Di Venerdì sera in Venerdì sera

di Akemi_Kaires
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Settimana: Segreto ***
Capitolo 2: *** Terza Settimana: Speranza ***
Capitolo 3: *** Seconda Settimana: Confessione ***
Capitolo 4: *** Quarta Settimana: Canta per me ***
Capitolo 5: *** Quinta Settimana: Messaggi ***
Capitolo 6: *** Sesta Settimana: Amare ***
Capitolo 7: *** Settima Settimana: Manifestazione ***
Capitolo 8: *** Ottava Settimana: Ricordi ***
Capitolo 9: *** Nona Settimana: Lacrime ***
Capitolo 10: *** Decima Settimana: Minacce ***
Capitolo 11: *** Undicesima Settimana: Gelosia ***
Capitolo 12: *** Dodicesima Settimana: Mancanza ***
Capitolo 13: *** Tredicesima Settimana: Unione ***
Capitolo 14: *** Quattordicesima Settimana: Riunioni ***



Capitolo 1
*** Prima Settimana: Segreto ***


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Era da troppo tempo che non pubblicavo qualcosa. Anzitutto, ringrazio (e ringraziate) Cheche per avermi spronata a scrivere questa allegra Bakuryu, altrimenti non mi sarei mai cimentata in una simile impresa. Anzi, sicuramente sarei rimasta nell’ombra per un bel po’ di tempo, se non fosse stato per lei.

Questa sarà una raccolta di Bakuryu, ripeto, BAKURYU, perché ultimamente Sandra e Gold stanno diventando la mia ossessione. Ovviamente non ho dimenticato la Dragon, sia ben chiaro, ma in questi ultimi giorni non riesco a fare altro che pensare a questi due amori. Indi per cui, dovrete sopportare questa mia parte fangirlistica (?) per un bel po’.

Il titolo della raccolta, Di Venerdì sera in Venerdì sera, è ispirato al game: difatti, in HG/SS, il protagonista può chiamare Sandra per sfidarla il venerdì sera, momento in cui lei ha del tempo libero a disposizione. Nella mia testa, tutto è farcito con qualcosa pieno di love. Curatemi. Difatti, questa prima flash è improntata proprio su questo fatto.

Mi auguro che questa raccolta sia di vostro gradimento, sinceramente parlando. Grazie di cuore a chi mi segue, a chi mi seguirà e a chi recensirà! Grazie!

Questa raccolta è dedicata a Carolina, Greta e Federica, perché sento di non fare mai abbastanza per loro. Thanks, girls. I love you.

 

 

Prima Settimana:

Segreto

 

 

Tutti i Venerdì sera era sempre la stessa storia. Nessuno riusciva a comprendere per quale oscuro motivo la completa attenzione della Capopalestra di Ebanopoli fosse catalizzata sul suo Pokègear, stretto convulsamente tra le sue mani inguantate, né perché trascorresse ore intere a fissare il piccolo schermo scuro nell’attesa che si illuminasse.

Sandra giaceva sempre lì, seduta in un angolo remoto della Tana del Drago, aspettando che un trillo allegro giungesse alle sue orecchie come un coro angelico. Allora il suo volto si dipingeva di una gioia quasi infantile, mentre premeva rapidamente il pulsante per accettare quella chiamata importantissima e la sua voce assumeva un tono dapprima austero e solenne, per poi divenire via via sempre più cordiale e gentile.

Scambiava poche parole con il suo interlocutore, chiare e dirette, e si limitava a parlare a bassa voce, pur di non farsi sentire da quei curiosoni dei suoi compagni di battaglia che, di tanto in tanto, tendevano le orecchie per origliare la conversazione – facendo ben attenzione a non farsi cogliere in flagrante, altrimenti erano dolori. Doveva trattarsi sicuramente di qualcosa inerente a combattimenti e lotte, se era capace di esaltarla in quel modo. Eppure, qualche voce più maliziosa e romantica azzardava un’opinione ben diversa: che la Domadraghi avesse finalmente trovato la sua anima gemella? Una possibilità che a stento si addiceva alla figura orgogliosa e mascolina della futura Maestra Drago, ma non poi così irrealizzabile.

Tuttavia, nessuno avrebbe mai scoperto la verità, né chi fosse la persona a cui la giovane dai capelli azzurri si rivolgeva in modo amichevole: si trattava di un segreto che quella ragazza avrebbe custodito gelosamente, senza permettere che qualcuno potesse rovinare la sua gioia; un segreto che riguardava e legava in modo indissolubile solamente lei, un Allenatore misterioso e il Dojo Lotta di Zafferanopoli.

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Capitolo 2
*** Terza Settimana: Speranza ***


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Come avevo promesso, ecco a voi la terza shot sulla Bakuryu! Devo ammettere che l’idea di pubblicare ogni Venerdì si è rivelata piuttosto dannosa, essendo una scadenza difficile da rispettare dati i miei impegni; tuttavia, la prendo come una sfida personale ed essendo tale voglio impegnarmi per vincerla.

Comunque sia, diciamo che mi sono scervellata molto per produrre qualcosa di buono. Mi sento in dovere di ringraziare di cuore Cheche, che mi ha sopportata nel mio momento di mancanza di ispirazione e idee. Povera donna, mi sopporta sempre. Tanto love a lei.

Inoltre, permettetemi di ringraziare di cuore tutti coloro che seguono questa storia. Come farei senza di voi, dears? Spero che questa storia sia di vostro gradimento, per quanto apparentemente possa sembrare priva di senso logico.

Buona lettura a tutti!

 

 

Terza Settimana:

Speranza

 

 

Gold aveva aspettato quel Venerdì sera con trepidazione. Ogni mattina, dopo essersi alzato, aveva istintivamente puntato lo sguardo sul calendario e aveva contato mentalmente i giorni che lo separavano dal prossimo incontro con Sandra. Le sue labbra si curvavano sempre in un sorriso radioso, mentre pensava e fantasticava su ciò che sarebbe accaduto durante il loro successivo appuntamento. Chissà che cosa aveva inventato la bella Domadraghi per stupirlo; sicuramente, aveva potenziato le sue capacità combattive per stracciarlo una volta per tutte, data la sua implacabile sete di vendetta.

Eppure mai avrebbe immaginato, però, che sarebbe arrivata a tanto. Quando si presentò davanti alla porta di casa sua, vestita in modo sportivo e leggero, l’Allenatore stentò a credere ai suoi occhi. Per quanto la sua attenzione fosse completamente concentrata sul suo corpo sensuale, coperto da quelle vesti aderenti che accentuavano le sue curve prosperose, le parole con le quali esordì la Capopalestra lo sconvolsero alquanto.

«Tu. Io. Una corsa fino ad Ebanopoli. Ora» esclamò decisa, senza concedergli neppure il tempo di salutarla e domandare spiegazioni sulla sua improvvisa visita. Dopotutto, si era recata di sua sponte a Borgo Foglianova senza che lui l’avesse chiamata per invitarla a duellare con lui. «Un po’ di sano esercizio fisico farà bene anche a te, Nano. Sai, ti aiuterebbe a sviluppare i muscoli e a mettere su qualche centimetro».

Davvero gli aveva appena chiesto di andare a fare jogging con lei lungo il Percorso Montano, nonostante il tardo orario? Sicuramente doveva trattarsi di un’allucinazione uditiva: il sole stava ormai per tramontare, entrambi avevano appena concluso una dura giornata di allenamenti; come poteva avere ancora le energie – e il coraggio – per proporre una corsa?

«Stai scherzando, vero?» ribatté infatti, inarcando un sopracciglio e squadrandola dall’alto al basso con dubbio, badando a non farsi scoprire mentre soffermava lo sguardo su certi aspetti del suo fisico formoso. «Ci metteremo una vita per arrivare fin lì. Se è per tornare a casa per cena, puoi sempre fermarti da me. Posso dire a mia madre di aggiungere un posto a tavola».

Nonostante la proposta invitante ed allettante, la posizione della futura Maestra Drago era irremovibile. Incrociò le braccia al petto, lasciandosi sfuggire un sospiro esasperato e trattenendosi a stento dall’insultare il ragazzo che aveva difronte. Pareva davvero irritata dalle sue parole, sebbene nascondessero intenti gentili. «Se vuoi piacere a delle donne belle come me, prima devi avere un fisico presentabile, Tappo!» sbottò, afferrando improvvisamente la mano del giovane per trascinarlo con lei in una corsetta a passo veloce e sostenuto.

Quell’affermazione catturò l’interesse completo di Gold. Si fermò improvvisamente, interrompendo quel suo allenamento extra, per osservare la Capopalestra mentre avanzava verso il Percorso 29 con rapidità e al contempo leggiadria. Sinceramente parlando, all’Allenatore non avrebbe affatto dispiaciuto diventare soggetto di interesse per Sandra, ancor più di quanto non lo fosse già. Forse, dando retta al suo consiglio e iniziando a dedicarsi un po’ al suo aspetto, un giorno sarebbe riuscito a farsi notare da lei come uomo e non come semplice compagno di battaglia o rivale. Anche a costo di compiere ulteriori fatiche e di spendere il suo tempo libero in allenamenti extra, si promise che sarebbe riuscito nel suo intento.

«Allora, ti muovi o no?!» lo richiamò la Domadraghi, fermatasi apposta per lui a qualche metro di distanza.

Ridendo, Gold riprese a correre fino a raggiungerla. «Quindi mi stai dicendo che, se avessi un “fisico presentabile”, faresti un pensierino su di me?» la punzecchiò, un po’ per provocazione un po’ per curiosità, ansioso di scoprire il modo in cui avrebbe reagito la sua compagna. Molto probabilmente l’avrebbe picchiato, oppure l’avrebbe gettato nel primo laghetto nelle vicinanze per regalargli un gelido bagno.

Eppure, a dispetto delle aspettative, la ragazza dai capelli azzurri si limitò a scuotere il capo e ridacchiare tra sé e sé. «Passeranno anni luce, prima che tu riesca a svilupparti in modo decente, Nano».

Non gli aveva risposto. Né sì, né no. L’aveva lasciato lì, con una speranza nel cuore e un incentivo per raggiungere il suo agognato traguardo. Il giovane si sforzò di mantenere la sua velocità, affiancandola anche nei passi più ripidi e difficili da attraversare in corsa, pur di dimostrarle di essere degno delle sue attenzioni.

Poco importava quanto tempo ci avrebbe messo per farsi notare da lei. Prima o poi ci sarebbe riuscito e bastava questa certezza a donargli la forza necessaria per non arrendersi.

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Capitolo 3
*** Seconda Settimana: Confessione ***


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Ed eccoci qui. Ho deciso che pubblicherò una shot a settimana, precisamente il Venerdì sera, giorno della Bakuryu. Anzitutto, volevo dedicare questa shot a tutti coloro che mi seguono, in particolare a: Carolina, Greta, Federica e… a Valerio, il mio Fratello ritrovato. Se la meritano, anzi si meritano molto di più, perché hanno fatto e stanno facendo tanto per me. In secondo luogo, volevo ringraziare chi ha commentato la precedente shot: mi spiace solo di non essere riuscita a rispondere, ma sappiate che vi ho tutti nel mio cuore! Non mi sono affatto dimenticata di voi.

Questa storia può sembrare nonsense, ma a me piace tanto. Anzi, fin troppo. Trovo i personaggi particolarmente IC (EVVIVA!) e la situazione piuttosto… insolita, ma proprio Bakuryosa (?). Insomma, l’idea della confessione in stile Sandresco mi ispirava un sacco, quindi ecco qualcosa di particolare.

La canzone a cui faccio riferimento nel testo è You’re gonna go far, kid dei The Offspring. Mi auguro che questa shot sia di vostro gradimento! Buona lettura a tutti!

 

 

Seconda Settimana:

Confessione

 

 

Per un breve istante, Gold temette di aver sbagliato numero. Dopo aver udito la risposta di Sandra alla sua proposta di lotta, aveva strabuzzato gli occhi, domandandosi che cosa fosse successo alla Capopalestra combattiva e grintosa che conosceva. Davvero aveva appena rifiutato di combattere con lui, preferendo invece invitarlo a trascorrere quel Venerdì sera nella taverna di Ebanopoli con lei?

Forse la Domadraghi aveva escogitato un losco piano per sconfiggerlo e umiliarlo davanti a tutti i suoi concittadini, trovando così l’occasione perfetta per riscattarsi e per vendicarsi di chi aveva osato macchiare la sua carriera semi-perfetta con una sconfitta. Eppure, secondo il buon animo dell’Allenatore, un piano così subdolo non si addiceva affatto alla Divina – in realtà si addiceva perfettamente al suo carattere, ma era sempre bene concederle il beneficio del dubbio, pur di non incappare nella sua ira funesta.

Per questo motivo, Gold varcò la soglia con passo esitante e incerto, cercando la compagna con lo sguardo. Curvò le labbra in un sorriso raggiante e a tratti malizioso, non appena posò gli occhi sul bel corpo della giovane donna. Era la prima volta che non la vedeva indossare la sua solita divisa e dovette ammettere che quella camicia scollata e quei jeans le donavano davvero tanto, per quanto fossero indumenti semplici.

«Sei davvero bella, stasera» ammise, annuendo tra sé e sé mentre continuava ad ammirare il suo fisico formoso e muscoloso.

Sembrava non essere in grado di smettere di guardarla, almeno fino a quando la sua voce – in quel momento più che mai melodiosa – catturò la sua completa attenzione. «Che ne dici di smettere di fare il ruffiano e cominciare a divertirci?» esclamò, un sorriso gioioso che tradiva la sua felicità nel sentire quelle lusinghe rivolte alla sua persona.

«Che hai intenzione di farmi, stasera? Non ho la mia squadra con me, sarebbe un’occasione perfetta per umiliarmi» disse l’Allenatore, tradendo una certa curiosità, non appena la Domadraghi lo afferrò per mano per condurlo fino ad un  posto vuoto accanto al suo; un posto dove già c’era un bel bicchiere colmo di birra, che poco dopo avrebbe usato per brindare con lei.

«Questa sera ti risparmio, tappo. Ringrazia la mia bontà, altrimenti ti farei nero davanti a tutta questa gente. No, questo pubblico non è qui per vederti umiliato e sconfitto: questo pubblico aspetta solo la Divina!» rispose, facendogli l’occhiolino, dando libero sfogo alla sua vena narcisistica. Afferrò una chitarra folk, per poi iniziare a strimpellare qualche nota. «Stasera avrai l’onore di sentirmi cantare, nano. Ritieniti fortunato».

La voce di Sandra sovrastò quella dei presenti, costringendoli a restare zitti, catturandoli con le sue parole melodiose. Immediatamente, nella taverna cominciò ad aleggiare un’aria di festa. Tanta gente cominciò a ballare, altri iniziarono a battere le mani, alcuni perfino si aggregarono al suo canto. Un tripudio di musica, alcool, divertimento e risate: ecco che cos’era quella serata. Ecco qual era la vera Ebanopoli, quella gioiosa e allegra che si mostrava solo il Venerdì sera, in quella taverna.

«Now dance, fucker, dance. Man, I never had a chance! And no one even knew, it was really only you!» cantò la Capopalestra, spostando lo sguardo verso il ragazzo. Curvò le labbra istintivamente in un sorriso, mentre il suo corpo si muoveva a ritmo della musica. Si avvicinò al giovane, portando il viso a pochi centimetri dal suo, per soffiare il ritornello a pochi passi dalle sue labbra: «And now you’ll lead the way. Show the light of day! Nice work you did. You’re gonna go far, kid. Trust, deceived!».

Si scostò immediatamente da lui, lasciandolo a dir poco inebetito e con le guance imporporate di rosso – per l’alcol o per la vicinanza di Sandra? Non sapeva dirlo neppure lui. Il ragazzo non poté fare a meno di sorriderle di rimando, non appena lei gli fece l’occhiolino: sì, aveva perfettamente capito che quella canzone era riferita a lui.

A lui, che era arrivato a tanto, che aveva fatto tanto, che era riuscito a scacciare lo spettro di un amore peccaminoso e doloroso dal suo cuore.

A lui, che aveva rallegrato ogni suo Venerdì sera con la sua presenza.

A lui, che era stato in grado di scoprire la sua vera natura.

E così si unì al suo canto, spalleggiandola e battendo le mani a ritmo della musica, trascorrendo così quella serata all’insegna del divertimento, dell’allegria e di un amore nascosto.

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Capitolo 4
*** Quarta Settimana: Canta per me ***


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Buon Venerdì sera a tutti! Per vostra somma (no) gioia, ecco a voi la quarta shot di questa raccolta. Ammetto che è piuttosto lunga, però la adoro particolarmente. Ho la febbre e non capisco un accidente, però ci tenevo particolarmente a mantenere la mia promessa e farvi leggere questo delirio racconto. Perciò, se trovate degli errori, non inseguitemi con il machete. Non era mia intenzione farli, sappiatelo.

Inizialmente avevo intenzione di fare qualcosa di allegro, come era valso per i due capitoli precedenti a questo. Invece, per vostra disgrazia, è uscita questa… cosa. Non so neanche io come definirla. Ne vado in parte fiera, dato che c’è un pezzo di me in questa quarta shot, però so che potrebbe non essere comprensibile a tutti. C’è tanta Bakuryu, ma c’è anche… qualche accenno di Dragon (one sided). Sì, ora merito davvero tante botte.

La canzone cantata da Sandra è Drumming Song di Florence and the Machine (nel testo, però, la canzone ha come titolo un suo verso. Il motivo? Semplice, il significato di quel verso). I versi non sono in ordine, li ho selezionati in base a quello che volevo far dire alla Capopalestra. Sì, non sono coerente. Lo ammetto con estrema sincerità. Mi auguro che questa shot sia di vostro gradimento!

Ultima cosa, ma non per importanza: voglio ringraziare di cuore quello che recensiscono, quelli che mi seguono e chi ha messo questa raccolta nelle preferite. Grazie di cuore a tutti, davvero! Inoltre, ci tenevo a dedicare questa shot a Carolina, che si merita molto più di tutto questo.

 

 

Quarta Settimana:

Canta per me

 

 

«Canta per me».

Così aveva esordito Gold, quel Venerdì sera, lasciando Sandra letteralmente di stucco. Inizialmente colpita e meravigliata, decise di non domandare alcun chiarimento riguardante quell’inaspettata richiesta, per poi afferrare tra le mani la sua amata chitarra.

Qualche canzone avrebbe mai potuto dedicargli? Ormai le aveva ascoltate praticamente tutte, durante i loro incontri, ad eccezione di una e una soltanto: Until there’s nothing inside my soul.

Le sue dita, dapprima impegnate ad accordare lo strumento, si bloccarono improvvisamente, non appena quel titolo crudele e il testo di quella melodia cominciarono a riecheggiare assordanti nella sua testa. Si trattenne a stento dall’esibire una smorfia di dolore e soffocò un gemito, non appena ricordo con malinconia l’ultima volta in cui l’aveva cantata – e per chi l’aveva cantata, poi.

«Lance» mormorò debolmente, in un sussurro impercettibile e quasi inudibile, scordandosi di come Gold si trovasse a pochi centimetri di distanza da lei.

Aveva cantato e aveva suonato con allegria per il Campione, l’ultima volta che le aveva fatto visita e nello stesso momento in cui le aveva promesso che le avrebbe fatto visita molto più spesso; giuramento che si era tramutata in bugia, la stessa menzogna da cui aveva tratto nutrimento e che l’aveva illusa per tanto tempo.

