Il Nulla non c'era nei suoi occhi.

di Lucinda_Price
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non posso sbagliare. ***
Capitolo 2: *** Rinascita. ***
Capitolo 3: *** La luna e il buio. ***
Capitolo 4: *** Mani. ***



Capitolo 1
*** Non posso sbagliare. ***


Era una di quelle notti che sai che non ti si scrolleranno mai di dosso. Una di quelle che ti lascia i brividi, una di quelle che ti rende sporca, non di una sporcizia materiale, ma che ti sporca l’anima, che ti infetta i sensi. Una nottata vuota, ma, si sa, il vuoto, a volte, riesce a restarti appiccicato addosso più a lungo del previsto, più di qualsiasi altra cosa. Ed è così che trascino il mio alone di nulla tra le strade poco trafficate di Roma, tra quelle vie di periferia che, come me, sembrano voler scappare dal caos ma si sa che, comunque, il collegamento resta e non si può distruggere. Il caos è nel mio cuore ed io cerco di concentrarmi sulle periferie dei sensi, cammino, muovo gli arti, respiro, anche se a fatica.
 

Sono passati tre anni, tre anni inconsistenti, tre anni rigidi, senza nessuna flessione, tre anni fantasma, che si collocano tra quella notte e oggi. Oggi ho deciso che tutto cambierà, da oggi prendo io le redini della mia vita e, oggi, lo ripeto come una sorta di mantra, non posso sbagliare.                                                                                                                                                      
Il sole è una palla di fuoco che illumina la mia camera. Apro la finestra e vengo investita da una leggera brezzolina che mi scompiglia i capelli, che tanto so che non staranno mai in ordine comunque. Probabilmente dovrei domarli con un bel taglio o una messa in piega elegante, ma non sono mai entrata nello studio di una parrucchiera da tre anni e l’ultima volta che hanno perso qualche centimetro è stato grazie alle mie forbici. Beh, grazie forse non è proprio il caso di dirlo. Ma oggi si ricomincia, giusto? Nuova vita. Non so perché, ma si dice che anche il cambio di pettinatura segni una svolta e quindi oggi mi metto in gioco e inizio da qui, una visitina al salone di bellezza più vicino al mio appartamento. Ho appuntamento per le otto e mezza e, rivolgendo lo sguardo sulla sveglia adagiata sul comodino di legno chiaro, mi accorgo di essere in ritardo. In terribile ritardo. Come inizio non c’è male. Mi precipito sotto la doccia e ingurgito a fatica una tazza di caffè latte prima di restare in catalessi di fronte al mio armadio, un armadio rimasto invariato da tre anni. Un armadio che vorrei buttare per intero nel cassonetto. Tiro un sospiro, tengo a mente che oggi non posso sbagliare. Non posso sbagliare. Chiudo gli occhi e butto le mani tra gli ammassi informi di abiti monocromatici. Rimane intrappolato nella mia mano destra un dolcevita nero, che indosso immediatamente insieme a un paio di jeans slavati. Decido di andare a fare visita ad un centro commerciale appena finito l’appuntamento dalla parrucchiera. Non posso sbagliare.

Sono di fronte al salone di bellezza, non posso tirarmi indietro, non oggi, premo il dito indice sul campanello, due volte. Viene ad aprirmi una bionda ossigenata che sembra avere stampato a caratteri cubitali sulla fronte ‘Guardami, sono bellissima!’. Gambe chilometriche e rossetto rosso, mi invita ad entrare e a sedermi ad aspettare, sarà da me in pochi minuti, dice. Prendo in mano una rivista di moda e mi sento a disagio vestita da barbona, con quell’accozzaglia di peli che ho in testa e so che questo deve cambiare. Non c’è scampo. Non per me. Miss copertina di Vanity Fair mi viene incontro sui suoi trampoli e mi invita a seguirla. Nella sala c’è profumo di lavanda e smalto. Miss Mondo inizia a lavarmi la massa  informe sul mio capo utilizzando una sfilza di prodotti che non mi sarei mai sognata di acquistare. Dopo avermi passato le mani in testa per circa venti minuti, mi avvolge un asciugamano rosa in testa. Ma perché proprio rosa? Smetto di chiedermelo quando mi conduce nella saletta adiacente, piena di donne che si concedono una rinfrescata settimanale del loro look, perfette nei loro abitini colorati e a loro agio su quelli che per me sarebbero sempre stati dei trampoli. La stanza è talmente rosa da provocarmi un conato di vomito, rosa le pareti, rosa i divani, le sedie, i phon persino. Mi siedo sulla poltroncina che mi è stata indicata, rosa pure quella, e ti pareva. La voce smielata di Miss gambe chilometriche mi chiede da quanto tempo è che non faccio un taglio come si deve. Penso che è decisamente troppo impicciona ed evito di rispondere, cercando di mantenere la calma. Ma ecco che arriva un’altra domanda, mi chiede che cosa desidero, stavolta non posso negargli una risposta e cerco di essere educata, per come mi riesce. Oggi non posso sbagliare.

