La famiglia Harwood-Smythe, con la (s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in: Un matrimonio e due (presunti) funerali. Quando il gene platinato è sinonimo di idiota. di Baude (/viewuser.php?uid=90604)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il lieto evento. ***
Capitolo 2: *** Smythe. ***
Capitolo 3: *** Biondume. ***
Capitolo 4: *** Scuse. ***
Capitolo 5: *** Sabbia. ***
Capitolo 6: *** Ri-Unione. ***
Capitolo 7: *** Fuori. ***
Capitolo 8: *** Le colpe dei padri. ***
Capitolo 9: *** Il pianoforte. ***
Capitolo 10: *** Collisioni. ***
Capitolo 11: *** Riprendersi. ***
Capitolo 12: *** Un Matrimonio e Due Presunti Funerali. ***
Capitolo 1 *** Il lieto evento. ***
La famiglia Harwood-Smythe, con la (s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in: << Un matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene platinato è sinonimo di idiota.
Eccoci qui, dunque, come promesso. Anzi, in anticipo di minuti, ma il capitolo è pronto da metà Febbraio, inutile farlo aspettare. Inizia così una nuova long che spero abbiate il piacere e la pazienza di leggere. E’ stato bellissimo vedere crescere la scorsa storia, spero possiate riservare lo stesso trattamento a questa.
E’, come già qualcuno sa, il sequel di “ Tu menti (mi) “, ma può essere letta anche senza conoscere la storia.
Ai vecchi lettori chiedo di non fare confronti on la bisbetica, questa storia sarà completamente differente, sebbene anch’essa ambientata nel futuro. Il mio obiettivo è quello di migliorare, di storia in storia.
Novità: in ogni capitolo scriverò alcuni versi e il titolo della canzone che l’hanno ispirata. Scrivo sempre con la musica, ma per la prima volta mi impegno a riferire tutte le canzoni utilizzate, spero che a qualcuno questa iniziativa (non molto originale, lo ammetto) possa piacere.
Una piccola menzione a quelle meravigliose creature del gruppo della Thadastian Week. Sono strepitose, dolcissime e incoraggianti.
La storia ha rischiato di non “vedere la luce”, ma grazie alla mia adorabile beta, Lady_Thalia, ho deciso che anche questa meritasse uno spazio proprio.
Grazie a chi mi ha seguita fino ad adesso, spero di non deludervi.
Gli aggiornamenti verranno fatti ogni settimana di Venerdì. Nel caso vi siano eccezioni vi avvertirò nel capitolo precedente.
E dopo queste note lunghissime ( prometto che in seguito sarò molto più breve! ) ,vi lascio all’inizio della mia nuova storia.
Al mio Thad:
perchè una promessa,
è una promessa.
Toujours.
And I have finally realized
I need your Love
I need your Love
Come to me, just in a dream
Come on and rescue me
Yes I know, I can’t be wrong
And maybe all too have strong
Our love is…
(Muse , “Madness” )
Capitolo I
Il lieto evento.
*
Thad Harwood non aveva bisogno di voltarsi, era in grado di avvertire la sua presenza.
Era come se dell’elettricità gli attraversasse la spina dorsale e, dal collo, si propagasse per tutto il petto.
Riconosceva il respiro, profondo e lento.
Il passo, leggero e regolare. Aveva l’abitudine di non appoggiare la pianta del piede, ma di muoversi quasi sulle punte, attraversando velocemente le varie stanze, come un gatto.
L’odore, pungente e assuefacente. Non era profumo. Sebbene li usasse, l’odore della sua pelle era tale da coprire qualsiasi artificio chimico.
Un peso leggero sulla spalla e quell’odore ancora più vicino e forte.
Thad voltò leggermente la testa e posò un bacio sulla tempia di un assonnato e imbronciato Sebastian Smythe.
-Buongiorno.- sorrise contro i capelli dell’altro, allungando un braccio per poter prendere una tazza dalla credenza.
Sebastian, da appena sveglio, non era molto loquace. In realtà si limitava a grugnire a occhi socchiusi e a strusciarsi contro Thad, bisognoso di attenzioni e caffè.
Il moro riempì la tazza fino all’orlo e la porse al marito che, borbottando un qualcosa di molto simile a un grazie, ne mandò giù il contenuto.
-Meglio?- domandò, afferrandogli le mani e portandosele intorno alla vita.
-Sì.- mormorò Sebastian, strofinando il naso contro l’orecchio del moro. -Buongiorno, Harwood.-
Aveva ghignato.
Thad avvertì i muscoli della bocca tendersi e quel tono che prometteva ritardi e stanchezza mattutina per la performance sessuale contro il ripiano della cucina.
Ma Sebastian si scostò dal corpo dell’altro con un leggero sbuffo e si lasciò cadere sulla su una delle sedie posizionate accanto al tavolo.
Inforcò i propri occhiali, che Harwood adagiava ogni mattina vicino al giornale, e aprì il quotidiano sulla pagina economica.
Lesse, concentrato e attento ; il compagno adagiò la tazza più grande, colma di the, sul tavolo e l’altro la sorseggiò lentamente, continuando a leggere.
Alzò in fine lo sguardo, voltando la testa. -Audrey?- domandò Sebastian.
-Credo stia dormendo ancora.- ammise Thad, riponendo lo zucchero nella credenza.
Smythe si portò due dita alla bocca e, in modo poco signorile ma molto fastidioso, emise un fischio lungo e forte.
Harwood storse il naso. -Non conosci un modo meno rumoroso e rozzo per chiamare il cane?- sbuffò.
Ma Sebastian non fece caso alla lamentela e attese che il cane di casa Harwood-Smythe facesse il proprio ingresso nella cucina.
Un grosso animale, più simile a un orso che ad un cane, fulvo e totalmente ricoperto di pelo, varcò la soglia, visibilmente assonnato.
-Buongiorno, piccola.- tubò Smythe, porgendo una mano e invitandola ad avvicinarsi.
Il Tibetan Mastiff mosse alcuni passi verso il padrone e appoggiò il grosso muso sul ginocchio dell’uomo, socchiudendo gli occhi e sospirando.
-Dormito bene, principessa?- continuò Sebastian, grattandole dietro l’orecchio.
Thad si voltò, appoggiando i fianchi contro il lavandino. -Tu soffri di sdoppiamento della personalità.- dichiarò il moro. -E’ un cane!-
Smythe fulminò con lo sguardo il marito e continuò ad amoreggiare con il cane. -Non ascoltarlo, Audrey. Sei una bella ragazza. E’ solo geloso.-
-Sono preoccupato!- esclamò Harwood, lanciando uno strofinaccio bagnato in faccia all’altro. -Tratti meglio lei di molte altre persone.-
Sebastian appoggiò il panno sul tavolo e, dopo aver fatto un’ultima carezza al grosso cane, si alzò, intrappolando il moro tra il lavandino e il proprio corpo. -Ripeto: geloso.- mormorò con tono basso
Il marito deglutì. -Riservi molte più parole dolci a lei che a me.- spiegò.
Non facevano sul serio.
Era solo un rito, un pretesto affinché…
Sebastian prese Thad per un braccio e lo voltò, premendo il petto contro la schiena dell’altro. -Non sono le paroline dolci ciò che vuoi, Harwood.- sussurrò al suo orecchio, disegnandone il profilo con la punta del naso.
-Ah, no?- gli resse il gioco il marito, sapendo esattamente dove sarebbero andati a parare.
-No.- rispose, ghignando Sebastian, facendo scorrere una mano sulla schiena del moro e andando a stringergli forte il sedere.
Audrey emise uno strano verso, osservando i due padroni.
-Va- t’en.- ordinò al cane.
L’animale obbedì, recandosi in quella stanza completamente dedicata a lei.
Harwood socchiuse gli occhi. Gli aveva ordinato di andarsene, in francese.
Si strusciò contro il marito.
-Dunque.- mormorò Sebastian, rispondendo alle spinte di Thad. -Preferiresti che ti dicessi parole dolci o che…- diede un colpo di bacino più forte. -Ti prendessi contro il ripiano della cucina ora, fino a sfinirti?-
Non erano più dei ragazzini: avevano superato da qualche anno i quaranta, ma il trasferimento della loro unica figlia, li aveva catapultati indietro nel tempo, quando ogni occasione era buona per strusciarsi e gemere su qualsiasi mobile di casa.
Il telefono squillò e Sebastian sbuffò contro la pelle bianca e calda di Harwood.
-Non rispondiamo?- domandò Thad, reclinando il collo e permettendogli un maggiore accesso alla propria gola.
-No.- continuò Smythe, tracciando con la lingua percorsi immaginari che dal mento portavano alla clavicola.
L’apparecchiò continuò a suonare, coprendo parzialmente i loro sospiri che, sebbene fossero ancora vestiti, iniziavano a divenire sempre più frequenti ed alti.
Partì la segreteria telefonica: “ Risponde la segreteria telefonica di casa Harwood-Smythe, in questo momento non siamo in casa.” Annunciava la voce gentile ed educata di un Thad Harwood più giovane di una decina d’anni rispetto a quello attuale.” Richiamate o lasciate un messaggio dopo il segnale acust_” ,ma il tono di voce cambiava completamente d’improvviso.” SEBASTIAN, TUA FIGLIA HA DI NUOVO INCENDIATO LA TENDA _biiiiip”
Sebastian voltò il marito e sorrise: non avrebbero mai cambiato quel messaggio.
Si piegò su Thad e passò la lingua sulle sue labbra, attendendo pazientemente che gli venisse dato il permesso di impossessarsi di quella bocca.
“Papà, sono Andrèe.” una voce femminile ad adulta si annunciò attraverso il telefono.
Thad aprì gli occhi, confuso da quella chiamata inaspettata da parte della figlia.
“Immagino non siate in casa e se lo siete, non voglio sapere che cosa stiate facendo.”
Smythe ghignò tra sé.
“Ho una cosa importantissima da dirti, papà Thad: dunque, se sei in casa, rispondimi.”
Harwood si scostò dal marito, preoccupato a causa del tono della figlia : Andrèe era una Smythe, difficilmente parlava così con qualcuno.
Si avvicinò al telefono, tirò su la cornetta e mise il viva voce. -Andrèe, che succede?- domandò, apprensivo.
Sebastian si avvicinò al marito, rendendosi conto a sua volta della stranezza di tutta quella situazione, e gli circondò i fianchi.
-Papà, sarebbe meglio dirtelo di persona, ma tra tre giorni sarò a casa da voi e forse è meglio iniziare ad anticipartelo.-
-Andrèe, mi spieghi che cosa succede?- Harwood iniziava a perdere la pazienza e la calma.
-Mi sposo.-
Thad spalancò occhi e bocca e si voltò verso Sebastian, cercando di capire come_
-CHE COSA?!-
-Ma non dirlo a papà Sebastian, non oso immaginare come potrebbe reagire…-
Ma Thad Harwood lo sapeva, sapeva benissimo come papà Sebastian Smythe avrebbe reagito.
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Capitolo 2 *** Smythe. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
Ci sono. CI
SONO,DECISAMENTE. Giornatina faticosa e non siamo nemmeno alla fine, ma
avevo
detto che avrei aggiornato. Innanzitutto grazie per
l’accoglienza. Siete della
meraviglie. E’ sempre un piacere vedere con quanto amore e
pazienza mi
seguiate, non scriverò mai abbastanza bene per ringraziarvi
in modo adeguato.
Sono felice che il primo capitolo vi sia piaciuto, spero di continuare
su
questa linea. RISPONDO A TUTTE LE RECENSIONI, GIURO! Le adoro, come
chiunque
immagino, e se ci impiego molto per rispondere è
perché sono una perditempo
disorganizzata. Ma è FANTASTICO leggervi e rispondervi.
Nuovo
capitolo, finalmente i nuovi personaggi. Spero possiate affezionarvi
anche a
voi, siete stati dolcissimi con Ellie e Dominc, mi auguro facciate lo
stesso
con Andrèe e Paul.
Notare il banner
del primo capitolo: E’
BELLISSIMO E
OPERA DI THAD. Quel gatto, oltre ad essere
un’autrice meravigliosa, sa
fare anche queste cose. Mppppff!
Un grazie
alle ragazze della Thadastian Week. Non vedo l’ora che sia
Aprile per poter
letteralmente impazzire e sciogliermi a causa della week. Grazie per la fiducia ed
il sostegno, non
credo di meritare davvero tutti quei complimenti. Grazie a chi
condivide post
su Facebook (Meli.
) e mi tagga. Grazie a chi mi da la possibilità di
aiutarlo, scrivendo o ascoltando.
Un abbraccio
forte a Valeria
e la speranza di farla sorridere ancora.
Un grazie
alla mia beta, Lady_Thalia ,
precisa
e essenziale. Grazie a Valentina,
per le comunicazioni autore-beta: mi hai salvata da una noiosissima
lezione di
Anatomia Patologica. E’ sempre confortante leggere parole di
volti amici.
Innumerevoli
grazie al mio Thad, perché,
beh, è il mio Thad.
Al mio Thad:
è
stato un lungo inverno,
ma tra due soli
giorni
tornerà
la mia Primavera.
So
excuse me forgetting but these things I do
You
see I've forgotten if they're green or they're blue
Anyway
the thing is what I really mean
Yours
are the sweetest eyes I've ever seen
(
“Your Song”, Elton John)
Capitolo
II
Smythe.
*
-Allora ci
vediamo tra tre giorni.- mormorò Andrèe,
accennando un sorriso contro la
cornetta del telefono.
Paul la
osservò, una mano appoggiata allo stipite della porta e il
viso parzialmente
coperto dalle ciocche bionde.
In silenzio,
senza annunciarsi, studiò quel sorriso, timido e quasi
infantile.
Andrèe
sembrava tornare bambina quando parlava con i propri papà.
Paul non vedeva
l’ora di conoscere i genitori della propria fidanzata. Ne
aveva sentito
parlare, erano degli amici di vecchia data della sua famiglia, ma non
aveva mai
avuto occasione di vederli di persona. Aveva trovato qualche foto, veri
e
propri cimeli dell’epoca della Dalton. Era incredibile la
somiglianza tra Andrèe
e il signor Smythe. Erano identici, la
figlia era la variante femminile del
padre.
Osservò
la
ragazza emettere un leggero sbuffo: era
preoccupata. Si portò una mano alla fronte e la
fece scorrere tra i lunghi
capelli castani, lasciando, inavvertitamente ed involontariamente, che
il
proprio profumo invadesse la stanza in cui si trovava. Socchiuse gli
occhi e
appoggiò le spalle alla parete.
Paul si
spostò la frangia dagli occhi e sorrise ad
Andrèe, tentando di rassicurarla.
Ce
l’avrebbero fatta, insieme.
-Ti voglio bene
anche io, papà.- rispose,
imbarazzata.
Fece una
smorfia ed alzò lo sguardo al cielo, una
ragazzina insofferente.
Il ragazzo
scosse la testa e abbozzò un sorriso, sollevando
l’angolo destro della bocca.
Andrèe
era involontariamente bella.
Era elegante. Entrava in una
stanza e, sebbene
avesse un passo silenzioso e l’abitudine di non annunciarsi,
tutti si
voltavano, non potendo fare altro che non fosse osservarla.
C’era
qualcosa nel modo in cui si muoveva, nel modo in cui arricciava il naso
se
divertita, nel modo di scostarsi i capelli, leggero e rapido, e nel
modo di
studiare qualsiasi cosa, quasi a volerne capire il segreto.
C’era
qualcosa in quella giovane donna che aveva spinto Paul, quel giorno
nella
biblioteca dell’Università, a sedersi accanto a
lei. Sebbene i posti a sedere
fossero per la maggior parte liberi, lui si era fatto imprigionare
iniziando a
ruotare intorno a quell’orbita di bellezza e silenzio.
Il biondo
venne riportato al presente dal sorriso che Andrèe gli
riservò e dal “Vieni qui”
appena sussurrato.
Mosse un
passo dopo l’altro e si ritrovò di fronte a lei in
pochi secondi.
La ragazza
piegò leggermente il collo e appoggiò la testa
contro la sua spalla.
Andrèe
era maledettamente alta per
essere una donna.
-Certo,
papà.- continuò lei, al telefono.
Paul si
chiedeva per quale motivo quella telefonata andasse avanti, sembrava
essersi
conclusa diversi minuti prima.
Un metro e
ottantacinque.
Paul le
cinse la vita, dondolando sul posto, come
se volesse far addormentare una bambina.
-A presto,
allora.-
Era comunque piccola, tra le braccia di Paul.
La strinse
delicatamente a sé, non lasciandole il tempo di riporre la
cornetta sul
ricevitore.
Non solo i
capelli biondi, ma anche l’altezza
era
una caratteristica inconfondibile degli Sterling.
*
Thad
attraversò il salotto di casa propria e notò un
particolare strano ed
inquietante: il camice di Sebastian era
ancora appeso all’ appendiabiti.
Erano le
nove passate e il camice da laboratorio era ancora lì.
Quella
mattina presto, aveva fatto un salto al proprio studio fotografico per
ritirare
alcune carte : avrebbe concluso il proprio lavoro da casa.
In totale
discordanza con le proprie abitudini, si era svegliato presto, sperando
di
tornare a un orario decente per poter preparare la colazione al marito.
Non
aveva tenuto conto,
però, di quanto
caotica e infernale potesse essere quella città.
Notò
una
tazzina da caffè appoggiata sul tavolino di ingresso, dove
solitamente
Sebastian lasciava le chiavi.
Salì
le
scale che portavano alle stanze da letto e al bagno, seguendo una scia
di
indumenti.
Sebastian,
eccezion fatta per il lavoro dove diveniva un maniaco per
l’ordine, era un
disordinato cronico. Aveva il vizio di lasciare in giro qualsiasi
cosa. E’ per questo motivo che, in fondo, Thad non
si
stupì, raccattando sul quarto scalino un paio di pantaloni
grigi e, qualche
scalino più su, dei boxer neri.
Era nudo.
Harwood
socchiuse
gli occhi, giungendo in cima alla scala. Quel pensiero lo mandava
ancora a
fuoco. Quel corpo non conosceva il
concetto di invecchiare.
Era sempre
dannatamente bello. Sempre
forte, alto, solido, non si arrendeva al tempo che passava.
I capelli
erano gli stessi che aveva a vent’anni, gli occhi
sottintendevano sempre una
certa malizia e, quando rifletteva, la solita ruga
d’espressione gli solcava la
fronte.
