Murderess.

di Blue Sunshine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (1)- Prologo ***
Capitolo 2: *** (2)- Regali newyorkesi ***
Capitolo 3: *** (3)- Prigioniero ***
Capitolo 4: *** (4)- Strani incontri ***
Capitolo 5: *** (5)- Passato e presente ***
Capitolo 6: *** (6)- Ricordi che sanno di lacrime ***
Capitolo 7: *** (7)- Un mondo nei suoi occhi ***
Capitolo 8: *** (8)- Portami con te ***
Capitolo 9: *** (9)- Vita da sbirro ***
Capitolo 10: *** (10)- Il tassello mancante ***
Capitolo 11: *** 11.Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** 12.Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** 13.Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** 14.Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** 15.Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** 16. Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** 17. Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** 18. Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** 19. Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** 20. Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** 21. Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** 22. Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** 23.Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** 24.Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** 25.Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** 26.Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** 27. Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** 28. Capitolo 27 ***



Capitolo 1
*** (1)- Prologo ***


 

MURDERESS. 
 

 

(1)- Prologo 

Perché tutto comincia da qualcosa

ma qualcosa non sarebbe nulla.


Dean Harrison si passò una mano fra i capelli brizzolati, sospirando. Si alzò dalla sedia, superò la sua scrivania, e si diresse alla finestra per osservare il sole tramontare dietro alcuni palazzi lontani; poi, finalmente, si girò di nuovo. 

Lui non si era mosso: era rimasto in quella posizione per almeno tre ore, non abbozzando parola, non accennando nulla. Se ne stava là, immobile, a fissare un punto indefinito del pavimento rosso bordeaux, con le mani unite e appoggiate al ventre, come se si trovasse in una stanza completamente vuota. Da solo.  Non aveva mosso un muscolo. Era semplicemente rimasto seduto su quella scomoda sedia, aspettando che altri decidessero le sue sorti. Aspettando che lui decidesse cosa farne. Ed era tremendamente difficile stare a guardarlo, condividere lo stesso ossigeno, respirando la stessa aria; perché ciò che il commissario Harrison desiderava per lui, non poteva essere attuato. Se pensava all’individuo che aveva di fronte e alla pena che aveva macchiato le sue mani gli venivano in mente poche soluzioni: il dolore, un dolore atrofizzante e capace di farlo impazzire, degno di un girone dell’Inferno di Dante; momenti di oscurità, paura, terrore glaciale. La solitudine più dilaniante, che faceva compiangere la morte stessa.Ecco cosa Dean Harrison avrebbe voluto infliggere a quello che dovrebbe essere considerato un uomo o meglio, un ragazzo. Lo squadrò per un altro paio di secondi, prima di alzare gli occhi verso gli uomini in stanza e fare un cenno con il capo. I due annuirono e, con riluttanza, fecero alzare il giovane che non sembrò minimamente scomporsi per i modi rudi con cui lo sollevarono dalla sedia. Quando senza tanti preamboli lo spinsero verso la porta, Dean parlò.
“Questa non è la fine. Ti farò pagare ogni singola azione, Zayn Malik. Prima la giustizia terrena e poi quella divina ti troverà e in quel caso, il silenzio non ti aiuterà affatto” il giovane si fermò un momento, alzando finalmente il suo sguardo sul viso duro di Dean: iridi scure, del colore della pece bollente, incontrarono l’azzurro tenue di quelle del commissario. Si scrutarono per altri secondi, prima che il ragazzo riprendesse a camminare, costretto anche dalle spinte dei poliziotti. Quando la porta si chiuse alle loro spalle Dean serrò la mascella. Guardò l’ora e sospirando di sollievo, recuperò il cellulare e il portafoglio, indossando la giacca. Il sole era oramai tramontato e l’oscurità era sopraggiunta veloce, come ogni volta. Spense il computer soffermandosi però con lo sguardo sul fascicolo ancora aperto sulla scrivania: “ Zayn Malik, omicidio volontario”. Lo prese e uscì dal suo ufficio, maledicendo quella tremenda giornata di lavoro. 

 

Erano oramai le dieci di sera quando Dean la scorse correre sul marciapiede buio, dimentica di quanto non gli piacesse l’idea che andasse a praticare jogging a quella tarda ora. Sentì un familiare fastidio allo stomaco quando riconobbe chiaramente i capelli rosso ramato oscillare sulla sua schiena, mentre si dirigeva verso casa. Sbuffò sonoramente, passandosi una mano sugli occhi stanchi; così si accostò con la macchina e si limitò ad alzare un sopracciglio quando gli occhi di sua figlia incrociarono i propri.
“Ciao papà!” Lo salutò lei, con la sua voce squillante, continuando a correre. Il suo respiro era rotto e la sua maglietta madida di sudore. Sforzando la macchina ad andare al suo passo, Dean alzò gli occhi al cielo.
“Quante volte devo dirti che non mi piace che tu vada a correre a quest’ora?” berciò, con il tono da rimprovero che era sempre uguale a quando era ancora una bambina.  Si sporse dal finestrino e osservò l’oscurità circostante, con minuziosa attenzione, quasi si aspettasse che da un cespuglio fuoriuscisse un maniaco o un delinquente. Fu il turno di Emma per alzare gli occhi al cielo, scoppiando in una fragorosa risata.
“Giornata pesante a lavoro?” gli chiese, evitando volutamente l’acidità con cui l’aveva canzonata il padre. E Dean non poté fare altro che stupirsi di quanto Emma lo conoscesse bene e chiedersi se, dopo diciotto anni, anche lui potesse vantare la stessa capacità.
“Decisamente pesante” rispose infatti, atono. L’inusuale silenzio che aleggiava in quel tranquillo quartiere di Bradford era rotto dal rumore regolare del motore dell’auto e dalle suole delle scarpe di Emma contro l’asfalto. La cittadina, intorno a loro, era un gioco di luci e buio.
“Ci vediamo a casa” si arrese Dean, mentre Emma sorrideva, rimettendosi la cuffia della musica all’orecchio. L’uomo diede un’accelerata, continuando comunque a controllare la figlia finché non svoltò all’angolo di Longside, entrando nel vialetto di casa. Spense il motore e scese dall’auto. Strinse al petto il fascicolo, recuperando con una mano sola tutta la posta che Emma non aveva preso. 
“Il bagnò è mio!” La ragazza gli sfrecciò davanti, facendolo quasi spaventare. Lui scosse la testa, seguendola in casa. Un forte profumo di pollo colpì le sue narici e il suo stomaco brontolò: solo in quel momento si accorse di quanto fosse affamato. Si tolse la giacca e lasciò cadere il fascicolo sul tavolino della cucina.
“Emma, muoviti che ho fame!” 

Ed era anche stanco, in realtà; ed era solo l’inizio.
 

 
Dean Harrison 

 


 

Angolo autrice:

finalmente mi sono decisa a migliorare le imperfezioni di questa storia che mi accompagna oramai da anni. Sono una mezza cartuccia quando si tratta di scrivere prologhi e spero che questo vi abbia incuriosito abbastanza. Come accennato, Zayn ha un fascicolo a suo nome dove viene accusato di omicidio. Viene poi introdotto Dean Harrison, il commissario del distretto di Bradford che si dovrà occupare del caso. Inquadrato anche uno scorcio della sua vita privata dove è presentata Emma, sua figlia. Spero che la lettura vi allieti, un bacio

Sonia. 

 

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Capitolo 2
*** (2)- Regali newyorkesi ***


 

 MURDERESS.
 


(2)- Regali newyorkesi 

Non abbiamo bisogno di ali per volare

Prendi solo la mia mano.
 

 Emma si chiuse la porta alle spalle, indossando gli occhiali da sole. Si sistemò una ciocca di capelli ribelli e sorrise alla vista del ragazzo biondo appoggiato al cofano della sua macchina nera. Corse lungo il vialetto ghiaioso della sua abitazione, mentre il sole faceva risplendere i suoi capelli rossi e facendo risaltare le sfumature mogano sulla sua nuca. Il giovane alzò lo sguardo, incrociando con i suoi occhi azzurri e pacati quelli scuri e vispi di Emma. 
“Niall!”urlò lei, gettandoglisi addosso e stringendoselo contro.
“Hey Em!” Le braccia di Niall si strinsero intorno ai fianchi spigolosi di lei, che si lasciò andare ad una risata forte. Emma affondò per un momento il viso al suo collo, annusando il suo familiare profumo. 
“Mi sei mancata” sussurrò lui dolcemente, accarezzandola alla base del collo. 
“Tu no” Emma lo baciò sulla guancia, dandogli una pacca sulla spalla e staccandosi da quell’intenso abbraccio. 
“Mi eri sembrata troppo dolce”  lei sorrise, schiudendo le labbra e socchiudendo gli occhi. 
Niall scosse la testa, sfiorandole delicatamente il braccio per poi darle le spalle e salire in macchina; Emma lo imitò, chiudendo lo sportello con fragore, non prima di aver controllato il trucco sul finestrino dell’auto. 

Arrivarono a scuola in anticipo; il cortile era pieno di ragazzi e il chiacchiericcio riempiva l’aria circostante e fredda. Niall parcheggiò al solito posto, spense l’auto e uscì, girandosi verso il profilo della scuola: guardò l’edificio di sbieco, una mano a proteggere gli occhi dalla timida luce del sole. 
“Non mi è mancata poi così tanto come pensavo” disse, passandosi una mano fra i capelli biondi e già arruffati. 
“Vorrei vedere ... A chi mancherebbe la scuola mentre si sta per una settimana a New York?” Emma si piegò all’altezza dello specchietto della macchina, passandosi sulle labbra carnose un rossetto rosso, le sopracciglia appena aggrottate a causa della concentrazione. Quando si rimise dritta sorrise e Niall le passò un braccio intorno alle esili spalle, spingendola verso l’ingresso. 
“Spero per te che mi abbia portato un regalo da New York” commentò Emma, sbattendo ripetutamente le lunghe ciglia marcate dal mascara in direzione del ragazzo accanto a sé. Niall la guardò con gli occhi blu spalancati, quasi sorpresi e arricciò il naso.
“Oddio no, me ne sono completamente dimenticato…” Emma si bloccò nel bel mezzo del corridoio, guardandolo di sbieco, le mani abbandonate lungo i fianchi.  
“Brutto bastardo, dimmi che è solo uno scherzo o vedrai cosa ti succederà”
“Ti voglio bene anche io” Niall estrasse dal suo zaino una busta, lanciandogliela, le guance ancora più rosse del solito. Lei l’afferrò al volo e con aria da superiore, l’aprì; ma i suoi occhi non riuscirono a contenere lo stupore e la meraviglia che provò quando vide il suo regalo. 
“Cristo Niall” sussurrò, tirando fuori l’elegante tubino nero, semplice e dalla stoffa leggera, che si apriva in una scollatura sul petto e una più profonda sulla schiena. Niall si grattò la testa in un chiaro segno di nervosismo, attendendo la sua opinione.
“Sapevo che avessi bisogno di un vestito per il ballo e mia madre ha detto che questo faceva al caso tuo. E’ di uno stilista anche abbastanza famoso e … Al diavolo, ti piace o no?” Emma gli saltò addosso per la seconda volta nel giro di mezz’ora, stritolandolo fortissimo. 
“Grazie, grazie, grazie”urlò nel suo orecchio, attirando molti sguardi curiosi, mentre la risata forte e vivace di Niall scoppiava sulla pelle di Emma. La ragazza recuperò la busta scivolata a terra, riponendo con cura il vestito al suo interno. Il suono della campanella della prima ora suonò e tutti i ragazzi si mossero verso le rispettive classi. Niall ripose i libri delle lezioni successive nell’armadietto, chiudendoselo poi alle spalle.
“Dopo una settimana fra le strade  affollate newyorkesi il silenzio delle aule non lo reggerò”   commentò semplicemente, affondando le mani nelle tasche dei jeans. Emma, d’altro canto, si picchiò la fronte con una mano, tornando alla realtà.
“Merda!” Esclamò soltanto, sistemando velocemente il regalo di Niall nell’armadietto.
“Cosa?” chiese Niall mentre lei lo superava, dirigendosi veloce come una gazzella al lato opposto del corridoio.
“Mi sono dimenticata di avere il compito di biologia e sono in ritardo. Ci vediamo a pranzo Niall!” Disse solamente, correndo come una pazza, con i suoi capelli che danzavano sulla sua schiena. Travolse un gruppo di studenti del primo anno che la guardarono con ammirazione, ma lei non diede segno di essersene accorta. Prima di svoltare l’angolo, però, si fermò e cercò gli occhi del suo migliore amico.
“Mi sei mancato anche tu” mimò con le labbra, prima di sparire in un vorticoso uragano di capelli rossi. 

 


Harry si passò una mano fra i capelli ricci, mordendosi le labbra a sangue. Picchiettava il piede a terra almeno da dieci minuti e sebbene si stesse imponendo la calma, la ben riuscita era lontana. Si guardò intorno ancora un volta, sperando di vedere qualche anima pia che gli dicesse cosa fare esattamente; in fondo aspettare lo aveva sempre innervosito e in quella circostanza il suo malessere sembrava amplificarsi. Con uno sbuffo si alzò dalla sedia, sistemandosi la maglietta bianca che aderiva al suo fisico asciutto.
“Styles?” Lui si girò di scatto, inciampando sui suoi stessi piedi. L’uomo che era sparito almeno venti minuti prima, intimandogli di aspettare, si sporgeva da una porta alla sua sinistra. Gli fece cenno di avanzare e il giovane, controllando il proprio respiro, lo raggiunse. Quando gli fu di fronte, quello gli mise amichevolmente una mano sulla spalla, introducendolo in un’ ambiente che odorava di pulito. Quando sentì la porta chiudersi alle proprie spalle, Harry alzò il suo sguardo: l’ufficio era spazioso e luminoso, le pareti erano tappezzate di attestati e targhette di riconoscimento, ed erano rigorosamente bianche. Al fianco della finestra vi era una scrivania ordinata dove capeggiava un computer di nuova produzione, circondato da ogni tipo di carta possibile. Gli occhi verdi e curiosi di Harry osservarono con ammirazione l’ uomo dietro la  scrivania intento a scrivere frettolosamente su uno dei documenti. Harry ricevette una piccola spinta segno che poteva tranquillamente avvicinarsi e così fece, con un sorriso cordiale e sicuro; raggiunse con poche falcate il bordo del tavolo, fermandosi a guardare l’uomo che posò la penna e alzò lo sguardo verso il suo: i suoi occhi erano di un azzurro chiaro, caldi ed esperti, sapienti. I capelli scuri, con qualche sfumatura grigia, ricadevano su una pelle abbronzata e segnata da poche rughe d’espressione. Questo alzò un sopracciglio, grattandosi la guancia macchiata dalla barba altrettanto brizzolata. 
Sicurezza, ma non troppa. Cordialità, ma non ingenuità. Sei giovane, ma non stupido e il tuo cognome è del tutto ininfluente, Harry. 
Le parole del padre gli ronzavano nel cervello e Harry si stupì della familiarità e semplicità  con cui stava riuscendo a gestire quegli occhi ad alta tensione.
“Harry ... Harry Styles” disse semplicemente l’uomo , sfogliando un fascicolo blu che si trovava sopra a altre infinità di documenti e da cui Harry riuscì a vedere la propria foto. 
“Sì” rispose lui, incerto se fosse una domanda o meno, scostandosi i capelli dagli occhi.
“Il figlio di Carl?” gli occhi gli si velarono appena, forse memore del tanto e troppo tempo trascorso. 
“Esatto” rispose Harry mentre quello arricciava il labbro, annuendo semplicemente. Dopo pochi attimi di silenzio chiuse il documento che stava sfogliando, guardandolo dritto negli occhi di Harry che mantenne lo sguardo senza fatica, rimanendo nella medesima e composta posizione.
“Sei molto giovane, ragazzo. Non sapevo che avessi scelto lo stesso lavoro di tuo padre” 
“Mio padre non mi ha condizionato in alcun modo, la scelta è stata solo mia e l’età è solo un numero, non mi fermerà dal compiere il mio dovere” rispose, spostando sulla gamba destra il peso del corpo e stringendo i pugni lungo i fianchi, tradendo un accenno di nervosismo. L’uomo dagli occhi azzurri lo scrutò per altri secondi prima di sorridergli apertamente, alzarsi e porgergli la mano.
“Sono il commissario Harrison, ho lavorato per tredici anni con tuo padre. Benvenuto nella nostra squadra” Harry la strinse con sicurezza, aprendosi in un sorriso sincero: le fossette che apparvero sulle sue guance lo fecero sembrare ancora più piccolo dei suoi ventitré anni. 
“Grazie signore” e Dean gli sorrise ancora, pensando fra sè a quanto quel giovane somigliasse al padre. 

 

                              Emma Harrison                                                   Niall Horan 

 

 
Harry Styles 

 


  

Angolo autrice:

eccoci qui con il primo capitolo della storia e si presenta meglio il personaggio di Emma: carismatica, vivace e sicura di sé. E viene anche introdotto un nuovo meraviglioso personaggio: Niall, nelle vesti di un dolce e tenerone migliore amico. Lo amo! Infine, altro personaggio della trama: Harry Styles, neo poliziotto, integrato nella squadra di Dean Harrison. Che ne dite, vi piace in queste vesti? Grazie per le vostre recensioni al prologo, siete state meravigliose. Spero nei vostri commenti, un bacio e a presto

Sonia.  

 

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Capitolo 3
*** (3)- Prigioniero ***


MURDERESS. 

(3)- Prigioniero  

Non basta più il ricordo,

ora voglio il tuo ritorno. 

 

Harry spense il motore, recuperò le chiavi e uscì dall’auto. Chiuse la portiera e si sistemò gli occhiali da sole, celando i suoi occhi intenti a guardare attraverso la vetrina scura del bar. Si incamminò al suo interno, passandosi una mano fra la folta capigliatura riccia. Spinse con foga la porta a vetri del locale, facendolo tintinnare. Da dietro il bancone, una ragazza rivolse lo sguardo verso di lui e quando lo riconobbe, si aprì in un meraviglioso sorriso. Lasciò cadere sul lavabo il panno che stava usando per asciugare un bicchiere e si precipitò verso di lui. I suoi capelli biondi, stretti in uno chignon disordinato, ricadevano dolcemente sul suo collo magro. “Harry!” esclamò, affrettando il passo. Lui semplicemente aprì le braccia, accogliendola al suo petto, stringendola forte a sé.  
“Ciao Hollie” Harry sprofondò il viso nell’incavo del collo della ragazza, che rabbrividì appena. Il profumo di lavanda che impregnava la sua pelle rilassò i muscoli ancora tesi e, finalmente, si sentì a casa. Strinse possessivamente i fianchi magri di Hollie, baciandole il collo. Lei alzò il suo viso e dopo un’occhiata a quegli occhi così verdi, unì le sue labbra sottili a quelle carnose di Harry. Hollie intrecciò le dita affusolate ai ricci scuri del ragazzo, avvicinandosi ancora di più. Quando entrambi furono bisognosi di aria si staccarono, unendo però le loro fronti. Harry fece scorrere il suo naso lungo la guancia di lei, facendola sorridere. La strinse possessivo da un fianco, scostandole dalla fronte una ciocca di capelli color del miele, alzandole un po’ la canottiera per sentire la sua pelle nuda fra le dita. Hollie sorrise e lo prese per mano, conducendolo al bancone. Un ragazzo lo guardò, sorridendo e alzò la mano in segno di saluto. 
“Hey Harry” 
“Ciao Chad” Harry si sedette sullo sgabello, salutando con un gesto della testa una ragazza mora che si trovava alla cassa. Hollie sbuffò, alzando gli occhi al cielo e Harry sorrise. 
“Allora, come è andata?” Gli chiese, sporgendosi appena dal bancone mentre ricominciava a pulire le stoviglie del bar. Hollie aveva sussurrato, quasi temesse che qualcuno la sentisse e Harry se ne dispiacesse. Ma lui cominciò a giocherellare con la collana che Hollie portava al collo, con disinvoltura, procurandole brividi sulla pelle quando i suoi polpastrelli ruvidi la sfioravano volutamente, in un gioco divertente per lui, esasperante per lei. 
“Il commissario Harrison è un grande uomo” disse soltanto, portando al limite la poca pazienza della ragazza, che infatti non esitò a colpirlo in testa con lo straccio.
“Davvero divertente ripetere le uniche parole dette da tuo padre negli ultimi cinque giorni si bloccò appena, inumidendosi le labbra secche- ma sono stata in pensiero tutta la mattina e voglio sapere” allora si bloccò, cercando di studiare lo sguardo del compagno. Lui alzò i suoi occhi verdi, così intensi da far male e le strinse forte una mano.
“Domani sono ufficialmente in servizio”  le disse, mostrandole il distintivo ricevuto poche ore prima dallo stesso commissario Harrison. Hollie strabuzzò i suoi due enormi occhi blu, facendo un salto e attirando l’attenzione di metà locale. Lo strinse in un focoso abbraccio, stritolandolo per il collo, sporgendosi dal bancone. 
“Oddio, grande! Ti amo, ti amo, ti amo!” Gli urlò nelle orecchie, stringendolo ancora e iniziando a baciare ogni parte del viso che riuscisse a raggiungere. Harry scoppiò in una fragorosa risata, dandole affettuose pacche sulla schiena tesa, non riuscendo a fare altro bloccato in quella posizione scomoda. 
“Sì, anche io ma Hollie … Mi stai soffocando” lei lo lasciò andare immediatamente, catturando però il suo meraviglioso viso fra le mani. Con gli occhi lucidi, gli diede un timido bacio sulle labbra, e poi un altro e un altro ancora. 
“Sono così fiera di te” gli sussurrò sulle labbra, mentre il cuore di Harry non sembrava volersi calmare. Lui sorrise appena, poggiando la sua mano grande e calda su quella piccola di Hollie che ancora imprigiomava la sua guancia. 
“Che ne dici di uscire da dietro questo maledetto bancone e darmi un bacio?” 

 


Uno strano brusio gli fece aprire gli occhi; sbatté le palpebre ripetutamente, arricciando le labbra secche. Si passò una mano sul viso, guardandosi intorno. Dalla piccola apertura a destra riuscì a scorgere un timido sole appena sorto ma un rumore secco lo fece voltare dall’altra parte, osservando la porta di ferro con attenzione. Un altro rumore lo fece rabbrividire, mentre si passò una mano fra i capelli, ravvivandoli un po’. Quando la porta della cella si aprì con un tonfo sordo Zayn fece un salto, chiudendo gli occhi investiti da una forte luce al neon.
“Forza Malik, è il tuo turno per la doccia” mugugnò una guardia in divisa, osservandolo con il solito cipiglio schifato. Zayn abbassò il suo sguardo scuro, osservando la lacera canotta bianca che gli fasciava il petto magro oramai da tre giorni. Si alzò barcollando, tendendo i polsi. Il poliziotto gli mise le manette e con una spinta lo fece uscire dalla cella. Si incamminarono per il logoro corridoio dove si affacciavano diverse porte, alcune aperte e occupate da loschi individui che lo squadrarono da capo a piedi. Zayn abbassò lo sguardo, continuando a stare in silenzio. La guardia aprì un cancello con le sbarre, consegnandolo ad un altro poliziotto che senza degnarsi di dire nulla, lo condusse in un bagno che puzzava di alcool.
“Hai dieci minuti. Gli indumenti puliti li trovi sulla sedia. Non fare scherzi, Malik. È tutto inutile”, gli liberò le mani e lo lasciò lì, a guardarsi intorno, massaggiandosi i polsi feriti. Quando finalmente fu solo, Zayn si lasciò scivolare a terra, mentre calde lacrime fuoriuscivano dai suoi occhi rossi e pesti. Si portò le ginocchia al petto, nascondendoci il viso distrutto, ascoltando i suoi sussulti attutiti dal tessuto dei pantaloni. Rimase in quella posizione per un po’ di secondi, liberandosi di tutto quell’opprimente dolore che a volte non gli permetteva di respirare. Si alzò tremante dal pavimento gelido e dopo essersi passato nuovamente una mano fra i capelli nerissimi, in un gesto abitudinario e dettato dalla stanchezza, iniziò a spogliarsi lentamente, come se ogni gesto gli costasse eccessivo sforzo per il suo corpo in perenne tensione. Ammucchiò  i vestititi logori e sudati in un angolo, studiando il suo riflesso sfocato su una porta a vetri dall’altra parte delle sbarre. Il suo viso dalla pelle olivastra era smunto e pallido e sotto gli occhi aveva due grandi solchi violacei; sulla guancia destra aveva un graffio profondo e che sanguinava ancora. I suoi occhi erano neri, come mai lo erano stati prima, privi di quelle sfumature dorate ereditate dagli occhi della madre, capaci di fargliela sentire più vicina. Preso da un’angoscia straziante diede un pugno al muro freddo accanto a lui, mentre altre lacrime disegnarono scie salate sulla sua pelle e nella stanza si espandeva il rumore di ossa incrinate.  
“Non è possibile, questo è solo un incubo” sussurrò nel silenzio, non riconoscendo il mugolio roco uscito dalla sua gola graffiata. Si appoggiò al muro con il polso ferito stretto al petto, completamente nudo, sentendosi vulnerabile come mai gli era piaciuto essere. Si asciugò le lacrime, appellandosi a quel poco orgoglio mantenuto ed entrò nel vano della doccia, che puzzava di sudore e di marcio. Senza più un lamento si infilò sotto il getto gelido, con gli occhi chiusi e i muscoli in perenne tensione e che deformavano quasi il suo corpo che già iniziava a deperire. Gli sembrò che qualcuno lo toccasse, o meglio lo accarezzasse e Zayn aprì gli occhi di scatto.  Si guardò intorno, perplesso, ma non c’era nessuno. Si sciacquò il viso velocemente, annebbiando la sua mente con tutto quel freddo. Quando si coprì con l’asciugamano, brividi solcarono il suo corpo magro e teso. Si sistemò alla meglio i suoi capelli corvini, indossando la tenuta da carcerato poiché quello lui era: solamente un prigioniero. Con un ultimo sospiro Zayn batté le mani sulle sbarre, attendendo che qualcuno arrivasse. Pochi secondi dopo, la stessa guardia di prima lo ricondusse alla sua cella. E quando fu di nuovo solo Zayn nascose il proprio viso fra le mani, disperato.

         
                      Hollie Butler                                                                    Zayn Malik 

 




 Angolo autrice:

sono tornata con un nuovo capitolo dove succede poco o niente, ma comunque necessario per introdurre un personaggio nuovo: Hollie, la fidanzata di Harry. Abbiamo un piccolo sprazzo del loro rapporto, molto dolce e naturale. Harry tiene molto a lei, non dimenticatelo MAI. Secondo punto importante, il primo POV di Zayn. E' ufficialmente un carcerato e la sua reazione differisce da quell'apatia mostrata nel prologo. Pensa di trovarsi in un incubo, ma cosa gli sarà davvero successo? Tempo al tempo. Comunque, vi ringrazio per il sostegno e per le recensioni. Davvero, grazie infinite. Un bacio e alla prossima, 

Sonia. 

 

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Capitolo 4
*** (4)- Strani incontri ***


MURDERESS.

(4)- Strani incontri 

Adesso che vedo il tuo cuore preso,

niente potrebbe andare peggio. 

 

Niall conosceva Emma oramai da dieci anni. Si erano parlati per la prima volta in un frangente che lei amava rinfacciare sempre al suo miglior amico. Infatti, all’età di otto anni, Niall si era trasferito a Bradford con l’intera famiglia Horan dall’Irlanda. Appena giunti Maura, la dolcissima mamma del ragazzo, aveva mandato il figlio più piccolo a giocare al parco, per non averlo in mezzo durante il trasloco. E così Emma lo aveva incontrato: era seduto accanto a un albero, con le guance infuocate e stringeva fra le piccole e paffute manine un robot rosso, guardandosi l’orribile maglioncino verde che indossava. Aveva gli occhi lucidi ed Emma, allora una bambina dai lunghi capelli castani, occhi vispi e un carisma già invidiabile lo aveva trovato subito molto dolce. Gli si era avvicinata e gli si era seduta accanto, in silenzio, guardandolo con i suoi occhi grandi e Niall aveva stretto al petto le gambe, continuando a mordersi quasi a sangue le sue labbra carnose. Allora Emma gli aveva chiesto quale fosse il suo problema e il bambino, infuocandosi ancora di più sul viso, le aveva risposto che doveva assolutamente andare in bagno ma la mamma lo aveva costretto ad uscire ed inoltre non era poi tanto sicuro di ritrovare la strada giusta. La bambina era scoppiata a ridere, di una risata quasi adulta e senza nemmeno pensarci gli aveva teso la mano, che Niall aveva stretto tremando e lo aveva accompagnato a casa sua.
Da quel momento i due erano diventati compagni di giochi e di schiamazzi, amici e poi confidenti intimi. Avevano passato intere giornate nel giocare ai pirati, dove Emma costringeva l’amichetto a scorrazzarla per tutto il giardino su una carriola di legno. Quando erano cresciuti Niall aveva cercato di insegnarle a suonare la chitarra, passione nata con lui in Irlanda e avevano passato pomeriggi interi a casa del ragazzo, seduti nel salotto o sul pavimento della sua stanza ordinata, a comporre musica che poi, Niall cantava; ed Emma si stupiva sempre di quanto bella fosse la voce del suo migliore amico. Crebbero fra le risate squillanti di Niall e i molteplici guai combinati da Emma, fra gli ammonimenti che lui concedeva all’amica e le imprecazioni di lei perché, di base, Emma non riusciva a capire come Niall riuscisse sempre a essere così dolce e perfetto, giusto: sempre sorridente, gentile con tutti, buono e responsabile. E lei, volenterosa di vivere ogni esperienza al massimo, di non negarsi nulla, di non porsi limiti, riconosceva comunque il momento in cui era troppo anche per Emma e allora si gettava fra le braccia rassicuranti di Niall, morbide anche se spigolose, forti anche se magre. A sedici anni, davanti a un film dell’orrore, Emma aveva baciato Niall senza neanche rendersene conto. Aveva intrecciato le mani fra i suoi capelli biondi, stringendoli al suo corpo, tentando di fissarne la morbidezza sulle sue dita ferite dalla sua assenza. Aveva gustato con piacere quelle labbra così perfette, gonfie, ma anche spaccate a causa dei morsi. E il suo cuore aveva galoppato libero come mai prima, né dopo fece più. Solo dopo alcuni giorni Niall ebbe il coraggio di dirle di non amarla, che per lui era più vitale di qualsiasi amica, necessaria come l’aria ma che no, era sicuro che non fosse amore. Ed Emma nel suo intimo aveva sofferto ma, con un sorriso e una pacca sulla spalla, gli aveva offerto un gelato con il giuramento che nemmeno i suoi sentimenti si avvicinassero nemmeno lontanamente all’amore. Aveva mentito per tanti anni e tuttora continuava a farlo, sotto gli occhi indagatori di Niall che forse semplicemente non volevano vedere e che di giorno in giorno diventavano sempre più belli, come giorno dopo giorno Niall continuava ad occupare il suo cuore; perché, in fondo, tutti la desideravano mentre lei correva ancora dietro allo spettro di un amore mai nato, ma radicato in lei più a fondo di qualsiasi radice secolare. 

Niall smise di suonare la chitarra, poggiandola delicatamente a terra. Osservò Emma addormentata sul suo letto e sorrise bonariamente: quando dormiva la ragazza non appariva più tanto sfrontata e indistruttibile; piuttosto possedeva un piccolo barlume di debolezza, innocenza, quasi vulnerabilità che ogni volta lo spingeva a trascriverla fra le parole delle sue canzoni, per non dimenticarla tanto presto: i suoi capelli rossi, quasi violacei, sparsi sul cuscino bianco, il viso pallido ma rilassato, la piccola mano abbandonata accanto a esso e il petto magro che si alzava e abbassava lentamente, al ritmo del suo respiro tranquillo. Niall si alzò dal pavimento senza far rumore e si sedette accanto a lei al bordo del letto, iniziando ad accarezzarle i capelli; era un gesto che poteva concedersi solo quando Emma riposava perché altrimenti non gliel’avrebbe mai permesso, di toccarla con quell’attenzione senza che fosse stata lei a chiederglielo. In fondo il loro era un rapporto così, senza un libretto delle istruzioni o una guida per i modi d’uso: entrambi prendevano senza chiedere, spesso anche senza volerlo, ma sempre limitandosi a controllare l’altro, attenti a non pretendere troppo, né a finire eccessivamente distanti. Niall guardò l’orologio sopra la mensola e con un sospiro si alzò dal letto, sfiorando delicatamente la pelle del gomito dell’amica. Aprì l’armadio e si cambiò velocemente dietro l’anta spalancata, indossando un paio di jeans scuri e una maglietta nera che coprì con una felpa grigia. Si sistemò i capelli mezzi acciaccati sulla fronte e dopo un paio di tentativi andati a vuoto iniziò a incasinarli ancora di più, abbandonandoli al loro consueto destino sbarazzino. Dunque si avvicinò di nuovo a Emma e, respirandole sulla pelle esposta, iniziò a scuoterla delicatamente da una spalla, spostandole i capelli che le erano scivolati sulla fronte.
“Emma, dobbiamo andare da tuo padre” lei aprì subito gli occhi, sbattendo ripetutamente le palpebre. Sbadigliò rumorosamente, stiracchiandosi e tirandosi su dal materasso del letto. Si guardò intorno, ancora mezza addormentata, stropicciandosi gli occhi e sbavandosi tutto il trucco. Niall rise appena quando Emma lo guardò con i suoi occhi stile panda e si strinse nella spalle, intenerito.  
“Cosa hai da ridere tanto, finto biondo?” Lo attaccò all’istante, dirigendosi verso il bagno della camera di Niall. La risposta la trovò da sola, quando si guardò allo specchio.
“Cazzo” commentò, infatti.  
“Biasimi ancora la mia innocente risata?”
“Vaffanculo” rispose solamente, donandogli comunque un mezzo sorriso. Detto questo si chiuse in bagno e ne uscì solo dieci minuti dopo perfetta e bellissima, come sempre. Fece un giro completo su sé stessa, per farsi ammirare e mostrare la sua ennesima vittoria. 
“Magia” bisbigliò con gli occhi sgranati, sorridendo strafottente a Niall.
“Touché” rispose infatti lui, scuotendo la testa e afferrando le chiavi della macchina. Emma gli fece una linguaccia, recuperando la sua borsa di scuola con una mano e con l’altra afferrando una felpa di Niall abbandonata sullo schienale della sedia. 
“Dai, siamo in ritardo” lei alzò gli occhi al cielo, seguendolo senza ribattere. 

 


Dean lo osservava, impassibile: i capelli neri afflosciati sul viso, la pelle olivastra appena illuminata dal tramonto, le braccia magre scoperte e un’accenno di barba sul viso. Zayn Malik lo guardava con i suoi occhi neri, le labbra serrate. Aveva le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e non si riusciva a capire cosa provasse, né cosa pensasse. Il maresciallo Brown, in piedi in un angolo dell’ufficio, faceva scivolare lo sguardo dal ragazzo al commissario; Dean strinse la mano destra a pugno, sospirando un’altra volta, perché un’altra volta Zayn Malik era rimasto in silenzio tutto il tempo. Nessun segno di cedimento, nessun passo falso, non un sussurro. Non sembrava nemmeno umano lì, immobile e muto, a fissarlo. Dean, anche non volendolo ammettere a nessuno, si sentiva nervoso: il caso di Zayn Malik, la colpa di cui era incriminato e il suo comportamento riuscivano a farlo sentire come un’agente alle prime armi, cancellando i venti anni di carriera ed esperienza. 
“Il processo è stato avviato, Malik e il tuo silenzio ostentato è inutile. Non importa che abbia accettato di essere assistito da un avvocato, sei stato trovato accanto al corpo della vittima con la presunta arma del delitto in mano e stiamo solo aspettando la verifica delle impronte digitali. Puoi migliorare la sua posizione, confessando” la voce profonda del maresciallo sembrò attirare l’attenzione del ragazzo che distolse lo sguardo da quello di Dean, per posarlo su quello dell’altro uomo: lo fissò intensamente, come se volesse ucciderlo con gli occhi. Poi semplicemente tornò a osservare il commissario che a sua volta lo studiava in silenzio; presto il caso di Zayn Malik non sarebbe stato più sotto il suo giudizio ma sarebbe passato al tribunale di Bradford; lui, sarebbe stato solo il mezzo attraverso il quale il criminale era stato consegnato alla giustizia. Avrebbe lasciato il difficile compito di giudicarlo a qualcun altro e andava bene così: tutto, gli ricordava troppo il passato. Eppure, voleva che confessasse: voleva guardarlo negli occhi mentre quel ragazzo affermasse di aver compiuto un crimine tanto atroce e soprattutto voleva sapere perché lo avesse fatto. Dunque Dean si alzò, mettendo una mano sulla spalla del collega che si era avvicinato a Zayn, intimandogli il silenzio.
“Te lo chiedo un’ultima volta Malik: perché hai ucciso la tua fidanzata?” Il maresciallo Adrian fissò lo sguardo in quello del ragazzo che, a quelle parole, sembrò quasi accasciarsi su sé stesso. Ma proprio in quel momento la porta dell’ufficio si aprì e tutti e tre alzarono i loro sguardi. Una ragazza stava in piedi sulla soglia della stanza, gli occhi sgranati, le labbra fra i denti.
“Ops” 
“Emma?”Dean alzò gli occhi al cielo, serrando la mascella; la figlia, in risposta, arrossì appena e si sistemò una ciocca di capelli dietro le orecchie. 
“Scusate” borbottò semplicemente. Ma proprio mentre stava per girarsi, incontrò lo sguardo del ragazzo seduto dietro il padre: la fissava con gli occhi scuri spalancati, pieni, ma anche vuoti. Strinse le mani sui braccioli della sedia, mentre un debole tremolio si impadroniva di quel corpo tanto magro, piccolo. Emma sentì una strana sensazione ma veloce come era entrata, uscì, facendo piombare il silenzio nella stanza. Dean scosse la testa, indirizzando lo sguardo verso Zayn, intento ad osservare la porta con insistenza; sembrava sconvolto, come se qualcosa avesse toccato un tasto nascosto in lui e, d’un tratto, non riuscisse più a contenere le sensazioni che dilagavano fuori e si disegnavano sul suo viso contratto. Ma non fece in tempo a captare nulla perché quando il ragazzo contraccambiò il suo sguardo, il niente era tornato nuovamente. Allora Dean sospirò pesantemente, facendo un segno ad Adrian. 
“Riportalo in cella” il collega annuì, prendendo il ragazzo per un braccio e strattonandolo verso la porta. Fu allora che una voce roca e profonda, mai sentita prima, si sparse per la stanza.
“L’unica cosa che conta è che sono stato io ad ucciderla” e il commissario si immobilizzò, il respiro troppo pesante. Zayn Malik aveva posto resistenza e si era fermato al centro dell’ufficio, guardando dritto davanti a sé, forse con la mente troppo lontana. Adrian cercò immediatamente lo sguardo del commissario che sorrise mesto, intrecciando le mani dietro la schiena. 
“Ti sei rovinato la vita da solo, Malik. Senza che nessuno te l’abbia imposto” 
“Lei non sa nulla, commissario” e i suoi occhi impassibili lo cercarono ancora una volta, prima che Adrian lo portasse fuori. Rimasto solo Dean si mise seduto dietro la scrivania, sfregandosi il viso stanco e provato. Svuotato da quella conversazione durata semplicemente pochi secondi.
 

    

 

 
 


 

Angolo autrice:

capitolo importante, anche se a un primo impatto non sembra: nella prima parte abbiamo maggiori informazioni su quello che è il rapporto fra Emma e Niall. Dal capitolo scorso poteva sembrare che fosse Niall l'innamorato non corrisposto ma, in realtà, è proprio Emma. Emma che per tutti questi anni non ha fatto che mentire, sostenendo di non essere innamorata di Niall. E Niall, che come il migliore amico del mondo, la protegge contro tutto e tutti quando lei si stanca di essere così forte. Questi due io li amo insieme *-* E poi... La seconda parte. Finalmente Zayn confessa di essere stato lui a compiere il crimine, che si scopre essere l'uccisione della sua fidanzata. Senza contare che quell'impicciona di Emma, non curandosi della porta chiusa dell'ufficio del padre, entra proprio quando Zayn si trova là e i due si incontrano: si guardano per pochi secondi e basta. Dean, inoltre, fa cenno a un particolare importante: il passato. C'è qualcosa nel caso di Zayn che gli ricorda il passato. Cosa sarà? 

Detto ciò, vi lascio ahaha e spero nei vostri commenti. Un bacio e grazie per il sostegno, meraviglioso come sempre. 

Sonia.

 

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Capitolo 5
*** (5)- Passato e presente ***


 

MURDERESS. 

(5)- Passato e presente 


Se solo potessimo avere questa vita per un altro giorno,

se solo potessimo tornare indietro nel tempo.

 

Una sferzata in pieno petto, un silenzio che urla, un buio che ferisce gli occhi, delle mani che stringono per abbandonare, degli occhi che guardano, chiedono, pregano. 
Il vuoto. 

“Sei la solita rompipalle inopportuna” commentò solo Niall quando Emma si lasciò cadere sulla sedia accanto, rossa in viso. Lei alzò le spalle, sorridendo in modo sghembo mentre la porta da cui era appena uscita si spalancava. Adrian teneva saldamente per una spalla quel ragazzo che Emma aveva visto nell’ufficio del padre. Le mani cominciarono a tremare e le nascose dentro le tasche dei jeans scuri. Alzò i suoi occhi castani su quelli di lui e la gola le si seccò quando notò che la stava guardando. Si morse a sangue il labbro inferiore, non riuscendo a vedere né sentire nessuno che non fosse lui, i suoi respiri spezzati, i passi strascicati, la lingua sulle labbra, la pelle scura. Quegli occhi neri come la notte, nascosti dalle ciglia folte e che disegnavano una tenue ombra sulla sua pelle olivastra quando sbatteva le palpebre. Le iridi del ragazzo erano piene di ombre e prima che fosse spinto via, interrompendo il loro contatto, Emma poté giurare di aver visto delle sfumature dorate nei suoi occhi. Rimase a guardare per un’altra manciata di secondi l’angolo in cui era sparito, quasi senza respiro. 
“Em, tutto bene?” La ragazza scosse leggermente la testa, annuendo e rassicurando l’amico che la stava osservando con la fronte aggrottata. 
“Immaginavo che ci fossi tu, Niall, dietro la puntualità di mia figlia” la voce familiare del padre fece alzare gli occhi a Emma, in un gesto che aveva ereditato proprio da lui. Niall rise, stringendo la mano di Dean.
“Buonasera signor Harrison” 
Dean si sistemò il colletto della camicia blu, sbuffando sonoramente nel guardare l’orologio. 
“Se non ci sbrighiamo ci occuperanno il tavolo al The Deli. Niall, ovviamente ho prenotato anche per te” il giovane arrossì, sebbene oramai fosse di routine una cena fuori tutti assieme. Accettò volentieri, grattandosi la nuca in modo nervoso. Emma non poté fare a meno di sorridere al gesto del suo migliore amico, scompigliandogli i capelli biondi. 
“Ti veniamo dietro con la macchina” diede un bacio sulla guancia del padre e i tre si avviarono all’uscita del commissariato. 

La serata passò in fretta, come sempre. Ma Niall non aveva potuto fare a meno di notare lo strano comportamento dell’amica. Emma, infatti, era stata tutto il tempo in silenzio. Non aveva mangiato praticamente nulla, e continuava ad osservare un punto indistinto fuori dalla vetrata. Con Dean avevano parlato di calcio, cinema, del lavoro di lui, della scuola e persino di animali. Non era difficile intrattenere una conversazione con l’uomo, dal momento che fra loro era subentrata una scontata confidenza dovuta al fatto che Dean avesse visto crescere in casa sua il ragazzo. Ma ciò non toglieva che Niall era preoccupato ed era difficile parlare e pensare allo stesso momento. 
“Ho saputo che sei stato a New York. Com’è la città?” Dean bevve un sorso di vino rosso, schioccando le labbra e fissando gli occhi su di lui.  
“Oh, fantastica. Movimentata, piena di luci da far venire quasi il mal di stomaco” e mentre si lanciava in una descrizione dettagliata della Statua della Libertà Niall lanciò un’occhiata a Emma che stava sospirando, ancora assorta nei suoi pensieri. 
Emma Harrison e il suo fottuto mondo personale, si ritrovò a pensare il ragazzo. Niall prese un sorso d’acqua, poggiando poi il bicchiere davanti a sé. 
“Papà, chi era quel giovane?” Niall girò la testa in direzione di Emma, che fissava il padre con occhi innocenti, quasi privi di un reale interesse, come se avesse appena posto una domanda sul tempo. Dean si irrigidì, strozzandosi con il boccone di carne che stava masticando e tossicchiando prese anche lui a bere. Quando si fu ripreso poggiò la schiena sulla sedia, quasi volendo allontanarsi fisicamente da Emma e da quella banalissima domanda.
“Nessuno di importante, ennesimo delinquente” congedò velocemente Dean, non senza un accenno di nervosismo nella voce che non sfuggì a nessuno dei due ragazzi. Infatti Emma si mosse sulla sedia, innervosita dall bugia del padre, oramai non più intenta a nascondere il tanto interesse che sembrava aver suscitato in lei quel tipo. 
“Okay, ma chi è? Qual è il suo nome?”  Chiese infatti, intrecciando le mani sul tavolo e accavallando le gambe, sfiorando quelle di Niall. Entrambi fissavano il papà di Emma con interesse, pendendo dalla sue labbra: sin da bambini, quando Niall rimaneva a dormire da loro e Dean li coricava nel letto sotto il piumone caldo, era solito raccontare loro delle storie particolari, che nient’altro erano che i casi che Dean risolveva all’ordine del giorno. Comunicava le sue raccomandazioni e i suoi consigli così, seduto al bordo del letto con gli occhi dei bambini puntati su di lui. E, per un attimo, si sentì strattonato in quelle lontane serate tranquille. Sospirò e si passò una mano fra i capelli, mettendosi più comodo.  
“Si chiama Zayn Malik e risulta essersi trasferito da circa un anno qui a Bradford. Vive con la sorella, Clare Malik, in periferia ad Uppermill” quando fu chiaro che Dean non avrebbe continuato, Niall si scambiò un’occhiata con Emma. 
“E di cosa è accusato?” chiese infatti Niall. Dean chiuse un momento gli occhi, massaggiandoli con la mano. 
“Avrete sicuramente sentito in televisione della morte di quella ragazza, Emily Smith” 
“Dio, ecco perché il suo nome mi era familiare!” Esclamò Niall, battendo una mano sul tavolo. Emma fece scorrere gli occhi da Niall a Dean, non capendo nulla di quegli sguardi che sembravano comunicare in silenzio. 
“Okay, io non ho sentito niente riguardo questa Emily Smith. Puoi spiegarti meglio?” Disse irritata, una sensazione sgradevole nello stomaco. Dean, infine, la guardò e annuì. 
“E’ accusato dell’omicidio di Emily Smith. I due ragazzi erano fidanzati” Niall deglutì mentre Emma sbarrava gli occhi, stupita. 
“Ha… ha ucciso la sua ragazza?” Dean annuì di nuovo, incapace di guardarla negli occhi. 
“Scusatemi, vado un attimo in bagno” Niall la osservò allontanarsi velocemente, sparendo all’interno di una porticina in legno. Tornò ad osservare Dean, il quale ricambiò il suo sguardo scombussolato.  
“Questa è una cittadina così tranquilla, Niall. Possibile? Possibile che tutti noi dobbiamo rivivere il passato e ferirci ogni volta?” E il passato, pesava su entrambi. 

 



Zayn odiava quella tuta arancione. Era uguale a tutti gli altri, adesso: era un detenuto, un numero, uno fra tanti; non riusciva a sentirsi più nemmeno un uomo. Per questo voleva strapparsi via quella divisa, insieme alla pelle. Avrebbe voluto annullarsi, autodistruggersi senza provare alcun rimorso. O forse, qualche rimpianto l’avrebbe comunque avuto e proprio per questo si tratteneva, stringendo le mani a pugno, subendo l’incubo che era diventata la sua vita senza reagire, né opporsi  ai modi rudi con cui veniva quotidianamente trattato: stare ancora più al centro dell’attenzione, non gli sarebbe servito. Guardò impassibile l’atrio di fronte a lui: una trentina di altri detenuti erano assiepati nel piccolo ritaglio di cemento chiuso da un muro altissimo e c’era chi giocava a calcio, chi saltava a corda, chi parlava freneticamente e chi fumava, sdraiato sulle piccole gradinate a sinistra, appena sotto l’entrata del carcere. Zayn cominciò ad osservare il cielo, di un colorito grigiastro a cause delle nuvole dense e da cui filtravano alcuni raggi di sole; quando si sentì chiamare, sobbalzò. Era diventato sensibile a ogni tipo di rumore, persino alle voci umane, a causa delle perenne tensione che lo animava e che si manifestava nel dolore che provava ai muscoli ad ogni minimo movimento.
“Seguimi Malik”  il giovane si alzò dal terreno, passandosi una mano fra i capelli. Si grattò la guancia dove era cresciuta un folta barba nere, che lo infastidiva dal momento che non era abituato a portarla. Quando rientrò nell’edificio  il gelo caratteristico di quel luogo gli penetrò dentro, facendolo rabbrividire, oramai dimentico dei tiepidi raggi del sole sulla pelle. Come al solito stese le mani, permettendo alla guardia di serrargli i polsi con le manette.
“Dove stiamo andando?” Ma l’uomo semplicemente gli diede una spinta, invitandolo a camminare senza creargli tanti problemi. Zayn alzò gli occhi al soffitto buio, morsicandosi a sangue le labbra per non rispondere; camminarono per un altro paio di minuti, giungendo davanti a una porta verniciata di un verde bottiglia. Fu liberato davanti alla porta e introdotto in una piccola stanza, dal cui soffitto pendeva un’unica e inquietante lampadina che sfiorava il tavolino posto al di sotto, affiancato da tre sedie. Due di queste erano occupata da due uomini, uno visibilmente più giovane dell’altro. Zayn li raggiunse aggrottando la fronte e guardandosi intorno, spaesato. L’uomo più vecchio aveva i capelli bianchi, due baffi accuratamente tenuti e occhi di un azzurro tenue;  era di costituzione media ma sembrava più tozzo anche per la sua poca altezza, che Zayn notò subito quando si alzò dalla sedia e vide che a malapena gli arrivava all’altezza del mento. Quello più giovane invece non si alzò, limitandosi a scrutarlo con due occhi blu, grandi, intelligenti, velati dalle lenti degli occhiali spessi che indossava. I capelli scuri gli ricadevano sbarazzini sulla fronte dalla pelle pallida, marcando ancora di più i suoi lineamenti. Le labbra erano sottili, il fisico asciutto, per quello che poteva vedere. A occhio e croce era poco più grande di Zayn, se non suo coetaneo. L’uomo più vecchio tossicchiò attirando nuovamente l’attenzione su di sé, sfregando le mani fra loro. 
“Sicuramente ti starai chiedendo - se posso darti del tu, ovviamente- cosa stia succedendo - si bloccò e Zayn annuì, combattendo contro l’impulso di scoppiare a ridere per la voce acuta di quel tipo- il mio nome è John Tomlinson e questo è mio figlio Louis. Lo assisterò nella tua difesa” Zayn spalancò gli occhi, incontrando lo sguardo del ragazzo. Quello si alzò e gli si avvicinò, stringendogli la mano. Il blu dei suoi occhi riuscì a far muovere qualcosa, in Zayn, qualcosa che era rimasto nascosto fino a quel momento. 
“Se ho accettato questo caso è perché voglio scoprire la verità” e Zayn provò due emozioni diverse, nello stesso istante: paura, ma anche fiducia. Emozioni riconducibili proprio a quel Louis Tomlinson. 

 

 

Harry si lasciò cadere sulla sedia, facendo ciondolare la testa all’indietro. Sorrise a nessuno in particolare, osservando il soffitto del suo nuovo ufficio. Il maresciallo Adrian Brown gli aveva presentato tutti i componenti del piccolo commissariato di Bradford, che in parte conosceva grazie anche al padre; gli aveva mostrato tutti gli uffici del commissariato, la sala telecamere, l’archivio e l’accesso al carcere adiacente alla struttura. Gli aveva offerto un caffè, raccontandogli che raramente succedeva qualcosa di davvero grave e che nell’ultima settimana erano tutti a lavoro per l’omicidio di Emily Smith, un caso in realtà molto semplice perché il colpevole era stato trovato sulla scena del crimine. Harry aveva aggrottato le sopracciglia ma Adrian aveva preceduto una sua probabile domanda. 
“Questo è l’ufficio dove lavorerai- aveva detto, indicandogli una porta semi aperta- e naturalmente lavorerai insieme a un’altra persona”  Harry aveva annuito, interessato a sapere chi sarebbe stato il collega con cui avrebbe passato più tempo, ma il maresciallo aveva dovuto lasciarlo solo perché era stato chiamato con urgenza. 
Oramai solo sospirò, passandosi una mano fra i capelli e studiando l’accogliente ufficio. Non era grande ma arredato in modo che ogni angolo potesse essere sfruttato: due scrivanie si fronteggiavano, quella di Harry appoggiata al muro, l’altra davanti alla finestra; al lato destro della porta uno scaffale in ferro era pieno di libroni rilegati in cuoio e sotto vi era una stampante. Alle spalle dell’altra scrivania un altro scaffale; i muri bianchi erano tappezzati da certificati, mappe e anche qualche foto segnaletica. Si avvicinò infine alla finestra, spiando la strada sottostante soprappensiero; infatti si spaventò quando la porta della stanza si aprì. Sulla soglia apparve una persona che teneva due scatoloni in equilibrio l’uno sull’altro, non permettendogli di vedere nulla. Una voce femminile imprecò quando una delle scatole barcollò pericolosamente, rischiando di cadere a terra se Harry, fulmineo, non fosse intervenuto. Attraversò velocemente la stanza, spingendola la scatola al suo posto. Da dietro gli scatoloni fece capolino una testa riccioluta, uno sguardo incuriosito e due gote arrossate. Una ragazza altrettanto giovane come lui lo guardò per alcuni secondi, prima di abbassare gli occhi, in imbarazzo. Sistemò le scatole a terra ed Harry, d’altra parte, si sfregò le mani sui pantaloni. 
“Tu sei?” Gli chiese, con voce incuriosita.
“Harry Styles” le tese la mano e lei gliela strinse, aprendosi in un sorriso. 
“Charlotte” si presentò allora lei. Harry lasciò la sua mano, passandosela poi fra i ricci scuri scivolatigli sulla fronte. 
“Sei il mio nuovo collega, allora” ruppe il silenzio venutosi a creare mentre il ragazzo la osservò per bene: Charlotte aveva lunghi capelli, che le ricoprivano metà schiena, ricci e ribelli proprio come quelli di Harry. Aveva un viso delicato, occhi di un azzurro acceso e un sorriso bellissimo. Era piccola di corporatura, ma sembrava svettare su tutto. 
“Sì, a quanto pare sei tu quella che dovrà sopportarmi” scherzò Harry, cercando di mascherare il nervosismo che provava sotto quello sguardo. Gli occhi di Charlotte lo mettevano in soggezione, senza contare lo strano calore che pervase la pelle di Harry che fu costretto ad allontanarsi da lei. La ragazza scoppiò in una risata divertita, coprendosi la bocca con una mano. 
“Non è che ti presenti proprio molto bene” 
“Hey, sono stato solo sincero” i due si sorrisero, muniti di una simpatia reciproca. 
“Allora Styles, sei pronto a iniziare a lavorare?”  Gli diede una pacca sulla spalla, sorridendo di nuovo in quel modo che scombussolò nuovamente il giovane. Harry si schiarì la gola, decidendo di imitare i suoi movimenti quando Charlotte prese la sua pistola e la incastrò fra i pantaloni neri.  
“Cosa dobbiamo fare?”
Una settimana fa è stata uccisa una ragazza e io ho appena ricevuto il permesso per la perquisizione di casa Malik, l’assassino. Dobbiamo inoltre condurre la sorella qui al distretto” Harry annuì, sollevando il lato destro della bocca e formando un sorriso sghembo sul suo viso giovane. 
“Raccontami tutto quanto” era ora di iniziare.

 

  
                                    Louis Tomlinson                                                   Charlotte Mills

 




Angolo autrice:

ciao a tutti! Eccoci qua con un altro, intenso, capitolo. Come avrete notato, si giostra su tre punti di vista: il primo è quello di Emma che, dopo l'incontro lampo con Zayn, ha la possibilità di rivederlo dopo pochi minuti. Cosa ne pensate delle sensazioni che prova? E delle sfumature dorate che riesce a trovare negli occhi di Zayn? Ahahaha particolare importantissimo, se qualcuno ricorda che lo stesso Zayn si era accorto di quanto si fosse oscurato il suo sguardo. Poi, c'è la scena della cenetta a tre con Dean: Emma, Niall e il commissario. Non sono bellissimi?! Anche se la nostra Emma è un po' fra le nuvole e infatti, poco dopo costringe Dean a raccontarle la storia di Zayn. Emma, una volta saputa la sua colpa, scappa via, in bagno. Evidente il fatto che qualcosa non vada e lo stesso Dean lo sottoscrive. Quale sarà il tremendo ricordo che tormenta la famiglia Harrison? 
Secondo punto di vista, quello di Zayn che incontra l'avvocato che lo accompagnerà in questa avventura: Louis Tomlinson! Vorrei specificare che Zayn è sì colpevole sicuro della morte di Emily, se non unico accusato, ma ancora si aspettano le impronte digitali sull'arma e dunque, un processo è necessario. Lou nelle vesti di avvocato è bellissimo, io lo amo ( che strano, ahaha)
E infine, terzo punto di vista, il nostro dolce Harry che entra ufficialmente in servizio al commissariato e conosce il suo collega, ennesimo personaggio introdotto: Charlotte! Harry viene subito a conoscenza del caso Malik, essendo l'avvenimento che ha stravolto Bradford e chiede spiegazioni proprio a Charlotte. 
Spero che questa storia vi cominci a piacere, perché pian piano si sta attivando il motore d'azione e ben presto arriverà anche l'azione vera e propria. Nel frattempo, grazie a tutti coloro che lasciano un commento. Siete fantastici, davvero. Un bacione enorme, 

Sonia. 

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Capitolo 6
*** (6)- Ricordi che sanno di lacrime ***


 

MURDERESS.

 

(6)- Ricordi che sanno di lacrime 


Molto aldilà della distanza e degli spazi fra noi,

devi venire a mostrare che vai avanti.


Emma accostò alle labbra carnose la bottiglia di birra, trangugiandone il contenuto. Il liquido freddo le scese giù in gola, lasciandole in bocca un sapore metallico. Quando riaprì gli occhi si trovò davanti lo sguardo preoccupato di Niall. 
“Em, stai esagerando” lei sorrise serena, fingendo che la musica assordante avesse coperto l’urlo dell’amico. Sbatté sul bancone la bottiglia di vetro, così forte che si stupì nel non vederla andare in mille pezzi. Chiuse di nuovo gli occhi, lasciando che la sua mente annebbiata vagasse libera.
La musica, le urla liberatorie, il rumore dei corpi sfregati fra loro. 
L’estasi del ballo, il sudore, i capelli appiccicati al collo, il fumo e gli alcolici.
Niall.
Due mani fredde racchiusero il suo viso, stringendolo delicatamente mentre qualcuno ripeteva il suo nome. Ma lei non voleva rispondere, si sentiva così bene; quando aprì gli occhi il blu dello sguardo di Niall la colpì in pieno petto, al cuore. La cicatrice col suo nome sopra iniziò a sanguinare in lei, mentre quegli occhi continuavano a torturarla senza neanche saperlo.  
“Fanculo” farfugliò, spingendolo via. Barcollando si fece strada fra l’ammasso di corpi in pista, non dando peso agli insulti che le venivano urlati quando andava a sbattere contro qualcuno oppure quando pestava qualche piede. Si tolse i capelli appiccicati alla fronte per il sudore, cominciando a ridere senza nessun motivo. Giunta al centro della pista si lasciò ulteriormente andare con il suo corpo che si muoveva flessuoso, a ritmo della musica. Compressa fra gli altri corpi che come lei cercavano la libertà, alzò la testa in cerca di aria, schiacciata fra petti estranei che le marchiavano la pelle; sorrise quando una mano si chiuse possessiva sul suo fianco, alzandole la maglietta per cercare un contatto ancora più diretto. Emma alzò lo sguardo, incontrando due occhi verdi e offuscati come i suoi. Lei si leccò le labbra secche, cominciando a strusciarsi contro quello sconosciuto a ritmo di musica. Ben presto il respiro si fece più pesante, cadenzato e i movimenti più scoordinati mentre con il corpo si poggiava a quelle braccia che la stringevano forte. Emma unì la sua voce alle grida di libertà degli altri, muovendo il bacino in modo ancora più sensuale. Il ragazzo dagli occhi verdi se la spinse contro il petto, ballandole dietro con una mano sul ventre piatto. Emma poggiò la nuca alla spalla di lui, chiudendo gli occhi, alzando il braccio per incastrarlo sul collo del giovane. Rimasero avvinghiati in quel modo per un po’ finché il ragazzo non la strattonò, costringendola a girarsi verso di lui. Le sorrise, spostandole in modo rude i capelli dalla fronte; giocherellò con i boccoli rossi che le ricadevano sul seno, sfiorandolo con le dite lunghe. Lei lasciò ciondolare la testa all’indietro mentre chiudeva le palpebre per celare la sua debolezza. Il tocco del giovane sulla sua pelle era sempre più doloroso ed esigente ma la mente di Emma, oramai, non era più presente e non possedeva la forza di opporsi al turbine che la stava travolgendo dall’interno.  
Nessuno di importante, ennesimo delinquente. 
Occhi color pece che la studiavano, bui come la notte, profondi come nicchie nascoste sui pendii scoscesi delle montagne. 
Vive con la sorella, Clare Malik, in periferia.
“Vieni” le sussurrò una voce all’orecchio, mordendole il lobo. Si sentì trascinare via ma Emma continuava a tenere gli occhi serrati, lontani, persi fra quelle poche parole che l’avevano scalfita. 
E’ accusato dell’omicidio di Emily Smith. I due ragazzi erano fidanzati. 
Emma non capiva, no. Non capiva perché avesse provato qualcosa nell’osservare quel giovane e non capiva perché sapeva che anche lui avesse sentito la stessa cosa. 
Zayn Malik. 
Fu sbattuta contro un muro e con la schiena dolorante, tornò al presente. Spalancò gli occhi di scatto, ferendosi con la luce al neon sopra di lei. Boccheggiò senza fiato sotto le labbra del ragazzo dagli occhi verdi, che le stavano torturando il collo esposto. Le sue mani, fino a quel momento invisibile, le facevano male mentre la stringevano dai glutei, spingendola verso quel corpo sconosciuto e ansimante. 
“Dio, sei bellissima” sussurrò quello, facendo scivolare le mani sui pantaloni di Emma. Si fermò all’altezza del bottone, sganciandolo senza difficoltà. Emma morse le sue labbra, sentendo il gusto del sangue nitido nella sua bocca, tentando di divincolarsi da quella morsa infernale che le stava bruciando la pelle. Ma lo sconosciuto la imprigionò meglio fra il suo petto e il muro gelido dietro la sua schiena, infilando senza difficoltà una mano nei suoi pantaloni. Le lacrime di Emma scesero inesorabili sulle sue guance, fredde contro l’ardore disegnato chiaramente su di esse, mentre la paura la immobilizzava ancor più di quelle braccia. Paura di se stessa, del passato, di Zayn Malik.   
“Lasciami, ti prego” farfugliò fra le lacrime, ricevendo come risposta una risata di scherno. 
“Shh” ma d’un tratto la morsa del giovane scomparve ed Emma fu colpita dal freddo che proveniva dalla porta spalancata; scivolò contro il muro, rannicchiandosi sul pavimento gelido, coprendosi le orecchie e gli occhi, per non vedere né sentire cosa stesse succedendo intorno a lei. I singhiozzi non le permettevano quasi di respirare, mentre i polmoni bruciavano come il cuore e anche il sangue che scorreva nelle vene. Quando una mano, delicatamente, le sfiorò il braccio lei sussultò e si schiacciò di più contro la parete, difendendosi. Ma riconobbe subito il profumo di lui, il suo modo di respirarle fra i capelli, di farsi sentire anche senza toccarla. 
“Ci sono io, Emma” disse infatti Niall, piegandosi alla sua stessa altezza. Senza minimo sforzo la prese fra le braccia, ancora scossa dai singhiozzi. Lei si accucciò al suo petto, nascondendo il volto straziato contro la maglietta di Niall. Conscia della possibilità di rovinargliela con il suo trucco sbavato si scostò appena ma lui la costrinse di nuovo contro di sé, facendole scudo con le braccia.
“Non importa” disse semplicemente, mentre la musica e il rumoreggiare delle persone tornò udibile. Lei strinse forte le palpebre, colpita da un giramento di testa e un conato di vomito. Niall dovette accorgersene perché si accucciò su di lei, baciandole la fronte. 
“Guardami” disse solo e lei lo fece, fissando i suoi occhi ancora più blu a causa delle luci psichedeliche, i capelli più scuri sulla fronte, la vena sul collo, le labbra lineari. Inspirò il suo profumo, stringendo in un pugno la sua maglietta. Niall aprì la porta della discoteca con la schiena, fulminando con lo sguardo le guardie dell’entrata, allontanandosi velocemente sul marciapiede buio. Camminò ad andatura lenta per un po’, tentando di non scuoterla troppo. Le orecchie fischiavano per l’improvviso silenzio che li circondava, rotto solamente dai loro respiri sincronizzati e dalle suole delle scarpe contro l’asfalto. Il ragazzo entrò in un parco che Emma non riusciva a riconoscere e si avvicinò ad una panchina. L’adagiò dolcemente sul marmo freddo, sedendole accanto e invitandola a deporre la testa sulle sue gambe. Emma scivolò lentamente contro di lui, costringendo le sue gambe al petto, fissando gli occhi sulla mascella tesa di Niall. Lui le scostò i capelli umidi dalla fronte, iniziando a sfiorarle il volto pallido con i polpastrelli, in carezze disperate ma comunque esitanti, come se temesse un suo rifiuto. Non seppe per quanto tempo rimasero lì, con lui che non la toccava mai abbastanza, limitandosi a starle accanto in silenzio, non permettendole di capire i suoi pensieri. 
“Scusa” si sentì in dovere di dire quando le lacrime si erano oramai gelate sulle sue guance. Niall sospirò forte, continuando a evitare i suoi occhi.
“Non devi scusarti” Emma deglutì, chiudendo le palpebre per pochi secondi. Quando le riaprì, lui continuava a non guardarla, a privarle la possibilità di capirlo.  
“Sì, invece. Devi sempre venirmi a salvare e non mi stupirei se, un giorno o l’altro, tu ti stancassi di me” il solo pensiero di non averlo più accanto riusciva a dividerla a metà, procurandole una sofferenza difficile da sopportare. Si concentrò ancora sul profilo di Niall, tanto familiare quanto sempre con nuovi particolari, provando un leggero brivido nell’anima per quanto fosse bello. Si irrigidì, colta alla sprovvista, quando lui le sfiorò il labbro inferiore con il pollice, delicatamente, prima quello superiore, poi quello inferiore e più gonfio. 
“Io non mi stancherò mai di te. Sarò sempre qui, a salvarti” e finalmente abbassò gli occhi su di lei. Emma rimase colpita dall’intensità di quello sguardo e lo sentiva su di sé, dentro di sé, mentre curava quelle ferite mai medicate, semplicemente abbandonate. I suoi occhi erano pieni di cose, incastrate fra quelle sfumature ora chiare, ora scure ed Emma si sentì travolta, spinta in un burrone alla cui fine non era posta la morte, ma nuova vita. Entrambi sapevano che quello era uno di quei momenti; momenti in cui era necessario che Emma si fermasse, fra le braccia di Niall. 
“Che cosa ti sta succedendo?” le sussurrò allora, chiedendo ma non pretendendo. Era lampante il fatto che ci fosse qualcosa che la stesse divorando dall’interno, qualcosa che le si era annidato addosso dopo che gli occhi di Zayn Malik l’avevano sfiorata. Emma riusciva a vedere le tracce che quello sguardo aveva lasciato sulla sua pelle, sotto la sua pelle. E l’azzurro degli occhi di Niall non riusciva a cancellare quel passaggio, sebbene fosse stato sempre la cura per ogni male che Emma covava, l’unica che riuscisse a concedersi. Aveva tentato di ritrovare in altri sguardi il qualcosa del blu di Niall, ma aveva fallito miseramente. Ma in quel momento, in quella circostanza, Emma si sentiva nuda e vulnerabile, irraggiungibile anche per Niall. Si alzò lentamente dalle gambe di Niall, mettendosi in posizione eretta. L’aria fresca le colpì il viso, fino a quel momento protetto dalle mani del ragazzo. Gli si accostò di più mentre Niall le faceva passare il braccio sulle spalle e l’accoglieva contro di sé. 
“Tu credi alla telepatia?”
“Non saprei- il vento freddo, la stretta di Niall- perché?” Emma sospirò, poggiando la nuca sulla sua spalla. 
“Perché ho tante, troppe cose nella mia mente, metà delle quali non so minimamente cosa siano. Come se non mi appartenessero” cercò di spiegarsi, inciampando sulle parole. 
“C’entra qualcosa quel ragazzo? Zayn Malik?” Niall, come sempre, aveva fatto centro. Emma annuì, non avendo il coraggio di guardarlo. 
“Quando ci siamo guardati io ho visto qualcosa” Niall iniziò a sfiorare le punte dei capelli di Emma, toccando con i polpastrelli la sua spalla. 
“Cosa?”
“Ho visto Liam- la voce si affievolì al pronunciare quel nome- ho visto lo stesso sguardo che aveva mio fratello quando fu accusato della morte di Nathalie” Emma si odiò quando nuove lacrime scivolarono dal suo controllo, infrangendosi contro la stoffa dei suoi pantaloni. Tirò su col naso, continuando a parlare, non riuscendo più a smettere. 
“Mi ha chiesto aiuto, Niall. Io ne sono sicura e … E, dio, non lo so. Perché proprio me? Perché non riesco a smettere di pensare a quegli occhi? Perché io l’ho visto disperato- la sua voce si interruppe a causa dei singhiozzi forti, che cercò di ammutolire mordendo la sua mano stretta a pugno. Niall accanto a lei si morse il labbro, piegandosi verso di lei, abbracciandola stretta per arginare tutta quella disperazione. Rimasero avvinghiati a lungo, anche quando Emma non aveva più lacrime da versare, solo singhiozzi a secco. Niall non aveva una risposta alle sue domande e questo, Emma lo sapeva bene. Eppure averne parlato l’aveva svuotata, solo un po’. 
“Cosa gli succederà?” Niall sospirò fra i suoi capelli, alzando gli occhi al cielo. Le stelle, quella sera, erano invisibili. 
“Non lo so, Emma. Non lo so proprio”    

 

 

Emma si asciugò una lacrima scappata dalla sua iride, tirando su con il naso. Il ragazzo accanto a lei, accorgendosene, si girò a guardarla. Due occhi castani, dalle stesse sfumature caramellate di quelle della ragazza, la osservarono: immobili, vuoti. 
“Perché?” Sussurrò lei, torturandosi le mani dopo aver distolto lo sguardo da quello di lui. Accanto a Emma il ragazzo tremò appena, prima di circondarle le spalle con un braccio. Affondò il viso nella sua scapola, annusando il suo profumo, sempre uguale, quasi a prendersi gioco di loro perché niente era uguale a prima. 
“Perché questo non è più il mio posto. Non dopo tutto quello che è successo” rispose lui, cercando di ricacciare il magone che sentiva salire nella sua gola. Deglutì con fatica, lasciando scorrere la mano lungo il gracile braccio di Emma e perdendo il proprio sguardo attraverso il paesaggio che sfilava, veloce, fuori dal finestrino del taxi. Lei si accoccolò al suo petto, stringendo fra le mani la maglietta verde che fasciava il torso scolpito del ragazzo. 
“Mi avevi promesso che non mi avresti mai abbandonata, Liam. Lo avevi promesso anche alla mamma” Emma si odiò per quelle parole, ma era l’unica arma che non avesse provato. Non poteva lasciarla sola, aveva bisogno di suo fratello. Liam chiuse gli occhi, allontanandosi da lei, schiacciandosi contro il vetro dell’auto, lontano. 
“Proprio non capisci, vero?” Liam sorrise, triste e rassegnato. Emma si sentì cattiva, vedendo la ferita che aveva procurato al fratello marchiare la sua pelle accanto a tutte le altre escoriazioni. Avrebbe voluto chiedergli scusa, abbracciarlo e dirgli che sì, lei capiva. Ma qualcosa le bloccava la voce, proprio a fior di labbra. Forse perché, in realtà, non capiva. Non aveva mai capito, perché era stato sempre tutto più grande di lei. Asciugandosi il viso con la manica della camicia, Emma si allontanò ulteriormente da Liam, sistemandosi sul sedile. Il conducente, d’altro canto, non si era perso nemmeno una parola di tutta quella discussione e faceva sfilare lo sguardo da lei al giovane, seduto rigidamente. 
“Perché non guarda la strada piuttosto che ficcanasare?” La voce tagliente di Liam ruppe il silenzio nell’abitacolo, facendo arrossire il povero tassista fino alla punta dei suoi capelli color carota. Emma osservò il fratello di sbieco, attenta a non farsi notare: il viso era pallido, fatta eccezione per i solchi violacei che aveva sotto gli occhi un tempo di un castano luminoso e vivace;  ora, invece, avevano perso quella luce, la vita. I capelli corti, di solito sistemati meticolosamente, erano lasciti al loro destino, ricadendogli in parte sulla fronte perennemente corrucciata. Le labbra, solitamente rosee e gonfie, erano secche e ferite. Sembrava più vecchio dei suoi diciotto anni. Senza ulteriore esitazione Emma si era lasciata scivolare contro il corpo del fratello maggiore, stringendolo con una morsa ferrea, quasi a volergli donare nuova vitalità, nuovo calore, nuova voglia di vivere. Cose che, dopo tutto quello che era successo, sembravano essere sparite in Liam. Lui affondò il viso nei capelli rossi della sorella, accarezzandola con dolcezza. Ma persino quel gesto, che a Emma era tanto familiare, risultava freddo e distaccato.
Quello, non era il suo Liam. 
Quando il tassista annunciò di essere arrivati i due fratelli, in silenzio, avevano aperto le portiere. Liam aveva recuperato il suo unico bagaglio - “Non ho bisogno di tutte le mie cose, se devo dimenticare”- e, dopo aver allungato il denaro, aveva preso per mano Emma e si era recato all’interno dell’aeroporto. Strinse forte la sua mano, intrecciando le dita a quelle di lui. Il vento sferzava sulle guance bagnate di Emma, gelando le sue lacrime. Quando furono dentro, il tepore della struttura era del tutto indifferente a entrambi, persi come erano ognuno nel proprio gelo; Liam cercò con lo sguardo il padre, che li attendeva già in aeroporto: non ce l’aveva fatta a vedere Liam uscire per sempre dalla loro casa e aveva preferito raggiungerli là, dove poteva rimanere con la speranza che un giorno potesse tornare. Sia lui che Liam sapevano che non sarebbe mai successo. Non appena mossero qualche passo, mischiandosi fra la folla, si accorsero che molti sguardi si fermavano sulla figura di Liam: c’era chi lo fissava e basta, chi lo guardava e dava una gomitata al vicino, chi semplicemente scuoteva la testa. Sembrava che i due ragazzi fossero illuminati da un fascio di luce che accurate tutti gli sguardi dei presenti, che irrimediabilmente curiosi seguivano la scia di tale illuminazione. Emma deglutì forte, abbassando lo sguardo, sentendo sotto la sua pelle l’irrigidimento del fratello. Timidamente alzò gli occhi su di lui, che guardava dritto davanti a sé, le labbra fra i denti, gli occhi lucidi. Senza alcun preavviso una lacrime scese lungo la sua guancia, senza che lui riuscisse a evitarla, Emma a fermarla. Liam la guardò e, improvvisamente, le si mise davanti; poggiò entrambe le mani sulle spalle di Emma, cominciando a scuoterla avanti e indietro, gli occhi serrati per celare la paura presente in quelli della sorella.
“Capisci perché devo andarmene? Questa città non dimenticherà mai e io non sopravviverò. Il passato tornerà sempre ad ogni sguardo che mi verrà lanciato; comincerò a trovare difficoltà nelle domande di ammissione ai college, poi al lavoro. Non sarò più me stesso, nessuno si interesserà a ciò che sarò. Mi vedranno sempre come il ragazzo accusato di omicidio ai danni della sua fidanzata e io finirò per crederci e morire davvero” urlò quasi, a denti stretti, disperato. Pietrificata dal terrore Emma rimase in silenzio, vedendo lentamente la ragione tornare in Liam. Lasciò scivolare le sue mani lungo le braccia della sorella,  fino ad intrecciare le dita a quelle di lei. Chinò la testa, respirandole contro, la fronte poggiata contro la sua, le spalle tremanti.  
“Ma sei stato scagionato, Liam. E’ stato tutto un grandissimo errore” provò a dire Emma, anche se la sua voce risultò più un pigolio. Liam sorrise, un sorriso triste e diverso da quello che era solito concederle, iniziando ad accarezzarle le braccia.
“Mi manca tantissimo, Emma” e allora Emma lo abbracciò forte, affondando il viso al suo petto, stringendo le braccia al suo collo, piangendo con lui e per lui: Liam aveva ragione, anche se era ingiusto. Non avrebbe avuto un futuro a Bradford dove ogni singola persona gli avrebbe ricordato di ciò che era accaduto, della scomparsa di Nathalie, del processo estenuante, della prigionia forzata, ingiusta, infondata. Con loro non avrebbe vissuto una vita degna di lui che sarebbe stato schiacciato dal peso del ricordo, delle immagini, dell’agonia dettata dall’impossibilità di darle giustizia, perché nessun colpevole era mai stato trovato. Era ingiusto che lui se ne dovesse andare, come ingiusto era anche chiedergli di rimanere. Una voce metallica annunciò il volo di Liam, che si separò dall’abbraccio della sorella, ma non allontanandosi del tutto. Le accarezzò una guancia, alzandole il viso dal mento. 
“Io non ti sto lasciando. Hai capito Emmie?” Chiuse gli occhi e le baciò la fronte; un bacio che sapeva di lacrime e forse della bugia che già sapeva di averle detto.
 

