3.00 a.m

di PeaceS
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo - You ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo - Stay ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo - Crazy ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto - Lose ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto - Scelte ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto - Heart ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo - Kiss me ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo - Logic ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono - Love me ***
Capitolo 11: *** Capitolo Decimo - Piani ***
Capitolo 12: *** Capitolo undicesimo - La pozione ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodicesimo - I need you ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredicesimo - I Serpeverde ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordicesimo - Mine ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindicesimo - Fine ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedicesimo - Epidemia ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciottesimo - Battle ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciassettesimo - Heartbreak ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannovesimo - Pain ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventesimo - Diamond ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventunesimo - Scare ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventiduesimo - Nox ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventitresimo - Opaco ***
Capitolo 25: *** Capitolo ventiquattresimo - Death ***
Capitolo 26: *** Capitolo venticinquesimo - Ever ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventiseiesimo - I love you ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventisettesimo – Near the end ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventottesimo parte I – Stay alive ***
Capitolo 30: *** Capitolo ventottesimo parte II – Stay alive ***
Capitolo 31: *** Capitolo ventinovesimo - Stay Alive, ultima parte ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentesimo - Doubts ***
Capitolo 33: *** 3.00 a.m ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


3.00 a.m.









 
Le migliori storie iniziano alle tre del mattino e questo Lily Potter l’ha appurato nel corso degli anni: al suo primo anno, angosciata per essere stata smistata nella casa del Diavolo, aveva vagato per Hogwarts senza una meta, per ritrovarsi alle tre del mattino nei pressi delle torri più alte, dove risiedevano i Grifondoro – e di conseguenza la sua famiglia – e lì, fuori dal ritratto della Signora Grassa, dopo aver tardato per essersi allontanata un attimo dal gruppo ed essersi persa – senza parola d’ordine –  c’era Joanne Smith che, dopo quella notte, era diventata la sua migliore e unica amica.
Al suo terzo anno, alle tre di notte di quello che sembrava un venerdì qualunque, aveva trovato un biglietto nel mantello della sua divisa dove Michael Thomas le chiedeva un appuntamento per Hogsmeade il giorno dopo: aveva avuto una cotta per lui per tre anni e non ci aveva messo molto per mandargli un biglietto di risposta dove accettava con entusiasmo. Averlo mollato un anno dopo perché la lingua di un'altra ficcata nella sua gola non rientrava nelle opzioni di “gruppo di studio” che immaginava lei, era tutt’altra storia.
Comunque, le migliori storie, aveva concluso Lily, iniziavano alle tre di notte, ma – quella volta – ebbe qualche dubbio: dopo aver schiantato suo cugino Hugo ed essersi beccata una punizione che comprendeva “pulire”, “Gazza” e “senza magia” nella stessa frase, si era ritrovata stanca morta, sudaticcia e con un diavolo per capello – letteralmente – a vagare alle tre di notte per le mura di Hogwarts alla ricerca del corridoio giusto per arrivare nei sotterranei. Maledette scale a cui piace cambiare, le avrebbe ridotte in inutile pietra prima o poi.
Finiva sempre così, con la Mcgranitt: arrivava sempre quando qualcuno era stramazzato al suolo ma mai che fosse presente quando la insultavano pesantemente. Si difendeva, semplicemente, dagli attacchi verbali… con la magia, certo, ma era solo un piccolo dettaglio.
Tutti la disprezzavano - come se poi lei facesse i salti di gioia – per non aver contestato la scelta del Cappello Parlante, come aveva fatto Al, e aver lasciato che venisse smistata nella casa “nemica”, così soprannominata da Fred.
Insomma: la sua famiglia la odiava perché era una traditrice Serpeverde e i Serpeverde la odiavano perché era una Potter e quindi – di conseguenza – una Grifondoro di sangue.
Al suo primo anno i suoi cugini avevano cercato di ignorare la questione e cercare di rimanere in buoni rapporti con lei nonostante non fosse di casa, ma poi qualcuno aveva messo la pulce nelle loro orecchie e tutto era crollato: era troppo per il loro ego avere una pecora nera in famiglia e finiva sempre con una discussione che, poi, sfociava in veri e propri duelli. Cercavano scuse per incolparla di qualsiasi cosa e riuscivano persino ad avere il coraggio di darle la colpa persino se pioveva; sarebbe bastato dire che ce l’avevano con lei e basta, senza inventarsi scuse su scuse per metterla in cattiva luce: oramai la sua reputazione era già andata a puttane.
La maggior parte degli studenti la consideravano il diavolo: un Malfoy poteva considerarsi normale tra le serpi, ma una Potter dalla parte del nemico era il vero e proprio male. Chissà, forse molti di loro temevano che si impersonasse in Voldemort oppure che diventasse il nuovo capo dei Mangiamorte. Sì, come no, sarebbe stato più facile vedere Dalton Zabini rasarsi a zero che un suo possibile cambiamento di partito.
Molti la evitavano, i primini cercavano di capire come mai la figlia del grande Harry Potter fosse una stronza cronica e una Serpe viscida e cinica, senza sapere che Lily Potter viveva per inerzia e non per rendere la vita un inferno ai Grifondoro o in particolare alla sua famiglia.
Che fosse acida era appurato, ma semplicemente dava le giuste risposte alle provocazioni; respirava perché era un lavoro che non richiedeva sforzo e il suo corpo lo faceva in automatico o – secondo Joanne – sarebbe morta da un pezzo; camminava perché era obbligatorio per girare in quel maledetto castello immenso e studiava perché sarebbe stata diseredata se a casa sarebbe arrivata un'altra pagella con qualche “Troll” sparso per le varie materie. Il resto era assoluta noia.
Non macchinava vendette per sabotare la perfezione della famiglia PotterWeasley, era troppo pigra per farlo e aspettava che il karma li fottesse al suo posto, visto che sembrava che quello fosse il loro obiettivo, non il suo.
Ritornando comunque alla storia delle tre di mattina, quella volta non era successo nulla di eclatante… tranne per la gatta di Gazza che dopo averle quasi causato un infarto per la sua apparizione le aveva rimasto uno sfregio sulla gamba lungo quasi quanto il professor Vitious.
Quando – grazie a Merlino – intravide la luce verdognola che distingueva i sotterranei da tutto il resto, sospirò, rilassandosi e ignorando gli insulti dei quadri che sobbalzavano di scatto quando intravedevano la luce della sua bacchetta.
Erano le tre di notte e non era successo nulla di eccezionale, finché non superò il ritratto delle tre Marie – streghe dell’ottocento raffigurate durante la loro processione – e si bloccò di scatto, perché dei… gemiti rimbombarono nell’aria circostante, quasi producendo un raccapricciante eco contro le pareti di pietra grezza.
« Merlino, ti prego, dimmi che non è quel che penso io » bisbigliò Lily, sfilandosi le ballerine di vernice, procedendo a piedi nudi e cercando di fare meno rumore possibile. Ma, purtroppo, fu impossibile evitare di essere vista e battersi in una situazione imbarazzante come quella.
I capelli di Malfoy quasi brillavano alla luce delle lanterne: come filigrana d’oro accarezzava i suoi zigomi sporgenti, mentre le labbra sottili erano impegnate su quelle di una ragazza che – probabilmente – non era nemmeno del loro dormitorio. Aveva le gambe, prive di calze, che strusciavano contro quelle di lui, ancora minute della divisa scolastica.
“Grazie, Merlino, tu sì che mi sei sempre d’aiuto” pensò sarcastica, mentre la ragazza staccava la bocca da quella di Malfoy e si lasciava andare in un risolino.
« Oh, Scorpius » mormorò in estasi, allargando le gambe e allacciandole alla sua vita, lasciando che lui – allora – la schiacciasse con più prepotenza al muro.
Lily pregò di diventare invisibile e quasi come se davvero lo fosse, camminò indifferente, mettendo le mani dietro la schiena e cercando di ignorare i mugugni della coppia: al quadro mancava solamente che fischiettasse, poi poteva considerarsi sinceramente il ritratto della tranquillità. Stava quasi per superarli, con sua somma gioia, quando la ragazza cacciò un urletto spaventato nel vederla comparire dal nulla.
Merda.
Scorpius si girò di scatto, fulminandola con uno sguardo e ispezionandola da capo a piedi come se fosse un animale e non una persona che passeggiava tranquillamente alle tre di notte per i sotterranei. Mai una volta che le andasse bene! « Potter, che diavolo ci fai qui? » sibilò, staccandosi di scatto dalla ragazza e fissandola con rabbia.
« Torno nei dormitori dopo aver scontato l’ennesima punizione, Malfoy e – purtroppo – mi sono imbattuta in uno spettacolo che avrei preferito di gran lunga evitare. Ora, se volete scusarmi, vado a vomitare e cercare di accecarmi oppure obliviarmi per dimenticare la terribile vista di voi che… Merlino, che schifo » disse Lily, mentre Scorpius se la ghignava bellamente a braccia incrociate.
« Sorpresa, Potty, i bambini non li porta la cicogna! » disse divertito e Lily si sarebbe pure ficcata due dita in gola se vomitare di proposito non le facesse senso.
« Io spero che tu non ne sforni uno troppo presto, Malfoy o sai che trauma avere un padre troglodita come te » sbuffò, ignorando la ragazza che Scorpius stava limonando fino a pochi secondi prima e che – dalle occhiate che stava lanciando ad entrambi – cominciava ad irritarsi seriamente.
« Almeno io non ho scoperto per caso che la mia ragazza invece di studiare se la faceva proprio con il ragazzo che la Mcgranitt gli aveva assegnato per ripetere le materie in cui era rimasta indietro » le ricordò bastardemente, facendole assottigliare lo sguardo.
« Oh, però mi sento molto fortunata, Malfoy: su di me non girano mica voci che ce l’ho lungo quanto il mio pollice! » disse Lily, sbattendo civettuola le ciglia scure e facendo sbiancare il ragazzo notevolmente.
Soddisfatta si rimise le scarpe ai piedi, incamminandosi verso il ritratto che l’avrebbe condotta all’interno del dormitorio. « Buonanotte! » finì in bellezza, facendo l’occhiolino a Malfoy e – per sfregio – mandandogli un bacio volante.
Lo sentì ringhiare in lontananza e sorrise estasiata, trattenendosi appena dal saltellare come un fringuello per la vittoria personale che si era presa.
Ma, se solo si fosse girata un ultima volta e avesse visto il lampo che era guizzato negli occhi grigi del ragazzo, si sarebbe messa sicuramente in guardia e avrebbe tenuto gli occhi aperti.
Perché da un Malfoy ci si deve aspettare tutto, anche che ti renda la vita un inferno per noia. Specie per noia. I Malfoy annoiati, di solito, erano più pericolosi di un Potter arrabbiato.
Ma Lily avrebbe dovuto saperlo… le migliori storie iniziano alle tre di notte e in quel momento, la lancetta più piccola, si posò proprio sul tre.
 

***

 
 
« Sessant… »
« Cinquantanove, maledizione, cinquantanove! » Joanne Smith sbatté con violenza la forchetta sul tavolo, assottigliando gli occhi neri e fissando minacciosa Aaron Jordan, che si bloccò – sorpreso e interdetto – sotto il suo sguardo accusatorio. « Eh? » domandò, sbattendo incredulo le ciglia e guardandola come se fosse improvvisamente impazzita. Fred Weasley, di fianco al ragazzo di colore, alzò gli occhi al cielo: Aaron stava solamente parlando del punteggio che i Chudley Cannons avevano effettuato nella loro ultima partita, quasi dimenticando che in presenza della Smith il numero “sessanta” era proibito.
« Sono cinquantanove, Jordan, non sessanta, maledizione! Sono uscita dal cerchio dell’obesità giovanile sette mesi fa e sono cinquantanove chili, d’accordo? » sibilò stizzita, afferrando la forchetta e brandendola come un badile, spargendo cibo ovunque nel raggio di un metro.
« Fatti rinchiudere, Smith, tu sei pazza! » disse Aaron, guardandola disgustato.
« Il giorno in cui mi rinchiuderanno per qualcosa, Jordan, non sarà sicuramente al San Mungo nel reparto di igiene mentale, ma ad Azkaban per omicidio colposo » sibilò, sorridendo soddisfatta nel vederlo afferrare il piatto della colazione e spostarsi di qualche posto.
Ora va meglio” pensò, versandosi del succo di zucca nel bicchiere e fischiettando come se tre secondi prima non avesse minacciato un suo compagno di casa di morte particolarmente cruenta.
La giornata non poteva iniziare meglio, a dire il vero: il sole splendeva e anche se si ritrovavano a metà ottobre non faceva così tanto freddo da dover camminare con cinque chili di lana addosso; quel giorno non aveva pozioni e non poteva essere più che felice di quello: non avrebbe visto parecchie facce di… merluzzo.
« Sempre molto allegra, eh? » bisbigliò Roxanne Weasley a due posti di distanza da lei verso Rose, sua cugina, nel vedere entrare Lily con la sua solita faccia funerea. In realtà quello non era segno che fosse triste o arrabbiata: quella era l’espressione naturale della Potter. Sorrise verso l’amica e la salutò con entusiasmo, ricevendo un piccolo cenno in risposta.
Tutto nella norma, diciamo.
« È così, Rox, lo sai » rispose Rose, che sembrava l’unica con un po’ di sale in zucca. Con una smorfia si tolse un pezzo di frittata dai ricci rossi, guardando Joanne di traverso.
« Ops » bisbigliò, trattenendo a stento una risata: prima, nella foga dell’agitare la forchetta, non si era accorta che la sua colazione stava volando a destra e manca.
Comunque c’era una questione da risolvere: una questione con se stessa, in realtà, che per troppo tempo era rimasta in sospeso; la sua insicurezza la stava uccidendo e aveva deciso che basta, tutti l’avrebbero smessa di deriderla per il suo peso. Ora non era più una ragazzina obesa e potevano più prenderla in giro fino a farle fare il digiuno per giorni interi. Aveva smesso di piangere per loro e solo una persona era in grado di aiutarla: Dalton Zabini – totalmente ignaro di essere osservato con un sorrisetto cattivo – stava bevendo il suo caffè nero abilmente corretto, chiedendosi cosa ci fosse di meglio della camicia aderente di Crysantha Nott, intenta a ripassare all’ultimo minuto la lezione del giorno prima di Incantesimi.
« Che sia benedetta la progenie dei Grengrass » sospirò Dalton, beandosi della terza abbondante dell’amica.
« Che centra mia madre? » sbottò Scorpius al suo fianco che – anche se rimbambito per le due ore di sonno che era riuscito a fare – era ancora in grado di sentire bene.
« Brava donna, peccato solo che abbia partorito uno stronzo del genere » sospirò Dalton, guardandosi soddisfatto le unghia perfettamente curate e in ordine.
Scorpius ringhiò e Thomas Nott, appena arrivato, alzò gli occhi al cielo: ma tranquillità da quelle parti mai, eh? « La tua, invece, mi sorprende che ancora non si sia suicidata per aver partorito una checca isterica e disamorata come te  » rispose Scorpius, svegliandosi improvvisamente nel vedere Lily Potter sedersi a qualche posto di distanza da loro.
« Ehi, Potty, sei per caso caduta dal letto, stamattina? » disse, alzando appena un po’ la voce per farsi sentire. Le reazioni furono diverse: Crysantha chiuse di scatto gli appunti che stava ripassando, fissando Scorpius come se fosse appena impazzito; Dalton si limitò ad alzare un sopracciglio scuro e continuare a sorseggiare il suo caffè, estremamente interessato dalla svolta che aveva preso quella mattina, mentre Tom lo ignorò, servendosi della colazione ed eludendo il motivo per cui – ora – i Grifondoro avessero rizzato le orecchie.
« No, ho solo sonno… ma tu non sei da meno, Malfoy, visto che hai ancora il segno del cuscino sulla faccia! » rispose Lily, mentre Dalton storceva la bocca nell’imitazione di un sorriso.
« Almeno io non ho la faccia di una che ha un palo di ferro ficcato perennemente su per il… » iniziò, venendo interrotto da un occhiata scandalizzata di Crysantha. « Contegno, Malfoy, contegno. Le donne non le conquisti mica facendo notare loro che hanno il canale anale più largo del… » sbuffò Dalton, venendo anche lui interrotto da un verso disgustato della Nott.
« Voi, con quella bocca, baciate vostra madre? Siete indecenti, per le mutande consunte di Merlino! » sibilò la ragazza, ravviandosi i capelli castani dietro l’orecchio e fulminandoli con gli occhi blu cobalto.
« Disse la “bestemmiatrice” » sbuffò Scorpius, riferendosi ai richiami divini dell’amica quando era particolarmente arrabbiata. Crysantha gli mollò un calcio da sotto il tavolo e non fu piacevole il colpo, visto che le sue scarpine avevano la punta di metallo.
« Che Morgana ti fulmini, donna! » sbraitò Malfoy, mentre la ragazza sorrideva soddisfatta di avergli – per il momento – inflitto del dolore fisico. Poteva quasi considerarsi sadico il divertimento che provava nel vedere le guance di Malfoy imporporarsi per la rabbia.
« La prossima volta impari » sibilò Crys, mentre Dalton – accigliato – vedeva un allocco della scuola atterrare proprio sulla sua colazione.
« Grazie, pennuto. Non avevo una fame da lupi, certo, ma da qui a non mangiare niente ce ne voleva » sbuffò Dalton, cacciandolo in malo modo e masticando una bestemmia nel venire beccato sul dito. « Che ti venisse un infarto volando da un tavolo all’altro, uccello della malora! » urlò, succhiandosi il dito per il dolore allucinante. La lettera non aveva un mittente e, guardandosi attorno con circospezione, si chiese chi fosse: doveva per forza essere uno studente visto che aveva usato un gufo della scuola… studente che, molto probabilmente, non voleva essere riconosciuto.
Aprì la lettera e sul tavolo scivolò un biglietto: scritto con una calligrafia tondeggiante c’erano scritte poche parole. “Alle tre, questa notte, nei pressi delle Tre Marie. Devo proporti un affare alquanto… interessante. In buona fede, J.S”  
Alle tre di notte? Ma J.S sapeva che lui aveva bisogno del suo sonno ristoratore – che prevedeva minimo sette ore – per apparire fresco come una rosa il giorno dopo? Aggrottò le sopracciglia e cercò di collegare quelle iniziali a qualcuno… ma niente. Gli stava promettendo un affare ed era troppo curioso per non presentarsi all’incontro.
« Chi è? » domandò Thomas, guardandolo sorridere in modo subdolo.
« Una delle tante spasimanti » rispose, facendo in mille pezzi il foglietto e riprendendo a sorseggiare il caffè.
No, forse lui non lo sapeva che le storie migliori iniziano alle tre di notte.

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Capitolo 2
*** Capitolo primo - You ***


Capitolo primo –
You

 

“Siamo perennemente attratti da tutto ciò che ci può fare del male.
Ed il vero problema è che ne siamo perfettamente coscienti.”

 
 



 
« Oh, sei tu J.S  »
Joanne non sapeva se avrebbe dovuto offendersi per il tono deluso che aveva usato il ragazzo o essere felice per essere stata brava a nascondere qualsiasi indizio riconducesse a lei. Forse Dalton non era così contento di rischiare l’espulsione per trovarsi fuori dal letto a quell’orario indecente per colpa sua: forse avrebbe preferito venire espulso per qualcuno che non portasse le mutande così grandi da doversele alzare fin sopra lo stomaco.
« Chi ti aspettavi, Zabini, il primo Ministro? » sbuffò acida, incrociando offesa le braccia al petto e trattenendosi dal fargli la linguaccia come una bambina di tre anni.
« Ti prego, Smith, dimmi che hai intenzione di violentarmi o – maledizione – dammi un motivo valido per non ucciderti e approfittare lo stesso di te » disse Dalton, alzando gli occhi al cielo e poggiandosi con disinvoltura al muro alle sue spalle. Joanne aggrottò le sopracciglia, chiedendosi se fosse serio o se veramente avesse intenzione di ucciderla. « La morte non rientra nei miei piani, almeno non per questa notte » rispose Jo, sorvolando ingenuamente sulle parole precedenti come “violentare” e “approfittare di te” sicura che l’avesse detto per intimidirla: sapeva che Dalton provava ribrezzo per quelle come lei, quindi l’ultima cosa che la preoccupava e che lui volesse metterle le mani addosso o altre cose del genere.
« E allora, dolcezza, qual è l’affare che vuoi propormi? » domandò, mentre la sua pelle sembrava quasi confondersi con il buio di quella notte. Ma gli occhi, erano gli occhi che le fecero tremare le membra: erano azzurri ed era quello il motivo per cui, metà fauna femminile di Hogwarts, sospirava al suo passaggio.
Aveva la pelle color moka e gli occhi azzurri e obliqui, come quelli di suo padre, ma di un colore che cozzava sulla carnagione scura; le labbra carnose, forse un po’ troppo per essere quelle di un ragazzo, si stesero in un sorrisetto strafottente e le mostrarono la schiera bianca di denti che aveva fatto più di una conquista tra quelle mura. Gli zigomi alti rimpicciolirono gli occhi quando si tesero verso l’alto, mentre il naso – piccolo e dritto – si arricciava appena. « Il tuo aiuto, mi serve il tuo aiuto, Zabini e so che è incredibile, ma so che solo tu puoi darmi una mano e non mettermi in ridicolo davanti a tutta la scuola » disse Joanne, mordendosi le labbra per il nervosismo e giocando con una ciocca di capelli neri, ora portati lisci sulle spalle coperte ancora dalla divisa scolastica.
« Chi ti da la sicurezza che io non lo faccia? » domandò Dalton, alzando sarcastico un sopracciglio e continuando a guardarla, soffermandosi sul volto pallido e privo di trucco e mettendola in soggezione. Joe si strinse le braccia al petto, abbracciandosi e cercando di infondersi coraggio da sola – come aveva sempre fatto – e alzando orgogliosamente il mento come, da piccola, le aveva insegnato suo padre per affrontare i nemici e non mostrare mai una debolezza: nascondere i sentimenti agli occhi di tutti era un passo avanti per non venire colpita.
Se nessuno conosce il tuo punto debole, bambina, nessuno può ucciderti” diceva, ma con il tempo aveva imparato che anche lui mentiva. Quei bambini dispettosi, quelle ragazzine che traevano piacere nel vederla piangere e quei ragazzi che provavano disgusto anche solo al pensiero di poterla avere tra le loro braccia, non conoscevano il suo punto debole, ma avevano avuto sempre il potere di ferirla fin nel profondo.
Dalton la guardò attentamente, inclinando il capo e lasciando che la luce fioca delle candele la illuminasse completamente: Joanne aveva gli occhi troppo grandi e due piccoli buchi sugli zigomi pieni o “ciccioni”, come li definiva mezza Hogwarts; il labbro superiore era nettamente più carnoso di quello inferiore e le donava un aria perennemente imbronciata, mentre – si accorse – che il naso era piccolo, certo, ma lungo e dritto, quasi imperfetto, come non lo erano i lineamenti marcati che designavano un volto perfettamente a cuore. La vide prendere un grosso sospiro e il suo sorriso divenne sempre più grande.
« Sei un Serpeverde intelligente, il tuo scopo è ricavare un utile in tutto quello che fai e mettermi in ridicolo non ti aiuterà di certo ad avere quello che voglio offrirti » rispose Joanne, guardandolo in modo eloquente e ricambiando il sorriso, sorniona.
Dalton sogghignò: gli piaceva come ragionava quella ragazza e, silenziosamente, si guadagnò parte della sua approvazione. « Ebbene? » l’esortò, curioso.
Joanne si stropicciò il maglione con le mani sudate e fece un ennesimo lungo respiro prima di cominciare a parlare.
« Sono stanca di essere considerata quella “grassa” o semplicemente l’amica “pazza” di Lily, anche se pure lei non è che godi di un ottima reputazione… comunque, ho bisogno di cambiare per cominciare ad accettarmi e lasciar perdere il giudizio degli altri. Per stare bene con me stessa, mettiamola così.
Ne ho il diritto, capisci? E ho pensato di chiedere aiuto a te perché… beh, sei uomo e hai un buon gusto in fatto di donne; sai cosa piace agli altri e non ti interessa quello che pensano di te, anche se tutto ciò che pensano è più che positivo. Tutta Hogwarts pensa che tu sia perfetto e chi più di te può aiutarmi?
In cambio ti farò i compiti e – come Prefetto – cercherò di coprire più malefatte possibili e aiutarti come posso » finì, arrossendo sulle guance e sperando di cuore che lui non le scoppiasse a ridere in faccia e la mandasse allegramente nel dolce mondo dei “vaffanculo”. Dalton la fissò, interessato, mentre la sua testolina cominciava già a macchinare piani su piani.
« Affare fatto » soffiò, porgendole la mano che lei – presa dalla foga – strinse con un sorriso. Con uno strattone, Zabini, l’avvicinò a sé, poggiando le labbra sul suo orecchio e stirando la bocca in un sogghigno che preludeva tempesta.
« Non esserne così felice, Joanne, perché le cose non vanno mai come ci si aspetta » mormorò, mentre lei arrossiva dalla punta dei capelli fino a quella delle scarpe e si allontanava di scatto, quasi scottata dal suo profumo di cocco e dopobarba.
E, quel venti ottobre del duemila ventitré alle tre di notte, iniziò quello che Joanne – più avanti – avrebbe definito il patto che le avrebbe reso la vita un vero e proprio inferno.
 

***

 
 
« Tu. Hai. Fatto. Cosa? »
Joanne quasi rimpicciolì sulla sedia quando la sua migliore amica, sillaba per sillaba, quasi facendo lo spelling di ogni parola, le intimò quella domanda che sembrava più un “dimmi che è uno scherzo o ti crucio” piuttosto che un “ripeti, cara amica mia, non ho di certo capito”. Qualcuno, nella biblioteca, sibilò un “shh” stizzito, venendo fulminato da un occhiata furiosa della Potter che si sedette nuovamente con un botto, sorridendo in un modo così spaventosamente cattivo che, se Lord Voldemort l’avesse vista, non ci avrebbe pensato due volte a designarla sua erede.
« Ripeti quel “shh” e giuro che quel dito con cui me lo intimi te lo ficco su per il cu… » sibilò, bloccandosi furiosa solamente quando Joanne le mise una mano sulla bocca, impedendole di finire la frase.
« Lily, calmati! » bisbigliò Joe, mentre l’occhio di lince di Madama Prince le osservava da lontano, aspettando un altro minimo movimento per, sicuramente, cacciarle dalla biblioteca a pedate nel sedere.
« Mi dici che ti è saltato in mente, Joe? Tutta Hogwarts sa’ che Zorro usa la sua spada solo per affondare in qualcosa e tu, che non hai mai dato nemmeno il tuo primo bacio, ti sei permessa di chiedere aiuto proprio a lui? » mormorò Lily con foga, chiedendosi perché diavolo avesse aperto il libro di Pozioni se poi, quando lo faceva, succedeva sempre qualcosa che distoglieva la sua attenzione dallo studio; non che prima fosse concentrata al massimo, certo, ma almeno ci stava provando a memorizzare qualche nozione.
« Zotto? » domandò Joe, accigliandosi e chiedendosi cosa fosse.
« Zorro, Joe, Zorro. D’ora in poi sarà il nome in codice per chiamare quel troglodita di Zabini » sussurrò Lily, alzando gli occhi al cielo quando, per la seconda volta, Joe le tappò la bocca con entrambe le mani. Ecco, appunto.
« Ehm… comunque, non ho chiesto a Zotto lezioni di sessuologia, ma solo un aiuto in più per non assomigliare a mia nonna che – presa dall’Alzheimer – si avvolgeva nella tenda di velluto prugna del salone di casa e pretendeva di andare al gran ballo » disse Joe, roteando gli occhi e facendosi guardare male da Lily.
« È Zorro, non Zotto, maledizione! Comunque, fa come vuoi, ma fa attenzione: quello non sa tenere la spada nella fodera » sbuffò Lily, guardando di traverso un bigliettino infilarsi tra le gambe della sua migliore amica. Ecco, odiava ripetersi: ma appunto.
Joe arrossì e afferrò di slancio il biglietto, stringendoselo al petto e guardandosi circospetta attorno: non c’era nessuno nei dintorni e nessuno sembra aver notato il suo movimento brusco; sospirò, rilassandosi, e lesse con molta attenzione l’unica riga scritta in una calligrafia elegante e sinuosa: “Alle tre, Stanza delle Necessità, non vedo l’ora. D.Z”ecco, quella notte avrebbe dovuto affrontare la sua prima “lezione”, quella che l’avrebbe cambiata e – forse – le avrebbe insegnato a ignorare le voci che le ronzavano attorno e ad amare con più forza se stessa.
« Andrà tutto bene, Lils » mormorò, sicura, sorridendo a piene labbra all’amica e dandole un delicato buffetto sulla guancia per rassicurarla.
« Questo è il mio posto! » il sopracciglio di Lily saettò così in alto che, per un attimo, Joe lo vide sparire all’attaccatura dei capelli rosso scuro. « Non vedo scritto “Molly Weasley” su queste sedie, cugina, quindi niente è tuo di diritto! » rispose Lily, alzando gli occhi bruni sulla ragazza alle sue spalle, ritta e rigida come un pezzo di ghiaccio; Molly era uguale a Lucy, la sua gemella: i capelli rossi portati sempre in una coda alta, gli occhi azzurri e le lentiggini sul viso: un marchio Weasley indistinguibile che Lily cominciava ad odiare. Cominciava ad odiare tutti quei segni che la riconducevano a loro, che la disprezzavano fin nel profondo.
« Ho già avuto una “T” di Troll per colpa tua, Potter, non farò in modo che accada di nuovo! » sbottò Molly, arrossendo sulle guance e donandosi un pizzico di colore.
“Ancora con quella storia?” pensò Lily, disgustata dalla facilità con cui la incolpavano di qualsiasi cosa; se Molly aveva perso il compito di Trasfigurazioni la sera prima di consegnarlo non era di certo colpa sua! Nemmeno ci poteva entrare nei dormitori dei Corvonero, come avrebbe fatto a rubare il suo compito per farle avere una “T”?
« Oh, Weasley… ma Troll è un complimento che si addice perfettamente a te! » rispose una voce alle loro spalle, completamente estranea alla situazione.
Scorpius sorrise, mostrando una schiera di denti bianchi e un visetto angelico che non si addiceva affatto alla sua espressione ironica e un po’ incattivita. Lily aveva sentito più volte nominare Lucifero da sua zia Hermione ed era sicura: Malfoy era la sua reincarnazione.
L’angelo più bello del paradiso… cacciato per i suoi complessi di superiorità e la sua arroganza, la sua boriosità e la stronzaggine che ci stava tutta. Perfetto, gli calzava a pennello!
« Nessuno ha chiesto il tuo parere, sporco figlio d’unMangiamorte! » sputò Molly, tappandosi la bocca subito dopo. Madama Prince, che stava quasi per intervenire, si bloccò di scatto alle spalle del gruppetto, raggelata.
La faccia di Scorpius divenne una maschera di cera e  Joanne sbiancò. Lily si alzò di scatto, indignata: era quello il patto, lo aveva sempre saputo Molly e anche tutti gli altri. Per vivere in pace e in armonia com’era successo fino a quel momento, nessuno avrebbe più dovuto nominare Mangiamorte e Signore Oscuro. Nessuno. Tutti conoscevano la storia e molti nutrivano ancora dei pregiudizi verso i Serpeverde, ma la preside era stata chiara: il passato era passato, mentre il futuro era ancora tutto da scrivere; le strade non sarebbero state tracciate da sole… ed erano le scelte a determinare quel che erano, non la loro provenienza.
« ‘Fanculo » sibilò Lily, sapendo che si sarebbe beccata l’ennesima punizione: a pugni chiusi – e prendendosi tutte le soddisfazioni del mondo – colpì la cugina proprio sullo zigomo con una forza che, molto probabilmente, non sapeva nemmeno di possedere.
Molly urlò, cadendo, e Madama Prince balzò all’indietro: Scorpius proruppe in un « Cazzo, che gancio! » mentre Joe spalancò la bocca disegnando una perfetta “o”.
Maledizione, quella volta era nei guai e in guai seri. La Mcgranitt avrebbe fatto il diavolo a quattro e oltre a chiamare i suoi genitori per quella scazzottata alla Babbana l’avrebbe espulsa dalla scuola e addio diploma.
« Merda, le hai fatto l’occhio nero » bisbigliò Joanne, mentre Rose – che era appena arrivata in biblioteca – aiutava Molly ad alzarsi.
« Lily! » disse, esasperata, schiaffeggiandosi la fronte con un sospiro melodrammatico.
« Ha cominciato lei » borbottò Lily, soffiandosi sulle nocche escoriate e guardandola colpevole; certo, i suoi cugini si erano beccati parecchi incantesimi da parte sua, ma erano sempre stati lanciati con l’intento di sfiorarli appena, mai ferirli veramente e Rose lo sapeva, ecco perché non le aveva mai girato la faccia.
In realtà tutti sapevano che i cugini Weasley si comportavano in quel modo non perché Lily fosse veramente una traditrice, ma solamente perché non aveva scelto. Tutti sapevano ciò che aveva dovuto passare la famiglia Weasley durante la seconda guerra magica e le persone care che avevano perso durante quel tragitto impolverato e sanguinoso… e lei non si era opposta alla scelta del cappello, lasciando che la smistaste nel dormitorio di chi – in parte – aveva causato il dolore della loro famiglia.
« La Mcganitt ci ucciderà » disse Rose e la sua fu quasi una premonizione, perché, apparsa dal nulla e avvolta nel suo mantello verde scozzese, apparve la vecchia preside. La crocchia severa le tirava il volto raggrinzito e furioso, mentre le narici fremevano per la rabbia e la bocca diventava una sola linea sottile.
Era nei guai.
 
E due ore dopo si ritrovò seduta nell’ufficio della Mcgranitt con suo padre – chiamato con urgenza dal lavoro – sua madre e i suoi zii. E proprio perché aveva deciso di rendere la vita un inferno a tutti, all’incontro aveva presenziato anche Scorpius con i suoi genitori.
« È inammissibile un comportamento del genere nella mia scuola!  » stava sbraitando la Mcgranitt, mentre suo zio Percy annuiva, suo padre la guardava come se si fosse appena trasformata in un polipo e Draco Malfoy la fissava con pressione, quasi come se volesse leggerle nel pensiero.
Lily sospirò, mentre Molly non apriva bocca: sembrava essersi resa conto di quello che aveva fatto e – molto saggiamente – aveva deciso di chiudersi in un silenzio da tomba.
« La Potter l’ha colpita per difendere me » la interruppe Scorpius, catalizzando l’attenzione su di sé, Lily si trattenne dal pestarlo: era stato in silenzio fino a quel momento, prolungare il momento no, eh?
Harry si rizzò a sedere e lo guardò curiosamente, mentre Draco alzava un sopracciglio albino, chiedendosi perché mai la figlia di Potty-Potty avesse colpito sua cugina per difendere quello che sarebbe dovuto essere il suo nemico secolare.
« Difendere? Difendere? A meno che la signorina Weasley non l’abbia attaccata con la magia, non vedo il motivo di tanta barbaricità, signor Malfoy! » sbottò la Mcgranitt, mentre Astoria Greengrass inclinava in capo e si chiedeva perché mai suo figlio era stato difeso… da una donna, poi.
« Con tutto il rispetto, signora preside, ma la cosa stava cominciando a sfiorare il ridicolo: una sua studentessa non può starsene seduta per affari suoi che qualcuno l’accusi di essere una Serpeverde? » sibilò Scorpius, mentre Molly sbiancava notevolmente sotto lo sguardo inquisitorio dei suoi genitori.
Lily si morse il labbro, scegliendo il silenzio.
« Lily mi ha semplicemente difeso: sua cugina mi ha chiamato – molto carino da parte sua, devo dirlo – “ sporco figlio d’un Mangiamorte” e sembra che abbia ritenuto saggio chiuderle la bocca, come meritava di essere chiusa! » e a quelle parole lo studio cadde nel silenzio.
Silente, accanto a Piton nel quadro in alto, guardò il passato e il presente con espressione soddisfatta: le cose erano cambiate e c’era qualcosa in quei giovani che lo portò a sorridere bonariamente, con un emozione che non credeva più di poter provare; sarebbe nato qualcosa e lui non vedeva l’ora di scoprire cosa.
« Bell’insegnamento che impartisci a tua figlia, Weasley, complimenti! » sibilò Draco, trattenendosi dallo strozzare quella mocciosa seduta stante. I suoi peggiori timori si stavano avverando: suo figlio veniva accusato di qualcosa che non aveva fatto, di cui non aveva nemmeno coscienza e tantomeno colpa. Ma, a discapito di quel che credeva, c’era stato qualcuno a difenderlo: Lily Potter roteò il capo, fissando il soffitto con aria assorta; era totalmente diversa dal padre e dalla madre, non sembrava aver ereditato niente da quella famiglia.
Aveva i capelli color del rubino che le accarezzavano la schiena esile e il volto scarno pallido, macchiato appena da qualche efelide; gli occhi bruni erano contornati da grandi ciglia scure e Draco ci lesse strafottenza, noia e – alla fin fine – come ogni Serpeverde che si rispetti, l’ambizione, sentirsi dalla parte della ragione sempre e comunque, anche quando non ci stava affatto.
Sorrise: quella ragazzina era un bel rompicapo e – a costo di far venire un infarto a Potter – ce l’avrebbe vista alla perfezione accanto a suo figlio. Erano uguali persino nel modo di porsi e il modo di guardare gli altri dall’alto in basso, senza nemmeno accorgersene.
« Io non le ho insegnato proprio niente, Malfoy… è la storia che parla, non io! » disse Percy, alterato, balzando all’in piedi con un espressione irosa.
« La storia non dice un bel cazzo di niente e tua figlia, Weasley, non deve nemmeno osare parlare di qualcosa che non conosce! » sbraitò Draco, seguendo il suo esempio. Si fronteggiavano con gli occhi fiammanti, quasi pronti ad azzannarsi.
« Moderate i termini se non volete che vi sciacqui la bocca con dell’acido, impertinenti, e ora seduti, immediatamente » la Mcgranitt aveva alzato così tanto la voce che Lily si era tappata le orecchie, ancora ostinata nel suo silenzio. Guardò Scorpius di striscio e lo vide stringere con forza l’appoggio di legno della sedia su cui era seduto.
E il problema di una Serpeverde con il cuore Grifondoro era che sì, poteva anche ignorare affari che non erano suoi, ma c’era sempre qualcosa che le impediva di pensare completamente a se stessa e così, sotto gli occhi sorpresi di sua madre e Astoria, spinse il braccio di Scorpius e lo fece cadere dal bracciolo della sedia, afferrando la sua mano dal basso e stringendola con forza.
Scorpius la guardò sorpreso, sbattendo ripetutamente le palpebre.
Lily si limitò a sogghignare. « L’hai detto stesso tu… Troll si addice perfettamente a loro » bisbigliò a bassa voce, facendogli l’occhiolino e ricevendo lo stesso sogghigno in cambio.
Le migliori storie iniziano alle tre di mattina e, Scorpius, era sempre più sicuro della decisione che aveva preso: quello era il suo ultimo anno e non si sarebbe fatto sfuggire per nulla al mondo l’occasione di infastidire la Potter.
Gli piaceva troppo il modo in cui gli teneva testa!
 
Quella lite aveva fatto il giro di Hogwarts in men che non si dica, alimentando vecchi pettegolezzi e creandone altri: la storia che la Potter avesse una relazione segreta con Malfoy e che l’avesse difeso proprio per quel motivo, girava di bocca in bocca, facendo venire il volta stomaco a Crysantha e Joe,  sedute in Sala Grande in attesa del ritorno dei due idioti, rispettivi amici di l’una e l’altra.
Dalton sorrideva beato, osservando la Smith al tavolo dei Grifondoro con occhio indagatore, pensando al modo di migliorarla: ci sarebbe stato da divertirsi, ne era sicuro, e non vedeva veramente l’ora che arrivasse quella notte per giocare un po’ al gatto e al topo. « Sembra che tu voglia mangiartela con gli occhi, Dalton, smettila di fissare la Smith! » la voce infastidita di Thomas lo raggiunse e Dalton distolse lo sguardo da Joe solo per fissarlo in quello blu dell’amico.
« Perché mai dovrei farlo? » domandò con tono innocente, facendo spallucce e incrociando le braccia dietro la testa. Thomas storse le labbra, assottigliando gli occhi in un espressione contrariata.
« Perché, con mia somma soddisfazione, lei sarà l’unica che non te la darà » sibilò Tom, sorridendo angelico e affondando con forza la forchetta nel roast beef nel suo piatto.
Un sopracciglio scuro di Dalton s’inarcò, mentre diventava improvvisamente serio.
« Tu dici? Io non ne sarei così sicuro, amico mio » rispose Dalton, in segno di sfida.
Sentiva aria di gelosia, nell’aria.
Non avrebbe mai immaginato che a Tom piacesse la Smith: non che i gusti dell’amico fossero così buoni, ma non l’aveva mai sorpreso nemmeno a guardarla.
Oh, oh… le cose cominciavano a farsi interessanti.
« Sembra che Hogwarts sia a corto di inservienti, perché io e la Potter dovremmo pulire ogni fottuto angolo di questo castello senza magia » sbottò Scorpius, interrompendo i pensieri di Dalton e sedendosi di botto accanto a Thomas, con un diavolo per capello.
Lily, con l’espressione di chi non gliene frega una beata mazza, si sedette ad un posto di distanza da Crysantha, intimando a Joe – con un gesto della mano – che avrebbero parlato dopo.
« Carini… davvero carini. E dimmi, caro Scorpius, la tua dolce metà pulirà Hogwarts con solo un grembiule addosso? Perché, in questo caso, lascerò perdere le mie solite azioni quotidiane per darvi una mano » disse Dalton, guardando Lily lascivo e beccandosi un calcio da sotto al tavolo da parte di Scorpius.
« L’unica cosa che pulirai, se non chiudi il becco, sarà il tuo sangue da questo pavimento » sibilò Malfoy in risposta, chiedendosi perché diavolo suo padre gli avesse imposto l’amicizia – fin da bambino – con quell’idiota d’uomo.
« Spero che la Potter ti accoppi e che ci guazzi tu, nel sangue, barbaro! » sbottò Dalton, massaggiandosi la gamba e guardandolo con astio.
« Per amor di Merlino, state zitti, tutti e due! Sembra che la Potter abbia superato dopo sei lunghissimi anni – finalmente – la prova del fuoco! » disse Crysantha, caratterizzando l’attenzione dei Serpeverde sull’ultimogenita di Harry Potter.
Lily la guardò come se avesse dei serpenti al posto dei capelli, chiedendosi di che diavolo stesse parlando. « Dopo aver affrontato quelle iene dei miei genitori, essermi subita tre ore di urla da parte della Mcgranitt, il mio cervello è notevolmente in fumo… quindi, di grazia, mi spieghi cos’è questa prova del fuoco? » sbuffò Lily, mentre Albus, seduto al tavolo dei Grifondoro, cercava il suo sguardo.
« Di solito avviene al primo anno: i Serpeverde si guadagnano la fiducia degli altri compagni compiendo un azione particolarmente… eroica, che avviene una sola ed unica volta nella vita.
In questo modo accogliamo i compagni di casa… non bene, non siamo a Grifondoro, dolcezza, ma almeno non li tormentiamo fino al loro diploma. Comunque, tornando a noi, difendendo Scorpius e colpendo tua cugina, hai dimostrato… a chi sei fedele e di conseguenza hai superato la prova del fuoco » spiegò Crysantha e Lily si sarebbe data a testate nel muro fino a perdere coscienza.
Punto primo: solo ora glielo dicevano? Tipo sei anni prima non sarebbe andata bene? Maledetti tutti i Serpeverde e la loro progenie!
Punto secondo: fedele? Non era mica un cane, per la barba bianca di Merlino, quella parola le metteva i brividi d’orrore! Maledetti tutti i Serpeverde e pure lei, che ci stava tutta.
« Spero che bruciate tutti vivi all’inferno con Malfoy che vi punzecchi con un tridente di fuoco » sibilò a bassa voce e fregandosene di passare per una squinternata.
Maledetti tutti i Serpeverde, avevano aspettato sei anni per dirle che bastava difendere quello scemo di Malfoy per smettere di essere tormentata!
 
***
 
 
« Nuda, Smith, quale sillaba di questa parola non conosci? » Dalton si spaparanzò meglio sul divanetto di pelle nera che la Stanza aveva fatto comparire, mentre Joe sbiancava notevolmente.
Erano le tre e la stanza aveva dato loro ogni aiuto possibile: c’era uno specchio alto un metro, delle grucce che mantenevano vestiti di diversi tipi e delle scarpe.
Che Merlino lo aiutasse, quello era più che divertente, era esilarante.
« Che bisogno c’è? » balbettò Joe, rossa per l’imbarazzo.
« Ho bisogno di vedere le tue… doti, dolcezza, per sapere almeno da dove iniziare e quanto lavoro c’è da fare » sbuffò Dalton, spaparanzandosi ancor di più.
Joe ingoiò a vuoto.
Calciò via le scarpe, tolse la gonna, il maglione e la camicia, rimanendo in intimo: stesse mutande che le arrivavano allo stomaco e reggiseno di cotone bianco. Dalton scoppiò a ridere, quasi soffocando con la saliva.
Joe gonfiò le guance come una bambina, soffiando arrabbiata. « Merlino, Smith, ma non ti hanno mai detto che quelle sono passate di moda? » rise Dalton, quasi asciugandosi gli occhi dalle lacrime che premevano per uscire.
Quelle mutande non le portava nemmeno più sua nonna, che era stata sotterrata otto anni prima!
« Sono comode » mormorò Joe e Dalton decise che era arrivato il momento di calmarsi e osservare bene: Joe aveva i fianchi larghi e un po’ di pancetta, niente di eccessivo, in realtà; le gambe erano corte, ma non di certo ciccione e il suo punto forte – quello che quasi gli fece venire un infarto – fu il seno.
« Per i perizoma leopardati della Mcgranitt, ma che taglia porti? » sbottò, facendola trasalire.
Il sogno di un intera vita, maledizione, era davanti ai suoi occhi: delizia, assoluta delizia!
« Affari miei, Zotto » sibilò Joe, coprendosi il seno con un braccio e facendogli la linguaccia. Dalton aggrottò le sopracciglia: Zo-che?
« Va bene, va bene! Rivestiti, dolcezza. Cominceremo a lavorare sul portamento e solo alla fine rivoluzioneremo il tuo modo di… - Merlino, bruceremo quelle mutande, stanne certa – vestire » borbottò Dalton, sorridendo sornione.
Quella storia cominciava a diventare sempre più… interessante e tutti sapevano che quando c’era una sfida da vincere, Dalton Zabini non si tirava di certo indietro!
 

***

 

Venticinque ottobre duemila ventitré

 
Erano appena le otto di mattina e – tutti – sapevano che alle otto di mattina Lily Potter non ragionava nemmeno con una bacchetta puntata alla tempia: si limitava a girare per Hogwarts con gli occhi semi-chiusi e l’espressione di chi non sa nemmeno come si chiama, rispondere con grugniti degni di un Russo ubriaco e sbadigliare ogni due secondi, come se non avesse dormito nemmeno due ore di fila quando – in realtà – lo aveva fatto tutta la notte.
Figurarsi, poi, intavolare una discussione decente: la sua bocca aperta la diceva tutto su quello che pensava, ma Albus se ne strafregò, ignorando le occhiate scandalizzate dei Serpeverde e sedendosi accanto a sua sorella: guardava la sorella con gli occhi verdi penetrati, mentre lei si limitava a versarsi il caffè nella tazza. « Sta uscendo tutto fuori, Lily » sbuffò, bloccando il polso della sorella e rompendo il silenzio che si era creato. Naturale per lei e forzato per lui.
« Oh, al diavolo, mi dici come stai? » sbottò Al, mentre Scorpius si chiedeva se davvero Potter volesse intavolare un discorso con sua sorella in quelle condizioni.
Lily alzò gli occhi dalla tazza di caffè che aveva preso tra le dita, quasi sorpresa di trovarselo affianco: che ci faceva Albus seduto al tavolo dei Serpeverde? « Eh? » domandò, sbadigliando.
Scorpius si schiaffeggiò con una mano la fronte e Al alzò gli occhi al cielo.
« Ho saputo quello che è successo ieri e Molly ti manda le sue scuse » disse Al, guardandola dolcemente. Scorpius arricciò le labbra: era lui che aveva insultato, non la Potter, doveva scusarsi con lui, non con lei! E che diamine!
« Ah, si » borbottò Lily, sorseggiando il suo caffè tranquillamente, quasi come se fosse in pace con il mondo. Al roteò gli occhi, chiedendosi perché sua sorella alle otto di mattina fosse così inattiva e fulminando Malfoy con uno sguardo: che davvero avesse una storia con lui? Che la tenesse sveglia di notte, impedendole di riposare? « Smettila di fissarmi, Potter, mi consumerai se continui in questo modo » sbottò Scorpius, servendosi di una porzione abbondante di bacon.
« Ti tengo d’occhio, Malfoy… ti tengo d’occhio » disse Albus, indicandosi gli occhi con due dita e indicandolo la bellezza di tre volte.
« Paura, Potty! » sibilò Scorpius, sogghignando alla vista delle sue braccine esili e ridendo al solo pensiero che avrebbe potuto fargli qualcosa. Non che lui fosse un egrumero di due metri per cento chili, ma Albus Potter pesava quarant’otto chili ed era magro come un chiodo, figurarsi se poteva ferirlo anche solo volendolo.
Al ringhiò, mostrandogli il dito medio con tutta la simpatia possibile. Baciò sua sorella su una guancia e gli diede le spalle, tornando al suo covo di Grifoni.
« Hai per caso sentito quello che voleva? » sbadigliò Lily, guardando Scorpius come se l’avesse visto solo in quel momento. Il ragazzo si trattenne dal ridere per l’espressione sconvolta della rossa, scuotendo il capo. « Ritorna nel mondo dei sogni, Potter, tuo fratello è passato per un saluto » rispose Scorpius e lei lo fece, riprendendo a bere il caffè e mangiucchiare un po’ di marmellata con delle fette biscottate.
« Domani ci sarà la partita contro i Grifondoro, tu verrai? » domandò Crysantha, rivolgendosi a Lily con lo stesso tono trasognato che aveva utilizzato lei per chiedere a Scorpius che diavolo avesse detto Albus.
« Si, partita » mugugnò Lily, mentre Crys sbadigliava. Thomas, per caso, si chiese se quella notte qualcuno avesse dormito decentemente o avevano organizzato un festino privato alle sue spalle.
« Bene, bene » acconsentì Crys, guardando Dalton di sbieco, appena arrivato. Quest’ultimo si sedette con nonchalance accanto a Thomas, che – con un sopracciglio alzato – si chiedeva cosa avesse da essere così felice.
« Perché sorridi? » proruppe, infatti, dopo due secondi che quel sorrisetto cominciava a farsi irritante. Dalton sogghignò, versandosi una generosa dose di caffè corretto e chiedendosi cosa ci fosse di meglio che palpare le tette della Smith con la scusa di dover “tastare il territorio”.
« È per caso vietato? » domandò, accavallando le gambe e lanciando uno sguardo al tavolo dei Grifondoro: Joe era lì, persa in un mondo tutto suo.
“Delizios…” iniziarono i suoi pensieri, venendo interrotti da una manata di Thomas sbattuta con violenza sul tavolo. « Guardami quando ti parlo » sbottò, mentre Dalton si tratteneva dal ridere.
« Ti sto guardando » disse lascivo e Scorpius soppesò l’opzione di ficcarsi due dita in gola per vomitare.
« Merlino vi sotterri, maledizione! Sono le otto, mettete da parte gli ormoni maschili e pensate alla giornata che dovete affrontare » sibilò Crysantha, minacciandoli – con una forchetta – di morte cruenta.
« Mestruazioni? » domandò Dalton, angelico, beccandosi dietro un coltello e un bestemmione che avrebbe fatto rabbrividire persino Sirius Black.
Niente di anormale, comunque. La giornata era iniziata come tutte le altre: in modo tranquillo e disinteressato.
Lily non poté confermare per il resto: tra Pozioni, Trasfigurazione, Incantesimi e Cure delle Creature Magiche non aveva visto Joe nemmeno di striscio e non aveva potuto chiederle com’era andata la sera prima; aveva solamente visto la sua faccia pallida e l’espressione soddisfatta di Zabini e – non perse occasione – di mettere le cose in chiaro appena ebbe un attimo per respirare. Afferrò Zorro per le corna e lo prese in disparte, sbattendolo con violenza sotto le arcate che davano sul giardino di Hogwarts ed erano a pochi passi dalla Sala Grande.
Scorpius e Thomas si avvicinarono di poco per sentire bene la conversazione.
« Sentimi bene, animale: so del patto e so quello che stai facendo, ma non so quello che sta macchinando il tuo cervelletto da quattro soldi… sappi solo, comunque, che un solo passo falso e ti ritroverai nei pressi del Lago Nero a far compagnia alla piovra gigante » sibilò, ad un metro di distanza dal ragazzo.
« Non sai quanto mi piacciono le ragazze violente, Potter » sogghignò Dalton, guadagnandosi un occhiataccia da Scorpius.
“Ehi, ognuno si tenga il proprio giocattolo!” pensò, imbronciandosi.
« Di violento tra di noi, Zabini, ci sarà solo la tua faccia spiaccicata sotto le mie scarpe nuove, quelle di vernice » sibilò Lily, sorridendo velenosa e scuotendo la chioma rossa. Gli diede le spalle con un movimento brusco, mentre Dalton mormorava  « Touché » godendosi il panorama del suo fondoschiena.
Lily si strinse i libri sotto il braccio, ignorando il solito brusio che l’accompagnava e lasciando che la giornata trascorsa le scivolasse lungo la spina dorsale con un grosso e lungo sospiro: aveva due temi da consegnare per il giorno seguente, ma non aveva affatto voglia di chiudersi in biblioteca dopo quello che era successo; si recò verso il parco, restando distante dal Lago Nero, e si sedette sotto il solito Salice Piangente. Adorava quel posto, aveva un ché di magico che riusciva a toglierle di dosso qualsiasi ansia l’avesse accompagnata fino e lì. Era come tutto il resto: ovunque girasse il capo la magia le entrava dentro, fin sotto le ossa, e Lily non ne avrebbe mai fatto a meno.
Lei era nata per essere magica e sarebbe morta così, nella magia.
Aprì la borsa a tracolla, lasciando che i libri e le pergamene scivolassero sull’erba alta insieme ad una scatoletta di legno; era intarsiata da tante piccole rifiniture dorate e tanti fiori si susseguivano su ambedue lati. Lily l’afferrò tra le dita e sorrise: all’interno c’erano tre sigarette alla menta, una alla rosa e una foto con tutti i cugini Weasley, scattata un paio d’anni fa.
C’era Rose, che con i suoi ricci ribelli e i vispi occhi castani, bacchettava suo fratello Hugo, la sua fotocopia al maschile e con qualche anno in meno, tranne per gli occhi azzurrissimi e le efelidi, che gli macchiavano il viso infantile e vivace.
Molly e Lucy, trecce uguali, occhiali dalla stessa montatura, ma i sorrisi di chi aveva appena combinato un guaio e aveva intenzione di tenersi stretto il segreto più a lungo.
Dominique, maledizione, quanto le mancava Dominique! La sua piccola e ribelle cugina, sempre pronta a contestare le scelte dei genitori, sempre pronta a distinguersi dalla massa: i capelli biondi e setosi sciolti sulle spalle piccole e fragili, simili a tanti fili d’oro, gli occhi chiari, ma tanto chiari, quasi di ghiaccio, che guardavano l’obiettivo in modo malandrino e la pelle chiara quasi spiccava sotto il sole estivo.
Lei era l’unica, l’unica che si era complimentata con lei quando aveva saputo che era stata smistata a Serpeverde. Peccato che avesse deciso di studiare a Beauxbatons insieme a Louise, abbracciato proprio alla sorella nella foto; i capelli biondo-ramati portati in un codino, gli occhi azzurri made in Weasley e la bellezza di chi per un decimo ha il sangue Veela nelle vene.
Poi, infine, Roxanne e Fred. Entrambi con la pelle mulatta e con i capelli scuri, tranne per Freddie, la cui chioma tendeva al rosso-arancio; avevano entrambi gli occhi bruni ed erano Grifondoro – come ci si aspettava dai figli di George Weasley – e, ai tempi, erano stati i suoi cugini preferiti. Facevano entrambi parte dei Malandrini, che, insieme a suo fratello James, erano rinati grazie a quest’ultimo.
Ma era andato tutto distrutto, loro non la guardavano più con affetto e non volevano più saperne di lei. Ora la sua famiglia era Joe e basta, nessun altro.
« Può non essere rassicurante, certo, ma ora la tua famiglia siamo noi » Crysantha sembrava averle letto nel pensiero perché, prima di sedersi sull’erba, sussurrò quelle parole.
Con le dita lunghe e pallide sfilò una sigaretta dal pacchetto di legno, accendendo l’unica alla rosa con la piccola fiammella che era apparsa dalla bacchetta. « Io non sono stata smistata a Serpeverde per trovare una famiglia, Nott.
La mia famiglia crede che io l’abbia tradita, ma ho scelto solo quello che ritenevo giusto per me e a questo mai nessuno ci ha pensato; il cappello parlante mi aveva dato una vasta scelta, ma solo due dormitori ricadevano a pennello per me.
Grifondoro, per accrescere il mio coraggio, per la mia audacia e il mio sprezzo per le regole; sarei potuta diventare la fotocopia sputata dei miei genitori e soddisfare appieno le aspettative di tutti.
Poi… Serpeverde. Oh, Serpeverde. Perché per la mia ambizione serviva un grande dormitorio che avrebbe soddisfatto appieno le mie aspettative. La mia furbizia, quella che mi ha evitato parecchie punizioni e aiutato a superare parecchi ostacoli.
E poi l’astuzia: quella che mi ha portata tra di voi; diffidenti, estranei alla massa, così simili a me, eppure così distanti.
Ho scelto Serpeverde per una mia vittoria, per la mia gloria personale, per non dar credito a tutte quelle voci che già mi collocavano – che già mi gemellavano, dandomi per scontata – a Grifondoro.
Questo nessuno l’ha mai capito » mormorò Lily, guardando con la coda dell’occhio Crysantha appoggiarsi contro la corteccia dell’albero, aspirando dal filtro e bagnandolo appena contro le labbra.
« Tutti i Serpeverde sono stati smistati per una vittoria personale, Potter, non lo sapevi? » rise Crys, ciccando sull’erba e storcendo le labbra in un sogghigno: oramai gli amici di Malfoy avevano assunto persino il suo modo strambo e cattivo di sorridere. Ma solo lui era irritante quando lo faceva.
« Ora lo so’ » rispose Lily, ricambiando il sorriso.
« Non siamo la tua famiglia… diciamo che siamo il mezzo per arrivare allo scopo finale: diventare qualcuno che non sia riconducibile al cognome Potter o Weasley » disse Crysantha e sembrava più un patto che una constatazione.
« Ehi Nott, mi serve l’ultima firma per quella cosa » la voce squillante di Elinor Turner le raggiunse a metri di distanza, venendo immediatamente raggiunte dalla sua figura slanciata: Corvonero, capelli bruni e lisci, lunghi fino alla vita, occhi verdi e labbra perennemente tese in un sorriso. Elinor era quella che un tempo era stata Luna Lovegood, una totale svitata, con la testa tra le nuvole e l’espressione sognante che sembrava non poter essere distrutta nemmeno dal più cinico essere umano esistente sulla terra.
Elinor faceva parte di un gruppo chiamato Flower e mezza Hogwarts si divertiva a soprannominarli i figli dei “fiori”, attinente al nome e al comportamento assolutamente pacifico dei ragazzi.
Erano l’anima di Hogwarts: organizzavano festini privati e illegali – come li apostrofava Joe – facevano i compiti richiesti dagli studenti in cambio di favori, truccavano alcune partite di Quidditch rubando alcuni “ingredienti” dalla dispensa di Lumacorno e così via, dando vita ad una vera e propria associazione a delinquere.
Elinor era il capo, a suo seguito c’erano Abgail, una tappa di appena un metro dai corti capelli biondi – Grifondoro – poi Lysander e Lorcan Scamandro, i due gemelli con la passione per le piante. In poche parole i figli di Luna coltivavano grandi distese di Marijuana senza sapere che nel mondo babbano li avrebbero arrestati e messi in gattabuia per poi buttarne la chiave. Anche loro Corvonero.
Destiny Hill e Marissa Brown, due cugine dall’animo pacifista, Tassorosso e infine Terence Steeval, capelli rossicci e occhi azzurri, figli di Terry Steeval, che a suo tempo aveva anch’esso partecipato alla seconda guerra magica: Corvonero come il resto della famiglia.
Sette persone che di normale non avevano niente, ma che formavano il numero magico perfetto: strambi nel modo di vestire, parlare e porsi, si erano conquistati l’amore di tutti gli studenti e volgevano tutto quello a loro favore.
« Ne parlerò con Dalton, Turner, sai che i Grifondoro sono incorruttibili e avere la loro firma è quasi impossibile… non c’è una via di mezzo? » domandò Crys, mentre Elinor si sedeva sull’erba accanto a loro e sfilava una bustina dalla borsa a tracolla rosso fuoco.
« La firma di un Prefetto e siamo pace » disse, passando la bustina a Crys e accettando con un sorriso i molteplici galeoni che lei le diede. Lily non provò nemmeno a contarli.
« Questi sono per il servizio e la festa  » mormorò Crys, ammiccando e riavviandosi i capelli neri con un gesto secco.
Elinor annuì, alzandosi e spazzolandosi la gonna, sorridendo. « Ci vediamo questa sera per la firma, Nott e fidati… non rimarrai affatto delusa, domani » disse, facendo un piccolo inchino e andandosene, mentre Lily arcuava le sopracciglia scure.
« Da cosa non rimarrai delusa, domani? » domandò Lily, guardando Crysantha curiosamente. L’altra sorrise in risposta, spegnendo definitivamente la sigaretta nel terriccio appena umido.
« La festa. Domani è il compleanno di mio fratello e fidati, Potter, sarà un vero e proprio delirio »
E Lily non ne dubitò: quando i Flower decidevano che qualcosa doveva andare per il verso giusto… ci andava eccome.

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo - Stay ***


A mio nonno, che non c’è più ma so’ che sarebbe fiero di me.
Buon compleanno.

 
 

Capitolo secondo –
Stay

 

“Stai vivendo o stai solo esistendo?”

 
 
 
 
Che l’inferno inghiottisse Malfoy.
Quello era stato il primo pensiero che le era saltato in mente quando, tra una spintonata e l’altra – urla di delirio – calci e chi più ne ha e più ne metta, Scorpius se l’era caricata sulle spalle come un sacco di patate, cominciando a correre come un invasato per la Sala Comune verso i dormitori maschili, dove – maledizione – regnava il caos peggiore che avesse mai visto.
Che l’inferno inghiottisca anche quella maledetta di Nott e le faccia passare le pene più dolorose al mondo.
Quello era stato il secondo pensiero che le era saltato in mente quando si era accorta che quel panico non era altro che opera sua e dei Flower.
Alle tre di quel pomeriggio, ad ogni  Serpeverde – nessuno escluso – , era arrivato un biglietto anonimo: alle otto in punto tutti si sarebbero dovuti ritirare nelle proprie stanze, per dare modo ai Flower di organizzare i preparativi per la festa di Thomas e nel mentre, tutte le porte – qualsiasi entrata o uscita o via di mezzo –  si sarebbero chiuse e chi sarebbe stato trovato in giro per i corridoi dei dormitori o nella Sala Comune stessa, sarebbe stato buttato fuori a pedate nel sedere.
Giusto perché loro dovevano fare gli esibizionisti.
Che Merlino fulminasse anche i Flower, maledizione.
Quello era stato il suo terzo pensiero, perché, naturalmente, Lily pensava che quello fosse tutto uno scherzo: nessuno poteva modificare la magia delle mura di Hogwarts, nemmeno Crysantha Nott – la migliore del corso di Incantesimi – e un gruppo di Corvonero impazziti, ma con un intelligenza superiore alla norma. Non potevano e basta. Punto. Chiuso il discorso. Nada. Rien. Aveva volutamente ignorato la questione, senza nemmeno guardare più l’orologio e lasciando che la giornata trascorresse come sempre. Non credeva… non aveva voluto crederci, pensava che… Morgana prendesse le loro anime, per tutte le cavallette di Hogwarts!
Era già stressata di suo: tra le lezioni e i compiti chilometrici che le avevano assegnato, il suo ultimo pensiero era stato di certo quel biglietto e l’ipotesi di scappare nella sua stanza alle otto preciso, perché non venisse chiusa fuori dalla sua stanza nel suo dormitorio, non le era balzata nemmeno per l’anticamera del cervello!
Se ne stava spaparanzata come al solito sul divanetto di pelle accanto al camino, mentre il cibo ancora decideva se salire su per l’esofago o scendere definitivamente verso il basso e all’improvviso aveva sentito letteralmente una voce urlare « Sono le otto meno cinque! » con caos a seguito: sembrava essere scattato un allarme bomba come quello nei film babbani che suo nonno le costringeva a guardare ogni santissima volta che andava alla Tana; tutti che correvano a destra e manca, nemmeno ci fosse Lord Voldemort nei dintorni che stesse disseminando terrore e lanciando maledizioni a chi osasse intralciare il suo cammino.  Gente che spintonava, correva, calpestava – avrebbe trovato colui o colei che per metterla da parte le aveva tirato i capelli, questo era certo – e terrore, terrore ovunque.
Si era ritrovata schiacciata contro il muro dei dormitori, senza potersi muovere, con un espressione così spaventata che se l’avesse vista suo fratello James avrebbe esclamato che “di sicuro che capiva perché era stata smistata a Serpeverde”: di certo non trapelava coraggio dai suoi occhi, quello era poco ma sicuro. Era così pallida che Dalton Zabini si sarebbe congratulato con lei per l’uniformità della sua pelle ed era sicura al cento percento che sarebbe morta, sopraffatta da quella mandria di Ippogrifi sbizzarriti.
Poi… poi, quasi come una manna dal cielo o una maledizione venuta dritta dall’Olimpo, Scorpius Malfoy era apparso dal nulla e la folla pareva aprirsi al suo passaggio: l’aveva afferrata per le braccia e poi, senza preavviso, se l’era caricata in spalla come se fosse una piuma o peggio… una bambina.
Ora si ritrovavano a correre come degli invasati nei dormitori maschili, con lo stomaco di Lily che sbatteva ripetutamente sulle spalle del ragazzo e l’idea malsana di ammazzare tutti e scappare in Brasile, magari tra le braccia di qualche ball…  « Uno, due e… tre! » Scorpius, a quelle parole letteralmente strillate con un “sonorus”, balzò letteralmente nella sua stanza, facendo una formidabile capriola con lei a seguito prima che le porte si chiudessero con un tonfo sordo ed inquietante, mentre i suoi pensieri si interrompevano per quell’aggroviglio di corpi, bestemmie e « Cazzo, scollati » sbraitati da entrambi.
« Per Salazar, Malfoy, mi stai schiacciando le tette! » urlò Lily e Scorpius quasi le fece mancare il fiato quando – con un colpo di reni – riuscì a sgrovigliare le loro gambe, sovrastandola con il suo corpo e arrivando a pochi centimetri dal suo viso. Era rosso per lo sforzo, probabilmente, e aveva i capelli scompigliati come in vita sua non glieli aveva mai visti.
« Che ci facevi in Sala comune bella stravaccata quando il biglietto diceva chiaramente “alle otto chiusi nelle stanze?” » sibilò contrariato, fissandola con un sopracciglio arcuato.
« Che tu possa morire tra atroci sofferenze, Malfoy! Che domande sono queste, eh? Non avevo mai partecipato a feste organizzate dai Flower, pensavo che scherzassero quando si sono prodigati di dire avrebbero chiuso –  come maledette porte blindate –  le stanze dei dormitori! » ululò Lily, ancora ancorata all’ipotesi dell’”impossibile” e attirando l’attenzione degli altri ragazzi della stanza.
Dalton fu il primo ad uscire dal bagno, avvolto in un asciugamano blu notte e fissando la scena con una luce maliziosa nello sguardo. « Oh-oh, che fosse il compleanno di Thomas ne ero a conoscenza, ma che fosse anche il tuo ne ero all’oscuro, Scorpy » ridacchiò, sogghignando alla faccia sconvolta di Lily e a quella schifata di Scorpius.
« Non. Chiamarmi. Scorpy » sillabò, mentre Thomas, ancora in mutande, appariva alle spalle dell’amico e guardava la scena con un misto di sorpresa e rassegnazione. « Non è come pensate voi! Malfoy, ti togli di dosso? Sei pesante, santo Merlino » sbuffò Lily, mentre Scorpius rotolava su un fianco e lei balzava all’in piedi con un salto degno di un Auror in piena fase di addestramento. Era così sconvolta che se, qualcuno l’avesse vista uscire da quella stanza, avrebbe sicuramente pensato al peggio.
E la sua reputazione era già disastrosamente rovinata senza che qualcuno dicesse in giro che avesse partecipato ad una mega-orgia nella stanza di Malfoy e co.
« Oh, certo che no, certo che no » l’assecondò Dalton, ridacchiando. Lily cercò di decidere se strozzarlo a mani nude o cruciarlo con la bacchetta, ma erano entrambe opzioni troppe allettanti… quindi decise prima di cruciarlo e poi di strozzarlo e vederlo morire finalmente per mano sua.
« Ma che succede? Volete farla un po’ finita? Qui c’è gente che cerca di farsi una dormita prima che inizi questa fottuta festa » ed ecco che comparve il quarto componente. Lily lo conosceva solo di vista o di fama, come il resto del gruppo, dopotutto, e apparve anche lui in mutande – ma che era, un vizio? – aprendo di scatto le tende a baldacchino e fissando la scena con un sopracciglio alzato e i capelli biondi scompigliati.
Alexander Rosier.
Che Lily avesse avuto una cotta per lui, anni fa, l’avrebbe negato fino alla morte, ma non poteva non ammettere che Rosier era un gran pezzo di fig… ragazzo. Aveva due spalle grandi quanto un armadio e un sorriso che, maledizione, era la fine del mondo; i capelli biondi, gli occhi azzurri e il comportamento da “sono bello e dannato”  avevano fatto perdere la testa a parecchie ragazze e poi, sinceramente, il proibito attirava: essere il nipote di uno dei più grande Mangiamorte esistiti non solo faceva rivoltare lo stomaco ai Grifondoro, ma gli donava un aria da… Lily non lo sapeva nemmeno che aria gli dava, semplicemente era sexy.
« Non sapevo avessimo ospiti » disse Alex, storcendo la bocca in un sorriso e guardandola da capo a piedi. Lily alzò gli occhi al cielo: ma in quel maledetto dormitorio nessuno sapeva sorridere normalmente? Tutti a ghignare come se stessero pensando a qualcosa di losco o a macchinare piani machiavellici per rovesciare il Ministro della Magia tutto il tempo.
« Ospiti graditi, soprattutto » continuò Rosier, inclinando il capo e afferrando un pacchetto di legno dal comodino alla sua destra: ne estrasse una sigaretta e se l’accese, portandosela tra le labbra piene.
« Ah, ah, Alex! » il dito di Dalton si scosse sul petto di Rosier, gesticolando un “no” enfatizzato dalle parole. Alex lo guardò come se fosse impazzito.
« Non si rubano i giocattoli degli altri, quindi metti le mani a posto » disse Zabini, mentre Thomas si stravaccava sul letto e sbuffava alle sue parole.
« Questo vale anche per te, Dalton » sibilò, afferrando anche lui una sigaretta e accendendosela beato, come se lì fuori non fosse successo un pandemonio solo perché stavano organizzando la sua festa di compleanno.
« Oh, uhm… auguri, Nott  » disse Lily, grattandosi la nuca imbarazzata e abbozzando un sorriso. Thomas, sorprendentemente – Alleluia! – ricambiò « Grazie » rispose, mentre Dalton cercava di scrollarsi Alex di dosso, che si chiedeva Lily Potter di chi fosse “proprietà”.
« Chiunque sia, non potrà competere con me! » sbottò Rosier, mollando un calcio a Dalton – muto come un pesce – e fiondandosi letteralmente su Lily.
La ragazza arrossì, tossendo ripetutamente per esserselo ritrovato ad un palmo dal viso improvvisamente. « Questo lo dici tu, Rosier » mormorò Scorpius, alzandosi dal pavimento e spazzolandosi i vestiti con gesti stizziti della mano.
« Non dirmi che sei tu, Malfoy… non sei affatto il suo tipo e sono sicuro che la Potter prediliga tipi come me » disse Alex, ciccando la cenere nel contenitore di cristallo sul suo comodino e fissando Scorpius in modo eloquente, continuando a parlare di Lily come se non fosse presente.
« Che Morgana vi eviri e sotterri i vostri terribili ormoni maschili! » sbottò infatti, in un attacco improvviso di rabbia.
Il ciclo le era arrivato con dieci giorni di anticipo e l’ultima cosa che voleva sentire era quegli idioti discutere su qualcosa di inesistente. Lei non era proprietà di nessuno e quindi se Rosier voleva provarci con lei, ben venga: Malfoy non poteva vantare diritto su niente.
Anche se… « E mi dici perché diavolo mi hai portata qui? » urlò, solo ora rendendosi conto che la festa sarebbe iniziata da due ore a quella parte e lei era rinchiusa nella stanza del festeggiato.
Anche se…Malfoy era un bell’idiota.
« Crysantha ti avrebbe di certo ucciso se i Flower ti avessero beccato in giro per la Sala Comune, sbattendoti – automaticamente – fuori dalla festa e io, onestamente, non avevo alcun voglia di subirmela per i prossimi giorni! » sbottò Scorpius, alzando gli occhi al cielo e soffiando, senza farsi notare, verso Alex.
« Mi ucciderà lo stesso, Malfoy, perché non posso presentarmi alla festa così! » sibilò, indicando la divisa scolastica che indossava da quella mattina. Alex la guardò da capo a piedi, leccandosi l’estremità del labbro superiore e Dalton gli mollò un calcio negli stinchi, ricambiando il favore di prima e facendogli capire che non era il caso.
« Oh, ma certo che no, certo che no! Ho dei vestiti nel baule, che erano destinati alla Smith e al suo “cambiamento”, ma sono certa che non le dispiacerà se ne metterai uno » disse Dalton, mentre Thomas ringhiava dal proprio letto.
« Porco » sibilarono all’unisono lui e Lily, con la stessa espressione irosa dipinta sul volto. Zabini li liquidò con un gesto distratto della mano – come se stesse scacciando una mosca molesta – e aprendo il baule ne estrasse un vestito nero e semplice: un tubino con lo scollo a barca e le maniche a sbuffo, la gonna appena un po’ ampia e il busto privo di trine o cose varie.
« Okay, ora capisco perché abbia chiesto il tuo aiuto, Zorro » ammise Lily, abbassando lo sguardo e guardandosi la punta delle scarpine di vernice.
Dalton sorrise, strafottente e quasi orgoglioso. « Sono cresciuto in uno dei paesi più d’alta moda esistenti… e la passione che coltivano i miei genitori e mia nonna hanno incrementato il mio meraviglioso gusto nell’ammirare le belle cose e nel vestirmi » disse, vantandosi delle sue origini per metà Italiane, un quarto Parigine e il resto Inglesi. Che comunque avesse ottimo gusto nel vestire era palese: non indossava nulla che non fosse di ottima fattura e amava curare tutto nei minimi dettagli, non lasciando nulla al caso.
Ed era anche vero che amava guardare le cose belle: le ragazze che Dalton aveva frequentato nel corso degli anni erano state quelle che la fauna maschile di Hogwarts definiva “perfette”; sempre lunghe gambe, visi incantevoli e per la maggiore capelli biondi. Avevano tutte i capelli biondi.
« Ma sta zitto » sbuffò Lily, roteando gli occhi e strappandogli il vestito da mano.
« Non rovinarlo… sono sicuro che quello stia più che bene a Joanne… » mormorò Dalton, con un occhiata maliziosa e un sogghigno lascivo sulle labbra.
« Porco! » sbottarono Lily e Thomas – di nuovo – all’unisono.
Dalton sorrise con una faccia da schiaffi e un espressione innocente che non gli si addiceva per niente.
« Oh, ehm… e ora? » domandò Lily, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare in quelle due ore in quella stanza e in loro compagnia.
Scorpius si stravaccò sul proprio letto a baldacchino, incrociando le braccia dietro la testa e chiudendo gli occhi: sembrava il quadro perfetto del relax e a Lily quasi venne il prurito alle mani. « Niente » rispose infatti, ignorando il rossore preoccupante che stava apparendo a chiazze uniformi sul volto della Potter.
« Non sperarci, Scorpy. Tu mi hai trascinato in questa stanza e tu, ora, sarai sveglio e impedirai a questi porci di… maledizione, Rosier, finiscila di guardarmi in quel modo! » sbraitò Lily e Scorpius avrebbe davvero voluto ignorarla se non avesse gridato come se la stessero scorticando viva.
Aprì di scatto gli occhi, fucilando con un occhiata Alexander Rosier, intento ad avvicinarsi quatto quatto – come un animale – alla Potter.
« Un altro passo e giuro che comincerò a rendere reali le voci che girano su nonno Lucius e sulla mia parentela con lui » sibilò a bassa voce, mentre Alex si bloccava al centro della stanza e sorrideva pacioso.
« Non posso nemmeno andare in bagno, ora? » domandò, come se quella fosse la sua reale intenzione e lui avesse frainteso tutto.
« Chiuditici dentro e non uscirne più » sbottò Scorpius, afferrando Lily per un braccio e sbattendola a sedere, rudemente, sul suo letto sfatto.
« Dormi, eh, che sarà una notte lunga » bisbigliò a bassa voce, sbadigliando e girandosi su un fianco, come se intimarle di dormire nel suo letto fosse una cosa perfettamente normale.
« Tu hai qualche problema! » disse infatti, guardandolo come se gli fossero spuntate due corna tra i capelli biondissimi. Scorpius fece spallucce, ignorandolo, mentre Dalton dava spettacolo di sé togliendosi l’asciugamano e camminando nudo per la stanza.
« Miseriaccia! » esclamò Lily, mentre Scorpius – che con la coda dell’occhio aveva visto qualcosa di anormale penzolare – era balzato accanto alla rossa e le aveva coperto gli occhi con le mani.
« Che Salazar ti squarti, maledizione! » sbraitò Scorpius, trascinando letteralmente Lily sul letto e chiudendo le tende con un incantesimo.
« Non fate gli sporcaccioni… o almeno chiamatemi, se proprio dovete! » cinguettò Dalton, guadagnandosi un bestemmione da parte di Scorpius.
« Ah, ah, Scorpy, lavati la bocca prima di baciare tua madre! » lo riprese Zabini, ridendo, mentre Lily guardava il soffitto del letto con aria sofferente.
Cosa aveva fatto di male, nella sua vita, per meritarsi tutto ciò? Non aveva mai nemmeno ucciso una formica, quindi perché Merlino ce l’aveva così tanto con lei? Che fosse stata una pluriomicida nella sua vita passata? Magari aveva avuto una tresca con qualche antenato di Malfoy e ora le si stava torcendo tutto contro… non lo sapeva, ma la sua vita stava diventando un vero e proprio circo.
 
Due ore dopo, salvi imprevisti come “gente nuda e cose penzolanti, bestemmie, maledizioni e incantesimi”, Lily era riuscita a vestirsi ed uscire dalla stanza del diavolo sana e salva. Le porte, come predetto, si aprirono alle dieci in punto, mentre un urlo collettivo di sollievo si udiva per tutto il dormitorio.
Uscì quasi di corsa, ignorando le risatine dei ragazzi e le occhiate che l’accompagnarono fino a quando non varcò – grazie a Morgana, dea e protettrice di tutte le povere zitelle – la Sala Comune dei Serpeverde.
« Oh » fu l’unica parola che uscì dalle sue labbra.
Era tutto… bellissimo, ecco: quello era l’unico aggettivo che riusciva a formulare la sua mente. Tutto, dalle candele che galleggiavano per la Sala e al piccolo soppalco rialzato con la magia al centro, era stato curato minuziosamente in ogni dettaglio.
Drappeggi verde e argento circondavano e coloravano i divanetti di pelle nera sparsi in ogni angolo, la musica in sottofondo era martellante, ma affatto fastidiosa e il tavolo degli alcoolici e del cibo era disposto in modo da non intralciare la pista ai futuri ballerini.
C’erano dei palloncini a forma di serpente – proprio simpatici – e uno striscione che recitava “Buon diciottesimo compleanno”. Era tutto molto fine, in realtà, niente di esagerato o strano: proprio un bel lavoro, non c’era che dire, perfetto per un Serpeverde silenzioso come Tom.
« Domani mi spieghi perché sei uscita dal dormitorio maschile » sussurrò la voce di Crysantha alle sue spalle, immediatamente seguita da due gambe lunghe e un vestito d’argento che le fasciava il corpo magro.
In un attimo, Lily, si sentì nana e anche abbastanza bruttina.
Merlino fulmini i geni Nott, per Morgana! Pensò, visto che era lo stesso pensiero che aveva formulato quando Thomas aveva fatto la sua entrata trionfale in pantalone classico e giacca, i capelli neri scompigliati e l’aria di chi è a conoscenza della propria bellezza e se ne vanta.
Ce ne fosse uno cesso… ma no, Lily aveva visto pochi cessi in circolazione, Parkinson e famiglia Goyle compresi.
« Ti prego, non ricordarmelo » borbottò Lily, lanciando un occhiata eloquente a Malfoy, apparso alle spalle di Tom, e facendole intendere che era stata un esperienza tanto traumatica quanto illuminante.
Infatti, passando del tempo con quegli idioti, era stata “illuminata” sulla vita che stava conducendo: la zitellaggine le sarebbe, sicuramente, stata bene a vita. Tutta la vita.
« Voglio saperlo lo stesso » sbuffò Crys, mollandole un bicchiere tra le mani e raggiungendo – raggiante – il fratello.
Lily annusò la sostanza al suo interno, chiedendosi cosa fosse quella roba marrone che galleggiava. Puzzava e questo era un punto a suo sfavore, ma era sicura che Crysantha non volesse avvelenarla… cioè, sperava che non volesse e, tappandosi il naso e facendosi forza, ingoiò tutto d’un fiato.
« Vediamo che riesci a fare, bimba » sussurrò la voce di Alex al suo orecchio, mentre con la punta del naso le sfiorava delicatamente il lobo.
Lily tremò e lui le mollò un altro bicchiere tra le mani.
« Giuro che non approfitterò di te » ammiccò, in risposta al suo sguardo inquisitorio. Le mani sui fianchi dicevano tutt’altro, ma in fondo che poteva succedere? Era la prima volta che partecipava ad una festa – che non fosse in famiglia – e voleva … essere normale, come tutti gli altri adolescenti.
Per una volta voleva sentirsi accettata, non diversa.
Bevve nuovamente tutto d’un sorso, quasi sputandolo in faccia ad Alex, che mascherò una risata dietro un colpo di tosse. « Carina » disse e Lily passò quello che – successivamente – avrebbe considerato il suo più brutto quarto d’ora della sua vita.
A Rosier sembravano piacere così tanto le sue smorfie che le fece bere un decimo di quello che c’era sul banco degli alcoolici… e non fu affatto un bene: Lily non aveva mai bevuto alcool in vita sua, tranne per qualche bicchiere di champagne in occasioni speciali.
La musica delle Sorelle Stravagherie a tutto volume, i corpi accalcati, il fiato di Alex sul collo: tutto, tutto girava e non le dispiaceva; la sua famiglia sparì completamente dalla sua mente come qualsiasi altro problema. Esisteva solo e soltanto lei e l’amore che provava per se stessa.
Si sentiva bene, si sentiva bella e sensuale, libera di fare qualsiasi cosa volesse; non sentiva di avere freni né inibizioni, il mondo poteva essere suo.
« Ehi Tom! » la sua voce strascicata la diceva lunga sul suo stato e Alex non fu molto contento di allontanare le mani dai suoi fianchi quando chiamò Nott ad alta voce.
« Devo dirti un segreto! » bisbigliò Lily, afferrandolo per la collottola della camicia e alitandogli in faccia.
Thomas fece una smorfia, sventolandosi una mano davanti al viso per la zaffata di alcool che gli arrivò al naso. « Quanto hai bevuto, Potter? Hai l’alito micidiale » borbottò, mentre Alex fischiettava tranquillamente e si guardava attorno, come se il fattaccio non l’avesse causato lui.
Lily scoppiò a ridere.
« Visto che tu mi sei più simpatico di Zorro e so che non vuoi solo affondare un tiro a segno, prenderti il premio e andartene come niente fosse e visto che è il tuo compleanno…ti faccio un regalo.
Ti dico che a Joe piace quando un ragazzo l’apprezza per quel che è e le fa complimenti su complimenti. Insomma, visto che è insicura le piace sentirsi apprezzata » biascicò, quasi delirando.
« Oh, hm… grazie? » mormorò, non sapendo che dire e limitandosi a fissarla.
« Hai la mia benedizione, Notti! » urlò Lily, storpiando il suo cognome e colpendolo con una manata sulla spalla. Tom gemette e lei rise, di nuovo.
« Sì… ora, se non ti dispiace » borbottò Alex, rubandogliela letteralmente da sotto al naso e venendo inghiottito dalla folla.
Tom cercò Scorpius con lo sguardo, beccandolo a trastullarsi in un angolo con una bionda che non riconobbe. Alzò gli occhi al cielo e decise che, sarebbe stata anche l’ora, Scorpius avrebbe dovuto cominciare a muovere un po’ il culo secco che si ritrovava.
Si avvicinò imbufalito, afferrandolo per la cintura dei pantaloni e staccandolo dalla bocca di quella ventosa. « Che cazz… Thomas! Solo perché è il tuo compleanno, questo non ti da il diritto di… » cominciò, venendo zittito da un pugno sulla spalla.
« Ahi, ehi! E questo per cos’era? » sbraitò, massaggiandosi la parte lesa.
« Per la tua stupidità, Malfoy! In questo momento, mentre tu stai cercando di constatare quanto sia profonda la gola di questa tizia, la Potter è nelle mani di Rosier. Ubriaca » sbottò Tom, rimproverandolo con quel tono paterno che solo lui vantava d’avere.
Gli occhi di Scorpius saettarono tra la folla, ma le sue gambe non si mossero. A cosa importava lui della Potter? Non era di certo la sua balia.
Lui si era ripromesso di non lasciarla in pace, certo, ma questo non voleva dire votare la sua vita completamente a lei; Scorpius si morse le labbra, mentre – involontariamente – il suo sguardo continuava a cercare i capelli rossi di Lily.
Il fumo delle sigarette e dell’erba appestavano la stanza e rendevano i volti delle persone tutte uguali: riusciva a vedere solo sorrisi sfuggenti e occhiate maliziose rivolte ovunque, ma di quel volto nemmeno l’ombra.
Ma a lui cosa importava della Potter?
Qualcuno aprì una bottiglia di champagne e investì la folla con il getto alcoolico, ma non sentì la sua voce.
A lui cosa importava della Potter?
Scorpius si scollò Mari… Jenn… oh, insomma, si scollò la sconosciuta di dosso e sospirò: a lui non importava niente della Potter, si convinse, ma per principio doveva tirarla fuori dai guai. Era come se stesse ricambiando il favore di quando lei aveva colpito sua cugina per difenderlo, quindi tutto nella norma.
Bugiardo.
Cercò di farsi spazio, maledicendo chiunque lo spintonasse e guardò in ogni fottuto angolo della sala, senza mai trovare quel corpo avvolto in un tubino nero. Nessuna traccia della Potter e il panico cominciò ad invaderlo: dove l’aveva portata quel porco di Rosier?
Scorpius annaspò.
Ma infondo… a lui cosa importava della Potter?
« Sono nei dormitori maschili » la voce di Dalton superò appena la musica, ma la sentì forte e chiara. Faceva roteare un liquido ambrato in un bicchiere di cristallo e lo guardava deciso da sotto le lunga ciglia scure.
Scorpius gli fece un cenno di ringraziamento, dirigendosi – apparentemente indifferente – verso la propria stanza. Ma, quando si accorse di essere il solo in giro per i dormitori, cominciò a correre, appuntandosi mentalmente di avadakedavrizzare Rosier appena ne avesse avuto l’occasione.
Aprì la porta della sua stanza con un botto, fiondandosi all’interno a passo di marcia e con un diavolo per capello: stavano sdraiati sul pavimento a guardare il soffitto e nel mentre ridevano, sicuramente dopo aver detto una cosa stupida.
Scorpius digrignò i denti.
« Fuori » sibilò verso Alex, che si alzò di scatto e alzò le mani in segno di resa. « Non l’ho mica toccata, Malfoy » disse ironico, alludendo al fatto che il vestito di Lily era alzato più del consentito e lei guardasse come un ebete il soffitto, come chissà che panorama ci fosse lassù.
« Stai tastando troppo la mia pazienza, Rosier. Ho detto fuori » mormorò Scorpius, con una calma surreale. Alex non se lo fece ripetere due volte e uscì fuori dal dormitorio, spalleggiandolo appena e chiudendosi – con un tonfo sordo – la porta alle spalle.
« Stronzo » sbottò Scorpius, mettendo un braccio sotto le ginocchia di Lily e l’altro attorno al busto: la prese tra le braccia facilmente, depositandola sul suo letto mentre lei continuava a ridacchiare convulsamente.
« Odori di buono » bisbigliò Lily, guardandolo allontanarsi.
Scorpius aprì il proprio baule e afferrò il pantalone di una tuta – il più piccolo che avesse –  sedendosi sulla sponda del materasso e chiudendo le tende verde smeraldo che circondavano il letto a baldacchino, insonorizzando poi l’aria circostante, giusto per non essere disturbato al ritorno degli altri. Tolse le scarpe dai piedi di Lily e le infilò il pantalone, aiutandola ad arcuarsi e a coprire definitivamente le gambe.
« Non mi sento bene » balbettò Lily, guardandolo confusa. Non finì nemmeno di completare la frase che aveva già il volto piegato a pochi centimetri dal pavimento a vomitare anche l’anima.
« Merlino, che schifo! » sbottò Scorpius, tenendole la fronte e mantenendole i capelli per evitare che le coprissero il viso sudato e pallido.
Un conato, due, tre.
Lily gemette.
Quattro, cinque, sei.
Scorpius le strinse con forza un braccio.
Sette, otto, nove.
Sembrò che finalmente avesse vomitato tutto ciò che le rivoltava lo stomaco, perché Lily crollò sdraiata tra i cuscini, con gli occhi semi-chiusi e il respiro affannato.
« Gratta e netta » mormorò Scorpius, puntando la bacchetta contro la pozza di vomito ai piedi del suo letto e le tende, macchiate dalle sostanze che la ragazza aveva bevuto quella sera.
« Stai bene? »
Lily scosse il capo.
« Domani starai meglio »
« Resti con me? » bisbigliò Lily, tirandogli timidamente un gomito e incitandolo a sdraiarsi al suo fianco.
Scorpius, sospirando, eseguì l’ordine senza emettere un fiato: l’odore di Lily era un mix di alcool, bagnoschiuma a miele e cioccolato; accostò il volto al suo e si morse con forza le labbra quando la vide sorridere.
Era la prima volta che gli sorrideva e… gli piaceva il modo in cui i suoi zigomi si alzavano e le fossette comparivano ai lati del suo viso. Gli piaceva il modo in cui i suoi occhi si illuminavano, anche se lo facevano perché era ubriaca.
« Grazie »
« Sta zitta e dormi, Potter »
Lily ridacchiò, stanca, ubriaca, spossata. Le girava la testa, aveva la nausea, non capiva quasi niente di quello che lui le diceva, ma sapeva che – in quel momento – era la cosa più bella che avesse mai visto.
Senza preoccuparsi del domani, senza preoccuparsi del resto e perfino di se stessa, rafforzando la promessa che lui aveva fatto a se stesso… non si accorse che la lancetta più piccola si posò proprio sul tre, quando, facendolo rimanere di sasso, accarezzò le sue labbra con le proprie in un lungo e dolce bacio.
Aveva l’alito che puzzava di vomito, i capelli che erano un disastro e probabilmente non avrebbe ricordato niente di quella notte… ma Scorpius non si spostò di un millimetro, giurando di negare fino alla morte dello spasmo che aveva colto il suo cuore quando lei aveva respirato nella sua bocca.
Erano le tre in punto e Scorpius stava bene così.
 
 
 
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Angolo Autrice:
 
Ciao a tutti J
Innanzitutto vorrei ringraziarvi: le vostre recensioni sono meravigliose e non credevo che così tante persone leggessero questa storia, nonostante sia solo al terzo capitolo! Vorrei ringraziare voi recensitrici, che siete degli angeli – letteralmente – e chi ha messo la storia nelle preferite, nelle ricordate e nelle seguite: quanto posso amarvi? Ps. per chi volesse aggiungermi, questo è il mio contatto facebook:

https://www.facebook.com/peaces.efp?fref=ts
L’immagine è stata creata da LuluBroken_Heart e posso dire che amo lei e anche il piccolo regalo che mi ha fatto!
Seguendo la disposizione delle immagini, i personaggi sono i seguenti:
Scorpius e Lily – Joe e Dalton – Crysantha e Albus Potter – Thomas e Alexander Rosier.
Questo è solo un capitolo di passaggio, ma spero che non sia comunque tremendo come lo vedo io… ringrazio ancora per il sostegno che mi state dando, siete un amore! <3

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo - Crazy ***


Capitolo Terzo -
Crazy

 

"Non serve mica gridare per avere più attenzione.
Le stelle stanno in silenzio, eppure c’è chi le guarda per ore."



Le partite di Quidditch, per tutti gli studenti di Hogwarts, era un bel modo per passare i fine settimana dettati dalla noia… tutti gli studenti a tutte le partite del campionato, tranne quando lo scontro avveniva tra Grifondoro e Serpeverde; lì c’era bisogno di prepararsi settimane prima – fisicamente e psicologicamente – perché gli scontri iniziavano esattamente giorni antecedentemente la partita. E succedeva il finimondo.
Frecciatine nei corridoi, veri e propri duelli, sfregi all’altro dormitorio e chi più ne ha più ne metta: erano arrivati davvero ai ferri corti e la Mcgranitt si era chiesta più volte se annullare la partita per il bene Universale. Non Superiore, questa volta, ma Universale, che era ben diverso; se prima era quasi impossibile gestire le liti tra il clan Weasley\Potter e Malfoy\Potter, ora era praticamente impossibile, anche se sapeva fin troppo bene che Lily Luna rispondeva alle provocazioni dei parenti solo perché si riferivano a lei in prima persona, poiché dell’orgoglio “Serpeverde” e della partita imminente, non le fregava davvero un tubo.
E davvero era così: Lily non aveva mai partecipato alle partite di Quidditch, sia perché considerava lo sport noioso sia perché sapeva che si sarebbe beccata qualche bestemmione se avesse tifato per i Serpeverde o viceversa; era racchiusa tra due fuochi, ma dopo che suo cugino Hugo le aveva dato della “viscidona” potevano di certo contare sul suo striscione, che sarebbe stato il più grande tra le file verde-argento e avrebbe recitato “Forza Verdi, forza Scorpius, siamo fighi, siamo forti!”.
Lily non era mai stata una tifosa accanita, o semplicemente tifosa e basta, ma era stata tirata in mezzo et voilà: una rossa combattiva che si stava quasi strozzando con la sciarpa dei suoi colori al collo, stringendo i lembi della stoffa come se non ci fosse un domani e maledicendo i Grifondoro in tutte le lingue del mondo, compreso il Marino, il Serpentese e il Draghese, anche se non esisteva, ma pazienza: l’aveva imparato con l’odio che provava verso la sua stupida famiglia e il loro stupido orgoglio.
Stupidi, stupidi e stupidi! pensò rabbiosa, mentre chiazze rosse le coloravano le guance e lei si legava i capelli rossi in una coda disordinata. Pff, idioti.
« Non sapevo volessi morire giovane, Potter » sbuffò Crysantha ironica, passandosi un lucidalabbra rosa perla sulla bocca sottile e sorridendo sorniona verso di lei. Aveva raccolto i capelli in una coda alta, aveva indossato dei pantaloni neri a sigaretta e una camicia bianca, la stessa sciarpa che indossava lei e le scarpe da ginnastica bianche… mentre Lily, invece, aveva optato per qualcosa di più… estremista, ecco.
Mai sfidare un Potter, diceva il detto e mai cosa fu più vera: Lily Luna indossava un paio di pantaloni verde smeraldo di seta e una maglia d’argento con la scritta “I verdi siamo noi, la feccia siete voi e i vincitori saremo sempre noi!” con tanto di cuoricini e serpenti. Crysantha si trattenne dallo schiaffeggiarsi violentemente la fronte.
Che Merlino la fulminasse, era orribile vestita in quel modo e sicuramente sarebbe stata derisa da tutti, nessuno escluso « Sei sicura di voler uscire in questo modo? Sei… sei un po’ troppo, non credi? » disse, mentre un sorriso psicopatico compariva sulle labbra della ragazza, spaventandola a morte.
« Oh, no, no, mia piccola e dolce ingenua ragazza – e lì Crysantha seppe che Lily aveva perso letteralmente la testa – tu non conosci la mia famiglia. Tu non la conosci » bisbigliò febbrilmente, caricandosi lo striscione sotto il braccio e sorridendo come una psicopatica in piena crisi.
E questa volta, controvoglia, Crys le diede ragione – e per forza! – perché la faccia impagabile del clan Potter\Weasley fu qualcosa di estremamente epico; le loro bocche aperte, i loro sguardi omicidi e i bisbigli che si sollevarono al passaggio di Lily Luna Potter, fecero godere i Serpeverde come maiali.
Albus Potter si strozzò con il purridge mattutino, Rose Weasley sputò tutto il succo di zucca e Hugo stramazzò letteralmente tra le braccia di Fred II… se non avesse indietreggiato allibito alla vista della cugina, lasciando che cadesse a terra come un sacco di patate.
« Santissimo Merlino » sussurrò Joe Smith, facendosi il segno della croce e fissando la compagna di disavventure, malelingue e vita di merda come fosse l’anticristo: adorava Lily e non aveva nulla contro i Serpeverde, ma quello era un affronto! Uno scandalo! « Hm, con quell’espressione mi farai impazzire, Smith » e naturalmente non poteva mancare quell’idiota di Dalton, che ammiccò nella sua direzione e si beccò dietro un bestemmione grande quanto una casa, con tanto di fiocco e vaffanculo.
« Mamma mia, ma che hanno tutti, oggi? » borbottò Zabini, avanzando il passo e sedendosi alla sua tavolata. Sospirò, scompigliandosi i capelli e si servì del solito caffè corretto, scuotendo – indignato – il capo. Si guardò attorno, cercando di capire dove fosse la fonte di tanto stupore, quando i suoi occhi si posarono su Lily. « Porco Merlino! » strepitò, balzando all’indietro e fissando la ragazza con la bocca semi-aperta.
« Ehi, Scorpy, sapevo che le ragazze con cui stavi perdevano la testa, ma non a tal punto… » e urlò letteralmente quella frase, zittendo tutta la Sala e attirando lo sguardo di ogni studente presente. Ammutolì. Guardò Scorpius. Fissò Lily. Sogghignò.
« Ma probabilmente alla festa di Thomas te la sei fatta così selvaggiamente da farle perdere il senno! »
E se non fosse stato per la mania di protagonismo che possedevano tutti i Zabini – nessuno escluso – e la loro voglia di attenzione non avesse superato il senso logico e la coscienza, quella che avrebbero tenuto tutti per tenere la pace lì ad Hogwarts, forse non sarebbe successo il putiferio.
Albus Potter aprì la bocca parecchie volte, sembrava voler dire qualcosa – o urlarla, per precisionema nemmeno un suono uscì dalle sue labbra violacee, in netto contrasto con la faccia bianca: per un attimo tutta Grifondoro temette che al capitano sarebbe venuto un coccolone e che non avrebbe giocato la partita, ma quando si alzò lentamente dal tavolo, col capo e basso e in una scena tipica dell’esorcista versione integrale, capirono che Albus Potter avrebbe giocato e avrebbe pure vinto.
« Io e te. Oggi. Campo da Quidditch. Duello a ultimo sangue. Ti sfido per l’onore di mia sorella! » urlò, puntando il dito contro Scorpius e alzando e abbassando il petto per il respiro affannoso. Gli occhi verdi mandavano lampi a chiunque lo fissasse per più di un secondo, e se n’è andò, sbattendo i piedi per terra e scatenando una guerra di bisbigli.
« Se si scannano sarà tutta colpa tua! » sibilò Thomas verso Dalton, chiedendosi perché la famiglia Zabini dovesse essere tutta così.
Blaise era un trauma già di per sé, con le sue manie di grandezza e il comportamento da gran donna, ma se al quadro vi si aggiungeva Asia Conti, un italiana tutta matta, mezza isterica e con la passione per la moda, dalla loro unione non poteva uscire altri che Dalton Zabini, l’esempio estremo di stupidità umana.
« Se Scorpius vincerà questa partita e avrà qualcuno nel suo letto, sarà tutto merito mio » ribatté Dalton, facendo l’occhiolino a Joe e beccandosi un calcio da sotto il tavolo da Tom. Si strozzò con il caffè. Scorpius si massaggiò le tempie, incredulo.
« Che Morgana, santa protettrice delle zitelle acide a vita, ti eviri » sibilò cattivo verso il compagno, mentre Lily sobbalzava nel sentire quelle parole.
« Non osare nominarla, stupido uomo, tu non ne sei degno! » strepitò, indignata.
« Ha parlato quella vestita come una appena scappata dal reparto igiene mentale del San Mungo… »
Ed ecco la seconda batosta della giornata: Dalton Zabini fu spinto con la faccia nel purridge di Thomas Nott, quasi soffocando di prima mattina e venendo bloccato a placcaggio per non mandare una maledizione dritta dritta sulla faccia della Potter. « Giuro che sei morta, Potter! Morta e sepolta. Morta e sepolta! Tu non sai chi sono io, tu non sai chi sono e le conoscenze che ho… sei rovinata! » e blablablabla, avrebbero detto gli altri Serpeverde, perché Dalton poteva considerarsi cattivo tanto quanto una barbie inanimata armata di un fiore di plastica.
Con un gesto secco e stizzito – borbottando a bassa voce – si pulì la faccia con un fazzoletto, chiedendosi quella mattina chi gli avesse messo in testa di alzarsi e raggiungere la Sala Grande: lui lo sapeva bene che sarebbe finita in quel modo, eccome se lo sapeva!
Ogni anno, un Serpeverde che giocava contro i Grifondoro, si irritava per qualche “strana” ragione e lo infastidiva. E va bene, a volte lui li provocava, ma questo non dava loro il diritto di prendersela con lui! E che diamine!
« Lascia stare Lily e vieni con me! » e, sotto lo sguardo sbigottito di Tom, e la sua espressione beata – che aveva sostituito immediatamente quella arrabbiata – Joe Smith lo trascinò per il braccio fuori dalla Sala, con il passo deciso e lo sguardo battagliero.
Passò per parecchi corridoi – ne sorpassò alcuni adiacenti – e finalmente si fermò: entrò in un aula vuota e lo sbatté al muro, mentre lui già pregustava il momento in cui lei lo baciava con passione, sognando ad occhi aperti e aspettando il tanto e sospirato attimo in cui sarebbe successo… rimanendo deluso quando lei, invece di poggiare le sue delicate labbra sulle proprie, lo schiaffeggiò con violenza.
« Ehi! » sbraitò, tenendosi la guancia e guardandola come se fosse impazzita.
Joe alzò gli occhi al cielo, allontanandosi e sedendosi sulla cattedra impolverata, mormorando frasi a mezze labbra e borbottando come una vecchietta impazzita.
« Non sta funzionando, Zabini! Non sta funzionando! Sono sempre la stessa, sono sempre io! E le persone continuano a prendermi in giro. Con il tuo volermi insegnare le buone maniere e le regole del galateo mi sono arrivati complimenti solamente dalla Mcgranitt per l’ottimo portamento e il comportamento di una dama.
Mi prendi per il culo, maledizione? Io volevo che Tom mi trovasse sexy o almeno che qualcuno mi dicesse che ero cambiata, che ero carina, non che la preside mi dicesse che bella schiena dritta avessi, Zabini! » urlò, esasperata, mentre sulla bocca di Dalton si dipingeva una smorfia.
« Quindi è questo che vuoi? Diventare una bambolina come tutte le altre? Magari conquistare Thomas e vivere per sempre felice e contenti con lui? Magari nella beata ignoranza che tutto vada bene? » mormorò, alzando lo sguardo e puntandolo nel suo.
Joe si bloccò, interdetta, guardandolo da sotto le lunga ciglia e chiedendosi perché lui le stesse dicendo tutto quello: conosceva fin dall’inizio le sue intenzioni, sapeva fin dal principio qual’era il suo scopo. Perché ora sembrava che gli stesse rinfacciando quello che si erano ripromessi alle tre di notte? Era quello il mezzo per arrivare al suo fine.
« Io ti ho permesso di organizzare la festa di Tom e ti ho fatto i compiti, ora sta a te continuare il lavoro e renderlo concreto » bisbigliò Joe, distogliendo lo sguardo e fissandosi le scarpe con un nuovo interesse.
Dalton sogghignò, scuotendo il capo e afferrando con movimenti gesti e calibrati la scatoletta di legno scuro dalla tasca della divisa da Quidditch: con i denti sfilò una sigaretta dal contenitore, accendendo una piccola fiammella con la bacchetta e aspirando dal filtro per sentire il fumo invadergli i polmoni.
Aspirò, socchiudendo gli occhi.
« Come vuoi, Smith. Ci vediamo questa notte alle tre, solito posto » rispose, gelido, dando le spalle alla ragazza e chiudendosi in un silenzio ostinato. Joe trattenne il respiro, afferrandolo di slancio per un braccio e cercando di incrociare il suo sguardo: niente, Dalton sembrava sfuggirgli come il fumo che fuoriusciva dalle sue narici dilatate.
« Che c’è? » domandò Dalton, con le labbra schiuse e la sigaretta a penzoloni.
Joe balzò all’indietro, quasi scottata e scosse il capo, sorridendo amaramente « Niente » bisbigliò, nascondendo le mani dietro la schiena come a non voler ripetere l’esperienza.
« A dopo » sussurrò, dandole le spalle e uscendo dall’aula a passo cadenzato, lento, abbandonando il suo solito tono balzante e adottando un lato ombroso che non aveva mai visto sul suo viso e che – forse – le fece un po’ male.
Dalton era sempre stato un tipo solare, fastidioso con quel sorrisetto sempre stampato sulla faccia e la voglia di prevalere su tutto, ma non aveva mai perso la sua aria baldanzosa e il suo lato scherzoso, come a voler prendere perennemente tutti per il culo.
Trattandola in quel modo si era sentita come… esclusa, come se fosse stata colpa sua quel cambiamento d’umore. Joe si morse con forza le labbra, sospirando afflitta e uscendo dall’aula a testa bassa: era un po’ pensierosa, a dire il vero.
Dalton era stato molto duro nel rivolgerle quelle parole e si era sentita punta sul vivo, perché Joe voleva davvero diventare come una bambola; voleva che gli altri la guardassero e pensassero che lei era bella, non anonima, non grassa, non brutta o normale, ma bella. Voleva che i ragazzi le chiedessero di uscire, magari permettersi di rifiutare qualcuno e riderne con le amiche… voleva una vita normale, quella di ogni adolescente, quella che aveva avuto perfino Lily, l’esclusa, l’asociale. Perché a lei non era permesso? Perché? « Ciao » troppo persa nei propri pensieri non si accorse della figura appoggiata con disinvoltura accanto le porte della Sala Grande, completamente svuotata: dallo sciame di studenti riversi fuori dalle mura, si disse che si stavano recando tutti allo stadio per la partita. Tutti tranne lui.
Appoggiato accanto le clessidre dei dormitori e illuminato dalla luce che filtrava dalle arcate – che permettevano la visione del giardino e del Lago Nero – Thomas Nott inclinò il capo, chiudendo il libro che teneva aperto tra le braccia e guardandola con i suoi grandi occhioni blu. Solo Merlino sapeva quanto erano belli, quasi come quelli di una bambola di porcellana.
Thomas – probabilmente – aveva ereditato tutto da sua madre: il portamento, i lineamenti fini e delicati, l’andatura soffice. Ma i capelli scuri e il buio nelle iridi l’aveva ereditato da suo padre, Theodore Nott; silenzioso, dedito allo studio e perfettamente conscio delle buone maniere, in vista solo grazie all’amicizia con Scorpius e Dalton.
Joe amava il modo in cui lo trovava sempre allo stesso punto, intento a leggere e leggere senza mai stancarsi. Amava le sue ciglia arcuate nel leggere una frase più complessa o le sue labbra imbronciate o sorridenti.
« Oh, oh » balbettò, sbattendo ripetutamente le palpebre e sorridendo imbarazzata.
Dalton, nascosto dietro le arcate, mimò di ficcarsi due dita in gola e vomitare.
Disgustosi, pensò, guardandoli di nascosto e grattandosi una natica con uno sbuffo: se Joe voleva Tom bastava dirlo prima… lui ci avrebbe messo lo zampino per farli allontanare ancor prima che si avvicinassero.
Normale, no?
« Ho visto Dalton e… non ti ha fatto mica qualcosa? » mormorò Tom, guardandola preoccupata e – senza accorgersene – facendosi guardare male da Dalton: ti ha fatto qualcosa? Ma che era un violentatore seriale o qualcosa del genere? Le ragazze lo imploravano per essere fatte qualcosa – o fatte e basta, a seconda delle scelte – mica lo faceva con la forza, lui!
« Oh! No, no, non preoccuparti! Abbiamo discusso su… su… » e, con un sorrisetto perfido, Dalton la vide impappinarsi: Joe prima impallidì, poi arrossì e poi impallidì di nuovo.
Avanti, dì la verità, pensò, ancora nascosto tra i cespugli e le frasche. Il sole picchiava forte e se la Smith non si sarebbe sbrigata e quel teatrino non si sarebbe chiuso, sicuramente si sarebbe beccato un insolazione e qualche animaletto ficcato su per la gamba, diretto dritto nel cu… « Lily, sì! Abbiamo discusso su Lily! » sbottò Joe, sorridendo angelica e quasi facendolo cadere all’indietro.
Che diavolo c’entrava adesso la Potter? Pensò indignato, aprendo la bocca per ribattere e ficcandosi un pugno in bocca per zittirsi: quasi dimenticava che lui stava origliando ed era nascosto, quindi – di conseguenza – non poteva rispondere a nessuna delle idiozie che stava sparando quell’idiota.
Maledette le donne e chi le aveva create!
« Lily? » domandò Tom, confuso, aggrottando le sopracciglia.
Dalton s’illuminò: vai, Tom, stammi vicino e difendi il mio onore! Pensò, annuendo ovvio alle sue parole.
« Sì, certo, Lily. Quello stupido di Zabini voleva provarci con lei e io gliel’ho proibito categoricamente! » disse Joe, sorridendo convinta e facendo cascare la mascella a Dalton. Stupido Zabini? Provarci con la Potter? Lei che glielo proibiva?
Eh?
« Oh, ehm… capisco » borbottò Tom, sorridendo a centocinquanta denti e grattandosi la nuca, imbarazzato.
Eh?
« Sta per iniziare la partita… vuoi andarci o…? » mormorò Joe, arrossendo sulle guance e guardandosi la punta delle scarpe.
Dalton respirò piano, ispirando dalle narici.
Ripeté mentalmente: eh?
« Vieni, ti accompagno sugli spalti » e dicendo così la prese sottobraccio, sorridendole appena e mostrando una schiera di denti bianchi. Joe lo guardò sorpresa da quel gesto, stringendo appena il suo maglione tra le dita e sbattendo ripetutamente le palpebre.
Annuì, entusiasta, e si lasciò trascinare oltre le arcate, abbandonando il ticchettio delle scarpe sulla pietra e affondando i piedi sull’erba alta, come una bambina, coprendosi gli occhi dai raggi del sole che le illuminavano il volto.
Dalton richiuse la bocca di scatto, mentre la sua mente ripeteva costantemente: eh?
Stupido Zabini? Provarci con la Potter? Proibito categoricamente?
EH?
Ma lui l’ammazzava! La strozzava, l’affogava con le sue stesse tette stratosferiche! Come osava? L’aveva paragonato ad uno stupido qualsiasi, ad un maniaco Corvonero – che erano molto più pervertiti di qualsiasi altro dormitorio – o peggio… ad un depravato Grifondoro. Come si permetteva? Se Dalton voleva l’avrebbe fatta cadere ai suoi piedi con uno schiocco di dita!
« Uno schiocco di dita, eh… » bisbigliò tra sé e sé, strofinando le mani una contro l’altra e abbozzando un sorrisetto malefico.
Oh, Joanne Smith non sapeva contro chi si era messa, no, no! Aveva visto solo un lato di lui… ma l’avrebbe conosciuto bene, molto bene e se ne sarebbe pentita amaramente.
Parola di Zabini!
« Che diavolo ci fai ancora qua, Dalton? Comincia la partita! » e come un tornado, avvolto dalla divisa verde-argento, Scorpius Malfoy lo afferrò per la collottola, trascinandolo – quasi strozzandolo – per tutto il giardino, dietro le Serre, oltre il Lago Nero, per arrivare negli spogliatoi del campo da Quidditch: tutto questo in assoluto silenzio, cosa strana sia per Dalton che per Scorpius.
Erano stranamente silenziosi e quando entrarono negli spogliatoi furono accolti solamente da occhiate cariche di aspettative. Tutti, tutti si aspettavano di uscire vincitori, quella volta, dallo scontro contro i Grifondoro.
Tutti volevano vincere, Scorpius e Dalton compresi. Per il primo era una sfida contro i suoi nemici di sempre, per dimostrare loro che non sempre gli “eroi” acclamati della scuola vincevano, non ora che in palio sembrava esserci Lily.
L’onore della Potter… ma Al Potter non sapeva che dietro quelle parole c’era molto di più: si stavano giocando Lily in tutto e per tutto e se Scorpius avesse vinto, si sarebbe preso tutto il pacchetto.
Per Dalton, invece, la cosa era diversa. Stava per dimostrare che quando il gioco si faceva duro, i vincitori scendevano in campo e vincevano. Voleva dimostrare a quella stupida della Smith che non era solo il giullare di Serpeverde, ma era qualcosa in più.
Lui era “più” e basta.
« L’anno scorso siamo stati umiliati grazie al capitano dei Grifondoro, James Potter. Devo ammettere che fu una sconfitta coi fiocchi e che Potter aveva le contro palle,  una partita magnifica, lo ammetto, ma noi abbiamo perso la coppa … e oggi, per la prima partita contro i Grifondoro, voglio il massimo.
Alla fine della stagione voglio quella coppa tra le mani e ho bisogno, questa volta, di vedere quei maledetti Grifondioti abbassare lo sguardo al nostro passaggio; è il nostro turno di vederli sconfitti, d’accordo?
Calista, Dalton, Ethel, voglio vedere quella maledetta palla negli anelli fino a non tenerne più il conto, siamo d’accordo?
Mcbeth, Wright, fate conto che quelli che vedete volare sono pali da abbattere… non esseri umani che potrebbero venire feriti; voglio vederli a terra, che abbiano o no la testa rotta – e qui i due bestioni sorrisero, soddisfatti, annuendo alle parole del capitano – infine… Goyle, sei alto due metri per centocinquanta chili, anche da fermo copri la bellezza di due anelli… se ti muovi con un po’ d’intelligenza, forse, potremmo anche impedire ai Grifondoro di segnare.
Siate leali, fin quando il gioco non comincia a farsi duro » disse Scorpius, facendo l’occhiolino al resto dei componenti della squadra, che batterono le mani e diedero il cinque al Serpeverde.
Respirarono a fondo e scrollarono le spalle, cercando di scaricare l’ansia.
Nessuno di loro si era comprato l’ammissione in squadra, come sostenevano i Grifondioti e alcuni Corvonero. Nessuno di loro si era comprato la partita ed era arrivato il momento della verità, il momento in cui avrebbero potuto riprendersi la rivincita e la dignità.
« Che Salazar ci aiuti! » mormorò Dalton, affiancando l’amico e tendendo le orecchie nel sentire Colin Canon – figlio di Dennis Canon e Elizabeth White – dare il benvenuto agli spettatori per la prima partita della stagione.
« Ed ecco che scendono in campo i nostri Grifondoro, oggi più agguerriti che mai grazie alla sfida che Albus Potter ha lanciato al capitano dei Serpeverde, Scorpius Malfoy! » urlò dal microfono, mentre un boato di applausi accoglieva la squadra rosso-oro.
« Si. Limiti. Ai. Commenti. Della. Partita. » sillabò la Mcgranitt dal microfono, ricevendo in risposta una risatina collettiva dagli spalti e dal nano biondo.
« Ed ecco che si libra in cielo il nostro capitano e cercatore, Albus Potter! A seguito Fred e Hugo Weasley, battitori – e diciamocelo, signori e signori! Non avevamo due battitori di questo calibro dai tempi di George e Fred Weasley! – poi Bennett, Brown e Roxanne Weasley come cacciatori – hai rubato il mio cuore, bambola, puoi dirlo forte! – e infine il nostro portiere! – mani in alto, signori, mani in alto! – per Jeremia Baston! – tuo padre è stato un mito nell’ultima partita, Jem, dagli i miei complimenti e superalo! – » urlò, mentre la sua voce carica riempiva lo stadio e urla e ovazioni facevano tremare gli spalti.
Come Lee Jordan ai suoi tempi era stato di parte, naturalmente, lo era anche Canon: che tifasse Grifondoro era sfacciatamente chiaro, ma almeno riconosceva i meriti delle altre squadre.
« E dall’altra parte, vestiti dai colori verde-argento, ecco che scendono in campo i Serpeverde! » strepitò Colin e se qualche Tassorosso applaudì per gentilezza, dagli spalti delle Serpi arrivò un boato di applausi e le urla fin troppo eccitate – e Scorpius era sicuro che fosse solo foga nel farsi sentire – di Lily, che sbandierava il suo striscione come niente fosse.
« Bello slogan, Potter, complimenti! » rise Colin, ricevendo un “grazie, lo so” da Lily, che mostrò il pollice a chiunque la guardasse male.
Scorpius rise, scuotendo il capo.
« Ed eccoli che scendono in campo, più agguerriti che mai, Scorpius Malfoy e Dalton Zabini, accanto come sempre! – trattenete la bava, ragazze, non vorrei mai che qualcuno si facesse male – a seguito quelle due pollastrelle – ma arpie fino al midollo, ragazzi, non provateci se non volete ritrovarvi con qualche arto in meno e ve lo dico per esperienza personale – Calista Jackson e Ethel Blows! Dietro di loro seguono quelle montagne di Mcbeth e Wright – comportatevi bene con quella mazza, eh – e l’indecenza sovrumana di Vincent Goyle, che diventa ogni giorno più grosso – e più scemo, se vogliamo dirla tutta – » urlò, beccandosi uno scappellotto dalla Mcgranitt e alcuni insulti velati dai Serpeverde.
Ora erano in campo e si fronteggiavano tutti. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, Malfoy si sarebbe ritrovato metri sotto terra e se tutti avessero avuto il sorrisetto rilassato e vittorioso di Malfoy, Albus Potter avrebbe fatto una strage di massa.
« Conoscete le regole… voglio un gioco pulito » urlò Madama Quaffle, guardandoli ad uno ad uno. Nessuno dei due capitani tese la mano all’altro e questo se l’erano aspettati tutti, dal primo a l’ultimo.
Madama Quaffle fischiò e Scorpius quasi fu assordato dagli applausi e dalle urla.
« La palla è stata lanciata in aria, i bolidi sono stati liberati e il boccino è già sparito dalla vista di noi comuni mortali!
Roxanne Weasley parte di quarta, prende la pluffa, supera di gran lunga gli avversari! – che portento, Roxanne, che portento! – vola sul campo come la mitica Angelina Jhonson, da cui ha ereditato non solo il fisico da paura, ma anche la capacità di volare come un rapace!
Scansa un bolide da parte di Mcbeth e Merlino, Wright l’ha presa in pieno! Perde la pluffa, fortuna vuole che rimanga in sella ed ecco che Dalton afferra prontamente la palla e parte dalla parte opposta del campo, verso gli anelli.
Fred cerca di fermarlo con un bolide, ma con una giravolta micidiale continua la sua camminata! Roxanne cerca di riprendersi la pluffa, ma Zabini accelera, accelera ed è goaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaal! » urlò Canon, mentre lo stadio esultava e faceva tremare le fondamenta.
Scorpius esultò, dando il cinque all’amico e Lily quasi cadde dagli spalti – facendosi notare eccome dall’altra parte – per urlare il nome di Dalton. Gli altri Serpeverde, semplicemente, fecero la ola, acclamando il ragazzo, che fece inchini a destra e manca.
« Dieci a zero per i Grifondoro, ragazzi miei, che partita che si prospetta, che partita! Il vento sferza, ma i nostri giocatori sembrano molto più veloci, signori e signori! Valerie Brown afferra la pluffa che Baston le lancia e corre, Merlino se corre! Viaggia come un tornado, è sicuro questo punto, nessuno la ferma, nessuno la ferma!
Evita Zabini con una sferzata e un bolide di Wright con una giravolta da campionessa olimpiaca. È una campionessa, signori, una vera campionessa!
È vicina agli anelli, è vicina agli anelli! Merlino, sta per segnare, sta per segnare, eccola signori, quella pluffa sta per entrare e MERLINO! Un bolide di Mcbeth la prende in pieno e la disarciona!
Cade, cade, fermate questa caduta, maledizione! »  strepitò Colin, preoccupato, mentre Madama Quaffle provvedeva ad arrestare la caduta libera e accertarsi che stesse bene « La partita continua anche senza la Brown, ora trascinata in infermeria su una barella magica – riprenditi presto, dolcezza – e gli animi si surriscaldano.
Albus Potter gira come un cane in gabbia alla ricerca del boccino, ma Scorpius Malfoy sembra tranquillo e guarda solo lo svolgersi della partita: cosa avrà in mente?
Calista Jackson parte alla riscossa, facendo venire un coccolone ai Grifondoro: prende la pluffa ed evita due bolidi incrociati dei cugini Weasley, va contro il portiere, eccola verso il portiere! Evita Roxanne Weasley con una sferzata ed eccola che lancia la palla… UNA FINTA! Baston si distrae, va dalla parte opposta e Calista Jackson segna! » urlò Colin dal microfono, mentre i Grifondoro battevano ripetutamente la testa contro la balaustra degli spalti. Scorpius esultò nuovamente e Lily acclamò il tutto con un urlo stratosferico, sventolando lo striscione.
« Venti a zero per i Grifondoro, miei signori, venti a zero! Albus Potter si arrabbia e urla contro tutti, in risposta riceve il silenzio della sua squadra. Non capitava una cosa del genere dall’uscita di scena di James Potter, ragazzi! Che partita, che partita! » disse, stringendo il microfono magico e ricevendo insulti poco velati dal suo dormitorio.
Albus strinse con forza il manico tra le mani e Scorpius si drizzò sulla scopa: qualcosa di dorato stava brillando verso gli spalti verde-argento.
« Malfoy sembra aver visto qualcosa, no! Malfoy ha visto qualcosa!
Vola velocemente verso gli spalti, che sta facendo? Alle calcagna c’è Albus Potter, ora più agguerrito, ecco che si toccano, si spalleggiano! Hanno visto il boccino? » e Colin balzò dalla sedia per vedere meglio, quasi spiaccicandosi contro il vetro.
Scorpius diede l’ennesima spallata ad Albus per averla meglio « Lascia perdere, Malfoy, Lily non guarderà mai uno come te! Lei è ancora innamorata di Michael Thomas! » urlò Albus, per farsi sentire, forse sperando di distrarlo o di farlo desistere.
Scorpius sorrise.
« Non sembrava così innamorata quando mi ha infilato la lingua in bocca, Potter! » rispose, storcendo la bocca in un sogghignò e slanciandosi in avanti, proprio su Lily. Si ritrovò sopra di lei con le urla dei Serpeverde che echeggiavano sulla sua testa, mentre Albus si bloccava dietro di lui con gli occhi sgranati.
Lily aveva baciato Malfoy!
« Santissimo Merlino! E da venti minuti dalla partita, Scorpius Malfoy ha preso il boccino!
Serpeverde vince la partita! » urlò Colin, mettendosi le mani nei capelli, incredulo.
E, facendo quasi svenire Albus, facendo venire un traverso di bile a tutti i Grifondoro, con la mano alzata verso l’alto e il boccino racchiuso tra le dita, Scorpius si alzò all’in piedi, tenendo Lily per un braccio e baciandola di slancio.
E, sotto lo sguardo di tutta la scuola, Lily strinse il collo di Scorpius e l’avvicinò a sé.
 

