spero che possiate capire.-
Mordin annuì – Distruggere portale è stata tua scelta, tua responsabilità. Rispetto tua decisione.-
Jack gettò gli attrezzi sul tavolo, stizzita – Stronzate.- ringhiò andandosene.
Shepard la seguì con lo sguardo ma non accennò a muoversi, sarebbe andato da lei più tardi.
- Immagino che non potremo dire o fare nulla per dissuaderti, Shepard.- mormorò Garrus tenendo gli occhi bassi.
- Immagino di no.-
Il Turian appoggiò il fucile e seguì Jack fuori dalla stanza. Shepard sospirò: sapeva che sarebbe stata dura.
- E noi, Shepard?- domandò Grunt dopo una breve pausa.
- Non potete venire con me, l’Alleanza vi arresterebbe. Prima di recarmi sulla Terra la Normandy vi porterà ovunque desideriate andare.-
- Alcuni di noi non hanno nessun posto dove andare.- gli fece notare Miranda, leggermente polemica.
Shepard non poté fare a meno di sentirsi in colpa nei confronti dei due agenti di Cerberus. Jacob e Miranda si erano esposti molto per lui, avevano sacrificato tutto e abbandonare la protezione della Normandy li avrebbe lasciati in una difficile posizione: non c’erano posti sicuri nella galassia per dei rinnegati di Cerberus. L’Uomo Misterioso non gradiva gli addii.
- Posso offrirvi protezione …-
- In una cella dell’Alleanza?- sibilò Miranda, sarcastica – No, grazie. Tenteremo la nostra fortuna altrove.-
- Noi siamo con te, comandante.- affermò Jacob, posando una mano sulla spalla della biotica – Qualunque sia la tua scelta.-
Miranda sospirò – Sei troppo onesto Shepard, un giorno questo sarà la tua rovina.-
- Lo so, Miranda.- le tese la mano – Senza rancori?-
Miranda esitò prima di stringerla vigorosamente – Senza rancori.-
Shepard guardò gli altri, vide amarezza sui loro volti, tristezza. Col tempo, contro ogni previsione, erano diventati una famiglia ed era difficile dirsi addio, ma non dubitava che alla fine avrebbero capito la sua scelta.
Erano delle persone speciali ed era stato fortunato, molto fortunato, ad averle al suo fianco.
- Questa non è la fine.- disse, cercando di dissimulare il tremito della voce – Abbiamo vinto una battaglia, non la guerra. I Razziatori arriveranno prima o poi e noi dovremo essere pronti a riceverli. Quando arriverà il momento, che sia tra uno o cento anni, potrò contare sul vostro aiuto?-
Thane fece un passo avanti, giusto e fiero come l’aveva sempre visto – Fino alla morte.-
Shepard annuì, trattenendo a stento la commozione, quelle poche parole valevano più di mille discorsi, soprattutto se dette da un uomo che stava morendo. Gli occhi del Drell rimasero a lungo fissi nei suoi, come per formulare un muta promessa: sopravvivrò alla malattia, comandante perché il mio destino, la mia volontà è morire al tuo fianco.
Thane congiunse le mani e chinò il capo, poi se ne andò, elegante ed armonioso come le dita di un pianista. Shepard lo seguì con lo sguardo, sentendosi misero di fronte alla smisurata generosità di quel Drell che qualcuno, ingenuamente, chiamava assassino … grazie, amico mio, per tutto.
Joker zoppicò verso di lui – Se ti consegni all’Alleanza, Shepard, ti toglieranno la Normandy.- affermò con un brivido di puro orrore.
Shepard inarcò un sopracciglio e sorrise – IDA?-
- Sì, comandante?-
- Esiste qualcuno in questa galassia che può togliermi la Normandy?-
La sentirono sorridere mentre rispondeva – Assolutamente no, comandante.-
 