Mi guardo allo specchio e non mi riconosco. Dove sono finita? Che fine ha fatto la mia massa di peli crespi e irregolari castano scuro? Al loro posto vedo dei bei boccoli che scendono regolari ai lati del mio viso, di un intenso blu, un blu carico, come richiesto. Blu come il cielo, come il mare e, adesso, come i miei capelli. Blu sono anche i miei occhi e credo che questo nuovo look li risalti. Per la prima volta dopo tanto tempo mi sento più me stessa, più viva, più blu, quindi più libera di esplorare, più viva e basta, è sufficiente questo. Sento che oggi inizio con il piede giusto e non intendo fare passi falsi, non più.

Il centro commerciale che ho sempre amato, prima di quella notte, mi invita con fare seducente a percorrere i suoi corridoi e a comprare la sua merce. Euroma è un spettacolo, qui si può trovare di tutto e, altro lato positivo quando me ne importava, è a pochi isolati dal mio appartamento all’Eur. Da quando sono venuta a vivere nella capitale è sempre stato il mio posto preferito, credo. Quei giorni felici che so di aver vissuto all’interno di queste pareti, mi appaiono troppo lontani, quasi irreali, relegati ad un tempo che non tornerà e il loro pensiero mi fa ancora male, come una ferita che so che non si cicatrizzerà, forse mai, di certo non adesso.                                                                                                                                                                                                                                        
Provo un abito color menta, di solito non oserei con colori come questi o, diciamocelo, con nessun altro colore, ma oggi è oggi e va vissuto. Non mi sta neanche tanto male, esalta il mio incarnato e snellisce la mia figura. Compro anche un paio di ballerine, non è il caso di fare il passo più lungo della gamba ed assomigliare ad un tirannosauro Rex su un tacco dodici. Soddisfatta dei miei acquisti entro nel bagno. Uno dei bagni pubblici più puliti in cui sia mai stata. Stacco le etichette e indosso ciò che ho comprato. Non sembro più io, cioè no, rettifico, sembro più me stessa ora di quanto lo sia mai stata. Sembra che, per ora, io non stia sbagliando.

Esco in strada e, al contrario di come pensavo che mi sarei sentita, sono a mio agio, mi sento nuova, più io. La trasformazione fuori sta avvenendo con successo, ma so che non basta. Ci vuole dell’altro e sto per confrontarmici. Mi accorgo di nuovi sguardi posati su di me, fissano i miei capelli, il mio abito nuovo, e la cosa mi piace. Oggi inizia la vita, oggi elimino il nero dal manto del mio essere, tolgo il telo grigio, incarto mal riuscito del mio cuore, e lui inizia a battere. Batte, ed oggi è diverso. Oggi non posso sbagliare.

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Capitolo 2
*** Rinascita. ***