***

 
 
« Sei impazzita o cosa? »
« Cosa »
Joe si schiaffeggiò con violenza la fronte, guardando la sua migliore amica con un cipiglio severo. Si era resa conto, vero, che aveva appena baciato Scorpius Malfoy davanti a tutta la scuola? E anche, vero, tutta la sua famiglia?
« Sii seria per una volta, Lily! » la rimproverò, incrociando le braccia al seno e fissandola esasperata. La ragazza alzò gli occhi verso di lei, afferrando una sigaretta alla menta dal pacchetto di legno che portava sempre con sé. Sogghignò.
« Scorpius voleva vendicarsi di Albus e io volevo farlo perché in un modo o nell’altro – la mia famiglia – trova un modo per mettermi in mezzo a qualcosa. Vogliono rendermi colpevole di essere una Serpeverde? Io gli darò modo di conoscere la vera Serpeverde che c’è in me » sibilò Lily, afferrando la bacchetta e sussurrando un incantesimo per far apparire una piccola fiammella dalla punta.
Joe scosse il capo e Lily si accese la sigaretta, aspirando dal filtro e riempiendo lo spazio angusto del bagno di Mirtilla Malcontenta con il fumo azzurrognolo che fuoriuscì dalle sue narici dilatate.
Le piastrelle erano sempre più fredde, l’aria umida e il gocciolio dei lavandini era l’unico suono che – in quel momento – si sentì tra quelle mura. Lily si strinse le ginocchia al petto, poggiata contro la porta di legno di uno dei cinque cubicoli sul lato destro, mentre Joe la guardava dall’alto, con disapprovazione.
Aveva i capelli neri legati in una coda alta e il viso pallido completamente scoperto: c’era qualcosa, in lei, che non riconosceva più; sembrava sempre più cupa, quasi triste e Joe lo era di rado, almeno in apparenza.
Era così ossessionata dal suo peso da non vivere più bene; prima si abbassava la maglia nera, poi si alzava i pantaloni dello stesso colore. Si aggiustava la coda e poi si toccava il viso per accertarsi che fosse tutto apposto. Perché? Lily se lo chiedeva continuamente.
Perché le persone l’avevano portata fino a quel punto? L’avevano portata ad odiarsi, a non riuscire nemmeno a guardarsi allo specchio.
Lily sospirò, mentre le labbra bruciavano a contatto con il filtro della sigaretta.
« Smettila » bisbigliò, alzando gli occhi bruni sull’amica e toccandosi – nervosamente – una ciocca di capelli color rubino.
« Di fare cosa? » mormorò Joe, continuando a restare all’in piedi davanti a lei, come se guardarla dall’alto la facesse sentir meglio. Lily inclinò il capo, lasciando che i capelli rossi le ricadessero sulla spalla fragile, magra, quasi scarna.
« Di ucciderti con le tue stesse mani, Joanne » sussurrò Lily, facendo l’ennesimo tiro dalla sigaretta e – con una smorfia – notò le spalle dell’amica irrigidirsi fino all’inverosimile.
« Parli bene, tu. Non hai mai avuto questo tipo di problemi, mentre io mi ci sollazzo ogni momento e sono stanca, Lils, stanca. Voglio svegliarmi una mattina e camminare tra i corridoi di Hogwarts senza la preoccupazione che qualcuno mi indichi e ridacchi di nascosto, facendo di riferimento al mio peso; voglio essere guardata normalmente, non solo perché sono in sovrappeso.
Voglio essere me stessa, chiedo troppo? A volte mi sembra di sì e mi sembra anche che tu non capisca » rispose Joe, sorridendo sorniona – con un aria triste e abbattuta, ma sempre ironica – e dandole le spalle.
Strinse i pugni, mordendosi con forza le labbra: Lily non poteva capire e non l’avrebbe mai fatto. Semplicemente quello era il suo peso e la sua condanna e avrebbe dovuto portarsela dietro da sola.
Uscì dal bagno con passo malfermo, scompigliandosi con forza i capelli e chiedendosi perché. Perché quelle persone non sparivano? Perché continuavano a torturarla? Voleva andar via, diventare invisibile, qualsiasi cosa, qualsiasi, basta che quell’inferno sarebbe finito.
Camminò tra i corridoi a piedi nudi, un po’ perché non voleva far rumore per svegliare tutti e un po’ perché aveva bisogno di sentire la realtà sotto i suoi piedi. Erano le tre di notte e niente si muoveva, tutto era immobile.
Il suo respiro quasi rimbombava tra quelle mura, mentre qualche quadro – ancora sveglio – volgeva lo sguardo verso di lei e la seguiva silenzioso per i corridoi. Ne svoltava uno, due, tre. Saliva una rampa di scale, sobbalzava quando questa cambiava direzione e si stringeva nella maglia nera quando uno spiffero di vento la coglieva in pieno.
Aveva litigato con Lily e non le piaceva. Dalton le aveva risposto male e non le piaceva. Si stava comportando davvero così male? Lui non l’aveva nemmeno guardata per tutto il tempo della partita, ma era stato fenomenale su quella scopa: i capelli neri che venivano sferzati dal vento, il suo sguardo azzurro che si socchiudeva e si spalancava in base alla difficoltà o all’ostacolo posto sul cammino… non l’aveva mai osservato in quel modo, ma era bello. Merlino, se lo era.
Lui l’aveva a malapena guardata, anzi, non l’aveva fatto proprio e appena era finita la partita, dichiarando vincitori i Serpeverde, si era caricato in spalla quella Calista Jackson e se n’era andato festeggiante, mentre lei rideva spensierata… senza preoccuparsi di pesargli sulle spalle.
Joe si fermò davanti alle porte della Stanza delle Necessità, senza nemmeno sapere se lui sarebbe venuto. Certo, si erano dati appuntamento, ma niente era certo: forse Dalton stava passando la notte insieme alla sua bella cacciatrice, sollazzandosi nelle lenzuola insieme a lei, dai bei occhi verdi e il sorriso da copertina.
« Entra  »
Joe sobbalzò quando sentì la sua voce: non l’aveva sentito nemmeno arrivare, era stato silenzioso come non mai. Aveva ancora la divisa da Quidditch scompigliata, come se l’avesse messa in fretta e furia, e portava un piccolo baule con sé.
« Sei arrabbiato con me? » domandò Joe, mentre Dalton le passava davanti ed entrava nella stanza, la stessa delle ultime sere, che era apparsa senza nemmeno che lei se ne rendesse conto.
Dalton fece spallucce, rovesciando il capo e guardandola con un misto di indifferenza « Perché dovrei? » mormorò, posando il baule accanto al camino e scompigliandosi i capelli con uno sbadiglio.
Joe rimase in piedi, beandosi appena del calore sprigionato dalle fiamme e dei colori caldi rosso-oro delle poltrone alla sua sinistra: non osò posare lo sguardo sul divanetto di pelle nera, lo stesso dove lui si era accomodato per guardarla nuda, per spogliarla delle sue paure e della sua pelle.
Joe tremò.
« Lo sembri, tutto qua » rispose, mentre lui apriva il baule e scuoteva il capo.
« Sono solo stanco » sospirò Dalton, afferrando un foglietto e porgendoglielo con noncuranza.
Joe lo afferrò di slancio, sgranando gli occhi « Qui ci sono scritte tutte le istruzioni. Quali lozioni devi mettere prima di andare a dormire e quali appena sveglia. Quante passate di shampoo per rendere i capelli lisci e gli incantesimi per le acconciature – Crysantha è molto creativa, si sa’. –
I vestiti specifici che devi mettere durante le occasioni specifiche, e quelli che devi mettere quando non c’è lezione qui a Hogwarts. Come devi truccarti e tant’altro » disse Dalton, indicando ogni punto con le dita ed elencandole un infinità di cose.
« Per conquistare un uomo, ci vorrà molto di più di un Jeans modellante o di una scarpa con il tacco » disse, guardandola con i suoi occhioni azzurri e facendole l’occhiolino.
« Per questo, continueremo a vederci tutte le sere, perché non posso scrivertelo su un foglietto… ma forse cambiando fisicamente starai più buona e non mi schiaffeggerai più » sbuffò, ironico, guardandola con un sogghigno che le fece girare la testa.
Da dov’era uscita tutta quella sicurezza? Quel sorriso da trattenere il fiato? Joe si morse le labbra, annuendo e distogliendo lo sguardo dal suo.
« Si inizia dallo sguardo, Smith. Non abbassare mai gli occhi davanti ad un uomo, a noi piace chi ci affronta, chi si sente forte… e credo che tu sappia di cosa sto parlando; socchiudi gli occhi e ogni tanto lascia che le ciglia accarezzino le guance, ma in modo indifferente, in un millesimo di secondo.
Non abbassare mai lo sguardo e affrontali, quando si sentono osservati si sentono forti, e quando vogliono prenderti in giro si sentono a disagio. È un ottimo modo per farli abbassare la testa, per farli sentire fuori posto… e sorridi, sorridi sempre quando cercano di colpirti. Tutto questo li stancherà e smetteranno, quando una persona si mostra forte è noioso cercare di colpirla, perché sembra impossibile.
Gli occhi raccontano favole, non smettono mai di raccontare storie, tu non preoccuparti, lascia che il tuo sguardo parli, ma non lasciare che mostri: agli uomini piace il mistero, piace scoprire sempre di più e magari rendersi conto che è tutto sbagliato e ricominciare daccapo.
Racconta, ma non mostrare; lascia che loro sopravvivano grazie ai tuoi occhi, lascia che si beino della luce che traspare da essi, ma non accecarli, non ancora, almeno » le girava attorno come un rapace, ora accarezzandole i fianchi, ora la guancia, fino a fermarsi davanti a lei e guardarla negli occhi, fissandola senza pudore.
« Fallo, ora » bisbigliò Dalton, a pochi centimetri dalla sua bocca e Joe tremò. Lo fissò fino a farsi male gli occhi, senza mai sbattere le ciglia; lo fissò e nella sua mente cercò di imprimersi ogni particolare di lui, dal naso alla francese alla bocca carnosa, dal viso affilato agli zigomi alti.
« Brava, bimba » sussurrò Dalton, sfiorandole il naso con il proprio e continuando a tenere la bocca stesa.
« Sono innamorata di Tom » bisbigliò Joe, mentre Dalton faceva spallucce.
« Ne sono felice »
« Stammi lontano »
Un respiro.
Dalton sorrise.
« Perché? »
Joe tremò.
« Non c’è un perché. Perché sì e basta »
Il sorriso di Dalton si allargò.
E poi, mentre le pupille di Joe si allargavano per lo stupore e il fuoco nel camino si spegneva con un soffio, le loro labbra si toccarono.
Joe tremò e Dalton sorrise.
« Okay, ti starò lontano » mormorò il ragazzo, facendo un passo all’indietro e strizzandole l’occhio.
Stronzo, pensò Joe, indignata.
Primo passo verso la vittoria, pensò, invece, Dalton, sovreccitato.
Oramai Joe avrebbe dovuto saperlo: alle tre di notte succedevano cose da cui riguardarsi e avrebbe dovuto tenere gli occhi più aperti.
Perché alle tre di notte, in quell’esatto momento, aveva ricevuto il suo primo bacio da quel troglodita di Zabini.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto - Lose ***


Capitolo Quarto –
Lose  

 
 
 
-         Potter – salutò Scorpius a mo’ di saluto, sedendosi di fianco a Thomas e sbadigliando sonoramente.
-         Malfoy – ricambiò Lily, alzando a malapena lo sguardo dal libro di Trasfigurazione e sorseggiando il suo caffè nero, alternando la bevanda amara con il succo di zucca, che almeno impediva alla sua pressione di scendere sotto i tacchi.
-         Zabini – sibilò Dalton in risposta, versando una bella dose di whiskey incendiario nel suo caffè e sorridendo sornione verso l’amico, che assottigliò gli occhi in risposta.
-         Perché stai sempre in mezzo alle palle quando anche nessuno te lo chiede? – sibilò Scorpius, dolce come sempre e velenoso come pochi.
Dalton schioccò la lingua in risposta, spostando lo sguardo astioso sul volto di Tom, con la testa completamente sulle nuvole. E certo, pensò furibondo, attaccandosi direttamente alla fiaschetta di whiskey, lui non aveva mica problemi con quella maledetta della Smith, continuò, scimmiottando lo sguardo beato dell’amico e sperando che quella maledetta di Joe la smettesse di mandare in bianco tutti quanti e decidesse da che parte stare.
Dopo che l’aveva baciata una settimana prima si era come volatilizzata: si era presentata sempre agli appuntamenti, ma appena lo vedeva più vicino del consentito prendeva il volo, adducendo come scusa l’orario tardo. Quella maledetta non mollava di un centimetro e ci avrebbe perso il sonno di quel passo, ne era sicuro.
Ma c’era qualcun altro nella sua stessa situazione e questo, in parte, lo rasserenava; guardò con un sogghigno soave il suo amichetto Malfoy, che sapeva su tutte le furie. Aveva un occhio nero che si vedeva a miglia, ma Dalton non ne era sorpreso: dopo aver baciato la Potter davanti a tutta la scuola che si aspettava? Un bacio in fronte da quel despota di Albus Potter? E poi sembrava proprio che la piccola Lily non avesse intenzione di dare a Scorpius il contentino, perché se la teneva cara cara come oro tra le gambe.
-         Per caso siamo nervosi, questa mattina? – sogghignò, visto che il suo hobby preferito era rompere le palle a quelli lì, già nervosi per fatti loro.
Scorpius, infatti, ringhiò in risposta, assottigliando gli occhi cristallini e fissandolo quasi con odio, mentre Dalton aveva lasciato perdere la questione “Smith” per risollevarsi l’umore con il suo amichetto del cuore, che quando dava i numeri era un vero e proprio spasso.
-         Perché non ti ammazzi? – domandò, infatti, soave, quel pacioso ragazzo dai capelli biondi, sbattendo civettuolo le ciglia e beccandosi un sorrisetto angelico da quello che, da tempo, considerava la sua peggior condanna.
-         Che c’è? La Potter ha deciso di mandarti in bianco e gli ormoni cominciano a farsi sentire? – sogghignò Dalton, accendendo, come voleva, la tanto sospirata miccia che non portava altro il nome di Scorpius Malfoy.
-         Fatti i cazzi tuoi, Zabini! Quando comincerai a farlo sarà sempre troppo tardi! – sbraitò Scorpius, attirando l’attenzione della Sala e infuriandosi ancora di più nel constatare quanto si divertisse quel bastardo.
-         Ma che voglia avete di prima mattina? E basta, cazzo – sbottò Rosier, che Scorpius già schifava di suo.
-         Nessuno ti ha interpellato, quindi sta zitto, eh! – disse infatti, strappando la fiaschetta dalle mani di Dalton e tracannando un gran sorso di whiskey. Magari si sarebbe rilassato.
-         E fattela una sco… - iniziò Alexander, peccato che quella non fosse la giornata giusta per infastidire Malfoy, perché questo gli menò un pezzo di bacon tra i capelli, con suo sommo orrore.
-         Ma ti sei bevuto il cervello? – sbraitò, cercando di aggiustarsi alla meglio i suoi splendidi capelli, poiché la mattina ci metteva ore per renderli scompigliati a regola d’arte, come piacevano alle ragazze.
-         No, dovete starmi semplicemente lontani –
E con questo capirono che il discorso era chiuso, perché Scorpius finì la fiaschetta di Dalton, beccandosi un bestemmione dietro che fece rizzare i capelli sulla nuca al Barone Sanguinario che appena apparso alle loro spalle, e sparì come era arrivato, mandandoli tutti al diavolo.
E buongiorno, Hogwarts!
Naturalmente Dalton si recò nella classe della Mcgranitt tutto cinguettante, perché rovinare l’umore alla gente lo rallegrava oltre ogni dire, ma Scorpius era nero dalla rabbia e ne erano parecchi i motivi: il primo era quel maledetto di un Zabini che non schiattava mai per una volta per tutte, almeno per fare felice tutto l’Universo. Il secondo era la Potter.
La Potter, pensò furioso, facendo un tiro dalla sigaretta alla menta che aveva comprato pochi minuti prima dai Flowers e sbuffando fuori il fumo. Quelli vendevano di tutto e non sapeva nemmeno come erano riusciti a procurarsi quella roba, ma pace e amore, non avrebbe fatto di certo la spia per roba che usava anche lui.
Comunque, ritornando al problema “capelli rossi e testa dura”, quella settimana gli erano saltate letteralmente le coronarie. Dopo il bacio al campo da Quidditch non aveva avuto pace con i Grifondoro, ma quella maledetta della Potter sembrava fregarsene, dandosela a gambe appena intravedeva gli occhi verdi del fratello.
Era stato pestato – dando pan per focaccia a quell’idiota di Potter – additato, insultato e chi ne ha più ne metta, c’era da mettersi le mani nei capelli e oramai stava perdendo la pazienza: non che avesse intenzione di fare qualcosa, ma il suo scopo era Lily, non gli altri.
Ma quella quando non c’era la sua famiglia in giro lo ignorava. Ebbene sì, Scorpius Malfoy veniva ignorato da niente poco di meno che da una Potter, che a malapena se lo filava di striscio; poi, mandandolo in bestia, appena erano in Sala Grande con tutta la fottuta famiglia Potter\Weasley presente, faceva tutta la civettuola e gli si strusciava contro.
La odiava. Oltre a fargli salire gli ormoni cominciava a confonderlo e si era reso conto di ritrovarsi ad osservala più del dovuto: quello che era iniziato per gioco si stava rivelando pericoloso. Almeno per lui.
E poi da quando lei lo aveva baciato, alla festa di Thomas, non riusciva più a togliersela dalla testa.
-         Al diavolo! – sbottò rabbioso, mollando un calcio nella porta e portando gli occhi al cielo, esasperato.
-         Questo è il bagno delle ragazze, Malfoy, te l’hanno mai detto? – e in effetti era pure vero, visto che se ne stava svaccando contro una delle porta del bagno di Mirtilla Malcontenta, al terzo piano. Il fantasma lì non c’era e comunque non ci entravano donne per fare le loro cose da quando era morta quella rompiballe, quindi si limitò a fare spallucce e sorridere con aria sfacciata.
-         Ottimo per portarci le ragazze al secondo appuntamento – frecciò apatico, mentre Joanne arrossiva dalla punta dei capelli fino a quelle delle scarpe. Comunque si sedette anche lei sulle piastrelle fredde, appoggiando la schiena contro una porta dei cubicoli e riavviandosi i capelli scuri.
-         Abbiamo Trasfigurazione – mormorò la ragazza, mentre lui, tanto per farglielo sapere a Dalton e farlo incazzare e giusto per rendergli la pariglia, le passò il pacchetto di sigarette, che lei guardò due minuti buoni prima di aprirlo e afferrare una sigaretta con i denti.
-         Appunto, che ci fai qua? – rognò Scorpius, guardandola accendersi una sigaretta e aspirarne il fumo con un sospiro amareggiato.
-         Ho bisogno di pensare – disse solo e Malfoy ringraziò che fosse poco loquace, perché lui non era uno di buone parole, specie verso i Grifondoro. Quindi, in pace con il mondo, si limitò a grugnire.
-         Che è, una riunione di famiglia? – ed eccolo quell’altro idiota di Rosier, che senza filarseli di striscio si stravaccò accanto al lavandino dove un tempo c’era stata la temibile entrata per la camera della segreti e cominciò a cacciare dalla borsa a tracolla tutto l’occorrente per fumarsi una canna in santa pace.
-         Ma non si può mai stare tranquilli in questa maledetta scuola, cazzo? Nessuno è andato alla lezione della Mcgranitt? – saltò su Scorpius, sapendo che si sarebbe beccato un cazziatone immane dalla donna, ma se n’era sbattuto fino e quel momento, quindi Joe gli scoccò un occhiata dubbia, chiedendosi se fosse sano di mente.
-         Fatti nostri, Malfoy – soffiò Alex, rollandosi una canna per fatti suoi. E allora non ci fu più verso di stare tranquilli: una volta accesa quella roba la puzza si dilagò a macchia d’olio e la Smith sembrava essersi fatta a passivo, visto che aveva la testa che ciondolava a destra e manca.
Che strana ragazza, pensò Scorpius, uscendo dal bagno di Mirtilla Malcontenta non prima di lanciare una bestemmia rivolta a Rosier, che gli rispose con il dito medio.
Una forza della natura,  questa era la prima cosa che aveva notato la prima volta che l’aveva vista, quando Joe aveva solo undici anni. Sorrideva a tutti e faceva sorridere,  e Scorpius sapeva che quello non era un dono che possedevano tutti. Era raro, molto raro, e per i primi tempi aveva quasi invidiato la sua spensieratezza.
Non si era mai smentita e aveva sempre detto quello che pensava, travolgendo tutti con la sua allegria e il suo orgoglio, tipico di quei testoni di Grifondoro, ma Scorpius l’aveva vista cambiare lentamente, afflosciarsi su se stessa, quasi marcire e lasciare spazio ad un viso serio, ad una persona che si chiudeva sempre di più a riccio e quello, sapeva, non era un atteggiamento tipico dei rosso-oro. Se forse ci si fosse applicato di più, avrebbe capito che quel qualcosa che Joe stava covando, aveva superato il suo carattere, il suo essere e la stava mutando dall’interno, uccidendola.
Scorpius non aveva mai avuto a che fare con Joanne Smith nella sua vita, ma più volte aveva fatto parte del gruppo delle persone che l’avevano presa in giro, in passato.
A volte se ne pentiva, a volte no, ma la cosa certa era che non voleva risultare cattivo. Non l’aveva mai fatto con l’intenzione di ferirla veramente: era un ragazzino e come sempre veniva trascinato, anche se si assumeva tutte le sue responsabilità.
Scorpius lo sapeva… le parole, a volte, ferivano più di un pugnale. Joe si era spenta poco a poco e aveva completamente perso fiducia in se stessa, lo si notava da come si aggirava per la scuola a capo basso, come parlasse veramente solo quando scoppiava e da come, a volte, cercasse di nascondersi dagli occhi degl’altri.  
Eppure Joe aveva avuto demoni peggiori, cose che mai nessuno aveva saputo e cicatrici che nessuno aveva mai visto, ma tutto ciò l’avrebbe scoperto Zabini solo quella sera, al loro incontro nella Stanza delle Necessità; la prima volta… la prima volta era stato troppo impegnato a fissare i suoi pregi per concentrarsi sui difetti e fu come se gli avessero infilato la testa in una vasca piena d’acqua gelida.
Dalton s’infilò le mani nei capelli neri quasi con incredulità quando si ritrovò a fissare quelle cicatrici; la stanza era sempre la stessa e il suo corpo era illuminato dal riverbero del fuoco, dove le parve ancora più bella, ma sempre più fragile. Si morse con forza le labbra, fissando le cicatrici sul suo polso, sulla pancia, sulle gambe… sembrava che si fosse tagliuzzata minuziosamente, in ogni singolo posto dove l’occhio di nessuno sarebbe potuto cadere. Sembrava aver pensato a tutto, quasi come un maniaco assassino che progetta la morte della propria vittima con maniacale divertimento.
-         I-io… - balbettò Joe, arrossendo violentemente e cercando di coprirsi, inutilmente. Era quello? Era quello il prezzo da pagare per non rientrare nei canoni di un gruppo di adolescenti?
-         Dimmi che hai un gatto con le unghia troppo affilate, a casa – sibilò Dalton, fissando con astio quei segni e tremando dalla rabbia.
Joe scosse il capo, addolorata, quasi come se si stesse scusando con lui. Ma Dalton rimase immobile, di pietra, mentre si chiedeva quanto dolore potesse sopportare un solo essere umano: quante scosse, quanti impatti avrebbe dovuto subire una persona prima di crollare? Prima di ridursi in quello stato?
-         Non è successo ora, sono ferite vecchie – bisbigliò Joe, avvolgendosi in un lenzuolo e sedendosi al suo fianco. L’ennesima lezione era andata in fumo, ma Dalton se ne sbatteva: sentiva qualcosa bloccargli il respiro, era come un magone che gli impediva di inghiottire e del ghiaccio che gli aveva bloccato il sangue nelle vene.
-         Raccontami – sussurrò Dalton e dal tono sembrava non ammettere repliche. Joe si morse con forza le labbra, abbassando il capo sconfitta e a Dalton non era mai sembrata così fragile.
A Dalton non era mai sembrata così piccola, rannicchiata su se stessa in una posizione fetale, quasi come se volesse proteggersi da quel passato che fin troppe volte l’aveva portata a sprofondare.
Oh, Joe non avrebbe mai dimenticato i visi di chi l’aveva insultata, derisa, trascinandola in un baratro che tutt’ora combatteva. Un vuoto incolmabile si allargò nel suo petto a macchia d’olio, mentre i suoi occhi si spegnevano e un sorriso tirato compariva sulle sue labbra.
Dalton… Dalton l’aveva sempre ammirata per la sua forza, per la sua somiglianza ad un uragano che travolge qualsiasi cosa, ma ora la fissava e non la riconosceva. La fissava e si chiedeva che razza di persona nascondesse tutto ciò dietro una maschera di felicità.
-         È iniziato tutto quando avevo tredici anni. Non immaginavo… non credevo che le parole di mia madre si rivelassero così vere – cominciò, amara, ricordando con un sorriso quanto fosse incosciente e quanto, a quei tempi, le importasse poco del proprio peso.
-         Pesavo settanta chili, un po’ troppi per una tredicenne. Troppi, troppi. All’inizio gli insulti erano velati, appena sussurrati nei corridoi e io li ignoravo, non mi importava di cosa pensassero di me a quei tempi – bisbigliò Joe, affondando le unghia nei palmi e serrando lo sguardo.
-         Mi piaceva un ragazzo. La solita cotta di una ragazzina che comincia a rendersi conto che i sorrisi non le sono indifferenti; le farfalle nello stomaco e il rossore che m’invadeva quando vedevo quel ragazzo erano magnifici: non avevo mai provato nulla del genere e io ero eccitata al massimo… ma non credevo, non immaginavo che bisognasse avere degli standard per piacere a qualcuno – disse amaramente, maledicendosi.
Dalton ingoiò la gelosia che gli era salita al cervello, continuando ad ascoltare il suo racconto in silenzio, senza interromperla, già sapendo lo sforzo immane che faceva la ragazza nel dirle tutto quello. Quello sarebbe stato il loro segreto? Un segreto tanto doloroso quanto oscuro, difficile da portare.
Difficile da portare sulla coscienza.
-         Mi feci avanti. Gli inviai una lettera e anche se mi aiutò Lily, scrissi tutto quello che provavo… mettendoci il mio cuore tra quelle righe, in quelle parole scritte con mano tremate e l’anima in tumulto.
Credevo che bastasse, ma lui, il giorno dopo, mi riconsegnò la lettera davanti a tutta la Sala Grande, dicendomi che a lui non piacevano le ragazze grasse. – sogghignò Joe e in quel momento gli parve un estranea: aveva le mani infilate nei capelli ed era rivolta al passato. Aveva una maschera d’orrore sul viso.
Aveva dipinto negli occhi la paura, il disprezzo, forse il rimpianto, ma solo il disgusto spiccava più di tutti: lei provava disgusto verso se stessa e Dalton non era un mostro del tatto, ma ogni essere respirante sapeva che dare della “grassa” ad una ragazzina era da propri e veri imbecilli. Lei si era odiata, si stava odiando e non c’era cosa peggiore: odiare gli altri era più facile che odiare semplicemente se stessi… perché, e Dalton lo sapeva bene, con la loro anima, il loro corpo, il loro cuore e la loro faccia, avrebbero dovuto conviverci all’infinito, fino alla morte. Con gli altri no.
-         E lì tutto diventò più difficile. Gli insulti crebbero a dismisura e molti non si limitavano solo a quello, anche se Lily non l’ha mai saputo; spintoni, risatine, vere e proprie bande di ragazzine che ce l’avevano con me anche senza motivo.
Ho passato giornate chiusa nel bagno, dopo che mi avevano infilato con la testa nel wc, senza motivo… solo perché ero grassa – bisbigliò, come se parlarne ad alta voce rendesse vera quella storia, alle orecchie di Dalton quasi incredibile.
La guardò e, immobile, vide una sola lacrima solcarle la guancia. Sembrava una lama, sembrava ferirla più del consentito e avrebbe voluto consolarla, davvero; avrebbe voluto asciugarle il viso e farsi carico del suo dolore. Ma sapeva che non era così semplice.
Dalton sapeva che non era lui che lei voleva lì, a consolarla e rimase immobile, al centro di un tumulto che lo scosse in un modo che nemmeno lui riusciva a concepire.
-         Faceva male. Non potevo girare per i corridoi che me ne dicessero di tutti i colori… passando da balena a culona, a grassona a cessa, mentre i lividi aumentavano. Poi un giorno ho colpito il muro di quel cunicolo con forza: una volta, due, tre … e più sfogavo la mia rabbia, la mia frustrazione e il mio dolore, più mi sentivo meglio, concentrandomi sul dolore alle nocche e non sul vuoto che mi si dilatava dentro. –
E Dalton se lo richiese: quanto dolore poteva sopportare una persona prima di crollare? Quanto? Una caduta, due, tre, ma poi? Completamente a pezzi, sarebbe riuscita a rialzarsi?
-         Ma non bastava. In realtà non è mai bastato. E così ho cominciato ad usare qualcosa che mi facesse male abbastanza da sopprimere tutto. Tu non sai quanto mi sentivo debole, spossata, amareggiata.
Poi tornai a casa e le cose con mia madre divennero insostenibili: nessun Purosangue rispettabile mi avrebbe sposato, se continuavo su quella strada; “sei inguardabile” mi diceva, senza sapere che quelle parole me le ripetevano a scuola ogni giorno.
Sei grassa, nessuno ti vorrà mai se continui su questa strada” continuava, atterrandomi sempre di più. Tu non sai quante volte ho cercato di farla finita, di andarmene ingloriosamente, com’era stata la mia vita.
Ma poi pensavo a Lily, alla sua famiglia, che mi aveva sempre trattato bene, che mi aveva sempre trattato come un… umana. Ma ero troppo debole e sono caduta -  disse, scuotendo il capo e graffiandosi il braccio, quasi con rabbia al ricordo.
E Dalton sentiva la stessa rabbia corrodergli le vene: se avesse saputo chi le aveva fatto tutto quello, non sarebbe uscito vivo dalle sue grinfie. Era vero, ammise con se stesso, nemmeno lui l’aveva mai guardata prima dell’inizio di quell’anno, ma non si era mai permesso di sotterrarla… di ferirla. Non spettava loro decidere chi fosse perfetto in quella società, chi fosse degno di qualcosa o meno o chi meritasse di vivere sulla faccia della terra.
-         Ho iniziato con piccoli digiuni, cose che in realtà non mi toccavano: avevo fame e piangevo, piangevo e mi ferivo sempre di più. Mi odiavo, mi odiavo così tanto da non riuscire nemmeno a guardarmi allo specchio.
Ero una miserabile… una maledetta miserabile e avrei voluto diventare invisibile. Invisibile agli occhi di tutti, invisibile e basta – ammise Joe, ridacchiando senza reale divertimento.
-         Avrei preferito passare inosservata per il resto della mia vita, nascosta dagli occhi di tutti… avrei preferito che m’ignorassero – mormorò, risvegliando qualcosa nel petto di Dalton senza nemmeno accorgersene.
Dalton sgranò lo sguardo, artigliando con le unghia i palmi aperti, mentre insieme ai ricordi di lei, davanti al suo sguardo scorrevano altri ricordi, qualcosa che credeva di aver sotterrato, dimenticato.
-         E lo stomaco si chiudeva ed io ero felice. Oh, se ero felice. Ma più non mangiavo e più mi sentivo debole, così optai per la via più semplice: mangiucchiavo qualcosa di nascosto e poi lo vomitavo, sentendomi in colpa, sentendomi sempre più male. Non sono mai arrivata al peso che desideravo, mai, perché Lily scoprì tutto… e allora successe il finimondo.
Lei personalmente mi seguiva ad ogni pasto, controllando che non ricacciassi tutto una volta finito; non ha mai scoperto le ferite, anche se inconsapevolmente mi ha aiutato a smettere – disse Joe, sorridendo dolcemente al ricordo della rabbia di Lily, del suo dolore nel vederla in quello stato.
Dalton rimase in silenzio e quasi la ringraziò con lo sguardo per averle raccontato quel periodo buio, ma in fondo era umana anche lei. E tutti crollano, anche i più forti.
Quanti colpi aveva subito prima di cadere? Dalton se lo chiedeva sempre, ogni giorno e aveva paura: se la vita aveva piegato lei, un giorno non molto lontano, ne era sicuro, avrebbe spezzato lui.
-         Mai più, Smith, mai più – sibilò rabbioso, fissandola negli occhi e sorprendendola.
Dalton aveva gli occhi intrisi di collera e sembrava quasi sul punto di scoppiare: le strinse una mano con forza, facendole sgranare lo sguardo.
-         Cosa? – mormorò Joe, in risposta, guardandolo attentamente.
-         Che ti trattino così – rispose Dalton, mentre lei sobbalzava sotto il suo sguardo abbacchiato, quasi distrutto da quella storia.
Le accarezzò con dolcezza la guancia, poggiando le labbra tiepide sulla sua fronte: perché era così premuroso? Per pietà?
-         Per oggi lasciamo perdere, eh, che non ne ho propria voglia ora di mettermi a fare accostamenti di abiti – mormorò il ragazzo, mentre Joe stringeva con forza il maglione della divisa tra le dita.
Non riusciva proprio a capire cosa passasse per la testa di quel Serpeverde e nemmeno dopo che l’ebbe baciato si diede una risposta: si limitò ad afferrarlo per la nuca e poggiare la bocca sulla sua, in una lenta carezza. Fu casto e quasi dolce, niente di particolarmente perverso, come si era aspettato da lui.
Dalton era… una perenne ricerca, ecco. Chi era e, soprattutto, cosa nascondeva dietro quella facciata strafottente? Forse proprio niente, ma a Joe piaceva cercare, era sempre tutto così nuovo, eccitante, quasi eclatante con lui.
Dalton non si accontentava di poco e lei rimaneva quasi sempre sorpresa nel scoprire quanti lati nascosti avesse. Prima era sarcastico, ironico, pungente… un porco, pronto ad allungare i tentacoli, in fondo a non essere diverso da tutti gli altri. Poi era dolce, accorto, attento ad ogni cosa che lo circondasse e le piaceva, come le piacevano i suoi sbalzi d’umore.
Dalton era un vero Serpeverde, se ne accorse quando la sua lingua chiese accesso per entrare tra le sue labbra. Era un maledetto serpente strisciante, che attaccava quando meno se lo si aspetta; era così conservatore da nascondere qualsiasi sentimento lo rendesse umano, debole, e si limitava a sondare il terreno prima di mostrarsi… anche se non lo faceva mai interamente.
Dalton non si mostrava mai in tutta la sua persona e Joe si chiese, stupidamente, mentre lasciava che lui la baciasse con più passione, se un giorno l’avrebbe conosciuto veramente com’era.
-         Joanne… Joanne, Joanne – ripeté lui, staccandosi dalla sua bocca e sorridendo ironico. Joe sondò gli occhi azzurri, chiedendosi cosa nascondessero.
Perché lo nascondessero.
-         Ci vediamo in giro, ciao Zabini – salutò Joe, alzandosi di scatto e mollandolo lì, seduto sul divano e un problema molto grande che si intravedeva attraverso la patta dei pantaloni.
-         E porco Merlino, è un vizio? – le sbraitò dietro, venendo palesemente ignorato e beccandosi anche la porta della stanza delle necessità sul naso.
E basta! pensò furioso cinque minuti dopo, camminando per i corridoi con il cappuccio calato sulla zucca. Prima lo baciava e poi? Poi? Ma che diavolo le saltava in mente, a quella maledetta? Che avevano le donne, eh? Per caso si erano messe d’accordo lei e la Potter?
Sbuffando come un toro da monta cambiò direzione e si diresse verso i bagni di Mirtilla, sperando che quel cesso di fantasma si fosse dissolto in qualche cunicolo e si sedette, tutto scazzato, contro la porta di uno dei bagni.
-         Giuro che non metterò mai più piede in questo bagno… c’è più gente qui che nei corridoi prima delle lezioni –ironizzò una voce alle sue spalle, che ignorò palesemente.
Dalton prese tutto l’occorrente e cominciò a rollare, bevendo, di tanto in tanto, dalla sua fiaschetta di whiskey, riempita nuovamente dopo che quel zoticone, seduto a due passi da lui, gliel’aveva svuotata per il nervosismo.
-         ‘Manco ti ci scop… - iniziò Dalton, venendo interrotto da un occhiata imperiosa dall’amico. – Va bene, va bene. Ho capito – sbuffò, leccando la carta di pergamena e guardando il suo operato con un cipiglio soddisfatto.
Scorpius lo guardava di sottecchi e capì che c’era qualcosa che non andava: Dalton non palesava nulla dalle sue espressioni, ma lui, che lo conosceva così bene, riusciva a vedere qualsiasi cosa non andasse, tutto ciò che scorreva in quegli occhi azzurri come il cielo in pieno agosto.
-         Che hai, hm? – borbottò, mentre Dalton si accendeva lo spinello, cercando di non guardarlo troppo a lungo negli occhi.
Ah, maledetto serpente incantatore… sapeva giocare bene le sue carte. Dalton capiva quelle ragazze, oh, se le capiva: era impossibile non rimanere incantati dagli occhi argentati di Scorpius; sapevano parlare, accarezzare, bruciare. Aveva sempre avuto la capacità di leggere le persone e Dalton ne era sempre stato spaventato: non gli piaceva quando lui lo leggeva come un libro aperto, come se fosse facile, come se fosse acqua trasparente.
-         Niente, pensavo – bisbigliò, socchiudendo gli occhi e portandosi il filtro alla bocca, mentre Scorpius lo sondava fin nell’anima, facendolo tremare.
-         Perché ti nascondi sempre, Dalton? – sogghignò il biondo, scuotendo il capo e accendendosi l’ennesima sigaretta della giornata, che sembrava non finire mai.
Cosa poteva fare? Era quella l’unica via per quelli come loro, per quelli fatti della stessa pasta della notte, che vigeva sempre più cupa, che incombeva sempre più prepotente.
-         È successo qualcosa di grave per zittire quella tua lingua velenosa – rise Scorpius, vedendolo ciccare sul pavimento e guardare verso lo specchio, che rimandava la sua immagine.
-         Non ti senti mai in ombra, Scorpius? Non ti senti mai così? – sussurrò Dalton, mentre l’odore dell’erba gli bruciava le narici.
Il ragazzo sgranò gli occhi, quasi allibito dalle parole dell’amico: perché gli stava facendo quella domanda? Dalton era sempre stato al centro dell’attenzione, volente o nolente, e l’ombra era lontana ben lungi da lui.
-         Questa notte una ragazza mi ha detto di voler essere invisibile, Scorpius. Mi ha detto che era una miserabile e che avrebbe preferito passare inosservata; ma mi chiedo se gli sarebbe piaciuto – bisbigliò Dalton, storcendo le labbra e aspirando una nuova boccata di fumo.
Dalton sapeva quanti colpi poteva incassare una persona prima di crollare, ma una persona che non aveva mai ricevuto niente, quanto poteva resistere? Joe non avrebbe mai potuto sopportare una vita passata in solitudine, chiusa in una gabbia dorata senza la compagna di nessuno, se non della propria pazzia.
-         Ti senti invisibile, Dalton? – domandò Scorpius, guardandolo abbassare il capo con amarezza e scuoterlo con forza.
-         Una volta mio padre mi disse che l’unica via d’uscita per quelli come noi è la morte – sussurrò Dalton, con una strana smorfia sul viso contratto.
-         Mi disse che quelli come noi, anche se conservatori, non avrebbero potuto vivere a lungo… perché la gloria, il potere, l’amore, avevano un prezzo per dei poveri disperati – disse, guardando la cartina bruciare lentamente, estenuante, come se volesse protrarre quella fine all’infinito.
Dalton lo sapeva, l’aveva sempre saputo che per quelli come loro non c’era una vera felicità, che cercare non sarebbe servito a niente… sapeva che per i folli, per gli ambiziosi, l’unica via era quella della fine.
-         Credi davvero che ci sia una via d'uscita per quelli come noi?
Per i disperati, i folli, l'unica via disponibile è quella sbagliata... viviamo per bruciare e farci male, perché è l'unico modo per sentirci reali, vivi,  in un involucro vuoto; non so quanto tempo ci sia a disposizione per noi, ma lo sai anche tu, Dalton… nessuno di noi ha mai voluto vivere a lungo – mormorò Scorpius, guardando il soffitto con aria assorta.
Nessuno di loro aveva la presunzione di voler vivere fino alla vecchiaia. Non erano loro gli eroi, quelli che sarebbero vissuti anche dopo la morte per mano della fama, ma non sarebbero nemmeno morti all’ombra di una vita mai vissuta, ed era per quel motivo che erano dei folli, dei disperati, perché i Serpeverde lo sapevano… oh, se lo sapevano: la gloria, il potere, la fama erano una coppia vincente, l’unica per cui sarebbe valsa la pena vivere.
-         È triste… è triste pensare di morire, anche se è l’unica via d’uscita – borbottò Dalton, tirando dal filtro e mordendosi con forza le labbra.
-         L’hai sempre saputo, Dalton; la vita è solo il mezzo per arrivare al fine, vivere per inerzia non si addice a noi – continuò Scorpius, totalmente tranquillo.
Dalton a volte lo invidiava per essere così calmo e indifferente. Allora era quella la verità? Non si era sbagliato? – Perché ti senti invisibile? – domandò Scorpius, guardandolo attentamente, sviando il discorso e ritornando alle sue parole di prima.
-         Oh, sto parlando di troppi anni fa perché tu ricorda – bisbigliò Dalton, sorridendo in un modo che non gli piaceva proprio.
-         Ma dimmelo, Scorpius, non ti sei mai chiesto perché la maggior parte del tempo, quando siamo venuti qua ad Hogwarts, io stessi a casa tua? – domandò, mentre Malfoy si accigliava nel sentire quel tono che all’apparenza sembrava divertito, ma in fondo era intriso di rabbia.
Aveva le mascelle serrate e gli occhi stretti in due spilli, per la seconda volta nella serata si scoprì voglioso di spaccare tutto, anche se stesso.
-         Il principe reggente, l’unico erede maschio dei Conti. Sai che mia nonna partorì tutte donne? Sei, per la precisione. E a loro volta hanno partorito tutte femmine… hanno fatto una festa quando sono nato io, lo sai?
Una festa, solo per me; mi hanno servito e riverito fino all’età di tre anni dalla mia famiglia, tranne dai miei genitori. Loro erano troppo impegnati a fare la vita da sposini novelli per prestarmi attenzione.
Loro erano troppo impegnati nella loro stupida follia per prestare attenzione al loro unico figlio! – e l’ultima frase l’urlò, rompendo gli specchi con una forza immane che Scorpius dovette proteggersi con le braccia per non venirne ferito.
Sconvolto fissò quello che aveva sempre considerato il suo migliore amico, mentre affannava con rabbia. – Lei ha detto che avrebbe preferito essere invisibile, ma non sa… non sa cosa vuol dire venire ignorati – sibilò, mentre tutto vorticava nella sua mente in modo sconclusionato e confuso.
-         Ma mi accontentavo… avevo i miei nonni che pensavano a me. Ma chissà come, mia nonna, a trentanove anni suonati, ha scoperto di essere incinta. Immagini la felicità quando hanno scoperto che aspettava un maschio? Ora sarebbe andata a lui tutta l’eredità, sarebbe andato tutto a lui, perché portava il cognome dei Conti, perché era di sangue diretto – continuò, ironico, scuotendo il capo.
Non c’era via d’uscita per quelli come loro, per i disperati, per i folli… se non la fine. Loro sarebbero arsi e poi avrebbero avuto fine, era tutto lì – Non mi vollero più a casa, mia nonna aveva bisogno di riposo – bisbigliò, alzando gli occhi al cielo e tremando dentro.
-         I miei genitori erano in giro per l’Europa: mi mandavano delle lettere, di tanto in tanto, descrivendo il mondo come la cosa più bella che esistesse, senza nemmeno accennare ad un ritorno per venirmi a prendere. Chiesero ai miei nonni di chiamare qualcuno di fidato, una tata per così dire, per accudirmi, loro avrebbero fatto ritorno presto.
Lo fecero: un anno dopo ritornarono in Inghilterra, dove io ero stato spedito con la mia tata. Ma non andò meglio e non mandarono via quella donna.
Sai cosa vuol dire venire ignorati? Sai cosa vuol dire… vivere come se non esistessi, Nessuno ha assistito alle mie piccole glorie, alle mie gioie o ai miei dolori, nessuno.
Siete sempre stata voi la mia famiglia, sempre e non me ne sono mai lamentato, ma ora quella persona mi viene a dire di voler essere invisibile, solo perché nessuno l’accetta com'è. Solo perché lei non si accetta per com’è – disse amaramente, mentre Scorpius lo fissava blandamente, sorridendo di sbieco.
Tutti avevano un passato, in fondo e tutti soffrivano per qualcosa. Ma era destino per loro non dimenticare, portarsi tutto dietro e legarsi al dito ogni torto subito. Sì, Dalton aveva vissuto un esistenza misera, questo nessuno lo metteva in dubbio, ma aveva molto dei suoi genitori e Scorpius sapeva che non li odiava veramente. Lo si notava dagli occhi azzurri, dal fatto che amasse il colore della sua pelle, uguale a quella del padre.
Amava la passione della moda, che anche a distanza di chilometri gli aveva trasmesso sua madre. Era pazzo da legare come suo padre e aveva ereditato il suo lato cinico, sarcastico, pungente. Dalton era un miscuglio dei suoi genitori, ma invece di odiarsi, guardandosi allo specchio, lui si amava.
-         Tutti abbiamo un passato, Dalton… basta solo catalogarlo come tale – bisbigliò Scorpius, alzandosi dal pavimento e spazzolandosi i pantaloni di ottima fattura.
Dalton non alzò nemmeno lo sguardo dallo spinello spento e Scorpius gli diede le spalle, più sereno. – Ma ricorda: i bisogni si completano. Avvicinati a questa persona, hai in comune con lei più di quanto pensi. Forse lei può farti sentire meno invisibile e tu più sicura, come è giusto che sia – mormorò, uscendo dal bagno femminile e addentrandosi nei corridoi della scuola.
Il pendolo della scuola scoccò le cinque e lui sorrise, pensando che la magia era sparita, non sarebbe successo nulla d’eclatante, le tre erano passate e tutto era immobile. Si addentrò nei sotterranei, però, con la sensazione che la notte, per lui, non era ancora finita.
La luce verde delle lanterne lo illuminavano in modo tetro, ma fu niente messo a confronto con la sua espressione quando i suoi occhi misero a fuoco la scena che gli si parava davanti: ma in fondo avrebbe dovuto aspettarselo… le cose migliori iniziano le tre di notte, non quelle terribili.
I suoi occhi si ridussero in due spilli e qualcosa di lontano, un ricordo che credeva di aver dimenticato, gli ritornò alla mente; le parole di suo padre rimbombarono come un tuono, scuotendolo fin da dentro.
Harry Potter ha rovinato la vita a tutta Serpeverde, ecco perché la piccola non viene accettata facilmente. La maggior parte dei padri e dei nonni delle persone che stanno in quel dormitorio sono stati sbattuti ad Azkaban proprio da lui ed è difficile accettare la figlia di coloro che ha impedito tutti loro di avere una famiglia.
Forse, un giorno – e dico forse – verrà accettata… o si ritroverà ammazzata da uno di loro e Hogwarts sotto inchiesta” aveva detto, scuotendo il capo. Aveva letto qualcosa nel suo sguardo che a quei tempi non aveva capito, ma che ora si palesava ai suoi occhi: quando Lily Potter si mostrava nel dormitorio, anche se se ne sbatteva le palle di tutti quanti, veniva guardata male e alzava dietro di sé un polverone di bisbigli incredibili. Gli insulti, le frecciatine… nessuno l’aveva mai accettata, lì, e solo in quel momento se ne accorse.
-         Toglile immediatamente le mani di dosso – il suo sibilo risuonò duro e secco tra quelle mura, quasi rimbombando sopra di loro come una letale minaccia.
Scorpius guardò con palese disgusto quell’essere immondo di Bryan Stock allontanarsi dal corpo ansante di Lily, schiacciata al muro dal suo corpo con le sue mani al collo. – Resta fuori da questa storia, Malfoy… un traditore basta e avanza nella casata di Salazar Serpeverde – sputò rabbioso, gelandogli il sangue nelle vene.
Non sentiva quei discorsi razzisti dall’alba dei tempi e c’era qualcosa negli occhi neri di Bryan che gli regalò una terribile consapevolezza.
-         Decidi da che parte stare, caro il mio Malfoy, perché presto non ci sarà più posto per le parole! – sibilò, sogghignando in un modo che non gli piacque per niente.
Diede le spalle ad entrambi, allontanandosi verso i dormitori e lasciandoli soli con la consapevolezza di non essere al sicuro, che qualcosa, nel buio, si stava muovendo. Lily gemette, accasciandosi al suolo con gli occhi sbarrati.
-         Ha… ha cercato di strozzarmi! – bisbigliò, incredula, guardandolo con un misto di timore e angoscia.
-         Io… dobbiamo parlarne con la preside – mormorò Scorpius, passandosi una mano nei capelli e cercando di pensare lucidamente, mentre si avvicinava a lei e si sedeva al suo fianco, posandole la mano aperta sul ginocchio tremante.
-         No, non mi lascerebbero in pace se facessi la spia. Devo parlare con mio padre e dirgli quello che mi ha detto Stock – mormorò Lily, abbracciandosi da sola e fissando il muro come se in realtà non lo vedesse.
-         Che ti ha detto? – domandò Scorpius, mentre la sensazione di prima gli attanagliava le viscere.
Ecco cos’era: qualcosa si stava muovendo nella notte ed era aspettativa, eccitazione… come aveva fatto a non notarlo prima? I Serpeverde erano troppo tranquilli e posati, troppo rumorosi e silenziosi al contempo.
-         Tu sei la prima, Potter… la prima dei tanti traditori del proprio sangue e dei Mezzosangue che verranno sterminati per il nome della nostra nobilissima causa. Ma non preoccuparti, presto verrà a farti compagnia anche il tuo bel caro paparino – mimò Lily, tremando.
Scorpius corrucciò le sopracciglia: perché diavolo Stock era stato così diretto? Era così sicuro che sarebbe riuscita ad ammazzarla? Con l’uso delle mani, poi. – Era appena arrivato, vero? – alitò, guardandola sconvolto.
Lily annuì, coprendosi gli occhi con le mani chiuse a coppa. Bryan era appena arrivato ed era riuscito solo ad avvertirla, perché l’arrivo di Scorpius non era stato proprio previsto. Ma Malfoy, per ora, era intoccabile.
-         Sta tranquilla, troveremo una soluzione – la rassicurò il biondo, poggiandole una mano sulla testa e rimanendo immobile.
Non era bravo a consolare, lui, non l’aveva mai fatto in vita sua, ma ora c’era qualcosa in ballo che nemmeno lui avrebbe saputo gestire. Lily annuì e si pulì gli occhi con le maniche del maglione che indossava.
-         Non lascerò che facciano del male a mio padre, non più – bisbigliò Lily, mentre Scorpius leggeva nel suo sguardo qualcosa che lo preoccupò e non poco.
Determinazione, ecco la pecca più grande di un Potter. Ma quella volta il Potter in questione era un Serpeverde e Scorpius lo sapeva: l’ambizione, l’astuzia e il fatto che il mezzo giustificasse il fine, aumentavano il pericolo.
Harry Potter non aveva mai avuto quelle qualità, si era sempre preoccupato degli altri e dei mezzi che usasse per trarne bene… ma Lily? Lily si sarebbe preoccupata di chi avrebbe sfruttato, di cosa sarebbe arrivata a fare per proteggere suo padre da quella guerra?
Scorpius la guardò negli occhi e seppe, inconsapevolmente, che no. Quella volta nessuno avrebbe fermato una Potter… né con le buone né con le cattive e sperò con tutto il cuore che tutto ciò sarebbe andato a buon fine.
O si sarebbero ritrovato davvero nei guai.
 

***

 
Il giorno dopo su Hogwarts imperversava una tempesta quasi magica, cosa che non si era mai vista da quelle parti; la pioggia ticchettava furiosa e il vento ululava arrabbiato, frustrando tra gli alberi e quasi allagando la foresta proibita.
-         Che palle – cincischiò Dalton, svaccato nella Sala Grande con una faccia annoiata al massimo.
-         Abbiamo capito quanto tu ti annoi, caro Zabini, visto che è la trentesima volta che lo ripeti! -  sibilò Lily, già incazzata di suo, mentre Crys la guardava di sottecchi.
Quella notte la Potter non aveva chiuso occhio e l’aveva sentita agitarsi nel suo letto per tutto il tempo, come in preda ad un dubbio esistenziale. Aveva sospirato, mugugnato, tirato anche su con il naso, finché per farla stare zitta, visto che s’erano messi anche i tuoni in lontananza, si era ficcata nel suo letto e le aveva intimato silenzio, dandole le spalle e rubandosi anche la coperta.
Lily, dapprima sorpresa, aveva poi sorriso e si era accoccolata alle sue spalle, posando una mano aperta sulla sua schiena e addormentandosi. Anche se aveva dormito per due ore, visto che era rientrata alle sei di mattina e alle otto era stata buttata giù dal letto.
-         Ma mi annoio! Con questo tempo non si può fare nulla! – s’imbronciò Dalton, ma il suo sguardo scocciato fu presto rimpiazzato da uno malizioso, che seguì una specifica persona, che era appena entrata dalla porta della Sala, trafelata.
Thomas Nott si strozzò con il purridge, mentre dei brusii accompagnavano l’entrata poco gloriosa di Joanne Smith. Dalton schioccò irritato la lingua, appuntandosi mentalmente di ricordarle la camminata sensuale. Cazzo, sembrava Hitler versione femminile tant’era rigida.
Ma era comunque una favola e questo l’ammise anche Tom, che si era sbrodolato sulla divisa linda e pulita: i capelli sciolti erano lunghi e mossi e le arrivavano a metà schiena, mentre il viso sembrava diverso… più luminoso, quasi luminescente. Gli occhi neri erano appena truccati e le labbra erano rosse come le ciliegie, tutte da baciare.
Con la divisa più attillata, poi, era da mangiarsela con gli occhi. – Mamma mia, Smith, ma stanotte hai fatto un sacrificio a Morgana? Sei uno schianto – ammiccò Dalton, facendo in modo che lo sentisse tutta la Sala e fiero del proprio operato.
Joe arrossì, scoccandogli un occhiataccia e sedendosi al suo posto con i capelli a coprirle il viso.
-         Manderà all’aria tutto il mio lavoro se non diventa più maliziosa – sbuffò Dalton, alzando gli occhi al cielo e versandosi il suo fido whiskey incendiario nel caffè nero.
Schioccò la lingua fintamente irritato, fissando Tom con la coda dell’occhio: e certo, Mister simpatia era rimasto ammaliato dal suo lavoro… ma che ci provasse soltanto! Lui la sera prima l’aveva consolata e lui era quasi caduto in depressione nel ricordare il suo passato, quindi per diritto di precedenza era sua e basta.
-         Chiudi la bocca, ci entrano i Nargilli – sibilò verso l’amico, mentre Scorpius alzava gli occhi al cielo.
-         Fatti gli affaracci tuoi, Dalton – sbottò Tom, arrossendo sulle guance e distogliendo lo sguardo beato da Joe.
Se, come no, contaci, pensò furioso, tracannando un sorso di whiskey direttamente dalla fiaschetta e fulminandolo con gli occhi. Di quel passo sarebbe diventato un bisbetico ubriacone, ma pace! Non l’avrebbe di certo lasciata nelle sue mani, con quel faccino angelico che non gli si addiceva proprio.
-         Sennò? Scappi a dirlo alla mamma? – frecciò ironico, beccandosi uno scappellotto da Crysantha, che lo fulminò con un occhiata velenosa.
-         Tieni mia madre e mio padre lontani dalla tua bocca, Zabini – sibilò, mentre Dalton alzava le mani in segno di resa.
-         E chi te li tocca… tua madre, poi, la toccherei solo per uno scopo… - insinuò, malizioso, beccandosi un calcio nelle caviglie.
-         Quando imparerai a stare zitto sarà sempre troppo tardi – borbottò Scorpius, scuotendo il capo.
Finita la colazione e di baccagliare, comunque, si recarono tutti a lezione. Tra Trasfigurazione, Pozioni, Incantesimi e Difesa, Scorpius non ebbe modo di pensare a quello che era successo la sera prima, ma Lily sembrava totalmente persa in quel ricordo.
Aveva la testa da tutt’altra parte e più volte era inciampata sui suoi stessi passi o aveva ricevuto richiami dai professori per non prestare attenzione alla lezione; più la guardava e più si rendeva conto che la decisione che aveva preso era irremovibile e sospirò: mischiarsi in quella guerra della malora, finita anni prima, era l’ultimo dei suoi pensieri, ma… se l’avessero costretto a stare dalla parte opposta alla sua?
Se gli avessero imposto il marchio e costretto a combattere, lui avrebbe avuto il coraggio di battersi con Lily e il resto dei suoi compagni? Combatterla a suon di magia o peggio… ucciderla. Ne avrebbe avuto il coraggio?
Il coraggio di uccidere, se non lei altre persone o altri suoi compagni di Corvonero, Grifondoro o Tassorosso. Avrebbe avuto quella forza? Inconsapevolmente tremò, chiudendosi a riccio.
Lui era un Malfoy e c’era infognato fin dall’inizio e prima o poi l’avrebbero posto dinnanzi a quel bivio: o uccidere per un ideale o farsi uccidere per codardia. E Scorpius pregò.
Pregò perché tutto ciò non avvenisse, lui non era pronto, non lo era mai stato e non lo sarebbe mai stato e aveva paura di perdere tutto quello che si era costruito in quegli anni insieme alla sua famiglia e il resto degli studenti in quella scuola.
Pregò perché vedere gli occhi di Lily riversi verso l’alto e il suo corpo senza vita era l’ultima cosa che avrebbe mai voluto vedere in vita sua.
E, silenziosamente, tremò.

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto - Scelte ***


Capitolo Quinto -
Scelte






Respirava affannosamente, mentre il naso seguiva la scia del collo arcuato, posato placidamente sul cuscino soffice. Dalton morse lo stacco tra la gola e lo sterno, disegnando ghirigori immaginari con la lingua e lasciando una scia umida al suo tocco quasi impalpabile.
La sentì gemere sotto di lui e sogghignò, portando le mani all’altezza del seno e stringendone uno tra le dita chiuse a coppa; il fuoco, sentiva il fuoco colare come lava e fargli mancare il respiro, mentre due occhi blu lo fissavano languidi, quasi deliziati.
-         Dalton, Dalton, Dalton – bisbigliò quella voce e il ragazzo si ritrovò a scuotere il capo tra se e se: Merlino, era così egocentrico da eccitarsi solo a sentir nominare il proprio nome.
Le unghie della ragazza sprofondarono nella sua schiena senza delicatezza, scendendo lungo la spina dorsale e strappandogli qualche gemito dalle labbra schiuse, intente ad assaggiarla, assaporarla interamente, come se non avesse intenzione di perdersi un solo centimetro di quella pelle serica e liscia.
Sarebbe impazzito, se lo sentiva. Non toccava un corpo così in intimità da quando aveva sancito quel patto con il diavolo, come apostrofava Joe, e ora gli sembrava di essere arrivato al limite.
Quegli occhi blu lo fissavano e sembravano volerlo trascinare giù, in un abisso fatto di fiamme. – Dalton – bisbigliò Crysantha per attirare la sua attenzione, mentre lui immergeva le dita nei suoi capelli lunghi e si beava di quel profumo di rose e miele, così delicato… così poco consono a lei.
La sentì muoversi smaniosa sotto il suo corpo e capì che anche lui era pieno, quasi da sentirsi scoppiare. Crys sogghignò, allacciandogli le braccia dietro la nuca e attirandolo nuovamente a sé, a pochi centimetri dalla bocca rossa e gonfia dei suoi baci.
-         Ora – mormorò, fissandolo quasi con una muta preghiera nello sguardo.
Ah, se sapeva incantare con quegli occhi da demone. Era quello il potere delle Greengrass, lo avevano sempre messo in guardia, anche se tra lui e Crysantha non c’era mai stato nulla oltre l’amicizia sincera e il sesso. Avevano un potere quegli occhi, tanto da togliere ogni forza, qualsivoglia volontà.
Si mormorava, tra i pettegoli, che fosse quella la loro condanna. Far impazzire gli uomini, portarli allo spasmo… ma rimanerne indifferenti, prive d’amore e provviste solo di lussuria. Fu quella la maledizione che una zingara gettò sull’antenata più famosa della famiglia Greengrass, la bis-bis-bis-bis-bis nonna di Crysantha e Tom, Asteria, dopo che quella gli fregò il marito.
Era nuda sotto di lui e sorrideva languida come un gatto, mentre il suo corpo perfetto brillava alla luce delle candele; la stanza era in penombra, ma Dalton riusciva a vedere ogni singolo lembo di carne di quella strega celestiale. Quasi non umana. Era bella, tanto, ma non era lei.
Dalton sorrise amaro, spingendo in Crysantha con più forza, con rabbia. Perché anche se quel corpo lo stava trascinando giù, il viso di Joe era sempre presente nei suoi pensieri. Lei gli stava divorando l’anima e lo faceva senza che lui potesse difendersi, senza che potesse farci niente.
Crys gemette e Dalton, volgendo gli occhi azzurri verso di lei, vide i suoi occhi scurirsi, ingrandirsi, passare da quelli di una gatta a quelli di una bambola di porcellana. La magia delle Greengrass non aveva effetto su di lui, non finché nella sua mente i capelli di Crysantha sarebbero diventati lisci come seta e quel volto più tondo, addolcito, lontano miglio da quello dell’amica… ma simile a quello di colei che gli aveva rubato il sonno.
Crys alzò il bacino verso di lui, incoraggiandolo a continuare e per quella sera decise di spegnere il cervello, abbandonandosi in quel corpo fino a perdere la ragione.
Non voleva pensare.
Era testardo, solo Merlino sapeva quanto, ma in cuor suo sapeva che non sarebbe stato lui a vincere quella guerra. Il cuore di Joe, per quanto lui lo attentasse, non gli apparteneva.
-         Dalton! – gemette ancora una volta Crys e lui la baciò con forza, maledicendosi mentalmente.
Non c’era pace per i dannati, questo Dalton lo sapeva e quindi lasciò che i lineamenti di Crys, nella sua testa, cambiassero e diventassero quelli di Joe. Lasciò che la colpa di non essere abbastanza diventasse un macigno e bruciò tra quelle fiamme che sapevano di espiazione.
Perché, per quelli come lui, non c’era pace.
 
La mattina dopo si svegliò di soprassalto, spalancando le fauci dinnanzi al piede di Scorpius Malfoy infilato elegantemente tra le sue gengive: con la faccia d’angelo cercava di svegliarlo nel peggior modo possibile. Punzecchiarlo.
E lui odiava svegliarsi così, anzi, rettificando: lui odiava direttamente Scorpius e la sua stirpe.
-         Ti giuro su tua madre che sei morto! – urlò Dalton.
Erano le otto di mattina e naturalmente gli altri ragazzi non apprezzarono le urla di Zabini, che come un invasato cominciò a rincorrere quello che aveva sempre considerato una palla al piede. – Malfoy! – ringhiò, furioso, afferrando la prima cosa che gli capitò a tiro per lanciargliela contro.
Il risultato: alle otto di mattina, Scorpius Malfoy, correva come un invasato per la Sala Comune dei Serpeverde, con un boxer sulla testa bionda con tanto di elefantini rosa e coperto solo da un paio di striminzite mutande. Al suo seguito, inferocito come non mai, Dalton Zabini completamente nudo, reduce da una nottata di sesso, intento a sbraitare propositi di guerra e sanguinolente battaglie verso il suo migliore amico.
-         Oh santissimo Merlino – e di certo non si sarebbero aspettati di vedere Lily Potter e Lumacorno fermi davanti all’entrata di Serpeverde, sbiancati dinnanzi a tale scempio.
Lily divenne cianotica e si chiese se ci fosse qualcosa di più meraviglioso, di prima mattina, di vedere Scorpius mezzo nudo. Era magro, certo, ma aveva un fisichetto niente male, tutto da morde… - Malfoy, Zabini! – urlò Lumacorno, sdegnato, facendoli sobbalzare tutti e tre sul posto.
Dalton afferrò i boxer che Scorpius aveva in testa e cercò di coprirsi i gioielli di famiglia, sorridendo come un angioletto e sbattendo civettuolo le ciglia – Buongiorno, professore! – cinguettò, con una faccia tosta che, per una volta in vita sua, ringraziò mille volte di aver ereditato.
-         Indossate immediatamente qualcosa e venite nel mio ufficio… ORA! – strepitò Horance, mentre il sangue gli defluiva dal viso e usciva a passo di marcia, con la pancia che quasi sembrava rimbalzare sulla cintola. Probabilmente il panciotto verde sarebbe scoppiato da un momento all’altro, come il suo faccione tondo e lucido, quasi terrorizzato.
Dalton mise il broncio – Oh, andiamo, e che sarà mai! Per un po’ di pe… - iniziò, venendo interrotto da uno scappellotto di Scorpius, che gli intimò con lo sguardo di inghiottirsi quella lingua velenosa.
-         D’accordo, d’accordo, vi lascio soli, piccioncini! – ridacchiò, ritirandosi verso le camerate fischiettando tranquillamente e ignorando gli sguardi allucinati dei suoi compagni e quelle adoranti delle compagne.
-         Certo che è proprio fuori – bisbigliò Lily, grattandosi imbarazzata il capo e cercando di guardare altrove.
Scorpius sogghignò, inclinando il capo e godendo nel vederla arrossire – Non che tu sia da meno, non è vero? – mormorò, afferrandole di colpo il polso e strattonandola per avvicinarla a sé.
Era passata una settimana da quando quell’idiota l’aveva minacciata e non c’era stato un attimo in cui non l’aveva persa di vista, guardandola anche solo affaccendarsi con libri di cui non voleva conoscere nemmeno la provenienza.
Come un gatto che fa le fusa, strusciò il naso contro la sua guancia, beandosi del suo odore così dolce da fargli girare la testa. Trattenne, a stenti, un ringhio a fondo gola.
-         Buongiorno – sussurrò, prima di baciarla di volata e indietreggiare verso i dormitori, dove scomparve sotto il suo sguardo imbambolato.
L’aveva baciata. Ancora. E una voglia omicida le stava salendo alla testa. Ancora. Con uno sbuffo degno di un toro infuriato uscì dai dormitori, per ritrovarsi faccia a faccia con la sua migliore amica, ancora mezza addormentata, poggiata sul muro alla sua destra.
-         Ciao Lils – borbottò Joe, strofinandosi gli occhi e sbadigliando vistosamente.
Lily si bloccò, quasi trattenendo il respiro di botto: erano giorni che non parlava con Joe e ora ne aveva quasi paura.
-         Andiamo a fare colazione? – disse, con la tracolla sulle spalle e un cerchietto sulla testa.
-         Sì – mormorò Lily, mentre Joe la prendeva a braccetto e la trascinava per i corridoi.
Non le domandò nulla, niente di niente. Né perché fosse sparita improvvisamente dalla sua vita né cosa stesse combinando e la ringraziò per questo, ma poi ricordò che era quello il motivo per cui Joe era la sua migliore amica: sapeva aspettare il momento giusto, quello che le serviva per aprirsi e quando lo faceva, sapeva ascoltare alla perfezione.
Sapeva distrarla, farla ridere, quasi farla sentire viva. Ed era silenziosa quando serviva, come se le leggesse nel pensiero.
-         Merlino, sono a pezzi! Se continuo a farmi due ore di sonno ogni giorno credo che crollerò in men che non si dica – borbottò Joe, entrando a suo seguito in Sala Grande.
Quasi con orgoglio malcelato, Lily, vide parecchi sguardi posati su di lei e sogghignò; in fondo era sempre quello che Joe aveva desiderato: sentirsi apprezzata e non esclusa.
-         Sei bellissima, oggi – mormorò al suo orecchio, prima di sedersi al tavolo delle Serpi e farle l’occhiolino.
Joe le regalò un sorriso incredibile, quasi illuminandola, e Lily capì che non c’era solo suo padre da proteggere, ma anche la sua migliore amica. Non poteva permettere a nessuno di sfiorare Joe, nemmeno sotto tortura.
-         Sempre così pensierosa, Potter… se non ti conoscessi penserei che stai macchinando qualcosa – cincischiò una voce al suo orecchio, terrorizzandola per il tono lascivo che aveva usato.
Bryan Stock sembrava essersi assunto il compito di renderle la vita un inferno… e, maledizione, ci stava riuscendo bene. Aveva una paura folle di quel tono cadenzato e lui l’aveva capito. – E io, se non conoscessi te, saprei che stai per dartela a gambe perché tra due secondi ti minaccerò di morte cruenta se non ti allontani subito di due metri – sibilò una voce pigra alle loro spalle, facendo sobbalzare Bryan e lei.
Lily si rilassò, guardando Scorpius quasi con riconoscenza. Chissà perché, nell’ultimo periodo, lui le guardava sempre le spalle; era sempre lì, pronto a… difenderla.
-         Hn, agli ordini! – ridacchiò Bryan, sedendosi quasi alla fine della tavolata delle Serpi.
I tavoli erano imbanditi e il solito chiacchiericcio riuscì a farle rilassare i muscoli impercettibilmente; Lily socchiuse gli occhi, regalando un sorrisetto a Malfoy, e si sedette al fianco di Crysantha, quasi con la faccia nel purridge.
-         Stanca? – domandò Lily, mentre l’amica ciondolava il capo a destra e sinistra come in fin di vita.
-         Sesso – chiarì Chris, sbadigliando sonoramente e riavviandosi i capelli castani dietro l’orecchio e sospirando.
Quel giorno, nonostante le occhiaie da vampiro sull’orlo del collasso, Crysantha era da paura: i capelli sciolti sulle spalle, lisci e vaporosi, gli occhi blu truccati di grigio, ma appena palpabile, senza nemmeno provare a calcare la mano.
Le dita erano, come sempre, ornate dal blasone d’oro giallo dei Nott, che raffiguravano un unicorno e un serpente attorcigliati, quello spesso e rilegato dei Greengrass, cioè una rosa pugnalata da una spada e quello che, tempo prima, le aveva regalato suo fratello Tom: un anellino piccolo, fine, con solo una piccola “A” proprio al centro. Always. Sempre, le aveva detto.
Le gambe erano coperte da collant di seta nera, ai piedi portava un paio di stivaletti scamosciati e il gilet grigio scuro cozzava contro la camicia di seta pregiata, con lo stemma dei Serpeverde.
Viva l’eleganza, pensò Lily, squadrandosi schifata. Calze nere, solita gonna scozzese, camicia appena poco stropicciata e maglione sformato. – Mi servirebbe anche a me l’aiuto di Dalton – sospirò, poggiando la bocca su una tazza di caffè nero e ingoiandolo a forza. Era… strano. Aveva un sapore acre, più amaro del solito.
-         Quello era il mio caffè – mormorò Dalton, guardandola con gli occhioni azzurri dilatati.
-         Il mio caffè… corretto – finì, mentre Lily sputava il contenuto sulla faccia di Emmeline Mcnair, seduta proprio di fronte a lei.
Oh santissimo Merlino, ora l’avrebbe ammazzata. Dalton, proprio senza pudore e facendo incazzare ancor di più il prefetto del loro dormitorio, scoppiò a ridere come un pazzo, battendo i pugni sul tavolo e singhiozzando come se fosse appena accaduto un fatto esilarante.
-         Giuro, sei la mia eroina! – disse, tra un singulto e l’altro, mentre Emmeline, con una calma invidiabile, si strizzava i  capelli biondo grano dal caffè che le grondava dai ricci.
Lily deglutì e con una flemma incredibile ebbe la faccia tosta di parlare – Stai bene? – domandò, con vocina piccina piccina, mentre la sala ridacchiava alla vista del mascara nero colato sulle guance rosee della ragazza.
-         Sto bene? – mormorò, ripetendo la sua domanda e zittendo gli sghignazzi.
-         Sto bene? – ripeté nuovamente, alzando la voce di qualche ottava e assottigliando gli occhi a mandorla.
-         STO BENE? – urlò letteralmente, facendoli sobbalzare tutti e assumendo una nota isterica che fece rimpicciolire Lily sulla sedia. I suoi occhi ambrati mandavano scintille e la rossa inghiottì a vuoto.
-         Mi hai appena sputato in faccia il caffè, con tanto di whiskey, e mi chiedi se sto bene? – e lì la voce della quindicenne divenne così sottile che sembrò la scia di unghie sulla lavagna.
Con un sorriso perfido, che quasi precedette le sue mosse, Emmeline afferrò la brocca di succo di zucca e la rovesciò completamente sulla testa di Lily.
Joe spalancò la bocca e avvenne ciò che aveva temuto: l’apocalisse.
C’era da dire che Lily era sempre stata una paciosa, che amava starsene sulle sue e rispondere alle provocazioni solo quando arrivavano il limite, ma quando in sé quella bestia della “violenza” prendeva il sopravvento… Lily diventava un animale.
-         Porc… ma sei impazzita? – ululò, infatti, la ragazza dai capelli rossi, mentre nella Sala tutti si mettevano comodi per godersi lo spettacolo.
-         Hai cominciato tu! – strillò Emmeline, additandola come se fossero stati bambini di due anni e non due adolescenti.
Dalton, quasi spaventato da quella lite, tirò timidamente il maglione di Lily, come se volesse convincerla a sedersi nuovamente.
-         Ma ti senti? Sembri una bambina di cinque anni! Che diavolo ti salta in mente, essere orrido? – sbraitò la Potter e lì sembrò che si fosse scavata la fossa, perché il volto di Mcnair era una maschera di sale.
-         Io? Io un essere orrido? Ma come ti permetti, esaltata? – strepitò con quella voce di gallina, irritando Lily oltre ogni dire.
-         Se invece di strepitare come un oca in calore sentiresti quello che ti dicono alle spalle, forse già sapresti di essere orrida, Mcnair! – le rispose Lily, riavviandosi i capelli con un gesto secco della mano.
Scorpius trattenne a stento una risata, perché quel gesto sembrava voler essere così superiore da averlo steso in un secondo; era proprio una Serpeverde, su questo non c’era dubbio.
-         Non che tu sia meglio, Potter! – sputò Emmeline, velenosa e lì accadde qualcosa che tutti, nessuno escluso, non si sarebbe mai aspettato.
Rose Weasley si era alzata di scatto, con la bocca spalancata e gli occhi fiammeggianti, quasi oltraggiati e, con un dito teso, indicava Emmeline come se avesse appena commesso un omicidio. – Non osare, Mcnair, mia cugina è diecimila volte meglio di te! – le urlò contro, avvicinandosi a Lily con le mani sui fianchi e l’aria di mamma chioccia.
-         Hn, è arrivato il cavalier serviente! Ma fammi il piacere, Weasley, che tu per prima sei un topo da biblioteca – sbottò Diantha Parkinson, con il suo terribile accento francese, pure finto se proprio dovevano dirlo, scuotendo il caschetto dai capelli neri.
Rose assottigliò gli occhi, stringendo le labbra. – Ha parlato quella che con una pozione si fa venire la “R” moscia – rise Roxanne, sarcastica e lì successe la baraonda. 
Le femmine di casa Weasley urlarono guerra e le Serpeverde non esitarono: dagli insulti si passò velocemente alle mani e la tavolata verde-argento divenne un vero campo di battaglia. Pugni, graffi, capelli strappati, non si capiva un tubo e Dalton si era pure beccato una gomitata in un occhio per togliere dalle infide mani di Josephine Stock, la sorella dell’infido essere di Bryan, la sua piccola Joe, che era finita lì in mezzo anche senza volerlo.
Lily era saltata sulle spalle di Emmeline e con quanta rabbia in corpo le stava mollando sulla testa così tanti cazzotti che fecero sbiancare più di una persona; Roxanne e Rose si erano lanciate su Diantha e Lucy quasi era stata presa per i capelli da Angelica Carrey, quarto anno.
I Flower, poi, che erano pacifisti, si ficcarono in mezzo insieme ai cugini Weasley\Potter, cercando di dividere le ragazze e, intanto, sperare che non sopraggiungesse un professore. O sarebbero stati guai.
-         Andiamo, ragazze! Fate l’amore non fate la guerra! – cinguettò Lysander Scamandro, tirando Hugo per i piedi che, a sua volta, tirava Crysantha presa per i capelli da Josefine.
-         Col cazzo, Scamandro! Non siamo lesbiche e nemmeno ad un party post-orgia! – sbraitò Lily, mentre, soddisfatta, lasciava cadere Emmeline ai suoi piedi, svenuta.
-         Protego! – urlò una voce a loro conosciuta, dividendo i litiganti e sbattendo Grifondoro da un lato e Serpeverde da un altro.
La preside era a dir poco livida. Le labbra erano così strette e i denti così serrati che Lily, per un attimo, temette che potesse spezzarseli; la faccia rugosa vantava un espressione di pura ira, mentre tutt’uno, come un solo dormitorio, le due fazioni tremavano terrorizzate.
-         Potter, Nott, Zabini, Malfoy e tutta la famiglia Weasley nel mio ufficio. Ora! – strillò la professoressa Mcgranitt, mentre i professori accorrevano per accertarsi delle condizioni dei ragazzi.
Il risultato? Venti persone in infermeria e le famiglie di mezza Serpeverde, dei Scamandro e dei Weasley riuniti in Sala Grande per una riunione speciale.
Lily, mentre il pendolo scoccava le cinque del pomeriggio, si schiacciò con un sospiro una borsa del ghiaccio sull’occhio, mentre Dalton piagnucolava perché una stronza a caso gli aveva graffiato tutta la faccia.
Joe aveva un occhio nero peggio di Lily e un cerchietto alla testa terribile e Crysantha ciocche mancanti sulla sua adorabile testa. – Siamo fottuti – bisbigliò Scorpius a bassa voce, mentre i genitori dei ragazzi coinvolti entravano a passo di carica nella Sala.
-         Buonasera e benvenuti. Accomodatevi, prego – disse la Mcgranitt, indicando le varie panche delle tavolate, il pomeriggio prive dei soliti stendardi.
Harry, con un sospiro, guardò sua figlia con un occhiata eloquente che sembrava dire: che diavolo hai combinato, ora?
-         Ma io che centro, poi? Ho solo impedito che Emmeline ammazzasse la Potter! – sbuffò Scorpius a bassa voce, mentre un lamento agonioso usciva dalle labbra di suo padre.
Era sempre lo stesso, Draco Malfoy: magro, pallido, lineamenti spigolosi, ma regali, quasi principeschi. Era un po’ stempiato per colpa dell’età, ma gli occhi grigi e gelidi e l’incarnato diafano, come il portamento algido e fiero, facevano ancora girare la testa a parecchie streghe.
-         Ti sei buttato in una zuffa? – borbottò, guardandolo con rimprovero e sospirando, scuotendo il capo.
Scorpius arrossì vagamente e Lily sogghignò, guardando angelica Draco Malfoy, il diavolo in persona – Credo che questa volta sia colpa mia, signore. La cosa ci è sfuggita di mano – mormorò Lily, mentre Draco scuoteva la testa.
Altro che lui, quella era un vero e proprio demone!
-         Lily, ma è mai possibile che io passi più tempo qua dentro che a casa o a lavoro? – sbottò Harry, togliendosi gli occhiali dalla montatura rotonda e schiacciandosi il ponte del naso tra pollice e indice.
Lily sorrise a mo’ di scuse, carezzandogli un braccio e lui, che si faceva sempre fregare come un novellino, ricambiò un po’ reticente. – Almeno non si sono presi a botte tra di loro ed è già un gran passo – disse Hermione, accettando dei biscotti allo zenzero, offerti rigorosamente dalla Mcgranitt, sospirando poi per la testa dura dei suoi figli e nipoti.
-         In compenso si sono presi a botte con il resto dei dormitori. Lo considero oltraggioso e da espulsione! – sibilò la Mcgranitt, facendo sbiancare tutti quanti, figli e genitori compresi.
-         Nooo – gemette Rose, sbattendo con la testa sulla tavolata e battendo la fronte ripetutamente sulla superficie.
Aveva i capelli rossicci e ricci così crespi che potevano essere benissimamente scambiati per una palla di fieno e il labbro rotto con il sopracciglio spaccato non miglioravano la situazione.
-         La mia carriera – mugugnò, distrutta.
-         Sono rovinata – le diede man forte Molly, piagnucolando.
-         Al Ministero non accetteranno mai una senza diploma – si disperò Lucy, con gli occhi lucidi.
-         Wow, pacchia a vita! – sbottò Fred, dando il cinque a suo cugino Hugo e beccandosi uno scappellotto da sua madre Angelina e un occhiolino da suo padre George.
Blaise si chiese se non fosse finito in un universo parallelo, dove suo figlio difendeva i Grifondoro e si era perfino fatto picchiare per loro. – Il mio viso… il mio splendido viso – mormorava, intanto Dalton, guardandosi allo specchio e toccandosi mezza faccia sfregiata da quella che sembrava una gatta in calore.
-         Uccidetemi ora e fatela finita – singhiozzò, disperato, mentre suo padre alzava gli occhi al cielo per così tanto melodramma.
-         Ah, Zabini e falla finita! Quei graffi guariranno, maledizione – sbraitò Joe, facendo sobbalzare padre e figlio sulla panca, mentre lei si massaggiava ripetutamente le tempie.
Dalton le fece la linguaccia, dandole le spalle e Blaise ridacchiò, complimentandosi mentalmente con la marmocchia per aver zittito suo figlio.
C’era anche la Potter, che non aveva mai avuto l’onore di conoscere, ma era molto più tranquilla confronto gli altri e se ne stava accucciata nel suo angolino, a sorseggiare tè rilassante; bella combinazione, però, questo dovette ammetterlo: Lily aveva alcune caratteristiche di sua madre e alcune di suo padre e questo la rendevano un esplosiva Grifondoro, ma… ma c’era quel lato di Serpeverde che la rendevano un pezzo raro, quasi unico.
-         Ma, purtroppo per me, non posso espellere mezza scuola – li bloccò Minerva Mcgranitt, facendo rilassare la maggior parte dei presenti.
Rose si lanciò addosso alla madre, quasi estasiata dal poter continuare a studiare per la sua carriera ed Hermione la strinse a sé con forza, ignorando lo sguardo insistente di Malfoy dietro la schiena. L’avrebbe affatturato se non avesse smesso.
-         Ma oltre ad una punizione esemplare, voglio avvertirvi definitivamente: una sola parola che non mi piace, arrivate di nuovo alle mani e alla magia e potete dimenticarvi M.A.G.O, G.U.F.O e anche Hogwarts! – sibilò la preside, con le mani congiunte sotto il mento rugoso.
Li osservò imperiosa, sospirando tra se e se: quel nugolo di ragazzini erano un bel guaio, quasi più dei genitori, e oramai li aveva a cuore, quasi come se fossero stati figli suoi. Si passò una mano tra le tempie, massaggiando con accuratezza e, inorridita, in men che non si dica si ritrovò travolta da un abbraccio collettivo che quasi le fece sputare un polmone.
-         Grazie, preside, grazie! – piagnucolò Rose, affondando il viso nella sua spalla e quasi strozzandola con le braccia.
Quei maledetti dei gemelli, poi, sembravano tutti impegnati a fare le fusa e Lysander ne aveva approfittato per dispensare bene e amore.
-         Sì, sì, basta! – borbottò burbera, cercando di scrollarseli di dosso senza risultati.
-         Senti, papi, ma per caso mi hai portato quelle caramelle? –
Se c’era da sapere una cosa su Harry Potter, quella era che, sorprendentemente, era innamorato perso di sua figlia; la venerava, in tutto e per tutto e si scioglieva come burro con i suoi abbracci. E poi a quella scervellata di sua figlia bastava qualche moina per ottenere quello che voleva.
-         Sì, visto che ero avevo chiesto una spedizione proprio per inviartela via gufo, ritieniti fortunata… te le ho portate di persona – sbuffò Harry, ironico, agitando la bacchetta e facendo comparire, sotto lo sguardo incredulo di Scorpius, uno scatolone.
E con caramelle, Lily aveva davvero inteso caramelle. Erano Babbane, di sicuro, perché Scorpius non conosceva quella marca: una busta celeste e rosa con dei ciucciotti zuccherosi di ogni colore.
-         Ti cadranno i denti se mangi quei cosi – disse schifato, attirando l’attenzione di suo padre che spostò lo sguardo su quel quadretto interessante.
Lily aveva appena aperto una busta, su una trentina chiuse nello scatolone, e si era appena ficcate cinque o sei caramelle tra le gengive, fissando Scorpius con gli occhioni spalancati.
-         Assaggia e poi mi dirai – disse, masticando con giubilio e lanciandogli una busta.
Draco avrebbe volentieri strappato quelle caramelle dalle mani di suo figlio: oltre ad essere sfacciatamente Babbane, erano state offerte da un Potter… quindi o era veleno o la suddetta Potter era fuori di testa.
Scorpius aprì la busta e, senza nemmeno odorare quelle cose per capire se erano veramente avvelenate o meno, se ne ficcò due in bocca in tutta tranquillità. Draco rimase basito: ma era impazzito? Che gli aveva insegnato fin da piccolo a quel debosciato?
-         Scorpius… - lo richiamò, ma il ragazzo lo ignorò palesemente, mentre lo vedeva quasi volgere uno sguardo ammirato alla Potter.
-         Fico, lo zucchero quasi mi ha mangiato il palato! – cinguettò, mentre Lily annuiva entusiasta e saltava sulla sedia.
-         Hai visto? All’inizio sembra brutto, ma poi non puoi smettere di mangiarle! – ridacchiò, ficcandosi altre cinque caramelle in bocca.
Harry incontrò lo sguardo di Malfoy e capì che sua figlia si era imperlata in qualcosa di troppo grande e sembrava che Draco la pensava come lui.
-         Papà, dopo devo parlarti – mormorò Lily a bassa voce, in modo che sentisse solo lui, ma chi aveva orecchie per intendere lo fece, perché lo sguardo di Draco Malfoy s’incupì.
-         Certo, principessa – disse sorpreso, passandole delicatamente una mano tra i capelli e baciandole una tempia.
E finì che la Mcgranitt li cacciò a calci nel culo dalla Sala Grande, sotto le risate dei gemelli e anche alcuni sghignazzi dai suoi vecchi alunni. Harry fu trascinato da sua figlia lontano dalla mandria, ma, sorpreso, vide che alle sue spalle c’era anche Scorpius Malfoy… tampinato da quella serpe di Draco.
-         E loro? – domandò, con un sopracciglio arcuato.
Sorprendentemente, sua figlia, sogghignò. – Scorpius sa tutto e, beh, è stato lui a convincermi di parlarti – spiegò Lily, mentre sorpassavano il Lago Nero. Arrivati ai limiti della Foresta Proibita, alle spalle della capanna di Hagrid, Lily si sedette su un masso rialzato.
C’era silenzio, quel pomeriggio; attorno l’alone oscuro che formavano gli alberi rigogliosi, si udiva solamente il cinguettio di alcuni uccelli suicidi nei pressi del Platano Picchiatore.
Lily sospirò.
-         Parlo io – bisbigliò Scorpius che, vedendola in difficoltà, guardò Harry Potter con le labbra strette in una linea sottile.
Non aveva mai provato timore per Harry, ma neanche ostilità, com’era chiaro come il sole che ne provava suo padre. Lo vide sedersi accanto alla Potter, sorprendentemente, e accendersi una sigaretta alla menta.
Vizi, pensò Scorpius, scuotendo il capo.
Da quando le sigarette erano entrate in bando nel Mondo Magico molti ne avevano preso vizio; erano un invenzione Babbana e questo all’inizio aveva reso scettici molti Purosangue, ma quando molti tabacchini avevano cominciato a comparire per le strade più trafficate di Hogsmeade e Diagon Alley, anche loro avevano ceduto alle chiacchiere.
La sicurezza per alcuni di loro era che alcuni tabacchi erano stati modificati geneticamente dai maghi e ora ne si potevano trovare di tutti i gusti e quello aveva allietato i pensieri di tutti quanti... certo, come no, peccato che fumare roba tritata e messa sotto esperimenti da un branco di pozionisti non era il massimo della salute.
-         Una settimana fa un Serpeverde ha attaccato Lily – borbottò, facendo sgranare gli occhi a Harry e quasi strozzare suo padre con una boccata di fumo.
-         Ecco, lo sapevo! Che t’avevo detto, Potter? – sbottò Draco, sorprendendo suo figlio.
Scorpius aprì la bocca, la richiuse e l’aprì un'altra volta.
Eh?
-         Cosa gli avevi detto? – domandò, aguzzando le orecchie e lo sguardo, rintuzzandolo.
Draco nicchiò qualche secondo prima di sbuffare come un bufalo, ciccando sull’erba alta e fissando Potter tutto incazzoso – In settimana ci siamo ritrovati vecchi amici alla porta – sbuffò ironico, mentre Scorpius spalancava la bocca, inorridito.
-         Sì, peccato che abbiano cercato di fare la pelle a tua madre perché quell’idiota di Theodore li abbia cacciati a calci in culo perché ora che aveva figli e moglie non voleva saperne dei loro sporchi interlazzi… e credevano che accoppando Asteria io sarei saltato come un fringuello tra le loro file – sibilò rabbioso, mentre Scorpius sgranava gli occhi argentei.
-         Hanno fatto del male alla mamma? – mormorò, mentre Harry scuoteva il capo, sorridendogli con fare materno.
A Scorpius erano sempre piaciuti gli occhi di Lily, quelle pagliuzze verdastre che vigevano nelle sue iridi brune, ma ora che si ritrovava a guardare quelle Harry, ne rimane incantato.
Erano leggenda.
Erano forti, orgogliosi e ruggenti, come un leone che da nulla veniva scalfito.
Erano leggenda.
-         Tua madre sta bene e anche la pelle di serpente di tuo padre – ironizzò Potter, scuotendo il capo e fissandolo con sicurezza.
-         Anche se mi è venuto un infarto quando alle quattro di mattina mi si sono presentati davanti alla porta di casa – disse, accettando di buon grado la sigaretta che Malfoy non gli aveva offerto.
Gli strappò letteralmente il pacchetto dalle mani, accendendosene una con un sorriso mesto.
-         Hanno bruciato casa tua e a quanto pare hanno inviato un avvertimento a me – sussurrò, fissando sua figlia con la testa per aria.
Harry serrò i denti, notando solo ora che, attraverso il colletto della camicia alzato fin sotto il mento, c’erano delle dita. Lividi. Segni violacei che macchiavano la sua pelle serica.
-         Chi è stato? – domandò brusco, mentre sentiva le mani tremare per la rabbia che lo invase.
Sua figlia.
La sua bambina.
Con angoscia socchiuse gli occhi: era vero, gli errori dei padri ricadono sui figli ed eccolo il risultato: avevano fatto del male alla sua piccola principessa.
-         Non è importante. Volevo solo avvisarti di questi nuovi… pericoli. Io so difendermi da sola, papà e ora con me c’è Scorpius – borbottò Lily, sorprendendo perfino se stessa per quella constatazione.
Era vero, solo ora se ne accorgeva. Con lei, ora, c’era Scorpius.
Ultimamente se lo trovava sempre alle spalle, pronto a difenderla, ad osservarla, ad accorgersi di ogni suo cambio d’umore.
Sospirò, poggiando il mento sui polsi, poggiando i gomiti sulle gambe affusolate.
-         Lo sapevo io che se non ero morto a diciassette sarei morto più avanti per colpa tua, Potty –
-         Rieccolo – sbuffò Harry, mentre Lily ridacchiava e Scorpius guardava suo padre come se gli fossero spuntate corna e coda.
Certo, conosceva di già quel lato ironico e pungente, tipico dei Black, ma non l’aveva mai visto sbilanciarsi eccessivamente… sembrava un ragazzino, ora, a punzecchiare quello che aveva sempre considerato un nemico e che ora, invece, lo stava difendendo da quelli che aveva considerato, tempo addietro, compagni di dormitori.
-         Sta attento, Scorpius, quelli ci vanno giù pesante – disse Draco rivolto a suo figlio, che annuì, compito.
Stranamente, nonostante la situazione fosse pericolosa, sentì qualcosa sciogliersi nel petto.
Suo padre non l’avrebbe… sì, beh, non l’avrebbe costretto. Lo stava lasciando scegliere, silenziosamente, e lui stesso si era affidato ad Harry Potter, il suo secolare nemico, per salvarsi.
Dopo tanto tempo lo guardò in modo diverso e, facendolo sorridere come un bambino e battere il cuore, gli regalò un caldo sorriso, uguale al suo.
Draco se ne accorse.
Scorpius era orgoglioso di lui.
Non ebbe bisogno di chiedergli il perché. Ci era passato prima lui, tempo fa: non poter scegliere, eseguire e basta, percorrere una strada perché costretto. Solo per salvare la vita a chi gli aveva donato la sua.
Il marchio nero ancora bruciava sul braccio, ma ora non pesava più. Non era più una vergogna, una condanna.
Lo aveva messo alla gogna a diciassette anni, ma ora no, pensò. Era ora di mettere in chiaro le cose, di salvare coloro che gli avevano donato serenità e insegnato ad amare.
-         Non farti ammazzare, figliolo… quella è priorità dei Potter – ridacchiò, beccandosi un cartone da Harry e una gomitata da Lily.
Sembrava un quartetto familiare e questo disgustò sia Draco che Harry, ma a Malfoy bastò vedere l’occhiata che suo figlio lanciò alla piccola rossa per rilassarsi.
Scorpius aveva scelto in base al suo cuore… con un coraggio che lui non aveva mai avuto.
 

***

 
Le lezioni ad Hogwarts erano sfiancanti e di questo se ne accorsero tutti poche settimane più tardi. Erano nel pieno di Novembre e gli studenti erano arrivati, arrancando anche, al primo week-and tranquillo di quel mese.
Erano a metà Novembre ed erano stati sommersi di compiti e interrogazioni persino nei fine settimana e arrivarono il venticinque completamente collassati sulle poltrone.
Lily non aveva più ricevuto minacce e nessuno dei Serpeverde si era avvicinato a lei, ma si era accorta dell’arena che si apriva al suo passaggio quando era in Sala Comune, dei bisbigli velenosi… e ora, sotto consiglio di Scorpius, odorava sempre le bevande e i cibi che mandava giù di malavoglia; le aveva insegnato che odore avevano il veleno, che colore potevano assumere sostanze toccate e così via, mettendole la nausea.
Chi… chi poteva avere un coraggio così barbaro da avvelenare una persona?
Ma era sabato e, ringraziando Merlino, Salazar, Godric, Dio e pure Buddha , non avevano avuto compiti.
Nonostante il giorno libero, però, Lily si era alzata presto e aveva infilato le prime cose che le erano capitate sotto mano: un jeans babbano, stracciato in più punti e un maglioncino azzurro che aderiva perfettamente ai suoi fianchi stretti.
Era dimagrita, notò. Il seno era rimpicciolito ancora e quasi riusciva a contarsi le costole.
Con uno schiocco di lingua scosse il capo, spazzolandosi i capelli e uscendo di volata dal dormitorio.
Erano solo le sette di mattina e aveva scelto quell’orario indecente  per uscire da Serpeverde perché, in giro per i corridoi, non c’era nessuno che potesse importunarla. Già, da quando aveva parlato con suo padre e aveva saputo che i Mangiamorte erano davvero tornati e non era stato solo un delirio di onnipotenza di Stock, Lily si sentiva braccata.
E certo, pensò acida.
Era nella casa del lupo!
Camminò distrattamente per i corridoi, scartando l’idea di andare in Sala Grande, visto che la colazione veniva servita alle otto e cominciò a ciondolare per i corridoi.
Non c’era in giro nemmeno Gazza, ed era tutto dire!
Eppure… eppure quella tranquillità non la turbò eccessivamente; aveva un po’ di tempo per sé, per pensare a tutto quello che stava succedendo e che era già successo, quindi poco importava che fosse sola.
Sola.
Quell’aggettivo non le si addiceva da quando Scorpius Malfoy si era eretto suo protettore. Ridicolo, pensò sogghignando.
Scorpius, in apparenza, poteva essere considerato il principe dall’algida armatura, ma lei sapeva che non era così.
Scorpius era… il drago della storia, quello sputa fuoco che probabilmente non vuole aiutare, ma lo fa e basta, senza nemmeno sapere il perché. Era maestoso, fiabesco, da perdere il fiato.
Con le scarpine di stoffa a azzurra dirottò verso il terzo piano, nei bagni di Mirtilla. Forse una sigaretta le avrebbe sciolto i nervi a pezzi: non dormiva bene da un pezzo, oramai.
Quando entrò nel bagno si sorprese di non sentire i lamenti di Mirtilla, ma non se ne curò: un mal di testa dato dai piagnistei di quella palla di fantasma non erano il massimo di prima mattina.
Con uno sbuffo, Lily, si sedette sui gradini rialzati dei lavandini, portandosi le ginocchia al petto e accendendosi una sigaretta alla vaniglia. Era troppo dolce, ma giù per la gola le lasciava un sapore acre.
Le sembrava la medaglia della vita: quando c’era la fetta dolce, subito dopo quella amara a rimpiazzarla.
Sbuffò imbufalita. Stava diventando depressa, diavolo!
-         Chi c’è? – un singulto le arrivò dall’ultimo cubicolo del bagno di Mirtilla e Lily sobbalzò, mentre le pupille sembravano dilatarsi per l’orrore.
Con il ticchettio delle scarpe raggiunse l’ultimo bagno a destra e con un calcio aprì la porta di legno chiaro: lì, appiattita contro le piastrelle, con un taglio sanguinante sulla fronte e le lacrime agli occhi, Crysantha Nott la guardava da sopra la spalla scoperta.
La divisa era leggermente strappata e il bagno… il bagno pieno di vomito. Qualche piastrella era macchiata di sangue e Lily si sentì gelare il sangue nelle vene.
“Sì, peccato che abbiano cercato di fare la pelle a tua madre perché quell’idiota di Theodore li abbia cacciati a calci in culo perché ora che aveva figli e moglie non voleva saperne dei loro sporchi interlazzi… e credevano che accoppando Asteria io sarei saltato come un fringuello tra le loro file”
Le parole di Draco Malfoy le rimbalzarono nel cervello come un eco lontano, squarciandole la pelle dal dolore. Lentamente, quasi eterea, si abbassò sull’amica, fino ad appoggiare i ginocchi sulle piastrelle color panna e a guardarla negli occhi.
-         Lily! – bisbigliò, tappandosi la bocca con una mano chiusa a coppa e, probabilmente, fermando l’ennesimo conato di vomito.
Non l’aveva mai vista piangere. Crys le era sempre sembrata troppo indifferente al mondo per essere ferita da qualcosa o qualcuno e, oltre quelle poche settimane in cui le aveva riservato attenzione e rari sorrisi che aveva imparato ad apprezzare, l’aveva vista rilassata e felice solo con suo fratello Thomas.
-         Va tutto bene – mormorò Lily, prima che Crysantha, sorprendendola, le buttasse le braccia al collo, facendola cadere all’indietro.
Rimasero così, abbracciate, mentre la Nott cercava di inghiottire i singulti che le scuotevano le spalle e Lily le accarezzava i capelli… sentendosi più male di lei.
Il senso di colpa cominciò a corroderle le viscere.
 
Nei dormitori maschili, invece, la situazione era ben diversa. Del tutto ignari delle situazioni in cui versava Crysantha, attaccata alle spalle da un gruppo di Serpeverde idioti e senza cervello che l’avrebbero pagata cara, nella stanza di Scorpius e co. si stava svolgendo una situazione particolare che mise tutti di cattivo umore di prima mattina.
Motivo? Un Dalton Zabini in astinenza.
E se Dalton era fastidioso con una dose di whiskey ed erba nelle vene, figurarsi completamente lucido. Da tagliarsi proprio le vene.
-         Ti prego, Scorpy, ti supplico! – stava piagnucolando Dalton, inginocchiato ai piedi di Scorpius con l’espressione da cucciolo bastonato.
E c’era un motivo del perché un Zabini si stesse prestando in quel modo ai piedi di qualcuno: Scorpius, oltre Crysantha, era l’unico ad avere contatti coi Flower e quel porco di Stevens che capeggiava alla testa di porco.
E, di conseguenza, era l’unico che potesse procurargli l’erba e delle botti di whiskey per altri tre mesetti buoni.
-         Ma è mai possibile che hai già finito tutto? – l’apostrofò acidamente Tom, infilandosi un maglione nero con lo scollo a V sul petto liscio come l’alabastro.
Dalton lo guardò schifato. – Tu vedi di non rivolgermi la parola, perché già ti odio di mio! – sbottò, memore del suo avvicinarsi a Joe.
-         La sconfitta brucia! – canticchiò Tom, beccandosi un accendino dietro la nuca e una bestemmia in serpentese.
Ma Dalton non si preoccupava, in realtà. Certo, Tom poteva anche avvicinarsi sempre di più a Joe, ma era lui che l’aveva baciata. Lui la vedeva nuda per fare in modo che venisse accettata. E, sempre lui, aveva insinuato la serpe del dubbio nella sua testa.
-         Ah, ah, Tommie… sapessi come brucerà a te quando ti accorgerai del due di picche che ti darà – cinguettò a bassa voce, ma Scorpius lo sentì benissimo.
Con un sopracciglio arcuato e l’espressione più sveglia di due minuti prima, si abbassò tanto per arrivare a guardarlo in faccia. – Stai facendo di nuovo il bastardo, vero? – sbuffò, assottigliando gli occhi grigi come lame.
Dalton alzò gli occhi al cielo, nicchiando – Ma no, tranquillo – borbottò, sorridendo sornione.
Certo, come no, pensò Scorpius, inacidito. Quando mai poteva stare tranquillo con quello nei paraggi? Era pericoloso come una mina vagante, cazzo!
-         Ti rifornisco di tutto se la smetti di dare il tormento a quella benedetta ragazza! Insomma, Dalton, è già complessata di suo senza che ti ci metta tu con i tuoi trucchetti da conquistatore psicotico – sbuffò Scorpius, schioccando la lingua e sedendosi sul suo letto.
Rosier dormiva ancora come un bambino e, memore della sera prima dove aveva accompagnato Lily in Sala Grande e se l’era incollata addosso, una lampadina gl’illuminò il cervelletto bacato.
Visto che Dalton proprio non voleva lasciare perdere la Smith, chiese qualcos’altro in cambio – Sveglialo in un modo che ricorderà per tutto il resto della sua vita e avrai cinque casse di whiskey e un chilo d’erba entro stasera – sibilò perfido, mentre gli occhietti malefici di Dalton s’illuminavano a suo pari.
Lo vide cinguettare felice, dargli un disgustoso bacio in fronte e saltellare verso il letto di Alex, che sospirò nel sonno.
E, con un singulto di risata bloccato in gola e l’incredulità impressa sul viso, partecipò ad una scena che non sapeva se catalogare esilarante o disgustosa.
Dalton… santo essere che sembrava avere idee sempre più malsane e malate, si abbassò i pantaloni della tuta con cui aveva dormito, i boxer e… strofinò il sedere sulla faccia di Alexander.
Dalla porta del bagno sentì un tonfo e probabilmente era stato Tom, appena sopraggiunto per assistere alla scena: di sottecchi vide la bottiglia di shampoo completamente riversa sulla moquette verde smeraldo e l’espressione inorridita di Tom, che se ne stava sull’uscio della porta di mogano con la bocca spalancata.
Alex si mosse nel sonno, infastidito.
Scorpius si coprì la faccia con le mani e scoppiò a ridere miseramente, tenendosi la pancia per lo sforzo e la faccia era così rossa che per un attimo temette di scoppiare; Dalton continuava il suo lavoro e la sigaretta di Scorpius finì in mille pezzi sulla moquette già macchiata.
Alex mugugnò qualcos’altro nel sonno e finalmente aprì gli occhi, forse attratto dai rumori o… da qualcosa.
Sbatté una volta le palpebre.
Due, tre.
E alle sette e quarantacinque del mattino, Serpeverde venne invasa, per la seconda volta in un mese, da una voce apocalittica che spaventò i primini e bestemmiare i quasi maturandi.
-         Sei morto, Zabini! –
E chissà perché, quando succedevano queste cose, c’era sempre Dalton di mezzo.

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto - Heart ***


Capitolo sesto -
Heart








-          Ehi Potter… sei vergine? –
La domanda, di primo acchito, era stata posta con un tono così innocente che fece cadere le braccia a Lily. Per un attimo aveva persino ponderato l’idea di rispondere, per poi arrossire furiosamente e guardare Scorpius Malfoy come se gli fossero spuntate corna e coda.
-          Ti sei bevuto il cervello, biondastro della malora? Saranno pure affari miei! – sibilò, rituffando il nasino alla francese nel grosso tomo di cuoio che stava leggendo, oramai, da qualche ora.
Scorpius sbuffò, alzando gli occhi al cielo. Se ne stavano alle rive del Lago Nero da più di due ore e quella non si staccava da quel libro nero rifinito da lunghe linee dorate e argentate; al centro, aveva notato, c’era un grosso occhio racchiuso tra due mani grifagne.
-          Si vede lontano un miglio che quel libro è proibito – sbuffò Scorpius, accendendosi l’ennesima sigaretta della giornata e sdraiandosi letteralmente sul sasso su cui si era seduto quando aveva deciso di accompagnarla per quel pomeriggio rilassante.
Sì, come no.
Il sole a malapena si vedeva attraverso le nubi grigiastre e il tempo era così nero e cupo che invece delle cinque del pomeriggio sembravano le otto di sera. Il lago scintillava oscuro, come sempre, accarezzato da piccole onde create dal vento sottile che tirava sull’ampio spiazzato alle spalle della scuola.
Eccola lì, Hogwarts, in tutto il suo splendore.
Le torrette svettanti, i mattoni preistorici, le luci e la sensazione di casa che accarezzava chiunque posasse lo sguardo su di lei. Era magnifica e gli trasmetteva un senso di pace che nemmeno casa sua riusciva a dargli.
Sorrise, come un bambino.
-          Fatti i fatti tuoi, te lo ripeto – sibilò Lily in risposta, alzandosi il collo del cappotto di velluto nero che indossava.
Le lezioni erano finite da poco, ma lei aveva subito tolto la divisa; ora, sul suo corpo esile e languido, faceva sfoggio di sé un vestito rosso rubino che le arrivava alle ginocchia: era a maniche lunghe sotto il cappotto, ma aveva le spalle scoperte e una generosa scollatura a cuore che lasciava scoperti i seni piccoli e sodi. Dei nastri neri – contornati da tanti piccoli rubini – scendevano fino al busto, lasciando spazio all’ampia gonna.
Indossava delle calze di seta nere che le slanciavano la folgorante figura e dei decolleté così alti, di pelle lucida e nera, che sicuramente non potevano essere indossati tutti i giorni.
E, Scorpius, sembrò solo in quel momento rendersi conto che era troppo agghindata per un semplice pomeriggio da passare al lago.
-          Vai da qualche parte, per caso? – sbottò, incrociando le braccia al petto e fissandola con astio per non essere stato avvisato prima.
Lily nemmeno alzò il viso dal tomo che stava leggendo e, si accorse Scorpius basito, era pure truccata! Lei, truccata!
-          Devo dirti tutti i miei spostamenti? – sussurrò ossequiosa, facendolo arrossire dalla vergogna.
Si chiuse in un silenzio ostinato, fumando come una teiera e cominciando a gufare lì sul posto. Cominciò a guardarla di soppiatto, costatando che ci aveva messo impegno nel rendersi presentabile; aveva legati i capelli in uno chignon molle e alcune ciocche le ricadevano sul viso appena colorato sulle guance scavate; le labbra piene erano colorate di rosso scuro e il mascara le allungava le ciglia.
Poi niente. Era essenziale, tranne per la catenina d’oro che le pendeva dal collo e le accarezzava la valle dei seni e un anello all’anulare sinistro.
-          Vado ad una cena formale dai miei… sembra che i Wilkinson ancora debbano mollare – pigolò Lily, con vocetta sottile.
I Wilkinson?
-          In che senso? – sibilò, sentendo la viscida serpe del dubbio serpeggiargli a fondo stomaco.
Subito dopo gli venne un traverso di bile.
-          Sembra che il Ministro abbia chiesto una cena con i miei genitori… e figli a seguito. Ci sarà anche tuo padre, credo, visto che ora vive a casa nostra – disse Lily, sbuffando.
Peccato che il Ministro non richiedesse cene formali con i suoi Auror così a caso… peccato che quell’Auror fosse Harry Potter e figli a seguito comprendesse anche Lily. Diciassettenne. In età da matrimonio. Carina da mangiarsela.
E il Ministro aveva un figlio. Ventenne. Che cercava un buon partito per sposarsi e sfornare un erede a suo padre.
Scorpius impallidì.
Oh, no!
No, no, no!
Non avrebbe mai permesso a quell’idiota di Philip Wilkinson di mettere le sue manone viscide sulla sua Lily.
Neanche morto!
-          Bene, visto che ci sono anche i miei genitori, vengo anch’io! –
E con quell’ultima uscita non ci fu verso di scollarselo di dosso: Scorpius se la trascinò di nuovo al castello, s’infilò un pantalone nero classico e una camicia bianca e madida con un giaccone di pelle a completare la sua figura regale.
Con una faccia di bronzo entrò nell’ufficio della Mcgranitt, dove Lily sarebbe dovuta andare a casa tramite il camino e sorrise angelicamente verso la donna, che con uno sguardo omicida sembrava volergli chiedere dove volesse andare.
-          Ci sono anche i miei genitori là, che crede, mica vado tanto per! – la liquidò, infilandosi nel camino prima che potesse agguantarlo con le mani rugose e filandosela giusto in tempo.
Ridacchiò perfido, tastando appena il territorio “Potter” mentre il senso di nausea del teletrasporto diventava così forte da destabilizzarli, ma si ritenne soddisfatto della palpata quando crollarono come un sacco di patate nella cucina di casa Potter.
-          Gratta e netta – mormorò Ginevra Weasley, pulendo quel disastro e anche i due nuovi venuti, che si alzarono in fretta e furia sotto lo sguardo di tutti.
Grimmauld Place, dove i Potter e i Malfoy si erano trasferiti dopo l’attacco, era stata completamente ristrutturata: ora sui i mattoni, un tempi luridi e lerci, vigeva un delicato parato color panna che, accarezzato dalle lingue infuocate del camino nel salotto antecedente la cucina, sembrava far rivivere quel posto.
Un divanetto di stoffa pregiata sostava al centro della sala di un intenso color caramello con poltrone a seguito e un delizioso tavolino basso di cedro scuro, ora ingombro di bottiglie d’alcool e bicchieri.
Come se ci fosse qualcosa da festeggiare, pensò Scorpius indignato.
E se il Ministro, un uomo panciuto con dei baffi alla Hitler e due occhi neri acquosi fissarono Scorpius come un alieno, Draco nascose il suo ghigno malefico dietro un bicchiere di whiskey incendiario, complimentandosi mentalmente con suo figlio.
-          E tu che ci fai qua? – sbuffò Asteria, abbracciando il suo bambino con un sorriso e accarezzandogli timidamente la testolina bionda.
Non era mai stata molto affettuosa con lui, ma Scorpius non se l’era mai presa: sapeva quanto fosse riservata sua madre e amava lo stesso il modo in cui si prendeva cura di lui. Silenziosa, ma costante.
-          Ciao, mamma – salutò, respirando il suo profumo di muschio e rose.
Era bella Asteria e non perché fosse proprio la donna che l’aveva messo al mondo. Aveva due occhioni azzurri che erano la fine del mondo e lunghi capelli color del grano che avrebbero fatto invidia a tante donne della sua età.
Un incarnato molto pallido, ma quasi privo delle intemperie del tempo e un sorriso tiepido che però gli scaldò immediatamente le ossa. La vide avvolta in un vestito azzurro, abbinato ai suoi occhi, e ricambiò il suo sorriso con più slancio di quanto avesse voluto.
-          Ringraziando Merlino è venuto qualcuno con un po’ di cervello – sibilò Ginny, risoluta, versandosi del whiskey nel bicchiere e ammiccando al nuovo venuto.
E se sua madre era una donna bella quanto delicata, non si poteva dire lo stesso di Ginevra Molly Weasley: alta, slanciata, dai capelli rosso fuoco e occhi di un intenso color nocciola, sembrava un vulcano in eruzione. Era avvolta in un vestito di maglia nero, aderente, e sembrava alquanto irritata da quella cena.
Senza nemmeno saperlo, si guadagnò la simpatia di Scorpius, che le regalò un sorrisetto tremulo.
-          Oh, due famiglie al completo, che delizia! – e certamente non poteva dirsi lo stesso di Loila Torres in Wilkinson, che di origini spagnole aveva solo i capelli neri come il carbone.
Confronto alle due donne sembrava quasi impallidire: sciatta, confronto i modi eleganti e raffinati di sua madre e invisibile confronto a quelli da tornado di Ginevra Potter.
-          Piacere di conoscerti, ragazzo – mormorò, porgendogli delicatamente la mano.
Forse si aspettava che la stringesse o peggio, pensò inorridito, che la baciasse, ma quello che si limitò a fare e che fece schiattare suo padre ed Harry Potter dalle risate, fu rispondere con un – Piacere – blando, che rischiò di far venire un tracollo nervoso alla strega, che lo scrutò arcigna con i suoi occhi neri.
-          Oh, perdonate i modi di mio figlio… è un selvaggio – disse Asteria, scoccando un occhiata di vago divertimento a Loila, la moglie del Ministro della Magia.
-          Sì, viene direttamente dalle Terre del Nord! – rise Harry, senza riuscire a trattenersi.
E naturalmente Draco lo seguì, perfido. Probabilmente il fatto che si trovassero davanti al Ministro della Magia non li intaccasse minimamente, anzi: nessuno sembrava intenzionato più di Harry a far venire un traverso di bile a quello spocchioso di Philip Wilkinson.
Non che Douglas, il padre dell’idiota, fosse un cattivo politico o altro. Anzi. Aveva il polso di ferro, molto più di Caramell e compagnia bella, e si era guadagnato appieno il voto di Harry, ma il fatto che per forza volesse la mano di sua figlia per suo figlio lo mandava in bestia.
E che cazzo, mica stavano nel sedicesimo secolo, sua figlia sapeva sceglierseli da sola gli uomini! pensò oltraggiato. Ma comunque non aveva potuto disdire quella cena, era pur sempre il Ministro.
-          Lily, sei bellissima –
Ecco fatto, Scorpius affilò lo sguardo e cominciò ad affilare pure la lingua: conosceva quel Philip solo di fama e già non gli piaceva per niente. Capelli neri portati in un taglio sfilato davanti e trasandato a regola d’arte sulla nuca, occhi a mandorla di un castano scuro e pelle ambrata.
E un lastricato passato da Don Giovanni alle spalle.
-          Oh, lo è! Papi, non è vero che la mia Lily è bellissima? – tubò Scorpius, facendo quasi strozzare Lily che stava porgendo il giaccone a sua madre.
E prima che potesse anche solo replicare, Scorpius se l’era tirata vicina con un braccio, facendo scintillare i suoi occhi di metallo fuso di perfidia e storcendo la sua bocca in un ghigno malefico – Eppure non sapevo che avessi invitato il Ministro per rendere ufficiale il nostro fidanzamento – scoccò, menando la stoccata finale.
Ginny, con un sogghignò, versò altro whiskey al suo gradito ospite: la serata si stava prospettando molto più allietante di quel che si aspettava.
 
E mezz’ora dopo, seduti a tavola, fu ancora meglio.
Lily era seduta tra Scorpius e Philip, Harry era a capotavola con di fianco sua moglie, mentre il Ministro dall’altra barricata con la sua e Draco, proprio in mezzo, si stava sbellicando dalle risate da quando suo figlio aveva completamente mandato in fumo i piani di Wilkinson.
Naturalmente gli aveva tenuto il gioco, proprio come stava facendo Potter e, si rese conto, non si era mai divertito in vita sua.
Nel salottino dai toni caldi arrivò un tenue odore di roast-beff che fece venire un languorino a tutti quanti, che si congratularono con la padrona di casa quando nei piatti apparve la squisita carne con delle patate a forno.
I quadri passavano beati sulle loro teste, ma Harry si sentiva tranquillo: quelle mura gli ricordavano Sirius, ma l’arredamento completamente nuovo e la ristrutturazione gli ricordavano anche che tutto era passato e che il suo padrino sarebbe stato orgoglioso di lui.
-          Non sapevo che… fossi fidanzata – berciò Philip, guardando di striscio il profilo regale di Scorpius Malfoy.
Quest’ultimo, sogghignando, strinse la mano di Lily da sotto il tavolo.
Demonio, pensò la rossa, schiudendo le labbra rosse in un sorriso blando e rivolgendosi a Philip con un sorriso blando, cercando di non scoppiargli a ridere in faccia.
-          Non volevamo rendere la cosa ufficiale, ma visto che i nostri genitori vanno d’amore e d’accordo, non vedo perché non farlo – cinguettò Scorpius, mentre Draco tagliava la carne finemente, accodandola con del vino rosso assolutamente superbo.
-          E poi noi adoriamo Lily – prese parola, ignorando il calcio sottobanco che gli menò sua moglie, divertita.
Harry, però, ne era sicuro… quella non era una bugia. Malfoy adorava il sarcasmo di Lily e la sua punta di cinismo; si trovava d’accordo con lei molto spesso e la sua presenza non sembrava infastidirlo.
Con gli occhi verdi guardò sua figlia e, stranamente, si ritrovò a sorridere: non poteva aspettarsi altro da lei. Scioglieva anche i cuori più freddi.
-          E lei, signor Potter, non si trova a disagio? Insomma, dire in giro che il fidanzato di sua figlia e… sì, un Malfoy – e Philip disse quel cognome con così tanto disgusto da far fremere Scorpius sulla sedia e diventare Draco di sale.
Merda, pensò Harry, scoccando un occhiata vacua a Draco, che stringeva le posati d’argento con così tanta forza che sembrava volesse spezzarsi le dita.
-          Io credo che il signor Malfoy voglia tagliarsi le vene ogni volta che pronunci il cognome Potter, ma direi che mi adora… non è vero? – celiò perfidamente Lily, sbattendo civettuola le lunghe ciglia verso Draco, che quasi si scosse dal suo torpore.
-          Oh, non sai quanto – sogghignò, alzando il calice pieno in alto, quasi in suo onore.
Eh sì, pensò Harry divertito. Sua figlia si era guadagnata il rispetto di Draco Malfoy ed era tutto dire!
La luce soffusa del lampadario a goccia tremolò e, molto lentamente, alzarono gli occhi verso il cristallo appeso sulle loro teste, che ora li illuminava ad intermittenza.
E poi… voci.
Voci, risate, gemiti rochi riempirono la stanza, facendo alzare di scatto i presenti con le bacchette inguainate. Philip, mentre Scorpius spalancava la bocca, si smaterializzò, guardandolo in modo sprezzante.
Alla sua scomparsa apparvero dieci uomini ammantati in nero. E lì non ci si poteva smaterializzare.
Loila Wilkinson gridò, buttandosi sotto al tavolo e una magia esplose, mandando il muro che fino a pochi minuti era alle sue spalle in frantumi.
-          Lily, Lily vieni via! – urlò Scorpius, mentre con gli occhi spalancati dal terrore vedeva sua madre tirare suo padre verso di sé prima che venisse preso in pieno da un “Avada Kedavra” urlato con una rabbia intensa, glaciale, ghiacciandogli il sangue nelle vene.
Ma Lily rimaneva immobile. I capelli ora sciolti dalle forcine e aperti a ventaglio sulle spalle scoperte, rimaneva immobile e Scorpius si accorse troppo tardi di quello che aveva intenzione di fare.
-          Luctus -  bisbigliò, con gli occhi completamente vuoti e la bacchetta puntata sulla figura più vicina a lei.
Scorpius si calò prima di venire colpito in pieno da una maledizione Cruciatus.
E accadde. La rabbia, quella cieca, quella dolorosa che strazia e brucia gli animi, apparve nello sguardo smorto di Lily Potter. Le iridi, da un bruno intenso, quasi divennero di un nero onice inquietante, doloroso.
-          Conteram – continuò, sempre con la bacchetta tesa.
Mormorava frasi in latino senza senso, frammentate, come se non fossero incantesimi veri e propri.
E solo quando un urlo acuto si espanse per quelle mura oramai fatte a pezzi, capì.
Scorpius era sempre stato circondato dalla magia nera e non per volere di suo padre. No, ma a Serpeverde spesso aveva visto tomi polverosi nascosti sotto i letti, nei bauli, racchiusi tra dita che non sapevano a cosa quel sapere portasse.
Lily stava usando un incantesimo oscuro, quello che un tempo, Alex, aveva chiamato “parole coincise”.
Ecco cosa aveva studiato in tutto quel tempo, sempre attaccata a quei libri polverosi e tossici. Parole in latino, incantesimi. Ferire, mutilare, ogni cosa che avrebbe detto si sarebbe realizzata. Ogni cosa.
Il Mangiamorte, con il volto coperto da una maschera scheletrica, cadde in ginocchio, agonizzando.
-          Luctus –
Un altro grido, più forte, agonioso, quasi simile ad un richiamo.
I Mangiamorte fermarono la magia d’attacco e, Harry, spalancò gli occhi smeraldini. Di fianco a Draco Malfoy, appena ricoperto di sangue, fissava il volto immobile di sua figlia: con la bacchetta puntata sull’uomo, aveva le sembianze di un Dio su un misero insetto.
-          Luctus! – urlò più forte, facendo sobbalzare i presenti nel silenzio che si era venuto a creare, e uno scricchiolio d’ossa fece rizzare i capelli sulla nuca di Ginny, nascosta alle spalle del marito.
Il lampadario si era fracassato sulla tavola ancora imbandita, la cena era ricoperta di polvere e stucco, i piatti andati in pezzi. Il muro di mattoni chiari che dividevano la cucina dalla sala da pranzo era miseramente crollato e i quadri avevano smesso d’urlare.
Asteria si tolse un mattoncino dai capelli, sibilando un “bastardi” poco finemente, ritirando la mano sporca di sangue. Il ministro, invece, osservava rabbioso quei nove, mentre il decimo rantolava sul pavimento.
La maschera letteralmente si strappò dal suo viso, volando dall’altra parte della stanza, mentre Lily girava pigramente la bacchetta, fissandolo con un sorto di bieco ghigno sulle labbra piene.
Scorpius ne era soggiogato. Fissava ogni sua mossa completamente in balia di quegli occhi scuri, di quella bocca piena e delle braccia coperte da stoffa rossa, come i capelli ondulati.
-          Conteram – e un urlo invase nuovamente la cucina.
Mitchell Rosier si contrasse, mentre sputava sangue sul parquet di cotto.
-          Divina – sussurrò una voce, facendosi avanti e battendo le mani.
Le labbra sottili che si intravedevano attraverso la maschera sorrisero, mentre due occhi verde acqua fissavano quello scempio assolutamente deliziati.
Una pozza di sangue si allargo sotto il corpo dell’uomo e Lily abbassò la bacchetta, cessando così l’incantesimo.
-          Se avessi saputo prima che la figlia di Harry Potter fosse così dedita all’arte oscura, gli avrei fatto visita prima – sussurrò quella voce roca, avanzando due passi verso il corpicino esile di Lily, ancora immobile al centro della stanza.
Harry digrignò i denti, fissandolo con rabbia senza abbassare la bacchetta – Sta lontano da mia figlia! – urlò, mentre Draco gli poggiava una mano aperta sulla schiena e, con la coda dell’occhio, gli indicava un movimento sotto il tavolo.
Nonostante Scorpius Malfoy stesse nascosto, in attesa di proteggere Lily, non si sentì affatto tranquillo. Quegli uomini avevano ancora le bacchette alte, anche se avevano cessato di far fuoco, e ora fissavano completamente terrorizzati il corpo dell’uomo immobile, con le pupille sbarrate.
L’altro no. Fissava solo lei, beandosi dei suoi tratti, della mano salda che teneva la bacchetta… e gli occhi neri che divennero, in un lampo, di un bruno simile alla corteccia degli alberi.
-          Milady, mi avevano parlato della sua esistenza e della sua permanenza nella casa dei Serpeverde, ma non credevo che in lei si animasse un tale desiderio – disse nuovamente quella voce roca, quasi abbagliandola.
Quell’uomo era alto un metro e ottanta, ma il mantello non mitigava un fisico snello e possente. Dalle spalle ampie alle gambe divaricate scattanti e muscolose. Aveva dei guanti di pelle di drago alle mani che ora, scatenando un mutismo sbigottito, le porgeva quasi ammirato.
Lily scoppiò in una risata terrificante.
Spalancò la bocca rossa ilare, mostrando una fila di denti bianche come perle. I suoi occhi divennero due spilli e si fissarono sul volto scheletrico che la fissava.
-          Il mio desiderio è vedervi finalmente sottoterra, Milord – sibilò, quasi stecchendo suo padre per quella affermazione.
Draco fischiò ammirato e Lily ammiccò nella sua direzione, divertita.
-          Crede davvero che io possa mai unirvi a voi? Voi, che avete reso la vita di mio padre un inferno in terra – mormorò Lily, mentre Harry tremava impercettibilmente.
Non ne aveva mai parlato con i suoi figli, anche se tutti e tre sapevano e sorrise, sorrise di vero cuore. Anche se James era diventato un Auror non voleva che si immischiassero in quella guerra, ma sapeva anche che era impossibile.
I suoi figli, la sua famiglia, si rese conto, voleva proteggerlo.
E sorrise.
-          E ora, per quanto mi riguarda, può anche bruciarci, in quell’inferno – e in un attimo si scatenò l’apocalisse.
Lily Potter sembrava impazzita, scagliava magie a destra e manca e urlava incantesimi che nemmeno Harry stesso conosceva, ma iniziò la battaglia.
Affiancato da Draco Malfoy cominciò anche lui a cercare di atterrare i nemici, mentre, con un sorriso più sereno, vedeva che sua moglie aiutava Asteria a rialzarsi dopo uno Stupeficium indirizzato a lei abbastanza fiacco.
-          Lily! – e sentire la voce di Draco urlare il nome di sua figlia con quel terrore negli occhi gli bloccò il cuore.
Vide quell’uomo puntarle la bacchetta alla gola, abbracciarla per la vita e… respirarla. Lo sentì ridere e lo stomaco si contrasse dolorosamente.
Lily, Lily, Lily!
La paura lo bloccò in mezzo a quella battaglia e fu Draco a danzargli attorno per lanciare attacchi di difesa e non farlo ammazzare come un cane. Ma Lily continuava a restare tra le braccia di quel bastardo, immobile, e quei cani rognosi sembravano proteggere quello scenario raccapricciante, almeno per lui.
Da fuori potevano quasi sembrare due fidanzatini, due persone che si abbracciano, ma Harry, serrando i denti, vide benissimo le dita di quell’essere immondo serrare sulle vertebre della sua bambina.
-          Che ne dici, Potter, se la porto via con me? – urlò poi, ridendo rauco.
La sensazione di impotenza, dolore, scoppiò nel suo petto come una bolla. Lo dilaniò completamente, facendogli mancare il fiato.
-          Io dico che te ne andrai da solo e anche mezzo morto – disse una voce, soave, bloccando tutti quanti, nuovamente, sul posto.
Scorpius Malfoy fece penetrare una spada lunga cinquanta centimetri e larga venticinque nella schiena dell’uomo, mentre Lily si faceva immediatamente indietro per non essere travolta dalla lama.
La maschera di scherno e sarcasmo rendeva i lineamenti di Scorpius duri e spigolosi, ma non un pizzico di rimorso apparse nelle sue iridi. Rigirò la lama nella ferita e sorrise dolcemente – Via! – urlò quell’idiota, mentre Scorpius staccava le dita dal manico d’ottone con filigrana d’oro dalla spada e il Mangiamorte si smaterializzava via, con gli altri otto.
Rosier fu lasciato lì, agonizzante.
-          Papi, mica il ministro mi manda in prigione perché ho quasi ucciso un tizio, vero? – tubò Scorpius, con le mani sporche di sangue e un sorriso scintillante tutto per suo padre, che quasi si strozzò con la saliva.
Harry rise: quello era proprio figlio di Malfoy.
 
Due ore più tardi, con la casa mezza distrutta e invasa da Auror, il Ministro della Magia collassato su un divanetto con un bicchiere di vodka nera tra le mani e sua moglie con un panno con ghiaccio sulla fronte, Draco Malfoy che se ne stava per fatti suoi con una bottiglia di whiskey in mano come fosse acqua, Harry che cercava altro alcool per ubriacarsi e dimenticare l’esperienza, i figli di satana messi in un angolino in punizione, Ginny poté tirare un sospiro di sollievo.
Accarezzò dolcemente la testa di sua figlia e di Scorpius, che le sorrise, e mise un vassoio sul tavolino basso del salone, con tanto di tè e biscotti al cioccolato.
-          Grazie signora – borbottò Scorpius, seduto stretto sul divano con Lily, che afferrò un biscotto e lo ingurgitò come se non mangiasse da secoli.
E in effetti, si accorse tristemente, sua figlia era molto dimagrita in quel periodo. Le accarezzò la spina dorsale e lei alzò gli occhi bruni su di lei – Lo so che mi odi per aver usato quella magia – disse di punto in bianco, gelandola.
Quella magia. Quella che fin da piccolo aveva ferito Harry, rovinandogli la vita. E lei, così piccola, l’aveva usata per proteggerlo. Ma no, non la odiava. Non avrebbe mai potuto odiare il suo piccolo scricciolo.
Fece il giro del divano, inginocchiandosi di fronte a lei come, tanto tempo prima, Harry si era inginocchiato ai piedi di Albus, per raccontargli un gran segreto. Tutti, improvvisamente, finsero di fare qualcosa.
-          No, bambina, no – sussurrò Ginny, asciugandole una lacrima fuggevole e accarezzandole ripetutamente i capelli.
I ricordi di quando era solo una bambina le balzarono alla mente: lei, che non aveva mai permesso che ai suoi fratelli fosse fatto del male, nemmeno ai suoi cugini. Lily, che faceva a botte con chiunque li insultasse o peggio, toccasse.
Era sempre stata così, fino all’arrivo ad Hogwarts. Lì si era calmata e Ginny l’aveva vista spegnersi sempre di più, lentamente. Non avevano accettato che venisse smistata a Serpeverde, troppo dolore aveva causato quella casa. Troppo.
Ma era orgogliosa della sua bambina, del suo senso di protezione. – Non potrei mai odiarti, mai. Che tu sia stata smistata o no a Serpeverde, che tu voglia o no proteggere tuo padre, ma ammetto che ho paura – mormorò, ingoiando un magone e bloccando le sue parole sul nascere.
Ginny scosse il capo, afferrandole il delicato visino tra le dita e guardandola dolcemente negli occhi.
-          Sei troppo piccola e inesperta, Lily. Questa magia ti ucciderà e prosciugherà tutte le tue energie. So’ che vuoi aiutare tuo padre, solo Merlino sa’ quando voglia farlo anch’io, ma ti prego… non mettere in pericolo la tua vita, ne morirei. Ne morirebbe – bisbigliò, distrutta, mentre Lily le volava tra le braccia e cercava di soffocare i singhiozzi.
Scorpius avrebbe voluto dire che anche lui ne sarebbe morto, ma non fiatò e lasciò che sua madre lo abbracciasse di spalle, poggiando il mento sulla sua spalla. Sentì il suo profumo delicato avvolgerlo e sospirò – Sei stato bravo, amore mio – bisbigliò, mentre Hermione Ganger entrava in sala con un completo di pelle che lasciò tutti senza parole.
I pantaloni neri erano così aderenti che sembravano una seconda pelle e un corpetto nero che le lasciava le anche scoperte e pure le spalle. Si tolse una giacchetta dello stesso tessuto dei vestiti, mandandola all’aria con un espressione che non era delle migliori.
-          Sei andata ad un orgia, mezzosangue? – borbottò Draco, sorridendo malizioso e innescando una miccia senza saperlo.
Hermione esplose, letteralmente, facendo persino nascondere suo marito dietro le spalle di Lily. – Orgia? Orgia? – riecheggiò, alzando ancor di più la voce e poi le mani al cielo, come una spiritata.
-          Orgia! – sputò velenosa, facendo sobbalzare due Auror alle sue spalle.
Certo, come no. Sarebbe stato bello, ma no. A lei non era permesso, perché era stata invischiata dal Wizengamot per tre ore consecutive, per poi venire sbattuta in una cloaca di vampiri con la bava alla bocca.
-          Mi hanno rievocato il lavoro, altro che orgia! – urlò, mentre tutti quanti si zittivano e la guardavano con tanto d’occhi.
Il Ministro, invece, nicchiò beatamente, facendosi versare da Draco un bicchiere di whiskey incendiario e facendo conto che la decisione non l’avesse presa lui.
-          Herm, tesoro, ma ne sei sicura? – domandò Ginny, sorpresa, visto che  non conosceva persona più dedita di Hermione al lavoro.
La vide legarsi stizzita i capelli ricci con la bacchetta, mentre sprizzava irritazione da tutti i pori – Sicurissima! Visto che sono amica del bambino sopravvissuto hanno pensato che con i tempi che corrono io debba dedicarmi alla causa e mi hanno messa nel corso intensivo degli Auror! – sbraitò, facendo fare piccoli piccoli anche i più grandi Auror.
Harry trattenne una risata a fondo gola.
-          Beh, benvenuta – si arrischiò il capo Auror, con i capelli sale e pepe e una barba incolta. Era sulla quarantina, forse, e si rannicchiò sulla sedia su cui era sprofondato quando due canali si catalizzarono su di lui.
-          Oh, guardi un po’, il capo degli Auror… benvenuta una beata seg… - si morse la lingua, cercando di calmarsi, ma quando lo fece il suo sorriso non fu più così rassicurante come la sua rabbia.
-          Benvenuto all’inferno – sibilò soddisfatta, andandosene in cucina e sbattendosi la porta alle spalle.
Ron uscì allo scoperto, sospirando afflitto. Si morse le labbra, crollando seduto accanto a Scorpius e accettando con piacere un bicchiere di vodka nera che bevve tutto d’un sorso – Ha questo comportamento da due giorni, le carte del divorzio l’hanno mandata in bestia – bisbigliò, mentre Draco quasi si soffocava con il whiskey.
Weasley aveva chiesto il divorzio alla mezzosangue?
-          E io che pensavo al vostro mondo con gli uccellini e l’oro – mugugnò, sentendo barriti d’elefante oltre la porta.
Ron scosse il capo, pallido come un lenzuolo. Sembrava essere passato sotto le grinfie di Satana, perché cominciò a piagnucolare sotto lo sguardo sbarrato di tutti gli Auror, che l’avevano sempre visto forte e coraggioso.
-          Non mi guardate così, vostra moglie non è lei! – sibilò Ron e quasi tutti gli diedero ragione.
La donna che era apparsa poco prima aveva un che di selvaggio e rude che aveva tolto il fiato a tutti; gli occhi d’ambra erano due dinamite pronte ad esplodere e le labbra rosse un ghigno velenoso.
-          Ma parliamo della stessa donna? – borbottò Draco, sorpreso dalle parole della Donnola.
Quello sbuffò, guardandolo in modo eloquente – Della stessa donna che al terzo anno ti ha preso a pugni? Sì, Malferrett, sì! – sbuffò Ron, mentre Scorpius apriva la bocca a palla a quella rivelazione.
Draco si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
-          E va bene, ha difficoltà a gestire la rabbia, ma la dipingi come se ti prendesse a pugni ogni volta che fai qualcosa che non va – disse il biondo, mentre Ginny rimpinzava ancora di biscotti Lily e Scorpius per farli ritornare ad Hogwarts più rinvigoriti.
Ron lo guardò di sbieco, sorridendo – No, solo incantesimi – chiarì, mentre Harry scoppiava miseramente a ridere.
Era vero: Hermione non riusciva a trattenere la rabbia e da quando Ron, esausto dai soli litigi che oramai costellavano la piccola villa in pieno Yorkshire che aveva fatto costruire pochi mesi prima del loro matrimonio.
C’erano solo rimpianti nel loro matrimonio e solo Rose e Hugo avevano impedito ai due di separarsi prima. Avevano cercato di appianare gli animi dopo l’aborto di Hermione, ma lei si era chiusa a riccio e non aveva lasciato che nessuno le si avvicinasse più.
-          Guarda che ti sento –
E apparve sull’uscio della porta, vestita in quel modo che sembrava rispecchiare il suo animo ribelle, anticonformista. Lo era sempre stata e lui aveva cercato di soffocare quei suoi istinti per tenerla al sicuro.
Eppure… eppure non sentiva più il cuore palpitare quando la vedeva. Come, purtroppo, anche lei.
Il loro era stato un amore adolescenziale, poi adulto, ma, dovette rammentare, tutto finisce.
-          Sto solo dicendo la verità, mia cara – ironizzò, guadagnandosi uno sguardo gelido.
Rubò una bottiglia di rum dalla vetrinetta posta accanto una grande finestra che dava sulla strada babbana, ricoperta da un tendaggio di velluto color champagne.
-          Ah, quindi è lei la signora Granger – Asteria parlò in mezzo a tutto quel trambusto, inclinando il capo e fissando la donna che sprofondò, in quell’esatto momento, nella poltroncina di pelle panna accanto la vetrinetta che conteneva tutti i liquori possibili.
Hermione sorrise.
Riconosceva Asteria Greengrass, quella ragazza silenziosa che si aggirava tra le mura di Hogwarts in punta di piedi, quasi come se avesse paura di disturbare qualcuno. Ricordava i suoi crini biondi e i suoi occhi azzurri, perennemente persi nel vuoto.
E ricordava. Ricordava il giorno in cui venne a sapere il matrimonio combinato con Draco Malfoy.
Quanto l’aveva cambiato quella donna. Troppo, si accorse fissando con il capo a rovescio l’uomo a pochi metri da lei.
Il volto affilato era cresciuto, pallido, ma di una certa regalità che quasi metteva soggezione. I capelli quasi platinati, ora più lunghi, scomposti, ma di un taglio regolare e alla moda. La bocca sottile, gli zigomi alti e il mento un po’ appuntito.
Ricordava ogni particolare. Rammentava ogni singola perfezione di quel volto.
Lei lo aveva cambiato. Aveva cancellato il veleno in quelle vene, il disprezzo, l’odio. Era arrivata dove lei non sarebbe mai riuscita.
Eccolo l’unico fallimento della sua vita, dopo il matrimonio con Ron: cambiare Draco Malfoy.
-          Grazie – sussurrò Asteria.     
Nessuno, oltre Hermione, capì.
Draco le guardava attraverso le ciglia bionde, confuso, ma tremò impercettibilmente quando Hermione sorrise, mestamente. – Parleremo davanti ad una tazza di tè, signora Malfoy, da sole – mormorò, appaciandosi quando ricevette un assenso dalla bionda.
Si calmò, sospirando e fissando, ora, il capo degli Auror e il Ministro molto più rilassata.
-          Tuo figlio è un cane – sibilò Loila verso suo marito, con ancora la borsa del ghiaccio sul capo.
Il ministro le scoccò un occhiata ammonitrice, guardando Draco con una muta disperazione nello sguardo. Questo gli lanciò l’ennesima bottiglia di vodka nera che, senza spiccare parola, Wilkinson afferrò a volo.
-          Non mi sembra che l’abbia fatto da solo, quel figlio – borbottò in risposta, massaggiandosi le tempie e accettando, con uno sguardo riconoscente, un sigaro che il capo degli Auror, Rexford Hughes, gli porse burbero.
Lo accese, mentre un odore di menta e artemisia si librava nell’aria.
Erano nella merda fino al collo, ammise con uno sbuffo e aveva un emicrania terribile. – Hai ragione, comunque. Tuo figlio è un cane – sbuffò, massaggiandosi le tempie ripetutamente.
-          E fatemi capire, non vi sorprendete che vostro figlio abbia fatto entrare dieci Mangiamorte? – sibilò improvvisamente Harry, catalizzando l’attenzione su Ministro e moglie.
Rexford si accese anche lui un sigaro, espandendo l’ennesimo lezzo nella stanza che fece venire il volta stomaco a Ginny: con un colpo di bacchetta aprì tutte le finestre, sventolandosi una mano sotto il nasino delicato.
-          Secondo te, Potter, non mi sono mai accorto che mio figlio è un sociopatico fissato con il sangue puro? Diavolo, mi sembrava di vederlo spuntare con una maschera in mano ad ogni angolo – ammise Douglas, quasi addolorato.
La donna, avvolta in un abito di taffetà di un intenso color viola, alzò gli occhi duri sul marito, stringendo i denti.
Era strano, pensò Scorpius. Strano come qualcuno cacciasse fuori la propria personalità quando qualcosa andava storto o non si aveva più nulla da perdere.
Loila scosse il capo, tra i capelli neri ancora qualche goccia di sangue incrostato. Le mani ornate da gioielli erano strette a pugno e gli occhi guardavano la ricchezza di cui si era circondata con una rabbia repressa.
-          E volevate che mia figlia si sposasse con lui? – sbottò Harry, rabbrividendo solo al pensiero.
La donna esplose, alzandosi di scatto e lasciando che la gonna di tulle accarezzasse come una nuvola il parquet. Lo guardò rabbiosa – No, speravamo solo che a vederla quell’idiota rinsavisse!
Lei non sa cosa abbiamo passato con nostro figlio, signor Potter e non si permetta di parlarci come due poveri pazzi – disse, al limite dell’ira.
Si piantò le unghia perfettamente curate nei palmi, quasi incurante di farsi male.
-          Speravamo che dinnanzi ad una leggenda capisse che era ridicolo ciò che pensava e davanti ai suoi discorsi capisse in che guai si sarebbe cacciato se avesse fatto parte di quella maledetta setta – urlò ancora, lasciandosi cadere nuovamente sulla poltrona.
Ora era addolorata. Il suo volto, solcato da profonde rughe, sembrava invecchiato d’anni. I suoi occhi neri erano velati di lacrime, perché sapeva e non poteva far nulla.
-          Morirà – bisbigliò, mentre suo marito le stringeva dolcemente la mano rugosa, sospirando.
Loro sapevano e non potevano far nulla. Avrebbero dovuto lasciare suo figlio nelle mani del destino, vederlo trasformarsi in un mostro e non avrebbero potuto far nulla.
Niente, era questa la verità.
-          Ritornate ad Hogwarts, ragazzi, si è fatto tardi – Ginny porse ad entrambi i loro cappotti con una busta di biscotti appena sfornati, sospingendoli verso il camino del salone, ancora intatto.
Lily si lasciò abbracciare da sua madre e suo padre, mentre Scorpius venne accarezzato timidamente dalla sua, ammiccando verso Draco che sogghignò di sbieco. – Scorpius… fa in modo che Lily non salti un pasto e tienila d’occhio. La magia che sta usando la sta sfinendo e ha bisogno di energie – mormorò Hermione, rivolgendosi a lui per la prima volta.
Scorpius annuì, sorpreso, arrossendo appena sulle guance sotto lo sguardo vigile della donna.
-          Fate i bravi – cinguettarono in coro tutti quanti, alla faccia loro, mentre le fiamme del camino emettevano un lampo rossastro alla loro scomparsa.
Sì, fate i bravi, come no! Appena arrivati ad Hogwarts, beatamente mandati a fanculo dalla Mcgranitt che li aspettava per le nove ed erano l’una passate, si ritirarono nei sotterranei come due serpi quasi strisciando quando, contro ogni previsione, Lily fece una proposta che per Scorpius poteva significare tutto.
Peccato che significava niente.
-          Posso dormire con te? –
E il tono era stato così burroso, spaventato, da scioglierlo letteralmente. Aveva annuito e prendendola per mano l’aveva condotta nella sua stanza: dormivano tutti come angioletti e ringraziò Salazar per quello.
Si era spogliato, dandole le spalle e lei senza fiatare non aveva distolto lo sguardo da lui. Dalla sua schiena ambrata sotto le luci verdi e soffuse. Le gambe agili e scattanti che s’infilavano in un pigiama di seta verde, lasciando il petto completamente nudo.
Lei era ancora avvolta nel suo delizioso vestito di velluto rossiccio quando si rannicchiò al suo fianco, continuando a guardarlo con quegli occhi bruni che gli misero i brividi.
Erano la fine del mondo.
Le accarezzò, ancora una volta soggiogato, la spalla nuda, passando al collo arcuato, alla schiena scarna. Si beò del suo profumo, un misto tra Iris e gigli, tremando nel vedere quelle labbra rosse tendersi in un sorriso sereno.
-          Grazie – la sentì bisbigliare nel buio, prima di scoccargli un delicato bacio a fior di labbra e passargli le braccia alla vita e il capo sullo sterno.
Scorpius sentiva il cuore a mille.
Bum, bum, bum.
E fu quel rumore a cullarla, perché si addormentò tra le sue braccia come una bambina, sospirando poco sul suo collo.
Erano incastrati alla perfezione, quasi fossero stati creati per quello. Per stare attaccati. Uniti.
E, con una beatitudine che in vita sua non aveva mai sentito, Scorpius si addormentò in quel modo, con il cuore in gola e una manina chiusa a coppa sul suo torace… dove quel maledetto batteva ad un ritmo incontenibile.
 

***

 
-          Oh santissimo Merlino –
La voce soave di Dalton Zabini, quella mattina, aveva un ché di perverso che fece tremare le vene nei polsi di Tom, che gli scoccò un occhiata dal suo letto a baldacchino.
Ancora avvolto dai pantaloni della tuta e una canotta sbrindellata, Dalton fissava con un sogghigno malefico il letto di Scorpius, quasi ci avesse visto la regina.
-          Porco Salazar! – disse nuovamente, portandosi una mano alla bocca e trattenendo le risate.
-          Che succede? – sbuffò Tom, alzandosi dal suo letto e mettendo di lato il libro di Incantesimi che stava ripassando.
Con i piedi evitò di calpestare le mutande di Alex, ancora dormiente, e le fiamme nel camino si attizzarono quasi da sole quando, con gli occhi sbarrati, vide il corpo di Lily Potter completamente avvolto tra le braccia di Scorpius Malfoy, che sorrideva beato.
-          Morgana ed Eva! – sussurrò Tom, sorpreso.
Dalton tubò tutto eccitato, nemmeno ci si fosse trovato lui nel letto con la Potter e fece fusa simili a quelle di un gatto.
Tom lo guardò come se fosse impazzito.
-          Spostati, spostati! – cinguettò, avviandosi trotterellando verso il suo baule e cominciando a fare casino.
Mandò all’aria tutti i suoi vestiti di ottima fattura, qualche vibratore che fece venire la pelle d’oca a Tom, dei giochetti sadomaso, pacchetti di sigarette e… tombola! Con gli occhietti soddisfatti afferrò la sua vecchia macchina fotografica, quella vintage che gli aveva regalato sua nonna.
-          Che vuoi fare? – chiese Tom sospettoso, ma non arrivò risposta da quell’infingardo del suo migliore amico.
Palesò le sue intenzioni poco dopo: cominciò a scattare un paio di fotografie con tanto di flash a quei due: sulle ginocchia, inclinate, di faccia, da lontano… sembrava volesse fare un book fotografico.
-          Queste vanno dritte dritte alla Gazzetta di Hogwarts – cinguettò, tutto felice, come se non stesse per rovinare la vita del suo migliore amico.
E, bastardo di prima categoria, uscì alle sette del mattino tutto eccitato, senza farne parola con nessuno, per portare quelle foto a Evann Gilibert,  Satana in persona, che si occupava lui stesso, insieme a Trevor Roderik e Elehna Woodson, della Gazzetta di Hogwarts.
Quel giornale era odiato da tutti: sembrava un enorme inciucio messo su carta e la maggior parte di quelle cose erano ingigantite da quel bastardo di Evann e la stronza di Elehna, Serpeverde fino al midollo.
La cosa che mandava gli altri in bestia, invece, era che Trevor fosse di Grifondoro, quindi ci si aspettava più pietà da parte sua… invece si rivelava più bastardo degli altri due. E chi diceva che i Tassorosso fossero creature pacifiche e dolciastre, si sbagliavano di grosso o sulla loro strada non avevano mai incontrato Evann.
Sempre a gruppetto, tutti e tre con irritanti occhiali dalla montatura quadrata sul naso, sempre con una piuma prendi appunti e una pergamena per sputtanare chiunque passi nella loro lista nera… insomma, se quei tre si sarebbero ritrovati nelle mani di un Troll, probabilmente mezza Hogwarts avrebbe armato quel Troll e battuto le mani a ritmo nel vederli schiattare.
-          Oh, luce dei miei occhi! –
Naturalmente non Dalton, che entrò nella stanza adiacente all’aula di Trasfigurazione tutto saltellante. Avevano assegnato quell’aula, un tempo vuota, a quei scribacchini che avevano scassato le balle alla Mcgranitt così tanto tempo che alla fine aveva dovuto annuire.
C’erano fogli dappertutto, foto, una stampante che arrivava alla vita di Dalton e che stava sfornando fogli freschi di giornale, quando come un sole personale arrivò quel Serpeverde dall’animo torbido.
E quando, diabolico come pochi, sbatté le foto sul tavolo di mogano dove Evann stava scrivendo qualcosa con una piuma dietro l’orecchio, per poco non se lo sbaciucchiarono come un Dio sceso in terra.
-          Amore a vita per te, fratello! – urlò quell’idiota di Evann, con i capelli castani tutti ritti in testa e gli occhi verde-castano a palla spalancati per la felicità.
Naturalmente Dalton ignorò la dichiarazione e l’espressione da psicopatico del ragazzo, puntando con occhi di falco un articolo. Lo strappò dalle mani di Elehna con poca delicatezza, ignorando “l’ehi” scazzoso della bionda, per strabuzzare gli occhi per la foto in prima pagina.
Joe.
La sua Joe.
La sua adorabilissima Joe.
La sua stronzissima Joe tra le braccia di Tom, che la stava baciando delicatamente sulle labbra.
E lui la stava stringendo.
-          Ma porca putt… - e quell’urlo apocalittico fece tremare tutto il secondo piano, tanto che Elehna si tappò le orecchie delicate.
E fu guerra.
 
Quando Dalton arrivò a passo di carica in Sala Grande era oramai già gremita di gente.
Ci sarebbe stata lezione tra un ora a quella parte e tutti erano intenti a strafogarsi prima di dirigersi in classe.
La gazzetta era appena stata messa tra i becchi dei gufi, che ora planavano tra le tavolate alla ricerca dei propri padroni.
C’era un chiacchiericcio incredibile e Dalton, con il naso all’insù, ignorò il tavolo dei Serpeverde per accomodarsi a quello dei Corvonero, accanto a Cecilie Diariet, l’unica ex con cui fosse durato più di due giorni.
La ragazza alzò il delizioso visetto da bambola da una ciotola di latte e cereali, fissandolo con i suoi grandi occhioni azzurri – Hai litigato con i tuoi amici? – borbottò, ricordandogli perché si fossero lasciati.
Troppo perspicace, gli metteva i brividi. – Non mi vuoi? – sibilò perfido, passandole un braccio sulle spalle e facendola sorridere di sbieco con la bocca carnosa di more.
-          Figurati, Tyler ti adora – tubò, indicando con un cenno del capo un ragazzone corpulento seduto a pochi metri da loro.
Dalton le accarezzò i capelli biondo cenere, distratto e si versò una tazza di caffè bollente.
Tyler, spaventando qualche primino, si sedette al suo fianco  - Ehi, capo – borbottò, passandogli in sordina una fiaschetta di whiskey per correggere la sua colazione.
Da quando Tyler era stato suo secondo in un duello di spade contro l’ex di Cecilie, che quando stavano insieme l’aveva insultata davanti a tutti chiamandola puttana, Tyler provava un profondo rispetto per lui.
Cecilie era sua sorella e l’ex un suo amico, quindi era come se l’avesse ringraziato di non averlo fatto battere direttamente per l’onore di sua sorella.
-          Ehi, Ty! Come stai? – borbottò, sorridendogli.
Nonostante sua sorella fosse alta un metro e cinquanta per quarantacinque chili e Tyler un metro e novanta per cento, si assomigliavano molto: stesso colore dei capelli, che lui portava legati con tanti codini di cuoio per domare i rasta che gli indurivano il volto dalla mascella volitiva. Ma gli occhi azzurri e il naso piccolo erano dello scricciolo seduto al suo fianco.
-          Bene, bene. Come mai da queste parti? – domandò, servendosi di salsicce e bacon.
Dalton roteò gli occhi, fissando il tavolo dei Grifondoro con una smorfia di compatimento. Verso se stesso, naturalmente.
Si era lasciato fregare come un novellino. Aveva tolto gli occhi di dosso da Joe per nemmeno due giorni e se l’era ritrovata tra le braccia di Tom come una calamita.
Ruggì a bassa voce.
-          Chiaro – disse Tyler, anche se Dalton non capì cosa ci fosse di così chiaro.
Cominciò a bere il suo caffè, gufando sul posto tutto tranquillo, sotto le premure di Cecilie che almeno lo faceva ridere e alla faccia di tutti gli faceva le coccole, quando un urlo animalesco invase la Sala Grande, zittendola completamente.
Joe e Scorpius si erano alzati insieme, di scatto, con il giornale tra le mani e la stessa espressione di sale sul volto.
-          Zabini! –
-          Gilibert! –
Stessa voce a ruggito, occhi ridotti a spilli e fanali che si catalizzavano ovunque alla ricerca della vittima. Fortuna per lui, comunque, che fosse nascosto da Tyler, quindi Scorpius uscì dalla sala sotto gli occhi di Albus, che lo seguì di volata.
Joe invece lo trovò subito, con quegli occhi che quasi tremavano davanti a lui.
Dalton la fissò per due secondi netti, poi distolse lo sguardo e lasciò che Cecilie gli accarezzasse dolcemente il viso, fissando prima lui e poi Joe con un sorriso irritante sulle labbra.
La vide uscire a testa bassa dalla Sala Grande, immediatamente seguita da Tom e per un istante vacillò: lui la adorava e lei lo stesso… chi era lui per mettersi in mezzo?
-          Vado a lezione, ciao bambolina. E ciao, fratello! – borbottò, lasciandosi baciare all’angolo della bocca da Cecilie e beccandosi un pugno sulla spalla in modo amichevole da Ty senza fiatare.
Evitò che tutta quella marmaglia di gente gli si buttasse addosso, ciondolando fino al secondo piano dove avrebbe avuto due ore di Trasfigurazione.
-          Maledetto! –
L’urlo di Scorpius arrivò da lontano e Dalton, giusto per non farsi rovinare il suo bel faccino, entrò di volata nell’aula della Mcgranitt, salutando la donna come un militare e sedendosi in prima fila sotto il suo sguardo stranito.
E, entrando, Scorpius masticò alcune imprecazioni, sedendosi agli ultimi posti. Ma se Dalton pensava che gli sarebbe sfuggito per tutta la lezione, sbagliava di grosso.
Gli studenti di Grifondoro e Serpeverde si riversarono nella stanza e Potter, che si era guadagnato una bestemmia grande quanto una casa, si sedette proprio al suo fianco – Ciao, fratellino – sibilò, facendogli venire un traverso di bile.
-          Sì… stai con mia sorella, no? Quindi sei un fratello acquisito –
E la Mcgranitt, allibita, vide Scorpius Malfoy gridare un “nooooo” teatrale e sbattere la fronte contro il banco, ripetutamente.
Bene, era impazzito pure lui!

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Capitolo 8
*** Capitolo settimo - Kiss me ***


Attenzione:

Colgo l’occasione in balzo per ringraziare tutte le mie recensitrici  e le ragazze che seguono questa storia. Siete tante e così dolci che io non vi ringrazierò mai abbastanza… mi invogliate sempre di più a scrivere e io sono felice di questo! Con questo volevo informarvi anche che una mia cara amica ha creato un gruppo su FB per le mie storie, compresa 3.00 am, per foto, spoiler e qualsiasi domanda potete andare qui!
Ora vi lascio al capitolo, che spero sia di vostro gradimento
Buona lettura!



Capitolo settimo –
Kiss me





Se poche settimane prima gli avessero detto che Albus Severus Potter, come vendetta personale, avesse scelto di stargli attaccato al culo ventiquattro ore su ventiquattro… beh, gli avrebbe riso miseramente in faccia: il secondogenito di Harry Potter poteva anche odiarlo con tutte le sue forze, ma ne era sicuro, non si sarebbe maiabbassato a tanto.
Speranza vana, naturalmente, perché, quel bastardo di proporzioni cosmiche, da quando aveva scoperto che si era accollato a Lily per cenare a casa sua, non faceva altro che seguirlo, chiamarlo “cognatino”, invitarlo a pranzare al tavolo dei Grifoni o autoinvitandosi a quello delle Serpi e Scorpius non ce la faceva più.
Lily, santissima donna, se n’era lavata le mani, addicendo la scusa “colpa tua, conseguenze tue” come se lasciarla tra le braccia di quel Mangiamorte venduto di Wilkinson sarebbe stata una buona idea.
Tsè, donne!
- Quindi tu sei il pappone di Joe? –
Ed ora eccolo lì, che cercava di capire come si muovessero i Serpeverde nel loro habitat naturale, come fossero animali in cattività o altro. Con la coda dell’occhio, Scorpius, lo vide fissare Dalton Zabini tutto sconvolto, sbattendo gli occhioni verdi senza capire.
- No, semplicemente evito che con il tempo diventi un uomo – sbuffò Dalton, ficcando con forza i libri di Trasfigurazione nella borsa a tracolla che indossava.
Albus inclinò il capo, mentre il suo sguardo si velava di comprensione – Oh! – disse, annuendo, seguendo i ragazzi fuori le arcate di Hogwarts, dove gli studenti si riversarono nel giardino.
Si sedette insieme ai Serpeverde in riva al Lago, sulla staccionata che divideva le acque e il giardino, mentre Thomas Nott guardava Dalton di soppiatto, cercando di capire dal suo sguardo se avesse intenzione di fare qualcosa o continuare ad ignorarlo come stava facendo da due giorni.
L’aveva vista anche lui la foto sulla gazzetta e se pensava di essere attaccato direttamente, si era sbagliato di grosso; Dalton l’aveva ignorato pesantemente e quando prima gli aveva pestato pure un piede, aveva risposto al suo “mi hai fatto male!” con un “chi ti aveva visto” tutto strafottente, come se Tom fosse stato invisibile.
- Dov’è Alex? – domandò Dalton, che da quella mattina non vedeva il maiale dai capelli biondi.
- Da sua madre. Due giorni fa hanno arrestato suo padre – rispose Scorpius, ad occhi bassi, mentre il silenzio calava tra di loro come una manna.
Ora la tensione poteva tagliarsi con il coltello. La notizia non aveva ancora fatto il giro di Hogwarts, ma quando Scorpius, quella mattina, l’aveva visto correre di tutta furia verso l’ufficio della preside, aveva immediatamente capito che lo avevano informato dell’arresto di suo padre.
In fondo…due sere prima anche lui era presente.
- E voi vi fidate di lui? – domandò Albus, guardandoli ad uno ad uno.
Scorpius sospirò, stirando le labbra in un sorriso tiepido quando, da lontano, intravide la chioma fulva e rossa di Lily. Stava parlando con qualcuno accanto le grandi arcate vicino la Sala Grande e non riuscì a vedere la persona a cui stava sorridendo con tanta enfasi.
- Ci parliamo, litighiamo… nessuno a Serpeverde si fida di nessuno, Potter.
Non ci sono amici tra di noi, ma solo conoscenti – mormorò e a quella frase, Dalton, guardò tutto acido Tom, che era arrossito e aveva abbassato gli occhi blu sul tomo di Pozioni avanzate.
Maledetto traditore, pensò Zabini, accendendosi tutto esaurito una canna. Alla faccia di Albus Potter che era un Caposcuola.
L’odore di erba riuscì a rilassarlo solo in parte, perché c’era qualcosa di più importante che lo innervosiva: quella notte ci sarebbe stato l’incontro con Joe e lui era più nervoso della prima volta, quando lei gli aveva inviato quel biglietto per chiedergli un incontro… e un aiuto.
- Cambiando discorso, sbaglio o Cecilie è di nuovo tra le tue grazie? – disse Scorpius, mentre Tom aguzzava le orecchie per quella nuova scoperta.
Due giorni prima li aveva visti fare colazione insieme, ma aveva creduto che fosse per sfuggire dalle ire di Scorpius, placate solamente quando era riuscito a strappare alcuni ciuffi dei capelli meravigliosi di Dalton, che si era disperato fino a quella mattina.
- Ci rivediamo, sì – rispose il ragazzo di colore, rivolgendo la sua attenzione alla carta di pergamena tra le sue dita, che bruciava avvolta travolta dal fuoco.
L’erba di ciniglia gli bruciò la gola, la mente, i sensi; a volte dimenticava la leggerezza che la droga gli portava, scorrendogli nelle vene più veloce del sangue.
Cecilie era… simile alla droga, sì e non perché gli portasse assuefazione o dipendenza, ma perché gli permetteva di distrarsi, di allontanarsi dai problemi, dagli occhi di Joe… e di questo ringraziava.
Vedeva Chrysantha poche volte, ultimamente sembrava che sfuggisse a tutti, persino da suo fratello, ma non gli dispiaceva eccessivamente aver perso la sua prima distrazione; a Cecilie non piaceva dividere le sue cose e Dalton sapeva perfettamente che Chrys non poteva essere di nessuno.
Nessuno tranne se stessa.
- E le cose come vanno? – domandò Scorps, inclinando il capo e alzando la mano in segno di saluto verso quella che, oramai, sembrava essere entrata far parte del gruppo.
Lily corse verso di loro, più pallida del consentito, ma con un sorriso sereno sulle labbra. – Ho invitato Joe alla festa di questa sera, ma ha detto che aveva da fare – disse, facendo spallucce e baciando suo fratello su una guancia, che la lasciò sedersi sulle proprie gambe.
Già, aveva da fare.
Dalton fece l’ennesimo tiro dalla canna, compatendo se stesso per l’assurda situazione in cui si era cacciato.
- Eh sì, ha proprio da fare – ridacchiò, guardando Tom di sottecchi.
Sorridendo si accorse che si era irrigidito e, schiacciando il filtro della canna oramai finita sotto le scarpe di ottima fattura, capì che in fondo a lui piaceva quella situazione.
E lasciar perdere non era fatto per un Zabini. La vittoria, lo era. La sfida. Il loro motto era “provarci sempre” perché anche se da perdente, solo chi ci avrebbe provato fino all’ultimo avrebbe veramente vinto qualcosa.
E lui proprio non aveva intenzione di cambiare il suo motto.
– Mi dici qual è il tuo problema? – sbottò Tom, alzandosi di scatto e lasciando cadere la borsa con un tonfo sull’erba alta.
Dalton fece spallucce, inclinando il capo e storcendo la bocca in un sogghigno ironico che lo mandò su tutte le furie – Di cosa stai parlando? – domandò, sbattendo le ciglia nere in modo civettuolo.
- Di come tu cerchi di mettermi i bastoni tra le ruote! – sputò Tom, stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.
Dalton spalancò la bocca e scoppiò a ridere, passandosi una mano tra i capelli e guardandolo come di solito si guarda un… insetto. – Io non sto facendo proprio niente, Tom e proprio questo è il bello! – rise, mentre Scorpius si irrigidiva e Albus per poco non prendeva appunti, interessato.
Tipo “anche i Serpeverde fanno a botte per amore” con tanto di annotazioni sulle loro espressioni e le botte e risposta.
- Joe non è come quelle che ti porti a letto… non è come Cecilie o Angelica! – urlò Tom esasperato, per poi mordersi con forza le labbra per l’ultimo nome che aveva pronunciato.
Angelica. Nessuno aveva più parlato di lei da allora, da quando lui era tornato ad Hogwarts distrutto e loro si erano ripromessi di non parlarne più. Di cercare di fargliela dimenticare.
Angelica era un fantasma e probabilmente avrebbe dovuto restare tale.
- ‘Fanculo! – sibilò Dalton, alzandosi di scatto e fronteggiandolo con occhi fiammeggianti.
Aveva gli occhi sbarrati, braccati, simili a quelli di un animale in gabbia e lo fissò quasi con odio. – Ehi, Dalton, calmati – disse Scorpius, afferrandolo per un braccio e tirandolo indietro, rifilando un occhiata ammonitrice a Tom, che alzò le mani in alto in segno di scuse.
Troppo tardi. Dalton caricò un pugno e colpì l’amico proprio sullo zigomo, facendolo frenare a terra per il contraccolpo.
- Va all’inferno, stronzo! – e sputò ai suoi piedi, sconvolgendo Lily che non l’aveva mai visto… così furioso.
Ma era magnifico. Cupo come un corvo e con gli occhi foschi dalla rabbia li sorpassò tutti, così maestoso nel suo metro e ottanta e nelle sue spalle larghe, nelle sue labbra arricciate e nei capelli neri come l’onice.
E solo quando arrivò accanto alle arcate lasciò che un ghigno gli deturpasse la bocca rosea. – E ricorda, Tom. Se è di lei che ti preoccupi, lascia perdere… è già mia e lo era ancor prima che tu ci provassi! – urlò, afferrando Joe per le braccia, confusa e sorpresa, e avvicinandosi a lei solo quando Tom rovesciò gli occhi blu verso di lui.
Probabilmente, si disse Joe, avrebbe dovuto aspettare Lily nella Sala Grande invece di raggiungerla, così non si sarebbe ritrovata in quella situazione. Così non si sarebbe ritrovata la bocca di Dalton sulla sua.
Fu irruente, come un fiume in piena la racchiuse tra le sue braccia, respirando sulla sua bocca e mordendole il labbro inferiore per farla schiudere, intrufolando, così, la lingua tra i suoi denti serrati.
Non riuscì a scacciarlo né a tenere i denti stretti e le mani a pugno. Si rilassò completamente contro il suo braccio, che la sorreggeva e la stringeva in una morsa, simile a quella di un boa.
Non riuscì a non schiudere la bocca e accarezzare la sua lingua con la propria e fu meraviglioso, quasi da capogiro. Gli allacciò le braccia dietro il collo arcuato e si strinse con forza al suo corpo, mentre il suo profumo le dava alla testa.
Sentiva ogni singolo osso coincidere con il suo, i tendini allacciarsi ai suoi e la bocca non agognare nient’altro che il suo fiato tra la sua bocca.
E fu fenomenale. Non riuscì a non tremare quando le sue dita si strinsero su i suoi fianchi, con forza, strappandole un gemito.
E fu fuori dal comune. Le labbra di Dalton sapevano d’erba e tabacco, dentifricio e lei.
Si ritrovò ad infilare le mani nei suoi capelli e gli tirò, forse per dispetto, qualche ciuffo; e la soddisfazione che le colmò le vene al pensiero che l’altra avrebbe potuto vederli e che avrebbe capito a chi lui apparteneva, la fece vergognare solo un po’ prima che subisse un impennata quando lui la strinse ancora più forte.
Che bruciassero all’inferno, ora la bocca di Dalton sapeva di lei e che l’altra l’avrebbe sentito o no, non era affar suo.
- Ci vediamo questa sera – mormorò lui, tetro, quando si staccò dalla sua bocca.
Respirò ancora una volta contro il suo respiro, colmandola di lui, ancora e ancora, e la lasciò lì, imbambolata.
- Cazzo – si lasciò sfuggire, mezza stordita.
- Merda – disse invece Albus, sbattendo ripetutamente le palpebre e guardandosi attorno.
Che diavolo era successo? Un attimo prima stava litigando con Tom e l’attimo dopo se l’era trovato incollato alle labbra della Smith! Agivano in modo strano, i Serpeverde, eppure non era un modo cattivo, anzi.
Era quasi ingegnoso.
- Chi è Angelica? – domandò invece Lily, guardando Scorpius curiosa fino all’inverosimile.
Quest’ultimo si coprì la faccia con entrambe le mani, vedendo Tom alzarsi di scatto e andarsene a passo di marcia, ignorando volutamente Joe, che sembrava quasi sotto incantesimo.
- Ma per tutti i perizoma tigrati della Mcgranitt, cazzo! – si lamentò, mugugnando e preparandosi per la giornata di merda che gli si presentava davanti agli occhi.
Quei due erano capaci di farsi la guerra da lì fino alla fine dell’anno, sputandosi negli occhi ad ogni occasione… e con un gemito crollò seduto sulle gambe di Lily, guardando il cielo con un broncio irresistibile.
Era nella merda fino al collo.