Scese le scale lentamente, aspettandosi una scarica biotica da un momento all’altro, invece raggiunse il ponte inferiore miracolosamente incolume.
Jack era rannicchiata sulla sua branda, il volto rivolto verso la parete, quando le si sedette accanto rimase cocciutamente immobile.
- Sei arrabbiata con me?-
Era una domanda retorica e infatti lei non lo degnò di uno sguardo né, tantomeno, di una risposta.
- Lo sai che non ho scelta, Jack.-
Questa volta lei si girò, rivolgendogli uno sguardo così carico di rimprovero che fu costretto a distogliere il suo.
- Non lo faccio per l’Alleanza, Jack. Lo faccio per la Terra e …- abbassò il capo - … e lo faccio per me. –
Lei si raddrizzò – Per te?- domandò, incredula.
Non ebbe il coraggio di guardarla – Sono stanco, Jack. Stanco dei compromessi, delle fughe, delle accuse. – si passò un mano sul viso – Sono stanco di dover decidere chi deve vivere e chi morire. Per una volta voglio rimettermi al giudizio degli altri, che scelgano loro cos’è giusto o sbagliato. Io non voglio più farlo.-
- Comandi la nave più avanzata della galassia, Shepard. Se solo lo volessi potremmo sparire per sempre, non ci troverebbero mai. Né l’Alleanza, né i Batarian, nemmeno i Razziatori.-
Era una prospettiva allettante e doveva ammettere che spesso ci aveva pensato, ma alla fine era arrivato sempre alla stessa conclusione. Le rivolse uno sguardo malinconico – Mi credi davvero capace di una cosa del genere?-
Jack sospirò, rassegnata – No, ma vorrei che lo fossi. Non devi più niente a questa galassia, Shepard. Sei già morto per lei.-
Sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena: forse non è la mia morte che vuole.
Scacciò quel pensiero dalla mente, le conclusioni a cui lo portava erano semplicemente terrificanti.
Le sfiorò la guancia con la punta delle dita – Forse hai ragione tu, ma non è nella mia natura voltarmi dall’altra parte. Ci ho provato, credimi, ma mio padre mi ha insegnato a combattere, non a fuggire.-
Jack gli prese la mano – Sei un uomo d’onore, Andrej, spesso mi dimentico che uomini come te esistono.- abbassò lo sguardo – Ma in questa galassia, contro i nemici che presto arriveranno, non sarà l’onore a salvarti.-
Shepard fece un lungo sospiro, il sospiro di un uomo che porta sulle spalle un sacco con dentro tutto il dolore del mondo – Quando i Razziatori arriveranno farò quello che devo fare, ma non sono ancora arrivati, Jack, e mi piace illudermi che questa guerra non mi trasformerà nel mostro che ho deciso di combattere.- si sporse verso di lei e le diede una bacio leggero – Il comandante Alexander Shepard affronterà l’apocalisse senza esitare, ma prima che accada voglio provare ad essere Andrej, solo Andrej.-
Jack si strinse contro il suo petto e chiuse gli occhi, cullata dal ritmico battito del suo cuore. Amava quel suono, le ricordava che era umano, fragile, come lei.
- Se dipendesse da me vorrei che restassi Andrej per sempre.-
Shepard sorrise e avvicinò il viso al suo – Chissà, forse le giuste argomentazioni lo convinceranno a restare …-
Jack rise, gli circondò il collo con le braccia e lo baciò, attirandolo a sé.

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Capitolo 29
*** Ci vediamo in un'altra vita ***