Mi sudano le mani. Le mie mani, sempre troppo congelate, come tutti mi hanno sempre lasciato intendere, ardono di un nuovo calore. Improvvisamente mi rendo conto che non lo so più il significato di quei ‘tutti’. Chi sono ormai? Esistono? Non lo so più. Le certezze mi hanno ormai abbandonata da tempo ed io sono stata troppo inerte per inseguirle, per cui ho perso la corsa, esse non mi appartengono più. L’unica cosa che posso fare adesso, la mia unica scelta obbligata e fabbricarne di nuove e oggi sento di poterlo fare. Non dico che sarà semplice, anzi, tutto il contrario, ma voglio provarci, devo farlo. È questa l’unica cosa che so, l’unica cosa alla quale restare aggrappata, l’unica cosa che mi rende forte.
Non sono mai stata forte, sono gracile fuori e debole dentro e questo mi ha sempre distrutta, isolata. Ho sempre invidiato i potenti, sempre voluto avere anche solo un briciolo della loro autostima. Ma adesso basta, oggi devo essere forte, per me stessa quantomeno, oggi i giochi li comando io, oggi sono io il fato, io che decido, io che scelgo.
Mi sudano le mani, ma so che non è il caldo. Ho la pelle d’oca. Tremo, ma so che non è il freddo. Sento una fitta all’altezza dello stomaco, ma so che non è mal di pancia. Mi sorprende come i contrasti si prendano gioco del mio corpo, caldo e freddo uniti nel gioco infinito dei sensi. Ma a loro non basta impossessarsi del mio corpo, poiché si addentrano anche nella mia anima, popolata da emozioni diverse, contrastanti, ma pur sempre emozioni. La verità è questa. È sempre meglio provare qualcosa, qualsiasi cosa, che rimanere inerti. Ed io sono rimasta inerte davvero troppo a lungo. Questo mi ha spaventata talmente da farmi avere il terrore della fine, ma sono stufa di rimpiangere i fantasmi del mio passato. So che sono vicino a me, ma devo scegliere di ignorarli, perché si sono nutriti per troppo tempo del mio spirito, della mia mente e del mio cuore.  Sento una lacrima rigarmi il volto, scendere sulla guancia destra e cadere nel vuoto. Decido che è l’ultima.
 
Sono pronta per la terza tappa di questa mattinata, la penultima in realtà. È giunta l’ora del marchio. Non sono mai stata una fanatica dei tatuaggi, ma so che hanno un significato. E poi, io ho il bisogno di riprendere il controllo sul mio corpo. Ammetto di essere spaventata, ma mi impongo di muovere un piede davanti all’altro e di sdraiarmi a pancia in giù sul lettino, tra un po’sarà tutto finito.
La prima volta che osservo il mio riflesso per intero sullo specchio non mi sembra vero, eccomi. Ho aspettato tanto, troppo, ma finalmente riesco a vedermi. Mi giro di schiena, così da ammirare la fenice che occupa per intero la mia spalla sinistra ed io, proprio come quello stupendo animale, risorgo dalle mie ceneri.

Dopo aver pranzato all’ultimo piano del centro commerciale, concedendomi un panino da McDonald e un’insalata, mi preparo psicologicamente all’ultimo incontro della giornata, forse il più decisivo. Ma ormai sento che sto iniziando a volare e non ho alcuna intenzione di smettere. Ritornare all’aderenza delle suole con l’asfalto mi infastidirebbe. Faccio un respiro profondo e mi reputo pronta, per quanto possa essere pronta una che si reca al patibolo.
Non ho mai avuto fiducia nelle mie doti, né sono convinta di possederne, infatti non mi aspetto nessun esito positivo. La mia rivincita sarà una soltanto, provarci. Andare incontro a quello che so che sarà un fallimento a testa alta, prendermi le critiche, rischiare il tutto per tutto. E lo farò.

Io vivo delle mie parole. Nei tre anni fantasma tutte queste parole hanno vissuto ancorate a delle pagine, composte da inchiostro, incerte e barcollanti. Sono avanzate una per una nelle pagine bianche non solo del mio taccuino, ma si sono anche impresse nel mio cuore, lo hanno marchiato. E credo che ora sia giunto il tempo di farli prendere aria, di aprirle al mondo, di dischiuderle e farle respirare. È arrivata l’ora che qualcuno le legga, che vengano trasmesse in un circuito di cuori, legati dai miei flebili versi. Ma questa è soltanto una pura utopia. Un’utopia che oggi è arrivato il momento di cercare di inseguire. La deciderà il destino la lunghezza della mia corsa ed anche la sua intensità. Però, per oggi, voglio dare una mano a questo destino, ed indirizzarlo nella giusta direzione.