E non aveva tutti i torti. Appena Dalton entrò nella sua camera cominciò a distruggere qualsiasi cosa si ponesse sul suo cammino.
Strappò le tende del proprio letto a baldacchino, lanciò contro il muro la cornice che raffigurava lui, Tom e Scorpius sotto le arcate di Hogwarts; le statuette sul camino della camerata andarono in mille pezzi, mentre le sue urla superarono i decibel consentiti per un essere umano.
Quel… quel… quel…bastardo!
- Dalton! - Chrysantha lo guardò con rimprovero, entrando nella camerata dei ragazzi quasi mezza distrutta.
Con i tacchi alti scansò dei pezzi di vetro all’entrata e rimase al centro della stanza, incrociando le braccia al petto e fissandolo con i suoi occhi blu. E solo in quel momento riuscì a vedere l’ombra di un livido sovrapporsi alle occhiaie, la piccola cicatrice sulla bocca piena e… e i suoi lunghissimi capelli ora li sfilava in un caschetto.
- Santo Salazar, che ti è successo? – sussurrò, crollando a sedere sul letto e fissandola incredulo.
Chrys sospirò, guardandosi ancora una volta attorno. Sorpassò quel disastro e si sedette al suo fianco – E a te che è successo? – mormorò, inclinando il capo e fissandolo dispiaciuta.
- Tuo fratello è un bastardo – sputò velenoso, afferrando un pacchetto di sigarette alla menta dalla borsa a tracolla, che aveva buttato come una furia ai piedi del letto, e accendendosene una con lo sguardo fisso nel vuoto.
- Che ha fatto? – sospirò Chrys, accarezzandogli dolcemente una spalla e accavallando le gambe denudate dalla divisa.
Dalton bestemmiò, stringendosi il setto nasale tra l’indice e il pollice, furioso.
Quelle parole continuavano a ronzargli nella testa, quasi come un vortice di detriti e dolore.
Angelica. – Angelica – mormorò, stringendo gli occhi e ricordandosi di respirare.
Piano, espira, inspira.
Angelica.
- Ti dai ancora colpa, Dalton? – sussurrò Chrysantha, guardandolo attraverso le lunga ciglia.
Chissà perché ultimamente sentiva sempre di compatirsi e odiarsi con tutte le forze. Cominciando da Joe, Cecilie e infine Angelica. La sua piccola e dolce Angelica.
- È morta di cancro, Dalton, tu non centri nulla - bisbigliò Chrys, mordendosi con forza il labbro inferiore.
Dalton ciondolò il capo, aspirando una boccata di fumo dalla sigaretta.
Già, erano due anni che cercava di convincersene anche lui, senza alcun successo; era successo tutto troppo velocemente, senza nemmeno lasciargli il tempo di fare alcunché.
Angelica era stata divorata lentamente, dall’interno ed era sfiorita, come lo splendido fiore che era.
Quindici anni. Come si poteva morire a quindici anni per una malattia? Per una malattia così… cattiva.
E lui non aveva potuto far nulla, solo tenerle la mano e aspettare.
Aspettare che le cadessero tutti i capelli e le sopracciglia per colpa delle chemio.
Aspettare che il corpo non rispondesse più ai suoi comandi e dimagrisse sempre di più, diventando l’ombra di se stessa.
Ma Angelica, a differenza sua, se n’era andata col sorriso sulle labbra; se n’era andata con la sua bocca di more tese in un sorriso e la mano stretta così forte alla sua da fargli mancare il fiato.
Se n’era andata dopo che lui le aveva confessato che era stata l’unica che avesse mai amato in vita sua.
Per sempre.
- Te la prendi così tanto perché hai paura di innamorarti e infangare la sua memoria, ecco perché – bisbigliò Chrysantha, facendolo sgranare gli occhi e sobbalzare.
Dalton gemette, poggiando i gomiti sulle ginocchia e infilandosi le mani nei capelli neri come l’ebano. La sigaretta stava bruciando tra le sue dita, mentre lui fissava il vuoto.
Joe non assomigliava per nulla ad Angelica, sia per aspetto esteriore che interiore.
Joe era bassa, grassottella, con i capelli neri e gli occhi d’ossidiana; la forza di un uragano, la voce trillante, strafottente. L’insicurezza, la voglia d’amare, quella di scoprire cose che non aveva mai visto o che non aveva mai voluto vedere.
Angelica era alta, longilinea, dai capelli biondi come l’oro e occhi azzurri come il cielo. Aveva la voce bassa, graffiante e sapeva di essere bella, tanto da avere chiunque ai suoi piedi. Era sarcastica, cinica e rideva poco, ma quando lo faceva gl’illuminava l’anima.
Erano l’opposto in tutto, eppure… si ritrovò a pensare, terrorizzato, adorava Joe come aveva amato Angelica.
- Merda – borbottò, mentre Chrys rideva con una mano davanti alla bocca.
- Già, Dalton. Ma non fartene una colpa… sono passati due anni, è arrivato il momento d’amare anche per te – sussurrò, baciandogli i capelli e alzandosi dal letto.
Andò alla porta con la sua flemme invidiabile e Dalton dovette ammettere che era bella anche con i capelli corti e lo sguardo divertito – Che ti è successo? – bisbigliò, prima che uscisse.
I suoi occhioni blu cobalto s’intristirono e Dalton sentì il cuore stringersi in una morsa – Bryan Stock – sussurrò solamente, andandosene com’era venuta.
Bryan.
L’aggressione a casa Nott.
Quel fottuto Mangiamorte del cazzo, pensò fuori di sé, seguendola fuori dalla sua camera ma inoltrandosi nel corridoio.
L’ala maschile era un porcile: c’erano gente in mutande, libri buttati fuori dalla porta e lui ignorò chiunque, sorpassando il corridoio immenso dove porte a destra e sinistra portavano la targhetta con i nomi degli studenti della camerata.
- Stock! – urlò, prima di spalancare la porta della sua stanza.
Era quella alla fine del corridoio e storse il naso quando dall’interno sentì puzza di bruciato; eccolo quell’infame e immondo essere, semi sdraiato sul suo letto a baldacchino a leggere un libro di pozioni.
- Zabini? – borbottò Bryan, balzando a sedere quando lo vide serrare i pugni, prima di sorridere velenosamente verso di lui.
Dalton, prima di chiudersi la porta alle spalle, intimò ai compagni di Bryan di filarsela: la stanza fu vuota prima che facesse l’ennesimo segno per sgombrarla.
I soliti stendardi verde-argento, alcuni libri accatastati accanto il primo letto alla sua destra che fungevano da comodino e vestiti buttati per l’aria.
C’era un pentacolo disegnato con il gessetto a terra e dentro degli slip femminili.
Dalton storse il naso.
- Credevi che non me ne accorgessi, Stock? –
La sua voce fu un sibilo e Bryan saltò a sedere sul suo letto dalle lenzuola bianche sfatte.
Dalton avanzò di un passo, scricchiolando le dita formicolanti; l’unica cosa di cui avrebbe per sempre ringraziato suo padre, oltre il colore della pelle, sarebbe stata l’altezza.
L’altezza che incuteva timore, che sembrava terrorizzare. E lo vide dagli occhi di Bryan, che si alzò e indietreggiò fino a toccare il muro di pietra grezza alle sue spalle, dove lo stemma dei Serpeverde, su cui s’appoggiò tremante, cadde con un fruscio sul pavimento.
- Di che stai parlando? – borbottò, alzando il mento in segno di sfida.
Dalton sorrise ancora, mentre i suoi occhi quasi sembrarono diventare due spilli per la rabbia che lo scosse fin dal profondo.
Odiava chi toccava quello che considerava suo. E Chrysantha era sua, non come fidanzata, ma come amica, sorella, amante.
- Sto parlando della tua faccia spaccata tra… beh, ora – sogghignò, avanzando di un altro passo.
E, con un ghigno, guardando Bryan tremare capì perché era stato smistato a Serpeverde.
Ah, il potere che scorreva dritto nelle vene e pompava spasmodicamente con il cuore.
Il sentirsi superiore, tanto da potersi permettersi di sottovalutare il nemico, perché sapeva che Bryan era solo una pedina… che poteva essere schiacciata con la scarpa classica dal numero quarantacinque.
- No, aspetta Dalton! Io non… - urlò Bryan, prima di alzare le mani in segno di difesa e frenare sul pavimento al pugno che Zabini caricò con rabbia.
- Ti prego! – piagnucolò ancora, con il sangue al naso e ai suoi piedi.
Era quello l’importante: che lui capisse qual’era il suo posto.
- Troppo tardi – cincischiò Dalton, prima di caricare un calcio proprio tra le sue costole e beandosi nel sentirlo gemere.
Spinse la punta della scarpa lucida e nera tra gli addominali e sorrise civettuolo quando lo sentì trattenere il fiato.
E capì perché era stato smistato a Serpeverde.
Ah, il potergli spezzare le ossa ad una ad una era una cosa troppo allettante e il vederlo immobile, impossibilitato nel potersi difendere, era simile ad una doccia gelata dopo una giornata afosa in agosto.
Alzò l’altra gamba e lo colpì dritto sulla guancia, facendogli sputare due denti.
- Quante volte devo ripeterti qual è il tuo posto, Stock? – sussurrò, schiacciando la suola della scarpa sulla sua guancia, che si stava gonfiando lentamente.
Bryan sputò sangue e lui sorrise, velenoso.
- Allora? – domandò, facendo ancora più pressione e ridacchiando nel sentirlo urlare dal dolore.
Bryan ansimò, storcendosi come un verme sul pavimento.
- Mi… mi dispiace – balbettò, trattenendo un urlo quando l’ennesimo calcio gli ruppe il setto nasale.
Dalton digrignò i denti, furioso – Ti dispiace? Ti dispiace? – urlò, quasi fuori di sé, mentre la conversazione con Tom ritornava a galla insieme agli occhi bluastri di Chrys.
- Non mi sembravi così dispiaciuto quando le hai fatto un occhio nero e tagliato i capelli stile “Saw” stronzo! – sbottò, salendo con tutti i suoi ottanta e passa chili sul suo corpo.
Un piede sullo sterno e un altro tra le gambe, dove schiacciò con abbastanza pressione da farlo sbiancare e annaspare in cerca d’aria.
- Dalton, ti supplico – bisbigliò, con una voce così piccola da farlo sorridere in estasi.
Ah, l’essere pregati.
Quanto amava quella sensazione.
- Qui siamo ad Hogwarts, stronzetto, e non ci interessa da che parte pende la tua bandiera.
Se ti ritrovo ancora in giro con la bandiera dei Mangiamorte attaccata al culo e la convinzione di poter far del male a chiunque, giuro che oltre a renderti irriconoscibile anche a tua madre ti taglio di netto quel coso che hai tra le gambe – sibilò, abbassandosi di poco per farsi guardare bene in viso.
Sorrise, spingendo ancor più in profondità.
- D’accordo, d’accordo! – urlò Bryan, piagnucolando.
Dalton sospirò e toccò nuovamente terra. – Bene – disse, mollandogli un calcio nelle parti basse che lo fecero sgranare gli occhi e urlare come se lo stessero per scorticare vivo.
- Giusto perché tu ricorda – mormorò, uscendo dalla stanza con passo sinuoso e un sorriso soddisfatto sulla bocca.
Bene, ora Stock sapeva qual’era il suo posto.

Quella sera si tenne quello che Scorpius chiamava il “liberatorio”.
Di solito quel party si teneva dopo pesanti settimane di studio e veniva organizzato proprio dai Serpeverde che avevano ricevuto la batosta per i M.A.G.O.
Era molto meno estroso dai soliti party organizzati dai Flower e naturalmente più tranquilli, ma gli alcolici e le droghe giravano ugualmente tra le mani dei ragazzi del settimo e sesto anno.
- Emmeline Stock si è appena chiusa nel bagno con Flatcher. Ma non lo odiava perché era un mezzosangue? – borbottò Tom, sedendosi sul divanetto di pelle accanto a Scorpius e Lily, che osservavano il degrado con un sorriso divertito.
Il caminetto era acceso e gli stendardi brillavano alla luce verdastra delle fiamme; un bancone per gli alcolici era stato allestito subito dopo gli scalini principali che portavano all’androne e i divanetti erano stati allineati a destra e sinistra per dare spazio alla pista improvvisa per ballare.
- Sta girando la comerina – disse Scorpius, accendendosi una sigaretta alla menta e passando a Lily un bicchiere di vodka nera.
Tom inclinò il capo, sbattendo confuso le ciglia. Aveva un livido violaceo che iniziava dalle occhiaie e finiva sullo zigomo gonfio e a Madama Nurse aveva dovuto dire che era caduto dalle scale.
Sì, come no. Era caduto dalle scale e aveva sbattuto sul pugno di un certo Zabini incazzato, che quella sera non si era visto nemmeno di striscio.
- La comerina? – domandò, arricciando il naso e scuotendo il capo all’offerta del biondo di una sigaretta.
- Ma sì, quella specie di intruglio che va sniffato e che agli occhi ti fa rendere attizzabile anche un mobile – sbuffò Scorpius, assottigliando gli occhi nel vedere Lily accettare la mano di Barrett Braxton, che la stava invitando a ballare.
Indossava una gonna a balze bianche e una maglia a maniche lunghe verde smeraldo ed era da mangiarsela con gli occhi. Come sempre.
Cominciava a diventare monotono.
Che palle.
- Dovrebbe legarsi quei capelli, sono un peccato capitale – mugugnò Scorpius, tracannando un sorso di whiskey incendiario e sospirando nel vedere quelle lingue di fuoco fendere l’aria.
Si era reso conto anche lui che qualcosa non andava, affatto. Lui e la Potter erano diventati culo e camicia, ma in privato non si erano nemmeno toccati con un dito; quando lei aveva cercato di far incazzare i suoi cugini, ci aveva preso gusto a farsi baciare, ma dopo le botte in Sala Grande e quella specie di riconciliazione, che comprendeva saluti timidi e riunioni a spezzoni, dove quei pezzenti cercavano di portarsela via, Lily non aveva più cercato di baciarlo e lui lo stesso.
E non sapeva come comportarsi. Insomma, prima era simile ad un gioco e si erano messi d’accordo comune a rendere la vita un inferno ai Weasley, ma ora?
Ora era il suo protettore.
Bella merda, sì.
- Selie non ti toglie gli occhi di dosso – ridacchiò Tom, salutando proprio la suddetta, che si era avvicinata ancheggiando i fianchi.
Era davvero solo il suo protettore?
Non era nient’altro per lei?
- Ciao Scorpius! – Selie Paul si sedette al suo fianco, riavviandosi i capelli biondi con un gesto secco della mano e sorridendogli… affamata.
Lily, che in pista stava ridendo a una battuta di Barrett, rovesciò il capo solo per guardarlo negli occhi.
Insomma… sì. Cos’erano?
- Ciao Selie – ricambiò, distogliendo gli occhi grigi da quelli bruni di Lily per concentrarsi sulla ragazza al suo fianco.
Era avvolta da un vestitino blu oltremare che le lasciava scoperto una porzione generosa di seno e le gambe, ma… era strano, non sentiva la solita eccitazione.
Voleva solo sapere cos’erano.
- Sai, prima stavo riflettendo su una cosa – bisbigliò la ragazza, avvicinandosi ancor di più a lui e stringendogli un braccio con forza, premendo il seno contro di lui e strusciando come una gatta.
Lily ora lo guardava, ma non stava più ballando: aveva sorriso generosa al drink che Barrett le offrì.
Forse era un ossessione? Quelle che ti tormentano la notte e non ti fanno dormire? Quelle che ti tolgono il senno e anche la lucidità, lasciandoti in balia del ricordo di quei capelli, di quella bocca e quel viso meraviglioso.
Forse era proprio un ossessione.
- È da tanto che non stiamo un po’ soli – mugugnò Selie, guardandolo con i suoi occhioni verdi.
Beh, le ossessioni come si soffocavano? Forse lui passava troppo tempo attaccato a lei e quindi non riusciva più a passare del tempo con una donna oltre Lily e forse così ripiegava su di lei il suo desiderio.
- Allora, che ne dici? – sussurrò Selie al suo orecchio, baciandogli il collo.
Però… ora aveva Selie al suo fianco e non riusciva lo stesso a distogliere lo sguardo da lei.
- Sì… - borbottò, confuso, guardandola un secondo prima di ritrovarsi le sue labbra sulle proprie.
Infondo… così si soffocavano le ossessioni, no? Un chiodo scaccia chiodo.
Ma quelle labbra non sapevano di miele né di lei e questo gli provocò una fitta di fastidio. Probabilmente Selie aveva preso della comerina, vista la facilità con cui gli si strusciava contro.
Con la coda dell’occhio vide un lampo di dolore passare in quelle iridi, ma fu così veloce che, molto probabilmente, se l’era solo immaginato. Ma Lily distolse gli occhi da lui e gli diede le spalle.
Quella sera si tenne il party che quelli del settimo e sesto anno definivano il liberatorio e molti sguardi giurarono di aver visto Lily Potter uscire dalle porte del dormitorio con gli occhi gonfi e Scorpius Malfoy staccarsi di scatto da Selie Paul, rintanandosi nella sua stanza senza uscirne fino al giorno successivo.
Perché le ossessioni non sono ossessioni se mantengono di lucidità e ti strappano via il cuore per la consapevolezza.


***


Quella notte si respirava aria piena d’aspettativa, di menta ed erba di ciniglia.
Joe la sentiva, la respirava a pieni polmoni e non le importava; il bacio di quella mattina era nella sua mente marchiato a fuoco e bruciava.
Bruciava come l’occhiata di Tom, che l’aveva sorpassata senza dirle una parola. Come la foto di quel bacio in copertina che… che era stato blando, tenero confronto a quello impetuoso di Dalton.
- Muovi i fianchi, dolcemente, come quando sei nell’acqua e senti ancora l’oscillo delle onde – bisbigliò Dalton, fissandola con i suoi occhi azzurri.
E lo fece. Cercò di muovere i fianchi dolcemente mentre camminava su quella passerella improvvisata, di non essere volgare come diceva lui, di non essere sciatta.
- Perché mi hai baciato? – sussurrò, facendo una piccola giravolta per solcare nuovamente il legno della passerella con i tacchi alti.
Dalton non rispose, ma continuò a bucarle la pelle con quegli occhi che sapevano di fuoco, che strisciavano sulla sua pelle come ghiaccio.
Era seduto a gambe accavallate su una poltroncina di velluto verde e la guardava dal basso, facendola bloccare nel mezzo della passerella, che era solo un piccolo rialzo dal pavimento di pietra grezza, per fissarlo con le mani sui fianchi.
- Dalton – lo richiamò, imperiosa, stringendo le labbra con disappunto.
La luna s’infiltrava tra le tende di flanella argento e illuminava la stanza quasi a giorno, mentre il baule ai piedi della passerella era ingombro di vestiti e scarpe.
Poi la stanza era vuota, solo un divano più lungo e largo, dove non avevano nemmeno pensato di sedersi. Era vuota, c’erano solo loro e un pendolo che batté le tre meno un quarto.
- Cosa? – ribatté, congiungendo le mani sotto il mento e i gomiti sulle ginocchia.
Già, cosa?
Cosa voleva sapere? Perché o cosa?
Magari cosa aveva sentito quando aveva posato le labbra sulle sue.
- Perché? – bisbigliò, rimanendo immobile sotto la luce della luna, con i capelli sciolti lungo le spalle e lo sguardo appena truccato.
Dalton si coprì il viso con una mano, schiudendo le labbra e rilasciando un sospiro – Perché mi andava – mormorò, ignorando i suoi pugni chiusi.
E Joe lasciò che le unghia le penetrassero nella pelle, che cercassero di farla rinsavire. Magari ricordarle di respirare.
- Solo per Tom? –
Dalton rilasciò un gemito rabbioso, fissandola come se volesse trapassarla da parte a parte.
- Sei tu che sei innamorata di lui, non io! – sibilò, alzandosi di scatto e dandole le spalle.
Lo sentì ridere e lo vide scuotere il capo e con un balzo scese dalla passerella e lo raggiunse, ignorando il ticchettio fastidioso dei tacchi sulla pietra.
- Smettila di comportarti come un bambino, Dalton! – urlò, afferrandolo per un braccio e obbligandolo a girarsi per guardarlo dritto negli occhi.
Aveva il petto ansante che si alzava e abbassava ad un ritmo incessante, dove si intravedeva fin troppo dalla camicetta che le aveva fatto indossare; la gonna le lasciava le gambe scoperte e il volto era rosso per l’esasperazione, magnifico illuminato da quella luna.
Le labbra schiuse, gli occhi pieni di determinazione.
- Cosa vuoi? – domandò, guardandola con scherno.
Joe si morse il labbro, stringendo la presa sul suo braccio.
Già, cosa voleva?
- Baciami –
Dalton sgranò gli occhi, fissandola basito.
Sentiva le sue dita quasi trapassare il tessuto della camicia e il calore trapassarlo come una bordata di fiamme; i suoi occhi lo stavano sondando… inghiottendo, trascinando in un abisso nero.
- Baciami – ripeté, questa volta con più enfasi.
E allora si abbassò sulla sua bocca come un rapace, afferrandola per le natiche e spingendola con forza contro la poltrona su cui era stato seduto fino e pochi attimi prima.
La sua mano, così grande, così calda, seguì la linea della sua gamba con malizia e la sua lingua entrò nella sua bocca con voracità, togliendole il senno e anche il respiro.
Joe tremò, affannando brusca sulle sue labbra e aggrappandosi alle sue spalle ampie come quella mattina; Merlino, lui era così alto da doversi abbassare per sentirla pienamente contro di sé ed era terribilmente eccitante da farle strusciare le labbra contro le sue.
Dalton l’alzò di peso, sbattendola seduta sul bracciolo della poltrona e allargandole le gambe con la sua, intrufolandosi tra di loro senza mai staccare la bocca dalla sua.
Con una mano, Joe, gli accarezzò il collo e lo sospinse ancor più vicino a sé, mordendogli le labbra con forza, tanto da fargli gonfiare la bocca e rimanere tanti piccoli segni.
- Cristo – gemette Dalton, staccandosi appena per riprendere aria, ma lei fu più veloce: con le labbra leggere cominciò a baciargli il mento, poi il collo, mentre con le dita gli sbottonava velocemente la camicia.
Dalton annaspò, mentre lei, allacciandogli le gambe alla vita, si issava su di lui e gli si spingeva contro. E la sentì interamente, imprimendosela contro ogni ossa o tendine.
Completamente.
- Santo Salazar – bisbigliò, sentendo una fitta al basso ventre quando lei gli sorrise con fare languido, intromettendo la mano piccola e pallida nella camicia completamente aperta.
L’altra mano, ancora dietro il suo collo, lo sospinse nuovamente contro di lei per baciarlo con ancora più ardore, questa volta prendendo lei l’iniziativa e intrufolando la lingua nella sua bocca, accarezzandolo da cima a fondo.
Cosa voleva? Joe non lo sapeva, non lo sapeva proprio, l’unico suo bisogno era sentirlo a fondo, senza tralasciare nessun lembo di pelle. Interamente. Fino a farla sentire male.
Non lo sapeva perché. Lo voleva e basta.
Questa volta fu Dalton a sbottonarle la camicia, passando le dita languide sullo sterno e poi sul seno, lungo la pancia e sorpassando la gonna, dove l’alzò per accarezzarla meglio.
Joe prima affannò e poi arrossì, mentre lui si staccava per guardarla meglio in volto.
Erano le tre esatte e tremò, sciogliendo la presa su di lui e allontanandosi mezza intontita.
- Io… io non so’ cosa mi sia preso, scusa! – balbettò, afferrando la sua borsa e fuggendo letteralmente dalla stanza, con i bottoni della camicia che facevano i capricci per entrare nelle asole.
Dalton crollò seduto sulla poltrona, con gli occhi sbarrati.
Erano le tre e questa volta non aveva giocato a suo favore.
Merda.

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo - Logic ***


Attenzione:
Ma ciao, bambole!
Wow, lo scorso capitolo ha ricevuto ben otto recensioni… sono rimasta letteralmente a bocca aperta! Insomma, scoprirvi così piene di entusiasmo per la mia storia mi ha commossa e vi adoro, tutte quante, indistintamente.
Scrivo, oltre per me stessa, anche per voi!
Con questo volevo ricordavi che – qui – c’è un gruppo creato per le mie storie da una mia amica, per chi volesse ricevere spoiler e tant’altro.
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, davvero.
Buona lettura!
 

 

Capitolo Ottavo –
Logic

 
 
La Sala Grande quel giorno era gremita e alquanto eccitata: un gran vociare serpeggiava tra le quattro tavolate e la preside Mcgranitt non aveva nemmeno cercato di zittire i suoi studenti, anzi, aveva lasciato la Sala con un sorriso sulle labbra e l'aria serena di chi, per grazia, non aveva un problema al mondo; l’unico che sembrava scontento persino dell’aria che respirava, Monsieur e Madame, era Dalton Xavier Zabini.
Ebbene sì, signori e signore, l’unico che saltellava come una pantegana anche con il diluvio e il cuore spezzato, ora guardava il suo caffè amabilmente corretto con un cipiglio severo, chiedendosi il perché di così tanta sofferenza nella sua vita.
Nella sua misera esistenza di essere umano, Dalton, non aveva mai fatto così tante docce fredde. Mai. Nemmeno a tredici anni, quando aveva cominciato a scoprire il suo corpo: in quel caso c’era stata Jessica Stone, la famosa Serpeverde del quarto anno che iniziava i vergini di Hogwarts.
E lui, maledizione a tutti i porci subacquei della Siberia, aveva bisogno di…
-         La Smith ti sta guardando –
Di lei.
Ah, perché Dalton lo sapeva; il suo piccolo demonio aveva giocato bene le sue carte e ora, dopo la sera prima che lo aveva assaltato nella stanza delle necessità, non riusciva a togliersela dalla testa.
Era stata… sublime, così sicura di se stessa, così maledettamente sensuale. E l’aveva sognata in quel modo tutta la notte, in tutte le posizioni possibili e immaginabili che ‘manco sul kamasutra erano presenti; la sua voce che invocava il suo nome, i morsi, i gemiti… - Santissimo Merlino – sibilò Dalton, sentendo l’amico alle parti basse svegliarsi dopo nemmeno un quarto d’ora che era riuscito a sedarlo.
-          Ma che hai? – mormorò Scorpius al suo fianco, che in fatto di broncio lo superava di gran lunga.
E, con la coda dell’occhio, Dalton si accorse che Lily era seduta al tavolo dei Grifondoro ed era chiusa a panino tra Rose Weasley e Roxanne.
-          Ecco a cosa mi porta l’astinenza: non riesco a notare niente che non sia la mia asta che cerca perenne attenzione – soffiò, versandosi una dose massiccia di whiskey incendiario nel caffè nero.
Mugugnò, ignorando le occhiate insistenti di Cecilie e si concentrò su Joe; quel giorno, sarà per i sogni porno, era una favola.
I capelli neri legati in disordine, la divisa che le accarezzava sinuosa le forme… la bocca carnosa che torturava con i denti bianchi, gli occhi socchiusi per il poco sonno causato da lui.
Era… sua.
-          Lascia perdere – sputò Tom, serrando i denti e guardandolo di traverso.
Naturalmenteavrebbe lasciato perdere lo sguardo insistente di Joe. Infatti aveva intenzione di fare di più: con uno scatto delle gambe si alzò dalla panca di legno e, a passo di carica, si avvicinò accanto alla Smith, che spulciava svogliatamente il cibo nel piatto.
-          Dobbiamo parlare. Ora – disse, con le mani sui fianchi e le sopracciglia corrucciate.
Joe lasciò cadere la forchetta, fissandolo terrorizzata. - Ho… ho lezione, non posso – balbettò, afferrando la borsa a tracolla e cercando di sorpassarlo, ignorando le occhiate curiose e adoranti che alcune sue compagne di dormitorio rivolgevano a Dalton.
Questo gli ostruì la strada, abbassando pericolosamente il volto verso il suo e suscitando sospiri al tavolo Grifondoro.
-         Ho detto ora – sussurrò con voce pericolosamente roca, facendole salire una vampata di calore che partì dallo stomaco e le salì fino al cervello.
Merda, pensò senza fiato, arrossendo vagamente e guardandosi la punta e delle scarpe.
I ricordi della sera prima erano così vividi nella sua mente che le sembrava di sentire ancora i gemiti di Dalton… e ora ne moriva di vergogna.
-          E io ho detto no, ho lezione! – sbottò, incrociando le braccia al petto e fissandolo in segno di sfida.
Un lampo di eccitazione misto a odio si mescolò in quegli occhi azzurri, mandandole in tilt il cervello; ma come diavolo faceva ad essere così sexy anche con gli occhi ancora gonfi dal sonno?
-          Joe, dobbiamo andare – la voce di Tom gelò entrambi e Dalton poté sentire chiaramente la rabbia e il disgusto miscelarsi nel suo stomaco insieme al whiskey in un connubio esplosivo.
Si fece da parte, ignorando lo strano formicolio a livello dello sterno, e fissò Joe con un sorriso amaro sulla bella bocca carnosa – Le lezioni sono finite, Smith. Sei riuscita nel tuo intento… non hai più bisogno di me e dei miei servigi - sussurrò, facendo in modo che sentisse solo lei e allontanandosi a passo veloce.
Che scopo poteva esserci? Joe desiderava Tom e lui non poteva farci niente: non credeva nei miracoli ed era stanco di chiederli.
I corridoi erano ancora vuoti e ogni singolo mattone di pietra sembrava volergli ricordare la fatica che ci stava mettendo… per cosa?
Per chi, poi?
-         Le serre sono fuori, Dalton, non da quella parte – sussurrò una voce delicata alle sue spalle, facendolo sobbalzare.
Cecilie gli avvolse le braccia esili attorno il bacino, depositandogli un bacio sulla spalla coperta dal maglione della divisa; Dalton socchiuse gli occhi quando il suo tenue profumo di muschio e miele lo avvolse e strinse i denti.
Joe lo aveva fatto, ancora. Si era riappacificata con Tom sotto il suo naso e la sera prima si era avvalsa delle tecniche che lui le aveva insegnato per, magari, constatare se poteva davvero rendere Tom suo.
-         Lei non ti merita, Dalton – bisbigliò Cecilie, disegnando piccoli ghirigori immaginari sul suo collo e strofinando il naso sulla sua spalla.
Avrebbe dovuto saperlo. Joe gli aveva fatto capire più di una volta che il suo scopo era Tom e nient'altro ed era inutile insistere, magari farsi male e farle da zerbino quando quella stupida non vedeva nient'altro che due occhi blu e un sorriso dolce.
Ma era davvero quello che voleva? Frasi teneri, baci a fior di labbra?
-          Non so di cosa tu stia parlando – sussurrò in risposta, stringendo i pugni fino e conficcarsi le unghia nei palmi.
Voleva davvero un amore da... favola? Tecnicamente parlando, certo; magari chiudere gli occhi davanti ad un chiaro tradimento, fare l'amore tenendosi per mano e promettendosi amore eterno.
Cristo, gli veniva la nausea solo al pensiero.
-         Allora baciami – disse Cecilie, facendogli montare dentro una rabbia incredibile.
Tutte a chiederlo di baciarlo e poi, con le loro scuse come “ma io voglio il principe azzurro” lo attizzavano e poi la davano a qualcun altro.
Ma che teneva scritto in fronte? Gioconda? O semplicemente “prendetemi per il culo, il mio amico nei pantaloni può sopportare!”?
E diavolo, Joe doveva smetterlo di prenderlo e lasciarlo a bocca asciutta a piacere suo.
-         Baciami – sussurrò Cecilie, ancora una volta, soffiando sul suo collo e sorridendo quando si girò di scatto, fulminandola.
-         Dimmi che vuoi – sibilò Dalton, afferrandola con forza per i fianchi e attirandola a sé, mentre lei mugolava soddisfatta nell'averlo così vicino da sentire il suo respiro sulla propria bocca.
Sapeva di whiskey e... umiliazione.
Cecilie rise nel sentirlo baciarla con forza, quasi come se volesse risucchiarle l'anima e lei sapeva bene che ne era più che capace.
Quella bocca era morbida ed era simile ad un peccato, quello più dolce e primordiale e lei, per un attimo, non sentì nient'altro che il corpo di Dalton contro il suo.
-         Te. Voglio te – mormorò, immergendo le mani nei suoi capelli e intrufolando la lingua nella sua bocca, che lo accarezzò da cima a fondo.
Dalton le strinse una natica tra le mani, soddisfatto.
-          Ti prego, Dalton... - lo supplicò, mentre lui affondava nuovamente sulla sua bocca e a tentoni cercava qualche porta, un aula, qualsiasi cosa per cancellare la sensazione di disagio e umiliazione che gli aveva gettato la Smith addosso.
Qualsiasi cosa per dimenticare il suo rifiuto e quel giocare con lui, che le aveva insegnato come fare.
Incredibile, era stato fregato dalla sua stessa alunna.
-         Sì, sì – sussurrò, schiacciandola al muro con il suo corpo e nascondendola agli occhi di tutti.
 Con il palmo le accarezzò la gamba, alzandole lentamente la gonna con le dita e strofinando la bocca contro la sua.
-         Sì – lo assecondò Cecilie, aggrappandosi alle sue spalle e buttando il capo all'indietro e gemendo.
Joe.
Joe e i suoi occhioni apparentemente innocenti.
Joe e la sua bocca carnosa, il suo respiro che sapeva sempre di menta e insicurezza.
Joe e il suo corpo pieno, capace di incastrarsi al suo quasi alla perfezione.
Joe, Joe, Joe... - Oh, scusate! - la voce di Tom fece allontanare lentamente Cecilie da lui, che stiracchiò la bocca in un ghigno debole, ma vittorioso.
Dalton rovesciò il capo alla sua sinistra, affannato, e incontrò lo sguardo sbarrato di Joe.
Joe e i suoi capelli neri, spessi e lisci come la seta.
Joe e il braccio che teneva stretto a quello di Tom.
-         Oh, Tom. Ciao! - cinguettò Cecilie, mentre un ringhio scuoteva il petto di Dalton, che strinse con forza le dita attorno le cosce della ragazza, che sobbalzò per il dolore.
-         Non sapevo ti fossi fidanzato – continuò Cecilie, stringendo i denti e ignorando la stretta violenta che, Zabini, intensificò quasi con rabbia.
Tom sorrise, sospirando nel vedere Dalton appoggiare la fronte sulla spalla di Cecilie, che gli accarezzò distrattamente il capo, sogghignando sorniona e continuando a fissarli.
Non capì quello sguardo trionfante, quindi si limitò a fare spallucce e stringere ancora di più Joe al suo fianco – Qualche problema di percorso, ma ieri notte ne abbiamo discusso e vogliamo provare a stare insieme – disse, mentre Cecilie sbarrava gli occhi nel sentire i denti di Dalton affondare nel suo collo, strappandole un gridolino sommesso, che fu frainteso alla grande da quei due.
Ieri notte.
Ieri notte!
-         Lily ha ragione... alle tre di notte succedono sempre cose strane – rise e Dalton sgranò gli occhi, incredulo.
Cristo, lei era fuggita dalla stanza delle necessità per... per... per andare da Tom e chiedergli di stare insieme!
Un conato di vomito gli rivoltò le viscere, ma si limitò a spingere i polpastrelli contro la spina dorsale di Cecilie e affannare per ritrovare la lucidità.
-         Noi andiamo - La voce di Joe lo mandò letteralmente in bestia e con un pugno colpì così forte il muro da sentirlo sgretolarsi sotto le nocche e ignorarlo beatamente.
Cecilie, come sua ex fidanzata, era oramai abituata ai suoi scatti d'ira, come Tom, ma Joe urlò, scattando sul posto.
-         Dalton! - disse, sgranando gli occhi.
Due occhi azzurri la sondarono quasi minacciosi e arretrò nel ritrovarsi a fissare lo sguardo disgustato di Cecilie, attaccata a Dalton quasi troppo intimamente per i suoi gusti.
-         Non dovete andare a lezione? Io e Dalton abbiamo da fare – disse gelida, indicando con il mento il tragitto che portava alle serre.
Joe spalancò la bocca, guardandola indignata e furiosa: come si permetteva?
Chi diavolo era per poterle dire cosa fare o non?
E chi diavolo era per stare attaccata a Dalton in quella maniera?
-         Dovreste andare anche voi a lezione – sputò rabbiosa, ignorando l'occhiata d'avvertimento di Tom e incrociando le braccia al petto.
Cecilie sorrise, riavviandosi una ciocca di capelli biondi e guardandola dall'alto e in basso... come anni fa erano solite farlo le ragazze che la prendevano in giro.
Quel corpo piccolo ed esile risvegliò quei ricordi che aveva cercato di assopire e, in un attimo, ricordò perché il rifiuto per Dalton e quello che lui rappresentava per lei: un pericolo.
Dalton Zabini era tutto ciò che aveva sempre odiato da quando erano iniziati i suoi soprusi: bello, intelligente, divertente... troppo perfetto, troppo tutto. E lei non aveva intenzione di cadere nella sua trappola, essere usata come un giocattolo e poi buttata come niente.
Non era e non sarebbe mai stata il suo tipo, per lui era solo l'eccitazione del momento... magari il divertimento di un ora o due o, l'ipotesi più cattiva, la carità e l'atto di buonismo della giornata.
-         Dovremmo, hai ragione, ma in questo momento abbiamo voglia di qualcos'altro - disse ammiccando e afferrando Dalton, ancora immobile ad incombere su di lei, per un braccio e trascinandolo per il corridoio opposto alle arcate.
I suoi tacchi producevano un ticchettio fastidioso sulla pietra grezza dei corridoi e Dalton si lasciava trascinare con fin troppa facilità.
Sembrava ignorare semplicemente gli studenti che si accalcavano per recarsi a lezione, i professori che li squadravano sospetti e fissava un punto imprecisato, quasi senza sentire la sua stretta alla sua mano.
-         È … fastidiosa – sibilò, riferendosi alla ragazza di prima.
Dalton non rispose e si limitò a sogghignare, ciondolando il capo e conficcando le unghia nel palmo che lo stringeva con dedizione.
Forse... forse avrebbe dovuto avere paura di lui quando si faceva sopraffare dalla rabbia, ma Cecilie oramai aveva imparato a controllarla e, si accorse con un sorriso, anche a manovrarla; era stato così facile farlo arrabbiare con quelle parole, per controllare se era veramente lei la ragazza di cui aveva sentito parlare a Corvonero, dove si mormorava avesse una cotta.
-         Anche tu, smettila di parlare – soffiò, mentre Cecilie lo spingeva nel bagno al terzo piano, quello di Mirtilla, e lo sigillava dall'interno.
-         Oh, per caso ti infastidisce parlare della tua cotta? Lo sa tutta Hogwarts, Dalton e si stanno divertendo tutti quanti a tue spese – disse, appoggiando i fianchi al lavandino e incrociando le braccia al petto.
Dalton si lasciò scivolare contro la porta di un cunicolo, ignorandola e infilando le mani nella borsa a tracolla che teneva libri e pergamene, afferrò il suo inseparabile pacchetto di sigarette e se ne accese una.
Cecilie sospirò, guardandolo quasi con un misto di pietà e compassione.
-         Non voglio farti del male, Ceci, quindi smettila di guardarmi così o potrei non rispondere delle mie azioni – l'avvisò, aspirando una boccata di fumo e alzando la gamba destra per poggiarci il braccio.
L'ennesimo sospiro e Cecilie si avvicinò ancheggiando, scivolando su di lui a cavalcioni e arrivando a guardarlo negli occhi a pochi centimetri dal viso.
-         Negli anni ho imparato a gestire la tua rabbia – si vantò poco, strofinando il naso contro quello di lui e ghignando sorniona quando la mano di Dalton, che tra le dita teneva ancora la sigaretta in equilibrio, si strinse alla sua gola.
Il pollice affondò nella sua gola e la sigaretta le sfiorò la guancia, bruciandola poco.
-         E no, amore mio, non mi fai paura... ma per lei sarebbe stato lo stesso? - bisbigliò, accarezzandogli la guancia con fare lascivo.
Dalton tremò appena, assottigliando gli occhi azzurri e fissandola con ira crescente.
-         Non che tu abbia mai sfogato la tua rabbia su di me, ma l'hai sentita urlare, prima... non è quella che ti supporterebbe, Dalton. A lei piacciono le rose e i cioccolatini, non un uomo che dimostra il suo amore con il sesso – continuò, ferendolo più del consentito.
-         Non un uomo che non sa amare– finì Cecilie, sfilandogli la sigaretta dalle labbra e buttandola lontana da loro, a lasciarla bruciare sulle piastrelle fredde.
Non era una bugia, probabilmente.
Tutte le donne con cui era stato insieme erano state cacciate dal suo letto, quelle che aveva cercato di tenersi strette al petto erano fuggite via da lui.
Angelica, Joe.
-         Va all'inferno – sussurrò Dalton sulla sua bocca, stringendo la mascella e strappandole un sorriso dolce.
-         Solo con te, Zabini – mormorò, prima che lui la zittisse con la sua bocca, con rabbia.
Le sue mani non avevano nulla di gentile quando le tirarono una ciocca di capelli, attirandola più vicino a lui e facendo aderire il suo seno al suo petto e le sue gambe nude a quelle coperte dalla divisa di Dalton.
Quelle mani calde e scure le strapparono i bottoni dalle asole e i polpastrelli strinsero il bordo di pizzo del reggiseno bianco che indossava; Cecilie gemette e lui strinse le dita attorno i suoi fianchi spigolosi, togliendole con rabbia la camicia e affondando i denti nella sua spalla, come poco prima.
Con la punta della lingua scese dalla spalla fin sopra il pizzo, mentre con un palmo aperto sulla sua schiena nuda la spingeva contro di sé e l'altra le alzava senza pudore la gonna.
I collant neri si smagliarono sotto la pressione delle sue dita e, senza nemmeno sfilarli, si limitò a romperli in più punti per aver maggiore accesso tra le sue gambe.
-         No, bellezza mia – sospirò sulla sua bocca quando lei cercò di spogliarsi.
Cecilie lo guardò confusa, fissandolo negli occhi quasi ipnotizzata.
Dalton sorrise, mostrando i denti bianchi di volata, prima di ritornare serio e strofinare il naso contro il suo seno sinistro, dove a malapena sentiva il cuore battere.
-         Io non sono in grado di amare e carne e carne è da amanti e da chi vuole amare un corpo e farlo suo – mormorò, mordendole l'aureola del seno e sentendola, anche soddisfatto, gemere per lui.
Solo per lui.
Con l'altra mano sentì il cotone degli slip accarezzargli le dita e con i polpastrelli strofinò delicatamente il tessuto, facendola inarcare contro di lui.
-         E io non ho né intenzione di amarti né di renderti mia in quel senso – sogghignò, lasciando che tremasse tra le sue braccia.
E Cecilie poteva essere cattiva, cercare di manipolarlo... ma lui lo era di più e questo avrebbe dovuto saperlo.
E se tutte loro lo volevano cattivo, dipingendolo ancor peggio, lui sarebbe stato la causa delle loro lacrime, del loro dolore, della loro passione; in fondo per loro era quello, no?
Le studentesse di Hogwarts lo consideravano il lupo cattivo e lui non le avrebbe deluse.
-         Dalton! - gemette, quando lui si sbottonò velocemente i pantaloni e le spostò gli slip con le dita.
Buttò il capo all'indietro e aprì la bocca a palla quando lui la penetrò secco, senza attenzioni, senza dolcezza... senza nemmeno guardarla in volto.
Cercò di muoversi, ma lui la tenne ferma per i fianchi, appoggiando la fronte contro la sua spalla e curvando le labbra in un sorriso.
-         No – sussurrò, stringendole così forte i fianchi da farle trattenere il respiro per il dolore.
-         Dalton – ripeté lei, ingoiando a vuoto nel sentirlo completamente immobile sotto di sé.
-         No, devi stare ferma – rise lui, mentre i suoi collant strofinavano contro i pantaloni della divisa.
Non si era spogliato: si era sbottonato solamente la camicia per lasciarle più accesso e abbassato di poco i pantaloni e i boxer... facendola sentire niente. Nessuno. Una delle tante.
Una e basta.
Fu lui a muoverla. Come se non pesasse niente l'alzava e abbassava per i fianchi, ponderando le spinte e limitando le carezze alle unghie nei fianchi.
Penetrava in lei senza dolcezza, anche se era Cecilie a stargli sopra.
Su e giù.
Su e giù.
Ancora e ancora.
Dalton gemette e Cecilie si aggrappò alle sue spalle, cercando di tenersi ancorata al terreno, inutilmente: Dalton era troppo grande e grosso e lei era una bambolina tra le sue mani. Una bella bambola di porcellana che lui stava rompendo.
-         Dalton, ti prego... - bisbigliò, tremando tra le sue braccia e cercando di spostarsi per guardarlo in viso.
Lui scosse il capo, continuando a tenere lo sguardo nascosto e aumentare le spinte, facendole diventare frenetiche, quasi strazianti in quell'andatura troppo veloce, troppo poco carnale.
L'orgasmo lo travolse inaspettatamente e, con una smorfia sulla bocca, la sospinse lontano prima che avesse anche solo l'adito di poterlo incastrare.
Contrasse le spalle, mentre lei si rannicchiava al suo fianco e lo guardava con aria diffidente, e cercò di scacciare l'immagine di Joe dalla mente.
Maledizione, maledizione e maledizione!
Che Merlino voleva quella donna dalla sua vita? Cosa?
-         Va via – mormorò, alzandosi e infilandosi nel primo cubicolo disponibile, chiudendo la porta a chiave con uno scatto secco.
Cercò di ripulirsi alla meglio prima di scivolare nuovamente sul pavimento e accendersi l'ennesima sigaretta; un ticchettio fuori dalla porta gli suggerì che Cecilie se n'era andata e che... era rimasto solo, ancora.
-         Sentirti fare sesso è stata la cosa più disgustosa della mia vita, Zabini – la voce di Lily Potter lo raggiunse dal cubicolo affianco e Dalton storse la bocca in una smorfia, aspirando l'ennesima boccata di fumo.
No, non era solo e a quanto pare non lo era stato nemmeno prima.
-         Potevi anche interrompere, Potter – disse, passandosi una mano tra i capelli e scuotendo il capo.
La sentì sbuffare e ridacchiò senza reale divertimento.
-         Oppure partecipare, come più ti garbava – rispose, tenendo la sigaretta a penzoloni tra le labbra e cominciando a buttare all'aria pergamene e libri per rollarsi una canna in santa pace.
-         No, grazie. E passa, quando hai finito – borbottò Lily, sentendolo trafficare con cartine e trita erba.
-         Perché ti sei rinchiusa qua dentro, Potter? - domandò Dalton e Lils rise, appoggiando il capo contro la porta del bagno e sospirando.
Oramai aveva contato le crepe nel muro di fronte a lei e decifrato tutte le scritte, soppesando seriamente a pensare per chi potessero essere le dediche, gli insulti... mentre quel porco faceva sesso sul pavimento.
Avrebbe dovuto interromperli, seriamente, e magari non si sarebbe portata quei gemiti e quelle immagini rivoltanti nella tomba, ma non sapeva dove andare ed era terrorizzata da poter incontrare Scorpius.
Nei dormitori avrebbe potuto esserci lui, a lezione lo stesso, nei corridoi ugualmente... anche nel bagno di Mirtilla avrebbe potuto mettere piede, ma chiusa a chiave dentro sicuramente non avrebbe osato infastidirla.
-         Un furetto dai capelli platinati – sospirò, arricciando le labbra in un sorriso quando lo sentì ridere dall'altra parte.
Aveva persino contato le efelidi che aveva sul braccio, sul seno, alcune sulle gambe... si era passata così tante volte le mani nei capelli che ora erano un disastro e si era morsa la bocca con così tanta forza da sentirla gonfia e dolorante.
-         Vieni di qua, Lily – soffiò Dalton e lei, felice almeno di guardare qualcuno negli occhi, aprì la porta del bagno e s'infilò in nel cubicolo dove c'era Dalton, dove scivolò al suo fianco.
-         Non vale, però – mugugnò, guardandole malizioso la scollatura della camicetta.
E in effetti, stando due ore nel bagno, aveva cominciato a sbottonare un bottone di là, bucare le calze nei mozziconi delle sue stesse sigarette e ora era indecente.
-         Sei un porco – soffiò, sentendolo ridere e accendersi la canna con gli occhi un po' triste.
L'aveva sentita quella Cecilie e, quando aveva rivolto quelle parole a Zorro, si era arrabbiata: nonostante Dalton fosse un porco, e lo era, non credeva che fosse incapace di amare. Chi lo era?
Anche i mostri sapevano farlo, anche se in modo morboso e malato.
-         Scorpius ieri ha baciato un'altra – mormorò, guardandosi la punta delle scarpe di vernice nera e arrossendo sulle guance pallide.
Dalton per poco non si strozzò con il fumo della canna, guardandola strabiliato.
-         Ma chi? Scorpius “io non trombo perché ho la Potter” Malfoy? - domandò, facendo ridere Lily.
Già, in quell'ultimo periodo sembrava che Scorpius non avesse altra ispirazione che starle accanto... e poi baciava un'altra davanti a lui.
Strinse i denti e si morse nuovamente il labbro inferiore con rabbia.
Quell'idiota!
Respirò a stento, ricordando come quelle labbra fossero aderite a quelle di una donna che... non fosse lei.
-         Forse dovreste chiarire i vostri sentimenti – le suggerì Dalton, passandole la canna e poggiando entrambi i bracci sulle gambe e inclinando il capo.
Lily tirò in modo prepotente dal filtro, socchiudendo gli occhi bruni e soffiando il fumo dalle labbra socchiuse in una smorfia di sofferenza; non lo sapeva nemmeno lei quali fossero i suoi sentimenti.
Lei con Scorpius non ci aveva avuto niente a che fare fino a quell'anno, dove era successo tutto troppo velocemente, senza nemmeno darle il tempo di rendersi veramente conto di qualcosa.
-         Non lo so' – mugugnò, sorridendo debolmente quando sentì le sue dita accarezzarle indifferentemente il braccio.
Però poteva dire con certezza che le aveva fatto male. Tanto.
-         Lui sì – bisbigliò Dalton, sorridendole in modo enigmatico e strappandole un battito debole del cuore.
Lui sì.
-         Non ne sono sicura, Dalton – mormorò e lui scoppiò a ridere, buttando il capo all’indietro e guardandola con dolcezza innata.
-         Lily, apri gli occhi… Scorpius non vede altro che te – sussurrò, alzandosi e porgendole la mano, che lei afferrò di slancio.
Dalton l’alzò quasi come se pesasse niente e le accarezzò il capo, mentre lei si ritrovò a fissare i suoi occhi che erano due gemme preziose; brillavano così tanto… così intensamente e sinceramente che le arpionarono una speranza nel cuore.
-         Ma ha baciato un'altra – insistette, mettendo il broncio.
Il ragazzo di colore le fece l’occhiolino e sembrò tendere le orecchie – Guarda e impara – sussurrò, prima di slacciarsi la cravatta e aprire la porta con un calcio.
Il bagno era vuoto, il solito gocciolio dei lavandini e… lo sguardo sbarrato di Scorpius, che li guardò letteralmente senza fiato.
Lei… lei, lui.
Il suo cuore perse un battito e la rabbia gli tinse lo sguardo di rosso: le mani gli tremarono e la gola si seccò completamente.
Lei… lei, lui.
-         Dalton! – ruggì, mentre questo pensava che nelle ultime due ore avevano urlato il suo nome così tante volte che probabilmente la prossima volta che avrebbe fatto sesso un bavaglio sulla sua compagna non glielo avrebbe tolto nessuno.
-         Sì? Ciao, Scorpietto! – cinguettò, sorridendo melenso.
E le botte! Aveva fatto così tanto a botte, con gli altri e se stesso, da averne abbastanza per il resto della sua vita.
-         Tu! – urlò Scorpius, indicandolo con un dito tremante e gli occhi sbarrati.
Mentalmente si segnò che avrebbe chiesto a quei due una ricompensa per la tempesta che stava per arrivare.
-         Io, certo. So’ di essere terribilmente sexy, ma fissarmi in quel modo… è imbarazzante anche per me – disse, guardandosi le unghia con fare indifferente e ignorando, con una smorfia, le nocche escoriate.
Scorpius urlò ancora più forte e Dalton traballò quando un pugno gli arrivò dritto sullo zigomo, macchiandogli la vista di nero per alcuni secondi.
Ora che ci pensava era anche la seconda volta che si picchiava con un suo amico.
Begli amici, complimenti! Pensò indignato, evitando per un pelo l’ennesimo pugno che Scorpius aveva carico nella sua direzione.
-         Malfoy, Malfoy, basta! – strillò Lily, aggrappandosi al suo braccio stile koala e impendendogli di colpirlo ancora.
E grazie tante, eh!
-         Ma chi me l’ha fatto fare… - piagnucolò Dalton, toccandosi il suo delizioso viso oramai deturpato.
-         Sparisci – soffiò Scorpius, guardandolo dall’alto in basso.
-         Muori! – sbraitò Dalton, senza nemmeno provare ad alzarsi e strisciando a pancia in sotto verso l’uscita.
Ma perché? Perché? Che aveva fatto di male nella sua vita per meritarsi tutto ciò?
Lui era così un bravo ragazzo… - Ora, Dalton e senza sceneggiate! – urlò Scorpius e Dalton si alzò di scatto, terrorizzato.
-         Baciami il culo, amante dei Weasley! – trillò, prima di darsela a gambe e beccarsi un bestemmione dal piccolo e incazzato Malfoy.
Lily si rilassò e si staccò da lui, abbassando gli occhi e girandosi verso gli specchi, che rimandavano la sua immagine del tutto malandata.
E i suoi occhi. Brillavano e… sembravano così felici.
-         Spero almeno che tu ti sia divertita! – sputò Scorpius, avvicinandosi alla porta per uscire e lasciarsi tutto alle spalle.
Anche lei e i suoi capelli così rossi, così belli, selvaggi… così ribelli, così suoi.
-         Non voglio nemmeno affrontarlo questo discorso, Scorpius! Non sono io che vado a baciare persone a caso – disse Lily, stringendo le labbra in un gesto convulso.
Scorpius scosse il capo, lasciando che alcune ciocche di capelli biondi gli ricadessero dinnanzi agli occhi di metallo fuso.
No, lui non voleva baciare Selie, non aveva mai voluto baciare qualcuno che… qualcuno che non fosse lei.
-         Lily… - mormorò, fissandola disperato oltre le lunga ciglia bionde.
Santo Salazar, solo il pensiero di lei tra le braccia di qualcun altro gli mandava in tilt il cervello e gli portava via il fiato, il senno, la lucidità.
-         Dimmi che non sei stata con lui – soffiò, socchiudendo lo sguardo nel vederla avvolgersi nelle proprie braccia.
Quella bocca di rose si tese in un sorriso triste e Scorpius tremò – Vorrei poterti fare la stessa domanda, ma già conosco la risposta – mormorò, spezzandogli il cuore.
Lo sorpassò e uscì nei corridoi, dove qualche studente passeggiava solitario per recarsi, sempre in ritardo, a lezione.
-         Io non voglio nient’altro che te, Lily – le urlò dietro, sorprendendo prima se stesso e poi lei.
Rose, inciampando nei suoi passi, spalancò la bocca quando sentì quella frase letteralmente urlata.
Lily spalancò gli occhi, restando di spalle.
-         Nient’altro che te – annaspò Scorpius, mordendosi le labbra nel vederla scuotere il capo.
Era vero: voleva la sua bocca, i suoi capelli sul suo cuscino, il suo cuore completamente tra le sue mani… solo per prendersene cura.
Solo per averne cura.
-         Dovevi pensarci prima. Io non sono un giocattolo, Scorpius! – rispose lei, tenendogli sempre la schiena.
Voleva solo le sue mani, il suo corpo, la sua anima.
Voleva solo fondersi con lei, sempre e solo lei, che era diventata un ossessione, che era diventata l’asse dove girava il suo mondo.
-         Lily, sei mia quanto io sono tuo -  mormorò, sorridendo nel vederla tremare.
-         No, Scorpius – bisbigliò Lily, arcuando la schiena e tappandosi la bocca con una mano chiusa a coppa per non lasciarsi sfuggire nemmeno un respiro.
Scorpius sorrise e la raggiunse, inclinando il capo e appoggiando il mento sul suo capo.
La superava di parecchi centimetri e lei era così piccola che gli sembrava di poterla contenere tutta, interamente.
Non erano le tre di notte, ma quella mattina successe qualcosa che Lily ritenne meravigliosa.
-         Allora, se non lo sei ora… lo sarai presto – bisbigliò, abbracciandola da dietro e stringendosela al petto.
Sentì il suo profumo e immerse il naso tra i suoi capelli, ingoiando a vuoto.
-         Non lo so’ – soffiò Lily e lui sorrise, lasciandola andare.
-         Io sì – bisbigliò, accarezzandole di volata una spalla prima di indietreggiare.
Lui sì.
Il suo cuore tremò mentre lo vedeva andar via e, senza che potesse far altro, si riempì di gioia.
Perché… se non era sua in quel momento, lo sarebbe stato presto. E questa cosa contava più di tutte.

 
***

 
Il sole stava tramontando e non c’era spettacolo più bello dei raggi rosati che accarezzavano le acque del Lago Nero… tranne per la ragazza sdraiata tra le sue braccia, intenta ad osservare la Foresta proibita accarezzata dalla brezza di quel giorno.
Tom lo sapeva, comportarsi così loscamente era sbagliato, come lasciare che lei lo prendesse e lasciasse, sconvolgesse e amasse in quel modo così strano, ma giusto.
Non che avesse l’illusione che Joe lo amasse, ma averla affianco era qualcosa di straordinario e non voleva lasciarla andare, anche se lei… beh, Tom lo sapeva, non era sua.
-         A che pensi? – le sussurrò all’orecchio, stringendola per le spalle.
Odorava di buono e la sua divisa era stropicciata e sporca d’erba, dove erano sdraiati da più di mezz’ora; il loro salice piangente li proteggeva dagli ultimi raggi del sole e le loro borse erano state buttate senza alcun pensiero alla loro destra.
-         A te – mentì Joe, tremando appena nell’accorgersi che… stava mentendo.
Merlino, Dalton le aveva bruciato il cervello e le sue parole continuavano a rimbombarle nella testa come una condanna “le lezioni sono finite”, quindi non l’avrebbe più visto.
Oppure sì, ma lui non l’avrebbe calcolata nemmeno di striscio; era finito tutto ciò che li aveva legati in quel piccolissimo lasso di tempo… e lei ora aveva Tom.
Lo stesso Tom che la stava stringendo, con il mento poggiato sulla sua testa e le mani incrociate sulla sua pancia.
-         Sono felice di essere arrivata a questa conclusione. Con Dalton nei paraggi non ero più sicuro di me stesso – lo sentì sospirare, gongolando appena per quella piccola vincita.
Lei ora aveva Tom, lo stesso a cui stava mentendo.
-         Che sciocchezza – gemette Joe, passandosi una mano tra i capelli neri e trattenendosi dallo strapparsi qualche ciocca.
Perché? Perché doveva essere così complicato?
Che diavolo voleva Dalton da lei e perché continuava a tormentarla come se niente fosse?
Quella mattina l’aveva visto con quella e aveva sentito anche il suo cuore chiederle pietà. Quei baci focosi, quelle mani esperte… tutto quello era stato suo fino e la sera prima e, in quel lasso di tempo, si era sentita la donna più bella del mondo.
Dalton… Dalton era complicato, troppo. Un minuto prima era un idiota senza speranze, poi un perfetto gentleman e persino un principe azzurro dal sorriso enigmatico e la pelle scura.
Poi un angelo dalle ali spezzate, addolorato, e ancora poi un uomo sconvolto dalla furia; poi un seduttore esperto e poi nuovamente l’idiota.
-         Tom? Ti dispiace se ritorno al castello? Devo parlare con Lily – mormorò, alzandosi lentamente e guardandolo con aria disperata.
Tom la guardò confuso, ma si limitò a fare spallucce e annuire – Certo, ci vediamo a cena – acconsentì, lasciandosi baciare, beato, sulla bocca e fissandola estasiato allontanarsi.
Bugie.
Joe aveva mentito ancora.
Corse su per il pendio e superò le arcate che davano sul giardino interno della scuola, ignorando le scarpe che producevano poco rumore sulla pietra; superò il piano terra e i primi due piani, arrivando, con il cuore in gola, nelle vicinanze del bagno di Mirtilla.
Sentì le gambe diventare gelatina, ma caparbia entrò nel bagno e si chiuse la porta alle spalle, ignorando lo sguardo confuso di Dalton.
-         Colloportus – mormorò, serrandola dall’interno come aveva fatto Cecilie quella mattina.
Dalton stava appoggiato come sempre con la schiena contro la porta di uno dei cubicoli e teneva le gambe stese e una canna tra le labbra.
I capelli scompigliati, la pelle color moka e la bocca carnosa… gli occhi socchiusi e il capo rovesciato verso di lei.
-         Io sono innamorata di Tom – disse più verso se stessa che verso di lui, che alzò un sopracciglio e storse la bocca in un sogghigno.
-         Auguri – soffiò Dalton, aspirando un'altra boccata di fumo e continuando a guardarla come a volerle chiedere che volesse.
Joe respirò a fatica, torturandosi le mani e fissandolo oltre le ciglia lunghe e nere.
-         Dalton… - mormorò, vedendolo alzarsi e dirigersi verso la porta, ignorandola.
-         Sì, mi chiamo così – disse, tremando quando lei lo afferrò per il braccio, bloccando la sua fuga.
No, pensò vedendola avvicinarsi così tanto da poter contare le efelidi sul suo viso.
No, pensò vedendola sospirare e solleticare la sua bocca con quel sapore di menta.
-         Allontanati – l’avvertì, sentendo il suo corpo tendersi come una corda nel percepire il suo calore.
Diavolo, era così calda e innocente, ora, che riusciva a farlo impazzire anche solo torturandosi il labbro per la preoccupazione.
-         Dalton… - ripeté lei e il suo nome, detto dalle sue labbra, era qualcosa di così micidiale da annullare qualsiasi cosa.
Persino il freddo, addirittura i pensieri.
-         Ripetilo. Dimmi di chi sei innamorata, Joe  - bisbigliò, accarezzando con le dita la mano con cui lei gli stringeva il braccio.
Risalì lentamente, quasi bruciando la stoffa della camicia che lei indossava e sorrise trionfante nel sentirla tremare.
-         Io… - balbettò lei, incapace di proferir parola sotto quegli occhi azzurri, così languidi e maliziosi da allontanare il pensiero di Tom, di Cecilie, del suo corpo così poco attraente per lui.
-         Dimmelo – sussurrò Dalton, sbottonandole due bottoni della camicia e sfiorandole lo sterno, con delicatezza, quasi come se al posto delle sue dita ci fossero ali di una piccola farfalla.
Dalton le massaggiò dolcemente il petto, proprio dove sentiva battere furiosamente il suo cuore.
-         Non lo so’ – si arrese lei, mentre Dalton si avvicinava sempre di più, poggiandole un palmo sulla schiena e attirandola a sé, fino a sentirne il fuoco sciogliergli le membra.
-         Dimmi che mi vuoi, Joe – sussurrò sulle sue labbra, accarezzandole piano e staccandosi, nuovamente piano e poi staccandosi, come a volerla torturare.
Joe si aggrappò alle sue spalle, alzandosi sulle punte per guardarlo bene negli occhi e strofinò il naso contro il suo in un gesto così intimo che le fece attorcigliare le viscere.
Chiuse le mani a coppa sulle sue guance, così da addensare i loro respiri e renderli unici, una sol cosa.
-         Dillo – respirò sulle sue labbra, accarezzandole i capelli e poi la bocca, i fianchi e poi il profilo dei seni.
Joe rilasciò la testa all’indietro di poco, annaspando.
-         Ti voglio – mormorò e Dalton, con un sorriso di trionfo, si fiondò sulla sua bocca.
Ti voglio, quello era l’importante.

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Capitolo 10
*** Capitolo nono - Love me ***


Capitolo Nono –
Love me

 

 
 
Quella stanza larga e bassa era piombata nell’assoluta penombra grazie ad un lenzuolo di seta bianco, gettato sul lampadario a gocce di cristallo attaccato al soffitto di pietra grezza; alcuni sospiri saturavano l'aria bollente, accarezzando e bruciando due corpi avvinghiati nel letto a baldacchino – posto al centro della stanza –  dai colori sgargianti.
Il camino di marmo bianco rimandava appena il riverbero del fuoco scoppiettante, coprendo di poco i sospiri ansiosi – beati – che cercavano di soffocarsi nella stanza completamente spoglia.
Niente, non c'era nulla presente nella stanza se non un letto, come se quei due avessero avuto un bisogno ardente solo di lenzuola di seta rosse e tende di velluto verde; come se quei due avessero avuto bisogno solo di sentire i loro corpi intrecciarsi e una luce soffusa per osservare le scie rossastre delle loro unghia, della loro passione, sulla pelle dell'altro.
-      Dalton, Dalton, Dalton... –
La sua bocca carnosa, i suoi occhi azzurri, la sua pelle scura.
-      Dalton – sospirò ancora, rovesciando il capo all'indietro e lasciando che lui, con le sue dita lunghe e scure, l'accarezzasse lentamente, dolcemente, come una lunga e instabile tortura.
-      Ancora – bisbigliò lui, sbottonandole i bottoni della camicia ad uno ad uno, estenuante, lasciando scorrere le mani grandi e calde sulla sua pelle lattea.
Il reggiseno di cotone nero che lei indossava riusciva a contenere appena il suo seno grosso e florido e Dalton gemette, strofinando il naso nell'incavo del suo collo, scendendo verso la gola e poi la valle del seno, facendo guizzare la lingua sempre più giù, sempre più in basso.
-      Dalton – lo chiamò ancora lei, affondando le unghia nelle sue spalle e respirando a fatica, mentre lui storceva la bocca in un sogghigno soddisfatto.
Con le mani fece scivolare la zip della gonna verso il basso, continuando a baciarle il ventre e, lanciando la gonna della divisa oltre il letto, il bordo degli slip di cotone rosso.
Grinfodoro fin nell'anima, a quanto pare.
-      Dimmelo. Dimmi chi vuoi – sospirò lui, mordendole l'interno della coscia e strappandole l'ennesimo gemito.
Joe annaspò ancora, intrufolando le dita nei suoi capelli neri come l'inchiostro e fissando ipnotizzata gli occhi di Dalton, che la osservavano eccitati dal basso, dove si era chinato per baciarla.
-      Dillo – bisbigliò ancora, spingendo con i pollici proprio al centro pulsante tra le sue gambe e strappandole un gridolino di estasi pura e sorpresa.
-       Te. Voglio te – ansimò, graffiandogli il collo per liberarsi dalla presa ferrea che teneva sulle sue gambe.
I suoi palmi sembravano persino più bollenti dell'eccitazione che le storceva le viscere, facendole chiedere di più.
Non riusciva a pensare altro che alle spalle larghe e possenti di Dalton, tanto da coprirla cinque volte più del necessario. Ai fianchi stretti, le gambe tornite, il ventre piatto e il fisico asciutto nonostante fosse un colosso alto un metro e novanta.
Non riusciva a pensare altro che non fossero i muscoli tesi del suo braccio e quello sguardo di brace, che in un attimo fu a pochi centimetri dal suo
-       Non resisto più – sussurrò lui, solo in boxer.
La sua erezione era visibile anche da lì e Joe arrossì appena, prima di avvampare dal caldo quando lui la baciò nuovamente, facendole dimenticare persino perché era lì... ma non con chi.
Era impossibile dimenticare chi le stava mandando a fuoco il cervello, i sensi, la lucidità; Dalton la faceva sentire così terribilmente donna e sensuale, anche solo rimanendo immobile a farsi osservare.
Il suo sguardo era lussuria e libidine e l'accarezzava, la spogliava, la voleva e faceva l'amore con lei anche solo così.
Guardandola.
-      Dalton – mormorò Joe, prima di passare le dita lungo l'elastico dei suoi boxer e sorridere trionfa quando lo sentì rabbrividire.
-      Merlino... - annaspò lui, affondando senza fiato nel materasso soffice quando lei gli abbassò completamente i boxer e li lanciò giù dal letto, come lui stesso aveva fatto con la sua gonna.
Santissimo, pensò Joe, aprendo la bocca a palla prima di rinchiuderla velocemente. Era...
-       Sicuro che... sì, insomma, ci entri? - balbettò, sbiancando e arrossendo alla stessa velocità quando lo sentì ridere di gusto.
Dalton crollò con il volto tra i suoi seni, cercando di trattenere i singulti che lo scuotevano.
-      Ma che domande sono? - sghignazzò, guardandola incredulo e poi ridendo nuovamente.
Joe lo guardò indignata.
-      Domande lecite! Insomma è... è grande, ecco. Mi fa paura – borbottò, coprendosi il viso con le mani aperte a coppa quando lo sentì ridere ancora più forte.
-       Santo Merlino, Joe! Ti assicuro che è la cosa più gratificante che tu potessi dirmi, ma... domandarmi persino se entra? - rise Dalton, zittendosi immediatamente quando lei strinse le sue dita piccole e sottili attorno la sua erezione.
Oh.
Oh!
-      Se non la smetti di ridere giuro che ti faccio male! - lo minacciò, stringendo ancora più forte e sbattendo sorpresa le lunga ciglia nere quando lo sentì gemere estasiato.
-      Sei un demonio, donna, lo dico io! - mormorò Dalton, abbassandosi tremante sulla sua bocca e leccandole il labbro superiore.
-      E comunque, per la cronaca, non mi fai affatto male – sussurrò malizioso, ridacchiando nel vederla arrossire e staccare immediatamente le mani da lì.
Merlino, Dalton adorava quell'aria da verginella smarrita e, nuovamente, l'aspettativa di averla lui, per la prima volta, lo riempì in modo gratificante.
Non Tom né qualcun altro, ma lui.
Lui, che la strinse a sé con così tanta violenza di imprimersela contro ancora e ancora, in ogni sua forma, con ogni santissimo e dannatissimo livido.
-      Dalton? - lo richiamò Joe, fissandolo intensamente con i suoi d'ossidiana e togliendogli ogni voglia di essere gentile.
Voleva solo sbatterla violentemente contro i cuscini e farla sua.
Ancora e ancora.
-      Hm? - mugugnò, sganciandole il reggiseno e sospirando deliziato.
Lo accarezzò quasi con dedizione, passando le dita attorno l'aureola rosa e godendo nel sentirla trattenere il respiro.
-      Tu... tu mi vuoi? –
Se la voleva? Santo Salzar, non sognava altro da tempo, oramai.
Voleva accarezzare i suoi capelli setosi, e lo fece.
Voleva afferrarla per le gambe e tenersi in bilico tra di esse, e lo fece.
La voleva interamente e, indissolubilmente, unicamente, tanto da farle male e farsi male.
Dalton voleva sentirla urlare il suo nome ancora e ancora.
Fino ad impazzire.
Fino a perdersi.
La baciò, ma questa volta in modo diverso: passò la bocca sulla sua lentamente, rubandole il respiro e gli ansiti, i gemiti e i mugugni, intrecciando la lingua con la sua e poggiando una mano sul suo petto, dove batteva il cuore.
E batteva, furioso.
Bum, bum.
Con i polpastrelli dell’altra mano scese lungo i fianchi, carezzando l’ombelico e poi più in giù, dove la sentì sobbalzare dal piacere.
Bum, bum.
Strinse la carne del suo interno coscia con forza, bevendo i suoi sospiri accelerati, godendo nel sentirla aggrapparsi alle sue spalle, come se fosse il suo unico appiglio, come se fosse l’unico che potesse sostenerla.
-      Sì – sussurrò, staccandosi appena dalla sua bocca e guardandola intensamente negli occhi.
Poi, rabbrividendo e lasciandola letteralmente senza fiato, scivolò in lei.
E fu sua.
Joe s’irrigidì tra le sue braccia, fissandolo confusa e lui sorrise, rapendole nuovamente la bocca; sprofondò con i palmi aperti nel materasso ai lati della sua testa e sogghignò quando la sentì graffiargli la spina dorsale.
-      Dalton! – sobbalzò lei, inarcando la schiena e annullando del tutto la distanza tra i loro corpi.
Bum, bum.
Il suo cuore continuava a battere all’impazzata e lui la guardò interamente, senza alcuna lucidità nello sguardo.
Nessun raziocinio.
Lei, in quel preciso istante, in quell’esatto momento, si appropriò della sua ragione.
Joe gli strappò il senno, la logica, il giudizio.
E l’immagine di lui, dentro lei, completamente nuda, nudo, lo portò a muoversi lentamente, senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
E fu sua.
-      Dalton… - mormorò lei, ancora, con la bocca schiusa e i denti stretti.
Aveva il capo rovesciato all’indietro e il corpo incollato al suo e la sua schiena a malapena toccava le lenzuola: lei si teneva in bilico anche solo aggrappandosi alla sue spalle, come una naufraga.
Dalton fece scivolare un braccio dietro i suoi reni, tenendola stretta a sé e stringendole una natica con forza. Il suo respiro le scompigliò furiosamente i pensieri.
Sapeva di menta e tabacco, whiskey e passione.
Ed era infuocato, bollente.
E fu sua.
Joe alzò le gambe, allacciandole attorno i suoi fianchi e legandolo irrimediabilmente a lei. Spingendolo sempre più in profondità. Sempre più giù.
E tremò.
Bum, bum.
Lui la riempiva interamente, fino in fondo, fino al punto di rottura… fino a non sentire nient’altro che lui.
E si muoveva, sinuoso, senza lasciare che lei respirasse qualcos’altro che non fosse il suo respiro. Senza lasciare che lei guardasse qualcos’altro che non fossero i suoi occhi.
E fu sua, fin dentro le ossa.

 
***

 

Il giorno dopo Hogwarts era innevata.
Senza nemmeno che se ne rendessero conto, era arrivato dicembre con il suo freddo rigido e le torrette bianche, il lago ghiacciato e il mormorio eccitato del Natale imminente ad ogni angolo.
Anche se era il due.
-      Lily? Lily Potter? –
Un Grifondoro del quarto era salito sul pulpito della preside Mcgranitt, a quella colazione assente; si guardò attorno spaesato e anche intimidito, cercando di visualizzare la testa rossa della Potter tra quelle dei Serpeverde.
-      Potter! – sbraitò, scuotendo le mani come un invasato e facendo ridere mezza Sala Grande.
-      Che? Che c’è? – sbottò Lily, entrando proprio in quel momento e bloccandosi proprio al centro della navata centrale, sotto gli occhi di tutti.
Parigine grigie, scarpine di vernice nera e divisa perfettamente in piega, da cui mancava solamente il mantello; gonna nera a pieghe, camicia e cardigan grigio, con cravatta e stemma Serpeverde, guardò il ragazzo stranita, sbattendo ripetutamente le ciglia lunga e scure.
Derek Jekstons si attorcigliò nervosamente le dita, gonfiando le guance e respirando a fondo prima di aprire la bocca.
-      Un anonimo mi ha chiesto di dirti questo – iniziò, srotolando un foglio di pergamena sotto il naso appuntito e aguzzando gli occhi castani per leggere attentamente.
Lily sbarrò gli occhi e tutti rizzarono bene le orecchie.
-      Primo giorno alla conquista di Lily Potter:
Mi hanno detto che le donne bisogna prenderle per la gola e che la dolcezza guarisce anche i cuori più feriti. Che scioglie la tristezza… anche se, per sciogliermi, a me bastano i tuoi occhi – e dicendo questo, tutti quanti alzarono gli occhi al cielo, strabiliati.
Lo stormo di gufi della scuola stava volando sulla loro testa e… con le zampe lasciarono ricadere su di Lily scatole su scatole di cioccolatini: al latte, fondente, al whiskey e vodka nera e di ogni tipo e marca possibile.
Lily rimase senza fiato.
-      Merlino! – mormorò, portandosi una mano a coppa chiusa sulla bocca.
Un fischio d’ammirazione si levò dai tavolo dei Grifondoro e uno scroscio di applausi e urla divertite di levarono dai quattro tavoli presenti in Sala Grande.
Lily si girò di scatto verso il tavolo di Serpeverde e, nascosto dietro un sorriso beffardo, Scorpius Malfoy alzò la tazza del caffè nero che stava bevendo, in suo onore.
-      Wow – soffiò Joe, che era arrivata proprio in quel momento.
Lily sogghignò, afferrando una sola scatola di cioccolatini e stringendosela al petto; le altre sparirono in un attimo e probabilmente, con un incantesimo già posto dal mittente, si erano materializzate nella sua stanza.
-      Devo parlarti – mugugnò Joe, afferrandola per un polso e trascinandosela al tavolo dei Grifondoro, dove fu accolta da una standing ovation.
-      Smettetela! – rise Lily, ammiccando verso Albus, che le diede un bacio dolce sulla guancia.
Rose le fece un cenno distratto con la mano, continuando a leggere il suo tomo di Pozioni, mentre Hugo per poco non cascò con la faccia nel purridge.
-      Beata te che hai un ammiratore del genere – sospirò Roxanne, con gli occhi verde scuro spalancati in un sogno ad occhi aperti.
Molly e Lucy annuirono convinte e Lily sogghignò, lasciando che Fred s’imbronciasse alle sue spalle – Questo ha bisogno di essere messo sotto torchio – sbuffò infatti, scricchiolando le dita e sorridendo tutto melenso.
Lily gli fece la linguaccia, afferrando un toast con marmellata alle albicocche e affondandoci i denti con espressione addolcita.
-      Lily! – la richiamò Joe, guardandola di soppiatto e cercando di sembrare più naturale possibile, anche se era completamente piegata su di lei.
La rossa aggrottò le sopracciglia, fissandola stranita.
-      Joe! – le fece il verso, sbattendo le ciglia e guardandola in volto cercando di capire cosa avesse.
Joe arrossì, grattandosi il capo imbarazzata; con dita tremanti si servì del caffè nella tazza e, portandosela alle labbra rosse, sganciò la bomba.
-      Ho fatto sesso con Dalton –
E disastro, orrore, apocalisse!
Lily sputò tutto il toast su suo cugino Hugo, che si svegliò di botto e urlò come un invasato. Ma mai come Lily, che balzò in piedi sulla panca, con la bocca spalancata in una smorfia da iena.
-      Tu cosa? – ululò, incredula, attirando nuovamente l’attenzione della Sala.
Dalton, dal tavolo dei Serpeverde, continuò a sorseggiare il suo whiskey, facendosi gli affari suoi e sbadigliando per quella “meravigliosa” notte infuocata, passata nel letto in sua compagnia.
Il bastardo ridacchiò, soddisfatto.
-      Ma che ha? – borbottò Tom, distogliendo lo sguardo dalla Gazzetta del Profeta.
“Sapessi cos’ha” pensò Dalton, scoccando un occhiata maliziosa a Joe, che cercava di tirare Lily dalla panca con la faccia tutta rossa.
-      Tutti questi ormoni nell’aria mi stanno uccidendo – sibilò Scorpius, sarcastico, fissando Dalton con un sopracciglio finemente alzato.
Dalton ridacchiò di nuovo, continuando a sorseggiare il suo whiskey con aria beata.
Avesse saputo come aveva scaricato i suoi ormoni, Scorpius, non avrebbe fatto così tanto lo spiritoso.
-      Allora potrai curare le tue ferite con la dolcezza, caro Scorpius – cinguettò Dalton, facendosi fucilare dall’amico con un occhiata raggelante.
Scorpius afferrò la forchetta come un badile e, con un sorriso affabile, se la rigirò tra le dita.
-      Muori! – sbraitò, lanciandogliela contro con un attacco tipo Mister Hyde.
Dalton si abbassò di scatto, evitandola per un pelo e la forchetta andò a conficcarsi direttamente nella divisa penzolante del braccio di Albus, dal tavolo dei Grifondoro.
-      Malfoy! – ululò, indignato, alzandosi di scatto.
Scorpius assunse un espressione angelica, sbattendo civettuolo le ciglia.
-      Cognatino! – cinguettò con una faccia da schiaffi incredibile, dando una stoccata all’intera Sala.
Lily, per la seconda volta in cinque minuti, divenne terrea.
-      Un corno, volevi ammazzarmi? – sbraitò Al, sfilandosi la forchetta dalla divisa con un espressione indignata.
-      Mai! –
Con una flemma incredibile, quella che aveva distinto Ginevra Weasley negli attacchi di gelosia folle dai suoi fratelli, si rigirò la forchetta tra le dita e, sorridendo affabile e in modo inquietante, gliela rilanciò con forza.
-      Porc… - urlò Scorpius, abbassandosi prima di venire centrato in piena fronte.
La forchetta si conficcò nella parete dietro la sua schiena.
-      Sei impazzito? – sbraitò la bionda serpe, alzandosi di scatto e fissandolo con gli occhi grigi spalancati.
Dalton rise perfido.
-      E tu che ridi? Bavoso! – urlò, puntandolo con gli occhi spalancati a mo’ di fanale.
Al alzò gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto.
-      Ah, Santo Merlino, ma la smettete? –
Chrysantha Nott si fece avanti con la sua falcata sprezzante, guardandoli ad uno ad uno con gli occhi blu contratti, costringendoli ad abbassare lo sguardo, colpevoli.
-      Avete diciassette anni ciascuno, non vi vergognate? – berciò, sedendosi al tavolo delle Serpi con la sua solita eleganza e, chiudendo in quel modo, la conversazione.
Portava i capelli bruni legati in uno chignon molle e, Albus, arrossì vagamente nel pensare che… beh, Chrys era più che bella.
Con quel profilo scolpito nel marmo, duro e inflessibile, ma tenero; le ciglia lunghe simile a strati di pizzo nero, le labbra carnose, il corpo sinuoso…
-      Potter, stai sbavando – lo riprese Dalton, che aveva afferrato nuovamente la sua fiaschetta di metallo e stava centellinando lentamente.
Chrys scoccò un occhiata di traverso al ragazzo di colore, che gli regalò un sorriso tutto zuccheroso.
-      Chiudi la bocca – sbottò aspra, mentre lui si appoggiava una mano sul cuore con aria ferita.
-      Così mi spezzi il cuore – piagnucolò, ignorando il dito medio che lei gli schiaffò sotto il naso.
Tom si alzò dal tavolo, stiracchiandosi e sbadigliando – Bene, ragazzi, io vado! – li salutò con la mano, dirigendosi al tavolo dei Grifondoro con il suo passo leggero.
Fisico longilineo, capelli neri, occhi blu… Tom era un bel ragazzo, nell’insieme: romantico, dolce e attento era tutto ciò che una ragazza potesse desiderare nella vita.
Per questo non si stupì quando Joe ricambiò il bacio che lui le diede a fior di labbra, seguendolo fuori dalla Sala Grande senza nemmeno azzardarsi a guardare nella sua direzione.
Ma Dalton aveva imparato che ad essere impazienti non ci si ricavava assolutamente nulla, quindi poggiò i gomiti sulla tavolata di mogano, con un sorriso tranquillo.
Avrebbe giocato la stessa carta di Tom e avrebbe cercato di conquistarla a modo suo, con le sue tecniche… anche se non ce n’era bisogno; Joe era già sua e a dimostrazione di quello aveva la notte prima.
Quando lei si era donata a lui.
Quando lei aveva ripetuto il suo nome fino a sfinimento, gemendo e sospirando per lui. Con lui. Sotto di lui.
Dalton sogghignò, lascivo.
-      Hai l’espressione diabolica – borbottò Scorpius, afferrando la borsa a tracolla e alzandosi dalla panca di legno.
Dalton lo seguì, sbattendo angelico le ciglia – Macché, è impressione – cinguettò, afferrando anche lui la propria borsa e uscendo dalla Sala per recarsi a lezione.
-      Ci sei riuscito, vero? – domandò Scorpius, rovesciando il capo verso di lui e fissandolo con il metallo liquido dei suoi occhi.
Si erano inoltrati tra i corridoi e camminavano fianco a fianco, indisturbati.
Dalton sorrise, lasciando che il sole, tiepido, gli accarezzasse il volto di colore e i denti bianchi, che vennero illuminati in modo fulmineo; qualche ragazzina inciampò per sospirare al suo passaggio.
-      Io non ho fatto nulla, Scorps. È venuta lei da me – rise e i suoi occhi azzurri brillarono di una nuova luce.
Dalton ammiccò verso una ragazzina di quattordici anni, che lanciò un urletto eccitato.
-      Stava con Tom questa mattina – disse Scorpius, fissandolo attentamente.
Dalton sogghignò, evitando che un ragazzino del primo lo travolgesse pienamente; strinse i pugni e rese la sua camminata più dura, inflessibile, ma continuò a tenere la bocca storta in quel ghigno beffardo.
-      Può stare con Tom quanto vuole, Scorpius. Ma è a me che ha dato la sua verginità – sibilò, scendendo la rampa di scale che li avrebbe condotti nei sotterranei, nei pressi dell’aula di pozioni.
Scorpius si bloccò, incredulo e Al Potter quasi gli rovinò addosso.
-      Ti sei fatto la Smith? – sbraitò, mentre Albus si arrampicava sulla sua schiena per guardare Dalton, sorpreso.
-      Ti sei fatto Joe? – fece eco a Scorpius, che si chiese come diavolo facesse a ritrovarsi con Potter a cavalluccio.
-      Ma mollami! – sbottò, muovendosi come un anguilla per toglierselo di dosso.
Al strinse le braccia sottili ancor più forte al suo collo, sorridendo bastardamente verso Dalton.
-      Zitto e cammina, fammi sentire – borbottò, aguzzando le orecchie e pure la lingua.
Dalton lo fissò diffidente, ma si limitò a fare spallucce e riscendere le scale, come se quello non fosse affar suo; Scorpius, giusto per non perdersi il racconto, lo seguì di volata… continuando a tenersi Potter a cavalluccio.
-      Sì, è venuta da me e ha detto “ti voglio” e io, da Gentleman quale sono, l’ho accontentata – disse, gonfiando il petto d’orgoglio al pensiero della notte precedente.
Di Joe e le sue gambe, il suo volto, il suo piacere…
-       Ma va a cagare! – borbottò Scorpius, scettico.
-      Ma davvero? E come hai fatto? Woah,  mi insegni? – cinguettò Albus, tutto felice aggrappato alla schiena di Malfoy.
Quest’ultimo si chiese cosa avesse fatto di male nella sua vita per meritarsi tutto quello: era un Malfoy, okay, ma doveva per forza riscattare tutti gli errori dei suoi antenati? Insomma, lui era un agnellino, docile, dolce, quindi perché…
-      Ma certo! Ho insegnato ad uno posso fare pure due! – ridacchiò Dalton in risposta, mandando Al in brodo di giuggiole.
Ecco, appunto.
-      Oh, non vedo l’ora! –
E quello lì era davvero capace di traviare il fratello della sua quasi sicura fidanzata, portandolo sulla via della perversione.
Dalton fece un gesto vago con la mano, che sembrava tanto un ringraziamento da “prima donna” e Scorpius, visto che distavano a due metri dall’aula di pozioni, si spalmò con la schiena al muro.
-      Ma porca… Malfoy! – ululò Albus, schiacciato al muro da quel negrumero senza cervello.
-      Sei impazzito? – piagnucolò, visto che Scorpius continuava a strusciarsi al muro e a fargli battere la testa contro il muro.
-      Mollami! – disse solamente e Al immediatamente sciolse la stretta, scivolando steso a terra quando Scorpius si allontanò, con un sorriso soddisfatto.
Dalton strinse le labbra in una smorfia quando, davanti all’aula, si ritrovò Tom e Joe a confabulare a bassa voce per poi sorridere malefico.
Oh, insomma… era o non era un Zabini?
-      Che Merlino me la scampi! Insomma, aveva due gambe da urlo e non ti dico quel corpo da favola – cinguettò a voce alta, attirando l’attenzione di Lily, Scorpius, Al, Tom e facendo sbiancare Joe.
Si guardò le unghia perfettamente curate, appoggiandosi con le spalle al muro indifferente, aspettando l’arrivo del professore.
Molte orecchie si rizzarono e vide Joe sudare freddo.
-      Non ti dico i graffi che mi ha lasciato sulla schiena – disse poi, guardandola con gli occhi azzurri intrisi di malizia.
Tom poggiò un palmo aperto sui fianchi di Joe e questa inghiottì a forza, temendo di svenire.
-      Mai vista tanta passione – sospirò beato, rovesciando il capo all’indietro e facendo ridere che Scorpius.
Lui adorava stare al centro dell’attenzione… in fondo, Joe, avrebbe dovuto aspettarselo. No?
Dalton rise.
-      E come urlava il mio nome… - continuò, mentre Tom aggrottava le sopracciglia.
Dalton continuava a guardarla e sembrava spogliarla con gli occhi; Joe ricordava perfettamente la notte precedente.
Ogni singola sfaccettatura le saltava agli occhi in ogni sua angolatura, facendole mancare il fiato. Dalton le aveva regalato la serata perfetta e lei gli aveva voltato le spalle.
E lo aveva ignorato.
Ma che le stava succedendo? Non si riconosceva più nemmeno lei stessa.
Mentiva a Tom, continuando quella relazione che non era iniziata da nemmeno tre giorni.
Mentiva a se stessa e aveva donato la sua verginità a lui.
A Dalton Xavier Zabini. Quel Zabini.
Quello dagli occhi azzurri e la pelle scura, il culo praticamente perfetto e un sorriso da svenimento.
Dalton, che le stava rubando i pensieri, il respiro, la lucidità.
Era un ossessione.
Una maledetta ossessione.
E non spariva dalla sua mente. Mai. Non la lasciava in pace.
E stava impazzendo.
-      La Light è stata mondiale ieri notte – cinguettò bastardamente Zabini, ammiccando verso Joe e facendole diventare le gambe molli.
-      In classe! – il professor Lumacorno si fece spazio tra gli studenti con i suoi baffoni tremolanti e la pancia che sciabordava dal pantalone di cashmere.
Il panciotto di seta nera sembrava quasi sul punto di scoppiare.
-      Buongiorno, amore – le sussurrò Dalton appena le fu abbastanza vicino, facendo in modo che sentisse solo lei.
“Bastardo” pensò Joe, poggiandosi una mano sul cuore, che galoppava furioso nel petto.
Dalton era un bastardo!

 
***

 
Aveva il respiro assente.
Il volto era coperto di fuliggine, fango e le pupille erano completamente dilatate: guardavano, immobili, l’alto.
Draco Malfoy gemette, tenendosi il braccio ferito con un espressione terrorizzata dipinta sul volto; attorno a lui, solo un cratere fumante.
Gli alberi erano stati smozzati da una forza sovrumana, il fiume a soli due metri da loro aveva persino smesso di scorrere.
Erano stati presi in trappola.
-      Mezzosangue. Mezzosangue, maledizione! – urlò, prima che una bacchetta spingesse rude contro il suo collo.
Dall’altra parte della radura, Harry Potter, venne afferrato per i capelli con violenza.
Hermione Granger continuava a giacere immobile.
-      Un vero peccato che un corpicino come questo sia stato rovinato in questo modo, non è vero? – sussurrò il Mangiamorte al suo orecchio, con voce rude.
Draco urlò.
Erano stati chiusi sotto una cupola: senza bacchette non potevano smaterializzarsi e grazie alla magia oscura che li avvolgeva non potevano nemmeno essere raggiunti.
Ed erano alla mercé dei Mangiamorte.
Hermione Granger ancora non si muoveva.
-      Oh, non si preoccupi signor Potter… per la sua cara figlioletta ho piani migliori – urlò con voce roca, per farsi sentire dal bambino sopravvissuto.
Harry strinse i denti, fissandolo con rabbia cieca.
-      Tu, non toccherai mia figlia nemmeno con un dito – sibilò, sogghignando come una iena e mettendo in mostra i denti.
Sembrava… diverso; gli occhi verdi brillavano di una luce tetra, oscura, che fece accapponare la pelle persino a Draco.
-      Dio, voi Purosangue siete così ciechi e sottovalutate così tanto il nemico da ritrovarvi sempre tutti morti – ed Harry non finì nemmeno di parlare che una bordata di fiamme avvolse l’intera radura.
Draco fu sbalzato all’indietro e il Mangiamorte alle sue spalle rantolò, con un braccio completamente lambito dalle fiamme.
Hermione Granger torreggiava al centro, magnifica con i capelli ricci e bruni al vento e l’espressione vittoriosa.
Ah, se era bella a contrasto con il riverbero del fuoco.
Assolutamente sublime.
-      Sorpresa! – cinguettò, rigirandosi la bacchetta tra le dita e fissandoli piena di scherno.
Mezzosangue, ma con un potere inimmaginabile racchiuso tutto tra le dita.
-      Tu! – ringhiò il Mangiamorte alle spalle di Draco.
Hermione rise, rovesciando il capo all’indietro. E i suoi capelli ricaddero come una cascata sulle sue spalle coperte da una giacca di pelle.
-      Io – sogghignò e, prima che potessero fare qualcosa, Harry era già alle sue spalle, con una mano nella sua.
-      Non dormire mai sonni tranquilli, Diamond, perché l’hai detto tu stesso… io. E io ti renderò la vita un inferno – e con gli occhi simili d’ambra accesi di divertimento, afferrò Draco per un braccio.
Ammiccò per un ultima volta verso il Mangiamorte e smaterializzò tutti e tre.
E, tra quel vortice di luci e colori, girandole e suoni, Draco appoggiò la bocca sul suo orecchio.
-      Non farmi più uno scherzo del genere, Mezzosangue –
La sentì ridere.
-      Sta tranquillo, Malfuretto. Vivrò a lungo solo per il gusto di torturarti – rispose, allontanandosi da lui quando i loro piedi toccarono terra solida, nel bosco dove si erano materializzati per quella spedizione.
Gli Auror li accerchiarono, preoccupati.
E Draco scosse il capo: lei già lo torturava abbastanza da quasi vent’anni.

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Capitolo 11
*** Capitolo Decimo - Piani ***


Capitolo Decimo –
Piani

 
 
 

“Orgogliosi quanto basta fino ad ucciderci.”



I corridoi di Hogwarts, quel giorno, erano gremiti di studenti sovraeccitati, ansiosi per i test eminenti e le lezioni e, Lily, dovette fare più di due giravolte su se stessa per non essere travolta da un gruppo di primini, sbuffando poi sonoramente quando Geoffrey Devinshire inciampò sui suoi passi e la investì completamente con il suo metro e ottanta per novanta e passa chili d’uomo; caddero entrambi come pere cotte e Lily sibilò una bestemmia tra i denti, chiedendo al Santo di turno cosa avesse fatto di male nella vita per meritarsi quello.
- Goe! – sbraitò, cercando di allontanare il ragazzo da sé senza alcun successo.
- Lils! – cinguettò questo in risposta, regalandogli un sorriso dolce e sdentato, felice come un fringuello alle otto di mattina.
Rosier, passando lì a fianco, emise un fischio di ammirazione per la posizione indecente in cui si erano invischiati nella caduta e, Lily, ancora una volta, cerco di sbrogliare le gambe incastrate a quelle di Goe, gemendo frustrata quando ottenne l’effetto contrario.
Incrociò le braccia al petto quando si accorse che Goe non aveva alcuna intenzione di alzarsi da lì e lo guardò con gli occhi bruni accesi d’indignazione, mentre questo s’issava con un gomito e la guardava totalmente adorante.
- Ti togli? –
- Sei così bella da vicino… -
- Devinshire! –
- Lily! –
La rossa si chiese che razza di dialogo stessero trattenendo e cercò di fare leva con i palmi sul suo petto, caparbia.
- Goe, santissimo Merlino! – sbottò allora, perdendo definitivamente la pazienza e muovendosi sotto quel corpo come un anguilla.
E, quando stava per perdere le speranze di liberarsene, sentì il peso del suo corpo sparire dal proprio e due occhi grigi perforarle il cranio.
Scorpius Malfoy la guardava dall’alto, con i capelli biondo grano scomposti sul capo e l’espressione furiosa di un angelo vendicatore; la divisa scendeva sinuosa sul suo corpo, aderendo con perfezione maniacale ad ogni suo muscolo.
E la guardava, l’analizzava, beveva la sua immagine. Se ne beava, quasi con rabbia e Lily si alzò frettolosa, spazzolandosi la polvere dalla gonna a pieghe e mordendosi con forza le labbra.
- Quale parte del “togliti di dosso” non hai capito, Devinshire? – lo schernì Scorpius, scuotendolo malamente, nonostante fosse molto più esile del Grifondoro dai capelli castani e gli occhi ambrati.
Aveva la pelle pallida, ma mai diafana come quella di Scorpius; le labbra tremanti, non sottili e delineate come quelle del suo Serpeverde preferito.
Scorpius sembrava sopraffarlo con la sua sola presenza ed era così arrabbiato da trasformare il grigio dei suoi occhi in un piombo duro e spesso, una lastra di ghiaccio formata da così tanti strati da essere impossibile da spezzare.
- Allora?! – urlò ancora il biondo, spingendolo con rudezza lontano da sé e afferrando Lily per un polso, trascinandosela al proprio fianco.
Odorava di tabacco e caffè appena fatto, pasta dentifricia e caramelle.
- Sono solo inciampato! – si giustificò Goe, alzando le mani in sua difesa e scuotendo il capo.
Lily strinse le labbra.
Odorava di rabbia e… gelosia.
- Sta. Lontano. Da. Lei – sbottò Scorpius e, senza sentire né se né ma, la trascinò via da quell’accalco di gente mormorante.
Albus, dalla folla, la guardò in modo eloquente e Lily si sentì simile a quelle bambole di stoffa che i bambini trascinano dietro di sé, adorandole in modo spropositato senza capire che, trascinandole sul pavimento e stringendole con troppa forza, le avrebbero rotte senza potervi porre rimedio.
Arrivati al primo piano, Lily puntò i piedi sul pavimento.
- Mi dici che diavolo ti prende? – sibilò, mentre alcune dame del settecento si sporgevano dal quadro per godersi la scena.
Dalle arcate di pietra grezza entrava un vento gelido, lo stesso che vigeva nei loro occhi. Lo stesso che stava mettendo una distanza abissale contro di loro.
- Secondo giorno di conquista di Lily Potter.
Dicono che per conquistare una donna devi lasciarla libera, ma ogni volta che i tuoi occhi guardano qualcun altro, che le tue mani toccano qualcuno che non sono io… un mostro verde mi attanaglia lo stomaco e non mi fa più vivere, come cento spine attaccate a cento rose –
E Scorpius non finì nemmeno di mormorare quelle parole, con voce amara, che un aquila reale dalle piume brune e dorate, la sommerse di cento bellissime rose.
La sfiorarono, graffiandola con le loro acuminate spine, ma Lily non fiatò; ne prese una tra le mani, stringendo lo stelo nel pugno pallido e fissando Scorpius senza parole.
- Tuo padre oggi vuole vederti – e interrompendo il contatto visivo che stesso lei aveva stabilito, le diede le spalle.
Se ne andò con il suo passo baldanzoso, elegante, sprezzante. Se ne andò con il capo ritto, un ghigno sulla bocca, la maschera nuovamente sul suo viso.
Secondo giorno di conquista di Lily Potter, e lui aveva fatto molto di più che regalarle qualcosa di materiale.
Aveva tolto la maschera.
E lei… - E tu sei un’emerita idiota – sbuffò una voce alle sue spalle, prima che Dalton Zabini la superasse, con la solita canna tra le labbra carnose e la borsa a tracolla piena di libri sulle spalle ampie e larghe.
Lily lo fulminò con un occhiata.
- Almeno io non mi trombo la fidanzata del mio migliore amico che, oltretutto, continua a stare con lui – disse Lily, soave, facendo sbiancare Dalton e ridacchiando perfida.
Il Serpeverde si aggiustò il cravattino verde-argento, tossendo rumorosamente e fissando con astio la compagna di casa, quasi volesse intimarle il silenzio.
- Meglio questo che scappare dalle grinfie di un Malfoy e poi darsi dell’idiota – sibilò sarcastico, facendole la linguaccia come un bambino di due anni.
Lily sbuffò.
- La tua conquista, invece, di che tratta? Tipo lezioni di kamasutra o giocattolini erotici? – ribatté la rossa, guadandosi le unghia perfettamente curate e riavviandosi, soddisfatta, con un colpo secco i capelli lunghi.
Dalton sogghignò, mentre le dame del settecento, assolutamente deliziate dal battibecco, si sporgevano ancora per sentirli meglio; dalle scale arrivavano gli scalpiccii degli studenti che avevano abbandonato per primi la colazione e il sorriso di Dalton si allargò simile a quello di una iena.
- Hai ragione, Lils… il mondo è così difficile! Spero soltanto che il tuo bambino, nonostante tu abbia diciassette anni, cresca nei migliori dei modi – e mentre appariva uno stormo di Grifondoro, Dalton cinguettò quella stoccata a voce alta, sghignazzando malefico.
- A dopo, mi amor! – e diede le spalle a tutti con gran eleganza, effettuando la sua uscita trionfale assolutamente da gran divo e lasciando la piccola Potter in una piena crisi di nervi.
Cinguettante e fiero di sé si lasciò condurre dalle scale, totalmente beato.
Dalton amava mettere zizzania e non c’era modo migliore che dare adito ai pettegolezzi con il centro di tanto scalpore presente.
Entrò nel bagno di Mirtilla Malcontenta, finalmente solo, e si sedette sul pavimento gelido, accostando la schiena contro la porta del primo cunicolo a destra della porta.
Il silenzio si protraeva all’infinito, come l’eco della fiammella che produsse la sua bacchetta quando si accese la canna; i lavandini rilucevano alla luce dello specchio, che rimandava le porte dei cunicoli spalancate, le scritte sui muri ingialliti, le torce che illuminavano il bagno a giorno.
- Ciao –
La voce di Joe aveva un ché di rilassante, come l’olio alle rose che sua madre spalmava sul suo corpo dopo una doccia e lui odorava fino a stordirsi. Fino ad imprimersi quel profumo nella mente.
Era dolce, bassa e a Dalton sarebbe piaciuto sentirla parlare di cose quotidiane, magari dolci e sentirsi ridere per il tono da bambina che di solito lei usava con Lily e Tom.
- Ciao – ricambiò, continuando a fissare le scritte sul muro di fronte a sé.
Gli sarebbe piaciuto tenerle un braccio sulle spalle e accompagnarla a lezione, magari metterla in imbarazzo con i professori e farla arrabbiare e arrossire.
Ma lei era ancora sua.
Non di Tom né di qualsiasi altro ragazzo, ma sua.
- Mi fai fare un tiro? – mormorò Joe e, alzando lo sguardo su di lei, Dalton si accorse che era pallida.
I capelli neri erano legati in una coda alta e frettolosa e gli occhi neri erano cerchiati di un viola carico, come se non dormisse da secoli; scivolò lungo il muro di fronte a lui e lo fissò con un sorriso debole sulla bocca carnosa.
- No – sussurrò Dalton e lei si portò le ginocchia al petto, abbassando il capo sulle braccia, che circondarono le gambe scoperte dalla divisa.
Era triste.
Ed era sempre più bella.
- Dalton, Dalton, Dalton – bisbigliò Joe, alzando gli occhi su di lui e guardandolo.
Lo fissava e sembrava farlo pienamente, imprimendosi nella mente ogni suo dettaglio… come aveva sempre fatto lui con lei. Sapeva che quando sorrideva una piccola fossetta sulla guancia sinistra s’incurvava, che quando era nervosa aveva il vizio di tirarsi una ciocca di capelli, anche se aveva la coda.
Sapeva che amava il Qudditch, ma che non aveva mai potuto giocare per il suo peso eccessivo; amava la fonduta, le cose romantiche. Il principe azzurro.
Dalton spense la canna con troppa foga e s’issò a quattro zampe, sogghignando divertito quando la vide sgranare gli occhi.
- Sai che sono narcisista e mi eccito quando ripeti il mio nome – sussurrò, soave, camminando nella sua direzione senza mai distogliere lo sguardo.
Il suono che uscì dalla gola di Joe era tra una risata e un singulto sorpreso: cercò di tirarsi indietro, ma l’unico risultato fu quello di rimanere intrappolata tra il muro alle sue spalle e il corpo possente di Dalton.
- Joe… a te piace chi ti fa ridere? – domandò, arrivando a pochi centimetri da lei e sedendosi con le sue gambe chiuse tra le proprie.
Joe appoggiò le mani sulle sue spalle, inclinando il capo e strofinando il naso contro il suo; Dalton intrecciò le dita alle sue e respirò sulla sua bocca, avvicinandola ancor di più a sé.
Joe lo guardò ancora, storcendo la bocca in un sorriso così luminoso che gl’inghiottì il cuore.
- Sì, perché? – sussurrò in risposta, mentre Dalton, con una mano, le scioglieva i capelli e l’affondava tra di loro, respirando il suo profumo a pieni polmoni.
Si appoggiò contro di lei, arcuando la schiena e allargando ancor di più le gambe per tenerla contro di sé. Era morbida, quasi come se fosse stata creata per essere modellata da lui.
Come se fosse stata creata per modellarsi con lui.
- E allora perché non scegli me? – bisbigliò, mentre lei sgranava gli occhi, sbigottita.
Joe lo fissò senza parole, quasi ritraendosi a quelle parole.
- Io… -
Già, io. Non “” e nemmeno “no”, ma “io”.
Dalton le tirò una ciocca di capelli, sorridendo amaro e socchiudendo gli occhi azzurri – Io, invece, lo so’. So’ che alla fine sceglierai me – ridacchiò, strappandole una risatina divertita.
Ora le sue bocche erano ancora più vicine.
Ora faceva ancora più male.
- Mi dispiace, Dalton – disse Joe, baciandolo dolcemente sulle labbra, leggera come una farfalla.
Sapeva di torte al limone e indecisione.
Sapeva di quelle principesse che, alla fine, non hanno bisogno di essere salvate… ma lo vogliono lo stesso.
- Anche a me – rispose Dalton, mordendole con forza il labbro inferiore.
La sentì gemere contro di lui, ma è così che doveva andare: lei doveva sentire lo stesso dolore che, da giorni a quella parte, pompava insieme al suo cuore.
Lei glielo doveva, era questa la sua unica sicurezza.
E lasciò che il suo sangue si mischiasse con la propria saliva, che lei cercasse di respingerlo, ma senza ascoltarla e stringendola ancora più forte.
Perché se quei lividi erano causati da degli abbracci, a Dalton andava bene: non c’era perfezione più assoluta, di questo ne era certo.
Intrufolò la lingua nella sua bocca e le graffiò la nuca, sorridendo nel sentirla sciogliere la presa sulla sua mano e aggrapparsi con forza alle sue spalle: in un attimo fu a cavalcioni su di lui, come se sentisse il bisogno di sentirlo.
Come se, come lui, sentisse il bisogno d’averlo vicino, sentire le membra collidere e bruciare, arrossarsi, sciogliersi a contatto.
- Dalton –
Strinse le dita sulle sue natiche e ignorò qualsiasi cosa non fosse lei e il suo calore. Lei e il suo respiro accelerato.
Lei e il suo corpo, quell’innocenza che le si addiceva solo quando non si trovava a metri da lui.
Lui le posò una mano sul proprio petto, proprio dove il suo cuore batteva all’impazzata.
- Perché non scegli me? – mormorò ancora, mentre quel traditore sembrava voler annuire alle sue parole tamburellando sempre più forte.
Joe tremò e si fece ancora più vicina, come se fosse stato possibile. Come se già fossero una sola cosa.
Gl’infilò una mano tra i capelli, scompigliandogli i pensieri, mentre l’altra continuava a restare sullo sterno.
- Sei tu che hai scelto me… io non ho possibilità di scelta – sussurrò Joe, mentre la porta d’entrata si chiudeva con un cigolio lontano, quasi impossibile da sentire.
Tom scosse il capo verso Albus, scivolando lungo il muro con lo sguardo blu perso – Forse è meglio non entrare. Sembra impegnato – disse con voce tremula, distogliendo lo sguardo da quello del Grifondoro e grattandosi la nuca con imbarazzo.
Al strinse le labbra e scivolò seduto al suo fianco, portandosi le gambe esili al petto.
- Ne vale la pena? – bisbigliò, ignorando il corpo teso del ragazzo.
Tom non guardò né i quadri mormoranti né lui, si limitò a storcere le labbra in una smorfia di compatimento.
Solo verso se stesso.
Quanto era caduto in basso? Non era fidanzato da nemmeno poche settimane e la sua ragazza già lo tradiva.
Ma Dalton l’aveva avvertito: quello che voleva si prendeva, anche se c’era lui di mezzo; non contava che fosse lui ad abbracciarla quando fosse stanca, lui a consolarla quando era insicura.
Non contava che fosse lui a passare le giornate con lei, a fare i compiti con lei, a mormorarle poesie al vento.
Non contava che fosse lui ad amarla, non Dalton.
- Lui si stancherà e lei lo sa’ – disse, sicuro di sé.
Oramai tutti conoscevano Zabini: la sua ossessione si limitava fino all’avere quello che desiderava… poi se ne liberava senza pensieri. E lo avrebbe fatto anche con la sua Joe.
Tom lo sapeva.
Era così. Doveva essere così.
- Non è questo il punto, Nott. Il punto è che lei ti tradisce – sbuffò Albus, perdendo la pazienza e alzandosi di scatto, con le mani sui fianchi e l’espressione scocciata.
I capelli neri e ribelli, gli occhi verdi e indignati, il corpo esile e magro… Tom strinse i denti, distogliendo lo sguardo.
- Potter, nessuno ti ha chiesto d’invischiarti nelle mie cose! – sibilò, alzandosi anche lui e spazzolandosi la polvere dalla divisa con stizza.
Joe era solo confusa, ma sapeva benissimo chi sarebbe stato lì al suo fianco alla fine di tutto quello: Dalton poteva anche vantare di averla avuta per poche ore, ma era lui che ci passava le giornate intere.
Albus alzò le mani in segno di resa, facendo un passo indietro e scuotendo il capo, amareggiato – Fa come vuoi – mormorò, quasi deluso dalle sue risposte sconclusionate.
Le lezioni erano iniziate, ma lui continuava a restare lì, a fissare quel ragazzo che non voleva ammettere di aver perso; perché Tom aveva perso e questo era palese… ma fin quando non l’avrebbe accettato, Joe, per metà, sarebbe stata sempre sua.
Sarebbe stata sua perché lei aveva paura ed era confusa. Non aveva intenzione di perdere tutto e rimanere sola e non sapeva a chi affidarsi, girando tra quelle due persone così diverse tra di loro come una trottola impazzita.
Albus si scompigliò i capelli e aprì la bocca per rimproverarlo ancora, visto che di starsene zitto e in disparte non era proprio per lui che era metà Potter e metà Weasley, ma si bloccò di scatto quando, alle spalle di Tom, apparve lei.
Ah, se Zabini sarebbe uscito da quel bagno proprio in quel momento, lo avrebbe ignorato di brutto, anche se aveva messo in giro la voce che sua sorella era incinta e meritava la gogna da parte sua; quei capelli castani, quegli occhi azzurri truccati appena e quella bocca rossa erano un peccato capitale, su questo ci poteva giurare.
La gonna della divisa sulle gambe lunghe, avvolte da un paio di parigine nere; la camicia appena sbottonata e il maglione rigorosamente stretto sui fianchi morbidi.
A volte Albus si domandava quale fosse la perfezione, in cosa o chi si nascondesse, e poi posava gli occhi su di lei e la risposta arrivava da sé.
L’incantesimo delle Greengrass.
- Che succede qua? – domandò con voce severa, guardandoli entrambi e facendo arrossire Albus come un peperone.
Il sorriso sfacciato, lo sguardo profondo, ingannatore e Albus si domandava sempre più spesso come fosse essere il centro del suo mondo; si diceva che chi s’innamorava di loro correva un grosso rischio, ma Al avrebbe rischiato mille e mille volte, se solo lei glielo avesse chiesto.
Se solo lo avesse guardato.
- Niente, Chrys – sorrise Tom, accarezzandole i capelli più corti.
Era così insignificante confronto a lei e lo sapeva, era per quel motivo che si nascondeva dal suo sguardo: essere ignorato non lo avrebbe distrutto, essere rifiutato, invece, avrebbe potuto annientarlo.
- Le lezioni stanno per iniziare, perché diavolo ve ne state fermi qui? – sbuffò la ragazza, che si era scontrata con Lily nei corridoi e si era dovuta subire il suo sclero su Dalton.
Tom scrollò le spalle, regalandole un sorriso luminoso, come se non avesse un problema al mondo.
Chrysanta spostò lo sguardo su Al, che sembrò ritrarsi su se stesso: si strinse nelle spalle e divenne ancora più piccolo e fragile di quel che era. Come un bambino.
- Al cercava Dalton per dargliene di santa ragione, ma non è qua – cinguettò Tom, prendendola sottobraccio e cercando di portarla lontana da lì.
Ma Chrys lesse molto di più dallo sguardo blu di suo fratello e trovò conferma in quello chiuso e distante di Albus, che sembrava fare di tutto per non mantenere un contatto visivo con lei.
Era così strano, con quegl’occhi così sinceri, verdi, simile ad un prato.
Chrys chiuse gli occhi e ricordò quei pic-nic nel giardino di casa sua e quelle scampagnate nel bosco di Dean; quei prati così verdi, rigogliosi, con tanto di fiori in pieno sboccio.
Così sereni, pieni di una felicità che Chrysanta portava chiusa nel cuore, in memoria di quei giorni che passavano così veloci e gioiosi da sembrare irreali, un sogno che, con l’adolescenza, si era sfumato con troppa velocità.
- Vieni? – domandò verso Al, che alzò il capo di scatto e la guardò sorpresa.
A Chrys erano sempre piaciuti i pupazzi: nella sua camera ne aveva una collezione infinita e quando era triste tirava Mister Teddy dal baule e lo abbracciava fino a stropicciarlo e renderlo strapazzato. E Al sembrava proprio un pupazzo grande, quello che magari stringi quando il mondo diventa troppo grande.
Quando le lacrime diventano irrefrenabili e il petto troppo vuoto.
A Chrys piacevano i pupazzi e Al aveva l’aria di un pupazzo gigante.
- Io… - balbettò Al, guardando senza fiato la mano che lei gli tendeva, con una luce nello sguardo che lo sciolse da dentro.
Chrys ridacchiò, riuscendo a farlo arrossire con più prepotenza di prima.
- Era un ordine, Potter, non una richiesta – disse, guardandolo con i suoi occhi blu intrisi di divertimento.
Al abbassò gli occhi verdi sulle sue scarpe e si morse il labbro inferiore con forza – Io… - pigolò di nuovo, in soggezione, chiedendosi perché.
Perché diavolo doveva venirgli un infarto ogni volta che lei gli rivolgeva la parola? Sembrava un perfetto ed emerito idiota!
“Stupido, stupido e stupido!” pensò, disperato, mentre la sentiva ridere divertita.
E si avvicinò così tanto che poté sentire il suo respiro sul suo orecchio, il suo corpo accostarsi al proprio, il suo profumo che lo stordì dall’interno.
Al sbiancò, per poi diventare più rosso di prima.
- Che rimanga tra noi… per me, i ragazzi timidi sono i più sexy – mormorò al suo orecchio, sfiorandogli la guancia con le labbra e raggiungendo il fratello.
Prese Tom sottobraccio, e gli fece ciao-ciao con la mano, lasciandolo imbambolato lì, con la bocca aperta e la faccia rossa.
“Che cazzo è successo?” pensò, lasciando cadere le braccia e, se non sarebbe risultato imbarazzante, gli sarebbero cadute anche le braghe.
L’incantesimo delle Greengrass.
 
***
 
Quel giorno, nella classe di Pozioni, tirava un aria elettrica che fece rizzare i capelli sulla nuca a parecchi presenti.
Ma questa volta non era la rivalità che vigeva tra Serpeverde e Grifondoro a rendere l’aula pesante, ma alcuni suoi ragazzi che, tra una pozione e l’altra, sembravano volersi azzannare con gli attrezzi da lavoro.
Tutta Grifondoro, naturalmente, parlava della fantomatica e inesistente, come sbraitava Lily a chi le faceva gli auguri, gravidanza della Potter e poteva benissimamente notarsi il nervosismo della rossa, che brandiva una manna come un vero e proprio badile.
- Sì, Jackie, fammi quella fatidica domanda, andiamo – sibilò infatti appena un ragazzo le si avvicinò.
Aveva un sorriso tipico di un serial killer e il ragazzo indietreggiò, ammutolendo.
- Avanti… fammi quella domanda e giuro che ti sgozzerò come un cane ai miei piedi – sibilò velenosa e dolce, accarezzando con un dito la lama della lama.
Jackie Najcris sbiancò.
- Grifondoro del cazzo… giuro che vi ammazzerò tutti! -  bisbigliò, carezzevole, con la tipica voce da psicopatica appena sfuggita dal reparto di igiene mentale del San Mungo.
Continuò a fare a pezzi il suo dente di leone, che sarebbe andato tagliuzzato nella pozione rigenerante che aveva assegnato Lumacorno quel giorno.
Sbatté la mannaia sul banco, formando un solco così profondo e producendo un tonfo così forte che zittì tutta la classe, che si girò in sincrono verso di lei.
- Li ammazzerò tutti, ad uno ad uno. Li strozzerò con la loro sciarpa rosso e oro, poi li farò in pezzi così piccoli che saranno irriconoscibili e solo allora li sotterrerò nella foresta proibita, così nessuno sospetterà di me.
Ma il primo… il primo sarà Zabini; ha saltato la lezione? Bene, non potrà sfuggirmi in eterno – ridacchiò perfida e soave, mentre Lumacorno, alla cattedra, fingeva di correggere i compiti della settimana scorsa.
Tutti quei barattoli disgustosi di Piton erano scomparsi e ora la classe, anche se sempre cupa e polverosa, era abbastanza decente da poterci passare due ore senza vomitare.
I banchi di colore nero erano allineati a due a due, un Serpeverde e un Grifondoro, che si sputavano in faccia appena il professore girava il capo, e a Lily era toccato, per fortuna, suo fratello Albus.
Il suo carissimo fratellino che l’aveva difesa e che ringhiava contro chiunque osasse avvicinarsi a lei. E che stava dando la caccia a Dalton.
Bene, molto bene.
- Mi dici perché sta girando la voce che sei incinta? Per tutte i perizoma leopardati della Mcgranitt! – e Scorpius, con il banco dietro al suo, disse l’ultima frase così ad alta voce che, anche se il professore finse di non aver sentito, Lily lo vide diventare così rosso da confondersi con il cravattino di seta che indossava quel giorno.
Roxanne e Chrys, alla loro destra, soffocarono una risata divertita.
Lily scoprì i denti, furiosa, chiedendosi cosa avesse fatto di male nella sua intera esistenza per meritarsi quello.
- Bonjour à tout le monde! – e Dalton Zabini entrò fresco come una rosa nell’aula di pozioni, facendo scattare a molla Lily Potter. Con la manna tra le mani.
E uno sguardo omicida.
- Signor Zabini, è in ritardo di mezz’ora! Dieci punti in meno Serpeverde e ora vada a sedersi accanto ad un suo compagno e cerchi di finire la pozione in tempo – lo riprese Lumacorno, con tono severo, facendo fremere i baffoni da tricheco.
“Aveva anche la pancia molliccia e il sottomento tremolante come un tricheco, chissà se uno zoo avrebbe potuto…” Lily si riprese dai suoi pensieri quando vide Dalton sedersi accanto ad Aaron Jordan.
- Eccolo, il bastardo! – sghignazzò, strofinandosi le mani con estrema soddisfazione.
Joe era già seduta accanto a Tom, e se questo aveva uno sguardo cupo, ma tranquillo, lei non finiva d’agitarsi sulla sedia: sembrava irrequieta e faceva cadere penne, appunti e alcuni ingredienti per le pozioni, venendo ripresa più volte da Lumacorno.
- Ma guarda, Joe è nervosetta – mormorò Lily, appoggiando i gomiti sul banco pieno di scritte e sorridendo come una iena.
Scorpius la fissò sospettoso.
- Allora, mi rispondi? – sbuffò, riferendosi alla domanda che le aveva fatto prima.
Lily si attorcigliò una ciocca di capelli rossi attorno al dito, assottigliando gli occhi bruni verso Dalton e scoccando un occhiata vaga a Stock.
Ma prima il piacere e poi il dovere, era questo il suo motto: quindi si sarebbe dedicata prima a Zabini e poi quell’essere orrido di Stock, che sapeva un po’ troppo sui Mangiamorte.
- Il tuo amico Zabini ha messo in giro la voce, Malfoy, non farti scoppiare le coronarie. Non mi hai messo incinta tenendomi per mano – sibilò acida, senza nemmeno girarsi per guardarsi attorno.
Scorpius la guardò male.
- Mestruazioni, Potter? – domandò nemmeno a voce tanto bassa, facendo arrossire di nuovo il professore, ma che questa volta gli lanciò un occhiata di avvertimento.
Sorrise angelico.
- Per te sempre, Malfoy – ribatté a tono Lily, rovesciando il capo all’indietro per guardarlo in volto.
Scorpius si avvicinò quel tanto da poter appoggiare, velocemente, le labbra sulla sua fronte – Quando mi chiami per cognome ti immagino con un completino di pelle e con le manette, pronta ad arrestarmi – mugugnò con tono roco, facendola ridere e dimenticare, anche solo per un attimo, Dalton e i guai che combinava.
- Ti piace il sadomaso, Malfoy? – domandò maliziosa, adorando il lampo malizioso dei suoi denti quando sogghigno, lascivo.
- No, ma ammetto che avresti delle armi per farmelo piacere –
Albus si coprì le orecchie con le mani chiuse a coppa, indignato e li guardò con la bocca storta in una smorfia disgustata.
- Porci – sibilò, arrossendo di nuovo nell’incontrare lo sguardo di Chrys.
- Oh, secondo me sarebbe divino. Tutti quei “sculacciami, baby” fanno salire la pressione – aggiunse, mentre Albus si nascondeva nel colletto della camicia, cercando di soffocarsi con la divisa.
Chrys rise, deliziata da tutta quell’innocenza.
Ah, da quando non incontrava un uomo con tutto quel pudore?
- Mia sorella non farà proprio nulla! Quindi tieni quelle manacce sul tuo banco, Malfoy! – sbraitò Albus e Scorpius alzò le mani, sbattendo civettuolo le ciglia bionde.
- Ma certo, cognatino – cinguettò sarcastico, con una faccia che sembrava dire “come no, credici” e facendosi fucilare da un occhiata di Al, che strinse le labbra in una linea sottile.
Dalton sbadigliò e gli occhi di Lily s’iniettarono di sangue, come se si fosse improvvisamente ricordata della sua presenza.
- Sei morto – mimò con le labbra al suo indirizzo, passandosi un pollice sulla gola e sogghignando perfida.
Dalton alzò un sopracciglio, sarcastico, e si accarezzò un finto pancione con un espressione amorevole.
- Spero sia femmina – disse a bassa voce, facendole salire un traverso di bile.
- Sei morto! – ululò Lily, alzandosi in piedi sulla sedia e cercando di gettarsi sul compagno.
Lumacorno si alzò di scatto, sconvolto e Al riuscì ad afferrarla in tempo, prima che causasse a Zabini danni cerebrali irreparabili… peggio di quelli che aveva ora; riuscì comunque a strappargli una ciocca di capelli, vittoriosa, sotto le urla indignate del professore.
- Basta, basta! Questo è troppo! – strepitò, facendo saltare tre, quattro bottoni del suo panciotto color crema.
E chissà come, nella mischia, Scorpius riuscì anche a colpire Devinshire su una guancia e non farsi beccare, approfittando della distrazione del professore, che era concentrato su una Lily vittoriosa e un Dalton piagnucolante.
- Tu sei pazza! – urlò Zabini, tenendosi i suoi adorati capelli neri tra le dita, mentre alcune ciocche giacevano sul pavimento di pietra e altre tra le dita di quella psicopatica.
- Oh, sì, Zabini, hai capito bene! Sono pazza e giuro che tu sarai vittima della mia follia! – sbraitò la rossa, malefica, mentre Lumacorno diventava pallido.
- In presidenza, tutti e due, immediatamente! E anche tu, Malfoy e Potter, seguili! – urlò e Albus, trascinando i piedi dietro quei tre pazzi, temette che gli venisse un infarto.
Povero uomo, era già così vecchio…
- Ah, ah! Ora siamo soli – e l’espressione diabolica di Lily, appena uscirono fuori dall’aula, fu lo specchio di quella terrorizzata di Dalton.
- Non oseresti… - mormorò, ma non sapeva che sì, era una Potter, quindi avrebbe osato di tutti.
- NYAAAAAAAAAAA! – ululò la rossa, prima di lanciarsi letteralmente su Zabini e far cadere entrambi con un tonfo sul pavimento.
Rotolarono, cozzando contro il muro e Lily strinse le dita alla gola di quel piccolo bastardo Serpeverde – Soffri! – sibilò, mentre questo si chiedeva davvero se Lily avesse intenzione di fargli male con quelle ditine di fata.
Insomma, pesava quaranta chili ed era alta un metro e sessanta… lui ne pesava ottanta ed era alto uno e novanta, secondo lei chi vinceva?
- Oh, non preoccuparti, ho metodi migliori – bisbigliò al suo orecchio.
E zan!
Le unghia di quella bastarda s’infilzarono nella carne morbida della sua guancia e lo sfregiarono dalla tempia fino al mento.
- Potter! –
- Sei perdonato, ora, mon amour! – e dicendo questo, afferrò Scorpius per un polso e cominciò a correre verso la presidenza.
La cosa che sentì per ultima, fu l’urlo ferito di Dalton, che cominciò a piagnucolare.
La sua faccia… la sua magnifica faccia!
Era rovinata, era tutta rovinata! La sua bellezza storica, che aveva fatto innamorare centinaia di ragazze, ora era andata distrutta.
- Uccidimi ora, prima che qualcuno mi veda – piagnucolò, distrutto, aggrappandosi alle gambe di Albus con gli occhi intrisi di lacrime.
- Andiamo, è solo un graffietto – sbuffò Al, afferrandolo per le spalle e alzandolo con fatica.
Dalton urlò ancora più forte, come un animale ferito, mentre i ritratti si sporgevano dalle loro cornici per vedere cosa succedeva. Il Barone Sanguinario si bloccò dal muro da cui era appena uscito, fluttuando, nel vedere la scena.
- E allora? – sibilò, con la sua voce baritonale, mentre Al diventava di sale e Dalton lo ignorava.
- La mia faccia, la mia bellissima faccia… tutto rovinato! – si lamentò ancora, mentre il Barone si sporgeva per guardarlo bene in viso.
La sua faccia opalescente assunse una scintilla di consapevolezza.
- Ah, sei tu. Meglio che vada, allora – mormorò, squagliandosela prima di sentire altri barriti d’elefante dalla bocca del giovane ragazzo di colore.
Albus aggrottò le sopracciglia: ma quello aveva la fama del scassa biglie anche tra i fantasmi?
 - Andiamo, Dalton, dobbiamo andare in presidenza o Lumacorno ci sospende tutti in blocco – lo sospinse verso le scale e Dalton lo abbracciò di slancio, singhiozzando.
Dovette trascinarselo dietro, attaccato contro come uno scoglio, camminando con le gambe intrecciate alle sue e il suo volto sprofondato nella sua spalla scosso dai singhiozzi, ‘manco gli avessero ammazzato la madre.
- Mi suiciderei, se la consapevolezza di essere vergine non mi facesse desistere – sussurrò Albus, che era anche lui sul punto delle lacrime.
Per esasperazione, certo.
Non arrivarono nemmeno al secondo piano, che Lysander Scamandro apparve quasi fluttuando sulla loro traiettoria: era fatto da fare schifo e aveva l’espressione così stralunata e vacua che inizialmente, Al, si chiese se stesse bene.
- Oh, Albie! Non sapevo fossi gay – cinguettò quello, mentre Dalton si staccava da lui, raggelato.
Gli occhi di Zabini passarono dai capelli biondo sporco di Lys, agli occhi azzurri poco persi alla divisa stropicciata.
- Gay a chi, fiore andato a male? – abbaiò, stizzito, visto che oltre ad essere stato picchiato da una donna ci voleva solo la fama di essere omosessuale.
Quando poi, poche ore prima, si era dato da fare nel bagno di Mirtilla Malcontenta con una donna; e che donna! Gli saliva ancora il sangue al cervello quando pensava a Joe, completamente nuda…
“Riprendi il controllo, scervellato!” si maledì da solo, trattenendosi dal darsi ancora a schiaffi per non rovinare ancora di più la sua bellezza marmorea.
- Tu e Albus siete una bellissima coppia! – mormorò ancora Lysander, senza sapere di stare per rischiare un pestamento di coppia.
Albus si schiaffeggiò la fronte, alzando gli occhi al soffitto e chiedendosi perché, da piccolo, quando James l’aveva spinto senza volere dalle scale non si fosse schiantato sull’ultima rampa con la testa aperta, irrimediabilmente morto.
Perché doveva soffrire? Cosa aveva fatto di male?
Forse era la colpa di suo padre e tutte le bestemmie che i Mangiamorte ancora gli lanciavano addosso? Si stavano riversando tutte su di lui, che gli assomigliava molto?
E la morte, che tante volte aveva rifiutato suo padre, stava facendo la stessa cosa con lui? Giusto per il gusto di divertirsi e vederlo patire le pene dell’Inferno?
- Ehi, Flower ammuffito, lo sanno tutti che ti fai tuo fratello! – sbraitò Dalton, indignato, mentre quello lo fissava quasi come se non lo vedesse realmente.
- Oh no! In realtà a me piaceva Joe, ma è già impegnata… - cinguettò tutto contento, mentre Dalton quasi si metteva le mani nei capelli.
Ma quella non era una cicciona che tutti odiavano per la sua schizofrenia? Com’era che ora tutti volevano provarci con lei?
Joe era una complessata del cazzo e tutti quei difetti li vedeva solo lei, mannaccia alla sua testa dura!
- Non ci provare nemmeno, ti spezzo lo stelo, fiore dei miei stivali! – sbraitò, giusto per mettere in chiaro le cose.
E Santo Merlino! Tom era già tanto, se ci si mettevano altri, Dalton avrebbe afferrato valigia e bacchetta e si sarebbe trasferito ad Ibiza, con tanto di cappello Hawaiano e istinto di sopravvivenza.
Non era fatto per i duelli stile ottocento: era delicato, lui!
- Oh, ma dai, piace anche a te? – disse quello, felice come un fringuello, facendogli cadere le braccia.
Ma anche lui diventava così stupido quando fumava erba o quello era così anche normale?
- Ti prego, muori – mormorò, coprendosi la faccia con le mani in un gesto disperato di allontanarsi da quel sorriso tutto sbrilluccicoso.
Lysander sbatté gli occhioni azzurri.
- Okay! – e dicendo quello diede le spalle ad entrambi, saltellando dalla parte opposta del corridoio.
Dalton si appuntò mentalmente di menare Lysander quando sarebbe stato lucido, magari mettendogli lo sgambetto e dare la colpa a qualcun altro, chiudere Joe in una torre alta, dove solo lui avrebbe avuto le chiavi e infine strappare tutti i capelli a quella rossa malefica.
Beh, come piano non era male!

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Capitolo 12
*** Capitolo undicesimo - La pozione ***


Capitolo undicesimo –
La Pozione
 
 
 
Conoscete la sensazione inquietante di quando, la mattina, aprite gli occhi e capite che non sarà affatto una buona giornata?
Quando Dalton Zabini, quel cinque dicembre, aprì gli occhi… ebbe la voglia di rinchiuderli, avvolgersi nel piumone e magari dormire per altri quattro giorni.
Aveva uno strano formicolio dietro la nuca e l’ultima volta che gli era successo, Scorpius lo aveva preso a calci per aver copiato il suo compito di Trasfigurazione uguale uguale, passo passo, e avergli fatto beccare un Troll pieno e annesso avviso dalla preside.
E tutto quello gli faceva paura.
Insomma, il suo inconscio gli stava dicendo chiaramente di non farsi vedere, di nascondersi come un coniglio… e l’avrebbe pure fatto – strafregandosene delle regole –  se, con un gesto secco, Tom non gli avesse strappato le coperte di dosso.
“Oggi abbiamo il compito di Pozioni” disse, incrociando le braccia al petto e guardandolo con aria superiore.
Fotte un cazzo, avrebbe risposto con la sua solita flemma se – Scorpius – uscendo vestito di tutto punto dal bagno, non avesse indicato una scatolina di velluto sul comodino di Thomas.
Scatolina di velluto.
Thomas.
Anello.
Joe.
“Ma porca putt…” iniziò, interrompendosi subito allo scattare del sopracciglio scuro di Tom oltre l’attaccatura dei capelli.
Scatolina di velluto.
Thomas.
Anello.
Joe. La sua Joe, specifichiamo.
“Non ho studiato” miagolò con tono flebile, bestemmiando mentalmente in tutte le lingue del mondo.
Gettò un occhiata allarmata a Scorpius, che annuì di volata e – scricchiolando le dita con aria minacciosa – Dalton capì che il suo inconscio, quel giorno, poteva anche fottersi.
Joe non doveva nemmeno vederla quella scatolina! Né sognarla, immaginarla, desiderarla. Niente di niente. Rien. Nichts. Nada de nada.
E allora al diavolo le brutte sensazioni, il fatto che stesse per cacciarsi in guaio più grande di lui – che quella giornata sarebbe stata di merda – in quel momento, per Dalton Zabini, scattava il piano impediamo a Joe di fare una cazzata.

 
Ore 8.00, l’inizio della fine.
 