Scosse velocemente il capo, nel vano tentativo di scacciare gli spettri di quel passato tormentato e tentatore, per poi tornare a concentrarsi sul suo compito. Si schiarì la voce e raccolse il coraggio a due mani, pronta ad affrontare quella difficile sfida. Non seppe spiegarsi per quale motivo stesse facendo tutto questo per Gold, per quell’insulso ragazzino che era comparso improvvisamente nella sua vita, occupando i suoi giorni e farcendoli di nuove emozioni. A suo tempo non gli avrebbe mai permesso di scoprire aspetti tanto intimi del suo animo, eppure in quel momento non riuscì a resistere alla tentazione di scoprire nuove carte davanti a lui.

«There’s a drumming noise inside my head» cominciò a cantare flebilmente, mentre pizzicava alcune corde della chitarra. Chiuse gli occhi e fece ondeggiare la testa al ritmo crescente e incalzante della musica, completamente persa in quell’atmosfera nostalgica che si apprestava a rievocare ad ogni frase pronunciata. «That starts when you’re around».

Per lunghi anni, la Capopalestra non aveva fatto altro che stare nell’ombra di suo cugino, nell’attesa che si voltasse e la degnasse di un miserrimo sguardo. Lo aveva seguito e desiderato morbosamente, spinta da un motivo che neppure lei era in grado di spiegare. Che si trattasse di amore era fuori discussione, forse: come poteva definirsi amore ciò che invece si manifestava come una vera e propria ossessione? Come poteva chiamarsi amore qualcosa che annichiliva e consumava la propria anima?

«I swear that you could hear it» proseguì, con il tono di voce accentuate dal dolore represso e soffocato in recesso isolato del suo cuore. Rabbia cieca si accese nel suo corpo, mentre le parole sgorgavano a fiotti dalle sue labbra, come un fiume in piena portatore di distruzione. «It makes such an all mighty sound!».

Gold riusciva perfettamente a udire quel rumore, di questo ne aveva l’assoluta certezza. Nonostante fosse un ragazzino inesperto riguardo un simile campo, era riuscito ad intuire che cosa si celava dietro quelle parole apparentemente innocenti e pacifiche. Dopotutto, per quanto paradossale e insolito potesse sembrare, era sempre stato capace di leggere il suo animo come se fosse un libro aperto, senza mai sbagliare.

Forse, dopo aver decodificato alla perfezione quel messaggio, sarebbe stato in grado di salvarla. Ma come ci sarebbe riuscito un ragazzino di sedici anni? Come avrebbe potuto strapparla da quell’agonia interiore e disintossicarla da quella droga malsana? Era a dir poco impossibile riuscirvi; perfino lei, così determinata e dotata di grande forza di volontà, aveva fallito nell’intento.

«As I move my feet towards your body, I can hear this beat it fills my head up» riprese, mentre l’Allenatore la fissava assorto e serioso come non mai. La Domadraghi pregò con tutto il cuore che il suo volto non stesse tradendo alcuna espressione, in modo tale che quel Tappo maledetto non riuscisse a sorprenderla in quell’istante di debolezza. Forse avrebbe dovuto smettere di cantare, ma come riuscirvi, quando le emozioni prendono il sopravvento sulla ragione? «…And gets louder and louder».

Le sue iridi color ghiaccio si posarono su quelle dorate di Gold, intrecciando lo sguardo con il suo nel tentativo di leggere la sua mente. Non vi trovò alcuna traccia di compassione o tristezza, a differenza di altri che solevano guardarla in quel modo quando qualcuno aveva la malaugurata idea di nominare Lance in sua presenza. Lui la osservava in modo apparentemente impassibile, rispettando i suoi sentimenti, e si limitava a stare in religioso silenzio, in attesa che lei continuasse a deliziarlo con il suono della sua voce.

«It fills my head up and gets louder and louder» mormorò la giovane donna a pochi centimetri dal suo viso, con voce leggermente tremante. Per un inspiegabile motivo, quell’Allenatore la stava mettendo a dir poco in soggezione. Smarrita nei suoi begli occhi oro, faticò a ricordare il testo della canzone e le parole che avrebbe dovuto proferire. «It makes such an all mighty so-!».

Ma non fece in tempo a concludere il verso, che le sue labbra si ritrovarono improvvisamente impegnate in un bacio inaspettato. Trattenne il respiro, non appena la bocca del ragazzo si posò sulla sua in modo dolce e delicato, mettendo a tacere il suo tormento e regalandole un fremito lungo la schiena.

Dopo svariati secondi di indugio e confusione, Sandra mollò la presa sulla chitarra, per intrecciare le dita nei capelli corvini dell’amico. Lo avvicinò a sé con fare possessivo, permettendogli così di approfondire quel contatto puro e intimo, fino a quel momento tanto desiderato – seppur inconsciamente – da entrambi.

«San, dimmi la verità» ansimò Gold, dopo essersi allontanato a malavoglia dalla Capopalestra per l’esigenza di aria. Appoggiò la fronte contro la sua e la guardò negli occhi, sfidandola a rispondere alla sua prossima domanda in modo sincero. «Concentrati. Senti ancora quel rumore? Ti sta ancora assordando?».

Il volto della Domadraghi si dipinse all’improvviso di un’espressione di puro stupore e le sue guance si velarono di rosso. Per quanto si sforzasse di focalizzare tutta la sua attenzione sui suoi pensieri, nonostante cercasse di udire anche un solo piccolo suono, la calma regnava sovrana nel suo animo. Non vi era più nulla capace di stordirle i sensi, di sfiancarla e di costringerla a scivolare a terra, sopraffatta dal peso insopportabile del dolore. Inaspettatamente, ogni ricordo di tormento appariva sfocato e confuso, quasi avvolto da una nebbia fitta e alquanto fastidiosa.

«Non sento più nulla, Gold» sussurrò lei in risposta, mentre lacrime calde sgorgavano traditrici dai suoi occhi. Dovette portarsi una mano alla guancia, per accorgersi di quelle perle salate che le stavano rigando il volto, in manifestazione di somma gioia. Finalmente, dopo anni di agonia, quell’incubo era giunto finalmente al termine.

«Non permettere mai a nessuno di trattarti ancora in questo modo» asserì serio l’Allenatore, asciugando quel pianto silenzioso con due dita. Le sorrise dolcemente, con il cuore traboccante di gioia e felicità. In quel momento, dire che si sentiva l’uomo – o, per meglio dire, il ragazzo – più felice della terra era solo un mero eufemismo.

«Se te ne andassi, ti verrei a cercare» replicò la futura Maestra Drago, socchiudendo gli occhi fino a farli divenire due fessure ghiacciate alquanto minacciose. «Sappi che, una volta che ti avrò trovato, non garantirò la tua incolumità».

Ed entrambi risero, prima di tornare a sugellare quelle promesse con altri dolci baci e carezze delicate.

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Capitolo 5
*** Quinta Settimana: Messaggi ***


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Allora. Partendo dal fatto che a momenti mi dimentico che oggi è Venerdì, eccomi qui con una shot davvero delirante. Anzitutto, permettetemi di ringraziare di cuore Carolina, che si è presa la briga di ascoltare i miei deliri mentre cercavo di salvare il salvabile e di inventarmi qualcosa di decente per questa serata. Se non fosse stato per lei, forse oggi non avreste nulla da leggere! Difatti, volevo dedicare a lei questa storia. Grazie di cuore, amore mio!

Questa storia è delirante, vi avverto. Non ha il benché minimo senso, dato che è ispirata a Call Me Maybe della Jepsen. C’è un’ovvia ripresa della prima shot, che sicuramente noterete, nonché della quarta. In ogni caso, vi auguro sia di vostro gradimento, miei adorati lettori!

Ultima cosa, ma non per importanza: ci tenevo a ringraziare di cuore anche Greta e Beatrice, nonché tutti i lettori che mi seguono e che vanno matti per questa raccolta! Grazie di cuore!

Pi esse: Alex e Megan mi appartengono. Gli “affissi” (o secondi nomi, chiamateli come volete) che compaiono accanto ai nomi di Sandra, Alex e Megan sono fonte della mia mente malata, unita a un generatore di nomi di draghi. Eh no, non fate domande, accettatemi così come sono.

 

 

Quinta Settimana:

Messaggi

 

 

Il trillare allegro del Pokègear riecheggiò per tutta la Tana del Drago, catturando immediatamente l’attenzione dei Domadraghi presenti. Da una settimana precisa, a cadenza regolare di cinque minuti, il silenzio della grotta veniva spezzato in modo brusco dalla suoneria del cellulare di Sandra.

Per un oscuro motivo, la Capopalestra viveva in perfetta simbiosi con quell’aggeggio rumoroso, senza mai separarsene per un solo secondo. Molti erano stati tentati dal porre qualche quesito in merito a quell’improvvisa dipendenza, eppure tutti vi avevano rinunciato, pur di non incappare nell’ira funesta della loro superiore; se fino a quel momento lei non aveva fatto parola con qualcuno, sicuramente doveva trattarsi di qualcosa di privato e intimo.

Ignorare l’espressione felice, che si dipingeva sul volto della futura Maestra Drago ogni volta che riceveva un messaggino da parte di un mittente sconosciuto, era praticamente impossibile. Le sue guance si velavano di rosso, per quanto le labbra tradissero solo l’accenno di un sorriso imbarazzato. La giovane si guardava sempre attorno con aria circospetta, prima di concentrare tutta la sua attenzione su ciò che compariva sullo schermo acceso solo e solamente per lei.

Tuttavia, in quel momento, il suo Gear giaceva miracolosamente incustodito su una roccia fungente da ripiano improvvisato. Alex la Grande Fiamma, che in quel momento si trovava poco distante dall’oggetto incriminato, fu colto dall’improvvisa tentazione di prenderlo e risolvere il grande mistero che incuriosiva molti. Purtroppo, non appena protese la mano per afferrarlo, una voce tuonò alle sue spalle e lo colse in flagrante: «Lex! Passami il Gear, subito!» ordinò la Domadraghi, che si trovava nei pressi del grande lago interno.

Sospirando e rassegnandosi all’idea di non poter compiere quella grande impresa, il giovane prese la mira e scagliò il cellulare tra le mani della superiore. Il Pokègear atterrò con precisione magistrale tra le mani della donna ma, sfortunatamente, schizzò via poco dopo dalla sua presa come se fosse una saponetta.

Sandra sbarrò gli occhi ghiacciati, mentre un sorriso nervoso si dipingeva sulle sue labbra, ammirando il cellulare affondare nell’acqua scura del lago.

E Alex cominciò a pronunciare le sue ultime preghiere, per poi impallidire sotto lo sguardo assassino della Capopalestra.

 

Gold sembrava sul punto di impazzire. Stando sulla soglia del Dojo Lotta di Zafferanopoli, fissava lo schermo nero del suo Pokègear con ansia, nell’attesa che Sandra rispondesse a uno dei dieci messaggi mandati durante quei dieci minuti di panico.

Da quando si erano scambiati il loro primo bacio la settimana precedente, non avevano fatto altro che tenersi in contatto tramite sms. Si scrivevano praticamente ogni ora del giorno, a volte perfino di notte, rimpiangendo di essere eccessivamente impegnati anche solo per incontrarsi alla taverna di Ebanopoli. Eppure, per qualche oscuro motivo, proprio l’unica sera in cui potevano stare insieme per tanto tempo, Sandra non rispondeva.

L’Allenatore tremò, al solo pensare di averle detto qualcosa capace di urtarla o, peggio, che le fosse successo qualcosa di grave durante l’allenamento.

Che si fosse fatta male? Impossibile, lei avrebbe continuato a combattere fino allo stremo.

Che un drago l’avesse aggredita? Inammissibile. Era lei a fare paura ai Draghi, non il contrario.

Che qualcuno l’avesse aggredita? Un attimo, davvero qualcuno aveva il fegato di sorprendere una come lei? Esisteva sul serio un simile pazzo?

Tuttavia, per quanto quest’ipotesi si smentisse da sola, un brutto presentimento lo assordava e gli contorceva le viscere. Con l’ansia che cresceva nel suo animo, lanciò a terra la ball di Togetic, risvegliando il povero volatile da un sonno profondo, e spiccò il volo, dimenticandosi di portare con sé un Typhlosion che protestava indignato.

 

«Dove pensi di andare, bambolo?».

Una mano si posò improvvisamente sulla spalla di Alex, in quel momento intento a sgattaiolare via al più presto dalla Tana del Drago. Il Fantallenatore volse leggermente la testa di lato, quel poco che bastava per scorgere il volto iroso e scuro della sua Maestra a pochi centimetri dal suo. Tremò e un gemito di paura sfuggì dalle sue labbra, non appena i suoi occhi si posarono su quelli di brace della Capopalestra.

«S-sì, mia Signora…?» balbettò con voce tremante, mentre la presa sulla sua spalla si faceva sempre più ferrea.

«Per colpa della tua pessima mira, non ho potuto leggere un messaggio di vitale importanza!» sbraitò con voce rabbiosa la giovane donna, assordandolo e stordendolo.

Orgogliosa come sempre, non aveva voluto ammettere le sue colpe. Piuttosto di confessare la sua incapacità, aveva scaricato tutta la responsabilità sul suo allievo. Alex la Grande Fiamma provò a controbattere ma, a giudicare dal modo in cui lei lo stava squadrando, constatò che fosse meglio tacere.

«Adesso tu vai immediatamente a prenderlo. Non riemergere fino a quando non lo trovi!».

Detto questo, Sandra lo spinse con vigore nel lago, ignara del fatto che Alex non sapesse nuotare.

 

Gold fece il suo ingresso nella Tana del Drago, gridando a gran voce il nome di Sandra. Sudato e con il fiato corto, si fece largo tra gli allievi intenti ad allenarsi - che in quel momento lo stavano guardando come se fosse un pazzo uscito dal manicomio -, alla disperata ricerca della Domadraghi.

Esplorò ogni centimetro della grotta con lo sguardo, con il terrore di scovare da un momento all’altro il corpo esanime della sua amata. Eppure, di lei non vi era alcuna traccia.

Stanca di sentirlo urlare come un disperato, senza proferire alcuna parola, la Fantallenatrice Megan lo afferrò bruscamente per un braccio, ignorando le sue proteste e conducendolo dalla diretta interessata. Inarcò un sopracciglio, non appena lesse commozione negli occhi di Gold, che si era immediatamente precipitato da Sandra. In quel momento, per quanto strana potesse sembrare quella situazione, era intenta a cercare qualcosa nel lago con l’ausilio di un retino.

L’Allenatore l’abbracciò e la strinse a sé con vigore, come se fosse stata una cosa preziosissima che aveva rischiato di perdere. Inutile dire quanto si fosse preoccupato per lei, non avendola vista né sentita per ben mezz’ora.

«Come mai non hai risposto?» esclamò il giovane, mentre la strattonava con vigore. «Avevo paura che ti fosse successo qualcosa!».

«Se non fosse stato per un idiota» ringhiò sommessamente la Domadraghi in risposta, indicando con stizza un corpo galleggiante in mezzo al laghetto, apparentemente esanime «ti avrei risposto immediatamente. Ha lanciato il mio Gear dentro l’acqua».

«Ma quel tizio è ancora vivo?» domandò Gold, strabuzzando gli occhi e preoccupandosi nel non vedere alcun movimento da parte di quello che a suo parere sembrava un cadavere.

«Pensavo sapesse nuotare. Comunque sì, è ancora vivo. Penso. Credo. Spero» rispose Sandra, facendo spallucce, mentre ordinava con un cenno di capo a Megan di andare a recuperare il suo collega. «Se muore, guai a lui. Mi deve ripagare i-».

Senza che potesse aggiungere altro, Gold intrappolò le sue labbra in un bacio ansioso, per scacciare tutta la paura che fino a quel momento l’aveva tormentato. Assaporare le sue labbra fu la conferma che lei c’era ancora, che non l’aveva abbandonato e che non l’aveva dimenticato. Sandra  ricambiò con altrettanta passione quell’intimo contatto, rilassandosi sotto quell’attenzione tanto affettuosa e bramata e dimenticandosi di tutti i presenti che, in quel momento, li stavano fissando stupiti e sconcertati.

Trascorsero una manciata di secondi, prima che l’Allenatore la prendesse per mano e la conducesse verso l’uscita della Tana. «Andiamo a comprare un altro Pokègear, presto! La battaglia può aspettare!».

Nel frattempo, Megan dal Respiro di Fuoco si accinse a soccorrere il suo collega, caricandolo sul dorso della sua Dragonair, mentre osservava i due fidanzatini allontanarsi; alla fine, per quanto Sandra fosse ben diversa da lei e dalle altre ragazze, era una donna innamorata e come tale si comportava.

Sorrise, sporgendosi e recuperando il Gear che galleggiava poco distante da lei, per poi premere un pulsante e leggere il messaggio stagliato sullo schermo.

Ti amo, San.

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Capitolo 6
*** Sesta Settimana: Amare ***


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Ed eccomi qui con un’altra shot! L’orario della pubblicazione è improponibile (23:54! Mi faccio molto schifo), però almeno sono riuscita a postarla ancora di Venerdì! Mi sento molto potente (NO). Inizialmente avevo intenzione di scrivere qualcosa di demenziale – e avevo già in mente cosa -, ma poi ho optato per qualcosa di più angst e introspettivo. Non preoccupatevi, il comico è rimandato alla settimana prossima! Non temete.

In questa fic, Sandra è molto lunatica e molto emo, lo ammetto: ultimamente avevo trascurato tanti aspetti di questo personaggio, che ho voluto riprendere in questa fic. Tutti tendono a considerarla insensibile e arcigna, ma non penso affatto che sia così (e lo ha dimostrato più volte sia nel game sia nel manga, eh). Anzi, in fondo, penso sia perfino fragile – ma questo non significa che sia arrendevole, anzi! Comunque sia, vi avverto: in questa fic, a volte Sandra userà termini un po' scurrili. Quindi, non sorprendetevi troppo, mi raccomando!

Per quanto riguarda la storia, sappiate che il primo pezzo è un flashback, che mi auguro sia di vostro gradimento! L’intera shot è ispirata alla canzone War of Change dei Thousand Foot Krutch. Detto questo, vi auguro buona lettura!

Edit del 30: Ho corretto ogni errore della fic, o almeno quelli più evidenti. A chi avesse letto ieri, mi scuso per il disagio! Adesso spero sia tutto a posto. Se ci sono altri sbagli, siete pregati di segnalarli!

 

 

Sesta Settimana:

Amare

 

 

«Non è giusto!».

L’urlo della giovane Fantallenatrice riecheggiò per tutta la Tana del Drago, destando irrimediabilmente l’attenzione di tutti i presenti. I Domadraghi interruppero all’improvviso il loro allenamento, per poi voltarsi in direzione della giovane e ammirare l’inferno che si sarebbe scatenato a breve.

Lacrime bollenti scorrevano lungo il volto di Sandra il Drago Divino, in chiara dimostrazione della rabbia che divampava nel suo animo come un incendio indomabile. Le sue iridi ghiacciate parevano accese dal fuoco dell’astio, capace di bruciare e tramutare in cenere ogni cosa.

«Come hai potuto…?!» sibilò indignata in direzione di colui che l’aveva appena sconfitta nella battaglia più importante della sua vita. Digrignò i denti, mettendosi in posizione di attacco, pronta a sorprendere il suo avversario e punirlo per quel simile affronto.

Lance il Drago Valoroso aveva appena infranto il suo sogno, distruggendolo e tramutandolo in polvere in balia del vento. L’aveva privata di un futuro e aveva distrutto il suo avvenire, vanificando ogni sforzo fatto per giungere fino a quel punto. L’aveva umiliata e aveva ottenuto quella maledetta approvazione che neppure lei non era stata in grado di ricevere.