 

 
 



 

Angolo autrice:
ecco il nuovo capitolo! Allora, andiamo per gradi: prima di tutto è da notare come sia incentrato principalmente sul personaggio di Emma; la ragazza è scombussolata dalla storia di Zayn, dalle sensazioni che il suo sguardo ho provocato in lei e si scopre il motivo, nonché il passato misterioso della sua famiglia: anni prima suo fratello Liam fu accusato come Zayn di aver ucciso la propria fidanzata. La seconda parte, quella in corsivo, si tratta di un flashback risalente all'ultima volta che Emma vide Liam. Che fine avrà fatto? E poi, Niall che la salva? Dio, lo amo moltissimo! Cosa ne pensate voi? Un bacio e grazie ancora per le recensioni,
 
Sonia. 

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Capitolo 7
*** (7)- Un mondo nei suoi occhi ***


 

 

MURDERESS.

 

(7)- Un mondo nei suoi occhi 


Hai delle isole negli occhi e il dolore più profondo

riposa almeno un’ora solo se ti incontro. 

 

Emma si passò una mano sugli occhi stanchi, non dando peso al bruciore che le procurava il trucco sbavato; girò la pagina del libro di chimica davanti a lei, attorcigliandosi i capelli al dito con aria distratta. Nella sua mente le formule chimiche si alternavano agli occhi di Liam - come li ricordava quattro anni prima- e di Zayn, sguardo che la torturava anche durante la notte. Sospirò, lasciandosi scivolare sul tavolo, nascondendo il viso contro le braccia intrecciate sul libro ancora aperto. L’odore delle pagine stampate le colpì l’olfatto, facendole arricciare le labbra, infastidita. A lei, i libri non piacevano. Era Niall quello studioso, responsabile e da cui copiava tutti i compiti. Con un gesto di stizza alzò la testa e chiuse con un tonfo secco il libro, ignorando lo sguardo di protesta che le lanciò la bibliotecaria. Si sfilò gli occhiali neri dalla montatura spessa, riponendoli in borsa e fissando lo sguardo alla finestra sotto cui si era messa a studiare: gli alberi del giardino sottostanti erano piegati dalle folate di vento, mentre il sole giocava a nascondersi fra le nuvole grigie caratteristiche della fine di Marzo. Aprile era oramai alle porte ma il tempo sembrava essersi fermato in un eterno Febbraio. Emma guardò il cielo, le cui trame arabesche si riflettevano sotto forma di ombre sul piano del tavolo in legno. Erano passati quattro anni, oramai; quattro anni dalla morte di Nathalie e dall’accusa infondata ai danni di suo fratello, quattro anni dalla fine del processo che lo aveva visto vincitore e dalla sua fuga; quattro anni dall’ultima volta che lo aveva visto e che ci aveva parlato. Con mano tremante prese il suo cellulare dalla borsa, sbloccandolo. Fece scorrere i numeri sulla rubrica fino a trovare quello che cercava e senza esitazione premette il tasto verde, avviando la chiamata. Pochi secondi di silenzio totale, fra cui l’unico rumore era quello del cuore di Emma, e una voce metallica la informò che il numero non era più attivo. Come accadeva da quattro lunghissimi anni. Emma non riusciva a ricordare la voce di Liam o le sfumature dei suoi occhi, il calore della sua pelle. Quelli che possedeva erano ricordi logorati dal tempo, mangiati dall’angoscia di non sapere che fine avesse fatto, schiacciati da una vita che era andata inesorabilmente avanti anche senza lui. Presa da un impeto di rabbia cancellò il numero di Liam dalla rubrica, gesto che aveva sempre rimandato nel corso dei mesi, speranzosa -illusa- che Liam si ricordasse di lei e riattivasse quell’unico mezzo che poteva legarli. Non conosceva il luogo scelto dal fratello per ricominciare la sua vita daccapo e non sapeva nemmeno se era riuscito ad andarci, avanti. Sapeva solo che ci aveva provato e l’aveva lasciata indietro, sola, lontana da lui. Non le aveva permesso di crescere insieme, di proteggerlo per quel poco che i suoi tredici anni le avrebbero permesso, di piangere sulla sua spalla o di tirargli uno schiaffo se l’avesse presa in giro. Liam poteva anche essere morto, e lei non l’avrebbe mai saputo. O forse, qualcosa avrebbe sentito comunque e quell’immobilità che presiedeva in lei da quattro anni poteva solo indicarle che lui stava bene. Lontano, ma bene. Si strinse i capelli fra le dita facendoli ricadere, lisci, sul suo viso, celandola al mondo intero. Chiuse gli occhi mentre i ricordi affioravano nella sua mente, senza controllo: 

Liam si siede dall’altra parte del vetro, la testa chinata. Indossa una tuta arancione e sembra lo spettro di se stesso, magro, arido. Emma vorrebbe tanto abbracciarlo, tirarlo fuori e ricondurlo a casa. Ma le è semplicemente vietato. Dopo cinque minuti di silenzio, lui alza i suoi occhi e la guarda, sempre in silenzio, sempre immobile.
“Io sono innocente Emmie, credimi” e Emma gli crede. 

Emma boccheggiò, tornando alla realtà con un colpo al cuore che le mozzò il respiro. Il dolore racchiuso nell’anima di Emma scorreva senza controllo insieme al suo sangue, fra le sue vene e arterie, sotto la pelle gelida. Cercò di incamerare l’aria circostante, viziosa e pesante, mentre l’intensità di ciò che sentiva ancora per Liam la destabilizzava; quel lontano giorno di una vita che sembrava un’altra lui le aveva chiesto di credergli e lei lo aveva fatto. Aveva creduto agli occhi di Liam, così sinceri da far male, così puri e sperduti che anche una ragazzina di tredici anni- “quasi quattordici”, avrebbe puntualizzato lei- ne aveva subito il contraccolpo. E il fatto che la storia stava a ripetersi, che altri due occhi avevano chiesto il suo aiuto e che il destino sembrasse giocare con lei, la rendeva ancora più confusa e incapace di prendere una decisione. Si sentì per un momento trascinata indietro nel tempo, a quando quei tredici anni di ingenuità non le permettevano di capire il motivo per cui suo fratello non potesse tornare a casa, ma la portarono a credere ciecamente in lui. E allora Emma si sentì di nuovo ingenua mentre raccattava velocemente i suoi libri, la mente incasinata, immagini che si rincorrevano fra loro. Niente era chiaro in lei, come chiari non erano stati gli occhi di quel ragazzo: l’avevano scrutata succhiando vita da quelli di lei, appropriandosi della sua luce e mostrandole ciò che in realtà nascondeva fra le ombre del suo sguardo; una paura atrofizzante, una verità caduta troppo in profondità per essere vista ma che se ci si sporgeva si riusciva a scorgere, proprio là, al fondo di quei due pozzi oscuri che erano gli occhi di lui. Ed Emma, Emma si sentiva ancora impotente come tanti anni prima ma non era più una bambina e se il destino le aveva dato la possibilità di riscattarsi dalla colpa di non aver potuto fare nulla per Liam, lei di certo non l’avrebbe persa. Uscì dalla biblioteca velocemente, attirando di nuovo lo sguardo sdegnato della bibliotecaria. Ma Emma nemmeno lo notò, troppo concentrata su un altro sguardo, più bello, più lontano, che le aveva lanciato una richiesta d’aiuto.    


Giunse al commissariato che non erano nemmeno le dieci di mattina. Era consapevole che avrebbe dovuto trovarsi a scuola per il compito di chimica e già poteva immaginarsi la ramanzina che Niall le avrebbe rifilato. 
“E’ l’ultimo anno di liceo, Em. Ne vale del tuo futuro” scosse la testa, tentando di eliminare la voce dell’amico che incombeva nella sua mente e corse sulle scale dell’ingresso. Giunta davanti al grande portone in legno, slanciata nella sua folle corsa, non riuscì a fermarsi in tempo, andando a sbattere contro qualcuno; se questo repentinamente non l’avesse stretta dal polso, tirandosela contro, Emma avrebbe fatto un ruzzolone dolorante lungo le scale appena salite.
“Hey, fai attenzione!” Esclamò una voce maschile e roca direttamente nel suo orecchio, mentre per la forza della spinta la ragazza affondava il volto al suo petto. Riprendendo fiato e soprattutto equilibrio Emma si divincolò da quel tocco, poggiando le mani contro quel corpo sconosciuto. Alzando lo sguardo incrociò due occhi più verdi delle foglie in primavera, grandi e spalancati; un ricciolo scuro ricadeva docile sul naso di quel ragazzo che la teneva ancora stretta a sé ed Emma arrossì, allontanandosi da lui. 
“Scusami, io non ti avevo visto”
“L’ho notato” bofonchiò lui, sistemandosi il giacchetto di jeans sulla maglia bianca.  
“Styles, datti una mossa” Emma si girò verso quella voce familiare, sorridendo alla ragazza alle spalle del tale chiamato Styles
“Ciao Charlotte!” Esclamò, salutandola con la mano. 
“Emma, che ci fai qua?” Charlotte le sorrise, accostandosi al ragazzo ancora immobile fra loro. Emma alzò le spalle, scostandosi i capelli dalla fronte. 
“Lunga storia, mio padre è in ufficio?” Chiese di getto, l’impazienza a bruciarle la pelle. 
“Sì è dentro ma- bloccò Emma che già si era girata verso la porta- va tutto bene?” Emma incrociò gli occhi azzurri di Charlotte, chiedendosi se il suo tumulto interiore fosse visibile sul suo volto. Il ragazzo con cui si era scontrata, bello da far male, alzò gli occhi al cielo in segno di impazienza. Emma sorrise, annuendo con vigore. 
“Sì, solo problemi fra padre e figlia. Ci si vede Charlotte e tu, Styles o come ti chiami, scusami ancora” e scappò dentro, non prima di sentire la voce roca parlare a nessuno in particolare. 
“Cristo, è possibile che qui non mi chiami nessuno per nome?! Il mio nome è Harry, non è tanto difficile”

Quando si trovò a dover fronteggiare gli occhi indagatori del padre, Emma vacillò; come al solito, non aveva minimamente preso in considerazione la possibile reazione di Dean, né le conseguenze comportate dalla sua visita intraprendente. Poggiò la borsa ai suoi piedi, rimandando il momento in cui avrebbe dovuto lottare a viso aperto e iniziò a giocherellare con il polsino della camicetta che indossava. Deglutì, alzando gli occhi sul volto del padre e la mano in segno di saluto. 
“Hey papà” lo apostrofò con quella che sperava essere una voce tranquilla; ma si rese conto di aver fallito quando Dean assottigliò gli occhi così tanto da sembrare delle lamine di ghiaccio, complice anche l’azzurro delle sue iridi. Odiava il fatto di non aver ereditato quel colore tanto bello.  
“Che ci fai qua?” Chiese incerto Dean. Emma lo guardò e si sentì svuotata da ogni sicurezza: che ci faceva là? 
“Io…” provò a dire, bloccandosi però quasi subito. Strinse forte le mani a pugno, facendo diventare le nocche bianche e trovando particolarmente interessante la trama del pavimento. Lo sentì sospirare forte, segno che si stava innervosendo. Il silenzio fra loro aveva preso quasi consistenza, alimentato dall’attesa di Dean e dai meccanismi mentali della figlia. Emma non sapeva come dirgli ciò che avesse dentro, perché nemmeno lei era in grado di descriverlo. Era una sensazione, ma forse anche qualcosa in più: una sicurezza innata, radicata fra quei secondi che lei aveva condiviso con Zayn, un folle desiderio di aiutarlo, salvarlo, vederlo. Emma ancora non riusciva a comprendere perché si sentisse in quel modo quando pensava a lui, ai suoi occhi, alla sua pelle scura, alle ombre che avevano mostrato la sua luce. Voleva semplicemente vederlo ancora, capire, dare un senso a quelle percezioni sballate e vederlo ancora perché sotto i suoi occhi si sentiva in qualche modo più viva. Voleva riguardarlo negli occhi, cercare e trovare quelle sfumature dorate che lei sapeva esistere, dando pace alla sua anima, come un vecchio che, rassegnato, guarda per l’ultima volta il viso della sua amata prima di morire. Emma si sentiva attratta da Zayn in un modo che non poteva essere compreso, ma che lei invece voleva risolvere. Non era da lei girare le spalle a un mistero che le si scriveva addosso, soprattutto quando sentiva che non sarebbe stata più uguale a prima se non avesse tentato di aiutarlo. Così prese coraggio e decise che la verità, secca e diretta, sarebbe stata molto più efficace. Guardò di nuovo suo padre e lo fece, con voce più tremolante di quanto volesse. 
“Io voglio vedere Zayn Malik” era la prima volta che pronunciava il suo nome a voce alta e non appena lo lasciò scivolare fuori, si sentì più vuota dentro. Dovette lottare contro l’istinto di raggomitolarsi su se stessa, quasi a non voler perdere pezzi di sé; piuttosto fissò gli occhi sul viso del padre, che si colorò di emozioni differenti: perplessità, meraviglia, consapevolezza, ancora meraviglia, tristezza, dolore, rabbia. Emma conosceva bene suo padre e capì quanto la sua richiesta lo avesse sconvolto dalla vena sulla tempia che solitamente non si notava nemmeno; in quel momento pulsava, ben visibile, quasi a volerle mostrare il movimento affannoso dei pensieri del padre. 
“Cosa?” 
“Io devo vederlo, papà- lui iniziò a scuotere la testa, un sorriso amaro dipinto sul viso- e tu devi ascoltarmi, per favore” quando gli occhi di Dean le bruciarono ancora sulla pelle lei continuò a parlare, imperterrita, consapevole di risultare patetica. 
“Quando l’ho visto proprio qua, nel tuo ufficio, lui mi ha comunicato qualcosa. L’ho guardato e ho provato… Ho visto il mondo dentro quello sguardo e mi diceva che non voleva essere là e…”
“Stai zitta, Emma” sibilò lui, alzandosi dalla poltroncina in pelle nera. Emma ammutolì, facendo un passo indietro. Rimasero in silenzio per un tempo imprecisabile, a scrutarsi, finché Dean non superò la scrivania, fermandosi esattamente davanti a lei. Emma respirava velocemente, i capelli rossi sollevati a scatti dai suoi movimenti. 
“Facciamo una cosa: io faccio finta che questa visita non sia mai esistita. Tu torni a casa, dimentichi questa storia e tutto andrà per il meglio” Emma accusò il colpo, allontanandosi ancora di più dal corpo del padre. Scosse la testa lentamente, oramai chiaro lo sbaglio che aveva fatto. 
“No… no,no,no. Tu non capisci”
“No Emma, sei tu a non capire!- alzò la voce, facendo un passo in avanti - Non capisci che questo non è uno scherzo, non è una questione che tu puoi risolvere, anzi non deve minimamente riguardarti” 
“Ma papà…”
Oddio Emma, quell’individuo ha ucciso una ragazza poco più grande di te, sono stato io a vederlo con le sue luride mani ancora sul corpo di lei e tu ora sei qua a chiedermi di vederlo perché lui ti ha comunicato qualcosa come, telepaticamente? Ti rendi conto dell’ assurdità di tutto questo?” Ecco la parola per descrivere il tumulto che Emma portava dentro: assurdo. Era assurdo pensare che in pochi secondi Zayn l’avesse marchiata a fondo o che le avesse mostrato una verità diversa o ancora che le avesse chiesto aiuto, perché troppo disperato e impaurito. Era assurdo pensare che Zayn avesse scelto lei, che non riusciva più a respirare quando ci pensava, che forse provava qualcosa di forte e assurdo era pensare quanto lo avesse trovato bello. 
“Mi sono ricordata di Liam. Di quando andavo a trovarlo in prigione e mi diceva di essere innocente” silenzio, un respiro, un passo avanti, uno indietro. 
“E ora mi chiedo: lui, una persona a cui dire di essere innocente, ce l’ha?” 
“Non ha bisogno di una persona a cui dire di essere innocente, perché non lo è” disse in tono risoluto, facendole capire che la questione era chiusa. Emma abbassò la testa, strinse di nuovo le mani a pugno, lottò contro le lacrime e annuì. Dean sospirò, avvicinandosi lentamente verso di lei, allungando le mani verso le sue braccia. Le strinse delicatamente ma per Emma quella stretta era più una morsa mortale. La morsa del fallimento. 
“So che questa storia apre ferite vecchie e mai cicatrizzate ma, hey- le alzò il mento con due dita, i suoi calli a contatto con la pelle delicata di lei- il passato è il passato e tu non hai colpe da espiare. Va bene?” Emma lo guardò negli occhi e no, non gli credette. Ma capì anche che non l’avrebbe mai compresa, né si sarebbe sforzato nel farlo e allora annuì nuovamente, sciogliendosi fra le sue braccia, stringendosi a lui per permetterle di attaccare i margini di quelle sue ferite superficiali. 
“Non parliamone più. Vuoi?” 
“Sì papà, va bene”   

 



Louis si passò una mano fra i capelli, spostandosi le ciocche ribelli che gli solleticavano la fronte e che gli coprivano gli occhi. Strinse con la mano la sua valigetta nera, contenente tutta la documentazione necessaria e recuperò dalla tasca del suo giubbotto scamosciato il foglietto con l’indirizzo preciso. Quella stessa mattina aveva consultato il padre ed entrambi avevano convenuto di dover incontrare Clare Malik, la sorella di Zayn. Erano stati avvisati della perquisizione avvenuta in casa Malik e della convocazione della ragazza al commissariato. Zayn, inoltre, gli aveva detto che ancora non aveva potuto ricevere una sua visita: in realtà il ragazzo non aveva collaborato più di tanto, limitandosi al silenzio, finché non lo aveva guardato e non gli aveva detto “Mia sorella Clare, avvocato. Promettimi che non la lascerai sola.” 
Louis aveva parcheggiato la macchina all’inizio di High Street e cominciò a risalirla a passo di marcia, studiando i numeri civici. Quando giunse a un edificio spoglio e trasandato confrontò il numero che spiccava fra le erbacce rampicanti della facciata con quello che aveva scritto sul biglietto. Sicuro di trovarsi nel luogo giusto, salì i tre gradini scrostati e suonò il campanello. Attese per qualche minuto lì, curioso, rigirandosi la manica della giacca; sentì poi dei rumori provenienti dall’interno e il tempo di girarsi verso la porta che quella venne aperta, mostrando la figura di una ragazza che lo guardò, interessata. Aveva un viso bellissimo e delicato, dalla pelle ambrata proprio come quella della fratello; gli occhi erano grandi, più chiari rispetto a quelli di Zayn, ma con folte ciglia scure. Le labbra erano grandi e rosate, le guance leggermente arrossate e i capelli, neri come il carbone ardente, le scendevano morbidi fino alla vita, arricciandosi sulle punte. Louis sbatté le palpebre un paio di volte, inumidendosi le labbra screpolate e d’un tratto secche. 
“La signorina Malik?” A quelle parole la ragazza si irrigidì, annuendo. Louis le sorrise, tendendole la mano.
“Louis Tomlinson, l’avvocato di suo fratello” si presentò, cordialmente. La ragazza sembrò colpita da quelle parole e, colta da un capogiro, dovette sorreggersi allo stipite della porta per non cadere. Louis si sporse d’istinto verso di lei, sfiorandole la spalla magra con i polpastrelli e  stringendo poi le mani a pugno, tossicchiando in imbarazzo. 
“Zayn” sussurrò lei, gustando quasi la melodia di quel nome. Louis annuì, sorridendole dolcemente, tentando di tranquillizzarla con gli occhi; lei dovette giovarne perché si raddrizzò  subito, unendo le mani sul suo ventre. Solo in quel momento Louis notò con stupore un particolare che gli era sfuggito: il ventre della ragazza era leggermente gonfio in una gravidanza che si disegnava, chiara, sul fisico piccolo di Clare. Lei percepì lo sguardo del giovane sul suo corpo e arrossì, continuando a massaggiarsi il ventre.
“Siamo oramai entrati nel quinto mese. Zayn dice che sarà femmina e non ho la minima idea di che nome scegliere” la voce le si incrinò nel pronunciare il nome del fratello e Louis annuì, sorridendole nuovamente. Gli veniva semplice concederle sorrisi, quasi fossero gesti naturali e genuini.
“Venga,  entri pure. Le offro un caffè” 
“Volentieri, ma mi chiami pure Louis” lei annuì, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e lasciandogli lo spazio per entrare. Non appena Louis varcò la soglia, chiudendosi la porta alle spalle, un forte profumo di pulito inondò le sue narici in netto contrasto con lo sgradevole odore che c’era fuori. Clare fece qualche passo all’interno della casa, scalciando un paio di scarpe da ginnastica che erano abbandonate nell’angusto ingresso quando pensava che Louis non la vedesse.
“Non è il massimo ma è tutto quello che ci potevamo permettere e a modo nostro stavamo bene”  Louis si rianimò i capelli, togliendosi la giacca, lasciandola sull’appendiabiti; seguì la ragazza in cucina, dove lo invitò a sedersi al tavolo mentre lei andò ai fornelli. Un silenzio imbarazzante si creò fra loro, con Louis che non sapeva come affrontare il discorso e Clare intenta a non incantarsi nel blu degli occhi dell’altro. 
“Come sta Zayn?” Ebbe il coraggio di chiedere infine, poggiandosi al piano della cucina. Louis si prese qualche secondo per studiarla, così fragile eppure anche tanto forte. Stese la gamba sotto il tavolo recuperando dalla tasca dei suoi pantaloni beige un foglio di carta piegato. 
“Sta bene; qualche ora fa sono andato da lui e quando ha saputo che sarei venuto qui mi ha dato questa” Clare guardò la lettera che Louis le tendeva, avvicinandosi per prenderla, sfiorando con le sue dita fredde quelle di lui. La aprì con mano tremante, tirando ripetutamente su con il naso e quando cominciò a leggere subito gli occhi le si inumidirono, rendendo ancora più visibili le loro sfumature più chiare; il labbro inferiore iniziò a tremare, mentre con i denti iniziò a torturarsi l’unghia della mano libera. Arrivata alla fine alzò gli occhi da quelle righe vergate con velocità, le lacrime che scendevano copiose. Louis si sentì colpito in pieno petto tanto che si alzò, avvicinandosi a lei, tendendo una mano per toccarla e confortarla. Lei, contro ogni previsione, si accasciò fra le braccia di Louis che la strinse subito a sé, timoroso che potesse crollare. 
“Oh Louis, lui è innocente. Lui non ha ucciso Emily, lui l’amava” Louis non poté fare altro che accarezzarle i capelli, con movimenti dolci.
“Per questo sono qui, signorina Malik. Sono qui per riportare Zayn a casa da voi; ma ho bisogno della vostra collaborazione e di tutte le informazioni che possedete” Clare rimase ancora qualche secondo in silenzio, il tempo necessario affinché il respiro si regolarizzasse grazie anche alle carezze di quel giovane. Quando si sentì abbastanza bene si allontanò dal petto di Louis, senza però permettere che le sue braccia la lasciassero. Allora si massaggiò il ventre, abbassando le palpebre.
“Clare” sussurrò sui polsi scoperti di Louis, poggiati sui fianchi magri di lei. Quando riaprì gli occhi Louis fu investito da quella quantità di emozioni, rimanendo quasi senza respiro. 
“Come?”
“Clare. Chiamami Clare, per favore” Louis sorrise ancora, annuendo. Quando la lasciò andare sentì un po’ freddo ma dentro di sé era comunque sereno, felice, vivo. 

 

 

Niall osservò quel pezzo di carta stropicciato e sgualcito. Aveva sperato, nel prenderlo, che si fosse talmente consunto per il passare degli anni da non riuscire a leggerlo. Ma non era andata così: i numeri, infatti, erano ben visibili e spiccavano sul foglio ingiallito quasi a prendersi gioco di lui. Con un sospiro recuperò il suo i-phone, componendo velocemente il numero, prima che il coraggio gli venisse meno. 
“Qualsiasi problema Emma avrà, chiama” aveva detto. Pochi secondi ancora e la cornetta crepitò con un susseguirsi di rumori.
“Pronto?” Prese un respiro profondo, intrecciando le gambe sul letto.
“Liam, sono Niall”
 

 
Clare Malik

 
 


 


 

Angolo autrice:
eccoci con un capitolo molto molto intenso. Prima fra tutti, ovviamente, c'è la nostra piccola Emma alle prese con il ricordo di Liam. Liam è scomparso dalla sua vita quattro anni prima, non lasciando traccia e lei, lei non se lo spiega. Non sa che fine ha fatto eppure nel suo intimo capisce che da qualche parte, lui è felice. E proprio questo pensiero la sprona ad andare dal padre: da bambina, a tredici anni, aveva capito l'innocenza di Liam, vedendogliela scritta negli occhi. Ora, a distanza di quattro anni, Emma si trova di nuovo davanti la stessa storia e decide di agire per aiutare Zayn, Zayn che l'ha colpita in profondità e che non riesce a togliersi dalla mente. Ovviamente Dean non è d'accordo ma Emma, come agirà al rifiuto imposto dal padre? 
Secondo, ecco che Louis entra in azione ed entra finalmente in gioco la bellissima Clare Malik che, colpo di scena, è incinta! Il comportamento di Louis è modellato proprio su questo perché comunque lui è un avvocato molto forte e qui invece ho voluto sottolineare il lato umano che lo caratterizza. 
Ultimo sprint finale: Niall e... LIAM! Il nostro biondo lo chiama, dunque. La chiamata avverrà nel prossimo capitolo, promesso. Ora mi dileguo, che sono di fretta. Grazie a tutti quanti, un bacio
 
Sonia. 
 

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Capitolo 8
*** (8)- Portami con te ***


MURDERESS.


 
 
(8)- Portami con te 
 

Ricorderò e comunque e so che non vorrai

ti chiamerò perché, tanto non risponderai

 

Si passò distrattamente una mano sul polso arrossato, facendo una smorfia di dolore. Si guardò alle spalle, osservando la porta metallica appena chiusa con un tonfo. Si lasciò cadere sul piccolo e freddo materasso presente nella cella, allacciando le mani dietro la testa. Chiuse gli occhi, cercando di assopire tutti i suoi sensi; voleva dimenticare quella tremenda puzza di marcio che lo circondava e l’umidità che gli arrivava sin dentro le ossa. Rimase in quella posizione per un po’, pensando a tutto ma anche a niente, finché nel buio del suo sguardo si affacciarono quelle immagini che tutti i giorni, tutte le notti, ad ogni momento, lo torturavano: il viso di Emily, piegato in quell’ espressione  ordinaria che sarebbe stata eterna; gli occhi vitrei fissi nei suoi, i capelli sulla sua pelle, il suo ultimo respiro nella sua bocca. Zayn scattò a sedere, massaggiandosi le tempie, il cuore impazzito e il corpo tremante. Si morse a sangue le labbra, tentando di arginare tutto quel dolore che sentiva scorrere dentro e fuori di sé; sentì il freddo della solitudine, della mancanza, schiacciarlo a quel muro grigio e scrostato, contro cui i pugni di Zayn si erano scagliati quando il ricordo era troppo difficile da sopportare. Si rannicchiò su se stesso, nascondendo il volto fra le ginocchia piegate. Scosso da muti singhiozzi, Zayn si chiese il perché.

Zayn?” Emily lo osserva, con le gote arrossate e gli occhi lucidi. Lui, nudo e steso al suo fianco, la guarda e le fa cenno di continuare a parlare.
“Hai mai avuto paura di confessare qualcosa alla persona più importante della tua vita?” Zayn corruccia la fronte e le sposta una ciocca di capelli dagli occhi, soffermandosi poi con i polpastrelli sul rossore della sua guancia calda. 
“Non credo di aver mai avuto, in vita mia, una persona importante a cui confessare qualcosa” dice sincero, fissando lo sguardo sul labbro di Emily che trema appena. Allora Zayn sorride e puntella un gomito sul letto, alzandosi per guardarla meglio. 
“Prima di conoscere te, ovviamente” le soffia sulla bocca lui, facendola rabbrividire. Lei chiude gli occhi e sorride, allacciando le braccia intorno al collo di Zayn, spingendoselo contro. Le loro labbra si incontrano a metà strada, sorridenti e forti della presenza dell’altro. Poi Emily si scosta da lui, serrando gli occhi e facendo un respiro profondo. Zayn la osserva, in silenzio. Emily fa scontrare le loro fronti, investendolo nuovamente con il suo sguardo.
“Perché, forse, ti amo Zayn” 

Zayn si asciugò le tracce di lacrime dal volto, deglutendo con fatica quei singhiozzi che a malapena riusciva ad arginare. Strinse forte le mani fra loro, facendole impallidire vistosamente. Picchiò la testa contro il muro dietro di sé, oramai impossibilitato a fermare quei pezzi di vita che prepotenti gli si riversavano dentro; in quella cella, fra il buio della notte e l’assenza di rumore, Zayn cedette al ricordo, permettendo a se stesso di rivedere quelle cose- ogni cosa- di lei che aveva dolorosamente chiuso in un angolo della sua mente: il profumo dolciastro di Emily gli colpì l’olfatto, vaniglia. La sua pelle rabbrividì come quando i suoi capelli gli sfioravano il corpo o come quando le sue labbra iniziavano una lunga tortura che sarebbe conclusa con un sospiro troppo forte da parte di lui; d’un tratto ricordò il suo sguardo quando fecero l’amore per la prima volta, pieno di quello che lui le aveva dato e di ciò che lei aveva preservato con gelosia, di modo da donarglielo con calma e con sempre maggiore intensità; la sua mente si riempì dei suoi sussulti, del suo gesticolare, delle sue lacrime che non si mostravano mai se non quando lei si trovava proprio al limite. Sentì sui polpastrelli la morbidezza del suo collo quando l’aiutava a indossare la collana che le aveva regalato o quando lei si girava, alzando in alto i capelli, chiedendogli senza troppe preghiere di spogliarla e prenderla. Rivide chiaramente, come un flashback sin troppo reale, la sua pelle pallida in contrasto con la propria, più scura, i suoi sorrisi piccoli ma forti, i baci umidi lungo le spalle nude. Zayn lanciò un urlo bestiale, perché bestiale era la sofferenza che gli dilaniava il petto, il cuore, ogni parte di sé. Cadde in ginocchio, sopraffatto da tutti quei particolari che non poteva più avere, perché non aveva lottato e ora era troppo tardi perché perduti per sempre. Altre lacrime gli macchiarono il viso, scivolando sul pavimento e a Zayn sembrò che il loro schiocco fosse letale per il suo udito. Ma in realtà nessuno schiocco vi era perché esse scendevano via silenziose e quel rumore che stava facendo impazzire Zayn, altro non era che il rumore di passi. Il ragazzo capì che il suo grido disumano non poteva essere passato inosservato e dunque qualcuno stava arrivando per controllare; avrebbe voluto avere la forza di alzarsi, indossare la sua maschera e riempirsi nuovamente di quel vuoto che gli permetteva di andare avanti. Ma la stanchezza lo teneva incollato a terra, tremante, spossato da tutti quei sentimenti che lo avevano fatto sentire di nuovo vivo. Strinse la testa con le mani, pigiando maggiormente sulle tempie, cercando di azzittire quei ricordi felici che gli avevano fatto provare ancora qualcosa. Tossì forte, sputando la saliva a terra, sperando di riuscire a espellerli dal suo interno, annidati ad ogni fibra del suo essere. Alzò le palpebre pesanti quando percepì delle voci concitate molto vicine alla sua cella e allora, la vide: Emily era là che lo osservava, ma entrambi sapevano che tutto ciò non sarebbe durato. Zayn sorrise triste, pulendosi la bocca con il dorso della mano. 
“Perché sei qui?” Gli sembrò quasi di vedere lo sguardo di lei colorarsi di disappunto per il tono con cui le si era rivolto, proprio come quando lo guardava ed era viva
“Sono qui per te”  non era la sua voce a parlargli; questa era più fredda, come gelida era la distanza che fra loro non era mai esistita. Zayn scosse la testa in modo lento, impaurito dal dolore che ancora sentiva annidato dentro. 
“E’ inutile che tu sia qua” riuscì a dirle prima che la porta della cella si aprisse con foga. L’immagine di Emily rimase, eterea, per pochi secondi, il tempo necessario per fargli vedere il suo viso distorto da una tristezza che faceva male. Non si pentì di quelle parole, perché sapeva che Emily era perduta per sempre e che, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto accettare che niente sarebbe stato più come prima. 
“Malik, che cazzo stai facendo lì per terra?” Qualcuno lo alzò di peso da terra mentre lui concentrava tutte le poche forze rimaste nel fissare lo sguardo nel punto esatto dove alcuni secondi prima c’era lei - no, non lei.- 
“Non avresti dovuto lasciarmi qua” le sussurrò ancora, le palpebre oramai troppo stanche, troppo ferite. 
“Sta parlando da solo, è impazzito!” Si sentì strattonare ancora, la schiena sbattuta contro una superficie dura. 
“Avresti semplicemente dovuto portarmi con te” e allora Zayn cadde nuovamente a terra, svuotato con quelle ultime parole che aveva sussurrato al vuoto. Il respiro divenne più affannato mentre l’aria intorno a lui non sembrava bastargli. 
“Portiamo questo pazzo in infermeria, sta avendo una crisi” e qualcosa lo tagliò di netto, al centro dello sterno: era la consapevolezza. Mani rudi si allacciarono alle sue spalle, tirandolo a forza in piedi. Tentò di visualizzare il volto che gli stava di fronte, ma fallì miseramente; le palpebre pesavano sempre di più mentre la vista si offuscava su uno scenario che non gli avrebbe più potuto concedere niente. 
Nulla è più travolgente del seme della follia: tutto più amplificato, più consistente, più doloroso. Tutto falso e illusorio e che ferisce ancor di più quando si piomba nuovamente nella realtà. Le presenza- che sono in realtà assenze- sono così pressanti da far male e gli occhi piangerebbero sangue, perché sarebbe l’unica cosa umana rimasta. Il corpo diviene un involucro vuoto, pieno di tutto ciò che è stato perduto, mentre le mani si feriscono fra loro, le labbra urlano di silenzio troppo vicino, le gambe e le braccia tremano per il freddo che inizia a scrivere la sua storia. 
E quando Zayn venne lasciato su un freddo letto dell’infermeria, sedato e finalmente di nuovo solo, si sentì pazzo.   

  

 


Niall si morse il labbro inferiore, stringendo le dita sul cellulare, incapace di dire nulla; il silenzio si dilatò per altri secondi, i respiri pesanti di entrambi come unico segno che erano ancora là.
“Niall” finalmente la voce incrinata di Liam parlò, più cadenzata di quanto ricordasse; Niall sospirò, d’un tratto assalito dall’istinto di scagliare quel maledetto aggeggio fuori dalla finestra perché il passato era duro anche per lui. Ma poi gli sovvenne il motivo per cui lo stava facendo, per chi lo stesse facendo e allora si fece coraggio, appellandosi a tutte le forze che aveva per terminare al meglio quella telefonata. 
“Non avrei mai voluto chiamarti, lo sai” iniziò incerto ma la voce di Liam lo interruppe sul nascere, arrivando al sodo.  
“E’ successo qualcosa ad Emma?” E la preoccupazione che macchiava il suo tono lo fece improvvisamente imbestialire. Perché come si permetteva di provare dolore quando per quattro anni se ne era fregato di tutti, di Emma? Con che coraggio gli aveva risposto e con quale presunzione pronunciava il nome della sorella? Niall si sentì travolto dagli anni di sofferenza che Emma aveva dovuto sopportare, conscia di aver perso suo fratello, ignara però del perché. Le parole vennero da sole, un po’ dal risentimento che lui stesso provava per Liam, un po’ da quel dolore che Emma gli aveva trasmesso e lasciato addosso. 
“No, non è successo nulla - sibilò a denti stretti, la mascella rigida- nulla che tu possa oramai evitare. Non dopo essere scomparso per quattro fottuti anni e aver lasciato una parte importante di te qua, da sola, a crescere senza punti di riferimento, con l’idea di essere lei quella sbagliata perché se sia la madre che il fratello se ne erano andati, un motivo c’era. Ha imparato a convivere con la paura che tutto ciò che amasse prima o poi potesse sparire e non sono valse le mie parole, le mie carezze per farle cambiare idea, non quando tu sei sparito senza darle la possibilità di poterti fermare. Perché Liam, io e te abbiamo fatto una grande cazzata. Tu ad andartene e io a proteggerti per tutti questi anni. E dio, quanto mi odio e quanto ti odio. Odio vederla così vulnerabile ora che tutto sta a ripetersi perché, notizia dell’ultima ora, il passato non ha spezzato solo te” Niall aveva il fiatone e si sentiva più vuoto, stanco e anche stupido. Ancora non riusciva a capire come avesse potuto tradire in quel modo Emma, continuando a tener fede a una promessa stretta con lui quando vedeva la sua migliore amica rovinarsi ogni giorno di più. Emma poteva sembrare forte ma i suoi occhi la vedevano bene, avevano imparato a guardarla oltre tutto ciò che si ostinava a mostrare e in profondità, Emma non era affatto forte. 
“Ancora non so come tu abbia fatto a convincermi, come io non abbia avuto il coraggio di guardarla negli occhi, raccontarle tutto e darle questo maledetto numero che è sempre stato nella mia stanza anche quando lei ne era a pochi millimetri di distanza. Mi odierà quando saprà quello che le ho fatto e tutto per cosa? Per cosa, Liam? Me lo puoi dire tu?” 
“Lo sai perché me ne sono andato, Niall”
“Ma non perché non sei mai tornato” Liam sospirò sommessamente e quasi Niall se lo immaginava con una mano fra i capelli e gli occhi lucidi. Era passato così tanto tempo che non avrebbe saputo descriverlo; eppure ricordava bene quel ragazzino troppo magro e dagli occhi vuoti che era andato a casa sua per pregarlo di aiutarlo e di capirlo e dentro sentiva che non era cambiato poi più di tanto. 
“Mi dispiace che tu la pensi così. Per me sei sempre stato un amico e lo sai” Niall si accasciò fra i cuscini del suo letto, gli occhi serrati.
“Ultimamente non so più nulla” “Qualcosa sai, invece. Sai che non avrei potuto vivere a Bradford; lo sai adesso e lo sapevi quattro anni fa quando hai accettato di aiutarmi”
“Cristo, non avevo nemmeno quattordici anni. Non sapevo che la mia decisione avrebbe comportato tutto questo dolore”
“Non sei mai stato stupido e se hai continuato a proteggere il nostro patto significa che ti sentivi di fare così- ci fu un minuto di silenzio, durante il quale Niall si chiese se effettivamente avesse ragione- e dio solo sa quanto ti sono debitore” concluse Liam, stanco quanto lui. Niall strinse le mani a pugno, guardando il soffitto bianco della sua stanza. Si stavano allontanando da quello che era il problema basilare: l’equilibrio di Emma. 
“Non so se ti perdonerò mai per avermi coinvolto in tutto questo perché, in fondo, anche io ho contribuito a tutto il dolore di Emma” altro silenzio si formò fra loro, entrambi rotti per la consapevolezza di essere così legati nel male. 
“Ha bisogno di me, vero?” La domanda di Liam era retorica perché la risposta già ce l’aveva. Niall si passò una mano fra i capelli biondicci, chiedendosi se questa potesse essere la soluzione a tutto. Il ritorno di Liam avrebbe comportato un radicale cambiamento nella vita di tutti loro: Emma avrebbe avuto di nuovo un fratello e Niall avrebbe di nuovo avuto quell’amico che aveva abbracciato sulla soglia di casa, senza lacrime, ma con tanta sofferenza. 
“Anche tu hai bisogno di lei- Niall si interruppe, deglutendo- e io ho bisogno di te” ammise Niall, senza poi tanta difficoltà. Liam dall’altra parte rimase in silenzio e Niall pregò che capisse davvero ciò che gli stava chiedendo. Ma il silenzio non fu rotto né da Liam né da Niall; il ragazzo sentì dalla cornetta il rumore di una porta sbattuta e Liam che, d’un tratto, tratteneva il respiro.
“Papà, guarda quanto sono brava a colorare!” Niall sbarrò gli occhi, drizzandosi sul letto. Il respiro divenne cadenzato, mostrando a Liam che aveva sentito. Lo sentì sospirare forte e Niall sperò che ci fosse un’altra spiegazione a ciò che aveva sentito. Qualsiasi altra spiegazione. 
“Helen, amore, sei bravissima. Vai a farlo vedere alla mamma, okay?” 
“Niall?” Lo chiamò lui, titubante. Niall scosse la testa, tornando alla realtà. 
“Liam…” 
“Ho capito Niall e sono contento che tu mi abbia chiamato; sono contento che mi sia fidato di te e ora so che manterrai anche questo piccolo segreto. Il tempo necessario di organizzare il mio ritorno” ma oramai Niall non gli dava più ascolto. Non riusciva a capire come si sentisse al riguardo, non era più sicuro di nulla. 
“Tu hai una figlia” il silenzio di Liam valse più di mille parole.

   
                                   Liam Payne 

 



 Angolo autrice:

O mio dio, lo scorso capitolo ha tantissime recensioni e io vi amo immensamente. Ora, questo capitolo non mi convince molto ma è essenziale per inquadrare il personaggio di Zayn: il carcere non è di certo un bel mondo e a mio parere non sarebbe tanto difficile impazzire là dentro. Zayn è sconvolto dai ricordi, ricordi di Emily, tanto che inizia a parlare da solo. Perché, secondo voi, Zayn prova tutto questo? E poi, finalmente c'è la chiamata di Niall e Liam: si scopre che quattro anni prima Liam aveva lasciato il suo vero numero di telefono a Niall, sapendo già di aver bisogno di sparire dalla vita di Emma. Niall aveva accettato ed è combattuto fra la necessità di mettere un punto alla sofferenza di Emma e ciò che lo ha fatto desistere dal dare il numero all'amica. Niall e Liam hanno un rapporto particolare, che presto si capirà bene: io li amo, ovviamente. E poi c'è un colpo di scena finale: Liam ha una figlia. Cosa ne pensate? Spero vivamente in un commento anche se so che non è tutta questa bellezza. Ora vi saluto, un bacio
 
Sonia. 

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Capitolo 9
*** (9)- Vita da sbirro ***


 

 

MURDERESS.

 

(9)- Vita da sbirro 

Sono in mille pezzi, mi senti? 

Sono accecato, ma tu sei tutto ciò che vedo. 

Charlotte entrò nell’ufficio di corsa, il fiatone che le bloccava il respiro. Afferrò il suo giacchetto nero, girandosi poi velocemente verso la scrivania del suo collega; Harry sorrideva, gli occhi abbassati sul legno del tavolo e il telefono contro l’orecchio. Charlotte indossò il giacchetto, liberando i capelli sulla schiena. La risata attutita di Harry si sparse per la stanza, facendola sbuffare. Si avvicinò a lui, cercando di attirare la sua attenzione. 
“Dobbiamo andare Styles” ma Harry la liquidò con un gesto della mano, chiedendole altro tempo. La ragazza lo fulminò con gli occhi, sbattendo la mano sulla scrivania e facendolo sobbalzare. 
“Muovi il culo, non lo voglio ripetere più” gli sibilò a un nonnulla dal viso stupito. Improvvisamente Harry sorrise, cercando di mascherare la sua risata con un colpo di tosse. 
“Hollie, devo andare ‘che qualcuno ha bisogno di me. Ci vediamo stasera, ti amo” Charlotte si mise in posizione eretta, alzando gli occhi al cielo quando sentì la sedia strisciare sul pavimento. 
“Io non ho bisogno di te, idiota”
“Scontrosa, eh?” Borbottò lui, superandola e infilandosi la pistola nella cintola. Charlotte lo seguì, facendogli una smorfia. 
“Abbiamo appena rintracciato Greg, il ragazzino rapito” Harry allora annuì, infilandosi la giacca sulla maglietta nera che gli fasciava il fisico tonico. Si passò una mano fra i ricci, scompigliandoli più del dovuto e uscì dall’ufficio, seguendo la ragazza. 
Mentre camminavano fianco a fianco lungo il corridoio del commissariato, Charlotte lo osservò di sottecchi: il viso di Harry sembrava un’opera d’arte sfuggente, di quelle che non comprendi a primo impatto ma che ti incantano in pochi secondi; forse erano gli occhi così grandi e così verdi, quasi azzurri quando la luce li investiva in pieno, oppure erano le sue labbra gonfie e rosse e graffiate dai denti bianchi o ancora i nei sulla pelle pallida, le mani grandi e gli anelli di ferro, i capelli scuri che si incastravano ad essi e che gli sfioravano la fronte corrucciata. Lui si morse distrattamente il labbro inferiore, l’accenno di una fossetta sulla guancia. Charlotte si accorse dell’effetto che stava avendo su di lei e tossicchiò in imbarazzo, incastrando le mani nelle tasche dei jeans, accelerando il passo. Harry, dietro di lei, la guardò interrogativo. Uscirono entrambi dal commissariato, la pioggia che cadeva scrosciante e che li inzuppò immediatamente. Charlotte raggiunse la macchina della polizia parcheggiata là di fronte, fermandosi al posto di guida. Sentì il suo profumo anche fra la pioggia, quel profumo che oramai imbrattava le mura del loro ufficio e forse un po’ anche i suoi vestiti. 
“Guido io” la sua voce sovrastò il rumore della pioggia battente e sembrò quasi meno roca fra quel baccano infernale. Charlotte si girò per mandarlo a quel paese ma, ripensandoci, non lo fece: Harry era più vicino di quanto si aspettasse, i capelli bagnati appiccicati sul viso e le guance appena arrossate. Lei deglutì, a disagio, sbattendo poi le palpebre a causa del vento freddo. 
“Fa’ come vuoi” e gli diede le spalle, alzando gli occhi al cielo per il sorriso vittorioso sul volto del ragazzo. 

 

“Sicura sia la strada giusta?” 
“Abbiamo il GPS, Styles” 
Si erano oramai allontanati dal centro di Bradford e avevano imboccato una stradina sferrata secondaria e che portava all’aperta campagna. 
“Qui non c’è niente, però”
“Oddio, sta’ zitto e accelera. Il bambino potrebbe essere in pericolo” Harry arricciò le labbra e strinse forte il volante, gli insulti che avrebbe voluto rivolgerle chiaramente visibili suo suo viso; ma stette in silenzio e diede gas, dando un’accelerata secca e improvvisa che fece sbalzare in avanti la ragazza, che avrebbe sicuramente sbattuto la testa al parabrezza se il braccio di Harry non fosse scattato a bloccarla contro il sedile dell’auto. Harry si girò di scatto verso di lei, il viso appena più preoccupato. 
“Scusa” commentò, facendo saettare lo sguardo dalla strada agli occhi di Charlotte, spalancati dalla sorpresa, dalla rabbia e dallo spavento. Il braccio di Harry era ancora poggiato sul suo ventre e bruciava sul suo corpo anche attraverso la stoffa dei pantaloni. Dopo un’ultima occhiata in trance, entrambi scoppiarono a ridere. Harry tolse il braccio dalle sue gambe impugnando di nuovo il volante con due mani, mentre Charlotte si accomodò nuovamente sul sedile in pelle, spostandosi un ricciolo scuro dalla fronte, riprendendo poi ad osservare il ragazzo. Harry aveva un sorriso a fior di labbra e le fossette in bella vista, le spalle più dritte e lo sguardo più concentrato. 
“Ci siamo, credo” Charlotte distolse subito lo sguardo da lui, guardando fuori dal finestrino: la strada si faceva sempre più dissestata, piena di sterpaglia bagnata ed erba trascurata. Poco più in là si ergeva un magazzino abbandonato e nascosto per metà dai primi alberi di una fitta boscaglia. Lo spiazzo di fronte all’edificio era deserto, fatta eccezione per un furgone rosso. La pioggia che ancora cadeva aveva formato fanghiglia ovunque, rendendo difficile alle ruote dell’auto proseguire senza difficoltà.
“Dobbiamo avvicinarci il più possibile” Harry annuì, fermando la macchina e sporgendosi dal finestrino per controllare fuori. Quando si girò nuovamente verso Charlotte i capelli erano di nuovo umidi, coprendogli gli occhi. 
“Non possiamo continuare in auto. Rischiamo di causare rumore con le ruote e comunque potremmo anche rimanere bloccati nel fango” Charlotte si morse il labbro inferiore, guardando il profilo sfocato del magazzino. Sentiva gli occhi di Harry addosso e cercò di deviare la sua mente dall’effetto che essi le facevano. Annuì appena, strusciando le mani sulle cosce. 
“Dai, andiamo a dare un’occhiata” Harry, i ricci bagnati appiccicati alla fronte e gli occhi brillanti le sorrise, sfilando dai pantaloni la pistola. 
“Non aspettavo altro - disse, slacciandosi poi la cintura - tu sei pronta?” Charlotte alzò il sopracciglio, scettica, sporgendosi per dargli una spinta dalla spalla. 
“Muovi quel tuo culo, Styles. Io sono nata pronta” la risata di Harry si sparse in tutto l’abitacolo della macchina, sovrastando per un attimo il rumore della pioggia battente. Lei lo guardò per altri pochi istanti prima di girarsi per aprire la portiera. Ma la mano di Harry si strinse dolcemente al suo polso, bloccandola.
“Charlotte?” Il suo nome pronunciato con quel timbro roco assunse una musicalità che non aveva mai avuto prima e Charlotte tentò di non fissare ancora quegli occhi così intensi e quelle dita sulla sua pelle che dio, la stavano toccando. Sentiva il freddo dei suoi anelli sul polso e quella sensazione le piaceva; sperava solamente che non riuscisse a sentire il battito accelerato del suo cuore birichino. 
“Che vuoi?” L’acidità con cui gli si rivolgeva stonava con il sorriso tenero che lui, sempre, le rivolgeva.   
“Quando comincerai a chiamarmi per nome?” Lei serrò gli occhi, scuotendo la testa, un sorriso spontaneo a illuminarle il volto. Con Harry era così, in fondo: una settimana che era là e ancora non riusciva a capire come comportarsi con lui, che era sempre così gentile, talmente tanto perfetto che a volte lo odiava. 
“Dai, andiamo” ma le sue parole furono coperte dalla pioggia scrosciante che, immediatamente, la inzuppò. 

 

“Hey Charlotte?” Lei si girò a guardarlo, gli occhi ostacolati da quella maledetta pioggia che non aveva nessuna intenzione di smettere o diminuire. Harry era accanto a lei, appoggiato al tronco di un albero, la pistola in mano; il vento soffiava forte scompigliando i suoi capelli e quelli di Charlotte, che le sferzavano le guance, facendole quasi male. 
“Questo, tecnicamente, è disobbedire agli ordini - fece una pausa, tossicchiando - lo sai, no?” Charlotte sorrise nuovamente, scrollando le spalle. 
Tecnicamente non stiamo facendo proprio niente. Ci siamo solo avvicinati per vedere se accade qualcosa mentre aspettiamo i rinforzi. Teoricamente il maresciallo Brown ci ha vietato di avvicinarci al magazzino quindi sì, stiamo trasgredendo un’ordine” concluse, fiera. Harry la guardò alcuni istanti, gli occhi a fessura. Poi alzò le spalle, spostando lo sguardo verso lo spiazzo deserto.
“Mi piace lavorare con te” disse solo. Charlotte rimase zitta, fissando nuovamente lo sguardo sull’entrata vicina. In quel momento due uomini uscirono velocemente dalla porta scassata, entrambi armati. I due giovani si immobilizzarono per la sorpresa e sarebbero stati sicuramente notati se prontamente Harry non l’avesse presa per il braccio, tirandola contro il suo corpo e nascondendola alla vista dei due uomini. 
“Merda” si lasciò sfuggire lui, le mani ancora strette ai fianchi di Charlotte. La ragazza deglutì appena, il viso alzato verso il suo, gli occhi spalancati e il cuore di nuovo in subbuglio; il profumo di Harry era anche più forte ora che teneva premuta la guancia sul suo giacchetto e non sapeva se odiarlo ancor di più per quanto le piaceva. 
“Che c’è Luke?” Urlò uno dei due uomini, fra la pioggia. Il silenzio dell’altro rispose alla sua domanda, mentre Charlotte serrava gli occhi per il nervosismo. 
“Mi è parso di vedere qualcosa, là” Harry si irrigidì contro di lei, stringendosela ancor più addosso tanto che lei poggiò la fronte al suo petto, le mani sulle sue spalle. Entrambi respiravano piano, l’uno sulla pelle dell’altra. Non si guardavano, accomunati dallo stesso imbarazzo, dalla stessa intensità di quella semplice vicinanza. 
“Sarà un animale. Muoviti, dobbiamo preparare il furgone e fuggire. La polizia sarà qui a momenti” Charlotte sospirò di sollievo, accasciandosi fra le braccia di Harry. Lui di riflesso la strinse ancora, dolcemente, di quella stretta che non è forte, ma senti distintamente. Rimasero fermi per un tempo indeterminato, la pioggia che li bagnava e i rumori provenienti dal furgone come sottofondo. Charlotte guardava le trame della maglietta scura di Harry, mentre lui fissava le sue mani ancora strette ai fianchi di lei, chiedendosi il motivo per cui non riuscisse a lasciarla andare; come se, facendolo, avrebbe sentito male. Sobbalzarono entrambi quando lo sportello del furgone fu chiuso con uno scatto e Charlotte si sporse appena, spiando da sopra la spalla di Harry, nascosta comunque dal tronco dell’albero: i due uomini rientrarono velocemente nel magazzino, riponendo la porta scassata sui cardini. Charlotte piegò la testa all’indietro, stringendo fra le mani la stoffa del giacchetto di Harry. 
“Se ne sono andati” sussurrò, la voce arrochita e tenuta bassa per precauzione. Harry annuì, gli occhi fissi nei suoi e il respiro cadenzato. Alzò una mano e, lentamente, tolse dal viso di Charlotte i capelli fradici che le si erano incollati contro. Lei di rimando arrossì, pensando al fatto che quel tocco non andava bene, che ora poteva staccarsi da lui, tirargli un pugno sul naso e mandarlo a quel paese. Ma, come al solito, non fece niente di tutto ciò, intrappolata fra quelle sfumature ora chiare, ora scure. Harry sorrise e lasciò scivolare via le mani da lei, passandosene una fra i capelli. Lei tossicchiò e si allontanò, stringendosi nelle spalle, mordendosi un labbro. 
Che diavolo ti prende? E’ solo Styles, si disse. Ma sapeva che non era più solo Styles. Era Harry. Una folata di vento particolarmente forte la fece rabbrividire da capo a piedi, facendole quasi battere i denti. 
“Merda di tempo” commentò, alzando lo sguardo al cielo per quanto le era possibile. 
“Hai freddo?” La voce di Harry giunse più vicina di quanto pensasse, segno che si era di nuovo avvicinato. Lei si girò a guardarlo, scettica. 
“No Styles, sto tremando per optional” anche lei si rese conto del tono incerto con cui aveva pronunciato il suo cognome ma entrambi decisero di non voler sapere il perché. Lui sbuffò, togliendosi la giacca. Charlotte rimase a bocca aperta, stupita, quando lui le mise la sua giacca sulle spalle minute. 
“Non ti ci abituare - disse, a disagio - e non fissarmi così!” Charlotte si riscosse, stringendo i lembi della giacca prima di infilarsela per bene; le stava grande ma subito un tiepido calore la fece stare meglio. 
“Grazie”
“Dovere” Charlotte si appoggiò con la schiena all’albero, sospirando. 
“Fra quanto arriveranno i rinforzi?” chiese Harry, sedendosi su un pietra liscia e piatta; un tuono squarciò il cielo, facendolo sobbalzare. 
“Venti minuti, massimo mezz’ora- ma la sua voce fu interrotta da un urlo che sovrastò il baccano del maltempo. Charlotte caricò la pistola mentre Harry si alzava di scatto, guardando verso il magazzino abbandonato. 
“Sta succedendo qualcosa là dentro, Charlotte” lei annuì, la pistola stretta nella mano. 
“Io vado a vedere” Harry la superò, la sua pistola già affiancata al suo volto. Charlotte sgranò gli occhi, stupita. Gli corse dietro, bloccandolo da una spalla per costringerlo a fermarsi e guardarla. 
“Che cazzo vuoi fare? Non puoi entrare lì dentro” urlò lei, il viso arrossato dalla foga. Harry alzò gli occhi al cielo, scostandosi i ricci dal viso. 
“Non possiamo aspettare che vengano i rinforzi, il ragazzo è in pericolo!”
“Ma non puoi fare nulla da solo!”
“Dio Charlotte, voglio solo dare un’occhiata. Non farò nulla - Charlotte si morse il labbro inferiore, incerta - Mi aspetti qua?” 
“Col cazzo” sbottò lei, dandogli una spallata e procedendo verso la costruzione. Harry sorrise, seguendola subito dopo. 


L’interno era umido e buio; non si captava alcun tipo di rumore se non per la pioggia che cadeva e i loro ansimi. Charlotte si trovava alle spalle di Harry, la pistola puntata di fronte a sé. Lui, nella stessa posizione si appostava al fianco di ogni ingresso, per poi entrare nella nuova stanza con l’arma puntata. Quel silenzio metteva inquietudine ad entrambi che non avevano il coraggio di parlare fra loro, ma semplicemente di guardarsi di tanto in tanto per accertarsi che non fossero soli e che l’altro ci fosse ancora. Entrarono nell’ennesima stanza, un luogo enorme dove il tetto rotto faceva penetrare le gocce di pioggia in un ticchettio estenuante; Charlotte iniziò a sudare freddo. 
“Dobbiamo dividerci” sussurrò, accostandosi ad Harry. Nei suoi occhi baluginò, per un istante, l’accenno di un’aria contrariata ma non disse nulla. Annuì semplicemente mentre Charlotte gli indicava la parte destra, incamminandosi poi nella parte opposta. Ma il sussurro di Harry la fermò di nuovo. 
“Charlotte … - si morse il labbro inferiore, la pistola abbassata, gli occhi a terra - stai attenta” disse solamente, dandole subito le spalle. 

 

Charlotte ansimò in silenzio, il cuore in subbuglio e il sudore freddo a mischiarsi con le gocce di pioggia ancora presenti sulla sua pelle chiara; strinse forte le mani intorno all’impugnatura della pistola, incurante della schiena indolenzita e delle gambe tremanti. Si sporse di pochi millimetri dalle casse di legno che la nascondevano, osservando gli uomini che stavano cercando: erano in quattro, tutti armati; il ragazzino scomparso giaceva legato in mezzo a loro, il viso sporco di terra e sangue incrostato. A parte qualche taglio lungo le braccia, sembrava stare bene. I criminali si muovevano febbrilmente per la stanza, raccattando tutte le loro cose sopra un tavolo piccolo e in legno, controllando spesso che Greg non si muovesse. 
“Come cazzo hanno fatto a scoprire dove siamo? - uno di loro prese malamente per le spalle il ragazzo che piangeva, in silenzio - Brutto stronzo, sei stato tu?” e lo buttò a terra di nuovo, un ghigno sul viso come risposta alla smorfia di dolore apparsa su quella di Greg. Charlotte sbuffò spazientita, le meni tremanti per la voglia di intervenire. 
“Come cazzo ti viene in mente, stronzo. E’ sempre stato legato” disse un’altro di loro, posando la pistola sul tavolino. Si stiracchiò le braccia, piegando il collo a destra e a sinistra. 
“Vai a preparare il camion, Paul” continuò quello. Un ragazzo molto giovane annuì, prendendo la pistola del quarto e ultimo uomo presente là. Quando Paul fu uscito, l’individuo che lo aveva afferrato poco prima si piegò all’altezza di Greg, ancora dolorante. 
“Capo, ma a questo punto non conviene ucciderlo?” L’uomo accanto al tavolo alzò gli occhi dalla mappa che stava osservando, fulminandolo con lo sguardo. Si avvicinò a loro, le mani in aria. 
“Questo ragazzino vale il quadruplo di te, Weise. Non costringermi a uccidere te” Weise rabbrividì appena, punzecchiando con la pistola la guancia già ferita del ragazzo. Greg lo guardò per pochi secondi, prima di sputargli dritto in faccia. Gli altri due uomini scoppiarono a ridere mentre Weise si alzava velocemente, pulendosi il volto. Gli sferrò un calcio sulle costole, rosso di rabbia. 
“Piccolo bastardo, t’ammazzo” ma nemmeno il capo ebbe il tempo di fare o dire nulla. Charlotte uscì fuori dal suo nascondiglio, la pistola puntata verso il capo di quei delinquenti. 
“Allontanati immediatamente da quel ragazzino oppure giuro che la testa del tuo capo non rimarrà attaccata al collo ancora per molto” la sua voce risuonò, forte, nel silenzio che si era creato: su di sé sentiva gli occhi dei tre uomini sorpresi e quelli speranzosi di Greg. 
“Allontanati” sibilò nuovamente, muovendo alcuni passi nella direzione del ragazzo. Quello che si chiamava Weise fece saettare lo sguardo da lei al capo, indeciso. A un cenno di lui, abbassò l’arma e la calciò via, allontanandosi dal corpo di Greg. L’uomo che aveva sotto tiro spostò lo sguardo verso il tavolino dove giaceva la sua arma, irraggiungibile sia per lui che per Weise. Charlotte sorrise, frapponendosi fra il corpo di Greg che subito le si strinse contro e i due uomini. 
“Maledetta ragazzina” sibilò Weise, le labbra in mezzo ai denti. Charlotte si avvicinò ancora, tanto che riuscì a sentire la puzza di alcol e sangue che imbrattava il corpo del criminale. 
“Il gioco finisce qua, bastardi” ma non fece in tempo ad aggiungere altro che l’uomo di fronte a lei scattò. Charlotte premette il grilletto, il rumore dello sparo che rimbombò per tutto il magazzino e l’urlo di Greg a mischiarsi fra il baccano causato; Charlotte si sentì spinta a terra, la schiena dolorante e le mani vuote. Quando riaprì gli occhi, l’uomo le puntava la sua stessa pistola contro. Accanto a sé poteva sentire il pianto di Greg, il quale aveva probabilmente perso ogni speranza. Charlotte, il corpo dolorante e la morte che le camminava al fianco, riuscì a pensare solo ad una persona. Harry. Serrò gli occhi per un momento prima di sentirti strattonata da mani dure che la costrinsero ad alzarsi da terra. Pochi secondi dopo percepì il freddo della pistola contro la sua guancia, gli occhi sbarrati dal terrore fissi sul volto del criminale che la stringeva a sé. 
“Che cosa c’è - la strattonò di nuovo, portandola più vicina, tanto che i loro petti si sfioravano - non parli più, ora?” Charlotte lo fissò in cagnesco, il cuore che batteva all’impazzata e il braccio indolenzito a causa di quella stretta così animalesca. Sentiva quel respiro pesante sulla pelle del suo viso, contratto dal disgusto. 
“Ma che bel faccino che hai, sbirra" fece scivolare la canna della pistola lungo la sua guancia giù, fino al collo. Le osservò le labbra bagnate di sangue mentre il respiro diventava più roco e tagliente. Lasciò di scatto il braccio della ragazza, che quasi barcollò. Ma lui la riprese immediatamente, facendo saltare la zip della sua giacca. La strinse, possessivo, per il bacino, sfiorando con il naso il collo di Charlotte. 
“Chissà cosa nascondi sotto questi vestiti da sbirro - fece una pausa, iniziando a toccare attraverso la maglietta il seno di Charlotte, che strinse ancor di più gli occhi e le labbra, urlando nella sua testa quell’unico nome che non aveva ancora avuto il coraggio di pronunciare nella realtà - e potrei sempre scoprirlo” finì quello, sporgendosi per baciarle il collo. Ma un rumore sordo distrasse l’uomo dal suo intento, uno spostamento d’aria improvviso dietro di lui. 
“Toglile.le.mani.di.dosso” Charlotte sgranò gli occhi, terrorizzata, esausta ma anche felice: Harry. Il ragazzo balzò loro addosso, separandoli. Charlotte rotolò a terra, il respiro mozzato, ma alzò appena la testa per vedere Harry dare un calcio in pieno volto al delinquente, facendogli volare la pistola. Per un attimo Charlotte riuscì a scorgere gli occhi di lui e non riuscì a trattenere un sussulto: quel verde così tenue era scomparso, sostituito da una tonalità più buia, profonda. Fredda. Charlotte guardò verso il secondo uomo, Weise, che giaceva lontano, stordito e con fatica gattonò verso il corpo del ragazzo. Lo slegò e lo abbracciò forte, baciandogli la fronte madida di sudore. 
“E’ tutto finito” sussurrava, guardando il profilo di Harry.
Fuori, le sirene già suonavano. 