Tra un’ora ho il mio primo incontro con un editore, una prova che mi sono concessa il lusso di provare. Devo consegnargli alcune delle mie poesie, che ho relegato con cura per l’occasione. Sono emozionata, emozionata da tante cose, paure, ansia, tormento e anche gioia. Gioia di uscire dal guscio, di sentirmi libera, di spiegare le ali come la fenice sulla mia spalla, paura di schiantarmi al suolo, di subire una delusione, ma la prima è molto più intensa della seconda, per fortuna.
Esco dal centro commerciale e salgo sul primo taxi, destinazione un bar molto elegante con dei tavolini all’aperto. Non è un’ora di massima affluenza e non ho difficoltà ad individuare colui con il quale devo incontrarmi, certamente mi sono d’aiuto il suo volto che scruta i passanti e il nome sulla sua valigetta: Marco Rinaldi. È un signore di mezza età, in completo blu scuro e occhialetti da intellettuale. Mi accomodo sulla sedia accanto alla sua e mi accorgo che ha già ordinato un paio di caffè. Dannazione. Odio il caffè e credo di essere già abbastanza nervosa, ma farò un’eccezione.
«Buon pomeriggio signor Rinaldi, io sono Luna Lia» dico, con il più grande sorriso che riesco ad esibire e porgendogli la mano. Il suono della mia voce mentre pronuncio il mio nome è diverso, perché stavolta sono convinta che mi appartenga.
«Buon pomeriggio a lei signorina, la stavo aspettando. Non vedo l’ora di leggere le sue parole, siamo da svariati mesi nella ricerca incessante di nuovi autori e forse lei potrebbe essere quella giusta.» Ha una voce potente, ma elegante, piacevolissima da ascoltare.
«La ringrazio, ma prima credo sia il caso che lei legga le mie parole. A questo proposito le ho portato questo.» dico porgendoli i fogli relegati. Pesano. Come può la comune carta pesare tanto? Pesano le parole, pesano i momenti in cui sono state scritte, pesa la vecchia me.

Ad incontro finito scorgo il mio forse editore che inizia a leggere la prima poesia della raccolta e ignoro le fitte che mi tagliano all’altezza del petto.




Rinascita

Pacate grida, insapori disgrazie;
disgustano anche il più pulito dei cieli.
Con passi sonanti mi allontano dall'oblio e vago in universi paralleli.
Mi scalzo dai pregiudizi e mi libro in volo come una dolce farfalla.
Avvampano le mie gote di un insolito rosso vermiglio
e si colora la mia anima delle raggianti sfumature di un'alba che si tinge di rosa.
Ammiro ciò dal quale mi separo, ma lo lascio dietro comunque,
non degno della mia ritmica corsa contro la realtà.
Rimango ancora immersa in quel sogno e volo in cieli migliori, più puliti,
immaginando ciò che non esiste. Vivendolo, anche.



Riemergo dalle ceneri.

Risorgo da un groviglio di polvere,
nascosta dietro un muto sguardo di ghiaccio;
aspetto il consumarsi di questa lenta eternità di sentimenti repressi.

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Capitolo 3
*** La luna e il buio. ***


Il sole si staglia alto e luminoso nel cielo, che inizia a stratificarsi con gli intensi colori del crepuscolo, rosso, arancio, viola. Il vento è una leggera brezza che mi spinge dolcemente in avanti. La città è frenetica, piena, viva e, per una volta, faccio parte anche io di questa vitalità. Quest’immensa energia mi imbratta, sono immersa nell’entusiasmo, nella gioia, anche nell’amore. Il dolore, per il momento, non sembra scalfirmi. Percorro la strada a testa alta, felice, felice e viva. E felice di vivere.
Prendo la metro per tornare all’Eur. Quei veicoli sotterranei non mi appaiono più come una scocciatura, come figure nere e allungate che vivono sottoterra. Di colpo mi appaiono anche loro espressioni di vitalità, luoghi di incontri, pieni di gente che, come me, evade. Gente che ha appena finito il turno al lavoro ed è in attesa di riabbracciare la propria famiglia. Ragazzi ansiosi di raggiungere il centro per la sera. Amanti che si rubano timidi baci. Turisti stanchi. Mamme e figli. Amici. Stranieri che si sentono a casa. Estranei che condividono pochi metri quadri. Individui che si portano addosso dei segni, a volte sbiaditi, indistinguibili. Volti stupiti, vuoti, felici, ansiosi, in attesa. E io? Dove mi dirigo? Che espressione regna sul mio volto? Non lo so, ma nella mia anima cavalcano speranze che non riesco a fermare. Sono così spedite, così irrefrenabili.