Thad si
affacciò sulla porta della propria camera da letto, sperando
che Sebastian
fosse lì, ad aspettarlo magari.
Ma si diede
mentalmente dello stupido, come notò il grande letto
matrimoniale vuoto: Sebastian sarebbe venuto
a prenderselo, non
avrebbe atteso.
Fece una
mezza giravolta e si diresse verso il bagno: dove altro sarebbe potuto
andare
suo marito, nudo? Sperava vivamente
non in terrazza.
Aprì
la
porta e venne investito da una nube calda di vapore e bagnoschiuma.
Tana per
Sebastian.
Un grosso
tappeto di peli rossi occupava lo
spazio adiacente alla vasca e Smythe, continuando a guardare il
soffitto e a
fumare, passava le dita sul dorso del grosso animale.
-Sebastian.-
lo ammonì Thad, avvicinandosi. -Il cane non deve entrare in
bagno.-
Harwood si
tenne a una certa distanza di sicurezza: lui e Audrey convivevano, ma
non si
amavano spassionatamente, in realtà tentavano di ignorarsi.
-Mandala
via.- lo sfidò Smythe, portandosi la sigaretta alla bocca e
lanciandogli una
rapida occhiata.
-Cane, vai
via.- si parò di fronte all’animale Thad, cercando
di assumere un tono e una
postura autoritaria.
Audrey
socchiuse gli occhi e sistemò meglio la propria posizione
sul tappetino del
bagno, completamente nascosto dalla mole del cane.
Thad si
accigliò. -Orso?-
provò, valutando
che le dimensioni potessero creargli una qualche crisi di
identità. -Mostro?-
provò e, non ricevendo alcun
segnale da parte dell’animale, sbuffò. -Qualunque
cosa tu sia, vattene.-
Audrey
sollevò il capo e osservò l’uomo.
-Sebastian.-
Harwood fece qualche passo indietro. -Che vuole?-
Smythe
voltò
la testa ed osservò il cane. -Temo non abbia gradito. -Si
mise a sedere e si
sporse. Le passò una mano sulla schiena e mormorò
le solite paroline dolci e
francesi che era solito riservarle.
Audrey si
alzò con un piccolo sbuffò e, non degnando di
un’occhiata Thad, uscì dal bagno.
-Quel cane
è
inquietante.- affermò Harwood, inginocchiandosi accanto alla
vasca.
-E’
incredibilmente intelligente.- rispose Smythe, baciando delicatamente
il
marito.
-Come mai
non sei in laboratorio?- domandò Thad, allontanandolo
delicatamente da sé.
-Settimana
di ferie.- annunciò, rimmergendosi parzialmente
nell’acqua.
Sebastian, se
avesse potuto, sarebbe
andato in laboratorio anche la notte di Natale. Amava il proprio lavoro.
Harwood si
sporse e gli riavviò i capelli, bagnati e disordinati a
causa dell’acqua. -Che
succede?-
La mano del
morò scivolò di lato, accarezzandogli lo zigomo e
l’angolo della bocca. Smythe
schiuse la bocca e gli baciò la punta delle dita, sospirando.
-Non ci
provare, demonio.- sorrise Thad.
-Dimmi
che cos’hai, non distrarmi con promesse di sesso.- ma non
spostò la mano. -Che
succede?- domandò dolcemente.
Sebastian
strofinò la guancia, non rasata da qualche giorno, contro il
palmo del marito.
Socchiuse gli occhi ed emise un verso basso e di gola, maledettamente
simile alle fusa di un gatto.
-E’
per Andrèe, vero?-
-Forse.-
borbottò, ad occhi chiusi.
-Cosa ti
preoccupa?- continuò Thad, tirandosi su le maniche della
camicia ed immergendo
le braccia fino ai gomiti, cingendogli le spalle.
-Perché
tutta questa fretta di sposarsi?- domandò l’altro.
-Si è laureata da qualche
mese. Ha trovato subito un ottimo lavoro in uno studio legale. Da dove
salta
fuori questo matrimonio?- continuò, lasciando scorrere tutti
i propri dubbi. -Non sarà mica
incinta?- chiese,
mettendosi a sedere e facendo uscire
dell’acqua dalla vasca, colma quasi fino all’orlo.
-Non credo.-
lo rassicurò Thad, accarezzandogli la spalla per
rassicurarlo. -La faccenda ha
sorpreso anche me.- ammise il moro. -Ma attendiamo che lei torni a
casa, niente
congetture strane.- lo ammonì, come se si stesse rivolgendo
ad un bambino
capriccioso e testardo. -Avremo tutte le risposte che vogliamo da lei.-
Sebastian
arricciò il naso, rendendosi conto del fatto che il marito
avesse ragione.
-Con
l’età
migliori, però.- disse Harwood, sorridendo.
-Come?-
domandò, perplesso, Sebastian.
-Hai solo rotto
qualche piatto alla notizia del matrimonio, mi aspettavo che devastassi
casa.-
il sorriso si trasformò in un ghigno. -Sarà la
vecchiaia che ti sta calmando?-
Tasto
dolente: Sebastian era un gran narcisista.
-Harwood.-
Smythe si voltò, posizionandosi di fronte a lui. -Hai per
caso soldi o carte
importanti nelle tasche?- chiese, con tono profondo e strascicato.
-No.-
rispose, confuso, Thad.
-Cellulare?-
continuò Sebastian, disegnando con le dita il profilo del
colletto aperto della
camicia del marito.
-Neanche.-
rispose, sempre più stranito da
quell’atteggiamento.
-Oh, bene.-
portò le mani sulle spalle dell’altro e fece leva,
trascinandolo dentro la
vasca.
-Sebasti_AH-
Gli anni,
probabilmente, passavano, ma Sebastian
rimaneva comunque un soggetto estremamente permaloso.
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Capitolo 3 *** Biondume. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
Eccoci al
terzo, dunque. Nello scorso abbiamo conosciuto Andrèe e Paul
e sono felice che
vi siano piaciuti. Come già anticipato a qualcuno, Paul
è il
personaggio più “candido” che abbia mai
inventato. Ellie e Dominic avevano i loro difetti, Andrèe
non è perfetta, ma
Paul ha un posto speciale nel mio cuore. Per quanto riguarda Thad e
Sebastian
si scrivono da soli. Io li adoro e credo che mai nessuna coppia mi
darà tutto
quello che mi stanno dando loro. E’ un piacere scrivere di
loro e arrivare a
chi mi legge.
Grazie a
tutti coloro che mi hanno aggiunta su Facebook. E’ bellissimo
parlare con voi e
conoscervi meglio. Adoro i link in cui mi taggate e i “mi
piace” agli status
che riguardano la scrittura e non. Continuerò a ringraziare
coloro che mi hanno
permesso di entrare nella loro vita, permettendomi di dare loro
consigli e
strappare qualche sorriso.
Grazie alla
mia beta, Lady_Thalia. Precisa e
attenta, i miei scritti sarebbero solo pastrocchi senza di lei. Grazie
anche
per aver riempito di Thadastian! Microbs una giornata decisamente
“no”. Ho riso
come una stupida e mi sono distratta.
Grazie al
mio Thad, che pur di leggere il
capitolo, va a letto tardi. Grazie per la presenza costante, per i
nomignoli e
le domande lecite.
Vi auguro
dunque Buona Lettura.
Al mio Thad,
Dal mio
quaderno: “Tra le cinque e
mezza e le sei del pomeriggio, ancora non sto scrivendo nulla che
riguardi la
storia, ma abbiamo una data. Ci rivedremo sicuramente. Rende meno
estenuante e
insostenibile la lontananza.
Ah, mi hai
appena dato della bipolare
( 6:46 PM)”.
I knew there would come a day,
when all was said and done.
Everything
I was is everything but gone.
All
my big mistakes are bouncing off your wall,
the
bottles never break, the sorrow never comes.
So
come on let me in, I will be the sun.
I
will wake you up, I am who I was,
just
open up your heart, open up your heart, open up your heart.
[
“Out on the town”, Fun]
Capitolo
III
Biondume.
*
Andrèe
non
era mai stata una persona particolarmente nervosa o agitata. Posata e
sicura di
se stessa, in pieno regime Smythe, sapeva sempre cosa aspettarsi e come
volgere
le situazioni in proprio favore. Conscia delle proprie
capacità, riusciva ad
ottenere sempre qualunque cosa
volesse, in silenzio, senza battere i piedi come una bambina
capricciosa, ma ghignando in disparte per
l’ennesima
vittoria.
Ma un matrimonio
era decisamente un
qualcosa al di fuori della sua portata, macchinosa e fredda.
Paul non era
un’equazione da risolvere o un cavillo legislativo da
sbrogliare. Paul era carne, sentimenti e
sensazioni.
Paul era colui che aveva distrutto gli schemi mentali di
Andrèe con il sorriso
più luminoso che potesse esistere.
Per queste
ragioni, in quel momento, Andrèe, erede del cinico e freddo
casato Smythe,
aveva le mani sudate e il cuore che tentava di risalire fin sopra la
gola,
attraversando il vialetto di casa Sterling-Duvall.
Il ragazzo
si voltò nella sua direzione, regalandole un sorriso
rassicurante e
afferrandole la mano, ribadendo il concetto che avrebbero affrontato
qualsiasi
cosa fosse successa insieme.
Estrasse
dalla tasca le chiavi di casa e le infilò nella serratura,
non lasciando andare
la presa su di lei.
Le aveva
proposto di sposarlo e Andrèe, senza alcuna esitazione o
congettura, aveva
accettato. Trascorsi i primi giorni di euforia, al riparo
nell’appartamento
della ragazza, i due ben presto si erano resi conto di dover comunicare
la
notizia.
Ai rispettivi
genitori.
Paul
aprì la
porta e scivolò dentro casa, trascinandola con sé.
-Nick?- si
udì dal piano superiore.
L’avvocato
Duvall scese velocemente le scale, stranito e spaventato da
quell’intrusione,
momentaneamente, ad opera di ignoti in casa propria.
Ma, una
volta riconosciuto il figlio con la rispettiva
fidanzata, sorrise.
*
Andrèe
Harwood-Smythe era una ragazza
estremamente brillante, questo aveva
pensato Nick Duvall la prima volta che l’aveva vista, in
occasione delle presentazioni ufficiali come fidanzata di Paul.
Tipica
bellezza Smythe, ma meno pericolosa
rispetto a Sebastian, non dava l’impressione di poter
attaccare all’improvviso,
ma sembrava concentrata a studiare le
situazioni e a manovrarle.
La conferma
arrivò quando Paul chiese al padre di aiutare
Andrèe, appena laureata in Legge,
nell’apprendistato.
Conosceva
bene quella ragazza, la stimava e la riteneva la fidanzata perfetta per
Paul.
O quasi perfetta.
L’unica
pecca era essere figlia di
Sebastian Smythe.
Andrèe
aveva
pregato la famiglia Sterling-Duvall, scatenando
l’indignazione e il momentaneo
risentimento del fidanzato, di tacere.
Sebastian Smythe
non avrebbe mai
accettato un fidanzamento.
Lei lo aveva
capito quando, appena diciassettenne, il padre aveva tentato di travolgere con la propria auto il suo
spasimante di allora, intento a cantarle una serenata nel
vialetto di casa.
O quando, a dieci anni, visto l’interesse manifestato da un
suo compagno,
Sebastian aveva compromesso il progetto di scienze del suddetto
bambino, facendoglielo esplodere in faccia.
Papà
Thad
tentava di contenere o prevenire le reazioni di gelosia distruttiva e
lesiva
del marito, ma era del tutto imprevedibile, il più delle
volte.
La ragazza
aveva deciso di annunciare la propria relazione solo
se strettamente necessario.
Nick
osservò
i due fidanzati accarezzarsi le dita nel passarsi la brocca contenente
l’acqua.
-Adorabile.-
diede voce ai suoi pensieri
Jeff.
Paul
sorrise, imbarazzato, e Andrèe si schiarì la
voce: era difficile fare caso al resto del
mondo, quando l’una stava accanto
all’altro.
-Andrèe.-
la interpellò il padre biondo, sorridendole.
-Sei radiosa.-
La ragazza
sorrise, cortese, in risposta. -La ringrazio, signor Sterling.-
-Ancora
questo “Signor”?- domandò, indignato.
-Dopo tutti questi anni dovresti
chiamarmi “Jeff”.-
-Jeff.-
abbozzò un sorriso, finto.
“Dopo
tutti questi anni” fece sentire
ancora più in colpa
Andrèe per aver mentito ai propri genitori, tenendoli
all’oscuro dell’esistenza
nella propria vita di una persona meravigliosa.
-Brava,
ragazza.- si congratulò Sterling, continuando a osservarla.
-Hai una pelle più
luminosa del solito.-
Nick
alzò un
sopracciglio e lanciò un’occhiata al marito: che diamine stava tentando di fare?
La ragazza,
imbarazzata da quelle attenzioni e in difetto, a causa della notizia
non ancora
annunciata, prese un’altra porzione di pasticcio di carne,
cercando di fare più
rumore possibile con le posate, per riempire il silenzio irreale
venutosi a
creare.
Non avevano idea
di come informare
gli Sterling-Duvall del lieto evento.
In un
momento di debolezza, qualche giorno prima, Andrèe aveva
accennato a papà Thad
della faccenda del matrimonio, ma solo perché avesse la
possibilità di studiare
e mettere in atto un piano di contenimento
per Sebastian.
-Hai molta
fame, Andrèe?- domandò Sterling, osservando con
attenzione tutte le mosse
dell’interpellata in modo quasi morboso e invadente.
Paul
cercò
lo sguardo di Nick, pregandolo di fare qualcosa e di arginare il
comportamento
imbarazzante del padre.
-Sì,
ultimamente sì.- rispose lei. -Anche se tendo a stancarmi
presto di alcuni
cibi. Molti odori mi nauseano.-
-Oh,
immagino che anche le nausee mattutine
siano molto fastidiose.- ipotizzò Jeff, sorridendo
in modo poco
rassicurante.
Nick
tirò su
l’altro sopracciglio e capì: Sterling stava
insinuando il motivo di quella
visita inaspettata.
Rendendosi
ridicolo.
Il figlio
sbatté la forchetta sul tavolo, facendo traballare il tavolo
e tutto ciò che vi
era sopra.
Paul era un tipo
molto pacato, ma suo
padre stava superando il limite con tutte quelle osservazioni.
Nick si
alzò
di scatto, raccattò alcuni piatti vuoti e sporchi,
rivolgendosi al marito. -Jeff,
puoi venire con me in cucina?-
Ma quella frase
non aveva nulla che
assomigliasse a una domanda.
-Ma io_-
-ADESSO,
STERLING.-
*
-E’
incinta!- annunciò con enfasi Jeff
Sterling, spinto di fretta e in malo modo in cucina dal marito.
-Eh?-
domandò, poco elegantemente, il moro, appoggiando i piatti
sul ripiano della
cucina.
-La
pelle, il cibo, le nausee…- elencò,
entusiasta. -E’ incinta!-
Duvall
osservò l’altro. -Io…-
esitò. -Devo sedermi.-
Non aveva
idea di come facesse, ma quella non era una notizia da prendere tanto
alla
leggera. Una gravidanza significava un figlio. Ed un figlio significava
responsabilità. Andrèe aveva un proprio
appartamento, ma sostenuto
economicamente ancora dai propri genitori. Avrebbero
dovuto valutare attentamente la situazione, prima
di gioirne.
Sterling
scostò una sedia e lasciò che il marito vi si
accasciasse sopra.
-Ma ti
immagini, Nick?.- domandò il biondo, con sguardo sognante,
inginocchiandosi di
fronte a lui. -Dei nipoti.- esclamò. -Nipoti ovunque.-
Evviva,
esultò in modo sarcastico la
coscienza di Duvall.
Sebastian li
avrebbe uccisi.
Nick
avvertì
un ulteriore capogiro.
-Vorrei che
fossero biondi, come noi Sterling.- continuò. -E magari che
abitassero qui
vicino, in modo da poterli vedere spesso. E poi_.-
Il moro
interruppe
il monologo dell’altro. -Non ne abbiamo la certezza. Magari
non è incinta.
Magari ti stai sbagliando e_-
Jeff
scattò
in piedi e, dirigendosi verso uno dei mobili della cucina,
iniziò a frugare tra
i vari ripiani.- Deve essere qui…- borbottò.
-Dovrei avere qualche test…-
continuò la propria ricerca.
Duvall
spalancò gli occhi. -Ma siamo uomini, cosa te ne fai di un
test di gravidanza,
tu?!-
-Oh, Nick!-
sospirò il biondo. -Aspetto questo momento da quando Paul ci
ha presentato la
propria fidanzata.-
Il marito
prese un profondo respiro e gli andò incontro. -Non
è detto che lei sia
incinta, tesoro.- tentò di spiegare come realmente stessero
i fatti. -Senza un
riscontro scientifico, sono tutte supposizi_-
Ma Jeff gli
parlò sopra. -Glielo porto subito, allora.- si diresse verso
la porta della
cucina, brandendo il test di gravidanza. -Voglio essere presente mentre
lo fa.-
squittì.
Nick si
chiese se Sterling avesse la minima idea di come
si eseguisse un test del genere.
Lo
seguì
nella sala da pranzo, pronto a rimediare alle pessime figure che
avrebbe fatto
fare a tutti loro, trovando i due fidanzati impegnati a parlare tra di
loro.
Jeff
alzò in
alto il braccio, mostrando l’oggetto bianco con un trofeo, ma
Paul lo
precedette, sputando tutto di un fiato un -Ci
sposiamo.-
Il
papà
biondo osservò i due. -Perché è
incinta.-
-Oh, no.-
rispose prontamente Andrèe . -Ci sposiamo perché
lo vogliamo.-
Duvall
osservò il figlio e poi la fidanzata. Erano giovani e appena
entrati nel mondo
del lavoro, ma quel “perché
lo vogliamo”
lo aveva particolarmente colpito. Decise di essere felice per loro due
e di
pensare alle conseguenze in seguito.
Sterling si
rabbuiò per qualche secondo, osservò sconsolato
il marito, ma poi sorrise
nuovamente: in fondo un matrimonio era un’ottima occasione
per intrattenere
relazioni sociali e sfoderare il suo talento nell’organizzare
eventi
indimenticabili.