Suo cugino aveva appena raggiunto il tanto agognato traguardo della ragazza, strappandole di mano quel ruolo fino ad allora tanto bramato. Sarebbe diventato ilCapopalestra della città e nessuno sarebbe stato in grado di impedirglielo, tanto meno lei. In barba a tutti i sogni che gli aveva confessato durante i viaggi e gli allenamenti, l’aveva appena privata di ciò per cui aveva impiegato anima e corpo.

Senza badare a tutti gli sguardi puntati su di sé, Sandra scattò in avanti, pronta a cimentarsi in un duello corpo a corpo con il parente traditore. Rapida e precisa, gli assestò un violento pugno sulla mascella, costringendolo ad indietreggiare di qualche passo e facendolo perfino scivolare a terra. Si avventò senza pietà su di lui, in quel momento inerme, pronta a scaricare un’altra raffica di pugni. Il Fantallenatore, nonostante si trovasse in serio pericolo, non oppose alcuna resistenza.

Se non fosse stato per l’intervento di alcuni veterani, che afferrarono bruscamente Sandra per le spalle e la trascinarono via da lui, forse Lance sarebbe perito sotto la sua furia – perché sì, accecata com’era dall’ira, sarebbe arrivata perfino ad uccidere il suo amato cugino. In quel momento, la gelosia e l’invidia avevano prevalso su sentimenti e legami.

«Maledetto bastardo!» sbraitò, cercando inutilmente di divincolarsi dalla salda presa dei Domadraghi. «Dovevi proprio rovinare tutto?! Tu sapevi quanto era importante per me! Lo hai sempre saputo!».

Sconfitta, si lasciò cadere con le ginocchia a terra, singhiozzando sommessamente per la furia e per il dolore. Umiliata e rassegnata, continuò a chiamare il nome del ragazzo con voce flebile, sebbene si potesse rintracciare un certo astio nel suo tono.

«Perché lo hai fatto?» mormorò poco dopo, interrompendo quella litania, non appena tutti si allontanarono da loro. «Sapevi quanto desideravo diventare Capopalestra. Perché mi hai tradito? Perché?».

«Sandra, calmati» le ordinò serioso Lance, cercando invano di tamponare il labbro sanguinante con la manica della sua divisa. Avrebbe tanto voluto avvicinarsi a lei e abbracciarla, per calmarla e rassicurarla, ma constatò come fosse poco salutare farlo – a meno di non voler rimediare qualche altro ematoma.

«Come faccio a calmarmi?!» ringhiò la Fantallenatrice, fulminandolo con lo sguardo, seriamente tentata dall’avventarsi nuovamente sul suo corpo, ora che non vi era nessuno nelle vicinanze. Avrebbe tanto desiderato strangolarlo e poco le importavano le conseguenze; aveva già perso tutto: che cosa poteva esserci di peggio di quella umiliazione? Solo una condanna all’esilio, forse. Ma l’avrebbe anche gradita, dopo un simile colpo inferto al suo orgoglio. «Mi hai portato via tutto! Tu e quella dannata approvazione! Tu e quel maledetto di mio Nonno, con le sue stronzate sull’amore e sull’affetto!».

«Ringrazia che queste stronzate esistono davvero» replicò seccato l’altro, discostando lo sguardo dal suo volto astioso. Facendosi leva sulle braccia, si rialzò a fatica, per poi mettersi le mani in tasca e guardarla dall’alto. «Altrimenti il tuo sogno non si sarebbe realizzato».

«Di che cosa parli?! Io non desideravo essere umiliata da un idiota come te!».

«Piacere di conoscerla, Capopalestra Sandra».

La Fantallenatrice sbarrò gli occhi, sinceramente colpita. Che cosa significavano quelle parole? Erano veritiere, oppure erano canzonatorie? Difficile dirlo, date le loro condizioni in quel momento; fraintendere era semplice e risultava davvero complicato comprendere ciò che realmente pensavano.

Pietrificata, non trovò nemmeno la forza di rimettersi in piedi. Rimase a terra, confusa e frastornata come non mai, mentre scrutava in silenzio il viso triste del cugino.

«Che cosa diavolo significa?» sussurrò a voce bassa, in modo tale che potesse udirla solamente lui. «Se è l’ennesima presa per il culo, giuro che ti annego nel lago».

«Significa che il Maestro, approvazione o meno, ha deciso di darti questo incarico» spiegò brevemente il Fantallenatore, porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi - mano che venne immediatamente scostata in modo brusco, con un sonoro schiaffo, dalla Capopalestra in questione.

«E tu?» domandò la giovane Domadraghi, talmente sconvolta da non riuscire neppure a gioire di quella fantastica notizia. Davvero il suo sogno di bambina era divenuto realtà? In quel momento, però, la sua attenzione era completamente focalizzata sul suo adorato parente. «Perché non ha dato quell’incarico a te?».

«Perché io non lo voglio» rispose semplicemente Lance, per poi scompigliarle affettuosamente i capelli. Le rivolse un sorrisetto beffardo, prima di voltarle le spalle e avviarsi lentamente verso l’uscita della grotta. «Ambisco a qualcosa di più grande, San!».

«Ma vaffanculo, montato» fu la replica della ragazza, immediatamente seguita da una risatina bassa e malinconica.

«Un simile linguaggio scurrile non si addice ad una potenza di Ebanopoli, cara Sandra» rise quello che un giorno sarebbe diventato Campione, salutandola con un cenno di mano. «E vedi di impegnarti per ottenere quella benedetta approvazione! Attendo quel momento con ansia, sappilo. Voglio essere il primo a sapere del tuo successo».

«Te lo prometto. Buona fortuna» fu l’ultimo sussurro di Sandra, indirizzato al giovane a cui sinceramente doveva tanto. Augurio che non giunse alle sue orecchie, dato che aveva abbandonato la grotta ancor prima di poter udire queste sue ultime parole. «E ci riuscirò prima di quanto tu pensi, maledetta carogna!».

 

Osservò la sua immagine riflessa nello specchio d’acqua, scrutando con attenzione il suo bel volto dipinto di una smorfia di rabbia e di dolore. Sandra guardò con disprezzo se stessa, accusandosi con lo sguardo di essere un fallimento, di essere inferiore a quel maledetto cugino che anni addietro si era comportato in modo nobile. L’aveva umiliata, spiazzata, privandola dell’onore e dell’orgoglio: eppure, se non fosse stato per lui, in quel momento non sarebbe stata Capopalestra.

Come poteva dire di essersi guadagnata quel maledettissimo titolo, se le era stato praticamente ceduto? Era una seconda scelta, un ripiego sul quale il Maestro Drago aveva dovuto fare affidamento per il controllo di Ebanopoli - una maledetta ruota di scorta, ecco cos’era. Fino a quando non avrebbe ottenuto quella dannatissima approvazione, sarebbe rimasta per sempre nell’ombra di Lance.

Digrignò i denti, infrangendo un pugno sulla superficie del lago e distruggendo quella figura elegante che si mostrava davanti a sé. Seduta in un angolo remoto della Tana del Drago, alla larga da occhi indiscreti, si ritrovò a piangere sommessamente - per la rabbia, per l’onore, per il dolore, ma soprattutto per se stessa.

Anche quel giorno, aveva impiegato anima e corpo per superare la prova del Maestro, pur di dimostrare a tutti – e in primo luogo a lei – di essere davvero degna del suo titolo. Si era perfino studiata a memoria le risposte corrette da pronunciare ad ogni domanda posta, eppure non era servito a nulla: Si vede che le risposte non vengono dal tuo cuore si era limitato a replicare suo nonno, scuotendo la testa con tristezza, prima di congedarla e darle in dono l’ennesima sconfitta.

Dove aveva sbagliato? Che cosa le mancava per essere una vera Domadraghi? Sinceramente, Sandra non ne aveva la benché minima idea. Possedeva tutte le migliori qualità di un vero Maestro Drago: orgoglio, onore, forza, abilità, velocità, arguzia e astuzia; doti che erano state sviluppate al meglio e che erano di gran lunga migliori rispetto a quelle di Lance. Che cosa aveva, allora, in più di lei? Perché lui era uno dei prescelti e lei no?

I saggi dicevano che il suo cuore era in carenza di amore, che non voleva bene a sufficienza alla sua squadra. Tutte stronzate, a detta sua, inutili valori con i quali non avrebbe mai raggiunto la vittoria. Chi nutriva pietà nei confronti del nemico veniva sconfitto e raggirato dallo stesso. Non c’era vita per i buoni samaritani, su questo Sandra non nutriva alcun dubbio.

Eppure suo cugino era stato in grado di sconfiggerla proprio grazie a quei valori. E, ironia della sorte, non era stato il solo. Qualcun altro, sempre grazie a quegli ideali, l’aveva stracciata e umiliata, deponendola dal suo alto trono e macchiando la sua gloriosa carriera con una sonora sconfitta.

Un qualcun altro che, nonostante fosse Venerdì sera, non aveva ancora chiamato, presa com’era dall’ennesimo fallimento.

«Sapevo di trovarti qui» la sorprese improvvisamente una voce familiare e conosciuta, destandola dai suoi oscuri pensieri e costringendola a distogliere lo sguardo dalla sua immagine riflessa nel lago. «Ti avrò chiamata come minimo una ventina di volte. Mi farai morire dalla preoccupazione, prima o poi».

Parli del diavolo… pensò la Capopalestra, prima di curvare le labbra in un mesto sorriso. Gold possedeva l’innata capacità di comparire davanti ai suoi occhi proprio nel momento del bisogno. Forse era dotato di un grande sesto senso, oppure era fortunato e si trovava sempre al posto giusto nel momento giusto.

«Come vedi, sono ancora tutta intera» esclamò la giovane donna, facendo leva sulle braccia e rialzandosi, per poter guardare l’Allenatore negli occhi. «Sono pronta a conciarti per le feste con un duello, se è questo che desideri».

Effettivamente, lottare avrebbe giovato al suo umore. Furibonda con se stessa com’era, sicuramente avrebbe dato anima e corpo in quella battaglia e, forse, sarebbe perfino riuscita a prendersi la sua rivincita sul ragazzo una volta per tutte. Poco importava la loro relazione, in quel momento: aveva un animo ferito da curare e poco importava il modo in cui avrebbe sanato quelle ferite profonde. Lui avrebbe certamente capito la sua esigenza.

Eppure, nonostante quella provocazione aperta, l’altro rimase impassibile. Serioso come non mai, la fissò in modo inespressivo, intento a studiare la sua espressione e ciò che traspariva dalle sue iridi ghiacciate. Avrebbe letto i suoi pensieri e avrebbe intuito quasi sicuramente la fonte del suo malumore; non sapeva dire se fosse una cosa buona o meno: il fatto che il suo ragazzo si impicciasse nei suoi affari le donava un piacere immenso, in quanto si sentiva amata e considerata, ma la irritava al contempo.

«Non ho passato l’esame» asserì la Domadraghi, antecedendo la domanda ormai imminente del suo ragazzo. Distolse lo sguardo dal suo volto, furibonda, per posarlo sul tempio poco distante da loro. Socchiuse gli occhi fino a farli divenire due fessure minacciose, mentre serrava i pugni. «Ancora. Sarà la centesima volta, ormai».

Gold rimase in rispettoso silenzio, nell’attesa che la giovane concludesse il suo discorso. Come sempre, l’avrebbe lasciata sfogare, cercando nel frattempo le parole giuste in grado di placare il suo animo tormentato: per quanto fosse più giovane di lei, sapeva sempre come sopire la sua ira e domarla – forse era lui il vero Domadraghi tra i due, effettivamente, se era capace di controllare un animo indomito come il suo.

«Se non lo passo, non potrò mai considerarmi una Capopalestra a tutti gli effetti! E non potrò mai diventare la futura Maestra Drago!» sibilò a bassa voce, in modo freddo e tagliente, con voce rotta dalla furia. «Lance prenderà il posto di mio nonno, di questo passo. Rivestirà un ruolo che voglio io! Ma che diavolo ha in più di me, quel maledetto idiota?! Il saper amare l’altro?! È una stronzata!».

Una risatina ilare sfuggì dalle labbra dell’Allenatore, nonostante l’aura pesante di dolore e rabbia che aleggiava attorno a loro. Sandra si voltò di scatto in sua direzione, provando estremo disappunto nei confronti del suo divertimento: stava gioendo della sua disperazione, forse?

«Rido perché hai appena dato della stronzata a una cosa che sai fare benissimo anche tu» si giustificò il ragazzo, sorridendole di cuore. «Lance non ha nulla in più di te, sappilo. Anzi, forse ora ha qualcosa in meno di te, sicuramente».

«Che cosa stai dicendo…?» domandò confusa la giovane donna, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia al petto. Le parole dell’altro suonavano criptiche e impossibili da comprendere, all’apparenza.

Gold accese il suo PokéGear, per poi mostrare alla sua ragazza uno dei tanti messaggi ricevuti da lei stessa. “Prova solo a sparire e io ti inseguirò per il mondo intero, pur di trovarti”, citava il testo “Sei troppo importante per me”.

«Sei capace di amare, Sandra» aggiunse successivamente, per poi riporre il suo cellulare in tasca. Accarezzò il suo volto con dolcezza, guardandola negli occhi. «Forse non sei capace di mostrare completamente i tuoi sentimenti, ma io sono qui apposta per aiutarti. Che ne dici se cominciamo ad allenarci insieme, così magari ti insegno come ci si comporta con chi si vuole bene?».

Istintivamente, la Capopalestra inclinò leggermente il capo, interrompendo improvvisamente il discorso di Gold per intrappolare le sue labbra morbide in un bacio lento e dolce, ma anche passionale. Intrecciò le dita nei suoi capelli corvini, attirandolo a sé per approfondire quel contatto intimo, e accolse il suo corpo tra le braccia, stringendolo in un abbraccio caldo e carico di affetto.

Quando interruppero quell’unione, entrambi ansimavano, alla ricerca di aria.

«Questo è già un ottimo inizio, direi» mormorò il giovane, mentre le sue guance si imporporavano di rosso.

Ed entrambi scoppiarono a ridere, per poi prendersi per mano e iniziare la loro prima lezione.

 

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Capitolo 7
*** Settima Settimana: Manifestazione ***


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Buona sera a tutti quanti, carissimi lettori! Come ogni Venerdì sera, ecco a voi una bella (no) Bakuryu! Anzitutto, comincio col dire che questa storia non ha senso. È frutto di un delirio della settimana scorsa, nato per caso e creato per… per cosa? Boh.

Doveva essere una cosa delirante e comica, ma alla fine ho combinato tanti casini ed è nato qualcosa di indefinibile. Tutto nella norma, insomma. Volevo dedicare questo capitolo a Greta e Carolina, perché fanno davvero tanto per me. Troppo. Grazie di cuore, dolcezze.

Ho scritto questa shot ispirandomi alla canzone Va va voom di Nicki Minaj (sebbene non ami questo genere di canzoni, ci sta perfettamente. Non chiedetemi perché). Inoltre, c’è una ripresa della quinta settimana, data anche l’apparizione dei personaggi Alex Grande Fiamma (click!) e Megan Respiro di Fuoco (click!). Non chiedetemi come ho tirato fuori l’idea del combattimento corpo a corpo, perché non lo so neppure io. Ultimo appunto: i vestiti che Sandra indossa sono quelli che aveva all’epoca di O/A/C, ossia quella tutina microscopica blu (notte?). Se non l’avete presente, pazienza.

Concludo ringraziando ancora quei poveri diavoli che seguono questa raccolta! Mi auguro che questo capitolo sia di vostro gradimento, dolcezze. Buona lettura!

 

 

Settima Settimana:

Manifestazione

 

 

Gold controllò un’ultima volta che tutte le sue Pokéball fossero nella cintola, prima di addentrarsi nella fitte tenebre della Tana del Drago. Quel Venerdì sera si stava preannunciando insolito e ricco di sorprese: Sandra aveva appena rifiutato la sua sfida a Zafferanopoli, per invitarlo invece a combattere nella grotta, ove lei soleva allenarsi ogni giorno.

L’Allenatore procedette a tentoni nell’oscurità, fino a quando non si ritrovò nei pressi del grande lago: tutto attorno a lui era illuminato da torce accese, che donavano al luogo un’atmosfera mistica e al contempo inquietante. Chissà quali insidie si celavano nell’ombra. Per un breve istante, il ragazzo non poté fare a meno di domandarsi come la sua compagna fosse capace di esercitarsi in un posto simile, specie durante la notte.

Inspirò profondamente, lasciando che i polmoni si riempissero di quell’aria cruda e pungente, per poi riprendere ad avanzare lentamente e con circospezione. Il rumore dei suoi passi riecheggiava in modo sinistro tra le pareti rocciose e ciò non fece altro che alimentare l’ansia del giovane.

Dov’era la sua Domadraghi? Perché quel luogo sacro pareva deserto, quando di solito era gremito di Fantallenatori intenti a duellare tra loro? Nessuno lo aveva accolto, né si era mostrato: una situazione alquanto insolita, dato che ad organizzare quell’incontro era stata la Capopalestra. Si sarebbe aspettato un’accoglienza calorosa, accompagnata anche da un beffardo “Ora ti concio per le feste, Nano malefico”, invece di quel silenzio tombale.

Che fosse successo qualcosa a Sandra e ai suoi compari, mentre lui si trovava in viaggio alla volta di Ebanopoli? Ipotesi da non trascurare, sebbene fosse consapevole di quanto fosse grande la potenza della sua adorata: non si sarebbe lasciata sottomettere da nessuno, né si sarebbe arresa a qualcuno.

Nonostante questo pensiero in parte confortante, non poté fare a meno di esibire una certa preoccupazione – che immediatamente scemò, non appena giunse nel luogo dove solitamente si trovava con la futura Maestra Drago.

Un sospiro di sollievo sfuggì dalle sue labbra, quando scorse la figura di Sandra a pochi passi da lui. Fiera e potente come non l’aveva mai vista, in piedi e con le braccia conserte al petto, fissava in modo inespressivo lo specchio d’acqua stagliato di fronte a sé.

«Serata perfetta per un bel combattimento, vero?» esordì la Domadraghi, non appena Gold la affiancò, anticipando il suo saluto. Un sorriso beffardo e compiaciuto si dipinse sul suo volto, mentre scrutava la figura del suo amato con la coda dell’occhio. «Allora, siamo pronti per dare inizio alle danze?».

«Ma come mai non c’è nessuno?» domandò invece il ragazzo, mostrandosi sinceramente perplesso. Effettivamente, trovava insolito il fatto che solo la Capopalestra si trovasse nella Tana del Drago: dov’erano finiti tutti quei Fantallenatori, curiosi di vedere lo sviluppo della loro strana storia d’amore?

«Non siamo soli, Gold» esclamò la giovane donna in risposta, schioccando le dita. Immediatamente, decine di persone  si mostrarono alla luce fioca e morbida delle torce, pubblico improvvisato – o forse non così tanto – della sfida ormai prossima. «Sono tutti qui, come puoi vedere, pronti ad assistere alla tua disfatta».

Sandra alzò le braccia verso l’alto e, poco dopo, un boato di urla si levò alle sue spalle. Il suo nome, gridato a gran voce da tutti i presenti, riecheggiava tra le pareti rocciose della grotta. Bella e terribile, si sbarazzò del suo mantello, per poi avvicinarsi a passo leggiadro ed elegante al suo fidanzato. L’Allenatore strabuzzò gli occhi, incantandosi per qualche istante di fronte a quella stupenda e letale visione: divina come sempre, la ragazza indossava una tuta aderente diversa da solito, color notte, che metteva in evidenza le sue curve prosperose – un’immagine ammaliante che accendeva i suoi desideri, spingendolo a desiderare di gettarsi tra le sue braccia e intrappolare la sua bocca in un bacio poco casto.

«Quando vuoi cominciare, io sono pronto» rispose, riscuotendosi a forza dai suoi pensieri, carico ed esaltato come non mai. Afferrò la Pokéball di Typhlosion dalla cintola, pronto a chiamare in gioco il suo fedele amico.