 

Dean la guardò severamente, gli occhi azzurri taglienti come schegge di vetro, le mani poggiate sui fianchi. 
“Sei stata imprudente - le disse, guardandola dritta negli occhi - non solo per il ragazzo, ma soprattutto per te. Affrontare da sola due uomini armati. Ma dico, cosa cazzo ti è passato per la mente?” Si passò una mano fra i capelli brizzolati, distogliendo lo sguardo e sospirando pesantemente. Lei abbassò gli occhi sulla fanghiglia ai suoi piedi, la pioggia che ticchettava sulle pozzanghere già create. Si spinse il ghiaccio sulle labbra gonfie, sperando che quel dolore lancinante potesse essere la giusta punizione per il casino che aveva combinato. Dean la guardò di nuovo, il volto serio. 
“Nessun’altra cazzata come questa, Charlotte” le sussurrò, prima di darle le spalle e allontanarsi. Charlotte premette ancora sulle sue labbra, il dolore che le pungeva anche il cervello; ma un tocco delicato fece pressione sulla sua mano, facendole allontanare il ghiaccio dalla ferita che aveva ripreso a sanguinare. 
“Ti fai male così” gli occhi di Harry, tornati del consueto verde brillante, riuscirono a placare il tremolio del suo corpo ed alleviare la tremenda voglia di piangere che l’aveva assalita. Guardò il suo volto pallido dai lineamenti delicati, le fossette accennate, le labbra piene e rosse, i capelli più scuri e bagnati appiccicati sulla fronte. Le sue dita ancora sul suo polso magro, calde. 
“Mi hai salvata Styles - una pausa, un mezzo sorriso, le sue dita che la lasciavano - grazie” lo guardò e per un momento, non le importava più niente di nessuno. 
“Dovere, Charlotte” disse lui, sorridendole, usando le stesse parole di qualche ora prima. Charlotte saltò giù dal cofano dell’auto su cui era seduta, stringendosi contro la coperta di lana marrone. Gli diede una pacca sulla spalla, incamminandosi verso l’ambulanza per sincerarsi delle condizioni di Greg. Ma non fece in tempo a muovere alcuni passi che un trambusto poco lontano l’attirò; ebbe appena il tempo di vedere un’agente di polizia cadere a terra e una pistola puntarla prima di sentire lo sparo. Non ebbe però il tempo necessario per spostarsi, la mente di nuovo congelata. Per questo urlò dallo spavento quando si sentì spingere di lato, schiacciata dal peso di un corpo che era caduto vicino a lei. Charlotte si mise subito in ginocchio, osservando il corpo di Harry che si dimenava al suo fianco; il viso era distorto da una smorfia di dolore, la bocca spalancata in un urlo silenzioso. Gattonò velocemente verso di lui, prendendogli la mano che lui subito strinse. 
“Harry! Dio, Harry ma che cazzo hai fatto?” Guardò la ferita che Harry aveva sul braccio e da cui colava molto sangue. Alzò gli occhi lucidi dal suo corpo, osservando il rapinatore che aveva sparato e che veniva trasportato di peso nella volante di polizia. Accorsero subito dei medici che le urlavano nelle orecchie di allontanarsi e lasciar fare il proprio lavoro. Ma le dita di Harry si serrarono, forti, alle sue, richiamando nuovamente i suoi occhi. Fra la smorfia di dolore e il respiro cadenzato, Harry le stava sorridendo. 
“Harry?” Lo chiamò allora, le lacrime sulle guance. Nel frattempo i medici stavano dicendo che fortunatamente il proiettile lo aveva solo sfiorato. Lui la guardò, gli occhi leggermente assenti e il volto bianco. 
“Mi - fece un’altra smorfia, serrando gli occhi - mi hai chiamato per nome” riuscì a sussurrare prima di cadere svenuto. A Charlotte sfuggì un singhiozzo mentre si abbassava per baciargli la fronte bagnata. “Idiota” gli sussurrò sul volto, le dita ancora intrecciate.  

 

 

 

Louis picchiettò le dita sul tavolino, alzando di tanto in tanto gli occhi sulla porta. Quando finalmente si aprì e Zayn Malik comparve sulla soglia si alzò in piedi, preoccupato. 
“Come è successo?” Zayn lo guardò per alcuni istanti prima di incamminarsi nella sua direzione e lasciarsi cadere sulla sedia dall’altra parte del tavolo. Il poliziotto chiuse con un tonfo la porta della cella, continuando a controllare la situazione a vista d’ occhio. Louis si morse il labbro inferiore, sedendogli di fronte. 
“L’ho già detto, sono caduto dal letto e ho sbattuto contro il ferro” Louis fissò Zayn ed entrambi sapevano: l’occhio di Zayn era visibilmente gonfio e violaceo mentre al lato destro del labbro c' era una ferita incrostata di sangue. Entrambi sapevano che cosa era successo eppure gli occhi di Zayn sembravano pregarlo di lasciar perdere. 
“Dimmi solo perché” sussurrò Louis, gli occhi fermi in quelli del suo assistito. Ma Zayn scosse la testa, distogliendo lo sguardo e puntandolo sul muro. 
“Tu non puoi sapere nulla” Louis sospirò, intrecciando le mani sul tavolo. 
“Le indagini sono avviate, sai cosa significa?” Il silenzio fu l’unica risposta che ricevette. 
“Che ci avviciniamo al processo, Malik. Ti condanneranno - fece una pausa, durante la quale il respiro di Zayn si infrangeva, pesante, sull’asse del tavolo - pensa a tua sorella” e fu allora che Zayn scattò in piedi, sbattendo un pugno sul tavolo e richiamando anche il poliziotto. 
“E’ proprio a lei che penso continuamente” furono le ultime parole rivolte a un Louis immobile.
 

 
 


  

Angolo autrice:
questo capitolo è stato un parto. Naturalmente essendo un normale commissariato di polizia, il caso di Zayn non è l'unico. E ho voluto descrivere il primo intervento compiuto insieme da Charlotte e Harry... e che intervento, eh! Cosa ne pensate?
Ho inserito poi un piccolo dialogo fra Louis e Zayn: vediamo che Zayn è stato picchiato e Louis incolpa Zayn di non pensare al destino della sorella. Come andrà a finire? Ringrazio nuovamente voi che avete la pazienza di recensire e anche tutti coloro che leggono in silenzio. Un bacio, 
Sonia. 
 

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Capitolo 10
*** (10)- Il tassello mancante ***


MURDERESS. 



(10)- Il tassello mancante 

 

Sono venuta a vedere, sono venuta per vederti. 

Sono venuta per lasciarti, ma sono rimasta.
 

Era passata una settimana e tutto, fuori ma soprattutto dentro, sembrava diverso: Emma non andava a scuola da tre giorni, evitava il padre e non rispondeva nemmeno alle chiamate di Niall, diventate sempre più insistenti. Aveva ricevuto l’invito di una festa che aveva immediatamente stracciato e buttato nella spazzatura, senza neanche prendere in considerazione l’idea di andarci. Da una settimana a quella parte, quando si guardava allo specchio non si riconosceva più; si vedeva e si sentiva diversa, anche se non capiva dove e soprattutto perché. Una strana sensazione, come una voragine profonda che si apre nel petto, la assaliva sempre più spesso facendola sentire vuota ma anche piena, tanto che alcune volte non riusciva nemmeno a respirare; percepiva accanto a sé, dietro sé, lo spettro di un passato che aveva tentato tante volte di cancellare ma che si era sempre nascosto sotto la sua falsa sicurezza, dietro i suoi sorrisi così grandi, in quegli abbracci nascosti e disperati con cui stringeva il suo cuscino, o anche Niall. 
Il telefono vibrò sul comodino ma Emma non si mosse, continuando a rimanere sdraiata sul letto a fissare il soffitto. Sapeva chi era e sapeva che lo stava facendo preoccupare ma l’idea non la scalfiva più di tanto; suo malgrado, le piaceva pensare a un Niall preoccupato per lei come se così, lui fosse più suo o lei più sua. Quando la vibrazione terminò Emma girò il viso verso il comodino, guardando lo schermo illuminato per altri pochi istanti prima di diventare nuovamente nero. E proprio là, accanto al suo cellulare, rivolta verso di lei c’era una cornice che catturò il suo sguardo: Liam, seduto sul divano bianco del loro vecchio salone, stringeva fra le braccia un neonato di pochi mesi che lo fissava, gli occhi sbarrati. Emma scattò a sedere sul letto, la testa fra le ginocchia e i pugni stretti tanto da far male; ma mai male quanto le faceva il cuore. Calde lacrime scesero lungo la sua guancia, cadendo sulla stoffa dei suoi pantaloni e procurando un alone scuro, mentre lei sospirava forte e cercava di far cessare i singulti muti che la facevano tramare; alzando il viso bagnato guardò un’altra foto, accanto a quella di Liam: la foto della loro mamma. Dean le ripeteva spesso, quando facevano pace dopo una litigata o quando la raggiungeva nel suo letto dopo che a causa del suo lavoro avevano dovuto cancellare qualche impegno insieme, quanto somigliasse alla mamma; Emma, però, non era d’accordo. La madre profumava di vaniglia, lo ricordava bene, aveva la pelle morbida come seta e il fisico sottile come un giunco; lei odorava di fumo, era ruvida come le battute piccate che faceva e imponente come la voglia che aveva di comandare il mondo. Janet, sua madre, aveva una voce melodiosa, le labbra sottili e le mani piccole. Emma aveva una voce acuta, labbra gonfie e mani lunghe e affusolate. Janet baciava dove Emma avrebbe colpito forte, lei perdonava dove Emma avrebbe messo un punto definitivo. La mamma avrebbe amato dove la figlia avrebbe odiato. Perché la mamma era bella, bella come la sua dolcezza e fragilità, la sua consistenza quasi cristallina. Emma invece era bella per la forza che i suoi movimenti avevano, per lo sguardo così profondo che ci si poteva perdere dentro e per quelle mani che accarezzavano sì, ma che modellavano a loro piacimento.
“Oh, mamma” sussurrò al nulla, continuando a fissare quel sorriso genuino immortalato da una piccola fotografia. Emma si chiese cosa le avrebbe consigliato di fare la mamma a quel punto: al punto che non riusciva più a sentire gli occhi del suo migliore amico addosso perché stuzzicavano quell’amore piccolo, o forse troppo grande; al punto di odiare suo fratello che se ne era semplicemente andato via; al punto di sognare, ogni notte, quello sguardo così nero ma anche così dorato. 
Il campanello suonò, facendola sobbalzare. Guardò la porta aperta della sua stanza, aspettandosi quasi di vedere qualcuno affacciarsi dalla soglia. Decise di lasciar credere che non ci fosse nessuno, chiudendo gli occhi. Ma il campanello suonò di nuovo, più insistentemente. Emma si accigliò ma non si mosse. 
“Emma!” La ragazza sbarrò gli occhi, spostando nuovamente gli occhi verso la porta della camera. Era la voce di Niall. 
“Emma, so che sei in casa. Aprimi!” Urlò ancora. Emma mise i piedi nudi sul pavimento, rabbrividendo; si alzò e barcollò appena, rischiando di ricadere sul materasso. 
“EMMA!” Si trascinò giù per le scale, il viso stravolto e il respiro cadenzato. Arrivò al piccolo ingresso di casa Harrison, bloccandosi a metà, fissando lo sguardo sulla porta d’ingresso quasi a riuscire a vederci attraverso; lo immaginava nitidamente, con entrambe le mani sulla porta, il ciuffo di capelli alzato in aria e gli occhi blu abbassati. Titubante si avvicinò ancora, cercando di non far rumore e di capire se avesse voglia di vederlo o meno; il labbro inferiore le tremava e lei lo morse forte, quasi a sangue. 
“Sono tre giorni che mi eviti - fece una pausa, durante la quale Emma sentì di nuovo gli occhi inumidirsi- ti prego” concluse lui in un sussurro. 
“Vattene” disse lei, scivolando a terra in ginocchio, le mani contro la porta. 
“Non piangere” Emma chiuse gli occhi, poggiando una mano sulla bocca per non lasciarsi sfuggire nemmeno un lamento, anche se Niall aveva capito il suo stato d’animo senza vederla; Niall la conosceva come nessun altro; comprendeva ogni suo stato d’animo, porgendole la mano quando la situazione si faceva troppo pesante per lei. Niall era stata la soluzioni a tanti problemi, troppi. 
“Apri questa porta, cristo santo. Qualsiasi problema sia ne usciremo fuori insieme, come abbiamo sempre fatto” disse infatti lui. Ma Emma scosse la testa, anche sapendo che lui non poteva vederla. Era tutto diverso questa volta. Tutto. Come combattere qualcosa di cui non si conosceva la forma, né la sostanza, né altro? Come poteva pretendere aiuto da Niall se nemmeno lei era in grado di dire quale fosse il problema che la rendeva così sbagliata? 
“Perché sei sempre qua, Niall? Perché ti ostini a volermi aiutare?” Niall sospirò e dai rumori attutiti che sentì, immaginò che si fosse messo seduto sui gradini del porticato. 
“Perché ti amo” Emma non trasalì, non sbarrò gli occhi né smise di respirare; non era la prima volta che Niall le diceva una cosa del genere e lo faceva quando sentiva che fosse necessario sottolinearlo nuovamente, quando Emma diventava troppo cieca e troppo vulnerabile. Sapeva che era un amore di natura differente quello che Niall esprimeva con quei suoi occhi, ma lei lo accettava in silenzio e senza tante spiegazioni, perché le bastavano quelle due piccole parole a farla sentire giusta. I “ti amo” di Niall arrivavano sempre quando le lacrime di Emma bruciavano la pelle, quando John Parker l’aveva chiamata troia o Christopher Blaise l’aveva presa in giro dicendo che aveva le gambe storte. Emma allora correva fra le braccia di Niall che la stringevano dolcemente e lui le sussurrava contro la pelle arrossata quel ti amo striato di ricordi, emozioni e sentimenti sempre condivisi. In fondo, Niall l’amava e lei lo sapeva: l’amava come si ama una cosa di cui non si può fare a meno, senza la quale non si vivrebbe più ma si sopravviverebbe solo. Non era l’amore che distruggeva, curava, feriva, germogliava. Era un amore genuino, senza etichette, senza un perché, senza limiti. E sebbene nel corso di quegli anni le parole di Niall l’avevano sempre guarita, in quel frangente per la prima volta il suo “ti amo” la ferì. Perché forse non era più abbastanza; perché forse aveva bisogno di labbra che si unissero alle sue, di mani che la toccassero e l’aggiustassero, di gambe che si intrecciassero con quelle di lei, di occhi che l’avrebbero guardata e basta, in silenzio. Forse, le parole non bastavano più. Forse Niall non bastava più. 
L’intensità del tormento che provava la spinse in avanti. Aprì di scatto la porta e lo vide: come aveva immaginato Niall si era seduto sui gradini del porticato e le dava le spalle; si girò velocemente e per la prima volta era Emma a sovrastarlo. Lui dovette alzare lo sguardo per incrociare quello di lei anche se dopo pochi istanti era già in piedi. Emma si aspettava che si sarebbe avvicinato, che l’avrebbe toccata, accarezzata, sussurrandole parole sentite e risentite e che riuscivano sempre a toccare le parti giuste del suo cervello; ma, quella volta, Niall rimase fermo, immobile, le mani lungo i fianchi, le labbra fra i denti, gli occhi fissi su di lei. Emma vacillò sotto il suo sguardo forse più cupo del solito e strinse i pugni in una morsa serrata, le unghie nella carne. 
“Io ti odio, Niall” il mondo sembrava essersi fermato, così da amplificare il suono delle sue parole; gli uccellini non cinguettavano più, l’annaffiatoio del vicino taceva, non una macchina sfrecciò lungo la strada. Solo lei, Niall e quel ti odio sussurrato - urlato - in quei centimetri di distanza che divennero chilometri. Il mare che Niall sembrava avere negli occhi si riversò fra loro, allontanandoli in un abisso scuro, in cui quelle semplici parole si scrivevano come un promemoria sgualcito. 
“Vattene” ribadì, girandosi e chiudendosi la porta alle spalle. Ma prima di riuscire a chiudersi nuovamente in casa, l’aveva guardato: sul viso di Niall si era dipinta un’espressione di puro terrore e dolore, rendendo alterati quei suoi lineamenti delicati che sapevano di un legame che andava oltre ogni possibilità fisica.
Fu allora che il respiro le mancò davvero. Fece passare altri pochi istanti prima di trovare il coraggio di aprire nuovamente la porta; non si stupì nel vederlo ancora lì, in piedi, con le mani abbandonate lungo i fianchi e le labbra appena schiuse. Quando  comparve sulla soglia della porta Niall la guardò, ammutolito. Il movimento di Emma fu repentino come anche quello di lui: le braccia di Niall si aprirono mentre gli si buttava addosso, stringendo le braccia intorno al suo collo. L’odore della sua pelle riuscì a farla calmare, mentre calde lacrime silenziose scendevano lungo le sue guance. Niall se la strinse contro e lei, d’un tratto, riuscì a respirare meglio. 
“Ti odio, ti odio, ti odio” sussurrò sulla sua pelle, strofinando il viso bagnato contro il suo collo. Sentì il sorriso formarsi sul volto di lui mentre iniziava ad accarezzarle la schiena, su e giù. Non le sussurrava che tutto sarebbe andato bene, perché lì, fra le sue braccia, con loro due che erano una persona sola, già andava tutto bene. Senza lasciare la presa su di lei Niall avanzò verso l’interno della casa, trascinando con sé Emma, chiudendosi la porta alle spalle con il piede. Emma non riusciva a smettere di piangere perché non riusciva a perdonare se stessa, così egoista da arrivare a ferire anche l’unica persona che mai le avrebbe fatto del male; stanca, si lasciò scivolare a terra mentre Niall la seguiva, inginocchiandosi di fronte a lei. 
“Io sono qua” poggiò le labbra contro la fronte di Emma strizzando gli occhi, come se anche lui stesse provando lo stesso dolore dell’amica. Quelle parole non erano una promessa perché non c’era bisogno di promettere per rimanere insieme; erano un invito - il solito - a fidarsi di lui. Fra le sue braccia, con il suo cuore che batteva contro il proprio e le sue dita a intrecciarsi fra i suoi capelli Emma si calmò, concentrandosi sul respiro di lui che si infrangeva sul suo collo. Cadde in una sorta di dormiveglia dettata dalla debolezza del suo corpo: effettivamente, non ricordava l’ultima volta che aveva mangiato qualcosa. Non si oppose alla presa di Niall quando la prese in braccio, adagiandola gentilmente sul divano del salotto. Si sedette poi sul pavimento, la schiena poggiata alle ginocchia sporgenti di Emma, il collo piegato in modo che potesse continuare a guardarla. Quando Emma iniziò ad accarezzargli i capelli, chiuse gli occhi. 
“Voglio andare a trovare la mamma” sussurrò allora, le labbra tremanti. Niall non diede segni di sorpresa, sospirando solamente senza aprire gli occhi. 
“Okay Emma, come vuoi” Emma sorrise, guardando il viso rilassato di lui. 
“Grazie Niall” e allora aprì gli occhi, sorridendole a sua volta. Si alzò dal pavimento, stiracchiandosi. Si tolse la felpa e la lasciò addosso al corpo ancora infreddolito di Emma, che se la strinse contro come se ne valesse la sua vita. E forse, era così in fondo. 
“Hai bisogno di un bagno caldo, prima. E di mettere qualcosa nello stomaco. Ti preparo la vasca e improvviserò un pranzo, poi andremo da tua madre” si chinò, baciandole nuovamente la fronte. Le diede le spalle e fece per allontanarsi ma Emma lo bloccò dal polso. Niall si girò, guardandola accigliato ma lei teneva lo sguardo fisso al pavimento. 
“Ti amo” 


Niall spense la macchina e sospirò, stringendo le mani sul volante. Si girò a guardare Emma che fissava l’entrata del cimitero davanti a loro, stringendo convulsamente il mazzo di rose bianche che teneva in grembo. Niall si slacciò la cintura e si sporse verso di lei, togliendole gentilmente le rose dalle mani. Emma sobbalzò, girandosi a guardarlo. 
“Ti stavi graffiando” disse solo, alzando le spalle. Lei arrossì, scuotendo la testa. Niall allungò una mano e le accarezzò la guancia, un sorriso sulle labbra rosse. 
“Era da un po’ che non ti vedevo senza tutto quel trucco - sussurrò lievemente - sei bellissima” Emma accennò un sorriso, prendendo la sua mano e baciandola. 
“Andiamo” Niall la osservò da dentro la macchina, con le mani nelle tasche posteriori dei jeans e gli occhi lucidi. Poi, la seguì. 

Emma si inginocchiò fra l’erba verde e curata, spostandosi una ciocca di capelli dal volto pallido. Il vento soffiava e sembrava graffiarle le pelle già irritata dal rossore del pianto. La lapide bianca spiccava davanti a lei, che la guardava con nuove lacrime a offuscarle la vista. 
“Stammi vicino” balbettò senza girarsi e subito una mano si poggiò sulla sua spalla, stringendola dolcemente. Niall. 
“Ciao mamma” l’immagine della madre spiccava su quel pezzo di marmo: il sole splendeva dietro di lei, il mare a lambirle le caviglie magre. Sorrideva felice e spensierata, in una spiaggia lontana della Grecia. Emma abbassò lo sguardo, cominciando a tremare, come ogni volta che si trovava di fronte quello scenario. Niall le si inginocchiò accanto, cingendole le spalle con un braccio. Emma si accasciò su di lui, traendo da quel tocco la forza necessaria per tornare a guardare quella fotografia. Niall con la mano liberà tolse i fiori secchi sostituendoli con il nuovo mazzo, sistemandolo con cura meticolosa. Emma, nel frattempo, guardava il volto della madre: i capelli ramati erano legati in una crocchia disordinata e gli occhi castani luccicavano alla luce di quel tramonto svanito per sempre. La palle diafana, senza nessuna imperfezione, spiccava nel paesaggio. Quando Niall terminò di sistemare i fiori Emma si sporse e con mano tremante accarezzò quella gelida foto che non poteva niente in confronto al caldo ricordo delle carezza della madre. 
“Mi manchi così tanto mamma” la voce le si spezzò; aveva così tante cose da dirle: voleva assicurarla sul padre, dicendole che stava bene anche se non aveva perso la sua abitudine di lavorare troppo. Voleva raccontarle di Niall, di quanto stesse bene insieme a lui, di quel sentimento dolce amaro che li univa. Voleva dirle quanto fosse stupido suo figlio Liam e, con il cuore in subbuglio, avrebbe voluto parlarle di quel ragazzo magro dagli occhi così indefinibili che popolava i suoi pensieri. Ma non riuscì ad aprir bocca. Poggiò la testa sulla spalla di Niall mentre quello si sporgeva in avanti per sfiorare la foto con le dita che portò poi alle labbra. 
“Salve, signora Harrison” sussurrò. Emma non riuscì a trattenersi e scoppiò di nuovo a piangere, in silenzio, nascondendo il viso sul collo di lui; anche gli occhi di Niall, mentre con il braccio destro la stringeva forte, si inumidirono. 
“Ha visto come le somiglia sua figlia? E’ bella come lei” Emma, stupita, lo guardò. Niall le sorrise, accarezzandole il braccio. 
“E’ così simile a lei, signora” mormorò ancora. Era così vicino che il suo respiro lambiva la pelle di Emma e il suo profumo la faceva sentire a casa; i suoi occhi, più blu ai timidi raggi del sole, erano incastrati a quelli di lei, facendole dimenticare tutto il resto. 
“Sì, hai ragione Niall. Somiglia alla mamma in modo impressionante” 
Emma spalancò la bocca a quella voce così familiare. Si girò di scatto e il respiro le si incastrò nella gola secca. Strinse convulsamente la mano di Niall mentre incrociava uno sguardo che aveva i suoi stessi, identici occhi. Liam, con le mani in tasca e il vento che gli sferzava i capelli sul viso, la stava osservando. Era tornato. 

 

 

 

Harry si passò una mano fra i capelli, incrociando poi le braccia al petto. Charlotte, accanto a lui, sospirò. 
“Perché non dici la verità, Malik?” Dean Harrison, in piedi di fronte a Zayn Malik, lo guardava con gli occhi a fessura, le mani dietro la schiena. Il giovane alzò gli occhi al cielo, allungando le gambe sul pavimento. 
“Gliel’ho detta la verità, commissario. Sono caduto dal letto e ho sbattuto il viso sul pavimento” Alzò gli occhi sul commissario, il viso ferito e il labbro ancora gonfio. Harrison sbatté il pugno sul tavolino lì accanto, non facendo però minimamente sobbalzare il ragazzo. Harry, da dietro il vetro della stanza, osservava quel giovane tanto strano.
“Questi sono segni che solo i pugni lasciano. Non prendermi per stupido” Zayn accennò un sorriso sarcastico, scuotendo la testa. Dean si piegò alla stessa altezza del suo viso, cercando i suoi occhi. 
“Che cosa stai nascondendo? Chi ti ha picchiato?” Il ragazzo lo guardò in cagnesco, il respiro appena più cadenzato. Harry notò una strana ombra disegnarsi sul suo volto, come se volesse urlare qualcosa, come se i suoi occhi fossero stati attraversati dall’idea di parlare. Ma poi quello distolse lo sguardo, puntandolo davanti a sé. 
“Già le ho detto che lei non sa nulla. Se davvero pensa che abbia mentito, perché non controlla le telecamere?” Dean strinse le mani a pugno, allontanandosi. 
“Non ho nient'altro da dire” sentenziò Zayn. Il commissario annuì, un sorriso teso dipinto sul volto. Fece un cenno al poliziotto che gli stava accanto e quello si diresse verso Zayn, facendolo alzare. Prima di uscire dalla stanza il ragazzo guardò intensamente Dean, poi se ne andò. Harry guardò Charlotte, immobile accanto a lui e le fece cenno di seguirlo. Entrambi raggiunsero Dean che li guardò in silenzio, una mano a coprirgli la bocca. 
“Abbiamo controllato le telecamere?” Charlotte annuì, mesta. 
“Non si vede nulla, commissario. A parte un fotogramma in cui Malik si alza proprio dal pavimento della sua cella” Dean annuì, soprappensiero. 
“Commissario Harrison, c’è dell’altro. Questa mattina sono arrivati i camerieri della villa Smith, insieme al cuoco e alla governate e hanno ritrattato la testimonianza” Dean si girò verso di lui, la bocca spalancata. 
“Che cosa?” Harry sospirò e iniziò a raccontare. 
“All’inizio avevano dichiarato di non essere presenti al fatto e di non aver visto nemmeno l’arrivo di Malik. Invece questa mattina si sono presentati nuovamente, dicendo di aver mentito per paura di essere in qualche modo coinvolti: erano tutti presenti nella villa, quella sera e hanno visto arrivare il ragazzo arrabbiato e con un coltello in mano, quello che si presume essere l’arma del delitto” Dean si lasciò cadere sulla sedia occupata poco prima da Zayn, gli occhi serrati. 
“Il 25 Marzo, alle nove di sera circa, Zayn Malik si reca alla villa della compagna, Emily Smith. I due avevano precedentemente litigato e la signorina Smith aveva deciso di interrompere la loro storia. Arrabbiato, Zayn entra nella villa, incontra Emily, si urlano contro e lui cerca di farla ragionare. Ma la ragazza non sente ragioni e allora Malik prende il coltello, la pugnala e la uccide. Però, invece di allontanarsi dal corpo, cade accanto a lei e rimane lì fino al nostro arrivo” il silenzio calò dopo quelle parole, ognuno preso dai propri pensieri: Charlotte fissava il pavimento, le braccia talmente intrecciate fra loro che ci avrebbe messo ore per liberarle; Dean, la testa fra le mani guardava Harry che a sua volta restituiva lo sguardo ed entrambi sembravano pensare alla stessa cosa: cosa stava sfuggendo loro? 
“Abbiamo l’assassino, abbiamo un movente e persino una confessione - Harry fece una pausa, inumidendosi le labbra secche - ma allora perché continua a esserci qualcosa che non quadra?” Ma nessuno di loro, sembrava avere la risposta. Il commissario Harrison si alzò, sospirando; gli si avvicinò e scosse lentamente la testa. 
“Teniamolo d’occhio” sussurrò. Poi, con una pacca sulla spalla di Harry e un cenno a Charlotte, uscì dalla stanza.   


Charlotte lo osservava, in silenzio. Harry sentiva il suo sguardo addosso e questo, lo metteva a disagio. Non si sentiva studiato, quanto più radiografato da quei due occhi così profondi e il fatto di non riuscire a capire che sentimenti provasse Charlotte nei suoi confronti, lo confondeva ancora di più. 
“E’ maleducazione fissare la gente” disse, a un certo punto, alzando contemporaneamente gli occhi su di lei. Le guance di Charlotte si colorarono di rosso mentre Harry non riuscì a trattenere un sorriso divertito. 
“Hai una faccia strana” si giustificò lei, alzandosi dalla sedia e avvicinandosi alla scrivania del collega. Harry cominciò a giocherellare con la penna che aveva in mano, lanciando un’occhiata ai documenti di fronte a lui. 
“Non riesco a smettere di pensare” mormorò allora, gli occhi abbassati sui fogli. Charlotte lo raggiunse e si sporse sopra la sua spalla per vedere meglio mentre i suoi capelli solleticavano il polso di Harry. Lui sospirò pesantemente, colpito dal suo profumo dolciastro e tossicchiando in imbarazzo allontanò impercettibilmente la sedia. Charlotte sembrò accorgersi del suo movimento perché lo guardò di sottecchi, giusto un’istante, prima di poggiarsi alla scrivania e prendere in mano il fascicolo, studiandolo per alcuni minuti. 
“E’ il verbale del caso Malik” lui annuì, intrecciando le dita fra loro, senza guardarla. Charlotte alzò gli occhi al cielo, sbuffando. 
“E allora?” Harry sembrò piombare nuovamente nella realtà, lo sguardo vacuo. Si alzò dalla sedia, mettendosi accanto a lei e indicando con la mano delle frasi precise. 
“Malik non è stato trovato semplicemente accanto al corpo, Charlotte. Qua c’è scritto che lo stava abbracciando. Che senso avrebbe uccidere la ragazza e poi rimanere là, senza fuggire?” 
“Rimorso?” Provò Charlotte ma anche alle sue orecchie il tono risultò incerto. Infatti, Harry scosse la testa, un sorriso sghembo sul volto. 
“Sai meglio di me come in quei casi reagiscono le persone …” La guardò e lei annuì, spostandosi i capelli dal volto. 
“Si uccidono” concluse la frase Charlotte, gli occhi di nuovo sui documenti. 
“Inoltre questa ritrattazione dei testimoni è strana e non combacia con i filmati delle telecamere di casa Smith: Malik non aveva in mano nessun coltello quando è arrivato al cancello della villa. Hanno inoltre confermato di non aver sentito nulla che potesse far pensare allo svolgimento di una tragedia come questa. E allora mi chiedo, cosa ci dice che Malik e Emily abbiano davvero litigato? Non ci sono telecamere all’interno della villa. E come hanno fatto a precisare la rabbia di Zayn Malik quando continuano a dire di non averlo visto da vicino? Dunque, dobbiamo presumere che abbiano litigato senza urlare? Come mai nessuno è andato a controllare, in entrambi i casi?” Harry guardava fisso il piano della scrivania, come se la risposta si trovasse fra le venature più scure del legno. Charlotte, d’altro canto, lo fissava in modo interessato. 
“Quindi, in poche parole mi stai dicendo che Malik potrebbe non essere l’assassino della ragazza?”
“Non lo so, Charlotte, non so nulla. Ma il comportamento di Malik non è normale; perché mentire a tutti quando è chiaro che lo hanno picchiato? Perché negare con tanta ostinazione? Ci sono stati momenti in cui sembrava che volesse dire qualcosa, qualcosa che sta nascondendo a tutti, e potrebbe avere a che fare con la morte di Emily Smith!” Charlotte si morse il labbro inferiore, gli occhi fissi in quelli di lui. 
“Stai basando tutto su dei forse, Harry e c’è in ballo l’omicidio di una ragazza di appena vent’anni” 
“E credi che non lo sappia? Ma questo caso verrà chiuso molto presto e non riesco ad immaginare nemmeno per un momento di poter accusare un’innocente e costringerlo a una vita d’inferno. Ogni notte quel ragazzo urla nel sonno e non sembra il ricordo a tormentarlo, quanto il dolore per la sua perdita” Harry aveva alzato la voce, conscio del fatto che Charlotte aveva ragione: non poteva fare nulla senza delle prove e non poteva certo pensare di scarcerare qualcuno sulla base del suo istinto. Suo padre gli aveva sempre detto che molti dei suoi casi li aveva risolti basandosi sulle sue sensazioni ma Harry non se la sentiva ancora di condividere i suoi pensieri con gli altri. La reazione di Charlotte, gli fece capire che stava agendo bene. 
“Io credo - fece un sospiro, passandosi una mano fra i capelli già arruffati - che Malik sia innocente e - ma si bloccò quando la porta del loro ufficio venne aperta con foga. Sulla soglia apparve un collega, il fiato corto e gli occhi fissi su Charlotte. 
“C’è stata una rapina a due isolati da qui, il commissario Harrison manda voi due” lei annuì, congedando l’agente. Harry stava per prendere la giacca ma la mano di Charlotte si serrò sul suo polso, bloccandolo. Alzando lo sguardo Harry se la ritrovò più vicina di quanto pensasse. 
“Posso andare da sola, non preoccuparti. Ma, se fossi in te … Andrei in archivio. Non dovrebbero essere state ancora archiviate gli effetti presi in casa Malik” Harry le sorrise, grato. Charlotte prese la pistola, facendogli l’occhiolino e lasciandolo solo a rimuginare.  

 

Harry uscì velocemente dal commissariato, il biglietto stropicciato stretto nella mano sudata. Entrò nella sua macchina e chiuse lo sportello, fermandosi un attimo a pensare: nel portafoglio di Malik aveva trovato uno scontrino sbiadito sul cui retro era stato scritto il nome di una via. Preso dall’euforia, era uscito dall’archivio senza guardare in faccia nessuno, consapevole di aver trovato un’indizio sfuggito agli altri poliziotti. Sapeva, inoltre, che avrebbe dovuto subito avvertire un suo superiore; nella sua folle corsa aveva quasi travolto il maresciallo Brown ed era stato tentato di dirgli tutto. Ma una volontà superiore non gliel’aveva permesso. Harry guardò nuovamente quelle parole scritte frettolosamente e si chiese se stesse facendo la cosa giusta. Ma non pensò a nulla in particolare quando indossò gli occhiali da sole, accese l’auto e sgommò sulla strada diretto all’ignota destinazione. 

Parcheggiò poco distante dal numero civico scritto nel biglietto e scese dall’auto. Non si era allontanato di molto, anche se non conosceva quella parte di Bradford. Si incamminò per la via con le mani in tasca, finché non trovò il numero civico che cercava: era un porticato in marmo, con due piccole colonne bianche e una scalinata in cemento che portava a un negozio per bambini neonati. Harry corrugò la fronte, osservando interrogativo l’insegna del negozio: “K & J Childrens Wear”. Salì i gradini lentamente, guardandosi attorno, cercando qualcosa che potesse essere collegato al caso che seguiva, anche se il posto sembrava essere proprio quello. Si fermò sulla soglia del negozio, sbirciando al suo interno; poi, tossicchiando imbarazzato e incastrando gli occhiali da sole fra i capelli, entrò. Era uno spazio piccolo ma molto illuminato, una musica dolce che allietava le compere delle persone; nella piccola vetrina allestita capeggiava un lettino in legno pregiato su cui si adagiava un manichino minuscolo abbigliato perfettamente e circondato da peluche di ogni grandezza. Di fronte il negozio era diviso in tre corsie differenti, a seconda del sesso e dell’età del neonato. Harry si fece avanti con passo felpato, cercando di non farsi notare sebbene il disagio e la sensazione di trovarsi fuori luogo. Nella prima corsia incrociò una signora con un pancione enorme che cercava di raggiungere la confezione di una tutina rossa che si trovava però troppo in alto. Harry si guardò intorno, mordendosi il labbro, e notando l’assenza di commesse le si avvicinò. 
“Faccio io, signora” la donna sobbalzò, girandosi nella sua direzione. Harry arrossì, alzando il braccio e afferrando il completino. Gli diede un’occhiata fugace prima di porgerlo alla signora che gli sorrise, grata. 
“Ottima scelta comunque e auguri” 
“Grazie mille” sorrise quella, incamminandosi verso la cassa. Harry si schiarì la voce, ricominciando a guardarsi attorno. Era circondato da tutine, scarpette e calzini con i merletti e proprio non riusciva a capire cosa diavolo c’entrasse tutto ciò con il ragazzo in prigione. Quando oramai aveva perso ogni tipo di speranza, una voce lo fece sussultare. 
“Posso aiutarla?” Harry si girò e la risposta negativa gli morì in gola. Scioccato, Harry osservò il pancione fasciato da una maglietta scura e i lunghi capelli corvini lasciati sciolti lungo le spalle magre di Clare Malik. Anche la ragazza lo riconobbe subito e lo guardò, interrogativa. 
“Agente Styles? Cosa ci fa sul mio posto di lavoro?” Harry scosse la testa, massaggiandosi una tempia. 
“L-lei lavora qui?” Lei lo guardò sospettosa, annuendo. 
“Da quanto tempo precisamente?” Clare Malik incrociò le braccia sotto al seno, mostrando ancor di più il ventre gonfio e lo guardò in cagnesco. 
“Ho finito di rispondere alle sue domande, agente. Non parlerò più in assenza del nostro avvocato” Harry chiuse un attimo gli occhi, cercando di trattenersi dall’afferrarla per le braccia e scuoterla. 
“Signorina Malik, so esattamente cosa sta provando. Ma la prego, mi risponda. Potrebbe essere di vitale importanza” Lo guardò per altri pochi istanti, annuendo nuovamente. 
“Da alcune settimane, credo. Più o meno una settimana prima che Zayn - la voce le si bloccò e alzò gli occhi al cielo, evitando che le lacrime scendessero lungo il suo viso - che Zayn fosse arrestato” concluse in un soffio. Harry rimuginò fra sé, in silenzio, i fatti che lentamente gli si disegnavano in testa. 
“Avevamo bisogno di soldi” si giustificò, cominciando ad accarezzare il ventre. 
“E suo fratello? Era a conoscenza del suo impiego?” La pelle ambrata di Clare si colorò di rosso sulle guance, l’imbarazzo stampato a chiare lettere sul suo viso. 
“No, non sapeva nulla. Non voleva che lavorassi durante la gravidanza” Harry annuì, pensieroso. 
“Grazie signorina Malik, mi è stata di grande aiuto” quella annuì, girandosi e avvicinandosi a una signora poco distante. Harry uscì velocemente dal negozio, il cervello che lavorava frenetico. Era quello il tassello mancante, il collegamento fra Zayn e una terza persona? Se Zayn davvero ignorava il segreto della sorella perché nel suo portafoglio c’era quell’indirizzo? 


Harry si lasciò cadere, stanco, sulla sedia dell’ufficio. Il pomeriggio era ormai concluso e il buio cominciava a subentrare al rossore del tramonto. 
“Allora, scoperto qualcosa di nuovo su Malik?” Harry osservò Charlotte entrare nella stanza, lanciandosi sulla sedia della sua scrivania. Il ragazzo soffocò una risata, stropicciandosi gli occhi già irritati.
“In realtà non lo so. E’ tutto così confuso” Charlotte lo guardò con quei suoi occhi troppo azzurri e Harry si sentì quasi a disagio. Disagio che crebbe quando la vide alzarsi e avvicinarsi a lui; si mise seduta sulla scrivania di Harry, le gambe che sfioravano quelle di lui e il suo profumo facilmente percepibile. 
“Avanti, parla” Harry annuì, iniziando a raccontare tutto quanto. Quando finì, il silenzio calò fra di loro e Harry osservò la sua reazione: Charlotte non lo guardava più come aveva fatto durante il suo racconto, quasi in modo febbrile; fissava la punta delle sue scarpe, gli occhi sbarrati e una mano a giocherellare con il labbro inferiore. 
“Quindi la sorella di Malik sostiene di aver tenuto nascosto a Malik il suo lavoro e tu, fra gli effetti personali di Zayn hai trovato l’indirizzo che ti ha portato al negozio” riassunse mentre Harry annuiva con gli occhi chiusi. Charlotte sospirò, tornando a guardare il collega. 
“Certo è strano ma questo non prova nulla, Harry” sussurrò in modo dolce, quasi come se si aspettasse che lui le urlasse contro. Harry si alzò lentamente dalla sedia e gli si parò davanti, poggiando le mani sulle sue ginocchia. Charlotte trattenne il respiro, guardandolo con aria di sfida quando i suoi occhi si incrociarono a quelli di lei. 
“Pensaci bene, Charlotte”
“Potrebbe anche essere che Malik sospettasse qualcosa e abbia scritto lui stesso quella via sullo scontrino” Ma Harry sapeva che non ci credeva nemmeno lei. 
“Significa che confronteremo la scrittura di Malik con quella del biglietto” un rumore attutito li fece sobbalzare e Harry tolse le mani dalla sue gambe. La pressione sui polmoni di Charlotte scomparve all’istante. 
“Se ci fosse qualcuno che sta minacciando Malik tramite la sorella?” Non parlò forte, ma quelle parole giunsero all’orecchio di Charlotte come se lui le avesse gridate. Ci pensò su, ripetendosele mentalmente e più lo faceva, più queste prendevano consistenza in lei. Ma proprio quando stava per aprire bocca e ribattere la porta cigolò e una voce imbarazzata li fece sussultare. 
“Harry?” Il ragazzo si girò, incrociando due occhi blu e irrequieti. Hollie gli sorrise, spostandosi una ciocca di capelli color miele dietro le orecchie. Harry sentì la pelle bruciare alla sua vista: gli era mancata. Si allontanò da Charlotte, quasi come fosse stato scottato. La guardò di sottecchi mentre abbassava gli occhi, sottraendosi al suo sguardo. Harry si avvicinò ad Hollie, il sorriso sul viso. 
“Che ci fai qua?” Le sussurrò, stringendole i fianchi. Lei alzò gli occhi su di lui, accarezzando i muscoli delle braccia di Harry lasciati scoperti dalla maglietta a maniche corte. 
“Sono venuta a prenderti e a dirti che stasera non torni a casa” si allontanò appena da lui, frugando nella sua borsa. Harry la guardò mentre borbottava e sorrise, intenerito, sfiorando con i polpastrelli le punte dei suoi capelli. Sulla nuca, sentiva lo sguardo di Charlotte ma lui lo ignorò. 
“Eccoli finalmente! Due biglietti per il cinema” gli sventolò davanti al viso due pezzi di carta che lui afferrò prima di chinarsi e baciare le sue labbra sottili. Hollie sorrise contro le sue labbra, intrecciando le mani ai ricci di Harry. Quando si separarono, entrambi con il respiro corto, il ragazzo le accarezzò le guance arrossate, sfiorandole con il pollice il labbro inferiore. 
“Ti amo” sussurrò lei, stringendoselo addosso. 
“Anche io Hollie” rispose allora, stringendole un braccio dietro il collo. Da sopra la sua spalla guardò di sfuggita Charlotte: i loro occhi si incrociarono per pochi secondi prima che lei girasse le spalle e lui affondasse il viso al collo di Hollie.

 
        
            

 


 

 

Angolo autrice:

ed eccoci con il nuovo capitolo, abbastanza corposo. Allora, prima di tutto c'è uno scorcio su ciò che sta accadendo a Emma: da quando ha saputo la storia di Zayn non fa che pensare a Liam e al passato, alla morte della madre, alla solitudine che prova. Pensa sempre a Zayn, anche se non se ne rende conto. Non riesce più ad andare avanti con la sua vita, come si vede dal fatto che non frequenta più la scuole e non parla con Niall. C'è appunto il pezzo con Niall, che amo follemente non c'è nulla da fare. E poi, il ritorno di Liam che nel prossimo capitolo tratterò con i dovuti particolari. 
Poi, c'è Harry. Harry, che trova un piccolo indizio e che apre un tunnel nel buio che circonda tutti: un pezzo di carta, che lo conduce sul posto dove lavora Clare che afferma il fatto che Zayn era all'oscuro del suo impiego. Dunque, Harry ora ha una strada da seguire. A questo, si unisce l'assalto a Zayn che nega tutto e la ritrattazione dei testimoni della villa Smith. Viene anche accennato al delitto, a come è avvenuto. 
Le cose si complicano ma spero di spiegarvele nel modo migliore. Un bacio e a presto, 

Sonia. 

 

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Capitolo 11
*** 11.Capitolo 10 ***


Preso dentro al buio che avanza,
vieni tu a dare luce al mio giorno.


 

C’era odore di erba bagnata, di gelsomini e terra smossa. Il vento soffiava fra i capelli lunghi e il silenzio riempiva le sue orecchie.
Con gli occhi sbarrati e le mani tremanti, Emma osservò Liam.
Sembrava più alto e più muscoloso. Il suo viso bambinesco era diventato più maturo e i lineamenti delicati più spigolosi e marcati.
Aveva un accenno di barba sulle guance e i capelli appena più lunghi, ma con la medesima acconciatura di tre anni prima.
Gli occhi, però, erano gli stessi. Castani e caldi. Luminosi.
Appoggiandosi a Niall, Emma si alzò in piedi.
Liam le sorrise dolcemente, con quel sorriso che tanto la faceva stare bene e la faceva sentire protetta.
-Emma ..- Sussurrò, facendo un passo in avanti. Fu allora che lei scattò. Si diresse verso di lui quasi correndo, per poi fermarsi a poche spanne di distanza. Respirava irregolarmente, e serrò i pugni lungo i fianchi. Fu investita dal familiare profumo del fratello, che le intorpidì i sensi. Liam allungò una mano, accarezzandole la guancia ancora bagnata.
-Mi sei mancata così tanto ..-  L’istinto prese il sopravvento e Emma non riuscì a controllarsi.
Lo schiocco risuonò nel silenzio del cimitero. Poco lontano da lì, alcuni uccellini fuoriuscirono da un grande pino, facendo cadere alcune foglie giallognole.
Dalla strada giunse il rumore di un clacson e una frenata sull’asfalto.
Liam si portò la mano sulla guancia, esattamente dove lo schiaffo della sorella lo aveva colpito.
-Fanculo.- Sussurrò lei, dandogli le spalle e tornando fra le braccia robuste di Niall.
Liam rimase impalato a fissarla cercando negli occhi caramellati della sorella, gemelli dei suoi, un qualche accenno di piacere nel vederlo. Ma con rassegnazione sorrise mesto a Niall, constatando che Emma provasse solo rabbia.
La stessa ragazza rimase spiazzata dalla forza del rancore che provava per Liam. Affondò il viso nel petto dell’amico, stringendo i pugni all’altezza del ventre di lui.
-Portami via, Niall.-
-Ma Emma .. E’ Liam. E’ tornato e ..-
-Per favore.- Emma alzò i suoi occhi, incastrandoli in quelli blu e tempestosi del biondo. Lui si morse il labbro inferiore, guardando Liam. Anche Emma lo osservò di sottecchi. Era immobile, con il rossore evidente sulla guancia e gli occhi lucidi. Teneva le mani serrate lungo i fianchi e lo sguardo era puntato su di lei.
Sentì Niall sospirare e allacciare le sue braccia, per un momento, intorno al suo corpo. E la ragazza si lasciò andare al senso di protezione che Niall le riusciva a donare, sempre. Molte volte si era scoperta a pensare che, fra le braccia forti dell’amico, persino la morte avrebbe posseduto una parvenza di dolcezza e felicità.
-Va bene.- Sussurrò, prima di liberarla dal suo abbraccio. Ma Emma si sentì vacillare senza di lui, vulnerabile e debole. Per questo strinse le dita affusolate e gelide a quelle callose ma delicate di Niall. Lui sussultò, ma poi le strinse la mano.
Da quello, Emma trovò la forza di affrontare di nuovo lo sguardo del fratello. E rimase spiazzata dalla lacrima che stava attraversando il viso impassibile e immobile di Liam. Anche Niall si irrigidì.
Liam stava piangendo.
E sebbene Emma provasse un sentimento che si avvicinava a repulsione per l’egoismo che il fratello aveva coltivato in quei tre anni, abbandonandola per la sua felicità, isolandosi per la paura del passato che Emma personificava, si sentì toccata a quella vista. Le immagini si assieparono nella sua mente debole e confusa, tanto che nemmeno la ragazza era sicura se davvero appartenessero tutte alla sua infanzia.
Liam che piangeva, all’età di otto anni, sotto l’albero su cui aveva cercato di arrampicarsi, nel maneggio della nonna.
Liam che piangeva con il viso premuto contro il ventre della mamma, oramai senza vita.
Liam che piangeva davanti alla lapide di Nathalie, con i capelli scompigliati e gli occhi cerchiati.
-Lo so che mi odi, Emmie.- Lei si morsicò il labbro, al sentire il nomignolo che solo lui usava.
-Non c’è bisogno che mi urli in faccia ciò che ho fatto. Perché lo leggo nei tuoi occhi. Ti ho abbandonata, lasciata in preda a un atroce dolore, ho contribuito alla tua destabilizzazione senza che me ne rendessi conto. Non ho capito che il mio passato, l’ho condiviso con te. E con nostro padre. La verità è che, in questi tre anni, non ho mai voluto chiamarti né incontrarci per puro egoismo. Non volevo che il passato tornasse, non volevo che scalfisse la mia felicità. Credevo che avrei ritrovato nei tuoi occhi quelli della mamma, nei tuoi capelli lunghi quelli di Nathalie, e nei tuoi sorrisi quei ricordi che mi uccidono e mi perseguitano ancora, di notte. Non ho compreso che, invece, tu avresti potuto rappresentare una nuova vita. Emma, fai bene ad odiarmi. Lo farei anche io.- Si fermò un momento, asciugandosi il viso.
-Mi odio anche io.- Aggiunse, in un sussurro.
Fu allora che Emma fu sopraffatta da altri ricordi.
Liam che la spingeva sull’altalena.
Liam che le faceva spazio nel proprio letto, facendola stringere al suo petto, quando fuori c’era un temporale.
Liam che l’abbracciava forte, al suo dodicesimo compleanno.
Liam che le presentava Nathalie, con gli occhi lucidi.
Non riuscì a trattenere un angolo della bocca che si alzò, in un mezzo sorriso.
-Io non ti odio, Liam. E’ solo che mi sei mancato.- Liam  la guardò con un dolore che gli impregnava ogni singolo tessuto della pelle.
-Anche tu, Emmie. Scusami.- Lei sospirò, poggiandosi a Niall. Era combattuta. Una parte di lei, era ancora totalmente disgustata dall’egoismo del fratello. L’altra parte, invece, l’aveva perdonato. E soprattutto, l’aveva capito e compreso.
Una parte di lei lo avrebbe voluto riempire di pugni, l’altra lo avrebbe voluto stringere forte.
Così, Emma annuì semplicemente.
-Helen! Helen fermati per favore!- I tre ragazzi si girarono ad osservare una giovane, dai lunghi capelli neri, trascinata dalla manina di una bambina. Emma sorrise appena alla vista di quella creatura che camminava frettolosamente, instabile.
- Papà.- Nel silenzio del cimitero, quella vocina squillante e piena di vita stonava. Sentì Niall trattenere il respiro. Emma lo guardò, interrogativa. Ma il biondo fissava Liam.
Anche Emma lo guardò e, se non si fosse appoggiata all’amico, sarebbe caduta a terra.
Liam si era inginocchiato, a braccia aperte. Sorrideva a quella bambina che, separandosi dalla mano della ragazza, corse verso di lui.
-Papà.- Ripeté, con le labbra rosse aperte in un sorriso. Si catapultò fra le braccia di Liam, attaccandosi al suo collo mentre lui si rialzava, stringendola a sé. La bambina incastrò il visetto contro il suo collo, dandogli un bacetto sulla guancia.
-Hel, amore. Ti avevo detto di aspettare con la mamma davanti alla macchina.-
Emma ebbe un capogiro e Niall la sostenne. Liam si girò, preoccupato, verso di lei. I loro occhi si incrociarono. Quelli spalancati di lei e quelli inquieti di lui.
-Emmie, ti presento Helen. Mia figlia.- La bambina si girò verso di lei, arrossendo allo sguardo indagatore della sconosciuta.
Aveva grandi boccoli color cioccolato che le ricadevano sulla schiena, leggeri. Il viso era delicato e dalla carnagione chiarissima. Trattenne il fiato, quando ritrovò in lei gli occhi di Liam. Gli somigliava terribilmente e questo le fece stringere il cuore. Era sua nipote.
Poco dopo, accanto al fratello, si fermò una ragazza. Aveva lunghi capelli neri e lisci, gli occhi dello stesso colore che spiccavano su un viso magro e pallido. Le labbra rosse, erano piegate in un sorriso. La osservava e Emma si sentì trapassare da quegli occhi scuri. Si sentì tremendamente inadeguata e immatura. Quella ragazza era bellissima.
-Lei è Rosalie, la madre di mia figlia. Rose, loro sono Emma e Niall.- Le due si scambiarono una lunga occhiata.  Dopo quelle che sembrarono ore, Niall spezzò il silenzio.
-Piacere Rosalie.- Lei sembrò sciogliersi, sospirando di sollievo.
-Chiamami anche Rose.- Lui annuì, osservando Emma. Lei, d’altro canto, non riusciva a staccare gli occhi dalla bambina. Fece un passo in avanti anche se la mente le urlava di starsene ferma, di reagire in modo diverso, di scappare da quello che l’aveva lasciata sola a soffrire.
-Quanti anni ha?-
-Due.- Rose baciò la guancia della figlia, allacciando la mano a quella di Liam. Lui le sorrise, tornando a guardare la sorella.
-E’ bellissima ..- Sussurrò lei, avvicinandosi a loro insieme a Niall. Rose e Liam si guardarono e il fratello diede un bacio alla bambina che guardava attentamente una farfalla che le volava vicino. Emma era rimasta folgorata a quella vista. Liam papà. Lei zia. Lasciando la mano che ancora stringeva convulsamente quella di Niall, Emma si accostò alla nipote. La alzò , esitante, per poi bloccarsi e osservare Rosalie. Lei le sorrise, annuendo. Anche Emma lo fece, adagiando la mano sulla piccola schiena di Helen.
-Ciao Hel ..- Lei si girò, sempre stringendo il collo di Liam e le sorrise. Aveva un visetto paffuto e le gote arrossate. Liam le spostò un boccolo color cioccolato dalla fronte, sussurrandole all’orecchio.
-Lei è zia Emma, Hel. E’ mia sorella.- La bambina osservò Emma. Poi le si gettò addosso, per essere presa in braccio. La ragazza l’accolse, sbalordita.
-Zia ..- Disse, con difficoltà. Emma le sorrise, accarezzandole i capelli setosi e la guancia fredda e liscia. Helen le si strinse contro, affondando il viso nei capelli ramati della zia. Mosse le manine curiose e Emma, con un sorriso, guardò Liam.
Aveva passato una mano sulle spalle di Rose, e lei aveva appoggiato la testa corvina al suo petto. Quando i loro occhi si incrociarono, Emma smise di sorridere.
-Questo non cambia nulla. Non significa che ti ho perdonato, brutto stupido.- Ma persino alle sue stesse orecchie, la sua voce era sembrata scherzosa.

Quando Dean aveva visto entrare dalla porta Emma seguita da Liam, si era irrigidito. Aveva osservato suo figlio per attimi che a tutti, nella stanza, erano sembrati eterni. Poi, con una falcata, lo aveva raggiunto e abbracciato forte. Liam si era lasciato andare a una risata attutita dal maglione del padre. E quando Dean aveva visto Helen , da sopra la spalla del figlio, si era irrigidito.
-Papà, questa è mia figlia Helen. E lei Rose, la mia compagna.- E il loro papà, sempre rigido, sempre irremovibile, sempre impassibile .. Si era commosso. Aveva stretto la mano di Rosalie e si era accucciato all’altezza della bambina, sfiorandole i ricci.

Emma si stese sul proprio letto, con le mani in grembo. Sebbene sapere che Liam si fosse ricostruito una vita l’aveva resa felice, e sebbene si fosse già innamorata della piccola Hel, Emma si sentiva ancora ferita dal fratello. Il padre aveva accettato volentieri di ospitare la piccola famiglia nella loro villetta, altrimenti vuota. Liam aveva fatto vedere a Rose e Helen la sua vecchia stanza, dove tutto era rimasto uguale a sé stesso. Quando era stata l’ora di cena, Emma si era rintanata in camera sua, con la scusa di non avere fame. Dean e Liam si erano guardati intensamente, mentre lei non riusciva a controllare quel magone che le saliva in gola ogni volta che osservava Rose.
Gelosia? Gratitudine?
Non lo sapeva ancora. Aveva preso il telefono e composto il numero dell’unica persona che voleva realmente sentire. Niall le chiese come procedeva la situazione, e lei aveva confessato di amare e odiare Liam. Quando era stato il momento di attaccare, le aveva detto una cosa che le stava togliendo il sonno.
-Ricordati sempre una cosa, Ems. Un fratello non toglie mai nulla ,ma aggiunge. E Liam questo non l’ha dimenticato. L’ha solo evitato.-
Emma si alzò dal materasso, incastrando le dita fra i capelli rossi e arruffati. La pelle nuda delle sue gambe rabbrividì per l’aria gelida che entrava dalla finestra spalancata. Fuori, la luce di un lampione rotto le feriva gli occhi.
Il suo cellulare vibrò, illuminandole il viso stanco. Rimase di sasso, quando i suoi occhi lessero quelle parole.
Domani. Entrata secondaria.
Emma sospirò, chiudendo gli occhi. Si addormentò con la consapevolezza che il giorno dopo, sarebbe potuto cambiare tutto.

 
 
 
 
Zayn sobbalzò, come sempre, quando la porta della sua cella si aprì. Alzò lo sguardo stanco e provato sull’agente, mettendoci diversi secondi prima di focalizzarlo bene.
Negli ultimi tre giorni si sentiva perennemente assonnato. Sentiva sul suo corpo i sintomi di una passività che gli ricordavano terribilmente le sbronze che prendeva a diciassette anni con gli amici il sabato sera.
-Muoviti Malik.- Lui si alzò dal materasso sudicio, strofinandosi gli occhi. Con passo molleggiato si avvicinò al poliziotto, con le mani tese. Sussultò, dolorante, quando le manette si chiusero sul polso destro che era stato precedentemente slogato.
-Che succede?-
-L’agente Styles vuole vederti.- Il moro si irrigidì mordendosi il labbro. Si incamminò, amareggiato, al fianco del poliziotto, incontrando gli sguardi ostili degli altri detenuti. Quando incrociò uno sguardo azzurrino, freddo e glaciale, brividi di tensione si fecero largo lungo la sua schiena.
Sebbene avesse distolto subito lo sguardo, sentì quegli occhi sulla nuca finché non sparì dietro l’angolo.
Sospirò pesantemente, incastrando le mani fra  i capelli. Non riconosceva la stanza in cui si trovava, le fioche luci al neon gli ferivano gli occhi e quel petulante Harry Styles ancora non si era fatto vivo.
Il cuore gli batteva nel petto, martellante. Era l’unico rumore presente in quel macabro luogo, insieme ai suoi sospiri e al fruscio della tuta arancione contro la sedia, quando si muoveva.
Il sudore gli imperlava la fronte liscia, costringendolo a ravvivarsi i capelli. Quando sentì un rumore attutito di passi, deglutì forte.
La cella si aprì ed entrò Harry. Zayn non lo guardò, puntando i suoi occhi caramellati sulle mattonelle sudice e incrostate. Quando la sedia di fronte alla sua stridette contro il pavimento, Zayn sorrise.
-Dovreste dare una pulita qui. Peggio di un porcile.-
-Era il luogo più sicuro.- Quella frase ambigua preoccupò il moro. Strinse le mani in grembo, piantando i suoi occhi in quelli verdi del poliziotto.
-Se sei qui per la storia dell’aggressione, sei ottuso. Non mi è successo nulla ..- Harry sospirò, giocherellando con il bicchiere d’acqua posato sul piccolo tavolino.
-Non sono qui per questo. Piuttosto, c’è una persona che vuole vederti.- Zayn si irrigidì, osservandolo attentamente.
-Per questo siamo venuti in questo posto dimenticato dal mondo?- Annuì, stanco. Si alzò e raggiunse le sbarre, aprendole con la chiava allacciata ai suoi jeans scuri. Il moro fu attraversato da una scarica di paura, e temette per la sua incolumità. Ma quando Harry si scostò, lasciando entrare la persona con cui avrebbe dovuto parlare, trattenne il fiato.
In piedi, davanti a lui, c’era la ragazza che aveva visto nell’ufficio di Harrison. Non si potevano dimenticare quei lunghi capelli rosso ramati, gli occhi caramellati, le labbra piene e le spalle magre. Spostò lo sguardo verso il poliziotto che stava uscendo dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
-Avete dieci minuti.- Sussurrò fra le sbarre, prima di lasciarli soli.
Zayn osservò la ragazza, in silenzio. Lei sbatté le palpebre ripetutamente, prima di sedersi di fronte a lui.
-Ti starai chiedendo chi sia ..-
-No.- Mentì lui, con tono duro. La giovane si torturò un ricciolo ramato, sorridendo.
-Sono Emma Harrison, la figlia del commissario.- Il ragazzo fece di tutto per non far trasparire il suo stupore, ma lui stesso percepì il sussulto proveniente dalle sue labbra serrate. La guardò meglio, cercando di capire a che gioco stessero giocando tutti.
-Non che mi interessi .. Ma non capisco la tua presenza qui.- Emma sbatté i pugni sul tavolo, facendolo sobbalzare. Arrossì per la rabbia, perché odiava farsi cogliere di sorpresa da qualsiasi rumore lo circondasse.
-Dovresti saperlo, Zayn.- Zayn non riuscì più a sostenere quello sguardo focoso. Ma il suo cuore non poté che battere all’impazzata per il tono dolce con cui Emma aveva pronunciato il suo nome. Stranamente, quella stanza vuota, sembrò riempirsi di energia e scosse emotive che fecero defluire il colore dalle guance del ragazzo.
Il suo silenzio, diede nuovo impeto a Emma. Si alzò e lo raggiunse, non preoccupandosi del fatto che lui non fosse legato e le avrebbe potuto fare del male. Non preoccupandosi di avere di fronte un detenuto accusato di omicidio volontario.
-Tu sei innocente.-
Quella frase rimbombò fra le mura spoglie della cella. La puzza di chiuso sembrò svanire sotto il profumo di vaniglia che emanava la pelle di Emma, così vicina a lui. Le luci soffuse e macabre sembrarono rifulgere, a riflesso con la pelle candida di lei. La passività del suo corpo sembrò assopirsi al tocco della mano della ragazza sulla sua.
Zayn fu lasciato nudo, vulnerabile, scoperto. Non ebbe la forza nemmeno di contraddirla perché di fronte a lei non aveva avuto il tempo di indossare la sua maschera.
Avrebbe dovuto mettere da parte la confusione e il calore che quegli occhi tempestosi gli donavano, recitando la sua parte.
Riprendendo le spoglie dell’assassino crudele e freddo.
Ma era tutto inutile. Emma non ci avrebbe creduto e Zayn, per qualche strano motivo, ne fu felice.
-Non so cosa stai blaterando, ragazzina.- Ma la sua voce uscì spezzata e nervosa, lontana dal timbro sicuro e strafottente che avrebbe voluto esercitare. Emma gli sorrise, accucciandosi alla sua altezza.
Zayn non era più abituato alla vicinanza di qualcuno che non fossero poliziotti scontrosi o detenuti puzzolenti. Non era più abituato al familiare conforto che uno sguardo intenso poteva donargli né al fremito che scuoteva il suo animo quando qualcuno gli sorrideva. Non era abituato a un tocco leggero come quello che Emma stava esercitando sul suo polso ferito e arrossato.
-Smettila di fingere, Zayn. Ho letto nei tuoi occhi la verità. Non sei stato tu a uccidere Emily.-
-Sì, invece. Mi dispiace.- Non seppe il perché si scusò con lei. Ma mentirle, le rimaneva difficile. Solo in quel momento si accorse di quanto lo sguardo di Emma assomigliasse a quello sconosciuto che gli appariva nei sogni. Questo, se possibile, lo destabilizzò ancora di più.
-Zayn, basta. Sei qui dentro, ma non lo meriti. Stai diventando pazzo, perché ti manca la tua ragazza. Hai mentito a mio padre e persino ai tuoi avvocati hai nascosto la verità. E quei lividi che hai sul volto non te li sei procurati perché sei caduto. Ma perché i vermi presenti qui dentro ti hanno trovato e distrutto. – Zayn la scansò, prendendosi la testa fra le mani.
-Esci da qui. Lasciami in pace. Sono un assassino e posso farti del male. Dimenticami, lasciami marcire qui dentro come merito.- Biascicò, uccidendosi a ogni parola. Perché aveva sentito la sua anima smuoversi dentro e non accadeva da tempo immemore. Perché sembrava quasi che la sua anima e la sua umanità rispondessero ai gesti di lei.
Emma sospirò, passandogli accanto per uscire. Non prima di accarezzargli delicatamente ciocche corvine arricciate alla base del collo sudato.
-Uscirai da qui, e vivrai la tua vita. Come Liam. Io ti farò uscire. E sarò di nuovo qui, domani, finché non mi dirai come realmente stanno le cose.-
Per Zayn era tutto un incubo. La puzza di sporco, il dolore atroce alla schiena, gli sguardi sprezzanti per ciò che aveva fatto, le urla, gli incubi, le sbobbe schifose della mensa. Credeva sarebbe morto lì, accompagnato da quei particolari orrendi.
Eppure, sbirciando la ragazza che si stava allontanando alla ricerca di Styles, Zayn sentì un calore che gli era estraneo. Un battito accelerato che non sapeva di paura. Un movimento di labbra che assomigliava a un sorriso.
 
 
 
 
 
 
 
 Angolo autrice:
Chiedo perdono per il tremendo ritardo. Ma ho avuto un sacco di cose da fare e riesco ad aggiornare solo ora. Prima di commentare il capitolo, voglio ringraziarvi. Vi ringrazio per le parole che mi fanno sorridere, per i complimenti che mi migliorano la giornata, per le recensioni che mi fanno battere il cuore. Voglio ringraziarvi di amare i miei personaggi, di farmeli sentire vivi e veri sempre e comunque. 
Grazie infinite,soprattutto per il fatto che rendete questa storia vera e reale, come un film.
Ora passiamo al capitolo.
C'è la reazione di Emma per il ritorno di Liam. E' combattuta e come dice a Niall sente di odiarlo e amarlo insieme. Poi c'è la piccola Helen e Rose,  che sono colore che Liam ha sempre voluto proteggere dal suo passato. 
E poi .. C'è l'incontro con Zayn. Spero abbiate capito che il messaggio ricevuto la notte da Emma era di Harry. Questo particolare verrà chiarito nel capitolo successivo. So che potrebbe essere sembrato inverosimile l'incontro fra i due. Ma vi ricordo che Emma e Zayn si sono legati,senza saperlo, dal primo momento che si sono visti. Entrambi sognano lo sguardo dell'altro, senza quasi rendersene conto. E nel capitolo successivo, vedremo come Emma stessa reagirà alle parole dette. 
Con ciò, devo darvi una brutta notizia. Questo è l'ultimo capitolo che pubblico prima di partire per la Sicilia. Sto via quindici giorni, e sono sicura che non ci sarà internet per aggiornare. Cercherò comunque di scrivere, cosicchè appena tornata a Roma possa subito aggiornare. Mi mancherete tantissimo. Ci sentiamo verso il 21 agosto. 
Un bacio a tutte. Vi adoro.
Sonia. 

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Capitolo 12
*** 12.Capitolo 11 ***


A te, cara AnotherLife, perché ci sei sempre e perché mi andava di abbracciarti ma non potevo.
 

 

Se mi stendessi qui, se solo mi stendessi qui
Ti stenderesti con me e dimenticheresti il mondo?