Raggiunse i
ragazzi e li abbracciò congratulandosi. -Non mi chiamare
“Jeff”, chiamami
“papà”.- esclamò, stringendo
a se Andrèe
Oh, si.
Pensò Nick. Sebastian li avrebbe
uccisi. Tutti.
|
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Capitolo 4 *** Scuse. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
Siamo qui
dunque, nonostante le pianificazioni e le aspettative. Sebbene la mia
vita
privata sia ,appunto, “privata”, credo sia giusto
informare chiunque legga
questa storia del futuro che le riservo. Sono stata più
volte sul punto di
fermarmi, in questi giorni. Motivi personali, motivi di tempo e
interferenze da
parte della vita reale. Ma come qualcuno dei miei lettori mi ha fatto
notare
qualche tempo fa, scrivere per me è come respirare.
E’ naturale e necessario.
Molte delle meravigliose persone con le quali mi confronti tutti i
giorni sono
arrivate a me grazie alla scrittura, non posso di certo lasciare questa
storia
incompleta. Siate pazienti con me, quindi. Vado a rilento, ma non mollo
la
presa. Prometto di non pensare mai più al "Ok, mollo tutto".
Andremo fino in fondo, insieme.
Grazie
quindi a chiunque riesca a trovare il tempo di leggermi e recensirmi.
Chi mi
aggiunge su facebook per dirmi quanto apprezzi il mio lavoro o anche
solo per
fare una chiacchierata. Mi è stato chiesto come mai non
abbia un profilo
autore. Preferisco mantenere il mio real. Amo farmi vedere per come
sono.
Grazie alla
mia beta, Lady_Thalia, pronta a
supportare e sopportare le mie paranoie da pseudo-scrittrice.
Nonostante fossi
in ritardo tremendo e nonostante avesse altri mille impegni, ha trovato
il
tempo per me e per il mio capitolo.
Ultimo
avviso di servizio. Ho una pagina (? ) Ask. Chiunque abbia domande a
proposito
della storia o anche curiosità su trama, personaggi,
ecc…può benissimo
chiedere. http://ask.fm/BaudeSmythe
Al
mio Thad:
“Les
enfants
qui s'aiment s'embrassent debout
Contre
les portes
de la nuit
Et
les
passants qui passent les désignent du doigt
Mais les enfants qui
s'aiment
Ne
sont là
pour personne
Et
c'est
seulement leur ombre
Qui
tremble
dans la nuit
Excitant la rage des
passants
Leur
rage,
leur mépris, leurs rires et leur envie
Les
enfants
qui s'aiment ne sont là pour personne
Ils
sont
ailleurs bien plus loin que la nuit
Bien plus haut que le jour
Dans
l'éblouissante clarté de leur premier
amour”
(Jacques
Prévert )
Capitolo IV
Scuse.
Audrey mosse
le orecchie, arricciò il naso e aprì un occhio.
Thad si
voltò nella sua direzione, osservando il grosso cane
fissare, con un solo
occhio, la finestra che dava sul vialetto.
Si
avvicinò
alla vetrata, interpretando quell’atteggiamento come il
chiaro segnale di una
presenza.
Nessuno.
Il cane
aprì
l’altro occhio e mosse velocemente la coda, stando ancora
sdraiata.
-E’
lei?- domandò al molosso, non
comprendendo tutto quell’entusiasmo.
L’animale
si
limitò a osservare Harwood e a emettere uno sbuffo annoiato,
per poi tornare a
scodinzolare in direzione della finestra.
-Potresti
anche mostrarti più amichevole, sai?- continuò
Thad, contrariato
dall’atteggiamento del cane.
Stava parlando
con un cane.
Fortunatamente,
l’entrata del proprio marito nel salone gli evitò
un esame di coscienza e la
conseguente diagnosi: follia.
-Perché
devo vestirmi così?-
domandò Sebastian, lasciando andare
le braccia lungo i fianchi.
Indossava
una camicia azzurra sbottonata , sia sul tronco che su i polsi, la
cravatta
appoggiata sulle spalle e, ovviamente,
non aveva ancora messo i pantaloni.
-“Vestirti” mi sembra eccessivo.-
rispose,
sarcastico, Harwood, osservando le gambe nude del compagno.
Smythe
alzò
un sopracciglio in risposta e, come se in
realtà gli fosse stato esplicitamente chiesto, il
moro si avvicinò a lui,
accostando i lembi della camicia.
-E’
mia
figlia.- sbottò, mentre Thad allacciava la fila di bottoni
sul petto. -Probabilmente
mi ha visto anche in mutande!-
Harwood
scosse la testa sorridendo. -Da quando è andata al college.-
gli prese il polso
e agganciò il polsino destro. -Sono state poche le occasioni
per poter pranzare
insieme.- fece lo stesso con l’altro. -Ci tengo ad avere i
miei Smythe nel loro
assoluto splendore.- gli appoggiò un bacio leggero sulla
pelle bianca
dell’interno polso. -Sebastian, ti prego. Falla parlarle.
Ascolta quello che ha
da dirci, non l’attaccare subito .E’ adulta,
avrà i propri motivi da esporci.-
Il marito
grugnì in risposta.
Thad
alzò lo
sguardo e iniziò a trafficare con la cravatta scura che
Smythe aveva al collo.
-E poi…- sorrise, accarezzando a ogni parola la carne calda
dell’altro. -Adoro
quando indossi le camice.-
-Credevo mi
preferissi nudo.- rispose prontamente Sebastian, ghignando.
-Va’ a
metterti i pantaloni.- concluse quella conversazione Harwood, rifilando
una
pacca sul sedere all’altro.
-Ninfomane.-
lo appellò Smythe, salendo le scale per andare in camera da
letto.
-Maniaco.-
gli urlò contro, in risposta.
Il rumore di
ruote sul vialetto di
casa e un motore che veniva spento.
Audrey
balzò
in piedi. In pochi secondi si portò di fronte
l’uscio, abbaiando e
scodinzolando, felice e impaziente: Andrèe
era arrivata.
*
Sebastian
Smythe osservava la figlia.
Le brutte
abitudini sono le più dure a morire e così era
per lui: nonostante l’età,
aveva ancora il fastidioso vizio di fissare
l’oggetto del proprio interesse.
Sebbene
conoscesse Andrèe e ne intuisse i pensieri con un solo
sguardo, studiava la
ragazza, chiedendosi quando sarebbe
arrivato il momento.
Era una
Smythe, ma temporeggiava. Sebastian sapeva il motivo di quella visita
quasi
improvvisa, ma si domandava per quale ragione non arrivasse al dunque, sbattendo sul tavolo le mani e dicendo come
realmente stessero i fatti.
Andrèe
conversava con Thad.
Harwood si
era accorto della scarsa propensione alla comunicazione che Sebastian
aveva
manifestato durante quel pranzo, tentava
di salvare il salvabile e di creare un’atmosfera rassicurante
per la ragazza.
E poi lo vide.
Andrèe
fece
scorrere la manica del proprio maglione fin sopra il gomito, lasciando
scoperto
il polso destro.
Il laccio in
pelle.
_______________________________________
Vent’anni prima.
-Sebastian.-
Il ragazzo,
poco più che ventenne e in procinto di
laurearsi, si alzò dalla propria
postazione di studio e piegò le gambe, intorpidite dalla
mancanza di movimento
a causa dello studio.
-Sebastian.-
Nick Duvall gli andò incontro. -Ho un regalo per te.-
annunciò, sorridendo e
appoggiando le buste della spesa sul tavolo.
Smythe
alzò
un sopracciglio e sbirciò da sopra le spalle del
più basso. -Cosa?- domandò,
cercando di nascondere la curiosità.
Duvall si
voltò e sorrise. -Lo sappiamo che sei un duro e palle
varie.- iniziò, frugando
nella tasca dei propri jeans. -Ma sei il mio coinquilino da quanto?-
-Troppo.-
fece, prontamente, Sebastian.
-Sei il mio
migliore amico.-
-Duvall, per
favore…!-
-Sono
serio!- protestò Nick. -Se dovesse succedermi qualcosa in
piena notte, saresti
il primo che chiamerei per farmi aiutare.-
-Prova a
chiamarmi mentre dormo.- Smythe si avvicinò al viso del
ragazzo. -E ti
ammazzo.- ghignò.
-Certo,
Sebastian.- rise, spintonandolo di lato. Aveva le dita chiuse,
portò il braccio
di fronte a sé e mostrò il palmo
all’amico.
Due lacci in
pelle, identici.
- Anche
quando non saremo più coinquilini, quando
l’Università finirà e prenderemo le
nostre strade, identiche o diverse che siano, vorrei che ti ricordassi
della
nostra amicizia.-
Sebastian
gli sorrise.
-Sebastian?-
lo risvegliò dal torpore mentale Thad, appoggiandogli la
mano sull’avambraccio.
-E’ tutto ok?- domandò preoccupato.
-Certo,
Thad.- rispose, distrattamente.
Il bracciale
che Andrèe indossava era identico a quello che Smythe aveva
riposto in fondo
all’ultimo cassetto del proprio mobile.
*
Non aveva
avuto il coraggio di dire a papà Sebastian del matrimonio.
Suo padre non
sembrava molto presente, però. Aveva passato il pranzo a
fissarla e poi aveva
assunto quella posizione rigida, lo sguardo vitreo e lontano.
Pensava,
probabilmente.
Andrèe
si
era rifugiata in quella situazione e aveva lasciato che il pasto
scivolasse
via, fuggendo in camera propria, dopo
aver chiesto il permesso di alzarsi.
Come una
ragazzina codarda.
Si chiese
come potesse pensare di poter affrontare un matrimonio quando, appena
ne aveva
l’occasione, si rifugiava sotto il piumone del proprio letto.
Un leggero
bussare alla porta e dei passi.
Pesanti e
trascinati.
Non era
Sebastian, era Thad.
I suoi due
padri erano due mondi totalmente all’opposto. Sebastian era
un gatto,
silenzioso e pericoloso, Thad aveva un passo marcato e percepibile. Da
piccola,
quando combinava qualche pasticcio e attendeva che uno dei
papà salisse in
camera sua a sgridarla, sperava sempre di udire quei passi, rumorosi e
rassicuranti.
Harwood si
sedette ai piedi del letto della figlia e sospirò.
Thad Harwood
era trasparente e cristallino. Era un padre meraviglioso, presente e
dolce.
Thad era il papà dei “sì” e
dei pianti a causa delle delusioni. Thad era il
papà che piangeva spesso e lei, anche se Andrèe
fingeva di non gradire questa
cosa, aveva adorato ogni singola lacrima di gioia del padre. Dalla
prima recita
di Natale fino al giorno della propria Laurea.
-Cucciolo.-
la chiamò come era solito fare.
Non
importava se fossero soli, circondati da persone o in
un’occasione ufficiale, Andrèe
era il cucciolo di Thad.
-Riuscirai a
trovare il coraggio per dirglielo.- continuò.
Papà
Thad aveva capito. Papà Thad
capiva sempre tutto.
-E
sarà meno
difficile e disastroso di quanto credi.- la rassicurò,
accarezzando la sagoma
che intuiva fosse la testa della ragazza.
Andrèe
borbottò dal proprio rifugio.
Sarebbe stato un
omicidio di massa.
-Ricordi
quando litigaste seriamente per la prima volta?- domandò
Harwood, sorridendo. -Avevi
dieci anni e, sebbene decisi e convinti che le scusse dovessero
arrivare
dall’altra, avete trovato il vostro modo di chiarirvi.-
_______________________________________________Diversi
anni prima.
Sebastian
Smythe era appena rincasato e, dopo aver appeso la giacca
all’appendiabiti
accanto alla porta, storse il naso.
Rumore.
Salì
le
scale, presumendo che quell’inferno acustico provenisse dal
piano superiore.
Si
affacciò
alla soglia della propria camera da letto e vide Thad indaffarato a
scegliere
le fotografie da esporre ad una mostra prevista per i giorni seguenti.
-Ehi.- lo
salutò, ancora prima che aprisse bocca.
Già,
Thad era in grado di sentire a
pelle la presenza di Sebastian.
Smythe si
era spesso chiesto come facesse. Era convinto di non produrre alcun
suono
spostandosi, eppure Harwood sapeva sempre
ed esattamente dove
l’altro si
trovasse, senza sollevare lo sguardo.
-Ehi.-
rispose Sebastian. -Che cos’è questo rumore?-
domandò, aggrottando la fronte.
-Musica,
dici?- lo corresse, mettendo da parte le stampe in miniatura delle
fotografie
che avrebbe esposto. -Credo che Andrèe adori Alicia Keys.-
Il marito
spalancò gli occhi e sbatté le ciglia diverse
volte. -Non è una compositrice,
né una musicista.-
-E’
una cantante.-
-Contemporanea?-
domandò Smythe.
-Più
o
meno.- sorrise Thad, alzandosi dal letto. -Più dei nostri
tempi che dei suoi.-
circondò i fianchi del giovane marito e gli posò
un bacio sulla spalla
sinistra.
-Non
dovrebbe ascoltare certa spazzatura.-
-Sebastian,
tutto ciò che non è musica classica per te
è spazzatura.- sbuffò, esasperato
Harwood, strofinando la punta del naso contro il collo
dell’altro.
-Adesso vado
a parlarle.- annunciò risoluto, sciogliendosi
dall’abbraccio. -La musica è
troppo alta e non è ciò che mia
figlia
deve ascoltare. Che cultura musicale potrà mai avere grazie
a questi gorgheggi
da gargarismo? -
-Sebastian,
però, ti prego sii_-
-ANDREE-
urlò, dirigendosi velocemente verso la stanza.
-Gentile.-
concluse Thad, sconsolato. -Infatti.-
*
Avevano
litigato per una mezz’ora buona. Nonostante i dieci anni,
Andrèe aveva
rivendicato la propria libertà di ascoltare ciò
che volesse senza che un papà,
ossessionato e maniaco del controllo, le imponesse i propri gusti
musicali.
Thad era
rimasto dietro la porta, sorridendo per le risposte pronte e sagaci che
la
piccola rifilava al padre, convinto di poterla manipolare come volesse,
data la
giovane età.
Il tutto si
era concluso con il sequestro, da parte di Sebastian, di tutto il cd e
un “Ti odio” da
parte di Andrèe.
Questo aveva
fatto meno sorridere Harwood.
Conosceva
gli Smythe, sapeva che da arrabbiati avevano la tendenza a straparlare,
ma
quella frase aveva turbato Sebastian.
Il moro ne
era certo: il marito aveva passato la notte nella camera
del pianoforte.
Durante il
trasloco, Thad si era ritrovato un pianoforte a coda nel vialetto di
casa e la
pretesa, da parte di Sebastian, di riservargli una camera della casa.
Spesso,
soprattutto se pensieroso, il marito tendeva a rifugiarsi in quella
stanza.
Passava le ore, suonando, non preoccupandosi dell’ora o dei
vicini. Questo
aspetto logistico aveva convinto Harwood ad insonorizzare la stanza ed
evitare
liti condominiali o notti insonni.
Dopo la lite
con Andrèe, Sebastian si era chiuso nella camera del
pianoforte e probabilmente
aveva suonato tutta la notte.
Sebbene
odiasse dormire senza di lui, Thad sapeva di dovergli lasciare la
possibilità di sbollire.
Sebastian Smythe
necessitava dei
propri spazi, o avrebbe attaccato per autodifesa.
La mattina
dopo, la porta insonorizzata era aperta e la bambina aveva la testa
appoggiata
allo stipite.
Harwood le
adagiò una mano sulla spalla e osservò.
Sebastian
era seduto di fronte al pianoforte, le occhiaie e i capelli in
disordine,
eseguendo l’introduzione della canzone per la quale
Andrèe si era battuta il
giorno prima.
Suonava a
orecchio, non aveva
spartiti davanti.
-Vai da
papà.-
suggerì Thad, abbassandosi sulla
piccola e dandole una leggera spinta per incoraggiarla.
La bambina
si voltò verso di lui e poi camminò, fino a
raggiungere lo sgabello.
L’altro
papà
avvertì la manina della figlia sul proprio braccio. Smise di
suonare e osservò,
dall’alto della propria statura, quel fagotto.
Lo sguardo
Harwood.
Andrèe
stava facendo quello sguardo,
tutto occhi e ciglia.
Sebastian
sorrise tra sé e, dopo aver tirato su di peso la bambina,
l’adagiò sulle
proprie gambe.
-Vuoi che ti
insegni a suonarla?- domandò lui.
-Sì.-
rispose lei, appoggiando le proprie dita, piccole e infantili, su
quelle affusolate
e curate del padre.
Avevano trovato
il modo per chiedersi
scusa,
pensò Thad,
osservando quella scena, sorridendo, appoggiato allo stipite della
porta.
Some
people want diamond rings
Some
just want everything
But
everything means nothing
If
I ain't got you.
( “If I
Ain’t got You”, Alicia
Keys)
____________________________________________________________________
-Vi capirete
anche questa volta, vedrai.- rassicurò la propria figlia
più che ventenne Thad.
|
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Capitolo 5 *** Sabbia. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
Siamo ancora
qui, dunque. E questa volta con tantissima voglia di andare avanti e
finire
questa storia. Mi sta dando molto, il minimo che possa fare
è darle vita.
Ho plottato
ogni capitolo di questa long, in tutto saremo intorno agli 11 \ 12
capitoli.
Dovrei finire di pubblicarla intorno alla metà di Maggio. Ma
a Giugno
ripartiremo subito con una nuova storia e spero di vedervi numerosi ed
entusiasti, come al solito.
Grazie a chi
segue questa storia. Se non fosse stato per il vostro affetto e i
vostri
incoraggiamenti questa storia sarebbe rimasta incompleta. Grazie a chi
recensisce: mi regala spunti e sorrisi. Grazie a chi fa alzare i numeri
di
questa storia.
Grazie alla
mia beta, micRobs (sempre Lady_Thalia, per chi non fosse
aggiornato). Ha corretto in tempi record il nuovo capitolo e sopporta
tutte le
mie dimenticanze \ sgrammaticature. Si è dovuta sciroppare
la trama della nuova
long e le mie innumerevoli paranoie. Il suo lavoro è
fondamentale.
Al mio Thad,
perché
tutto passa,
te
l’ho detto.
“Bet
your sorry now! I
won’t be coming home tonight”
I’m
sick of looking for those heroes in the sky
To
teach us how to fly
Together
we cry…
[“We
cry”, The Script.]