Una volta varcata la soglia della Sala Grande, Dalton s’incollò a Tom tipo sanguisuga: lo prese a braccetto, impedendogli di recarsi al tavolo di Grifondoro per il solito saluto a Joe e sorrise come una iena quando questo lo guardò sorpreso, sbattendo ripetutamente le ciglia nere.
“Alle due abbiamo il compito di Pozioni e io non ho studiato, ho bisogno di ripassare con te. Ora, alle undici che abbiamo un ora di buca, all’ora di pranzo…” elencò con le dita, mentre Tom sbiancava gradualmente e Dalton allargava il suo sorrisone da cucciolo. O da bastardo, a seconda delle visioni.
“Io…” cominciò Tom, venendo interrotto da un occhiata velenosa dell’amico, che lo trascinò a sedersi al loro tavolo.
“Io cosa, Tom? Non vorrai mica abbandonare un amico nel momento del bisogno, vero?” sibilò perfido, servendosi una tazza di caffè e versandoci il suo amabile scotch per correggerlo.
Beh, Dalton lo avrebbe di sicuro abbandonato se avesse saputo che il suo migliore amico si scopava la sua fidanzata, ma quelli erano futili dettagli; non si parlava certo di lui – dolcissimo e innocente Zabini – ma di Tom.
“No, certo che no” sospirò infatti questo, afferrando il libro di Pozioni avanzate dalla borsa a tracollo di cuoio e poggiandolo in bilico un piatto di uova e bacon e un altro con muffin.
Dalton si trattenne dallo scoppiare in una risata malefica tipica dell’Oscuro Signore, limitandosi a storcere la bocca in un ghigno malefico.
“Oh, Tom… tu sì che sei un amico!” cinguettò tutto melenso, abbracciandolo di slancio e strusciandogli addosso come un gatto.
Tom divenne di sale e il suo occhio destro subì uno strano tic nervoso, mentre un mormorio si alzava dal tavolo dei Grifondoro e Joe lo guardava con tanto d’occhi, per poi vergognarsi subito dopo e abbassare il volto sulla sua colazione.
“Amico” ripeté Tom, come se considerasse quella parola un insulto; e in effetti lo era pure: uno che si faceva la sua ragazza non poteva considerarsi un amico… affatto. Dalton non era un amico, era un Zabini e quello, signori e signore, la diceva lunga.
E mentre Dalton stava per scostarsi da lui, qualcuno lo spinse con forza e gli rovinò completamente addosso, mandandolo con la testa nel purridge di Scorpius alla sua destra.
“Ma porca putt… ehi, Ty, guarda dove metti i piedi!” sbraitò Dalton, sibilando una bestemmia tra i denti e alzando il pugno in aria contro il fratello di Cecilie, che fece spallucce.
“Scusa, fratello” disse semplicemente, infilandosi di volata le mani in tasca e andandosene a passo svelto.
“Mah, la gente quanto è strana! Si facessero più canne e meno seghe” borbottò, staccandosi da Tom e guardandolo alzarsi lentamente – molto lentamente – dalla ciotola di purridge. E con la faccia piena di purridge.
“Ops” sghignazzò, afferrando il suo caffè corretto e sorseggiandolo con una risata a fondo gola che – con la bocca piena – cercava di trattenere meglio che poteva.
“Sì, come no” grugnì Tom, scoccandogli un occhiata raggelante e pulendosi il viso con un fazzoletto.
Dalton aggrottò le sopracciglia, staccando la bocca dalla tazza del caffè e guardando il fondo con una smorfia disgustata “Per caso è il caffè che è andato a male o lo scotch?” borbottò, odorando la tazza e arricciando il nasino aristocratico.
Tom guardò verso il tavolo dei Corvonero e vide Tyler e Cecilie fissare esattamente Dalton.
“Oh merda, ti avranno mica avvelenato?” sbraitò Tom, strappando la tazza dalle mani di Dalton e quasi ficcandoci la faccia dentro per identificare il colore rimasto sul fondo.
“Mi hanno avvelenato?” proruppe Dalton con espressione terrorizzata, mentre Scorpius alzava gli occhi dalla colazione e li guardava sorpresi.
“Chi ha avvelenato chi?” domandò Lily, apparendo alle loro spalle e facendoli quasi morire d’infarto.
Dalton crollò con la faccia sul tavolo, producendo un tonfo sordo, e i ragazzi lo guardarono con tanto d’occhi “Così giovane… morirò così giovane…” piagnucolò, beccandosi un bestemmione colossale dai ragazzi.
Scorpius strappò la tazza dalle mani di Tom e ne odorò il contenuto con attenzione.
“Non è veleno” sentenziò, sicuro di sé, adocchiando della strana polverina azzurra sul fondo.
“Dall’odore sono riuscito ad identificare una leggera essenza di Iris – probabilmente ne hanno gettati due o tre petali – e dal colore della polverina  hanno usato anche il non ti scordar di me.
È un accozzaglia strana, direi” disse Scorpius, continuando a ficcare il naso nella tazza per sentire di più.
Socchiuse gli occhi grigi e – improvvisamente – come se si fosse scottato, allontanò il bicchiere da sé.
“Sa’ di merda perché ci hanno messo del cuore di coccodrillo, cocco” disse infine, mentre Dalton sbiancava di botto.
“Cuore di che?” balbettò, sentendo alcool, caffè e quella sostanza salire in gola come se volesse uscire.
“Coccodrillo”
“Ma porca putt…” e Dalton avrebbe seriamente urlato un bestemmione di quelli che persino Salazar Serpeverde si sarebbe tappato le orecchie, quando Yahi Yang – una Tassorosso del sesto – urlò con quanto fiato avesse in gola e… sparì.
In una nuvola di zolfo di un inquietante violetto, Dalton Zabini si materializzò alle spalle della ragazza, facendo sgranare gli occhi a tutta la Sala Grande.
“Che ti succede, bambina?” domandò, prima di mordersi la lingua.
Che ti succede bambina?
CHE TI SUCCEDE BAMBINA?
“Cos’è che ti affligge?” continuò, come se la sua voce parlasse da sé e il suo corpo si muovesse contro il suo volere: con una ponderata spinta dei fianchi, spinse via Damien Goldstein, sedendosi al suo posto e afferrando le mani della ragazza asiatica, che trattenne un singhiozzo.
“Zabini?” domandò Yahi, stropicciandosi gli occhi e guardandolo sorpresa.
Dalton sorrise a centoventidue denti con tanto di watt stratosferici, suscitando un sospiro ammirato al tavolo Corvonero.
“A tuo servizio, bimba” ammiccò sensualmente Dalton.
Proprio non riusciva a controllare le parole che gli uscivano da bocca… oh, e va bene! Ora lo stava facendo apposta.
“Dimmi tutto” la spronò, mentre i suoi occhi cercavano quelli dei suoi amici.
Scorpius, Tom e Lily lo fissavano dal tavolo dei Serpeverde ammutoliti, con la bocca aperta e gli occhi spalancati, nemmeno avessero visto Salazar ballare la Salsa per la Sala Grande.
“Il mio coniglietto, Pinky… è morto!”
E di nuovo vagonate di lacrime a non finire; di solito, Dalton, quando qualcuno piangeva, prendeva letteralmente il volo e si dileguava come se non fosse mai esistito.
Aveva un terrore immane delle lacrime e quindi – di solito – evitava le persone piagnucolone come la peste… eppure, in quel momento, il suo corpo non si muoveva; non rispondeva ai suoi comandi e, proprio a voler confermare la sua tesi, in uno slancio abbracciò Yahi Yang.
Oh ma porca tro… pensò, prima che la sua mano cominciasse ad accarezzare il caschetto sfilato dell’asiatica.
Merlino, ti prego, ammazzami, continuò mentalmente, stringendosela al petto con espressione terrorizzata.
“Mi dispiace tanto” disse invece, cercando di ficcarsi due dita in gola per vomitare colazione, pranzo e cena del giorno prima, ma invano.
Scorpius, dal tavolo dei Serpeverde, ridacchiò, mentre Joe si chiedeva – invece – se non fosse finita in un universo parallelo dove Dalton Zabini era dolce e gentile senza pretendere del sesso in cambio.
“Ma sono sicuro che starà in un posto migliore… dove tanti coniglietti come lui saltellano in un immenso prato verde e fiorito” continuò, con conati di vomito a fondo gola.
“Lo credi davvero?” miagolò Yahi, mentre Dalton annuiva molto, ma molto lentamente.
“Ma certo” cinguettò, chiedendosi che cazzo succedeva.
Insomma, c’era qualcosa che non andava!
Punto primo: ad Hogwarts non ci si poteva materializzare e lui – anche se avvolto in una nuvola di zolfo come Satana nelle sue prime apparizioni – l’aveva fatto.
Punto secondo: aveva parlato con quell’asiatica della malora si e no quattro volte in sette anni e ora se la ritrovava tra le braccia distrutta dalla perdita del suo coniglio maledetto – pace all’anima sua – mentre il suo corpo agiva da sé.
Punto terzo: bruciassero tutti i perizomi leopardati della Mcgranitt! Lui lo sapeva che restare nel suo dormitorio – quel giorno – era la soluzione al problema.
“Oh, grazie Dalton! Sei così gentile… mi sento molto meglio” disse la ragazza, accarezzandogli il braccio.
Nemmeno il tempo di dirlo che si ritrovò nuovamente seduto al tavolo dei Serpeverde, accompagnato da quella maledetta nuvola di zolfo che lo stava avvelenando.
“Ho paura” bisbigliò, aggrappandosi al tavolo con espressione terrorizzata.
Scorpius scoppiò a ridere: l’ultima volta che aveva visto quell’espressione sul volto dell’amico, lo aveva costretto a vedere l’Esorcista – un film Babbano – versione integrale.
“Oh” disse Chrysanta, arricciando il naso quando sentì anche lei l’odore della tazza.
Tutti quanti la guardarono.
“Oh cosa?” sbottarono all’unisono, mentre Albus appariva come un fantasma – stesso vizio della sorella – e si aggrappava alle spalle di Scorpius tutto interessato.
“La pozione dell’Amor sui”  sussurrò, deliziata, infilando un dito sul fondo della tazza e guardando da vicino quella composizione azzurrina.
Lily crollò seduta, con un espressione tra la consapevolezza e la compassione “Oh” disse solo, mentre la curiosità degli altri cresceva a dismisura.
“Ma allora gli hanno rifilato una pozione? Io credevo che – visto la sua propensione alla drammaticità – avesse creato un nuovo modo per uscire di scena in gran stile!” ridacchiò Albus, beccandosi un calcio nelle gambe da Dalton, che sibilò astioso.
“Smettetela e ditemi che diavolo è questa Amor sui!” sbraitò Dalton, massaggiandosi le tempie con una smorfia e chiedendosi i tipici perché.
Perché a me? Cos’ho fatto di male? E blablabla fino a sbattere la fronte contro il tavolo ripetutamente.
“È un invenzione della Strega Clelia; suo marito era un gran egoista e allora, lei, per impartirgli una lezione, inventò questa pozione.
Ogni volta che qualcuno aveva bisogno di aiuto – sia psicologico che fisico – lui compariva come per magia e doveva aiutare chi aveva cercato, anche inconsciamente, aiuto e basta. Il suo corpo agiva da sé, come la sua mente” spiegò Crysantha e Dalton divenne una statua di sale.
In effetti, era quello che gli era successo un attimo prima con Yahi: il suo corpo aveva agito da sé e dalla sua bocca uscivano solamente parole di conforto… “Ma porca putt...” e nuovamente non riuscì a finire di parlare che venne materializzato con un altro pop al tavolo dei Grifondoro, che lo guardarono con tanto d’occhi.
Amanda Crombe – quinto anno – alzò lo sguardo lucido su di lui e Dalton, di nuovo, cercò di scappare. Naturalmente, senza successo.
“Zuccherino, che hai?” cinguettò con vocetta affettata, sbattendo civettuolo le ciglia nere e accarezzandole dolcemente il volto.
Il diabete, cazzo, il diabete! Pensò nauseato, continuando a sorridere tutto mieloso nemmeno questa gliel’avrebbe data a fine serata.
“Avanti, sono qui per aiutarti…” la incitò, vedendola tentennare nel vederselo spuntare avanti. E in effetti gli mancavano solo corna e coda e sarebbe stato il Satana perfetto.
“Aaron mi ha lasciato” mormorò Amanda, come se non volesse che gli altri sentissero.
Dalton spostò lo sguardo sul fantomatico Aaron e, dalla sua altezza, questo alzò lentamente il capo per guardarlo negli occhi. Jordan inghiottì a vuoto, sbattendo ripetutamente le ciglia.
“Perché diavolo l’hai lasciata?” sbottò e Aaron lo guardò con tanto d’occhi, chiedendosi se fosse impazzito o meno.
Amanda si riavviò una ciocca di capelli color miele e fulminò con un occhiata Fred II che cercava di capirci qualcosa.
“Perché tanto le corna che gli ha messo, Aaron non può camminare sotto i ponti” rispose Hugo, addentando un pezzo di frittella e sorridendo angelico.
Dalton cercò di rimanere serio e – per trattenere le risate – quasi soffocò con la propria saliva: tossì ripetutamente, mentre Joe gli batteva qualche pugno dietro la schiena e guardò Amanda con un occhiata che viaggiava tra che ti aspettavi, un bacio in fronte? e almeno fallo con più discrezione!
“Non l’ho tradito! Quando ho frequentato Michael e Luke noi eravamo in pausa!” sbottò Amanda, mentre Rose aguzzava le orecchie e Scorpius – che dal tavolo dei Serpeverde aveva sentito tutto – metteva la testa bionda sotto il tavolo per scoppiare a ridere come un idiota.
“Pausa non significa cornifichiamoci a gogò, Amanda!” sbottò Aaron e la risata di Scorpius rimbombò nel silenzio della Sala, che ora non aveva orecchi che per quel teatrino.
Lily gli mollò un calcio sotto il tavolo.
“Tu l’hai specificato?” domandò Dalton, con tono comprensivo.
Ben ti sta, Grifondoro della malora! Pensò, scuotendo il capo tutto zuccheroso quando in realtà li stava maledicendo da un quarto d’ora buono.
“Non ce n’era bisogno… io non sono stato con nessuna” sibilò Aaron e Hugo annuì, dando man forte all’amico.
Dalton lo afferrò per i capelli rossi e gl’infilò la testa nel purridge, continuando a sorridere “Sta zitto, coglione, o rimaniamo qui per il resto della giornata” sibilò minaccioso, sospirando verso Amanda e accarezzandole la guancia rosea.
Questa alzò gli occhioni verdi verso di lui.
“Ha ragione lui, piccola. Ma visto che eravate in pausa, potete comunque cancellare questi episodi: non stavate effettivamente insieme e quindi non possono catalogarsi come corna vere e proprie.
Datevi un periodo di prova, se tutto va bene, ritornate insieme. Se tutto va male, ognuno per le sue strade” propose, continuando a tenere la faccia di Hugo nella colazione, giusto perché questo cominciava a muoversi come un anguilla fuori dall’acqua.
“Per me… per me va bene” mormorò Amanda, fissando poi Aaron con gli occhi imploranti e mordendosi il labbro inferiore con forza.
Aaron guardò prima Dalton, che dal suo metro e novanta lo fissava con fare minaccioso. Poi spostò lo sguardo su Hugo, con la faccia ancora nel purridge. Infine guardò Amanda, che gli sorrideva tremula.
“E va bene!” sbuffò, e puff!
Amanda gli buttò le braccia al collo e Dalton sparì nella stessa nuvola di zolfo con cui era apparso, lasciando libero Hugo, che quasi era annegato nella sua stessa colazione.
“Merlino, Morgana, Salazar, Godric, Tosca, Helena, Buddah, Dio, Allah… chiunque voi siate, ovunque siate, vi prego, SALVATEMI!” strepitò Dalton, di nuovo seduto al tavolo dei Serpeverde, con gli occhi intrisi di lacrime e la voglia di suicidarsi.
Era nella merda.

 
Ore 10.20, perché al peggio non c’è mai fine
 
La Mcgranitt sospirò, si sedette e congiunse le mani sotto il mento rugoso, guardandolo attraverso gli occhiali dalla montatura severa e inflessibile.
“Zabini, rispondi a questo quesito” sospirò, mentre Dalton si svaccava sulla poltroncina dietro la scrivania e si abbuffava di biscotti allo zenzero: alzò gli occhi su di lei, con la bocca piena e l’espressione di uno che è poco intelligente.
“Fef-fto” rispose Dalton, sputando qualche pezzo di biscotto nella capigliatura della Mcgranitt. Sorrise a mo’ di scuse, mentre questa si chiedeva – distrattamente – cosa avesse fatto di male nella vita per meritarsi prima Potter, Weasley, poi Malfoy e infine Zabini. Passati, presenti e futuri.
“Perché quando succede qualcosa sei sempre in prima linea? Hai una calamita per attirare guai o semplicemente a te piacciono i guai?” sibilò con voce acre, venendo ignorata platealmente da Dalton, che cominciò a sorseggiare il suo tè salutando allegramente Piton e Silente.
“E secondo lei se non sapessi chi è stato a darmi quella pozione, sarei qui invece che ballare sulla sua tomba?” disse, sarcastico, afferrando l’ennesimo biscotto.
“L’effetto finirà a mezzanotte, Zabini… cerca di non combinare disastri, ti prego” borbottò la preside e proprio come a voler mandare al diavolo le sue parole, Dalton sparì in una nuvola di zolfo.
Beh, almeno c’era una cosa positiva in tutto quello: era stato esonerato dalle lezioni e i professori erano stati avvertiti che potesse comparire da un momento all’altro per fare psicanalisi a qualcuno.
No, pensò però Dalton quando comparve nel bagno di Mirtilla Malcontenta.
Tutto, ma questo no, continuò mentalmente, mentre Tom e Joe si giravano furiosamente verso di lui.
Lei aveva i capelli scomposti e le occhiaie pesanti e lui la bocca stesa in una linea sottile e i pugni chiusi.
Joe gemette, sarcastica e alzò le mani al cielo “Ci mancavi solo tu” urlò, facendosi guardare indignata dal ragazzo di colore.
“Che succede?” domandò, mentre avrebbe solamente voluto mandarli al diavolo oppure buttarsi dalla Torre di Astronomia.
“Non sono affari tuoi!” urlò la ragazza e la bocca di Dalton subì un tic nervoso e se – normalmente – l’avrebbe sbattuta al muro, in quel momento si limitò a far cadere le braccia lungo i fianchi e guardarla con un misto di sfida e comprensione.
“Cos’è che non va?” ridomandò e Tom alzò gli occhi al cielo, poggiandosi con i fianchi contro uno dei lavabi a pochi metri dall’entrata.
Nessuno dei due sembrava voler rispondere.
Ammazzatevi, pensò Dalton, sorridendo tutto zuccheroso, ma con un retrogusto velenoso che – molto probabilmente – se ne avesse avuto il potere, loro sarebbero già morti e andati.
“Se voi non parlate e io non risolvo, non me ne posso andare, santissimo Merlino vergine!” sbraitò, perdendo definitivamente la pazienza ed esultando mentalmente per aver potuto – almeno – dar voce ad uno dei suoi pensieri.
“Cazzo” sbottò Joe, scivolando contro la porta di uno dei cinque cubicoli sulla destra e sedendosi sul pavimento gelido.
Dalton si accese una sigaretta e cercò di non farsi prendere dal nervoso: già odiava tutta quella situazione, ci si mettevano pure quei due con i loro problemi di coppia – e qui rabbrividì dal disgusto – e alla fine di tutto quello, avrebbe preferito del cianuro in quel caffè.
“Tom… mi ha dato un anello della promessa” bisbigliò Joe e Dalton sbiancò: il suo bellissimo colorito caffè latte, assunse una sfumatura prima verdastra, poi rossa come un peperone e infine di un bianco assolutamente superbo.
Oh merda, l’anello! Pensò, sbattendo ripetutamente le ciglia e impedendo alle sue mani d’infilarsi nei capelli.
Aveva. Dimenticato. L’anello.
Merda.
“Oh, capisco. E qual è il problema?” domandò, quando aveva tutta la voglia del mondo di strapparsi ciocche seriche della sua meravigliosa capigliatura e vomitare stile esorcista.
“È troppo presto! Non stiamo insieme da nemmeno un mese e già mi regala un anello della promessa?” sbottò Joe, alterandosi nuovamente.
Tom sogghignò, amaro e scosse il capo.
Ti sposerò, donna, sappi che ti sposerò! Pensò con gli occhi scintillanti, tossendo ripetutamente per riacquistare il controllo.
“E a te non va bene?” domandò Dalton, rovesciando il capo verso Tom e ciccando sul pavimento, tanto non puliva lui.
Tom fece spallucce “Quando si ama una persona, non conta il tempo” spiegò e qui Dalton si trattenne da ficcarsi due dita in gola e vomitare la pozione che gli avevano propinato quella mattina.
“Ma è anche vero che, quando si ama, si deve rispettare l’altra persona; se Joe non è pronta, aspetta un altro po’…” cercò di dissuaderlo Dalton, con voce sensuale e occhioni da cerbiatto annessi.
Tom lo guardò seccato.
“No”
E vaffanculo!
“E che vuoi fare, eh? Ficcarle quel maledetto anello con forza al dito?” sbottò Dalton, facendo un tiro così profondo alla sigaretta che questa finì e gli bruciò pure le dita.
“Se lei non vuole l’anello, non vuole nemmeno me… e di conseguenza, la nostra storia può anche finire qui” e dicendo questo, Tom diede le spalle a tutti e uscì dal bagno con il mento ritto.
Momento, momento, momento… sbagliava o Tom aveva appena lasciato Joe?
Dalton sghignazzò perfido, strofinandosi le mani con l’aria più zuccherosa sulla faccia della terra.
Lo amava! Amava quell’uomo più di se stesso!
Sì, ok, stava esagerando, ma era il sogno di una vita!
“Piccola, stai bene?” domandò, sedendosi al suo fianco e guardandola con gli occhi socchiusi.
Joe strinse la bocca in una linea sottile e lo fulminò con uno sguardo.
“Ci mancavi solo tu!” sibilò, alzandosi di scatto e pulendosi la gonna della divisa con gesti seccati.
Dalton si limitò a fissarle quel sedere da novanta, avendo ampia visione dal basso e ignorò completamente il suo tono acido.
“Non prendertela con me se Tom ti ha mollata, bimba” soffiò, soddisfatto e Joe gli mollò un calcio nella tibia, facendolo ululare dal dolore.
“Maledetta Grifondoro, che tu possa avere il ciclo per il resto dei tuoi giorni!” le urlò dietro, mentre questa gli mostrava il dito medio.
“Schiatta, Zabini” rispose, dandogli le spalle e sculettando in modo superbo.
La sposava, diavolo se la sposava!
“Dopo di te, bambola”
“Ho il ciclo”
“Ancora meglio”
“Sei un porco!” e dopo quell’ultimo complimento, Joe uscì dal bagno, sbattendosi la porta alle spalle.
“E per la cronaca, accetterò quell’anello” disse, riaprendo solo uno spiraglio e sparendo dalla sua vista dopo quella confessione.
Ma porca putt…
Puff! Non finì nemmeno di finire la frase – il pensiero – il suicidio, che si ritrovò davanti Albus Potter seduto sul suo letto, nella sua stanza, nel suo dormitorio. A Grifondoro.
E ma vaffanculo!
“Ci mancava solo questa” mugugnò Dalton, crollando seduto sul letto di Potter e chiedendosi perché quella mattina non si era fatto i fatti suoi.
Tanto lo stesso quella maledetta accettava quell’anello! Un anello! Andiamo!
“Cos’è che significa l’anello della promessa?” domandò, prima di fare l’ennesima seduta di psicologo Hogwartsiano.
Albus aggrottò le sopracciglia, pensoso.
“Di solito si regala ad un amico o alla propria fidanzata… con la promessa di non lasciarsi mai” spiegò, mentre Dalton batteva ripetutamente la testa contro uno dei quattro bastoni di legno che tenevano in bilico le tende del letto.
“Dimmi cos’è che ti affligge, Potter, prima che mi uccida e tu non possa risolvere i tuoi drammi esistenziali” piagnucolò, teatrale, mentre Albus si sdraiava sul letto e poggiava le mani sullo stomaco.
Sospirò.
“Nott. Mi piace Nott” disse e Dalton aggrottò le sopracciglia.
“Ah, beh… non credo che i suoi gusti sessuali vertano verso il cono gelato” soppesò, anche se non sarebbe stato male avere Tom fuori dai piedi perché gay.
“È lesbica?” sbottò Albus, alzandosi di scatto e guardandolo con tanto d’occhi.
“Lesbica? Oddio, non sapevo che al posto del frutto proibito avesse la patatina…” borbottò Dalton, sbattendo ripetutamente le ciglia scure, sorpreso.
“Per amor del cielo, ma di chi stiamo parlando?” disse Albus, visto che immaginarsi Chrysantha con quello tra le gambe lo aveva messo K.O.
“Tom, no?” cinguettò Dalton, ovvio, beccandosi uno scappellotto così pesante che lo fece urlare i comandamenti al contrario.
“Parlavo di sua sorella, idiota! Sua sorella!” sbraitò Al e Dalton ridacchiò, immaginandosi una relazione omosessuale tra Tom e Albus, tutti e due così sfigati da fare paura.
“Comunque” si riprese Al, prendendo un sospiro profondo e sdraiandosi nuovamente “Mi piace Chrysantha e lei mi ha detto anche che trova i ragazzi timidi sexy” borbottò, ricordando quando si era avvicinata così tanto da mandargli in pappa il cervello.
Dalton fece spallucce.
“A Chrys piace essere l’uomo della relazione, tutto qua. Le piacciono le cose dolci, tutte zuccherose, che magari si concludono con tu che le regali un mazzo di fiori e lei che ti salta al collo pronta a fare sesso sfrenato.
Le piace avere gli uomini in pugno e tu – caro il mio Potterino – sei una femminuccia” disse, puntandogli un dito contro e facendosi guardare indignato.
Albus storse la bocca.
“Femminuccia a chi, eh?” sbottò, alzandosi di scatto con le mani sui fianchi.
“A te” rispose Dalton tranquillamente, strafregandosene della sua aria combattiva.
“Comunque, sei nella sua lista… più sei femminuccia, più le piaci, quindi per metà è già tua” continuò, facendo spallucce.
Albus non poté nemmeno controbattere perché Dalton era già sparito.
E dov’era apparso?
Nella doccia di una Tassorosso.
“OHMIODIO!” urlò la ragazza, rigorosamente Mezzosangue, coprendosi le parti intime più che poteva.
Dalton non provò nemmeno a coprirsi gli occhi – andiamo, era o non era uno psicologo? – e sorrise a centocinquanta denti.
“Perché piangevi nella doccia? È la cosa più deprimente che esista” disse e Amy lasciò cadere le braccia, sospirando afflitta.
Hm, la giornata andava a migliorare.
“Perché nessuno mi vuole” gemette la ragazza, senza nemmeno preoccuparsi del fatto che un tizio era appena apparso nella sua doccia, mentre lei piangeva disperata tutta nuda.
Bah, meglio per lui.
“Ma come… sei così bella” cinguettò Dalton, che dentro quella cazzo di doccia si stava lavando pure lui.
Gli occhi castani di Amy si illuminarono.
“Lo pensi davvero?” disse, mentre un sorriso nasceva sulla sua bocca carnosa.
Il lavoro è lavoro, però che cacchio… gliel’avevano messa nuda davanti agli occhi!
“Ma certo. Sei uno schianto, bimba!” disse, ammiccando sensualmente.
Amy gli buttò le braccia al collo e qualcosa nelle parti basse di Dalton si alzò, irrimediabilmente. Maledetta Smith che lo mandava in bianco e maledetta Tassorosso che si faceva trovare nuda e gli si strusciava contro!
E proprio mentre cominciava a pensare che una palpatina non avrebbe fatto male a nessuno, il solito puff lo materializzò lontano da lì.
E ma va beh, era una congiura, cazzo!

 
Ore 13.00, quando mangiare è un optional
 
Cibo, cibo, cibo, cibo!
Ecco, per chi non avesse capito: C.I.B.O.
Dopo mezza giornata passata a fare psicoanalisi a tutta Hogwarts, lo stomaco di Dalton bestemmiava in Aramaico.
Appena riuscì a scollarsi di dosso un Corvonero depresso per alcuni esami andati male, Zabini si sedette a Serpeverde e – al diavolo la dieta e il fisicaccio da macho – si servì due piatti stracolmi di pietanze; non si lasciò sfuggire nulla, dalle costolette al pasticcio di carne.
“Che schifo” disse Chrys, vedendolo strafocarsi con una foga che – su di lui – faceva alquanto paura.
“Tu pensa a Potter, Nott” sibilò sarcastico, facendola arrossire dalla punta delle scarpe a quella dei capelli.
“E tu che ne sai di Potter, Zabini?” sbottò sotto voce, afferrandolo per la cravatta verde-argento e avvicinandolo pericolosamente a sé.
Dalton inghiottì il pomodoro intero che si era ficcato in bocca senza nemmeno masticare e sorrise angelico.
“Oggi gli ho fatto visita, era depresso perché voleva entrare nelle tue mutande ma non si sentiva all’altezza” spiegò in poche parole e Chrysantha sospirò, deliziata.
“Non è dolce?” domandò, con gli occhi scintillanti.
“Quanto un palo ficcato su per il cu…” Lily interruppe la sua frase sul più bello, dandogli uno di quei scappellotti tipici di suo fratello.
Morisse tutta la famiglia Potter, pensò, sibilando una bestemmia tra i denti.
“Penso che sta per arrivare una chiamata” disse Scorpius, tutto tranquillo e nemmeno il tempo di dirlo che puff!
‘Fanculo pure il pranzo!
Dalton odiava la sua vita, profondamente, ora più che mai.
“Ditemi cos’è che vi disturba” disse mogio, afferrando una coscetta di pollo dal piatto del Corvonero che stava per avere una crisi d’ansia proprio in quel momento.
Il ragazzo – Adam Sturt – alzò gli occhi assassini dal libro di Pozioni, fissandolo come se volesse ammazzarlo in quell’esatto momento.
“Fatti i fatti tuoi, Zabini” sbottò, acre, mentre Dalton affondava la forchetta in un piatto di carote e se le infilava tutte in bocca.
“Che problemi hai, Sturt? Cosa credi, che a me piaccia sentire i tuoi problemi? Onestamente me ne strabatto le palle, ma mi tocca seguirti fin quando non mi spieghi cos’è che ti affligge e io, se ci riesco, a risolvertelo” borbottò, assaggiando il purè di patate tutto godurioso.
Adam assottigliò gli occhi.
“Non ho studiato e tra poco abbiamo un compito importantissimo di pozioni – come voi viscidissime serpi – e questo mi abbasserà la media!” sbottò rosso per lo sforzo.
Che esagerato, pensò Dalton, prendendo un pezzo della crostata di lamponi, la sua preferita.
“E tutto questo sbatto per un esame? Ma dai, Sturt, studi Pozioni come un mulo e conosci il libro a memoria, non credo che avrai qualche problema, ora” borbottò Dalton, che tutta quell’ansia per lo studio non l’aveva mai capita.
Lui studiava quando ce n’era bisogno, ma si applicava nemmeno più del dovuto: la vita non era mica tutto studio ed esami, diavolo! Un po’ d’aria non guastava mai.
“Tu non capisci” s’impuntò quello, facendogli salire il solito nervoso del pomeriggio.
E certo, lui non capiva! Ma che ne sapeva lui, di quello che capiva o no?
Bah.
“Fidati di me, se continui di questo passo, l’unica cosa femminile che vedrà il tuo amico nelle parti basse, saranno un paio di boxer con le immagini in movimento di Morgana” sibilò a bassa voce, mentre Adam si allontanava di poco, stringendo le labbra.
“Tu dici?” mormorò, rilassandosi un poco e abbassando lo sguardo.
“Sì, e tagliati questi capelli, per tutti i perizoma leopardati della Mcgranitt! Il taglio a scodella si portava negli anni ’20” disse Dalton, afferrando una fragola e mangiucchiandola con gusto.
Adam afferrò una penna dalla propria borsa e scrisse sul quaderno degli appunti.
“E i pantaloni della divisa, cocco, si mettono sotto l’ombelico… non sopra” continuò, mentre Sturt continuava a scrivere tutto concentrato.
Dalton lo guardò e fece una smorfia “La crema magica Pure è perfetta contro l’acne giovanile” borbottò, grattandosi il mento con aria pensosa.
“E cambia montatura d’occhiali, sembri Harry Potter in versione elfo abbruttito” continuò e Adam annotò tutto, annuendo compito e sorridendogli per ringraziarlo.
“Sìsì, grazie Dalton, non finirò mai di ringraziarti. Sei la mia salvezza, ti devo la vita e blabla” disse il ragazzo di colore, prima di sparire con un puff e ritornare al suo tavolo.
Che uscita di scena, ragazzi, che uscita di scena! Pensò fiero di sé, sbadigliando vistosamente per quello che era riuscito a mangiare in quel quarto d’ora.
“Ha messo l’anello” e Tom si sedette tutto fiero al fianco di Scorpius, senza sapere di aver rischiato di ricevere una forchetta in piena fronte.
“Ha messo l’anello?” inorridì Scorpius, mentre Dalton si tratteneva dallo sbattere la fronte sul tavolo.
“Ha messo l’anello” confermò Tom, sorridendo tutto sfavillante.
“Ha messo l’anello” piagnucolò Dalton, afferrando un pezzo di torta al cioccolato per il calo di zuccheri improvviso.
“Già, per chi non ha capito… JOE HA MESSO L’ANELLO!” urlò Chrysantha, facendo quasi strozzare Joe al tavolo dei Grifondoro e sbattere la testa contro il ripiano di legno a Dalton.
Tom continuava a sorridere.
Ma dai, ma perché doveva regalarle un anello della promessa? Cosa c’era di così eccitante? Non avevano nemmeno fatto ancora sesso!
Oh santissimo Merlino, pensò Dalton, alzando lentamente la faccia dal tavolo e guardando Joe come un indemoniato.
Non avevano fatto sesso, vero?
Vero?
Vero?
Non l’avrebbe mai saputo, perché l’ennesima chiamata lo portò lontano dalla Sala Grande.


 
Ore 17.30, quando non puoi far altro che piangere


Conoscete la sensazione che vi attanaglia lo stomaco quando qualcosa di brutto sta per succedere? Esatto, quei tipici attacchi di panico che ti stringono il cuore in una morsa e te lo stropicciano tutto per la paura.
Fu quello che provò Lily quando varcò la soglia della presidenza insieme ad Albus.
Mano a mano con il fratello, quella stanza sembrò rimpicciolire fino a farle mancare il respiro; il volto di suo padre – pallido e stanco – non aiutò quella sensazione a sparire… anzi, in un attimo crebbe a dismisura, fino a farle girare la testa e temere un mancamento.
Lily strinse i pugni e rantolò senza fiato, fissando il genitore con occhi sgranati.
“Ragazzi, sedetevi” mormorò la Mcgranitt, facendo apparire con un gesto distratto della mano due poltroncine di puff e invitandoli con un cenno ad accomodarsi. Nessuno dei due si mosse dall’uscio della porta.
Lily lasciò la presa sulla mano di suo fratello Al e indietreggiò di un passo, massaggiandosi ripetutamente il petto. Il cuore batteva così forte contro la cassa toracica da procurarle un dolore assurdo e non riusciva a capire perché.
Perché?
“Papà… papà, cos’è successo?” sussurrò Albus, ancorando gli occhi verdi in quelli simili del padre, che distolse immediatamente lo sguardo e socchiuse lo sguardo. Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si passò una mano sul viso.
Aveva delle occhiaie profonde e i vestiti stropicciati – i capelli sconvolti – come se non avesse dormito. Come se fosse stanco.
E, Lily – di colpo – sentì tutta quella stanchezza riversarsi su di lei, quasi piegandola in ginocchio. Piegandola e basta.
Conoscete quella sensazione di volervi trovare dappertutto tranne che lì, in quel preciso istante… in una precisa situazione? Dalton non poté impedì al suo corpo di materializzarsi dallo spiazzato di Hogwarts all’ufficio della preside, grazie alla richiesta d’aiuto che – mentalmente – stava urlando Lily.
La Mcgranitt tossì e sibilò indispettita quando la solita nuvola di zolfo lo accompagno nella comparsa, mentre Harry aggrottava le sopracciglia scure e lo fissava sbigottito.
“Che cazz…” cominciò, bloccandosi subito all’occhiata velenosa della preside, che lo colpì sulla testa con il suo bastone da passeggio.
“Modera il linguaggio, Potter; comunque, il signor Zabini è sotto effetto di una pozione che sparirà entro la mezzanotte. Dove c’è un problema, compare lui per risolverlo” spiegò – senza non sbuffare – la Mcganitt, mentre Dalton faceva ciao ciao con la manina.
“Mi dite che diavolo succede?” urlò Albus, perdendo definitivamente la pazienza e stringendo i pugni con forza, facendo sobbalzare i presenti tranne sua sorella Lily, che rimase immobile contro la porta.
Harry si scompigliò furiosamente i capelli e posò – disperato – gli occhi sui suoi bambini. Non sarebbe mai cambiato quello, mai: James, Albus e Lily sarebbero rimasti per sempre i suoi bellissimi bambini e lui li avrebbe protetti a costo della propria vita.
Dal mondo, i Mangiamorte, il dolore e… anche da loro stessi. Sempre.
“Questa notte la Tana è stata attaccata. Un gruppo di Mangiamorte ha fatto irruzione a casa e nonno Arthur era di turno.
Non sappiamo cosa volevano, ma Molly si è fatta valere prima di… prima che venisse uccisa”
L’ultima frase fu un sussurro che si perse nella stanza e Silente e Piton – nel ritratto sul capo della Mcgranitt – abbassarono il capo, quasi sconfitti; Dalton socchiuse gli occhi e Lily sentì la testa girare così forte che ebbe il bisogno di aggrapparsi allo stipite della porta per non cadere.
Albus lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, incredulo, mentre gli echi di quelle parole sembravano rimbalzare sulle pareti, nelle loro teste… nei loro cuori.
Conoscete la strana sensazione di vuoto che si prova quando, dopo aver pianto, ti senti estirpato da tutto, ogni cosa, persino dalle emozioni? Lily, in quell’esatto momento – senza aver bisogno di piangere o altro – si sentì così.
Il cuore sembrò chiudersi in una staticità straziante e lo stomaco crollò in caduta libera. Non sentiva nulla, né i muscoli facciali né i pensieri della sua testa. Niente di niente, era vuota.
Era sola. E piegata.
Albus s’infilò una mano nei capelli e nascose il viso nel braccio, piegandosi su se stesso; quasi si attorcigliò, come se in quella posizione innaturale avesse potuto proteggersi o rimanere il petto integro… ma sentì chiaramente lo schianto del suo cuore, che si sfracellò completamente, andando in mille pezzi.
“Al” sospirò Harry, alzandosi e abbracciandolo di slancio, stringendoselo dolcemente al petto come quando era bambino e non smetteva di piangere.
Albus sprofondò il viso nella sua spalla e irruppe in un singhiozzo liberatorio, lo stesso che Lily inghiottì, insieme alle lacrime, insieme al dolore.
“Lils…” bisbigliò suo padre, ma era troppo tardi: lei aveva già dato le spalle a tutti ed era corsa via, con i capelli che le frustavano il viso e le gambe molli, pronte a crollare da un momento all’altro.
Pronte a non reggerla, come lei non aveva retto il dolore.
E corse, fino a farsi mancare il fiato e non vedere nient’altro che i muri sfrecciarle accanto, i quadri urlarle dietro; corse fino a non sentire i piedi, ma sforzandosi fino a farsi male.
Fino a sentirli urlare.
Arrivò su, nella Torre di Astronomia, senza nemmeno accorgersene. L’aula era vuota, tranne per una persona poggiata contro il cornicione di pietra scura.
Scorpius rovesciò il capo verso di lei, stropicciando la lettera che gli aveva inviato Rose – la cugina di Lily – informandolo che erano stati convocati tutti alla Tana… e che sua cugina, sicuramente, non sarebbe stata in forma.
La guardò crollare in ginocchio e portarsi le mani al volto, impotente.
“L’hanno uccisa, l’hanno uccisa!” gemette, graffiandosi il viso e urlando con quanto fiato avesse in gola.
L’avevano uccisa.
Scorpius la raggiunse e s’inginocchiò di fronte a lei, togliendole le mani dal volto e guardandola con gli occhi grigi tristi, pesanti. Lily lo guardò disperata, ma non sopraggiunse Dalton, no.
C’era un problema, ma c’era anche qualcuno pronto a risolverlo… pronto a lenire il dolore, magari strapparglielo dal petto e farlo suo.
“Terzo giorno alla conquista di Lily Potter:
Mi hanno detto che per rendermi conto di essere innamorato veramente di una donna, devo prima vederla piangere… e quando l’hai fatto mi si è spezzato il cuore. Non ho bisogno che tu pianga, per rendermene conto: il tuo sorriso parla da sé.
Non piangere, Lily, ci sono io con te.
Quando avrai bisogno di me, ci sono io con te.
Sempre e comunque” bisbigliò e lei gemette ancora, buttandogli le braccia al collo e scoppiando in un pianto liberatorio.
Gli morse la spalla coperta dalla divisa, gli strappò una ciocca di capelli, ma Scorpius non fiatò.
La sentì piangere, sfogarsi, maledire tutto e tutti. Lo abbracciò fino a fargli mancare il fiato, fino ad inzuppargli il maglione. Ma non fiatò.
“Portami alla Tana”
E anche quando gli fece quella richiesta, la prese tra le braccia e la portò in presidenza, dove trovò solo la Mcgranitt pronta con la polvere volante, entrando insieme a lei in quel camino senza fiatare.
Perché funzionava così, no?

 
 
Ore 20.00, rendersi conto di essere la seconda scelta
 
Aveva accettato l’anello.
Joe aveva accettato l’anello.
Conoscete la sensazione di essere… beh, per la prima volta in vita vostra, di essere la seconda scelta?
Beh, non era una bella cosa.
Dalton si accese la sua tanto sospirata canna dopo una giornata letteralmente di merda e tirò fino a sentire il fiato mancare.
Joe aveva accettato l’anello.
Appoggiò la testa contro la porta di uno dei cubicoli del bagno di Mirtilla, che sembrava diventato la sua seconda casa e sorrise amaro, mentre la sua solita baldanza spariva; era strano come quella cosa tra loro lo mandasse giù.
Cosa tra loro. Oramai non sapeva nemmeno catalogare più quello che li unisse.
E in fondo un po’ faceva male.
Vederla entrare con il volto sempre più pallido, inginocchiarsi dinnanzi a lui e guardarlo con la bocca piegata verso il basso, in fondo faceva un po’ male.
La divisa le si attaccava addosso con troppa perfezione e continuava a fare male.
“Sceglieresti sempre lui, vero?” mormorò Dalton, guardandola con gli occhi azzurri tristi, bassi.
Joe inghiottì a vuoto e si guardò la fascetta d’argento che le circondava l’anulare sinistro. C’era un piccolo cuore inciso sul bordo e brillava alla luce delle torce quasi con enfasi, come a volerle ricordare che era lì.
Come una condanna, non una promessa.
“Sì”
Dalton sorrise, facendo l’ennesimo tiro dalla canna.
Sì.
Chissà perché non aveva mai sospettato una risposta diversa, nemmeno quando lei gli aveva concesso la sua prima volta. E chissà perché ancora non si affrettava a lasciarla e dare campo libero sia a Tom che lei.
“Ci hai fatto sesso?” mormorò, inclinando il capo e continuando a tenere le labbra tese. Il cuore di pietra. La voglia di prenderla e strangolarla… oppure, magari, amarla.
“No” bisbigliò Joe, intrecciando le dita alle sue e abbassando lo sguardo.
Dalton socchiuse gli occhi, stringendo la presa fino a farle male. Farsi male.
Lei poggiò la testa sulle sue gambe e Dalton guardò fisso davanti a sé, per non concentrarsi su quell’anello, sulla sua risposta. Sul suo cuore.
Sceglieresti sempre lui, vero?
Sì.

Il piano era fallito miseramente.

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Capitolo 13
*** Capitolo dodicesimo - I need you ***


Capitolo dodicesimo –
I need you
 
 
L’essere divisa tra due uomini non era romantico come veniva descritto nei romanzi rosa o decantato dalle madri, nonne e donne della famiglia; Joe non ci trovava nulla di sentimentale nello sgattaiolare nel suo dormitorio, alle quattro di mattina, dopo aver passato la notte con un uomo e poi – di giorno – baciare e amare qualcun altro. Essere di qualcun altro.
I corridoi bui e vuoti, l’odio per se stessa che le corrodeva le vene, i singhiozzi mandati giù insieme alla bile… non c’era nulla di idilliaco e dolce in tutto quello; ora aveva l’anello di Tom che le faceva mancare il fiato – che riusciva a farla sentire in colpa – e gli occhi di Dalton che la fissavano sempre più cupi… in un modo che le mandava in tilt il cuore, il cervello.
Ora aveva quella fascetta al dito che le ricordava costantemente che era sbagliata, che c’era qualcosa che non andava in lei… perché ora aveva tutto ciò che desiderava e stava inciampando in se stessa, combinando disastri uno dopo l’altro. E mentre graffiava la schiena di Dalton, quasi poteva sentire Tom accusarla, respingerla e lasciarla sola, e sapeva che Zabini avrebbe fatto lo stesso una volta che la sfida avrebbe perso consistenza e gusto.
E Joe aveva paura. Paura di perdere quegli occhi azzurri, quella pelle color moka, quella bocca che le regalava solo gioia e quel corpo che non faceva altro che amarla; ma fino a che punto? Fino a che punto avrebbe rischiato Dalton? Fino a che punto avrebbe resistito al suo fianco?
Le sue gelosie, la sua insicurezza… non poteva amarla. Dalton non avrebbe saputo amarla. E lei aveva paura.
Ora era tutto concreto – ogni cosa aveva preso forma, consistenza – e lei non poteva perdere. Non voleva perderlo. Perché oramai le era entrato dentro… e Joe non riusciva più a scacciarlo.
“A che pensi?”
A te.
Rovesciò di poco il capo verso di lui, che le stava sciogliendo le trecce con mani abili e un sorrisetto divertito sulla bocca carnosa.
“Che questa notte non c’è la luna” bisbigliò Joe, lasciando che lui affondasse le dita nella sua chioma.
Erano seduti sulla moquette rossa sul pavimento nella Stanza delle Necessità e Dalton la stringeva di spalle, soffiando sul suo collo e baciandole di tanto in tanto le spalle nude.
Il cuore nudo.
“Non c’è bisogno della luna, Joe” mormorò Dalton in risposta, afferrando pensieroso il ciondolo che gli pendeva dal collo arcuato.
“Perché no?” domandò, mettendosi a carponi e fissandolo sorpresa, con gli occhi scuri socchiusi. Con la pelle bollente. Il respiro corto.
E lui a pochi centimetri dal suo volto.
“I tuoi occhi” sussurrò Dalton, sfiorandole il naso con il proprio e sbottonandole la camicia della divisa con lentezza, accarezzandole prima il collo, poi le spalle e la valle dei seni.
E poi anche il cuore. In special modo il cuore.
“Cos’hanno i miei occhi?” mormorò Joe, sentendo il cuore accelerare – il respiro bloccarsi – il mondo smettere di girare.
“Sono più belli della luna” sussurrò, baciandole la guancia, il collo e le spalle: le sue mani grande si strinsero sui fianchi e – alzandola di peso e strappandole un risolino sorpreso – Dalton se la caricò a cavalcioni.
E lo sentì pienamente, completamente contro di sé; lui le ravviò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sospirò sulle sue labbra, ammaliato – abbagliato – dai suoi occhi socchiusi.
Che lo fissavano. Che lo amavano.
“Joe…” la richiamò, facendo scivolare la camicia dalle sue braccia con lentezza, passando le dita sulla pelle serica della schiena arcuata e il reggiseno di cotone bianco sempre più casto.
Semplice come lo aveva visto la prima volta, insicuro come lo era lei, fatto apposta per coprirla, per nasconderla. Per renderla unica, pudica, anche se non lo era affatto.
“Dimmi” sospirò lei, accarezzandogli le labbra con le proprie e buttandogli le braccia al collo per stringerlo meglio. Di più. Fino a sentirsi male e fargli male.
“Ho bisogno di te”
E tremò, guardando la magnificenza del suo sguardo perso e voluttuoso, che prometteva mille cose, mille traguardi e mille piaceri… mantenendo sempre la promessa.
Merlino, se lo amava.
Joe passò l’indice sulla sua bocca, sorridendo appena quando lui lo morse dolcemente.
Accarezzato dal riverbero del fuoco, con una sicurezza che Joe si aspettava perfettamente da lui, Dalton si sfilò la catenina d’oro giallo che portava al collo e gliela porse con naturalezza, come se le stesse consegnando qualcosa di suo e che lui aveva conservato fino a quel momento.
Era un ancora grande quanto il pugno di un bambino e Joe capì.
Capì che era arrivato il momento, che non c’era più via d’uscita, che doveva scegliere. Era davanti ad un bivio e non sapeva uscirne.
“Io sceglierei sempre te… ma se non è la stessa cosa per te, io non so’ che farmene, Joe.
Non so che farmene di questo”
E fu la fine, per entrambi.
 
In una campagna dall’erba alta e verde e gli alberi forti e secolari, invece, una famiglia tanto antica quanto numerosa si stava riunendo in una di quelle che – negli anni, nei secoli – era diventata una vera e propria fortezza.
Il castello di una famiglia che non aveva né sfarzo né oro, ma amore… così tanto da poterne vendere.
E lei era morta.
Lily Luna aveva varcato per ultima la soglia della Tana, aggrappata al braccio di Scorpius Malfoy come se fosse l’unico appiglio. L’unica speranza e questo nemmeno si sorprese quando vide suo padre accanto ad Harry Potter, che aveva il capo basso.
“Sei venuta”
Rose l’abbracciò di slancio, staccandola di poco da Scorpius per stringersela contro con le lacrime agli occhi. Aveva due occhiaie spaventose e inghiottiva i singhiozzi, come Fred II, che seduto accanto al padre fissava senza espressione di sorta il muro davanti a sé.
Il piccolo Fred, che era sempre stato così legato a sua nonna… e Molly, che stringeva Roxanne in un abbraccio convulso; Louise teneva la mano a Dominique, che le mandò un bacio con la punta delle dita e suo fratello James strinse lei e Rose in un piccolo abbraccio di gruppo, baciandole entrambe tra i capelli.
“Mi dispiace così tanto” mormorò Lily, stringendo la mano a suo fratello e fissandolo disperata, come se fosse colpa sua. Come se lei stesse avesse puntato la bacchetta alla tempia di sua nonna e avesse pronunciato quell’incantesimo.
Perché era così. Li aveva fatto arrabbiare così tanto che avevano preso i più deboli, quelli che sarebbero crollati con più facilità… per farle capire chi era il più forte.
Il meno sentimentale.
“Non è colpa tua” sussurrò James, prendendole il viso tra le mani e fissandola determinato, come se le avesse letto nel pensiero.
Lily gemette e non notò nemmeno Scorpius raggiungere suo padre ed Hermione, che stringeva Hugo tra le braccia con gli occhi lucidi.
E Lily sentiva che qualcuno la stava chiamando: qualcuno che provava un dolore lancinante e aveva bisogno di condividerlo con la sua anima gemella… con la parte della mela che era stata staccata da lui al momento del parto.
Il suo piccolo e dolce gemello alzò gli occhi verdi su di lei e abbassò il capo, lasciando che alcune ciocche nere le coprissero il volto pallido: tese una mano verso di lei in una muta richiesta d’aiuto, seduto accanto ad un Teddy silenzioso e cupo come non mai.
“Va tutto bene, Al” mormorò Lily, sedendogli in grembo e buttandogli le braccia al collo.
Albus la strinse con così tanta forza da farle mancare il respiro, stringendo le mani dietro la scuola e cercando di soffocare i singhiozzi contro il maglione della sua divisa… senza successo.
I suoi singulti rimbombarono tra le mura e resero reale ogni cosa, anche il dolore allucinante che li stava stringendo tra di loro, come se volessero proteggersi.
Come se avessero bisogno di proteggersi.
“Dov’è nonno Arthur?” domandò Molly, timorosa, mentre i ragazzi – a quel sussurro – alzavano gli occhi sugli adulti e li fissavano sospettosi, feriti.
Hermione continuò a cullare Hugo come un bambino e Ron alzò gli occhi su di lei, rossi e gonfi.
“Ragazzi, il nonno è stanco e aveva bisogno di passare del tempo da solo” mormorò in risposta, mentre il suo ex marito la raggiungeva, con il capo basso e le guance ancora umide.
Hermione sospirò.
“Non dovrebbe stare solo dopo quello che è successo! Potrebbe fare qualche pazzia!” saltò su Lucy, con le unghia mangiucchiate e chiazze rosse a macchiargli le guance piene.
Ron appoggiò il capo nell’incavo del suo collo e la donna osservò il suo migliore amico alla sua sinistra, che s’infilò – disperato – le mani nei capelli neri già disastrati. Ginny era seduta accanto a suo fratello George gelida come una statua di sale.
“Tesoro, nonno Arthur ha settant’anni passati, sa’ cosa fa” disse Hermione, dolcemente e Hugo si staccò da lei, dando più spazio a suo padre e tirando su con il naso – come se volesse darsi forza – o come se volesse dimostrare che oramai era adulto.
Peccato che per il dolore non ci fosse età né sesso né religione o tant’altro.
Il dolore era dolore e faceva male. Merlino, se faceva male.
Ted alzò gli occhi su Scorpius, fissandolo come se in realtà non lo vedesse, ma il Serpeverde lesse perfettamente quello che c’era nascosto in quelle iridi brune.
“È il tuo ragazzo, Lils?” mormorò a bassa voce, attirando l’attenzione su di lui.
Scorpius lo fissò dall’alto, stringendo la bocca sottile in una linea dura: Ted Lupin aveva appena stretto la mano di Lily tra le sue e – mentre fissava lo sguardo nel suo – giocava con le sue dita.
“Sì”
Oh santissimo Merlino, pensò Scorpius, sgranando gli occhi sorpreso.
Harry Potter cadde dalla sedia, cadendo dritto dritto ai piedi di Draco Malfoy, che aveva aperto la bocca in una perfetta o.
“Non è il momento, Potter, alzati e ‘sta zitto” sibilò Hermione, aiutando il suo migliore amico ad alzarsi e – nello stesso momento – mollò un calcio nella tibia di Draco.
“Ti sei messa con Malfoy e non mi hai detto niente?” borbottò Albus, imbronciandosi e beccandosi un occhiata raggelante da parte di sua sorella.
“Non è il momento” ribadì Dominique, volteggiando nella sua gonnella azzurra e inginocchiandosi ai piedi di Lily, che le accarezzò il volto.
Dom indossava ancora la divisa di Beauxbatons, dove – tramite camino – aveva ricevuto la lettera dai genitori e si era precipitata direttamente alla Tana, con il piccolo Louise.
“Mi sei mancata tanto, cherìe” sussurrò, baciandole l’interno del polso con dolcezza, dove pulsava la vena. Dove, a otto anni, avevano infilato un ago sottile per sottrarre ad entrambe due gocce di sangue.
Quel sangue che aveva sancito il patto di sorellanza.
“Anche tu, Dom”
Aveva delle ciocche rosa shocking tra i capelli biondi e ondulati e i suoi occhi azzurri erano abbondantemente truccati di nero. Ed era bella.
“Io non sono mancato a nessuno?” mugugnò Ted, con il broncio e Lily sorrise – con gli occhi gonfi, il trucco sciolto – poggiando la bocca sulla sua guancia e facendo incazzare Scorpius come una biscia.
Lupin della malora, pensò, trattenendosi dal fargli la linguaccia come un bambino di due anni.
Ted sogghignò nella sua direzione e Draco assunse un espressione indignata, capendo a volo che quello che stava facendo quel piccolo bastardello. Ed era pure un suo parente lontano!
Hm, quello spiegava tutto.
“Io invece sono così felice che alla fine Scorpius si sia messo con Lily… nonostante sia la figlia di Potter, chiaro” sibilò perfido, beccandosi l’ennesimo calcio dalla Mezzosangue e ignorandolo con un sorrisetto forzato che sembrava voler dire a morte i sanguemisto!
“Io no” sbuffò Harry, mentre Ron si chiedeva se quei due fossero seri o impazziti.
“Che hai da dire su mio figlio, Potter, hm? Hm? HM?”
Hermione si schiaffeggiò la fronte, chiedendosi perché mai dovesse badare a quei due nemmeno fossero figli suoi… e non avevano nemmeno un minimo di decenza!
Harry – all’ennesima occhiata assassina di Ron – sembrò ricordarsi per quale motivo erano riuniti lì e arrossì dalla vergogna e la colpa; sospirò, riavviandosi nuovamente quella massa informe di capelli e rovesciò il capo verso George, che si morse le labbra con forza.
Ginny era con suo padre ed era la prima volta che la vedeva così distrutta dopo la morte di Fred.
“Andrà tutto bene… noi siamo forti, ce la faremo” disse James, guardando suo padre con una sicurezza nello sguardo che Harry sapeva da chi aveva ereditato.
James era tutto sua madre, anche in quel cuore forte e indistruttibile.
“Sopravviveremo, come abbiamo sempre fatto” gli diede man forte Dominique, accarezzando il braccio del cugino con un sorriso lieve, che lo fece arrossire.
Rose annuì, stringendo la mano di Fred II con forza, come a volergli trasmettere calore, sicurezza. Rox baciò le nocche della mano di suo padre, mentre l’altra era saldamente ancorata a quella di Molly.
“Ce la faremo” sospirò Lucy, sorridendo a Hugo.
Ed Hermione sorrise, orgogliosa dei suoi bambini – nessuno escluso. –
Erano loro il loro futuro e la loro speranza… loro, così forti e determinati, in grado di prendere il mondo e rovesciarlo, renderlo di loro proprietà.
E ridacchiò, fiera di quella famiglia che ruggiva più di un leone.
 
***
 
Hogwarts era il teatro di parecchie vicende, intrighi, tradimenti e i suoi studenti erano i protagonisti su quell’immenso palcoscenico che era la vita.
L’adolescenza non sempre era allegra, come i sorrisi volevano dimostrare e la maggiore di quei ragazzi la mattina indossava una maschera per nascondere tante, troppe cose.
Il bullismo, l’obesità, l’anoressia, il non essere accettati. Le amicizie false, quelle vere che a volte duravano una vita e che facevano più male dell’amore; i fidanzati e le fidanzate che si amavano e che poi si lasciavano senza una spiegazione… perché si è piccoli e non si dura.
Perché poi si urlava che niente era per sempre, per poi piangere di notte – nascosti agli occhi di tutti. –
Joe era diventata davvero brava a nascondere le sue emozioni, quello che le succedeva e che non succedeva; aveva imparato a controllare le lacrime, mostrando solo quello che gli altri avevano intenzione di vedere. E sorrideva, anche se aveva il cuore a pezzi.
Dieci dicembre, undici di sera, viso pallido e mani sudate; erano passati tre giorni da quando Dalton l’aveva lasciata. E lei – non sapeva nemmeno come – si era ritrovata nella stanza di Tom, nascosta dalle tende del suo letto a baldacchino.
E aveva preso una decisione.
Qualcosa che, maledizione, sentiva che era sbagliata… ma che doveva fare.
Tom era il suo fidanzato – aveva un anello che lo provava, giorni passati insieme sotto gli occhi di tutti – e anche se sentiva il cuore scoppiare, doveva constatare se poteva davvero restare accanto a Tom come fidanzata, amica, amante.
Si era raggomitolata su quel letto dalle lenzuola verde smeraldo e con gli occhi spalancati aveva lo sguardo fisso in quello blu di Tom, che sorrideva dolcemente nel buio di quella notte, dove Hogwarts era avvolta da una bufera.
Non c’era nemmeno una luce ad illuminarli e Tom la sovrastò con il suo corpo, sospirando sulla sua bocca.
A Dalton piacevano le luci accese, perché gli piaceva guardarla.
Perché diceva che aveva bisogno di guardarla.
Perché mormorava che non c’era niente di più eccitante che fissarla mentre facevano l’amore.
Tom la baciò lentamente, accarezzandole la bocca con delicatezza, come fosse fatta di cristallo.
Dalton era irruento.
Con dita tremanti cominciò a sbottonarle la camicia della divisa, infilandole la lingua tra le labbra e sfilandole l’indumento senza mai perdere la calma.
Dalton era smanioso.
Passò alla gonna e qui Joe si staccò dalla sua bocca per prendere un respirò profondo, piantando le unghia nelle spalle già nude di Tom. Si aggrappò al suo collo e si lasciò denudare anche dall’intimo.
Hogwarts era il teatro di parecchie vicende, intrighi, tradimenti e i suoi studenti erano i protagonisti su quell’immenso palcoscenico che era la vita.
L’adolescenza non sempre era allegra, come i sorrisi della maggior parte degli studenti voleva dimostrare. E Dalton Zabini ne era la prova vivente.
Con il volto rivolto verso il letto di Tom e a pancia in giù, fissava inerme quella parte della stanza, sentendo il petto alzarsi e abbassarsi per la foga nel respirare. Per il cuore che cercava di sfondargli la cassa toracica.
Merlino, no.
Scorpius non era in stanza e Alex era rintanato chissà dove in chissà che parte del castello, come da mesi a quella parte… da quando suo padre era stato ucciso.
Ti prego, no.
Sentì un sospiro e il cuore gli si spezzò completamente, producendo un crack sinistro che quasi rimbombò tra quelle mura. Che quasi gli ruppe i timpani.
Dalton sbarrò gli occhi, chiudendo i pugni di scatto e la sensazione di soffocare sempre più prepotente.
Stava annegando.
No…
“Tom”
Non aveva insonorizzato la stanza.
E lei aveva sospirato il suo nome.
“Tom” la sentì ripetere, con lo stesso mugugno che usava per pronunciare il suo nome.
Dalton non piangeva. Dalton era un uomo, era forte e spesso strafottente e non piangeva. Non era per niente fragile e non si era mai fatto travolgere da una donna da poter dire d’aver pianto per lei.
Ma sentì gli occhi umidi e inghiottì un singhiozzo.
Tom non aveva insonorizzato la stanza per dimostrargli che – come lui – poteva prendersi ciò che voleva… che sarebbe sempre stato la prima scelta, perché a differenza sua era in grado di amare e farsi amare.
Perché magari lui poteva essere speciale, ma Dalton no. Era un bel viso e un sorriso perennemente stampato, niente di più e niente di meno.
E si era preso l’unica persona che aveva amato più di se stesso.
Stava annegando.
I sospiri aumentarono, accelerarono fino a crescere, fino a diventare gemiti e singhiozzi – alcuni di piacere… altri di dolore. –
Era annegato.
Hogwarts era il teatro di parecchie vicende, intrighi, tradimenti e quella notte fu il palcoscenico perfetto per una notte drammatica che vide due ragazzi avvinghiati – uno sorridente, l’altra con il volto soffocato dal cuscino e le lacrime a bagnarle gli occhi – e un altro piegato su se stesso.
E l’altro piegato e basta.

 
Il giorno dopo Hogwarts era completamente ricoperta di bianco ed era uno scenario da copertina; erano le sette di mattina e più Scorpius si guardava allo specchio e più si accorgeva che aveva una faccia da fare schifo.
Aveva passato due giorni alla Tana, per l’organizzazione dei funerali e i funerali stessi e tra quel bastardo di Lupin che cercava perennemente di mettere le mani sulla sua Lily e Potter senior che cercava di accopparlo appena ne aveva la possibilità, non aveva avuto vita facile.
Ma – se non con un certo rammarico – si accorse che c’era qualcuno messo peggio di lui. E no, non era Tom, reduce di una nottata di sesso, ma Dalton.
“Fai schifo”
“Grazie, sempre gentile” soffiò questo, lavandosi i denti con due occhiaie da vampiro sull’orlo del collasso.
Scorpius gli diede una pacca sulla spalla e uscì dal bagno per bloccarsi improvvisamente nel ritrovarsi una Smith più sfibrata di Zabini.
E no, non era per il sesso.
“Sai, di solito quando due fidanzati che si amano fanno l’amore, lei è raggiante… un po’ come quando lo facevi con Dalton. E, fiorellino, la tua espressione è tutto fuorché quello” cinguettò Scorpius, dandole un buffetto sulla guancia e superandola di gran carriera, mentre quella – con gli occhi bassi gonfi e rossi e non perché aveva passato una nottata di sesso sfrenato – si metteva le scarpe ai piedi.
“Va all’inferno, Malfoy” mormorò sotto voce, sobbalzando rumorosamente quando la porta si aprì e Lily Potter, già vestita di tutto punto, entrò come un tornado.
Tu!” sibilò, indicando la sua migliore amica con un espressione indignata che faceva concorrenza a quella di Dalton – che appena uscito dal bagno fissava la scena indifferente. –
Joe arrossì, sbattendo ripetutamente le ciglia.
“Hai fatto di nuovo sesso con Zorro?” sbraitò Lily, mentre Tom compariva alle spalle di Joe e le fissava con un sopracciglio alzato.
“No, ha fatto sesso con Tom… e dalle urla sembrava anche che le piacesse – e anche tanto” sibilò Dalton con un sogghigno, afferrando la borsa a tracolla ai piedi del suo letto e ignorando il pallore innaturale che aveva colto Joe.
“Tu c’eri? Tu ieri eri qua?” mormorò, ingoiando un singulto e indietreggiando fino a toccare con la schiena il petto di Tom.
Lui le accarezzò la spalla.
“Qualcuno si è dimenticato di insonorizzare la stanza” e dicendo questo prese il pacchetto di sigarette dal proprio comodino e uscendo a grandi falcate, senza accorgersi che Joe si era girata di scatto verso Tom e lo fissava con lo sguardo completamente spalancato.
Tu… Tu mi hai mentito!” urlò, spintonandolo con violenza e tremando appena.
Dalton.
Dalton aveva sentito tutto e la odiava. E lo giustificava, perché anche lei lo avrebbe fatto. Perché lei si stava comportando esattamente come temeva che potesse comportarsi lui con lei.
Merlino… era stata egoista, ingiusta, cattiva e aveva fatto soffrire Dalton, seguendolo in quel dolore che aveva voluto lei.
Che stava combinando? Che le saltava in mente?
“Dimmelo!” urlò allora Tom, afferrandola con violenza e ignorando la porta chiudersi all’uscita di Lily e Scorpius.
La sbatté ad un muro e la schiacciò con il proprio corpo e schiacciò il palmo aperto al lato del suo viso, bloccandola.
“Dimmelo” ripeté e Joe annaspò, ritrovandosi la sua bocca a pochi centimetri dalla propria.
Sentiva il suo respiro sulla propria bocca e i loro corpi sfiorarsi come la notte prima… ma con più violenza e tenacia. Con più rabbia, la stessa che ora li stava portando a stare in stretto contatto.
“Cosa?” bisbigliò Joe, arcuando la schiena come a volersi proteggere dal suo sguardo di fuoco.
Tom sorrise, sfiorandogli la bocca con la propria in un soffio leggero.
“Che ti sei fatta Zabini, amore”
E Joe sbarrò ancora di più gli occhi neri come la pece, sbiancando rapidamente.
Lui… lui lo sapeva.
“Credevi fossi cieco?” mormorò ancora, accarezzandole i capelli arruffati dal sonno con una dolcezza che – in quel momento – a Joe parve nauseante.
Tom lo sapeva. L’aveva sempre saputo e aveva fatto sesso con lei.
“Cristo, Tom!” bisbigliò terrorizzata, sentendolo spingere il bacino contro di lei.
“Cosa, Joe? COSA?” urlò, sbattendo la mano contro il muro e facendola sobbalzare.
Gli occhi blu s’incupirono e quasi sconfinarono con un nero scuro, arrabbiato, funesto. La fissava e in quel momento non lo riconosceva… sembrava completamente e totalmente inghiottito dalla sua rabbia, come se avergli rinfacciato di non aver insonorizzato la stanza avesse fatto scattare qualcosa in lui.
Come se voler proteggere Dalton fosse una cosa sbagliata.
“L’hai fatto apposta” mormorò, sgomenta, schiacciandosi contro il muro con il petto che si alzava e abbassava ad una velocità impressionante.
Sentiva il cuore battere come se fosse vicino all’infarto e Joe rantolò incredula.
“Tu no? Perché hai fatto sesso con me, allora? Per dimostrare a te stessa che aprendo le gambe puoi avere chi vuoi?” sibilò a pochi centimetri dal suo volto, velenoso.
No, no, no… non era possibile. Il Tom che conosceva lei non le avrebbe mai rivolto quelle parole e tantomeno avrebbe mai fatto sesso con lei per vendetta.
“Tu sei pazzo!” urlò Joe, cercando di spingerlo lontano senza successo.
Tom colpì nuovamente il muro con il palmo aperto e se la schiacciò contro continuando a tenere la bocca aperta in un ghigno irrisorio, da iena.
“No, Joe… ho solo dimostrato a Dalton che – come e più di lui – anche io posso avere ciò che voglio e che a differenza sua io sarò sempre la prima scelta. E ho dimostrato a te che l’amore non è sicurezza” sussurrò Tom, allontanandosi di un passo e rimanendo immobile quando lei, singhiozzando, lo schiaffeggiò con violenza.
“Non farti più vedere o giuro che sarà l’ultima cosa che farai!” urlò lei prima di scappare letteralmente dalla sua stanza e lasciarlo solo.
Tom socchiuse gli occhi e osservò l’interno della sua mano irrimediabilmente escoriato: sembrava che il dolore lo avesse aiutato a mantenere il suo punto fermo… a ferire Joe sembrando impassibile quando l’unica cosa che voleva era prenderla e baciarla fino allo sfinimento.
Prenderla e abbracciarla fino a sentirsi male.
Ma era inutile, completamente inutile stare con una persona che non lo amava e che pensava che fosse la strada più facile. Quella meno tortuosa.
Lasciare Joe era stata la cosa giusta – o almeno cercava di convincersene – ma aveva ancora una questione in sospeso.
Con un gesto repentino afferrò la sua borsa a tracolla e uscì dai dormitori maschili di Serpeverde con la sua solita flemma: fare sesso con Joe e non insonorizzare la stanza, in realtà, aveva uno scopo.
Lasciare lei e lasciare la strada spianata a lui non era nei suoi piani, quello era palese… se non l’avrebbe avuta lui, Dalton poteva dimenticarsela e quello era stato l’unico modo che aveva trovato.
Camminò nei sotterranei prima di prendere le scale e i suoi pugni erano già serrati e il respiro accelerato: Dalton non si sarebbe più avvicinato a Joe – e questo lo aveva dimostrato andandosene disgustato dalla loro presenza – ma prima che lo facesse doveva dirgli due cose.
“Tom, Tom!” lo chiamò Scorpius dalla rampa delle scale che li avrebbe portati nell’aula di Artimanzia, la prima materia di quella mattinata.
Dalton era poggiato contro il muro e aveva appena spento il mozzicone della sigaretta – prevenendo l’arrivo di un professore ed evitando una punizione – e Tom, per un attimo, vide rosso.
“La mia soddisfazione sai qual è, Zabini?” urlò, lasciando cadere la borsa ai suoi piedi e raggiungendo lui e Scorpius con un sorriso esaltato sulla bocca carnosa.
Dalton alzò gli occhi su di lui e parecchi studenti si fermarono di blocco, osservando sorpresi quella scena.
I Serpeverde non scoppiavano improvvisamente.
I Serpeverde macchinavano.
“Che ora ti faccia così schifo il pensiero che sia venuta a letto con me che eviterai persino di guardarla negli occhi!
Né a me né a te, Dalton… non è un pensiero giusto?” sogghignò e il ragazzo di colore alzò gli occhi azzurri su di lui stretti in due fessure.
I Serpeverde non scoppiavano, si vendicavano sottilmente… i Serpeverde, ma non due adolescenti, perché Tom caricò un pugno sullo zigomo di Dalton, facendolo traballare sulle gambe per la sorpresa.
“Occhio per occhio, Zabini!
L’altra volta ho sentito io voi e ora hai sentito tu noi” sibilò rabbioso, ignorando le urla di Scorpius che cercava di tirarlo lontano da Dalton.
“E io che pensavo ti fossi eccitato” sogghignò quello, facendolo incazzare ancora di più.
Lo vide caricare l’ennesimo pugno, ma questa volta si spostò prima di venire colpito, afferrando di volata il braccio di Tom e avvicinandolo a sé con uno strattone.
“Smettila di fare il fidanzato protettivo, Nott. Non ti si addice questo ruolo” mormorò al suo orecchio, dicendogli chiaro e tondo che era cornuto e buono.
Tom strinse i denti.
“Almeno io ero la prima scelta” sbottò e con quelle parole fu il suo turno di venire colpito: Dalton gli mollò una ginocchiata nelle parti basse che gli tolse il fiato e lo fece piegare in due dal dolore.
“Dalton, basta” e sentendo quelle parole alzarono all’unisono gli occhi su Joe, che li fissava ad un metro di distanza con gli occhi vuoti.
Zabini – invece di fermarsi – lo colpì sullo zigomo con un pugno.
“Dalton!” urlò Joe, infilandosi disperata le mani nei capelli.
Non la ascoltò: sospinse Tom a terra con un calcio nei fianchi che lo fece sbiancare.
“Ti prego…” la sentì gemere, con gli occhi gonfi di lacrime e un singhiozzo a fondo gola.
Si fermò solo dopo l’ennesimo pugno e a quel punto lo fissò dal pavimento, dove giaceva quasi rannicchiato su se stesso.
Dalton aveva uno zigomo viola che si stava gonfiando a vista d’occhio, ma prima di indietreggiare fissò Joe con gli occhi ridotti a due fessure.
“Non ti avvicinare” sibilò, dando le spalle a tutti e allontanandosi – senza non sputare a terra con disgusto. –
“Cinquanta punti in meno a Serpeverde” disse Rose Weasley, che aveva assistito alla scena con gli occhi sbarrati.
“No, vai. Hai già fatto abbastanza per oggi” sibilò verso Joe, che si fermò a pochi centimetri da Tom, dove aveva cercato d’avvicinarsi per aiutarlo.
Ora aveva perso ogni cosa… anche se stessa.
Soprattutto se stessa.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo tredicesimo - I Serpeverde ***


Capitolo tredicesimo –
I Serpeverde
 

« I Serpeverde non amano »

 
L’aula di Trasfigurazione, quel giorno, era immersa nel caos più totale: i ragazzi del settimo anno di Grifondoro e Serpeverde sembravano aver preso appieno lo spirito Natalizio. Cercavano di accopparsi dall’inizio dell’ora ignorando tranquillamente professore e lezione a seguito.
La voce che Dalton Zabini avesse fatto a botte con il suo migliore amico Thomas Nott aveva fatto il giro della scuola e ora – uno con un occhio nero e l’altro messo davvero peggio – mormorii su mormorii seguivano il loro passaggio.
E qualcuno aveva fatto trapelare l’informazione strettamente riservata che la colpa fosse tutta di Joanne Smith, Grifondoro; i fan club di entrambi i ragazzi – rigorosamente fondati da delle svitate psicopatiche che uno se l’erano fatto e l’altro a malapena lo conoscevano di vista – non avevano affatto apprezzato i visi dei loro idoli ridotti a carne da macello.
E per Joe fu l’inizio della fine.
Fu come fare un salto nel passato e rivivere il periodo più buio della sua vita, dove gli sfottò e il bullismo erano all’ordine del giorno: nei corridoi l’accompagnavano delle risatine, qualcuno le faceva cadere i libri e qualcun altro che le attaccava fogli con stupide scritte sulla schiena.
Il giorno prima, tre ragazze, l’avevano chiusa nel cubicolo del bagno di Mirtilla e non si erano risparmiate con spintoni, schiaffi e calci. Portava i lividi sulla schiena e i fianchi, i posti meno visibili esistenti per una come lei.
“Il tuo gatto è grasso quasi quanto la Smith, Claire!” sbuffò una voce – nemmeno a voce tanto bassa – mentre si affaccendavano a trasfigurare un oggetto inanimato in un animale.
Joe si limitò ad abbassare lo sguardo sul suo calice, sentendo le lacrime pungerle l’angolo degl’occhi neri come la pece; Lily, seduta verso i Serpeverde, la fissò con la bocca tesa verso il basso.
Dalton e Tom – seduti uno alla rispettiva destra e l’altro alla sinistra di Scorpius – erano al centro degli insulti che i due dormitori si urlavano da una parte all’altra e non sentirono né quel commento ridicolo e né il singulto che aveva graffiato la gola di Joe.
I fantasmi del passato erano ritornati tutti e più dolorosi di prima: più cattivi, più sadici e torturatori. E faceva male. E le facevano mancare il fiato e desiderare di sparire.
“Professore, non mi sento molto bene… posso andare in infermeria?” miagolò con vocina piccola, guardando con sguardo implorante il sostituto della Mcgranitt.
Era un uomo sulla cinquantina, con dei capelli brizzolati macchiati di grigio e una statura bella grossa. L’unica pecca era che non avesse polso fermo e lasciasse fare alla classe quello che voleva.
“Vuoi che qualcuno ti accompagni?” propose gentilmente, sorridendole con il suo solito fare solare e prima che Joe potesse rispondere categoricamente no, Claire Clark – che si era eletta capo di quei stupidi fan club dedicati a Zabini e Nott – si alzò di scatto.
“Lo faccio io!” cinguettò melensa, attirando sia l’attenzione di Rose che quella di Lily.
“Bene, ma appena la signorina Smith è in infermeria ritorna subito in classe” l’ammonì il professore, indicando con un cenno del capo la porta di mogano e invitandole ad uscire.
Gli occhi castani del professore la fissarono per un millesimo di secondo prima di ritornare immediatamente agli appunti preparati per la lezione: Joe nemmeno ci provò ad attirare la sua attenzione e si limitò a strisciare i piedi fino all’uscita.
Claire le mise lo sgambettò e inciampò sui suoi stessi passi, ma ignorò caparbia le risatine degli altri e uscì nel corridoio del secondo piano. Poteva farcela; Joe aveva subito di peggio, poteva farcela.
“Sai, quando mi hanno detto che Tom e Dalton ti contendevano, all’inizio non ci credevo” la seguì, con gli occhi azzurri privi di trucco divertiti e la bocca sottile tesa in un sogghigno divertito.
Joe non rispose, limitandosi a camminare verso destra, dove sapeva avrebbe trovato le scale per scendere al primo piano. Claire rise, frivola – disgustosamente trillante – e si portò una ciocca di capelli biondo grano dietro l’orecchio.
“Insomma… una come te accanto ad uno come loro non è cosa di tutti i giorni” continuò, seguendola quasi impalpabile nella gonna nera della divisa e il maglione più pesante per l’inverno che, piano piano, era sopraggiunto ad Hogwarts.
“Vuoi accompagnarmi anche in infermeria? Vattene in classe, Clark!” sbottò furiosa, girandosi di scatto e fissando la compagna di corso con gli occhi neri contratti.
Ma non odiava lei, no. Odiava la situazione che si era venuta a creare, il fatto che fosse nuovamente vittima di loro… vittima del fatto che non riuscisse a ribellarsi.
“Ho forse chiesto il tuo parere?” sibilò Claire, una volta arrivata sulla rampa delle scale.
Joe scosse il capo, sorridendo amara; di che si lamentava? Sua madre – quand’era piccola – le ripeteva sempre che quel che si semina si raccoglie e lei…beh, aveva seminato vento e stava raccogliendo tempesta.
“Lasciami in pace” mormorò a bassa voce, sfiorandosi il fianco tempestato di lividi. Quella volta non aveva detto nemmeno a Lily quello che le stavano facendo. Per lei sarebbe stato troppo umiliante e lo era già di per sé.
E lei era stanca. Quel giorno, aprire gli occhi, era stato più difficile del solito: voleva solamente rinchiudersi nella sua stanza e magari nascondersi sotto le coperte, anche se quella volta non sarebbe venuto suo padre a rassicurarla che tutto sarebbe andato bene.
“D’accordo” cinguettò quella, sorridendo velenosa e poggiando i palmi aperti sulla sua schiena: non urlò e né altro, semplicemente si sbilanciò in avanti e cadde per le scale con il fiato corto.
Ogni scala le ricordava che l’amore era quello, era una caduta che finiva con una botta incredibile. L’amore era quello, ogni ossa rotta e ogni membra dolorante.
E il cuore a mille. E il fiato corto. E le lacrime agli occhi.
E il dolore.
“Cazzo” gemette, sentendo un dolore lancinante al busto e al viso.
Si fece forza sulle mani e riuscì ad alzare a sedersi, tirando su con il naso per non scoppiare a piangere.
Alzò gli occhi verso la cima delle scale, ma Claire era sparita e lei era sola.
Proruppe in un singhiozzo, mantenendosi la testa dolorante e l’occhio che si stava gonfiando a vista d’occhio.
“Cristo!” gemette, piegandosi su se stessa e lasciando che lacrima dopo lacrima quell’acqua salata le pulisse le guance dal rivolo di sangue che le stava solcando la tempia e poi gli zigomi.
Con dita tremanti toccò il corrimano di marmo delle scale, aggrappandovisi con forza per issarsi dal pavimento di pietra. Sentiva i muscoli urlare pietà e piagnucolò nuovamente.
Poteva farcela. Lei era forte. Poteva farcela.
“Merlino…” bisbigliò a bassa voce, tremando sulle sue stesse gambe e stringendo la bocca per non urlare con quanto fiato avesse in gola.
Mosse un passetto verso il corridoio alla sua sinistra, lasciando il corrimano solo per aggrapparsi al muro: le unghia si conficcarono nella pietra e si spezzarono senza che lei sentisse alcun dolore.
Voleva tornare a casa.
Continuò a muoversi a piccoli passetti, raggiungendo l’infermeria in un quarto d’ora, quando – normalmente – ci avrebbe messo cinque minuti dall’aula di Trasfigurazione.
“Madama… Madama!” richiamò ad alta voce, per attirare l’attenzione di Madama Nurse dall’interno della stanza: non riusciva a staccarsi dal muro ed era sicura che – se lo avesse fatto – sarebbe crollata come un sacco di patate.
Il portone di mogano scuro dell’infermeria si spalancò e una donna sulla sessantina, dai capelli grigio topo e gli occhi verde scuro, la fissò dall’uscio della porta; era bassotta, grassottella e sobbalzò quando la vide ridotta in quello stato.
E Joe fu avvolta dal buio mentre proprio Madama la raggiungeva, afferrandola velocemente per la vita prima che cadesse.
 
Quando – un ora dopo – Joanne riaprì gli occhi, borbottò qualcosa e cercò di girarsi su un fianco, sbadigliando vistosamente.
Brutto errore. Bruttissimo errore.
“Ma porca putt…” ululò con il dente avvelenato, cercando di tenersi il fianco con una mano e strillando di nuovo: guardò verso il basso e rimase basita; aveva il braccio fasciato e la mano completamente escoriata. La gamba sinistra era nelle stesse condizioni del braccio e – dall’impressione che aveva quando si piegava – anche il busto.
Cazzo, pensò Joe, toccandosi la testa e arricciando le labbra in una smorfia: aveva anche quella fasciata. Era una fottuta mummia vivente, Santo Merlino!
“Hai anche l’occhio gonfio e una bocca che sembra quella di una Pornostar Babbana, se ti interessa” cinguettò una voce al suo fianco, facendola sobbalzare.
Joe si girò di scatto, incontrando gli occhi severi di Rose Weasley, che la fissava dall’alto della sua supponenza.
Lo sapeva.
“Chi è stato?” domandò, indicando lo scempio in cui si era ridotta e facendola rimpicciolire sul lettino dell’infermeria.
Joe distolse lo sguardo da lei, socchiudendo l’occhio buono e rilasciando un lungo sospiro che – quasi come un eco – si espanse in quella stanza vuota, che sapeva di medicinali e stantio.
Era circondata dal bianco e sembrò quasi che – per un millesimo di secondo – l’accecasse.
“Nessuno. Sono inciampata e caduta dalle scale” disse, facendo spallucce e fissando la finestra alla sua sinistra, dove due uccellini planarono sul davanzale, cinguettando orgogliosi.
“Non dirmi bugie” la voce di Rose era furiosa e quando la guardò i suoi occhi azzurri mandavano lampi; aveva i capelli ricci e rossi crespi, come se avesse passato le mani nei capelli così tante volte da renderli elettrici.
“Non sto dicendo bugie” ribatté Joe, contrita, nonostante non fosse la verità.
A che pro dirle tutto? Per rendersi ancora più ridicola?
“Davvero, Rose. Ora sono stanca, puoi lasciarmi sola?” domandò con tono più gentile, stringendo i pugni e ignorando il dolore alle dita e al cuore.
Ma non avrebbe peggiorato la situazione: potevano picchiarla e renderle la vita un inferno fin quando avrebbero voluto, lei avrebbe subito impassibile… senza chiedere aiuto. Non si sarebbe accollata anche quello.
Rose annuì e lei chiuse nuovamente gli occhi, mordendosi le labbra già gonfie per non piangere, magari strillare che le faceva male tutto, che sentiva un dolore atroce e voleva andare via.
Non sarebbe andata via, però: non avrebbe accontentato quelle e tantomeno Zabini e Nott.
Si era fidata di entrambi e cosa ne aveva ricavato? Eppure avrebbe dovuto saperlo fin dall’inizio… I Serpeverde non sapevano amare.
Rose le accarezzò dolcemente i capelli neri e indietreggiò verso l’uscita, scuotendo il capo e sospirando pesantemente; erano arrivati ad un punto di non ritorno e lo sapeva perfino lei, che non centrava nulla in quella situazione del cavolo.
Uscì dall’infermeria con una smorfia sulla bocca e gli occhi più furiosi di quando era entrata, chiedendosi perché diavolo – e vai con i termini Babbani – se la prendessero con lei; insomma, invece di cinguettare come oche in calore perché i loro idoli erano finalmente liberi si accanivano su di lei.
“Ehi Rose!” la richiamò Lily, circondata dal solito gruppetto di Serpeverde.
Rose guardò prima Dalton, che sbadigliava vistosamente ma aveva l’occhio di lince che si guardava attorno e poi Tom, con il naso affondato nei suoi appunti e ancora mezzo scassato di botte.
“Ciao, Lily” salutò Rose, cercando di sorridere tranquillamente alla cugina e di mantenere il controllo.
“Sbaglio o ci manca una testa?” urlò Albus in lontananza, facendo allontanare velocemente Claire dalla parte opposta alla loro e mettendo Lily in allerta.
Maledetto Potter con la lingua lunga!
“Ma Joe è ancora in infermeria?” disse infatti la rossa, aguzzando lo sguardo bruno e allungando il collo per cercare l’amica.
Dalton sobbalzò, mordendosi le labbra per non cercarla con gli occhi.
“No. Joanne non è in infermeria” rispose Rose, ignorando l’occhiata insistente di Zabini e alzando – orgogliosa – il mento.
Lily sbatté ripetutamente le palpebre, confusa, ma si limitò ad annuire e guardare la cugina di sottecchi: il fatto che intuisse bugie dalla bocca di Rose a mille miglia era alquanto preoccupante, ma evitò di farglielo notare.
Di solito s’impappinava e arrossiva come un pomodoro.
“Io vado, ci vediamo in giro” borbottò Dalton, avviandosi dalla parte opposta alla loro.
Okay, non gli piaceva doverla andare a cercare e infatti non stava andando a cercarla, ma faceva un giro di ricognizione… giusto per scoprire altri passaggi segreti nel castello.
A lui non interessava un bel niente della Smith, quello era chiaro! Erano finite le lezioni della giornata e voleva prendere quel poco d’aria che gli avrebbe permesso di rilassarsi.
“Sono ridicolo” borbottò tra sé e sé, alzando gli occhi azzurri al cielo e sbuffando rumorosamente.
Oramai non convinceva più nemmeno se stesso e la cosa era alquanto preoccupante, avrebbe dovuto saperlo; alzò gli occhi al soffitto e aggrottò le sopracciglia scure – contrito: gli mancava Joe, quello era palese.
Sarebbe stato ipocrita da parte sua dire che non contava niente, che stava bene e che non girava il volto per cercare il suo; in realtà più volte si era trattenuto dall’afferrarla e dirle che infondo poteva perdonarla… che non era solo colpa sua, ma anche propria.
Era un dolore che era stato lui a cercare e lei non era la fonte di tutti i suoi guai; lei era la fonte di tutti i suoi sorrisi, dei suoi primi rossori e il primo battito perso. Ed era stupido lasciare che qualcun altro approfittasse che fosse sola per prendersela – quella volta per sempre. –
“Se cerchi la Smith, Dalton, l’ho vista poco fa con uno dei Flower… com’è che si chiama quello biondo?” mormorò Claire, facendosi avanti e sorridendo velenosa nella sua direzione.
Lysander.
“Non stavo cercando lei” bisbigliò Dalton, prendendo un profondo respiro e mordendosi le labbra carnose fino a sentirle sanguinare. Fino a sentire male.
Una mano sul petto e le labbra di Claire gli accarezzarono il mento: sentiva il suo corpo caldo e piccolo accostarsi al suo con troppa invadenza, senza alcuna dolcezza.
“Cercavi me?” sussurrò, alzandosi sulle punte delle scarpine e buttandogli le braccia al collo.
Dalton inghiottì a vuoto e la fissò, impassibile e ansioso; sentiva che qualcosa non andava... che c'era qualcosa di sbagliato in quell'abbraccio insipido, in quegli occhi azzurri senza senso – senza colore – senza scopo.
In realtà l'aveva sempre saputo, una volta che l'amore prendeva... non lasciava più. E Joe era sempre lì. Dentro lui, con lui.
“No” mormorò in risposta, distogliendo lo sguardo da Claire e stringendo la mascella con rabbia.
“Lascia perdere!” soffiò, allontanandola da sé con un gesto brusco e indietreggiando di un paio di passi.
Gli occhi della ragazza divennero di ghiaccio, ma Dalton sogghignò, scuotendo il capo.
“Non m'interessa, grazie” borbottò, grattandosi il mento dalla barba incolta e inclinando il capo in un gesto negativo.
Joe – ancora fasciata e scappata dalle grinfie di Madama prima che la legasse al letto per colpa degli incubi che la percuotevano – si nascose in uno dei cubicoli del bagno di Mirtilla Malcontenta; scivolò lungo le piastrelle e cercò di portarsi le ginocchia al petto senza successo: tutte quelle bende e il dolore non le permettevano di fare nulla.
Si tappò la bocca con una mano chiusa a coppia e gemette, accasciandosi contro il muro e annaspando pericolosamente, senza fiato.
I Serpeverde non amavano, quindi che si aspettava?
Si passò una mano sul viso, graffiandosi le guance con le uniche unghia che non erano saltate dalle dita completamente avvolte da graffi ed escoriazioni.
Sentì la porta aprirsi e chiudersi e l'odore di Dalton avvolgerla interamente, facendola sobbalzare: era sempre lo stesso, forte, ma al contempo dolce e prepotente.
Cecilie, Claire, Angelica... loro erano tutto quello che lei non era mai stata: belle da togliere il fiato, convinte di loro stesse, perfette sotto ogni punto di vista; era stata scelta da Dalton, ma aveva messo tutto da parte per una sua insicurezza e ora l'aveva perso.
E ora non le era rimasto niente se non quello: piangere di nascosto con lui dall'altra parte della porta. Con lui che anelava il suo stesso ossigeno, che condivideva i suoi stessi sentimenti.
Joe appoggiò una mano contro la porta sbrindellata, socchiudendo gli occhi: aveva bisogno di sentirlo, di abbracciarlo e magari urlargli che non aveva occhi che per lui. Che non amava altri che lui.
Dalton si accese la canna, poggiando il capo contro la porta di uno dei cunicoli – senza accorgersi del fiato dall'altra parte – sentendo però quel profumo che, da giorni oramai, lo tormentava.
L'odore di Joe.
Sorrise, mostrando i denti bianchi in modo amaro, quasi triste. Sì… sì, Dalton era triste e oramai l’unica cosa che lo consolava era andare a dormire, rifugiarsi in quei sogni che lo rendevano re, imperatore, e – certe notti – persino il compagno di Joe.
“Che schifo di pensieri” mugugnò, ignorando la possibilità che qualcuno potesse sentirlo.
“Ma che dico… che schifo di vita, altro che pensieri!” continuò caparbio, aggrottando le sopracciglia scure e arricciando il naso per il disgusto che provava verso se stesso e i suoi sentimenti.
Andiamo, sembrava una femminuccia! Tutto il giorno a piangersi addosso, ‘manco fosse Tom!
“Coglione” ridacchiò, pensando al viso dell’amico e al fatto che avesse anche solo provato a volerlo picchiare.
Insomma, pesava venti chili più di lui e lo superava di venti centimetri abbondanti; cosa credeva, hm? Forse che scopandosi Joe avesse assunto super poteri?
Salazar, certe volte ricordava quando erano bambini e Tom era sempre quello preso di mira dai bulli dell’alta società: gli spezzavano gli occhiali, gli strappavano i libri e Tom correva – piangente – sempre da lui e Scorpius. E ricordava anche quando lui e quel maledetto biondastro lo difendevano, prendendo a botte chiunque avesse osato sfiorarlo.
Con la faccenda di Tom e Joe aveva persino dimenticata quella della Pozione… non aveva più cercato un colpevole e la cosa – prima che andasse nel dimenticatoio – doveva venire a galla.
Era tutto così confuso, così poco chiaro e a volte cercava di pensare a tutto, persino ai suoi genitori, per non soffermarsi sulla situazione in cui si era cacciato. Per non pensare a Joe.
“Sei palloso quando sei depresso” cinguettò Scorpius, spalancando la porta del bagno e sorridendo tutto mieloso. Dalton mimò di mettersi due dita in gola per tutto quello sfavillio di ciglia.
“Tu invece sei nauseante quando stai accanto alla Potter” sibilò in risposta, sbattendo civettuolo le palpebre.
Joe sorrise oltre la porta, rilassando i muscoli e mordendosi le labbra gonfie, spaccate, ferite.
“Sei solo geloso, Dalty!” sghignazzò Scorpius, volgendo a suo favore il nomignolo che – in passato – aveva usato Dalton con lui.
Quest’ultimo fece una smorfia, indignato.
“Sei disgustoso!” disse perfido, annuendo convinto di ciò che diceva.
Scorpius sogghignò.
“Disse quello che parlava da solo in un bagno” e qui uno sguardo eloquente dal maledetto biondo che lo mandò in bestia.
“Perché non schiatti, Malfoy, caro?” cinguettò melenso, con un retrogusto velenoso che – se fosse stato reale – lo avrebbe già steso.
“Prima i coglioni che si sono fatti sfuggire la donna della propria vita per una cazzata, Dalty, dolcezza mia!” rispose Scorpius, mantenendosi sulla sua stessa lunghezza d’onda e facendolo incazzare come una biscia.
“Ehi, furetto dai capelli improbabili, non osare parlare di me!
Santo Merlino dalle infinite scopate, proprio tu che non vedi due gambe dagli anni ’20, Scorpius!
Sbaglio o la Potter non te la fa vedere nemmeno dal binocolo?” sbraitò, lanciandogli tutta la borsa a tracolla appresso.
Scorpius aprì la bocca a palla, per poi rinchiuderla subito dopo: okay, Lily non era molto propensa al sesso… ma in realtà non ci avevano mai pensato! Mica era un porco come Dalton, lui.
Anche se… beh, anche se faceva dei sogni erotici su quella rossa della malora che avrebbero fatto vergognare persino Zabini – quello grande e quello piccolo – quindi nulla di preoccupante: i suoi ormoni erano ancora funzionanti.
O almeno credeva.
“Spero che tu risenta la Smith fare sesso, ma questa volta con qualcun altro!” sbottò perfido, rilanciandogli la cartella e colpendolo dritto in fronte: Dalton sbatté la testa contro la porta, sibilando i comandamenti all’incontrario e facendo sobbalzare Joe dall’interno.
“Sai cos’è tua madre? Un topo, ecco cos’è!”
“Un topo?” borbottò Scorpius, aggrottando le sopracciglia bionde e fissandolo sorpreso.
“Più comunemente detta una zocc…” e non finì nemmeno la frase che gli arrivò il libro di Pozioni sulla testa, facendogli ribattere il capo contro la porta.
“E basta, cazzo, mi sballi i neuroni!” piagnucolò Dalton, tenendosi la fronte con la bocca tirata verso il basso.
“I tuoi neuroni sono già sballati, Dalton o non si spiegherebbe la tua estrema stupidità” disse Scorpius, sorridendo tutto zuccheroso e beccandosi un dito medio tutto per sé.
“La Potter si è appena chiusa nella sua stanza urlando che era stanca di non so’ che… forse è meglio che tu vada a controllare, Scorpius” la porta del bagno si era appena aperta e aveva rivelato il volto ancora tumefatto di Tom, che lo guardò eloquente da sotto le lunga ciglia nere.
Dalton fece l’ultimo tiro di canna e la spense sulle piastrelle, facendo una smorfia nella direzione di Nott e trattenendosi dal fargli la linguaccia.
Gnegnegne, pensò, alzando il naso all’insù tutto altezzoso, ‘manco Tom gli avesse ucciso il gatto; in effetti, aveva cercato di fare peggio: rovinare il suo meraviglioso volto era un reato.
“Cazzo” sibilò Scorpius, fiondandosi fuori dal bagno e lasciandoli soli a guardarsi nelle palle degli occhi.
Il gocciolio insistente dell’acqua nel lavandino mezzo rotto alla loro sinistra, creò un atmosfera raggelante.
“Non alzarti da lì, ho mandato Scorpius lontano perché devo parlarti” mormorò Tom, sedendosi di fronte a lui, contro le altre porte dei cubicoli.
Dalton lo guardò e strinse le labbra, con disappunto.
Gliel’aveva fatta e sotto il naso!
Maledizione a tutti i Nott della regione Anglosassone!
“Che vuoi?” borbottò Dalton, incrociando le braccia al petto e ignorando il fatto che – Joe – fosse nascosta e stesse ascoltando tutto.
“Guardami, Zabini” la sua voce era dura e i suoi occhi gelidi e Dalton lo fece: fissò gli occhi azzurri nei suoi, impassibile.
Aveva lo zigomo viola.
“Potrai anche picchiarmi e rendermi un ammasso di carne, ma tu non mi odi, Dalton” sussurrò Tom, inclinando il capo e inghiottendo a vuoto.
Il ragazzo di colore alzò un sopracciglio, chiedendosi se fosse serio o lo stesse prendendo per il culo “       Ma sei sicuro?” disse infatti, ironico.
Tom alzò gli occhi al cielo.
“Ricordi quando rubasti la bacchetta a tua nonna e io – per dispetto – la spezzai perché ne volevo una anch’io?” domandò, mentre lo sguardo di Zabini si perdeva appena nel vuoto.
E Dalton ricordò quel bambinetto dagli occhi blu che, facendogli la linguaccia, afferrava la bacchetta di sua nonna e la faceva in mille pezzi, mandandolo in bestia.
“Dicesti che non mi avresti mai perdonato, perché tua nonna ti avrebbe odiato e tu non avresti avuto più nessuno accanto a te” continuò Nott con gli occhi lucidi, torcendosi le mani con ansia.
Nessun papà, nessuna mamma… niente di niente, solo una nonna e degli amici. Solo abbracci a fotografie di persone che non erano mai state presenti nella sua vita.
“Ti risposi che anche se ero cattivo, ci sarei stato io accanto a te. Sempre” bisbigliò Tom, strappandogli un sorriso tenero.
E poi ricordava che non era solo: non c’erano i suoi genitori, certo, ma c’era un certo bambino biondo che lo teneva sempre occupato con i suoi scherzi e la sua stupidità e un bambino moro che – un giorno – gli aveva chiesto se poteva essere la sua famiglia.
“Sei ancora la mia famiglia, Tom, anche se sei un coglione” borbottò Dalton, angelico, beccandosi un calcio nel polpaccio.
“Ma che cazzo!” sbraitò, mentre Joe appoggiava il capo contro la porta di legno scuro e sorrideva dolcemente.
“Idiota, apri gli occhi e sta attento a Joe… in questi giorni non era molto tranquilla” sbuffò Tom, distogliendo lo sguardo da lui e mettendolo in allarme.
In effetti, l’aveva notato anche lui: non guardava mai nella loro direzione e ultimamente la vedeva sempre evitare la folla; sembrava nascondersi, sembrava avere paura.
“Tom, ricominci a starmi sulle palle. Fatti i fatti tuoi” sibilò con gli occhi assottigliati, sbuffando nel vederlo alzare le mani al cielo in segno di resa.
Joe si morse la bocca, tremando.
“… Ma quindi Scorpius sta per irrompere nella stanza della Potter senza ragione, giusto?” ridacchiò poi, strofinandosi le mani in modo bastardo.
Tom arrossì.
“Secondo te sono stato cattivo?” bisbigliò, grattandosi la nuca tutto imbarazzato e dolce.
Dalton lo guardò mezzo schifato.
“Sei sicuro di essere Serpeverde, hn?” borbottò contrito, facendo ridere l’amico.
Poi pensò a quello che aveva fatto e assottigliò gli occhi “C’ho ripensato. Sì, sei un bastardo Serpeverde senza ossa” sibilò incattivito, facendolo arrossire ancora di più.
“Comunque, sarà abbastanza interessante vedere Scorpius fare una figura di merda colossale…” ridacchiò quell’idiota d’un Zabini.
E in effetti, Scorpius ancora non sapeva di stare per fare una delle figuracce peggiori della sua vita: era entrato nella Sala Comune dei Serpeverde che a completare il quadro gli mancava solo la fascia nei capelli e sarebbe stato la fotocopia di Rambo; scavalcò primini, maledisse compagni di corso e mollò anche un calcio in culo a Goyle.
Scavalcò nei dormitori femminili facendosi guardare male dalla Stock, che alzò il naso in aria per non togliere punti alla propria casata e si beccò un paio di mutande in faccia in un chiaro invito ad entrare nelle stanze.
Superò tette in reggiseni di pizzo nero, mordendosi le nocche per non soffermarsi a guardare e – nel contempo – punendosi per aver tradito mentalmente Lily.
E poi eccola: avvolta da una luce angelica e quasi meravigliosa ai suoi occhi – visto che aveva fatto una corsa da terzo piano fino ai sotterranei e ora quasi moriva d’infarto – la stanza numero centoventi brillava con ali e tanto d’aureola.
Scorpius giurò di aver sentito canti angelici al suo passaggio.
“Lily, non fare niente d’avventato, ci sono io con te!” sbraitò, aprendo di scatto la porta e venendo accolto da un silenzio imbarazzante.
Ci mancavano solo le balle di fieno e il quadro sarebbe stato perfettamente desolato.
“Lily?” borbottò, avanzando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle, adocchiando un perizoma di pizzo sul letto alla sua destra e chiedendosi se fosse quello di Lily.
Hm, non le sarebbe stato male… “Ahia!” sentì urlare dal bagno e in un attimo – diventando quasi una macchia tanto fu veloce – spalancò la porta e si guardò attorno, terrorizzato di vedere un corpo agonizzante sul pavimento.
“Scorpius!”
Beh, Lily non era esattamente sul pavimento. Ma nuda. Sotto la doccia. Con la faccia sconvolta.
“Cosa diavolo ci fai qua?” sbraitò, lanciandogli il flacone di shampoo contro e coprendosi il seno con entrambe le braccia.
Guardala in viso, guardala in viso, guardala in viso, si ripeté mentalmente, ma il suo sguardo, quasi animato di vita propria, si spostò verso il basso.
Oh Santo Merlino dalle infinite scopate!
“Malfoy!” urlò nuovamente Lily, lanciandogli, questa volta, il bagnoschiuma.
Scorpius si coprì gli occhi con le mani, respirando a fatica: aveva visto… aveva visto… aveva visto!
“Potter, ma che succede? Sento un casino lì dentro!” Amelie Jugson entrò nella stanza con la sua aria altezzosa, urlando quella frase e attirando l’attenzione di metà dormitorio femminile.
Oh porca putt…
“Presto, nella doccia!” sibilò Lily a bassa voce, mettendo un piede sulle piastrelle giusto per sporgersi e afferrare Scorpius per il colletto, ficcandolo a forza nella doccia insieme a lei.
“Va tutto bene?” continuò quella cosetta che a diciotto anni era alta un metro e venti e aveva la bocca – a livello di pettegolezzi e non – più larga che conoscesse.
Lily buttò Scorpius a sedere, facendolo sdraiare nella doccia e mettendosi in piedi sullo stomaco: lui gemette, ma non si permise di fiatare; una volta aperti gli occhi, la vista era grandiosa.
“Tutto bene, Jugson! Sono solo inciampata” cinguettò Lily, mollando un calcio nel fianco di Scorpius che se la stava godendo alla grande.
“Okay, ti spiace se aspetto Chrysanta nella tua stanza?” domandò Amelie, toccandosi i capelli castani in modo svogliato e sbadigliando vistosamente.
Lily imprecò.
“Come?”
“Niente, Ame! Certo, aspetta lì!” sbottò Lily, toccandosi la fronte con forza e scavalcando Scorpius con una smorfia. Lo fissò irosa.
Shhh”  sussurrò quel bastardo, sapendo che Amelie – con la porta del bagno aperta – e a pochi metri da loro, avrebbe potuto sentirli.
In che situazione si era cacciata? Pensò divertita, facendogli la linguaccia e aiutandolo ad alzarsi.
Scorpius ridacchiò, schiacciandola al muro e poggiando i palmi aperti sulle piastrelle bagnate alle sue spalle. La incastrò tra sé e il muro, facendosi improvvisamente serio.
L’odore del suo bagnoschiuma a miele era così prepotente che, per un attimo, gli ottenebrò i sensi, accecandogli lo sguardo: Lily alzò gli occhi su di lui, arrossendo e mordendosi le labbra.
Aveva gli occhi così grandi e belli, di un bruno così profondo che sembrava senza fine; alcune chiazze ambrate gli coloravano l’iride e sembravano lava incandescente, che – per un attimo – sembrò bruciarlo dall’interno.
“Lily…” mormorò, mentre il calore dell’acqua bollente gli attaccava i vestiti addosso e Lily inghiottiva a vuoto, respirando a fatica.
“Sì?” bisbigliò in risposta, strofinando il naso con il suo timidamente, suscitandogli una tenerezza che gli contorse le viscere.
E la baciò.
Non lo faceva da secoli, in realtà: da quando quel patto di far ingelosire la sua famiglia si era interrotto improvvisamente…e desiderava così tanto farlo che fu incredibile.
Le loro bocche si toccarono e tremarono all’unisono, mentre Scorpius s’accorgeva che non riuscivano ad incastrarsi. Che era una lotta continua per averla meglio.
Infilò la lingua nella sua bocca e le accarezzò dolcemente i denti, strofinandola poi contro la sua in modo sadico e sfuggevole; Lily gemette e si aggrappò alle sue spalle, quasi disperata.
“Scorpius!” disse contro le sue labbra, mentre lui spingeva il bacino verso il suo.
E fu spettacolare.
Sembrò che l’universo si spezzasse in mille molecole esplosive: i loro corpi coincisero, s’incastrarono, divennero una sola e unica cosa; Lily – con le unghia – gli solcò una scia rossastra sul collo e poi sulla mascella, circondandogli la vita con le gambe nude e lasciando che, ancora e ancora, l’acqua scorresse sui loro corpi, senza dividerli.
Lui le poggiò una mano sul petto, annaspando insieme al battito di quel cuore, frenetico, ansioso – come se avesse bisogno di uscire da lì – come se avesse bisogno di spaccare ossa e stracciare la carne per congiungersi con il suo, nelle stesse condizioni.
E fu idilliaco.
Le loro lingue continuavano ad accarezzarsi languide, mentre i loro corpi bruciavano con lentezza esasperata: Lily gli sfilò il maglione dalla testa, scompigliandogli i capelli biondi e grondanti d’acqua e poi passò alla camicia.
Bottone dopo bottone, lentamente, facendogli perdere ragione e senno. Raziocinio e controllo.
La spinse con ancora più forza contro il muro e lasciò che anche la camicia cadesse sul pavimento della doccia, insieme al maglione e le scarpe, stringendola poi per le natiche e issandola senza alcuno sforzo.
Respiro contro respiro.
Ansito contro ansito.
Battito contro battito.
E morì – ancora e ancora – per poi rinascere.
Lily gli sbottonò la cintura dei pantaloni e lui se li sfilò frenetico, mordendole le labbra quasi con ferocia: sentiva la carne bruciare a contatto con la sua, quasi come se lo stesse marchiando. Quasi come se lo avesse già fatto.
Le incavò le guance con i pollici, permettendosi di baciarla con più profondità… permettendosi di divorarle bocca e anima, risucchiandola e facendola sua.
E rinacque, per poi morire – ancora e ancora. –
Con i polpastrelli, in modo leggero, quasi come il battito d’ali di una farfalla, le accarezzò la mascella, poi il collo e scendendo infine verso il basso, delineando la valle dei seni piccoli e sodi.
Lily gemette e si staccò da lui, rovesciando il capo contro le piastrelle e sospirando: una nuvoletta di vapore fuoriuscì dalle sue labbra, confondendo ossigeno e piacere in una sola boccata.
“Scorpius” lo richiamò, con voce roca, sempre a voce così bassa che – a primo impatto – gli sembrava d’averla solo immaginata. Ma era lì, rossa dal piacere e nuda tra le sue braccia.
Tracciò ghirigori immaginari sui suoi fianchi spigolosi, ficcandoci le unghia e scendendo sempre verso giù, dove la sentì sobbalzare violentemente.
“Merlino!” sussurrò Lily, affondando le mani nei suoi capelli e respirando a fatica.
E le stracciò la carne, le ruppe le ossa in mille e più pezzi e poi – con cattiveria – le strappò il cuore… lasciando il proprio al suo posto.
“Oh cazzo!”
E Chrysantha Nott scivolò all’indietro, urlando e coprendosi gli occhi quando, con uno gesto secco, aprì le ante della doccia.
“Ma nel letto di quella psicopatica della Potter non vi piaceva!?” urlò, piagnucolando per il blocco della crescita a quella visione.
Blocco della crescita permanente.
“Chrys!” dissero all’unisono, staccandosi velocemente e cercando di coprirsi meglio che potevano.
“Chrys un corno! E ma vaffanculo, scusa, eh… io mi ci lavo in questa doccia!”
E addio prima notte di sesso sfrenato con Lily Potter.
Maledetti i Nott e chi li aveva concepiti!

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordicesimo - Mine ***


Angolo Autrice:  
Come sempre, il mio angolo autrice va’ sempre all’inizio e mai alla fine: smemorata come sono – mi gioco la casa e pure la vita – pubblicherei senza scrivervi nulla, dimenticandomi come un idiota dell’angoletto.
Vi sto scrivendo, a discapito delle altre volte, per scusarmi dell’enorme ritardo con cui è avvenuto l’aggiornamento del quattordicesimo capitolo: chi è iscritta al gruppo lo sa’, ma ho avuto un lutto in famiglia e pubblicare – lo ammetto – è stato il mio ultimo pensiero.
Ho cercato di riscattarmi con il contenuto del capitolo, che spero sia all’altezza delle vostre aspettative. E per ultimo – ma non meno importante – volevo ringraziarvi tutte quante per aver fatto raggiungere 3.00 am le cento recensioni! Siete degli angeli e vi amo tutte, indistintamente.
Grazie ancora del sostegno che mi date e la gioia per ogni complimento; rinnovo l’invito – per chi è interessato – ad iscrivervi al gruppo per spoiler e altro e… basta, ho finito qui.
Grazie e buona lettura.
Vostra, Peace <3

 
 
 Capitolo quattordicesimo –
Mine
 
 
 
“Mi ucciderà”
Ronald Weasley piagnucolò quella frase con la bocca tirata verso il basso e gli occhi supplicanti che – spalancati dal terrore – erano fissi in quello che, anni e anni fa, considerava il suo migliore amico. Ora, a quanto pare, i tempi erano cambiati e preferiva che morisse per mano della sua ex moglie.
“Andiamo, Ron… è Hermione, non una pazza psicopatica!
La conosciamo da venti e passa anni ed è stata la tua compagna anche oltre!” lo rimproverò il bambino che per sfortuna è sopravvissuto.
Ron piagnucolò ancora, aggrappandosi alla sua veste da Auror.
“Appunto, è Hermione!” sibilò il rosso a bassa voce, come se lei – dalla stanza accanto – potesse sentirlo.
Harry alzò gli occhi al cielo.
“Merlino, quanto la fai tragica” sbuffò Harry, scollandoselo di dosso con una fiancata e mandandolo a sbattere contro la porta di legno.
“Tragica? Tragica? Tragica?” sbraitò Ronald Weasley, con una vena pulsante sul collo e le orecchie paonazze.
Harry indietreggiò, tossendo ripetutamente e indicando con gli occhi verdi la porta alle sue spalle, che Ron ignorò volutamente, incazzato come una biscia.
“Quella donna è diventata una iena! Mi succhia l’anima, capisci?
Da quando ci siamo lasciati non solo mi ha lasciato a casa di mia madre e si è presa il nostro villino in piena Londra, ma si becca anche metà del mio stipendio… perché i figli a carico ce li ha lei!
Oltre questo, ogni volta che ci troviamo a stretto contatto, quella maledetta non fa che sputare veleno! Eppure dovrebbe essermi riconoscente, l’ho prima lasciata e poi mi sono messo con un'altra!”
Aria gelida e inquietante, un filo di vento accarezzò la nuca di Ron e lo gelò sul posto; come nel film integrale dell’Esorcista, girò il collo a centoottanta gradi e fissò gli occhi azzurri in quelli di Hermione Granger che, a braccia incrociate, lo fissava dall’uscio della porta spalancata.
Oh santo Merlino, pensarono Harry e Ron all’unisono, indietreggiando al cospetto del cipiglio furioso sul volto della loro migliore amica, in netto contrasto con il sorriso soave.
Oh cazzo, ecco, quello faceva più effetto.
“Ho sentito il mio nome… sbaglio o si discuteva di me senza me presente?” cinguettò melensa, atteggiando un sogghigno così velenoso che stecchì i due uomini sul momento.
“Ma no, ti sei sba…” miagolò Ron, zittendosi immediatamente quando Hermione sbatté sul pavimento il tacco centoventi dello stivale di pelle che indossava.
Miseriaccia, se quel tacco sarebbe andato a finire nelle sue parti basse avrebbe fatto molto male. Troppo. E la paura lo fece indietreggiare ancora, piagnucolante.
“Ho forse chiesto il tuo parere, Weasley?” sibilò con la bocca storta in un sogghigno ironico che – appena Draco Malfoy lo vide – lo scritturò come suo prossimo sorriso.
“Herm…” cercò di parlare ancora Ron, mentre Draco si accendeva un sigaro al muschio e si sedeva sulla poltroncina accanto al camino, tutto beato: bah, magari la prossima volta avrebbe nascosto i pop – schiattanti in una delle mensole per l’alcool, così avrebbe anche avuto qualcosa da sgranocchiare.
“Punto primo: gli alimenti, il magigiudice li ha ritenuti giusti dopo che hai sbottato ad alta voce che con la tua fama da eroe magico avresti potuto avere qualsiasi cosa avessi voluto. Anche un divorzio veloce veloce senza alcun giudice che stabilisse o firmasse alcuna carta.
E qui, tresor, ti sei fottuto da solo.
La casa – oltre ad essere intestata a me da quando avevamo diciannove anni – l’ho pagata io, con il mio stipendio da sfigata, come lo chiamavi tu. E se questo ti è sembrata la cosa più terribile, allora non mi conosci ancora bene” e detto questo scosse i capelli e uscì dalla sala con gran stile.
“Merlino, che culo!” ridacchiò Draco, beccandosi un bestemmione da parte di Harry che si stava disperando.
“E ora come glielo diciamo? Cristo, Ron, hai rovinato tutto!” piagnucolò all’amico, che più bianco e immobile non si era mai visto.
Draco li fissò curiosi, continuando a fumare e starsene per i fatti suoi, visto che Asteria lo aveva mollato ancora una volta a casa per andare chissà dove.
“Che devi dirgli?” borbottò, sbadigliando per quell’orario indecente; erano le otto di mattina e già se ne stavano tutti pimpanti a litigare.
E diamine!
“Un infiltrato tra i Mangiamorte ci ha inviato una soffiata. A Hogwarts c’è qualcuno che non è esattamente dalla nostra parte” disse Harry, mentre Draco si alzava lentamente dalla sedia su cui era seduto e lo fissava allibito.
“Che cazzo stai dicendo?” sibilò con voce acre e roca, respirando a fatica.
Harry annuì e Ron si passò una mano tra i capelli rossi, chiudendo gli occhi di scatto.
“E che centra la Granger?” bisbigliò l’Ex Serpeverde, facendosi avanti guardingo, mentre a malapena si accorgevano del camino scoppiettante e del viso che era appena apparso dalle fiamme bluastre.
“Questa persona è molto vicina a Rose” rispose Ron, ingoiando a vuoto e fissando la finestra alla sua destra con la gola secca.
Draco sgranò gli occhi grigi, incredulo.
“Siamo nella merda. E la Granger ci ucciderà tutti” disse Draco, crollando seduto e aguzzando lo sguardo verso il camino.
“Ehi, ehi, chi diavolo è lì?” sbraitò, lanciando un posacenere verso il camino di pietra: ma il volto era già sparito dalle fiamme, cadendo all’indietro nell’ufficio della preside Mcgranitt, quel giorno chiamata urgentemente dal Ministero.
Scorpius guardò Lily con la bocca semi-chiusa, mentre questa cacciava un bestemmione di quelli che avrebbero fatto impallidire Salazar Serpeverde in persona.
“Cazzo!” esplose ancora, calciando con rabbia la scrivania di mogano che – cadendo all’indietro – Scorpius aveva quasi sfasciato.
“Suvvia, Lily. Sii più garbata” sbuffò Severus Piton dal suo ritratto, guardando con rimprovero la furia rossa che camminava frenetica nella stanza circolare.
Silente ridacchiò.
“Chi cazzo è l’infiltrato, ora?” sibilò Lily, guardando i due vecchi presidi con un brutto presentimento. Assottigliò gli occhi bruni con una rabbia nello sguardo che Severus riconobbe subito.
Aveva gli occhi di suo nonno James e anche se erano più scuri, più profondi, il coraggio Grifondoro era tutto lì; il voler combattere per qualcosa di proprio, l’orgoglio di possederlo.
Ah, brutta cosa avere l’animo rosso-oro… sentirlo dentro, conviverci per sempre.
“Studi ancora la magia Oscura?” domandò Severus, fissandola con gli occhi neri determinati e attirando l’attenzione di Scorpius, che spostò il suo su Lily.
Silente divenne serio tutto d’un tratto e la rossa si sedette sulla poltroncina imbottita di fronte al vecchio preside, poggiando il mento sui palmi rovesciati verso l’alto.
L’ufficio della Mcgranitt calò nel più tenebroso silenzio, mentre fuori dalla finestra il sole si spostava verso il centro, suggerendo ai presenti che l’ora di punta era oramai vicina.
“Sì” il sussurro di Lily si udì appena, ma fece tremare le mura e Scorpius al suo fianco, che la guardò senza fiato.
“Mi hai mentito” soffiò Scorpius, stringendo gli occhi grigi in una fessura e fissandola con la bocca serrata.
Si alzò dal pavimento e guardò fuori dalla finestra, scuotendo il capo: discutere con Lily era completamente inutile, oramai lo aveva imparato a sue spese; non capiva o semplicemente non voleva capire e quello era un problema.
Rischiava tanto, troppo in realtà e a Scorpius non andava giù. Non gli piaceva l’idea che continuasse a studiare quella roba: la stessa roba che aveva portato la sua famiglia alla rovina… la stessa roba che aveva traviato persone, portandole dalla parte sbagliata.
“Non ti ho mai detto di aver smesso, Scorpius. Sei tu che hai smesso di chiedermelo” sussurrò Lily, portandosi una ciocca di capelli rosso carminio dietro l’orecchio.
E il sole continuava ad accarezzarle i capelli, il viso, la bocca carnosa nonostante non lo meritasse. Nonostante – in quel momento – nei suoi occhi ci fosse più buio che luce.
Scorpius si passò una mano nei capelli biondi, mordendosi l’interno della guancia fino a sentire male. Fino a non sentire nient’altro che il sapore acre del sangue giù per la gola.
“Nel mio studio, tra la quarta e la quinta mattonella alla destra dell’entrata, c’è un piccolo rialzo… proprio lì ho nascosto un libro incentrato sulla visualizzazione mentale dei pensieri altrui.
È una magia molto particolare – e soprattutto pericolosa per chi la pratica – ma aiuta a visualizzare i pensieri negativi e realistici, cioè intenzionati a ferire gli altri e chi li custodisce” spiegò l’ex professore di Pozioni, sfiorandole il volto con gli occhi neri come l’onice.
Lo sguardo di Lily s’illuminò di una luce folle, quasi astuta e Scorpius capì che sarebbe stato inutile chiederle di rinunciare: proteggere la famiglia, oramai, era diventata la priorità assoluta per lei; ed era stato stupido da parte sua accantonare il pensiero che avrebbe potuto continuare ad abusare di quella magia. Oramai ne era soggiogata.
E contarle le costole nella doccia, attraverso i vestiti, non era di certo un buon segno. Quel corpo piccolo e fragile gli stava inviando segnali da secoli… segnali che aveva ignorato fino a quel momento.
“Anche se non sarai sola in questa ricerca, mia piccola amica” s’intromise Silente, sereno, fissando i due attraverso gli occhialetti a mezzaluna.
Lily lo fissò confusa, ma quello si limitò a poggiarsi un dito sulla bocca e scuotere il capo, divertito.
“Lo scoprirai stasera a cena. Ora va’, la nostra cara Minerva sta per fare ritorno e non credo che le faccia piacere sapere che avete scroccato il camino senza la sua supervisione!” ridacchiò ancora, invitandoli a smammare con la sua solita flemma e garbatezza.
Lily si alzò velocemente e prese Scorpius per mano – che continuava a non fiatare – fissandoli con il solito sorrisetto birichino sulla bocca.
“Ce la faccio comunque” disse, strappando ad entrambi la sicurezza che sicuramente ce l’avrebbe fatta.
Era o non era una Potter?
Uscirono dall’ufficio ancora mano e mano e non arrivarono nemmeno a chiudersi i Gargoyle alle spalle che si ritrovarono faccia e faccia con Dalton e Albus, che da una settimana a quella parte sembravano essere diventati pappa e ciccia.
I due li guardarono sospettosi, ‘manco fossero vestiti di nero e avessero una maschera sul volto.
“Ma che è?” sbuffò Scorpius, mentre Albus aguzzava lo sguardo sulle loro mani unite.
“Ma che è a te! Mollala, Malfoy!” sibilò il ragazzo dai capelli neri, dividendo la stretta con una gomitata micidiale che fece bestemmiare Scorpius in aramaico.
“Schiatta a pecora, Potter!” sbraitò il ragazzo dai capelli biondi, mantenendosi la mano con una smorfia indignata.
Albus e Lily assunsero la stessa espressione schifata.
“Ehi!” urlarono all’unisono e se la rossa gli diede un calcio negli stinchi – mandandolo steso senza fiato – l’altro gli mollò uno scappellotto che quasi gli staccò la pelle dietro la testa.
“Bastardi… sì, pure tu, sei una bastarda!” annaspò Scorpius senza fiato, ancora inginocchiato sul pavimento.
Lily si riavviò i capelli con un gesto secco della mano.
“Ah, che stile, ragazzi. Che stile!” sospirò Dalton, poggiandosi con una mano contro il muro e ammiccando sensualmente verso la Potter.
“Tu non rivolgermi la parola, Zorro della malora” sibilò Lily, spintonandolo e facendolo crollare a gambe all’aria accanto al suo amico di sempre.
“Spero che sanguinerai ogni volta che Malfoy cerchi di traviarti verso il piacere del sesso!” sbraitò Dalton, piagnucolando per l’essere crollato proprio sul suo regale fondoschiena.
“SEI UN CODARDO!”
I quattro si zittirono all’unisono quando sentirono quella frase rimbombare per i corridoi ancora vuoti per le lezioni in corso: Albus si accucciò accanto a Dalton, sintonizzando le orecchie e Lily si sporse alla sua destra per sentire meglio.
“Oh, quanto amo le scenate di gelosia” bisbigliò Dalton, ignorando le braccine di Albus circondate al suo collo: era nauseante il modo in cui stavano attaccati, questo lo dovette ammettere anche Lily che come qualsiasi donna desiderava una storia gay tra due amici per assistere a quell’amore, in quella scuola così piena di pregiudizi, sbocciare ed essere impossibile – certo – ma realizzabile.
“Ti sto dicendo che la Smith non si vede in giro da una settimana e tu mi rispondi che non sono affari tuoi? Ma sei scemo o cosa?!” urlò – e questa volta Lily la riconobbe – la voce di sua cugina Rose.
Dalton s’immobilizzò, allibito e sentì chiaramente il cuore sprofondare.
I suoi sospetti erano fondati… Joe, era successo qualcosa alla sua Joe.
“Che vuoi che ti dica, Weasley? Io e la Smith non stiamo più insieme” rispose Tom e i quattro lo intravidero accanto la rampa di scale, diretto verso l’aula di Artimanzia dopo un ora di buca per l’assenza del professore di Difesa.
“Le serve aiuto, non capisci? Joe è vittima di bullismo e se il mio intuito non m’inganna, la colpa è tutta tua e di quell’altro idiota a cui vai appresso!” disse Rose, furiosa, mentre Dalton ciondolava il capo a destra e sinistra.
Era successo qualcosa a Joe. La sua Joe.
Sentirono un botto – e Albus quasi li fece scoprire crollando su Dalton: Lily riuscì a ficcare un pugno in bocca al ragazzo di colore prima che sbraitasse – sporgendosi insieme agli altri tre per vedere chiaramente Tom sbattere, con una violenza inaudita, Rose contro la rampa di scale.
Erano faccia e faccia e Tom copriva il corpo piccolo e contratto di Rose.
“Porca puzzola, ma da quando è così sexy e violento?” sussurrò Albus, facendosi guardare schifato da quei due e pure sua sorella.
“Guarda che Chrysanta la sorpresa non ce l’ha…” ridacchiò Dalton, suscitando nel metro e quaranta d’uomo tutta l’indignazione possibile.
“Ma vaffanculo, va!” sibilò Al, mostrandogli il dito medio.
“In effetti ha ragione, Potter; ci sono passato anch’io con Chrys e…” iniziò Scorpius, venendo immediatamente zittito da una scarpina di vernice in pieno cranio.
Gemette, crollando nuovamente con la faccia sul pavimento.
“Sta zitto, Tom sta nuovamente parlando” sussurrò Lily, incattivita, guardandolo con uno sguardo così velenoso che, Scorpius, ritenne opportuno crollare nuovamente con la faccia sul pavimento.
“Sì, padrona” piagnucolò, beccandosi pure un “tiè”  da Dalton, che si era vendicato di tutte le volte che lo aveva maltrattato.
“Muori”
“Più tardi, ora subisci tu” ridacchiò Zabini, tutto beato, tenendosi ancora Al a cavalluccio come se non pesasse niente.
“Non. Intrometterti. In. Cose. Che. Non. Sai” sillabò Tom, attirando nuovamente l’attenzione dei ragazzi.
Era a pochi centimetri dal volto di Rose, che lo fissava impassibile: i loro nasi si sfioravano e Tom strinse con entrambe le mani il corrimano di marmo, intrappolandola con il calore del suo corpo.
Con l’odore del suo respiro.
“Nott, non m’intrometto assolutamente in niente, forse non ci siamo capiti” disse Rose, assottigliando gli occhi azzurri in una fessura sottile e poggiando i pugni chiusi contro il suo petto.
“Joe è stata messa in un angolo dallo stupido fan – club eretto per te e quello stupido di Zabini e tu devi fermare questo scempio prima che qualcuno si faccia seriamente male” continuò, combattiva, spingendo i pugni contro il suo torace con forza.
“È tuo dovere!” terminò, facendo spalancare gli occhi di Tom fino all’inverosimile.
Suo… dovere?
“Mio dovere?” ripeté Tom, sbattendo ripetutamente le palpebre e affannando di poco col petto.
“MIO DOVERE?” urlò, facendola sobbalzare violentemente sul posto e tappare la bocca con la mano chiusa a coppa.
Albus allacciò le gambe attorno la schiena di Dalton, stringendoselo contro così forte da fargli temere un soffocamento sia per la paura che gli aveva fatto prendere quello scemo – urlando così forte – sia per la stretta di Al che si era quasi cagato sotto per l’attacco improvviso di Tom.
“Hai ragione… è sexy così!” bisbigliò Dalton, grattandosi il mento e mollando un pizzico ad Albus per fargli alleggerire la presa.
“Annota, Potter: violento è sexy” mormorò, annuendo e lasciando che Al segnasse tutto sul taccuino per essere perfetti.
“State zitti” li riprese Lily, seduta accanto a Scorpius tutta presa dalla conversazione tra quei due.
“Seriamente, Weasley. Hai appena detto che preoccuparmi della Smith è mio dovere?” mormorò Tom, respirando tremolante sulla sua bocca e facendole perdere un battito.
“Sì, l’ho appena detto” rispose Rose, aprendo i pugni poggiati sul suo petto e cercando di spingerlo indietro senza successo.
“Stupida…” mormorò Tom, abbassando il capo e lasciando che alcuni ciuffi di capelli – neri come l’onice – gli coprissero lo sguardo cupo.
Rose lo sentì tremare e quasi le gambe le cedettero nel sentire quel profumo di more e uomo così vicino a sé. Non era mai stata a così poca distanza da un ragazzo che non fosse della sua famiglia e… faceva paura. Ed era qualcosa di meraviglioso.
Stupida!” urlò ancora Tom, colpendo il corrimano con un pugno così forte che Rose poté quasi sentire lo scricchiolio delle ossa.
Si aggrappò alle sue spalle, affannando: le unghia penetrarono nel mantello e nel maglione pesante, lasciando il segno nella pelle della spalla scarna; Tom alzò gli occhi blu su di lei, fissandola con la mascella serrata.
“Non sono affari tuoi” ripeté ancora, mentre lei poggiava i polpastrelli sulle nocche che avevano colpito il marmo con forza.
“Nemmeno più tuoi, a quanto pare” rise Rose, facendo leva sui palmi aperti sulle sue spalle per spingerlo lontano. Tom scese qualche scalino, con la mano sanguinante.
“Tu hai solo paura che qualcuno faccia prima di te… e che lei, nuovamente, non ti scelga con il cuore” sussurrò Rose, passandosi una mano tra i capelli rossi e rendendoli ancora più elettrici.
“E fattelo dire, Nott: sei patetico” finì, dandogli le spalle e superandolo di gran carriera, con il viso rosso e le gambe tremanti.
Una cosa era certa: Thomas aveva il profumo più bello che avesse mai sentito ed era tutto dire. Quegli occhi blu, oltre a metterle soggezione, ora la stavano osservando come se volessero ucciderla… eppure non aveva paura.
Non di lui, non di Tom.
Poteva arrabbiarsi quanto voleva, diventare anche l’uomo più furioso della terra, ma lei lo aveva osservato abbastanza da capire. Da capirlo; quel ragazzo non era capace di fare del male ad una mosca – a dire il vero – e l’unico che era mai riuscito a punire veramente era solo lui stesso.
E faceva male quella constatazione. Tom non era cattivo, era solo incompreso, e fuori posto, probabilmente.
Rose accelerò di passo e appena riuscì a mettere metri di distanza da lui e il proprio cuore, si accasciò contro il primo muro che le capitò di spalle, scivolando sul pavimento con una mano sul petto: Merlino, non le batteva così da secoli ed era la sensazione più piacevole che avesse mai provato.
Aveva appena insultato Nott come niente fosse.
Lo stesso Nott che aveva un profumo meraviglioso.
“Merda!” bisbigliò a bassa voce, colpendosi la fronte con una manata.
Merda! Ripeté mentalmente, dandosi della stupida.
Ma che le saltava in mente? Insultare in quel modo un Caposcuola! Un Caposcuola con un profumo così mera… basta! Doveva riprendere controllo sulle sue facoltà mentali!
Ma era così buono…
“Merda!” disse ancora, sbattendo la testa contro il muro e piagnucolando come una bambina.
Perché – quando si trattava di ragazzi o anche cose che si avvicinassero lontanamente a relazioni fisiche e sentimentali – la sua mente si spegneva e diventava la fotocopia di suo padre?
“Merda!” era anche peggio di quanto pensasse.
Si fermò al primo piano, nei pressi della Sala Grande e piagnucolò nuovamente, perché, cavolo, era una stupida; e al diavolo Joe e il suo voler fare la paladina della giustizia!
Si era fatta gli affari propri per sette anni e proprio ora cominciava a farsi problemi?
“Dimmi dov’è”
Una voce affannosa e, girandosi, Rose incontrò gli occhi azzurri di Dalton Zabini: si mordeva le labbra e sembrava aver corso per… per raggiungerla.
Aveva sbagliato, ancora. Nonostante si considerasse una persona molto intelligente, Rose aveva sbagliato i suoi calcoli.
Non era Tom che doveva fermare e dire quelle cose; non era a lui che doveva dire della condizione di Joe. E lo capì guardando Dalton negli occhi, che si mordeva l’interno della guancia per non urlarle che voleva sapere.
Che aveva bisogno di sapere se Joe stava bene.
E Rose sorrise.
“A lei piace sentirti” mormorò solamente, capendo il perché – ultimamente – avesse trovato Joe solo nel bagno al terzo piano.
A lei piaceva veramente sentirlo e viste le ultime reazioni di Dalton e la sua impossibilità nel mostrarsi in quelle condizioni, si chiudeva in uno dei cubicoli per ascoltarlo anche solo respirare.
Lei lo amava. E anche lui, a quanto sembrava.
“A lei piace sentirmi…” ripeté Dalton, fissandola dapprima confuso. Aggrottò le sopracciglia scure, inclinando il capo, e Rose ridacchiò, socchiudendo gli occhi azzurri.
“A lei piace anche solo sentirti respirare, fumare”  bisbigliò la rossa, facendolo illuminare dalla comprensione.
“Oh” disse solamente Dalton, capendo a volo.
“Dove vai?” urlò Albus, dal corridoio opposto, mentre lui correva verso le scale senza guardarsi indietro.
No, no, quella volta non si sarebbe fatto fermare da nessuno, nemmeno se si fossero presentati i suoi genitori per scusarsi delle loro assenze, dei loro sbagli. E al diavolo l’orgoglio, Tom e tutte le puttanate che si portava dietro!
Lei era sua.
Lei era sua, cazzo e l’avrebbe avuta!
Nessuna paura, ora, nessun schiantarsi al suolo e farsi male. Nessuna insicurezza, solamente Joe e Dalton. Solamente il battito furioso dei loro cuori dopo un solo sguardo.
E corse.
Corse fino a sentire male alle ginocchia, a venire meno nei polpacci, ad esalare respiri piccoli per non sentire dolore al petto; corse scale su scale e quando arrivò finalmente al bagno di Mirtilla, l’ansia subì un impennata che gli strappò il fiato.
Poggiò la mano sulla maniglia e s’introdusse velocemente nella stanza umida e silenziosa: non c’era nessuno, se non il gocciolio insistente dell’acqua; sapeva che lei era nascosta, poteva sentirla respirare – ora come non mai. –
Il suo profumo era sempre stato lì, prepotente, ma nonostante questo non era diventato affatto flebile. Poteva sentirlo sotto pelle, ovunque attorno a sé.
Era lì e lo amò con ogni osso e membra funzionante del suo corpo.
Entrò in uno dei cubicoli e si accucciò sul pavimento dalle piastrelle fredde, rimanendo la porta socchiusa e – con un incantesimo – sbattendo quella principale.
Un respiro e Dalton sentì chiaramente una porta cigolare lentamente, come se qualcuno volesse dapprima accettarsi che il bagno fosse vuoto per mostrarsi.
Due sospiri tremolanti e finalmente sentì dei passi: zoppicava lenta sulle piastrelle, tenendosi il fianco con il respiro affannoso.
Dalton sgranò gli occhi, aggrappandosi al legno della porta con la gola secca e le mani tremanti. Che le avevano fatto?
Come avevano ridotto la sua piccola complessata? Quella ragazza così timida che – all’inizio dei loro incontri – lo guardava e arrossiva… che le avevano fatto? Scosse il capo, mordendosi la bocca fino a sentirla sanguinare e lei, nel mentre, era arrivata dinnanzi ai lavandini.
Si guardava allo specchio e intanto si medicava il braccio escoriato e graffiato a sangue; aveva dovuto cucirsi il labbro da sola – per non insospettire Madama – e, nuovamente, ancora, le avevano fatto l’occhio nero: era così gonfio e verde che – oramai – Joe aveva preso l’abitudine di guardare solo con l’occhio sinistro e non sobbalzare più quando incontrava il suo riflesso.
Non riuscì a trattenere un conato di vomito e cacciò la colazione dritta dritta nel lavandino del bagno, tremando.
Cristo, era così stanca… con due costole incrinate faceva fatica persino a respirare e lei era così stanca di sforzarsi di fare persino una cosa così naturale.
Aprì il rubinetto e si sciacquò velocemente il volto, inghiottendo singhiozzi e lacrime come fiele e bile – non c’era differenza – avevano lo stesso sapore.
Il suo riflesso risultava nauseante persino a se stessa e non centravano nulla i tre graffi sulla guancia – che le deturpavano il volto – o il naso rotto. No. Era il suo sguardo spento ad essere nauseante, i suoi capelli tagliati fin sotto l’orecchio, in segno di sfregio, ad esserlo.
Si asciugò l’unica lacrime che era sfuggita al suo controllo e si maledì, quando, guardando allo specchio vide il volto di qualcuno che non era lei.
“Sei patetica” rise Cecilie, poggiando i fianchi contro lo stipite della porta del primo cunicolo alla sua destra.
“Basta. Basta” bisbigliò Joe, aggrappandosi con le dita violacee al lavandino di ceramica.
Si era rotta una mano. Ed era stanca.
Basta. Basta.
Cristo, era distrutta. L’avevano piegata, spezzata… fatta a pezzi e non ce la faceva più. E non voleva farcela più.
“Ci ho messo un po’ di tempo per arrivare a questo punto, ma sappi che è il mio preferito” mormorò Cecilie, riavviandosi una ciocca di capelli biondo miele dietro l’orecchio e sorridendo come una bambina.
Joe distolse lo sguardo dai suoi occhi azzurri e li puntò nel proprio riflesso, pallido e ferito.
Basta. Basta.
“Basta” ripeté Joe ancora una volta, con voce flebile, stringendo ancora più forte la ceramica tra le dita e ignorando il dolore. E ignorando il suo cuore dal battito flebile.
“Ci ho messo settimane per preparare quella stupida pozione, ma ne è valsa veramente la pena… non credi, Joe?” continuò Cecilie, facendo sgranare gli occhi alla Grifondoro e annuendo, folle, pazza.
“Oh sì, sono stata io. Sai, avevo capito fin dall’inizio che c’era qualcosa in Dalton, quando facemmo l’amore e mi è bastato osservarlo nemmeno due minuti per accorgermi che era innamorato. LUI ERA INNAMORATO!” e urlò letteralmente quella frase, disgustata.
Joe ciondolò il capo, inerme e Cecilie ridacchiò nel vedere i suoi capelli tagliati fino sotto al mento in modo irregolare.
Era stata lei.
Era stata lei.
“E avevo bisogno che lui capisse… che lui capisse il tipo di persona di cui si stava innamorando. Mi è bastato parlare ad alta voce nei corridoi di quest’anello della promessa – che un mio pseudo ragazzo mi aveva regalato – e che legava due persone per tutta la vita per far correre Tom a comprarlo. Poi, lo giuro, hai fatto tutto da sola!
Anche se devo ammettere che farli prendere a botte è stato un tocco di classe: ho allontanato sia Dalton che Tom da te e non ho fatto altro che dire in giro la verità.
La causa del litigio tra i due migliori amici secolari – di due persone che si volevano bene da tempi immemori – e si consideravano l’uno la famiglia dell’altro, eri tu” mormorò Cecilie, divertita, accarezzandosi la gonna della divisa e avvicinandosi lenta, mentre le scarpine di vernice producevano un ticchettio strano, inquietante e angosciante.
“Non è stato divertente, Joe?” sussurrò al suo orecchio, accarezzandole i capelli con dolcezza.
Basta. Basta.
“Basta!” urlò Joe, colpendo con una manata lo specchio di fronte a sé, che si ruppe in mille pezzi.
Basta. Basta.
Basta.
“Allontanati. Ora”
E quella voce sembrò una condanna ma nello stesso tempo una manna dal cielo: era così gelida e fredda che le due ragazze rabbrividirono all’unisono, girandosi verso la fonte.
Dalton calciò così forte la porta del cunicolo dove si era nascosto che questa si scardinò, cadendo con un tonfo sul pavimento e alzando centimetri di polvere.
Era seduto sul pavimento e fissava Cecilie con gli occhi sbarrati dalla rabbia, mentre la gamba era ancora piegata dopo aver assestato il colpo; i capelli neri erano scompigliati, come se li avesse resi elettrici dopo averci passato le mani ripetutamente. Ed era furioso.
E aveva uno sguardo omicida che, di primo acchito, sembrò quello di un psicopatico.
“Forse non mi sono spiegato bene, Cecilie, cara.
Ho detto allontanati da Joe. Ora”  sibilò con voce roca, alzandosi dal pavimento con un colpo di reni e stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.
Tutte quelle notti a darsi la colpa, a darle la colpa… e alla fine era tutta colpa sua. Era stata colpa di quella puttana, che ora lo fissava pallida ed esamine.
L’ammazzava.
Merlino, se l’ammazzava!
“Quante volte ho ignorato questa maledetta ossessione che nutrivi nei miei confronti e che mi ha asfissiato fino all’inverosimile, hm?” iniziò, avvicinandosi lento verso di lei, che indietreggiò e toccò con la schiena i lavandini di ceramica.
Il sangue di Joe gocciolava ancora sul pavimento.
E la sua furia aumentò.
“Quante volte ho perdonato i tuoi attacchi, Cecilie, hm?” continuò, inclinando il capo e sporgendosi verso di lei, mentre Joe si schiacciava al muro e li fissava con gli occhi vuoti. Con il volto colpito e martoriato, distorto dai colpi, dalla tristezza.
L’ammazzava.
Morgana, se l’ammazzava!
“E QUANTE CAZZO DI VOLTE TI HO DETTO DI STARE LONTANA DA CIO’ CHE ERA MIO?” strillò infine Dalton, con gli occhi fuori dalle orbite e colpendo così forte lo specchio alle spalle di Cecilie che creò alcune crepe nel muro e mandò in mille pezzi il proprio riflesso.
Cecilie sobbalzò e Joe li fissò ancora inanimata.
“Perché vuoi che io ti faccia male?” bisbigliò, portando le dita macchiate di sangue al collo pallido della Corvonero e annaspando pericolosamente.
Era tutta colpa sua.
Solo colpa sua.
“Perché vuoi che diventi violento?”
Aveva avuto ragione, Cecilie: quegli attacchi violenti, che facevano male agli altri, avrebbero solamente allontanato chi lo amava da sé.
Strinse le dita così forte al collo che la vide diventare cerea, ma non smesse; continuò a stringere fino a sentirla annaspare, aggrapparsi a lui per supplicarlo di smetterla, ma continuò.
Voleva sentire le ossa scricchiolare sotto le sue dita e i suoi occhi pregarli. Voleva vederla sottomessa, com’era stata Joe quando era stata picchiata; voleva vederla piangere, come tutte le volte che aveva pianto Joe quando l’avevano ferita.
Voleva… voleva…
“Basta” sussurrò Joe, al suo fianco, poggiando la mano sul suo braccio e flettendo le dita sul suo maglione.
Voleva lei.
Era determinata e lo fissava stanca, come se avesse corso miglia; Dalton si staccò immediatamente da Cecilie, che si accasciò sul pavimento, e si voltò a guardarla con gli occhi azzurri spalancati e… intrisi di lacrime.
Stava piangendo. E voleva lei.
“Mi dispiace” bisbigliò Dalton, passandosi una mano nei capelli e coprendosi lo sguardo con un braccio.
Annaspò, singhiozzando come un bambino.
“Non avevo idea… non potevo saperlo… mi dispiace” rantolò, con voce roca, mentre scuoteva le spalle per i singulti di pianto che lo coglievano improvvisamente.
Si piegò su se stesso, sulle ginocchia, e gemette ancora.
“Salazar, ti hanno torturato!” urlò, sentendo lo stomaco contrarsi e il cuore cadere.
Merlino, se cadeva: era una caduta libera che non si arrestava, che continuava a ferirlo e che gli faceva mancare il fiato.
Era tutta colpa sua. Solo colpa sua.
“Dalton, Dalton”  lo richiamò Joe, spostando il braccio dai suoi occhi e inginocchiandosi di fronte a lui, con le mani tra le sue, con il respiro nel suo.
Cecilie era scomparsa, ma non gli importava; voleva solamente sapere se lei avrebbe potuto perdonarlo, se con tutto quello era successo lei poteva ricostruirsi.
“Va tutto bene, Dalton” mormorò Joe, portandosi la mano ferita al viso e sporcandosi le guance di sangue.
E lo consolava lei quando avrebbe dovuto farlo lui.
“Va tutto bene, Dalton. Sei qui, sei qui” continuò, dondolando su se stessa e lasciando – finalmente – che qualche lacrima le accarezzasse il volto.
Sì, era lì.
L’abbracciò di slancio e lei non fiato, aggrappandosi con le mani alla sua schiena, e se la strinse al petto così forte da farle e farsi male.
Sì, era lì. E quella volta in modo permanente.

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Capitolo 16
*** Capitolo quindicesimo - Fine ***


Capitolo quindicesimo –
Fine
 
 
“Ragazzi, ho un annuncio importante da farvi”
La Mcgranitt salì sul pulpito rivolgendo a tutti loro con un occhiata serena, abbastanza diversa da quelle che – negli ultimi tempi – l’avevano caratterizzata; da quando era ritornata dal Ministero sembrava essere veramente rinata e tutti, chi di più chi di meno, si chiesero perché.
La donna congiunse le dita sotto il mento e abbozzò un sorriso con la bocca rugosa: tutti gli studenti si zittirono e la guardarono incuriositi.
“Dopo parecchie indecisioni e discussioni, io e l’Auror di punta – il nostro caro signor Potter – abbiamo deciso che il nostro professore di Difesa sarà particolare.
Ho assunto una persona che ci sarà molto utile e preparerà voi del settimo alla vita che vi aspetta lì fuori… ai pericoli che vi attendono una volta usciti da questa scuola; prego, fate un applauso al vostro nuovo professore.
Ted Remus Lupin, vieni avanti” disse la donna, facendo un cenno con il mento rugoso verso il portone d’ingresso e zittendo il mormorio che si era alzato.
“No” bisbigliò Scorpius Malfoy, aggrappandosi alla tavolata di legno con espressione terrorizzata.
“Oh” disse Lily, sbattendo ripetutamente le palpebre, confusa.
“Chi cazzo è?” borbottò Dalton, sbadigliando vistosamente e mostrando il dito medio a Cecilie, che si nascondeva attraverso i capelli biondi.
“NO, LUI NO!”
E Scorpius – sono intelligente – Malfoy balzò letteralmente in piedi, urlando quella frase e indicando il ragazzo che si stava dirigendo verso il tavolo dei professori.
La Sala si zittì, la Mcgranitt aprì la bocca a iena e Lily sbiancò vistosamente, allentandosi il colletto della divisa per il calore improvviso che l’aveva travolta.
Cazzo.
“Come prego?” lo riprese la preside, severa, fissandolo con una furia tale nello sguardo che, da un momento all’altro, Scorpius si aspettava di vederle spuntare corna e coda.
Merda.
“Oh, oh. Nel senso che… beh, ma lui non è un Auror?” miagolò Scorpius, sbattendo angelico le ciglia bionde e tornando a sedersi molto a rallentatore, giusto per non fare mosse azzardate.
“Sì, grazie per avercelo fatto notare a voce così alta, signor Malfoy” sibilò la Mcgranitt, velenosa, mentre Dalton soffocava una risata.
“E lei, signor Zabini, può astenersi?” sbottò, rivolgendosi poi al ragazzo di colore, tutto pacioso per fatti suoi.
Tom guardò Joe, che si stava schiaffeggiando la fronte per l’idiozia del ragazzo e strinse i denti; l’avevano ridotta come carne da macello e – naturalmente – il cavaliere dall’armatura brillante era corso in suo aiuto.
“Perché quando incolpate qualcuno dovete per forza incolpare anche me, ma se vengo incolpato io non viene incolpato nessun altro?” disse Dalton, beccandosi un sorrisetto irritante da parte di Nott.
“Dieci punti in meno a Serpeverde, ora silenzio” sibilò la Mcgranitt, che aveva la mascella così serrata da far temere ai suoi studenti di potersi spezzare i denti da un momento all’altro.
Ted si sbrigò a sedersi al suo posto, silenzioso e Scorpius ruggì a bassa voce, beccandosi un calcio negli stinchi da parte di Lily.
“Che cazzo ridi, cervo a primavera?” bisbigliò Dalton verso Tom, che dal sorrisetto irritante era passato ad una faccia seria e funerea.
“Ma noi non avevamo aggiustato la situazione?” sbuffò il ragazzo dai capelli neri, incrociando le braccia al petto.
E va bene, sì, avevano fatto la pace, ma potevano aver aggiustato tutte le situazioni del mondo… fin quando ci sarebbe stata Joe di mezzo, si sarebbero azzannati fino agli ultimi giorni della loro esistenza.
“Hai cominciato tu!” mugugnò Dalton, incrociando le braccia al petto e mettendo un muso lungo.
“Merlino, Zabini! Hai due anni o cosa?” borbottò Tom, alzando gli occhi blu di fronte a sé e incontrando – sorprendentemente – gli occhi di Rose.
Quella prima arrossì come un peperone, poi si girò di scatto, dando una gomitata dietro la testa di suo fratello Hugo e mandandolo con la faccia nel purè.
“Cazzo!” la sentirono urlare, prima che si tappasse la bocca con le mani chiuse a coppa.
“Merda!” scappò detto a Tom, visto che aveva attirato tutta l’attenzione della Sala, compresa la Mcgranitt.
Questa spalancò gli occhi come due fanali.
“Eau de finesse!” ridacchiò Dalton, che era – volente o nolente – sempre in mezzo.
“E io che dovrei dire?” piagnucolò Hugo, che quando mangiava si ritrovava sempre nella testa in qualche pietanza.
Rose, se possibile, divenne ancora più rossa.
“Oh, oh. Ma guarda un po’ che vedo… ti piace la Weasley!”
E disastro, apocalisse, fine del mondo!
Dalton urlò quella frase così forte che rimbombò tra le pareti, facendo il giro della Sala e zittendo persino i professori.
Rose divenne di un bianco cereo e Joe sputò tutto il bicchiere di succo di zucca che stava bevendo; Lily sbatté la testa sul tavolo, chiedendosi perché tutta la gente a cui tenesse piacesse un Serpeverde e Scorpius inclinò il capo, fissando Rose curiosamente.
“Vabbè, dai… è scopabile” borbottò, dando la botta finale.
“NEL MIO UFFICIO, IMMEDIATAMENTE!”
Sì, la botta per mandarli dalla preside a calci nel culo.
 