Tuttavia, la mano inguantata della sua avversaria gli bloccò il polso, impedendogli così di fare alcunché. «Che cosa significa?» chiese lui, colpito e incapace di comprendere che cosa stesse succedendo.

La Domadraghi sorrise a pochi centimetri dal suo viso. «Significa che questa non ti serve. Non vedi? La nostra battaglia è già cominciata».

Il ragazzo non fece in tempo a domandare a che cosa si stesse riferendo: la Capopalestra gli assestò un colpo secco su una spalla e gli fece lo sgambetto, facendolo cadere rovinosamente a terra. Ancora in posizione d’attacco, rise beffardamente, canzonandolo e deridendolo con lo sguardo. «Alzati e comportati da uomo, Tappo».

Quella situazione stava diventando a dir poco assurda. Per quale motivo la futura Maestra Drago aveva deciso di cimentarsi in una sottospecie di combattimento corpo a corpo, pur sapendo di trovarsi in netto vantaggio rispetto al suo nemico? Era una lotta impari, di questo ne erano ben consci entrambi. Eppure, nessuno dei due aveva intenzione di fermarsi o di prestare attenzione a questo dettaglio.

«Ma fare una lotta Pokémon non sarebbe stato più semplice?» propose il giovane, rialzandosi. Si mise sulla difensiva, senza abbassare la guardia, in attesa della mossa successiva della sua bella.

Il pugno dell’altra saettò in direzione del suo volto, per poi fermarsi a pochi centimetri dalla radice del suo naso. «Non sarebbe stato altrettanto divertente» soffiò sulle sue labbra, suadente e sensuale come sempre. «E poi qui tutti vogliono vedere un bel combattimento come si deve. Sii uomo e dimostra di essere degno di me».

Con le gote imporporate di rosso e incitato da quella chiara provocazione, Gold raccolse il coraggio a due mani e fece affidamento a tutta la sua forza, sferrando così un attacco in direzione del bel corpo sinuoso dell’amata – attacco che, inevitabilmente, venne intercettato e bloccato senza alcuna fatica.

Sandra scosse il capo con estremo disappunto. «Vedi di impegnarti, se vuoi perdere con almeno un briciolo di onore!».

L’Allenatore socchiuse gli occhi fino a farli divenire due fessure minacciose, pronto a dimostrarle il suo vero valore. La sua sconfitta non era poi così scontata: sarà anche stato più giovane dell’avversaria e non avrà ricevuto il suo stesso addestramento, però in qualche modo avrebbe potuto darle filo da torcere – o almeno, provava inutilmente a convincersi di questo.

Attese l’arrivo della sua innamorata, cercando di studiare i suoi movimenti e di capire con quale mossa avrebbe cercato di sorprenderlo. Avrebbe sicuramente provato ad ingannarlo, pur di umiliarlo, magari ricorrendo ad una finta prima di attaccarlo sul serio.

E così accadde. La ragazza scattò verso il giovane uomo, minacciando di colpirlo con un montante. Pronto all’ultimo secondo, però, girò su se stessa e si abbassò, pronta a fargli uno sgambetto capace di spingerlo nel lago. Prontamente, lui fece un balzo all’indietro, evitando così la sua azione appena in tempo.

«Notevole» mormorò alquanto stupita, con una nota derisoria nella sua voce. Saettò ancora in direzione della sua preda, pronta a colpirlo. Proprio quando era sul punto di assestare un attacco sul petto del giovane, si trovò costretta a inclinare leggermente il capo di lato, appena in tempo per evitare di essere colpita in viso dal pugno dell’Allenatore. L’aria smossa fece ondeggiare leggermente i suoi capelli azzurri e le solleticò il collo.

Le labbra di Sandra si curvarono in un sorriso nervoso e denotante irritazione.

«Ora comincio a fare sul serio, Nano. Puoi dichiararti ufficialmente defunto».

 

C’era chi chiamava a gran voce il nome della Capopalestra, incitandola a vincere quella sfida.

C’era chi cantava l’inno dei Domadraghi e batteva il tacco dello stivale a ritmo, per regalare un’atmosfera adrenalinica a quella sfida.

C’era chi sembrava vivere quella lotta sulla propria pelle, urlando consigli – inutili, data la sua esperienza in combattimenti – alla futura Maestra Drago.

E c’era chi, invece, tifava silenziosamente per Gold.

Alex la Grande Fiamma scrutò la scena senza proferire parola, studiando il modo in cui Sandra il Drago Divino sferrava ripetuti attacchi a un povero Allenatore, che in quel momento indietreggiava e cercava di evitare quella raffica di colpi letali.

Povero ragazzo, gli faceva quasi pena. Ancora faticava a comprendere come si fosse innamorato della loro superiore e quanto la amasse, per essere disposto a sopportare tutto questo. Lo guardava sorridere, mentre schivava con timore ma al contempo divertimento tutti i pugni della sua amata. Nonostante il rischio e la situazione a dir poco assurda, lui pareva essere felice come non mai. Negli occhi di entrambi gli sfidanti si leggeva gioia, nonché adrenalina.

«Sembra che stiano danzando» mormorò alle sue spalle Megan dal Respiro di Fuoco, cogliendolo alla sprovvista. Una risatina sfuggì dalle labbra della giovane Fantallenatrice, non appena l’altro sobbalzò per lo spavento. «Non pensi anche tu?».

«Penso che Sandra avrebbe anche potuto evitare tutto questo» mormorò a bassa voce, portandosi una mano al viso non appena vide il ragazzo scivolare a terra per l’ennesima volta.

La sua compagna di allenamenti curvò le labbra in un sorriso sincero, mentre si soffermava ad osservare i due combattenti. «Stiamo sempre parlando del nostro Capo, Alex. Lei ha un modo tutto particolare di amare le persone. Un modo speciale, che Gold a quanto pare apprezza» giustificò, per poi voltarsi verso l’altro e deriderlo con lo sguardo. «E poi, se tanto la critichi, perché fino a poco tempo fa hai fatto il tifo per lei? Non aveva cercato di annegarti, due settimane fa?».

«Appunto per questo l’ho fatto!» replicò il giovane dai capelli biondi, innervosendosi e tremando al solo ricordo di quell’orribile esperienza. «Se non mi sente fare il tifo per lei, è la volta buona che mi annega davvero».

Il Fantallenatore arrossì leggermente, non appena una risata cristallina sfuggì dalle labbra dell’amica. E tornò a fissare gli altri due, riflettendo sulle precedenti parole dell’altra e scorgendo effettivamente Amore che si manifestava anche in quella situazione a dir poco assurda.

 

«Dì la verità, San: li hai pagati molto bene, per assistere a tutto questo e farti pure il tifo» esclamò Gold, scartando l’ennesimo colpo in sua direzione. Ci mancò poco che un pugno lo colpisse in pieno volto, dato che aveva appena abbassato la guardia per via di tutte quelle grida che non facevano altro che distrarlo. «Che cosa hai promesso in cambio di questo coro da stadio?».

Sandra rise, per poi fermarsi un breve istante e scuotere il capo con disappunto. Puntò le mani sui fianchi e interruppe la sua scarica di attacchi, dando così tregua a un martoriato e affannato Allenatore. «Lo stanno facendo solo perché credono in me, mica per altro».

Il giovane si passò una mano nei capelli corvini, sospirando: a chi sperava di darla a bere? Era evidente che tutti quei Fantallenatori si trovavano lì per timore di incappare nell’ira funesta della loro superiore. Forse erano davvero interessati alla sfida, magari qualcuno considerava davvero la Domadraghi un idolo da ammirare, eppure era troppo strano che proprio tutti – perfino quel poveretto che aveva quasi annegato poche settimane prima! – gridassero a gran voce il suo nome all’unisono.

«Ma poi, dimmi, perché stiamo facendo tutto questo?» domandò il ragazzo, sinceramente incuriosito. Era da quando avevano iniziato a combattere che non aveva fatto altro che chiederselo. «Non avremmo potuto semplicemente schierare i nostri Pokémon?».

La Capopalestra fece scrocchiare le nocche delle mani, per poi fare un po’ di stretching con le braccia. Esibì un’espressione beffarda, alzando gli occhi verso l’alto. «Lo faccio per farti un favore. In pochi hanno avuto l’onore di allenarsi in questo modo con me, sappilo» ridacchiò, per poi rimettersi in posizione di attacco. «Consideralo un regalo da parte mia, come amica».

«Ringrazio di non essere tuo nemico, allora» rispose l’altro, indietreggiando impaurito. Eppure, il suo sorriso sereno e sincero non scomparve dal suo volto. Ogni volta che incrociava lo sguardo di Sandra, per quanto temesse di incassare qualche colpo da parte sua, non smetteva mai di mostrarsi contento, anche se si trovava in una situazione simile. Il solo stare al suo fianco lo gratificava alquanto.

«Ti amo, quando fai così» mormorò la Domadraghi, per poi portarsi una mano alle labbra e arrossire imbarazzata, non appena si accorse di ciò che aveva appena affermato. Socchiuse gli occhi fino a farli divenire due fessure minacciose, fulminando Gold con lo sguardo, e caricò l’ennesimo montante, pronta a colpire con tutta la sua forza il giovane. «Maledizione a te! Guarda che razze di cose mi fai dire!».

E Gold non poté fare a meno di ridere, mentre evitava l’ennesimo attacco di Sandra. Poco importava quanti ematomi avrebbe dovuto curare, una volta tornato a casa: se questo serviva per spingere la sua bella a confessare il proprio amore, allora valeva la pena subire ogni cosa, pur di godere di quella felicità che in quel momento traboccava dal suo cuore.

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Capitolo 8
*** Ottava Settimana: Ricordi ***


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Io dovrei essere a studiare, ora, ma chissenefrega. Sapevo di dover scrivere questa Bakuryu, quindi neanche la genetica è stata capace di fermarmi. Eh, io mica voglio deludere i miei lettori. E poi questa raccolta mi sta particolarmente a cuore, data la coppia amorevole.

Inizialmente avevo intenzione di fare qualcosa di fluff-comico ma, siccome la mia testa bacata fa il contrario di ciò che voglio, sono arrivata a scrivere qualcosa di introspettivo (angst?). E vabbè, accontentatevi. Ultimamente sono così tanto incasinata che non so neppure da che parte sono girata. Wow.

La prima parte della storia riguarda un flashback, quindi ecco spiegato perché nell’icon qui a fianco compare Sandra bambina. Finalmente voi lettori conoscerete i genitori di Sandra (tranquilli, non sono schizzati come la figlia) o, per meglio dire, almeno verranno introdotti. Diciamo che avranno un ruolo di rilevante importanza nella raccolta, ecco.

Io li immagino così e così. Ovviamente queste sono immagini di come sarebbero da giovani, ancora prima della nascita di Sandra. Però almeno vi fate un’idea di come sono, no? Inoltre, ho scritto questo capitolo mentre ascoltavo questa canzone, che ho individuato come tematica per la famiglia di Sandra. Non so, per me è perfetta per loro.

Ci tenevo a dedicare questo capitolo alla mia Famiglia, in particolare a Aki, Cre e Koh! Buona lettura a tutti!

 

 

Ottava Settimana:

Ricordi

 

 

La bambina dai capelli azzurri gonfiò le guance a palloncino, mentre una smorfia di disappunto si dipingeva sul suo volto latteo. Scoccò un’occhiata di fuoco nei confronti dell’uomo che le stava di fronte, puntando i suoi occhi ghiacciati in quelli smeraldini dell’altro.

«Perché non posso venire con te, papà?» protestò la piccola, per poi afferrare il mantello del padre e strattonarlo più volte con forza – un gesto infantile e buffo che suscitò una certa ilarità nell’adulto, che a stento soffocò una risatina divertita. «Voglio partecipare anche io alla missione!».

Il Capopalestra di Ebanopoli si chinò all’altezza della figlia e curvò le labbra in un sorriso carico di dolcezza, quando le scompigliò i capelli con affettuosa giocosità. Il volto della sua piccola era rosso e iroso, contratto in un’espressione di profonda rabbia. Per quanto il suo carattere fosse piuttosto indomabile, specie quando faceva i capricci, la trovava a dir poco adorabile. «San, è troppo pericoloso. Non voglio che ti faccia male».

«Ma io non voglio restare qui» sbuffò Sandra, rifiutando le carezze gentili del genitore. Strinse le piccole mani in due pugnetti, furibonda come non mai. «Voglio venire con te!».

Edgar scosse la testa, mentre dalle sue labbra sfuggiva un sospiro esasperato. Per quanto adorasse il carattere determinato e irruente della pargola, in quel frangente lo considerò come un ostacolo fastidioso e difficile da superare. Conosceva bene il sangue del suo sangue e sapeva benissimo che difficilmente avrebbe retrocesso: pur di ottenere ciò che desiderava per capriccio, non avrebbe esitato a seguirlo anche senza il suo permesso. Sebbene fosse un’infante di pochi anni di vita, aveva già dimostrato in passato di essere in grado di compiere simili gesti – cosa che aveva suscitato lo stupore e al contempo l’ira del suddetto papà.

«Non puoi lasciare sola la mamma» le ricordò, giocando la carta del sentimentalismo e del legame che correva tra madre e figlia. Toccando quel punto sensibile del suo animo, forse l’avrebbe convinta a restare a Ebanopoli e attendere il suo ritorno. «E poi qualcuno deve pur proteggere il paese, no? E tu sei l’unica in grado di farlo».

L’orgoglio della bambina crebbe a dismisura, come da previsione del Domadraghi. Con gli occhi luccicanti di gioia e di entusiasmo, annuì con vigore, mostrandosi combattiva come non mai. Suo padre stava riponendo enorme fiducia in lei, affidandole perfino famiglia e cittadini! Non avrebbe potuto desiderare di meglio.

«E va bene, lo farò» esclamò la piccola, mostrandosi però ancora insoddisfatta. L’idea di dover trascorrere le giornate al fianco della madre Draigen senza potersi allenare con il suo Maestro la disturbava alquanto. Ammiccò con un cenno di capo al piccolo Pokémon al suo fianco, mentre le sue labbra si curvavano nell’accenno di un sorrisetto beffardo. «Horsea ed io proteggeremo il villaggio, ma solo perché ti voglio bene».

Ed entrambi scoppiarono a ridere fragorosamente, prima di abbracciarsi un’ultima volta con calore e affetto.

 

«Che cosa stai guardando, San?».

La giovane donna sobbalzò per lo stupore, colta alla sprovvista da quella domanda inaspettata. Volse il capo verso la porta, dove sulla soglia si trovava un Gold sorridente e felice come non mai. A quanto pareva, non aveva sentito il suo arrivo. Magari aveva perfino bussato alla porta, eppure lei era stata troppo concentrata sui suoi ricordi da isolarsi da tutto ciò che la circondava.

Il suo volto si dipinse di un’espressione radiosa, mentre il suo sguardo si fondeva con quello carico d’affetto dell’altro. Scrutò quegli occhi color miele con una certa curiosità, per poi confrontarli con quelli smeraldini dell’uomo che compariva in un’immagine dell’album fotografico che ancora reggeva tra le mani. Non si mostrò stupita, quando constatò come il suo ragazzo e suo padre fossero così simili tra loro. Seppur fieri e di animo nobile, erano dotati di un’innata sensibilità e di grande dolcezza – caratteristiche che l’avevano sempre attratta e che amava con tutto il cuore, sebbene lo avesse sempre omesso per orgoglio.

«Sembra un album dei ricordi, a giudicare dalla copertina» dedusse l’Allenatore, non udendo alcuna risposta dalla parte della Capopalestra. Una volta avvicinatosi a lei, aguzzò la vista, per poter scorgere ciò che la sua fidanzata osservava con tanto interesse. La sua espressione, per quanto assorta e beata fosse, tradiva una certa tristezza.

«Stavo pensando di aggiornarlo con nuove fotografie» confessò lei, riscuotendosi dai suoi pensieri. Cominciò a sfogliare le pagine sottili e ingiallite di quel libro prezioso, osservando di sfuggita quelle immagini ormai antiche raffiguranti frammenti del suo passato. «E ho cominciato a riguardare le vecchie, così, per curiosità».

Mai avrebbe ammesso davanti al suo caro che, invece, a spingerla a rievocare gli anni trascorsi era stata la malinconia. Per quanto alcuni scatti suscitassero il suo divertimento, in quanto buffi ed esilaranti, un’ombra di tristezza era calata sul suo cuore. Senza farsi cogliere in flagrante dal suo amato, accarezzò il volto di suo padre con un dito, ammirando la determinazione che si leggeva in ogni suo gesto, in ogni sua posa, in ogni sua espressione.

«Quelli sono i tuoi genitori?» domandò ingenuamente Gold, ammiccando con un gesto del capo alle figure giovani di Edgar e Draigen. «Somigli tanto a loro».

Sandra sondò l’espressione dell’Allenatore, in quel momento assorto nello studio di tutti quelle fotografie che si presentavano davanti a lui. Annuì impercettibilmente, dopo aver scorto gioia e curiosità dipinte sul suo volto.

«Un giorno mi piacerebbe conoscerli» esclamò di conseguenza lui, per poi invitarla a sedersi al suo fianco sul divano. «Non li ho mai visti, fino ad ora, e non mi hai mai parlato di loro».

Effettivamente, lei non lo aveva mai fatto, per riservatezza. L’idea di parlare a Gold dei suoi genitori non le aveva mai sfiorato la mente neanche per un secondo. Tuttavia, non si mostrò affatto stupita di fronte a quella legittima curiosità. Dopotutto, era diritto del ragazzo conoscere quelli che – con tutti i se e i ma di rito – forse un giorno sarebbero diventati i suoi suoceri.

«Un giorno ti farò conoscere mia madre, allora» ridacchiò la giovane donna, mentre nella sua mente già si formava la prima fantasia di un ipotetico incontro con tra le genitrice e il ragazzo. «Ti piacerà, vedrai. Sarebbe felice di fare la tua conoscenza».

Draigen avrebbe gradito sicuramente l’idea di incontrare e confrontarsi con colui che aveva preso possesso del cuore di sua figlia. Dato il carattere del suo compagno, poi, la Domadraghi dava quasi per certo che sarebbe piaciuto alla madre. Forse lo avrebbe messo inizialmente in soggezione, ma tutto si sarebbe risolto con una risata e la tensione sarebbe svanita come d’incanto.

«E tuo padre, invece?» chiese ingenuamente lui, urtando – seppur non volendolo – l’animo della futura Maestra Drago.

Lo sguardo della ragazza tornò a posarsi sul volto di quell’uomo che un tempo era stato il suo modello. Un’ombra di tristezza opacizzò le sue iridi color ghiaccio, tramutando immediatamente la sua gioia in antico dolore. Le sue labbra curve in un mesto sorriso preoccuparono alquanto il giovane, che temette di aver compiuto un atroce errore ponendo quella domanda.

Prima che lui potesse scusarsi e farsi perdonare, la Capopalestra posò un dito sulle sue labbra morbide, costringendolo a non fiatare. «Il fatto che non sia qui e non possa presentartelo non significa necessariamente che sia morto» mormorò tutt’un fiato, mostrandosi improvvisamente fiera e seriosa come non mai. Incrociò le braccia al petto e sollevò lo sguardo verso il soffitto, come per non permettere al fidanzato di leggere ciò che traspariva dai suoi occhi mentre parole tristi sgorgavano a fiotti dalla sua bocca. «Manca a Ebanopoli da un bel po’ di tempo, ormai. È partito per una missione quando io avevo solo undici anni circa. Nonostante avesse promesso a me e a mia madre che sarebbe tornato presto, fino ad ora non l’abbiamo visto. C’era perfino stato un momento in cui avevamo pensato che fosse morto».