Capitolo V
Sabbia.
*
Nick Duvall
era in piedi, in attesa, di fronte al grosso portone che portava ai
laboratori.
Una
studentessa, poco prima, l’aveva ricevuto ed era poi sparita,
nel ventre di
quell’immenso edificio, per cercare la persona indicata
dall’uomo.
Paura.
Nick Duvall,
l’avvocato Nick Duvall,
ultra-quarantenne Nick Duvall, padre di famiglia Nick Duvall, aveva
paura.
Aveva
cercato di rimandare per tutti quegli anni. Si era detto che le cose si
sarebbero risolte da sole, ma Paul cresceva e nulla cambiava. Aveva
convinto se
stesso che sarebbe arrivata l’occasione perfetta, ma
l’attesa aveva seppellito
tutto l’accaduto, come una tempesta
di
sabbia.
In fondo, a
lui andava bene così. Affrontare quella paura, confrontarsi
con i rimorsi
significava alzare la sabbia, significava farsi male e riconoscere di
aver
sbagliato. Significava dare la possibilità
all’altro di colpirlo.
E se
l’altro era Sebastian Smythe,
Nick Duvall lo sapeva, lo avrebbe colpito a morte.
Quando il
portone si aprì, il moro trattenne il respiro, curioso di
vedere come gli anni
avessero trasformato quello, che diverso tempo prima, era stato un
proprio
compagno del liceo, nonché coinquilino
all’Università.
Una figura
scivolò dalla porta socchiusa.
Prima una mano. Le dita lunghe
e affusolate, le
unghie curate, un anello all’anulare.
Poi una gamba. Snella e
fasciata in un paio di
pantaloni classici.
Il camice bianco
e gli occhiali dalla
montatura sottile.
Identico:
nulla in lui era mutato, quasi avesse
fatto un patto con il demonio.
Nick
percorse con lo sguardo quello che una volta era il proprio migliore
amico ed
ebbe la sensazione che non fosse affatto
passato tutto quel tempo.
Sebastian
piegò di lato la testa e osservò
l’altro. Lo aveva riconosciuto, Duvall lo
sapeva bene. Ma Smythe aveva quel modo, molto
felino, di osservare e studiare tutto ciò che
dovesse essere attaccato.
Il moro
raddrizzò la propria postura e si schiarì la voce.
-No.- lo
fermò, ancora prima che potesse parlare, Smythe. -Non ho
intenzione di
ascoltarti.-
Se lo aspettava.
Dopo quello che era
successo, se lo aspettava.
-Non sarei
qui, se non fosse necessario.- lo rassicurò Nick,
infastidito da
quell’atteggiamento infantile. Nemmeno lui era entusiasta di
quella situazione,
avrebbe preferito starsene a casa propria, continuando ad evitare
quella cosa.
Ma la situazione
richiedeva un loro
confronto.
-Abbiamo
delle priorità diverse, Duvall.- rispose Sebastian, senza
chiudersi alle spalle
il portone del laboratorio. Non aveva
intenzione di conversare tanto a lungo con l’altro.
-L’ho capito diversi anni
fa.-
_____________________________________Studio
legale Duvall, vent’anni prima.
-Non posso
farlo, Sebastian.- Nick si lasciò cadere sulla sedia,
emettendo un sospiro
stanco.
-Nick, sei
l’unico al quale possa rivolgermi.- ammise Smythe,
sporgendosi sulla scrivania,
stropicciando la marea di fogli presente. -L’unico
del quale mi fidi.-
-Non ho modo
di difendere tuo padre.- continuò il giovane avvocato.
Sebastian si
tirò su, quasi scottato da quell’affermazione.
-Tutto
ciò
che abbiamo è a sfavore di tuo padre.- disse Duvall,
mordendosi un labbro. -Perderà
la causa. Lo accuseranno.-
-Sei un
cazzo di avvocato tu, no?- domandò. -Il tuo lavoro
è quello di difendere le
persone-
-Sì,
Sebastian.- tentò di spiegare con calma la situazione al
proprio migliore
amico. -Ma questo processo sarà un flop, te ne rendi conto?
L’unica cosa
sensata da fare è quella di ripagare tutti i clienti
truffati da tuo padre.-
-Perché
credi che abbia messo su tutto questo teatrino del processo, allora?-
si scaldò
Smythe. -Mio padre ha perso tutto. Non ha quei soldi.-
-Mi
dispiace, Sebastian.- pronunciò, con tono grave, Nick. -Non
posso e non voglio
aiutare tuo padre. Nulla di personale, ma non si è
comportato da persona
onesta. Non sarò io a difenderlo.-
-C’è
molto di personale, Duvall.- ringhiò
l’altro, alzandosi. -Molto.-
Da allora,
Nick Duvall non vide più Sebastian Smythe. Ne
sentì parlare solo su una testata
giornalistica quando suo padre, pur di non andare in prigione, concluso
il
processo, si tolse la vita.
_____________________________________________________
-Si tratta
di Andrèe, Sebastian. Non sar_-
-Stai lontano
dalla mia
famiglia.- gli ringhiò contro Smythe.
-Non ti permetterò di distruggerla una seconda volta.-
E
così scivolò di nuovo, silenziosamente come era
arrivato,
dietro la porta.
Che legame
c’era tra
Duvall e Andrèe? Perché Andrèe
indossava il laccio di pelle? Perché Nick voleva
parlargli di lei?
Se fosse rimasto
probabilmente avrebbe ricevuto le risposte a
tutte queste domande, ma l’orgoglio
aveva
avuto la meglio.
E un sentimento,
più
profondo e nascosto, gli aveva imposto di mettere più
distanza possibile tra sé
e l’altro, o ne sarebbe uscito distrutto, di nuovo.
Istinto di
sopravvivenza.
*
-Mangi
poco.- notò Thad, mentre in compagnia della figlia,
attraversava il parco a
pochi metri dalla loro abitazione.
-Non ho
appetito.- rispose, sintetica, lei.
-Non hai
ancora accennato al matrimonio.-
-Lo so.-
fece, infastidita, Andrèe.
In pieno stile
Smythe.
-Ascolta.-
sbuffò Harwood, mentre imboccavano uno dei percorsi che si
addentrava tra la
fitta boscaglia. -Tuo padre ha sentito la telefonata che hai fatto.-
La ragazza
si voltò e osservò il padre.
Indecifrabile.
-Ha messo il
viva-voce. Eravamo preoccupati.- si giustificò
l’uomo. -E ha sentito.-
-Papà,
io
non posso credere che tu mi abbia fatto una cos_- fece per iniziare la
figlia,
ma Thad la interruppe prontamente.
-Lui sa.-
cercò di farla riflettere. -Dovrebbe essere meno difficile
per te dirglielo, no?-
domandò. -Ha avuto il suo momento di follia all’Orlando Furioso. Ma più aspetti, peggio
sarà.-
Andrèe
si
fissò le punte delle scarpe. -Il peggio deve ancora
arrivare.-
-Che cosa
intendi?- domandò Thad, continuando a passeggiare, con
accanto la figlia.
-Non siamo
al parco per una passeggiata.- ammise la ragazza, con aria colpevole.
Giunsero
all’entrata del parco opposta a quella da dove erano
arrivati. -Io vorrei
presentarti il mio fidanzato, papà.-
Harwood la
seguì, confuso. -Andrèe, messa così,
sembra che tu ti debba sposare con un
delinquente.- tentò di sdrammatizzare la situazione.
Un ragazzo
biondo osservava le loro
mosse.
Un ragazzo molto
biondo e molto
simile a Jeff Sterling si avvicinò a loro.
Un ragazzo
decisamente troppo biondo,
pericolosamente simile a Jeff Sterling e molto alto strinse la mano di
Andrèe.
-Papà,
lui è
Paul Sterling-Duvall.- disse la figlia, osservando il padre. -Il mio futuro marito.-
*
Quando
tornò
a casa, Thad lo fece senza Andrèe.
Aveva
passato il pomeriggio al tavolino di un Caffè della zona
molto carino, aveva
conversato con il fidanzato della figlia e, superato lo shock per
l’incredibile
somiglianza con Jeff, aveva capito quanto quei due ragazzi fossero
legati.
Lo notava da
alcuni piccoli gesti: gli sguardi che si rincorrevano, lo sfiorarsi
delle dita ogni
qualvolta l’uno chiedesse lo zucchero all’altro, i
sorrisi a occhi bassi.
Andrèe
era
sempre stata molto riservata riguardo alle proprie relazioni amorose,
ma la
storia con Paul andava avanti decisamente da parecchio tempo e Harwood
lo
vedeva.
Vedeva quello
sguardo, quel toccarsi,
quell’appoggiarsi spalla contro spalla.
Si amavano.
Thad si sentiva
in colpa.
Non avrebbe
detto nulla al marito.
Conosceva la
storia di Sebastian, sapeva per quale ragione non volesse assolutamente
avere a
che fare con la famiglia di Paul, ma i ragazzi non
c’entravano nulla. Perché,
a causa degli errori dei padri,
avrebbero dovuto pagare i figli?
Si amavano e
Harwood sapeva che cosa significasse avere un genitore a ostacolare il
proprio
amore. Suo padre aveva tentato di impedire la loro relazione fino alla
fine, ma
Thad e Sebastian si erano battuti tenacemente. Conosceva la paura di
non vedere
tra gli invitati, al proprio matrimonio, chi l’aveva
cresciuto. Ricordava il
dolore nel dover scegliere, tra Sebastian e la propria famiglia,
Sebastian.
L’avrebbe
scelto altre mille volte,
ma faceva comunque male.
Non voleva
rischiare di perdere Andrèe e, per quanto spaventato da un
matrimonio così precoce,
decise di non ostacolare i due ragazzi.
Thad Harwood
sarebbe stato un padre
migliore del proprio.
Preso da
questi pensieri, impiegò diversi secondi per rendersi conto
di quanto la
situazione fosse anomala.
Sebastian
stava seduto, rigido e composto, sul divano, mentre il televisore,
accesso e
con un volume disumano, mandava in onda una televendita di qualche
gioiello
pacchiano ed enorme.
Strano.
Il marito
non guardava mai la televisione, amava
leggere. Thad aveva dovuto lottare per convincere
l’altro, ogni sabato
sera, a guardare i cartoni animati tutti insieme.
Fece qualche
passò e notò un secondo elemento fuori dal
comune: Sebastian fissava un punto
aldilà della tv.
Completamente
assente.
Thad si
tolse velocemente la giacca e la lasciò scivolare sul
pavimento, raggiungendo
Sebastian in poco tempo.
Gli si
sedette accanto e passò le proprie braccia intorno alle
spalle del marito.
Nessuna reazione.
-Sebastian.-
lo chiamò Harwood.
Smythe era un
felino, il fatto che
non reagisse a nessun
tipo di stimolo preoccupava il moro.
-Sebastian…-
provò, ancora.
Lo
conosceva. Sapeva che era successo qualcosa, ma tempestarlo di domande
avrebbe
dato come unico effetto quella di una irreversibile chiusura a riccio.
-Sebastian.-
lo costrinse a piegarsi e lo
strinse contro il proprio petto, come se fosse un bambino. -Io sono qui.-
Tu dove sei,
Sebastian?
Un tremito,
leggero e quasi impercettibile.
Smythe
socchiuse gli occhi e respirò contro il torace del marito.
-Duvall è venuto al
laboratorio.- mormorò.
Una ferita
aperta, ancora.
Thad lo
strinse ancora più forte a sé.
-Io
mi fidavo di lui.- sussurrò, quasi
senza fiato.
Dolore.
Sebastian stava
combattendo contro il
proprio dolore, stava cercando di ricacciarlo indietro, in
quell’angolo di
cuore dove, dimenticato per tutti quegli anni, non minacciava di
distruggerlo.
|
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Capitolo 6 *** Ri-Unione. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
Ed eccoci
qui, sesto capitolo.
Capitolo un
po’ “bisbetico”, debbo ammettere.
Probabilmente, soprattutto grazie alla week,
ho smesso di essere cervellotica e paranoia, o comunque lo sono meno
rispetto
alla scorsa volta. Sono tornata, dunque.
Grazie a chi
ha recensito, entro questa sera, promesso,
risponderò alle recensioni dello scorso capitolo. Adoro
tutto ciò che mi
scrivete, ci tengo a rispondere ad ognuno, non limitandomi solo ad un
“grazie”.
Grazie a chi
ha letto questa storia, a chi la segue, a chi la
“preferisce”, a chi mette “Mi
piace” e a chi ne parla. Spero di riuscire a divertirvi o a
emozionarvi ancora.
Grazie per
tutto quello che date a me. Grazie perché continuamente mi
date la possibilità
di tirare fuori il mondo che ho dentro e scriverlo su carta.
Grazie alla
mia beta, micRobs
(Lady_Thalia).
Per le correzioni, per
le virgole, per la pazienza e i consigli. Per la velocità e
per l’esserci
sempre. Grazie.
Al mio Thad,
il
“grazie” più grande
e sincero.
Senza di te,
Sebastian
e Thad non esisterebbero nella mia
testa.
Why
Can't we speak another language
one
we all agree on
why
when men look outside do they see houses
instead
of fields they grew from
we
are constantly uprooted from them
making
us tiresome and fearful
can
you get up right now
and
endeavor freefall (off)
["Wish
I Stayed" , Ellie
Goulding]
Capitolo VI
Ri-Unione.
*
Quando
Andrèe tornò a casa, trovò i propri
papà sul divano: Thad dormiva, la testa appoggiata
alla spalla del marito, e Sebastian guardava un punto fisso, dietro la
televisione.
Strano che suo
padre lasciasse accesa
la tv.
Camminò,
tentando di non far scricchiolare le assi del pavimento: era
tardi, voleva evitare di svegliare papà Thad ed evitare, e
basta,
papà Sebastian.
Audrey si
sedette sulla soglia della cucina e osservò, curiosa, la
ragazza camminare in
punta di piedi fino alle scale.
Emise uno
sbuffo.
Cane spione!
-Sapresti dirmi
che ore siano,
Andrèe?- Sebastian
pronunciò quelle parole senza
muovere un singolo muscolo, se non quelli facciali.
Era inquietante.
Come faceva a sapere
che la figlia fosse ancora in salotto, senza voltarsi?
La ragazza
diede le spalle alle scale, decisa ad affrontare coraggiosamente il
genitore. -L’una
e un quarto, papà.-
-Di notte,
Andrèe?- chiese, ancora.
Quel
continuare a ripetere il suo nome, utilizzando la pronuncia francese,
nasale e
con la r strana, era da brivido.
Ma non un
brivido piacevole, un brivido alla Thad Harwood. Un brivido da
“metti più chilometri
possibili tra te e il
tuo futuro assassino”.
-Sì,
papà.-
disse, nuovamente, lei.
Smythe si
voltò molto
lentamente e, dopo aver adagiato un
cuscino sotto la guancia del marito, si alzò in piedi.
-E’ questa l’ora di
tornare a casa, Andrèe?-
Ancora.
-Credevo che
l’epoca del coprifuoco
fosse passata da un pezzo.- rispose, senza
riflettere, lei.
-Anche io
credevo fossi un’adulta.- mosse qualche passo nella sua
direzione. –Evidentemente,
mi sbagliavo. Questa è la ragione per la quale hai ancora un
coprifuoco.-
-Papà,
che
cosa…?- chiese, confusa.
Audrey si
avvicinò lentamente verso il padrone e strusciò
il muso contro la mano
dell’uomo.
Immobile.
Sebastian non ebbe alcuna
reazione.
-La
differenza tra un adulto e un adolescente sta nell’affrontare
certe situazioni
e accettarne le conseguenze.- spiegò lui.
Orgoglio:
Sebastian stava andando a
pungolare esattamente dove sapeva di poter ottenere ciò che
voleva.
Ma
Andrèe,
oltre che una Smythe, era anche una
Harwood. -Papà, parla chiaro.-
Si stava
comportando in modo irrispettoso e indisponente nei confronti del
padre, ma lui
non si stava dimostrando altrettanto maturo.
-Che cosa
c’entri tu con Nicholas Duvall?- il tono basso e duro, quasi
tagliente.
Audrey si
accucciò a terra, emettendo un lamento appena udibile.
-Papà,
io mi
sposo.- andò, cauta, Andrèe.
-Con
Duvall?!- chiese, alzando il tono della voce.
-Oh, no!-
rispose lei, scandalizzata. -Con Sterling.-
La Barbie.
Sebastian
afferrò lo schienale del divano e lo utilizzò
come sostegno. -Jeff Sterling?!-
-Paul!-
-Ma
per quale motivo urlate, Smythe?-
Thad si era
svegliato e, completamente arruffato e con un po’ di saliva
all’angolo della
bocca, fissava truce marito e figlia.
-Tua
figlia.- iniziò, tutto di un fiato,
Sebastian. -Ha una tresca amorosa con un nostro coetaneo.-
specificò con tono
tragico. -Platinato!-
-Ma
cosa_?!-provò a difendersi la ragazza.
-Sebastian,
cosa diamine stai blaterando?- domandò Thad, confuso e
intontito dal brusco
risveglio.
Grazie,
papà Thad!
-Si sposa.- annunciò.
-E, siccome la cosa non è
abbastanza tragica- disse, con tono sarcastico. -Con
Sterling.-
-Paul,
papà.- cercò
di farsi ascoltare. -Paul Sterling.-
-Ha cambiato
nome?- domandò, rivolgendosi alla figlia. -“Jeff”
non era troppo banale, voleva buttarsi su un comunissimo “Paul ”?-
-E’ il
figlio di Nick e Jeff.- spiegò Thad, domandandosi come
Sebastian potesse
passare dal controllatissimo Dottor Smythe al geloso e isterico
papà ‘Bastian
in così poco tempo.
-Hanno un
figlio?- chiese, osservando il marito e la figlia.
-Sì.-
rispose Andrèe, sedendosi sul terzo scalino della scalinata
che portava al piano
superiore. -Paul.- ripeté. -Papà, se mi lasciassi
finire_-
-Non ho
chiesto a te.- la mise a tacere Smythe. -Hanno procreato?-
domandò a Thad.
-Sì.-
rispose Harwood, lasciandosi cadere all’indietro sul divano e
coprendosi il
volto con un braccio.
-E come
è
successo?- chiese ancora, facendo il giro del sofà e
parandosi di fronte all’uomo.