E dopo mezz’ora di bestemmie e di “sei stato tu!” e “no, cazzo, sei stato tu”, di calci e pugni da parte di Tom, che li aveva ridotti ad ammassi di carne, si ritrovarono seduti tutti paciosi nell’ufficio della preside.
E chi c’era?
Pure quel maledetto di Lupin! Oh, ma Scorpius lo avrebbe ammazzato… Merlino, se lo avrebbe ammazzato!
Quello voleva la sua Lily, glielo leggeva negli occhi, e lui non si sarebbe fatto soffiare la ragazza da un Lupin. Ne valeva il suo onore, orgoglio e pure la sua vita, se proprio doveva essere melodrammatico.
“Io… io… non so’ come definire il vostro comportamento!” la preside si sedette con aria afflitta, portandosi una mano alla testa e chiedendosi – mentalmente – cosa avesse fatto di male nella sua vita per meritarsi tutta la generazione dei Potter\Weasley, dei Malfoy – e pure dei Zabini, visto che erano tutti, nessuno escluso, una spina nel fianco – nella sua scuola.
“Ne ho abbastanza di voi. Vi subisco da secoli, oramai” mugugnò, partendo dai loro genitori sino a loro.
“Siete terribili, sì” affermò Ted, sorridendo e colorando i suoi capelli di un azzurro vivace.
Scorpius mimò con una smorfia l’espressione del professore, bestemmiando in Turco quando Lily, per zittirlo, gli menò l’ennesimo calcio nella tibia.
“Siete tutti in punizione”
E un tonfo attirò l’attenzione di tutti quanti: si girarono all’unisono e trovarono Rose Weasley con la fronte collassata sul tavolo, piagnucolante.
“Tutto finito, la mia carriera è tutta finita” singhiozzò, con i capelli rossi che sembravano una balla di fieno.
“Ed è tutta colpa vostra” continuò, mentre la Mcgranitt sospirava afflitta e fucilava quei disgraziati attraverso gli occhiali dalla montatura severa.
Ecco, lo sapeva! Quelle pesti riuscivano a farla arrabbiare con la stessa velocità con cui si facevano perdonare.
“Non potrò frequentare il corso di Medimagia e mia madre mi diserederà” continuò Rose, melodrammatica, tirando su con il naso e scuotendo le spalle in singulti silenziosi.
La preside rabbrividì: la Granger era cambiata abbastanza da non diseredare la sua primogenita per una punizione a scuola, ma sapeva che era abbastanza cambiata anche da poter fare di peggio. Chissà, tipo costringerla a vivere con suo padre.
Merlino…
“D’accordo, d’accordo! Pulirete tutti quanti insieme l’aula trofei – senza magia – e solo per questa volta non verranno né avvisati i vostri genitori né segnati nel registro scolastico” sbuffò la Mcgranitt e puff, come per magia Rose rialzò la testa con un sorriso spettacolare sulle labbra.
“Grazie prof!” cinguettò tutta mielosa, facendosi guardare male sia da Tom che dalla preside.
“Sì, grazie proffi!” ridacchiarono Dalton, Hugo e Scorpius in coro, strappando un sorriso alla donna.
“Fuori dal mio ufficio, ruffiani!” borbottò, mandandoli gentilmente a quel paese.
Scorpius – così – giusto per fare scena, fece un sorrisone a trecentocinquanta denti e prese Lily per mano, baciandole poi le nocche. “Dai, andiamo, amore” sibilò, fissando Ted con gli occhi grigi contratti.
Lily avvampò, la Mcgranitt fece cadere il biscotto allo zenzero che teneva tra le mani – e che si frantumò direttamente nel tè – Dalton inciampò sui suoi stessi passi e i capelli di Ted divennero di un nero inquietante.
“Arrivederci!” e via come un fulmine afferrò Lily per un braccio e sfilò come una saetta fuori dall’ufficio della preside.
“Scorpius!” sbraitò Lily, sballottata a destra e manca nei corridoi.
“Lily!” la scimmiottò il ragazzo, mentre lei si girava e storceva la bocca nel constatare che avevano seminato tutti.
Ma che aveva nelle gambe?
“Merlino, Malfoy! Se non ti fermi subito giuro che…” strillò come un ossessa, bloccandosi immediatamente quando lui si fermò di botto e la schiacciò al muro con il suo corpo.
Era lì, a pochi centimetri dal suo volto ed era meraviglioso.
Guardò il piccolo neo sulla tempia, le sfaccettature verdastre nel grigio stupefacente dei suoi occhi e il fuoco. Sì, il fuoco; ne aveva uno che divampava nel suo sguardo in modo irrefrenabile, spaventoso e la bruciava, divorandola dall’interno.
Lui la stava mangiando viva.
“Giuri che…?” sussurrò Scorpius, poggiando i palmi aperti ai lati del suo viso e bloccandole qualsiasi via d’uscita. Qualsiasi scampo per fuggire da lui. Dal suo cuore. Dal suo respiro sulla bocca che le stava portando via l’anima.
“Ti crucio” bisbigliò Lily, ingoiando a vuoto e aggrappandosi alle sue spalle.
Scorpius sorrise e lei arrossì, facendogli la linguaccia.
Il suo profumo aveva qualcosa di intossicante: era pesante, entrava dentro, restava sui vestiti – lasciava tracce, ricordi – e uccideva lentamente; Scorpius aveva un profumo fantastico, ma micidiale.
“Baciami” soffiò Scorpius, sghembo, infilando un ginocchio tra le sue gambe e avvicinandosela ancora di più: ora i loro cuori battevano all’unisono – uno a destra e uno a sinistra dell’altro – e in quell’abbraccio compensavano il vuoto che vagava al lato opposto dei loro sterni.
“No”
“Baciami” ripeté Scorpius, poggiando la fronte contro la sua e infilandole una mano tra i capelli rossi come il sole al tramonto.
Un respiro e Lily sorrise, poggiando la guancia contro il suo palmo.
Due respiri e Scorpius passò velocemente le labbra sulle sue, strappandole senno e voglia di scappare. Stava bene lì, perché andare via dalla felicità?
Tre respiri e lui seppe che era finito: lui non era niente, nessuno, quando lei non c’era; tra quelle braccia si sentiva Serpeverde e Grifondoro, coraggioso e ambizioso, intelligente e potente. Tra quelle braccia era principe e pirata, nobile e contadino, Scorpius e Malfoy.
Lily lo completava… in tutto e per tutto, ovunque e dappertutto.
“Tu sei mia” mormorò, prima di intrufolare la lingua tra le sue labbra.
E al diavolo Lupin e tutte le sue manfrine. Al diavolo il mondo e pure la guerra che si stava scatenando là fuori – nonostante fossero loro le esche – lei lo stava baciando ed era l’unico posto dove volesse stare.
“Sì. Sono tua”
E black-out totale. Buio, vuoto, niente.
Sentì solo il suo corpo contro il proprio, la sua lingua calda nella propria bocca e quelle piccole mani dappertutto: nei capelli, sulla faccia, attorno al collo; sembrava volesse strozzarlo – sembrava volesse strappargli il respiro.
E impazzì per lei, con lei.
“Mia, mia” ripeté con voce strozzata, senza staccarsi dalla sua bocca rossa, dal calore che quel corpo emanava, urlando che non era di nessun altro se non di lui – che la stringeva – che si stava rendendo conto di amarla.
Le sue dita alzarono la gonna della divisa di Lily, che rovesciò il capo contro il muro e gemette, aggrappandosi ancor più forte alle sue spalle.
Salì piano, lentamente, in un instabile tortura…
“Ma voi un letto non ce l’avete?”
E il premio per impicciona rompicoglioni dell’anno, naturalmente, andava a Chrysantha Nott!
“Tu, invece, hai un radar che ti dice in quale posto e in quale ora ci appartiamo?” sibilò Scorpius, staccandosi frustrato da Lily e cercando di non mangiarsi le nocche.
Merlino santissimo! Se le cose andavano avanti così, avrebbe dovuto assumere il metodo di Lupin: lui, un cesso chiuso a chiave e tanti fazzolettini.
E vaffanculo, maledizione!
“E secondo te a me fa piacere vedervi trastullare dalla mattina alla sera?” sbraitò Chrys, che quel giorno indossava un paio di occhialoni che le coprivano il visetto deliziosamente struccato.
“Per caso sei diventata cieca da un giorno all’altro?” domandò Lily, allentandosi la cravatta e i primi bottoni della camicia per il caldo assurdo che portava la vicinanza di Scorpius.
Chrysanta si aprì in un sorriso bastardo che mise ansia alla rossa.
“Parli di questi?” cincischiò, indicandosi gli occhiali dalla montatura di un verde scuro.
Lily annuì, guardinga.
“Oh, niente di che! Ho scoperto che a tuo fratello piacciono intellettuali!”  ridacchiò, frivola, legandosi i capelli castani in una coda alta.
Lily represse un conato di vomito.
“Intellettuali mentalmente, Nott. Non fisicamente” sbuffò Scorpius, chiedendosi del perché la carnagione della sua ragazza avesse assunto un colorito verdognolo.
“Vedrai quanto sarò intellettuale mentalmente quando lo legherò al mio letto e…” iniziò Chrys, venendo interrotta da un urlo micidiale di Lily.
“Nott, per l’amor del cielo! È mio fratello!” sbraitò la Potter, scuotendo il capo per liberarsi dell’immagine di Albus legato ad un letto. In procinto di sadomaso.
Oh santissima Morgana…
“Bleah” si disgustò, piagnucolante, mentre Scorpius fissava Chrys con la bocca tesa in una linea sottile.
“E fammi capire, tu progetti del sadomaso con quello sfigato di Potter e poi dici che ti si blocca la crescita nel vedere me cercare di combinare qualcosa con la mia fidanzata?”
E boom. Bomba lanciata.
Sconvolto generale, bocche spalancate, silenzio assoluto.
Scorpius Malfoy si tappò le labbra troppo tardi: il danno era fatto.
“Ma dai, che vi aspettavate? Le sta dietro e a malapena le ha infilato la lingua in bocca!” sbuffò Dalton, apparendo alle spalle di Chrys e facendole venire mezzo infarto.
Era in compagnia di Albus, arrossito alla vista della Nott e Joe – che era finita lì senza nemmeno saperlo e si guardava attorno ancora piena di lividi.
Lily non aveva ancora saputo quello che era successo: Dalton le aveva solamente raccontato che Cecilie e le sue amiche l’avevano spinta dalle scale e lei per rabbia si era tagliata i capelli e graffiata il viso.
Cecilie, quella mattina, si era svegliata con il volto trasfigurato in un ammasso di brufoli e i capelli a zero.
“Smettetela di parlare di me come se non ci fossi” sbuffò Lily, aggiustandosi la gonna della camicia e facendosi guardare male da suo fratello.
“Pensa se lo sapesse James…” sibilò Al, guardandosi le unghia perfettamente curate – cosa strana per un ragazzo – e sorridendo soddisfatto.
Lily lo fucilò con un occhiata.
“E pensa se sapesse che ti piace Chrysanta. Si fionderebbe ad Hogwarts con la sola intenzione di squadrarsela e magari farsela sulla cattedra della Mcgranitt” cinguettò Lily, incattivita, mentre il ragazzo dai capelli corvini impallidiva alla prospettiva.
Il loro caro fratello James, che ora era un Auror fatto e finito, aveva il piccolo vizietto di rubare le ragazze di Al. Non che fossero proprio le sue ragazze; semplicemente Al si innamorava, queste non lo cagavano ‘manco di striscio e James se le scopava.
Punto, fine.
“Ti odio” sibilò Albus, guadagnandosi un bacio volante da quel diavoletto che era sua sorella.
“J’adore” ridacchiò Lily, mentre Dalton sbadigliava e si grattava la pancia stile uomo delle caverne.
“Che palle” sbuffò Zabini, sgranchiendosi la schiena e stiracchiandosi. Rovesciò il capo alla sua destra, dove Joe guardava in aria – come se sul soffitto ci fosse chissà cosa di interessante. –
Dalton alzò il capo, storcendo il naso.
“Hm, ma guarda: c’è un pipistrello sulle travi” sibilò sarcastico, facendo sobbalzare Joe. Questa lanciò un urletto isterico e si aggrappò alle sue spalle.
Hm, santi pipistrelli, pensò Dalton, palpando il fondoschiena della Smith con la scusa di abbracciarla e proteggerla da quei pipistrelli cattivoni.
“Dove, dove?” urlò nel suo orecchio, affondando il visino tumefatto nella sua spalla e buttandogli le braccia al collo.
Tutti si zittirono e li guardarono con tanto d’occhi: Joe aveva dovuto allacciare le gambe alla vita di Dalton per stringerlo e ora quel maiale la teneva in bilico per le natiche.
“Ma sì, sulle travi, Joe” cincischiò il ragazzo di colore, mentre quella piagnucolava terrorizzata.
Lily alzò gli occhi al cielo e storse la bocca quando vide che non c’era proprio nessun pipistrello. E nemmeno le travi, a dirla tutta, ma prima che potesse farlo notare alla sua migliore amica, Dalton stava già sogghignando nella sua direzione.
“La porto lontano da qui… sai, le fanno paura i pipistrelli” ridacchiò, facendo ciao-ciao con la manina e dandosela a gambe prima che Lily potesse lanciargli qualcosa contro.
“Stiamo andando via?” miagolò Joe al suo orecchio, mentre lui tutto fischiettante si dirigeva verso il bagno di Mirtilla. Continuando a toccarle il sedere come niente fosse.
“Tranquilla, dolcezza, ti sto portando via” ridacchiò Dalton, aprendo con un calcio la porta del bagno e tenendosela in bilico come niente fosse.
Sembrava un koala tanto gli stava attaccato, ma a lui non dispiaceva. Poteva sentire il suo cuore battere e il suo respiro accarezzargli l’orecchio.
Era da secoli che non l’aveva così vicina a sé.
“Dove siamo?” bisbigliò Joe, alzando la testa dalla sua spalla nel sentirlo aprire un'altra porta. Dalton la mise giù solo quando si chiuse la porta del cunicolo alle spalle. A chiave.
Si accasciò contro la porta e la guardò dall’alto, dove lei cercava di regolarizzare il respiro. E il tremore delle mani. E il cuore.
Era strano come l’aria si saturasse di qualcosa appena saliva la temperatura o si stava anche solo ad un metro di distanza; subito sapeva di qualcosa – qualcuno – e immediatamente entrava dentro, come se venisse iniettato direttamente nelle vene e non avesse paura di mischiarsi nel sangue.
Dalton lo sentiva sottopelle, nei polmoni – come se cercasse di corrodergli le ossa – e sembrava che non fosse mai abbastanza; Joe era ad un solo metro da lui e gli stava infettando già gli arti, le membra, il respiro.
“Non guardarmi così” miagolò, con gli occhi bassi e sfuggevoli e la bocca tremolante.
In realtà avrebbe potuto guardarla in altri mille modi diversi, ma la sostanza non sarebbe mai cambiata: lei era bella anche così, vestita di sbagli e ferita dagli errori.
La vide sedersi accanto al wc e fare una smorfia nel portarsi le gambe al petto. Era bella anche così, così vera da togliere il fiato.
“Sto ricordando” mormorò Dalton, con il capo poggiato contro la porta e stendendo le gambe su di lei. Bella, immobile, silenziosa.
Joe inclinò il capo, fissandolo confusa.
Aveva gli occhi di chi amava e lo faceva con troppa intensità, con troppo desiderio – finendo per ferirsi – finendo per scottarsi con lo stesso fuoco che aveva alimentato lei.
“A cosa?” bisbigliò, sbattendo ripetutamente le palpebre, incerta – abbagliata – con i capelli ad accarezzarle le guance un po’ flosce e un po’ rosse, come se avesse bevuto. Come se si stesse ubriacando del loro profumo messo insieme.
“A quando facevamo l’amore”
Le sue dita s’incastrarono alla perfezione tra le sue, quasi come se fossero state create apposta per ritrovarsi – stringersi – rimanere in quel modo, tra di loro, come se non ne potessero fare a meno.
“Dalton!” lo riprese, rimproverandolo con voce leggera e lui sogghignò, accentuando la stretta.
“Non ho mai smesso di farlo, nemmeno un secondo” continuò in un sussurro, baciandole le nocche della mano quasi con riverenza.
Joe rilasciò un sospiro con fatica e la sentì tremare interamente, come se anche a lei – quei pensieri – le suscitassero un calore dentro che mandava fuori di testa.
“Nemmeno io”
Dalton sorrise, socchiudendo gli occhi e avvicinandola con uno strattone a sé: in quel momento gl’importò poco che Joe era tutta ferita e ogni movimento brusco le facesse male… voleva solamente sentirla vicina. Voleva sentirla dentro, fino alla nausea.
“Joe, Joe, sono stanco di ricordare” mormorò Dalton, aprendo di scatto gli occhi azzurri e fissandola intensamente, come se volesse divorarla. Come se volesse imprimersela nella mente con una violenza assurda.
“Dimostrami che hai scelto me” sussurrò, afferrandola per i fianchi e sedendosela in grembo, a poca distanza da quel viso imperfetto – tumefatto – ma spiazzante.
Merlino, amava ogni suo difetto.
“Io sceglierei sempre te, Dalton. Sempre” rispose Joe, portandosi il suo palmo aperto al viso e poggiandoci la guancia graffiata.
“Perché ora sì e prima no?”
Joe sorrise amaramente e si rispecchiò nei suoi occhi azzurri che – con lei – non erano mai gelidi. Non mentiva quando diceva che avrebbe sempre scelto lui: ora lo sapeva, sapeva che anche lui avrebbe sempre scelto lei.
“Perché mi hai scelta” rispose Joe a bassa voce, incastrando le dita tra le sue e fissandolo determinata come non mai.
“L’avevo fatto da prima” sbottò Dalton, incazzandosi come una biscia.
Joe sorrise, accostando il naso alla sua guancia e rilasciando un sospiro che gli sfiorò la bocca.
“Prima era ossessione di vincere contro Tom” lo riprese, baciandogli dolcemente la mandibola e scendendo verso il collo.
“Joe, tu sarai sempre la mia prima e unica scelta”
E lo disse guardandola negli occhi, come una strana dichiarazione d’amore che non comprendeva né ti amo e né ti voglio. Ma solamente una scelta.
Lui stava scegliendo lei e lo avrebbe fatto sempre. E a Joe questo bastava.
Gli buttò le braccia al collo e se lo strinse contro con una violenza inaudita, imprimendoselo e incastrandoselo dentro.
“Anche tu. Sempre”
E questa volta lo baciò con la consapevolezza che non sarebbe fuggito, che era suo e di nessun altra. E che stava scegliendo lei.
Sempre.

 
***
 
Hermione Granger girava inespressiva il cucchiaino di porcellana nella tazzina intarsiata d’oro sul tavolino su cui era poggiata, fissando intanto la donna seduta di fronte a sé.
Indossava una gonna di seta azzurra e aveva un aspetto così delicato che – per un attimo – Hermione sorrise; sembrava essere fatta della stessa consistenza della tazzina e del cucchiaino che aveva tra le mani.
Poteva essere ridotta in pezzi così facilmente… da fare quasi paura. Da temere persino di guardarla troppo a lungo.
Erano sedute in un caffè diroccato accanto alla stazione di King’s cross e avevano attirato lo sguardo di parecchi uomini presenti; entrambe le donne erano così diverse da suscitare uno strano stupore – un inquietudine – a chi le fissava di primo acchito.
Il diavolo e l’acquasanta, il giorno e la notte, la luce e il buio, un demone e un angelo che si fissavano senza alcuna emozione negli occhi.
Hermione sorseggiò la bevanda che stava centellinando con un sorrisetto irritante sulle labbra, continuando a fissare Asteria.
“Grazie per aver accettato il mio invito, nonostante tu abbia molto da fare” mormorò la donna, fissandola con gli occhi truccati di azzurro.
“Non trattarmi come un estranea, dolcezza. Abbiamo condiviso più esperienze io e te che tu e tuo marito” bisbigliò Hermione, attirando l’occhiata lasciva di un quarantenne seduto ad un tavolino di distanza da loro.
Asteria sorrise, scuotendo il capo.
“Ci hai sempre giocato su questa cosa. Se ti sentisse Draco penso che prima si farebbe filmini mentali e poi gli verrebbe un infarto” ridacchiò, quasi infantile nella sua camicetta di flanella e pizzo avorio e le scarpe dal tacco basso.
Aveva i capelli legati in uno chignon alto e con le guance rosa sembrava una di quelle bambole di porcellana che – sua madre – collezionava quando era piccola.
“Lo ami ancora?”
E fu semplice, diretta. Asteria si riscaldò le dita attorno la tazza da tè che teneva custodita a coppa tra le mani, guardandola dritta dritta negli occhi.
Parlava dei sentimenti di Hermione e suo marito nella stessa frase come niente fosse… come se stessero parlando del tempo e non di Draco.
“Asteria” l’ammonì la riccia, poggiando i gomiti sul tavolino lercio e sospirando pesantemente.
Non sarebbe mai cambiata: anche ad Hogwarts era stata così. Semplice, trasparente, era un laghetto cristallino senza trappole sul fondo; non teneva tranelli né altro. Era limpida.
“Ti sto chiedendo se lo ami ancora” sussurrò la Greengrass, indurendo la mascella nel vederla socchiudere gli occhi bruni.
Che domanda stupida che le aveva posto. Certo che lo amava ancora. Nonostante Draco – nella sua vita – fosse stato l’orco cattivo e non il principe azzurro, era stato il primo che le aveva rubato la razionalità, il raziocinio, il senno.
Di Ron si era innamorata pian piano, in modo intelligente. Con Draco era stato tutto e subito – in un modo che l’aveva divorata da dentro. In un senso che era unico e sempre una fine.
“Stupida” bisbigliò Asteria, afferrando la sua mano dall’altra parte del tavolo e intrecciando le dita tra le sue.
Era sempre stato così, tra loro due; nessuno sapeva che la più piccola dei Greengrass aveva un rapporto di morbosa amicizia con la Granger. Un rapporto che era iniziato al sesto anno di Hermione e il terzo di Asteria.
Hermione amava già Draco e Asteria era già stanca delle pressioni che arrivavano da casa; quella sera, l’ex Grifondoro stava ritornando da una festa dal Lumaclub, quando aveva deciso di rifugiarsi nella Torre di Astronomia e l’aveva vista.
Sul cornicione. Pronta a lanciarsi.
Si poteva essere stanchi di vivere a tredici anni? Quando non si ha nemmeno coscienza del proprio corpo, della propria mente?
L’aveva salvata in extremis, tendendole quella mano che la piccola aspettava da anni. L’aveva trascinata con sé, lasciando che si rifugiasse tra le sue braccia e da lì era iniziato tutto: gli incontri clandestini, le risate nascoste… e poi quella richiesta che aveva sconvolto la piccola Greengrass, ma non lei.
Non Hermione.
“Non mi sembra che ti sia dispiaciuto, Asteria” disse Hermione, sorridendo alla cameriera che stava poggiando sul tavolo dei biscotti al miele.
Lo stesso profumo di Asteria, di quella piccola sorella che ora scuoteva il capo, stanca.
“Non fraintendermi, Hermione. Io amo mio marito, ma solo grazie a te” disse, addentando un biscotto e masticando lentamente, senza spargere nessuna briciola.
Limpida, chiara, semplice. Ecco chi era Asteria.
Sì, lei amava Draco solo grazie a quella richiesta che lei le fece anni fa; la richiesta di salvarlo.
Lei non poteva – non era all’altezza – non era in grado e Asteria era l’unica di cui si fidasse abbastanza da poter lasciare che si avvicinasse al suo principe dal cuore di ghiaccio; poteva sopportare che Draco amasse lei, così diversa da Hermione stessa, che chiunque altro.
“Lo so’” bisbigliò la Granger, che ingoiava tè e lacrime con gran sforzo.
Sentiva un magone alla gola che le impediva anche di respirare, ma doveva trattenersi… non poteva piangere. Era lei quella forte, non poteva crollare.
“Ma quando mi chiedesti di salvare Draco, non immaginavo che lo amassi così tanto anche a distanza di vent’anni” sussurrò Asteria, pensierosa, rilasciando un lungo sospiro che sapeva di miele e vaniglia.
“Perché non me l’hai detto, Hermione?”
Questa sorrise, alzando gli occhi al cielo e storcendo il collo; lasciò che i riccioli che scivolassero sulle spalle scarne e soppesò bene la propria risposta prima di parlare.
Come spiegare ad una persona l’amore vero? Quello senza malizia, freni, egoismi.
“Io non potevo salvarlo, io ero sua nemica. Draco era diviso tra l’amore che provava per la sua famiglia e la sua vera natura, quella buona che lo torturava da un bel po’.
Io dovevo difendere i miei amici, quelli come me e dovevo combattere una guerra… non ero in grado di salvarlo, perché non sapevo nemmeno se sarei sopravvissuta a tutto quello; lo amavo e sarei stata in grado di fare tutto per saperlo al sicuro. Per saperlo amato.
Poi ho incontrato te, così perfetta, così buona nonostante la tua natura; tu potevi cambiarlo. Tu potevi insegnargli cos’era l’amore.
Cosa provavo ogni volta che lo vedevo, toccavo. E l’hai fatto.
Tu l’hai cambiato, Asteria e questo mi basta” disse Hermione, stringendo con forza le dita attorno le sue.
Lei era felice, non aveva bisogno d’altro.
“Anni fa mi hai chiesto di sposarlo, cambiarlo, dimostrargli che l’amore esiste ed è forte. Ho fatto ciò che mi hai chiesto, ma ora?” sussurrò Asteria, socchiudendo gli occhi azzurri e fissandola senza alcuna espressione di sorta.
“Ora avete un figlio fantastico e un matrimonio che va a gonfie vele” rispose Hermione, speranzosa, mentre l’amica scuoteva il capo.
Avevano finto di non conoscersi per lui, per fare in modo che tutto andasse come doveva andare. Avevano finto di non considerarsi affatto, di non volersi bene. Di non essere legate.
Hermione aveva finto di non amarlo. Asteria – all’inizio – aveva finto di farlo.
“Ho una vita costruita su una bugia. Draco è innamorato di ciò che gli hai mostrato tu all’inizio… di quella forza che l’ha salvato, non di me.
Non dell’Asteria fragile, sensibile. Ma di quella forte, dal polso fermo.
Quella non sono io, Hermione, ma tu” sospirò la Greengrass, regalandole un sorriso amaro.
“Che cosa stai dicendo?” soffiò la riccia, ingoiando a vuoto.
“Che sto lasciando Draco”
Cazzo.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo sedicesimo - Epidemia ***


Capitolo sedicesimo -
Epidemia



Roxanne Weasley veniva chiamata George II per un valido motivo che – volente o nolente – conosceva tutta Hogwarts. Rox ragionava, viveva e si comportava come un uomo. Non metaforicamente, quello sarebbe piaciuto a tutte le sue cugine – che si definivano normali.
No, Rox ruttava, mangiava e si grattava le chiappe in pubblico; scorreggiava e sfatava il mito “dell'amore” sfruttando più scopaamici possibili. Se ne strafregava di quello che pensava la gente di lei e beveva, fumava e giocava a poker come qualsiasi ragazzo diciassettenne di Hogwarts e non.
Naturalmente, i maschi l'adoravano: la consideravano una di loro e non avevano paura ad esprimere il proprio parere in sua presenza; alcuni di loro si azzardavano a chiederle consiglio – che andava sempre a segno – altri, invece, la ritenevano il loro idolo e basta.
Rose, che non aveva mai approvato quel comportamento, quel giorno si ritrovò a fissare sua cugina Roxanne negli occhi, con la speranza vana che non scappasse alla richiesta che stava per farle. Ma non conosceva Rox. E la sua perversione per le scommesse.
Perché – quando a colazione si avvicinò alla cugina, guardandola con timore misto a vergogna – Roxanne spalancò un sorriso da iena, lasciandola sedersi al suo fianco senza dire una parola.
“Già lo sai, vero?” sbuffò la ragazza dai capelli ricci, attorcigliandosi una ciocca con il dito e guardando in aria come se l'affare non la riguardasse.
Prima regola per non insospettire i pettegoli: fare sempre e comunque l'indifferente.
Anche se stai macchinando un omicidio.
“Io so' tutto quello che riguarda le mie cugine, mon amour” ridacchiò la ragazza di colore, riavviandosi con un gesto secco i capelli castano\rossicci e salutando con un cenno vivace Lysander Scamandro.
“Ci fai spiare?” sbottò Rose, saltando su dalla sedia e fissandola sconvolta. Roxanne si guardò le unghia mangiucchiate con aria superiore, sorseggiando del succo di zucca con l'altra; i suoi occhi castani si visualizzarono sulla cugina e un sorrisetto birichino le spuntò sulla bocca carnosa.
“Certo che sì” ridacchiò, liquidando – poi – la questione con uno sventolio di mano.
“Comunque, certo che posso aiutarti, dolcezza” continuò Rox, poggiando i gomiti sul tavolo imbandito e facendo ciao-ciao al tavolo dei Serpeverde, dove Dalton Zabini le rispose con un dito medio.
“Ieri l'ho sconfitto a poker... ha perso quaranta galeoni” rise la Weasley, perfida, mentre Rose – con un tossicchio – indicava la spilla da Caposcuola che brillava sul suo maglione grigio.
“Gli ho scollato anche la promessa di una settimana d'erba gratis!”
“Roxanne...”
“E anche la scommessa di dover dichiarare i suoi sentimenti in Sala Grande alla Smith, ma ha preferito promettermi una cassa di vodka nera” sospirò Roxanne – sognante – facendo quasi strozzare Rose con la sola saliva.
“Roxanne, diamine!” sbraitò Rose, schiaffeggiandosi la fronte e interrompendo il filo dei pensieri fantastici della cugina. Rox guardò la spilla con una smorfia d'orrore.
“Quando te la strapperai dal petto sarà sempre troppo tardi” sbuffò con disgusto, toccandosi la fronte con un sospiro di compatimento.
“Dovrei portarti direttamente dalla Mcgranitt dopo quello che mi hai detto” sibilò Rose, incrociando le braccia al petto e accentuando il motivo per cui non metteva reggiseni, ma fasce. Zero tette.
“Sì, ma visto che ti serve il mio aiuto perché ti piace quell'idiota di Nott, non mi consegnerai proprio a nessuno, anzi. Userai il tuo potere da Caposcuola per aiutare moi” rise Rox, perfida, facendo sbiancare la cugina e strofinandosi le mani come se stesse tramando qualcosa.
“Che stai dicendo?” balbettò Rose, mollandole un cazzotto sulla spalla per aver pronunciato ad alta voce l'impronunciabile.
Ti piace quell'idiota di Nott.
Scandalo, eresia, impensabile! La cosa doveva rimanere segreta e quella se ne andava ad urlarlo ai quattro venti... “Che sei nelle mie mani, dolcezza” bisbigliò Roxanne a pochi centimetri dalla sua bocca, sorridendo incattivita e strofinandosi le mani tra di loro come se stesse macchinando chissà che piano machiavellico.
Lorcan Scamandro, che stava passando di lì per arrivare al tavolo dei Corvonero, inciampò sui suoi stessi passi per osservare le due cugine quasi labbra e labbra.
“Scene lesbo... quanto mi attizzano” sospirò, soave, ignorando i risolini del tavolo dei Grifoni che l'avevano visto quasi rotolarsi per mezza sala.
“Ti piacerebbe” sibilò Roxanne, perfida, mostrandogli il dito medio in tutta la compostezza e finezza dei Weasley.
“Non dirlo nemmeno” rispose Lorcan, ammiccando sensualmente verso di lei, che finse di ficcarsi due dita in gola.
“Non verrei a letto con te nemmeno se fossi l'ultimo uomo sulla faccia della terra, Scamandro!” sbraitò Rox, attirando l'attenzione di tutta la Sala – persino delle Serpi, che di solito erano quelli che si facevano gli affari loro più di tutti.
Tranne Dalton. Ma Dalton era sempre un caso a parte.
“Weasley, succhiamelo” cincischiò gentilmente il ragazzo dai capelli biondi, sbattendo civettuolo le lunga ciglia. E certo, perché se c'era una cosa da sapere su Lorcan era che poteva anche assomigliare terribilmente a Lysander, ma caratterialmente era letteralmente il suo opposto; se le canne e le varie droghe rendevano il suo gemello un pacifista che camminava a due metri con i piedi per terra, Lorcan era il rivoluzionario pervertito della famiglia.
Non aveva l'espressione stralunata di Luna né il suo temperamento calmo e pacato: lui voleva tutto e subito e magari anche con una canna, una Cubana e un po' di panna vicino.
“Ti sto per affatturare” cinguettò Roxanne, sbattendo gli occhioni castani ereditati da sua madre. “Affatturami un altra cosa” e quella fu l'ultima botta e risposta, perché Lorcan amava avere l'ultima parola e le diede le spalle con gran eleganza.
Touche” sorrise Rox, storcendo la bocca in un sogghigno divertito e facendosi guardare male da Rose – che si chiedeva se magari fosse finita in una realtà parallela e nemmeno se ne fosse accorta.
“Ti piace Lorcan!” sbottò indispettita la riccia, fissandola con la bocca semi-aperta come se avesse fatto la scoperta del secolo. Roxanne la guardò male.
“Certo che sì, ci farei tutte le posizioni del kamasutra, se non si è capito” sbuffò, come se non avesse insultato il soggetto del discorso fino a pochi secondi prima. Rose si schiaffeggiò disperatamente la fronte, guardando il cielo annuvolato di Hogwarts chiedendosi cosa avesse fatto di male nella vita per mettersi nelle mani di Roxanne\George II.
Insomma, sua cugina era un coniglio in calore che non sapeva nemmeno che aveva la patata al posto di una zucchina e lei – Rose perfezionista Weasley – le aveva chiesto aiuto.
Aiuto. Era. Nella. Merda. Fino. al. Collo.
Merda.
“Ho cambiato idea” miagolò a bassa voce, toccandosi i capelli ricci e rossi con un tossicchio che fece sorridere bastardamente Roxanne.
“Troppo tardi, il mio assistente mi sta portando i fascicoli su di te e la tua storia” soffiò Roxie, ruttando sonoramente per apprezzamento alla colazione: gli elfi sembrarono apprezzare perché apparì un altra tazza di caffè al posto della colazione consumata.
“Ecco a te” ed ecco che apparve Frank Paciock, il fratello stupido della regina.
Alice Paciock era quella che – ad apparenza – consideravi la figlia scema di Allock, magari pure più pervertita di lui e che poi si rivelava la bastarda per eccellenza.
Alice Paciock era stata smistata a Tassorosso. E Tassorosso vinceva la coppa delle case da tre anni consecutivi. E ora non c'erano più ragazzini paciosi che giravano con la cravatta giallo\nera, ma veri e propri cavalli da punta o stronze con la puzza sotto il naso; e naturalmente era tutta opera di Alice – sono una stronza – Paciock.
Non c'erano se o ma che mantenevano: se stavi sulle palle ad Alice o eri fuori o eri morto. E di solito era meglio prendere valige e andarsene; l'unico che era sopravvissuto alle angherie della strega\zoccola\regina era Lysander.
Ma lui era sempre così fatto che era un caso a parte. E questo la irritava terribilmente.
Comunque, Frank sorrise timidamente a Rose – che ricambiò con gentilezza – e poi se la diede a gambe sotto lo sguardo intimidatorio di Roxanne.
“Dì a quella stronza di tua sorella che mi deve ancora venti galeoni, Paciock!” gli sbraitò dietro, visto che per Roxanne potevi essere anche la Regina Elisabetta, ma se ne sbatteva se le dovevi dei soldi.
“Fascicoli? Stronza di tua sorella?” bisbigliò Rose, spalancando gli occhioni azzurri e innocenti, simili a quelli di un cerbiatto smarrito. Joe, al suo fianco, sbadigliò vistosamente.
“Io ho i fascicoli di tutti gli studenti di Hogwarts. So' tutto di tutti e niente – niente – passa inosservato sotto i miei occhi; ma giusto perché bevo e fumo un po' e la memoria non è più quella di un tempo, mi tengo i fascicoli” cinguettò la ragazza di colore, liquidando la questione sbattendo i fogli sulla tavolata.
Rose inghiottì a vuoto e Joe tossì ripetutamente, sventolandosi una mano sotto il naso per la polvere che aveva alzato la Weasley con quei fogli ammuffiti.
“Ma che cazzo...” sbottò, starnutendo.
“Zitta, che ho anche i tuoi fascicoli” sghignazzò Roxanne, facendo sbiancare la Smith, che comunque già di suo aveva un incarnato pallidissimo.
“E ci sono anche io in questi fascicoli?” Dalton Zabini – con una ponderosa fiancata – spostò Jordan dal posto d'onore accanto a Roxanne e si sedette accanto a Joe, circondandole le spalle con un braccio.
Joe divenne di fuoco.
“Il tuo è troppo pesante da portare, Zabini” sibilò Roxanne, velenosa, sbuffando quando – in risposta – Dalton le sorrise a centocinquanta denti.
“Molto bene, la mia reputazione è salva per ora.
Oh, ma guarda un po': il sole questa mattina brilla!” cinguettò tutto melenso, mentre tutti alzavano gli occhi al cielo e si rendevano conto che no, non brillava affatto. Quel giorno diluviava.
“La droga ti fa male”
“Ma che avete capito?” sbottò Dalton, assottigliando gli occhi azzurri e schiacciandosi Joe addosso.
Questa, se possibile, divenne ancora più rossa.
“E' lei il mio sole”
E sbam! Mezza Hogwarts si girò contemporaneamente con gli occhi spalancati e spiritati e fissò la scena con la bava alla bocca: Dalton Zabini aveva appena detto una cosa romantica.
E l'aveva detta a Joanne Smith, l'ex del suo migliore amico.
“Oh Santissimo Merlino” soffiò Rose, tappandosi la bocca con le mani chiuse a coppa e cercando di non frignare come quando era piccola e guardava un film d'amore insieme a suo nonno Arthur.
“FRANK! SEGNA, SEGNA!” urlò Roxanne, mentre il ragazzo occhialuto con un colpo di bacchetta faceva apparire un taccuino leopardato e segnava parola per parola quello che era successo.
“Dalton, ti senti bene?” bisbigliò Joe, mentre Cecilie fuggiva dalla sala sotto gli occhi indagatori di tutti.
Dalton le infilò una mano tra i capelli e sospirò sulla sua bocca, sorridendo birichino; in realtà sì, stava benissimo e non era mai stato meglio di così: era arrivata l'ora di chiarire di chi era Joe e di chi era lui.
Non si era mai sentito di appartenere a qualcuno come in quel momento ed era una sensazione meravigliosa – che doveva esternare. Che doveva urlare al mondo che c'era ed era lì, radicata in lui.
“Non sono mai stato meglio, amore
Si poteva dire che oramai Hogwarts pendeva dalle loro bocche, avidi tutti di sapere cosa era successo dall'ultima volta; Dalton era così vicino a Joe che le sue parole potevano essere considerati sussurri, ma Roxanne poteva sentire tutto. E sorrise, abbassando gli occhi sui fascicoli di Rose.
A lei non piacevano quegli amori così zuccherosi e falsi, capaci solo d'illudere e ferire, ma quelle bocche si stavano amando anche senza toccarsi, anche senza aprirsi.
Quegli occhi si stavano amando solo così – guardandosi di sfuggita – sfiorandosi appena ed era la cosa più bella del mondo. La cosa che lei non avrebbe mai voluto provare. E mai lo avrebbe fatto.
Sesso, giochi, alcool... tutto il male del mondo – tutti i vizi – tutti i piaceri, tranne quello; Roxanne l'amore non ce lo voleva nella sua vita, era troppo per lei e non voleva soffrire.
Lo aveva già fatto abbastanza ed era stanca.
“Che c'è? Non posso baciare la mia ragazza?” rise Dalton, mostrando con un sorriso i denti bianchi e perlacei. Mostrando il suo cuore tremante e quel lato idiota che aveva fatto innamorare tutta Hogwarts.
Che aveva fatto innamorare Joe.
“Credo di odiarti” bisbigliò Joe, mordendosi le labbra con forza e trattenendo le lacrime.
Dalton scoppiò a ridere e le sfiorò la bocca con la propria, affondando una mano nei suoi capelli.
“Credo di amarti”
Lily Luna Potter balzò in piedi a quelle parole e la sua faccia era letteralmente la copia dell'urlo di Munch.
“La ama!”
E urla, delirio, isteria di massa: il fan club di Dalton Zabini – dov'erano compresi anche parecchi gay – sembrò collassare sul momento; tutti quanti si zittirono, alcuni bestemmiarono e altri scapparono dalla Sala in lacrime. Ma niente, niente li distrasse.
Niente li divise.
Dalton affondò la bocca nella sua e le divorò letteralmente l'anima, rapendole il respiro e il cuore. Rapendole ancora una volta lei stessa. Quel che era quando stava con lui. Quel che era con lui, perché non c'era differenza, perché Joe non sapeva dove iniziava lei e dove finiva Dalton: erano una sola e unica cosa e faceva male.
Diamine, se faceva male.
“Dio, la ama” sibilò di nuovo Lily, allibita, mentre Scorpius cercava di tirarla giù senza successo.
Tom aveva abbassato lo sguardo e scosso il capo, come se quella situazione la compatisse solamente, come se non capisse come Dalton potesse amare. E farlo in un modo più intenso del suo.
Perché aveva sbagliato a sottovalutarlo: a pensare che lui non potesse amare quegli occhi d'ossidiana, quel sorriso timido e impacciato e quella bocca che non sapeva di essere bella – di essere un tormento.
Era impossibile non amarla e avrebbe dovuto saperlo... invece di sottovalutarla come aveva sempre fatto lei.
“Ma ti stai zitta? Stai rovinando questo momento” sbuffò ancora Scorpius, tirandola giù e cercando di non fare la linguaccia a quel tipo di Lupin – che stava guardando troppo per i propri gusti.
“Lui le ha detto che la ama” bisbigliò Lily, spalancando la bocca in un espressione completamente incredula.
“Sì e allora?” sbuffò Scorpius, incrociando le braccia al petto offeso e facendo una smorfia con la bocca sottile.
Diamine, era normale che l'amasse: trombavano ventiquattro ore su ventiquattro!
“Scorpius, è un passo importante in una relazione dire quella parola!” sbottò Lily, incazzandosi come una biscia.
Cattivo segno, cattivo segno!
“Ma perché dire quella parola se poi non la si prova davvero?”
Mai parole furono più sbagliate, perché Lily si alzò nel suo meraviglioso metro e sessanta e si fece spuntare corna, coda e pure il forcone. La sua lingua divenne quella di un cobra particolarmente velenoso e sembrava saettare avanti e dietro solo per la rabbia.
“Stai per caso dicendo che il tuo migliore amico sta prendendo in giro la mia migliore amica?” ululò la rossa, mentre Scorpius osservava preoccupato le chiazze che stava comparendo sulle guance della sua ragazza.
O ex, se continuavano di quel passo.
“No, amore, mi hai frainteso” miagolò Scorpius, assumendo la sua espressione da cucciolo ferito.
Lily strinse le labbra fino a farle diventare una linea sottile.
“Muori. Dolorosamente. Ti prego” sillabò la Potter, sedendosi con lentezza estenuante e facendo sbavare quell'indecente di Lupin.
“Ciclo?” sbuffò Scorpius, mostrando – con un sorrisetto – e anche di volata, il dito medio a Ted.
Naturalmente finse che l'affare non fosse suo e che il dito medio non fosse indirizzato al suo professore di difesa.
Lo ammazzava. Oh, se lo ammazzava!
“Sì” piagnucolò Lily, crollando con la fronte sul tavolo e lamentandosi della vita indecente che stava conducendo.
Scorpius si accorse che era dimagrita ancora.
“Che ne dici di saltare le lezioni e, magari, passare nelle cucine e fare rotta verso il lago?” propose il ragazzo – inclinando il capo e guardandola con quegli occhi grigi che erano la fine del mondo.
E lui un ragazzo perfetto.
“Dovrei cercare quella cosa con Ted” borbottò Lily e l'allarme rosso si accese nella testa di Scorpius, che spalancò un sorrisone a iena.
“Lo cercherai nel pomeriggio, piccola e io ti farò compagnia” cinguettò soave, baciandole le nocche con dolcezza e strusciandole contro come un gatto.
Lily strinse gli occhi: quell'uomo – per avere i suoi sporchi affari – era capace di tutto... anche se sapeva benissimo che la proposta iniziale non era perché era geloso e voleva marcare il territorio. Lui voleva che lei stesse solamente bene.
“Cioccolata” mugugnò Lily, poggiando la guancia sull'incavo del suo collo e sospirando pesantemente.
Scorpius sorrise, baciandole il capo e respirando il suo profumo di Iris e gigli: certe volte lo sognava di notte e lo sentiva addosso con così tanta prepotenza da sentire il fiato mancare.
Era il profumo più bello che avesse mai sentito in vita sua – forse anche più bello di quello di sua madre.
“Quanta ne vuoi?” ridacchiò Scorpius, strofinando il naso sulla sua guancia e strappandole delle fusa.
“Scorpius...”
“Sì?”
“Invece del lago, perché non andiamo a prendere la cioccolata e poi in camera tua?” bisbigliò Lily, mordicchiandogli le dita con dolcezza.
Qualcuno – nelle sue parti basse – si svegliò improvvisamente, facendo la ola: era sicuro che, se avesse abbassato lo sguardo, avrebbe visto il suo amichetto sbandierare la bandiera con scritto I WIN.
“Nella mia camera, dici?” si strozzò con la propria saliva Scorpius, arrossendo come un peperone.
Lily passò la lingua sulle sue nocche.
OH SANTISSIMO SALAZAR.
“Nella tua camera” lo seguì Lily, mentre Scorpius dimenticava il perché saltavano le lezioni e andavano a prendere il cioccolato.
Sorrise.
“Nella mia camera”
E fu più veloce di Piton davanti ad un flacone di shampoo o James Potter alla vista di una pseudo fidanzata di suo fratello: afferrò Lily per un braccio e volò letteralmente fuori dalla Sala Grande, lasciando solamente terra bruciata dietro di sé e qualcuno con i capelli sconvolti.
Le scale non furono mai così facili da sorvolare e proprio mentre stava per arrivare alla meta, deciso a fare canestro, una nana dal caschetto biondo gli sbarrò la strada; Scorpius ruzzolò sui propri passi e inciampò su una mattonella, rischiando di spezzarsi l'osso del collo.
Lily – dietro di lui – lo guardò come se fosse impazzito.
“Potter, Malfoy” salutò Alice Paciock, sorridendo come una iena e mostrando un dente d'oro che mise i brividi a Scorpius – ancora steso sul pavimento.
“Paciock” ricambiò Lily, alzando un sopracciglio scuro e fissandola come se fosse un insetto particolarmente molesto. E in effetti in quel momento lo era, visto che aveva smontato il suo ragazzo in piena fase rem.
Cioè in un momento di eccitazione massima dove avrebbe potuto strappargli qualsiasi promessa e non dargli niente, se non un petting vestito.
“Devo parlarti” cinguettò Alice, con la sua voce da soprano e gli occhioni verdi, riavviandosi una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio.
“Magari un altra volta, eh”
“Ora” e quell'ordine a Lily non piacque affatto.
Ora, magari, avrebbe potuto dirlo a quello sfigato di suo fratello, mica a lei.
“Ho detto un altra volta” sibilò Lily, facendo lampeggiare il bruno dei suoi occhi.
E Alice poteva anche essere la ragazza più stronza e bastarda del pianeta, ma era anche intelligente e sapeva che mettersi contro una Potter era mettersi contro anche tutta la famiglia Weasley. E i Flower. E Malfoy con i Serpeverde a seguito.
Cioè un plotone d'esecuzione.
“Si tratta di Lysander” sbuffò Alice, incrociando le braccia al petto e mettendo un broncio da bambina offesa. Scorpius sghignazzò dal pavimento.
“Ohh, alla regina dei Tassi piace un Flower!” canticchiò Scorpius, beccandosi un tacco settanta nella gamba.
“Vuoi morire giovane?” cantò Alice, lasciandolo quasi morente sul pavimento.
“Ma dai, davvero ti piace Lys?” ridacchiò Lily, strafregandosene degli ululati del suo ragazzo.
Insomma, alla Paciock piaceva Lysander Scamandro! Quello che affatturava una volta sì e un altra anche.
Era tensione sessuale!
“Ma la finite di fare congetture senza lasciarmi parlare?” sbraitò la ragazzina, che nel suo metro e quarantacinque sembrava avere dieci anni.
“Sì, ma che centro io?” sbuffò Lily, guardandosi le unghia e calciando Scorpius negli stinchi giusto per constatare se fosse ancora vivo, visto che aveva finito di lamentarsi e ora era mezzo collassato.
“Ma mi lasci parlare?”
“Ma ti alzi dal pavimento?” e dire che Lily non fosse affatto interessata a quello che Alice aveva da dirle, si notava da miglia e miglia.
“Lasciami morire da solo...” piagnucolò Scorpius, con il naso schiacciato contro la pietra.
“Ma finiscila di fare il melodrammatico” sbuffò Lily, mentre Alice assumeva un colore verdastro.
“Potter” la chiamò con una vena isterica nel tono di voce, mordendosi l'interno della guancia per non affatturarli entrambi.
“Mi ha fatto male” sibilò Scorpius, sentendo – con le lacrime agli occhi – il suo amichetto delle parti basse alzare la bandiera con scritto LOSER.
Uccidere Alice Paciock. Quella era l'unica soluzione.
“Quanto ti lamenti, mi hai smontato l'eccitazione”
SBAM. Scorpius sbatté con la testa contro la pietra, maledicendosi in tutte le lingue del mondo. Il suo pene per poco non si mise a piangere. Letteralmente.
“All'ultima festa dei Flower mi sono fatta Lysander quando era strafatto e ora non mi calcola nemmeno di striscio!” e Alice – stanca di quell'andivieni – urlò quella confessione a pieni polmoni, facendo sobbalzare un paio di quadri allineati.
Scorpius e Lily assunsero la stessa aria sconvolta.
“Tu che cosa?” sbraitarono in risposta, spettinandola con la forza dell'ugola.
Alice tossicchiò, sistemandosi il maglione della divisa e lisciandosi le pieghe della gonna per prendere tempo. Okay, aveva un po' esagerato con la cosa.
“E tu centri, Potter, perché sei la cugina di Roxanne... e mi serve lei per arrivare a lui” disse, alzando orgogliosamente il mento e ignorando caparbiamente lo scompisciarsi di Scorpius.
“Credo che abbia più contatti tu con mia cugina che io” rispose Lily, facendo spallucce.
Alice si massaggiò pazientemente le tempie, respirando a fatica e cercando di ignorare il pulsare della bacchetta nella tasca del mantello.
“Tua cugina – in questo momento – mi odia e io ho bisogno del fascicolo di Lysander” sbottò la Paciock, con i capelli ritti in testa per l'esaurimento nervoso.
“E io cosa avrei in cambio, scusa eh?” borbottò Lily, mostrando una fila di denti mostruosamente appuntiti.
Alice sorrise e mostrò a Lily un libro di pelle nera – completamente rilegato d'oro – che portava una scritta sbiadita sul dorso.
“Cos'è?” mormorò la ragazza, indietreggiando appena: era... strano. Era come se quel libro la richiamasse a sé – era come se la volesse e lei desiderasse essere trascinata.
Guardò con attenzione la stella che brillava sul bordo, che seguiva linee su linee e tremò, soggiogata.
“Il libro nero. Io so' cosa stai facendo, Lily Luna Potter.
E io so' anche come aiutarti” sussurrò Alice, rigirandosi il libro tra le mani e ridacchiando frivola.
Scorpius si alzò lentamente e afferrò Lily per una mano, come a volerla tenere ancorata al terreno, ma lui lo sapeva; Scorpius sapeva che quella magia li avrebbe divisi – prima o poi. Sapeva che quella magia la stava portando via, trascinandola in un baratro troppo scuro, troppo profondo per poterla salvare.
Quella magia sembrava essere radicata in lei e più la alimentava più cresceva a dismisura.
La stava divorando viva.
“Lils...” la richiamò Scorpius, tremando nel vederla sogghignare in un modo che poco le apparteneva.
E fu guardandola tendere quella mano verso Alice che prese la sua decisione, quella definitiva – quella che li avrebbe visti soccombere.
Lui sarebbe affondato con lei.
Sempre.
***

 
“L'alcool non ti aiuterà, fidati” Hermione Granger strappò la bottiglia dalle mani di Draco Malfoy, mentre questo bestemmiava in turco per essersi bruciato alle dita con la cenere della sigaretta a miele che stava fumando.
“Questo lo dici tu” sbuffò quello, infilandosi una mano tra i capelli biondi e sospirando afflitto.
La cucina di Grimmauld Place era completamente vuota e anche un disastro – a dirla tutta: c'erano piatti schiantati contro il muro, sedie rovesciate e mobili sfasciati a forza di calci.
Asteria aveva appena chiesto il divorzio.
Hermione si tese verso di lui e curvò la schiena, ignorando il fatto che la spina dorsale sembrava volergli bucare la pelle: si avvicinò così tanto al volto di Draco che questo poté sentire alla perfezione il suo profumo alla vaniglia. E di Jack e sigarette fumate alla svelta.
“Non se lo bevi da solo, almeno” sospirò Hermione, tracannandone un gran sorso.
“A volte dimentico che non sei più quella di una volta” sibilò Draco, ironico, mentre Hermione si accendeva una buona e vecchia Marlboro.
Questa rise, accavallando le gambe denudate dalla minigonna di pelle.
“Sono una spia”
Draco fece quasi cadere la bottiglia che le aveva strappato di mano, rischiando di squartarsi un piede in men che non si dica; fissò Hermione sconvolto e ammutolito, chiedendosi se fosse seria o lo stesse prendendo in giro.
“Ho cominciato questo lavoro anni fa', quando il regime si stava ricostruendo piano piano – come cresce un edera velenosa in un prato fiorito.
Questo ragazzino con manie di grandezza sapeva bene chi fossi... e sapeva bene anche che le cose con Ronald andavano a scatafascio: mi disse che potevo avere il mondo tra le mani, se avessi voluto.
Mi ha detto che con il mio cervello e la mia bellezza avrei potuto metterli in ginocchio... diventare il bambino che schiaccia le formiche.
L'ape regina in un regime assolutamente fascista.
Lui non sapeva che Ronald avrebbe persino potuto uccidermi, ma non avrei mai tradito la causa; non avrei mai potuto tradire Harry, Ginny e tutti quelli che hanno fatto parte della mia vita ad Hogwarts e dopo.
Loro mi hanno resa quella che sono ora e non potrei mai fare la stronza voltagabbana... ma acconsentii. E non perché lui si fosse materializzato alle mie spalle con una ventina di leccapiedi.
Non perché avessi paura che potesse uccidermi ad un mio rifiuto immediato, ma perché sapevo che sarebbero ritornati e questa volta Harry, io e Ron non avevamo più diciassette anni.
Questa volta non eravamo ragazzini e avevamo troppo da perdere: una famiglia. L'amore della nostra vita.
Loro pensano che io sia la spia ufficiale dei Mangiamorte da quel giorno e che tutto ciò che ho imparato mi abbia affascinato a tal punto da rendermi folle, senza freni” raccontò Hermione, divertita, tirando dalla sigaretta con un sorrisetto che sembrava confermare i pensieri di quei leccapiedi.
E Draco capì perché lei gli stesse dicendo quelle cose: lui sapeva benissimo cosa voleva dire poter essere vincitori in un mondo in cui le cose perse erano più di quelle vinte.
“Non stai bene, vero?” bisbigliò, fissandola con gli occhi grigi contratti, come alla ricerca di segnale evidente.
“Sto cercando dirti...” lo interruppe con uno sbuffo, spegnendo la sigaretta nel posacenere di cristallo.
“Che tua moglie ti ha lasciato, ma tu non puoi abbatterti. Tuo figlio è nel mirino insieme a Lily e siamo tutti nella merda. Anche perché quei due si sono messi a pasticciare con la magia oscura” sbottò Hermione, congiungendo le mani sotto al mento e arricciando le labbra in una smorfia di compatimento.
“Siamo nella merda” sbuffò Draco, accollandosi nuovamente alla bottiglia.
“Se ti può consolare... io sono con te” mormorò Hermione, abbozzando un sorriso insicuro e battendogli un colpetto sulla mano.
Draco sentì un calore irradiarsi proprio in quel punto, ma non ebbe il tempo di rispondere perché una voce fastidiosa s'irradiò nella cucina.
“Oh, ma che dolci! Hai visto, Dalton, come sono dolci?” cinguettò Albus Potter, con la testa infilata nel camino e l'espressione di chi ha appena visto un film d'amore.
Dalton Zabini – al suo fianco – fece finta di ficcarsi due dita in gola.
“Che vuoi, Al?” sbuffò Hermione, sorridendo, nonostante tutto, al suo nipotino.
Albus ricambiò, rincuorandola in parte e poi si grattò il capo, cincischiando.
“Senti, zietta, non è che c'è papino?” cinguettò con un tono stucchevole, mentre Dalton aguzzava gli occhi azzurri per vedere meglio.
“Zietta? Wow, ce l'avessi io una zia così! Starei sempre con la testa sotto il tavolo per veder...” cominciò Zabini, venendo bloccato da un ponderoso calcio di Albus.
“Porco Salazar, sta zitto!” sbraitò Albus, mentre Hermione arrossiva e Draco guardava in cagnesco quello che era il figlio del suo migliore amico.
“Ehi, ragazzino, per caso vuoi morire?” urlò Draco, agitando il pugno minaccioso e facendo sghignazzare quel bastardo di Dalton.
“Sì, come no... e se poi ti viene un infarto?”
“No, Al, non c'è tuo padre!” strillò velocemente, prima che Draco lanciasse un candelabro dritto dritto nel camino.
Albus e Dalton sparirono prima di riceverlo dritto sulla fronte.
“Ma dico io, perché sei così?” sbraitò Albus, togliendosi la cenere dai capelli e guardando quel bastardo ridersela alla grande.
“Ma tu non dovevi andare da Chrys?” sibilò Dalton, perfido, mentre Al arrossiva tutto tutto come una ragazzina alla sua prima cotta.
“Credo che voglia fare sesso” borbottò mogio mogio, crollando seduto sul pavimento dell'ufficio di Ted, che gli aveva concesso gentilmente il camino.
Dalton lo guardò con tanto d'occhi.
“E allora?”
“Io credo di amarla” soffiò Albus, mordendosi l'interno della guancia.
Dalton sbiancò.
“Oh cazzo” disse il ragazzo di colore, crollando seduto anche lui sul pavimento e chiedendosi se fosse un epidemia.
“E poi sono vergine”
“Questo è pure peggio” piagnucolò Dalton, schiaffeggiandosi la fronte.
Salazar, se Albus era sfigato!

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Capitolo 18
*** Capitolo diciottesimo - Battle ***


Capitolo diciottesimo –
Battle




Ted Lupin chiuse le tende del suo ufficio con un gesto secco e si girò verso Lily – che coprì alcuni quadri curiosi appesi alle pareti.
Scorpius spostò la cattedra e i banchi verso la fine dell'aula completamente avvolta dal buio e Lily s'inginocchiò al centro della stanza, poggiando un libro rilegato in pelle nera sul pavimento di pietra grezza.
Ted s'inginocchiò di fronte a lei e Scorpius alla sua sinistra – mentre con gli occhi assottigliati fissava quell'oggetto inanimato quasi come se da un momento all'altro potesse prendere fuoco; non gli piaceva quel libro, proprio per niente: emanava un aura così scura che si sentiva soffocare.
Era come se lo stesse richiamando e cercasse di trascinarlo verso il basso – in un tunnel che prometteva piaceri e promesse, dolori e potere. Tanto da poter radere al suolo Hogwarts.
“Lo apriamo?” mormorò Teddy, mentre i suoi capelli diventavano neri dalla preoccupazione.
Lily sospirò e accarezzò le rifiniture d'oro al centro della copertina, spostando di scatto le dita quando il libro si spalancò da solo – come aiutato da una folata di vento; le pagine cominciarono a girare da sole e i tre le osservarono con gli occhi spalancati, rabbrividendo nel sentire un gelo sconosciuto penetrare fin dentro le ossa.
“Merda” sbottò Scorpius, inghiottendo a vuoto nel vedere le pagine bloccarsi di blocco ad un punto preciso.
Lily si sporse verso quella scrittura chiara e incisiva – senza fronzoli, ma abbastanza piccola da costringerla a sforzare lo sguardo bruno per leggere tutto con attenzione.
“L'arte della visualizzazione è qualcosa di estremamente particolare e pericoloso: attraverso il potere della mente, chi fa' uso di quest'arte riesce a visualizzare i pensieri più o meno maligni e reali di chi li circonda.
Automaticamente, la mente viene proiettata e allenata per percepire i pensieri altrui – come l'occlumanzia, ma molto più sottile o l'empatia, ma basata sul pensiero e non le sensazioni.
Il lucchetto che impedisce alla nostra mente di sintonizzarci con la mente altrui viene sbloccato e aperto di scatto e questo, molte volte – a molti che ci hanno provato – ha portato alla pazzia” lesse Lily, mettendo sull'attenti sia Scorpius che Teddy.
“Non se ne parla” sibilò Malfoy, interrompendola prima che potesse continuare sulle istruzioni. Con la bocca tirata in una smorfia si passò le mani nei capelli biondissimi – chiedendosi cosa diavolo passasse nella mente di quella sociopatica della sua ragazza.
“Non sta a te decidere, Scorpius” mormorò Lily, legandosi i capelli rossi in una coda alta e sfuggendo al suo sguardo con rammarico. Non voleva davvero litigare con lui, ma doveva scoprire chi era l'infiltrato ad Hogwarts e aiutare suo padre in quella maledettissima situazione di merda in cui si erano cacciati.
Quel Mangiamorte voleva lei – e uccidere suo padre, il minimo che poteva fare era rischiare di impazzire per salvarli tutti. Per salvare anche Scorpius, che era nel mirino tanto quanto lei.
“Credi davvero che tuo padre farà i salti di gioia quando saprà che rischi la vita per difenderlo? Quando non vorrebbe fare altro che difenderti lui stesso?” urlò Scorpius – alzandosi di scatto e facendo sobbalzare sia Ted che lei.
Si passò una mano sulla faccia, chiedendosi perché con Lily dovesse essere una continua lotta. E troppo tardi capì le sue intenzioni, perché uscì dall'aula a passo di carica e si sbatté la porta di mogano alle spalle.
“Lo conosci bene” soffiò Ted, alzandosi e spazzolandosi la polvere dai vestiti con nonchalance.
Lily si sciolse i capelli e chiuse il libro sul pavimento con uno scatto – ignorando la bruciatura che le era rimasta sulle dita, come l'ultima volta. Come ogni volta che lo apriva.
“Sapevo che non avrebbe mai accettato una cosa del genere, così mi sono affidata a... a quello che prova per me” mormorò Lily, sentendosi un verme.
La sera prima le era arrivata una lettera – mandata dallo stesso tipo che l'aveva attaccata a casa quando aveva cenato con il Ministro e i genitori di Scorpius – che la invitava a recarsi nei pressi della stazione di King's Cross quella stessa sera. A mezzanotte.
E sapeva perfettamente che lui non l'avrebbe mai lasciata andare. Che ci teneva troppo a lei per farla andare nella tana del lupo. O del serpente, a seconda di come si vedeva la cosa.
“Ti odierà quando scoprirà quello che hai fatto” mormorò Ted, avvicinandosi alla cattedra della sua classe di Difesa e poggiandovisi di peso.
Lily mise il libretto nuovamente nella tasca interno del mantello della divisa e si guardò l'orologio da polso placcato d'oro: lo stesso che le aveva regalato suo padre al compiersi dei suoi diciassette anni.
Erano le undici e lei aveva appuntamento con suo fratello James da lì a dieci minuti; nemmeno suo padre sapeva di quello che stava per accadere. E lei ci stava portando tutti nella merda, oltre lei.
“Tuo padre ci sbatterà tutti dentro quando scoprirà che James ha movimentato due squadre d'Auror senza il suo permesso. E con te come esca” sbuffò Ted, afferrando il mantello nero che aveva poggiato sulla sedia dietro la cattedra e infilandoselo di volata.
“O forse ci ringrazierà perché siamo riusciti ad infinocchiare quel grande figlio di puttana” rispose Lily, angelica, mentre Ted la fissava con una smorfia sulla bocca.
“Non mentivi quando dicevi che comunque saresti andata avanti con la visualizzazione, vero?” domandò Lupin, prendendo il piccolo vasetto poggiato sulla mensola sul camino alle spalle della cattedra e cercando di evitare il suo sguardo.
“No, non mentivo” disse la rossa, avvicinandosi a lui e prendendolo per mano: entrarono insieme nel camino e Ted prese un respiro profondo prima di pronunciare “Stazione di King's Cross!” ad alta voce.
La polvere le bruciò gli occhi e un risucchio la trascinò verso il basso, sballottandola a destra e sinistra: il respiro le mancò per tutto il tempo in cui la polvere volante la trascinò da Hogwarts ad un lotto abbandonato proprio accanto alla stazione.
“Cazzo!” sibilò Lily, rotolando sul pavimento ammuffito insieme a Ted – che teneva ancora le dita intrecciate alle sue.
“Merda” sbottò anche Ted, tossendo come un pazzo per la polvere che aveva anelato nella caduta. Si alzò a fatica – seguito da Lily – e si rassettò nuovamente i vestiti – ricoperti di polvere.
“Ho trovato due uccellini” ridacchiò una terza voce, facendo sbuffare la piccola Potter.
James si fece avanti – mettendosi alla luce di una lampadina mezza scassata al centro della stanza completamente vuota, tranne per una piccola finestra a poca distanza dal soffitto incrostato.
Capelli neri e disastrati, occhi bruni, come quelli della sorella, ma più vispi – con quella luce malandrina che lo rendevano uguale a suo nonno. James riviveva nei suoi due omonimi e ne andava fiero.
Indossava la divisa da Auror e sorrideva, giocando con la bacchetta che aveva tra le dita.
“Spero che tu sappia che papà ti ucciderà” soffiò Lily, sciogliendo la presa sulla mano di Scorpius e andando incontro al fratello – che l'abbracciò.
“Proprio per questo ho deciso di aiutarti” ridacchiò James, baciandole le tempie con dolcezza e sogghignando quasi alla Malfoy.
Lily sbuffò e si allontanò dal calore rassicurante del fratello, stringendosi le braccia al petto con un sospiro. “Quanti ne siete?” domandò – guardandosi attorno con la tipica sicurezza dei Potter.
James rise e all'improvviso la stanza si riempì: sembravano uscire dai muri, tutti con i volti sull'attenti e le divise perfettamente cucite sui loro corpi da guerrieri.
“Questa volta la morte di nonna Molly gliela facciamo uscire dal culo” sibilò il primogenito dei Potter, assottigliando lo sguardo e trattenendosi dallo sputare sul pavimento.
Che Godric mantenesse la sua bacchetta e non gli facesse pentire di essere andato lì... perché era la volta buona che avrebbe usato una maledizione senza perdono.
“Mente fredda, ci siamo intesi?” un uomo dai folti capelli biondi si fece avanti e guardò i due fratelli Potter con gli occhi neri stretti in due fessure.
Era molto più alto di James e aveva due spalle che quasi competevano con quelle di Dalton: era mostruoso e aveva davvero una faccia conosciuta.
“Anthony Parkinson” si presentò quello, tendendo la mano alla ragazza e sorridendole in modo pacifico.
Lily ricambiò la stretta, sicura.
“Allora... qual'è il piano?” li interruppe un altro ragazzo, facendosi avanti tra quella ventina di persone e fissandoli con una muta domanda nello sguardo.
James lo guardò con tanto d'occhi, chiedendosi da dove fosse uscito quel cosetto magro magro alto due metri. Farsi gli affari suoi no? Hm?
“Uccidere qualsiasi cosa si muova” rispose James ovvio e sarcastico allo stesso tempo, sorridendo angelico e beccandosi un paio di occhiate sbigottite.
“James scherza. Ci servono alcuni prigionieri, naturalmente.
Il resto... uccidete qualsiasi cosa si muova o respiri” cinguettò Lily, sbattendo civettuola le lunga ciglia scure.
Non che lei fosse meglio di suo fratello. Anzi, era pure peggio.
“Salazar, siamo nella merda” sospirò Ted, chiedendosi perché si fosse fatto coinvolgere in quella pazzia. Guardò Lily e la vide sorridere e capì immediatamente come avesse fatto a farsi imbrogliare: quegli occhioni erano una calamita.
Lily zittì il mormorio che si era alzato con uno “Shh” sonoro, stringendo i denti nel sentire tanti piccoli passi fuori la strada; stava per aprirsi un bel teatrino da quelle parti e per una volta sperò che chiunque – quella notte – restasse chiuso in casa, al caldo.
“Andiamo, è arrivata l'ora” mormorò, coprendosi i capelli rossi con il cappuccio del mantello della divisa e andando avanti, come punta dinnanzi a quella platea di persone che la seguivano come un solo e unico uomo.
Sospirò.
Il vento era gelido e le strade innevate e il pensiero di Lily andò a quel Natale imminente, ai regali e a Scorpius. A lui, che non sospettava niente – rinchiuso al sicuro ad Hogwarts.
A lui, che ora la stava maledicendo in tutte le lingue del mondo per la sua testa dura. Per il suo essere così testarda anche con lui – che aveva cercato di aiutarla. Che la rendeva speciale ed unica. E la amava.
Ad ogni passo verso la stazione completamente chiusa e serrata dall'interno, Lily assumeva quella consapevolezza: Scorpius la amava, anche se non glielo aveva detto chiaramente, a parole; lo aveva intuito dal suo sguardo, dal modo in cui la guardava – dal modo in cui i suoi occhi grigi s'illuminavano quando la vedevano. E lei, forse, quella notte... non sarebbe ritornata a casa.
Lei, forse, quella notte... sarebbe rimasta ferita o uccisa. E lo avrebbe lasciato solo in pasto ai lupo, i serpenti. Il mondo.
“Alhomora” bisbigliò Lily, facendo cadere le catene che tenevano rinchiuso il portone della stazione.
Sembrava che le sue scarpine di vernice rimbombassero in quel silenzio tombale e Lily – ora sola – si sentì improvvisamente scoperta; gli Auror si erano nascosti, pronti a balzare fuori al momento più opportuno, e lei sentiva tanti occhi sulla pelle. E bruciavano, come acido.
E la analizzavano, come un animale in trappola.
Lily si fermò sotto il grande pendolo che segnava esattamente la mezzanotte e il silenzio divenne così tombale da strapparle il respiro: niente si muoveva, tutto era immobile.
“Sei qui” ed eccolo che appariva, con quegl'occhi verde-acqua che aveva sognato tutte le notti, come un incubo ricorrente di cui non riusciva a liberarsi. La bocca sottile e rossa tesa in un sorriso, il volto completamente coperto da una maschera scheletrica che mostrava le sue intenzioni.
Morte e dolore a chi incrociava il loro cammino.
Guai e lacrime a chi osava intralciarli.
“Ho aspettato con così tanta ansia questo momento...” sussurrò quella voce roca, girandole attorno come un avvoltoio che aspetta l'agonizzamento della vittima prima di cibarsi della sua carcassa.
“Fottiti” rispose Lily, angelica, mentre quello la afferrava per un polso e se la portava a pochi centimetri dal proprio volto.
“Guardami” mormorò l'uomo, accarezzandole le guance con una dolcezza che la nauseò.
Lo sguardo di Scorpius le saltò in mente – causandole un conato ancora più forte.
“Il tuo posto non è con loro” soffiò il Mangiamorte, mentre parecchi dei suoi sudditi si materializzavano man mano alle loro spalle – circondandoli. Bloccando qualsiasi via di fuga.
“Tuo padre non potrà mai darti il potere, la fama... la gloria che può darti il nostro grande Signore” continuò, con gli occhi folli accesi di una luce che la Potter riconosceva fin troppo bene.
La luce di un pazzo, di qualcuno che aveva conosciuto molto bene la sensazione di poter aver la vita di qualcuno tra le mani. E toglierla. E tagliarla come un filo sottile, in modo netto, sicuro.
E lei non voleva quello per se stessa; non voleva essere padrona di nessuna vita, non voleva essere responsabile di nessun anima spenta.
Lily voleva essere normale... e promise a se stessa che quando tutto quello sarebbe finito – se lei fosse sopravvissuta – la sua vita lo sarebbe stata.
“Guardami” disse ancora, afferrandole il mento in modo rude e facendo sprofondare le dita callose nella carne.
Gli occhi bruni di Lily si spensero, quasi si allontanarono da quella voce che cercava di trascinarla verso il basso. Perché sentiva il profumo di Scorpius su di sé; perché riusciva a sentire il battito di Scorpius con sé.
“Tu sei nata per vincere. Tu sei nata per rinascere” soffiò ancora – labile come il vento – tangibile come una scarica elettrica.
“Puoi avere quel che vuoi.
Unisciti a noi e il mondo sarà ai tuoi piedi”
Ma non ci furono risposte né giubilo, quella notte, perché Lily Luna Potter storse la bocca in una smorfia sarcastica e fissò l'uomo con una luce ironica negli occhi neri come la pece.
“Il mondo è già ai miei piedi, stronzo succhiacazzi!” sibilò Lily, prima di spostarsi di lato e venire sfiorata appena da un Crucio, che prese in pieno il bastardo che la stava tenendo.
E si scatenò il caos.
Gli Auror correvano a destra e sinistra, lanciando incantesimi ai Mangiamorte – quella notte più numerosi. Quella notte molto più agguerriti, decisi di prendere con sé il tesoro di Diamond.
“Ignis” soffiò Lily e una bordata di fiamme nere come l'inferno scaturì dalla sua bacchetta, investendo cinque Mangiamorte alle sue spalle e lasciandone solo cenere.
Zigzava tra la folla, cercando di non farsi prendere e intanto urlava maledizioni che man mano cominciarono ad indebolirla. Che man mano cominciavano a renderle i piedi e le gambe di piombo.
Clausi” mormorò Lily, affiancando suo fratello e puntando la bacchetta alle piastrelle bianche e lucide dell'atrio di King's Cross, avvolto da urla e incantesimi. Maledizioni e sussurri.
Le piastrelle si ruppero dall'interno e come avvolte da una tromba d'aria s'innalzarono in alto, avvolgendo i due fratelli in una sorta di muro inattaccabile.
“Dove cazzo l'hai imparato?” sbraitò James, guardandola sconvolta e respirando a fatica per le miglia che gli sembrava di aver corso per colpire quei bastardi.
Lily si massaggiò il petto e scricchiolò il collo, fissandolo con gli occhi neri ridotti in una fessura. “Chiama papà” disse, riducendo il volto di suo fratello in una maschera cerea.
“Sei impazzita?” urlò James, per farsi sentire dal trambusto che le mattonelle producevano scontrandosi tra di loro.
“Chiama papà, James. ORA!” strillò come impazzita, continuando a massaggiarsi il petto. Il fratello la guardò e una sorta d'ansia lo avvolse come un serpente – opprimendogli il petto.
C'era qualcosa che non andava...
“Gli mando un Patronus” e nemmeno il tempo di finire la frase che sua sorella aveva fatto crollare quel muro che li aveva difesi da attacchi esterni e si era fiondata sulla folla, con la bacchetta tesa.
Fulgur” soffiò Lily, alzando le braccia al cielo con un movimento leggiadro.
Il tetto della stazione venne completamente squarciato da un fulmine e colpì in pieno quattro Mangiamorte che stavano combattendo contro Ted e Parkinson Junior: i due sbalzarono all'indietro – sconvolti – mentre quelli colpiti morirono sul colpo.
“Brava bambina, brava. Devo dire che quando si tratta di uccidere non ti ferma nessuno”
Lily si sentì afferrare per la vita, di spalle e alzò gli occhi – ora nuovamente bruni come la corteccia degli alberi – proprio nello stesso momento in cui si materializzava suo padre con Draco Malfoy e il capo degli Auror alle costole.
La battaglia imperversò ancora più forte, ma Lily non sentiva più nessun suono, se non quelle mani che la stringevano così forte da farle mancare il fiato.
Non aveva nemmeno più la forza di muoversi – e quel bastardo alle sue spalle ne stava approfittando.
“Lily!” sentì urlare, ma non si mosse.
Il capo degli Auror atterrò sei Mangiamorte con un colpo solo di bacchetta e suo padre urlò come un animale ferito, fissandola con gli occhi verdi spalancati a soli pochi metri da lei.
“Credi davvero che lui ti voglia ancora quando saprà quello che sei stata capace fare con un solo colpo di bacchetta?” bisbigliò Diamond al suo orecchio, accarezzandole i capelli rossi come il sole al tramonto e spingendo le dita sui suoi fianchi come se volesse strapparle la carne. Come se volesse rimanere il marchio.
Lui aveva toccato l'intoccabile. Lui stava toccando la figlia di Harry Potter, quel fiore prezioso che molti cercavano d'avere.
“Lui ti odierà, Lily Potter.
Il tuo stesso sangue ti disprezzerà e si rivolterà contro di te, uccidendoti; non ti accetterà mai... tu sei come noi. Tu sei come quelle persone che gli hanno rovinato la vita e uccisa la famiglia – rendendolo leggenda”
Oh, se aveva ragione.
Il voler proteggere suo padre e Scorpius le si stava rivoltando contro in tutto e per tutto: era diventata un assassina – e ora aveva le mani sporche di sangue.
Lily gemette e lui rise ancora, mentre Harry cercava qualsiasi modo di superare la barriera invisibile che lui aveva eretto per proteggere lui e la sua bambina.
La battaglia cessò improvvisamente e Draco Malfoy lo affiancò, con un taglio sulla fronte e la voglia di afferrare Lily dalle braccia di quell'ignobile essere – riportandola a casa. Portandola al sicuro.
“Guarda, piccolo giglio” urlò questa volta l'uomo ad alta voce, afferrando il mento di Lily e costringendola a guardarli dritti negli occhi.
Harry trattenne il respiro e Lily annaspò, sentendo letteralmente le forze venirle meno.
“La tua famiglia ti volterà le spalle quando capirà cosa sei veramente. Quando comincerà ad avere paura di te” continuò ancora, mentre Harry scuoteva il capo – come in trans.
“Pensa a bene a queste mie parole e quando finalmente avrai preso una decisione, ti basterà volerti materializzare da noi e sarà fatto.
Per fare questo, però, ci sarà questa piccola parte che farà un pochino male” bisbigliò Diamond, prima di trapassarla da parte a parte con una spada nera, bagnata di un liquido che le mandò in fiamme le ossa.
Ora un buco enorme le squarciava la carne ed Harry rabbrividì dal disgusto quando vide quella sostanza divorarle ossa e membra; Lily crollò in ginocchio e lui urlò con quanto fiato avesse in gola.
La vide poggiare un palmo aperto sulle mattonelle che, man mano, si stavano macchiando del suo sangue. Era rosso come i capelli che le coprivano il volto pallido, a tendine, e stava formando una pozza sotto il suo corpicino esile.


Papà, guarda cos'ho disegnato!”
Aveva i capelli legati in due treccine e sorrideva sdentata, con un foglio tra le mani che era quasi più grande di lei; lo guardava con gli occhioni bruni scintillanti e aveva un vestito verde che s'intonava perfettamente alla sua carnagione pallida. Ed era bella.
Wow, ma è bellissimo!” disse Harry, prendendola in braccio e facendola volteggiare – strappandole una risata che gli riscaldò il cuore.
Siamo io e te” bisbigliò la bambina, baciandogli la bocca a stampo e allacciandogli le braccine al collo.
E la mamma e i tuoi fratelli?” domandò Harry, ridacchiando e guardandola con una finta aria corrucciata.
Lily lo guardò con un espressione furba.
Loro non possono capire l'amore che ci unisce.
Quello è speciale ed è nostro” bisbigliò la bambina.
E l'ennesimo bacio a stampo che gli fece capire che altre mille guerre sarebbero valse la pena per la sua bambina.


“Lily...” annaspò ancora Harry, colpendo con forza quella parete invisibile e guardando sua figlia agonizzare.
La vide sputare sangue, mantenendosi lo stomaco e poi alzare gli occhi su di lui: lacrimavano rosso e un conato di vomito gli rivoltò le viscere; le guance erano macchiate della stessa sostanza che stava macchiando il pavimento ai suoi piedi.
LILY!” urlò con quanto fiato avesse in gola, mentre Draco e gli altri cercavano di far cedere la magia di quel Mangiamorte.
Molti erano rimasti uccisi e solo due erano riusciti a materializzarsi, fuggendo prima di venire catturati. L'unico che guardava quello scempio – accanto a lei – era lui, quel Diamond.
Simile alla signore con la falce la fissava dall'alto, guardando sua figlia con una perversità nello sguardo che lo gelò dall'interno.


Non ti lascerò mai, papà.
Tu sei il primo e ultimo uomo della mia vita e ti amerò sempre. Più di chiunque altro”
Bugiarda” rise Harry, dandole un buffetto sul nasino.
La ragazza lo fissò scandalizzata.
Te lo giuro!”


Lily si accasciò e affondò il volto nel suo stesso sangue, tenendo il braccio verso di lui – che urlò ancora e ancora. Fino a sgolarsi. Fino a non sentire più nulla, se non la morte nel cuore.
“Ricorda Harry Potter... quando risorgerà l'Oscuro, il tuo piccolo giglio sarà già con me” rise Diamond, prima di rompere l'incantesimo e materializzarsi – dandogli modo di fiondarsi su Lily.
La prese tra le braccia e gli sembrò di non aver mai toccato niente di così fragile, piccolo, delicato. Aveva paura di spezzarla e non aveva mai avuto quel timore nemmeno quando pesava due chili ed era una neonata.
“Loro non possono capire l'amore che ci unisce.
Quello è speciale ed è nostro” soffiò Harry, stringendosela contro e strappandole un sorrisetto tra le lacrime.
“Non è cambiato niente da allora. Te lo giuro” bisbigliò Lily, poggiandogli una mano sulla guancia e macchiandola di sangue.
Per sempre.
Te lo giuro, papà.

 
***


La corsa verso il San Mungo fu infinitamente lunga e angosciante.
James gli era alle calcagna e gli sussurrava che se mai fosse successo qualcosa a Lily, lui l'avrebbe seguita. E che non se lo sarebbe mai perdonato, perché era tutta colpa sua.
“Signor Potter!” urlò un infermiera quando varcarono le soglie del pronto soccorso, andandogli incontro con il volto preoccupato.
“Cos'è successo?” domandò, mentre lui continuava a stringersi Lily al petto come in trance. Come se non capisse nulla di quello che gli succedeva attorno. Voleva solo che stesse bene.
“Una spada l'ha trapassata da parte a parte, ma sospettiamo che fosse avvelenata o intaccata dalla magia oscura” rispose Draco al suo posto, mentre con uno schiocco di dita l'infermiera dai capelli castani faceva apparire una barella.
“Portiamola al reparto Auror, lì avremo più privacy e modo di scoprire con cosa l'hanno colpita” e in un attimo la vide solamente afferrare la ragazzina e toccare il cartellino sulla sua divisa. In un attimo scomparve e ad Harry sembrò che il mondo gli crollasse addosso.
“Vai di sopra, io intanto avviso gli altri” mormorò Draco, sospingendolo verso le scale.
Harry era stato molte volte nel reparto Auror, dove venivano curate le ferite peggiori – quelle da combattimento; il reparto si trovava all'ultimo piano e aveva una guardia all'ingresso, che sorvegliava chi entrava e chi usciva: persino gli infermieri, tramite il cartellino – che era una specie di passaporta, si materializzavano sempre fuori alle porte e mai direttamente dentro il reparto, strettamente controllato.
“Signor Potter, sta bene?”
L'uomo in divisa lo guardò preoccupato ed Harry si accorse che dall'ultima volta che era stato ricoverato lì non era passato nemmeno un mese. E quel ragazzino di appena venticinque anni – ma con molta esperienza – aveva dovuto subirsi i suoi sbraiti per tutto il tempo che aveva aspettato lì per entrare.
“Jhon, è appena entrata mia figlia. Fammi entrare” mormorò Harry, facendosi avanti e aspettandosi che lui si facesse da parte.
Il ragazzo scosse il capo, mordendosi le labbra.
“Mi dispiace, signor Potter, ma dobbiamo aspettare che il dottore venga e dia il permess...” cominciò, bloccandosi con un suono strozzato a fondo gola quando Harry lo afferrò per quel ridicolo cravattino e lo sbatté con una violenza inaudita al muro.
“Ho. Detto. Fammi. Entrare” urlò Harry, come un invasato – sballottandolo a destra e sinistra, come se volesse farlo rinsavire.
Come se volesse fargli male tanto quanto ne avevano fatto alla sua bambina.
“Signor Potter, si calmi o sarò costretto a...” continuò la guarda si sorveglianza, mandandolo ancora di più in escandescenze.
I suoi occhi smeraldini divennero di fuoco e Jhon inghiottì a vuoto, sbiancando gradualmente.
“Jhon, fammi entrare o giuro che questo sarà il tuo ultimo giorno di lavoro. O di vita, decidi tu” sibilò Harry e quando non ricevette nessuna espressione di sorta, ma solo il suo movimento del braccio verso la bacchetta – gli mollò un pugno su uno zigomo che lo fece ululare dal dolore.
“Harry, sei impazzito?”
La voce di sua moglie Ginny lo raggiunse prima che potesse caricare l'ennesimo pugno sullo zigomo di quell'incompetente e si aggrappò al suo braccio – pallida.
“Harry...” annaspò, mentre il caporeparto appariva alle loro spalle.
“Dobbiamo curare sua figlia, signor Potter o sedare i suoi istinti violenti?” disse, con i capelli sale e pepe e l'espressione rassegnata.
“Se succede qualcosa a Lily la riterrò responsabile, dottor Smith”
Il padre di Joe sospirò, spostando gli occhi neri verso Ginny – che si strinse nel maglione nero che aveva preso di volata.
“La prego, ci porti da lei” bisbigliò Ginny, con gli occhi bagnati e una disperazione muta nel tono che aveva usato per rivolgersi a lui.
Il dottor Smith aprì la porta, bloccandosi subito dopo quando vide Malfoy correre a perdifiato verso di loro con suo figlio alle calcagna – pallido come un lenzuolo.
“Ma quanti ne siete?” allibì Jack, mettendosi le mani nei capelli brizzolati e spalancando la bocca.
Hermione alzò gli occhi al cielo, seguita a ruota da Rose, Joe, Roxanne, Albus e Dalton – perché lui mica poteva lasciare da solo il suo migliore amico in quella situazione!
“Merda, la Mcgranitt ci ucciderà” sussurrò Ron, passandosi una mano tra i capelli rossi e guardando la ciurma con un senso di colpa: erano stati lui e Draco a portarseli dietro, diavolo!
“Ciao papi!” cinguettò Joe, facendo ciao-ciao con la manina a suo padre.
Dalton aguzzò lo sguardo. Ma bene, bene, bene, così quello era suo suocero! Alto, dalle spalle possenti e gli occhi neri come Joe – la stessa espressione esasperata che assumeva quando le chiedeva delle foto sexy per i tempi duri.
“Pure tu?” sbraitò Jack, trattenendosi dallo strozzare tutti e aprendo il reparto per farli passare: Harry stava perdendo la pazienza e no, non voleva affatto fare la stessa fine del guardiano notturno.
Il corridoio era bianco e silenzioso – assolutamente vuoto – e i loro passi quasi rimbombarono tra quelle pareti, diventando assordanti. Strappando il respiro a tutti loro.
Ginny si aggrappò alla mano di Harry e fissò il marito con gli occhi lucidi; gli stessi occhi di Lily, che aveva visto agonizzare. Che aveva quasi visto morire.
“Ditemi cos'è successo” mormorò Jack, camminando veloce dinnanzi a quel plotone d'esecuzione – che li seguiva silenzioso. Come in lutto. Come in preghiera.
“Quel Diamond le aveva inviato una lettera, dove le chiedeva un incontro pacifico. Da quando è morta nonna Molly, Lily non voleva che quell'opportunità per trovarsi faccia a faccia con lui; si sentiva in colpa.
Sentiva che loro avevano attaccato la casa dei nonni per una ripicca verso di lei, come se volessero inviarle un messaggio.
Tramite Ted mi ha inviato una missiva e mi ha chiesto – di nascosto – di radunare più Auror possibili” cominciò James, facendo serrare i denti di Scorpius e quelli di suo padre, che camminava con lo sguardo incendiato davanti a sé.
“Il camino dei professori è libero e tramite metropolvere, dopo qualche moina con Ted, si è smaterializzata a King's Cross.
Avevamo stabilito il cenno per uscire tutti quanti assieme e lo abbiamo fatto. E lei ha lottato, con le unghia e con i denti; Godric, se ha lottato.
Lily ha usato certi incantesimi che non ho mai visto usare nemmeno dal nostro Capo Auror” bisbigliò James, scuotendo il capo.
Hermione annaspò di poco e Draco la guardo – consapevole. La più piccola dei Potter aveva usato la magia oscura, ecco perché James non aveva mai visto niente del genere ed Hermione lo sapeva bene.
Ma non parlava. Non fiatava.
“Poi si è bloccata, mi ha urlato di chiamare papà” disse, mentre Scorpius cominciava a sentirsi male.
Lily chiedeva di suo padre solo quando era disperata, solo quando sapeva che non ce l'avrebbe mai fatta; lei si era sentita in trappola – in un modo così assurdo che l'unica soluzione possibile era stata chiamare suo padre e metterlo a conflitto con il suo passato.
“Quella spada che l'ha trapassata non era normale” s'intromise Draco, fissando gli occhi grigi in quelli del medimago, sicuri come non mai.
“Era sporca di una sostanza nera e le ha bruciato le ossa quando è uscita dall'altra parte” sbottò, ancora disgustato al ricordo.
Scorpius si bloccò di scatto e si passò una mano nei capelli biondissimi, che brillavano ancora di più alle luci di quelle lanterne dai colori bianchi e accecanti.
Lily gli aveva mentito, ma in quel momento non gl'importava niente. Voleva solamente che si rimettesse e che magari uscisse in quello stesso corridoio con un sorriso sulla bocca, urlando “è tutto uno scherzo!”, beccandosi un sgridata da tutti loro.
Salazar, una spada l'aveva trapassata da parte a parte!
Scorpius si accasciò su se stesso e si coprì gli occhi con un braccio, inghiottendo un singhiozzo con una forza sovrumana; sentiva il cuore in gola e le viscere urlargli pietà – ma il mondo non si fermava. Il tempo continuava a scorrere, nonostante Lily non stesse lì con lui.
Nonostante Lily stesse stesa su un lettino – in condizioni che nessuno sapeva. Trapassata da parte a parte, piccola ed esile com'era.
“Scorpius...”
Dalton gli passò una mano dietro al collo e se lo schiacciò contro, abbracciandolo con una forza che – in quel momento – sembrò tenerlo integro.
“Scorpius, andrà tutto bene” soffiò il ragazzo di colore, mentre lui soffocava le urla con il volto affondato nel suo maglione nero.
“Lei starà bene”
Si sentiva soffocare.
“Starà bene. Te lo prometto” mormorò ancora Dalton, lasciando che lui gl'inzuppasse l'ottima fattura di ciò che indossava con le lacrime.
Con il dolore.
Si sentiva cadere.
“E sai che io mantengo le promesse” continuò Zabini, alzando gli occhi azzurri al cielo per la tristezza che lo aveva assalito.
Da lontano – come un tuono – sentì l'urlo di Ginevra Molly Weasley.
Rovesciò il capo verso la sua sinistra e vide Joe con le mani chiuse a coppe sulla bocca e gli occhi così pieni di lacrime da rassomigliare a due grandi pozzi scure.
“Joe...” la richiamò, mentre Scorpius si allontanava da lui e la guardava con il petto ansante, la bocca secca, il cuore così arido da strappargli qualsiasi sentimento. Qualsiasi speranza. Anche la forza di vivere.
Joe scosse il capo e Scorpius volò alla parte opposta alla loro – correndo più forte che poteva. Correndo fino a sentire male alle ginocchia.
Svoltò il corridoio e li vide tutti accucciati di fronte ad una porta bianca, asettica e senza sentire né se né ma l'aprì di scatto.
Harry teneva la mano di sua figlia, immobile in quel lettino dalle lenzuola bianche. In una stanza bianca.
A Lily non piaceva il bianco. Diceva che non era un colore.
I capelli rossi le ricadevano morbidamente sulle spalle e gli occhi erano chiusi – ma le guance ancora macchiate di sangue.
Lo stomaco era coperto dal lenzuolo e le ciglia creavano ghirigori scuri sugli zigomi pallidi. La bocca era tesa in un espressione ancora addolorata.
“La spada era avvelenata ed ora è indotta in un coma forzato, dove lei è quasi prigioniera.
Se lei riuscirà a sopravvivere, significa che è abbastanza potente da poterli soddisfare ed entrare nei loro ranghi” mormorò Harry, senza mai distogliere gli occhi da Lily.
Se muore, avranno vinto lo stesso.
Scorpius avrebbe tanto voluto urlare – piangere – dimenarsi. Magari avrebbe voluto prenderla a schiaffi e dirle che era stata una stupida a non dirgli niente. Che voleva lasciarla, che non meritava l'amore che le regalava ad ogni respiro che esalava.
Voleva dirle che doveva farcela, non poteva lasciarlo. Non poteva rimanerlo lì – come un idiota – mentre il mondo cadeva a pezzi senza di lei.
Ma si limitò a sedersi sull'altra sedia sulla sponda destra di Lily, ora libera.
“So' che vuole rimanere solo con sua figlia, signor Potter, ma ho bisogno di rimanere accanto a lei.
Ho bisogno di farle sentire che ci sono, sempre e comunque.
Ovunque solo con lei” soffiò Scorpius – afferrando la mano di Lily e intrecciando le dita alle sue.
Millionesimo giorno alla conquista di Lily Potter:
fa un male cane vederla senza la sua solita vivacità e magari immaginare di vivere senza di lei.
La vita senza una Potter si prospetta uno schifo.
Millionesimo giorno alla conquista di Lily Potter:
era così innamorato da dover appoggiare la fronte sulla sua mano e inghiottire le lacrime per non farsi sentire.

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Capitolo 19
*** Capitolo diciassettesimo - Heartbreak ***


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Capitolo diciassettesimo –
Heartbreak

 
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Frank Paciock guardò con una smorfia la bustina d'erba che Dalton Zabini gli stava consegnando, chiedendosi perché dovesse anche fare – oltre l'assistente e il tutto fare – il corriere, che non rientrava affatto nelle sue mansioni. Neanche il resto, quello era certo, ma pazienza: cosa non si faceva per sopravvivere alle grinfie di Roxanne – psicopatica – Weasley.
“Ehi, ciccio!” sbraitò Dalton, facendolo sobbalzare nel movimento di dargli le spalle e causandogli un mezzo infarto.
“Sì?” miagolò tutto spaventato Frank, aggiustandosi con un dito gli occhiali sul naso e cercando di sorridere, nonostante sentisse la faccia un solo pezzo di ghiaccio.
“Quella è roba che costa, non toccarla come fosse merda... ma trattala come oro!” gli urlò letteralmente in faccia Dalton, nonostante fosse ad un metro di distanza da lui e lo avesse sentito perfettamente senza che gli urlasse nelle orecchie.
“Magari non dirlo a voce così alta, che se mi beccano faccio i vostri nomi” sbuffò Frank, caricandosi lo zaino in spalla e ignorando gli sbraiti di Dalton – che quel giorno sembrava più schizzato del normale.
“Guarda che la maggiore di quella roba me la procura tua sorella, idiota”
E in effetti non aveva tutti i torti: anche se avesse voluto dire alla preside tutto quel via-vai di droga e alcool che c'era ad Hogwarts, ci sarebbe andato di sotto lui per primo; sua sorella aveva un fiuto incredibile per gli affari e di solito era lei che portava dentro scuola quella robaccia, anche grazie alle sue amicizie di dubbio gusto.
Frank proprio non riusciva a spiegarsi come diavolo Alice fosse sua sorella; a parte i problemi di vista – che lei copriva meticolosamente con delle lentine babbane – e il taglio d'occhi, non avevano niente in comune.
Lui era timido e impacciato, lei fredda e distaccata; lui era impopolare e dedito allo studio, lei era circondata da amici e leccapiedi e usava la testa solo per avere i suoi comodi. A volte Frank si domandava come il cappello avesse fatto a smistarla a Tassorosso.
Alice era Serpe nel sangue, questo poteva confermarlo anche quel Santo di suo padre.
“Non preoccuparti, Dalton... arriverà dove deve arrivare o Rox mi ammazza” piagnucolò Frank, incamminandosi al lato apposto a quello di Zabini con la testa per aria.
Roxanne era super eccitata e lo dimostrava fumandosi cinque o sei canne ogni due ore – coinvolgendo metà dormitorio maschile dei Grifondoro e anche qualche Corvonero, giusto per fare incazzare Lorcan.
Proprio non sapeva cosa volesse quel sociopatico dalla sua Roxanne: insomma, a lei poteva anche piacere, come le piacevano tutti quelli che seguivano le sue orme dopotutto, ma Scamandro doveva sapere che la cosa si sarebbe limitata lì.
Magari si sarebbe guadagnato una scopata in piena regola – e a Frank non sarebbe dispiaciuto – e poi via. Perché lui lo sapeva: Rox non amava e se mai lo avrebbe fatto, Paciock ne era sicuro, avrebbe amato solo lui.
“Frank!”
Il ragazzo sobbalzò, sbarrando gli occhi nel constatare di trovarsi sua sorella ad un palmo dal naso; questa sorrise a centocinquanta denti e lo sbatté al muro, facendogli sbattere la schiena contro le arcate del primo piano.
“Alice, sei impazzita?” borbottò Frank, massaggiandosi il cranio e maledicendola silenziosamente. O lo avrebbe affatturato. E l'aveva già fatto Roxanne quando si era rifiutato di farle da corriere.
“Mi serve un piacere, fratellone” cinguettò quella, come se normalmente non lo ignorasse ventiquattro ore su ventiquattro su sette giorni su sette.
“No”
“Non fare lo stronzo, Frank o giuro che ti strappo le palle a morsi!” sibilò Alice, continuando a sorridere in modo sdentato e tenerlo schiacciato al muro.
Merda, perché era circondato da psicopatiche?
“E io dico a papà che spacci le erbe che lui coltiva!” sbottò Frank, incrociando le braccia al petto soddisfatto e facendo sbiancare la sorella.
“E io dico a mamma che le hai rubato la sua bambola da collezione preferita per fare le tue prime esperienze sessuali!” rispose Alice di slancio, confermando le teorie di Frank: era una sporca e viscida serpe.
“Che vuoi, Alice?” sibilò a bassa voce, aggiustandosi gli occhiali che gli erano scivolati sul naso e la borsa a tracolla traboccante di libri e appunti.
Alice allargò il suo sorrisetto.
“Mi serve che tu ammorbidisca Roxanne” bisbigliò, avvicinandosi al suo orecchio e poggiando le mani dalle unghia perfettamente curate sul suo petto.
Le pupille di Frank si dilatarono e sua sorella gli buttò le braccia al collo – così da apparire, ad occhio esterno, un abbraccio piuttosto che una coltellata.
“Tramite Lorcan, naturalmente. Non credo che lei si lasci abbindolare da un tipo come te” soffiò morbidamente, ignorando lo scricchiolio che produssero i denti di Frank quando si serrarono con forza.
“Scusa, fratellone”
Lo baciò all'angolo della bocca e gli diede le spalle con i suoi tacchi cento, lasciando dietro di sé solo il leggero ticchettio che producevano le scarpe di vernice.
“Sarà anche bella, ma cazzo se è stronza”
Frank lanciò un urletto spaventato, aggrappandosi all'arcata con un espressione terrorizzato: Lysander sobbalzò pure lui – guardandolo con tanto d'occhi e già strafatto di prima mattina.
“Mi hai fatto prendere un colpo!” sbuffò Frank, massaggiandosi il petto.
Maledetto pure lui che compariva sempre nei momenti meno opportuni!
“Pensavo che l'avessi visto anche tu” cincischiò Lysander, accendendosi una sigaretta appena rollata.
“Cosa?” bisbigliò Frank, guardandosi attorno con circospezione e gli occhiali ben saldi sul naso.
Lysander ciccò sul pavimento – tanto non puliva lui – e alzò lo sguardo verso il soffitto “Non posso dirtelo” rispose con un alzata di spalle, facendosi mandare al diavolo dallo stesso Paciock che era stato mandato a quel paese dalla stessa sorella.
“Ciao anche a te, Frankie!” gli urlò dietro, salutandolo tutto contento e ritornando a fissare la sua sigaretta rollata.
“Sì, ciao pure a te” lo sentì rispondere e strappandogli un sorrisetto.
Se magari Alice avesse avuto il carattere di suo fratello, lui non ci avrebbe di certo pensato due volte a caricarsela in spalla come un uomo delle caverne e dichiararla sua.
In un certo senso l'aveva già fatta sua, ma aveva sperato che – magari – ignorandola, forse lei avrebbe cambiato comportamento e sarebbe stata proprio lei a cercarlo. No, si era sbagliato.
Piccola stronzetta arr... “Mi credi stupida?”
E nemmeno a finire la frase si ritrovò, lui stesso quella volta, schiacciato al muro dal corpo di Alice Paciock – che lo fissava con gli occhi azzurri incendiati.
“Eh?” borbottò Lysander, sentendo il seno di Alice schiacciarsi delicatamente al suo petto. E il cuore.
Poteva sentire il cuore battere furioso.
“Wow... anche la Paciock ha qualcosa che batte lì dentro!” sussurrò Lysander – sorridendo – poggiandole una mano proprio sul petto coperto dal maglione della divisa.
Alice annaspò, sorpresa.
“Non cambiare discorso” sibilò, distogliendo lo sguardo e celando quello che le colava dentro come lava. Riscaldandola. Mandandola a fuoco, fuori di testa.
“Cosa c'è?” domandò Lysander, guardandola con quegli occhi un po' persi e un po' divertiti – fuori dal tempo. Fuori dal mondo. –
“I soldi con cui hai pagato Leslie per l'erba era oro di Lepricano”
Lysander sbatté le sopracciglia, sorpreso e la fissò come se fosse lei quella strana.
“Ma sei sicura?” domandò, arricciando il nasino alla francese e facendole desiderare di strappargli la lingua. O giocarci, ancora doveva decidere.
“Scamandro, vuoi prendermi per il culo? Per caso vuoi metterti contro di me?
Magari uno scontro tra bande, hm?” sibilò Alice, poggiando i palmi aperti sul muro alle sue spalle e fissandolo determinata.
Lysander strinse la bocca e fece collidere la propria fronte alla sua con un minimo di pressione che non la fece indietreggiare di un passo.
“Credi davvero che abbia paura di quei due stronzi che ti leccano il culo, Paciock?” bisbigliò Lys, sogghignando con la bocca carnosa.
Alice strinse i denti: no, sapeva perfettamente che Scamandro non aveva affatto paura di lei e dei suoi amici – o guardiani, come lo si voleva vedere.
Era così vicino che poteva sentire il suo profumo andarle dritto nel cervello e mandarle il sistema nervoso K.O.
“Quei soldi me li ha dati Lorcan, provvederò a restituirteli per stasera” disse – quasi disgustato da lei. Ma Alice non gli diede l'opportunità di allontanarsi.
Non erano così vicini da quella sera. Quella notte in cui si erano ritrovati avvinghiati nel suo letto e lui così fatto da ripeterle ogni due minuti che era bella da far mancare il fiato.
Alice si domandò se lo era anche in quel momento – anche se lui non era fatto. Anche se non si trovavano in un letto ad ansimare e gemere come se quello fosse il migliore sesso della loro vita.
Perché non riusciva a catalogare quella notte come tutte le altre che aveva trascorso?
Perché non riusciva a chiamare sesso quell'atto che li aveva coinvolti?
“Lysander...” lo chiamò per la prima volta con il suo nome, avvicinandosi da poter dire di respirare il suo respiro. Di poter convertire il suo respiro in un veleno che le intossicò il sangue – che le bloccò il cuore.
“Dieci punti in meno a Tassorosso e Corvonero per trovarsi fuori dalle proprie aule durante le ore di lezione” e Rose Weasley apparve tipo uccello della malora, facendoli saltare in aria come petardi.
“Oh, ciao Rosie!” cinguettò Lysander, facendo incazzare ancora di più Alice.
La guardò in cagnesco e quella rispose con un ciaociao con la manina.
“Perdonatemi, c'è la preside in giro e allora è meglio che voi diciate che ci ho già pensato io che faccia lei e vi cacci direttamente” disse Rose, sorridendo con il suo modo delicato di fare le cose.
Alice si allontanò da Lysander, sistemandosi la cravatta della divisa con un gesto deciso delle dita.
“Vado, ho da fare. Scamandro, ricordati quello che ti ho detto e Weasley... belle gambe. Dovresti metterle in mostra più spesso” soffiò Alice, ammiccando sensualmente verso Rose e facendola arrossire dalla punta delle scarpe fino a quella dei capelli.
“Oh, hm, grazie” balbettò la rossa, fissando Lysander sorpresa; questo fece spallucce, godendosi lo spettacolo del culo della Paciock e Rose alzò gli occhi al cielo.
“Che ne dici, vuoi tornartene in classe?” gli urlò in testa, facendolo sobbalzare.
“Oh, ciao Rosie!” cinguettò questo nuovamente, beccandosi uno scappellotto dietro la testa bello pesante.
“Smettila di farti quella merda, Lysander, ti brucia il cervello e ti rende un idiota. E vattene in classe, maledizione!” sbraitò Rose, mollandogli un calcio nei fianchi e mandandolo direttamente nel corridoio opposto.
“E cazzo” le scappò detto, mentre si sistemava la gonna della divisa che Roxanne aveva accorciato senza dirla niente: le si alzava ben oltre il ginocchio e aveva paura persino di camminare!
Maledetta lei e che le aveva chiesto aiuto.
“Non si dicono le parolacce, Caposcuola Weasley!”
Rose strillò, facendo un salto all'indietro e rischiando anche di spaccarsi la testa contro il muro.
Tom le regalò un sorrisetto divertito, sedendosi sull'incavo dell'arcata e accendendosi una sigaretta a miele.
“Nott, mi hai spaventata!” sbuffò Rose, rilassandosi e togliendosi la mano dal petto – dove sentiva il cuore galoppare furioso.
Momento, momento, momento. Stop, fermi tutti!
TOM!
“Merda” si lasciò sfuggire, prima di tapparsi la bocca con entrambe le mani chiuse a coppa.
Merda!
“Signorina, ma che linguaggio scurrile” la prese in giro Tom, aspirando dal filtro e causandole un altro mini-infarto.
Oh santissimo Salazar divino. Ora moriva. Ora moriva e non aveva nemmeno mai dato il suo primo bacio... se si toglieva suo cugino James – soprannominato il porco.
“Oh, ehm. Volevo dire... oh, sì: che ci fai fuori dall'aula, Nott?!” sbottò, tossendo per darsi un contegno e drizzando le spalle.
Merda, stava sudando.
“Sono anch'io un Caposcuola, tesoro”
Oh. L'aveva dimenticato.
“Mi rendi nervosa” ecco, l'aveva detto. Lui la rendeva nervosa quando la guardava con quegl'occhi blu simile al cielo di notte in estate e quella bocca tesa in un sorriso – come se fosse lei la causa. Sperando che fosse lei la causa.
“Lo so” mormorò Tom, sogghignando e fissando il soffitto con aria assorta.
Rose storse la bocca, allibita: lo sapeva; lui sapeva che la rendeva nervosa e se ne usciva così – soft, calmo e dolce – come se gli avesse detto che lei amava la neve o un altra idiozia del genere.
“Ehi, schianto! Senti, mi servirebbe un tuo servigio!” Lorcan apparve nello stesso corridoio dove aveva mandato al diavolo suo fratello, sorridendo nel suo modo di fare sciolto e ammiccante.
Arrivò ad un metro da lei e le circondò le spalle con un braccio – attirandosela contro.
“Sai, per quel permesso speciale” disse al suo orecchio, sfiorandole il lobo con la punta del naso.
Rose alzò un sopracciglio e Tom fissò il proprio sguardo nel suo, quasi furioso.
Fa qualcosa, pensò Rose.
Qualsiasi cosa, pregò ancora, facendo accelerare il respiro senza nemmeno accorgersene.
Aveva bisogno di un segno da parte sua, qualcosa che la incoraggiasse ad andare avanti.
Qualcosa che la convincesse che anche se si sarebbe sforzata fino all'inverosimile... niente sarebbe stato invano. E niente sarebbe stato abbastanza.
Tom distolse lo sguardo e Rose sentì il cuore quasi spezzarsi nel petto.
“Ho finito di farti piaceri da un pezzo, Lorcan. Sei pericoloso in giro per la scuola senza balia” disse sarcastica, rovesciando il capo verso di lui e sorridendo incattivita.
“Puoi farmi tu da balia, hm? Che ne dici?” ridacchiò Lorcan, stringendosela ancora di più contro e strappandole un verso tra il divertito e lo sconvolto.
No, pensò. Lorcan era l'ultima spiaggia a cui si sarebbe aggrappata e in casi tremendamente estremi; era un bel ragazzo, certo, ma... non brillava. Non si distingueva tra gli altri come faceva lui.
“Cerca d'infilare il coso che hai tra le gambe da qualche altra parte, Scamandro” sussurrò Rose, districandosi dalla sua presa e allontanandosi di un passo – sicura.
“Non sai che ti perdi, bambolina”
Lo avrebbe sicuramente preso sua cugina Roxanne e non se ne pentiva di certo. Lorcan era una bella gatta da pelare e tenerlo al guinzaglio non sarebbe stato di certo facile.
“Ti cercava Rox, perché non vai alla sua ricerca e sfoghi i tuoi istinti su di lei?” sibilò Rose – sbuffando – prima di venire strattonata verso destra e soffocare una bestemmia.
“Ma che...” sbraitò, pronta a mollare un ceffone a Lorcan e ritrovandosi un odore addosso che aveva conosciuto solo poche settimane prima.
Rose tremò e respirò a pieni polmoni.
Merda.
“Merda” bisbigliò a bassa voce, rischiando di far strozzare Tom la propria saliva.
Sentiva il suo petto alzarsi e abbassarsi a ritmo del suo cuore e del respiro che esalava e inspirava con troppa facilità; a lei, a quella distanza, le risultava difficile persino fare quello.
“Non pensavo che avesse il marchio, fratello!” disse Lorcan, alzando le braccia al cielo e indietreggiando.
Rose sbatté confusa le palpebre e Tom sorrise – accarezzandole i capelli e rimanendoci quasi la mano dentro tanto erano ricci e cespugliosi; la ragazza si trattenne dallo sbattersi una manata dritta sulla fronte per la vergogna.
Tutte lei, tutte lei, maledizione! Il marchio ce l'aveva eccome, ma quello di suo padre: azzeccare figure di merda un minuto sì e l'altro pure.
“Tranquillo, ma preferirei che spargessi la voce. Così, giusto perché non si ripeta” mormorò Tom, con il suo tono placido e tranquillo, mentre lei continuava a non capirci una mazza.
Marchio? Fratello? Spargere la voce?
“Consideralo fatto!” cinguettò Lorcan, assumendo quasi le sembianze di Lysander e allontanandosi con i piedi a due metri da terra.
“Si è incastrata la mano...” bisbigliò Tom, scoppiandole a ridere in faccia senza ritegno.
Rose aprì la bocca a palla e si trattenne dal bestemmiare i dieci comandamenti all'incontrario.
Merda, merda, merda!
“Merda!” sbraitò ancora, giusto per dare più tono alla situazione che si era cacciata. Di merda, appunto.
Che vergogna, che vergogna! Perché di tutti i pregi che avrebbe potuto ereditare da sua madre aveva proprio i capelli? Insomma, i capelli!
“Non voglio tirare, Rose. Dammi una mano” rise ancora Tom – facendosi guardare male.
“Smettila di ridere!” sbraitò infatti la rossa, afferrandolo per il polso e strattonandolo malamente.
Urlò, mentre Tom traballava lontano da lei con una ciocca dei suoi capelli tra le mani.
“Porco Salazar, sei impazzita?” sbottò Nott, avvicinandosi preoccupato e togliendole le mani da testa con delicatezza. Sospirò tra i suoi capelli e a Rose passò tutti in tre secondi.
“Hm” mugugnò, lasciandolo tastare la sua testa e appoggiandola sul suo petto.
“Rose?” sussurrò Tom, poggiando il mento dove le aveva fatto male.
“Hm?” mugugno ancora – facendo quasi le fusa come una gatta.
Tom tossì, arrossendo come un bambino.
Anche tu mi rendi nervoso”

***


All'ora di pranzo la Sala Grande era in pieno fermento: la storia che Thomas Nott avesse marchiato Rose Weasley aveva fatto il giro della scuola e oramai non si parlava d'altro; chi diceva che lei aveva propinato un filtro d'amore a lui, chi parlava di sesso selvaggio sulle cattedre dei professori e altri ancora ipnotizzavano una possibile gravidanza portata avanti dal famoso compleanno di Tom, dove tutti lo ricordavano ubriaco fradicio e dove lei, che non era nemmeno presente, ne aveva approfittato.
Dalton Zabini – naturalmente – non si era fatto nemmeno sfiorare da tutti quei pettegolezzi: li aveva messi in giro lui, dopo aver fatto una sana chiacchierata con Scamandro, e quindi ora si stava occupando di qualcuno con un problema più grosso di Nott – ho ingravidato la Weasley.
“Odio la mia vita”
E naturalmente quel problema era Potter; santo Salazar e tutti i suoi discendenti, non lo sopportava più! Gli aveva scartavetrato le palle lui e i suoi drammi esistenziali e oramai – Dalton – ne aveva piene le scatole.
Stavano arrivando al punto che si sarebbe suicidato prima lui e poi Potter... e quello diceva tutto su come erano messi!
“E la mia intera esistenza” continuò Albus, spulciando il cibo nel piatto e lanciando di tanto in tanto occhiate da pesce lesso al tavolo dei Serpeverde. Dove Chrysantha non lo cagava nemmeno di striscio.
“Cos'ho fatto di male nella mia vita per meritarmi questo?” piagnucolò questa volta Dalton, sbattendo la testa sul tavolo di cedro scuro e disgustandosi altamente: la tovaglia era rosso-oro.
Il tavolo dov'era seduto era rosso-oro. E tutti quelli che lo circondavano avevano i vestiti rosso-oro.
Ora Dalton sboccava. Prima bestemmiava e tirava giù tutti i protettori di Hogwarts e poi sboccava.
“Come cazzo ci sono finito al tavolo dei Grifondoro senza accorgermene?” sbraitò Zabini, a cui si rizzarono tutti i capelli sulla nuca.
Aaron Jordan, a due posti di distanza da lui, ridacchiò sotto i baffi.
“Se non vuoi che dica a tutti che ti ho ritrovato con il pene infilato nella serratura del cesso che frequenta Mirtilla, dovresti smetterla di ridere, Jordan!” ululò Dalton, facendosi spuntare corna e coda.
Aaron sbiancò.
“Ops, troppo tardi” sibilò il Serpeverde, sghignazzando sotto i baffi e beccandosi uno schiaffo sulla spalla da... Joe.
Ah, ora capiva tutto.
“Guardavi il culo della Smith e parlando con me – ed elogiandoti per le voci che hai messo in giro su Nott – ti ci sei fatto trascinare. Troglodita” soffiò Albus, logico.
Ecco, ora tutto si spiegava.
“Sono le cattive amicizie che mi hanno trascinato a questo tavolo. Se ora non frequentassi un Grifondoro, non mi ritroverei al tavolo dei Grifondoro” disse ovvio – tralasciando il fatto che fosse stato il sedere della sua fidanzata a traviarlo.
Joe lo fissò attraverso le lunga ciglia nere.
“Amore, anche io sono Grifondoro” disse, arricciando le labbra e picchiettandosi un dito sulla tempia.
Dalton sorrise.
“Amore, tu hai due tette da paura e un culo che parla da solo, potresti anche essere Godric in persona – non è che mi faresti schifo” cinguettò melenso, strappandole una risata.
“E allora dovresti pranzare più spesso al nostro tavolo... sai, mi metti di buon umore” mormorò Joe, sfiorandogli le labbra delicatamente – in un soffio – per poi allontanarsi e lasciarlo con gli occhi da ebete fissi su di lei.
In realtà avrebbe preferito pranzare nudi – in Sala Grande davanti a tutti non gli avrebbe fatto specie – e fars...
“Il problema sono io, non voi” sbottò Albus, sbattendo le posate sul tavolo.
E menarlo fino a fargli uscire tanto di quel sangue da potersi fare la doccia per una settimana. Ecco cosa avrebbe voluto fare in realtà, cazzo.
“Basta. Ora basta” sbraitò Dalton, balzando in piedi e spaventando tutti quanti. Afferrò Albus per un polso e – volente o nolente – se lo trascinò fino al tavolo dei Serpeverde: lì menò un calcio a Jugson, che stava pranzando per fatti suoi, e liberò il posto per sbatterci rudemente Albus.
“Potter ha perso una scommessa con me, ma io non sono chiuso in una stanza da tre giorni con la Smith – e comincio a parlare in Turco – quindi non ho tempo per lui.
Decidi tu la punizione e fa' di lui quel che vuoi. Addio” le disse ad un palmo dal naso, rischiando di farla andare in brodo di giuggiole per la felicità.
“Ah, quasi dimenticavo: è vergine”
E BOOM, Dalton sganciò la bomba e se ne ritornò tutto fischiettante al tavolo dei Grifondoro, lasciando Albus in balia del sorrisetto sadico di Chrysantha – che sbatté gli occhioni blu con una perversione unica.
“Adoro le scommesse. Specie quando devo decidere le sorti di chi perde” miagolò, riavviandosi una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio e sghignazzando nel sentirlo inghiottire a vuoto.
Porco Godric, lo adorava quando faceva il timidone! Ed era pure vergine.
Aveva deciso: era l'uomo della sua vita!
“Non mi farai del male, vero?” sussurrò Albus, guardandola con i suoi occhioni verdi e innocenti e eccitandola ancor di più.
Chrysantha allargò il suo sorriso da iena.
“Pochi giorni e mi pregherai di fartene” sussurrò, mentre Lily – alle sue spalle – mimava d'infilarsi due dita in gola e vomitare tutta la cena.
“Non dirmi che davvero ci farà del sadomaso” borbottò verso Scorpius, preoccupata per le sorti di suo fratello e questo fece spallucce, strafregandosene altamente delle sorti di Albus.
Un rompipalle in meno. Un rompipalle in meno che le impediva di arrivare alle grazie di Lily.
Ora mancava solo Lupin.
“Ma no, tranquilla. Dalton semplicemente sta dando l'occasione a quei due testoni di avvicinarsi...” cinguettò Scorpius, sbattendo gli occhioni grigi e facendola corrucciare.
Sì, come no, avvicinarsi. Le uniche cose che si sarebbero avvicinate, sarebbero stati i sistemi nervosi di Albus – facendolo collassare al momento in cui Chrysantha si sarebbe spogliata.
“Dalton vuole solamente fare sesso con Joe” soffiò Lily, alzando gli occhi al cielo e guardandosi furtivamente attorno.
Lei, in quel momento, non aveva tempo di pensare al sesso: doveva avere quei fascicoli il prima possibile.
Il libro che le aveva dato Alice era qualcosa di... magnifico; c'era così tanto sapere dentro, così tanta magia da metterle i brividi ogni qual volta che lo prendeva tra le mani. Ed era meraviglioso.
Guardò Scorpius con la coda dell'occhio e lo baciò velocemente all'angolo della bocca – sorprendendolo; quella volta non era sola a combattere quel male. Lei non era sola a combattere contro se stessa.
Stava studiando la magia oscura per proteggere la sua famiglia e Scorpius stava studiando lei, tendendole la mano, per impedire che venisse trascinata da quella cappa oscura che sentiva crescere dentro di sé.
“Anche io vorrei fare sesso con te, ma a quanto pare non è possibile” mormorò Scorpius, trattenendosi dal piagnucolare come un bambino.
“Perché Lorcan vuole beccarsi un cazzotto da Frank?” rise Lily, mentre Scorpius scuoteva il capo – senza voler sentire ragioni.
Voleva fare sesso, non ce la faceva più. Aveva due pa...
“Signori e signore, che inizi lo show” Lily interruppe i suoi pensieri e Scorps alzò gli occhi sul tavolo dei Grifondoro giusto in tempo per vedere Lorcan sedersi proprio accanto a Roxanne – sono un uomo – Weasley.
A Scorpius avrebbe fatto paura fare sesso con Rox: la vedeva tipo dominatrice, capacissima di usare fruste e manette e cavalcare come un invasata cantando Noche de Sexo a squarciagola.
Scorpius rabbrividì e – dall'altra parte della tavolata – vide Frank arrossire dalla rabbia. L'unica che non sapeva di avere la bava di Paciock alle spalle era proprio Roxanne.
“Aspettami qui”
E via, Lily schizzò verso il tavolo dei Tassorosso, il più vicino a quello Grifondoro e si sedette accanto ad Alice – che aveva già le orecchie rizzate verso i due.
“I fascicoli?” sussurrò la ragazza dai capelli biondi, assolutamente composta anche se stava ascoltando indecentemente le conversazioni altrui.
“Dopo ho intenzione di parlare con Lorcan. Non preoccuparti, è tutto sotto controllo” sussurrò Lily, ammiccando verso Lysander – che ricambiò tutto pacioso come sempre.
L'occhio di Alice subì un tic nervoso.
“Brava, Potter... brava” bisbigliò, mentre Roxanne sbraitava bestemmie a destra e manca per scollarsi Lorcan di dosso.
“Ma te ne vai?” la sentirono urlare, mollando un cazzotto al ragazzo dai capelli biondi e assumendo le sembianze di Ursula, la cattiva della Sirenetta – un cartone animato che suo nonno le aveva fatto vedere mille e mille volte.
“Hm, sai che non sono vere le cose che dicono su di te?” bisbigliò improvvisamente Lorcan, accarezzandole i fianchi con dolcezza e sorridendo in un modo così perverso che Roxanne si trattenne a stento dal saltarle addosso.
“Di cosa parli?” mormorò Rox, respirando a fatica quando lui passò i polpastrelli sulla curva del seno destro, delicatamente.
Frank – seduto di fronte a lei – strinse i denti.
“Dicevano che avevi una seconda scarsa...” ridacchiò Lorcan, facendole spuntare corna e forcone e beccandosi un piatto di carote purè dritto sulla faccia.
“Vattene o giuro che ti ammazzo!” sbraitò Roxanne, mentre Dalton – seduto a posti di distanza da lei – cominciava a fare le fusa accanto a Joe.
“Ti prego” miagolò come un gatto, strusciando la testa contro la spalla di Joe e guardandola con gli occhioni azzurri spalancati.
“Dalton, non...” ma naturalmente non finì la frase, perché Dalton si avventò sulle sue labbra e le divorò la bocca.
Joe annaspò, aggrappandosi alle sue spalle per non crollare – per non cadere in quel vortice che ogni volta, ogni santissima volta, le divorava l'anima.
Dalton sorrise sulla sua bocca, vittorioso e si alzò ancora attaccato alle sue labbra; Joe allacciò le braccia al suo collo e ringraziò che non ci fosse la Mcgranitt nei paraggi o li avrebbe allontanati a forza di calci.
“C'è uno stanzino nei paraggi” mugugnò Dalton, camminando senza sforzo anche se Joe stava praticamente attaccata al suo collo senza toccare terra.
Mischiò il proprio respiro con il suo e rabbrividì, accorgendosi appena delle risatine degli studenti prima che uscissero dalla Sala Grande di volata.
“Dalton, Dalton, Dalton...” lo chiamò Joe, sospirando nel sentirlo chiudere una porta dietro di sé e sorridendo nel constatare la sua frenesia nel volerla.
L'appoggiò contro un muro e si sbottonò i pantaloni, respirando a fatica.
“Dalton, no...” mormorò Joe, sciogliendo quella specie di abbracciò che li aveva legati e che sentiva i loro cuori battere all'unisono.
Dalton la guardò con gli occhi appannati dal desiderio e lei lo fissò indecisa.
“Non così” sussurrò, arrossendo e strappandogli un singulto.
“Così come, Joe? Sei la mia ragazza, possiamo farlo anche nella Foresta Proibita accanto ad un albero – questo non dovrebbe disturbarti!” sibilò Dalton, staccandosi di scatto e passandosi una mano tra i capelli.
Joe si abbassò la gonna e si morse le labbra.
“Non voglio che tu mi tratti come hai trattato... come hai trattato tutte le altre” soffiò, abbracciandosi da sola per infondersi un minimo di calore e mandandolo in bestia.
“Tutte le altre? TUTTE LE ALTRE?” urlò, facendola sobbalzare e stringendo i denti.
La vide indietreggiare e scoppiò a ridere amaramente.
“Mi sono messo contro il mondo per averti Joe, non ti basta questo per sapere che non ti tratto come le altre?” bisbigliò, passandosi una mano tra i capelli e chiedendosi perché con Joe dovesse essere sempre tutto così difficile.
Perché dovesse sentirsi sempre così inferiore, finendo per ferire se stessa e anche lui.
“Guardami, Dalton.
Ho detto guardami” sussurrò Joe, mentre lui alzava gli occhi su di lei e sentiva lo stomaco contorcersi e andarsene letteralmente al diavolo.
Aveva ancora alcune piccole cicatrici che quelle stronze le avevano lasciate, ma non era mai stata così bella. Ma non era mai stata così vera.
Non l'aveva mai sentita così sua.
“A me basta anche solo se mi guardi di sfuggita, ma ho bisogno di sicurezze. Ho bisogno che tu capisca che io non sono loro – e di conseguenza non puoi trattarmi come facevi prima.
Ho bisogno di capire quello che senti dentro, quello che riesci a dimostrarmi con un solo sguardo; io sento che tu potresti portarmi il mondo se solo te lo chiedessi... e ho bisogno anche di vederlo.
Di percepirlo” mormorò Joe, afferrandogli la mano e intrecciando le dita con le sue.
Dalton la guardò e lei – mai come in quel momento – gli regalò un sorriso che ebbe il potere di scioglierlo dall'interno.
Non gli aveva mai sorriso così, con lo sguardo che brillava in un modo che a Dalton faceva impazzire.
“Non farlo più” sussurrò Zabini, quasi ammaliato dalle fossette sulle sue guance quando la bocca aveva preso quella piega deliziosa.
“Cosa?”
“Non sorridere più in quel modo o almeno fallo solo quando siamo soli” disse Dalton, baciandole le nocche quasi con dedizione.
“Perché?” rise Joe, buttandogli nuovamente le braccia al collo e accostando la fronte alla sua.
“Perché qualcuno potrebbe innamorarsi e io questa volta sarei capace di uccidere chiunque possa portarti via da me”
E con quelle parole si meritò un bacio che lo bruciò dall'interno, mandandolo in tilt. Sentì la lingua di Joe penetrare nella sua bocca e carezzarlo con una violenza che lo annullò.
Il suo corpo sapeva d'amore e speranza – che non aveva mai perso. Che accanto a lui non avrebbe mai potuto perdere – e Dalton capì che avrebbe potuto combattere l'intero mondo per averla.
Avrebbe combattuto cento guerre per vederla anche solo sorridere, per sentirla sua ancora e ancora.
Cazzo.
Si era innamorato.

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Capitolo 20
*** Capitolo diciannovesimo - Pain ***


Capitolo diciannovesimo -
Pain



Ventiquattro ore, dodici minuti e venticinque secondi che Lily Luna Potter non apriva gli occhi. E che Scorpius Hyperon Malfoy non li chiudeva.
Avvolti in due limbi diversi – che li stava divorando dall'interno – si tenevano per mano in un modo quasi morboso, nonostante Lily fosse avvolta da un buio letale e Scorpius in una catatonia quasi soffocante. E sembrava che nessuno dei due volesse uscirne. Che nessuno dei due volesse sopravvivere.
“Scorp, amore... ti ho portato qualcosa di caldo” Asteria accarezzò i capelli biondi del suo bambino – senza ricevere da parte sua alcuna risposta.
La donna baciò delicatamente la fronte di Lily, accarezzandole i capelli rossi al tramonto e poi rovesciò il capo verso suo figlio – con gli occhi persi verso il vuoto e la bocca tesa in una linea sottile.
“Dovrai pur bere qualcosa” soffiò preoccupata, afferrando la sua mano libera e stringendo le dita smorte di Scorpius attorno il bicchiere di polistirolo con del tè caldo all'interno. Era ai gigli e miele, il suo preferito.
Continuò a non muoversi e Asteria uscì dalla stanza frustrata, sbattendo gli stivaletti di pelliccia bianca sul pavimento come una bambina capricciosa; era quasi angosciante vedere quel filo d'acciaio che univa suo figlio a Lily.
Ora era visibile e sembrava così indistruttibile da poter trascinare Scorpius verso la morte insieme a lei – se mai la piccola Potter non fosse sopravvissuta a quel coma indotto con la forza.
Lui sembrava così fragile avvolto in quel bozzolo buio, legato da quel piccolo filo invisibile che però lo teneva stretto – che lo cullava – che lo teneva integro e forte.
Asteria si strinse nelle proprie braccia e alzò gli occhi azzurri verso il suo quasi ex marito; aveva i capelli biondi che gli ricadevano sulla fronte piana e lo sguardo un po' perso, come se non sapesse cosa fare. Come se stesse lottando al posto di suo figlio – per salvarlo come suo padre non aveva fatto con lui.
“Scorpius è come te, Draco. Lui è forte” sussurrò, sorridendo allo sguardo sorpreso che le rivolse.
Con due dita si riavviò i capelli biondi come il grano dietro l'orecchio e sospirò, accettando la mano che lui le aveva teso a metri di distanza – come se avesse bisogno di un appiglio per non cadere.
Draco aveva la bocca tesa verso il basso ed Hermione, nascosta nel corridoio d'entrata che sboccava poi nel reparto Auror, si toccò il petto; sentiva il cuore battere così forte da strapparle il respiro con una violenza inaudita.
Le sembrava di essere piombata nel passato, dove lei assisteva impassibile a quei momenti e distoglieva lo sguardo per non essere beccata in flagrante; non era cambiato niente – in realtà.
Lei era ancora lì e sentiva ancora le gambe cedere per il dolore che sentiva al petto.
“Grazie per il caffè”
Ron afferrò le quattro tazze volanti tra le mani e lasciò le altre due in sospeso, guardandola curiosamente attraverso le ciglia rosse.
Hermione non sobbalzò nemmeno, rovesciando solamente il capo verso di lui quando le rivolse la parola: era così abituata agli attacchi a sorpresa dell'altra barricata che – oramai – sembrava essere diventata un pezzo di ghiaccio.
Non sentiva più la paura né altro. Nemmeno quella di morire l'animava più, oramai.
“Prego” soffiò, afferrando la sua tazza di polistirolo e conservando l'altra per sua figlia.
Il caffè all'interno era bollente e le riscaldò appena le dita gelide. Le scappò un sorriso che venne ricambiato da Ron – impacciato; le sembrava di rivivere un deja-vu. Draco era ancora lì, abbracciato ad Asteria per non cadere e Ron ancora accanto a lei, cercando di strapparle un sorriso per riscaldarsi.
“So' che oramai non sono più affari miei... ma ultimamente sei strana, Hermione. Mi dici cos'hai?” mormorò quell'uomo ancora un pizzico bambino, che ancora adorava accarezzarle i capelli ricci e rimanerci con le dita incastrate per il crespo.
“Sono solo preoccupata per i bambini” mentì in parte Hermione, sorridendogli tremolante e senza fiatare alle carezze e le attenzioni che lui le stava riservando.
Si sentiva ancora protetta tra le sue braccia. Si sentiva ancora Hermione – la mezzosangue – quando c'era lui al suo fianco.
“Beh, hanno una madre che è la forza della natura e un padre Auror, cosa vuoi che gli succeda?” ammiccò Ron, venendo accolto da urla di giubilo per la scorta di caffè che stava portando a destinazione.
Asteria e Draco si staccarono, ma Hermione continuò a non distogliere lo sguardo da Ron – che ora, strappandole una risata, la stava pregando di bere un po' del suo caffè perché il suo se era stato preso da Roxanne.
“Hai ragione tu” mormorò Hermione, stringendosi tra le proprie braccia e ridacchiando nel constatare l'espressione sorpresa del suo ex marito: probabilmente – in tutti gli anni che si conoscevano – gli aveva dato ragione due volte.
“Ora si capovolgerà il mondo” rise Ron, senza sapere di star dicendo la verità.
Perché c'era qualcosa nell'aria. Qualcosa che sfrigolava in un modo subdolo, perverso e che fece piegare in due Dalton Zabini – seduto accanto a Joe in quel corridoio stretto e lungo.
“Amore, ti senti bene?” mormorò Joe, guardandolo con gli occhi assonnati per la nottata insonne che avevano trascorso per vegliare Lily e sperare in un suo risveglio.
Dalton non se lo seppe spiegare, ma capì.
Rovesciò lentamente il capo verso la sua destra, ignorando la domanda di Joe e annaspò quando una fitta lancinante al petto lo riportò a piegarsi su se stesso.
Urlò, strappandosi la camicia e graffiandosi lo sterno – senza fiato.
“Dalton, Dalton!” lo richiamò Joe, strillando e balzando in piedi con gli occhi sbarrati.
Aveva le ossa, le membra e il cervello in fiamme: sentiva come se, da un momento all'altro, potesse arrovellarsi e sciogliersi completamente. Dalla testa ai piedi.
“Dalton...” sussurrò ancora Joe, mentre lui non smetteva di guardare lo sbocco del corridoio che portava nella saletta di ingresso.
Quel dolore aumentava sempre di più e gli stava stracciando la carne, facendosi spazio per strappargli il cuore; non riuscì a dire nulla – nemmeno a fiatare – e mentre tutti erano impegnati a vedere cosa avesse, dalla sua bocca uscì solamente un gemito d'avvertimento.
E, dentro la sua testa, li vide.
I muri di cemento e cartongesso crollarono come castelli di sabbia e un esplosione li investì in pieno – facendo cadere il tetto sulle loro teste.
Un mare di polvere e detriti li sotterrò.
“Rimanete tutti giù! Tutti giù, ho detto!” urlò Draco Malfoy, spingendo Rose ed Asteria sotto le panche su cui erano stati seduti poco prima: la piccola aveva perso i sensi e aveva il capo macchiato di sangue.
“Bado io a lei. Va', Draco!” lo esortò Asteria, guardandosi attorno per cercare di vedere qualcosa tra tutto quel fumo.
Niente – sembrava di essere avvolti da un bozzolo di nebbia fitta che impediva di vedere anche da un palmo dal naso.
“Merda, merda, merda!” strillò James, tossendo ripetutamente.
Sentiva urla di dolore – di battaglia – di paura espandersi per tutto il reparto e magie cozzare così violente tra loro da far tremare le fondamenta; quegli idioti avevano appena mandato all'aria il reparto Auror, che si aspettavano? Un paio di malati impossibilitati?
“Tutti giù, cazzo!” e James fece appena in tempo a sentire quella frase urlata da Draco prima che una bordata di fiamme nere lo prendesse in pieno – liquefacendolo dall'interno.
I muri continuarono a crollare.
“Crucio!”
Merda, pensò James, preso alle spalle e cadendo in ginocchio con uno spasmo violento. Urlò così forte che probabilmente lo sentirono anche ad Hogwarts e artigliò le unghia sul pavimento – accasciandosi sulla pietra per le convulsioni violente.
Quattro unghie saltarono e la sua schiena scricchiolò pericolosamente, vicina alla rottura definitiva.
“Ho trovato il figlio di Harry Potter” canticchiò una voce femminile, mentre un profumo di rose lo avvolgeva e l'incantesimo si interrompeva – lasciandolo sul pavimento, agonizzante.
“Va' a farti fottere, puttana” sibilò James, sputando sangue.
Quella rise sotto la sua maschera e lasciò scivolare il cappuccio nero dai capelli biondi come il miele.
“Crucio” cinguettò di nuovo la Mangiamorte, causandogli altre convulsioni e strappandogli l'ennesimo urlo addolorato.
“Tale e quale a tuo padre, Potter! E sta sicuro che questo non ti salverà la vita” urlò da sopra gli scoppi la donna, maneggiando la bacchetta in modo dolce – calibrato – con quella nota isterica nella voce che gli mise i brividi.
James non aveva mai sentito così tanto dolore in vita sua. Mai.
Urlò ancora, sbattendo ripetutamente la testa sul pavimento e mordendosi con forza le labbra per non piangere. Per non pregarla.
Lui non si sarebbe abbassato mai a farlo.
“E fiero di esserlo” annaspò tra uno spasmo e l'altro, fissando gli occhi bruni in quelli neri della donna – che rise ancora.
Cru...” iniziò l'incantesimo, prima che alla sua voce se ne sovrapponesse un altra.
“Avada Kedavra” quel lampo di luce verde avvolse la Mangiamorte con una velocità assurda, lasciandola crollare come un burattino ai piedi di James – incredulo.
In piedi, con la bocca tesa in una linea sottile, c'era sua madre.
“Nessuno più toccherà la mia famiglia. Più nessuno” sussurrò Ginny, scostando quel corpo di malagrazia e inginocchiandosi accanto a suo figlio – ricoperto di sangue.
James non fiatò, limitandosi a tirare su con il naso e lei gli sorrise con dolcezza, affondando la mano nei suoi capelli neri come l'ebano. Ricambiò tremolante.
“Va tutto bene, amore” mormorò, con i capelli rossi a ricoprirle il viso.
Si alzò di scatto e lo prese per le braccia, trascinandolo verso le panche con non poca fatica: James pesava ottanta chili e lei a malapena cinquanta ed era un enorme peso in più.
“Bombarda!” un incantesimo li evitò per poco e andò a schiantarsi alle loro spalle – facendo crollare l'ennesimo muro. La polvere che si alzò ancora li nascose come uno scudo, permettendo a Ginny di stendere suo figlio James sotto l'unica copertura che ancora doveva crollare e che stava nascondendo i ragazzi: le panche.
Rose era ancora senza sensi e al suo fianco c'era Roxanne, ferita alla testa. A poca distanza, Dalton – che sembrava essere ritornato in sé – stringeva Joe tra le braccia.
Albus. Non c'era il suo Albus.
“James, tesoro: bacchetta alla mano. Non lasciare avvicinare nessuno, io vado a cercare tuo fratello” disse Ginny verso il ragazzo steso sul pavimento, che sembrava sospeso tra l'incoscienza e il dolore di essere appena stato torturato.
“Ragazzi, qualsiasi cosa di nero si muova nella vostra direzione... colpitelo, non importa con quale incantesimo. Colpitelo e basta” sibilò con decisione verso gli altri, alzandosi solamente dopo aver visto i loro cenni d'assenso.
Si ributtò tra la folla e Dalton respirò piano, fissando con un nodo alla gola le molteplici gambe che – oltre le panche dove si erano nascosti – si rincorrevano a destra e manca.
“Sta tranquilla” mormorò Zabini all'orecchio di Joe, afferrando la bacchetta dai pantaloni e rotolando su un fianco.
Joe spalancò gli occhi e lo afferrò per la manica del maglione – guardandolo con il respiro corto e il petto ansante.
“Va tutto bene, Joe. Non mi muovo da qui” bisbigliò Zabini, stringendole la mano con una forza che le mandò il cuore in frantumi.
Le loro dita erano intrecciate con così tanta violenza che sembravano inslegabili. Che sembravano incollate l'una tra l'altra.
“Ti prego, Dalton... non fare sciocchezze” sussurrò Joe, mentre l'ennesima esplosione li faceva sobbalzare violentemente.
I detriti quasi ammaccarono le panche sulle loro teste e – dalle urla degli infermieri e dei pazienti – si stava scatenando una guerra in quei corridoi che non si era mai vista nella storia.
“Guardami” soffiò Dalton, volgendo gli occhi azzurri verso di lei e fissandola come se la vedesse per la prima volta. Come se la vedesse per l'ultima volta.
Joe annaspò e lui le sorrise, con quella solita fossetta sulla guancia che le mandò in tilt il cuore, mentre con le dita le accarezzò le labbra sempre più sporche di polvere e calcinacci; era così caldo che lei rabbrividì, quasi accucciandosi sotto quel rifugio temporaneo.
“Sei la stronza più bella con cui abbia avuto a che fare, Joanne Smith” sussurrò Dalton con voce rotta, quasi strappandole il cuore per il dolore che le avevano causato quelle parole.
Perché le stava dicendo quelle cose? Perché sembrava che... la stesse salutando? Perché sembrava che stesse per andare via, lasciandola sola?
La baciò con una rabbia che le soppresse il petto e le rapì l'anima – soffocandola. Lasciò che lei gli buttasse le braccia al collo e se lo stringesse contro. Con battito contro battito. Con il respiro nel suo e le promesse di sempre perse nelle loro bocche.
Joe non si accorse nemmeno quando Dalton si staccò da lei e urlò con quanto fiato avesse in gola quando aprì gli occhi e lo vide correre verso quella folla rabbiosa, che attendeva solamente di divorare anime e corpi.
“Dalton!” strillò con le lacrime agli occhi, rotolando da sotto la panca e rincorrendolo – mentre lui si girava di scatto al suo richiamo.
Gli buttò le braccia al collo ancora una volta e singhiozzò sulla sua spalla – chiudendo gli occhi. L'aveva vista la bacchetta che era puntata contro di lui, quindi lo baciò direttamente – ignorando il continuo. La fine.
“Avada Kedavra”
E poi fu solo buio.
Freddo e buio.
***

Ad Hogwarts, invece, la situazione era nettamente diversa: nessuno aveva saputo quello che era successo a Lily – tranne gli eletti, naturalmente. E quegli stessi eletti ora si ritrovavano nella stanza delle necessità per una riunione speciale.
Riunione speciale che vedeva metà famiglia Weasley riunita, con tanto di Flower e la gang di Alice Paciock. Il che voleva dire che – molto probabilmente – da lì a pochi attimi sarebbe caduta la scuola. Con loro dentro.
“Ci vuole un piano” disse Lucy Weasley, congiungendo le dita sotto il mento e fissandoli ad uno ad uno con determinazione.
Alice sbuffò, ironica.
“Che c'è? Che c'è?” sbraitò Molly – perdendo la pazienza all'ennesimo sbuffo della Tassorosso.
Cassie, la seconda di Alice, la guardò in cagnesco con gli occhi castani, incrociando le braccia al petto e accentuando la linea inesistente del seno; Molly si chiese se la sua quarta fosse anormale o Cassie Jackville un anoressica dipendente dalle dita in gola.
“Attenta a come parli, Weasley” sibilò quella, riavviandosi con un gesto secco i capelli castani ondulati e rischiando di beccarsi una fattura dalle due gemelle.
“Oh, credo che ci stia minacciando” cinguettò Elinor, il capo dei Flower – spalancando un sorriso che, ad occhio esterno poteva sembrare dolce, ma aveva un retrogusto velenoso che riuscì a zittire Jackville.
“Smettetela. Tutte e due” disse Lysander, lucido come non mai.
Alice non l'aveva mai visto in quelle condizioni: aveva due occhiaie spaventose, un incarnato mortalmente pallido e le labbra violacee tese in una linea sottile – mentre le dita lunghe e flessuose si piegavano seguite da strani tic.
Era in astinenza e non era l'erba a fargli quell'effetto.
“Devo parlarti” sibilò Alice, alzandosi di scatto e afferrandolo per il polso. Riuscì a trascinarlo di peso senza fatica, accorgendosi sbigottita che stava toccando le ossa; che diavolo stava combinando quel psicopatico di Scamandro?
Uscì fuori dalla stanza delle Necessità e lo sbatté al muro con una violenza tale che Lysander sentì quasi le ossa scricchiolare. Appoggiati allo stipite, Fred II e Hugo avevano messo mano alle orecchie oblunghe.
“Prima regola dello spacciatore, Scamandro.
Mai – e dico mai – farsi la merda che vendi... chiaro?” sibilò a pochi centimetri dal suo volto, mentre Lys ingoiava a vuoto.
Questo la guardò un po' perso e Alice quasi si sentì male. Era in astinenza di qualcosa, ora ne era certa, ma qualcosa di così pesante che si stava piegando in due per non farsi ancora.
“Il Faraone” mormorò Lysander, passandosi una mano tra i capelli biondi con un singhiozzo bloccato a fondo gola.
Sentiva il cuore battere così forte nel petto da essere sicuro che potesse scoppiare da un momento all'altro. E faceva male, proprio come gli facevano male le ossa.
“Lysander, che ti è saltato in mente?” sibilò Alice, bloccandosi stranita nel vederlo sorridere.
“Sei pazzo?” sbottò stranita, toccandogli la fronte per constatare se avesse la febbre da astinenza.
“E' la prima volta che mi chiami con il mio nome di battesimo da quella volta” gli bisbigliò Lysander all'orecchio – mandandole mille brividi lungo la schiena.
Alice poggiò le dita sulla sua spalla destra e scese lungo lo sterno, ignorando il fatto che lui stesse tremando: era ridotto davvero male; il Faraone era un tipo di droga che stava girando ultimamente tra i maggiorenni di Hogwarts – ai festini organizzati dai Flower.
Era come un anti-depressivo, ma dalle funzioni desiderate: iniettava una scarica d'adrenalina così forte che impediva alla persone di dormire per giorni interi. Riduceva l'appetito e faceva un blackout totale del cervello e delle emozioni.
“Sei uno stupido” soffiò Alice, chiedendosi cosa dovesse fare per... per averlo.
Perché lo voleva, era inutile negarlo. Anche se doveva farci la guerra, anche se il sesso avrebbe strappato i loro cuori e soffocato i loro gemiti – lei lo voleva.
“Ragazzi, se sopravviveremo rimandiamo a dopo il sesso selvaggio. Abbiamo ricevuto una soffiata: i Mangiamorte si sono infiltrati nel reparto Auror!” disse Fred, tutto eccitato – seguito a ruota dal resto dei Weasley e un Frank preoccupatissimo.
Rox era lì. La sua Rox era circondato da Mangiamorte!
“E tu dove credi di andare?” sbraitò Alice, tenendo ancora ben saldo Lysander al muro.
“Non provare a fermarmi. Chiama chi vuoi, ma io non resto qui!” sbottò Frank, aggiustandosi gli occhiali sul naso e meritandosi l'applauso di Lorcan – che si stava portando appresso Elinor, Terence Steeval e Abgail.
“State andando incontro ad un gruppo di pazzi furiosi, ve ne rendete conto?
Alcuni di voi non sanno nemmeno usare un Experlliarmus, come avete intenzioni di fermarli, hm?” sibilò Alice, afferrando il maglione di Frank e guardandolo con la bocca serrata.
“Solo perché tu non hai il coraggio di fare niente, nemmeno d'amare, non significa che anche il resto di noi non ne sia in grado!” e con quella risposta suo fratello si liberò dalla sua stretta e si diresse verso il quarto piano – dove si trovava l'ufficio di Lupin, ancora assente.
“Andiamo... andiamo”
Lysander le stava tendendo la mano e le stava chiedendo di fare la scelta giusta, di seguire suo fratello e proteggerlo – come quando erano piccoli e dei bulli cercavano di pestarla per la sua supponenza.
E ora toccava a lei.
“Merda, merda, merda! Ci sospenderanno in blocco!” sibilò Alice, prendendo la mano di Lysander e cominciando a correre come un invasata verso il rumore di passi – non molto lontano da loro.
Lys era caldo e sorrideva sotto i baffi, nonostante stesse male; ora quasi non sentiva il dolore, ma cominciava a vedere la corazza di Alice Paciock... e non sembrava così ferrea come sembrava.
“Giuro che se mi uccidono e qualcuno di voi sopravvive, vi torturerò a vita sottoforma di fantasma!” strillò Alice, prima di aggrapparsi insieme a Lysander al gruppo nel camino e chiudere gli occhi per il risucchio improvviso che la travolse.