 

La casa che le si presentò davanti era molto più grande di quanto ricordasse. Il giardino era più curato e sul vialetto vi era una macchina sportiva nera e lucida che non riconosceva. Il porticato era stato riverniciato di rosso e riempito di vasi di ginestre bianche che, con il loro profumo, impregnavano l’aria. Allison sorrise, mentre il silenzio di Bradford le tranquillizzava i nervi e il familiare profumo di cannella che proveniva dal negozio di dolciumi raggiungeva le sue narici. Sebbene fosse Aprile inoltrato, l’aria era fredda contro la sua pelle e il cielo coperto da nuvole grigie e tutti quei particolari, nuovi e vecchi, sapevano di ricordi e immagini lontane.
Strinse il manico metallico della valigia, tornando ad osservare la villetta bianca che tanto le era mancata. Si avvicinò al cancelletto accostato mentre il battito del suo cuore le pulsava nelle orecchie. Sfiorò con la mano l’incisione che sapeva esserci al lato della cassetta rossa della posta, sorridendo al legno graffiato che scorreva contro il suo palmo. Ricordava come il fratello, il giorno prima che lei partisse, avesse inciso le loro iniziali con le forbici della cucina.
-Perché questa sarà sempre casa tua, Allie.-
Erano passati sette anni da allora e non c’era stato giorno durante il quale non avesse sentito nostalgia di lui, dei suoi calorosi abbracci e della sua risata calda e squillante. Ricordava come fulminasse con lo sguardo qualsiasi bambino le si avvicinasse per dirle che i suoi occhi fossero splendidi; o come aggrottasse la fronte davanti ai temi di storia; come ripetesse continuamente che avrebbe lottato per la giustizia, come i suoi supereroi prediletti; e ricordò come la raggiungesse nella sua stanza ogni sera, a petto nudo e in boxer anche nelle notti gelide di Dicembre, appollaiandosi sulla finestra, per raccontarle che aveva visto Samuel Bruke picchiare un bambino e non era intervenuto per paura o che era arrivata nella sua classe una bambina nuova che aveva due occhi più azzurri del cielo nelle rare giornate assolate.
Ricordò le corse a scuola, i baci sulle guance, le imprecazioni che lanciava alla sveglia che suonava tutte le domeniche perché lui, regolarmente, dimenticava di disattivarla. Le rose rosse per il suo dodicesimo compleanno e quel ballo di fine anno, quando non aveva trovato un cavaliere e lui  l’aveva accompagnata, ballando sempre insieme e non curandosi delle altre ragazzine che volevano la sua compagnia.
Il vento soffiò fra i suoi capelli, che le andarono a solleticare le spalle magre. Una luce si accese nella stanza che Allison ricordava essere il salotto e un’ombra si mosse dietro la tenda tirata. La ragazza si irrigidì, mentre la investiva un forte desiderio di urlare, per far comprendere a tutti di essere lì.
Ma tornò la paura, e la causa del suo allontanamento da quella vita che tante gioie le aveva portato le scosse l’animo. Fece un passo indietro, mentre un singhiozzo strozzato uscì dalle sue labbra serrate. Sentì una fitta al petto che la fece barcollare mentre veniva investita da sentimenti e ricordi che in tutti quegli hanno avevano quasi rischiato di farle smarrire la strada, se non ci fossero state le lettere e le rare telefonate del fratello.
-Ti senti male?- Fra la coltre di lacrime, Allison scorse un giovane fermarsi al suo fianco. Si passò una mano sul viso contratto mentre due occhi più blu dell’oceano la osservavano, preoccupati. Lei abbassò le palpebre e per riprendere un minimo di forze cercò di concentrarsi sul dolce profumo che emanava la pelle di quel ragazzo piuttosto che sul terrore che stava provando.
-No, sto bene.- Mentì, incerta. Ma lui non diede cenno di crederle. Piuttosto si avvicinò di più e se non fosse stata impegnata a lottare contro le lacrime che rischiavano di rigarle il viso, Allison avrebbe sorriso intenerita per il rosso fuoco che colorò le guance del ragazzo quando le venne accanto. Sorrideva, timido, e i suoi occhi blu spiccavano su quel viso arrossato. I capelli biondi, con sfumature castane, ricadevano sulla fronte liscia. Le ciglia chiare e lunghe disegnavano un’ombra scura su quella pelle diafana.
-Perché non ti siedi un’ attimo? Sei pallida ..- Azzardò mentre Allison continuò ad osservarlo, combattuta.
-Okay.- Qualcosa che non era la sua propria volontà rispose per lei, tendendo i muscoli del suo corpo per farle seguire quel giovane sconosciuto che si stava dirigendo verso una panchina vicina.
Quando furono seduti uno accanto all’altra, le spalle in contatto e le ginocchia che si sfioravano, il giovane le tese la mano.
-Comunque, io sono Niall.-
-Allison.-
La stretta di Niall era piacevole e la sua pelle calda. La ragazza si perse, per un momento, fra le sfumature blu di quegli occhi così belli. Le ricordavano non solo il cielo nelle belle giornate, ma anche il mare in tempesta, le sorgenti della montagna e la notte.
Erano luminosi come il sole, ma anche scuri e tenebrosi come l’oscurità; una dolce mescolanza fra l’azzurro tenue e il blu. Una parvenza di oscurità, nel bel mezzo della dolcezza assoluta.
-Sei appena arrivata a Bradford ..- La sua non era una domanda per cui la giovane si limitò a sorridere.
-Da dove vieni?- Allison apprezzava lo sforzo che Niall stava facendo per distrarla da ciò che, poco prima, aveva rischiato di farla crollare e, con sorpresa, notò come i fantasmi del suo passato si fossero nascosti di nuovo nei meandri della sua essenza, lasciandola temporaneamente in pace.
Cercando di non dare troppo peso alla bellezza di quel sorriso spontaneo, Allison rispose.
-Da Venezia. Ma sono nata qui a Bradford.- Niall si mosse sulla panchina, domando una ciocca bionda e ribelle che gli era scivolata sugli occhi.
-Io invece sono Irlandese. Mi sono trasferito qui quando avevo otto anni. – Calò un silenzio imbarazzato fra i due, che fu spezzato da Allison. La ragazza si alzò, recuperando la sua valigia.
-Credo .. Mi sento molto meglio, ora.- Niall le sorrise, strofinando le mani sui jeans chiari. Si alzò, titubante, attento a non sfiorarla minimamente.
-Grazie ancora, Niall.- Sussurrò lei, torturandosi le mani.
-Magari ci vediamo in giro ..- Niall aveva gli occhi puntati sul viso della ragazza e Allison arrossì, diventando dello stesso colore paonazzo del giovane. Il suo tono non era né speranzoso né malizioso e lei si ritrovò davvero a pensare che le avrebbe fatto piacere rivederlo.
-Magari ..- Ripeté e Niall le sorrise ancora, passandosi una mano fra i capelli. Si grattò il naso, incerto, prima di farle un ultimo cenno di saluto e allontanarsi con passo molleggiato.
Allison lo osservò, le spalle magre e i muscoli delle braccia in perenne tensione.
-Magari ..- Sussurrò ancora, girandosi finalmente verso casa sua e, dopo aver mosso passi incerti, entrando nel vialetto ghiaioso.
Quando fu davanti alla porta in legno levigato, sotto il portico, la ragazza si scostò una ciocca castana dalla fronte e fece un lungo respiro. Sentiva rumori provenire dall’interno della villetta e si ritrovò a pensare che avrebbe potuto ascoltare quei frastuoni familiari per sempre; come il sottofondo della televisione accesa, il ronzio del frigorifero, la sciabordio dell’acqua nella lavatrice in funzione e il cigolio delle scale.
Quella quotidianità che a Venezia le mancava era di nuovo sua e questo, sebbene fosse stata una sua personale decisione, la spaventava.
Ripiombare in quella vita gioiosa ma pericolosa, protetta costantemente dalle persone che l’amavano ma comunque perennemente esposta.
Nemmeno si rese conto di essersi mossa, finché non sentì il campanello risuonare all’interno. Dopo quel breve suono, la casa piombò in un silenzio quasi innaturale. Allison aspettò, morsicandosi il labbro inferiore. Si prese una ciocca castana, rigirandosela nel dito.
Magari non c’è nessuno, si riscoprì quasi a sperare, sebbene la luce le illuminasse la parte destra del viso.
Magari dormono e non hanno sentito il campanello, sebbene l’ombra che aveva scorto dietro la tenda.
Magari ..
Un rumore sordo, come un inciampo, un’imprecazione e poi la porta si spalancò, cigolando.
Una cascata di ricci castano scuro che ricadevano su una fronte levigata, sfiorando due occhi verde smeraldo circondati da ciglia scure. Labbra rosse e gonfie, il fisico slanciato e muscoloso, le spalle larghe e le gambe lunghe. Le mani affusolate e profumo di menta.
Harry, il suo fratello gemello, rimase a bocca aperta quando la vide. Più bassa di lui di tutta la testa, i lunghi capelli ricci e castani lasciati sciolti, il viso pallido e tondo, il naso piccolo e dritto, labbra fine e rosee e occhi verde smeraldo, luminosi e umidi.
La ragazza si era preparata un discorso, si era prefissata delle parole precise e che potessero spiegare quella presenza improvvisa. Aveva persino scritto degli appunti su un pezzo di carta sgualcito, mentre sull’aereo non riusciva a prendere sonno. Ma quando quei due occhi, i suoi occhi, incrociarono la loro metà, l’altra faccia della moneta, crollò. Non ricordò  nemmeno come iniziasse quello stupido discorso e, se anche se lo fosse ricordato, il groppo in gola che le era salito quando Harry pronunciò il suo nome non le avrebbe permesso di parlare. Piuttosto, si lasciò andare. E nel giro di pochi secondi, Allison era stretta al petto del fratello, ancora immobile.
Con il viso affondato sulla sua camicia a quadri blu, lei poteva immaginare il suo sguardo vuoto puntato sul giardino di casa. Sentiva il cuore del gemello battere contro il suo orecchio premuto sul suo addome e si aggrappò a quel rumore per tranquillizzare le emozioni.
Harry, d’altro canto, non riusciva a muovere un muscolo. Sentiva la stretta che Allison stava esercitando sul suo bacino,  la camicia bagnarsi lentamente di quelle lacrime che lei non era riuscita a controllare e le sue ciglia scure solleticargli il collo, insieme alle sue labbra. Le mani della sorella erano aperte contro il suo torace , stringendo convulsamente la stoffa dei suoi vestiti. Avrebbe voluto osservarla meglio, anche da quella posizione scomoda. Affondare le mani fra quei ricci indomabili, specchio dei propri. Avrebbe voluto accarezzarle la pelle fredda e arrossata delle guance, affondando le labbra in quella pelle candida che tanto le era mancata e che profumava ancora di infanzia e sogni. Avrebbe voluto cingerla a sé, staccarla da terra e stringerla forte, come quando erano più piccoli.  Ma non ci riusciva. I suoi occhi sembravano essere incollata sul profilo dell’auto scura parcheggiata sul viale, mentre il calore che involontariamente Allison portava dentro gli scottava ogni lembo di pelle. Eppure, se da un lato bruciava, dall’altro quel dolce tepore era piacevole.
-Harry ..- La sua voce spezzata, attutita dalla sua stessa pelle, arrivò alle orecchie del riccio.
Non era cambiata. Era molto più alta, molto più bella, più donna rispetto a sette anni prima. Ma era sempre lei, la piccola Allie. Fu allora che Harry si sbloccò, lasciando che una lacrima birichina si andasse a nascondere fra i ricci della sorella, mentre le sue braccia muscolose la cingevano e, quasi piegandosi su se stesso, la sovrastava e la circondava con la sua mole.
-Allie ..- Quel nome, taciuto per tutto quel tempo, suonava perfetto detto da lui. La strinse dalla base del collo, annusando il familiare profumo di fragola dei suoi capelli.
-Allie, Allie, Allie ..- Lei cercò le mani del fratello e, quando ne trovò una, la prese e la portò alle labbra, poi con essa si sfiorò la guancia e poi la fronte, imitando quelle carezze che in tutti quegli anni le erano mancati. Sotto il ritrovato amore del fratello, di quel legame sovrannaturale che sempre li aveva caratterizzati, sentiva nel cuore una felicità che la fece barcollare. Ma questa volta Harry c’era e la prese, la strinse e la baciò.
-Stai bene, Allie?- Lei scostò il volto dalla sua spalla, alzò la piccola mano e la pose sulla guancia infuocata di Harry, chiudendo gli occhi e beandosi della sua stretta contro i fianchi.
-Ora sì, fratello. Ora sto bene.-
 
 
 
Emma strinse il libro di algebra al petto, sbuffando e facendo ricadere una ciocca rossa sulla fronte. Se la sistemò, sbattendo l’anta del suo armadietto. Sebbene Niall le avesse detto che quel giorno non sarebbe andato a scuola per una visita, non riuscì a controllarsi dal cercare una zazzera bionda fra la marea di studenti presenti nel corridoio.
Quella mattina era arrivata molto presto, troppo, e vide dei ragazzi e delle ragazze che mai aveva notato prima. Giovani nerd con gli occhiali e capelli unti, incollati a libri di fantascienza e ragazze che indossavano jeans e felpe larghe, con i capelli disordinati a nascondere i brufoli sulla fronte. Emma, stranamente, si intenerì e bollì di rabbia quando Justin Steynson diede una spallata a un ragazzino, facendogli cadere tutti i libri. La sua risata echeggiò nel corridoio, scatenando l’ilarità dei suoi amici e la paura degli altri alunni. Emma scosse la testa, osservando Justin che le si avvicinava. Strinse le labbra e cercò di allontanarsi ma una mano la bloccò dalla spalla. Sentì un petto aderire contro la sua schiena e una mano scivolare fra i suoi ricci ramati.
-Harrison ..- Sussurrò Justin al suo orecchio, giocando con le labbra sulla sua pelle. Emma trattenne il respiro, ma non si mosse.
-Steynson.-
-Dove hai lasciato il biondino questa mattina?- La ragazza si scostò, divincolandosi da quella stretta viscida. Ma Justin era pronto e le si avvicinò ulteriormente, spingendola contro il muro. I loro visi erano vicinissimi e il profumo del ragazzo pizzicava le sue narici.
-Niall questa mattina ha una visita medica.- Rispose, calcando con il tono il nome dell’amico. La risata attutita di Justin le giunse alle orecchie, e lei osservò le sue labbra rosse stendersi in un sorriso malizioso. Si passò una mano fra i capelli neri, mentre i suoi occhi azzurri saettavano sulla scollatura di Emma. Lei, sbuffando, si coprì con il tomo. Justin sghignazzò, cominciando ad accarezzarle un lembo di pelle sul fianco. Lei sussultò, cercando di toglierselo di dosso, ma lui la premette di più contro di sé.
-Abbiamo un conto in sospeso ..- Continuò a sussurrarle, sfiorandole il lobo delle orecchie con le labbra. Premette il cavallo dei pantaloni contro la sua gamba, facendole percepire la sua eccitazione. La ragazza recuperò tutte le sue forze, spingendolo via.
-Fai schifo.- Gli sputò contro, girandosi e avviandosi alla sua classe.
-Che c’è Harrison, stai diventando santarellina?- Emma si fermò un momento, prima di scuotere la testa e ricominciare a camminare. Ma Justin la raggiunse e, prendendola per un braccio, la strattonò facendo in modo che lei lo guardasse in faccia.
-Sappiamo entrambi che non lo sei, Harrison. Tutta la scuola lo sa. E non importa che quell’Horan dica il contrario. Tu sei una puttana.-
Quando Justin ebbe finito di parlare, di certo non si sarebbe aspettato la risata squillante della ragazza. Infatti la lasciò andare, sbalordito.
Emma continuò a ridere, portandosi una mano davanti alla bocca e ricominciando ad allontanarsi.
-Tu sei pazza … Puttana e pazza!- Le urlò dietro ma lei continuò a ridere, sebbene dentro di sé si ruppe qualcosa.

Le ore di scuola, senza Niall, sembrarono non passare mai. La professoressa di diritto l’aveva ripresa costantemente perché guardava fuori dalla finestra, il professore di educazione fisica l’aveva mandata via a metà lezione perché rimaneva immobile e si scansava quando la palla la raggiungeva e la docente di letteratura l’aveva spedita fuori dalla classe perché si era addormentata.
Quando finalmente la campanella delle due suonò, Emma si rilassò. Non che l’idea di tornare a casa la rendesse felice, ma almeno non doveva sottostare ai commenti stupidi di Justin e la sua combriccola. Recuperò il suo zaino dall’armadietto, cercando di ignorare il suo riflesso sullo specchietto che aveva attaccato l’anno precedente. Poteva benissimo vedere le ombre scure sotto gli occhi non truccati e quella sua nuova semplicità la disarmava, alcune volte. Recuperò il cellulare e rispose al messaggio di Niall. Chiuse l’armadietto e si avviò all’esterno.
Il cielo, come al solito, era coperto da nuvole grigie. Alcuni raggi del sole fuoriuscivano da quella coltre oscura, illuminando Bradford. Lo sguardo di Emma si perse fra i ragazzi che si accatastavano al cancello rosso dell’edificio, mentre il chiacchiericcio le faceva venire mal di testa. Recuperò dalla borsa il suo ipod, spulciando la nuova playlist che Niall le aveva programmato.
Fece partire ‘Only girl in the world’ di Rihanna e raccolse i suoi capelli sulla spalla destra. La voce della cantante rimbombava nella sua mente, mentre serpeggiava fra i suoi compagni cercando di ignorare i loro sguardi. Quando finalmente uscì dal cancello, Emma si bloccò.
Liam era appoggiato a un albero, con lo sguardo perso fra la massa di ragazzi che prendevano strade diverse. Quando i suoi occhi si fermarono su di lei, Emma si irrigidì. Lui non si mosse ma le sorrise, facendole l’occhiolino. Sbuffò per quella che le parve la centesima volta in quella giornata, avvicinandosi. Si tolse la cuffietta e lo guardò in cagnesco.
-Cosa vuoi?- Il sorriso scomparve dal viso di Liam e anche lui sbuffò. Emma cercò di non far caso a quanto fossero simili, mettendosi le mani lungo i fianchi.
-Sono venuto a prenderti.- Indicò l’auto parcheggiata lì accanto. Lei alzò gli occhi al cielo e senza aggiungere parola, la raggiunse. Quando salì , si rimise la cuffietta e chiuse gli occhi con l’intensione di addormentarsi per dimenticare. Liam, accanto a lei, la guardò triste.

Quando Emma aprì gli occhi, la prima cosa che notò fu l’assenza del fratello. La macchina, ferma e spenta, era parcheggiata accanto a un prato. Ci mise pochi secondi per capire dove fosse. Si tolse le cuffie e aprì la portiera, stringendosi addosso quel maglione che non la scaldava. Come accadeva sempre, in quel luogo Emma sentiva freddo. Osservò il profilo familiare dell’edificio bianco, annusò l’odore acre di quel luogo. Assaporò il silenzio del cimitero ed ebbe paura.
-Ti sei svegliata ..- Liam la raggiunse, asciugandosi gli occhi bagnati. Lei annuì, osservando i suoi occhi rossi.
-Hai pianto..-
-Sì.-
Liam si appoggiò al cofano della sua auto, intrecciando le braccia al petto. Osservava l’asfalto sbiadito ed Emma ebbe l’impulso si abbracciarlo.
-Non puoi perdonarmi, vero?- La voce di Liam era spezzata e lei non poté che stupirsene.
Sì che poteva. L’aveva già perdonato, e questo lei lo sapeva. Ma perché non glielo diceva, perché non lo abbracciava, non lo stringeva, non lo baciava e non piangeva insieme a lui? Perché non gli pagava un gelato e gli chiedeva della sua vita degli ultimi anni? Perché non gli chiedeva del giorno della nascita di Helen? Perché non gli chiedeva di Rosalie? Perché non gli parlava di Zayn?
Arricciò le labbra, dando le spalle a Liam. Perché aveva paura, perché lei era Emma Harrison e i problemi li risolveva con la forza e non con le lacrime, perché lei non perdonava.
-Io senza di te, non vivo.-
-Bugiardo .. Lo hai fatto benissimo negli ultimi tre anni.- Lui la raggiunse, lo percepì dal suo profumo. Ma non si girò.
-Mi hai ferita, Liam. E io ti odio per questo.- Lo osservò per un attimo che parve infinito. Liam abbassò la mano che avrebbe tanto voluto poggiare sulla sua guancia e si morsicò il labbro inferiore. Lei si allontanò, cercando di non piangere, cercando di non fargli vedere la sua immensa bugia.
 
Quando ebbe il coraggio di lasciarsi andare alle lacrime, Emma era stesa accanto alla lapide della mamma.
-Cosa devo fare, mamma? Cosa mi sta accadendo? Cosa sono? – Il silenzio intorno a lei la ferì, ma continuò imperterrita.
-Io non lo odio, ma non riesco a guardarlo negli occhi con una grande voglia di prenderlo a pugni proprio perché non riesco ad odiarlo. Lo amo, lo amo con tutta me stessa. Perché è Liam e so quello che ha passato.- Il sorriso della mamma riuscì a riscaldarla, in parte. Ma un soffio di vento le si insinuò sotto i vestiti, sferzandole la pelle.
E fu allora che lei capì. Capì che così non andava, che stava sbagliando, che aveva sempre sbagliato. Capì che Niall aveva ragione, quando diceva che essere sfrontati non serviva a nulla e che essere protetti non significava essere deboli. E capì che non aveva voluto abbracciare Liam perché in quegli anni si era creduta capace di superare tutto da sola, la sua adolescenza e i suoi dubbi. Ma il ritorno del fratello aveva fatto crollare il suo muro e il suo mondo, perché lei sola non avrebbe mai fatto nulla, perché lei era un po’ debole e Liam l’avrebbe protetta. E questo lei lo sapeva e lo voleva.
Prese con mano tremante il cellulare dalla tasca, tirando su con il naso. Cercò nella rubrica quel numero che proprio il giorno prima aveva salvato, con riluttanza. Scrisse velocemente un messaggio e lo mandò, mettendosi ad aspettare.
Pochi secondi dopo il cellulare di Liam vibrò e lui lo prese. Sorrise e lo lasciò cadere sul sedile dell’auto, sfrecciando fuori.
Mi abbracci?
Quando Emma lo vide correre verso di lei, sorrise. Si alzò da terra e lo raggiunse, affondando il viso in quel petto che le era mancato, stringendo quel corpo che aveva visto crescere, lasciando che le lacrime si mischiassero a quelle di Liam. Il ragazzo la strinse a sé, intrecciando le mani fra i capelli ramati di lei. Le accarezzò le guance bagnate, le labbra gonfie, la braccia esili.
-Ti voglio bene Liam.-
-Anche io, Emmie, anche io.- E il vento soffiava, il sole faceva capolino da dietro le nuvole e Emma piangeva, era felice e pensava al domani.


 
 
C’erano rumori che Zayn trovava piacevoli:  il rumore della pioggia, il suono delle risate e delle parole. Il cinguettio degli uccelli all’alba e le cicale al tramonto. Le foglie che cadono ad autunno e le onde che si infrangono contro gli scogli. Il pianto di un bambino e il rumore dei vestiti che cadono.
Aveva sempre amato stare in silenzio per ascoltarli, per bearsi di quei piccoli fracassi che gli calmavano i nervi perennemente tesi. Amava osservare, ascoltare e non parlare. Come aveva fatto con Emily. Lui l’aveva osservata, con i suoi capelli sempre ricci e gli occhi luminosi, anche quando piangeva. L’aveva ascoltata con i suoi discorsi sulla sicurezza degli animali, con i suoi rimproveri quando lui fumava e con le sue risate quando le faceva il solletico. E l’aveva amata, con tutti i rumori che lei provocava e con tutti quelli che assopiva.
Ma lì dentro, chiuso e perso in quel sudiciume, quei piccoli rumori gli mancavano. Lì vigeva il silenzio e quell’assenza di frastuoni lo faceva impazzire. Chiuse gli occhi, passandosi una mano fra i capelli neri. Le oramai familiari luci al neon che gli ferivano la vista e le manette che gli bruciavano la pelle olivastra. Non era sicuro che agli altri detenuti fosse vietato aggirarsi per il carcere senza quelle odiose manette. Non era sicuro nemmeno che fossero costretti a stare chiusi dentro la propria cella per tutto il giorno, come accadeva per lui. Uno scricchiolio che annunciava l’arrivo di qualcuno lo fece sobbalzare e, come sempre, si trovò ad odiare la sensibilità che aveva pervaso i suoi nervi. Delle chiavi nella toppa e la porta si spalancò.
-Avete pochi minuti, signore.- Quando Zayn vide gli occhi scuri dell’uomo che stava entrando, la prima cosa che sentì fu delusione. Avrebbe preferito di gran lunga incontrare quell’ Harry Styles, o persino la figlia del commissario. Ma non quell’uomo, per di più seguito dall’ultima persona che sperava di incontrare faccia a faccia.
Charlie Smith fece il suo ingresso. Zayn trattenne il respiro, sentendo l’odio crescere nei confronti di quell’uomo. Si alzò di scatto e se Charlie non avesse tirato fuori un pugnale, il moro gli sarebbe saltato addosso.
-Calmati, razza di bastardo.- I piccoli occhi neri di Smith raggiunsero quelli castani di Zayn, inchiodandolo al muro. Il giovane boccheggiò per la somiglianza che il suo sguardo aveva con quello della sua amata Emily.
Zayn chiuse le mani a pugno, cercando di calmarsi.
-Mettiti seduto e ascoltami bene, ho poco tempo.- Zayn obbedì, sentendo crescere l’odio per quella persona, la repulsione per quelle mani sudice che avrebbe tanto voluto mozzare.
-Vedo che il nostro avvertimento ti è giunto ..- Ammiccò verso le ferite che ancora costellavano il viso del moro. Charlie sorrise, in quel modo che tanto gli ricordava la figlia. E Zayn la odiava .. Odiava quella dannata somiglianza che lo uccideva.
-Sarò semplice e conciso, Malik. Non ci è piaciuto il tuo comportamento dal giudice. Sembravi un cane bastonato e non è questo che devi fare. Hai ucciso mia figlia, piccolo bastardo, cerca di ricordartelo.- Zayn chiuse gli occhi, cercando di regolarizzare il respiro.
-Ti abbiamo ripetuto diverse volte quello che devi dire, eppure non lo fai. Sbaglia un’altra volta e quei lividi che hai sul viso non saranno gli ultimi.- L’uomo sogghignò, avvicinandoglisi e premendo il pugnale contro la guancia di Zayn, che non abbassò il proprio sguardo.
-Sei qua dentro perché lo abbiamo deciso noi. Se vuoi che la tua cara sorella arrivi viva al giorno della nascita del figlio, sii più convincente. O saremo costretti a provvedere.- Al sentir nominare la sorella, il moro ebbe paura e fu allora che abbassò i suoi occhi, in un atteggiamento remissivo. L’uomo rise, e la sua risata fu il suono più schifoso che Zayn avesse mai sentito.
-Bravo ragazzo ..- Gli accarezzò i capelli e il giovane fu costretto a rimanere immobile al suo tocco.
-Tutti devono credere che sei stato tu a uccidere Emily .. Io sono sprecato per stare qui dentro.- Gli diede una pacca e in meno di un secondo fu fuori, tanto che Zayn si chiese se davvero in quei pochi minuti avesse avuto davanti a sé il vero assassino di Emily.
Non resistette più e cominciò a urlare come un ossesso, strappandosi i capelli e marchiandosi la pelle già arrossita.
Di tutti i rumori che più odiava, il numero uno era il rumore del suo pianto. Ma non se ne curò e pianse, pianse per quella verità che portava sepolta nel cuore, per quella ragazza che aveva amato e che non era riuscito a proteggere dall’oscurità che il padre aveva nel cuore, per quella sconosciuta che gli credeva e che lo faceva sorridere nelle notti più oscure. Pianse per quella pazzia che gli nasceva dentro e per Clare. Clare che avrebbe avuto un figlio, Clare che era stata presa in giro, che da piccola amava i cavalli e che era in pericolo.
Zayn Malik stava diventando pazzo e l’unica cosa certa della sua vita, era una ragazza dagli occhi da cerbiatto che si chiamava Emma.
E questo, lo rendeva più confuso e pazzo che mai.
 
 
 
 
 
 
 Spazio autrice:
Okay, sono in ritardo e mi scuso. Le vacanze sono andate bene anche se, alla fine, mi mancavano troppe persone e volevo tornare a Roma. Sul capitolo ho poco da dire se non che, come al solito, non mi convince. Vediamo che c'è una svolta,però: sappiamo con certezza che Zayn è INNOCENTE. NXSBCSC
Scusate, ma devo scappare. Spero che il prossimo capitolo riesca a pubblicarlo prima. Vi adoro a tutte.
Sonia. 

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Capitolo 13
*** 13.Capitolo 12 ***


 

Correre tra i pensieri tanto da farmi male i piedi.
Corpi che si intrecciavano con le sue labbra.


 
Charlotte sbuffò, guardandosi allo specchio. Quella mattina i suoi ricci erano indomabili, aveva gli occhi rossi, le gambe doloranti ed era nevrotica. Aveva bruciato il caffè, versato il latte sul nuovo tappeto persiano e dimenticato di comprare i biscotti.
Dopo aver indossato i suoi amati anfibi neri, si sistemò la lunga treccia dietro la schiena e si spruzzò una grande quantità di ‘Bulgari’ . Rimase per pochi secondi a guastarsi l’aroma del suo profumo preferito prima di risvegliarsi dalla sua trance e uscire di casa in tutta fratta.
Sebbene ogni mattina si svegliasse alle sette per non fare tardi, era perennemente in ritardo. Forse perché rimaneva ore sotto il getto caldo della doccia, o perché proprio non riusciva ad uscire di casa senza aver visto almeno pochi minuti del suo telefilm preferito.
Imprecando sommessamente, la ragazza sfrecciò lungo il corridoio del suo condominio mentre il rumore delle sue stesse scarpe la infastidiva.
-Buongiorno signorina Lewis.- Svoltando l’angolo, Charlotte franò quasi contro il vecchio portinaio che con la sua inseparabile bombetta rossa, spazzava l’ingresso.
-Salve signor Wistun.- Si spostò una ciocca ribelle sfuggita dalla treccia, si sistemò la felpa nera e uscì nell’aria fresca.
Fra il traffico del centro di Bradford, cercava un dannatissimo taxi che l’avrebbe portata al commissariato, continuando a controllare l’ora sul suo cellulare. Quando finalmente ne trovò uno, si sbracciò per fermarlo. Corse in quella direzione, semplicemente per vedere una stupida ragazzina passarle davanti e catapultarsi dentro il suo taxi.
-Ehi tu, l’avevo fermato io!- Ma le sue parole finirono al vento, mentre l’auto sfrecciava via senza che lei potesse fare nulla.
Borbottando fra sé e sé, la ragazza cominciò a camminare a passo svelto, maledicendo quella dannatissima giornata di merda.
Quando le prime gocce di pioggia cominciarono a scendere, Charlotte ebbe l’impulso di urlare dalla frustrazione. Si fermò sul marciapiede affollato, aspettando che il semaforo diventasse verde. Sarebbe arrivata in ritardo, di nuovo. E questa volta non avrebbe potuto scusarsi.  Proprio mentre nella sua mente si rincorrevano milioni di scuse plausibili, un tocco alla spalla la fece ripiombare in quella schifosissima realtà che era la sua giornata.
-Signorina, la stanno chiamando.- Charlotte sbatté le palpebre, guardando nella direzione che la signora le stava indicando.
E rimase a bocca aperta.
Accostato al marciapiede, con la sua auto nera fiammante, c’era Harry. I ricci castani lasciati liberi sulla fronte, gli occhi verdi splendenti e il suo solito sorrisino sghembo a troncarle il respiro. Si sporse dal finestrino, facendole cenno di avvicinarsi.
-Forza Charlotte, ti do un passaggio.- Lei sorrise, ringraziando la signora e precipitandosi dentro la confortevole macchina del collega.
-Okay Styles .. Ti devo un favore.- Harry sorrise, ingranando la marcia e partendo.
-Mi basta un semplice bacio sulla guancia.- Charlotte lo guardò, con un sopracciglio inarcato. Harry staccò per un momento lo sguardo dalla strada, per intrecciarlo a quello di lei. Sospirando, cominciò a ridere.
-Come non detto.- Anche Charlotte abbozzò un sorriso, cercando di non pensare a quanto le piacesse ascoltare la sua risata.

In meno di un quarto d’ora furono al commissariato. Sorridenti, asciutti e soprattutto in orario. Quando Harry spense il motore dell’auto, Charlotte sospirò.
-Mi hai davvero salvato la vita, questa volta.-
-Come se fosse la prima volta.- Lei alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi pericolosamente al viso di Harry. Per una frazione di secondo smise di respirare, mentre Charlotte accostava le labbra alla sua guancia. Gli diede un leggero bacio, sfiorando appena la sua pelle fresca. Ma questo bastò perché la mente della ragazza si bloccasse per un istante. Fosse per il bruciore che la pelle di Harry le procurò alle labbra, per il profumo di lui che le inondò l’anima o anche semplicemente per i suoi ricci che le solleticarono la fronte. Quando Charlotte tornò al suo posto, la faccia di Harry era sconvolta. E questo contribuì a farla arrossire, forse per la prima volta nella sua vita.
-Mi hai veramente dato un bacio sulla guancia?- La sua voce roca spezzò il momento imbarazzante e la giovane sbuffò, saltando fuori dalla macchina.
-Muoviti, deficiente. O faremo veramente tardi.-
 
-E’ stato trovato il cadavere di un ottantenne a Stresinghton Street. Il commissario Harrison ha mandato voi.- Charlotte e Harry annuirono, alzandosi in sincronia.
-Oggi sembri più scorbutica del solito.- La voce di Harry giunse alle orecchie della riccia che si bloccò, mentre stava indossando il suo giacchetto.
-E tu più stronzo.- Harry arricciò le labbra, uscendo dal loro ufficio. Eppure a Charlotte non le sfuggì il suo sussurro borbottato.
-Quanta finezza ..-
 
Il cadavere era riverso a terra, il sangue vermiglio che lo circondava. Su di lui era chino il medico legale, che trafficava con le sue cianfrusaglie. Harry era lì accanto, le braccia conserte e lo sguardo concentrato. Charlotte espirò profondamente, mettendosi le mani nelle tasche dei jeans neri. Con i suoi anfibi scalciò qualche sassolino presente in quel magazzino abbandonato, osservando con i suoi occhi azzurri e vispi tutto ciò che la circondava. Fuori la pioggia picchiettava lentamente, mentre timidi raggi di sole fuoriuscivano dalla coltre nera di nuvole. In lontananza si poteva già scorgere l’arcobaleno. Charlotte uscì dal magazzino, indossando il cappuccio della sua felpa. Osservò la sterpaglia verde e, persa fra i suoi pensieri, aggrottò le sopracciglia. Senza pensarci due volte si infilò fra le spine, caricando la sua pistola, volenterosa di constatare che ciò che aveva pensato fosse giusto. Avanzò lentamente fra i roghi, graffiandosi il viso e il dorso delle mani. Strinse con più forza l’arma, continuando a camminare. Proprio quando stava per pensare di aver sbagliato l’erba incolta si diramò, aprendosi in un sentiero di ghiaia dove spiccavano due chiarissime impronte di pneumatici. Abbassando la pistola, Charlotte scorse poco più in là una casa abbandonata, nascosta per metà dagli alberi.
-Charlotte? Charlotte dove diavolo sei finita?- La voce di Harry le arrivò ovattata e quasi si spaventò. Rimettendo la pistola nei pantaloni, la ragazza urlò.
-Sono qui Harry, credo di aver trovato qualcosa.- Ma proprio mentre stava andando incontro ai rumori che udiva poco più in là, un boato fortissimo si alzò alle sue spalle e un calore sovraumano le bruciò la pelle. Urlò con quanto fiato aveva in gola, mentre veniva sbalzata via da una forza del tutto invisibile. Atterrò poco lontana, dolorante, mentre sentiva tutti gli arti tremare senza controllo.
-Charlotte!- Avrebbe voluto rispondere, dire dove si trovasse esattamente, ma il fumo che proveniva da dove aveva visto la casa le impediva di articolare parola. Tossiva sommessamente, mentre in lontananza poteva ascoltare le sirene giungere. Il fuoco divampava velocemente, corrodendo la vegetazione presente intorno. L’esplosione le aveva scosso la testa e anche l’udito. Sentiva un ronzio continuo e le palpebre erano diventate improvvisamente pesanti. La vista era annebbiata mentre il braccio destro le bruciava, quasi come se il fuoco non stesse intorno alla casa ma sul suo corpo.
-Charlotte, dove cazzo sei?- La voce di Harry si impadronì della confusione che sembrava alleggiarle intorno, mentre tutto ciò che la circondava sembrava essere lontana e muoversi a rallentatore.
-Harry .. Harry sono qui.- Ma non fu sicura di aver parlato realmente. Proprio mentre stava per chiamarlo di nuovo, il respiro le si mozzò mentre un bruciore più forte del precedente nasceva nel suo petto e nella sua gola. Sentì chiaramente fredde lacrime scendere dai suoi occhi rossi, disegnando una linea perfetta sulla sua guancia sporca di cenere.
Le palpebre cedettero all’improvviso, nascondendole il caos che le nasceva intorno. I sensi, intorpiditi ma ancora svegli, percepirono un tocco leggero sulla nuca. Questo sembrò risvegliarla dalla sua trance e le permise di riaprire gli occhi, focalizzandone altri due, verdi e preoccupati. Quando li riconobbe, fece tutto il possibile per racimolare quella poca lucidità che le era rimasta.
-Dio mio, Charlotte. Dimmi qualcosa, per favore!- I suoi ricci erano sudati e le guance sporche di nero. I suoi occhi erano scuri, irraggiungibili, mentre le mani di Harry la sorreggevano per la testa.
-Harry ..- Charlotte, con molta difficoltà, riuscì ad articolare il suo nome prima di cominciare a tossire di nuovo. Il ragazzo spinse il viso della collega contro il suo petto, facendo passare le sue braccia sotto le gambe di Charlotte. La prese in braccio senza alcuna difficoltà, mentre lei continuava a tossire e a cercare aria pulita per i suoi polmoni contaminati.
-Lot, mi senti? Ti salverò, Lot. Come sempre. Non ti lascio sola, respira contro il mio petto e resisti.- Avrebbe voluto rispondergli, dirgli di metterla giù perché la sua stretta sul suo corpo era troppo dolce e lei stava arrossendo troppo. Avrebbe voluto stringere nel pugno la maglietta di Harry, per mostrargli che era forte, che Charlotte Lewis non era debole.
Ma riuscì semplicemente a fare come gli aveva detto lui, affondando il viso nel suo petto, cercando di respirare il suo profumo.
L’ultima cosa che percepì prima del buio, furono le labbra fredde di Harry contro la sua fronte.


 
 
Quegli squilli gli stavano perforando l’udito, Harry lo percepiva chiaramente.
-Rispondi, cazzo, rispondi.- Non era da lui dire tutte quelle parolacce ma in quel momento, poco gli importava.
-Pronto?- Finalmente Hollie rispose e lui riprese a respirare, sebbene non si fosse reso conto di aver smesso di incamerare aria. Quando gli giunse la voce della fidanzata, ebbe l’impulso di piangere.
-Hollie, sono in ospedale.- Sentì un rumore attutito e un sussurro strozzato. Aggrottò la fronte, ma non fece domande.
-Che significa che sei in ospedale? Cosa è successo?- Harry alzò i suoi occhi stanchi, per incontrare quelli lucidi di Emma. La ragazza era in piedi accanto alla porta della sala operatoria, i capelli scompigliati, e la mano che torturava la collanina che portava al collo. Ogni tanto si sedeva, appoggiava la testa al muro, per poi rialzarsi e ricominciare a camminare.
-Sto bene, amore. E’ Charlotte quella che ..- Le parole gli morirono in gola, mentre una rabbia crescente si impadronì di tutto il suo corpo. Erano oramai due ore che si trovava lì e sebbene diverse infermiere avessero insistito nel farlo allontanare per medicarsi quelle poche ferite che aveva, lui non si era mosso.
-Harry, vuoi che venga lì?- Il riccio sospirò, passandosi una mano dietro il collo. Voleva che Hollie venisse da lui?
No.
-No, amore. Te l’ho detto semplicemente per avvertirti che questa sera arriverò tardi. – Sentì il silenzio provenire dalla cornetta, ed ebbe quasi l’impulso di cambiare idea, di farla venire. Ma stette zitto, ascoltando il respiro cadenzato di Hollie.
-Ve bene Harry. Chiamami quando sai qualcosa, ti amo.- Harry la salutò, per poi infilarsi il cellulare nella tasca dei pantaloni laceri. Emma gli si sedette accanto, mentre lui si chinava e si prendeva la testa fra le mani.
-Ce la farà.- La voce di Emma era flebile, così tanto che Harry si chiese se avesse effettivamente parlato. Ma poi sentì una piccola mano farsi strada lungo la sua schiena ,accarezzandolo, e con sorpresa il riccio percepì i muscoli allentarsi appena.
-Deve farcela.- Rispose solamente, chiudendo gli occhi. Nel buio delle sue palpebre rivide lei, Charlotte. Sporca di cenere, il sangue sul braccio destro e sul ginocchio. Gli occhi chiusi e i segni delle lacrime ben visibili sulle guance.
Era ormai un mese e mezzo che lavoravano insieme. E lui aveva imparato a volerle bene per le innumerevoli sfumature che assumeva: arrabbiata quando il cielo era assolato, inavvicinabile quando era indisposta e felice quando grandinava. Sorridente quando lavorava, stanca quando leggeva troppo.
Charlotte poteva essere tutto, ma anche niente. Il nero e il bianco. E questo lo confondeva. Lo confondeva il modo in cui gli sorrideva, lo confondevano i suoi dannatissimi occhi color cielo e i suoi gesti, ora calcolati, ora del tutto istintivi.
E la Charlotte sempre impulsiva, che diceva sempre le parolacce e che il sabato, in ufficio, si presentava con due cornetti, uno semplice per lui e uno alla nutella per lei, non poteva essere la stessa che aveva perso i sensi fra le sue braccia, non poteva essere quella ragazza persa che aveva salvato e che, ora, stava lottando da sola in un lettino d’ospedale.
-Papà.- La voce di Emma lo fece ritornare alla realtà e riaprì gli occhi. Dean Harrison, seguito dal maresciallo Adrian, si fermò davanti alla porta, con le mani sui fianchi. Gli occhi azzurri incolmabili, le labbra serrate.
Emma si alzò e gli corse incontro, abbracciandolo.
-Come sta?- La voce impassibile dell’uomo riempì il corridoio silenzioso. Non c’era bisogno di guardarlo per sapere che quella domanda era rivolta a lui. Harry sospirò, facendo pressione con le braccia contro le ginocchia per alzarsi. Si mise una mano in tasca e si asciugò il viso bagnato.
-Non lo so.- Dean annuì, affondando il viso fra i ricci della figlia.
-Styles, devi lasciarti curare.- Adrian gli fu subito al fianco, una mano sulla sua spalla. Harry osservò il suo riflesso sulla finestra dell’ospedale. Aveva del sangue raggrumato sopra il sopracciglio e un taglio al lato della bocca.
-Io sto bene, diamine. E’ Charlotte che è in pericolo. E’ lei che non è qui, in piedi, con me. Volete capirlo?- La rabbia gli accecò la mente e tirò un pugno contro il muro, sentendo le ossa scricchiolare.
Perché? Perché sentiva quella mancanza all’altezza del petto? Perché alla sola idea di non rivederla sentiva così male al cuore e all’anima?
L’aveva cominciata a considerare un’amica. Una migliore amica, forse. Oppure ..
-Commissario Harrison?- Un agente in divisa li raggiunse, con il fiatone. Dean lasciò andare la figlia, che si appoggiò al muro dietro di lei, gli occhi alzati al cielo per non permettere alle lacrime di scendere. In quel momento si aprì la porta della sala operatoria e un medico uscì, togliendosi un paio di guanti bianchi.
-Styles?- Fece scorrere gli occhi fra i presenti, mentre Dean si allontanava con il poliziotto. Harry, per un momento, osservò Emma. Lei deglutì, guardandolo.
Anche lei aveva paura.
-Sono io.- La sua voce risultò stanca alle sue stesse orecchie. Il dottore gli si avvicinò, con aria imperscrutabile. Quando gli fu vicino, gli mise una mano sulla spalla. Questo, fece quasi crollare Harry.
-Grazie alla sua tempestività, siamo riusciti a limitare i danni. La ragazza aveva respirato molto fumo e il braccio destro ha subito una scottatura. Ma sta bene.-
Sta bene.
Vide Emma sorridere e non resistette. Con due passi le fu davanti, abbracciandola forte. Lei rimase immobile fra le sue braccia per un secondo, prima di lasciarsi andare e accarezzargli la schiena. Harry versò qualche lacrima e per la prima volta nella sua vita, non tentò di nasconderle. Perché quelle erano il tributo per il coraggio di Charlotte, che non aveva mollato. Emma gli scompigliò i capelli, gli occhi castani lucidi ma felici.
-Posso vederla?- Il riccio si rivolse al dottore che gli sorrise, già la mente occupata per un altro intervento. Harry annuì, accarezzando appena il braccio di Emma. Fece un respiro profondo, si passò una mano dietro al collo ed entrò.

La luce al neon sparava direttamente sul suo viso. Al suo risveglio, avrebbe sicuramente sbraitato. Harry ci mise un po’ ad avvicinarsi, quasi come se avesse paura. Il viso bianco di Charlotte fu un colpo al cuore, come le sue labbra livide, le ferite sulla sua pelle e il braccio meticolosamente curato e ripiegato sul suo gracile petto, che si alzava e si abbassava regolarmente. I ricci erano sparsi sul cuscino bianco e ne prese uno, chiudendo gli occhi alla sua morbidezza. Le palpebre le tremarono appena e Harry sentì una stretta allo stomaco.
-Questa volta te la sei vista proprio brutta ..- Le accarezzò la testa riccioluta, cercando di non fare caso al fatto che le sue dita sembravano incastrarsi perfettamente ai suoi capelli. Con l’altra mano strinse quella di lei, abbandonato al lato del corpo. Era leggermente fredda e il ragazzo si appuntò in mente di chiedere una coperta più pesante.
Per il resto, non disse e non fece più nulla. Rimase lì, con lei, accarezzandola e sospirando di tanto in tanto. Quando sentì delle voci concitate provenienti dalla porta, Harry si riscosse. Era giunto il momento di andare a casa, eppure non voleva lasciarla. Si abbassò alla sua altezza e rimirò il suo viso, come se non la conoscesse abbastanza. Come se volesse guardarla e basta, come se tutta la sua esistenza fosse finalizzata a quello. Deglutì per quella che gli sembrò essere la centesima volta e con le labbra sfiorò la fronte di Charlotte. Esitò un momento, il respiro a scaldarle la pelle. Di sottecchi osservò ancora una volta il suo viso rilassato e la baciò di nuovo, più convinto. Le sue labbra tremarono appena quando si allontanò da lei, ma Harry fu tempestivo a morsicarle, bloccando il tremolio.
-A domani ..- Sussurrò, lasciando la sua mano. Si girò e uscì, cercando di non pensarci. Cercando di non pensare a tutte quelle emozioni che, forse, lo stavano sbaragliando, portandolo in una strada senza uscita.


 
 
 
Charlie si inumidì le labbra, mordendosi la guancia dall’interno. Fece saettare lo sguardo fra le persone che aveva davanti, stringendo la pistola che aveva nascosta nella tasca.
-Quella non ti serve, lo sai.- L’uomo che stava al centro di quella lunga tavolata gli sorrise, sistemandosi la giacca elegante.
-La prudenza non è mai troppa.- La sua voce gli risultò quasi del tutto inesistente e non dovette essere l’unico a notarlo perché una risata di sottofondo si sparse nel silenzio di quella stanza dimenticata dal resto del mondo. L’uomo che gli aveva parlato scosse la testa, bevendo dal suo bicchiere di whisky.
Rimasero ancora qualche minuto in silenzio, scrutandosi a vicenda.
-Perché mi avete chiamato?-  Non che non lo sapesse, ma avere a che fare direttamente con quei tizi lo inquietava. Era da illusi sperare di lavorare per loro e non incontrarli mai, eppure questo Charlie aveva sperato fino a qualche giorno prima.
-Vorremo solo sapere buone notizie, Smith. Gli italiani vogliono una rassicurazione per il carico .- Charlie rise appena, passandosi una mano fra i capelli ricci. Ma la sua risata non trovò eco, mentre piccole gocce di sudore si facevano largo alla base del suo collo.
-Potete stare tranquilli. Mi sono occupato personalmente del vecchio e il magazzino è saltato in aria.- L’uomo a capotavola si lasciò andare allo schienale della sedia, annuendo.
- Smith, abbiamo bisogno di sapere che ogni testimone della sua attività sia, come dire, inabilitato.- Un vecchio con la pelle incartapecorita e il bastone accanto parlò e Charlie fece di tutto perché la sua faccia non tramutasse per il disgusto che stava provando.
-Signori, la cosa mi pare ovvia. Altrimenti non sarei qui a parlare con voi. Sono stati eliminati tutti.- Cercò di enfatizzare l’ultima parola, guardando ognuno presente nella stanza.
-Malik?-
-Sotto controllo. E’ stato picchiato dai vostri seguaci e gli ho parlato personalmente. Reggerà il gioco. La paura e il rimorso sono dei sentimenti difficili da scindere ed evitare.- Abbassò lo sguardo, ripensando alla disperazione che quel ragazzo stava provando in quel posto. Quando lo rialzò, sul suo viso invecchiato era disegnato un sorriso malefico.
-Mi stupite, caro Smith. Stiamo parlando della persona che ha ucciso sua figlia. Come ha fatto a reggere il confronto?- Lo scherno in quelle parole era ben evidente e Charlie non poté che stringere le mani a pugno, facendo sbiancare le nocche.
-Ho i miei assi nella manica.-
Rimasero per altri secondi in silenzio, osservandolo attentamente.
-Il carico arriverà fra due giorni. E’ di vitale importanza la sua presenza, il Burattinaio si fida di lei.- A sentir pronunciare quel nome, Charlie sussultò. Abbassò la testa in segno di resa, mentre l’aria sembrava satura di un potere che fino a poco prima non era presente.
Il Burattinaio .. Colui che muoveva i fili. L’uomo che esiste ma non si vede. L’uomo finito che continua a vivere nel male delle persone.
-Sarà fatto.-
Charlie Smith trangugiò in un unico sorso il suo alcolico, alzandosi e indossando gli occhiali da sole. Diede le spalle a quegli uomini, morsicandosi il labbro inferiore.
-Stia attento, Smith. La polizia comincia a indagare.- L’uomo si fermò proprio davanti alla porta,, infilando una mano nella tasca del suo giacchetto nero in pelle ed estraendo un pacchetto di sigarette. Se ne mise una in bocca, e l’accese. Aspirò profondamente, chiudendo gli occhi nascosti dalle lenti degli occhiali. Parlò, lasciando andare una nuvola di fumo, mentre l’odore di nicotina gli impregnava la pelle, annebbiandogli per un momento il cervello.
-Da quando la polizia è un vostro e un mio problema?- Tutti, nella stanza, sembrarono muoversi in sincronia. Ma, come sempre, fu l’uomo a capotavola a rispondergli.
-Perché è ritornato un nome che speravamo non potesse più nuocerci.- Charlie aggrottò le sopracciglia, aspirando altro fumo.
L’uomo fece un cenno e un ragazzino gli si avvicinò, portandogli qualcosa.
-Guarda tu stesso.- Charlie incastrò la sigaretta fra le labbra, avvicinandosi di nuovo al tavolo. Osservò attentamente l’oggetto che gli si presentava davanti: una fotografia che ritraeva un giovane.
-Chi è?-
-Si chiama Harry Styles.-
Charlie fece scattare la testa verso l’uomo, deglutendo.
Styles .. Quel cognome tanto odiato era davvero tornato.
 
 
 
 
 
 
 
 Angolo autrice:
Eccomi qui con il nuovo capitolo! Prima di tutto vorrei chiedervi cosa ne pensiate del banner. Non è bellissimo? scnshcus Per questo ringrazio molto NYAZ EFP per questa meravigliosa creazione. E' esattamente come lo immaginavo. 
Passando al capitolo: vediamo che quasi l'intero capitolo è concentrato su Charlotte e Harry, questi due personaggi che stanno legando molto. Charlotte è una mina vagante e il riccio sembra quasi che sia nato per salvarle continuamente la vita. Questa volta, Char ha rischiato molto. Come spero avrete capito, è quasi saltata in aria insieme alla casa abbandonata che, per la cronaca, è la stessa di cui parla Charlie alla fine. Anche l'uomo ucciso è lo stesso e .. Bè, chissà il movente!
Vediamo un Harry completamente confuso per i sentimenti che scaturiscono in lui quando si tratta di Charlotte. E perchè mai il suo cognome è tanto temuto? Lo scopriremo solo vivendo. 
Ora, vorrei ringraziarvi. Vorrei ringraziare tutti quelli che leggono la storia e quelli che la recensiscono ogni volta. Vi adoro, veramente. E,come sempre, un grazie speciale alla mia Lott che mi ispira sempre e che mi conferisce la forza per continuare a scrivere questa storia. Un bacio e alla prossima.
Sonia. 

 

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Capitolo 14
*** 14.Capitolo 13 ***




 
 
Diventi rossa se qualcuno ti guarda e sei fantastica quando sei assorta.
Nei tuoi problemi, nei tuoi pensieri.


 
 
-Non saresti dovuta tornare, Allison.- Harry alzò gli occhi stanchi dal piatto di carne e fissò il padre, immobile.
Allison abbassò il suo sguardo, sospirando. Aspettava quel discorso da una settimana e durante quei giorni aveva pensato e ripensato a come difendersi dal probabile attacco del padre. Eppure, quelle parole fredde e taglienti l’avevano spiazzata.
-Lo so, papà.- Il suo sussurro serpeggiò fra il silenzio della casa, la televisione accesa con il volume disattivato e il ronzio del frigorifero che confondeva i pensieri.
-Faresti bene a prendere la tua roba e andartene di nuovo.- La ragazza osservò Harry irrigidirsi, ma il riccio non disse nulla. Nascose il suo sguardo alla gemella e serrò i pugni.
-Io non voglio andarmene. Non più.- Il vecchio Styles si passò una mano fra i capelli oramai grigi, strofinandosi gli occhi stanchi e di quel colore verde spento che una volta avevano brillato di determinazione.  
-Lo sai il perché ti ho allontanata da qui, Allie. E sai anche quanto questo mi abbia spezzato il cuore. Ma la tua incolumità è troppo preziosa.-
-Non parlare come un poliziotto. Non lo sei più, oramai. Perché, per una volta nella tua vita, non parli con il cuore di un padre?- Avrebbe voluto urlare quelle parole, ma la sua voce uscì flebile e spezzata dal pianto. Nemmeno si era resa conto che una lacrima già era scappata dalla sua iride liquefatta.
-E’ proprio parlando da padre che ti chiedo di tornare a Venezia. Ho promesso a tua madre che ti avrei protetta. Che avrei protetto te e Harry.- Il ragazzo scosse i suoi ricci scuri, alzandosi dal tavolo e portando il suo piatto ancora intatto in cucina.
-Allora perché allontanare solo me? Perché dividerci?- Carl osservò gli occhi lucidi della figlia ed ebbe paura. Paura come quella volta che la dottoressa gli disse che forse uno dei loro gemelli fosse malato, paura come quella volta che Harry cadde e sbatté la testa. Paura come quando ricevette quella chiamata. Allison cercò il sostegno degli occhi di Harry, ma lui non la guardava. Non lo aveva fatto per tutta la sera.
-Harry .. Vuoi che me ne vada?- Anche Carl osservò il figlio. Era poggiato al lavabo e stringeva forte il marmo, la postura rigida e i ricci a coprirgli il viso.
-No, Allie. Non voglio che tu te ne vada. Ma ti voglio ricordare il motivo per cui nostra madre è morta.- Carl deglutì e Allison si morse il labbro inferiore.
-Me lo ricordo esattamente, Harry. Fu James Evans, il criminale che controllava lo spaccio a Bradford e che uccideva per il gusto di farlo, a ordinare la morte di nostra madre. Lo fece semplicemente per colpire papà.-
-E lo sai cosa mi disse, il giorno in cui lo arrestai?- Nella mente di Carl si succedevano immagini che oramai da anni lo uccidevano.
-Ti disse di avere una bella figlia femmina.- Mormorò Allison, strofinandosi il bel viso con le mani gelide.
-Non mi disse solo quello. Mi disse di stare attento, Allison e io ho paura. Paura per te.- Il labbro della ragazza tremava incontrollabilmente e sentiva le lacrime oramai prossime. Ma non avrebbe pianto davanti a loro.
-Sono tornata semplicemente perché non so vivere senza di voi. Ma è chiaro che la cosa non è reciproca. Prenderò il primo aereo per Venezia e me ne andrò.-
Guardò gli occhi sofferenti di suo padre e non degnò nemmeno di uno sguardo il gemello. Sparì in un turbinio di capelli castani.

L’ospedale era una confusione impressionante quel giorno, eppure Allison era sorda a qualsiasi tipo di rumore. Non vedeva nulla che non fosse quella dannata porta bianca, chiusa e triste. Non sentiva altro che non fosse il battito del suo cuore e il respiro cadenzato di Harry, accanto a lei. Di fronte ai due ragazzini, vi erano due poliziotti seri e vigili. Allison ebbe voglia di vomitare e chiuse gli occhi. Si lasciò andare contro la spalla del gemello che aveva le mani tremanti appoggiate sulle ginocchia dinoccolate. Affondò il viso al suo collo e i suoi ricci le solleticarono la guancia bagnata.
-Ho paura, Harry.-
-Anche io.- Harry passò un braccio sulle magre spalle della sorella, facendola accomodare al suo petto allora esile. Il maglione che indossava le pizzicò la pelle ma Allison aveva bisogno di lui e strinse con le sue braccia la vita del riccio. Chiuse gli occhi e si lasciò andare a quell’abbraccio, fondendo la sua paura con quella di lui, condividendo quel fardello con l’unica persona con cui avesse mai voluto farlo. Quando la porta si aprì e ne uscì Carl, piangente, vuoto e pallido, Allison e Harry crollarono, insieme. Perché erano piccoli, avevano tredici anni ma avevano capito.
La madre non ce l’aveva fatta e il mondo franò loro addosso.

Allison si abbandonò sul suo letto, a pancia in giù e affondò il viso lacrimoso sul cuscino morbido. Odorava di infanzia e, per questo, lo scansò. Lasciò che i singhiozzi lasciassero la sua gola e per un momento desiderò di addormentarsi e non svegliarsi più. Ma la porta che si apriva le fece spalancare gli occhi, mostrando la figura possente di Harry. Indossava i jeans scuri di prima ma era a petto nudo e Allison si perse a osservare i tatuaggi che imperlavano la sua pelle candida. Si passò una mano fra i capelli e, sorridendole, andò ad accucciarsi sul davanzale della finestra, le gambe oramai troppo lunghe appoggiate alla sedia. Guardava fuori mentre Allison osservava lui, sentendo le mani pizzicare per la voglia di toccarlo e sfiorarlo.
-Tu mi appartieni, Allison.- La sua voce roca accarezzò le lacrime di Allison, il suo labbro tremante e la sua paura di essere dimenticata.
-E io appartengo a te.- Girò il viso e intrecciò i suoi occhi a quelli di lei. Verdi come il prato, come la speranza come i mari più belli del mondo.
-Ho solo paura di perderti, Harry.- Sussurrò, raggomitolandosi su sé stessa. La sera era fresca e il vento scompigliò i capelli di entrambi. I gemelli si osservarono, immobili.
-Non mi perdi, Allie. Perché tu non andrai più via da qui. Rimarrai con me e ti proteggerò.- Allison si mise dritta con la schiena, massaggiandosi la gamba nuda.
-Cosa stai dicendo?-  Harry sospirò e si alzò. Rimase in piedi, immobile, per alcuni secondi. Poi, come sette anni prima quando aveva bisogno di lui, la raggiunse nel letto e lei gli fece spazio fra il piumone morbido. Si poggiò con la schiena alla spalliera del letto e la accolse fra le sue braccia, racchiudendola in quel mondo che sapeva di Harry.
-Sto dicendo che non voglio che tu parta. Non voglio più che le nostre vite si dividano e se questo significa proteggerti  a costo della mia vita, lo farò.- Allison tirò su con il naso, mentre sentiva il viso del fratello fra i suoi capelli e sotto il tocco della mano il suo petto tonico.
Rimasero in silenzio per un po’, il vento a raffreddare loro la pelle e l’eco di parole non dette nel cuore di entrambi.
-Alcune volte mi perdo. Apro gli occhi e mi chiedo cosa stia facendo la mamma. Se magari stia facendo quei dolci buonissimi, o magari sia andata a parlare con i professori per il tuo ultimo guaio. Poi ritrovo la realtà e ricordo che niente di questo può più accadere perché è morta.- Sentì Harry rabbrividire ma continuò, il coraggio di parlare solo con lui.
- Mi sento così vuota, senza di lei. Io ne avevo bisogno. Ho ancora bisogno di nostra madre, dei suoi abbracci, del suo profumo, dei suoi sorrisi e persino delle sue sgridate.- Si sistemò meglio accanto a Harry e lui, percependo i suoi brividi, con un movimento secco recuperò la coperta e coprì i corpi di entrambi. Il buio non permetteva a Allison di inquadrare perfettamente i lineamenti del gemello ma non ne aveva bisogno. Ad ogni tocco, lo riconosceva.
-Mi sento così debole e codarda.-
-Non sei codarda. Sei una delle persone più coraggiose che conosca. Forse, sei anche più coraggiosa di me.-
-Lo pensi davvero o lo dici solo perché sono tua sorella?-
-Lo dico perché è vero.- Sentì il fratello reclinare la testa verso il basso, cercandola. Allison alzò il viso e i loro occhi gemelli si intrecciarono.  
-Allie, sei tornata dopo sette anni sebbene Bradford non sia sicura per te. Sei tornata a discapito della tua sicurezza, solo per noi.- Arricciò le labbra, colpita da quelle parole.
-E’ pazzia, lo so.-
-Non è pazzia. E’ amore. E l’amore è coraggio.-

 
 
Zayn sorrise, suo malgrado, quando entrò nella solita squallida stanza e riconobbe la familiare testa riccioluta di Emma. Si fermò un momento alle sue spalle per osservarla, i lineamenti tornati rigidi e le labbra serrate. Erano oramai otto giorni che quella ragazza lo mandava a chiamare alle 2:35 del pomeriggio, lo zaino sulle spalle e un sorriso sempre sincero sulle labbra. Erano otto giorni che lo osservava, senza dire nulla. I suoi occhi erano perle caramellate e il giovane sentiva la pelle bruciare e le ferite guarire sotto quello sguardo magnetico. Perso fra i suoi pensieri non si era accorto di essersi seduto di fronte a lei, come sempre. Poggiò le mani sul tavolino lacero, gentilmente, perché le ferite ai polsi ancora non erano guarite. Alzò i suoi occhi scuri e trovò, come sempre, lei ad osservarlo. Passarono minuti di totale silenzio e Zayn cominciò a pensare che quell’incontro sarebbe andato come gli altri, sfociati in occhiate interessate e in silenzio contagiosi, come sempre. E sebbene Zayn odiasse il silenzio e amasse ascoltare i rumori, quella mancanza di suoni con lei non lo disturbava. Perché aveva da osservare e, se si sforzava, aveva anche qualcosa da ascoltare: come il fruscio dei vestiti di lei, delle sue labbra secche e delle sue ciglia sulle guance. Emma era una riserva di piccoli rumori che lui amava ascoltare.
-Cosa centra tua sorella con tutta questa storia?- Quando Zayn aveva visto muovere le sue labbra, aveva trattenuto il respiro. La sua voce, sebbene non volesse pensarci, era il suono più dolce che avesse mai sentito. Ma sentir parlare di Clare lo destabilizzò e si ritirò, assumendo un cipiglio scorbutico.
-Lei non centra nulla. Lasciala fuori da questa storia.- Emma si sporse verso di lui e Zayn temette che volesse toccarlo. Ma sembrò ripensarci, limitandosi ad allacciare le sue perle castane a quelle scure di lui, irraggiungibili per tutti, tranne, forse, che per lei.
-Due giorni fa è saltato in aria un magazzino poco lontano da Bradford. E’ bruciato tutto, tranne un ciondolo a forma di stella. Clare, per caso, lo ha visto mentre era venuta per chiedere di vederti e lo ha riconosciuto come suo.- Zayn deglutì, distogliendo lo sguardo. Si passò una mano sulla guancia e la barba non tagliata lo infastidì.
-Ti stanno minacciando, Zayn?- Aveva sussurrato; eppure nella testa del moro le parole della giovane sembravano essere state urlate. Si sentì stanco, vulnerabile e la odiò. Odiò Emma che voleva scavare nella sua vita, che voleva salvarlo quando era evidente che non poteva farlo, la odiava perché lo faceva sperare. Sperare di poter dire la verità.
-Chi ti ha messo in testa queste stronzate?- La sua voce risultò minacciosa, ma Emma non dette segnali di paura.
-Harry.- Zayn sorrise, facendo schioccare la lingua contro il palato.
-Quel poliziotto ha altamente rotto il cazzo.- La ragazza non diede segno di disgusto per la sua volgarità, piuttosto allungò la mano a sfiorargli i polsi doloranti. Lui si ritrasse, colpito da una fitta di dolore. Emma lo guardò intensamente, riavvicinando con più delicatezza le dita. Gli sfiorò il dorso ambrato, in quella che sembrava una carezza e andò a legare la propria mano alla sua. Zayn non riusciva a staccare gli occhi da quell’unione così strana, così inverosimile, così impossibile.
-Zayn, sta solo cercando di aiutarti.- Il ragazzo si staccò , alzandosi di scatto. Anche Emma si alzò, la mano con cui lo aveva toccato serrata al petto, come se anche lei avesse sentito quella scarica piacevole lungo tutta l’epidermide.
Zayn intrecciò le mani dietro la testa, non curandosi dei muscoli doloranti. Il suo nome .. Emma aveva pronunciato il suo nome esattamente come faceva Emily quando era arrabbiata o quando gli doveva confidare qualcosa di importante. Per un momento, era scomparso tutto. Erano rimasti loro due e Zayn aveva avuto voglia di sradicare quel tavolo che li divideva e baciarla, perdendosi nel suo gusto, nel suo profumo, in quel sentimento che percepiva fluirle intorno.
-Vattene, Emma. Dimenticami.- Il moro le diede le spalle, poggiando i palmi delle mani contro il muro ingiallito. Nello stesso momento in cui disse quelle parole, Zayn percepì il cuore infrangersi sotto la prospettiva di non vederla più. Di non vedere quel profilo così forte, così angelico, così bello. Sebbene lo uccidesse il prospetto di perdere l’unica che lo teneva presente a sé stesso, doveva allontanarla. Doveva salvarla. Il silenzio che percepiva lo uccise, come quei silenzi che si creavano dopo che i suoi genitori litigavano, come quel silenzio intorno alle loro tombe, nelle mura della sua infanzia. Come quei silenzi che temeva quando era piccolo. Serrò gli occhi perché non era pronto al vuoto che avrebbe trovato, girandosi. Chiuse gli occhi perché sebbene avesse cercato di non pensarci, Emma era entrata nell’unico pezzo di cuore che non era stato ferito. La sentiva palpabile e questo non doveva accadere. E non capiva. Non capiva perché lei fosse venuta, perché gli stesse accanto.
-Sono pericoloso e non voglio che anche tu ti faccia del male, per me.- Sapeva che le sue parole non sarebbero mai giunte alla ragazza, ma non se ne curò. Rimase ancora un po’ in silenzio, il tempo necessario per riprendersi e per accettare la sua situazione. Ma quando si allontanò dal muro gelido e si girò, trovò Emma ancora lì, le braccia intorno al corpo e le lacrime che scendevano sulle sue guance rosee. Zayn sbarrò gli occhi e rimase immobile, il respiro pesante.
-Sei solo, Zayn? – La sua voce era un sussurro, eppure lui la percepì e le rispose con un cenno, annuendo.
-Sei triste? Abbandonato? Hai paura?- Annuì di nuovo, mentre la vedeva avvicinarsi. Si fermò solamente a pochi millimetri da lui, sul volto la sorpresa per quello che stava facendo. Zayn la sovrastava di tutta la testa e lei si sentì piccola.
Abbassò gli occhi per poi rialzarli, le ciglia bagnate e l’iride tremolante. La sua mano si mosse da sola, raggiungendo la guancia bronzea di Zayn. Quando l’accostò, il giovane chiuse gli occhi. E da questo Emma prese coraggio. Si alzò sulle punte e con le labbra sfiorò l’orecchio di lui, i capelli corvini che le solleticavano la fronte.
- Lascia che io stia con te. Lascia che ti salvi, Zayn.- Il ragazzo tremò e con un movimento deciso, la strinse per la vita. Lei barcollò e per non cadere Zayn si poggiò alla parete, trascinandola al suo petto. Sentì qualcosa prudergli gli occhi e si accorse di lacrimare. Le lacrime gli solleticarono le labbra che, lentamente, si piegarono e si modellarono a quelle di Emma, desiderose e fredde.
Zayn la strinse a sé e sì .. La baciò.
-Non lasciarmi solo.- Riuscì solo a sussurrare.


 
L’uomo tossì per poi riprendere ad aspirare il fumo dalla sigaretta. Distolse lo sguardo dal ragazzo che gli stava di fronte e osservò la sua pelle giallognola e raggrinzita, come se fosse un vecchio pronto a morire. Sorrise a quella prospettiva, facendo un gesto con la mano per rimanere solo.
A quanto pareva, la sua banda era di nuovo in pericolo. E il pericolo assumeva due nomi chiari e terribili.
Dean Harrison e Harry Styles.
Quei due sapevano. Quei due dovevano morire.
James chiuse gli occhi, l’odore di stantio della prigione a inondargli i polmoni oramai da sette lunghi anni.


 
 
 Angolo autrice:
Eccoci con il nuovo capitolo. Per me scriverlo è stato assolutamente difficile, quindi andiamo per gradi. Nella prima parte, finalmente, viene spiegato il motivo per cui Allie si è dovuta allontanare dalla famiglia: James Evans, un terribile criminale e nemico dell'allora commissario Carl Styles fece uccidere la madre di Harry e quando lui lo arrestò, minacciò la figlia. Cosa ne pensate, è tutto chiaro?
La seconda parte invece è nata così. Non avevo idea di cosa far accadere e ho semplicemente dato retta al mio istinto e .. Tadan: il primo bacio di Zayn e Emma. Ve lo aspettavate? scnjscsub non lo so, questa parte non mi convince molto. Ditemi voi C': Togliendo i miei dubbi. quei due li amo!
E poi l'ultima parte .. Boh, commentate un pò voi. Io vi devo solo ringraziare. Siamo a 95 recensioni e io non ci posso credere. 
Spero di non avervi deluse con questo capitolo. Vi mando un bacio e alla prossima. 
Sonia. 

 

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Capitolo 15
*** 15.Capitolo 14 ***


 


Libero, perché ognuno è libero di andare.
Libero da una storia che è finita male.

 
 
Jonh non aveva mai visto Louis davvero impegnato in qualcosa di serio. Fino all’età di sedici anni era stato un completo disastro, incastrato fra la voglia di non
crescere e il desiderio di essere all’altezza. A quei tempi le litigate erano all’ordine del giorno e trattavano di ogni cosa: un brutto voto a scuola, un’ubriacatura vietata, la prima sigaretta, la fidanzata inadatta, la prima rissa e le risposte non appropriate alla madre. Louis era stato il tipico ragazzetto da quartiere, i capelli acconciati a cresta, la camicia sbottonata, i jeans troppo larghi, la lingua viziata e gli occhi blu mare strafottenti e menefreghisti. Poi, era cambiato tutto. I capelli erano cresciuti, era spuntata la barba e i lineamenti si erano fatti più maturi. Gli occhi avevano acquistato consapevolezza e il fisico si era formato. Louis Tomlinson, a diciassette anni, aveva deciso di diventare avvocato, seguendo le orme del padre. E il suo fisico asciutto e atletico si era piegato sotto il peso dei tomi e la mente si era persa fra nomi di leggi complicate. Quando si era laureato Jonh e Debie, sua madre, erano stati orgogliosi e gli avevano regalato un piccolo appartamento al centro di Bradford, dove avrebbe potuto continuare a studiare per prendere la specializzazione e aprire un’attività propria.
Guardando la risma di fogli fittamente scritti dalla calligrafia tonda del figlio, Jonh sorrise ripensando a quei tempi.
-Ho fatto qualche errore divertente?- La voce acuta di Louis si sparse nel piccolo studio poco illuminato dalla lampada sulla scrivania, fuori un temporale primaverile.
-No, Louis. Il verbale è perfetto. E’ solo che penso che a questo punto sia tutto inutile.-
-Inutile? Non capisco.- Jonh osservò attentamente gli occhi intelligenti del figlio, velati dalle lenti degli occhiali dalla montatura spessa.
-Non vedo cosa ci sia da capire. Tutte le prove designano il signor Malik come unico responsabile della morte della ragazza. La nostra difesa può solamente limitare i danni. Ma tanto vale lasciar perdere. Non voglio avere a che fare con questi assassini maldestri.- Louis taceva, osservando il vecchio padre. Si erano somigliati molto, un tempo. Ma la vecchiaia non aveva reso giustizia a quell’uomo che era sempre stato bello, felice e gioioso. Il lavoro lo aveva messo di fronte a bivi che lo avevano segnato e il ragazzo poteva quasi contare nelle rughe sulla sua pelle tutte le volte che il padre era stato a un passo dal mollare tutto.
- Non è come dici tu. E non le pensi certe cose altrimenti avresti rifiutato il caso e di questo ragazzo non ti saresti curato.- Jonh sospirò e si passò le mani sul viso stanco.
-Conoscevo i genitori di Zayn, abbastanza bene da essere certo che il figlio non avesse potuto fare ciò di cui era accusato. Ma guarda qua, Lou. Abbiamo due testimoni, compreso il padre della ragazza, che affermano di aver visto entrare Zayn con un coltello.-
- Ho controllato le registrazioni di tutte le telecamere presenti nella villa, da tutte le angolazioni. Il signor Malik non aveva nessun coltello in mano.-
-Non voglio sapere come tu sia potuto arrivare a certe registrazioni, ma non mi sembra che un assassino, per quanto maldestro possa essere, sventoli ai quattro venti l’arma del futuro delitto.-
-Allora se la portava nascosta, mi dici come diavolo facevano quei due ad averla vista?-
-Forse ha fatto un passo falso quando era in casa.-
-I forse non bastano, papà. E’ la prima cosa che mi hai insegnato.- Il ragazzo si alzò, andando alla finestra. Osservare la pioggia lo tranquillizzava e il rombo dei tuoni in lontananza lo teneva presente a sé stesso.
- Io penso che ci sia qualcosa che noi non riusciamo a capire ; un qualcosa che Zayn non vuole dirci per qualche strano motivo a noi sconosciuto. Quando gli ho ripetuto che lui non era stato a commettere quel delitto, non  ha smentito. E ha ammesso solamente una volta di aver ucciso la ragazza, in un frangente in cui non era registrato. – Louis si girò e ritornò seduto alla scrivania, raccogliendo tutti i suoi documenti.
-La scena del delitto non sta in piedi. Incongruenze, circostanze che non stanno né in cielo né in terra. Prima di tutto, non credo che se la signorina Smith non lo avesse voluto vedere, gli avrebbe aperto con così tanta tranquillità. Il campanello è suonato solo una volta, lo ha detto la cameriera. Questo significa che la ragazza gli ha aperto subito. -
-La cameriera ha anche testimoniato di averlo visto giungere arrabbiato, con appunto l’arma in mano e in uno stato che lasciava intendere che non fosse sobrio.-
-Ecco un’incongruenza, per esempio. Se fosse stato ubriaco, credi che sarebbe riuscito a pugnalarla e ucciderla con un colpo solo? E comunque ho controllato la cartella clinica di Malik. Ha un’alta probabilità di riscontrare facilmente la cirrosi epatica e, per questo, gli è stato vietato di bere qualsiasi tipo di alcolico. – Il cellulare del ragazzo fermò il suo monologo e, con un’ultima occhiata al padre, lo prese e rispose.
Jonh si lasciò andare contro lo schienale della sedia, mille dubbi che lo tormentavano. Non era la prima volta che dubitava dell’effettiva innocenza del proprio assistito eppure, non aveva mai mollato. Forse stava diventando troppo vecchio. Forse, era ora di ritirarsi.
-Grazie Steve. Ricambierò il favore appena possibile.- La voce contrita di Louis gli fece alzare lo sguardo, per incontrare gli occhi infervoriti del figlio.
- Le registrazioni che sono state fornite alla polizia sono state manomesse. Steve, un mio compagno d’infanzia che lavora in ambito informatico, ha studiato per tre giorni i filmati provenienti dalle telecamere della villa Smith. Le immagini vere sono state sostituite da altre, ovvero i filmati del 23 Marzo , giorno del delitto, sono stati coperti da altri filmati, magari di altri giorni. Steve crede di poterle recuperare interamente, ma ci vogliono settimane per ricostruire i filmati veri.- Spiegò frettolosamente, accartocciando i documenti nella sua borsa e sfilandosi di malo modo gli occhiali.
-Mi stai dicendo che il materiale su cui stiamo da quasi un mese è un materiale falso, manomesso?- Louis annuì, infilandosi la giacca e passandosi una mano fra i capelli castani.
-Come diavolo è possibile? Sono materiali riservati, segreti, su cui solo determinate persone possono mettere le mani.-
-Può significare solo una cosa, papà. Il delitto Smith non è un semplice omicidio. E’ qualcosa di più grande e sono coinvolte persone più pericolose di quanto pensassimo.- Louis si diresse verso la porta dello studio, spalancandola. Le urla delle sorelle lo fecero sorridere mentre Jonh si alzava e si stringeva nella felpa enorme.
-E Zayn?- Louis sospirò, guardandolo per una frazione di secondo.
-Se quello che penso è tutto vero, Zayn è solo una pedina.-

Si scostò i capelli fradici dagli occhi, attendendo impaziente. Aveva parcheggiato la macchina in fretta e furia e, pensandoci meglio, probabilmente anche in un posto dove non poteva lasciarla. Rabbrividì ancora, mentre la pioggia fredda gli schiaffeggiava il viso. Louis percepì dei rumori dietro la porta spessa e vide una luce accendersi. Dopo due secondi la porta si aprì e fece capolino la testa di Clare Malik. Il  viso era in penombra eppure i suoi due occhi scuri spiccavano, luminosi, persino fra la fitta pioggia.
-Louis?- La sua voce sorpresa lo scaldò un pochino, mentre il temporale peggiorava e l’acqua perseverava intorno al corpo del giovane.
-Buonasera Clare … Non è che potresti farmi entrare?- La ragazza arrossì vistosamente alla luce tenue e annaspò. Spalancò la porta e si fece da parte, richiudendola poi dietro le spalle di un Louis fradicio, infreddolito ma sorridente.
-Scusami se sono piombato a casa tua così. Ma ho bisogno di parlarti.- Clare si massaggiò il ventre prominente, aprendosi in un sorriso sornione. Era incredibile la somiglianza con Zayn. La pelle olivastra era   pallida e i lunghi capelli erano legati disordinatamente.
-Non ti preoccupare. Togliti la giacca, vado a prendere alcune cose di mio fratello.- Louis la osservò attentamente, mentre spariva dentro una stanza buia. Si guardò intorno, ripensando alla prima volta che aveva incontrato quella ragazza, sperduta e impaurita. Sorrise proprio mentre Clare tornava e gli porgeva, silenziosamente, un paio di pantaloni e una maglietta.
-Il bagno è la seconda porta a destra. Preparo qualcosa di caldo.- Gli sorrise ancora e Louis dovette distogliere lo sguardo per non dimenticarsi persino il suo nome.