Edgar aveva anteposto la sicurezza del suo paese a ogni cosa. Quando era piccola, Sandra aveva più volte ascoltato i suoi discorsi di pace e speranza con una certa ammirazione, incantata dalle sue parole toccanti. Eppure, mai avrebbe pensato che quell’ideale di benessere sarebbe stata la rovina della sua famiglia. Sua madre e lei erano persone forti e erano state in grado di cavarsela perfettamente da sole, ovviamente, però la mancanza di quell’uomo, di quella guida e del suo sorriso era impossibile da ignorare.

«Per fortuna un giorno mia madre ha ricevuto una chiamata da parte sua, così abbiamo saputo che non avrebbe mai più fatto ritorno da noi. Anche adesso sta facendo il guardiano a non voglio sapere cosa. In questi dodici anni non mi sono minimamente interessata agli sviluppi della loro missione e ho lasciato che fosse mio nonno  a farlo» proseguì, alzandosi poi dal divano ove era seduta e avviandosi verso la finestra, per guardare il panorama primaverile che si stagliava davanti ai suoi occhi. «So che i miei genitori si tengono sempre in contatto via telefono, però mi sono rifiutata categoricamente di parlare con lui. Io sto ancora aspettando il suo ritorno e non intendo accettare l’idea che forse lui rimarrà lì dov’è per sempre».

Le braccia di Gold avvolsero inaspettatamente il suo corpo, stringendolo con dolcezza. Lacrime calde accennarono a sgorgare dagli occhi della Domadraghi, mentre il suo ragazzo la cullava e cercava di lenire il forte dolore che avvertiva nel petto. Ricambiò quel contatto con un certo vigore, sentendo l’urgenza di averlo al suo fianco, di essere certa che almeno lui fosse lì e che non se ne sarebbe mai andato. Non te ne andare, avrebbe voluto sussurrargli, se solo non avesse temuto di singhiozzare da un momento all’altro.

Le labbra dell’Allenatore cercarono le sue, intrappolandole in un bacio lieve e carico di promesse taciute. Quel contatto intimo bastò per sugellare quel giuramento silenzioso, che testimoniava la loro eterna unione. Lui non sarebbe mai partito, non sarebbe mai svanito nel nulla, a differenza di come aveva fatto suo padre. Bastò questa certezza per permettere alla Capopalestra di scacciare ogni pensiero oscuro e di dedicarsi solo al suo grande amore.

«Giusto per cambiare argomento» mormorò il ragazzo sulle sue labbra, ridacchiando divertito tra sé e sé. «Eri già bellissima da piccola. E molto buffa, anche. Un amore».

«Smettila di dire ovvietà» replicò l’altra, tra una carezza e l’altra, mostrandosi leggermente scocciata di fronte a quell’affermazione. «È ovvio che io fossi divina anche da piccola, no? Si nasce così, non lo si diventa. Comunque sia, ora abbiamo molto da fare».

«Che cosa?» domandò l’altro, facendosi curioso. Mai si sarebbe aspettato una simile affermazione da parte della sua bella, o almeno non in quel momento. «Vuoi combattere proprio ora?».

Sandra sospirò, portandosi una mano al viso e scuotendo il capo con vigore. «Ma no, idiota» mugugnò, per poi afferrare la macchina fotografica dal tavolo e sbattergliela praticamente in faccia. «Abbiamo un album di ricordi da riempire con la nostra storia».

«Ci sto. Basta solo che non cominci a metterti in pose provocanti e invitanti» - altrimenti potrei saltarti addosso, avrebbe voluto aggiungere, ma optò per il silenzio.

E, dopo avergli assestato un leggero schiaffo sulla nuca, la futura Maestra Drago si unì alla sua fragorosa risata.

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Capitolo 9
*** Nona Settimana: Lacrime ***


Pokemon Lyra icon photo: Lyra icon pok4.png

In questo preciso istante, mentre voi state leggendo queste note, io mi trovo a Firenze, armata di Mp3, macchina fotografica e di tanta fantasia. Come diavolo ho fatto a postare la Bakuryu di questa settimana, allora? Beh, ringraziate quella gran donna di Cheche se potete leggere anche questo capitolo. Ebbene sì, lei ha postato questa mia storia, che ho scritto prima della partenza; inizialmente volevo pubblicare in anticipo, ma poi ho pensato… “E’ la raccolta del Venerdì sera, quindi si pubblica il Venerdì sera!”. Allora ho dato alla grandissima Caro i codes necessari per postare. Essendo in gita, non posso rispondere a MP, né fare recensioni. Se vedete un mio aggiornamento, ripeto, è solo perché quella santa donna di Cheche ha accettato di farmi il piacere di aggiornare al posto mio.

Ammetto di aver scritto questo capitolo un po’ di fretta, dovendo fare le valigie per la gita. Questa volta ho voluto concentrare la mia attenzione sulla figura di Gold, lasciando Sandra un po’ marginale. Difatti, anche Gold avrà i suoi santi problemi, durante lo sviluppo di questa raccolta. Non sarà solo la Domadraghi a dover fronteggiare grandi ostacoli. Con questo, penso di aver detto abbastanza!

Perché c’è Cetra nell’icon? Lo capirete molto presto, dolcezze. Che non me ne vogliano le fan di questo personaggio e di una certa coppia (HeartGold), ma questo capitolo tratta un tema piuttosto triste. Ed ora, inseguitemi pure con un machete.

Un saluto dalla bella Florence, dolcezze! …Ora che ci penso, devo andare a visitare la casa di Dante Alighieri…

 

 

Nona Settimana:

Lacrime

 

 

Gold rivolse lo sguardo verso il cielo, in quel momento tinto di sfumature ambrate e rosee. Assorto e completamente perso nei suoi pensieri, puntò i suoi occhi dorati verso quel commovente tramonto e lo contemplò in religioso silenzio, mentre sul suo volto si dipingeva un’espressione leggermente ansiosa. Gettò più volte rapide occhiate verso il suo Pokégear e osservò i minuti scorrere in modo lento e straziante: l’ora dell’incontro con Sandra sembrava non arrivare mai. Pareva che tra il giovane Allenatore e la tanto attesa chiamata vi fosse l’infinito.

L’ora di cena si stava avvicinando, a giudicare da come Fiorpescopoli brulicava di persone, intente a correre verso la propria abitazione per consumare la lauta cena. Il ragazzo li osservò distrattamente: c’erano bambini affiancati dai loro Pokémon, anziani che lentamente attraversano la piccola piazza, mariti che tornavano a casa e salutavano le loro mogli, che li aspettavano stando sulla soglia della porta. Istintivamente e involontariamente, nella sua mente si crearono immagini di piccoli quadretti famigliari, con protagonisti lui e la sua amata Domadraghi. Curvò le labbra in un tenero sorriso, immaginandosi quel futuro felice e carico di gioia – e in quel futuro vi era perfino un bambino dai capelli color notte e dagli occhi di ghiaccio, che stava in braccio alla sua mamma.

Erano pensieri un po’ troppo azzardati e seri, troppo frettolosi, data la sua giovane età. Tra breve avrebbe compiuto solamente diciassette anni: un’età decisamente troppo precoce, per poter desiderare di avere un figlio con la sua fidanzata. Eppure, si concesse di fantasticare ancora un po’, forse per capriccio. Dopotutto, sognare era lecito, no?

Improvvisamente, l’armonia di quel momento si ruppe, non appena due braccia avvolsero da dietro il suo corpo. Gold sbarrò gli occhi, sorpreso da quel gesto inaspettato, e volse la testa quel poco che bastava per poter riconoscere il suo misterioso “assalitore”. Si stupì alquanto, non appena notò Cetra alle sue spalle, e inarcò un sopracciglio con certo stupore.

«Ce? Che cosa ci fa qui?» domandò sorridente, mentre le sue mani armeggiavano per liberarlo dall’abbraccio saldo della giovane. Non che quel contatto gli desse fastidio, però essere sfiorato in quel modo da una ragazza al di fuori di Sandra gli donava un senso di disagio. «Ti credevo ancora a Borgo Foglianova».

Una risata armoniosa sfuggì dalle labbra della sua amica di infanzia. Sciolse quel contatto affettuoso, liberando così il ragazzo dalla sua morsa micidiale, per poi rivolgergli la più radiosa delle espressioni. «In effetti ci sono stata fino a poco fa» confessò, mentre si sistemava l’enorme cappello bianco che portava sul capo. «Adesso dovrei essere a cena, ma ho chiesto a mamma di aspettare un po’ prima di cucinare, perché prima dovevo fare una cosa».

La curiosità dell’Allenatore crebbe a dismisura. Doveva trattarsi di una cosa davvero importante, se aveva costretto Cetra a rinunciare al cibo: per quanto non volesse ammetterlo, adorava mangiare e Gold lo sapeva bene, date tutte le giornate che aveva trascorso al suo fianco prima della sua avventura a Johto. «E come mai sei qui, allora? Devi fare qualcosa di davvero importante, per esserti allontanata dalla tavola».

«Spiritoso» sbottò Cetra, gonfiando le guance a palloncino e assestando una lieve pacca sulla nuca del ragazzo. Si finse offesa, cercando inutilmente di ostentare un’espressione divertita. Le piaceva essere provocata in quel modo dal ragazzo: le ricordava la loro infanzia felice. «E dire che volevo invitarti a cena da me, come ai vecchi tempi!».

Da quando Gold aveva fatto accesso alla Sala d’Onore, raramente si recava a Borgo Foglianova e solo per salutare sua madre. Ironia della sorte, in quelle occasioni la giovane non si trovava mai nel suo paese natale. Ogni volta che veniva a conoscenza della visita del suo migliore amico, malediceva mentalmente quella sorte avversa, che le impediva di salutarlo e scambiare due chiacchiere con lui.

Da molti mesi ormai nutriva il desiderio di poter rievocare il loro passato, ritornando alle vecchie abitudini e vivendo in simbiosi come facevano allora. Eppure, tutto sembrava impedirle di portare a compimento quel suo sogno piuttosto capriccioso.

«Tua madre mi ha detto che tutti i Venerdì sera sei qui a Johto» esclamò la ragazza, saltellando sul posto per l’impazienza. Quasi sicura di una risposta affermativa da parte del ragazzo, azzardò la sua proposta: «Che ne dici di stare un po’ con me? O il grande Campione non ha tempo da dedicare a una sua grande fan?» lo canzonò giocosamente.

L’Allenatore non riuscì a soffocare una risata divertita. Proprio quando fu sul punto di risponderle, il suo PokéGear prese a trillare allegramente, spezzando brutalmente l’atmosfera magica che li aveva avvolti tra le sue braccia materne.

«Pronto? Parlo con la donna più bella del mondo?» esclamò Gold, poco dopo aver fatto un gesto di scuse a Cetra ed essersi allontanato di un paio di passi. Nel pronunciare queste parole cariche d’amore, il suo sguardo si accese di una strana luce, sconosciuta ma al contempo nota alla ragazza che lo osservava con il volto vitreo e apparentemente privo di espressione.

«Neanche i complimenti – che mi merito – basteranno per salvarti, Nano malefico!» urlò una voce femminile dall’altro capo del ricevitore, assordando il povero giovane. Si massaggiò l’orecchio, esibendo una smorfia infastidita, per poi tornare ad ascoltare la sua interlocutrice. «Vergognati, disgraziato. Sei in ritardo di ben tre minuti e ventun secondi. Dovresti essere a casa mia da un pezzo!».

A giudicare dal modo in cui si stavano parlando, dovevano essere amici intimi. Per un istante, un moto di rabbia e invidia montò nel corpo dell’Allenatrice, spingendola a stringere i pugni fino a far sbiancare le nocche. Digrignò i denti, per poi chinare il capo e puntare il suo sguardo sconcertato sulla morbida sabbia bianca sotto i suoi piedi.

San. Così si chiamava la donna che, a quanto pareva, regnava sovrana sul cuore del Campione. Doveva trattarsi di una persona dal carattere forte e determinato, da quanto aveva dedotto dal modo in cui discuteva con quello che poteva chiamare “fidanzato” a tutti gli effetti.

Gold fidanzato. Cetra non l’avrebbe mai detto. A quanto pareva, non ne aveva fatto parola con nessuno, men che meno con lei, la sua migliore amica.

«Non ha senso restare qui» mormorò tra sé e sé, mentre perle salate solcavano il suo viso niveo, per poi voltarsi e accingersi a ritornare a Borgo Foglianova. Gold pareva essersi scordato della sua presenza, a giudicare da come si era allontanato da lei e aveva intrapreso una lunga chiacchierata con il suo “amore”. «E dire che volevo solo stare con lui ancora un po’. Volevo averlo solo per me come ai vecchi tempi» sussurrò flebilmente, trattenendosi a stento dal gridare tutta la sua rabbia.

E singhiozzò tutto il suo dolore, mentre tornava a casa, desiderando egoisticamente di trovarsi al posto di quella “San” che le aveva portato via ciò che di più caro aveva al mondo.

 

«Muoviti, sveglia il tuo Togetic e vola subito ad Ebanopoli» ordinò Sandra, ancora furibonda e indignata per quell’ignobile ritardo. «Se osi sprecare ancora tempo prezioso, ti faccio nuotare gratis nelle gelide acque della Tana del Drago».

«Adesso vengo. Lasciami solo salutare una persona» esclamò l’altro, ridendo divertito per il modo di fare della sua ragazza, pronto a voltarsi verso Cetra e riprendere a parlare con lei. «Ci vediamo tra poco, San».

Ma, quando posò lo sguardo nel punto in cui si trovava la sua amica, trovò solo alcune impronte nella sabbia. Gold si guardò attorno, confuso e attonito, alla ricerca della ragazza. Chiamò più volte il suo nome, senza però udire alcuna risposta.

Se solo si fosse girato prima, avrebbe notato la sua triste uscita di scena. Invece, dovette accontentarsi di quella scia di lacrime che testimoniava il suo ritorno a Borgo Foglianova.

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Capitolo 10
*** Decima Settimana: Minacce ***


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Ringraziate di cuore quelle buone anime di Cheche e Faint, altrimenti neanche questa settimana avreste avuto qualcosa da leggere. Mi scuso ancora per il disagio della settimana scorsa. Come vedete, però, il mio computer è ancora vivo (ma lo sarà ancora per molto?), quindi da questa settimana in poi riprenderò ad aggiornare come si deve. Anzitutto, volevo dare un caloroso abbraccio a chi mi segue, a chi ha messo questa storia nelle Preferite/Ricordate/Seguite. Dolcezze, voi non sapete quanto mi rendete felice! Risponderò a tutte le vostre recensioni Domenica, il mio giorno libero! Promesso!

Qualche piccolo chiarimento sulla Raccolta, visto che non ne avevo ancora fatti. Allora, questa raccolta è ambientata sei anni dopo rispetto agli avvenimenti di HG/SS. Per questo motivo, in questa settimana, si parla di assenze lunghe sei anni (e non dico altro). Ciò vale a dire, però, che Gold e Sandra si sono tenuti in contatto per sei anni, prima di approfondire la loro relazione. Capito?

Per quanto riguarda l’icon, noterete sicuramente qualcosa di strano. Perché c’è Lance, stavolta? Bene, questo personaggio rappresenta un grande ostacolo per la relazione dei nostri cari nenetti. In che modo? Beh, lo scoprirete molto presto! Il Campione forse apparirà un po’ OOC, ma il suo comportamento verrà spiegato in futuro. So, non lamentatevi a riguardo! Graffie

Detto questo, vi auguro Buona Lettura!

 

 

Decima Settimana:

Minacce

 

 

Socchiuse gli occhi fino a farli divenire due fessure minacciose, mentre scrutava e studiava con attenzione l’austera figura del suo avversario. Gold attese con impazienza la mossa successiva di Lance, pronto a replicare in qualsiasi momento gli attacchi del temibile Dragonite.

Nonostante avesse fronteggiato in battaglia il Campione di Johto più volte, la tensione che aleggiava in quel campo di battaglia era palpabile. Sebbene i due sfidanti si mostrassero sicuri di sé, i loro cuori battevano all’impazzata e i loro animi erano vittime di emozioni intense.

Non si trattava di una semplice battaglia: era una vera e propria guerra per il potere, nella quale c’era in gioco un titolo importante, e nessuno dei due aveva intenzione di perire per mano altrui.

Le labbra del Domadraghi si curvarono in un sorriso beffardo. Ciò non fece altro che istigare la curiosità dell’Allenatore, che si fece improvvisamente attento, costringendolo a mettersi sulla difensiva e a focalizzare tutta la sua attenzione sul nemico. Il Maestro di tipo Drago additò Typhlosion con certa veemenza, mentre dichiarava a gran voce la sua azione: «Dragonite, usa Dragobolide!».

Il ragazzo e il Pokémon Vulcano furono costretti a spiccare numerosi balzi all’indietro, pur di evitare la raffica di meteore che minacciava di colpirli e di infliggere loro un ingente numero di danni. Determinati come non mai, elusero ogni masso cocente, per poi scattare nuovamente in avanti per prendersi la rivincita. Nulla avrebbe impedito loro di portare a casa una vittoria, neanche la morte.

«Typhlosion, via con Lavasbuffo. Ora!» gridò il giovane, per poi portarsi un braccio davanti al volto, pur di proteggersi dalla cenere e dal calore che quell’attacco comportava. Sapeva bene di aver utilizzato una mossa poco efficace sul tipo Drago, ma ferire l’avversario non rientrava momentaneamente nei suoi obiettivi: il suo intento era un altro e, per attuare il suo piano, era necessario fingere di essere talmente disperato da dover ricorrere ad un attacco poco efficace.

Gold pregò mentalmente che Lance cascasse nella sua trappola, preso com’era sicuramente dall’adrenalina del momento, per poter approfittare del suo momento di distrazione per poterlo sconfiggere una volta per tutte.

Purtroppo, se il giovane uomo dai capelli rossi era stato proclamato Campione della regione, un motivo doveva pur esserci. Non rivestiva quella carica onorevole solo per fortuna, bensì per merito, e così stava dimostrando anche in quella lotta, per sfortuna dello sfidante. Difatti, l’Allenatore non si mostrò affatto sorpreso, non appena vide il Pokémon Drago danzare nel cielo, evitando con agilità ogni sbuffo di lava e ogni pietra cocente.

«Hai usato una mossa potente, ma scordi il tipo e l’agilità del mio fedele amico! Nelle lotte Pokémon non conta solo la forza bruta, dovresti saperlo » lo schernì il Domadraghi, con un sorrisetto compiaciuto dipinto sul volto. Incrociò le braccia al petto e si mostrò superiore, assumendo una posa austera e fiera, che tradiva una certa fiducia in se stesso e nelle proprie capacità. «Dragonite, facciamola finita! Iper Raggio!».

Tutto accadde in meno di un secondo. Un raggio luminoso si scagliò verso il Pokémon Vulcano, minacciando di colpirlo e di sconfiggerlo sotto la sua immane potenza. Una nube di fumo e polvere invase immediatamente il campo di battaglia, non appena l’attacco speciale si abbatté contro il corpo del povero avversario.

Una risata vittoriosa sfuggì dalle labbra di Lance. Sorrise al suo fedele compagno, complimentandosi con quest’ultimo per l’ultima, mirabile, performance. «Se tu non avessi dimenticato che cosa conta davvero in una lotta Pokémon, Gold, forse non avresti perso. Questa volta ho dimostrato di aver capito meglio di te che cosa è davvero importante in un rapporto tra Allenatore e squadra. Mi dispiace che tu, col tempo, l’abbia scordato» dichiarò fiero, mentre osservava la figura affranta del ragazzo riemergere dalla cortina. A capo chino, non accennò alcun movimento, né il suo volto tradì alcuna emozione – forse per la vergogna, forse per l’umiliazione, non era neppure in grado di sollevare lo sguardo verso lo sfidante.