Normandy SR2, 2185
 
Jack sbadigliò, scalciando via le coperte che le si erano arrotolate attorno alle caviglie; sollevò pigramente le palpebre e il respiro le si mozzò in gola. Davanti ai suoi occhi c’era lo spettacolo più straordinario che avesse mai visto: la Terra.
Si mise seduta, lo sguardo fisso sul pianeta che rifulgeva in tutta la sua terrena bellezza oltre il soffitto vetrato della Normandy.
In quel momento non si trovò più nell’alloggio del comandante, ma fuori, alle soglie del pianeta natale.
Non aveva mai capito l’ossessiva brama dei Quarian verso un mondo che non era più il loro, ma ora, di fronte alla vastità di quel pianeta che non aveva mai conosciuto, sentì l’impellente bisogno di rivendicarlo come “suo”.
Era bellissima la Terra, avvolta da nubi leggere, levigata dalla lieve iridescenza dell’atmosfera, accarezzata dalla pallida luminescenza di stelle lontane e da quella, vivida e pulsante, del suo unico, fulgido, astro.
Sussultò quando le braccia di Shepard l’avvolsero – Benvenuta a casa, Jacqueline.- sussurrò, roco, al suo orecchio.
- Non l’avevo mai vista.- confessò, cercando di nascondere l’emozione – Non dal vero.-
Da quando era fuggita da Pragia non aveva fatto altro che vagare per lo spazio, aveva visto infiniti mondi, attraversato i sistemi più remoti, vagando senza meta da un pianeta all’altro, ma mai, nemmeno una volta, si era avvicinata al sistema Sol. Aveva vissuto fingendo che la Terra non esistesse.
- È un mondo imperfetto.- mormorò Shepard – Sotto la superficie il suo spirito ribolle e spesso si scatena, implacabile. La sua ira è violenta e imprevedibile: terremoti, eruzioni, uragani, valanghe. La Terra conosce infiniti modi per punire chi non le porta il dovuto rispetto e spesso nel corso dei secoli l’uomo è stato castigato per la sua arroganza. E lo è tuttora.- Shepard appoggiò la testa nell’incavo del suo collo, lo sguardo fisso sullo spettacolo di fronte a loro – Ma se l’assecondi, se ti abbandoni al suo spirito, ti mostrerà cose che non oseresti nemmeno immaginare. Ho passato la mia vita nello spazio, tra nebulose e costellazioni, ho assistito alle tempeste protoniche e alle eruzioni solari, eppure, in un solo giorno, la Terra mi ha regalato più emozioni di una vita trascorsa tra le stelle.-
Jack trattenne il respiro – Che cosa hai visto?-
Lui sorrise contro la sua spalla – Ho visto l’orizzonte tingersi di rosso e il sole tuffarsi nel mare, ho udito il canto degli uccelli e il vento stormire tra le foglie degli alberi, ho sentito il calore del sole sulla pelle e il profumo del timo selvatico, ho affondato i piedi nella sabbia con la schiuma delle onde che mi accarezzava la pelle come le dita di un’amante … -
Si appoggiò contro di lui, incredula – Tu parli di cose che non riesco nemmeno a capire.-
- Prima di recarmi sulla Terra non le capivo nemmeno io. Conoscevo solo il ronzio dei motori e il sibilo dei freni iperluce, il giorno e la notte erano una mera simulazione, i respiratori del casco avevano filtrato l’aria di decine di pianeti diversi, mentre la luce di astri lontani si rifletteva sul gelido metallo della mia corazza … - le dita di Shepard corsero leggere sulla sua pelle - … io e te, Jack, abbiamo visto molto senza vivere niente.-
Non gli rispose, non ce n’era bisogno.
Rimasero in silenzio a lungo, quasi timorosi di profanare la sacralità di quel momento con vuote parole.
- Che cosa ti ha portato sulla Terra?- domandò infine Jack.
Shepard si sfilò una delle medagliette che portava al collo e gliela mise in mano – Lei mi ha portato sulla Terra.-
Jack lesse il nome sulla medaglietta: Sasha Red. Ricordò una splendida ragazza, col volto coperto di lentiggini e gli occhi verdi, che le sorrideva da una fotografia posta su una lapide bianca in un cimitero fasullo.
- Sasha era nata sulla Terra, nei bassifondi di una città decaduta. Era una “bambina perduta”.- esitò, timoroso della sua reazione – Immagino tu sappia di cosa sto parlando.-
La mascella di Jack scricchiolò, ma si sforzò di annuire: era stata anche lei una “bambina perduta” in tempi e in luoghi diversi, forse, ma le differenza si esaurivano lì. Ad accomunarle c’era un’infanzia profanata dal sangue e dalla violenza.