E si ritrovarono in un vero e proprio campo di concentramento: infermieri e pazienti si erano improvvisati Auror e combattevano più che potevano – difendendo i più gravi – e i Mangiamorte compievano magie terribili, in grado di piegare i muri, le persone, il terreno sotto i loro piedi.
“Non sono abbastanza fatto per questo” bisbigliò Lorcan, terrorizzato, venendo mandato giù prima di venire colpito da un incantesimo sconosciuto.
“Di qua!” urlò Alice da sopra quel frastuono, buttandosi verso le scale con gli altri alle spalle.
Lysander era alle sue calcagna e urlò un “Bombarda” quando vide due uomini mascherati dirigersi verso di loro.
Fu il tragitto più lungo della loro vita e anche il più difficile. Non erano Auror, erano diciassettenni che conoscevano incantesimi scolastici – chi di più, chi di meno – e mettersi nelle mani del destino, buttandosi nelle fauci di quei pazzi, non era la massima ispirazione di vita.
“Incarcerarmus” gridò Frank, puntando la bacchetta alle sue spalle e imprigionando una Mangiamorte alquanto... arrabbiata.
Riuscirono ad arrivare al corridoio che portava al reparto Auror e ora, al posto della guardia che controllava chi entrava ed usciva, c'era solo un buco enorme che mostrava l'ennesima trincea.
“Che cazzo ci fate voi qua?” Ted Lupin atterrò quattro Mangiamorte con un solo colpo di bacchetta – allibendo i ragazzini che lo guardavano con tanto d'occhi.
“Moriremo tutti” ansimò Hugo, aggrappandosi alle spalle di Fred II e chiedendosi come sarebbe stata la sua vita se mai fosse sopravvissuto.
Magari dare il suo primo bacio, fare la sua prima toccata di tette...
“Ti concedo una toccata di sedere se stai zitto” sbuffò Elinor, incrociando le braccia al petto e facendo arrossire Hugo.
Aveva pensato ad alta voce.
“Davvero?” cinguettò Hugo, sorridendo tutto felice e scodinzolando come un cagnolino in calore.
Fred si schiaffeggiò la fronte – chiedendosi se quello fosse veramente suo cugino: lui mica aveva tutti quei problemi con gli uomini.
“Cosa diavolo ci fate qua?” urlò di nuovo Ted, mentre Alice urlava un “Confundus” verso l'uomo che si stava dirigendo nella loro direzione, dando così modo a Lupin di imprigionarlo.
Al suo fianco Lysander si piegò su se stesso, vomitando anche l'anima.
Cazzo, pensò la ragazza, afferrandolo prima che crollasse; le soluzioni erano due: o si rifaceva di quella merda o affrontava una bella disintossicazione coi fiocchi.
“Da quando non dormi, Lysander?” sibilò, mentre gli altri superavano Ted alla bella e meglio – senza cagarlo di striscio – e lui alzava gli occhi blu su di lei.
Ora erano a pochi centimetri l'uno dall'altro e Alice sentì un dolore allo stomaco che la costrinse a piegarsi ancora di più; perché lei non sentiva le farfalle, come tutte le altre ragazze?
Perché lei – quando si trattava di Lys – sentiva solamente dolore?
“Da quando abbiamo fatto l'amore” sussurrò lui, venendo illuminato di striscio da uno scoppio che fece scoppiare la parete alla loro destra.
Alice trattenne il fiato, incredula e Scamandro sogghignò, infilandole le mani nel caschetto sfilato e baciandola di slancio. E rubandole tutto, anche la consapevolezza di poter morire.
Alice si aggrappò alle sue spalle, ignorando tutto, anche il fatto che avesse appena vomitato; lo sentiva dentro in un modo così brutale da farla a pezzi. Da prendere ogni pezzo di sé e tenerselo gelosamente, senza restituirlo mai più e anche se faceva male così tanto da ammattirla... finalmente riusciva a sentirlo dentro.
Ora aveva finalmente eliminato se stessa e fatto spazio a lui – che simile ad una forza distruttrice aveva preso il suo posto annullando tutto il resto.
Annullandola, distruggendola, demolendola. Ma Alice sorrise in quel bacio – in quella guerra che li stava circondando – perché anche se non era più se stessa, anche se l'aveva eliminata... ora c'era lui al suo posto.
Ora c'era lui accoccolato tra i polmoni.
E non c'era cosa più bella.
“Sentite, ho detto che il sesso andava fatto dopo questo, non mentre!” sbraitò Fred, afferrando entrambi per la collottola e trascinandoli giù – evitando che venissero colpiti in pieno da un Avada Kedavra.
Alice si bloccò improvvisamente, con un magone alla gola che la mandò giù.
Frank. Non vedeva più Frank.
“Dov'è mio fratello?” urlò verso Fred, che stava cercando di atterrare un uomo di spalle – mentre questo combatteva contro Ted, tenace.
“Non lo so'. Abbiamo perso di vista tutti gli altri!” rispose quello, tenendosi la testa quando un Crucio gli sfiorò la testa.
Lysander capì troppo tardi quello che voleva fare: era già saltata in piedi ed era corsa verso quel corridoio maledetto, dove la polvere fungeva ancora da nebbia e le urla erano ancora più forti.
Monstrum!” strillò Alice verso due donne che venivano verso di lei, scivolando sul pavimento e superandole velocemente.
Non si vedeva un cazzo. E Frank poteva considerarsi un uomo morto!
“Frank! Frank!” sbraitò incazzata come una biscia, bloccandosi di scatto nel vedersi spuntare Lily davanti.
“Sei sveglia!” urlò Alice, venendo sbalzata a metri di distanza - senza fiato - quando cercò di sfiorarla.
Lily aveva gli occhi neri e i capelli aperti a ventaglio sulla schiena animati di vita propria: la bocca era violacea e l'espressione impassibile.
“Lily...” bisbigliò Alice, rannicchiandosi tra i detriti quando la vide camminare fluttuando ad un metro da terra.
La divisa ospedaliera era quasi strappata sul suo corpicino esile e le sue dita si muovevano piano, nell'aria, come se stessero richiamando qualcosa.
“Cazzo” sbottò Roxanne, sedendosi al suo fianco tutta affannata e con un taglio sul capo che sanguinava copiosamente.
Alice sbarrò gli occhi: se Rox era lì... suo fratello dove diavolo si era cacciato?
“Merda, Weasley! Dov'è Frank?” le urlò all'orecchio, suscitando la stessa sua reazione nella ragazza di colore.
“Maledetto Paciock, ma che è venuto a fare?
Giuro che lo meno se lo vedo” sbraitò Roxanne, alzandosi nuovamente con la bacchetta alla mano e correndo nella direzione dov'era venuta.
Veniat ad me” sussurrò Lily, abbassando le palpebre e scricchiolando il collo in un modo così macabro che Alice senti la pelle d'oca quasi impennare sulle braccia.
Veniat ad me!” urlò più forte, questa volta alzando le braccia al cielo e scatenando una scossa al terreno – che quasi cedette sotto i loro piedi.
“Lily!”
Scorpius era alle spalle della ragazza, con gli occhi spalancati dal terrore: decine di persone mascherate fluttuavano verso di lei, come sotto incantesimo; erano allineati come burattini e con gli occhi persi – come quelli della sua Lily.
“Non farlo...” ansimò Scorpius, che aveva visto alcuni Mangiamorte smaterializzarsi all'ordine di quel Diamond, che aveva dato l'allarme appena aveva visto Lily sveglia.
Ma lei non lo ascoltava: ora il buio l'aveva completamente avvolta e stava soffocando la ragazzina che l'aveva baciato ubriaca. La ragazzina che gli aveva lanciato una sfida senza nemmeno saperlo – alle tre di una notte che si prospettava noiosa – animandogli la vita.
Animandogli il cuore.
“Non farlo, ti prego” sussurrò Scorpius, con una mano sul cuore.
Non ucciderli, pensò con la bocca serrata in una linea dura.
“Mors tua vita mea”
E quei corpi crollarono senza fiato sul pavimento – con un tonfo che spezzò quasi la schiena di Scorpius per la consapevolezza.
L'aveva fatto. E ora sorrideva.
Lily aveva ucciso venti persone chiudendo solamente il pugno della mano ed era stata colpita da una luce così accecante che li aveva portati a difendersi con le mani per non rimanerne abbagliati.
Ora l'ospedale era silenzioso e la luce sembrava aver preso posto della polvere, mostrando i corpi e la distruzione che li circondava.
Scorpius strinse gli occhi e trattenne le lacrime.
“... Sco...” ansimò Lily, prima di cadere sul pavimento con un tonfo, come quelle persone che aveva ucciso. Come senza vita.
“Lily!” urlò Malfoy, correndo verso il suo corpicino e inginocchiandosi ai suoi piedi.
“Lasciala respirare” sussurrò Hermione, scostandolo delicatamente e toccando la fronte della nipote – bollente.
Era vestita di nero, Scorpius solo in quel momento se ne accorse. E aveva un taglio sulla fronte e le unghia mancanti.
“Cos'ha?” domandò Scopius, preoccupato – accorgendosi solamente in quel momento di suo padre.
Era alle sue spalle e nascondeva con il suo corpo tre barelle.
“Papà...”
L'ansia e la paura s'insinuarono sotto pelle come un serpente, divorandolo lentamente, con una dolcezza velenosa che quasi lo annullò.
“Chi c'è lì?” domandò Scorpius, con voce strozzata, sentendo il cuore tamburellare violento contro lo sterno per tutto il tempo in cui suo padre – a rallentatore – si spostava e gli mostrava quei corpi inermi.
Il dolore scoppiò come un petardo, piegandogli ossa e membra, cuore e anima.
Albus, Dalton e Joe erano sporchi di sangue e polvere e giacevano su quei lettini ad occhi chiusi.
E il dolore lo spezzò in due.


 

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Capitolo 21
*** Capitolo ventesimo - Diamond ***


Capitolo ventesimo –
Diamond


Il reparto Auror – quel giorno – era in pieno fermento: la Sala riunioni al terzo piano era così gremita di persone che molti corpi, invece di essere seduti, erano schiacciati al muro di mattoni in fondo la saletta circolare; nemmeno quando era stato eletto il primo Ministro c'era stata così tanta folla ed Harry Potter – in piedi sulla tavolata di cedro scuro posta proprio al centro – s'infilò una mano tra i capelli color dell'ebano.
C'erano Auror da ogni dove: Giappone, Asia, Germania. Alcuni Italiani che parlottavano in fondo, Americani abbronzatissimi che si guardavano attorno straniti... un accozzaglia di razza che quasi stonava messa insieme.
“Siamo nella merda. Siamo tutti nella merda” piagnucolò Harry, suscitando risatine nei più giovani e uno sbuffo dalla sua migliore amica – che nella tranquillità più assoluta era seduta proprio sul tavolo, a leggere quelle diavolerie oscure che negli ultimi tempi le piacevano un po' troppo, per i suoi gusti.
“Puoi dirlo forte”
E sbam. Le porte di marmo si spalancarono con un fragore tale da far sobbalzare tutti i presenti e Blaise Zabini, con la sua falcata sprezzante, fece il suo ingresso trionfale – fermandosi accanto a Draco e di fronte a Potter.
“Merda!” sibilò Draco, sbiancando come un cencio e sorridendo tutto angelico verso il suo migliore amico, che intanto lo guardava dall'alto dei suoi bellissimi due metri.
“Sei un verme” lo salutò Blaise, incrociando le braccia al petto e attirando alcuni sospiri da parte del gentil sesso.
“E perché?” borbottò Draco, infilandosi una mano tra i capelli biondissimi e accendendosi – alla faccia del capo Auror – una bella sigaretta alla menta.
“Mio figlio, Malfoy” e Asia Conti fece il suo ingresso avvolta in un cappottino bianco dal cappuccio impellicciato, stretto sui fianchi e dalla gonnella svolazzante e tacchi alti.
Draco nicchiò, guardandosi la punta delle scarpe classiche che indossava; si sentiva terribilmente in colpa per quello che era successo a Dalton e Blaise non poteva nemmeno immaginare come si era sentito quando aveva visto quel corpo ferito in più punti.
“Quello che hai visto per l'ultima volta tredici anni anni fa?” domandò Asteria, seduta sulla sedia ai piedi di Hermione con la sua solita compostezza.
Asia strinse gli occhi azzurri, assottigliando la bocca di more in una smorfia.
“È pur sempre mio figlio” sussurrò, passandosi una mano tra i capelli bruni con un po' di dolore ad invaderle le iridi.
“Lo era anche prima, ora cos'è cambiato?” la voce di Scorpius Malfoy si fece spazio tra i bisbigli degli Auror presenti e la sua figura venne avanti, zoppicante.
Mano nella mano, simile ad una Dea o alla morte stessa, c'era Lily Luna Potter. O la sua fotocopia sbiadita – nera – inghiottita dal male.
“Cazzo” soffiò un Italiano in fondo alla Sala, mentre una nube tossica e violacea seguiva la figura longilinea della più piccola di casa Potter.
“Perché diavolo l'hai liberata?” sbraitò Hermione, scendendo con un balzo dalla tavola e attirando l'attenzione di Lily, che puntò la sclera completamente bianca su di lei.
“Tu perché continui a nascondere la tua vera natura, Hermione Granger?
Hai forse paura che i tuoi amici non ti vogliano più? O che i tuoi figli ti disprezzino?” la risata di Lily fu infernale e fece accapponare la pelle a tutti i presenti.
Alcuni Auror sguainarono la bacchetta e la bocca di Lily – di un inquietante nero come la pece – si spalancò in un ghigno da iena; i capelli rossi, aperti a ventaglio come animati di vita propria, erano di un rubino carico.
E Scorpius si vergognò di se stesso... perché la trovava magnifica anche così. Anche divorata dal buio lo eccitava e gli divorava l'anima.
Come una Dea o la morte stessa.
“Me la ricordavo un po' diversa” mormorò Blaise verso Draco, sbattendo ripetutamente le palpebre.
Il biondo piagnucolò di nuovo – chiedendosi cosa avesse fatto di male nella vita per meritarsi tutto quello.
“Tua figlia è un demone?” domandò un giovane Auror americano, avvolto in una tunica nera e aderente e fissando Lily con un misto di timore, ansia e ammirazione.
James lo fucilò con un occhiata, mettendo mano alla spada e venendo bloccato dallo sguardo serio di suo padre.
“Mia figlia è diventata così per salvarci il culo a tutti quanti, quindi porta un po' di rispetto e il tuo culo yankee in fondo alla sala” sibilò con voce roca – suscitando un applauso dagli Auror più anziani e Blaise, che gli americani proprio non li sopportava.
“Tornando a noi... che diavolo è successo a mio figlio?” sbraitò l'uomo di colore, brandendo come un fucile il bastone placcato d'oro che aveva tra le mani grosse e perfettamente curate.
“Non è morto, se è questo che ti interessa” soffiò Lily, guardandosi le unghia ovali e di un intenso color nero.
Asia Conti sospirò, rilassandosi e lasciandosi andare contro suo marito – guadagnandosi moltitudini di occhiate invidiose. Come sempre.
Suo marito suscitava quell'effetto su tutti, senza eccezioni: ammirazione, timore, invidia... e a lei tutto quello non aveva mai fatto paura. Non si era mai lasciata intimidire e il tesoro dei Zabini era rimasto suo e suo soltanto.
“Aspetta a rilassarti, perché non è morto, ma è sotto incantesimo”
E quella fu una rivelazione anche per gli altri – che erano rimasti sospesi nel giudizio che i Medimaghi non avevano saputo dare. Quei tre sembravano morti, ma non lo erano. Punto. Nada. Rien. Nient'altro da dire e si erano ritrovati tutti a brancolare nel buio.
“L'incantesimo Oscuro più idiota e insidioso che sia mai esistito nella storia” disse la Potter, avvolta ancora in quella tunica d'ospedale strappata e sporca di sangue.
Blaise la guardò curioso e lei sorrise con fare civettuolo, muovendo i piedi nudi sulla pietra grezza come se non la sentisse bucargli la pelle. Come se non la sentisse fredda.
“Di cosa stai parlando?” domandò Hermione, insicura: nemmeno lei era riuscita a trovare qualcosa nei suoi libri e ora sua nipote sembrava persino conoscere la cura di quello strano limbo che aveva avvolto Dalton, Joe e il piccolo Albus.
“Dormono” chiarì Lily, mentre Blaise si chiedeva se fosse uno scherzo o la Potter avesse veramente perso il senno.
“Dormono” ripeté stupidamente Zabini – beccandosi un calcio negli stinchi da parte di Draco, che gl'intimò silenzio con un occhiata assassina.
Rispose con il dito medio alzato nella sua direzione.
“L'incantesimo della Bella addormentata” sospirò Lily, afferrando il libro dalle mani di Hermione e chiudendolo delicatamente, senza che la riccia provasse a fermarla.
L'incantesimo della Bella addormentata. Come aveva fatto a non pensarci? Era così chiaro, diavolo!
“Diamond è così volgare quando vuole” bisbigliò Hermione, guadagnandosi un occhiata d'approvazione da parte della Potter – che le sorrise in modo dolce e... inquietante. Sì, quello era l'unico aggettivo che s'addicesse all'essere che camminava tra di loro.
Come una Dea. O la morte stessa.
“Centro. Ha usato davvero un incantesimo vecchio come il mondo e, a parer mio, alquanto stupido.
Mi sta sfidando, vuole che io vada da lui” disse Lily, guardandola febbricitante.
Era la prima, oltre Scorpius, a riuscire a non abbassare lo sguardo dinnanzi a quello sguardo completamente bianco – che ora la fissava con una folle aspettativa che le riempì le vene d'adrenalina.
“E tu vuoi andarci” asserì Hermione, con voce grave, attirando il silenzio e l'attenzione degli Auror esperti e non.
“O sarà lui a venire da me” sghignazzò la Potter, guardando il soffitto con un sorrisetto lugubre che preoccupò suo padre.
“Che hai intenzione di fare, Lily?” urlò, buttandosi sul pavimento quando... il Ministero della Magia crollò su se stesso – quasi arrovellandosi come una carta buttata nel fuoco acceso del camino.
Il tetto crollò miseramente sulle loro teste e urla di dolore e paura s'innalzarono come fiamme al cielo.
Muri, mattoni, cemento e calcinacci rovinarono sul terreno, ma non sfiorarono Lily nemmeno di sfuggita.
In piedi, avvolta dal vento gelido, fissava la nube violacea che si era allargata sulla sua testa... e l'inferno scese in terra.
Scorpius riuscì solamente ad alzare il capo e vedersi circondato da centinaia di occhi bianchi, fauci risplendenti e visi sfregiati – che nell'insieme accerchiavano la più piccola di casa Potter e Diamond. Colui che aveva creato tutto quello. Colui che aveva distrutto l'amore della sua vita, rendendola un burattino infernale pronto ad uccidere.
“Lily, che cazzo hai combinato?” urlò Harry, cercando di sottrarsi dalla massa di detriti che l'aveva sotterrato vivo – mentre gli altri Auror annaspavano alla ricerca d'aria sotto tutta quella polvere.
“Nulla. Il nostro caro amichetto vuole qualcosa...ma ancora devo capire cosa” disse Lily, inclinando il capo e fissando l'uomo sul pavimento.
Era ferito alla testa e aveva il sangue al naso: ora non indossava la maschera – totalmente preso alla sprovvista dal potere che aveva usato quella piccola Mezzosangue per richiamarlo a sé.
Avrebbe dovuto crollare dopo il potere smisurato che aveva usato quella notte al San Mungo. E invece aveva assunto la forma del suo potere, trasformandosi completamente in qualcun altro. In qualcos'altro.
La cosa curiosa, comunque, era che il suo potere aveva attratto tutti quegli esseri... tutti appartenenti alla razza oscura.
Aveva aperto un varco e oltre a chiamare lui – strappandolo dal suo rifugio insieme agli altri Mangiamorte – aveva chiamato anche vampiri, demoni e così tante specie che gli Auror si misero le mani nei capelli.
E guardavano lei, solo lei. Il suo sangue non li attirava, niente dava l'impressione che volessero attaccarla... semplicemente la fissavano, come in attesa di qualcosa. Di un ordine.
“Ossa del padre, carne del servo e sangue del nemico ti dicono nulla, Harry Potter?” rise Diamond – spalancando la bocca a mo' di iena e fissandolo folle.
Aveva lineamenti regolari, in un certo modo quasi regali... ma che stonavano con gli occhi completamente spalancati: gli zigomi erano ridefiniti, quasi disegnati sul suo volto e la bocca bella carnosa, come quella di una donna.
Le ciglia erano lunghe e i capelli portati in un taglio irregolare.
Harry Potter divenne di cera a quelle parole e lo fissò con gli occhi verdi stretti in una fessura; oh, come poteva dimenticare? Come poteva anche solo lasciare che la sua mente lasciasse andare quelle parole... quelle parole che avevano portato in vita la morte stessa.
“Le ossa del padre sono inutilizzabili, sai? Qualcuno – anni fa – fece a pezzi la tomba di Tom Riddle e mandò in cenere le sue ossa” continuò il Mangiamorte, fissando Lily come se in lei ci vedesse la soluzione.
Come se lei fosse la salvezza.
“Non si possono resuscitare i morti!” urlò Harry, tenendosi la testa sanguinante e alzandosi barcollante.
Diamond giaceva ancora ai piedi di Lily, come un umile servitore. Come se guardarla dal basso lo eccitasse.
“Tu non sai, Harry Potter.
Non sai cosa ci ha lasciato il nostro Signore per fare in modo che nonostante tutti i tuoi sforzi, tutti i tuoi sacrifici... lui potesse sempre tornare.
Per fare in modo che lui potesse sempre distruggerti” disse quel folle, strappandogli il respiro con quelle parole.
Aveva ragione: era stato tutto vano, tutto inutile: Lord Voldemort era il suo passato e sarebbe stato sempre e per sempre il suo futuro.
“Cosa serve? Cosa serve per impedire a Voldemort di tornare?” sussurrò Lily, abbassandosi su Diamond come un rapace e respirando lentamente – rilasciando zolfo dalle narici.
Diamond la fissò abbagliato e Scorpius sentì le viscere attorcigliarsi; quel verme era così attratto dalla sua Lily che non riusciva nemmeno a mentirle. Sembrava completamente soggiogato da lei e dalla sua bocca, dai suoi occhi e i capelli come il rubino più splendente.
Era lui che l'aveva resa un mostro.
Tu
Ed era lui che l'avrebbe portata via.
“No...” sussurrò Scorpius, mentre Harry sgranava gli occhi fino all'inverosimile e Lily guardava quel diamante grezzo ridere ai suoi piedi – prendendosi gioco di lei. Di quel piano che aveva architettato con tanta astuzia e dedizione.
“Per resuscitare Voldemort serve il sangue del nemico, la carne del servo e il cuore di qualcuno con lo stesso sangue oscuro nelle vene” ansimò Diamond, mentre quella voragine violacea sulle loro teste si allargava sempre di più alle sue parole – quasi avvolgendo Londra con la sua mostruosità.
Più lei si arrabbiava, più quel vortice diventava un vero divoratore di oggetti e vite umane.
“Tu... tu...” sibilò senza fiato, stringendo i denti così forte che anche in quel frastuono, Scorpius, li sentì sfrigolare.
Vene nere come l'inchiostro cominciarono – come lacrime – a coprire quelle bluastre sotto agli occhi, per poi solcare le guance, la mandibola, la bocca. I denti divennero vere e proprie zanne appuntite e gli occhi passarono da un bianco candido ad un nero che mise i brividi a tutti.
Tu l'hai fatto apposta!” strillò Lily, facendo tappare le orecchie a tutti i presenti per l'urlo disumano che era uscito dalle sue labbra viola.
Scorpius avanzò – senza mai smettere di guardarla – ma lei era così arrabbiata che stava trasformando Londra in un vero e proprio Inferno, con tanto di demoni punitori.
“L'attacco di Stock, quello a casa Malfoy, il figlio del Ministro. La morte di nonna Molly, la lettera e infine l'attacco al San Mungo... era tutto premeditato!” urlò Lily, infilandosi la mano nei capelli e facendo venire la pelle d'oca a suo padre quando questi, sotto il suo tocco, diventarono veri e propri cobra.
Respirava a fatica e intanto quasi ringhiava.
“Credevo che il cuore della figlia di Harry Potter avrebbe reso il tutto più interessante” rise quell'uomo immondo, strozzandosi con la sua stessa saliva quando l'aria gli venne a mancare tutto d'un colpo.
E Diamond conobbe, per la prima volta in vita sua, cos'era la paura.
“Sai invece cosa sarà divertente, tesoro?” iniziò Lily – trasformata fuori e dentro.
Bella come una Dea. O la morte stessa.
“Sarà divertente darti la caccia.
Comincia a scappare, a rifugiarti nei posti più impensati... perché io sentirò il tuo odore e ti stanerò. E ti farò così male che mi implorerai non di smetterla, ma di ucciderti.
E io non lo farò. Io ti curerò e poi inizierò da capo. Ancora e ancora.
Ancora e ancora, finché la vita non ti sembrerà così insignificante che tu stesso cercherai di metterne fine. E io, ancora una volta, te lo impedirò.
Ti farò rivivere i tuoi peggiori incubi e trasformerò i tuoi più bei sogni in attimi di puro terrore.
Oh sì, tesoro, sarà proprio divertente darti la caccia...”
Diamond sbiancò così tanto che Scorpius sentì un moto di soddisfazione invadergli il petto: Lily aveva detto delle cose orribili e in quelle condizioni tutti sapevano che sarebbe stata capace di tutto.
Lui l'aveva resa una bastarda senza cuore – capace di uccidere – e lui avrebbe dovuto darne conto.
Quel che si semina si raccoglie, e mai detto fu così vero, perché a Diamond fu data la grazia di andare via... ma non avrebbe mai dimenticato quel volto, quegli occhi e quelle parole, no.
Perché la paura se la sarebbe portata dentro fino al momento in cui lei non lo avrebbe preso e lui non sarebbe morto.

 
***

E mentre la Londra Babbana veniva obliata per lo spettacolo che era stata costretta a vedere, ad Hogwarts c'era qualcuno che aveva un problema – a sua detta – ben più grosso.
Rose Weasley, proprio come sua madre ai tempi della scuola, era sempre stata una ragazza tranquilla e posata – con comportamenti adeguati ed educati e la passione per lo studio che era tutta Granger.
Poi, a differenza delle sue cugine, Rose non aveva mai avuto un ragazzo; l'unico che aveva mai baciato era stato James – soprannominato il porco – che voleva provare “l'ebrezza” di poter baciare sua cugina. O una ragazza brutta, a suo parere.
Quindi c'era un problema. E quel problema aveva due occhi blu e un sorriso meraviglioso; non aveva mai voluto pensare a qualcuno al suo fianco fino a quel momento... non si sentiva pronta ad affrontare una relazione, un qualcosa che poi avrebbe finito per distruggerla.
Perché Rose lo sapeva. L'amore faceva male e mandava giù, faceva ingrassare o dimagrire fino a perdere cognizione di se stessi; portava tristezza, insonnia e parecchio dolore. E lei non voleva farsi male.
Lei, semplicemente, non era mai stata pronta a farsi fare del male.
Eppure... eppure con Tom era diverso; lui era riuscito quasi a farle cambiare idea. Lui era quasi riuscito a trascinarla dalla sua parte, come se pian piano la stesse tirando verso di sé.
E oramai anche solo guardarlo si rivelava una nuova scoperta, quasi come una rivelazione; Rose sapeva che era arrivata al culmine, al punto da poter scrivere il suo nome anche sui banchi di scuola.
Era arrivata al punto che ogni adolescente agognava, desiderava più di qualsiasi altra cosa e che invece lei aveva evitato fino a quel momento. Aveva una paura fottuta, come diceva suo fratello Hugo quando si trovava dinnanzi alla sua fobia più grande: i serpenti.
Era terrorizzata dalle mani di Tom, che ora l'accarezzavano – che ora stringevano un libro o colpivano un muro con rabbia.
Era terrorizzata dai suoi occhi grandi e innocenti, che ora la guardavano – che ora fissavano il vuoto o si stringevano dal sospetto e dalla sicurezza di non poter amare mai più. Lui non poteva amarla e lei aveva paura.
Infondo... infondo lei era Rose e basta. Era quella che magari preferiva solcare la copertina di un libro – farsi saltare tutte le unghia – ma non urlare, continuando a stare in silenzio. All'ombra.
Lei era quella che passava attaccata al muro, con lo sguardo basso e il sorriso di chi sogna ancora. Di chi ha ancora il coraggio di credere e non perdere mai la speranza.
Rose aveva una paura fottuta, perché aveva il coraggio di sognare, ma non di amare. Non era sicura di essere così forte da potersi rialzare o addirittura ricomporre; non aveva mai portato con sé della colla né un paio di ginocchiere per non sanguinare.
“Quando pensi a qualcosa di brutto si forma una ruga proprio quì” bisbigliò una voce bassa, prima che la mano di Tom andasse ad accarezzarle la fronte.
Rose sobbalzò e alzò gli occhi verso di lui, spaventata.
“A cosa pensavi?” domandò, sedendosi al suo fianco sotto le arcate e ignorando le occhiate sospettose che gli lanciarono alcune studentesse di Corvonero.
Una folata di vento la prese in pieno e Rose si strinse, ancora una volta, il libro al petto. Solcò con le unghia la copertina di cuoio e rovesciò il capo verso di lui – che continuava a guardarla. Che non smetteva di osservarla.
“A te”
Fu facile dirlo, quasi liberatorio e Tom sbatté ripetutamente le palpebre, confuso.
Lo vide picchiettarsi un dito all'angolo della bocca e storcerla con disappunto.
“Sono una cosa brutta, Rose?” domandò con voce roca, strappandole una risatina divertita che non lo rilassò affatto.
Lei scosse il capo, lasciando che qualche ricciolo le si attaccasse alle labbra piene: poggiò il libro accanto a sé e gli poggiò una mano sulla guancia. Era calda. E terribilmente piccola.
“Tu non sei una cosa brutta, Tom.
Tu sei la mia paura più grande” soffiò, mentre lui credeva davvero di poter contare tutte le efelidi che le sporcavano il nasino alla francese – come una miriadi di stelle che le illuminavano il volto.
Tom sorrise, socchiudendo gli occhi.
“Di cosa hai paura?” domandò, rivolgendosi anche a se stesso.
Di cosa avevano paura?
“Dimmi che non mi farai male”
Tom rise, allontanandosi dal suo volto e scostando la sua mano dal viso, mentre spostava lo sguardo verso il cielo. Come poteva promettere una cosa che non era nemmeno sicuro di poter mantenere?
Lui non era un Santo e né Merlino. Non poteva garantirle che un giorno si sarebbe svegliato e non l'avrebbe voluta più o che tra un bacio e l'altro non avrebbe visto i suoi difetti.
Lui non era un Santo e tanto meno Merlino.
E aveva paura quanto e più di lei.
“No” sussurrò, stringendo gli occhi quando la sentì sobbalzare al suo fianco, quasi ferita da quella risposta secca e inespressiva.
Rose quasi si ritirò, arcuandosi su se stessa per la botta disumana che aveva sentito al petto – in grado sicuramente di piegarla in due.
Afferrò il libro che coraggiosamente aveva poggiato al suo fianco per toccarlo e ritornò a stringerselo al petto, questa volta spingendo le unghia così in profondità da sentirle quasi saltare via.
Si sporcò le dita di sangue.
“Va all'inferno” gli sibilò all'orecchio, alzandosi di scatto e dandogli velocemente le spalle – impedendogli di poterla guardare negli occhi. Di potersi prendere gioco delle iridi umide, del volto un po' arrossato dal dolore, come se colpito ripetutamente. Ancora e ancora.
“Con te”
Questa volta Rose si girò di scatto, con il petto ansante e le lacrime agli occhi, frustando l'aria circostante con i suoi ricci lunghi e rossi – sempre più crespi, sempre più suoi e Tom sorrise, mostrando velocemente i denti bianchi come perle.
“Va all'inferno!” ripeté Rose, tirando su con il naso come una bambina.
E che andasse veramente al Diavolo! Lei piangeva dove, quando e come le pareva!
“Con te” ripeté lui, esasperandola.
Prima diceva che non poteva e poi quando lo mandava all'inferno le rispondeva in quel modo? Ma era psicopatico o affetto da bipolarità?
“Santo Merlino, dimmi cosa vuoi!” e non si preoccupò di urlare davanti a tutti, di sembrare pazza e di stare piangendo.
Non si preoccupò di avere i capelli sconvolti, il cuore che batteva più forte del normale e la speranza che lui potesse risponderle in modo positivo. Perché ci sperava ancora.
Perché l'amore era anche quello. Sperare fino e l'ultimo attimo.
Non le importava nulla che non fosse lui.
Voleva dare a lui il suo “primo” bacio, le sue prime attenzioni. Voleva che fosse lui la sua prima cotta, il suo pensiero al risveglio e quello prima di andare a dormire.
“Voglio te, ma senza paura, senza dubbi, senza alcuna mancanza di fiducia.
Voglio che tu non mi immagini come il principe azzurro e oltre i pregi veda anche i miei difetti. Soprattutto i miei difetti. E voglio che tu li ami, tanto e anche più dei pregi.
Voglio che se ci sia bisogno tu venga all'inferno con me e non abbia paura, perché ci sono io con te” disse Tom, alzandosi anche lui e fronteggiandola.
La voleva nuda dalle sue paure e insicurezze – voleva farsene carico, voleva eliminarle e poi magari ridargliele quando tutto sarebbe andato a rotoli.
Voleva trascinarla tra le fiamme, impedirle di bruciare e poi magari carbonizzarla quando non gli sarebbe più andata a genio.
“Sono disposta a rischiare... se lo fai anche tu” bisbigliò Rose, fissandolo determinata attraverso le ciglia lunghe.
Un passo e fu ad un metro da lei.
Due passi e Tom sorrise, sfiorandole la mano con la propria con delicatezza.
Tre passi e i loro visi ora potevano toccarsi. E Rose fu di nuovo sopraffatta dal suo profumo.
“Va all'inferno” gli ridisse, rilasciando un sospiro quando lui poggiò la fronte contro la sua e respirò sulle sue labbra.
“Con te”
Solo con me”
E al quarto passo le loro bocche si trovarono. Si sfiorarono. Combaciarono con una perfezione che spaventò entrambi; Rose gli buttò le braccia al collo e allineò il petto al suo – giusto per sentire il cuore battere all'unisono con quello di lui. Giusto per poterli sentire sospirare dal piacere e dalla paura fottuta che avevano entrambi.
Quello era il suo primo bacio e si alzò sulle punte per sentirlo con più forza, con più dolore.
Quello era il suo primo bacio e si ritrovò a sorridere tra gli applausi di alcuni studenti che si ritrovarono tra i corridoi per recarsi a lezione.
Sì, quello era stato il suo primo e splendido bacio.
“Solo con te” affermò Tom sulla sua bocca, sorridendole.
Alice, passando lì a fianco, mimò di ficcarsi due dita in gola per quella scena vomitevole; tutte quelle scenette da film d'amore Babbano le rivoltavano lo stomaco e più le evitava e meglio era per tutti. O magari si sarebbe ritrovata a stracciare fazzoletti dal contenitore nascosto nella sua camera per la sua eterna zitellagine. Perché più zitella di lei, ad Hogwarts, non era nemmeno Mirtilla Malcontenta.
Ed era una vergogna.
“Ehi Alice...”
Ignorò palesemente Hugo Weasley e sbatté i piedi per terra come una bambina che aveva appena ricevuto un no secco alla richiesta dell'ennesima bambola nuova; odiava la sua vita e anche Lysander Scamandro, maledetto drogato della malora che...
“Tu mi piaci”
Alice si bloccò di scatto, girando il capo a centonovanta gradi verso Hugo – che arrossì dalla radice dei capelli fino alla punta dei piedi; lo vide guardarsi la punta delle sue nuovissime scarpe da ginnastica e arrossire come un peperone com'era solita sua sorella quando qualcuno le rivolgeva un commento alle sue tette.
“Tu cosa?” domandò, storcendo la bocca come se avesse appena mangiato un limone.
Troppa dolcezza in una sola giornata, rischiava il diabete. Poteva anche schiattare per troppo zucchero nel sangue di quel passo.
“Tu mi piaci” ripeté Hugo, lentamente e a bassa voce – quasi come se temesse che lei gli inveisse contro. E in effetti lo avrebbe anche fatto se Lysander – che come sempre ciondolava nei corridoi nella sua più totale strafattanza – non fosse passato di lì.
Alice mostrò i denti in un imitazione grottesca di un sorriso e Hugo indietreggiò, spaventato da quel comportamento alquanto anormale per una come lei.
“Io ti piaccio” cinguettò la ragazza, mentre Lysander tendeva le orecchie e, nella più totale e apparente indifferenza, fingeva di abbassarsi a due metri di distanza per legarsi i lacci delle scarpe.
In tutto questo indossava le scarpe senza lacci.
“Oh, ehm... sì” acconsentì Hugo, sorridendo sghembo e grattandosi il capo imbarazzato.
Lysander assunse quasi l'espressione dell'urlo di Munch, guardandosi freneticamente attorno alla ricerca di una soluzione: insomma, Alice Paciock non si era mai – MAI – interessata alle dichiarazioni d'amore. Nemmeno quelle dei ragazzi più belli e intelligenti di Hogwarts. Mai.
E allora perché si era fermata? E perché stava ascoltando Weasley? E, merda, perché sorrideva come se avesse vinto alla lotteria?
Merda, merda, merda!
Merda.
“Merda” sibilò a bassa voce, cercando di pensare lucidamente.
Alice Paciock era sua, questo lo sapevano anche i muri. Tranne lei, certo, ma quello era un futile dettaglio. E tutti, da quella famosa festa dove erano stati a letto insieme, le stavano alla larga – specie gli uomini; l'aveva marchiata apposta.
La fauna maschile di Hogwarts sapeva che, una volta decisa la preda e marchiata, nessuno doveva avvicinarcisi. Se non voleva rischiare di ritrovarsi invischiati in una guerra simile a quella che si era tenuta tra Zabini e Nott.
E a dirla tutta nessuno aveva le palle di affrontare un componente dei Flower, aveva troppo potere dalla sua parte.
“Io...” iniziò Alice, prendendo un respiro profondo e soffocando con la sola saliva quando venne centrata da un libro in piena fronte. Di Trasfigurazione. Quattrocento pagine pulite pulite.
“Ma porca putt...” sbraitò, furiosa, cacciando gli occhi fuori dalle orbite e cadendo all'indietro per la botta.
Hugo cercò di soccorrerla immediatamente, ma incappò in uno sgambetto che lo fece rotolare a due metri di distanza da lì – con la testa quasi rotta contro il muro.
“Chi diavolo è stato?” urlò Alice, toccandosi la fronte gonfia e trattenendosi dal piagnucolare come una bambinetta.
L'avrebbe evirato, quel bastardo figlio di...
“Scusami, non l'ho fatto apposta!” cinguettò una voce assolutamente angelica, mentre Alice si tratteneva nel farsi la croce al contrario.
Lysander le tese la mano, sorridendo tutto pacioso e la Paciock bestemmiò: non poteva di certo evirarlo! Dopo come avrebbe potuto usufruire delle sue meravigliose grazie?
“Sei impazzito?” sibilò la ragazza, ignorando la mano che lui le stava tenendo e alzandosi da sola – mentre Hugo tirava su con il naso con la testa spaccata.
“Devo parlarti” soffiò Lysander, fissandola con gli occhi azzurri un po' persi e un po' divertiti.
L'aveva fatto apposta, Alice poteva giocarsi anche il posto di Ape Regina e la cosa non le tornava affatto. Cosa stava macchinando, quel bastardo?
“Ora ho da fare” sbuffò, massaggiandosi la fronte e cercando Hugo con lo sguardo, ancora mezzo collassato sul pavimento.
“Non era una richiesta, tesoro” mormorò Lys, bloccandole il respiro con una sola frase.
Alice alzò gli occhi verso di lui e lo vide sorridere con una dolcezza che non gli apparteneva: sembrava così velenoso...così impaziente. Cosa stava macchinando?
“Ma un ordine” e con quelle parole l'afferrò rudemente per un polso, trascinandola verso il corridoio opposto come se pesasse non meno di dieci chili – sballottandola come una bambola di pezza.
Alice si accorse che era caldo. La sua stretta emanava un calore che l'attraversò tutta, riscaldandola dall'interno; era la stessa sensazione che aveva provato quando lui – afferrandola per un braccio – a quella famosa festa l'aveva trascinata lontano, con l'affanno che accentuava il desiderio. Con la voglia di averla così forte, così prepotente, così perversa, da farla sentire male al solo sfiorarlo.
E ora quella sensazione era tornata ed era violenta. Poteva sentirla attraversarle le dita e poi il braccio – oltrepassare i vestiti e squassarle il petto, le viscere, il basso ventre.
Il cuore esplose completamente e Alice affannò quando lui la schiacciò al muro con gli occhi incendiati: toccarlo era diventato un bisogno quasi fisico e cominciava a fare male non poterlo fare.
“I tuoi, ultimamente, stanno allargando fin troppo le loro vedute” mormorò Lysander, guardandole le labbra e cercando di trattenersi dal fare qualsiasi cosa.
Aveva inventato una scusa sul momento, ma sapeva che quella cosa non sarebbe potuta durare all'infinito; lei presto avrebbe trovato qualcuno che avrebbe soddisfatto le sue aspettative e sarebbe diventata di qualcuno che... beh, di qualcuno che non era lui.
Lysander ci aveva fatto l'amore una sola volta – una sola – ma il pensiero che qualcun altro avrebbe potuto godere dei suoi sospiri, delle sue carezze, delle sue maledizioni, lo mandò completamente in tilt.
La voleva, diavolo se la voleva e se lei non fosse stata così stronza e cattiva – con la paura d'amare così tanto radicata a fondo – l'avrebbe fatta sua contro quel muro. L'avrebbe presa per le gambe e si sarebbe caricato del suo peso, del suo dolore – della sua bocca e delle sue ansie.
Avrebbe respirato il suo respiro, penetrato in lei così in profondità da non distinguere più né l'inizio di sé né la sua fine.
Se, se, se...
“Questo non mi riguarda” sbottò Alice con tono acre, sciogliendo la sua presa sul proprio braccio e schiacciandosi contro il muro per non averlo troppo vicino. Per restare lucida. Per poter continuare a respirare senza inceppare nel proprio battito.
“Alice” la chiamò Lysander, riafferrandola per un braccio e avvicinandosi ancora di più – fino al punto che Alice non riuscì più a capire dove iniziasse lei e dove finisse lui. Come se stessero facendo l'amore.
Come se, ancora una volta – come tutte quelle in cui si toccavano o anche solo sfioravano con lo sguardo – stessero diventando una cosa sola.
E lei amava quando la chiamava per nome e ci metteva quella nota accusatoria, come se fosse colpa sua se tutto non andava come sarebbe dovuta andare; adorava quel tono disperato, bisognoso... come se Lysander volesse solamente prenderla per i capelli e baciarla fino a sentire le labbra dolere e il respiro venire meno.
Alice gli sfiorò prima il petto con il polpastrelli e poi passò al collo, leggera, quasi impalpabile. Seguì la linea della mascella, quella dritta del naso... lasciò che lui socchiudesse lo sguardo – che poggiasse la guancia sulla sua mano e tremasse lento, consapevole dell'effetto delle sue dita, del suo profumo.
“Alice” ripeté, ammaliato dai suoi occhi appannati.
E lei si avvicinò quel tanto da poterlo baciare, da poter contare i piccoli nei che gli sporcavano il naso – da poter leggere la paura nei suoi occhi, la soddisfazione di vederla fare il primo passo.
Alice indietreggiò.
“Fottiti, Lysander” sibilò, aggiustandosi la camicia e dandogli le spalle arcuando la schiena per lo squarcio che le si era spalancato in petto.
Sapeva cosa pensava Lysander e allora perché continuava? Perché voleva farsi umiliare?
Perché continuava a dargli la soddisfazione di vederla crollare?
Lei non era nient'altro che... niente. Niente di niente.
E non c'era cosa più brutta del saperlo con sicurezza.

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Capitolo 22
*** Capitolo ventunesimo - Scare ***


Capitolo ventunesimo –
Scare



“Stai sbavando”
Dominique Weasley era quella che, in apparenza, avresti additato come la cheerleader bella e scema della situazione; munita di trequarti di sangue Veela e due occhi blu da bambola di porcellana, molti confidavano nel fatto che facesse leva sulla sua bellezza per ottenere i meravigliosi voti che aveva in tutte le materie, la stima del preside e i professori di Beauxbatons. Quello che non sapevano quelle stronze francesi – nomignolo che aveva affibbiato alle studentesse della lontana scuola di magia la cara e finissima Roxanne – era il fattore Weasley.
Perché Dominique poteva anche frequentare Beauxbatons a differenza dei suoi cugini, avere i capelli biondi come l'oro e l'incarnato perfettamente liscio e privo di lentiggini, ma le palle quadrate – come le definiva il caro e piccolo Freddie – erano tutte della famiglia dai capelli rossi.
Dom aveva l'accento di sua madre e l'aggressività lupesca di suo padre; aveva ereditato il lato rivoluzionario di zio George e quello materno di nonna Molly: insomma, era un mix straordinario della famiglia e le stronze francesi poteva mangiarsele a colazione.
“Fatti i cazzi tuoi” rispose James, bestemmiando in aramaico quando Dom lo colpì alla schiena con il bastone d'oro massiccio di Blaise Zabini.
“Ma sei impazzita?” sbraitò il primogenito di Harry Potter, piagnucolando come un bambino di due anni per la batosta che aveva ricevuto alla schiena.
Dominique lo guardò con un'aria di sufficienza.
“Sciacquati la bocca con l'acido solforico quando parli con me, Potter” sibilò la Weasley, riavviandosi con un gesto secco i capelli lunghi e biondissimi.
Alcuni Auror – che oramai avevano fatto casa al quartier generale Inglese – sospirarono ammaliati a quel gesto, beccandosi un'occhiata velenosa da parte di James. Si stava trattenendo fin troppo dall'azzannarli tutti seduta stante e prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrebbe fatto strage di Auror stranieri.
E 'fanculo Azkaban!
“E tu smettila di dire cose che non dovrebbero riguardarti!” sibilò James, facendole la linguaccia e dimostrando a tutti – molto intelligentemente – il suo lato maturo. Per un bambino di due anni, era chiaro.
Dominique lo guardò con un'aria schifata, restituendo il bastone a Blaise e sorridendogli a mo' di ringraziamento.
“Sempre disponibile per le donzelle belle come te” ammiccò Zabini, allungando l'occhio obliquo verso le gambe scoperte di Dominique – che sorrise lusingata.
“Ah, gli Italiani... loro e la galanteria da perfetti gentiluomini che posseggono!
Mica come certi cafoni” cinguettò Dominique, fissando James come un insetto particolarmente molesto.
Questo digrignò i denti.
“Ah, le francesi... loro e quel culo perf...” iniziò Blaise, beccandosi un calcio dritto negli stinchi.
“Ma sei impazzito?” ululò, ripetendo la sua stessa frase di quando si era beccato il bastone dritto nella schiena.
James bisbigliò l'ennesima bestemmia prima di alzarsi di botto e afferrare Dominique per un polso: questa lo guardò con un sopracciglio alzato, storcendo la bocca rossa nell'imitazione di una smorfia disgustata.
“Jamie, mi stai toccando” cinguettò Dominique, suscitando alcune risatine da parte di tre Auror Americani.
James cercò di non urlare per la frustrazione e si limitò solamente a stringere la presa e trascinare Dominique lontano dalla Sala riunione; si sbatté la porta alle spalle e superò il corridoio gremito di persone.
Lei era ancora inerme tra le sue braccia. Si limitava a seguirlo e James aprì lo sgabuzzino che di solito usava con vecchie fiamme per un incontro che... di solito si bruciava in niente.
“Stai esagerando” urlò appena la sbatté nella stanza, lasciando la presa su di lei e affannando con il petto.
Dominique ignorò l'unica lampadina appesa al soffitto e le ragnatele che creavano giochi d'ombra al muro, concentrandosi sulla vena pulsante sulla gola di suo cugino.
Si abbracciò e ignorò lo stropicciarsi della camicia bianca che indossava, poggiandosi con i fianchi all'unico ripiano di legno presente nella stanza impolverata; la gonna nera a balze si macchiò poco di bianco, ma ignorò anche quello.
“Va bene fingere, ma ora sto passando per lo zimbello della situazione!” continuò James – scompigliandosi i capelli neri con rabbia.
Dominique continuò a guardare quella vena pulsare e socchiuse gli occhi azzurri, sorridendo nel ricordare tutte le volte che l'aveva sfiorata con le labbra quando Jamie si arrabbiava e aveva la voglia di spaccare qualcosa. Solo così riusciva a calmarlo. Solo così riusciva a vederlo per com'era davvero.
E amarlo ancora di più. Sempre di più.
“Sei tu che lo vuoi” sospirò Dominique, affondando le unghia perfettamente curate nel proprio avambraccio.
James la superava di venti centimetri buoni ed era stato così fin da quando erano piccoli: lui era il suo gigante buono e prepotente e lei la sua piccola bambolina che non accettava i suoi scherzi, ma che poi gli sorrideva sempre come se avesse il sole dentro.
Cos'era cambiato? Perché ora lui non riusciva più ad essere buono e lei non riusciva più a sorridergli?
“Ti sono mancato?”
James aveva il capo basso e ciuffi di capelli a coprirgli il volto pallido coperto di efelidi: le braccia erano lungo i fianchi e Dominique non riusciva a guardarlo negli occhi; rimasero a tre metri di distanza, a sentire l'uno l'odore dell'altro e lei tremò dentro – sentendo il cuore implorarla di avvicinarsi a lui.
Di avvicinarsi e stringerselo al petto fino a farsi mancare il fiato.
Stringerselo al petto e sentire la carne dilaniarsi per fargli spazio, per farlo entrare dentro sé.
“E io, uomo dall'armatura d'acciaio?
Io ti sono mancata?” bisbigliò Dominique, spostandosi una ciocca dagli occhi per portarla dietro l'orecchio.
Quando era piccola era solito farlo lui quel gesto, quasi come se fosse naturale rimuovere qualsiasi ostacolo che gl'impediva di guardarla fisso in quel mare che aveva al posto delle iridi.
“Non partire più” sussurrò James, flettendo le dita che fino a quel momento aveva tenuto chiuse a pugno.
Dominique sorrise ancora – ma questa volta in un modo così amaro che sentì le viscere attorcigliarsi.
“E dopo come giustificherai a Emily la mia presenza, James?” mormorò Dominique, socchiudendo gli occhi e lasciando che le ciglia lunghe e bionde creassero ghirigori sulle guance umide.
Di nuovo. Ancora.
James alzò il volto di scatto e la fissò con una muta domanda negli occhi bruni: alcune venature verdastre nelle iridi si schiarirono e Dominique indietreggiò ancora – toccando con la schiena il mobiletto alle sue spalle.
“Mi sei mancata” disse James, questa volta a voce alta, come a voler dar forza alle sue parole.
Dominique si strinse con più prepotenza, tenendosi integra da sola... come oramai succedeva da tre anni; prima ci pensava James ad asciugare le sue lacrime, a calmare i suoi attacchi di panico, a stringerla e cullarla fino a farla sentire al sicuro. A casa.
Ma ora come avrebbe potuto consolarla se la causa del suo male era lui stesso?
“Magari quando eri a letto con lei?”
“Quando sei lontana mi sembra di stare in apnea”
“E con Emily come ti senti, James?”
Questo urlò, colpendo il muro con così tanta forza da sgretolarlo con un solo colpo: le nocche si piegarono nella crepa che si era formata e James affannò con gli occhi spalancati dalla rabbia.
“Smettila, smettila!” strillò, ritirando il braccio e ricolpendo il muro con ancora più forza di prima, ignorando il sangue che gli stava colando lungo il polso.
Prima Dom baciava le sue ferite, se ne prendeva cura, le amava forse più delle perfezioni: le cicatrici erano le parti a cui lei dedicava più attenzione e James per quel motivo aveva imparato ad amare ogni singolo solco sulla sua pelle. Ogni singola ferita che l'avevano reso quell'uomo dall'armatura d'acciaio – come lei lo aveva soprannominato.
“Io lo faccio per te... quindi smettila” la pregò, coprendosi lo sguardo con la mano insanguinata e sporcandosi il volto.
Ora erano a due metri di distanza: lei si era allontanata dal ripiano di legno e si era avvicinata lentamente, lasciando quell'abbraccio solitario e sporgendo le dita verso di lui; non riuscì nemmeno a sfiorarlo che James l'afferrò con violenza e l'abbracciò.
La sporcò di sangue, coprì il suo profumo con il proprio, le rimase qualche livido sulla schiena quando spinse le dita sulla spina dorsale – per sentirla sempre più forte. Per sentirsi male ancora di più... perché la sua mancanza era terribile e quello non era niente in confronto.
“Lasciala, James” mormorò Dominique al suo orecchio, mentre lui affondava le mani nei suoi capelli e il volto nell'incavo del suo collo nudo.
No, Dom non aveva paura di Emily – la nuova ragazza di James. Non aveva mai avuto paura delle altre: sapeva che lei era costantemente con lui. Sapeva che era la sua ossessione, la sua paura, la sua unica debolezza... ma non voleva che qualcun altro lo toccasse.
Non voleva che qualcun altro godesse di qualcosa che lei poteva godere solo di rado e di nascosto. Non voleva lasciare a quelle presunti spasimanti il potere di poterlo sfiorare, baciare e magari sussurrargli che lui era l'unico.
Lui doveva essere l'unico solo per lei. Sempre e solo per lei.
“Lascerei il mondo per te, Dom” disse James, scostando il volto dal suo collo e guardandola con una determinazione che la infiammò.
Intrecciò le dita alle sue e le due ancore tatuate sui loro polsi coincisero con una perfezione quasi maniacale; grazie alla magia che avevano effettuato sull'inchiostro le due unghie dell'ancora si attorcigliarono... finalmente unite.
Ora amanti. Ora sorelle. Ora insieme.
“Quando avrete finire di farmi venire la nausea, forse mi cagherete” sbuffò Roxanne, facendo staccare i due ragazzi di scatto – pallidi come lenzuoli e con gli occhi spalancati dal terrore.
Era ferma sull'uscio della porta, nemmeno l'avevano sentita entrare e ora aveva le braccia conserte: indossava ancora la divisa e aveva un sorrisetto sulla bocca che fece incazzare James come una biscia.
“Tu, perfida stronzetta...” iniziò con il suo colorito linguaggio, zittendosi quando si accorse del solito Frank alle calcagna della ragazza di colore.
“Come sai, lui è il mio segretario tutto-fare. Conosce la maggior parte dei miei fascicoli – dove, naturalmente, voi due siete presenti – tranne quelli che li riguardano direttamente” soffiò Roxanne, guardandosi le unghia mangiucchiate e beccandosi un bestemmione da parte di James grande quanto una casa.
“Che c'è, Rox?” domandò Dominique, guardinga, mentre la cugina si riavviava i ricci rossicci con un gesto secco.
La massa di capelli colpì Frank in pieno viso e questo per poco non svenne per il profumo che l'aveva investito; essere alle spalle di Roxanne era meraviglioso: aveva un culo praticamente perfetto e nonostante il sesso o l'aspetto fisico in generale di una persona non colpivano Frank particolarmente, persino a lui riusciva difficile non guardarla e magari sbavarle dietro.
Eppure, Paciock, a differenza degli altri, poteva starle accanto senza che lei lo scacciasse o lo trattasse male.
Okay, forse a volte lo trattava come uno zerbino... oh, e va bene! Quasi sempre lo trattava come il suo tappetino personale, ma Frank era l'unica persona che Rox riteneva – oltre le sue cugine – veramente importante.
“Forse ho trovato il modo di far sparire i serpenti dalla testa di Lily!” cinguettò Roxanne tutta eccitata, mentre James si chiedeva se fosse normale.
Dominique fece sparire il sopracciglio biondo oltre l'attaccatura dei capelli e fissò la cugina con un sorrisetto perverso sulla bocca rossa.
“Dimmi che è quello che sto pensando io e potrei farti una statua d'oro” rise la Weasley, facendo brillare gli occhi azzurri con una libidine che fece rabbrividire James.
La cosa non gli piaceva. Quelle due parlavano di sua sorella con un'espressione troppo maniaca...
“Sesso” chiarì infatti Roxanne, cinguettando angelica come se non avesse appena pronunciato QUELLA parola davanti a lui. Con il nome di sua sorella nella stessa frase.
James sbiancò.
“Non ho capito bene” alitò, aggrappandosi al ripiano di legno che Dominique aveva sfiorato prima con la schiena per evitarlo.
“Hai capito bene, idiota” sibilarono in coro quelle due vipere, con l'unica differenza che una poteva minacciarlo di rovinarlo in famiglia se avesse impedito il piano, mentre l'altra semplicemente avrebbe indossato una mutanda di ferro e addio sesso per i prossimi anni.
Oddio, sesso. Lily.
Malfoy!
“NO” urlò James, assumendo la stessa faccia dell'urlo di Munch e tirando su con il naso.
Due minuti e sarebbe scoppiato a piangere come un moccioso.
“Oh, ma nessuno ha chiesto il tuo parere, James caro” sospirò Roxie, sbattendo civettuola le ciglia e suscitando in Frank tutta la compassione possibile per il primogenito di Potter.
Quella era un'arpia quando voleva... e se ci si metteva un'altra Weasley al suo fianco, sicuramente la situazione non migliorava.
“Già, amore. Non abbiamo di certo chiesto il tuo parere” le diede man forte Dominique, riavviandosi con un gesto secco i capelli biondi e accecandolo con il suo trequarti di sangue Veela.
Appunto. Quello era un taro di famiglia, cazzo!
“Ma è mia sorella” piagnucolò il ragazzo dai capelli neri, venendo ignorato bellamente dalle due cugine.
Insomma, era diventato trasparente.
“Credi che funzionerà?” domandò Dominique a Roxanne, stringendo la bocca dubbiosa e inclinando il capo.
Quello stanzino cominciava a diventare stretto con tutti e quattro, ma la ragazza di colore riuscì lo stesso a chiudersi la porta alle spalle.
“Stiamo parlando della stessa persona? Lily impazzisce per quello scemo di Malfoy e anche se lui dovrà un poco sforzarsi per il suo asp...” disse Roxanne, venendo interrotta da un guaito ferito di James, zittito prontamente da un calcio di Dom.
“Secondo me quello si attizza anche se Lils è conciata in quel modo” sghignazzò malefica la Francese, ignorando il tonfo che produsse il corpo del suo pseudo-fidanzato quando crollò a terra tutto d'un colpo.
Svenuto.
“Femminuccia” sbuffarono in coro le due cugine, calciando il corpo di Potter lontano dai loro piedi e tornando ai loro mormorii.
“Ora dobbiamo solamente trovare il modo di farli rimanere soli e avvisare Scorpius di questo piccolo cambiamento di programma” sussurrò Roxanne, strofinandosi le mani con la sua solita flemma.
Frank si fece il segno della croce... perché se un Weasley da solo era un tornado, in due si parlava invece di Satana in persona!


E a proposito di Satana, che quando si trattava di idiozia assumeva le sembianze di Blaise Zabini, quel giorno era più tranquillo del solito, rannicchiato nella Sala Riunioni Auror che, dopo tre giorni frenetici, era finalmente silenziosa; gli Auror stranieri avevano trovato accampamento nell'ufficio di qualcuno o erano stati ospitati da chi aveva possibilità e ora le uniche famiglie presenti erano proprio Potter, Malfoy e Zabini. Appunto.
Blaise, alla faccia del Ministro che entrava e usciva da lì, si stava fumando una bella canna con delle erbette che gli aveva inviato suo figlio mesi prima da Hogwarts, mentre sua moglie aveva abbandonato l'atteggiamento da moglie perfetta per accasciarsi al suo fianco con le gambe sul tavolo e una canna già fumata tra le labbra.
“E voi sareste gli adulti...” si schifò Draco, storcendo la bocca disgustato e beccandosi pure un bel dito medio da Asia – che, a pensarci bene, ci stava più che alla meraviglia con quel porco di Zabini.
“Senti, mio figlio è in coma grazie ad un incantesimo, dovrò pure rilassarmi o no?” sbuffò Blaise, con un'espressione da cucciolo che avrebbe ingannato chiunque tranne lui... il suo migliore amico.
Tranne lui, che aveva alzato il suo culo nero dai pavimenti quando era stato così ubriaco da non ricordarsi nemmeno il proprio nome; tranne lui, che lo aveva tirato fuori dai guai le stesse volte in cui ce lo aveva messo.
“Tu fumi sempre quella merda, Blaise e hai traviato anche tuo figlio!” sbraitò Draco, strappando un sorriso all'uomo seduto.
“Tutto suo padre” sospirò, beccandosi una tinozza d'acciaio dritto sulla fronte. Con dell'acqua all'interno che lo bagnò dalla testa ai piedi.
“Spero che la Granger continui a darla a quell'idiota di Weasley, lasciandoti a bocca asciutta!” lo maledì Zabini, massaggiandosi la fronte piagnucolando.
Scorpius ridacchiò: sì, Dalton era tutto suo padre!
“Mi chiedo se Joe reggerà questa famiglia di pazzi psicopatici” disse il piccolo Malfoy, catalizzando su di sé tutta l'attenzione dei due coniugi Zabini.
“Joe? Chi è Joe?” domandò Blaise, aguzzando lo sguardo verso di lui.
Scorpius fece spallucce, con un'espressione da angioletto innocente.
“Quella sotto incantesimo con lui... è la sua fidanzata” cinguettò, mentre i due facevano mente locale per ricordare il viso della ragazza.
“Mio figlio si è già messo la palla al piede?” s'indignò l'uomo, sfiorando di poco l'incazzatura del Malfoy.
“Sì, e ci va pure pazzo” sibilò Scorpius, trattenendosi dal farsi spuntare corna e forcone.
Blaise sbatté le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco la ragazzina che aveva visto di fianco a suo figlio; piccola, bassa... dai capelli neri, se non ricordava male.
“Oh, ma quella con le tette enormi?” saltò su' tutto contento, beccandosi un calcio da parte di sua moglie.
“Porco!” soffiò questa a bassa voce, venendo ignorata per il troppo entusiasmo.
“Sì, lei” rispose Scorpius, guardingo.
“Quel ragazzo è di certo mio figlio. Cazzo, che gusti!” cinguettò Blaise tutto felice, rimanendo allibiti i presenti.
Ma Scorpius non aveva dubbi: quello era il padre di Dalton. La stupidità era quella.
“C'è un problema ad Hogwarts!” e Dominique Weasley spalancò le porte della Sala Riunioni con il volto arrossato e i capelli disastrati, mentre tutti si giravano di scatto verso di lei per capire cosa stesse succedendo.
Lily alzò gli occhi vuoti sul suo volto.
“Che problema?” domandò Harry, ansioso, alzandosi di scatto e fissandola in attesa di una risposta.
James, al suo fianco, era immobile e pallido.
“La scuola è stata attaccata e tutti i mezzi di comunicazione e trasporto interrotti” mormorò Jamie, maccheronico, strappando un sorriso folle a sua sorella.
Lei lo sapeva. Lei aveva capito che stava mentendo.
“Ma sei sicuro?” sussurrò Hermione, scivolando dalla sedia su cui era seduta e fissando il nipote con gli occhi bruni contratti.
La manica del vestito nero che indossava la Granger, sfiorava le dita lunghe e pallide.
“Sì, Roxanne è riuscita ad infilarsi nel camino dell'ufficio della Mcgranitt prima che interrompessero all'interno” confermò Dominique, mentre tutti si armavano di bacchetta ed espressione determinata per combattere.
James fece una smorfia disgustata.
“L'unico modo per arrivarci è in volo” s'intromise l'altra cugina, mentre Lily sogghignava – intente a guardarle.
Aveva capito. La pupilla completamente nera di Lily – insieme all'iride – era rivolta verso di loro ed era divertita. Sembrava aver letto nelle loro menti e aver scoperto che tutto quello era... una grande bugia.
Una grande bugia per lasciarla sola con Scorpius.
Dominique trattenne improvvisamente il fiato, arcuando la schiena per il peso eccessivo che le crollò improvvisamente sulle spalle: stava lasciando da solo Scorpius con Lily. Quella Lily.
Malfoy era un diciassettenne innamorato, non un mago esperto capace di respingere la magia oscura; era il metodo giusto? Cercare di lasciarli soli, per fare in modo che Lily riconoscesse e risentisse dentro di sé l'amore, era la soluzione giusta?
Dom guardò sua cugina e sentì il rimorso stringerla da dentro, divorarla. E lo capì ancora di più quando i cobra sulla testa di Lily sibilarono – come se avessero sentito il divertimento e l'eccitazione della loro padrona.
La Weasley ricordava di aver studiato Medusa, la rappresentazione della perversione umana... quel mostro – che con la sua bellezza attirava lo sguardo degli uomini – e poi li riduceva in pietra. E Lily ora le assomigliava, con quella bocca nera come l'onice bella carnosa e la sclera completamente abbagliata d'inchiostro.
“Cazzo, sbrighiamoci” sbottò Draco, afferrando la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni neri che indossava e girandosi, questa volta, verso suo figlio.
“Tu rimani qui con i ragazzi...ed esigo che rimaniate qui, al sicuro.
Ci siamo intesi?” sibilò, aspettando un cenno affermativo da parte dei ragazzi e afferrando Blaise per la collottola una volta accertatosi che tutti sarebbero rimasti lì.
Sparirono in una velocità impressionante, portandosi James dietro e Dominique rimase immobile sull'uscio della porta a fissare sia sua cugina che Malfoy, una seduta sul tavolo di cedro e l'altro intento ad accendersi una sigaretta alla menta.
Dom indietreggiò.
“Non avere paura, tesoro” soffiò Lily, spostando gli occhi su di lei e sorridendo perversa.
Con le unghia laccate di nero la vide solcare il legno e non risentirne, mentre accavallava le gambe nude e roteava il piede in senso antiorario; il maglione color panna che sua madre Ginny le aveva infilato a forza era quattro volte più grande di lei e le arrivava oltre le ginocchia. E Dominique intuì, con un brivido, che non indossava nulla sotto.
Era nuda dall'intimo e la paura, dalla coscienza e la bontà; oramai Lily non sapeva più cos'era il bene o il male... voleva solamente la vendetta e in un modo o nell'altro l'avrebbe avuta.
“Non gli farò del male” miagolò la più piccola di casa Potter, mostrando i denti in un lampo, quasi dando l'illusione alle cugine che avesse sorriso.
Scorpius li guardò, confuso e Roxanne indietreggiò – arrivando a toccare il petto di Frank con la schiena.
“Mi dite che state confabulando?” domandò guardingo il ragazzo dai capelli biondi, assottigliando gli occhi azzurri e fissandoli determinato.
Lily scoppiò a ridere, accarezzando le testoline dei cobra al posto dei suoi capelli e mostrando i canini sporgenti – simili a zanne.
Scorpius la guardò e lei ricambiò pienamente, deliziata.
“Il caro e vecchio Silente ci andava pazzo per queste cose” cinguettò la Potter, facendo attorcigliare le viscere del suo ragazzo.
Scorpius la guardò interrogativo.
“Non è vero l'attacco di Hogwarts, è una cosa che ho inventato io dopo aver parlato con il ritratto di Silente.
Lui dice che... molto probabilmente, visto che Lily ha subito questa trasformazione quando ha visto qualcuno di amato in pericolo, l'unico modo per tornare nel suo stato originale è l'amore” mormorò Rox, grattandosi il capo imbarazzata e mordendosi le labbra per l'espressione sbigottita che aveva assunto Scorpius.
“E credete che non ci abbia provato? L'unico modo per farla tornare normale è lasciarla uccidere quel bastardo!” sputò Malfoy, incredulo, mentre Dominique scuoteva il capo.
“Devi farle provare amore, non coccolarla” disse, dosando bene le parole.
Scorpius continuava a non capire.
“Mi dite di cosa diavolo state parlando?” urlò allora – spazientito – ignorando il sobbalzo violento di Frank, che proprio odiava chi strillava senza motivo.
“Ci devi fare sesso, cazzo!
Sesso, sesso, sesso... capisci?” sbraitò allora Paciock, zittendoli tutti quanti e arrossendo dalla radice dei capelli fino a quella dei piedi.
Scorpius annaspò e Lily sorrise, mentre Rox dava alcune pacche sulle spalle di Frank, affannato.
“Ah” mormorò Malfoy, sbiancando nel vederli indietreggiare verso la porta.
“Tesoro, è arrivato il tuo momento. Non sei felice?” rise Lily, inclinando il capo e chiudendo il portone di legno sulla faccia dei tre con uno sfavillio di ciglia.
Cazzo, pensò Scorpius.
Erano soli in quella Sala che sembrava guardarli, osservarli, asfissiarli con quelle pietre e gli spifferi gelidi che accarezzavano le tende di velluto pesante; i quadri sembravano essere spariti dalle loro cornici e le armature erano ferme, possenti, immobili.
La luce era bassa e tremolava, come se le candele sui candelabri di ferro battuto volessero spegnersi da un momento all'altro e lasciarli al buio.
“Non farlo” sussurrò Scorpius, accorgendosi che era opera sua.
Lily lo guardò da sotto le lunga ciglia e ricambiò lui questa volta – determinato.
“Non spegnere le candele” precisò con un tono basso, continuando a rimanere appoggiato sul tavolo di legno.
La sentì toccare leggera la pietra grezza del pavimento e alzò lo sguardo solamente per vederla muovere i fianchi delicatamente per raggiungerlo, come se stesse fluttuando. Come se una musica immaginaria la stesse accompagnando.
Ed era bella. Diavolo, se lo era.
“Tu ci credi?” bisbigliò Lily, avvolta da quella nube nera e tossica che oramai l'accompagnava da una settimana a quella parte.
Era troppo vicina e il suo profumo lo stava avvelenando.
Era troppo vicina e gli stava inquinando i polmoni, avvolgendolo con quell'odore di gigli e miele, male e vendetta – perversione.
“Tu mi ami?” soffiò a bruciapelo Scorpius, cercando di non guardarle le labbra per troppo tempo: rilasciavano uno strano odore di zolfo ed erano tese in un sorriso diabolico.
“Puoi fare sesso con me con la convinzione di potermi salvare, ma sappiamo entrambi che non aspetti altro da secoli” mormorò Lily soave, arrivando ad un solo metro di distanza da lui. Avrebbe potuto toccarla se solo si fosse sporto.
Ah, se solo avesse saputo a che ritmo batteva il suo cuore quando era così vicina.
Ah, se solo Lily Potter avesse saputo che pazzie aveva in mente per non lasciarla nelle mani di quei psicopatici – per salvarla. Per non lasciarla morire per far rivivere Lord Voldemort.
Perché Diamond era stato chiaro: serviva il cuore di Lily per la resurrezione finale e Scorpius non immaginava le altre porcherie che erano servite a quell'uomo per fare in modo che il suo Signore potesse ritornare.
Lui poteva salvarla. Scorpius doveva salvarla e non aveva intenzione di lasciare che diventasse carne da macello. Non aveva intenzione di guardare impassibile come si sarebbe fatta a pezzi da sola.
“Sei umana anche quando non lo sei, Potter” bisbigliò Scorpius, socchiudendo gli occhi e lasciando che le ciglia bionde creassero ghirigori scuri sulle guance scavate e pallide.
Ora poteva sentirla. Ora che era a quaranta centimetri dal suo corpo poteva sentire l'anima di Lily urlare, cercare di uscire, cercare di liberarsi; e intanto vedeva il suo petto ansimare sotto i suoi occhi – come se il cuore avesse accelerato di battito.
Come se ci fosse ancora un cuore, lì dentro.
“Mi odi, Scorpius?” mormorò Lily, annullando le distanze e arrivando a toccargli il naso con il proprio.
Scorpius inalò zolfo e rilasciò un sospiro ansioso che venne rotto dalle labbra di Lily – che accarezzarono dolcemente le sue. E Scorpius si sentì morire.
E Scorpius si sentì cadere.
“No. Non ti odio” rispose tremulo, lasciando che lei sorridesse sulla sua bocca e gli allacciasse le braccia esili al collo con una delicatezza che non si adduceva affatto al suo aspetto in quel momento.
Come poteva odiarla? Era come ammettere che aveva perso.
Era come ammettere di averla persa.
Il corpo di Lily era bollente e Scorpius poteva sentire le sue ossa sprofondare nella sua membra senza delicatezza. - Questa volta era lei che lasciava lividi sul suo corpo, mentre la sua carne si macchiava della forma delle ossa che lo schiacciavano.
E la baciò.
Scorpius le incavò le guance con i pollici e improvvisamente sentì qualcosa di soffice sfiorargli le mani: aprì gli occhi e – con un sorriso – intravide quei capelli rosso al tramonto accarezzarle le spalle fragili e scarne; con le dita affondò in quella chioma ribelle, lasciando che la lingua di Lily s'intrecciasse con la sua.
La sentì ansimare contro di lui e se con una mano continuava a tenerle il capo con forza, con l'altra scese lungo il collo – sulla vena orta che sentiva pulsare con una prepotenza che lo fece sorridere.
C'era ancora qualcosa che batteva, lì dentro.
“Verrai all'inferno con me, Scorpius?” domandò in un gemito Lily, staccandosi dalla sua bocca solamente per guardarlo negli occhi.
La sclera e le iridi erano ancora più nere e il ragazzo tremò, sopraffatto dal buio che le stava promettendo. Più Lily lo guardava e più Scorpius sentiva che non c'era altra scelta: se l'amore non sarebbe riuscito a cambiarla... lui avrebbe provato con il dolore.
Se l'amore non l'avrebbe cambiata, Scorpius avrebbe provato con il dolore. E lì, Lily, avrebbe capito che sì.
“Sì. Verrò all'inferno con te”
Anche se gli sarebbe costata la vita. Anche se avrebbe dovuto scatenare una seconda guerra.
Lily sogghignò e indietreggiò, afferrandolo per la maglia di cotone azzurra che indossava: con le gambe scivolò seduta sul tavolo di cedro e le allargò fino a poterlo accogliere e stringerlo con le caviglie allacciate dietro la schiena arcuata.
Scorpius, grazie a sua madre, aveva letto l'opera letteraria più famosa nel mondo Babbano: la divina commedia aveva creato nella sua mente una visione diversa della morte. Diversa dall'oblio che il mondo dei maghi credeva di dover affrontare una volta deceduti.
Scorpius si era sempre chiesto com'era l'inferno, che aspetto avesse o che condanna gli sarebbe toccata una volta finito lì. E ora sentiva di avere una risposta.
Ora, tra le braccia di Lily, sentiva di sapere cos'era l'inferno. Ora, tra le braccia di quell'angelo vendicatore, gli sembrava di poter toccare – sentire – l'inferno.
Scorpius si sfilò la maglia dalla testa e la lasciò cadere ai suoi piedi, rabbrividendo per le unghia che si conficcarono nelle sue spalle e non per gli spifferi gelidi che lo investirono una volta a torso nudo.
Lily gli morse le labbra e lasciò cadere il maglione color panna che indossava.
Oh sì, Scorpius stava toccando il suo inferno proprio in quell'esatto momento ed era completamente diverso da come lo aveva immaginato.
Il suo Lucifero aveva due sclere nere al posto degli occhi appannati dal desiderio e delle unghia simili a pugnali che gli stavano sfregiando la schiena; il suo Lucifero aveva dei lunghi capelli rossi che profumavano di gigli. Che sapevano di morte. Che sapevano di lussuria.
“E brucerai con me, Scorpius?” mormorò ancora Lily, sbottonandogli la cintura e i pantaloni neri che indossava, storcendo la bocca violacea nell'imitazione di un sorriso.
Il ragazzo dai capelli biondi respirò sulla sua bocca, mentre lei giocava con l'elastico dei boxer con un ingenuità che in quel momento non le apparteneva.
Quella non era la sua Lily. Quella era il suo Lucifero personale e gli stava mostrando un'anteprima di quello che gli spettava una volta... una volta aver fatto provare a Lily il vero dolore.
Ora erano nudi, carne contro carne, ossa contro ossa, membra contro membra e Scorpius afferrò il volto smunto di Lily con dolcezza – bloccandole qualsiasi via d'uscita. Bloccando i suoi movimenti smaniosi e maliziosi.
“Brucerò all'inferno per te, Potter” bisbigliò, prima di baciarla con violenza e penetrare in lei in un modo così secco – senza preliminari – da strapparle un urlo soffocato dalla sua bocca.
La sentì avvolgerlo pienamente, senza tralasciare nemmeno il più piccolo lembo di carne: Lily era lì, contro di lui, dentro di lui. Nella testa, nel cuore, nell'anima... in una profondità che invece di spaventarlo lo eccitò ancora di più.
Stava facendo l'amore con Lily Luna Potter sul tavolo nella Saletta Auror al Ministero e Scorpius si sentiva come se potesse morire da un momento all'altro. E solo per lei, sempre per lei.
Scivolò lentamente all'indietro, continuando a baciarla e con una spinta ponderosa dei fianchi ritornò in avanti; lei continuava a graffiargli la schiena, a respirare sulla sua bocca e a stringerlo come se non volesse lasciarlo andare.
Come se poi lasciarlo andare equivalesse a stare male.
“Lily...Lily” la chiamò, pregandola con la voce roca di guardarlo, di far battere il suo cuore al proprio ritmo.
La stava pregando di rovesciare quel sangue nelle vene e farlo tornare a scorrere normale... la stava pregando di amarlo come lui amava lei.
“Lily” ansimò ancora, aumentando il ritmo e stringendole le natiche con forza tra le dita.
Lei continuava a non fiatare, ma lo fissava con... con dolcezza. Lily lo stava fissando con una tenerezza che – per un attimo – lo rincuorò; ora poteva sentire la carne bruciare per i graffi, per il suo tocco, per il calore che sembrava voler scoppiare nel suo petto da un momento all'altro.
Ora poteva sentirla dentro, una forza tale da rafforzare le sue decisioni.
Già, Scorpius sarebbe andato all'inferno per Lily Potter e avrebbe bruciato tra le fiamme per lei.
Perché solo ora se ne rendeva conto... l'amava e non avrebbe permesso a nessuno di portargliela via. Nemmeno alla morte: piuttosto avrebbe preso il suo posto.

***

“Dici che sono sopravvissuti?” domandò preoccupata Roxanne a Frank, seduta sul pavimento di pietra gelida contro la stessa porta che sua cugina le aveva sbattuto in faccia.
Stavano aspettando che Dominique arrivasse con un bel caffè forte e amaro per i mal di testa che erano venuti a tutti e tre al pensiero del ritorno di quelli che – tranquillamente – avevano mandato ad Hogwarts in volo.
Cosa che Potter e co. non faceva dai famosi e lontani quindici anni.
“Se parli di Malfoy e tua cugina... dai gemiti che sento da qui, beh, direi che stanno meglio di noi due messi insieme. Se parli del signor Potter e tutta la ciurma che hai mandato a scuola per far accoppiare quei due come conigli... onesto, non so' in che condizioni siano” sbuffò Frank, facendo il solito monologo per dire due cazzate.
Roxie alzò gli occhi al cielo e – strafregandosene della gonna che indossava – si svaccò a gambe aperte sul pavimento, accendendosi una sigaretta alle rose e ignorando anche il cartellino vietato fumare appeso proprio sulla sua testa.
“Bastava dire che non lo sapevi, Paciock” sbuffò Roxanne, guardandolo in modo eloquente e facendolo arrossire dalla punta dei capelli fino a quella delle scarpe.
Sorrise intenerita: Frank era così dolce quando lo faceva! Gli ispirava quel tipo di sesso da film sentimentali. Naturalmente. Senza sentimenti dentro. Sempre naturalmente.
“Sembri mio figlio quando arrossisci così!” cinguettò tutta contenta, senza sapere di aver sgonfiato Frank come un palloncino.
Che cazzo! Nemmeno il suo migliore amico, ma suo figlio! Addirittura suo figlio!
“Non sembro proprio nessuno” sibilò offeso, gonfiando le guance come un bambino e fissandola con una smorfia sulla bocca.
Roxanne rise, sospingendolo delicatamente – almeno così le era sembrato – e facendolo crollare steso sul pavimento.
“Vedi? Hai la resistenza di una femminuccia” sospirò Rox, sconfitta, abbassandosi su di lui e fissandolo preoccupato.
Frank sbatté le palpebre, massaggiandosi il capo ancora schiattato sulla pietra fredda: chi aveva messo dei pennuti sulla sua testa? E perché c'era un angelo su di lui? E perché si sentiva il capo così leggero?
“Oh, quanto sei bella” cinguettò mezzo suonato, mentre Roxanne ridacchiava e si chiedeva che botta avesse preso per dire quelle cose senza arrossire.
“Anche tu non sei male, Frank” disse sorridendo, aiutandolo a mettersi a sedere. Lo issò con forza – forse troppa forza – tanto da strattonarselo addosso e cadere lei, questa volta, all'indietro.
E ora si trovava Frank a pochi centimetri dal volto.
“Quanto sei suonato?” rise Rox, cercando di scostarsi senza successo.
Ora lui la fissava seriamente e la Weasley si sentì soffocare; non la guardava con la solita malizia che di solito usavano gli uomini. Non la guardava con divertimento o ammirazione. No.
Frank la stava guardando come di solito si guarda il proprio cibo preferito dopo mesi di astinenza e cucinato dal miglior chef del mondo; lui la stava guardando come si guarda qualcosa di prezioso, unico, da tenere stretto al petto e custodito gelosamente.
E Rox ebbe paura.
Nessuno l'aveva mai guardata così o anche solo sfiorata con quello sguardo; nessuno aveva mai accarezzato la sua guancia con quel tocco lieve – simile allo sfavillio delle ali di una farfalla – come se avesse paura di graffiarla, romperla.
E Rox ebbe veramente, per la prima volta in vita sua, paura.
Perché fin quando la trattavano alla sua pari, come una persona forte e perfettamente in grado di difendersi, Roxanne ci riusciva ad essere così; Rox riusciva a mettere le mani avanti e avvolgersi nella sua corazza di ferro.
Ma quando la trattavano come qualcosa di prezioso, Roxanne diventava così.
La sua corazza spariva e lei – come se questa non fosse mai esistita – crollava come cristallo.
E Rox aveva paura.


 

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Capitolo 23
*** Capitolo ventiduesimo - Nox ***


Capitolo ventiduesimo –
Nox





Harry James Potter, circondato da una quarantina d'Auror – con i capelli che sembravano un incrocio tra il nido di rondini e i famosi capelli di Hermione Granger al primo anno di scuola – poggiò il mento sulle mani congiunte e i gomiti sulla tavolata di cedro al centro della Sala meeting del Ministero.
I suoi occhi smeraldini, che di solito brillavano di luce propria, ora erano fissi sul gruppo di ragazzini incatenati di fronte a lui: e sembrava così arrabbiato che – sua moglie Ginny – si chiese se non fosse il caso di incatenare anche lui. O avrebbe ucciso il suo primogenito e le adorate figlie dei suoi fratelli.
“Io mi chiedo... io mi chiedo cosa ho fatto di male nella mia vita per meritare tutto questo; prima mi ammazzano la famiglia, poi per sette anni devo combattere un psicopatico che si è messo in testa di dovermi uccidere per poter salire in vetta. E, proprio perché la sfiga ci vede benissimo – e con me ha anche un binocolo a luci infrarosse – vostra madre prima mi dichiara i suoi sentimenti e quando mi decido a ricambiarli lei mi friendzona alla grande.
Sono riuscito a sconfiggere Voldemort, ma mi muore il padrino, il suo migliore amico e anche metà delle persone che conoscevo... proprio perché eravamo pieni. Poi nascete voi e credo che questo sia stata la parte più disastrata della mia vita.
TU – e qui indicò James con lo sguardo spiritato – non hai fatto che causarmi guai da quando sei venuto al mondo! A due anni con una magia involontaria hai distrutto l'unico ricordo che avevo di Sirius, a sette mi hai rubato la bacchetta e hai distrutto casa nostra.
A dieci anni hai rivelato, proprio nel centro di Hyde Park all'ora di punta, ai Babbani la magia... e non sai quante persone ho dovuto obliviare per riportarti via dai psicologi che ti avevano affidato gli assistenti sociali.
A undici mi porti come ricordo metà cesso di Mirtilla Malcontenta, a dodici la Mcgranitt mi manda a chiamare perché eri nascosto nel bagno dei professori a spiare la tua docente di Difesa contro le Arti Oscure.
A tredici entrano i tuoi fratelli e quando tua sorella viene smistata a Serpeverde, quasi mi mandi a fuoco il dormitorio. Ecco, a proposito di tua sorella... non solo mi litiga con la famiglia per sette lunghi anni – facendo a botte con chiunque le capitasse sotto mano con i capelli rossi – ma ora sembra la versione stronza di Voldie, e questo non è abbastanza, no.
Perché se la fa' pure con Malfoy e il figlio pervertito di Zabini! E dulcius in fundo... tuo fratello è in coma.
Ora dimmi cosa ho fatto di male per meritarmi questo”
E quel discorso, dove Harry non aveva preso nemmeno una pausa, fece rizzare i capelli sulla nuca a tutti quanti; le due cugine si sentirono vagamente in colpa, mentre Frank continuava a piagnucolare come un bambino per essere stato legato ad una sedia – e dopo milioni di suppliche e scuse – imbavagliato con un calzino di Malfoy.
“Senti, parlane con la fotocopia di nonna Molly quando s'incazza, non con me” sibilò James, alzando il mento orgoglioso e strafregandosene del discorso suicida-omicida che aveva appena fatto il padre.
Lo stesso che ebbe un tic nervoso all'occhio destro quando proferì quelle parole. Ora lo uccideva, Ginny ne era sicura.
Suo marito avrebbe ucciso il suo primogenito e sarebbe stato felicissimo di essere sbattuto ad Azkaban.
“Lily, tesoro, vuoi spiegarmi tu perché uno squadrone di noi è stato mandato ad Hogwarts senza motivo?” cinguettò Harry, melenso.
La ragazza alzò gli occhi neri su di lui – ancora privi di iride e sclera – facendo spallucce come se il fatto non la riguardasse e ritornando a giocare con una ciocca dei suoi capelli rossi, ritornati sorprendentemente normali.
“Non lo so' proprio. Domandalo alle tue nipotine” mormorò diffidente, accavallando le gambe e ignorandolo alla bella e meglio.
Era deciso: odiava anche lei, ma non poteva ucciderla; in quelle condizioni non sarebbe nemmeno arrivato a prendere la bacchetta che – molto probabilmente – si sarebbe ritrovato già otto metri sotto terra.
“Ce l'ha detto Silente” rispose Dominique, prima che Roxanne le abbaiasse di tenere la bocca chiusa.
Harry si chiuse il ponte del naso tra pollice e indice, inspirando molto lentamente: quelle due gli stavano nascondendo qualcosa. E anche suo figlio e Lily, ma sapeva che erano tutti ossi duri, quindi nessuno avrebbe confessato di sua spontanea volontà. Ma la cosa che lo faceva incazzare di più era Silente.
Merda, quello era morto da vent'anni e ancora causava guai! Avrebbe fatto a pezzi anche il suo ritratto, prima o poi.
“Bene, molto bene... a mali estremi estremi rimedi” disse il bambino sopravvissuto, agitando la bacchetta e imbavagliando le sue due nipoti, compreso James e Malfoy – giusto perché da quando stava attaccato a Lily come una cozza gli cominciava a stare sulle palle.
Draco lo fucilò con un occhiata, ma non si azzardò a fiatare: era troppo arrabbiato quella volta e l'unica cosa che voleva era litigare furiosamente e finire ad una scazzottata alla Babbana. Cosa che con Potter era capacissimo di fare da quando era un pupo.
“Paciock, confido nel tuo buon giudizio. O non solo verrai espulso da Hogwarts, ma per un po' verrai rinchiuso nella tua bella cameretta tappezzata di super eroi” sibilò Potter, avvicinandosi a Frank e guardandolo in modo eloquente.
Con un gesto secco gli strappò il calzino con cui lo avevano imbavagliato e questo tremò – cercando di non guardare il pieno attacco di convulsioni in cui sembrava coinvolta Rox. Lo stava minacciando con il solo movimento delle gambe e lui lo sapeva... ma tra decidere di prenderle da lei e non rivederla mai più, Frank preferiva avere qualche livido sparso per il corpo.
“Silente ci ha detto che Lily si è votata alla magia oscura per amore e quindi la sua trasformazione è andata al culmine quando qualcuno a lei caro è stato ferito o minacciato. In poche parole, ci ha riferito anche che solo l'amore la porterà allo stato originale” spiegò Frank, facendo arrossire James dalla rabbia e Ginny dalla vergogna.
Malfoy, ancora imbavagliato, si nascose dietro le spalle di Lily: lei non rischiava di essere mutilata nelle parti basse. Lui sì.
“In che senso, scusa?”
E se la quarantina d'Auror aveva capito – compresa sua moglie e Malfoy – Harry assunse un'aria ingenua e sorpresa, portando Ginny a schiaffeggiarsi la fronte e Draco a ridacchiare convulsamente. E, proprio come suo figlio, giusto perché non voleva morire proprio ora che era ritornato un uomo single, si nascose dietro le spalle di Ginny.
Potter poteva essere arrabbiato quanto voleva, ma la Weasley femmina era pur sempre la Weasley femmina. E tra marito e moglie – in un litigio – sarebbe sopravvissuta la moglie, questo lo sapevano anche i muri.
“Nel senso che solo l'amore avrebbe potuto portarla al suo stato originario... anche se beh, a quanto pare non è che abbia funzionato molto” ripeté Frank, cercando di essere più chiaro.
Harry aggrottò le sopracciglia, sbattendo le palpebre ripetutamente: ma di che parlava quello svitato di Paciock?
“Ma ci abbiamo già provato noi, non ha funzionato nulla! Che bisogno c'era di mandarci ad Hogwarts? Avremmo potuto valutare insieme la cosa e darvi un aiuto in più” sbuffò quello che era stato il salvatore del Mondo Magico.
Scorpius si guardò la punta delle scarpe e Draco si appuntò mentalmente di congratularsi con suo figlio una volta lontani da Potter.
“Ci ha fatto sesso.
Sesso, sesso, sesso, capisce? Ci ha fatto SESSO!” sbraitò Frank, perdendo la pazienza e urlando con quanto fiato avesse in gola.
Strinse le labbra quando si accorse di aver detto quelle parole. E le aveva dette dinnanzi al signor Potter, mentre queste si riferivano alla sua unica figlia femmina; condito dal fattore Malfoy.
Merlino, era morto. Morto e stramorto.
“Ah”
La sala meeting cadde nel più profondo silenzio: Harry Potter si bloccò a pochi metri da Frank Paciock, pallido come un lenzuolo e con gli occhi spalancati dall'incredulità, mentre tutti quanti tenevano la bocca chiusa giusto per non essere Avakadedravizzati dal bambino sopravvissuto.
“Fammi capire bene: io mi sono fatto Londra-Hogwarts in volo per fare in modo che mia figlia scopasse Malfoy?” sussurrò con un tono mortalmente basso, fissando con lo sguardo spiritato il quasi figlio morto di Neville Paciock.
Frank tremò.
“Oltre che il danno anche la beffa, hm?” sibilò incattivito, volgendo lentamente il capo alla sua destra.
Il collo scricchiolò, i capelli neri come l'inchiostro gli caddero sullo sguardo gelido e un sorriso da psicopatico si dipinse sulle sue labbra pallide e sottili.
“Draco”
Malfoy sbiancò dietro le spalle di Ginny e questa s'immobilizzò, giusto per impedire a suo marito il secondo omicidio della giornata.
“Draco, amico mio...” continuò con voce acre Harry, sbattendo le ciglia civettuolo e fissando l'erede di Lucius come Satana in persona. Quando al quinto anno era stato posseduto da Voldemort era un perfettamente normale confronto a ora.
“Non è colpa mia!” sbraitò Draco, sempre nascosto dietro le spalle della Weasley femmina.
Insomma, ma che centrava lui con le relazioni sessuali di suo figlio? Scorpius era libero di andare a letto con chi voleva, mica era così idiota da impedirgli qualcosa che poi – testardo com'era – avrebbe fatto lo stesso.
“Gli spermatozoi sono tuoi, stronzo e visto che non posso ammazzare quel coniglio di tuo figlio... ammazzerò te!” sbraitò Harry, quasi ululando come un lupo ferito.
Scorpius si rilassò: menomale, stando alle spalle di Lily si era salvato quella pellaccia da serpente che aveva. Comunque non era servito ad un cazzo, se proprio il signor Potter voleva saperlo.
L'unica cosa che era cambiata in Lily erano i capelli, ma il resto era rimasto lo stesso; gli occhi cupi, la bocca violacea e la pelle attraversata da venature bluastre. Non era cambiato assolutamente nulla, nemmeno il proposito di vendetta che nutriva verso Diamond.
Nemmeno la prospettiva di morire per far rinascere il nemico secolare di suo padre.
“La sposerei, se lei non fosse diventata tutt'uno con i suoi demoni interiori” bisbigliò Scorpius, attirando l'attenzione dei due uomini che stavano litigando.
Lily non si mosse di un millimetro e lui socchiuse gli occhi grigi, poggiando una mano aperta sulla sua schiena scarna: poteva sentire la spina dorsale spingere per bucare la pelle e le ossa dello sterno quasi spezzarsi per il peso eccessivo di quella staticità improvvisa.
“Che cosa hai detto?” mormorò Draco a bassa voce, fissandolo mezzo sconvolto.
Scorpius sorrise – veramente questa volta – e appoggiò la fronte sul capo di Lily. Diavolo, l'avrebbe sposata anche in quel momento se la paura di perderla non fosse stata così forte da fargli mancare il fiato.
“Mi sembra di conoscerla da sempre, in ogni modo possibile.
Io so com'è quando si sveglia la mattina e non ha nemmeno la forza di aprire bocca, se non per sbadigliare; io so che non le piace il caffè, ma quando proprio non riesce a svegliarsi ne ingurgita a quintali.
So che è gelosa, ma so anche che preferisce mangiarsi le nocche piuttosto di dirmi che lei deve essere l'unica su cui deve posarsi il mio sguardo.
Io so quello che riesce a farla sorridere e il suo profumo, i suoi passi e il suo modo di camminare.
E adoro i suoi difetti come i suoi pregi. E adoro il suo modo d'arrabbiarsi come il suo modo di ridere.
Adoro la sua testardaggine come la sua dolcezza. Amo il suo lato acido come i suoi baci improvvisi.
Quindi ditemi quello che volete... ammazzatemi se volete, ma io cercherò di proteggerla anche quando non vorrà. Ma io – una volta finita questa storia – la sposerò lo stesso” disse Scorpius, determinato, lasciandoli senza parole.
Draco sorrise, scuotendo il capo: quanto poteva essere orgoglioso di suo figlio? Lui, che con le sue scelte non stava facendo altro che accrescere l'orgoglio di quel padre sbagliato.
Suo figlio stava scegliendo e lo stava facendo nel mondo giusto; a diciassette anni si stava rivelando l'uomo che lui stesso non aveva mai avuto il coraggio d'essere. E continuò a sorridere, perché Draco Malfoy non poteva chiedere di meglio.
Non poteva chiedere un figlio migliore.
“Se c'è Potter io non vengo” cinguettò Draco tutto melenso, beccandosi un dito medio dal suo nemico di sempre.
“Figuriamoci se ci sei tu” rispose Harry a tono.
E la cosa era appurata: quei due non sarebbero cambiati mai.

 
***

Aveva le ginocchia scarne portate al petto e la guancia sinistra poggiata sulle gambe: le braccia esili si abbracciavano e gli occhi azzurri fissavano il soffitto, inespressivi.
Aveva due occhiaie bluastre che gli solcavano il volto e gli smagrivano le guance già scavate, mentre la bocca era violacea e stretta in una linea sottile.
Una sigaretta bruciava inesorabile tra le sue dita – la cenere qualche attimo prima gli aveva scottato la mano – ma lui continuava a restare immobile, come avvolto da un coma profondo.
Alice si chiuse la porta principale del bagno alle spalle, ignorando il proprio riflesso alla sua sinistra: era così furiosa che non vedeva altro se non la persona rannicchiata sul pavimento.
“L'hai fatto di nuovo” bisbigliò con voce roca, stringendo i pugni così forte da sentire le unghia graffiargli i palmi, ma continuando lo stesso a spingere.
Il dolore la teneva sveglia, viva, arrabbiata. E lei doveva essere furiosa, non impietosita dallo stato di Scamandro.
Lysander nemmeno la guardò, limitandosi a sorridere per la propria debolezza. A sorridere perché era la seconda volta che lei lo trovava in quelle condizioni e si arrabbiava così tanto da tremare come una bambina.
“L'hai fatto di nuovo!” urlò Alice, infilandosi le mani nei capelli come una disperata.
Lui si portò una mano sul viso e finalmente la guardò in faccia – mordendosi le nocche con rabbia; sembravano così vuoti quegl'occhi... ora sembravano non avere alcun significato. Erano semplicemente due pozzi inarrestabili che cercavano una via d'uscita in un modo che non portava da nessuna parte.
Lysander abbassò il capo e affondò i denti con ancora più forza nella mano destra, mentre con la sinistra si tirò una ciocca di capelli con violenza; era dimagrito ancora e oramai non si teneva più in piedi.
“Guardami” soffiò Alice, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e alzando orgogliosamente il mento.
Lysander scoppiò a ridere, lasciando scivolare la mano martoriata sul pavimento gelido – ma continuando a nascondersi dietro quel braccio scheletrico.
“Se non vuoi smettere, lo dirò a tuo fratello” sibilò incattivita, avanzando con la bocca serrata in una linea sottile. Sembrava trattenersi dallo sboccare veleno e investirlo in pieno.
Lui si stava facendo male da solo e lei voleva ferirlo ancora di più... ma per la prima volta in vita sua, con Lysander Scamandro, si stava trattenendo. Non voleva ucciderlo più – era stanca di combattere.
“Smettila!” urlò Lysander, alzandosi e affannando con il petto.
Era così magro che la schiena sembrava potersi spezzare da un momento all'altro e ora la guardava con la solita furia che li aveva portati a graffiarsi e odiarsi ogni giorno di più. Ma ora lo sguardo non era ricambiato, perché Alice aveva intenzione di smettere.
Di smettere di uccidersi e ucciderlo.
“Lo dirò a tuo fratello e, Lysander, potrai nasconderti agli occhi di tutti... ma anche i muri hanno le orecchie e io lo verrò a sapere comunque.
Ho avuto a che fare con i tossici per tutta la mia vita” sussurrò Alice, mentre Lys sogghignava in un modo che non gli apparteneva e rovesciava il capo all'indietro.
“Già... come sta tuo padre?” ridacchiò, facendola indietreggiare per il dolore assurdo che le aveva causato con quelle parole.
Sentì il cuore incrinarsi nello stesso istante in cui lui posò lo sguardo su di lei – godendo nel vederla affannare con il petto.
“Spero che questa merda ti porti via tutto e ti sotterri così tanto da toglierti anche la dignità” mormorò Alice, guardandolo disgustato.
Lysander continuò a sorridere e lei gli diede le spalle, sentendo le viscere attorcigliarsi in un modo così prepotente da portarle la nausea: questa volta avevano toccato il fondo e se Scamandro aveva la convinzione che sarebbe tornata da lui come niente fosse... beh, si era sbagliato.
Non voleva nemmeno respirare la sua stessa aria!
“Ci sotterreremo insieme, Paciock” soffiò alle sue spalle.
Ma Alice lo ignorò: afferrò la maniglia della porta principale del bagno di Mirtilla e proprio mentre si affrettava ad uscire e lasciarsi tutto alle spalle – persino lui, soprattutto lui – Lysander l'afferrò per un polso e la tirò nuovamente all'interno.
La abbracciò di spalle e posò il mento sulla sua spalla, stringendo il suo seno sinistro tra le dita della mano che prima si era morso fino a portarla a sanguinare e sentì perfettamente il cuore battere velocemente.
Aspirò il suo profumo e socchiuse ancora una volta gli occhi, stringendola fino ad imprimersela contro. Fino a sentire la sua vita più sicura – fino a sentire quel filo su cui era sospeso più spesso, sicuro.
Come faceva a dirle che nonostante la ferisse nello stesso momento in cui aprisse bocca lei era l'unica che riuscisse a farlo sentire vivo? Come faceva a dirle che la sua vita era diventata una routine che lo uccideva e non riusciva più a vivere come prima?
Si sentiva così spento.
“Non te ne andare” le disse all'orecchio, con una voce che la portò a trattenere l'ennesimo singhiozzo causato dalla sua stupidità.
Merlino, era uno stupido!
“Lasciami, Lysander” annaspò Alice, sentendo gli occhi inumidirsi sempre di più.
Ma lui questa volta non l'ascoltò: la strinse con ancora più forza e singhiozzò anche lui – spezzandole il cuore in mille pezzi.
“Non andartene” singhiozzò ancora lui, scuotendo le spalle per i singulti violento che lo colsero improvvisamente.
“Vacci da solo all'inferno, Tom!” e Lysander fece appena in tempo a chiudersi in uno dei cunicoli insieme ad Alice prima che una furia aprisse la porta del bagno.
“Mi dici che ti prende?” domandò il ragazzo, sorpreso – seguendola come un cucciolo bastonato.
Rose lo fissò con rabbia e Alice fucilò Lysander con uno sguardo, visto che con la scusa di essere chiusi nel bagno le stava palpando il fondo schiena.
“Dimmelo tu!” sbraitò la ragazza, riavviandosi i riccioli ribelli con un gesto secco. Non sortì l'effetto desiderato perché le dita rimasero impigliate a metà.
Tom sospirò, coprendosi gli occhi con una mano.
“Non lo so, Rose. Se non me lo dici non posso saperlo” mormorò, guardandola quasi disperato.
Insomma, che aveva fatto di male? Da quando avevano deciso di provarci l'aveva trattata come una principessa e ci era andato con i piedi di piombo a differenza di Joe.
“Sei triste” bisbigliò la Weasley, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi e inghiottendo a vuoto.
Era triste e molto probabilmente lei conosceva anche il perché. E le faceva male tutto quello.
Da quando Lily era stata attaccata, loro erano dovuti ritornare alla loro realtà scolastica; avevano dovuto riprendere gli studi, le lezioni...e lui davvero si era comportato bene con lei.
Le prendeva la mano per i corridoi e l'aiutava con i compiti, la baciava la mattina quando s'incontravano a colazione e le portava i libri da una lezione all'altra. Ma Rose sentiva che c'era qualcosa che non andava.
Rose lo sentiva lontano, inafferrabile come fumo e aveva paura; per Rose era tutto così nuovo e sospettare che Tom pensasse alla situazione di Joe le spezzava il cuore.
Si sentiva così inferiore. Così piccola messa in confronto e aveva il cuore a pezzi.
“Non sono triste” si accigliò Tom, sbattendo ripetutamente le ciglia – sorpreso.
Rose alzò gli occhi verso il soffitto incrostato e sorrise, amara. Lo era e si notava così tanto che sembrava portare con sé una nuvola tossica; erano giorni che Tom aveva la testa da tutt'altra parte e si guardava attorno come se si aspettasse di veder comparire qualcuno al suo fianco da un momento all'altro.
“Hai ragione, non sei triste.
Sei a pezzi” sussurrò Rose, asciugandosi una lacrima che era scivolata fuori dal suo controllo con velocità – dando quasi l'impressione a Tom che non si fosse mai mossa.
Fece un passo avanti, ma lei indietreggiò insicura, senza nemmeno guardarlo in faccia: si mordeva le labbra con forza e il petto si alzava e abbassava ad una velocità impressionante.
“Rosie...” bisbigliò, quasi confuso da quello scoppio improvviso.
Lei scosse il capo e tirò su con il naso.
“Sei triste da quando Joe è in coma” disse finalmente, continuando ad evitare i suoi occhi blu.
Tom rilasciò un sospiro brusco – sgranando gli occhi, allibito; davvero lei credeva che fosse triste per Joe? Che si sentisse a pezzi per lei?
“Merlino...” soffiò, scompigliandosi i capelli con entrambe le mani e socchiudendo le palpebre.
Quanto rendeva cieco l'amore? Sviava e illudeva, mostrava cose non vere e spezzava i cuori ancora prima di avere sicurezze.
E Tom a volte lo odiava.
“Io non sono triste per Joe, Caposcuola” le disse, ignorando il fantasma di Mirtilla – che si era appena materializzato alle loro spalle.
Rose lo guardò sarcastica e lui sorrise, tendendo il braccio nella sua direzione: flesse le dita verso di lei in una muta richiesta.
“Certo, mi dispiace che sia capitato proprio a lei, ma il mio pensiero principale credo che sia proprio Dalton” borbottò burbero, grattandosi con l'altra mano il capo – quasi imbarazzato dalla situazione che si era venuta a creare.
Rose non accettò la mano, ma si sentì, ancora una volta, una stupida.
Quando si trattava di questioni amorose, sembrava che fosse un genio a sbagliare; aveva quasi messo da parte il fattore amici. Quasi aveva dimenticato di Scorpius e Dalton, che potevano considerarsi l'unica famiglia di Thomas.
Morgana, quanto era stupida!
“Sono così abituato ad averli attorno da quando sono praticamente nato che ora mi sento solo.
Mi manca la stupidità di Dalton e persino lo sbraitare di Scorpius la mattina; mi mancano i loro litigi, gli insulti... e tutte le abitudini che abbiamo avuto durante questi anni.
Mi dispiace averti dato l'impressione di stare male per un'altra” continuò Tom, senza mai abbassare il braccio.
La guardava in attesa e voleva davvero toccarla – per sentirla ancora lì accanto a lui. Voleva davvero toccarla per constatare che fosse ancora sua, perché certe volte – se ne rendeva conto lui stesso – era proprio stupido; doveva parlarne con Rose, confessarle che stava male per quella situazione e Tom sapeva che lo avrebbe abbracciato com'era solito fare lei, senza vergogna.
Rose lo avrebbe consolato e gli avrebbe detto che per ora ci sarebbe stata lei a sopperire l'assenza dei suoi migliori amici, anche se non era la stessa cosa.
“Rose” la chiamò, mentre sentiva il cuore aumentare di battito e quasi strappargli il respiro.
No, non poteva andare via per una stupidaggine del genere. Non poteva lasciarlo per non averle confessato quella sciocchezza, quella stupida debolezza.
“Tu lo sai... tu sai che tengo a te.
Sai che sei diventata parte di me” sussurrò Tom, quasi ansimando.
Qual'era la sua paura? Credeva davvero che potesse lasciarla per Joe?
Voleva bene a Joe, questo lo sapevano anche i muri. Ci era stato male quando aveva saputo che lei – nonostante tutto – avrebbe scelto Dalton, ma Tom sapeva combattere per una persona tanto quando sapeva di dover lasciar perdere.
E ora Rose lo fissava con gli occhi umidi.
“Io so che... io lo so che sono stupido, a volte. So che meriterei tante di quelle sberle da farmi perdere il senno, ma sono sicuro, Rosie.
Sono sicuro di me quando ti dico che da quando ci sei tu – con me – le cose sono più belle. Sono sicuro di me quando ti dico che da quando ci sei tu, con me, le mie giornate sono più piene.
Mi piace quando ci chiudiamo in biblioteca e facciamo tutto tranne che studiare; mi piace quando a pranzo – nonostante sei di Grifondoro – ti siedi accanto a me e cominci a sbuffare e a raccontarmi tutta la tua giornata.
Mi piace perché prendi iniziativa, perché sei sicura su ogni cosa, tranne quando si tratta di me.
Mi piaci perché mi hai dato il primo bacio e io so che non sarà l'ultimo.
Mi piaci perché a costo di darmi la buonanotte cammini di notte per i corridoi, sfruttando il tuo posto da Caposcuola – quando non l'hai mai fatto per nessuno.
E fai tutto per me, come non ha mai fatto nessun'altra” disse, sicuro come non lo era mai stato.
Rose lo fissò incerta e lui le sorrise, incoraggiante.
“Mi dispiace aver dubitato di te” miagolò con vocetta affettata, attorcigliandosi le mani sudate e fissandolo con gli occhioni spalancati.
Tom sorrise e indicò con il mento il braccio che ancora le tendeva: lei si aggrappò alle sue mani e lui se la strattonò contro, abbracciandola di slancio.
“La mia bellissima e testarda Caposcuola...” soffiò al suo orecchio, mentre Rose allacciava le braccia al suo collo e affondava il viso nella sua spalla.
“...Io sceglierei sempre e solo te, Tom.
Sempre” mormorò Rose, strappandogli un sorriso a piene labbra.
Oh, lo sapeva eccome. Non c'era sicurezza più bella e non provava quella sensazione da secoli: lui sapeva che lei lo avrebbe scelto sempre e comunque ed era bellissimo.
Ed era meraviglioso.
“Anche io” rispose, mentre Alice mimava di ficcarsi due dita in gola a quella dichiarazione.
Lysander – alle sue spalle – le baciò il collo.
“Non toccarmi, porco” sibilò Alice a bassa voce, cercando di scrollarselo di dosso e non farsi sentire, nello stesso momento, da quei due lì fuori.
Lysander sogghignò – abbracciandola così stretta da farle mancare il fiato.
Ora Alice lo sentiva: il cuore cercava di schizzarle fuori dal petto e non era normale dopo quello che le aveva detto. Lysander le aveva ricordato quello che aveva passato con suo padre.
Lysander le aveva ricordato le notti passate in bianco, le urla, i pianti di sua madre e le botte. Il caro Neville... il dolce Neville – il suo amato padre, che di giorno era il papà migliore al mondo, ma di notte cadeva di nuovo in quel vortice che l'aveva divorato subito dopo la seconda guerra magica.
Ecco perché Alice era così dura. Ecco perché era così protettiva verso quello stupido di suo fratello: da piccoli era lei che lo proteggeva. Era lei che lo abbracciava e gli cantava la ninnananna, per sovrastare le urla dei suoi genitori.
Frank era così debole e piangeva così tanto quando sua madre rinfacciava a suo padre che non era in grado di prendersi cura della sua famiglia; e Neville si rannicchiava in un angolo e si copriva le orecchie come un bambino – fino a stancarsi e urlare a sua volta.
Fino ad uscire di casa e andare alla ricerca di quella droga. Alice conosceva bene il suo nome: memoriae. Si assumeva in endovena e – per ventiquattro ore – chi ne era assuefatto si spegneva completamente, come avvolto da una specie di coma. Sembrava che portasse a galla i ricordi più belli di una persona ed era una droga magica, in esperimento, ma molto pericolosa: bruciava i neuroni ad una velocità incredibile e portava, dopo anni, ad uno stato d'Alzheimer avanzato.
“Smettila con quella merda, Lysander” bisbigliò Alice, ricordando suo padre e i suoi cambi di umori improvvisi, la sua irritabilità – la difficoltà nell'esprimersi, nel parlare – e la parte più brutta. La parte che aveva ucciso sia lei che suo fratello.
Lui ricordava i suoi piccoli bambini, quei pargoletti che avevano preso il nome dei suoi genitori... ma non ricordava di quei due ragazzi – così grandi, ora così meravigliosamente responsabili.
“Non ce la faccio” rispose Lysander a bassa voce, affondando il naso nei suoi capelli e socchiudendo gli occhi, dispiaciuto.
Alice si girò in quell'abbraccio e lo guardò determinata – ritta come una regina; Lys si chiedeva come il cappello avesse fatto a smistarla a Tassorosso: lei era coraggiosa come un Grifondoro, leale e sprezzante alle regole.
Lei era cattiva, ambiziosa e solitaria come un Serpeverde, intelligente come una Corvonero... ma Alice aveva costanza e pazienza e la sua testa dura non veniva scalfita da niente.
Per quel motivo era Tassorosso, perché ora le sue dita erano sulle sue guancia e lo stavano accarezzando con dolcezza. Nonostante fosse stato cattivo con lei. Nonostante avesse preso il suo cuore e l'aveva ferita.
“Dimmi che vuoi e io ti aiuterò” mormorò Alice, stringendo le dita tra i suoi capelli e causandogli quel poco di male che lo tenne sveglio.
Che lo tenne vivo tra le sue braccia.
“Dimmi che vuoi smettere e giuro che aiutarti sarà la mia priorità”
Lysander la guardò: smettere significava averla vicina. Significava capire se lei aveva davvero intenzione di stargli accanto o no.
Smettere significava farle capire che non aveva mai dimenticato quella notte dove avevano fatto l'amore. Farle capire che voleva ripetere quell'esperienza altre mille volte.
“Voglio smettere”
E Lysander si meritò un sorriso che gli illuminò il cuore e anche l'anima.

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Capitolo 24
*** Capitolo ventitresimo - Opaco ***


Capitolo ventitreesimo –
Opaco




Aveva le gambe nude e bianche che ciondolavano oltre il bancone ed Harry notò – non senza sorridere – un mucchio di efelidi partire dall'interno coscia e finire, in una treccia tribale, sulle ginocchia; i piedi erano nudi, come quando la portava al mare e lei correva per la spiaggia come se non avesse mai provato una sensazione del genere – quando magari ci erano andati nemmeno due giorni prima e aveva fatto la stessa identica cosa.
Il vestito nero che indossava sembrava impalpabile su di lei ed era largo sul seno – ora quasi inesistente – e sui fianchi: era dimagrita così tanto che Harry riusciva a contarle le costole e le ossa dello sterno, ora immobile. Ora avvolto da una staticità quasi dolorosa.
Lily lo guardava ed Harry riusciva a vedere la sua bambina anche attraverso quelle iridi nere come l'inferno. Harry Potter riusciva a vedere la sua anima pura anche se sopraffatta dal marcio – dallo sporco.
“Non lascerò che lui ritorni, papà” sussurrò con tono lieve, flebile, stanco.
Harry la fissò sorpreso e lei accennò ad un sorriso – di quelli rari, che oramai non vedeva da quando si era trasformata completamente.
“Guardami” sussurrò il bambino sopravvissuto, afferrandole il mento con due dita e costringendola a ricambiare il suo sguardo.
Una ciocca dei suoi capelli rossi gli sfiorò la mano e lui poté sentire la morbidezza contro la pelle: continuava a ricordare quando lei era solo una bambina e lui adorava spazzolarle quella meravigliosa chioma rossastra; Lily non lasciava che sua madre la pettinasse – a differenza delle altre bambine – ma aspettava la fine del suo turno per fare in modo che lo facesse lui.
Harry amava farlo. Quei capelli gli ricordavano sua madre e l'odore di miele e gigli gli era così familiare che non riusciva nemmeno ad andare a dormire se prima non ne sentiva il profumo: per quel motivo Harry, anche quando lei era partita per Hogwarts – prima di spegnere le luci, entrava nella sua stanza e stropicciava le lenzuola del suo letto.
“Non ho mai voluto che tu entrassi in questa storia. Mai” bisbigliò, sentendo le viscere attorcigliarsi.
Lui non voleva nemmeno che quella storia si ripetesse. Aveva sperato... aveva pregato perché tutto quello non riaccadesse, ma tutto ciò che aveva sempre temuto era accaduto e forse anche in una forma peggiore di come lui s'immaginava; dopo anni passati a combattere Lord Voldemort e poi tutto crollava. E poi tutto andava in frantumi.
“Io non voglio essere protetto, Lily. Non ho bisogno che tu mi protegga, ma ho bisogno che tu viva.
Ho bisogno che tu viva, perché non m'importa niente di sopravvivere senza di te. Non m'importa niente del resto se non ci sei tu, Lils” soffiò distrutto, affondando le dita con forza nella pelle morbida del mento.
“Papà, ho un piano” disse la ragazza, piano – mentre le vene bluastre sul suo volto quasi si muovevano in sincrono, creando uno spettacolo unico e... incredibile.
“Se serve un cuore oscuro per far rivivere Lord Voldemort, io posso usare lo stesso incantesimo... ma volgerlo a mio favore.
Sangue del nemico – e sarà quello di Diamond, prelevato con la forza. Affinché il resuscitato possa continuare a combattere.
Carne del servo – e sarà la tua, papà, sacrificata con consenso. Perché con il tuo amore ti sei piegato letteralmente a lui. E perché il suo cuore possa ritornare a battere.
E il cuore di qualcuno che il suo stesso sangue nelle vene – qualcuno che ha combattuto per il male, ma ha uno sprazzo di luce che si insidia in sé. Cattivo sangue non mente mai e nemmeno il suo, papà” disse frenetica, delineando quella follia che da tempo si affollava nella sua mente.
Tutto, tutto era perfetto e niente sarebbe stato lasciato al caso.
“Di chi... d-di chi stai parlando?” balbettò Harry, ansimando ripetutamente per l'ansia che gli avevano messo quelle parole.
Lily sogghignò e mai, mai Harry aveva visto qualcosa di così cattivo. Nemmeno ai tempi di Lord Voldemort.
“Sai chi erano i genitori di Diamond, papà?” ridacchiò Lily, rovesciando il capo verso l'alto e fissando il soffitto – tornato nuovo dall'ultima volta che l'aveva distrutto.
Draco Malfoy si bloccò sull'uscio della porta e lei sembrò sentirne l'odore, perché lo fissò con la bella bocca di more tesa in un sorriso subdolo.
“Avete tutti quanti lo stesso odore, voi Malfoy.
Qualcosa che assomiglia alla terra e alle rose nere che crescono nello Yorkshire – dove la leggenda dice che il corpo straziato di duecento bambini ha fatto da concime per la loro crescita.
E io l'ho sentito su di lui, dentro di lui. È come un edera velenosa – una nube tossica che lo avvolge e lo rende riconoscibile ai miei occhi.
Diamond ha lo stesso odore di Scorpius quando è arrabbiato o infelice e questo significa solo una cosa...” sussurrò Lily con voce roca, usando un timbro ammaliante, quasi incantatore.
Sembrava un serpente. E stava per colpire.
“Per caso mamma e papà ti hanno nascosto un fratellino, amore?”
Draco indietreggiò per la portata di quelle parole che – volente o nolente – lo colpirono dritto al petto: lei aveva ragione, solo i Malfoy di sanguepuro avevano quell'odore così strano, certe volte così nauseabondo...e in qualche modo – in qualche strana stronzata del destino – quel Diamond ce l'aveva.
“No” disse Draco, duro, indurendo la mascella.
Lily sospirò e scivolò dalla tavolata di cedro scuro su cui era stata seduta fino a quel momento: lo raggiunse leggiadra, con un movimento leggero dei fianchi. Ed era tanto bella quanto terrificante.
“Dammi la mano” mormorò a pochi centimetri da lui – mentre Harry continuava a rimanere immobile, come pietrificato, seduto accanto al tavolo.
La sala meeting del Ministero non era mai stata così tanto silenziosa e Draco cominciò a temere che il suo cuore potesse sentirsi tra tutto quel silenzio: faceva tanto – troppo rumore.
“Non farmi essere ripetitiva” bisbigliò Lily, ignorando la venuta di Hermione.
Era ancora vestito di nero e la Potter sorrise, afferrando di per sé il braccio del padre di Scorpius: quasi gli strappò le maniche della camicia per fissare le vene spiccare a contrasto con la carne pallida.
Questo ti farà un po male” e non finì nemmeno di pronunciare la frase che le sue unghia divennero lunghe più di venti centimetri e si conficcarono proprio nella piega del polso: Draco gemette ed Hermione sobbalzò, affiancandolo in men che non si dica.
“Che diavolo stai facendo?” sibilò con voce acre, fissandola a mo' di sfida.
Lily non batté ciglio né di fronte alla sua rabbia né al sangue che, oramai, le colava lungo le dita.
“Quando ho attaccato Diamond, credo di essere stata imbrattata con il suo sangue... e ne ricordo l'odore, la consistenza. Ricordo quasi ogni molecola, il colore, la provenienza” spiegò Lily con voce stucchevole – facendo rivoltare le viscere ai presenti.
Draco rovesciò gli occhi grigi verso quelli bruni di Hermione, che ricambiarono pienamente. La fissarono feriti, oltraggiati.
Il suo principe di ghiaccio ancora veniva ferito dagli eventi – da quel passato che continuava a tormentarlo.
“Ha il tuo stesso odore, lo stesso colore che quasi confina con il nero.
Mi sembra di essere sommersa dallo stesso sangue” mormorò la rossa ed Hermione sapeva che non stava mentendo.
Quella magia che le pompava dentro riuscivano a rendere quel nasino quasi oro colato. Ma stavano ferendo Draco.
“No...” bisbigliò Malfoy, scuotendo il capo e fissandola supplicante.
Sembrava pregarla di dire qualcosa, di dissentire quello che stava dicendo quella ragazza che aveva ancora il suo sangue sulle mani; Lily continuava ad infangare la memoria di quelle due persone che avevano ucciso il Draco adolescente, ma che l'avevano amato.
Oh, se lo avevano amato.
“Mi dispiace” disse Lily, sciogliendo la presa su di lui e allontanandosi di un passo.
Draco affannò con il petto e si guardò la ferita con un angoscia che nemmeno durante la seconda guerra magica l'aveva arpionato. Perché?
Perché non sapeva l'esistenza di quel fratello? Perché i suoi genitori l'avevano abbandonato? Cosa si celava dietro tutto ciò?
Hermione gli appoggiò una mano sulla spalla, scuotendolo e affondando le dita nel maglione, poi nella camicia e infine nella carne; erano così vicini che lui poteva sentire il suo calore, il suo profumo e il pompare spasmodico di quel sangue che li aveva sempre divisi. Che continuava a dividerli.
“Draco...” lo chiamò Hermione, quasi imperiosa nei suoi modi di fare da leonessa.
Draco. Non l'aveva mai chiamato così, mai, ma il suo nome tra le sue labbra aveva un sapore diverso. Un suono così stonato – ma giusto, da fargli tremare le ossa.
“Tu non hai nessuna colpa.
Non potevi saperlo”
Oh, Hermione conosceva bene i suoi punti deboli, nonostante non le avesse mai dato modo di conoscerli. E sapeva quali tasti toccare – quali evitare e la adorava per quello; la fissò, questa volta coscienzioso, e lei sorrise tremula.
“Una volta li ho sentiti litigare. Li ho sentiti parlare di questa cosa che dovevano nascondere... ma non gli ho dato peso.
Non gli ho dato peso e guarda cosa ne è venuto fuori” gemette, scuotendo il capo e lasciando che alcune ciocche gli ricadessero dinnanzi agli occhi.
Hermione continuò a sorridere e gli riportò la frangia dietro l'orecchio – sospirando.
“Tu non hai nessuna colpa di quello che fanno i tuoi genitori, smettila di darti la colpa per loro.
Tu non sei né Lucius né Narcissa. Tu sei Draco Malfoy e come tuo figlio, non hai nessuna colpa” continuò con la sua nenia, causandogli un brivido. Causandogli il solito acceleramento del cuore.
Hermione Granger continuava a farlo sentire un eterno adolescente insicuro, era quella la realtà scomoda; con Hermione Granger si sentiva un ragazzino impacciato – un ragazzino che non era mai stato con nessuno – ed era una sensazione meravigliosa.
“Le mie parole non erano vuote, piccioncini.
Quando ho parlato della formula – su ciò che useranno loro volto a nostro favore – parlavo della morte di Diamond e... la vita di Sirius Black” sussurrò Lily, facendo scendere il silenzio sulla sala.
Nessuno fiatò e molteplici occhi si posarono su di lei: oh, era furba la piccola Lily, tanto furba da aver elaborato un piano di quell'elevata follia da sola; sapeva com'era morto Sirius Black e sapeva che l'unico arco rimasto risiedeva proprio lì, al ministero.
Bastava solo farsi trovare al momento giusto e sapere il momento dell'attacco decisivo... e Lily li avrebbe trascinati dritti lì – dove un corpo sarebbe ritornato alla vita. Dove un anima sarebbe ritornata indietro, con la forza.
Ora rimanevano solo pochi punti interrogativi: perché Narcissa e Lucius Malfoy non avevano voluto quel figlio e perché proprio lui era andato alla ricerca dei servi di Lord Voldemort, per fare in modo che lui rinascesse?
E lei, così piccola e fragile, sarebbe riuscita a portare a termine un incantesimo di quella portata?
Quell'ultimo quesito, Scorpius – che era appena comparso alle spalle del padre – proprio non riusciva a risolverlo; gli premeva dentro, lo uccideva, ma non aveva risposta... come non l'aveva avuta durante la sua trasformazione o durante tutta la loro relazione.
Perché diavolo si era innamorato di una Potter?
“Davvero, credo che le cose peggio di così non possano andare” sospirò Scorpius, socchiudendo gli occhi grigi pesantemente.
Lily gli rivolse un sorriso così angelico che – per un attimo – ne ebbe paura.
“Apparte Diamond che in realtà è tuo zio? No, non credo che possano andare peggio di così” cinguettò melensa, facendolo sbiancare pericolosamente.
“Quel...quel basta...mio cosa?” balbettò, fissando suo padre sconvolto e furente: Draco alzò le mani in segno di difesa – quasi sconfitto – e gli fece un sorriso che sapeva di scuse. Che sapeva della richiesta di un perdono.
“La tua ragazza dice che puzziamo” si giustificò, facendogli strabuzzare gli occhi.
“Eh?” sbottò Scorpius, senza capirci più niente.
Lily diceva in giro che puzzavano? La fissò stranito e lei alzò gli occhi completamente neri al cielo, scuotendo il capo per l'esasperazione che le portavano quelle persone.
“Ma sì, la tua ragazza dice che noi abbiamo una puzza speciale... e che Diamond ha la nostra stessa puzza” spiegò meglio Draco, in realtà senza spiegare un emerito cazzo.
Santo Merlino, ma che voleva dire con quella cosa della puzza?
“Illuminante, Malfoy... non avrei saputo spiegarlo meglio” sbuffò Harry, guardando il nemico di sempre come se fosse impazzito.
Ma era scemo o cosa, per caso?
“Ogni essere umano ha un odore specifico, Scorpius. È come quando entri in una casa e vieni avvolto da un profumo nuovo – ma nello stesso istante conosciuto: ecco, quell'odore appartiene alle persone che vi abitano e vale lo stesso per la loro pelle.
Noi mortali siamo troppo sensibili per poterlo percepire, ma riusciamo lo stesso a distinguere un profumo da un altro – mentre vampiri, licantropi, demoni... beh, per loro è quasi naturale. L'odore della pelle delle persone, per loro, è come se fosse composta da una boccetta di profumo intera e in questo modo la distinguono perfettamente dall'altra.
Ora che il naso di Lily è più sensibile riesce a visualizzare e percepire il profumo della pelle di una persona – del suo sangue. E voi e Diamond sembrate fatti della stessa passa” disse Hermione – pragmatica e perfetta come sempre.
Gli occhi grigi di Scorpius si ancorarono in quelli della Potter e questa ricambiò senza mai distogliere lo sguardo: lui ci sarebbe stato ore a guardarla – a godere di quegli occhi senza senso, senza fondo; anche se erano cupi.
Anche se faceva male solo a guardarli, Scorpius ci sarebbe stato giorni, mesi, anni in quel modo. Solo a fissarla. Solo a godere del mondo che promettevano senza nemmeno muoversi – senza nemmeno sbattere le palpebre.
“Ho trovato un modo per mettere fine a questa storia” bisbigliò Lily.
Oh, Scorpius aveva notato quel cambiamento in lei: ora sembrava meno cattiva, più accorta ai suoi cambiamenti d'umore – al fatto che la volesse sana e salva e più lontana possibile da quel psicopatico di Diamond.
“Ti metterà in pericolo di morte?” mormorò Scorpius a bassa voce, lasciando che lei lo prendesse per mano con una delicatezza che non le apparteneva.
Lily appoggiò il mento sulla sua spalla e sentì il suo corpicino collidere con il proprio – con una perfezione quasi maniacale. Ogni suo osso sembrava coincidere con il proprio e ogni sua membra si adattava con una precisione morbosa. E lui amava quell'ossessione che li rendeva praticamente completi – ideali.
“No” rispose Lily – spostandogli una ciocca scomposta di capelli dagli occhi con un soffio.
“Mi sei mancata” bisbigliò Scorpius, poggiando la guancia sulla sua testa e godendosi la sensazione di calore che emanava.
La sentì sospirare.
“Non è cambiato niente” mormorò Hermione, passandogli a fianco e gelandolo sul posto, superandolo e uscendo dalla sala senza più parlare.
Non era cambiato niente, nemmeno lei.
In special modo lei. E questo continuava a ferirlo. E tutto ciò continuava ad ucciderlo. Rivoleva la sua Lily.
“Dov'eravate voi due?” Harry Potter affilò lo sguardo e pure la lingua, fissando suo figlio e sua nipote che erano appena entrati nella sala meeting nel più totale silenzio.
Ma James aveva sfiorato il gomito di Dom – apparentemente indifferente – e l'aveva superata di poco, con un sorriso sereno sulle labbra e gli occhi di chi, in quel momento, sapeva cosa voleva e ce l'aveva esattamente tra le mani.
“Abbiamo bevuto un caffè” sospirò la bionda, sorridendo agli Auror che avevano appena varcato la soglia – pronti per la prossima riunione.
Alcuni sospirarono, altri ricambiarono con troppa eccitazione – beccandosi un occhiataccia da parte di James – e Draco scosse il capo: Potter doveva essere davvero cieco per non accorgersi di niente. Per non notare quello sguardo.
James andava pazzo per la Weasley e l'avevano notato persino alcuni Auror che frequentavano spesso il quartier generale. Una cugina non si guardava in quel modo – non si toccava così intimamente, come se la conoscesse a fondo. Come se fosse naturale affondare le dita con maggiore forza nella sua pelle – e lasciarne un segno – invece di un tocco casuale.
“Sì e io sono vergine” sibilò Draco, fissando il primogenito di Potter con un sogghigno sulla bocca sottile.
“Mi sembrava strano: Malfoy junior non ti assomiglia per niente” soffiò James, mandandolo in bestia.
“Mio figlio mi assomiglia... specie quando si fa tua sorella” sbraitò Draco, facendosi spuntare coda e corna.
Harry girò il capo a centosessanta gradi e se Scorpius arrossì come un bambino, James non trattenne il traverso di bile che gli salì in gola.
“Se è come lei stiamo apposto: Lily lo lascerà proprio come ha fatto sua moglie” cinguettò velenoso, mandandogli quella stoccata che andò a segno.
Harry diede il cinque a suo figlio.
Uno a zero per me, furetto! Pensò tutto orgoglioso, godendosi la scena senza esserne protagonista.
Com'era bello guardare Malfoy litigare senza doversi fare salire il sangue al cervello... ed era ancora più bello vedere che veniva zittito da suo figlio!
“Almeno io non mi scopo mia cugina” sussurrò Draco a bassa voce, facendolo sbiancare.
Blaise, che stava passando da lì proprio in quel momento, si bloccò di scatto.
“A quest'età ti scopi ancora tua cugina? Draco, queste sono cose che si fanno da adolescenti, ora è da pervertiti... da te non me lo sarei mai aspettato!” disse sinceramente oltraggiato.
Draco prima gli menò un calcio negli stinchi e poi lo mandò a fare in culo, giusto perché stava sempre in mezzo ai coglioni.
“Tu non schiatti mai, vero?”
“Ma schiatta tu!
Non lo so, guarda questo” rispose Blaise indignato, incrociando le braccia al petto e facendogli la linguaccia.
Asia, che era alle spalle del marito, fissò gli occhi in quelli di Lily e quest'ultima – nonostante la mancanza di parole – capì.
“Non posso, signora, non sono onnipotente.
L'incantesimo verrà interrotto nell'esatto momento in cui colui che l'ha lanciato muore. E Diamond mi serve vivo” mormorò la rossa, ricambiando il suo sguardo senza particolare inflessione.
Asia si strinse in un abbraccio e sospirò pesantemente, mordendosi la bocca carnosa: voleva suo figlio indietro. Voleva suo figlio vivo e le faceva male tutto quello.
“Cerchi di essere più presente quando Dalton aprirà gli occhi. Venire ignorato da quando è nato non lo ha aiutato molto ed è vero che per quelli come noi non c'è via d'uscita... ma c'è sempre la salvezza” disse Scorpius, senza mai guardarla in faccia.
Asia fece una smorfia – senza saper rispondere; era vero, non era mai stata una madre perfetta: era stata così assente... ma aveva creduto che a Dalton sarebbe bastato essere libero e avere il mondo in mano per essere felice.
Eppure ancora una volta si era sbagliata. Dalton non era lei, che aveva sempre voluto avere la libertà di poter respirare e magari correre e sporcarsi come chiunque bambino, adolescente e adulto.
Non aveva voluto privarlo di essere se stesso, ma in quel modo era solamente riuscita a farsi odiare.
“Ha la mano stretta a quella ragazzina” rispose Asia, che nel suo pantalone bianco e la maglia di seta rossa era ugualmente meravigliosa.
Blaise rovesciò il capo verso di lei e storse la bocca in un sorrisetto soddisfatto: era stata bella da ragazza – con quegli occhi azzurri e i capelli lunghi e bruni – ed era bella ora.
La sua eterna bambina.
“Quante volte devo ripetertelo? Joe è la sua ragazza” sbuffò Scorpius e Asia storse il nasino alla francese.
La sua bellissima ed eterna bambina, ecco cos'era sua moglie.
“Ha le tette che avevi tu prima che nascesse Dalton” cinguettò Blaise, facendosi guardare male.
Draco quasi si strozzò con la propria saliva e Scorpius arrossì all'immagine che gli era saltata alla mente.
“Va all'inferno” sbraitò Asia, perdendo la sua solita compostezza – come sempre in presenza di suo marito.
“Tesoro, dimentichi sempre che l'inferno è dentro me e io sono il diavo...” iniziò Blaise, venendo bloccato da una risata acida da parte di Asia.
“Sei ridicolo. Hai quarant'anni, fattene una ragione”
E batosta più grande non ci fu per Zabini, perché a quelle parole si zittì irrimediabilmente – con la bocca tremolante.
Bambina e pure stronza, quello non doveva dimenticarlo.
In fondo... era stato quello a farlo innamorare di sua moglie, no?

***


“La passi?”
Roxanne alzò gli occhi sulla persona che era appena entrata nei dormitori femminili di Grifondoro come niente fosse, varcando la porta della sua stanza con una flemma davvero invidiabile.
Lorcan inclinò il capo e le sorrise, riavviandosi con un gesto i capelli biondi e sedendosi con un sospiro sul divanetto al suo fianco. La sua stanza era piena di divanetti – a stento ci entrava il suo letto lì dentro – come se ci passassero più tempo estranei che lei stessa.
“Non sei Caposcuola, Weasley... perché hai una stanza tutta per te?” soffiò Lorcan, afferrando la canna che lui le stava passando con la sua solita aria perversa.
“I fascicoli” spiegò in due parole Roxanne, fissando il soffitto – cosa che faceva oramai da due ore buone.
Frank le aveva mandato il cervello in pappa con il suo comportamento e lo stava evitando da due giorni buoni – chiudendosi buona buona nella sua stanza solitaria.
“Hanno paura che tu ti metta a scavare nei loro bauli, Roxie?” bisbigliò Lorcan al suo orecchio, facendole venire la pelle d'oca per quel contatto ravvicinato.
Era vicino. Troppo vicino.
“Tu non hai paura, Scamandro?” sussurrò Roxanne, sporgendosi verso di lui e sorridendo.
Lorcan spense la canna nel posacenere di cristallo posto sulla moquette rossa – proprio vicino alla poltrona – e si avvicinò ancora di più alla sua bocca. Il suo respiro odorava di menta ed erba e i suoi occhi erano così luminosi che per un solo attimo, Lorcan, si chiese perché diavolo fossero ancora legali.
“In questo momento l'unica che deve aver paura sei proprio tu, fiorellino” soffiò il ragazzo e, sorridendo in un modo che non prometteva nulla di buono, le afferrò una ciocca di capelli con violenza e l'attirò a sé – baciandola.
Roxanne affannò nella sua bocca e gli incavò le guance con i pollici per poter permettere alla sua lingua di accarezzarlo meglio; Lorcan le chiuse i polsi tra le mani, affondando le dita nella pelle sensibile del polso e trascinandola sul pavimento – dove Rox sentì la moquette affondare nella sua schiena, morbida come una carezza.
Ora era su di lei e poteva sentire il suo bacino a contatto con il proprio – e le sue gambe intrecciarsi alla sua vita con un'agilità che non lo sorprese; Lorcan aveva sentito parlare di lei e del modo in cui faceva l'amore.
Gli avevano detto che era delicata – e questo glielo dimostrò il modo in cui gli stringeva il viso tra le mani, sommergendo le dita nei capelli biondi e baciandolo con una passione tale che lo infiammò dall'interno.
Gli avevano detto che era violenta – e questo glielo dimostrò quando invertì le loro posizioni, salendogli a cavalcioni e graffiandogli il collo con le unghia poco curate.
Lorcan affannò e lei sorrise, staccandosi dalla sua bocca solo per togliersi il maglione e la camicia della divisa: osservò la linea morbida dei fianchi e la curva piena del seno, il collo arcuato e la pancia completamente piatta; lentamente – quasi senza nessuna fretta – lei lasciò scivolare via la zip della gonna e, appoggiandosi con il petto al suo, si denudò.
Un respiro e Roxanne sorrise, quasi strappandogli la camicia per poter passare i polpastrelli lungo la linea dello stomaco e poi della pancia.
Due respiri e i pantaloni e i boxer fecero la stessa fine del resto dei loro vestiti – che avevano raggiunto il letto dall'altra parte della stanza.
Il caminetto era a pochi metri da loro e le fiamme quasi s'alzarono al cielo quando Roxanne scivolò su di lui. Ora era dentro di lei in un modo che lo sconvolse – mandandolo in tilt.
Era calda e lo avvolgeva interamente, trasmettendogli mille scosse lungo la spina dorsale.
“Non sono d'accordo, tesoro.
Di solito sono gli uomini che hanno paura di me” soffiò lei al suo orecchio, graffiandogli i bicipiti con un sorriso sulla bocca carnosa.
Ora i suoi capelli erano illuminati dal fuoco del camino e le dita di Lorcan si chiusero a coppa sul suo seno sinistro – dove sentiva il cuore galoppare; in quel momento adorò il suo modo di essere umana.
Il modo in cui le sue guance mulatte si tinsero di rosso e i suoi occhi bruni si appannarono dal piacere – scurendosi fino a confinare con un nero terribilmente spaventoso ed eccitante. Le sue gambe lo stringevano fino a fargli mancare il fiato e Lorcan poteva ancora sentire il cuore di lei battere all'unisono con il suo, stravolto dal piacere.
Adorò il modo in cui si muoveva su di lui, dondolando prima dolcemente – come a voler prolungare quell'attimo all'infinito – e poi accelerando, portandolo alla pazzia interiore. Portandolo quasi al limite dell'umana concezione.
Con le dita percorse le anche, stringendole senza delicatezza prima di risalire verso il petto – che affannava.
Roxanne gemette e Lorcan si alzò a sedere, facendola trasalire; ora erano così vicini che quasi potevano confondersi: Rox non sapeva dove iniziava lui e finiva lei e viceversa, in un modo quasi perverso d'amare.
La cosa stava degenerando e non le piaceva; erano così fusi insieme, così perfettamente incastrati da farla tremare.
Quello non era sesso e non le piaceva.
“Oh”
Quella terza voce la fece sobbalzare e Roxanne si scostò di scatto, sgranando gli occhi quando vide Frank fermo e pallido sull'uscio della porta.
Cazzo, pensò Roxie, sgranando gli occhi.
“Scusate, non volevo...non...” annaspò Frank, indietreggiando e finendo a toccare lo stipite con la schiena.
“Frank” lo chiamò Roxanne, calma, alzandosi e strafregandosene di essere nuda davanti a lui.
Non voleva... davvero non voleva che lui la trovasse in quella specifica situazione; non le piaceva il modo in cui aveva abbassato gli occhi – quasi ferito – e lo sguardo che le aveva lanciato, colpevole.
“Volevo solo dirti che ti cercava Alice” disse Paciock, uscendo di corsa dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Roxanne bestemmiò, afferrando di volata l'intimo e la divisa che aveva lanciato dall'altra parte della stanza.
No, no, no, pensò frenetica, vestendosi di fretta e furia e ignorando lo sguardo allucinato di Lorcan.
“Mi dici dove vai?” disse Scamandro, alzandosi dal pavimento con la bocca schiusa per lo stupore.
Roxanne a malapena lo degnò di un occhiata e si legò i capelli crespi in una crocchia veloce – lasciando la cravatta molle e i primi bottoni della camicia sbottonati.
“Ci vediamo dopo” borbottò, affrettandosi verso l'uscita di quella stanza che, oramai, era diventata troppo stretta.
Le stava mancando l'aria.
Cazzo, cazzo, cazzo, continuò mentalmente – prendendo lunghi respiri per cercare di calmarsi.
Frank aveva una tempestività del cazzo. Cazzo.
“Dove vai?” urlò Lorcan, afferrandola per un polso e bloccandola prima che fuggisse letteralmente via.
Roxanne rimase di spalle, immobile e marmorea.
“Lasciami” mormorò a bassa voce, mentre Lorcan – quasi come se si fosse scottato – faceva un balzo all'indietro.
“Non metterti allo stesso livello, non farlo... perderesti comunque” mormorò Roxanne, facendogli sgranare gli occhi.
Lorcan scosse il capo e sogghignò, quasi in pena per lei.
“Allora faresti bene a smetterla di scoparti altre persone sotto i suoi occhi. Non credo che a Paciock piacciano le troie” soffiò alle sue spalle, gelandola sul posto.
Oh, ma lei lo faceva apposta, forse Lorcan non lo sapeva. Lei voleva che Frank pensasse che lei fosse una stronza e le stesse alla larga in quel senso.
Non voleva ferirlo. Roxanne non era in grado d'amare e lo sapeva – l'aveva sempre saputo.
“Non credo che lo farò. Sai, a me piace cambiare” rispose, strappandogli una smorfia.
Con questo uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle: alzò il mento e ricacciò indietro le lacrime – forte come sempre.
In un certo senso lei si sentiva davvero George e non Roxanne. Le ragazze, di solito, piangevano quando qualcuno con cui avevano appena condiviso qualcosa di più delle parole le insultava; le ragazze, di solito, cercavano una storia seria e non una notte e via.
E lei non si sentiva così. A lei non piaceva piangere e né le piaceva l'idea che qualcuno potesse vederla in quelle condizioni: solo Frank aveva avuto l'onore – e la disgrazia – di consolarla... e quello era rimasto un segreto tra loro due.
E quello aveva avuto il potere di avvicinarla a quell'idiota di Paciock.
“Tutto bene, sorellina?”
Rox rovesciò il capo alla sua sinistra, dove Fred stava per intraprendere le scale per il dormitorio maschile.
“Hai visto Frank?” domandò Rox, cercando di non guardarlo negli occhi.
Suo fratello aveva la straordinaria capacità di leggerle dentro, di capire quando qualcosa non andava e l'ultima cosa che voleva era una lite tra lui e l'idiota di Scamandro.
Lei sapeva perfettamente difendersi da sola e se Lorcan meritava un cazzotto, non ci avrebbe pensato due volte a darglielo lei di persona.
Solo che il suo Freddie – nonostante lei non fosse una santa – era così geloso... e non meritava affatto le chiacchiere che gli arrivavano all'orecchio, l'immagine di quella sorella così sbandata.
“Stavo proprio per raggiungerlo... l'ho visto di andare di corsa in camera” disse Fred, guardandola con quegli occhi azzurri che non conoscevano menzogna.
Gli occhi splendidi di suo padre.
“Ci penso io, tesoro” rispose Roxanne, passandogli di fianco e accarezzandogli di sfuggita una spalla.
“L'hai trattato di nuovo male?” sbuffò Fred, oramai abituato alle crisi isteriche di Frank quando Rox lo trattava più male del solito.
“No, ma sai che è fragile” sussurrò la Weasley, sorridendo triste.
Sì, Frank era terribilmente fragile e soffriva di attacchi d'ansia e panico – di veri e propri crolli nervosi – e di solito ci volevano ore per calmarlo. E lei e sua sorella erano le uniche che ci riuscivano.
Le due persone che lo trattavano più male erano le uniche che riuscivano a farlo stare bene. Che strana che era la vita.
Che gran bastarda sfruttatrice.
“Ripetitelo più spesso” le disse Fred, prima di baciarle il capo e indietreggiare, facendo retromarcia verso il ritratto della loro Sala Comune.
Già, era lei che doveva ripetersi che Frank era fragile. E doveva smetterla di fargli del male.
Erano vuoti i corridoi per le camerate – e quella volta non beccò nessuno in mutande. Rox superò le prime stanze, fino alla ventesima porta a destra – che non avrebbe dimenticato nemmeno con un oblivius.
Quante volte era andata lì? Quante volte aveva dormito con Frank perché la sua stanza era troppo buia, troppo solitaria? Quante volte aveva cacciato dei ragazzi dal suo letto... mentre lui era sempre rimasto?
Roxanne aprì la porta e raggiunse il primo letto a baldacchino, aprendo le tende con un gesto secco che fece sobbalzare il ragazzo rannicchiato contro la testata di legno.
“Frank” lo chiamò, sedendosi sulla sponda e allungando il braccio verso di lui.
Voleva toccarlo... voleva sentirlo, ma Paciock – per la prima volta da quando lo conosceva – si scostò.
“Sto bene” disse con voce dura, senza però guardarla.
Ma lei vedeva bene le guance umide e le mani tremare. Ma lei vedeva bene il petto alzarsi e abbassarsi con una velocità disumana.
“Non essere arrabbiato con me, Frank” mormorò Rox, guardandolo da sotto le lunga ciglia e causandogli il solito batticuore.
“Non lo sono. Ora puoi uscire?” domandò il ragazzo, infilandosi una mano tra i capelli e mordendosi la bocca per non urlare. Per non singhiozzare.
“Hai una crisi” constatò lei, con più dolcezza del normale, accarezzandogli un ginocchio.
Frank la guardò con odio.
“Smettila di trattarmi come un bambino. Ho detto che sto bene, non ho bisogno della tua pietà” sibilò furioso, stringendo i denti fino a sentirli scricchiolare.
Rox lo guardò sorpresa e... ferita. Lei non stava facendo nulla per pietà, a lei nemmeno piaceva provare pietà per la gente. Ma che diavolo gli saltava in mente?
“Non ti tratto né come un bambino e né provo pietà per te, idiota!” sbottò, infervorandosi e alzandosi di scatto dal letto.
Ora lo sovrastava e con gli occhi che mandavano lampi di rabbia, sembrava un amazzone pronta a combattere. Pronta ad uccidere.
Era vero, alcune cose non sarebbero mai cambiate... come il modo in cui Frank amava vedersi sotterrare da quelle mani. Come il modo in cui Frank amava quella combattente nata.
“Va via”
“Frank...”
“No. Va via e basta” mormorò il ragazzo, ignorando il tremolio delle mani di Roxanne.
Ignorando il modo in cui lo fissava ferita.
Lui era l'unico che l'aveva vista ridere veramente, piangere e arrabbiarsi; lui era l'unico che era rimasto con lei quando voleva distruggere il mondo – se stessa – e non era mai andato via.
Lui era l'unico che la conosceva in ogni sua sfaccettatura... e ora la stava mandando via.
“Avevi detto che mi avresti stretto ugualmente, nonostante il mio lato oscuro” sussurrò la Weasley, quasi delusa.
Quelle parole gliele aveva dette una notte come tante – quando lei si sentiva così sola da intrufolarsi nel suo letto come non aveva fatto nemmeno con suo fratello. E lei ci aveva creduto.
E lei gli aveva creduto.
“E continuerò a farlo, Rox.
Non smetterò mai di amarti nemmeno se diventeresti la serial killer più cattiva del mondo magico e tu lo sai bene” soffiò Frank, quasi spento.
E continuava a credergli. Irrimediabilmente.