«Hai proprio ragione, Lance» mormorò improvvisamente l’Allenatore, cogliendo alla sprovvista il Maestro Drago e facendolo sussultare per la sorpresa. Gli occhi color miele del Campione si sbarrarono, all’udire il tono sprezzante con cui erano state pronunciate quelle parole derisorie. «Forse sto scordando i valori morali di un vero Campione, però non ho affatto dimenticato che in una lotta Pokémon conta essere astuti ed essere fiduciosi nei confronti dei propri amici. Questo, invece, lo hai scordato tu».

Typhlosion, il cui corpo era ancora sotto l’effetto di Protezione, spiccò improvvisamente un balzo e riemerse dalla coltre di fumo, sorprendendo il Domadraghi e il suo amico.

«Gelopugno, Typhlosion!».

L’ultima cosa che Lance vide fu il pugno coperto di schegge gelide colpire Dragonite in pieno petto. Poi, sconfitto, chiuse gli occhi.

 

Gold gettò un’occhiata fugace al suo PokéGear, notando con orrore di essere in ritardo all’appuntamento stabilito con la sua fidanzata. Maledicendosi mentalmente, si avviò verso l’uscita della Lega Pokémon, mentre nella sua mente escogitava un modo per porre rimedio al suo errore. Come avrebbe giustificato quella buona ora di ritardo a Sandra? Non si era degnato neppure di avvisarla che si sarebbe recato alla Lega Pokémon, giusto per rivendicare il suo titolo di miglior Allenatore di Johto. Forse la Domadraghi lo avrebbe perdonato, ma solo perché era riuscito ad umiliare ancora una volta Lance, cosa che lei non era più stata in grado di fare dalla notte dei tempi.

Fece per comporre il numero della sua amata, pronto ad annunciarle il suo prossimo arrivo, quando una mano calda si poggiò sulla sua spalla. Si voltò di scatto e si mostrò alquanto sorpreso, non appena scorse la figura di Lance alle sue spalle.

«Volevo farti i complimenti per la vittoria» esordì il Campione, anticipando qualsiasi affermazione da parte dell’Allenatore. Si passò elegantemente una mano nei capelli vermigli, abbozzando un mesto sorriso, che tradiva però una certa delusione. «Questa volta pensavo che sarebbe andata diversamente, sai?».

«Per un attimo me la sono vista molto brutta, questo lo devo ammettere» confessò il giovane, assetandogli una leggera pacca sulla schiena in modo piuttosto amichevole. Un po’ gli dispiaceva per lui, nonostante il suo cuore traboccasse di orgoglio per l’ennesima vittoria conquistata. «Non devi arrabbiarti con te stesso, su. Qualche sconfitta ci sta, a volte! E poi, se vinci sempre, che gusto c’è?».

Il Maestro Drago soffocò un’amara risata e rivolse lo sguardo verso il soffitto, per poi scuotere il capo con malinconia. «Hai ripetuto la stessa, identica frase che mi disse Sandra tanti anni fa, quando mi sconfisse per l’ultima volta. Ricordo ancora di averle dato dell’ipocrita, dopo averle sentito dire quelle cose» mormorò flebilmente, mentre i suoi pensieri divagavano verso ricordi ormai lontani e persi nel tempo. Si riscosse improvvisamente, per poi tornare a concentrarsi sulla figura dell’Allenatore di fronte a sé. I suoi occhi tradivano una certa curiosità. «A proposito, ho saputo che vi frequentate spesso, ormai. Dimmi, è la stessa di sempre? È cambiata molto in questi sei anni?».

A quanto pareva, era a conoscenza della loro relazione affettiva. Istintivamente, Gold si mise sulla difensiva, mostrandosi inquieto di fronte a quelle domande apparentemente innocenti. Qualcosa, nel tono di voce con cui erano state pronunciate, gli diceva che quei quesiti non erano stati posti per pura casualità – no, ci doveva essere qualcosa di grande sotto, qualcosa capace di spaventarlo a morte.

Una volta notata la sua diffidenza, il Domadraghi cercò di rassicurarlo con un’espressione serena, mentre le sue labbra si curvavano in un sorriso – per quanto cercasse di sembrare accondiscendente e sincero, quel sorriso tradiva anche una certa malvagità.

«Siete più uniti di quanto avessi immaginato, a giudicare da come ti senti minacciato da queste semplici domande» dedusse il Maestro Drago, incrociando le braccia al petto e mostrandosi fintamente felice per quel lieto evento. «Da un lato mi fa piacere saperlo, perché Sandra ha finalmente trovato qualcuno con cui essere veramente se stessa e di cui fidarsi. D’altra parte, però, non posso fare a meno di essere triste per te».

Non si era affatto sbagliato sul suo conto. Giudicando dal suo cambio improvviso di atteggiamento, l’altro gli stava davvero nascondendo qualcosa di importante, che riguardava principalmente la sua relazione con Sandra – relazione che sembrava essere in pericolo, temette l’Allenatore.

«Per me?» lo incalzò, socchiudendo gli occhi fino a farli divenire due fessure minacciose. «A cosa ti riferisci?».

Un profondo senso d’inquietudine prese possesso del suo cuore. Trattenne il respiro, in attesa di una risposta da parte di Lance, non completamente sicuro di volerla sentire. Altro che Campione buono e giusto: in quel momento, gli pareva di aver davanti il demonio in persona, pronto a sgretolare i suoi sogni da un momento all’altro. Il ragazzo era certo che, dopo aver ascoltato ciò che il Domadraghi aveva da dire, nulla sarebbe più stato come prima.

«Ordini dall’alto mi hanno chiesto di approfondire nuovamente il mio legame con Sandra e di rafforzarlo, facendolo tornare solido come un tempo» esclamò il Maestro Drago, facendosi improvvisamente serio e scrutando il suo rivale sottecchi. «Mi pareva giusto avvertirti, dato che sembri essere molto legato a mia cugina».

«Sandra ha fatto una scelta» replicò immediatamente il giovane, avanzando minacciosamente verso l’uomo dai capelli vermigli. Lo additò con rabbia, trattenendosi a stento dall’assestargli un pugno in pieno viso, pur di punirlo per la sua arroganza e per tutto il male che aveva recato alla sua amata. «Fossi in te, non mi illuderei tanto. Non penso ti accoglierà a braccia aperte, dopo tutti questi anni di lontananza».

«Sei sicuro che non ti abbia scelto solo per rimpiazzarmi? Dopotutto, lo avrai notato tu stesso quanto siamo legati. O meglio, quanto lei era ed è legata a me» rispose con sicurezza l’altro, per poi riprendere ad avanzare verso l’uscita della Lega, sicuro di sé come non mai. «Ci sono cose che non si possono dimenticare, per quanto lo si voglia».

«Bastardo» fu l’ultimo mormorio di Gold, prima di precipitarsi verso di lui, pronto a fermarlo e fargli capire – anche con metodi poco ortodossi – che cosa aveva passato la sua Sandra durante quegli anni di solitudine.

 

Gold digrignò i denti, pronto ad avventarsi sul corpo di Lance e assestargli un pugno in pieno viso. La rabbia divampava nel suo petto, conducendolo perfino sull’orlo della follia. Avrebbe fatto di tutto, sarebbe perfino arrivato a colpire il Campione e a picchiarlo, pur di proteggere la sua amata da ricordi tormentati e colmi di sentimenti negativi.

Tuttavia, proprio quando spinse il corpo del Maestro Drago a terra e fu sul punto di aggredirlo, una risatina allegra richiamò immediatamente l’attenzione di entrambi. L’Allenatore sollevò lentamente il capo e trattenne il respiro, sicuro di aver riconosciuto perfettamente quella voce cristallina che tanto amava. Quando si trovò di fronte alla bella figura della sua Capopalestra, stentò quasi a credere che lei si trovasse davvero lì. Per un attimo, pensò che quell’incantevole visione fosse frutto della sua follia d’amore.

«Potevi anche dirmelo che avevi intenzione di tradirmi con mio cugino» esclamò con aria di scherno la giovane donna, avvicinandosi a loro e guardandoli dall’alto della sua magnificenza. Inarcò un sopracciglio e scrutò con attenzione entrambi i ragazzi, per poi curvare le labbra in un sorrisetto beffardo e canzonatorio. «Sinceramente parlando, non vi ci vedo male insieme. Perché non provate ad approfondire il vostro legame? Potrebbe essere un’esperienza interessante».

Nonostante avesse voluto gettarsi tra le sue braccia e stringerla a sé, pur di godere e gioire della sua presenza, Gold si portò una mano al volto e scosse il capo con disappunto. Per quanto fossero assurde le parole pronunciate dalla Domadraghi, mentalmente le fu grata per avergli impedito di compiere una pazzia, smorzando la tensione del momento con una battuta – seppur inappropriata – su loro due. «Alla taverna ti hanno servito birra di pessima qualità, ammettilo» esclamò, per poi alzarsi e spolverarsi i vestiti. Squadrò la Maestra Drago dall’alto al basso, mentre le sorrideva con amore e affetto, lasciandosi però sfuggire una risatina divertita. «Altrimenti non si spiegherebbe perché sei qui e perché inciti il tuo ragazzo a fidanzarsi con tuo cugino».

Alla parola “cugino”, l’attenzione di Sandra si focalizzò immediatamente sulla figura ancora stesa a terra. Una smorfia disgustata si dipinse sul suo volto, una volta trovatasi faccia a faccia con il Campione. Nei suoi occhi si leggeva un certo astio, ma denotavano anche una nota di tristezza, che non sfuggì allo sguardo attento dell’Allenatore.

«Lance» mormorò flebilmente la Capopalestra, chinando il capo. Sembrava quasi sul punto di piangere, se non fosse stato per la sua improvvisa reazione successiva: afferrò il cugino per il bavero della casacca e lo strattonò più volte, propinandogli tutti i peggiori insulti presenti sul vocabolario. «Quando diavolo ti deciderai a muovere il culo e venirci a trovare, una buona volta?! È da sei anni che tutti ti aspettano, disgraziato!».

È da sei anni che tu lo hai aspettato, senza che lui tornasse, avrebbe voluto sussurrare Gold, dispiaciuto per la sua bella. Nonostante gli avesse confessato quanto aveva patito quella lontananza, sicuramente non gli aveva confessato quanto fossero tormentati e letali i sentimenti che avevano dilaniato il suo cuore durante quei periodi bui. Vedere come Lance non cercava di scusarsi o giustificarsi, poi, riaccese in lui sentimenti di rabbia e odio.

«Stai tranquilla, San. Verrò a trovarti molto presto» rispose l’altro, dedicandole un sorriso sincero e carico di affetto. Inaspettatamente, avvolse il suo corpo in un abbraccio caloroso e la strinse a sé, proprio sotto gli occhi irosi del giovane Allenatore. «Ho anche intenzione di soggiornare da te per un po’, sempre che tu non abbia buttato via il mio letto».

Prima che Sandra potesse replicare in qualche modo, il ragazzo dai capelli color notte la prese improvvisamente per mano e la costrinse a interrompere il contatto con il parente, trascinandola vicino a sé. «Non è forse ora di andare? Si sta facendo tardi. E poi, ci resta poco tempo da trascorrere insieme».

La Domadraghi alzò gli occhi al cielo, prima di avviarsi a passo deciso verso la sua Dragonite, fino a quel momento spettatrice indiretta di quelle scene di amore idilliaco. «Se non fosse per il tuo ritardo, io non sarei di certo venuta a cercarti» esclamò, salendo in groppa alla sua fedele compagna, prima di sfoderare un sorriso beffardo. «Vedi di muoverti ad arrivare ad Ebanopoli, altrimenti ti faccio fare una nuotata nel lago!».

Gold si accinse a spiccare il volo con il suo Togetic, pronto a raggiungere la sua amata e trascorrere con lei una serata romantica - non prima però di aver rivolto un ultimo sguardo verso Lance, che in quel momento gli stava rivolgendo un’occhiata capace di incenerirlo e di ucciderlo.

Fu in quel preciso istante che si capacitò dell’esistenza di una forza superiore, contraria alla sua relazione con Sandra e pronta a impedirne il compimento. Quanto fosse pericolosa, però, non sapeva dirlo; l’unica cosa che si permise di fare, tuttavia, fu di augurarsi di essere abbastanza forte da contrastare ogni avversione.

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Capitolo 11
*** Undicesima Settimana: Gelosia ***


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Non ho la più pallida idea di cosa ho scritto. Mi trovo in un momento di sclero assoluto, dove arrivo a scrivere tutto e il contrario di tutto. Quindi, neanche queste note avranno un senso, sappiatelo. (?)

Questa Bakuryu è puramente demenziale. Insomma, non ha il benché minimo senso, ma non ci importa. Sappiate solo che ci sono Sandra, Gold, tanta gelosia, messaggi incriminati e GENNARO BULLO. Sì, avete capito bene, proprio il tizio dell’icon qui accanto. Non chiedetemi perché ho scelto proprio LUI come argomento di questa undicesima settimana. Forse, a furia di ascoltare Nyan cat, mi è andato in fumana il cervello (ne avevo davvero uno?).

In ogni caso, spero che questa cosina sia di vostro gradimento! A presto, miei carissimi lettori! Buona lettura!

 

 

Undicesima Settimana:

Gelosia

 

 

Come ogni fidanzata degna del suo nome, Sandra possedeva numerosi pregi, ma anche altrettanti difetti. Gold aveva imparato, con il trascorrere delle giornate, ad apprezzare le virtù della sua amata e sopportare tutti i suoi piccoli, spesso fastidiosi, vizi.

Più volte si era ritrovato suo malgrado a fronteggiare la gelosia della Domadraghi, uscendone fortunatamente indenne; in numerose occasioni si era dimostrata piuttosto possessiva nei suoi confronti, arrivando perfino a minacciare di morte quelle povere Fantallenatrici che si soffermavano ad ammirare il bel corpo dell’Allenatore per più di due secondi netti.

Nonostante ciò, quell’atteggiamento apparentemente seccante e fastidioso suscitava nel giovane una certa tenerezza. Era piuttosto raro vedere la Capopalestra esibire così apertamente i suoi sentimenti e rivendicare a gran voce la loro reciproca appartenenza. Quel modo di agire, sebbene impulsivo, gli permetteva di capire quanto fosse grande l’affetto nutrito nei suoi confronti.

Anche durante i loro appuntamenti settimanali, la Maestra Drago non si smentiva mai. Spesso il ragazzo la sorprendeva prendere di soppiatto il suo PokéGear, magari approfittando di una sua momentanea assenza, per controllare messaggi e chiamate; colta sul fatto, non esitava però a nascondere la realtà dei fatti, negando perfino la sua stessa gelosia.

Tuttavia, per quanto fosse invadente, Gold non era affatto dispiaciuto di questa ossessione nei suoi confronti, né la temeva. Dopotutto, non aveva nulla da nascondere e per cui sentirsi in colpa: il fatto che Sandra lo controllasse ventiquattro ore al giorno non lo spaventava affatto, né lo irritava.

Purtroppo, il giovane non aveva tenuto in considerazione quanto fosse fervida l’immaginazione femminile, che talvolta spingeva le donne innamorate a scorgere tracce di tradimenti ove non ve n’era affatto l’ombra. Si rese conto di quanto potesse essere pericolosa una fidanzata gelosa solo quel Venerdì sera, mentre entrambi trascorrevano il loro tempo tra baci e carezze: per quanto ricambiasse e accettasse di buon grado quelle effusioni amorose, la Domadraghi sembrava insolitamente inquieta.

«Qualcosa non va, San?» domandò difatti l’Allenatore, visibilmente preoccupavo per l’inspiegabile malumore della sua bella. Raramente si mostrava così afflitta e turbata, specie quando si trovava al suo fianco, e ciò non fece altro che preoccupare ancor più l’amante.

In tutta risposta, la Maestra Drago gli strappò di mano il cellulare, senza neppure degnarsi di chiedere il permesso di farlo. Con le mani tremanti per il nervosismo, picchiettò velocemente le dita sui tasti, fino a quando non trovò ciò che stava disperatamente cercando. Dopodiché, mostrò con irritazione lo schermo del PokéGear a Gold, per permettergli di leggere ciò che vi era scritto.

Gold, vieni immediatamente! Il mio Rattata freme dalla voglia di vederti!

Confuso e frastornato come non mai, l’Allenatore si domandò che cosa vi fosse di sbagliato in quel messaggio; ovvio, era stato scritto da un fanatico di Rattata, però non vedeva per quale motivo dovesse essere l’origine del dispiacere della sua Divina.

Mai avrebbe immaginato, però, il modo in cui la giovane donna aveva interpretato quelle piccole e innocenti frasi.

«Potevi dirmelo che sei gay, porca puttana! Prima cerchi di adescare Lance, ora organizzi pure incontri con questo tizio misterioso» sibilò a denti stretti la Capopalestra, socchiudendo gli occhi fino a farli divenire due fessure minacciose. Pareva essere sul punto di strangolarlo, tanta era la rabbia che si leggeva nelle sue iridi ghiacciate. «Allora dimmelo che ho qualcosa che non va, dannazione! Devo pur avere qualcosa di sbagliato, se hai ripiegato sui maschi!».

Il ragazzo non seppe come controbattere. La Maestra Drago aveva frainteso quell’invito nel peggiore dei modi, arrivando perfino a cogliere un doppio senso dove non vi era affatto – e, sinceramente, non voleva neppure sapere che cosa avesse capito.

«San, calmati, non è come pensi…» cercò inutilmente di farla ragionare, nella vana speranza di spingerla a riflettere in modo oggettivo su quel maledetto messaggio. Un po’ di sana gelosia era essenziale in un rapporto di coppia, ma non se questa rasentava l’ossessione!

«Mi fai perfino dire cose terribili, disgraziato! È ovvio che non sono io ad avere problemi, eppure ho appena detto il contrario!» sbottò Sandra, ignorando palesemente ciò che il suo fidanzato aveva appena esalato flebilmente. Lo additò con rabbia, digrignando i denti fino a farli quasi stridere. «Lo sapevo, sei tale e quale a quello stronzo di Lance! Mi avete ingannata entrambi!».

Paragonato al Campione. In quel momento, Gold pensò che non potesse esserci cosa peggiore di quella. Se la Domadraghi aveva esordito con una simile affermazione, allora voleva dire che aveva enfatizzato quella situazione in modo a dir poco abnorme. Aveva così tanta paura di essere abbandonata anche da lui, da reagire ad ogni minimo sentore di pericolo, anche di fronte a minacce inesistenti.

«Per favore, ascoltami. Puoi credere quello che ti pare, ma sappi che io non ti lascerò mai. Tu sei troppo importante per…». Ma l’Allenatore non fece in tempo a concludere la frase, che un trillo allegro giunse alle orecchie di entrambi e catturò la loro attenzione. Posò lo sguardo sullo schermo illuminato del suo PokéGear e, con certo orrore, notò che a chiamarlo era proprio il mittente del messaggio incriminato.

Prima che potesse impedirle di fare alcunché, Sandra rispose immediatamente alla chiamata in arrivo, ignorando le proteste del proprietario del cellulare maledetto – dopotutto, proteggere il proprio ragazzo da possibili concorrenti in amore rientrava nei suoi diritti di fidanzata, no?

«Chi cazzo sei?! E che vuoi dal mio ragazzo?!» strillò a gran voce la Capopalestra, considerando un semplice “Pronto?” troppo banale per iniziare una conversazione pacifica come quella.