Il mio appartamento è un bilocale rifugio, troppo grande per una persona sola, troppo piccolo per due. Appoggio la borsa nel salone, sul divano di pelle e mi fiondo in camera a cambiarmi. Indosso la divisa da cameriera, la camicia bianca e la gonna nera, lego i capelli in uno chignon. Sono tre anni di fila che faccio il turno di sera in un ristorantino nel mio quartiere. È vicino a casa mia e posso arrivarci a piedi in una ventina di minuti. Oggi sono in anticipo. Decido di fare una visita al parco. Percorro quei sentieri immersi nella natura e mi sembra di respirare aria nuova, depurata. Mi siedo e osservo il laghetto, poi alzo lo sguardo verso il cielo. Una pallida luna avanza tra le nuvole, pian piano prende carattere, si illumina con gradualità e, insieme a lei, il cielo si spegne, si colora di nero. Lei brilla, domina tutto quanto. La invidio.

«Buonasera!» esordisco entrando in cucina. Gli chef sono indaffarati nella creazione di molteplici pietanze. Nell’aria c’è odore di salmone affumicato e gamberetti. Tiro un fiato e mi dirigo in sala a prendere gli ordini. Non mi sono mai sentita a mio agio in questo posto, troppo elegante, troppo lussuoso, troppo tutto. Non l’avrei mai scelto per cena, piuttosto preferisco il cibo da strada, seduta agli scalini di Piazza di Spagna, a guardare le stelle. Ma la gente ricca è viziata e vuole essere servita e riverita. Spendono il denaro in una vita comoda, in cui non è necessario che muovano neanche un dito. Se fossi ricca non spenderei i miei averi così. Se fossi ricca non vivrei in un hotel a cinque stelle per poi scendere a cenare nel ristorantino al piano di sotto. Piuttosto andrei dall’altra parte del pianeta, lo girerei tutto fino a stancarmene, mangerei cibo da strada nelle capitali, guardando le stelle, posti diversi, sempre lo stesso cielo.                                                                                                                
«Ehi Luna, che hai fatto ai capelli?» È Julia, vestita come me, truccata il doppio di me, alta il doppio di me, con le scarpe alte il triplo delle mie.
Non rispondo, mi limito a sorriderle, lei si sforza sempre di essere carina con me, ma io respingo le persone, sono fatta così.                                                                                        
«Sono davvero meravigliosi, stai benissimo!» la sua voce è davvero dolce. Anche lei è dolce. Sembra non accorgersi dei milioni di sguardi maschili posati su di lei, sulle sue gambe e sul suo sedere. È inconsapevole, inconsapevole della vita.                                                                                                      
«Gra-zie Julia, sei davvero gentile» dico, consapevole di non meritarmi la sua gentilezza, consapevole di non meritarmi proprio un bel niente.
Il servizio è stato davvero duro, non mi sento le braccia a furia di portare piatti. Mi accascio su una sedia all’angolo della cucina. Julia si avvicina per invitarmi ad una festa. Io sono pronta ad esibirmi nell’ennesimo rifiuto, non sono tipo da feste sto per risponderle, ma poi mi rendo conto di una cosa, mi rendo conto che oggi sto risorgendo e che ho voglia di provare cose nuove. Penso alla fenice sulla mia spalla e rispondo di si, le dico che mi va, che ci voglio andare a questa festa.