Strinse forte la tazza calda, beandosi del tepore di cui stava godendo. Clare aveva fatto una cioccolata calda e lo aveva invitato a berla nel salotto, seduti sul gelido divano di pelle su cui la ragazza aveva steso un piumone leggero. Clare era acciambellata su un lato, le ginocchia piegate per quanto glielo permettesse la pancia. Massaggiava distrattamente la maglietta spessa che le fasciava il ventre, mentre con l’altra mano teneva ferma la tazza. Louis era seduto dall’altra parte, voglioso di parlare ma allo stesso tempo di non spezzare quel silenzio piacevole che gli permetteva di osservarla attentamente.
Clare era bellissima. Bellissima da mozzare il fiato e Louis non capiva, non si capacitava del fatto che quella bellezza dovesse subire un dolore così forte, sola. Perché in quelle settimane in cui l’aveva frequentata aveva capito molte cose.
Il ragazzo aveva capito che odiava legarsi i capelli, piangere continuamente e non vedere il fratello. Aveva capito dove lavorasse, chi fosse la sua ginecologa e a quale parco le piaceva portare il suo bambino, ancora dentro la pancia.
E aveva anche capito che non c’era un padre di quel bambino, nella sua vita. Sospirò a quel pensiero e questo destò l’attenzione di Clare.
-Di cosa volevi parlarmi?- Louis dovette distogliere, per la seconda volta, lo sguardo dal viso angelico di Clare, perché tutta la spiegazione dettagliata e tecnica non svanisse nel nulla sotto i brividi e le emozioni che quella ragazza gli trasmetteva direttamente nel cuore.
-Ho delle importanti novità. Ma devo chiederti una cosa. Di non parlarne con nessuno, nemmeno con Zayn.- La tristezza che distorse i lineamenti delicati della giovane lo destabilizzò, mentre una lacrima sola iniziava la sua discesa sulla gota arrossata di Clare.
-Anche se volessi, non potrei dirglielo. Non me lo fanno vedere, Louis. E io sto impazzendo.- Il castano ebbe un moto di rabbia e si mosse a disagio, serrando gli occhi per la voglia che aveva di abbracciarla. Louis si stupì a quel pensiero e si arrabbiò ancora di più, questa volta con sé stesso, perché teneva a Clare in un modo che lo stava spaventando. Perché le mani gli pizzicavano per la voglia che avevano di incastrarsi fra quei lunghi capelli e le sue labbra rischiavano di precipitare sotto la mancanza del tocco leggiadro contro la sua pelle soffice. Con ancora gli occhi chiusi il giovane avvocato fece due respiri, riprendendo la calma e cercando di rilegare quei sentimenti così assurdi in una parte lontana della sua mente. Quando fu pronto ad affrontarla, Louis riaprì gli occhi e le raccontò ogni cosa. Ad ogni parola, le smorfie di Clare lo convincevano che sì … Zayn era innocente. Più le ripeteva, sia a lei che dentro la sua mente,  più si autoconvinceva che il moro fosse solo una vittima e che doveva salvarlo al più presto. Quando concluse, Clare aveva gli occhi rossi e una mano sulla bocca, le dita tremanti. Da fuori proveniva ancora il rumore della pioggia e Louis sentiva sulla pelle il freddo di quella casa che, sapeva, non era munita di riscaldamenti per la mancanza di denaro. Clare distolse lo sguardo dal giovane, alzandosi di scatto. Ma un dolore alla pancia non le permise di rimanere in piedi, e ricadde sul divano, con Louis già pronto a scostarle i capelli dalla fronte.
-Non devi sforzarti, Clare.- Oramai la ragazza era scoppiata in un pianto nervoso, parole senza senso che si rincorrevano e la paura ad offuscarle la mente. Louis le stette accanto, rispondendo e confortandola ad ogni sua parole, anche sconclusionata. Erano vicini e il profumo di Clare gli inondava i sensi, facendolo sentire completo. Quando la ragazza si fu ripresa, caddero in un totale silenzio. Lei accucciata alla spalla di Louis e lui immobile, le mani che si torturavano strette in grembo.
-Quindi c’ una speranza che mio fratello possa uscire da prigione.-
-Sì.- Clare annuì contro la sua spalla, tirando su con il naso. Quando le sue spalle magre ripresero a sussultare, Louis capì che aveva ripreso a piangere. Non resistette e delicatamente la fece alzare dal suo corpo, intrappolando il viso magro di Clare fra le sua mani calde. Spinse i suoi occhi blu dentro quelle perle nere, soffiando sulla sua pelle quelle parole, quasi a volergliele cucire addosso, come un tatuaggio.
-Io farò uscire Zayn da prigione, Clare. Fosse l’ultima cosa che faccio.- Lei annuì, morsicandosi il labbro inferiore.
-Lo so.-
-Allora non piangere e non soffrire, Clare. Perché se ti vedo così, muoio. E non chiedermi perché, non lo so nemmeno io.- Quelle ultime parole illuminarono il viso della ragazza che spinse le sua fronte contro la guancia del castano, le mani di lui scivolate sulle sue spalle.
-Domani ho l’ecografia. Mi diranno se è maschio o femmina e io dovevo andarci con Zayn.- Soffiò lei, i capelli che solleticavano il collo di Louis. Lui sussultò, stringendola ancora.
-E non voglio andarci da sola. Non voglio …- Louis la spinse contro di sé, approfondendo quell’abbraccio stentato che stava impaurendo ma completando entrambi.
-Se non ti dispiace che ti accompagni il tuo avvocato, io sarei felice di venire con te.- Louis la sentì irrigidirsi e, per una frazione di secondo, temette che rifiutasse. Poi sentì la piccola mano di Clare stringere a pugno la sua maglietta, affondando il viso contro la sua scapola.
-Grazie, Louis …-
-Dovere di un avvocato.- Sussurrò, deglutendo a fatica. Clare rise appena, scostando il viso e cercando i suoi occhi blu.
-Tu non sei il mio avvocato. Sei Louis.-
E sia Louis sia Clare non sapevano se quello fosse un problema oppure una salvezza.
 
 
 
Emma accarezzava distrattamente il dorso della mano di Niall, sdraiato accanto a lei. Il soffitto bianco si rispecchiava nelle sue iridi castane da circa venti minuti e il biondo cominciava a preoccuparsi. Sbuffò, incastrando la mano libera fra la testa e il cuscino.
-Oggi ho fatto sesso con la figlia del gelataio, sai quella ragazzina di tredici anni che ha una cotta per me.- Emma annuì distrattamente, gli occhi fissi ancora sul soffitto.
-Ero ubriaco e non ricordo di aver usato alcun tipo di precauzione né di considerazione per lei.-
-Mmh …- Niall si alzò a sedere sul letto, intrecciando le mani al petto.
-Cosa diavolo ti prende, rossa?- Stupita per il repentino movimento di Niall, Emma aveva distolto lo sguardo e aveva cercato gli occhi blu dell’amico.
-Perché?-
-Perché non mi stai prestando ascolto, Ems. Perché sono due giorni che non mi guardi in faccia, che non guardi in faccia nessuno e che dopo scuola sparisci per il tutto il pomeriggio. E ho paura.- Sebbene avesse voluto urlarle quelle parole, Niall le aveva pronunciate con la sua solita calma distorta da un velo di preoccupazione. Emma si scostò una ciocca di capelli dal viso, intrecciando le gambe sul piumone del letto di Niall. D’un tratto lo trovava molto interessante, molto di più di quei due pozzi blu che le stavano urlando contro.
-Ho paura anche io, Niall. Non sai quanta.- Il biondo sospirò, strisciando le mani sulla stoffa ruvida della tuta che indossava. In tanti anni di amicizia, non gli era mai capitato di non sapere cosa fare per farla sorridere. Forse stava accadendo qualcosa? Forse non la capiva più? Forse … La chitarra catturò la sua attenzione e sorrise. La prese e si accoccolò al lato del letto, la testa che sfiorava il ginocchio di Emma. Chiuse gli occhi e le sue dita cominciarono a volare sulle corde fredde dello strumento e accolse il bruciore sui polpastrelli con dedizione. Si schiarì la voce e cominciò a cantare, il suo canto che si espandeva nella casa vuota. Quando fece le ultime note e il silenzio tornò, Niall riaprì gli occhi e trovò Emma accanto a lui, seduta a terra, gli occhi lacrimosi e la mano sulla sua gamba.
-Sto entrando in qualcosa di troppo grande. Ma non posso tornare indietro, perché non voglio.- Niall lasciò andare la chitarra e l’accolse fra le sua braccia, entrambi ad osservare il cielo plumbeo. Con la testa appoggiata al suo petto, i battiti del cuore di Niall la tranquillizzarono.
-E tornare indietro cosa significherebbe?- Niall la strinse appena, poggiando la guancia sulla capigliatura riccia dell’amica. Emma cercò la sua mano e la strinse, appoggiandosela al ventre.
-Significherebbe perderlo. E perderlo significherebbe morire.- Emma non si era resa conto della risposta che aveva dato e quanto peso avessero le sue parole. Perché era persa fra le pagliuzze dorate degli occhi di Zayn, fra i suoi sorrisi mancati, fra la sua pelle ambrata e i suoi muscoli sempre tesi. E Niall, anche se non sapeva, anche se non poteva vedere, capì.

 
 
Charlotte gli sorrise, alzando gli occhi al cielo.
-Sto bene, Harry. Non c’è bisogno di tutte queste attenzioni.-
-Stai zitta, Lott. Vieni, ti do una mano ad alzarti.- In un’altra occasione Charlotte si sarebbe arrabbiata ma, in fondo, si sentiva stanca e la stretta di Harry intorno alla vita la faceva sentire meglio. Si lasciò circondare dal profumo di lui, allacciando il braccio destro al suo collo. Harry la tirò su facilmente, scostandole i ricci dalla spalla. La ragazza sentì il viso andarle a fuoco ed ebbe paura che, a causa del suo colorito pallido, lui notasse il suo rossore.
-La macchina non è lontana.- La voce roca di Harry era vicinissima al suo orecchio e quasi poté percepire sulla sua guancia le labbra del giovane che si muovevano per articolare le parole. Sospirò e strinse più forte il collo di Harry, mentre il dolore al ginocchio si risvegliava. Serrò gli occhi e si immobilizzò ,mentre il riccio portava una mano all’altezza del ventre di lei.
-Stai bene?-
-Tranquillo, Styles. Portami in macchina e non fare tante storie.-
Lo sentì sorridere e continuarono a camminare, stretti l’uno all’altra.
-Se vuoi, posso prenderti in braccio.- Charlotte alzò il viso, incatenando i suoi occhi azzurri a quelli verdi e apprensivi di Harry. Il respiro le mancò e non le piacque l’idea che potesse essere per colpa di quegli smeraldi.
-Sai, sei veramente carino quando ti preoccupi così per me.-
-Io mi preoccupo sempre per te.- Per la prima volta, fu Harry ad arrossire. Charlotte rimase stupita, cercando di frenare le sue fantasie e la voglia di stringerlo ancora. Il riccio osservò i lineamenti delicati di Charlotte e sentì un calore nuovo salirgli nel petto.
-Meglio andare.- Lei annuì e distolse lo sguardo, cercando di non sorridere.
Quando finalmente raggiunsero la macchina di Harry, Charlotte si lasciò andare comodamente contro il sedile di pelle fresco, beandosi del dolore al ginocchio che pian piano svaniva. Osservò Harry salire dalla parte della guida, un sorriso sornione e gli occhi luccicanti, sulle guance il segno del rossore di poco prima.
Se solo ripensava a quello che aveva detto, anche Charlotte sentiva la pelle surriscaldarsi e il cuore battere talmente forte che temette si potesse sentire. Questo pensiero la turbò così tanto che si sporse per accendere la musica.
I primi minuti di viaggio furono completamente silenziosi. Ma la ragazza oramai conosceva bene il suo collega. Harry voleva parlare, doveva dirle qualcosa. Infatti, quando furono fermi a un semaforo, Harry si girò ad osservarla, mentre con la mano destra tamburellava nervosamente contro il volante.
-Volevo chiederti scusa, Char.- La sua voce era un sussurro, i suoi occhi erano lamine e le sue labbra troppo invitanti per Charlotte. Lei scosse la testa, i capelli ricci che le coprirono per un momento quella visione angelica.
-Cosa stai blaterando, Harry?- Lui sbuffò, passandosi una mano fra i capelli e, alzando gli occhi, ingranò la marcia e partì. Senza staccare gli occhi dalla strada, parlò di nuovo.
-Sto dicendo che se fossi stato più attento, questo non sarebbe accaduto.- La riccia rimase interdetta per alcuni secondi, secondi durante i quali Harry si torturò le labbra carnose.
-Sei un completo idiota, Harry. Lo pensavo, ma adesso ne ho la certezza.- Harry rimase talmente colpito da quelle parole che frenò lievemente, dietro un clacson che protestava. Il giovane fece un respiro profondo e alzò  una mano in segno di scusa, mettendo la freccia e accostando. Quando non ci fu nemmeno più il rumore del motore, Harry la guardò.
I suoi occhi verdi le dissero cose che, purtroppo, lei non riuscì a capire. Forse dette in una lingua che Charlotte non conosceva o fingeva di non conoscere.
-Sei stata a un passo dalla morte. E io ho sentito un vuoto al petto.  Non voglio che succeda più.- Charlotte si sfregò le mani sulla fronte per poi sporgersi, tentando di non muovere il ginocchio, verso di lui. Harry rimase immobile mentre la ragazza si sistemava contro di lui, la testa riccioluta poggiata contro il suo petto fasciato dalla felpa pesante. Ci mise un po’ prima di capire che non era un sogno e che lei non si sarebbe allontanata tanto presto. E così l’avvolse fra le braccia, beandosi di quel tocco.
-Sai, è la prima volta che ti abbraccio in un frangente in cui né io né te siamo in condizioni precarie.- La risata di Charlotte giunse genuina alle sue orecchie, seguita da una carezza al dorso della mano che era poggiata sulla pancia della giovane.
-Forse dovremo farlo più spesso.- Charlotte serrò gli occhi, impaurita dalle sue stesse parole. Ma per la prima volta nella sua vita, non si pentì di aver aperto il suo cuore.


 
 
 
  Angolo autrice:
Inizio con il ringraziarvi. Cioè, 103 recensioni!!! Ancora non ci credo e ancora sono in lacrime. Quel numero non va né su né giù Ahahah. Grazie infinite. 
Poi vorrei scusarmi per il ritardo. Ma, come tutte, ho cominciato la scuola. Questo è l'anno della maturità e quindi devo informarvi che gli aggiornamenti saranno discontinui :( 
Passando al capitolo:
E' tornato Louis. Con Clare. Io questi due li amo kscbsgcsygs. 
Poi abbiamo due squarci molto sintetici: Emma e Niall, come al solito perfetti e Harry e Charlotte che si commentano da soli.
Scusate ma vado di corsa. Devo studiare una marea di cose. Vi ringrazio ancora e alla prossima. 
Un bacio.
Sonia.

 

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Capitolo 16
*** 16. Capitolo 15 ***




A Stefano che con i suoi ‘Buongiorno ciccia’, ogni mattina, mi fa sentire speciale.


 
Mi stavo facendo delle domande.
Una maschera di vita, mi sentivo pazzo.

 
Il buio era pressante, quasi non riusciva a respirare. La vista sembrava svanire contro l’incontrastabile oscurità che pesava contro la sua figura. Charlie si aspettava quasi di poterlo toccare, tutto quel nero. Si guardò intorno per la seconda volta, sperando di riuscire a vedere qualcosa. Quell’assenza di dettagli e realtà lo disarmava. Perché sebbene stesse già da dieci minuti in quel luogo, i suoi occhi ancora non si erano abituati. Deglutì appena, passandosi una mano fra i capelli e cercando nella sua tasca il suo inseparabile pacchetto di sigarette. Quando se ne incastrò una fra le labbra secche, il suo forte sapore lo tranquillizzò appena. Cercò l’accendino e, con una mano a coppa, protesse il cilindro dal debole vento che soffiava. Quando la timida fiamma si accese, Charlie notò un movimento in quell’inquietante e quasi sinistra immobilità che lo circondava. Si bloccò appena, la sigaretta ancora spenta e l’accendino stretto fra la mano tremante.
-Smith?- L’uomo si drizzò con la schiena, le sopracciglia contratte e le mani gelide. Il forte accento italiano gli fece ricordare quella stupida fissa che si era preso qualche anno prima, ovvero quella di scappare in quel paese e iniziare una nuova vita.
-Sì.- La luna bianca fece capolino, lentamente, dalla coltre di nubi nere, illuminando il viso di quello che era un ragazzo di circa venti anni.
-Lo scambio avverrà domani, non stanotte. La nostra spia ci ha riferito che la polizia ha ricevuto una soffiata e la missione non è più sicura.-
-Che significa? Il Burattinaio …-
-Il Burattinaio è stato già avvertito. Il motivo per cui non ti hanno detto dell’annullamento dello scambio è perché ho veramente qualcosa per voi.- Il ragazzo era un bel giovane e dalla sicurezza con cui parlava, sembrava anche avere esperienza. Charlie gli si avvicinò, accendendo finalmente la sua sigaretta.
Si ritrovò per le mani una busta gialla ben sigillata, su cui era scarabocchiato qualcosa con una calligrafia minuscola e illeggibile alla tenue luce lunare. Charlie alzò gli occhi verso il giovane, immobile e con lo sguardo fiero puntato sul suo viso.
Cominciò a scartarla, il rumore della carta strappata che sembrava rimbombare fra il vento gelido. Aggrottò le sopracciglia, quando intravide dei documenti fittamente scritti.
-Che roba è?- Disse, alzando la testa da quella lettura incomprensibile.
-Il vero test delle impronte digitali eseguito sull’arma del delitto dell’omicidio di sua figlia confrontate con quelle di Zayn Malik .- Charlie si immobilizzò, osservando attentamente la parola chiava che sembrava spiccare fra quelle frasi sconnesse.
Negativo.
- Domani alle tre, sulla via della terza quercia Nord. Ci saranno due camion pronti. La copertura è sotto controllo. A domani, Smith. E’ stato un piacere conoscerla.-
Si allontanò, lo sguardo di Charlie puntato sulla schiena e la vaga impressione che il piacere di averlo conosciuto non fosse ricambiato.

 
 
Emma la osservò per un po’, da lontano. Era disarmante la somiglianza che Clare condivideva con il fratello. Nei movimenti calcolati, nell’arricciare le labbra, nello gesticolare e anche nello stare immobile quella ragazza richiamava perfettamente Zayn. Emma fece un respiro profondo, entrando nell’aula mezza piena. Quando le prime persone cominciarono a riconoscerla iniziò a pensare che, forse, non sarebbe dovuta andare. Si mise rigidamente seduta agli ultimi posti, mimetizzandosi quasi con il legno su cui sedeva, la maglietta bianca a maniche corte che attirava troppa attenzione e i capelli rossi e sciolti che le facevano sudare il basso collo. Clare, d’altro canto, si accomodò alle prime file, le mani unite sul grande pancione. I lunghi capelli scuri attiravano le forti luci al neon, assumendo sfumature lucenti. Allungò la mano sulla spalla di un giovane, che si girò subito e le sorrise, la camicia bianca meticolosamente sistemata dentro i pantaloni neri e gli occhi azzurri vispi e intelligenti. Riconobbe subito Louis Tomlinson, uno degli avvocati di Zayn, che mise una mano sulla spalla di Clare, per poi allontanarsi verso i banchi centrali.
Emma osservò ancora per pochi secondi la sorella di Zayn, prima di alzarsi e incamminarsi nella sua direzione. Mentre camminava, sentiva intorno a lei un timido vociare che scandiva perfettamente il ritmo dei suoi passi. Abbassò lo sguardo, concentrandosi sulle sue All Star bianche e incastrando le mani nelle tasche dei jeans chiari. Quando fu accanto a Clare, si fermò e questa alzò gli occhi verso di lei.
Emma rimase a bocca aperta e dovette fare appello a tutte le sue forza per non crollarle davanti. Se da lontano Clare Malik sembrava assomigliare a Zayn, da vicino si capiva quanto in realtà ne fosse la copia sputata al femminile. Le pagliuzze dorate nelle iridi scure, la pelle bronzea e liscia, le labbra perfette e rosse, persino l’odore di menta. Clare si sistemò i lunghi capelli sulla spalla, continuando ad accarezzare distrattamente il suo ventre con la mano destra. Emma si perse ad osservare quella costituzione minuta, in contrapposizione con la protuberanza della pancia. Era bellissima.
Sospirò, accomodandosi al fianco della mora, senza spiccicare parola. Clare, da parte sua, era rigida contro la panca.
Erano le undici meno venti, e fuori c’era il sole. Emma non capiva perché in quella sala, invece di essere aperte le spesse tende blu, fossero state accese le luci, come in una squallida giornata piovosa. Non era semplice che a Bradford, di quel periodo, ci fossero giorni assolati e la giovane si era svegliata con un senso di felicità innata. Ma tutti i suoi buoni propositi erano periti alla vista dello squallore, della tristezza, della rigidità con cui Zayn, invece, doveva convivere.
- Sei qui per vedere il grande assassino Malik dal vivo?- A parlare era stata una voce dal dolce accento, anche se le parole avevano ferito come lamine. Non ci fu bisogno di girarsi, perché Emma percepiva già da tempo lo sguardo trapassante di Clare contro la sua nuca.
Gli occhi castani della ragazza andarono a scontrarsi contro la durezza di quelli dorati della mora, mentre la sala che si era riempita sembrava troppo piccola e asfissiante.
- Non so di cosa tu stia parlando, in realtà.- Emma avrebbe voluto essere meno fredda, meno tagliente e sadica. Ma di fronte a Clare si sentiva sotto esame e per di più, nella sua mente, si era fatto largo il ricordo della labbra di Zayn sulle sue, la loro morbidezza, avidità, dolcezza, poi di nuovo avidità. E di certo, questo non la aiutava.
-Prima o poi quasi tutte le persone della cittadina verranno in questa squallida sala per vedere il fantomatico assassino della figlia del più importante imprenditore di Bradford. Basta guardarti attorno per notarlo.- Emma condusse lo sguardo verso un gruppo di persone appostate all’entrata del tribunale, i vestiti semplici a indicarli come ficcanaso che non avevano nient’altro da fare, se non essere lì.
-Io non sono come loro. Conosco Zayn.- Clare, a quelle parole, rimase di sasso. Il bel viso contratto, la bocca semiaperta, e gli occhi liquefatti che pian piano perdevano la loro freddezza. Sotto il sorriso timido di Emma, Clare sembrò rilassarsi e rilasciare i muscoli contratti. Ma poi fece una smorfia di dolore, portandosi una mano sulla pancia, cominciando a respirare in modo più cadenzato.
-Stai bene?- Emma si chinò, spostandole la lunga chioma che le era andata sulla faccia. Clare la prese per mano, contraendo le dita e stringendo freneticamente quelle della giovane. Rimasero in quella posizione per pochi secondi, prima che Clare facesse un ultimo respiro profondo e la lasciasse andare.
-Come hai conosciuto mio fratello?- La sua voce era flebile, quasi un sussurro ed Emma si dovette sforzare per ascoltarle. Si strinse nelle spalle, assaporando l’aroma dell’insicurezza. Poteva dirle la verità? E poi, che verità sarebbe stata?
 Nemmeno Emma riusciva a dare una spiegazione a ciò che fossero lei e Zayn. Era nato in un soffio, in un battito di ciglia, in uno scambio veloce di sguardi, in una parola, in una scusa. Poi era diventato un vuoto nel petto, un dolore al cuore, una voglia di incontrarlo e toccarlo. E infine era diventato quel bacio. Loro erano diventati quelle labbra che si rincorrevano, danzando. Erano diventati quei due profumi così diversi, quelle mani indiscutibilmente unite, quei bacini al contatto, quelle pelli arrossate.
Emma non riusciva ancora a comprendere come avesse effettivamente conosciuto il ragazzo. E ancora di meno sapeva come fosse arrivata a provare quel sentimento che tanto la travolgeva, la destabilizzava, la costringeva a sognarlo, volerlo, bramarlo con tutta sé stessa.
-Non lo so.- Optò per la verità, fregandosene del fatto che sarebbe passata per un’idiota. Se ripensava a quell’ultimo paio di mesi, le ritornavano alla mente tutte le visite che lei gli aveva fatto. E con esse, particolari che le scaldavano il cuore e l’anima, quelle volte che sentiva Zayn troppo lontano e l’avrebbe desiderato al fianco.
Come lo squarcio dorato nei suoi occhi la prima volta che lo vide. La sua voce tagliente quando la riconobbe, dentro quella stanza lugubre nei sotterranei della prigione. La sua risata sadica, quando lei gli urlava contro che fosse innocente. Il sorriso timido di quando lei l’aveva sfiorato per la prima volta. E poi la completezza con cui lo aveva percepito quel giorno, fra quelle braccia, sotto il tocco di quelle labbra calde e fredde allo stesso momento.
Clare non ebbe il tempo di aggiungere altro, perché nella sala calò il silenzio ed entrò il giudice seguito dalla giuria. Emma si perse fra quei volti scontrosi, immobili, empatici. Le prese una stretta al cuore quando notò Zayn, ammanettato contro una sedia, la barba tagliata e le braccia tatuate a nudo. La sua pelle sembrava più bronzea di quanto ricordasse, i suoi occhi più dorati, le sue labbra più rosse. Zayn, ogni volta che lo vedeva, si presentava sempre più perfetto, più sensazionale, più confuso e sperduto.
Emma perse il discorso encomiastico del giudice riguardo la giustizia, la verità e il bene del Paese. Perché non riusciva a distogliere gli occhi da lui. Quando Zayn, da sotto le ciglia scure la vide, si irrigidì. Strinse le mani a pugno e la giovane ebbe l’impulso di alzarsi e correre verso di lui, accarezzare le sue nocche bianche e baciare quei pugni, quella tensione. Ma non lo fece, allacciando i suoi occhi a quelli di Zayn. Si portò una mano al cuore, gli occhi oramai lucidi.
-Sono qui.- Mimò con le labbra, in un silenzioso sussurro. Lui annuì, sospirando pesantemente.


 
Harry la osservò, immobile. I ricci scompigliati, il viso pallido, gli occhi lucenti. Charlotte era accanto a lui, la gamba ingessata e i jeans stracciati. Osservò, poi, lo schermo del suo cellulare acceso sul messaggio di Hollie.
Mi manchi.
Anche a me.
Avrebbe voluto scriverle, avrebbe voluto accarezzarla, avrebbe voluto baciarla. Charlotte fece scivolare la mano sulla sua gamba, sfiorandogli il ginocchio. Lui rabbrividì, riponendo il telefono in tasca e massaggiandosi le tempie freneticamente.
-Harry … Devi stare calmo.- Il riccio scosse la testa, serrando gli occhi e non permettendo la vista dell’oscurità che lo stava attanagliando.
-Non è semplice, Char.-
-Lo so. Ma so anche che ce la puoi fare.- Harry si girò ad osservarla e sorrise, incontrando il mare in tempesta che Charlotte teneva racchiuso negli occhi.
-Lo pensi davvero?-
-Lo so davvero.-
 
-Chiamiamo a testimoniare Harry Edward Styles.- Harry si alzò lentamente, incamminandosi verso la sedia, strascicando i piedi. Incrociò lo sguardo di molte persone: Emma, Louis, Zayn, Clare Malik. Sospirò, spostandosi un riccio scivolatogli sugli occhi e accomodandosi al suo posto, sistemandosi la maglietta bianca.
-Agente Styles, lei da quanto è coinvolto nel caso Smith?-
-Circa due mesi.-
-E le sue indagini hanno portato a delle conclusioni?- Harry prese un respiro profondo, allacciando per un momento i suoi smeraldi agli occhi cupi di Zayn. Il giovane, accasciato contro la sedia, lo guardava con quella che sembrava essere gratitudine. Si fece forza e cominciò a parlare, cercando il filo logico a tutto quel trambusto, il pezzo mancante di quel puzzle infinito, il seme che avrebbe fatto germogliare una pianta. Parlando, lo stesso Harry cercava il punto mancante, quell’oscuro collegamento che proprio non riusciva ad emergere.
-Signor giudice, io penso semplicemente che Zayn Malik venga minacciato.- Era consapevole del fatto che quella frase avrebbe compromesso tutte le belle parole dette negli ultimi dieci minuti, sapeva che si sarebbe esposto a pericoli che, in quella sala, si mimetizzavano dentro le mura, sui vetri, fra le persone stesse. Sapeva che non aveva delle prove concrete, ma non riusciva proprio a mantenere una notizia così importante per sé.
-Cosa intende dire, Styles?-
-Intendo dire che la scena del delitto non sta in piedi per le innumerevoli sfaccettature che ho enunciato poco fa. Inoltre, in ben due occasioni, sono stati trovati degli indizi che mi hanno portato a una persona molto importante per Zayn, la cui salvezza avrebbe spinto Malik a mentire dinanzi all’intero Tribunale.-
-Obiezione, giudice. Qui stiamo parlando della colpevolezza del ragazzo. Non dobbiamo indagare su chi sia importante per lui o meno.-
-Non se questo sia strettamente collegato alla sua colpevolezza, avvocato Lyn.- La voce dell’avvocato Tomlinson fu attiva e il giudice annuì, facendo azzittire entrambi. Harry osservò il giovane dagli occhi azzurri sorridergli appena, ma lui si girò subito.
-In ben due occasioni, le indagini mi hanno portato sulle orme di Clare Malik, la sorella dell’accusato. La prima volta, ho trovato nel portafoglio del signor Malik il biglietto con scritto l’indirizzo del negozio in cui lavorava la sorella. Andando lì, mi sono imbattuto in lei e interrogandola ho scoperto che, teoricamente, Malik sarebbe dovuto essere all’oscuro di quel lavoro.- Deglutì appena, mentre un mormorio concitato cominciava a spandersi nella stanza.
Il cuore di Harry batteva fortissimo per la voglia di mostrare che aveva ragione, che stavano imprigionando un innocente, che stavano venendo meno al concetto stesso di giustizia.
-Poco tempo fa, inoltre, vi è stato un omicidio appena fuori Bradford. E’ stato ucciso un anziano di sessantasette anni e non potevamo credere che fosse collegato a questo caso. Ma proprio mentre studiavamo il luogo del delitto, è saltato in aria un magazzino abbandonato. Fra i pochi oggetti sopravvissuti all’esplosione, è stato trovato un ciondolo. Ciondolo che nemmeno due giorni fa è stato riconosciuta dalla proprietaria: Clare Malik.  Sono stati trovati ,infine,  dei fotogrammi, per la maggior parte perduti. Solamente un fotogramma è rimasto intatto, e ritraeva una persona che tutti voi conoscete.- Rimase in silenzio per un momento, ripensando alla nottata passata insieme al commissario Harrison nell’attendere il recupero di quella testimonianza importantissima.
-Ritraeva James Evans, meglio conosciuto con il nome di Burattinaio. –


 
La sala era gremita di persone, il silenzio innaturale, e la voce del giovane agente che rimbombava fra le mura. I ricci castani gli coprivano il viso, ma i suoi occhi vispi e intelligenti erano ben visibili come anche la voglia di scoprire la verità, quella stessa verità che senza saperlo stava sfiorando con la punta delle dita.
Il giovane osservò attentamente Zayn, che cercava di combattere la voglia di annuire e di dar ragione a quello sbirro. Ma poi gli occhi pece del moro incontrarono i suoi, e l’uomo sorrise malignamente. Accertandosi che Zayn lo stesse ancora guardando, spostò lo sguardo verso Clare, immobile e tesa. Quando tornò a guardare Zayn, quello aveva abbassato lo sguardo e dalla labbra tremanti, riuscì a capire che il messaggio era giunto a destinazione.
Lui sorrise ancora, infilandosi le mani nell’impermeabile leggero. Diede le spalle a tutta quella farsa e si incamminò verso l’uscita del tribunale, l’aria fresca che già gli sferzava il collo.
-Signor giudice, io credo che il delitto Smith racchiuda più di quanto pensiamo. Ritornano criminali, ne arrivano altri, ma sono più che sicuro che Zayn Malik sia solo un innocente.- L’uomo si bloccò ancora, tirando fuori il cellulare. Compose velocemente un numero e attese. Dopo due squilli, una voce metallica gli rispose.
-Novità?-
-Sì … Harry Styles sa troppo. Deve essere eliminato.-
 
 
 
 
 
  Angolo autrice: 
Mi metto in ginocchio, davvero. Questo ritardo è inaccettabile ma, capitemi ... La scuola mi tartassa, non riesco neanche a mettere la testa sul cuscino che devo ricominciare tutto da capo. Ieri, fortunatamente, ho avuto una pausa ed ecco qui.
Non posso credere di essere arrivata a questo punto. E che voi, meravigliose lettrice, mi seguiate con così tanto affetto. Vi adoro, dalla prima all'ultima.
Vediamo che la storia sta cambiando. Ci sono più indizi, più prove, e più personaggi e criminali. Spero non stiate perdendo il filo. Ahahahah Ora scappo. Vi mando un bacio e al prossimo capitolo. Vi lascio con una foto della bellissima Emma. 
Sonia. 

 

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Capitolo 17
*** 17. Capitolo 16 ***



 
A te, amore mio. A te che sei lontano, che sei impossibile.
A te, Niall.
 
Inventerai che ora sei forte e chiuderai tutte le porte.
Ridendo, troverai una scusa. Una in più, una in più.

 
 
Il rumore del cucchiaino contro il vetro della tazzina, l’aroma del caffè e le palpebre pesanti. Erano le cinque e mezza di mattina, e Liam si era svegliato con un grande mal di testa. Fuori sembrava splendere un timido sole, ed era il secondo giorno consecutivo che i raggi scaldavano la pelle degli abitanti di Bradford. La città rispondeva a questo inconsueto bel tempo con entusiasmo, e il giovane poteva percepirlo dai piccoli fracassi esterni che segnavano la sveglia per l’intero abitato. Sospirò, passandosi una mano fra la capigliatura chiara. Chiuse gli occhi per attenuare quel dolore innaturale, smettendo di mescolare il liquido scuro e bollente per berlo tutto di un sorso. La gola ruggì, contrariata, ma Liam non ci fece caso.
-Non riesci a dormire?- Emma entrò nella cucina buia, i capelli scompigliati e il trucco non tolto del giorno prima sbavato. Le lunghe gambe nude e una sua maglietta come pigiama. Sorrise, continuando a strofinarsi gli occhi.
-Questa notte Helen aveva mal di pancia e si è addormentata da poco.- Mentì, osservandola mentre riscaldava il latte nel pentolino. Emma si girò verso di lui, poggiandosi con la schiena al ripiano in marmo, guardandolo fisso.
-Non dirmi bugie, Liam. Sono tornata a casa da poco e Helen dormiva come un angioletto.-  Il silenzio uccise la possibilità di smentire ogni parola.
-Dove sei stata?- Non era abituato al fatto che Emma non fosse più una bambina e l’idea che fosse stata fuori casa fino a mattina lo infastidiva. Lei sorrise, avvicinandosi e allacciando le braccia al suo collo. Come quando era bambina incastrò il viso contro la sua scapola, baciandolo dolcemente.
- Non sono stata in giro. Ero a casa di Niall e ci siamo addormentati. Ma non dirlo a papà.- Con le guance a contatto, Liam alzò un braccio e le accarezzò la testa.
-Stai tranquilla.- Lei gli scoccò un bacio sulla guancia e corse a spegnere il fuoco. Per un attimo il rumore del latte versato nella tazza ruppe il silenzio nella cucina, prima che Emma si mettesse seduta di fronte al fratello. Strinse le mani intorno alla tazza, fissando i suoi occhi lucidi e castani nel liquido chiaro.
-Cosa ti succede, Liam?- Lui sussultò appena, incrociando i suoi occhi. Emma lo guardava fisso, come quando da piccola lo osservava mentre faceva qualcosa che la mamma gli aveva proibito di fare.
-Succede che mi sento soffocare, Emmie.- Liam sospirò, guardando fuori dalla finestra perché quegli occhi così profondi gli facevano del male.
-Ho una figlia e una donna che amo alla follia. Ho il lavoro dei miei sogni, una città dove è bastato cambiare cognome per cadere nell’anonimato più totale. Nessuno conosce Liam Harrison in Arizona. Conoscono solamente Liam Payne, il giornalista. Persino mia figlia ho registrato con questo cognome, per eliminare tutto il passato. Ma la verità è che il passato non se ne è mai andato. Seppure tutto lo sforzo che ho fatto per eliminarlo, questo mi si è cucito addosso. Sulla mia stessa pelle, adesso, è ancora presente tutto quello che tre anni fa mi accadde. Ed è ingiusto, perché ho capito che non devo dimenticare. Non la devo dimenticare.-
Emma aveva le lacrime incastrate fra le ciglia, e pensava a Zayn. Al profilo della sua mascella, alla barba accennata, alla fronte levigata e alle sue mani calde. Immaginò di perderlo, di non poterlo più vedere e il cuore mancò un battito.
-Io amavo Nathalie più della mia stessa vita. E la amo ancora, lo percepisco nelle carezze a Rose e nei baci alla piccola Helen. Le guardo negli occhi e sento che senza di loro sarei morto, ma allo stesso tempo mi sento in colpa.-
-Perché ti senti in colpa?- Liam non avrebbe voluto piangere. Eppure quel gelo sulla guancia non riuscì a fermarlo e, purtroppo, quella non fu l’unica lacrima. Presto sulle labbra il sapore del caffè amaro fu sostituito da quello salato delle lacrime, mentre stringeva le mani a pugno.
-Perché le avevo promesso che non avrei mai amato nessun’altra.- Emma scansò la tazza di latte senza averne bevuto neanche un sorso. Allungò la mano per intrecciarla a quella del ragazzo che, disperato, desiderava ardentemente essere in un altro posto, in un’altra vita. Le sue spalle larghe erano scosse da singhiozzi silenziosi e, senza rendersene conto, anche lei si ritrovò a serrare le labbra tremanti fra i denti, a stringergli forte la mano e a sentirsi spezzata dentro. Incespicando con le sue stesse gambe, Emma si alzò e si rimise seduta sulla sedia accanto a quella di Liam, per passargli un braccio intorno alle spalle e lasciando che, questa volta, fosse lui a incastrare il viso straziato contro la sua spalla magra. Lui allacciò le possenti braccia alla sua vita, e Emma cominciò ad accarezzargli la schiena.
-Non la sento più, non la sogno più, la sto dimenticando e non è giusto.- Emma sentì una stretta al cuore e lo strattonò leggermente, facendolo staccare dal suo corpo. Gli incastrò il viso fra le mani gelide e lo guardò dritto nei suoi occhi rossi.
Quegli occhi che erano sempre stati solari, luminosi, bellissimi.
- Liam, devi vivere la tua vita.- Liam sentiva il tremore di Emma sulla pelle. La guardò e scosse la testa, il tocco della sorella a confortarlo.
-Non a questo prezzo …-
-Quale prezzo?-
-Nathalie non c’è più. Non può più vivere, non può più sorridere né ascoltare i cantanti che tanto le piacevano. Non può realizzare più il suo sogno, non può più baciarmi né accarezzarmi. Nathalie ha perso la possibilità di poter vivere e io … -
-Non è colpa tua, Liam.- Lui si alzò di scatto, serrando gli occhi e le mani.
-Tu non sai come ci si sente quando perdi la persona più importante per te. E non te lo auguro, Emma.- La sua voce era un sussurro. Si chinò a baciarla sulla fronte, per poi uscire dalla cucina.
Emma si prese il viso fra le mani, tirandosi i capelli sulla fronte. Era così che Zayn si sentiva? Anche lui amava ancora Emily?

 
 
 
-Mi manchi.- Harry sospirò, staccando gli occhi dall’horror sullo schermo che non stava realmente guardando. Anche Hollie, stretta al suo petto, fingeva di prestare attenzione alla immagini sul televisore. Quelle parole sussurrate le erano sfuggite dalle labbra, quando la sua resistenza si era frantumata al tocco delicato del giovane contro il fianco. Harry cercò i suoi occhi blu, lucidi e cristallini. La strinse ancora di più, incastrando le mani grandi fra i suoi capelli color grano, sciogliendoli. Questi ricaddero in parte sulla sua pancia e cominciò ad accarezzarli distrattamente.
-Lo so.- Sentì il piccolo corpo di Hollie tremare appena e vide distintamente una ruga deturpare la sua fronte altrimenti liscia. Avrebbe voluto dirle qualcosa, di quelle parole profonde che ti lasciano senza respiro, ma con un calore nuovo nel cuore. Si inumidì le labbra secche, e  sentiva bene le parole incastrarsi fra i dubbi che aveva nell’animo.
La protagonista dell’horror urlò, catturando momentaneamente l’attenzione dei due ragazzi. Hollie si sentiva un po’ come lei, in fondo.
Spaventata. Terrorizzata.
Perché la stretta di Harry non era mai stata così superficiale, le sue labbra così meccaniche e i suoi occhi così estranei. Hollie aveva paura.
Strinse le braccia intorno alla vita sottile di Harry, intrecciando ancora di più le gambe a quelle di lui.
-E se lo sai, perché non fai nulla per impedirlo?-
Mi manchi. Ho paura. Ti amo.
Le labbra carnose di Harry si scontrarono contro la fronte di Hollie, che chiuse gli occhi beandosi di quel senso di protezione così familiare.
-Io ti amo Harry e ho bisogno di sapere che anche tu lo faccia.- Harry le premette la testa contro il petto e a lei andò bene così, perché stava piangendo e non voleva che la vedesse. Ma Harry percepì le lacrime contro il dorso della sua mano e si sentì in colpa.
Quell’abbraccio, quel profumo, quei capelli … Gli erano veramente mancati?
La ami, Harry?
-Hollie … Io ti amo più di me stesso.- Il cuore della bionda perse un battito, forse due. Sorrise e lo guardò negli occhi. Verdi, luminosi e sinceri.
Sì Harry, tu la ami.
Le accarezzò la guancia bagnata, massaggiandole con il pollice le labbra torturate dal terrore. Le sfiorò il naso e poi gli occhi, baciandole le palpebre e eliminando i residui di lacrime incastrate fra le ciglia chiare e folte. Hollie si mosse, impaziente, accomodandosi sopra il corpo del ragazzo, che la racchiudeva e la proteggeva del tutto. I petti a contatto, i respiri che si fondevano e i cuori che si sentivano e gareggiavano fra loro. Stringendo i fianchi spigolosi di Hollie, Harry capì di essere uno stupido. Perché l’aveva amata da principio, perché era lei ed era sua.
-Ti amo di un amore eterno, Hollie. Sempre e per sempre …- Harry aveva sempre odiato le parole eppure, in quel momento, aveva la necessità di chiarirle ogni cosa.
-Ti amo, ti amo, ti am …- Le labbra di Hollie si scontrarono contro quelle del giovane e la ragazza affondò le mani fra quei ricci indomabili e setosi. Quando le grandi mani di Harry le sollevarono la maglietta, accarezzandole la pelle fredda, gemette. Ma lui non se ne curò, soffermandosi sulla colonna vertebrale, godendo nel sentire sotto il palmo delle mani la pelle di Hollie rabbrividire. Si staccarono un momento e Harry si fiondò sul suo collo, incastrando il viso fra i suoi morbidi capelli. Le morse leggermente la pelle, marchiandola e correndo con la mano al gancio del reggiseno.
La ami, Harry?
Lei cercò di nuovo le sue labbra, soffocando i suoi stessi lamenti. Con velocità la liberò dall’indumento, assaporando quella pelle morbida. Hollie gemette sommessamente, inarcandosi con la schiena. Si staccò un momento da lui, permettendogli di sfilarle la maglietta troppo spessa. Harry la osservò per un attimo negli occhi e lei ricambiò, nelle pupille blu una nuova luce.
La desideri, Harry?
Hollie si piegò di nuovo, sfilandogli rudemente la maglietta azzurra. Accarezzò con le piccole mani il ventre piatto e gli addominali tonici del giovane, sfiorando volontariamente la pelle appena sopra l’elastico dei boxer, che sapeva essere il suo punto debole. Infatti una scarica elettrica lo attraversò e si mise seduto sul divano facendo aderire i loro petti completamente nudi, le gambe intrecciate e ancora racchiuse dentro la prigionia della stoffa dei jeans. Il seno di Hollie contro i suoi toraci lo fece andare fuori di testa, più dei gemiti spezzati di lei. Le accarezzò la schiena nuda per la seconda volta, sfilando quel biancore candido. Le baciò la spalla spigolosa, l’osso della clavicola, per poi tornare alle labbra. I capelli di Hollie gli solleticavano il petto, e le sue unghie gli graffiavano i fianchi prominenti. Sempre più voglioso Harry l’attirò sotto di sé, capovolgendo la posizione. Lei alzò il bacino, permettendogli di sfilarle lentamente i jeans scuri. Li lasciò cadere vicino al divano, la sigla dell’horror oramai terminato. Accarezzò voracemente prima con la mano, poi con le labbra le cosce lisce della giovane, per poi baciarle il ventre piatto, i seni e poi di nuovo le labbra.
-Ti voglio mia …- Le sussurrò, gli occhi verdi pieni di lussuria.
 
 
 
Niall sorrise distrattamente, allungando il denaro sufficiente per pagare la spesa. Ringraziò la cassiera del supermarket, prese le buste di plastica e uscì. Era tardi e il cielo già si era oscurato. L’aria era frizzantina contro la sua pelle e gli screpolava le labbra. Il biondo alzò lo sguardo verso il cielo e constatò che se non fosse tornato a casa subito, avrebbe sicuramente preso la pioggia. Affrettò il passo, il rumore delle sue scarpe da ginnastica a coprire il soffio del vento. Marx Street era deserta a quell’ora e a Niall andava bene così. Affondò la mano libera nella tasca della tuta nera che portava e pensò a Emma.
I professori avevano cominciato a notare le sue occhiaie, la sua distrazione e le sue labbra screpolate. Ma, probabilmente, solo lui aveva notato i capelli sfibrati, l’ombra nei suoi occhi limpidi e la mancanza di gestualità nelle sue poche parole che scambiava nell’arco della giornata. Emma mancava di quella vitalità che la caratterizzava, e che a lui tanto gli ricordava un uragano. Bello e distruttivo. E se Emma non la si sapeva prendere, era esattamente questo.
Gonfiò le guance e si spostò una ciocca bionda, mentre una prima goccia di pioggia lo raggiungeva. Non vedeva l’ora di tornare a casa, cucinarsi il pollo appena comprato e leggere qualcosa. Proprio mentre stava elencando mentalmente i libri più interessanti che possedeva, qualcuno gli andò contro. Barcollò all’indietro, mentre istintivamente lasciò andare la busta della spesa per afferrare il polso della ragazza che sarebbe, altrimenti, franata a terra. Ma si era sbilanciata troppo per cui scivolò in avanti, scontrando il viso contro il petto di Niall. Lui la tirò su, mantenendo la presa sulla sua mano. Quando due occhi verdi e familiari intrecciarono i suoi, Niall sussultò.
-Io, scusami non ti avevo proprio visto.- Il rossore sulle sue gote, le labbra carnose, i capelli lunghi, ricci e castano scuro. Niall la riconobbe subito, con una strana frenesia nel cuore.
-Allison?- Solo allora lei lo guardò attentamente, la luce nei suoi occhi a provargli che l’aveva riconosciuto. Prima di parlare rincorse con lo sguardo il suo polso ossuto ancora lievemente stretto dalla mano di Niall che, infuocandosi lui stesso, lo lasciò subito andare.
-Niall!- Lui annuì, piegandosi per recuperare il sacchetto della spesa. Il vento soffiò forte e gli arrivò distintamente il buon profumo di Allison. Il giovane si sentì stordito e, con odio verso sé stesso, costatò di essere arrossito di nuovo.
Ma, cavolo, non erano le ragazze che arrossivano? Si morsicò il labbro inferiore, tornando in posizione eretta a osservarla.
Anche Allison indossava una tuta scura, una felpa bianca e i lunghi capelli sciolti erano liberi sulla schiena. La pelle più candida di quanto ricordasse, la sua vicinanza più elettrizzante del normale.
-Come procede il tuo ritorno a Bradford?- Allison sussultò, distogliendo gli occhi e spostando nervosamente il peso da un piede all’altro. Niall ebbe paura di aver toccato un tasto dolente, quando lei si aprì in un sorriso che gli tolse il respiro.
-Mio padre mi ha apertamente detto di tornare da dove sono venuta, e mio fratello mi ha obbligata a rimanere qui. Direi bene, quindi.- Niall rise nervosamente, guardando verso il cielo nero quando un tuono rimbombò tutto intorno. Anche Allison guardò in alto, e Niall si perse a osservare le sfumature grigie che assumevano i suoi occhi a contatto con quell’oscurità pressante.
-Harry mi aveva detto di portare l’ombrello … E sono anche lontana da casa.- La ragazza si alzò il cappuccio sulla testa, riparandosi dal vento che sferzava la pelle delicata di entrambi i giovani. Lo sguardo di Niall cadde nella casa blu poco distante da loro e un pensiero fulmineo lo colse.
Un fulmine cadde nelle pianure poco lontane e il rombo colse di sorpresa tutti e due, tanto che Allison strinse il polso di Niall per la paura. Una scarica dolce si propagò lungo tutta la sua epidermide e Niall non poté che perdersi a osservare quel viso bellissimo, colpito dalle prime gocce di pioggia. Allison sorrise timida, scostando lentamente la mano dalla pelle del giovane e allontanandosi da lui.
-Scusami … Ho il terrore dei temporali.- Niall annuì distratto, continuando a chiedersi se avesse mai accettato. Ma proprio in quel momento la pioggia cominciò a scendere copiosamente e furono subito zuppi.
-Io vado, Niall. E’ stato un piacere rivederti.-
-Anche per me, Allison.- Soffiò, e non seppe se le sue parole la raggiunsero con tutto quel rumore. Lei schiuse le labbra e lo salutò con la mano, incamminandosi velocemente dalla parte opposta. Niall rimase impalato ad osservarla, la pioggia che gli penetrava nelle ossa.
-Allison!- La richiamò, correndole dietro. La bloccò per la mano e lei lo guardò, sorpresa. Un altro tuono li colse di sorpresa e, questa volta, la giovane si catapultò fra le braccia di Niall che l’accolse con stupore.
-No, no, no … Ho troppa paura.- Lui sorrise, accarezzandole la schiena.
-Andiamo a casa mia. Ti asciughi e ti fai venire a prendere da qualcuno.- Allison scostò il viso dal suo petto, cercando di non pensare al fatto di abbracciare uno sconosciuto sotto la pioggia.
Ma, guardando quegli occhi indefinibili, non riusciva a considerarlo propriamente uno sconosciuto.
-Grazie …- Lui sorrise, stringendole la mano e correndo verso la propria abitazione.
 
Niall si tolse la maglietta bagnata, guardando il proprio riflesso sullo specchio del bagno. Gli occhi blu luminosi, i capelli biondi che avevano assunto sfumature cenere e la pelle marchiata di rosso. Fuori perseverava il temporale e, a intermittenza irregolare, la casa veniva illuminata da una luce azzurrognola. Allison era seduta nel suo salotto, indossando alcuni suoi vestiti che le stavano larghissimi e i capelli asciugati velocemente. Sorrise, passandosi l’asciugamano alla base del collo e fra i capelli. Rabbrividì, e cercò con lo sguardo la maglietta di ricambio. Maledicendosi, constatò di non averla presa. Con la pelle candida marchiata dai brividi di freddo, il ragazzo aprì la porta per dirigersi nella sua camera. Ma quando si richiuse la porta alle spalle, si trovò di fronte Allison.
Lei arrossì, notando il petto tonico di Niall in bella vista, e distolse subito lo sguardo.
-Scusami. Ero venuta a vedere dove fossi. Odio stare sola in queste situazioni- Niall le sorrise, rassicurante.
-Odi così tanto i temporali?- Camminando nel corridoio ben illuminato, Allison sprofondò le mani gelide nella felpa enorme che indossava. Profumava di buono e la ragazza aveva subito amato il suo odore, riconducendolo a quello stesso che il giovane portava sulla pelle.
-Sì … E’ una fobia che mi porto dietro da quando sono piccola.- Lui aprì la porta della sua stanza, scansandosi per farla passare prima. Entrandovi, Allison sfiorò con il proprio braccio quello scoperto di Niall e sentì la pelle infuocarsi. Si morsicò il labbro, concentrandosi sull’ordine che vigeva in quel luogo. Una pace inconsueta le calcò la psiche e si sentì bene.
Niall corse ad indossare una maglietta, che gli fasciò leggermente il fisico asciutto. Poi si sistemò sul letto, osservando la ragazza.
-Quanti libri …- Allison lesse i primi autori che le capitarono davanti e sorrise, inconsapevole.
Aristotele, Schopenhauer, Kant, Freud.
-Ti interessa la filosofia?- Il biondo annuì, sorridendo. La raggiunse e osservò, con una luce meravigliosa negli occhi, tutti i suoi amati tomi.
-E’ quello in cui voglio specializzarmi dopo il liceo … Mi affascinano i pensieri di questi personaggi.- Ma lo sguardo di Allison fu catturato da un altro particolare che le fece scoppiare il cuore. Si chinò ad accarezzare il legno liscio della chitarra, appoggiata ordinatamente accanto alla libreria.
-Suoni …-
-Sì.- Non era una domanda, ma Niall non seppe cosa dire. La presenza di quella ragazza lo rendeva succube, in qualche modo, e si ritrovò a sperare che dopo tutto lei lasciasse il suo profumo su quegli indumenti, dentro quella stanza, magari sulla sua stessa pelle. Niall arrossì di nuovo e si precipitò accanto a lei, prendendo lo strumento.
-Vieni.- La invitò a sedersi sul tappeto caldo accanto a lui che, a gambe incrociate, incastrò gli occhi fra le corde della chitarra. Strimpellò qualcosa di semplice, per permettere alle sue dita intorpidite dal freddo di riscaldarsi, per poi cominciare a suonare una melodia dolcissima.

 
It’s a little bit funny, this feeling inside
I’m not one of those, who can easily hide
I don’t have much money, but boy if I did
I’d buy a big house where we both could live.

 
Allison si portò le ginocchia al petto, chiudendo le palpebre e dimenticando il rumore della pioggia, I tuoni e la paura. Solo la voce di Niall risuonò nel suo essere e quella dolcezza la fece sentire bene.
 
And you can tell everybody , this is your song
It may be quite simple but now that it’s done,
I hope you don’t mind, I hope you don’t mind
That I put down in words
How wonderful life is while you’re in the world.

 
Allison riaprì gli occhi alla fine del suono e gli sorrise, perdendosi nei meandri di quel blu.
-Sei eccezionale, Niall.-
Un altro tuono. Ma questa volta, Allison non ebbe paura. Semplicemente, con molta attenzione, si sistemò accanto a Niall, la testa poggiata sulla sua spalla. Chiuse gli occhi e attese l’arrivo di Harry, un nuovo sentimento nel cuore, mentre lui le accarezzava dolcemente la chioma scura.




  

 
 
 

 Angolo autrice:
Scusate per il ritardo e per questo capitolo un pò ... Strano. Vorrei dilungarmi, ma purtroppo devo scappare. Spero in un vostro commento e vi ringrazio tantissimo, una per una, per il sostegno che mi date. Sopra, la bellissima Allison e il dolcissimo Niall kscbnjbhcvhd :)
Vorrei inoltre avvisarvi che sto scrivendo una mini long, che si intitola "11 Settembre." Mi farebbe molto piacere un vostro commento. Ho pubblicato il prologo.
Detto ciò, ciao bellezze. Vi adoro. 
Sonia. 

 

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Capitolo 18
*** 18. Capitolo 17 ***



 
I nostri segni di aria, in questi anni di fuoco.
Solo l’amore rimane, tutto il resto è un gioco.


 
Clare osservò tutte quelle donne presenti nella sala d’attesa e si sentì strana. Percepiva sguardi sconosciuti sulla sua esile figura e poteva benissimo leggervi le mille domande che si ponevano. Accavallò con difficoltà le gambe e unì le mani sul ventre. Avrebbe voluto piangere, ma si morse il labbro gonfio e cercò gli occhi incolmabili di Louis, che le stava accanto. Lui percepì il suo sguardo e le sorrise, strisciandosi le mani contro i jeans neri. Le si avvicinò e le permise di poggiarsi con il busto al suo petto largo. Clare sentiva il suo respiro fra i capelli e l’odore di colonia che emanava la sua pelle. Chiuse gli occhi e si tranquillizzò, espirando profondamente.
-Quando ci siamo conosciuti, mi avevi detto che il tuo bambino sarebbe stato una femmina. Perché?- Lei sorrise, ricordandosi perfettamente quel momento. Arricciò le labbra per non farsi scappare il sorriso e si sistemò meglio in quell’abbraccio un po’ improvvisato.
-Quando ho detto a Zayn di essere incinta, credevo si sarebbe arrabbiato. Ha contratto la mascella, ma poi mi ha abbracciata. E mi ha sussurrato che, anche desiderando un nipotino maschio per mettere in pratica le sue doti da calciatore, sentiva che sarebbe stata una femmina. E io gli credo.- Louis abbozzò un sorriso, combattendo contro la voglia di accarezzarle i capelli. Lei, però, lo avrebbe voluto.
-Clare Malik?- Alla voce dell’infermiera, Louis scattò in piedi. Clare lo guardò, intenerita, e sotto il suo sguardo il ragazzo si sentì in imbarazzo. Si passò una mano dietro al collo sorridendo, teso, mentre come sottofondo percepiva le risatine delle altre donne. Sbuffò sonoramente, incamminandosi verso la porta aperta.
-Dica al suo ragazzo di essere meno nervoso. Il primo figlio è sempre qualcosa di magico.- Louis si arrestò in mezzo al corridoio, gli occhi spalancati e puntati sulla donna dai lunghi capelli rossi che stava sfiorando la spalla della mora.
Lui il padre del bambino? Lui il ragazzo di Clare? Scosse il capo, chiedendosi per quale strano motivo Clare si fosse limitata ad annuire e sorridere, precedendolo nella stanza illuminata.
 
Clare sobbalzò appena sul lettino, stringendo forte la mano di Louis. Il gel era freddo contro la sua pelle bronzea e avrebbe voluto intrecciare gli occhi a quelli del ragazzo ma lui, imbarazzato, guardava tutto tranne che lei e la sua pancia scoperta.
Quel giorno non indossava gli occhiali e i suoi pozzi cristallini erano splendenti. Aveva il viso arrossato e i capelli scuri lasciati liberi, con ciocche ribelli che gli ricadevano sulle guance o sulla fronte. Le ciglia scure disegnavano una  lieve ombra contro la sua pelle liscia e le sue labbra sembravano più rosse che mai. Forse perché le stava torturando da quando si era accomodato, in piedi, accanto a lei e Clare aveva allungato la sua mano, senza pronunciare parola. Sentendosi osservato Louis la guardò e quando il suo mare la sovrastò letteralmente, Clare si sentì finalmente libera.
-Allora, vediamo un po’ questa creatura.- I due ragazzi spostarono lo sguardo sul piccolo monitor alla destra di Clare mente il ginecologo si destreggiava con il macchinario, disegnando cerchi immaginari contro la sua pancia. Louis si perse, per un momento, dietro quei movimenti delicati e calcolati. Si perse ad osservare la pelle perfettamente bronzea di Clare, il suo bacino stretto e i fianchi spigolosi che risaltavano la dolce protuberanza.
Nella stanza, all’improvviso, si diffuse il rumore di un battito veloce.
-E’ il suo cuore?- Sussurrò lei, seria. Il ginecologo annuì, senza staccare gli occhi dallo schermo. Clare sospirò profondamente, cullata da quel dolce battito che solo in quel momento si accorse di avere dentro. Strinse forte la mano di Louis che, concentrato, si stava sforzando di reprimere lacrime d’emozione.
-E’ il cuore di mio figlio, Lou.-
-Lo sento.- Le sue iridi celestiali, liquefatte, si allacciarono a quelle di lei, dalle lunghe ciglia bagnate. Il rossore sulle sue gote era adorabile, come la luce che animava quelle pupille dilatate.
- Questa è la testolina.- Louis spostò lo sguardo verso quell’immagine sfocata e si morse fortemente il labbro inferiore.
-Se osservate bene, potete vedere la manina in bocca.- Il giovane si spostò una ciocca ribelle dagli occhi, intrecciando le sue dita a quelle di Clare. La ragazza tremava e lui lo percepiva contro la sua stessa pelle. Senza pensarci due volte, affondò la mano libera fra la sua capigliatura morbida e setosa. Clare, senza distogliere lo sguardo dal suo bambino, sorrise e sembrò assecondare quel tocco confortante, lasciandosi andare contro il suo palmo.
- Volete sapere il sesso?- Clare non riusciva a parlare e fu Louis a rispondere.
-Sì!- Lei abbassò le palpebre, mordendosi l’interno della guancia. Louis la guardò intensamente, mentre la voce del dottore annunciava loro la grande notizia.
-E’ un maschietto.-
 
 
 
Caro Zayn,
odio profondamente questo foglio e questa penna che sto impugnando. Perché le parole che presto vi scriverò sopra, avrei preferito dirtele a voce. Louis ha fatto di tutto per permettermi di vederti anche solo per pochi secondi, ma non c’è stato nulla da fare. Il divieto è stato emanato dal Giudice stesso e ancora non riesco a capacitarmi del perché ti stiano trattando in questo modo. Mi manchi. Anzi … Ci manchi tantissimo. A me e a questa creatura che sta crescendo dentro di me. E a proposito di questo, ho una grande notizia per te: è un maschio, Zayn. Dentro il mio ventre c’è un piccolo maschietto che non vede l’ora di imparare a giocare a calcio, proprio come volevi tu. Non sai quanto dolore stia provando, al pensiero della tua lontananza da noi. Abbiamo bisogno di te e me ne accorgo ogni giorno di più: quando non riesco a sollevare una cassa d’acqua, quando perdo l’autobus non essendo in grado di corrergli dietro e persino quando salgo le scale di casa. Ci manchi in tutto ciò che facciamo e davvero, vorrei che tu fossi qui. Forse questo è solo un brutto incubo: magari fra un po’ mi sveglio, ti vedo seduto accanto al mio letto con in braccio il mio bambino. Anche se Louis continua a dirmi che non è un incubo, io non smetto di sperarci. Perché ancora non mi capacito di tutto questo, perché non è possibile e perché noi crediamo in te e proprio non capisco come gli altri non vedano che tutto questo è solo un grande errore. Dall’ultima udienza al tribunale, non sono riuscita più a dormire. Ti stanno minacciando davvero, Zayn? E stanno usando me? Perché se così fosse, ti prego di non cadere nella loro trappola. Io sono in pericolo solo se tu non sei accanto a me. Quindi ti prego di dire la verità. La verità che solo tu sai e non quella che ti costringono a dire. Zayn, qui fuori ti aspetta una nuova vita. Con me e con il mio bambino. Tuo nipote ha bisogno di te e io sento che anche lui ha paura. Ha paura di crescere solo e io ho il terrore di non riuscire a colmare il vuoto che il padre gli ha lasciato. Sai … Non so se riesco a curarmi le ferite da sola. Fino ad ora sei sempre stato tu che, diligentemente, hai cicatrizzato ogni mia escoriazione. E ora le sento sanguinare ancora e proprio non riesco a marginare il flusso di sangue.

Stropicciò la carta e si asciugò le lacrime. Zayn pianse su quel foglio spiegazzato per circa dieci minuti, mentre i suoi singhiozzi si spandevano per tutta la stanza. Louis, di fronte a lui, lo osservava e non diceva nulla. Il giovane sentiva il suo sguardo addosso ma proprio non gli importava di mostrare tutta la sua debolezza. Voleva piangere, erano due giorni che voleva farlo. E non era riuscito a trattenersi, sotto quella fiumana di emozioni che le parole della sorella aveva suscitato nel suo debole animo. Avrebbe voluto abbracciarla, stringerla forte e accarezzare la sua pancia. Era un gesto che lo tranquillizzava e gli scoppiava il cuore in petto quando sentiva i colpetti del bambino, quasi a rispondergli. Terminò le sue lacrime contro quelle righe scritte con mano tremante, fondendole con l’inchiostro scuro. Assaporò con l’olfatto il familiare profumo della sorella, e si sentì a casa.
Gli tornarono in mente le mille fragranze che facevano parte di quella vita che gli sembrava oramai lontana nel tempo: l’odore di fogna che vigeva fuori dalla loro abitazione squallida, in contrapposizione con il profumo di vaniglia e incenso che Clare si ostinava ad ostentare nel salotto. Il profumo del pollo appena infornato, o della crostata al cioccolato appena fatta. Il profumo di fragole che proveniva dal bagno dopo che si era fatta una doccia, oppure il profumo di talco delle candide lenzuola del suo letto.
Clare era dentro di sé, contro la sua stessa pelle.
-Ha bisogno di te, Zayn.- Louis parlò solamente quando Zayn si calmò. Aveva il viso nascosto fra le mani, i capelli nerissimi e scompigliati che risaltavano contro la sua carnagione pallida. Era dimagrito, e le ossa delle clavicole spuntavano, prepotenti, contro la tuta arancione che gli andava larga. La barba era incolta e aveva gli occhi cerchiati di viola.
Louis avrebbe voluto mettergli una mano sulla spalla, scuoterlo per farlo ritornare nella realtà e fargli capire che era inutile continuare quella farsa.
-Io non posso, avvocato.- Era la prima volta che Zayn si apriva con Louis e cercava disperatamente qualcosa che lo bloccasse. Perché lui non poteva permetterselo, perché non poteva essere così egoista e mettere in pericolo Clare per vivere la sua vita, e ricominciare daccapo. Anche se ora c’era Emma, lui non poteva. Ma le parole cominciarono a uscire, anche se il moro cercava di bloccarle. Uscirono fuori come le lacrime, che si andarono a incastrare fra la sua barba accennata e le labbra screpolate.
-La vita è ingiusta ma non posso farci nulla. A costo di rimanere in prigione a vita, io non posso dire la verità. Clare è tutto ciò che ho.- L’immagine di Emma, con i suoi capelli ramati e gli occhi luminosi, era ben presente nel suo cervello ma lui si ostinava a rilegarla lontano da lui e dal suo cuore, perché anche lei era stato uno sbaglio. Lo sbaglio più bello che gli potesse capitare, ma pur sempre uno sbaglio. Non poteva contaminare anche lei, non se lo sarebbe mai perdonato. Emma era così pura, così vitale che durante quell’unico bacio che le aveva dato, aveva avuto paura di averle succhiato via ciò che la permeava. Per questo quando l’agente Styles veniva, ogni giorno alla stessa ora, per prelevarlo dalla prigione e portarlo da lei, Zayn si impuntava e non andava. Erano oramai passati cinque giorni dall’ultima volta che l’aveva vista, 120 ore, due caffè amari, tre docce fredde, quattro notti insonni e sì, anche un po’ di lacrime. Emma le mancava, come l’aria e il profumo di pulito. La sedia di fronte a lui stridette e alzò lo sguardo bagnato verso il giovane avvocato che si sporse verso il suo viso, cercando un contatto visivo diretto. Zayn non aveva mai notato le molteplici sfumature che quelle iridi racchiudevano e si sentì in colpa. Quel giovane stava facendo di tutto per permettergli di mettere un punto a quell’incubo e ricominciare da un nuovo capitolo, mentre lui si ostinava a tagliarlo fuori proprio per la pienezza che scorgeva nei suoi occhi e che lui aveva perso quel dannato giorno.
-Zayn, raccontami quello che è successo il giorno in cui Emily è morta.-
-Non posso, Louis.- Nascose il viso contro le mani, alzandosi in piedi. Anche Louis si alzò, continuando ad osservarlo mentre si torturava la pelle arrossata.
- Zayn …-
-Louis, sono stato io ad uccidere Emily. Io impugnavo quel maledetto coltello ed ero io a essere sporco del suo sangue. E’ morta fra le mie braccia. L’unico colpevole, sono io.- Louis sospirò, poggiando entrambe le mani sul tavolo sudicio.
- Non colpevolizzarti di una morte che non hai causato. Tu ti ritieni colpevole, ma non lo sei.- Il giovane avvocato alzò i suoi occhi azzurri su quelli oscuri di Zayn, pronunciando parole silenziose. Zayn deglutì e a fatica si scostò dalla sedia. Lo raggiunse con un passo e lo abbracciò. D’istinto, Louis si immobilizzò contro quel gesto disperato. Sentiva i pugni serrati del ragazzo contro la sua schiena e la barba gli solleticava il collo. Zayn strinse di più, e le sue braccia magre si scoprirono piene di una forza guidata dalla disperazione. Cercò di ricambiare quel gelido abbraccio aggiungendovi un po’ di calore, ma la sensazione di stringere fra le braccia un pezzo di ghiaccio non passò nemmeno quando Zayn affondò, per un momento, il viso al suo collo. Le sue labbra sfiorarono il lobo delle orecchie di Louis, che proprio non si capacitava di ciò che stesse succedendo.
- Sono controllato a vista, avvocato. Anche adesso lo sono. Non posso parlare o mi troveranno e mi picchieranno di nuovo.- Mentre sussurrava quelle parole, si sentì un bambino. Aveva sempre odiato essere aiutato dagli altri, trovarsi nelle condizioni di non poter risolvere da solo i suoi problemi. E Zayn era proprio questo … Un bambino in balia di qualcosa più grande di lui, un bambino che si aggirava nel buio della sua casa, spaventato da demoni che solo lui conosceva e vedeva.
-O peggio ancora, potrebbero arrivare a Clare.- Zayn si allontanò dal corpo di Louis, lasciandolo interdetto e confuso più che mai.
-Proteggila.- Furono gli ultimi sussurri che giunsero. Poi Zayn gli diede le spalle, affondando le mani nelle tasche della tuta arancione. Strinse gli occhi e tirò su con il naso, chiamando la guardia. Scambiò un ultimo sguardo con Louis, prima di tendere i polsi, venire ammanettato e portato via.
Louis, sconvolto, si guardò intorno.
Erano spiati.