«Sono Gennaro!» rispose una voce squillante e fastidiosa dall’altro capo del ricevitore, per nulla intimorito dal tono di voce e dall’ira funesta dell’interlocutrice. «Non so se mi conosci, ma non importa. Volevo dirti che ho un Rattata bellissimo! È così forte e combattivo, capace di sconfiggere qualsiasi Pokémon, perfino Entei! E sai, l’altro giorno eravamo sul punto di catturare Caterpie, ma poi ci è scappato proprio alla fine e…».

La Maestra Drago, sconvolta e frastornata da quel fiume di parole, si limitò ad ascoltare in silenzio tutti i successivi sproloqui e annuire meccanicamente alle sue affermazioni. Mai avrebbe immaginato che il suo rivale in amore – che poi aveva scoperto non essere tale, fortunatamente per entrambi – fosse un ragazzino esaltato, innamorato pazzo del suo terribile ratto rognoso.

Dopo essere stata assordata da un “E ricorda: viva i Rattata!” finale, riagganciò, mentre esibiva un’espressione a dir poco scioccata. Posò lo sguardo su un Gold piuttosto divertito - il quale non poteva fare altro che ridere per il modo in cui si era concluso e chiarito quel malinteso -, per poi scuotere il capo con imbarazzo e sdegno al contempo. «Dovresti selezionare meglio le tue amicizie, Tappo» borbottò, prima di restituirgli il PokéGear.

Da quel giorno, Sandra non osò mai più toccare il cellulare del suo amato.

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Capitolo 12
*** Dodicesima Settimana: Mancanza ***


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Sono appena tornata da Marina di Ravenna, dove ho trascorso la giornata giocando a beach volley, quindi sono particolarmente suonata. Indi per cui, premetto che questo capitolo non è uno dei migliori, per quanto ci abbia lavorato con impegno. Mi auguro comunque che sia di vostro gradimento!

Questa settimana ho voluto riprendere in mano la famiglia Blackthorn (ho deciso di dare questo cognome a Sandra, Draigen e Edgar. Spero non vi dispiaccia!), trattando la tematica della mancanza e della lontananza. Qui compare maggiormente il personaggio di Draigen, anche se lo conoscerete meglio nella Quattordicesima Settimana. Tuttavia, in questo piccolo capitolo troverete alcune delle caratteristiche che distinguono la madre di Sandra da tutti gli altri personaggi. Diciamo che è… particolare. Personalmente, io la adoro. È completamente fuori dagli schemi.

Se ci sono degli errori, li correggerò domani. Adesso sono troppo stanca per farlo! Comunque sia, vi auguro buona lettura!

 

 

Dodicesima Settimana:

Mancanza

 

 

Quel Venerdì sera, Sandra pareva particolarmente assorta. Persa nei suoi pensieri, sembrava trovarsi in un modo parallelo, a tal punto da ignorare involontariamente ciò che il suo fidanzato Gold le stava dicendo. Neanche i numerosi richiami da parte del ragazzo erano in grado di destarla dalle sue riflessioni: qualcosa di oscuro la stava turbando e non vi era modo per richiamare la sua attenzione.

Inutile dire quanto l’Allenatore nutrisse una certa preoccupazione nei suoi confronti. Di certo doveva essere accaduto un fatto di cui era all’oscuro; prima di quel momento, la Capopalestra non era mai apparsa così distratta ai suoi occhi. Nelle sue iridi color cielo si leggeva una certa preoccupazione, velata da una patina di tristezza. Il suo cuore era vittima di un profondo turbamento e il compagno era l’unico in grado di sopire il suo tormento interiore.

«Ehi, San» mormorò Gold, mentre poggiava una calda mano sul suo braccio, per scuoterla leggermente e riportarla alla realtà. «Qualcosa non va? Oggi non mi sembri affatto in forma».

La Domadraghi annuì meccanicamente, senza tradire alcuna espressione sul suo volto pallido e vitreo. Per un attimo, l’Allenatore pensò che non avesse neppure compreso il significato della sua domanda, che fosse ancora troppo presa dalle sue preoccupazioni per degnarlo di parola. A dispetto delle sue aspettative, però, esalò flebilmente e freddamente una risposta: «Oggi è l’anniversario della partenza di mio padre».

Edgar non aveva più fatto ritorno a Ebanopoli da ormai una dozzina d’anni, questo il fidanzato lo ricordava perfettamente. Tuttavia, non si sarebbe mai aspettato che un simile sgradito evento cadesse proprio una settimana prima del suo compleanno. Si immaginò Sandra piangente per la mancanza del genitore mentre lui, a distanza di sette giorni, gioiva e festeggiava assieme ai suoi amici. Quell’orrido contrasto attanagliò il suo cuore, costringendolo a chinare leggermente il capo in segno di rispetto.

«Stamattina abbiamo ricevuto una sua telefonata» proseguì improvvisamente la Maestra Drago, cogliendo alla sprovvista il suo attento ascoltatore. Curvò le labbra in un mesto sorriso, per poi portarsi una mano alla fronte e sospirare con rassegnazione. «Ovviamente non ci ho parlato, anche perché in quel momento mi trovavo in Palestra. Ho promesso di rivolgergli parola solo quando tornerà da noi. È stata mia madre a riferirmi tutto ciò che ha detto, però, quando sono arrivata a casa».

«E che cosa ti ha detto?» domandò ingenuamente il giovane, correndo il rischio di toccare un tasto dolente.

Per un attimo, temette di aver compiuto un grosso errore, ponendo quel quesito. Invece, fortunatamente, la Capopalestra pareva ben disposta a dialogare con lui su questa vicenda. «Mettiti in una posizione comoda. Si tratta di una storia abbastanza lunga».

E le parole cominciarono a sgorgare a fiotti dalle labbra della Domadraghi, mentre i ricordi di quella giornata riaffioravano nella sua mente.

 

Draigen Blackthorn aveva versato poche lacrime nel corso della sua vita e la maggior parte erano state destinate perlopiù al suo adorato marito. Abituata a vederla come una persona dotata di una grande forza d’animo, Sandra si trovava sempre confusa e impotente di fronte a quelle manifestazioni di dolore e affetto sinceri. Per quanto si sforzasse di consolare quella moglie addolorata, non si sentiva mai all’altezza di quella situazione. Dopotutto, non poteva ancora comprendere quali fossero i sentimenti che affliggevano il cuore della genitrice.

Nonostante quegli attimi di debolezza, spesso dovuti a ricordi dolorosi o alla percezione della grande lontananza incolmabile, la Domadraghi veterana cercava sempre di smorzare l’aura di tensione che aleggiava in quella casa da ormai dodici anni. Attraverso battute e risate, prendeva il controllo della situazione, riuscendo perfino a sorridere e far sorridere la figlia nonostante le difficoltà.

Eppure quel giorno, sebbene avesse cercato di trattenere le lacrime dopo aver chiuso la chiamata con Edgar, Draigen scoppiò in un pianto disperato. Non contenne il suo dolore neppure di fronte allo sguardo stupito e addolorato di Sandra che, appena tornata a casa dalla Palestra, si era ritrova improvvisamente spettatrice di uno spettacolo tanto unico quanto carico di agonia.

«Edgy ha appena chiamato» si giustificò la madre, soffocando un’amara risata. Con un cenno di mano, invitò la ragazza a sedersi al suo fianco, per poter cercare conforto tra le sue braccia. «A quanto pare, non si sa ancora quando tornerà a casa. Laggiù la situazione si sta facendo sempre più difficile e lui deve prestare servizio ventiquattro ore al giorno. Mi ha detto di salutarti tanto e che… gli manchiamo tanto».

La Capopalestra strinse il corpo della donna a sé, nel tentativo di infonderle quanta più sicurezza possibile. Per lei, abituata da sempre a stare al fianco del marito, quei dodici anni di lontananza dovevano essere davvero insopportabili. Chissà che cosa avrebbe provato lei, se un giorno a partire fosse stato Gold. Sinceramente, non aveva alcuna intenzione di immaginarlo.

«Potrebbe anche venire a farci visita, di tanto in tanto» mormorò in risposta, scuotendo il capo con estremo disappunto. «Non gli costa poi molto».

«Non può fare altrimenti, cara San» replicò la Domadraghi veterana, per poi abbozzare un mesto sorriso. Accarezzò più volte i lunghi capelli della sua adorata figlia, in evidente dimostrazione di affetto. Sfiorò anche il suo volto con tocco leggero, ammirandone i tratti e i lineamenti con certa curiosità. «Là hanno bisogno di lui, quindi non può fare altrimenti. Bisogna pazientare ancora un po’, poi vedrai che tutto si risolverà».

Nei occhi cremisi di Draigen si leggeva una certa malinconia. Per quanto cercasse di mostrarsi forte, erano ancora velati di lacrime represse. Sicuramente stava cercando di reprimere il suo dolore per non rattristare anche la Maestra Drago, pur di non contagiarla con il suo profondo dolore. Crogiolarsi e compatirsi non avrebbe di certo riportato indietro quel marito e padre tanto mancato.

«Ammettilo, ti manca davvero tanto» esordì difatti Sandra, mentre le assestava qualche pacca affettuosa sulla schiena.

«Da morire» rispose la donna, rievocando nella sua mente l’immagine del bel consorte. «Mi manca ogni cosa di lui. La sua voce, la sua presenza, il suo amore, il suo profumo, la sua risata e, soprattutto, il suo bel corpo. Quando tornerà a casa, dovrà concedermi tutto di lui, pure con gli interessi».

L’allusione era pressoché ovvia. La Capopalestra alzò gli occhi al cielo e sospirò con certa esasperazione, mentre ammoniva la genitrice con lo sguardo. Ogni volta che si ritrovavano a discorrere di un argomento qualsiasi, lei concludeva con battute di questo genere, suscitando una certa irritazione da parte della ragazza.

«Perché devi sempre tirar mano a certe faccende, mamma?» la rimproverò, portandosi una mano al viso e massaggiandosi le tempie. «A volte sei inopportuna!».

«Ma anche molto divertente, ammettilo» rispose la madre, ridendo sonoramente. Adorava particolarmente stuzzicare la Maestra Drago con discorsi simili, specie da quando aveva saputo dell’esistenza di un certo fidanzato. «Ed è anche un modo per ricordarti che devi presentarmi il tuo ragazzo. Voglio conoscerlo al più presto possibile, voglio fargli tante domande! Che aspetti a distrarre una povera moglie disperata in un modo carino ed efficace?».

«Sei così ruffiana e pericolosa che mi fai passare la voglia di farlo» borbottò l’altra in risposta, per poi aggregarsi alle sue risa. «Vedrò di farlo al più presto, comunque, così la smetti di rompermi le scatole una volta per tutte».

E si abbracciarono ancora, cercando di distrarsi e confortarsi in quel momento di reciproca difficoltà, da perfette madre e figlia quali erano.

 

Non appena Sandra concluse il suo resoconto, Gold non poté fare a meno di curvare le labbra in un sorriso gioioso e divertito. A giudicare dal modo in cui la Capopalestra l’aveva descritta, Draigen Blakthorn sembrava davvero una persona dalla mente aperta, dotata di profondità d’animo ma anche di un certo umorismo – seppur discutibile, a parere della figlia. Il fatto che fosse interessata a conoscere il fidanzato della sua adorata San non lo stupiva, anzi: chiunque genitore si sarebbe mostrato curioso di fronte all’identità di chi aveva preso possesso del cuore del proprio giovane.

«Sai, non vedo l’ora di conoscere tua madre. Sembra una donna interessante» esclamò l’Allenatore, catturando immediatamente l’attenzione e lo sconcerto della Domadraghi.

«Oh, credimi, tu non lo vuoi davvero» fu difatti la sua risposta, mentre scuoteva il capo con spavento e nervosismo. «Tu non hai idea di quanto possa essere pericolosa quella donna».

«Allora dovrai aspettare minimo ancora due settimane, perché il prossimo Venerdì abbiamo altro da fare, ti ricordo».

A quanto pareva, la fidanzata non si era affatto scordata del compleanno del suo amato. Giudicando dal suo sguardo malizioso e divertito, aveva già in mente come sorprenderlo e cosa regalargli. La curiosità divampò nel ragazzo, tentandolo e spingendolo a domandare che cosa l’altra avesse in mente di fare la prossima settimana. Tuttavia, si trattenne dal farlo, poiché la sua bella aveva appena dischiuso le labbra per mormorare ancora qualcosa.

«Grazie, Gold, per avermi ascoltata» soffiò a due centimetri dal suo viso, per poi intrappolare la sua bocca in un bacio dolce e altrettanto passionale. Strinse il suo amato a sé con fare possessivo, quasi temesse di perderlo da un momento all’altro. «Giura che non mi abbandonerai mai» mormorò poi, guardandolo negli occhi con fare serioso.

«Ribadisco ancora la promessa che ti ho fatto tempo fa» giurò Gold, mentre la cullava tra le sue braccia e le donava tutto il suo affetto.

Alla fine, per quanto fosse triste e doloroso, quell’anniversario si dimostrò carico di gioia e di affetto.

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Capitolo 13
*** Tredicesima Settimana: Unione ***


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Ed eccoci alla fatidica Tredicesima Settimana, conosciuta da alcuni lettori come la fatidica Settimana. Perché? Beh, semplicissimo. Date un’occhiatina al rating della Raccolta. Avete notato il colore? Perfetto. Se è diventato arancione, un motivo c’è. Eccome se c’è. Ebbene sì, carissimi lettori! Questa è la Settimana. È dalle sei di sera che lavoro a questo Capitolo particolare, quindi posso dire di aver dato l’anima per farlo. Ne sono soddisfatta, lo ammetto senza pormi troppi problemi. L’unica cosa che mi auguro è che sia di gradimento anche a voi!

Questa Settimana è ambientata il 21 Luglio, ossia il compleanno di Gold, nella camera casa di Sandra. Il nostro amato Allenatore compie diciassette anni, almeno in questa raccolta. Non so quanto tutto ciò che leggerete possa essere di vostro gradimento, ma mi piacerebbe ricevere opinioni in merito.

Dopo tutto ciò, cominciamo con i Ringraziamenti! Un grazie di cuore a chi mi segue e recensisce, perché mi date sempre la forza di continuare. Inoltre, ci tenevo a ringraziare di cuore Cheche e Faint, per avermi spronata a dare il massimo per questo capitolo!

Detto questo… Buona lettura!

 

 

Tredicesima Settimana:

Unione

 

 

Un’espressione di puro stupore si dipinse sul volto di Gold, non appena Sandra gli porse un piccolo pacchetto. L’Allenatore sfiorò la carta del regalo – celeste, come quelle iridi raggianti che lo osservavano con ansia e al contempo affetto -, mentre cercava di immaginare che cosa quest’ultimo potesse contenere. Aveva ricevuto numerosi doni quel giorno – come la PokéBambola gigante a forma di Snorlax da parte di sua madre, che pareva essersi scordata del fatto che suo figlio avesse compiuto diciassette anni, e un set di PokéBall da parte di Cetra -, ma nessuno di quelli gli aveva fatto traboccare così tanto il cuore di felicità.

«Non avresti dovuto disturbarti» mormorò senza fiato, indugiando ancora un istante prima di prendere a scartarlo con certa emozione. La tensione nell’aria era a dir poco palpabile: che cosa mai poteva esserci dentro quella scatoletta?

«Smettila di dire idiozie e aprilo» lo rimproverò affettuosamente l’altra, mentre si fingeva seccata ed esibiva tutta la sua esasperazione. «Non so neanche se ti piacerà. Sappi, però, che ci ho messo una vita per trovare qualcosa che ti potesse piacere».

Gli occhi dorati del giovane si sbarrarono per la meraviglia, una volta eseguito l’ordine della sua bella. Strinse tra le mani quel nuovo completo da Allenatore, tastando la morbidezza del tessuto e inspirando profondamente il suo profumo. Per quanto fosse un pensiero semplice e poco elaborato, l’aveva lasciato senza fiato; dopotutto, il suo valore simbolico era molto alto.

Ammirò il volto della Capopalestra sorridente, in quel momento a dir poco soddisfatta della reazione e dell’emozione suscitate.

«È stupendo» trovò solo la forza di commentare, ancora troppo stupito per poter ideare una formula di ringraziamento più curata e idonea alla situazione. Tante erano le cose che avrebbe voluto dire in quel momento, eppure il fiato per poterle esalare non era sufficiente.

La Domadraghi si passò una mano nei capelli, assumendo posa e atteggiamento superiori. «Ma certo che è stupendo. Infatti, ti è stato regalato da una persona bellissima come me. Che cosa potevi mai aspettarti?» esclamò con aria saccente, senza preoccuparsi di essere eccessivamente narcisista e piena di sé.

Gold ben sapeva che, dietro quell’atteggiamento arrogante, si nascondeva in realtà un sentimento di gioia pura. Nonostante la donna cercasse di nasconderlo ai suoi occhi, doveva essere davvero sollevata e felice di vederlo così soddisfatto. Dopotutto, non aveva forse detto di aver cercato in lungo e in largo un regalo in grado degno di essere chiamato tale? Se avesse avuto a che fare con una persona qualunque, non avrebbe di certo sprecato il suo tempo prezioso.

Eppure, Sandra lo aveva fatto: aveva gettato al vento ore di allenamento, pur di poter godere di quell’istante di meraviglia e contentezza.

«Non mi chiedi se è tutto qui?» esordì improvvisamente la fidanzata in questione, destandolo in modo brusco dai suoi pensieri. Lo sguardo della futura Maestra Drago era fisso su di lui, quasi lo stesse studiando, in attesa di una risposta da parte sua. Sembrava quasi che si aspettasse qualcosa, un gesto, un’azione, un segnale.

L’Allenatore non seppe come rispondere. Interdetto, indugiò per una manciata di secondi, nell’attesa di trovare le parole giuste per risponderle. Che cosa doveva rispondere? O meglio, che cosa la Capopalestra voleva sentirsi rispondere? Se doveva essere franco, non ne aveva la benché minima idea.

«Non penso che tu abbia avuto il tempo per pensare a un altro regalo da farmi, impegnata come sei…» disse il ragazzo, sicuro su ciò che stava affermando. Difatti, dato che la Domadraghi aveva solo una serata libera da dedicargli, come avrebbe potuto ritagliare altro tempo libero per cercare altro per lui? Sarebbe stato impossibile, dati i suoi innumerevoli doveri.

A dispetto delle sue aspettative, però, una risatina ilare sfuggì dalle labbra della giovane donna. La futura Maestra Drago scosse il capo con estremo disappunto, per poi sporgersi leggermente verso di lui. «Fai ancora in tempo a chiedermelo, Tappo» mormorò sibillina, mentre il suo sguardo si fondeva con quello del fidanzato.

«Se proprio insisti, allora te lo chiedo» stette allora al gioco, non potendo fare a meno di domandarsi quali fossero le intenzioni della bellissima e attraente ragazza di fronte a lui. Per un qualche motivo a lui inspiegabile, il suo cuore prese a martellare violento nel petto con l’avvicinarsi dell’esperta di Pokémon Drago. Più la distanza tra loro diminuiva, più sentiva un insolito calore divampare nel suo petto. Nonostante quel tumulto di emozioni potenti e nuove, che gli infondevano un’insolita e tonificante energia, trovò la forza necessaria per porre quel quesito con voce sostenuta: «Sentiamo, che cosa hai intenzione di regalarmi?».

Sebbene avesse cercato di nasconderlo ai suoi occhi, gli fu impossibile mascherare la sua quanto mai evidente curiosità. Provocandolo in quel modo e risvegliando ardori sopiti, Sandra aveva catturato la completa attenzione dell’Allenatore.

Entrambi trattennero il respiro per un breve istante, non appena il volto della Capopalestra si trovò a un soffio da quello del nuovo Campione di Johto. Per quanto la tentazione di unire le loro labbra in un bacio passionale fosse forte, sopirono i loro istinti – seppur a malavoglia – e si concentrarono sull’intensità di quel momento.