Thad
alzò il
braccio, osservò con un occhio solo il marito e poi disse:
-Vuoi un disegno su
come si fanno i bambini?-
-Lo so, come
si fanno.- rispose a tono, Smythe. -Mi masturbo in un bicchiere di
plastica e
poi dopo lo do all’infermiera!-
-Papà!-
strillò, schifata, Andrèe.
-Che
c’è?-
domandò Sebastian. -Come pensi di essere stata concepita,
scusa?-
-Io credo di
non voler sentire altro.- annunciò la ragazza, alzandosi.
-Dove credi di
andare?-
Di nuovo il tono
serio.
-Abbiamo
appurato che Barbie, per divisione cellulare, è riuscito ad
avere una copia di
se stesso._-
-Sebastian…-
lo ammonì Thad, coprendosi il viso con entrambe le braccia.
-Lasciala stare.-
-No, Thad.-
rispose, risoluto. -Un matrimonio. Ha avuto delle difficoltà
per trovare il coraggio
di annunciare il proprio matrimonio, come credi che possa affrontare la
vita di
matrimonio?-
-La biasimi
per aver temuto la tua reazione?- chiese, sarcastico, il marito.
-Harwood,
ora sono serio.- il tono con cui pronunciò questa frase non
lasciò spazio ad
equivoci. -Non sono felice di questa notizia. Non voglia avere a che
fare con
quella famiglia per motivi che, Andrèe.- si rivolse a lei.
-Speravo ti fossero
chiari e che avessi la maturità di comprendere. E in secondo
luogo, ritengo che
tu sia troppo giovane.-
-Questo
dovrebbe impedirmi di sposarmi?-
chiese, sfidando apertamente il padre.
Pessima mossa.
-Vai in
camera tua.- ordinò Smythe.
-Papà,
non
ho dodici anni, non puoi mandarm_-
-In camera
tua, ora.- alzò il tono di voce. -Ti avverto, non ho
intenzione di tollerare
altra impertinenza e maleducazione da parte tua. O vai in camera tua o
esci da
casa mia.-
-Bene.-
gonfiò
il petto Andrèe. -Se le cose stanno così penso
proprio che me ne and_-
-In camera
sua.- salvò la situazione Harwood, saltando su, in piedi,
nel giro di pochi
secondi e, dopo essersi avvicinato alla figlia, spintonandola su per la
scale, disse:
-Buonanotte amore, a domani.-
-Ma
papà_-
cercò di protestare.
-Buonanotte.-
Sarebbe stata
una guerra senza
prigionieri.
*
Sebbene
Sebastian avesse manifestato la propria avversione verso il matrimonio
e
tenesse, in modo molto infantile, il muso anche a Thad, Harwood aveva
deciso di
portare avanti il progetto.
Iniziando da una
riunione per meglio
organizzare i lavori e capire da cosa cominciare.
Riunione che
in quel momento si stava tenendo nella rumorosa e scintillante cucina
degli Sterling-Duvall.
Avevano
impiegato diversi minuti per trasferirsi dal salotto al tinello: Jeff
si era
letteralmente appeso a quello che per anni era stato il proprio
migliore amico.
Avevano dovuto
prendere, per forza,
strade differenti. Per amore, avevano dovuto supportare i propri mariti
e
mettere da parte la loro amicizia.
Dopo essersi
trascinato in cucina, con addosso Jeff, nell’imitazione di un
grosso Koala
biondo, Thad aveva salutato, con un sorriso cordiale,
Nick.
Harwood aveva
messo da parte il
rancore e il dolore provocato da Duvall, per Andrèe. Solo
per Andrèe.
-Io
proporrei, come periodo, Settembre. Mi piace Settembre.-
annunciò Jeff,
sedendosi al tavolo con tutti gli altri presenti. -L’estate
volge al termine,
le giornate sono belle. Cosa ne dite? A
voi piace Settembre?-
-Quante
volte avrà ripetuto “Settembre”?-
domandò, sottovoce, Andrèe al proprio
papà.
-Troppe,
piccola. Troppe.- rispose, ridendo, Harwood.
-Papà,
in
realtà.- spezzò il monologo Paul. -Noi vorremmo
sposarci prima. Entro la fine
di questa Primavera.-
Sterling
osservò il figlio, aprendo la bocca e iniziando a
boccheggiare come un pesce,
guardò poi Andrèe e, indicando i due ragazzi,
cercò lo sguardo di Nick.
-Jeff,
calmati.- disse, tranquillamente, Nick, oramai abituato a quelle
reazioni.
-Primavera? Questa Primavera?- chiese, allora, fuori
di sé. -Non avrò mai abbastanza tempo. Non
riuscirò mai a far arrivare gli
addobbi in raso che avevo pensato e il vestito! Il vestito
dovrà provarlo
almeno una decina di volte_-
-Dieci volte?-
domandò, spaventata. Andrèe. -Due non bastano?-
-Assolutamente!- rispose Jeff,
afferrando un foglio e
una penna, posati sul tavolo. Allora, se io inizio a mandare
l’ordine dei fiori
domani, allora_-
-Amore,
potremmo assumere un Wedding Planner…-
azzardò Nick.
Azzardo, enorme
azzardo.
-Oh,
Nick. Io non posso davvero credere che
tu abbia potuto fare una proposta del genere. Ammettilo, non credi che
io sia
in grado di gest_-
Sarebbe stata
dura, molto dura.
|
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Capitolo 7 *** Fuori. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
Salve, sono
la personcina che lo scorso capitolo vi ha illusi, facendovi credere
che
sarebbe tornata sul filo della “commedia”. La
suddetta persona vi spappolerà il
cuore perché, bhè, è masochista.
Strane dichiarazioni a parte, non odiatemi
troppo, vi prego. Grazie per le recensioni allo scorso capitolo, questa
sera
risponderò a tutti.
Grazie a micRobs, la mia beta. Il capitolo
doveva essere pubblicato domani, ma come al solito, anche tra mille
impegni, ha
spazio per me. Grazie davvero.
Al mio Thad,
noi siamo fatte
così.
Ma siamo perfette.
Capitolo VII
Fuori.
*
Dopo la
sfuriata di quella sera, Andrèe decise di ritornare al
proprio appartamento.
Discutere ulteriormente con Sebastian sarebbe stato inutile: si era
impuntato e
difficilmente avrebbe cambiato idea.
Ma anche
Andrèe era una Smythe. Anche
Andrèe si era impuntata e anche lei non avrebbe cambiato
idea riguardo al
matrimonio.
Per quella
ragione si trovava insieme a Jeff e a papà Thad, in quel
momento, in un
costosissimo atelier della città.
Si sarebbe
sposata, con o senza
Sebastian.
Per quanto
facesse male, non era più
una bambina. Non aveva più bisogno
dell’approvazione di papà ‘Bastian per
sentirsi felice e soddisfatta.
Si
asciugò
una lacrima, sfuggita al suo controllo, con il dorso della mano. La
commessa,
sorridente e cordiale, tornò nel camerino esattamente in
quell’istante,
sorreggendo un voluminoso vestito bianco, avvolto nel cellophane.
-Oh, cara.-
le sorrise, comprensiva. -La prima prova è
un’emozione, lo capisco.-
Andrèe
si
sforzò di abbozzare un sorriso e prese in consegna
l’abito, dirigendosi nella
cabina.
Si
sfilò di
dosso la vestaglia blu, osservando il proprio riflesso.
Era grande, lei.
Non doveva piangere.
Allentò
i
laccetti del busto e infilò il vestito fino alla vita. Fece
un respiro profondo
e tirò su anche la parte di sopra, facendo aderire il
corpetto al seno e
aggiustando la gonna.
Uscì,
facendo attenzione a non inciampare e diede le spalle alla commessa,
venuta
subito in suo aiuto, stringendo e allacciando il busto.
Non doveva
piangere.
*
-Ti vedo
estremamente entusiasta per la faccenda del matrimonio.-
confessò Thad, seduto
accanto a Jeff, nell’attesa di vedere il primo vestito scelto
dal biondo.
-Molto.-
rispose Sterling, regalandogli un sorriso luminoso. -L’idea
che i nostri figli
stiano insieme, che formino una famiglia, mi rende felice.-
Harwood gli
strinse la mano. -Mi dispiace.-
Per il tempo
trascorso.
Per i silenzi.
Per il
risentimento.
Per la distanza.
Thad non
aggiunse altro, ma Jeff capì.
- Lo so.-
rispose Sterling. -Ma i nostri figli sono delle persone migliori. Ci
stanno
dando la possibilità di rimediare.- continuò.
-Nick…- esitò, valutando se fosse il
caso di parlare del marito, visti i trascorsi.
Sì,
era il caso di parlarne con il
proprio migliore amico.
-Nick non ha
mai perdonato a se stesso ciò che ha fatto a Sebastian.-
-Sebastian
non ha mai perdonato Nick.- disse Harwood. -Ma voglio che mia figlia
sia
felice, a costo di far la guerra a
Sebastian.- sussurrò, guardando le mattonelle
chiare del locale. -Sarò un padre
migliore del mio, lo devo a me
stesso e ad Andrèe.-
La ragazza
fece il suo ingresso nella sala: era bellissima. Quell’abito
sembrava
avvolgerla, aderendo perfettamente e naturalmente come una seconda
pelle.
Jeff si
alzò
in piedi e andò incontro ad Andrèe, girandole
intorno e complimentandosi.
Lei sorrise.
Harwood
osservò quegli occhi e se ne accorse.
Aveva pianto.
*
Quando Thad
tornò a casa, Sebastian lo aspettava, appoggiato
alla ringhiera della veranda, fumando.
Il moro gli
passò accanto e osservò il profilo del marito.
Smythe si portò la sigaretta alla bocca, inspirò
e soffiò fuori il fumo,
socchiudendo gli occhi.
-Dove sei
stato?- domandò.
-Con Jeff.-
rispose Thad, fissando la porta di casa,
socchiusa.
Sebastian
alzò il lato della bocca, in una pallida imitazione
di un ghigno, scosse la testa e lanciò il mozzicone.
-Sebastian_-
provò Thad.
Lo
sapeva.
Ma Smythe era
già rientrato, lasciando dietro di sé,
l’odore
non di una sola sigaretta.
-Sebastian.- lo
richiamò, dopo averlo seguito, Harwood,
impedendogli di salire le scale.
-Oggi
Andrèe ha provato
il suo primo vestito.- gli disse, con calma.
Scrollò
le spalle e fece per mettere il piede sul primo
gradino
ma,
di nuovo, il marito glielo impedì. -Piangeva.-
Sebastian rimase
immobile.
-E
non di gioia.- aggiunse.
-Cosa vuoi
che ti dica, Harwood?- domandò Sebastian, voltandosi e
fronteggiandolo.
-Non
è a me
che devi dire qualcosa.- spiegò il moro.
-Andrèe
sta
facendo i capricci.-
-Andrèe
piangeva alla sua prima prova del
vestito da sposa per colpa tua.- lo accusò Thad.
Smythe
alzò
gli occhi al cielo e sbuffò, infastidito. -Cosa ne sai,
mammina?-
-Io so
ascoltare mia figlia.- rispose.
-A
differenza di me?- concluse per lui la
frase. Si
avvicinò a Thad, sovrastandolo
con la propria altezza. -Harwood, non
osare darmi del cattivo padre.-
-Non
ti stai comportando tanto meglio del
mio.-
Thad era
infuriato. Odiava il fatto che qualcuno potesse far del male ad
Andrèe, che
qualcuno potesse rovinare i momenti che avrebbe conservato come i
ricordi più
felici. Ma il fatto che il responsabile fosse Sebastian lo distruggeva.
Non
poteva concepire come l’altro potesse andare contro la
felicità della propria
figlia.
-Vogliamo
parlare di comportamenti moralmente corretti?- domandò
Sebastian. -Pensi di
essere nel giusto frequentando Sterling?-
-Sebastian,
ti prego.- sbuffò Thad, allontanandosi dal marito. -Non
sarai geloso?-
-Non sono
geloso.-
disse, con tono freddo. -Sono schifato.-
Thad
avvertì una sensazione di
stordimento: Sebastian non si era mai rivolto a lui in quel modo.
-Ma che cosa_?-
-E’
Jeff
Sterling, il marito di Nick Duvall.- gli diede contro, portandosi le
mani tra i
capelli. -O forse devo raccontarti di
nuovo come sono andate le cose? Forse non sono stato male abbastanza
affinché
tu lo capissi?-
Harwood si
aggrappò alla libreria del
salotto. Qualcuno lo stava colpendo, da più parti. E i colpi
erano così forti e
numerosi da non riuscire a intuirne la provenienza.
-Sebastian,
tu non puoi parlarmi così.- disse, senza fiato, il moro.
-No?-
domandò, sempre più nervoso. -Mentre tu puoi
organizzare un matrimonio,
diventando il consuocero della persona che ha ucciso mio padre?-
-Le cose non
sono andate così, Seb_-
-Ah no?.-
avrebbe rotto qualche oggetto da un momento all’altro, Thad
lo sapeva. -E come
sono andate le cose, sentiamo.-
Un vaso a terra
e cocci ovunque.
-Nick aveva
la libertà di rifiutarsi, forse avrebbe_-
-Lo difendi.- Non
c’era solo rabbia in quello
sguardo. Quella discussione lo stava sgretolando più di
quanto volesse dare a
vedere. -Sei libero di vedere chi vuoi.-
Harwood non
comprese il vero significato di quelle parole, finché non
vide il marito
voltarsi.
Sebastian
salì di corsa le scale, evitando Audrey, che probabilmente
aveva assistito a
tutta la scena dal piano di sopra.
-Sebastian,
cosa diamine stai blaterando?- Thad gli andò dietro.
Smythe prese
la propria giacca e alcuni vestiti.
-Audrey!-
No.
No, non poteva.
-Audrey.- la
chiamò ancora.
-Sebastian,
ti prego. Parliamone.- tentò, Harwood, afferrando alcuni
indumenti dalle mani
del marito, ma vedendoseli sottratti in poco tempo.
-Non
abbiamo più nulla da dirci, Harwood.-
disse, in fine, afferrando il grosso cane per il collare e scendendo le
scale.
-Goditi i tuoi amici.-
Non
c’era davvero più nulla che
potesse dire per fermarlo.
La porta
venne chiusa violentemente.
|
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Capitolo 8 *** Le colpe dei padri. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
Eccomi di
nuovo qui, con le mille e più motivazioni per farmi odiare.
Ho saltato
una pubblicazione, mi dispiace davvero tanto. Tra esami e febbre ero
ridotta
uno straccio. Riuscivo a dire solo cose come
“Istoflogosi” o “Anemia emolitica
rigenerativa”, un gran brutto spettacolo. Mi odiate
perché che vi ho lasciato
con quel capitolo, lo so. Ne avete tutto il diritto. Mi odierete ancora
di più
con questo, ma ricordate: sono tanto bella e scriverò un
lieto fine. Non
uccidetemi. <
3
Mi scuso per
tutte le recensioni che ho indietro. Le adoro, ma vorrei evitare di
rispondere
con un semplice “Grazie :
) “. Dopo
il 29 avrò un po’ di respiro e mi
metterò a rispondere a tutte le recensioni.
Grazie per
la pazienza.
Grazie alla
mia beta, micRobs. Tutto questo
è
colpa o merito suo. Lavorare con lei mi ha aiutata a crescere e spero a
maturare nella scrittura.
Al mio Thad.
Non lasciarmi
andare
via.
Leave
me out with the waste
This is not
what I do
It's the wrong
kind of place
To be thinking
of you.
(Damien
Rice, 9 Crimes )
Capitolo VIII
Le colpe dei
padri
*
Sebastian
osservò affascinato il fumo fluttuare fino al soffitto.
Wes gli
aveva proibito cinque o sei volte di fumare in casa. Alice, la signora
Montgomery, si era spesso lamentata con il marito per la puzza di fumo
proveniente dalla stanza degli ospiti.
Sebastian
non usciva da lì.
Era carceriere e
carcerato.
Il fumo
saliva, leggero, e si dissipava piano, lasciando in bocca solo
l’amaro.
Il ritorno
di Duvall nella propria vita lo aveva squartato.
Aveva fatto riaffiorare tutto il dolore e la rabbia, come un vaso di
Pandora ,
abbandonato in un angolo del cervello per diversi anni. Avrebbe
richiuso quel
vaso, prima di essere smembrato dal suo contenuto, con
l’aiuto di Thad. Thad
che non lo aveva mai lasciato, Thad che aveva saputo come stargli
accanto, anche
in quei giorni in cui lui stesso si sarebbe mandato al diavolo, Thad
che
l’aveva ricomposto, quando sembrava tutto finito.
Non questa volta.
Harwood non
c’era. Harwood era a casa degli Sterling-Duvall. Harwood
progettava un
matrimonio, in compagnia di Sterling.
Non era
gelosia, era delusione.
Sebastian si
sentiva perso.
Harwood diceva
di amarlo, di capirlo,
ma non aveva capito quanto quel ritorno, quel riavvicinarsi a Duvall e
Sterling
lo distruggesse.
Lo amava come diceva, allora? Lo
capiva, lo sosteneva,
lo consolava?
Per
Sebastian, la risposta era un semplice “no”.
Forse
avrebbe dovuto parlarne con qualcuno, con Wes magari. Avrebbe dovuto
reagire,
spaccare qualcosa o prendersela con qualcuno a caso, buttando fuori
tutto
quello che da dentro lo stava corrodendo.
Forse.
Stava
immobile, sul letto, a fissare il soffitto. Non avrebbe rotto nulla,
non
avrebbe urlato. Non avrebbe messo a soqquadro una stanza, rendendola
irriconoscibile.
Non avrebbe
fatto nulla.
Avrebbe
aspettato che il proprio vaso
di Pandora si svuotasse, travolgendolo e sgretolandolo con tutto il
contenuto.
*
Andrèe
sapeva di Sebastian. Aveva proposto a papà Thad di andare a
stare da lei, per
qualche tempo, ma il padre le aveva chiesto di lasciarlo solo.
La ragazza
aveva rispettato gli spazi del genitore. Tra i due padri, Thad era
quello più
emotivo e trasparente nei propri sentimenti. Se avesse avuto bisogno,
Andrèe ne
era certa, avrebbe chiesto aiuto. Gli Harwood non provavano vergogna o
timore
nel mostrarsi deboli o incapaci di affrontare da soli una situazione.