Mezz’ora dopo siamo nel suo appartamento a prepararci. La sua casa ha stile, l’aria profuma di vaniglia e i divani sono rossi. Vuole a tutti i costi prestarmi un suo vestito, io le dico che non è necessario, che sto bene anche così, nonostante sappia che non è per niente giusto andare ad una festa vestita da cameriera. Lei insiste e non posso fare a meno di accettare. Apre le ante a specchio del suo armadio e caccia fuori un abitino che non avrei mai pensato di indossare, che non avrei mai pensato che potesse starmi bene.                                                                                                                                                             «Provalo!» esordisce, e io decido di non deluderla. È un abitino corto color crema, con la gonna in tulle e il corpetto ricamato di perline. Non mi sta così male come pensavo.                                                                       
«Visto? Lo sapevo che ti sarebbe stato un incanto!»        
Lei indossa un tubino nero e delle scarpe molto alte, stende un velo di rossetto rosso e dice di essere pronta. Io non lo so se sono pronta, ma voglio scoprirlo.
 
Marco Rinaldi è a casa, oggi ha fatto due buone azioni, ha accompagnato i suoi figli a scuola e ha affidato le poesie rilegate di Luna a Hugo, un suo dipendente molto giovane e alle prime armi, ma con un raffinatissimo gusto letterario.
Hugo stava per uscire quando ha iniziato a leggere le poesie di Luna. Poi è stato colto da una specie di frenesia e non stava più riuscendo a smettere. Era a dir poco incantato da quelle piccole lettere d’inchiostro, quando qualcuno suona alla sua porta. È Andrew, gli dice di darsi una mossa, che vuole andare a quella festa a rimorchiare e a concedersi un fiume di alcol. Gli dice di aspettare solo cinque minuti. Il tempo di leggere un’ultima poesia.



Buio

La pioggia riga il cielo,
la luna grida,
il canto
il corpo
resta sospeso
si trascina.
Ali di fuoco
e labbra gelide.


La lacrima attraversa il volto,
la mano freme,
la mente
l’anima
è travolta
cede.
Cuore di ghiaccio
e occhi di pietra.

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Capitolo 4
*** Mani. ***


La musica è assordante, ma mi piace. Io e Julia siamo in fila per entrare alla festa, con tanto di invito. La fila è a dir poco chilometrica e io rivolgo una sguardo di rassegnazione al volto imbronciato della mia amica, non so perché, ma stasera mi va di definirla così. Lei mi prende per il polso e, con passo deciso, mi trascina insieme a lei, proprio davanti al bodyguard. Ad un cenno del capo e dopo una veloce controllata alla lista e ai nostri inviti, il buttafuori ci fa passare.
«Ecco uno dei vantaggi della famiglia» esordisce con il sorriso, di nuovo stampato sul suo viso delicato.
«Come, scusa?»
«I miei zii sono proprietari di questo posto, è carino non è vero?»
Carino mi sembra abbastanza riduttivo come definizione, questo posto è una meraviglia, sofisticato al punto giusto. Le luci colorate dei faretti proiettano scie luminose in tutta la sala. La musica che fuoriesce dalla console del Dj non è davvero niente male e la pista da ballo è piena di gente. Io e Julia ci dirigiamo all’angolo bar.
«Non carino, è proprio meraviglioso!» le rispondo, guardandomi ancora intorno per fissare i dettagli. Tappezzerie vintage e divanetti sui toni del bianco e nero popolano l’ambiente.
«Visto? Non è poi così male venire alle feste con me, ti pare?»
«Questo non l’ho mai messo in dubbio!»
«Scusa, ma non eri forse tu a declinare decine dei miei inviti?» Lo dice con una punta di ironia, per niente arrabbiata.
«Non prenderla come una questione personale, davvero. Ora va molto meglio, non parliamone più.»
«Ben detto! Ora iniziamo a divertirci!»
«Ehi ciao Bob, due Mojito, uno per me e uno per la mia amica.» dice rivolgendosi al barman.
Sentirmi chiamare così fu come respirare un po’ del mio passato, di momenti felici molto lontani, emozioni che ora sentivo lì accanto a me, ero libera. Mando giù il mio cocktail e faccio un enorme sorriso alla mia nuova amica, che mi sta regalando proprio una bella serata, anche se è appena iniziata.
Ad un tratto si avvicinano due ragazzi, uno dei quali si fionda su Julia. Alto quasi due metri, capelli biondi e sorriso mozzafiato, le mette un braccio dietro la spalla.
«Ehi sorellina, anche tu qui stasera?»
«Dacci un taglio Andrew, sono in compagnia, non farti sempre riconoscere!»
Mi sembrò assurdo non averci pensato prima, quei due si assomigliano in una maniera impressionante, era lampante che ci fosse un qualche legame di sangue.
«E chi è questa bellezza che vuoi nascondermi?» esordisce lui con tono deciso e spocchioso. Le guance iniziano ad avvamparmi.
«Io non sto cercando di nasconderti nessuno, solo di preservare il buonumore della mia amica! Comunque lei è Luna, Luna lui è Andrew, non farti ingannare dai capelli, non ci assomigliamo neanche un po’ per fortuna!»
Stringo quella calda mano e rimango un po’ perplessa, non solo per via della conversazione, divenuta molto imbarazzante per la sottoscritta, ma anche per le caratteristiche della sua stretta. Ho sempre pensato che si possano capire un sacco cose su di una persona in base al modo in cui ti stringe la mano quando vi presentate. C’è chi la ritrae subito, il tempo di sfiorare le dita, chi stringe forte e non vuole più mollare la presa, chi ha mani bollenti, chi fredde come il ghiaccio. La mano di Andrew sembra fatta di fuoco al contatto e troppo forte nello stringere la mia, tanto che sembra di avere l’intenzione di stritolarmi le dita. Una stretta possente, molto probabilmente sintomo di una personalità forte.
«Tanto piacere Luna, scusa i modi barbari di mia sorella, non sono il mostro che mi dipinge!» Non so perché la sua voce ha una sfumatura di ipocrisia nel dirlo.
Proprio in quel momento, mentre Andrew mollava la mia mano e si sedeva sullo sgabello accanto a Julia, mi accorgo che non era da solo, dietro di lui c’è un ragazzo lo segue.
«Oh, scusami Luna, che sbadato! Questo tipo taciturno è il mio amico Hugo»
Quando Hugo si avvicina di fronte a me ho modo di distinguere bene i suoi tratti. È molto alto, almeno una spanna più di Andrew ed ha dei magnetici occhi color cielo e i capelli corvini. I suoi lineamenti sono delicati e trasmettono un senso di pace. Una mano gelida stringe la mia, il tempo di un secondo.