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Capitolo 25
*** Capitolo ventiquattresimo - Death ***


Capitolo ventiquattresimo –
Death




Hermione Granger aveva visto così tanto nella vita... aveva subito così dolore che le sembrava di avere ottanta e passa anni ed essere arrivata al capolinea.
A trentanove anni aveva già combattuto una guerra, perso i suoi genitori e tanti amici – divorziato e ora si ritrovava di nuovo al centro di tutto ciò; ora era una spia ed era in pericolo di morte ventiquattro ore su ventiquattro, senza nemmeno preoccuparsi di poter lasciare soli i suoi bambini.
Le sembrava passato un secolo da quando aveva messo alla luce Rose e Hugo e quello, ne era certa, era stato il periodo più bello della sua vita; la gioia di stringere quei corpicini, essere chiamata mamma e tornare a sperare in qualcosa di migliore.
Tornare a sperare di poter essere migliore. Ma Hermione l'aveva sempre saputo, lei non era stata creata per starsene chiusa in casa – a sperare che qualcuno cambiasse il mondo; lei doveva stare in prima linea. Lei doveva assicurarsi di poter garantire di cambiare il mondo con le proprie forze.
“Visto che se ne stanno chiusi in quel buco di Ministero dalla mattina alla sera, saremo noi ad andare lì” iniziò Diamond, guardandoli ad uno ad uno con una determinazione nello sguardo che fece rabbrividire i presenti.
Hermione, in un certo senso, sapeva di essere arrivata al capolinea. Lo percepì. Gli serpeggiò sotto la pelle come mille serpenti che si muovevano all'unisono e per quel motivo che socchiuse gli occhi e sorrise.
Ah, Diamond credeva davvero che fosse così stupida? Così stupida da non accorgersi che lui aveva intuito qualcosa? O così stupida da lasciare che lui la uccidesse così – come nulla fosse?
Nexus, pensò Hermione, concentrandosi mentalmente e chiudendo le dita attorno la bacchetta.
Nexus, continuò a ripetere nel suo cervello, rilassando i muscoli e cercando di far affluire tutta la sua magia lì... dov'era sempre stata. Nella sua testa.
Ah, Diamond. Credeva davvero di poter mettere nel sacco lei, la strega migliore del suo secolo?
Nexus, e la magia avvenne.
Hermione Granger non aprì gli occhi, ma li tenne socchiusi: nessuno poté vedere l'iride diventare completamente e indissolubilmente nera, come la sclera e la pupilla.
“Attaccheremo tra un mese esatto: porteremo con noi il necessario e faremo ritornare il nostro Oscuro Signore” disse senza maschera sul volto, facendo scintillare gli occhi chiari e storcendo la bocca in un sogghigno.
Urla, ovazioni, bacchette che si incrociavano... e il suo sguardo che si posò su di lei.
“Ma qualcuno non potrà dirlo in giro, non è vero?” cinguettò maligno, strappandole una risatina e zittendo tutti quanti.
Quella stanza che li conteneva tremò: le pareti di pietra quasi si sgretolarono sotto la rabbia di Diamond e le fiammelle sui candelabri di ferro si spensero, lasciandoli alla luce del lampadario di cristallo sulle loro teste; dalle vetrate – alla destra di Hermione – penetrò la luce della luna appena sorta.
“Ho fatto troppo presto a fidarmi, non è vero, Hermione?
Avrei dovuto saperlo che chi nasce Auror... beh, muore Auror, anche dopo tutto ciò che ha subito” mormorò Diamond, alzandosi dalla sedia su cui era seduto e continuando a fissarla come un gatto osserva un topo.
Lei continuava a non muoversi.
“O semplicemente voi Mezzosangue siete troppo stupidi per capire l'importanza del potere!” urlò Diamond, fiondandosi su di lei come un falco.
Hermione cadde all'indietro – rovesciando la sedia su cui era stata seduta fino a quel momento e sbattendo la schiena sulla pietra rude: lui era a cavalcioni su di lei e teneva le mani alla sua gola.
“Noi Mezzosangue saremo anche stupidi, ma anche voi Purosangue non scherzate” soffiò Hermione, ma la sua voce era strana – diversa, cupa.
Diamond non l'ascoltò, non pensò: ah, se solo si fosse accorto che lei evitava il suo sguardo e non per paura. Se solo l'avesse costretta a guardarlo negli occhi avrebbe capito che c'era qualcosa che non andava.
“Crucio” mormorò Diamond, evitando di sporcarsi le mani e alzandosi prima che dalla bacchetta scaturisse quella luce rossa.
L'incantesimo s'infranse sulla sua pelle pallida, stanca – e la straziò, ma non la portò né ad urlare né ad implorarlo.
Hermione Granger, dopo essere stata torturata da Bellatrix Lestrange, aveva giurato che non avrebbe mai più supplicato il nemico... anche a costo di farlo arrabbiare di più – anche a costo di morire.
“Crucio!” urlò con più rabbia, facendo sbalzare quel corpo sul pavimento ripetutamente, in preda alle convulsioni più violente. In preda ad un dolore che la portò a dilatare le pupille e perdere la connessione che aveva stabilito.
Ma era stata brava: aveva cercato quell'incantesimo in lungo e in largo – ovunque – e quando l'aveva finalmente trovato non ci aveva messo molto ad impararlo; Nexus, così la sua mente si sarebbe connessa con quella della persona stabilita.
Nexus, e Lily Potter era entrata nella sua testa per il nesso di tempo che Diamond aveva proclamato la data dell'attacco.
“Idiota” ridacchiò Hermione, rantolando e riprendendo fiato quando lui abbassò il braccio – nero di rabbia per la sua impassibilità.
“Vediamo se hai ancora voglia di scherzare” sibilò furioso, ripuntando la bacchetta su di lei e sorridendo sadico.
Hermione non aveva mai creduto in Dio, nemmeno quando si era trovata faccia a faccia con la morte a diciassette anni; non aveva mai pregato né tanto meno si era preoccupata di incolpare qualcuno delle disgrazie che le succedevano ogni giorno.
Ma in quel momento si ritrovò a fissare il soffitto e schiuse le labbra, sentendo gli occhi inumidirsi allo sfrecciare delle immagini del viso dei suoi bambini nella sua mente.
“Fractus” bisbigliò Diamond ed Hermione sentì la gamba destra – dove lui aveva puntato la punta della bacchetta – spezzarsi completamente: le ossa scricchiolarono fino a sgretolarsi completamente.
Salva almeno loro, pensò con un singhiozzo fermato a fondo gola.
Non le importava di se stessa. Non le importava un cazzo di salvarsi o sopravvivere, voleva solo che i suoi bambini stessero bene e si costruissero una vita lontana dalla guerra – dal dolore e fossero finalmente felici.
Salva almeno loro, ripeté mentalmente, pensando alla gioia che le avevano dato Rose e Hugo.
“Fractus!” strillò ancora Diamond e questa volta la bacchetta vigeva verso il suo bacino. Hermione non riuscì a non urlare e arcuò le dita sulla pietra, ignorando il dolore che le procurarono le unghia quando saltarono uno dopo l'altro.
E lui. Oh sì. Perché Dio, chiunque fosse – ovunque fosse – doveva salvare anche Malfoy o sarebbe andata lì su e si sarebbe fatta valere.
Lei aveva lottato per tenere il culo di Malfoy ben vivo e ora non poteva andare tutto all'aria: Draco doveva sopravvivere e ritornare con Astoria. Hermione lo aveva stabilito da tempo, da quando aveva solo diciassette anni.
“Va all'inferno, stronzo” sputò con la bocca insanguinata, rantolando per il dolore.
Faceva fatica a respirare e sapeva... sapeva che la fine era lì, così vicina da poterla odorare. Così vicina da poter sentire le mani gelide della morte sfiorarla.
“Tu ci verrai con me” sussurrò Diamond, drizzando le spalle e sorridendo incattivito.


Quella sera Hermione Granger non tornò a casa e Draco Malfoy, guardando gli occhi vuoti di Lily, capì che probabilmente non sarebbe tornata mai più.
***


È strano, davvero: un giorno ti svegli e capisci che la tua vita non ha più un senso. Capisci che quel petto – così pieno di emozioni, sensazioni, ricordi – ora è vuoto e tu non puoi farci niente. Tu non puoi fare altro che lasciarlo così, svuotato da ogni cosa.
“Rosie...”
È strano, davvero: un giorno ti svegli e tutto sembra normale, come sempre e magari – anche se hai il cuore che ti batte nel petto come un forsennato – cerchi anche di convincertene. Poi ti sbattono in faccia la verità e tu sai di non poterla rifiutare... sai di doverla accettare per forza, perché è lì e non può essere contestata. È lì e tu non puoi scappare o fare finta di nulla, perché nel mentre ti ha già annullata.
“Tesoro” la chiamò ancora una volta suo padre, con un magone alla gola che quasi gli impediva di respirare.
Rose non rispose, di nuovo, e si limitò a lasciare cadere le braccia lungo i fianchi.
È strano come da un momento all'altro il tuo cervello si blocchi e ti lasci lì – immobile, a cercare una via d'uscita dal buio; Rose sbatté ripetutamente le palpebre, cercando di scacciarlo, di rimanere lucida, calma, viva, ma il buio rimase lì – perché lei lo sapeva, in quel momento era l'unica soluzione. Era l'unico conforto che potesse accettare.
“Mi dispiace così tanto” singhiozzò suo padre, fissandola con gli occhi azzurri intrisi di lacrime.
L'unica volta che Rose l'aveva visto piangere era stato da piccola, all'anniversario della morte di zio Fred. E ora la guardava distrutto, perso, solo come e quanto lei.
Lo studio della Mcgranitt non era mai stato così silenzioso – nemmeno alla notizia della morte di Molly; i quadri non fiatavano, non osavano muoversi e Rose giurò di aver visto Silente asciugarsi qualche lacrima dal suo posto privilegiato alle spalle della preside.
“Mi dispiace di non essere stato in grado di proteggerla” gemette ancora Ron, passandosi una mano tra i capelli rossi, pronto ad auto-distruggersi.
Tom, alle sue spalle, tremò: non sapeva nemmeno perché, quando la Mcgranitt l'aveva chiamata nel suo ufficio, lui l'aveva seguita; non riusciva a concepire perché ora fosse alle sue spalle e... la stesse abbracciando delicatamente, stringendola tra le braccia e ignorando che a pochi passi da loro ci fosse suo padre.
“Cristo” mormorò Tom, soffocando il volto sulla sua spalla e quasi imprimendosela contro tanto era la forza che usava per tenerla legata a sé.
Suo fratello Hugo aveva i capelli rossi sugli occhi e la faccia pallida – come se fosse vicino al collasso. Il suo piccolo e dolcissimo fratellino, che stava abbracciando zia Ginny come un naufrago.
Sembrava così piccolo, ora, tra quelle braccia esili e materne.
Sembrava così disperato, ora, con quello sguardo angosciato e le guance bagnate dalle lacrime.
“Scusa” mormorò ancora suo padre, abbracciandosi da solo.
“Piangi, sfogati... Cristo, Rose, era tua madre!” mormorò Tom al suo orecchio, cercando di farla rinsavire.
Rose non era come sua cugina Lily, lei non era fatta di ferro; non era forte come sua cugina Roxanne, che sapeva trattenere le lacrime fino all'inverosimile e rimanere impassibile in qualsiasi situazione.
Rose era fatta di carne e sentimenti e – in quel preciso istante – si sciolse dalla presa di Tom e si fiondò tra le braccia di suo padre, come quando era piccola e si sbucciava il ginocchio. Lui allora la prendeva tra le braccia e le dava un bacio delicato, curandola e dicendole che era una bambina forte a saper trattenere le lacrime con così tanta caparbietà.
“Non è colpa tua. Non è colpa tua” singhiozzò sulla sua spalla, affondando il viso nella sua divisa Auror e abbracciandolo stretto. E abbracciandolo così tanto fino a diradare di poco quel buio immenso, doloroso.
E suo padre, quell'Auror forzuto – caparbio – e tenerone, scoppiò a piangere insieme a lei.
Ah, se il dolore avesse avuto un volto qualcuno avrebbe fotografato quella scena, Harry ne era sicuro; solo quando aveva visto suo figlio su quella barella e sua figlia in fin di vita aveva provato quel dolore ed era sicuro che non sarebbe mai più andato via.
Era come rimanere sospesi tra la non accettazione e la consapevolezza che se un pezzo del proprio cuore era stato strappato così barbaramente, non sarebbe mai più tornato indietro.
Quella bambina che da quando aveva undici anni non lo aveva mai abbandonato – quando qualche volta l'aveva fatto persino Ron – ora non c'era più; quella donna che aveva amato come una madre, una sorella, come la sua anima gemella, ora non c'era più e lui non poteva compiangere nemmeno un corpo. Nemmeno le ceneri.
“Sala meeting, Ministero – reparto Auror” mormorò con un sussurro, entrando nel camino e buttando la polvere volante sui ciocchi spenti del fuoco che era arso fino a poco prima.
I Mangiamorte non avevano restituito il corpo e Lily sembrava così spenta quando aveva dichiarato che avevano scoperto il suo doppio gioco. Sua figlia li aveva sentiti torturarla e quando Hermione era arrivata al limite, il loro contatto mentale si era spento. Eppure non era ritornata a casa ed Hermione non aveva detto loro dove si trovava per correre a salvarla.
“So che in questo momento l'unica cosa che vorresti fare è andare lì e fare una strage, ma tua zia si è sacrificata per dirci quella data, Lils.
Tua zia è morta per fare in modo che il piano andasse come stabilito”
Harry si bloccò alle spalle della statua grottesca accanto al camino, guardando le due figure stagliate contro la porta di mogano scuro della Sala meeting.
“Lily, io so che fa male. Io lo so, ma tu sei forte.
Tu sei la mia soldatessa d'acciaio, piccola” mormorò Scorpius, accarezzando i capelli della sua bambina con una dolcezza che nemmeno si adduceva ad un Malfoy.
Lily appoggiò la guancia sulla sua mano e lo guardò con gli occhi meno neri, meno arrabbiati; sembrava che quella morte l'avesse completamente distrutta, anche se non l'aveva portata al suo stato originario. Ora era meno grottesca – più umana.
“La mia piccola soldatessa d'acciaio” ripeté Scorpius, avvolgendole la vita con le braccia e cullandola.
Oramai lo sapevano anche i muri che la sua bambina era una guerriera e che sarebbe stata capace di distruggere anche l'inferno, se avesse voluto.
“La cosa che mi tormenta di più sai qual'è?” sussurrò una voce, facendolo sobbalzare.
Harry voltò gli occhi verdi alla sua sinistra, dove, seduto al tavolo di mogano, Draco Malfoy osservava del liquido ambrato roteare nel bicchiere di cristallo tra le sue dita.
“Cosa?” bisbigliò Potter, raggiungendolo lentamente.
Draco scoppiò a ridere amaramente e la sua risata, oltre che isterica, sembrò il suono di uno specchio che va in frantumi.
“Che le avranno fatto patire le pene dell'inferno prima di ucciderla come un cane” soffiò Malfoy, affondando una mano nei capelli biondi come l'oro.
Harry si sedette al suo fianco e si versò una dose abbondante di whiskey incendiario, cercando di trattenersi dal distruggere ogni cosa – persino se stesso.
“Lo so” mormorò l'uomo con la cicatrice, socchiudendo lo sguardo.
Draco strinse i denti e tracannò un sorso di quella bevanda: si sentiva così stupido ad ubriacarsi per una donna che aveva avuto solo nei suoi sogni.
Si sentiva così stupido a stare così male per la morte di chi, che idiota era stato, pensava non potesse morire mai.
“Che fai, piangi?” singhiozzò Draco, fissando Harry con gli occhi così lucidi da rassomigliare a due lastre di ghiaccio.
“Anche tu stai piangendo, Malfoy”
Draco scosse il capo e nascose il viso tra le mani, lasciando che alcune ciocche di capelli gli coprissero le guance bagnate.
“Io non piango” mormorò a voce bassa, ridendo di se stesso.
Se la Mezzosangue lo avesse visto in quelle condizioni, probabilmente avrebbe fotografato l'evento per immortalarlo e farlo rimanere immemore nella storia.
Harry si asciugò le guance con la manica della divisa d'Auror che indossava e tirando su con il naso scosse il capo.
“Hermione aveva proprio ragione... sei umano come tutti noi. Hai solo paura ad esternare i tuoi sentimenti” mormorò, socchiudendo gli occhi per il dolore sordo che stava sentendo al petto.
E così fa anche più male, aveva aggiunto poi.
Perché essere consapevole di essere un essere umano fatto di carne e ossa, sangue e sentimenti era un conto, ma tenere rinchiuse le emozioni – i sentimenti – per troppo tempo faceva male. Poi tutto ammuffiva e dopo diventava doloroso persino respirare.
“Va all'inferno, Potter”
Due esili braccia circondarono il collo dei due uomini, che si ritrovarono chiusi in un abbraccio che sapeva di rose e margherite. Draco alzò lo sguardo e incontrò quello azzurro di Asteria.
“Mi dispiace così tanto” disse, stringendoli come Ron aveva stretto Rose pochi attimi prima.
Sembrava una madre che consola i propri bambini e li cullò proprio come avrebbe fatto la Granger – tenendoli integri, sani, interi.
Almeno in apparenza.
“Lei vi amava così tanto” continuò con la sua voce calma, pacata e Draco la guardò ad occhi spalancati, chiedendosi di cosa diavolo stesse parlando.
“Hermione era forte, un leone e sono sicura che sia morta guardando i suoi nemici negli occhi; lei lo ha fatto per fare in modo che ci costruissimo un futuro migliore, per fare in modo che non dovessimo più lottare anche solo per sopravvivere” continuò, ma oramai Draco era rimasto bloccato sulla frase che aveva pronunciato pochi secondi prima.
Lei vi amava così tanto.
“Di cosa stai parlando?” sussurrò, fissandola con una strana consapevolezza che gli albergava nel petto.
“Dobbiamo parlare... di tante cose” rispose Asteria, sedendosi alla sua destra e prendendo le sue mani tra le proprie.



E mentre Asteria Greengrass raccontava tutta la verità a suo marito, senza tralasciare alcun particolare che potesse trascurare l'amore e la forza di Hermione Granger, dall'altra parte dell'Inghilterra – ad Hogwarts - c'era chi combatteva contro un'altra guerra.
Ma questa volta non c'era alcun Mangiamorte alle calcagna: solo una lotta infinita contro se stesso, ecco cosa stava combattendo Lysander Scamandro.
“Avanti, tra poco passerà tutto” bisbigliò Alice al suo orecchio, tenendogli la testa sul water mentre vomitava anche l'anima.
Lys si aggrappò con forza alla ceramica, tossendo e cacciando in quel buco anche l'anima; sapeva che non sarebbe passata, oramai non aveva nemmeno più forza di andare a lezione: si limitava a trascinarsi – o farsi trascinare da lei – e presentarsi pallido e con due occhiaie da spavento, tanto da farsi chiedere dai professori se stesse bene.
Ma era di sera che arrivava allo stremo delle sue forze. Di sera si sentiva così stanco, spossato... e demoralizzato da arrivare a torcersi per i dolori alle ossa e la nausea. La tentazione di ritornare a... a rifarsi era forte, ma Alice lo era di più.
Quella donna era di una forza incredibile, un uragano che lo travolgeva interamente, un maremoto distruttivo, ma – nello stesso tempo – un'ancora di salvezza.
“Andiamo Lys, sta passando” lo incoraggiò, bagnandogli la fronte bollente con un fazzolettino bagnato e rinfrescandolo.
Si accasciò all'indietro e lei, prontamente, lo afferrò con le braccia: nonostante fosse esile e piccola per prendersi cura di lui cacciava fuori una forza dal comune.
La guardò e la vide sorridere dolcemente, per poi accarezzargli la guancia sudata con un sospiro.
“Se mi avessero detto, un paio di mesi fa, che mi sarei trovato in questa situazione con te... chiunque sarebbe stato gli avrei scoppiato a ridere in faccia” mormorò Lysander, bevendo dalla bottiglietta d'acqua che lei gli aveva portato alle labbra.
“Io avevo chiesto a Lily Potter di ammansirsi Roxanne per farmi leggere i tuoi fascicoli” confessò con un sogghignò Alice, appoggiandosi con le spalle al muro e continuando a tenerselo in grembo.
Erano notti, oramai, che se ne stavano lì: lui non poteva entrare nel suo dormitorio di notte e lei lo stesso, quindi di comune accordo si chiudevano in uno dei cunicoli dei bagni al terzo piano e a volte si addormentavano nella stessa posizione in cui si trovavano in quel momento.
“E perché?” domandò Lysander, sorpreso – alzando di poco la testa per guardarla meglio negli occhi.
Con le dita piccole e sottile gli accarezzò prima il naso e poi le guance, scendendo verso le labbra e regalandogli un piccolo sorriso.
“Volevo conquistarti in un modo che non mi apparteneva... solo che con te mi riusciva sempre così difficile comportarmi come faccio di solito; non potevo venirti vicino e dirti: tu mi piaci” sbuffò Alice, arrossendo per la vergogna di quella confessione.
Ma non stava mentendo: con Lysander era sempre tutto così diverso.
Tra di loro era un continuo primeggiare, una continua lotta, tranne quando lui aveva avuto bisogno di lei e quest'ultima di lui: solo allora si erano aggrappati l'uno a l'altro con una forza che – insieme – li vedeva una forza della natura.
“Io mi sono innamorato proprio del tuo solito” rispose Lysander con nonchalance, strappandole il respiro.
Lysander Scamandro si era appena dichiarato in un cesso che puzzava di piscio e vomito, con gli occhi infossati dall'astinenza e il volto pallido come quello di un fantasma e Alice si era immaginato quel momento un tantino diverso, ma fu la dichiarazione d'amore più bella che le avessero mai fatto.
“Tu sei pazzo” rise la ragazza, spostandogli la frangia dagli occhi e strofinando il naso contro il suo.
“Il mio pazzo preferito” precisò poi, dandogli un delicato bacio a stampo.
“E il tuo pazzo preferito non merita un bacio per bene?” domandò Lysander, mettendo il broncio.
Alice sogghignò.
“No, hai appena vomitato... se ti lavi i denti, forse farò questo sforzo!” rise, ignorando i lamenti di Mirtilla che chiedeva chi ci fosse chiuso lì dentro.
Lysander l'afferrò per i capelli e la baciò, infilandole la lingua tra le labbra e sorridendo quando lei si staccò disgustato.
“Che schifo, Scamandro!” sbraitò, spingendolo lontano e ridacchiando anche lei alla sua faccia da cucciolo bastonato.
“Oh, insomma, ma due persone quando stanno insieme condividono tutto...” si lamentò con vocetta da bambino, mettendogli il broncio.
“Non l'alito di vomito, tesoro”
***


“Sono corso appena ho saputo”
La voce di Frank aveva un che di balsamico per le ferite interne, questo Roxanne l'aveva constatato negli anni; certe volte lo trovava a balbettare oppure incespicare sulle sue stesse parole, ma era sempre calma – quasi soave e aveva qualcosa che la rendeva piccola, lontana come un eco, ma dolce e rinfrescante.
“Merlino, è una cosa orribile” continuò il ragazzo, raggiungendola dal letto dove si era sdraiata appena aveva saputo di quella morte.
Chissà come facevano i ragazzi a salire le scale del dormitorio femminile, questo era un quesito che Roxanne si era sempre posto, ma che aveva ignorato con una scrollata di spalle.
“Roxie, stai bene?”
No, non stava bene. Si stava chiedendo come facessero i ragazzi ad entrare nei dormitori invece di consolare sua cugina per la morte di sua madre.
Era una vera e propria merda.
“Rose è con la sua famiglia e sa che tu le sei vicina” mormorò Frank, sdraiandosi al suo fianco e accucciandosi accanto a lei.
Mise un braccio sulla sua testa e cominciò a sfiorarle delicatamente i capelli rossicci, poggiando la fronte sulla sua guancia.
“Mi vanto sempre così tanto di essere una persona forte, strafottente, senza sentimenti... e poi non riesco nemmeno a consolare mia cugina” mormorò Roxanne, con gli occhi completamente asciutti – continuando a fissare il soffitto.
Frank scosse il capo e se la strinse ancora di più contro, infondendole quel minimo di calore che stava perdendo sempre di più, con una lentezza estenuante.
“Tu sei forte, Roxanne, ma perché non capisci che va bene se piangi qualche volta.
Va bene se ti lasci andare. Non è male” cercò di scrollarla Frank, afferrandola per il mento e costringendola a guardarlo.
Roxanne scosse il capo e strinse i denti, cercando di sfuggire alla sua presa.
Non poteva piangere o cosa ne sarebbe stato di lei? Chi l'avrebbe tenuta integra quando poi i suoi occhi si sarebbero abituati alle lacrime?
“Ci sono io con te, Roxie” disse deciso, guardandola determinato.
Frank era fragile, piccolo – aveva bisogno di cure, perché con i suoi attacchi d'ansia e panico soffriva molto e più di lei – ma era un leone, ecco perché era stato smistato a Grifondoro.
Lui era sempre stato l'unico a vedere il suo lato debole e non l'aveva mai presa in giro. Aveva tenuto quelle lacrime che Rox gli aveva versato sul maglione come un segreto, senza mai chiedere nulla in cambio.
“Sta crollando tutto, Frank.
Sta crollando di nuovo tutto e noi non possiamo fare nulla per fermarlo, capisci? Questa guerra ha distrutto la nostra famiglia vent'anni fa e sta continuando a distruggerla ora” mormorò, pensando all'espressione che assumeva suo padre quando guardava la fotografia di zio Fred.
Pensava al dolore alla morte di nonna Molly e il volto ferito di nonno Arthur, che non era più lo stesso da allora. Pensava a zia Hermione, a quanti ne avrebbero dovuti perdere ancora per essere finalmente liberi.
“Ho paura” disse ad alta voce, lasciando che s'incrinasse sull'ultima parola.
Frank lo sapeva cosa provava... era lo stesso dolore che aveva provato lui quando sua madre lo aveva portato – per la prima volta – a conoscere i suoi nonni e il dolore che provava tutt'ora a guardare suo padre continuare a distruggersi.
“Lo so, tesoro”
Roxanne sentì gli occhi bruciare e finalmente arrivarono. Quelle lacrime che per anni aveva ricacciato indietro, che per anni si era ripromessa di non cacciare per poter rendere orgoglioso il suo papà, suo fratello e il suo cuore – che veniva messo sempre alla prova – vennero a galla con una prepotenza che le spezzò lo sterno. E il respiro.
“Non devi averne vergogna” mormorò Frank, mentre lei socchiudeva gli occhi e lasciava che le lacrime continuassero a solcarle le guance.
Non si nascose, questa volta. Guardò Paciock dritto in faccia e singhiozzò, affondando le dita nelle sue spalle e tenendosi in biblico da sola, come aveva sempre fatto.
In bilico da sola, ma con lui.
“Sono così orgoglioso di te” proferì a bassa voce, senza mai smettere di fissarla.
Lui continuava a tenerla integra.
E Rox lo fece: lo afferrò per i capelli e lo baciò, lasciandolo di sasso; gli passò le braccia al collo e affondò la bocca sulla sua, anche se sapeva di lacrime e dolore.
Anche se sapeva di insicurezza e dubbi.
Frank le accarezzò una tempia e le prese il viso tra le mani, avvicinandola ancor di più a sé con una dolcezza che le tolse ogni forza.
“Ti proteggerò io da te stessa” bisbigliò ad un soffio da lei.
Oh, Frank sarebbe stato capace di tutto quando si trattava di lei o sua sorella, questo Roxanne lo sapeva... per questo sorrise tra le lacrime.
Roxanne sapeva che lui sarebbe stato l'unico in grado di proteggerla, l'unico che non l'avrebbe ferita nemmeno sotto tortura.
Lui era l'unico che sarebbe stato in grado di amarla, nonostante il suo lato buio.
“E io da tutti gli altri” sussurrò Roxanne, scuotendo il capo per quel cambio di ruoli.
Ma a lei non dispiaceva. Frank era unico nel suo genere e lo era stato fin dal primo anno – quando un Serpeverde gli aveva fatto lo sgambetto e lui era rovinato per le scale, rompendosi gli occhiali.
E Roxanne lo aveva trovato così, con le ginocchia portate al petto e il respiro affannato, in piena crisi nervosa; si era seduto al suo fianco e gli aveva aggiustato gli occhiali con un colpo di bacchetta, dandogli alcune pacche sulla schiena finché non si era calmato.
E lei aveva picchiato quel Serpeverde. E lui le aveva baciato una guancia in segno di ringraziamento.
Frank le baciò la fronte e Roxanne – troppo persa nell'odore del suo abbraccio – non si accorse che la porta della sua camera veniva chiusa lentamente, quasi senza far rumore.
Fred Junior sorrise, scuotendo il capo e scendendo verso le scale, attento a non essere beccato da qualche Caposcuola; scese in Sala Comune e si bloccò accanto il camino dalle fiamme rossastre, tirando un grosso respiro.
Suo padre non avrebbe preso bene quella notizia: aveva scommesso con sua madre – ben cinque anni fa – che Frank non sarebbe mai entrato nelle grazie di Roxanne come fidanzato e aveva miseramente perso cento galeoni e guadagnato una settimana da servo.
Eppure sua madre gliel'aveva detto che sarebbe riuscito a conquistarla.
“Hm, con Frank sarà più interessante fare la prova del fuoco” ridacchiò tra sé e sé, pensando alle risate che si sarebbe fatto quando lui e Rox si sarebbero fidanzati ufficialmente e i maschi di casa Weasley lo avrebbero messo sotto torchio per constatare se fosse degno per lei.
“Perché ridi?”
“Perché pensavo alla tua faccia di cazzo” rispose Fred angelicamente, sbattendo gli occhioni azzurri e fissando il ragazzo alle sue spalle.
Joshua Thomas sospirò e incrociò le braccia al petto: a diciassette anni nella sua vita non aveva mai dovuto lottare per qualcosa, mai.
Aveva vissuto in una famiglia adagiata e amorevole e appena varcate le soglie di Hogwarts aveva continuato a non avere problemi. Aveva ottimi voti, era diventato giocatore di Quidditch al suo secondo anno e aveva un bell'aspetto.
L'unico suo problema era sempre stato lui.
Fred Weasley era indisponente, fastidioso e terribilmente lunatico e lo odiava. E lui ricambiava apertamente – su questo non c'erano dubbi.
“Non mi sembrava ti dispiacesse così tanto la mia faccia di cazzo, alla festa di Baston” proferì Joshua, maligno e Fred sbiancò e arrossì con la stessa velocità con cui lo raggiunse – afferrandolo per un polso e portandolo fuori dal ritratto.
Nonostante Fred non fosse un colosso come lui, che era battitore, riuscì perfettamente a trascinarselo dietro come niente fosse.
“Okay, smettila di parlarne, Baston” sbottò Fred, sbattendolo contro la ringhiera di marmo accanto al ritratto e accertandosi che non ci fosse nessuno nei paraggi.
Joshua alzò le braccia al cielo e la sua pelle scura venne illuminata da un paio di fiammelle sui candelabri alla sua destra.
“Cazzo, Weasley” sbottò, guardandolo arrabbiato.
“Cazzo cosa?” sibilò Freddie, chiedendosi perché diavolo dovesse sembrare una ragazzina mestruata.
Merlino, ma che voleva da lui? Erano stati entrambi ubriachi ed erano finiti a letto insieme e lui stesso aveva detto che era stato un errore. Ora che voleva, l'esclusiva?
“Senti, io ero confuso...” mormorò Joshua, infilandosi le mani nelle tasche dei pantaloni della divisa e guardandolo con espressione dispiaciuta.
Sapeva di essere stato cattivo con lui e cacciarlo dal proprio letto dopo essere stati insieme non era stata un'idea brillante.
“Confuso su cosa? Ho capito che è stata una botta e via – come l'hai chiamata tu – ora mi dici che vuoi?” sbottò Fred, mentre la Signora Grassa ascoltava tutta interessata, guardandosi le unghia come se non avesse le orecchie attaccate al quadro.
“Senti, Weasley, io non sapevo nemmeno di essere gay prima che tu mi...mi... insomma, credevo di avere qualche problema con le donne, visto che non mi attizzavano a dovere, ma sono addirittura un gay passivo!
Mi permetti di avere qualche dubbio?” sbraitò Joshua, strafregandosene di aver informato tutti i quadri di Hogwarts della sua vertenza sessuale.
Respirò a fondo e cercò di ridonare al suo cuore un battito normale e Fred lo fissò con un sopracciglio alzato, trattenendosi dal ridere per la faccia che Baston aveva fatto alla parola gay passivo.
“Si che ti permetto di avere qualche dubbio, ma che vuoi da me?
Non sarò di certo il tuo esperimento” disse scandalizzato, mentre Joshua si chiedeva se l'appellativo super intelligente quando si applica si adducesse a quell'idiota senza cervello.
“Ti sto chiedendo di perdonare la mia imperdonabile testa di cazzo e dimenticare quello che ti ho detto l'altra volta! Non ho bisogno assolutamente di fare esperimenti, visto che...che... beh... che mi è piaciuto.
Oddio, l'ho detto” mormorò a bassa voce, mentre la Signora Grassa scuoteva il capo: tutta quella carne stava andando a male e nessuno poteva sfruttarla.
Che peccato, che peccato! Se avessero vissuto ai suoi tempi, sicuramente quel problema non sarebbe esistito: li avrebbe fatto cambiare idea.
“Ah”
“Eh”
“Etchù” starnutì Lucy Weasley a pochi passi da loro, soffiandosi il naso con un fazzolettino e guardandoli con gli occhi lucidi.
“Stavi spiando?” sbottò Fred, guardandola con le mani sui fianchi e assottigliando gli occhi.
“Siete così carini” piagnucolò Lucy, con i capelli rossi legati nella solita coda.
Joshua si schiaffeggiò la fronte.
“Giuro, i romanzi rosa che leggo di solito non sono niente confronto a voi” disse la ragazza, togliendosi gli occhiali dalla montatura severa solo per asciugarsi gli occhi.
“Perché non ti trovi un ragazzo, invece di spiare gli altri?” domandò Joshua, seccato – strappando una smorfia alla ragazza con il viso lentigginoso.
“Mai sentito parlare di zitellagine acuta?” borbottò Lucy, aggiustandosi i numerosi libri sotto il braccio e facendogli la linguaccia.
Sì, ne aveva sentito parlare e si adduceva perfettamente a lei.
“Beh, ora ho l'ispirazione per il mio libro, quindi sparirò nell'ombra scura della notte, dove nulla ha sens...” cominciò Lucy, sospirando afflitta e melodrammatica e venendo bloccata dallo sbuffò di Fred.
“Cambia nomi e cognomi, almeno” disse con espressione truce, beccandosi un sorrisone scintillante.
“Vedrai che storia verrà fuori: guerra tra bene e male, dove l'amore non ha frontiere né sesso, religione, razza” cinguettò tutta felice, mentre Fred si tratteneva dal ficcarsi due dita in gola e vomitare tutto il mangiare di quel giorno.
“Si, okay, ciao” la salutò il cugino, facendo ciao-ciao con la mano e mandandola mentalmente nel mondo dolce dei vaffanlibro, visto che le piacevano tanto.
“Buona inculata” cinguettò quella perversa, lasciandoli di stucco.
Ma cosa poteva aspettarsi, Fred?
La sua famiglia era un accozzaglia di persone mal assortite, ma così speciali da non poterne fare a meno.

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Capitolo 26
*** Capitolo venticinquesimo - Ever ***


Capitolo venticinquesimo –
Ever





“Ciao nonna”
La soffitta era silenziosa e la polvere, oramai, aveva trasformato in grigio le pareti rosa pallido; il tavolino da tè era stato fatto a pezzi e giaceva sul pavimento di marmo bianco – trapassato da tante piccole crepe grigiastre.
“Ciao, tesoro mio”
La voce di Narcissa Malfoy aveva un qualcosa di melodico, sublime, che immediatamente la calmò: Lily si fermò con Scorpius al centro della stanza e osservò il ritratto della donna posto sul camino di pietra.
Aveva lunghi capelli biondo grano che le accarezzavano il volto pallido, aristocratico – dai lineamenti quasi angelici. E gli occhi azzurri la fissarono sorpresi e addolciti.
“Mi erano arrivate delle voci, caro nipote, ma non avevo dato audienza a certi vecchi ritratti il cui unico scopo è mettere in giro malelingue.
Eppure avevano ragione: una Dea dai capelli rossi ha rapito il tuo cuore” mormorò Narcissa, storcendo la bocca rosea e carnosa in un dolce sorriso.
Scorpius ricambiò e si avvicinò così tanto da poter sfiorare con i polpastrelli il volto della donna – che socchiuse gli occhi.
“Mi dispiace non essere più venuto a trovarti, nonna, ma come sai è iniziato tutto daccapo” sospirò Scorpius, mentre Lily osservava il vestito color panna della donna cadere in un intreccio di seta e merletti.
“Ho sentito anche questo, tesoro mio” bisbigliò Narcissa, inclinando poi il capo e spostando lo sguardo sulla Potter.
“Fatti avanti, piccolo giglio” la chiamò, facendole un piccolo cenno con la mano.
L'aveva riconosciuta dai capelli rosso al tramonto e le labbra del color rubino come una rosa: era il ritratto di Lily Evans, con il naso dritto e piccolo e il volto a forma di cuore. Tranne per gli occhi, quelli erano stati intaccati.
Quelli erano stati rovinati dal dolore.
“Non volevo piombare a casa vostra in questo modo, signora” disse Lily, guardando alcune statuette d'oro giacere in pezzi sul pavimento, le poltrone completamente distrutte e alcuni quadri squarciati senza alcun risentimento.
“So cosa vuoi sapere e so cosa ti stai domandando...
Diamond mi ha fatto visita tempo fa, quando i Mangiamorte hanno attaccato questa casa e mio figlio si è rifugiato a Grimmauld Place” disse, fissando la dimora che aveva scelto per riposare ridotta ad un mucchio di cenere e stantio.
“Nonna...” disse Scorpius, facendo l'ennesimo passo avanti quando la vide sospirare afflitta e abbassare il capo sconfitta ancora una volta.
“No, tesoro, no.
La colpa è solo mia, sempre e soltanto mia” gemette Narcissa, passando le dita nelle ciocche setose dei suoi capelli. Sorrise stanca e fissò suo nipote e Lily con una pesantezza che li schiacciò al suolo.
Sembrava un angelo. E gli angeli non potevano essere tristi, questo lo sapevano anche i muri.
“Ero incinta di sei mesi quando cominciò la seconda guerra magica” iniziò, con lo sguardo lontano e la mente persa lì – dove tutto aveva avuto fine.
Dove tutto aveva avuto inizio.
“Non avevo detto a nessuno della mia gravidanza se non a mio marito e Severus Piton, a quei tempi un grande amico di famiglia” continuò Narcissa, attorcigliando le dita tra di loro e sorridendo al nominare Severus.
Con un cenno del mento indicò il quadro alla loro destra, che ora giaceva sul pavimento mezzo accartocciato: sulla targhetta d'oro c'era proprio il nome dell'ex professore.
“Prometto che lo farò ristrutturare, nonna” si affrettò a dire Scorpius, guadagnandosi un sorriso luminoso.
“Grazie tesoro, mi manca molto discutere con una persona intelligente e credo che ogni tanto anche a lui manchi nascondersi dalle chiacchiere del professor Silente” ridacchiò Narcissa, sospirando soddisfatta.
Lily pensò che in effetti – l'ultima volta che erano stati nell'ufficio della Mcgranitt – la faccia di Piton non pareva molto allegra, non più del solito almeno.
“Comunque... avevo trentanove anni e alla mia età è difficile portare avanti una gravidanza o, addirittura, averne una” bisbigliò la donna, continuando con il suo racconto e pensando alla felicità estrema che le aveva portato quella notizia.
“Mio marito ha cercato di tenermi lontana dalla battaglia il più a lungo possibile, ma quando Potter – grazie al mio aiuto – ha riscatenato la battaglia, non potevo rimanere con le mani in mano e lasciare mio figlio lì, a combattere” disse, portandosi una mano sul cuore.
Lily lo immaginava. Nessuno avrebbe lasciato morire un figlio così, come un cane, tra le mani di per sopravvivere non avrebbe guardato in faccia nessuno... figurarsi un Malfoy.
“Venni colpita da una maledizione: non ho mai conosciuto il suo nome né la sua provenienza, ma quella roba non veniva di certo dalla bacchetta di un Auror!” borbottò, facendo una smorfia e scuotendo il capo.
Ricordò la caduta e la botta sulla pietra fredda, l'impatto e lo sguardo volto verso il soffitto... ma nessun dolore. Nessuna ferita.
“I bambini tendono a proteggere la propria mamma, quando sono nel feto; è un istinto naturale quando sono magici e quello che mi colpì non era un Avada Kedavra, ma qualcosa che il bambino assorbì fino all'ultimo.
Pensavo che fosse un miracolo, che qualcuno ci volesse bene, ma non era così” soffiò amara.
Lily non la giudicava. Qualsiasi cosa fosse successo, sentiva che la decisione della signora Malfoy era stata in troppo sofferta: Lily – dentro sé – quasi poteva sentire il suo dolore trasmettersi attraverso quel quadro e suscitargli ancora lacrime al ricordo.
Al ricordo di aver abbandonato un figlio.
“Il bambino cominciò a divorarmi dall'interno: quella magia che l'aveva colpito, in qualche modo, lo aveva cambiato... non sapemmo mai cosa fosse, cosa gli stesse succedendo dentro me, ma all'ottavo mese di gravidanza dovetti partorire” raccontò con orrore – ricordando quella notte come se la vivesse ogni singolo attimo.
La carne della sua carne, sangue del suo sangue, la stava uccidendo dall'interno e lei non poteva fare nulla. Nulla di nulla.
“Come ha fatto papà a non accorgersi della gravidanza?” domandò Scorpius, sorpreso e Narcissa si addolcì improvvisamente al ricordo del suo Draco.
Il suo bellissimo bambino biondo.
“Sono sempre stata una donna esile, dalle costituzione piccola e fragile; non ingrassai molto e avevo sempre avuto l'abitudine di indossare abiti larghi.
Lui era troppo impegnato a sopravvivere per notare qualcosa di strano e io non volevo dargli ulteriori dispiaceri” spiegò Narcissa, guardando entrambi con determinazione.
No, Draco non centrava nulla e da come ne parlava lei era stato sempre intoccabile. Ah, quanto era vero quel detto.
Gli errori dei padri ricadono sempre sui figli.
“Lo affidammo ad una famiglia maghinò... che è stata trovata uccisa due anni dopo, non so cosa abbia fatto dopo e chi l'abbia cresciuto.
So solo che non volevo, io non volevo abbandonare mio figlio, ma Lucius disse una cosa che mi fece riflettere molto a quei tempi.
Noi non sapevamo cosa sarebbe diventato – cos'era in realtà e Draco era già in pericolo; dopo la guerra i sopravvissuti quasi ci davano la caccia e non... non potevamo dare adito ad altre voci. Non potevamo mettere in pericolo la nostra reputazione, che già era persa da tanto, ma tanto tempo.
L'unica cosa di cui eravamo sicuri era che quel bambino mi aveva quasi ucciso” disse Narcissa, socchiudendo gli occhi azzurri e sfiorandosi la frangia completamente persa.
Scorpius sfiorò ancora una volta il suo viso.
“Non è colpa tua, nonna” mormorò con tono basso, sorridendole in modo incoraggiante.
Il suo sguardo era incoraggiante e luminoso e avrebbe reso coraggioso anche il più coniglio dei Serpeverde. E avrebbe illuminato anche il più cupo Mangiamorte.
“Sei uguale a tuo padre” bisbigliò Narcissa, così orgogliosa di ciò che aveva dato alla luce il suo bambino.
Un uomo dalle fattezze di un Serpeverde e l'animo di un Grifondoro.
“Lo so, nonna” rispose orgoglioso Scorpius, facendo un passo indietro e guardando il disastro che aveva fatto Diamond.
Anche il ritratto di suo nonno era stato fatto a pezzi. L'unico rimasto integro era proprio quello di Narcissa, più splendido che mai.
“Vuoi che faccia restaurare anche il ritratto di nonno Lucius?” domandò gentile, intrecciando le dita a quelle di Lily e stringendo la stretta con forza.
“No, tesoro, no.
Il nonno sta bene con suo padre e i suoi avi ai piani inferiori... questo è sempre stato il mio posto segreto e lui ci ha messo piede – o faccia, a seconda dei casi – poche volte.
Quando ho voglia di parlargli vado io da lui, nel salottino” disse serena, annuendo alla sua faccia dispiaciuta.
La nonna aveva amato tantissimo nonno Lucius... ma Scorpius sapeva che aveva amato molto di più suo padre. Narcissa aveva amato Draco più della sua stessa vita e lo dimostrava anche da morta.
“Grazie mille, signora” ringraziò Lily, abbassando il capo e ricambiando il sorriso che le regalò la donna.
“Di nulla, piccolo giglio, ma gradirei altre tue visite, in futuro.
Chi ha rapito il cuore di mio nipote, ha rapito anche il mio, di cuore” soffiò Narcissa, facendola arrossire vagamente.
Scorpius sghignazzò: la Potter non arrossiva da quando era diventata la fotocopia sputata di zio Voldy e vederla tornare sempre di più umana era un toccasana per lui.
Ridacchiò, bastardo.
“Magari porteremo il tuo quadro al matrimonio, nonnina!” cinguettò tutto felice, beccandosi un calcio negli stinchi dalla sua fidanzata – che lo fucilò con un occhiata.
“O al tuo funerale, questo dobbiamo ancora deciderlo” sibilò la rossa a bassa voce, strappandogli un miagolio spaventato.
“Oh, ne sarei deliziata” cinguettò Narcissa, che non aveva sentito quello che aveva bisbigliato Lily.
“Ciao nonna!” salutò Scorpius un'ultima volta, ricambiando il bacio volante che gli mandò Narcissa con la punta delle dita.
S'infilarono nel camino e quando Lils pronunciò “Sala meeting, Ministero – Reparto Auror” sentì il solito risucchio che lo trascinò lontano dalla sua casa d'infanzia.
Scorpius si sentì un po in colpa per aver lasciato sua nonna da sola, ma si ripromise – che appena sarebbe finito tutto – di andarla a trovare più spesso e di far restaurare il quadro di Piton.
“Non mi devi toccare!” l'urlo di Dominique li bloccò sul posto e Lily gli intimò silenzio con un dito sulla bocca, nascondendosi dietro la stessa statua che aveva coperto Harry Potter solo pochi giorni prima.
“Sei l'uomo più rivoltante che abbia mai conosciuto”
Scorpius si sporse quel poco per vedere il volto di James Potter storcersi a quelle parole, quasi addolorato dal modo in cui lei lo aveva sputato – come continuava a guardarlo.
“Ma è tuo fratello!” bisbigliò a bassa voce, spalancando la bocca a palla e fissando Lily sorpreso.
“Certo che sei proprio idiota, Malfoy.
Ora te ne sei accorto?” borbottò Lily in risposta, tutta accucciata e interessata a sentire quello che quei due si dicevano.
… E Scorpius giurò di aver visto il lampo di un sorriso sulla sua bocca carnosa e le sue iridi schiarirsi e diventare, per un solo attimo che lo illuse, di un bruno acceso.
“Me l'avevi promesso” singhiozzò Dominique, coprendosi il viso con entrambe le mani e quasi facendosi male da sola.
Gli occhi quasi le si accecarono tanto spinse le dita nelle orbite e Dom si trattenne dal vomitare anche l'anima. Merlino, era così nauseata da quello sconosciuto che le stava davanti.
Non lo riconosceva più.
“Dominique, ti prego...Dom, ascoltami” annaspò James, fissandola con gli occhi nocciola spalancati e afferrandola per un polso – ignorando lo sguardo disgustato di lei che lo fulminò, che lo uccise.
“No. NO!” strillò Dominique, ignorando le lacrime che le solcarono le guance già umide.
Aveva la bocca tremante e le spalle quasi piegate dal dolore; fin da piccola era stata innamorata di un bambino deciso, orgoglioso – ma che nonostante la tenera età già sapeva cosa volesse o non volesse dalla propria vita. E James, anche se con un fiore strappato dal prato dei suoi genitori, anche se con un anello di plastica, le aveva sempre dimostrato che voleva lei.
“Mi hai mentito... mi hai presa in giro!” annaspò la ragazza dai capelli biondi, indietreggiando verso la porta e, questa volta, sperando che qualcuno entrasse e la salvasse da quello sguardo.
Che la salvasse da quelle braccia che ora non erano più un porto sicuro, ma una ghigliottina pronta a decapitarla. Pronta ad ucciderla per un crimine che aveva commesso con coscienza e con gusto, con amore.
Aveva amato la persona sbagliata e si odiava. E lo odiava.
“No, no!
Dominique, ti prego, ascoltami! Non ti ho presa in giro, io non lo farei mai... ti prego, Dom!”
Ora anche lui urlava, mentre gli occhi erano così lucidi che sembravano due specchi pronti alla rottura – pronti a diventare tanti piccoli pezzi, che, anche lui lo sapeva, non sarebbero mai più andati a loro posto.
“Ti ho visto con i miei occhi, James.
I MIEI occhi!” urlò Dominique, continuando ad indietreggiare e scuotere il capo, come se volesse scacciare via i pensieri. Come se volesse scacciare via il dolore.
Sbatté le palpebre e cercò di non piangere più, ma Dominique si sentiva tradita; si sentiva tradita dallo stesso bambino che da piccola la cullava, consolava e le bisbigliava parole dolci quando piangeva – si sentiva tradita da quella persona che si era guadagnata la sua fiducia pian piano, che le era stata accanto nei momenti peggiori della sua vita.
Lui le aveva mentito e lei si sentiva pugnalata alle spalle.
“È stata lei, Dom, te lo giuro!” bisbigliò James, incastrandola tra il muro e il proprio corpo – ignorando il gemito che uscì dalle sue labbra quando la pietra penetrò nella sua schiena.
“Lasciami” mormorò Dominique, fissandolo con il mento ritto nonostante avesse le guance rigate di lacrime.
E lui scosse il capo, disperato – lasciando che alcune ciocche gli ricadessero sugli occhi nocciola, lasciando che i capelli neri coprissero il dolore che stava esplodendo oltre le palpebre serrate.
“Non puoi andare via, non ora” singhiozzò, lasciando l'orgoglio sotterrato sotto i piedi e stringendo i suoi polsi ancora più forte.
Non gli importava niente in quel momento: sarebbe potuto entrare anche suo padre, ma avrebbe continuato a supplicarla di... perdonarlo. Di non andare via e di rimanere con lui.
Perché James sapeva bene quanto faceva male la sua assenza; tutte le volte che iniziava l'anno scolastico e lei era costretta ad andare via, il suo cuore rallentava quel poco da strappargli il respiro e farlo piegare su se stesso per quel tempo indefinibile che lei afferrava la polvere volante e andava via.
Perché James viveva di ricordi da anni, oramai, e sapeva cosa significava limitarsi solamente a sognare una persona – senza poterla stringere, senza poterle dire che la mancanza era così asfissiante da tenerlo sempre appiccicato ad una finestra... se per riprendere fiato o vederla ritornare, non lo aveva ancora capito.
“Lasciami”
Oramai Dominique sembrava un disco rotto e continuava a non guardarlo negli occhi, fissandogli il collo – dove una vena pulsava interrottamente, quasi pronta a scoppiare.
“Tu lo sai... tu lo sai che non ho mai chiesto scusa in vita mia e l'unica e ultima volta che l'ho fatto era perché tu stavi piangendo per colpa mia.
E scusa, Dom. Scusa per essere idiota, per non amarti come vorresti, per non essere l'uomo che meriti.
Scusa se quando qualche volta abbiamo fatto l'amore sono stato troppo rude, scusa se quando mi faccio prendere dai miei attacchi di gelosia ci metto anche te in mezzo.
Scusa, Dom, scusa, ma non andare via” la supplicò, continuando a piangere.
E lei lo aveva visto piangere solo due volte in vita sua... e se una riguardava la sua partenza per la Francia – dopo la sua scelta definitiva – la seconda era stata alla morte di nonna Molly.
Sarebbe stato ipocrita dirgli che sì, non meritava un idiota come lui oppure rinfacciargli che non la amava come amavano tutti gli altri – che non aveva mai ricevuto un mazzo di fiori o un pacco di cioccolatini, come tutte le sue amiche.
Sarebbe stato ipocrita perché Dominique aveva avuto molto di meglio; lui era andato avanti con la loro relazione nonostante avesse rischiato di essere scoperto e odiato da tutta la loro famiglia.
James era andato avanti con la loro relazione anche quando lei era partita e lui – tante volte – era piombato in Francia, pagando fior di galeoni, solo per accarezzarle il viso e dirle che le mancava come l'aria.
Dominique non aveva mai avuto nulla di materiale, quello era vero, ma aveva fatto l'amore la prima volta con lui... sulla Torre Eiffel, di notte, con petali di rose come letto e le stelle più luminose come tetto sulle loro loro teste.
Era stato egoista, un bastardo. L'aveva lasciata le stesse volte che se l'era ripresa, l'aveva fatta piangere – disperare – e tante volte non si era nemmeno presentato ai loro incontri.
Probabilmente le aveva detto ti amo così poche volte che Dominique avrebbe potuto benissimamente dimenticare che suono avesse quella parola tra le sue labbra.
“Vi ho visti baciarvi, James ed eravate così coinvolti che a malapena vi siete accorti di me. Eravate sul punto di fare sesso e non mi servono delle scuse.
Non voglio le tue scuse né una spiegazione a quello che ho visto. Non è nemmeno sbagliato quello che stavate facendo... è sbagliato quando lo fai con me, James” mormorò Dominique, ingoiando a vuoto e guardandolo finalmente negli occhi.
Il ragazzo sciolse la presa sui suoi polsi e lei si asciugò le lacrime, inspirando con forza prima di cominciare a parlare nuovamente.
“Tua madre ha ragione, state benissimo insieme e formate una coppia meravigliosa, sana.
E potrete sposarvi e fare figli normali” continuò, storcendo la bocca nella pallida imitazione di un sorriso.
“Io non voglio né sposarla e né farci dei figli, Dominique!” sibilò James, affannando pericolosamente con il petto e fissandola sull'orlo di una crisi di pianto.
Dominique sorrise ancora e i suoi occhi divennero due piccoli spilli; appoggiò i palmi aperti sul suo torace e lo sospinse lontano da sé, abbracciandosi da sola per tenersi intera. Per non cadere a pezzi.
“Non ti voglio più, James”
Bugiarda.
Non c'era persona al mondo che amasse più di lui, ma loro non smettevano mai di farsi male e non c'era soluzione – non più almeno.
“Sei una bugiarda!”
Ah, se lo era.
Ma gridarsi reciprocamente di odiarsi e cominciare a fare l'amore subito dopo non aveva più senso. Sorridersi dopo e poi mormorarsi ti amo non funzionava più; dov'erano le sicurezze? Loro non avevano futuro, non avevano scopo... e lei, poi, cos'avrebbe fatto quando lui l'avrebbe lasciata per un'altra?
Perché prima o poi sarebbe dovuto succedere.
Perché prima o poi James l'avrebbe lasciata e lei non sarebbe stata in grado di sorreggere il dolore.
“Io ti amo” urlò James e le tre persone che varcarono la soglia in quel momento si bloccarono – gelate.
Dominique sbiancò e Lily sibilò una bestemmia a bassa voce.
“Smettila di scherzare, Jamie!” ansimò Dom, fissando suo zio Harry con un sorriso tremulo.
Ginny fissò suo figlio e indietreggiò nel vederlo passarsi una mano tra i capelli e strapparsi qualche ciocca.
“Io ti amo” disse ancora, strappando il respiro a Dominique e facendole tremare le gambe.
“Bravo figliolo” sussurrò Draco, sogghignando per il coraggio del figlio maggiore dei Potter. Solo suo figlio poteva gridare una cosa del genere a sua cugina davanti ai propri genitori.
Maledetti geni Potter.
“E non puoi lasciarmi da un giorno all'altro dicendomi che non mi vuoi più. Non puoi e basta” continuò, tendendole la mano come una promessa.
Come una premessa.
“James, ma che stai dicendo?” balbettò Harry, fissando Lily confuso – che uscì da dietro il suo nascondiglio.
“Dominique” la chiamò ancora James, ignorandolo alla grande e fissando la ragazza con occhi supplicanti.
“Sei uno stupido” soffiò Dom, mentre l'ennesima lacrima scivolava via dal suo controllo. Afferrò la sua mano – e si lasciò strattonare tra le sue braccia.
Circondò il suo torace con le braccia, affondò le dita nella schiena – la bocca nel collo e lasciò che il cuore battesse all'unisono con il suo.
“Ma che cazz...” sibilò Harry, prima di interrompersi al suono di un tonfo.
Girarono tutti quanti la testa di scatto e videro Lily torcersi sul pavimento di pietra, quasi in preda ad un attacco di convulsioni.
“Lily!” strillò Scorpius, inginocchiandosi al suo fianco e fissandola terrorizzato.
La vide arcuare la schiena così tanto da alzarsi dal pavimento, quasi fino a spezzarsela ed Harry gemette – ai suoi piedi.
“Ciao stellina”
E la voce non era la sua.
“Brutto pezzo di merda” sibilò Scorpius, fissando Lils con una rabbia dentro che quasi lo divorò; se sarebbe stato lì, davanti agli occhi... lui non avrebbe esitato ad ucciderlo.
Era arrivato ad odiarlo con un'intensità tale da sentirsi male solo a nominarlo e non andava bene: si stava avvelenando da solo.
“Sto solo giocando con le sue stesse carte, tesoro... anche se, devo ammetterlo, possedere questa stronza è più difficile del solito” sibilò con la voce della rossa – ma doppia, quasi maschile.
Gli occhi di Lily si rovesciarono, ma non s'intravide la sclera bianca: era sempre tutto nero. Le sue dita si strinsero così forte da diventare viola.
“Ti rendi conto, vero, che stai possedendo una specie di demone?” sibilò Draco, guardando quello stupido con disprezzo negli occhi grigi.
Lily sorrise perversa e lo fissò, storcendo la bocca in un ghigno infernale.
“Sai, non credevo che una Mezzosangue potesse essere così brava a fare certe cose...” bisbigliò con tono lascivo, fissandolo attraverso le lunga ciglia nere e facendogli attorcigliare le viscere.
No. No. Lui non doveva nemmeno osare nominare Hermione.
Lo uccideva. La uccideva.
“Tu!” ringhiò come un animale ferito, cercando di lanciarsi su quel corpicino e venendo bloccato da un solo braccio di James.
Okay, ora capiva perché Potter junior era un Auror.
“Quella lì non è Diamond, ma Lily e se la colpisci fai del a lei, non a quel porco psicopatico” sibilò con voce rauca, fissandolo così determinato che – per la prima volta in vita sua, oltre la piccola – provò ammirazione per un Potter.
“Non si piegava, quella stronzetta, sapete?” continuò Diamond, mentre le parole di Asteria continuavano a rimbombargli nella testa.
Tu eri così arrabbiato e lei voleva solo salvarti, tesoro; lei voleva che tu sopravvivessi a tutto quello – e che non lasciassi la tua vita nelle mani di qualcuno che non fossi tu.
Lei sapeva che tu non eri cattivo, che dentro te albergava quella luce che nessuno – oltre me e tuo figlio... e lei – ha mai visto.
“Però ho spinto in lei così in profondità che le sue urla si sono sentite fino al villaggio Babbano più vicino a noi” rise diabolico e Draco boccheggiò, spalancando gli occhi fino all'inverosimile.
Tu non ti saresti mai fidato di lei, tesoro e lei voleva solo salvarti.
“Tu farai la sua stessa fine, Diamante”
La voce di Lily si sovrappose a quella di Diamond e tutti quanti sgranarono gli occhi, sperandosi. Ora aveva le mani chiuse a pugno e storceva il collo per cercare di liberarsi... per cercare di riprendere controllo di se stessa.
“Non dimenticare la mia promessa, amore.
Io so cosa si alberga nel tuo cuore – so cosa ti ha spinto a coalizzarti contro di noi.
Mamma e papà non ti hanno voluto, piccolo diamante?” ridacchiò incattivita, mentre quella voce scura si sovrapponeva alla sua e urlava arrabbiata, quasi ferita.
Draco sorrise e Scorpius lo guardò con gli occhi assottigliati.
“No, certo che no.
Mamma e papà non avrebbero mai voluto un mostro come lui al proprio fianco” disse, mentre l'ennesimo urlo portava Lily quasi a rialzarsi dal pavimento.
Ricrollò con la schiena sulla pietra e con gli occhi neri fissò il soffitto, sfinita.
“Non ho mai visto una persona più idiota di lui” soffiò Lily, sorridendo pallida e fissando Scorpius quasi soddisfatta.
“Di che parli?” domandò Harry, aiutandola a sedersi e accarezzandole i capelli rossi.
Lui sapeva cosa significava venire posseduti e sapeva quanto fosse doloroso venire imprigionati in una parte del proprio cervello e lasciare quella persona fare quello che, da lucidi, non avresti mai fatto – nemmeno sotto tortura.
“Quell'idiota si è così concentrato a nascondermi la data di quando avrebbero attaccato che ha lasciato libero tutto il resto del suo cervello” mormorò Lily, attorcigliando le dita a quelle di suo padre e lasciando che Scorpius afferrasse l'altra sua mano.
“So chi è il traditore e chi, invece, può aiutarci” disse la Potter, alzandosi con l'aiuto degli uomini più importanti della sua vita.
“Di che stai parlando?” domandò James, schiarendosi la voce e cercando di riprendere contegno.
Lo stesso contegno che aveva perso per urlare piangendo ti amo a sua cugina, davanti ai suoi genitori.
Oh cazzo.
I suoi genitori. Ora lo ammazzavano.
“Quando andammo a King's Cross per incontrarlo, già sapevo – grazie a papà e tutto il resto – che c'era un traditore a Hogwarts, ma hanno sbagliato. Questa persona non era vicino a Rose, per questo non capivamo mai chi era. Ora so chi è” rise Lily, aggiustandosi la veste nera sul corpo e beccandosi lo sguardo sbigottito di tutti i presenti.
“E chi sarebbe?” si spazientì Draco, trattenendosi dallo azzannarla alla gola per il nervosismo.
Era lei che ti ha salvato, Draco. Non io né qualcun altro, ma lei.
Era lei che ti amava, Draco. Io l'ho fatto solamente dopo... ed era sempre lei che ha lottato per te – con te.
“Chrysanta”
***


“Siamo in piena guerra”
Alice Paciock era alta un metro e quaranta, ma con i suoi tacchi cento e l'espressione combattiva – metteva più ansia lei che un Mangiamorte con tanto di maschera e bacchetta spianata.
Elinor Turner – il capo dei Flower – la guardò con gli occhi verdi ridotti in due fessure, chiedendosi perché diavolo si trovasse chiusa nella stanza delle Necessità con i suoi ragazzi a stare a sentire quella pazza psicopatica.
“E noi che centriamo?” borbottò Abgail, persino più bassa di lei e fissandola con la bocca assottigliata.
“Combatteremo per la Potter” disse Lysander – facendo gli occhioni da cucciolo e facendosi guardare disgustato da Jolie Spinnett, dritta dritta dalla gang di Alice Paciock.
E se l'ape regina era stronza, i suoi seguaci lo erano ancora di più: una decina di Tassorosso che avevano la reputazione più nera della scuola; se Jolie Spinnett aveva messo su un giro di prostituzione ad Hogsmeade, Billie Porter era il suo buttafuori personale – con la sua mole di centoottanta chili e capelli a spazzola.
Poi c'era Nicolas Pattinson, sospeso per aver preso a pugni un Corvonero – che ci aveva provato con la sua ragazza – tanto da mandarlo al San Mungo con le ossa rotte; i due fratelli Alaia, Jakie e Annie, conosciuti per la creazione di alcune droghe in via di sperimentazione.
Poi c'erano Francisco Wayle e Anthony Bridford, i protettori personali di Alice.
“E perché?” mormorò infine Marianne Barrett, la confidente della Paciock – o l'unico essere umano che riuscisse a sopportarla oltre Lysander.
“Perché abbiamo deciso così, ci siamo intesi?” sbraitò Alice, perdendo la pazienza e sclerando come il solito.
“Ma se l'ultima volta che ci abbiamo provato ci hai detto che eravamo un branco di incapaci che andavano incontro alla morte?” sbuffò Destiny, dai Flower, alzando gli occhi al cielo.
Alice sorrise tutta zuccherosa.
“Se schiattate affari vostri, ma entro un mese dovrete essere in grado di fare fatture, disarmare e difendervi... capito?” disse con una vocetta tutta zuccherosa, facendo venire i brividi di disgusto ad entrambi i gruppi.
“Ma perché?” miagolò Marissa Brown, aggiustandosi la treccia avvolta da fiori bianchi e gialli e guardandola con gli occhioni azzurri spalancati.
Alice la fissò da capo a piedi: quella già la odiava perché si era scopata Lysander quando era già nel suo mirino, quindi che le stesse lontana o l'avrebbe azzannata.
La stronza ninfomane.
“Per amor del cielo, ma sei sorda o cosa?” sbraitò, facendosi spuntare corna e coda e facendola nascondere dietro le spalle di Lorcan – che ridacchiò.
“Io ci sto” disse Roxanne, sbracciandosi per dire la sua.
“E tu da dove sei spuntata? Chi ti ha invitato?” urlò la Paciock, quasi assumendo le sembianze di una Banshee.
“Frank” cinguettò Roxie, buttando il ragazzo avanti e facendolo arrossire dalla punta dei capelli fino a quella delle scarpe.
“Sono sempre due combattenti in più, no? Poi Lily ha avvertito anche noi” miagolò con vocina piccina, intenerendo Terence Steeval.
“Sei il benvenuto” disse con tono basso e melodioso, beccandosi un'occhiata da Roxanne che era tutt'altro gentile.
“Ehi, cocca... quello ha il marchio!” sbraitò, sbandierando tutto al vento.
E certo, signori e signore, perché se il marchio era priorità dei maschietti, per Roxanne no. Anche lei metteva il marchio e anche lei menava quando veniva infranto.
“State tutti quanti zitti, caproni che non siete altro!” urlò Alice, spaventandoli tutti quanti e accasciandosi su Lysander – ancora in via di riabilitazione.
“Ammazzami” miagolò, facendogli gli occhioni dolci e beccandosi uno sguardo languido.
Le mancava il sesso, quello violento e in grado di farla urlare i dieci comandamenti al contrario.
“E io come faccio senza di te, poi?” ridacchiò quel bastardo, sciogliendola dall'interno.
Onestamente, se Lily non avesse mandato una missiva a Lysander – spiegandogli che avevano bisogno di un bel po' di studenti che sarebbero stati disposti a combattere ancora una volta – Alice si sarebbe sollazzata nel letto con Lys fino ad anno nuovo.
“Che ne dici se io e te, tra poco, non cacciamo queste bestie da qui dentro e ci dedichiamo un pochetto a noi?” bisbigliò la Paciock, quasi facendo le fusa con quella bocca rossa e gli occhi da cerbiatta.
Lysander sorrise e Frank fece una smorfia.
“Bestia a chi, nana?” sbraitò Elinor, assottigliando gli occhi e fissandola sul piede di guerra.
“Cosa proponi?” bisbigliò Lysander al suo orecchio, accarezzandole un fianco con dolcezza e godendosi il panorama del suo fondoschiena.
Hm.
“Prendo le manette?”
Frank svenne e Roxanne ridacchiò, segnandosi mentalmente di dover comprare delle manette e legarlo a letto, giusto per vedere la sua reazione.
“Femminuccia” sibilò Lorcan, fissandolo dall'alto in basso.
“Ma no, è solo sensibile” rise Roxanne, calciandolo con la punta delle scarpe per constatare se fosse ancora vivo.
“Ragazzi, ci vediamo domani per l'allenamento” soffiò Lysander, lasciandoli tutti quanti con la bocca aperta.
“Ma Lys...” si lamentò Destiny, senza venire ascoltato nemmeno di striscio.
“Buona giornata” cinguettò Alice – mostrando il dito medio a tutti quanti.
Quando anche Roxanne trascinò Frank per la collottola della divisa fuori dalla stanza, Lysander si trovò già Alice aggrappata alle sue spalle intenta a baciarlo.
Gli piaceva il suo modo irruente e irriverente di fare le cose. Lei non si preoccupava di quello che pensavano gli altri, semplicemente faceva quello che voleva fare quando voleva farlo.
E adorava quel lato di lei così strafottente, così ribello e libero.
“Sei una stronza” sussurrò Lysander, frenetico, sbottonandole la camicia velocemente e graffiandole il collo.
“E tu un tossico” rispose Alice, allacciandogli le gambe alla vita e affondandogli le dita nei capelli biondi.
“E sei l'amore” bisbigliò Lys, appoggiandola con la schiena al muro e sbottonandosi velocemente i pantaloni della divisa.
Ah, carne e carne – da quanto sentiva il bisogno di sentirla bruciare contro di sé?
“L'amore mio” sospirò Alice, mentre lui la penetrava improvvisamente e le strappava un gemito.
Poteva anche amarlo all'infinito, se continuava così.
Poteva anche amarlo più del limite, se continuava così.

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Capitolo 27
*** Capitolo ventiseiesimo - I love you ***


Capitolo ventiseiesimo -
I love you



“Salve”
Lily Potter sorrise angelica e una ventina di demoni si girarono all'unisono verso di lei. Tutti con la sclera nera come la sua e venature bluastre a solcare la loro pelle di diamante, li fissarono con le bocche assottigliate dalla rabbia.
“E arrivederci” miagolò Scorpius, cercando di darsela a gambe e venendo afferrato dalla collottola da Lily.
Perché si era lasciato convincere? Perché era sempre presente a quelle spedizioni – che alla fine si rivelavano tutte punitive?
Perché la sua fidanzata era una sadica del cazzo e, lui – povera anima pia, cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto quello?
“Il diamante aveva ragione: c'era un piccolo giglio nero che si aggirava per l'Inghilterra e noi non ce ne siamo mai accorti” sussurrò una donna, facendosi avanti e storcendo la bocca rossa e carnosa nell'imitazione grottesca di un sorriso.
Al posto dei denti, aveva delle zanne simili a quelli di uno squalo.
“E il diamante mi ha mostrato giusto. C'era una alcova di demoni che non aveva accettato di sottomettersi a lui e al Signore Oscuro” soffiò Lily, quasi impalpabile nella sua veste nera.
Era a piedi nudi, quasi come tutti loro e sorrise alle occhiate scettiche e incuriosite che le lanciavano la maggior parte dei presenti.
Scorpius piagnucolò.
“Cosa sei venuta a fare qui?” la interrogò la donna, con i capelli bruni sciolti in tanti riccioli sulle spalle esili.
Si fece avanti in un vestito bianco – stile greco – che ricadeva sul suo corpo slanciato, ma sottile... quasi delicato. L'unica pecca era il suo viso deturpato da vene gonfie, sfregi rossastri e cicatrici vecchie, bianche.
A Scorpius ricordava Lily al culmine della sua rabbia e gli metteva i brividi.
“Ci siamo fatti un giro, ora ce ne ritorniamo a casa. Vivi, possibilmente” si lamentò Malfoy, trattenendosi dal piangere solo perché tra quei demoni c'erano anche ragazzi della sua età – che già lo fissavano ghignando come idioti.
Lily lo fucilò con un'occhiata raggelante, intimandogli silenzio con un gesto imperioso della mano.
Fifone” mimò con le labbra, strappandogli un gemito agonioso.
“Che cosa hai detto?” sbraitò – quasi spettinandola con la forza dell'ugola e facendosi guardare sorpreso da quei darkettoni repressi sessualmente.
Non che lui avesse chissà che vita attiva: aveva fatto sesso con la sua ragazza dopo mesi e mesi di astinenza solo perché lei aveva le sembianze di Voldie; okay, era stato il miglior sesso della sua vita – questo doveva ammetterlo – ma appunto. Una sola e unica volta.
“Noi abbiamo bisogno di un aiuto. Non voglio che voi vi schiariate dalla nostra parte, semplicemente voglio che voi combattiate al nostro fianco e poi chi si è visto si è visto!” cinguettò tutta melensa Lily, ciondolando con il busto come una bambina.
La donna fissò prima lei – probabilmente chiedendosi se non avesse un problema grave al cervello – e poi spostò lo sguardo su di lui, come a volersi accettare che non stesse ridendo per la battutona di Lily.
“Stai scherzando, vero?”
Ecco, appunto. E quando le persone prorompevano in “stai scherzando, vero?” tutti incazzosi, significava che non avevano intenzione nemmeno lontanamente di dare corda.
“Sì” miagolò Scorpius, stropicciandosi le mani ansioso e pallido.
“No” lo interruppe Lily e da come lo stava guardando, probabilmente, quella notte di sesso era stata unica e ultima.
“Noi non ci intromettiamo nelle vostre beghe, umani!” sibilò un uomo sulla trentina, con una leggera barba incolta e lunghi riccioli neri.
Gli occhi quasi la fissarono con disprezzo e la rossa incrociò le braccia al petto , quasi in segno di sfida.
Oh merda, ora quelli li uccidevano e nessuno avrebbe saputo nulla; i suoi genitori avrebbero compianto una bara vuota, come quella di Hermione Granger e nessuno avrebbe saputo che fine avrebbero fatto le sue ossa.
E nemmeno che stava piagnucolando come una donnetta in piena fase mestruale. Hm, forse era meglio così.
“Senti, rossa della malora, io non ho nessuna intenzione di morire per mano di questi pazzi psicotici mentalmente instabili... quindi vedi di non farci ammazzare come cani e andiamocene da qua” sibilò Scorpius a bassa voce, cercando di non farsi venire un attacco di panico e strapparsi i capelli da testa.
“Se fai il bravo bambino, quando andiamo a casa, ti faccio una sorpresa” bisbigliò Lily, persuasiva e nuovamente – quasi come quando erano ad Hogwarts e non avevano le stesse preoccupazioni di ora – qualcuno nelle sue parti basse si svegliò.
“Oh”
E il suo pene esultò in tutte le lingue del mondo, risvegliandosi dal suo stato comatoso e quasi facendo le fusa nei boxer.
“Allora?” continuò Lily, guardandoli trepidante.
In realtà la prospettiva di poter combattere al loro fianco – di poter imparare le loro tecniche – essere in grado di osservare il loro potere, l'affascinava.
Quelli erano demoni veri e propri e nascondevano dentro sé un qualcosa che travalicava la magia o il potere. Erano esseri che avrebbero potuto avere il mondo tra le mani, se solo avessero voluto.
“E cosa ci verrebbe in cambio? Perché dovremmo farlo?” sbottò un ragazzino di appena sedici anni, con dei lunghi rasta bruni che gli arrivavano oltre la schiena.
“Perché io so di cosa vi nutrite” bisbigliò Lily, attirando immediatamente l'attenzione di Scorpius e il resto della combriccola.
Gli occhi grigi di Malfoy divennero due lastre di ghiaccio e si fossilizzarono su di lei – furiosi. Non gli aveva parlato di quel particolare, in realtà non aveva nemmeno accennato ad un possibile scambio per ricevere un aiuto da quei demoni.
“E di cosa, di grazia?” domandò la donna vestita di bianco, facendosi ancora avanti sul marmo bianco di quella chiesa diroccata.
Era strano... i Babbani passavano una vita a credere che bastasse una croce o una chiesa per salvarsi da quegli esseri, quando in realtà loro vivevano proprio lì – circondati da santi in preghiera e croci d'oro.
“Potere, direi” soffiò Lily, storcendo la bocca in un sorriso e camminando fino a fermarsi al centro della navata centrale – dove un tappeto rosso sangue seguiva, sporco e malridotto, il tragitto fino all'altare placcato d'oro massiccio.
“Durante lo scontro, Diamond ha intenzione di usare un rito oscuro per resuscitare Lord Voldemort: oltre ad essere complicato già di per sé, ci sarà il piccolo particolare che non ho intenzione di lasciarlo fare e userò quell'incantesimo per... portare in vita qualcun altro” spiegò Lily, mentre quei demoni quasi pendevano dalle sue labbra.
La donna sogghignò, quasi affascinata dalla piega che aveva preso quel patto.
“Ci sarà così tanta magia oscura da intossicare Londra” bisbigliò, facendo spalancare gli occhi ai suoi compagni e rabbrividendo al pensiero.
Lily annuì e Scorpius spalancò la bocca, sorpreso.
“Cosa?! Affonderemo Londra?” sbraitò sconvolto, guardando la fidanzata con gli occhioni grigi spalancati.
La rossa respirò a fondo, chiudendo il ponte del naso tra pollice e indice: a forza di farsela con i Potter e i Grifondoro in generale, il suo ragazzo aveva preso le loro sembianze. Gli mancavano solo i capelli rossi o neri e una manciata di efelidi sul nasino alla francese.
“Non se loro partecipano e risucchiano tutta la magia oscura. Ma sicuro di essere un Malfoy, tesoro?
Eppure mi avevano detto che eravate pratici su queste cose” sbuffò la Potter, mentre lui le faceva la linguaccia.
Molto probabilmente Scorpius era uscito fuori razza.
“Direi che siete stati molto persuasivi... e intelligenti; il diamante grezzo ci ha promesso potere, luce. Come se noi non camminassimo sulla terra ogni giorno – senza venire riconosciuti.
Come se poi noi non avessimo già abbastanza potere da schiacciarvi quando più ci garba” rise la donna, scuotendo il capo divertita.
Il ragazzo con i rasta le poggiò una mano sulla schiena e lei annuì – inclinando il capo e lasciando che i capelli le scivolassero lungo un fianco.
“Combatteremo con voi”
E Lily Potter sorrise, sancendo quel patto con il sangue.
Perché quel coglione poteva anche avere vampiri e Mangiamorte dalla sua parte, ma lei aveva demoni e Auror... il che era anche peggio.

 
***

“Voglio partecipare anche io”
Lucy Weasley si aggiustò gli occhiali dalla montatura severa sul naso, fissandoli con le mani dietro la schiena e un sorriso speranzoso.
“Non se ne parla” sibilò Alice, fissandola come un insetto particolarmente molesto e liquidando la questione con uno sventolio di mano.
“In incantesimi e Difesa contro le Arti Oscure ho una E, mentre tu hai un accettabile giusto perché hai minacciato i professori. Quindi direi che sono molto più adatta io a questo gruppo che tu” soffiò con la sua solita aria superiore.
Lucy non si sentiva in quel modo, semplicemente sapeva di avere conoscenze superiori per lo studio. E sapeva anche di essere strana, li sentiva i bisbigli per i corridoi, quando passava e la prendevano in giro. Ma a lei non importava granché.
A Lucy piaceva leggere i suoi romanzi romantici e scrivere fino a farsi venire i calli alle dita. Le piaceva stare sola e rifugiarsi nei suoi sogni – in speranze che magari, nella realtà, non poteva nemmeno permettersi.
“E c'è una cosa che voi Purosangue proprio non sapete accettare” soffiò Lucy, mentre tutti quanti la guardavano con tanto d'occhi.
Alice la fissò.
“Cosa, di grazia?” mormorò, incrociando le braccia al petto e alzando il mento in segno di sfida.
I Flower e la banda della Paciock si avvicinarono per sentire meglio e Lucy si sistemò gli occhiali sul naso: lei era stata l'unica dei suoi cugini ad appassionarsi ai Babbani insieme a suo nonno; era stata l'unica ad aver preso parte – anche dopo Hogwarts – alle sue gite in quel mondo che, nonostante la mancanza di magia, nascondeva molto.
E aveva visto film, telegiornali, letto libri... e sapeva che oltre la bacchetta e gli incantesimi, esisteva qualcos'altro che poteva aiutarli. Che poteva farli vincere.
“Incantesimi, fatture, spade e, se magari riusciamo a procurarcele, anche un bel paio di pistole” cinguettò con una luce perversa nello sguardo.
Jakie Alaia sogghignò, stringendosi il ponte del naso tra indice e pollice: come mai non ci aveva pensato prima?
“Grandioso...assolutamente grandioso” soffiò, fissandola con gli occhi castani accesi dall'eccitazione.
“Vero?” si esaltò Lucy, battendo le mani come una bambina con evidenti problemi mentali e già pregustando le sparatorie nel libro che stava scrivendo: 3.00am, dove Lilith Porter aveva scoperto l'amore e aveva combattuto una guerra per salvare tutto ciò che aveva sempre amato.
Perfetto! Tutto assolutamente perfetto, pensò eccitata, accarezzandosi la coda che le teneva legati i capelli.
Sarebbe diventata una scrittrice di successo grazie a sua cugina, di quello ne era sicura.
“E mi dici dove diavolo prendiamo una quarantina di pistole, intelligentona?” disse Anthony Bridford, il protettore di Alice che aveva origini Babbane da parte di padre.
Lucy si bloccò e storse la bocca in una smorfia.
“Merda” si sgonfiò, abbassando le spalle e piagnucolando stizzita e sbattendo i piedi per terra.
Dove diavolo trovavano una quarantina di pistole? Che ne sapeva lei?
Merda, merda, merda!
“A Brixton c'è un negozio che vende vestiti a cento sterline” soffiò Jakie, mentre tutti quanti la guardavano come se fosse impazzito improvvisamente.
“E si chiama Alaia store” s'intromise anche sua sorella Annie, battendogli il cinque per l'idea grandiosa che aveva avuto il suo gemello.
“State facendo pubblicità al vostro negozio?” domandò Alice, sbattendo le palpebre e chiedendosi se fosse finita in un mondo parallelo.
“È una copertura” ridacchiò Jakie, alzando il pollice verso Lucy e facendole brillare gli occhi.
“Continuo a non capire”
E quando Alice non capiva, cominciava ad innervosirsi. E tutti sapevano che era meglio non far innervosire l'ape regina. Se non si voleva avere guai, almeno.
“Mio nonno ha un'armeria illegale a Brixton, tesoro” spiegò Annie, rollandosi una delle sue canne speciali e coccolate con tanta gioia e giubilo.
Lei e suo fratello avevano nonni Babbani da parte di padre, proprio come Bridford e da lì avevano iniziato la loro carriera di sperimentalisti; Jhon Alaia viveva in uno dei quartieri periferici di Londra e aveva avuto più volte problemi con la giustizia, ma da quando suo nipote – che chissà perché gli dava sempre corda – con un incantesimo aveva fatto in modo di rendere invisibile la stanza delle armi a chiunque avesse cattive intenzioni.
Jakie già sapeva che suo nonno avrebbe acconsentito ad aiutarlo... visto che si era salvato più volte le chiappe grazie a lui. E, sempre grazie a lui e sua sorella, guadagnava anche un bel po di soldi.
“E credi che possa aiutarci?” domandò Lucy – portandosi le mani sotto al mento e sospirando alla prospettiva di ciò che avrebbe potuto scrivere.
Scontri a fuoco, incantesimi che cozzavano uno contro l'altro... “Sono eccitata” mormorò in estasi.
“Certo che ci aiuterà” rispose Jakie, fissandola con un sorrisetto sulla bocca.
Uhm, pensò Lucy.
Magari, nella sua storia, lui sarebbe stato il suo amore impossibile – il ragazzo che l'avrebbe circuita e portata sulla strada sconosciuta dell'amore e del sesso.
“Meraviglioso” acconsentì Lysander, mentre gli altri miagolavano al pensiero di quella novità.
“Mmmm, molto meraviglioso” sospirò Lucy, già sentendo le mani di Jakie su di sé.
Questo la guardò con le sopracciglia arcuate – chiedendosi perché avesse quasi la bava alla bocca e l'espressione perversa di chi sta facendo sogni erotici sul ragazzo\a dei propri sogni.
“Proprio meraviglioso” miagolò con vocetta soave, tossendo ripetutamente quando Jakie arrivò con la bocca sotto l'ombelico.
“Stai bene?” domandò proprio questo, mentre Annie dava le giuste indicazioni per arrivare a Brixton e uscirne armati.
“Sei bravo con la bocca” annuì Lucy, ridacchiando come una pervertita quando – nella sua immaginazione – Jakie infilò anche la lingua.
Molto bravo. Anche il modo in cui le teneva ferma le gambe con le mani, spingendo i pollici nell'interno coscia.
“Eh?” domandò Jakie, quasi sconvolto.
“Eh?” sospirò anche lei – ridacchiando di nuovo quando, sempre nella sua immaginazione, Jakie passò anche alle dita.
Oh, oh!”
“Mi fai paura” mormorò Alaia, guardandola con gli occhi castani dilatati dallo spavento.
Lucy sembrava posseduta.
“Quindi, questa sera io e Jakie scriveremo una lettera al nonno e al suo via decideremo chi verrà con noi” disse Annie, passando la canna a Marissa Brown e cogliendo l'assenso in tutti.
“Io vengo con voi qualsiasi decisione prendete” s'affannò a precisare Lucy, prima che una di quelle fattone si aggrappasse al braccio del suo sicuro futuro fidanzato.
La sua fantasia aveva deciso così e basta.
Non che Jakie sembrasse il tipo di lasciarsi abbindolare... ma Lucy sapeva sempre come finiva in quelle situazioni: era o non era una lettrice di romanzi rosa? C'era sempre una zoccola in agguato. Sempre.
“Okay” borbottò Annie, facendo spallucce.
Lucy sorrise a mo' di iena, congiungendo le mani dietro la schiena.
“Grazie cognatina”
Annie gelò sul posto e Lucy le intimò silenzio con un dito sul naso – visto che nessuno aveva ascoltato quel nomignolo da Horror.
Annie guardò suo fratello quasi spaventata dalla possibilità che una pazza del genere potesse riuscire a conquistarlo; in effetti, Jakie quasi era attratto dalle psicopatiche con gravi problemi mentali – e la Weasley, sotto quel punto di vista, stava davvero rovinata, questo lo sapeva tutta Hogwarts. -
“Che c'è? Perché mi guardi così?” domandò Jakie, ricambiando lo sguardo della sorella.
Annie si appuntò mentalmente tutte le cadute che Jakie prendeva la mattina perché usciva dal dormitorio maschile con gli occhi chiusi, il suo vestirsi da donna quando beveva troppo o quando si sbrodolava con il tè la mattina dopo aver fumato. Poi guardò Lucy, con quei libri sotto il braccio e il dire sempre quello che le passava per la testa – il suo non curarsi minimamente di quello che dicevano gli altri e la passione spropositata per l'impossibile.
Bah, in effetti stavano bene insieme.
“Niente” rispose sua sorella, scuotendo il capo nel vedere Lucy ridacchiare ancora.
“Allora ci vediamo domani alla stessa ora. Andate in pace e ammazzatevi per le scale” e la solita dolcezza di Alice, che con la sua solita finezza li stava mandando a fare in culo.
“Muori anche tu” rispose Roxanne – con Frank alle calcagna.
Quei due, oramai, erano diventati come Scamandro e Paciock: dove c'era uno, ci stava anche l'altro e viceversa; era una cosa vomitevole, perché se con la prima coppia dovevi infilarti le dita in gola per la tensione sessuale che scaturiva dai loro pori, per la seconda coppia non potevi far altro che ridere per il cambio di ruoli.
Rox l'uomo e Frank la donna, come sempre.
“Sempre tanto amore tra voi due, eh?” borbottò Frank verso la ragazza, mentre Alice li sbatteva fuori dalla Stanza delle Necessità a calci nel culo.
“Se lo merita, è una stronza” soffiò Roxanne, facendo spallucce e strafregandosene di stare al cospetto del fratello della suddetta stronza.
Frank sospirò e alzò gli occhi al cielo, continuando a trascinare la sua borsa e anche quella della fidanzata, cosa che non era cambiata minimamente – visto che lo faceva anche prima in qualità di segretario. O zerbino, come diceva Alice e mezza scuola.
“Non essere dura con lei, sai che è solo apparenza” disse Frank, anche se non ne era molto sicuro.
Insomma, sua sorella gliene aveva fatte di tutti i colori, ma lui ricordava la ninnananna che Alice cantava quando erano piccoli e le urla dei loro genitori erano così alte da far tremare le mura.
Frank ricordava anche il teatrino di burattini che aveva costruito lei stessa quando la mamma piangeva perché il papà – grazie alla droga che assumeva – non si svegliava per giorni; le carezze, le volte che gli preparava la colazione, il pranzo e la cena perché la mamma si chiudeva in camera e non ne voleva sapere nulla. Perché la mamma prendeva degli anti-depressivi così forti che la portavano a rannicchiarsi su se stessa nel letto freddo e vuoto.
E poi Frank aveva cominciato ad avere gli attacchi di panico, l'ansia e lei aveva rifiutato categoricamente di fargli prendere quella medicina Babbana che quasi stava stroncando e spegnendo la loro mamma; c'era lei a cullarlo e a preparargli la camomilla quando l'aria veniva meno e le stanze rimpicciolivano tanto da fargli temere di soffocare; lei bloccava il tremore delle mani – del suo corpo – gli asciugava il sudore e scacciava le sue paure.
Alice non era cattiva, era solo un'armatura di ferro e un cuore che aveva subito tutto.
“Tu sei troppo buono” lo rimproverò Roxanne, guardandolo con gli occhi verde foglia socchiusi.
Lui si bloccò alle sue spalle e la ragazza dalla pelle mulatta si fermò – storcendo la bocca in una smorfia.
“E tu sei troppo bella”
A volte Frank aveva quegli attacchi. Si fermava e diceva quello che pensava senza arrossire – come se il suo cervello si bloccasse improvvisamente e la sua bocca parlasse di per sé. La guardava e le smuoveva qualcosa dentro, quasi mettendole paura.
Perché Rox continuava ad aver paura di quello sguardo serio, limpido... sincero; lui continuava a guardarla come se fosse la cosa più fragile di quel pianeta e quasi cominciava a sentirsi così.
Con Frank cominciava a sentirsi fragile, bella, quasi donna quando lui la sfiorava solo con lo sguardo. Lui riusciva a tirare fuori le sue paure e annullarle, cullarle con una dolcezza che la disarmava.
“Mi ricordi perché ancora devo sbatterti al muro e violentarti come se non ci fosse un domani?” domandò Roxanne, facendolo arrossire dalla punta dei capelli fino a quella delle scarpe.
Frank miagolò.
“Sta attento, la notte non sai mai cosa potrà capitarti sotto le mie grinfie” sghignazzò perfida la riccia, strofinandosi le mani tra di loro soddisfatta.
“Sembra più una minaccia che una dichiarazione d'amore”
E Rose Weasley spuntò alle spalle di Frank, causandogli quasi un mezzo infarto per l'apparizione da fantasma.
“Le mie dichiarazioni sono così, che vuoi?” sibilò Roxanne, guardandola superiore.
Rose sorrise.
“Lo so” sospirò, volgendo il sorriso a Tom alle sue spalle.
“Abbiamo saputo che vi state allenando sotto ordine di Lily” disse Nott, allacciando le dita a quelle della propria ragazza e guardandoli con gli occhi blu finalmente sereni.
Roxanne guardò Frank prima di socchiudere gli occhi: sua cugina era stata molto chiara nella missiva che le aveva scritto e non poteva ignorarla. Non se c'era un pericolo di quelle proporzioni in giro per Hogwarts come una mina vagante.
“Tom, dobbiamo parlare” mormorò Rox, invitandoli a seguirla con un cenno del capo.
Se c'era una cosa che odiava, quella erano i traditori. Lei proveniva da una famiglia numerosa e unita per la pelle e non riusciva a pensare di poter essere tradita da sangue del suo sangue. Da carne della sua carne.
Entrò in una classe vuota e venne raggiunta dagli altri tre: si sedette sulla cattedra impolverata e si chiese quanto dolore potesse sopportare una persona prima di crollare.
“Cos'è successo?” domandò Tom, sedendosi anche lui su un banco di fronte a lei e guardandola curioso.
Roxie si chiese quanto dolore potesse sopportare una persona prima di rimanerne uccisa. Perché lei lo sapeva: il dolore prima o poi avrebbe ucciso.
Quello lo dimostrava l'assenza di nonno Arthur. Gli occhi a volte spenti di suo padre.
“Due giorni fa Lily è stata posseduta” iniziò Rox, facendo sobbalzare Rose.
“No, sta bene” la tranquillizzò, bloccando sul nascere qualsiasi domanda; doveva concentrarsi sull'essere il più dolce possibile.
Lei odiava le persone che non sapevano essere chiare e concise e lei per prima era di una faccia tosta impressionante, ma in quei casi... ma in quei casi le parole erano importanti. Il dosarle e renderle il meno possibile dolorose.
“E tu sai che quando una persona viene posseduta, le due menti – quella del posseduto e quella di chi la possiede – vengono a contatto.
Essendo Lily nel pieno delle sue forze e Diamond concentrato a nascondere alcune informazioni, lei ha avuto accesso ad altro” continuò Roxanne, congiungendo le dita sotto al mento.
A volte si chiedeva perché le affidassero compiti così difficili. Lei odiava il dolore: ci aveva vissuto così tanto tempo a contatto che ora era arrivata ad esserci intollerante.
Rose sembrò capire qualcosa, perché strinse la presa su Tom con violenza.
I funerali di sua madre ancora dovevano tenersi, suo padre non si era capacitato di quella morte e lei e zia Ginny stavano cercando di organizzare il tutto anche con l'aiuto delle donne di casa Weasley.
“C'era e c'è un traditore qui ad Hogwarts, Tom”
I suoi occhi blu si sgranarono, quasi dilatandosi per la sorpresa.
Rose socchiuse gli occhi e rilasciò un sospiro brusco, mentre Rox osservava dolcemente le sue occhiaie profonde e l'incarnato pallido; era dimagrita dalla morte della mamma – anche se accanto a Tom sembrava più serena di quel che era.
“Perché lo stai dicendo a me?” bisbigliò Nott, ignorando il cuore accelerare di battito.
“È tua sorella, Tom”
Tom sorrise e scosse il capo, “impossibile” mormorò in risposta – ridendo per quella stupidaggine.
Era tutto uno scherzo. Sua sorella non sarebbe mai stata in grado di metterlo in pericolo né di voltargli le spalle.
“Mi dispiace” disse Roxanne, mentre Frank si schiacciava contro la porta dell'aula nel vederlo tremare.
Impossibile. Sua sorella non avrebbe mai potuto fargli del male. Quella ragazza dai suoi stessi occhi, dal suo stesso sangue, non gli avrebbe mai voltato le spalle.
“Dalton è in coma e Scorpius probabilmente verrà ucciso dalla sua stessa ragazza e mia sorella li considerava come parte integrante della famiglia. Non è in grado di fare questo. Non può” s'impuntò, quasi sentendosi morire.
Gli abbracci, le risate, i litigi e il fare pace... come può una sorella baciare come Giuda?
“No” bisbigliò, sentendo il cuore produrre un crack così rumoroso da assordarlo per cinque secondi netti.
“NO!” urlò così forte da far scoppiare le finestre nella classe e cadere i quadri attaccati alle pareti di pietra grezza.
Ora Roxanne lo sapeva: una persona poteva sopportare un'infinità di dolore... il problema era l'impatto. Se si superava l'impatto iniziale, ci si salvava.
Se non si superava l'impatto iniziale... semplicemente, si impazziva.

 
***

Aveva le mani fredde di chi è vicino all'ipotermia e le vene così gonfie da creare solchi sul metacarpo. I polpastrelli erano ruvidi e gli accarezzavano le guance con delicatezza – quasi graffiandolo con i calli.
La pelle delle spalle, del seno e le gambe era liscia, ma ogni tanto veniva intaccata da sfregi o cicatrici, scaglie inumane o vene.
I capelli erano una massa di seta rossa e Scorpius, più volte, li aveva lasciati scorrere tra le dita: odoravano ancora di gigli e iris quando li annusava e a lui rassicurava quel profumo. Lo faceva sentire a casa.
Lo faceva sentire vivo, come se poi la vita iniziasse quando c'era lei. Come se iniziasse solo quando c'era lei.
“Lily” la chiamò con voce bassa, quasi come se avesse paura di disturbare il silenzio che li circondava.
Non erano tornati a casa, quasi come se il bisogno di pensare – di restare soli e perdersi per un attimo nei propri pensieri – fosse primordiale; il mare di notte era uno spettacolo unico ed irripetibile e questo Scorpius l'aveva solo letto nei libri o sentito dire: non si era mai azzardato ad avvicinarsi alle onde di notte né di lasciarsi in ammollo nell'acqua gelida per così tanto tempo.
Ma ora aveva osato e aveva i capelli bagnati dall'acqua salmastra. Ora aveva osato e Lily gli teneva le braccia legate al collo e le gambe alla vita – tenendosi in equilibrio nell'acqua come una sirena.
Era nuda e Scorpius la sentiva contro di sé con una prepotenza unica e inimitabile: era come se tutto fosse cambiato e tutto fosse uguale; era come se, contro il bagliore della luna e l'oscillo adulatorio delle onde, lei lo stesse – per la prima volta da quando si era trasformata – finalmente amando.
Perché Scorpius la sentiva la differenza.
Perché lei ora era più calma e lo guardava negli occhi con la consapevolezza che quella sarebbe potuta essere l'ultima volta che si trovavano così vicino. Perché ora, se una sua mano si trovava tra i suoi capelli bagnati, l'altra si trovava intrecciata alla propria, in un modo quasi dolce di fare l'amore.
Lily sembrava una di quelle sirene che si raccontavano nelle fiabe, che con i lunghi capelli rossi e la bocca carnosa attiravano i viaggiatori per ucciderli e trascinarli in fondo al mare. Quelle sirene che, una volta raggiunto il proprio obiettivo, ritornavano alla loro forma terrificante.
E Scorpius lo sapeva: di terrificante, la sua Lily, aveva solo il potere di poterlo spezzare in due dal dolore. Non quello di uccidere. Non quello di poterlo ferire carnalmente – ma sentimentalmente, di spezzarlo dentro.
“Ti amo”
L'aveva detto. Forse la voce gli tremava un po, forse un gabbiano aveva attutito il sospiro che aveva sentito bene uscire dalla sua bocca sorridente – ma l'aveva detto. E ora lei lo guardava con gli occhi socchiusi, come se invece di una confessione avesse sentito una delle sue canzoni preferite, che poi magari alla radio non passavano mai e quella – quella – era la prima volta che lo facevano.
Lily lo fissò.
Quel “ti amo” stava mettendo fine a tutto ciò che era successo, a tutti i limiti che si erano imposti – alla scommessa che si erano fatti alle tre di quel mattino maledetto e agli insulti che non si erano risparmiati.
Quel “ti amo” stava mettendo fine al loro essere Malfoy e Potter e a quel cambiamento che li aveva visti prima allontanarsi – per colpa di lei – e poi essere ancora più uniti – per la tenacia di lui.
Quel “ti amo” stava mettendo fine e, automaticamente, stava dando un inizio.
“Anche io”
Al loro inizio.

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Capitolo 28
*** Capitolo ventisettesimo – Near the end ***


Note autrice:

So che in passato ho tardato negli aggiornamenti e so anche che non sono mai arrivata fino a questo punto; sono mesi oramai che 3.00am non viene aggiornata e capirei se parecchie di voi non ricordassero più questa storia.
Molte di voi erano a conoscenza dei miei problemi in famiglia, anche se – più o meno – tra un problema e l'altro sono sempre riuscita a gestire le mie storie e questo mio “sogno”. In fondo scrivere mi faceva sentire bene e tutt'ora, mettere mano al pc e a OpenOffice, mi emoziona ancora.
Nemmeno due mesi fa è venuto a mancare mio padre. È venuta a mancare la mia figura di riferimento, colui che mi ha insegnato a non mollare mai e a credere sempre in me stessa.
Sapevo che sarebbe successo, sapevo che prima o poi mi sarei trovata davanti a questa perdita, ma dopo due anni di lotta subire una sconfitta è stato straziante, triste. Dopo due anni abbiamo perso e credo che questa sconfitta me la porterò per sempre sulla pelle.
Ma non sarebbe giusto mollare... non sarebbe giusto disinstallare OpenOffice e dare forfait. Non sarebbe giusto né nei miei confronti né nei suoi.
Non sarebbe giusto lasciare tutto così, in sospeso e mollare le armi: lui in primis non avrebbe voluto. Lui in primis avrebbe voluto che io lottassi, che io vincessi ciò che desideravo davvero.
Ho aggiornato. Dopo parecchie indecisioni, mesi, ansie e blocchi, ho aggiornato e non so quante persone ci saranno questa volta.
Non so chi seguirà ancora 3.00am, ma volevo ringraziare lo stesso chi è stato con me fino ad ora. A chi ha creduto in me e lo fa tutt'ora.
Questo capitolo e dedicato a voi e a lui, che sarà sempre il mio cuore.

 

Capitolo ventisettesimo –
Near the end

 

A te”

 

 

 

 

 

La tensione era alle stelle. I ragazzi sapevano che la fine era vicina e riuscivano a sentire nell'aria l'eccitazione – l'adrenalina e la paura che solo l'inizio di una battaglia poteva portare.
Lilith Porter sospirò, alzando gli occhi bruni sul ragazzo immobile di fronte a lei; ancora non riusciva a capacitarsi della bellezza sovrumana dell'uomo che le aveva rapito il cuore – l'anima, il senno e la capacità di poter pensare ad altro quando c'era lui nei paraggi.

 

“Malfoy, è un Avada Kedavra, cazzo... ed è diretto verso gente che vuole vederci schiattare tra atroci sofferenze! Mi dici che problemi hai?
Non devi fare il puro di cuore con chi ballerebbe sulla tua tomba!” sbraitò Lily, con i capelli rossi quasi rizzati sulla nuca.
Scorpius piagnucolò, dando ripetute testate contro il muro alle sue spalle: perché doveva sentirsi dire quelle cose da una Potter? Da una Potter, insomma!
Suo padre quasi vomitava quando raccontava delle imprese miracolose di Harry – e di poco non sputava arcobaleni quando gli diceva come Potter aveva sconfitto Voldemort con un solo Experlliarmus – e ora si ritrovava a venire rimproverato dalla figlia del suddetto Santo, perché di usare una maledizione senza perdono proprio non ci riusciva. Era contro natura che lo facesse proprio lei.
Era... innaturale, cazzo.
“Devi dirmi tu che problemi hai, rossa della malora!” urlò in risposta Scorpius, spalancando gli occhi grigi e trattenendosi dal mandarla a fare in culo.
Giusto per non venire trucidato, ecco.
“L'unico mio problema sei tu, Malfoy”
Lucy guardò la pagina che la sua penna prendi-appunti aveva scritto sotto suo ordine, tossendo ripetutamente per la scena irreale appena trascritta. Perché aveva una cugina così poco romantica?
Come avrebbe potuto scrivere scene d'amore su Lily se questa ispirava a Lucy solo sangue e morte? Il suo libro era agli sgoccioli, oramai, e la Potter si stava tirando indietro all'ultimo.
Non poteva continuare a basarsi su scene immaginate! Doveva, voleva vedere qualcosa dal vivo. Dai due diretti interessati. Chi aveva la fortuna di avere i protagonisti della propria storia in carne ed ossa disponibili ventiquattro ore su ventiquattro? Nessuno! E proprio per questo motivo aveva bisogno di vedere le scene che scriveva.
Di sospirare alla dolcezza di Scorpius o all'incredibile bisogno di Lily d'averlo sempre accanto. Anche se non riteneva Scorpius così meraviglioso come Scorpio Malafy, il protagonista del suo romanzo. Certo, era un bel ragazzo e aveva un culo letteralmente da favola, ma non era sexy come il suo Jakie – da cui aveva preso ispirazione – o i tratti immaginari del ragazzo descritto nella sua storia.
Lucy sospirò, afflitta.

 

Il corpo di Scorpio era possente e dinamico e sembrava richiamarla a sé in un modo quasi primordiale. Lilith fremette e lui – quasi come se avesse percepito l'effetto che le procurava quella vicinanza – sorrise in modo beffardo.
Con i polpastrelli le accarezzò il volto levigato e con l'altra mano le afferrò i capelli, strappandole una smorfia e avvicinandola a sé con prepotenza.
« Sto impazzendo » mormorò con la sua voce roca, virile.
Lilith sentiva che era eccitato al massimo e la voleva. La voleva per sentirla vicina. La voleva perché la battaglia si avvicinava e quella sarebbe potuta anche essere l'ultima volta che si vedevano vivi.

 

“Beh, nemmeno tu sei una passeggiata, Lily!” la prese in giro il Serpeverde, facendole il verso e guardandola ironico.
Le narici di Lucy fremettero, indignate.
“Puoi anche segarti per il resto della tua vita, tesoro... perché non sarà una passeggiata nemmeno portarmi a letto” soffiò Lily, dandogli le spalle con gran stile e dirigendosi verso Blaise Zabini – che fischiò ammirato.
“Vent'anni in meno e saresti stata la mia scopa-amica preferita” sospirò l'uomo, sbattendo le ciglia civettuolo.
Lily sogghignò e Scorpius mimò di tagliarsi le vene.
“Pensa a tua moglie che sta flirtando con uno yankee e all'andropausa, zietto caro” sibilò il ragazzo dai capelli biondi, assottigliando gli occhi grigi e stringendo la bocca in una linea sottile.
Blaise assunse un colorito verdognolo.
“Io. non. sono. in. andropausa” sillabò Blaise, senza preoccuparsi minimamente del commento sulla moglie.
Lui, in andropausa! Orrore, atrocità, eresia!
“Non si preoccupi, signor Zabini. Io verrei a letto con lei anche se fosse in quel periodo particolare del mese!” cinguettò Lucy, dondolando il busto con le mani congiunte dietro la schiena, soddisfatta.
Blaise guardò prima gli occhioni nascosti dalle lenti, poi passò al seno generoso nascosto da un maglione – che probabilmente era della taglia di suo figlio – e infine fissò le gambe scoperte dalla divisa.
“Beh, quasi certamente lo farei anche io, inutile negarlo” sospirò Zabini, che di dire bugie oramai non ne aveva più voglia.
Da giovane ne aveva combinate così tante da non ricordare tutti i particolari della sua vita e le sfaccettature proibite delle sere passate, ma certi giorni ritornava a casa con la sola consapevolezza di avere due piedi e una bacchetta.
Nessuna era riuscita a cambiarlo, all'inizio nemmeno sua moglie: era cresciuto nel benessere – nel potere e nella ricchezza e non ne aveva mai abbastanza; donne sconosciute erano entrate e uscite dal suo letto, miliardi di galeoni erano stati spesi solo per champagne, super alcolici e droghe sperimentali che a quell'età gli stavano portando non pochi problemi.
Blaise non si era mai imposti limiti. Mai. Si superava sempre e non si accontentava mai... ma poi era nato lui.
Ma poi era nato il suo bambino e tutto era cambiato. E tutto aveva preso un'angolazione diversa.
“Ci sarà anche lui”
Lucy lo guardò attraverso gli occhiali spessi, sedendosi alla sua destra e aprendo un libro sul tavolo di cedro; cercò di non guardarlo negli occhi e Blaise inclinò il capo – fissandola.
“Lui chi?” mormorò, sbattendo ripetutamente le palpebre in completa confusione.
Lucy fissò Angelique, il demone che Lily aveva chiamato per combattere al suo fianco e sorrise – enigmatica.
“Dalton” soffiò soddisfatta, vedendolo sgranare gli occhi.
Angelique rovesciò il capo verso di lei e Lucy fece ciao-ciao con la manina, ciondolando le gambe come una bambina.
“Ci sarà anche lui?” saltò su Blaise, che con la sua mole quasi rovescio la tavolata e cinque o sei sedie.
Lucy annuì, ridacchiando, e gli occhi di Angelique si accesero di una luce quasi maligna.
“Ci sarà un uomo – un giorno. Un uomo che piegherà il suo spirito, che cercherà di sottrarle ogni cosa” mormorò la demone di fianco a Lily – attirando la sua attenzione.
La sclera della Potter si rovesciò nella sua direzione, fossilizzandosi su di lei.
“Un uomo dalle fattezze angeliche le porterà via tutto ciò a cui tiene di più” continuò Angelique, quasi deliziata da ciò che vedeva.
Lily girò lentamente il capo verso Lucy e sgranò lo sguardo – incredula.
La vide dare un colpetto sulla spalla di Blaise e ridere di una delle sue solite battute; si era portata una ciocca di capelli sfuggiti dalla coda ferrea dietro l'orecchio e Lily soffocò il conato di vomito che le era salito alla gola.
“Oh sì...” bisbigliò Angelique, socchiudendo gli occhi.
Lo stridio di un violino fece sobbalzare la demone – riportandola a fissare Lucy senza fiato.
“Deus meus” annaspò, portandosi una mano al petto per quello che le era balzato agli occhi.
“Cosa?” sibilò Lily, mentre Lucy guardava – con la coda dell'occhio – un ragazzo dall'altra parte della stanza.
“Spero solo che l'inferno sia di suo gradimento” e con questo Angelique diede le spalle alla Weasley, ritrovandosi faccia a faccia con Lily.
“Di cosa stai parlando?” sussurrò con voce mortalmente calma la Potter, afferrandola per il polso e senza suscitare nella marmorea figura della demone alcuna reazione.
Angelique mostrò le zanne con un sorriso perfido e poggiò la bocca violacea accanto al suo orecchio.
“Lucifero la vuole e sta sicura che se la vuole... è già sua” e con queste parole si allontanò definitivamente da lei, lasciandola immobile e con l'eco di quella frase impressa nella testa.
Lily guardò ancora una volta sua cugina – chiedendosi cosa intendesse Angelique con quello.
Lucifero.
“A cosa stai pensando?” suo fratello James comparve al suo fianco, fissandola in attesa.
“Tu e Dominique baderete ai corpi di Albus, Dalton e Joe” disse Lily, tenendo per sé la profezia che – quasi senza volerlo – Angelique le aveva fatto su Lucy.
“Cosa? Ma perché?!” sbottò James, aggrottando le sopracciglia e alzando la voce.
Aveva le labbra così strette che impallidirono tutte d'un tratto e le mani strette a pugno, tanto da illividirsi le nocche; la fissò con gli occhi assottigliati e Lily rise, accarezzandogli intimamente la spalla.
“Ho bisogno di qualcuno che li protegga e solo tu sei abbastanza forte da potermi aiutare, Jamie” rispose la Potter, lasciando che Dominique li affiancasse.
Era sempre al centro dell'attenzione: alcuni sembravano volerla divorare solo guardandola e James cominciava a ribollire. Lei era sua e basta ed era stanco di nascondersi.
Era stanco di avere paura.
“Stai cercando di rabbonirmi con due complimenti messi a casaccio?” sbuffò, passandosi una mano tra i capelli scuri e guardando un gruppo d'Auror alle spalle dei due con aria minacciosa.
“Sì” cinguettò Lily, sbattendo civettuola le ciglia scure e fissandolo con ironia. Dominique ridacchiò – coprendosi la bocca con una mano.
“Non ridere!” piagnucolò James, mettendo il broncio come un bambino e incrociando le braccia al petto.
“Peccato che qui ridano tutti di te” frecciò Lucy, passando saltellando e facendosi guardare indignata dal cugino.
“Eh? Chi è che ride di me?
Come osi?!” sbraitò James – quasi spettinandola con la forza dell'ugola.
Lucy rise e Angelique socchiuse gli occhi, rabbrividendo. Molti demoni avevano la capacità di vedere, toccando una specifica persona, il suo futuro o almeno solo la parte tragica di questo.
A lei era capitato poche volte, ma con Lucy era stato diverso. Angelique aveva visto ogni cosa...ed era stato terribile.
“Marameoo” rise Lucy, facendo la linguaccia a James e scansandolo di scatto per non venire afferrata. Andò a sbattere proprio contro di lei e Angelique storse la bocca in una smorfia: c'erano due occhi gialli che seguivano il cammino di quella ragazza. Due occhi che lei conosceva bene e che – nonostante oramai fosse una demone con secoli alle spalle – le mettevano ancora i brividi.
“Stacci lontana” le sussurrò all'orecchio, facendola sobbalzare e girare di scatto.
James la guardò in modo strano e Lucy sbatté ripetutamente le palpebre, sorpresa.
Da chi doveva stare lontana?
“Da chi dovrei stare lontana, di grazia?” borbottò infatti, inclinando il capo e portandosi dietro l'orecchio l'ennesimo ciuffo di capelli.
“Dall'uomo col violino” rispose in un soffio la demone, sorridendo enigmatica e dandole le spalle.
Lucy sgranò gli occhi fino all'inverosimile, immobilizzandosi.
A quelle parole il cuore cominciò a batterle furiosamente nel petto – quasi portandole via il respiro. Lucy tremò e, sentendo il sangue ghiacciarsi nelle vene, sentì il suono di un violino rimbombare come un eco nella sua testa.
Si portò di scatto le mani alle tempie e quasi si accartocciò su se stessa: cos'era quel suono? E di cosa diavolo stava parlando quella demone?
“Perché quell'uomo ti porterà dritta sotto terra” finì Angelique, andandosene definitivamente e raggiungendo Alec, il suo compagno.
James corrucciò le sopracciglia e fissò la cugina con gli occhi nocciola contratti. “Tutto bene, Lu?” domandò, scuotendola leggermente per le spalle e cercando di attirare la sua attenzione.
Lucy continuò a guardare il vuoto, sentendo l'eco di quel violino cercare di trapanarle i timpani e il cervello.
“Ehi!” e James la spintonò più forte, scuotendola dallo stato comatoso in cui sembrava essere caduta.
Lucy spalancò gli occhi e lo fissò, ancora più confusa di prima. “Che? Che vuoi?” borbottò, massaggiandosi la spalla alla quale l'aveva colpita per farla rinsavire.
“Sei viva?” sbottò James, ironico – allungando le braccia verso l'alto e urlando un “Alleluja!” che quasi attirò l'attenzione di tutta la sala.
Lucy lo fulminò con un occhiata, storcendo la bocca in una smorfia disgustata.
“Non meriti nemmeno una mia risposta, tresor” mormorò a bassa voce, allontanandolo da sé con un dito, come se poi tutto il resto della mano avrebbe richiesto troppo sforzo da parte sua. Sforzo non meritato.
“Stronza” cinguettò Jamie, facendo sfavillare le ciglia in un imitazione grottesca di una ragazza che cerca di fare colpo.
“Succhiamelo” rispose Lucy con un sorriso a trentadue denti, mostrandogli il dito medio e avvicinandosi al gruppo di Alice che confabulava tutto preso.
“Cosa state dicendo?” urlò, apparendo alle loro spalle e ridacchiando quando si beccò un paio di bestemmioni grandi quanto una casa per averli fatti sobbalzare.
“Santo Merlino, Weasley! Sei impazzita?
Quante volte devo ripeterti che devi prima annunciarti e poi apparire alle spalle delle persone? Così ci farai morire tutti prima di aver raggiunto la fine della pubertà!” sbraitò Annie, la sua sicura e futura cognata.
La vide massaggiarsi il petto per rallentare il battito accelerato del petto e fucilare il fratello al suo fianco.
“Jakie, smettila di rollare, cazzo! Siamo al quartier generale degli Auror” sibilò poi a bassa voce, riprendendolo con una gomitata e quasi mandando all'aria l'erba che Jakie stava coccolando con tanto amore.
Questo la guardò indignato e Lucy sospirò – nella più idilliaca beatitudine.
“Che mi tocca fare” sospirò Annie, mollando una gomitata anche a lei nel vederla sbavare indecentemente.
Di solito, quando Lucy arrivava a quel punto, significava che aveva avuto abbastanza tempo di osservare suo fratello da ripetere le scene vietate ai minori di cinquant'anni per dieci volte.
“Riprenditi, psicotica” bisbigliò a bassa voce, chiudendosi il ponte del naso tra pollice e indice.
Ah, povera lei che doveva subire tutto quello.
“Comunque, stavamo decidendo chi doveva possedere delle armi visto che non ce ne sono per tutti” spiegò Anthony, uno dei protettori di Alice.
Lucy rinsavì improvvisamente, drizzandosi in tutto il suo metro e cinquanta.
“Visto che io stavo quasi per venire ammazzata da dei poliziotti Babbani, direi che una mi spetta di diritto” si buttò avanti con nonchalance, sorridendo tutta zuccherosa.
Anthony la fissò minaccioso dai suoi due metri d'altezza, facendola quasi rannicchiare nel suo misero metro e cinquanta. O un metro e basta – come le ricordava gentilmente James, il suo cugino preferito.
Lucy tossì.
“Tutti stavamo per morire per mano di quei poliziotti, psico” sibilò con cattiveria, chiamandola con quel soprannome stupido che le avevano affibbiato ad Hogwarts.
Pff, pensò indignata.
“Non può fregarmene di meno della fine che stavi per fare, lurido sacco di merda” cinguettò melensa, alzando il mento in segno di sfida e incrociando le braccia al petto.
“Come mi hai chiamato?” ruggì Anthony, facendo un passo avanti e proiettando la propria ombra su di lei.
“Lurido. Sacco. di. Merda” sillabò nuovamente Lucy, scandendo bene parola per parola e fronteggiandolo come se non pesasse cento e passa chili.
Un solo cazzotto sul cranio e avrebbe creato un buco nero proprio al centro della Sala Meeting al Ministero.
“Che c'è? Sei anche sordo ora o semplicemente sei troppo stupido per capire una frase di senso compiuto?” domandò con quel tono saccente che – a suo tempo – aveva fatto arrabbiare persino Rose Weasley.
E con la madre che si ritrovava era tutto dire.
“Brutta...” iniziò Anthony, venendo bloccato da un gemito disperato di Alice.
Questo si girò di scatto – sempre sull'attenti quando si trattava della sua ape regina – e la osservò con aria adorante.
“Ho mal di testa, potreste smetterla di litigare?” si lamentò la Paciock, afferrando una pistola dal sacco e lanciandola a Lucy e quest'ultima, quasi come se nella sua vita non avesse fatto altro che afferrare oggetti volanti, l'afferrò a volo.
“Sì mia signora” pigolò Anthony, assumendo un espressione colpevole e quasi rannicchiandosi nel suo angolo.
Che Anthony avesse una cotta stratosferica per Alice non era una novità: lo sapevano anche i muri. Tranne la Paciock e Lysander, che cominciava ad avere qualche dubbio.
“Questa situazione mi puzza” sibilò a bassa voce, annusando l'aria con la bocca serrata in un espressione rabbiosa.
Alice lo guardò con aria indifferente.
“Sarà la canna che si sta fumando Jakie” rispose, facendo spallucce e indicando il ragazzo a pochi metri da loro che – ignorando completamente la sorella – si era acceso quella tanto sospirata canna alla faccia degli Auror sparsi per la sala.
“Quello è innamorato di te” si sbalordì da solo Lysander, spalancando gli occhi azzurri e indicando il ragazzo come un insetto particolarmente disgustoso.
“Eh?” borbottò Alice, fissandosi le doppie punte con terrore puro nello sguardo.
Da quando non curava i suoi meravigliosi capelli? Cominciava a diventare una stracciona come Rose Weasley.
“Perché non me l'hai detto?” domandò indignato, scuotendola come un invasato.
Alice lo guardò, sbattendo ripetutamente le palpebre.
“La droga ha finito di rincoglionirti?” sbottò la Paciock, liberandosi dalla sua presa, seccata.
“Non cambiare discorso, tesoro” sibilò Lysander, incrociando le braccia al petto e ignorando quella specie di danza tribale che stava simulando Lucy per la pistola appena ricevuta.
“Ma la smetti? Cosa stai dicendo?” sbuffò Alice, spintonandolo con un broncio adorabile sulla bocca di rose.
Lysander indicò Anthony, in quel momento immobile a vedersi danzare attorno Lucy.
“Ti ho sconfitto, sacco di merda!” canticchiò la Weasley, alzando le braccia al cielo e sculettando.
“Che centra il sacc...Anthony?” si corresse all'ultimo minuto Alice, sbattendo angelica le lunga ciglia bionde.
Lysander sogghignò: a volte l'adorava quando era cattiva. Non sapeva perché... all'inizio era quello a dividerli; all'inizio era quel suo lato strafottente a metterlo in guardia, ma ora non sapeva che magia gli aveva fatto, sapeva solamente che era riuscita a farglielo amare in tutte le sue sfaccettature.
Quel lato oscuro lo dominava, lo avvolgeva ed era piacevole.
“Merlino, sto una merda” sbuffò Jackie, crollando sul pavimento con un sospiro e sorridendo come un beota.
Lysander lo guardò con una smorfia.
“No, sei strafatto ed è ben diverso” sibilò, menandogli un calcio negli stinchi e facendolo rotolare su se stesso.
Lucy s'inginocchiò su di lui.
“Sei abbastanza fatto da andare oltre al sei fuori di testa, Weasley?!” borbottò, punzecchiandolo con un dito e imitando la sua voce quando faceva un'affermazione un po' più spinta del solito.
Jackie mugugnò e un sorriso enorme si formò sul viso di Lucy.
“Vuoi venire con me? Ho una torta di cioccolato proprio nell'ufficio qui accanto...” mormorò con voce perversa e zuccherosa, sbattendo civettuola le lunga ciglia e allibendo i presenti.
“Non dirmi che ha davvero intenzione di...” iniziò Alice, venendo interrotta proprio dal balzo di Jackie.
“Cibo? Dove? Quando? Portamici!” sbraitò, mentre Lucy nascondeva le mani dietro la schiena e ridacchiava perfida.
Annie si toccò la fronte, chiedendosi se veramente la Weasley avesse il coraggio di approfittare di suo fratello in quelle condizioni.
“Vieni con me, su!” cinguettò Lucy, prendendolo per mano e portandolo fuori dalla Sala meeting con un sorrisetto che non prometteva nulla di buono.
Sì, aveva il coraggio di approfittare di suo fratello anche in quelle condizioni.
“Tuo fratello suona il violino?”
Lily apparve alle sue spalle quasi causandogli un infarto e Annie ingoiò una bestemmia giusto per tenere integro il suo bel collo da cigno.
“Ma chi, Jackie?” borbottò, sbattendo le palpebre ripetutamente e stringendo le labbra per trattenere una risata a fondo gola.
“Quanti fratelli hai?” sibilò Lily, assottigliando gli occhi in una linea sottile e fissandola con aria omicida.
Annie scoppiò a ridere, piegandosi su se stessa e colpendosi ripetutamente le ginocchia.
Jackie! Jackie a suonare il violino!
“Ma l'hai visto? Quello è fatto ventiquattro ore su ventiquattro, se vede un violino lo brucia e se lo mette nella cartina credendolo fumo Africano!” sbottò, rossa per le troppe risate.
Lily alzò gli occhi al cielo.
“Jackie a suonare il violino! Jakie!” ripeté Annie, scuotendo il capo e asciugandosi le lacrime dalle troppe risate.
“Simpatica” soffiò Lily con aria mortalmente letale, zittendola sul posto e facendola sbiancare.
La Potter sorrise, mostrando delle belle zanne da squalo.
“Scusa” miagolò Annie, torcendosi le mani e diventando più bianca di suo zio Barnie sul letto di morte.
“Hn” e con quel soffio – così gelido da immobilizzarla sul posto – Lily le diede le spalle e raggiunse Blaise dall'altro lato della sala.
Sculettò, giusto per fare scena e fissò storto Malfoy dall'altro lato della stanza. Questo ricambiò stizzito.
“Merlino, se mi ispira sesso quando è incazzato” sospirò vicino all'uomo di colore, sogghignando alla faccia incazzosa del suo fidanzato.
“Vacci piano, bambolina...” mormorò Blaise, fissandola con i suoi occhi color carbone e pietrificandola.
“Cosa stai insinuando?” domandò, attorcigliandosi una ciocca di capelli rosso fuoco tra le dita pallide e lunghe.
“È pur sempre un Malfoy, mia cara. E i Malfoy distruggono tutto ciò che toccano” sussurrò Blaise – accarezzando il sigaro cubano preso da una custodia d'argento dal taschino interiore della giacca che indossava.
Oh, Lily lo sapeva.
Ah, se lo sapeva.
I Malfoy erano fiori: perfetti nella loro forma, nel loro odore e nella loro essenza.
Oh, e che bell'aspetto mostravano.
Ma loro non erano colorati, dall'aspetto sublime e ammaliatore...erano pallidi, cresciuti senza sole – senza acqua. Avevano petali delicati, fragili – quasi vicini allo sgretolamento, ma erano belli.
Ah, se erano belli. Ma non in un modo buono, soddisfacente, no.
I Malfoy erano belli in un modo che portava all'ossessione, in un modo che portava quasi alla pazzia.
E Lily lo sapeva. Ah, se lo sapeva.
I fiori del male, ecco cos'erano i Malfoy.
Fiori dai colori pallidi, che sprigionavano veleno.
Fiori che uccidevano, lasciando dietro sé solo una lunga scia di cadaveri – passati per sbaglio, per fortuna o per volere, sulla loro strada.
“Lo so”
E con questo affermò ad alta voce che conosceva la sua condanna. Lei sapeva oramai di essere sulla strada di quei fiori maledetti e non se ne dispiaceva.
E non si preoccupava di poter cambiare rotta.
Era quello il suo destino ed era troppo tardi per tirarsi indietro.

***
 

 

Thomas Nott non aveva preso parte agli allenamenti di Lily Potter e gli Auror. Non aveva voluto sapere nulla dei loro consigli – delle loro raccomandazioni.
Erano oramai una settimana e dieci ore che non chiudeva occhio: continuava a pensare la stessa cosa, allo stesso motivo che lo aveva portato a chiudersi nella sua stanza a Serpeverde e non uscirne più.
Le pareti di pietra non avevano più segreti per lui... oramai conosceva ogni crepa, saldatura e chiodo che le costitutiva. E stava impazzendo.
Lui sapeva che stava impazzendo.
Con le dita giocava con il ciondolo di serpente che portava al collo, oramai, da quando aveva due anni e suo padre ne aveva fatto una copia per lui e sua sorella.
Sua sorella. La sua piccola e dolce Chrysanta, che aveva fatto sempre fuoco e fiamme per lui.
La sua piccola e dolce sorellina, che da piccola – quando fuori c'era un temporale – si rifugiava tra le sue braccia.
Come aveva potuto? Come aveva anche solo potuto pensare di poterlo tradire? Di portarlo al patibolo con le sue stesse mani?
Aveva voglia di stringerle le mani alla gola fino a sentirla esalare l'ultimo respiro.
“Tesoro, va tutto bene?”
Tom socchiuse gli occhi e sentì il cuore quasi incrinarsi quando sentì quella voce.
Giuda. Sua sorella portava il nome di Giuda.
“Va via. Fa le valige e va via.
Non so dove e nemmeno mi interessa, ma va via da Hogwarts...anzi, va via dall'Inghilterra!” sbottò, alzandosi di scatto e fissando gli occhi blu sulla figura longilinea di sua sorella dall'altro capo della stanza.
Chrysanta spalancò lo sguardo simile al suo e si bloccò, sorpresa.
“Di cosa stai parlando?” mormorò, portandosi una mano al petto nella pallida imitazione di una persona ferita.
Tom rise e si portò una mano tra i capelli disastrati.
Quante volte ci aveva passato le mani attraverso? E quante volte aveva pensato che era solito farlo lei quando dormivano insieme?
“Hanno scoperto che sei tu la spia” sussurrò, girandosi verso di lei e abbassando le spalle – sconfitto.
Perché Tom lo sapeva: aveva perso. E quella era la battaglia finale, quella che lo avrebbe reso felice alla fine di quella guerra.
Perché lui avrebbe avuto Dalton indietro e anche Scorpius. Perché lui ora aveva Rose che lo stringeva quando qualcosa non andava bene, ma aveva perso la parte più importante della sua vita.
Aveva perso un pezzo della sua famiglia, quello che lo teneva integro. Quello che lo faceva sentire bello, importante.
Il pezzo che lo faceva sentire qualcuno di degno, infinitamente umano e capace di amare.
Chrysanta sgranò gli occhi e Tom storse la bocca in quello che voleva sembrare un sorriso, ma era una smorfia in piena regola.
“Io non...” iniziò Chrys, venendo interrotta sul nascere da una mano alzata del fratello.
“Non voglio sentire nulla, nulla.
Non mi interessano le bugie, Chrysanta, me ne hai raccontate per diciassette anni e credo che ora basti per una vita intera” sputò velenoso, strappandole un sorriso.
“Il mio piccolo gioiello” ridacchiò lei, rovesciando il capo all'indietro e guardando il soffitto.
Era strano guardare una persona che credevi di conoscere praticamente da una vita intera e...e non riconoscerla; lui guardava sua sorella e non vedeva la stessa ragazza che si rannicchiava al suo fianco quando – in uno dei tanti tradimenti di sua madre – suo padre lanciava oggetti e urlava come un invasato.
La maledizione delle Greengrass.
“Il mio piccolo e splendido gioiello” soffiò ancora Chrysanta, avvicinandosi a lui e fossilizzando lo sguardo nel suo.
Era così uguale alla loro bellissima madre... così ammaliatrice, così bugiarda e traditrice. Bella, nella sua maschera d'amore.
Bella, nella sua meschinità e nella facilità nel tradire il prossimo.
“Io prenderò parte a questa battaglia, Chrys” disse Tom, ritrovandosela improvvisamente a pochi centimetri dal viso.
Allacciò le braccia sottile al suo collo e si alzò sulle punta per arrivare a pochi centimetri dalle sue labbra... e Tom si sentì morire. E Tom sentì il terreno franargli sotto i piedi.
Come aveva potuto? Come aveva anche solo potuto pensare di poterlo uccidere con le sue stesse mani?
Con quale coraggio – quale forza – sarebbe stata capace di impugnare la bacchetta al suo petto e pronunciare quella formula finale? Quella che avrebbe dichiarato la sua fine?
“E io, a differenza tua, non voglio che tu muoia” finì Tom, socchiudendo lo sguardo e lasciando che le ciglia nere come l'ebano nascondessero tutto il dolore, la rabbia e l'angoscia che gli stava scatenando lei.
Chrysanta chiuse le mani a coppa sulle sue guance, accostando la fronte alla sua e respirando sulla sua bocca.
“È così sciocco da parte tua pensare che io possa sparire per sempre dalla tua vita” rispose, tenendosi in equilibrio con i gomiti poggiati sulle sue spalle.
Era così bella, vestita dei suoi tradimenti e delle sue bugie.
Così bella, mentre lo pugnalava alle spalle ancora e ancora. E ancora e ancora.
“E io non sarei mai stata capace di ucciderti, fratellino” continuò, sfiorandogli le labbra in modo leggero – simile al lontano battito delle ali di una farfalla.
“Vattene” sussurrò Tom, senza procurarle il minimo fastidio con quelle parole.
La maledizione delle Greengrass.
Essere amate fino allo stremo, fino a non rimanere dietro di loro nient'altro che dolore... e non ricambiare mai. E non sapere nemmeno il significato della parola amore.
“Sei tale e quale a nostra madre” rise, senza reale divertimento, Tom.
Chrysanta gli accarezzò con dolcezza una guancia, sfiorandogli il naso con il proprio.
“E tu sei tale e quale a nostro padre” bisbigliò in risposta, curvando le labbra amaramente.
Essere amate letalmente – in un modo ossessivo compulsivo – e non sentire niente. Niente di niente.
Era quella la maledizione delle Greengrass.
“Va via, ti prego”
Tom non aveva mai supplicato nessuno, ma aveva bisogno di allontanarsi dal profumo intossicante di sua sorella. Aveva bisogno di sapere che non sarebbe stata presente a quella battaglia maledetta e lui non avrebbe corso il rischio di vederla... di vederla cadere al suolo senza vita.
Perché lei poteva non amare, perché lei poteva anche essere una maledetta Giuda senza cuore – ma lui la amava.
“Ci vediamo presto, te lo prometto” mormorò Chrysanta, baciandolo ancora una volta sulle labbra, ma questa volta sostando un secondo in più.
Per suggellare quella promessa, per magari fare in modo che non dimenticasse mai più quel sapore – quel profumo e quella pelle, che facevano parte di lui. Che erano lui.
“Addio” disse a bassa voce, quasi come se Tom avesse paura di renderlo reale a voce più alta.
Chrys scosse il capo e sorrise ancora una volta – portando le dita alla bocca e lanciandogli un bacio volante.
“È un arrivederci, fratellino” ridacchiò, prima di uscire dalla stanza.
Tom quasi ebbe paura di quell'affermazione: sarebbe tornata un giorno, lo sapeva, ma sotto quale aspetto? E con quali intenzioni?
Con quali progetti?

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Capitolo 29
*** Capitolo ventottesimo parte I – Stay alive ***


Angolo autrice:
Questo è stato il capitolo più difficile di tutti. Sarà stato il blocco che mi attanaglia oramai da mesi o che si tratta di una battaglia importante – e quindi il mio essere perfezionista mi ha creato non pochi problemi, resta comunque che ho tardato proprio per cercare di non perdermi nei particolari.
Il capitolo è suddiviso in due parti, quindi mantenete la calma, mi raccomando!
Volevo ringraziare tutte le persone che mi hanno scritto in posta, che mi hanno lasciato una recensione e mi hanno spronato.
A tutte quelle persone che mi hanno fatto sentire la loro presenza anche a miglia di distanza – anche se mi conoscono solo come Peace.
Siete degli angeli, i miei angeli, e 3.00am va avanti solo grazie a voi!