Thad Harwood
aveva davvero bisogno di
stare solo, con il proprio dolore.
Non avrebbe
nemmeno parlato con Sebastian. Tra i due, era
quello più ingestibile e imprevedibile.
E poi, padre e
figlia non avevano
ancora risolto la questione “Matrimonio”.
Paul
rientrò
a casa, attento a non fare troppo rumore nel chiudere la porta.
Andrèe
lo
senti trafficare con la giacca e, pochi secondi dopo,
comparì sulla soglia del
salotto, arruffato e con gli occhi stanchi.
-Ehi.- la
salutò, appoggiando la testa allo stipite della porta e
osservandola.
-Ehi.-
rispose lei, sospirando.
Era evidente
che qualcosa non andasse. Paul lo capiva dal modo disordinato con cui i
capelli
erano raccolti sulla nuca. Andrèe era una maniaca
dell’ordine : per avere la
propria acconciatura in quelle condizioni, aveva dovuto passare almeno
due ore
a torturarsi le ciocche dei capelli, rimuginando. Lo capiva dalle
unghie
mangiucchiate e dalla ruga d’espressione, perenne, che le
solcava la fronte,
tra le sopracciglia, ogni volta che qualcosa le desse da pensare.
-Che
succede?- domandò il ragazzo.
Andrèe
guardò il pavimento, valutando se fosse il caso di mentire o
raccontare tutto.
-Andrèe.-
la interpellò nuovamente, non
dandole via d’uscita e facendole capire di non avere
intenzione di cambiare
argomento.
-Mio padre
Sebastian è andato via di casa, per colpa mia.-
Inespressiva.
Paul si
avvicinò a lei e, sedendosi sul divano, le passò
un braccio intorno alla vita.
Odiava quel tono, era così lontano. Paul
voleva che Andrèe rimanesse lì con lui.
-Non avrei
dovuto accettare la tua
proposta di matrimonio.-
Paul
aggrottò le sopracciglia e ripeté nella propria
mente quella frase.
Aveva il sapore
del rimorso.
-I miei
papà
hanno litigato spesso, ma mai così.- spiegò,
immobile tra le braccia del
ragazzo. -Papà Thad sbatteva tutte le porte, ma le riapriva
subito, per
permettere a papà Sebastian di seguirlo e, arrivati in
camera, facevano pace.-
si morse il labbro. -Nessuno dei due aveva mai lasciato solo
l’altro.-
-Non ti
addossare colpe che non hai.- provò Paul. Tentò
di convincersi che fosse solo
uno sfogo dettato
dallo stress per la situazione. Non poteva
esserne convinta.
-Siamo stati
precipitosi, avremmo dovuto riflettere.- continuò lei.
Sterling
fece scivolare il braccio, lasciandola andare. -Io ti amo.
Perché avrei dovuto
riflettere. Che cosa c’è
da riflettere?-
Non riusciva a
stare calmo. Le mani
gli tremavano leggermente e continuava a respirare profondamente.
Si
alzò in
piedi, riavviandosi i capelli biondi. -Tu mi ami, perché ora
ci stai
ripensando?-
-Guarda
tutto quello che ha comportato il nostro matrimonio.-
bisbigliò, fredda.
Era lontana,
oramai.
-Io ho litigato
con mio padre. I miei
papà vivono in case differenti_-
-Non puoi
addossarti colpe che non
sono tue. Non puoi pagare per Sebastian.-
mormorò, scuotendo la testa, Paul.
Andrèe
posò
lo sguardo sulla figura alta del fidanzato.
-Tuo padre
non è perfetto, Andrèe. Tuo padre non ha sempre
ragione. Non puoi tirarti
indietro se lui storce il naso. Non hai sei anni, smettila di cercare
il suo
consenso.- continuò il ragazzo biondo. -E’ pieno
di difetti, sbaglia anche lui.
Quanto te ne renderai conto?-
-Mio
padre?- domandò, con una nota inquietante
nel tono di voce. -E’ colpa di tuo padre
se ora siamo in questa situazione.-
-Oh, ti prego,
Smythe.-
sbuffò, chiamandola come quando
frequentavano l’università, misurando a passi
rapidi la stanza. -Non iniziamo a
elencare le colpe ataviche. Noi non siamo
i nostri genitori. Ma, se tuo padre Sebastian è un
adulto, come dice di
essere, dovrebbe rendersi conto che le colpe dei padri non dovrebbero
ricadere
su i figli.-
-Forse ha
ragione.- sembrava non ascoltarlo. -Forse siamo troppo giovani. Forse
siamo
stati precipitosi, forse avremmo dovuto riflettere o aspettare.-
Paul prese
un respiro profondo e smise di camminare, stando in piedi, di fronte a
lei. -Andrèe, ma tu vuoi davvero
sposarmi?-
Non
c’era tempo per pensare, la
risposta poteva essere solo una. Nessun fraintendimento o frase non
detta. La
domanda era semplice, la risposta ancor di più.
-Sì.- rispose lei. -Ma_-
“Ma.”
Quel
“ma” era sufficiente.
-Basta
così,
Andrèe.- la interruppe Paul, voltandosi.
Sufficiente per
capire che
probabilmente era stato precipitoso e ingenuo, che Andrèe
non desiderasse
sposarlo quanto lui voleva sposare lei.
Sufficiente per
aprire la porta e
sbattersela dietro le spalle.
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Capitolo 9 *** Il pianoforte. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
Eccomi.
Nonostante le aspettative, sono qui. Ho temuto davvero che fosse la
fine di
questa storia e della mia “carriera”, ma sono qui.
Quando ho annunciato la
sospensione delle pubblicazioni, non mi aspettavo tutto
quell’appoggio e quella
comprensione. Una volta detto che avrei ripubblicato, l'entusiasmo
è stato
sconvolgente e contagioso. Non mi aspettavo così tanto
calore e affetto.
Grazie al
gruppo della Thadastian. Siete tutte meravigliose e io non faccio altro
che
trovare coraggio e motivazioni.
Grazie alla
mia beta, micRobs.
E’ fantastica, attenta, presente. Si sorbisce le mie
sgrammaticature e le mie paranoie. La storia esiste grazie anche a lei.
Grazie al
mio Thad. Per tutto.
Al mio Thad,
che riesce a
intuire l’aspetto
fisico
dei miei
personaggi,
senza che io li abbia ancora descritti.
Capitolo IX
Il pianoforte.
*
Diversi
capelli prima e qualche ruga in meno fa, Wes Montgomery
acquistò un pianoforte
a coda. Né lui né Alice sapevano suonare, lo
strumento era per il bambino.
Ne avevano
parlato più volte: desideravano un figlio, desideravano la
prova tangibile e
vivente del loro amore.
Ancora prima
di concepirlo, ancora prima di conoscerne il sesso, ancora prima di
nascere, il
tanto desiderato bambino aveva
ricevuto il proprio regalo.
Il pianoforte.
Alice
desiderava che imparasse a suonarlo. Aveva più volte
fantasticato: il bambino
seduto sullo sgabello e lei sulla porta, ascoltandolo, sebbene non
conoscesse
la musica.
Ma il bambino
non arrivava.
A nulla
sembravano servire le terapie ormonali e i consulti medici in giro per
il
paese.
Il telo in
tessuto pesante che ricopriva il pianoforte iniziò a
ricoprirsi di polvere e
l’entusiasmo dei coniugi Montgomery, via via, a scemare.
Alice non
attendeva più, impaziente e scalpitante, i due minuti
necessari al test di
gravidanza per dare il proprio responso. Ogni volta era un dolore e,
con il
passare dei tentativi, smise di pulire e occuparsi del pianoforte.
Wes la
guardava sfiorire, visita dopo visita, esame dopo esame, senza poter
intervenire in alcun modo.
Fino alla
verità: Alice aveva covato in quei mesi una grave patologia
all’utero.
Questione di
vita o di morte: andava
tolto.
Oltre alla
possibilità di avere un figlio, con
quell’operazione, i medici tolsero a Wes
anche la gioia di vivere di Alice.
Eppure
continuava a far accordare il pianoforte, anno dopo anno, anche quando,
al
culmine della disperazione, Alice aveva imposto al marito di relegare
lo
strumento dove lei non l’avrebbe potuto vedere, pronto a ricordarle la sua impossibilità
di avere un figlio.
Sebastian
non conosceva questa storia quando, volendo sentirsi meno un peso per i
Montgomery, si era offerto di riordinare il garage, mentre Audrey lo
assisteva,
dormendo.
Non
conosceva questa storia quando, curioso
come un gatto, accarezzò la superficie
dell’oggetto che il telo, scuro e
pesante, copriva.
Fece
scivolare le dita lungo il profilo, celato e nascosto dal tessuto,
chiudendo
gli occhi, nel tentativo di intuire, grazie al tatto, che cosa ci fosse
lì
sotto.
Superficie
liscia e regolare, angoli
retti.
Seguì
la
faccia laterale, fino a distinguere una coda, armoniosa e priva di
spigoli.
Un pianoforte.
Aprì
gli
occhi e, afferrati i lembi del telo, lo sollevò, saturando
il locale della
polvere che vestiva il tessuto pesante di quella gabbia di velluto.
Lucido, senza
alcun graffio o
impronta.
Scoprì
i
tasti, bianchi come perle, e i semitoni, laccati e intonsi.
Sebastian
fece scorrere le dita, sfiorando i toni più acuti.
Era accordato.
Nessuno
aveva mai usato quello strumento, ma allora per chi veniva accordato?
Per un fantasma,
forse?
Adagiò
entrambe le mani sulla tastiera, producendo un suono disarmonico e poco
piacevole.
Vibrò
con esso.
Cercò
lo
sgabello e, una volta trovatolo lì vicino, si sedette.
Faccia a faccia
con lo specchio della
propria anima.
*
Prima ancora
di comprendere e associare quel suono, Wes udì delle
ceramiche andare in
frantumi.
Attraversò
rapidamente il salotto e corse in cucina, doveva aveva lasciato,
qualche minuto
prima, Alice.
La
trovò appoggiata
ad un mobile, gli occhi sbarrati e la mano sospesa.
Bianca e assente.
Il marito le
si avvicinò, chiamandola e temendo che si fosse sentita male
o che si fosse
ferita.
-Wes, il
pianoforte.- mormorò, come in ascolto di una melodia appena
udibile.
Ed era
così.
Smise
persino di respirare e ascoltò.
Dal garage,
il pianoforte suonava una melodia incalzante. Ma
gli strumenti non si suonavano da soli.
-Sarà
Sebastian.-
ipotizzò, annotandosi mentalmente di
ucciderlo. Non avrebbe retto un altro periodo di palese disperazione e
depressione a causa di quel piano.
Alice si
portò una mano alla bocca e tentò di nascondere,
con scarsi risultati, un
singhiozzo.
Wes
capì.
Comprese il
dolore e l’illusione che quella melodia portava con
sé.
Rallentò,
per poi riprendere
nuovamente vigore. Non c’erano pause: scorreva, a tratti con
impeto, a tratti
con calma, quasi in attesa.
L’uomo
strinse a sé Alice che, a occhi chiusi, pianse.
Chiuse gli
occhi anch’egli, per qualche nota, mentì a se
stesso: immaginò un ragazzo
appena ventenne, seduto al pianoforte, mentre faceva scorrere le dita
sulla
tastiera, con una naturalezza acquisita nei numerosi anni di studio.
La scuola, le
passeggiate, le cadute
in bicicletta, quella melodi sembrava parlare di una vita.
La musica si
spense, come una debole fiamma e, aperti gli occhi, Wes
cercò lo sguardo della
moglie.
Vi lesse la
stessa illusione.
***
Suonava sempre.
Suonava
sempre lo stesso pezzo, a memoria, non lasciando intuire quale fosse
l’inizio e
quale la fine.
Passava ore
davanti al pianoforte, facendo scorrere le dita, rapide e affusolate,
su i
tasti bianchi, senza sbagliare una singola nota.
In una
situazione ordinaria, Wes avrebbe mal tollerato quel continuo suonare
in modo
decisamente ossessivo,
ma Alice ascoltava.
Appoggiava
la testa allo stipite della porta e fissava la schiena di Sebastian
fino a
quando, fattasi una certa ora, l’uomo appoggiava tutte e
cinque le dita,
sancendo, con un suono fastidioso, la fine della propria performance.
Alice,
allora, prima che lui potesse voltarsi, si dileguava, tornando a
dedicarsi a
ciò che stava facendo diverse ore prima.
Wes
notò un
cambiamento nella moglie. Alcune sere prima, tornato dopo una lunga
giornata in
ufficio, la vide sorridere, come mise
piede in casa.
Un sorriso vero,
genuino, che
arrivava fino gli occhi e illuminava tutta la stanza.
Si
alzò e
gli andò incontro, per posargli un leggero bacio sulle
labbra e dirgli: -Bentornato a casa.-
Sebastian,
suonando, gli aveva
restituito la sua Alice.
Gli avrebbe
permesso di pigiare quei tasti persino a notte fonda, pur di poter
continuare a
vedere quel meraviglioso sorriso.
*
-So che sei
dietro di me.- sospirò, a voce alta, Sebastian, superando in
volume il suono
del pianoforte.
Alice
trasalì, indecisa se restare o andare via, fingendo di non
essere stata
scoperta.
Lei e Smythe
non avevano un gran rapporto e, quando se l’era visto
arrivare con quel grosso
cane, aveva fatto una sfuriata furibonda.
Wes
l’aveva
pregata di aspettare che Sebastian trovasse per sé e per
Audrey una diversa
sistemazione e, nel mentre, ospitarli.
Il grosso
cane si era rivelato il più socievole tra i due ospiti:
passava le proprie
giornate a dormire in giardino e, di tanto in tanto, osservava, curiosa
e
attenta, la padrona di casa pulire e sistemare.
Sebastian,
inizialmente, si era recluso nella stanza degli ospiti e Dio
solo sapeva quanto fumasse: la puzza aveva impregnato tutto
il
corridoio di quel piano, sebbene la porta fosse chiusa. Ma
poi, aveva suonato il pianoforte.
Alice
sapeva, osservandolo, di violare
qualcosa.
Sebastian non
suonava per un
pubblico, ma per se stesso. Lo dimostravano gli occhi perennemente
chiusi e la
velocità differente a ogni esecuzione.
Suonava per se
stesso, scavando e
affrontando il proprio dolore, senza lacrime o urla. Tutto
ciò che Alice non
era stata in grado di fare: affrontare.
La donna
fece per andarsene, ma Smythe la fermò: -Sei sempre
lì dietro.- si voltò di tre
quarti, sullo sgabello, e la osservò con la coda
dell’occhio.
Lui si era
accorto di tutto.
-Vieni qui,
Alice.-
Il tono non
ammetteva alcuna replica e l’ordine era semplice.
Dandosi
mentalmente della stupida, ma avvicinandosi, Alice si portò
accanto allo
sgabello, fissando il pianoforte.
Sebastian si
fece di lato, ricavando un po’ di spazio per lei e le
intimò di sedersi.
-Sai
suonare?- domandò alla donna, della quale a malapena
conosceva il nome.
-No.-
rispose lei, continuando a osservare le mani di lui, immobili su i
tasti.
-Vuoi
che ti insegni?- domandò, Smythe,
intuendo che quella fosse, probabilmente, la cosa giusta da fare.
-Continua
a suonare.-
Sembrava una
preghiera, più che un ordine.
Sebastian
riprese a suonare.
Meno nervoso.
Quella
presenza accanto a sé lo tranquillizzava,
al punto di stordirlo piacevolmente.
Alice
sorrise tra sé, attenta ai movimenti delle dita. -Sembra
complessa.- mormorò,
concentrata.
-Non
così
tanto.- rispose prontamente l’uomo, continuando.
-Suoni
sempre questa.- disse Alice.- La ricordi a memoria.-
-Non
è
l’unica che ricordo.-
-Perché
proprio questa, allora?- parlava a voce bassa, quasi a non voler
alterare il
suono armonioso di quel brano.
-Ha un
significato.- rispose Sebastian, senza smettere di suonare o perdere il
filo.
Sembrava che le
sue dita sapessero
esattamente che cosa fare, senza che il proprietario desse loro ordini.
-Legato a
Thad, vero?-
Alice
conosceva a grandi linee la loro storia, ma non era nella sua natura
intromettersi o elargire consigli. Non aveva verità assolute
da somministrare,
il suo matrimonio si trascinava negli anni, dopo l’intervento.
La
velocità aumentò, come un cuore in
tachicardia.
Il fatto che
Sebastian la ripetesse e riproducesse, continuamente, aveva fatto
intuire ad
Alice le reali intenzioni dell’uomo: farsi
ascoltare.
C’era
probabilmente qualcosa che non
riusciva a esprimere con le parole e che, quindi, eseguiva in modo
ossessivo
con il pianoforte.
Aiuto.
-Sebastian, vuoi
che chiami Thad?-
-Sì,
ti prego.-
Alice aveva
saputo ascoltarlo.
|
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Capitolo 10 *** Collisioni. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
Eccoci qui.
Il capitolo scorso è stato una “botta”,
sono felicissima che vi sia piaciuto.
E’ stato bello ed emozionante scriverlo, mi entusiasma il
fatto che anche per
voi sia stato lo stesso nel leggerlo. Le recensioni sono bellissime e
tantissime. Devo recuperarne un sacco. Intanto ho recuperato quelle
della week,
siate pazienti, recupererò anche quelle di questa long. Mi
conoscete, odio
rispondere con un “grazie”. Voi dedicate del tempo
a me, io voglio dedicarne a
voi. Risponderò a tutti .
Mi sono
dimenticata, nello scorso capitolo, di segnalarvi il brano che
Sebastian esegue
al pianoforte. E’ “The Sacrifice “ di
Michael Nyman, parte della colonna sonora
del film “The Piano”.
Per quanto
riguarda il prossimo aggiornamento, è previsto per Giovedì 23 Maggio.
Ehi,sì. E’ esattamente come pensate, quei due
testoni faranno pace.
Non manca
poi molto alla fine. Massimo quattro o cinque capitolo.
Vi ringrazio
e vi lascio al capitolo.
Grazie alla
mia beta, micRobs.
Siamo entrambe presissime da Università e vita reale, ma
trova comunque il tempo per correggere i miei
“n’è” in
“ne” e per tirarmi su di
morale. Sa sempre cosa dire e quando. Un tesoro, davvero.