Hugo è sconcertato, non fanno nemmeno in tempo ad arrivare che quell’esaltato del suo amico gironzola già da una parte all’altra della sala, ingurgitando fiumi di alcol. Lui lo segue come un’ombra, qui non conosce nessun’altro e, anche se è stufo di stare dietro ad uno che ci prova con ogni ragazza che vede, cerca di sopportarlo. La musica è troppo alta, non gli sono mai piaciuti gli ambienti come questo, pieni di confusione e di sballo. Ripensa alle poesie che stava leggendo prima di essere trascinato lì e ne ha nostalgia, dipendesse da lui ritornerebbe a casa in un attimo, ma non ha nessuna voglia di fare il guastafeste, così sopporta. Però con le sue sole forze non ce la fa, così si avvicina al barman per ordinare qualcosa di forte e, ovviamente, Andrew lo segue a ruota.
«Ma si amico, iniziamo a bere qualcosa, facciamo iniziare questa serata!»
Non c’era male, visto che io non vedevo l’ora che finisse. Appena arriviamo all’angolo bar ecco spuntare la testolina bionda di Julia, la sorella di Andrew. A parte il sangue che scorre nelle loro vene quei due hanno ben poco in comune, forse solo il fatto di essere dei festaioli, per il resto non potrebbero essere più diversi.
Andrew inizia a stuzzicare Julia, che inizia a rispondere a tono, i battibecchi tra quei due non hanno mai fine. Osservando meglio nella direzione di Julia mi accorgo che accanto a lei, un po’ più in basso, c’è una ragazza dai capelli colore del cielo quando inizia a farsi buio, blu, blu intenso. È una sua amica, si chiama Luna. Non so perché, ma non riesco a fissarla negli occhi, a sostenere il suo sguardo, accarezzo la sua mano e la ritraggo. Ha una mano che sembra fatta di cristallo, delicata, affusolata e un po’ tremolante.


Cognizione di eternità

Il vento che mi scuote
le sottili vesti,
l’acqua marina che
mi dipinge i piedi.
Il corpo diviene
un quadro d’onde,
una tela di spruzzi,
l’anima annega
distrutta.

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