Un sorriso beffardo si dipinse sul viso niveo della donna, non appena lesse visibile tensione nelle iridi dorate del suo compagno. «Sai una cosa? Mi è passata la voglia di dirtelo, dato che ci hai messo troppo a chiedermelo» lo canzonò, con il chiaro intento di stuzzicarlo ancor più di quanto non avesse già fatto, per alzarsi dalla sedia e allontanarsi in modo sensuale da lui. «Ora ti arrangi, mio caro Nano».

«C-Cosa?!» balbettò il ragazzo, dopo essersi ripreso dall’iniziale stordimento, per poi scattare immediatamente in piedi e raggiungere la sua bella. «Ma se eri tu a volermelo dire! Per favore, parla, io…».

Tuttavia, non fece in tempo a concludere la frase. La Domadraghi si voltò di scatto e intrecciò le dita nei suoi capelli corvini, attirando poi il corpo del fidanzato a sé e intrappolando la sua bocca in un bacio carico di puro affetto. L’Allenatore, dapprima con gli occhi sbarrati e ogni muscolo teso per lo stupore, si rilassò sotto il tocco dell’amata, lasciandosi trasportare dalla miriade di emozioni e sensazioni che presero a travolgerli in una tormenta di passione.

«Mi fido di te» mormorò senza fiato la giovane donna, poco dopo aver interrotto quel contatto intimo, poggiando la sua fronte contro quella del ragazzo. Fuse il suo sguardo limpido e sereno con quello del giovane, mentre gli sorrideva con amore e complicità.

Ventun Luglio, ore 21:30. Sandra non avrebbe potuto fargli regalo migliore del suo amore e della sua cieca fiducia. In quell’istante, a Gold parve quasi di poter spiccare il volo, tanto grande era la sua felicità. Avvolse l’amata in un abbraccio possessivo e caloroso, come se fosse la cosa più preziosa che possedeva.

Per quanto fosse più grande di lui, bellissima, sensuale e dannatamente provocante, in quel momento gli pareva quasi fragile e delicata. Lesse innocenza e purezza nei suoi occhi limpidi, che in quel momento gli stavano comunicando quel sincero sentimento nutrito nei suoi confronti.

E le loro labbra tornarono a sfiorarsi una volta, poi ancora cento volte, poi ancora mille volte; un dolce preludio che preannunciava un atto di puro amore.

 

Sdraiata sulle coltri morbide del suo piccolo letto a una piazza e mezza, Sandra ammirò il suo bell’amante sopra di sé. Accarezzò il suo viso più volte, cercando di infondergli quanta più sicurezza e determinazione possibile, mentre lo incitava a non indugiare e a lasciare che fossero le sue emozioni a prendere il sopravvento.

I vestiti, stoffa ingombrante e superflua, presero ad ammonticchiarsi sul pavimento freddo di quella piccola e accogliente stanza, mentre l’atmosfera si faceva via via sempre più pregna di calore ed eccitazione.

Finalmente, dopo tanto sperare e altrettanto desiderio, il sogno di entrambi gli amanti si stava tramutando in realtà. Fiducia e amore li spingeva ad agire, a sfiorare con devozione ogni centimetro di pelle, a studiare e vezzeggiare ogni parte dei loro corpi, anche i recessi più intimi. Ogni atto si svolgeva lentamente, senza troppa fretta ed eccessive pretese, dando a ciascuno di loro il tempo di concentrarsi sulle proprie azioni e  sulla magia di quel momento – e dando loro il tempo di amarsi sinceramente e di farlo capire l’uno all’altra, comunicando a gesti ciò che a parole era impossibile esprimere.

Nascosti da sguardi indiscreti, lontani da ostacoli, voleri altrui e aspettative, i due fidanzati cominciarono a procedere a passo sempre più spedito verso il paradiso. Dopo piccole risate, sorrisi carichi d’affetto, passione, ultimi timori e frasi affettuose sussurrate con voce ansimante, i loro corpi si unirono fino a divenire un’entità sola. Ci furono istanti di smarrimento e di tensione, di paura e di dolore, ma nulla impedì ai due amanti di portare a compimento il loro amore.

Per quanto imperfetta e scoordinata potesse sembrare, la loro danza passionale era travolgente e meravigliosa - o almeno, così appariva ai loro sensi, in quel momento in delirio e completamente assuefatti da emozioni travolgenti. In quegli istanti di puro affetto, non avrebbero potuto desiderare di meglio.

Entrambi si trovavano in compagnia della persona amata, protagonisti di un sogno tramutato incredibilmente in realtà, custodi di un sentimento puro e intoccabile: nulla avrebbe potuto intaccare in alcun modo la magia di quel momento intimo, perché loro l’avrebbero difesa anche a costo della vita stessa. Il legame che li univa era saldo e incorruttibile, tanto che nemmeno la spada più affilata dell’odio e dell’invidia avrebbe potuto spezzare il filo che li congiungeva – perché loro l’avrebbero tenuto per sempre unito, qualunque fosse il prezzo da pagare.

E in quella certezza, nella loro unione eterna consacrata da quell’amplesso, nell’amore e nella fiducia, i due amanti raggiunsero il paradiso.

 

«Ti amo».

Senza neanche volerlo, entrambi i fidanzati pronunciarono simultaneamente il loro giuramento d’amore. Si guardarono negli occhi, leggendovi specularmente gioia immensa e affetto sincero, mentre le loro labbra rosse per i troppi baci si curvavano in espressioni felici. Abbracciati e provati dalla travolgente passione che li aveva colti, si cullarono in quella notte a dir poco magica, proteggendosi dalle insidie di quel mondo esterno tanto avverso alla loro unione.

Erano diventati una cosa sola e nulla sarebbe stato in grado di dividerli. Anche se il mondo intero si fosse opposto alla loro relazione, non si sarebbero mai arresi, né si sarebbero lasciati vincere dall’invidia e dall’odio.

Con questa convinzione, entrambi si assopirono, lasciandosi trasportare in un mondo di pace e serenità.

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Capitolo 14
*** Quattordicesima Settimana: Riunioni ***


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E anche oggi eccoci qui, miei carissimi lettori, con una nuova Shot! Anzitutto, ringrazio tutti coloro che mi seguono, chi recensisce e chi ha inserito la raccolta nei preferiti o nelle seguite. Vi devo davvero tanto, dolcezze!

Questa Settimana leggerete le storie di tre personaggi diversi, ambientate in tre posti diversi, protagonisti di tre situazioni diverse: Draigen, Sandra e Megan, rispettivamente in una camera da letto, in una sala da pranzo e nella Tana del Drago. Diciamo che mi sono divertita a scrivere tutte queste situazioni, dato che sono una differente dall’altro per contenuti e sentimenti. So già che, quando leggerete la terza situazione, molti di voi vorranno uccidermi. Lo so, il finale è oscuro e non molto comprensibile, ma vi lascia già capire che… la storia si sta evolvendo. Non vedo l’ora di leggere le vostre considerazioni nelle recensioni!

Detto questo, vi ringrazio per continuare a seguirmi. Ah, un’ultima cosa! Vi consiglio di dare un’occhiatina alla pagina del mio profilo, più precisamente alla parte “A tutti i miei carissimi lettori”. Ricordatevi: sono sempre disponibile per aiutarvi in qualche modo! Detto questo… buona lettura!

 

 

Quattordicesima Settimana:

Riunioni

 

 

Le labbra di Draigen Blackthorn si curvarono istintivamente in un sorriso radioso, non appena scorse dalla finestra due figure avvicinarsi alla sua abitazione. Si lisciò i corti capelli color notte con una mano, mentre i suoi occhi cremisi erano fissi sul giovane al fianco dell’adorata figlia.

Finalmente avrebbe avuto l’onore di conoscere colui che aveva preso possesso del cuore della bella Sandra: era solo questione di secondi, poi avrebbe stretto la mano di quello che un giorno sarebbe potuto diventare suo genero – la sola idea di incontrarlo la emozionava come una ragazzina al primo appuntamento.

«Sai, caro Edgy» sussurrò con certa tenerezza, per poi voltarsi e rivolgersi alla foto del marito, che giaceva sul comodino accanto all’enorme letto matrimoniale. «Ti stai perdendo un sacco di cose. Ormai la nostra amata San è diventata una vera donna, non è più la bambina che hai salutato tanto tempo fa».

Erano trascorsi ormai una dozzina d’anni da quando il precedente Capopalestra si era diretto verso le lande innevate di Sinjoh per prendere parte ad un’importante missione. La Domadraghi veterana quasi stentava a credere che fossero trascorsi così tanti giorni dalla sua partenza – il solo pensiero di essere rimasta lontana dal marito così a lungo la angosciava alquanto.

Il terrore di non poterlo riabbracciare mai più cresceva a dismisura con il solo trascorrere dei secondi. Il coniuge le aveva promesso innumerevoli volte di non perire durante la battaglia, non prima di essersi ricongiunto con i suoi cari – ed era il minimo che potesse fare, a detta di Draigen, per farsi perdonare per la sua assenza.

«Il lato sinistro di questo letto è rimasto vuoto per troppo tempo, quindi vedi di tornare presto, disgraziato che non sei altro» ridacchiò malinconicamente la donna, prima di tornare a guardare i due fidanzati ormai prossimi alla meta. «Dato che oggi non avrai il piacere di conoscere il ragazzo di nostra figlia, vedi almeno di tornare per il loro futuro matrimonio. È un ordine».

Il suo cuore perse un battito per la sorpresa, non appena la voce di Sandra giunse improvvisamente alle sue orecchie. A giudicare da come stava chiamando il suo nome, il grande momento era in procinto di giungere. La Domadraghi veterana inspirò profondamente, nel tentativo di restare lucida e composta – non poteva certo mostrarsi turbata e emozionata in una simile occasione, no?

Ovviamente, la Capopalestra le aveva gentilmente chiesto di non essere eccessivamente rilassata, ossia di non prendere troppa confidenza con l’Allenatore – ma promettere una cosa simile non sarebbe stato nel suo stile, anzi, avrebbe mentito giurando di non farlo. Dopotutto, era suo diritto di madre conoscere ogni aspetto della loro relazione, anche i dettagli più intimi.

Sicuramente anche Edgar avrebbe rimproverato la sua eccessiva curiosità, ma si sarebbe rassegnato, permettendole di fare ciò che desiderava con tutta se stessa. Se solo lui fosse stato al suo fianco, l’atmosfera sarebbe stata meno pregna di tensione e agitazione. Il solo pensiero di trovarsi sola in una serata così importante suscitava in lei enorme sconforto, che scacciò e represse con rabbia – non poteva permettersi di apparire malinconica e triste, non in quell’occasione, non davanti a Gold, non di fronte a Sandra! Quell’incontro doveva essere perfetto e lei l’avrebbe reso tale, anche a costo di soffrire silenziosamente.

«Mi manchi, Edgar» mormorò infine, rivolgendo un’ultima occhiata al marito sorridente, in quella foto abbracciato a una giovane donna con in braccio una neonata di pochi giorni.

Dopodiché, si richiuse la porta alle spalle.

 

Sandra aveva affrontato numerose sfide durante la sua carriera di Domadraghi, una più impegnativa e difficile dell’altra. In quegli istanti di tensione, spesso la paura montava nel suo petto, ma lei si era sempre dimostrata in grado di reprimerla e scacciarla.

Eppure, ironia della sorte, quella sera non sembrava capace di sconfiggere il terrore nemico.

Il suo sguardo si spostava ripetutamente dalla figura del suo fidanzato a quella della madre, in quel momento entrambi intenti a studiarsi a vicenda senza proferire alcuna parola. Nessuno di loro aveva osato spezzare quell’opprimente silenzio, né sembrava volerlo fare.

Bella atmosfera, complimenti, pensò con certa irritazione la Capopalestra, incrociando le braccia al petto e ammonendo con lo sguardo entrambi i suoi cari. Possibile che nessuno dei due avesse il coraggio di presentarsi per primo? A giudicare dal loro comportamento, doveva prendere in mano la situazione e movimentare un po’ le cose.

«Mamma, ti presento Gold» disse con decisione, cercando impacciatamente di assumere un tono calmo e di non lasciar trasparire il suo evidente nervosismo. Dopodiché, si rivolse al compagno, indicando con un cenno di capo la donna seduta davanti a loro. «Gold, questa è mia madre Draigen».

«Piacere di conoscerla, signora Blackthorn» esordì l’Allenatore, dopo aver preso il coraggio a due mani. L’idea di incontrare la genitrice della sua amata lo aveva reso piuttosto inquieto, specie dopo le descrizioni fornite dalla Maestra Drago sul conto della veterana.

Dall’interlocutrice in questione, però, non giunse alcuna risposta. La quarantaseienne si limitò a posare gli occhi cremisi prima sulla figlia e poi sul giovane ripetutamente, per poi curvare le labbra in un sorrisetto malizioso. «Avete già portato la vostra relazione a un livello più intimo, vero, piccioncini?» mormorò in modo provocante, per poi scoppiare a ridere fragorosamente, non appena i volti degli innamorati si dipinsero di rosso.

«Tra tutti gli approcci possibili, perché proprio questo…?!» protestò la Domadraghi, trattenendosi a stento dall’imprecare in modo a dir poco indecoroso. Sua madre non si sarebbe mai smentita e non avrebbe mai rinunciato a certi vizi, neppure pregandola in ginocchio. «Ma un semplice Piacere di conoscerti non ti piaceva?!».

«Non sarebbe stato degno di me» fu la risposta dell’altra, in quel momento intenta ad ammirare con orgoglio l’effetto provocato dalla sua innocente domanda. «Suvvia, non c’è alcun motivo di cui vergognarsi. È una cosa così naturale e ovvia!».

Ma non è così naturale e ovvio il fatto che lo abbia chiesto, avrebbe voluto replicare Sandra, se solo non avesse fatto affidamento a tutto il suo autocontrollo, pur di non trasformare quella riunione in una discussione. L’ultima cosa che desiderava era mettere in soggezione Gold, anche se sua madre ci era riuscita perfettamente: il povero ragazzo, ancora stupito dal comportamento di Draigen, non aveva neppure il coraggio di guardarla negli occhi.

Al contrario, come da previsione, la madre appariva tranquilla e a suo agio come non mai. Rivolse un sorriso affettuoso e dolce al diciassettenne, nel tentativo di rimediare al suo precedente errore. Effettivamente, doveva ammetterlo, aveva sbagliato iniziando il discorso in quel modo però, così facendo, aveva sicuramente reso l’idea di essere una persona dalla mentalità aperta. Il suo intento era far capire quanto approvasse la loro relazione, anche secondo aspetti privati – anzi, era felice di poter dire che la sua amata figlia era diventata una donna a tutti gli effetti.

«Battutine a parte, per me è un vero piacere fare la tua conoscenza, Goldy caro» esclamò poi la veterana, costringendo così l’altro a sollevare il capo e osservare il suo viso.

La sua espressione materna placò il tormento del giovane, arrivando perfino a calmare il battito impazzito del suo cuore. L’Allenatore dovette ammettere che la signora Blackthorn assomigliava incredibilmente a Sandra: nonostante l’età, possedeva una rara bellezza, aveva un modo di fare garbato e fine, nonché un comportamento determinato e dolce al contempo. In quel preciso istante, Gold si sentì protetto tra quelle persone care, come se fosse a casa sua.

«Sono contenta che mia figlia abbia conosciuto un ragazzo come te. Sembri molto premuroso e gentile» continuò poi la madre, con un tono di voce alquanto gioioso, che tradiva una certa emozione. «Era da anni che aspettavo questo momento. Sono davvero contenta per voi».

Istintivamente, la mano del ragazzo cercò quella della sua amata, per stringerla in una presa calda e morbida. Entrambi abbozzarono un timido sorriso, all’inizio leggermente imbarazzato, di pura gratitudine. Draigen sembrava sinceramente contenta di vederli così uniti.

«Mi ricordi molto il mio Edgy, Goldy caro. Sei proprio un tipo per bene, gentile e garbato, un vero e proprio figurino. E scommetto che sei pure ben fornito» concluse infine, complimentandosi a più non posso con il fidanzato della figlia. «Insomma, sei il ragazzo perfetto per la mia San, in tutti i sensi».

E la Domadraghi veterana scoppiò a ridere fragorosamente, ammirando l’espressione imbarazzata di Gold e quella allibita di Sandra.

 

Nella Tana del Drago regnava il silenzio. Per quanto assurdo potesse sembrare, non vi era alcuna anima viva: tutti i giovani che solevano allenarsi a qualsiasi ora del giorno si trovavano nelle loro case, oppure in taverna assieme ai compagni. A ognuno di loro era stato concesso un giorno di riposo – avvenimento più unico che raro, date le rigide regole del Clan – e tutti ne avevano giustamente approfittato.

Tutti meno uno.

Megan non aveva alcuna intenzione di sprecare il suo tempo. Era solo questione di poche settimane, poi il Gran Maestro l’avrebbe convocata per farle sostenere l’esame necessario per diventare una Domadraghi a tutti gli effetti. Doveva allenarsi duramente e sfruttare ogni occasione per farlo, se voleva raggiungere il suo traguardo. Stando a contatto il più possibile con la sua squadra, forse avrebbe capito che cos’era necessario per diventare un vero Maestro Drago. Inoltre, essendo sola nella grotta, nessuno avrebbe potuto distrarla in alcun modo.

Improvvisamente, però, qualcosa catturò la sua attenzione. Un vociare confuso proveniva dal Tempio, dove parevano esserci delle persone all’interno. All’inizio decisa a non prestare attenzione a ciò che stava succedendo, passò accanto alla porta d’ingresso senza degnarla di alcuna attenzione.

Se stavano parlando di qualcosa di importante, ragion per cui avevano congedato tutti gli Allievi e gli altri Maestri, di certo doveva trattarsi di un argomento che non riguardava una semplice Fantallenatrice come lei.

«Quel tizio rischia di compromettere i nostri piani. Dobbiamo allontanarlo immediatamente da Ebanopoli».

La ragazza arrestò la sua camminata, sinceramente colpita da quelle parole. I Saggi avevano davvero intenzione di esiliare qualcuno? Era da anni che non si prendevano simili provvedimenti. Qualcuno doveva essersi macchiato di una terribile colpa, se l’intero Consiglio era giunto a una simile conclusione.

«Non è necessario» ribatté qualcun altro, sempre un membro degli Anziani, in tono maligno. «Basterà solamente che vengano rispettate le tradizioni della Stirpe».

La Stirpe. Megan sapeva bene che cosa fosse. Si trattava della famiglia più vecchia di Ebanopoli, che da ben otto generazioni comandava e proteggeva il borgo montano – una famiglia buona e giusta, incorruttibile e intoccabile, nella quale ogni persona credeva. Tutti portavano rispetto ai membri della Stirpe, in quanto Domadraghi valorosi e dotati di grandi virtù, e nessuno poteva ribellarsi alle loro decisioni.

«Il Drago Valoroso deve congiungersi con il Drago Divino. Questo è scritto nel loro destino, questo è necessario per il bene di Ebanopoli. Nessuno può opporsi a questa sacra unione, tantomeno uno straniero».

Testimone indiretta di un complotto malvagio, la Fantallenatrice si portò una mano alla bocca, per soffocare un’esclamazione di stupore e incredulità. Spaventata e impaurita, indietreggiò a passo svelto, per poi correre verso l’uscita della Tana del Drago.

Le sue mani presero a comporre velocemente un numero di telefono, mentre pregava con tutto il cuore che dall’altro capo rispondesse chi di dovere.

Perché solo Lui poteva fare qualcosa per sopire sul nascere quella congiura.

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