Al mio Thad,
“qualsiasi
posto
sarebbe meglio,
se invece di
carta e
penna,
avessi Thad
Harwood.”
You
sit there
in your heartache
Waiting
on
some beautiful boy to
To
save you
from your old ways
You play
forgiveness
Watch
it now
Here
he comes
He
doesnt
look a thing like Jesus
But
he talks
like a gentleman
Like
you
imagined
When
you were
young .
(“When
you
were young.”, The Killers.)
Capitolo X
Collisioni.
*
Quando Thad
Harwood tornò a casa, dopo essersi persuaso ad uscire per
comprare gli alimenti
che avrebbero garantito la propria sopravvivenza e quella della figlia,
venne
accolto da dei tonfi regolari.
Il rumore
proveniva dal piano di sopra, con una cadenza inquietante.
Lasciò
le
borse davanti alla porta e, provando una fitta al cuore nel non vedere
Audrey
affacciarsi dalla cucina per controllare chi fosse rincasato,
salì le scale.
Possibile che
qualcuno fosse entrato
in casa?
Non si erano
mai posti il problema dei ladri: Sebastian era sufficientemente
inquietante,
per chiunque lo conoscesse, e Audrey teneva lontani eventuali
sconosciuti con
cattive intenzioni.
Ma né
Sebastian né il cane erano in
casa in quel momento.
Thad si
passò una mano tra i capelli e seguì il rumore.
Camera di
Andrèe.
Non
c’era
nulla di costoso o di valore, nella camera della figlia. Solo molte
cianfrusaglie
e libri. La cassaforte era al piano di sotto ed entrambi i coniugi
odiavano
gioielli e monili simili.
L’unica
cosa preziosa all’interno di
quella stanza era Andrèe stessa.
Allungò
il
passo, divorato dall’ansia. Avrebbe potuto fare ben poco: non
aveva l’imponenza
fisica di Sebastian. Ma sarebbe comunque intervenuto.
Si
accostò
alla porta e il discorso che udì, male a causa
dell’uscio chiuso, lo stranì
parecchio.
“Idiota” tonfo. “Biondo e platinato”. Altro
tonfo.
Una voce
femminile.
“Matrimonio”. Thad
appoggiò l’orecchio
alla porta. “Ti uccido, non ti
sposo.”
L’uomo
iniziò a sospettare che Andrèe avesse preso in
ostaggio Paul - sì, era a
conoscenza de loro litigio - e che lo stesse torturando in una qualche atroce maniera Smythe.
Lo convinse
a intervenire quel “Tuer”,
pronunciato quasi ringhiando.
“Uccidere”, detto per giunta in
francese,
era il verbo che la figlia utilizzava da bambina, quando le si parlava
di fratellini.
Non era affatto
un buon segno.
Thad spinse
la maniglia, ricordando a se stesso di cercare di non vomitare alla
vista del
sangue e tentando di ricordare il numero di un buon avvocato che non
fosse Nick
Duvall.
Una
strage, sì. Ma di libri.
Una montagna
di tomi universitari e non, si trovava ai piedi della parete arancione
e
Andrèe, immobile a causa dell’entrata del padre,
brandiva l’ennesima vittima.
Diritto Penale.
-Andrèe
.- fece,
sconvolto. -Cosa diamine stai
facendo?- domandò.
La ragazza
osservò Thad e scagliò il libro contro il muro,
per poi girarsi e prenderne un
altro. -Mi sfogo.-
-Sfondando i
muri?- domandò, seguendo con gli occhi la traiettoria del
libro che, con un
tonfo iniziale, rimbalzò sulla parete e, con un secondo
rumore meno
forte, andò a cadere con i precedenti sventurati.
-Preferiresti
che sfondassi teste?-
chiese, sarcastica, preparandosi a lanciare “Diritto
Canonico”.
-Iniziamo.-
si avvicinò Harwood, togliendole di mano il volume,
alzandosi sulle punte. -Smettendo
di demolire casa.-
Andrèe
era alta come suo padre.
-Papà!-
protestò
lei, cercando di riprendere
la propria valvola di sfogo, ma ottenendo un indice alzato: tipico
gesto di
avvertimento che Thad utilizzava quando, da piccola, stava
perdendo la pazienza caratteristica del
“Papà buono”.
La ragazza
si sedette a terra, sbuffando.
-Parliamone.-
propose
il
moro, sedendosi anch’egli accanto a
lei.
-Che cosa
c’è da parlarne?- domandò, ma
ovviamente era una domanda retorica. -Voi avete
litigato perché volevo sposarmi a tutti i costi e il mio
fidanzato, biondo e
insicuro, ha mandato tutto all’aria.-
guardò dritta, di fronte a
sé. -Papà se n’è andato per
colpa mia e anche Paul è andato via, ora.-
Thad
appoggiò la propria spalla contro quella della figlia.
Sapeva che gli
Smythe avevano bisogno
di spazi, un abbraccio sarebbe stato troppo.
-Tuo padre
non è andato via per colpa tua. Ha deciso lui di andare
via.- mormorò. -E ha
discusso con me.- osservò il profilo della figlia: tutto in
lei urlava “Smythe”,
ma c’era qualcosa che la rendeva Harwood. Un qualcosa di non
così palese, chiaro
solo a chi la osservasse con attenzione: l’espressione.
Andrèe non era poi così imprevedibile come
Sebastian. Thad aveva imparato a
leggere i segnali che gli occhi e il viso della figlia lanciavano, ma
che a
parole, vista la brutta abitudine ereditata dall’altro ramo
della famiglia, non
esprimeva. -Andrèe, è la tua vita. Sei libera di
scegliere come viverla. Non
farti condizionare, neanche da tuo padre.-
La ragazza
sospirò: stava ascoltando.
-Capisco la
tensione e lo stress. Ma voi Smythe avete il gusto per il tragico e
siete
spesso melodrammatici.-
Andrèe
si
voltò verso il padre, pronta a protestare, ma lui la
fermò.
-E’
così,
non provare a negare, signorina.- scherzò, Harwood. -Siete
meravigliosi.-
sorrise, riavviandole una ciocca di capelli dietro
l’orecchio. -Determinati, belli.-
Andrèe arricciò il naso. -Intelligenti, ma
orgogliosi.- Thad scosse il capo. -Irrimediabilmente
orgogliosi. Non hai un carattere facile, piccola. Paul, probabilmente,
aveva
bisogno di conferme.- ipotizzò. -Ti ha vista sicura,
finché non si è messa in
mezzo la famiglia. Ha sicuramente pensato che tu non volessi
più sposarlo.-
-Che
idiota.- sbottò Andrèe. -Certo
che lo voglio sposare.-
-Non
è a me che devi dirlo, Andrèe.-
*
-Paul, tesoro.-
Jeff entrò in camera del figlio, scivolandoci dentro.
-Sicuro di non voler
mangiare?-
-Non ho
fame.- borbottò il ragazzo, contro il cuscino.
Sterling si
sedette sul letto, accarezzando quei capelli così simili ai
suoi. -Non stai
nemmeno andando a lavoro, in questi giorni.- continuò
preoccupato. -Non puoi
fare così. L a
vita va avanti.-
-Papà,
il
mondo non è tutto arcobaleni e polvere magica.-
commentò, acido.
-E’
chiara
la tua frequentazione con la signorina Smythe.- rispose, divertito in
fondo da
quella battuta.
Sapeva che
il figlio non voleva offendere lui, era solo molto ferito e deluso.
-Hai provato
a chiamarla?- domandò, accarezzandogli la schiena.
-Mpf.-
rispose lui.
-Paul, le
situazioni non si risolvono da sole.- tentò di spiegare,
come quando era un
bambino. -Non vuoi andare vanti? Ok, deprimiti. Ma, prima o poi, dovrai
fare
qualcosa.-
Suonarono
alla porta, ma nessuno dei due se ne preoccupò: Nick era al
piano di sotto, ci
avrebbe pensato lui.
-Papà,
temo
di aver fatto troppo.- il ragazzo si voltò sulla schiena,
fissando il soffitto.
-Non posso essere l’unico a mettersi sempre in discussione,
ad accettare ogni
situazione incondizionatamente.- si coprì il volto con il
dorso della mano. -Io
ho messo troppo del mio. Tocca a lei, ora.-
Jeff
osservò
il figlio e si augurò che Andrèe facesse
qualcosa, qualsiasi cosa, ma che
si sbrigasse. Paul tendeva a minimizzare
qualsiasi cosa : anche da piccolo, quando si faceva male, aveva il
brutto vizio
di non dare il giusto peso agli eventi. Vederlo in quello stato,
preoccupava e
allarmava decisamente il padre, riguardo alla gravità della
faccenda.
-Paul?-
papà
Nick entrò in camera, con una scatola rettangolare in
cartone.
Sterling
alzò un sopracciglio, osservando il marito.
Pizza?
Non emanava
nessuno odore, in realtà.
-Hanno portato
questa per te.- si avvicinò al letto. -Il
fattorino mi ha caldamente raccomandato di darla a te, sembrava che
qualcuno
l’avesse minacciato per il tono concitato che ha utilizzato.-
Duvall la porse
al figlio.
-Ma io non
ho fame.- protestò, sebbene amasse la pizza.
-Che ne
facciamo quindi?- domandò Jeff, guardando Nick.
-Cerchiamo
di capire come mai sia qui.- propose Duvall, sedendosi accanto al
marito.
Aveva un
sospetto.
-Tanto, peggio
di così…- Paul
afferrò il cartone e, dopo
essersi seduto a gambe incrociate, l’aprì.
“Sei
un idiota, ma voglio comunque
sposarti.”
Non c’era una pizza. C’era questa
scritta,
nera e in pennarello. Al lato, un post-it recitava: “Ti aspetto all’angolo di casa tua, non
farmi aspettare, biondo.”
-Io
devo andare.-
E senza
aggiungere altro, Paul corse da Andrèe.
*
Thad
conosceva Sebastian.
Conosceva molto
bene Sebastian.
Riconosceva
il suo odore, riconosceva il suo passo e la ruga
d’espressione, piccola e poco
marcata, che gli solcava la fronte ogni volta che un qualcosa gli
provocasse
preoccupazioni e pensieri.
Sapeva
quanto gli spazi fossero essenziali per Sebastian.
E allora aveva
aspettato.
Ogni volta.
Dopo un
litigio, sapeva di non dovergli stare addosso o correre da lui,
pregandolo di
perdonarlo e ricoprendolo di scuse.
Sebastian
doveva sbollire, confrontarsi con se stesso e ridimensionarsi.
Una volta
presi i propri spazi, Sebastian tornava
sempre da Thad.
Era andato
via di casa, quella volta. Harwood sperava con tutto se stesso che si
stesse
prendendo, per l’ennesima volta, i propri spazi.
Ma i giorni
passavano e il moro diventava sempre più inquieto.
Non aveva
idea di dove fosse il marito, di come stesse o di cosa gli fosse
capitato. Ma
mettersi a cercarlo significava indispettirlo ancora di più
e violare la
distanza della quale Sebastian necessitava.
Il telefono
squillò, ma l’uomo non si alzò dal
divano.
Partì
la
segreteria telefonica: “Risponde la segreteria telefonica di
casa
Harwood-Smythe, in questo momento non siamo in casa.”
Annunciava la voce
gentile ed educata di un Thad Harwood più giovane di una
decina d’anni rispetto
a quello attuale.” Richiamate o lasciate un messaggio dopo il
segnale acust_” ,
ma il tono di voce cambiava completamente
d’improvviso.” SEBASTIAN, TUA FIGLIA
HA DI NUOVO INCENDIATO LA TENDA _biiiiip”
Sospirò:
sembravano trascorsi anni, da quando, una volta partita la segreteria,
Andrèe
aveva annunciato il proprio Matrimonio.
“Thad
Harwood?” una voce femminile, “Alice Montgomery.
Credo di possedere qualcosa
che le appartiene. Il signor Smythe alloggia in casa mia da diverso
tempo,
credo sia il caso che lei se lo rivenga a prendere.”
-Sebastian.-
Neanche il tempo
di chiudere a chiave
la porta e la macchina venne messa in moto, partendo a tutta
velocità.
|
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Capitolo 11 *** Riprendersi. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
In tempo.
Perdonate l’attesa, scrivo dalla biblioteca
dell’Università *.*
Vi annoio
poco e vi lascio immediatamente al tanto atteso e sospirato capitolo.
Sono
felice che lo scorso vi sia piaciuto. Adoro il modo in cui vi siete
affezionati
ad Andrèe e Paul, spero davvero che possiate fare la stessa
cosa con Alice. Si,
lo ammetto: ho una preferenza particolare per lei.
Un grazie
alla mia beta, micRobs.
Ci avviciniamo alla fine e senza di lei sarei ancora
al primo capitolo, preda delle mie turbe psichiche e letterarie.
Al mio Thad,
un anno della
mia vita.
Uno di tanti.
Tanti auguri,
amore
mio.
Sei il mio
traguardo
migliore.
Capitolo XI
Riprendersi.
*
Parcheggiata
la macchina davanti a casa Montgmery, Thad aveva appoggiato la fronte
al
volante e respirato profondamente.
Era andato a
riprenderselo.
Si era
imposto di non correre e di essere prudente, ci teneva ad arrivare
intero e
vivo a destinazione.
Si
voltò e
notò quattro figure davanti alla porta.
Era quasi
buio e le luci basse sul vialetto confondevano.
La
più bassa
e a quattro zampe si voltò nella sua direzione e, dopo
averlo riconosciuto,
avanzò verso di lui, trottando.
Audrey.
Thad scese
dalla macchina e aprì la portiera del bagagliaio. Possibile
che il cane fosse
felice di vederlo? Non gli aveva mai dimostrato particolare affetto.
Il cane, con
un balzo salì
a bordo, facendo leggermente sobbalzare
il veicolo a causa del peso, e, acciambellandosi, socchiuse gli occhi.
Neanche un
saluto: c’era da aspettarselo da quella sottospecie di orso
ammaestrato e
francese.
Cane viziato e
altezzoso.
La figura
umana, più bassa tra le tre, fece intendere a quella
più alta e longilinea di
volergli parlare in privato, presuppose Harwood.
La sagoma
meno alta strinse in un abbraccio la
più
bella e tornò in casa, lasciando sole le altre due.
Alice e
Sebastian si avvicinarono
alla macchina.
*
-Grazie.-
bofonchiò Smythe, procedendo verso l’auto.
Alice sorrise,
guardando dritto di fronte a sé. -Grazie a te.-
-In
realtà
mi odi.- scherzò l’uomo. -Ho fumato in casa tua,
ho suonato a qualsiasi ora del
giorno e ti ho fatto lavare la mia biancheria.-
-E stirare.-
aggiunse lei.
-E stirare.-
ripeté Sebastian, ridendo.
-Ci
siamo fatti del bene a vicenda,
Sebastian.- ammise, seria. -Tu hai
suonato per me, io ti ho ascoltato. Tu mi hai ridata a Wes, io ti ho
ridato a
Thad.-
Lui la
fissò, stupendosi di quanta forza e coraggio potessero
essere contenute in un corpo
minuto e provato dagli eventi.
-Suonerò
ancora per te, se vorrai.-
Pochi metri
lo separavano dal marito.
Aveva perso
peso e non aveva dormito chissà
per quanto
tempo. Era spettinato e la barba incolta segnalava una mancata
volontà di
occuparsi di se stesso.
Sebastian
avvertì una morsa allo stomaco: si odiava. Si sarebbe preso
a calci da solo, se
avesse potuto.
Due adolescenti
stupidi, altroché
marito e marito, maturi e ragionevoli.
Lo
osservò a
lungo, mentre l’altro, per nulla intimorito reggeva
fieramente il suo sguardo.
Alice gli
strinse il polso. -Certo. Sarò felice di avervi
come ospiti-
Quel plurale
suonava come una minaccia o un avvertimento
molto serio.
Sebastian
sorrise, scuotendo la testa. -Ciao, Alice.-
si piegò e le baciò la guancia.
Come un figlio.
La donna
sbatté le palpebre e accarezzò la propria guancia
con le dita, quasi potesse afferrare quel bacio e conservarlo.
Si erano davvero
fatti
del bene a vicenda.
*
Frenò,
attendendo che scattasse il verde.
Non si erano
ancora rivolti la parola e quell’atmosfera pesante stava
irritando particolarmente Thad.
Strinse il
volante, fino a far diventare le dita bianche e
sbuffò.
Scattò
il verde e accelerò.
Harwood non
avrebbe parlato per primo. Sebastian voleva i
suoi spazi, Thad glieli avrebbe lasciati.
Era snervante e
frustrante ma, in un’intera vita passata con lui, aveva
capito di essere
disposto a qualsiasi compromesso pur di averlo con sé.
Mise la freccia
e svoltò a destra, immettendosi nel vialetto
di casa.
Diversi minuti e
già l’abitacolo della macchina era pregno
dell’odore del marito.
Quanto gli era
mancato
l’odore di Sebastian. Con i giorni stava iniziando a svanire,
a diventare
sempre meno intenso.
Spense la
macchina, si voltò verso il marito, ma non fece in
tempo a trovare lo sguardo dell’altro: aveva già
aperto la portiera e stava
andando a prendere Audrey nel bagagliaio.
Thad
sollevò la leva accanto al posto del guidatore e
aprì il
portellone, permettendo al cane di scendere.
Fece lo stesso e
chiuse l’auto, precedendo i due.
Voleva tornare a
casa,
ma non rivolgergli la parola? Perfetto. L’ennesima
imposizione del despotismo e
del “Gran carattere di merda” Smythe.
Andrèe
gli aveva inviato un messaggio, diverse ore prima:
restava fuori, non aveva idea di quando sarebbe tornata. Meglio, odiava
che la
figlia assistesse al clima post-litigio dei padri.
Tirò
fuori le chiavi dalla tasca della propria giacca e le
infilò nella toppa.
Non lo
avvertì. Veloce
e silenzioso come un gatto, Sebastian gli arrivò da dietro,
circondandogli la
vita e sfiorandogli l’orecchio con le labbra.
Thad
sospirò, lasciandosi andare all’indietro e
appoggiando
la schiena al petto del più alto.
-Grazie per
essermi venuto a prendere.- mormorò, sfiorando,
ad ogni parola, il padiglione con la bocca.