 

 

Capitolo ventottesimo parte I –
Stay alive

 

 

 

Londra era silenziosa, quella notte.
Un immenso velo nero sembrava essersi appoggiato sulla città e nemmeno un respiro si udiva per le sue strade deserte e isolate; ogni luce aveva abbandonato le case e i lampioni della metropoli, mentre il buio, invece, asfissiava tanto era fitto e soffocante.
La luna aveva lasciato il cielo nello stesso istante in cui le stelle erano state risucchiate dal manto bluastro che avvolgeva – inesorabile, sempre meno rassicurante – ogni abitazione.
Londra era una grande tomba di cemento, quella notte e Diamond se ne accorse appena si materializzò ai piedi del Ministero della Magia inglese.
C'era uno strano sentore nell'aria, qualcosa di subdolo, inumano, capace di far appassire i fiori e spegnere lo zampillo allegro della fontana al centro esatto di quell'immensa sala placcata d'oro giallo.
Era qualcosa che bruciava a contatto con la carne – un odore così maligno da trasformare le molecole d'ossigeno in zolfo vero e proprio.
E lui tremò, nascosto dalla maschera scheletrica che ne celava i lineamenti.
C'era una strana follia nell'aria. Un qualcosa che entrava dritto nelle vene e ne otturava qualsiasi passaggio – in un modo quasi infernale... sempre più inumano.
E non era magia, questo Diamond lo sentiva.
Quella parte oscura, che non aveva mai avuto paura di nascondere, sfrigolava come se si trovasse vicino ad una fonte in grado di alimentarla e pompava assieme al suo cuore – simile ad acido corrosivo; gli stava scorrendo dentro e lo stava divorando dall'interno, rendendolo solamente un burattino pronto al suicidio più epico della storia.
Le sue scarpe di vernice, appena si mosse per l'atrio silenzioso, produssero un'inquietante scricchiolio sul marmo bianco e lui stesso rabbrividì per l'impressione assurda di avere qualcuno alle spalle: riusciva ad udire dei sospiri trapassarlo da parte a parte, come se delle anime tormentante avessero captato la sua presenza fin da subito e ora lo stessero inseguendo, pronto ad accoglierlo con loro nel momento esatto della sua disfatta.
Sapeva di essere in pericolo. Diamond sapeva che quella notte nessuno sarebbe uscito vivo dalla Sala meeting degli Auror, era come se il tempo – stoppandosi come quella notte era successo – avesse cercato di avvisarlo.
Ma non si fermava. No, non si era fermato, nonostante la Signora Nera con la falce gli stesse fiatando sul collo simile ad un cane rabbioso alla vista della sua preda.
Non si fermava. No, non poteva farlo.
Era così maledettamente vicino...
Aveva il cuore che batteva ad una velocità impressionante ed era arrivato finalmente a percorrere quelle infinite scale che lo avrebbero portato a destinazione. Scale che scendevano dritto all'inferno.
L'unico e solo sottofondo che si udiva tra quelle mura vicine allo sgretolamento era quello del suo mantello di velluto che strisciava, simile ad un serpente, sul pavimento scintillante. E Diamond sorrise, impietosito nel sentire la paura causargli piccole scosse lungo la spina dorsale.
Ah, che cosa strana che era la mente umana...
Dov'era stata la paura fino a quel momento? Dove si era nascosto il suo spirito di conservazione quando aveva trasformato una ragazza in un mostro?
La paura, quella puttana senza senso dell'umorismo, dov'era stata quando sotto ordine aveva ucciso i suoi genitori adottivi?
E la sua coscienza? La sua coscienza come aveva potuto lasciarsi sottomettere dalla vendetta?
Si era lasciata piegare a novanta gradi come la più compiaciuta delle prostitute, senza protestare minimamente.
E ora la vendetta lo aveva portato lì, a camminare pronto al patibolo.
“E brava la mia Mezzosangue...” ridacchiò, arrivato a destinazione.
Le cornici appese ai muri di pietra grezza erano vuote e i corridoi immense fognature buie. E puzzavano di morte e putrefazione.
Quelle fognature puzzavano di paura.
Diamond fece un passo avanti e annaspò: sapeva che quel buio, quei vicoli stretti, nascondevano insidie. Sapeva che nascondevano lei.
La sua mano accarezzò il pomello d'oro della porta massiccia con delicatezza e un sorriso si dipinse sulle sue labbra ancora e ancora: Hermione Granger, in fondo, si era rivelata utile per molte cose e questo sarebbe andato a suo vantaggio.
Il suo essere un'arma a doppio taglio sarebbe andato a proprio vantaggio e tra il morire da solo e il portarsi tutti gli Auror del suolo Inglese appresso... preferiva la seconda.
“Sapevo che saresti arrivato” una voce lo bloccò ancor prima che la porta si chiudesse alle sue spalle – sbattendo e producendo un eco così rumoroso da creare alcune crepe nei muri.
Diamond spalancò gli occhi e una risata rimbombò tra le pareti spoglie, inquietante.
La Sala meeting degli Auror era un campo da battaglia: loro sapevano. Loro erano stati avvisati.
Tu!” sibilò Diamond, sputando lo stesso veleno che gli stava chiudendo la gola e uccidendo l'anima.
Nessun tavolo, nessuna finestra, nessuna lavagna o schema. Non c'era un quadro, non c'era assolutamente nulla... come se per mesi, lì dentro, non ci avessero vissuto Auror provenienti da tutto il mondo.
“Io, fratellino
Diamond ruggì così forte da sentire il petto vibrare e, anche alle sue orecchie, quello sembrò l'urlo di una persona ferita. L'urlo di chi ha perso.
“Come osi?
Come osi!” strillò furioso, indicandolo tremante e spalancando gli occhi per la rabbia inumana che lo avvolse.
Che lo aveva reso il mostro che era ora.
“Credevi davvero che Hermione Granger avesse lasciato il destino della sua famiglia nelle mani di una testa di cazzo come te?” rise Draco, facendo scintillare i suoi occhi grigi di malizia.
Erano metallo fuso. Erano fuoco maledetto.
I fiori del male, ecco cos'erano i Malfoy.
“E brava la mia piccola Mezzosangue...” ripeté Diamond, adottando lo stesso nomignolo che aveva usato lui stesso in passato.
E rise, nel sentirlo scricchiolare i denti.
“Un vero peccato renderla una bambola rotta, devo ammetterlo” continuò maligno, lasciando cadere la maschera scheletrica dal volto.
La stessa maschera che lo aveva nascosto per ben vent'anni.
La stessa maschera che lo aveva portato faccia a faccia con lui, sangue del suo sangue.
“L'abbandono ti ha dato al cervello, caro fratello” mormorò Draco, mentre il cappuccio di velluto nero scivolava dai suoi capelli biondi.
Ah, che visione celestiale.
Ah, che cherubino dalle labbra rosse e l'incarnato pallido.
Draco Malfoy ghignò, mostrando una fila di denti bianchi come perle e Diamond capì... capì che il nome datogli era sbagliato.
Era l'uomo ritto dinnanzi a lui ad essere un diamante: scalfito nel marmo e impregnato di veleno.
“Di cosa parli? La Mezzosangue è stata un'ottima compagnia” soffiò compiaciuto, godendo nel vederlo stringere i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.
Gli fremevano le narici ed era sul punto di rottura. Diamond aveva distrutto la sua piccola bambolina e suo fratello stava impazzendo solo al pensiero.
“Parlo dei nostri genitori... che ti hanno abbandonato così facilmente, senza nemmeno preoccuparsi della fine che avresti potuto fare.
Vivo o morto, non sarebbe cambiato assolutamente nulla” disse Draco, implacabile e letale.
Ah, se solo le parole avessero avuto il potere di uccidere...in quel momento, Diamond, si sarebbe ritrovato con il petto sanguinante e le ossa dello sterno fatte a pezzi.
Gemette, barcollando.
Il nome datogli era sbagliato e lui lo sapeva. Era l'uomo ritto dinnanzi a lui ad essere un diamante: perfetto nelle sue sfaccettature brillanti, ma crudele e maledetto nella sua durezza.
“Non è questo che ti ha portato qui, fratellino?
Non è il sapere di non essere abbastanza ad averti portato a indossare quella maschera?” bisbigliò Draco, flettendo le dita lunghe e pallide sulla bacchetta.
Sembrava che, invece di parlare a voce così bassa, avesse urlato.
Diamond aveva sentito quelle parole penetrargli dentro come lo strillo di una Banshee e sussultò, senza emettere un solo fiato.
“Non è così che ti sei sentito anche tu, quando lei ti è stata portata via?” domandò Diamond in un soffio, senza mai distogliere lo sguardo del suo.
Sembravano avere gli stessi occhi. Sembravano avere lo stesso fuoco dentro, pronto a disintegrarli.
Draco scosse la testa e lui ruggì ancora – sentendo in bocca il sapore acre dello stesso sangue maledetto che portava nelle vene lui.
Sarebbe stato capace di strapparsi ogni singola arteria per non sentirsi legato a quell'uomo. Tutto, pur di non sentirlo suo.
“Non immagino il dolore nel pensare che anche la propria madre avrebbe preferito morire piuttosto che partorire un mostro come te” e dicendo quelle parole guardò alle sue spalle con un'aria di totale adorazione.
Diamond divenne di pietra e sentì il suo cuore compiere dieci capriole inverse.
Ora lo sentiva. Ora sentiva uno sguardo su di sé avvolgerlo interamente – con un calore che gli mandò in tilt il sistema nervoso.
Lentamente, quasi senza produrre rumore, si girò senza preoccuparsi di poter essere attaccato da suo fratello: quello che aveva davanti era molto, ma molto peggio.
Che forma aveva il dolore? Che odore aveva?
Di cosa era fatto, il dolore?
“Diglielo anche tu, mamma” disse Draco, arpionando gli occhi in quelli azzurri di sua madre.
Era racchiusa in quell'immensa cornice dorata – ornata dei più bei gioielli esistenti – e prendeva quasi mezza parete sul camino spento su cui era stata posta.
Bella, con i suoi capelli di un biondo quasi opalescente e con le sue labbra rosse – ricordo di una lontana gioventù. Ricordo di una vita che era stata spezzata da uno come lui.
“Mamma...” mormorò Diamond a bassa voce, assaporando quella parola con una delizia che – nella sua vita – non aveva mai provato.
Ecco che forma aveva il dolore. Ora Diamond lo sapeva.
E lei era ancora maestosa e meravigliosa come l'ultima volta che l'aveva vista.
“Sarà stato così triste il pensiero di avere un fratello coccolato e riverito e tu stesso nella miseria. E tu stesso costretto a crescere con della feccia umana”
La voce di Draco era soffice, vellutata e quasi dolce, simile a melassa, mentre i suoi occhi un unico pozzo ghiacciato che fissava insistentemente la donna dipinta nel ritratto sul camino di fronte a lui.
Diamond ululò, ferito, ma Narcissa Black non distolse mai lo sguardo da suo figlio Draco. Non osò guardare il suo piccolo diamante grezzo.
“Vero, mamma?
Dillo che hai provato disgusto quando hai scoperto cos'era” disse Malfoy, storcendo la bocca sottile e assumendo un'espressione diabolica.
“Dillo che avresti preferito abortire piuttosto che partorire un essere del genere” continuò imperterrito, stringendo la bacchetta tra le dita con furia – pronto a contraccambiare un improvviso attacco.
Diamond ansimò e fissò sua madre con follia.
Con la stessa follia che lo aveva attanagliato quando aveva scoperto che quel viso dolce aveva preferito suo fratello a lui, abbandonato nelle mani di due perfetti sconosciuti.
La stessa follia che lo stava attanagliando in quel momento, spegnendogli il cervello e infiammandogli le ossa.
La stessa follia che faceva parte dei Malfoy dalle più antiche generazioni.
Erano pazzi...erano tutti pazzi. E fino a l'ultimo dei Malfoy sarebbe morto con lui.
“Mamma...” la chiamò, nonostante il dolore che gli aveva causato, cercando di trovare un pizzico di lucidità per guardarla ancora.
Mamma, pensò – allungando un braccio e agognando un tocco o provare anche solo la sensazione di essere sfiorato da lei.
“Avrei preferito abortire piuttosto che partorire un essere del genere” ripeté Narcissa, atona, socchiudendo gli occhi per lo strazio che si stava causando lei stessa con quelle parole.
E impazzì. Oh, se impazzì.
Diamond urlò ancora più forte e la sua voce superò i decibel previsti per un essere umano normale. Il pavimento tremò e i muri subirono una forte scossa, come se avessero voluto accartocciarsi. Come se volessero seppellirli.
Diamond ora sapeva che volto avesse il dolore, quale odore, che consistenza.
Era il volto di sua madre – la bellezza straziante dei suoi capelli – l'odore materno che emanava persino da un quadro.
Un odore che non gli era mai appartenuto. Un istinto materno che con lui non era mai nato.
E impazzì. Oh, se impazzì.
La sua magia si scatenò come un fulmine a ciel sereno, rimbalzando sulle pareti e colpendo qualsiasi cosa; qualcosa di nero, infimo, stava fuoriuscendo dalla sua carne e stava appestando ancor di più la sala buia.
Vincula” urlò Draco, puntando la bacchetta contro suo fratello e cercando di proteggersi dalla pioggia di detriti e magia che lo stava investendo.
Delle catene dorate avvolsero le gambe di Diamond, costringendolo in ginocchio dinnanzi a lui: ora lo guardava dritto negli occhi e Draco traballò sulle sue stesse gambe.
I capillari erano completamente rotti e l'azzurro delle iridi di Diamond ora quasi confinava con un bianco spettrale; era impazzito.
Oh, se era impazzito.
Diffindo!” disse ancora il maggiore dei Malfoy, strappando una risatina isterica in suo fratello e un taglio lungo parecchi centimetri sulla guancia.
“Credi davvero di potermi ferire così, fratello?
Credi davvero di potermi scalfire con incantesimi così elementari?” cinguettò come un bambino, mentre altre catene gli avviluppavano le braccia.
Flectere”
E senza potersi opporre si ritrovò anche lui in ginocchio, alla stessa altezza di Diamond. Occhi negli occhi. Follia contro pazzia.
Sangue contro sangue.
“Io ho qualcosa che ti appartiene” bisbigliò Diamond, frenetico e Draco lo fissò, socchiudendo gli occhi per il serpente che cominciava a strisciargli sotto pelle.
Il serpente del dubbio, del sospetto.
Io ho qualcosa che ti appartiene.
“Vaneggi” rispose, mentre quello stupido era così preso dal suo delirio da non accorgersi che non erano soli, che tutto quello era servito solamente per dare a Lily il tempo di portare a termine l'incantesimo.
Per indebolirlo. Per renderlo un bersaglio più facile.
Io ho qualcosa che ti appartiene.
Ora i due fratelli erano faccia a faccia: uno incatenato in ginocchio e l'altro costretto dalla magia, mentre la Sala quasi cadeva a pezzi.
Quell'ombra che era uscita dal petto di Diamond aveva già distrutto il lampadario di cristallo sulle loro teste, il camino su cui era posto sua madre – metà della sua bellissima cornice, senza però scalfire il suo volto addolorato – colpendo muri e soffitto, che ora cadeva sulle loro teste come stelle durante la notte di San Lorenzo.
Revelio” e questa volta la voce di Diamond fu calda e dolciastra come il miele.
E si rivelò.
Stesa accanto al corpo di suo fratello, bella come solo un angelo poteva esserlo, c'era Hermione Granger.
Avvolta da un abito bianco sporco di sangue e con i capelli ricci e bruni aperti a ventaglio sul pavimento, se ne stava lì – irriconoscibile, ma viva.
La gamba destra era piegata in una strana angolazione ed entrambe le cosce erano ricoperte di lividi violacei, tagli, escoriazioni: Draco non riusciva a trovare un punto pallido, dove avesse potuto riconoscere la sua pelle nivea.
Sangue fresco e rosso scorreva lungo le sue gambe, mentre il suo vestito era alzato molto più del consentito.
Lui l'aveva violata.
Diamond aveva osato toccarla.
La bocca era gonfia e spaccata in più punti, gli zigomi tumefatti da più colpi. I due sopraccigli erano spaccati, gli occhi chiusi e irriconoscibili tanto viola e smaccati.
Lui l'aveva violata.
Diamond aveva osato toccarla.
“Mezzosangue...” sussurrò, incredulo – mentre la consapevolezza che era viva si insidiava piano in sé, lentamente, con sorpresa.
Il dolore, la gioia, l'amarezza esplosero dentro di lui come una bolla, bloccandogli il respiro.
Lei era lì e nonostante l'avessero fatta a pezzi era così bella. Così viva. Così maledettamente sua.
“Mezzosangue...” ripeté, alzandosi di scatto e lasciando suo fratello interdetto.
Aveva rotto l'incantesimo senza nessuna magia, facendo solo leva sulle gambe traballanti.
“Crucio!” urlò Diamond con quanta cattiveria di cui era capace, facendolo crollare ad un solo passo da lei.
La testa di Draco sbatté proprio sul petto di Hermione, mentre il suo corpo veniva sobbalzato da molteplici scosse – risvegliandola dal sonno catatonico in cui era caduta quando era stata fatta prigioniera.
E le batteva il cuore. Ah, se le batteva, forte e orgoglioso come lo ricordava.
“Guarda un po'...dopo tanti anni...finalmente sei caduto ai miei piedi...” ridacchiò Hermione, sputando sangue nel pronunciare quelle parole.
E quel Crucio perse densità, colore, perse persino il dolore che causava.
Ora c'era solo lei. Lei e la sua voce. Lei e il suo corpo caldo. Caldo, ma soprattutto vivo.
“Sei viva” annaspò Draco, ignorando lo strattone con cui Diamond spezzava le catene da cui era stato costretto in ginocchio.
“Anche lui” bisbigliò Hermione, attirandoselo contro giusto prima che un lampo di luce verde lo sfiorasse.
Aveva il bacino rotto e le costole incrinate, si accorse il maggiore dei Malfoy quando lei affannò – trattenendo un urlo – quando la sfiorò solamente con un braccio.
Lui l'aveva violata. Diamond aveva osato toccare qualcosa di così puro, così maledettamente celestiale, da far desistere persino Lucifero dal farlo.
“Sei viva” disse ancora – come se qualcosa nel suo cervello non riuscisse a pensare ad altro di coerente.
Ed Harry se ne accorse. Nascosto insieme ad un centinaio d'Auror dall'incantesimo di disillusione più forte al mondo, si accorse che Draco Malfoy aveva smesso di combattere.
Aveva smesso perché la sua ragione era lì, viva e vegeta. Viva e pulsante come non mai.
“Angelique, rompi l'incantesimo” mormorò, fissando la demone con gli occhi spalancati.
La vide sorridere con una dolcezza velenosa – che aveva quasi il sapore del cianuro.
“È troppo presto, Harry Potter” soffiò in risposta, facendo scintillare lo sguardo maligno quando questo si posò sul diamante grezzo ritto al centro della Sala.
Ah, cos'era stato in grado di creare l'odio... ne guardava il ricavo e sorrideva, soddisfatta.
Gli umani erano così deboli.
“Dov'è la Potter? Voglio la Potter, fratello!” urlò Diamond, schioccando le dita e facendo spalancare la porta di ottone che lo aveva fatto passare non meno di venti minuti prima.
Quella porta che gli aveva aperto l'inferno, che gli aveva strappato via quell'ultimo barlume di lucidità.
“Stupido” sussurrò Draco, lasciando che la frangia gli si posasse sul grigio metallico delle iridi e nascondesse quel dolore che stava nascendo dentro lui nel sapere che stava portando proprio suo fratello al patibolo.
E accadde qualcosa quella notte. Qualcosa che Diamond nemmeno nell'oltretomba avrebbe dimenticato: sua madre fissò gli occhi azzurri nei suoi – in una disperazione muta che gli fece attorcigliare le viscere – e tremò.
“Scappa, è una trappola”
Il piano di Lily crollò miseramente, come un castello di sabbia spazzato via dal vento e Diamond ringhiò, mentre Draco fissava sua madre, sconvolto.
“Perdonami, tesoro” mimò con la bocca rossa tesa verso il basso, coprendosi la visuale, per non vedere la condanna che avrebbe ucciso i suoi due figli, quando un esercito di Mangiamorte si riversò nella Sala – sotto lo sguardo vigile degli Auror nascosti.
“Angelique, rompi l'incantesimo!” strillò Harry, fiondandosi contro quella barriera che li teneva nascosti e sbattendoci i pugni sopra.
Ma lei non lo ascoltò, troppo impegnata a osservare i due fratelli fronteggiarsi ancora una volta.
“Sei mio” disse Diamond e con quelle parole la cappa oscura che fino a quel momento aveva cercato di distruggere la Sala, aleggiò sulle due teste bionde.
Draco si alzò, con l'espressione impassibile di chi non ha paura – di chi oramai non teme più nulla, nemmeno la morte, e si eresse in tutta la sua altezza. In tutta quella bellezza crudele che caratterizzava da sempre la sua famiglia.
“Vuoi uccidermi?” domandò con una risatina, sbirciando solo per un attimo l'area che sapeva occupata da suo figlio e tutti gli altri.
Il suo bambino. Il suo eroe.
Un uomo che non aveva avuto vergogna del cognome che portava, della reputazione che suo padre mandava avanti senza poterci far nulla.
Un uomo che aveva mandato al diavolo ogni cosa solo per l'amore di una Mezzosangue... come lui stesso non aveva avuto il coraggio di fare.
Quell'attimo bastò a Diamond per capire e venire investito da una consapevolezza che gli sembrò una doccia gelata.
“Sta macchinando qualcosa per fermarmi” sibilò indispettito, chiudendo i pugni e lasciando che quella cappa si allargasse sempre di più, pronta a divorarli. Pronta a distruggerli.
Il suicidio più epico della storia.
“Attaccate!” strillò Diamond, isterico e prima che gli Auror comparissero uno dopo l'altro, fece apparire un calderone grande quasi quanto lui proprio accanto al camino – vicino al ritratto di sua madre.
“Voglio il sangue di Potter!”
E la terra tremò sotto lo scalpiccio di centinaia di persone.
Harry James Potter fece scricchiolare il collo con un sorriso e fissò tutte quelle maschere scheletriche – ora immobili.
“Venite a prendermi, stronzi” cinguettò, sguainando bacchetta e spada con l'espressione più angelica che si fosse mai vista sul suo bel volto.
E la magia accadde: la Sala riuscì a stento a contenere tutte quelle persone e le parole che pronunciò Harry sembrarono un urlo di battaglia, perché le bacchette sfrigolarono e gli uomini ammantati di nero si allinearono come un sol uomo...bloccandosi quando in prima linea si ritrovarono un gruppo di ragazzini armati.
“Quanto mi sento eccitata!” bisbigliò Lucy, ridacchiando come una psicopatica alla vista dello scintillio della sua pistola.
“Quanto cazzo sono fatto” sussurrò Jackie, mentre Harry si chiedeva se davvero avessero affidato il loro primo attacco a quelli lì.
Erano nella merda.
“Davvero divertente mettere dei bambini in prima fila, Harry Potter” urlò una voce rauca dalla parte dei Mangiamorte, mentre un loro incantesimo sfiorava Lucy – che li guardò indignata.
E sparò. Lasciando allibiti gli uomini dall'altra parte, il proiettile andò a conficcarsi nella spalla di uno di loro, facendolo crollare sul pavimento con uno spasmo.
Il suicidio più epico della storia, quando dal nulla, alla loro destra, vennero travolti da un gruppo di Mannari.
Alla loro destra vennero travolti senza poterci far nulla – attaccati anche frontalmente dai Mangiamorte; Lucy sparò al primo Mannaro che cercò di travolgerla, mentre miriadi di magie diverse cozzavano una contro l'altra.
Vampiri e Mannari erano troppo veloci e le pistole ferivano solo i lupi, rabbiosi e desiderosi di carne e sangue tra le loro zanne.
“Avada Kedavra!” urlò Harry, colpendo un uomo che aveva cercato di ferire Draco alle spalle, intento a portare Hermione al sicuro.
Erano un ammasso di esseri umani pronti a morire e sarebbe bastata una sola maledizione più potente per schiacciarli tutti come formiche.
Due Auror americani – abituati più di loro al corpo a corpo – avevano già reciso quattro teste e un Auror giapponese spezzava un collo al minuto con la sua incredibile abilità.
Harry non riusciva più a vedere i ragazzi né sua moglie, ma aveva già visto parecchi dei suoi cadere sotto la carica dei vampiri – più numerosi di quello che si erano aspettati.
“Confringo” e la parete alla sua destra esplose, sotterrando due Mangiamorte.
Cominciò a correre per la Sala, colpendo qualsiasi cosa che gli capitasse a tiro e cercando di evitare pallottole e incantesimi che volavano come nulla fosse.
“Avada Kedavra” e quel sussurro lo gelò sul posto, ma non era indirizzato a lui quell'incantesimo: la sorella di Jackie, Annie, cadde al suolo come un burattino a cui erano stati tagliati i fili.
Sentì un urlo in lontananza, ma non si fermò.
“Dolohoferio” bisbigliò con cattiveria e l'uomo che aveva ucciso quella ragazzina, quella bambina, si accasciò al suolo con un urlo straziato – spalancando gli occhi dal dolore.
Sentiva solo una gran confusione: la stanza era diventata fosca e poco vivida. C'erano fumo, macerie e incantesimi che rendevano impossibile una visuale perfetta ed Harry sapeva che nessuno sarebbe uscito vincitore quella notte.
Il suicidio più epico della storia, ecco cosa aveva macchinato quel bastardo di Diamond.
Con un respiro tremolante, Harry si girò alla sua destra e vide Ron combattere come se non avesse fatto altro nella vita, lanciando incantesimi così potenti che molti Mangiamorte erano addirittura finiti con il collo rotto contro i muri crepati, mentre George – presente anche lui quella notte – attaccava con una ferocia che gli portò a mente la seconda guerra magica.
La guerra che gli aveva portato via Freddie.
Fece una giravolta su se stesso per evitare un Mannaro e si sentì morire quando capì che anche quella volta l'attacco non era diretto a lui, ma a qualcuno di più succulento: Lorcan Scamandro lasciò cadere la pistola che aveva tra le mani quando venne azzannato al collo da quella bestiaccia, cercando di spingerlo lontano senza successo.
Quelle zanne affondarono nella carne morbida e tenera, mentre le zampe squarciarono il petto di quel ragazzino esanime – ora con la testa rivolta verso di lui e lo sguardo vuoto.
Il Mannaro gli staccò la testa ed Harry chiuse gli occhi di scatto, tremando.
“Mai dare le spalle all'avversario, tesoro” sussurrò una voce femminile al suo orecchio e prima che potesse fare qualcosa si ritrovò con una spada che lo attraversava da parte a parte – nello stomaco.
Un rivolo di sangue fuoriuscì dalle sue labbra e la donna rise alle sue spalle, civettuola.
“Sapevo che la morte di un povero ragazzo indifeso ti avrebbe fatto questo effetto, sai? Non cambi mai” continuò crudele, rigirando la lama nel suo stomaco e strappandogli un lamento.
“No, no” annaspò Harry, cercando di tenere la spada dentro sé.
Se lei avesse portato il suo sangue a Diamond, metà dell'incantesimo sarebbe stato già in porto e questo non potevano permetterlo. Erano già in minoranza.
“Troppo tardi, tesoro” rise ancora una volta lei, con il volto coperto da quella stessa maschera che gli aveva rovinato una vita.
Quella stessa maschera che gli aveva portato via tutto – ogni singola cosa.
Con un calcio nei reni fu sbattuto rudemente a terra e il tacco quasi gli trapassò la pelle. E il sangue colava dalla sua ferita senza spada.
Si girò di scatto, annaspando e Diamond ricambiò il suo sguardo – ora spento.
“Sangue del nemico, prelevato con la forza” soffiò e anche a metri di distanza Harry sembrò udire quelle parole come un urlo.
Tutto si stava ripetendo. Lui non aveva quarant'anni e quello era un grande cimitero. Un immensa tomba alle sue spalle e Cedric morto ai suoi piedi.
“NO!”
Harry fu distratto dallo strazio che udì in quella piccola voce e rovesciò il capo per ritrovarsi dinnanzi all'ennesimo spettacolo raccapricciante – che vedeva protagonista ancora una volta una ragazzina e l'amore che provava.
Lysander Scamandro era sul pavimento ed era immobile, sul volto dipinta un'espressione di puro terrore.
“Non posso muovermi...non...non ci riesco...” incespicò il ragazzo, piangendo.
“DIO!” urlò Lys ancora più forte, mentre Alice si chinava su di lui con gli occhi spalancati.
Harry si toccò la ferita, da cui sgorgò altro sangue, e Lysander urlò ancora una volta per il dolore atroce.
Sembrava che lo stessero scorticando vivo e Alice si alzò tremante dalla posizione china che aveva usato per sfiorare il ragazzo.
Voldemort sarebbe stato fiero della capacità di Diamond di rendere delle persone dei mostri.
Alice Paciock era alta un metro e quarantacinque, ma nello stesso istante in cui impugnò la bacchetta la terra tremò sotto i loro piedi.
Per Harry continuava ad essere tutto così confuso tra quei corpi sudati che combattevano – che cadevano – ma anche con il dolore alla ferita, anche steso su quel pavimento e travolto da alcuni cadaveri, riuscì perfettamente a ricordare il momento in cui Lily gli diceva che era stata una studentessa di Hogwarts a dargli il libro nero. Lo stesso libro che conteneva gli incantesimi più oscuri della storia.
“Lapis” mormorò Alice e pietre a forma di pugnale sembrarono fuoriuscire dalla carne dei suoi polsi – squarciando le vene e vibrando nell'aria come fendenti.
“Impetum”
E quattro Mangiamorte vennero trapassati nel collo da quelle pietre: la maschera cadde dai loro volti e il sangue zampillò sul pavimento in modo tetro. Vene nerastre solcarono i loro volti e la sclera prese posto dell'iride e la pupilla; i burattini produssero un tonfo inquietante quando toccarono terra ed Harry distolse lo sguardo – tremando.
Ovunque guardasse c'erano cadaveri e sangue, morte e dolore e lui non riusciva ad alzarsi da quel maledetto pavimento.
“È morto Ron” due mani lo aiutarono ad alzarsi, ma quelle parole lo fecero traballare sulle sue stesse gambe.
Draco lo guardò con gli occhi grigi spalancati, attenti – quasi dilatati dal terrore e l'adrenalina ed Harry si sentì morire.
Ron è morto.
“Un vampiro l'ha morso e uno dei nostri ha dovuto finire il lavoro per evitare che si trasformasse” continuò, turbato quasi quanto lui.
Ron è morto.
La sala improvvisamente si zittì e le urla che l'animavano divennero lontane, sfocate – poco opportune.
Ron, il suo Ron, era morto.
Ed Harry in quel momento capì sua figlia: capì la sua trasformazione, la rabbia che provava verso Diamond. Verso quell'uomo che, tramite un'ideale, tramite Voldemort, aveva decimato ancora una volta la loro famiglia.
Ron, il suo Ron.
“ANGELIQUE!” strillò Harry, strattonando la presa di Draco su di sé e allontanandolo.
Si mantenne lo stomaco ansimando e girò su se stesso per visualizzare quel demone... per visualizzare quella donna che era sparita nell'esatto momento in cui l'attacco era stato decisivo.
“Non urlare, Harry Potter... le mie orecchie sono ancora funzionanti” soffiò alle sue spalle, ciondolando le gambe come una bambina e guardandolo con un'aria quasi folle.
“Dove cazzo sono i tuoi? Perché non state combattendo?” urlò furioso, senza notare qualcuno...qualcuno che si allontanava dalla Sala.
Roxanne si asciugò il sangue che le colava dalla fronte con caparbia e non si fermò dinnanzi a nulla, trascinando Frank per le gambe.
I riccioli le ricadevano sul volto selvaggemente ed erano incrostati di rosso e fuliggine, mentre il suo sguardo quasi bruciava per la rabbia.
“Dove vai, bambolina?”
Un uomo le si materializzò davanti, guardandola in modo lascivo attraverso la maschera scheletrica.
Roxanne non si scompose e non gli lasciò nemmeno il tempo di puntarle la bacchetta contro: urlò “Avada Kedavra” quasi come se fosse stato un semplice incantesimo di disarmo e continuò la sua andatura verso l'uscita.
“Non permetterò che ti uccidano come hanno fatto con zio Ron.
Non permetterò che te ne vada anche tu” sibilò tra sé e sé, mentre il collo di Frank si spostava verso destra e mostrava il segno di un morso che aveva cercato di strappargli la pelle.
Al diavolo tutti quanti, il suo Frank non sarebbe morto; anche se si sarebbe trasformato in un vampiro, lui non sarebbe andato via.
Era l'unica cosa che le restava.
“Farò finta di non averti visto”
Scorpius abbassò gli occhi azzurri su Frank, storcendo la bocca in una smorfia.
Stavano perdendo e questo era palese. Quanti ne erano morti? E quanti ne dovevano morire ancora per mettere fine a quella farsa?
A passi incerti si diresse verso il ritratto di sua nonna, dove si trovava Diamond e il calderone dove bolliva la pozione.
Dove bolliva quella sostanza che avrebbe riportato in vita Lord Voldemort.
Un esplosione lo prese di striscio, ma Scorpius – oltre a diventare momentaneamente sordo – non percepì nemmeno il fastidio della luce forte che lo accecò per un secondo.
Ah, che strana era la vita: non meno di trent'anni prima, un uomo di quella stessa famiglia si era ritrovato in quella situazione.
Non meno di trent'anni prima, un uomo - dallo stesso sguardo di quel ragazzo – si era ritrovato dalla fazione opposta; ora tutto era cambiato, ora niente era uguale.
Il ragazzo, a differenza di quell'uomo, aveva lo sguardo ritto e fiero – le spalle dritte e la schiena indurita dall'amore.
Il ragazzo, a differenza di quell'uomo, aveva scelto di vivere. Aveva scelto di amare, di essere ciò che voleva.
Di essere ciò che era.
“Ciao, zio” sussurrò Scorpius, abbozzando un sorriso e grattandosi la nuca.
E Angelique fremette a metri di distanza, senza dar conto al cuore del Mannaro – a cui l'aveva strappato senza risentimento – che palpitava ancora tra le sue mani.
Ah, la sua vista interiore non aveva fatto cilecca.
Inizialmente, quando aveva visto quel piccolo angelo biondo, aveva pensato che ci fosse del marcio in lui. C'era qualcosa che non andava nei suoi capelli troppo chiari – nei suoi occhi grandi – nella sua bocca rossa e intrisa di veleno...eppure, suo modo di porsi, di parlare e il suo carattere così sottomesso, così sicuro e amabile, le avevano fatto credere di aver avuto un abbaglio.
Pensava di essere stata abbagliata da quell'aspetto, ma no. No, no, Angelique non si sbagliava mai.
“Tu...” soffiò Diamond, quasi abbassando lo sguardo – sconfitto.
Scorpius Malfoy storse la bocca in un sogghigno e Angelique capì chi avrebbe vinto quella notte.

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Capitolo 30
*** Capitolo ventottesimo parte II – Stay alive ***


Capitolo ventottesimo parte II –
Stay Alive

 

 

 

 

 

 

Il Ministero della Magia Inglese sembrava essersi arrovellato, come una carta vicino al fuoco, su se stesso.
La pioggia cadeva fitta all'interno dell'edificio, superando piani e scale – filtrando attraverso crepe, fessure e il soffitto che aveva ormai ceduto sotto gli incantesimi e le esplosioni causate dai presenti – fino a toccare e inondare la sala meeting degli Auror, dove continuava a consumarsi la carneficina più sanguinosa della storia.
Le mura che li circondavano erano vicine allo sgretolamento, mentre il pavimento mostrava voragini e dissonanze: la signora nera con la falce era al fianco di tutti loro, respirava in modo così affannoso da poterla sentire ad orecchio nudo e aveva portato con sé, di già, senza chiedere alcun permesso o sentire nessuna supplica, la maggior parte dei presenti.
Scorpius guardò la desolazione che lo circondava con un macigno che gli opprimeva i polmoni e la gola, cercando una ragione plausibile per tutto. Per ogni cosa che aveva perso... per ogni cosa che doveva perdere ancora.
“Vuoi uccidermi, Scorpius?”
La voce di suo zio era lieve, come se non avesse fatto altro che gridare fino a quel momento e questa avesse deciso di abbandonarlo proprio mentre la battaglia arrivava al culmine e le grida assordavano ogni cosa.
“Hm?” continuò con un sorriso, lasciando che i suoi lineamenti si addolcissero e la somiglianza con Draco diventasse quasi terribile.
Scorpius si toccò il pomo d'Adamo con la sensazione di soffocare e suo zio sorrise ancora, facendo brillare gli occhi di una luce quasi perversa.
E Scorpius seppe che era stato
scelto. Non aveva vinto nulla né aveva superato qualsivoglia barriera: Diamond aveva scelto il modo di morire e da chi essere ucciso.
E aveva scelto lui.
“Io non voglio ucciderti” mormorò Scorpius, facendo ciondolare le braccia lungo il busto e rilasciando un lungo sospiro.
Un esplosione alla sua destra lo colpì di striscio, ma continuò a rimanere immobile di fronte a lui, come in stato di trance. Come se muovere anche solo un muscolo gli costasse troppa fatica.
“Guardami” sussurrò Diamond, con una disperazione nello sguardo che gli fece attorcigliare lo stomaco: Scorpius arpionò lo sguardo sul suo volto e tremò; aveva i suoi stessi capelli biondi e la sua pelle d'alabastro, con la bocca sottile e ad archetto e le ciglia folte, angeliche – l'esatto contrario di ciò che era realmente. Di quello che gli pompava dentro simile ad acido. Simile a veleno.
Aveva il suo stesso neo, quello tra le ossa dello sterno e le spalle, con la sua stessa postura retta... come quella di un leone, non di un serpente.
E faccia a faccia, a soli pochi metri di distanza, Scorpius capì perché aveva scelto lui.
“Sei proprio uguale a lei” ridacchiò Diamond, mettendogli i brividi.
E faccia a faccia, a soli pochi metri di distanza, Scorpius alzò lo sguardo sul ritratto di sua nonna – annaspando pericolosamente.
Solo in quel momento tutti i tasselli mancanti tornarono al suo posto, in perfetto e maniacale ordine. Solo in quel momento tutto sembrò chiaro e nitido come non lo era mai stato fino ad allora.
Ogni santissima volta che si era ritrovato a pochi metri da lui e non era mai stato sfiorato nemmeno di striscio, nonostante fosse figlio di uno di quelli che avevano voltato le spalle all'Oscuro Signore; tutte le volte che Lily era stata ferita e lui completamente ignorato, lasciato quasi in disparte. Tutte le volte che era stato alla sua mercé, pronto per essere trasformato in carne da macello...
Sei proprio uguale a lei.
“Proprio come me”
Lo stesso biondo grano, delicato – ma non albino.
La stessa folle ossessione per i propri amori, che se per Scorpius si era concentrata in ogni sua sfaccettatura su Lily, per suo zio aveva trovato sfogo su sua nonna.
La stessa bellezza angelica e dolce, così dissonante col resto della famiglia...così diversa da quel sangue che aveva deciso dalla loro nascita chi essere e quale strada intraprendere.
Diamond aveva scelto di morire per mano di sua madre, era quella la risposta. Aveva scelto di morire per mano di quelle dita pallide – simili a quelle di un pianista – che da piccolo non lo avevano mai accarezzato. Che da piccolo non lo avevano mai stretto con dolcezza.
Sei proprio uguale a lei. E suonava come una condanna.
E suonava come lo stridio involontario di un violino nel bel mezzo della più bella e delicata melodia.
Diamond era finalmente felice, tanto da rilassare le spalle e sorridere armonioso – sospirando nel mentre.
Era felice di morire in quel modo, tra quelle braccia che avevano il profumo di una mamma mai conosciuta e in quello sguardo che non aveva mai avuto il piacere di affondare.
Era come morire tra le braccia di sua madre, coccolato e amato per la prima volta. Per l'ultima volta.
“Ti prego” bisbigliò Scorpius, con gli occhi di un bambino innocente costretto a fare qualcosa di cui sa che si pentirà per il resto della propria vita.
Diamond sorrise ancora e il piccolo Malfoy sentì qualcosa dentro sé incrinarsi definitivamente.
Ora!” sibilò con enfasi, lasciando che ancora una volta quella follia si accendesse nel suo sguardo – perfida e calcolatrice.
Tutto successe così velocemente che Scorpius non ebbe nemmeno il tempo di agire, di muoversi dalla postazione privilegiata che suo zio gli aveva offerto.
Un vampiro che lui aveva visto solo di sfuggita nella battaglia si era lanciato alla sua destra ad una velocità assurda, aggrappandosi alle spalle del compagno di Angelique – intento a combattere a pochi metri da lei; quasi a rallentatore vide quelle dita penetrare nel petto del demone, superare carne, tendini e ossa e strappargli il cuore.
Scorpius sentì a malapena il tonfo che produsse l'organo quando cadde sulla pietra, coperto dal suono del proprio vomito; piegato in due, ad un solo metro dal pavimento, Scorpius seppe che era arrivato il momento.
Il suicidio più epico della storia.
E mentre Angelique spalancava lo sguardo – annichilita – e il cuore del suo compagno andava a completare la pozione terminata, Scorpius si aggrappò alla cinta di suo zio, alzando lo sguardo tremante.
Il suicidio più epico della storia.
“Fallo” mormorò Diamond ad un passo dalla sua bocca, affondando le dita nei suoi capelli e spingendolo ancora più vicino a sé.
Suicidio che non avvenne per mano sua.
Altre dita penetrarono nel petto di suo zio, lasciandolo crollare contro di lui come un burattino a cui erano stati tagliati i fili.
Mentre dal calderone alle sue spalle fuoriusciva fumo nero come la pece, ritta e meravigliosa nella sua mise porpora c'era lei.
Con le dita sporche di sangue e la bocca completamente bianca lo guardò dall'alto, mentre lui veniva soffocato dal peso del corpo senza vita di suo zio.
C'era un altro calderone ai suoi piedi, più piccolo e contenuto, e quando il cuore ancora pompante di Diamond finì al suo interno la pozione divenne completamente trasparente.
“E cuore del nemico, che possa rigenerare il suo battito, fornendogli un nuovo corpo” recitò senza alcuna reticenza nel tono di voce – fissando il fumo dorato che cominciò a circondarla, contrastando fortemente quello nero alle sue spalle.
Scorpius ci aveva visto giusto quella notte. Non c'era nulla di umano in Lily Potter, nonostante avesse i capelli rossi come il sole al tramonto e il sorriso di un'anima caritatevole.
Non c'era nulla di umano nel modo in cui i suoi occhi ora vermigli venivano illuminati dalla perfidia e dalla follia. Dal potere.
Non c'era nulla di umano nel modo in cui, mentre quei due fumi s'incrociavano alle sue spalle, lei rimaneva immobile a guardare la furia più spaventosa che i maghi – in secoli e secoli – avessero mai visto.
Angelique urlò così forte che le crepe nei muri divennero voragini, il pavimento sotto i loro piedi solo un ammasso informe di detriti e le voci un eco lontano e inudibile.
Il tempo si fermò per un millesimo di secondo e la battaglia cessò. Tutti, nessuno escluso, ora fissavano quel volto dalla bellezza centenaria trasformarsi in una maschera d'orrore.
I denti di Angelique divennero zanne lunghe centimetri, i capelli cobra velenosi e il volto un accumulo di vene nere come la pece; respirava e attorno al suo corpo, in quell'istante spogliato dalla veste bianca che l'aveva coperto, s'addensavano nuvole di zolfo.
Lily rise e Angelique urlò ancora e ancora, facendo tremare le fondamenta del Ministero della Magia – ridotto quasi ad accozzaglia di cenere e pietre.
E se quel fumo dorato colpì dritto il petto di Diamond, entrando dalle narici e posandosi sul petto immobile, quello nero ritornò nel calderone da dov'era uscito – provocando un boato.
Per Harry, riverso ancora al suolo, sembrò tornare indietro nel tempo. Stava rivivendo quella scena che, anche se era invecchiato, ancora lo terrorizzava.
Quel fumo nero divenne tutt'uno con la sostanza sciolta del calderone e piano, quasi andando a tempo con il suo respiro mozzato, cominciò a dare forma ad un corpo.
Nel mentre, Angelique uccideva qualsiasi cosa gli passasse sotto mano.
Amici, nemici – fratelli, sorelle – nulla sembrava avere più importanza per lei; colpiva e andava a segno.
“Lily, sta per rinascere!” urlò Scorpius, fissando ad occhi spalancati un volto prendere forma tra quelle piaghe nere.
Ma Lily non lo ascoltava. Fissava Diamond con gli occhi intrisi di brama, quasi in attesa.
E Scorpius lo sentì: suo zio subì uno strattone e rotolò su un fianco, annaspando come se avesse trattenuto il fiato troppo a lungo e ora stesse cercando quell'aria persa quasi in modo disperato.
Quasi gli venne un infarto quando lo sentì mugolare e trattenne il respiro nel vederlo spalancare gli occhi...ora grigi. Non era lui, su questo poteva metterci la mano sul fuoco.
Quegli occhi non erano dello stesso colore di Diamond e non avevano nemmeno la stessa pazzia che li aveva animati fino a pochi minuti prima; quell'uomo non era suo zio.
“Ma cosa...” bisbigliò – quasi terrorizzato – nel vedere quei capelli biondi striarsi di nero.
Quell'uomo non era suo zio...e Lily era riuscita nel suo intento.
Sirius Black aveva appena aperto gli occhi in un corpo che non era suo.
“Lily” gemette questa volta Harry, disperato, cercando di attirare l'attenzione di sua figlia sull'uomo che ora era alle sue spalle.
Sull'uomo che ora aveva un corpo e un cuore oscuro che non gli apparteneva – ma che gli permetteva di vivere.
Nonostante i sacrifici, gli Hocrux distrutti, i suoi amati ora morti, lui era rinato. Lui era tornato e ora fissava sua figlia con gli occhi rossi spalancati – come ammaliati da qualcosa di estremamente meraviglioso.
“Salve”
Angelique si fermò e i Mangiamorte rimasti s'inginocchiarono ai piedi del loro Signore nonostante la donna che li aveva dimezzati fosse ancora furiosa; fissavano con le maschere sui volti l'uomo che aveva dato vita a tutto quello. L'uomo che aveva reso possibile ogni cosa. 
Il loro leader. Il loro unico e solo padrone.
“Interessante. Molto interessante” sussurrò Lord Voldemort, lasciando che una donna depositasse un mantello sul suo corpo – coprendo la sua nudità.
“...già mi sta sulle palle” borbottò Lily, fissando suo padre con un delicato broncio sulla bocca nuovamente rossa.
Scorpius quasi sputò un polmone ed Harry collassò nel suo stesso sangue, chiedendosi se fosse normale.
Ma quando mai sua figlia era stata normale?
“Alla fine ho vinto io” disse il Signore Oscuro, rovesciando gli occhi serpenteschi verso il suo nemico di sempre – ora ferito e ansimante.
Lily inclinò il capo e i capelli le accarezzarono la spalla piccola e fragile: socchiuse le labbra e sospirò piano, mentre quell'uomo dal volto inumano la fissava estasiato.
“Non è vero, Harry Potter?” sogghignò ancora, ignorando il pop di smaterializzazione che produsse Angelique quando scomparse nel nulla. Senza attaccare l'uomo che per rinascere aveva ammazzato il compagno di una vita.
Senza muovere un solo muscolo: scomparendo e basta, come se non fosse mai esistita.
“Tanti anni a rifiutare il potere e guarda... guarda tua figlia come si lascia cullare dalla cattiveria – dall'oscurità” e dicendo questo accarezzò il corpo di Lily con lo sguardo, frattanto Harry tratteneva i conati di vomito.
“Vedo del potenziale in te, piccolo giglio” bisbigliò Voldemort, rivolgendosi direttamente a lei.
La fissò con brama – quasi desideroso di possederla.
Lui la voleva. La voleva tra le sue file, la voleva accanto a sé.
Voleva rubare il tesoro più prezioso del suo nemico, nonostante gli avesse tolto già tutto; non era abbastanza.
Harry Potter lo aveva mandato all'inferno: aveva reso reale ogni suo incubo e doveva pagare. E doveva pagare le sue stesse pene, quelle che si erano protratte all'infinito nell'inferno in cui era stato costretto a stare prima di essere richiamato lì – nuovamente sulla terra. Lì, nuovamente tra le persone, pronto a spargere terrore. Pronto a spargere morte e dolore.
“Potenziale che potrebbe arrivare alle stelle, al mio fianco”
Harry gemette, tamponandosi la ferita con la maglia sempre più inzuppata di sangue.
Il giorno che aveva sempre temuto era arrivato: lui era tornato ancora una volta, ma ora aveva molto di più da perdere. Ora aveva la sua famiglia – quella che non aveva mai avuto – quella che si era costruito con tanta pazienza e dedizione.
La sua vita. Il suo respiro. Coloro che gli avevano permesso di vivere ancora, senza rimorsi, senza rimpianti.
“Vieni con me e avrai potere”
Il giorno che aveva sempre temuto era arrivato: lui stava cercando di portargli via la sua bambina – colei che per proteggerlo era diventata tutto ciò che aveva sempre disprezzato. Tutto ciò che aveva imparato ad accettare solo per lei.
E Scorpius capì che era arrivato il momento.
Era arrivato il momento che Lily tornasse ad essere quella di sempre; era arrivato il momento che quella cappa oscura l'abbandonasse.
E sapeva cosa fare. Scorpius l'aveva sempre saputo.
“Lily...” la sua voce si sovrappose a quella di Lord Voldemort e il contatto stabilito tra i due si ruppe: lei lo guardò di sfuggita, prima che qualcosa si bloccasse definitivamente a ciò che Scorpius stava facendo.
Ciò che avrebbe già dovuto fare tempo prima... prima che lei arrivasse a quel punto. Al punto da desiderare di seguire il nemico secolare di suo padre per il potere. Per quell'oscurità che gli scorreva dentro.
Che era nata solo per lui. Solo per proteggere lui e la sua famiglia.
E se il dolore l'aveva trasformata in quel modo, solo un dolore più grande sarebbe stato in grado di riportarla allo stato di sempre.
“Perdonami” mimò con la bocca, prima di afferrare una delle pistole che avevano usato contro i Mangiamorte e puntarsela al petto.
Chissà perché le sue dita non tremavano. Chissà perché premere il grilletto era così facile – nonostante la canna fosse puntata verso lui.
Ah, i Malfoy...così belli e terribili. Così pazzi e folli, tanto da non temere nemmeno la morte per mano propria.
In quel modo morivano quelli come lui. Restavano nascosti una vita intera e poi uscivano di scena con stile – in un modo così teatrale da farsi ricordare anche nei secoli avvenire.
Non era la paura di morire a frenare quelli come lui. Ma quella di non essere ricordati. Era quella la vera morte.
Era quella la vera paura.
Quando Lord Voldemort sentì lo sparo non si mosse, ma restò a guardare gli occhi della piccola Potter scurirsi improvvisamente. Vide quello sguardo marrone riempirsi di un dolore così grande – così immenso – da piegarla in due su quel corpo.
Lily cadde in ginocchio, piegata.
Ora aveva nuovamente la pelle liscia e levigata, rosea appena sulle guance.
Ora aveva nuovamente quegli occhi bruni che avevano fatto innamorare l'uomo ai suoi piedi – intrisi di lacrime. Intrisi di angoscia, dolore.
Le sue mani piccole e pallide andarono a stringere il volto di Scorpius, sorprendendosi nel sentire dei singhiozzi squarciarle l'udito.
Si guardò attorno e capì senza fiato che era lei. Era lei che stava singhiozzando, tremando dalla testa ai piedi come una bambina.
“Scorpius...” bisbigliò, abbassandosi su di lui e guardandolo negli occhi.

Dopo secoli risentiva il cuore battere e questa volta andava violento, correndo come un forsennato.
“Sei tu” sorrise Malfoy, prendendo quella mano che lo accarezzava tra le proprie.
Voldemort si smaterializzò e i Mangiamorte fecero lo stesso, sconfitti proprio come i loro nemici. Abbattuti proprio come gli Auror – dimezzati dallo stesso demone a cui avevano chiesto aiuto.
“Non sono mai andata via” singhiozzò Lily, piegandosi su di lui e poggiando la fronte contro la sua.
Mai. Anche quando era sopraffatta da quel male che le si agitava dentro, lei era sempre lì – accucciata in un angolo. Lei era sempre stata lì, ad amarli come aveva sempre fatto... ma a dimostrarlo in modo nettamente diverso.
“Non morire.
Non morire, ti prego” bisbigliò disperata, sdraiandosi accanto a lui e sporcandosi dello stesso sangue che per anni li aveva allontanati.
Che per anni li avevano resi diversi. Distanti. Poco consoni l'uno all'altra.
“Non morire” pianse ancora, stringendolo a sé in modo disperato e strappando lacrime commosse a chi già piangeva i perduti.
Non morire.

 

E mentre i feriti contavano i morti ed Harry Potter doveva ingoiare più di un amaro ritorno, in fondo al corridoio c'era un'altra stanza.
Frattanto James cercava, disperato e ansante, tra le lacrime che gli appannavano la vista e straziavano il cuore, di curare le ferite di Dominique – che le sfregiavano il corpo e il volto in più punti – i tre ragazzi sotto incantesimo aprivano gli occhi.
Il primo fu Dalton. Lentamente, quasi in modo estenuante, sbatté le palpebre e si ritrovò a fissare il soffitto ; si alzò a sedere lentamente, stiracchiandosi come dopo un lungo sonno ristoratore e si guardò attorno: non era ad Hogwarts né a casa sua, ma accanto a sé c'era ciò che di più caro possedeva.
Sua madre stava accarezzando il volto di Joe con dolcezza, scorrendo lungo i lineamenti fini e delicati. Ed era bella, come non lo era mai stata in vita sua.
“Mammina?” la richiamò, usando quel nomignolo che oramai si era perso nel tempo e con la crescita.
Mammina, mi leggi una favola?”
Asia alzò lo sguardo velocemente, trattenendo il respiro dinnanzi agli occhi incredibilmente chiari di suo figlio.
Non ora tesoro, io e il papà dobbiamo partire per un lungo viaggio d'affari”
Si tappò la bocca con entrambe le mani, cercando di soffocare il lungo gemito che le stava opprimendo i polmoni e la gola.
Mammina, me lo dai il bacio della buonanotte?”
Gli occhi le si riempirono di lacrime. Gli stessi occhi di suo figlio – che ora la fissava esanime, senza dire una sola parola o assumere alcuna espressione.
Sei cresciuto per queste cose, Dalton... non credi?”
Senza dire nulla, senza nemmeno che lui se ne rendesse conto, lei gli buttò le braccia al collo – stringendoselo contro con così tanta forza da fargli e farsi male.
“Grazie a Merlino stai bene” sussurrò al suo orecchio, cullandolo con dolcezza.
Da quando non lo abbracciava in quel modo?
Da quando non sentiva il suo respiro tra i capelli e le sue labbra sulla fronte?
“Il mio bambino... il mio bellissimo bambino” canticchiò a bassa voce, quasi come una nenia triste.
E Dalton, dopo tanto tempo, si permise di chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Dopo tanto tempo, Dalton si permise di amare; amare veramente, come aveva amato Angelica. Come amava Joe.
“Mi sei mancata” mormorò con voce roca, chiedendosi se fosse tutto un sogno. Chiedendosi se ancora una volta qualcuno lo avrebbe svegliato.
“Non ho mai smesso di stare con te, Dalton e non ho mai finito di amarti; sei la cosa più bella che sia riuscita a fare nella mia vita” bisbigliò Asia, senza dar conto alle lacrime che le solcavano le guance.
Ed è strano. Perché un attimo prima i tuoi sogni si avverano... e un attimo dopo sei in uno dei tuoi peggiori incubi, quasi senza accorgertene.
“Avada Kedavra”
E sua madre crollò contro di lui, esanime.
Avada Kedavra, e l'ultimo sprazzo di vita abbandonò gli occhi azzurri di sua madre.
Ed è strano. Come è possibile avere il mondo nelle mani e un attimo dopo vederlo rompersi in mille pezzi?
L'ultimo Mangiamorte rimasto al Ministero alzò la bacchetta contro Dalton, convinto della sua missione suicida e Zabini non avrebbe mai dimenticato quel momento.
Non avrebbe mai dimenticato il modo in cui sua madre ora giaceva tra le sue braccia, come una bellissima e spenta bambola di porcellana.
“Avada Kedavra!”
Dalton aveva chiuso gli occhi, tremando nel rendersi conto che la voce intenta a pronunciare quell'incantesimo era femminile – dolce e, sopratutto, conosciuta.
Voltò velocemente il capo alla sua sinistra e Joe era lì, seduta ancora su quel lettino di fortuna che l'aveva ospitata per quel lasso di tempo in cui era stata sotto incantesimo. Joe era lì e aveva ancora la bacchetta puntata contro l'assassino di sua madre.
Aveva il petto ansante e la mano ferma, decisa.
“Santissimo Merlino...” annaspò la ragazza dai capelli neri, abbassando il braccio e voltando lo sguardo verso di lui – spalancato.
Aveva appena ucciso un uomo. Non sapeva nemmeno dove si trovava e aveva ucciso un uomo a sangue freddo – puntando semplicemente la bacchetta contro di lui e pronunciando quelle due parole.
“Cristo!” sibilò, abbassandosi e vomitando anche l'anima.
Aveva appena ucciso un uomo e il suo fidanzato la stava guardando senza alcuna luce negli occhi, quasi come se fosse morto al posto di sua madre.

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Capitolo 31
*** Capitolo ventinovesimo - Stay Alive, ultima parte ***


Capitolo ventinovesimo -
Stay Alive, ultima parte






Il Ministero della Magia Inglese era diventato un misero mucchio di detriti, sangue e polvere... un campo che ospitava morte. Che mostrava morte.
Lily era chinata sul corpo di Scorpius e riusciva a sentire la cupa Signora con la falce respirarle sul collo, contare le vittime, portarle con sé e banchettare sulle loro anime – sazia dello scempio che si era tenuto quella notte.
Sazia del dolore che trasudava da ogni singolo poro.
I suoi occhi bruni guizzavano in ogni dove e da nessuna parte: ovunque si posasse il suo sguardo, corpi senza vita brillavano simili a stelle cadute. Spenti per lo schianto, tristi in quell'angolazione così strana e quasi agoniosa per la sorte angosciosa che avevano dovuto subire, ma meravigliosi per il cratere di dolore che avevano lasciato al loro precipitare.
“Dio” annaspò quasi senza voce, affondando le dita nel petto del suo fidanzato e continuando a sporcarsi del suo sangue.
Lo stesso sangue che in passato li aveva resi nemici e ora sembrava richiamarla a sé in un modo quasi primordiale; aveva perso ogni cosa e la disperazione sembrava volerle piegare le membra – spezzarle le ossa e infine, in modo quasi crudele, frantumarle il cuore.
Stava perdendo più di ciò che si era prefissata e il dolore ora le risultava quasi insopportabile, così cattivo da toglierle il respiro e la voglia di alzarsi da quel pavimento; le ginocchia sanguinavano copiose per la pietra che le stava penetrando nella pelle, ma la sofferenza era quasi nulla: le sue mani non si staccavano da Scorpius e i suoi occhi erano appannati dalla morte.
“Aiutatemi, vi prego.
Aiutatemi!” urlò con quanto fiato avesse in gola, sentendosi una bambina impotente dinnanzi alla morte.
Lei le stava portando via l'unica persona per cui Lily aveva combattuto – per cui avesse provato qualcosa in tutta la sua misera esistenza.
La cupa Signora le stava portando via l'uomo che le aveva insegnato ad amare ed essere amata, a combattere e accettare di essere sconfitta.
L'uomo che aveva amato ogni suo difetto. L'uomo che aveva accettato il suo lato oscuro.
“Vi prego” singhiozzò ancora, con gli occhi intrisi di lacrime.
Piccoli rivoli d'acqua ora le stavano accarezzando le guance – lavandole dal sangue e dalla polvere. Lily non ricordava dove, ma una volta aveva letto che le lacrime erano piccoli pezzi d'anima e quando lo strazio era troppo forte, tanto da strappare via qualsiasi consapevolezza o voglia di poter andare avanti, questi scivolavano via senza alcun riguardo, lasciando, alla fine, il nulla.
E Lily cominciava già a sentirlo, quel nulla. Quel vuoto di cui parlava quella leggenda, lei lo sentiva già allargarsi dentro – proprio all'altezza del petto, dove avrebbe dovuto esserci il cuore.
“Spostati”
Quella voce era calda. E bassa, quasi come se avesse paura di disturbarla. Il tono era graffiante, quasi roco, e Lily alzò gli occhi di scatto sull'uomo che si stava inginocchiando ai piedi di Scorpius.
Aveva i capelli neri come le ali di un corvo e lisci e luminosi come la seta più pregiata; i suoi occhi erano dello stesso colore dell'ebano – dal taglio felino – e fissavano la ferita di Scorpius con criticità.
“Mi serve una pinza...un qualcosa con cui possa estrarre il proiettile” mormorò l'uomo, lasciando scivolare le dita da pianista nel buco che attraversava la carne del piccolo Malfoy.
Sembrava sapere di cosa parlasse e Lily non ci mise molto a richiamare, con un accio, qualsiasi cosa potesse aiutarli; le sue dita erano tese e il suo petto ansante: se fosse successo qualcosa a Scorpius, lei lo avrebbe seguito senza pensarci su due volte.
Ma... quel pozzo nero racchiuso in un taglio d'occhi sottile ora la stava fissando e Lily, per un attimo, si sentì soggiogata. Erano così bui e profondi da conoscere l'entrata, ma non l'uscita.
Erano così...così...
“Questa va bene”
Senza esitazioni le strappò l'unica cosa che l'accio le aveva depositato tra le mani: una pinzetta per capelli. Il suo tocco era caldo, quasi bollente e Lily rimase immobile alla carezza sottile che le fecero distrattamente i polpastrelli quando le presero l'oggetto dalle mani.
Erano così... così...
“Dobbiamo fargli delle trasfusioni di sangue e chiudere questo maledetto buco prima che muoia dissanguato” bisbigliò l'uomo, infilando senza delicatezza le due estremità della pinza nella carne e cercando il proiettile. E la sua voce era...
Era così... così...
“Avanti, andiamo...” si esortò da solo, assottigliando lo sguardo per concentrarsi di più.
Aveva le spalle larghe, quasi possenti e sembrava così grande accostato a lei.
Ed era così... così...
Le gambe erano lunghe e i jeans strappati e insanguinati in più punti.
Ed era così... così...
“Eccolo, questo piccolo bastardo!” esultò a voce alta, estraendo la pallottola e rigirandosela sotto il naso con un guizzo di vittoria negli occhi scuri.
Lily non sapeva spiegarselo com'era, ma dentro lei si era smosso qualcosa – qualcosa a cui non sapeva dare un nome, ma che l'aveva fatta rinsavire in un attimo.
E tutto quello non le piaceva.
Non le piaceva affatto.


E mentre Lily Potter si ritrovava dinnanzi a quel bivio – che in un futuro prossimo le avrebbe causato non pochi problemi – suo padre era riverso al suolo, con lo sguardo riverso verso il soffitto. Con uno squarcio nello stomaco che continuava a sanguinare e il volto tumefatto in più punti, Harry Potter sorrise.
Erano passati anni e lui aveva perso ogni cosa lo riguardasse; Voldemort aveva ucciso ogni cosa che lui aveva seminato, come una tempesta impossibile da fermare. Ogni cosa che aveva costruito, lui era sempre stato pronto a distruggere – come se aspettasse. Come se lo scopo della sua vita fosse non ucciderlo, ma renderlo infelice.
“Harry, tesoro...tutto bene?”
La voce di sua moglie fu quasi un balsamo per le sue ferite: rovesciò lo sguardo alla sua destra e la vide sedersi a gambe incrociate sulla pietra, distrutta.
Aveva un taglio sulla guancia e un livido che si stava espandendo pian piano sotto l'occhio destro; il maglione panna era grigio per la polvere e chiazzato di rosso per il sangue, mentre riusciva a vedere le varie parti del corpo colpite da chissà cosa o chi.
“Sei ferita?”
La vide scuotere il capo e sorridergli in modo debole, ma dolce come suo solito.
Harry si chiese cosa stesse pensando in quel momento: al suo fianco aveva vissuto una vita fatta d'inferno e dolore e lui stesso avrebbe detto basta dopo l'ennesima batosta.
Lei, Lily, Albus, James... cosa erano stati costretti a subire solo perché lui si era arrogato il diritto di vivere una vita normale?
A lui non era concesso vivere una vita normale e lei non avrebbe mai dovuto sposarlo – per poi vivere in quelle condizioni. Per poi vivere infelice.
“No, non sono ferita e nemmeno i bambini.
Stiamo tutti bene” disse, guardando con occhio triste lo scempio che la circondava.
Tutto ciò che amava era lì, circondato dalle macerie.
Tutto ciò che amava era lì, un cumulo di morte, sangue e polvere.
“Perché mi hai sposato?” Harry la guardò in un modo così freddo che per un attimo, la rossa, temette di aver sbagliato qualcosa.
“Perché ti amo, che domande sono?” rispose prontamente Ginny, riavviandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Harry lo vide di uno strano colore viola e uno spasmo di rabbia e dolore lo colpì dritto al petto, quasi piegandolo in due.
“Ami il dolore o l'infelicità che ti sto dando da quando abbiamo diciassette anni?” sibilò incattivito, toccandosi con un lamento lo squarcio nello stomaco.
Ginny si avvicinò a carponi e con le dita tastò la ferita che lo attraversava: mentre apriva bocca per rispondergli, delle bende gli strinsero il busto e impedendo così altre perdite di sangue.
“Amo quando torni a casa la sera, distrutto dal lavoro, ma capace di ascoltare ogni mia singola sciocchezza o lamento.
Amo i tre ragazzi meravigliosi che mi hai dato e il fatto che assomiglino tremendamente a te; amo i tuoi occhi verdi e il modo in cui mi guardano, in cui mi capiscono.
Amo quel ragazzo dodicenne, che per la prima volta ha varcato la soglia di casa mia, così impaurito, ma attraversato dall'orgoglio e la fierezza. Amo il fatto che tu abbia rischiato la tua vita per me, salvandomi e salvando la mia famiglia.
Sei stato simile ad una corda, per noi, Harry; tu ci hai tenuto legati e insieme in un modo che io non potevo nemmeno immaginare. Tu hai reso la nostra famiglia completa – tu hai fatto in modo che potessimo essere chiamata famiglia.
Ci hai riscattato, aiutato, amato come fossimo sangue del tuo sangue e io e i miei fratelli, come i miei genitori, non abbiamo fatto altro che ricambiare ciò che tu ci hai dato dall'inizio.
Amo il tuo non arrenderti mai, il tuo perdonare chiunque – anche il più malvagio essere umano.
E sì, avrei potuto vivere una vita normale, ma che senso avrebbe avuto?
Che vita sarebbe stata senza te, Albus, Lily o James?” disse, determinata come sempre.
Ecco cosa amava Harry della sua piccola Ginny: il suo risollevarlo anche nei momenti più duri e distruttivi. La sua fiducia, la caparbia, l'essere la manica e il coltello. Lei poteva ucciderlo e curarlo. Renderlo felice e infelice con un solo battito di ciglia.
“Mi sento un uomo orribile” annaspò Harry, lasciando – senza alcuna vergogna – che alcune lacrime gli solcassero le guance.
Aveva paura. In quel momento, più che mai, aveva una paura tremenda.
Tutte le persone che erano morte a causa sua, tutta la sofferenza che si stava riversando sulle sue spalle, ora era quasi insopportabile. Aveva paura di perdere ancora. Aveva paura di essere sprofondato in uno dei suoi incubi, dove di certo non era lui il vincitore.
“Non puoi essere un uomo orribile, Harry Potter, non è nella tua natura e non lo sarà mai; tu sei un puro di cuore e sei il salvatore del mondo magico - che ti piaccia o no, quindi...alza quel culo dal pavimento e cerchiamo di aiutare quelli che sono rimasti in vita” sbottò Ginny, alzandosi di scatto e chiudendo i pugni.
Ah, che bella la sua regina.
Ginny era una regina senza corona e avrebbe potuto diventare Ministro senza alcun problema: polso fermo, sicurezza e voglia di cambiare il mondo.
Ginny era una leonessa, ma non aveva chiesto potere sul territorio che la circondava: se l'era preso e basta, con la sua determinazione e il ruggito d'orgoglio che le faceva vibrare il petto ad ogni decisione che prendeva.
Una leader nata e lui non avrebbe potuto chiedere di meglio nella sua vita.
“Mi sento un tantino confuso”
Per poco ad Harry non venne un infarto quando, davanti agli occhi, gli si presentò la faccia di Diamond con i capelli neri e lunghi e lo sguardo grigio come l'acciaio diluito.
“Ma cosa cazzo...” sbraitò, con una mano sul petto e l'espressione di chi non ci capisce più nulla.
“Harry, ma cosa diavolo ci fai qui? Sei schiattato pure tu?” Sirius si grattò il capo con giusto qualche dubbio che gli trapanava il cervello e, strizzando gli occhi, si chiese perché avesse quel maledetto mal di testa.
Sirius? Sirius, sei tu?” mormorò il bambino sopravvissuto, spalancando gli occhi fino all'inverosimile e sentendo quasi il cuore scoppiargli nel petto.
Quello sguardo non poteva mentire. Harry lo conosceva bene: lo sognava oramai da anni e ora – ritrovarseli a pochi metri di distanza – fu quasi un colpo.
“Certo che sono io, chi vuoi che sia?” s'indignò Black, incrociando le braccia al petto come un bambino.
“Merlino santissimo... ci è riuscita!” mormorò Ginny, tappandosi la bocca con entrambe le mani e cercando di trattenere le lacrime.
La morte di Diamond – che per metà aveva sangue Black nelle vene – e il suo cuore, erano serviti per riportare l'anima di Sirius indietro... in un corpo che gli apparteneva solo per metà. In un corpo che era suo solo ed esclusivamente per discendenza.
“A fare cosa? Ma che succede?”
Ora davvero Sirius non ci capiva più niente: un attimo primo era lì, a gingillarsi con le sue dita insieme a tutte le anime cadute dietro il velo – aspettando che il paradiso aprisse le sue porte – e un attimo dopo si ritrovava a... a... a casa.
“Quanto mi sei mancato!” urlò Harry, buttandogli le braccia al collo.
Piangeva per il dolore alla ferita, per aver perso e... aver ritrovato un amico, un mentore, un padre.
“Anche tu mi sei mancato, Harry” sorrise Sirius, stringendolo forte a sé.
Non era cambiato nulla: erano ritornati ad anni prima, quando Harry era solo un adolescente e lui quel padrino sconsiderato – l'unico membro della famiglia che gli era rimasto.
E al diavolo come ci era finito lì, quale incantesimo oscuro avevano usato per strapparlo dal limbo d'aspettazione... era lì e tra le sue braccia c'era Harry. Finalmente. E quella volta non sarebbe stato così stupido da abbandonarlo nuovamente.
Era stato così egoista a mettere in primo piano la sua sete di vendetta, lasciando che il dolore e la rabbia per la perdita di James lo accecassero a tal punto da rompere l'unica promessa che si erano fatti prima che morisse: stare accanto ad Harry ed essere come un padre per lui. Stare accanto ad Harry e non fargli pesare l'essere solo, l'essere la causa della perdita dei suoi genitori.
“Giuro che non succederà più e, se me lo permetterai, sarò quel padre che per colpa mia non hai mai avuto” gli sussurrò Sirius all'orecchio, respirando il suo profumo a pieni polmoni.
Era una sensazione magnifica e lui si sentiva ringiovanito di trent'anni.
“Hm, ha funzionato”
Quella voce atona li costrinse a dividersi e Sirius si ritrovò davanti quella che, di primo acchito, crebbe una visione: sporca di polvere e sangue, simile ad una bambola di porcellana o una Dea vendicatrice, con gli occhioni da cerbiatta e le labbra carnose rosso vermiglio, Lily Luna Potter depositò il corpo di Scorpius Malfoy ai propri piedi – senza che l'uomo al suo fianco l'abbandonasse un secondo.
“Ti ho scelto un bell'involucro, nonnino... non credi?” sogghignò la rossa, causandogli quasi un infarto quando pronunciò nonnino.
“...Ti prego, dimmi che non mi hai appena chiamato in quel modo” ispirò a denti stretti – assottigliando lo sguardo d'acciaio e fissandola, pronto a poterla sbranare.
“Sì, ti ho chiamato nonnino. E direi che per l'età l'appellativo non è nemmeno così cattivo.
Sentiti almeno fortunato, poiché il corpo che ti è stato designato può avere si e no vent'anni appena” sorrise Lily, sfinita, ma sempre portatrice di quel pizzico di cattiveria che le aveva permesso di essere smistata nei Serpeverde.
Un alito di vento la fece rabbrividire e, scuotendo il capo, si guardò attorno.
C'era la desolazione attorno a lei, ma riusciva ancora a sentire quel respiro affannato proprio all'orecchio – come se qualcuno avesse corso e ora si fosse accostata al suo fianco. Fianco vuoto.
“L'ho nascosto”
La voce di Roxanne era lontana e debole, come se avesse aperto bocca a chilometri di distanza e Lily sobbalzò, girando su se stessa come una trottola impazzita.
“Rox, sei tu?” disse cauta, attirando l'attenzione dei presenti e zittendoli di botto.
“Ho dovuto nasconderlo. E mentre voi lottavate contro la vita, io aspettavo che lui si trasformasse; il mio Frank...hanno ucciso il mio piccolo e dolce Paciock”
Quella voce che sembrava provenire da lontano era distrutta e Lily poté immaginare sua cugina mettersi le mani sul viso e graffiarsi le guance – disperata.
“Ha aperto gli occhi e non era lui.
Ha aperto gli occhi e non era più lui” annaspò ancora, piegandosi su se stessa e lasciando che i capelli le coprissero il volto sfregiato.
E Lily la vide. Accucciata in un angolo – simile ad una Madonna in preghiera – Roxanne ciondolava il corpo con il sangue che le gocciolava dalla gola.
“Merlino!” urlò Ginny, correndo verso di lei in men che non si dica; prese delicatamente il suo viso tra le mani e, oltre un taglio che andava dalla tempia fino alle labbra, un morso sulla gola spiccava livido contro la carne morbida e tesa.
“Mi ha morso ed è andato via. Lui è scappato e io non so nemmeno dove sia andato, se sopravviverà... se ritornerà” singhiozzò Roxanne, aggrappandosi alle spalle di sua zia come una disperata.
Non vedeva più sua madre né suo padre e aveva paura, freddo e sonno. Tanto sonno. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e dormire per secoli, finché il ricordo di quella notte non sarebbe scomparso completamente dalla sua testa.
“Va tutto bene, piccola mia. Frank è forte, sopravviverà”
La voce di suo padre gli graffiò l'udito e Roxanne alzò di scatto gli occhi intrisi di lacrime: si era inginocchiato ai suoi piedi, come un suddito dinnanzi alla sua regina, e la guardava fiero come non lo era mai stato in vita sua.
“Papà...”
Le stava baciando il palmo della mano con delicatezza, accarezzandole la fronte con una dolcezza che poche volte Roxanne aveva provato sulla pelle.
“Sono fiero di te, piccola mia” disse sicuro, prendendola tra le braccia e nascondendola dal corpo senza vita di sua madre.
“Frank sopravviverà” ripeté suo fratello Fred, apparendo al suo fianco pallido come un lenzuolo e zoppicante.
Roxanne si accoccolò sul petto di suo padre, stringendo il suo maglione strappato tra le dita.
“Cosa che non si può dire degli altri” mormorò Lily, guardando Annie, Lorcan, Anthony, Asteria – un quarto dei ragazzi, la metà degli Auror...Ron, il dolce Ron, due demoni e altri orrori che preferì non guardare.
“Non ci resta altro che pregare”
Albus apparve piccolo e mingherlino come sempre, con la guancia sporca di sangue e ancora confuso per il lungo sonno a cui era stato costretto.
Guardava attorno a sé e sembrava così triste... così impietosito, come un Dio che osserva la sua opera migliore distruggersi da sola.
“La signora Zabini è morta e Dom... Dom non si sveglia” sussurrò – tirando su con il naso come un bambino che si è appena sbucciato un ginocchio.
“James sta piangendo, tanto e non sono riuscito a staccarlo da lei” continuò, mentre Lily sentiva il cuore stringersi in una morsa.
Il suo fratellone... così innamorato. Così perso. Lo immaginò distrutto accanto al corpo della bionda e tremò.
“Dalton è vivo?” Blaise alzò lo sguardo vuoto sul ragazzo e Albus annuì, asciugandosi una lacrima che era sfuggita dal suo controllo.
“Sì, è con Joe e cerca di... di svegliare sua madre” sibilò, stringendo le pupille fino a non vedere niente. Come a voler cancellare lo scempio che aveva trovato appena aperto gli occhi.
Quanto dolore. Quanto dolore...
“Hugo non ce l'ha fatta”
Rose apparve con Tom e sembrava morta. Capelli tagliati sotto il mento, labbra bruciate da quello che sembrava acido e occhi spenti – vuoti – avvolti da un ombra così triste che Lily quasi si sentì soffocare.
“E nemmeno papà” singhiozzò, appoggiandosi di peso contro Tom e sentendo il cuore quasi sopprimergli nel petto.
Mai, mai in vita sua avrebbe immaginato di poter provare un dolore simile e poter sopravvivere. Mai, mai in vita sua avrebbe potuto immaginare che un dolore simile esistesse – e fosse tutto lì, racchiuso nel suo corpo oramai debole e raggrinzito, privo di linfa vitale.
Voleva morire. Aveva voglia di morire.
Come si poteva voler morire a diciassette anni?
“Credo che per ora, il posto più sicuro per noi sia Hogwarts” la preside Mcgranitt li raggiunse con il suo bastone, piegata ancora una volta dagli eventi... ma non spezzata. Sembrava indistruttibile, come la scuola di cui era preside.
“Draco ed Hermione sono già lì, poiché la signorina Granger era davvero in pessime condizioni” borbottò, sfinita.
Ancora una volta avrebbe dovuto lei stessa fare la conta dei morti. Ancora una volta lei stessa avrebbe dovuto portare le salme dei defunti ai propri parenti – nei posti in cui erano destinati.
E Minerva Mcgranitt era stanca. Tanto stanca.
“Sono orgogliosa di voi e di come avete combattuto” disse, asciugandosi una lacrima birichina.
Li guardò ad uno ad uno – come di solito fa una madre apprensiva – e le rughe sul suo volto si distesero quando la sua bocca sorrise dolcemente.
“Sono orgogliosa di tutti voi e di come avete, ancora una volta, sacrificato tutto per il bene della comunità magica e non.
Non avrei potuto chiedere dei figli migliori”
Perché era vero. Tutti loro, iniziando da Sirius a quei piccoli marmocchi ora spaesati, erano come dei figli; li aveva visti crescere ad uno ad uno, dai loro nonni ai loro genitori e poteva davvero dire di essere come una madre per ognuno di loro.
“E mi dispiace che abbiate dovuto subire tutto questo. Mi dispiace davvero” sussurrò, sospirando pesantemente.
Lily accarezzò il volto di Scorpius ai suoi piedi e l'uomo al suo fianco – che si chiamava Marco – inclinò il capo verso di lei; era un Auror Italiano, aveva detto, e si era trasferito in Inghilterra da poco.
“Torniamo a casa?” domandò Lily, accogliendo assensi tra tutti i presenti.
Avrebbero dovuto raccogliere Auror feriti e in fin di vita, amici e conoscenti, familiari e amanti...e sarebbe stato un lavoro lungo, quindi Lily si armò di santa pazienza e sperò di mettere presto piede ad Hogwarts.
Almeno lì, solo per poco, avrebbe potuto fingere che non era successo nulla.
Avrebbe potuto fingere che non avevano perso miseramente.






Due ore dopo, una truppa atterrò ai piedi della prestigiosa scuola di magia e stregoneria di Hogwarts; chi in barella, chi zoppicante e chi con gli occhi gonfi di lacrime, si riunirono tutti nella Sala Grande.
I tavoli si spostarono, diventando letti e presto la Sala si riempì di infermieri da ogni dove; furono serviti di té caldo e coperte, fazzoletti e premure ed Harry Potter presto si ritrovò faccia e faccia con il suo vecchio mentore.
“Harry, ragazzo mio...” sospirò Silente, fissandolo triste attraverso gli occhialetti a mezzaluna.
“Guarda, guarda cosa sei ancora costretto a subire” bisbigliò, ringraziando con uno sguardo l'elfo che si era premurato di spostarlo dall'ufficio della preside alla Sala Grande.
“Signore...” gli occhi di Harry erano inumiditi e Silente sospirò ancora, scuotendo il capo.
Harry Potter era ancora un bambino, era quella la verità. Quel bambino che era stato costretto a subire un destino che non aveva mai voluto, che lo perseguitava da quando era nato; Harry aveva agognato i genitori da piccolo, una vita senza pericoli da adolescente e la tranquillità con i suoi figli da adulto...cose che mai, mai aveva avuto.
Ed era triste. Era triste pensare che non desiderava altro che cose perfettamente normali... che non si sarebbero dovuto nemmeno desiderare.
“Il mio piccolo prescelto” continuò ancora il vecchio preside.
Non aveva saputo fare nulla per lui... nulla che avesse potuto alleviare il suo dolore o qualcosa che avrebbe impedito gli strascichi di quella guerra.
Non avevano fermato Lord Voldemort e oramai anche lui cominciava a pensare che fosse impossibile.
Eppure... eppure lui sapeva. Sapeva che non era così.
“Abbi fede, ragazzo mio” mormorò, mentre Piton guardava impietosito, ancora una volta, lo scempio che li circondava.
“Presto, molto presto, i tasselli andranno a suo posto e anche se Tom è tornato, qualcuno di molto inaspettato riuscirà a mettere fine a tutto questo” disse serio, con il solito enigma sulla punta della lingua e quegli occhi azzurri che sapevano tutto – tutto ciò che c'era da sapere. Tutto ciò che era impossibile sapere...tranne per lui.
“Io sono il prescelto e sarebbe mio compito eliminarlo” disse Harry, togliendosi gli occhiali dalla montatura rotonda e stropicciandosi gli occhi.
“No, caro. Era compito tuo tempo fa, quando la sua anima era legata alla tua, ma ora che lui è tornato... ora che lui ha sangue di demone nelle vene, il compito passa a qualcun altro”
Harry alzò lo sguardo di scatto, spalancandolo fino all'inverosimile: in poche parole, Silente, gli stava dicendo che quella guerra sarebbe continuata... e anche se lui avrebbe per sempre portato la bandiera – quella della speranza – non era più compito suo trovarsi faccia a faccia con il serpente dagli occhi rossi.
Non stava a lui ucciderlo.
“Ci vorrà tempo prima che lui riprenda potere... abbastanza tempo da poter permettere a lei di potersi rialzare.
Ci sarà una donna, Harry. Una donna che ora non sa cosa racchiude la sua anima: non è tua figlia, ma qualcuno con il vostro sangue nelle vene.
Lei ora ha tutto ben nascosto, non sa cosa le aspetta... non sa cosa c'è oltre la magia. Per questo motivo la cercano.
Per questo motivo l'inferno la vuole come regina, ma non riescono a visualizzarla. Ancora non riescono a capire come il suo potere non brilli tanto da poter capire dov'è.
Ci sarà una donna, Harry. E questa donna sarà la salvezza assoluta.
Questa donna metterà fine a tutto... sacrificando ogni cosa.
Sacrificando anche la sua anima” disse Silente, ammaliando tutti con le sue parole.
Era una profezia, quella.
Una profezia in piena regola, ma che non sarebbe mai, mai uscita da lì.
Ginny si strinse a suo marito e Lily alzò lo sguardo sul vecchio preside, tremante; lei aveva capito. Lei sapeva chi era quella donna, di chi Silente stava parlando con quella strana luce nello sguardo.
Quella era la seconda profezia a cui assisteva. Ed entrambe riguardavano una sola ed unica persona.
“Ci aspettano momenti bui... molto bui” sussurrò, accarezzando il volto di Scorpius disteso su una barella al suo fianco.
Il ragazzo, con il busto e il petto completamente fasciato, la fissò con gli occhi grigi leggermente appannati dal dolore.
“E lontani da Hogwarts, saremo anche più vulnerabili” disse, passandosi una mano tra i capelli rossi e sospirando pesantemente.
“Dominique è in coma” la voce di James sembrava quella di un'automa e Albus sembrò prevenire quello che stava per succedere, perché si accucciò in un angolino e si tappò le orecchie.
E James urlò. Urlò così forte che i vetri si ruppero e i personaggi raffigurati nei quadri fuggirono dalle proprie cornici.
James urlò e la sua voce superò i decibel consentiti per un essere umano.
Urlò e si graffiò la gola, ma non si fermò... anzi: con una forza che spaventò i presenti cominciò a distruggere tutto ciò che si trovava sul suo cammino.
Bicchieri, piatti, sedie, tavoli... e il muro. Con i pugni chiusi cominciò a colpire il muro dinnanzi a sé.
Una volta, e il volto di Dominique mentre veniva torturata gli saltava in mente con una violenza inaudita.
Due volte, e continuava a pensare a come non era riuscito a fare nulla. A come un incantesimo come il cruciatus l'aveva piegato in due, impedendogli di difendere l'amore della sua vita.
Tre volte, e quasi sentì le nocche scricchiolare sotto i colpi.
Quattro volte, e James capì. Capì che se lei non si sarebbe svegliata, la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.
Cinque volte, e la mano si ruppe definitivamente, ma non si fermò.
Lei era in coma e forse non avrebbe mai più aperto gli occhi. Forse sarebbe stata sempre lì, stesa su un letto dalle lenzuola bianche – con lo sguardo chiuso e la mente chissà dove.
Dominique... la sua bellissima e dolcissima Dominique.
Come avrebbe fatto? Cosa avrebbe fatto senza di lei?
“Mi dispiace”
Le braccia esili di sua madre gli circondarono la vita e James si fermò, affannando con il petto.
Aveva un odore particolare, sua madre. Quell'odore che senti una volta nella vita e che cerchi sempre, in ogni persona o luogo, ma non trovi mai.
Odorava di biscotti sfornati di prima mattina e le coccole fatte a letto; odorava di latte e miele e i baci della buonanotte.
Sua madre odorava di bene e casa e James si permise – l'unica e sola volta – di accasciarsi contro di lei e piangere.
E pianse. Oh, se pianse.
Pianse perché era un uomo, ma si sentiva un bambino impotente.
Pianse perché era un Auror, ma non era riuscito a proteggere l'unica persona per cui avrebbe sacrificato la sua vita.
“Era lì e non ho potuto fare nulla... ero lì e non sono riuscito a salvarla!” urlò, singhiozzando.
“Non hai potuto far nulla, tesoro.
Non è colpa tua. Lo sai.
Non è colpa tua” bisbigliò Ginny, mentre James abbassava il capo – sconfitto.
Era di spalle, ma lei riusciva ugualmente a sentire le lacrime rigargli il volto: vedere suo figlio ridotto in quello stato la distruggeva.
Come aveva fatto ad essere così cieca?
James, il suo James era innamorato. Lui, così sbruffone, strafottente, sciupafemmine... si era innamorato di due occhioni azzurri e dei capelli biondi.
Il suo bambino si era innamorato di sua cugina e per tutto quel tempo... lei non se n'era accorta.
Era stata cieca e stupida, chiudendo gli occhi dinnanzi all'evidenzia.
“C'è a chi aspetta cose peggiori” mormorò George, fissando sua sorella con sguardo spento.
Sì... Frank era introvabile, Lysander paralizzato dalla vita in giù e Rose aveva perso un padre e sua madre era stata quasi fatta a pezzi. Hugo era morto, come la maggior parte dei ragazzi che avevano partecipato alla battaglia.
Lucy... Lucy se ne stava seduta in un angolino, con le gambe incrociate e lo sguardo perso.
Sembrava inanimata, simile a quelle bambole che a sua madre piaceva collezionare fin da bambina.
E no... lei non lo sapeva cosa stava per succedere.
Lei non sapeva che il suo destino stava, finalmente, per compiersi.

 

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Capitolo 32
*** Capitolo trentesimo - Doubts ***


Capitolo trentesimo -
Doubts

 

 

“Mi sarebbe piaciuto frequentare questa scuola, da giovane”
La sua voce continuava ad essere maledettamente bassa e graffiante – così calda da farla tremare dall'interno – e Lily alzò gli occhi bruni dal buio che stava osservando per posarli su Marco.
La torre d'Astronomia era così silenziosa, quella notte, e le stelle sulle loro teste così grandi che sembravano voler cadere da un momento all'altro proprio lì, dov'erano seduti.
“Davvero, è bellissima” continuò, accendendosi una sigaretta Babbana e inchiodando lo sguardo su di lei.
Lily ciondolò le gambe nude oltre il cornicione e si chiese quanto dolore avrebbe causato l'impatto da tutti quei metri d'altezza. Se faceva male come lo si immaginava.
E Marco si avvicinò ancora, sfiorandole in modo casuale le dita.
“In Italia c'è solo una scuola di magia, ma è solo per i Mezzosangue... i Purosangue studiano in casa, privatamente” spiegò Marco, tirando profondamente dal filtro – senza mai smettere di guardarla.
Sarebbe bastato sporgersi solamente un po...
Era così vicino da farle mancare il respiro.
“Non ho mai visto un colore di capelli come il tuo”
Ora le sue dita erano tra i suoi capelli e Lily, questa volta, tremò anche all'esterno; il suo tocco era così bollente che quasi andò a fuoco e la sua mente si annebbiò giusto un secondo – il tempo che servì a Marco per portarsi una ciocca dinnanzi al viso e odorare profondamente il suo profumo.
“E nemmeno questo odore... sembra gigli e miele” soffiò, mentre Lily rovesciava appena il capo per ricambiare il suo sguardo.
Mai, mai in vita sua aveva visto occhi così scuri e profondi e ora le sembrava quasi di soffocare.
Erano vicini. Troppo vicini, a dire il vero e Lily non sapeva nemmeno perché gli aveva permesso di inseguirla tra i corridoi deserti della scuola – fino e lì, alla Torre.
Lui non smetteva di parlare, mentre lei non aveva aperto bocca e Lily ancora non riusciva a capire perché quel maledetto non si era staccato dal suo fianco da quando aveva salvato Scorpius.
“In realtà è strano...ma quando ti ho vista, è successo qualcosa” bisbigliò Marco, avvicinandosi ancora di più.
Sì, sarebbe bastato sporgersi solo un po...
“Cosa?” la sua voce era roca per il non parlare e lui sorrise – mostrando una schiera di denti bianchi e il luccichio della pallina d'acciaio che aveva sulla lingua.
“Non so se è successo anche a te, ma ho sentito il cuore quasi scoppiarmi nel petto” sussurrò, sfiorandole il naso con il proprio.
Lily ora riusciva a sentire il suo respiro sulla sua bocca e sapeva di tabacco e menta. E promesse. Tante promesse.
“Ti prego, allontanati” mormorò Lily, con il fiato corto – come se avesse corso miglia. Come se i polmoni fossero compressi e le stessero impedendo di respirare.
Ma , avrebbe voluto urlare. Anche lei aveva sentito il cuore scoppiarle nel petto appena si era inchinato al suo fianco.
Anche lei aveva perso la cognizione di ogni cosa appena aveva incontrato il suo sguardo.
“Perché?”
Già, perché?
Lui odorava di muschio e menta – di virilità e voglia. Lui non la conosceva, ma la voleva. La voleva così tanto che quasi la stava divorando con lo sguardo.
“Non ti conosco” e intanto le sue mani erano già sulle sue spalle grandi e possenti – così grandi da contenerla tutta e nasconderla da occhi indiscreti.
Affannò più forte.
“A me sembra di conoscerti da una vita...” sospirò Marco, strofinando il naso contro il suo e affondando completamente la mano tra i suoi capelli per avvicinarla sempre di più a sé.
Era vicino. Troppo vicino e lei cominciava a sentirsi male.
“Allontanati” disse ancora, mentre le sue dita sprofondavano nel maglione nero che lui indossava.
Lei non ne era capace. Lei non riusciva a mandarlo via.
Era come una maledetta calamita... e l'attirava sempre di più verso la sua bocca.
“No”
Lei non ne era capace. Lei non riusciva a scostarsi, a lasciarlo e magari schiaffeggiarlo anche solo per aver pensato di poterla baciare.
Lei non era così facile e la prova era la fatica che ci aveva messo Scorpius per portarsela a letto.
Scorpius.
Troppo tardi: la bocca di Marco era già sulla sua e sapeva di promesse. E dolore.
Aveva il piercing alla lingua, s'accorse Lily e sembrava volerle divorare l'anima.
Sembrava volerle prendere tutto – persino il respiro. Persino la facoltà di pensare.
In un attimo si ritrovò sdraiata sul cornicione, con la schiena contro la pietra fredda e il corpo di Marco sul suo.
La copriva completamente e le sue gambe a stento riuscivano ad allacciarsi alla sua vita.
Non riusciva a pensare: aveva il cervello annebbiato, le sembrava di poter impazzire da un momento all'altro – non aveva nulla dentro sé, nemmeno la lucidità, il raziocinio.
“Merlino...”
Ora le sue dita erano sui suoi fianchi ossunti e la percorrevano piano, con una lentezza che risultò quasi estenuante.
Ma se con Scorpius la prima volta era stata di una dolcezza disarmante – lì, su quel cornicione, tra le braccia di quello sconosciuto, le sue gambe cominciarono a mostrare i primi lividi.
Lì, su quel cornicione, tra le braccia di quell'uomo che non conosceva nemmeno da un giorno, non ci fu nemmeno il bisogno di spogliarsi.
Marco aveva le mani troppo grandi e violente e lei, magra com'era, si sentiva carne da macello tra le sue mani.
Lily arcuò la schiena e spinse la testa nella pietra, rovesciando lo sguardo verso il soffitto senza, realmente, vedere nulla.
Verrai all'inferno con me, Scorpius?”
Marco spinse in lei con così tanta forza da strapparle un urlo, ma non si fermò.
La sua mente continuava ad essere annebbiata – completamente spenta al cospetto di quegli occhi.
Le sembrava di poter morire.
Sì. Verrò all'inferno con te”
Marco le aveva afferrato con forza la mandibola e ora stava affannando sulla sua bocca, come se volesse risucchiarle via l'ossigeno.
Le sembrava di morire.
E brucerai con me, Scorpius?”
Non conosceva nulla di Marco, tranne che aveva un tatuaggio proprio sul petto – dove avrebbe dovuto esserci il cuore.
E con inchiostro nero come l'inferno, due spade trafiggevano quell'organo pulsante di un intenso color rubino.
Brucerò all'inferno per te, Potter”
Quasi come sotto incantesimo, Lily allungò di poco il braccio per poter toccare quelle linee disegnate con una precisione quasi maniacale: le sue unghia penetrarono nella carne tatuata – facendolo sobbalzare – e quelle linee cominciarono a salire piano sulle sue dita.
“Ma cosa diavolo...” ansimò, spalancando gli occhi nel vedere il tatuaggio di Marco trasferirsi sulla sua pelle – macchiandola. Marchiandola.
Si susseguivano velocemente sulle sue braccia, lungo lo sterno e il collo arcuato.
“Sei così debole” soffiò Marco al suo orecchio, sorridendo obliquamente e spostandole una ciocca di capelli dagli occhi spalancati.
“Così maledettamente debole” continuò piano, sostando ancora dentro lei e non spostandosi da un millimetro.
“Ma a cosa servirebbe essere un angelo se le persone non cadrebbero ai tuoi piedi?” mormorò, indietreggiando con i fianchi e spingendo nuovamente in lei – con più forza.
E lei non riusciva a parlare. Non riusciva a ribellarsi, a fare altro che fissarlo – in sua balia. Completamente nelle sue mani.
“I miei fratelli mi avevano avvertito... non dovevo toccarti. Non potevo toccarti.
Tu sei di sua proprietà” bisbigliò, simile ad un folle perso in un monologo che solo lui avrebbe potuto capire.
Marco rise, buttando la testa all'indietro e venendo illuminato dalla luce della luna: i suoi capelli neri quasi brillarono e i suoi occhi divennero ancora più scuri – ancora più infernali.
Come poteva un angelo così bello trascinare le persone all'inferno?
“Ma ora capisco perché lui ti vuole così tanto.
Ora capisco perché ama così tanto il tuo corpo umano e la tua anima da demone” disse, fissandola con uno sguardo che – ad occhio esterno – sarebbe parso innamorato... ma che in realtà era solo folle. Pazzo.
“Presto lui completerà la sua trasformazione, quella che avrebbe dovuto compiersi anni fa, e sarà divertente vederlo combattere per qualcosa che gli spetta per diritto... qualcuno che io gli ho strappato facilmente” sibilò incattivito e Lily fece l'unica cosa che in quel momento – debole com'era – sarebbe riuscita a fare.
Lo afferrò per i capelli e ad occhio esterno sarebbe parso un bacio... se con i denti non gli avesse strappato la lingua.
Marco urlò, guardando inorridito il pezzo di carne sul petto della ragazza che lo accoglieva con il proprio corpo ancora dentro sé.
Lily lo spinse lontano da sé e cominciò a correre: sembrava che il parlare di Scorpius le avesse donato la lucidità necessaria per sottrarsi da quel maledetto incantesimo a cui quell'uomo l'aveva sottoposta.
Aveva parlato di angeli... e una trasformazione.
Lily non sapeva, nemmeno nei suoi sogni avrebbe potuto immaginare che gli angeli esistessero davvero. Insomma, nemmeno nel mondo dei maghi si erano mai visti – o anche solo intravisti – ma avrebbe dovuto immaginarlo: se esisteva il male, avrebbe dovuto esserci anche il bene.
Ma Marco... Marco non sembrava così buono.
Marco non era affatto buono.
“Dove corri?”
Lily andò addosso a qualcuno e, con il maglione alzato più del consentito e lo sguardo sbarrato, si ritrovò a fissare suo fratello Albus.
Aveva lo sguardo preoccupato e le accarezzò i capelli già arruffati.
“Io...” affannò Lily, indietreggiando e cercando di capire.
Voleva capire cosa diavolo era appena successo. Chi era quell'uomo? Era davvero un angelo?
E chi... chi avrebbe dovuto trasformarsi?
“Lily, ma cos'hai sul petto?” mormorò Albus, spostando con tocco delicato il maglione e guardando sorpreso il punto dove avrebbe dovuto esserci il cuore.
Lily abbassò la testa e quasi venne meno: lì, quasi vivo vivido com'era, c'era lo stesso tatuaggio che aveva Marco. Due spade dalla lama nera come l'inferno stavano trafiggendo un cuore.
L'aveva marchiata! Quell'essere, perché solo così poteva definirlo, l'aveva marchiata come un animale da macello.
“Per fare in modo che, una volta trasformato, lui capisca cos'è successo” sussurrò una voce al suo orecchio, facendola sobbalzare.
“L'hai sentito? Hai sentito anche tu?” quasi urlò Lily, guardandosi attorno quasi terrorizzata.
“Lily, ma ti senti bene?” ora Albus cominciava a preoccuparsi davvero e la rossa scosse il capo, pallida come non mai.
No, non si sentiva bene. Affatto.
“Ho bisogno di vedere Scorpius” gemette, scostando suo fratello senza delicatezza e precipitandosi nella Sala Grande – dove erano riuniti ancora tutti coloro che avevano partecipato alla terza guerra magica.
La terza guerra. Il suo papà aveva ragione: quando avrebbe avuto fine tutto ciò? Quando, finalmente, avrebbero potuto dire basta?
Era così stanca...
Le barelle erano poste uno accanto all'altra e Scorpius era stato messo accanto a sua zia Hermione, messa sotto sedativi per le ferite eccessive su tutto il corpo.
Si avvicinò cauta, quasi come se non volesse disturbare, e il dolore quasi la spezzò in due.
Aveva appena fatto sesso con uno sconosciuto. Aveva tradito Scorpius quasi senza pensarci due volte – come se lui non avesse rischiato la vita solo per scacciare quel lato buio che si era insidiato dentro lei.
“Sembra quasi che tu abbia paura di me”
La sua voce era dolce e leggermente abbacchiata e Lily si sentì disarmata dinnanzi al suo sguardo dolce.
“Non potrei mai avere paura di te. Mai” mormorò Lily, rimanendo a debita distanza.
Aveva gli occhi azzurri leggermente stanchi, ma la guardavano.
La guardavano come quando avevano fatto l'amore la prima volta e lui le aveva fatto capire che sarebbe morto per lei. Che avrebbe vissuto per lei.
“Avvicinati, Lily”
Questa volta era serio e lo si intuiva dal tono basso e lo sguardo deciso: tese una mano verso di lei e la invitò ad afferrarla.
La Potter guardò quelle dita pallide flettersi contro di sé e la bile quasi le incendiò la gola: sentiva ancora quell'odore sulla pelle e il bisogno di scioglierla nell'acido per cancellare qualsiasi traccia di quell'essere su di sé si faceva sempre più prepotente.
“Lily...” la chiamò, facendo tremare le labbra senza nemmeno accorgersi.
Sembrava distrutta e Scorpius lo sentiva... gli stava nascondendo qualcosa. Qualcosa che la stava dividendo in due e che aveva paura di dire.
“Resterai sempre con me?” mormorò la rossa, alzando finalmente gli occhi bruni su di lui e fissandolo con una nuova fiamma nello sguardo.
No. Non avrebbe permesso più a nessuno di allontanarlo da sé.
Lily non avrebbe permesso più a nessuno di rovinarle la vita. Mai più. E quell'uomo sarebbe ritornato, ma lei avrebbe combattuto.
Questa volta avrebbe combattuto lei per Scorpius, come aveva fatto lui fino e quel momento.
Sempre” bisbigliò il piccolo Malfoy, storcendo la bocca sottile in un sorriso.
Lily non avrebbe permesso più a nessuno di renderla un guscio vuoto – e avrebbe combattuto per la sua anima.
Lily non avrebbe permesso più a nessuno di portarle via l'unico amore della sua vita – e avrebbe combattuto per il suo cuore... e quello di Scorpius.
Tre passi e afferrò le sue dita con il mento ritto – simile ad un leone. Simile ad una guerriera che ha finalmente deciso di prendere le proprie armi e usarle fino all'ultimo respiro.
Scorpius era freddo, ma la sensazione di calore che si emanò per il suo corpo la fece rabbrividire.
I capelli biondi erano illuminati dalla luna che brillava nel soffitto della Sala Grande e Lily finalmente capì le parole di Marco: Scorpius sarebbe diventato come lui.
E allora non erano monologhi folli, quelli che faceva tra sé e sé quando guardava Scorpius dormire e il pensiero che fosse la cosa più celestiale che avesse mai visto le balzava in testa.
Lui era davvero un angelo, con i suoi occhi azzurri e i capelli biondo grano.
Lily non sapeva nulla sugli angeli – a malapena aveva creduto nella loro esistenza fino a quel momento, ma Scorpius aveva tutte le credenziali per esserlo.
Ma allora... tutto quello che aveva creduto fino a quel momento era solo pura fantascienza. Marco era l'opposto dell'immagine che avrebbe potuto dare ad un angelo vero e proprio e non era così buono come avrebbe dovuto essere.
Stava per scatenarsi una seconda guerra, Lily lo sentiva.
Se Lord Voldemort era tornato a camminare sulla terra dei maghi, qualcos'altro si nascondeva nell'ombra – quella volta.
E non si parlava di demoni, di cui oramai conoscevano quasi tutto. No. Lì si parlava di qualcosa che nemmeno i maghi avevano mai visto.
“Non pensavo sarebbe stata così”
Lily e Scorpius si girarono di scatto verso la loro sinistra, ritrovandosi faccia a faccia sulla prova che il dolore cambiava – e rendeva cattivi.
Il dolore cambiava – e rendeva folli.
“Avevo provato ad immaginare... ad immedesimarmi, ad indossare le vesti dei personaggi di cui leggevo con tanta passione.
Loro hanno affrontato così tante guerre, ma non...non sapevo”
Lucy si portò le ginocchia al petto, gemendo in modo flebile e addolorato.
Molly dormiva al suo fianco – in modo placido e di primo acchito tranquillo, mentre lei l'accarezzava con una dolcezza che in diciassette anni di vita non aveva mai avuto.
“Non immaginavo...che avrebbe fatto così male” mormorò ancora, rabbrividendo nel guardare il braccio di sua sorella mozzato dalla spalla.
Scorpius chiuse gli occhi e Lily si sedette sulla sponda del suo letto, sfinita.
Lei era stata così presa dal suo voler vincere che non aveva nemmeno immaginato come sarebbe stato l'impatto con il dolore.
“E c'è qualcosa...” continuò Lucy, guardandosi attorno con gli occhi così spenti da spaventare la cugina.
Era così diversa dall'ultima volta che l'aveva vista; aveva un qualcosa che sembrava risucchiarla verso il basso e rinchiuderla in un bozzolo buio e asfissiante.
“Cosa, Lucy?” domandò Lily, senza mai distogliere lo sguardo da lei.
Che la profezia si stesse già avverando?
Angelique aveva parlato di Lucifero... di quest'uomo con il violino, che l'avrebbe portato all'inferno con sé. Che l'avesse trovata?
Che, in qualche modo, esistesse davvero Lucifero?
“Dimmelo, Lucy.
Dimmi cosa c'è” sussurrò la Potter, mentre Scorpius la guardava per capire cosa le frullasse in quella piccola testolina.
“Prima che compisse una strage, Angelique mi ha toccato” iniziò Lucy, continuando ad accarezzare Molly senza vederla veramente.
La divisa scolastica che indossava era nuova, l'aveva appena messa, ma non nascondeva i lividi e le escoriazioni – i tagli e gli incantesimi che l'avevano sfiorata.
“Toccato?” bisbigliò Lily, stranita, sbattendo ripetutamente le palpebre per cercare di capirci qualcosa.
Lucy sorrise in modo macabro – arricciando le labbra e mostrando i denti quasi in un ringhio.
“Mi ha toccato il cuore e quando ha ritirato la mano, ha rimasto qualcosa al suo passaggio” soffiò, portandosi le dita tremanti al colletto della camicia e lasciando uscire, uno dopo l'altro, i bottoni dalle asole.
No... no. Non era possibile.
Non poteva esserlo.
Lì, proprio dove Marco aveva rimasto la propria impronta, sul petto di Lucy c'era qualcosa di simile, ma molto più grande di quello che segnava Lily.
Il cuore era nero e aveva delle ali strappate e le spade, al contrario di quello della rossa, erano di un intenso color vermiglio.
Angelique l'aveva marchiata come aveva fatto Marco, ma i simboli erano diversi e lei sapeva perché.
Lucifero era un angelo caduto... dal cuore nero e le ali spezzate, relegato nel suo regno sotterraneo. A lui era stato negato di volare, ecco perché le ali. 
Lui aveva il male dentro sé, ecco perché il cuore corvino.
“Siamo nella merda” disse Lily, infilandosi le mani nei capelli e affannando pericolosamente.
Si erano imperlati in qualcosa che, quella volta, non si sarebbe spenta con uno scontro. No.
Ora gli avversari erano molti di più... ed avevano poteri che loro non potevano nemmeno immaginare.

 

 

 

“Mi dispiace”
Probabilmente era la quarantesima volta che le ripeteva quella frase, baciandole le nocche come se fosse la cosa più preziosa del mondo.
Hermione scosse ancora una volta il capo e guardò il foglietto ripiegato con cura accanto alla sua mano. Aveva creduto che il peggio fosse finito – che dopo tutto quello che aveva passato, più niente le avrebbe fatto paura.
Ma si era sbagliata. Ancora.
“Non penso di volerlo fare” soffiò la riccia, rovesciando il capo e incontrando gli occhi grigi dell'uomo che – da quando era stata catapultata ad Hogwarts – non l'aveva lasciata un attimo sola.
“Va contro ogni cosa a cui credo” mormorò, senza protestare quando lui le strinse con forza le dita fasciate. E irrimediabilmente rotte, come il resto del suo corpo.
“E non voglio” continuò, affossando il capo nel cuscino e sospirando pesantemente.
“Non andrebbe contro nulla, Mezzosangue.
Questo bambino è frutto di una violenza, non di una notte di balordi” borbottò Draco, burbero, sentendosi decisamente fuori luogo.
Dopo essere stata curata, fasciata, imbottita di medicine e incantesimi per curare lo scempio che suo fratello aveva causato a quel piccolo corpo, Madama Chips era sbiancata alla vista di un qualcosa di anomalo nell'organismo della Granger.
Era corsa all'impazzata avanti e dietro, chiedendo aiuto ai medimagi che erano accorsi in tutto il paese per aiutarli e alla fine – dopo un trambusto incredibile e un crollo nervoso da parte sua, era tornata a quel lettino con un fogliettino e l'aria di chi sta annunciando l'ennesima morte.
Era incinta. Aspettava un bambino, nonostante l'età e i colpi subiti.
Un bambino che aveva il suo stesso sangue nelle vene.
“Voglio pensarci” disse solamente Hermione, chiudendosi nuovamente nel guscio che l'aveva protetta fino a quel momento.
La sua vita era diventata un incubo e lei aveva bisogno di prendere le distanze.
Aveva bisogno un attimo di respirare. O sarebbe impazzita.
“Qualsiasi decisione tu prenda, io sono con te.
Se vuoi tenerlo, io ti aiuterò e sarò come un padre per lui”
Draco aveva parlato così velocemente che Hermione, di primo acchito, le sembrò di aver immaginato tutto.
Lo guardò con gli occhi spalancati e Draco abbozzò un sorriso – ma uno di quelli che vedi raramente... e che impari ad amare subito.
“Il giorno in cui credevamo che tu fossi morta, Asteria mi disse tutto.
Mi ha detto come tu ad Hogwarts hai cercato di proteggermi, di come tu – in tutti i modi – cercassi di non farmi mettere nei guai.
Mi ha detto come ti ha conosciuta e il patto di sorellanza. E infine, quello che l'ha legata fino e questo momento a me” disse, incrociando le dita sotto al mento e fissandola, questa volta, serio.
Hermione sbiancò.
“Sei sempre stata tutto ciò che ho odiato, Mezzosangue” continuò Draco, scuotendo il capo nel ricordare il bambino che era stato.
Il bambino che non aveva potuto essere.
“Avevi dei genitori che ti amavano chiunque tu fossi e qualsiasi strada avessi preso. Avevi degli amici sinceri – anche loro ti amavano e si sarebbero buttati nel fuoco per te. Con te.
Eri saccente, scorbutica e nonostante fossi una maledetta Mezzosangue, avevi ciò che io non ho mai potuto avere” bisbigliò, guardandola dispiaciuto.
“Eri tutto ciò che ho sempre voluto, ma che non potevo permettermi.
Nonostante tu avessi il sangue sporco nelle vene e io oro colato – io non potevo permettermi di averti. Non ero alla tua altezza e non lo sarei mai stato.
Tu eri orgogliosa, impulsiva, così coraggiosa... e io un vigliacco che pensava solamente a difendere il nome di famiglia” sorrise, stringendo la presa su di lei.
Hermione respirò a fatica e lui le portò un ricciolo ribelle dietro l'orecchio con una naturalezza che non fece sembrare il gesto anormale come avrebbe dovuto essere.
“Comunque, qualsiasi cosa succeda, non ho intenzione di fare gli stessi errori... e di lasciare la felicità fuori alla porta, come ho sempre fatto.
Questa volta avrò io il coraggio che hai avuto tu per rendermi l'uomo che sono ora” finì, determinato come non lo era mai stato.
Sì... quella volta non aveva intenzione di lasciar decidere gli altri.
Quella volta avrebbe avuto le palle di scegliere ed essere chiunque avrebbe voluto. Di amare chiunque volesse...
E lei era quello che aveva sempre voluto.

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Capitolo 33
*** 3.00 a.m ***


Angolo autrice:
Non... non so nemmeno come iniziare; di solito i miei “angoli autrice” servivano sempre per scusarmi di un ritardo o di un evento che mi ha impedito di prestarvi attenzione, mentre adesso...
3.00am è arrivato al capolinea. Non era una cosa prevista, questo è certo, ma rileggendo gli ultimi capitoli mi sono resa conto che questa storia non ha più nulla da raccontare.
3.00am è finita e quasi mi si spezza il cuore nel constatarlo.
Ma come ogni storia che ha un fine, c'è sempre un altro inizio... qualcuno ne era già a conoscenza – e durante i capitoli c'è stato qualche indizio – e volevo informare il resto delle lettrici che ci sarà un sequel.
Il primo capitolo, per chi volesse ancora seguirmi, verrà pubblicato la settimana prossima – salvo imprevisti – e spero che siate tante come lo siete adesso.
Volevo ringraziare tutte le persone che mi hanno seguito dall'inizio, coloro che mi hanno recensito assiduamente e chi non ha mai avuto tempo di farlo – ma mi ha letto silenziosamente.
Grazie a chi mi ha inserito nelle seguite, nei preferiti e nelle ricordate... grazie a chi mi ha dato sostegno e voglia di scrivere. A chi mi ha alzato il morale in momenti bui e chi mi ha dichiarato apertamente di amarmi e odiarmi.
Grazie delle mille emozioni e del tempo che mi avete dedicato... grazie, grazie e grazie.
A presto, spero.

 

 

 

 

3.00AM

 

 

 

 

 

« Non c'è posto più sicuro, non c'è! Forse solo Hogwarts! »
Col cazzo, Hagrid, col cazzo, avrebbe risposto gentilmente Albus Potter, strafregandosene delle parolacce e del fatto che oramai l'omone facesse parte della sua grandissima famiglia.
Quando si era rivolto a suo padre con quelle parole, avrebbe dovuto riformulare la frase con « Ovunque tu sia, se sei un fottuto Potter, sei nella merda fino al collo! Hogwarts? Dici Hogwarts, eh?
In special modo ad Hogwarts, cocco! » e forse uno si sarebbe messo pure in guardia – portandosi la bacchetta anche al bagno per la cacca giornaliera.
“Senti, io non conosco te e tu non conosci me. Quando sei stata qua per dare una mano a mio padre e mia sorella io ero sotto incantesimo...quindi che centro?
Andiamo, la legge del vecchio West non viene usata più nemmeno dai vampiri – e tutti sappiamo quanto siano suscettibili, quelli.
Io non ho fatto niente, se non svegliarmi e venire a sapere che metà delle persone che conoscevo sono morte, l'altra metà sono in uno stato irreversibile e la mia quasi ragazza è passata al lato oscuro senza nemmeno darmela.
E sì. Sono vergine. Vuoi davvero che io muoia vergine?
Sarebbe una cattiveria anche per voi demoni, sai?” e sproloquiare in quel modo non gli avrebbe nemmeno salvato la vita, di questo ne era purtroppo a conoscenza.
Ma quando era nervoso di solito cominciava a parlare e non la finiva più, come quelle donne che hanno il ciclo e devono sfogare le proprie frustrazioni sul primo malcapitato passato sotto le proprie grinfie.
Il fatto più preoccupante, comunque, era che si stava paragonando ad una ragazza con il ciclo.
“Anche se non credo che la mia verginità sia prossima al pericolo.
Non ho molta fortuna con le ragazze... di solito mi considerano uno di loro – e se l'idea di un uomo nudo non mi suscitasse alcuna emozione o chicchessia, crederei davvero di essere uno di loro; le donne mi spaventano, anche se non so perché” continuò, legato in un angolino e scuotendo disperatamente la testa.
Era davvero un caso perso... e si era davvero paragonato ad una ragazza con il ciclo?
“Hai finito?” Angelique roteò gli occhi rossi verso di lui, annoiata a morte da quella manfrina.
“Vuoi ancora uccidermi?” domandò sospettoso Albus, cercando di placare i nervi e anche qualcuno che si era smosso nelle parti basse.
Insomma, quello non si svegliava nemmeno quando una gli metteva le mani nei pantaloni e solo a guardare quella sottospecie di demone psicopatico alzava la testolina e voleva far festa?
Torna a dormire, ingrato che non sei altro, sibilò mentalmente al suo pene, assottigliando gli occhi smeraldini e fissandosi il cavallo dei pantaloni con le narici frementi dalla rabbia.
“Non ho mai voluto ucciderti” sbuffò Angelique, tornata quasi normale dopo la sfuriata al Ministero della Magia.
Dopo averci riflettuto aveva capito che era stata una stupida: si era lasciata sopraffare dalla rabbia e aveva lasciato andare la causa della morte del suo compagno così – senza nemmeno guardarlo negli occhi. Così, come se sfidare un demone non causasse nessuna conseguenza.
Lord Voldemort meritava di morire. Lei rivoleva indietro quel cuore che lui si era preso ingiustamente: non sapeva come, ora che Tu-sai-chi aveva sangue di demone nelle vene, ma ci sarebbe riuscita.
Angelique gli avrebbe strappato il cuore dal petto e lo avrebbe restituito al legittimo proprietario – di cui le restavano solo le spoglie.
Il suo compagno sarebbe tornato in vita a tutti i costi, doveva solo sbrigarsi e fare in modo che non si decomponesse del tutto – rendendole impossibile il compito.
“E allora perché mi hai legato come un salame?!” sbraitò Albus, interrompendo il filo dei suoi pensieri e strabuzzando gli occhi.
La stava fissando come se stesse ballando la salsa in mutande.
No... paragone sbagliato. Non avrebbe di certo reagito in quel modo se lei stesse ballando la salsa in mutande.
Smettila, smettila! Penserà che sono un pervertito, smettila, sibilò ancora mentalmente al suo pene, guardandolo nuovamente con sospetto e ricordandosi – una volta libero – di farsi tante di quelle docce gelide da farlo desistere di alzare la testa per i prossimi quattro mesi.
“Perché mi sto divertendo a leggerti nel pensiero” soffiò Angelique, perfida.
Sorrise, no... sogghignò, quando lo vide sbiancare velocemente e stringere le labbra in una linea sottilissima.
“Niente docce gelate e...sembri davvero una ragazza con il ciclo, sai?” rise Angelique, sbattendo civettuola le lunga ciglia e osservando – deliziata – il colorito di Albus passare da un bianco cinereo ad un rosso pomodoro.
“Sei cattiva” piagnucolò Al dal suo angolino, mettendo su un broncio adorabile e abbassando lo sguardo sul pavimento.
Bella figura ci hai fatto fare, sbuffò al suo pene, calciando un sassolino ai suoi piedi e facendo una smorfia con la bocca.
“La smetti di parlarci?! Non è normale, sai?” sbottò Angelique, guardandolo stranamente e chiedendosi se davvero quel pulcino lì stesse discutendo con l'amico nelle parti basse.
Insomma! Il figlio di Potter e il fratello di quella che era stata un demone – e anche abbastanza potente – per pochi mesi, stava parlando con il suo pene come se quello gli rispondesse.
“Scusa, non ne posso fare a meno” bofonchiò Albus, guardandosi la punta delle scarpe e arrossendo nuovamente.
“Sei strano”
“Disse colei che mi è apparsa alle spalle e mi ha legato come un prosciutto, lanciandomi dall'altra parte della saletta con un calcio in culo e guardandomi come un piatto appena cucinato” soffiò fuori il ragazzo ancora legato, chiedendosi perché – se poi non voleva ucciderlo – lo avesse trattato in quel modo.
“A parte che è stato divertente sentirti parlare di cose stupide e della tua verginità...ma poi, ho bisogno di alcune informazioni e per fare in modo che tu non scappi, ti ho legato per bene” snocciolò velocemente la demone, sedendosi sul cornicione di pietra e ciondolando le gambe pallide e tornite.
Era avvolta da un abito di seta nera, che le stringeva il seno in una fascia e ricadeva in morbide pieghe fino al ginocchio ossuto. Era di una bellezza strana e inquietante, tanto da non poterle togliere gli occhi di dosso. Abbastanza da farlo tremare appena, ma né per il freddo e tanto meno per la paura.
Il nero, a contrasto con la sua pelle pallida – che sembrava marmo – era davvero il sinonimo della sua anima. E lei era sempre più bella e mostruosa. Sempre più bella e terrificante.
“Non sarei scappato comunque: non ho né la forza e né la voglia. E comunque sei troppo carina perché potessi darmela a gambe” borbottò, prima di rendersi conto di quello che aveva appena detto. E comunque sei troppo carina perché potessi darmela a gambe?
Ma davvero? Complimenti, Potter... sei di un originalità unica e inimitabile.
O sei solo un coglione, si disse da solo.
“Dovresti parlarne con qualcuno, sai? Non è normale che tu e la tua coscienza discutiate in questo modo” disse Angelique, alzando un sopracciglio e fissandolo con scherno.
“Smettila di leggermi nel pensiero!”
“No”
“Stronza” sbottò Albus, piagnucolando come un bambino.
“Quasi quanto tua sorella”
“Allora non conosci il resto delle mie cugine... e mia madre. Falle uno sgarro e, demone o no, ti ritrovi morta prima di urlare « ce l'ho fatta! »
Non so se ho reso l'idea” borbottò, pensando alla forza distruttrice delle donne Weasley quando veniva toccato loro l'essenziale.
“Ancora paura della mammina, Potter?”
“Della mia? Certo che sì!
A diciassette anni mi cala ancora le braghe per sculacciarmi” rispose Albus, rabbrividendo inorridito nel ricordare i colpi secchi della madre sulle natiche.
Di solito non riusciva a sedersi per due\tre giorni consecutivi ed era terribile: non avrebbe mai chiesto ad una sua futura ragazza cose di questo tipo a letto... sapeva cosa si provava e oltre ad essere doloroso aveva un ché di umiliante che non avrebbe di certo voluto trasmettere a lei.
Avere dei trauma a volte aiutava davvero a mitigare l'egoismo umano, pensò, annuendo a quel pensiero.
“Ma davvero stai paragonando le sculacciate che ti da tua madre a quelle che daresti ad una tua improbabile fidanzata durante un rapporto sessuale?” rise Angelique, guardandolo di solito come lo guardavano le donne: come un pupazzo gigante, senza sesso, arte o parte.
Mai, mai in vita sua aveva incontrato un tipo del genere: Angelique era stata con vampiri, demoni e anche esseri umani come lui... e nessuno era mai stato – fuori e dentro – così casto. Così puro.
Tutti in sé racchiudevano un lato oscuro, tutti, anche il Bambino Sopravvissuto e, volente o nolente, questo sarebbe venuto allo scoperto prima o poi.
“Mi dici cosa ti devo dire così la finiamo con questo teatrino e tu la smetti di leggermi nel pensiero?” borbottò Albus, stanco di essere preso in giro. Come sempre.
“Uno: che fine hanno fatto quelle luride bestie mascherate?
Due: che fine ha fatto tua sorella?” elencò Angelique, poggiando il mento sulle mani congiunte a preghiera senza mai distogliere lo sguardo dal suo.
Era strano... ma appena aveva assunto quella posizione, la sua testa aveva paragonato quel demone ad una Madonna; i riccioli bruni sciolti a ventaglio sulle spalle fragili, la pelle bianca e marmorea – eppure deturpata, eppure straziata da vene bluastre.
La bocca rossa e carnosa, il naso perfettamente delineato e il viso sottile – quasi disegnato tanto simmetrico.
Perfetto. Ecco, forse non si poteva nemmeno spiegare la bellezza di quei demoni: se qualcuno avesse mai domandato che aspetto avessero, Albus avrebbe potuto rispondere solo perfetto.
“I Mangiamorte sono spariti tutti appena Lily ha assunto la sua forma umana o almeno così mi hanno detto quando mi sono svegliato e ho trovato la distruzione attorno a me” disse triste, scuotendo il capo per lo scempio che aveva visto attorno a sé.
Per il dolore. Per il sangue. Per le ferite. Per quella guerra che non era nemmeno iniziata e aveva portato con sé troppe, troppe persone.
“Sei davvero puro come sembri” bisbigliò Angelique, abbozzando il primo vero sorriso da... sempre, probabilmente.
Quell'umano era così strano. Così umano.
“È una brutta cosa per caso?” domandò, visto il tono stranito che aveva usato nel pronunciare quelle parole.
Angie sorrise, scuotendo il capo.
“No, ma probabilmente sei il primo vero umano che ho incontrato in decenni di vita” mormorò, lasciando che alcuni riccioli le accarezzassero la bocca mentre gli diceva ciò.
Albus la guardò, ma non proferì parola.
Perfetta, per l'eternità triste che l'aspettava. Per le ferite che nascondeva. Per il voler morire nonostante non avesse un cuore che batteva... ma i sentimenti, quelli era evidente che ce li avesse tutti quanti.
Come si poteva provare amore, tristezza, angoscia, se non si aveva un cuore che batteva? Come poteva quell'essere senz'anima provare qualcosa – essendo statica. Essendo granitica?
“Ora ascoltami bene, pulcino” sogghignò Angelique, atterrando sulla pietra gelida con un piccolo saltello e raggiungendolo scalza.
Una Madonna dallo sguardo cremisi e il sangue nero come le ali di un corvo, ecco cos'era quell'essere che ora si era inginocchiato ai suoi piedi – rispecchiandosi perfettamente nel suo sguardo smeraldino.
“Lord Voldemort è sopravvissuto ad un cuore di demone perché ha l'oscurità insediata in sé, ma ci vorrà molto, molto tempo prima che si riprenda. Nonostante quello che si dice in giro, la sua carne, la sua anima e il sangue sono umani e ci vorrà tempo prima che il suo metabolismo accetti qualcosa di così invasivo come il cuore di un demone – che ha funzioni, modi e circolazioni diverse dalle vostre.
Ci vorrà tempo... e per voi ci vorrà un piano. Vi ho agevolato le cose per alcuni punti di vista, ma ci vorrà molto di più: quando lui si riprenderà, il suo potere sarà il triplo di quello che è stato fin'ora e allora sarà la fine per voi.
Quello che vi serve sarà uno studio approfondito sui demoni... e al mondo quelli che conoscono i demoni più di qualsiasi altra cosa sono gli alchimisti, i druidi e tutti coloro che conoscono le leggende più antiche sulla faccia della terra.
Questa non sarà sicuramente l'ultima volta che ci vediamo, ma ho bisogno che tu mi faccia da tramite” snocciolò velocemente Angelique, slegando le corde che lo tenevano legato e liberandolo finalmente.
“Perché io? E perché non lo fai direttamente tu?” borbottò Albus, massaggiandosi i polsi e arrossendo vagamente per quella vicinanza assurda.
Assurda e perfetta.
“Io non posso e tu sei l'unico che può aiutarmi. Che può aiutarvi” mormorò, poggiando una mano sulla sua guancia e ora costringendolo a fissarla.
Sì, c'era dell'assurdo in quella vicinanza forzata – nel modo in cui entrambi cercavano di arretrare e avvicinarsi.
Lui era bollente e lei gelida. E il loro tocco sembrava scontrarsi, rifiutarsi... e combaciare in un modo assurdo. Assurdo e perfetto.
Lei odorava di rose appena sbocciate, del tempo che scorre in fretta e miele. Odorava di assurdo e... perfetto. Qualcuno poteva odorare di perfetto?
“Lo farai per me, Albus?”
La sua voce ora era bassa, priva dell'ironia che l'aveva accompagnata fino a quel momento. Ora la sua bocca era schiusa e rilasciava veleno al posto del fiato.
Era quello, che facevano i demoni? Avvelenavano il sangue e rendevano schiavi delle loro perfezioni? O era solo lei?
O, semplicemente, era lui... con lei?
“Lo farò per te” mormorò il ragazzo, annuendo e battendosi un colpo sul petto come un giuramento.
Angelique sorrise e lo baciò. In realtà non fu un vero e proprio bacio: fu uno scontrarsi di labbra – uno scontro tra incredulità e fermezza. Caldo e freddo. Incanto e rifiuto. Antidoto e veleno.
Assurdo e... perfetto.
Prima che se ne rendesse conto lei era già sparita, lasciandolo lì con le labbra tese, gli occhi chiusi e il cuore... e il cuore non lo sapeva.
Batteva, si fermava – tremava e poi ritornava duro, com'era diventato dopo tutte le delusioni che aveva subito.
Era assurdo quello che gli era appena successo: lui non sapeva nulla di di lei, tranne che aveva aiutato suo padre e sua sorella durante le battaglia. Punto. E ora lei si presentava lì, lo legava e gli proponeva una vita d'uscita, un qualcosa che probabilmente avrebbe salvato la vita a tutti loro.
Era perfetto quello che gli era appena successo: lui non sapeva nulla di lei, tranne che aveva l'odore più buono che avesse mai incontrato sul suo cammino e il volto sofferente della Madonna – che aveva appena perso il frutto della sua carne, del suo sangue.
Assurdo e...perfetto.

 

 

La Sala Grande era diventata un ritrovo per tutti coloro che avevano partecipato alla battaglia: non solo ospitava i feriti, ma anche i parenti dei deceduti, gli amici – coloro che volevano aiutare e tutti i suoi studenti.
Le tavolate erano state eliminate e al loro posto c'erano letti di fortuna, sedie, puff e qualsiasi cosa che rendesse comoda o almeno piacevole la permanenza delle persone presenti.
Lily Potter conosceva tutti, lì. Ogni viso, voce o movimento che aveva visto e sentito in quella settimana, l'avevano aiutata a legarsi a tutti coloro che avevano condiviso il suo stesso destino.
Il suo stesso dolore.
Con lo sguardo ritornò al giornale che le aveva consegnato Edvige II, storcendo il nasino dinnanzi al titolo catastrofico che lampeggiava di un rosso carico in prima pagina: Rita sono stronza e voglio morire prima che scada il mio tempo Skeeter era tornata all'attacco e a Roxanne non era andato molto giù l'articolo che aveva scritto.
“Non arrabbiarti così tanto, in fondo sappiamo tutti quanto sia inutile... sia lei che la Gazzetta del Profeta” sbuffò Molly, seduta sul suo lettino di fortuna e accettando con un dolce sorriso il tè alla cannella che le stava offrendo sua zia Ginny.
“So perfettamente quanto sia inutile quella vecchia zitella” sibilò Roxanne e, in lontananza, Hermione poté sentire uno squittio d'animale... uno squittio quasi scandalizzato.
“Già – continuò la Granger con un sogghigno sulla bocca spaccata in più punti.
Diventa sempre più vecchia e, con quel caratteraccio che si ritrova, nessuno la vorrà” disse morbidamente, risentendo il suono di prima.
O Rita spaccacazzi Skeeter era stupida o pensava che lo fosse diventata lei dopo le violenze subite. Ma Hermione confidava nella prima ipotesi.
Lily la guardò: sua zia Hermione si guardava attorno circospetta e continuava ad urlare quegli insulti ai quattro venti – facendosi guardare strana da metà dei presenti. O almeno quelli coscienziosi.
“Come se centrasse la vecchiaia. Quella era cessa anche prima” sibilò Alice Paciock, incattivita, guardandosi le unghia martoriate con la cattiveria che l'animava da quando Lysander era stato paralizzato dalla vita in giù.
Hermione si alzò dal suo lettino, assottigliando lo sguardo bruno con sospetto: Draco alzò appena gli occhi grigi dalla Gazzetta, senza più stupirsi delle stranezze della Mezzosangue.
Aveva avuto a che fare con Potter per diciassette anni... se non era strana lei, chi lo sarebbe mai stato?
“Una cessa stratosferica, con quei ricci poi!
Non me la sarei scopata nemmeno se fosse stata l'ultima donna sulla faccia della terra”
Harry Potter fece l'occhiolino alla sua migliore amica, prima che questa si lanciasse vittoriosa contro una finestra quasi in fondo alla Sala Grande. Tutti la guardarono con tanto d'occhi, chiedendosi se davvero Hermione Granger non avesse perso il lume della ragione con tutte le violenze subite, ma non lui.
Harry aveva immediatamente capito: Rita Skeeter sapeva un po troppe cose per aver intervistato solo due funzionari del Ministero e sembrava quasi aver dimenticato con chi avesse a che fare.
“Pensavi avessi dimenticato che forma avessi, piccola bestiolina?” sibilò la Granger, parlando con il proprio pugno.
Lily alzò un sopracciglio, ignorando la fotografia di suo padre in prima pagina che faceva smorfie assurde – alla stregua di un psicopatico – e fissando la donna che alzava i pugni in cielo, trionfante.
“Ma che succede?” domandò Jackie Alaia, quasi infastidito da tutto quel trambusto.
Alzò gli occhi castani più fatti del solito e spenti come non mai sui presenti, impassibile dinnanzi alla scena comica che gli si stava presentando davanti allo sguardo.
“Torna alle canne, Alaia, è meglio” esordì Lucy al fianco di sua sorella – fucilandolo con un occhiata raggelante.
Era strano come cambiassero le persone. Come Jackie non fosse più il ragazzo spensierato di prima e come Lucy avesse perso quella luce che la rendeva strana, speciale, diversa.
Era strano come cambiassero le persone e come queste si avvicinassero quando il dolore prendeva il sopravvento – quando il dolore spazzava via tutto.
Lui la guardò e qualcosa gli s'incrinò dentro, facendogli quasi tremolare le iridi.
“Non rivolgermi la parola, Weasley” bisbigliò, massaggiandosi il petto in modo circolare.
Lucy sorrise dolcemente, abbassando lo sguardo e lasciando che le ciglia creassero ghirigori fantasiosi sulle guance pallide, tirate e graffiate: quante volte l'aveva vista passarsi le mani sul viso, disperata, nel guardarsi attorno e constatare la distruzione che la circondava?
Jackie aveva perso il conto di tutte le volte che aveva visto il sole accarezzare i suoi capelli rossi, rendendoli simili ai raggi quando calava il sole – e lei cercare di strapparsi ciocche su ciocche, ciondolando su se stessa come una bambina con evidenti problemi mentali.
Jackie aveva perso il conto di tutte le volte che i propri occhi si erano posati sulla sua bocca sottile, simile a petali di rose rosse – e lei mordersele fino a spaccarsele. E lei mordersele fino a renderle rosse per il sangue.
Non aveva più visto un sorriso solcare quella bocca né il suo colore tornare naturale – quel rosa prima così pallido, delicato, lontano dall'idea che Lucy dava di sé... ma in quel momento così vicino a lei. Vicino all'anima sgretolata che cercava di non mostrare e lontano da quella bocca inguardabile tanto martoriata.
“Lo sto facendo già” mormorò lei, inchiodandolo lì seduto con i suoi occhi spenti – così uguali ai suoi, ma in realtà così poco somiglianti. Così difficilmente paragonabili.
Jackie aveva perso il conto di tutte le volte che si era fermato ad osservare quelle iridi azzurrine – ora opache, ora simili ad un pozzo estremamente profondo. Più le guardava e più le sembrava di cadere e scontrarsi contro una lastra di ghiaccio.
Jackie più la guardava e più si rendeva conto che lei era il suo riflesso rotto – quello che non aveva più avuto il coraggio di guardare dopo la morte di sua sorella. Dopo la morte dei suoi compagni, della sua anima.
“Siate gentili” li ammonì Ginny, accarezzando i capelli di Lucy gentilmente e osservando Molly centellinare la sua bevanda con difficoltà.
Diciassette anni e ritrovarsi senza un braccio. Diciassette anni e sapere di avere un futuro rovinato – invalido.
Chissà cosa provava, Molly. Chissà come si sentiva ora che sapeva di non poter mai più essere normale.
“A chi piace dar fuoco alle formiche?” sibilò Hermione, mentre qualcosa squittiva tra le sue mani quasi come un topolino.
“A me piace uccidere le persone, ma potrei fare un pensierino anche su questo” soffiò Alice – che non si era mai mossa dal fianco di Lysander – guardando la donna con un sorriso soffice sulla bocca carnosa.
Il ragazzo, steso sul lettino, rabbrividì.
Le avevano strappato l'anima, rendendola un mostro: la sua paralisi l'aveva trasformata in qualcosa che Lys, dall'inizio della loro relazione, aveva cercato di scacciare con tutte le sue forze – ma che per amor suo era tornato con una violenza inaudita, uccidendo la ragazza di cui era innamorato.
Quel lato oscuro che di primo acchito li aveva allontanati, portandoli ad odiarsi e che ora brillava in lei. E che ora pendeva sulla sua testa come una spada di Democle - pronta a tagliarle la testa.
Pronta a recidere quelle radici che li legavano, ma che ora si stavano assottigliando sempre di più.
“Mi aiuti?” la sua voce era sottile e Alice girò il capo di scatto, quasi come se le avesse urlato all'orecchio.
Era strano come il dolore cambiasse... e rendesse cattivi – ma così sensibili da tenere perennemente dolore al cuore. Perché Alice era diventata quasi maligna verso le altre persone, lasciando fuoriuscire quella vena sadica che avrebbe spaventato addirittura Bellatrix Lestrange, ma – dall'altra parte – aveva l'amore che nutriva verso di lui che sembrava quasi spezzarla in due.
Ogni volta, quando la beccava a fissarlo, a Lys sembrava quasi vederla arcuare la schiena per il dolore immane che le causava la sua situazione.
“Vieni...” e con le braccia fragili – ma che Lys aveva imparato bene, potevano spostar monti – lo issò a sedere al centro del letto facilmente, quasi come se non pesasse nulla.
I suoi occhi erano un oceano di paura, angoscia, dolore, cattiveria e vendetta. Perché sarebbe stato stupido da parte sua accantonare quell'idea: Lysander conosceva molto bene Alice e sapeva che si sarebbe vendicata. Sapeva che avrebbe fatto scorrere sangue... che lei, di Paciock, non aveva nulla.
Lei, di Paciock, aveva solo l'apparenza genuina e la determinazione.
“Io non seguo la legge del vecchio testamento, Alice” bisbigliò al suo orecchio, sfiorandole il lobo con la punta del naso e infilandole le mani nel caschetto color miele – in un gesto che apparve dolce di primo acchito, ma che entrambi sapevano doloroso per la presa ferrea e severa.
I loro occhi si agganciarono quasi con violenza e Lysander seppe tener testa con fermezza il luccichio di gelidità che brillava nello sguardo di lei. Così piccola, così delicata, così sua eppure... in un modo quasi contorto, così poco sua.
“Io sì” e quella risposta valse più di mille parole.
Oh, Alice... così fragile, ma con un fuoco dentro che rischiava di bruciarla da dentro e uccidere prima chiunque incontrasse sul suo cammino e poi lei stessa.
“Ti distruggerai con le tue stesse mani” sussurrò Lysander, quasi implorandola con lo sguardo.
Impotente, come sarebbe sempre stato fisicamente.
Impotente, come era sempre stato mentalmente.
“Qualcuno deve pur fare il lavoro sporco” rispose la ragazza, senza tirarsi indietro.
Poggiò una mano sulla sua guancia e lo accarezzò dolcemente – come fa di solito la morte prima di strappare le anime dai corpi delle sue vittime.
“Non tu. Non ora che la guerra diventerà un vero e proprio calvario.
Non voglio che tu sia in prima linea e non voglio perderti come ho perso lui” non riusciva nemmeno a pronunciare il nome di suo fratello e quello spiegava quanto fosse diventato patetico.
Patetico, per il suo stato di salute.
Patetico, perché era diventato un mezzo uomo.
“Non puoi impedirmelo” soffiò Alice sulla sua bocca, sfiorandola e rubandogli il respiro, il senno e il raziocinio. E rubandogli l'anima e la capacità di poter pensare altro oltre la parola patetico.
Non poteva fermarla. Patetico.
Non poteva proteggerla. Patetico.
Non poteva nemmeno abbracciarla di sua spontanea volontà, senza che lei non dovesse aiutarlo ad alzarsi dal letto. Patetico.
“Ma posso lasciarti”
La sua voce si ruppe sull'ultima parola, strappando un sorriso dolce dalle labbra di lei.
“No, non puoi” rispose, convinta anche dal dolore che trapelava dalle sue iridi azzurre.
Patetico, hai bisogno di lei anche per andare al bagno.
Patetico, hai bisogno di lei anche per una semplice doccia.
“Lo sto facendo” il suo tono s'indurì e lo sguardo di Alice traballò, insicuro – simile alle fiammelle di una candela accarezzate dal vento.
“Ora” finì, distogliendo definitivamente lo sguardo dal suo e piantandolo al terreno, sicuro.
Patetico, non puoi nemmeno fare l'amore con lei senza che questa debba starti perennemente sopra.
Alice rimase impietrita, a pochi passi dal suo volto, abbassata su di lui com'era abituata oramai da una settimana a quella parte – appena la battaglia era finita e loro avevano scoperto il suo stato irreversibile.
Il suo cuore produsse uno strano rumore, come quando le onde s'infrangono contro la costiera e portano con sé alcuni pezzi di pietra e lei tremò appena, drizzandosi lentamente. Come aveva sempre fatto.
La corona non cadde dalla sua testa e l'ape regina non mostrò alcuna debolezza quando i suoi occhi si focalizzarono sui presenti.
“Occhio per occhio, dente per dente.
Così sarà” fu l'ultima cosa che disse prima di lasciare la Sala, lasciandolo lì. Con il cuore in gola e la parola patetico che rimbalzava tra le pareti del suo cervello come una palla impazzita.
Patetico.
“Come abbiamo fatto a non pensarci?”
La voce baritonale di Blaise Zabini si sovrappose ai suoi pensieri, portandolo ad alzare gli occhi e fissarli su di lui.
Grosso e impotente, seduto sul letto di suo figlio senza alcun dolore ad accecargli i lineamenti – nonostante sua moglie fosse deceduta disgraziatamente per mano di un Mangiamorte.
“Scusa se eravamo troppo impegnati a compiangere i defunti” ironizzò Roxanne, intrattabile e irascibile. Dura come il granito e fredda più del ghiaccio.
“Non rivolgerti con quel tono a me, mocciosetta” sibilò Blaise, fucilandola con un occhiata raggelante e facendo fremere appena le narici per la rabbia.
“Ah no? E perché non dovrei?” lo schernì la ragazza di colore, storcendo la bocca in un sogghigno sarcastico.
Fredda come l'inverno e dura come la staticità che aveva colto il suo cuore alla morte apparente di Frank.
“So cosa hai fatto, tesoro” soffiò Blaise a bassa voce, mentre Dalton alzava gli occhi azzurri dalla Gazzetta del Profeta che stava cercando – anche inutilmente – di leggere da mezz'ora. Fermo sempre sulla stessa riga.
Ah, al diavolo! Gli era venuto solo un mal di testa assurdo. E lui odiava i mal di testa quasi quanto le rughe.
O i culi mosci, a come la si voleva vedere.
“Qua c'è gente malata che cerca di stare un po in tranquillità” sbottò, sporgendo la testa dal giornale e fissando con aria accusatoria tutti i presenti.
“In questa sala sono tutti malati, persino Lily – che non ha un cazzo – è più malata di te. Sei l'unico che non ha niente, Zabini” sbottò Dominique dalla sua postazione a cinque letti di distanza da lui.
Questo alzò gli occhi al cielo.
“Ma tu che ne sai? Sei cieca!”
E via con il solito tatto dei Zabini che avrebbe fatto onore ad un elefante in una cristalleria. E questo era tutto dire.
“Perché sei ancora vivo?” domandò Dominique, morbidamente, volgendo la testolina bionda verso il suono di quella voce e mostrando alla sua destra la benda bianca che le copriva gli occhi.
Ciechi. Irrimediabilmente ciechi.
“Domandalo alla Smith” sbottò acidamente Dalton, facendole la linguaccia e dimenticandosi di già che non poteva vederlo.
Già, la Smith.
Che fine aveva fatto la Smith?
“Se riuscirei a vederla, magari...” sbraitò la bionda, trattenendosi dal lanciare un incantesimo alla cieca – letteralmente – e cogliere chiunque tranne il coglione che stava ridacchiando allegramente a pochi metri da lui.
“Ha preso il posto di suo padre” mormorò Dalton, dolcemente, inclinando il capo e posando lo sguardo verso la fine della Sala – dove Joe stava aiutando un ferito ad ingurgitare un po di brodino.
I capelli corti, gli occhi neri ora pieni di determinazione.

 

« Ho provato piacere ad uccidere, Dalton! Capisci?
Mio padre è morto per proteggere delle persone e io ho provato piacere nell'ammazzarle »
Le urla, gli occhi intrisi di lacrime – odio, tristezza. La bocca morsa a sangue e le mani tremanti che si toccavano i capelli corti e disastrati – il volto smunto e pallido.
Ah, l'odio. A cosa portava l'odio?
« Aiutami, ti prego. Dalton, ti prego... »
I singhiozzi e le ginocchia rosicchiate dalla pietra – dove oramai sostava da più di un ora.
L'odio li stava distruggendo, ecco la verità. Li stava corrodendo da dentro e sarebbero impazziti. Sarebbero morti.
« Hai provato piacere ad uccidere perché stavi ammazzando una persona che ti stava per portare via tutto. Quella feccia, stava per uccidermi.
Non sei cattiva, Joe. No.
Anche la signora Weasley ha ammazzato, quando la madre di Lily stava per venire uccisa; anche Harry Potter ha ammazzato, quando ha visto che Lord Voldemort stava distruggendo tutto ciò amava.
Non sei cattiva, tesoro, sei umana e provi sentimenti. Ti è concesso amare come ti è concesso odiare.
E io amo il tuo modo d'essere umana »
Il tremore delle mani, il tocco delicato che aveva usato per accarezzarle la guancia.
Il bacio delicato sulla bocca – e i ti amo sussurrati a fior di labbra.

 

 

“Ciao” mimò lei, sorridendogli dolcemente e ricordandogli – giorno dopo giorno – perché l'amava così tanto.
Era sua. Merlino, se lo era.
“Ciao” rise Dalton con il cuore leggero.
Sì. Aveva il cuore leggero, nonostante fosse morta sua madre. Lì aveva capito dove arrivavano i sentimenti di Joe – cosa sarebbe stata capace di fare per proteggerlo.
Ora lei lo guardava, e non c'erano tentennamenti.
Ora lei lo guardava, e sorrideva – senza tremori, timori o altro.
Era serena, ora.
“Beh, almeno siamo vivi” sospirò Scorpius, poggiando il mento sulle mani incrociate e abbozzando un sorriso.
“Sì, guarda... una grande consolazione” sbottò Dominique, acida, intrecciando le dita con quelle di James – che strinse immediatamente la presa.
“Oh, ma è mai possibile? Non ne dico una giusta” piagnucolò Scorpius – a cui mancò un battito quando Lily si sedette al suo fianco.
Gli sembrava di impazzire. C'era qualcosa di strano, ora, quando la toccava – qualcosa che lo faceva uscire di senno.
All'inizio credeva impossibile che potesse amarla di più. Credeva fosse impossibile provare un sentimento così profondo – così doloroso da portargli a massaggiarsi il petto.
Infilò le mani nei suoi capelli rossi come il sole al tramonto e socchiuse gli occhi, soggiogato dal suo odore. Era come se qualcosa l'attirasse irrimediabilmente a lei – costringendolo a toccarla.
Costringendolo a bearsi della sua immagine, a tremare per le sue carezze – la sua voce, la bocca ora tesa in un sorriso e le mani poggiate sulle sue spalle.
“Non dici cose sbagliate” rise Lily, spostandogli una ciocca di capelli dagli occhi delicatamente.
Era impazzito, più di prima.
Era inspiegabile quello che sentiva... era come morire e poi risorgere. Risorgere per poi tornare a morire.
“Sarà stata la battaglia o la paura di averti persa in modo irrimediabile, ma ogni secondo che passa ti voglio sempre di più” sussurrò ad un centimetro dalle sue labbra – sorridendo.
Lily si irrigidì. Anche lei aveva notato quella cosa e la paura che non era nessuno di quei due motivi ad averlo sempre intorno la tormentava.
Da quando quel tatuaggio le marchiava la pelle lui le gravitava attorno come se fosse una stella e lei il suo satellite.
E aveva paura. Tanta paura.
“Sì” rispose freddamente, lasciandosi cullare dalle sue braccia.
Appoggiò la schiena contro il suo petto e con gli occhi bruni si guardò attorno: si erano fatti terra bruciata attorno e non avevano affrontato nulla. La battaglia vera e propria doveva ancora avvenire e quella volta non era solo Lord Voldemort il problema.
Guardò Lucy accarezzare il volto di Molly e lei ricambiare con un sorriso dolce; James stava leggendo la Gazzetta a Dominique e lei di tanto in tanto sbuffava – stringendo la presa su di lui quasi con violenza.
Jackie era in disparte e fissava Lù, mentre Roxanne rollava una delle sue solite canne – distrutta dalla scomparsa di Frank, nonostante lei avesse cercato in tutti i modi di salvarlo... lui l'aveva ricambiata mordendola e scappando senza più farsi vedere.
Dalton guardava Joe, sua zia Hermione stava bruciando le ali di una certa spaccacazzi trasformata in Animagus e suo papà parlava animatamente con Albus – lanciando di tanto in tanto occhiatine a sua madre, intenta a curare i feriti insieme a Joe e altri.
Il suo mondo era lì, tra quelle mura. Il suo mondo era lì, in quel dolore che li aveva piegati drasticamente... ma non spezzati, no.
Quello mai.
Loro erano lì, vivi e trovavano ancora la forza di sorridere – di dire che potevano farcela.
“La scuola sta per finire...” borbottò Scorpius alle sue spalle, mentre Lysander si sforzava per non chiedere aiuto e sdraiarsi nuovamente.
“E noi saremo lì fuori, esposti agli attacchi esterni” rispose Lily, stringendosi contro di lui e cercando di non pensare – di non sentirsi sporca.
“Ce la faremo” l'assicurò Malfoy, accettando con benevolenza la carezza sul capo, fatta di sfuggita, quando suo padre passò dietro di lui.
Sì, si sforzò di essere sicura Lily.
Loro ce l'avrebbero fatta. E nessuno, nessuno sarebbe stato in grado di spazzare via la loro speranza – la loro vita.
Si guardò attorno e sì, ora ne era sicura: nessuno sarebbe stato in grado di sotterrarli.
Lo capì nell'amore delle due gemelle, in quello di Joe che stava ridendo con una ragazza ferita. Lo capì nell'aria che si respirava, nei sorrisi di chi aveva partecipato a quello scempio e nel modo in cui si volevano bene... nonostante tutto, nonostante tutti.
“Ce la faremo” affermò a voce alta – accoccolandosi ancora di più contro il suo petto.
E quella era una promessa.

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