- Sulla Terra aveva vissuto i peggiori momenti della sua vita. - riprese Shepard, nei suoi occhi si rifletteva il miraggio del pianeta natale – Avrebbe dovuto odiarla e invece l’amava, morbosamente, disperatamente, di un amore che io non riuscivo nemmeno a concepire. Ammetto di esserne stato geloso: come poteva amare quel pezzo di roccia più di me?- Shepard si alzò, lentamente, offrendosi nudo e indifeso allo sguardo implacabile del suo mondo – Dopo la sua morte decisi di andare sulla Terra, per la prima volta. Volevo sapere cosa ci fosse di così speciale in quel mondo che aveva amato con tutta se stessa.- allargò le braccia e rovesciò il capo, come un martire pronto ad immolarsi – Mi è bastato posarvi un piede sopra per capire: la Terra ci appartiene e noi le apparteniamo, siamo suoi, dal momento in cui nasciamo, è la nostra madre e il nostro Dio, è l’unica cosa per cui vale la pena vivere e morire.-
Jack rabbrividì – Mi ricordi quegli esaltati della setta religiosa di cui facevo parte.- non era un complimento.
Shepard rise tornando a sedersi al suo fianco – Non temere, non ti sacrificherò su un altare di pietra.- la baciò – Non sei né innocente né, tantomeno, vergine …-
Jack lo attirò a sé – L’innocenza è noiosa, Andrej …- sussurrò mentre le sue mani scivolavano in basso, sempre più in basso …
Shepard le morse il collo con un mugolio di piacere …
- Comandante, l’Alleanza ha appena autorizzato l’ingresso nell’atmosfera terrestre, ci prepariamo alle manovre di discesa. Arrivo previsto tra un’ora.- la voce di IDA risuonò nella cabina, facendoli sobbalzare.
Shepard espirò rumorosamente, staccandosi da Jack – Ricevuto IDA.-
Il comandante fece per alzarsi, ma Jack lo trattenne – Non così in fretta, Andrej.- lo spinse di nuovo sui cuscini, mettendosi a cavalcioni su di lui –Un’ora è un’eternità.-
- Jack …- protestò debolmente Shepard mentre lei cominciava a muoversi, lentamente, avanti e indietro.
Lei lo ignorò, chiuse gli occhi e rovesciò la testa, un velo di sudore le imperlava la fronte e il labbro superiore.
Le proteste di Andrej si spensero in un ansimo sottile, mentre continuavano a muoversi, insieme, l’energia oscura che guizzava sopra la loro pelle, attraversando i loro corpi con piccole scariche elettriche.
Shepard continuò a pronunciare il suo nome, non c’era più rimprovero nella sua voce, ma desiderio, adorazione, nessuno l’aveva mai fatta sentire così. In quel momento, per la prima volta, capì cosa fosse l’amore e seppe perfettamente, distintamente, che non l’avrebbe provato mai più.
Era un addio. Lo sapevano entrambi ed era proprio quella consapevolezza a guidarli, a farli muovere in perfetta sincronia, incapaci di distinguere dove finiva il corpo dell’uno e cominciava quello dell’altra.
Jack sentì le lacrime scivolarle lungo le guance e quando aprì gli occhi vide che lui la stava fissando, e l’azzurro dei suoi occhi tremava, sopraffatto da quella stessa malinconia che minacciava di portare via anche lei.
- Ti amo, Andrej …- sussurrò per la prima e ultima volta. Non aveva mai pronunciato quelle parole e mai più l’avrebbe fatto.
Lui mosse le mani lungo il suo corpo, sfiorandola con dita tremanti, la fissò, incredibilmente serio – Ti amo anch’io, Jacqueline.- era sincero, totalmente, assolutamente sincero. Andrej l’amava, su questo non aveva mai avuto dubbi, ma sapeva altrettanto bene che il comandante Alexander Shepard le voleva solo un gran bene e nient’altro.
Un’altra spinta e Jack rovesciò la testa all’indietro, affondando le unghie nel petto di Andrej, si sentì elettrizzata, come se tutta la parte inferiore del suo corpo avesse ricevuto una scarica ad alto voltaggio.
All’apogeo del piacere la sua mente esplose e le sembrò di perdersi nel nulla infinito e perfetto, sentì Andrej inarcarsi sotto di lei, con un roco ansimo, le mani strette sulle sue natiche.
Jack si abbandonò, a occhi chiusi, in preda agli spasmi, le sembrò di galleggiare, di essere appesa a testa in giù.
Le braccia di Andrej l’avvolsero e lui la baciò a lungo. Sulle labbra sentì il sapore salato delle lacrime, non avrebbe saputo dire di chi fossero, forse di entrambi.
- Adesso devi andare, Jackie.-
Intorno a lei il mondo riprese a girare, ma dalla parte sbagliata. Fu come una secchiata d’acqua fredda in pieno viso.
Si divincolò dalla sua stretta, con stizza e si alzò di colpo, senza guardarlo.