 
 
Ad Emma bastò uno sguardo agli occhi verdi di Harry per capire che nemmeno questa volta Zayn era venuto. Il ragazzo si passò una mano fra i ricci scuri, sospirando.
-Non c’è stato verso. Non vuole più vederti.- Emma chiuse gli occhi e incassò il colpo in silenzio.
Non vuole più vederti.
Scivolò con il busto in avanti, intrecciando le braccia sul tavolo. Cosa era stato, per lui, quel bacio? Cose erano state tutte le visite che lei gli aveva fatto? Sospirò, nascondendo il viso alla leggera brezza che proveniva dalla porta aperta. Una lacrima scivolò via dal suo occhio e lei la osservò mentre cadeva contro la stoffa del suo maglioncino.
-Emma io …- La ragazza scosse la testa, tirando su con il naso e recuperando la borsa che aveva lasciato cadere a terra. Si alzò dalla sedia, allacciando gli occhi a quelli di Harry.
-Non importa. Devo solo dimenticare tutta questa storia. In fondo, ho solo sprecato il mio tempo.- Si sistemò i capelli rossi sulla spalla destra, mentre le guance si imporporavano di un rosso fuoco. Stava lottando contro la frustrazione e la mancanza …
Sì, Zayn le mancava. Si morsicò il labbro avviandosi, incerta, verso il poliziotto. Harry incastrò le mani nelle tasche della tuta che indossava, sospirando.  Emma gli si avvicinò, guardandolo fisso.
-Grazie Harry, davvero. Sei stato gentile a mettere a rischio la tua carriera per me. Charlotte mi aveva detto di potermi fidare di te.- Al nome della riccia gli occhi di Harry si illuminarono, diventando di un verde luminoso. Un sorriso, completo di fossette, alleggerì il peso che Emma sentiva nel petto.
-Lo ha detto davvero?- Lei gli sorrise, non curandosi che fosse più una smorfia. Allungò una mano per stringere quella del ragazzo, ma lui fu più veloce. Si sporse e la catturò fra le sue braccia, non stringendola né privandola di quel conforto. Le sue forti braccia le stavano dando quel calore che le mancava oramai da troppo e Emma si lasciò scaldare da lui, poggiando le testa sulla sua spalla.
-Perché ti sei adoperata tanto per Malik?- Emma sospirò, poggiando la mano fra il suo mento e la spalla di Harry.
-Tu perché lo fai?- Il suo sospiro si infranse contro l’esile corpo di Emma, ancora delicatamente ancorato al suo.
-Perché c’è qualcosa in questa storia che ci sfugge. E non posso minimamente pensare che un innocente sia in galera, almeno finché non siamo sicuri che sia colpevole. Secondo me, Emma, tuo padre ha sbagliato.-  Lei alzò gli occhi al cielo, cercando di marginare le lacrime.
Zayn innocente, sorridente, felice. Zayn con un paio di jeans e una camicia bianca, le chiavi della macchina in mano, un mazzo di fiori nascosto dietro la schiena. Zayn che digitava freneticamente sulla tastiera del computer, Zayn con gli occhiali da vista che leggeva un libro. Le sue labbra che mimavano un ti amo, o anche un ti odio. La sua camminata molleggiata, il suo profumo sempre intorno.
Una vita insieme a lui.
Emma non riuscì a trattenersi e strinse le braccia al suo collo. Harry sussultò appena, lasciandola fare.
-Promettimi solo una cosa, Harry. Non lasciare che questa storia venga archiviata.- Veloce come era arrivata fra le sue braccia, Emma non ci fu più e lui non poté che seguire con lo sguardo la sua schiena esile sparire e con le orecchie i suoi singhiozzi soffocati.
Emma girò velocemente l’angolo, andando a sbattere contro qualcuno.
-Mi scusi, ero sovrappensiero.- Borbottò al poliziotto contro cui era andata a sbattere.
-Non ti preoccupare, Emma.- Lei alzò lo sguardo, riconoscendo Adrian. Ma avanti a lui, c’era qualcun altro. Uno sguardo nero, più cupo di quanto ricordasse, incontrò i suoi occhi rossi. Emma rimase a bocca aperta, mentre davanti a lei c’era uno Zayn dimagrito, smarrito, dalle visibili occhiaie e la barba non tagliata. Le labbra screpolate e i capelli lasciati al caso. Zayn era di fronte a lei, e Emma non sapeva cosa fare. Quando i loro occhi si incontrarono, sentì una stoccata nella profondità del suo stomaco. Ad un tratto, come poco prima aveva deciso di lasciarlo perdere, di dimenticarlo, di sentir parlare di lui solo dal telegiornale o dalla radio, la ragazza vacillò sotto il suo sguardo ed ebbe il forte istinto di lanciarglisi contro per tempestarlo di pugni, per poi abbracciarlo forte e non lasciarlo mai più.
-Tuo padre ti sta aspettando in ufficio.- La voce dell’uomo la fece tornare alla realtà, mentre Zayn distoglieva il suo sguardo. Emma sentì chiaramente le lacrime premere contro le sue pupille, e riconobbe il familiare pizzicore all’angolo degli occhi. Sbatté le palpebre e non si stupì di percepire le ciglia umide contro la pelle.
Ma doveva smetterla di piangere. Per lui.
-Grazie Adrian, vado subito.- Sussurrò, sistemandosi una ciocca rossa sfuggitale dalla coda appena improvvisata. Si incamminò nel corridoio stretto, mentre l’agente spingeva in avanti il giovane. In un millesimo di secondo, in un battito di ciglia, in una parola sussurrata, in un lampo nel cielo sereno, la mano di Emma sfiorò il braccio teso del ragazzo. E, quasi come fosse scontato, i loro occhi si cercarono e si trovarono. Il nero nel castano, il male nel bene, la disperazione nella confusione.
Come stai? Perché? Mi manchi.
 Le labbra di Zayn vibrarono appena e Emma si scoprì desiderosa di sentire la sua voce, anche se distorta dal fastidio, o dal rammarico, o dalla rassegnazione di vederla ancora lì, gli occhiali dalla montatura spessa che alcune volte indossava, oppure il rossetto troppo rosso sulle labbra carnose.
Ma Zayn non parlò, spintonato ancora una volta da Adrian.
-Che ti prende Malik?- Prima che il poliziotto potesse notare la lucidità degli occhi di entrambi, Emma si allontanò e Zayn scosse la testa, sogghignando.
 
-Ancora non ho capito bene cosa ci facessi tu in commissariato.- Emma alzò gli occhi al cielo, frugando nella borsa in cerca del suo i-pod.
-Te l’ho detto, papà. Niall non era a scuola e ho perso l’autobus. Non mi andava di tornare a casa a piedi e così sono venuta.- Dean strinse le mani contro il volante, infrangendo il suo sospiro contro il finestrino dell’auto.
-Ti ricordo che a casa hai anche un fratello che è capace a guidare. Non voglio che approfitti della generosità di Niall.- La ragazza sbuffò sonoramente, gioendo interiormente quando riconobbe le cuffiette azzurre incastrate nel libro di storia.
- E tu dopo circa un anno che lui ha la patente e mi accompagna a scuola, ti ricordi di dirmi che non ne devo approfittare?- Il semaforo rosso permise all’uomo di cercare lo sguardo scettico della figlia.
-Che cos’hai oggi, Emmie? Sei strana.- Lei scosse la testa, incastrando per bene le cuffie nelle orecchie.
-Lascia stare. Sono solo stressata per gli imminenti esami.- Ma sapeva benissimo che il padre non le credette, forse perché ancora non aveva aperto libro o semplicemente perché la scuola era il suo ultimo problema, e lo si poteva leggere facilmente nel suo sguardo.
Quando finalmente giunsero a casa, Emma non poté che aprirsi in un sorriso quando riconobbe l’inconfondibile zazzera bionda del suo migliore amico. Scese velocemente dalla macchina, seguita dal padre e raggiunsero il porticato profumato. Niall era seduto sugli scalini, il cellulare in mano e le guance colorate di rosso. Quando li scorse, si alzò in piedi e sorrise.
-Emma, come mai non mi hai …- La ragazza gli franò praticamente addosso, stringendolo in una morsa d’acciaio.
-Niall, sono contenta di vederti. La tua mancanza a scuola si sente sempre.- Strinse appena più forte le braccia al suo collo, mettendosi sulle punte per baciarlo sulla guancia.
-Reggimi il gioco e guai a te se ti fai beccare da mio padre.- Si staccò dal suo corpo, sorridendo falsamente, mentre Dean li raggiungeva e frugava nella tasca della giacca per le chiavi.
-Ciao Niall.-
-Salve signor Harrison.- Emma osservava il padre con ansia, stringendo convulsamente la tracolla della sua borsa.
-Spero che la tua assenza da scuola non sia stata dovuta da qualcosa di grave.- Il padre finalmente trovò le chiavi e si fece avanti per infilarle nella toppa. Lo sguardo di Niall cercò quello di Emma, che gli fece una serie di smorfie per farlo parlare.
-Ehm … No, nulla di grave. Solo una visita.- Emma, al suo fianco, si rilassò mentre lasciava scivolare la mano sul polso magro dell’amico e lo stringeva appena.
Dean si girò e Emma lasciò subito la presa. Sospirò ancora e gli sorrise, torturandosi la manica della maglia.
-Non ti dispiace se vado a pranzo fuori con Niall, vero?- Il padre sorrise, sistemando di nuovo le chiavi in tasca.
-Certo che non mi dispiace.- Emma gli fece l’occhiolino, sporgendosi per baciarlo sulla guancia.
-A dopo papà.-

Emma addentò il panino caldo e si lasciò scivolare contro la panchina fresca, chiudendo gli occhi per l’aria fredda contro i suoi occhi. La primavera era alle porte, eppure l’aria era lungi dall’essere scaldata dal timido sole che si affacciava su Bradford. Niall si mosse al suo fianco, tossendo appena. Quando Emma lo guardò, fu come sempre colpita da quel lancinante azzurro cielo. La ragazza si perse letteralmente fra quelle sfumature cristalline e sapeva che non si sarebbe dovuta stupire se nel loro interno ci avesse trovato la trasparenza del cielo, la freschezza dell’aria, la consistenza dell’ossigeno. In fondo, quelle due pupille alcune volte cerulee, erano due pezzi di cielo.
-Ho qualcosa che non va?- La voce graffiata del ragazzo la fece sussultare, staccandosi da quell’oceano tanto bello quanto pericoloso.
Niall, i suoi occhi, la sua voce, le sue mani, erano un pericolo per il cuore in subbuglio di Emma. Lei scosse la testa e continuò a mangiare, in silenzio. Quando Niall cominciò a giocherellare con un suo capello, la giovane si sentì bene e d’un tratto, scomparve tutto.
Liam, Dean, Harry, il processo, Zayn …
Erano solo loro due. Lei accasciata fra le sue braccia, lui a proteggerla. Lei con la voglia di parlare, lui pronto ad ascoltare. Lei con mille guai e lui con il suo sorriso come soluzione. Lei con le lacrime trattenute, lui con il palmo pronto ad asciugarle. Lei innamorata, forse, lui semplicemente scombussolato da un amore quasi fraterno. Il ragazzo le sorrise e si lasciò andare con la testa all’indietro, il ciuffo biondo scosso dall’aria frizzantina che gli irritava la pelle candida, rendendola rossa sulle gote. Chiuse gli occhi, mentre le palpebre diafane le privavano la vista di quei pozzi indescrivibili. Anche lei si accasciò al suo petto, gettando il resto del panino nello zaino, e concentrandosi sugli addominali scolpiti che sfioravano le guance di Emma. Lei arrossì, mentre cominciò con le mano a disegnare ghirigori immaginari sul suo ventre piatto. Lo sentì sussultare, mentre stringeva appena un po’ più forte il braccio intorno alle sue spalle esili. Emma sorrise contro la sua felpa, inondando la propria anima con il suo profumo di buono. Profumo di Niall. Profumo di loro. Il suo cuore galoppava a briglie sciolte, mentre aveva paura che il silenzio intorno a loro potesse portare quei battiti martellanti alle orecchie allenate di Niall. Perché lei lo conosceva bene e sapeva quanto fosse attento a questi particolari, ad ogni minimo elemento che la riguardasse. E sapeva anche che non avrebbe potuto tenergli nascosto a lungo quella storia.
-Devi dirmi qualcosa.- Non era una domanda, ma una semplice affermazione. Ancora gli occhi chiusi, le labbra serrate e il respiro cadenzato. Emma lo osservò e non poté che pensare a quanto fosse bello. Con le mani tremanti cominciò a passare in rassegna il profilo del muscolo teso del braccio, attorcigliato a lei. Prese un respiro profondo, ritornando in quel triste mondo che sapeva di Zayn Malik e di dolore.
Ma, in fondo, anche il mondo che condivideva con Niall era doloroso. Lui che non voleva trasformare quell’amicizia in qualcosa di più, lui che si ostinava a voler dimenticare quanto Emma andasse alla ricerca del pericolo solo perché fosse lui a salvarla, poi. Quel mondo in cui le loro mani si cercavano e si trovavano facilmente, giocando e rincorrendosi. In quel mondo dove tutto sapeva di lui e di quel sentimento che l’aveva plasmata, tanto in profondità che lei lo aveva dovuto nascondere.
- Sono circa due settimane che vado a trovare, di nascosto, Zayn.- Le sue labbra fredde e calde allo stesso momento. Le sue mani sui suoi fianchi, mentre la premeva contro il muro e la plasmava con i suoi palmi bronzei. La consistenza dei suoi muscoli contro la sua pelle, il profumo di lui. I capelli corvini, spessi e forti, al contrario di quelli fini e leggiadri di Niall, dal colore del sole. I suoi denti bianchi a morsicarle le labbra, le sue lacrime a mischiarsi ai loro sapori e alle loro lingue.
Quel bacio che faceva parte dell’altro mondo, dell’altro dolore. Il mondo dove vigeva la confusione più totale. Il mondo del ragazzo dallo sguardo pece che aveva conquistato un lembo di cuore di Emma, permeato completamente dall’angelo biondo che aveva di nuovo reso accessibili i suoi cristalli blu, che la stavano fissando quasi a volerla invitare a caderci dentro.
Forse, quella sarebbe stata l’unica morte che avrebbe accettato volentieri, lei che la morte la temeva sin da piccola.
-Zayn Malik? Il giovane incolpato di omicidio?- No, quello non era Zayn. Non era il suo Zayn. Annuì appena, mentre il petto di Niall mancò subito alla sua pelle. Il biondo si riscosse e la guardò fisso, torturandosi le mani che aveva allontanato dal suo corpo. E, come sempre, Emma si gelò.
-Perché?-
Perché era innocente. Perché aveva diritto a vivere la sua vita, anche se gli era stata distrutta. Perché un piccolo Liam era racchiuso in quella pelle olivastra. Perché le aveva chiesto aiuto e lei aveva imparato proprio da lui a non negarlo a nessuno. Forse, perché un po’ lo bramava.
Ma come spiegare quelle sensazioni a lui? A Niall? Come spiegargli quel senso così nuovo nel suo stomaco, che un po’ si avvicinava alle farfalle che nascevano quando erano i suoi occhi a incatenarla? Come spiegargli che lo aveva baciato, sperando che non ci fosse un domani? Come spiegargli che era stata strette fra braccia che non fossero le sue? Come spiegargli che, in fondo, la stava logorando ad ogni occhiata?
-Non lo so.- Ed era una bugia. Forse, la prima che lei gli raccontasse. Per questo abbassò lo sguardo, cercando di nuovo quel contatto salvifico con la stoffa dei vestiti del ragazzo. Lui sussultò appena, quando Emma allacciò le dita fredde contro il suo polso.
-Lo sai che stai sbagliando tutto, non è vero? Lo sai quanto può essere pericoloso?- E forse, era proprio questo la causa di quel bacio e di quelle visite al moro. Non la voglia di salvarlo, non la bellezza dei suoi occhi e delle sue ciglia scure, non la voglia di imprimere il suo profumo sulla propria pelle. Ma, forse, l’ennesimo rischio da cui essere salvata da Niall.
Emma cercò i suoi occhi, mentre si accorgeva del cambiamento nel cielo solo per le rare sfumature grigie che vigevano in quelle pupille. E, ancora una volta, lei cercò di non stupirsi di quella continuità fra il cielo e gli occhi del suo migliore amico.
-Lo so.-
Salvami.
Il vento sferzava la pelle, confondeva i pensieri, portava nuvole cariche di pioggia primaverile. E lo si sentiva dal profumo di erba bagnata, di asfalto umido, di aria frizzantina. E un po’, tutti quegli aromi freschi, le ricordavano la sensazione di nuove labbra sulle sue: labbra carnose e piccole, immobili e soprese. Le labbra di Niall, appena due anni fa.
E la lacrime cominciarono a scivolare giù, per quell’amore così triste e dolce. E lei, tanto razionale e poco fantasiosa, si ritrovò a desiderare di poter chiedere alla dea dell’amore, Afrodite, un modo per averlo. E mentre le prime gocce di pioggia si incastravano fra il rosso dei capelli di Emma e il biondo di quelli di Niall, lui si sentì strano ad osservarla. E le si avvicinò, mentre le lacrime che lei aveva disegnate sulle gote stonavano proprio. E quel movimento così troppo trattenuto e calcolato, la spaventò. E non seppe come fece a non saltare quando le labbra fredde del biondo trovarono la sua pelle calda, sulle guance. Poi sullo zigomo, poi sul naso. Emma chiuse gli occhi ,mentre non sapeva più quale fosse il freddo delle lacrime, quello della pioggia, quello dell’abbandono.
E, forse, non le importava più di tanto. Perché repentino ma dolce allo stesso momento, come erano i suoi abbracci, come lo erano le sue parole, Niall fece scontrare le loro labbra. In uno sfioramento prima, e poi in una vera e propria danza d’amore.
E sì, il pericolo aveva il suo gusto, in fondo.




Angolo autrice:
Vi prego, vi prego di perdonarmi. Sto avendo un periodo tetro della mia vita e ... E nulla, c'è stato un periodo in cui non avevo nemmeno la forza di accendere il computer. Seri problemi di cuore ... Alcune volte stento a credere di averne ancora uno dopo tutte le volte che l'ho sentito rompersi. Poi metteteci la scuola e la connessione rotta. 
Quindi, dopo non so quanto, ecco a voi il nuovo capitolo ... Con un colpo di scena finale. Non commento, perchè vorrei tanto che lo faceste voi. Mi  siete mancate tantissimo e spero vivamente che la connessione tramite cellulare non mi abbandoni e che riesca a postare presto un nuovo capitolo. Vi amo. Un bacio.
Sonia.  

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Capitolo 19
*** 19. Capitolo 18 ***



 
A Flavio.
Scritte fra queste mura ci sono le storie che non so spiegare.
Io lascio il mio cuore aperto, ma rimane lì vuoto per giorni.
 
Charlie annuì con la testa, e tutti e sette i camion partirono silenziosamente. La luna alta nel cielo sembrava emettere troppa luce, sebbene quella strada fosse completamente immersa nel buio. C’era un odore nauseabondo causato della presenza, poco lontana, di un’ ex discarica: luogo perfettamente sicuro per uno scambio di quella portata. Si portò la sigaretta alla bocca, la decima nell’arco di tre ore, e osservò attentamente i mezzi allontanarsi.
-Stia tranquillo, Smith. Nessuno fermerà dei camion che trasportano giocattoli e se anche lo facessero, si ritroverebbero innanzi migliaia di bambolotti e macchinette.-
Pieni di droga, aggiunse mentalmente Charlie, annuendo appena.
-Domani è il grande giorno.- Il ragazzo gli si accostò, il viso investito dalla luce lunare. Proprio come aveva intuito la prima volta in cui si erano visti, quell’individuo aveva circa venti anni. Era dotato di una bellezza mozzafiato, caratterizzata da lineamenti delicati che mai Charlie avrebbe affiancato a un delinquente del genere.
-Già.- La sua voce graffiata si sparse nel silenzio della pianura improvvisamente deserta, quello stesso spazio che pochi attimi prima era stato sovraffollato.
-Il Burattinaio è fiducioso. I documenti falsi sono stati mandati alla polizia e il commissario Harrison non ha potuto che ritenere Malik del tutto colpevole. Domani verrà ufficializzata la cosa e lei sarà libero. – Stranamente, quelle parole non fecero che accrescere il malumore di Charlie, che si mosse irritato.
Perché quello sconosciuto sapeva così tanto di lui? Gli sembrava di essere chiuso, stretto, nella morsa delle mani di quel giovane dagli occhi chiari e, come risposta ai suoi pensieri, all’altezza del cuore sentì una fitta lancinante. Serrò gli occhi nell’oscurità, incamerando quanta più aria riuscisse. Veloce come era arrivata, la sensazione sparì, e lui respirò normalmente l’aria gelida.
- Anche se devo dire che quel Tomlinson non me la racconta giusta. Sembra troppo sicuro di sé e …-
-Chi sei?- Charlie non si rese davvero conto di aver parlato, finché non fu investito da quei due dischi di zaffiro. Il loro azzurro spiccava nell’oscurità e per la seconda volta nell’arco di pochi minuti, Charlie si chiese come quella purezza potesse nascondere una tale malignità.
-Ho parlato troppo, vero? Mio padre lo dice sempre.- Sospirò, passandosi una mano fra i capelli color sabbia. Si sistemò un ricciolo ribelle che gli era ricaduto sopra gli occhi e ritornò a osservare Charlie.
Di tutte le persone che aveva conosciuto all’interno di quel giro, nessun viso gli ricordava quei lineamenti delicati, quel pallore inusuale, quel sorriso sincero e spontaneo. Eppure, quegli occhi qualcosa gli ricordavano. Ma era un particolare che gli sfuggiva e per quanto egli cercasse di afferrarlo, quello era ben nascosto dietro quel senso di onestà che permeava il giovane ragazzo.
-Sono Damon Evans, il figlio di James.-
La sigarette cadde dalla mani incallite di Charlie, mentre il suo stupore faceva sorridere Damon.
Damon Evans. Figlio di James.
-Tu … Tu sei …-
-Dillo, Smith.- Il suo sorriso angelico sembrava oscurare tutto il resto. Seppure Charlie provasse a parlare, a rispondere, ciò che gli uscì dalla gola fu solo un imbarazzante lamento.
-Sono il figlio del Burattinaio.- Concluse alla fine il giovane, puntando lo sguardo sulla luna sopra di loro.


 
-E’ dentro il centro commerciale, Styles. Veste dei pantaloni neri e una camicia a quadri rossa. Ha una borsa nera a tracolla e un cappello con la visiera.- Harry strinse ancora di più l’auricolare all’orecchio, cercando di sovrastare il terribile chiasso che vigeva al centro commerciale. Nel frattempo scrutava la folla, stringendo la pistola nascosta sotto la maglietta. Un uomo gli diede una spallata, facendolo finire contro una ragazza.
-Scusami.- Sussurrò mentre lei gli sorrise, scuotendo la testa. Cercò con lo sguardo la persona che lo aveva spinto e, con un tuffo al cuore, scorse un cappello con la visiera. Ma non vestiva assolutamente come gli era stato descritto. Questo sembrava più un impiegato delle pulizie …
Harry, repentinamente e con il cuore in gola, raggiunse il primo cestino dell’immondizia che trovò. Con un sussulto, riconobbe i vestiti.
-Si è cambiato. – Harry sfrecciò fra la gente, spintonando le persone che lo intralciavano. Teneva lo sguardo fisso sull’uomo, che si guardava intorno circospetto. In un attimo fatale, i due si guardarono negli occhi. Harry si spostò un riccio cadutogli sulla fronte, cercando di regolarizzare il respiro. L’individuo lo squadrò per pochi secondi, prima di cominciare a correre.
-Maledizione.- Harry gli corse dietro, il respiro affannato e il sudore che gli scendeva lungo la fronte.
-Mi ha riconosciuto. Si sta dirigendo verso l’uscita a destra.-
-Fermati Styles, ci sono gli altri agenti pronti ad intervenire.- Con riluttanza, il riccio terminò la sua corsa. Si piegò su sé stesso, poggiando le mani sulle ginocchia e lasciando che il bruciore ai polmoni pian piano scomparisse. Tirandosi di nuovo in piedi, tirò uno sbuffo. Gonfiò le guance e si girò, di nuovo, verso il punto dove aveva perso di vista l’assassino.
-Harry, non è uscito nessuno dalla parte destra.- La voce del collega arrivò fredda e concitata e Harry si bloccò nel bel mezzo della folla: i suoi occhi fissavano il cartello che indicava le entrate dei garage. E senza pensarci due volte, sfrecciò in quella direzione.
Nei garage la temperatura bassa gelò il sudore sulla pelle di Harry. Ogni sferzata di vento sembrava scivolargli sotto i vestiti, per solleticarlo. I ricci gli ricadevano sul viso e ogni tanto doveva spostarli da un lato. Un clacson poco lontano lo fece sobbalzare, ma non smise di correre. Lì sotto sembrava che l’auricolare non prendesse bene, o più probabilmente il silenzio che sentiva nelle orecchie era riconducibile al fatto che, preso nella foga della corsa, non si fosse accorto di averlo danneggiato in qualche modo.
Fece scorrere lo sguardo fra le persone presenti, affaccendate ognuno accanto alla propria macchina. Quando finalmente Harry scorse il cappello con la visiera dietro un colonnato, tirò fuori la pistola e lentamente si avvicinò.
Nel suo cammino incontrò molti sguardi impauriti, che lui congedò con un mezzo sorriso. Si acquattò dietro una macchina parcheggiata, accostando la schiena al metallo gelido. Regolarizzò il respiro e sospirò in silenzio. Il sudore gli imbrattava la fronte ma lui non se ne curava, concentrato com’era nella conversazione che l’uomo stava intrattenendo con una donna.
-Sei sicura che siano perfetti?-
-Li ho controllati appena li ho ritirati. Il patto era che se ci fosse stato qualche difetto, non lo avrei pagato. E ha rispettato la consegna.- Harry si piegò sulle ginocchia, flettendo le gambe lunghe. Scorse attraverso il finestrino impolverato una busta gialla e seppe che doveva agire. Caricò l’arma e sgusciò lentamente contro la carrozzeria dell’auto, alzandosi velocemente e giungendo fulmineo alle spalle del criminale. La sua compagna non ebbe modo di avvertirlo, perché Harry fu pronto: lo colpì dietro la testa, stordendolo. Poi puntò l’arma contro la donna che già stava cercando un mezzo per allontanarsi.
-Il gioco è finito.-

Harry si lasciò cadere sulla sedia e accese il suo cellulare. Chiuse gli occhi per un momento, sospirando. Era sfinito. Sobbalzò alle voci concitate che percepì dall’altro capo del commissariato, mentre il criminale appena arrestato faceva resistenza. Ma con tutta la stanchezza che aveva, Harry non ce la faceva proprio ad alzarsi e a precipitarsi ad aiutare. Si morsicò il labbro inferiore, sistemandosi meglio sulla sedia.
Se solo ci fosse stato silenzio, avrebbe potuto benissimo addormentarsi …
-Quanto sei bello quando dormi …-
Poi, spalancò gli occhi. E quando trovò due sfere celesti che lo osservavano, serene, sentì il cuore mancare un battito. Si stiracchiò per bene, serrando la vista. Un mugolo sommesso gli uscì dalla gola raschiata, mentre uno sbadiglio lo coglieva alla sprovvista, il sussurro udito appartenente a un sogno lontano, forse dimenticato.
Quando Charlotte scorse il verde nei suoi occhi, si tirò su e si sedette sulla scrivania, sorridendo. Harry ci mise ancora un po’ prima di tornare padrone del suo corpo, gli occhi cerchiati e le palpebre pesanti.
-Non si dorme mentre si è in servizio, Styles.- Lei sorrideva, ed era bellissima.
Harry la guardò fisso, sorridendo in quel modo sghembo che sapeva di amicizia, sollievo, di loro. Con un movimento fulmineo si alzò e la catturò fra le sue braccia, cingendole il corpo tanto fragile. Charlotte sospirò e, anche se in un altro momento  lo avrebbe scherzosamente spintonato lontano da lei, in quel frangente non fece altro che godere della pelle del riccio contro la sua, e della sua stretta contro il corpo.
-Sei tornata …-
-Sono tornata.- I suoi occhi azzurri rifulgevano di una luce nuova e Harry capì solo in quel momento quanto fosse stato cieco, quei giorni senza di lei. Le sistemò un ricciolo dietro l’orecchio, gli occhi lucidi che a lui non piaceva mostrare mai a nessuno.
-Mi sei mancata.- Tutto sembrava essere diverso, ora che Charlotte gli era di nuovo accanto. La stanza sembrava più luminosa, il respiro più regolare, i battiti del cuore forti. Harry era forte e quella nuova sensazione, non poteva che collegarla alla presenza della ragazza. Lei, che era appena arrossita e si era liberata gentilmente dal petto del collega, andò verso la sua scrivania ricoperta di fascicoli impolverati.
-Mi sei mancato anche tu.- Soffiò debolmente, la paura che quelle braccia, quelle mani, quelle dita, avessero tracciato un solco indelebile sulla sua pelle tanto debole.
 
 

Emma non sapeva il motivo per cui si era recata lì. Era uscita prima da scuola, senza dire nulla a Niall e sapeva benissimo quanto il ragazzo fosse preoccupato perché il suo cellulare aveva squillato almeno una decina di volte, prima che lei avesse deciso di spegnerlo. Era tornata a casa e, con gioia, aveva trovato Liam spaparanzato sul divano di pelle, la piccola Helen seduta sulla sua pancia. Stavano guardando un libro illustrato che Dean aveva comprato pochi giorni prima e la piccola sembrava essersi innamorata della storia che raffigurava.
-La principessa sorrise al bel principe, stringendolo in un forte abbraccio.- Stava dicendo Liam, prima che Helen alzasse gli occhi dal libro e incontrasse quelli inteneriti della zia.
-Zia!- Era scesa velocemente e si era catapultata fra le sue braccia, sotto lo sguardo addolcito di Liam. Pochi minuti dopo, Emma lo aveva costretto ad accompagnarla al Tribunale.
-Niall?- Gli aveva chiesto il fratello e lei era arrossita, giocherellando con le sue mani.
Ora si trovava appoggiata al freddo marmo dietro la sua schiena, torturandosi una ciocca ribelle. Quando la porta di fronte a lei si aprì, ebbe un capogiro. Una fiumana di gente cominciò a uscirne, chi con lo sguardo confuso, chi con uno sguardo compiaciuto. Emma si morse il labbro a sangue, cercando con lo sguardo una testa riccioluta. Quando la individuò, le corse incontro.
Harry aveva le occhiaie, era più pallido e magro del solito e si passava una mano dietro il collo. Quando la vide, spalancò appena le iridi verdi, per poi scuotere la testa. Emma sentì le lacrime pizzicare i suoi occhi e, senza pensare al resto, a suo padre, a Niall che probabilmente la stava cercando ovunque, entrò come un uragano nella stanza accaldata. La Giuria si era alzata, le tende erano state aperte e un lamento strozzato raggiunse le sue orecchie sensibili. Clare era accasciata fra le braccia di Louis Tomlinson, le mani intorno al ventre e il viso straziato dalle lacrime.
-Non potete mandarlo via … Vi prego, lui è innocente.- La sua voce era strozzata, i suoi movimenti oramai sfiniti. Louis non poteva fare altro che sostenerla, cercando con lo sguardo qualcosa che gli potesse dare la forza necessaria per non far crollare entrambi.
Emma soffocò un singhiozzo, ma non poté controllarsi quando al suo sguardo si presentò un’altra figura accasciata. Zayn era lo spettro di sé stesso: magro, pallido, smunto e senza vita. La camicia che indossava metteva in risalto il suo fisico scheletrico e sul collo era in bella vista una grande macchia violacea. I suoi occhi perlustravano, vacui e vuoti, lo spazio intorno a lui mentre due agenti lo stavano ammanettando di nuovo.
Di colpo tutto scomparve e le ritornò alla mente quell’unico bacio che li aveva uniti più di qualsiasi altra cosa. La sua possessività, la sua disperazione, il suo febbrile desiderio. Zayn l’aveva voluta, in quel frangente, e lei si era illusa che potesse davvero essere sua. Quando il ragazzo la trovò con i suoi occhi, Emma avrebbe tanto voluto fuggire. Ma qualcosa la lasciò inchiodata lì, fra quelle mura che sapevano di male.
Forse la pietà, forse la paura per le condizioni di Clare, forse la rabbia per qualcosa di ingiusto.
O forse, più semplicemente, lui.




Angolo autrice:
Eccoci qui. Mio dio, scusate davvero! Non so più come aggiornare puntualmente, la maturità mi sta succhiando ogni cosa. 
Vediamo l'entrata in scena di un altro personaggio che sarà molto importante. Charlotte comincia a capire qualcosa e non è detto che questo le piaccia e Emma ... 
Spero vivamente in un vostro commento. Un bacio. 
Sonia.
 

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Capitolo 20
*** 20. Capitolo 19 ***



 
A te che mi stai cambiando la vita.
A te che riempi le mie giornate con i tuoi sorrisi. A te che mi salvi, lasciandoti salvare.

 
A te che mi hai trovato all’angolo, coi pugni chiusi.
Con le mie spalle contro il muro, pronto a difendermi.

 
Le mani sfilavano, selvagge, contro la sua pelle diafana. I tiepidi raggi del sole si rispecchiavano su di essa, rendendola trasparente, quasi a volergli ricordare quanto fosse delicata. Setosi capelli mori gli solleticavano le spalle a cui lei era aggrappata, dolci sfumature di miele a renderli lucenti. Zayn l’attrasse contro il suo corpo, chiedendo maggior accesso alla sua bocca. Emily piegò leggermente la testa, assecondando la sua necessità. Le mani del ragazzo andarono a tastare ogni centimetro di pelle scoperta, saggiando e marchiando. Lei gemette contro le sue labbra gonfie, percorrendo con altrettanta rudezza  i muscoli delle sue braccia. 
-Sei sicuro che tua sorella non torni a casa, stasera?- Tra un bacio e l’altro, Emily era riuscita a pronunciare parole spezzate. Zayn le intrappolò il viso fra le mani, baciandola con una nuova dolcezza. 
-Sei mia.- 
Zayn volse lo sguardo a terra, fissando i suoi occhi ambrati al pavimento sudicio. Le fredde mura contro la sua schiena lo gelavano, mentre si mordeva il labbro inferiore.
La fece stendere sul letto dal piumone rosso e, dopo averla guardata per una manciata di secondi  Zayn la sovrastò con il suo corpo, puntellandosi con le braccia ai lati del suo viso, attento a non pesarle. Lentamente accarezzò  la gamba della ragazza, ancora intrappolata nei jeans e arrivò all’orlo dei pantaloni, soffermandocisi appositamente. Lei sbuffò, frustrata, alzando appena le spalle per coinvolgerlo in un bacio passionale. Repentinamente infilò le dita bollenti sotto la camicia di Emily, tastandole il petto, arrivando al seno prosperoso ancora costretto nel reggiseno. Cercò i suoi occhi verdi, prati gelati durante un rigido inverno nevoso. Anche lei lo stava guardando, toccando sapientemente la base del suo collo. Quasi aspettandosi che gli desse il permesso, Zayn le sfiorò il seno, godendo nel vederla serrare gli occhi e appesantire il respiro. Fu il movimento istintivo del suo bacino a fargli perdere il controllo e nel giro di pochi respiri affannati, si ritrovò con le mani tremanti a lottare contro le asole dei bottoni della camicetta bianca. Mani gelide accorsero sulle sue, accarezzandole lievemente, invitandole a spostarsi. Ma lui non voleva perdere il contatto con quel corpo e così mentre Emily si affrettava a sbottonarsi, Zayn guidò le proprie mani ancora nervose e calde al di là della stoffa rigida dei pantaloni. Saggiò con un dolore al basso ventre la pelle morbida delle cosce, prima di accorgersi di non poter più aspettare: con un movimento fulmineo fece scivolare via quell’indumento, accompagnato dall’intimo. La sentì trattenere il respiro quando Zayn riportò i suoi occhi, oro fuso a migliaia di gradi, sul suo viso. Aveva terminato di sbottonarsi e il candore lucente di quell’esile petto non fece che allettarlo ancora di più. Il giovane strattonò via la stoffa, sganciando il reggiseno dopo aver infilato una mano sotto la schiena di Emily. Quando finalmente fu nuda, Zayn si rese conto di avere ancora i pantaloni. La ragazza soffiò, contrita, facendolo rabbrividire. Lo spinse appena, facendolo allontanare da sé, raggiungendo con mani imbarazzate la chiusura dei suoi pantaloni. Mentre lei faceva pressione contro le sue gambe muscolose, Zayn la osservò: i capelli scompigliati e sparsi intorno a loro, quasi a proteggerli dai raggi di un mondo che avevano completamente dimenticato; gli occhi offuscati, sfavillanti dal desiderio e accesi dall’imbarazzo; le labbra gonfie e rosse, le guance purpuree. Amava osservarla in quelle condizioni perché ciò significava che presto sarebbe stata sua. Sentì i pantaloni cadere contro il pavimento, percependo l’erezione dolorosa ancora stretta nei boxer. Ricercò il sorriso di Emily, ora sbarazzino mentre si sporgeva appena sfiorando volutamente il suo membro. Lui sussultò, attraversato da una scarica elettrica, volendo di più. Spinse inconsapevolmente il suo bacino contro quello di lei, intrecciando le mani fra i suoi capelli. 
-Non è divertente.- Borbottò, la voce ostacolata dai delicati ma precisi movimenti di quella mano birichina. 
-Oh sì, lo è.- 
Zayn sorrise appena, poggiando il braccio sul ginocchio piegato. Lasciò andare la testa all’indietro, incontrando il solido ferro freddo. Sospirò ancora, un nuovo calore a impadronirlo nell’innescare quella fiumana di ricordi proibiti.
Zayn la osservò attentamente, prima di fiondarsi sui suoi seni. La sentì sospirare vicino al suo viso, inarcandosi involontariamente contro il suo tocco. Con le labbra saggiò un seno morbido, torturando piacevolmente l’altro. Emily gemette ancora, stringendo i capelli corvini tanto da fargli male. Il ragazzo le separò gentilmente le ginocchia, scivolando al centro. Mentre con una mano continuava a sfiorarle il fianco morbido Zayn la penetrò teneramente, gli occhi allacciati a quelli di lei. Quando si sentì completamente attorniato dal suo calore cominciò a muoversi, danzando insieme a lei, intrecciando i loro ansiti e i loro gemiti di piacere. La baciò ancora, passionale, sulle labbra e poi sul collo, mordendo e succhiando. Lei assecondava i suoi movimenti, spargendo il suo tocco contro l’ampia schiena bronzea. Lo graffiava ferocemente, a ritmo con le sue spinte, ansimando rocamente. Zayn poggiò la sua fronte contro quella di Emily, chiudendo gli occhi quando lei incrociò le gambe sulla sua schiena, inglobandolo in quel mondo che sapeva del loro piacere. Dimentico della sua delicatezza il moro aumentò le spinte, godendo ancora di più al sentire la sua voce sussurrare il proprio nome. 
-Ti prego…- Lo supplicò  spingendolo dal fondoschiena, facendolo penetrare ancora di più. Spalancò gli occhi, ritrovando nei suoi seni altra energia. Era quasi al culmine, lo sapeva bene, mentre sentiva il suo viso sfigurarsi per l’amplesso vicino. Con un ultima spinta raggiunsero l’apice, mentre rilasciavano l’uno contro la bocca dell’altro gemiti di puro piacere, l’aria sature dei loro odori. Zayn, i capelli sudati attaccati alla base del collo,  si accasciò contro la pelle fresca di lei  per trovare sollievo in quel fuoco che gli esplodeva dentro. Ancora sepolto in lei, nascose il viso fra i capelli che profumavano di mandorle. 
-Ti amo.- 
-Ti amo.- 
La porta della cella si aprì di scatto e lui alzò lo sguardo. Quando incrociò due occhi più taglienti del vetro, sussultò. Non ebbe il tempo di compiere alcun movimento per difendersi, che quello lo raggiunse con una falcata e lo serrò nella sua morsa mortale. Zayn chiuse gli occhi, sentendo le lacrime premere agli angoli di essi.
-Ciao Malik.- Quella voce era acido puro, capace di corrodere qualsiasi cosa avesse a portata di mano. Zayn cercò di incamerare quanta più aria possibile, mentre il braccio dell’altro si serrava ancora di più contro il suo collo.
-E’ maleducazione stare ad occhi chiusi quando qualcuno ti parla. Non te l’ha insegnato la mammina?- Il ragazzo percepì la stretta allentarsi appena, permettendogli di tossicchiare. Riluttante aprì di nuovo gli occhi offuscati dalla realtà sfuggente. Quello sguardo gelido era scomparso, dietro la mole di muscoli che percepiva pressata contro il suo corpo; eppure lui lo sentiva bruciargli la nuca, quasi a volerlo disintegrare dall’interno, oltre che fuori. Con una strattonata gli piegò la testa, non curandosi del doloroso scricchiolio che provocò nella debole ossatura del moro. I loro occhi si incrociarono, in una guerra che sapeva di male e dolore.
-Così va meglio, sfregiato.- Zayn serrò i denti. Aveva imparato che fare il supereroe, in quelle occasioni, non portava a nulla.
-Cosa vuoi, Grengass?-  Lo sentì ridacchiare al suo orecchio, pericolosamente vicino al suo viso.
-Ricordi il mio nome, Malik?- Zayn cercò di liberarsi, trovandosi di fronte il muro della sua impotenza. Il suo atto non poteva nulla contro quell’immensa forza.
-Come posso dimenticarti? Non sono passate neanche due settimane da quando hai praticamente rischiato di uccidermi.- Grengass strinse il braccio ancora di più e lui percepì di nuovo un velo offuscato calare sulla realtà. Il cuore batteva all’impazzata, inconsapevole della probabile immobilità futura.
-Ucciderti? Ma che cattivo che sono … Spero non ce l’abbia ancora con me anche se devo ammettere che la rabbia ti conferisce qualcosa di tremendamente eccitante.- Zayn si morsicò il labbro, gustando il sapore metallico del sangue.
Morire. Ora. Anche fra le braccia sudice del nemico. Ma, per favore, morire ora. 
-Il Burattinaio mi manda a dire di non fare scherzi: certi incontri non sono graditi, Malik. E stiamo perdendo tutti la pazienza, con te. E non sai quanto questo possa essere pericoloso …- La sua voce, alla fine, era divenuta languida e strascicante. Zayn sapeva cosa stesse per accadere e pregò che lui si girasse, lo riempisse di botte e lo abbandonasse fra il suo stesso sangue sporco.
Morte. 
Lentamente la mano dell’uomo si insinuò fra i suoi capelli, scendendo  sulle spalle esili di Zayn, che trattenne il respiro. Quando quelle mani deturpatrici e distruttrici cominciarono a solcare le ferite che sapevano costellare il suo petto, il viso del giovane assunse un’espressione di disgusto. Il respiro dell’altro era divenuto pesante e lenti rantoli salivano dalla gola di quell’essere disgustoso.
Zayn non volle guardarlo negli occhi, mentre lui lo girava dalla sua parte.
-Potrebbero esserci spiacevoli ripercussioni, caro Zayn.- Grengass non lo chiamava per nome. Se non per spaventarlo, segnarlo.
Emma. Paura. 
Zayn non voleva vedere la verità che l’uomo nascondeva nei suoi occhi azzurri. Non voleva trovarci il disgusto per quella ragazza che aveva capito tutto, il pericolo per quelle labbra così pure e caste, per quegli occhi che bruciavano come bracieri lasciati al vento.
Emma non poteva essere entrata in quel mondo.
-Un altro incontro con Tomlinson e sei finito, mio bel principe di bronzo.- Gli spinse un ginocchio ossuto contro l’inguine, procurandogli un’immediata reazione di disgusto. La mano che non era intenta a tenerlo ben stretto dal collo scese lungo il suo corpo magro, soffermandosi sul fianco sporgente per poi giungere alla parte bassa della schiena. E poi sui suoi glutei. Zayn si irrigidì contro quel tocco rude.
-Stai attento.- Il suo corpo fu libero e finalmente, Zayn tornò a respirare. Barcollò appena, accasciandosi contro il muro freddo. Grengass lo sovrastò, sogghignando e saggiando sapientemente il suo membro. Con un ultimo sorriso, l’uomo gli scagliò un calcio dritto contro lo stomaco.
La sua risata fu l’ultima cosa che Zayn percepì. Poi il buio.
 
 
Niall si poggiò con la schiena contro il mobiletto gelido, sospirando. Jasmine Hole gli passò davanti, sorridendo e accennandogli un caldo saluto.
-Stai bene, Horan?-
-Sì Jas, sto bene.-  
Bugiardo. 
Quella si allontanò, i capelli rossastri a ricordargli altre sfumature rosse, altri fili ramati dalla dolce consistenza setosa. Il biondo deglutì con fatica, passandosi una mano sul viso. Guardò i corridoi quasi del tutto deserti, la seconda campanella che segnava il definitivo inizio delle lezioni. Niall osservò l’entrata, fissando il suo sguardo vigile oltre il vetro, fra i tiepidi raggi di una giornata dal freddo pungente, per cercarla. Emma non era arrivata. Si staccò riluttante dal suo armadietto, il loro punto di ritrovo mattutino. Sfiorò leggermente con il dorso della mano quel metallo gelido, sperando quasi che quello gli desse un qualche indizio su dove trovare la ragazza. Sbuffò spazientito quando accanto a lui si materializzò una ragazza dai lunghi capelli rossi, gli occhi ardenti di cioccolato fuso, le labbra gonfie e la pelle delicatamente candida. Le ciglia folte erano marcate dal mascara scuro e lo sguardo felino era lineato da uno strato di matita. Emma gli sorrise, provocante. E lui scosse la testa, dandosi dello stupido. Si mise le mani nelle tasche, girando le spalle a quell’immagine dettata dalla mancanza, a quell’armadietto chiuso e all’aula dove il terzo banco centrale era deserto.

Niall non aveva mai amato il fumo, il suo odore pungente e tanto meno l’effetto che sapeva fare sulla gente. Creava dipendenza, senza contare la corrosione che provocava in organi vitali come i polmoni. Ma in quel preciso istante il biondo desiderò non essere tanto scrupoloso e provvidente, per la salute e il futuro, ma istintivo e ingenuo come la maggior parte dei suoi coetanei, una sigaretta perennemente accesa fra le labbra secche. Osservò il cielo plumbeo, scompigliandosi la cresta accennata. Lentamente, con dita tremanti, sfiorò le sue labbra rosse.
Dolce gusto di miele, menta, vaniglia. E, se assaporava bene, anche tabacco. Pelle viva e morbida sotto la sua lingua sapiente e curiosa, respiro caldo e affannato che si infrangeva nella sua bocca. 
Fece ricadere le braccia lungo i fianchi, sedendosi sugli scalini dell’entrata principale e cominciando ad osservare il parcheggio innanzi.
Il vento fra i suoi capelli ramati, che profumavano di buono. I boccoli giocosi che gli procuravano solletico contro le scapole spigolose e la sua nuca, dolce sulla sua mano. 
Niall strinse gli occhi, poggiando i gomiti sulle ginocchia magre e affondando la testa bionda sulle mani.
Dolci fianchi dalle morbide rotondità ma allo stesso tempo taglienti come coltelli. Pelle fredda contro fuoco della passione, desiderio, bramosia. Aria fresca in quell’uragano di fuoco. Bacino stretto e vita sottile. Il petto a contatto con il suo. Braccia esili allacciate al suo collo, mani nervose ad accarezzarle le guance infiammate. 
Prima ancora di aprire gli occhi, lui la percepì. Emma era di fronte a lui, bella e statuaria, a tre gradini di distanza. Il suo profumo di mandorle gli giungeva, familiare. Troppo familiare.
Tocco intimo, fra mani che sapevano di amore e odio. 
I suoi occhi erano brace, che si rispecchiavano nel paradiso celeste e acquoso racchiuso in quelli di Niall. Emma sorrise, timida, intrecciando le mani al ventre.
-Ciao Niall.-
-Ciao Ems.- La sua voce era anche più dolce di quanto ricordava. Avrebbe voluto alzarsi, ma qualcosa gli proibiva di muoversi minimamente.
Muscoli di marmo che si scioglievano sotto il diligente tocco di un petalo di rosa.
Lui e lei.
Emma eliminò lentamente la distanza che li separava, fermandosi appena al gradino sotto quello su cui era seduto lui. Lo sovrastava quasi, frenando il viaggio del vento che si scagliava contro la pelle tirata del suo viso. Emma lentamente allungò una mano, accarezzando quel rossore e quel gelo. Lui modellò il viso contro quel gesto.
Tempesta uggiosa e calma che sopraggiunge dopo il naufragio.
Apparente salvezza di quelli che sono i relitti di una vita ricucita alla rinfusa.
-Posso chiederti una favore?- La voce di Niall era un sussurro lasciato in balia del tempo che sembrava essersi interrotto, scandito semplicemente dai loro respiri e dal dolce sfregare di quelle pelli tanto simili quando diverse.
-Dimmi.-
-Non farlo mai più, Emma. Non sparire più in quel modo.- La ragazza sorrise appena, gli occhi lucidi a causa di quei sentimenti che avevano deciso di fuoriuscire sotto forma di liquido salato.
Il sole fece capolino dalla coltre di nubi nello stesso momento in cui il ragazzo si sporgeva verso di lei, affondando il viso contro il suo ventre piatto.
Carezze morbide che facevano concorrenza al solletico della piuma di un pavone regale. 
Niall allacciò le braccia alla vita di Emma, nascondendo il proprio volto. Lei incastrò le dita affusolate fra i capelli biondi e annodati, raggomitolandosi contro di lui.
Un bacio che sigillava parole mai dette. 
 
 
Il cellulare di Louis squillò insistentemente e il ragazzo fu costretto a distogliere lo sguardo dal viso finalmente rilassato di Clare. Si sporse verso il comodino, afferrandolo con maldicenza, e portandoselo all’orecchio.
-Sì?-
-Louis, sono Steve. Ce l’ho fatta. Ho le vere registrazioni della villa Smith.- Louis si alzò di scatto, allontanandosi velocemente verso la finestra dalle tende tirate.
-Sei sicuro, Steve?-
-Più che sicuro. Per ora le ho nascoste. Ma ti sconsiglio di non aspettare oltre … Potrebbero cambiare le sorti di un caso già archiviato.-
-Corro Steve. Sto arrivando.-


 
Allison sospirò, osservando sconsolata l’entrata del commissariato. Lei se lo ricordava bene, quel luogo: le due colonne maestose e bianche che delimitavano il portone dal legno scuro e levigato; i gradoni di marmo bianco e il corrimano di ottone. La ragazza chiuse gli occhi, tornando indietro nel tempo.
La mamma che saliva velocemente quei gradoni, le buste della spesa in mano, i capelli sciolti sul volto arrossato.
Lei e Harry che, piccoli gemelli dispettosi, correvano dentro la struttura sotto il sorriso divertito dei poliziotti che stavano uscendo.
Lei, seduta esattamente lì davanti, raggomitolata contro il corpo magro di Harry, aspettando che il padre finalmente si degnasse di raccontare loro cosa fosse successo alla mamma.
Allison strinse le mani a pugno, mordendosi le labbra. Non avrebbe voluto piangere ma semplicemente entrare lì dentro, tirare fuori dalla borsa i due cornetti alla crema che aveva preso e trascorrere il resto della serata a parlare di loro. Allison e Harry non avevano mai avuto bisogno di espedienti subdoli come le parole. Loro erano stati creati per stare insieme, l’uno dando forza all’altra. Avevano condiviso tutto sin dal principio. Eppure non ce la faceva. Quel luogo odorava di infanzia, risate dimenticate, sorrisi morti sul nascere. Quel luogo aveva segnato la loro fine, la distruzione della loro famiglia.
La giovane si sistemò la sciarpa al collo, mentre il vento notturno cominciava a giocare fra i suoi ricci scurissimi. Strinse fra le mani la tracolla della borsa, abbandonandosi ai ricordi che sembravano affollarle la mente e lo sguardo. Si accasciò contro il muro, tenendosi la testa fra le mani all’udire risate lontane di bambini cresciuti, schiamazzi di giochi dimenticati, pianti e abbracci troppo veri.
Harry che le stringeva la mano, i ricci indomabili a incorniciargli il visetto delicato. 
-Allie?- La ragazza alzò gli occhi verdi, incontrandone gli specchi. Alcune volte, osservando il gemello, si sentiva più parte del suo corpo, piuttosto che del proprio. E quello era uno di quei momenti. Harry indossava dei pantaloni neri che fasciavano perfettamente le sue gambe lunghe. Un giacchetto di jeans era lasciato sbottonato sopra una maglia bordeaux. Ai piedi, semplici scarpe da tennis. I capelli erano tirati all’indietro, lasciando scoperti i due occhi più verdi dei prati a primavera.
Lei si alzò dal gelo del marciapiede e si fiondò fra le sue braccia, affondando il viso al suo collo. Lui la strinse al suo petto, intrecciando le mani fra i suoi lunghi capelli.
-Non saresti dovuta venire, Allie. E’ ancora troppo presto.-
-Harry … -



 Angolo autrice:
Eccomi con un nuovo capitolo! Comincia a capirsi il motivo per cui questa storia è a reading rosso. Devo dire che la prima parte è stata complicata da scrivere, e spero di essere stata sufficientemente esaustiva. Ora, la storia comincia a prendere una piega un pò complicata. Intrighi e segreti, ecco il succo di tutto. Vorrei comunque dirvi che se davvero pensiate di poter avere un quadro generale della situazione, beh dimenticatelo! Ancora tanti pezzi mancano al puzzle, pezzi che neanche lontanamente affianchereste. 
Niall e Emma sono un pò l'esperimento di questa long. Vedremo che fine faranno. Per ora, sono loro che conducono me. 
Louis sembra aver trovato qualcosa e Allison ... Allison credo sia uno dei personaggi più deboli.
Volevo inoltre informarvi che ho pubblicato una os su Harry 'Nessun uomo è un'isola'.
Grazie ancora per il sostegno. Vi adoro tutte. Un grande bacio,
Sonia. 

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Capitolo 21
*** 21. Capitolo 20 ***



 
Cercare di andare avanti non ha senso, ma la parte più difficile del finire
E’ cercare di trovare un modo per dirtelo.

 
A Mar, l’unica nella mia vita.
 
Harry morse lentamente il cornetto ancora caldo, gustando il dolce della crema.  
-Anche se sono passati tanti anni, ricordo perfettamente i tuoi gusti.- Il ragazzo sorrise teneramente, intrecciando lo sguardo a quello della gemella.
Allison era seduta accanto a lui, i lunghi capelli ora legati alla rinfusa in una crocchia disordinata, la gamba fasciata dal jeans scuro accavallata a quella del fratello. Harry si sporse sulla sedia e le carezzò la guancia con i polpastrelli, disegnando sulla sua pelle frammenti di vita.
-Solo perché sono identici ai tuoi.- Lei alzò un sopracciglio, scettica, e lui corse ad accarezzarlo. Il viso di Allison, per lui, era sempre stato un testo conosciuto a memoria, una cantilena indimenticabile: la pelle lattea e liscia, il naso piccolo e dritto, gli occhi identici ai suoi, la fronte alta nascosta dalla frangia dei capelli. Allison era il suo specchio, l’altra metà, tutto ciò che lui non aveva il coraggio di essere.
Allison era dolce, espansiva, alcune volte timida, solare. Harry sapeva essere tagliente, chiuso in sé stesso, calcolatore e anche egoista.
-Solo perché non ho smesso di immaginarti al mio fianco, anche quando mi trovavo in Italia.- Harry sorrise, i muscoli all’improvviso tesi. Allison sospirò e lo guardò intensamente, tanto che lui dovette distogliere il proprio sguardo.
-Harry- Lui guardò fuori dalla finestra del suo ufficio, morsicandosi il labbro inferiore.
Nervosismo. E’ nervoso …
Gli strinse le mani, gelide.
Ha paura … Le mani sono gelide, e lui è spaventato da qualcosa.
-Harry- Ripeté dolcemente, il verde sfavillante dei suoi occhi a investirla in modo supplicante.
-Ti prego Allie … No.-
Poteva sembrare forte, insuperabile, inflessibile, una roccia. In realtà, Harry stava crollando dall’interno. Pezzo dopo pezzo, ricordo dopo ricordo, dolore dopo dolore. Se qualcuno poteva davvero sentirsi al sicuro sotto la sua protezione, lui non riusciva a trovare nessuno che gli facesse provare lo stesso senso di sicurezza.
-Stai male Harry, non puoi nasconderlo proprio a me.-
-Allie, mi vuoi bene?- Lei assottigliò gli occhi, il cornetto alla crema completamente dimenticato.
-Sì.-
-Allora non dire nulla e abbracciami.- Allison si sporse e lo strinse forte al suo petto, per la prima volte le lacrime del fratello a scorrerle lungo il collo, per la prima volta lui a essere consolato.
Per la prima volta, lui a non nascondere la sua debolezza.
La cenere del ricordo è qualcosa che non vola via ma che rimane incastrata fra capelli che inesorabilmente crescono e si allungano, fra ciglia scure e umide per le lacrime versate, fra una vita ricucita alla rinfusa, fra mani bianche e affusolate che picchiano, marchiano, graffiano solo per sostituire il dolore psicologico con quello fisico.
Troppa cenere chiara era rimasta incastrata nella vita di Harry, che non era riuscito a soffiarla via in tempo.
- Come fai, Harry? Come fai a non avere paura per Hollie dopo quello che è successo alla mamma?- Allison non avrebbe parlato, se non avesse percepito la necessità del gemello di esternare quel lato di lui che lo stava disintegrando.
-Sono terrorizzato da ciò che potrebbe succederle. Ma non farò lo stesso errore di nostro padre, io la proteggerò anche a costo della vita.-
-E a te? Chi ti proteggerà?-
Harry la fissò, scuotendo la testa.
-Anche tu sei in pericolo, Allie. Il passato sta tornando, lo sento sempre più vicino.-
-Ma non sono sola.- Harry osservò la notte danzare sui lineamenti della gemella, occultando quei sentimenti che fino a poco prima poteva leggere facilmente.
-No, non lo sei.-
 
 
 
Louis capì che qualcosa non andava quando trovò la porta dell’appartamento di Steve socchiuso. Arricciò il naso e aggrottò le sopracciglia, spostandosi una ciocca ribelle dagli occhi. Si guardò intorno, circospetto, mentre il silenzio del condominio gli faceva fischiare le orecchie. Troppa calma, troppa quiete, troppa immobilità. A contrasto con quell’assenza di rumori il cuore del ragazzo galoppava a briglie sciolte, stordendolo quasi. Fece un respiro profondo e scostò la porta in legno, immergendosi in quell’oscurità artificiale. Infatti sebbene quella mattina a Bradford splendesse il sole, tutte le finestre della casa erano chiuse e sprangate. Louis si richiuse la porta alle spalle, con un brivido lungo la schiena.
-Steve?- Chiamò in un sussurro, che in quella eterea immobilità squillò come un altoparlante. Una volta che i suoi occhi si furono abituati all’oscurità, riuscì a orientarsi meglio. La prima stanza che vide era spaziosa e anch’essa immersa nel buio. Un tavolo spiccava al centro, pieno di carte, e al lato vi era un piatto con residui di cibo e una tazzina vuota. Il frigorifero era socchiuso, disegnando uno spicchio di luce contro la parete di fronte. Louis deglutì a fatica, l’orrore che pian piano si faceva strada nel suo cervello. Superò la cucina di corsa, il respiro sempre più affannato.
-Steve, sono Louis? Dove sei?- Questa volta aveva davvero urlato ma la risposta fu sempre la stessa: silenzio, immobilità, terrore. Si passò una mano fra i capelli, correndo verso il salotto. Il divano era rovesciato e i cocci di un vaso antico sparpagliati sul tappeto. Ne schiacciò diversi, mentre si precipitava oltre. Lo spettacolo che gli si parò davanti gli fece girare la testa: la stanza in cui si trovava era uno studio spazioso, che ospitava una decina di piccoli monitor, tutti accesi su un’inquietante schermata blu. Erano tutti collegati a un computer dallo schermo grande, anch’esso acceso su una schermata vuota. Alla parete opposta vi era collegato un proiettore, dalla lente spaccata in mille pezzi. Al centro della stanza, su una sedia girevole, era accasciato un corpo. Louis, con gli occhi sbarrati, si avvicinò e trattenne un urlo di terrore: quel corpo abbandonato scompostamente, era di Steve. Aveva gli occhi rovesciati e una ciocca bionda che gli ricadeva sul naso tumefatto. Un bozzo violaceo gli copriva la parte destra del viso e, dal dondolio innaturale delle braccia Louis capì che doveva avere almeno un braccio fracassato. La bocca era socchiusa e un rivolo di sangue si andava ad aggiungere alla fiumana vermiglia che scendeva dal collo e che gocciolava a terra, creandone una pozza scura. Louis osservò quello scempio con le lacrime agli occhi, i ricordi di un’amicizia eterna che gli danzavano nelle pupille.
-Steve …- Sussurrò, le labbra tremanti e martoriate dai denti. Si lasciò cadere a terra, in ginocchio, stringendo i pugni contro le ginocchia piegate e il peso della colpa a gravargli sulle spalle muscolose, ma dannatamente deboli.
-Perdonami, Steve, perdonami.- Il ragazzo scivolò al fianco dell’amico, cercando il suo sguardo vuoto e perso per sempre. Si lasciò sfuggire un singhiozzo, poi  un altro e un altro ancora. Toccò con mano tremante il braccio freddo e abbandonato, scultoreo. Serrò gli occhi e si coprì il viso con le mani, piangendo senza controllo. Era stato lui a causare tutto questo, lui e la sua stupida smania di risolvere le questioni. Aveva troncato una vita, una passione, un talento. Uno dei suoi migliori amici. Steve che lo aveva perdonato quando, a quattordici anni, lo aveva perdonato anche se lui gli aveva rubato la ragazza. Steve che a diciotto anni gli aveva organizzato una festa a sorpresa, Steve che a venti anni lo aveva costretto a partire e a girare l’Europa in bicicletta. Steve che lo aveva supportato nel faticoso percorso per diventare un avvocato.
Lui non era un avvocato, lui aveva sempre giocato nell’esserlo. Altri anni gli mancavano per ritenersi tale, eppure ora quel disegno non gli importava più. Voleva solo piangere, proprio come quando era bambino. Piangere e piangere, nessuno a consolarlo con un’ abbraccio.
Lui, Louis Tomlinson, ventiquattro anni, aveva appena ucciso il suo migliore amico.

-Louis io …- Il giovane scosse la testa, le fini labbra strette in una linea rigida. Clare sospirò, accarezzandogli il braccio teso.
-Ti prego Louis … Dì qualcosa.- Ma il ragazzo non diede segno di averla ascoltata, gli occhi blu arrossati e le guance piene di taglietti rossi. Quella mattina aveva cercato di farsi la barba ma la rabbia, il dolore e la delusione avevano reso le sue mani tremanti. Le iridi di Clare vibrarono liquide, ma questa volta Louis non fece niente per arrestare quelle lacrime. La ragazza guardò fuori dal finestrino, mentre lui continuava ad osservarsi dallo specchietto della macchina. Era pallido, forse più del solito. Gli occhi di solito azzurri sembravano aver assunto una sfumatura blu notte e le labbra secche erano martoriate da tagli e morsi.
-Mi dispiace, Lou. Davvero.- Clare si asciugò gli occhi e scese dall’auto, la pioggia scrosciante a renderla invisibile agli occhi del giovane. Anche lui scese dall’auto, sistemandosi il polsino del vestito nero che indossava. Non si curò della pioggia che lo bagnò subito, incamminandosi con passo molleggiante alla piccola folla riunita di fronte a una bara che stava per essere tumulata. Rimase indietro rispetto agli altri, mentre una miriade di ombrelli neri gli nascondeva la vista della bara di Steve. Strinse forte la mano intorno al gambo della rosa che teneva fra le dita, graffiandosi a sangue. Le ultime parole del parroco coperte dalla pioggia scrosciante e le sue lacrime a mischiarsi a quelle gocce gelide.
C’erano tutti … Mark, Lisa, Emily, Lily, James e persino Bob. Vecchi amici, conoscenze, adolescenti cresciuti e formati, ma non dimentichi dei guai che li avevano accumunati. Quando la bara stava per scomparire all’interno della tomba, Louis si fece avanti. Un silenzio innaturale scese nel drappo di persone chiuse in un atroce dolore, aprendogli la strada. Silenziosamente adagiò la rosa sul legno di pregiato ciliegio, piegandosi per baciarlo appena. Si ritirò indietro, incontrando lo sguardo spaesato di molti loro amici. Ma solo uno voleva inchiodare … Lo sguardo addolorato di Clare. La raggiunse e la prese per mano, trascinandola via da quello scenario straziante. Il pianto della mamma di Steve ad accompagnarli sino alla macchina dove Louis crollò. Si lasciò andare sull’asfalto sudicio, fregandosene dello schiocco delle ginocchia contro la strada. Si portò le mani sul viso, mentre le spalle tremavano per i singhiozzi repressi. Anche Clare piangeva e velocemente, si chinò contro di lui, abbracciandolo forte.
-L’ho ucciso io, Clare. Sono stato io …- La ragazza lo zittì con un’occhiata e una carezza, lasciando che lui sprofondasse il viso straziato contro la sua spalla. L’odore di pioggia non riusciva ad occultare quello dolce di lei, che riuscì a calmare i suoi singhiozzi, ma non le sue lacrime. Louis pianse contro il corpo di Clare forse per ore intere, finché lei non gli scostò il viso e premette le labbra bagnate su quelle martoriate di Louis.

 
Zayn si lasciò trasportare, impotente, dal poliziotto che lo aveva costretto ad abbandonare il letto della sua cella. Gli rimaneva difficile camminare velocemente, soprattutto dopo l’ultima visita di Grengass. Il moro scosse il capo, cercando di allontanare quei ricordi disgustosi. Solo quando sentì una porta sbattuta forte, si rese conto di essere rimasto solo all’interno di un’angusta stanza. L’odore spiacevole e il bianco ospedaliero delle mura gli fece comprendere di trovarsi in infermeria. Un’infermeria diversa da quella dove era stato l’ultima volta. Ma non fece in tempo a formulare altri pensieri che la porta dietro di lui si spalancò, mostrando la figura possente dell’agente Styles. Ma il suo sguardo fu catturato da un’altra figura, più piccola e protetta dalla mole dell’altro. Sbarrò gli occhi quando dietro la muscolosa schiena di Harry, Zayn notò il corpicino di Emma. Lui scosse il capo, zoppicando all’indietro, incontrando lo sguardo acceso di Harry. Quello asserì con la testa, lasciando entrare Emma e chiudendosi la porta alle spalle. Il silenzio uccise ogni respiro del moro e ogni lacrima di Emma che corse contro di lui, stringendolo forte.
E forse dopo due settimane di totale inflessione, Zayn si rese conto che per lei avrebbe potuto lottare.
 
Emily dormiva ed era bellissima. Gli accarezzava la guancia fresca e ancora arrossata deliziosamente, le ciglia a sfiorare gli zigomi.
-Se tu non fossi arrivata nella mia vita, io sarei morto.- La sua voce era un sussurro nella notte appena iniziata.
-Se tu non ci fossi, io non esisterei.- Dormiva e quelle parole lei non poteva sentirle.
-Non abbandonarmi, Emily. O non so se riuscirei a lottare ancora.- Lui chiuse gli occhi, poggiando la fronte contro la spalla nuda. Emily, nella notte, sorrise.
 
 
 
 
 Angolo autrice:
Scusate per il tremendo ritardo ... Ma la maturità mi sta succhiando via ogni tipo di energie e mi rimane quasi impossibile rilassarmi, scrivendo. Questo capitolo, in verità, l' ho scritto sabato notte dopo una serata di alti e bassi che mi ha permesso di lasciarmi andare completamente ai sentimenti. 
Harry e Allison cominciano a parlare di cose proibite per quanto dolorose. 
Louis, che è il protagonista principale di questo capitolo di passaggio, si trova di fronte a un binario: la giustizia o i sentimenti. Steve è una vittima del Sistema, e la sua morte verrà chiarita nei capitoli successivi. E poi ... C'è il primo bacio fra Louis e Clare. 
E, infine, c'è il tanto agognato incontro fra Emma e Zayn. Inutile dire che un pezzo di narrazione è stato, volutamente, saltato. Se ricordate bene, Emma l'avevamo lasciata con il nostro bel biondino ... Cosa sarà accaduto? Si scoprirà più avanti. E vediamo che proprio quando Emma sembra aver conquistato il nostro Niall, Zayn device che forse per lei potrebbe combattere. 
Nel corso della storia, da questo momento, ci saranno molti ricordi di Zayn che riguardano Emily che, sinceramente, sento presente più che mai anche se non è un reale personaggio. 
Detto ciò, vorrei ringraziarvi per il sostegno che mi date sempre. E vorrei anche dirvi che sto preparando un Missing Moment di Liam che si intitolerà 'Quando il sole tramonta per sempre.' e la pubblicazione avverrà in concomitanza con uno dei prossimi capitoli.
Ora vi lascio davvero. Grazie ancora per le tante recensioni che hanno fatto crescere questa storia.
Un bacio a tutte e a presto,
Sonia. 

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Capitolo 22
*** 22. Capitolo 21 ***



 
Noi due che dell’errore abbiamo fatto amore.
Noi due, due arterie diverse dello stesso cuore.

 
A Flavio, di nuovo.
Perché mi ha spezzata, di nuovo.
Perché lo amo.
Ma gli ho detto addio.