-Sarei venuto a
riprenderti ovunque.- ammise il moro,
accarezzando le braccia che lo cingevano. -Non importa quanto tu possa
farmi
arrabbiare o per quanto tu possa abbandonarmi. Ti verrò a
riprendere, sempre.-
-Ti amo.- lo
strinse maggiormente a sé.
-Ti amo anche
io, Sebastian.-
Sebastian era di
nuovo
a casa. E anche Thad lo era, tra le sue braccia.
*
Dopo che
Andrèe e Paul ebbero fatto pace, andandosi a
rintanare per giorni nell’appartamento della ragazza, Jeff
aveva organizzato
una cena dagli Sterling-Duvall per festeggiare la loro riunione.
E questa volta
ci
sarebbero stati tutti.
Nick era
appoggiato alla balausta del portico quando, mentre
fumava, gli Harwood-Smythe salirono i gradini di casa sua.
Andrèe
gli posò un leggero bacio sulla guancia. Quella
ragazza era incredibilmente alta, fortunatamente Paul aveva ereditato
l’altezza
da papà Jeff.
Thad gli
passò accanto, sfiorandogli appena il braccio e
portando dentro con sé la figlia: era chiaro quello che da
lì a poco sarebbe
successo.
Sebastian.
Duvall estrasse
dal taschino della propria giacca il
pacchetto di sigarette e lo porse a Smythe, che andò a
posizionarsi accanto a
lui, accendendo la sigaretta con il proprio accendino.
-Ehi.- lo
salutò il moro, osservando le macchine passare
davanti casa.
-Ehi.-
bofonchiò Sebastian, socchiudendo un occhio per il
fumo.
-Non credevo
saresti venuto anche tu.- ammise Duvall.
-E perdermi
un’occasione per prendere in giro tuo marito e
l’imbarazzante grembiule rosa che indossa mentre cucina?-
domandò. -Assolutamente.-
ghignò, con la sigarette in bilico tra le labbra.
Nick scosse la
testa, sorridendo tra sé.
-E’
imbarazzante, sono serio.- continuò Smythe.
-E’
solo eccentrico, Jeff lo è sempre stato.- lo
giustificò
il moro, voltandosi e appoggiando la schiena alla balaustra.
-Checca.-
specificò
Sebastian, con l’intento di provocare e facendo un tiro dalla
propria
sigaretta.
-Disse quello
sposato con un uomo.- Nick sapeva esattamente
che cosa il più alto stesse cercando di fare.
Cercava un
dialogo. Cercava un modo per fargli capire che
voleva andare avanti, lasciandosi alle spalle quello che
c’era stato tra loro.
Non avrebbero dimenticato, ovviamente. Ma avrebbero tentato di andare
avanti,
imparando dai propri errori, ma non lasciandosi sopraffare.
-Harwood mi ha
ingannato. Ha alle sembianze di una piccola
donna, ispanica e irsuta.- scherzò, sentendo
l’atmosfera alleggerirsi.
Probabilmente,
non
avrebbero mai parlato direttamente. Entrambi avevano capito, aleggiava
uno
“scusami” ed era sufficiente.
Duvall rise di
gusto. -Non ci crede nessuno, sai? Saresti in
grado di vomitare alla vista di una donna nuda.-
-E’ la
ragione per la quale mi sono sempre
rifiutato di vedere porno di gruppo alla
Dalton.- aspirò un’ultima volta e buttò
il mozzicone in giardino.
-Non potevi
pretendere che tutti gradissero materiale gay.-
gli fece notare Duvall.
-E
perché, no?- domandò, voltandosi e dirigendosi
verso la
porta d’ingresso. -Dubito che ci fosse qualcuno di etero alla
Dalton.-
Nick
roteò gli occhi, preferendo non addentrarsi in quel
discorso.
Lo avevano fatte
troppe
volte.
Sebastian
sollevò la manica del proprio maglione scuro,
trafficò con un oggetto legato intorno al proprio polso e,
alla fine, lo lanciò
contro il petto di Nick.
Il moro lo
afferrò al volo e l’osservò.
Il laccio in
pelle.
Identico al proprio, che aveva donato ad Andrèe, nella
speranza che Smythe lo
notasse e si insospettisse.
-Dallo a Paul.-
ordinò, aprendo la
porta.
-Ci sposiamo?-
chiese Nick, sorridendo.
-Ahimè.-
sospirò Sebastian, entrando in casa.
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Capitolo 12 *** Un Matrimonio e Due Presunti Funerali. ***
La famiglia
Harwood-Smythe, con la
(s)gradita collaborazione della famiglia Sterling-Duvall, in:
<< Un
matrimonio e due (presunti) funerali >>. Quando il gene
platinato è
sinonimo di idiota.
Ci si vede
giù per note, ringraziamento e tutto il resto.
Vi lascio
all’ultimo capitolo.
A Zoe, Muriel,
Thad e Sebastian.
Alla loro
bellissima mamma piccola.
Capitolo XII
Un matrimonio e
due presunti
funerali.
*
Quella
mattina, Andrèe aveva chiesto a Sebastian di raggiungerla ad
un certo
indirizzo.
La ragazza
sperava che il padre prendesse qualche ora di permesso e acconsentisse.
Ci teneva.
Non aveva
specificato il luogo, gli aveva semplicemente dettato una via e il
numero
civico, augurandosi che l’uomo si fidasse e non perdesse la
pazienza a causa di
quella strana caccia al tesoro.
Si trovava
accanto all’entrata dell’atelier, mentre osservava
le macchine passare veloci o
fermarsi al semaforo poco più in là.
Aveva
sbagliato e lo sapeva. Aveva sbagliato a tener nascosto per tutti
quegli anni
Paul, aveva sbagliato nel pretendere che il padre superasse, senza
alcuna
conseguenza,
la lite con Duvall, aveva sbagliato nel mettere in dubbio
l’amore per Paul.
Era una Smythe.
Sbagliava in
continuazione e pensava di poter risolverlo da sé.
Ma era anche una
Harwood: sapeva
riconoscere i propri errori e chiedere scusa.
Sebastian
attraversò in quel momento la strada, una giacca leggera e
scura sulle spalle e
nella mano sinistra una rosa bianca.
Andrèe
sorrise nella sua direzione e, una volta al proprio fianco, si
alzò sulle
punte, posandogli un leggero bacio sulla guancia.
Il suo
papà era comunque più alto di
lei.
-Per te.- le porse il
fiore, sorridendole. -Perdona il ritardo,
piccola.- la fissò
per qualche secondo. -Per tutto.-
Sebastian si
stava facendo perdonare.
*
Attendeva
seduto su di una poltroncina di velluto chiaro. L’ambiente
era luminoso e
pulito, le commesse erano rapide e sorridenti.
Sebastian
ringhiò tra sé.
Aveva
accettato solo per fare un piacere ad Andrèe.
In
realtà
non aveva idea di dove sarebbero andati ma, una volta vista la vetrina,
aveva
capito che avrebbe visto la figlia indossare il suo abito da sposa.
Temeva
questo momento, in realtà
Si era
parlato molto del matrimonio, avevano urlato per il matrimonio,
litigato e sbattuto
porte, ma ora, con il vestito,
tutto
diventava reale.
Smythe non
era spaventato dalla lontananza: Andrèe abitava per conto
proprio da diversi
anni e nemmeno troppo lontano dai propri papà. Lo spaventava
l’idea che la
figlia potesse affrontare tutte le conseguenze e le situazioni di un
matrimonio. Aveva sempre ritenuto idioti tutti quelli che definivano
“Bambini”
i figli oramai ventenni ma, alle
soglie di un matrimonio, Sebastian si chiedeva se la figlia non fosse
troppo
giovane per sposarsi. Si domandava se ce l’avrebbe fatta, se,
dopo una brutta
litigata, sarebbe stata in grado di tornare da Paul e riaggiustare
tutto.
Andrèe
uscì
dal camerino: la gonna ampia, il corsetto ricamato e un sorriso radioso.
Si
portò al
centro della stanza e girò su se stessa, tirando su lo
strascico del vestito
per evitare di inciampare.
Sebastian
non emise alcun suono, la fissò.
La ragazza
rispose a quello sguardo e mormorò. -Tenevo al fatto che
anche tu lo vedessi.
Vorrei che piacesse anche a te.-
L’uomo
si alzò, le accarezzò una guancia e le sorrise,
allontanando dalla propria mente ogni preoccupazione. -Sei
bellissima.-
Nessuno si
sposava
perché pronto effettivamente ad affrontare un matrimonio e
una vita insieme.
Andrèe e Paul avrebbero imparato. Esattamente come lui e
Thad avevano imparato
ad amarsi e a scegliersi ogni giorno.
***
-Thad, posso
parlarti?-
A pochi
minuti dall’inizio della funzione, Harwood si
voltò, trovandosi davanti uno
sposo molto alto e pallido.
-Paul, stai
bene?- domandò, avvicinandosi.
Vista la
statura e la corporatura, in caso di svenimento, Thad non sarebbe
riuscito a
reggerlo, ma gli strinse comunque il braccio.
Aveva
davvero una brutta cera e sembrava sul punto di vomitare.
-Paul, va
tutto bene.-
-No.-
grugnì
il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli.
Thad sorrise
tra sé.
Ricordava
anche lui la
stretta allo stomaco, prima che le porte della sala si aprissero. La
tensione e
il cuore che batteva, veloce e forte nel petto. Le mani gli tremavano,
quel
giorno, e temeva che , cercando di articolare qualche parola, ne
sarebbe uscito
solo un suono gutturale.
Thad ricordava
molto bene quelle sensazioni.
-Passa in un
attimo.- tentò di rassicuralo, il moro,
appoggiandogli una mano sulla spalla.
-Lo spero.-
bofonchiò. -Ho bisogno del bagno.- disse con una
certa urgenza nella voce.
-Di
là.- indicò, con il dito, Thad, stranito da quel
comportamento.
Ok per la
tensione, ma
addirittura correre in bagno a vomitare?
-Ciao, bel culo.-
Sebastian lo raggiunse poco dopo, da dietro, facendolo voltare.
Era bellissimo. Fasciato in
quel completo scuro,
così simile al giorno del loro matrimonio.
Thad l’avrebbe sposato ogni giorno, se solo ne avesse avuto
la possibilità.
-Ehi.- si fece
baciare sulle labbra. -Paul è strano.-
dichiarò.
-Ah,
sì?- domandò Smythe,
aggiustandogli la cravatta.
Un ghigno.
-E’
corso in bagno, e dal colorito verdognolo che ha assunto in
poco tempo, a vomitare, suppongo.- Sebastian ghignò
apertamente. -Ne sai
qualcosa, tu?- afferrò
con le proprie
mani quelle dell’altro, stringendole dolcemente.
Erano sempre
fredde quelle
dita. Amava scaldargliele con le proprie.
-Ieri, alla
festa di Paul, potrei aver corretto il suo succo
di frutta con dell’alcool.- rispose vago, ridendo
dell’espressione sbalordita
del marito. -E questa mattina, potrei aver corretto l’acqua e
aspirina di Paul,
sempre con dell’alcol.-
-Sebastian!- lo
sgridò Thad.
-Oh, Harwood,
sai che mi piace mescolare.- cercò di giustificarsi,
prendendolo per mano e avviandosi verso il portone d’entrata.
-Augurati, per la tua
attività
sessuale dei futuri vent’anni, che quel ragazzo si riprenda.-
lo minacciò Harwood.
Sebastian si
fermò, osservò il marito per capire se dicesse
sul serio e, dopo non aver scorto il minimo segnale che quello fosse
uno
scherzo, corse verso il bagno.
-Paul,
figliolo, ti
senti bene?!-
Non cambiava mai.
Non cambiavano
mai.
***
Il viaggio di
nozze di Andrèe e Paul durò più del
previsto.
Inizialmente si recarono in Europa ma,
a metà del loro viaggio, un testamento, vecchio di qualche
anno, venne
ritrovato nella casa di uno Smythe a Parigi. Essendo a pochi chilometri
dalla
città, Paul e Andrèe si erano recati nella
capitale francese e, tra lavoro
burocratico e giudiziario da sbrigare per sciogliere i vari cavilli
ereditari e
la bellezza ammaliante della città, avevano trascorso
lontano dai genitori
quasi più di due mesi.
Una volta
tornati e dopo aver dovuto subire una festa a
sorpresa, Jeff pretese di averli a cena tutti i Giovedì sera.
Pretese di avere
tutta
la famiglia a cena.
Ed era proprio a
casa Sterling-Duvall che Andrèe e Paul si
stavano recando, incerti su come annunciare la seconda
notizia sconvolgente.
Paul fece
passare prima la moglie, tenendola comunque per
mano e, una volta arrivati davanti alla porta di casa, suonando.
-Sarà
la cosa giusta?- domandò Andrèe, mentre Jeff
urlava da
dentro casa un “Arrivo”.
-Devono saperlo
prima o poi.- rispose Paul. -E se non glielo
diciamo noi, lo scopriranno loro, tra
qualche mese.-
La porta venne
aperta da un radioso e sorridente Jeff
Sterling, con tanto di grembiule rosa,
che, spingendoli in modo poco educato dentro casa, li condusse in
cucina.
-Siete in
ritardo.- si lamentò, gettando i loro cappotti
malamente sull’appendi abiti. -Non avevo più
argomenti di conversazione.-
Andrèe
gli passò accanto e notò l’indugiare
del suocero sulla
propria pancia.
-Papà,
i nostri ospiti sono Thad e Sebastian, non devi fare
il perfetto padrone di casa.- disse Paul, riprendendo la mano della
moglie e salutando
i presenti con un sorriso.
-Finalmente.-
sbuffò Sebastian, impugnando la forchetta e iniziando
a mangiare. -Tuo suocero minacciava di tagliarmi le mani, se avessi
mangiato
prima del vostro arrivò.-
-Scusateci.-
Andrèe si sedette a tavola, mentre Nick faceva
passare una portata di primo.
E come aveva
intuito, presto si sentì addosso, di nuovo, gli
occhi di Sterling padre.
-Ottimo,
davvero, Jeff.- cercò di sviare il discorso lei,
complimentandosi.
-Grazie.-
rispose il biondo, con gli occhi ridotti in
fessure, concentrato ad osservarla.
-Tesoro, tutto
ok?- domandò Duvall, accorgendosi del
comportamento più bizzarro del solito del marito.
Sterling
portò le mani sotto il mento, e dopo aver appoggiato
i gomiti al tavolo, annunciò.
-E’
incinta.-
E non era una
domanda.
-Papà,
ti prego_-
Ma la protesta
venne messa a tacere dell’attacco di tosse di
Sebastian.
Più
che un attacco di tosse, ad Andrèe sembrò un
tentato
suicidio. Il boccone gli era andato di traverso e rischiava di
soffocare, data
la notizia.
-Che
cosa?-
-Sebastian, ti
prego_- provò Thad.
-Andrèe.-
interpellò la figlia. -E’ un pazzo visionario,
vero? Ha invidia delle tue ovaie e vede
donne gravide ovunque, vero?-
La donna
osservò il proprio piatto e, per qualche secondo ,
valutò
l’ipotesi di tranquillizzare il padre, ma prima o poi
avrebbero dovuto dirlo.
-Aspettiamo
un bambino.-
annunciò.
Paul si
voltò nella sua direzione, sorpreso: non si aspettava
che la notizia venisse comunicata così presto. Thad e Nick
si sorrisero,
felici. Ma le reazioni più preoccupanti non erano le loro.
-Io
ve l’avevo detto!-
strillò Jeff, correndo verso il figlio e riempiendogli il
volto di baci. -Mi
renderai nonno, grazie.- continuò.
-Grazie.-
-Che cosa avete
fatto, voi?!- chiese
Sebastian, sull’orlo della
crisi di nervi, indicando padre e figlio.
-Avremo
un bambino
- sorrise ai due giovani, Sterling, ignorando totalmente il consuocero,
e
abbracciandoli, orgoglioso.
-Io
vi uccido, Sterling.-
Fine.
Note finali: Fine non
annunciata, lo ammetto. Nello scorso capitolo non
avevo lasciato intendere che fossimo quasi alla fine. In
realtà non lo sapevo
nemmeno io, ma mettendomi con carta e penna a pensare che cosa far
succedere
nel seguente capitolo, la fine si è scritta da
sé. Grazie dunque per essere
arrivati con me fino alla fine. Di essere rimasti, nonostante abbia
saltato
alcune pubblicazioni e nonostante non sia sempre stata puntuale negli
aggiornamenti.
Vorrei
ringraziare ad uno ad uno le persone che hanno
recensito. Per i lettori è molto più difficile,
ma potessi visualizzare anche i
nomi di coloro che mi leggono, lo farei.
Grazie quindi a
( riporto i nomi di tutti coloro che dal
primo capitolo mi hanno recensita) :
smythwood (amore mio bellissimo),Bay24,
MeliChoco36 , lovlove890, Nimeriah, alessandra_carparelli80 ,
SofiaKaiEleutheria, Melipedia, MissChestnut, Gipsiusy, BrokenRoses,
Betty 97,
Obsessed, Ema Penniman, rochariv90, _Andy.
Vorrei
aggiungere Anna
e Valeria, lettrici
silenziose
su efp, ma di grande sostegno, pronte a spronarmi e a incoraggiarmi al
di fuori
di questo sito.
Scusate se non
rispondo alle recensioni da mesi, oramai.
Pensavo di recuperarle e invece si sono accumulate.
Risponderò a tutti, giurò.
Entro settembre, non odiatemi. Amo tutto quello che mi scrivete e mi
sento una
schifezza a non rispondervi subito.
Un enorme grazie
alla mia beta, Robs. E’
una delle migliore scrittrici di Thadastian e lavorare con
lei un anno fa mi sembrava una cosa impossibile, invece ho imparato
tantissimo.
Spero sempre che sia orgogliosa di me. E’ stato meraviglioso.
Al
mio Thad va tutto. Perchè senza di te, amore mio, questo non
esisterebbe.
Ogni emozione, positiva o negativa. Ogni lite, ogni bacio, ogni
“ti amo”, non
ci sarebbe stato nelle mie storie, se tu non fossi entrata a fare parte
della
mia vita. Non mento quando dico che non cambierei nulla, da i giorni
migliori
ai peggiori. Noi siamo per sempre.
Grazie a tutti di cuore.Alla prossima storia,
Denise.
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