- Jack …-
Si rivestì con gesti rabbiosi, continuando a ignorarlo. Non voleva sentire le sue patetiche scuse, non voleva assistere al ritorno del grande comandante Shepard.
- Ne abbiamo già parlato.- insistette lui, ottusamente – Non voglio che ti arrestino, devi scendere con la navetta prima dell’attracco.-
Non rispose, sarebbe stato inutile, lui aveva già scelto per entrambi.
Si voltò per uscire e in quel momento il suo sguardo cadde su una fotografia appoggiata sul tavolino. Immortalava tre persone, due uomini e una donna, che sorridevano all’obiettivo. Riconobbe Shepard e la Williams, immaginò che il terzo fosse quel tenente Alenko di cui aveva molto sentito parlare.
Quella fotografia ricordava il passato e annunciava il futuro. La Normandy sarebbe tornata ad essere una nave dell’Alleanza e accanto a Shepard ci sarebbero stati gli amici di un tempo.
Jack non si faceva illusioni: nel futuro di Shepard lei non c’era.
- Andrej se n’è andato per sempre, non è così?- si era ripromessa di non dire niente, ma alla fine era stato più forte di lei.
Lui le aveva dato tanto, più di chiunque altro, l’aveva aiutata a risorgere dalle sue stesse ceneri. Non meritava il suo silenzio.
- Ho scelto di essere Alexander Shepard molto tempo fa, Jack. Sapevamo entrambi che non sarebbe durata.-
Lei annuì, sentendo nella bocca il sapore amaro della parola “addio” – Nessuna promessa.- ricordò. Non avrebbe mai potuto odiarlo, nemmeno volendo. La stava abbandonando, certo, ma aveva sempre saputo che prima o poi l’avrebbe fatto. La colpa era sua, lei che si era innamorata di un uomo che esisteva solo nel suo presente e che non avrebbe mai avuto un futuro.
Lui l’abbracciò, per l’ultima volta.
- Sono fiero di te, Jack. Sei libera adesso, non sprecare la vita che ti sei conquistata.-
Aveva paura, paura che ricadesse in quel baratro di follia, odio, dolore, dalla quale l’aveva estratta.
Non temere, Shepard. Non tornerei indietro per nulla al mondo. Nemmeno per te.
- Il Soggetto Zero non esiste più, Shepard.- finalmente si girò a guardarlo e gli sorrise, nonostante tutto – Non diventerò mai una brava ragazza e continuerò a cacciarmi nei guai. Ma non sarà più la follia a guidarmi né l’odio. Prima o poi mi metterò a fare qualcosa di buono.- si strinse nelle spalle – Ma prima voglio spassarmela un po’.-
Lui scosse il capo, esasperato – Io starò via per un po’, ma se mai avrai bisogno di aiuto, per qualsiasi cosa, rivolgiti all’ammiraglio Anderson. È un amico.-
- Ci penserò.-
Rimasero in silenzio, a guardarsi, incapaci di dirsi addio.
- L’arrivo è previsto tra venti minuti, comandante. Consiglio a Jack di recarsi alla navetta.-
- Grazie, IDA.-
Jack gli tese la mano – Allora arrivederci, comandante.-
Lui si accigliò – Non vuoi che ti accompagni?-
Lei scosse il capo – Detesto gli addii.-
Shepard annuì e le strinse la mano – Buona fortuna, Jack.-
Jack entrò nell’ascensore, allungò la mano e si bloccò. Alzò lo sguardo e lui capì.
Si ritrovarono l’uno nelle braccia dell’altra – Non farti ammazzare.- lo sentì mormorare contro il suo collo.
Jack sfiorò le sue labbra con un bacio – Nemmeno tu. Addio, Andrej.-
Lui le mise qualcosa intorno al collo, quando guardò vide che era la sua vecchia medaglietta identificativa – Addio, Jacqueline. Ci vediamo in un’altra vita.-
Fece un passo indietro e le porte dell’ascensore si chiusero.
La missione era finita.
 
 
 
 
 
Note conclusive
 
Con questo capitolo si chiude la mia prima storia, ma sto già lavorando al seguito che ripercorrerà gli eventi di ME3; chi è curioso di vedere come andrà a finire per Alex e tutti gli altri non deve far altro che pazientare un po’ perché presto faranno ritorno, ma prima me ne vado in vacanza ;)
 
Un saluto a tutti quelli che sono arrivati fini qui e a chi ha inserito questa storia tra le seguite, le ricordate o le preferite.
Grazie a tutti quelli che hanno avuto la pazienza di recensirmi, ho apprezzato tanto ogni vostra recensione; un ringraziamento del tutto speciale va a shadow_sea e andromedahawke che mi hanno seguito fin dall’inizio con interventi davvero preziosi ed interessanti, grazie davvero di cuore per tutte le vostre belle parole!
Un abbraccio a tutti, spero di ritrovarvi nel prossimo capitolo!

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