 
Emma si era dimenticata il profumo dolciastro della pelle di Zayn, come anche la morbidezza dei suoi capelli corvini. Ma più di tutto si era dimenticata la bellezza dei suoi occhi scuri ma screziati d’oro e in quel momento, abbracciata a lui, pensò quanto i sogni non gli avessero reso affatto giustizia. Persa fra i suoi pensieri, non si accorse che Zayn si stava allontanando dal suo corpo finché non sentì il gelo giungere come risposta alla mancanza di lui. Alzò gli occhi lucidi alla ricerca del suo viso ma questo gli diede le spalle e Emma non poté che sospirare al notare quanto il moro fosse magro.
-Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro.- La frase era cruda e fredda. Ma non il suo timbro di voce scaldato, anche se involontariamente, dalla presenza della ragazza. Il sole sembrava essere tornato a splendere nelle sue cupe giornate e Zayn si sentiva soffocare da tutto quel caldo.
Emma fece un passo in avanti e tese il braccio, quasi a volerlo toccare. Ma non lo fece perché quello era il loro destino: rincorrersi all’infinito per poi essere a un passo dall’afferrarsi, senza poterlo mai fare. Lei si sarebbe corrotta, lui spezzato completamente. Al che Emma sarebbe impazzita dentro e non avrebbe avuto la lucidità di sospirare, rimboccarsi le maniche e raccogliere pezzo dopo pezzo del suo Zayn.
-Perché scappi?-
-Io non scappo.-
-Allora dimmi come stai …-
-Ancora in piedi.-
Emma sospirò e lasciò cadere il suo braccio, mentre una ciocca rossa le calava sul viso. Si morse le labbra, lasciò scappare una lacrima e scappò lei. Per poi arrivare alla porta di ferro, girarsi di nuovo e scontrarsi con il corpo di lui. Zayn imprecò coloritamente ma oramai le parolacce non avevano alcun peso perché le sue labbra trovarono le proprie compagne e le salutarono, come due amici che si incontrano dopo tanto tempo. Emma lo inglobò nella sua luce attorcigliando le braccia nude al collo di lui, dalla pelle bollente. Zayn aveva dimenticato di respirare, forse, perché sentiva un tremendo dolore allo sterno. Eppure non se ne curò accarezzando voracemente ogni millimetro del corpo di Emma, nuovo ma conosciuto, caldo ma fresco come l’aria. Le loro lingue si unirono in una danza sconosciuta, densa della passione di un passo tribale ma anche della tenerezza di un valzer viennese. Zayn le morse leggermente il labbro, inclinandole la testa per avere un maggiore accesso al suo sapore. E sapeva di buono, come il miele. Lasciò scivolare le mani lungo la spina dorsale, sollevandole appena la maglietta per giungere a una parte nascosta di quella pelle lattea. Era fresca al tatto, eterea come seta, sfuggente come l’acqua. La sua epidermide correva, veloce, lungo le sue mani e lui la rincorreva, trattenendosi dal possederla e farla sua. Marchiarla. Lei avrebbe voluto?
Emma gli accarezzò dolcemente la nuca e Zayn ricordò. Ricordò che lei era Emma, Emma Harrison, o la sua salvezza forse? Si staccò dalle sue labbra ma non l’allontanò di nuovo. Era in trappola, ma non stupido. Appoggiò la fronte contro quella di lei che, ansimando leggermente, gli stava accarezzando le braccia scoperte. Senza rendersene conto, sorrise. Sentì distintamente le labbra screpolate ma ancora umide incurvarsi spontaneamente, procurando una stilettata allo zigomo troppo immobile durante quelle settimane. Senza lei. Le palpebre si strinsero appena perché stava sorridendo anche con gli occhi. Indeciso, alzò una mano e con i polpastrelli delle dita sfiorò la guancia di lei. Emma lo guardava ma non sorrideva. Aveva paura che se l’avesse fatto, lui sarebbe fuggito.
-Fallo.- Sussurrò solo e Zayn la toccò. Per la prima volta, fra loro, ci fu qualcosa di più che un bacio vorace, indistinto desiderio e acuta disperazione. Condivisero una carezza, quella che lui le stava inferendo con la stessa attenzione che un pittore adopera per il suo dipinto.
-Non sono il principe azzurro, Emma.-
-Non ne ho bisogno.-
-Hai qualcuno da cui devi tornare?- Emma allora sorrise e Niall scese un po’ più giù nella cicatrice del suo cuore.
-No.-
 
 
Charlotte si sciacquò il viso, eliminando quelle sciocche lacrime senza senso. Si guardò nel piccolo specchio tirato a lucido e lo sconforto le fece di nuovo venir voglia di piangere.
-Charlotte? Tutto bene?- La voce di Harry giunse attutita a causa della porta spessa che li separava ma la ragazza di spaventò ugualmente, passandosi una mano fra i capelli. Si guardò di nuovo e storse la bocca nel vedere i suoi occhi rossi e le ciglia umide. Sospirò e appoggiò le spalle al legno, scivolando lentamente a terra.
-Sì Styles, sto bene. Ora sparisci.- Un'altra stilettata, un'altra fitta, altra voglia di piangere.
No Harry, resta.
-Apri questa porta, ora.- Charlotte sbuffò spazientita e aprì di scatto la porta. Si maledisse mentalmente perché sebbene fossero i primi di Maggio, rabbrividì sotto quello sguardo smeraldino. Harry apparve in tutto il suo splendore, una camicia a quadri lasciata aperta su una maglietta nera e i jeans chiari che gli lasciavano le caviglie scoperte. Aveva poggiato un braccio sullo stipite della porta e la osservava, serio.
-Sono giorni che mi eviti. Mi dici cosa diavolo ti prende?- Lei arricciò il naso e lo scansò malamente, l’altezza di lui a gravarle sopra per la prima volta da quando lavoravano insieme.
Sentì i suoi passi seguirla e, nel suo intimo, gioì.
Non mi abbandonare.
Avrebbe voluto girarsi, abbracciarlo e dirgli che un po’ gli voleva bene. Avrebbe voluto fare, fare e fare ancora … Provargli questo, mostrargli quest’altro ancora. Ma semplicemente continuò a camminare lungo il corridoio e se fosse stata più attenta, si sarebbe accorta del profumo intenso di lui farsi più vicino. Con una stretta sicura ma non dolorosa, Harry l’afferrò per il polso e la costrinse contro la parete. Si avvicinò a lei velocemente, ma non abbastanza da sfiorarsi. Charlotte chiuse gli occhi perché, diavolo … Quanto desiderava averlo più vicino.
-Ora mi dici cosa cazzo ti prende, Charlotte.- Il suo tono era duro, come le parole che ferirono il debole cuore della giovane. D’un tratto tutto di lui divenne spigoloso e il dolore giunse.
-Mi fai male Harry.- Il nome le sfuggì dalle labbra peccaminose che sapevano di innumerevoli menzioni nascoste di quello stesso nome. Esso sembrò galleggiare fra loro, immortalandoli in quell’intreccio di sguardi. Lui sembrò calmarsi, lei sciogliersi. E forse avrebbe anche potuto dirgli la verità, imprigionata da quegli occhi smeraldo, limpidi e sinceri, dimenticandosi che lui l’avrebbe disprezzata, gettata via, umiliata e forse odiata.
Anche lei si odiava, in fondo.
-Charlotte?-
-Harry.-
 
Charlotte correva per il prato e rideva, rideva forte e la sua risata si spargeva tutto intorno. Lei era felice e si girò, stringendo forte la mano del fratello. Lui, d’altro canto, le sorrise e le fece l’occhiolino. I loro occhi azzurri ricordavano la limpidezza del cielo d’estate.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Angolo autrice:
Non ci posso credere, sono davvero di nuovo qui. Dopo quanto? .. Non  voglio neanche saperlo! 
Mi devo scusare moltissimo con tutte voi, purtroppo ho avuto un periodo tremendo fra la maturità classica e un testa di cavolo come ragazzo che amo... Sono a pezzi, in tutti i sensi, ma eccomi qui ricucita alla rinfusa e vi dono questo ... "capitolo" corto ma intenso. 
Credo che sia passato talmente tanto di quel tempo che dovrei riassumervi i punti fondamentali. Se ben ricordate, Emma e Zayn nel capitolo precedente si sono incontrati di nuovo e, di nuovo volutamente, ho voluto saltare ciò che è successo fra lei e Niall. Harry aveva parlato con Allison e aveva ostentato la paura per Hollie, dal momento che il padre aveva perso la moglie proprio a causa del suo mestiere di poliziotto. E Louis sembrava aver trovato una prova che potesse aiutare Zayn ma ... Il suo migliore amico è stato ucciso. E c'è stato anche il bacio con Clare! 
Bene, questo è il punto della situazione. 
Cosa sarà accaduto a Charlotte? Lo scoprirete solo leggendo. Purtroppo, manca veramente poco al mio esame. Sto tremando come una foglia, ho appena scoperto di avere una commissione esterna di m**** e siamo tutti isterici. Spero vivamente di poter scrivere presto. Se così non fosse auguro a tutti coloro che come me hanno la maturità un in bocca al lupissimo. Lo stesso vale per coloro che hanno l'esame di terza media o anche semplicemente una dura fine scolastica. Un bacio a tutte, 
Sonia.


 

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Capitolo 23
*** 23.Capitolo 22 ***



Meglio delle parole,
Più di un sentimento.

A te, così bella e speciale.
A te Chiara,
Che la distanza prima o poi si fotta.

 
 
Niall sospirò, passandosi una mano fra i capelli. Lasciò penzolare la testa nel vuoto, mentre i tiepidi raggi del sole pizzicavano la sua pelle pallida. Chiuse gli occhi e stese le lunghe gambe sul terriccio ancora umido.
-Ti ho amato per sei anni, Niall …-
-E non mi ami più ora?-
-Non pensi che sia stato abbastanza?-
Gli occhi del giovane si spalancarono e nella loro visuale subentrò una cascata di capelli riccissimi.
-Ehi Niall!- Il sorriso di Allison lo illuminò e per qualche istante il biondo pensò che la ragazza fosse solo frutto della sua immaginazione e che, in realtà, fossero i raggi del sole a folgoralo.
-Allison!- La sua voce risultò strana alle sue stesse orecchie e infatti la fronte di Allison si aggrottò.
-Tutto bene?- Sedendoglisi accanto, sfiorò involontariamente la mano di Niall, abbandonata sulla panchina ed entrambi percepirono una forte scossa.
-Scusa …- Soffiò lui, allacciando il suo sguardo a quello di Allison. Abbozzò un sorriso e scosse la testa, accomodandosi.
Il silenzio calò su di loro, mentre osservavano i bambini giocare a calcio. Uno di questi cadde a terra e incominciò a piangere. Allison si alzò velocemente ma Niall scattò per primo, giungendo accanto a lui. Si inginocchiò e gli scostò i capelli sudaticci dalla fronte.
-Mi fa male! Mi fa male! Non sento più il piede!- Le lacrime inondavano il suo viso e Niall, attentamente, gli scostò il calzino. Massaggiò leggermente la caviglia, mentre il bambino piangeva disperato.
-Ehi, non fare così. Come ti chiami?- Il bimbo tirò su con il naso e arricciò le labbra.
-Josh- Niall si aprì in un sorriso limpido, tanto che Allison sentì il cuore mancare un battito.
-Bene Josh ora ti massaggio finché non ti passa il dolore, va bene? Ma devi promettermi che non piangerai. Sei un ometto e poi credo che lì ci sia una persona che non vuole assolutamente vederti in questo stato.- Sia Allison che Josh guardarono il punto indicato da Niall e trovarono una bambina dai codini biondi che stringeva a sé il pallone con cui si era fatto male Josh e lo guardava, mordendosi il labbro.
-Elena …- Niall ricominciò a massaggiare e Allison si perse ad osservare i suoi decisi ma, allo stesso tempo, dolci movimenti. La luce del sole investiva la sua pelle diafana mentre i capelli, mossi dal vento, mostravano sfumature caramellate e mogano. Alzò leggermente lo sguardo e venne investita dall’azzurro lucente di quegli occhi. Di risposta, lei osservò Josh che oramai non piangeva più e guardava timido verso Elena.
-Non mi fa più male …- Niall sorrise e aiutò il piccolo ad alzarsi. Gli pulì il viso e i pantaloni, gli scompigliò i capelli e lo osservò mentre correva verso la sua amica. La prese per mano, fece un cenno di saluto al ragazzo e cominciarono a camminare insieme. Allison raggiunse Niall e lui se ne accorse dal profumo che i suoi capelli emanavano.
Si guardarono negli occhi per alcuni secondi, poi Niall sorrise.
-Odio vedere i bambini tristi.-
E io odio vedere te, triste … Ripensò agli occhi spenti di lui, qualche secondo prima. Scosse la testa e gli sorrise, la mano che sfiorava ancora quella di Niall.
 
 
Cara Emma,
sei tornata e io ancora non ci credo. In queste settimane ho davvero creduto che fossi stata frutto della mia immaginazione, un frutto troppo bello per la mia mente malata. Eppure mentre scrivo questa lettera sento ancora il tuo profumo, la tua pelle liscia contro le mie dita violente, i tuoi capelli soffici sulla mia guancia e sì, sei reale. Bella e reale. Ora lo so. Ti ho lasciato andare con la promessa di esserci domani e sempre, ma prima di stringerti ancora c’è qualcosa che devo donarti affinché la mia promessa non sia vana: la verità. E’ sepolta così in profondità nel mio animo che io stesso fatico a riesumarla e più chiamo immagini di quella sera nella mia mente, più sento di impazzire e vorrei che tu fossi qui. Amavo Emily come la cosa più preziosa che possedessi perché effettivamente lo era nel panorama della mia schifosissima vita. Io e Clare non abbiamo una famiglia, siamo sempre stati noi due … Noi tre, dopo che un maledetto bastardo l’ha presa davanti ai miei occhi, l’ha sedotta e poi abbandonata. Amo quel bambino come se fosse mio figlio e non posso immaginare Clare lontana da me. E’ l’unica famiglia che ho … Emily era tutt’altro. Era la soluzione alla malattia del mio animo, alla delusione nei confronti del mondo, all’odio che nutrivo verso i miei genitori che ci avevano generato e poi abbandonato. Era la salvezza per un me stesso che non mollava solo perché teneva troppo alla propria sorella e al proprio nipote, altrimenti non avrebbe esitato a eliminarsi. Subentrò che ero un tossico e ladro, proteggevo quel che avevo con la forza e la rabbia, stringevo invece di accarezzare. Il suo sorriso fu la droga più prelibata mai assaggiata dalle mie labbra, come anche le sue guance e i suoi occhi. Emily mi baciò che ancora ero un malfattore e mi amò ancor prima di riprendere gli studi, dimenticare le cicatrici procurate dalle risse, prendere Clare e trasferirmi in una casa non migliore della precedente ma lontana da quel passato. La mia vita era perfetta qui a Bradford, fra cittadini che non mi guardavano con disprezzo ma curiosità, fra sorrisi timidi e amichevoli finché non ho incontrato lui. Emily apparteneva a una famiglia importante, una delle più ricche della città. Charlie Smith, suo padre, era l’uomo più spocchioso e viscido che avessi mai conosciuto. Emily lo temeva … Temeva lui, ma soprattutto temeva il suo lavoro. Ufficialmente era un architetto, ma in pratica il suo lavoro era molto più oscuro. Emma … Il padre di Emily è uno dei più grandi spacciatori a Bradford. La sua fama è a livello nazionale ma accrebbe solo quando si mise in affari con James Evans. Te lo ricordi? Io non ero a Bradford quando egli era ancora in libertà, ma so come questa città fu letteralmente piegata dalla volontà di quell’uomo. Emily era l’unica figlia di Charlie e quando mi conobbe, mi odiò profondamente. Emily era diversa da lui e non voleva condividere quella vita. Eppure il suo destino era già stato scritto e io ero un piccolo scoglio debole che doveva essere frantumato affinché l’onda violenta del padre la travolgesse nella sua corrente. Un giorno Charlie mi diede appuntamento nel parco di casa loro, quando Emily era all’Università. Mi trattò come un suo pari, cosa che nel corso dei mesi precedenti non aveva mai fatto. Mi offrì una sigaretta e ricordo che mi fece accomodare e portare una limonata ghiacciata. Rimanemmo in silenzio per istanti interminabili finché semplicemente non allungò una foto. Ritraeva Emily, la mia Emily fra le braccia di un ragazzo sorridente e che la guardava come se fosse tutto il suo mondo.
-Tu non sei abbastanza per lei. Che futuro puoi dare a mia figlia? Anche Emily se ne è accorta, ma proprio non sa come dirtelo.- Ignaro della cattiveria e del reale scopo di quell’uomo mi allontanai dalla villa con la promessa di uscire dalla vita di Emily. Charlie aveva ragione: non potevo darle nemmeno la metà delle cose che meritava. Tornai a casa e piansi. Piansi osservando il telefono squillare con il suo nome sopra senza che potessi risponderle. Perché io non ero abbastanza … Dopo due settimane Emily mi mandò una lettera, come sto facendo io ora. Mi scrisse una via in periferia e mio malgrado, andai. E lessi nei suoi occhi cupi e spenti tutta la verità. Lei mi amava, lei non voleva la lussuria ma la felicità, per lei ero abbastanza. Quella notte, però, conobbi un’altra verità: Charlie Smith spacciatore di droga, armi, farmaci e non so cos’altro. Assassino della moglie, vanitoso amante della ricchezza. E lei … Lei era designata come sua erede. Il giorno stesso le aveva narrato la vera storia della famiglia Smith, così legata agli Evans. Le illustrò le più grandi imprese condotte dai loro antenati e nei suoi occhi mi narrò come bruciasse la luce della pazzia. Charlie era un pazzo e io non sono stato in grado di difendere Emily. A breve Charlie scoprì che la figlia non aveva intenzione di seguire le sue orme ma piuttosto, insieme a me, voleva smascherare il pericoloso giro che stava infettando la nostra città. Avevamo fatto una promessa: dopo che finalmente si fosse liberata dalla stretta maligna del padre, Emily sarebbe fuggita con me e Clare lontano dall’Inghilterra. Avremmo viaggiato fino al momento in cui non avremmo trovato il luogo ideale per noi;  magari la Francia, la Spagna o l’Italia … La nostra non sarebbe stata una lotta semplice ma insieme, io e lei, avremmo distrutto quella storia che non era sua. Ci muovemmo nell’ombra di quel vialetto troppo stretto, seguendo Charlie nelle sue riunioni settimanali; durante una di queste, fu commissionato l’uccisione del sindaco per facilitare l’entrata della droga a Bradford. Miracolosamente riuscimmo a registrate quella conversazione che avrebbe incolpato non solo Charlie ma anche le personalità più importanti della città … Ma come potevamo sapere che Charlie ci aveva scoperto? Emily si mosse dopo mezz’ora di totale immobilità e ricordo come fosse ieri il fruscio del suo maglioncino contro il ferro dietro cui eravamo nascosti. Il suo sguardo su di noi … Ma nient’altro che un’alzata di spalle per farci sospirare di sollievo e uscire, entusiasti per la prova ottenuta. Quella notte ci lasciammo con la promessa che nel giro di pochi giorni avremmo potuto vivere la vita che meritavamo, lontani da tutto quel male.
-Sono disposta a creare il mio bene solo se tu sei con me.-
Potevamo sapere che io stesso ero il suo male? Il giorno dopo il padre finse di partire e Emily colse l’occasione per chiamarmi a casa sua e preparare l’accusa. Quel giorno citofonai e mi aprì la cameriera. Raggiunsi Emily in salotto e dopo un lungo bacio ci stringemmo forte.
-Amore mio, siamo quasi liberi.- Quelle furono le ultime parole che mi concesse. Cadde fra le mie braccia con gli occhi spalancati e una macchia di sangue che si allargava sul suo petto e gocciolava sulle mie mani tremanti, mentre osservavo la sua vita terminare senza che io potessi fermarla in alcun modo. Crollai insieme a lei, con lei e per lei, stringendola a me come se questo potesse farle tornare l’anima e farle riaprire gli occhi. Nulla di questo accadde e il solo suono che ricordo è quello delle mie urla e della sua voce.
-Sei un assassino. Se non vuoi che uccida tua sorella, fingi di essere stato tu ad ammazzare mia figlia. In fondo, non è così Zayn Malik? Se l’avessi amata davvero, l’avresti portata via da me.- E aveva ragione … Charlie Smith aveva ragione, Emma ed è per questo che ho accettato senza minimante pensarci. Senza pensare che forse avrei dovuto dire no e dare giustizia alla mia Emily. In quel momento, con il suo corpo fra le braccia e la consapevolezza di averla perduta per sempre, ho semplicemente visto nero e ho stretto fra le mani il pugnale che me l’aveva strappata via. Se non avessi potuto vivere con lei, tanto valeva terminare la mia vita in un carcere poiché il mondo non aveva più senso per me. Nemmeno il pensiero di Clare abbandonata a sé stessa mi smosse l’animo. Quel farabutto mi teneva fra le sue grinfie e nel giro di due ore mi ritrovai dentro la cella in cui vivo oramai da diversi mesi. Mi ricattò facendomi capire in tutti i modi possibili che se avessi fatto un passo falso, avrebbe preso mia sorella. Ho perso me stesso in questo carcere e mi sono visto sommergere dal passato, come se magicamente fossi tornato a essere il delinquente di qualche anno prima. Come se Emily non fosse mai esistita. Ma poi sei arrivata tu, Emma e ora sento la voglia di vivere che fluisce in me. Il sangue contaminato dall’odio ha sempre accecato la mia mente, finché non sei giunta per farmi capire quanto tutto ciò fosse ingiusto. Per me ma soprattutto per Emily. Le avevo promesso che saremmo stati liberi e dopo la sua morte non ho fatto altro che rilegarla anche da morta. Non mi perdonerò mai per ciò che le ho fatto e stringerti fra le braccia è un po’ come tornare a stringere lei. Ma tu … Tu sei un’altra cosa ancora rispetto a Emily. Nei tuoi occhi leggo la voglia di bere un succo d’ananas al bar sotto casa, correre dietro l’autobus, laurearmi e mettere su famiglia. Fino a questo momento, io non avevo una famiglia. Ma poi mi hai baciato e ho capito che se non potevo averla, almeno potevo costruirla. Non so se riuscirò mai ad affrontare la verità, perché in fondo l’unico colpevole della morte di Emily sono io ed è giusto che paghi. Ma ora ho un’altra certezza: la voglia di combattere e di averti al mio fianco.
Zayn
 
Emma non piangeva ma strinse al petto quelle pagine oramai consumate. Harry la guardava da dietro la sua tazza di caffè fumante, mentre lentamente il mondo cominciava ad apparire di nuovo agli occhi della ragazza. I suoni quotidiani di Bradford raggiunsero le sue orecchie, sorde a quel baccano perché perse ad immaginarsi la sua voce a dirle tutte quelle cose. Deglutì a fatica, mordendosi il labbro inferiore e spostando lo sguardo su quello limpido del poliziotto. Harry sospirò e la guardò, passandosi una mano fra la capigliatura riccia.
-L’hai letta?- Chiese Emma con voce atona, meravigliandosi lei stessa della freddezza con cui riusciva a gestire la situazione. Harry si concesse qualche secondo per osservarla: il viso era pallido e stanco, i capelli rossi raccolti in una coda disordinata e le labbra erano secce e graffiate. Gli occhi, però, rilucevano di un folgore quasi ipnotico.
-No.- Lei gli sorrise, tornando ad essere la ragazza solare di cui gli aveva parlato Charlotte e che nelle ultime settimane stentava a ritrovare.
-Perché lo fai?- La domanda di Emma lo colse alla sprovvista, come la prima volta che gliel’aveva rivolta. Harry prese un altro sorso di caffè caldo e poggiò il viso contro la mano destra, fissandola.
-Zayn è innocente- disse solo, osservando la fronte di Emma corrugarsi e le sue pupille castane vibrare – e questo lo sai meglio di me. –
-Come fai a esserne certo?-
-Come hai fatto anche tu. L’ho guardato negli occhi-
-E non hai mai pensato che forse hai sempre sbagliato tutto? Che Zayn fosse effettivamente l’assassino?-
- No, mai.- Emma allungò, timida, una mano e andò a stringere quella di Harry. Lui sorrise, contraccambiando la stretta e capendo nello sguardo della ragazza tutte le parole che lei voleva dirgli.
Grazie, sei un amico, forse ti voglio bene.
Dopo un’ultima occhiata a quello che oramai considerava un suo amico, Emma si sporse e dalla borsa di scuola recuperò un foglio e una penna. Guardò un secondo attraverso la vetrata del bar, concentrandosi sul cielo azzurro e limpido che lasciava sperare all’arrivo della bella stagione. Ma distolse subito lo sguardo e incominciò a scrivere quando il suo cuore sussultò al ricordo di un cielo troppo plumbeo, sconfinato e immenso, racchiuso negli occhi di un ragazzo dallo sguardo ipnotico.
 
Voglio solo te. Tutti i tuoi difetti, gli sbagli, i sorrisi, le ferite, le lacrime, gli scherzi, la cattiveria, la paura, le abitudini. Tutto. Io voglio solo te.
 
Liam osservava i capelli color cioccolato della figlia e sospirava, mentre la sua risata limpida e ingenua si spandeva per il giardino dietro la casa. Stava rincorrendo una farfalla e il vestitino lilla le svolazzava intorno. Liam la amava moltissimo sebbene nell’osservarla, alcune volte, provasse una grande tristezza.
-Papà, aiutami a prendere la farfalla!- Lui sorrise e scosse la testa, sedendosi sui gradoni e poggiando la schiena al muro.
-Non potevi tenerla lontana da questo posto. E’ parte di lei, in fondo.- Liam alzò lo sguardo, incrociando gli occhi vispi di Rose. La prese per mano e la fece sedere davanti a lui, per poi racchiuderla fra le sue braccia. Rosalie sospirò e gli accarezzò le braccia, sporgendosi per baciarlo continuamente sulla guancia.
-Questo posto è ancora doloroso per me, Rose.-
-Lo so-
-Non avrei mai voluto che mi vedessi in questo stato …- Rosalie si morse il labbro inferiore, chiudendo gli occhi per non permettere alle lacrime di fuoriuscire. Neanche lei avrebbe mai voluto fare i conti con quella parte della storia del compagno; piuttosto avrebbe preferito vivere nell’oscurità che lui portava dentro, illuminandola con i suoi sorrisi, il suo amore, con la loro bambina.
-La ami ancora?- Liam tremò, stringendola di più al suo petto e Rosalie si perse in quel contatto.
-Mamma, papà venite ad aiutarmi o no?- Entrambi i giovani sorrisero e si alzarono. Liam prese per mano Rosalie, senza però contraccambiare lo sguardo che lei gli lanciò. Si incamminarono verso Helen che saltellava fra i cespugli per cercare la sua amica farfalla.
-Non la trovo più! Laila, dove sei finita?- La bambina aveva gli occhi lucidi mentre Rose le si inginocchiò di fronte, permettendole di strofinare il visino triste contro la sua spalla.
-Amore della mamma, sai perché le farfalle hanno le ali?- La piccola scosse la testa, osservando il papà da dietro i capelli della madre.
-Perché devono volare via, libere. Loro non sono fatte per questo mondo, sono troppo delicate. Si farebbero del male.- Helen strinse fra le mani la maglietta di Liam costringendolo a piegarsi alla loro altezza. Sorrise e le baciò la fronte.
-Tu sei la farfalla più bella che abbia mai visto, amore.- Helen lasciò la mamma e si fiondò fra le sue braccia, oramai dimentica della farfalla Laila. Solo con la bambina fra le braccia, Liam trovò la risposta alla domanda di Rose.
-No, io amo voi.-
Laila, intanto, volava via verso il cielo assolato.
 
Le labbra di Niall si muovevano dolci contro quelle di Emma e lei, istintivamente, strinse le braccia intorno al suo collo. Lui l’avvicinò di più a sé, premendosela contro come se temesse la sua fuga. Ma Emma non fuggiva  piuttosto lo accarezzava, graffiando la sua pelle, arpionando le sue spalle per sentire che era lì e suo. L’aria non era più necessaria e nessuno dei due, intenti a cibarsi dei reciproci respiri. I boccoli di Emma solleticavano il viso di Niall, affondato completamente sul suo collo. La ragazza, d’altro canto, preferiva assaporarlo e accarezzarlo per perdersi fra il suo profumo. Ma nella sue mente apparve uno sguardo e all’improvviso il respiro e il profumo di Niall non erano sufficienti per farla respirare. Con tutte le forze in corpo lo spinse via ma Niall non la lasciò e fu costretta a cercare il suo sguardo tenendosi lontana da lui con le mani premute sul suo petto.
-Lasciami Niall, stiamo sbagliando tutto- gli occhi dell’amico vibrarono leggermente e le sembrò quasi che l’azzurro delle sue iridi si sciogliesse.
-Perché dici questo?-
-Perché tu non mi vuoi- Lui la lasciò andare ma questa volta fu Emma a non volersi allontanare. Gli rimase vicino, conscia che la separazione sarebbe stata meno complicata senza quella perfezione a un nulla di distanza. Ma voleva sentire ancora per un po’ il suo calore. Ne aveva bisogno.
-E tu? Mi vuoi?- Emma lo guardò dritto negli occhi e si spezzò. Sì, certo che lo voleva. Ma voleva anche qualcun altro. E lo voleva più di Niall.
-No- Fu Niall ad allontanarsi, con le mani in tasca e un sorriso triste.
-Ti ho amato per sei anni, Niall …- La sue voce era flebile e quelle parole sapevano di giustificazione non richiesta.
-E non mi ami più ora?-
-Non pensi che sia stato abbastanza?-
Emma corse via. Se fosse rimasta ancora, avrebbe sentito la risposta di Niall e non sarebbe più andata via.
-Sì, visto che ora ti amo anche io.-


Angolo autrice:
Eccoci qui con il nuovo capitolo! Scusate per il ritardo ma sono partita per Amsterdam con amici e sono tornata da poco. E' stata una vacanza bellissima e la città è meravigliosa, per quel che ricordo. Scherzo ahahahahah
Allora, torniamo a noi. Questo è un capitolo importante, perchè Zayn svela la vera storia. Ciò che è davvero successo il giorno della morte di Emily. Si spiega uno Zayn diverso da quello presentato nel corso di questi capitoli e inutile dire che questo sia il vero. Harry e Emma cominciano a considerarsi amici e finalmente viene anche spiegato cosa sia successo fra Emma e Niall. Allora, che ne dita? Niall innamorato di Emma, quando Emma si rende conto che vuole Zayn. Chi la scamperà? Pro Zemma o pro Emiall(orrendo lol)?
E poi c'è Liam ... Il dolcissimo Liam *-*
Spero in un vostro commento, davvero, visto che l'ultimo capitolo non è stato molto considerato. Vi mando un bacio e spero che questa long non cominci a stufarvi. 
Sonia.  
 

  

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Capitolo 24
*** 24.Capitolo 23 ***


 


Tu sei la luce, tu sei la notte

Tu sei il colore del mio sangue.  

 

Clare gli portò un bicchiere di limonata gelida, sedendosi poi accanto a lui sul divano. Louis la ringraziò con lo sguardo, sorseggiando avidamente la bevanda fredda. Subito la sua gola, raschiata dalle urla che non era riuscito totalmente a trattenere, accolse con piacere quel sollievo. La finì in poco tempo e si sporse sul tavolino in legno per poggiare il bicchiere oramai vuoto. Poi tornò a poggiare le spalle sullo schienale del divano, chiudendo gli occhi e portandosi le mani sul viso stanco. Sentiva distintamente la presenza di Clare al suo fianco, e il ricordo di quel bacio disperato esisteva ancora sulle sue labbra, che non erano poi più tanto secche. Avrebbe dovuto essere forte, almeno per lei. Ma le immagini del corpo torturato di Steve non facevano altro che martellargli il cervello, facendolo quasi impazzire. O più probabilmente lui era già impazzito e non se ne era reso conto. 

-Se continui a stare zitto, giuro che ti caccio di casa- quella che doveva essere una minaccia uscì più come un lamento, perché Clare non voleva che Louis se ne andasse: voleva che rimanesse lì, con lei, affinché potesse accarezzarlo e alleviare il peso delle sue colpe. Colpe, che vedeva disegnate sul suo viso pallido. Louis fece scivolare le mani sulle sue ginocchia e provò a sorriderle, senza tanto successo. Ma Clare se lo fece bastare, sospirando e allungandosi verso il suo corpo. Lo sentì irrigidirsi quando lei pose la sua testa sulle sue gambe e la mano sul suo ginocchio; il tempo di alcuni secondi e Louis la racchiuse in un abbraccio disperato, rannicchiandosi su sé stesso. Pianse di nuovo fra i suoi capelli, mentre Clare gli accarezzava la coscia fasciata dai pantaloni ancora umidi per la pioggia. 

-E’ colpa mia- quelle oramai erano le uniche parole che Louis riusciva a dire da un’ora a quella parte. Nulla di più, nulla di meno e Clare ogni volta lo aveva azzittito con una carezza. 

-Basta Lou, non è così- le braccia del giovane tremarono, stringendola di più, facendola sentire bene. 

-Tu non lo hai visto, Clare- ed era vero, non era stata lei a ritrovare il corpo di quel ragazzo e a fissare i suoi occhi vacui. Ma non riusciva a capire il perché Louis si prendesse le colpe di quell’atto così tremendo. Facendo pressione sulla sua gamba, Clare lo fece tirare su e una volta liberata dal suo abbraccio, sentì freddo. Spostandosi attentamente più vicina, gli prese il viso fra le mani, intercettando quegli occhi tanto belli. Louis tentò di sfuggirle, cercando un appiglio nella stanza intorno a loro. Ma alla fine, sconfitto, fissò il suo sguardo a quello di lei, perché era sempre stato così, sin dalla prima volta che l’aveva vista. 

-Perché dici di essere tu il colpevole della sua morte?- Ci aveva provato, a non pensarci. Louis aveva tentato in tutti i modi di auto convincersi che la morte di Steve non c’entrasse con la telefonata che gli aveva fatto pochi giorni prima, ma il risultato era sempre lo stesso: il fallimento. In fondo, chi avrebbe mai potuto davvero volere la morte di Steve? Era un ragazzo così gentile, tanto onesto e disponibile. E se forse fosse stato meno propenso ad aiutare gli amici in difficoltà, probabilmente sarebbe ancora vivo. 

-Perché lo hanno ucciso a causa mia- ci stava girando intorno, entrambi lo avevano capito. Louis si alzò dal divano, liberandosi dalla stretta di Clare che tanto lo confondeva: il bacio che si erano scambiati sotto la pioggia lo aveva reso felice, e non era giusto. Doveva pagare per quello che aveva fatto, non ricevere nulla. E invece Clare, in quell’attimo, gli aveva donato ciò che forse lui desiderava da tempo. 

-Dove stai andando?- il panico nella sua voce era evidente e Louis serrò gli occhi e le diede le spalle, per non vedere ciò che stava lasciando. 

-Mi dispiace- disse solamente, recuperando la giacca scura e avviandosi verso la porta. 

-Che stai facendo?- la sentì seguirlo, ma lui una decisione l’aveva già presa. Era stato tutto uno sbaglio, il suo; era caduto in ciò che il padre gli aveva sempre insegnato ad evitare: mischiare il lavoro alla vita privata. Clare si era inserita nella sua vita senza che neanche se ne rendesse conto: nel giro di pochi mesi, aveva imparato a conoscerla, sostenerla, non lasciarla sola. Aveva imparato, forse, a volerle bene. 

-Io mi sono innamorata di te, Louis- e anche lui, forse, si era innamorato di lei. Ma tutti questi dubbi non facevano che confonderlo di più e quindi, mentre apriva la porta e usciva fra la pioggia che ancora cadeva, si diceva che stava facendo la cosa giusta. Alcune volte scappare, era l’unica soluzione. 

-Io sono solo l’avvocato di tuo fratello- ma Clare, quelle parole, non le udì. Perché era crollata, in ginocchio, davanti alla porta. Era stata lasciata di nuovo. Era di nuovo sola. 

 

 

Dean fissò i due ragazzi seduti di fronte la sua scrivania, le mani congiunte e il mento poggiato su esse. Li aveva ascoltati attentamente, senza interromperli mai. Non aveva cambiato posizione, non ricordava nemmeno di aver respirato. Il silenzio era calato da alcuni minuti, e tutti e tre non avevano il coraggio di spezzarlo; sapeva di tranquillità prima della tempesta, e nessuno dei presenti era pronto ad affrontarla. 

-Ti prego papà- alla fine Emma fu la prima a prendere coraggio, perché quel tacere la stava spezzando dentro. Dean sembrò tornare alla realtà e sospirò, poggiando la schiena alla sedia, fissandola. 

-Cosa mi stai dicendo, Emma?- 

-Che Zayn è innocente- non sapeva quante volte aveva detto quella stessa frase negli ultimi tempi e le venne quasi da sorridere a pensare che ogni volta che l’aveva pronunciata, aveva un fine diverso: la prima volta, doveva convincere sé stessa; poi Harry e infine lo stesso Zayn. E ora era qui, di nuovo, e con quelle stesse parole doveva convincere suo padre. Sapeva di non aver nulla dalla sua parte; non avevano prove effettive, solo supposizioni. Dovevano muoversi nell’ombra, perché la vita di Clare era in pericolo e anche quella di Zayn che, in cella, veniva continuamente minacciato. 

-Abbiamo un fascicolo intero che parla del caso: abbiamo le testimonianze degli inservienti di casa Smith, le registrazioni delle telecamere, l’ammissione dello stesso accusato e anche la compatibilità con le impronte digitali ritrovate tanto sul corpo della ragazza quanto sull’arma utilizzata per ucciderla. Ora, tu- poi con lo sguardo raggiunse Harry- voi, mi venite a dire che Malik è innocente, basandovi su un pezzo di carta straccio con su scritto un indirizzo, su dei fotogrammi che non sappiamo nemmeno quanto recenti fossero e su cos’altro?- Harry scosse la testa, abbassando gli occhi. Sapeva che parlare al commissario Harrison sarebbe stata una mossa avventata e che non avrebbe mai creduto alle loro parole. In fondo, se fosse stato al suo posto, probabilmente anche Harry non avrebbe creduto a questa storia. Eppure era sicuro che Dean Harrison non si fosse soffermato a scrutare gli occhi disperati di Zayn, a mettere insieme le violenze che il ragazzo subiva in cella e il senso di colpa che lo attanagliava. Lui era un commissario, non uno psicoanalista. 

-Papà…- tante volte Harry si era chiesto il motivo per cui quella ragazza stesse lottando per Zayn. In realtà, si chiedeva perché tutti loro lo stessero facendo: il caso era a un passo dall’essere archiviato, le prove c’erano, il colpevole anche. Ma allora, perché sentiva che condannare Zayn era sbagliato?

-Commissario Harrison, ha ragione. Le prove parlano chiaro e anche i testimoni che sono stati chiamati al processo. Chiedo scusa per la mia inutile insistenza e per essermi basato solo su dei forse- detto questo si alzò e osservò Emma. Lei lo guardava sbalordita e poteva benissimo leggerle negli occhi la speranza svanire. Ma Harry aveva capito che lì dentro, non avrebbero ricevuto aiuto. Dovevano agire da soli; anzi, solo una persona poteva davvero aiutarli. 

-Andiamo via, Emma- le disse solamente e ringraziò il cielo che lei fosse troppo sconvolta per opporre resistenza. Si alzò anche lei e guardò il padre. Si somigliavano così tanto … 

-Da bambina eri un eroe per me. Ma gli eroi, non commettono errori del genere- detto questo gli diede le spalle e Harry notò il dolore negli occhi del commissario. Quasi provò pena per lui, che sembrava macchiarsi della stessa colpa di suo padre: essere cieco ai sentimenti umani. Dimenticarsi di essere padre e marito, considerarsi solamente un poliziotto. 

Quando lasciarono l’ufficio, Emma lo prese per il braccio e lo costrinse a guardarla negli occhi.

-E’ davvero finito tutto, Harry?- lui sorrise leggermente, accarezzandole il viso. 

-No Emma, ma lì dentro stavamo solo perdendo tempo. Solo una persona può aiutarci davvero-

-Chi?-

-Louis Tomlinson- 
 

Harry posò le chiavi della macchina e il portafoglio sul mobile del corridoio di casa, chiudendosi la porta alle spalle.

-Sono a casa- urlò, cercando di sovrastare la musica a tutto volume che proveniva dallo stereo. Si tolse il giacchetto di jeans e proprio in quel momento, dalla cucina, uscì il padre con il viso più sconsolato che gli avesse mai visto negli ultimi tempi. E Harry sorrise, perché sapeva a cosa fosse collegata quell’espressione. 

-Tua sorella sta cucinando- e allora scoppiò a ridere, togliendosi i ricci troppo lunghi dagli occhi. 

-Te l’avevo detto che prima o poi la farmacia nuova di fronte casa sarebbe stata utile-

-Sì, ma non starà certo aperta tutta la notte- 

-Possiamo sempre cercare di mangiare prima della chiusura- le parole di Harry furono accompagnate da uno sbuffo di disapprovazione mentre Allison, appena uscita dalla cucina, correva ad abbassare il volume della musica. Li raggiunse e sorrise al fratello, baciandogli la guancia. 

-Ti ho sentito, sai?- Harry le cinse le spalle con il braccio, restituendole un bacio sulla tempia. 

-Allie, l’ultima volta che hai cucinato siamo finiti tutti al pronto soccorso- il padre tremò a quel ricordo, sedendosi sul divano. Allison lo fissò, scuotendo la testa e liberandosi dall’abbraccio di Harry. 

-Sono passati sette anni, papà. E sono cambiate molte cose, anche se voi non lo sapete- Harry si chiese se il tono accusatorio e dispiaciuto nella frase della gemella se lo fosse solo immaginato. Quando incrociò gli occhi di suo padre, seppe di non esserselo immaginato. 

-Sarà pronto fra cinque minuti- e detto questo si chiuse di nuovo in cucina. Harry raggiunse il padre, sedendo sulla poltrona davanti al camino oramai spento. 

-Mi perdonerà mai per averla allontanata da te?- il ragazzo si sporse e gli mise una mano sulla spalla, sorridendogli. 

-Le hai permesso di restare quindi è solo questione di tempo- 

-Non sono stato io a permetterlo, sei stato tu- Harry si irrigidì a quelle parole, fissandolo. 

-Non era una frase a doppio fine, figliolo. Sto solo dicendo che se non fosse per te, probabilmente avrei perso mia figlia per sempre- e Harry tentò di non pensare al fatto che forse, tenerla con loro a Bradford, era ancora troppo rischioso. 

-La cena è servita!- la voce di Allie li colse alla sprovvista ed entrambi si guardarono negli occhi, prima di raggiungerla in cucina. Allison aveva cucinato lasagne, pollo con le patate e aveva anche preparato un dolce. 

-Cucina italiana gente, siate meno sospettosi. Sono migliorata- Harry si sedette e le accarezzò la mano. Lei gli sorrise, ponendogli il piatto con la lasagna davanti. 

-Prima tu, Harry- disse il padre e lui alzò gli occhi al cielo. Sotto gli sguardi vigili di entrambi, Harry prese un pezzo di lasagna e la mise in bocca. Carl si mise una mano sulla fronte, mentre osservava il figlio masticare lentamente. 

-Allora?- Harry guardò prima Allison, poi Carl per poi posare la forchetta e fare un applauso alla cuoca. 

-Hai visto, te le avevo detto!- Tutti e tre scoppiarono a ridere e iniziarono a mangiare. La cena passò in tutta tranquillità, fra i racconti di Allie su come la mamma della sua migliore amica le avesse insegnato a cucinare e i resoconti di Harry sugli ultimi avvenimenti al commissariato. 

-Agente Styles, chi l’avrebbe mai detto che avrei sentito di nuovo questo nome- Harry guardò di nuovo sua sorella ma proprio mentre stava per parlare, il campanello suonò.

-Vado io- disse semplicemente, alzandosi e stiracchiandosi. Guardò l’orologio sul muro dell’ingresso; erano quasi le dieci di sera. Chi poteva essere a quell’ora? Il campanello suonò di nuovo e lui si affrettò.

-Sto arrivando- disse, per poi allungare una mano e aprire la porta. Quando vide chi aveva davanti, rimase sconcertato. 

 

 

Charlotte aveva deciso di ignorare tutte le chiamate di Harry. Infatti, dopo che lui l’aveva sorpresa in bagno a piangere e l’aveva costretta al suo sguardo, tanto che lei gli aveva quasi rivelato il segreto che nascondeva, aveva deciso di prendersi una pausa. Dal lavoro ma soprattutto da lui. Era più di una settimana che non lo vedeva e quella sera, mentre la pioggia cadeva incessante dalla mattina, sembrava mancargli più del solito. Nel corso di quella settimana aveva tentato di non pensarci, a lui e a quegli occhi che tanto riuscivano a scavarle nell’animo. Charlotte non aveva mai conosciuto la debolezza eppure, da quando Harry l’aveva guardata per la prima volta, aveva capito che lui sarebbe stata l’unica a cui si sarebbe lasciata andare. 

-Fanculo- mormorò fra sé, eliminando l’ennesimo messaggio che lui le aveva lasciato. Aveva preferito non ascoltare la sua voce, perché forse non avrebbe resistito più e forse sarebbe corsa da lui. L’amore fa proprio schifo, avrebbe pensato se solo avesse permesso a sé stessa di guardare in faccia la realtà e dire sì, mi sto finalmente innamorando. Ma Charlotte, questo, non poteva davvero lasciare che accadesse, perché non si trattava più solamente della paura di innamorarsi, di rendersi debole e di fidarsi. Perché sapeva che, per Harry, tutte quelle azioni sarebbero valse la pena. Semplicemente, lei non andava bene per Harry. Quasi si spaventò quando il cellulare iniziò a vibrare di nuovo e lesse sullo schermo, con tristezza, quell’H solitaria. Una vibrazione, due vibrazioni, tre vibrazioni. Harry non demordeva e Charlotte si ritrovò a piangere ancor prima di rendersene davvero conto. Quando il cellulare si spense sulle sue gambe, si prese il viso fra le mani e odiò sé stessa. Odiò il suo passato e odiò anche quel giovane dal sorriso gentile che l’aveva aiutata a non far cadere gli scatoloni, quel lontano giorno di quasi tre mesi prima. Tre mesi non è un periodo troppo breve per innamorarsi? Il cellulare si accese di nuovo, segnando l’arrivo di un messaggio in segreteria. 

-Cosa può succedere se questo non lo cancellassi?- disse a nessuno in particolare, sbloccando il telefono. Si portò il cellulare all’orecchio e chiuse gli occhi. 

-Mi manchi- e poi, il silenzio. Si aspettava tante cose, una fiumana di parole, anche parolacce e insulti. Guardò sbalordita lo schermo illuminato, scuotendolo, come se così potesse far uscire altre parole. Ma il messaggio di Harry era stato lapidario e forse, proprio per questo, la penetrò di più. Ascoltò per una decina di volte quelle due parole, rabbrividendo al timbro della sua voce, così roco e profondo. 

-Mi manchi anche tu- e prima di aver qualche stupido ripensamento, si alzò e prese il giubbotto di pelle. In fondo, lei era diventata una poliziotta anche perché nella vita le piaceva rischiare. E per Harry, valeva davvero la pena farlo. 

 

Si ritrovò davanti casa sua in poco tempo. Non pensava che le loro case distanziassero così poco e Charlotte si ritrovò a chiedersi il motivo per cui lui non fosse andato a trovarla, invece di tartassarla di chiamate. 

-Idiota- disse con un sorriso, strofinando le mani sui jeans. Era nervosa, diavolo se lo era. Si avvicinò alla piccola villetta, riconoscendo la macchina di Harry. Era andata là, ma cosa avrebbe dovuto dirgli? Che le era mancato come l’aria? Che era un idiota? Che voleva baciarlo? Che forse lo amava? Ma Charlotte non seppe mai la risposta perché una voce sin troppo familiare la raggiunse. Si guardò intorno e proprio sul marciapiede intravide la figura di Hollie camminare velocemente mentre parlava al telefono. E per un momento, Charlotte si sentì veramente patetica. Soprattutto quando buttò un’occhiata alla luce accesa che illuminava la casa di Harry per poi nascondersi dietro il tronco dell’albero piantato proprio accanto al cancello della villa. Hollie termino la telefonata e le passò davanti, e lei trattenne il respiro. Fece cigolare il cancello ed entrò, i rumori dei suoi passi a coprire il battito del cuore di Charlotte e le lacrime che scendevano lungo la sua guancia. Ci furono solamente pochi attimi di silenzio, poi la porta venne aperta e Hollie parlò.

-Amore mio!- Charlotte non seppe perché lo stesse facendo ma lentamente fece capolino da dietro il tronco, osservando il suo Harry stringere in un abbraccio il corpo di Hollie. Lei si alzò in punta di piedi e lo baciò teneramente sulla bocca. Charlotte si prese qualche secondo per studiarlo, visto che in quella settimana sembrava che lui fosse cambiato. Forse i suoi occhi erano più scuri, il suo fisico più magro, i suoi capelli più lunghi. Forse, era anche più bello del solito. Si morse il labbro, quelle stesse labbra che avevano sfiorato solo poche volte le fossette sulle guance di Harry. E il cuore le doleva e no, tre mesi non erano pochi per innamorarsi. La verità era che di Harry, ci si innamorava anche in un secondo. 

-Guarda un pò chi c’è- Charlotte sussultò nel buio, mentre la porta di casa si chiudeva e Harry spariva all’interno. Deglutì lentamente, perché quella voce, la sua voce, l’avrebbe riconosciuta fra mille. 

-Buona sera, sorellina- 

-Che diavolo ci fai tu qui?-

-Il mio lavoro- 

 

 

Niall si guardò intorno, in silenzio. L’unico suono presente in quella stanza era quello procurato dal suo respiro, che sembrava rimbombare in quell’anfratto squallido. La luce al neon tremò appena e lui portò lo sguardo sul soffitto, scrostato dalla muffa e dalla ruggine. Deglutì e chiuse gli occhi, ripetendosi di non essere patetico e di non aver paura. Si strofinò le braccia lasciate scoperte dalla maglietta a maniche corte che indossava, timoroso che il gelo che impregnava quel luogo lo toccasse per sempre. D’un tratto, avrebbe tanto voluto trovarsi nella sicurezza della sua stanza: fra la sua musica, i suoi filosofi e i suoi ricordi. Un rumore fragoroso lo distolse dai suoi pensieri e si passò una mano fra i capelli già spettinati. Andò a poggiarsi contro il muro più lontano rispetto all’unica porta presente nella stanza; porta che nemmeno un secondo dopo, si aprì. Niall non ebbe subito il coraggio di alzare lo sguardo verso la persona che aveva tanto bisogno di vedere, perché tutte le parole che aveva preparato erano sfumate nello stesso momento in cui aveva messo piede lì dentro. Ma oramai era fatta e, per lei, doveva essere forte. Fu così che Niall alzò lo sguardo e incrociò quello spaesato e incuriosito di Zayn, il ragazzo che gli stava portando via Emma.
 

Vorrei dedicare questo capitolo a due persone in particolare: Chiara e Carlotta. Loro sanno perché. 


 
 


Spazio autrice:
Non posso credere di essere di nuovo qui con Murderess dopo non so quanto tempo. Mi è mancata, eccome. L'ho capito dal momento in cui ho riaperto il file e ho anche compreso che per correttezza verso me stessa devo dare una fine a questa storia. Ho avuto un blocco, difficile da superare e che ancora non è stato del tutto eliminato. Ma come ho già detto a una persona, forse per ricominciare devo partire proprio da dove tutto era iniziato per me. Ovvero Zayn e Emma, Harry e Charlotte, Niall, Louis, Allison e Clare, Liam e Rose. Dunque, eccomi qui con un nuovo capitolo. Forse è il caso che riassuma il punto della situazione: Zayn è in carcere per essere stato accusato di aver ucciso Emily, la sua ex ragazza. A occuparsi del caso sarà Dean, padre di Emma e Liam. Emma riesce a leggere la verità nascosta nel cuore di Zayn e decide che, per lui, vuole lottare e salvarlo, mettendo da parte l'amore per il padre e anche per Niall, il suo migliore amico di cui è innamorata da sempre. Nel salvare Zayn, sarà accompagnata da Harry e Louis, un'agente di polizia e l'avvocato di Zayn.
Più precisamente, eravamo giunte all'innocenza di Zayn che rivela a Emma che a uccidere Emily è stato il padre della ragazza, Charlie che è uno spacciatore. Louis, grazie a Steve, suo amico d'infanzia, scopre che le registrazioni fornite alla polizia sono manomesse. Ma Louis non riesce a vedere i veri filmati perché Steve viene brutalmente ucciso e il suo lavoro sembra essere scomparso. Per questo, dopo il suo funerale e il bacio con Clare, decide di lasciare la ragazza. Charlotte, l'affascinante collega di Harry, tiene un segreto mentre Harry è sempre più risoluto a risolvere il caso.
Riassunto come potevo, devo ringraziare la persona che mi ha velatamente imposto di continuare questa storia, con la speranza di non deluderla mai. 
Beh, credo di aver detto tutto. Un bacio e a presto, 
Sonia. 

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Capitolo 25
*** 25.Capitolo 24 ***


 


Amami prima del successo

Prima che tu possa dare un volto a tutto il resto intorno a me. 
 

Niall lo osservò per bene, continuando a tenere le distanze. Zayn era più magro di quanto ricordasse, aveva la barba e i capelli più lunghi e sul viso aveva delle ferite che, sebbene stessero scomparendo lentamente, ancora potevano essere notate. Non indossava la divisa arancione con cui lo aveva visto la prima volta, ma portava una maglietta bianca sporca e dei jeans strappati. 

-Non fissarmi- la voce era calda, forse bassa per il silenzio a cui era costretto là dentro. Aveva davanti un’assassino ed era stato lui stesso a volerlo. Dimenticando finalmente l’iniziale timore, Niall gli si avvicinò; erano alti uguali, sebbene Niall sembrasse svettare su Zayn per l’eccessiva magrezza di quest’ultimo. 

-Vuoi dirmi chi sei o devo risolvere un indovinello?- Niall sapeva che tutta quella sicurezza era falsa ostentazione e che, in realtà, il ragazzo era spaventato. Ma da cosa? 

-No, ti dirò chi sono. Ma sarà inutile, visto che non mi conosci- Zayn sbuffò e si passò una mano fra i capelli nerissimi. Niall notò le ferite sanguinanti sui suoi polsi, saldamente ammanettati. Seguendo il suo sguardo, Zayn sorrise mesto.

-Non mi lasciano libero nemmeno quando vado in bagno-

-Ovvio, sei un pericoloso assassino- sputò queste parole con rabbia, perché voleva colpirlo e fargli male. Ancora più male di quelle ferite e dei ricordi. 

-Affondato- commentò solo Zayn, allungando le gambe sul pavimento.

-Chi sei?- ripeté di nuovo, fissandolo e tentando di ricordare se mai lo avesse incontrato prima. 

-Sono Niall, il migliore amico di Emma- vide gli occhi di Zayn cambiare quando nominò la ragazza: da scuri e vuoti quali erano, sembrarono illuminarsi e vibrare, tornando a essere vivi. Niall osservò il cambiamento che avvenne fra i lineamenti del ragazzo attentamente, senza dire una parola. 

-Che cosa vuoi?- il suo tono non era più minaccioso, né annoiato. Piuttosto curioso e forse, anche spaventato. 

-Che tu la lasci in pace- Niall si inginocchiò, ponendosi alla stessa altezza di Zayn. Conosceva Emma da dieci anni e sapeva perfettamente che dietro la maschera da ragazza forte, indistruttibile e inflessibile si nascondeva una Emma totalmente diversa, fragile, vulnerabile e soprattutto ingenua. E nessuno sapeva quanto in realtà potesse risultare facile manovrarla, anche solo con uno sguardo, una parola dolce e un sorriso timido. Niall non sapeva come, ma Zayn c’era riuscito a capirla e la stava ingannando. 

-Puoi fregare lei con la tua falsa disperazione e il tuo fottuto vittimismo ma non me, Malik. Smettila di usarla per i tuoi loschi fini perché il commissario Harrison non permetterà mai che tu torni in libertà. Smettila di farle credere chissà cosa, quando lei pensa di essere innamorata di te- quell’ultima frase non avrebbe mai voluto dirla e innescò nel giovane che aveva davanti una reazione strana; sembrò sollevato, quasi sbalordito a quel pensiero. E Niall si infuriò ancora di più.

-Lei è mia- sibilò fra i denti, sebbene quella fosse solo una bugia. Emma non era sua; aveva avuto la sua possibilità di poterla avere, forse per sempre. Ma oramai era tardi e lui lo sapeva. Le aveva letto nello sguardo la volontà di lottare per la causa di Zayn quando gli aveva dato le spalle e se ne era andata. Aveva capito che Emma era diventata di qualcun altro quando l’aveva vista parlare di Zayn: aveva negli occhi una luce particolare, quasi fosse una parte a sé stante che abitava nelle sue iridi, e che le aveva visto solamente una volta in vita sua; era la volta che lo stava guardando mentre gli confessava il suo amore. Zayn si alzò dalla sedia, mordendosi il labbro inferiore. Niall fece lo stesso, fissandolo in cagnesco. 

-Non azzardarti a ripetere che lei è tua o io … Io …-

-Tu cosa? Tu cosa, Malik? Prendi un fottuto coltello e mi uccidi come hai fatto con quella povera ragazza?- Niall si rendeva conto che stava rischiando molto a dirgli certe cose, ma non voleva che Emma facesse la fine di quella Emily. Non avrebbe retto la vita senza di lei. Poteva accettare il fatto che non fosse più innamorata di lui, poteva accettare di vederla costruirsi un futuro con qualcuno che non fosse lui, poteva resistere a viverle accanto senza mai poterla ritenere sua. Ma non avrebbe potuto reggere la sua assenza, la sua morte. E Niall quello temeva, mentre osservava il braccio ammanettato di Zayn alzarsi verso di lui e colpirlo sul viso. Niall fece un passo indietro, portandosi una mano al volto. 

-TU NON SAI NIENTE DI ME, RAGAZZINO!- le urla attirarono le guardie e in meno di un secondo Niall si ritrovò in piedi; la testa gli pulsava e sentiva il sangue colargli lungo il mento. Alzò lo sguardo su Zayn che veniva spinto fuori dalla stanza. Ma questo non gli impedì di osservarlo dritto negli occhi prima di parlare.

-Se davvero ami Emma, lasciala andare- 

-Tu non sai niente di me-
 

 

 

Harry osservava la sedia vuota dietro la scrivania che gli stava di fronte, mentre con le mani si torturava le labbra. Charlotte non rispondeva alle sue telefonate né ai messaggi. Non andava più al lavoro e Adrian gli aveva detto che si era presa dei giorni di malattia. All’inizio l’idea che stesse male lo aveva reso pazzo e non seppe mai cosa davvero gli avesse impedito di scappare a casa sua e attaccarsi al citofono finché lei non avesse aperto la porta e lo avesse abbracciato. Il cellulare iniziò a vibrare e lui lo prese senza neanche guardare chi lo stesse chiamando: aveva smesso di correre al cellulare ogni volta che squillava, speranzoso di vedere il suo nome lampeggiare sullo schermo. 

-Sì?- chiese svogliatamente, passandosi una mano fra i capelli. 

-Ciao Harry, sono io- la voce dall’altra parte suonò indecisa ma Harry non ci fece nemmeno caso, troppo preso dalle emozioni che quelle poche parole stavano suscitando in lui. Sembrava passato tanto tempo, troppo, dall’ultima volta che aveva potuto guardarla in quegli occhi tanto burrascosi. Era passato troppo tempo da quando l’aveva avuta fra le braccia per l’ultima volta. Ma forse quel pensiero non era tanto adeguato nei confronti di quella che era una sua amica. 

-Harry? Se ti sto disturbando richiamo dopo- 

-No! No Charlotte, assolutamente non disturbi. E’ che non ci posso credere- si bloccò all’istante, dandosi dell’idiota. In realtà, lo era e basta. Il respiro di lei divenne appena più cadenzato, o forse era solo la sua impressione. 

-Come stai?- chiesero all’unisono, scoppiando poi a ridere insieme. 

-Io sto bene, Char. Tu?- anche lui si rese conto del cambio di tono nella sua voce. Non era una semplice domanda di circostanza, ma era molto di più: cosa ti è successo? Perché non hai risposto alle mie chiamate? Perché non mi hai scritto un messaggio? Perché non ti fai più vedere? E’ colpa mia? C’è un altro? Dio, quell’ultima domanda da dove gli era uscita? 

-Sto bene anch’io, credo- 

-Charlotte …-

-No Harry stammi a sentire. Ti ho chiamato sì, ma non voglio parlare di nulla. Volevo solamente dirti che oggi pomeriggio torno in servizio. -Silenzio-Ci sarai o hai il turno libero?- Harry chiuse per un attimo gli occhi, per poi osservare  il biglietto del cinema poggiato sul legno della scrivania. Hollie era passata poche ore prima per lasciarglielo. Lo prese in mano e lo stropicciò, non pensandoci troppo. 

-No, ci sarò anche io- e la immaginò sorridere, magari spostandosi un riccio dietro l’orecchio. 

-Allora a dopo Styles-

-Ti aspetto- ma forse aveva già attaccato.

 

Hollie era rimasta molto delusa dal cambio repentino di piani. A detta sua, aveva pianificato un pomeriggio molto romantico tanto che Harry temette di essersi dimenticato qualcosa; era forse il suo compleanno ? O magari il loro anniversario? No, i calcoli non tornavano. Fortunatamente era riuscito a cavarsela con la promessa che la domenica successiva l’avrebbe portata a Londra. Guardò per l’ennesima volta l’orologio sulla parete, che sembrava prendersi gioco di lui: possibile che fossero passati solo due minuti dall’ultima volta che aveva controllato? Sbuffò seccato, stiracchiandosi sulla sedia e prendendo uno dei fascicoli che stava per essere archiviato. Ironia della sorte, il fascicolo apparteneva al caso dell’uomo ucciso nel capannone che si trovava vicino al casolare saltato in aria. Si trattava del giorno dell’ incidente di Charlotte. Aprì il documento e cominciò a leggerlo bene: nessun segno di lotta sul corpo della vittima, nessuna traccia di resistenza da parte dell’anziano, soltanto il buco in fronte che aveva causato il suo dissanguamento. Ken Mcartey, 77 anni, pensionato. 

Scomparso cinque giorni prima del ritrovamento del cadavere …

La moglie aveva notato un cambiamento in lui …

Aveva lavorato per circa 50 anni come inserviente personale … 

Osservò attentamente la foto della vittima, il mento poggiato alla mano. E forse perché si era perso di nuovo fra i suoi pensieri, forse perché lei aveva aperto la porta in modo troppo delicato, ma non si accorse subito della ragazza che era entrata. Solo quando gettò malamente il foglio sulla scrivania, la vide. Charlotte era poggiata contro la porta chiusa, le mani dietro la schiena. Teneva lo sguardo fisso su di lui e un sorriso timido faceva capolino sul suo viso, più pallido del solito. Osservandola bene, notò quanto in realtà fosse molto diversa: era dimagrita visibilmente, forse troppo e aveva scurito i capelli, che adesso erano neri. Si alzò e le si avvicinò lentamente, osservando l’unica cosa che era rimasta uguale e che forse mai sarebbero cambiata: i suoi occhi. Aveva dimenticato quanto gli piacesse averli addosso. Senza dire una parola coprì la distanza fra loro, catturandola fra le braccia e premendosela al petto. Charlotte, molto più bassa, sembrò perdersi in lui quando gli circondò la vita con il suo abbraccio e sorrise contro la sua maglietta quando Harry fece scivolare una mano sotto i suoi capelli, accarezzandole il collo. 

-Dio, quanto mi sei mancata- E se possibile, si strinsero ancora di più, entrambi non pensando a quanto quel loro abbraccio fosse troppo intimo per due semplici colleghi. 

-Se continui a ripeterlo, finirò per crederci- lui si staccò appena, guardandola sbalordito. 

-Dopo quelle innumerevoli chiamate e non so quanti messaggi, davvero non hai ancora capito quanto volessi vederti?- Ma Charlotte non rispose alla domanda, limitandosi ad accarezzargli il viso. Harry sembrò irrigidirsi sotto il suo tocco, semplicemente perché non l’aveva mai fatto. Era confuso, assolutamente confuso: quella era Charlotte, ma una Charlotte diversa. Forse, meno dura? Più vulnerabile? 

-Muovi il culo Styles, che dobbiamo fare?- in un secondo si allontanò da lui, poggiando la sua pistola sulla scrivania. E Harry sorrise perché no, Charlotte non sarebbe cambiata mai. Almeno, non del tutto. 

-La finezza fatta persona proprio-

-175 e 89- Harry la fissò incredulo, con una faccia che fece scoppiare a ridere la ragazza. 

-Sono state 175 chiamate e 89 messaggi- disse solamente, non reggendo più il suo sguardo. 

 

Adrain entrò nel loro ufficio con l’aria stanca, massaggiandosi il collo. 

-Ragazzi, abbiamo una signora di là che vorrebbe denunciare la scomparsa della figlia. Ci pensate voi? Siete gli unici disponibili- Harry annuì semplicemente, attendendo che Charlotte finisse di leggere il fascicolo che gli aveva passato.

-Sicura di ricordare come si faccia il tuo lavoro?- la schernì, mentre lei lo raggiungeva e gli dava una leggera gomitata al fianco. 

-Ehi scolaretto, devo ricordarti che sto in questa squadra da prima di te?- Harry scoppiò a ridere di gusto, piegandosi leggermente. Fortunatamente quando rideva era solito chiudere gli occhi, altrimenti avrebbe sicuramente notato il sorriso genuino che nacque sul viso della collega al sentirlo di nuovo ridere. 

-Signora, da quanto sua figlia è scomparsa?- Harry era inginocchiato davanti alla donna sconvolta e che aveva sul viso i segni di un pianto ininterrotto. 

-Sono circa cinque ore. E’ uscita di casa per andare a scuola, ma non ci è mai arrivata e non è nemmeno tornata a casa. Non è a casa di amici, né parenti e nessuno sa dove sia. Il cellulare è spento- si interruppe e Charlotte repentinamente le allungò un bicchiere d’acqua che la signora accettò volentieri. 

-Non le sembra prematuro pensare alla scomparsa? In fondo, non è una cosa tanto strana alla sua età voler saltare la scuola- la donna scosse la testa, alzando poi lo sguardo lucido su di lui. 

-Questa mattina Sarah ha lasciato scritto questo biglietto- e allungò un foglio piegato. Harry lo prese e appena lo lesse, lo passò a Charlotte. 

Scusatemi, non ce la faccio più 

Charlotte fissò Harry che sospirò.

-Avviamo la procedura salvavita con un controllo ogni dieci minuti- e Charlotte semplicemente annuì e uscì di corsa dalla stanza. 

-Che significa? Salvavita? Cosa vuol dire?- Harry mise una mano sulla spalla della donna, cercando di tranquillizzarla. 

-Signora Johnson , non si preoccupi. E’ solo una procedura che ci permette di monitorare il numero di sua figlia ogni dieci minuti. Così, appena accenderà il suo cellulare, sapremo dove si trova- la signora Johnson annuì, iniziando a piangere di nuovo e Harry si morse il labbro, dispiaciuto di non poter fare nulla di più. 

-Ha notato un qualche cambiamento in lei ultimamente?- Charlotte era tornata e si piegò all’altezza del viso della donna, parlandole dolcemente.

-I-io, non lo so. Non parlavamo molto, era sempre fuori-

-Sa dirci il nome di qualcuno che potrebbe sapere qualcosa?- La signora Johnson ci pensò un momento, per poi annuire. 

-C’è Madison, la migliore amica di Sarah- e Harry si affrettò a prendere il nome e il cognome della ragazza. 

Nel giro di mezz’ora, Charlotte e Harry accolsero Madison nel loro ufficio dove anche la signora Johnson era impaziente di sapere qualcosa. Appena la ragazzina entrò si fiondò fra le braccia della donna, stringendola forte. 

-Madison?- la richiamò Harry e lei annuì, accomodandosi sulla sedia. 

-Come ti abbiamo detto, Sarah è scomparsa da circa cinque ore. Noi non possiamo fare molto, dal momento che è passato troppo poco tempo per mobilitare le squadre di ricerca. Ma se tu possedessi anche un singolo indizio, forse potremmo fare qualcosa per capire- Alle parole di Harry, Madison rimase zitta continuando a guardare i suoi piedi. 

-Madison?-

-Io non so nulla, non so dove possa essere. Dico sul serio- ma poi guardò di sfuggita la signora Johnson e Harry capì.

-Signora, può lasciarci  un momento soli con lei?- la donna sembrò spiazzata ma poi, accompagnata dalla mano di Charlotte, uscì. Allora Harry si inginocchiò davanti a lei, posandole una mano sulla testa. 

-Madison, abbiamo bisogno di te. Forse Sarah è nei guai e noi vorremo davvero aiutarla-

-Sei sicura di non sapere nulla, tesoro?- Charlotte si avvicinò a loro e Harry sentì il suo profumo inondarlo. 

Non ora.

-Effettivamente qualcosa è successo- si bloccò appena e recuperò il suo cellulare dalla tasca dei jeans- due giorni fa circa, sono uscite queste foto su Internet. E … non è stata Sarah a caricarle- Harry prese il cellulare e scorse le foto, iniziando a respirare più forte. Charlotte si sporse dalla sua spalla osservando con orrore quelle foto che ritraevano Sarah seminuda che sorrideva all’obiettivo. Proprio in quel momento irruppe nella stanza un altro agente.

-Harry, Charlotte la ragazza ha acceso il telefono- e simultaneamente il cellulare di Madison squillò.

-Guarda chi è- le disse Charlotte. Madison tremò appena e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Velocemente Charlotte l’abbracciò, mentre Harry recuperava il cellulare.

Scusami, ma non posso più vivere

-Madison, parlaci. Tienila occupata, va bene? Nel frattempo vieni con noi, abbiamo rintracciato il luogo dove si trova Sarah- 

 

-Sarah, per favore scendi da lì. E’ pericoloso- Harry si avvicinò lentamente alla ragazza che si trovava arrampicata al bordo di un ponte che dava su un fiumiciattolo. L’acqua scorreva sotto di loro, dirompente e procurando talmente tanto rumore che Harry dovette urlare per farsi sentire. Come se non bastasse, la pioggia scendeva scrosciante, bagnandolo tutto. 

-Sarah, non fare questa stupidaggine. Qualsiasi cosa è successa, non è nulla di irrisolvibile-

-Io voglio solo che tutto questo finisca. Non riesco a guardare in faccia nemmeno mia mamma, come potrò farmi vedere ancora in giro?-

-Abbiamo tolto quelle foto Sarah, non le vedrà più nessuno-

-Ma le hanno viste le persone che contano per me, tutta la mia scuola, come farò?- 

-Sarah, guarda là. C’è Madison e la stai spaventando. La vedi, è lì con una mia amica. Non farla preoccupare ancora, vieni verso di me- la vedeva piangere Harry, mentre lentamente le si avvicinava.

-Non voglio più provare dolore-

-Non è la soluzione a tutto. Faresti del male a troppe persone, saresti causa di sofferenza. Vuoi esserlo davvero?- 

-Starò male- un altro passo, ancora più vicino. Fortunatamente Sarah guardava avanti e non si accorgeva della vicinanza del giovane. 

-Ma starai con le persone che ti vogliono bene- in quel momento, Sarah lo guardò e Harry avrebbe tanto voluto abbracciarla. Oramai era a poca distanza e avrebbe potuto raggiungerla con un balzo ma era troppo rischioso: avrebbe potuto spaventarla e farla cadere. Così si limitò a sorriderle calorosamente, tendendole la mano. 

-Vieni qui Sarah, vieni da me. Sarò il primo ad abbracciarti e vedrai che i pezzi torneranno al loro posto e non farà più così male- trattenne il respiro mentre osservava la guerra negli occhi della ragazza e odiò qualsiasi persona fosse stata a farle così male. Lentamente Sarah si girò verso di lui mentre Harry, sospirando di sollievo, le si accostò. Ma proprio mentre le loro mani stavano per intrecciarsi, Sarah mise male il piede e scivolò. Le sue grida si aggiunsero a quelle di Charlotte e Madison. Harry non ci pensò due volte, saltò sul muretto del ponte e si gettò nell’acqua fangosa. L’impatto con l’acqua fu più doloroso di quanto potesse immaginare, mentre la corrente lo sballottava da una parte all’altra. Riaffiorando in superficie, vide Charlotte sporta dal ponte che urlava il suo nome. Lui le fece solo un cenno, cominciando a nuotare verso la voce di Sarah. Non riusciva a vederla e per questo, sputando acqua, tentò di parlarle. 

-Sarah, continua a gridare che ti raggiungo. Mi senti Sarah?-

-Sì ti sento, sono qui- Harry fu sommerso per un momento da un’ onda particolarmente forte mentre la pioggia peggiorava la sua visuale. Mentre la ragazza continuava a gridare, interrompendosi le volte che non riusciva a tenersi a galla, Harry nuotava come un ossesso per raggiungerla. E in quel momento, quando il fiato gli mancava, i muscoli gli bruciavano e l’aria non era abbastanza pensò che davvero fosse tutto finito: gli dispiaceva solamente che non fosse riuscito a salvare quella povera ragazza. In fondo, lui non poteva lamentarsi. Mentre lentamente smetteva di nuotare, in balìa della corrente troppo forte, gli venne in mente qualcosa per cui non doveva smettere di lottare, perché c’era qualcuno che si aspettava che salvasse la ragazza e uscisse indenne da tutta quella storia. 

-Charlotte- riuscì solamente a dire e si diede dello stupido. Le persone di solito lo adulavano, ritenendolo un ragazzo molto intelligente. Ma in realtà, era un fottuto idiota. Chi mai avrebbe capito così tardi? 

Quasi non si accorse di essere giunto vicino a Sarah che tentava con sempre più difficoltà di rimanere a galla. Lui la raggiunse e finalmente la strinse a sé. 

-Andrà tutto bene, okay?- lei annuì, stringendoglisi contro. 

Charlotte, Charlotte, Charlotte. 

 

Charlotte aveva chiamato l’ambulanza e i soccorsi per poi precipitarsi alla riva del fiume, cercando di non piangere, di avere fiducia in lui. Lo vedeva lì , nell’acqua, mentre veniva travolto dalla corrente e aveva paura. Non poteva finire così, non poteva andarsene in quel modo. Quando non riuscì più a vederlo crollò in ginocchio sulla fanghiglia, nascondendosi il viso fra le mani. Pianse senza controllo, rialzando lo sguardo verso il fiume. Non si vedeva più, non riusciva più a vederlo e lei sentiva dolore, tanto dolore. Nel cuore, nei polmoni, alla testa. 

-HARRY!-

-HARRY!-

-HARRY!-la gola bruciava ma non le importava. Le importava solo che riuscisse a scorgerlo, mentre non si arrendeva e lottava per salvare sé stesso e la ragazza. 

Styles, non fare scherzi. 

E poi, lo vide. Aveva raggiunto Sarah e nuotava lentamente verso di loro, ostacolato dallo scrosciare del fiume. Si alzò da terra, mentre le sirene giungevano a tutta velocità. Guardò Harry e poi l’ambulanza: doveva farsi vedere. 

-Madison rimani qui ad aspettare Harry, io vado sulla strada- la ragazzina annuì e prese a urlare il suo nome, forse affinché lui sentisse che lo stavano aspettando. Lei velocemente risalì la scalinata e quando vide l’ambulanza si sentì più leggera. 

-Qui, da questa parte. Stavano per affogare- li guidò di nuovo giù e giunsero proprio nel momento in cui Harry usciva dall’acqua, tenendosi in piedi per miracolo, con Sarah in braccio. La pose gentilmente a terra, mentre i paramedici le si affollarono intorno. Qualcuno tentò di curare anche lui, ma Harry scosse la testa.

-Occupatevi di lei, sto bene- ma lei lo vedeva tremare convulsamente e la sua voce era troppo bassa. Si piegò appena, cominciando a tossire e forse rigettando parte dell’acqua che aveva ingerito. Charlotte non riusciva a muoversi e rimase ferma a qualche metro di distanza da quello che era stato un miracolo, mentre fissava Harry alzare il viso verso il cielo, socchiudendo gli occhi a causa della pioggia; poi scosse la testa, passandosi una mano fra i ricci bagnati e sporchi di fango. Charlotte nel frattempo piangeva, ma non se ne curava perché sapeva che la pioggia avrebbe nascosto le sue lacrime. Poi lui la cercò con lo sguardo e la trovò. Quando i loro occhi si incrociarono, entrambi lucidi, seppero di essere stati degli idioti entrambi. Troppo tempo avevano fatto passare, quando si erano innamorati praticamente dal primo secondo in cui si erano conosciuti. Tutto andò a posto, forse, perché forse entrambi avevano pezzi spezzati del loro cuore che non sapevano di possedere. Charlotte sorrise e allora Harry si mosse, raggiungendola velocemente. Quando a separarli ci furono solo pochi centimetri il ragazzo si fermò, continuando a fissare quegli occhi che erano il suo inferno ma anche il suo paradiso. Attese che fosse lei a decidere e quando gli catturò il viso fra le mani, Harry seppe che lei lo voleva quanto lui. Quindi la prese dai fianchi e la alzò da terra leggermente, facendo finalmente scontrare le loro labbra. Fu un bacio disperato ma anche dolce, con le mani di Charlotte sul volto di Harry e le sue che la tenevano stretta a sé, perché ci aveva messo troppo tempo per capire. Poi la poggiò di nuovo a terra, piegandosi per non rompere il bacio e le spostò i ricci bagnati dal viso, iniziando ad accarezzarla anche lui. 

-Styles, è un sogno?- 

-No Char, questa volta no- e la baciò di nuovo. 

 

 

Clare non ricordava quanto potesse essere bello Louis Tomlinson; erano passati solamente due giorni da quando lui l’ aveva lasciata senza alcuna spiegazione e quando le era arrivato un suo messaggio contenente il nome di una via e di un bar, aveva ritrovato una briciola di speranza. In fondo, toccare con mano ciò che significava averlo al suo fianco e poi esserne privata all’improvviso, non era stato affatto facile e i suoi occhi, tanto bui quanto luminosi, l’avevano perseguitata in quelle quarantotto ore di pianti, rimorsi, ricordi. Trovarselo di nuovo davanti, bello e perfetto come sempre, forse anche di più, le provocò un forte dolore al cuore. Non si mosse di un centimetro, mentre la porta del locale si chiudeva alle sue spalle e la lasciava sola con quello sguardo fisso che la paralizzava. Louis tentò un timido sorriso, forse per incoraggiarla ma ciò che non poteva sapere era quanto in realtà l’unica cosa che l’avrebbe davvero aiutata sarebbe stato un suo bacio.

-Tutto bene signorina Malik?- quelle parole furono una doccia fredda e Clare sentì senza alcuna difficoltà quel suo cuore malandato rompersi definitivamente.

Signorina Malik. Oh, Louis. 

Lentamente si sedette di fronte a lui, studiando il suo sguardo velato dalle lenti dei suoi occhiali. Avrebbe tanto voluto toglierli, stringere le mani ai suoi capelli e baciarlo, mostrandogli quanto lo desiderasse e lo volesse al suo fianco. 

-L’ho chiamata per riferirle una buona notizia-

-Louis…-

-Sono andato a parlare con il giudice in persona-

-Lou…- 

-E anche con il commissario Harrison-

-Ti prego…-

-Sono riuscito a farle avere un colloquio con suo fratello- 

-Non farmi questo, non trattarmi come un’estranea- Ma Louis scosse semplicemente la testa. 

 

 

Angolo autrice:

eccoci con un nuovo capitolo. Sono stata abbastanza veloce, no? In realtà avrei anche pubblicato prima, visto che il capitolo era pronto, ma sono immersa nella sessione estiva e ho pochissimo tempo libero. Comunque, bando alle ciance: troviamo l'incontro fra Niall e Zayn. Il nostro irlandese proprio non riesce a fidarsi di lui, sebbene effettivamente non abbia mai presentato comportamenti contrari nei confronti di Zayn. Ma come ben si capisce, è tutto dettato dalla gelosia per Emma. Come andrà a finire questo triangolo amoroso? Idee? Poi, il pezzo che personalmente stavo aspettando da mooolto tempo: il bacio fra Harry e Charlotte? Cosa ne pensate di loro? Non sono bellissimi? E, infine, troviamo di nuovo Clare, appena abbandonata da Louis. Vedete che oramai la storia è avviata con un fitto intreccio e non è affatto semplice condurre tutti questi fili narrativi: spero di riuscirci nel migliore dei modi senza risultare scendente. Un bacione grazie a tutte quelle che mi seguono e recensiscono. A presto,

Sonia. 

 

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Capitolo 26
*** 26.Capitolo 25 ***


 


Stravolgimi il domani

Portami in alto come gli aeroplani .
 

Charlie si guardò intorno cautamente, attento che il suo respiro non tradisse l’ansia che stava provando. Era andato in quel posto più volte di quanto avesse mai voluto e quando aveva ricevuto l’ennesimo messaggio anonimo con l’ordine di recarcisi nuovamente, per la prima volta, si era chiesto se stesse davvero facendo la cosa giusta. Non poteva negare che, ogni notte, gli occhi della moglie lo torturassero in incubi tremendi dominati da urla disumane e che, da due mesi a quella parte, si erano aggiunti quelli uguali ai suoi della figlia. 

-Fermo- la voce della persona che lo stava conducendo in quei corridoi bui lo fece tornare alla realtà, mentre il rumore di passi strascicati giungeva dall’angolo che dovevano svoltare. Si trovavano in una prigione o in un labirinto?

-Ci penso io- disse ancora l’uomo, sistemandosi la camicia, svoltando e sparendo alla vista di Charlie. Lui, dal canto suo, si appiattì contro la parete, alzando gli occhi al soffitto. 

-Josh, ho bisogno che tu porta Wilson nella stanza degli interrogatori. Devo scambiare quattro chiacchiere con lui- 

-Certo Adrian- Charlie sorrise al maresciallo che, sospirando, lo raggiunse di nuovo. 

-Possiamo continuare- disse semplicemente, dandogli le spalle. Camminarono in silenzio per altri pochi secondi poi Adrian si fermò davanti ad una porta semiaperta e, dopo un’ultima occhiata nei paraggi, la spalancò. 

-Come ci si sente a tradire la giustizia, maresciallo Brown?- ma non seppe mai la risposta perché una voce lo chiamò dall’interno. 

Non appena fu dentro, la porta si chiuse alle sue spalle e Charlie si trovò nella cella di James Evans.  Era seduto a un tavolo, con la sigaretta sempre alla mano e un cestino di frutta fresca davanti. Gli fece cenno di accomodarsi, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni un coltellino. Charlie sogghignò appena, sedendoglisi di fronte. 

-Da quando un detenuto può tenere un’arma con sé?- 

-Ma io non sono un semplice detenuto, mio caro Charlie- 

-E chi meglio di me lo può sapere- i due risero appena, mentre James prese una mela dal cestino, iniziando a sbucciarla con calma. Charlie deglutì, sebbene si trovasse insieme al suo vecchio amico di infanzia. 

-Allora, che novità mi porti da fuori?- poggiò la sigaretta sul posacenere e iniziò a gustarsi il frutto, guardandolo poi negli occhi. Charlie si sentì trapassato, come sempre, da quello sguardo così gelido e, come d’abitudine, scelse di non guardarlo, puntando gli occhi sulle sue mani intrecciate sul tavolo. 

-Ottime, direi. Lo scambio è avvenuto senza nessun problema. Gli italiani hanno preso il carico e Mark si è occupato del recupero del denaro. Lo abbiamo contato e diviso, come hai detto tu, in due parti. Una parte è nel mio conto in Svizzera, l’altra ancora nascosta a casa tua e ho ricevuto notizie di Damon proprio ieri: abbiamo un contatto per comprare altri chili di droga- fu interrotto da un gesto di James, che gli sventolò la mano davanti.

-Ma queste cose io già le so, mio caro amico. Damon è mio figlio e come hai potuto tu stesso constatare, i divieti qui per me non ci sono e posso parlarci quando voglio- si interruppe un momento, aspirando di nuovo il fumo dalla sigaretta- io voglio sapere che cosa succede riguardo l’omicidio di tua figlia- Charlie sbuffò, alzando le spalle. 

-Tutto come previsto. Il commissario Harrison ci è cascato con tutte le scarpe e Malik è stato ritenuto colpevole. A giorni dovrebbe esserci l’ultima udienza dove il giudice annuncerà l’ergastolo-

-E Styles?- 

-Forse è l’unico che potrebbe recare qualche problema, insieme all’avvocato del ragazzo. Ma stiamo cercando di risolvere tutto-

-Come?- Charlie sorrise, poggiandosi contro lo schienale della sedia e allungando una gamba. 

-Penso che tu abbia una risposta a questo quesito- disse solamente, scettico. 

-Oh, ma io voglio sentirlo da te- Charlie scosse la testa lentamente, per poi sospirare e tirarsi su, mettendosi ritto e con il viso poggiato contro le mani intrecciate. 

-Damon. Abbiamo deciso che sarà lui a ucciderlo- 

-Voi avete deciso?-

-Tu- ribatté, alzando nuovamente gli occhi al cielo. James si ritenne soddisfatto e addentò l’ultimo pezzo di mela, stiracchiandosi. 

-Credevo che quella famiglia avesse capito di non doversi intromettere nei miei affari. Non pensavo che dovessi decimarla per farglielo comprendere- 

Charlie e James trascorsero altri venti minuti parlando del contatto che Damon aveva trovato per loro tutti ma un colpo alla porta della cella li fece interrompere. 

-Il tempo è scaduto, devi andartene Charlie- e lui si alzò, allungando una mano verso l’amico. 

-A presto Burattinaio- 

-A presto, amico mio- e quando le loro mani si strinsero,i mille dubbi che talvolta investivano Charlie scomparvero: gli piaceva quella vita. Quando stava oramai nei pressi della porta, la voce di James lo fermò di nuovo. 

-Un’ultima cosa, Charlie- lui lo guardò, attendendo. 

-Mia figlia.- 
 

 

-Che cosa ti è successo al viso?-

-Ti sei ricordata per caso che quest’anno devi prendere il diploma?- Niall le diede le spalle, chiudendo l’armadietto con un colpo secco e iniziando a camminare velocemente. Emma recuperò di corsa i libri che le servivano e gli corse dietro, fermandolo da una spalla. 

-Ti ho chiesto che cosa hai fatto alla faccia- gli sibilò a un nulla dal viso, guardandolo fisso negli occhi, quegli occhi che tante volte erano stati il suo appiglio personale; ma essi la fuggivano, tentando in ogni modo di non posarsi sulla sua figura, più oscuri, più sfuggenti. 

-Niall- lui scosse solamente la testa, superandola senza aggiungere nulla. Emma chiuse leggermente gli occhi, tremando quando il braccio di Niall sfiorò il suo e in quel momento le tornarono in mente i momenti più belli che entrambi avevano passato insieme. Se si fermava a pensare alla vita fino a quel giorno, non poteva prescindere dalla presenza dell’amico: era sempre stato al suo fianco, con i capelli cenere al vento e mai pettinati, il sorriso sbarazzino ma sempre dolce, gli occhi mare, sempre confortanti, caldi, suoi. E sapeva che forse non avrebbe mai smesso di amarlo, perché Niall le era entrato dentro la pelle, scrivendosi fra le sue ossa, i suoi organi, i suoi respiri. Tutto ciò che c’era di vitale era legato a lui, a quel ragazzino impacciato che non le aveva mai detto di no, nemmeno quando lo aveva praticamente costretto a baciarla. E se anche in quel momento le aveva girato le spalle, negandosi, Emma non gliel’avrebbe concesso. Perché erano sbagliati insieme, ma erano lo sbaglio più giusto di questo mondo. Per questo gli corse di nuovo dietro, bloccandolo appena fuori la classe. 

-Tu non te ne vai finché non mi avrai ascoltato. E non te lo sto chiedendo- e finalmente Niall la guardò e forse, anche lui vide ciò che entrambi avevano negli occhi. 

-Ti prego- 

 

-Da quanto tempo è che non veniamo quassù?- Niall, sdraiato accanto a lei, le mani intrecciate dietro la nuca, sorrise. 

-Da troppo- Emma continuò a guardare il cielo azzurro, beandosi del vento che le rinfrescava il viso. 

-Ho sempre amato il tetto della scuola, è il mio rifugio- 

-Ci venivo quando ero triste, mi sdraiavo ad osservare il cielo e tutto tornava a essere colorato e questo perché guardare il cielo è un pò come guardare i tuoi occhi- Silenzio. 

-Perché mi dici queste cose?- la voce di Niall era leggermente più bassa e solo allora Emma si girò a guardare il suo cielo personale. 

-Perché è la verità e perché se ci siamo baciati un motivo c’è- 

-Dove vuoi arrivare, Emma?- 

-Io ti amo Niall- lui non si mosse- ti amo e potrei darti un centinaio di motivi del perché continuo a farlo anche se siamo sbagliati. Perché guardaci, insieme siamo una forza, ma uniti in una sola persona facciamo proprio schifo- lui continuava a rimanere in silenzio. 

-Ricordi qual è il numero che da bambini dicevamo quanto fosse brutto e sbagliato?- 

-Il 333, perché dicevamo che assomigliava a una processione di vermi- 

-Qual è il tuo numero fortunato?- 

-Il 33- il tono di voce era sempre basso, incerto, come se la stesse prendendo per una pazza e forse, in fondo, lo era davvero. 

-E sai qual è invece il mio?- vide chiaramente la consapevolezze prendere piede sul suo viso, tanto che Niall sorrise,mesto. 

-Il 3- concluse lui, distogliendo lo sguardo da lei per posarlo di nuovo sul cielo dove correvano, veloci, nuvole scure. Un temporale era in vista. 

-33 e 3. Insieme 333, il numero più sbagliato- fu allora che Niall si tirò velocemente in piedi, incastrando le mani fra i capelli. Emma si mise seduta, guardandolo mentre le camminava davanti, nervoso. 

-Ti rendi conto di quanto sia assurdo tutto questo? Stai tentando di spiegarmi che non andiamo bene insieme basandoti su uno stupido ricordo di quando eravamo bambini- la guardò, scuotendo la testa. Quel Niall, non lo conosceva affatto. 

-Dio Emma, faresti prima a dirmi che non mi ami, che ti sei stufata di avermi sempre in mezzo e che vuoi stare con quel criminale piuttosto di montare tutta questa schifezza- Emma si irrigidì, guardandolo a bocca aperta. D’un tratto, le era tutto chiaro: l’assenza di Niall, le chiamate senza risposta, il naso tumefatto. 

-Niall- ma lui non le diede il tempo di aggiungere altro. 

-Emma, so che io la mia possibilità ce l’ho avuta e non sai quanto vorrei tornare indietro nel tempo per rispondere a quel bacio, per stringerti a me come vorrei fare ora, renderti mia sempre e per sempre. E so anche che adesso non ho il diritto di venire da te e pretenderti perché sono stato stupido, eccome se lo sono stato. La verità è che anche io ti amo, dello stesso amore che provavi tu e non di un amore fraterno come ho sempre sostenuto in tutti questi anni- fece una pausa, durante la quale Emma non riuscì a ribattere nulla. Niall era la vita che aveva sempre sognato: un uomo intelligente e buono, sarcastico al punto giusto, capace di saper prendere la sua eccentricità, la sua spensieratezza e la sua istintività; Niall era sempre stato il porto sicuro, la mano che non ti avrebbe mai abbandonato, l’uomo trasparente e limpido ma che possedeva quella parvenza di misteriosità e ineffabilità proprio là, in un angolino della sua iride blu, in mezzo a quell’oceano di emozioni, sentimenti e sensazioni che aveva al posto degli occhi. Niall era una vita comoda e serena, ma anche passionale, lussuriosa, vietata. Bastava allungare una mano e afferrarlo: lui glielo avrebbe permesso. Innanzi a un bivio, Niall era la scorciatoia fatta di un sentiero di rose profumate, che all’apparenza le sfioravano piacevolmente le piante dei piedi, ma in realtà con il loro profumo potevano stordirla al punto di condurla ovunque. Questo ovunque, però, sarebbe stata la felicità? Emma una risposta non l’aveva, perché sentiva di amarlo ma non era il sentimento travolgente che l’aveva scombussolata nel corso di quegli anni; finalmente riusciva a guardare quel mare blu con una tacita sensazione di pace e non di tormento interiore. Forse perché Emma, un altro uragano che l’avrebbe distrutta l’aveva trovato in uno sguardo più sfuggente. 

-Hai incontrato Zayn?- e Niall capì ogni cosa, lui non era stupido. Almeno, non lo era quando tentava di capire la ragazza che aveva davanti: anche se non era sua intenzione, Niall riusciva a carpire ogni suo stato d’animo. Per questo pianse, forse, per la prima volta davanti a lei perché Emma era diventata finalmente una donna e non aveva scelto lui. 

-Non ha più importanza Emma, ora ho capito davvero- e non ci furono bisogno di altre stupide, futili parole. Se lui diceva di aver capito, gli credeva. Niall aveva sempre capito tutto di lei. 

-Mi dispiace così tanto Niall- lui scosse la testa biondiccia, disordinata come lo era la sua anima che scalpitava da quando Emma aveva pronunciato quel nome, in quel modo. 

-Ti amo davvero Emma-

-Non mi lasci, vero?- ma questa volta, Niall non le avrebbe risposto.
 

 

Harry giocherellava con il ciondolo a forma di  cuore, ammaccato, su cui era incisa l’iscrizione Clare. Nei giorni seguenti, il caso Malik sarebbe stato del tutto risolto e quindi archiviato e il ragazzo sarebbe stato punito con l’ergastolo, scontando la sua pena per il resto della sua vita. Aveva fatto di tutto affinché non si arrivasse a questo punto, ma aveva schifosamente fallito. Aveva imboccato molte strade che si erano poi scoperte essere vicoli ciechi, inutili all’avanzamento delle indagini. Almeno questo erano agli occhi della legge britannica ma lui sentiva che quelle piste, in qualche modo, fossero collegate fra loro e portassero effettivamente a qualcosa di vitale. I testimoni che avevano ritrattato, sostenendo di aver visto chiaramente Zayn con in mano un coltello, una volta entrato dentro la casa dove sapeva non esserci telecamere; Zayn ubriaco, quando l’avvocato Tomlinson aveva espressamente mostrato da alcune analisi cliniche che il giovane non poteva toccare nessun genere di alcol, rischiando la vita se lo avesse fatto; il modo in cui Zayn non aveva lasciato il corpo della ragazza nemmeno un momento, facendosi trovare ancorato a lei anche all’arrivo della polizia, e che l’avvocato Lyn aveva spiegato con un evidente disturbo della personalità del ragazzo. E poi il padre della vittima, tanto addolorato quanto quasi del tutto indifferente al caso della figlia. Ma non poteva che affiancare dei se e dei ma, accanto a delle prove concrete che proprio non riusciva a spiegarsi: la compatibilità con le impronte digitali ritrovate sull’arma del delitto e le immagini delle telecamere che ritraevano un’impetuoso Zayn varcare la soglia di casa Smith. Immerse le mani fra i ricci scuri, sospirando e chiudendo gli occhi. Si stropicciò le palpebre chiuse e, riaprendole, fece sfilare lo sguardo sulla fotografia mezza bruciata che aveva recuperato insieme al ciondolo: James Evans, assassino di sua madre, nel fiore della sua attività. La foto lo ritraeva, sorridente, davanti a un tavolo pieno di denaro e al suo fianco, un bambino lo abbracciava, arrivandogli a stento alla vita. Ma proprio il resto della foto, mancava. Il suono del suo cellulare lo fece distrarre da quel disegno complicato che aveva marchiato in testa e non riuscì a trattenere uno sbuffo, quando lesse il nome di Hollie sullo schermo.

-Hollie- 

-Amore- capì immediatamente che qualcosa non andava, dal tono cadenzato che la sua ragazza aveva.

-Che succede Hollie, stai male?- la sentì tirare su con il naso, singhiozzando liberamente e senza freno. 

-Mi hanno licenziata, Harry. Il capo del bar mi ha sbattuta fuori- Harry sospirò, sentendosi da una parte sollevato. Capendo poi la situazione complicata di Hollie, cercò una spiegazione a quel licenziamento lampo. 

-Perché ti hanno cacciata? Non avevi un contratto legale?- al silenzio che venne dall’altro capo, Harry scoprì che forse lui non era l’unico a essere bugiardo. Scosse la testa, perché quella era un’altra cosa e davvero, era assai colpevole. 

-Hollie?-

-Mi dispiace Harry, davvero. Avevo un’impellente bisogno di lavoro, lo sai bene. Con le spese mediche per mia mamma e questo lavoro era perfetto. E’ solo che stamattina ho scoperto il proprietario baciare una donna che non era affatto sua moglie e lui mi ha vista e senza altri giri di parole, mi ha strappato il contratto e mi ha intimato di non avvicinarmi più a quel locale- altri singhiozzi non le permisero di continuare ma Harry, non la stava più ascoltando. A bocca aperta, fissava un punto preciso della scrivania, dove solo fino a qualche ora c’era un fascicolo che avrebbe potuto cambiare le sorti dell’intera indagine.

-Amore, scusa devo proprio scappare. Ci vediamo stasera a cena da me, va bene?- ma non le diede il tempo di aggiungere altro, che attaccò. Harry si alzò in piedi velocemente, torturandosi il labbro con le dita, graffiandosi con le sue stese unghie. Si immobilizzò al centro del suo ufficio, osservando stupito il ciondolo abbandonato sulla foto. Il magazzino saltato in aria era collegato in qualche modo all’omicidio di Emily Smith; e lo stesso identico giorno, loro erano stati chiamati per il ritrovamento di un cadavere nel casolare lì vicino. Il cadavere di Ken Mcartey , uomo settantasettenne … pensionato? Era sicuro che sul verbale fosse esplicitato insieme al fatto che sua moglie avesse notato un cambiamento in lui dopo la suddetta pensione. Ritrovato morto dopo appena cinque giorni dal termine del suo lavoro. Inserviente? Harry si schiaffeggiò la fronte, uscendo dall’ufficio e incamminandosi a passo spedito verso l’archivio. Se quello che ricordava era giusto, l’omicidio del signor Mcartey era un’ulteriore fatto da canalizzare sulla scia del delitto Smith. 

 


Liam non era mai stato un uomo debole. Sensibile sì, forse anche ingenuo. Ma in tutto ciò che faceva, lottava con i pugni e con i denti, non abbandonava mai il sorriso; piuttosto si rimboccava le maniche, ed intonando un motivetto carino e orecchiabile, abbassa il capo e lavorare, non accorgendosi di quanta influenza avesse nelle persone che lo circondavano e che lo seguivano nella sua allegria. Per questo Rose, a circa un mese dalla permanenza a Bradford, voleva tornarsene a casa, mettendo quanti più chilometri possibili fra la sua famiglia e quel posto pieno di morte e dolore. Helen aveva ripreso il carattere placido e spensierato del padre, ma non poteva negare che lei stessa l’aveva vista spegnersi giorno dopo giorno, ed era solo una bambina di due anni che seguiva l’assenza e la tristezza di suo padre. Rose accarezzò la testa di sua figlia, che paradossalmente sonnecchiava sulle sue gambe. Non aveva mai amato dormire il pomeriggio, anzi era il momento in cui si scatenava di più. E proprio mentre baciava la pelle fresca e liscia della sua bambina, seppe che doveva essere proprio lei a salvarli. A salvarlo. 

 



 

Angolo autrice:
eccomi qui con un nuovo, scoppiettante capitolo. Allora, abbiamo molto di cui parlare. Prima di tutto abbiamo l'incontro fra Charlie, il padre di Emily, e il Burattinaio. Questo ultimo è in carcere ma, come si vede bene, non è toccato dai divieti degli altri detenuti. E' come se fosse ancora in libertà, continuando a manovrare tutto il suo gioco. E questo, a permetterglielo, è ... Esattamente Adrian, il maresciallo tanto caro! Sì, è proprio un traditore. Vediamo che nel dialogo, Harry viene nominato di nuovo. Cosa vorranno dal nostro bel riccio?
Poi. abbiamo un altro importante passaggio: lo scontro fra Niall e Emma. Devo precisare alcune cose: so che molti di voi tifano Zemma(orribile) ma mi sento di sottolineare che sebbene questo sia una specie di addio, tanto Niall quanto Emma sono davvero innamorati l'uno dell'altra. Ma è un sentimento particolare, dove è subentrare quella familiarità che compromette un amore. Povero il nostro Niall.
In terzo luogo, ritorna Harry, il principino intelligente, paladino della giustizia che proprio non accetta questo omicidio campato in aria. E dopo essersi scervellato per l'ennesima volta, sembra arrivare a uno snodo importante proprio grazie alla piagnucolona di Hollie (ops, non dovrei chiamarla così). 
Infine, abbiamo un piccolo scorcio sul sentimento di Rose: non vi sarete mica scordato dell'allegra combriccola Payne, che forse tanto allegra non è più ma dettagli lol
Ringrazio infinitamente le persone che continuano a seguire questo malefico labirinto che alcune volte inghiottisce anche me, le persone che hanno il tempo di lasciare una recensione ma anche tutte le lettrici silenziose. Un bacio enorme a tutti insomma e a presto con un nuovo capitolo. (sopra la bella Emma)
Sonia xx

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Capitolo 27
*** 27. Capitolo 26 ***


 


Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché,

di notte chi la guarda possa pensare a te.
 

Charlotte non si era mai innamorata nella vita e se ne rese conto guardando i movimenti scoordinati di Harry; sorrise, incrociando le braccia al petto per poi appoggiare la spalla allo stipite della porta del loro ufficio. Harry si trovava davanti alla macchina del caffè, stringendo in una mano il bicchiere contenente il liquido scuro, e stava ridendo a una battuta di un loro giovanissimo collega, stringendo a fessura gli occhi e facendo comparire le sue fossette sulle guance. Charlotte conosceva a memoria ogni singolo particolare di quel viso tanto bello, che aveva studiato nel corso dei mesi precedenti senza che lui se ne accorgesse; sarebbe stata in grado di ritrarlo anche senza guardare eppure vi era un quesito a cui non aveva ancora trovato risposta, un particolare che le sfuggiva, una pecca che non avrebbe saputo risolvere nel suo ideale disegno: il colore degli occhi del giovane. Essi non sarebbero stati solo verdi, ma anche leggermente castani alle luci a neon del commissariato, grigi nei giorni di pioggia, azzurrini persino quando si perdevano nei suoi, di occhi; e Charlotte non poteva davvero scegliere un colore che desse giustizia allo sguardo di Harry, sempre nuovo, sempre diverso. Quasi come se lui avesse sentito i suoi pensieri si girò, facendo incontrare i loro sguardi e in un millesimo di secondo sembrò che il resto del mondo si fosse fermato. Le sorrise apertamente e Charlotte sapeva che quello era il sorriso riservato solamente a lei, perché non lo aveva mai visto sorridere così a nessun’altra persona; per questo arrossì, sorridendo timidamente mentre il mondo sembrava riprendere a muoversi al suo solito ritmo. Sbatté ripetutamente le palpebre quando Mark, il poliziotto accanto ad Harry, la notò e la salutò calorosamente. 

-Charlotte! Vieni a prenderti un caffè con noi- e avrebbe voluto declinare l’invito perché sapeva che non avrebbe retto la vicinanza ad Harry senza poter dare sfogo all’adrenalina che le diffondeva nel petto, ma non resistette nemmeno all’occhiata focosa che lui le rivolse. Quindi salutò con la mano Mark e si incamminò vicino a loro, giocherellando con un riccio capriccioso che le ricadeva sulla spalla. Si fermò a pochi centimetri da Mark che si sporse per baciarla sulle guance, poggiando una mano al suo fianco. Una tosse nervosa li fece separare, mentre Harry sorrideva, tirato, alla sua direzione. 

-Charlotte- disse soltanto, in quello che a tutti sarebbe sembrato un tono normale ma che per la ragazza significava molto di più. 

-Ciao Harry- gli rispose, tentando di nascondere il disagio che in un altro momento entrambi avrebbero eliminato rifugiandosi una nelle braccia dell’altro, come in fondo avevano fatto negli ultimi tre giorni. 

-Ho saputo che siete riusciti a trovare chi aveva pubblicato le foto della ragazza che ha salvato Harry- Charlotte si sporse verso la macchinetta, inserendo i soldi e premendo il tasto del caffè macchiato. 

-Sì beh, appena Sarah si è ripresa ci siamo fatti raccontare tutto e da lì è stato semplice- Mark la guardava con occhi grandi, quasi sognanti. O forse era solo una sua impressione.

-Sei stata molto coraggiosa- Charlotte prese il bicchiere di carta, girando il liquido scuro al suo interno. 

-Veramente è stato Harry a buttarsi nel fiume per recuperare Sarah, rischiando la vita-

-Ah sì?-

-Strano Mark, mi sembrava di avertelo detto giusto due secondi fa- si intromise Harry, con quel suo dannatissimo sguardo ilare. Vide il povero Mark arrossire fino alla punta dei capelli, balbettando scuse futili. Charlotte nascose il sorriso dietro al suo bicchiere, portandoselo alle labbra e bevendo d’un fiato il suo caffè. Quando lo ebbe finito, si passò la lingua sulle labbra per catturare quel poco di liquido che era rimasto su di esse e, involontariamente, guardò Harry, beccandolo mentre la fissava con uno sguardo cupo. 

-Charlotte, devo parlarti- disse solamente, stringendola dal polso e conducendola verso il loro ufficio. La ragazza ebbe appena il tempo di buttare il bicchiere nel cestino e dare un saluto veloce a Mark, prima di ritrovarsi premuta con la schiena alla porta chiusa, imprigionata dal corpo di Harry. Lui teneva le braccia all’altezza della testa di Charlotte, dandole l’idea di trovarsi in una gabbia: mai si era trovata così al sicuro in un luogo come incastrata fra quelle braccia macchiate di inchiostro, sebbene di sicuro nulla ci fosse. Si perse nella trama dei suoi occhi, andando oltre il velo che Harry faceva calare quando erano costretti a vivere allo scoperto, nascondendo quelle sfumature più limpide che lasciavano trasparire quel sentimento travolgente che li spingeva ad abbracciarsi e a baciarsi ignari dello sbaglio che stavano facendo. Perché Harry era prepotentemente entrato nella sua vita e Charlotte sapeva bene che non era altro che l’ennesima prova che il destino le riservava; e più Charlotte guardava negli occhi Harry, innamorandosi sempre di più di quel qualcosa che nasceva quando lui la toccava, più capiva che in realtà il destino voleva punirla per una colpa che non aveva commesso realmente. Avrebbe voluto essere un’altra persona, libera di vivere quell’amore senza reputarlo malsano, distorto, sbagliato.

-Credo che Mark abbia una cotta per te- come sempre, la sua voce roca a un nulla dalla sua pelle spazzò via qualsiasi campanello di allarme che la poca ragione di Charlotte faceva accendere quando si trovavano al limite. Sorrise, muovendosi sul posto, quel poco che le permetteva il corpo di Harry premuto contro il suo.

-E’ un male?- 

-Potrei essere geloso- e senza aggiungere altro semplicemente varcò il debole limite, premendo le sue labbra contro quelle di Charlotte. La ragazza chiuse gli occhi, attendendo che lui spingesse la sua lingua contro la propria, intrecciandosi in un mosaico antico ma sempre nuovo, allacciando le braccia alla sua vita, mentre Harry spostava le mani dalla porta, intrecciandole fra i ricci scomposti di Charlotte. Quel bacio passionale, che desideravano entrambi da quando erano stati convocati quella mattina nell’ufficio di Harrison, si trasformò presto in dolci sfioramenti di labbra, in un ritmo lento che faceva calmare i loro respiri affannati e i loro battiti irregolari. Come perdevano la ragione anche solo scambiandosi un bacio veloce, così la ritrovavano nel medesimo modo, allentando la pressione di quell’infedeltà che condividevano. Charlotte nei confronti di sé stessa, Harry nei confronti di Hollie. Eppure nessuno si curava delle personali ferite, intenti com’erano a curare quelle dell’altro. Ma il desiderio che Harry provava ogni volta che sfiorava la pelle di Charlotte era irrefrenabile e il fuoco che gli esplodeva nel petto lo portò ad approfondire di nuovo quel bacio, scansando i ricci della giovane per incominciare a baciare la pelle morbida del suo collo. A quel punto Charlotte spalancò gli occhi e il ricordo tornò; il segreto che custodiva gelosamente da anni si presentò davanti ai suoi occhi, oscurando la bellezza di quello sguardo che le stava facendo conoscere l’amore. Aveva sempre creduto che per una strana predisposizione naturale, lei non sarebbe mai riuscita ad amare ed era buffo che proprio lui, proprio Harry, fosse arrivato a stravolgerle i piani. Piantò le sue mani al petto di lui, spingendolo via. 

-Harry- lo richiamò, tentando di allontanarlo da sé. Ma Harry non ci stava e si premette più vicino a lei, perché aveva bisogno di quel calore. Le baciò la mandibola, alzandole leggermente la maglietta all’altezza del fianco per toccare la pelle bollente, surriscaldata da quell’eccessiva vicinanza. Avrebbe voluto marchiare ogni centimetro del suo corpo, Harry; ci aveva messo tanto a capire di volerla e, di certo, non avrebbe sopportato di perderla. 

-Harry, smettila per favore- il tono autoritario di Charlotte lo fece tornare padrone di sé, allontanandosi leggermente, senza però lasciarla. Lei fece scivolare le mani lungo le sue braccia tese, fermandosi all’altezza dei muscoli tesi. Cercò i suoi occhi, ma lei fece di tutto per sfuggirgli. 

-Ho fatto qualcosa di sbagliato?- Charlotte sospirò, guardandolo. Le tempeste dei più grandi successi della letteratura classica antica non avrebbero potuto nulla, al confronto con il tumulto che  procurava su di lui quello sguardo: tanto cristallino, quanto buio, quasi spettrale. Gli accarezzò lentamente una guancia, sfiorando volutamente con un dito le sue labbra rosse e gonfie, risvegliando in lui la voglia di baciarla. 

-Tutto questo è uno sbaglio- entrambi riuscirono a sentire il rumore di qualcosa che si spezzava: un ramo fuori, o forse il loro cuore? 

-Che stai dicendo?-

-Che tu hai una fidanzata, Harry. Non possiamo- lo sguardo di Harry si offuscò e le si allontanò, senza aggiungere altro. Prese il portafoglio sulla scrivania e poi tornò di fronte a lei, sempre in silenzio. Le spostò una ciocca di capelli dal viso, soffermandosi con i polpastrelli sulla pelle arrossata delle guance. Lei si scostò dalla porta, ma non dal suo tocco. Fu lui a far cadere la mano sul suo fianco, girandosi e lasciando la stanza. Charlotte, dopo aver chiuso la porta, scivolò a terra stringendosi i capelli fra le mani. 
 

 

Zayn sobbalzò, ritirandosi velocemente dal suo tocco.

-Che succede?- Emma si allontanò da lui, cercando il suo sguardo. Ma Zayn non aveva nessuna intenzione di guardarla perché sapeva che l’avrebbe subito scoperto. La mano di lei tornò sulla sua pelle, accarezzandogli la guancia.

-Zayn?- lo richiamò e lui non poté fare a meno di guardarla: il suo nome pronunciato da quella voce aveva l’innata capacità di comandarlo. Lui sospirò, accarezzandole gentilmente le braccia lasciate scoperte dalla canotta che indossava Emma quel giorno. 

-Scusa- disse soltanto, piegandosi e riprendendo a baciare quelle labbra morbide. Lei sussultò, ma poi si lasciò andare fra le sue braccia, allacciando le proprie intorno alla sua vita. Ma quando, intensificando il bacio, Emma lo strinse di più per sentirlo più vicino, Zayn si ritirò nuovamente con una palese smorfia di dolore. 

-Mi vuoi dire che cosa succede?- la voce preoccupata della ragazza gli fece alzare gli occhi al cielo, maledicendosi per l’incapacità di mentirle. Con lei, non riusciva mai a dire una bugia, anche se significava nascondere il dolore fisico che provava sotto le sue morbide carezze. 

-Non dirmelo- la consapevolezza distorse i delicati lineamenti di quel volto, disegnandole sul viso tristezza e sofferenza; Zayn si odiò per questo, per il male che le faceva, per il dolore che lui le donava in cambio della pace che Emma gli concedeva con il suo sorriso solare e ingenuo. Emma era  una macchia bianca in una tela nera, che per la straordinaria purezza che nascondeva, poteva definirsi facilmente un’opera d’arte: la sua opera d’arte. Zayn non sapeva connotare quel tormento interiore che provava da quando Emily era morta, ma sapeva come farlo scemare: guardando gli occhi caldi di Emma, accarezzando la sua pelle, abbracciandola, fondendo i loro corpi in quel fascio di luce che era nato come uno spiraglio nell’ufficio di Dean e che era cresciuto sempre di più. 

-Non posso evitarlo- sussurrò, prendendola dai fianchi e poggiando la fronte contro quella di Emma. Quasi riusciva a sentire le sue ciglia solleticargli la pelle, ma non aprì gli occhi: avrebbe voluto che il tempo si fermasse in quel momento, vivendo in eterno di quell’istante. Avrebbe voluto non spiegarle il motivo per cui gli faceva male ogni parte del corpo, non avrebbe voluto vedere i suoi occhi inumidirsi; non avrebbe voluto giungere all’ora in cui Harry Styles sarebbe venuto per portare via Emma e non avrebbe voluto tornare nella sua cella, da solo, senza più traccia di lei se non per il debole profumo che gli lasciava sui vestiti. Avrebbe voluto stringerla per sempre così, in una vita che tanto vita non era, ma meglio di qualsiasi altra cosa. 

-Credevo… credevo che non dovessi più subire … - lui la zittì con un bacio, premendo la sua nuca contro il viso. Voleva assaporarla, sentirla sua e non voleva sprecare quei pochi minuti che avevano parlando di lui che veniva ancora picchiato. Ma Emma si divincolò, allontanandosi da lui perché sotto il suo tocco non avrebbe avuto la forza di fare altro se non baciarlo fino allo sfinimento. 

-Dimmi che posso fare, ti prego. Dimmi come posso far terminare tutto questo- Zayn si appoggiò al muro dietro di lui, massaggiandosi il fianco leso. 

-Non puoi fare nulla Emma. Solo, abbracciami- Una lacrima scese lungo la guancia di Emma e Zayn si chiese quante ancora ne dovesse causare lui e soprattutto, se era giusto: era giusto appoggiarsi a lei? Era giusto farla entrare in quel mondo pericoloso e inadatto? Era giusto innamorarsi di lei, anche sapendo quanto fosse sbagliato? Emma si asciugò velocemente il viso e lo raggiunse, cingendogli le spalle e alzandosi sulle punte, poggiando le labbra sulla sua fronte, poi sulle tempie, sulla guancia, sul naso.

-Mi fai sentire così strana- gli sussurrò sulla bocca, accarezzandogli le labbra. 

-Quando ti ho visto per la prima volta non ho provato i brividi, le farfalle allo stomaco o tutti quei patetici cliché di cui parlano i film e i libri. Guardandoti, mi sono svuotata. Nel momento in cui poi ci siamo guardati fuori dall’ufficio di mio padre, ho capito che quel nuovo vuoto che portavo dentro, lo avrei voluto riempire solo di te- Zayn intrecciò le mani a quelle di lei, chiudendo gli occhi e assaporando quel momento intimo fra loro. Tipico di Emma confessargli che quella loro storia era iniziata da un vuoto: tutte le storie d’amore, in realtà, iniziavano da qualcosa. Invece la loro era iniziata cancellando quel qualcosa che entrambi, forse, avevano dentro: il qualcosa di Emily, il qualcosa di Niall. Loro erano andati contro corrente, quasi a voler provare quanto niente di tutto quello che avrebbero condiviso sarebbe stato normale. Perché lui non era in grado di concederle una vita regolare e ordinaria, e forse Emma neanche la voleva. Lentamente la ragazza si sciolse dal loro abbraccio, fissando i suoi occhi in quelli di lui. Si abbassò, senza mai distogliere lo sguardo, inginocchiandosi davanti a lui. Zayn non sapeva cosa Emma stesse facendo, e non aveva le facoltà per bloccarla: sebbene fosse lei a essere in una posizione da sottomessa, era in realtà quella che comandava. Gli alzò la canottiera larga, scoprendogli il fianco e di conseguenza il livido violaceo che incrostava la sua pelle. Allora capì, ma era troppo tardi per fermarla: lo sfiorò lentamente, come un pittore accarezza la tela ancora vuota quasi a cercare ispirazione, con gli occhi stretti, la fronte corrucciata e i capelli sparsi sulle spalle magre. Alzò nuovamente lo sguardo verso di lui e vi lesse una tacita richiesta; gli stava chiedendo il permesso, ma entrambi sapevano che lui gliel’avrebbe dato comunque. Quindi, quando lei baciò quella ferita, marchiando quella pelle già escoriata, Zayn capì che forse un pò l’amava. Dopo alcuni secondi anche Zayn si inginocchiò e una volta ritrovatisi alla medesima altezza, si sorrisero e non importava quanto quella semplicità stonasse al confronto con l’oscurità, la freddezza, l’umidità che permeava il loro lugubre nido d’amore; Zayn incastrò quel viso fra le sue mani e non si stupì di quanto combaciassero bene, uniti. L’avvicinò di nuovo a sé, baciando quella vita che lei personificava, la vita che voleva condividere con Emily, ma che sentiva scomparire lentamente. 

-Una volta finito tutto questo, mi permetterai di stare con te?- l’ansia fra i suoi lineamenti stava a provare che la risposta non era palese, forse perché Emma non aveva avuto poi tanto tempo per leggerlo attentamente. perché se si fosse fermata a studiarlo solo un attimo di più, avrebbe saputo che Zayn la sua scelta l’aveva fatta. E aveva scelto lei. 

 

 

Liam e Rose, quando più di due mesi prima avevano preparato le valige per tornare a Bradford, non avevano mai parlato di quanto tempo volessero restare. E nemmeno una volta giunti là, si erano posti il problema: avevano vissuto nella normalità adattandosi al fuso orario inglese, alla casa grande e ariosa degli Harrison, alla sveglia di Dean alle sei e mezza e a quella di Emma alle sette. Helen aveva trovato un compagno di giochi che riusciva a farle dimenticare la vita che conducevano in America, Liam continuava a lavorare per il suo giornale, non mancando mai la consegna settimanale dei suoi articoli e Rose trovava nei giardini profumati e verdi della città nuova ispirazione per i suoi racconti e romanzi. Eppure sapevano quanto non ci fosse nulla di stabile in quel capitolo della loro vita, come in fondo stabile non era stato nulla da quando si erano innamorati. Per molti mesi Liam aveva trovato in Rose la giusta sostituta per Nathalie e mai avrebbe veramente pensato di voler costruire con lei una famiglia; sapeva che la stava solo usando, per non sentirsi solo, per non tornare a piangere tutte le notti, per soffocare i ricordi e il dolore che provava quando pensava a tutto quello che gli era capitato. Ma poi Rose aveva sorriso, un gelido pomeriggio di Dicembre, fra la neve che scendeva a New York, dove avevano deciso di passare un fine settimana insieme e lui aveva capito di amarla davvero. E da quel momento, la vita prima di lei era evaporata insieme alla nebbia che li circondava quando la prese per mano e la spinse in un vicolo buio, baciandola come mai aveva fatto prima, con nuova voglia di scoprirla, di conoscerla, di viverla. A un tratto la sua vita aveva cominciato a correre velocemente, o almeno così gli sembrava, dopo che la morte di Nathalie lo aveva bloccato a quella notte lontana. Era arrivato il lavoro dei suoi sogni, una casa bella e grande, una donna che lo amava e anche una bellissima bambina. In meno di tre anni si era risollevato da quelle macerie che lo avevano isolato dal resto del mondo, scavando a mani nude fra i ricordi per costruirsi un tunnel e scappare dal passato, tornare al presente. Rosalie era stata la sua luce, quello spiraglio che lo aveva guidato e che lui non aveva mai perso di vista perché era l’unica cosa a provargli che lì fuori, c’era davvero qualcosa di diverso dal buio che lo attanagliava. 

-Cosa stiamo facendo, Liam?- lui la guardò, seduta al tavolo della cucina con il portatile aperto che le illuminava il viso pallido. Gli occhi erano fissi sullo schermo e le mani correvano veloci sulla tastiera. Per un secondo, Liam pensò di essersela immaginata la sua voce. Ma quando lei finalmente sospirò e abbassò lo schermo del computer, capì che stava aspettando una risposta. 

-Cosa intendi?- si alzò, passandosi una mano fra i capelli nerissimi. Gli si avvicinò e si accoccolò al suo petto mentre lui la circondava con le sue braccia, poggiandosi al piano della cucina. Inspirò il suo profumo, che sapeva di casa, ovunque andassero. 

-Intendo che siamo in bilico. Fra questa vita e la nostra vita in Florida e devo ancora capire quale delle due tu preferisca- 

-Tu quale preferisci?- Rosalie si mosse nel suo abbraccio, girando la testa in modo di riuscire a guardarlo di sbieco. 

-Io voglio una vita con te. Non mi importa dove o quale- disse, osservando le sue labbra. Le sue lunghe ciglia solleticavano il mento di Liam che si trovò a nascondere il viso contro i capelli della compagna, stringendola di più, quasi a sorreggersi. Sentiva il suo respiro sulla pelle, leggero e pacato, segno che quella discussione le premeva dentro da tanto tempo, come tanto era il tempo che ci aveva messo per ponderare le parole giuste da dirgli. Non voleva mettergli fretta, pressione o voleva che lui facesse una scelta; voleva semplicemente che riuscisse a essere felice per davvero, ora che aveva trovato il coraggio di recuperare i pezzi fondamentali di un passato oramai distrutto. 

-Non sono mai stato bravo ad amarti-

-Non è così e tu lo sai- Liam scosse la testa, tentando di arginare le lacrime che sentiva annidarsi nei suoi occhi. D’un tratto si chiese se davvero in quegli anni fosse riuscito a dare a Rosalie ciò che si meritava, e fra quelle mura che sapevano ancora di Nathalie, del suo futuro con lei mai realizzato, la risposta non gli sembrava più tanto sicura. 

-So che non ho mai dimenticato Nathalie e forse non te l’ho mai fatto capire- Rosalie si allontanò da lui, al sentir pronunciare quel nome. Alcune volte, negli anni passati, si era ritrovata ad odiare quella ragazza, di un odio profondo e non giustificato e allora lei cadeva a terra, a pezzi, perché si sentiva orribile, perché lei poteva osservare Liam ridere, abbracciarlo, fare l’amore con lui, viverlo e lasciarsi vivere mentre Nathalie, non avrebbe potuto farlo mai. 

-Ma io non te l’ho mai chiesto-

-Di dimenticare Nathalie o di farti capire che non ci sarei mai riuscito?- Rosalie gli diede le spalle, osservando dalla finestra il dialetto ghiaioso della casa. 

-Entrambi- sussurrò, stringendosi le braccia intorno al petto per non permettere di spezzarsi. Liam dovette capire perché la raggiunse, aggiungendo la sua stretta, stringendola così forte che nemmeno il terremoto più forte del mondo sarebbe riuscito a dividerli e a spezzarli. 

-Io ti amo, Liam-

-Anche io ti amo-

-E allora, dimostralo come hai sempre fatto- ma mentre Liam si sporgeva per baciarla si sentiva sporco, contaminato, colpevole. Nathalie lo stava osservando, e non era lei la ragazza che stava baciando. 

 

 

 

Quando Dean aprì la busta gialla che aveva trovato nel suo ufficio, non avrebbe mai immaginato di potersi sentire in quel modo; osservando le foto, con mano tremante, aveva visto tutto il suo mondo crollargli addosso. Aveva cresciuto sua figlia da solo, dopo che la moglie era morta per una malattia che l’aveva portata loro via; aveva cercato di colmare la sua assenza in ogni modo possibile, tacendo il dolore che lo paralizzava, il pensiero di non potercela fare, solo per amore di quei due bambini che Janet aveva lasciato in sua custodia. 

-Amali sempre e non lasciarli mai- erano state le uniche parole che gli aveva rivolto sul lettino d’ospedale; nessuna raccomandazione, nessuna avvertenza. Lei aveva  avuto fiducia in Dean. Ma in quel momento, a distanza di anni, avrebbe voluto che Janet gli avesse dato più indicazioni perché forse, aveva sbagliato tutto. Forse Emma aveva bisogno di qualcosa di più. E dopo anni dalla morte di sua moglie, Dean pianse; pianse lacrime di rabbia, accartocciando nel pugno quelle foto che ritraevano Emma abbracciata a Zayn Malik. 

   x    

 Sopra Charlotte e Harry. 

 Angolo autrice:

Eccoci qui con un nuovo capitolo. Come potete vedere, è un capitolo un po' diverso dagli altri: effettivamente non accade nulla che mandi avanti l'intreccio della storia, ma mi sono presa un capitolo intero per mostravi gli stati emotivi dei personaggi: abbiamo la storia di Harry e Charlotte, che sa di amore travolgente, di baci nascosti e sensazioni nuove ma anche di segreti. Un segreto che forse, devasterà entrambi e porta la nostra Charlotte ad allontanarsi dalla passione di Harry. 
Poi abbiamo Emma e Zayn: lui, ancora picchiato in prigione, lei sempre più innamorata, dipendente, affezionata al ragazzo. Anche loro, condividono una storia travagliata: la paura di Emma di non essere abbastanza, il timore di Zayn di andare avanti senza Emily ma allo stesso tempo, l'amore che sente per Emma. 
E poi, ultimo ma non ultimo, il nostro Liam. Negli ultimi capitoli l'ho lasciato un pò in disparte ed ecco che ritorna con il suo grande travaglio personale: la presenza ancora consistente di Nathalie che lo fa sentire in dubbio e in colpa nei confronti di tutto ciò che lui ha. Sicuramente, Liam ama Rosalie; è un sentimento genuino e vero il suo, che però irrimediabilmente verrà sporcato da questa presenza ancora costante in lui. 
Infine, un piccolo sprazzo di azione e una svolta abbastanza importante per questa storia: Dean, il papà di Emma, riceve delle foto in cui è presente sua figlia insieme a Zayn. Chi l'avrà mandate e soprattutto, cosa comporterà questo per i nostri personaggi? Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento e giuro che nel prossimo, molte questioni importanti faranno un grande passo in avanti: pian piano stiamo arrivando al nocciolo della questione. Ringrazio vivamente le persone che seguono questa storia e un ringraziamento speciale va a una persona in particolare, una ragazza che mi ha contattato tramite messaggi sul mio profilo di Facebook, e che ha speso parole meravigliose per me e per questa mia storia. Il capitolo lo dedico a lei e anche a tutte le persone meravigliose che mi sono sempre accanto con le loro parole. Un bacione e a presto,
Sonia. 

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Capitolo 28
*** 28. Capitolo 27 ***


 

Il tuo nome è stato scritto a matita

per poterti cancellare una volta finita. 
 

Louis trangugiò il succo d’ananas velocemente, beandosi della sensazione di fresco lungo la gola. Posò il bicchiere con un tonfo, sospirando subito dopo. Si passò una mano fra i capelli fradici, controllando di nuovo l’orologio appeso al muro del bar. Strinse le mani a pugno, spostando lo sguardo verso la vetrata che mostrava la strada. Venti minuti di ritardo e nemmeno una chiamata. Se fosse successo qualcosa? Scosse freneticamente la testa, avvicinando a sé la sedia che gli stava a fianco e dove, appena arrivato, aveva posato la sua borsa nera. Lì dentro c’era tutta la documentazione per la difesa di Malik e non gli piaceva affatto l’idea di portarla in giro. Purtroppo, era l’unica soluzione logica. Se di logico c’era almeno qualcosa, in tutta quella storia. Tornò a guardare fuori e fra la pioggia vide una sagoma correre senza ombrello verso il bar. Pochi secondi dopo la porta si apriva ed entrava Harry Styles. Si tolse il cappuccio nero e, adocchiandolo, lo raggiunse. Gli si sedette di fronte, scrutandolo attentamente.

-Sei in ritardo- lo accolse Louis, nervoso. 

-Abbiamo un enorme problema. Il commissario Harrison ha ricevuto una busta anonima che conteneva una foto di Emma e Malik. Vuole chiedere il trasferimento di Zayn- proprio in quel momento giunse la cameriera che rivolse loro un timido sorriso. Harry si schiarì la gola, spostando gli occhi verso di lei. 

-Volete ordinare qualcosa?- Harry si passò una mano fra i capelli, gli occhi stanchi.

-Un caffè-

-Due- aggiunse Louis, prima che la cameriera si congedasse con lo stesso sorriso timido. Appena si fu allontanata Louis si sporse in avanti, accostandosi ancora di più al poliziotto. 

-Ti avevo detto che quella ragazza avrebbe portato solo guai e ancora non capisco perché tu ti ostini a volerli far incontrare- Louis vide il viso di Harry contrarsi, come se fosse stato punto sul vivo. Probabilmente perché una risposta non c’era: era sempre stato un ragazzo istintivo e quando Emma gli si era presentata, un giorno, con i suoi capelli sbarazzini e gli occhi decisi aveva capito che avrebbe comportato una svolta per lui.

-Io posso scoprire cosa è davvero successo a casa Smith- aveva detto. E Harry si era fidato. Non delle sue parole, né della parentela con Dean Harrison: ma dei suoi occhi. 

-Lei sa la verità, Louis. La verità che Zayn Malik ha tenuto nascosto a te, a me e a tutto il Tribunale-  

-Ma perché? Cosa lega quei due? Chi è questa Emma per Zayn?- la cameriera tornò con le loro ordinazioni, ponendo davanti ad ognuno la tazza con il caffè e un bicchiere d’acqua. 

-Posso portarvi altro?- 

-No, grazie- il sorriso di Harry sembrò stordire la cameriera che rimase impalata per alcuni secondi e si allontanò solo dopo il sonoro sbuffo di Louis. 

-Penso che nemmeno loro sappiano la risposta- riprese Harry, che vide facilmente la contrarietà disegnarsi sul viso delicato di Louis. Il ragazzo emise una mezza risata, scuotendo lentamente la testa. 

-Si tratta di omicidio Styles, non possiamo fare giochetti- sibilò, calcando il cognome del poliziotto. Di risposta Harry lo guardò intensamente, incrociando le mani sul tavolo. 

-Chiariamo la cosa una volta per tutte: anche io ti trovo altamente antipatico, Louis Tomlinson. Direi anzi che sei proprio stronzo quindi ho la tua stessa voglia di collaborare con te. Ma come hai detto tu si tratta dell’omicidio di una ragazza e forse anche più. Hai bisogno di me per provare l’innocenza di Zayn, e io ho bisogno di te per non mandare un’innocente in carcere. Ed entrambi abbiamo bisogno di Emma perché è l’unica che è riuscita dove abbiamo sbagliato noi: ha fatto breccia nel muro che Malik si è costruito intorno. Quindi, vediamo di risolvere questo caso e poi ognuno per le le proprie lontanissime strade- l’avvocato serrò la mascella, stringendo le mani a pugno. Lo guardò per altri pochi secondi per poi girarsi a tre quarti e iniziare ad aprire la sua borsa. 

-E’ pericoloso per lei- 

-Non le importa- Louis annuì, ancora contrariato: Emma Harrison era solo una studentessa e avrebbe solamente intralciato i loro piani. Poi loro, un piano lo avevano davvero? 

-Hai fatto un giuramento quando sei diventato un’agente di polizia, lo hai dimenticato? Perché rischi così tanto?- Harry si mosse, a disagio, sulla sedia e si guardò intorno controllando che nessuno potesse sentirli. 

-Ho un accordo con Emma. Se Zayn parla, lei me lo riferirà- Louis lo guardò intensamente, soppesando le sue parole. Si trattava di fidarsi di lui, di questa persona che altri non era che un ragazzo. Esattamente come lui. Annuì, serrando la mascella e sistemandosi gli occhiali sul naso. Harry sorrise, sfregando le mani fra loro e avvicinando la sedia al tavolino che li divideva. 

-Hai controllato le telecamere?- Louis iniziò ad aprire fascicoli e documenti, sparpagliandoli sul ripiano di legno. 

-Ho preso le registrazioni e fotocopiato i fascicoli ufficiali dove c’è la descrizione dei sistemi di sicurezza del commissariato. Stanotte inizierò a guardarle-

-Quante telecamere ci sono e quanto spazio riuscite a coprire?- 

-Sono dieci telecamere piazzate ogni tre metri e controllano ognuna lo spazio d’entrata di due celle. E ci sono anche le telecamere interne ad ogni prigione- Louis annuì, prendendo un plico di fogli e rigirandoli nel verso di Harry. 

-Queste sono le testimonianze degli inservienti di casa Smith- picchiettò l’indice su un punto preciso del foglio- tutti all’inizio avevano testimoniato di essere assenti durante l’omicidio e di non aver assistito nemmeno all’arrivo di Malik. Poi hanno ritrattato quasi subito dicendo di averlo visto entrare arrabbiato e con il coltello già in mano ma dalle registrazioni della villa Smith non risulta e si vede solo l’arrivo di Zayn- 

-Come hai fatto ad avere le registrazioni di casa Smith? Sono riservate- Louis alzò i suoi occhi su quelli di Harry, alzando un sopracciglio. 

-Non vuoi davvero saperlo…- 

-No, immagino di no- scosse la testa Harry, tirando fuori dalla giacca dei fogli piegati. 

-Ho portato qualcosa anche io- Louis si sporse verso di lui, prendendogli i fogli dalle mani. 

-Chi è Ken Mcartey?-

-Circa un mese fa è stato ritrovato il cadavere di questo pensionato in un casolare nei pressi di un bosco, fuori Bradford. Ricordi la mia testimonianza al tribunale? Il magazzino saltato in aria dove sono stati rinvenuti il ciondolo di Clare Malik- Louis si irrigidì nel sentir pronunciare quel nome- e la foto di James Evans?” aspettò che Louis annuisse, chiaramente interessante a ciò che il ragazzo gli stava spiegando. 

-Ecco, non pensavo le due cose potessero essere collegate. Ma controllando fra i dati personali dell’uomo, ho scoperto un particolare che per qualche assurdo motivo è rimasto celato nel fascicolo che lo riguardava: era appena andato in pensione, poco prima di sparire e allarmare la moglie. E la pensione gli veniva esattamente da un’impiego a casa Smith- Louis strabuzzò gli occhi azzurri, passando una mano fra i capelli ancora umidi, mordendosi il labbro inferiore. 

-Ci sta sfuggendo qualcosa, qua- concluse Harry, sperando che l’ingegno dell’avvocato potesse mettere un punto al disastro che li stava accomunando. 

-Anche io ho qualcosa da dirti- la voce gli si incrinò maggiormente e bevve d’un fiato il caffè oramai freddo. Harry lo osservò, aggrottando le sopracciglia, chiedendosi il motivo di tale nervosismo. 

-Qualche tempo fa, quando sono entrato in possesso delle registrazioni a casa Smith, le ho osservate per ore: ritraevano precisamente il momento in cui Zayn ha messo piede nella villa dal cancello automatico, dopo che la vittima aveva risposto al citofono. Dalle registrazioni era evidente quanto Malik fosse arrabbiato eppure, qualcosa non mi convinceva. Non sono un genio dell’informatica ma per essere più sicuro ho contattato il mio migliore amico e gli ho dato le registrazioni, così che potesse studiarle. Lui è - si bloccò, scuotendo la testa - era davvero bravo in queste cose. Alcune settimane dopo mi contattò, dicendo di aver scoperto qualcosa ma che non poteva parlarne al telefono e che probabilmente avrebbe comportato il rinvio della condanna di Zayn. Quando sono andato da lui, era morto. Ucciso. Le registrazioni, però, sono scomparse- Harry lo guardò forse per la prima volta: guardò Louis, giovane come lui, catapultato in quella storia che era nata come un semplice caso di omicidio, facile da sbrogliare poiché munito di tutte le prove sufficienti a incolpare Zayn Malik. Ma poi, qualcosa era accaduto. I fatti non combaciavano, i silenzi di Zayn confondevano e tanto Harry quanto Louis avevano cominciato a credere che, forse, tanto semplice non era come anche non si trattava semplicemente di omicidio e si erano messi in ballo. Louis, qualcosa aveva già perso. 

-Non è colpa tua- disse solamente, in un sussurro. Louis alzò gli occhi umidi su quelli di lui, annuendo senza però crederci davvero. 

-Ho superato quella fase, credo. Non chiederò più aiuto a nessuno-

-Lo stai chiedendo a me-

-Tu sei diverso- alzò le spalle Louis, iniziando nuovamente a raccattare le sue carte. Harry si lasciò scivolare sullo schienale della sedia, sospirando. Con la pollice e l’indice si strinse forte l’attaccatura del naso, stropicciando poi gli occhi stanchi. 

-Come la risolviamo la questione del trasferimento? Se Zayn va via da Bradford, io non potrò più fare nulla e più sarà lontana la prigione meno possibilità avremo di incastrare i criminali che si muovono in città dietro questo omicidio- Louis si alzò in piedi, lasciando i soldi necessari per pagare le loro consumazioni. 

-Devo escogitare bene un piano. Mi consulterò anche con mio padre. Tu, nel frattempo, cerca di tenere lontana quella ragazzina dal carcere. Non devono incontrarsi, non so ancora per quanto- Harry annuì, seguendo il suo esempio, alzandosi dalla sedia. Fuori la pioggia ancora scendeva copiosamente e coprì i saluti sussurrati che entrambi si rivolsero quando, una volta fuori, uno andò a sinistra e l’altro a destra. 

 

 

Niall guardava distrattamente il libro aperto su una pagina che era sicuramente sbagliata, mentre il professore spiegava gli algoritmi alla lavagna. Sentiva un paio di occhi che gli trafiggevano la nuca, che gli bruciavano la pelle, con quella loro dannatissima capacità di farsi percepire sempre e comunque. Emma sedeva a qualche fila di distanza, accanto a Marie. Tutta la scuola aveva potuto notare la tensione presente nel fantomatico duo nell’ultimo periodo e ora che si evitavano apertamente e reciprocamente, erano sulla bocca di tutti. Era sempre stato chiaro l’amore distorto che li legava: lei bellissima, sorridente, energica e irraggiungibile e lui affascinante, intelligente, dolce e carismatico. Emma, innamorata di lui. Lui, idiota, innamorato senza saperlo. Un amore nato fra i sorridi di due bambini e fra mani curiose, attratte le une dalle altre, sempre in movimento e in costante ricerca di vicinanza. Niall aveva sempre sottovalutato la necessità che sentiva di Emma, mentre Emma era solo stata più intelligente di lui e aveva capito subito: la loro non era solo amicizia. Ma il tempo inesorabile che Niall aveva passato del tutto sicuro dell’affetto che provava per lei l’aveva allontanata sempre di più e ora che quel gelo, quella mancanza non gli permetteva nemmeno più di mangiare, il ragazzo si chiedeva perché mai la sua famiglia avesse deciso di trasferirsi a pochi isolati da casa Harrison e perché quel lontano giorno di dieci anni prima, un piccolo irlandese spaesato avesse incontrato proprio lei. 

-Signor Horan?- il professore richiamò la sua attenzione e gli ci volle poco tempo per capire che stesse aspettando una risposta a una domanda che lui non aveva neanche lontanamente sentito. Niall sospirò, alzando gli occhi sulla lavagna e studiando velocemente i numeri che svettavano sopra. Fece un veloce calcolo e diede la risposta, sperando di aver almeno intuito la domanda. Il professore annuì, scontroso, per poi ritornare a parlare. Non seppe il motivo per cui proprio in quel momento Niall decise di girarsi e guardarla ma non si meravigliò di trovarla intenta a fissarlo. Quando i loro occhi si incontrarono una strana sensazione rivoltò lo stomaco di Niall: la sensazione di non conoscere quella ragazza che per anni aveva dormito anche al suo fianco, di nascosto dai genitori, amandolo in silenzio. Si alzò velocemente dalla sedia, un senso opprimente che non gli permetteva di respirare. Emma, sebbene tutto, era chiara e trasparente come lo era sempre stata e lui, era sempre capace a capirla. In quei pochi secondi Emma gli aveva chiesto di tornare ma lui, lui comunque non la conosceva più bene. Era sempre lei, ma era diversa. E non si trattava delle labbra senza rossetto, delle lentiggini non più nascoste dal fondotinta o dalle magliette non più così tanto scollate; si trattava di una pelle che non gli apparteneva più, di un nome che le aleggiava nello sguardo e che non era di certo il suo. 

-Professore, potrei uscire? Non mi sento bene- il professore nemmeno si girò e con un cenno della mano gli diede il permesso. Niall raccolse velocemente le sue cose tentando allo stesso tempo di camuffare la sua fuga. Uscì dalla stanza che i polmoni bruciavano e solo quando iniziò a correre lungo il corridoio e si fermò nell’altra ala della scuola che riprese davvero a respirare. Emma non era mai stata scontata, nella sua vita, ma mai la sua presenza aveva bruciato come in quei giorni. 
 

 

Angolo autrice:

eccomi qui, tornata dalla vacanze, con un nuovo capitolo per voi. E' molto breve, rispetto agli altri e abbiamo finalmente questioni importanti che si scoprono: prima di tutto il confronto fra Louis e Harry. Questa è una sorta di alleanza, anche se non propriamente pacifica. Anzi, i due non si sopportano minimamente ahahah andando avanti, si capirà anche di più. Comunque, problema n.1: possibile trasferimento di Zayn, a causa delle foto. Ancora non sappiamo quale siano le conseguenze per Emma, ma ben presto giungeranno. Louis proprio non comprende la necessità della sua presenza perché la vede come un'ostacolo. Ed effettivamente, lo è. Alla fine Harry non aveva nessun diritto di introdurla da Zayn, ma vorrei specificare che la loro storia sarebbe nata a prescindere dall'aiuto di Harry. Vi è poi uno scambio di indizi fra Lou e Harry: l'avvocato svela il mistero delle registrazioni di casa Smith mentre Harry gli dice la sua recente scoperta: il cadavere del vecchio trovato nel casolare vicino al magazzino saltato in aria(quello in cui per poco Charlotte non perde la vita, per intenderci) aveva lavorato per la famiglia di Emily. Curioso, no? Cosa c'entrerà? E poi, Harry scoprirà altro dalle registrazioni della prigione? 

E poi, ultima parte, interamente dedicata a Niall, ancora scombussolato per la separazione di Emma. Il fatto che tutta la scuola parli di loro sottolinea quanto abbiano vissuto quasi in simbiosi questi due personaggi e quanto sia stata lampante la loro fulminea separazione. Detto questo, spero vivamente che questa storia non cominci a stufare o annoiare. Indubbiamente ci sono ancora tanti misteri da svelare, alcuni non ancora accennati, e questo non mi permette di annunciare una fine vicina. In fondo, è un labirinto difficile da districare anche per me che l'ho creato, tanto da essermi lasciata stordire e chiedo scusa se l'andamento dopo 27 capitoli possa sembrarvi noioso. Ho deciso proprio per questo, di cominciare a revisionare questa storia ma non preoccupatevi: non cambierà nulla a livello di trama, giusto qualche miglioria e cambiamento radicale della grafica dei capitoli. Con ciò, credo di aver finito davvero. Un grazie speciale a tutti coloro che non si sono ancora stufati di questi personaggi e un abbraccio enorme a quelle persone che sprecano il loro tempo per lasciarmi un commento, con una recensione o anche per vie private. Grazie infinite, davvero. Se la storia è a questo punto, è solo merito vostro. Un bacione enorme, 

Sonia. 

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